Coda di paglia

di Pearlice
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** È sempre colpa di Pipino ***
Capitolo 2: *** Ciò che Gandalf non avrebbe dovuto dire ***
Capitolo 3: *** La provocazione di Boromir ***
Capitolo 4: *** Il parere di Celeborn ***
Capitolo 5: *** Il Gimli da pelare ***
Capitolo 6: *** La parola a Legolas ***



Capitolo 1
*** È sempre colpa di Pipino ***


 “Oh sì, Aragorn vecchio mio sei proprio nei guai…” si autocommiserò tra sé e sé, dopo essersi reso conto, per qualcosa come la ventesima volta in quella giornata, che i suoi occhi erano rimasti fissi sul didietro di Legolas per un arco di tempo che aveva iniziato ad essere quantomeno imbarazzante. Certo, anche l’elfo non gli facilitava la vita chiedendogli di guardargli le spalle quando si allontanava dal gruppo per aprire il sentiero, ovvio che, se gli porgeva l’occasione così su un piatto d’argento, il suo sguardo scivolasse ben più in basso delle spalle.
Da quando era iniziata tutta quella storia assurda? E soprattutto come? Aragorn non si capacitava del modo in cui potesse esser passato dal desiderio di poter stringere tra le braccia le esili membra di Arwen a quelle ben più virili -okay, forse non poi così virili- del suo amico di vecchia data.
Eppure non poteva nascondere che la situazione fosse proprio quella. Era successo tutto così velocemente: prima la separazione con lei, poi la partenza con la compagnia e beh… l’astinenza e la costante presenza di quel maliardo accanto a lui avevano fatto il resto.
Ora, ogniqualvolta l’altro lo sfiorava, quando si avvicinava al suo viso per parlargli, addirittura quando lo vedeva maneggiare il suo arco (che i Valar potessero perdonare l’indecenza dei suoi pensieri in quei momenti!), si sentiva preda di impulsi che anche il più turpe degli orchi sarebbe pudicamente arrossito a mettere in atto.
Erano stati vicini per molti anni, eppure mai si era trovato a notare la sorprendente lunghezza di quelle ciglia scure, mai aveva avuto la curiosità di sentire che profumo avessero quei capelli così leggeri o di ascoltare quali sensuali gemiti potessero uscire da quelle labbra nei momenti di piacere. Erano lontani ormai i giorni in cui, legati da un affetto fraterno e disinteressato, facevano il bagno nudi insieme nel lago. Ora il solo pensiero di poter nuovamente vedere la sua pelle chiara priva di veli gli faceva defluire tutto il sangue dal cervello, per andare ad irrorare ben meno nobili lidi.
Quindi, avendo preso atto di quanto poco camerateschi fossero ormai i suoi sentimenti nei confronti dell’elfo, si era ripromesso di stargli a debita distanza per tutti i giorni -e soprattutto le notti- a venire, sia per salvare la loro amicizia che la propria reputazione. Non sarebbe sopravvissuto all’onta di sapere qualcun altro a conoscenza delle aberrazioni che la sua mente era stata in grado di concepire negli ultimi giorni.
Ci sarebbe stato dunque da chiedersi come diavolo ci fosse finito in quella radura col sopracitato elfo, che gli stava correndo incontro con un’espressione entusiasta così adorabile da fargli venir voglia di tuffarsi nel primo cespuglio a disposizione, pur di non lasciarlo avvicinare maggiormente.
«Trovata!» esclamò quello una volta raggiunto il compagno, con un sorriso accennato quel tanto che bastava a mettere in risalto due deliziose fossette, che incomprensibilmente Aragorn non aveva mai notato prima.
«Trovata cosa?» chiese cadendo dalle nuvole, distratto com’era da quei pensieri indecorosi e dallo sgomento provato nel constatare che Legolas non sembrava aver intenzione di tornare dagli altri per impedirgli di perpetrare molestie nei suoi confronti, dato che si stava leggiadramente sedendo poco distante dai suoi piedi.
«Come cosa?» fece quello sollevando lo sguardo verso di lui, con una leggera risata. «La grotta dove ci ripareremo questa notte, non era quello che stavamo cercando?» già, ecco cos’era successo. Il resto della compagnia si era fermata poco lontano e loro, da soli, erano andati alla ricerca di un riparo per l’imminente nottata. Ma la colpa non era sua eh? Nossignore, era stato Legolas ad invitarlo ad andare con lui! E la sua leggendaria fermezza era crollata come un castello di carte al passaggio di un Uruk-hai. Ed i suoi buoni propositi di evitarlo il più possibile dovevano esser rimasti seppelliti lì da qualche parte sotto le macerie.
Dopo aver ciondolato con fare indolente per qualche momento, alla fine il Dúnedain decise di imitare l’altro e si sedette a sua volta, dato che, per quanto allettante apparisse ai suoi occhi la via di fuga, non sarebbe stato molto cortese nei confronti dell’amico dopo che questo aveva manifestato così palesemente di voler trascorrere del tempo lì con lui. Ad ogni modo non si era seduto oltre quella che da giorni aveva stabilito come distanza di sicurezza da rispettare tra loro, beninteso.
«Sei parecchio distratto, Grampasso» lo canzonò quello con lo stesso tono spensierato di prima, perdendosi ad ammirare il paesaggio circostante quasi non stesse facendo molto caso al loro discorso. «A cosa stavi pensando?»
«A Boromir!» mentì prontamente Aragorn, trovandosi poi a dover aggiungere delle spiegazioni, allo sguardo perplesso dell’altro. «Temo che stanotte dovrò rimanere sveglio, nonostante sia il suo turno di guardia…» chiarì, lasciando intendere quanto poco gli andasse a genio l’idea di sapere il solo gondoriano vigile, con l’intera compagnia alla sua mercé. Effettivamente, si complimentò con se stesso, era riuscito a partorire un’ottima scusa in un tempo assai breve: a nessuno era piaciuto come Boromir avesse tentato di convincere l’intero Consiglio ad utilizzare l’anello.
«Lo ritieni capace di una tale disonestà?» mormorò Legolas in un soffio che quasi si perse nel vento prima di giungere alle sue orecchie, mentre si incantava ad osservare il cielo colorarsi di quella che era solito definire “la gloria del tramonto”.
«Già, smaniava troppo di utilizzare l’anello per potersi essere davvero redento, talvolta ciò che viene mostrato esteriormente è ben diverso dai pensieri che intimamente racchiudiamo» rispose sovrappensiero, senza sapere nemmeno lui da dove gli fossero uscite parole tanto serie, quando nella sua mente non vi erano altro che fedeli rappresentazioni di lui ed il suo interlocutore impegnate in rituali d’accoppiamento particolarmente elaborati.
Non appena però si sentì pronunciare quella frase, si trovò inevitabilmente a notare quanto inquietantemente potesse adattarsi non solo ai mostri celati da Boromir, ma anche a quegli indicibili pensieri che in qualche modo avevano deciso di stanziare a tempo indeterminato nella sua mente.
«Io credo che sia impossibile nascondere del tutto ciò che il nostro cuore veramente brama» disse l’elfo con una semplicità disarmante ed uno sguardo intenso, improvvisamente rivolto a lui, che Aragorn non riuscì a sostenere.
Ah quanto avrebbe voluto essersi solo immaginato il tono allusivo con cui l’altro aveva appena pronunciato quelle parole! Ma era impossibile che sapesse, impossibile che avesse visto quante volte nelle sue fantasie più segrete se l’era ripassato in ogni anfratto che si poneva sul loro cammino! Giusto?
«Dì mellon*, mi hai per caso letto nel pensiero ultimamente?» domandò senza riuscire a trattenersi, colto da quell’improvviso quanto terrificante sospetto.
Dal lampo di curiosità che vide baluginare nelle iridi cerulee di quello comprese di quali proporzioni fosse stato l’errore appena compiuto, ma la sua bocca non fu abbastanza svelta dal ritrattare quanto si era appena lasciato sfuggire, che arrivò l’insidiosa domanda dell’altro:
«Mellon nîn**, c’è per caso qualcosa di disonorevole nella tua coscienza? Qualcosa che temi io possa aver scorto?» chiese con un’intonazione che appariva terribilmente canzonatoria e mettendo su quella che ad Aragorn era parsa l’espressione più falsamente ingenua del suo repertorio.
«No! Assolutamente!» quasi anticipò la fine della domanda dell’altro nel tentativo di chiudere in fretta quel discorso. Dannazione, troppo in fretta. Si era messo nel sacco da solo.
«Non si direbbe, dal modo in cui la tua pupilla si sia improvvisamente ristretta, la tua sudorazione sia aumentata ed i tuoi battiti…»  l’elfo gli posò un dito appuntito sotto al collo, con una rapidità tale che se anche avesse voluto evitare quel tocco non vi sarebbe riuscito «… raddoppiati direi» concluse con un sorriso furbo, sollevando un sopracciglio in un arco a tutto sesto, come in attesa di una spiegazione che Aragorn non aveva alcuna intenzione di dare.
«Smettila di farmi il terzo grado Legolas» sbottò, scostandosi di dosso la sua mano con quello che doveva essere un gesto seccato, ma risultò al contrario piuttosto gentile, ed interrompendo il contatto visivo tra loro, quasi nel tentativo di sbarrare ogni via di accesso ai suoi pensieri più reconditi. «Non sono affari che ti riguardano». Bugia, sporca bugia.
«Ma, mellon nîn, io sono solo preoccupato per te…» si lamentò quello con un’enfasi accorata -che alle orecchie di Aragorn era parsa ancor più falsa dell’intonazione precedentemente usata- accarezzando il volto del Ramingo con fare tanto amabile, da farlo voltare docilmente verso di lui.
Accidenti, com’era possibile che perdesse ogni briciolo di forza -di volontà e fisica- quando si trovava in compagnia di quell’elfo? E quanto diamine era caldo e morbido quel tocco sul suo viso? E quanto incantevoli i suoi occhi così vicini, spalancati ed indagatori…?
«Legolas stavi tentando di leggermi nel pensiero!» gridò indignato, ritraendosi di scatto e rompendo quell’incanto in cui l’elfo l’aveva fatto precipitare con tanta facilità.
«E a breve ci riuscirò» lo sfidò quello con un tono di voce che gli era piaciuto, se possibile, ancora meno di tutti quelli che aveva usato precedentemente. Infatti, prima che potesse ribattere alcunché, l’elfo gli era già balzato addosso come un felino particolarmente agile ed avendo acciuffato, solo lui sapeva come, entrambi i polsi dell’uomo, lo sovrastava con un sorrisetto vittorioso sul volto.
Da quanti anni non si erano trovati in una situazione del genere? Aragorn si era quasi dimenticato che quando lui era solo un ragazzino e non esisteva alcuna “distanza di sicurezza” da rispettare, lui e Legolas si ritrovano spesso a giocare a quel modo, ma in quella situazione, dopo così tanto tempo, gli risultava strano ed innaturale. Legolas al contrario non sembrava turbato, ovviamente, lui era rimasto bello dentro e fuori tanto quanto lo era in passato, era lui, Aragorn, che crescendo aveva soppiantato l’innocenza con la malizia. L’elfo l’aveva presa come un gioco di quegli anni ormai lontani, un passatempo infantile per distrarre anche solo per un momento la loro mente dai gravi avvenimenti che stavano accadendo, ma era un divertimento pericoloso e questo lui non lo poteva sapere. Era un gioco che rischiava di mettere a repentaglio anni ed anni di amicizia e magari, se avesse anche solo immaginato cosa avrebbe trovato nella mente dell’uomo, forse non si sarebbe più sentito così tanto ansioso di scoprirlo da sé.
Passarono alcuni imbarazzanti secondi in cui Legolas tentò di convincerlo ad aprire gli occhi con l’insistenza di un bambino particolarmente capriccioso ed Aragorn bestemmiò prolissamente e minuziosamente ogni singolo Vala di sua conoscenza, minacciando l’amico delle peggiori torture se non l’avesse lasciato andare in quel preciso istante.
«Sia maledetta la curiosità degli elfi!» tuonò, cercando di scostarselo di dosso con tutto il vigore virgineo di cui disponeva quando si trovava con lui, mentre quello rideva e gli bloccava efficacemente ogni possibile movimento, intonando una nenia elfica che sembrava avere lo scopo di ipnotizzarlo, o qualcosa del genere.
«Suvvia, abbi la compiacenza di aprirmi la tua affascinante mente di ramingo» lo lusingò maliziosamente, abbassandosi col viso a pochi centimetri dal suo, quasi sperasse di riuscire a violare meglio la privacy dei suoi pensieri da una breve distanza.
Aragorn avvertì le punte dei suoi capelli solleticargli il viso e subito dopo quella cantilena così vicina al suo orecchio, da fargli balzare il cuore contro la cartilagine tiroidea in modo particolarmente violento e doloroso.
Oh Valar…
«Legolas… lasciami andare ora» rantolò col respiro rotto, mentre mentalmente ripercorreva a ritroso l’intera discendenza divina precedentemente maledetta perché l’altro non si accorgesse di come il suo corpo avesse gradito la loro posizione.
A quel punto, l’elfo sembrò finalmente intuire che al suo amico non andava poi tanto di giocare con lui come faceva da ragazzino e senza scostarsi di un millimetro sospirò, per poi mormorare, improvvisamente serio:
«Sciocco uomo che sei, tutti quegli anni passati tra gli elfi non ti hanno insegnato che va contro le nostre leggi violare i pensieri altrui in questo modo? Non l’avrei mai fatto, volevo solo metterti un po’ di paura». Al che si tirò a sedere sull’addome dell’altro con un’espressione delusa sul viso, lasciandogli libere le mani.
Un rumore improvviso alla loro destra però fece saettare il suo sguardo in quella direzione con un’urgenza ed uno spavento tali che Aragorn si tirò su di colpo a sua volta, senza aver calcolato appropriatamente la traiettoria e finendo per dare una violenta capocciata alla tempia dell’altro. Tutto ciò che fece in tempo a vedere prima di venire accecato dal dolore, ad ogni modo, fu una figura scattante che scompariva tra i cespugli.
L’elfo emise un gemito sofferente, scansandosi quindi definitivamente da lui e massaggiandosi la parte offesa, con le lacrime agli occhi. «Quale spirito scellerato ti ha posseduto?» lo aggredì stizzito, senza rinunciare all’utilizzo di vocaboli consoni al proprio lignaggio, nemmeno laddove avrebbe avuto motivazioni più che ragionevoli per lasciarsi andare al più becero dei turpiloqui.
«Cos’hai visto? Chi c’era?» domandò a raffica l’uomo, a sua volta col palmo pressato sul cranio dolorante, guardandosi intorno col terrore di veder comparire un orco, o peggio, qualcuno della loro compagnia.
«Non capisco il motivo della tua agitazione, era solo Pipino!» fu l’irritata risposta del biondo, evidentemente seccato della scarsa considerazione mostrata dall’altro per il trauma cranico che aveva appena rischiato di provocargli.
«Per Eru!» inveì portandosi le mani tra i capelli «Sei sicuro che fosse proprio Pipino??» chiese nuovamente ad un Legolas particolarmente esasperato. Non era possibile che di tutta la compagnia proprio colui la cui lingua era più difficile da tenere a freno li avesse visti in quegli atteggiamenti ambigui! Chissà che viaggi si sarebbe fatta quella sua fervida fantasia e che cosa avrebbe raccontato agli altri poi!
“Ho visto Aragorn e Legolas attorcigliati nell’erba come due bisce in accoppiamento...” Già gli sembrava di sentire quella sua vocina squillante nella mente. “... ed Aragorn aveva un’erezione spa-ven-to-sa”. Ecco, non sapeva esattamente come Pipino avrebbe potuto notare quel dettaglio da una tale distanza, ma la sua razionalità era andata a farsi benedire da un pezzo ormai e questi e più infausti scenari gli si prospettavano nella mente.
Affannato prese a correre verso il resto della compagnia, cercando di ignorare il cavallo dei propri pantaloni, nonostante tutto ancora decisamente troppo stretto, ed i richiami adirati ed altisonanti di Legolas, che evidentemente non aveva preso molto bene di esser stato colpito e poi mollato lì senza spiegazioni.
 
