Give me therapy

di Birra fredda
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** ***
Capitolo 3: *** ***
Capitolo 4: *** ***
Capitolo 5: *** ***
Capitolo 6: *** ***
Capitolo 7: *** ***
Capitolo 8: *** ***
Capitolo 9: *** ***
Capitolo 10: *** ***
Capitolo 11: *** ***
Capitolo 12: *** ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


Mostri.
Mostri ovunque.
Teste deturpate spuntavano da sotto il letto, mani putrefatte gli afferravano caviglie e polsi, occhi gialli lo scrutavano nel buio, versi inumani e gutturali gli graffiavano i timpani.
Pete lo aveva avvisato riguardo i trip dell’orrore e Sam, dopo averne avuto uno, non aveva voluto saperne più nulla degli acidi.
Fino a quella sera Chris non ne aveva mai avuto uno dell’orrore, i trip si erano limitati a mascherargli la realtà, facendola apparire molto più colorata e movimentata.
Quella sera invece c’erano i fottuti mostri che gli salivano addosso. Magri, con le vene e le ossa in esposizione, le unghie lunghe e sporche, i capelli radi e unti sulla testa.
Chris si impose di non urlare, ma tremava. Tremava in modo incontrollabile sotto quell’ammasso di ossa e carne che gli feriva la pelle con le unghie e con i denti.
Respirava a fatica.
Chiuse gli occhi.
Sapeva che quello che stava vivendo non era reale. Ormai aveva assunto droga tante di quelle volte da riuscire a rendersi lontanamente conto di cosa fosse vero e cosa no.
Ma, nonostante sapesse che quei mostri non esistevano, il fatto di averli così vicini e vividi davanti agli occhi e di sentire il loro peso sul corpo, lo terrorizzava.
“Chris sei sveglio?”
Suo fratello lo trovò così: con gli occhi spalancati nel buio, le mani che afferravano convulsamente il lenzuolo, le gambe che sussultavano sul materasso e i denti che battevano.
Chris si lasciò avvolgere dalle braccia di Alex senza muoversi. Lasciò che i mostri andassero via, rintanandosi nuovamente sotto il letto, e si rilassò un po’ solo quando il fratello si fece posto accanto a lui sotto le coperte.
“Che hai combinato stasera, eh?”
“Niente Lex...”
“Sì, niente, come no” borbottò il maggiore cullando il più piccolo tra le braccia poiché non aveva ancora smesso di tremare di paura.
Chris aprì bocca per ribattere che stava bene, ma una mano spuntò dal tappeto e si tese verso di lui, così si zittì e si strinse al corpo del maggiore.
“Mi dispiace” biascicò dopo qualche momento. “Questa è l’ultima volta che faccio queste cose, lo prometto.”
“Lo prometti da un anno.”
“Questa volta faccio sul serio...”
Alex sospirò e non rispose. Sapeva benissimo che suo fratello non avrebbe mantenuto la promessa neanche questa volta, ma si impose di restare calmo. Chissà che cosa vedeva in quel momento, chissà cosa lo stava spaventando al punto tale da accettarlo nel letto.
“Forza Chris, cerca di dormire, resto io sveglio a controllare che vada tutto bene” disse dopo averlo fatto allungare meglio e avergli scompigliato i capelli.
Chris sorrise chiudendo gli occhi. Si fidava di Alex.
















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Aaaahhmm.. non riesco proprio a farmi i fatti miei e a lasciarvi stare per un po' senza rendervi la vita difficile con qualcuna delle mie FF. Okay, questa era da un bel po' che mi gironzolava nella testa e ora finalmente ho deciso di buttarla giù.. quindi ecco a voi il prologo! Fatemi sapere cosa ne pensate, ditemi un po' come vi sembra questo Chris e... boh, tutto quello che vi pare, anche insulti e critiche LOL

Beh.. è la prima Long che pubblico in questa sezione, vi dico da subito che ci sarà una Jalex parecchio diversa dal solito!
Al primo capitolo,
Echelon_Sun

 

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Capitolo 2
*** ***


Correva a perdifiato lungo la strada asfaltata di Baltimora, aveva già urtato un paio di vecchiette troppo lente sul marciapiede, e ora correva a un lato della strada.
Non poteva fare tardi.
Non che gl’importasse realmente far trovare a suo fratello e agli altri una degna accoglienza, ma aveva promesso a sua madre che sarebbe arrivato puntuale e ci teneva a non deluderla.
La deludeva già abbastanza spesso.
Perché lui non era un adolescente come gli altri.
Prendete una manciata di flaconi di tinte per capelli, qualche piercing, una pagella scolastica deprimente, un fisico scarno, un sorriso strafottente, un paio di occhi vispi e allo stesso tempo velati di malinconia, un pacchetto di Marlboro rosse, una bottiglia di vodka alla menta e un dito medio perennemente alzato. Ora mischiate il tutto ed ecco a voi...
Chris Gaskarth!
Diciassette anni, batterista, pelle chiara, marijuana, rabbia repressa.
Tanta, troppa, rabbia.
Si rendeva perfettamente conto di non essere come i suoi coetanei, di essere addirittura più ribelle tra i ribelli che frequentava a scuola. Chris sapeva bene che la strada che stava prendendo non era di certo buona, e sapeva anche che i suoi genitori non avevano più l’età per star dietro a un ragazzino fuori dalle righe e che si metteva di continuo nei guai come lui.
Sebbene si rendesse perfettamente conto di tutto ciò, però, non cambiava atteggiamento. E non lo aveva cambiato neanche quando, durante il periodo di pausa degli All Time Low, era stato a casa di suo fratello Alex e insieme al marito Jack, che avevano cercato di tenerlo buono almeno per un po’.
In quel periodo era stato riportato a casa dalla polizia per due notti di seguito. E la seconda notte, tra l’altro, era uscito di casa di nascosto.
Inutile dire quanto Alex si fosse incazzato.
Forse si sarebbe arrabbiato meno, però, se l’agente non avesse citofonato alle 4 e mezza di mattina, facendo capitombolare giù dal letto Lea, provocandole un pianto di mezz’ora consecutivo, e rischiando di far prendere un infarto a Jack.
Già, i due coniugi, avevano deciso di adottare un figlio: Lea, una bambina di sette anni di origine polacca che stava con loro da due anni.
Per via di Lea, Alex era stato parecchio scettico a far stare il fratello minore a casa sua, ma poi Jack lo aveva convinto. E Alex, con il suicidio del fratello maggiore Thomas che ancora gli bruciava, non era riuscito a dire di no.
E poi alla bambina piaceva un sacco stare con lo zio Chris, che a sua volta adorava la nipote ma anche i bambini in generale, motivo per cui Jack e Alex lo avevano spessa lasciato da solo a casa con lei per rilassarsi un po’, concedendosi serate romantiche o a zonzo con gli amici.
“Guardate, c’è Chris!” esclamò Lea vedendolo da lontano, indicandolo con un dito paffuto e sorridendo felice.
Il tourbus non era ancora arrivato, quindi o lui era in perfetto orario o loro erano in ritardo. In ogni caso, Chris si concesse un sospiro di sollievo e rallentò la corsa.
“Ciao Chris” lo salutò allegramente Lea sventolando la manina, quando si fermò davanti al gruppo di persone che era in attesa del ritorno degli All Time Low.
“Ciao Panda” rispose il ragazzo ansimando per lo sforzo, mentre la bambina gli si arpionava alle gambe.
“Come sono andate le prove?” chiese sua madre sorridendogli, fiera del fatto che si fosse fatto la strada di corsa pur di arrivare in orario e di mantenere la parola data.
“Bene” rispose lui chinandosi per abbracciare Lea. “Forse sabato prossimo suoniamo da qualche parte, dobbiamo ancora vedere bene...”
“Sono arrivati” esultò improvvisamente Cassadee, la fidanzata di Rian, già con gli occhi lucidi. Quella ragazza era assurda, cominciava a piangere alla vista del tourbus da lontano e quando saliva in macchina insieme al fidanzato non ancora smetteva.
Chris lasciò andare Lea, che cominciò a salutare il pullman con una mano saltellando allegramente sul posto.
“Sei felice che i tuoi papà siano tornati?” le chiese Chris.
“Sono felice perché così torniamo tutti a casa, anche tu” rispose lei mentre l’enorme autobus parcheggiava davanti a loro.
Chris, in realtà, non era poi così felice del rientro a casa degli All Time Low, doveva ammetterlo. Quando stava con i suoi genitori era molto più libero di fare quello che gli pareva, e l’unica punizione erano gli occhi velati di tristezza di sua madre, mentre in quel periodo in cui era stato con Alex e Jack era stato pressato. Non che non lo avessero trattato bene, ma avevano cercato di imporgli delle regole che gli erano state davvero troppo strette addosso e che aveva bellamente infranto, cosa che aveva portato a infinite litigate con suo fratello maggiore.
Rian fu il primo a scendere dal tourbus, subito seguito da Alex e Jack e, infine, da Zack. In un attimo non si capiva più niente, era tutto un marasma di corpi, lacrime, sorrisi e mi sei mancato.
Il batterista era avvinghiato alla sua fidanzata, Jack e Alex erano inginocchiati a terra abbracciati a Lea come se dovessero risucchiarla nei loro corpi e Zack stava salutando i suoi.
Chris fece un paio di passi indietro, sentendosi di troppo. Lui era la pecora nera in mezzo a loro, una grande famiglia unita che si voleva bene e si sosteneva a vicenda. Lui era solo il fratello minore fuori di testa di Alex Gaskarth, non facevano altro che ricordaglielo anche a scuola, e ormai se n’era convinto a sua volta.
“Chris che fai, non mi saluti?” gli disse improvvisamente Zack, riscuotendolo dai suoi pensieri.
Zack, dopotutto, era quello con cui Chris andava maggiormente d’accordo, era, come lo chiamava lui, il santapazienzaZack, e gli sorrise, abbracciandolo.
“Come stai?” gli chiese il bassista, lasciandolo andare e posandogli una mano su una spalla ossuta.
Chris scosse le spalle, trattenendosi dal rispondere qualcosa come sono sicuro che da oggi starò peggio. “Bene” rispose, ben sapendo che quella era la sola risposta giusta da dare quando venivano poste quel tipo di domande. “Sto bene. E voi? Siete felici di essere tornati?”
Zack aprì bocca per rispondere, ma si zittì non appena una mano misteriosa andò a scompigliare la chioma castana di Chris.
Il ragazzo si voltò di scatto, trovando a pochi centimetri dal suo viso il sorriso limpido di Alex, ancora commosso dopo aver salutato la figlia.
“Hey” lo salutò il maggiore, abbracciandolo.
Chris rimase zitto, imponendosi di ricambiare l’abbraccio senza far trapelare la sua voglia di staccarsi dal fratello e di scappare finché faceva in tempo.
Non era pronto ad affrontare una permanenza a tempo indeterminato a casa di Alex e Jack. Non era affatto pronto a litigare tutti i giorni con loro due e a dover escogitare piani su piani per evadere da quelle quattro mura quando gli proibivano di uscire.
“Mi sei mancato, idiota” borbottò il maggiore dei due dopo un po’, stringendolo maggiormente tra le braccia.
“Anche tu” disse il più piccolo, vergognandosi della bugia tanto spudorata.
Alex lo lasciò andare mentre Lea si aggrappava a una sua gamba. Aveva ancora gli occhi lucidi di lacrime, quella bambina, dopo aver abbracciato i suoi papà e Zack.
“Dov’è il mio combina guai preferito?”
Chris sorrise. Jack, con quella sua ironia un po’ infantile, perlomeno riusciva sempre a strappargli un sorriso.
“Sono qui” urlò il ragazzo, un secondo prima che Barakat gli saltasse addosso, rischiando di farli finire ambedue a terra.
“Guardate, è riemerso anche Rian” commentò Zack, incrociando le braccia al petto e ridendo di gusto, notando che il batterista aveva finalmente finito di salutare la sua dolce metà.
Tutti scoppiarono a ridere, mentre Rian arrossì e si impose di non urlare un vaffanculo o di alzare un dito medio solo per la presenza di Lea.
Non ci volle molto perché tutti finissero di salutarsi a vicenda e Chris si ritrovasse in auto con Alex, Jack e la sua nipotina.
Sospirò, osservando la città che scorreva dall’altra parte del finestrino.
Sebbene fosse molto felice di tornare a passare del tempo con quella bambina adorabile, non aveva nessunissima voglia di riprendere la lotta continua con suo fratello e Jack.
Già l’indomani sera aveva in programma un’uscita con i suoi amici che molto probabilmente si sarebbe protratta per tutta la notte, cosa che avrebbe di sicuro scatenato la prima lite in casa. Alex gli diceva sempre, sarcasticamente, che se doveva rientrare all’alba, perlomeno doveva degnarsi di passare al forno a comprare i cornetti caldi per tutti.
Erano fermi a un semaforo. Chris prese in seria considerazione l’idea di aprire la porta in quel momento e fuggire via, ma poi la scartò. Se avesse fatto una cosa del genere Alex avrebbe dato di matto, lo avrebbe fatto cercare ovunque, sua madre si sarebbe domandata per la milionesima volta perché non poteva avere un figlio normale e, quando lo avrebbero ritrovato, di sicuro suo fratello lo avrebbe ammanettato al letto.
“La zia May mi ha detto che ultimamente stai studiando poco, Lea, come mai?” chiese Jack dopo un po’, cercando lo sguardo della figlia dallo specchietto retrovisore.
Lea abbassò lo sguardo borbottando qualcosa di incomprensibile.
“Amore è successo qualcosa?” si preoccupò Alex, voltandosi per accarezzarle la testa.
“È...” biascicò lei, “è solo che... è... mi mancavate troppo.”








