Who teaches who?

di violet112
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 - Changes are difficult. Or not? ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 - Choice: this or that. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 – Who is Mr Who? (Pt. 1) ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 - Words ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 - Romeo+Juliet ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 - Please don't tell ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 - Changes are difficult. Or not? ***


Probabilmente penserete che io sia pazza a tentare di scrivere contemporaneamente tre storie. E,per l'appunto,sì,sono assolutamente folle.

Capitolo 1 – Changes are difficult. Or not?

Il momento della mia morte si avvicina.
Ebbene si,ho tentato di rimandarlo in ogni modo,con ogni espediente,con ogni sotterfugio e stratagemma. Ma quel momento è lì,dietro l’angolo,ad attendermi. A nulla valgono gli sforzi,a nulla valgono neppure i pianti,le urla,la disperazione. Mi attende,è alle porte. Ed io,seppur determinata e testarda,non posso far niente.
Da come vanno queste cose,nonostante la speranza riposta in un rapimento alieno o in una catastrofe naturale,ho la dolorosa consapevolezza che la mia vita non si prolungherà oramai per più di qualche mese.
Maturità.
Anni ed anni di problemi,di crisi,di cambiamenti,di amori,di amicizie,di pianti e di sorrisi,tutti racchiusi in una sola parola. Maturità.
Ma,in questo caso,la mia preoccupazione più grande non sono né i cambiamenti,né le responsabilità. Solo e semplicemente gli odiati e temuti esami.
Com’è possibile,per un normalissimo essere umano,benché di intelligenza al di sopra della media,studiare l’intero programma di un anno in poche settimane? Non me ne capacito e mai ci riuscirò.
Inoltre,ad aggravare ulteriormente la situazione,il professore di lettere,il mio stimatissimo signor Coen,verrà sostituito per l’intero anno scolastico da un supplente. 
Un supplente.
E  dunque,mi chiedo io,come può,un semplicissimo supplente dalla preparazione mediocre,caricarsi il peso di un programma dell’ultimo anno di liceo e,cosa più importante,di una classe sconosciuta e scapestrata?
Semplice. Non può. Ed è quantomeno illogico anche solo pensarlo.
Da divoratrice di libri quale sono è per me inconcepibile accettare un surrogato di professore ventisettenne.
Cosa sono,al giorno d’oggi,ventisette stramaledetti anni?
Sono esattamente otto anni più dei miei. Quindi nulla.
Un bambino che insegna ad altri bambini.  Improbabile,no?
Tuttavia è la realtà quella di cui vi narro. La mia inaudita e inverosimile realtà.
Ed ho l’assoluta e categorica certezza che,presto o tardi,necessiterò di uno psicologo per placare la mia imminente crisi.
Fino ad allora,però,tenterò di contenere i miei accessi d’ira e comportarmi come la Lyssa di sempre.
“Hai dormito bene,cara Lyssa?” mi chiese Charlotte,canzonatoria.
Dal canto mio grugnì qualcosa,irritata,e risposi a tono.
“Meravigliosamente,cara Char” la guardai e,alzando gli occhi al cielo,provocai in lei una risata convulsa.
“Che caratteraccio. Non cambierai mai” disse spintonandomi scherzosamente.
  • Cosa c’è di male nell’essere scontrosa,permalosa,talvolta aggressiva e indisponente? Assolutamente nulla – pensai.
“Cambierò,te l’assicuro. Ma non prima d’aver raggiunto i novant’anni e aver compreso che nella vita è necessaria dolcezza e comprensione,condita da unicorni rosa e arcobaleni” risposi io,mostrando un sorriso compiaciuto ad una Charlotte consapevole di dover battere in ritirata.
Posteggiata l’auto nel parcheggio riservato agli studenti ci avvicinammo cautamente all’interno dell’edificio,guardandoci attorno e tentando disperatamente di non attirare l’attenzione di Lydia Collins,una poco signorile ragazzina del secondo anno,i cui unici interessi potevano venir riassunti in due semplicissime e banali parole: ragazzi e popolarità.
Perché si sa,è consuetudine che ogni scuola che si rispetti debba avere la propria dose di ragazze dai facili costumi,rigorosamente accompagnate da ragazzi il cui cervello è,con molta probabilità,rintanato nei meandri delle mutande.
E,nonostante i giornalieri tentativi di fuggire da tali sconvenienti conoscenze,di sovente ero costretta a ritrovarmele di fronte.
“Non avete idea di quanto vi invidiamo” urlarono in coro le gemelle dell’orrore,Kitty e la già citata Lydia,sbucando dal nulla e scandendo con flemma ogni parola. “Un ragazzo del genere è una benedizione del cielo. Cioè,dovrete passarci l’intero anno,ve ne rendete conto?” disse Lydia,con la consueta faccia di chi è in agonia. La gemella numero due si limitò ad annuire compiaciuta,girandosi poi a ridacchiare immotivatamente con l’amica.
“Di grazia,sareste così cortesi da spiegarci di cosa diavolo state blaterando?” chiesi io,con celata irritazione. Irritazione che,per l’appunto,riuscivo a camuffare in maniera ineccepibile col sarcasmo.
“Quanto siete ingenue. Il supplente,e chi altri sennò,sciocchine” esordì Midge,degna migliore amica di Barbie.
“Sarà un anno super eccitante,non credete?” concluse Barbie,sorridendo maliziosamente all’amica.
Extraterreno,oserei dire” mi intromisi io,portandomi una mano sul cuore e schiacciando falsamente l’occhiolino alle due.
Presi per mano Charlotte e insieme ci allontanammo dalla zona minata,raggiungendo gli armadietti,finalmente al sicuro.
L’aria era elettrica,quel giorno. Utilizzando una frase fatta,come la quiete prima della tempesta,e non dopo.
I ragazzini del primo anno,naturalmente,rimanevano in disparte,spauriti e confusi,così come quelli dell’ultimo vagavano per i corridoi con aria di strafottenza e superiorità. Tutto normale,a vista d’occhio.
Ma era l’aria,l’aria che si respirava,che era diversa.
Qualcosa,quell’anno,sarebbe cambiata. In meglio,speravo.
I diciannove anni erano cominciati per me come un supplizio. La separazione dei miei,il matrimonio di mia sorella Jane,la morte del piccolo Jhon,mio amatissimo cane. Ma è dal letame che nascono i fiori,no?
E così tentavo di rialzarmi ripetendomelo di continuo ed evitando,appositamente,di pensare alla frase “al peggio non c’è mai fine”.
Perché,prima o poi,tutto giunge al termine,perfino la sfiga. O almeno così credevo,prima di conoscere il professor Darcy.
 
