Tempo Perso.

di Kim_Pil_Suk
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Anno 2099... e tutto cambiò. ***
Capitolo 2: *** Grazie a te. ***
Capitolo 3: *** Per sempre, ovunque e in qualsiasi momento. ***



Capitolo 1
*** Anno 2099... e tutto cambiò. ***


-Anno 2099.-
-New York, Stati Uniti.


Erano passati tanti anni. Tante cose erano cambiate. Le città, il governo, la cultura, il modo di pensare, l'arte, la tecnologia, ma soprattutto, le persone.
Le città si erano unite, erano scomparse, erano state sommerse, avevano cambiato nome, ma comunque c'erano e facevano parte di una nazione. Invece le persone non c'erano più.
I nonni morivano. I genitori invecchiavano. I ragazzi vivevano l'adolescenza. Anche in un mondo così diverso.
E questo Talia lo sapeva bene.

Camminava per la Grande Mela ripensando a quando lei, Annabeth e Percy combattevano i mostri. A quando passeggiavano nei giardini. A quando rischiavano la vita, e a quando se la salvavano a vicenda.
Ma in quel momento lei era sola.
Percy e Annabeth si erano costruiti una vita assieme. Avevano avuto un bellissimo matrimonio, due figli stupendi e una vita magnifica. Poi erano morti, come tutti gli esseri viventi. Nascono, vivono e muoio.
Naturalmente c'è chi vive al meglio e chi butta la sua vita al vento.
Tutti i suoi amici erano morti, troppo vecchi per vivere e sopravvivere.
Era rimasta sola con le Cacciatrici. Ma loro erano più delle sorelle per lei. Sorelle immortali, certo, ma pursempre sorelle.
Lei invece non moriva. Viveva una vita estesa all'infinito ma non moriva. Non sentiva nemmeno il peso degli anni addosso. Aveva sempre i suoi vestiti punk, il suo corpo da quindicenne e la media statura di sempre. Era sempre uguale. Da sempre.
Non era pentita della scelta che aveva fatto. Adorava essere una Cacciatrice di Artemide, ma certe volte le sarebbe piaciuto innamorarsi, avere una famiglia e casomai morire con qualcuno accanto. Ma sapeva che non poteva.
Le sarebbe piaciuto diventare grande assieme ad Annabeth, casomai trovarsi assieme a lavorare. Parlare con lei dei bambini, della casa, dei mariti, e sì, magari anche di libri.
Le sarebbe piaciuto pure battibeccare tutto il giorno con Percy su chi fosse più forte. 
Le sarebbe piaciuto cambiare Nico, sempre così triste e cupo.
Le sarebbe piaciuto vedere Grover e Juniper che vivevano la loro lunga vita assieme.
Le sarebbe piaciuto vivere al Campo, forse.
E infine le sarebbe piaciuto morire, consapevole di essere amata, amata davvero.

Ma lo sapeva che tutto ciò che non le era concesso.

Una cosa le dispiaceva più di tutte.
Non aveva potuto aiutarlo. Non aveva avuto la possibilità di vederlo l'ultima volta, prima che se ne andasse.
Non aveva potuto dirgli quanto lui fosse stato per lei, anche più di un fratello.
Non aveva potuto dirgli quanto lo aveva amato e quanto ancora lo amava.

Ma sono le scelte dure della vita, Talia.
Lui se n'è andato. Fattene una ragione. E' morto e te sei immortale, non c'è speranza.

Si ripeteva ogni volta, con tristezza e rammarico.
Poi delle lacrime iniziavano a scendergli lungo le guance. Non si fermavano. Le scavavano le guance e le corrodevano la pelle, fino a farla scoppiare in forti singhiozzi. Singhiozzi di cui si pentiva. Perché sapeva che lei non doveva piangere. Non per lui. 
Era una Cacciatrice di Artemide, diavolo. Non poteva innamorarsi.

Stava fissando il sole che tramontava sulla nuova New York. 
I grattacieli sempre più vasti, alti, le nuove architetture, i parchi naturali sempre meno, sempre più piccoli.

Lo ammise. Odiava tutto della sua nuova vita.
Essere una Cacciatrice non la rendeva così tanto. 
Sì, la sorellanza, le Cacciatrici, combattere i mostri. Tutte cose fantastiche, che faceva da una vita.
Poi c'era la cosa peggiore: l'immortalità.

