Racconti perduti della Terra di Mezzo

di fraviaggiaincubi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La nascita del male ***
Capitolo 2: *** Un anello per domarli ***
Capitolo 3: *** La mia stirpe perduta ***
Capitolo 4: *** Il luogotenente di Sauron ***
Capitolo 5: *** La mia stella mortale ***
Capitolo 6: *** Chi è lui per me ***



Capitolo 1
*** La nascita del male ***


IL SIGNORE DEGLI ANELLI
 
La nascita del male
 
Attenzione: la storia qui narrata è di mia pura invenzione e narra del passato dello stregone dei Nazgul. Non si basa su scritti o fonti certe di Tolkien, ma di pura fantasia su come possa essere stato la prima parte della nascita del capo dei nove.
Spero apprezzerete comunque, buona lettura;)
 
   Era sempre stato il più potente, il migliore, il più temuto. Mai uomo sulla terra aveva potuto eguagliare la sua nobile stirpe e quando aveva ottenuto il suo posto tra gli stregoni, aveva capito chi era veramente.
   Con il passare delle ere il suo nome venne dimenticato, ma ancora oggi si sussurra della sua potenza al tempo dell’era di Sauron e dell’anello, ma questo avvenne in un futuro lontano e il giorno in cui venne bandito ancora doveva essere deciso quell’intricato destino, vittima di una delle ere più buie della Terra di Mezzo.
   L’esilio dalla cerchia degli stregoni si perde tra le pieghe del tempo, ma nessuno di coloro che assistettero  dimenticò mai la figura dello stregone ritta agli immensi cancelli della fortezza, pronto a forgiare il futuro della Terra di Mezzo da quel fatidico attimo il cui le parole della sua condanna scoccarono la freccia che diede inizio al futuro oggi conosciuto.
      “Portatore di magia oscura, sei bandito dall’ordine degli stregoni”. La voce di Saruman il bianco attraversò l’aria carica di elettricità e lo stregone rizzò la testa, come se le sue parole lo avessero colpito fisicamente.
   “Con quale accusa?”sibilò e nella sua voce emerse tutta la furia per quell’affronto. Al tempo della sua nascita per anni aveva sopportato all’ombra del padre un’esistenza vuota e mortale. Era nato da una delle stirpi più nobili di re della Terra di Mezzo, ma fin da piccolo aveva capito che il suo nobile lignaggio non sarebbe bastato. A quei tempi i regni governati dal padre avevano dimenticato cos’era il potere di un re e il suo governo era debole e fiacco.
   “Non basta avere un esercito e il titolo di re!”gli urlava contro mentre il padre beveva fiumi di vino per annegare i suoi fallimenti contro i popoli in rivolta, ma nessuno ascoltava la voce di un giovane principe che non avrebbe mai avuto un trono. Il popolo decideva e il popolo aveva scelto di distruggere quel re corrotto che li governava e così avvenne, ma la notte in cui la famiglia reale venne trucidata il giovane principe era lontano e nella sua mente sussurrava la magia nera che aveva appreso da libri proibiti creduti perduti, forgiata da ambizione e qualcosa di oscuro e strisciante, insito nell’animo umano come le bestie, in attesa che qualcosa le risvegli.
   Anni di studi e solitudine, senza patria, affetto e dimora e finalmente l’ambito sogno di entrare nella cerchia degli stregoni si realizzò. Era quello il suo posto, ma non come un semplice stregone. La sua ambizione era stata forgiata da solitudine e antiche scritture oscure e gli occhi dello stregone puntavano al posto di Saruman il bianco, capo della congrega.
   “Sarò io a governare.” erano state le sue parole ad una riunione del consiglio e il loro impatto aveva scatenato emozioni diverse nei fratelli del cerchio: Radagast il bruno aveva semplicemente sbuffato, troppo impegnato a curare la natura a cui si era convertito e i due stregoni blu non avevano espresso interesse, apatici come pesci senza lisca al contrario di Gandalf il grigio, i cui occhi avevano espresso sdegno e paura, come se potesse avvertire l’oscurità dell’anima del giovane stregone di cui nessuno conosceva le origini.
    “Da dove vieni? E qual è il tuo nome?” aveva provato gentilmente a domandargli Gandalf, ma lo stregone lo aveva fissato con astio senza pronunciare parola. Era alto, pallido e con freddi occhi neri che uniti ad un passato ignoto lo avevano reso subito sospetto allo stregone grigio, ma Saruman aveva liquidato i suoi dubbi. “E’ forte e ha grandi poteri, se non vuole dirci il suo nome e da dove viene tanto meglio, uno in meno da ricordare come si chiama.”
   Uno sbaglio poco saggio quello, quasi come accettare quell’ignota figura dal passato nascosto e alla fine, ad uno dei tanti consigli, lo stregone aveva rivelato la sua natura.
   “Non accetterò un no come risposta”. Era con quelle parole che aveva attaccato Saruman il bianco ed era stato allora che la sua natura si era rivelata. Il mantello grigio si era tinto del nero più freddo che la terra conoscesse e la magia oscura si era sprigionata dalle sue vene diretta contro lo stregone bianco, ma era destinata a soccombere di fronte alla potenza di Saruman.
   “Devi essere uno stregone puro per poter sconfiggere uno come me”. Saruman osservò con soddisfazione lo stregone nero a terra e con uno schioccò gli spezzò il bastone. “Sei bandito da questa congrega, portatore di magia oscura.” aveva ordinato con arroganza e così era stato. Ritto ai cancelli da dove era stato condannato lo stregone si era voltato, il viso rigido dall’ira, le iridi accese di vendetta. “Non finisce qui.”era stata la minaccia, sussurrata come un malsano alito di vento e poi si era allontanato, avvolto dalle vesti nere con cui mostrava la natura a cui si era convertito dal suo lontano passato mortale e per molti secoli nessuno seppe nulla di lui, fino a quando forze più potenti non ne forgiarono la crudele fama portandolo alle vette del potere, prima di serrarlo per sempre con catene impossibili da spezzare.
   E l’era oscura della Terra di Mezzo iniziò.
 
