Lady and the Tramp in Storybrooke

di Aching heart
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lady ***
Capitolo 2: *** New Acquaintances ***
Capitolo 3: *** The Tramp ***
Capitolo 4: *** Bad News ***
Capitolo 5: *** The baby ***
Capitolo 6: *** King of the Fools ***
Capitolo 7: *** I have a dream ***
Capitolo 8: *** Thanksgiving ***
Capitolo 9: *** Revelations ***
Capitolo 10: *** Like a dream ***



Capitolo 1
*** Lady ***


1. Lady

- Allora,  Mr Gold, è tutto sistemato per l’adozione? Non ci saranno problemi, né altro?
- Assolutamente, Mr King, oppure non avrei portato qui la bambina. E’ stata lasciata sulla porta dell’ Istituto St James di Boston senza nessun biglietto, oggetto particolare o simili. Sullo scatolone in cui è stata trovata c’era solo scritto il suo nome, e quello le è stato dato. Se anche un giorno qualche suo parente volesse farsi vivo, farebbe molta fatica ad ottenere i vostri dati dall’orfanotrofio e senz’altro potremmo fare in modo che quel qualcuno sia perseguibile per vie penali. Ma tutto sommato non credo che ce ne sarà mai bisogno.
 Dunque stavano parlando di lei, intuì Lily. Quindi, grazie al cielo, ad adottarla non era l’uomo che l’aveva portata via dall’orfanotrofio, ma quei signori King. Era felice di questo, perché quell’uomo le faceva paura: certo non doveva essere cattivo, perché l’aveva salvata da quel brutto posto, ma forse non era buono come padre. D’altra parte, non poteva neanche sapere come sarebbero stati i suoi nuovi genitori; dalla stanza in cui aspettava riusciva solo a vedere l’uomo e la donna di spalle. Chissà che facce avevano, chissà se la donna era come le mamme delle pubblicità, sempre sorridenti e intente a fare dolci; chissà se l’uomo era uno di quei padri che obbligavano i figli a fare sport. Sperava di no: a lei non piaceva lo sport. Aveva sei anni e non le piaceva nessun gioco di quelli che facevano gli altri bambini, che stavano sempre a correre, a lanciarsi una palla o a saltare una corda. Era una frana in tutti i giochi e l’avevano sempre presa in giro per questo. Anche Ethan. Lui era il peggiore. O meglio, era il migliore, vinceva sempre ed era il più bravo, ma riusciva ogni volta a farla piangere. Lei però non piangeva davanti a tutti, mica era scema! Lo faceva solo quando era sola soletta e a nessuno fregava niente di lei; tanto poi Ethan era stato adottato e lei non aveva pianto più, e ora veniva adottata anche lei. Sperava solo che non avrebbe pianto nella nuova casa.
- Ma lei è qui? Dove? – chiese emozionata la donna. Aveva una voce molto dolce. Lily vide Mr Gold farle un cenno ed entrò nell’altra stanza, dove tutti si erano girati in sua attesa. Vide i due signori avere un sussulto e i loro occhi riempirsi di tenerezza, ma poi la donna si rivolse a quello che si chiamava Mr Gold.
- Ma… pensavamo che fosse un po’ più piccola… insomma, avremmo voluto…
Ecco, doveva immaginarlo: non la voleva. Fu un miracolo se non si mise a piangere in quel momento.
-I figli non si scelgono, Mrs King. I figli sono sempre un dono del cielo e bisogna amarli così come sono, perché loro ci amano incondizionatamente, anche se siamo i peggiori individui sulla Terra.
Mr King guardò il signor Gold con la coda dell’occhio: aveva detto “ci”? Quindi anche lui era un genitore? Che strano, nessuno a Storybrooke sapeva che Robert Gold avesse figli… ma, vedendo la sua espressione grave, decise di non fare domande.
- Mr Gold ha ragione, tesoro. E poi guardala: non è forse la bambina più bella e bisognosa d’affetto del mondo? – disse, poi si fece avanti e la prese in braccio, portandola dalla moglie.
- Sì, Gianni caro, hai ragione. E’ una bambina stupenda. Come si chiama? – chiese rivolta a Gold.
- Il suo nome è Lilian. Quando era all’orfanotrofio portava il cognome Parker, come tutti gli altri bambini, ma da adesso in poi, se la accetterete, lei sarà Lilian King.
Ancora quella Lilian…  pensò la bambina. Non sapeva che fosse il suo nome: all’orfanotrofio l’avevano sempre chiamata Lily.
-Io mi chiamo Lily – disse appunto a quelli che sperava fossero i suoi nuovi mamma e papà, e loro sembrarono commuoversi al suono della sua voce.
- Andiamo a casa, Lily? – le chiese dolcemente la nuova mamma, e lei annuì.

***

La casa era molto grande e molto bella. I mobili sembravano usciti da alcuni dei suoi libri illustrati preferiti, ed era tutto luminoso, pulito e ordinato. Non come nell’orfanotrofio. Aveva addirittura due stanze, una per dormire – che sembrava la stanza di una principessa – e una con tanti giocattoli. Fuori dalla finestra si vedeva un grande giardino… era possibile che ci vivessero le fate? A lei sembrava proprio un giardino incantato, ma in fondo era quasi Natale, e con tutto quel freddo e con la neve le fate dovevano essere in letargo.
 La prima cosa che la mamma aveva fatto era stata farle il bagno, poi le aveva spazzolato per bene i capelli e le aveva messo un vestitino, uno dei tanti che il papà era andato di corsa a comprare. Era stato buffissimo vederlo correre tutto emozionato per strada nel negozio vicino e poi tornare a casa carico di buste e pacchetti, tutto ricoperto di neve.
 Quando si guardò allo specchio quasi non si riconobbe: era una bambola! Di vestiti come quelli non ne aveva mai visti, i suoi capelli ramati non erano mai stati così curati, e i suoi occhi scuri non avevano mai avuto un’aria così serena.
-Oh Lily, sembri proprio una piccola Lady! – esclamò Tesoro dolcemente, e Gianno caro le abbracciò e le baciò entrambe.
Le ci volle un po’ per capire che “Tesoro” e “Gianni caro” non erano i nomi dei suoi nuovi genitori. La mattina dopo, tutti infagottati nei loro morbidi cappotti e con tanto di sciarpe, guanti e cappelli di lana, erano andati insieme a passeggio e avevano incontrato molte persone, che li avevano chiamati “Mrs King” e “Dottor King”, oppure solo “Eliza” e “Gianni”. 
 Quindi, suo padre era un dottore. Questo l’aveva preoccupata un po’: i dottori vogliono sempre farti prendere degli sciroppi amarissimi e, qualche volta, vogliono farti le punture! Poi l’aveva riguardato e si era tranquillizzata: una persona così buona doveva per forza essere contraria alle punture.
 Tutte le persone che avevano incontrato avevano sorriso a Lily ed erano stati gentili con lei, e di questo  era molto felice. Le era piaciuto stare in mezzo alla gente, giocare al parco, guardare le persone pattinare sul lago ghiacciato, bere la cioccolata calda in pasticceria, giocare con le bambole insieme alla mamma, leggere i libri col papà e fare tutte le altre cose che aveva fatto oggi, ma ora doveva andare a letto. Mamma le aveva messo il pigiama, dato un bicchiere di latte caldo e cantato una ninna nanna, ma lei ancora non aveva preso sonno. A poco serviva l’abat jour accesa: aveva paura.
 Il fatto era che non aveva mai dormito da sola; cioè, nel letto sì, ma nell’orfanotrofio le bambine stavano tutte in stanza assieme e si tenevano compagnia, invece ora si sentiva sola. E poi aveva paura di avere degli incubi: quella era stata una giornata troppo perfetta, e sicuramente sarebbero arrivati i brutti sogni a rovinare tutto.
 A quel pensiero, sgaiattolò fuori dal letto in preda al panicoed entrò nella stanza a fianco, quella di mamma e papà, i quali dovevano averla sentita, perché si girarono verso di lei. La mamma fu subito intenerita: - Oh, Gianni caro, non possiamo…?
- No – fu la bonaria risposta – deve abituarsi a dormire da sola. Su, Lily, andiamo – la prese in braccio e la riportò nel suo letto. Le diede un bacio sulla fronte, le rimboccò le coperte e se ne andò lasciando la porta aperta. Fece il possibile per cercare di addormentarsi ma ogni volta che chiudeva gli occhi sentiva un rumore strano… forse c’erano dei mostri nascosti sotto il letto? Di nuovo zampettò velocemente fino al letto dei genitori, e di nuovo fu riportata indietro dal papà.
Questa scena si ripetè più volte prima che Gianni caro, guardando gli occhi colmi di lacrime di Lily in piedi di fianco al suo letto, acconsentisse con un : - E va bene, ma solo per stanotte! – che puntualmente fu smentito la notte dopo, quella successiva, e le altre ancora.

 

*Angolo Autrice*
Dunque, benvenuti nella mia nuova fan-fiction! Vi chiederete: come mai questa qui si mette a scrivere altre cose se è incapace perfino di gestire regolarmente una sola fan-fic??? Avete perfettamente ragione, ma io sono un po' pazzerella, e ho così tante idee per così tante storie diverse che devo pur iniziare a pubblicare qualcosa, se no ci metterò una vita!
Detto questo, se avete deciso di leggere questo capitolo vuol dire che siete degli amanti di Lilli e il Vagabondo, esattamente come me : D
L'idea di trasportare a Storybrooke la loro storia è nata un po' di tempo fa, mentre, in preda ad un attacco di nostalgia, ho riguardato il cartone animato avvolta a bozzolo nelle coperte, e così eccomi qui a rompere le scatole (lo sapete che vi voglio bene <3). In questa fan-fic cercherò di riproporre tutti (o quasi) i momenti del cartone animato in stile Storybrooke, e vedrò di aggiungere anche qualcosina di mio.... va detta anche una cosa importante: la carissima e bravissima Dora93 mi ha fatto la gentile concessione di "usare" i personaggi della sua fan-fiction Once Upon A Time In Storybrooke: Beauty and the Beast per una sorta di cammeo. Ho voluto questa cosa innanzitutto per renderle omaggio, perchè amo tutte le sue storie e in particolare questa, e poi perchè ormai non riesco più a pensare ad una Storybrooke senza magia che non sia quella della sua fan-fic. I suddetti personaggi inizieranno ad entrare in scena (a parte Mr Gold che abbiamo già visto) dal prossimo capitolo... capisco che questo non fosse granchè, ma era una specie di capitolo di presentazione. Mi è venuto naturale scrivere per lo più dal punto di vista di Lily, anche se il risultato non è stato dei migliori.
Allora, gentili lettori, vi ringrazio tutti e vi do appuntamento al prossimo capitolo. Ciao ciao : )

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Capitolo 2
*** New Acquaintances ***


2. New Acquaintances

Il giorno dopo Lily fu svegliata da una melodia dolcissima – musica classica – che aveva già sentito qualche volta alla TV, quelle poche volte in cui i bambini avevano potuto usarla, di nascosto dalla direttrice dell’orfanotrofio.                                                                                                                                           
Anche in quello Lily era diversa da tutti gli altri: se a loro piaceva scatenarsi e fare baccano, guardare i cartoni animati violenti e rumorosi, ascoltare quelle demenziali canzonette per poppanti, lei invece non poteva stare meglio nella tranquillità e nella quiete, e non chiedeva nient’altro che perdersi fra le note dei pianoforti e dei violini, che le facevano sognare e immaginare palazzi reali e principesse, fate e giardini incantati.  Questo prima di arrivare a casa King: lì una buona metà dei suoi sogni si era realizzata in un solo giorno, e ora per lei iniziava una nuova vita.
La musica, realizzò, veniva da una radio-sveglia posata sul comodino di Gianni caro, ma lui ancora non si era svegliato, anzi, sembrava dormire profondamente e non accennava ad aprire gli occhi. Dopo cinque minuti, Lily si disse che probabilmente il papà avrebbe fatto tardi al lavoro, così decise di svegliarlo lei. Iniziò prima a scuoterlo leggermente, senza risultati, chiamandolo a voce bassa per non svegliare Tesoro. Vedendo che il bell’addormentato era ancora nel mondo dei sogni, passò alla seconda fase: scese dal letto e cercò di tirargli le gambe fuori dalle coperte, e finalmente lui sembrò destarsi. Lily allora colse l’occasione per bisbigliare: “ Papà, sei in ritardo, devi andare a curare i tuoi pazienti”, ottenendo come unica risposta un semicosciente “Mmmmmh”. Con uno sforzo immane allora lei gli trascinò le gambe fuori dal letto, dopodiché cercò di farlo mettere seduto tirandolo per le braccia, e fortunatamente Gianni caro si svegliò del tutto, risparmiando a Lily quella fatica. Quella, peraltro, non sembrava minimamente stanca, anzi, a stento tratteneva le risate e forse fu questo a mettere il papà così di buon umore nonostante l’alzataccia.                                           
 Se quello che mi aspetta è questo meraviglioso sorriso,  pensò, sono disposto a farmi buttare giù da letto da qui all’eternità. 
Diede un bacio a sua moglie e alla bambina per poi cominciare a prepararsi mentre la piccola ritornava a dormire, di fianco a Tesoro, che la abbracciò stretta a sé.

***

Un’oretta dopo, alle sette e mezza, Tesoro e Lily si alzarono e fecero colazione insieme. Lily non aveva mai visto tanta roba in un pasto solo, aveva solo l’imbarazzo della scelta. Davanti a lei, sull’enorme tavolo della cucina, c’erano pancakes, yogurt, latte, bacon, toast, torte e muffins. Erano state la mamma e la cuoca insieme a preparare tutto, in onore della prima colazione di Lily in casa King, e lei era quasi commossa. Di solito la mattina a colazione le davano una ciotola di latte e un po’ di pane bianco, così decise di provare tutto quello che aveva davanti agli occhi, avventandosi sul cibo con una voracità che fece tenerezza, e un po’ di tristezza, ad Eliza. Da quanto tempo quella povera bambina non faceva un pasto decente?
Nel resto della mattina Tesoro aveva in programma di andare a fare compere. Era il 23 di Dicembre: doveva comprare i regali di Natale per Gianni, per i suoi amici e per la zia Sarah, la vecchia zia di Gianni che sarebbe venuta a pranzare da loro a Natale. Quello sarebbe stato il primo incontro fra lei e Lily, e lei e suo marito erano un po’ preoccupati: la zia aveva sperato a lungo e intensamente che suo nipote e sua moglie le dessero un nipotino, ma quando aveva saputo che Eliza era sterile, le era quasi venuto un colpo. E quando poi le avevano detto che avevano deciso di adottare un bambino, era stato anche peggio. Non aveva voluto vederli per giorni e borbottava continuamente che ora la rispettabilità e l’onore dei King sarebbero stati rovinati da un teppistello qualunque che non c’entrava un emerito niente con la famiglia.                                                                  
Fortunatamente per lei, Gianni ed Eliza erano entrambi buoni e ben disposti al perdono, specie nei confronti dell’unica parente che avevano, e sentivano di avere dei doveri verso di lei fra i quali il trattarla bene nonostante il suo carattere ben poco accomodante.                                                                                     
 Eliza non sapeva se zia Sarah avrebbe preferito almeno che il loro figlio adottivo avesse solo pochi mesi, né se preferisse un maschio ad una femmina, ma credeva che non avrebbe potuto fare a meno di adorare Lily, una volta che l’avesse conosciuta.
Ma, a proposito di Lily, come poteva fare per comprare il suo regalo di Natale senza che lei se ne accorgesse? In realtà non sapeva neanche cosa la bambina volesse, perciò le chiese se avesse già scritto la sua letterina a Babbo Natale. Al che Lily restò sorpresa.
-Posso davvero scrivergli la lettera? E chiedergli tutto quello che voglio?
-Certo – rispose tesoro ridendo – Chiedere non costa nulla. Deciderà lui poi cosa portarti. Ma tu non hai mai scritto la letterina a Babbo Natale? Non ti ha mai portato un giocattolo che volevi?- Tesoro sapeva che all’orfanotrofio i soldi non erano abbastanza da festeggiare il Natale in grande stile, ma pensava che ai bambini fosse dato un regalino, anche simbolico…
-No, mai. Qualcuno ci ha provato, qualche volta, ma non ha mai ricevuto niente di quello che aveva chiesto. Non ha mai ricevuto un giocattolo. Di solito ci arrivavano delle coperte in più e del materiale per la scuola.
Non disse che quel qualcuno era lei e che la maggior parte dei bambini a Babbo Natale non ci credeva più, che non c’era cosa più triste che vedere, a Natale, le facce disilluse dei bambini come lei che ricevevano coperte grigie come unico dono e, se erano fortunati, fogli di carta e colori e libri usati. Quello che per primo aveva iniziato a dire che il Natale non aveva significato né tantomeno magia era Ethan, come al solito. Lei ancora ci credeva, ma per non farsi prendere in giro faceva finta di no, come molti dei suoi compagni.
-Allora vuol dire che sicuramente quest’anno Babbo Natale ti porterà molti giocattoli, eh? -  disse Eliza accarezzando i capelli di Lily, che sorrise annuendo.

***

Tesoro e Lily camminavano allegramente mano nella mano per le strade innevate e ordinate del centro di Storybrooke. I capelli biondo-rossicci della donna ricadevano in boccoli morbidi sul delizioso cappottino azzurro abbinato al cappello e ai guanti di lana color crema, mentre la figurina di Lily era avvolta da un cappottino grigio caldo, e il baschetto, la sciarpa e i guanti rosso acceso fatti a maglia facevano un bel contrasto.
Avevano preso un taxi per arrivare in centro da casa loro, perché Eliza non guidava e temeva che fare tutto quel tragitto piedi fosse troppo stancante per la piccola.
-Lily, non credi che questo orologio sarebbe un regalo perfetto per papà?
La bimba si avvicinò alla vetrina che Tesoro stava indicando.
-Ma come, non li porta Babbo Natale i regali?
Tesoro rise – Certo, cara, ma ai bambini. I grandi i regali se li fanno da soli.
-Allora sì, va bene. E poi lui ha bisogno di vedere sempre che ore sono… altrimenti fa ritardo, come stamattina.
-Sai, cara, hai appena colto il difetto più grande di papà. Io non ci sono riuscita subito, ai nostri appuntamenti era sempre perfettamente in orario. Solo dopo mi ha detto che per esserlo iniziava a prepararsi un’ora e mezza prima!
Le risate delle due King attiravano gli sguardi dei passanti indaffarati e carichi di pacchi e pacchetti. La loro allegria era contagiosa e ben presto tutti si ritrovarono a sorridere. Persino Leroy, l’ubriacone della città, che stava camminando con aria decisamente ostile poco più in là, si aprì in un sorriso stentato ma sincero.
In quel momento, una donna uscì dalla gioielleria nella quale le due King stavano per entrare andando quasi a sbattere contro Eliza; dava la mano ad un bambino che poteva avere dieci anni, con i capelli neri e gli occhi grigi, e sembrava un po’ imbronciato. La donna stava per scusarsi formalmente quando riconobbe Eliza.
-Oh, scusami, Liza cara, davvero non so dove ho la testa. Stavo comprando i regali di Natale per tutta la famiglia con Marshall… saluta Liza, Marshall – disse rivolta al bambino che doveva essere suo figlio, il quale fece un cenno con la mano. La donna non diede ad Eliza il tempo di aprire bocca che riattaccò a parlare.
-Sai, cara, ho preso un delizioso braccialetto di brillanti… è assolutamente mozzafiato, te lo faccio vedere subito, oh ma…- si interruppe notando Lily – Liza, cara, che bambina meravigliosa! Non dirmi che…
Tesoro colse quell’occasione per poter parlare:- Margaret, ti presento nostra figlia Lily. Io e Gianni l’abbiamo portata a casa solo ieri. Lily, lei è la signora Margaret Scott, la nostra vicina di casa. Questo bel bambino invece è Marshall, suo figlio.
-Ciao – disse la bambina timidamente.
La loquacità della signora Scott non poté essere trattenuta più a lungo:- Oh, com’è adorabile! Sono rimasta incantata da lei, davvero… che ne dici di venire a casa mia? Prendiamo un thè, chiacchieriamo, e nel frattempo Marshall e Lily giocano… Allora?
-Margaret, mi piacerebbe molto, ma devo fare ancora tutti gli acquisti di Natale e domani è la Vigilia…
-Oh, che disdetta! Ci tenevo così tanto… almeno Lily? Così lei e Marshall possono fare amicizia…
-Tu che ne dici, Lily?
Lily ci pensò un secondo solo: era una bambina estroversa, e anche se Marshall non sembrava essere il compagno di gioco ideale, annuì energicamente.
-Siamo d’accordo, allora!- esclamò Margaret entusiasta. Prese la bambina per la mano che aveva libera, poi baciò Tesoro su entrambe le guance e fermò un taxi.
Eliza rimase a guardare con un leggero sorriso sulle labbra finché il taxi non si fu allontanato, poi si voltò ed entrò nella gioelleria.

***

Casa Scott era molto diversa dalla sua, Lily non ci aveva fatto caso quando vi era passata davanti il giorno prima. Se casa sua aveva uno stile classico ed elaborato ma aggraziato e non ostentava lusso, quella di Marshall era imponente e faceva sentire tutti quelli che vi si trovavano di fronte molto piccoli. Era una lussuosa costruzione in grandi mattoni rosso scuro con un’ampia scalinata  e, ai lati di questa, due enormi vasi con due rigogliose piante che dovevano essere di plastica, per stare così bene con quel freddo. Tutto l’enorme giardino era coperto di neve e disseminato di sculture di ghiaccio. Nel complesso era bella, ma faceva sentire Lily tremendamente fuori posto, e la situazione non migliorò una volta dentro. Tutta l’imponenza e la ricchezza che c’erano all’esterno si ritrovavano lì, e la bambina si sentì come rimpicciolita.                                    
Due cameriere aiutarono lei e Marshall a togliersi i cappotti e tutto l’armamentario invernale, poi la signora Scott ne trascinò una di sopra ad aiutarla a sistemare i suoi vestiti nuovi e ne mise un’altra a impacchettare i regali di Natale. Lily e Marshall rimasero soli nella stanza dei giochi, senza sapere cosa fare. Tutti i giocattoli del bambino erano, ovviamente, tipicamente maschili, e sembrava che non ci fosse nulla che potesse interessare entrambi, senza contare che lui aveva dieci anni e quindi giocare con lei doveva risultargli molto noioso. Per fortuna, a Lily venne un’idea. Se non andava bene quella, non sarebbe andato bene nient’altro.
-E se giocassimo a palle di neve?
-Sì, perché non ci ho pensato io! – rispose lui, sembrando entusiasta.
Misero i cappotti e si precipitarono in giardino prima che qualcuno potesse fermarli.  All’improvviso però Lily intravide sulla strada qualcuno dall’aria familiare… un momento! Quello era Ethan, il suo incubo ricorrente, e in quel momento stava passeggiando con una donna tutta imbacuccata e con un altro ragazzino, smilzo e scuro, proprio davanti a casa sua. Fra poco sarebbero passati davanti a lei e a Marshall, e se lui l’avesse vista, Lily non osava immaginare che cosa avrebbe fatto. L’avrebbe sicuramente tormentata… oh, ma perché, fra tutte le città che c’erano nei dintorni di Boston, lui era venuto a vivere proprio a Storybrooke? Doveva cercare un nascondiglio…
Marshall, vedendo che la bambina guardava di qua e di là come in cerca di un posto dove nascondersi, le chiese cosa ci fosse che non andava.
-Devo nascondermi – disse lei, implorante.
-Nasconderti? – non capiva. Non stavano giocando a nascondino.
- Ti prego! – riprese lei.
-Vieni.
La trascinò dietro alla scultura di ghiaccio più grossa, poi iniziò a bombardarla di palle di neve per renderla irriconoscibile. Probabilmente si sarebbe presa un accidente, ma era disposta a tutto pur di evitare l’umiliazione di quell’incontro.
Quando Ethan e quella che doveva essere la sua famiglia adottiva passarono davanti al punto in cui era lei trattenne il respiro. Il bambino guardò nella sua direzione e lei si sentì gelare, ma non riuscì a riconoscerla, perciò passò avanti senza dire niente. Appena lui fu sparito dietro l’angolo, tirò un sospiro di sollievo e si ripulì meglio che poteva dalla neve. L’aveva scampata, ma cosa sarebbe successo la prossima volta che l’avrebbe incontrato?
-Ma chi era quello? – chiese Marshall.
Lily si irrigidì. Beccata. – Quello chi?
-Quello che è passato. Quello da cui ti sei nascosta –aggiunse.
Perfetto, ora avrebbe dovuto raccontare i fatti suoi ad un bambino al quale sicuramente stava antipatica. Grande, davvero.
-E’ un bambino molto cattivo che all’orfanotrofio mi prendeva sempre in giro. Se la prendeva sempre con me, per ogni cosa. E per colpa sua non avevo amici…-era la verità. Tutti seguivano quello che faceva Ethan, al St James. Lui era quello grande, quello bravo, quello duro. Nessuno ci teneva a inimicarselo, mostrando simpatia per qualcuno che lui tormentava.
A Marshall fece una grande tenerezza. Era vero che lui era un po’ corrucciato e scontroso, ma era un bravo bambino e detestava i bulli e le ingiustizie, perciò si sforzò di sorriderle e di essere gentile.
-Allora, dobbiamo giocare? – propose.
Lily annuì. Era contenta che Marshall non avesse commentato. Credeva che si sarebbe pentita di aver condiviso quel pensiero con lui, invece in futuro ricordando quel momento fu contenta di averlo fatto. Perché da allora in poi Lily King e Marshall Scott furono grandi amici.

***

Lily era tesissima. Aggiustò per la centesima volta le pieghe del bel vestito beige e dorato  e si lisciò nervosamente i lunghi codini. Non sapendo che fare, giocherellò con i bottoni luccicanti applicati sui polsi dell’abitino, concentrandosi sulla sensazione di gioia che aveva provato quella mattina all’apertura dei regali. Aveva passato la maggior parte della mattinata a provarli: Babbo Natale aveva fatto le cose in grande. Le aveva portato una casa delle bambole enorme, ma non una di quelle di plastica, come le avevano tutti: la sua era fatta a mano, un pezzo unico, ed era molto nel suo stile, non avrebbe desiderato nulla di diverso. Anche perché Babbo Natale aveva lasciato ben poco da desiderare. Oltre alla casa delle bambole, infatti, le aveva portato peluches giganti, un fantastico cavallo a dondolo, bambole della sua stessa altezza e tutto ciò che di meglio si poteva trovare in un negozio di giocattoli. La sua seconda stanza era stata riempita quasi del tutto.                      
Ad un certo punto il campanello suonò, strappando Lily dalle sue riflessioni. Ecco, era arrivato il momento. Quel giorno avrebbe conosciuto la sua unica parente oltre a Gianni caro e Tesoro: zia Sarah.                                        
Neanche lei sapeva perché fosse così nervosa: i suoi genitori non gliel’avevano descritta, non le avevo parlato di lei, le avevano solo annunciato che sarebbe venuta a pranzare da loro a Natale, ma lei avvertiva nell’aria una certa elettricità. Loro due erano nervosi, tesi, e avevano trasmesso quella sensazione anche a lei. Non era stata così neanche tre giorni prima, al banco dei pegni di Mr Gold, in attesa di essere adottata.  
Sentì delle voci risuonare nell’ingresso.
-Il viaggio è stato penoso, Gianni, penoso… l’autista era un pazzo, oh, ma la prima cosa che farò appena tornerò a Boston sarà licenziarlo. Li-cen-ziar-lo!
-Buon Natale anche a te, zia Sarah.
-Oh, scusate, cari, buon Natale, buon Natale. Ma dite -  e qui la voce di zia Sarah assunse un tono altezzoso – dov’è lei?
-E’ in sala da pranzo ad aspettarti, zia. Vedrai, non potrai fare a meno di adorarla.
-Vedremo, Eliza cara, vedremo.
La tanto attesa zia entrò nella sala tutta impettita e con aria regale, portando in braccio una grossa gatta siamese dagli occhi chiarissimi che dondolava la coda facendo le fusa.         La donna aveva i capelli grigi striati qua e là da qualche ciocca bianca, acconciati in una forma strana che ricordava un po’ l’acconciatura della matrigna di Cenerentola nel cartone della Disney, per non parlare del lungo naso puntuto. Era vestita tutta di rosso, in tema con la festività, e aveva messo un bel nastro rosso con un grosso fiocco intorno al collo della gatta perché fosse in sintonia anche lei.
Zia Sarah avanzò verso Lily e, quando fu giunta davanti a lei, la guardò con la coda dell’occhio dall’alto in basso e si schiarì la voce senza però dire nulla. Gianni ed Eliza, che nel frattempo li avevano raggiunti, fecero le presentazioni.
-Zia Sarah, questa è Lilian, o Lily, come la chiamiamo tutti. Lily, questa è la carissima zia Sarah, e questa è Mia, la sua gatta.
La bimba, che da un po’ aveva iniziato a sentire un fastidioso pizzicore al naso, non poté trattenere uno stranuto, seguito da un altro e da un altro ancora. L’espressione della zia riuscì ad esprimere benissimo senza parole tutto il suo disgusto.
-Sono allergica al pelo dei gatti – spiegò la bambina con un filo di voce. In realtà non ne era sicura, ma già altre volte le era capitato di avere quella reazione a distanza ravvicinata con un felino. Quella era la prova del nove, e naturalmente la sua unica parente, alla quale già non andava a genio, doveva proprio averne uno.
Probabilmente la zia decise di ignorare la sua presenza, perché posò la gatta sul tappeto per poi prendere a posto a tavola, il tutto senza dire una sola parola. Gianni ed Eliza avevano dato una precisa disposizione dei posti a tavola, e Lily dovette sedere proprio di fronte alla donna.                                       
I padroni di casa avevano un’espressione raggelata: l’incontro non stava andando proprio come avevano sperato, ma c’era sempre tempo per recuperare.
Quanto vorrei nascondermi sotto il tavolo, pensava la bambina.                                                                                 
A dispetto dell’enorme albero decorato, delle luci calde delle candele, delle decorazioni della stanza e della tavola non poteva esserci atmosfera più fredda. E durante il pranzo andò sempre peggio: a causa del grande imbarazzo, Lily continuava a fare gaffes. A volte faceva cadere le posate, a volte rovesciava il bicchiere, o nel metterlo a posto dopo aver bevuto lo faceva urtare inavvertitamente contro il piatto; una volta, non seppe neanche lei bene come, con un gesto troppo veloce la sua mano s’impigliò nella tovaglia e la trascinò tutta da un lato, portando con sé tutto quello che c’era sopra. Fortunatamente non cadde nulla, ma arrossì così tanto da diventare più o meno dello stesso colore del vestito di zia Sarah, la quale inarcò talmente tanto le sopracciglia che tutta la pelle del viso apparve tirata. Dopo averla guardata come se fosse uno scarafaggio o qualcosa del genere, tornò a conversare freddamente con il nipote, che cominciava a temere che il pregiudizio della zia nei confronti di Lily sarebbe sparito solo grazie ad un miracolo.
Tesoro era in pena per la sua bambina e si sentiva umiliata e imbarazzata al posto suo, tanto era in empatia con lei. Ma anche così non avrebbe potuto essere più mortificata di Lily stessa, che non sapeva come sarebbe andata avanti per il resto della giornata. Doveva resistere solo fino alle sei: a quell’ora la zia e la sua gatta sarebbero ritornate a casa, a Boston. Guardò l’orologio che aveva imparato a leggere per necessità all’orfanotrofio: erano le due. Le lancette avrebbero dovuto fare altri tre giri.
Mentalmente, Lily iniziò il conto alla rovescia.