Giunte finalmente in classe ci preparammo per l’inizio ufficiale del secondo mese di scuola. Prima ora: naturalmente,letteratura inglese.
“Brooks” mi salutò George,la cui popolarità superava di gran lunga l’intelligenza.
“Williams” ricambiai,distogliendo lo sguardo e sedendomi accanto a Charlotte.
Tra me e il suddetto ci fu una storia,in passato. Due anni di tira e molla,dal primo al terzo anno,conclusi con la decisione comune di mollarci e dimenticare. Il tutto non mi procurò alcuna sofferenza o delusione,ciononostante averlo vicino mi suscitava,ancora,una certa agitazione.
Posizionati i libri sul banco adiacente a quello di Charlotte,distolsi lo sguardo da un Williams in piena contemplazione della mia figura.
“Ancora Williams?” domandò Char,sottovoce.
“Non esiste nessun “ancora Williams”,Char. Tra noi è finita tanto tempo fa. E,finanche dovesse scatenarsi sulla terra una catastrofe nucleare e restassimo solamente io e lui,preferirei accoppiarmi con un qualche tipo di vegetale; il che,come ben sai,è quantomeno improbabile” risposi,sistemandomi i capelli con veemenza e non poca agitazione. La breve risposta della mia amica fu uno schiocco di lingua,come a smentire le mie supposizioni.
Ponendo così fine al discorso piantai gli occhi fuori dalla finestra,osservando le nuvole cariche di un temporale imminente,il che,a pensarci bene,rispecchiava a pieno il mio umore.
Tutti gli studenti,nel frattempo,estremamente sovreccitati per l’arrivo del nuovo professore,restavano in piedi a parlottare e spettegolare tra loro. – Ormoni – pensai con un ghigno.
E fu allora che arrivò,in tutta la sua incredibile e inumana bellezza. Bello,giovane – mediocre – aggiunsi tra me e me.
Pelle diafana,capelli nero corvino,labbra carnose,occhi non verdi,non marroni,ma di pura ambra. Un metro e ottanta circa di assoluto splendore,spiacevolmente coperto da semplici jeans e camicia nera.
 
Si fermò per qualche secondo sulla soglia,tenendo con la mano la borsa a spalla contenente i libri,e ci osservò uno per uno con insistenza. Le studentesse trattennero il fiato,gli studenti sbarrarono gli occhi. Dal canto mio,invece,imbarazzata da quell’atteggiamento e,specialmente,dalla bellezza di costui,mi voltai ad osservare ancora una volta il panorama fuori dalla finestra,con l’estrema convinzione che quello non raggiungesse neppure la mediocrità intellettiva.
Avvertii dei passi,un leggero tonfo sulla cattedra,e ancora passi,che si interrompevano di momento in momento. Stava.. Passeggiando?
“Non ci sarà asineria,impreparazione o ignoranza in questa classe. Non ci sarà impertinenza,arroganza o disinteresse. Chi dimostrerà di possedere capacità superiori,che non si limiteranno al ripetere a memoria le lezioni,supererà l’anno. Al contrario,chi non sarà in grado di soddisfare questa banalissima richiesta,verrà sbattuto fuori senza alcuna clemenza. Mi auguro di essere stato piacevolmente limpido e di aver chiarito,come meglio vi aggrada,ogni sorta di dubbio” esordì d’un fiato il professore,poggiando una mano sul banco di Mary,la quale,trovandosi in prima fila,era vittima diretta della follia di ogni insegnante.
“Dimenticate il programma” proseguì lui “Studieremo gli autori inglesi che più stimoleranno il vostro esiguo intelletto”.
Esiguo intelletto? Avrei potuto arricchire quello altrui con centinaia di autori presumibilmente sconosciuti a tutto il corpo studentesco. La bomba dentro di me era ormai innescata,e avrei dimostrato a quel rimpiazzo di possedere capacità certamente superiori alle sue limitate conoscenze universitarie.
“Signorina” riprese Mr Darcy,mentre io,indifferente,ero intenta a focalizzare la mia attenzione sulle goccioline che si infrangevano sulla finestra “Stimolo in maniera discutibile la sua attenzione?” domandò,avvicinandosi a passo svelto agli ultimi banchi.
“Lyssa” mi richiamò Charlotte sottovoce,attirando la mia attenzione.
Una mano si poggiò sulla superficie del mio banco,e il professore si piegò alla mia altezza. Mi voltai,piantando gli occhi nei suoi,e una scarica attraversò il mio esile corpo. Quegli occhi erano così,così – arroganti,autoritari,altezzosi – belli.
Mantenni alla meno peggio la compostezza “Prego?” chiesi,sostenendo il suo sguardo magnetico.
“Mi spieghi come dovrei riuscire a suscitare il suo interesse. Magari,sbattendola fuori seduta stante?” chiese con presunzione,distogliendo gli occhi un istante e mostrandosi dunque titubante.
Era guerra.
“L’interesse è qualcosa di relativo,non crede?” dissi io,spintonando leggermente il banco ed alzandomi “Se proprio devo uscire,non credo sarà un grosso problema. Sto morendo di fame” conclusi,sorridendo falsamente e mantenendo la posizione d’attacco.
“Bene,ragazzi” esordì lui “Questo è ciò che non dovete fare. Grazie per l’improvvisazione,signorina..?”.
“Brooks” risposi esitante,non comprendendo a pieno il senso della frase.
“Adesso si sieda,signorina Brooks” concluse,sottolineando con enfasi il mio cognome.
Ci guardammo per un ultimo istante,prima di riprendere le nostre postazioni e cominciare la prima lezione ufficiale di un nuovo e complesso programma e,inconsapevolmente,di una nuova e complessa vita.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 - Choice: this or that. ***


Capitolo 2 Choice: this or that.

“Nel linguaggio matematico, una catastrofe è un punto critico degenere di una superficie liscia definita in uno spazio euclideo di dimensioni n,in quanto a tali punti corrispondono biforcazioni radicali nel comportamento del sistema”.

Nel mio umile linguaggio,contrariamente a quanto riportato prima,una catastrofe è spesso associabile ad un nome ed una faccia. La mia personale apocalisse,difatti,si manifesta fornita di tali requisiti. E,in previsione di suddetta calamità,esaminando le “biforcazioni radicali nel comportamento del sistema”,ho la conscia consapevolezza di aver a disposizione due sole scelte: rassegnarmi o prepararmi ad affrontarla.
E,dato che gettare la spugna non è una caratteristica propria del mio carattere,ho con riluttanza stabilito di affrontare una così immane disgrazia,dotata di una faccia – sublime – e altresì di un nome: William Darcy.
Tre settimane nell’Inferno descritto da Aligheri verrebbero considerate una gradevole vacanza,se confrontate a quelle trascorse col professor Darcy.
Non bastavano le già impegnative lezioni mattutine; no,il pomeriggio bisognava perfino integrare il programma degli anni addietro. Il tutto arricchito da un professore puntiglioso e saccente; ed è verità universalmente riconosciuta che la mia pazienza risulti spesso precaria. Malgrado ciò,mi sono ripromessa di mantenere la calma e lasciare il mondo così com’è,evitando di inveire contro quell’essere barbaro che prende il nome di William Darcy o,come l’avevamo definito io e Charlotte,la Belva.