 
 
 
 

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Capitolo 2
*** Un anello per domarli ***


IL SIGNORE DEGLI ANELLI
 
Un anello per domarli
 
Attenzione: la storia qui narrata è di mia pura invenzione e narra del passato dello stregone dei Nazgul. Non si basa su scritti o fonti certe di Tolkien, ma di pura fantasia su come possa essere stato la seconda parte della nascita del capo dei nove.
Spero apprezzerete comunque, buona lettura;)
 
   Il suo dominio cresceva potente, allungava gli artigli come una bestia crudele e man mano che la magia oscura veniva scovata e divorata dalla sua mente in una malsana simbiosi di malate origini, lo stregone perdeva la sua odiata vita umana per diventare qualcosa che non era uno stregone puro, ma neanche un umano dedito alle arti oscure.
   Un tempo era figlio di un re umano di uno dei tanti regni della terra di Mezzo, poi era diventato uno stregone, carne umana intrisa di oscure parole e arcana magia, ma nemmeno lì era stato accettato e alla fine si era relegato nella sua dimora, la misteriosa Gol Undur. Una fortezza costruita interamente di mattoni neri e pinnacoli che graffiavano il cielo con la loro presenza, un luogo in cui lui era signore e padrone di terrore e tirannia per tutti i popoli della Terra di Mezzo che osassero sfidare la sua volontà.
   Amava quel palazzo contorto che feriva gli occhi e racchiudeva la sua figura e spesso lo stregone di Gol Undur, come veniva chiamato nei sussurri della gente, soleva passeggiare per quelle ampie sale forgiate dalla sua mente, il rumore dei suoi passi come sola compagnia oltre i servi plasmati dalla magia oscura e il lungo vestito nero con il mantello di seta a scivolare dietro di lui sui pavimenti di marmo nero, la sua figura slanciata a esaltarne il pallore innaturale della pelle e il luccicare della corona appuntita sulla testa.
   E fu così che lo trovò lui. Si faceva chiamare il Negromante e come per lo stregone, si era persa la sua origine nelle pieghe del tempo. Nemmeno il suo aspetto era più ricordato come la sua razza, ma lo stregone non ci fece caso quando gli permise di entrare nei suoi domini, accogliendolo seduto sul suo trono.
   “Chi sei che osi entrare nel mio regno?” domandò lo stregone fissando dall’alto la misteriosa figura ammantata di nero, a malapena distinguibile il volto. Se fosse stato conscio che presto sarebbe stato lui inginocchiato ai suoi piedi forse non avrebbe permesso al Negromante di parlare.
   “La mia terra è lontana e ho viaggiato molto per incontrare lo stregone di Gol Undur, la fortezza nera.” risuonò la voce del Negromante e lo stregone la ascoltò affascinato. Era come una densa cascata di miele alle sue orecchie perché dentro sussurrava la magia oscura così densa da far fatica persino ad essere ascoltata da lui, che ne era pregno e avvolto come brina sulle foglie.
   “Dimmi come puoi possedere tale potere senza esserne consumato come me.” rispose lo stregone scendendo in un fruscio dal trono per sfiorare quella presenza che gli incendiava le pupille come il più dolce dei nettari. “Come racchiudi così tanto potere oscuro tu che ai miei occhi non sei corrotto.” sussurrò sfiorando le labbra del Negromante in una muta preghiera a parlare ancora quella lingua intrisa di magia nera, presto conosciuta come la lingua di Mordor.
   Il Negromante rise e lo stregone venne avvolto da quel dissetante potere che lui anelava avere. “Semplice, io uso uno di questi”. Gli porse un anello, un semplice intreccio di argento elfico, ma appena lo stregone lo toccò, la sua pelle pallida si accese di roventi sussurri neri e il suo cuore si strinse nella morsa del potere, avvizzito da superbia e ceca avidità.
   “Lo brami?” chiese quella voce densa come dolce nettare e lo stregone serrò le dita su di esso. “Ti chiedo solo di governare sotto il mio potere e potrai averlo assieme a questi otto. Allora il tuo potere sarà immenso su tutta la terra secondo solo al mio.”
   Lo stregone osservò gli altri otto anelli che il Negromante gli porse e l’avidità cieca della sua natura umana, seppellita in lui, si risvegliò. Era proprio la natura umana che lo aveva portato a corrompere le sue carni e la sua anima per il potere e fu quella a incatenarlo per sempre a colui che sarebbe diventato il signore di Mordor, la piaga della Terra di Mezzo.
   Senza esitare lo stregone convocò i re dei regni e diede loro gli anelli promettendo potere a patto che dessero obbedienza al Negromante. La stessa cieca avidità umana li corrompeva ed essi accettarono e fu allora che il Negromante, detto poi Sauron, forgiò tre anelli per gli elfi e sette per i nani. Potere che essi accettarono fino a quando scoprirono l’inganno: Sauron creò l’Unico, un anello di puro oro e potere da lui custodito per poterli legare tutti a sé. Una catena di potere, crudeltà e desiderio di comandare il mondo che irretì totalmente solo i nove anelli dello stregone e dei re, costringendoli a consumarsi nel corpo e a vagare come spettri al suo eterno servizio, arsi dal desiderio per l’Unico, catena delle loro menti.
   “Bramavi il potere e ora lo hai.” derise lo stregone Sauron, osservando il pallido spettro del suo essere al suo servizio.
   Con il tempo Mordor era cresciuta e si era estesa e la guerra contro i popoli liberi della Terra di Mezzo iniziata e i nove, chiamati poi Nazgul e guidati dallo stregone di Gol Undur, suo più fedeli servi. Lo stregone si trovava ora al cospetto di Sauron, seduto sul suo trono, l’Unico anello al dito come un cerchio di oro fuso riflesso nelle pupille dei nove spettri. La loro natura li costringeva a indossare mantelli neri che lasciavano un buco nero dove avrebbe dovuto trovarsi il volto e placche metalliche sulle mani. La loro presenza era velenosa e il terrore negli uomini grande quando cavalcavano destrieri di Mordor creati appositamente per loro in battaglia.
   I nove bramavano l’Unico e anche in quel momento, i loro respiri ansimanti chiedevano di poter sfiorare quel metallo doro, anche solo per un istante, desiderosi di poter saziare la loro fame. Era come una sete che ardeva dentro di loro, avvertivano l’anello in qualsiasi momento e non poterlo avere era come strappare loro il respiro.
   “La prego.” gemette lo stregone dei Nazgul artigliando il marmo del pavimento con gli artigli metallici. L’anello lo chiamava con sussurri mielati e il desiderio piegava i loro corpi avvolti dal mantello come polle di acqua sotto il sole. La sua presenza così vicina spezzava la loro volontà come rami in una tempesta e il luccicare invitante dell’anello era una lenta tortura che portava all’agonia, ma Sauron sorrise sadico. “Distruggete l’esercito nemico e portate la Terra di Mezzo sotto il mio pieno controllo e potrete averlo.”ordinò soddisfatto dei suoi servi più fedeli. A quelle parole un grido lacerante come lo stridere di artigli sulla roccia proruppe dai Nazgul e gli spettri si lanciarono fuori in un turbine di distruzione e morte.
   Solo sul trono Sauron proruppe in una risata e si preparò a scendere in battaglia. Non sapeva che quel giorno Isindur, l’erede al trono di Gondor, avrebbe distrutto il suo regno decretando poi con le sue azioni il futuro della Terra di Mezzo.
 