*Angolo Autrice*
Mi dispiace moltissimo di essere così in ritardo nell'aggiornare, ma come avrete notato, questo capitolo è stato un po' lunghetto. So che avevo detto che in questo capitolo Lily sarebbe già cresciuta e che avremmo anche visto gli abitati di Storybrooke, ma avevo già mezzo capitolo pronto quando invece ho sentito la necessità di scrivere del primo incontro con zia Sarah e della conoscenza fra Lily e Marshall (che, avrete capito, è Whisky) ed è stato anche per questo che c'è stato questo ritardo (ma ne è causa anche mia madre e la sua "dipendenza" da Facebook).
Prometto che nel prossimo capitolo vedremo veramente Lily cresciuta e tutti gli altri, insieme al caro vecchio Fido, che non sarà tanto vecchio....
Sto cercando di seguire gli avvenimenti del cartone, ma alcuni elementi saranno un po' mischiati e naturalmente ci metterò un po'del mio (specie nel capitolo in cui Lily e il Vagabondo andranno a spasso da soli per Storybrooke *luce maliziosa neglio occhi* XD). Spero che non siate rimasti delusi da questo capitolo; so di aver messo un po' troppa carne al fuoco, ma mi sembrava troppo dividere questo capitolo....
Bene, abbiamo fatto la conoscenza con la mamma dei cari gemelli siamesi (come vedete, è insopportabile come loro) e c'è stata anche una fugace apparizione del caro Vagabondo... è Ethan, l'avrete capito, e di un personaggio che ri rivelerà in futuro abbastanza importante, ma non vi dico subito chi è: lascio spazio a congetture varie.
Detto questo, ringrazio tutti quelli che hanno letto o inserito fra le preferite/seguite/ricordate questa fan-fic, e in particolare Raven_95 per aver recensito, Ginevra Gwen White per aver recensito e per le gentilissima considerazione che ha di me ;) e, dulcis in fundo, Dora93 per aver recensito e soprattuto per la sua gentile concessione :)
A presto (spero)!



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Capitolo 3
*** The Tramp ***


3. The Tramp

Erano passati dieci anni da quel disastroso Natale e nel frattempo i rapporti fra Lily e la zia erano andati sempre a peggiorare, ma in compenso tutti a Storybrooke concordavano sul fatto che da quel giorno le uniche volte che avevano visto i King un po’ abbattuti o tristi era perché temevano che Lily non stesse bene; Gianni, Eliza e Lily erano diventati l’esempio della famiglia modello e portavano gioia ovunque andassero, riuscivano persino a strappare piccoli sorrisi al signor Gold o al sindaco Mills, l’immagine dell’austerità. Del resto, Regina Mills era diventata molto amica dei King da quando aveva saputo da loro che Mr Gold provvedeva a dare in adozione i bambini: era così che aveva avuto suo figlio Henry.
Il dottor King stesso diceva che da quando Lily era con loro, lui e Liza vedevano sempre meno di quei brutti titoloni sui giornali, e Mrs King confermava dicendo che con lei la loro vita era completa.
La diretta interessata, dal canto suo, era cresciuta in un tale clima di gioia e serenità da poter dire di essere la persona più felice al mondo. Fra lei e i suoi genitori non c’erano mai state incomprensioni, brutte parole o litigi, e spesso la casa risuonava di risate allegre.
Forse l’unico difetto dei signori King era quello di essere un po’ iperprotettivi nei confronti della figlia, ma a lei non pesava: incerti che la scuola pubblica della città fosse un luogo sicuro e credendo che il Collegio di Storybrooke fosse un ambiente troppo simile all’orfanotrofio in cui Lily era cresciuta, avevano deciso d assumere un’istitutrice privata, e così Lily aveva passato e passava tutt’ora la maggior parte del suo tempo in casa. Aveva però ricevuto un’educazione superiore non solo nelle normali materie scolastiche, ma anche nel disegno, nel canto, nel portamento e nelle maniere da renderla agli occhi di tutti una “vera Lady”. E tuttavia non aveva mai assunto un contegno altezzoso con nessuno, anzi, era l’immagine della dolcezza, dell’educazione e della bontà, e non avrebbe avuto difficoltà a farsi molti amici, se ne avesse avuto l’occasione, ma siccome raramente usciva dalla zona dei quartieri alti e non essendoci molti bambini lì, fin dal suo arrivo in casa King aveva stretto amicizia, oltre che con Marshall Scott, solo con un’altra persona: Antoine Debois, che allora aveva dodici anni e ora era un ragazzone di ventidue anni. Era il figlio dei rinomati pasticceri Debois, che abitavano in fondo alla strada. I King, gli Scott e I Debois erano ottimi amici, perciò Gianni e Liza erano sicuri quando Lily era insieme ad Antoine e Marshall.
Proprio ora, finita la lezione di latino, Lily stava andando nel giardino degli Scott, dove i tre amici si erano dati appuntamento. Voleva far vedere loro il regalo che i suoi genitori le avevano fatto quella mattina. Non era una ricorrenza né un’occasione speciale: semplicemente, Eliza aveva visto l’oggetto in vetrina e aveva deciso che sarebbe stato perfetto per sua figlia. L’oggetto in questione era una bella collana, composta da un sottile nastro di seta turchese e da un ciondolo d’oro a forma di rombo il cui contorno era delineato da turchesi tagliati in maniera minutissima e tempestato da diamanti a forma di stella ancora più piccoli. Il gioiello aveva un fascino molto particolare, quasi d’epoca, e che a Lily fosse piaciuto immensamente era la prova del fatto che lei non era una ragazza come tutte le altre. Era speciale.
Ora camminava con la consueta eleganza, ma con il petto un po’ più in fuori e il mento leggermente più in alto, come per attirare l’attenzione sulla collana ma con discrezione.
Era una bella giornata di sole settembrino e soffiava una brezza fresca, mentre gli abitanti di High Avenue passeggiavano tranquillamente per la strada tenendo al guinzaglio i loro cani di razza; tutti quelli che vedevano Lily la salutavano allegramente e lei ricambiava, felice di conoscere tante persone. Ci mise un po’ ad arrivare al cancello di casa Scott, data l’estensione della proprietà, e quando arrivò trovò Antoine assopito sul dondolo della veranda e Marshall intento a fare le parole crociate.
-Ciao, Marshall – lo salutò piano Lily per non svegliare Antoine.
-Ciao –rispose lui altrettanto piano, poi le fece cenno di accomodarsi e la ragazza prese posto sulla poltroncina imbottita vicina all’amico. D’un tratto Antoine si mise a parlare sommessamente nel sonno, e si capì qualcosa come “farina” o “glassa”.
-Ah – sospirò piano Marshall – Starà sognando quello che ha fatto stanotte – e scosse la testa.
-Perché, cos’ha fatto?
-Si è messo nel laboratorio di suo padre e ha iniziato a sfornare torte e dolci vari, anche se dovrei chiamarli orrori. Molti ne ha lasciati bruciare mentre era intento a farcirne e decorarne altri, e il risultato è stato che il laboratorio è diventato un campo di battaglia e i suoi esperimenti erano immangiabili.
- Davvero? – chiese incredula Lily.
-Di un po’, hai mai assaggiato una delle sue “nuove creazioni”?
-No.
-Ecco, brava. Non farlo mai.
-Ma… ho assaggiato qualche altro suo dolce, ed era buono!
- Sì, perché ha seguito le ricette! Ma è deciso a stupire i genitori con nuovi dolci spettacolari e spesso combina disastri. Detto fra noi – e abbassò ancor di più la voce tanto che Lily dovette sporgersi verso di lui per sentire – Antoine manca di quel gusto  che fa di un pasticcere un artista, ma non vuole ammetterlo.
Scosse nuovamente la testa e guardò con amore il ragazzo che proprio in quel momento si stava svegliando. Ci mise un po’ a mettere a fuoco le figure del suo ragazzo e dell’amica ma quando si fu svegliato li salutò con il consueto entusiasmo. Lui e Marshall stavano proprio bene insieme, riflettè Lily: il primo era sempre allegro, un po’ svampito, fantasioso, l’altro era razionale, a volte un po’ acido e scontroso, fermo sulle proprie convinzioni. Erano gli opposti che si attraevano. Certo, le loro famiglie, soprattutto quella di Marshall, avevano faticato un po’ ad accettarli, ma anche grazie alla mediazione dei King tutto si era risolto per il meglio. Certo, il fatto che Margaret Scott avesse sempre pensato a Lily come sua futura nuora non aveva aiutato.
-Dite un po’ – fece Lily – non notate niente di nuovo?
Le parole della ragazza avevano interrotto un intenso scambio di sguardi fra i due piccioncini, perciò tanto Antoine quanto Marshall si ritrovarono un po’ a cascare dalle nuvole a quella domanda.
-Ehm… forse… hai fatto la manicure? – chiese Marshall senza neanche guardarle le mani.
-No – rispose lei divertita, e volse lo sguardo verso Antoine, come a dire che quello era il suo turno.
-Allora… hai una nuova acconciatura?
-No – fu di nuovo la risposta di Lily che ridacchiò scuotendo i capelli rossicci ondulati, sciolti e lunghi come sempre. Scuotendo la testa mosse anche un po’ il collo e la collana, che non sfuggì allo sguardo pur sempre attento di Marshall.
-Oh, Lily – disse allora – Che splendida collana!
-Oh, è vero – fece anche Antoine, notando anche lui il gioiello – E’ senza dubbio il più bel regalo che qualcuno avrebbe potuto farti… non è che ci nascondi qualcosa, eh?
-No, no. E’ un regalo della mamma. Io la adoro, è deliziosa, non trovate?
Ma non era solo questo, non era solo per la sua bellezza. All’interno del ciondolo era custodita una foto di lei e i suoi genitori insieme, e lei sentiva come un abbraccio caldo nel punto in cui il ciondolo toccava la sua pelle. Era come se Gianni ed Eliza avessero racchiuso il loro affetto lì dentro e gliel’avessero dato per farla sentire protetta e sempre con loro. Era una sensazione stupenda, sentirsi amati.
-Sentite – disse Antoine – mi sento tutto anchilosato, andiamo a fare due passi?
La proposta fu accolta e i tre amici si misero a passeggiare per le strade ordinate, scherzando e conversando , quando la loro attenzione  fu attirata dal Vicesceriffo Swan che attaccava un cartello al muro del parco. Incuriositi, si avvicinarono per vedere di che si trattava.
-Buongiorno, Vicesceriffo Swan.
-Buongiorno, ragazzi. Tutto a posto? – chiese cordialmente Emma Swan. Era da poco a Storybrooke ma già tutti conoscevano la sua storia e, al contrario dei suoi amici, Lily non riusciva a trovarla simpatica, un po’ perché la sua famiglia era molto amica dei Mills, un po’ perché pensava che Henry avesse una vita perfetta con Regina e che Emma non dovesse intralciarla. Se mai la sua madre biologica fosse tornata, Lily le avrebbe detto chiaro e tondo che abbandonandola aveva fatto una scelta e che ora doveva rispettarla. Ma sapeva anche che la situazione era più complicata di così, perché Henry era in cura dal dottor Hopper, quindi doveva avere qualche problema serio.
Emma Swan, da parte sua, non aveva capito perché Lilian King, indicatale da tutti come una ragazza dolcissima, la quintessenza della bontà, la trattasse con tanta diffidenza e sufficienza finchè non aveva saputo da Henry dell’amicizia fra i suoi genitori e il sindaco.
-Tutto bene, Vicesceriffo, grazie. Ci sono novità? – chiese Marshall, accennando al cartello da poco affisso.
-Oh, sì. Il sindaco ha notato che da qualche tempo la criminalità giovanile è in aumento, così ci ha dato delle nuove disposizioni: io e Graham dobbiamo mandare al carcere di Boston i giovani delinquenti con la fedina penale più sporca, mentre dobbiamo tenere più a lungo in detenzione, collaborando con il dottor Hopper, quelli più innocenti, per così dire. Ci sono anche delle ricompense per chi ci aiuterà a prendere alcuni dei più irrecuperabili. Al primo posto, con 500 dollari, c’è Ethan “Tramp” Cooper. Fra parentesi, è la prima volta che sono d’accordo con il sindaco… - ma fu interrotta dal walkie talkie, che trasmetteva la voce dello Sceriffo Graham.
-Emma – gracchiò – ho bisogno di rinforzi, è scoppiata una rissa incredibile da Granny…
-Arrivo – rispose lei – Beh, ragazzi, ci vediamo – e partì in quarta.
-Finalmente si danno da fare – commentò Antoine – Alla pasticceria hanno fatto danni per centinaia di dollari. Non che facciano una grande differenza per noi, ma è una questione di principio. Prima Storybrooke aveva un tasso di criminalità quasi inesistente…
E mentre Lily e Marshall si dichiaravano d’accordo, quasi dall’altra parte della città c’era qualcun altro che d’accordo non lo era per niente.
Di fronte al Bed and Breakfast di Granny, infatti, era scoppiata una rissa in piena regola come da anni non se ne vedevano: i più “attivi” erano i noti ubriaconi della città, Leroy e Moe French, ma anche i loro compagni si davano il loro daffare. Senza contare i giocatori di football e rugby delle squadre giovanili che, lungi dall’avere spirito sportivo, sfruttavano ogni occasione per dimostrare la loro superiorità fisica. Fra loro, naturalmente, c’era Gaston Prince, che da quando aveva avuto un bel due di picche da Isabelle French era diventato più violento e irascibile del solito. Almeno così dicevano.
Graham, pur disponendo dell’aiuto di volontari come David Nolan o Jefferson Hatter, non riusciva a porvi fine, con Archie Hopper che continuava a balzare da una parte all’altra cercando di farsi udire dai contendenti e Granny che brontolava qualcosa a proposito dell’usare la balestra di una sua antenata. Emma forse non aveva una grande forza fisica, ma era una donna autoritaria che prendeva l’iniziativa e sapeva sempre cosa fare, perciò aveva bisogno di lei in quel frangente. Beh, forse non solo in quel frangente, ma quella era un’altra storia…
Nel trambusto generale, assolutamente nessuno si era accorto che un ragazzo stava spaccando i vetri dell’auto della polizia per togliere la sicura e far uscire un ragazzo e una ragazza, con tanto di manette ai polsi.
-Grazie, Ethan – disse la ragazza in un tono che voleva essere seducente. Sembrava fatta, forse lo era, ed aveva la voce di una fumatrice.
-E di che, Gilda – disse allegramente lui – Ma adesso muovetevi, e non fatevi beccare più. Salutatemi il gruppo.
- Certo, Ethan – gridò il ragazzo, tarchiatello e dalla faccia rincagnata, mentre lui e l’amica correvano via.
Nel frattempo il Vicesceriffo Swan era arrivato e col suo sguardo attento aveva notato quello che a tutti stava sfuggendo: i due giovani criminali che lei e Graham avevano preso quella mattina stavano scappando! E c’era di più…
-Graham, quello è Ethan Cooper! – esclamò la Swan. Quel nome ebbe il potere di far cessare la rissa e attirare l’attenzione di tutti sul ragazzo che prese subito a correre, veloce come una gazzella.
-Ha scatenato lui la rissa per permettere ai suoi amici di fuggire. Tipico di Ethan “Tramp” – fece quasi annoiata Ruby.
-Perché, tu lo consoci bene? – ribatté piccato il dottor Hopper. Forse era un po’ geloso.
-No, ma non mi dispiacerebbe fare conoscenza – rispose lei in tono provocatorio.
-Tu non farai conoscenza proprio con nessuno, signorinella! – intervenne Granny. – Su, torniamo, dentro. Ci voleva un delinquente per far stare calmi altri delinquenti.
La rissa era infatti cessata e ora la folla si stava disperdendo; Ethan “Tramp” Cooper era una specie di leggenda della città: aveva solo diciotto o diciannove anni e sfuggiva alla giustizia da quando ne aveva tredici; sebbene fosse conosciuto da tutti nessuno sapeva come prenderlo né come trovarlo. Viveva nella periferia di Storybrooke, ma nella bidonville che si era creata c’erano troppi giovani teppisti che lo aiutavano e nascondevano. Anche perché accadeva spesso che facesse loro qualche favore, come appunto quella volta.
Mentre Gilda e Max scappavano, inseguiti dallo Sceriffo, Ethan aveva la Swan alle calcagna. Doveva riconoscere che quella donna era esperta negli inseguimenti ed era l’unica a dargli del filo da torcere, ma purtroppo per lei, era da una vita che lui scappava ed aveva una conoscenza impareggiabile di Storybrooke. Beh, di quasi tutta Storybrooke: doveva ammettere che i quartieri alti non gli erano familiari. Neanche a farlo apposta, ecco che Ethan sbucò sulla strada fin troppo ordinata e calma di High Avenue. Si fermò di botto, consapevole che, se nel resto della città attirava già una gran bella attenzione, lì ne attirava almeno il doppio a causa del suo abbigliamento trasandato e del suo comportamento spudorato da ragazzo-di-periferia. Infatti i pochi passanti, tutti rigorosamente ben vestiti, lo squadrarono con uno sguardo irritato, che lui ricambiò con un allegro “Ehilà”. Si divertiva un mondo a far arrabbiare certa gente. Prese a camminare tranquillamente lungo il marciapiede, quando vide un gruppo di due ragazzi e una ragazza, più o meno della sua età, entrare in un giardino da un basso cancelletto bianco di legno. Non aveva idea di chi fossero i due ragazzi, ma lei aveva un’aria familiare… era proprio…
-Bimba!
Lily King si voltò con un’espressione raggelata in faccia. C’era solo una persona in tutto il mondo che la chiamava con quel soprannome, una persona che fortunatamente non incontrava da dieci anni, quella stessa persona che ora era affacciata al giardino di casa sua e la fissava con lo sguardo di chi scopre che il suo compleanno è arrivato in anticipo.
Anche Marshall si voltò a guardare il ragazzo che aveva gridato, e riconobbe Ethan Cooper. Come se non bastasse, l’espressione inorridita di Lily risvegliò qualcosa nella sua memoria, e fu più che sicuro che quel ragazzo fosse lo stesso dal quale, dieci anni prima, lei si voleva nascondere nel giardino di casa sua. Assunse subito un cipiglio diffidente-intimidatorio. Ma Ethan non si curò né di lui né dello sguardo sorpreso di Antoine: vedeva solo Lily. Non poteva credere che lei fosse lì a Storybrooke! Aveva una cotta pazzesca per lei all’orfanotrofio ed era stata l’unica a mancarle di quel posto orrendo quando era stato adottato. L’aveva sempre chiamata “bimba” perché era minuta, anche se non era certo una delle più piccole di età, al St James. Era cresciuta molto in quei dieci anni, eppure il suo sguardo sembrava lo stesso di sempre.
-Bimba! –ripetè –Non mi riconosci? -  e scavalcò la staccionata bianca.
-Ethan – sussurrò lei con un filo di voce.
-Esatto – rise lui – Come mai sei qui?
-Io qui ci vivo – ribattè lei – La domanda è: che ci fai tu qui?!
-Una passeggiata – rispose alzando le spalle – Quindi tu sei stata adottata da una famiglia dei quartieri alti… ti è andata bene.
-A te no?
-Per niente, ma non voglio rovinare la nostra bella rimpatriata parlando di cose così spiacevoli. Piuttosto…-
-Piuttosto – intervenne Marshall – perché non alzi i tacchi e te ne vai? A me sembra che l’unica cosa spiacevole per lei sia proprio tu.
-Oh, andiamo – rispose lui ridendo, ma poi con la coda dell’occhio vide comparire all’imboccatura della strada il Vicesceriffo Swan – Beh, non credo che sia male come idea. Ci vediamo, bimba! – e le mandò un bacio al volo prima di sparire di corsa.
Lily non riusciva a crederci, era come se il suo demone privato fosse risalito dall’inferno per tormentarla. In quegli anni si era quasi dimenticata di lui, e ora ecco tornarle alla mente tutti gli spiacevoli ricordi legati a lui. Avrebbe voluto sprofondare e, disperata com’era, non si rese conto di quante ragazze avrebbero dato qualsiasi cosa pur di essere al suo posto, quel giorno.


*Angolo Autrice*
Sono tornata :) Innanzitutto, buon anno nuovo, anche se in ritardo.
Ecco finalmente il capitolo che tutti noi stavamo aspettando: l'incontro fra Lily e Ethan!!
Contornato anche da tutti i personaggi di Storybrooke! Alcuni sono presi proprio dalla fan-fic di Dora93 (cit. Moe French e il due di picche di Gaston XD) che vi consiglio di leggere se già non lo state facendo, alcuni sono i normali cittadini come ci sono stati presentati dallo show. A proposito di questo, devo dire che non sono una fan della coppia Emma/Graham, ma Dora93 sì, perciò.... invece sono stata convertita alla Red Cricket, che ora apprezzo enormemente. A proposito, ecco un'immagine che sicuramente vi piacerà, se siete fan di questa coppia.
http://www.facebook.com/photo.php?fbid=579093398773904&set=a.557288374287740.143044.556447017705209&type=1&theater
Detto questo, passo a commentare il pairing Marshall/Antoine. Forse questa coppia vi avrà un po' scioccate, e in effetti è una bella novità, ma ce li vedevo bene insieme, non so perchè. Quindi, potrete dire tutto quello che volete, ma non la modificherò. Antoine, l'avrete capito, è Fido, e nella fan-fic è il figlio di quel pasticcere che ha la psticceria "Da Froncois" nel cartone. Comunque credo che qui siano risultati tutti un po' OC ma non potevo fare altrimenti.
Che ne pensate dell'incontro fra Lily e Ethan? So che nel cartone non è così, ma non temete: ci sarà anche quel dialogo, con le dovute modifiche. A me personalmente piace un sacco, ed è un vento, visto che di solito sono parecchio critica verso ciò che scrivo. Spero che anche a voi sia piaciuto.
Nel prossimo capitolo avremo uno scorcio un po' più dettagliato della vita di Ethan e un incontro importante.... vedrete in seguito il perchè. Comunque tenete bene a mente che se mai lo Sceriffo prendesse il nostro Vagabondo, gli toccherebbe essere trasferito a Boston, e chissà se Lily potrebbe andare a fargli visita, chissà.... intanto per lei dal prossimo capitolo inizieranno ad arrivare i guai.
Ringrazio tutti quelli che hanno letto, recensito o inserito fra le seguite/preferite/ricordate questa fan-fic, e in particolare Dora93 e Ginevra Gwen White per essere delle fan impareggiabili :)
Alla prossima!