Immortalità.
Può suonare bella. Vivere per sempre, fuori dal tempo. Vedere il mondo che cambia. Non morire. Non invecchiare. Sì, bello.
Ma dopo i primi 50 anni tutto cambia. Il mondo peggiora. Ti senti sola, nonostante la popolazione aumenti a dismisura. Rimani sempre uguale, non diventi un adulto, o almeno non di aspetto. Gli amici muoiono.

Di nuovo. L'aveva fatto di nuovo. Si era lasciata trasportare dai pensieri negativi, piangendo e crogiolandosi nella solitudine come una mocciosa.
Si era ripromessa di non farlo. Di essere più forte, per se stessa. Per lui.
Ma non era durato a lungo.
La notte si ritrovava a dare le spalle ad Artemide, nascondendosi dai raggi della Luna. E piangeva. Piangeva finché non sentiva il sonno prendere il sopravvento.
Si nascondeva per paura di essere scoperta, forse. Per vigliaccheria, probabilmente.
Non lo faceva apposta, ma aveva paura.

Anche in quel momento, con la faccia rossa per lo sfogo, la testa fra le ginocchia e il buio che la sovrastava si sentiva una vigliacca.
Non aveva avuto il coraggio di dirglielo, un secolo fa, e non aveva adesso il coraggio di dirlo a lei. Di ammettere davanti alla sua Signora che lo amava. Che lei non meritava di servirla, che l'aveva tradita. Che il suo sentimento non sarebbe cambiato da un giorno all'altro, e che sicuramente non era colpa dell'adolescenza.

Continuò a piangere tutta la notte, nascosta da lei
Solo quando si era sentita vuota, aveva fatto la sua decisione. E non avrebbe cambiato idea, per nulla al mondo.



 
 
« Family, Luke. You promised. »
-cit.                                            

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Capitolo 2
*** Grazie a te. ***


Guardò un ultima volta la Luna.
I capelli ormai cresciuti, che si spostavano col leggero e freddo venticello.
Lo sguardo perso ad osservare le costellazioni.



— Talia, sicura della tua scelta? — la voce della dea arrivò dritta alle orecchie della ragazza.
— Sì, mia Signora. Non mi sento — fece una pausa, ingoiando un groppo. — degna di far parte delle Cacciatrici. 
Lo sguardo costantemente basso, timorosa di guardarla in volto. Convinta che se l'avesse fatto avrebbe trovato dispiacere, tristezza, disprezzo e delusione nei suoi occhi.




Si portò ancora una volta una ciocca di capelli dietro l'orecchio. 
Portandosi una mano fra i capelli non sentì l'ingombro del diadema da Cacciatrice.
L'arco non c'era più e il giacchetto militare color argento era stato sostituito da una felpa scura troppo larga e consumata per lei.
Si fermò a pensare alla sua scelta. Era la cosa giusta?



La dea non disse niente. 
Passarono dei secondi, che alla ragazza parverò ore, forse giorni interi.
— Va bene. Se tu pensi che questo sia il tuo destino non te lo impedirò. — rispose soltanto. Nella sua voce una nota di disappunto, forse anche tristezza, ma niente rabbia o rancore.
— Grazie, mia Signora. — mormorò Talia, con il cuore che le batteva forte nel petto.
Stava cambiando la sua vita, di nuovo. Aveva fatto una decisione e non c'era proprio modo di tornare indietro.
Allora le toccava soltanto andare avanti.
— Talia Grace. Io, Artemide, dea vergine della Luna — la dea fece una pausa, forse per cercare di formulare la frase o forse per ingoiare un groppo. — ti assolvo da tutti i tuoi impegni da Cacciatrice. Da oggi in poi non sei più sotto i miei ordini. Non sei più immortale. — sentenziò infine, rimanendo seduta sul suo trono. Dai suoi movimenti non traspariva ansia, e nemmeno risentimento.
Talia si sentì come se le avessero buttato addosso un secchio di acqua gelata. 
All'improviso sentì  il peso degli anni sulle sue spalle, sul suo corpo.
Si guardò le mani e il corpo. Era sempre la quindicenne punk con dei seri problemi con il rosa. Non era cambiata.
Solo dentro era cambiata. Si sentiva diverse emozioni accavallarsi nel suo cuore. Eccitazione, tristezza, speranza, amarezza, sorpresa, risentimento e tante altre emozioni che non avrebbero dovuto stare nello stesso momento.
— Grazie, divina Artemide. — ringraziò Talia. Poi le rivolse finalmente lo sguardo.
Una freccia la trafisse il petto. Proprio accanto al cuore.
Sul volto della dea c'era un espressione compassionevole, rammaricata e triste, molto triste. Il corpo non si muoveva, emanando la sua solita sicurezza, ma il volto sembrava straziato da troppe emozioni.