*amico
**amico mio

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Capitolo 2
*** Ciò che Gandalf non avrebbe dovuto dire ***


Nonostante la tacita promessa che Aragorn e Legolas si erano fatti quando erano stati gentilmente invitati a prendersi le loro responsabilità e mettere da parte le loro cicalate da esponenti del gentil sesso, quel discorso non ebbero modo di riprenderlo tanto presto. Il monte Caradhras li aveva sfiancati tutti, compreso l’elfo, che sarebbe passato alla storia come il più instancabile della compagnia e che quella notte crollò addormentato prima di riuscire ad appropriarsi di un posto vicino al Ramingo.
Quello, dal canto suo, ringraziava la sorte provvidenziale, apparsa nelle grigie vesti di Gandalf, che gli aveva impedito di aprire bocca e dargli allegramente fiato ed era ben deciso ad evitare di farsi nuovamente circuire dalla disarmante dolcezza dell’altro, adducendo scuse sempre più fantasiose per interrompere la conversazione con lui ogniqualvolta questa si inoltrasse in terreni pericolosi.
Il giorno successivo, quando il sole era ormai calato da un pezzo sulla Terra di Mezzo, si inoltrarono nelle miniere di Moria. Alla fine l’incessante tiro alla fune con cui Gimli e Boromir avevano messo a dura prova la pazienza degli altri compagni, per spingerli ad attraversare l’uno le miniere e l’altro Minas Tirith, era stato vinto dal primo, con sommo sgomento non tanto dell’altro contendente quanto di Legolas.
Era chiaro come il sole infatti che, anche se l’elfo non si sarebbe mai azzardato a sollevare un solo lamento per influenzare le scelte della compagnia, per una qualche sua orgogliosa reticenza, in quel luogo oscuro stava soffrendo pene difficilmente immaginabili.
Chiunque avesse posseduto un briciolo di spirito d’osservazione avrebbe capito che qualcosa non andava in lui, deducendolo anche semplicemente dal suo mutato atteggiamento nei confronti del detestato Gimli. Da quando erano entrati in quel buio antro infatti, l’elfo aveva sorprendentemente preso ad ignorare con un self control, bisognava ammettere, ammirevole, ogni provocazione dell’altro. E questo, dopo i giorni trascorsi a sibilare invettive più o meno velate nei confronti di quello e di tutta la sua stirpe, poteva, senza esagerare, esser definito un clamoroso passo avanti.
Per Aragorn sarebbe stato però assai preferibile e sicuramente meno terrificante vederlo reagire con la solita verve, piuttosto che deglutire stoicamente con l’aria di chi sarebbe esploso a momenti in una crisi isterica di proporzioni apocalittiche e potenzialmente letale per tutti gli astanti. 
E così, per quanto l’uomo avesse provato ad evitare le sue domande nelle ultime ore, non ebbe il cuore di lasciarlo da solo in quello stato a dir poco preoccupante e quando Gandalf ammise candidamente di aver perso la strada, approfittò di quel momento di tregua per avvicinarsi a lui. 
Quello era seduto a terra quasi fosse stanco, in un atteggiamento che davvero non gli apparteneva, stringeva le ginocchia al petto, guardando fisso davanti a sé, come se nella mente si stesse proiettando in una stupenda foresta molto, molto distante da quella miniera.
«Legolas…» richiamò la sua attenzione, a pochi passi da lui.
L’amico sollevò subito lo sguardo nella sua direzione, in un fioco sorriso imperscrutabile come suo solito. Nulla, nulla di quell’espressione lasciava trasparire quanto stesse passando internamente e se Aragorn non l’avesse conosciuto tanto bene si sarebbe anche lasciato ingannare da quel fare spavaldo che ostentava. Però lui lo conosceva più che bene. E sapeva che portarlo in quella miniera era equivalso a mettere l’elfo di fronte alle sue paure più grandi e recondite, senza lasciargli altra scelta se non quella di affrontarle e non aveva intenzione di lasciarglielo fare da solo.
In quel momento Gandalf, per non attirare l’attenzione dei nemici, spense la luce con cui aveva fino ad allora rischiarato l’antro, ed Aragorn sospirò, perdendo di vista il viso dell’amico proprio quando era riuscito ad avere un contatto con lui.
Procedendo a tentoni, si lasciò scivolare al suo fianco con la schiena contro la roccia, confidando nel fatto che la presenza degli altri compagni avrebbe tenuto a bada i suoi istinti più indecorosi e gli avrebbe concesso di investire il semplice ruolo di amico, di cui era certo l’altro essere disperatamente bisognoso in quel momento.
«Come ti senti?» sussurrò guardando un punto indefinito nel buio dinanzi a lui. Il suo piano era quello di farlo capitolare, di costringerlo ad ammettere la sua debolezza e non per suo personale sadismo, ma perché altrimenti non avrebbe potuto offrirgli il proprio aiuto. Lo sguardo che l’elfo gli aveva rivolto precedentemente era stato perfettamente controllato, ma vi doveva pur essere qualcosa che non riuscisse a gestire completamente, vi doveva pur essere una falla in quell’eccezionale dispositivo di occultamento delle emozioni.
«Sono tranquillo, davvero, io sto benissimo, non dovete preoccuparvi per me, in fondo anche la tenebra è a suo modo affascinante e non hai notato prima quelle, ehm, adorabili stalattiti affilate sul soffitto?»
Ed ecco la falla…
A giudicare dalla velocità spaventata e nevrotica con cui aveva snocciolato tale risposta, l’elfo era ben lungi dal ritenere “affascinante” o “adorabile” alcunché in quell’ambiente.
«No, quelle devo essermele perse…» ammise l’uomo, fingendo di stare al suo gioco: improvvisamente non gli sembrava più una strategia così geniale smontare il suo forsennato tentativo di autoconvincersi di quanto anelasse a passare lì il resto dei suoi giorni. Se non altro perché ciò avrebbe potuto mandarlo definitivamente fuori di testa. 
«Ah… e non avrei mai pensato che quest’atmosfera tenebrosa potesse aggradare così tanto i miei sensi e l’odore di putrefazione potesse essere così… conturbante» davvero, faceva sempre più paura. Urgeva trovare un piano B al più presto. «Credevo che tu mi stessi evitando…» proseguì poi repentinamente, dopo aver aggiunto qualche macabra osservazione in piú nel suo personale agghiacciante panegirico sulle miniere.
L’uomo tentennò: aveva abbassato le difese nel vederlo così in difficoltà e non era pronto ad affrontare l’argomento. Mentre cercava le parole con cui rispondere a quell’accusa velata ebbe per un attimo il folle timore che gli elfi potessero vedere al buio come i gatti e sperò ardentemente che così non fosse, perché in tal caso l’altro guardandolo avrebbe visto il volto stesso della colpevolezza. E lui non aveva nessuna intenzione di ammettere le sue colpe, soprattutto con un Legolas per nulla padrone delle sue facoltà mentali, e pertanto potenzialmente letale, come quello che gli si trovava davanti in quel momento.
«Non ti chiedi perché lo stessi facendo?» NO! Da quale remoto, atrofico lobo cerebrale era stata partorita quella frase?! Aveva forse intenzione di farsi scoprire?
E quale sarebbe stato il passo successivo? Gli avrebbe forse detto “Legolas, la verità è che mi piaci”? No dannazione, quelle parole sarebbero suonate così ridicole pronunciate dalla sua bocca, che nemmeno accompagnarle con una delle sue virili pacche sulla spalla avrebbe potuto in qualche modo risollevare la dignità dell’intera situazione. Senza contare che sicuramente gli sarebbe toccato spiegare all’elfo anche in che modo gli piacesse, giacché il semplice apprezzamento della sua persona era di norma compreso nell’ambito dell’amicizia. Insomma avrebbe dovuto fargli comprendere quello che avrebbe tanto voluto fare con il suo… pensandoci bene non era certo esistesse un modo per esprimere il concetto che non scadesse nel turpiloquio e l’ultimo dei suoi desideri era offendere il sopraffino senso del pudore del principe.
«Forse sì» rispose quello e da come quelle parole erano giunte alle sue orecchie capì che doveva aver sorriso nel pronunciarle. Per qualche motivo, nell’apprenderlo maledisse internamente Gandalf per averli privati della luce. E poi maledisse nuovamente se stesso per aver posto quella domanda di cui si rendeva in quel momento conto di non voler affatto sentire la risposta. Insomma, “forse sì”? “Forse sì” cosa? Che cosa aveva capito?!
«Immagino sia perché tu non abbia intenzione di dirmi cosa nascondi» aggiunse quello, con una punta di rassegnazione nella voce, insperatamente tornata ad una velocità più consueta.
Ecco sì è esattamente così, non ti sognare nemmeno di contraddirlo.
«Ma non fa nulla» riprese inaspettatamente l’elfo, con un tono quasi stridulo che tradiva il suo nervosismo e mai gli era appartenuto, ma che riuscì quasi subito a modulare verso frequenze più usuali. «Io mi fido di te, so che se questa volta non vuoi mettermi a conoscenza dei tuoi problemi hai probabilmente una valida motivazione per farlo…»
Aragorn si sentì il cuore pesante nel sentirlo parlare così. Era davvero una buona motivazione la sua? C’erano in gioco la loro amicizia e la sua reputazione, ma davvero questo lo giustificava dal non essere sincero verso di lui? Davvero giustificava il fatto che gli stesse nascondendo quali mire meschine avesse iniziato a fare sul suo conto, quando la sua amicizia sarebbe dovuta essere pura e disinteressata? Gli sembrava di star compiendo un crimine orribile…
«… Solo che non volevo accettarlo. Perdonami Aragorn» concluse infine, con una dolcezza così profonda, nonostante l’instabilità emotiva di cui aveva dato ampio sfoggio poc’anzi, che avrebbe fatto crollare difese ben più salde di quelle che il Dùnedain si era ripromesso di erigere nei suoi confronti.
«Perdonami tu, mellon nîn, perdonami tu» si affrettò a rispondere, toccato, desiderando sopra ogni cosa di poter far sparire quella bassa lascivia nei confronti dell’altro che così tanto gravava sulla sua coscienza in quel momento.
Un secondo dopo Legolas violò barbaramente la “distanza di sicurezza”, cingendolo in un abbraccio che lo pietrificò come si trovava.
Nel buio non aveva potuto prevedere quella mossa, né le sue orecchie sarebbero mai state tanto fini da poter anticipare i movimenti di un elfo e così si era ritrovato come un fesso, con una morbida matassa di capelli -certamente non confondibili con i propri- schiacciata contro uno zigomo, delle braccia allacciate al torace ed il peso di un corpo morto sulla gamba.
Il suo primo pensiero fu che se li avessero visti sarebbe stata la fine sua e dei suoi maldestri tentativi di insabbiare l’attrazione che provava per lui.
Il secondo fu che tuttavia era buio e logica voleva che non sarebbero stati in grado di farlo.
Il terzo fu che Gandalf avrebbe nondimeno potuto illuminare nuovamente l’antro da un momento all’altro.
E il quarto fu che Legolas stava tremando e che pertanto dei precedenti tre non gli importava nulla.
Non esitò un attimo di più prima di stringerlo a sua volta, premendo la sua testa contro l’incavo tra il collo e la spalla, come incoraggiandolo inconsciamente a nascondervisi e circondando le sue spalle con l’avambraccio, con un trasporto tale da far dubitare chi fosse dei due ad aver bisogno di quel sostegno.
Sciocco di un elfo caparbio ed orgoglioso, alla fine ti sei deciso a chiedere aiuto…
Il respiro dell’amico, a pochi millimetri dal suo orecchio, era innaturalmente accelerato e le sue mani artigliavano convulsamente la tunica dell’uomo quasi si stessero disperatamente aggrappando ad un’ancora di salvezza, in un impeto che non sapeva se fosse nato dalla loro recente riconciliazione o dal profondo terrore da lui celato.
In ogni caso, quel contatto gli aveva dato modo di toccare con mano quanto il Luminoso si fosse spinto oltre i propri limiti nel voler rimanere fedele alla compagnia pure a costo di entrare nelle miniere, che gli elfi temevano almeno quanto i nani le foreste. E sentirlo così scosso e spaventato per la prima volta da quando lo conosceva, aveva risvegliato in lui un qualche istinto protettivo talmente potente da chetare qualunque altro pensiero, sconcezze e manie di persecuzione comprese.
Riflettendoci, era la prima volta dopo lunghi anni di amicizia che si abbracciavano. Mai avevano sentito il bisogno di dimostrarsi il loro affetto con gesti così espansivi, loro sapevano che avrebbero potuto contare sempre l’uno sull’altro e questo era sempre valso più di qualunque smanceria. Non si erano sicuramente mai lasciati andare a certi comportamenti equivoci, come il tenero bacio che Aragorn posò impulsivamente su quella chioma dorata per poi sperare ardentemente che l’altro non l’avesse avvertito. Strano come quei gesti venissero un po’ più facili al buio, strano come quell’elfo fosse stato in grado di tirar fuori da lui quella dolcezza che nemmeno credeva di possedere. Effettivamente però, era da un po’ di tempo che erano iniziate ad accadere cose strane all’erede di Isildur.
«Hannon le» mormoró sommessamente Legolas, allentando appena la presa e scendendo ad appoggiare la guancia contro il suo petto, ma senza smettere di stringere con le mani la sua tunica logora.
«Shhh» fu la risposta del Dùnedain, che ben volentieri alzò il braccio per permettergli di accoccolarsi tra questo ed il torace, prendendo poi ad accarezzargli rassicurante la spalla «Non c’è niente da ringraziare». Improvvisamente si scoprì per nulla desideroso di esser sciolto da quella stretta.
 
