Tu non temerai il suo nome

di Margaret24
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono di proprietà di J.K. Rowling. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

Colonna sonora consigliata: Another Story - Harry Potter e l'Ordine della Fenice



3 maggio 1998

 

Non sapeva dove avesse trovato la forza di farlo, ma Remus si Materializzò a circa cento metri da casa sua. Era una graziosa casetta di campagna, piccola e umile, con le pareti in mattoni marrone chiaro, il tetto spiovente e un breve vialetto che conduceva alla porta d'ingresso. La osservò da lontano, cercando di ricacciare in fondo alla mente i ricordi. Doveva essere forte, doveva resistere almeno per un po'.
Si incamminò verso il piccolo sentiero della sua dimora – cercando invano di non pensare alla loro dimora – superando gli incantesimi di protezione come se fosse entrato in un'enorme bolla trasparente. Si voltò e guardò il paesaggio dietro di lui. Pensò a quegli incantesimi ormai inutili, che non avevano impedito che la tragedia si consumasse in quella piccola famiglia dispersa tra le colline della campagna londinese. Sospirò e continuò a camminare, ingoiando passo dopo passo il lutto che ancora non riusciva ad accettare.
Si chiese che ora fosse. Quante ore fossero passate da quel momento. Il sole era alto nel cielo, seppur coperto da qualche nube passeggera. Non era importante.
Raggiunse finalmente la porta e alzò una mano per bussare. La guardò stupito: tremava ancora leggermente. Si rese conto che il suo corpo manifestava appieno quel concetto che non riusciva ancora a prendere una forma definita nella sua testa. Si immaginò pallido, esausto ed estraniato, il che non era poi così lontano dai suoi sentimenti. Ma anche quello non era importante. Bussò.
Andromeda Tonks aprì rapidamente la porta. Probabilmente l'aveva visto attraverso lo spioncino. Lo squadrò fugacemente, poi si sporse per guardare ai suoi lati.
"Dov'è Ninfadora?" chiese preoccupata.
Remus sbatté le palpebre, e abbassò lo sguardo. Aprì la bocca, ma non ne uscì alcun suono.
"Remus?" lo chiamò la suocera.
L'uomo trasse un profondo respiro, sentendo le lacrime salirgli di nuovo agli occhi. Guardò Andromeda, le labbra contratte, e scosse il capo.
La donna rimase bloccata per diversi secondi. Poi scosse il capo anche lei, dicendo:
"No. No. No, Remus, no, no, no, no..."
Remus le si avvicinò piano, e lei indietreggiò, una mano che copriva la bocca. In un gesto spontaneo, lui l'abbracciò con delicatezza, e Andromeda si lasciò andare ad un pianto intriso di disperazione. Gli afferrò la veste e la strinse nei pugni, scossa da singhiozzi incontrollabili e silenziosi, se non fosse stato per le sue brevi grida soffocate dal petto di lui. Remus le accarezzò la testa e la strinse a sé, nascondendo il volto tra i suoi capelli, e per un attimo gli ricordò la sua mamma, il suo profumo, i suoi sorrisi. Si arrese alle lacrime e ai singulti, mentre pensava a lei, a Dora, a tutti quelli che aveva perso per colpa della guerra, e sentì le ginocchia cedergli. Andromeda se ne accorse e prese ad accarezzargli ripetutamente la nuca, mentre Remus si aggrappava a lei, barcollando come se si trovasse all'improvviso di fronte ad un abisso. Finalmente le emozioni lo raggiunsero, tutte insieme, tante, troppe. Il dolore e il terrore di una vita senza Dora lo travolsero come una valanga. Non riusciva a respirare.
D'un tratto udirono i vagiti di un bambino. Andromeda si staccò da Remus, asciugandosi gli occhi e tirando su col naso.
"Va' da lui" disse con voce rotta. Lui esitò. Parte di lui non voleva lasciarla da sola in quello stato. Parte di lui non era pronta comunque, come se dovesse attraversare la stanza sui carboni ardenti.
"Va'" ripeté la suocera, un po' brusca, spingendolo leggermente. Remus si allontanò e si avviò verso la camera da letto, con un nodo allo stomaco. Udì Andromeda chiudere la porta d'ingresso.
La stanza non era come l'aveva lasciata. La suocera doveva averla riordinata. Provò un leggero fastidio misto a sollievo: fosse stato per lui, l'avrebbe tenuta per sempre come prima. Una maglia buttata lì sul cuscino, un rossetto finito sotto il comò, il letto disfatto. Aveva fatto caso alle piccole cose prima di andarsene, pensando di non tornare...
Un altro vagito. Remus cercò la culla con lo sguardo, e si precipitò vicino ad essa con passi felpati. Non appena vi guardò dentro, il nodo allo stomaco si sciolse, e il suo cuore sembrò gonfiarsi e tornare a battere. Il suo bambino lo osservava con sguardo sofferente e chiudeva gli occhi in un leggero lamento, mentre i capelli radi diventavano neri. Remus restò a guardarlo per qualche secondo. La gioia nel vederlo, che scavava in quel dolore così recente, era indescrivibile. Deglutì, poi lo prese in braccio, appoggiandoselo sulla spalla. Gli diede dei leggeri colpetti dietro la schiena e lo cullò, sperando che si calmasse.
"Shh-shh... Va tutto bene, piccolo mio" disse, non riuscendo di nuovo a frenare le lacrime. "La tua mamma non c'è più, tesoro. Non c'è più..."
Riprese a singhiozzare, riuscendo, però, a controllarsi questa volta, per il piccolo.
"Ma non preoccuparti, Teddy..."
Lo prese da sotto le braccia e lo guardò dritto negli occhioni scuri, profondi come quelli della sua Dora.
"... Ci sono io qui con te. E ti giuro, bambino mio, che non ti lascerò mai, mai"
E lo abbracciò delicatamente, e gli baciò la testa, si sedette sul letto e lo cullò, finché il piccolo non cadde nel suo sonno tranquillo.
"I cattivi hanno perso, figlio mio" sussurrò Remus, rimettendo il bambino nella culla. "E tu non dovrai mai più temere il suo nome"
Lo coprì e gli accarezzò una guancia.
"Mai più"





Angolo autrice:
Ok. Non so proprio da dove mi sia uscita questa idea, né perché ultimamente scrivo cose così spaventosamente drammatiche. Lo so. Dovrei concentrarmi su "In the Pensieve". Ma lo sapete, no?, quando è più forte di voi scrivere. Quando le idee prendono continuamente forma nella testa e non riuscite proprio a fermarvi...
Non so nemmeno dove andrà a parare questa Fanfiction, ma son sicura che qualcosa ne uscirà fuori comunque, e spero vivamente che vi piacerà.
Le recensioni, anche critiche (spero non solo), sarebbero graditissime =)
Detto ciò, non mi resta che ringraziarvi di cuore per aver letto fino alla fine. Un abbraccio a tutti.
Meg

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Colonna sonora consigliata: The Grey Lady – Harry Potter e i Doni della Morte, Parte II

 

"Salti tu, salto io, giusto?"
Titanic - 1997

 


Sebbene tutti e tre avessero passato l'ultima notte in bianco, e Remus fosse reduce da una battaglia, solo il piccolo Teddy dormiva profondamente nel suo lettino. Il papà e la nonna sedevano ai due lati vicini del tavolo della cucina, le mani gelide che stringevano convulsamente le due tazze di tè, ormai freddo. Nessuno dei due aveva ancora bevuto un sorso.
"Quindi..." cominciò Andromeda, parlando sommessamente. "Tu-Sai-Chi è stato sconfitto"
Remus provò ad annuire, ma la testa gli doleva, così disse:
"Sì. Harry l'ha... colpito"
Non riusciva a pronunciare la parola 'ucciso'.
"Come..." Andromeda deglutì. "Com'è successo?"
Remus capì che non si riferiva a Voldemort. Inspirò profondamente, combattuto. Lui voleva solo dimenticare, dimenticare tutto, quella notte, la sua vita, perfino sua moglie, se non poteva riaverla. Tuttavia, sua suocera aveva il diritto di sapere come sua figlia aveva perso la vita. Chiuse gli occhi e si massaggiò stancamente le palpebre.
"Stavo combattendo contro Dolohov..."


La battaglia continuava senza tregua, anche nei terreni della scuola. Acromantule, Giganti e Dissennatori facevano la loro parte insieme ai Mangiamorte, attraversando i campi di guerra. Remus e Dolohov combattevano, il secondo sembrava avere la meglio.

"Lui... continuava a colpire, e a colpire..." sussurrò Remus, volgendo lo sguardo verso la veste squarciata e imbrattata di sangue sulla spalla destra.

Dolohov continuava a lanciare fatture e maledizioni, e Remus aveva appena il tempo di contrattaccare. I suoi riflessi erano troppo lenti.
Nello schivare un Anatema Che Uccide che gli sferzò la spalla, Remus cadde a terra. Stringendo i denti, tenendo una mano sulla ferita che sanguinava copiosamente, tentò di rialzarsi, ma Dolohov lo sovrastette, puntandogli la bacchetta alla gola. Si fissarono per pochi istanti. Remus aveva la mente completamente sgombra, tutto ciò era surreale. Il suo avversario inspirò e aprì la bocca per pronunciare l'incantesimo.

"E poi..."

Con un urlo di dolore, Dolohov si ritrovò scagliato in aria, e atterrò circa a tre metri di distanza. Remus lo guardò con occhi sgranati, poi volse lo sguardo alla strega di fronte a lui, poco lontano.
Tonks.
La sua Dora era lì, lo sguardo trionfante e fiero, la bacchetta levata. Gli rivolse un sorriso felice e gli corse incontro. Remus si rialzò rapidamente, ma prima che potessero raggiungersi, una voce gridò:
"Incarceramus!"
Remus e Tonks furono legati al suolo, le funi che sbucavano dall'erba. Lui sentì sua moglie gridare:
"Maledetta!"
Alzò la testa, e con orrore vide che stavolta era Bellatrix Lestrange a puntare la bacchetta sul petto di Tonks. Il suo sguardo era pura perversione.
"No!" gridò, fuori di sé. "Prendi me! Uccidi me!"
Per tutta risposta, Bellatrix rise. Una risata fredda e crudele che lo fece rabbrividire.
"Crucio!" urlò un'altra voce alle sue spalle, e Remus non poté fare altro che contorcersi dal dolore, un dolore atroce che già sperimentava ogni mese. La piccola parte di lui che restò lucida seppe all'istante che Dolohov si era rialzato.
"Lui no, Bellatrix, lui lascialo stare"
Sentiva la voce di Tonks molto distante, ma poteva distunguere il tono fermo e gelido con cui si rivolgeva alla zia. Il dolore cessò com'era cominciato.
"E' una questione tra te e me" continuò Tonks.
"No..." disse Remus debolmente, lottando contro le funi. "Uccidi me..." ripeté, poi riprese ad urlare:
"Io sono la feccia, lei non ha colpa! Io sono sanguesporco, io sono quello da eliminare! Lasciatele una possibilità!"
Bellatrix rise di nuovo, e Dolohov la imitò stupidamente.
"Non credo proprio, lurido ibrido" disse con voce infantile, attenta a mantenere la bacchetta puntata verso Tonks. Quest'ultima non osava muoversi, forse temendo che li avrebbero uccisi entrambi all'istante. "Vedi, se elimino lei, tu per me non sarai niente. Niente. Nessun sudicio legame di parentela ci legherà. Sarà come se tu non fossi mai esistito. Inoltre..."
Con un breve gesto imperioso da parte di lei, si scambiarono il bersaglio, e la Mangiamorte mirò alla tempia di Remus. Gli sussurrò all'orecchio:
"... Ho promesso a quella feccia di Greyback che ti avrei risparmiato. Vuole ucciderti con le sue zampe. Sai, sarà un bello spettacolo vedere due lupastri che si azzuffano, tu non trovi?"
E Remus supplicò, per lei, per Dora, perdendo ogni briciolo di dignità.
"Ti prego..."
Bellatrix rise una terza volta. Remus guardò sua moglie negli occhi. Con sua enorme sorpresa, lei gli regalò un ultimo sorriso tra le lacrime. Mosse le labbra senza emettere alcun suono, ma Remus riuscì a capire la sua ultima parola.
Una luce gialla scaturì dalla bacchetta della Mangiamorte, e Tonks giacque a terra, immobile.


