Dentro i boschi

di Darik
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1° Capitolo ***
Capitolo 2: *** 2° Capitolo ***
Capitolo 3: *** 3° Capitolo ***
Capitolo 4: *** 4° Capitolo ***
Capitolo 5: *** 5° Capitolo ***



Capitolo 1
*** 1° Capitolo ***


1° CAPITOLO
La stretta strada saliva man mano che si avanzava, affiancata su entrambi i lati da alberi e cespugli piuttosto fitti che solo ogni tanto lasciavano intravedere un po’ di cielo grigio, e che in più punti avevano cominciato a invadere la strada stessa, premendo sull’asfalto dal basso e creando dei piccoli dossi.
La quiete del luogo fu interrotta dal rumore di un motore, appartenente a un pulmino bianco con cinque persone all’interno.

“Siamo arrivate?”, domandarono in coro quattro voci di giovani ragazze.
La professoressa Shizuna, al volante, controllò il monitor del GPS che stava affianco al cruscotto.
“Ci siamo quasi. Abbiate un po’ di pazienza, capisco che quattro ore filate di macchina siano snervanti, però il più è fatto”.
“Il problema non è tanto quello”, obbiettò Yuna Akashi, “quanto il fatto che da due ore ormai prendiamo dossi e buche in continuazione. Abbiamo perso il conto dei sobbalzi”.
“Coraggio, coraggio, sono sicura che adesso ce ne saranno pochissimi”.
Neanche un attimo dopo, beccarono un rialzo dell’asfalto di ben venti centimetri, e il sobbalzo le fece sbattere tutte e cinque contro il tettuccio del pulmino.
Mentre si massaggiavano la testa, l’insegnante guardò con lieve imbarazzo i volti, piuttosto stanchi, delle allieve: oltre a Yuna, c’erano Ako Izumi, Makie Sasaki e Akira Okochi.
“Questa non è una gita di studio”, sbottò Makie, “ma una punizione! E poi, perché proprio noi siamo finite qui? E perché il professor Negi non è con noi?”
“Mi dispiace, ma il preside è stato irremovibile: il professor Negi è bravo, però tendete troppo a distrarvi e scatenarvi per lui, e quando trenta ragazze vitali come voi cominciano a litigare, succedono macelli su macelli”.
Shizuna andò con la mente agli ultimi eventi: due mesi prima la capoclasse Yukihiro aveva invitato il professor Springfield a casa sua per un pranzo, le altre si erano autoinvitate, e avevano combinato chissà quale pasticcio con Chachamaru distruggendo il parco della villa.
Poi, un mese prima, il professore aveva deciso di provare un bagno pubblico giapponese, loro lo avevano seguito e alla fine era stato demolito anche quel bagno, insieme agli edifici circostanti.
Per ultimo, quando il povero Negi aveva incautamente accettato l’invito del club di esplorazione della biblioteca a compiere una missione esplorativa con loro, le altre si erano aggregate, finendo dopo una litigata apocalittica per far ribaltare svariate migliaia di scaffali pieni di libri, vanificando così almeno venti anni di esplorazione in quella misteriosa biblioteca.
“Perciò, poiché siamo pure in periodo di esame, il preside ha deciso che dovete essere separate in più squadre, in modo da ridurre il vostro… potenziale distruttivo, e dovete studiare in posti diversi e lontani per allontanarvi un po’ dal professor Negi, in modo che impariate a stare anche senza di lui”.
Le quattro ragazze abbassarono lo sguardo: purtroppo l’insegnante aveva ragione eccome.
Ad un certo punto, la strada cominciò ad allargarsi, finché non comparve un fiume attraversato da un ponte non molto grande, doveva essere lungo solo una decina di metri, ma decisamente in pessime condizioni: era una struttura di acciaio e legno, sopraelevata di due metri rispetto al terreno, con le parti in metallo macchiate da enormi chiazze di ruggine, mentre quelle in legno apparivano assai consumate. C’erano persino delle travi che penzolavano per un’estremità verso il basso, e sembrava che bastasse sfiorarle con una foglia trascinata dal vento per farle cadere nelle vorticose e profonde acque sottostanti, che erano di ben sei metri sotto al livello del terreno.
Shizuna e Yuna scesero e controllarono le condizioni del passaggio.
“Professoressa, capisco il luogo isolato, ma qui si esagera! Dobbiamo davvero passare di qui?”
Neanche Shizuna appariva molto convinta, e guardò il fiume, il cui percorso attraversava l’intera zona come se fosse un confine.
“In effetti… Però è stato il preside a mandarci qui, e non lo avrebbe mai fatto se fosse stato un luogo pericoloso. Inoltre, se torniamo al Mahora penserà ad una scusa e ci rispedirà indietro”.
Le altre ragazze scesero, guardarono prima il fiume e poi il ponte, quindi Makie e Ako s’irrigidirono e si abbracciarono: le loro espressioni indicavano che mai e poi mai avrebbero attraversato quel ponte malridotto con una macchina.
“Ho un’idea”, propose allora Akira. “Attraversiamo il ponte a piedi, e vediamo quanto è lontana quella cascina. Se fosse anche solo un chilometro, direi che possiamo portare le borse da sole”.
Tutte approvarono la proposta, quindi chiusero il pulmino e attraversarono il ponte con passi lenti e felpati, tenendosi sempre lungo i bordi della strada.
A parte qualche scricchiolio, non successe nulla, tirarono un grosso sospiro di sollievo quando sentirono nuovamente il terreno sotto i piedi e proseguirono il tragitto, seguendo la strada non più asfaltata ma in terra battuta.
Il terreno iniziò a salire, e la vegetazione si fece sempre più fitta, gli alberi erano molto alti e con un tronco spesso, quasi possente.
Inoltre, man mano che avanzavano, iniziarono a sentire un rumore quasi ritmico, simile ad un continuo bussare.
Dopo una quindicina di minuti, finalmente videro la loro destinazione, restando di sasso: la casa che le avrebbe ospitate per la prossima settimana era uno chalet a un solo piano, interamente in legno, con una tettoia nella parte anteriore che incorniciava l’ingresso e due grossi finestroni rettangolari.
Il suono simile ad un bussare era provocato da un’altalena arrugginita e attaccata alla suddetta tettoia, che un leggero vento faceva sbattere contro un muro della casa.
Le ragazze si guardarono sorprese e quasi disgustate, l’insegnante avanzò, prese dalla borsa la chiave consegnatale dal preside e la mise nella toppa.
Appena fece questo, l’altalena cessò di muoversi.
Questo attirò la sua attenzione per un attimo dopodiché aprì la porta e un forte odore di chiuso la avvolse, l’interno era buio, con la mano trovò sul muro l’interruttore della luce, lo premette e non accadde nulla.
Rammentò cosa le aveva detto il preside: “C’è un capanno qui vicino con delle taniche di benzina e un generatore. Venite a darmi una mano”.
Lei si avviò, ma le ragazze non la seguirono.
“Che vi prende?”
“E ce lo chiede? Non ha visto questo… schifo?! Dovremmo davvero studiare qui per una settimana?!”, esclamò Yuna.
“Non voglio dormire lì dentro, potrei risvegliarmi ricoperta di insetti!”, aggiunse Makie.
Anche Akira appariva piuttosto contrariata, Ako invece si guardava intorno smarrita.
“Vi capisco, ragazze”, disse Shizuna sfoggiando la voce più comprensiva che aveva, “anche per me è disagevole una simile abitazione, però è proprio questo che vuole il preside. La scuola deve essere anche maestra di vita, ed esperienze come questa, dove si fa a meno delle comodità moderne e s’impara ad accontentarsi di poco, permettono di responsabilizzarsi, e di gustare meglio quello che si ha. Inoltre,” e qui la professoressa sferrò il suo colpo segreto, “se riuscite a diventare mature e responsabili, potreste piacere di più a quelli che vi piacciono”.
Proprio come aveva previsto, Yuna, Ako, Makie e Akira iniziarono a immaginarsi, rispettivamente, suo padre, Nagi, Negi e Yamamoto che le guardavano ammirati per come aveva superato quella prova nel bosco.
“Forza, diamoci da fare!”, esclamarono insieme per poi organizzarsi: Akira, Makie e Yuna sarebbero tornate al pulmino per prendere le borse, mentre Ako avrebbe aiutato la professoressa col generatore.
Le ultime due raggiunsero il capanno di legno, distante un centinaio di metri dietro la casa, Shizuna aprì il lucchetto che chiudeva la porta e trovarono un ambiente alquanto sporco, con alcuni tavoli e ripiani attaccati alle pareti, insieme ad oggetti di vario tipo.
Appariva tutto vecchio e non usato da chissà quanti anni, l’unica cosa che ricordava abbastanza la modernità era una motosega attaccata al muro.
L’insegnante si guardò intorno: “Allora, qui dovrebbe esserci il generatore”, e spostò un telone smuovendo una nube di polvere che la fece tossire.
Il generatore era vecchio come tutto il resto, però sembrava integro, e affianco c’erano alcune taniche di benzina.
“Il generatore, mi ha spiegato il preside, è collegato alla casa con un cavo sotterrato. Bisogna solo fare il pieno e tirare questo cordino”.
Ako ascoltò e guardò l’interno del capanno, distogliendo gli occhi quando vide sopra la porta una testa di cervo impagliata.
“C’è qualcosa di strano qui, questo ambiente è talmente lugubre… oh, se solo ci fosse il signor Nagi, con lui non avrei paura di niente, ma non esiste che uno come lui, così bello, intelligente, in gamba, si metta con una nullità come me”.
“Izumi, mi senti? Ehi?”
Ako si sentì toccare la spalla. “Oh, mi scusi, professoressa. Diceva?”
“Ora attivo il generatore, vai nella casa, accendi l’interruttore e dimmi se arriva la luce”.
La studentessa corse nello chalet, Shizuna tirò la corda e scoppiettando lievemente il vecchio macchinario si accese.
“La luce è arrivata?”, domandò gridando l’insegnante.
Non udendo risposta, prima ripeté la domanda affacciandosi all’ingresso del capanno, poi insospettita da quel silenzio corse alla casa.
L’interno era illuminato, e la prima stanza era in pratica un grosso soggiorno, con alcune poltrone, qualche comodino e una piccola libreria.
Al centro del pavimento, una botola aperta.

