I verdi campi francesi.

di Layla
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1)In Francia per punizione. ***
Capitolo 2: *** 2)La storia dei Willy McBride. ***



Capitolo 1
*** 1)In Francia per punizione. ***


1)In Francia per punizione.

Aveva preso l’ennesimo votaccio e questa volta non sapeva proprio come presentarlo al padre.
Will calciò via la neve che stava invadendo progressivamente il marciapiede, Londra – o meglio londinesi – non era fatta per la neve, la gente dimostrava sempre un menefreghismo devastante.
I vialetti delle case erano sempre puliti,  a scapito dei marciapiedi di cui non si curava nessuno,
Sbuffando estrasse l’i-phone e scrisse a Matt che non ci sarebbe stato alla festa di sabato, perché probabilmente il suo vecchio l’avrebbe messo in punizione.
L’amico gli rispose che gli dispiaceva e che erano riusciti a convincere Sherilee a venire, Will imprecò sottovoce.
Sherilee Lynch era il sogno proibito di ogni ragazzo, aveva lunghi capelli neri, due occhi azzurri meravigliosi, un bel davanzale e tutte le curve al posto giusto.
“Merda!”
Probabilmente Matt se la sarebbe fatta e lui sarebbe rimasto a bocca asciutta. Il pensiero gli diede una fitta di rabbia.
Beh, ormai era tardi, doveva solo affrontare suo padre e sperare che non si arrabbiasse troppo.
Era ormai arrivato a casa sua, così sali i tre gradini e aprì la porta rossa su cui era rimasta una malinconica ghirlanda di Natale.
Suo padre lo aspettava all’ingresso e questo era perlomeno strano.
“Ciao, papà.”
Lo saluto cauto, intuendo la tempesta in arrivo.
“Ciao, Willy. Vieni, dobbiamo parlare.”
Ok, non poteva più salvarsi, sperò solo di essere capace di riuscire a sopravvivere nella tempesta che si sarebbe scatenata di lì a poco.
Arrivarono in salotto, lui si sedette sul divano, suo padre su una poltrona davanti a lui.
“William, mi ha telefonato la tua insegnante di matematica. Hai preso l’ennesimo brutto voto, si può sapere cosa hai in mente?”
“Io… niente.”
“Ecco il problema! Tu non hai in mente niente se non fare casino con quei teppisti dei tuoi amici!
Sparisci ogni venerdì e sabato sera e domenica – quando dovresti fare i compiti – o dormi oppure giochi con quei tuoi videogiochi. Non si può continuare così, non ho intenzione di lasciarti perdere un anno di liceo, visto che io e tua madre ci spacchiamo la schiena per farti studiare!”
Eccolo lì, il solito tentativo di farlo sentire in colpa mettendo a confronto la sua adolescenza con quella dei genitori. Will respinse il senso di colpa e tornò ad ascoltare suo padre.
“Sei in punizione per due settimane e, visto che non ti interessa nulla né della mia adolescenza né di quella di tua madre, riceverai presto una lezione.”
“Non è che non mi interessa nulla…”
“Sì, non ti interessa nulla. Ogni tanto uscivamo anche noi a divertirci, ma non come te che non sai fare altro che bere e scopare, suppongo.
Adesso puoi andare in camera tua.”
“E il pranzo?”
“Se lo salti una volta non muori.”
Rispose suo padre, William si alzò reprimendo un sospiro di infelicità e salì in camera. Ai genitori dei suoi amici non importava nulla del loro rendimento scolastico, perché proprio a lui era capitato un padre vecchio stile?
Buttò lo zaino a terra, si tolse jeans, scarpe e calzini e si buttò sul letto, il pranzo era andato a farsi benedire, tanto valeva farsi una bella dormita.
Più tardi forse avrebbe fatto i compiti
Odiava la scuola anche solo per il doversi alzare presto, lui non era affatto mattutino, iniziava a ingranare del tutto verso le undici, le ore precedenti erano spesso nient’altro che una nebbia indistinta in cui si trovava costretto a vivere.
Nemmeno cinque minuti dopo dormiva già.
Era immerso nel sonno dei giusti quando sentì qualcosa cadere su di lui che lo sbatte giù a calci con poca gentilezza, poi aprì gli occhi e capì che si trattava di Freddie, un suo amico.
“Che cazzo di modo hai di svegliare le persone?”
Gli chiese con la voce impastata dal sonno.
“Uno piuttosto diretto.”
Commentò alzandosi e massaggiandosi il sedere.
“Cosa ci fai qui, comunque?”
“Niente, sono solo venuto a trovarti.
Tuo padre mi ha detto che devi scendere, c’è quella gran figa di tua cugina Liz dabbasso.”
“Non è figa.”
Ripose lui, raccogliendo i suoi jeans.
“Certo che lo è.”
“Ma per favore! Con quei capelli rosso sangue, la faccia pallida, i suoi vestiti neri e le sue band emo fa pena.”
“Secondo me è figa.”
Lui sospirò esasperato, mettendosi una felpa, dei calzini e le ciabatte.
“E allora provaci con lei.”
“Nah, non ne vuole sapere di gente stupida come me.”
Will non fece commenti, la cotta di Freddie verso Liz era abbastanza strana.
Scese dabbasso e trovò il suo vecchio seduto sul divano a chiacchierare amabilmente con quella secchiona.
“Ciao a tutti.”
Liz alzò una mano e arrossì lievemente quando vide Freddie spuntare alle sue spalle.
“Buongiorno, figliolo.
Veniamo al dunque: tu e Liz farete un bel viaggetto in Francia, lei deve insegnarti un paio di cose.”
“Sì, a vestirmi di nero e ad amare band che inneggiano al suicidio.”
“No, dovrei insegnarti qualcosa sulla vita, ma dubito di riuscirci con il cervello bacato che ti ritrovi!”
Le rispose acida lei, Will stava per risponderle a tono quando si intromise suo padre.
“Non siete qui per litigare! Vi ho prenotato l’aereo, partirete domani sera.”
“Agli ordini!”
Fu la sua riposta acida.
La proposta di suo padre non gli piaceva affatto, trascorrere del tempo con Liz sarebbe stato di una noia mortale per lui e poi lei era un’acida di prima classe, sempre pronta a commentare malignamente le sue abitudini.
“Beh, se non c’è nient’altro da dire io me ne vado.”
Liz si alzò dal divano e recuperò la sua borsa, Will tirò un intimo sospiro di sollievo.
“Vuoi che ti accompagni a casa?”
Li z guardò Fred leggermente stupita, poi fece cenno di sì con la testa, in un attimo erano spariti tutti e due.
“Cos’è questa storia della Francia?”
Chiese a suo padre.
“Visto come ti stai comportando è arrivato il momento di raccontarti qualcosa di più sulla nostra famiglia e siccome so che non mi ascolterai sarà Liz a farlo.”
“Chi ti dice che la ascolterò? Lei non mi piace con quell’aria da miss so-tutto-io.”
“La ascolterai, te lo garantisco.”
Rispose duro suo padre, Will scoprì di non avere parole con cui rispondergli.

