Stagni d'Oblio

di Shadow Nameless
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Lapidi

Per quanto m’irritino le note ad inizio capitolo in questo caso è d’obbligo, vista la natura ingannevole della storia.

Prima di tutto: è lunga, avvolta da misteri ed… OOC con motivazione – ergo, sì alcuni personaggi hanno ben poco a che fare con l’originale, ma non è stato fatto a caso, ogni cosa ha un suo perché che spesso non è il primo che viene rivelato. Le parole “bisogna scavare a fondo per scoprire la verità” sono un po’ la colonna portante di questa storia.

La storia inizierò con Hinata – non quella che conoscete – ma è solo un pretesto per dare il via e presentare situazioni e personaggi.  

Quand’è ambientata la storia? Awn, questa è difficile. Dovrebbe andare catalogata fra le “ What if…” sono passati cinque anni dal tradimento di Sasuke, ma Naruto non ha mai rimesso piede al villaggio, continua invece il suo allenamento con Jiraya. Verranno comunque riprese molti elementi della trama dello shippuden^^.

Mhm… che altro dire? Oh, che stupida, stavo quasi dimenticando. In questa fan fiction s’intervalleranno coppie etero ed omosessuali (non yuri, ma yaoi)… diciamo anche che quelle etero sono ben poche^^’’’ e anche quelle… err… leggete per capire^^’’’’.

 

Gli aggiornamenti dovrebbero essere regolari – come vedrete dalla data in fondo al capitolo la storia è stata iniziata circa un anno fa, ma ho aspettato per iniziare a pubblicare così da portarmi avanti e non restare senza materiale in caso di “blocchi” o un qualsivoglia problema.

 

Nota: I personaggi non mi appartengono, sono maggiorenni e comunque non realmente esistenti. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.

 

Capitolo introduttivo, quindi corto ù_ù

 

 

Red Hands

 

   -My hands are dirty?-

 

Correva, correva il più veloce possibile.

Presto, o sarebbe stato troppo tardi.

Oppure lui…

Doveva correre.

Perché sapeva che la stava aspettando.

Non lo avrebbe abbandonato.

No, non era tardi.

 

Se solo le lacrime l’avessero smessa di offuscarle la vista  permettendole di tornare a vedere…

 

Camminava, profondamente annoiata, per le strade di quel paese in cui non era mai stata, ma di cui conosceva ogni strada, ogni stupidissimo vicolo.

Lavoro.

Come sempre.

Incurante della pioggia fingeva di non guardarsi intorno – oh, fingeva ovviamente, il suo lavoro non le permetteva altrimenti.

Memorizzare.

Prima regola.

Anzi no, quella era la seconda, la prima era…

Uccidere.

Sbuffò, la maggior parte delle persone erano rientrate nelle proprie case. Il freddo e la pioggia sembravano aver costretto anche i pochi ragazzi desiderosi di libertà a chiudersi nelle proprie stanza con sul volto un broccio infantile – come da copione.

Un po’ di mal tempo che, se non si aveva un testo sopra la testa tendeva a divenire fastidioso.

Oh, non fraintendete!

Lei aveva un luogo in cui tornare, in caso contrario le sarebbe bastato uccidere qualcuno e rubarglielo.

Facile.

No, doveva essere stancante per quei volti tutti uguali, che conoscevano una sofferenza simile, ma sempre diversa.

Bambini, anziani, uomini, donne…

Barboni.

Spazzatura.

Sospirò.

Aveva altro da fare e di certo perdere tempo a pensare a cose stupide non l’avrebbe aiutata a finire in fretta la missione e a tornare a casa sua.

Casa.

Nh…

Era meglio trastullarsi con stupidi pensieri che ricordare le persone che l’avrebbero accolta una volta entrata in quelle mura – deprimente.

Con l’ennesimo pesante sospiro della serata sparì, in una nuvola di fumo.

 

 

Hinata aveva sempre amato la musica.

La musica e la danza.

Ma adesso, per lei, avevano assunto un ruolo fondamentale.

Vitale.

Poiché facevano parte di quelle poche cose che, ancora, riuscivano a farla sentire viva.

Anche se sapeva bene di non esserlo più da tempo.

 

 

Le braccia incrociate sul petto, il corpo protetto da una leggera armatura argentea, una maschera bianca sul volto, il sorriso maligno di un Gatto.

Pronta… anche se profondamente irritata.

