Spesso la morte è necessaria.

di _Sebba
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** ***
Capitolo 2: *** ***



Capitolo 1
*** ***





Ho bisogno di sangue, sono stanca.
Devo sentire quel liquido ferroso nella mia bocca.
I suoi occhi corrono da un lato all’altro del vicolo. 
Sa di non avere via d’uscita.
Urla, si dimena, ma non capisce che nessuno la verrà a aiutare.
Siamo a Las Vegas e qui la gente non si interessa di situazioni pericolose,
a meno che il problema non sia loro, ovviamente. 
L’odore pungente della morte mi solletica il naso.
Voglio provare di nuovo quella sensazione di estasi e libertà.
Ha il trucco sbafato, delle lacrime scivolano lungo il viso. Lacrime di terrore.
Povera illusa, crede di farmi compassione.
Sono esausta. Sto per morire, devo ucciderla.
Un gatto dal manto nero miagola acquattato sopra un cassonetto, sembra quasi volermi fermare.
Mi avvicino a passi lenti, calcolati, decisa a portare a termine la mia incombenza.
Le cedono le ginocchia, cade a terra in un colpo sordo lasciando cadere la testa da un lato,
i capelli biondo cenere le nascondono parte del viso, ma il collo è scoperto, non riesco a controllarmi, non manovro io le mie membra.
Le gambe si irrigidiscono, lo sterno fa pressione sui polmoni, vedo le mani raggrinzirsi.
Devo essere veloce, se non mi nutro in fretta morirò.
Sono a due passi da lei, cerca di difendersi inutilmente, tira un calcio, ma non provo dolore.
Mi avvicino al suo corpo, il suo respiro si condensa a contatto con la mia pelle fredda.
È giunto il momento, avverto la pressione, come tanti piccoli macigni, su ogni centimetro di pelle.
Le estremità delle mie dita tendono al viola.
Una manciata di centimetri mi distanziano dalla normalità.
Socchiudo gli occhi, le palpebre sono pesanti, vorrei dormire.
No, devo resistere. Voglio vivere, ma non posso uccidere per egoismo, non ancora.
Devo fermarmi e pensare, capire come misurare le mie azioni.
Non riesco, devo farlo.
I miei canini affilati penetrano le sue carni.
La libertà è vicina.
Il suo tocco sembra riscaldarmi le labbra.
Il sangue sta entrando in circolazione, ora le mie vene trasportano un elisir prezioso.
Basta poco per soddisfare i miei bisogni, per diventare umana. Poche gocce di quel liquido e tutto torna normale, niente rancore o sensi di colpa, almeno per qualche minuto. Se prima titubavo e soffrivo per la scelta da compiere, ora sono soddisfatta e senza rammarico, in fondo non è successo a causa mia. Io non volevo uccidere quella povera ragazza. Sono sensazioni volubili, un via vai di pensieri colpiscono ripetutamente la mia psiche, spesso contrastano tra di loro e producono una mera confusione che spesso contribuisce semplicemente a distorcere la realtà.
Il gatto ha ripreso a miagolare spaventato, però non sembra abbia intenzione di fuggire. I suoi occhi infondono sicurezza, sono gialli, dello stesso colore dei miei durante la trasformazione.
Finalmente sta iniziando a fare effetto, le mani assumono una tonalità rosea e i capelli divengono di un nero mogano.
Mi guardo attorno, noto una bottiglia di birra accanto al cassonetto e, avvicinandola al volto, vedo nel riflesso i miei adorati occhi verdi.
Sono tornata me stessa, sono libera, di nuovo.

La ragazza è accasciata accanto a una pozzanghera di acqua ormai tinta di un rosso spento. Sembra caduta in un sonno profondo, cullata dai clacson e dall’odore dello smog. Il gatto si avvicina alle mie gambe, solo ora noto che i folti peli del suo orecchio destro tendono al rosso scuro. Ironico, ha un che di vampiresco.
Sono stremata.