 
 

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Capitolo 3
*** La mia stirpe perduta ***


IL SIGNORE DEGLI ANELLI
 
La mia stirpe perduta
 
Attenzione: la storia qui narrata è di mia pura invenzione e narra del primo incontro tra Aragorn e i Nazgul. Non si basa su scritti o fonti certe di Tolkien, ma di pura fantasia su come possa essere stato la prima volta che Aragorn ha visto cosa rimane dei re della sua stirpe dopo la consumazione dei nove anelli.
Spero apprezzerete comunque, buona lettura;)
 
   La prima volta che li vidi era da molto tempo che avevo convertito la mia vita al vagare senza meta. Della mia famiglia avevo solo i ricordi, della mia stirpe un sangue corrotto che risaliva a molto prima che Isindur strappasse l’anello a Sauron rimanendone soggiogato.
   Il dominio di Sauron si basava sulla debolezza umana, aggrappata al potere come un fungo al terreno e come lui ne conservava il marcio stampo anche su di me, non serviva che mi mettessi alla prova, sapevo bene che se avessi trovato l’anello o fossi stato al posto del mio antenato, avrei fatto lo stesso.
   Non potevo reclamare il trono, non io, non ne ero degno. Isindur ne aveva infangato il nome trascinando con sé l’intera stirpe nella vergogna e condannando l’umanità contro la guerra di Mordor, perché io avrei dovuto avere la superbia di salire su quel trono? Meglio lasciare che la mia mente vagasse come i miei piedi. Un ramingo ero e un ramingo sarei rimasto, figlio di una figlia della stirpe del Dunedain e di un uomo, destinato a vivere a lungo senza patria e legami.
   Avevo fatto una scelta ed era l’esilio. Era stato dopo aver scoperto chi ero dal mio mentore e benefattore re Elrond di Gran Burrone, il re degli elfi che mi aveva allevato dopo la morte di mio padre per mano degli Orchi e la scomparsa di mia madre, tornata alle sue terre.
   “Sei destinato a regnare Aragorn, sei la speranza che rinasce dalle ceneri della tua stirpe umana.” mi aveva detto mentre me ne andavo, voltando le spalle all’’unico posto che avevo chiamato casa.
   Si sbagliava, non ero la speranza, ero un relitto che vagava di ciò che rimaneva della mia stirpe.
   Fu sul cammino che mi portava verso le Terre Selvagge che li incontrai. Non avevo avvertito la loro presenza, di solito si comunicavano la posizione tra loro tramite grida lunghe e penetranti capaci di gelare il sangue degli avversari, ma non stavolta.
   Forse fui poco attento o forse mi attendevano, ma quando uscii da una delle curve del sentiero che percorrevo ecco che davanti a me si stagliò l’immensa figura di uno dei Nove.
   Si chiamavano Nazgul nella lingua corrente, sussurro di paura e morte avvolto in un mantello nero che ne mostrava un apertura nera come la notte dove avrebbe dovuto trovarsi il volto dello spettro. Alle mani pesanti placche come un guanto di metallo gelido e il respiro inesistente di quella voragine nera che mi fissava strappandomi un battito accelerato del cuore.
   “Aragorn figlio di Arathorn.” sibilò il Nazgul e la sua voce sibilante si colorò di una nota di scherno. Mi irrigidii stringendo la spada e il rumore di zoccoli alle mie spalle mi fece intuire che ero in trappola. Sbirciai alle mie spalle attraverso i lunghi capelli mori che lasciavo liberi fino alle spalle e altri otto spettri bloccarono il sentiero, tagliandomi ogni via di fuga.
   “Per fortuna non sono a cavallo, con la vostra presenza me l’avreste fatto scappare e non sapete quanto costi un cavallo di sti tempi.” ruppi il silenzio tentando di apparire freddo. Con loro non sapevi mai cosa fare e il fatto che non mi avessero attaccato ora che erano in vantaggio non mi lasciava intuire se fosse positivo o negativo.
   I Nazgul non emisero un suono e non poterne studiare i volti era straziante come una lama arroventata nella carne. I miei avversari non avevano occhi in cui leggere la loro anima e io non ero un elfo o uno stregone e questo mi poneva già in svantaggio.
   Uno dei cavalli neri dei Nove si sporse in avanti per annusarmi, le iridi rosse fisse su di me. Erano creati apposta per poter essere cavalcati da quei mostri e come loro erano freddi, inquietanti e trascinavano con loro l’oscurità di Mordor, intrappolata nel nero del loro manto come la neve in inverno. Mi scostati con calma nonostante fossi coperto di sudore sulla schiena per la tensione e tornai a fissare il Nazgul davanti a me. Era il capo dei Nove e già da lì ne avvertivo il potere di cui uno stregone si ammanta. “Desiderate?” chiesi con voce carica di odio, ma l’effetto non fu quello sperato. Il capo dei Nazgul scese da cavallo avvicinandosi. Era alto quasi il doppio di me e un gelo improvviso mi strinse i polmoni. Boccheggiai cercando di inalare aria, ma la vista traballò e caddi a terra prima di vedere la mano irta di piastre metalliche appoggiata all’altezza del mio cuore. Tentai di non svenire, ma il dolore al petto era terribile, come artigli che scavassero per arrivare a quel piccolo organo pulsante di vita al centro del mio essere.