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Capitolo 4
*** Bad News ***


4. Bad News

Nei giorni successivi, Ethan dovette  mettersi d’impegno per non correre al numero 10 di High Avenue tutte le volte che ne ebbe voglia. Sentiva l’elettricità in corpo da quando aveva scoperto che Lily viveva lì, ma sfortuna voleva che dovesse rimanere nascosto per un po’, per far calmare le acque dopo la rissa con relativa fuga che aveva scatenato. La cosa che più premeva a Ethan era andare da lei prima di quei due damerini che erano in sua compagnia quando l’aveva incontrata; aveva nettamente preso in antipatia il tipo basso che l’aveva “gentilmente” invitato ad andarsene: forse era quello che ci teneva di più a conquistare Lily, fra i due. Sicuramente lui e il suo compare vivevano nei quartieri alti come lei e potevano vederla tutte le sante volte che volevano, invece lui era bloccato lì a giocare a carte con delinquenti della sua risma.
A quel pensiero ebbe un moto di stizza e gettò sul tavolo le sue carte, alzandosi dal tavolo e andando a poggiarsi al davanzale della finestra.
-Cavoli, Ethan – biascicò Max con in bocca una sigaretta, guardando le sue carte – Perché ti sei incazzato? Avevi una scala!
-Scusate ragazzi, ma non mi va proprio di giocare stasera. Vado a fare due passi. – Sarebbe andato da lei, in quel momento stesso.
-Oh, andiamo – protestarono gli altri, ma non ci fu nulla da fare.
Fu Gilda, irrompendo nella stanza, a fermarlo.
-Ehm, Ethan? – disse – C’è… una visita per te. – Aveva l’aria preoccupata e questo insospettì i ragazzi.
-Cazzo, Gilda, non saranno mica gli sbirri?! – chiese Pedro col suo accento spagnolo.
-No… Ethan, è Rod.
L’ umore di Ethan peggiorò ancora: quando c’era di mezzo Rod, erano sempre cattive notizie, tuttavia decise di incontrarlo e farla finita subito. Lo trovò ad attenderlo nella camera che lui condivideva temporaneamente con Boris, un amico di Max.
-Che ci fai qui? – chiese senza preamboli.
-Che bell’accoglienza – commentò un ragazzo più grande di lui, con i capelli castano scuro e vestito di nero. Aveva un’espressione ambigua sul volto, ma sicuramente non amichevole. – Non posso semplicemente avere voglia di vedere mio fratello?
-Non so cosa tu non riesca a comprendere del fatto che non siamo più fratelli, Rod, ma te lo ripeto: noi non siamo più fratelli.
-Suvvia, Et, vuoi dire che per te vale di più la stupida decisione di un fottuto giudice degli anni che abbiamo vissuto gomito a gomito come fratelli?
- Sì, e ora dimmi perché sei venuto.
-Se ci tieni tento… - sospirò – Ho bisogno di aiuto.
La cosa non sorprendeva Ethan. Rod lo contattava  solo quando aveva combinato qualche casino e aveva bisogno di una mano per rimettere insieme i cocci della sua vita scapestrata. Lui era un altro tipo di criminale rispetto ad Ethan: se il Vagabondo, come lo chiamavano, non aveva l’animo di delinquente, apprezzava la vita libera e commetteva furtarelli che gli consentivano di sopravvivere, Rod aveva un’anima nera. Per lui rubare era naturale, un divertimento, e si dedicava solo a grossi furti, per lo più in banda. Spacciava, anche, e una volta aveva addirittura ferito un uomo in una sparatoria. In comune con Ethan aveva solo il suo passato e il talento per le fughe.
-L’altra sera io e i ragazzi eravamo al Troll Bridge – (in realtà quel posto si chiamava Toll Bridge, ma lui e la sua banda lo avevano ribattezzato così, aggiungendo una “r” con una bomboletta spray rossa al cartello col nome. Bomboletta spray che apparteneva ad Ethan, fra l’altro) – e stavamo cacciando…
-Scusa? – lo interruppe Ethan. Era sinceramente stupito dal fatto che quei ragazzi fossero così idioti da fare ancora quello stupido gioco. Lui l’aveva provato qualche anno prima, su insistenza di Rod, e dal momento che aveva rischiato di farsi male sul serio aveva lasciato perdere.
Il gioco consisteva nello sparare ad un qualsiasi bersaglio, fisso o mobile, cercando di colpirne il maggior numero possibile. Un po’ come quando i ragazzini alle prime armi sparano alle bottiglie di birra vuote sui muretti, solo che nella “caccia” i ragazzi sparavano tutti insieme e in una foresta semibuia. Ognuno aveva una pistola di calibro diverso, così si poteva riconoscere facilmente che aveva colpito il bersaglio e chi no. Il rischio di rimanere gravemente ferito era altissimo.
-Hai capito. Stavamo cacciando, e quel coglione di Prince ha preso Manuel alla spalla.
-E allora?
-Allora, Gaston ha detto che se Manuel sporgerà denuncia daranno tutti la colpa a me. Sai qual è la loro fortuna, no? Loro hanno tutti i paparini ricchi sfondati  pronti a fare carte false purché i nomi dei figli, i loro nomi, non vengano infangati. Io sono lo sfigato di turno che non c’entra un cazzo e fa da capro espiatorio!
-Che ti serva di lezione, allora; io non posso e non voglio pagare cauzioni per te né voglio nasconderti, ho già abbastanza guai per conto mio,  perciò vedi di sparire. E impara a sceglierti gli amici.
-Magari si potessero scegliere anche i fratelli! – ribattè l’altro piccato, e fece per andarsene, ma cambiò idea e si voltò verso Ethan.
-A proposito – disse – Ti ho visto nei quartieri alti ultimamente. Carina la tua amichetta, perché non me la presenti?
Ethan si irrigidì nel sentire Rod parlare di Lily.
-Oh, non fare quella faccia, non avrei mai la faccia tosta di farmi avanti da solo. Ieri ho provato ad avvicinarmi ma quella ragazza mi ha fulminato con lo sguardo.
Ethan scattò, prese Rod per il bavero e lo spinse al muro.
-Non provare mai più, mai più, ad avvicinarti a lei, sono stato chiaro? – ringhiò – Se vengo a sapere che l’hai importunata, che le hai fatto del male…
-Calma, Et, non ho intenzione di farle niente – disse Rod liberandosi dalla presa del fratello.
-Sparisci – disse lui a bassa voce, ma visto che l’altro non si muoveva, lo buttò fuori urlando: -Sparisci!
Impiegò qualche istante per calmarsi, e il bisogno di vedere Lily si fece più forte che mai. Aveva avuto parecchie ragazze, ma nessuna l’aveva mai preso come lei. E fra loro non era ancora successo niente!
Decise di andare subito e uscì senza dare spiegazioni a nessuno. Per strada camminava spedito, dal momento che abitava molto lontano dalla zona dei quartieri alti, ma il pensiero di vederla lo calmò e gli rimise il buonumore. D’altronde, lui era un tipo allegro che non riusciva a concentrarsi su pensieri negativi per più di dieci minuti al giorno – in effetti, l’unico che riusciva a rabbuiarlo così era Rod.
Cercando di evitare a tutti i costi i luoghi in cui lo Sceriffo o peggio, il suo Vice, avrebbero potuto tendergli un agguato, Ethan sbucò in High Avenue, e allora si chiese cosa avrebbe fatto. Voleva vedere Lily, sì, ma poi? Le avrebbe parlato? Cosa avrebbe fatto se ci fossero stati anche gli altri due ragazzi?
Un problema alla volta, pensò. Arrivò davanti al numero 10 e ringraziò la propria fortuna: nel giardino, da sola, sedeva Lily. Sembrava intenta a giocare con una margheritina, quando, sentendosi osservata, alzò gli occhi e vide Ethan. Avvampò, e lui si mise a ridere, lieto di avere un tale effetto su di lei. Lei sembrò offesa e, avvicinatasi alla staccionata, gli disse: - Ma tu non dovresti essere ricercato, con tanto di taglia? Com’è che te ne vai indisturbato in giro per Storybrooke?
-Io ho i miei metodi per sparire velocemente, bimba. Ma perché mi fai questa domanda? Non è che ha ragione quel piccoletto scorbutico dell’altra volta? Ti do fastidio?
-Sì – disse a testa alta – E sarebbe meglio se tu non insultassi i miei amici – fece per voltarsi e andarsene, ma lui la trattenne per una mano.
-Bimba, sono venuto fin qui per vederti, scappando dai nostri temibili Sceriffi e attraversando mezza città, e tu mi tratti così? Sii un po’ gentile, e io prometto che non insulterò i tuoi fidanzatini.
-Amici – lo corresse severa Lily.
-Amici – le concesse Ethan sorridendo. – Vieni a fare due passi con me?
Col cavolo!, pensava Lily, ma le pareva una risposta troppo ineducata da dare perfino a lui. Anche se l’ineducato era lui: insomma, le aveva praticamente detto che aveva rischiato di venire arrestato per il gusto di tormentarla un po’…  Beh, le disse una vocina dentro la sua testa, la stessa che apprezzava il bel volto di Ethan e il suo fisico smilzo ma forte, non ha detto proprio così. Lo ha fatto per vederti, non per tormentarti, sottolineò. E fu proprio quella vocina a spingerla ad accettare. I suoi genitori non c’erano e Marshall e Antoine non sarebbero venuti a prenderla prima di un’ora… di tempo ne aveva.
Ethan, raggiante, le porse galantemente il braccio mentre usciva, e lei lo accettò.
-Allora, davvero quei due non sono i tuoi fidanzati? – le chiese, incapace di lasciar cadere l’argomento.
-A parte il fatto che non sono affari tuoi e che nessuno potrebbe avere due fidanzati per volta, sì, davvero non sto con loro, con nessuno di loro. Marshall e Antoine stanno insieme… fra di loro – spiegò, senza riuscire ad evitare il gioco di parole. Si morse il labbro: perché aveva rivelato quell’informazione così personale ad uno sconosciuto? Sentiva il bisogno di sottolineare che era libera… Libera e stupida.
Ethan scoppiò a ridere: - Non ci posso credere! Quei due sono gay! – e giù altre risate.
Lily, indignata, si staccò da lui e gli disse: - Non capisco cosa ci sia da ridere. Avrei dovuto saperlo che eri troppo immaturo per comportarti come una persona civile. Non so proprio perché te lo abbia detto.
-No, aspetta – la bloccò lui prima che tornasse indietro – Scusami. Non sto ridendo perché i tuoi amici sono gay, ma perché… - perché ero geloso di loro da impazzire, era la risposta, ma non la disse ad alta voce. – Perdonami. Non succederà più, te lo prometto.
Lily decise di credergli, ma stavolta non lo toccò, e a lui questo gesto non sfuggì.
-Oh, insomma, non capisco perché mi tratti con tanta diffidenza, bimba! – fece lui giocosamente.
-E io non capisco perché, dopo dieci anni, continui a rivolgermi quell’insulto.
-Quale insulto? – chiese lui sinceramente stupito. Poi capì: - Ti riferisci a “bimba”? Ma è un nomignolo affettuoso!
-Sì, certo, e io sono la Regina Elisabetta.
-Bimba, dico sul serio! Tu credi che io ti abbia insultato tutte le volte che ti ho chiamata così?
A questo punto Lily non sapeva che pesci pigliare. Ethan era sincero o no?
-Perché, non è così?
-No – rispose lui, come se fosse ovvio.
-E allora, tutte le prese in giro, tutti i dispetti, tutte le volte che mi hai fatto piangere… ?
-Ti ho fatto piangere?? – chiese lui, stupito ancora una volta.
Ops, lui non poteva saperlo, lei si era sempre assicurata di essere sola quando piangeva. Visto che non rispondeva, Ethan decise di spiegare ciò che a lui sembrava perfettamente chiaro: - Avevo una cotta pazzesca per te, bimba!
Ehhhh????!!!, ribattè la mente di Lily. Cadeva letteralmente dalle nuvole… era semplicemente impossibile. Secondo quale logica lei gli piaceva quindi lui la tormentava?
Il Vagabondo continuò a spiegare: - Beh, ero un bambino, e come ogni bambino, un po’ stupido, perciò non volevo che nessuno lo sapesse. Proprio per questo motivo ti facevo i dispetti. E poi, beh, sapevo che se avessi dimostrato che mi eri antipatica nessuno si sarebbe avvicinato a te, e io ero tremendamente geloso, così… - lasciò cadere il discorso stringendosi nelle spalle. Si vergognava non poco ad ammettere quanto era stato meschino, ma riprese con foga a giustificarsi: - Non avevo idea che tu piangessi, altrimenti non l’avrei mai fatto!
-Non avresti dovuto farlo in ogni caso!
-Ehi, scusami – le disse, prendendole il viso tra le mani per accertarsi che non stesse piangendo in quel momento. – Non volevo farti del male.
Ok, si disse Lily, datti una calmata. Ti sta dicendo che gli piacevi dieci anni fa, non che gli piaci ora. Il suo cuore batteva all’impazzata.
-Che ne dici, il passato è passato? – propose lui sorridendole e tendendole la mano.
-Il passato è passato – ripetè lei sospirando. Era certa che Ethan si riferisse anche alla cotta che aveva avuto per lei e, chissà perché, quel pensiero fu come una stilettata al cuore.

***

-Tesoro? Tesoro, ti senti bene?- chiese preoccupato Gianni, ma era chiaro che Eliza non stava per niente bene. Era pallida e sudava freddo, e aveva l’aria di chi sta per vomitare. Infatti si teneva una mano sulla bocca e una sullo stomaco e Regina, sempre preparata ad ogni evenienza, era già andata ad afferrare una vaschetta per il bucato, quando Eliza non ce la fece più a trattenersi e vomitò anche l’anima nella vaschetta di plastica azzurra che il sindaco le aveva messo davanti con tempismo perfetto. Il tutto sotto gli occhi di un attonito Henry che, già deluso dall’assenza di Lily, era tutt’altro che lieto per come stava andando quella serata.
Gianni era accovacciato per terra accanto a sua moglie, tenendole i capelli indietro mentre vomitava.
Regina non capiva: Eliza stava male per qualcosa che aveva mangiato da lei? Aveva servito dei biscotti fatti in casa con il the, ma anche gli altri li avevano assaggiati e stavano benissimo. Quella volta aveva aggiunto un po’ di cannella: a lei personalmente non piaceva molto, ma a Henry sì, e l’aveva accontentato. Che la sua amica fosse intollerante alla spezia?
Intanto l’attacco di vomito si era temporaneamente fermato ed Eliza cercò di rimettersi in piedi ansimando; Gianni la aiutò, ma era evidente che sua moglie avrebbe potuto dare nuovamente di stomaco da un momento all’altro.
-Regina, per favore, puoi andare a prenderci i cappotti? Andiamo a casa, dove ho tutto il mio materiale…
-Neanche a parlarne, Gianni, voi due rimanete qui: non vedi che Eliza non è in grado di muoversi?
Proprio in quel momento la signora King si chinò di nuovo per rimettere e Gianni si convinse.
-Adesso tu vai a casa, prendi la tua attrezzatura medica e ciò che vi serve per la notte e poi torni qui. Io intanto vi preparo una camera – disse Regina. Era seriamente preoccupata per la salute della sua amica.
-D’accordo – fu la rassegnata risposta di Gianni, che anche volendo non avrebbe mai potuto vincere una discussione con il sindaco Mills.

Una volta a casa, preparò in fretta un borsone con biancheria intima, vestiti di ricambio e spazzolini e una borsa di pelle da medico con quello che riteneva opportuno. Lo fece troppo in fretta, senza rendersi conto che sua figlia non  era in casa nonostante l’orario, cosa che gli tornò in mente di colpo quando la vide qualche metro più avanti vicino al cancello di villa Herman. Lei non poteva vederlo perché gli dava le spalle, ma Gianni vedeva chiaramente che con lei c’era un ragazzo sconosciuto abbastanza alto, che le aveva  preso il viso tra le mani e la accarezzava piano.
Per poco non gli prese un colpo. Cosa ci faceva Lily lì fuori con quello sconosciuto in rapporti così… confidenziali? A lui ed Eliza aveva detto che quella sera avrebbe cenato con Marshall e Antoine perché era stata invitata a casa Debois. Solo per questo Lily aveva rinunciato al piacere di passare una serata in compagnia di Regina ed Henry, ma evidentemente aveva mentito. Mentito! Lily non l’aveva mai fatto, era sempre stata una così brava bambina… doveva essere stato quel ragazzo a condurla sulla cattiva strada. Ma ci avrebbe pensato lui a riportarla indietro.

***

Ethan le aveva preso il viso fra le mani. Di nuovo. Così lei sarebbe finita col farsi un castello di illusioni davvero mastodontico. La accarezzava dolcemente e sorrideva. “Sei così bella quando arrossisci..” le aveva detto, col risultato di farla arrossire ancora di più. Non sapeva cosa aspettarsi dopo, ma forse c’era speranza per…
-Lily!
Fu la voce di suo padre a riportarla bruscamente a terra. Si voltò indietro e lo vide marciare verso di lei con due borse, una delle quali era quella da medico. Aveva un’espressione ben poco benevola che la fece sentire tremendamente in colpa. Mise subito della distanza fra lei ed Ethan e nel frattempo Gianni arrivò davanti a loro. Lily si accorse di tremare,  senza sapere perché.
-Lily, cosa ci fai qui con questo… ragazzo? – chiese Gianni guardandolo in faccia. Non credeva di conoscerlo, cosa abbastanza strana a Storybrooke, ma in quel momento non gli importava granchè. Si rivolse direttamente a lui: – Vedi di sparire al più presto – gli intimò.
Era quello che Ethan avrebbe dovuto fare: il signor King l’aveva visto in faccia e avrebbe presto chiamato lo Sceriffo. Allora perché rimaneva lì impalato? Facile…
-Lily, se vuoi rimango con te - le sussurrò mettendole una mano sulla spalla, ma lei si scostò e, senza nemmeno guardarlo, gli disse: - Vai, lasciaci soli.
 Ethan ubbidì.
Padre e figlia rimasero qualche secondo immobili uno di fronte all’altra in un confronto di sguardi che Lily perse presto. Guardò a terra, certa di essersi cacciata in un grosso guaio, mentre Gianni le disse di seguirlo in macchina. Una volta dentro, iniziò l’interrogatorio.
-E’ per questo che non sei venuta con noi? Per vedere quel ragazzo?
-No, papà, dovevo davvero cenare con Marshall e Antoine, ma era ancora presto e ho incontrato quel ragazzo. – Non voleva dire il suo nome nel timore che suo padre chiamasse lo Sceriffo. Non sembrava aver riconosciuto Ethan, ma non voleva rischiare.
-Come si chiama?
Nessuna risposta.
-E’ il tuo ragazzo?
-No.
-L’hai incontrato oggi per la prima volta? – chiese, scettico.
-No.
-E allora chi è?
Poteva dirlo? – E’… un vecchio amico. Era con me all’orfanotrofio. – La sua voce si spezzò sull’ultima parola.
Questo è un colpo basso, pensò Gianni. Si inteneriva sempre nel sentir parlare Lily dell’orribile posto in cui era vissuta fino ai sei anni, ma non avrebbe dimenticato facilmente la menzogna e quel ragazzo.
-Chiunque sia, non lo vedrai più, chiaro? Te lo proibisco. E per stasera salterai il tuo appuntamento con i tuoi amici.
Lily non sapeva come reagire. Una parte di lei ne era contenta, ma l’altra, quella che stava aspettando un bacio quando suo padre era intervenuto, era sul punto di esplodere. Per la prima volta in dieci anni, Lilian King aveva l’impulso di iniziare a protestare e gridare contro suo padre come tutte le adolescenti normali. Solo che lei non era un’adolescente normale, così rimase in silenzio e abbassò di nuovo lo sguardo.
-Tua madre si è sentita male – le annunciò Gianni.
-Male?
-Sì. Ho preso l’occorrente per passare la notte da Regina, visto che non sarebbe una saggia idea spostarla. Quando arriveremo ti lascerò lì e poi verrò a prendere le tue cose. Non diremo nulla alla mamma di questa storia, servirebbe solo a farla stare peggio.
-Va bene. Ma cos’ha?
-Indigestione, credo. Regina ci ha offerto the e biscotti e dopo un po’ Tesoro ha iniziato a vomitare.
-Non è grave, vero?
-No. – Almeno spero.
Lily si sentì più in colpa che mai e tremendamente preoccupata per la salute di sua madre. Voleva assolutamente avere gli aggiornamenti di Regina.
Sperava solo che non fossero brutte notizie.



*Angolo Autrice*
Ciao a tutti... so bene che stavate gridando al miracolo per questo aggiornamento veramente da record per i miei standard, ma temo che siate rimaste deluse. Vi avevo promesso un capitolo molto emozionante, lo so, ma oggi rileggendolo mi sono resa conto che non era proprio così. Chiedo venia, ma di meglio non sono riuscita a fare, spero di rifarmi la prossima volta.
Spero non siate rimaste troppo deluse dallo scorcio della vita di Ethan che vi ho offerto; la sua storia vera e propria verrà più avanti. Per adesso abbiamo fatto la conscenza di un personaggio che sarà abbastanza importante, ovvero Rod (penso che abbiate capito chi sia). A proposito di questo, mi scuso per il linguaggio "leggermente" volgare che ho dovuto usare nella prima parte del capitolo, e spero che abbiae apprezzato la storiella sull'origine del nome Troll Bridge. Qualcuno doveva pur averlo manomesso quel cartello, no? Lo so, lo so, quella cosa della caccia è stupidissima, talmente stupida che non so da dove mi sia uscita, ma mi serviva qualcosa per introdurre Rod, qualcosa di rozzo e stupido, per l'appunto, e per un'altra cosa (poi capirete perchè).
Lily... immagino sia un po' OOC in questo capitolo, ma ce la vedevo proprio così.
Ormai avrete capito che Tesoro aspetta il leggendario pupo, solo che loro ancora non lo sanno. Il fatto della cannella è un po' simbolico... abbiamo visto, nella prima stagione di OUAT, che MM ed Emma erano acomunate dal gusto per la cannella, così ho pensato che anche a Henry piacesse, e Tesoro si è sentita male proprio a causa della presenza di questa spezia nei biscotti perchè al nascituro proprio non piace. In questo modo ho voluto esprimere una specie di sentimento anti-Biancaneve e anti-Emma, a mo' di sostegno morale a Regina, che nell'ultimo episodio di OUAT, The Cricket Game, non se la passa proprio benissimo.... (e l'ho fatto anche perchè io ODIO la cannella. Quando si dicono le coincidenze, eh?)
Lasciando da parte i mie sproloqui, lo so che la reazione di Gianni può sembrare esagerata, ma in fondo lui stava andando da sua moglie che stava male e ha visto sua figlia che, invece di essere con i suoi amici, era con uno sconosciuto che era sul punto di baciarla, in mezzo alla strada. E poi ve l'avevo detto che lui ed Eliza erano iperprotettivi! Ora dunque si pone un bel problema grazie al divieto di papà, ma forse ci penserà Regina a risolvere la situazione. Chi lo sa? E inoltre stanno iniziando ad arrivare guai per Lily, con il pupo. Tra non molto rivedremo zia Sarah e i suoi "adorabili" siamesi.
Vi avviso già che il prossimo capitolo non arriverà tanto presto, perchè devo dedicarmi almeno un po' all'altra mia fan-fic che sono più di due mesi che non la calcolo, e spero che nel frattempo riuscirò a combinare qualcosa di decente. Ringrazio quindi tutti quelli che hanno recensito, letto o messo tra le seguite/preferite/ricordate questa fan-fic, e in particolare Dora93, Ginevra Gwen White, Raven_95 e CoolMarty (questa volta il ringrazimento è doppio, perchè ho prodotto un obbrobrio).
Alla prossima!

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Capitolo 5
*** The baby ***


5. The baby

La mattina dopo, Liza diceva di stare già molto meglio. Sia Gianni che Regina però insistevano perché facesse dei controlli, così avevano lasciato Lily a casa con Henry e l’avevano portata al pronto soccorso.
Regina era in sala d’aspetto, sola a parte qualche suora che era lì per la raccolta di medicinali per i poveri, mentre Gianni aveva ottenuto – essendo un medico – di essere ammesso nella sala medica con la moglie. Liza aveva fatto una serie di controlli ma le infermiere non avevano ancora detto niente e lui era sempre più ansioso, ne era testimone il suo piede che batteva nervosamente per terra.
-Ma insomma, signorina, mi può dire che succede? – sbottò infine.
- Stia tranquillo, dottor King, non è nulla di grave. Anzi, direi che sia d’obbligo farle le mie congratulazioni.
- Le sue… ma cosa… - guardò sua moglie, che sembrava confusa tanto quanto lui.
- Le mie congratulazioni, dottor King – ripeté l’infermiera – Lei e sua moglie aspettate un bambino.
- Un… oh mio Dio! – esclamò Gianni quando si rese conto di ciò che l’infermiera aveva detto. - Un bambino! Tesoro, riesci a crederci?
- Non è possibile… - disse Liza con un filo di voce, al colmo della felicità. – E’ un miracolo…
- Sì, deve esserlo, un miracolo! Santo cielo, corro a dirlo a Regina! – e corse in sala d’aspetto.
- Regina! – la chiamò.
Regina si stupì di vederlo in quello stato d’agitazione. – Gianni, perché urli? E’ successo qualcosa?
-No, no, cioè sì, ma è una notizia meravigliosa! Aspetto un bambino, cioè, Liza aspetta un bambino, ti rendi conto? Quasi non riesco a crederci….
Il sindaco Mills si aprì in un meraviglioso sorriso. – Sono così felice per voi, Gianni. Congratulazioni, davvero.
-Non sto nella pelle dalla felicità… torno da Liza – e, quasi inciampando nei suoi stessi piedi, si precipitò nuovamente da sua moglie.

***

Una volta tornati a casa, Gianni e Liza si ritirarono subito in camera da letto per parlare del bambino in privato, su richiesta di lei, mentre Lily si era chiusa a sua volta nella sua stanza, non si sapeva bene per quale motivo, anche se Gianni poteva immaginare quale fosse.
-Tesoro, perché hai insistito per parlarne da soli? – esordì lui dopo aver chiuso la porta e aver buttato le borse con i vestiti sul letto.
- Sai, Gianni caro, ricordo che quando ero piccola mia zia rimase incinta, e  non lo disse a nessuno per i primi due, tre mesi di gravidanza… poi mi spiegò che era perché ci sono molte probabilità di aborti naturali nelle prime dieci settimane di gravidanza, infatti lei perse il bambino al quarto mese. Questa che ci sta capitando è una cosa così bella… ti sembrerò una sciocca superstiziosa, ma preferisco tenerla segreta fino a quando non sarà proprio evidente.
- Vuoi tenere il segreto anche con Lily?
Liza esitò un po’ prima di rispondere, ma poi decise: - Sì, anche con Lily.
-Come preferisci. Mi dispiace solo di averlo detto a Regina.
- Non importa, ormai l’hai fatto. E poi Regina è una persona molto riservata, non andrà a dirlo ai quattro venti. Di lei possiamo fidarci.
- Hai ragione. Adesso però è tardi, io devo andare allo studio… oppure vuoi che resti con te?
- Vai, non preoccuparti. Cosa potrebbe mai succedermi a casa? Nel caso dovessi avere bisogno di qualcosa, c’è Lily qui.
Era proprio quello che preoccupava Gianni. Si era sempre fidato di sua figlia, ma ora Liza era incinta e la sua era una gravidanza delicata, e Lily aveva dato segno di irresponsabilità con quel ragazzo. Non era sicuro di poterlo dire a sua moglie, probabilmente darle una preoccupazione era la cosa peggiore da fare… quindi decise di non dire niente, e dopo averle dato un bacio se ne andò.
Liza, rimasta sola, decise di iniziare a lavorare a maglia. Sapeva che non doveva riporre troppa speranza in quella gravidanza, come aveva detto lei stessa, ma era anche lei troppo felice. Tuttavia  era anche molto preoccupata e turbata, e si chiedeva cosa volesse dire l’espressione incerta negli occhi di Gianni quando aveva parlato di Lily. Era stato piuttosto freddo con la piccola durante il viaggio in macchina, ma forse era stata solo una sua impressione. Per questo lavorare a maglia era anche un modo per rilassarsi. Prese un gomitolo rosa dalla sua scatola di lavoro e decise di fare dei calzini – se il bambino fosse stato un maschio li avrebbe dati alle suore per la raccolta d’abiti per i poveri – e si mise all'opera.           
Erano più o meno le quattro e mezza quando Lily bussò alla porta della sua stanza.
-Entra pure, Lily.
La ragazza avanzò incerta; non sapeva se alla fine Gianni avesse mantenuto il suo preposito di non dire nulla alla mamma del “ragazzo misterioso”, ma siccome lei sembrava molto tranquilla doveva essere così.
Solitamente a quell’ora lei e sua madre uscivano e andavano a passeggiare nel centro di Storybrooke, e poi per quel giorno avevano fissato di andare a visitare la boutique che aveva appena aperto e che prometteva di essere un luogo molto interessante, quindi domandò:  -Mamma? Dobbiamo andare?
- Andare dove, tesoro? – rispose Liza senza alzare gli occhi dal suo lavoro.
- E’ l’ora della passeggiata… e avevamo deciso di andare a fare compere nella nuova boutique, oggi. Possibile che se ne fosse dimenticata?
- Oh, scusa Lily, ma non mi sento ancora molto bene. Facciamo un’altra volta, d’accordo?
- Va bene – rispose lei e rimase lì, senza sapere cosa fare. Trascinò una poltroncina vicino alla sedia a dondolo della madre e vi si sedette, in cerca di un po’ di compagnia.
- Cosa stai facendo, mamma?
- Niente – rispose lei in tono vago, sebbene il primo calzino avesse già preso forma.
- Sai mamma, non ho mai imparato a lavorare a maglia, ma mi piacerebbe. Potresti insegnarmi? – Era alla disperata ricerca di qualcosa da fare insieme. Non era più abituata alla solitudine, e poi Liza era sempre felice se poteva condividere qualcosa con sua figlia, anche se fu presto evidente che stavolta non era così.
- Non oggi, Lily – rispose lei un po’ più spazientita.
Lily non rispose, ma rimase dov’era, non sapendo che così stava facendo innervosire ancora di più sua madre. Ad un certo punto il gomitolo di lana scivolò giù dalle gambe di Liza e finì per terra; Lily lo raccolse, ma invece di rimetterlo al suo posto cominciò a giocherellarci rigirandoselo fra le mani. Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso: Liza strappò il gomitolo dalle mani della figlia e, molto alterata, le ordinò di uscire dalla stanza. La povera Lily obbedì, sconcertata e ferita. Sua madre non si era mai comportata così, mai. Le cose non stavano andando per niente bene ultimamente.
Decise di consolarsi leggendo un po’. Avrebbe voluto avere lì il libro di favole che Henry le aveva mostrato in gran segreto, ma in compenso aveva qualcosa di simile. Prese dalla libreria un elegante volume dalla copertina verde petrolio con il titolo “Il mostro e la fanciulla” in caratteri dorati; era una rivisitazione della Bella e la Bestia di una scrittrice molto promettente. Si accoccolò fra i cuscini del divanetto incassato sotto la finestra e riprese a leggere dal punto i cui si era interrotta l’ultima volta, mettendo da parte la sua vita almeno per un po’. Non alzò mai gli occhi dal libro finchè non si accorse di riuscire a fatica a distinguere le parole stampate; allora si rese conto che il sole era tramontato. Si alzò per accendere la luce stiracchiandosi, e il suo sguardo cadde sull’orologio che stava sul camino: erano le sei e mezza, Gianni sarebbe tornato da un momento all’altro. Sbirciò fuori dalla finestra, e in effetti vide suo padre venire verso casa dall’altro capo di High Avenue, così decise di accoglierlo come faceva sempre, come se in quei giorni non fosse successo niente, come se andasse tutto bene. Andò a sedersi sui gradini davanti alla porta e quando vide Gianni caro entrare dal cancello gli corse incontro sorridente. Lui però, invece di ricambiare il sorriso e salutarla affettuosamente, le diede delle leggere pacche sulla spalla e la degnò solo di un frettoloso “Ciao, Lily” prima di entrare in casa. Che fosse ancora arrabbiato per la vicenda di Ethan? Sembrava che i suoi genitori si fossero messi d’accordo con l’intento di mortificarla.
Sentendosi vicina ad una crisi di pianto e non volendo rischiare di essere vista, si diresse verso la sua stanza, ma passando davanti alla porta socchiusa della camera dei suoi sentì qualcosa che diede il colpo di grazia alla barriera che ancora arginava le sue lacrime.
-Tesoro? – era la voce di Gianni. – Tesoro, ti senti bene?
- Certo – rispose Liza in tono gaio. La stizza doveva esserle passata, suppose Lily. – Perché non dovrei sentirmi bene?
- Non riesco a non stare in pena. Dopotutto nelle tue condizioni, tutto il giorno qui, sola, a badare a quell’irresponsabile…
Irresponsabile? Lei? Lily soffocò i singhiozzi e scappò nella sua camera. Non aveva parole per esprimere quanto si sentisse ferita, delusa, amareggiata per quella nuova considerazione che i suoi genitori avevano di lei. Non le era mai successa una cosa del genere prima, e lei si sentiva di nuovo solo Lily, non Lily King, ma Lily Parker, la bambina sola al mondo che si rifugiava nella stanza d’orfanotrofio perché gli altri non la vedessero piangere. Aveva fatto un solo errore, fidarsi di Ethan, e le sarebbe stato rinfacciato per sempre. Ancora una volta, Ethan Cooper era la causa delle sue lacrime.