Talia si lasciò sfuggire un altra lacrima, osservandosi riflessa in una pozzanghera.
Si era mancata. Si era mancata così tanto.
Le era mancata la Talia umana. Quella che vive ogni giorno come se fosse l'ultimo. Quella che pensa al futuro, sperando che il primo capello bianco non arrivi mai. Quella che si strafoga di Nutella guardando i cartoni in tv. Quella che gioca ai video game fino a tardi e non fa i compiti. Quella che viene amata e che ama. Quella che piange e si strugge per una persona. Quella troppo impegnata a sorridere per non accorgersi di quanto male faccia.



Talia si inchinò. Il volto verso il pavimento in marmo e gli occhi a scrutarsi la punta delle scarpe.
Poi non ce l'aveva più fatta ed era scoppiata il lacrime.
Aveva provato a trattenersi. Aveva lasciato tutte le emozioni e i problemi a casa, cercando di controllarsi, ma niente.
Era scoppiata a piangere, fregandosene di cosa avrebbe potuto pensare la dea di lei. Fregandosene del fatto che poteva sembrare debole.
— Non la ringrazierò mai abbastanza. — disse. La voce spezzata dai singhiozzi. Le guance bagnate dalle lacrime. Gli occhi lucidi e la vista appannata. Le lacrime che cadeva sul lucido marmo.
E quando alzò la testa non riuscì più a fermare quel fiume in piena. Ormai era troppo tardi.
— No. — iniziò la dea. La voce incrinata. — Sono io che ringrazio te, per l'ottimo lavoro svolto in questi anni. Grazie Talia. — aveva infine detto la vergine, con la voce rotta e il viso rigato da delle lacrime che premevano per non uscire.
La dea non capiva il perché Talia avesse deciso di abbandonare. Sapeva che era per un uomo, ma lei non sapeva cosa volesse dire amare. Non sapeva cosa voleva dire amare un uomo ed essere amati. Un po' la invidiava.
Ma questo non le impedì di piangere. Anche lei con tutta se stessa non voleva farlo, non davanti ad una mortale, ma non c'era riuscita.
Infine avevano pianto per minuti, che sembravano infiniti. Sfogandosi e facendo capire all'altra che non si sarebbero divise, ma avrebbero solo preso strade diverse, ma che si fiancheggiavano.
Quando Talia era uscita dall'Olimpo avrebbe giurato di aver sentito la voce della dea dirle "Sono orgogliosa di te e della tua scelta, Talia Grace.", e pianse ancora di più. Perché lei l'aveva compresa, nonostante questo andasse contro le sue regole.




Talia guardò la sua immagine riflessa nella pozza e poi quella della Luna.
Una goccia cadde dagli occhi della ragazza andando a finire nell'acqua. Piccoli cerchi si allargavano sulla superficie liscia.
Ora non piangeva solo per lei, ma piangeva per lui e per tutto il tempo perso.
Si lasciò andare. Prima dei semplici singhiozzi, poi le lacrime, e infine aveva ceduto completamente. 
Si era gettata a terra, scossa dai singhiozzi. Il volto bagnato dalle lacrime, gli occhi che le pizzicavano e le labbra umide di acqua salata.
Aveva continuato a piangere, in ginocchio, gridando il suo nome. 
E le veniva da pensare quanto lui avesse fatto per lei negli anni. Quanto lui l'avesse aspettata. Quanto lui l'avesse amata. E quanto tempo avessero perso.
Poi il fiato le era morto in gola. Il suo nome si affievoliva, così come i singhiozzi. Le lacrime rallentavano e smettevano di corrodere. Le ginocchia reggevano appena il peso del corpo. Le forze l'abbandonavano.
Rivolse un ultimo sguardo alla Luna.
Com'è bella. Bella ed eterna. Le venne da pensare.
Poi strinse l'elsa del pugnale fra le dita tremanti.
Non aveva paura. Era eccitata. Voleva verderlo. Vederlo dopo tanto tempo. 
Chissà se lui l'aveva aspettata per tutto quel tempo...
Si piantò la fredda lama nel ventre, senza esitazione.
Non le importava un granché di morire. Voleva solo incontrare lui.
Si distese a terra. Una sensazione di calore si estese in tutto il corpo e le forze iniziarono a scivolare via, lentamente.
Prima tutti i suoni divennero ovattati, poi il sapore di ferro e ruggine gli era salito in bocca, macchiandogli i denti. Infine tutto si era oscurato.
Per sempre.