   “Hai un grande cuore erede di Isindur. E’ forte, deciso e come il mio desidera avere sempre di più.” mi giunse la voce dello stregone. La presa si serrò come il ghiaccio sull’acqua e stavolta dovetti piantarmi  i denti sul labbro per non urlare. Il sangue mi colò sul mento perdendosi nella corta barba e avvertii che stavo cadendo in avanti, ma al posto della terra toccai il mantello nero del Nazgul.
   La sua voce riprese imperterrita, piatta come la distesa di erba delle immense praterie di Rohan, ma ne avvertivo anche il potere della lingua nera mentre mi colava nelle orecchie le sue parole malsane come il suo spirito corrotto. “Temi l’Unico, hai paura che ti soggioghi come successe a noi e così sarebbe perché la tua carne è debole…Aragorn.” mi sibilò nell’orecchio pronunciando il mio nome con la lingua di Mordor. Strinsi i denti sul labbro martoriato implorandomi di resistere, ma la presa si strinse e un gemito debole mi uscì dalla gola costringendomi a serrare le dita sul mantello liscio come seta del Nazgul. Le parole mi uscirono impastate come fango: “Io però non ho cercato l’Unico e nemmeno ci tengo a pensarci duecento volte al giorno come voi.”
   I Nazgul sibilarono furiosi.
   “Ammazzalo!” ringhiò uno di loro con voce velenosa, ma lo stregone lo ignorò estraendo una lama di fattura oscura. Non era una delle loro, capace di ucciderti lentamente come un veleno appena toccava il tuo corpo, era più piccola e scurissima come una solidificazione di oscurità che mi fece rabbrividire.
   Il Nazgul la accarezzò dolcemente e senza una parola me la conficcò all’altezza del cuore. Gridai artigliando il nero mantello come un ponte per non precipitare in quell’abisso di atroce sofferenza. Il sudore mi colava dalle tempie e il mio respiro scandiva il battito del mio cuore, a ritmo con quello che la ferita produceva colando il mio sangue caldo a terra. Abbassai gli occhi e vidi attraverso il velo che gli copriva che la lama cominciava a stingere passando la sua oscurità nel tessuto della mia pelle.
   Qualcosa di freddo mi sfiorò il mento tracciando un nuovo sentiero di carne lacerata e sangue sulla mia carne e il sussurro dello stregone dei Nove mi giunse ovattato, quasi ipnotico: “Il nostro signore desidera che ti unisca a noi. L’intera stirpe di Isindur sarà distrutta e Gondor verrà bruciata dalle fondamenta dal suo nuovo servo. Colui che doveva proteggerla ne strapperà i bianchi splendori per sempre.”
   Mi divincolai dalla sua voce vischiosa come la tela dei ragni e cercai di afferrare la lama per estrarla, ma appena la toccai il calore mi arroventò le dita. Con un calcio finii sul terreno e la lama sussultò continuando lentamente a imbiancarsi per passarmi il suo maleficio. Il freddo mi gelava le dita bloccando i miei arti e chiusi gli occhi sfinito. Vedevo una luce alzarsi lentamente avvolgendomi e mi lasciai annegare in essa, sembrava che strappasse via il dolore inondando i miei arti freddi di un piacevole caldo.
   “Aragorn.” chiamò qualcuno da lontano, ma non risposi, preferivo stare lì, in quel dolce oblio ma la voce insistette e stavolta riconobbi colui che pronunciava il mio nome.
   “Galdalf?” chiesi con voce flebile e la luce si estinse per essere sostituita dal volto dello stregone grigio, mio vecchio amico.
   “Pensavo di aver fatto tardi”. Gandalf mi afferrò per le spalle e sentii che ordinava a qualcuno che non conoscevo di caricarmi a cavallo. Cercai di aprire gli occhi totalmente, ma non ci riuscii e una fitta al petto mi strappò un nuovo grido. “La lama…” tentai di parlare, ma Gandalf mi tranquillizzò: “Non c’è più Aragorn, ti abbiamo salvato in tempo.”
   Tentai di nuovo di aprire gli occhi, ma era inutile e finalmente mi lasciai andare all’incoscienza.
   Quel giorno incontrai per la prima volta i Nazgul e da allora non li vidi più fino al giorno in cui la mia lama li affrontò per salvare un gruppo di Hobbit, tra cui colui che avrebbe portato l’unico anello in un viaggio destinato a distruggerlo, per porre fine per sempre al dominio di Sauron che un lontano passato la mia stirpe fece nascere.  
 