Aragorn non seppe esattamente per quanto tempo stettero in quella posizione, ma percepì a poco a poco i muscoli dell’altro distendersi, le sue mani prima serrate sulla stoffa aprirsi e posarsi ferme sopra di lui ed il suo respiro farsi più placido, in sincronia con il proprio. In qualche modo era riuscito a far cessare quel terribile attacco di panico, ció nonostante, per qualche motivo, non smise di accarezzarlo, stringendoselo al petto. Non sentì la stanchezza nelle braccia o la noia di quel gesto così ripetitivo, che una volta sdoganato non era nemmeno più motivo di imbarazzo per lui.
Quando la luce di Gandalf tornò nuovamente a rischiarare le pareti rocciose e la sua voce lontana li informò che aveva deciso la strada da prendere, Aragorn aveva raggiunto uno stadio di pace interiore tale che seppe perfino resistere all’impulso di saltar su come un salmone per evitare di farsi scoprire in simili atteggiamenti. A dirla tutta, anche se avesse voluto, quella stasi dei sensi in cui si trovava gli avrebbe impedito di compiere qualunque gesto richiedesse una velocità maggiore di quella di un bradipo.
“Ma sì” si disse ancora completamente instupidito, “in fondo Frodo e Sam si abbracciano sempre perché sono amici e nessuno ha mai pensato di fare dell’ironia sulla cosa… A parte Boromir, ma si sa che Boromir è un decerebrato …”.
«Aragorn! Legolas! Prima vi mettete in marcia, prima potrete giacere nuovamente su un morbido prato, al posto di questa fredda roccia!» Fu l’esortazione che lo stregone fece loro comparendogli improvvisamente davanti ed accecandoli con quella bianca luce puntata nei loro bulbi oculari. Dopodiché, senza minimamente sospettare quanto pessima fosse stata la sua scelta di parole, si raddolcì facendogli un occhiolino che fece rivoltare l’intero tubo digerente di Aragorn e si mise in cammino.
Legolas, ripresosi del tutto, si alzò in piedi scattante ed attivo come era solito essere e, dopo aver regalato all’uomo un delizioso sorriso riconoscente, si allontanò portandosi in testa al gruppo e festeggiando il ritorno alle proprie facoltà con chissà quale colpo basso, che fece riecheggiare nella grotta le bestemmie di Gimli, e successivamente quelle di Gandalf che ingiungeva loro di fare silenzio.
Aragorn però era rimasto troppo scioccato dalla frase dello stregone e soprattutto da quell’occhiolino per potersi riprendere così in fretta. Era stato come esser svegliati da un bel sogno in modo particolarmente spietato e turbolento. All’improvviso tutte le preoccupazioni che la sua mente aveva temporaneamente deciso di obliare erano tornate, più assillanti ed incombenti che mai.
Mentre raccoglieva a sé il senno rimasto al fine di convincersi che di sicuro Gandalf aveva utilizzato la parola “giacere” con un’accezione ben più innocente di quella che era venuta in mente a lui e che in quell’occhiolino non vi fosse alcuna della malizia che vi aveva intravisto, arrivò improvvisa e folgorante l’illuminazione. 
Pipino, Boromir, la radura… “Giacere nuovamente su un morbido prato”. GANDALF… ANCHE TU??
In un attimo sentì mancarsi la terra sotto i piedi: non poteva credere che anche il vecchio stregone avesse alluso a quell’episodio! Ma allora Pipino l’era andato a spifferare proprio a tutti! Stando così le cose era ovvio che, trovandoli avvinghiati a quel modo, al Grigio fosse venuto naturale fare un’associazione -che probabilmente aveva ritenuto anche simpatica- con quella volta in cui li avevano “beccati” nella radura.
Quale terribile leggerezza aveva appena commesso? E non era nemmeno riuscito a studiare la reazione degli altri compagni, abbagliato dal bastone dello stregone!
Una cosa però era certa, decise mettendosi finalmente in cammino verso gli altri, avrebbe chiesto spiegazioni a Gandalf, una volta usciti da quella miniera infernale. Soprattutto su quell’occhiolino, per Lùthien.

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Capitolo 3
*** La provocazione di Boromir ***


Quando Aragorn raggiunse finalmente il resto della compagnia, dovette suo malgrado ammettere che la rapidità delle sue gambe che gli era valsa in passato l’appellativo di Grampasso, nulla aveva potuto contro quella della lingua di Pipino.
Difatti aveva il forte sospetto che fosse stato proprio il recente racconto del compagno a causare le ilari risate degli altri tre hobbit, risate che inspiegabilmente si erano spente proprio al suo sopraggiungere.
Ergendosi finalmente davanti a loro in tutta la sua ragguardevole altezza, dapprima trucidò Pipino con lo sguardo, poi passò in rassegna gli occhi colpevoli e sconvolti degli altri tre e solo quando arrivò a Frodo, che sembrava sull’orlo delle lacrime, comprese che forse li stava spaventando davvero.
Tornando rapidamente in sé, si convinse che sarebbe stato meglio non ingigantire la questione e che in ogni caso sarebbe stato terribilmente imbarazzante trovarsi a dover spiegare per quale motivo Legolas si trovasse spalmato sopra di lui come la marmellata sul pan di via.  Davvero, più imbarazzante di quando aveva dovuto giustificarsi con un offesissimo Elrond su cosa fossero quelle “riprovevoli rime da vaccaro” quando quello si era ritrovato fra le mani una sua poesia dedicata alla figlia.
Quindi, ostentando la miglior nonchalance che uno appena arrivato correndo come un forsennato e con uno sguardo da pazzo omicida potesse offrire, rantolò «Abbiamo trovato una caverna… per di là» per poi fare un meccanico mezzo giro su se stesso ed allontanarsi tentando di assumere un’andatura che non generasse sospetti circa l’ubicazione della sua spada.
«M-ma che diamine aveva Grampasso?» balbettò dopo qualche secondo Sam, il primo ad essersi ripreso, mentre con una manica asciugava il sudore sulla fronte del suo padron Frodo.
«Non lo so… ma per un attimo ho temuto come la prima volta che l’ho incontrato…» bisbigliò quest’ultimo, col cuore che ancora batteva più rapidamente del dovuto contro la cassa toracica.
«Io l’avevo detto dall’inizio che non ci si poteva fidare di lui» commentò Merry, guardandosi intorno con circospezione nel timore che quelle parole potessero arrivare alle orecchie del Ramingo.
L’unico che, stranamente, si astenne dal dire la sua fu proprio Pipino, che al contrario abbassò gli occhi in un atteggiamento composto che, se gli altri non fossero stati ancora tutti sconvolti, l’avrebbe immediatamente smascherato.
«Ad ogni modo Merry, dicci come andò a finire quella volta con Lobelia Sackville-Baggins!» lo esortò Sam, aiutando un tremante Frodo a sollevarsi e sperando di riuscire a distrarlo dallo spavento con l’epilogo del divertente aneddoto con cui il loro amico li stava intrattenendo.
«Uhm, non ricordo più di quale episodio stessi parlando…» ammise quello, incamminandosi nella direzione indicata loro dal ramingo «Grampasso mi ha fatto prendere una paura tale che per un momento ho dimenticato anche il mio nome!» aggiunse poi grattandosi la folta chioma ricciuta con una risatina nervosa.
 Aragorn si sedette su di un masso, proprio al di fuori dell’antro dove gli altri si stavano organizzando per la notte, cercando di far tornare il respiro a livelli che non somigliassero a quelli di Gimli al primo accenno di corsa e tirando fuori la pipa per cercare di tranquillizzarsi un po’. Al quarto tentativo di infilarvi il tabacco, in cui questo si andò piuttosto ad infilare nei recessi più nascosti della sua tunica, dovette arrendersi all’evidenza che era decisamente troppo teso per compiere un gesto che richiedesse una tale precisione.
Doveva calmarsi, in fondo non era successo nulla. Okay probabilmente vederli emergere dalle fratte uno sopra all’alto non doveva aver lasciato molti dubbi nella mente di Pipino e okay, quasi sicuramente era andato a raccontare il fatto, condito di particolari osceni più o meno inventati, agli altri tre, ma anche se così fosse stato dov’era il problema? Lui e Legolas avrebbero smentito prontamente. Se però quelli non gli avessero creduto?
Sarebbe stato maledettamente umiliante, ecco cosa! Si vergognava con se stesso di esser preda di passioni così innaturali, figuriamoci quanto poteva provarne pudore con gli altri! Nella sua lunga vita di Dùnedain aveva messo le mani solo su profumate carni di fanciulle e ne andava fiero! Se anche solo si fosse concesso -e non l’avrebbe fatto- di accarezzare anche per una sola notte le toniche membra dell’elfo, l’avrebbe custodito gelosamente come il più nascosto dei segreti. E a nessuno sarebbe stato permesso di mettere in dubbio la virilità di Aragorn, figlio di Arathorn, erede di Isildur!
Invece in quel modo, il loro presunto amplesso sarebbe stato sulla bocca di tutti, con lo scherno aggiuntivo di non esser nemmeno esser stato consumato e la sua autorevole nomea  di legittimo aspirante al trono di Gondor sarebbe felicemente andata a meretrici.
Il passaggio della frusciante veste di Gandalf che, per qualche motivo, minacciava Peregrino Tuc di una tecnica di tortura che non comprese bene ma che in quel momento avrebbe sicuramente approvato, lo fece scendere dalle epiche vette di delirio raggiunte, riportandolo alla realtà.
Si portò le mani tra i capelli, sospirando abbattuto dal peso di tutte quelle considerazioni. L’unica verità era che se non si fosse invaghito -perché solo di quello di trattava- davvero dell’elfo non avrebbe mai reagito a quel modo. Anzi probabilmente ci avrebbe riso su e mai sarebbe andato a pensare che da un semplice gioco potesse nascere tutto quell’equivoco. Non avrebbe spaventato gli hobbit, né avrebbe maltrattato Legolas com’era accaduto, se la sua coscienza fosse stata davvero cristallina.
Legolas
Il modo sdegnato in cui l’elfo gli camminò davanti, passandogli al largo quasi fosse un escremento di goblin particolarmente fetido che era ben deciso ad evitare di calpestare, gli suggerì che forse si era leggermente offeso per come era finita la loro precedente discussione.
Ancor prima di concretizzare il pensiero nella sua mente, arrivò una sensazione angosciosa, che partiva da una regione imprecisata tra lo stomaco ed i polmoni, ad avvertirlo che la cosa lo faceva star male.
Non avevano mai litigato prima di quel momento, ma sapeva  che Legolas era di buon carattere e solitamente incline al perdono, quindi forse non avrebbe dovuto far altro che attendere ed aveva un’aspettativa abbastanza ottimistica di quelli che sarebbero stati i tempi di sbollitura dell’elfo.