Se le sue informazioni non erano errate l’obbiettivo era nel palazzo di fronte. Quell’enorme costruzione che trapelava ricchezza da ogni poro e che, sinceramente, le dava il volta stomaco… peccato che non le fosse stato ordinato di distruggerlo… con tutti coloro che lo abitavano dentro, preferibilmente.

Sbuffò.

Entrò scassinando la serratura di una delle tante finestre arrivando in un corridoio praticamente deserto.

E, lì, si fermò.

Inclinò il volto di lato.

Era vicina.

Probabilmente prima dell’alba sarebbe stata lontana da questo villaggio.

Oppure sarebbe morta.

Sorrise.

No, ghignò.

Oh, ma tanto non aveva niente da perdere.

Era già morta – l’aveva deciso tempo prima, con la stessa facilità con cui aveva scelto i vestiti da indossare la mattina prima.

E sempre con quel maledetto ghigno sulle labbra iniziò a correre.

 

 

Erano belli i fiori.

Lo sapeva, ma… non riusciva ad apprezzarli. Al diavolo l’Ikebana!

Odiava i fiori!

Perché erano deboli.

Sbocciavano in primavera, orgogliosi e splendenti, ma una folata di vento troppo freddo li distruggeva in pochi istanti - poi aveva scoperto che esisteva un fiore piccolo, bianco, che cresceva sulle montagne, dove poco altro riusciva a sopravvivere.

Aveva iniziato a rivalutare i fiori.

Non tutti.

Ma alcuni si.

 

 

Un’ombra si stacco dalle altre presenti del corridoio scagliandolesi contro, veloce e silenziosa con un Sai recise la giugulare del ninja, e mani, le si tinsero di rosso - storse il naso all’odore ferroso del caldo liquido.

Odiava il sangue.

Più o meno.

Continuò a correre - secondo le sue informazioni doveva andare in fondo al corridoio, a destra e… e poi andare a caso, non sapevano esattamente in che camera si trovasse il target.

Il Daimyo di quel luogo doveva aspettarsi qualche rappresaglia vista la sua ossessione nel spostare giornalmente, da una stanza all’altra, l’Obbiettivo rendendo praticamente impossibile la sua esatta individuazione prima della missione.

 

 

Musica, danza… fiori.

Sì, una ragazza nella norma.

Una come tante, ma…

Ma lei aveva gli occhi bianchi.

Ma suo padre era un capo Clan.

Ma lei era debole.

E, soffrendo, aveva imparato a diventare forte, per il sole.

Ma, come tale, era irraggiungibile e tentando di librarsi nell’aria verso di lui le sue ali avrebbero potuto finire con lo sciogliersi.

Non voleva.

Amava troppo volare per rinunciarvi.

 

 

Doveva essere un uomo molto stupido.

Oppure molto vigliacco.

Perché se davvero avesse voluto proteggerla l’avrebbe mandata lontana da quel posto così scoperto, lontano da lui e dai suoi errori, invece…

Aveva solo saputo affidarla a shinobi di serie C che non portavano neanche il coprifronte di un qualsiasi villaggio. Non che mandarla via o farla proteggere da ninja degni di questo nome sarebbe servito a molto, sia ben chiaro, ma di certo le avrebbe resto il lavoro più complicato…

O più divertente?

Sorrise.

Un passo.

Leggero, ma sentito.

E le sue mani divennero ancora una volta rosse.

 

 

Poi il suo sole era sparito.

Così, da un giorno all’altro era andato via dal villaggio.

Per allenarsi, certo.

Per diventare più forte.

E così lei era ripiombata nelle tenebre.

E, fra le ombre il suo corpo aveva iniziato a decomporsi.

 

 

Trovo facilmente la stanza.

Intuito?

No, semplicemente quel Daimyo da quattro soldi era ancora più stupido di quanto pensasse visto che quella era l’unica con, davanti alla porta, due guardie armate.

Tentò di ignorare la stupida l’idea che a guidarla sin lì era stato un dolce profumo di pesca capace, anche se per pochi istanti, di farle dimenticare il forte odore del sangue appena versato.

Fece una smorfia.

Neji avrebbe detto che erano pensieri stupidi.

Ma Neji era morto.

Oppure lo sarebbe stato presto.

Perché quelli come lui non vivono a lungo, le persone che credono che un segno sulla fronte le incateni a qualcosa o a qualcuno… le persone incapaci di accorgersi della realtà che li circonda…

Sono cadaveri che camminano.