 

Due giorni dopo erano in volo sopra la Francia, il tempo era nuvoloso e una volta atterrati a Parigi si sarebbero presi un bel po’ di acqua.
“Ripetimi il piano.”
“Atterriamo, prendiamo un taxi per la gare de l’Est, io faccio i biglietti per Verdun e poi ci fermiamo per una notte in un ostello che ho prenotato io.”
“ ‘k, cosa vi siete detti tu e Freddie?”
Lei arrossì leggermente.
“Nulla che ti possa interessare.”
“Dai, dimmelo.”
Lei prese fiato.
“Senti, William, io non piaccio a te e tu non piaci a me, ma siamo costretti a fare questo viaggio insieme, quindi stabiliamo delle regole.
1)Non parliamo più del necessario.
2) Tu non fai cazzate.
3)Non parlarmi più di Freddie o giuro su Dio che me ne torno a Londra e ti mollo per cazzi tuoi.”
“Agli ordini!”
Rispose seccato lui, che non pensava di meritarsi una risposta così cattiva.
Era inutile, non avrebbe mai capito Liz. Da bambini giocavano insieme, poi qualcosa si era guastato, sua cugina aveva cominciato a essere derisa per il suo essere troppo grassa ed era diventata anoressica e strana: niente più vestiti colorati, niente più sorrisi o feste, solo quelle band deprimenti. Era guarita alla fine, ma non era tornata quella di prima, era rimasta quella con i vestiti neri e delle band strane.
Anche adesso le stava ascoltando a giudicare dal ronzio che sentiva dalle sue cuffie, Will decise di lasciar perdere.
Un quarto d’ora dopo atterrarono al DeGaulle, ritirarono i bagagli e cambiarono la cara vecchia sterlina in euro.
“Bene adesso cerchiamo un taxi.”
Gli disse sua cugina, che parlava un francese abbastanza buono al contrario di lui che capiva a stento metà di quello che le persone dicevano attorno a lui.
“Va bene.”
Uscirono dall’aeroporto trascinandosi dietro i loro bagagli, Liz camminava a passo talmente svelto che lui faceva fatica a starle dietro, dannata emo!
Alla fine si ritrovarono fuori dalla grande struttura, lui si guardò attorno spaesato, lei invece aveva già individuato i taxi e lo costrinse a muoversi con uno strattone alla giacca.
Will si affrettò a seguirla, lei parlottò per un po’ con il taxista che annuì e li aiutò a caricare i bagagli. Entrarono nella vettura – piacevolmente riscaldata – e lui si sentì un po’ meglio, curiosamente aveva voglia di un bel the caldo.
La macchina si mise in moto e lui si perse a guardare le strade di Parigi tra le gocce di pioggia che scendevano a rigare il finestrino, Liz non gli disse niente.
Will cominciò a trovare un po’ pesante quell’assenza di comunicazione, in fondo era un bel ragazzo e con un carattere amabile!
Era biondo e con gli occhi verdi e sapeva essere simpatico se voleva, alle ragazze piaceva e amavano anche i suoi capelli irti in una specie di cresta. Liz non gli aveva mai detto una volta che era bello, al contrario lo chiamava scimmia.
Alla fine arrivarono alla Gare de l’Est ed entrarono di nuovo in un ambiente affollato e freddo.
“Senti, io vado a fare i biglietti, non allontanarti.”
Lui annuì e si sedette su una panchina lì vicino, ben presto venne avvicinato da uno sconosciuto.
“Se ti interessa ho un po’ di roba a buon mercato.”
Perché no? In fondo gli toccava trascorrere una serata con un’acida.
“Che roba?”
“Erba.”
“Va bene.”
L’uomo gli infilo senza farsi vedere un cubetto in tasca lui gli infilò venti euro nella tasca del giubbotto, poi come era arrivato l’uomo se ne andò, il problema era che anche la rossa lo aveva visto e dalla faccia con cui gli stava venendo incontro non aveva affatto gradito.
“Cosa hai comprato?”
Gli sibilò tagliente.
“Un po’ di erba per stasera.”
“Sei incorreggibile!”
Sputò lei.
“Comunque ho i biglietti, partiamo dopodomani alle sei e adesso andiamo all’ostello, è davanti alla stazione.”
“Va bene. si può sapere perché non ti va mai bene quello che faccio io?”
“Perché tre quarti di quello che fai è dannatamente stupido!”
“Pensa un po’ alla tua storia!”
Lei si girò e lo fulminò con un’occhiata così carica di rancore che si stupì di non prendere fuoco all’istante.
“Io ero malata, tu non sei malato, sei solo uno stupido!”
Sibilò prima di girarsi di nuovo e chiudere del tutto la comunicazione con lui.
Will sbuffò, possibile che non ne indovinasse una con lei?
Che ogni volta che cercasse di abbattere a suo modo il muro tra di loro sua cugina lo respingesse così brutalmente?