“Quindi,Lyssa,cosa pensi del nuovo professore? Ti piace?” chiese Emma,ammiccando nella direzione del tavolo in cui si trovava Darcy,intento a bere un caffè durante la pausa pranzo.
“Se intendi professionalmente è indubbiamente ben istruito,ma l’eccessiva presunzione e la smisurata stima di sé oscurano qualunque caratteristica positiva” risposi io,addentando una brioche precedentemente inzuppata nel caffè latte.
“Bene” disse,incrociando le braccia con fare serioso “E fisicamente?”
Rimasi perplessa per quella domanda inattesa poiché,seppur conoscessi l’inclinazione di Emma nel vedere l’amore in ogni dove,non mi aspettavo che la sua perversa fantasia potesse spingersi così oltre.
“Fisicamente posso dirti che il mio nome non è Lolita e il suo non è Humbert,Emma” dissi squadrandola indignata,e ridendo poi sommessamente della sua ironia spicciola.
Vidi di sfuggita Darcy affrettarsi in corridoio,con passo rigorosamente felino ed aggraziato. Si diresse in aula e,una volta entrato,sbatté la porta con fin troppa enfasi,provocandomi un sussulto.
“Credo sia il caso di andare” disse la mia compagna,riscuotendomi da pensieri peccaminosi che,infimi,si infiltravano nella mia mente.

Entrammo in classe e,data l’assenza inconsueta di Charlotte,mi sedetti in seconda fila con Emma.
“Chiudete i libri” cominciò il professor Darcy,abbandonando la cattedra e passeggiando per la classe come di consueto “Quest’oggi ci concentreremo su un autore in particolare”. Sospirai,psicologicamente impreparata per un fuori programma; passai una mano fra i lunghi capelli e,improvvisando una crocchia con le mani,presi una matita tra le labbra e feci per infilzarla tra i capelli. Mi sentì trafitta all’istante da uno sguardo furente “Signorina Brooks” disse Darcy raggiungendo,per la seconda volta in tre settimane,il mio povero banco “Le piace Nabokov?” sputò tra i denti,palesemente adirato. Compresi all’istante la motivazione di quella domanda e ne rimasi sorpresa: aveva ascoltato la mia personale conversazione con Emma. Per lo stupore mi cadde la matita dalle labbra ma,mantenendo il contegno risposi: “Molto” mentre il professore,invece di guardarmi negli occhi,fissava con insistenza le mie labbra socchiuse.
“E,dato che il suo giudizio è così importante per tutti noi,potrebbe svelarci cosa pensa dei suoi romanzi?” domandò,riprendendo a guardarmi negli occhi.
  • Se uno sguardo potesse uccidere,io sarei già morta e lui si troverebbe in galera per omicidio colposo – pensai,reprimendo l’istinto di mettergli le mani addosso.
“Quale romanzo in particolare?” chiesi invece,consapevole di dove intendeva andare a parare. Finse di riflettere,ponendo l’indice sotto il mento e strizzando gli occhi “Lolita,per esempio”.
“Desidera il mio giudizio da studentessa o quello da ragazza dotata di una testa pensante,di un cuore e di rispettive emozioni e sensazioni?” la mia era un’evidente frecciatina,colta probabilmente solo dal mio interlocutore.
Mi guardò a lungo,accennando un sorriso di sfida “Entrambi,se non le spiace”.
“Da studentessa definirei la storia scabrosa e quantomeno scandalosa dato che,pur trovandoci oramai nel ventunesimo secolo,in cui quasi nulla oramai riesce a sorprenderci,la pedofilia non deve e non sarà mai vista di buon occhio. Da ragazza dotata di un cervello invece,per quanto Humbert,da maniaco folle qual è,abbia privato Dolores della sua infanzia e,di conseguenza,anche della sua adolescenza e di tutto il resto di una vita che sarebbe potuta essere diversa,era ossessionato da lei a causa di un trauma subito da giovane. Ma l’ossessione può essere osservata attraverso due prospettive: dalla prima come malattia,dalla seconda come amore malato e malsano. Ma chi dice che l’amore debba essere obbligatoriamente sano?” mi interruppi,riprendendo fiato,e notai come tutti pendessero dalle mie labbra,perfino il giullare di corte Jason Thorpe.
“Non la credevo dotata di..” cominciò Darcy. “Intelligenza?” lo interruppi io,compiaciuta. “Libidine” mi corresse lui,sorridendo.
In quell’istante,durante quel botta e risposta,il resto della classe sembrava scomparso. C’eravamo io,lui,le mura e null’altro. Persino il banco posto a dividerci pareva nulla più che un mero ricordo. Ma l’idillio fu presto spezzato da vari colpi di tosse provenienti dai nostri indesiderati spettatori.  La lezione dunque riprese,ma quegli occhi d’ambra non smisero di guardarmi per tutta l’ora seguente.

Suonata la campanella mi alzai,pronta a tornare finalmente alla relativa pace della mia dimora,ma ancor prima di poter formulare tale pensiero venni tirata per un braccio da una mano rude “Brooks,ricordi che anche ipocrisia e superficialità oscurano qualunque caratteristica positiva” sussurrò il professor Darcy,guardandomi per un secondo e voltandosi poi,indifferente,verso la finestra. Avvampai di vergogna senza pronunciar parola e,rimasta un attimo inerme ad osservare la sua figura slanciata e definita,lo imitai,voltandomi e raggiungendo il parcheggio.

“Elizabeth,come va con i compagni?” urlò mia madre dalla cucina,impegnata a destreggiarsi tra i fornelli.
“Mmh” grugnì io,accendendo il portatile e posizionandolo sulle mie gambe.
“E col tuo George?” urlò ancora,con voce tenera.
La mia espressione vagava tra lo schifato,il confuso e l’incredulo.
“Dio,mamma,non è il mio George e mai lo sarà. Che problemi avete tutti?” urlai di rimando,sospirando pesantemente.
Il mondo pareva essersi coalizzato per minare la mia sanità mentale.
Tra me e George Williams era assolutamente e categoricamente finita. Ma gli altri,chiaramente,la pensavano in modo diverso.
Mi collegai con riluttanza su Facebook,già pronta alle centinaia di notifiche accumulate in varie settimane d’assenza.
Ma fu un messaggio ad attirare la mia attenzione.