Sorrise.

Ghignò.

Non che lei fosse diversa.

Ma tanto era un cadavere da così tanto che non ricordava più da quanto aveva iniziato a definirsi tale.

 

 

Sarebbe stupido dire che era colpa di Naruto se lei era diventata quello che era.

Ma sarebbe altrettanto stupido non ammettere che la sua sparizione aveva innescato una serie concatenata di eventi che l’avevano quasi portata alla distruzione.

Semplicemente aveva iniziato a porsi delle domande.

Domande che mai avrebbe mai potuto pronunciare ad alta voce.

Quindi, non potendo chiedere a nessuno si era ritrovata a doversi rispondere da sola.

E, si sa, è insensato mentire a se stessi.

Certe cose le aveva trovate ingiuste.

Alcune stupide, ma…

Ad ogni risposta qualcosa si rompeva, si spezzava.

E non sempre ciò che, con fatica, si riesce a ricostruire rispecchia ciò a cui volevamo dar vita.

Poi, in un giorno di pioggia tutto aveva iniziato ad andare meglio.

Poi, in un giorno di pioggia il suo fragile castello di vetro era andato in mille pezzi.

Questa volta, però, i pezzi erano rimasti abbandonati fra le ombre.

 

Ignorando i tre cadaveri ai suoi piedi – una donna e due uomini… buffo! Sembravano un gruppo di Genin… vecchiotti. Rise – entrò nella stanza senza tante cerimonie.

Non tentò di essere né silenziosa né discreta.

Un morto in più non le avrebbe cambiato la vita, anzi l’idea d’incontrare qualcuno di veramente forte l’allettava.

Sospirò.

A chi voleva darla a bere?

Certo, l’idea di un bel combattimento la faceva sorridere, ma non era quello il punto. Odiava quel genere di missioni, preferiva di gran lunga dover sterminare un intero gruppo ninja che…

Fece una smorfia tentando di reprimere un leggero moto di disgusto, non avrebbe più fallito una missione e quella lo era – per quanto se l’avesse raccontato nessuno le avrebbe creduto. Non era una missione da ninja di Konoha, quella.       

Almeno apparentemente.

Più passava il tempo più iniziava a dubitare della cosiddetta purezza della Foglia -dopotutto Orochimaru da qualche parte doveva pur essere venuto fuori e…

Un Hokage dal cuore gentile in pace può facilmente diventare uno spietato assassino in tempi di guerra.

Scosse la testa- sciocchezze.

Posò i freddi occhi bianchi sull’infantile mobilio della camera.

Tanti, tanti peluche. Qualche bambola di pezza e, sul pavimento, dei libri da colorare in disordine.

Infine li vide.

Due occhi verdi terrorizzati.

-Chi sei?-

Hinata sorrise a quella bambina di poco più di quattro anni dai lunghi boccoli biondi.

-Io? Nessuno.-

-Sei venuta per farmi del male?-

Non rispose.

 

 

Aveva iniziato a disinteressarsi di ciò che la circondava.

Della sua famiglia, dei suoi amici.

Per la prima volta da quando era nata si era messa al centro del suo mondo.

Egocentrismo?

Forse.

Ma le serviva.

Forse non per vivere, ma per sopravvivere andava bene – era un inizio.

Per carità, non fraintendetela, non aveva fatto niente di eclatante.

Si era lasciata più di una cosa alle spalle – aveva un obbiettivo, adesso.

E, in silenzio, fra il totale disinteresse delle persone che amava- sì, amava, ormai non erano altro che corpi che camminavano, parlavano, creature del tutto irrilevanti nella sua vaga esistenza – era andata avanti.

Chunin, Jonin -Anbu.

Era stato a quel punto che aveva capito una cosa importante.

Nel furore della battaglia, fra le urla dei propria nemici – dei propri compagni non sapendo se avrebbe visto l’alba del giorno dopo. Costretta ad ignorare a ciò che aveva dovuto rinunciare sulla sua strada, obbligata a rialzarsi anche se mal ferma sulle gambe…

Si era sentita bene - Sì, bene, perché in quegli attimi di furore riusciva a dimenticare anche i loro volti.

E se per sentirsi di nuovo in pace era costretta ad uccidere delle persone… allora era un prezzo accettabile.