Attraversarono la strada, il secondo edificio era il famoso ostello e venne assegnata loro una camera a due letti e con un piccolo bagno.
“Io vado a farmi una doccia.”
Annunciò Liz.
“Si può sapere cosa ti ho fatto?
Siamo cugini in fondo!”
“Quando i tuoi amici mi prendevano in giro,non ero tua cugina, non ero nemmeno una tua lontana parente, non ero nessuno.”
Poi si chiuse in bagno e Will si stese su uno dei due letti, non aveva mai considerato la vicenda da quel punto di vista, forse avrebbe dovuto chiederle scusa, ma non era certo che lei le accettasse, aveva un tale carattere!
Finita la doccia se ne fece una anche lui e quando uscì la trovò addormentata  mentre ascoltava la sua musica, indossando solo una maglia lunga,  in un impeto di pietà decise di coprirla e poco dopo la imitò anche lui.
La mattina dopo si svegliarono con un bel sole, Will si sentiva riposato.
“Quando abbiamo il treno?”
“Domani alle sei, quindi se vuoi possiamo fare un giro per la città.”
“Va bene, ma prima mettiamo qualcosa sotto i denti. Ho fame.”
“Nell’ostello è compresa la prima colazione.”
Lui sorrise.
“Che bello!”
Si cambiarono e scesero a mangiare un abbondante colazione continentale, poi tornarono in camera e si guardarono negli occhi.
“Cosa facciamo ora?”
“Io andrei a vedere la tour Eiffel e poi Montmartre.”
“Va bene, vengo con te.”
Lei alzò gli occhi al cielo.
“Se devi.”
“Scusa se non sono bravo come te con il francese!”
“Se fossi stato attento a scuola…”
“CHE PALLE”
Urlò esasperato.
“Non è colpa mia se non sono un secchione!
E poi cosa ti costa aiutarmi?”
“Il fatto è che non voglio aiutarti, non voglio aiutare nessuna delle persone che mi hanno fatto del male.”
Lui sbuffò.
“Ho sbagliato, va bene?
Succede.”
Lei fece uno strano gesto con la mano.
“Facile liquidare tutto così, senza nemmeno una scusa, ma cosa posso aspettarmi da te?
Dai, andiamo, ma non aprire bocca durante il giro, odio la tua voce!”
Liz aprì la porta con rabbia e non si curò del fatto che lui la seguisse o meno, non si aspettava che sua cugina ci fosse rimasta così male per qualche scherzetto innocente.
La sua coscienza dissentì, non erano scherzetti innocenti, era bullismo vero e proprio e lei aveva imparato a difendersi allontanando tutti.
Uscirono nel sole di Parigi, la rossa aprì una mappa e poi cominciò a camminare svelta sul marciapiede, lo stava completamente ignorando come aveva detto avrebbe fatto.
Lui la seguiva a fatica, intralciato dalla gente, e la vide quasi per miracolo scendere in una delle stazioni della metropolitana.
Sbuffando la ritrovò davanti a un’edicola, lei lo vide e gli passò un paio di biglietti.
“Cristo, potresti almeno aspettarmi!”
Per tutta risposta lei ricominciò a camminare.
“Liz, aspettami!”
Will dovette correrle dietro e riuscì a portarsi al suo fianco giusto poco prima che la carrozza della metro arrivasse. Salirono insieme, a giudicare dalle fermate la prima tappa doveva essere la torre.
“Penso ci fermeremo anche a Notre Dame e alla Saint Chapelle.”
“Va bene.”
Aveva qualche altra possibilità?
Scesero a una fermata, lui la seguì docile e dopo aver percorso un paio di stradine si ritrovarono davanti alla torre.
“Wow!”
Will le fece una foto con l’i-phone.
“Puoi farmi un favore?”
“Dimmi, Liz.”
“Fammi una foto con il mio cellulare, io accanto alla torre.”
Lui annuì e la cugina si mise in posa, lui cliccò un tasto ed ecco che la loro prima tappa era stata immortalata.
Gironzolarono ancora un po’ alla torre, arrivarono fin sotto la struttura per ammirare gli incastri perfetti del ferro, lui sarebbe rimasto volentieri ancora un po’ma lei lo trascinò via.
“Prossima tappa?”
“Notre Dame e la saint Chapelle:”
Presero di nuovo la metro e si fermarono alla fermata giusta per andare a visitare i due monumenti.
Già fuori dalla chiesa Will si fermò per un attimo, incantato, poi entrò per vederlo meglio.
Le vetrate di Notre Dame erano davvero belle, con la luce colorata che diffondevano nella chiesa la rendevano fuori dal tempo. Un  fiore etereo che non sarebbe durato, un’eterna preghiera verso il cielo con i costoni e i gargoiles che si alzavano come mani protese verso il cielo blu.
Usciti da Notre Dame, entrarono nella Saint Chapelle, se possibile era ancora più bella di Notre Dame, le vetrate erano più alte e ricoprivano quasi interamente tutte le pareti, sembrava di stare in paradiso.