*** 

Giorni dopo quando, apprestandosi a salire sul picco di Caradhras, non era ancora riuscito ad ottenere parole di perdono dall’amico, dovette ammettere che forse la sua aspettativa era stata fin troppo ottimistica.
Mentre avanzavano sullo strato friabile delle prime nevi, si rese conto che, come troppo spesso succedeva ultimamente, si trovava proprio dietro l’oggetto delle sue preoccupazioni. La discussione ancora irrisolta però, l’aveva addolorato a tal punto da non fargli venire nemmeno per una volta la tentazione di accarezzare con gli occhi zone al di sotto del suo punto vita e così proseguiva, con lo sguardo basso ed un’aria ancor più cupa e squilibrata del solito.
Tanto era perso a commiserare la sua triste condizione, che non considerò la singolarità di come un semplice battibecco con quello che ancora perseverava a considerare solo un amico, seppur sessualmente appetibile, fosse stato in grado di gettarlo in un simile sconforto e di sconfiggere qualunque sua velleità copulativa. D’altronde però, il suo grado di alienazione era tale da non farlo avvedere nemmeno di particolari ben più prosaici, come quell’ascia di nanica fattura, presumibilmente indirizzata all’elfo, che mancò di poco il suo padiglione auricolare.
Non seppe esattamente per quante ore si protrasse quell’allegra escursione prima che lui venisse a riscuoterlo dal suo torpore, ma a giudicare dal fatto che perfino il cicaleccio di Pipino si era arrestato, il tempo trascorso a quelle temperature così rigide doveva aver superato di molto l’umana sopportazione.
«Posso sapere cosa ti tormenta?» sussurrò una volta affiancatolo, facendogli sollevare la testa e sbattere le palpebre confuso, come chi per troppo tempo recluso al buio si fosse trovato improvvisamente un Legolas accecante davanti agli occhi. Valar, solo in quel momento, quando finalmente giunse alle sue orecchie più melodiosa di una sonata in re maggiore, si rese conto di quanto quella voce gli fosse mancata.
«Legolas…» piccola pausa necessaria a far smettere di rimbombare l’eco delle tanto attese parole dell’altro nel vuoto cosmico che era improvvisamente diventata la sua scatola cranica «Non eri adirato con me?» indagò, tenendo il tono basso per evitare di farsi sentire dai loro compagni di viaggio.
«Io sono adirato con te,» ci tenne a puntualizzare quello, «ma non abbastanza da non preoccuparmi quando vedo il sorriso del mio mellon sbiadire» aggiunse poi corrugando le sopracciglia con dolcezza ed abbandonando qualunque rimanenza di ostilità.
Oh, cos’era quello che sentiva? Suono di campane? Cori di angeli? E perché la neve e l’aria circostanti avevano assunto quell’improbabile colorazione rosata ed un Gimli provvisto di soffici ali piumate arpeggiava attorno a loro come il più grottesco dei puttini?
Scuotendo il capo per riportare la sua immaginazione entro i limiti del buon gusto e tentando di mantenere un minimo di contegno, anche se probabilmente anche Saruman dalla lontana Isengard aveva notato il suo compiacimento, rispose a mezza bocca:
«Non preoccuparti, amico mio, ero solo impensierito dal nostro litigio e… insomma non puoi essere ancora arrabbiato per una capocciata, in fondo abbiamo avuto incidenti ben peggiori in passato e tu mi hai quasi fatto la pelle quella volta in cui ti sono saltato alle spalle per salutarti ed…»
«Io non sono arrabbiato per la capocciata!» lo interruppe quello con un sibilo stizzito. Poi, dopo aver atteso che Boromir, voltatosi a guardarli, tornasse a farsi i corni di Gondor suoi, proseguì, nuovamente raddolcito. «È solo che c’è qualcosa che mi nascondi e prima non era mai successo. Il tuo atteggiamento è assai strano ultimamente e non ne comprendo il motivo. Prima temevi che potessi leggerti nel pensiero come se stessi nascondendo il più terribile degli omicidi, poi sei scappato via da me come inseguito da un troll… sono arrabbiato perché mi sembra che tu abbia perso la fiducia in quello che era il tuo più caro amico, ecco cosa» concluse, guardandolo con degli occhi così contriti che per un momento ad Aragorn venne quasi la tentazione di spiattellare tutto, pur di non vederlo più tanto afflitto.
«Anche se ti informo che Gimli si è beffato di me in molteplici modi per questo» aggiunse poi per sdrammatizzare, indicando un bernoccolo che faceva bella mostra di sé sul profilo altrimenti perfetto della sua fronte. «E forse dovrei avercela un po’ con te anche per aver messo in ridicolo la mia dignità di elfo» ritrattò, sollevando un sopracciglio e sorridendo sardonico.
«Mellon nin…» rispose con un debole sorriso a quel tentativo di dare un tono più leggero alla loro conversazione. «Ti sbagli, io non potrei mai perdere la fiducia in te. Sei tu che…» “… la perderesti in me se sapessi ciò che mi passa per la testa”, avrebbe voluto dire, ma il rimbrotto di Gandalf arrivò giusto in tempo per frenare la sua avventatezza.
«Voi compari! Smettetela di ciarlare come due vecchie nane e prendete in braccio gli hobbit! La neve inizia ad essere troppo alta per loro!» A quelle parole, e alle seguenti esclamazioni offese che giunsero da parte di Gimli, Aragorn era dovuto scendere dall’idillio che stava vivendo, per accorgersi che in effetti la strada era diventata molto più impervia dall’ultima volta che vi aveva prestato attenzione, qualche miglio prima.
Dopo che i due si furono scambiati una breve occhiata in cui si erano tacitamente accordati a rimandare le questioni personali per assumersi i loro doveri di compagni del Portatore, Legolas scattò in avanti come un corridore sul suo terreno ideale, mentre Aragorn arrancò goffamente tra la neve nel tentativo di raggiungere Frodo.
«Certo che l’elfo ha proprio un gran culo.»
Oh se ce l’ha…
Aspetta un attimo ma chi…?!
Il Dùnedain sollevò lo sguardo a metà tra l’incredulo ed il profondamente oltraggiato e si rese conto che a pronunciare quella frase era stato Boromir in persona, il cui sguardo era giustappunto puntato su Legolas, che li aveva staccati di un bel pezzo.
L’erede di Isildur deglutì nervosamente: certo Boromir non li aveva mia stupiti per raffinatezza, ma quel commento così scurrile nei confronti del loro compagno maschio proprio non se lo sarebbe aspettato! Insomma era quello lo stesso uomo che aveva intervallato le assillanti richieste di passare per Minas Tirith solo con le recriminazioni sulla carenza di quote rosa in quella compagnia? 
La cosa gli parve così sospetta che subito la sua mente giunse alla conclusione che quella frase non era stata buttata lì per caso. Oh no, era da quando si erano incontrati la prima volta che Boromir non faceva altro che lanciargli frecciatine e lo provocava col chiaro intento di finire alle mani con lui per qualche suo bisogno represso sul quale non si era sentito troppo di indagare. E “Gondor non ha bisogno di un re”, e “Aragorn ha le piattole” e “Ramingo ripulito, rimane un gran fallito”, troppe cose aveva dovuto sentire!
Alla luce delle recenti riflessioni, nuovo scopo acquisiva il commento dell’uomo ai suoi occhi: voleva sicuramente provocarlo. I perfidi hobbit dovevano averlo tradito e dovevano aver spifferato anche a Boromir del loro presunto accoppiamento campestre e quello, forte di quella consapevolezza, si stava divertendo a mettere ancora una volta alla prova la sua pazienza. Ma non gli avrebbe dato soddisfazione, decise, stringendo i pugni e rimuginando ad una risposta che lo zittisse una volta per tutte, senza tuttavia rendere manifesta la sua irritazione per il fatto che qualcun altro avesse osato fare apprezzamenti sull’oggetto dei suoi desideri sessuali.
Nel perdersi però in queste e più folli constatazioni, il Dùnedain non si era minimamente accorto del fatto che Boromir l’aveva ormai distanziato di un bel pezzo e di certo non poté udire, come invece fecero Merry e Pipino tra le sue braccia, la frase che completava il suo precedente discorso:
«Insomma, lui ha la fortuna di poter correre leggiadro su questa maledetta neve e noi qui ad arrancare come idioti!» sbottò il gondoriano con stizza, chiarendo ai due hobbit tremanti appesi ai suoi possenti avambracci il vero significato delle sue precedenti parole.
Significato che Aragorn aveva leggermente travisato.
«Erede di Isildur che ti prende? Muoviti invece di restartene lì come uno stoccafisso» lo richiamò all’ordine quando, voltatosi per controllare che la compagnia rimanesse unita, lo trovò fin troppi passi indietro. Ovviamente non si risparmiò di infierire indirizzandogli, en passant, un ghigno derisorio dei suoi, che per Aragorn fu chiaro indice di colpevolezza.
Lo stoccafisso di cui sopra, infatti, non si era mosso di mezzo millimetro da quando aveva udito lo sconveniente apprezzamento di Boromir, in parte preda dell’ira repressa, in parte esterrefatto ed altresì mortificato quasi fosse stato umiliato nel peggiore dei modi. Nel complesso, l’espressione che per qualche minuto rimase sul suo volto non rendeva davvero onore alla sua intelligenza. In effetti, nemmeno le considerazioni su cui si era intestardito gliene rendevano troppo. Nonostante infatti la sua parte razionale si stesse crudelmente beffando di lui e dell’improponibile grado di paranoia raggiunto, l’altra giurava e spergiurava che Boromir avesse detto quella frase proprio perché a conoscenza dei fatti di cui Pipino era stato testimone.
Il momento in cui si riscosse, fu quando Frodo, che l’aveva pazientemente atteso per esser preso in braccio, gli tirò timidamente una manica della tunica, per fargli notare, non senza un certo timore nella voce, che il resto della compagnia era ormai sparita alla loro vista.