***

Solitamente quando non si passa un bel periodo poche cose rendono felici quanto una mattinata di sole libera da scuola o lavoro. Eppure Lily non vedeva il sole, vedeva  solo nuvole grigie, nonostante la sua insegnante privata avesse preso tre giorni liberi che avevano liberato anche lei. Se ne stava nel giardino sul retro della casa, abbandonata sui gradini di legno bianco della veranda, senza la voglia di fare niente. Persino l’idea di leggere non la allettava. Riusciva solo a rimuginare ancora e ancora sugli avvenimenti delle giornate precedenti, in particolare sul cambiamento repentino dell’atteggiamento di Liza e Gianni nei suoi confronti. Era così assorta che non si accorse neanche di Antoine e Marshall che dal cancelletto dello steccato che casa King e casa Scott avevano in comune erano entrati nel suo giardino.
-Ehm, Lily? – la chiamò incerto Antoine. Era raro vederla così giù.
Lei alzò lo sguardo e vide i due amici, ma la loro comparsa non bastò a rallegrarla, così si limitò a salutarli tristemente.
Marshall aveva già un’idea ben chiara del perché l’amica stesse così. – Che ti è successo, Lily? E’ stato quel “Tramp”, non è vero? Ti ha molestato? E’ per questo che non sei venuta a cena, l’altra sera? Dimmelo, Lily, perché se ti ha mancato di rispetto…
-No, non è niente di quello che hai detto, Marshall. E’ qualcosa che riguarda Tesoro e Gianni caro.
- Tesoro e Gianni caro? – ripeté Antoine. Non era abituato a sentire chiamare così i signori King, ma poi capì.
- Sì, si comportano diversamente con me. Per… qualcosa che ho fatto, suppongo – ma non disse loro cosa aveva fatto.
- Tu? – chiese incredulo Marshall.
- Già – disse, e poi si lanciò nella descrizione degli strani comportamenti dei suoi genitori; loro stessi ne ebbero una testimonianza proprio in quel momento: sentirono Liza canticchiare avvicinandosi alla finestra sotto la quale stavano loro e la videro posare una piantina sul davanzale, ma quando i due ragazzi la salutarono lei non diede segno di averli visti né sentiti e si allontanò con un’espressione quasi svampita. Era proprio fra le nuvole.
Lily terminò il suo racconto riportando ciò che aveva detto di lei Gianni.
-Irresponsabile? – chiese Marshall senza poter credere alle proprie orecchie.
- Irresponsabile? – fece eco Antoine.
- Papà non mi aveva mai chiamata così, prima – replicò lei ancora più abbattuta.
I due ragazzi si scambiarono un’occhiata incerta. Erano venuti a parlare con Lily di una certa notizia che avevano sentito dire; notizia che avevano reputato falsa, ma forse, vista la situazione, dovevano ricredersi.
-Suvvia, Lily, non prendertela così. Ricordati che, in fondo, sono soltanto adulti. E poi, in un momento così delicato… - disse Marshall.
- Tu certamente lo sai… - fece Antoine.
- So cosa? Io non so niente!
- Ehm… questo è strano. Comunque vedi, mia madre stava parlando con sorella Astrid ieri…  e nel discorso è venuto fuori che lei, sorella Astrid, era presente in pronto soccorso quando tuo padre ha detto a Regina che tua madre è incinta.
- Cosa?! – chiese Lily per capire se aveva ben compreso l’intricato discorso di Marshall – Mia madre aspetta un bambino? Ma non è possibile… mia madre è sterile, è per questo che hanno adottato me!
Mentre nel giardino di casa King si teneva questa discussione, Ethan Cooper si aggirava per High Avenue, incerto se andare a trovare Lily o no. Non che gli mancasse il fegato per farlo, ma non voleva mettere lei nei guai. Il padre di Lily, il tale che li aveva interrotti proprio sul più bello l’ultima volta, sembrava proprio quel tipo di genitore iperprotettivo e antiquato capace di chiudere la figlia in casa per un mese anche solo per aver preso per mano un ragazzo, figurarsi per averlo quasi baciato. Tuttavia quello che era successo – o meglio, che non era successo – fra di loro l’aveva reso più impaziente che mai di rivederla. Decise che non poteva aspettare oltre, e si incamminò verso il numero 10 di High Avenue mentre guardava con scherno quelle specie di gabbie che avevano messo attorno ai tronchi degli alberi.
Una volta arrivato davanti a casa King gli si parò davanti un bel problema: doveva suonare il campanello, oppure scavalcare? Non c’era traccia della sua innamorata lì davanti, mentre vedeva chiaramente sagome adulte alla finestre, e non poteva farsi beccare. Provò a fare il giro della casa per vedere di trovare qualche accesso sul retro e fu più fortunato: c’era il cancelletto della staccionata semiaperto. Nel giardino c’erano Lily e quei due damerini, ne sentiva le voci.
Stavano parlando di… bambini. A quanto pareva, la madre adottiva di Lily era incinta.                           
Quel pensiero riportò alla mente di Ethan ricordi dolorosi di un periodo ben poco felice, ma lui li scacciò via prontamente: aveva una sola priorità in quel momento, quella di proteggere Lily. Doveva portarla via dal mare di guai che stava per sommergerla.
-Oh beh, questo è certo, i bambini costano molto cari… non ti ci faranno giocare o altro… - stava dicendo uno dei due ragazzi.
- Però sono così belli e morbidi… - disse un altro con voce più sognante. A quel punto, Ethan non si poté più trattenere e intervenne.
- Sì, un delizioso fagottino. Di guai! – disse entrando nel giardino. Tutti e tre i presenti lo fissarono, sorpresi. – Certo – continuò – graffiano, pizzicano, urlano, ti tirano i capelli… oh, ma quello sarebbe niente. Portano lo scompiglio in casa. Fatti più in là, amico – disse rivolto a Marshall che spintonò leggermente per mettersi di fronte a Lily. – Distruttori di focolari, sono.
Marshall, indispettito, iniziò a dare in escandescenze: - Senti un po’ tu, chi ti credi di essere per…
-La voce dell’esperienza, amico – disse semplicemente Ethan. Poi tornò a rivolgersi a Lily, che ancora non era riuscita a spiccicare parola dall’apparizione del ragazzo: - Oh, e aspetta che arrivi, l’erede. Appena inizi a giocare un po’ col bambino… “Allontana quel ragazzaccio dalla culla, riempirà il bambino di germi!” – fece con voce stridula imitando una donna. – Sentono che fai un sussurro in più del normale? “Smettila, ragazzaccio, che svegli il pupo!” – scimmiottò ancora. – E in più, ci rimetti anche nel reparto vitto e alloggio. Soprattutto nel reparto vitto e alloggio. Sai quei bei pranzi sontuosi, in cui hai solo l’imbarazzo della scelta? – Lily rievocò l’immagine della sua prima colazione a casa King, un’immagine che le era rimasta sempre impressa nella mente.      
– Scordateli! – la riportò bruscamente alla realtà la voce di Ethan. – Solo schifezze surgelate, per mancanza di tempo. Saranno tutti presi dal marmocchio. E hai presente la tua bella cameretta calda e accogliente? – La ragazza ricordò quando aveva visto per la prima volta la sua nuova stanza e la sensazione di calore che aveva provato. Ethan sbuffò. – Una strada fredda e bagnata.
- No! – protestò Lily con tono lamentoso – Non può essere vero, nessun genitore può abbandonare così i suoi figli, no… - ma in fondo, non ci credeva nemmeno lei a quello che diceva.
- Non starlo a sentire, Lily – intervenne Marshall furioso – Nessuno può essere tanto crudele, nessuno!
Per tutta risposta, Ethan alzò gli occhi al cielo. Se solo avesse saputo…
Stavolta fu Antoine a parlare, più calmo e rassicurante: - Sicuro, Lily, sicuro. E poi non stiamo parlando di due persone qualsiasi, stiamo parlando di Tesoro e Gianni caro.
Tesoro e Gianni caro? Ethan per poco non si rotolò per terra dalle risate. L’aveva ben visto, lui, “Gianni caro”. – Oh, andiamo, ragazzi, non crederete davvero che quei due siano così buoni come vogliono sembrare!
Aveva decisamente passato il segno per Marshall, che scoppiò più minaccioso che mai: - Sì, e non ci vanno a genio i bastardi e le loro idee criminali! Vai via immediatamente!
Ethan cercò lo sguardò di Lily; lei annuì impercettibilmente. Era troppo sconvolta per poter passare romanticamente del tempo con lui, oltretutto, non avrebbe avuto idea di come comportarsi dopo il mancato bacio.
-Va bene, amico – replicò Ethan con il suo solito fare calmo e scherzoso.
- Marshall! – ribattè lui infastidito.
- Va bene, Marshall.
- Signor Marshall, se non ti dispiace!
- Va bene, va bene, va bene – Ethan era deluso dal rifiuto di Lily, ma non lo diede a vedere. Tuttavia non poteva andarsene senza aver seriamente avvertito Lily del rischio che correva. – Ricorda, bimba – le disse quando fu ad un passo dal cancello. – Nel cuore di un adulto c’è posto solo per una data quantità d’amore e d’affetto. Quando ci si piazza un figlio naturale, quello adottivo deve andarsene .
Lily sbarrò gli occhi. Quelle parole l’avevano colpita in profondità, dove c’era ancora quella bambina abbandonata. Solo lei ed Ethan sapevano cosa voleva dire essere soli, soli al mondo. Solo Ethan poteva comprendere la sua paura di essere abbandonata, e solo lei poteva capire lui.
In fondo, però, Marshall e Antoine avevano ragione: era di Tesoro e Gianni caro che si trattava, i dolci, buoni e amorevoli Tesoro e Gianni caro, che erano stati i suoi genitori per dieci anni. Non l’avrebbero abbandonata solo perché stavano avendo un altro figlio. Loro non erano così.
Eppure, ripensando a quello che era successo il giorno prima, il dubbio si insinuò nel cuore di Lily e vi rimase per i nove mesi che seguirono.



*Angolo Autrice*

Ebbene sì, sono ancora viva. Chiedo scusa per lo spaventoso ritardo che ho fatto nell'aggiornare questa ff (più di un mese!) ma sono stata in fase di stallo per tutto questo tempo. Pensate solo che ho iniziato a scrivere il capitolo ieri mattina, ho continuato per tutto il giorno e l'ho finito ieri sera (lo sa bene CoolMarty XD) e oggi l'ho trascritto tutto al pc e l'ho pubblicato. Ho dovuto velocizzarmi perchè ultimamente non ho molto tempo per usare il computer, sto sempre fuori casa e devo farmi una valanga di compiti... oltretutto, giovedì e venerdì pomeriggio ho gli esami del Cambridge (fatemi gli auguri!) e mio padre mi ha messo un'ulteriore limitazione d'orario! Sigh!
Comunque, lo so cosa state pensando: per forza questo capitolo fa così schifo, è andata così di fretta! Lo so, lo so, avrei potuto fare di meglio, ma vi assicurò che l'ho rivisto e corretto centinaia di volte e di più non sono riuscita a fare. Spero tuttavia che si salvi almeno nell'ultima parte, quella del dialogo con Ethan.
Qui ho riadattato le scene del film in cui Lilli scopre cos'è un pupo e cosa vuol dire viverci insieme (poveretta!). Sì, signore e signori, Ethan e Rod sono stati abbandonati dai loro genitori adottivi quando hanno avuto un figlio loro, e fra un po' sarà Ethan stesso a parlarne a Lily confidandosi con lei.
Perdonate Liza, si sa, durante la gravidanza si è soggette a sbalzi d'umore.... povere noi donne, ce le abbiamo tutte noi!  E riguardo al libro che Lily legge per consolarsi, è proprio la storia di Dora93 Il mostro e la fanciulla. Io l'ho adorata, è stata la sua prima storia che ho letto e mi è venuto spontaneo citarla.
Ho trovato qualche difficoltà a riadattare ad essere umani il dialogo fra il Vagabondo, Lilli, Whisky e Fido e spero ne sia uscito qualcosa di almeno decente (sì, ho tolto di mezzo il vecchio nonno Fedele.... perdonatemi ma non c'entrava una mazza). E con questo vi annuncio che dal prossimo capitolo la gravidanza di Liza sarà un po' più avanzata, e io non ho idea di cosa scrivere! Perfetto, vero? XD Non so quanto dovrete aspettare per leggere il prossimo capitolo, e colgo anche l'occasione per dirvi (anche se non ve ne può fregare di meno) che ho finito il quaderno su cui ho iniziato a scrivere questa fan-fic perchè ho avuto la brillante idea di scrivere la trama di un nuovo lavoro sul retro di quel quaderno, e ora dovrò usarne un altro. Bene, ora he ho messo una buona dose di sproloqui posso anche salutarvi, ma non prima di aver ringraziato quelli che hanno messo fra le ricordate/seguite/preferite questa ff, i lettori "silenziosi" e quelli che recensiscono, Dora93 alla quale va il mio eterno ringraziamento per avermi concesso di usare la sua Storybrooke e anche per avermi permesso di citare il mostro e la fanciulla in questo capitolo e per aver citato Et, Rod e la caccia nella sua ff, Ginevra Gwen White, Raven_95 e CoolMarty.
Alla prossima!

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Capitolo 6
*** King of the Fools ***


6. King of the Fools

Dire che da quel momento in poi in casa King ci fu parecchia tensione sarebbe un eufemismo. Lily era al corrente della gravidanza perché era stata informata da Marshall, ma Liza e Gianni perseveravano nel loro silenzio riguardo alla grande novità, e la ragazza ne era sempre più delusa e amareggiata. I genitori, da parte loro, si accorgevano di tutto questo ma, non sospettando che lei sapesse, attribuivano il suo strano comportamento al fatto che stesse diventando una di quelle ragazze difficili di cui si lamentavano tutti gli altri genitori. Gianni in particolare ne era convinto, avendola vista con Ethan, ma non aveva ancora detto nulla a sua moglie per timore che potesse preoccuparsi troppo e avere qualche complicazione.
Lily era molto addolorata per l’atteggiamento che loro avevano con lei: era stata certa, per dieci anni, di aver ormai trovato il suo lieto fine, ma evidentemente si sbagliava e la sua felicità, per quanto fosse durata a lungo, era destinata ad essere temporanea. Non riusciva a credere che il meraviglioso rapporto che si era creato fra lei e i suoi genitori adottivi potesse essere mandato in frantumi così facilmente, e da una cosa bellissima come un bambino!
- Lily? Lily, mi stai ascoltando?
- Cosa? – fece Lily, improvvisamente strappata dai suoi pensieri. Si rese conto di essere nello studio di casa sua mentre la sua insegnante privata cercava di attirare la sua attenzione.
- Ti sei distratta, Lily. Stavi fissando il tuo quaderno con la penna a mezz’aria da dieci minuti mentre avresti dovuto prendere appunti.
- Mi dispiace, signora Madison, è che non sto particolarmente bene oggi.
- Sì, l’avevo notato. E’ grave? Vuoi che chiami tuo padre e ti faccia visitare?
- No, non è nulla di grave, è solo qualche giramento di testa.
- Bene, in questo caso non ti dispiacerà se continuiamo. Devi darti molto da fare visto che punti a Yale, dico bene?
- Visto che mio padre punta a Yale – mormorò Lily, ma non fu udita dalla sua insegnante che riprese a dettarle appunti di biologia.
Gianni aveva sempre sognato di vedere Lily a Yale, il college che lui aveva frequentato, e di vederla un giorno laurearsi in medicina. Non vedeva l’ora in cui avrebbe potuto parlare di sua figlia come della dottoressa King e a furia di ripeterlo quei sogni erano entrati in testa anche a Lily, che ci si era abituata, anche se l’idea di fare il medico non la emozionava. Tuttavia non c’era altro che avrebbe voluto fare; non sentiva di avere nessun talento né un’inclinazione particolare. Neanche un sogno tutto suo. Le piaceva cantare, questo sì, ma non sarebbe mai arrivata a fare la cantante per mestiere. Forse era meglio attenersi ai piani paterni, che non era certo una rassegnazione a volare basso: Yale faceva parte della Ivy League , entrarci non era uno scherzo, doveva impegnarsi duramente già da adesso, anche se lei sentiva già che la sua vita era composta quasi esclusivamente da studio e libri.
Suo padre, a pranzo, non mancò di ricordarglielo. Lui e Liza stavano parlando animatamente, apparentemente senza accorgersi che Lily taceva e teneva gli occhi fissi sul suo piatto mentre mangiava. Ad un tratto però dovettero accorgersi dell’assenza della sua voce cristallina nell’aria, perché Gianni le chiese:
- Allora, Lily, com’è andata la lezione di oggi? Biologia, giusto?
- Sì, biologia. E’ andata… bene.
- Sicura? Non ti vedo convinta. Devi impegnarti, sai, Yale non è per tutti.
- Lo so. Io mi impegno sempre – rispose la ragazza, in un debole tentativo di fargli notare che non c’era bisogno che assumesse quel tono.
- Lo so, ma non vorrei che ultimamente ti stessi distraendo – fece lui , sottolineando l’ultima parola.  Lily colse l’allusione.
- Suvvia, Gianni caro, nostra figlia è una studentessa modello. Ha bisogno di qualche distrazione, ogni tanto.
- Sono d’accordo, Tesoro,  ma dipende dal genere della distrazione.
- Be’, suppongo che uscire, qualche sera, non le farebbe male. Accompagnata da Antoine e Marshall, s’intende.
- Per me va bene – intervenne Lily – Stasera posso uscire, quindi?
- Naturalmente, tesoro, ma ricorda... – Liza venne interrotta.
- Si esce alle otto e mezza, non devo spingermi più in là del centro di Storybrooke,  devo stare  sempre accanto ad Antoine e Marshall, non devo parlare con gli sconosciuti né accettare un bicchiere se non ho visto personalmente cosa ci hanno versato, e devo ritirarmi al massimo alle undici – recitò Lily a memoria. Lo faceva sempre quando Liza iniziava a farle delle raccomandazioni. Come sempre, sua madre fece un sorriso e le disse “Brava”, e anche suo padre parve soddisfatto.

***

- Mi dispiace, Lily, ma questa sera davvero non possiamo…
- Non importa, Marshall – fece lei sospirando.
I tre amici, seduti sui gradini di casa Scott, stavano parlando del più e del meno quando Lily aveva chiesto agli altri due di uscire con lei, quella sera.
- E’ il compleanno di Elvis e ci ha invitati – spiegò Antoine.
- Elvis è quello con i capelli biondi? – chiese Lily, non avendo ben presente gli amici dei due piccioncini. Non frequentava la loro comitiva, sebbene fosse composta solo da bravi ragazzi di buone famiglie. I suoi genitori non si fidavano a lasciarla uscire con altri ragazzi che non fossero i due vicini di casa.
- Sì… sai, ci ha invitati da un mese, sarà una festa in grande stile, non possiamo proprio mancare…
- Però se vuoi possiamo provare a farti imbucare.
- No, davvero, non fa niente. Vorrà dire che stasera rimarrò a casa.
- Perché non provi a invitare qualcuna delle figlie delle amiche di tua madre?
- Non ce n’è nessuna della mia età, e poi non mi trovo molto bene con loro. Faremo un’altra volta.
- Lily, ci dispiace, davvero…
- Ve l’ho già detto, non vi dovete preoccupare – disse lei alzandosi – Ora io vado, ok? Finisco di studiare.
- Va bene...
- E divertitevi, stasera.
Si scambiarono baci al volo e lei ritornò a casa. Gianni era ancora al lavoro mentre Liza continuava a lavorare a maglia nel salotto. Vedendo sua figlia rientrare le chiese: - Non ti sei ancora iniziata a preparare? Sono già le sette e mezza.
- No, io… - stava per dire che quella sera non sarebbe uscita, ma si fermò. Ad un tratto decise che quella sera sarebbe uscita, con i suoi amici o no. – Ora vado.
Salì in bagno e si fece una doccia veloce, poi andò in camera sua e si spalmò di crema idratante. Dopodiché, in accappatoio e con i capelli raccolti in alto sulla nuca, svuotò il suo guardaroba sul letto nel tentativo di trovare qualcosa da mettere. Solitamente per uscire con i suoi amici indossava pantaloni eleganti e camicie o maglioncini classici, molto nel suo stile da brava ragazza acqua e sapone. Stavolta però aveva voglia di cambiare, anche se ancora non sapeva dove sarebbe andata né con chi.
Decise di indossare uno dei pochi jeans che aveva, attillati e di colore azzurro sbiadito, con una giacca di jeans coordinata, e una maglietta a maniche corte beige con la scollatura a cuore, sulla quale erano applicati molti strass, completando il tutto con un paio di ballerine dello stesso colore della maglia. Mise a posto il resto del vestiario e, vedendo che erano le 20:15, si precipitò in bagno (benché non la stesse aspettando nessuno, non voleva sprecare neanche un minuto del tempo che le era concesso dai genitori). Si slegò i lunghi ramati e, dopo un paio di colpi di spazzola, decise di lascarli sciolti, fermando solamente un paio di ciocche dietro l’orecchio con un ferrettino; dopo un tocco leggero di blush, mascara e lucidalabbra decise che andava bene così. Tornò in camera e buttò nella sua borsa preferita il borsellino con i soldi, le chiavi di casa, il cellulare e lo spray al peperoncino per l’autodifesa di cui suo padre l’aveva munita. Non che ne avesse mai avuto bisogno, a Storybrooke, ma non si poteva mai sapere. Gettò un’ultima occhiata allo specchio e constatò che quasi non sembrava più lei, ma ormai cambiarsi era fuori discussione.
Scese di corsa le scale e gridò un “Ciao, mamma, io esco”, chiudendosi la porta di casa alle spalle prima che sua madre potesse vederla e impedirle di uscire vestita così. Erano le 20:30 spaccate.
Ora si presentava il problema: dove andare? Solitamente lei e i suoi amici passeggiavano per il centro di Storybrooke e poi andavano a cenare al Granny’s, ma quello non era certo un programma attuabile, visto che era sola. Ma allora dove sarebbe potuta andare? Ricordò che Ruby Lucas, la nipote di Granny, andava quasi tutte le sere da sola a divertirsi al The Rabbit Hole, un posto non molto adatto a ragazze come lei. Certo, quando lì venivano organizzate le feste di San Valentino o di compleanno  il locale era frequentato anche da gente rispettabilissima, ma in serate come quella rischiava di incontrare gli individui peggiori della città. Decise che per prima cosa sarebbe uscita dalla fin troppo ordinata High Avenue, così si incamminò velocemente verso il centro di Storybrooke. Una volta arrivata vide le solite persone che uscivano lì a quell’ora e che solitamente  incontrava durante le sue uscite, perlopiù genitori con i loro bambini o ragazzini di dodici anni al massimo. Lily sbuffò e decise che, almeno non quella sera, avrebbe provato a divertirsi in un modo diverso dal solito, perciò voltò i tacchi e si avviò verso la periferia, dove si trovava il locale. Dove avrebbe dovuto trovarsi il locale: Lily non ne era sicura. Lei sapeva solo vagamente dove si trovavano i luoghi della città che non frequentava e, sebbene l’idea di perdersi dentro Storybrooke fosse assurda, la ragazza iniziò a temere proprio che si fosse persa. Era arrivata in una strada larga, buia, illuminata debolmente da alcuni lampioni mezzi rotti e disseminata qua e là da cassonetti di spazzatura colmi. C’era qualche macchina parcheggiata accanto ai marciapiedi, ma neanche un’anima in giro. Eppure avrebbe giurato di ricordare che fosse lì… avanzò ancora, e le sembrò di vedere, più avanti, delle luci al neon lampeggianti riflettersi sui vetri di una macchina. Rincuorata, si diresse verso la fonte di quelle luci quasi correndo, per poi scoprire di essersi sbagliata. Le luci al neon non appartenevano all’insegna del The Rabbit Hole, ma del King of the Fools. Solo che Lily non aveva idea di che razza di posto fosse.

***

Rod buttò giù un altro bicchiere di gin. Il liquore scese giù per la gola dandogli un senso di benessere che sapeva essere falso ma che adorava. Era ancora al secondo bicchiere: in fondo erano ancora le nove, la notte vera e propria non era ancora iniziata, e lui era ancora lucido. Ce ne volevano di bicchieri per farlo ubriacare! Lui reggeva molto bene l’alcol, e ciò lo portava quasi tutte le sere a distruggersi, a bere più di tutti i suoi amici scapestrati. A volte dopo aver bevuto andava anche a “caccia”, ma era da quando Gaston Prince aveva colpito Manuel Hebetude alla spalla che lui non si faceva più vedere. Manuel era uno dei pochi che, come lui, non era ricco di famiglia ed aveva una fedina penale molto sporca. Tutto il resto della gang era composto da figli di papà pieni di soldi, proprio come Prince, che non erano minimamente preoccupati delle conseguenze di quell’evento. Lui sì. Doveva una favore a Prince… o meglio, gli doveva soldi. Il suo amore per l’alcol e per il gioco d’azzardo lo avevano spesso spinto a spendere somme esorbitanti, e a Storybrooke non c’erano tanti posti da rapinare che offrissero bottini sufficienti a ripagare i suoi debiti. La zona dei quartieri alti era decisamente fuori dalla sua portata, e così il banco dei pegni del signor Gold, troppo ben protetto. Prince lo aveva già minacciato più volte di rovinarlo se non gli avesse ridato i suoi soldi, e da quando aveva sparato a Hebetude la minaccia era diventata più pressante: se non gli avesse ridato i soldi lui lo avrebbe denunciato con l’accusa di aver sparato a Manuel, e quest’ultimo avrebbe fatto il suo gioco, s’intendeva. Se lo Sceriffo l’avesse preso (e se Prince con la sua banda si fossero messi d’accordo per metterlo in trappola l’avrebbero sicuramente preso), ad aggravare notevolmente la sua posizione ci sarebbero state tutte le accuse di furto con scasso che già pendevano sulla sua testa.
Con uno scatto di rabbia sbatté il bicchiere sul bancone, ma il rumore fu sovrastato dalla musica a tutto volume che c’era nel locale. Solo la ragazza che serviva gli alcolici se ne accorse. Una nuova, visto che Rod era un assiduo frequentatore del King of the Fools e non l’aveva mai vista. Era una ragazza graziosa, ma nulla di speciale. Certo non poteva reggere il confronto con le ballerine del locale, soprattutto con Esmeralda Ramirez, la più bella ragazza che fosse mai capitata a Storybrooke e, a giudicare da come si muoveva sul cubo, anche la più brava a ballare. Quella tipa era una tosta: in molti avevano provato ad abbordarla, e nessuno ci era riuscito. I più audaci si erano ritrovati con un occhio nero e, visto che il proprietario del locale non era il genere di uomo che lasciava che le sue ballerine si prostituissero pur di fare soldi, la cosa non aveva mai procurato guai alla ragazza. Rod non era mai arrivato a tanto, comunque. Non era così interessato alla bella ballerina ispanica, si limitava a guardarla ballare e a lanciarle fischi e parole di apprezzamento, come facevano molti. Proprio in quel momento la canzone finì ed Esmeralda e le altre due ragazze scesero dai loro personali palcoscenici, in teoria per un momento di pausa, ma in pratica per dare una mano a servire i drink. Esmeralda prese un vassoio vuoto e si avventurò nella sala gremita di gente per ritirare i bicchieri vuoti abbandonati sui tavoli mentre altre tre ballerine salivano sui cubi e attavano a ballare sulle movimentate note della nuova canzone. Rod distolse lo sguardo e si rivolse alla ragazza dietro al bancone.
- Un altro – ordinò.
Mentre la ragazza tornava a riempirgli il bicchiere Rod si guardò intorno, e in mezzo alla folla scatenata del locale vide una ragazzina che poteva avere al massimo sedici anni guardarsi attorno con aria spaesata. Se la memoria non lo ingannava, quella ragazza era Lily King, l’amichetta di suo fratello Ethan, che si rifiutava di aiutarlo.
Rod ghignò. Bene, avrebbe fatto una bella chiacchierata con lei, e poi si sarebbe visto se Ethan gli avrebbe rifiutato ancora il suo aiuto.

***

Lily entrò nel locale, che aveva più l’aria di una discoteca, e rimase completamente spiazzata. Altro che The Rabbit Hole, lì sì che c’era da prendersi paura! L’ambiente super moderno era molto più che affollato, pieno di persone intente a bere, a scatenarsi sulla pista o ad amoreggiare (con molto poco pudore) sui divanetti sul lato della sala. Al bancone un paio di ragazze si affaccendavano a servire alcolici agli avventori, già decisamente alticci, mentre sui cubi tre ragazze in un completo dorato davvero striminzito ballavano, e altre tre, vestite allo stesso modo, giravano per la sala reggendo vassoi. La musica rimbombava nella sua testa e le luci caleidoscopiche rendevano tutto un po’ surreale. Si sentiva già male, e non capiva come facessero gli altri a sentirsi così a proprio agio in quel caos.
Era entrata lì solo per chiedere informazioni su come raggiungere il The Rabbit Hole da quel punto della città, ma ora non sapeva a chi avrebbe potuto domandare. Incerta, si avvicinò al bancone per provare a chiedere ad una delle ragazze, quando sentì qualcuno picchiettare sulla sua spalla. Si voltò e vide il viso di un ragazzo sulla ventina che non conosceva ma che aveva visto qualche giorno prima davanti a casa sua. Evidentemente anche lui se lo ricordava.
-Ehi – le disse – Chi si rivede! Ti va di bere qualcosa con me?
-No, grazie – urlò lei in rimando, cercando di farsi sentire da sopra la musica – Sono solo di passaggio.
-Andiamo, non fare la difficile, voglio solo fare due chiacchiere – insistette lui.
-Davvero, non è il caso… - cercò di spiegare, ma lui le aveva già afferrato un polso e stava cercando di trascinarla via.
-Ehi, lasciami! – esclamò lei, cercando di divincolarsi.