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Capitolo 2
*** 2° Capitolo ***


2° CAPITOLO
La professoressa si avvicinò cautamente alla botola.
“Izumi, sei lì?”
Presa dal timore che l’ultimo inquilino avesse dimenticato la botola aperta, e che ci fosse caduta dentro, la donna scese nel sotterraneo passando per una scala di legno, ritrovandosi in un ambiente umido e abbastanza spazioso, debolmente illuminato da un paio di lampadine appese al soffitto.
“Izumi”, chiamò ancora guardandosi intorno.
Purtroppo le lampadine non riuscivano a illuminare fino alle pareti della cantina, quindi Shizuna le mosse per indirizzare la loro luce verso i punti in ombra, e fu così che trovò finalmente Ako: le dava le spalle e stava davanti ad un piccolo tavolo addossato al muro.
“Izumi! Finalmente!”
La ragazza sussultò e si voltò: “Oh, professoressa, è lei, ma che ci fa lei…”. Si bloccò e contemplò il luogo. “Un momento: che ci facciamo entrambe qui?”
“Sei tu che ci sei venuta”.
“Io? Non ricordo…”
Fece alcuni passi in direzione dell’insegnante.
“Ako, cos’hai in mano?”
La ragazza si guardò le mani, rabbrividì e lasciò cadere quell’oggetto misterioso: una sorta di libro scuro.
Lentamente Shizuna lo raccolse da terra e lo contemplò, sembrava davvero un libro e anche molto vecchio, a giudicare dalla copertina, che tra l’altro era quantomeno raccapricciante; una sorta di mostruoso viso vagamente umano, bloccato nell’espressione di chi spalanca occhi e bocca per urlare.
La professoressa lo sfogliò, le pagine erano ingiallite ma in buono stato, e i fogli erano pieni di scritte astruse e strane, accompagnate da disegni macabri e grotteschi.
“Ako, perché sei scesa qui?”
L’altra la guardò un po’ intimorita, non capendo di cosa stesse parlando.
“Ehi, che ci fate laggiù?”
Yuna si era affacciata dalla botola.
“Avete portato le borse?”
“Sì, professoressa, nessun problema. Wow, non sapevo ci fosse anche una cantina. Voglio darci un’occhiata”.
Non appena Yuna fece per mettere un piede sul primo gradino, Shizuna ripose il libro sul tavolino, accorgendosi di sfuggita che c’era anche un registratore portatile, prese sottobraccio Ako e con passo svelto uscirono dalla cantina.
Vide che la botola aveva un catenaccio con lucchetto e lo usò per chiudere il tutto.
“Bene”, concluse togliendosi la polvere dalle mani sotto lo sguardo perplesso delle allieve, “diamo una ripulita a questo posto”.

Fu un lavoraccio, ma alla fine tolsero la polvere dappertutto, fecero cambiare aria aprendo le finestre, sistemarono la loro roba e quando finalmente poterono iniziare a mangiare, il sole stava ormai tramontando.
“Uff, che fatica!”, esclamò Yuna sedendosi mentre le sue compagne, guidate con mano sicura dalla professoressa, preparavano il cibo nella cucina, un luogo piccolo e ridotto all’essenziale.
“Vorrei tanto farmi una doccia”.
“Non puoi, almeno non adesso”, rispose Shizuna. “L’acqua del bagno proviene da una cisterna di acqua piovana. Devo controllare che sia tutto a posto. Se lo è, potremo farci una doccia, ricordandoci comunque che avremo ciascuna pochi minuti a disposizione”.
“Che noia, non mi piace dover fare la doccia in fretta e furia”, borbottò Makie.
“Se qualcosa non funzionerà, dovrete abituarvi ad usare queste”, continuò Shizuna tirando fuori alcuni pacchetti di salviette rinfrescanti, con grande desolazione delle altre.

Ako si svegliò di colpo, e si mise a sedere sul letto. Non riconobbe la stanza dove si trovava, era tutta bianca, elegante, e dalle finestre perveniva una luce calda e accogliente.
“Non capisco… non ero in quell’orrido chalet di montagna?”
“Mia cara”, disse un ragazzo vestito di bianco entrando nella stanza.
“Si… signor Nagi!”
Preda di un forte imbarazzo, Ako si coprì con il lenzuolo.
“Andiamo, mia cara, la colazione è pronta”.
“La… colazione?”, domandò lei sbirciando da sotto le coperte.
“Certo, è tutto pronto nel gazebo, e lo stalliere ha preparato i cavalli. Oggi t’insegnerò a cavalcare”, rispose lui sfoggiando un sorriso e uno sguardo talmente radiosi che Ako sembrò annegarci dentro.
“Su, andiamo”, la invitò porgendole la mano, lei imbarazzata e felice accettò l’invito.
“Ho capito, è un sogno. Me lo voglio godere allora, tanto i sogni non hanno mai ucciso nessuno”.