Ormai è da quattro anni che sono costretta a uccidere per sopravvivere, non posso continuare a fare del male a dei poveri innocenti. Iniziò tutto quando avevo sedici anni, mi tramutavo in vampiro per un giorno ogni primo del mese. Dopo la metamorfosi, non ero io a comandare il mio corpo, ma appena mi ritrasformavo, tutto ritornava alla mente in modo chiaro. La prima volta che successe non volevo crederci, era troppo lontano dalla normalità per essere vero e ricordo che continuavo a ripetermi che era stato solo uno strano sogno. Passarono dei mesi e iniziai a convincermi che era realmente cambiato qualcosa in me. Quindi cercai informazioni nella biblioteca accanto alla mia scuola e trovai un’antica leggenda sul vampirismo.
Lessi di una maledizione lanciata in un remoto paesino del Nevada nel XVI secolo che descriveva gli stessi effetti notati durante le mie trasformazioni. Infatti, a differenza di ciò che è stato tramandato dalle credenze popolari, io non ho mai provato dolore rimanendo esposta ai caldi raggi solari e, per esempio, né l’aglio, né i simboli religiosi hanno mai causato danni. Documentandomi scoprii che era una maledizione che si tramandava dalla nonna materna alla nipote femminile.
Quindi non potei fare altro che assecondare quella periodica mutazione e continuare a uccidere contro la mia volontà. Purtroppo vivo una storia già scritta con un’introduzione che mi impedisce di spezzare l’incantesimo e una malinconica conclusione. Dopo tutti questi anni non è cambiato nulla, sono ancora qui a lottare contro la mia stessa natura.
Nessuno sa del mio segreto, non l’ho voluto confessare nemmeno ai miei genitori, non ho mai avuto ottimi rapporti con loro e, infatti, sono scappata di casa circa due anni fa. È molto che cerco un modo per spezzare la maledizione, ma nessuna soluzione trovata è realmente utile per risolvere il problema.
Nonostante non possa comandare le mie azioni, mi sento colpevole.
Sono vittima di me stessa.

Inizio a sentire freddo, è meglio tornare a casa.
Gli occhi del gatto sono fissi sui miei e, mentre il riflesso della luna piena illumina la sua
lunga coda scura, il suono dell’antifurto di un’automobile echeggia tra le vie illuminate.
Ora devo andare, non vorrei rischiare di essere vista nei paraggi.
Mi dispiace lasciare il gattino-vampiro da solo, mi sono quasi affezionata ai suoi miagolii acuti.
Alla prossima, mio piccolo Dracula.


 

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Capitolo 2
*** ***




Nelle ultime notti non ho chiuso occhio, i ricordi di quella sera sono rimasti avvinghiati alla mia mente, non mi hanno permesso di prendere fiato.
Il suo fantasma si aggira per le strade che percorro, come un alito di vento tra le fronde degli alberi, mi scuote dall’interno e lascia angoscia dietro di se.
Il volto di quella ragazza mi tormenta, lo vedo riflesso nelle pozzanghere, alle mie spalle quando mi specchio. Mi perseguita, vuole farmi impazzire.
Anche ieri, mentre girovagavo per i corridoi dell’università, l’ho vista seduta su una panchina del giardino.
Era lì, immobile, ogni suo muscolo sembrava ghiacciato, bloccato in una condizione surreale, mostrava un delicato sorriso appena accennato.
Il tempo pareva essersi fermato, le chiome degli alberi non erano più scosse dal vento e la frenetica vita del lunedì si era placata all'istante.
Il silenzio regnava sia fuori, sia all’interno della mia mente.
Quella dolce figura iniziò a parlare in un sussurro quasi muto che mi rilassava e, allo stesso tempo, mi intimoriva.
Nonostante ciò sentivo quelle parole rimbombare nella ma testa come se mille altoparlanti ripetessero le sue frasi.
Indossava gli stessi abiti della settimana scorsa, ma la camicetta era candida, non una goccia di sangue che la impregnasse.
Iniziai a camminare nella sua direzione a passi lenti, ma più mi avvicinavo, più ero confusa, sembrava svanire nel nulla.
Al contrario, la sua voce diveniva sempre più chiara e le parole comprensibili.
“Non meritavo quella fine, ero innocente.” ripeteva in un sorriso, i movimenti delle labbra erano quasi impercettibili, ma le lacrime che si facevano strada sulle sue guance erano alquanto evidenti.
Un misto di gioia e dolore solcava il suo volto senza incertezza. Ero a due passi da lei quando ha iniziato a gridare, il sorriso si stava tramutando in un ghigno malvagio.
Distinguevo a stento i contorni sfocati, la figura non era affatto nitida. Iniziai a camminare più velocemente, quasi correndo, verso di lei, volevo sapere se era reale, capire se stavo davvero impazzendo.
Credei di esserle passata attraverso. Non la trovavo più, ma le sue parole erano ugualmente decise.
Mi voltai di scatto.
Guardai in ogni direzione seguendo quelle urla e la vidi accanto a una finestra.
Si voltò lentamente, mostrando il collo ricoperto di sangue. Dalle sue orbite bianche colava un rigagnolo cremisi.
Il contrasto con la pelle diafana la faceva somigliare a una bambola di porcellana. Bella, ma allo stesso tempo terrificante.
Silenzio. Ancora più straziante delle grida disumane precedenti. Le sue labbra appena socchiuse erano contratte in una smorfia di rabbia.
Il colore penetrante della sua bocca si era impossessato della ma mente.
Nel silenzio innaturale non riuscivo a pensare a altro, in quel momento solo la sua espressione era degna di interesse.
Sembrava quasi osservarmi con in suoi occhi privi di iride.
D’un tratto il cigolio della porta che affacciava sul corridoio mi riportò alla realtà.
Mi volsi e la vidi spalancata, guardai nella direzione della ragazza, ma non c’era nessuno.
Si era volatilizzata.
 