***

Esmeralda lasciò i bicchieri vuoti dietro al bancone e ritornò fra i tavoli, a prendere le ordinazioni. Un paio di coppie sedute su uno dei divanetti bianchi chiesero dei cocktails e lei ritornò indietro a prenderli, ma aveva fatto appena due passi quando vide quel delinquente di Rod Cooper cercare di trascinare una ragazzina che poteva avere al massimo sedici anni via con lui, sicuramente non con buone intenzioni. Decise di intervenire.
- Ehi, Cooper – gli disse, parandosi davanti a lui – Cosa fai, importuni le ragazzine?
- Vai a farti un giro, zingarella – rispose lui minaccioso – questi non sono affari tuoi.
- Invece lo sono, perché sei nel locale in cui lavoro, e il proprietario non vuole guai qui dentro. Lasciala subito.
- Altrimenti?
Esmeralda, fulminea, alzò il vassoio e colpì Rod sulla tempia. Il ragazzo lasciò immediatamente il polso di Lily, che sgaiattolò dietro Esmeralda, e si portò la mano al sopracciglio spaccato e sanguinante.
- Maledetto puttana, – sibilò, guardandosi la mano imbrattata di sangue – te la farò pagare!
- Certo –rispose lei sarcasticamente, impassibile all’insulto – Ora però conviene a te pagare il conto e andartene, se non vuoi che chiami la sicurezza.
Rod lanciò un’occhiata agli imponenti uomini in nero in fondo alla sala e decise di avere già abbastanza guai anche senza di loro. Furioso, sbatté un paio di banconote sul bancone e si allontanò a grandi falcate.
Lily, ancora un po’ traumatizzata, ringraziò la sua salvatrice.
- Ma ti pare –rispose Esmeralda – se non ci si aiuta fra noi ragazze… Ma dimmi, non sei un po’ troppo giovane per stare qui? – Si vedeva proprio che quello non era il suo ambiente.
- Mi sono persa… volevo andare al The Rabbit Hole, ma mi sono ritrovata qui.
- Non è un bell’ambiente neanche quello, anche se non è certo ai livelli di questo posto. Ti accompagnerei io, ma non posso lasciare il locale se il mio turno non è ancora finito.
- Ma non passerai i guai per quello che hai fatto?
- Per colpa di Cooper? No, quelli come lui abbaiano, ma non mordono. E io mi so difendere. Se poi intendi al lavoro, ho fatto anche di peggio, e sono ancora qui. Faccio fare troppi soldi al mio capo perché lui possa decidere di licenziarmi. Io non sono una che tollera i soprusi.
- Ok... Ehm, senti, potresti semplicemente dirmi come raggiungere il locale?
- E lasciarti andare lì fuori da sola quando quel delinquente non aspetta altro che poterti mettere le mani addosso? Non se ne parla proprio. Linsday dovrebbe smontare ora, forse posso chiederle di accompagnarti…– disse guardandosi intorno, alla ricerca della sua collega. – Linsday! –chiamò quando l’ebbe trovata.
- Che c’è, Esme? – disse lei avvicinandosi, mentre si metteva una giacca ed una borsa a tracolla.
- La ragazza deve andare al The Rabbit Hole. Ce la potresti accompagnare tu?
- Certo, ma ti avviso, sono a piedi – disse rivolta a Lily.
- Non fa niente. Allora… grazie . E a proposito, io mi chiamo Lily, piacere di conoscerti.
- Esmeralda – disse lei stringendole la mano. Poi udì che la musica stava per finire. – Oh, ora è il mio turno di ballare. Devo andare - ed Esmeralda corse via verso il cubo, lasciando il vassoio vuoto su un tavolino lì di fianco.
Lily e Linsday uscirono insieme dal locale, e proprio in quel momento la ragazzina si ricordò che avrebbe voluto fare un’altra domanda ad Esmeralda: avrebbe voluto chiederle se il cognome di quel ragazzo era davvero Cooper, lo stesso di Ethan, ma ormai non poteva più.


*Angolo Autrice*
*Fuochi d'artificio, suona la banda, grosso applauso* I'm back!!! Sì, sono tornata, e la prima cosa che devo fare è scusarmi infinitamente con voi per questo ritardo MOSTRUOSO, ma ho sofferto di una tremenda crisi da pagina bianca. Se sono riuscita a scrivere qualcosa dovete ringraziare due persone: un ragazzo delle mie parti che mi sta facendo penare e che conferma la mia ipotesi sul fatto che quando la vita sentimentale va uno schifo l'ispirazione invece va a gonfie vele, ma soprattutto Beauty, che se non ci fosse bisognerebbe inventarla! Sì, signore e signori, perché questo capitolo è stato ispirato soprattutto dalla sua OS Dog's days are over, in cui a Storybrooke viene introdotta Esmeralda Ramirez e anche il King of the Fools. In ogni caso questo capitolo è solo una parte di uno più grande che per ragioni di lunghezza ho dovuto dividere, ecco perché succede così poco e Ethan non c'è. State tranquilli, perché dal prossimo capitolo, che al 90% si chiamerà I have a dream ritornerà alla grande e racconterà a Lily del suo passato. Comunque anche qui si hanno dei chiarimenti, soprattutto su Rod (a proposito, non so se si capisce, ma Tesoro è ancora al primo mese di gravidanza, devo ancora vedere bene come gestire la gravidanza nei capitoli)... si capisce meglio qual è il ricatto di Gaston e qual è il ruolo della "caccia" in tutta la vicenda.
Spero che abbiate apprezzate questo capitolo e anche la presenza di Esmeralda, personaggio che a me piace molto - Beauty, spero di averla resa bene e di non averla stravolta, né di aver cambiato troppo il genere di locale che era il King of the Fools quando l'hai immaginato. Bene, come al solito ringrazio tutti quelli che hanno inserito questa storia fra le ricordate/seguite/preferite, i lettori silenziosi e  CoolMarty e soprattutto Beauty per aver recensito. 
Ci vediamo alla prossima!

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Capitolo 7
*** I have a dream ***


7. I have a dream

-Ecco, siamo arrivate – disse Linsday quando lei e Lily  si trovarono di fronte all’insegna luminosa e alla porta a vetri del The Rabbit Hole.
-Grazie mille – le disse Lily, un po’ in imbarazzo per essere stata accompagnata come una bambina durante una passeggiata da una perfetta sconosciuta.
-Figurati – rispose Linsday allegramente – Buon divertimento. Ciao.
- Ciao –rispose Lily, e la guardò allontanarsi. Rimase per un po’ di fronte all’entrata del locale, valutandone i pro e i contro. L’insegna al neon era molto più accesa rispetto a quella del King of the Fools e la musica, sebbene non scatenata come quella dell’altro locale, si sentiva anche da fuori. Dai vetri delle porte, Lily poté vedere che l’abbigliamento delle cameriere era simile al solito stile di Ruby Lucas, non di certo striminzito come quello della ballerina che l’aveva aiutata, Esmeralda. C’erano molti ragazzi della sua età dentro, anche se non conosceva nessuno. Non sembrava che ci fossero delinquenti, anche se la brutta esperienza fatta nemmeno un’ora prima avrebbe dovuto farla diffidare dall’aspetto delle persone. Ma ormai era lì, perciò afferrò il coraggio a due mani ed entrò. Nessuno fece caso a lei: almeno lì  non sembrava un pesce fuor d’acqua.
 L’ambiente era più caldo, meno affollato e un po’ meno mal frequentato dell’altro locale. Quantomeno erano tutti vestiti decentemente e nessuno era in procinto di copulare sui divanetti! Tutto sommato non sembrava poi così male come tutti ne parlavano, a Storybrooke. Poi vide un palchetto improvvisato, due casse, uno schermo e un paio di microfoni e sullo sfondo un grande manifesto con lettere dai colori sgargianti che formavano le parole “Serata karaoke”, e capì. Di certo in serate come quelle sarebbe stato strano trovare gli ubriaconi e i delinquenti della città nel locale, che invece era meta di ragazzi della sua età, più o meno bravi e innocenti. Più o meno, perché a quanto Lily poteva vedere anche loro erano portati ad alzare il gomito e “corteggiare” le ragazze, se così si poteva dire. In ogni caso avrebbe anche potuto provare a vedere come si sarebbe evoluta la serata…
Controllò il cellulare e vide che erano le dieci meno venti. Proprio in quel momento un uomo  salì sul palco e provò a parlare ad uno dei due microfoni, che dopo un fischio assordante riuscì ad amplificare la voce del presentatore.
-Buonasera a tutti! Siete riscaldati e carichi?
Gli avventori del locale lanciarono un grido  per dimostrare che lo erano.
-Bene, allora partiamo con la nostra serata! Chi vuole avere l’onore di iniziare?
In parecchi si sbracciarono nel tentativo di farsi notare. Lily non riusciva a capire il loro desiderio di mettersi in mostra. Magari erano già tutti brilli.
Un ragazzetto della prima fila trincerato dietro a strumenti tecnologici sconosciuti alla maggior parte del genere umano si affrettò a far girare un occhio di bue per la sala, con le altre luci abbassate, come per tirare a sorte la prima vittima del karaoke. Alla fine puntò la luce su una bella ragazza che poteva avere diciott’anni, bionda e abbastanza succinta, che sfilò verso il palchetto come ad una sfilata di moda per poi appropriarsi dell’altro microfono disponibile. Il presentatore le chiese il suo nome e lei rispose con un atteggiamento insopportabilmente petulante che si chiamava Blondie e che avrebbe cantato Umbrella di Rihanna. Il presentatore la lasciò sola sul palco e qualche secondo dopo la base partì. Blondie prese a cantare, muovendosi ed atteggiandosi  neanche fosse stata Rihanna in persona nel video musicale.
Potrebbe avere una carriera come ballerina al King of the Fools, pensò Lily, ricordando i movimenti provocanti  delle ballerine del malfamato locale. Non che quello in cui si trovava adesso fosse esattamente il rifugio delle fatine nel bosco incantato.
In ogni caso decise che sarebbe rimasta, perciò si tolse dalla porta e con lo sguardo cercò un tavolino libero al quale sedersi. Inutile dire che non ce n’erano, così la ragazza si rassegnò a dover rimanere in piedi e si avvicinò al bancone per prendere qualcosa da bere. Aveva sete, e anche parecchia, dopo l’aggressione al King of the Fools, così richiamò l’attenzione del barman.
-Ehm, scusa… una Coca, per favore – chiese.
Il barista la guardò come se avesse fatto una brutta battuta. – Sì, certo – le rispose. – Qui serviamo solo alcolici… se vuoi la Coca-Cola, vai da Granny con mamma e papà.
Lily avvampò per l’imbarazzo, ma decise di non dargliela vinta. –Bene, allora prenderò un cocktail. Li fate i cocktails con la Coca, no?
-Naturalmente – rispose quello con aria di scherno – Dimmi quale vuoi.
-Ehm… - fece lei. Non aveva la più pallida idea di quale volesse, perché non ne conosceva neanche uno.
Il barman parve capire e sospirò. Con un tono più paziente disse: - Aspetta. – Trafficò  un po’ sotto al bancone per poi estrarre un menù plastificato. – Qui sono elencati tutti i cocktails e i loro ingredienti. Scegli da qui.
Lily diede un’occhiata veloce e un po’ preoccupata: ce l’avrebbe fatta a reggere tutto quell’alcol? Non aveva assolutamente esperienza in quel campo… e se dopo aver bevuto non fosse stata più in grado di ragionare? E se non fosse riuscita a ricordare la strada di casa? E se si fosse imbattuta di nuovo in Rod o in un tipo simile?
-Allora? Hai scelto? – incalzò il barista.
-Sì… voglio il Caribbean Nightmare – disse lei precipitosa, dicendo il primo nome che aveva sotto gli occhi.
-Perfetto, hai scelto uno dei più leggeri. Sono dieci dollari.
Lily mise il denaro sul bancone,  lui mise i dieci dollari in cassa e iniziò a preparare il cocktail, che fu pronto in un minuto.
-Ecco a te.
-Grazie.
Prese in mano il bicchiere di plastica guardandolo con diffidenza, poi avvicinò le labbra alla cannuccia e prese un sorso, già pronta a rimanere disgustata e invece, con sua grande sorpresa,  scoprì che non era poi così male. Il sapore dell’alcol si sentiva ed era una novità per lei, ma c’era anche un sapore più delicato, più… dolce, come di cocco. Prese un altro sorso e iniziò a rilassarsi. Forse quella serata non sarebbe stata un fiasco totale.
Si voltò verso il palco a guardare la cantante improvvisata che continuava la sua esibizione.
-… Because… when sun shines we’ll shine together, told you’ll be here forever…
Mentre cantava continuava a contorcersi e muoversi come se stesse ballando la danza del ventre e ammiccava sempre nella stessa direzione, ad un tavolo in fondo alla sala che Lily non riusciva a vedere. Probabilmente quell’esibizione era dedicata ad un ragazzo.
Lily riprese a bere e ad apprezzare lo strano gusto del cocktail, e man mano che il livello del liquido nel bicchiere si abbassava lei si sentiva sempre più strana… il barman le aveva detto che aveva scelto un cocktail abbastanza leggero, ma era comunque troppo forte per lei. La testa le girava leggermente, e la musica le sembrava più forte… si sentiva in balìa di strane onde e capiva di non stare un granché bene, ma si sentiva anche libera, come se per una volta non dovesse stare attenta a quello che diceva, a come si comportava. Si sentiva potente. Niente più “sei una vera Lady”, almeno non per quella sera, e quando ebbe formulato quel pensiero iniziò davvero a godersi la serata, nonostante fosse sola e leggermente brilla. Ben presto la canzone finì ed altri si susseguirono ad allietare la serata con le loro voci, e parecchi furono molto divertenti, soprattutto se salivano sul palco quando erano già ubriachi. Anche il resto degli avventori ci aveva dato dentro con l’alcol e non faceva molto caso a come gli pseudo cantanti si esibivano. All’improvviso, a Lily venne voglia di cantare, non sapeva se perché effettivamente volesse partecipare al karaoke o perché ormai l’alcol le aveva dato completamente alla testa; comunque quando il presentatore salì per l’ennesima volta sul palco per reclamare volontari, Lily non esitò a farsi avanti.
-Cosa canti? – le chiese a bassa voce il DJ improvvisato, ovvero il ragazzetto in prima fila, quando lei si fu avvicinata.
Lily ci mise un po’ per pensare quale canzone avrebbe voluto cantare, ma le venne in mente solo un titolo.
-I have a dream, degli ABBA.
Al DJ occorsero dieci secondi scarsi per controllare se aveva la base, dopodiché diede l’ok a Lily che salì sul palco e afferrò il microfono, tutt’a un tratto diventata un po’ nervosa. Non sapeva perché avesse scelto quella canzone, non era neanche la sua preferita, la conosceva solo perché era stata inserita in Mamma mia!… però le era venuta in mente solo quella: si era sforzata di pensarne altre, ma ormai le era entrata nella testa.
La tensione si sciolse un po’ quando partì la base, molto meno bella dell’originale – che già di suo non era proprio una delle più belle canzoni esistenti – ma comunque allegra, coinvolgente, e Lily riuscì a sorridere e a sciogliersi del tutto, muovendosi con disinvoltura .
-I have a dream, a song to sing,  to help me cope with anything. If you see the wonder of a fairytale you can take the future even if you fail…
Era divertente, lo doveva ammettere, e sospettava che l’aver bevuto contribuisse a farle apprezzare il karaoke. Si guardò intorno: da lì riusciva a vedere tutta la sala, anche il punto che le era nascosto quando stava al bancone. Chissà a chi erano destinati gli sguardi e i movimenti “sensuali” della bionda… guardò in quella direzione e non ebbe più bisogno di chiederselo, perché vide Blondie in persona fare la corte al ragazzo interessato. Che era Ethan, e che stava guardando lei, Lily, senza degnare di uno sguardo la sua ammiratrice che era palesemente infastidita da quella mancanza di attenzione.
Lily provò dentro di sé una strana mescolanza di sensazioni… sentì qualcosa come un acido ribollire e bruciare in fondo allo stomaco, facendola infuriare, ma sentì anche una strana soddisfazione, e credeva anche di sapere perché. Distolse lo sguardo da Ethan e lo posò sullo schermo con le parole, che dopotutto non conosceva a memoria, stringendo con più energia il microfono e facendo un sorrisetto. Lily seppe che Ethan l’aveva notato, perché quando tornò a guardarlo lui aveva la sua stessa identica espressione.
Quando arrivò alla fine della canzone, Lily capì perché l’aveva scelta.
-… when I know the time is right for me I’ll cross the stream. I have a dream.
Inconsciamente aveva scelto una canzone che esprimeva il suo stato d’animo, il suo pensiero in quei giorni. Non era vero che non aveva un sogno, solamente non sapeva ancora qual era, ma ora sì, e non era diventare medico. Adesso che l’aveva scoperto sapeva che non avrebbe potuto ignorarlo e, come diceva la canzone, quando sarebbe stato il momento giusto avrebbe l’avrebbe seguito. Il suo sogno era cantare.

***

Ethan vide Lily sorridere alla fine dell’esibizione e ringraziare quelli che l’avevano applaudita, come lui, che era certo di non aver mai udito nulla di più bello della sua voce. Era così dolce, angelica… proprio come lei. Perché lui era convinto che , se il Paradiso e gli angeli esistevano davvero, lei era certamente una di loro.
Aveva sentito la sua mancanza in quei giorni, e spesso la tentazione di andare a trovarla era stata forte, ma si era sempre costretto a pensare a lei, al fatto che la sua presenza avrebbe potuto non farle piacere, addirittura metterla nei guai, e in qualche modo era riuscito a lasciarla in pace. Era una situazione completamente nuova per lui, per molti punti di vista. Innanzitutto perché sapeva di provare qualcosa di molto profondo per Lily, e questo portava al secondo motivo, ovvero il fatto che per la prima volta si trovava a pensare cosa era meglio per una ragazza, ad accantonare il suo egoismo. Non che fosse una cattiva persona, ma quando si cresceva come era cresciuto lui, per strada, con l’unica prospettiva del furto per sopravvivere, e in perenne fuga dalla polizia, ci si abituava inevitabilmente a pensare egoisticamente, a fare sempre il proprio interesse non curandosi degli altri, e tutti i legami che si stringevano, per quanto potessero essere forti, passavano comunque in secondo piano rispetto alla propria salvezza, anche se  lui era un’eccezione, visto che aveva più volte tolto dai guai i suoi amici mettendosi in pericolo. E poi non gli era mai successo di preoccuparsi così delle esigenze di una ragazza perché non aveva mai avuto storie serie, solo avventure di una notte, e non si era mai preoccupato di lasciare dietro di sé cuori spezzati. Le ragazze che frequentava erano come lui, non si perdevano in sentimenti stucchevoli, non si innamoravano. Erano come Blondie, la ragazza seduta a fianco a lui in quel momento, che cercava di sedurlo da tutta la sera, senza successo. A Ethan quasi dispiaceva per lei, perché l’aveva ignorata quasi continuamente: ormai aveva in mente solo Lily… e questa era la sua occasione di parlarle, ora che era lontana da casa e dai suoi genitori, perciò si alzò dal divanetto su cui era seduto senza dare una spiegazione , lasciando lì i suoi amici e soprattutto Blondie che, non conoscendo i modi di fare di Ethan, ne fu abbastanza sconcertata.
Ethan si fece strada tra la folla cercando di raggiungere un punto in cui potesse  vedere meglio la sala poiché aveva, purtroppo, perso di vista Lily, ma non ne ebbe bisogno, perché fu proprio con lei che si scontrò. Si stava evidentemente dirigendo verso la porta, ma lui aveva tutta l’intenzione di non lasciarla scappare. Quando lei alzò lo sguardo su di lui, Ethan la salutò con un grande sorriso, accompagnato dall’immancabile “Bimba”. Stavolta però lei non sembrò essersela presa per il nomignolo, anzi, a differenza delle altre volte in cui si erano visti sembrava abbastanza tranquilla e rilassata. Lei gli sorrise a sua volta e lo salutò, e lui non perse tempo prezioso.
-Stavi scappando? – le chiese – Non è neanche mezzanotte… si sa, Cenerentola non va via prima della mezzanotte.
Lily ridacchiò. - Non preoccuparti, non sto scappando. Sto solo prendendo una boccata d’aria fresca… e comunque, magari fossi Cenerentola! Il mio coprifuoco è più rigido del suo.
-Ti va se ti accompagno fuori?
-Volentieri.

***

 
Lily ed Ethan uscirono insieme dal locale , e lei poté finalmente inspirare un po’ d’aria fresca e snebbiarsi un po’ il cervello. Le stava venendo mal di testa lì dentro, fra l’aria consumata, la musica, le luci e l’alcol. Quella serata non era stata deludente come si era preannunciata, anzi, dopo l’inizio un po’ problematico si era decisamente divertita… l’episodio avvenuto al King of the Fools non le sembrava neanche accaduto quella sera stessa, ma giorni prima. Tuttavia il ricordo dell’accaduto le riportò alla mente il dubbio sull’identità del suo aggressore: era parente di Ethan? Il cognome era lo stesso, ma poteva anche trattarsi di una casualità, visto che lui era stato in orfanotrofio, proprio come lei. Decise di chiederglielo, adesso che ne aveva l’occasione, solo che non sapeva come porgli la domanda.
Passeggiavano distrattamente per la strada, senza fare molto caso a dove andavano: erano tutti e due molto pensierosi, e nessuno dei due sapeva cosa dire, cosa abbastanza sorprendente sia per l’una che per l’altro: per Lily perché, per quanto timida, con le persone che conosceva almeno un po’ era spesso molto allegra ed esuberante, in più quella sera aveva bevuto; per Ethan perché lui non era mai in imbarazzo, e sapeva sempre cosa dire. Alla fine parve ricordarsi della sua fama, perché disse:
-Dunque, stai piano piano abbandonando il ruolo di “brava ragazza”?
-Scusa? – chiese lei, senza capire.
-Eri al The Rabbit Hole – spiegò Ethan.
-Se è per questo, sono stata anche al King of the Fools – replicò lei con una punta d’orgoglio. In fondo, lui non poteva sapere che quella era stata un’avventura ben poco piacevole.
-Davvero? Bimba, sei più coraggiosa di quanto pensassi. Neanche io mi avventuro mai lì.
Lily non sapeva cosa si aspettava… forse una paternale nello stile di suo padre o una serie di domande ansiose nello stile dei suoi amici, ma di certo non quell’affermazione, così scoppiò a ridere e confessò: - D’accordo, ci sono capitata per caso, perché mi ero persa, e sono quasi morta di paura là dentro – evitò però di raccontare l’aggressione di Rod e il salvataggio di Esmeralda.
Anche Ethan scoppiò a ridere. Dopo qualche secondo le chiese:- Ma tu esci da sola?
-Ehm… è una storia complicata. Diciamo che… i miei amici non potevamo accompagnarmi e io ho colto l’occasione per fare qualcosa di diverso.
-Ho visto… anzi, ho sentito – disse Ethan riferendosi all’esibizione di Lily al karaoke – A proposito, complimenti. Te lo diranno tutti quelli che ti conoscono, ma canti davvero bene.
-Grazie – rispose lei – A dire la verità  solo pochissime persone mi hanno sentita cantare… almeno prima di questa sera. Mi piacerebbe poter cantare nella vita, ma…
-Ma?
- Non sarebbe così semplice spiegarlo ai miei genitori.
Ethan sbuffò.- Lo so, i genitori adottivi hanno delle grosse difficoltà a non imporre ai figli la loro volontà.
-Li fai sembrare quasi dei dittatori.
-Proprio quello che sono. Dittatori incapaci di voler bene…
-No, questo non è vero! – ribatté Lily – Insomma, guarda me, guarda Henry, il figlio del sindaco Mills!
-Appunto, quel ragazzino ha dieci anni ed è già in cura dallo strizzacervelli, ed è andato lui stesso a cercare la sua madre biologica e tu… beh, l’hai detto tu stessa che non ti lasciano seguire il tuo sogno!
-Sì, ma questo non vuol dire… - Lily si stava scaldando, ma poi decise di lasciar perdere e di andare in un’altra direzione – Tu parli così perché ne hai avuto un’esperienza con la tua famiglia adottiva, vero?
-Sì – disse lui col tono basso di chi odia ogni singola fibra della persona di cui sta parlando.
-E… tu hai un fratello? – azzardò. Ethan si fermò e si girò verso di lei.
-Sì – ripeté nello stesso tono ma con una nota diversa che sembrava… rimpianto.
-Non sei in buoni rapporti con lui? – chiese. Ethan scosse il capo. –Ti va di parlarne?
Lui sospirò, poi si sedette sui gradini di una delle vecchie case dalle facciate scrostate che si affacciavano sulla strada semibuia e invitò Lily a fare lo stesso.
-La mia infanzia non è stata proprio il massimo. Ti ricordi cosa sognavamo noi all’orfanotrofio?
-Sì, me lo ricordo… l’unica videocassetta che avevamo era quella di Matilda sei mitica, e noi sognavamo che alla fine saremmo stati adottati da una mamma come la signorina Honey e che saremmo andati ad abitare in una casa simile alla grande villa della preside Trinciabue.
-Per te questo sogno si è avverato. Per me no. Avevo sette anni quando i Cooper mi hanno portato via e anche se con gli altri bambini fingevo il contrario, in quel sogno un po’ ci speravo. I Cooper abitavano nella periferia di Boston e avevano già un altro figlio adottivo, Rod, che aveva due anni più di me ed era stato adottato da loro quando era molto piccolo. Ben presto capii che, più che per desiderio di avere figli, ci avevano presi con loro per convenienza: si servivano di noi per portare a termine truffe, furti e cose di questo genere. Rod che era più grande e aveva più esperienza divenne un po’ la mia guida … io lo ammiravo, volevo essere come lui, e questo lui lo sapeva. Era sicuro di sé, molto abile, e anche se spesso mi faceva dei dispetti credo che mi volesse bene. Poi, dopo tre o quattro anni, i Cooper ebbero un figlio tutto loro, e non so cosa accadde, forse decisero che tre figli erano troppi da mantenere, o che per i loro affari bastava un solo bambino, o forse decisero addirittura di cambiare vita… fatto sta che si rivolsero a non so che avvocato per potersi liberare di noi nella norma della legge. Non ricordo bene come andarono le cose, ma io e Rod scoprimmo che non eravamo stati adottati, bensì presi in affidamento, e il giudice a cui era stato sottoposto il caso stabilì che noi due avremmo dovuto essere rispediti ciascuno all’orfanotrofio di appartenenza. Nessuno di noi due però voleva ritornare in orfanotrofio, e non volevamo neanche che ci separassero, così scappammo due giorni prima che gli assistenti sociali ci venissero a prendere. Finimmo nella parte più infima della bidonville, completamente soli, e non credo che i Cooper si siano presi la briga di farci cercare. Figurarsi, non si erano fatti molti scrupoli neanche a liberarsi di Rod, che avevano con loro da più di dieci anni! Nel periodo che passammo lì, Rod divenne il mio punto di riferimento ancora di più di quanto non lo fosse prima… lui si prendeva cura di me come poteva, anche se spesso ci cacciavamo entrambi nei guai. Quello più incline a buttarsi nelle risse, a cacciarsi nei guai più grandi di lui era lui… a volte mi faceva paura, ma poi ho capito che quella sua aggressività, la sua violenza non erano altro che una difesa, perché dei due quello che era stato più ferito dall’abbandono era lui. E sapevo che nel suo cuore il bene che voleva ai Cooper  si era presto trasformato in odio, e quell’odio lo stava spingendo a prendere strade pericolose, perciò lo pregai di andarcene, di cambiare aria e provare a farci una nuova vita. Lui mi accontentò, e fu così che arrivammo a Storybrooke, che ai nostri occhi sembrava una cittadina perfetta, calma, tranquilla, proprio quello di cui avevamo bisogno. Ma, come sai anche tu, anche Storybrooke aveva del marcio; dietro alle case semplici, pulite ed ordinate, alla villa del sindaco e alla tavola calda di Granny si celava un mondo malfamato, un mondo che conoscevamo, e finimmo inevitabilmente col farne parte. Quando sei cresciuto in un certo modo è difficile cambiare ambiente. Per sopravvivere facemmo quello che avevamo sempre fatto: rubare. Era l’unica cosa che ci avevano insegnato i nostri genitori … solo che Rod peggiorò nettamente. Continuò sulla via che aveva imboccato a Boston, e anche se io cercai di aiutarlo in tutti i modi non riuscii a cambiare niente. Ormai il Rod che conoscevo io se n’era andato, era diventato un criminale fatto e finito… nei primi tempi lo aiutai, se non perché volevo farlo almeno perché glielo dovevo, mi presi cura di lui come lui aveva fatto con me da ragazzino, ma poi arrivò un punto in cui mi vidi costretto a dire basta, a tagliare i ponti con lui. E credo che non me l’abbia mai perdonato, forse lo paragona all’abbandona dei Cooper, ma io non posso farci niente. Lui ha fatto la sua scelta, io la mia.
Quando Ethan ebbe terminato il suo racconto, Lily rimase in silenzio. Non sapeva cosa dire, e si sforzò di non lasciar vedere che aveva gli occhi lucidi.
-Mi dispiace – disse alla fine, e riuscì a non dire quelle due parole con la voce intrisa di pietà.
Ma Ethan era il tipo che tendeva a sdrammatizzare e a non soffermarsi troppo a lungo su pensieri poco piacevoli, così riprese il tuo solito tono scherzoso: -Beh, almeno ora sai come è nata la grande leggenda, Ethan “Tramp” Cooper, il più giovane criminale che Storybrooke  abbia mai conosciuto. No, davvero, non c’è da essere tristi, quel che è stato è stato. E poi, se non fosse accaduto tutto questo, noi due non ci saremmo mai rincontrati, no?
-Veramente ancora non so se è un bene o un male – disse lei scherzando, seguendo il suo esempio.
Lui stette al gioco. – Oh, è così? Vediamo se cambierai idea dopo un attacco di… solletico!
-No, per favore, il solletico no! – rispose lei fra una risata e l’altra, con le lacrime agli occhi, mentre si contorceva per il solletico. Anche Ethan rideva come un matto.
-Ok, basta, la smetto – disse lui dopo un po’ ed entrambi ripresero fiato, ancora ridendo.
Quando ebbero ripreso la calma, Lily si ricordò di controllare l’orario, così scoprì che erano le undici meno un quarto.
-E’ quasi ora di tornare a casa – disse sospirando – sarà meglio che inizi ad andare, altrimenti arriverò in ritardo.
-Ti accompagno, così non rischi di fare brutti incontri.
Passeggiarono chiacchierando del più e del meno, e quasi non si accorsero di essere arrivati all’imboccatura di High Avenue, dove avrebbero dovuto separarsi per non rischiare di essere visti.
-E’ stata una serata bellissima – disse Ethan.
-Sì, lo è stata anche per me. Raramente sono stata così bene con qualcuno.
-Potremmo vederci ancora… potremmo vederci tutti martedì sera al The Rabbit Hole  per il karaoke e farla diventare una nostra piccola tradizione, che ne dici?
-Per me va bene –disse lei, emozionata.
-Allora a martedì prossimo – disse lui, e prima che lei potesse fermarlo si sporse verso di lei e la baciò su una guancia, per poi lanciarle un sorrisetto e dileguarsi. Anche Lily sorrise, e si incamminò verso casa sua, passando per la porta d’ingresso alle undici in punto.
-Sono a casa – disse a voce abbastanza alta da farsi sentire sia nel soggiorno che nella sala da pranzo. I suoi erano seduti sul divano a guardare la TV, e si girarono verso di lei quando la videro passare.
-Ti sei divertita? – le chiese Liza vedendo la sua espressione gioiosa.
-Molto.
-Sei tornata appena in tempo – intervenne Gianni, sospettoso che quel sorriso avesse qualcosa a che fare con quel ragazzo che non gli andava a genio. Poi però si ricordò che Marshall e Antoine non gli avrebbero mai permesso di avvicinarsi a lei e si tranquillizzò.
-Sì – rispose lei facendo finta di niente  - e sono molto stanca, ora vado a letto. Buonanotte.
-Buonanotte, cara – dissero prima Liza e poi Gianni e, dopo il bacio della buonanotte, Lily salì le scale e si precipitò in camera sua a prepararsi per dormire. Quando, venti minuti più tardi, si buttò sul suo letto spegnendo l’abat-jour, quel sorriso che le aveva suscitato Ethan non era ancora scomparso.