La professoressa Shizuna si girava e rigirava nel letto, per quanto si sforzasse non riusciva a prendere sonno, quindi decise di alzarsi.
Guardò l’orologio che aveva messo sul comodino, ed erano solo le dieci di sera, perché dopo aver cenato erano talmente stanche per le grandi pulizie fatte nella casa che erano andate a letto subito.
Eppure adesso il sonno le era passato.
“Perché ho questa sensazione che qualcosa non vada?”
Dalla sua stanza si affacciò sul breve corridoio che, come un serpente, si snodava all’interno dello chalet collegando tra di loro le varie camere.
Nel silenzio notturno udì uno strano rumore, lo seguì fino al soggiorno, aprì la porta e sbiancò: la botola era aperta!
E quel suono, la voce di un uomo che parlava in inglese, proveniva proprio da lì sotto: “…mi pentii subito di aver pronunciato quella formula, ma questo libro maledetto ha un fascino oscuro, non puoi resistere alla tentazione di leggerlo o almeno sfogliarlo. A volte penso che il libro abbia una volontà propria, che abbia voluto farsi trovare da me, che conosco l’antica lingua sumerica, affinché potessi recitare le sue formule dannate. Come quest’altra… oh Signore, aiutami! Aiutami a sfuggire da questo incubo, non riesco a resistere!”
Quando udì la nuova formula, Shizuna, pur non capendo il significato, si sentì rabbrividire sin dentro le ossa e di corsa scese nella cantina.

Ako e Nagi erano da tempo usciti dalla villa, sotto uno splendido sole primaverile, e ora si erano incamminati per un intricato labirinto.
“Si… signor Nagi, manca ancora molto per il gazebo?”
“Non preoccuparti, cara, ci siamo quasi”, rispose lui continuando a tenerla per mano.

Dentro la cantina, seguendo la voce, Shizuna raggiunse il punto dove c’era il tavolo col libro e il registratore, intravide la sagoma di una persona, la prese per le spalle e la tirò a sé, sotto la luce delle lampadine.
“Y-Yuna?!”
La ragazza la fissava con occhi inebetiti, era sveglia ma in qualche modo assente.
Sentendo ancora quello strano linguaggio, l’insegnante spense subito il registratore.

“Ahi!”
“Che ti succede, mia cara?”
Ako si toccò la guancia.
“Non saprei, mi è sembrato di sentirmi pungere”.
Sentì le dita bagnate, Nagi le prese la mano e la avvicinò a sé.
Le dita erano sporche di sangue.
“S-sangue?!”, mormorò Ako sentendo la testa che cominciava a girarle.
“Non preoccuparti, tesoro, ci penso io”.
Nagi infilò quelle dita nella sua bocca e cominciò a succhiare, dapprima con dolcezza, e imbarazzando Ako, poi qualcosa cambiò, la ragazza cominciò a provare un dolore sempre più forte, come se qualcosa le stesse raschiando le dita.
“Signor Nagi! La... la smetta!”
L’altro non ascoltò, anzi insistette, emettendo pure uno strano rumore simile ad un ringhiare.
“Basta!!”, gridò Ako tirando indietro con uno scatto la mano
Fu un cambiamento veloce come un battito di ciglia: all’improvviso il labirinto era scomparso, sostituito da un bosco fitto e tetro. E non era neanche più giorno, ma notte fonda, parzialmente rischiarata da una luna piena.
“Mio Dio, cosa è successo?! Sono in pigiama, a piedi nudi e da sola nel bosco?!”
Guardandosi affannosamente in giro, cercò di intravedere tra rami e cespugli lo chalet, quando qualcosa sibilò nell’aria e lei sentì ancora una sorta di puntura sulla fronte.
Se la toccò e ancora sentì le dita bagnarsi.
“Non sarà… come nel sogno… ma allora è… è…”
Non osò pronunciare quella parola, non volle nemmeno guardarsi le dita, non poteva permettersi di svenire in quel bosco, doveva tornare dalle altre.
Ci furono però altri sibili, seguiti da altre punture sempre più forti, prima sulla testa, poi sul resto del corpo.
Gridando, Ako iniziò ad agitare le braccia come se fosse avvolta da uno sciame di insetti e quasi per caso afferrò ciò che la stava colpendo: incredula, si ritrovò tra le mani un ramo lungo e sottile, che sembrava fremere.
Poi ricominciò ad essere colpita per ogni dove, e allora scappò terrorizzata.
“I rami… i rami mi stanno frustando!!”
Qualcosa si avvinghiò intorno alla sua gamba e la bloccò, facendola cadere a terra.
Era una radice, che spuntava dal terreno e cominciava a risalire, come un lungo serpente, lungo l’arto.
Strillando, Ako tentò di rialzarsi e di correre via, e tanto insistette che riuscì a sfilare la gamba e fuggì, sforzandosi di ignorare i dolori lancinanti.
Correndo a perdifiato nel bosco, senza una vera meta, girò dietro un grosso albero e improvvisamente andò a sbattere contro qualcosa.
Cadde all’indietro con un urlo.
“Ako!”
“Pro-professoressa!!”
Shizuna prima la guardò preoccupata, poi si accorse che era ferita.
“Santo cielo, perdi sangue! Vieni torniamo allo chalet!”
La prese sulle spalle e tornò alla casa.

“Mi sono accorta che qualcuno era uscito perché la porta d’ingresso era solo socchiusa”, spiegò Shizuna mentre applicava delle bende sulla gamba di Ako, piena di profondi graffi. “Mentre le tue grida mi hanno permesso di trovarti. Ma perché sei andata là fuori?”
La giovane non rispose, era molto pallida, probabilmente sotto shock, prima aveva solo farfugliato qualcosa riguardante dei rami, e se non fosse stato per gli occhi che guardavano freneticamente a destra e sinistra, sarebbe sembrata una statua.
Makie metteva dei cerotti sul viso e sulle braccia della compagna, Akira in cucina stava preparando una tazza di latte caldo e Yuna guardava accigliata fuori dalla finestra.
Shizuna fu tentata di rimproverare la figlia di Akashi, però si trattenne.
“Qui sta succedendo qualcosa che non mi piace. Perché Yuna ha rubato la chiave della botola ed è scesa nella cantina? All’inizio pensavo ad una semplice disobbedienza, però quando l’ho trovata aveva uno sguardo così vuoto, che mi fa pensare al sonnambulismo. Questo spiegherebbe anche le azioni di Ako. Però come è possibile che abbiano sofferto entrambe di un attacco di sonnambulismo nella stessa notte? Inoltre, non riesco a non vedere un collegamento con quello strano libro e le formule pronunciate nella registrazione. In questo luogo c’è qualcosa di maligno, che ha attaccato Ako e potrebbe fare del male a tutte noi”.
Finite le medicazioni, l’insegnante sospirò profondamente, poi parlò usando un tono il più possibile deciso.
“Ce ne dobbiamo andare!”
Yuna, Makie e Akira, appena giunta, la guardarono sorprese e perplesse: da un lato non gli dispiaceva andarsene da quel luogo. Però abbandonare tutto così, su due piedi, dopo la fatica fatta per sistemare la casa…
“Ako ha bisogno di cure migliori. Mi assumerò io ogni responsabilità col preside. Non perdete tempo a fare i bagagli, lasciamo questo posto all’istante e torniamo subito alla macchina!”
Nessuna delle allieve se la sentì di replicare, si limitarono a chiudere luci, porte e finestre, poi, armate di torce e con Ako portata sulle spalle dalla professoressa, s’incamminarono con passo svelto verso il fiume.
Quando arrivarono al ponte, restarono impietrite: le torce illuminarono, sulla riva, quelle che sembravano delle lamiere piegate all’indietro, Makie corse per vedere più da vicino e poi dichiarò spaventata: “Il ponte… il ponte è crollato!”
Le altre si guardarono in faccia, non sapendo cosa dire o pensare. L’unica cosa certa era un senso d’inquietudine che aumentava sempre di più.
“Dobbiamo tornare indietro”, concluse amaramente Shizuna. “Forse un altro passaggio esiste, ma cercarlo con questo buio sarebbe assurdo”.
Ritornarono sui loro passi, Akira illuminò per osservarle meglio le lamiere accartocciate del ponte, e le sembrarono delle dita artigliate puntate verso di loro.
Mentre solo chi la trasportava si accorse che Ako stava piangendo.