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Ecco a voi il primo capitolo effettivo che era pronto da un po' ma non ho potuto postare per via della scuola dimmerda (: la storia è ambientata tra qualche anno, in caso non si capisca, ed è una sorta di Jalex.. spero vi piaccia, fatemi sapere cosa ne pensate!
Echelon_Sun

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Capitolo 3
*** ***


“Alex, io esco!”
Il cantante si riscosse improvvisamente, lasciando quasi cadere un piatto appena raccolto dalla lavastoviglie. “E dove vai?” urlò di rimando al fratello.
“In giro!”
“Con chi?”
Chris sbuffò aprendo la porta di casa, Pete lo stava aspettando in auto. “Con Pete” rispose.
“Ma non abbiamo ancora parla...”
“Alex, lo so” lo interruppe il più piccolo, innervosendosi, “devo essere a casa massimo alle tre, non ubriaco né drogato.”
Alex si affacciò dalla cucina, appoggiandosi con una spalla al muro. “Mi sto fidando, Chris” disse in un soffio, ben sapendo che quella fiducia di cui stava parlando era, in realtà, morta da tempo.
Chris rimase per un momento con la bocca socchiusa, non sapendo bene cosa rispondere. Avrebbe dovuto ringraziarlo? O semplicemente salutarlo?
Optò per la seconda scelta. “Okay, vado, ciao” disse svelto, precipitandosi lungo il vialetto di casa e in macchina del suo amico.
Conosceva Pete dalle medie, da quando questi era stato bocciato e si erano ritrovati a condividere lo stesso banco. Era stato Pete a far provare la prima sigaretta, la prima canna, la prima pasticca, la prima bottiglia di vodka e la prima dose di eroina a Chris. Pete, da quando aveva conosciuto quel piccoletto che veniva oscurato continuamente per via della fama del suo fratello maggiore, aveva deciso di prenderlo sotto la sua ala, e così aveva fatto, facendone il suo migliore amico, il suo compagno di bevute e di cazzate.
E Chris a Pete doveva molto. Sapeva, infatti, che se non fosse stato tanto amico di uno popolare come Pete, gli insulti che gli venivano rivolti a scuola non sarebbero stati solo insulti.
“Allora, come va col fratellone?” scherzò Pete, scoprendo il suo ghigno di scherno, mettendo in moto la sua vecchia auto rubata al nonno per l’ennesima volta.
Chris si accese una sigaretta abbassando appena il finestrino. “Per ora bene, abbiamo passato due giornate tranquille, Lea è felice di averci tutti a casa, non fa che ripetere che finalmente è tornata in famiglia” rispose. “Domani mattina già litigheremo.”
“Il coprifuoco è sempre alle tre?”
“Esatto, e non ho nessuna intenzione di rispettarlo.”
Pete ridacchiò. Adorava Chris quando non si crogiolava di domande riguardo il suo brutto rapporto con la sua famiglia ma decideva di fregarsene, di mandare tutti a fanculo e di divertirsi.
E poi quella sera sarebbe stata speciale. Era il compleanno di Grace Smith, la ragazza più popolare e ricca della scuola, e aveva organizzato una festa in cui tutto e tutti erano ammessi.
Intanto, a casa, Alex si era ritirato sul divano in compagnia di sua figlia, che da quando erano tornati era stata appiccicosa come una sanguisuga.
Stavano guardando un cartone animato e lui si voltò a guardarla. Era bellissima, con le sue guance paffute da mordere, la pancia morbida, i capelli corti e mossi sul capo, gli occhi chiari e vispi.
“Allora, Piccolo Panda, ti sei divertita oggi al parco con i tuoi papà e con zio Chris?” disse improvvisamente Jack, rispuntando da sopra la scalinata che portava al piano di sopra.
Piccolo Panda, o anche solo Panda, era sempre stato il soprannome di Lea, che le era stato affibbiato da Rian la prima volta che l’aveva vista, per via del suo essere così paffuta e sempre in vena di abbracci e coccole.
Lea annuì con la testa. “Ti sono mancati anche a te i pomeriggi al parco, vero papà?” disse stropicciandosi gli occhi per il sonno.
“Mi è mancato fare qualsiasi cosa con te” rispose Jack sedendole accanto e lasciandole un bacio sui capelli castani.
Rimasero tutti e tre in silenzio per un po’ a guardare la televisione, Jack e Alex stretti vicino a Lea, la loro bambina, il loro Panda da riempire di coccole.
Solo quando si resero conto che si era addormentata, con la testa reclinata sulla spalla di Jack, si decisero a portarla a letto e di concedersi un po’ di coccole tra loro.
Dopo averla messa a letto e averle dato il bacio della buonanotte, Jack e Alex si ritirarono nella loro stanza, si svestirono e si strinsero nel letto. Era da tanto che non lo facevano e, sebbene avessero dormito spesso insieme nelle cuccette del tourbus, dovevano riconoscere che nel letto era tutta un’altra storia.
“Non voglio neanche pensare a cosa starà combinando Chris” borbottò Alex prendendo le mani di Jack tra le sue e stringendosele sul petto, dandogli la schiena. “Domani si ricomincia con la lotta.”
“Ssh” cercò di calmarlo il chitarrista, avvicinandosi ulteriormente a lui, petto contro schiena, come due pezzi di puzzle. “Non pensarci adesso, cerca di dormire” sussurrò al suo orecchio.
 
La notte passata con Pete era stata splendida. C’era praticamente tutta la scuola, a quel party, il bar gratis e le droghe erano state vendute alla metà del prezzo solito. Insomma, Chris non avrebbe potuto desiderare di meglio.
Già verso la mezzanotte i suoi ricordi cominciavano a farsi sbiaditi.
Aveva pomiciato con Wendy, quella sua compagna di biologia, quella che sedeva sempre una fila avanti a lui e per tutta la lezione scribacchiava sulla sua agenda cose sicuramente non inerenti alla lezione, e poi cos’era successo?
Aveva un vago ricordo di lui e Pete che ballavano sotto un cubo e che commentavano le gambe della cubista, ma poi?
Un altro vago flash ce l’aveva, sì. Lui, in mezzo alla strada, abbracciato a Pete e Samantha, la spalla femminile dei due migliori amici, e una bottiglia di champagne tra le loro mani che scolava liquido ovunque. E tante risate al gusto di alcol e pelle sudata.
Pete lo aveva appena riportato a casa e lo aveva dovuto sorreggere fino alla porta di casa, cercargli le chiavi nei jeans e aprirgli la porta prima di dileguarsi sulla sua auto.
Pete reggeva benissimo l’alcol, e per questo Chris lo invidiava da morire.
D’accordo, erano le sei di mattina e non le tre e, d’accordo, era ancora abbastanza brillo e la realtà attorno a lui sembrava sfuggirgli dalle dita. Va bene, Alex era in piedi in mezzo alle scale e lui non riusciva a salire da solo, gli scalini sembravano prenderlo in giro, ogni volta che tentava di salirne uno ci inciampava.
Alex era incazzato, ma andava bene. Aveva tutte le ragioni, in fondo, e Chris se ne rese conto anche nelle pessime condizioni in cui si trovava.
“Lex...?”
La voce di Jack tranquillizzò appena l’adolescente. Sebbene anche Jack quando s’incazzava fosse tutt’altro che affabile, lo aveva sempre trattato con estrema dolcezza quando era ubriaco, portandolo fino alla sua stanza e rimboccandogli le coperte.
“Alex, hey, lascia perdere” disse Jack al marito, avvolgendogli le spalle con un braccio. “Ci penso io, okay?”
Alex strinse le labbra, ma non replicò. Rimase impalato al suo posto mentre Jack scendeva la scalinata e andava da Chris, lo aiutava ad alzarsi, lo avvolgeva con le sue braccia magre, lo faceva stare in piedi senza mai lasciarlo e lo aiutava a salire al piano di sopra fino alla mansarda che era la sua stanza.
Sebbene ci fosse una camera da letto vuota al primo piano di casa, Chris aveva preferito andarsene in mansarda, dove poteva avere più privacy e dove gli piaceva rintanarsi quando il mondo lo soffocava.
“Poca troia Chris, puzzi da morire” commentò Jack dopo aver superato Alex. “Hai per caso vomitato?”
Chris strinse la presa attorno alla t-shirt dell’altro. “Sì” borbottò, trascinando i piedi lungo l’ultima rampa di scale.
“Per caso devi vomitare ancora?”
“No, sto bene.”
Jack aprì la porta e lo fece entrare nella stanza trascinandolo di peso, lo fece sedere sul letto, gli tolse le scarpe e i jeans e lo fece stendere, coprendolo per bene e aspettando che si addormentasse.
Ci teneva a lui. Anche se era intrattabile e rischiava di far impazzire Alex, anche se erano appena tornati dal tour e già stava creando problemi, anche se era tornato a casa sbronzo e con addosso una puzza di marijuana non indifferente e non gli avevano chiesto altro se non di rientrare sobrio e pulito.
Osservò quel ragazzino che ora sembrava dormire tranquillo nel suo letto e gli lasciò una carezza tra i capelli.
Non avrebbe permesso che si rovinasse. Lui e Alex ne avevano parlato molto e alla fine avevano deciso: si sarebbero presi cura loro due di Chris e avrebbero fatto di tutto per salvarlo.
Jack tornò di sotto, dopo essersi chiuso la porta della camera di Chris alle spalle, e andò in camera dove trovò Alex seduto a gambe incrociate sul letto. Lo stava aspettando.
“Come sta?”
“Come al solito” rispose Jack sedendogli accanto.
Alex strinse i pugni. “Non so cosa fare, Jack, davvero...” borbottò, con un nodo che gli attanagliava la gola. “Ho paura di fare qualche errore che potrebbe peggiorare la situazione, ma non posso lasciare che continui a fare così...”
Jack lo prese tra le braccia e lo cullò per un po’, lasciando che si riprendesse. Lo capiva benissimo, prima di partire per la tournèe avevano passato intere notti a discutere riguardo cosa fare o non fare nei confronti di Chris.
“Dobbiamo solo essere forti, Lex, dobbiamo imporci e non mollare fino alla fine” disse Jack dopo un po’, accarezzandogli i capelli.
“E se dovesse andare male?” domandò Alex. “Se dovesse peggiorare, al posto di migliorare?”
“Non succederà” affermò con sicurezza Jack. “Guardami” disse subito dopo, prendendo la testa di Alex tra le sue mani e facendogli posare la fronte contro la sua fronte, “andrà tutto bene. Chris starà bene.”














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Vi avevo scritto l'inizio di questo capitolo qualche giorno fa e l'ho finito oggi dopo aver preparato una torta pere e cioccolata (gnam). Quindi, poiché al momento la torta ha assorbito tutte le mie facoltà mentali, non so bene come sia venuto questo capitolo LOL ditemi voi cosa ne pensate (:
Echelon_Sun

 

