L’illusione della scelta.

di Meyc
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Luca e Andrea. ***
Capitolo 2: *** Stranezze. ***
Capitolo 3: *** Spiegazioni. ***



Capitolo 1
*** Luca e Andrea. ***


Tic tc. Tic toc. Quell’orologio era insopportabile, prima o poi me ne sarei dovuta liberare. In genere la notte dormivo senza problemi, ma quando ero presa da brutte sensazioni non riuscivo a dormire profondamente, e qualsiasi rumore mi turbava.
Tic toc.  Il maledetto continuava a scandire ogni secondo, e quel flebile rumore alle mie orecchie sembrava assordante. Mi sarei alzata dal letto e avrei scaraventato a terra quell’odioso orologio, se non fosse stato che il letto aveva assunto la mia forma, era caldissimo e allontanarsene mi sembrava una pazzia. Si stava benissimo. E poi amavo quell’orologio: era piccolino, marrone chiaro e con il disegno di un grazioso gufo, il mio animale preferito. Perciò avrei sofferto ancora qualche ora, tanto ero abbastanza sicura che non mancasse molto al suono della sveglia. Ed infatti, nel giro di quella che sembrò un’ora, dovetti alzarmi. Non ero mai stata così contenta di svegliarmi, anche se significava prepararsi per la scuola.
Non mi curavo mai molto, ma quella mattina misi letteralmente le prime cose che presi sottomano. Tanto, alle sei di mattina, chi vuoi che si curi del mio abbigliamento? Se non importava a me, figuriamoci agli altri.
Amavo le stradine della mia città. L’Italia non era il paese meglio considerato al mondo, ma era indubbio che aveva tante meraviglie e, tra queste, avrei sicuramente inserito le stradine di Roma. Piccoli vicoli che, tra l’altro, a quell’ora erano bui e vuoti. Neanche un’anima in giro. Mi infondeva tranquillità e serenità. Ad altri avrebbe potuto mettere un po’ di paura un silenzio simile, ma per me ormai era famigliare. Facevo quella strada da ben cinque anni.
Ero così abituata a quel percorso che, arrivata a scuola, mi resi conto di non aver prestato la minima attenzione alla strada che feci. Avevo pensato a tutt’altro: alle strane persone conosciute ultimamente.
Tre settimane prima ero andata al cinema con una mia cara amica, Marta. Improvvisamente, nel mezzo del film, sentii un bisogno impellente di andare al bagno perciò, sebbene con leggero imbarazzo, vi andai. Mi imbarazzavo facilmente: anche solo doversi alzare e uscire dalla sala mi colorò le guance di un intenso rosso. Sapevo che nessuno prestava attenzione a me, ma l’imbarazzo era una di quelle sensazioni che non controllavo.
Tornando al dunque, andai al bagno, e a poca distanza da esso mi imbattei in due figure decisamente singolari: un ragazzo, alto almeno due metri, capelli neri come la pece ed occhi marroni. Indossava una felpa verde, semplici jeans scuri e scarpe da ginnastica. Accanto a lui, una ragazza di almeno cinquanta centimetri più bassa. Indossava un vestito a tema floreale e un coprispalle nero, semplice. I suoi capelli erano rosa (non capivo la moda del tingersi i capelli di un colore improbabile, ma da una parte invidiavo chi aveva un simile coraggio) ed occhi marroni. Vedendoli la prima cosa che mi colpì fu la grande differenza d’altezza, che mi portò a trovarli un po’ buffi, ma di certo non avevo intenzione di rivolgergli la parola. Li avrei superati e sarei corsa al bagno. Tuttavia, la giovane si avvicinò a me, bloccandomi il passaggio.

-Cosa ne pensi di questo vestito? Insomma, trovi che mi ingrassi?-

Di tutta risposta rimasi spiazzata, e la guardai stupita e incerta. Chi fa certe domande ad una perfetta sconosciuta?
Il giovane rise, di gusto, e mi diede una spiegazione.

-Perdonala, amo metterla in crisi con stupide fissazioni da ragazze. Non credevo avrebbe davvero chiesto a qualcuno di giudicare com'è vestita!-

Oh, ora sì che era tutto più chiaro. Ma li risparmiai del mio sarcasmo e sorrisi educatamente, come se trovassi divertente tutto ciò, anche se in realtà lo trovavo semplicemente assurdo.
Guardai poi la porta del bagno: non ce la facevo più.