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Capitolo 3
*** 3° Capitolo ***


3° Capitolo
Il silenzio regnava nel soggiorno della casa, nuovamente abitata.
Le occupanti avevano provato a chiamare soccorsi con i cellulari, ma non c’era campo.
Per vederci chiaro, Shizuna aveva deciso di scendere nella cantina per ascoltare sin dall’inizio la famosa registrazione, facendo attenzione a saltare ogni strana formula, e aveva lasciato le ragazze nel soggiorno, raccomandandosi di non uscire per nessuna ragione e di non dormire, o almeno non tutte insieme.
Per questo Akira e Yuna controllavano alla finestra il buio esterno e combattevano il sonno con molto caffè, mentre Ako e Makie si erano addormentate sulle poltrone.

“Vediamo”, disse l’insegnante dopo aver riavvolto il nastro e premendo il pulsante del play. Aveva abbassato il volume per non far sentire alle ragazze.
Le parole arrivarono dopo alcuni attimi di silenzio, e sembravano quelle di una persona abbastanza anziana: “Ho deciso di registrare gli eventi che accadranno da ora in poi. Mi dico che lo faccio per meglio documentare la mia scoperta, però più passa il tempo, e più comincio a pensare che voglio avvertire coloro che in futuro avranno la sventura di trovare questo libro. Mi chiamo John Knowby, e sono un archeologo specializzato nella cultura degli antichi popoli mesopotamici, in particolare quelli sumeri”.
“John Knowby? Mi sembra di averne sentito parlare diversi anni fa, quando ero ancora una studentessa. Era uno studioso americano molto famoso e molto discusso, considerato sia un genio che un ciarlatano, che scomparve nel nulla alla fine degli anni 80 mi pare”, rimuginò Shizuna per poi concentrarsi di nuovo nell’ascolto.
“Dopo molte ricerche, alla fine sono riuscito a trovarlo: il Necronomicon ex Mortis, il libro dei morti, probabilmente il più antico testo di magia nera mai esistito. Devo ammettere che anche solo guardarlo giustifica la sua sinistra fama, e sono rimasto agghiacciato quando ho scoperto come è stato realizzato: il libro è rilegato in pelle umana e scritto con sangue umano”.
Shizuna fissò atterrita il libro, che stava vicino al registratore, e dovette reprimere un conato di vomito.
La voce di Knowby continuò: “Il desiderio di mostrare al mondo l’esattezza delle mie teorie sulla cultura sumerica, mi ha fatto vincere il ribrezzo verso questo libro, e ho iniziato a studiarlo. Per non avere problemi, ho voluto trasferirmi in questa baita isolata, in Giappone, e solo mia moglie è con me. Man mano che mi sono immerso nella lettura, ho avuto l’impressione che la mia non sia stata fortuna, ma una sciagura, non posso descrivere le cose pazzesche e malvagie esposte nel libro, è la porta verso un mondo talmente oscuro che il solo pensiero della sua esistenza potrebbe far impazzire un uomo. E infatti io vorrei cessare la lettura, ma non ci riesco, non riesco ad allontanami da queste formule magiche, come…”
Subito Shizuna spense il registratore, fu titubante se continuare o no l’ascolto, poi decise che saperne di più poteva essere utile, quindi mandò avanti di qualche secondo la registrazione e ricominciò ad ascoltare quando fu certa che il momento della formula era passato.

“Ehi, Akira”.
“Che c’è Yuna?”
La ragazza guardò per un attimo Makie e Ako addormentate, poi sussurrò in un orecchio all’altra: “Stavo pensando che mentre arrivavamo qui, osservando il panorama, mi è parso di vedere un sentiero più piccolo tra gli alberi, e mi sembra di averlo visto anche dall’altra parte del fiume. Perciò da qualche parte potrebbe esserci un altro passaggio”.
Akira parve quasi scandalizzata: “E perché non l’hai detto prima?”
Aveva alzato la voce, quindi la compagna le fece cenno di non gridare: “Prima non ci ho fatto caso. Che mi importava di un piccolo sentiero quando c’era la strada principale? E non l’ho detto dopo perché il ricordo non è chiaro, insomma, se fosse giorno, sono quasi sicura di poter ritrovare il sentiero, ma al buio, proprio non so. Tuttavia…”
“Tuttavia?”
“Visto come si stanno mettendo le cose, pensavo che potrei uscire a cercarlo”.
“Sei pazza?! Cosa vuoi trovare al buio?”
“Qui sta succedendo qualcosa di strano, Akira, è evidente, anche la professoressa lo sa, non ci dice nulla per non spaventarci. Di notte ho poche possibilità, però non appena sarà l’alba andrò. Tanto anche la professoressa dovrà dormire prima o poi”.
“Andrai? Semmai, andremo”.
“E’ meglio che vado solo io, se ci perdiamo sarebbe una bella fregatura”.
“Chi ha aggredito Ako, potrebbe poi aggredire te”.
“O tutte noi. Se vado da sola, potrei trovare la strada, tornare e guidarvi. Può succedermi qualcosa, ma solo a me, e voi avreste ancora una chance, che potrebbe non esserci se andiamo tutte insieme”.
“Perché hai deciso una cosa del genere?”
“Voglio rimediare in qualche modo. Sento che ho commesso una grossa cavolata accendendo quel registratore”.
“Non ricordi neppure di averlo fatto”.
“Comunque l’ho fatto”.
Akira la guardò con un misto di paura, preoccupazione e anche ammirazione.
“Certo…”, borbottò sfoggiando un debole sorriso, “sarebbe difficile pensare che la frivola e scatenata figlia del professor Akashi in realtà è così coraggiosa”.
Yuna ammiccò: “Lo sai, mi piace stupire. Ti ho avvertita perché dovrai spiegare le mie intenzioni alle altre dopo che sarò andata. Allora, mi aiuterai?”
“Se aspettiamo il giorno, potrei attraversare il fiume a nuoto e…”
“So che sei un’eccellente nuotatrice, però la corrente del fiume è molto violenta, e non dimenticare che la strada è ben sei metri sopra il livello dell’acqua. Verresti solo travolta dalle acque”.
Non sapendo cosa rispondere, Akira distolse lo sguardo, era talmente presa dai suoi dubbi da non accorgersi di alcuni mugolii provenienti dalle ragazze addormentate.