Mr Who scrive:
Ciao,Lolita.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 – Who is Mr Who? (Pt. 1) ***


Capitolo 3 – Who is Mr Who?
(First Part)

 

“Il sonno della ragione genera mostri”. (Francisco Goya)
 
Sebbene io tenti d’aver sempre il controllo su tutto,emozioni comprese,c’è una cosa su cui neanche la mia forza di volontà e la mia determinazione possono far nulla: la stanchezza. L’accesso al mondo degli adulti è,invero,un’arma a doppio taglio; nessun limite,nessuna regola,nessun orario. E così nascono le occhiaie violacee,i capelli scompigliati,gli abiti indossati al contrario,i calzini diversi,le scarpe slacciate e via dicendo.
Ed oggi è proprio uno di quei giorni in cui se tutto deve andar male,certamente ci andrà. In momenti come questo,mentre con riluttanza guardo il mio riflesso allo specchio,notando gli effetti disastrosi di un brevissimo se non inesistente sonno,mi rendo conto che chattare fino a notte fonda non è poi una così brillante idea.
In breve,il caro Mr Who,la cui identità resta momentaneamente ignota,è talmente rimasto colpito dal mio discorso su Lolita e Humbert da aver autonomamente deciso di stalkerizzarmi. Non è quindi difficile immaginare che si tratti di uno studente della mia classe. La domanda è,pertanto,who?
George Williams,il mio affascinante ex? Jason Thorpe,il pagliaccio? Frederick Went,il nuovo e misterioso studente? Edmund Bell,il timido e riservato secchione? Henry Taylor,il simpatico aristocratico?
Ipotesi una più improbabile di un’altra. Il dubbio mi corrode e mi confonde,mentre il sonno mi destabilizza e sovverte la mia psiche. Ma,da ragazza tronfia e fiera quale sono,non lascerò sopraffarmi dalla sonnolenza e mi adopererò affiché,perlomeno la mia parte esteriore,risulti attiva ed efficiente come d’abitudine.
 
Poste queste premesse e raggiunta l’auto mi diressi,di malavoglia,verso il liceo. Durante il tragitto,però,qualcosa sulla strada catturò il mio interesse. Un cucciolo di cane,di qualche settimana al massimo,spaurito e disorientato,era immobile sul ciglio della carreggiata. Cosa fare in casi del genere se non fermarsi e prestare soccorso? E,da brava crocerossina quale sono,fu precisamente quello che feci: lo caricai in macchina. Il dolore per la perdita del mio Jhon non si era ancora placato,e dubitavo che mai sarebbe accaduto; era mio dovere,dunque,amare e venerare qualunque essere peloso a quattro zampe che mi ricordasse il mio cucciolo. Non avendo più tempo per riportarlo a casa fui tuttavia costretta a portarlo con me e,incerta su come nascondere un essere vivente,decisi di chiamare Charlotte,riponendo le speranze di un’idea alla sua prolifica fantasia.
 
“Lizzie,che succede?” chiese lei,arrivando di soppiatto e bussando al finestrino della mia molto discreta Mini rosso metallizzato.  
Sia io che il cane trasalimmo e,dando uno sguardo alle mie spalle e vedendolo estremamente impegnato a graffiare con prepotenza il sedile posteriore,aprii con discrezione lo sportello.
“Guarda tu stessa” dissi a bassa voce,indicando col capo l’esserino sul retro.
“Ma che c..” tentò di esclamare la mia amica,immediatamente interrotta dal mio rimprovero “Char,te ne prego,mostra un tantino di contegno”.

Capii presto di aver mal riposto le mie speranze; i suoi consigli,infatti,risultarono pressoché inutili. “Mettilo in borsa” esordì lei alla fine “E’ piccolo,fa freddo e lui starà bene”.
  • Cosa potrebbe andar male,se non tutto? – pensai,alzando poi gli occhi al cielo e annuendo a Charlotte.
Dopo vari latrati e altrettanti guaiti,riuscimmo a calmare il cane,battezzato ormai Ringhio,e lo introdussi con accortezza nella borsa.
Malgrado ciò,durante la camminata lungo i corridoi,l’angoscia e la paura erano in me evidenti. Mi aggiravo con fare circospetto,sorridendo ingannevolmente a chiunque osasse guardare in direzione della mia borsa animata.

Brooks?” mi sentì chiamare alle spalle da un’inequivocabile voce derisoria.
Mi voltai con prudenza,nascondendo grossolanamente la borsa dietro la schiena.
“Me ne dia una dose” disse ancora in un sussurro,avvicinandosi sensualmente al mio orecchio. A quel breve contatto mi accalorai non poco e assunsi un’espressione scettica.
“Di cosa sta parlando,signor Darcy?” chiesi,toccandomi con impellenza i capelli.
“Mi pare più che evidente. Della droga che sta spacciando all’interno dell’edificio scolastico. Sa,il suo atteggiamento potrebbe venir frainteso” mi canzonò,sorridendo apertamente e mantenendo costante la vicinanza tra i nostri corpi.
“Oh,beh,in verità ci sto pensando su. Lo spaccio di droga potrebbe effettivamente fruttarmi un po’ di soldi. Ma,per il momento,tutto ciò che posso darle è la mia parola. Sarà la prima persona che informerò,non appena i miei loschi affari prenderanno il via” risposi,mantenendo vivo il sarcasmo nonostante il sonno e il banalissimo dettaglio di un cane dentro la borsa.
Sorrise ancora,in tutta la sua incredibile e straordinaria bellezza.
I capelli gli accarezzavano dolcemente la fronte,mentre gli occhi gli brillavano di quella spiccata ironia propria del suo essere e le labbra venivano costantemente inumidite da un erotico movimento di lingua.
“Ne sarei estremamente lusingato” disse infine,chinando il capo e voltandosi poi per rivolgere l’attenzione ad una Lydia Collins che lo chiamava insistentemente.
Rimasi lì,in attesa,accarezzando goffamente la borsa che si agitava convulsamente,e ascoltai qualche frammento di conversazione. “No,signorina Collins,le ho già ripetuto un centinaio di volte che non mi è permesso impartire lezioni private”.
Un risolino che non riuscii a celare uscì dalle mie labbra e Darcy,accortosene,si voltò,mandando via Barbie con un cenno della mano.
“Sarebbe così cortese da rendermi partecipe del motivo per cui sta mal celatamente ridendo?” domandò,alzando un sopracciglio e incrociando le braccia con fare severo.
“Insomma,Lydia Collins è un’incallita cacciatrice di uomini. E lei,signor Darcy,è.. Lei è..” tentai di dire,riprendendo a toccarmi i capelli per placare l’ansia che mi attanagliava.
“Un uomo? Le svelo un segreto,non è ritenuto un crimine pronunciare questa scabrosa parola” mi interruppe,avvicinandosi ancora,mentre nei corridoi cominciava la processione di studenti in attesa dell’inizio delle lezioni.
“Intendevo dire che lei,è un uomo,certo. Un uomo gradevole,ecco” conclusi,tirando un sospiro di sollievo.
Le sue labbra formarono un ghigno divertito “Le hanno fatto notare che quando è nervosa tende a toccarsi con troppa frequenza i capelli?” chiese,lasciandomi interdetta e imbarazzata.
Mi rivolse un cenno col capo e,al suonare della campanella fece per andarsene,ma si fermò d’improvviso,voltandosi nuovamente “Oh dimenticavo,signorina Brooks,ha la maglietta al contrario” concluse,sorridendo e riprendendo la camminata verso l’aula,lasciandomi in un imbarazzante stato catatonico.
 