*Angolo Autrice*
Eccomi qui, con la seconda parte dello scorso capitolo... bella lunga, eh? Qui, come promesso, Lily scopre qual è il suo sogno ed Ethan rivela finalmente che cosa ha passato con la sua "famiglia adottiva", approfondendo anche un po' di più la figura di Rod. Comunque lo so che l'idea del karaoke è banale che più banale non si può, e che ad un posto come il The Rabbit Hole ci si aspetterebbe di tutto meno che questo, ma sinceramente ero a corto di idee e non volevo farvi aspettare ancora.
Dunque, non so quando ci rivedremo con questa long, e neanche con l'altra, che spero di riuscire ad aggiornare entro domenica, anche se la vedo una missione un po' disperata...
Come sempre, ringrazio tutti quelli che hanno aggiunto alle ricordate/seguite/preferite questa storia, i lettori silenziosi, Princess Vanilla per aver iniziato a seguire questa storia e annachiara27 e Beauty per aver recensito (a Beauty va un ringraziamento speciale, per tutto quello che ha fatto e che sta facendo).
Buonanotte!

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Capitolo 8
*** Thanksgiving ***


8. Thanksgiving

-Tu hai fatto cosa?! – esclamò Marshall.
-Shhht! – lo zittì subito Lily. – Vuoi che lo sappia tutta Storybrooke?
Si guardò subito intorno, per vedere se qualcuno avesse sentito parte della loro discussione, ma fortunatamente nessuno badava a loro. Si trovavano da Granny a fare colazione, come tutti i sabati mattina, e come al solito a quell’ora la tavola calda era abbastanza affollata. Non tutti avevano la fortuna di non dover lavorare il sabato, e così i lavoratori facevano abitualmente colazione lì. Lily, Antoine e Marshall, invece, la facevano da abitudine dopo aver fatto jogging; erano tutti e tre tipi mattinieri e approfittavano del fatto che di sabato Lily non avesse lezioni per dedicarsi un po’ a loro tre. Lily, poi, quella mattina ne aveva anche approfittato per raccontare ai due amici cosa era accaduto il martedì scorso, quando loro due erano andati alla festa del loro amico e lei era uscita da sola. L’avrebbe fatto anche prima, ma non aveva voluto rischiare di essere sentita dai suoi genitori, e siccome la prudenza non è mai troppa aveva preferito aspettare di essere da Granny, dove, in mezzo a tante altre persone, sarebbero passati perfettamente inosservati e sarebbero stati lontani da orecchie indiscrete.
-Ma ti rendi conto di quello che hai fatto? – continuò Marshall a voce più bassa, mentre Antoine non sapeva se fosse il caso di dire qualcosa in difesa di Lily o di sostenere Marshall. – Quel tizio avrebbe potuto farti chissà che cosa, e pensa cosa sarebbe potuto succedere al The Rabbit Hole
Antoine decise di intervenire prima che al suo ragazzo venisse un attacco isterico. – Lily, avresti potuto dircelo che ci tenevi ad uscire, e noi saremmo venuti con te.
-Ma non potete rinunciare alla vostra vita sociale per me! Non potete continuare a starmi appiccicati, prima o poi dovrete lasciarmi camminare con le mie gambe, voi e i miei genitori.
-Cosa c’entrano ora i tuoi ge…
-Non importa – lo interruppe Antoine, vedendo che gli animi si stavano surriscaldando. – Quello che conta è che Lily non lo rifarà mai più… vero, Lily?
-Se intendi andare al King of the Fools, puoi scommetterci; ma d’ora in poi tutti i martedì sera uscirò con Ethan.
A Marshall andò di traverso il cappuccino che stava bevendo.
-Cosa?! – riuscì a dire con voce strozzata.
-Proprio così. E, vi prego, non ditelo ai miei.
-Certo che non lo diremo, Lily – la rassicurò Antoine. – Ma tu sei proprio sicura?
-Assolutamente. Voglio provare qualcosa di diverso, voglio fare nuove esperienze, e poi i miei non possono pretendere di tenermi al guinzaglio per sempre.
I due amici si guardarono preoccupati. Calò un imbarazzante silenzio, durante il quale ognuno pensò a mangiare la propria colazione e, mentre si guardavano intorno, videro ad un tavolo non troppo distante dal loro Mary Margaret Blanchard, Ashley Boyd e Belle French, con Ruby che ogni tanto si fermava da loro per partecipare ai loro discorsi.
Tutti a Storybrooke erano oggetti di pettegolezzo, ma probabilmente lì in città non c’era mai stato nessuno di così chiacchierato come le ragazze che sedevano a quel tavolo. Tutti sapevano di Ashley Boyd e di come fosse rimasta incinta del figlio del suo datore di lavoro, come sapevano anche che il padre di lui aveva subito provveduto a cacciare la ragazza da casa sua con la conseguenza che Ashley si era cacciata nei guai con il signor Gold e, sebbene la faccenda si fosse risolta ormai da tempo, quello rimaneva uno dei pettegolezzi preferiti delle vecchie comari di Storybrooke quando erano a corto di nuovo materiale; poi c’era Ruby, che sebbene fosse una ragazza molto simpatica e socievole, non godeva della stima della maggior parte della gente “perbene” della città per via del suo abbigliamento  e delle sue nottate di divertimento. Ma erano Mary Margaret Blanchard e Isabelle French le due vittime che le patite di gossip prendevano più di mira ultimamente. Molti infatti avevano notato le occhiate che la maestra e David Nolan si lanciavano quando si incontravano, proprio sotto il naso di Kathryn Nolan; per non parlare poi della “povera Belle French”, la figlia del fioraio –  più conosciuto come Moe l’ubriacone – che per tirare fuori dai guai suo padre aveva accettato di lavorare gratis per il signor Gold… “e chissà cos’altro”, dicevano in giro.
A guardarla bene, Lily notava che Belle sembrava stanca e un po’ preoccupata: di certo non se ne meravigliava, vista la reputazione di cui il signor Gold godeva. Lei stessa ricordava di averne avuto paura, quando l’aveva portata via dal St. James di Boston.
Anche i suoi amici guardavano in quella direzione, e i loro pensieri dovevano essere sulla stessa lunghezza d’onda dei suoi, perché ad un tratto Antoine disse: - Chissà come fa quella povera ragazza a sopportare tutto quello che le tocca senza lamentarsi mai.
-Ti riferisci a Belle French? – chiese Marshall.
-Sì… già con il padre, poverina, non aveva vita facile, figurarsi adesso che ci si è messo pure Gold…
-Comunque, non credo che a lei dispiaccia tanto – tagliò corto l’altro.
-Che vuoi dire? – chiese Lily.
-Non so se lo sapete, ma mezza Storybrooke un paio di sere fa ha visto il signor Gold accompagnare Belle French a casa sua dopo la giornata in negozio, e a quanto pare quella non era la prima volta che lo faceva.
Né Antoine né Lily seppero cosa dire, tutti e due erano troppo stupiti. Quella sì che era una cosa insolita!
All’improvviso Belle French si alzò guardando l’orologio e raccolse le sue cose come se fosse in ritardo, e dopo aver lasciato i soldi sul tavolo e aver salutato le amiche si precipitò fuori dalla porta. Anche la maestra Blanchard guardò l’orologio e si rese conto di essere in ritardo, ma andò via con più calma di Belle.
Lily guardò i suoi amici, confusa. – Ma sabato la scuola elementare non è chiusa?
Marshall ghignò e rispose: - Ma come, non lo sai? Il sabato la maestra Blanchard fa volontariato al rifugio per animali…
-Davvero? Non lo aveva mai fatto, prima… – disse Antoine.
-Lo fa da quando ha iniziato a lavorarci David Nolan, in effetti.
-Anche tu con questa storia? – chiese Lily.
-Io dico solo i fatti come stanno. Prima che Nolan ci lavorasse, la maestra Blanchard non ha mai mostrato interesse alcuno per i poveri animaletti feriti.
Lily pensò a quella poveretta di Kathryn Nolan e a come ci sarebbe rimasta male se avesse saputo cosa si diceva in giro su suo marito e Mary Margaret, con la quale fra l’altro lei sembrava andare molto d’accordo.
-Ruby, ci porti il conto, per favore? – chiamò Marshall quando i tre amici ebbero finito di mangiare.
-Subito – disse lei in risposta, ma prima di andare alla cassa per battere lo scontrino si rivolse all’unica delle amiche che era rimasta ancora al tavolo. – Comunque pensaci, Ashley, sono secoli che non ti concedi un’uscita fra amiche… per una volta che Esmeralda ha una serata libera e vuole fare nuove amicizie…
Lily si girò di scatto verso Ruby: aveva sentito nominare Esmeralda, il che le aveva fatto ricordare che non l’aveva ancora ringraziata come si deve per averla salvata da Rod Cooper.
Quando la Lucas si avvicinò portando il conto, Lily non poté fare a meno di chiederle: - Scusa, Ruby, per caso tu conosci una certa Esmeralda?
-Esmeralda Ramirez, la ballerina del King of the Fools? Sì, la conosco, perché?
-Perché… ehm… ha smarrito un foulard per strada l’altro giorno e non so come restituirglielo – disse Lily sparando la prima balla che le era venuta in mente. Antoine e Marshall la guardavano come se avessero di fronte un marziano.
-Beh, puoi lasciarla qui e poi quando passa gliela restituisco io, oppure puoi andare tu stessa a casa sua a portargliela… se non sbaglio dovrebbe abitare in Edward Street, al numero 254…
-Edward Street? Ma non è la strada in cui Gold possiede praticamente tutte le palazzine?
Ruby sbuffò. – E cosa non possiede, quello? A parte un cuore, s’intende… comunque sì, Esmeralda abita in uno dei suoi appartamenti e gli paga tutti i mesi un affitto esorbitante per un buco angusto… e pensa che per poterlo avere ha pure dovuto impegnare la sua collana!
- Che genere di collana?
-Nulla di molto prezioso… un semplice filo di perle bianche, sicuramente perle di fiume, ma per lei ha un alto valore affettivo.
-Capisco – annuì Lily. I suoi amici invece non capivano per niente.
-Ruby! – gridò improvvisamente Granny, facendoli sobbalzare  tutti e quattro. – Nel caso non te ne fossi accorta, ci sono altri dieci tavoli che aspettano di essere serviti mentre tu fai comunella!
-Scusate, ragazzi, il dovere mi chiama – disse esasperata Ruby lasciando il conto sul tavolo.
-Lily, ma si può sapere che hai in mente? – chiese Marshall non appena la cameriera si fu allontanata.
-Ricordate che è stata quella ballerina, Esmeralda, a salvarmi dall’aggressione?
Antoine e Marshall annuirono.
-Bene, forse ho trovato il modo di sdebitarmi.

***

Dopo essere passata da casa per svuotare tutto il contenuto del suo salvadanaio nel portafogli, Lily si era diretta al banco dei pegni del signor Gold, da sola. Non che Antoine e Marshall non avessero voluto accompagnarla, ma Lily aveva rifiutato: sentiva che quella era una cosa che doveva fare da sola. Insomma, non poteva dire di voler camminare con le proprie gambe per poi smentirsi subito dopo.
Si chiedeva se avrebbe visto Belle al negozio, e in quel caso avrebbe potuto constatare se quanto si diceva in giro fosse vero o falso.
Ebbe un brivido involontario nell’entrare, e vide la figlia del fioraio intenta a spolverare alcuni vasi posti su una mensola, mentre di Gold non c’era traccia; tuttavia quando Belle alzò lo sguardo, attirata dal suono del campanello, Lily poté sentire anche i passi del signor Gold provenire dal retro del negozio, alternati al rumore del bastone sul parquet.
Belle fece un sorriso a Lily, avendola riconosciuto come la figlia del dottor King. Lily ricambiò il sorriso, notando che Belle sembrava ormai aver preso confidenza con quell’ambiente tetro e polveroso – beh, alla polvere ci pensava lei.
Quando il signor Gold emerse dai meandri del suo retrobottega, lo sguardo di Belle si spostò repentinamente su di lui e gli fece un piccolo sorriso, e Lily avrebbe potuto giurare di aver visto il signor Gold sorriderle di rimando… incredibile!
-Salve, dearie. Che piacere rivederti  qui – la salutò il signor Gold, alludendo a quando, da piccola, lei era stata lì prima essere data in adozione ai King.
-E’ un piacere anche per me – rispose Lily un po’ imbarazzata, consapevole di non essere del tutto sincera. Anche il signor Gold doveva esserne consapevole, perché fece un’espressione a metà fra l’incredulo e il divertito.
-Allora, dearie, cosa posso fare per te?
-Ehm… sono venuta a comprare… una collana – disse lei, incerta, guardandosi intorno come sperando di vederla. Delle perle bianche avrebbero dovuto essere facili da individuare in mezzo all’ammasso di mobili e cianfrusaglie varie dai colori piuttosto scuri e spenti, ma lei non riusciva a vederle.
-Una collana, dearie? Questa non è una gioielleria...
-Lo so, ma mi avevano descritto una bella collana di perle bianche che si trovava qui… e io ho pensato di fare un regalo a mia madre, e così… -  possibile che la fosse già stata venduta?
-Oh, ti riferisci a quella collana… - si girò verso una vetrinetta dietro il bancone, ma si fermò subito, borbottando: - Strano, l’ho sempre tenuta lì…
Lily vide Belle impallidire e farsi avanti.
-Oh, sì, infatti la collana era lì, ma l’ho spostata quando ho spolverato la vetrinetta e mi sono dimenticata di rimetterla al suo posto…
 Imbarazzata aprì uno dei cassetti del bancone di legno ed estrasse le perle. In realtà era stata lei a lasciarle lì di proposito, per fare un favore ad Esmeralda Ramirez, in modo che nessuno potesse vedere la collana e decidere di comprarla… ma a quanto pareva non era servito a niente. Immaginò l’espressione delusa e rattristata della ballerina la prossima volta che fosse passata per lasciare i soldi sia per l’affitto che per la collana…
Lily si aspettava che il signor Gold dicesse qualcuna delle sue frasi pungenti e sarcastiche a Belle, o che la rimproverasse, ma rimase stranamente in silenzio.
-Allora, dearie, è questa che vuoi? Un regalo a tua madre, in vista del lieto evento?
La ragazza inarcò le sopracciglia. E così, anche Robert Gold sapeva della gravidanza di sua madre… ma, in fondo, lui sapeva tutto di quello che accadeva a Storybrooke, la città era praticamente sua, perciò si limitò ad annuire.
-Perfetto. Mi perdonerai se non ti faccio una confezione regalo… però posso darti un biglietto – disse , frugando in una scatola.
-Va benissimo.
-Bene – disse a sua volta Gold mettendo la collana in un astuccio blu e poggiando sopra un biglietto infilato in una busta bianca. –Sono centocinquanta dollari, dearie.
Lily prese il portafogli dalla borsa, ringraziando di aver preso con sé molti soldi. Si era preparata bene: il negozio di Gold era tutto meno che economico.
-Ecco a lei, signor Gold…
-Grazie, dearie. Spero di rivederti presto  – la salutò, per poi sparire di nuovo nel retrobottega. Belle aveva assistito a tutta la scena mordicchiandosi un labbro, e fu con tono triste che rispose al saluto di Lily, quando la ragazza uscì.
Ora doveva solo restituire la collana alla sua legittima proprietaria.
Edward Street era, come aveva detto lei stessa, una strada in cui il signor Gold possedeva quasi tutti gli edifici che vi si affacciavano, e si trovava abbastanza in periferia, quasi al confine con la bidonville in cui viveva la peggiore teppaglia della città. Per raggiungerla aveva usato la sua bicicletta, ma ora doveva trovare il numero 254, perciò scese dalla bici e continuò a camminare, portandosela dietro, gettando occhiate ai numeri civici per cercare quello che faceva al caso suo. Alla fine lo trovò: era una palazzina dalla facciata azzurrina un po’ scrostata, come tutti gli altri edifici lì intorno, e non sembrava proprio essere tenuta molto bene. Tirò giù il cavalletto della bicicletta e cercò sul citofono il nome “Esmeralda Ramirez”, ma si accorse che il citofono era costituito da un unico pulsante, perciò lo premette senza sapere cosa aspettarsi. Dopo qualche minuto vide un giovane uomo con i capelli rossicci e una gobba piuttosto evidente arrancare verso la porta e aprirla.
Lily rimase come paralizzata nel vederlo: non avrebbe mai immaginato che esistessero persone con fattezze del genere; quel poveretto era davvero deforme, anche in viso, e con la difficoltà che aveva nel camminare doveva pure andare avanti e indietro per aprire la porta a tutti quelli che non avevano le chiavi del portoncino. Cercando di far finta di nulla, Lily entrò passando di fianco al gobbo che tenne lo sguardo fisso a terra mentre sussurrava un “buongiorno” a stento udibile, sicuramente per la vergogna: questo la fece sentire un po’ in colpa e le fece provare molta pietà. Rispose al saluto e, prima che lo sconosciuto potesse voltarsi, gli domandò: - Ehm, mi scusi, saprebbe dirmi a quale piano abita Esmeralda Ramirez?
Lo sconosciuto alzò repentinamente la testa verso di lei, ma parve pentirsene subito, perché la riabbassò altrettanto in fretta; Lily però avrebbe potuto giurare di aver visto gli occhi del gobbo illuminarsi al sentire il nome della ballerina.
-Abita la secondo piano, prima porta a destra, ma a quest’ora starà sicuramente dormendo.
Lily si diede mentalmente della stupida per non aver pensato ad una cosa così ovvia: Esmeralda lavorava in un locale notturno, ovvio che si svegliasse tardi, e lei come una perfetta idiota era andata da lei di mattina. D’altra parte, però, non avrebbe saputo quando altro trovarla in casa.
-Oh, certo, capisco… - disse lei mordendosi il labbro.
-Se vuoi però posso dirle che sei passata…  sono il portinaio – disse a mo’ di spiegazione.
Lily stava per dire di sì quando cambiò idea. – Senta, potrebbe consegnarle questo per me? – chiese estraendo l’astuccio della collana dalla borsa.
-Certo. Da parte di chi devo dire…?
-Oh, le dica soltanto che è da parte di una ragazza che le è molto riconoscente. E le dia anche questo, per favore  – insieme alla scatola, Lily consegnò al portinaio il biglietto, sul quale aveva scritto un semplice “grazie”. Voleva mantenere l’anonimato, anche se era certa che Esmeralda avrebbe capito che era stata lei.
-D’accordo… - rispose lui prendendo la scatola e il biglietto, maneggiandoli con una delicatezza e una cura che non avrebbe creduto possibili per un energumeno del genere.
-Grazie. E buona giornata.
Lily fece dietro-front per andarsene e non poté fare a meno di notare che sul bancone del portinaio c’erano tre statuine di quelli che sembravano draghi di pietra in miniatura; guardando meglio però si accorse che si trattava di riproduzioni in miniatura di gargoyle, come quelli scolpiti nelle cattedrali, che lei ovviamente non aveva mai visto dal vivo. Spostando lo sguardo sulla parete vide che vi erano attaccate innumerevoli cartoline provenienti dalla Francia e in particolare da Parigi; la maggior parte raffigurava la cattedrale di Notre Dame.
All’improvviso Lily si rese conto di quanto scortese dovesse apparire il suo fissare il posto di lavoro di quel pover’uomo quasi a volersi impicciare dei fatti suoi, ma con una rapida occhiata vide che il portinaio non badava minimamente a lei, visto che era tutto intento ad ammirare la scatola ed il biglietto destinati ad Esmeralda e non staccava gli occhi da lì.
La ragazza allora scosse la testa ed uscì, sperando di trovare ancora la sua bicicletta. Di certo però non si aspettava di trovare la sua bicicletta e qualcun altro.
-Ethan! – esclamò infatti quando vide il ragazzo biondo venirle addosso. Si erano quasi scontrati: mentre Lily stava uscendo, Ethan stava entrando, e si erano ritrovati faccia a faccia, molto vicini, per qualche secondo.
-Bimba – disse lui aprendosi in un sorriso smagliante. – Non riusciamo proprio a starci lontani noi, eh?
Lily arrossì inevitabilmente a quella battuta, ma Ethan non fece commenti.
-Ero venuta a dare una cosa ad un’amica… - disse lei.
-Hai un’amica che abita qui? Però, che coincidenza! Anch’io sono venuto a trovare un amico.
-Ti lascio passare, allora.
-Non fa niente… se non hai nient’altro da fare, ti va se ti faccio compagnia per un po’?
-E il tuo amico?
-Non mi sta aspettando, era una visita a sorpresa. E poi, bimba, sai come si dice? “Cogli l’attimo”… e io non ho proprio intenzione di sprecarlo!
-Va bene – disse Lily, fusa a causa di quel sorriso che le faceva battere il cuore a mille e perdere la testa. – Ma non vorrei fare tardi, i miei non sono a casa, e se tornassero e non mi trovassero…
-… darebbero di matto – concluse Ethan per lei. – Vorrà dire che ti accompagnerò a casa, è comunque un’occasione per stare insieme, no? – disse togliendo il cavalletto alla bici e conducendola lui mentre passeggiavano.
Lily annuì. Imbarazzata, cercava freneticamente di pensare ad un argomento di cui poter conversare, ma nulla sembrava andar bene. Alla fine, desiderando quasi di sprofondare per l’imbarazzo, decise di ripiegare sul loro “appuntamento” di martedì sera. Che poi fosse un vero e proprio appuntamento, Lily non ne era sicura.
-Tanto l’occasione per stare insieme verrà comunque martedì – esordì.
Lui la guardò con quel suo splendido sorriso sulle labbra e il suo cuore accelerò pericolosamente per qualche secondo. – Sono felice che te ne ricordi, bimba. Non avrei voluto che ti fossi scordata del nostro… anzi, dei nostri appuntamenti.
Io muoio qui e subito, pensò Lily. – Non avrei potuto.
Ethan sorrise nuovamente. – Allora martedì passo a prenderti alle otto e mezza…  mi farò trovare all’imboccatura di High Avenue.
-Potremmo anche vederci direttamente lì…
-Non se ne parla nemmeno, sarebbe troppo pericoloso per te girare da sola di sera per Storybrooke, con tutti gli individui loschi che ci sono.
-E’ troppo pericoloso per te girare per Storybrooke come se nulla fosse, quando hai una taglia che ti pende sulla testa – ribatté lei.
-Sei tenerissima a preoccuparti per me, bimba, ma so badare a me stesso. Sei tu la damigella in pericolo e io il cavalier servente senza macchia e senza paura… o quasi – scherzò. Dopo che entrambi furono scoppiati a ridere, Ethan riprese un po’ di serietà. – Comunque è stato un bel colpo di fortuna quello di incontrarti… non ci eravamo messi d’accordo sull’orario e venire a casa tua sarebbe stato un po’ troppo rischioso, anche per te.
-Non hai un cellulare o qualcosa del genere?
-Certo che no, bimba, mi renderebbe troppo rintracciabile. Se ci fosse ancora solo il buon vecchio Graham come Sceriffo questo rischio potrei anche correrlo – sai quanto ne capisce, il buon vecchio Graham, di queste cose… ma ora c’è la Swan a portare una ventata di tecnologia alla città, e non è il caso di metterla alla prova.
-Capisco. Quindi d’ora in poi andremo così… all’avventura, diciamo.
-Nah. Bimba, dimentichi che conosco Storybrooke come le mie tasche: riuscirei a trovare cento modi per vederti se dovessi dirti qualcosa… ma se vuoi, puoi anche intendere che frequentare me sarà la più bella avventura della tua vita : su questo non potrei darti torto.
Neanch’io. – Metti forse in dubbio la qualità della mia vita sociale?
-Assolutamente sì. Ammettilo, io sono il meglio che ti sia mai capitato.
-Giammai – fece lei stando al gioco – Piuttosto che ammetterlo inviterei per un appuntamento Leroy.
Ethan scoppiò a ridere senza alcun ritegno. – Mi dispiace, ma a meno che tu non sia sorella Astrid, dubito che Leroy accetterebbe il tuo invito.
-Che cosa?!
-Eh?
-Leroy ha una cotta per sorella Astrid?!
-Perché, non lo sapevi?
-No! Insomma, sorella Astrid è… beh, sorella Astrid!
-E allora? Al cuor non si comanda. E poi non lo trovo neanche così strano: sorella Astrid è carina, sì, ma soprattutto ha una simpatia fuori dal comune. Sarebbe stato strano se qualcuno si fosse invaghito della Madre Superiora, per esempio. – Nonostante fosse, tutto sommato, ancora una bella donna e anche abbastanza giovane, la Madre Superiora era infatti un concentrato di serietà, rigidità e austerità tale da renderla davvero insopportabile.
Lily si sciolse un pochettino. – Dubito che qualcuno si invaghirebbe di lei perfino se fosse l’ultima donna rimasta sulla faccia della Terra.
Tutti e due finirono per ridere un’altra volta. Girarono un angolo e si fermarono di botto vedendo il maggiolino giallo del Vicesceriffo parcheggiato qualche metro più in là, e il Vicesceriffo in persona seduta su una panchina vicina con accanto Henry. Stavano parlando, e Lily vide che il bambino portava lo zaino con sé, anche se non aveva scuola. Poi rammentò che era in quello zaino che Henry teneva lo strano e bellissimo libro di favole che le aveva mostrato.
-Accidenti, quella è Emma Swan! – esclamò Ethan. – Bimba, mi dispiace, ma devo scappare, prima che mi veda e organizzi la più grande caccia all’uomo che Storybrooke abbia mai visto.
-Non ti preoccupare, io ho la bici e la strada la so. Tu vai.
-Ci vediamo martedì, bimba – disse, e prima che lei potesse rispondere lui era già sparito dietro l’angolo.
Lily sospirò e montò sul sellino della bici; quando passò davanti a Henry suonò il campanello in segno di saluto e vide sia lui che la Swan irrigidirsi nel vederla. Probabilmente Henry non aveva il permesso di uscire ed era sgattaiolato fuori di casa di nascosto.
Bene, pensò Lily, spero solo che Regina lo venga a sapere e ti faccia pelo e contropelo, dannata rovina-passeggiate di una Swan!


*Angolo Autrice*
Dunque, rieccomi qui con un nuovo capitolo che, direte voi, è veramente molto poco utile allo svolgimento della trama... non del tutto, miei cari lettori, non del tutto! Non nego che questo sia un capitolo di transizione in cui accade poco e niente, ma Lily doveva pur ringraziarla come si deve Esmeralda, no? E poi, non dimenticate che il signor Gold sa della collana... e se un gioro dovesse incontrare Tesoro e chiederle della collana cosa succederebbe? 
Verso la fine del capitolo avrete notato l'entrata in scena di un personaggio che non c'entra un emerito niente con la mia fan-fiction... ebbene sì, si tratta di un Quasimodo in versione disneyana, e sebbene debba chiedere scusa a tutte voi per questa idea strampalata, è soprattutto alla bontà e al perdono di Beauty che devo fare appello... lo so che quando hai scritto Dog's days are over non avevi in programma Quasimodo e che forse ti ho incasinato di brutto le cose per la fan-fiction incentrata anche su Esmeralda a Storybrooke che hai intenzione di scrivere, ma ti prego, non uccidermi! Se odierai questa idea che mi è venuta, giuro che modificherò subito il capitolo e al posto di Quasimodo metterò una portinaia qualunque, giuro!
Detto questo, mi ritiro! Ringrazio come sempre tutti quelli che hanno aggiunto alle ricordate/seguite/preferite questa storia, gli eventuali lettori silenziosi e California98, vook20 e Beauty per aver recensito.
A presto! 