Nel momento stesso in cui aveva realizzato che traeva gioia dalla morte delle altre persone aveva iniziato a pensare a se stessa come un cadavere.

Una creatura pari a quelle su cui camminava con il sorriso sulle labbra

Ed era perfetto.

 

 

Aveva smesso di piovere, finalmente – o era un peccato?

Amava il profumo di erba e terra che si respirava nell’aria dando un’illusione di purezza che continuava a vivere solo continuando ad ignorare il fango che ricopriva le strade.

Alzò il volto al cielo, ma la maschera le impediva di assaporare il vento gelido sulla pelle.

Alzò le mani verso la notte infinita, ma restavano ancora sporche.

Come lei.

Chissà quando l’odore della morte avrebbe ricominciato ad impregnare l’aria?

Chissà quando l’odore di morte avrebbe smesso di avvolgerla?

Sorrise, era un cadavere.

E come un fedele amante non l’avrebbe lasciata – mai.

 

 

28/06/2007

Ringrazio la TerresteCrazyForVegeta per aver commentato Hinata's House^^ sono felice che ti sia piaciuta tanto^^.

A presto.

 

Nameless

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


To dance on the water

 

  -You want dancing with me?-

 

E se non avesse fatto in tempo?

E se, anche andando da lui, non fosse riuscita a fare niente?

Era sempre stata debole.

 

Ma adesso non lo era più.

Combatteva per ciò che amava.

Stava andando da lui, questo ne era la dimostrazione…

Ma combattere non significava riuscire

 

Voleva… voleva solo poter ballare di nuovo con lui…

Ciocche bianche come la neve, un tempo nere come la notte incorniciavano un volto pallido e fino senza alcuna imperfezione, gli occhi erano di un verde talmente chiaro da sembrare come sfocato, irreale. Erano giovane e bella, quella donna, non fosse stato per quegli occhi…

Neji ingoiò a vuoto.

Occhi vitrei, spenti, tremendamente vuoti.

Come se quello che aveva davanti fosse soltanto un guscio e, come tale, racchiudesse il nulla.

Ma non era così, lui lo sapeva.

Lei era ancora viva.

Solo… dormiva.

Sì, da qualche parte, in quel corpo c’era ancora, con i suoi sorrisi, la sua forza e la dolcezza che metteva in ogni gesto.

Con… con il suo odio per l’odio, la guerra e le armi.

Sì… da qualche parte….

Avanzò, fino a che non le fu davanti. Era adagiata su dei morbidi cuscini blu, più scuri del chimono che indossava.

Si morse le labbra.

C’era… c’era ancora.

Inginocchiandosi davanti alla donna le prese una mano fra le sue.

Era fredda, come sempre e, come sempre, fece scorrere velocemente le dita fino al polso, tremando. Non sentire quel battito significava l’averla persa definitivamente.

Per…

Tu-tum

Sospirò sollevato, riportando lo sguardo al volto della donna.

Sorrise.

-Ciao mamma, come va?-

Nessuno gli rispose, come sempre.

Ma non sembrò darci peso e, continuando a sorriderle, come sempre, iniziò a raccontarle la sua giornata.

 

 

Fino ai quattro anni il mondo di Neji era perfetto.

Certo, quando gli avevano fatto quella cosa sulla fronte aveva fatto male.

Aveva pianto.

Ma… non era importante.

Significava che doveva proteggere Hinata-san e… ed era ok.

Hinata-san era tanto dolce e timida.

Quando lo guardava sorrideva e lui era felice.

Perché in quella casa non sorrideva mai nessuno, neanche il suo papà.

Ma la sua mamma sì!

Aveva un sorriso tanto bello e dolce che sarebbe stato a guardarla per ore.

Fino ai quattro anni Neji era felice.

Poi il suo mondo si tinse di nero.

 

 

Ogni volta che, finalmente, usciva da quella stanza si sentiva invecchiato di dieci anni…

Finalmente.

Che pensiero orribile.

Era sua madre, ma…

Aggrottò le sopraciglia affettandosi ad allontanarsi da quell’ala della casa.

Era sua madre, ma al tempo stesso non lo era più.