Remus non riuscì a continuare. Non riuscì più a star seduto. Si alzò e andò verso la finestra, tormentandosi le mani, sentendo lo sguardo di Andromeda sulle sue spalle.
"E poi?" chiese lei con voce che sapeva di pianto. "Remus, hai detto... una luce gialla?"
Remus sospirò e annuì.


Bellatrix Lestrange e Antonin Dolohov l'avevano lasciato solo con Tonks, incapace di muoversi a causa delle funi. Disperato, Remus cercò con lo sguardo la bacchetta, a pochi metri di distanza. Aprì una mano, non riuscendo nemmeno a tendere il braccio, ma l'Appellò comunque. Riuscì a liberarsi con un incantesimo Diffindo, e si precipitò da Tonks, in preda al panico.
"Dora... Dora!" la chiamò con voce acuta, mentre liberava anche lei e la metteva supina. Intorno a lui era puro caos ovattato. Il sollievo lo pervase quando notò che Tonks respirava ancora, ma fu momentaneo. La prese in braccio delicatamente, poi riprese ad urlare:
"Aiuto! Qualcuno mi aiuti! AIUTO! AIUTATEMI!"
Corse fin dentro le mura di Hogwarts, ormai irriconoscibile. Nessuno stava più combattendo. Una tregua, una misera tregua dopo la battaglia. Trovò Madama Chips che sistemava alcuni corpi su delle barelle evocate dal nulla.
"Madama Chips!" la chiamò, correndo verso l'infermiera. Quando la raggiunse, lo sguardo di lei si illuminò di speranza.
"Lupin! Oh, grazie al cielo..."
"Madama..."
Remus posò Tonks su una delle tante barelle che galleggiavano a mezz'aria.
"La prego, faccia qualcosa" disse in preda alla preoccupazione e all'ansia. Non riconosceva più neanche se stesso. "E' stata colpita da una maledizione gialla, io non so cosa..."
Si bloccò, portandosi una mano alla nuca. Madama Chips si chinò sulla moglie e la esaminò. Remus le tenne la mano, tremando violentemente e aspettando.
"Resta con me" sussurrò. "Ti prego, non mollare..."
L'infermiera mormorò controincantesimi su controfatture, ma tutto ciò che Remus poté constatare era che Tonks alzava e abbassava il petto sempre più lentamente. Alla fine, non si mosse più.
Madama Chips sospirò e alzò gli occhi lucidi.
E il mondo crollò.

 

La voce gli si spense in gola.
"Chi è stato?"
La voce spezzata di Andromeda scattò, rompendo il silenzio.
"Non lo so" mentì Remus, senza voltarsi. Per tutto il suo racconto non aveva pronunciato il nome di sua sorella, né le aveva parlato del loro breve dialogo. "Aveva il volto coperto"
"Ma... perché ti ha risparmiato?"
"Non ne ho idea" rispose Remus, ora girandosi. "Forse... ci teneva a vedermi in quello stato" aggiunse amaramente. Ci fu una lunga pausa, in cui ognuno era immerso nei propri tetri pensieri. Poi Remus disse piano:
"C'è una cosa che devi sapere"
Almeno questo glielo doveva. Andromeda tacque, guardandolo.
"Bellatrix è stata uccisa da Molly Weasley"
Sul volto della suocera apparve un'espressione indecifrabile. Non disse nulla, si limitò a fissare la tazza di tè con sguardo solenne.
"Voglio vederla" disse infine. "Voglio vedere mia figlia"
Remus non rispose subito. Un po' se l'era aspettato, ma ora che la richiesta – non sembrava tanto una richiesta quanto un ordine – gli era stata fatta, si ritrovò impreparato. Provò a negargliela.
"No, tu... Andromeda..."
"Non osare contraddirmi, Remus Lupin" lo interruppe lei con le fiamme negli occhi, e per un attimo gli fece accapponare la pelle, tanto era simile alla strega che lo aveva torturato.
"Chi baderà a Teddy?" chiese lui.
"Tu, ovviamente"
"Io vengo con te"
"Non puoi"
Andromeda lo fissò severa. "E' ora che cominci a fare il padre"
Quelle parole ebbero l'effetto di una pugnalata. Remus sentì il dolore alla testa pulsare rapidamente, e capì che forse Andromeda non l'avrebbe mai perdonato. Non solo per essersene andato lasciando la moglie incinta di un potenziale mezzo-Lupo Mannaro. Forse non lo avrebbe mai perdonato soprattutto per essere andato a combattere, spingendo la figlia ad andare a salvarlo.
Senza aspettare una replica, Andromeda si alzò, rassettò brevemente la veste e uscì di casa sbattendo la porta.
Remus restò immobile di fronte alla finestra, le mani affondate nelle tasche. Il ricordo di se stesso che piangeva disperato sul corpo di sua moglie, finché Kingsley non aveva staccato da lei le sue braccia intorpidite, gli balenò davanti agli occhi. Li chiuse, desiderando per l'ennesima volta in poche ore di non essere mai esistito.

 




Angolo autrice:
Qua si sprofonda sempre di più nel drammatico...
Bellatrix gode così tanto del dolore altrui che risparmia a Remus la vita solo per saperlo sofferente, pur essendo nel bel mezzo di una battaglia, non immaginando che così facendo rischia di trovarsi di fronte ad un Remus più agguerrito. In effetti è un'imprudenza da parte sua. Ovviamente non sa di Teddy.
Come sempre, le recensioni sarebbero graditissime e se avete qualche dubbio basta chiedere ;)
Un enorme grazie a chi ha letto fin qui e a chi ha recensito il primo capitolo!
Meg

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Colonna sonora consigliata: Clouds/Broken – Grant Nicholas ft. Junkie XL


Guai a sognare: il momento di coscienza che accompagna il risveglio è la sofferenza più acuta
Primo Levi – Se Questo è un Uomo


 

Remus si risedette lentamente al tavolo, prendendosi il capo chino tra le mani. I pensieri gli vorticavano nel cervello così rapidamente che il dolore alla testa aumentò, accompagnato dalla nausea e da un leggero capogiro.
La risata di Bellatrix Lestrange gli risuonava nei timpani, e poteva sentire il corpo di Tonks ancora caldo tra le sue braccia. Il pensiero che lei non avrebbe mai visto il loro bambino crescere, che non avrebbe mai assistito ai suoi primi passi, alle sue prime magie, non lo avrebbe mai sentito pronunciare la parola “mamma”... era insostenibile. Era morta senza nemmeno sapere che la guerra era finita, senza poter gioire del meraviglioso sapore della libertà. No, non era esatto. In fondo lei lo aveva sempre saputo.

Questa guerra finirà, Remus. Io ne sono convinta. E nostro figlio vivrà in un mondo migliore. E tu? Tu ci credi?”

Teddy... Non avrebbe mai sentito il calore e l'affetto di una madre, non avrebbe mai potuto piangere sulla sua spalla, non avrebbe mai riso con tenerezza della sua goffaggine. Non l'avrebbe mai conosciuta.
Cosa doveva fare con lui? Come lo avrebbe mantenuto? Adesso sarebbe cambiato tutto. La fine della guerra significava la nuova integrità del Ministero, la sua perenne ricerca di un lavoro, uscire alla luce del sole... per essere discriminato di nuovo dal mondo magico. Forse avrebbe ricevuto qualcosa per la vedovanza. Una magra consolazione: avrebbe preferito morire di fame, se questo avesse significato rivedere Tonks ancora una volta. Il cinico e pratico pensiero sul denaro lo fece sentire disgustato di se stesso, ma Teddy ora aveva la priorità assoluta nella sua vita. Non sarebbe mai riuscito a ricevere un'equa retribuzione, lo sapeva. Questa volta non se ne sarebbe andato, poco ma sicuro.
C'era un altro problema che gli causava una profonda preoccupazione: come avrebbe cresciuto suo figlio senza Tonks? Lui non ne sapeva niente di pappette, pannolini e ninne nanne. Anche se doveva ammettere che dopo la nascita di Teddy quel genere di cose l'aveva attratto contro ogni aspettativa, Remus non si sentiva all'altezza.

E' ora che cominci a fare il padre”

Sua moglie, invece, sembrava nata per fare la mamma. Ogni sua debolezza spariva di fronte al bambino. Miracolosamente non cadeva più, non rovesciava niente e non imprecava. D'un tratto si affacciò nella sua mente la figura di una giovane donna dai corti capelli rosa che allattava al seno un neonato dai ciuffi biondi di fronte ad una finestra con le tende tirate, la luce soffusa che illuminava la stanza. L'immagine più bella che avesse mai visto. Si era incantato a guardarli dalla porta, respirando silenziosamente per paura di interroperli. La dolce filastrocca un po' stonata che Dora canticchiava prese finalmente il posto di quella gelida risata nella sua testa.
Un nodo gli si stava formando in gola, e Remus abbandonò il capo sulle braccia, lasciandosi cullare dal canto di sua moglie.
All'improvviso udì dei passi, ma restò in quella posizione. Andromeda doveva essere rientrata. Strano, non aveva nemmeno sentito la porta. Una mano si posò sulla sua spalla.
“Remus?”
Quest'ultimo alzò la testa e si voltò. Non era Andromeda. Era Tonks.
“D-Dora” la chiamò perplesso. “Sei tu?”
Non riusciva a definirne i contorni e i dettagli, come se fosse diventato miope, ma era sicuro che era lei. Poteva distinguere il lungo cappotto bordeaux in pelle che portava quando era scesa in combattimento e i capelli biondi che le scendevano sulle spalle. Sbatté le palpebre per vederla meglio.
“Mi sei mancata” sussurrò Remus con un sorriso, ma non osava muoversi. Non capiva il perché. Mano a mano che metteva a fuoco, l'espressione di lei si faceva sempre più triste, finché riuscì a vedere le lacrime sui suoi dolci zigomi.
“Perché te ne sei andato, Remus?” chiese lei. La sua voce era ferma e tranquilla, ma quelle parole lo ferirono come una maledizione.
“No, amore, io...” finalmente lui si alzò e le prese le mani. Erano calde e rassicuranti. “Io non me ne sono andato. Te l'ho promesso, vi ho promesso che non vi avrei lasciati mai più...”
“Ma l'hai fatto. Te ne sei andato, Remus. Mi hai lasciata sola, mi hai costretta a cercarti”
“Dora...”
“Se non fosse stato per te, io sarei ancora viva” gridò Tonks. La sua delusione era quasi palpabile.
“Tesoro, ti prego, io...”
Remus non riusciva a parlare, come se fosse sotto l'effetto di un incantesimo Silencio. Voleva giustificarsi, spiegare, stringerle le mani, ma lei si era liberata della sua debole stretta, e gli mostrava le spalle.
“Dora!” la chiamò di nuovo, e la sua voce sembrava un'eco. “Dora, ascoltami... Mi dispiace!”
Tese un braccio verso di lei per afferrarle un polso, ma era come irraggiungibile... Lei prese a camminare, senza voltarsi... Lui iniziò a correre, ma le gambe erano di piombo...
Dora!

Remus si svegliò con un sussulto. Scoprì di essere ancora seduto con le braccia sul tavolo. Si passò una mano sul viso, sentendo le guance umide. Si guardò intorno disorientato, e si alzò barcollando leggermente. Camminando a fatica, raggiunse il bagno e chiuse la porta, benché non ci fosse nessuno in casa, tranne Teddy. Si avvicinò piano allo specchio e guardò il suo riflesso, ma tutto ciò che riuscì a scorgervi fu l'immagine di un uomo distrutto. Anzi, non era un uomo. Era un guscio vuoto. I capelli spettinati ormai quasi del tutto ingrigiti incorniciavano il pallore spettrale del suo volto, solcato da piccole e grandi cicatrici e rughe superficiali. Un paio di occhi verdi lo scrutavano, sperando di trovarvi un briciolo di vitalità oltre alle profonde occhiaie, con scarsi risultati. Aprì il rubinetto e cominciò a lavarsi la faccia, strofinando le mani sul viso in maniera quasi ossessiva. Fu solo quando prese l'asciugamano e vi nascose il volto che si chiese angosciato, mentre il cuore gli sprofondava, se lui sarebbe mai riuscito a perdonare se stesso.