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Capitolo 4
*** ***


Pioveva. Gocce forti e fitte si abbattevano continuamente contro il vetro della finestra della mansarda di casa, nonché camera da letto di Chris.
Il ragazzo si stropicciò gli occhi, sbadigliando rumorosamente, e subito dopo si tirò faticosamente a sedere nel letto e si riavviò i capelli, che sapeva che si erano appiattiti sul lato dove aveva dormito, come sempre.
Cercò di fare mente locale su ciò che era successo da quando era uscito di casa la sera addietro fino a che non era rientrato, chissà a che ora.
Qualcosa della notte folle che aveva passato se la ricordava, e ricordava anche di aver vomitato sul marciapiede vicino il locale dove si era tenuta la festa di compleanno di Grace Smith, ricordava le mani di Pete che gli accarezzavano la schiena e gli tenevano la fronte.
Si ricordava quasi tutto anche del suo rientro a casa. Il viaggio in macchina con Pete che ogni tanto lo schiaffeggiava per assicurarsi che fosse vigile, Alex immobile in piedi sulla scalinata che portava al primo piano, Jack che lo aiutava a salire di sopra e lo metteva a letto.
Chissà quante altre volte Jack aveva ripetuto quelle stesse mosse. Chissà quante volte lui ed Alex si erano retti la fronte a vicenda dopo una sbronza.
Chris sprofondò nuovamente nel letto a faccia in giù nel cuscino, desiderando che un fulmine entrasse dalla finestra e ponesse fine alla sua vita.
Non voleva scendere e affrontare Alex.
Sapeva già quello che sarebbe successo. Suo fratello lo avrebbe portato in cucina o nel giardino, avrebbero discusso, Alex avrebbe cominciato a urlare e a dirgli quanto fosse irresponsabile e irrispettoso, poi avrebbe cominciato a snocciolare le varie proibizioni per quel mese.
Non voleva stare a sentirlo, però si impose di alzarsi, di trascinarsi fino al bagno, di farsi una doccia, di vestirsi e di scendere al piano terra.
Scese le scale lentamente, quasi come se ogni passo richiedesse uno sforzo non indifferente, come se prendere tempo potesse servire a qualcosa.
Jack era allungato sulla poltrona della sala con Lea addosso, le stava facendo leggere una lettura sul libro di scuola, e quando vide Chris, gli fece cenno di far piano per non disturbare la concentrazione della bambina.
Chris si diresse in cucina, dove sapeva che avrebbe trovato Alex impegnato a cucinare per pranzo.
“Buongiorno” disse piano sedendo a tavola e afferrando un pacco di biscotti lasciato lì sopra.
“Ben svegliato” rispose Alex senza guardarlo, concentrato a leggere una ricetta che teneva tra le mani.
Chris lanciò uno sguardo all’orologio appeso al muro. Erano le undici e mezza, quindi decise di non esagerare con la colazione. Se, dopo la litigata, non avesse neanche pranzato, Alex avrebbe come minimo dato di matto.
“Chris, dobbiamo parlare.”
“Lo so.”
Chris seguì il fratello maggiore attraverso la porta sul retro che dava in giardino e sedette al suo fianco sul dondolo portando le ginocchia al petto.
Aveva smesso di piovere da quando si era svegliato, solo qualche goccia solitaria cadeva di tanto in tanto al suolo.
Non aveva preso le sigarette, dannazione.
“Le cose devono cambiare, Chris” esordì Alex. Esordio che subito fece sbuffare il più piccolo, facendolo pensare che suo fratello mancasse di fantasia. “Ma cambiare sul serio, questa volta. Nel senso che se non torni per l’orario stabilito, resti fuori fino a che non decido di farti entrare, nel senso che se torni ubriaco o drogato ti scordi di stare sotto lo stesso tetto di mia figlia.”
Chris spalancò gli occhi.
Non ci poteva credere.
Alex era sempre stato piuttosto rigido riguardo le sue uscite serali, ma mai era arrivato a tanto.
“E questo significa che devi ridarmi le chiavi di casa” aggiunse il maggiore dopo un po’.
“Ma Will... se dovessi tornare dopo il coprifuoco?”
“La cosa non mi riguarda.”
Chris ci mise qualche secondo a incassare quella risposta. Alex gli stava dicendo che lo avrebbe lasciato fuori se fosse rientrato troppo tardi o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o ubriaco. Alex gli stava togliendo le chiavi di casa.
“Ma...”
“Cosa?”
Chris boccheggiò. “E se dovesse fare freddo?”
“Ti lancerò una coperta dalla finestra.”
Il più piccolo si abbracciò le gambe, senza fiato dalla sorpresa. Non se l’aspettava un atteggiamento simile da parte di suo fratello, che di solito era molto più istintivo e cercava sempre di evitare i cambiamenti drastici come quello che gli aveva appena illustrato.
Chris rimase immobile per un po’, osservando il giardino. L’avevano curato tutti insieme, quell’angolo di verde, e Lea aveva voluto metterci uno scivolo, una tenda da campeggio e una piccola casetta di plastica. Era splendido, quel giardino, tanto che, quando Chris stava dai genitori perché Alex e Jack erano tournèe, spesso andava lì a fumarsi una sigaretta in santa pace steso tra l’erbetta curata.
“Abbiamo finito?”
“Scordati di uscire per questo mese.”
Chris sospirò, se lo aspettava. Ogni volta in cui Alex gli aveva proibito di uscire, lui era scappato di casa di nascosto. Ma questa volta, senza chiavi a disposizione, la vedeva dura.
Come avrebbe fatto a rientrare di nascosto con l’allarme attivato?
“Chris...”
Il ragazzo si voltò a guardare il fratello maggiore. Lo vide stanco, sfiancato dopo soli tre giorni in casa.
“Mi dispiace” borbottò il più giovane, sincero solo in parte.
“Dispiace più a me, te lo assicuro” ribatté svelto Alex. “Ma non posso permetterti di andare avanti così. Non posso. Ho capito che non serve a niente incazzarsi con te e parlare, hai bisogno di rimanere per un po’ con la merda fino al collo per poter capire in che guaio ti stai cacciando.”
Chris sospirò. “Posso andare adesso?”
“Dobbiamo parlare della scuola” asserì Alex guardando verso la porta che conduceva alla cucina.
“Non ho niente da dire a riguardo” rispose immediatamente Chris, indurendo il tono di voce. Non voleva fare quel discorso con suo fratello, non se la sentiva, e poi c’era Pete a proteggerlo.
“Ascoltami solo...”
“No, William, so già quello che mi dirai” esplose il minore saltando in piedi. “Non voglio parlare con te degli insulti, d’accordo?! Ne parlo con chi ci tiene sul serio a me, con chi mi protegge, con chi non mi lascia solo neanche per andare in bagno per paura che possano trovarmi da solo e farmi del male!”
“Ma...” tentò l’altro alzando lo sguardo.
“E me ne sbatto se vuoi solo aiutarmi” continuò Chris, interrompendolo. “Pensa alla tua cazzo di vita e lasciami vivere la mia.”
Alex aprì la bocca per controbattere, ma la richiuse quasi subito, rendendosi conto che non aveva voglia di rispondere e intraprendere nuovamente quella conversazione che non avrebbe fatto altro che far innervosire ulteriormente Chris.
Sapeva benissimo che se suo fratello minore non era ben visto a scuola era tutta colpa sua.
Di solito, con l’atteggiamento di Chris, si tendeva a essere persone rispettate in un contesto scolastico, persone da cui ci si teneva alla larga e che si apprezzavano da lontano per il loro tenere sempre viva l’atmosfera grigia delle aule.
Eppure Chris era soggetto a bullismo verbale e lo sarebbe stato anche fisico, probabilmente, se non si fosse sempre portato dietro quel colosso di Pete che sembrava un po’ uno Zack più proporzionato. E tutto per colpa sua, che semplicemente era parte di una band che non andava a genio a quei bulli del cazzo.
“Adesso posso andare?” chiese il ragazzino con ritrovata rabbia nella voce.
“Sì, e quando scendi per pranzo portami le tue chiavi di casa.”
“Bene” concluse, voltandosi e andando via a passo spedito.
Rientrò in casa con le mani che tremavano dal nervosismo, passò in sala senza degnare d’un minimo sguardo Jack e Lea che giocavano alla playstation e fece le scale di corsa fino alla sua stanza.
Una volta raggiunto il suo letto, ci si gettò di schiena e agguantò il pacchetto di sigarette lasciato sul comodino, accendendosene una.
Fumare lo calmava. La meccanicità di quei movimenti, tira, inspira, tieni, espira, lo rilassavano quasi quanto la marijuana.
Aveva proprio bisogno di una bella canna, ragionò nell’esatto momento in cui il suo cellulare vibrava per avvisarlo di un messaggio in arrivo.
Era Sam che gli chiedeva se stava bene. E se Alex lo aveva spedito in qualche collegio svizzero di suore.
Chris sorrise, leggendo quel messaggio. Samantha era assurda, era una delle pochissime persone che erano riuscite a guadagnarsi la sua amicizia fino in fondo. Alla mano, sveglia, sempre allegra e con la battuta pronta, sempre con quel sorriso pieno capace di illuminare la notte.
Le rispose che stava bene e che Alex non lo aveva mandato in nessun collegio, ma ci era andata molto vicina.
Inspirò con veemenza il fumo dalla sua Marlboro pensando a Sam, a quel braccio sottile che gli cingeva la vita trascinandolo a pranzo, a quegli occhi neri che lo scrutavano, a quella risata cristallina che si sprigionava dalla sua bocca ogni volta che Pete sbagliava un tempo verbale.
Chris ringraziò il cielo di avere quei due migliori amici, se non ci fossero stati loro probabilmente non avrebbe avuto motivo di continuare a vivere.















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Devo schivare i pomodori? Okay, lo so che è un capitolo orrendo, ci sono 8000 errori e non ha senso. Lo so. Ma è stato il meglio che sono riuscita a fare in questo periodo, tra gli esercizi di matematica (che, per la cronaca, non hanno ridato), la biologia e il Paradiso di Dante. Perdonatemi per questa volta, d'accordo?
Ci sentiamo al prossimo capitolo, sperando che sia almeno un minimo migliore di questo.
Echelon_Sun

 

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Capitolo 5
*** ***


Era cominciato tutto quando Alex e Jack avevano deciso di prendersi una bella pausa con la band per poter stare a casa con la figlia. In quello stesso periodo Chris si era tinto i capelli di verde per la prima volta e aveva sniffato la prima dose di cocaina.
A dire il vero, il ragazzo non ci aveva capito molto di quel periodo. Era stato un caos totale. Le ore piccole, le lacrime sulle guance di sua madre, lo sguardo buio di suo padre, le sbronze, le risate con Pete, il vomito ovunque, le stelle, la birra.
Chris si ricordava benissimo, però, il pomeriggio in cui Alex era salito in camera sua, gli aveva strappato la sigaretta dalle mani, lo aveva afferrato brutalmente per un braccio lasciandogli le impronte delle unghie sulla pelle e lo aveva costretto a preparare la valigia.
Sua madre aveva pianto per tutto il tempo.
Pensava di essere stata lei il problema. Pensava di non essere stata capace di fare un buon lavoro con l’ultimo dei suoi figli, pensava di non essere un buon genitore.
Chris sospirò, pensando a quel pomeriggio.
Se si immergeva troppo nel ricordo, gli sembrava quasi di risentire addosso lo sguardo furente del fratello maggiore che sembrava perforargli la nuca.
Aveva fatto le valigie in silenzio, senza dare il minimo segno di sconforto, aveva mantenuto per tutto il tempo il mento alto e lo sguardo fiero come se non gliene importasse nulla.
Ma in realtà dentro si era sentito uno schifo. Possibile che si fosse arrivati al punto di doverlo portare via dai suoi genitori per non farli impazzire? Possibile che dovessero prendersi cura di lui Alex e Jack perché sua madre e suo padre non avevano più l’età per dargli delle regole e fargliele mantenere?
Possibile che fosse così incorreggibile da dover essere tenuto sotto controllo come se potesse far esplodere Baltimora da un momento all’altro?
E adesso Alex aveva anche tirato fuori la storia assurda delle chiavi di casa! Chris si sentì per un momento come un carcerato che cerca di reinserirsi nella società sotto il controllo del tribunale.
“Cazzo” borbottò andando a sedersi sul davanzale della finestra e accendendosi una sigaretta.
Se, da un lato, capiva le ragioni di suo fratello, dall’altro non le accettava. Si rendeva perfettamente conto di aver bisogno di rimettersi in riga, ma non si capacitava dei metodi che Alex aveva cominciato a utilizzare.
Inspirò una grossa boccata di nicotina e la lasciò scendere nei polmoni, godendosene il gusto a occhi semichiusi.
Ripensò a tutte le mattine in cui si era svegliato nel suo letto e non aveva idea di come ci fosse arrivato, pensò all’odore di vomito nel bagno e alla consapevolezza che aveva rimesso e neanche se lo ricordava.
Ripensò a quella sera in cui non aveva bevuto molto, ma aveva mandato giù qualche pillola di troppo e Jack se n’era accorto. Era stato molto gentile, il chitarrista, aveva avuto pazienza e non aveva neanche rivelato ad Alex le sue reali condizioni, lasciandogli credere che fosse solo un po’ alticcio.
Alex non era mai stato paziente con lui. Tutte le volte lo aveva letteralmente trascinato fino alla sua camera, sforzandosi di togliergli solo le scarpe prima di metterlo a letto, e ogni volta non si era risparmiato un cazziatone che il giorno dopo ricordava a spezzoni.
Con Jack era diverso. Jack ogni volta era stato premuroso, gli aveva retto la fronte se doveva vomitare, lo aveva tratto con cura prima di metterlo a letto, gli era stato vicino aspettando che si addormentasse.
“Cazzo” disse nuovamente con rabbia, lasciando andare la testa all’indietro fino a posarla contro il muro.
Aveva bisogno di vedere Pete e Sam, decise saltando in piedi. Aveva bisogno dei suoi migliori amici, così mandò loro un messaggio per dirgli di incontrarsi al parco subito dopo pranzo, dicendogli anche che avrebbe potuto fare un po’ di ritardo per via degli arresti domiciliari.
Arresti domiciliari, quel nomignolo alla punizione l’aveva affibbiato Pete quando Chris gli aveva detto per la prima volta che per passare una serata insieme sarebbe dovuto uscire di nascosto.
Era stato il terzo giorno che passava a casa di Alex e Jack, quello, ed era stato il primo in cui i due coniugi si erano trovati Chris barcollante, allegro e infinitamente dolce davanti la porta di casa all’alba. Il primo di una lunga, lunghissima serie.
Ripensò all’innocenza di Lea, così felice che anche lui fosse a casa con lei e entusiasta nel trascinarselo in camera sua per giocare con le barbie.
Lea era l’unica scintilla di gioia in quella situazione, l’unico puntino bianco un baratro nero, l’unico sorriso dentro quelle quattro mura di convivenza forzata.
La bambina non si era mai resa conto di nulla, non aveva mai notato i giorni in cui suo padre e suo zio sembravano essere due bombe ad orologeria pronte ad esplodere. Erano stati tutti molto attenti per non farle pesare neanche le situazioni più difficili. Persino quando Chris era stato riaccompagnato a casa dalla polizia Jack era riuscito a distrarla mentre Alex si occupava del fratello ubriaco come non mai.
Lea era sempre stata felicissima di avere i suoi padri e suo zio al suo fianco e non aveva mai posto nessuna domanda che potesse far pensare a uno di loro tre che si fosse accorta di ciò che realmente accadeva in casa.
E, se non fosse stato per lei, Alex avrebbe preso Chris con sé molto prima. Il periodo natalizio dell’anno addietro, prima che il ragazzo si trasferisse da lui, era stato parecchio tormentato per Alex. Da un lato, infatti, avrebbe voluto togliere ai suoi genitori il peso di quell’adolescente sbandato che usciva fuori dai binari un giorno sì e l’altro pure, mentre dall’altro voleva evitare a sua figlia di avere in casa uno zio che sicuramente adorava, ma che era pur sempre un ragazzino ubriacone, che si impasticcava e si drogava.
Jack alla fine lo aveva convinto. O forse costretto.
Una volta Chris li aveva sentiti litigare a causa sua, una delle prime settimane che aveva passato a casa loro.
Alex aveva detto che se Lea avesse fatto anche la minima domanda, avrebbe rispedito quel fottuto cazzone di Chris immediatamente a casa. Mentre Jack aveva insistito sul fatto che i suoi genitori avevano bisogno di riprendersi un po’, di rilassarsi e di ricaricarsi per poterlo riavere durante il loro periodo di tournèe con gli All Time Low.
Chris si gettò a faccia in giù sul letto e lesse le risposte dei suoi amici al messaggio che aveva inviato loro.
Sei un fottuto idiota, te l’avevo detto che ti avrebbero scoperto! Sam. Era inutile ragionare con lei.
Samantha era sempre stata così, cercava di frenare Chris almeno un minimo. Era l’unica che a volte dava ragione ad Alex e Jack, l’unica che cercava di farlo ragionare spiegandogli che suo fratello agiva per il suo bene.
Al contrario di Sam, Pete aveva risposto solo con un ci vediamo dopo che fece sorridere Chris. Lui sì che lo capiva.
Non che Samantha non lo capisse, ma non quanto Pete. Pete ormai era un po’ come la sua ombra, il suo alter-ego. Facevano tutto insieme e ragionavano anche allo stesso modo, mentre la ragazza era, nei confronti dei due maschi, il freno che impediva di andare troppo oltre.
Col tempo avrebbero capito che quel freno era stato fondamentale per loro. Probabilmente senza Samantha uno di loro due avrebbe guidato ubriaco, avrebbe esagerato con le dosi di droga o avrebbe vomitato addosso a qualcuno.
Mentre Chris si concedeva un po’ di pace infilandosi gli auricolari nelle orecchie e sparandoci dentro gli Slipknot, Alex, al piano terra, stava preparando il pranzo mentre Jack e Lea giocavano alla playstation.
Se il maggiore dei due Gaskarth avesse potuto, sarebbe salito su fino alla camera di suo fratello e lo avrebbe abbracciato a tempo indeterminato. Gli voleva un bene immenso e aveva capito che il suo problema era la fragilità.
Si ritrovò a pensare che, forse, anche quella si poteva ereditare.
Chris non aveva capito che se il maggiore gli imponeva di non uscire o di tornare a un certo orario e in condizioni decenti, era perché lui c’era già passato.
Alex si ricordava bene quanto fosse brutto scolare un bicchiere dopo l’altro, mandare giù pasticche come se fossero caramelle, fumare erba. Ricordava tutto e ricordava la solitudine di quei momenti.
Un conto era farlo per divertimento una volta ogni tanto in compagnia degli amici. Inoltre essere al Warped Tour tutte le estati non aiutava a restare sobri e puliti, dopotutto. Ma un altro conto era autodistruggersi.
Chris poteva inventare tutte le scuse di questo mondo, ma Alex ormai aveva capito che quel ragazzino non si voleva bene e questo era il primo motivo per cui beveva e si drogava.
Ci era passato anche lui e non voleva che suo fratello si riducesse ai suoi livelli. Non voleva vedere Chris piangere nel bagno, ubriaco, e sentirlo domandarsi il perché della sua esistenza.
Jack l’aveva salvato, quando era successo a lui. L’aveva raccolto da terra, l’aveva infilato nella doccia e gli aveva regalato tutto il suo amore.
E Alex si promise di fare lo stesso con Chris. Lo promise a se stesso e ai suoi genitori lì, in quel momento, girando il sugo. Lo promise a quel ragazzo che in quel momento stringeva i pugni attorno al lenzuolo e digrignava i denti. Avrebbe fatto di tutto per far tornare suo fratello a galla.
