Dopo qualche minuto di impassibile riflessione mi chinai,poggiai la borsa sul pavimento e sbirciai all’interno. Ringhio pareva finalmente tranquillo,o forse semplicemente frastornato quanto me dalla vittoria schiacciante di Darcy.
In quell’istante si formarono nella mia mente due persieri.

Il primo: avevo appena flirtato in maniera disinibita col mio professore.
Il secondo: e se fosse stato proprio lui Mr Who?

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 - Words ***


Capitolo 4 - Words

Forse,se fossi un tantino meno pretenziosa realizzerei il sogno,o meglio,l’ossessione di mia madre,trovando e quindi incastrando un ragazzo dal portafogli pieno e dalla testa vuota al fine di permettere ai “poveri nervi” della signora Brooks di battere in ritirata,perlomeno per qualche breve ma gioioso istante.
Ma la mia morale,il mio cervello e in primis il mio cuore mi suggeriscono che solo ed esclusivamente il vero amore potrà condurmi al fidanzamento,ragion per cui,considerati i miei continui insuccessi,persisterò nell’evitare come la peste ogni essere vivente di sesso opposto al mio e,cosa più importante,rimarrò zitella a vita. E la questione,personalmente,non mi arreca alcun dispiacere. Sono da sempre una ragazza indipendente ed autonoma,priva di quei bisogni d’amore,affetto e dolcezza che caratterizzano gran parte delle donne. Mi è sufficiente leggerne di sovente nei libri,nelle riviste,nei muri e nelle panchine dei parchi. Non ho dunque la necessità di avere un uomo al mio fianco per considerarmi completa. Sono piuttosto la lettura e la scrittura che mi permettono di raggiungere quella sensazione di completezza a cui,in un modo o nell’altro,tutti aspirano. Amo i libri,le copertine,le pagine e perfino l’inchiostro che ne compone ad una ad una le parole. Il solo odore mi inebria e la sensazione della carta sotto le dita mi provoca un piacere che di certo un uomo non riuscirebbe a darmi. Non è difficile da immaginare,allora,il motivo per cui ho deciso di iscrivermi al corso extra di scrittura creativa indetto dalla professoressa De Bourgh in collaborazione col supplente: Darcy,naturalmente. E,a dispetto del sonno,dell’incertezza sull’identità di Mr Who e della presenza di un cucciolo di cane dentro la borsa,mi ritrovo entusiasta e vispa al pensiero di iniziare.

Affidato Ringhio a Charlotte e risistemata la maglia precedentemente indossata al contrario,raggiunsi il bar,concedendomi una meritata pausa dalle sei ore di lezione. Addentai un sandwich e mi voltai verso le imponenti vetrate che davano sul giardino. Il pomeriggio era ormai giunto e il sole si faceva basso nel cielo. Adoravo quel momento della giornata. Il cielo roseo,le nuvole definite e schiacciate l’un l’altra,la sensazione di pace e serenità trasmessa dalla sfera di fuoco che si prepara a cedere il posto alla sorella luna.  
Il nuovo corso stava per iniziare,e con lui nasceva per me una nuova possibilità di apprendimento,una nuova chance di crescere professionalmente e non solo scolasticamente. Al termine del corso,difatti,sarebbero stati scelti i due studenti più brillanti per partecipare ad un prestigioso stage della durata di un mese presso il The Sun,uno dei più importanti giornali britannici.

“Le parole sono nella mia non modesta opinione la nostra massima e inesauribile fonte di magia,in grado sia di infliggere dolore,che di alleviarlo. Miss Brooks,sa da chi è tratta questa frase?” chiese Mr Darcy,arrivando di soppiatto e posizionandosi sulla sedia opposta alla mia.
“Come,scusi?” chiesi a mia volta,presa alla sprovvista e disorientata dalla sua improvvisa apparizione.
“La frase. Di chi è?” si riposizionò sulla sedia,voltandola e aprendo le gambe per farle aderire allo schienale. Sorrise sghembo e inclinò leggermente la testa su un lato,facendo ricadere qualche ciuffo sul viso. I suoi occhi indagatori mi squadrarono mentre lui,divertito forse dalla mia noncuranza,attendeva una risposta.
“Non capisco che importanza o scopo possa avere la sua domanda” risposi allora,sistemando distrattamente i capelli su una spalla.
“Risponda” insistette il professore.
“Albus Silente in Harry Potter?” mimai con la mano il gesto della bacchetta,facendo sorridere il mio interlocutore. Annuì con il capo e parve perdersi a riflettere.
“Dunque?” chiesi ancora,sperando di cogliere il fine della domanda e,specialmente,della sua presenza lì.
“Non credo lei sia adatta a questo corso” esordì poi,lasciandomi interdetta “Non mi fraintenda,ha una mente brillante. Ma generalmente le donne sono propense ad essere troppo fragili,troppo sentimentali e troppo deboli per accedere a questo mondo. Il mondo della scrittura,intendo” assottigliò lo sguardo attendendo,probabilmente,uno scatto d’ira da parte mia. Ma,al contrario,mantenni la calma,riflettendo sulla sua precedente affermazione.
“Le parole sono la nostra massima e inesauribile fonte di magia” dissi “in grado sia di infliggere dolore,che di alleviarlo e aggiungerei,se mi permette,in grado di risollevare qualcuno o di annientarlo” continuai,mostrando un sorriso di circostanza. “Mi reputo piena di difetti ed effettivamente ne ho davvero tanti,professore,fuorchè la debolezza. Io,Mr Darcy,non mi reputo una debole. Non sono una debole. Lei,piuttosto? Fino a prova contraria è lei ad adempiere all’insulto compito di supplente in un’insulsa scuola. Dunque,chi è il debole tra noi?” conclusi,alzandomi in fretta e voltandomi verso l’uscita. A metà del mio percorso però mi voltai ancora,in attesa. Mi guardò intensamente per qualche secondo,mostrandosi indifferente alle mie parole,presto però cedette ed io,naturalmente,colsi al volo l’occasione presentatami. “Oh,quasi dimenticavo; quando è in difficoltà distoglie lo sguardo. E’ debolezza,questa,non conviene?” sorrisi soddisfatta e uscii definitivamente dal bar.