-Scusatemi-

Dissi semplicemente, e a passo svelto entrai.
Qualche minuto e uscii dal bagno, finalmente libera. Ripensare  a poco prima mi imbarazzava un po’: non avevo detto praticamente nulla, ma i due erano ancora lì, e sembrava quasi mi stessero aspettando.

-Tutto bene? Sembrava te la fossi fatta sotto.-

Esclamò lei, con decisamente poco tatto. Lui non sembrò altrettanto schietto, rimase infatti in silenzio e guardò lei con fare di rimprovero, e lo apprezzai.

-Sto bene.-

Mi limitai a risponderle. 

-Io sono Luca.-

Disse lui, presentandosi e sorridendo cordiale.

-E lei è Andrea.-

Concluse, voltandosi verso la giovane.

-Ed io sono Laura. Ora mi spiace, ma devo andare.-

E più veloce della luce tornai in sala, da Marta, che forse mi aveva data per morta. Ma di certo quella non sarebbe stata l’ultima volta che avrei avuto a che fare con quei due, sebbene non avrei mai immaginato tutto ciò che sarebbe successo.
E per continuare coi ricordi avrei dovuto aspettare.

-Di Manta, interrogata.-

Il caro, che tanto caro non era, professore di Latino si era sicuramente accorto del mio essere distratta, e ne aveva approfittato per ricordarmi quanto mi vuole bene.
Svogliata mi alzai, mi diressi verso la cattedra e sperai vivamente che la campana suonasse nel giro di poco. 

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Capitolo 2
*** Stranezze. ***


-… e nel 34 a.C. Catullo morì.-

-Bene Di Manta, vai a posto.-

Anche quella volta ero riuscita a cavarmela con ciò che avevo ascoltato a lezione. Fortunatamente possedevo un’ottima memoria, che mi permetteva di non dover studiare molto. Se volevo prendere un bel voto dovevo spendere un po’ di tempo sui libri, ma per un sei mi bastavano le informazioni assimilate in classe. Ma il successo a latino non ero rilevante, in quel momento. Per quanto si vedesse anche lontano kilometri quand’ero distratta, volevo riprendere coi ricordi. Era forse un po’ triste, ma c’erano giorni in cui amavo chiudermi in me e trasferirmi mentalmente in un universo fittizio, o magari nei ricordi. E quello era uno di quei giorni. Dopo l’episodio del cinema, non avevo pensato molto a Luca ed Andrea. Avevo raccontato a Marta tutto l’accaduto una volta finito il film, ma nulla di più. Qualche giorno dopo uscii con un’altra mia amica, Carlotta, visto che non ci vedevamo da un po’. Avevamo optato per una passeggiata al centro: semplice e piacevole. Via del Corso è una lunga strada, spesso talmente affollata che i marciapiedi non ospitano tutti e le macchine sono costrette a fare un tratto parecchio lentamente. Ai lati della strada, ci sono negozi, di tutti i tipi, e di tanto in tanto si aprono ulteriori strade minori. Mentre camminavamo, Carlotta fu rapita da un negozio di dolci: pieno delle più varie delizie, per i più golosi. Strano ma vero, io dei dolci ero tutto tranne che un’amante, e dato che il negozio era pieno zeppo di gente e, tra le altre cose, stare a stretto contatto con sconosciuti mi irritava un po’, proposi di aspettarla fuori. Lei sorrise, tutta contenta della scorpacciata che l’aspettava, ed entrò. Mentre aspettavo mi guardai un po’ intorno: era sempre un piacere recarsi lì poiché, sebbene vi fosse molta gente, la città in cui vivevo mi piaceva ed affascinava moltissimo. Ad un tratto, il mio sguardo venne catturato da due persone. Avevano entrambe la schiena poggiata su un muro e indirizzava verso una delle tante stradine minori, e stavano facendo gesti strani con le braccia, come se salutassero. Quando il mio sguardo incrociò il loro, si illuminarono, e proseguirono quel movimento con maggior vigore. Subito capii chi erano e, anche se un po’ riluttante, mi avvicinai a loro. Dopotutto non ero maleducata, non potevo ignorarli. Quel giorno i capelli di Andrea erano verdi, e l’abbigliamento che indossava era più casual. Luca non aveva nulla di molto diverso. Appena mi avvicinai, la ragazza prese la parola.