Verso il primo pomeriggio sarebbe dovuto partire per una missione, avrebbe dovuto raggiungere il Kazekage ad un avamposto di Konoha – Tsunade aveva detto che era a neanche un giorno di strada, ma non sapeva quanto fosse attendibile l’informazione, quando le aveva parlato l’Hokage sembrava vicina ad una cristi isterica per non sapeva che motivo. Li aveva letteralmente cacciati via a calci dal suo studio - e scortarlo fino a Suna. Inutile dire che dietro a quell’azione apparentemente inutile c’era la consegna di chissà quali documenti segreti, vero?

Una cosa molto noiosa, quindi, ma che poteva avere dei risvolti quantomeno interessanti.

Si trattava pur sempre del Kazekage quindi la missione era di per se pericolosa e non voleva partire senza averla salutata.

Non voleva morire con quel rimpianto.

-Neji!- si girò di scatto vedendo arrivare una trafelata neo Gennin.

-Hanabi-san.-

-Fra quanto parti?-

-Qualche ora…-

-Bene! Mi alleni?-

Non che si potesse rifiutare.

Il ragazzo acconsentì suo malgrado, ma la speranza non è forse l’ultima a morire?

-E Hiashi-sama?-

-Riunione con non so chi.-

-Hinata-san?-

Sorrise all’espressione disgustata della bambina - sapeva che fra le sorelle non scorreva buon sangue, ma…

Ghignò.

L’adorava.

-Non lo so. Alla mamma ha parlato di una missione di qualche giorno. Dovrà scortare un cane o portare del raffinato cibo a qualche gatto.-

Il ghignò sul volto di Neji si estese.

Aveva già detto che adorava quella bambina?

No, perché se era così si doveva correggere.

La venerava.

 

 

Non pioveva, anzi il cielo era terso e le poche nuvole presenti erano bianche e dalle forme più divertenti e disparate.

Una giornata perfetta da passare fuori, al sole.

A giocare con la mamma e il papà o allenandosi con il sorriso sulle labbra.

Pensandoci bene a quel età non c’era molta differenza fra le due cose.

L’allenamento era un gioco.

Certo, ci si faceva un po’ male, però era divertente lo stesso.

Ma quel giorno suo padre lo aveva salutato.

Se n’era andato per non tornare più.

Ma quella sera sua madre aveva urlato.

Anche lei, se n’era andata.

Non come il suo papà, ma non c’era più lo stesso.

Neji aveva solo quattro anni e sorrideva com’era giusto che fosse.

Ma adesso Neji non aveva più la mamma e il papà e non riusciva più a sorridere.

 

 

Sopirò, schivando un kunai.

Era brava Hanabi-san, ma non abbastanza.

-Più precisione.- le disse paziente:- e più fantasia, sei troppo prevedibile.-

La ragazzina sbuffò, ma non contestò la sua critica.

Era riuscito a schivare, quindi aveva ragione.

Neji non ci aveva messo molto a capire che in quella casa la ragione non era del giusto, ma del forte e si era adattato.

Stava bene… sì, stava bene.

Una bella gabbia dorata.

Un luogo dove giorno dopo giorno affinava le sue tecniche, diventando sempre più forte, sempre più perfetto…

 

 

Solo e schiavo della sua stessa famiglia avrebbe voluto morire, così da poter rivedere il suo papà.

Ma no, sapeva che non andava bene.

La morte non sarebbe servita, però c’era l’odio.

Solo lo avrebbe portato alla distruzione, ma se…

Aveva rinunciato ai giochi da bambini, agli amici, a tutto.

Si era rimboccato le maniche.

Doveva diventare sempre più forte.

Per se stesso.

Per il sorriso di sua madre.

In pochi si erano accorti del suo cambiamento, ma una cosa era certa…

Hinata-san non lo guardava più sorridendo.

Aveva paura.

Di lui.

E Neji ne era felice.

Perché lei era la causa di tutto.

Era colpa sua, sempre.

 

 

Erano passati anni, molte cose erano cambiate. Il capoclan lo guardava con ammirazione e… ne era felice. Sapeva che non era suo padre, ma… erano così simili.

A pensarci bene tutti lo guardavano con rispetto.

No.

C’erano ancora quegli occhi.

Per quanto diventasse forte non vi vedeva riflesso né rispetto e ormai anche la paura che inizialmente lo aveva reso tanto felice era sparita.

Lei non lo guardava e basta.

Questa volta non riuscì a schivare il kunai.

-Meglio Neji-kun?-

-Ero distratto.-

Sospirò di fronte al sorrisino sfrontato della ragazza.

Mai sorelle avrebbero potuto essere più diverse.