Shizuna stoppò la registrazione: era pallida e tremava molto.
“Dio no, se… se le cose stanno in questo modo, corriamo un rischio ancora più grave di quello che credevo!”
Dalla stanza soprastante arrivarono delle grida di terrore, l’insegnante sobbalzò e corse di sopra.
Quando vide, restò senza parole: Ako, ridendo con voce stridula, stava strangolando Makie che si dimenava disperata, mentre Yuna e Akira tentavano di allontanarla senza riuscirci.
Improvvisamente l’assalitrice si sollevò in aria e ruotò su se stessa, così il corpo di Makie colpì le sue amiche sbattendole a terra, poi sembrò accorgersi di Shizuna e lanciò via Sasaki, che con la testa colpì un muro per poi stramazzare sul pavimento.
Shizuna e Ako si osservarono mutamente per qualche istante, la ragazza levitava a mezz’aria, la sua pelle era diventata bianca come la neve, il viso in qualche modo distorto, gli occhi erano bianchi.
Poi parlò, con una voce demoniaca: “Voi… voi sarete le nostre prossime vittime. Erano tanti secoli che non affondavamo le zanne in corpi così succulenti, e le vostre anime sono davvero prelibate. Sì, nutriteci, nutriteci!”
Volando si scagliò contro Shizuna, la prese per il collo e strinse con tanta forza che la sua vittima pensò di avere il collo in una pressa.
Una sedia si abbatté sulla testa di Ako, che ruggendo si voltò verso la colpevole, ovvero una spaventata Akira, fece per avventarsi su di lei quando fu colpita in pieno viso da una grossa padella lanciata da Yuna.
Tossendo e facendosi forza, Shizuna si lanciò col suo peso su Ako, riuscì a farla cadere nella botola della cantina, e velocissima chiuse il tutto col catenaccio.

Ako per un po’ aveva tentato di aprire la botola, lanciando urla orribili e imprecazioni in chissà quale lingua antica, dopo sembrava essersi calmata e ogni tanto sbirciava nella stanza con quegli inquietanti occhi bianchi, alternando silenzi e risate assordanti.
Le altre si erano rifuggiate nella stanza di Makie: la ragazza era rimasta ferita leggermente e ora dormiva profondamente, con in testa un panno bagnato.
Shizuna, Yuna e Akira si guardavano in silenzio, assai scosse e con le mani che tremavano.
Fu poi il membro del club di nuoto a parlare. “Cosa… cosa è successo alla nostra amica?”
“Temo”, iniziò deglutendo la professoressa, “che sia stata posseduta da un demone sumero”.
Davanti ai loro sguardi increduli, Shizuna dovette suo malgrado annuire: “Sembra assurdo, lo so, ma è così. Il libro rimasto lì sotto si chiama Necronomicon, è un testo di magia nera, e la voce nel registratore è quella di un uomo che ha recitato alcune sue formule scatenando delle forze malefiche. Quell’uomo era accompagnato da sua moglie, e da quanto descrive, anche a quella donna successe la stessa cosa accaduta ad Ako. Fu costretta ad ucciderla”.
“C-come?”
“Dovette… dovette farla a pezzi con una motosega. Sembra sia questo l’unico modo per uccidere i posseduti”.
Yuna e Akira iniziarono a piangere.
“Coraggio, vedrete che in qualche modo ce la caveremo”.
Dal soggiorno giunse la voce mutata di Izumi, era così alta che sembrava stesse parlando con un microfono: “Non ce la farete! Non ce la farete! Vi prenderemo tutte! Tutte! Tutte!”, e poi scoppiò a ridere.
Turandosi le orecchie, Yuna si buttò su Makie e Shizuna abbracciò entrambe, mentre Akira si coprì le orecchie e corse nel bagno.
La risata finì di botto, l’insegnante tremava, ma Yuna ancora di più.
“Credo che ci serviranno delle armi… ho visto qualcosa che potrebbe aiutarci nel capanno… resta con Makie, torno subito”.
Shizuna aprì lentamente una piccola porta sul retro della casa, guardò intorno nel buio notturno, poi uscì correndo a più non posso verso il capanno, come se fosse sotto la minaccia di un invisibile cecchino, vi entrò chiudendosi la porta alle spalle e cominciò a cercare: trova un’ascia da legna, un vecchio fucile da caccia e la motosega.
“Non mi intendo di queste cose, però mi sembra a posto”, considerò tra sé e sé mentre controllava la canna.
Recuperò all’ultimo ripiano di un vecchio scaffale una scatola con le cartucce, piena solo a metà, la prese insieme all’ascia e lasciò la motosega.
“Troppo ingombrante”.
Rientrò rapidamente nello chalet e tornò da Yuna.
“Tieni”, le disse porgendole l’ascia. “Spero che non dovremo mai usarle”.
Ricevendo l’arma, Yuna chiese: “Dov’è Akira?”
“Credo che sia andata nel bagno. Povera cara, chissà quanto è spaventata”.
Shizuna andò nel bagno, bussò e non ricevette risposta.
Allora aprì la porta con cautela e si accorse che il piccolo bagno era vuoto.
“Non capisco… dove sarà finita?”
Fu allora che una mano, da sopra, la afferrò per il volto, Shizuna sentì unghie affilate e ruvide graffiarla in profondità, e pochi attimi dopo, Yuna attonita vide l’insegnante con addosso Akira che la graffiava e mordeva ridendo come una isterica.
Le due attraversarono la stanza, il breve corridoio e piombarono nel soggiorno, dimenandosi e gridando Shizuna mollò il fucile e riuscì a togliersi di dosso Akira sbattendola contro un muro.
Lei e Yuna, rimasta ferma sulla soglia della porta, inorridirono quando videro che anche Okochi era stata posseduta come Ako.
“Anime! Anime! Voglio mangiarmi delle anime!”, gridò Akira.
“Anime! Anime! Tante anime!”, urlò di rimando Ako cercando di aprire la botola.
Ruggendo come un leone infernale, la nuova indemoniata agguantò per il collo la professoressa, iniziando a strangolarla e avvicinandosi al suo volto per morderla.
Mentre la vista incominciava ad annebbiarsi, la donna ebbe l’impressione che i denti della sua studentessa stessero crescendo a dismisura.
Uno sparo risuonò nell’aria, un liquido viscido di colore verde spruzzò il viso di Shizuna, la ragazza posseduta arretrò e si toccò la fronte, dove si era aperto un grosso buco nero.
Fece per aggredire ancora, risuonò un secondo colpo, e tutta la sua calotta cranica esplose in una miriade di pezzi d’osso, cervello e liquido verde, poi il suo corpo stramazzò a terra.
Yuna, che tremava col fucile fumante ancora in mano, sembrava incredula su cosa fosse successo, fu sul punto di parlare ma le parole diventarono grida: Akira si era rialzata, e nonostante le mancasse mezza testa, avanzava ridacchiando.
Shizuna strinse i pugni, prese ai piedi di Yuna l’ascia, si avventò su quella creatura un tempo umana e cominciò a colpirla con violenza crescente, ogni fendente provocava spruzzi di liquido verde che macchiarono pareti e soffitto della stanza, mentre braccia, gambe e toraci venivano fatti a pezzi.
Quando tutto fu finito, lasciò l’arma e si accasciò alla base di una parete, restando con la sua allieva ad osservare per chissà quanto tempo quel corpo smembrato.