-Finalmente! Sono tre ore che cerchiamo di chiamarti.-

-Con tutta la gente che c’è, mi stupisco che sia riuscita comunque a notarvi.-

Risposi io, con tono d’ovvietà. In genere a primo impatto non facevo una grande simpatia, e probabilmente quello non era il miglior modo per smentirmi. Ma c’è da dire che non ne avevo intenzione: ero molto diffidente e quei due, che si comportavano come se ci conoscessimo, non mi convincevano.

-Volevamo solo salutarti.-

Disse Luca, che forse si aspettava un po’ più di cordialità da parte mia.

-Già, anche se sei strana a noi sei simpatica.-

Concluse Andrea con una leggera amarezza. Lei aveva i capelli verdi ed io ero quella strana. Beh, la stranezza è relativa, dopotutto.

-Non ho ben chiaro come possa starvi simpatica, se non ci conosciamo, ma ok.-

- Me lo sto chiedendo anch’io.-

Disse Andrea, che probabilmente non amava chi rifiutava la sua gentilezza. Gesti di gentilezza alternati a leggera presunzione, ma erano pur sempre gesti carini.

-Dai, andiamocene.-

Disse poi, prendendo per il polso il giovane che, non aspettandoselo, si mosse di scatto e seguì la ragazza. Ragazza che, distrattamente, non si era resa conto di una macchina che stava passando in quel momento. Sgranai gli occhi e, istintivamente, mi mossi in avanti per trattenerli, ma non fu necessario: la macchina frenò appena in tempo, suonando il clackson e, a quanto vedevo tramite il finestrino, imprecando. I due erano ancora lì davanti, impietriti, mentre io, inspiegabilmente, nell’andare avanti ero andata con le mani sul cofano anteriore. Ad un certo punto, sentii una voce sconosciuta urlare.

-Laura!!-

Ed ecco Carlotta venirmi incontro con nelle mani un sacchetto apparentemente pesante. Chissà quante cose aveva preso. Ma al momento non era rilevante: mi voltai a destra, per vedere Luca ed Andrea, come per far capire senza parole che era per cercare di salvarli che ero finita lì.

Ma loro non c’erano più.

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Capitolo 3
*** Spiegazioni. ***


Mi girai a destra, sinistra, guardai nuovamente di fronte a me… ma niente. Non c’erano più. Se fossero corsia via me ne sarei accorta, ma non era così: si erano come dissolti nel nulla. Era un qualcosa di assolutamente assurdo, impensabile, ma non mi venne in mente nessun’altra ipotesi plausibile. In realtà lo sparire come nulla fosse non sembrava molto plausibile, ma a che altro potevo pensare? Era come se, in tutta quella realtà così assurda, io fossi rimasta paralizzata. Avevo ancora le mani sul cofano anteriore della macchina, il cui autista imprecava e mi guardava. Lentamente ripresi coscienza e mi mossi, togliendo le mani e indietreggiando, come se fossi in slow motion. Ero piuttosto sicura che chiunque lì intorno, dalle vecchiette che parlavano e mi guardavano curiose, a Carlotta che, evidentemente impaurita, aveva lasciato cadere a terra una bustina e mi era venuta incontro. Era sbiancata, come se fossi io quella che aveva rischiato la vita, mentre a tale triste destino erano scampati quei due, che mi insospettivano sempre più. Guardavo Carlotta sperando che capisse, anche con un solo sguardo, tutta la faccenda, per quanto improbabile fosse. Perché, in tutta onestà, non è che non volessi parlare, ma non sapevo che parole usare. Non ci riuscivo. Mi sentivo tremendamente idiota, non capendo dov’erano finiti. Ed ero furiosa con loro, per avermi fatta passare per la pazza. Ma mi stavo arrabbiando col nulla, dato che continuavo a non vederli. A prendere la parola fu Carlotta.