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Capitolo 3
*** Per sempre, ovunque e in qualsiasi momento. ***


Lo cercava. Lo cercava disperatamente. 
File e file di morti, anime senza corpo, le passavano davanti dirette alla loro nuova vita. 
Ma a lei non importava. Voleva solo lui. 
Lo cercava con lo sguardo. Lo desiderava con le labbra e lo chiamava col cuore. 
Sapeva, già da prima, che per lei non sarebbe stato facile trovarlo. 
Avrebbe potuto impiegarci ore, giorni, o forse settimane. Le mani le sudavano al pensiero che avrebbe potuto metterci anni per trovarlo fra le file dei dannati. 
Il respiro si faceva corto e si inumidiva le labbra al pensiero che lui poteva essere lì, in quel momento, a cercarla da anni. 
E poi le veniva da piangere al pensiero che forse lui non ce l'aveva fatta ad aspettarla. 
Quasi un secolo è tanto, anche per un anima. Soprattutto per un anima. 
E se avesse deciso di rinascere? Se non fosse riuscita a trovarlo? Peggio, se lui non l'avesse più voluta vedere?
Non ce l'avrebbe fatta, ne era sicura. Sarebbe stato un colpo troppo duro per lei. 
Non poteva più nemmeno morire. E vivere l'eternità con lui che la odiava... non ce l'avrebbe fatta. 

Esitò ai margini dei Campi Elisi. 
E se lui fosse cambiato? L'avrebbe riconosciuta? L'avrebbe ricordata come la sorella con cui da piccola costruiva rifugi, l'amica con cui scherzava o la ragazza che lo aveva amato per tutto quel tempo?
Troppe domande le ronzavano in testa. Come uno sciame di calabroni si accavallavano nella sua testa, ronzando a più non posso. 
Nella sua pancia un intero zoo aveva iniziato a ballare la macarena, scombussolandola. 
Si guardò le mani tremanti e sudate. Se avesse potuto morire un altra volta sarebbe morta per un attaco di panico, ne era sicura. 

Poi lo vide. 
Era lì, bello come sempre, immobile. Con lo sguardo fissava l'orizzonte. Nulla di preciso. Sembrava completamente preso dai suoi pensieri, rivolti chissà dove, lontani. 
Talia si era sentita improvvisamente tesa. Aveva aspettato quel momento da decenni e finalmente, quando era riuscita a fare ciò che voleva a tutti i costi, era lì, immobile. 
Era combattuta. Voleva correre da lui, abbracciarlo, baciarlo, picchiarlo, piangergli addosso e dirgli quanto le fosse mancato. 
Ma dall'altro lato voleva girare sui tacchi, fuggire. Da lui e anche da se stessa, se avesse potuto. 