 

 

Gli anni erano passati veloci, forse troppo, dopotutto poteva dire di essere felice di ciò che si era conquistato.

Rispetto. Ecco cosa provavano gli altri nel guardarlo.

Orgoglio, fiducia, grandi aspettative.

Tutti gli occhi del Clan erano puntati su di lui.

O quasi.

Lei aveva smesso di guardarlo.

Lei non guardava più nessuno, indifferente alle occhiati fugaci – preoccupate del padre e a quelle stranite della sorella, lei… guardava qualcosa che loro non riuscivano a scorgere.

O forse, semplicemente, non guardava niente. Nessuno.

 

 

Era una notte senza nuvole dove la luna risplendeva regina, una di quelle sere raccontate nelle fiabe, dove la magia serpeggia in ogni strada e gli dei scendono in terra per sorridere agli essere umani. Dei, spiriti, fate, maghe, elfi e folletti.

Sospirò lasciando il vento sfiorargli dolcemente il volto.

Amava il suo villaggio, soprattutto di notte quando tutto taceva. Quando nessuno piangeva e tutti dormivano sorridendo nei propri letti, al sicuro, felici.

E anche se, maligni, arrivavano degli incubi al rovinare il sonno di qualcuno non era importante, poiché l’indomani sarebbe sorto il sole e tutto sarebbe andato a posto.

Niente ombre, niente paure.

Solo luce.

Sospirò.

La missione era stata mortalmente noiosa, si era dovuto sorbire sabbia, sassi, sabbia, erba secca, sabbia, Rock Lee che spariva ogni due per tre con il Kazekage, sabbia, Tenten che si sarebbe volentieri fatta un tappetino con la pelle della sorella del rosso, sabbia, sabbia e sabbia.

Odiava la sabbia.

Non aveva niente contro Suna o il Kazekage, ma… c’era sabbia.

Tanta.

Entrò nella villa principale nel silenzio più completo e ringraziò che fosse ormai notte inoltrata, l’idea di dover fare tutti i saluti di convenienza lo irritava come non mai.

Colpa della sabbia.

Voleva solo…

Acqua.

Entrò nel cortile con il piccolo laghetto, per andare nella sua stanza e, lì, la vide… l’acqua.

Limpida e cristallina, trasparente, pura - pura?

Hinata, la bambina – no, era una donna ormai- che lo aveva temuto era lì, sull’acqua, avvolta da un leggero strato di Chakra e con un sorriso indecifrabile sulla labbra.

Non lo guardava, come sempre.

Probabilmente non si era neppure accorta della sua presenza.

Invisibile.

Come poche volte nella sua vita Neji si sentì trasparente.

 

Era cambiata.

In pochi lo aveva notato e quasi tutti avevano preferito ignorarlo.

Quasi.

Un padre per quanto duro è pur sempre un padre.

Certo, quell’uomo avrebbe preferito la morte piuttosto che ammettere di essere in pensiero per la figlia, ma…

Lui ne sapeva niente?

Era successo qualcosa di particolare?

Qualcuno le aveva fatto del male?

Qualche missione andata male? Qualche litigio? Qualcosa?

Qualsiasi cosa?

No, Hiashi-sama, non era a conoscenza di nessun fatto strano, ma lui ed Hinata… come dire…

Ricordava ancora lo sguardo preoccupato dell’uomo.

Invidiò la ragazza, perché aveva un padre che ancora si preoccupava per lei.

Ma, ghignò internamente, probabilmente si era svegliato troppo tardi.

 

 

Era strana Hinata-san quella sera.

Le sue labbra si muovevano, in una canzone muta.

Fece un’elegante piroetta su se stessa, chiudendo gli occhi.

Danzava, al suono di una melodia che solo a lei era concesso sentire.

Felice, come mai l’aveva vista.

Fece un passo in avanti, incerto, da un lato voleva che quella scena con tutta la sua assurdità finesse. Da un lato, ma dall’altro…

-Oh, Neji-kun, a cosa devo la tua presenza?- piroettò ancora una volta su se stessa, sorridendo.

Il ragazzo assottigliò gli occhi di ghiaccio.

Si stava prendendo gioco di lui?

Strinse i denti.

Non lo stava guardando, di nuovo.

-Torno da una missione, stavo tornando nella mia stanz-

-Stavi? Perché adesso cosa stai facendo?- rise e con un gesto l’acqua si alzò in aria, danzando con lei.