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Capitolo 9
*** Revelations ***


9. Revelations
Quella domenica mattina si preannunciava piovosa e grigia, segnando l’inizio della stagione delle piogge e delle tempeste a Storybrooke, il cui clima era così rigido da aver eliminato dall’immaginario collettivo dei cittadini le cosiddette “mezze stagioni”. Dovendo convivere per tutta la vita con un clima del genere, fortunatamente erano pochissimi in città coloro il cui umore era condizionato dal tempo, e la famiglia King non era certo fra questi pochi sfortunati. Eppure quella mattina il tempo non sembrava neanche remotamente freddo come l’atmosfera che aleggiava al numero 10 di High Avenue. Il dottore, sua moglie e sua figlia erano seduti al tavolo della cucina intenti a fare colazione in religioso silenzio.
Lily mangiava con lo stesso appetito di sempre, ma guardava da suo padre a sua madre di sottecchi con aria cupa, mentre Gianni teneva gli occhi fissi sulla sua colazione e Liza guardava preoccupata sua figlia e suo marito. L’assenza totale di suoni era rotta solo dal tintinnio delle posate contro i piatti e dal rumore delle mascelle che masticavano. Era la prima volta che succedeva una cosa del genere fra loro: la colazione, il pranzo e la cena erano sempre stati i momenti di riunione della famiglia in cui ognuno aveva sempre qualcosa da dire, e anche se qualcuno di loro era di malumore bastava che si confidasse gli altri a tavola per sentirsi subito meglio. Lily in particolare era sempre stata di un’allegria e di una gaiezza capaci di contagiare il resto dei familiari, ma nell’ultimo periodo in casa era ben lontana dai suoi standard di gioia e spensieratezza.
I suoi genitori, da parte loro, erano sempre riusciti a tirare fuori argomenti di cui conversare in modo tenere in piedi l’apparenza che tutto andasse bene; quella mattina invece nessuno sembrava riuscirci: Gianni non sarebbe andato a lavoro, quindi non poteva parlare di quello che si aspettava dalla giornata lavorativa; Liza non era una pettegola, perciò anche se non aveva niente da dire si rifiutava di ripiegare su argomenti come la sfortunata vicenda di Belle French, per esempio; Lily, che già di suo si sarebbe rifiutata di conversare amabilmente come se nulla fosse, non riusciva a pensare ad altro che ad Ethan, perciò provava una sorta di risentimento verso i suoi genitori che invece non lo avrebbero mai approvato. Ma in fondo al suo cuore sapeva che quel risentimento, quella diffidenza, quell’acidità nei confronti di Tesoro e Gianni caro erano solo una difesa, una risposta alle sue paure. Era sempre più ferita dai suoi genitori e sentiva sempre di più la mancanza della famiglia meravigliosa che era stata la loro, ma soprattutto era preoccupata. Conviveva quotidianamente con la paura di essere abbandonata, e leggeva in ogni loro atteggiamento diverso dal solito verso di lei una conferma di quelle paure: sembrava assurdo, Tesoro e Gianni caro non erano certo delinquenti come coloro che avevano preso in affidamento e poi abbandonato Ethan e Rod, e poi loro l’avevano propriamente adottata, ma lei era certa che se per disfarsi di lei si fossero rivolti al signor Gold, lui ci sarebbe riuscito in men che non si dica. Quell’uomo sembrava capace di tutto.
Insomma, quella faccenda era assurda, ma Lily sapeva quanto faceva male l’abbandono e ne aveva paura, e come avrebbe potuto essere il contrario, visto come la stavano trattando? Fra l’altro, Lily non sapeva neanche cosa provasse realmente nei confronti di quel bambino; di sicuro ne aveva paura: se aveva il potere di allontanare i suoi genitori da lei quando non era altro che un feto, cosa sarebbe riuscito a fare quando sarebbe nato?
Non aveva mai preso in considerazione l’idea di un fratellino o di una sorellina, ma da bambina non ne sarebbe stata molto felice dal momento che era vissuta per sei anni in un orfanotrofio. Adesso quel bambino lo vedeva proprio come una minaccia, a maggior ragione che Gianni e Liza sembravano toccare il cielo con un dito.
Ma era mai possibile che non si sentissero in colpa? Che non volessero condividere con lei quella notizia? Era caduta così in basso ai loro occhi?
Scosse la testa, ancora più indispettita di prima. Bene, se loro non avevano intenzione di parlare, avrebbe parlato lei.
-Allora – esordì – stasera avremo ospiti.
Suo padre la guardò. – Sì, stasera Regina e Henry vengono a cena da noi.
Era una tradizione da quando Henry era stato abbastanza grande da non aver bisogno dell’aiuto di Regina per mangiare: la domenica sera le due famiglie cenavano insieme a casa Mills o a casa King; la signora Nolan era spesso stata invitata, dopo l’incidente di suo marito, ma non aveva mai voluto accettare. Solo da quando David si era risvegliato dal coma i due avevano fatto loro compagnia qualche volta, e Lily aveva trovato che David Nolan fosse un uomo un po’ troppo condiscendente, un uomo “senza spina dorsale”.  Inutile dire, data la sua debolezza caratteriale, che non si era mai potuto trovare molto a suo agio in compagnia di Regina.
-E avete intenzione di mantenere questo religioso silenzio anche con loro? Oppure è un trattamento di favore che riservate solo a me?
Gianni trasalì e scambiò una sola veloce occhiata preoccupata con sua moglie, prima di mormorare:- Ma no, cara, ti sbagli…
Lily lo ignorò e volse la testa verso Tesoro. – Non vuoi il caffè, mamma? – disse con tono amabile e innocente ma con gli occhi ridotti a due fessure.
I coniugi King si trovavano del tutto impreparati a quell’attacco.
-No, non mi va oggi…
-Ma non solo oggi, non è vero?
-Bere troppo caffè fa male, sai – intervenne Gianni.
-Anche tenerlo a tavola fa male?
-E’ che mi dà la nausea…
-Proprio a te, mamma? Tu adori il caffè… - disse lei con tono falsamente sorpreso. Voleva che capissero che lei sapeva. Credevano forse che fosse stupida?
– Beh, io… sto cercando di farne a meno.
-Capisco. – Lily bevve un sorso di latte. Forse Gianni e Liza avevano pensato di poter abbassare la guardia, ma Lily ritornò presto all’attacco. – Non avete niente da dirmi?
-Cosa… cosa dovremmo dirti?
-Oh, non lo so, papà… un cambiamento, una novità, cose così.
-Non c’è niente di nuovo. Ma del resto, siamo a Storybrooke, cosa ti aspettavi?
-Già, cosa mi aspettavo? – borbottò lei. Più che arrabbiata, era delusa. Rimase qualche altro secondo, poi si alzò. – Vado a lavarmi i denti – disse, e uscì dalla sala.
Gianni e Liza aspettarono di aver sentito i suoi passi sulle scale per parlare.
-Che cosa le è preso secondo te? – chiese il dottor King a sua moglie.
-Non lo so – disse lei sospirando. – Forse è un po’ stressata per lo studio o è tesa per qualche altro motivo…
Solitamente lei e sua figlia parlavano di tutto, lei era la sua migliore confidente dal momento che Lily non aveva amiche femmine. Fra loro due non c’erano mai stati segreti, ma da quando era rimasta incinta, Liza era stata troppo presa dall’ idea di essere incinta per dedicarsi a sua figlia come faceva di solito. L’aveva un po’ lasciata a se stessa, e si sentiva in colpa per questo. Le voleva bene, ma in quel periodo era riuscita a dimostrarglielo molto poco e molto male.
Anche Gianni si sentiva in colpa per come aveva trattato Lily, ma lui era un padre geloso, cosa ci poteva fare? Lily era la sua bambina, e sebbene fossero passati dieci anni da quando l’avevano accolta in casa loro con quell’aria indifesa e spaurita, lui l’aveva sempre vista così. La loro famiglia era sempre stata quella, loro tre, e adesso le cose stavano cambiando così radicalmente, con una nuova  vita generata da lui e sua moglie e la loro bambina che si stava facendo grande, così grande da attirare le attenzioni dei ragazzi, uscire la sera, andare a divertirsi…
Gli vennero in mente tutte le notizie che venivano da Boston di ragazzi che morivano in incidenti stradali per guida in stato di ebbrezza o sotto effetto di stupefacenti, di droghe che giravano nelle discoteche, di ragazze che venivano violentate in quei luoghi confusionari; ripensò alla fama di cui godevano luoghi come il The Rabbit Hole o il King of the Fools a Storybrooke, e si oppose strenuamente a quell’idea. No, la sua bambina non avrebbe mai avuto nulla a che fare con quei postacci, né con la gente che li frequentava. Naturalmente non le avrebbe impedito di farsi una vita, divertirsi, trovare un ragazzo, ma ci sarebbe stato tempo per quello, magari quando sarebbe andata al college. Sì, a Yale avrebbe potuto trovare il ragazzo giusto, che fosse responsabile, maturo, serio, magari un futuro medico come lei… un bravo ragazzo, insomma. Non come quel poco di buono di cui Lily sembrava essersi infatuata.
Tuttavia una parte di lui, vedendo come sembrava infelice e cupa Lily ultimamente, si chiedeva se si stesse comportando nella maniera giusta… ma in fondo chi era il genitore, chi era che conosceva meglio il mondo e sapeva quale fosse il suo bene? Lui. Non importava che adesso Lily non lo capisse: un giorno l’avrebbe ringraziato.
-Non credi che dovremmo dirglielo? – chiese però a sua moglie.
-E’ ancora presto… sono solo al primo mese. Io… non voglio darmi false speranze, Gianni, non voglio abituarmi all’idea di essere madre, davvero madre, per poi dover rinunciare a tutto questo, e non voglio illudere nemmeno Lily. Preferisco aspettare.
-Non mi piace avere segreti con lei, ma rispetto la tua decisione.
Lei annuì, riconoscente.
Una volta che entrambi ebbero finito la colazione, Gianni si dedicò al giardinaggio mentre Liza continuò con i suoi lavori a maglia, più pensierosa che mai, e non videro Lily per tutto il resto della mattinata.
***
Regina Mills era (quasi) sempre stata una donna ambiziosa, forte, determinata e sicura di sé. Aveva sempre ottenuto quello che voleva, nella vita, e non perché fosse viziata, ma perché se l’era sempre guadagnato con le proprie forze. Tutti quelli che la conoscevano sapevano che lei aveva lottato con le unghie e con i denti per diventare sindaco di Storybrooke, in un periodo in cui le donne non erano ben viste alla guida di una cittadina. Ma lei era stata più forte dei pregiudizi e si era impegnata a lungo e a fondo, aveva dimostrato ciò di cui era capace, aveva fatto vedere chi era Regina Mills, e alla fine ce l’aveva fatta. Da allora, aveva sempre vinto le elezioni: era un buon sindaco e faceva sempre ciò che era meglio per la città, anche se ultimamente la sua cittadina perfetta era guastata da quei giovani criminali della bidonville. E ora, per un semplice errore, per un buco nelle finanze della città che lei involontariamente aveva provocato, rischiava di mandare in fumo anni di progetti, lavoro, sogni, sacrifici. E non si trattava solo della sua carica di primo cittadino. Si trattava di Henry. Sentì una stretta al cuore al suo pensiero.
Lei non aveva mai conosciuto l’indigenza, ma era pronta ad accoglierla a braccia aperte se ciò avrebbe significato poter rimanere con suo figlio. Avrebbero potuto portarle via tutto, perfino l’anello che portava sempre al dito e che era l’oggetto a cui tenesse di più al mondo, la semplice fede di stagno che le aveva regalato il suo amato Daniel prima di morire, ma non Henry. Non lui, la sua unica ragione di vita. Lei lo amava con tutta se stessa; sì, poteva apparire rigida e fredda, dura, addirittura senza cuore, ma lei amava suo figlio, e se a volte sembrava cattiva era solo perché faceva quello che era meglio per lei, per loro due. La vita le aveva insegnato a duri colpi a lottare per restare a galla in quel mondo egoista e spietato, ed era per questo che ora era così. In città la temevano, la odiavano perfino, ma a lei non importava.
Poi era arrivata quella Emma Swan a rovinare tutto. Era stato Henry a cercarla e questo era stato forse il peggiore dei colpi. Saperlo le aveva perfino fatto mettere in dubbio l’affetto di suo figlio nei suoi confronti, e sentiva un dolore al petto ogni volta che vedeva suo figlio in giro con il Vicesceriffo Swan. A quei colpi aveva reagito divenendo ancora più dura e cattiva del solito, ma nessuno riusciva a capire che lei soffriva.
Solo la famiglia King, a Storybrooke, la conosceva per quello che era davvero e la apprezzava non solo come sindaco  ma come persona, una cosa che non le succedeva da quando Daniel era morto.
Lei non poteva permettere che tutta la sua vita andasse in frantumi solo perché il signor Gold si rifiutava di concederle il prestito che avrebbe rimesso tutto a posto. Tutti in città sapevano che a Storybrooke c’era una specie di eterna lotta per il potere fra Gold e Regina da quando quest’ultima era diventata sindaco, e questa volta sembrava proprio che Gold stesse avendo la meglio. Per questo doveva fare molta attenzione alle sue mosse, doveva tenerlo d’occhio e provare ad individuare un punto debole, qualcosa che avrebbe potuto permetterle di riguadagnare il proprio vantaggio se non di schiacciarlo completamente. Ultimamente sembrava che ci fossero delle dicerie riguardanti lui e Belle French, la figlia del fioraio, che lei conosceva di vista, e per quanto le sembrasse impossibile, doveva indagare, e forse avrebbe scoperto qualcosa di utile. Non avrebbe potuto neanche contare su Sidney Glass, era una faccenda troppo riservata.
Comunque, per quella sera avrebbe dovuto cercare di lasciare in un angolino ben chiuso della sua mente tutti quei problemi e godersi la serata in casa King. Quelle cene fra amici erano alcuni dei soli momenti di respiro che le fossero rimasti. Anche Henry si divertiva, e questo per lei era importante.
Parcheggiò davanti a casa King senza accorgersi, impegnata com’era a perdersi nei suoi preoccupati, assillanti pensieri, di essere rimasta in silenzio per tutta la durata del viaggio in auto e che Henry aveva fatto lo stesso, cosa alquanto insolita. Sembrava quasi preoccupato.
Cercò di sorridere e gli diede la mano per poi dirigersi verso la porta e suonare il campanello. Dovettero attendere poco, perché subito Gianni si precipitò ad aprire e li accolse con un caloroso sorriso e i soliti convenevoli. Tuttavia dopo che ebbe guardato Regina in faccia parve preoccuparsi, cosa che la preoccupò a sua volta. Lasciò in cucina la torta di mele – la sua specialità – che aveva preparato e salutò Liza, in sala da pranzo, ma dopo che ebbe notato anche le sue occhiate, si scusò dicendo di dover andare in bagno. Più che altro vi si precipitò, e quando si guardò allo specchio capì cosa aveva provocato la preoccupazione dei suoi amici: aveva gli occhi lucidi, il trucco scuro leggermente sbavato e la vena che le attraversava la fronte, che si ingrossava tutte le volte che era arrabbiata o agitata in qualunque altro modo, abbastanza evidente. Si appoggiò al lavabo serrando le mani attorno al marmo, come se il freddo della pietra potesse calmarla. Chiuse gli occhi e cercò di contare fino a dieci respirando profondamente, e quando riaprì gli occhi sembrò perfettamente normale. Con dei cotton-fioc rimosse il trucco che era colato e li buttò nel cestino, e fu pronta a ritornare in sala. Camminando nel corridoio però notò qualcosa che prima non aveva notato: la porta della camera di Lily era socchiusa e una lama di luce si proiettava dall’interno della stanza sul corridoio immerso nella penombra. Non voleva origliare, ma non poté fare a meno di sentire i singhiozzi soffocati che provenivano dalla stanza. Si avvicinò alla porta e, attraverso lo spiraglio lasciato aperto, vide Lily piangere sul suo letto con la testa fra le braccia appoggiate alle ginocchia. Preoccupata, si chiese come mai la ragazza fosse così triste, forse per un litigio con i suoi genitori?
Il suo corpo fece un piccolissimo movimento e lei inavvertitamente urtò la porta, che cigolò riscuotendo Lily. La ragazza alzò immediatamente la testa, gli occhi arrossati dal pianto, le guance rigate di lacrime.
-Regina… - disse, sorpresa.
-Scusami, Lily – si affrettò a scusarsi lei. – Non volevo spiarti, ma… posso fare qualcosa per te? – disse entrando nella stanza.
-Io… - cercò di parlare, ma non sapeva neanche lei cosa dire.
Regina andò a sedersi accanto a lei sul letto. – E’ successo qualcosa? Ti va di parlarne?
Lily sospirò. – Si tratta del bambino – disse, sapendo che Regina avrebbe capito.
-Allora i tuoi te l’hanno detto?
-No, è proprio questo il problema. L’ho saputo dai miei amici. Mio padre e mia madre non ne hanno fatto parola con me.
Aspettò che Regina dicesse qualcosa, ma siccome non lo fece si lasciò andare e le raccontò fra le lacrime tutte le sue paure riguardanti il nascituro, tutti i problemi che stava avendo con i suoi, e scaricò tutta la tensione accumulata in quei giorni.
Regina ascoltò tutto senza fiatare né battere ciglio.
-Lily, io capisco che tu abbia paura, che tu sia preoccupata per quando il bambino arriverà, ma devi cercare di stare tranquilla – disse quando la ragazza si fu sfogata. – Se c’è una cosa che so, è che i tuoi genitori ti vogliono bene. Devi capire però che questo è un fatto eccezionale ed è normale che Gianni e Liza siano così su di giri per la gravidanza, ma l’ultima cosa che vogliono è ferirti. E poi non sarebbe ragionevole parlare ad altri di questa gravidanza prima di avere certezze sulla salute del bambino.
-Ma l’hanno detto a te – obiettò Lily, che senza volerlo aveva assunto un tono d’accusa.
Regina non se la prese. – E’ stato un caso, Lily. Io mi trovavo in ospedale e Gianni era così felice che si è lasciato sfuggire la notizia, ma non ho dubbi che se avessero potuto avrebbero fatto in modo che fossi tu la prima a saperlo.
Lily tacque un attimo, elaborando le parole che Regina le aveva detto.
-Senti, Lily, questi giorni non devono essere stati facili per te, ma neanche per loro. Tutti commettiamo degli errori, specialmente noi genitori. Anzi, devo dire che Gianni  e Liza sono i genitori migliori che io conosca: hanno fatto pochissimi errori con te e ti hanno cresciuta magnificamente. Non devi mai dubitare dell’amore dei tuoi genitori, anche se a volte dovessero sembrare cattivi – l’ultima frase la disse pensando alla situazione che stava vivendo con Henry.
Lily appoggiò la testa sulla spalla della donna, che cercò di consolarla, sebbene un po’ irrigidita da quel contatto fisico inaspettato. Era da molto tempo che qualcuno non cercava più il suo conforto.
-Adesso asciugati gli occhi, calmati, ricomponiti e scendi giù, va bene?
Lily annuì e lasciò andare Regina, che si diresse verso la porta. Prima che la donna uscisse, Lily la richiamò. Il sindaco Mills si fermò e si girò verso di lei.
-Grazie – le disse la ragazza. Lei sorrise ed uscì.
***
La serata era stata molto piacevole. Lily, una volta ricomposta, era scesa di sotto e Liza aveva potuto servire la cena; tutti avevano constatato che la ragazza sembrava molto più serena rispetto agli ultimi giorni. Durante la cena anche Regina era più serena e non era più assillata dai cupi pensieri che la tormentavano negli ultimi tempi. Quello che sembrava preoccupato era Henry, forse perché temeva che Lily avesse detto a sua madre della sua uscita non autorizzata con Emma. Guardava dalla ragazza a sua madre cercando di capire se dovesse ritenersi nei guai, ma non sembrava correre alcun pericolo di una sgridata o di una ramanzina, perciò alla lunga anche lui si rilassò. Parlava per lo più con Lily, tranne quando doveva rispondere alle domande gentili ed interessate dei signori King.
Alla fine della cena, dopo aver gustato l’ottima torta di mele preparata da Regina, come da abitudine Lily ed Henry andarono di sopra, nella stanza dei giochi che ormai era praticamente inutilizzata. In realtà era passato molto tempo da quando i due giocavano insieme con i loro giocattoli, ma la ragazza aveva sempre fatto un po’ da amichevole baby-sitter al figlio del sindaco, ed erano rimasti in confidenza, perciò quando i loro genitori si riunivano e iniziavano i loro noiosi discorsi “da grandi” loro due si ritiravano nella stanza dei giochi di Lily o nella cameretta di Henry e parlavano del più e del meno. Nonostante lei fosse un’adolescente e lui appena un ragazzino, Lily era di un entusiasmo e di una gaiezza tali da non far sentire la differenza d’età; a volte Henry sentiva quasi di parlare con una sua coetanea, sebbene più intelligente e meno ingenua.
Quella sera una cosa Henry premeva di sapere da Lily, e quando si furono accomodati sul divanetto della stanza dei giochi, poté chiedergliela.
-Lily, tu hai per caso detto a mia madre che mi hai incontrato, ieri? Quando… mi hai visto con Emma…
-No, Henry, non ho detto niente a tua madre perché non sono fatti che mi riguardano, ma lascia che ti dia un consiglio. Non prendere in giro così Regina, non lo merita. Lei sarà pure severa, forse tu pensi anche che sia cattiva, ma fidati, non lo è.
Per niente convinto, Henry annuì, e cercò di cambiare discorso. Propose di dare un’occhiata insieme al libro di fiabe che affascinava tanto lui quanto lei, e Lily accettò, così mentre loro due esaminavano il libro e ragionavano di quanto Belle French e il signor Gold fossero simili alla bella e alla bestia della fiaba presente nel libro, nel salotto i signori King e Regina Mills parlavano di argomenti più seri con un bicchiere di Jack Daniel’s in mano.
Il sindaco aveva pensato per tutta la sera a ciò che le aveva detto Lily e aveva deciso di parlare con i suoi genitori. Forse non erano fatti suoi, ma aveva a cuore quella famiglia e non voleva che nessuno dei suoi membri soffrisse.
-Gianni, Liza, devo parlarvi – disse mentre si sedeva sul divano.
-Di cosa si tratta? – chiesero con tono preoccupato.
-Si tratta di Lily.
-Sì, da qualche tempo è strana – sospirò Gianni.
-Io so perché lo è.
-Credo di saperlo anch’io. C’è un ragazzo di mezzo, un poco di buono…
-Non c’entrano i ragazzi, Gianni. Credo che dovreste parlare a Lily della gravidanza.
-Cosa? – intervenne Liza. – Non credo sia una buona idea, non è ancora detto che il bambino… sopravviva.
-L’ha già saputo da altri – spiegò.
-Come è possibile?
-I pettegolezzi a Storybrooke volano, Gianni. Non eravamo soli quando lo hai detto a me.
-E Lily l’ha saputo prima che glielo dicessimo noi…
-Sì, Liza, è per questo che si comporta in modo strano. Si sente tradita, delusa, messa da parte… ha paura che possiate abbandonarla una volta nato il bambino.
Né Gianni né Liza seppero cosa dire, ma si guardarono con espressione stupita e rattristata. Immaginavano cosa stesse provando Lily… la loro bambina temeva di essere abbandonata da loro, che l’amavano più di quanto potessero spiegare.
Regina parve capire e decise era il momento di andare. Richiamò Henry e Lily dal piano di sopra e, dopo aver ringraziato per la cena e la bella serata, i due Mills se ne andarono lasciando i tre – anzi, quattro – King da soli. Calò un silenzio imbarazzante.
-Lily, per favore, vieni, dobbiamo parlarti – disse Liza.
Lei si sedette su uno dei divani color crema mentre i suoi genitori si sedettero su quello opposto, in modo da essere di fronte a lei. Non immaginando nemmeno che i suoi potessero aver deciso di dirle tutto, pensò che avessero scoperto le sue “scorribande” e che si vedeva ancora con Ethan e si sentì il cuore in gola, sommersa dai sensi di colpa.
-In questi giorni sei stata molto diversa dal solito. Sei stata aggressiva, scontrosa, chiusa… non ti riconoscevamo quasi più – disse Gianni. – Sappiamo che la colpa è nostra, ma dobbiamo dirti una cosa.
-Io sono incinta – disse Liza, temendo la reazione di Lily.
-Lo so – rispose lei, non sapendo se sentirsi sollevata per non essere stata scoperta, sorpresa per aver finalmente ricevuto la notizia o arrabbiata perché i suoi gliel’avevano detto soltanto ora.
-Sappiamo che l’hai saputo…
-Regina ha parlato… - borbottò lei.
-… ma ci tenevamo a dirtelo di persona. E’ una cosa importantissima che riguarda la nostra famiglia, e tu avevi il diritto di saperlo per prima, da noi, invece che da altri. Ma abbiamo voluto aspettare per una ragione…
-Questa è una gravidanza a rischio – lo interruppe Liza, la voce tremante per l’emozione.- Non è detto che riesca ad avere questo bambino, non volevo dare false speranze a nessuno, ma soprattutto non volevo averne io. Non avrei sopportato parlarne, fare progetti, farlo sembrare così reale… per poi perderlo. – Le lacrime presero il sopravvento.
Anche Lily si sentì toccata, ma non riuscì a dire nulla.
-Tu sei nostra figlia tanto quanto questo bambino, capisci? – disse Gianni accoratamente. – Non potremmo mai abbandonarti, noi ti vogliamo bene e sempre te ne vorremo, qualunque cosa accada.
-Sempre?
-Sempre.
Lily si alzò e andò a buttarsi fra le braccia dei suoi genitori. Era stata arrabbiata troppo a lungo, quella non era lei. Doveva liberarsi di quel peso.
- Avevo tanta paura… che non mi avreste voluta più.
-Oh, Lily… come hai potuto anche solo pensare una cosa del genere?
Lily scosse le spalle. – Avevo paura.
Dopo che ebbero chiarito tutto e si furono asciugati le lacrime, si sciolsero dall’abbraccio. Cogliendo tutti di sorpresa e distendendo l’atmosfera, Gianni disse: - Chi vuole l’ultimo pezzo di torta? – Scattò in piedi e si precipitò verso la cucina, con Lily alle costole che lo inseguiva, divertita.
Fra le risate generali, Liza dietro di loro gridò: - Ehi, lasciatemene un po’! Sono una donna incinta!


*Angolo Autrice*
Salve a tutti... spero di non avervi fatto attendere troppo per questo aggiornamento, ma mi sto rendendo conto di cosa significa portare avanti quattro long contemporaneamente senza aver pianificato nulla. Certo non posso lamentarmi, perché ci sono autori messi molto peggio (si, Beauty, sto parlando di te XD), ma con la mia inesperienza è un po' difficile. Amo soffrire, cosa volete farci?
Dunque, come al solito, introspezione fin quasi all'esasperazione, ma qui era abbastanza necessario perché Regina convince Tesoro e Gianni caro a vuotare il sacco, finalmente. Spero che i pensieri di Regina non vi abbiano annoiati, ma sentivo che erano necessari perché devo tenere il passo con la trama della fanfiction di  Beauty 
Once Upon a Time in Storybrooke: Beauty and the Beast sulla quale si fonda la mia (e non solo perché è il mio personaggio preferito XD). Comunque, abbiamo chiusa una bella questione spinosa di questa storia che era la mancanza di dialogo in questa famiglia, ma ci sono ancora altri problemi in arrivo...
Ringrazio chi ha inserito questa storia fra le ricordate/seguite/preferite, i lettori silenziosi e California_98, annachiara27, Princess Vanilla, vook20 e Beauty per aver recensito. 
A presto!