Poi la parte buona di lei ebbe il sopravvento. 
Fece un passo incerto verso di lui. 
Continuava a fissare l'orizzonte, come se pensasse al volto di qualcuno. 
Le gambe le tremavano come foglie, sentiva le mani gonfie, la fronte imperlata di sudore e la mascella stringersi dolorosamente. Ma non le importava. 
Si asciugò le mani sudate sulla tunica, si sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e raddrizzò la schiena. Prese un bel respiro e camminò verso di lui. 
Cercò di sembrare il più sicura possibile mentre andava verso di lui. Ma già mettere un piede davanti a l'altro le tornava difficile. 
Le mancavano pochi metri. 
Cinquanta metri... Il suo cuore batteva all'impazzata, rischiando di uscirle dal petto. 
Trenta metri... L'intero zoo aveva messo una playlist da festa e si erano messi a fare un trenino sconfusionato aggiro per il suo stomaco. 
Venti metri... Lo sciame di calabroni era stato sostituito da falene. Una marea di falene che sbattevano velocemente le loro ali contro il suo cranio. 
Tutto il suo corpo era in subbuglio. 
Dieci metri... e lui se ne accorse. 
Si girò lentamente verso di lei. I capelli color oro sempre perfettamente pettinati, proprio come li ricordava Talia. 
Ma ciò che le piaceva di più erano i suoi occhi blu cielo. Le sembrava di poter volare senza mai cadere. 
La guardò. Diverse emozioni contrastanti gli apparvero sul volto. Perplessità, sorpresa, sollievo, tristezza, rammarico, felicità e risentimento. Tutte quelle emozioni erano troppe in una volta. Alla fine vinse la tristezza. La sua faccia fu deturpata da una brutta espressione triste. Ma più che triste era delusa. Ma non da lei. Delusa da se stesso. 
Quando i loro occhi si incrociarono Talia non riuscì più a muoversi. 
I piedi piantati a terra. Lo zoo nella sua pancia sembrava essersi fermato improvvisamente, assieme alla musica da festa. Il suo cuore aveva perso un battito. Poi due. Poi si era fermato. Almeno così le sembrava. E lo sciame di falene erano misteriosamente scomparse. 
Tutto attorno a loro si attutì. I suoni divennero ovattati, quasi del tutto muti. Non percepiva più nessuno attorno a lei. E nonostante i Campi Elisi fossero gremiti di gente per loro c'erano solo loro due. Si guardavano negli occhi, scrutandosi, in cerca di chissà cosa. 
Poi il corpo di Talia partì da solo. Le gambe presero lo slancio e partì. Si mise a correre verso di lui. Le anime che si spostavano intimorite al suo passaggio. 
Sul volto di lui apparve un espressione dolorosa, come se si scusasse silenziosamente. 
Ma questo non gli impedì di slanciarsi in avanti e prenderla fra le sue braccia. 
La stinse forte a se, immergendo la faccia fra i suoi capelli corvini. Inspirando il suo forte profumo. 
La strinse ancora più forte, per accertarsi che non fosse un sogno causato dalla sua immaginazione. 
Lei lo strinse fra le sue braccia magre. Affondò il viso nel suo petto e iniziò a piangere. 
Non erano più le lacrime calde e acide che le corrodevano la pelle. Quelle che la uccidevano pian piano. 
Anche quelle uccidevano, ma uccidevano la tristezza, la solitudine e il risentimento. 
Erano lacrime di gioia. Le scivolavano dolcemente lungo le guance e non si fermavano. Lei non le fermava. 
Voleva piangere. Voleva liberarsi di quel peso che per decenni l'aveva consumata dentro, uccidendola. 
Non le importava più nemmeno di che faccia avesse. Se fosse sporca di trucco o se fosse arrossata. Di una cosa era sicura: aveva un aspetto orribile e non le importava.
— Talia. — la chiamò, in un mormorio incerto. — Sei davvero tu? — le chiese con la voce strozzata dall'emozione. Continuava a stringerla a se, forte. Non voleva perderla e continuava a credere che fosse un'allucinazione. 
Riuscia a sentire le braccia nude di lei e la sua pelle contro la sua. Percepiva il calore di lei che lo avvolgeva, nonostante fossero morti entrambi. 
Ma continuava a credere che stesse sognando. Che fosse un'altra delle sue allucinazioni.
— Sì. Sì, Luke. Sono io. Sono Talia. — rispose lei con la voce rotta dal pianto. — Sono qui e non ti lascerò andare. — continuò con la voce ovattata. 
— Grazie al cielo. — lo sentì sussurrare stringendole le spalle fra le sue forti braccia. 
Non le faceva nemmeno male. Non ci pensava. 
Ma il cuore le faceva male. Era così felice. Non sapeva se si fosse fermato o se stesso battendo fortissimo. Sapeva solo che le faceva male. 
Continuarono a stringersi per minuti. Forse ore. 
Lei continuava a piangere, scossa dai singhiozzi. La gola secca, gli occhi gonfi e le mani tremanti. Ma non le importava. Voleva piangere, anche tutta la notte, se avesse potuto. 
Anche lui piangeva. Non emetteva alcun suono. Piangeva silenziosamente. Le lacrime gli rigavano le guance e cadevano sui capelli di lei. 
Aveva pianto in tutti quegli anni, non lo negava. Era stato solo, triste e arrabbiato con se stesso. 
L'aveva voluta più volte lì con lui, ma allo stesso tempo non avrebbe mai voluto vederla lì, in quel posto, morta. 
— Mi sei mancata. — le diceva cercando di mantenere un tono di voce sicuro. Cercando di non piangere. 
— Anche tu mi sei mancato. — gli aveva risposto lui. E non gli era importato che gli dicesse “mi sei mancato tanto”. Già il fatto che gli fosse mancato gli era più che sufficiente. 
Iniziò a baciarle i capelli. Le sue labbra secce si posavano sui suoi capelli scuri, che negli anni si erano allungati di poco.
Lei non diceva niente, ma apprezzava, troppo intenta a sfogarsi e a metabolizzare il fatto che lui fosse lì. 