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Capitolo 4
*** 4° Capitolo ***


4° Capitolo
I resti di Akira, che ancora si muovevano, furono avvolti dentro un lenzuolo che fu poi trascinato fuori dalla casa.
Yuna e Shizuna, sotto lo sguardo silenzioso della Ako demoniaca, uscirono dal soggiorno e tornarono nella stanza di Makie, che continuava a dormire.
Si sedettero sul letto e fu allora che Akashi scoppiò in un pianto dirotto, mentre la docente la abbracciò tentando di confortarla.
“Ho paura, professoressa, ho tanta paura!”
“E’ una situazione orribile, lo so. Purtroppo quello che abbiamo dovuto fare era necessario. Nessuno te ne farà una colpa, vedrai”.
“Akira… Akira…”, singhiozzò l’altra.
Shizuna pensò cupamente al Necronomicon, rimasto nella cantina.
Forse in quelle pagine c’era anche la soluzione, un modo per cacciare quelle presenze infernali, però sapeva che non potevano servirsene, dato che non conoscevano il sumerico.
L’unica soluzione possibile sembrava attendere i soccorsi, ma considerando cosa era successo in una sola notte, sarebbero riuscite a resistere?
E quanto tempo ci avrebbero messo al Mahora per capire che era accaduto loro qualcosa?
Non potendo fare altro, lasciò che Yuna si sfogasse ancora, e nel frattempo andò nel bagno per ripulirsi dal sangue, sia rosso che verde, sul volto e applicarsi dei cerotti sui profondi graffi. Dopodiché tornò nella camera e fece adagiare la ragazza sul letto invitandola a cercare di dormire.
Ci avrebbe pensato lei a fare la guardia, si sedette davanti ad un muro in modo da avere la visuale di tutta la camera e imbracciò il fucile.
Yuna pianse in silenzio ancora per un po’, però alla fine stanchezza e stress della giornata si allearono, perciò finì per addormentarsi.
E nonostante la sua determinazione, anche Shizuna cominciò ad essere preda del sonno, sentendo le sue palpebre farsi sempre più pesanti.
Non avrebbe voluto addormentarsi, ma sapendo quanto fosse infido quel nemico, prese la precauzione di spostare un mobile mettendolo di traverso in modo che sbarrasse la porta e cambiò posizione per poter avere la finestra, pur ben chiusa, sotto tiro nel caso qualcuno, anzi qualcosa, avesse tentato di fare irruzione.
I minuti passarono, in un silenzio quasi irreale ma anche in qualche modo rilassante, finché l’insegnante adagiò la testa sul fucile che imbracciava, e restò immobile.

****

Correva, correva a più non posso nel bosco, sentendo foglie secche e pietre pungerle i piedi nudi, tante piccole punture di spillo che aumentavano sempre di più fino a diventare quasi insopportabili.
Anche la sua vestaglia bianca veniva come dilaniata da rami pendenti e cespugli spinosi quando ci passava vicino.
Eppure sapeva che doveva resistere, perché Esso era dietro di lei.
Non lo aveva visto, non lo aveva mai visto, ma sapeva, sentiva che c’era, quella orrenda creatura proveniente dai recessi più profondi dell’inferno, mostruosità oltre ogni limite, dal tocco mortifero, dall’odore fetido come di mille tombe putrefatte.
Eccolo che distruggeva rami e abbatteva alberi pur di raggiungerla, eccolo passare sopra rocce e pietre che avrebbero dovuto ringraziare di essere tali, perché così potevano sfuggire a quel male puro.
Sentiva che non ce la faceva più, mentre Esso aveva tutta la forza necessaria, sempre, era instancabile, miliardi di anni di malvagità e corruzione lo alimentavano.
Come alimentavano i suoi accoliti, della stessa corrotta natura ma più piccoli, che pasteggiavano con gli avanzi del loro padrone e ne volevano sempre di più.
La stava per prendere, sentiva sempre più forte il rumore della vegetazione divelta dietro di lei, rumore accompagnato da un ruggito indescrivibile, capace di far cedere all’istante qualunque mente.
Proprio allora il terreno sprofondò sotto i suoi piedi, erano come sabbie mobili, gridò disperata tentando di uscirne ma un braccio sbucò da quella terra molliccia, l’afferrò per il collo e la trascinò giù.
Si ritrovò immersa nel buio totale, si agitò freneticamente, poi si accorse che non stava soffocando e aveva anche smesso di affondare.
“Donna, ascoltami…”
“Chi-chi è?!”
“Riconosci la mia voce…”
Sforzò la sua memoria e le sembrò di ricordare.
“P-professor Knowby!”
“Sì, sono lui, o meglio, la sua anima”.
“Se è davvero lei, allora ci aiuti, la prego!”
“Non posso aiutare nessuno, perché sono anche io in pericolo. Quando lessi quel libro maledetto, immaginavo che qualunque cosa avessi risvegliato, mi avrebbe perseguitato per sempre e così è stato. La mia anima ora sta per essere divorata dai demoni di Candor, e sto usando le mie ultime forze per avvertirvi: la nostra ultima speranza è distruggere il Necronomicon. Esso è la porta tramite la quale quegli esseri infernali sono giunti qui, ed è anche la loro ancora nel nostro mondo. Devi distruggerlo”.
“Distruggerlo? Però… non c’è modo di salvare le mie allieve?”
“Essere posseduti da quei mostri equivale ad essere morti, tuttavia puoi salvare le loro anime, inclusa quella della mia povera e dolce moglie Henrietta. Tutte loro in questo momento soffrono tormenti indicibili e rischiano di restare così per l’eternità”.
Sentì gli occhi riempirsi di lacrime.
“Salva le vostre vite e le anime di quelle ragazze, di mia moglie e la mia. Distruggi il Necronomicon”, ripeté la voce fino a diventare un eco lontano.

****

Shizuna aprì gli occhi all’improvviso, si accorse di aver pianto, ma soprattutto ricordava molto bene il sogno.
Eppure un’altra cosa attirò la sua attenzione: Yuna era scomparsa, mentre Makie dormiva ancora.
Si alzò con uno scatto, temette che fosse stata presa anche lei, poi vide sul letto un foglio di carta e lo lesse:
“Professoressa, arrivati a questo punto ho deciso che devo fare qualcosa. Penso di poter trovare una strada che ci permetta di lasciare questo luogo maledetto e sono andata a cercarla, la prego di non seguirmi, quando si sarà risvegliata sarò ormai lontana e lei deve badare a Makie. Mi rendo conto del pericolo, per questo sono andata via di nascosto, così, se mi succederà qualcosa, non dovrà ritenersi responsabile. Spero che ci salveremo tutte”.
Shizuna lesse e rilesse quel foglio, le mani le tremarono con forza.
“Stupida, irresponsabile, generosa e coraggiosa ragazza!”
Forte fu la tentazione di correrle dietro, però si fermò a riflettere: con tre vite e quattro anime da salvare, bisognava prendere la decisione più vantaggiosa, anche se crudele, ed era una sola.