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Buon San Valentino! ...okay, no, meglio di no. Vi avevo promesso qualcosa di meglio del precedente capitolo e non so se sia riuscita a mantenere la parola data. Questa roba non mi fa totalmente schifo e, cercate anche di capirmi, in questi giorni sto studiando come una pazza e quindi non potete pretendere troppo.
Fatemi sapere cosa ne pensate,
Echelon_Sun

 

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Capitolo 6
*** ***


Samantha si lasciò mollemente cadere sulla panchina del parco, le ossa della sua spina dorsale cozzarono contro il metallo ma lei rimase impassibile, come se si fosse gettata di peso su un mucchio di cuscini.
Era abituata a ben altro, dopotutto.
La ragazza si spostò con un gesto della mano un ciuffo ribelle di capelli coloro rosso fuoco dalla fronte e si aprì la birra che aveva preso di nascosto dal frigorifero. Avrebbe voluto portarne un paio anche per i suoi amici, ma aveva avuto paura che sua madre potesse accorgersene.
Suo padre non c’era in casa quando era uscita e di certo non se n’era sorpresa. Quell’uomo ormai passava più tempo fuori che dentro, chissà dove e a fare cosa.
Non che a Samantha mancasse, certo.
Lo odiava, lo odiava con tutto il cuore per averla cresciuta sempre osservandola da lontano, come se non fosse suo padre ma un semplice conoscente capitato nella sua stessa stanza quasi per sbaglio.
Lo odiava per non averle mai dimostrato nulla, per non averle mai dato il bacio della buonanotte, per non averla mai presa in braccio quando si svegliava urlando dopo un incubo, per non averle mai detto brava amore dopo un bel voto a scuola.
Lo odiava per essersi accorto di lei solo durante l’adolescenza, in quell’anno in cui l’aveva portata via dal posto in cui era cresciuta e aveva conosciuto Pete e Chris. Lo odiava.
Samantha non ne aveva mai parlato esplicitamente con i suoi amici, ma suo padre picchiava lei e sua madre.
Aveva cominciato a picchiarle da qualche anno, mentre prima si limitava a vivere una vita in casa come se fosse un ospite. Era presente ai pasti quando i turni lavorativi non glielo impedivano e tornava a dormire e questo ero tutto. Prima era così, mentre da due o tre anni aveva cominciato a essere manesco.
Prima un ceffone a sua figlia per l’insufficienza scolastica, poi uno spintone a sua moglie per aver fatto scuocere la pasta.
E poi il resto.
Samantha usciva di casa all’alba ogni mattina per non incontrarlo a colazione e dopo le ore pomeridiane a scuola cercava sempre di cenare a qualche fast-food a poco prezzo. Samantha aveva paura di quell’uomo che non faceva altro che cercare pretesti per metterle le mani addosso.
E, sebbene avesse una paura immensa che potesse far del male a sua madre, questo non le impediva di tenersi il più lontana possibile da casa sua.
Se riusciva, tornava lì solo per dormire. E il sabato sera neanche per quello.
Da quando lei, Chris e Pete avevano cominciato a passare le serate in strada, poi, le cose si erano semplificate per lei. Loro due, quei due ragazzi disadattati e un po’ fuori di testa erano diventati la sua vera famiglia, passava con loro quasi tutto il giorno e non si annoiava mai, in loro compagnia.
“Hey” sentì improvvisamente alle sue spalle.
Sorrise all’istante, voltandosi verso i due ragazzi che camminavano verso di lei.
Chris e Pete.
Li aveva conosciuti il suo primo giorno di scuola superiore, quando si era ritrovata ad essere la ragazza nuova e loro erano stati gli unici che, al posto di squadrarla dalla testa ai piedi, le avevano offerto un sorriso e le avevano proposto di pranzare insieme.
Senza loro due probabilmente sarebbe rimasta un’asociale nella nuova scuola, scostata da tutti e vista come una depressa pericolosa.
“Mh, non vedo nessun livido” commentò immediatamente Samantha, afferrando un braccio di Chris per poterlo avvicinare a sé.
Pete scoppiò a ridere. “L’unico ce l’ha sul ginocchio, ha fatto un atterraggio da schifo” disse, ripensando al volo del suo amico dalla finestra del bagno.
“Non potresti escogitare un altro modo per uscire di casa?” rise a sua volta la ragazza.
Chris le sedette accanto lasciandosi sfuggire un enorme sospiro. “Potrei fare in modo che ci sia qualcuno sotto la finestra del bagno quando devo uscire, così mi prenderebbe al volo” scherzò il ragazzo cercando le sigarette nelle tasche dei jeans. “Potrei corrompere Rian o Zack...”
“Se ci fosse Zack pronto a prenderti ogni volta saresti a posto” commentò Pete prendendo posto tra i due suoi migliori amici, alludendo alla massa muscolare del bassista.
Rimasero per qualche istante in silenzio, loro tre e quel verde brillante che li circondava. Era un po’ il loro posto segreto, quello. Semplicemente Parco, lo avevano sempre chiamato da quando avevano cominciato ad incontrarsi lì, in quel parco giochi malmesso, con l’altalena arrugginita, il girello svitato e lo scivolo sfondato.
Chris aveva scoperto quel posto per caso, quando un giorno si era dovuto fermare a rimettere la catena alla bicicletta ed era uscito dalla strada principale. Aveva trovato quel parco giochi e subito l’aveva amato, come se lì dentro si fosse sentito capito. L’erba alta li nascondeva, il marciume che li circondava rispecchiava ciò che avevano dentro.
Ed era rilassante in una maniera inimmaginabile sdraiarsi in quell’erba verdissima e selvaggia con una canna tra le labbra, una canzone come sottofondo e osservare gli spiragli d’azzurro del cielo che si vedevano tra i rami e le foglie fitte degli alberi.
“Dovreste trovarvi una ragazza” disse improvvisamente Samantha, facendo strozzare Pete con la sua stessa saliva. “Tutti e due” aggiunse un secondo dopo, mollando una manata tra le scapole dell’amico che tossiva senza pietà.
Lei si era fidanzata da qualche mese, stava insieme a una ragazza più piccola di lei di un anno, bionda, dolce, magra come uno stuzzicadenti e piuttosto bassa. Pete l’aveva soprannominata Vigorsol per quanto era piccina. Da quando si era fidanzata Sam si ubriacava molto meno e passava molto più tempo, durante il sabato sera, in un angolo con la ragazza.
“Però hai ragione” commentò Chris, rabbuiandosi improvvisamente, “tu hai una ragazza e noi due no.”
Sam portò alle labbra la birra. “Evidentemente sono più attraente di voi.”
“Ma fammi il piacere...” cominciò a dire Pete, interrompendosi di colpo quando l’amica lo fulminò con lo sguardo. “Voglio dire, se io e Chris volessimo potremmo trovarci una ragazza senza difficoltà.”
“Ah sì?” lo stuzzicò la rossa.
“Certo” confermò il ragazzo, saltando in piedi dalla panchina e incrociando le braccia sul petto ampio. “Te lo dimostreremo.”
“Io non voglio dimostrare proprio nulla” si ribellò Chris aggrottando le sopracciglia. “Non voglio avere una storia seria.”
“Io credo che, invece, ti farebbe bene” replicò Samantha aggiustandosi meccanicamente i capelli. “Voglio dire, se trovi la persona giusta e ti innamori, deve farti bene per forza. Io mi sento molto meglio da quando...”
“Sì, lo sappiamo” la interruppe Chris rubandole la birra dalle mani. “E solo perché fai più sesso di noi non significa che noi stiamo male.”
Samantha sorrise appena e inevitabilmente non riuscì a non dire: “Intanto vedo più figa di voi due messi insieme, sfigati.”
Pete alzò gli occhi nocciola al cielo. Adorava Samantha, davvero, e si sarebbe preso una pallottola per lei, ma quando li sfotteva era insopportabile.
“Scherzo” si affrettò a dire la ragazza, notando che i due uomini non avevano ribattuto. “Ma, se volete farmi cambiare idea sul vostro dubbio sex appeal, dimostratemi di essere capaci di trovarvi una ragazza e tenervela almeno per due mesi.”
“Uno!” si indignò Chris, quasi sputando la birra che stava bevendo.
Due mesi con una sola ragazza? Sam doveva essere impazzita! Lui non ci stava! Come poteva restare insieme a una ragazza per due interi mesi quando solitamente si stancava di vederne una anche per due giorni nella stessa settimana?
“Sarebbe troppo facile” disse Samantha. “Allora, ci state?”
“Sicuro” rispose immediatamente Pete, tendendo una mano enorme a stringere (o stritolare?) quella dell’amica. “Io e Chris ti dimostreremo che siamo perfettamente in grado di tenerci una fidanzata almeno per due mesi.”
“Ma...” cercò di dire Chris nel momento esatto in cui i due si stringevano le mani, senza calcolarlo.
Notando la sua faccia contrariata, dopo un po’ l’amica gli diede un buffetto su una guancia. “A te posso aiutarti un po’ perché ci sei stato trascinato dentro” gli disse sottovoce per non farsi sentire da Pete che si stava accendendo una sigaretta seduto all’altalena. “Ho un paio di amiche che potrebbero interessarti e posso darti qualche dritta. Vedrai che ti farà solo bene.”
Chris, per tutta risposta, si strinse nelle spalle.
Sarebbe dovuta essere una scommessa divertente, un’occasione per cercare qualche ragazza carina con cui passare del tempo e conoscersi un po’. Eppure a lui quell’idea non piaceva.
E, non lo avrebbe mai ammesso né a se stesso né ai suoi amici, ma da quando aveva baciato Wendy non aveva potuto fare a meno di smettere di pensare ai suoi occhi azzurri e forse per questo la scommessa non era di suo gradimento: perché, in fondo, una ragazza da conquistare l’aveva già trovata e si vergognava a rivelarlo.













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Eccomi tornata dopo una prolungata assenza (potevi anche farti i fatti tuoi, direte voi, e avreste ragione dato il capitolo). But anyway, mi dispiace molto per il capitolo un po' di merda ma è necessario perché, se continuerò a scrivere seguendo la trama che ho in testa, c'è bisogno che conosciate la situazione familiare di Samantha e la scommessa dei tre amici.
Fatemi sapere cosa pensate di tutta questa roba, di Wendy e il resto :)
Echelon_Sun

ps. Per tutti quelli che erano a Bologna, vi amo a prescindere ed è stata una delle giornate più belle di sempre :3

 