Finalmente era lì, assieme a lui, ed era contenta. 
Voleva stringerlo più forte impedendogli di scomparire o peggio, di andarsene. 
Ma lui non se ne sarebbe andato per niente al mondo. Sarebbe rimasto così per sempre. A piangere e a baciarle i capelli. 
— Mi sei mancata. Mi sei mancata. — continuava a ripetersi nella mente. 
Nella sua mente gridava il suo nome. — Talia. Talia. Talia. — gli rimbombava senza sosta. Negli ultimi anni era stato così. 
— Non dovresti essere qui. — aveva poi sussurrato contro i suoi capelli. 
Sono qui per te. — gli aveva risposto, la voce appiattita dalla stoffa della tunica che aveva davanti alla bocca. 
Ma Luke l'aveva sentita bene, benissimo. 
Lei era lì per lui. Era lì, accanto a lui, nel mondo dei morti, per lui. 
Non riusciva a crederci. 
Lei si era sacrificata per lui. Aveva rinunciato alla vita per lui, una seconda volta, e lui non aveva niente da darle in cambio. 
— Tu... — le parole gli morirono in gola. Forse per l'imbarazzo. Forse per l'odio verso se stesso. Forse per il rammarico. — Non dovevi. — riuscì a dire. 
— Ma l'ho fatto. — gli aveva risposto. Era stata secca e veloce, ma gentile. — E non me ne pento. — aveva aggiunto poi, consapevole che fosse la verità. 
— No. No. No. — si ripeteva nella testa. — Tutto questo è sbagliato. 
— Non dovevi. — aveva ripetuto. — Non per me. — aggiunse inspirando il suo profumo e affondando il volto vicino al suo orecchio. 
— Sì che dovevo. — disse come se fosse ovvio. — Soprattutto per te. — aveva aggiunto girando appena la testa. Voleva guardarlo ma aveva paura. — E per me. Per noi. — aveva detto. Ne era convinta. 
Stava meglio. Stava sicuramente meglio. Anche se si erano ritrovati da pochi minuti stava meglio. 
— No. Hai sacrificato te stessa. La tua vita. Il tuo futuro. Le Cacciatrici. L'hai buttato via. — le aveva detto affondando la testa nella sua spalla. 
— Non ho buttato niente. — gli aveva detto, comprensiva. Anche lei l'aveva pensato, all'inizio. Ma poi aveva capito che non era vero. Non perdeva niente. — Ho vissuto più di un secolo, Luke. Ho visto abbastanza. — aveva detto poi con un sorriso amaro sulla bocca. — Ora sono felice. — aveva mormorato sentendo il profumo di lui invadergli le narici. 
— Anche io. — aveva sussurrato lui in modo quasi impercettibile. 
Non sapevano per quanto rimasero attaccati. Ma non si stancarono mai. 
— Mi sei mancato. — aveva detto lei, poi, alzando il viso per incontrare i suoi occhi. 
Poi Luke li aveva visti. 
I suoi occhi. 
Li vedeva ogni volta che chiudeva gli occhi. Ogni volta che la pensava. 
Sorridenti. Felici. Gentili. 
Due scariche elettriche potentissime. Ecco cosa erano per lui. 
Lo azionavano ogni volta. E il suo cuore incominciava a battere fortissimo. Martellava sulla cassa toracica, rischiando di ucciderlo. 
E vide anche le lacrime. 
L'aveva sentita singhiozzare, ma vedere le lacrime fu peggio. 
— Non piangere. — le aveva sussurrato asciugandole la guancia con il pollice. 
— Non sto piangendo. — aveva detto lei con la voce incrinata. — Sono felice. — aveva affermato poi mentre altre lacrime scendevano senza sosta. 
Poi lui le aveva circondato le spalle con le sue mani forti, si era avvicinata a lei e l'aveva baciata. Senza troppe esitazioni. 
Sapeva che era la cosa giusta. Se lo sentiva nel cuore. 
E proprio il cuore gli sembrò fondersi con lo stomaco e le farfalle nella sua pancia iniziarono a svolazzare, libere, impazzite. 
Il cuore di Talia le finì in gola. 
Non se lo aspettava. 
Lo voleva. Lo aveva desiderato più di ogni altra cosa. Ma era scossa. 
Era felice. Era semplicemente felice. Leggera e felice. 
Lui si era limitato ad appoggiare le sue labbra screpolate su quelle morbide di lei. Ma lei si era sporta sulle punte. Quel tanto che bastava per intensificare il bacio. 
Le loro labbra sembravano essere fatte apposta per stare assieme, combaciando. 
Tutti e due aveva aspettato troppo quel momento. Lo avevano desiderato. 
Lei gli circondò il collo con le braccia, cercando di non perdere l'equilibrio. Non voleva che quel momento finisse.  
Lui la strinse di più a se, impedendole di allontanarsi. 
Non aveva nemmeno pensato che lei avrebbe risposto. Infondo erano amici di infanzia. Non si aspettava che lei lo volesse. Che lo volesse quanto lui.
Ma lei era lì. Era lì, non se ne sarebbe andata, e avrebbe prolungato quel bacio all'infinito se avesse potuto.
Nel petto di Luke sentiva uno strano calore. Bruciava. Ma non bruciava in senso cattivo. Bruciava in senso buono. Era un po' come il calore di un camino in pieno inverno.
Anche quando si divisero quel calore non smise di bruciare. Continuava ad alimentarsi di Talia.
Le farfalle che aveva nello stomaco svolazzavano ancora, scosse da tutte quelle emozioni, ma lui non voleva fermarle. Non voleva perché sapeva che se quelle farfalle rimanevano era perché c'era un sentimento che le teneva vive. E ne era contento.
Si guardarono e si scrutarono negli occhi come se cercassero un sentimento di risentimento. Ma trovarono solo un incontenibile felicità.
Luke aveva troppe emozioni che giocavano all'altalena nel suo cuore.
Si sentiva in colpa perché lei aveva rinunciato alle Cacciatrici e si era tolta la vita. 
Allo stesso tempo ne era grato.
Aveva ancora il rimorso di aver tradito gli amici, ma soprattutto lei.
Sentiva la felicità di averla di nuovo accanto a se.
Percepiva la solitudine di tutti quegli anni passati da solo.
In quel momento non gli importava.
C'erano lui e Talia. Nient'altro.