Al corso Darcy non si presentò. E questo mi diede la possibilità di conoscere meglio la professoressa De Bourgh,una vecchia bisbetica con la puzza sotto al naso che,mostrandosi ben poco clemente,ci assegnò come primo compito un tema di 2000 parole. “Scrivete di voi,dei vostri sogni,delle vostre paure. Scrivete dei vostri amori,delle vostre antipatie. Insomma,l’importante è che scriviate qualcosa di decente e sensato o il The Sun lo vedrete esclusivamente sui tavolini dei bar” disse. Nessuno osò dire nulla per contraddire il suo volere.
Terminate finalmente le tre ore uscii dall’aula,ansiosa di raggiungere la macchina e felice di tornare a casa. Giunta al parcheggio mi guardai attorno,disorientata: il buio era calato e l’auto non c’era. La mia mente aveva infatti rimosso il pensiero di averla prestata a Charlotte ore prima “Prendi la mini e porta Ringhio con te. Io chiamerò mio padre,verrà a prendermi lui”. Mi diedi una pacca sulla fronte e,esasperata e stanca,mi maledissi mentalmente per la mia dimenticanza. Presi il cellulare dalla borsa,rendendomi conto troppo tardi della batteria morta e dunque dell’inutilità di quest’ultimo. “Dannazione” protestai,cominciando a camminare velocemente nella speranza di raggiungere la metro in tempo.
Durante il tragitto notai un’imponente auto scura affiancarsi a me più volte; inizialmente non me ne curai,ma l’insistenza del conducente mi insospettii e fu allora che cominciai a provare timore.
“Ascolta” dissi,bloccandomi sul marciapiede e arretrando di qualche passo per raggiungere l’auto “Ho un coltello in borsa e pratico la boxe da quando avevo tre anni” lo minacciai,mentre il finestrino si abbassava “Per il tuo benessere ti consiglio di sparire,o ti disintegro”. Dall’interno del mezzo udii una risata convulsa e,non appena il vetro tra noi si abbassò completamente,guardai il maniaco negli occhi.

Ambra.

“Darcy?” esordii,arretrando di un passo.
“Ha davvero un coltello in borsa,Miss Brooks?” chiese,continuando a ridere mentre spalancava lo sportello del passeggero. “Se giura di non disintegrarmi sferrandomi un pugno o accoltellandomi le assicuro che raggiungerà casa sua senza incidenti”.
“Mi stava seguendo?” chiesi io,inorridita e non poco confusa.   
“Se mi permette di accompagnarla,le spiegherò tutto” si asciugò col dorso della mano una lacrima provocata dalla risata e mi fece nuovamente cenno di salire.
Notando la mia titubanza continuò “Non si fida di me,signorina?”.
“No. Buona serata,signor Darcy” conclusi seria,riprendendo la mia camminata e scuotendo la testa.
Il mio insegnante di lettere mi stava davvero seguendo? Che razza di persona sana di mente seguirebbe in modo così inconsueto e fraintendibile la propria studentessa?
“Brooks” disse ancora ad alta voce,afferrandomi d’improvviso il braccio “Non sono un maniaco. L’ho vista per caso e ho pensato di scortarla” allentò la presa “La sicurezza prima di tutto,non conviene? Salga in macchina,l’accompagno” il suo tono mutò,non ammettendo più repliche.
Durante il tragitto verso casa il gelo tra noi era palpabile.
“Perché non è venuto?” mi sfuggii alla fine “Al corso. Perché non è venuto al corso?” chiesi,tormentandomi le mani.
  • Perché diamine glielo sto chiedendo?  - Pensai,furiosa con me stessa.   
Si voltò,forse per la sorpresa,e mi guardò brevemente le mani. Accennò un sorriso,sospirando “Debolezza”.
Rimasi sorpresa dalla sua risposta. Stava ancora pensando alla nostra precedente discussione?
Sorrisi a mia volta,segretamente compiaciuta di aver lasciato il segno.
“E’interessante” dissi,distendendomi sul sedile.
“Cosa?” chiese lui,sollevando distrattamente una manica della maglia e mostrando i muscoli ben definiti del braccio.  Mi fermai un attimo a guardarlo,deglutendo. Non potevo pensare a lui. Non potevo pensare a lui in quel senso.
“Come le parole possano mutare i nostri così volubili pensieri” riacquistai la compostezza,voltandomi e concentrando la mia attenzione sulla strada.
“Le parole di coloro che stimiamo,o amiamo” mi corresse,sfiorandomi la coscia mentre cambiava la marcia. Il contatto fu breve,ma entrambi ci voltammo,folgorati.
Distogliemmo lo sguardo nello stesso istante e il silenzio calò nell’abitacolo.
“La professoressa De Bourgh ci ha assegnato un tema” dissi infine,cambiando argomento e rompendo il ghiaccio “Ma non so proprio di cosa potrei scrivere”.
“Le risposte arrivano per chi sa aspettare” rispose il professore,sovrappensiero “Siamo arrivati” disse,avendo colto perfettamente le mie indicazioni.
“La ringrazio. Buonanotte,Mr Darcy” mi congedai,aprendo lo sportello e richiudendomelo alle spalle.
Per qualche assurdo motivo,il mio cuore batteva all’impazzata e il mio corpo tremava,come in preda agli spasmi.