“Makie, stai bene?”
“Insomma, la testa mi fa un gran male”, rispose Sasaki tenendosi le mani sul capo.
“Mi dispiace averti svegliata, cara, ma è necessario. Hai capito cosa devi fare?”
“Sì, anche se ho tanta paura!”
“Pure io cara, credimi, comunque è una cosa che devo fare, per salvarci tutti”.
Erano nel capanno, dove l’insegnante aveva portato l’allieva rimasta e le aveva raccontato tutto, con due sole omissioni: ora Makie credeva che Akira fosse andata a cercare aiuto con Yuna, e che distruggendo il Necronomicon, Ako sarebbe tornata normale.
“Mi dispiace averti mentito, Makie, ma una situazione troppo disperata può smorzare la voglia di reagire. Dopo che ci saremo salvate, potrai pure odiarmi”.
Aiutata dalla ragazza, Shizuna ultimò i preparativi: dopo essersi legata i lunghi capelli in una coda di cavallo, usando delle corde e una piccola catena si legò saldamente la motosega sull’avambraccio destro e la collaudò accorciando il fucile da caccia per trasformarlo in un più pratico ed efficace canne mozze.
“Quando li ascoltai per caso, non avrei mai pensato che mi sarebbero serviti i consigli che Mana diede una volta al club di tiro al bersaglio”.
Dopo aver sistemato il fucile nel suo fodero, recuperato dal capanno e legato alla schiena della donna con un incrocio di cinghie, riempitesi le tasche di cartucce, e sistematasi , infine, una piccola sacca a tracolla per portare il libro senza ingombrarsi ulteriormente le mani, Shizuna era pronta all’azione.
Makie contemplò meravigliata la dolce professoressa diventata una donna d’azione da videogame o film horror e annuì convinta.
“Resta qui, e tieni pronta quella tanica di benzina per bruciare il libro, anche se spero di riuscire a distruggerlo sul posto”.
Chiuso il capanno mettendo il catenaccio all’interno, Shizuna si avviò verso la cantina dove era stata rinchiusa Ako, per recuperare il Necronomicon.

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Capitolo 5
*** 5° Capitolo ***


5° Capitolo
Shizuna entrò con cautela nel soggiorno, si accorse che la botola era abbassata, mentre prima era stata quasi sempre tenuta sollevata da Ako per spiare l’esterno: possibile che si fosse accorta delle sue intenzioni?
Non poteva escluderlo, ma non per questo poteva tentennare, quindi muovendosi pianissimo e cercando di far scricchiolare il meno possibile le assi in legno del pavimento, si mise sopra la botola e cominciò con movimenti lenti e misurati ad aprire il lucchetto della catena.
Già immaginava Ako che la faceva schiantare contro la parete retrostante sollevando all’improvviso la botola appena aperta, e dovette fare attenzione ad ogni rumore che le sembrava di sentire da sotto.
Tuttavia non accadde nulla, nemmeno quando sollevò la porta in legno e la luce illuminò la scaletta che scendeva nella cantina.
Nonostante la posizione scomoda, cercò di controllare sotto i gradini e non vide nulla di pericoloso.
Allora, deglutendo, scese in quel buio pronta a fare fuoco col fucile e cercò di individuare il Necronomicon.
La luce proveniente dalla botola e dalle lampadine che penzolavano sul soffitto illuminavano solo il centro della cantina, il resto era avvolto nel buio più fitto.
“Accidenti, Ako potrebbe pure girarmi intorno senza che io me ne accorga. Speriamo che non si sia portata via il libro”.
Lentamente, pronta a sparare e a colpire con la motosega al primo segnale, avanzò dove ricordava trovarsi il tavolino col libro e il registratore e la sua figura sembrò essere quasi inghiottita dall’oscurità.
Si fermò quando la canna del fucile toccò il muro, e facendolo scendere trovò il tavolino.
Subito tastò con la mano destra il tavolo, riconobbe al tatto la macabra copertina del Necronomicon e la fredda plastica del registratore.
“Ci siamo!”
Li mise nella sacca e di corsa risalì sulla scalinata.
Fu allora che una mano le afferrò un piede da dietro le scale.
“Scherzetto!”, esclamò ridacchiando Ako, attaccata come un ragno al soffitto.

Aggirandosi per il bosco, Yuna scossa dal freddo e spaventata dall’oscurità che la circondava.
Ad ogni passo che faceva, si chiedeva se non stava compiendo una follia e se non fosse stato il caso di tornare indietro dalle altre.
D’altronde non era nemmeno sicura della destinazione, cominciò a pensare di aver sopravalutato troppo la sua memoria, dato che già due volte aveva dovuto cambiare direzione rendendosi conto che si stava inoltrando troppo nel bosco anziché avvicinarsi al fiume.
Ricacciò quei pensieri rammentando che poteva essere la salvezza per la professoressa e Makie.
Ad un certo punto si accorse pure che il terreno era in salita, doveva trattarsi di una collinetta, e quando vi arrivò in cima osservò il panorama, aggrottando la fronte: davanti a sé, in basso, c’era solo una distesa di alti alberi, larga qualche chilometro e talmente fitta che la luna riusciva a illuminarla pochissimo, facendola apparire quasi come un pozzo scuro, delimitato da una nebbia biancastra che sembrava circondarlo.
“Ma dov’è?! Dov’è il fiume?!”
Fu sul punto di mettersi a piangere, quando si accorse che la nebbia, all’estremità opposta del bosco, si stava lentamente diradando e allora la sua disperazione divenne gioia: vedeva il fiume, che si trovava all’estremità opposta del bosco rispetto a lei.
“Ci siamo! Forse il sentiero non è proprio lì, ma almeno adesso so che la direzione è questa!”
Fece alcuni passi in avanti, quando si bloccò, col corpo percorso da brividi strani, diversi da quelli del freddo.
Prima si guardò, poi fu quasi costretta ad osservare con attenzione il bosco che doveva attraversare: in mezzo a tutti quegli alberi non si vedeva nulla, eppure le sembrava di scorgere qualcosa muoversi tra i tronchi, veloce e sinuoso come un serpente che aggira gli ostacoli.
Non riusciva a capire bene cosa fosse, forse i suoi occhi neppure lo vedevano veramente, però c’era!
Un terrore assai profondo si impadronì di lei, e fu solo quando quel misterioso qualcosa abbatté come niente alcuni alberi e sembrò puntare proprio verso di lei, corse nella direzione da cui era arrivata.
Qualcosa le suggerì non solo di correre, ma anche di non voltarsi mai, per nessuna ragione.

Shizuna rotolò dolorosamente lungo la scala, e fu solo grazie alla forza di volontà che riuscì subito a rimettersi in piedi puntando il fucile verso Ako, sparò, ma Ako si era già rintanata nei punti più bui.
Velocemente l’insegnante andò a mettersi sotto la luce, cercando di scrutare dove fosse il nemico.
“Inutile, c’è troppo buio, potrebbe essere dappertutto. Certo si terrà vicina alla scala se provo a salire, e se riesce a mettermi le mani addosso, potrebbe farmi a pezzi. Ci vuole un’idea”.
A quel punto, decise di rischiare: velocemente tornò dov’era il tavolino, lo prese e lo spostò nella parte illuminata, vi salì sopra facendolo scricchiolare pericolosamente e con la motosega iniziò ad aprire un varco nel pavimento.
Rapidamente, muovendosi a quattro zampe sul soffitto, Ako sbucò dal buio e corse sbavando e ringhiando contro Shizuna, che proprio quando la ebbe a meno di un metro, saltò giù dal tavolo e con scatto da centometrista corse lungo le scale.
“Ce l’ho fatta!”, esultò quando fu di nuovo nel soggiorno. “Ora…”
Una figura umana sfondò il pavimento e si avventò su di lei.
“Non mi piace essere presa in giro”, ringhiò Ako lanciando Shizuna contro un muro.