 

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Capitolo 10
*** Like a dream ***


10. Like a dream

Dopo i dovuti chiarimenti, la situazione in casa King andò nettamente migliorando: niente più incomprensioni, mancanza di fiducia o di dialogo, niente più silenzi astiosi o interrogatori a trabocchetto. Ciascuno si impegnava a mantenere un’atmosfera tranquilla e cordiale, come avevano sempre fatto: Gianni si era ricreduto sulla cattiva condotta di Lily e cercava continuamente di farsi perdonare per la sua mancanza di fiducia, Lily cercava di non fare più colpi di testa, e Liza faceva del suo meglio per tenere a bada gli ormoni, anche se più la gravidanza avanzava più era difficile.
Il lieto evento era previsto per maggio, ma il ginecologo aveva consigliato ai signori King di programmare un parto cesareo per il mese prima, poiché le condizioni di salute di Elizabeth avrebbero potuto risentire molto se la gravidanza fosse durata nove mesi completi e se avesse affrontato un parto naturale. Dal momento che già il fatto che il feto continuasse a vivere aveva dell’incredibile, dato che Liza era sempre stata considerata sterile, i futuri genitori non avevano esitato ad accettare quel consiglio, e adesso sul calendario tutta la pagina del mese di aprile era stata cerchiata con un pennarello rosso da un sovraeccitato Gianni.
Da quando avevano detto tutto a Lily, Gianni e Liza parlavano indisturbati del bambino e dei loro progetti per il futuro, coinvolgendo nei loro discorsi anche la loro figlia maggiore. I pasti erano ormai diventati le occasioni principali per parlare del bebè in arrivo: se sarebbe stato maschio o femmina, che nome avrebbero potuto dargli – e Lily sperava ardentemente che non fosse femmina, altrimenti si sarebbe ritrovata come nome una delle tante combinazioni di Mary, Betty, Lou e Anne che Liza aveva provato su un foglio di carta una mattina – , in quale stanza sistemarlo…
Lily partecipava abbastanza attivamente ai loro progetti, e tutto sembrava essere ritornato alla normalità e andare per il verso giusto... se non fosse stato per alcuni spettri che assillavano Lily. Pur avendo riacquistato la sua serenità e la fiducia dei suoi genitori, infatti, lei non era del tutto tranquilla. Le rassicurazioni di Regina e dei suoi stessi genitori erano parse valide al momento, ma ripensandovi Lily arrivava spesso a dubitarne e ad essere colta dalla preoccupazione di cosa sarebbe successo quando sarebbe nato il bambino. Poteva anche essere vero che Gianni e Liza l’avrebbero amata allo stesso modo, ma era ovvio che le loro attenzioni sarebbero state solo per il pupo, e la cosa la turbava. Lungi dall’essere egocentrica, forse solo un po’ viziata, non sapeva come avrebbe gestito la situazione. Sapeva solo che sarebbe cambiato tutto:  ci sarebbero stati nuovi orari, nuove abitudini, meno spazi e attenzioni per lei, nervi sempre a fior di pelle, nuove responsabilità… aveva paura di tutto questo. Aveva paura del cambiamento, eppure, paradossalmente, era lei la prima che stava cambiando. La vecchia Lily non avrebbe mai nascosto alcunché ai suoi genitori né sarebbe uscita con un delinquente di periferia. Ma per lei Ethan non era un criminale, era solo un ragazzo che si procurava da vivere con i soli mezzi che conosceva… anzi, non era nemmeno un semplice ragazzo: era il ragazzo. Sì, ormai ne era cotta e lo ammetteva, con l’ingenuità e la sincerità del suo primo amore.
 Quella, tuttavia, era un’altra consistente parte delle sue preoccupazioni: frequentare Ethan. Era rischioso per entrambi, lui era ricercato, e poi quale futuro avrebbe potuto avere la loro storia? E cosa sarebbe successo se i suoi genitori fossero venuti a saperlo? Senza contare ciò che aveva capito ultimamente: lei non voleva diventare medico, come Gianni aveva progettato per lei da prima del suo arrivo in casa King. Rigettava l’idea di Yale, lei voleva frequentare una scuola di canto, insieme ad altre persone, e fare esperienze sue. Lei voleva vivere davvero, ma non sapeva come dirlo ai suoi. Avevano appena attraversato un momento difficile, ora erano tranquilli, e voleva godersi quella serenità. Del resto, spesso era assalita dai dubbi: era giusto ciò che voleva, o era solo un capriccio? Avrebbe buttato all’aria il suo futuro per niente? Non sarebbe stato più giusto seguire il volere dei suoi genitori, che volevano solo il suo bene? Ma d’altra parte, cosa ne potevano sapere loro? Era nel giusto Gianni quando appendeva, felice come una Pasqua, la bandierina di Yale dei suoi tempi nella cameretta del nascituro? Era giusto che il suo destino fosse tracciato prima che fosse nato, prima ancora si sapere se sarebbe stato maschio o femmina, quale nome avrebbe avuto? No, non era giusto. Nulla di tutto quello lo era.
Perciò avrebbe continuato  a vedere Ethan, perché così le diceva il suo cuore.

***

Scese dal pullman trascinandosi dietro il suo borsone abbastanza logoro.
Si guardò intorno, curiosa verso quel posto ma scettica, critica, soffermandosi sugli edifici semplici ed anonimi e sui passanti. Così, quella era Storybrooke: un posto sperduto nel verde, quasi dimenticato dal resto del mondo.
Fece una smorfia di disgusto.
Tutto, dal cielo alle strade, dai visi della gente agli edifici, sembrava grigio e spento, monotono. Storybrooke era di sicuro quel genere di posto in cui tutti conoscono tutti e i pettegolezzi girano più veloci della luce, cose che la annoiavano e l’infastidivano. Era proprio da quel genere di posto che era scappata a nemmeno quindici anni; la vita provinciale non faceva per lei, tuttavia in quel frangente quelli erano aspetti che potevano tornarle utili.
Si accese una sigaretta, con mano tremante. Al diavolo i medici, si disse. Avrebbero potuto ripeterle all’infinito che il fumo era la causa principale del suo malessere, ma lei non avrebbe smesso di fumare se non da morta. Assaporò ad occhi chiusi la prima boccata di fumo, poi espirò con la nonchalance di chi fuma praticamente da sempre .
Aveva già attirato l’attenzione dei passanti. Prevedibile. Si guardò di nuovo intorno, questa volta alla ricerca di un posto decente nel quale potersi fare un caffè, e lo trovò. Raccolse il suo borsone da terra e si diresse verso un locale la cui insegna diceva Granny’s Diner.

***

Lily passò l’ultima pennellata di blush sulle guance. In genere non si truccava particolarmente, le piaceva molto di più l’effetto acqua e sapone, ma un po’ di colore sulle guance – e un po’ di mascara sulle ciglia – non guastava mai. Non si metteva neanche troppo in ghingheri quando usciva con Ethan, un po’ perché non voleva destare sospetti nei suoi, un po’ perché era tremendamente imbarazzata. Del resto era la sua prima cotta in assoluto, non aveva la più pallida idea di come comportarsi né di cosa mettere agli appuntamenti, né aveva un’amica femmina che la aiutasse in quel campo.
Aveva sempre pensato a quei momenti come a qualcosa che avrebbe condiviso con sua madre, ma quella non era un’opzione praticabile, decisamente no.
Quella sera però aveva tirato fuori uno dei suoi vestitini più belli, più per sfizio che per altro. Era un bel modello color avorio, con un taglio semplice sul busto, ma elegante e brioso sulla gonna, lunga fino a metà coscia, a balze leggere e deliziose. Sotto aveva indossato un paio di calzamaglie color tortora, intonate con la giacca, mentre gli stivaletti bassi erano chiari come il vestito. Si sentiva davvero una bambolina, e sperava di non risultare ridicola agli occhi di Ethan.
Si diede un’ultima occhiata complessiva allo specchio, e in quel momento sentì sua madre chiamarla dal piano di sotto: Marshall e Antoine, che la coprivano quando si vedeva con Ethan, la stavano aspettando.
Afferrò la borsa e scese di corsa le scale, con i lunghi capelli che ondeggiavano liberi, sciolti come li teneva sempre. Sorrise ai suoi amici quando li vide davanti alla porta ad attenderla. Mentre si dirigeva verso di loro fu agguantata da sua madre, che sembrava averle teso un’imboscata, che iniziò snocciolare raccomandazioni con la scusa di darle un’ultima sistemata al vestito e ai capelli, mentre Gianni le dava manforte dalla cucina, dove stava probabilmente aggredendo a cucchiate il barattolo della Nutella. E meno male che era Tesoro quella incinta!
-Soldi? – le chiese sua madre.
-Ce li ho.
-Cellulare?
-Ce l’ho.
-Fazzoletti?
-Ce li ho.
-Spray al peperoncino? – giunse la voce di Gianni dalla cucina.
-Ce l’ho – gridò in risposta Lily, benevolmente esasperata. Che teatrino, ogni volta che doveva uscire! – Mamma, è già tardi, faremo mattina!
-Va bene, vai – sorrise Tesoro amabilmente.
-Ciao – le diede un bacio sulla sua guancia, poi salutò anche suo padre e poté finalmente raggiungere la porta.
-Ah, finalmente, credevo che non avrebbero finito più! – esclamò, una volta usciti dal cancello, Marshall.
-Ma se va tutte le volte così – osservò Antoine nel suo tono caldo e pacato.
-Appunto. Liza dovrebbe cambiare abitudini se non vuole farci morire di vecchiaia davanti ad una porta – ribatté brusco come al solito Marshall.
Lily alzò gli occhi al cielo. I suoi amici erano gli stessi di sempre, e sempre lo sarebbero stati. Erano uno dei capisaldi della sua vita, un punto di riferimento. Erano l’unica cosa che non sarebbe cambiata con l’arrivo del pupo.
Era immensamente grata ad entrambi per tutto quello che stavano facendo per lei, a sopportarla quando aveva bisogno di sfogarsi o era presa dalle sue mille insicurezze, oppure quando doveva vedersi con Ethan e loro la coprivano, come in quel caso. Certo, la cosa poteva tornare anche a loro vantaggio, perché così avevano delle occasioni per stare da soli e fare i piccioncini, opportunità che avevano raramente, visto che erano quasi sempre con Lily. In ogni caso lei li adorava e non sapeva come avrebbe fatto senza di loro.
Camminarono continuando a chiacchierare fino a quando non ebbero svoltato l’angolo, poi Lily vide Ethan poggiato ad un palo della luce con la sua solita disinvoltura mentre l’attendeva,  e la sua mente non poté che scollegarsi dal resto del mondo e focalizzarsi sulla figura stupenda del ragazzo, nonché sulla sua espressione malandrina e rassicurante nello stesso tempo. Ormai aveva perso il comando sul suo corpo, quindi non riusciva a smettere di sorridere come un’ebete, né tantomeno riuscì ad evitare di arrossire quando lo vide venirle incontro. Entrambi si guardavano come se gli altri due ragazzi non esistessero, ed entrambi erano raggianti. Marshall, da cinico quale era, fece finta di vomitare alle spalle di Ethan, ma solo Antoine se ne accorse, e fece del suo meglio per non scoppiare a ridere mentre cercava al contempo di mandare un’occhiata di rimprovero al suo ragazzo.
-Ciao – lo salutò timidamente Lily. Ormai avevano acquisito una certa intimità, ma davanti ai suoi migliori amici era terribilmente in imbarazzo.
-Ciao, bimba – fu la sua assolutamente disinvolta risposta, mentre le passava un braccio attorno alle spalle, come per rassicurarla e farla sentire a suo agio. Com’era prevedibile, Lily avvampò.
-Allora noi andiamo – disse lei ai suoi amici, che intanto erano rimasti a guardare la scena. – Divertitevi, stasera.
-Certo, anche voi – rispose Marshall, scoccando un’occhiata diffidente a Ethan, il quale ricambiò. Lily si sarebbe messa le mani nei capelli: sembrava un’impresa impossibile per quei due cercare almeno di essere cortesi l’uno con l’altro. I due vicini di casa li avevano già coperti parecchie volte, ma Ethan ancora non riusciva a farsi piacere “il piccoletto”, come lo chiamava lui. Forse perché erano partiti col piede sbagliato, o anche perché Marshall aveva un carattere poco raccomandabile, ma Lily sospettava fortemente che, a dispetto delle sue rassicurazioni, Ethan fosse ancora geloso di lui. Marshall poi non si impegnava di certo a fare grandi passi avanti, perché era molto protettivo nei suoi confronti, come un fratello maggiore verso la sua sorellina preferita.
Le due coppie si allontanarono in direzioni opposte, e man mano che si riabituava alla presenza dell’altro, Lily diventava via via più sciolta e naturale, meno imbarazzata. C’era un legame speciale fra loro due, in fondo.
Quella sera avevano in programma un giro per la Storybrooke notturna prima di andare al The Rabbit Hole, come  tutti i martedì. In realtà non sarebbero stati in giro a lungo, ma a Storybrooke la vita notturna poteva dirsi cominciata già alle dieci di sera, perché a quell’ora di gente “per bene” in strada non se ne vedeva mai.
Ci misero un po’ per arrivare in periferia, ma per nessuno dei due camminare era un problema. Anzi, piaceva molto ad entrambi, e poi finché erano soli parlare era molto facile. Sarebbe stato un problema nella bidonville, perché lì non prestare attenzione a chi ti girava intorno o a dove andavi equivaleva a tuffarsi a volo d’angelo in una fossa di serpenti. Effettivamente Ethan si sentiva poco sicuro a portarla lì, perché non era certo che sarebbe bastata la sua presenza – lui era una specie di leggenda vivente dei bassifondi – a proteggerla da brutti incontri, però voleva anche che conoscesse il suo mondo, e che vivesse come i suoi genitori non le avevano permesso di vivere finora. Voleva che capisse com’era essere liberi.
Quando furono arrivati, Lily rimase abbastanza sconcertata e disorientata dalle stradine strette e buie, poco frequentate. Era davvero lì che lui voleva portarla?
-Tutto bene, bimba? – chiese lui notando il suo sguardo.
-Sì – rispose lei troppo in fretta, lasciando trasparire la sua ansia.
-Non è questo il luogo dell’appuntamento, tranquilla. Ma ci dovremo passare.
Lei annuì, giusto un po’ più rassicurata. Ethan prese a guidarla per i vicoli, tenendola per mano, e sinceramente Lily doveva ammettere che non badava molto alle indicazioni che lui le dava indicando questa o quella casa, quanto alla sensazione della sua mano in quella del ragazzo. Scosse la testa, con un sorriso di scherno per se stessa: era proprio un caso perso.
Più avanzavano, più Lily notava che Ethan aveva avuto ragione a portarla lì: le strade erano giusto un po’ più larghe, e più illuminate, ma soprattutto c’era più gente. Erano visi loschi, d’accordo, che perlopiù non ispiravano molta confidenza, ma lei non era mai stata in mezzo a tanta gente, in maniera così normale. Non essere messa in una campana di vetro una volta tanto era liberatorio.
-Ora, bimba, ti farò provare un’esperienza che non credo tu abbia mai fatto prima: mangiare un hot dog per strada!
Ethan era allegro, ma lei era davvero terrorizzata.
Come si fa a mangiare camminando per strada?! Con tutta la gente che ti urta e rischia di sporcarti… un hot dog, poi! Un insieme di grassi saturi tenuto insieme dalle salse che minacciano di schizzare fuori al primo morso e fare stragi di macchie! Per non parlare delle condizioni igieniche…
Era sempre stata abituata a mangiare più o meno sano e a prestare attenzione all’igiene, con un padre medico, e in più sua madre aveva sempre insistito moltissimo sull’educazione. Non aveva mai mangiato neanche un pacchetto di crackers in piedi o senza essersi prima lavata le mani.
Non voleva però deludere Ethan, che era così entusiasta di quel “giro turistico”… perciò annuì cercando di sembrare divertita anche lei. Con scarsi risultati, purtroppo.
Arrivarono davanti ad un camioncino coperto da pitture in stile murales e con la scritta al neon Mike’s, che a detta di Ethan era il miglior paninaro di Storybrooke e dintorni. Cercando di tenersi lontana dal fumo grasso che si levava dalla griglia lì accanto, dove sfrigolavano le salsicce da mettere nei panini, Lily si posizionò involontariamente qualche passo dietro il ragazzo, come a volersi proteggere dietro di lui. Tutta quella situazione non faceva che divertire Ethan.
Il ragazzo ordinò due hot dog con ketchup e maionese, con orrore di Lily – entrambi? Ma la maionese è una bomba grassa! - che furono pronti in poco tempo. Ethan avrebbe voluto offrire, ma Lily era stata chiara da quel punto di vista fin dal primo appuntamento, così ognuno pagò per sé. Non voleva metterlo in difficoltà: insomma, lui viveva nella bidonville, rubava per vivere, mentre lei aveva più soldi a disposizione di quanti gliene servissero. Dal momento che Ethan si rifiutava di far pagare tutto a lei, aveva insistito perché almeno le lasciasse fare la sua parte.
Ora però era venuto il momento critico: mangiare l’hot dog camminando e cercando di non finire addosso alle persone. Ethan le porse il suo con l’aria di chi pregusta un grande spettacolo, e lei da parte sua non poté resistere dal lanciargli un’occhiataccia. E così si sarebbe divertito, eh?
Guardò il panino come se fosse quello a dover mordere lei, e non il contrario. Osservò prima di soppiatto Ethan per vedere come faceva a non sporcarsi, e alla fine si decise anche lei. Con cautela prese un morsettino, con già un’espressione corrucciata in volto… e, con sua sorpresa, si dovette ricredere sulle sue aspettative.
Sicuramente stava ingurgitando trigliceridi, grassi saturi e germi a volontà, ma almeno il sapore era buono, e poi fortunatamente le salse non erano schizzate via a mo’ di Speedy Gonzales. Non ancora, almeno.
-Allora, ti piace?
-Mi costa ammetterlo… ma sì, è incredibilmente gustoso!
-Devi fidarti di me, bimba – ribatté, facendole l’occhiolino.
-Ora non montarti la testa, però – s’impuntò lei, con una falsa aria puntigliosa.
-Vedrai che alla fine di questa serata non riuscirai più a fare a meno di questa vita.
-Se è una sfida, la accetto. Ma perderai, ti avviso.
Lui si girò improvvisamente, abbassandosi fino ad essere a pochi centimetri dal suo volto. Lei sgranò gli occhi, presa alla sprovvista, mentre il cuore sembrava non dare segni di vita.
-E’ escluso, bimba. Io non perdo mai – e non lo farò nemmeno con te.
Per un momento, un eterno momento, a Lily sembrò che stesse per succedere qualcosa fra loro. Sarebbe bastato sporgersi leggermente più avanti per incendiare l’aria già satura di elettricità e far scattare quel bacio che non si erano dati circa due mesi prima… ma prima che uno dei due potesse farlo, Ethan si era già ritratto, e a Lily non restò che affogare la delusione nel suo hot dog.
Cuore? Se ci sei, per favore, batti un colpo.
Il battito cardiaco si era stabilizzato, in effetti, ma era per la delusione che Lily formulò mentalmente quella frase. Tanti colpi nel giro di così poco tempo non erano un bene per il suo povero organo vitale, no.
Fra loro calò un silenzio teso, tuttavia una cosa si poteva dire per certa della personalità di Ethan: riusciva a stemperare qualsiasi atmosfera, tesa o imbarazzata che fosse, e così fu anche in quell’occasione. Mantenne il suo comportamento allegro e disinvolto, e nel giro di due battute riuscì a far passare in secondo piano l’accaduto – o meglio, ciò che non era accaduto –, e Lily decise di godersi la serata, rimandando eventuali seghe mentali a quando si sarebbe messa nel suo letto per andare a dormire.

***

L’atmosfera al The Rabbit Hole era decisamente caotica, più del solito. Evidentemente l’idea del karaoke riscuoteva molto successo, anche se a volte con alcuni soggetti si rischiava davvero la fuga in massa di tutti gli avventori, con quei poveri camerieri che sarebbero dovuti rimanere da soli a sorbirsi le esibizioni. Beh, erano i pericoli del mestiere.
Lily era abbastanza surriscaldata e su di giri, anche se non brilla, ma per Ethan era comunque uno spettacolo memorabile.
Erano arrivati più o meno alle dieci e mezza al locale, dopo aver finito di mangiare e dopo che Ethan ebbe fatto vedere qualche luogo della bidoville a lui familiare a Lily, e  gli pseudo cantanti erano già all’opera da un po’. Lily era molto disinvolta e distesa, era a suo agio con Ethan, e lui sapeva che quando era a suo agio con qualcuno diventava tutta un’altra persona rispetto alla ragazzina timida e controllata che era di solito. Sperava di sentirla cantare un’altra volta – non ne aveva più avuto il piacere, dopo quella prima sera in cui l’aveva incontrata in quello stesso locale – , ma lei non ne voleva sapere. Le piaceva troppo la compagnia di Ethan per separarsene, e poi temeva che se l’avesse lasciato solo anche solo per qualche minuto, le ragazze gli sarebbero piombate addosso come avvoltoi su una carcassa, e lei rodeva di gelosia al solo pensiero. Anche se, certo, sarebbero potuti passare decenni e lei non l’avrebbe ancora ammesso.
Così avevano deciso di rimanere fra il pubblico, e avevano anche incontrato qualcuno fra le conoscenze di Ethan che aveva fatto loro compagnia per un po’, senza risultare né troppo volgare né maleducato per Lily, con grande sollievo del ragazzo. Lei, poi, era sembrata particolarmente socievole e bendisposta quella sera, e forse era merito soprattutto del Cuba Libre che stava bevendo.
Fatto stava che la sua bimba aveva completamente messo a tacere i freni inibitori ed era abbastanza euforica, tanto che quando qualcuno dal palco aveva iniziato a cantare I hate myself for loving you di Joan Jett era scattata su come una molla e aveva detto a Ethan: - Bella questa! Balliamo? – e senza dargli il tempo di risponderle lo aveva già preso per mano e trascinato sotto il palco, in uno spazio libero da tavoli e sedie. Senza prestare attenzione agli sguardi puntati su di lei aveva iniziato a ballare, a scuotere la testa da una parte all’altra e ad agitare le braccia in alto come una delle più fanatiche del rock, ed Ethan, divertito come mai in vita sua, l’aveva assecondata. Poco dopo, seguendo il loro esempio, praticamente tutti quelli che erano seduti si erano fiondati su quella specie di pista improvvisata a ballare, tanto che si erano ritrovati ben presto stretti come sardine. Era anche vero che non si poteva proprio stare fermi ascoltando I hate myself for loving you.
E, più che ballare, Ethan – un po’ divertito e un po’ sconvolto – guardava Lily, che era rossa in viso, con gli occhi che luccicavano e che aveva il più entusiasta dei sorrisi, mentre i lunghi capelli che andavano da una parte all’altra la facevano sembrare una selvaggia. Era bellissima.
Se zia Sarah mi vedesse adesso!, pensò lei, e scoppiò a ridere da sola, davvero di gusto.
-Mi sto divertendo un mondo! – urlò per sovrastare la musica, continuando a ballare.
-Anch’io, bimba, sei un vero spettacolo!
Lei sorrise e continuò a mettere tutta l’anima nel ballo, finché le ultime parole non echeggiarono nella sala, ponendo fine a quella divertente follia generale. Tutti scoppiarono in un urlo e batterono forte le mani, dimostrando il loro entusiasmo.
-Sto morendo di caldo, usciamo fuori? – chiese Lily al suo accompagnatore, abbastanza frastornata.
Lui annuì e la seguì prima a prendere la giacca e la borsa che giacevano abbandonati su uno dei tavoli, nella più completa incoscienza da parte della ragazza – ah, benedetto alcol! – e poi fuori dalla porta del locale, nella strada buia e umida, ma soprattutto tranquilla.
Lily rabbrividì subito, accaldata com’era, e si infilò lesta la giacca. La prima cosa che fece fu controllare il cellulare, come se la boccata d’aria fresca le avesse fatto riacquistare un po’ di lucidità, e lì trovò una serie di messaggi di vari gradi di preoccupazione.

Da: Mamma       
Ricevuto alle 22,35
Come sta andando la serata?

Da: Papà
Ricevuto alle 22, 40
Perché non rispondi alla mamma?

Da: Mamma
Ricevuto alle 22,45
Ho provato a chiamarti alle 22,44 del 19/11/13

Da: Mamma
Ricevuto alle 22,50
Lily, ho provato a chiamare Marshall e Antoine ma non rispondono. Che è successo? Non farmi stare in ansia!

Da: Mamma
Ricevuto alle 23,01
Lily, sono le undici. Se entro mezz’ora non mi dici che va tutto bene giuro che mando papà a cercarvi.

Lily guardò l’orario: erano le 23,24. Appena in tempo.

A: Mamma
Inviato alle 23,26
Scusa, mamma, la musica era alta e nessuno di noi ha sentito il cellulare. La serata sta andando benissimo, tranquilla, tra poco torno a casa. Agguanta papà prima che raggiunga la porta, perché so che già sta partendo. State tranquilli, va tutto bene.

Dopo quelle rassicurazioni prese il cellulare e lo rigettò esasperata nella borsetta.
-Genitori oppressivi? – chiese Ethan, che l’aveva osservata farsi più scura in volto ad ogni messaggio che leggeva, e poi guardare allarmata l’orario e scrivere un messaggio freneticamente.
-Che ne sai tu? Magari è un pretendente oppressivo – rispose maliziosa, curiosa di osservare la sua reazione.
Lui sfoderò la sua migliore faccia di bronzo e finse di essere impassibile. – Non ci credo.
-Ah sì? E chi ti assicura di essere nel giusto? – continuò a provocarlo.
Un guizzo nei suoi occhi tradì che non era così impassibile come voleva far credere, e la sua faccia di bronzo ebbe un attimo di cedimento, ma si riprese fulmineamente. – Se anche fosse, hai detto che è oppressivo, e poi sei qui con me, vorrà pur dire qualcosa.
La sua voce aveva un tono di urgenza, ma era anche un po’ incerto, e lei scoppiò a ridere.
-D’accordo, era uno scherzo, e tu ci sei cascato in pieno! Avresti dovuto vedere la tua faccia… - continuò a ridere.
-Non è giusto che ti approfitti così del mio punto debole! Tu già lo sapevi che sono…
-Che sei? – lo incoraggiò lei, con le farfalle nello stomaco che svolazzavano da una parte all’altra.
-Geloso, va bene?
-E’ così difficile ammetterlo? – fece, improvvisamente seria.
Lui sospirò. – No, non così tanto. E poi l’ho già fatto una volta, ricordi?
-E ogni volta mi piace sentirtelo dire – si lasciò sfuggire lei. Grazie all’alcol che aveva messo fuorigioco parte del suo pudore riuscì a non arrossire, ma distolse immediatamente lo sguardo, così non poté vedere il sorriso impertinente di Ethan farsi strada sul suo volto.
Giusto per trovare qualcosa che servisse a cambiare discorso, Lily dirottò l’attenzione sulla canzone che si sentiva provenire dall’interno del locale, una musica lenta e dolce, forse per calmare gli animi dopo che tutti si erano scatenati a ballare.
-Ehi, questa la conosco, è bellissima – disse, e prese a cantare i versi che si sentivano da fuori. – …Can you still see the heart of me? All my agony fades away when you hold me in your embrace
Non aveva il coraggio di guardare in faccia Ethan, ma ad un tratto sentì due braccia prenderla per i fianchi e in un attimo si ritrovò stretta al suo torace, poi, con sua enorme sorpresa, iniziò a guidarla in un ballo lento e dolce, proprio come la musica che li stava cullando.
…Don’t tear me down, for all I need… make my heart a better place, give me something I can believe..
Presto presero confidenza con la musica tanto da lasciarsi trascinare dalla melodia senza pensare a nient’altro, e Lily si ritrovò a volteggiare in mille piroette, con la gonna a balze che si gonfiava facendola sembrare una vera principessa e i capelli che mulinavano come frecce di fuoco. I loro sguardi esprimeva un’intensità tale che avrebbe sconvolto chiunque li avesse guardati in quel momento.
…I want to believe that this is for real, save me from my fear. Don’t tear me down…
Lily concluse l’ennesima piroetta, ma stavolta si trovò stretta nell’abbraccio protettivo di Ethan, fronte a fronte con lui, entrambi senza fiato per l’intensità di quello che stavano provando. Lui la guardò negli occhi col suo sguardo penetrante e, lentamente, piegò la testa per cercare la sua bocca. Il bacio che seguì fu la cosa più agognata e dolce che Lily avesse mai provato, pur nella sua inesperienza. Le labbra di Ethan si poggiavano sulle sue in una carezza bollente, la lingua chiedeva di entrare, e Lily la accolse nella sua bocca, intrecciandovi la sua, mettendovi tutta la passione di cui era capace, mentre un languore mai provato prima si faceva strada nel ventre.
Quello fu il suo indimenticabile, magico primo bacio.




Angolo Autrice: Prima che possiate fare qualsiasi cosa, vorrei ricordarvi che siamo in tempi di crisi e che quindi non sarebbe giusto tirarmi addosso ortaggi e frutti vari, quando ci sono tanti usi migliori per loro... capisco che, dopo aver aspettato quattro mesi per un aggiornamento, leggere questo schifo sia abbastanza frustrante, ma pensate a che spreco sarebbe!
Comunque, a parte gli scherzi, vi chiedo scusa davvero, perché sono stata incasinatissima con lo studio, le storie da aggiornare, quelle de recensire ecc. ecc., però avevo promesso che entro oggi avrei aggiornato e l'ho fatto, a costo di stare in piedi fino a quest'ora. Questo spiega anche parte dello schifo di questo capitolo, perché ho appena finito di scriverlo e rivederlo, quindi capirete bene che non sono nel pieno possesso delle mie facoltà fisiche e mentali.
Avrei voluto gestire l'intero capitolo in maniera completamente diversa... soprattutto quel bacio, sigh, ma tanto sono sempre una mezza sega nelle descrizioni di appuntamenti e soprattutto di baci. Che tristezza ç.ç
Potrei stare a sparare altre cavolate, ma mi ritiro subito. Vi lascio giusto i link delle canzoni che ho citato in questo capitolo, I hate myself for loving you di Joan Jett: 
http://www.youtube.com/watch?v=HPkTGm4RtVM e All I need dei Within Temptation: http://www.youtube.com/watch?v=PYHGaClNjgc .
Vi consiglio di ascoltarle, soprattutto quella del bacio, perché è ascoltandola che mi sono immaginata la scena.
Ringrazio tutti quelli che hanno inserito fra le ricordate/seguite/preferite questa ff, i lettori silenziosi, quelli che avevano recensito l'avviso (che ho cancellato) e annachiara27, State Of California, Lady_Sue1789, vook20, Princess Vanilla e 9Pepe4 per aver recensito.
A presto!

 

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