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Capitolo 4
*** Il luogotenente di Sauron ***


IL SIGNORE DEGLI ANELLI
 
Il luogotenente di Sauron
 
Attenzione: Il personaggio nella descrizione segue quello creato nel film e non quello del libro.
Spero apprezzerete comunque, buona lettura;)
P.S Se curiosi di conoscerlo(per quanto possa essere piacevole;D) cliccate sul link qua sotto. Questo pezzo del film infatti non si trova nei dvd, solo nelle scene extra tagliate nelle estensioni del film.
http://www.youtube.com/watch?v=1bk5afqRcus
 
Nota dell’autore: La bocca di Sauron, come viene chiamato, è il principale luogotenente di Sauron. Si presenta ai cancelli neri quando Aragorn, Gandalf e un altro gruppo và per chiedere a Sauron di arrendersi dopo la battaglia finale del terzo film e li ricatta mostrando loro la cotta di maglia di Frodo, descrivendone l’orrenda morte.
Apparteneva alla stirpe dei Mumeroani Neri e serve Sauron al suo ritorno dopo la sconfitta contro Isindur. Nessuno conosce o ricorda più il suo nome e secondo il libro Sauron gli promette di regnare sulle terre di Isengard alla vittoria della battaglia contro Gondor.
Nel film viene decapitato da Aragorn, ma nel libro torna oltre i cancelli prima di scatenare le schiere di Mordor sull’esercito di Gondor.
 
 
 