***


Andromeda si Materializzò in una stradina di Hogsmeade, la prima che le era venuta in mente. Era uno dei pochi angoli del villaggio sul quale non si affacciavano negozi o bar, ma solo ordinarie abitazioni. Ciononostante, anche quel vicolo era affollato quel giorno. Uomini, donne e bambini di ogni età passeggiavano o si affrettavano per chissà quale faccenda, chi allegro, chi più mite, chi si era fermato a chiacchierare con qualche conoscente. Con fierezza, senza lasciar trasudare alcuna emozione dal suo sguardo, si avviò verso il castello, decisa.
Se l'è meritato, pensò, ricordando l'espressione addolorata del genero di poco prima. Era tutta colpa sua se Ninfadora se n'era andata. Sarebbe dovuto rimanere a casa, a proteggere sua moglie e suo figlio da vicino, al diavolo l'eroismo. Era quello che avrebbe fatto lei, se il suo Ted e la sua piccola fossero ancora vivi. Più o meno. Forse.
Il dolore per la scomparsa delle persone a cui teneva di più al mondo la colpì inaspettatamente come una stilettata al petto. Si fermò, appoggiandosi al muro di mattoni più vicino. Non doveva provare pietà in quel momento. Incanalare la disperazione nella rabbia era la cosa più giusta da fare. Anche nei confronti della persona sbagliata.
Ma forse... forse c'era una persona più giusta da odiare. Remus non l'aveva menzionata, aveva detto di non aver riconosciuto il Mangiamorte che aveva ucciso sua figlia. Ma qualcosa nel modo in cui si era ostinato a non guardarla, nel modo in cui si contorceva le mani le diceva che aveva mentito. Inoltre, l'aveva nominata subito dopo, come per una strana associazione di idee.

Ci teneva a vedermi in quello stato...”

Chi altri avrebbe potuto godere così tanto della sofferenza altrui come lei? Tutti i Mangiamorte erano noti per questo, certo, ma... solo lei avrebbe voluto eliminare il sangue sporco dal suo albero genealogico uccidendo la figlia di sua sorella.

Bellatrix.

No, non era possibile. Bellatrix la odiava, sì, ma non le avrebbe mai fatto questo. Eppure quel pensiero ossessivo si era ormai impadronito di Andromeda, mentre con passo deciso varcava i cancelli di Hogwarts, abbattuti.
Remus aveva ragione: la scuola era irriconoscibile. Buona parte delle torri era crollata, il cortile era raso al suolo, e, quando entrò nella Sala Grande non poté non notare un'anta dell'enorme portone principale a terra. Vi era un silenzio innaturale nella stanza, rotto solo dai passi e dai movimenti di studenti e insegnanti che tentavano di riparare ciò che era stato distrutto. Nessuno parve accorgersi di lei, tanto erano indaffarati nel loro lavoro. Solo una ragazza rimase pietrificata quando incrociò il suo sguardo. Andromeda non aveva dimenticato la sua somiglianza con la sorella. Lo stesso Harry Potter aveva avuto l'istinto di attaccarla quasi un anno prima per quel motivo. Poi li vide.
Al posto del tavolo dei professori sul rialzo in fondo alla Sala, giacevano una cinquantina di corpi coperti da candide lenzuola. Andromeda avanzò piano verso di loro. Si avvicinò cauta a quella che riconobbe come Madama Chips, l'infermiera della scuola, che in quel momento parlava sommessamente ad uno studente, dicendogli di somministrare una pozione a qualcuno.
“Madama Chips?” la chiamò. La donna si voltò verso di lei e sussultò. Poi la osservò meglio, e capì.
“Signora Black...”
“Tonks, la prego” la interruppe, sentendo una morsa gelida alla bocca dello stomaco, mentre ricordava chi con insistenza doveva aver pronunciato quella frase migliaia di volte.
“Signora Tonks” si corresse l'altra. “Cosa posso fare per lei?” chiese gentilmente.
“Vorrei... Vorrei vedere mia figlia, Ninfadora T... Lupin”
Madama Chips fece un profondo respiro e annuì. Con un movimento complicato della bacchetta evocò una grande pergamena e la studiò. Andromeda riuscì a leggervi dei nomi – troppi nomi – prima che l'infermiera l'abbassasse.
“Mi segua” disse. Raggiunsero l'ultima fila, proprio all'estremità. Madama Chips indicò il terzo lenzuolo. Col cuore in gola, Andromeda si inginocchiò. Tese una mano tremante e lentamente tirò via parte della stoffa.
Il cielo di Hogwarts sembrò squarciarsi sopra di lei.




Angolo autrice
Eccomi qui. Lo so, questa storia è molto molto triste, ma che vogliamo farci, Ispirazione ha deciso. Per adesso non succede molto, Remus e Andromeda devono superare il lutto. Ho introdotto solo alcune cose, ad esempio com'è stata uccisa Tonks, i problemi e i sensi di colpa di Remus, i dubbi di Andromeda su Bellatrix... Piano piano farò entrare altri personaggi.

A me non sembra, ma se ritenete che sia troppo Angst per il rating verde, ditelo e lo cambio.
Remus ha gli occhi verdi, secondo Harry Potter Wiki (*.*), ergo non è una mia invenzione.
Spero sempre in qualche recensione ^^ Grazie mille a chi ha letto, a chi ha recensito finora e a chi ha inserito la storia tra le seguite e le ricordate ;) Un abbraccio
Meg

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


Erano circa le undici del mattino, e Teddy si era già svegliato piangendo. Remus l'aveva preso in braccio e ora lo stava dondolando per cercare di calmarlo, ma il piccolo continuava a piangere. Remus presumeva che avesse fame. Non aveva idea di cosa fare. Forse avrebbe dovuto comprargli del latte artificiale, ma finché Andromeda era via, lui non poteva muoversi da lì. La Materializzazione era fuori discussione, Teddy era troppo piccolo. Ora che Voldemort e i Mangiamorte erano stati finalmente sconfitti, però, Remus pensò che il bambino si meritasse un po' di aria fresca e nuova, al di fuori degli incantesimi protettivi... Non fece in tempo a terminare la frase nella sua testa, che qualcuno bussò alla porta, e i suoi nervi si tesero a fior di pelle. Sfoderò la bacchetta, mentre una profonda voce familiare proveniente dall'esterno diceva:
“Remus? Sono io, Kingsley!”
Si avvicinò all'uscio e sbirciò dallo spioncino. Scorse la figura deformata di un uomo alto di colore accanto a sua suocera. Emise un sospiro di sollievo e aprì.
“Kingsley” lo salutò. Poi posò lo sguardo su Andromeda.
“Oh no...” si lasciò sfuggire.
Andromeda tremava e singhiozzava, un fazzoletto in mano portato alla bocca, sorretta da Kingsley.
“L'avevo detto che non era una buona idea” disse Remus scuotendo il capo, e attento a non far cadere Teddy prese gentilmente una mano della suocera e la costrinse ad entrare.
“Prego, entra, King” disse cercando di suonare cordiale. Kingsley lo seguì.
“Ehi, Teddy” lo chiamò Remus, quando si furono seduti tutti e tre sul divano del piccolo salotto. “Guarda chi c'è. Nonna Andromeda è tornata, e ti ha portato lo zio Kingsley, sì?”
Mentre Remus posava un braccio attorno alle spalle di lei e le massaggiava i gomiti, inspiegabilmente il bambino smise di piangere e guardò Kingsley. I capelli e gli occhioni curiosi diventarono verdi.
“Gli piaci” disse Remus e, per la prima volta dopo tante ore, un debole sorriso spontaneo gli increspò le labbra.
“Ciao, piccolino” disse Kingsley, accazzandogli la guancetta col dorso della mano. Il bambino agitò le braccine verso di lui. “Vi somiglia molto. A tutti e due”
“Gli occhi sono della mamma” disse Andromeda, asciugandosi le lacrime, “ma dal naso in giù ha preso tutto dal papà”
“Come ti senti?” chiese Remus preoccupato, ignorando volutamente il riferimento a Tonks. Andromeda fece un breve respiro.
“Meglio” rispose annuendo. “Grazie, signor Shacklebolt”
“Mi chiami Kingsley”
“Grazie, Kingsley. Scusate, io... ho bisogno del bagno”
Remus annuì distrattamente, e la strega si allontanò.
“Come stai, Remus?” chiese il mago. Remus si morse il labbro e scosse il capo.
“Devi concentrarti su tuo figlio, adesso” disse l'altro incoraggiante.
“Già” disse Remus guardando il piccolo che giocava con le dita dell'amico. “E' tutto ciò che mi rimane”
“Ce la farai” disse Kingsley, come se avesse letto nel suo sguardo tutti i dubbi e le paure che gli stavano rodendo l'anima. Remus annuì di nuovo, senza troppa convinzione. La realtà era che non lo sapeva nemmeno lui.
“Ti serve qualcosa?” chiese Kingsley.
“No, King, grazie. Immagino che tu abbia da fare...”
“Possono aspettare...”
Remus scosse di nuovo il capo, più deciso. “Non ti preoccupare” disse. “Me la caverò. Davvero”
Kingsley indugiò qualche secondo, poi si alzò.
“Ok. Non voglio insistere. Però promettimi che per qualsiasi cosa, qualsiasi, non esiterai a chiamarmi, d'accordo?”
Remus sorrise forzatamente. “D'accordo”
Lo accompagnò alla porta e si salutarono. Remus non attese che Kingsley si Smaterializzasse prima di chiudere la porta. Non appena lo ebbe fatto, Teddy ricominciò a piangere.
“Ma come, è già andato via?”
Andromeda era tornata.
“Purtroppo sì” rispose Remus. Non sapeva neanche lui cosa voleva: quando Kingsley era presente, voleva stare da solo; ora che se n'era andato, avrebbe voluto che fosse rimasto.
“Remus?” Andromeda interruppe il filo dei suoi pensieri. “Non è che potrei... Non... non me la sento di restare a casa, stanotte... Ti dispiace se resto qui?”
Remus la guardò, un po' spiazzato dalla domanda. Per lui era più che ovvio che restasse. Anzi, si rese conto di quanto avesse bisogno di lei in un periodo come quello.
“Ma certo che puoi restare, Andromeda” disse. “A proposito. Puoi occupartene tu per un po'?” chiese titubante, porgendole il bambino. “Devo andare a comprare il latte”
“Certo” rispose Andromeda, e per un attimo avvertì una specie di fastidio all'altezza dello stomaco, ripensando a quello che gli aveva detto prima di andarsene.
Remus indossò il mantello, prese un po' di denaro babbano dalla biscottiera, diede un bacio a Teddy sulla fronte e uscì di casa, Materializzandosi di fronte alla farmacia del paese vicino.