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Capitolo 7
*** ***


Chris rimase impalato nel bel mezzo del vialetto. Aveva appena salutato Pete e Sam ed era tornato a casa per cenare, eppure rimase lì immobile. Se fosse rientrato dalla porta principale come se niente fosse di sicuro Alex avrebbe ricominciato a sbraitare, ma come avrebbe potuto rientrare di nascosto se tutte le fottute finestre erano troppo fottutamente in alto?
“Che fai lì fermo come un idiota?”
Il ragazzo saltò di paura e si voltò di scatto per poi lasciarsi andare ad un sospiro di sollievo quando si ritrovò il sorriso sereno di Zack davanti agli occhi.
“Cazzo mi hai fatto prendere un infarto” disse Chris portandosi teatralmente una mano al petto. “Che ci fai qui?”
“Devo parlare con tuo fratello e Jack di alcune cose” rispose il bassista. “Rian è già arrivato?”
“Ecco io...” abbozzò Chris abbassando lo sguardo. “Io sto tornando adesso...”
Zack si impose di non scoppiare a ridere. Quel ragazzino doveva averne combinata un’altra delle sue.
“Dovrei rientrare di nascosto” buttò lì il più piccolo, rendendosi conto di quanto dovesse sembrare ridicolo agli occhi dell’altro.
“Beh non ci vuole molto, apri la porta e facciamo finta che mi hai sentito bussare e sei venuto ad aprirmi” rispose svelto il più grande con una scrollata di spalle.
“Non... non posso aprire” borbottò piano Chris, “Alex mi ha tolto le chiavi di casa.”
“Alex cosa?” esalò Zack incredulo. Sapeva benissimo che il cantante aveva deciso di adottare metodi più duri nei confronti di suo fratello, ma togliergli le chiavi di casa gli sembrava esagerato. “Fai sul serio?”
Chris annuì con un cenno del capo e riportò lo sguardo a terra. “Ha detto che devo restare per un po’ con la merda fino al collo per capire in che guaio mi sto cacciando” disse in un sussurro.
Zack sospirò a sua volta, capendo ciò che era passato per la testa al suo amico. “Andiamo a fumarci una sigaretta in giardino, okay?”
Chris seguì in silenzio il bassista fino al dondolo dov’era stato quella mattina e gli sedette accanto accettando una sigaretta dal suo pacchetto. Non ricordava di aver mai visto Zack fumare, ma non fece domande.
“Chris non starò qui a dirti anch’io che col tuo atteggiamento non andrai da nessuna parte, che ti stai rovinando la vita e menate varie” esordì Merrick dopo aver tirato una lunga boccata di fumo dalla sua sigaretta. “Suppongo che tu sia stancato di sentirti dire sempre le stesse cose, no?”
“Già” biascicò l’altro stringendosi le ginocchia contro il petto. “E... non lo so Zack, ogni volta mi sento maledettamente in colpa, eppure non riesco a... a... mi sento come se il Mondo mi stesse troppo stretto.”
Zachary sorrise osservando quel ragazzino che sembrava tanto forte ma in realtà era palesemente fragilissimo. Gli ricordava un sacco Jack. Jack che non stava mai fermo, che parlava anche nel sonno come se non gli bastasse chiacchierare ininterrottamente durante il giorno, che sembrava sempre essere sotto l’effetto di qualche eccitante, che sprizzava energia da tutti i pori. Jack che poteva crollare tanto facilmente, benché da fuori nessuno lo sospettasse.
“Hai mai visto Jack piangere?” domandò improvvisamente il più grande.
Chris alzò un sopracciglio, non capendo bene dove Zack volesse andare a parare. “No” disse in un bisbiglio. “Beh quando siete tornati appena ha visto Lea è...”
“Dico piangere per la tristezza” lo interruppe il bassista. “Se l’hai mai visto talmente tanto triste da piangere.”
“Mai” asserì con convinzione il ragazzo.
“Tu mi ricordi moltissimo Jack” disse Zack. “Lui sembra sempre felice, spensierato, allegro. Un grillo impossibile da far stare seduto per dieci minuti consecutivi e un pazzo logorroico che non ha idea di cosa sia la malinconia. Nessuno penserebbe mai che crolla facilmente. Nessuno, da fuori, potrebbe mai immaginare quanto sia fragile realmente.”
“Io non sono così.”
“Oh sì che lo sei” rispose in fretta il maggiore. “Ti sei costruito attorno una corazza di ferro ma in fondo sei debole. È normale essere deboli, alla tua età, ed è altrettanto normale cercare di nasconderlo e tentare di farsi scudo dai mali del Mondo, Chris, ma devi anche capire che non diventerai più sicuro di te e più felice bevendo e facendo chissà che altro.”
 Il piccolo Gaskarth inspirò il fumo e portò all’indietro il capo. Non lo avrebbe mai ammesso a Zack, ma capì che il ragazzo aveva ragione.
“Sono difettoso, forse” abbozzò Chris. “Sono nato male. Mamma avrebbe voluto una femmina e invece sono venuto fuori io che le regalo un dispiacere dopo l’altro. Non mi vuole bene neanche la mia famiglia.”
“Non devi neanche pensarle queste cose” asserì con forza Zachary. “Se la tua famiglia non ti volesse bene tu non saresti ancora qui oggi. I tuoi genitori hanno fatto di tutto per te, ti hanno amato anche quando sono dovuti venirti a riprendere alla centrale di polizia. E Alex sta cercando di recuperarti in ogni modo.” Zack prese il viso di quel ragazzino tra due dita e lo costrinse a farsi guardare negli occhi. “Quindi non so come tu possa pensare che non ti vogliano bene” concluse sentendosi precipitare in quegli occhi identici a quelli del suo cantante.
Chris annuì con la testa sentendo le lacrime pungere agli angoli degli occhi. Ripensare alla notte in cui era stato portato alla centrale della polizia gli faceva ancora venire le fitte al petto. Era stato il giorno più brutto della sua vita, quello.
Ripensò per un attimo alla rissa che Pete aveva scatenato, a lui e Sam che tentavano di mettersi in mezzo per evitare che uccidesse il tipo che stava picchiando. Ripensò a Samantha che si accorgeva dei fari di un’auto e che aveva afferrato Pete ed era scappata. E lui che era inciampato, aveva ricevuto una pedata sulla schiena, era stato tirato su da un vigile ed era stato portato alla centrale.
Ripensò alla chiamata fatta ad Alex che si trovava in un posto dove era giorno, si ricordò di avergli chiesto scusa, di aver pianto e di averlo implorato di chiamare i loro genitori perché lui non ce la faceva.
Ripensò a suo padre che gli aveva mollato uno schiaffo e gli aveva detto ch’era il più grande fallimento della sua vita.
Ripensò a sua madre che non era riuscita a guardarlo negli occhi per tutta una settimana.
“Tu non sei difettoso” continuò Zack, portando una mano sulla testa di Chris per scompigliargli i capelli. “E dovresti semplicemente lavorare un po’ sul rapporto con tuo fratello e capire che sta cercando solo di aiutarti.”
“Non mi aiuta lanciandomi sguardi di puro disprezzo” commentò il più piccolo portando la sigaretta alle labbra.
“Alex non ti disprezza affatto!” esalò il bassista incredulo. “Come puoi pensare una cosa del genere? Lui ti adora, sei suo fratello. Dovresti sentire come parla di te, persino quando nomina qualcuna delle tue bravate non riesce a non inserire da qualche parte una frase in tua difesa.”
“William mi... difende?” chiese Chris spalancando gli occhi.
“Lui ci è passato Chris. Non pensare che stia cercando di rovinarti la vita, lui vuole solo evitarti tutto il dolore che gli è stato riservato.”
“Ma lui aveva voi, ha avuto Jack fin da subito...”
“Jack lo ha salvato in milioni di modi diversi” lo interruppe Zack. “Li ho visti con i miei occhi quei due impedirsi a vicenda di autodistruggersi, li ho aiutati a non autodistruggersi. E se Alex decidesse di incatenarti in casa, di spedirti in qualche riformatorio simile a un carcere pur di non farti prendere la medesima strada che lui stava intraprendendo anni fa, avrebbe tutta la mia approvazione. Sicuramente non la tua, almeno momentaneamente, ma forse dopo qualche anno capirai le sue intenzioni e lo ringrazie...”
“Papà, c’è Zacky!”
La voce tuonante di Lea interruppe il discorso di Zack, che alzò di scatto il viso e lanciò un enorme sorriso a quella bambina che saltellava sull’uscio della porta d’ingresso di casa indicando a Jack il bassista.
“Ciao Piccolo Panda, vieni a salutarmi” le disse Merrick alzandosi in piedi.
Lei non perse tempo, in un attimo gli corse incontro e gli saltò in braccio.
Jack intanto si avvicinò al dondolo e batté una manata su una spalla di Chris. “Non sapevo che fossi qui dietro con Mr. Muscolo” disse con un sorriso sarcastico stampato sul volto.
“Non mi hai visto uscire prima?” mentì il ragazzo cercando lo sguardo del bassista, che intanto chiacchierava allegramente con Lea di un certo cartone animato con degli unicorni e un cervo azzurro.
“È la prima e ultima volta che ti copro” rispose Barakat lanciandogli una lunga occhiata eloquente. “E lo stesso deve valere per Mr. Muscolo.”
“Smettila di chiamarmi così, Drag Queen mancata” si ribellò Zack.
“D’accordo Zacky.”
“Fottiti Jackie.”
“Hey, c’è Lea, fate le persone adulte e mature” si intromise Chris alzando gli occhi al cielo.
Sebbene fossero un branco di smidollati, Chris si rese conto di voler bene agli All Time Low. Zack era quello che sembrava capirlo di più, che cercava di parlargli e che intuiva quando qualcosa non andava. Ma Chris voleva bene anche a Rian, a Jack e persino a suo fratello.
Già.
Forse Zack aveva ragione, forse Alex sul serio stava cercando di fare di tutto perché stesse bene e non finisse a odiarsi com’era successo a lui diversi anni addietro.
Forse Alex a lui ci teneva sul serio.



















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Dopo quasi 3 settimane di assenza ho deciso di riprendere questa long. Non so neanche io bene perché, nonostante non mi sembri molto apprezzata e nonostante non mi piacciano chissà quanto i precedenti capitoli, mi mancava Chris e quindi eccomi qui di nuovo.
Spero vi faccia piacere questo aggiornamento,
Echelon_Sun

 

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Capitolo 8
*** ***


Chris scese in cucina allacciandosi i jeans. Dire che si era alzato tardi era dire poco, in meno di dieci minuti, infatti, sarebbe passato il pullman e lui non aveva neanche fatto colazione.
“Meglio tardi che mai” scherzò Jack quando lo vide, masticando un boccone di pancake imbevuto di cioccolato con Lea che beveva il latte seduta sulle sue ginocchia.
“Vaffanculo” borbottò Chris in risposta, sedendogli accanto e versandosi una quantità spropositata di caffè nella tazza.
“Chris, c’è Lea!” lo richiamò esasperato Alex, emergendo dalla sala ancora in pigiama, con una coperta sulle spalle, gli occhi rossi e un colorito pallido.
“Hai la febbre Will?” si informò il ragazzo trattenendosi dallo scoppiare a ridere. Alex malato era uno spettacolo da non perdere assolutamente, sembrava ancora più cretino del solito.
“Perspicace” rispose sarcastico il maggiore sedendo a tavola insieme agli altri tra i brividi di freddo. “E tu, invece, sei in ritardo.”
“La perspicacia è una dote della famiglia Gaskarth, evidentemente” scherzò Jack beccandosi due occhiatacce dai fratelli. “Hey” disse subito dopo, “era un complimento, fratelli permalosi!”
“Risparmiati i complimenti per quando William comincerà a lagnarsi delle occhiaie” rispose stizzito Chris, facendo spalancare gli occhi al fratello maggiore.
“Ho le occhiaie?!” si infiammò Alex, saltando in piedi dalla sedia.
“Ma no, hai solo gli occhi un po’ lucidi ma è normale” gli rispose Jack a bocca piena, giurando mentalmente vendetta a quel ragazzino impertinente.
Alex si lasciò nuovamente cadere sulla sua sedia. “Devo sembrare uno zombie” si lamentò mollemente.
“Un po’” si intromise Lea scoprendo le fossette nelle guance paffute, facendo scoppiare a ridere lo zio e deprimere ancora di più il padre.
Chris aprì bocca per dirle di darle il cinque, ma il rumore del pullman che passava davanti casa lo distrasse. “Cazzo” disse a denti stretti, guadagnandosi uno schiaffo sulla nuca da parte di Jack. “Ho perso l’autobus” si giustificò stringendosi nelle spalle.
“D’accordo, vai a lavarti i denti” gli disse il chitarrista. “E muoviti, ti porto io a scuola.”
Chris pensò che avrebbe preferito farsi di corsa tutta la strada –che non era poca- piuttosto che farsi accompagnare da uno qualsiasi degli All Time Low. Lo sfottevano già abbastanza, non serviva che lo portassero anche in auto fino a scuola.
Non replicò, in ogni caso, rendendosi conto che non c’era alternativa migliore.
Salì velocemente in bagno, si lavò i denti, si passò velocemente una mano bagnata tra i capelli e si fiondò di nuovo al piano terra, dove c’era solo Alex raggomitolato sulla poltrona che guardava un cartone animato.
“Non ficcarti nei casini” disse il maggiore dopo qualche istante. “Oggi non potrei neanche venire a riprenderti, quindi vedi di non dare problemi. Non voglio che Jack si prenda il disturbo...”
“Ho capito Will” lo bloccò Chris con un sospiro.
“Sei pronto?” disse Jack irrompendo in sala con Lea per mano.
Chris annuì e osservò Lea che, nonostante entrambi i suoi papà le avessero detto di non avvicinarsi ad Alex, gli andava a dare un bacio prima di andare via.
“Fai la brava a scuola” le urlò dietro il cantante.
“Io sono sempre brava” rispose Lea.
Dopo aver lasciato Lea a scuola, che non voleva saperne affatto di smetterla di piangere e andare in classe, Jack accompagnò Chris.
“Mi raccomando, non metterti nei casini, non rispondere agli insegnanti e, per l’amor del cielo, vedi di non evadere” gli raccomandò il chitarrista prima di accostare davanti l’edificio giallognolo.
“Sicuro” ripose Chris ironico scendendo dall’auto. “A dopo Jack.”
Non appena scese dalla vettura, Chris capì che quella non era esattamente la sua giornata fortunata. Aveva perso l’autobus, Jack lo aveva accompagnato a scuola, di Pete non si vedeva neanche l’ombra sbiadita e il gruppo di bulli lo indicava ridendo da un angolo del cortile della scuola.
Sapeva benissimo che non sarebbe andata a finire bene, ma si impose di restare calmo e, dopo aver preso un lungo respiro, si avviò verso l’ingresso a sguardo basso facendo finta di nulla.
“Allora, essere inutile, ora sei diventato un vip anche tu?” cominciò uno, urlando a pieni polmoni per farsi sentire.
“Ti sei fatto l’autista?” continuò Marcus, il capo del gruppo, un energumeno che sembrava un po’ un gorilla, con le spalle troppo grosse, le braccia lunghe e le gambe corte.
“Evidentemente l’autista era in cambio della guardia del corpo” commentò Nick, il braccio destro di Marcus.
“Perché non vieni qui a salutarci, eh?” disse un altro.
Chris voltò lo sguardo dall’altro lato. Stava passando proprio davanti a loro e cercò di non ascoltarli.
Non avrebbe voluto attaccarli.
Rian gli aveva detto tante volte che l’ignoranza si combatte col silenzio, non con la violenza.
E aveva sempre fatto riferimento alle parole del batterista fino a quel momento. Ogni volta che aveva avuto voglia di picchiare qualcuno, si era concentrato sul fatto che l’ignoranza si combatte con il silenzio.
Ma non quella mattina.
Sapeva dal principio che sarebbe andata a finire male, ma non si sarebbe mai aspettato che potesse essere lui a reagire.
Lui.
Lui che dall’inizio del liceo si era riparato dietro la schiena forte di Pete, lui che si tappava le orecchie per non sentire i loro insulti, lui che ogni volta ci restava male e scolava un alcolico.
Lui che odiava ancora di più suo fratello, perché se Alex non avesse deciso di metter su uno stupido gruppo di checche e fosse stato un fratello maggiore normale, con un lavoro normale, tutti quegli insulti non sarebbero mai esistiti.
Eppure reagì.
“L’amichetto frocio del tuo fratellino sarebbe ancora in tempo a correre qui per salvarti il culo, sempre che non voglia correre qui per sfondarlo a qualcuno di noi” incalzò Nick.
E Chris reagì.
Potevano sfottere lui e sfottere Alex, potevano improvvisare balli idioti nei corridoi sulle note delle canzoni degli All Time Low, potevano sputargli e lanciargli palline di carta nei capelli durante le lezioni.
Ma non dovevano tirare in ballo Jack.
Non dovevano tirare in ballo nessuno degli All Time Low che non fosse suo fratello, né i suoi genitori o Lea, ma, dopo che Jack aveva coperto la sua ultima scappatella e dopo averlo accudito da sbronzo, non dovevano neanche pensare di poter dire qualcosa su di lui.
“Ripeti!” urlò il ragazzino voltandosi di scatto verso il gruppetto di bulli e camminando verso di loro a passo spedito. “Ripeti quello che hai detto” ripeté con voce acuta, stringendo i pugni fino a conficcarsi le unghie nella carne.
“Mi hai sentito benissimo” rispose Nick incrociando le braccia al petto.
Senza quasi rendersene conto, Chris caricò il pugno e centrò quell’energumeno brufoloso e muscoloso dritto sul naso.
Si pentì di averlo colpito con un secondo di ritardo.
Non riuscì a vedere neanche uno stralcio dell’espressione di Nick. Vide improvvisamente solo un marasma di corpi e braccia e visi che si avvicinavano e poi più il nulla.
Solo la percezione dell’asfalto umido e del terriccio contro la sua schiena e il dolore.
Non capiva più dove finisse un energumeno e ne cominciasse un altro. Solo pugni che lo colpivano, scarpe firmate, mani aperte, gomiti, ginocchia, saliva.
Dolore. Dolore. Dolore.
Tornò bruscamente alla realtà solo quando udì un urlo. Una donna.
“Che cosa diamine state facendo?” gridò il professor White a seguito dell’urlo femminile, e a quel punto i bulli, all’unisono, smisero di colpirlo.
Chris chiuse gli occhi.
Si rese conto che il pestaggio era durato davvero pochissimo tempo, forse solo qualche manciata di secondi. Secondi infiniti. Dopotutto si trovavano nel cortile della scuola, era logico che qualcuno li avrebbe visti ben presto.
“Che cazzo avevate intenzione di fare?!” strepitò nuovamente il professore. “Andate immediatamente nell’atrio, tra poco faremo in conti”.
Silenzio. Passi. Sussurri.
“Chris” borbottò nuovamente il professor White quasi in un sussurro. “Chris stai bene?”
In risposta, Chris stava quasi per ridere. Mentre si sentiva toccare il viso e sollevare appena da terra sulle gambe di qualcuno, si rese conto che in quel momento avrebbe voluto farsi una bella risata.
Persino lui, che non poteva vedersi, si rendeva conto di avere un pessimo aspetto. E quel genio di uomo andava a chiedergli se stava bene.
“Chris... Hey, sono Wendy.”
Lui si sforzò di aprire gli occhi. Era lì, era lei che lo teneva tra le braccia e gli stava accarezzando il viso. Quegli occhi azzurri così vicini, le labbra morbide, le lentiggini, i capelli ramati.
Wendy.
“Hey” biascicò lui di rimando, rendendosi conto che per parlare doveva compiere uno sforzo non indifferente.
“Arriva l’ambulanza, okay?” gli disse lei continuando ad accarezzargli il volto. “Andrà tutto bene, te lo prometto.”
Chris pensò che quella promessa sarebbe anche potuta essere falsa, ma si decise a crederle. Si appigliò a Wendy, a quelle braccia magre che lo tenevano sollevato appena da terra, a quello sguardo preoccupato, e decise che se doveva morire, quello era il momento giusto per farlo.





