-Stai bene? Ma come hai fatto a non notare la macchina?!!-

Era, da una parte, premurosa e preoccupata, dall’altra furiosa. E la capivo, in parte. A quel punto le dissi tutto. Di Luca ed Andrea, del cinema e di quel momento. Ciò che la lasciò più scettica fu la descrizione dei due, ma mi capì. Mi credette e la preoccupazione, a poco a poco, le passò. Ciò che lasciava basita anche lei era il modo in cui erano scomparsi, e passammo in poche parole tutto il tempo che ci rimaneva a camminare e cercare di capire. Ma l’abilità di dissolversi rimaneva l’ipotesi più plausibile, nei limiti. Tornata a casa, mi sentivo ancora scossa, ma cercai di non darlo a vedere o mia madre non mi avrebbe lasciata in pace. Era una brava donna: grande lavoratrice, presente e premurosa. Ma non accettava che tu, sua figlia, non le dicessi cosa ti turbava: se ti vedeva strana (e, da buona mamma, non le sfuggiva mai un tuo stato d’animo, negativo o positivo che fosse) ti tormentava fino a quando non le dicevi tutto. Non lo faceva con cattiveria, le sue intenzioni erano sempre positive, ma non capiva che in quei momenti volevo solo stare sola, calma e senza parlare. Magari poi le avrei raccontato tutto, ma quando me la sarei sentita io. Fortunatamente, quella sera scampai dall’interrogatorio. Forse stavo cominciando a nascondere meglio le mie emozioni, il che può essere negativo e positivo al tempo stesso. Passarono diversi giorni, da quel momento. Giorni in cui non ebbi notizia di Luca ed Andrea. In fin dei conti, li avevo incontrati un paio di volte per casualità, e non avevo nulla che mi permettesse di rimanere in contatto con loro, di cercarli o quant’altro. L’ennesima giornata scolastica finì. Ero in quinto, dunque ogni lezione era carica d’ansia, essendo gli esami vicini. Ma cercavo di non pensarci, o avrei peggiorato le cose. Velocemente misi ogni cosa in cartella ed uscii da quella prigione, diretta verso casa. Durante il cammino, pensavo a come programmare la giornata. Una volta tanto, i miei pensieri non erano occupati da quei due. E dunque, chi incontrai?

-Oh, eccoti, finalmente!-

Esclamò Luca, e solo in quel momento lo notai, con accanto la sua amica. Sobbalzai, essendo sovrappensiero, e in men che non si dica assunsi un atteggiamento astioso.

-Che volete?-

-La solita amicona, mi dicono.-

Disse ben presto Andrea, con un’evidente nota di sarcasmo.

-Perlomeno non rischio la vita e poi scappo via, fregandomene di chi ha rischiato la propria per corrermi incontro.-

Ero furiosa. Si comportava male e poi pretendeva anche di far ironia. Luca, che da subito si era contraddistinto come il calmo e pacifico, prese la parola.

-Laura, scusaci, davvero. Non volevamo, è che… non lo so, in realtà. Andrea era arrabbiata e voleva andarsene via, ed io l’ho ovviamente seguita. Poi la macchina ci ha quasi preso, e noi per paura siamo corsi via. È stata una reazione che non ti saprei spiegare, ma siamo qui per chiederti scusa.-

Non ascoltai nemmeno le scuse. C’era un’altra cosa che mi premeva, che davvero non capivo.

-Se foste corsi via, vi avrei visto. Siete spariti nel nulla. Non è umanamente possibile.-

Entrambi assunsero un’espressione stranita, incerta.

-Spariti nel nulla? No, abbiamo solo iniziato a correre. Non so perché non ci hai visti.-

Non ero solo io. Nessuno, li aveva visti. Gli occhi di tutti i presenti si erano riversati su di me, nessuno che si fosse voltato a cercare loro che, a quanto pareva, avevano iniziato a correre. E non erano di certo due figure che passavano inosservate. Chi non nota un ragazzo alto due metri ed una ragazza dai capelli verdi? Tuttavia qualcosa, nelle loro espressioni, mi appariva così sincero che non indagai oltre. Ma volevo ancora andarmene, perciò fu ciò che feci.

-Va bene, ma ora lasciatemi in pace. Non vi conosco nemmeno, a dire il vero. E tutto ciò che voglio è andarmene a casa.-

Ripresi a camminare, senza neanche degnarli di uno sguardo. In piccola, piccolissima parte mi sentivo in colpa. Ma avevo bisogno di pensare.

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