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Capitolo 4
*** Il parere di Celeborn ***


Erano passati ormai diversi giorni da quando la compagnia aveva gentilmente (leggi: sfacciatamente) approfittato dell’ospitalità di Sire Celeborn e Dama Galadriel per riposare nella serenità rassicurante del bosco di Lothlòrien.
La perdita di Gandalf li aveva turbati in ugual misura, anche se non tutti l’avevano dato a vedere allo stesso modo. In ogni caso, non vi era stata sera in cui la compagnia non si fosse radunata sotto al chiarore lunare per onorarne la memoria parlando di lui, o semplicemente per trascorrere insieme un momento di pace che non sapevano quando sarebbero nuovamente riusciti a trovare.
In quel bosco che sembrava uscito da una fiaba, le loro anime erano state in parte risanate ed avevano avuto modo di rinsaldare la loro amicizia. Ora i punzecchiamenti di Boromir non facevano che da contorno ad un ben più profondo legame che aveva stabilito con Aragorn e questo aveva quasi abbandonato ogni sospetto circa le sue mire sull’anello. Ora era proprio il Dùnedain a stare accanto al gondoriano quando questo passava dalle lacrime versate per certe brutte cose che la Bianca Dama si divertiva a mettergli in testa, alle rabbiose promesse di un futuro migliore per il suo popolo, con un bipolarismo disarmante.
Per non parlare di Legolas e Gimli poi! Per qualche strana ragione la quiete di Lothlòrien aveva neutralizzato anche l’acidità elfica, di probabile derivazione genetica, con cui il primo freddava ogni battuta del nano e questo, dal canto suo, dopo qualche moina di dama Galadriel era improvvisamente diventato un fan accanito dell’intera razza che aveva sempre detestato. 
Ora non era raro vedere i due compagni conversare civilmente ed erano discussioni dove più che altro Legolas si limitava ad annuire ed a dispensare qualche breve sorriso -che però bastava a rendere il nano più che soddisfatto- e Gimli raccontava amenità come quella volta in cui ubriaco aveva mangiato un intero pasto con le dita dei piedi. Argomenti, per intenderci, a cui solo qualche giorno prima l’elfo avrebbe reagito con un verso scandalizzato ed un’altezzosa arricciata del suo principesco nasino.
Anche Frodo aveva abbandonato ormai ogni sorta di timore nei confronti di Aragorn, da quella volta in cui quello l’aveva guardato come se desiderasse ucciderlo in modi particolarmente cruenti e spesso il giovane Hobbit si concedeva anche di confidarsi con lui circa le questioni che più lo preoccupavano.
Per quanto riguardava Aragorn e Legolas, l’elfo, pur non avendo più insistito per sapere cosa gli passasse per la mente, a cagione degli strani comportamenti tenuti dall’uomo negli ultimi tempi, aveva ritenuto opportuno braccarlo anche più del solito per “evitare che commettesse qualche imprudenza”. Non sapeva, l’ingenuo, che qualche imprudenza rischiava di commetterla proprio stando accanto a lui.
I sentimenti del Ramingo sembravano esser misteriosamente mutati di nuovo da quell’episodio nelle miniere e l’uomo aveva la netta impressione che quella faccenda stesse lentamente sfuggendo dalle sue callose mani. Quella lussuria che non gli aveva dato un attimo di tregua nei giorni passati si era infatti evoluta nelle mille sfaccettature di una sorta di sindrome, a suo dire assai più invalidante.
Il sintomo più allarmante di questa era che, a differenza dei giorni precedenti ora, nel vedere l’elfo, i suoi occhi preferivano indugiare sul bagliore che la sua chioma irradiava quando colpita dal sole, quasi come una sorta di aureola, piuttosto che esaminare il suo -tutto fuorché trascurabile- lato B. Ovviamente non lo disdegnava, beninteso, ma ogni volta che guardava Legolas scopriva in lui qualche dettaglio di cui misteriosamente non si era mai avveduto, di una bellezza tale dal fargli mettere in secondo piano perfino l'attrazione carnale che provava. E questo era grave.
A quello si aggiungevano avvisaglie che non facevano ben sperare circa la sua prognosi, quali i curiosi fenomeni di allucinazioni uditive, visive e di qualunque altra sorta che sperimentava quando quello entrava nel suo campo visivo. Perché no, si rifiutava di credere che quando quella mattina Legolas gli aveva dato il buongiorno ci fossero davvero dei petali rosa a forma di cuore trasportati dal vento alle sue spalle.
Oltre a tutti gli aspetti sopracitati, in presenza dell’elfo poteva riferire: sensazione di farfalle irradiata dallo stomaco fino al più periferico dei distretti corporei, tachicardia parossistica, istinti omicidi che si scatenavano ogni qual volta questo pronunciasse il nome “Haldir”, balbuzie adolescenziale ad ogni tentativo di conversazione.
Insomma, tutto lasciava presagire una morte imminente. Perché sarebbe morto, morto dall’umiliazione, quando l’avrebbe rivelato a lui. Vista infatti la piega che avevano preso le cose si era finalmente risolto a parlare di quelle incomprensibili sensazioni col diretto interessato. Certo avrebbe optato per una confessione sobria e contenuta nel vago tentativo di uscirne nella maniera più decorosa possibile, ma l’avrebbe fatto. Se non altro perché tra le frecciatine dei compagni, le allucinazioni e Legolas che gli stava col fiato sul collo, sarebbe stato impossibile tenersi dentro ancora a lungo una faccenda di tali proporzioni.
L’avrebbe fatto.
Quando avrebbe trovato il coraggio.
«Aragorn!» la voce del suo personale, nonché indicibilmente seducente, sorvegliante richiamò la sua attenzione da un punto imprecisato dietro di lui.
L’uomo si girò per incontrare lo sguardo della celestiale creatura, ma l’unica cosa che riuscì ad incontrare fu piuttosto un capo d’abbigliamento incivilmente lanciato contro il suo viso.
Fece per protestare ma, quando togliendosi il panno dagli occhi si rese conto che quella che stringeva tra le mani era una tunica, la stessa che in quel momento mancava sul petto nudo di Legolas, la sola cosa che riuscì a fare fu appuntarsi mentalmente di aggiungere l’eiaculazione precoce alla già lunga lista dei suoi sintomi.
La luce del sole riluceva sulla pelle candida della schiena che quello gli volgeva arricchendola di riflessi dorati, i muscoli appena accennati creavano sinuose ombreggiature, che ipnotizzavano il suo sguardo e lo invitavano a scendere lungo la linea della colonna vertebrale, fino all’attaccatura dei glutei, arrivato alla quale il suo cuore si contorse in modo così doloroso da fargli temere fosse alfin giunto al termine delle sue pene.
Respira, respira, respira.
«Quella dev’essere lavata, Dama Galadriel è stata così gentile da prestarmene altre» lo informò l’elfo voltandosi verso di lui, come se l’evidente sconcerto di Aragorn fosse dovuto all’incertezza circa il destino dell’indumento e non al fatto che quello avesse deciso di improvvisare davanti a lui un provocante spogliarello nel pieno gelo invernale.
E certo cosa diamine sarei io, la sua governante? Bah… principi.
«Non. Farlo. Mai. Più.» scandì quando finalmente riuscì a recuperare un’affannata, ma quantomeno efficace, funzione respiratoria, distogliendo forzatamente lo sguardo da lui e sentendosi pervadere da un calore infuocato che per un attimo non gli fece più apparire tanto astrusa l’idea di denudarsi a quelle rigide temperature.
«Fare cosa?» fu la distratta domanda di quello che, a giudicare da come gli era giunta lontana la sua voce si doveva esser voltato di nuovo, riservandogli un decimo dell’interesse di cui beneficiava gli alberi circostanti.
«Spogliarti davanti a m… volevo dire lanciarmi addosso i tuoi abiti sporchi!» si corresse all’ultimo, avvampando ulteriormente e stringendo convulsamente quella preziosa stoffa tra le mani, per cercare di supplire al bisogno che provava in quel momento di stringere l’elfo a sé con la stessa veemenza.
«Senti che magnifica aria fresca e rinvigorente ci avvolge!» esclamò quello senza degnarsi di rispondere alle sue, più che giustificate, proteste. Era da quando erano giunti a Lothlòrien che non faceva altro che folleggiare su quanto incantevole fosse quel luogo, quanto salubre la sua aria, quanto maestosi quegli alberi e via dicendo, esaltato come un bambino all’interno di un parco divertimenti particolarmente ben attrezzato o come sotto effetto di una massiccia dose di stupefacenti, a seconda.
«Si può sapere perché hai deciso di rimanertene a torso nudo, di grazia?» chiese senza lasciarsi scoraggiare dal totale disinteresse dell'altro e tentando contemporaneamente di assumere un atteggiamento più dignitoso, ricevendo in cambio solo uno sbadato:
«Devo andarmi a fare un bagno.»
«E c’era proprio bisogno di iniziarsi a spogliare mezzo miglio prima di arrivare al lago?!» abbaiò spazientito a quelle parole, talmente tanto sconcertato da non riuscire a trattenersi dall’indirizzargli uno sguardo omicida, salvo poi coprirsi gli occhi con la tunica a seguito dello spiacevole attorcigliamento di visceri che la sua visione gli aveva provocato.
In ogni caso, l’elfo era troppo occupato a starsene impettito con le gambe divaricate e le mani posate sui fianchi ad inspirare a pieni polmoni quella che aveva definito “aria fresca e rinvigorente” -ma che per Aragorn era solo e semplicemente un freddo boia- per concedergli una risposta.
«E p-poi un altro bagno? Ho perso il conto delle volte in cui ti sei andato ad immergere in quel lago da quando siamo giunti qui, come quelle in cui ti sei cambiato d’abito, non capisco perché Dama Galadriel soddisfi in questo modo scriteriato ogni tuo capriccio» instette, cercando a tutti i costi di fare conversazione, per distogliere l'attenzione -propria e del suo interlocutore- dal suo cuore che gli martellava in petto e dalla sua erezione che premeva fra le gambe.
«Entrare a contatto con l’elemento acqua e pulire il corpo da ogni lordura è un’esperienza magnifica, dovresti provare anche tu qualche volta, sai?» lo provocò irrispettosamente quello, con una risata insolente.
«Smettila, questa storia ha esaurito il suo tempo» lo rimbeccò astiosamente il ramingo. Non era affatto vero che non si lavasse, eppure grazie a Boromir quello era diventato il tormentone di tutta la compagnia. Insomma solo perché era vestito di stracci, non si faceva la barba da giorni ed aveva rametti ed altri componenti di litosfera non meglio definiti intrecciati ai capelli non voleva dire che trascurasse la sua igiene! «E in ogni caso non ho ancora compreso il motivo per cui tu ti stia spogliando qui, dovendo fare il bagno » gli ricordò, stizzito.
«Haldir…» iniziò a dire quello, interrotto immediatamente dall’inviperito «Haldir cosa?» del Dùnedain. Insomma qualunque fosse la motivazione delle sue improvvise tendenze nudiste, non poteva essere nulla di buono se aveva agito sotto indicazione di quel laido approfittatore.
«Mi ha detto di lasciare al flet tutto ciò che va lavato perché passerà lui stesso di qui a poco per recuperare quanto dama Galadriel mi ha prestato» spiegò pazientemente l’elfo, dopo aver effettuato un’altra plateale inspirazione.
“Ah quindi ora è Haldir la tua governante eh?” pensò Aragorn trovandosi pateticamente a rimpiangere tra sé e sé quel ruolo che aveva precedentemente disdegnato, mentre una buona dose d’irritazione si andava a sommare ai restanti impulsi che stavano mettendo a dura prova il suo autocontrollo in quel momento.
«Ma le hai indossate appena quelle tuniche, non è possibile che siano tutte da lavare» obiettò, aspettandosi una risposta che, quando anche il ragionevole intervallo di tempo richiesto da uno degli estasiati cicli respiratori dell’elfo fu passato, dovette accettare non sarebbe mai arrivata.
Arrischiandosi ad aprire nuovamente gli occhi, notò infatti che quello era sparito, probabilmente correndo impaziente verso il lago con la stessa silenziosità con cui era arrivato.
Si guardò quindi attorno con diffidenza, per assicurarsi che fosse davvero andato via, senza abbandonare il suo sforzo di far tornare le proprie funzioni vitali nei limiti della norma, sforzo a cui ovviamente il suo corpo gravemente infermo si opponeva con ogni mezzo.
Appurato di esser rimasto finalmente solo, in un gesto di disperata esasperazione si schiaffò la tunica di quello sul viso, affondandovi il volto e smorzandovi un grido incontrollato. Non poteva continuare così, non poteva davvero. Per miracolo aveva resistito dall’intrecciare i loro corpi in un groviglio indistricabile, cosa sarebbe accaduto se si fosse nuovamente presentata un’occasione del genere? Conoscendo poi l’igiene maniacale dell’elfo e le sue velleità esibizionistiche non sarebbe stato difficile trovarsi nuovamente di fronte al suo statuario fisico privo di veli.
Inspirando a fondo nel tentativo di calmarsi, percepì nelle narici il profumo di cui quella veste era impregnata… il profumo di Legolas. Sorridendo lo annusò con più attenzione, cercando di definire di cosa sapesse, ma senza riuscirvi, sapeva solo che in quel momento gli sembrava l’odore più invitante del mondo.
Stava ancora lì ad odorare quella seta verde pallido quando la sommessa e quanto mai intempestiva voce di Sire Celeborn  lo mise al corrente di avere del pubblico.
«Aragorn…»
Oh per la miseria, questo sì che è imbarazzante…
In preda alla vergogna più nera cercò di allontanare in fretta e furia quella tunica da sé, facendo per lanciarla lontano ma riprendendola repentinamente al volo per pigiarsela in grembo, col più utile fine di nascondere il cavallo ancora evidentemente teso dei suoi pantaloni, mentre accanto a lui l’austera figura del sovrano studiava perplessa i suoi gesti inconsulti.
Quella capacita degli elfi di sopraggiungere inascoltati iniziava ad essere decisamente seccante.
«S-sire Celeborn» disse a mo’ di saluto dopo essersi schiarito la voce, tentando di adoperare l’intonazione più naturale di cui un uomo appena sorpreso a sniffare in modo maniacale i vestiti del suo “amico” potesse avvalersi.
Il sovrano non rispose subito, rimanendo ad osservarlo con un’espressione indecifrabile, com’era proprio degli elfi plurimillenari come lui, per poi sedersi lentamente poco distante da lui, senza smettere di guardarlo con quel fare invadente.
L’uomo evitò caparbiamente quello sguardo, sperando che si sbrigasse a comunicargli quanto aveva da dire e lo lasciasse da solo a piangere il suo vilipeso onore. Gli elfi avevano tutti questa spiacevole abilità di far sentire costantemente sotto esame i loro interlocutori e ad Aragorn la cosa non risultava molto gradita, non in quel momento in cui aveva ben più di un evidente problema da nascondere, perlomeno.
«Ricordavo che il tuo cuore fosse totalmente devoto a mia nipote, Arwen Undòmiel» disse allora inaspettatamente quello, causando all'uomo il reale rischio di strozzarsi con la sua stessa lingua. «Non credevo le tue tendenze fossero mutate a tal punto dalla tua ultima venuta a Lòrien…»
E no eh… mo pure Celeborn no!
Il Dùnedain tenne gli occhi, spalancati dallo sbalordimento, fissi sulla stoffa tra le sue mani, col cuore che dal trotto faticosamente raggiunto dalla scomparsa di Legolas, era tornato ad un incalzante galoppo. Non poteva credere che Celeborn in persona fosse veramente venuto ad indagare sui suoi mutati gusti sessuali. Anche lui ne era al corrente quindi? Non poteva averlo dedotto semplicemente dall’averlo trovato lì ad annusare i vestiti indossati da Legolas, per quanto eccentrico potesse esser risultato, qualcuno doveva avergliene parlato! In un attimo gli balenò in mente la folle immagine di Pipino, Boromir e Sire Celeborn seduti attorno ad un tavolino con in mano delle tazze di tè intenti a spettegolare degli ambigui intrallazzi nati all’interno della compagnia dell’anello. No, era troppo assurdo da credere perfino per lui. Era più probabile che Galadriel, quando era entrata nella sua mente beffandosi di quelle che a detta di Legolas erano le regole basilari degli elfi, avesse scorto la spinosa questione e ne avesse parlato col marito.  In ogni caso, in quel momento Celeborn era lì e pretendeva delle spiegazioni ed essendo il nonno della sua promessa sposa, erano spiegazioni più che dovute.
«Non lo credevo nemmeno io fino a qualche giorno fa» decise allora di ammettere, trovando infine il coraggio di rivelare a qualcun altro la verità e di guardare l’anziano elfo nei grigi occhi che corrucciati rispondevano al suo sguardo. «Ma da qualche tempo tutto è cambiato, io sono cambiato, da quando siamo giunti nella vostra dimora…» confessò, mantenendo fisso il suo sguardo, imprevedibilmente senza alcuna traccia di vergogna di quanto era infine riuscito ad ammettere anche ad alta voce e non solo nei suoi pensieri.
Quello sembrò comprensibilmente turbato dalla sua risposta e non attese che l’uomo gli desse delucidazioni circa le sue intenzioni con Arwen, come era in procinto di fare, ma lo freddò con uno spietato:
«Spero troverai la forza per cacciare dalla tua mente sì indegni pensieri»
Aragorn increspò le sopracciglia turbato, facendo per ribattere qualcosa sull’ingiustizia di quella sentenza, ma incassando infine il colpo in silenzio, pur sentendo di non condividere affatto quel pensiero. Dopotutto non poteva dargli torto se quello si era sentito offeso dal fatto che egli avesse deciso di rimpiazzare Arwen.
«La troverò» borbottò con nervosismo, alzandosi in piedi di scatto senza guardarlo in volto e facendo in modo di allontanarsi quanto prima da lui e di andare in una direzione che non fosse quella del lago dove Legolas stava facendo il bagno.
Nemmeno lui sapeva spiegare il perché di quella reazione, sentiva solo che non era giusto e che nessuno, nemmeno un parente della donna a cui era promesso poteva permettersi di definire indegno quanto stava provando per Legolas. Certo, al principio lui stesso si era sentito spregevole a pensare dell’amico in certi termini, ma sentirsi etichettato allo stesso modo da altri l'aveva irritato non poco. A poco a poco arrivò a comprendere come la crescente consapevolezza che ci fosse qualcosa di profondo dietro le sue brame carnali avesse mutato radicalmente anche il proprio severo punto di vista sulla questione. Solo dopo quell'attenta riflessione, capì che l'attrazione non dovesse essere affatto scissa dall’affetto sempre più profondo che provava nei confronti dell’amico. Erano solo due aspetti di uno stesso sentimento ed inutilmente aveva tentato di combattere il primo quando ancora si ostinava a vederlo separato dal secondo. Solo allora si rendeva invece conto che attrazione ed affetto non andavano divisi, perché senza il secondo la prima sarebbe sembrata cosa assai indegna, ma uniti avevano un nome, un nome terribile, immenso, spaventoso ma di indiscutibile rispettabilità.
Quella notte, giurò, quella notte avrebbe rivelato quel nome a Legolas. Non avrebbe sopportato altro, le parole di Celeborn erano state le ultime che era stato in grado di tollerare e se si era imposto di farlo era stato solo perché pronunciate dal re degli elfi giudicato il più saggio tra tutti. Eppure in quelle parole, che fino a poco tempo prima avrebbe condiviso appieno, Aragorn non era stato in grado di trovare saggezza.
 