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Capitemi, ho i decimi di febbre, raffreddore e abbassamento di voce. Poiché non era ancora successo qualcosa di davvero drammatico (?) come piace a me, ecco a voi il colpo di scena.
Ho tante idee in mente per questa FF, ma troppa pigrizia per metterle in pratica. Vi informo di un fatto, intanto... le recensioni mi fanno scrivere meglio. Cioè, fin'ora questa long non mi stava piacendo molto, ma dopo aver letto le vostre 3 recensione all'altro capitolo mi si sono come accese delle lampadine che mi hanno fatto tornare a scrivere.

Ebbene, vi ringrazio a tutti voi che seguite questo frutto della mia mente malata,

Echelon_Sun

 

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Capitolo 9
*** ***


Una luce lo accecò, così non appena aprì gli occhi si vide costretto a richiuderli di scatto.
Era in ospedale. Aveva intravisto il bianco dei muri, sentiva chiaramente l’odore di disinfettante e con la mano toccava un’asta al lato del letto.
“Jack aspetta, si è svegliato.”
La voce di Rian lo tranquillizzò. Non aveva fatto caso a chi ci fosse vicino a lui, ma sapere che suo fratello era a casa malato lo faceva già sentire meglio.
“Chris” lo chiamò Zack. “Chris mi senti?”
Lui si sforzò di annuire con la testa e aprì nuovamente gli occhi, trovando il sorriso del bassista a pochi centimetri dal suo viso.
“Finalmente ti sei svegliato” continuò Zack scompigliandogli i capelli. “Ti sei fatto una bella dormita, eh?”
Il ragazzo tentò di sorridere, ma si rese conto che riusciva a malapena a fare una smorfia che, piuttosto che un sorriso, doveva sembrare un ghigno di sfida.
“Hey idiota” lo salutò Jack, affacciandosi sopra di lui al fianco di Zack insieme a Rian. “Come ti senti?” gli chiese subito dopo.
Dunque, come potrebbe mai sentirsi uno che è stato pestato e che prova dolore anche se sorride?
“Uno schifo” farfugliò in risposta. “Come sono ridotto?” chiese subito dopo, anche se si rese conto che forse non voleva conoscere la risposta.
I tre si guardarono tra loro.
Jack si lasciò ricadere su una sedia, rifiutandosi di parlare. Non aveva il coraggio di dire a Chris dei suoi occhi pesti, del labbro gonfio, dello zigomo viola, del corpo pieno di lividi ed ematomi.
Il chitarrista si sentiva in colpa. Chris era scattato nel momento in cui quei bulli avevano offeso lui, e lo avevano ridotto in quel modo perché lo aveva difeso.
“Un po’ di lividi qua e là” gli disse Rian. “Niente di grave, sei solo un po’ ammaccato” aggiunse, mentendo spudoratamente.
“Un po’ tanto” ribatté Chris cercando di alzarsi sui gomiti per tirarsi su, prontamente aiutato dal bassista e dal batterista, che lo fecero mettere seduto e gli alzarono lo schienale del letto.
Chris si rese conto che ogni movimento gli causava un dolore non indifferente. Persino stare seduto gli faceva sentire uno a uno i lividi sulla schiena schiacciati contro il materasso del letto d’ospedale.
“William?” chiese dopo un lungo momento di silenzio.
“Vorrebbe darti anche il resto, cosa che probabilmente farà non appena gli passerà la febbre” rispose in fretta Jack. “Cosa che, non appena starai un po’ meglio, farò anch’io.”
“Potreste anche trovare qualcosa da dire per consolarmi” ironizzò Chris alzando gli occhi al cielo e facendo ridacchiare Zack.
“Ti consola in fatto di sapere che una ragazzina ha litigato con il preside perché voleva accompagnarti in ambulanza e non le è stato permesso?” disse il bassista sorridendo.
“Wendy?” si entusiasmò Chris. “Come fate a saperlo?”
“Ce l’ha raccontato l’infermiere che ha assistito alla scena” rispose Rian. “Ha detto che ti hanno trovato svenuto tra le braccia di questa ragazzina dai capelli rossi...”
“Wendy!” esultò Chris, guadagnandosi tre occhiate divertite e, immediatamente dopo, avvampando.
Ebbene, adesso quei tre idioti erano a conoscenza della sua cotta.
Però, rifletté, evidentemente non era il solo ad avere una cotta. Se Wendy si era tanto preoccupata per lui, significava che a lui ci teneva.
Effettivamente, quando l’aveva baciata alla festa di compleanno di Grace Smith, sembrava essere piuttosto appassionata. E si ricordava anche di come tremassero le sue braccia mentre lo tenevano stretto prima che svenisse.
Si rese conto che nelle condizioni in cui si trovava sarebbe stato difficile andare da lei e parlarle, però sperò che andasse a trovarlo. Se l’avesse fatto, decise che le avrebbe chiesto di fidanzarsi.
Dopotutto, era anche l’unica ragazza con cui avrebbe potuto passare due mesi senza impazzire, vincendo la scommessa proposta da Samantha.
“Hey” disse il ragazzo dopo qualche momento di silenzio, “dove sono Pete e Sam?” chiese alzando un sopracciglio, stupito dal fatto che i suoi migliori amici non fossero lì.
Jack alzò gli occhi al cielo. “Lo so che tu sei abituato ad andare via da scuola anche prima di pranzo, quando c’è matematica” cominciò, facendo ridere Rian e Zack, “ma, solitamente, alle 11 e mezza si sta ancora in quell’edificio a te poco conosciuto a fare lezione.”
Chris sbruffò. “Non sapevo che ore fossero” si difese stringendosi nelle spalle. “E poi sono in queste condizioni per te, portami un minimo di rispetto.”
“Sei in queste condizioni perché sei abituato a risolvere i problemi con le mani e non con le parole o, come avresti dovuto fare oggi, con l’indifferenza” si intromise Zack fissando il ragazzo dritto negli occhi.
“Grazie Zacky, mi hai tolto le parole di bocca” disse Jack.

“Non chiamarmi Zacky” sillabò il bassista, facendosi spedire un bacino dal chitarrista.

“Vorrà dire che la prossima volta che William ti dirà che il tuo naso è grande quanto il continente Africano o che sei un chitarrista inutile, non prenderò le tue parti” scherzò Chris aprendosi in un sorriso che riprese a fargli sanguinare il labbro inferiore. “Dopotutto, i problemi si risolvono con l’indifferenza.”
“Pensa a rimetterti in sesto, prima di pensare a fare lo spiritoso” lo riprese Jack estraendo un fazzoletto e tamponandogli il sangue con fare esperto.
 
Alex stava meglio e Lea si era appena addormentata. Jack le rimboccò le coperte, chiuse il libro di favole che le stava leggendo e uscì in punta di piedi dalla stanza della figlia per tornare in sala dal marito.
Alla bambina era stato indeciso fino all’ultimo riguardo cosa dirle, fino a che non se l’era ritrovata che gli correva incontro davanti l’ingresso della scuola.
Alla fine le aveva detto che suo zio Chris era in ospedale per via di un virus. Così aveva evitato le troppe domande e le insistenze sull’andare a trovarlo.
Non voleva che sua figlia vedesse in che condizioni era ridotto lo zio, non voleva che, così piccola, vedesse quegli occhi pesti, il labbro gonfio, i lividi. Non voleva portare Lea da Chris in ospedale e, dicendole che aveva un virus, le aveva subito anche detto che non poteva andare a trovarlo perché altrimenti se lo sarebbe preso anche lei.
Il cantante se ne stava raggomitolato sul divano con la coperta avvolta attorno al corpo e il sonno che stava per prendere il sopravvento.
Non aveva ancora chiesto a Jack come stava Chris per non far spaventare Lea, ma ora pretendeva di sapere la verità.
Il chitarrista sedette accanto ad Alex e gli avvolse le spalle con un braccio, finalmente la febbre era andata via e ora era solo visibilmente molto stanco.
“Come sta Chris?” chiese Alex con un filo di voce, fissando un punto vuoto.
“È ridotto abbastanza male” rispose Jack. “Ma è forte e cerca di fare di tutto per non dare a vedere che sente dolore per ogni movimento che fa.”
Alex si strinse meglio la coperta addosso e si rannicchiò contro Jack, posandogli la testa sulla spalla.
“Che vi ha detto?” gli domandò dopo qualche secondo.
“Ci ha chiesto come stava fisicamente e ci ha chiesto di te.”
“Gli hai detto che non appena andrò da lui gli darò anche quelle che quei bulli non gli hanno dato?” chiese Gaskarth con un sospiro.
“Gli ho detto che quando starà meglio le prenderà da entrambi” puntualizzò Barakat sorridendo. “E, a proposito, penso che il tuo fratellino si sia preso una bella cotta per quella ragazzina che ha litigato col preside perché voleva accompagnarlo in ospedale.”
“La rossa di cui mi hai raccontato per telefono?” si animò il cantante.
“Esatto.”
Alex chiuse gli occhi e pensò per un momento in positivo. Era arrabbiatissimo con Chris per aver scatenato la rissa, anche se ammetteva che probabilmente, se si fosse trovato al suo posto, avrebbe agito nella medesima maniera, ma forse quel pestaggio avrebbe portato qualcosa di buono. Infatti, se sarebbe servito a far innamorare e fidanzare suo fratello, la cosa non sarebbe potuta essere più positiva.
Lui sapeva bene che l’amore curava anche le ferite peggiori, dopotutto.










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Ecco a voi il nuovo capitolo! Vi premetto che non so bene come far procedere la storia, quindi aspetto di leggere anche le vostre aspettative, però un paio di idee le ho e ho anche intenzione di concludere questa storia, sperando di riuscirci!
Spero vi piaccia, grazie a tutti voi che leggete e recensite,
Echelon_Sun

 