Che il signore della terra nera venga avanti e giustizia sia fatta su di lui”. Le parole di Aragorn risuonarono ancora una volta nell’immensa distesa desertica davanti alla terra di Mordor, ma per qualche minuto nessuno rispose a quella voce imperiosa che osava sfidare la potenza di Mordor.
   Gandalf osservò il re di Gondor senza nascondere un sorriso davanti a quello che un tempo era un uomo tormentato che sfuggiva al suo destino, ma ora poteva vedere l’orgoglio di quel sangue nobile che sfavillava negli occhi sicuri di Aragorn mentre osservava il cancello nero irto di guglie e silenziosi occhi che osservavano quell’arrogante gruppetto di più persone e razze diverse venuti a sfidare la potenza della terra nera, già ben visibile dalla grandezza oscura di quel cancello ostinatamente chiuso davanti a loro.
   Uno scricchiolio intimidatorio come artigli sul ghiaccio risuonò mentre il cancello si schiudeva e Aragorn, Legolas, Gandalf, Merry e Gimli sollevarono lo sguardo per osservarne le immense porte che si aprivano come ali per far avanzare una figura in groppa ad un cavallo. Erano entrambe troppo silenziosi, soli e tranquilli mentre avanzavano nel suolo polveroso del terreno. Il cavallo portava una maschera di ferro sul lungo muso scavato e il suo avanzare ondeggiante, inquietante come il suo sguardo senza vita incastonato su quel corpo malato e magro, nulla aveva a che vedere con il suo cavaliere: esso portava un armatura di metallo simile a quella del suo destriero che occhieggiava attraverso la stoffa nera che lo fasciava fin sulla testa, dove cadeva come una tenda lugubre alle spalle. Sulla testa portava un elmo che pioveva sul viso a celarne la parte superiore finendo con due punte ai lati della mascella e lasciando scoperto un arco dove si apriva la bocca dell’essere ed era proprio quella che attirò l’attenzione del gruppo. Essa infatti era spropositata per quel viso e sfigurata da un sorriso crudele che sfoggiava come una derisione a quel piccolo gruppo fermo ad attenderlo. Irto di denti affilati e spezzati, di un malsano colore guasto come se si fosse nutrito di sangue e di altri cibi innaturali lasciandoli marcire come il suo essere. Sulla pelle pallida attorno alle labbra graffi profondi solcavano la pelle come una macabra raggiera.
   Il cavaliere si avvicinò facendo fermare il cavallo e la sua voce profonda risuonò nell’aria, come se la creatura avesse la gola piena di lamette taglienti. “C’è qualcuno che ha il potere di contrattare con me?”domandò tornando a mostrare il sorriso sul viso pallido.
   Gandalf lo guardò sgomento. Non poteva credere che quell’uomo fosse un emissario di Sauron. Era un uomo, non un orco o una delle creature partorite da Mordor, ma il suo aspetto era terribile, devastato e innaturale a partire da quella bocca sfregiata esaltata dall’elmo e dalla sua innaturale grandezza, come se fosse voluto che attirasse lo sguardo dei suoi avversari. “Dimmi come ti chiami?” ordinò e la creatura si voltò verso di lui con micidiale perfezione, come se potesse vedere anche con il volto coperto. “Io sono la Bocca di Sauron. Parlo a nome del mio padrone vecchia Barbagrigia e sono qui per contrattare”. Si girò verso Aragorn e anche stavolta la sua perfezione nel guardare verso di lui risultò innaturale. “E non parlerò di certo con lui. Non basta una lama spezzata a fare un re erede di Isindur.” lo schernì con una risata e Gandalf avvertì i ricordi affiorare. La Bocca di Sauron era uno dei Numeroani Neri. Affascinati dalla magia nera e da Sauron avevano cominciato a servirlo e da lungo tempo era stata perduta la loro presenza su quelle terre, ma quella creatura davanti a lui doveva essere colui che veniva chiamato dalle sue vittime “Il sovraintendente di Bara’Dur”.
   “Immagino che tu nemmeno sappia come ti chiami.” lo stuzzicò Gandalf e di nuovo la testa scattò nella sua direzione come se lo vedesse. Il sorriso si mostrò di nuovo nel balenare dei denti e il messaggero tirò fuori una cotta luccicante, bianca come la neve e terribilmente famigliare. “Ho una cosa che il mio signore mi ha detto di darvi.” disse e la soddisfazione serpeggiò nella sua voce mentre la scagliava allo stregone. Lo sgomento e il dolore negli occhi dei presenti era come una droga per quel mostro e già pregustava quando Sauron avrebbe dato a lui ciò che gli aveva promesso. “Vi era caro il mezz’uomo vero? Sappiate che ha sofferto molto e pensa Gandalf”, disse di nuovo rivolto allo stregone, “che non potevo credere che quella creatura potesse soffrire così tanto”. Spronò il cavallo avvicinandosi allo stregone e sporse il viso per sussurrare in modo che solo Gandalf lo sentisse: “Sauron dice di dirti che è colpa tua ed era il tuo nome che invocava, ma tu non c’eri Gandalf e lui moriva lasciando che la sua vita venisse strappata arto per arto, pezzo per pezzo, urla dopo urla fino a quando non aveva più voce.” lo sbeffeggiò crudele ghignando e un rivolo di bava rossastro scivolò a terra. “Lo trovato appagante e spero che quando avrò le mie terre potrò fare questo a te.”
   Gandalf lo fissò a lungo con disgusto. “E quali terre ti promise Sauron il bugiardo?”
   La Bocca di Sauron inclinò la testa di lato sfoggiando un nuovo sorriso che strappò un brivido ai presenti silenziosi, ma quando tornò dritta era di nuovo rivolta a Gandalf. “Quelle di Isengard, ma non importa perché ovunque sarai ti troverò e diventerai il mio principale giocattolino.” minacciò con la sua voce roca. “Ma sarò clemente se accetterete di arrendervi a Sauron e l’erede di Isindur a seguirmi, sei desiderato dai Nazgul. Fatelo e risparmieremo molte vite, rifiutatevi e saprete presto cosa significa la parola dolore.”
   Aragorn si fece vicino sguainando la lama e un fuoco brillò nei suoi occhi. Con uno scatto tranciò la testa dell’emissario di Sauron prima che potesse reagire e voltandosi verso i presenti la sua voce suonò decisa e carica di autorità: “Ritiratevi, le contrattazioni sono finite.”
   Come un unico essere il gruppo si voltò tornando verso l’esercito di Gondor in attesa e mentre i cavalli cavalcavano per colmare la terra che gli separava dai compagni, il cancello scricchiolò aprendosi ancora di più e l’esercito di Mordor si riversò fuori come una massa pulsante di malvagità all’ordine del loro signore.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
    
 
  
 

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Capitolo 5
*** La mia stella mortale ***


IL SIGNORE DEGLI ANELLI
 
La mia stella mortale
 
Oddio quanto tempo non aggiorno questa fan fiction, perdonatemi ma ne sto seguendo ben due del Signore degli anelli e aggiornare quelle e questa diventa difficile, ma ecco la prossima OS.
Spero apprezzerete un po’ di romanticismo visto che fin’ora sono stata solo...cupa;)
 