Continuavano a tenersi stretti osservando lo strano paesaggio che formavano i Campi Elisi.
A lei non importava un granché di dove fosse. Se c'era lui le andava bene anche il Tartaro.
Non riusciva a concentrarsi. Con le guance tinte di rosso per l'imbarazzo arrivato in ritardo e un sorriso ebete che non voleva andarsene dalla sua faccia, pensava.
Si erano ritrovati, si amavano e avevano tutto il tempo del mondo. 
— Ci hai mai pensato? — le aveva chiesto lui, sistemandole la testa nell'incavo della spalla. I pensieri di Talia si erano fermati improvvisamente e aveva ascoltato Luke. Lui era più importante.
Vivi il presente, Tals. Si era detta.
— A cosa? — gli aveva chiesto infine. 
Al tempo da occupare. — disse lui, dando voce ai pensieri della ragazza.
Avevano pensato entrambi la stessa cosa. Come riempire il futuro?
— Sì, c'ho pensato. — gli aveva risposto, affondando il viso nello spazio fra la spalla e il collo.
— L'infinito. E' tanto. Cosa faremo? — aveva chiesto lui, stringendola forte a se ed ispirando il profumo dei suoi capelli.
Lei non gli aveva risposto. Perché non sapeva cosa rispondere. Non c'aveva pensato fino in fondo.
A lei bastava essere lì, con lui, felice. Senza mostri, o regole da seguire, o missioni che rischiano di ucciderti. Erano liberi e si amano. Non importava altro.
Avevano passato i minuti in silenzio. Li aveva passati a rubare e drogarsi dell'odore dell'altro.
Poi Luke aveva fatto un affermazione, rompendo il silenzio.
Potremmo rinascere, sai? — aveva mormorato affondando la testa nella sua spalla. 
Con il naso sfiorò la sua pelle liscia e la sentiva calda e morbida.
Talia era spiazzata. Sia dalla frase che dai suoi gesti.
Rinascere. Non le sembrava una cattiva idea. 
Ma qualcosa la tratteneva.
— No. — aveva affermato con la voce roca. Lui aveva alzato il viso e l'aveva osservata, scrutandola. — Non voglio perderti. Non di nuovo. — aveva detto. Gli occhi le pizzicavano e le lacrime minacciavano di uscire.
Luke aveva continuato ad osservarla, in silenzio.
— Va bene. Nemmeno io voglio perderti. — aveva sussurrato contro i suoi capelli stringendola di più a se. Ma si sentiva che mentiva.
Luke voleva tornare in vita. Vivere e poter riparare i suoi vecchi errori.
Talia voleva vivere anche lei, ma accanto a lui. Ma aveva paura di perderlo.
E se, una volta tornati in vita, non si fossero incontrati? E se non si fossero riconosciuti? Cosa avrebbe fatto?
Ma poi si fermò a pensare. Si amavano, era importante. E il destino non li avrebbe divisi a lungo.
Lui l'aveva aspettata per quasi un secolo, perché lei non poteva aspettarlo per una decina di anni?
Potevano tornare in vita. Casomai nascere normali, incontrarsi in circostanze normali e vivere una vita da persone normali. Potevano costruirsi un presente e un futuro. Potevano amare ed essere amati. Potevano custruirsi una famiglia, assieme. E poi, proprio come Talia aveva sempre desiderato, sarebbe morta amata.
— Va bene. — aveva detto poi. Presa la sua decisione.
Luke aveva alzato lo sguardo, confuso e sorpreso. Non sapeva se avesse capito male o no.
— Rinasciamo. — aveva detto poi, lei. Lui le aveva sorriso, senza dirle niente. Senza trovare le parole adatte per ringraziarlo. — Nasciamo, incontriamoci, innamoriamoci, costruiamo una famiglia assieme e amiamoci ancora. Ma da vivi questa volta. — gli aveva detto sentendo le lacrime pizzicargli gli occhi, di nuovo. Lottò per non farle uscire.
— Grazie Talia. Grazie. — aveva sussurrato lui, riempiendo ogni singolo lembo di pelle scoperta con i suoi caldi baci.
E lei non ce l'aveva fatta. Era scoppiata a piangere, rossa in viso.
Le era costato un grande sforzo, ma sapeva di amarlo. Ma anche lei voleva vivere, soprattutto con lui, al fianco.
Poi lui le aveva preso il volto fra le forti mani, delicatamente, e l'aveva baciata, di nuovo.
Le farfalle avevano iniziato di nuovo a svolazzare e lo zoo aveva deciso che il tango fosse un bel ballo, perché si sentì di nuovo in subbuglio e si sentì orgogliosa di aver amato Luke.