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Capitolo 10
*** ***


Jack e Alex avevano discusso tutta la mattina, dalle sette quando il cantante si era alzato per andare a preparare la colazione annunciando che avrebbe accompagnato lui Lea a scuola e poi sarebbe andato da Chris, durante l’intera durata della colazione, mentre il chitarrista aiutava la figlia a vestirsi e aggiustarsi i capelli, mentre Alex si lavava i denti e si faceva la barba, mentre Jack metteva le stoviglie nella lavatrice e durante tutto il tragitto in auto, tacendo solo per i pochi istanti in cui Lea si era affacciata dal sedile posteriore per baciarli, salutarli e dire loro di mandare un abbraccio allo zio malato.
Poi avevano ripreso e avevano smesso solo quando si erano trovati davanti la porta della camera di Chris.
“Ormai ci siamo” aveva detto con fare vittorioso Alex.
“Ci siamo” aveva borbottato Jack alzando gli occhi al cielo.
Alex era cocciuto come un mulo e non c’era stato verso di farlo ragionare. Era risaputo che se qualcuno era appena guarito dall’influenza doveva stare lontano dagli ospedali, sia per il suo bene che per quello dei pazienti.
E, d’accordo, Alex non aveva avuto l’influenza, evidentemente aveva preso solo freddo e aveva avuto un po’ di febbre, ma era ancora raffreddato e, in ogni caso, stare a casa un giorno in più non avrebbe potuto fargli che bene.
Il cantante la pensava esattamente all’opposto. Non era stato malato, Jack si faceva tanti problemi per un giorno di febbre neanche alta e Chris aveva bisogno di lui, quindi non capiva dove fosse il problema.
Stava semplicemente adempiendo ai suoi doveri di fratello maggiore.
Esitarono un momento e poi entrarono nella stanza, trovando Chris che smangiucchiava una banana e guardava fuori dalla finestra.
“Hey” esordì Alex, facendo voltare il fratello verso di loro con uno scatto.
“Finalmente” esalò il ragazzo. “Sto morendo di fame, è da ieri sera che non mangio nulla.”
“Ma se hai mangiato la pastina” ribatté Jack corrugando la fronte, capendo già dove voleva andare a parare.
“E tu lo chiami mangiare?” esalò Chris. “Qui si mangia da schifo, dovrebbero denunciare i cuochi! Che me ne faccio della pastina e di una banana, eh? Devo crescere, non deperire.”
Restarono per un attimo infinito tutti e tre in silenzio.
Jack si aspettava che Alex si avvicinasse al fratello e lo prendesse a sberle per via della faccia pesta che si ritrovava.
Alex si aspettava che Jack ribattesse qualcosa riguardo il cibo e ciò che il più piccolo si era mangiato la sera addietro.
Chris pensò che quei due fossero due idioti, se erano ancora impalati al loro posto e non erano corsi a comprargli del cibo degno di essere chiamato tale.
“Allora, volete lasciare che muoia di fame?” azzardò il minore dei fratelli Gaskarth dopo il silenzio, posando la banana sul comodino di fianco a sé.
“Non ci trovo nulla di male” commentò il maggiore con un sospiro, avvicinandosi al letto. “Dopotutto, te la sei cercata.”
Chris sbuffò. “Non ricominciamo con questa storia, per favore” disse in un sussurro strascicato, stancamente.
Alex lo guardò. Sembrava davvero messo male, poverino. Quegli occhi neri non mentivano, né il labbro gonfio o lo zigomo violaceo.
Provò pena per lui, che dopotutto aveva reagito istintivamente per difendere Jack e tutta la voglia di scaricargli addosso la sua frustrazione, in un attimo, gli passò, rimpiazzata dalla tenerezza di quel momento.
“Jack” chiamò il cantante piano, attirando l’attenzione del chitarrista che rovistava nella borsa che aveva portato a Chris. “Jack vai a prendergli la colazione, ti aspetto qui.”
“Non è che torno e lo trovo conciato peggio di adesso?” scherzò Barakat.
“Vai tranquillo” rispose Alex con un sorriso.
Alex avrebbe voluto chiedere e dire molte cose a suo fratello. Avrebbe voluto capire bene la sua reazione, farsi raccontare com’era andata, parlare di quella Wendy per cui si era preso una cotta, farsi dire come stava, come stava veramente.
Rimasero in silenzio parecchi secondi dopo l’affievolimento dei passi di Jack lungo il corridoio e Chris si decise ad aprire bocca solo quando si rese conto che non ce la faceva più.
“Will...” disse quasi in un bisbiglio.
“Mh?”
“Devo pisciare.”
“E?”
“Ahm...”
Alex alzò un sopracciglio, capendo e non capendo. Sapeva benissimo che suo fratello era messo parecchio male, malissimo, e Jack gli aveva detto che il ragazzino provava dolore a compiere qualunque movimento, ma gli aveva anche detto che si mostrava forte e cercava di fare tutto da solo per non darlo a vedere.
“Cosa?” chiese il cantante dopo un momento di silenzio.
“Ho qualche difficoltà a stare in piedi” borbottò Chris avvampando. “Ieri pomeriggio e ieri sera c’è stato Pete, quindi mi ha aiutato lui, ma adesso è a scuola...”
Alex gli sorrise e gli fece l’occhiolino. “Forza” gli disse prendendogli le mani per aiutarlo a mettersi seduto sul letto.
Gli mise le ciabatte ai piedi e lo aiutò a scendere e camminare fino al bagno sostenendolo sempre con un braccio attorno al corpo. Nonostante il pigiama sentiva tutti i lividi del fratello contro la pelle.
“Ti faccio male?” gli chiese mentre apriva la porta del bagno.
“Non potresti farne a meno” rispose secco Chris. “E poi preferisco questo allo strisciare o al catetere” aggiunse ironico, facendo ridacchiare il maggiore.
“Ti ho portato una crema per gli ematomi” asserì Alex sorreggendolo da dietro e guardando da un’altra parte mentre il più piccolo si abbassava i pantaloni del pigiama e i boxer per urinare. “È quella che usavamo durante la tournèe perché succedeva sempre che quando Jack si buttava sul pubblico, poi risaliva sul palco con degli ematomi da guerra.”
“Ma se nel vostro pubblico ci sono tutte femmine” se la rise Chris.
“Femmine con i controcoglioni, mica femminucce” specificò il maggiore dei due mentre l’altro si puliva e si ritirava su mutande e pantaloni. “Finito?” domandò e, vedendolo annuire, si voltò e gli disse di salire in spalla.
“Così poi finiamo a terra tutti e due, tu ti rovini il bel faccino del cazzo che ti ritrovi e io mi riduco ancora peggio di come sono ridotto ora” commentò Chris acido più che mai.
William sospirò, imponendosi di non rispondergli a tono. “Non sarò Zack, ma ce la faccio a tenerti” disse invece, chinandosi e aiutandolo a salirgli sulla schiena.
Era piuttosto leggero, in effetti.
“Pesi meno di Lea” commentò Alex camminando verso il letto.
“Non che ci voglia tanto a pesare meno di lei” rispose divertito Chris.
“Hey, sta benissimo come sta. Non voglio una figlia anoressica e fissata col numero che compare sulla bilancia quando ci sale sopra, grazie” disse il maggiore stizzito, lasciando delicatamente il fratello sul materasso con i piedi penzoloni nel vuoto.
“Scherzavo” si difese il più piccolo. “Come potrei offendere le guance della mia nipotina?”
Alex aprì bocca per rispondere, ma il sono tornato urlato da Jack in piedi in mezzo alla porta lo interruppe.
“Adesso lo sanno anche in geriatria, che sta tre piani più in basso” commentò il cantante sarcastico.
“Noioso” lo prese in giro il chitarrista. “Ti ho portato un cappuccino e un muffin al cioccolato” disse poi a Chris, andando verso di lui con una scatola tra le mani.
A Chris si illuminarono gli occhi, a quelle parole. Tirò verso di sé il comodino, prese la colazione dalle mani di Jack, la scartò e cominciò a strafogarsi senza dare più importanza a niente e nessuno che non fossero il suo muffin e il suo cappuccino.
“Mi ricorda qualcuno in fase di fame chimica” biascicò il chitarrista dopo un po’.
“Fottiti” replicò Alex secco senza guardarlo.
“Stasera sarai tu a farlo” concluse Jack, beccandosi un’occhiata oltraggiata dal marito.
Chris, così impegnato nel mangiare, non aveva udito nulla della breve conversazione tra suo fratello e Barakat. E non sentì nulla fino a che non si lasciò ricadere sul letto a stomaco pieno, quando Alex gli disse che gli avrebbe medicato i lividi con quella crema che gli aveva portato.
Il minore dei due pensò che il fratello doveva essere fatto a posta per rovinare i suoi momenti di pace e relax.
Non voleva mostrargli i lividi, che il giorno prima si era controllato bene con l’aiuto di Pete e Samantha e uno specchio.
Non voleva che Alex e Jack li vedessero, non voleva che sapessero di tutta la brutalità e la violenza gli erano state riservate. Non voleva esporsi così con loro due.
Però non replicò quando Alex gli sollevò la maglietta del pigiama, non disse nulla quando vide l’espressione rattristata e allo stesso tempo adirata del fratello, rimase immobile mentre gli spalmava addosso quella crema che subito cominciò a scaldarlo.
Jack rimase in disparte, osservando tutto in silenzio e pensando che davvero quel ragazzino le aveva prese perché lo aveva difeso.
“Togliti la maglietta” ordinò il cantante dopo un po’ al più piccolo.
“Cosa?”
“Voglio vedere anche le braccia e la schiena” spiegò Alex.
“Aiutami” borbottò Chris alzando le braccia.
Il maggiore gli sfilò la maglia e osservò le braccia. Lì non c’erano grosse lesioni, a parte alcune lievi che dovevano essergli state inflitte per tenerlo fermo. Dopo avergli spalmato la crema anche su quei lembi di pelle lo aiutò a distendersi a pancia in giù.
Trattenne il respiro.
C’era un livido enorme che partiva dalla metà della scapola destra e percorreva la parte destra della spina dorsale fin quasi alla fine di essa.
Una cosa spaventosa, una turbolenza nera e viola che fece venire i brividi sia ad Alex che a Jack.
Doveva fare un male incredibile.
Non appena il cantante posò due dita imbevute di crema sulla pelle del fratello, Chris emise un lamento di dolore.
“Scusa” disse in fretta il maggiore e, cercando di essere il più delicato possibile, spalmò la crema sul livido con estrema cura.
Chris aprì gli occhi solo alla fine del tutto, quando Jack lo aiutò a mettersi seduto e vide Wendy trafelata sulla porta con un pacchetto tra le mani.








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Avete capito come funziona, no? Scompaio per un po', poi sento la mancanza di Chris e torno a scrivere di lui.
In questo capitolo abbiamo un po' i due fratellini vicini. Tanto amore.
Spero che non mi abbiate abbandonata per questa assenza. Non odiatemi, capite anche che in questo periodo ho 284387439 cose da studiare D:
Grazie a tutti quelli che seguono questa long, un abbraccio a tutti,
Echelon_Sun

 

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Capitolo 11
*** ***


Rimasero immobili per un lungo momento tutti e quattro. La ragazza con i capelli rossi scompigliati sulla testa, Jack e Alex che riflettevano che quella doveva essere Wendy, quella Wendy, e Chris che non riusciva a pensare nulla di intelligente da dire o da fare.
“Ciao” disse Jack, rompendo il silenzio, sfoderando un largo sorriso.
Wendy sorrise di rimando, scoprendo due fossette profonde nelle guance. “’Giorno” abbozzò entrando nella stanza con passo lento. “Come sta il pestato?”
Chris si riscosse, imponendosi di smetterla di fissarla come se fosse qualcosa di inumano per i suoi occhi. “Meglio, grazie. Tu come stai?”
Non appena chiuse la bocca, si diede dell’idiota. Quando era ubriaco gli veniva assai più facile parlare alle ragazze, sia a quelle che conosceva che a quelle sconosciute con le quinte di seno.
Invece essere lì di fronte a Wendy, che gli piaceva, lo rendeva più impacciato che mai.
“Bene” rispose lei. “Sono passata a salutarti...”
Jack lanciò uno sguardo d’intesa ad Alex, che annuì svelto. La situazione era già abbastanza imbarazzante senza che ci fossero loro due presenti, quindi decisero di lasciare soli i due ragazzini.
“Chris” chiamò il maggiore dei due fratelli, “io e Jack andiamo. Torniamo più tardi, se ti serve qualcosa, qualsiasi cosa, chiama.”
Il minore annuì e li salutò con la mano, felice di restare solo con Wendy.
Non sapeva bene cosa dirle, a dire il vero. Più che altro avrebbe voluto baciarla e stringerla a sé, ma si rese conto che prima di tutto dovevano pur avere una sorta di conversazione.
“Cos’è?” domandò lui a lei, indicandole con un dito il pacchetto azzurro che teneva tra le mani scarne.
“Oh, è per te” gli disse lei arrossendo appena e porgendoglielo. “Spero ti piaccia” continuò mentre lui li afferrava e cominciava a scartarlo in fretta, “ma sappi che è solo un pensiero, niente di...”
“Lo adoro” esalò lui, interrompendola, alzando il cd in alto per osservarlo bene. “Dove lo hai preso? Io l’ho cercato ovunque ma non l’ho mai trovato!”
“Beh lo avevo ordinato su internet un paio di anni fa, ma poi mi sono trasferita nel nuovo appartamento e l’ho perso” iniziò a spiegare lei. “Così mia madre me lo ha riordinato sullo stesso sito di due anni fa, ed è arrivato a casa il giorno prima che io ritrovassi l’altro. Ne avevo due e mi fa piacere il fatto che tu ora ne abbia uno.”
Parlò quasi senza staccare le parole, Wendy, avvampando sempre di più. Aveva previsto quella domanda e si era già preparata il discorso a casa.
I Brought You My Bullets, You Brought Me Your Love dei My Chemical Romance stava sul lenzuolo sulle cosce di Chris.
Wendy gli aveva regalato uno dei suoi cd preferiti.
“Ti piace?”
“È il regalo migliore che io abbia mai ricevuto.”
Chris le parlò guardandola dritto negli occhi azzurri, sprofondandoci dentro senza timore. Pensò che quegli occhi avrebbero potuto salvarlo da qualsiasi afflizione.
“Siediti” le disse dolcemente, spostandosi da un lato per farle posto nel letto.
Lei non se lo lasciò ripetere due volte e sedette al suo fianco, posò le spalle contro il materasso e subito cercò la sua mano.
Chris le piaceva da tantissimo tempo, da ben prima che si ritrovasse a baciarlo alla festa di compleanno di Grace Smith.
Rimasero immobili, mano nella mano, per qualche istante, poi Gaskarth si decise a parlare. “Ho saputo che hai litigato con il preside...”
“Già” lo interruppe lei sorridendo. “Ho fatto una scenata epocale perché volevo accompagnarti sull’ambulanza.”
Lui ghignò appena. “Ti ringrazio” le disse sinceramente riconoscente. “Davvero, Wendy, ti ringrazio di tutto. Per la scenata, per essermi stata vicina dopo il pestaggio, per essere qui adesso...” mentre parlava, Chris pensò che quello era orario scolastico. “Ma tu non dovresti essere a scuola?” quasi gridò.
Lei annuì. “Oggi avremmo avuto due ore di biologia e farle senza di te seduto alla fila dietro la mia non sarebbe stato lo stesso, quindi eccomi qui.”
Chris senza pensare, senza badare a ma e se, voltò lo sguardo verso di lei e premette le labbra contro le sue. Wendy spalancò un momento gli occhi, ma poi si rilassò e si abbandonò al bacio.
Fu un bacio ben diverso dal primo, che era stato voglioso e dal sapore di alcol. Fu un bacio dolce e romantico, che si diedero sciogliendo piano piano le dita intrecciate sul lenzuolo per passarsele tra i capelli e sul viso e sulle braccia e sui lividi.
Quando si divisero, Chris le avvolse la guancia con una mano e le posò il pollice sotto l’occhio, sulle lentiggini chiare. Era bellissima. E lui doveva sembrare un mostro, in quel momento, con il viso pieno di botte e il labbro gonfio.
Eppure lei era lì, di fianco a lui, bellissima e sorridente. Felice. Con lui che era un ragazzino ribelle che s’era fatto picchiare per una stupida frase detta da un idiota senza cervello al marito di suo fratello.
Lei era lì per lui.
Chris se lo urlò nella testa, se lo disse a pieni polmoni dentro di sé e abbandonò la sua fronte contro quella di Wendy.
“Chris...”
“Mh?”
“Giuri di non prendermi in giro se ti confesso una cosa?” chiese lei con un filo di voce.
Lui annuì, staccando la fronte da quella di lei per guardarla meglio in faccia. La vide fremere per un momento.
“Tu...” cominciò lei abbassando lo sguardo, incapace di reggere gli occhi profondi dell’altro. “Tu mi piaci dal primo giorno che ti ho visto.”
Chris aprì bocca per rispondere ma la richiuse subito, non sapendo bene cosa rispondere. Avrebbe voluto ringraziarla e dirle che non lo meritava, che lui in realtà era un disastro, nulla di buono, e che lei avrebbe dovuto aspirare a qualcuno di superiore.
“Tu sei sempre stata un mistero, per me” disse invece. “Ti vedevo sempre tra le nuvole, mai interessata alla lezione, con quell’agenda tra le mani tutta scritta... molte volte ho desiderato leggere le tue parole, Wendy... e poi ci siamo baciati, dopo quel bacio non ho potuto fare a meno di pensare a te. Non riuscivo a togliermi di dosso i tuoi occhi, il sapore delle tue labbra...”
La ragazza non lo lasciò finire, ben sapendo che se avesse continuato a parlare in quel modo avrebbe cominciato a piangere. Le faceva sempre un certo effetto sentirsi dire cose così belle, dato che non ci era abituata.
Non lo lasciò finire prendendogli la testa tra le mani e baciandolo.
Sarebbe potuto durare per sempre quel momento e tutto sarebbe stato perfetto. Persino il dolore dei lividi sembrò offuscarsi per la durata di quel bacio. Persino il dolore di una vita scombussolata e frenetica.
Era una mattinata di sole, quella, una di quelle che lassù nel Maryland non si vedevano tutti i giorni. Era una mattinata senza scuola, dopo la colazione e con l’amore nascente proprio lì davanti ai loro occhi gonfi di splendore.
E loro due non lo sapevano ancora, e non avrebbero potuto saperlo, ma quella giornata aveva fatto sì che fosse oltrepassato il limite del rapporto sempre più stretto tra i due. Perché non ci può guardare tanto da vicino negli occhi, rischiando quasi di annegarci dentro, senza innamorarsi.
Chris lo capì subito che tra loro due avrebbe funzionato. Almeno per un po’, perlomeno all’inizio, sarebbe andato tutto bene. Forse poi ci sarebbero stati alti e bassi, forse troppi bassi e pochi picchi di alti, ma almeno nell’immediato futuro avrebbe funzionato.
Wendy, più timorosa e meno abituata dalla vita a vedersi regalare felicità gratuita, stentò a credere a loro due in quella mattina. Come se Chris fosse lì come un miraggio, come se fosse sempre irraggiungibile.
Poi si sarebbe ricreduta, certo, ma in quel momento quasi non le sembrò vero che tutto stesse accadendo proprio a lei.
Rimasero su quel letto, stesi uno di fianco all’altro, spalla contro spalla, mano nella mano, fino a che un’infermiera non arrivò a portare il pranzo al ragazzo, rifilando una scenata epocale riguardo l’orario di visita.
Wendy lasciò Chris con la promessa di rivedersi al più presto. Chris la vide andare via con occhi nuovi, osservandole quelle spalle piccole come se non ci fosse nulla di meglio al mondo, come se da un momento all’altro potesse vederle delle ali candide spuntare tra le scapole.
Non appena lei scomparve alla sua vista, lui afferrò il cellulare e inviò un messaggio ad Alex, Jack, Rian e Zack. Wendy, run away with me. I know I sound crazy, don't you see what you do to me. I want to be your lost boy.
Sapeva che avrebbero capito.
Poi ne inviò un altro a Samantha e Pete. Sono sulla buona strada per vincere la scommessa.
Sapeva che avrebbero capito anche loro.