La foresta sussurrava dolcemente in perfetta armonia; ovunque gli alberi si cullavano nella dolce frescura del vento e lo scorrere dell’acqua di un ruscello poco lontano invitavano la giovane elfa a camminare sotto quel palazzo creato dalla natura stessa.
Il sole filtrava tra le foglie facendole brillare in controluce di un verde smeraldo come le iridi della dama e giocava a scivolare distrattamente sulla cascata di lisci capelli neri come ali di corvo che le coprivano le spalle in un manto di seta, acceso di riflessi lucenti. Sui lati del capo le punte delle minuscole orecchie appuntite uscivano tra i capelli e una corona di fili d’argento intrecciato brillava sul capo scuro.
L’elfa si accucciò togliendosi le scarpe e posò con lentezza un piede sul terreno erboso lasciando che l’erba le solleticasse la pelle nivea del piede, invitandola a passeggiare ancora a lungo, fino a quando il sole non avrebbe tinto di rosso il cielo azzurro riportandola al palazzo reale alle sue spalle, quasi invisibile anche allo sguardo acuto dell’elfa stessa.
La dama chiuse gli occhi ascoltando il canto del vento parlarle e attirata da quel linguaggio misterioso e frusciante iniziò a cantare facendo vibrare la sua voce come il battito vellutato delle ali di un falco, vibrandosi alta nella foresta, immobile ad ascoltare rapita quel canto.
Uno scricchiolio impercettibile la distrasse e l’elfa si zittì bloccandosi spaventata. I suoi occhi si posarono su un uomo che avanzava piano verso di lei e l’elfa lo fissò confusa.
Non è come me. Non appartiene alla mia razza, ma si muove come noi.
Osservò rapita la grazia felina con cui il misterioso apparitore si fece vicino. Dimostrava rispetto dal capo abbassato con cui si rivolgeva allo sguardo indagatore di quelle iridi verdi e indossava vestiti di fattura elfica, ma era un uomo: sotto i capelli mori che portava fino alle spalle l’elfa notò le orecchie arrotondate della sua razza e anche il pizzetto di barba folto che teneva erano un ulteriore indizio là dove gli elfi ne erano completamente privi.
Tolti quei dettagli però, l’uomo si muoveva con perfetta maestria nel folto della foresta senza emettere il minimo suono e la dama intuì che il rumore di poco fa era stato un segnale per avvertirla della sua presenza e non spaventarla.
Giunto da lei l’uomo sollevò lo sguardo e l’elfa trattenne il respiro. I suoi occhi scuri erano profondi come la notte, velata di mistero e segreti, ed emanavano una tale forza e una regalità che l’elfa non aveva visto mai se non il suo padre, il re di quelle terre.
Ammirata e colpita si immerse in quello sguardo cogliendo anche una profonda solitudine e una malinconia che le diedero una fitta al petto improvvisa e inaspettata, come se il suo cuore ribelle avesse deciso di agire indipendente al suo volere dimostrando attrazione verso quell’uomo sconosciuto.
“Chi siete?” trovò la forza di domandare e l’uomo chinò il capo sottraendo i suoi occhi al suo sguardo e dandole una nuova fitta al petto.
“Mi chiamo Aragorn.”rispose e la sua voce profonda e calda avvolse l’elfa. “Perdonatemi se vi ho interrotto, ma vi ho sentito cantare e ho creduto di essermi perso in un sogno meraviglioso tale era la bellezza del vostro canto.”aggiunse e di nuovo quegli occhi la colpirono con la loro forza.
L’elfa sorrise e il suo cuore accelerò, come se fosse felice che intuisse i suoi sentimenti sconosciuti e folli.
E’ ridicolo, come si può innamorarsi di una persona mai vista?
Eppure quel martellare frenetico e quella sensazione di pace e felicità che per anni aveva cercato nel bosco era vera, tangibile e perfetta; sembrava che stare davanti a quell’uomo dallo sguardo malinconico e fiero come un re le desse quello che nessun elfo che aveva chiesto la sua mano le aveva potuto dare: l’amore.
L’elfa abbassò gli occhi portandosi una mano al petto e il battito ribelle rispose.
E’ amore questo? Improvviso e travolgente come un fulmine nel cielo? si domandò e la voce di Aragorn l’avvolse: “Perdonatemi, vi sentite bene, volete che vi lasci sola?” domandò con un sussurro gentile.
No! Non andartene...
“Vi prego, restate.”lo trattenne l’elfa sollevando lo sguardo e Aragorn si bloccò voltandosi per osservarla. La regalità che emanava era come un aura e di nuovo l’elfa si perse in quello sguardo profondo che ora sapeva, l’aveva rapita per sempre con la sua profondità quasi insondabile, perché ora la dama poteva scorgere in essi una scintilla che ruggiva con la potenza di una fiamma ed era lei che l’alimentava, poteva cogliere in quelle iridi scure che provava le stesse emozioni contrastanti e improvvise che lei sentiva.
Si avvicinò abbandonando ogni pensiero razionale che il suo rango le imponeva, spezzò le catene che costringevano il suo cuore folle e sfiorò con una mano il braccio dell’uomo, una muta richiesta a ricambiare quello che leggeva nei suoi occhi velati di un’inspiegabile malinconia. “Non volete sapere come mi chiamo?”domandò e gli occhi di Aragorn allacciarono i suoi. “Arwen...”disse semplicemente. Un timido sorriso illuminò il suo viso e Arwen sfiorò ammirata quelle labbra con lo sguardo sorridendo a sua volta.
La sua bellezza esterna non può paragonarsi a quella interna. La potenza del suo sguardo mi scatena sensazioni meravigliose mai provate e la regalità del suo aspetto non è tipica della sua razza. Lui è speciale...era quello che cercavo.
Quei pensieri spiccarono il volo spalancandosi esultanti nella sua mente e Arwen capì che quello che per anni nella solitudine della sua vita aveva cercato era qui. L’amore del padre era sempre stato un conforto per lei, ma da molto tempo lo scorrere della sua vita immortale era diventato vuoto, privo dell’amore che il suo cuore agognava come un cielo senza stelle, ma oggi in quella foresta aveva trovato ciò che cercava. La sua stella mortale capace di ridare vita alla sua esistenza immortale brillando con la forza di una luce eterna che nemmeno la morte avrebbe mai potuto spegnere.
Una lacrima le scivolò sulla guancia e il dito di Aragorn la colse facendola scivolare a terra, unendo le loro vite che finalmente si erano incontrate.
L’uomo le accarezzò una guancia. “Perché piangete, voi che siete magnifica e meritate la felicità?”domandò ed Arwen sorrise. “Perché ho trovato quello che cercavo.”
“E cosa cercavate?”
Le iridi verdi dell’elfa scintillarono. “Colui che avrebbe reso la mia vita di nuovo vera.”rispose semplicemente.
Aragorn le sorrise amaro e la malinconia dei suoi occhi tornò vivida. “Ma io sono mortale, non posso essere quello che cerchi.”ribatté amaramente.
Arwen lo fissò con forza. “Una vita immortale non vale niente senza l’amore. Preferisco passare pochi anni felice che vivere un’esistenza immortale vuota e spegnermi a cercarti tra questi boschi o nell’immensità del cielo notturno”. Appoggiò una mano nivea al volto dell’uomo e la fiamma tornò a ruggire in quelle iridi scure, alimentata dal fuoco in quelle verdi di lei, fino a quando non si fusero in un unico incendio caldo e potente. “Sei ciò che cercavo Aragorn.”
L’uomo le sfiorò il braccio. “Sono anni che so che sei colei che cercavo Arwen.” disse semplicemente e le sue labbra si posarono su quelle dell’elfa.
 