Tutta quella luce strana – filtrata – dava l’impressione di essere entrati in un altro mondo, un mondo di santi, streghe, re e regine che da tempo avevano lasciato questo mondo insieme alla loro mentalità.
C’era qualcosa di epico in tutto questo, un pulsare di vita estinta che si faceva sentire attraverso l’arte.
Era magico.
Anche Liz era incantata allo stesso modo, almeno in quello erano cugini. Uscirono a malincuore con gli altri turisti, prima di riprendere il loro giro si sedettero su una panchina,entrambi accesero una sigaretta.
Will non sapeva se potesse parlare o meno a sua cugina, quindi per non fare la figura del fesso faceva finta di concentrarsi sui passanti.
“Come ti sono sembrate?”
Alla fine era stata Liz a rompere il silenzio.
“Bellissime, soprattutto la Saint Chapelle.”
Era incerto se aggiungere altro, alla fine decise di farlo.
“Sembrava di stare in un altro mondo.”
“Esattamente quello che ho pensato io.”
Per la prima volta Liz gli sorrise e dovette ammettere che quando sorrideva era una bella ragazza, peccato lo facesse così di rado!
“Adesso, cosa facciamo?”
“Cerchiamo un posto dove mangiare e poi andiamo a Montmartre.”
“Va bene.”
Si alzarono dalla panchina e cercarono un bar che non fosse troppo costoso, presero un panino e una bottiglietta d’acqua ciascuno. Il silenzio era di nuovo calato tra di loro, ma Will percepì che era meno carico di ostilità.
Finito di mangiare presero di nuovo la metro e arrivarono a Montmartre, salirono la scalinata del Sacro Cuore e da lì si godettero il panorama dei tetti di Parigi. Non era magico come le chiese, ma era romantico, gli sarebbe piaciuto portarci la ragazza dei suoi sogni.
Chissà se a Sherilee sarebbe piaciuto?
Si chiese Will, probabilmente sì, ma lui non sarebbe mai riuscito ad averla. Quelle come Sherilee non sceglievano mai quelli come lui.
“William!”
L’urlo di sua cugina lo fece trasalire.
“Dobbiamo andare! Si può sapere a cosa stavi pensando?”
“A come sarebbe bello portare Sherilee qui e a come sia impossibile che lei scelga me.”
La risposta sincera gli era uscita da sola e lui non avrebbe voluto che succedesse.
“Sherilee Lynch? Non ti perdi nulla, è solo un’oca.”
Will scosse la testa e seguì Liz lungo la scalinata, presero di nuovo la metro e arrivarono nei pressi del loro ostello.
Gironzolarono un po’ fino all’ora di cena, poi cercarono un altro bar per mangiare, trovarono una pizzeria che faceva prezzi decenti.
Mangiarsi una pizza a Parigi non era poi così male!
Usciti dal locale rientrarono in ostello e si fecero entrambi una doccia, poi Liz si stese sul letto a leggere qualcosa, un manga probabilmente, lui invece si diede da fare con l’erba comprata il giorno prima. Preparò la cartina, prese il tabacco, lo mischiò a un po’ di erba e chiuse tutto con il filtro.
La accese soddisfatto.
“Vuoi fare un tiro?”
“No.”
“Eddai, non fare la santa!”
Liz appoggiò il manga al comodino e si sedette accanto a lui sul terrazzino della loro camera e gli tolse la canna dalle mani, traendone un lungo tiro.
“E poi non la volevi. Non sei una principiante.”
“No, in qualche modo dovevo sopravvivere alla scuola e, a volte, ho scelto metodi sbagliati.”
Per un attimo i suoi braccialetti si alzarono rivelando sottili cicatrici bianche, lui fece una smorfia.
“Sì, sono proprio metodi sbagliati.”
Continuarono a fumare insieme, quando la canna era quasi finita e Liz rilassata si azzardò a domandargli una cosa che gli premeva fin da quando erano sull’aereo.
“Liz, ma ti piace Freddie?”
“Sì, ma è fuori dalla mia portata e poi uscire con me gli rovinerebbe la reputazione.”
“Penso che non gliene freghi un cazzo della reputazione.”
“Pensi che mi possa aspettare  che mi chieda di uscire con lui allora?”
Chiese con voce sognante la rossa.
“Può darsi.”
“Sarebbe bellissimo.”
Poi chiuse gli occhi e si addormentò di schianto.
Will la mise sotto le coperte e si disse che dopotutto viaggiare con lei non era male. Era curioso di sapere cosa avrebbero visto l’indomani e cosa c’entrasse con la sua famiglia.
L’avrebbe scoperto con Liz, si disse e se c’era una persona adatta per scoprirlo era lei, perché oltre a essere acida era anche pratica e semplice.
Sì, sarebbe andata bene.