***

Era ormai il primo pomeriggio. Teddy aveva mangiato a sazietà e ora dormiva tranquillo. Anche Andromeda e Remus avevano provato a mandare giù qualcosa – Andromeda aveva insistito nel cucinare uova e bacon – ma nessuno dei due aveva molta fame. Dopo aver pulito le stoviglie a mano, Andromeda aveva sbadigliato e borbottato che avrebbe provato a dormire un po'.
Anche Remus cominciò ad avvertire la stanchezza. Non chiudeva occhio da ventinove ore, se non si contavano quei venti minuti sul tavolo della cucina. In verità parte di lui non voleva neanche farlo, come un capriccio infantile. Dormire significava avere gli incubi, e quello reale che stava vivendo gli bastava. Riconosceva, però, che era una primaria necessità.
Stava proprio per sdraiarsi sul divano, quando altri colpi alla porta attirarono la sua attenzione. Con un leggero sospiro, Remus andò ad aprire ad una delle persone che più desiderava incontrare, ma che non aveva avuto la forza di avvertire.
Lyall Lupin sorrideva mestamente allo sguardo incredulo del figlio.
“Ciao, Remus” disse. Quest'ultimo restò qualche secondo impalato sulla soglia, poi si gettò su di lui e lo abbracciò stretto. Restarono così per un po', in silenzio. Remus dovette lottare con se stesso per non piangere ancora. Una miriade di emozioni contrastanti lo travolsero, ma soprattutto il dolore per la sua perdita opposto alla gioia di rivedere suo padre.
“Vieni” disse Remus con voce roca, liberandolo dalla stretta ed indietreggiando verso l'interno. “Entra”
Lyall entrò e si guardò intorno. L'ingresso dava direttamente sulla cucina: era un locale semplice e modesto, ma ordinato e pulito, con tavolo, piano cottura, mensole e stipetti, una porta sulla destra che conduceva alle altre stanze. A separarla dal piccolo salotto sulla sinistra c'era solo un basso muretto decorato, che non arrivava da una parete all'altra. C'erano un caminetto spento, un divano giallo contro la parete, una poltroncina dello stesso colore e un basso mobile appoggiato alla parete opposta con sopra delle fotografie. Remus lo fece accomodare sul sofà. Non si vedevano da quasi un anno, dai due giorni prima del matrimonio, per la precisione. Tonks aveva insistito nel conoscere Lyall per ricevere almeno la sua benedizione prima di essere sposati, e Remus l'aveva accontentata, nonostante avesse temuto per l'incolumità del padre a causa della sua visita.
“Una tazza di tè?” chiese Remus a bassa voce. “Scusa, di là ci sono Teddy e la nonna che dormono”
“Volentieri” rispose Lyall. L'altro si spostò in cucina e mosse la bacchetta. Un bollitore si riempì d'acqua e dopo qualche secondo cominciò a fischiare. Una tazza uscì dalla credenza e si posò sul ripiano. Un altro pigro movimento del polso, e una delle bustine di tè che erano già lì si mise dentro la tazza. Remus prese il bollitore e vi versò l'acqua.
“Ecco” disse, porgendo la tazza a Lyall. Quest'ultimo ringraziò.
“So che è scontato chiedertelo ma... come stai, figliolo?”
Remus lo guardò. Lyall aveva i capelli corti, bianchi e lisci, il naso un po' grande e la bocca sottile. Remus ne aveva ripreso gli occhi chiari e il mento, per il resto aveva i lineamenti di sua madre. Una volta una ragazza gli aveva detto che se non fosse stato per le cicatrici – era convinta che fosse autolesionista – nel complesso era un bel giovane.
“Sto... sto male. Male” rispose sincero. Lyall sospirò e guardò fisso davanti a sé.
“Ci si sente... incompleti” disse piano. Remus tacque. Dopo un po' annuì. Chi poteva capirlo meglio dell'uomo che aveva accanto? Era suo padre, ed aveva perso sua moglie molti anni prima. Ciò che diceva aveva un senso, la parola che aveva usato racchiudeva tutta la sofferenza che provava. “Incompleto”. Era come se l'avessero privato di metà del suo corpo, braccia, cuore, polmoni, tutto era stato diviso in due, perfino la sua anima. Un dolore inimmaginabile.
“Quando persi tua madre” continuò Lyall, “era come se... come se... mi fosse crollato il mondo addosso”
Sorseggiò il tè.
“Mi chiedo” disse Remus, pur sapendo quanto fosse puerile e retorica la sua domanda, “se riuscirò mai ad essere di nuovo felice, papà. E se lo sarà anche mio figlio, senza sua madre”
Lyall gli rivolse uno sguardo compassionevole, poi posò la tazza sul tavolino e gli prese le mani.
“Lascia che ti dica una cosa, Remus. Hai perso una delle persone più importanti della tua vita stanotte. E quello che provi, il dolore, la paura, l'incertezza e l'ignoto, è più che comprensibile. Ma sappi questo, anche se ora ti sembrerà impossibile” gli strinse le mani più forte. “Il tempo, figliolo, il tempo cicatrizza le ferite, anche le più gravi. Non si rimargineranno mai del tutto, ma imparerai a conviverci. E, sì, per quanto possa sembrare quasi assurdo, ci saranno cose per cui varrà la pena lottare. Quelle saranno le cose che ti renderanno felice. Sarà una felicità diversa, ma pur sempre felicità”
Fece una pausa, poi continuò:
“Quanto a Teddy” gli rivolse un timido sorriso, “non preoccuparti. Crescerà e sarà orgoglioso di sua madre. Ci sarà sempre un vuoto nella sua vita, certo, ma ci sarai tu a riempirlo, Remus. Tu e tutte le persone che vogliono già bene a quel bambino, e quelle che dovrà ancora incontrare”
Per un istante, Remus gli credette, ma, come il padre aveva predetto, la serenità era qualcosa di irraggiungibile al momento, qualcosa per cui non valeva la pena alzare un dito. Lyall riprese a bere il tè.
“Mi piaceva. Molto” disse. “Sempre allegra... Aveva un bellissimo sorriso”
“E'... era fantastica” concordò Remus, mentre sentiva la sua voce che tremava all'idea di usare il tempo passato. “Mi sono sempre chiesto che cosa avessi fatto per averla nella mia vita”
“Tu meriti più di quanto credi, Remus. Hai sempre avuto una scarsa autostima” sentenziò Lyall. Remus si passò una mano sulla fronte, tormentato.
“Non merito proprio niente” disse. Afferrò i capelli. “Non merito un accidente” sibilò con rabbia.
“Perché dici questo?”
“E' colpa mia, papà. Solo colpa mia. Non avrei mai dovuto prendere parte alla battaglia, ho preferito aiutare Harry piuttosto che stare vicino a mia moglie e a mio figlio, io... non merito neanche di vivere...”
“Remus” lo chiamò Lyall con fermezza, tirandolo via dal baratro in cui stava precipitando. “Non dirlo neanche per scherzo, è chiaro? Il tuo è stato coraggio, hai combattuto per tua moglie e tuo figlio, per sconfiggere Tu-Sai-Chi, per assicurare loro un mondo migliore. Devi essere solo fiero di te stesso. Non è stato un atto di eroismo, né ti sei messo a pensare a cosa fosse giusto fare. E' stato l'istinto più umano che hai, Remus: l'amore. E lo stesso ha fatto Tonks. Sono sicuro che, se fosse stato possibile, sareste rimasti vicino a Teddy. Ma a cosa sarebbe servito stanotte?”
“E a cosa è servito andare, papà?” lo interruppe Remus, lo sguardo duro. “Dimmelo, a cosa è servito?”
“A fare la differenza, figliolo” rispose Lyall. Remus sospirò esasperato.
“L'unica differenza che vedo è che adesso mia moglie non c'è più” sussurrò, tirando su col naso. Lyall tacque, poi disse piano:
“Come potevi saperlo, Remus? Dimmi, avresti potuto prevederlo?”
“Sì” disse subito lui.
“No” lo corresse l'altro. “Se l'avessi saputo, non ci saresti andato. E' questo quello che conta”
Remus non disse nulla. All'improvviso capì cosa intendeva il padre. Il macigno che portava nell'animo era leggermente rimpicciolito, anche se ormai il senso di colpa permeava il suo cervello come un gas velenoso.
Lyall finì il suo tè, poi disse:
“Sarai stanco. Forse è meglio che vada”
Per un fugace istante, a Remus venne in mente un ricordo di quando era bambino: i suoi genitori che vegliavano su di lui dopo una notte di luna piena, aspettando che lui si addormentasse. Lyall si alzò, e lui lo imitò.
“Grazie per... per essere venuto” disse. Lyall inarcò un sopracciglio.
“Sappi che tornerò” precisò. “Non ti azzardare a tagliarmi fuori dalla tua vita, questa volta”
Remus sorrise debolmente e scosse il capo. Aspettò che superasse gli incantesimi protettivi e lo guardò Smaterializzarsi, chiedendosi come avesse fatto ad attraversarli la prima volta. Si rese conto che, in fondo, lo aveva sempre aspettato.

 

 

 

Angolo autrice:
Ciao gente! Ecco un nuovo capitolo ^^ Date il benvenuto a Kingsley e Lyall!
Non ho niente da dire, tranne che spero che vi sia piaciuto e che lasciate qualche recensione :)

Come sempre, grazie mille a coloro che hanno letto, recensito o inserito la storia tra le seguite, preferite o ricordate ^^
Meg

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


 “E quando pensi che sia finita,
è proprio allora che comincia la salita”

Antonello Venditti – Che fantastica storia è la vita

 

 

No! Prendi me! Uccidi me!”
Crucio!”
Una risata crudele.
I vagiti di un bambino...
Un bagliore giallo...

Remus si svegliò di soprassalto, madido di sudore, il cuore che batteva furiosamente in gola. Soffocato dal buio, non seppe dove si trovava finché non sentì sotto le dita le morbide lenzuola che lo avvolgevano. Ancora scosso dai brividi, si alzò rapidamente dal letto e si avvicinò alla culla. Il suo bambino era ancora lì, beatamente addormentato a pancia in su, il respiro lento e regolare, i capelli celesti. Il sollievo gli riempì il petto come acqua tiepida. Solo un maledetto incubo.
Restò a guardarlo in silenzio per qualche minuto, osservando la minuscola perfezione delle manine, del viso, di tutto quel corpicino che era l'unica ragione per cui resisteva. Più volte aveva considerato l'idea di cedere alla terribile tentazione di arrendersi ad un Dissennatore che gli succhiasse l'anima. Agognava il puro oblìo, il non sentire, non provare nulla, neanche la propria coscienza. Poi, però, il pensiero di suo figlio diventava balsamo per le ferite, nuova forza interiore e addirittura motivo di vergogna per aver anche solo immaginato di abbandonarlo deliberatamente in quel modo.
Si stropicciò gli occhi stanchi e guardò la sveglia: erano quasi le otto di sera. Desiderava riposare ancora un po', ma sapeva che non sarebbe riuscito a dormire durante la notte. Anche se Teddy non l'avrebbe permesso comunque. Proprio in quel momento anche lui si svegliò, e i suoi lamenti riempirono la stanza. Remus lo prese e lo mise nel carrozzino, poi lo spostò in cucina.
Andromeda era già in piedi e stava trafficando con stoviglie e pentolame. Remus sentì l'odore della carne cotta aleggiare per la stanza. Si rese conto solo in quel momento di quanta fame avesse.
“Ciao, Remus” lo salutò lei, con l'aria di avere un brutto raffreddore, senza voltarsi.
“Ciao” ricambiò Remus. “Credo che Teddy abbia ancora fame”
Finalmente Andromeda si girò, spense i fornelli e si avvicinò al bambino. Sospirò.
“Non è la fame, dev'essere cambiato. Ci penso io” disse, e lo prese in braccio, sussurrando parole dolci. “Tu mangia” aggiunse, alzando il mento verso le padelle. Si avviò verso la camera da letto.
“Prima o poi dovrò imparare” disse Remus, e la seguì.
Poco dopo furono di ritorno. Remus aveva l'aria leggermente confusa e si grattava il capo. Sua moglie aveva provato a spiegarglielo alla babbana, data la sua difficoltà nel cimentarsi negli incantesimi di quel genere. Sua suocera, invece, li padroneggiava a meraviglia.
“Hai capito come devi fare?” chiese Andromeda un po' corrucciata, una volta che ebbero preso posto a tavola.
“Preferirei non pensarci adesso, Andromeda” rispose Remus, cominciando a tagliare la carne. Lei alzò un sopracciglio, ma prese a mangiare comunque senza dire nulla.
“Era tuo padre prima?” chiese dopo qualche minuto di silenzio.
“Sì” rispose Remus. “Scusa, non pensavo che ti avremmo svegliata”
“Non importa” disse lei. Remus si chiese se avesse sentito la loro conversazione.
“E' domani” disse Andromeda dopo un po'. Remus capì a cosa si riferiva. All'improvviso aveva di nuovo perso l'appetito, ma continuò a mandare giù il pasto per non offenderla.
“Alle dieci” continuò Andromeda. Lui annuì, sperando di lasciar cadere il discorso. Tuttavia, lei rigirò il coltello nella piaga.
“Dimmi la verità, Remus” disse, posando la forchetta e guardandolo in viso. “E' stata Bellatrix, vero?”
A Remus caddero le posate di mano. Non le raccolse.
“I-io non...”
“La verità!”
Remus chiuse gli occhi, respirando profondamente.
“Guardami!” esclamò Andromeda battendo un pugno sul tavolo, il coltello ancora stretto in mano. Remus alzò gli occhi, lo sguardo cupo.
“Sì” disse secco.
Le labbra di Andromeda fremettero. Si alzò e prese il suo piatto ormai vuoto, andò verso il lavandino e con uno scatto d'ira lo buttò per terra, dove si infranse. Portò una mano alla bocca e cacciò un grido soffocato. Anche il piccolo Teddy iniziò a strillare. Remus si alzò subito e circondò prontamente Andromeda con le braccia, lasciando che lo colpisse ripetutamente. Gli faceva male, ma non gli importava: era quasi piacevole. Poi lei posò la testa sulla sua spalla e si lasciò andare ancora una volta ad un pianto isterico.