“Miss Brooks?” urlò dall’auto,abbassando il finestrino scuro.
Trattenni il respiro e mi voltai un’ultima volta.
“Scriva di noi”.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 - Romeo+Juliet ***


Buonasera a voi,lettrici e lettori! Prima di lasciarvi alla lettura del capitolo vorrei conoscere la vostra opinione riguardo l'eventuale creazione di un gruppo Facebook,dedicato naturalmente alla fan fiction. Lì verrebbero pubblicati spoiler,curiosità sulla storia,sui capitoli riguardanti varie opere(Lolita,Romeo e Giulietta,già trattati,e tanti altri) e vari "giochi interattivi" o questionari in cui sarete voi stessi a decidere in parte il prosieguo della storia. Attendo risposta e vi auguro una buona lettura. xx


Capitolo 5 -
Romeo + Juliet

“Le gioie violente hanno violenta fine, e muoiono nel loro trionfo, come il fuoco e la polvere da sparo, che si distruggono al primo bacio”

                                                               Romeo&Juliet, William Shakespeare
 
Mi sono sempre vantata della mia capacità di raziocinio,ostentando sicurezza e gelida razionalità al fine di evitare influenze ormonali che mi impedissero di analizzare ogni situazione e circostanza con la mente ben aperta e il cuore irrimediabilmente chiuso. Non ho mai permesso alle emozioni di prendere il sopravvento,mantenendo costante intorno a me un alone di indifferenza e noncuranza riguardo le irrazionali e fanciullesche questioni di cuore. Questo mi ha permesso di scongiurare le puerili sofferenze che mi avrebbero monopolizzata e controllata,sopraffacendo ogni rimasuglio di razionalità e buon senso. Ma l’altra faccia della medaglia è ben diversa: difatti,benché la mia capacità di criterio e analisi sia rimasta incredibilmente intatta,il mio cuore si è lentamente ibernato,impedendomi di provare emozioni e sensazioni proprie del genere umano. Le mie relazioni si limitavano ad effimere sensazioni e attrazioni unicamente fisiche,senza mai suscitare in me l’emozione per eccellenza: l’amore. Da varie settimane a quella parte,però,sentivo lo stomaco in subbuglio e l’adrenalina in corpo e,sconoscendo le motivazioni di tali inconsueti scompensi ormonali,li attribuivo ingenuamente all’ansia dovuta al diploma e alla scelta del college. La realtà era,ahimè,oltremodo differente; la comparsa di William Darcy,le sue parole,insolenti ma franche,i suoi modi,rudi ma autentici,mi avevano destabilizzato,suscitando una baraonda lì,dove nessuno mai era riuscito ad aver accesso.
Dopo gli strambi avvenimenti della settimana precedente lo evitai di proposito,rifugiandomi nei posti più impensabili ogni qualvolta mi si parava davanti,mantenendo un profilo basso e limitando in aula ogni intervento superfluo. Inaspettatamente,lui non pareva ansioso di tentare un approccio ma,al contrario,sembrava desideroso tanto quanto me di evitare un imbarazzante incontro.

“Cara Elizabeth,hai intenzione di mangiarla quella zuppa o continuerai a fissarla finché non deflagrerà?” chiese mio padre,gettando un’occhiata nella mia direzione.
L’appuntamento fisso con mio padre si svolgeva settimanalmente. Ogni venerdì eravamo soliti passare l’intera giornata insieme. Dopo la separazione con mia madre,infatti,aveva acquistato una piccola tenuta fuori mano,lontana dal caos della metropoli.
Alzai il viso e guardai quello di mio padre,sempre vispo ma oramai segnato dal tempo. “Questa sera il tuo eccezionale padre ti porterà ad una festa. Chissà,magari incontrerai un principe,e tua madre cesserà finalmente di farneticare” proseguì,assaporando con gusto il suo pasto.
“Un principe? Non credi di essere un tantino eccessivo?” chiesi dubbiosa,inarcando le sopracciglia.
“Ebbene si,mia cara: solo un principe potrebbe meritare il tuo affetto. E in fin dei conti,sarà una festa in maschera,quindi corri a prepararti” concluse con un gesto della mano.
“Ti sfugge forse,caro genitore,che non ho un abito da indossare per una festa mascherata. A meno che tu non voglia che mi travesta da punk; in quel caso il problema non sussisterebbe” risposi a mia volta,sgombrando la tavola. Ma subito tacqui. Dalla poltrona del soggiorno rivelò un meraviglioso abito nero con ricami in argento sul corpetto,lungo fino ai piedi e non eccessivamente pomposo,coordinato ad un’elegante maschera dello stesso colore intarsiata di Swarovski.
Senza proferir parola lo abbracciai,scompigliandogli affettuosamente i pochi capelli rimasti,fiera di averlo come padre.

L’ora successiva stavamo già varcando la soglia dell’imponente e maestosa villa seicentesca che avrebbe ospitato la festa.
L’interno era se possibile migliore dell’esterno; migliaia di candele illuminavano la sala principale,creando un’atmosfera antica e sofisticata. Purtroppo l’età media della festa era nettamente superiore alla mia. Malgrado ciò conversai,ballai e mi divertii molto; conobbi perfino la figlia sedicenne dei proprietari,probabilmente assenti.
Ben presto,tuttavia,mi sentii sfinita,e la ricerca di un po’ d’aria parve una lenta agonia. Giunsi sul mastodontico balcone,entusiasta di poter finalmente esalare un respiro,lontana dal trambusto dell’orda di gente mascherata.

“Oh,ma quale luce irrompe da quella finestra lassù? Essa è l’oriente,e Giulietta è il sole. Sorgi,bel sole,e uccidi l’invidiosa luna già malata e livida di rabbia,perché tu,sua ancella,sei tanto più luminosa di lei” recitò qualcuno,immerso nella penombra del giardino sottostante. Mi sporsi appena,seguendo il dolce suono di quella voce; il buio celava però il volto dell’uomo.
Decisi di reggergli il gioco,improvvisando qualche passo dell’opera shakespeariana.
“Chi sei tu che difeso dall’ombra della notte entri nel mio chiuso pensiero?” chiesi,beandomi dell’aria fresca e pungente che mi sferzava il viso.
“Con un nome non so dirti chi sono. Odio il mio nome che ti è nemico,straccerei il foglio dove vi fosse scritto” disse ancora avanzando di qualche passo,mostrandosi a me avvolto in un completo scuro e coperto in volto da un’elaborata maschera color oro.
“Chi ti ha guidato in questo luogo?” proseguii,ponendo le mani sulla ringhiera.
“Con i miei occhi,amore m’aiutò a cercarlo. Conosce tutti i passi di Shakespeare,mia signora?” mi domandò,simulando un breve inchino e mostrando un sorriso familiare.
“Non per nulla il secondo nome che porto è Juliet,mio Romeo” risposi,imitandolo e sollevando l’orlo della gonna.
Sorrise ancora “Il mio cuore aveva mai amato? Occhi rinnegatelo,perché non ha mai conosciuto la bellezza fino ad ora” continuò,inginocchiandosi “Mia adorata Giulietta,deponete la maschera e mostrate il vostro meraviglioso volto”
In lontananza udii dei passi e la voce di mio padre che chiamava insistentemente il mio nome “Elizabeth? Elizabeth” mi affrettai allora,per impedire al mio interlocutore di svelare la mia identità.
“Devo andare” confessai al mio bel Romeo,arretrando di un passo.
“Ve ne prego,ditemi chi siete” insistette,deliziandomi un’ultima volta con la dolce melodia della sua voce.
Sorrisi,guardando i suoi begli occhi nascosti dalla maschera e le sue labbra socchiuse,carnose e rosee.
“Buonanotte,buonanotte! Separarsi è un sì dolce dolore,che dirò buonanotte finché non sarà mattina” conclusi guardandolo mentre sparivo all’interno della villa.