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Capitolo 2
*** 2)La storia dei Willy McBride. ***


2)La storia dei Willy McBride.

 

La mattina dopo fu un disastro, si svegliarono in ritardo e solo il fatto che la stazione era praticamente davanti al loro ostello gli impedì di perdere il treno per Verdun.
Cosa aveva di speciale quella piccola città della Lorena?
Il nome gli sembrava familiare, ma aveva paura di chiedere spiegazioni alla cugina, gli sembrava che fosse di malnumore e che quel minimo di complicità che avevano sviluppato se ne fosse andato.
“Liz?”
“Sì?”
“Sei incazzata? Ti ho fatto qualcosa?”
“No, Will. Sto solo pensando a come approcciarmi, che parole scegliere per farti capire il messaggio che tuo padre vuole darti mandandoti qui.”
“Cos’ha di speciale questo posto?”
“Fu una delle principali battaglie della prima guerra mondiale. Iniziò nel 1916 e durò undici mesi causando la morte di in milione di soldati circa.”
Will riflette un attimo, sapeva di essere stato chiamato con quel nome per onorare qualcuno della famiglia, un bisnonno che aveva partecipato alla grande guerra.
Ci pensò e ripensò, alla fine decise di rinunciarci.
“Non ho idea del perché dovrei andare lì.
“Io sì.”
“Beh, svegliami quando siamo arrivati, ho sonno e quindi penso di dormire un po’.”
Lei annuì seria, il suo cervello stava ronzando – poteva sentirlo persino da lì – ma il biondo non aveva idea di cosa girasse nella testa della rossa.
Si sentiva la testa pesante e i pensieri intorpiditi dal sonno, così decise di lasciarsi andare a un riposino ristoratore, magari dopo sarebbe stato in grado di collegare tutte le cose.
Al momento il suo viaggio con Liz gli sembrava un puzzle non risolto e aveva l’impressione che gli mancassero degli elementi per capirlo.
L’avrebbe scoperto tra poche ore, inutile fasciarsi la testa prima di essersela rotta.
Gli sembrava di aver chiuso gli occhi solo cinque minuti prima quando una mano gentile lo scosse: era Liz.
Da quando avevano visitato insieme Parigi, lei sembrava mano acida e prevenuta nei suoi confronti.
“Siamo arrivati, Will.”
Lui annuì e la aiutò con le valigie, riuscirono a scendere dal treno appena in tempo, sospirando di sollievo uscirono dalla stazione, che era totalmente diversa rispetto a quella parigina.
C’era meno gente e non c’erano taxi, Will si soffermò un attimo a leggere le indicazioni per un museo  sulla battaglia di Verdun.
“Andremo qui?”
Chiese alla cugina, ma lei scosse la testa.
“Adesso lasciamo le nostre cose in un bed & breakfast e vedrai dove andremo.”
Lui annuì e la seguì lungo le strada poco affollate del paese, la stagione turistica non era ancora iniziata. La rossa si fermò in una casetta con i fuori sulle finestre del piano terra.
“Eccoci qui.”
Lei suonò e rimasero in attesa di qualcuno che venisse ad aprire loro.
Poco dopo arrivò una donna sulla quarantina, bionda e con un’aria materna.
“Buongiorno, voi siete?”
“McBride.”
Rispose con un sorriso sua cugina.
“Perfetto, vi aspettavo! Adesso vi faccio vedere la camera e poi vi lascio liberi.
Ragazzo, sei fortunato ad avere una ragazza così carina.”
“È mia cugina.”
Ridacchiò Will facendo arrossire la signora.
La loro camera era al secondo piano ed era perfettamente pulita, con tanto di tendine alla porta finestra e fiori sul balcone, per il resto c’erano due letti e una stanzetta per il bagno.
“È veramente deliziosa!”
Cinguettò Liz.
La signora accettò il complimento e poi sparì, Will si gettò sul suo letto.
“Ti cedo il bagno per fare la doccia per prima, basta che non ci metti trent’anni.”
“Grazie, Will!”
Gli sorrise lei.
Sua cugina sparì in bagno e lui ne approfittò per farsi un sonnellino, le ragazze stavano sempre un’eternità in bagno. Dopo un po’ Liz lo sveglio e lui si fece una doccia veloce e si cambiò i vestiti, uscito dal bagno la trovò sul balcone a fumare e decise di farle compagnia.
“Dove andremo dopo?”
“Fuori dalla cittadina, c’è un posto che devi vedere e una storia che devi sentire.
Forse non sei proprio la testa di cazzo impermeabile a ogni insegnamento che credevo.”
“Mi stai dicendo che mi farai una lezione?”
“Qualcosa del genere, non farmi dire una parola di più. Sto ancora pensando a come impostare il tutto, è importante che tu capisca il messaggio ed è per questo che tuo padre ha scelto me.”
“Uhm, capisco.”
Finirono la sigaretta e rientrarono nella stanza, Liz cominciò a ficcare alcune cose in uno zaino più piccolo e lui capì che doveva fare lo stesso.
Riempiti gli zaini, salutarono la padrona di casa e uscirono, era una giornata calda e soleggiata in cui passeggiare era piacevole.
Will seguì la cugina, uscirono dall’abitato per percorrere un sentiero: l’erba attorno a loro era verde e a tratti interrotta da qualche macchia rossa: papaveri.
Camminarono per un po’, lui non ci stava capendo molto, dove diavolo stavano andando?
Alla fine capì, in lontananza vide un cimitero con numerose croci bianche che si stagliavano nel sole. Liz deviò verso quella direzione e lui la seguì, probabilmente si sarebbero fermati e lui non poté fare a meno di essere contento, iniziava a essere stanco e il sole lo stava facendo implacabilmente sudare.
Alla fine entrarono nel cimitero, Will si guardò in giro a disagio, su alcune di quelle croci c’erano foto di ragazzi morti un secolo fa che avevano circa la sua età e su quelle prive di foto le date non cambiavano.
Come aveva detto Liz?
Erano morti circa un milione di soldati su quel fronte, che ora non era altro che aperta campagna, a volte coltivata, a volte no.
Sua cugina si sedette sotto un albero e lui la imitò, stanco. Bevve un po’ di acqua e poi la guardò, l‘ espressione della rossa era assorta.
“Fa un bell’effetto, vero?”
Disse infine, misurando le parole.
“Abbastanza, un milione di ragazzi morti per …che cosa per la precisione?”