«Galadriel» chiamò il sovrano, vedendo la sua bella moglie incedergli dinanzi, sulla strada di ritorno verso il loro flet. Quella non rispose, limitandosi a sollevare lentamente il viso opalescente verso di lui e a fermarsi, attendendo di essere raggiunta.
Non appena Celeborn le fu accanto le prese la mano, intrecciando le dita alle sue e proseguì il cammino assieme ad ella. Non resistette però molto a lungo in silenzio, giacché una grossa pena gravava sul suo cuore e così si confidò con lei:
«Mia signora, non hai notato nulla di anomalo nella mente di Aragorn quando vi hai guardato?» domandò, senza riuscire a trattenersi ma senza ricevere risposta che non fosse uno sguardo interrogativo, quindi decise di proseguire. «Mi è apparso strano questa mattina, molto strano… non vorrei creare inutili scandali ma mi è sembrato fosse sconvenientemente affascinato dalla mia regale persona» continuò corrucciato, senza nascondere l’imbarazzo che quella faccenda gli provocava «Chissà che pena avrebbe la povera Arwen venendo a sapere che il suo futuro sposo è attratto da suo nonno quanto da lei…»
«Cosa ti porta a dire ciò?» fu la lapidaria domanda dell’elfa, che indagatrice scrutava le sue costernate espressioni, probabilmente avvantaggiandosi le risposte che lui avrebbe dato, leggendo nei suoi pensieri.
«Poco tempo fa mi sono trovato a passare per caso accanto a lui e quando mi ha visto un singolare rossore gli ha colorato il viso, sembrava estremamente agitato, anzi, agitato non è la parola giusta, che i Valar mi perdonino ma era decisamente eccitato e per di più… beh non ho idea di come abbia fatto a procurarsela credimi, ma l’ho sorpreso ad odorare una delle mie vecchie tuniche» concluse avvilito, cercando parole di conforto nella sua dolce, ma troppo spesso silenziosa, metà.
Parole che in effetti non arrivarono, perché alla luce delle sue spiegazioni quella si limitò semplicemente a sfoggiare l’enigmatico sorriso di chi aveva compreso ogni cosa, ma non l’avrebbe rivelata ad altri.

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Capitolo 5
*** Il Gimli da pelare ***