Luke non ne era sicuro, ma qualcosa in quella ragazza gli diceva che l'aveva già vista.
Talia si diede della pazza a pensare che lei e quel ragazzo potessero essersi già incontrati.

Ma lui fu sicuro che sicuramente erano legati solo quando incontrò le sue iridi blu elettrico.
E lei fu percossa da un brivido quando lui le sorrise e lei fu percossa da emozioni simili all'eccitazione. 
Poi quando si erano semplicemente sfiorati, i libri di Talia ancora a terra e le loro mani protese a raccoglierli, i ricordi li avevano sommersi come un fiume in tempesta.
Loro due si amavano. Talia ne era sicura.
Si amavano da troppo tempo e avevano sofferto. Luke lo sapeva.
Si erano chiamati, avevano sussurrato i loro nomi e poi si erano sorrisi.
Avevano deciso di vivere la vita a pieno, e nella vita certe cose arrivano lentamente. Così avevano deciso: si sarebbero innamorati, di nuovo. Ma non come già si amavano, ma si sarebbero innamorati di più, se fosse stato possibile.
E poi la vita era trascorsa veloce. 
Non erano riusciti ad amarsi di più, perché già si amavano al punto di morire per poter stare insieme. 
Avevano costruito ciò che volevano: una vita, degli amici, una famiglia.
La scuola, gli amici, i flirt, le fughe romantiche di nascosto, i baci, le carezze, la passione, il matrimonio che avevano sempre desiderato, il lavoro, i figli e i cenoni.
Talia, ormai vecchia, pensava che non avrebbe cambiato nemmeno una virgola della sua vita. Non si era pentita di aver acconsentito alla sua richiesta. L'avrebbe rifatto. Ne era sicura. L'avrebbe aspettato per qualche anno nei Campi Elisi, sarebbero rinati e forse si sarebbero anche meritati le Isole dei Beati, chissà.

Luke le lasciò un altro bacio caldo sulle labbra.
Nei Campi Elisi, nonostante fossero morti vecchi, avevano l'aspetto di giovani. 
Non sapeva come funzionasse nell'Ade.
A lui non cambiava. Per lui Talia era sempre bella.
Era stata bella quando le aveva visto i rotolini sulla pancia. Era stata bella quando l'aveva beccata a radersi le gambe con la lametta. Era stata bella quando l'aveva svegliato con la faccia verde e due cetrioli sugli occhi. Era stata bella quando l'aveva vista nuda. Ed era stata bella quando era invecchiata, con la pelle incartapecorita e rugosa.
Io proporrei un altro giro. — Talia diede voce ai loro pensieri.
Luke sorrise contro la pelle del suo corpo.
— Aggiudicato. — aveva affermato guardandola negli occhi. — Ma prima finisco il lavoro. — aveva detto per poi continuare a baciarle il collo. Le baciò il collo, la mascella, le guance, il naso, la bocca, le tempie e la fronte, amandola.
E lei lo lasciava fare. Si lasciava semplicemente amare.

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