“Qualche metro di terra da rubare alla nazione nemica.”
Rispose.
“Un milione sono tanti.”
“Furono un’intera generazione, impreparata a tutto questo.”
“Cosa vuoi dire?”
“Questa fu la prima guerra di trincea della storia, ore intere passate sotto il fuoco nemico  a tentare di avanzare in quelle che erano lunghi buchi, fangosi e puzzolenti.
Prima si combatteva a campo aperto, con la cavalleria, poi si passò a usare le mitragliatrici, gli obici, i mortai, le bombe a mano, gli aerei.
Non bisognava essere troppo vicini per essere colpiti, bastava essere sulla linea di tiro.”
“Capisco.”
Lei sospirò.
“Forse un po’, ma ora ti racconterò una storia e forse capirai meglio.”
“Ok.”
Rispose semplicemente lui, che non capiva l’intenzioni di Liz.
“Ok.
Fai uno sforzo di immaginazione e segui le mie parole, so che sei in grado di farlo.
“Sei sicura?”
“A Parigi mi sono accorta che hai un po’ di immaginazione anche tu e questi facilita le cose.”
“Ah, Parigi era un test…”
Lei bevve un sorso dalla sua bottiglietta.
“Mh, qualcosa del genere.”
“Adesso iniziamo.”
“Ok.”
Rispose lui.
“Immagina di vivere in un piccolo paese dell’Inghilterra rurale, uno di quelli in cui il tempo scorre sempre uguale a sé stesso.
C’è un piazza davanti alla chiesa, una fontana in mezzo e su uno dei lati c’è un pub che fa anche da locanda, sull’altro lato c’è un negozio di alimentari.
Il resto è sparso sulle viette che portano alla piazza e non manca nulla per la gente di allora.
La guerra li tocca solo marginalmente, ma la gente si è fatta l’idea che sia un mostro mangia ragazzi, sempre più giovani partono e nessuno sa se ritorneranno.
La battaglia in Francia è come un tabù, lo sanno tutti che c’è, ma nessuno osa nominarla per non attirarla di più.
Riesci a vedere?”
Will chiuse gli occhi e aprì la mente a quella visione, vedeva tutto quello che Liz gli descriveva.
“Sì.”
“Ok, allora continuiamo.
Tu hai diciannove anni, fai il contadino, ma non ti piace particolarmente lavorare la terra: il tuo sogno sono gli orologi.
Fin da quando eri piccolo ti fermavi incantato a guardare la bottega dell’orologiaio, fantasticando su come sarebbe bello riuscire a far funzionare quegli ingranaggi così perfettamente messi insieme.
Poi ti ricordi che i soldi per studiare non li hai, hai solo le mani e la terra del tuo vecchio e lasci perdere, forse farai studiare tuo figlio se riuscirai a mettere da parte qualche sterlina.
In ogni caso adesso non sono tanto gli orologi a passarti per la mente o meglio entrano come meteore funeste a indicare che il tuo tempo in paese è agli sgoccioli.
Lo senti sul collo il fiato della guerra e ti vengono i brividi, ti sei appena sposato e non vuoi lasciare tua moglie. Si chiama Annie ed è la ragazza più bella del paese per te: ha dei meravigliosi capelli biondi che splendono al sole, due occhi azzurri ridenti da irlandese qual è e un corpo meraviglioso.
Non vuoi lasciarla, non vuoi vederla piangere e non vuoi vedere le espressioni tristi sul volto dei tuoi, lo sanno loro e lo sai tu che ricevere una lettera di arruolamento è come ricevere una condanna a morte.
Tu non vuoi morire, ti va bene fare il contadino basta che tu rimanga nella cara Inghilterra insieme alla tua famiglia.
Stai tornando dai campi, ti fermi al pub e ordini una birra, con la sensazione che qualcosa di brutto accadrà, mentre falciavi il prato hai sentito uno strano click come quello delle lancette di un orologio gigantesco quando segna un minuto trascorso.
La cosa ti ha scosso, ma quando finalmente riesci a bere una birra ghiacciata tutto sparisce, sei solo un contadino del 1916 stanco e con una fervida immaginazione.
Paghi la birra e te ne vai a casa, sulla porta c’è Annie e i suoi occhi sono rossi e gonfi, il tuo cuore inizia a battere un po’ più veloce del solito.
Forse è morto tuo nonno, ha una malattia di quelle che non perdonano e forse Dio ha avuto pietà della sua sofferenza e l’ha finalmente chiamato a sé.
“Annie, che succede?”
Le chiedi, affrettandoti verso di lei.
Lei non risponde, ma ti porge una lettera con il timbro del ministero della difesa e tu inizi a sudare freddo. Forse morirai prima di tuo nonno.
“Annie, cos’è?”
“Aprila, Willy. Io non ne ho il coraggio.”
La apri e sai già cosa conterrà prima di avere finito di leggerla.
“Mi hanno chiamato alle armi, Annie, entro quattro giorni devo essere a Londra.”
“Quindi partirai domani?”
Chiede lei con una voce tremula che non le hai mai sentito, tu annuisce meccanicamente. Prima di questa lettera avresti voluto visitare la capitale con Annie, adesso vorresti che Londra sprofondi nel cuore marcio della terra.
Entrate tutte e due in casa, la cena è in tavola, ma nessuno la mangia volentieri; tutti e due avete altri pensieri per la testa e ti accorgi che lacrime silenziose solcano il volto di tua moglie.
Siete sposati da solo un anno, un anno è troppo poco per un matrimonio come il vostro.
Finita la cena, ti lavi e poi ti butti a letto, la stanchezza non la senti nemmeno, così come non sentì il tepore della notte d’aprile e i profumi che porta il vento: per te è tutto congelato.
Le luci sono tutte fredde, i movimenti meccanici, la vostra vita scorre come il torrente appena fuori dal paese quando è ghiacciato.
Poco dopo senti i passi di Annie salire le scale, indossa solo una veste di seta e pizzo che lascia poco all’immaginazione.
“Ehi, non sapevo avessi questa roba.”
Tenti di scherzare, lei arrossisce,
“Volevo riservarla per il nostro primo anniversario, ma ho pensato che oggi fosse il giorno giusto.”
Ti stringe la mano e tenta di sorridere, ma tu la conosci bene, sai che sta trattenendo le lacrime.
Quella notte fate l’amore come non l’avete mai fatto, come se fosse l’ultima volta che vi vedeste.
E la cosa peggiore, ti dici il giorno dopo, è che sarà così.