Quella sera, come erano soliti fare, si erano riuniti tutti nello spiazzo sottostante il loro flet. Gimli affilava la sua ascia, Merry e Pipino fumavano accatastati su una radice particolarmente atta ad accoglierli, Frodo e Sam si scambiavano parole sommesse e Boromir li rendeva poco finemente partecipi del processo digestivo del suo ultimo pasto.
I disagi mentali di Aragorn, in tutto questo, si erano inverosimilmente accresciuti e così le sue difficoltà nell’elaborare quella che aveva deciso sarebbe stata una confessione sobria e contenuta. Il fatto che l’elfo fosse sparito chissà dove già da troppo tempo infatti, non lo aiutava nei suoi costruttivi propositi. Insomma aveva passato giorni interi a braccarlo come un segugio, lasciandolo solo giusto quando decideva di andarsi a bagnare nelle acque del lago dove Aragorn, per ovvi motivi, si era sempre tassativamente rifiutato di seguirlo ed ora che gli serviva, lui non c’era?
Per di più il signorino aveva pensato bene di lasciarlo alle amorevoli cure di Gimli, senza specificare il fatto che in realtà sarebbe più plausibilmente dovuto essere Aragorn a curarsi di lui. Sembrava difatti che quello spiritosone di Boromir avesse indotto il nano a mangiare un fungo dai devastanti poteri afrodisiaci, con conseguenze di discutibile gradevolezza. Sotto tale nefasto l’influsso, quello sembrava aver dissennatamente deciso di tentare un’incursione notturna all’onorabilità della regina e pretendeva altrettanto dissennatamente di sapere da Aragorn quali fossero le pratiche erotiche preferiti dagli elfi, per esser certo di poterla compiacere. Ovviamente, il fatto che Sire Celeborn avrebbe eseguito nei suoi confronti pratiche ben meno piacevoli se l’avesse scoperto ad intrattenere in tal modo la sua donna, non sembrava turbarlo più di tanto.
Oltre a ciò, quello che più di tutto che stava letteralmente sbriciolando a poco a poco quel minimo di buon senso rimasto al Ramingo era il fatto che nel corteo di elfi che lentamente passava lì accanto cantando un lamento funebre per Gandalf non era riuscito ad intravedere Haldir. E sì, questa consapevolezza l’aveva portato alle scontate conclusioni che chiunque potrebbe immaginare.
Non gli era sfuggito il modo in cui Haldir avesse tentato di sedurre Legolas da quando erano giunti a Lothlòrien. Quando lo vedeva avvicinarsi al suo elfo, Aragorn sentiva l’improvviso bisogno di mettere alla prova il filo della lama della sua spada, per poi ripetersi come un mantra che erano stati cordialmente ospitati in quel luogo e non sarebbe stato saggio incrinare i rapporti tra i Galadhrim ed il regno di Gondor su cui in futuro si sarebbe erto a capo.
Nulla in quel momento lo tormentava tanto quanto il pensiero che quello che aveva arbitrariamente eletto come suo rivale numero uno potesse esser intento a fare inopportune avances all’oggetto della loro contesa.
«Avanti Aragorn… so che tu sai come far perdere la testa ad un'elfa.»
Ripensandoci, nulla a parte Gimli.
Il Ramingo indirizzò al nano la sua miglior occhiata di sufficienza senza degnarlo di una risposta che in ogni caso non sarebbe stata cordiale, per poi decidere di impegnare le proprie energie in qualcosa di più edificante, come l’elaborazione della sua imminente dichiarazione, ad esempio.
Il problema era che era maledettamente difficile trovare parole che gli risultassero adatte ad esprimere quel sentimento che da giorni aveva sbaragliato ogni sua precedente certezza o, perlomeno che non gli apparissero troppo imbarazzanti.
Non aveva mai affrontato una situazione tanto difficile nella sua vita. Si trattava di mettere da parte ogni orgoglio, di denudarsi completamente ed esporsi a ferite che sarebbe stato difficile rimarginare. Se anche non provava alcun timore di veder scorrere il proprio sangue, quando a testa alta si lanciava contro numeri improponibili di nemici, era molto più cauto nel rendersi vulnerabile a quel genere di lesioni, considerato che perdere l'amicizia di Legolas l'avrebbe distrutto.
Si era però giurato che l’avrebbe fatto e nonostante quella spaventosa prospettiva, non aveva nessuna intenzione di rimandare; tutto stava nel trovare le parole giuste ecco, cosa che, visto il notevole grado di stress psicologico a cui era sottoposto in quel momento, stava risultando più difficile del previsto.
«Gli piace esser legate con la barba?» lo importunò la voce di Gimli, pervasa da un’insana quanto raccapricciante speranza.
«No!» latrò avvelenato il Ramingo senza nemmeno guardarlo, meditando le più atroci vendette nei confronti del nano, di Boromir che l’aveva ridotto in quello stato e già che c’era pure di Legolas che si era raccomandato proprio con Gimli di non lasciarlo da solo nemmeno un secondo. Ma fu un breve attimo di appagante sadismo, dopo il quale tornò zelantemente al suo discorso.
Per quanto si sforzasse però, non riuscì ad elaborare nulla di nulla, con la categorica esclusione di un paio di squallidissime frasette, in cui assai infelicemente paragonava il suo attaccamento a lui a quello di Gollum per l’anello e che era stato già abbastanza abominevole formulare col pensiero, figuriamoci dire a voce. Tutto ciò non rendeva affatto onore alla vena artistica che da qualche parte doveva pur tener nascosta, dato che per Arwen aveva scritto fior di poesie.
La sua coscienza che, per l’occasione, aveva curiosamente assunto il timbro di voce di Sire Elrond, lo invitò cortesemente a rivalutare la sua definizione di “poesia”.
«E giocare a “trova la pipa”?» chiese di nuovo Gimli, riportandolo per l’ennesima volta alla realtà ed ottenendo uno scandalizzato «Nemmeno!» dal fascio di nervi parlante che un tempo era stato un uomo.
Roba da pazzi, come poteva uscirgli qualcosa di meno aberrante di quanto non avesse già partorito, se era circondato da tanto degrado? Effettivamente, in seguito, di meno aberrante non riuscì a formulare nulla, in compenso quella terribile metafora sulla spada e sul suo fodero lo era decisamente di più.
Emise un sospiro scoraggiato, mentre tornava ad immaginare l’irritante figura di Haldir e quella di Legolas in atteggiamenti inequivocabili, convincendosi del fatto che l’unico modo in cui gli sarebbe venuto spontaneo iniziare una conversazione con lui, una volta che fosse tornato, sarebbe stato un acuto ed inquisitorio “Con chi sei stato finora??” di dubbia virilità.
No, così non andava davvero, doveva calmarsi. Tutto sarebbe finito di lì a poco, doveva solo saper attendere. E per quanto riguardava il discorso beh… non era mai stato bravo con le parole d’amore, doveva ammetterlo. Forse però non sarebbero servite, forse sarebbe bastato prendere la mano dell’elfo e posarsela al petto per lasciare che fosse il suo stesso cuore a rivelare ciò che a voce rischiava solamente di rovinare.
«Dai Aragorn allora dimmi qualcosa tu!» insistette il nano, che evidentemente aveva esaurito tutte le inqualificabili pratiche di sua conoscenza da proporre. Peccato che non avesse esaurito allo stesso modo anche la volontà di accompagnare passo dopo passo il suo sventurato interlocutore oltre il limite della propria pazienza.
Facendo appello a tutto il suo autocontrollo, l’uomo riuscì egregiamente a trasformare il suo primo impulso di fargli ingoiare a forza l’ascia partendo dalla lama, in un controllato e quantomeno innocuo sospiro seccato. Dopodiché si convinse a beneficiarlo di una risposta, se non altro per metterlo a tacere una volta per tutte e poter poi decidere con calma se continuare a deprimersi pensando alla sua disastrosa incompetenza in fatto di dichiarazioni, o alla torbida tresca che Haldir e Legolas tentavano di tenergli nascosta.
Come avrebbe potuto però dirgli che come prima cosa non avrebbe dovuto essere un nano per poter minimamente indurre in tentazione Galadriel? Come avrebbe potuto dirgli che prima avrebbe dovuto come minimo lavarsi, radersi e già che c’era buttare giù una ventina di chili? Insomma fargli notare che perfino un Nazgûl -con tutto che l’intangibilità comportasse svariati problemi tecnici- avrebbe avuto più probabilità di successo di lui, avrebbe portato a nuove estenuanti discussioni che non aveva nessuna voglia di ascoltare. Così preferì vigliaccamente cedere la gatta da pelare o, in quel caso, il Gimli da pelare, a qualcun altro.
«Io non sono un elfo, perché non lo chiedi a Legolas quando torna?» gli suggerì, cercando di adottare un’intonazione che lasciasse intendere che anche se era una domanda non era proprio il caso di disturbarsi a rispondere. Nel contempo si appropriò della pietra affilatrice che quello stava precedentemente usando e prese ad arrotare la già tagliente lama della sua spada, pronto ad andare a caccia di Haldir selvatici dal momento che, a tal proposito, Legolas ancora non si faceva vivo.
«A Legolas?» fu la sbigottita risposta del nano, che evidentemente non aveva capito di dover tacere allora e per sempre ed assunse un’espressione sbalordita come se Aragorn avesse detto la più impudente delle blasfemie. «Ma che vuoi che ne sappia quello! Per me non vede una donna nuda dal giorno in cui sua madre l’ha partorito, ecco» inveì con convinzione «Tu invece…» riprese, lanciandogli uno sguardo complice che fece guizzare pericolosamente un muscolo sotto lo zigomo dell’uomo e lo spinse a troncare quanto prima quella conversazione.
«Ora basta Gimli, non una parola di più» lo avvertì minaccioso: una discussione in cui erano contemporaneamente presenti gli argomenti “Aragorn”, “Legolas” e “sesso” l’avrebbe esposto a frecciatine che non era certamente il momento più propizio per ricevere. I suoi nervi tesi a cogliere il minimo segnale per far esplodere tutto il malcontento accumulato, erano stati abbastanza chiari in proposito.
A quelle parole il nano, probabilmente intuendo finalmente quale pericolo stesse correndo, si fece subito più conciliante, borbottando un risentito «Scusa tanto se credevo che tra voi due fossi tu quello do…» -
«E vorrei vedere che tra me e Legolas sarei io quello dominante!» gridò l’uomo, saltando su con gli occhi che lanciavano dardi infuocati, mentre un perplesso Gimli dalle sopracciglia più corrugate che mai ripeteva sottovoce “dominante” quasi fosse una parola mai sentita prima, cercando di afferrare come il suo intenzionale “dotto in materia” potesse esser stato trasfigurato a quel modo.
Prima però che il nano potesse in qualche modo tentare di migliorare la sua posizione, Aragorn aveva già irrevocabilmente deciso che quello era stato l’ultimo affronto che avrebbe subito perché era semplicemente, definitivamente e furiosamente stufo di tutta quella storia.
Nulla in quel momento sarebbe stato in grado di calmare la sua collera. Non solo Legolas si era sicuramente appartato con Haldir da qualche parte, ma in più doveva anche tollerare le provocazioni che quelli non si erano ancora stancati di lanciargli! Mentalmente ripercorse tutte le volte che aveva dovuto mettere da parte l’onore e lasciar correre con l’equilibrata tempra che tanto lo caratterizzava, sentendo il fuoco dentro di sé ardere sempre di più ad ogni umiliante battuta che gli tornava alla mente. Era ormai chiaro che tutti sapessero! E allora che senso aveva nascondere i suoi sentimenti se tanto questi sembravano esser diventati l’argomento preferito della compagnia? Dicevano che sarebbe dovuto diventare re un giorno eppure non si preoccupavano di riservargli un briciolo di rispetto! Erano giunti perfino a fare vergognose supposizioni sui loro presunti ruoli sotto le lenzuola! Ma li avrebbe messi al loro posto una volta per tutte.
«Ascoltatemi bene, tutti quanti» esclamò minaccioso, con una particolare enfasi sulle ultime parole, a richiamare inutilmente l'attenzione di Boromir e degli hobbit, che dalla sua ultima, sconvolgente, esclamazione, si erano già chetati nel più religioso dei silenzi girandosi increduli verso di lui a cogliere gli sviluppi della sua conversazione con Gimli. Calpestando rabbioso il terreno e puntando ferocemente gli occhi su ognuno di loro, si portò al centro dello spiazzo.
«Qualcuna di voi malelingue può forse giurare di avermi visto con i propri occhi in atteggiamenti ambigui con Legolas?» chiese masticando furibondo ogni parola, con le mani che tremavano dalla rabbia e dalla voglia di impugnare l’elsa della sua spada. Quelli si guardarono con circospezione tra di loro, come chiedendosi tacitamente se fosse il caso di mettere mano alle armi, per poi tornare a fissare Aragorn lasciando trasparire distintamente la forte speranza che il Ramingo gridasse “pesce d’Aprile!” o qualcosa del genere.
Splendido, fanno anche i finti tonti ora… 
Avendo compreso dal ringhio ferino con cui aveva risposto a quegli sguardi interrogativi che no, Aragorn non scherzava affatto, nessuno fu tanto sprovveduto da rispondere in alcun modo giacché sembrava che il Ramingo sarebbe stato seriamente capace di mozzare il capo al primo che avesse aperto bocca, qualunque fosse la risposta che era intenzionato a dare.
Quel silenzio carico di tensione, in cui il Dùnedain cercò faticosamente di elencare tutti i motivi per cui non era bene che uno sterminio di massa gli apparisse un’opzione tanto allettante in quel momento, si protrasse fino a quando un Legolas quanto mai ignaro di tutto, fece la sua eterea comparsa nella scena, con l’aria svaporata di chi era appena reduce da un (altro!) lungo bagno rilassante.
Probabilmente qualcuno si arrischiò perfino ad aprir bocca per gridare all’elfo di fare attenzione, ma l’uomo fu più lesto di qualunque parola ad aggredirlo.
Nel vederselo camminare accanto in quel fatidico istante infatti, Aragorn fu illuminato da un’idea che in quel momento passò nella sua mente come “geniale” e, veloce quanto lo era nell’infilare la sua lama nelle budella di qualche orchetto, ed invero non con minor rudezza, afferrò il braccio dell’elfo ed ignorando completamente le sue esclamazioni sorprese assaltò la sua bocca con la propria.
Bere il nettare degli dei non sarebbe stato probabilmente altrettanto dolce come la tanto attesa sensazione di quelle labbra sottili che si schiudevano tra le proprie e quel respiro sorpreso contro il suo viso. Dal loro gentile pubblico, si levò qualche esclamazione costernata (Gimli), qualche invocazione a divinità varie (hobbit), ed un fischio d’incitazione (Boromir, manco a dirlo), nonché un collettivo trattenimento di fiato. Aragorn però non vi fece caso, troppo impegnato ad assaporare quelle sensazioni così elettrizzanti da cui a malincuore si dovette separare, per concludere il suo breve, ma incisivo discorso.
«Ora potrete dire di avermi visto in atteggiamenti ambigui con Legolas giacché, signor Peregrino Tuc, nonostante le voci tendenziose da te messe in giro non avevo mai fatto mie quelle labbra prima d’ora!» Indicò l’elfo, evitando ostinatamente il suo sguardo, che non sapeva come avrebbe trovato e che temeva gli avrebbe fatto perdere la baldanza di dire tutto quello che aveva da dire.
Pipino, che dallo stupore aveva lasciato cadere la pipa a terra, tralasciando perfino di raccoglierla, sentendosi tirato in causa si era improvvisamente riscosso ed aveva assunto un’espressione indispettita. Stava giusto per intervenire in propria difesa quando Aragorn stroncò il suo discorso sul nascere, riprendendo a sbraitare:
«Ora potrete pensare a ragione di provocarmi facendo apprezzamenti indecorosi, ma veritieri, sulle sue grazie o speculando sui nostri ruoli in situazioni che non vi competono» proseguì, fulminando con gli occhi dapprima un abbacinato Boromir, poi un Gimli dalla mandibola più snodata di quanto non ricordasse.
«Perché solo ora avete potuto vederlo davvero, invece che fidarvi di pettegolezzi quanto mai infondati. Forse riterrete che ho perso la ragione per fare ciò che ho appena fatto, ebbene è proprio così.» Come se ci fosse stato bisogno di sottolinearlo… «Io l’ho persa nel momento stesso in cui mi sono innamorato dell’elfo al mio fianco!» concluse, sentendosi invaso dal terrore delle sue stesse parole nel momento stesso in cui terminava di pronunciarle. Innamorato? Aveva detto proprio così! Ma come gli era saltato in mente?! Nemmeno nei suoi pensieri aveva mai avuto prima di quel momento il coraggio di pronunciare quella parola ed ora l’aveva appena scandita davanti a tutti.
E per fortuna che doveva essere una confessione sobria e contenuta…
Sollevò lo sguardo, divenuto spaurito, sugli astanti, respirando a fatica, improvvisamente conscio di cosa avesse rivelato in quell’attimo di follia. Percorse tremante il ghigno che Boromir non aveva nemmeno tentato di celare, lo sguardo vagamente confuso di Gimli, che ancora scandiva sottovoce la parola “dominante”, ed i sorrisetti che gli Hobbit si stavano scambiando, per notare infine il corteo di elfi che, poco distante da loro, fissava sconcertato la scena. Maledizione ma da quanto esattamente avevano smesso di cantare? Credeva se ne fossero andati da un pezzo!
Nell’incontrare lo sguardo mortificato di Aragorn, un Sire Celeborn dall’aria esterrefatta, e in parte anche inspiegabilmente delusa, si affrettò imbarazzato a dar loro le spalle, muovendo le mani come un direttore d’orchestra e facendo immediatamente riprendere il canto, che si allontanò dalle loro orecchie ad una velocità quantomeno sospetta, visto il tempo che ci avevano messo prima a fare appena un paio di metri.
Quando la compagnia venne finalmente lasciata sola, la vergogna di Aragorn si era pressappoco centuplicata, mentre gli altri membri sembravano aver superato lo shock iniziale, tanto che Pipino ardì pure riprendere il discorso:
«Comunque io non avevo detto nulla di quello che avevo visto quel giorno» assicurò, avendo compreso quale fosse stata l’origine del grosso equivoco, portandosi l’indice al petto con fare particolarmente compiaciuto e guadagnandosi così gli sguardi meravigliati dell’intera compagnia, se possibile ancor più sconvolta che dalla precedente rivelazione.
«Perché che cosa avevi visto?» lo incalzò Merry, assetato di particolari e particolarmente contrariato per non esser stato messo a parte di quel segreto dall’inseparabile amico.
«N-non è possibile» mormorò Aragorn, rifiutandosi di credere a quelle parole, perché ciò avrebbe comportato la perdita irrimediabile della propria credibilità, ai suoi stessi occhi. Non poteva essersi immaginato tutto! Le risate equivoche degli hobbit, Boromir che si improvvisava estimatore di fondoschiena maschili, l’occhiolino di Gandalf…! Pipino doveva aver parlato.
«E invece sì, caro il mio Grampasso!» fu la fiera risposta di quello, che incrociò le braccia affermando: «So riconoscere quando è meglio tenere il becco chiuso io e quello sembrava proprio un affare di massima segretezza!» concluse, guadagnandosi le battute scettiche di molti dei suoi amici, seguite da nuove incalzanti domande, stavolta provenienti nientepopodimeno che dal figlio del sovrintendente di Gondor, che non sembrava nient’affatto desideroso di lasciar decadere l’argomento proprio sul più bello:
«E cosa stavano facendo?» chiese sghignazzante, con lo stupore ormai tramutato nel più perfido dei divertimenti.
«Loro stavano…» iniziò Pipino, con un’espressione estremamente appagata dal veder concentrato su di sé l’interesse di tutti, ma Legolas ebbe il buonsenso di interromperlo prima che Aragorn potesse azzannarlo alla giugulare.
«Stavamo solo giocando!» esclamò, scoppiando in una risata argentina che lasciò il Dùnedain più attonito che mai: no, ora doveva spiegargli cosa diamine ci trovasse di così divertente. Insomma loro due erano lì, esposti al pubblico ludibrio e quello se la rideva?
Valar però se è bello quando ride…
All’affermazione dell’elfo seguirono una serie di dubitative espressioni monosillabiche trascinate come i belati di un ovino che la dicevano lunga sulla credibilità che quelle parole avevano assunto alle orecchie della compagnia. Dopodiché i loro compagni, colti da una perspicacia come minimo sorprendente, sembrarono decidere all’unanimità di lasciargli la dovuta privacy, optando per ritirarsi tutti all’interno dei flet.
Come se non avesse già provato un desiderio abbastanza grande di scomparire dalla faccia della Terra di Mezzo per la vergogna, Aragorn non poté non notare la sgomitata di congratulazioni che Gimli diede a Legolas prima di allontanarsi con gli altri e che dipinse un tenue rossore ed un sorrisetto compiaciuto sul viso dell’elfo.
Ancora peggio però fu quando sentì il nano e Boromir discutere sottovoce se l’essersi prestato a quel bacio potesse esser considerata condizione sufficiente a decretare l’omosessualità dell’Eldar, per poter riscuotere da Frodo la vincita di una scommessa che avevano fatto a tal proposito (“Dammi retta quello è gay fino alla punta delle orecchie, Frodo non ha più scusanti!” “Povero piccolo hobbit e pensare che dopo di noi dovrà pagare anche Elrond e Glorfindel!”).
Beh, se non altro nessuno di loro si era permesso di oltraggiarlo scommettendo suo orientamento sessuale.
Merry e Pipino però, furono meno gentili, giacché non si preoccuparono nemmeno di abbassare la voce mentre decidevano se storpiare il suo nome in un –doveva ammettere- più che meritato Grampazzo od in un decisamente più azzardato Grampassivo.
Ho parlato troppo presto…