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Chi non muore si rivede, no?
Sono tornata con questo nuovo capitolo sdolcinato come non mai. Finalmente Chris e Wendy hanno compiuto il passo e boh, da adesso ho più chiaro nella mente come procedere quindi, se la scuola non mi risucchierà tra le sue grinfie, potrei anche aggiornare più spesso!
Come sempre mi fa piacere se mi recensite, colgo l'occasione per ringraziare tutte le persone che seguono questa roba e vi abbraccio tutti.
Echelon_Sun

 

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Capitolo 12
*** ***


Era stato strano tornare a scuola, avere addosso gli sguardi di tutti ancor più del solito. Ci era sempre stato abituato, Chris, a essere osservato. Non è che fosse proprio facile passare inosservati essendo il fratello minore di Alex Gaskarth, insomma, ma il primo giorno in cui era rientrato a scuola dopo tre giorni di ospedale e una settimana a casa era stato ancora peggio.
Chris si era sentito come se stesse camminando sotto una lente di ingrandimento.
E, benché Wendy, Sam e Pete non lo avessero lasciato solo neanche per un istante e avessero fronteggiato ogni sguardo dei compagni, Chris si era sentito tremendamente imbarazzato e in soggezione.
Non si era di certo aspettato indifferenza totale da parte dei ragazzi della scuola, ma neanche che fossero tanto spudorati nel guardarlo.
Pete gli aveva detto che durante i suoi giorni di assenza si era parlato molto del pestaggio e che il gruppo di bulli che lo avevano picchiato era stato sospeso per quattro giorni.
La cosa non aveva fatto altro che mettere ancora più ansia addosso Chris, che aveva temuto che potessero fargliela pagare. In realtà, poi, i bulli non lo avevano calcolato affatto, non gli avevano lanciato neanche uno sguardo, come se fosse invisibile ai loro occhi.
Questa era stata una cosa positiva, ma non la sola. Infatti lui e Wendy si erano fidanzati, per la gioia di Samantha e di Alex, e da quel momento entrambi sembravano aver ritrovato lucentezza nello sguardo.
L’estate, intanto, si avvicinava. Ormai era maggio e a Baltimora si cominciava a sentire il primo caldo dell’anno. A scuola i tempi si restringevano, tutti studiavano di più e frequentavano di più. Persino Chris passava molto più tempo chino sui libri, ben sapendo che se si fosse fatto bocciare avrebbe perso la fiducia guadagnata in quel mese e mezzo passato tranquillo tra pomeriggi con Wendy e serate con solo un drink tra le mani.
Era già passato un mese e mezzo di relazione con Wendy. Esatto, proprio il ragazzino disadattato era riuscito a trovare una fidanzata dolce e timida che sembrava un po’ essere il suo opposto, il lato del suo carattere pacato e romantico tenuto nascosto. Wendy e Chris sembravano compensarsi.
Era stato un mese e mezzo di quiete, quello. Un mese e mezzo pieno di pomeriggi soleggiati trascorsi su una panchina con un gelato tra le mani e un libro di scuola sulle gambe. Un mese e mezzo di mani nelle mani sotto i tavoli della mensa scolastica, di baci rubati prima di entrare a scuola o appena usciti, di sguardi infinitamente lunghi durante le ore di biologia.
Era stato un mese e mezzo che Chris, prima della relazione con Wendy, non si sarebbe mai aspettato, tantomeno avrebbe voluto. Eppure, se ne rendeva perfettamente conto, non avrebbe barattato nessun sorriso della fidanzata con venti bottiglie di vodka.
Chris, tra l’altro, aveva quasi vinto la scommessa con Sam, mentre Pete l’aveva persa, non essendo riuscito a mantenere la ragazza che aveva trovato neanche per due settimane.
Tutto sembrava essersi messo a posto, tutti i tasselli di un enorme e invisibile puzzle parevano essersi incastrati alla perfezione una volta per tutte.
Eppure, è ben noto, quando c’è troppo silenzio ci si deve preparare all’arrivo di una tempesta. E una di quelle forti, s’intende.
Era una serata tranquilla, quella, o almeno sembrava tale. Samantha e la sua fidanzata se ne stavano tranquille sedute una accanto all’altra con le gambe penzoloni a pochi centimetri dall’acqua scura del porto. Pete e Chris bevevano birra poco distanti, in piedi uno di fronte all’altro chiacchierando del più e del meno in attesa di Wendy.
Wendy era sempre in ritardo, Chris aveva imparato presto questa sua caratteristica. Anche quando era pronta, c’era sempre qualcosa che aveva dimenticato di fare e quindi perdeva altro tempo. Era assurda e, in qualche modo altrettanto assurdo, al fidanzato piaceva questo suo essere una ritardataria cronica.
Era una serata tranquilla ma accadde quello che non si sarebbe potuto evitare.
Marcus, il capo della banda di bulli del liceo, passò loro davanti con una sigaretta tra le labbra e l’aria strafottente. Probabilmente, col buio, non li aveva riconosciuti e non lo avrebbe comunque fatto se Pete non gli avesse cominciato a urlare contro.
Chris cercò di trattenere il suo amico. Davvero. Si aggrappò alle spalle di Pete, gli tenne ferme le braccia, tentò di trascinarlo via, ma nulla fu sufficiente.
Prima ancora che Sam e la fidanzata potessero capire effettivamente cosa stava succedendo, Pete e Marcus si stavano picchiando.
E non picchiando come i bulli avevano fatto con Chris. No. Molto peggio.
Chris non perse tempo e si gettò nella mischia, tentando di dividere i due.
“Vattene, idiota” gli gridò Pete allontanandolo con una manata in pieno petto.
C’erano pochissimi lampioni, laggiù nel posto più cupo del porto, dove di solito attraccavano le barche di piccole dimensioni che se ci saliva uno con qualche chilo di troppo le sfondava. C’erano pochissimi lampioni e la buona metà non funzionava.
Sam andò a chiamare aiuto e, mentre Chris si beccava una gomitata nello stomaco e Marcus un pugno sul naso, una signora chiamò la polizia.
C’era sangue sull’asfalto quando gli agenti arrivarono a sirene spiegate.
Trovarono due ragazzi sfiniti che si picchiavano e uno, così mingherlino che sembrava dover essere spazzato via da una folata di vento da un momento all’altro, che con una mano si reggeva lo stomaco e con l’altra tirava la maglietta di uno dei degli altri due affinché lasciasse andare l’altro.
Non badarono a nulla, quando li divisero, li sollevarono in piedi di peso e li ammanettarono. Non badarono né al sangue sui loro visi né alla rabbia di quel mingherlino che cominciò a scalciare e a dimenarsi fino a che un poliziotto lo costrinse contro il portabagagli dell’auto e gli mise le manette ai polsi.
 
La telefonata giunse alle due meno sette minuti.
Alex scattò a sedere nel letto e diede una manata al marito blaterando il telefono, squilla il telefono, rispondi, Jack rotolò su un fianco, afferrò la cornetta e ci biascicò dentro un lamento assonnato.
“Salve, polizia di Stato, lei è il signor Gaskarth?” domandò l’agente dall’altro capo.
“Sono il marito” disse il chitarrista tirandosi a sedere ed evitando lo sguardo del cantante.
“D’accordo. Volevamo comunicare che Chris Gaskarth è stato arrestato in seguito a una rissa. Essendo un minore non avremmo dovuto portarlo in centrale, però il ragazzo ha già dei precedenti...” Jack udì chiaramente il poliziotto sospirare. “Domani a mezzogiorno potete venire a prenderlo.”
A Jack si ghiacciò il sangue nelle vene. Alex avrebbe dato fuori di matto.
“Co-come sta?” chiese cercando sul lenzuolo la mano del marito per stringerla nella sua.
“È quello che sta meglio dei tre ragazzi che abbiamo arrestato, incredibilmente tutti e tre con precedenti penali” rispose l’agente. “Dal punto di vista fisico intendo, perché sotto il punto di vista morale è quello ridotto peggio.”
Jack si morse il labbro con forza. “Va bene, grazie agente” si costrinse a dire, col tono di voce più distaccato possibile.
“Buonanotte.”
Il chitarrista appese e poi si voltò a guardare Alex, che lo stava fissando con gli occhi spalancati dal terrore e le labbra socchiuse.
“Era la polizia” disse il cantante. Non era una domanda, ma un’affermazione.
“Hanno arrestato Chris” spiegò Jack, stringendogli più forte la mano. “Per rissa” aggiunse subito dopo. “Il poliziotto mi ha detto che non si è fatto troppo male. Domani a mezzogiorno andiamo a prenderlo.”
Alex annuì con la testa, incapace di spiccicare una sola parola.
Si era illuso che sarebbe andata meglio con Chris. Dopo quel mese e mezzo di tranquillità aveva pensato che, forse, suo fratello era cambiato e non si sarebbe più messo nei casini.
Ma, ovviamente, si era sbagliato.
Era un illuso. Uno stupido che aveva abbassato la guardia troppo presto e, non appena lo aveva fatto, era stato preso alla sprovvista.
Avrebbe dovuto immaginare che Chris ne avrebbe combinata un’altra delle sue, dopotutto. Non avrebbe dovuto lasciarsi crogiolare in quel mese e mezzo in cui se n’era stato buono con la fidanzata senza tornare a casa ubriaco neanche una sera e senza scappare di casa.
Conosceva suo fratello e avrebbe dovuto sapere che non sarebbe rimasto buono e calmo a tempo indeterminato.
Tra l’altro, questa volta ne aveva combinata una ancora più grossa del solito.
Era stato riportato a casa dai poliziotti già altre volte e una volta era stato portato anche alla centrale di polizia, ma all’arresto non ci era mai arrivato. Aveva solo diciassette anni, dopotutto, ma evidentemente questa volta proprio non avevano potuto evitare di sbatterlo in una cella.
Mentre Jack lo stringeva a sé e lo cullava dolcemente, Alex si figurò suo fratello, con il viso pieno di lividi e le guance bagnate di lacrime, seduto a terra contro un muro al buio di una prigione.
Pensò ai suoi genitori e al dolore che avrebbero provato la mattina quando li avrebbe chiamati e avrebbe detto loro cosa aveva combinato il loro ultimo figlio.
Non faceva altro che dar loro sofferenze, Chris.
Non faceva altro che rovinarsi la vita, trasportando nel suo turbine di rabbia e ribellione tutti quelli che gli erano vicini, rovinando le vite di costoro a loro volta.
“Jack...” borbottò Alex dopo un po’, afferrando un lembo della maglietta del pigiama del marito con fare nervoso.
“Lex” lo chiamò Jack accarezzandogli la testa. “Lex, hey, guardami...”
Alex scosse con forza il capo, e abbassò ancora di più lo sguardo per evitare quello del chitarrista.
“Lo ammazzo sul serio questa volta, giuro che lo faccio” blaterò il cantante tremando contro il corpo dell’altro. “Ho sopportato fin troppo, tutti abbiamo sofferto a causa sua e questa volta...”
“Non ammazzerai proprio nessuno” lo bloccò Barakat. “Andrà tutto bene, ci sono io con te. Domani andiamo a riprenderlo e pensiamo a come agire” cercò di consolarlo. “Adesso dormiamo” aggiunse subito dopo stendendosi nel letto senza mai lasciarlo andare. “Cerca di rilassarti, pensiamo a tutto domani.”





















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Al posto di studiare storia dell'Arte sono qui ad aggiornare, quindi pretendo delle recensioni.
...a parte questo, spero che il capitolo vi piaccia anche se non mi convince moltissimo. Purtroppo in questo periodo sto sudiando moltissimo e ho poco tempo anche per accendere il pc LOL
In ogni caso, vi ringrazio se ancora non avete abbandonato questo frutto della mia mente malata.
Echelon_Sun

 

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