 

Londra non ti accoglie bene.
Quando arrivi c’è una pioggia fredda e una sottile nebbiolina fredda che sale dalle strade, del calore e dei profumi del tuo villaggio non c’è neanche l’ombra.
Vai all’indirizzo scritto sulla lettera e lì ti visitano, sei abile alle armi.
Lo sapevi già.
Ti consegnano le tua divisa, già lercia e ti rasano, poi ti spediscono su un treno con un gruppo di altri ragazzi. Annie ti manca già, apri il medaglione con la sua foto e pensi che non le rende giustizia, non c’è il sole che gioca nei suoi capelli e non c’è quel luccichio allegro nei suoi occhi blu, ma questo è tutto quello che hai. Vorresti piangere, ma solo le donne piangono e tu sei un uomo, gli uomini affrontano il loro destino a testa alta e occhi asciutti.
Non puoi fare a meno di ricordare cosa ti ha detto il medico che ti ha visitato.
“Vorrei trovare malformazioni, ma siete tutti sani, ragazzi.
E tornerete malati, come orologi bloccati sempre alla stessa ora, voi sarete sempre là nel fango francese.”
Arrivate a Brighton e poi venite caricati su una nave diretta a Dieppe, dal momento in cui ci metti piede senti di odiare il mare, non fai altro che vomitare per tutto il viaggio, ed è solo l’inizio.
Da Dieppe inizia la marcia verso Verdun, alcuni dei tuoi commilitoni sono tranquilli, altri hanno paura di venire bombardati. In ogni caso il sole è tornato a splendere e fa caldo con tutto l’equipaggiamento e lo zaino addosso.
Ogni giornata trascorre noiosa e faticosa, la marcia sembra non finire mai e la notte crolli esausto nel sacco a pelo
Pensi che questo sia già l’inferno, ti sbagli: questa è solo la scala per l’inferno.
L’inferno ha un nome: Verdun.
Dopo qualche altro giorno di marcia arrivi a Verdun, è una semplice cittadina francese, non ha certo l’aspetto di un girone infernale, ma il clima è strano. I pochi abitanti rimasti mormorano al vostro passaggio,non sai il francese, ma il tono è di pietà.
Usciti dalla cittadina vedete finalmente quello che sarà il vostro inferno personale: le trincee.
Vi vengono consegnate le armi e siete assegnati ai vari reparti, tu spari, lanci bombe e vieni assordato dalle granate.
Non ti è mai capitato nulla del genere, una luce che arriva esplode e dietro di sé lascia solo morte e distruzione.
Piano piano entra nei tuoi incubi insieme a un ticchettio insopportabile, tuo nonno l’avrebbe chiamato l’orologio della morte. Dice che si sente solo quando la morte si sta avvicinando a te per portarti via, implacabile.
Tu rifiuti quest’ipotesi e scrivi ad Annie dopo un mese, cerchi di rassicurarla, ma quello che ha bisogno di essere rassicurato sei tu.
Inizi a odiare la pioggia, il fango, il freddo e il marciume, poi inizi a odiare le granate che uccidono e mutilano senza pietà i tuoi compagni e infine inizi a odiare i tedeschi, anche  se sai che probabilmente sono ragazzi esattamente come te che vorrebbero essere a casa loro e non in guerra, che le lanciano e speri di farne saltare in aria un po’ con il tuo equipaggiamento.
La risposta di Annie arriva dopo quasi due settimane, dice che sta bene, che tuo nonno è ancora vivo  e la vita di paese scorre tranquilla, ti racconta persino un paio di aneddoti, infine ti scrive che è incinta.
Sorridi, forse non vedrai mai tuo figlio, ma sai che c’è.
Poi all’improvviso qualcosa si guasta dentro la tua mente, lo senti persino il “crack” che segna la fine di tutto e che fa ticchettare all’impazzata l’orologio della morte.
Tu non sei in guerra, questo è solo un dannato sogno, tu sei ancora al tuo villaggio e ti sei addormentato all’ombra di qualche albero, troppo stanco per continuare a lavorare la terra.
Se sei in un sogno puoi fare di tutto, quindi ti lanci oltre le trincee con il tuo mitra in mano e le bombe a mano. Inizi a sparare all’impazzata abbattendo più mangia patate che puoi, vedi il terrore nei loro occhi e ridi, ridi come un matto o come uno che non a più nulla da perdere.
Finisci le munizioni e lanci le bombe a mano, ma a un certo punto finiscono anche quelle e tu sei solo che fluttua davanti alla difesa nemica: un bersaglio facilissimo da colpire.
Te ne rendi conto troppo tardi e capisci che non è un incubo quando la prima pallottola ti trapassa la gamba facendoti un male d’inferno.
Il resto è confuso, ti senti trapassato da mille pallottole e all’improvviso il tuo mondo diventa buio, lavato via dalla pioggia e dal sangue che scorre copioso dalle numerose ferite.
Sei solo un altro numero nel conteggio dei morti, ora.
Il tuo ultimo pensiero va ad Annie e al bambino, forse lui potrà imparare a riparare orologi, per il tuo ormai non c’è più niente da fare.
L’orologio Willy McBride si è fermato.