***

Remus si guardò allo specchio. Un giorno era passato. Una terribile giornata senza di lei. Si aggiustò il bavero dell'elegante abito verde scuro che Tonks gli aveva regalato per il suo trentottesimo compleanno. Aveva voluto vestirsi con decenza, almeno quel giorno, voleva avere un aspetto curato per il loro ultimo appuntamento, come se fosse il primo. Udì dei colpi alla porta, e si voltò. Andromeda avanzò verso di lui, gli aggiustò ulteriormente il bavero della lunga giacca e gli diede una leggera pacca sul petto. Lei indossava una lunga veste bordeaux con sotto una camicetta rosa chiaro. Disse:
“Andiamo?”
Lui sospirò e annuì. Prese il carrozzino e lo spinse verso la cucina, mentre Andromeda prendeva in braccio il bambino dal suo lettino. Remus controllò che fosse ben coperto, prima di uscire di casa. Una volta fuori, entrambi attesero qualche minuto. A un tratto la carrozzella si illuminò. Andromeda strinse con delicatezza il bambino, proteggendolo col suo corpo e afferrò il manico insieme a Remus. La Passaporta li trasportò dritti di fronte ai cancelli di Hogwarts.
Durante il breve viaggio, Teddy sorrise di gioia nel venire smosso qua e là dal turbine di colori e rumori. Il papà e la nonna atterrarono con attenzione per non farlo cadere. Per brevi istanti avevano sorriso anche loro, prima di ricordare il perché erano lì. Due funzionari del Ministero li stavano aspettando a circa due metri di distanza. Li condussero dentro i confini della scuola.
I caldi raggi solari illuminavano i giardini di Hogwarts, dove a pochi metri dal Lago era stato allestito un enorme gazebo, con sotto delle sedie e un rialzo con numerose bare di legno. Andromeda e Remus si avvicinarono, spingendo il carrozzino con dentro Teddy. Mancava un quarto d'ora alla cerimonia funebre, e già i posti erano quasi tutti occupati. Remus prese in braccio Teddy e salì sul rilievo, cercando con lo sguardo la fotografia di sua moglie. La trovò. Tonks rideva senza voce dalla cornice sulla bara, sprizzando quell'allegria che solo lei riusciva a trasmettergli. Non quella volta, però. Remus ricordava ancora quando era stata scattata, quasi tre anni prima: Sirius aveva ripescato dalla soffitta di Grimmauld Place una vecchia macchina fotografica con un altrettanto vecchio rullino, ma ancora funzionante. Si era messo a fotografare tutti i membri dell'Ordine che gli capitavano a tiro, tra cui Tonks, che era stata al gioco. Poi ne aveva scattata una a Remus e Tonks insieme. La foto era proprio sul mobile del loro salotto.
“Vedi, Teddy?” disse al bambino con voce tremante, prendendo la fotografia. “E' la mamma. Vedi quanto è bella?”
Il piccolo agitò le braccine verso la cornice. Remus accarezzò la superficie e la baciò.
“E' bellissima” disse la voce soffocata di Andromeda dietro di lui. Remus immaginò che stesse premendo un fazzoletto sulla bocca. Non ce la faceva a stare in piedi, doveva sedersi. Senza una parola, si avviò verso le sedie in seconda fila, due delle quali erano ancora libere, all'estremità verso il centro. Andromeda lo seguì e si sedette accanto a lui. Remus rimise Teddy nel carrozzino e si guardò intorno. Maghi e streghe di tutte le età, padri, madri, parenti, occupavano il chiosco: come per il funerale di Silente, Remus sapeva di conoscere la maggior parte delle persone presenti, come una famiglia dai capelli rossi dall'altra parte. Eppure non ne vide molte altre. Pensò di andare dai Weasley, ma una voce familiare lo chiamò. Si voltò, e dieci, trenta, quaranta persone gli si avvicinarono per dargli le condoglianze. Neville Paciock, Dean Thomas, Seamus Finnigan, Luna Lovegood, e molti altri suoi ex-studenti, i professori di Hogwarts, Hagrid, Lyall, i membri rimasti dell'Ordine della Fenice, e davanti a tutti Hermione Granger ed Harry Potter, il Prescelto, colui che li aveva salvati. Remus si alzò, un po' stordito da tutta quella gente che era lì per lui, per Dora, a dirgli che non lo avrebbero lasciato solo, che non gli avrebbero permesso di chiudersi in se stesso come l'ultima volta. Harry lo abbracciò forte e gli diede delle pacche sulla schiena. Remus ricambiò la stretta, mentre qualcosa dentro di lui si frantumava di nuovo.
“Harry...” sussurrò, pregandolo in quel nome di aiutarlo a resistere ancora. “Harry...”
“Andrà tutto bene, Remus” disse lui. “Vedrai”
E mentre si abbracciavano, Neville posò una mano su quella del suo ex-professore, e così fecero gli studenti più vicini. Remus avrebbe voluto ringraziarli, ma non ci riuscì. Non ce n'era bisogno. L'Ordine della Fenice e i professori si rivolsero ad Andromeda. Dopo che ebbero dato le condoglianze anche a lei, un campanello suonò, e tutti presero posto.
Kingsley si alzò, salì vicino alle bare e cominciò a parlare. Remus non udì mai le sue parole di cordoglio. Vide solo i suoi gesti e le lacrime trattenute. D'un tratto immaginò tutta la sua vita come il giorno precedente, l'infinito scorrere delle settimane, dei mesi, degli anni senza di lei, senza Dora, e si sentì mancare. Dovette aggrapparsi ai braccioli della sedia, mentre piccole gocce salate attraversavano le sue guance e cadevano ai suoi piedi. Automaticamente prese a cullare il carrozzino di Teddy, nonostante lui fosse tranquillo. Sentì la mano di Andromeda prendere la sua e stringerla. Dall'altra parte, Tonks gli rivolse un caldo sorriso.

 

 

 

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


 “Il sole deve tramontare per poter sorgere”
Coldplay – Paradise

 

 

Andromeda era seduta in cucina. Teneva in braccio il bambino e lo allattava, mentre canticchiava sommessamente. Lyall osservava il cielo dalla finestra del salotto: un bellissimo tramonto faceva da sfondo allo splendido paesaggio, fatto di alte montagne e colline ondulate di un verde brillante. Osservò la luna, già alta e piena, ma appena visibile sotto la luce del sole. Distolse bruscamente lo sguardo posandolo sul capanno poco lontano, e sospirò. Era passata una settimana dal funerale. Si voltò e guardò il nipotino: era proprio bello, pensava, e aveva preso il meglio dai genitori. Chissà, magari lo avrebbe preso anche dal loro carattere. Si avvicinò piano alla consuocera.
“Nervosa?” le chiese. Lei alzò lo sguardo.
“Un po', devo ammetterlo” rispose. “Non sono abituata a... be', a questo
“Purtroppo non ci si fa mai l'abitudine, anche dopo trentatré anni” disse Lyall sospirando di nuovo.
“Aveva cinque anni?” chiese Andromeda sbigottita, dopo un rapido calcolo.
“Quasi” rispose Lyall con voce grave. Restarono per un po' senza dire nulla. Andromeda non poté fare a meno di pensare che mentre lei, appena dodicenne, dormiva tranquilla e al sicuro nel suo dormitorio a Hogwarts, da qualche parte il piccolo Remus Lupin veniva morso da un Lupo Mannaro. Il pensiero la fece rabbrividire. All'improvviso provò un moto di compassione verso il genero.
“Ma come... come è potuta accadere una cosa simile?” chiese Andromeda con un tono quasi arrabbiato, come per rimproverarlo di essere stato tanto sconsiderato da lasciare che il figlioletto andasse in giro da solo in una notte di luna piena.
“Fenrir Greyback” rispose Lyall con amarezza. “Si appostò vicino alla finestra della sua cameretta... e lo aggredì”
“Oh” esclamò Andromeda senza parole.
“Ma è stata colpa mia, tutta colpa mia...” disse Lyall scuotendo il capo e guardando in basso. Andromeda lo fissò con aria interrogativa.
“Insultai Greyback” spiegò Lyall. “E lui... si vendicò su mio figlio”
Andromeda tacque, gli occhi lucidi dalla rabbia, una smorfia di rammarico che le deformava il bel viso.
“Io...” disse dopo qualche minuto di silenzio, esitando. “Non volevo origliare, assolutamente, ma l'altro giorno ho sentito Remus dire... che era colpa sua...”
Lyall annuì triste.
“Remus non ha mai perso l'abitudine di colpevolizzarsi...” disse.
“Chissà da chi ha preso...”
Lyall fece un vago sorriso.
“E' convinto che Tonks... perdonami, Ninfadora... sia morta per causa sua. Che non avrebbe dovuto prendere parte alla battaglia. E lo pensi anche tu” aggiunse, guardando in tralice la consuocera. “Vero?”
“No, io... io non lo penso” si affrettò a dire Andromeda. “Lo pensavo, ma ora...”
Guardò con tenerezza il bambino che ciucciava soddisfatto il biberon. “E non credo neanche che tu sia responsabile della licantropia di tuo figlio” aggiunse. “Certe cose succedono: non possiamo prevedere tutto”
Lyall sorrise con più calore.
“Mia moglie diceva la stessa cosa” disse.