“Non meritavo quella fine, ero innocente.”
Perché la mia psiche vuole torturarmi di sensi di colpa?
Perché ho visto una ragazza morta sorridere e parlare?
Sono forse pazza? Riflettendo non è normale quello che mi sta accadendo.
Non mi era mai successo prima, con nessuna delle mie vittime.
Ma no, ho sicuramente immaginato tutto, sarà la stanchezza, ho dormito davvero poco queste ultime notti.
Eppure era così realistico, sembrava possibile persino percepire i suoi sentimenti. 
No. No, non può essere sopravvissuta, inietto, involontariamente, un siero letale appena i miei canini perforano le carni delle mie vittime.
Non capisco, ma sono totalmente certa che voglio smettere di soffrire in questo modo.
Ho troppo sonno, ho bisogno di riposarmi.
L’aria gelida che entra dalla finestra provoca piccoli brividi sulla superficie della mia pelle.
La luna alta nel cielo illumina la stanza, ma al contrario, il mio destino è ancora avvolto dall’oscurità.

Dall’ultima volta che ho avuto delle allucinazioni sono trascorse due settimane, ma il volto di quella ragazza non ha la minima intenzione di abbandonare la mia mente,
anche se non c’è stata alcuna apparizione nell’ultimo periodo, l’angoscia e la paura sono avvinghiate alla mia persona. Forse dovrei riscattarmi, ma come? Non potrei.
 Tre giorni e mi trasformerò in vampiro.
 Tre giorni e sarò costretta a uccidere per vivere.
 Tre giorni e non sarò io a comandare le mie azioni.
 Tre giorni e dovrò rivivere tutto.
L’unico modo che avrei per impedirmi di aumentare il numero delle mie vittime è quello di suicidarmi. È l’unica via d’uscita.
O forse no? Magari potrei incatenarmi a una sedia. No, no… non può funzionare.
Probabilmente riuscirei a spezzare il ferro con la forza sovrumana che acquisto e, in caso contrario, sarebbe anche peggio: io stessa non potrei liberarmi una volta tornata in me.
Eppure ci deve essere un altro modo, un’altra soluzione. Devo definire del mio destino, prendere la decisione migliore, non la più semplice.
Continuare un’esistenza egoistica o rinunciare alla vita per una questione morale sono le due opposte direzioni di una strada senza uscita.
Tutto dipende da scelte, anche banali, e ora sta a me stabilire cosa accadrà.

 

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