 

All’improvviso la voce di Anne tacque e Willi si accorse di avere brividi per tutto il corpo, nonostante la giornata fosse calda e soleggiata.
Lui avrebbe voluto dirle qualcosa, ma lei si alzò di scatto e lo invitò a seguirla, attraversarono il cimitero per arrivare a una certa tomba: quella di William – Willy – McBride.
“Willy McBride era il nostro bisnonno e questa è la sua storia. Ce ne sono centinaia come la sua narrate da queste croci bianche, ma nessuno le ascolta più ora mai perché pensano tutti che gente morta cento anni fa circa non abbia nulla da dire a noi.
Non è vero, loro hanno tanto da raccontare.
Ci parlano di una generazione perduta e sacrificata tutta sull’altare delle ambizioni. Non importa la loro nazionalità, era gente della nostra età che a un certo punto si è ritrovata con un fucile in mano e due possibilità: usarlo e vivere o non usarlo e morire.
Molti non credevano nemmeno alle ideologie o alle bugie raccontate loro dal governo, erano qui perché dovevano e non si sono tirati indietro.
E il loro sacrificio è stato vano perché ovunque si combattono ancora guerre e nessuno racconta più la loro storia, le hanno raggruppate tutte in una festività a cui nessuno crede davvero.
Quello che tuo padre voleva farti capire è che Willy non ha avuto scelta, ha buttato via la sua vita perché non aveva altre possibilità, tu invece stai sprecando la tua solo perché sei pigro.
Willy avrebbe voluto andare a scuola, tu la odi.
Non ti chiedo di amarla, ma di pensare solo un attimo alla fortuna che hai.”
Rimasero un attimo in silenzio tutti e due, la brezza li accarezzava gentilmente e faceva danzare i papaveri rossi nei campi vicini.
“Sai, Liz… Credo che mi ubriacherò solo una volta al mese e ridurrò il mio numero di canne.
Mi piacerebbe dare una svolta alla mia vita, non sarò mai un secchione, ma non sarò mai un fancazzista come prima.
Grazie di avermi raccontato la storia di Willy McBride.
Dovresti fare la scrittrice, sai?”
Lei arrossì e balbetto qualcosa.
Lui sorrise, adesso aveva capito perfettamente le intenzioni di suo padre e non poté fare a meno di ringraziarlo mentalmente perché gli aveva impartito una lezione importante senza fargli una predica e gli aveva permesso di rivalutare sua cugina.
In fondo Liz non era la secchiona emo che credeva, forse avrebbero potuto essere amici ora.
“Ehi, Liz! Quando torniamo a casa ti va di sederti al mio tavolo a mensa?”
Lei sorrise.
“Sì, mi va. Grazie Will.”
Lui sorrise, era tutto a posto adesso.
Ora potevano tornare a Londra, portandosi la mano sul cappellino verde che indossava salutò i verdi campi francesi, i tulipani e il suo bisnonno.
Era sicuro che in paradiso stesse riparando orologi.

Angolo di Layla

Ringrazio Stukas are coming per la recensione.

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