***


Remus sedeva rannicchiato in un angolo del capanno, senza vestiti, avvolto solo da una trapunta patchwork colorata. I battiti deboli e rapidi del suo cuore scandivano i secondi che si susseguivano inesorabili, mentre un respiro leggermente affannoso e irregolare riempiva il silenzio. Benché dall'esterno fosse grande solo qualche metro, l'interno era molto spazioso. Mantenendo la testa bassa, Remus alzò lentamente gli occhi verso la finestra più vicina e rabbrividì istintivamente: come dipinto da un maestro, la sfumatura del cielo passava tenuemente dal color indaco all'arancio sanguigno dei raggi del sole che pian piano tramontava. Pari a quella di molti, la vita di Remus era una perenne lotta interiore: perfino in quel momento il tempo rallentava o accelerava, a seconda del suo desiderio che scorresse più velocemente o lentamente. Odiava questo, odiava dover aspettare nella paura che sorgesse la luna piena. Più che paura, era terrore. Lo era sempre stato. Anche quando era in compagnia di tre Animagi, aveva sempre cercato di nascondere il panico che gli afferrava il petto come il Tranello del Diavolo, poco prima della trasformazione. Allora erano i suoi amici a preoccuparlo. Ora c'erano Lyall e Andromeda... e Teddy.
Nonostante gli incantesimi e la distanza di sicurezza dalla sua casa, Remus era atterrito all'idea di ferire i suoi cari: erano gli unici esseri umani nel raggio di chilometri. Soprattutto ora che non c'era più Tonks a difenderli... La prima luna piena senza Dora, da quando erano sposati. Avvertì una morsa gelida all'altezza dei polmoni, e si strinse ancor di più nella coperta, mentre ricordava il tocco gentile di lei sulla sua pelle martoriata. Si sentì tremendamente solo, più che nei giorni precedenti. Pensò a quanto la situazione fosse simile a quella di diciassette anni prima, quando l'Inghilterra magica festeggiava la fine di Lord Voldemort mentre lui stava lì, ad attendere quel maledetto satellite in compagnia della terribile mancanza dei suoi amici.
La sua mente viaggiò a ritroso, fino al giorno in cui l'avevano messo all'angolo costringendolo a dire la verità sulla sua condizione. Poi corse in avanti, tornando al presente e addirittura superandolo: non richiesta, si fece strada nella sua mente l'immagine di un ragazzo dai capelli azzurri di spalle. E la domanda sorse spontanea: come avrebbe reagito suo figlio, una volta cresciuto, all'orribile notizia che suo padre era un Lupo Mannaro? Cosa avrebbe detto? Come lo avrebbe giudicato? Sotto quella coltre di insicurezza, la voce di sua moglie parlò nella sua testa...
Sei suo padre, Remus. Questo bambino conoscerà te, prima di comprendere qualsiasi pregiudizio. Sarà naturale per lui. E ti adorerà, vedrai...
Le idee si facevano sempre più insensate e confuse, man mano che il cielo si oscurava e la luna diventava sempre più visibile e perfetta, una sensazione simile al dormiveglia. Era strano come, ogni volta che sedeva ad aspettarla, le sue paure più profonde riaffioravano, i pensieri si facevano più cupi, si sentiva sempre più vulnerabile. Questo pensava quando, passato il crepuscolo, il primo spasmo gli fece contrarre i muscoli. Ne seguì un altro, e un altro ancora, e Remus seppe che era il momento. Tentò di alzarsi, ma una fitta allo stomaco lo fece piegare in due e cadere in ginocchio. Dalla finestra in alto, dove lui non poteva raggiungerla, quel candido cerchio luminoso irradiava la sua luce nella stanza. Si sentì fortemente attratto dal raggio lunare e, trascinandosi dietro la coperta, si avvicinò con trepidazione, allungando un braccio. Non appena la sua mano fu investita dalla luce, Remus cadde a terra, come trafitto da lame incandescenti. Ma, per la prima volta dopo tanti anni, non desiderava altro che dolore, il dolore fisico, che alleviava un po' quello del suo animo. Assaporò ogni fibra del suo essere che bruciava, urlò di dolore e di piacere, e in quel grido pregava, supplicava che il suo bambino restasse al sicuro, lontano da lui, da quel mostro che gli incendiava le viscere, gli spezzava le ossa, gli perforava il cranio.
Molto poco rimase di quello che una volta era uomo. Solo quel vuoto che sembrava incolmabile, anche per il lupo. L'animale ululò profondamente alla luna sua amica, poi affamato corse da una parte all'altra del capanno, cercando di abbattere le robuste pareti di legno, di raggiungere e rompere le finestre protette anch'esse dalla magia. Frustrato, cominciò a graffiarsi il muso, l'addome, a mordersi le zampe, a ferire qualsiasi punto della sua pelle riuscisse a raggiungere. E il solito rituale distruttivo si ripeteva, ma questa volta fu peggio che mai. Il lupo non ebbe alcuna pietà per se stesso, molto meno di quanta ne avesse l'essere umano.


***


Era ormai l'alba, e Teddy si era finalmente assopito. Anche Lyall e Andromeda si riposarono sul divano, dopo essere stati svegli per tutta la notte, un po' a causa dell'ansia per Remus, costretto a subire la sua terribile trasformazione, un po' per il bambino che non accennava ad addormentarsi. Finché, preoccupato dal fatto che Remus non era ancora tornato a casa, Lyall non si precipitò all'entrata del capanno. Appoggiò un orecchio sulla porta e restò in ascolto: non un rumore faceva vibrare l'aria, nessun raspare contro il legno, nessun uggiolìo o grido. Picchiettò nervosamente la bacchetta contro la maniglia ed entrò. Trovò Remus, in forma umana, che giaceva su un lato a terra in fondo alla stanza, un braccio disteso verso la coperta che non aveva avuto la forza di attirare a sé, gli occhi chiusi. Non appena lo vide, Lyall corse verso di lui e gli si inginocchiò accanto. Notò che il torace si alzava e si abbassava lentamente, e il sollievo lo pervase, anche se il suo corpo magro era ricorperto di sangue e tagli e lividi bluastri, e un rivolo di saliva fuoriusciva dalla bocca semiaperta. Lyall evocò subito delle bende provvisorie per fermare il sangue delle ferite più profonde. Lo sfiorò con le dita, e a quel tocco suo figlio socchiuse le palpebre e disse con voce impastata:
“'Infa...'ora...”
“No, Remus, sono tuo padre” disse Lyall gentilmente. “Non parlare, ora”
Appellò la trapunta, evocò una semplice barella e con delicatezza vi fece levitare sopra Remus. Preferì non soffermarsi sulle chiazze rosse che macchiavano il pavimento e le pareti.
Una volta entrati in casa, Andromeda li accompagnò nella camera matrimoniale. Lyall adagiò Remus sul letto. Sul comodino, medicine, garze e unguenti erano già pronti.
“E' svenuto” disse lui.
“Dobbiamo portarlo al San Mungo...” cominciò Andromeda.
“Oh no, cara, non ce n'è bisogno” la interruppe Lyall. “Non c'è cura per queste ferite” disse, incominciando a maneggiare in fretta le varie ampolle e fiale. “L'emorragia si è fermata, ma ha urgente bisogno di una Pozione Rimpolpasangue” e sollevò piano le bende per controllare. “Ecco qui”
Agitò una bottiglietta con dentro un liquido rosso acceso, che emanava una strana luce dello stesso colore. Poi prese una siringa dal comodino e la immerse nella pozione. Una volta piena, infilò l'ago nel braccio di Remus, e il viso pallido dell'uomo riprese un po' di colorito. Dopo qualche minuto, Lyall lo chiamò con dolcezza. Lentamente Remus aprì gli occhi e un'espressione sofferente gli si dipinse sul volto. Lyall sospirò stancamente.
“Ora bisogna medicarlo” disse.
“Ti serve aiuto?” chiese Andromeda.
“Sì... sì, credo che potresti aiutarmi...” rispose Lyall. “Vieni, tienilo fermo”
Con mani esperte, il mago si prese cura delle ferite del figlio, applicandovi questa o quella pozione e fasciandole, mentre Andromeda teneva Remus bloccato con le sue mani forti e di tanto in tanto passava a Lyall l'occorrente. L'uomo si dimenava, gemeva ed emetteva brevi grida e versi soffocati, a volte biascicando qualche parola.
“Teddy... No... no... Lasciatemi...” Andromeda l'udì gridare debolmente con voce acuta, mentre si sforzava di mantenere salda la presa su di lui.
“Sta delirando” disse Lyall con aria cupa, chiedendosi cosa diamine stesse vivendo Remus nella sua testa. Quando ebbero finito, Andromeda gli posò una mano sulla fronte.
“Ha la febbre alta” disse. “Vado a prendere un fazzoletto bagnato”
E li lasciò soli. Lyall aveva mantenuto il sangue freddo per tutto il tempo, ma ora non riuscì più a trattenersi. Accarezzò la testa di Remus, ricordando quando era piccolo. Come allora, sussurrò:
“Perdonami, figliolo. Ti prego, perdonami...”
“Papà?” lo chiamò quest'ultimo con voce flebile. Piccole gocce di sudore sul viso e sul petto brillavano sotto la fioca luce dell'abat-jour sul comodino.
“Sì?” rispose Lyall asciugandosi gli occhi.
“Tu perdona me” disse Remus.
“Per cosa?”
“Per...per essermene andato... Per averti lasciato solo... Dopo che la mamma...”
“Remus...” Lyall scosse il capo. Due anni dopo la morte della madre e subito dopo quella dei suoi amici, il ragazzo aveva deciso di vivere da solo, facendogli visita occasionalmente, nonostante la povertà che la sua solitudine avrebbe comportato.
“Non... non volevo causarti altre sofferenze...” continuò con affanno. “V-volevo dichiarare la licantropia al Ministero... T-ti avrebbero creato problemi... E poi... J-James e Lily... tutti... andati...”
“Shh...” lo zittì Lyall, accarezzandogli di nuovo il capo, giacché cominciava a manifestare un certo sforzo. “Non c'è niente da perdonare, Remus. Eri vivo, e questo mi bastava. Tu non hai nessuna colpa, figliolo”
Andromeda si schiarì la voce con imbarazzo, e Lyall sobbalzò. Era tornata con una ciotola d'acqua fresca in cui era immerso un fazzoletto, mentre con l'altra mano reggeva un bicchiere pieno di un liquido viola.
“Ho trovato un Distillato Soporifero nella credenza” disse.
“Bene” esclamò Lyall. Prese il fazzoletto dalla ciotola, lo strizzò e lo mise sulla fronte di Remus. Lui gemette ancora e ricominciò ad agitarsi dal dolore. Nello stesso momento, i vagiti del piccolo riempirono la stanza.
“E' meglio se gli diamo subito il Distillato” disse Lyall con urgenza.
“No!” gridò Remus senza fiato. “Aspetta... Voglio vederlo...”
Lyall e Andromeda si scambiarono uno sguardo comprensivo, poi lei andò a prendere il bambino dalla sua culla e lo avvicinò a Remus. Lui sorrise di fronte al piccolo che piangeva disperato, e mormorò:
“Teddy... non piangere... Papà starà bene...”
Con fatica, alzò una mano per accarezzarlo, ma la lasciò cadere esausto sul materasso.
“Ora manda giù” disse Andromeda severamente.
Gli somministrarono tutta la pozione, aiutandolo a bere, e Remus cadde in un profondo sonno senza sogni, il pianto di suo figlio ancora nelle orecchie.  

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Capitolo 7
*** Capitolo VII ***


“Finché tutto brucia, mentre tutti gridano,
Le loro bugie prendono fuoco, così come i miei sogni,
Tutto questo odio, tutto questo dolore
Io li abbatterò tra le fiamme, finché la mia rabbia regna sovrana.”
(Everything Burns – Anastacia feat. Ben Moody)
 
 
 