Insieme al signor Brooks mi diressi verso l’uscita,ma poco prima di abbandonare definitivamente l’enorme palazzo fui bloccata da qualcuno che,ansimante,mi pregava di aspettare.
Romeo.
Al contempo i centinaia di invitati si affollarono verso l'uscita,impedendomi di raggiungere il giovane. E in quell’andirivieni accadde qualcosa che mi avrebbe inaspettatamente permesso di scoprire chi fosse il mio cavaliere: persi il cellulare.
Mio padre mi convinse ad attendere il giorno successivo per tornare alla villa a cercarlo ed eventualmente sporgere denuncia; così,dopo varie proteste e altrettanti lamenti,accettai di farmi accompagnare a casa e affrontare il problema alla luce del sole.
Quella notte mi immersi nel magico mondo shakespeariano; sognai di essere Giulietta e,naturalmente,sognai il Romeo conosciuto poco prima. La mattina seguente,tuttavia,il mio umore era inversamente proporzionale alla bellezza del sogno: a dir poco pessimo.  
  
“Ti ho chiamato una decina di volte,Lizzie,che succede?” chiese Charlotte,incrociandomi lungo i corridoi del liceo.
Sbuffai apertamente “Perso” biascicai,riprendendo a camminare.
“Perso?” ribadì lei,seguendomi come un’ombra ad ogni passo.
“Il cellulare. Perso,andato,caput. Piuttosto prestami il tuo; se qualcuno è riuscito a trovarlo magari risponderà alle chiamate” mi voltai verso di lei,porgendo una mano nella sua direzione.
Portai il cellulare all’orecchio,in attesa,continuando a camminare e urtando accidentalmente qualcuno.
“Miss Brooks” mi salutò il diretto interessato,nonché mio peggior incubo.
“Mr Darcy” ricambiai,evitando come di consueto il suo sguardo magnetico e glaciale.
Intanto qualcosa nella sua tasca anteriore prese a vibrare; lo estrasse velocemente,assumendo un’espressione dubbiosa,e fu allora che lo riconobbi.
“Il mio cellulare” sussurrai,scettica.
Entrambi alzammo lo sguardo simultaneamente,incastrandolo l’uno con l’altro.

Romeo.

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 - Please don't tell ***


Talvolta ci son parole che non vuoi sentire. Cose che non vuoi vedere. Ma questo non impedisce loro di esser sentite o di esser viste. Puoi però decidere di ascoltarle, e non sentirle. E di guardarle, ma non vederle davvero. D'altronde questa è un'arma a doppio taglio. Ferisce più scansarle, che affrontarle di petto. È facile scappare, rifugiarsi nella normalità, nella calma, nella pace dell'inconsapevolezza o del rifiuto. Il difficile è restare e vedere cosa succede dopo, a cosa ti porterà. E sono le parole non dette quelle che hanno più bisogno di essere ascoltate. Io, però, non sono pronta per quel passo. Non sono pronta a conoscere la verità, a riconoscerla a me stessa.


Ci fu un rapido scambio d'occhiate; i miei occhi su quelli di Mr Darcy, i suoi sui miei, quelli di Charlotte su ambedue.
La campanella squillava acuta ma la bolla impenetrabile in cui ci trovavamo non permetteva che ci accorgessimo del mondo al di fuori.
Poi un gesto, imperioso, intenso, una stretta al braccio e mi ritrovai alle calcagna di Mr Darcy, trascinata insolentemente lungo il corridoio. Non emisi neppure un sospiro, la bolla serrava ancora la sua morsa su di me. Ripresi contatto con la realtà quando mi sentii urtare contro una porta. Mi trovavo in un ufficio piuttosto caotico; odorava di libri, di inchiostro e di segreti. 
Non sta succedendo davvero. 
"Spiegazioni" disse il professore alterato "Mi spieghi cosa significa.." mi avvicinò violentemente il cellulare al viso "..Questo" Sbattei la testa contro la porta cui ero poggiata. Ero confinata tra lui e la porta, e la situazione irreale mi spinse a tacere. 
Mi guardava ed io sostenevo il suo sguardo, attonita, assente. 
Un sorriso beffardo mi affiorò sulle labbra. Che stavo facendo? 
"Me lo dica lei" sussurrai, incrociando le braccia al petto e impedendo quindi il contatto diretto tra i nostri corpi. 
"Non osi prendersi gioco di me. Le ho chiesto cosa diavolo significa" stavolta il cellulare quasi mi colpì all'altezza del naso. 
Spinsi Mr Darcy con forza e mi allontanai. Lui mi guardò incredulo, come se si accorgesse in quell'istante di non star sognando. Non fiatò.
La bolla esplose. "Questo è quanto: quello è il mio cellulare, l'ho perso stanotte, qualcuno l'ha preso. Quel qualcuno è lei. Lo dirò una sola volta: deve starmi lontano. È chiaro?" ringhiai tra i denti. 
Il silenzio parve inondare la stanza, languendoci, e in quel momento avvertii un senso di spossatezza e prostrazione. Desiderai ardentemente accucciarmi sul parquet e dormire.
Mr Darcy prese posto alla scrivania, mi invitò a calmarmi e mettermi seduta. Rimasi in piedi.
"L'ho sognata, stanotte, Miss Brooks" disse lui quando stavo ormai per abbandonare l'ufficio. Sospirai, pensando a quanto facilmente influenzabile fosse la mente umana.
 "Anche io ho sognato Romeo" mi voltai, vidi che stava in piedi, curvo, con le mani che stringevano la scrivania. Non diede alcun segno di aver udito, così mi voltai ancora e aprii la porta.
"No" disse ancora, con un tono di voce che mi avrebbe spaventata, se la situazione non fosse già stata così surreale. Mi incamminai, superai l'uscio, non volevo sentire. Ma sentii comunque.
"Non ho sognato Giulietta" una pausa, poi un sospiro di rassegnazione.
"Ho sognato lei, Elizabeth."
Non mi voltai. 







 

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