Makie stava rannicchiata nel capanno, sperando che la professoressa tornasse presto, così sarebbero tornate tutte a casa, e lo stare con Negi e le altre sue amiche avrebbe cancellato il ricordo di quell’orrore.
Sentì vicino alla porta un rumore simile ad un bussare, speranzosa la ragazza si precipitò ad aprire, ma l’istinto la fermò.
“Professoressa, è lei?”
Da fuori non giunse risposta, quindi Makie indietreggiò e la sua paura diventò terrore quando sentì altri rumori intorno al capanno, come di qualcosa che vi striscia sopra.

La piccola libreria rovinò addosso a Shizuna.
Con la sua risata demonica, Ako attaccò ancora, la sollevò in aria come niente e la scagliò a terra, vicino a dove aveva sfondato il pavimento.
“Chi ti credevi di essere donna? Lo sai chi siamo noi? Noi eravamo già vecchi quando il mondo era ancora un infante. Pensavi davvero di poterci sconfiggere?”, la canzonò avvicinandosi minacciosamente.
Osservandola, Shizuna vide quanto il volto di Ako si era deteriorato: ora la pelle era raggrinzita e cadente, come quella di un cadavere, le mani screpolate e con unghie che sembravano artigli, i denti sporchi e aguzzi.
“Quella… quella non è più Ako!”
Esaminò il pavimento, il fucile le era caduto lontano, mentre la motosega doveva essere vicina per funzionare e accadde una cosa incredibile per quella situazione: sorrise.
Non appena Ako passò sopra un asse quasi divelta del pavimento, con un calcio Shizuna colpì l’estremità di quell’asse, che si sollevò e colpì violentemente l’indemoniata sul sedere, facendola precipitare in avanti.
Shizuna accese la motosega e tracciando un arco nell'aria intercettò il collo di Ako tagliandole di netto il capo.
Mentre la testa ruzzolava nella stanza, il corpo cadde addosso a Shizuna che però fletté le gambe e lo spinse lontano, per poi rialzarsi.
A quel punto successe che anche il corpo decapitato si rialzò, gridando furiosa Shizuna gli piombò addosso e con alcuni ben mirati colpi di motosega, lo smembrò.
“Ti mangerò l’anima! Ti mangerò l’anima!”, gridò folle e adirata la testa.
L’insegnante allora recuperò il fucile e le infilò la canna in bocca: “Mangia questo!”, esclamò decisa per poi premere il grilletto.
La testa esplose fragorosamente.

Correndo all’impazzata per il bosco, Yuna aveva ormai perso l’orientamento.
Tuttavia non poteva fermarsi, qualunque cosa la stesse inseguendo era sempre più vicina, lo indicava il rumore degli alberi abbattuti dietro di lei.
In mezzo al suo respiro affannato, le sembrò anche di sentire una voce tenebrosa dire: “Vieni con noi”.
Però allora le tornava in mente quando con sua madre giocava alla corsa, e la madre diceva sempre: “Corri, corri più che poi”.
Indubbiamente era meglio ascoltare quest’ultima che l’altra voce.
Purtroppo le voci non indicano le direzioni, quindi la ragazza non si accorse della buca nel terreno finché non fu troppo tardi.
Precipitò in quella voragine, come se fosse stata inghiottita da una grossa bocca nera spalancata.

Rassicuratasi che il libro fosse ancora nella sacca, Shizuna corse fuori dalla casa e rimase senza fiato: il capanno era stato circondato da rami, radici e rampicanti quasi completamente, e quegli strano aggressori vegetali stavano pure entrando dalle piccole finestre e dalle fessure nelle pareti.
Giunse dall’interno la voce disperata di Makie: “Ahhh! Aiutatemi! Professoressa, Negi, Ako… AIUTO!”

Lentamente Yuna aprì gli occhi, ritrovandosi in uno spazio non molto grande, ma profondo almeno otto o nove metri a giudicare da quanto erano alte le pareti di terra e roccia che la circondavano.
Sulle pareti c’erano degli spuntoni di roccia, evidentemente la ragazza si era salvata rimbalzando da uno spuntone all’altro, anche se ora era tutto dolorante.
Però il suo sollievo durò poco, quando vide quella cosa affacciarsi sui bordi del buco per piombare su di lei.

Davanti a quella situazione, Shizuna capì che poteva fare solo una cosa, specie quando si accorse che rami e radici stavano puntando rapidamente pure su di lei.
Rientrò nella casa, andò nella cucina, aprì il tiretto in cui stava la bombola del gas, vi poggiò accanto il Necronomicon, col calcio del fucile staccò dalla valvola il tubo che la collegava al forno e prima ancora che si sentisse il sibilo del gas, le puntò contro il fucile.
“Takahata, ragazze, professor Negi… addio!”
Proprio quando i rami fecero irruzione nella cucina, il grilletto fu premuto.
Un boato attraversò il bosco in ogni direzione, e una nuvola nera e rossa si alzò tra gli alberi accompagnata da tanti frammenti di legno.

****

Takahata Takamichi si aggirava smarrito, insieme a molti soccorritori, tra i resti della casa, ridotta ormai ad un mucchio di legni carbonizzati e ammassati su loro stessi, anche se un po’ dappertutto c’erano pezzi dello chalet.
Avendo trovato il ponte distrutto, erano riusciti a raggiungere la zona grazie a degli elicotteri, e adesso l’insegnante cercava di non guardare mentre venivano caricati i sacchi contenenti i resti bruciati di ben tre corpi umani, due dei quali forse fatti a pezzi non dall’esplosione.
Ormai aveva ben capito a chi appartenevano quei corpi, specie quando vide passare le barelle con Makie e Yuna: entrambe non erano in pericolo di vita, però la prima era piena di ferite e graffi profondi, e delirava di essere stata aggredita da delle piante. La seconda sembrava sotto shock, immobile, pallidissima, stava con gli occhi spalancati come se avesse visto qualcosa di… indicibile, e i suoi capelli castani erano ora attraversati da diverse striature di bianco.
“Cosa può essere successo? Chi può aver fatto questo?”
Tentò di farsi forza, pensando a come avrebbe potuto spiegare al preside, a Negi e alla III A che la professoressa Shizuna e due loro amiche non c’erano più, e salì sull’eliambulanza insieme alle due sopravvissute.
Quando furono partiti, uno dei pompieri che controllava i resti della costruzione trovò qualcosa che sembrava ancora intatto.
Lo raccolse dal terreno, lo ripulì dalla cenere e scoprì che si trattava di un vecchio registratore, un po’ scheggiato e bruciacchiato ma ancora intatto.
Preso dalla curiosità, provò ad accenderlo e in effetti funzionava ancora, diffondendo una voce in inglese che chissà cosa diceva.
Probabilmente, se non fosse stato così preso dall’ascolto, l’uomo si sarebbe accorto che tra i mucchi di cenere e gli altri oggetti bruciati qualcosa aveva cominciato a muoversi.
Sembravano dei sottili e lunghissimi fili di polvere, che come tanti piccoli serpenti provenivano da diversi punti della zona bruciata, e quando si riunirono sembrarono formare man mano un oggetto a forma di libro.

FINE

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