-E voi, Hinata-san, cosa state facendo a quest’ora?-

-Io? Ballo.- e si fermò, facendo un’elegante inchino verso il ragazzo.

-Ballate?-

La ragazza sospirò:- Veramente anch’io sono appena tornata da una missione, ma non ho sonno.-

Guardava il cielo, ma non lui.

-Comunque sia è tardi, dovreste andare a dormire.-

Rise:- Davvero è così tardi?-

-Eh?-

Temeva che non stesse più parlando del tempo, ma di quello che credeva fosse un tabù, un…

-E’ tardi da così tanto tempo… non trovi?-

-Hinata-san?-

Rise, ancora.

Iniziava ad odiare quel suono.

-Oh, Neji-kun, vuoi ballare con me?- e per la prima volta dopo anni quegli occhi furono di nuovo su di lui.

 

 

Bhà, non era un problema suo.

L’importante era che il capo Clan continuasse ad allenarlo e a riporre grandi speranze in lui.

Anzi, ad essere onesto, era infastidito da questo cambio di posizione.

L’avevano ignorata per anni e ora… !

Oh, non poteva negare che fosse strana.

Se prima era timida adesso sembrava…

Disinteressata.                     

Attivò il Byakugan.

Probabilmente era solo una sua impressione.

Fece un giro completo su se stesso.

Sì, perché le persone non possono cambiare.

Sorrise.

Hinata era una nullità e tale sarebbe rimasta per tutta la sua vita.

 

 

No, no che non voleva!

Ma perché no?

Avanzò lentamente verso di lei. Gli sembrava di essere sotto incantesimo, di osservare tutto da lontano. Hinata sorrise, arretrando di un passo, invitandolo a raggiungerla sullo specchio d’acqua.

-Neji, sai ballare?-

-Non ho mai…-

-Non è difficile, è un po’ come combattere, solo che le mani non diventano rosse.-

La ragazza sorrise, avvicinandosi, un passo ancora e lo avrebbe sfiorato.

-Allora Neji-san, mi concede l’onore di questo ballo?- gli porse una mano.

E vide.

Vide le sue mani sporche di sangue.

-Ma cosa… ?!-

-C’è qualcosa che non va?- sei davvero così ingenua, piccola Hinata?

-Le tue mani!-

-Che cos’hanno di strano?-

Ghignò la dolce Hinata avanzando di un passo e facendo combaciare i loro corpi. Neji fece per indietreggiare ma, velocemente, le mani di lei s’incrociarono dietro il suo collo.

Rise la timida Hinata mettendosi in punta di piedi a pochi centimetri dalle labbra del ragazzo.

-Sono sporche?-

 

 

E se… fosse diventata più forte?

Se lui fosse tornato ad essere uno della casata cadetta, ad essere di nuovo pari ad uno schiavo?

Il suo schiavo?

No, no, no.

Tutto ma non quello.

Scosse la testa, scacciando l’assurda voglia di mettersi a tremare.

No… lui sarebbe stato il più forte, sempre.

Sì, sempre.

 

 

Hinata spostò una mano, sfiorando con i polpastrelli il volto latteo del ragazzo

-Ah, Neji-kun? Sono sporche?- gli soffiò sulle labbra.

-Io…-

Sorrise, ghignò, la debole Hinata mentre sfiorava le labbra di Neji con le sue.

-Ma è normale che siano sporche, dopotutto io lo sono.- e ad ogni parola le loro labbra si sfioravano ancora e ancora.

-E tu Neji? Come sei? Pulito? Candido come i tuoi occhi?-

-H-Hinata…-

Ah, povero ragazzo, come non capirlo? Come non capire la sfumatura d’incomprensione nel suo sguardo?

Dopotutto il suo mondo stava crollando.

Lei, per gioco, lo stava distruggendo.

Chissà… forse il magnanimo destino gli avrebbe concesso la capacità di restare in piedi.

O, come suo solito sarebbe rimasto indifferente.

Ridendo, nel vederlo precipitare.

 

 

 

Altro capitolo scritto parecchio tempo fa XD. Ringrazio Kikichan, chi ha letto e chi mi ha aggiunta tra i preferiti.

Ah, a chi interessasse ecco l’indirizzo dl mio blog-archivio storie^^: http://hiems.iobloggo.com.

 

06/07/2007

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