Novembre 1998
 
L’enorme atrio del Ministero della Magia sembrava rimasto quasi lo stesso, nonostante gli eventi. Un viavai di mantelli e cappelli a punta, promemoria interuffici, l’odore agrodolce delle fiamme verdi crepitanti di Metropolvere, il suono metallico degli ascensori che si chiudevano e schizzavano in ogni direzione. Solo quella statua gigantesca e sfarzosa era una sinistra novità, abbinata tristemente alla perfezione con il resto dell’arredamento, a ricordare che la strada per risalire era lunga e faticosa: i Babbani al loro posto, insieme ai Folletti e al resto delle Creature, a leccare i piedi dei veri Maghi. Vi era un’amara soddisfazione nella gola di Remus mentre fissava con un cipiglio sprezzante quello che avrebbe dovuto essere il suo posto nel mondo, assolutamente indisturbato in un luogo che fino a qualche mese prima pullulava di Mangiamorte bramosi di ucciderlo. Dopo circa un minuto, Remus cominciò a camminare nella direzione opposta, e si fece strada in uno scomodo ascensore trattenendo ansioso il respiro, mentre nervosamente cercò di coprire con il mantello la targhetta che aveva appuntato al petto. Tuttavia, nessuna delle persone sbatacchiate insieme a lui in quella scatola ondeggiante sembrava voler girarsi a fatica e strizzare gli occhi per leggere Remus Lupin, Registrazione Controllo delle Creature Magiche. Per l’ennesima volta benedisse mentalmente la frenesia di una grande città come Londra, dove sia sopra che sotto l’asfalto ognuno era troppo indaffarato per occuparsi degli affari altrui, cosa di cui lui non si lamentava di certo.
Era stato Kingsley ad incitarlo perché fosse uno dei primi a registrarsi al nuovo elenco dei Lupi Mannari del Ministero. La sua speranza era che l’amico facesse da esempio alla sua specie per incentivare i propri sottoposti ministeriali ad occuparsi della povertà di alcune fasce della popolazione, tra cui i malati di Licantropia. Non aveva usato esattamente il termine “specie” dal momento che Kingsley odiava certe parole discriminatorie, ma alla sua accusa di scarsa autostima Remus aveva risposto con un biasimo di eccessivo utopismo. Ciononostante eccolo lì, a pregare di passare inosservato come sempre, mentre la voce femminile annunciava l’arrivo al Quarto Livello e lui sgusciava fuori dalle griglie dorate senza guardarsi indietro.
Era un semplice corridoio con le pareti grigio chiaro, le luci al neon inutilizzate grazie alle finestre incantate e alcune panche ospedaliere affiancate al muro. Sembrava un ambiente babbano spartano da cui spuntavano qua e là espedienti magici, come la scopa incantata che puliva da sé poco più avanti o quei promemoria volanti che Remus trovava più fastidiosi dei gufi. Fece un respiro profondo e si sedette su una panca asciugandosi le mani sudate sui pantaloni. Da quando era diventato così ansioso? E dire che aveva perso il conto delle sale d’attesa in cui aveva aspettato tranquillamente qualcosa di più importante di una registrazione al Ministero, come un impiego o carte false.
Maledicendosi per essere arrivato in anticipo di ben sette minuti, alle undici esatte si alzò per andarsene, quando una voce tranquilla lo chiamò dalla prima stanza verso destra. Col cuore pesante, Remus bussò alla porta ed entrò.
Era un normale ufficio con i muri bianchi e alte pile pericolanti di scartoffie, che evidentemente non entravano nella modesta libreria sulla sinistra, vicino ad una finestra da cui filtrava una calda luce solare. Una grande girandola colorata vorticava in un angolo producendo una piacevole aria calda con l’odore del mare. Alla scrivania al centro era seduta una giovane strega sulla trentina, con i capelli neri legati in una coda di cavallo e un paio di occhiali dello stesso colore sul naso lentigginoso e leggermente aquilino. Remus si sorprese del proprio repentino cambio d’umore. Le sue spalle si abbassarono, le mani smisero di massaggiarsi distrattamente e all’improvviso si sentì malinconico. Si ricordò non solo del perché era lì, ma anche del perché poteva stare lì, grazie a chi poteva tenere la bacchetta nella cintura senza temere un attacco, e pensò a chi avrebbe dovuto esserci in quel momento a stringergli la mano tremante. In circostanze diverse avrebbe salutato educatamente la signorina alla scrivania, invece avanzò verso di lei e si sedette lentamente sulla sedia cigolante, osservando sconsolato gli oggetti sul ripiano. La strega era impegnata a scrivere qualcosa in fretta su una nuova pergamena e alzò lo sguardo per un fugace sorriso, prima di riabbassare gli occhi castani. Remus notò il retro di una cornice posta al lato della scrivania, un fermacarte decorato con una graziosa sirenetta in miniatura che gli faceva l’occhiolino e parecchi calamai pieni di inchiostro di diversi colori. Finalmente la donna alzò la testa e sorrise leggermente, come se fosse indecisa sull’atteggiamento da assumere con la Creatura che aveva di fronte.
“Buongiorno, signor Lupin” lo salutò tendendo una mano delicata che lui strinse con poca convinzione. Aveva una voce sottile e pacata, sembrava sussurrare come se avesse mal di gola.  “Io sono Gea Spinster, della Divisione Bestie di questo ufficio”. Si risedette, mentre Remus ignorò la solita morsa allo stomaco nel sentirsi definire come una “bestia”. Più che un lupo, il termine gli faceva venire in mente un povero somaro malnutrito e preso a bastonate.
“Credo che lei sia il primo ad essere inserito in questo registro da molti anni” continuò la signorina Spinster sfogliando altre pergamene tenute insieme da uno spago come un libro sottile. Remus continuò a tacere: qualsiasi cosa gli venisse in mente, gli suonava troppo tagliente per essere pronunciata, così semplicemente annuì senza energia.
“Cominciamo allora” riprese la signorina Spinster, incoraggiata dal suo silenzio. Tirò di nuovo fuori il foglio su cui stava scrivendo poco prima e intinse la piuma d’oca nel calamaio.
“Nome completo?” chiese guardandolo.
“Remus John Lupin” rispose quest’ultimo. La Spinster cominciò a prendere appunti.
“Luogo e data di nascita?” domandò mentre ancora muoveva la piuma.
“Londra, il 10 marzo 1960”.
“Residenza?”
“Elsdale Street, a Stepney, Londra”. Per ovvi motivi di sicurezza, non cambiava il suo indirizzo ufficiale da anni. Segretezza era il termine più appropriato.
“Ha titoli di studio?”
“Ho conseguito sette M.A.G.O. ad Hogwarts nel 1977”.
“Esperienza professionale?”
“Vuole anche le occupazioni in nero o solo quelle con un contratto regolare?” sbottò improvvisamente Remus. Non sapeva cosa gli stesse succedendo. O forse sì. Era semplicemente stanco. Stanco e arrabbiato, sì, era arrabbiato col mondo intero.
La strega sbatté più volte le ciglia e distolse lo sguardo, quasi a riflettere su come dovesse comportarsi con lui.
“Mi dica tranquillamente quello che desidera, signor Lupin” disse infine con lo stesso tono di voce. “Questo interrogatorio è pura formalità, finirà presto”
Remus rimase spiazzato dalla sua tranquilla schiettezza, e ciò lo spinse ad un forzato tono gentile.
“Mi dispiace, signorina” disse piano, gli occhi bassi e le labbra strette, “non so cosa mi sia preso”. Rialzò lo sguardo. “Può scrivere che ultimamente ho lavorato ad Hogwarts in veste di insegnante dal ‘93 al ‘94. Occupavo la cattedra di Difesa Contro le Arti Oscure”
La donna rimase a fissarlo con sguardo impassibile per oltre cinque secondi. Remus si chiese se pensasse che la sua era una spudorata bugia. Riprese a scrivere.
“D’accordo” disse, posando di nuovo gli occhi su di lui. “Sa dirmi” cominciò molto lentamente, “quando le è stata diagnosticata la Licantropia?”
Remus non esitò. La voce non gli si incrinò, non si umettò le labbra e non strinse i braccioli della sedia. Avrebbe dovuto? Magari il fatto di essere lì per quello specifico motivo aveva reso tutto così pragmatico. O magari era perché gli era stato già chiesto da persone a cui interessava davvero, come i membri dell’Ordine... Il pensiero non lo fece stare meglio.
“Febbraio 1965”
Ora sì che la Spinster aveva sgranato gli occhi. Remus riuscì quasi a percepire gli ingranaggi frenetici nel suo cervello. Come poteva un Lupo Mannaro che non ricordava nemmeno cosa fosse una vita sana, innocente e indolore, essersi diplomato nella scuola di magia più rinomata in Europa e avervi addirittura insegnato? In un’altra vita, Lupin avrebbe dovuto trattenere un sorrisetto sarcastico. Ora però non aveva tanta voglia di ridere.
La strega si schiarì nervosamente la gola, poi alzò le sopracciglia e chiese nel tono più educato possibile:
“Quindi mi sta dicendo... che lei ha frequentato la Scuola di Hogwarts indisturbato nonostante fosse malato di Licantropia e che poi ci è tornato in veste di professore?”
“Già” rispose Remus con un sospiro teatrale. “Sono un individuo a dir poco irresponsabile, vero?”
L’altra sollevò un sopracciglio con le labbra dischiuse, a metà tra l’incredulo e l’interrogativo.
“Non ho mai ucciso nessuno, glielo posso assicurare” disse Remus facendo spallucce come gli avesse chiesto se preferiva il tè zuccherato. “Fu il professor Silente ad escogitare un modo perché potessi trasformarmi senza mettere in pericolo gli abitanti del castello. Ha presente la Stamberga Strillante? Ecco, mi rinchiudevo lì dentro durante la luna piena”
La Spinster alzò entrambi gli indici e ruotò il capo guardandolo in tralice.
“Aspetti, questo vuol dire” disse con una preoccupante nota isterica nella voce e sbattendo rapidamente le palpebre, “che io ho messo piede ad Hogwarts per la prima volta a undici anni mentre Lei si trasformava in quella catapecchia già da tre anni?”
“Se lei è classe ‘63, direi di sì” annuì Remus serio.
“E il Preside aveva pianificato ogni cosa?” esclamò l’impiegata con voce acuta.
“Aveva tutto sotto controllo, sì” disse Remus. O quasi, pensò ironico.
“E mi dica un po’” riprese la Spinster, questa volta ridacchiando nervosamente, “anche da insegnante si trasformava lì senza che nessuno se ne accorgesse?”
“Non sia ridicola, signorina” la prese in giro Remus, corrucciato. “Quando sono tornato ad insegnare, prendevo la Pozione Antilupo. E comunque sì, gli studenti l’hanno scoperto, alla fine. E mi sono dimesso” concluse semplicemente.
La Spinster si passò stancamente i palmi delle mani sul viso, poi appoggiò la fronte alle dita.
“Lei si rende conto” disse con gli occhi fissi sulla scrivania, “che qui non risulta essere registrato fino ad oggi? Che ha svolto una professione illegalmente agli occhi della legge, dal momento che la Licantropia va dichiarata al Ministero entro un massimo di venti giorni dalla diagnosi e qualsiasi ammissione in un istituto pubblico dev’essere approvata dal responsabile? Oltre a dover informare qualsiasi datore di lavoro prima dell’assunzione?”
“Me ne rendo conto, ma mi permetta di ricordarle che il mio dirigente scolastico, nonché futuro datore di lavoro, era perfettamente al corrente della mia condizione, e nessuno ha mai formulato una legge che impedisse ad un Lupo Mannaro di studiare o di insegnare” ribatté il mago con fare saccente. “Se poi vuole puntarsi sulla mia mancata tempestività a comunicare al Ministero del mio contagio, le faccio notare che sicuramente non sarà questo atteggiamento ad incentivare i Licantropi a registrarsi legalmente”.
La Spinster tacque, la testa ancora sulla punta delle dita.
“Bene” esclamò all’improvviso, e riacquistata la padronanza di sé, rilassò le braccia e riprese in mano la piuma d’oca. “Ora le chiedo solo di dirmi il suo stato familiare e abbiamo finito”.
“Vedovo” sputò Remus freddamente. “Con un bambino a carico”
Questa volta la strega non lo guardò. Inspirò profondamente e a testa bassa disse:
“Posso chiederle se il bambino è suo?”
Fu la goccia che fece traboccare il vaso.
“Lo sa?” chiese Remus alzandosi di scatto. “Non mi sorprende che non ci sia nessuno su quel registro. Così come non c’è da meravigliarsi se questo posto non ha niente, niente, che funzioni”. Si accorse che aveva cominciato a fremere di rabbia, il cuore che gli martellava nel petto. Ricordò con dolore le parole di una frustrata, sprezzante Tonks, forse pronunciate a Grimmauld Place o all’aperto sotto le stelle, e le ripeté senza inibizioni: “Anzi, è quasi normale che sia stato il primo pilastro a cadere nelle mani di Lord Voldemort nel momento in cui la comunità magica aveva bisogno come mai prima di allora che restasse in piedi. Basta che restiate chini col naso incollato alle vostre maledette scrivanie, con le vostre misere piccole certezze del vostro angolino di mondo, e al diavolo le vite degli altri. Sì, sono un Lupo Mannaro che ha studiato, ha lavorato, si è sposato e ha un figlio suo: e le dirò di più, si è anche schierato dalla parte del Ministero, mentre voi stavate qui a lasciarvi scorrere impassibili gli orrori sotto gli occhi!”
SBAM!
Remus si accorse del violento pugno che calò sulla scrivania solo quando caddero dei fogli a terra.
“Non osi!” strillò la strega respirando pesantemente. Si era alzata anche lei, il volto arrossato e gli occhi che brillavano furenti, la mano chiusa ancora sul tavolo. Non aveva mosso un muscolo al nome del defunto Signore Oscuro, ma il volume della sua voce si era alzato in modo sorprendente. “Non si azzardi mai più ad insinuare una cosa simile! E’ la prima volta che mette piede qui dentro, lei non ha la minima idea di come sia stato combattere da qui, da dietro questi patetici banchetti che lei denigra tanto. Lei non ha il diritto di giudicare chicchessia solo perché pensa di essere l’unico ad aver sofferto, l’unico ad aver visto l’orrore. Lei non sa niente di niente!”
Si risedette lentamente, guardandolo con astio.
“Il colloquio è concluso” sibilò. “Se ne vada”
Remus restò imbambolato per qualche secondo, senza parole. Poi uscì nervosamente dalla stanza con passi rapidi.
 