Spero vi sia piaciuto...=)
Prometto non farò passare un mese prima della prossima pubblicazione, e se volete passare anche alle altre due fic cercatele sotto il mio nome.
Ah, dimenticavo! Se volete lasciare una recensione, ben venga grazie, fa sempre piacere sapere cosa pensate=D
Un bacio e un grazie a chi segue questa OS.
Fraviaggiaincubi
 
 

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Capitolo 6
*** Chi è lui per me ***


IL SIGNORE DEGLI ANELLI
 
Chi è lui per me
 
 
Visto che ho scritto una OS sulla leggendaria storia d’amore tra Arwen e Aragorn magari facciamone una anche sull’amore impossibile, ma ugualmente dolce e intenso che nasce nel cuore di Eowyn, la dama bianca di Rohan, verso Aragorn.
La scena è sul secondo film, dopo la liberazione di re Theoden da Saruman, ed è a mio parere da quel breve incontro che Eowyn si innamora dell’erede di Gondor.
 
La lama scintilla sotto il sole quando la libero dal suo involucro di stoffa polveroso dove l’avevo avvolta. Sembra quasi che mi ringrazi di averla liberata dalla sua gabbia.
La impugno facendo scorrere la mano sulla lama di un lucido argento metallico, quasi esibisca orgogliosa la sua affilata forza.
Sollevo il braccio e iniziò a danzare nell’aria, immaginando di essere in un campo di battaglia a difendere le mie terre come il mio cuore supplica, anche se so bene che non sarà mai possibile; io sono una donna e le donne non vanno in guerra, ma si nascondono, pregano e guardano le schiene dei mariti, dei padri e dei fratelli partire in groppa ai cavalli senza sapere se torneranno indietro o moriranno lontano dai tuoi occhi.
Il sole mi abbaglia, ma continuo a muovermi sicura sentendo i capelli che scivolano sulla schiena, del bel biondo dorato  tipico della terra di Rohan. La mia terra amata che non posso aiutare a tornare libera contro Sauron e le sue implacabili armate.
Una lama intercetta la mia e mi volto di scatto.
Cosa...? Lui...
Aragorn di Gondor abbassa il pugnale e si inchina davanti a me, in segno di rispetto per quello che sono in questo regno: la nipote del re, la dama bianca di Rohan, come mi chiamano per la mia pelle chiara e i capelli dorati.
“Maneggi bene la spada.”
La sua voce bassa e profonda mi avvolge, ma riesco a dominarmi e tornare me stessa e rispondo: “Le donne di Rohan imparano a usare la spada fin da piccole, coloro che non lo fanno possono morire su di essa.”
Io no, non succederà mai. Io combatto! vorrei aggiungere furiosa, rimescolando il risentimento per essere esclusa come guerriera, ma quegli occhi scuri mi ammansiscono. In essi leggo che comprendono la ferita che mi avvelena e mi studiano. Leggo nelle loro profondità che mi considerano degna di cavalcare accanto al vessillo della mia terra e ammirano...lui ammira la forza che traspare dalla mia figura, quella che credevo solo mia e invisibile al mondo degli uomini perché sono donna.
Abbassò gli occhi a disagio stavolta e perdo la mia arroganza di fronte alla forza regale che quell’uomo trasmette.
“Qual è la vostra paura più grande mia signora?”mi domanda.
La mia paura.
Lo fissò, mi perdo nella bellezza di quei lineamenti che ora acquisiscono nuova luce, come se finalmente mi svelassero quanto profondo è quell’uomo, quel re che mi sta di fronte capace persino di cogliere ogni sfumatura del mio essere che ho sempre tenuto imbrigliato e chiuso, lontano dal mondo che non accetta la forza del mio animo.
“La gabbia.”rispondo e dentro di me non mi riferisco solo a quella materiale di pietra e ferro, ma alle catene che hanno imprigionato fino ad oggi questi sentimenti che lui ha saputo liberare. “Essere rinchiusa per sempre e vedere la mia vita scorrere e invecchiare.”
Sorrido amara. Non è quello che ho fatto finora? Farmi rinchiudere dai pregiudizi degli uomini sulle donne?
Mi giro sconfitta da quella rivelazione intima, ma la voce di Aragorn mi raggiunge afferrandomi e impedendomi di annegare. “Mi creda mia signora, nessuna gabbia potrebbe rinchiuderla.”
Le sue parole mi colpiscono e questa volta mi giro completamente, come se il mio intero corpo fosse rapito dalla sua frase...da lui.
Aragorn si inchina, non sembra accorgersi di aver appena fatto breccia in quella prigione in cui ero schiava e avermi liberato. Nei suoi occhi ora c’è solo rispetto e non posso più sondare quel viso.
L’uomo si volta allontanandosi, ma non lo seguo per chiedergli a cosa si riferisse con quella frase.
Il mio cuore ha già capito chi è diventato lui per me ora.
 

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