 
***
 
 
Harry mosse la bacchetta rapidamente, e la pila di piatti di porcellana che fino ad allora era rimasta coraggiosamente in bilico si riversò sul pavimento in un fiume di frammenti bianchi. Ginny ridacchiò e, con un abile colpetto con la propria bacchetta, riaggiustò le stoviglie fino all’ultimo pezzo, come se non si fossero mosse. Ormai era maggiorenne da diversi mesi e, com’era successo a tutti, ogni scusa era buona per usare la magia. Anche prendere in giro il proprio ragazzo.
“Ci penso io ad aiutare la mamma” disse dandogli un bacio sulla guancia. “Tu riposati, che hai già ripulito il giardino”
“I tuoi fratelli mi hanno aiutato” cercò di obiettare lui.
“Allora ti affido il compito di andare ad intrattenere gli ospiti” rispose lei alzando il mento verso il giardino, dove un gruppo di persone stava chiacchierando allegramente attorno ad un lungo tavolo di legno illuminato da lanterne sospese a mezz’aria. Harry sospirò e annuì, avviandosi verso gli amici. La verità è che aveva bisogno di qualcosa di pratico da fare, qualcosa che gli tenesse la mente occupata. Era così da... beh, dalla sconfitta di Voldemort. Capiva perfettamente perché la signora Weasley non si riposava un attimo, non si fermava mai, sempre affaccendata. In quel momento stava posizionando due vasi di glicine sul tavolo, con scherzoso disappunto dei presenti. La sentì brontolare che non andava mai bene niente a nessuno e la vide mettere un solo vaso al centro, mentre l’altro lo portò con sé in cucina. Incrociò Harry, e gli diede un buffetto sui capelli corvini, scompigliandoli più di quanto non fossero già. Gli era grata, come lo erano molte persone, anche se lui non riusciva a concepire appieno il dono che aveva fatto loro. Se n’erano andate tante persone, in fondo. Ed era ancora ossessionato dal pensiero che gli sarebbe bastato accelerare un po’ le cose, avrebbe potuto avere un briciolo di coraggio in più, un qualche maledetto lampo d’intuito, per consegnarsi a Lord Voldemort e accogliere la Morte un poco prima che Fred, Tonks e tutti gli altri sacrificassero la propria vita al posto della sua. Hermione lo rimproverava per i suoi sensi di colpa, e sosteneva ostinata che, più che un colpo di fortuna, ci sarebbe voluto un miracolo; cosa in cui lei non credeva ormai, almeno non nel modo in cui ci credevano gli altri. Era tornata qualche settimana prima da un lungo viaggio in Australia, in cui aveva cercato i suoi genitori per l’intero continente, in modo da restituire loro la propria identità, la loro vita e i loro affetti. Aveva temuto per il peggio, quando dopo il contro-incantesimo erano rimasti in stato catatonico per diversi giorni. Solo quando avevano varcato la porta di casa loro in Inghilterra, la loro memoria era risbocciata forte e intatta, come se avessero sempre saputo cos’era successo nello strano mondo della loro amata, unica figlia. Lei e Ron stavano finalmente vivendo una relazione normale, lontana dal pericolo imminente, con i normali battibecchi quotidiani e gli ordinari giorni romantici passati assieme, alternati ai periodi in cui si occupavano delle rispettive famiglie. Ron era rimasto più o meno lo stesso, con piacevole constatazione di Harry. Forse era maturato un po’, forse si era fatto più pensieroso, più preoccupato, ma amava sollevare il morale degli amici e dei familiari con qualche battuta pronta, soprattutto dei suoi genitori. Proprio come quella sera, che stava aiutando suo fratello George a fabbricare i fuochi d’artificio che avrebbero regalato ai Babbani per la festa paesana di Ottery St. Catchpole. Per questo la famiglia si era riunita a cena insieme agli ex-membri dell’Ordine della Fenice, con cui Harry stava ridendo e scherzando finalmente spensierato. Di tanto in tanto, tuttavia, osservava malinconico questo o quel compagno, notando distrattamente quanto di ciascuno fosse cambiato e quanto fosse ancora rimasto.
C’erano Bill e Fleur, che stavano discutendo allegramente con Kingsley sul dilemma se fosse nato prima l’uovo o il drago. I due sembravano in armonia come il giorno del loro matrimonio, e  il Ministro non sembrava affatto un ministro mentre ammiccava ridacchiando contro le loro obiezioni filosofiche e aiutava la signora Weasley nelle consuete faccende domestiche. Percy, accanto alla cognata, giocherellava facendo tintinnare la forchetta sul piatto con aria assente e annoiata: in realtà era costantemente così distante, come se vivesse in un mondo suo. Le poche volte in cui mostrava interesse in qualcosa, era irritato o molto arrabbiato, mentre per il resto del tempo lo si vedeva raramente insieme agli altri. C’era anche Hagrid, che stava scuotendo il capo e agitando le manone, mentre Lyall Lupin insisteva per versargli altro vino nel bicchiere. Anche Andromeda Tonks, di fronte a loro, scuoteva la testa, ma con un cipiglio di disapprovazione che a Harry ricordava tanto la professoressa McGranitt. Accanto a lei c’era Remus, che dondolava ritmicamente il piccolo Teddy sulle gambe, mentre quest’ultimo fissava il gigante con occhioni curiosi e il naso sempre più simile a quello di Hagrid. Remus, dal canto suo, aveva conservato molte cose in quella guerra: aveva sempre quello sguardo attento e sagace, a differenza di Percy, e parlava a tutti con il suo tono affabile e tranquillo. Non poche persone si erano rivolte a lui per delle rassicurazioni o timide confidenze, perfino George era riuscito dolorosamente ad aprirsi con lui, ed Harry stesso vedeva in Remus il fratello di suo padre, lo zio che avrebbe voluto avere. Eppure, nessuno aveva più rivisto il suo sorriso dalla Battaglia di Hogwarts. Nessuno aveva più sentito la sua risata, non avevano più notato un lampo divertito nei suoi occhi, o uno sbuffo sarcastico come quando Sirius lo prendeva bonariamente in giro nella cucina di Grimmauld Place. C’era sempre qualcosa di forzato nella smorfia educata che si limitava a concedere rare volte, e gli unici istanti in cui curvava spontaneamente le labbra verso l’alto, aveva lo sguardo triste rivolto verso Teddy. Quella sera era particolarmente taciturno, come se stesse riflettendo continuamente.
Harry si avvicinò a quella piccola nuova famigliola. Batté una pacca sulla schiena di Hagrid e si sedette sulla sedia vuota vicino a Lyall, indicando il naso sproporzionato del figlioccio.
“Devi farlo diventare più rosso, Teddy, se vuoi che sia uguale” gli disse sovrastando il chiacchiericcio, consapevole che a otto mesi probabilmente non avrebbe capito nemmeno la metà della frase. Al suono del suo nome, però, il bambino si voltò verso di lui e sorrise sgambettando, mentre i capelli cambiavano dal castano al nero. Harry sogghignò a sua volta e gli diede un gentile pizzicotto sulla guancia. Gli piacevano i bambini, ma non sapeva come comportarsi con loro, soprattutto quando si sentiva osservato. Si poteva dire che era più timido di loro.
“Fa progressi con le Metamorfosi?” chiese a Remus, che lo raddrizzò meglio sulle proprie gambe.
“No, è ancora troppo presto” rispose pacato lui. Approfittando dell’attenzione del padrino, Teddy prese in mano il suo giochino posato sul tavolo, un pupazzo a forma di lepricano, e tese il braccino dietro la testa. Remus lo bloccò con delicatezza e gli sfilò il pupazzo di mano, mentre il bambino si lamentava con una smorfia sofferente.
“No, Teddy, non lo lancerai per la diciottesima volta” disse il padre con voce dolce ma ferma.
“Iniziano a rendersi conto di poter cambiare aspetto poco dopo che si manifestano i primi poteri magici” spiegò Andromeda sapiente ed entusiasta. Remus sosteneva che le facesse bene stare in compagnia, e a quanto pare aveva ragione. “Nei primi anni imitano istintivamente ciò che li attrae” continuò, “come gli altri bambini copiano chi sorride o chi batte le mani, eccetera”
“Per questo aveva il naso di Hagrid e i capelli di Remus fino a un minuto fa” annuì Lyall allegramente. “E poi sei arrivato tu e adesso ha i capelli neri neri”.
Guarda!
Ginny era corsa a chiamarlo, e adesso gli agitava il braccio indicando il cielo notturno, improvvisamente illuminato dai fuochi artificiali. Ci furono alcuni scoppi, alcuni si coprirono le orecchie con le mani, mentre delle girandole dorate vorticavano scintillanti e i colori esplodevano nel buio. C’erano molte espressioni serie tra le persone radunate attorno al tavolo: quegli enormi nastri verdi e rossi riportavano alla loro mente il fragore della battaglia. Alcuni si erano aggrappati ai braccioli delle sedie o artigliavano ansiosi la tovaglia. Nessuno parlò. E poi...
Qualcuno rise sonoramente. Era il signor Weasley. Rideva e abbracciava la signora Weasley, che guardava scioccata l’enorme sagoma luminosa di un drago sputafuoco che divorava il villaggio in lontananza, per poi svanire in una nuvola di stelle cadenti. I fuochi presero vita in altre pazze forme seguite da altri scoppi, mentre dal villaggio si udivano le grida gioiose dei suoi abitanti e dei loro bambini. Un’esplosione mostrò una gigantesca W e qualcuno gridò “I fratelli Weasley non si smentiscono mai!”. Harry vide la lettera riflessa negli occhi commossi di Ginny, che gli aveva messo un braccio attorno alla vita, e resistette all’impulso di gridare quanto l’amava. Invece posò teneramente la testa sulla sua e diede un bacio ai suoi capelli rossi, accarezzandole la schiena.
“A Fred sarebbe piaciuto” le sussurrò all’orecchio, e la sentì annuire con la testa. Con la coda dell’occhio vide Remus che si era alzato in piedi, cullando un meravigliato Teddy che si aggrappava agli abiti del padre con gli occhi sgranati e la bocca un po’ aperta. Remus prese la sua manina e vi posò le labbra, poi aprì le dita del bambino in direzione delle luci e vi soffiò sopra, guardando il cielo. Non sorrideva, ma Harry poté udire le sue parole affettuose:
“Se soffi, i baci le arrivano prima, piccolo”.
 
 
 
 
 
 
Angolo autrice
Ciaoooo, boys and girls. Quanto tempo! (Lo so, scusate, meglio sorvolare)
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto :) Ci ho messo tanta buona volontà, sul serio, odiavo l’idea di lasciare una storia incompiuta, e dovevo trovare il modo di sbloccarmi. Infatti ho in mente molti episodi, capitoli e argomenti di questa FF, ma non essendo una raccolta, mi sento spesso con le mani legate nel tentativo di seguire una logica più dettagliata.
Spero, come sempre, in una qualche recensione da parte dei miei amatissimi lettori, soprattutto dai più affezionati e accaniti <3  
Alla prossima, ragazzi, e grazie veramente per la lettura, per la perseveranza e per il sostegno ;)
Meg

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