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Capitolo 6
*** La parola a Legolas ***


Come tutti si furono allontanati, Aragorn osò finalmente cercare la figura di Legolas con lo sguardo e lo vide poco distante da sé, illuminato dal bagliore innaturalmente forte della luna piena che si stagliava sopra di loro, all’osservazione della quale sembrava essere totalmente dedito.
Quando però l’elfo si voltò lentamente verso di lui, i suoi occhi penetranti gli riportarono bruscamente alla mente di aver appena violentato la sua bocca con la propria e, non pago di ciò, di aver anche gridato come un pazzo esaltato davanti a mezza stirpe dei Galadhrim di essersi innamorato di lui. E tutto per quello che si era rivelato esser stato un gigantesco equivoco.
Bene.
Sentendo su di sé il peso di tutte quelle azioni, trovare il coraggio di affrontare l’amico gli sembrò impossibile, quindi dirottò subitaneamente lo sguardo sui suoi stivali più che logori, trovando con gioia in essi un argomento che l’avrebbe distratto dall’imbarazzo della situazione e fermandosi a riflettere su quante volte si era ripromesso di comprarne di nuovi e mai l’aveva fatto. Beh, almeno avrebbe potuto, che so, chiedere ad Arwen di rattopparli, o infilare le stringhe in tutti i buchi che ormai metterle ad uno sì ed uno no era passato di moda dai tempi di Gil-galad e…
«Estel…?»
No… quel nome no… rischiava di sciogliersi come un pezzetto di ghiaccio sotto il più impietoso sole estivo, fine che, a rifletterci bene, ultimamente rischiava di fare ogni volta che si trovava al cospetto dell’elfo. Sollevò gli occhi al suo richiamo, ma reggere il suo sguardo fu più dura del previsto ed immediatamente li abbassò di nuovo.
Dunque, stava dicendo delle sue scarpe? Ah già, i lacci, perché non mettersi ad infilarli a dovere proprio in quel momento già che c’era? Tanto non aveva mica un aitante principino elfico che pretendeva opportune spiegazioni accanto a sé, no?
«È tutto vero quello che hai detto…?» insistette quella voce tanto soave, interrompendo il suo goffo tentativo di chinarsi ad attuare i suoi propositi.
“No guarda, ci tenevo in maniera particolare a diventare lo zimbello della compagnia -specialmente del mio amicone Boromir che non oserà mai deridermi per questo- e a regalare a tutti un simpatico aneddoto che, se sarò fortunato, forse tra un migliaio di anni avranno perso il gusto di rievocare” fu ciò che pensò.
«Proprio tutto» fu ciò che disse.
Il sorriso radioso che illuminò il viso dell’elfo a quelle parole, lo ripagò sicuramente di tutte le pene che aveva patito a causa di quella storia e, per la prima volta dopo tanto tempo, il Ramingo si sentì rinascere in petto un sentimento ormai obliato, ma bellissimo nella sua potenza: la speranza.
Era quindi ricambiato...? Non si era soffermato a pensarci quando l’aveva baciato così di getto, né effettivamente aveva pensato a molte altre cose, ma quando poi aveva ripreso piena coscienza di sé, la paura di aver posto la parola fine alla loro amicizia era tornata a farsi sentire forte e chiara. Eppure nei suoi occhi in quel momento non c’era traccia di rifiuto e quel sorriso così caldo in quale oscuro modo sarebbe potuto esser foriero di cattive notizie?
Mentre si perdeva in queste considerazioni attendendo la risposta dell’elfo, gli sembrò quasi di udire un lontano canto elfico fare da sottofondo a quel meraviglioso momento troppo a lungo atteso.
«Io lo sapevo» confessò allora il fedifrago, con un sorriso che da radioso si era orribilmente tramutato in malizioso, spezzando brutalmente il suono della dolce melodia elfica che il Dùnedain aveva impostato come personale sottofondo allucinatorio alla loro conversazione.
Aragorn, riportato bruscamente con i piedi per terra, ci mise qualche secondo a riprendersi, prima di riuscire ad articolare parola.
«Prego…?» domandò basito, sperando vivamente di aver visto e sentito male per l’ennesima volta.
Se il malizioso quanto insolito sorriso che era comparso sul viso di Legolas era stato in grado di turbarlo, l’inquietante luccichio che intravide nei suoi occhi a quella domanda lo spaventò decisamente di più.
«Il giorno prima di quello in cui Pipino ci vide, era il mio turno di fare la guardia di notte…» iniziò a raccontare l’elfo, col tono colpevole di chi sta confessando una malefatta particolarmente eclatante. «Io ti ero accanto e nel sonno tu… hai mormorato il mio nome ed hai… iniziato a dire cose ben poco equivocabili» rise, non senza un certo malcelato imbarazzo, facendo venire ad Aragorn l’improvvisa aspirazione di scavare la buca più profonda che avesse mai solcato la Terra di Mezzo per gettarvisi dentro «… e proprio mentre stavo per allontanarmi e lasciarti la dovuta privacy, il tuo pensiero mi ha raggiunto e mi ha trasmesso qualcosa…» mormorò senza terminare la frase, volgendo piuttosto lo sguardo allo spettacolo mozzafiato che quella notte la luna offriva loro e lasciando ad Aragorn tutto il tempo per ponderare se nella sopracitata buca avrebbe preferito morire d’inedia o se farvisi direttamente seppellire vivo.
In fondo il Dùnedain poteva dire di essersi discretamente abituato ormai a venir continuamente messo da parte a favore di una “magnifica radice”, di un “incantevole muschio” o di una “stupefacente nuvola”, ma proprio a quel punto doveva interrompersi?
«C-che cosa ti ha trasmesso?» lo sollecitò, cercando di riportare l’attenzione dell’elfo al discorso vagamente importante che stavano affrontando.
«Innanzitutto il contenuto del tuo sogno si è rivelato vivido nella mia mente quasi lo stessi vivendo io stesso…» specificò quello con una sorta di sadico divertimento, facendogli optare ineluttabilmente per la sepoltura da vivo. «…e con esso ho percepito distintamente la forza dei tuoi sentimenti, anzi, tu stesso hai voluto trasmettermela» proseguì sempre senza guardarlo, assumendo un tono più dolce ed increspando le labbra in un sorriso stavolta scevro da qualunque malignità. «O meglio, la parte di te non vincolata da stupidi pregiudizi o imposizioni sociali, quella che più di ogni altra avrebbe voluto poterli gridare al mondo intero, senza doverli più occultare…»
Okay, stare al passo con i discorsi dell’elfo non era mai stato semplice per Aragorn ma… gli aveva trasmesso i suoi sentimenti col pensiero durante un sogno? Cosa diamine andava blaterando?
«Può davvero succedere una cosa del genere…?» chiese in un sussurro, sperando di confutare le malevole insinuazioni della sua parte più disincantata, che sosteneva piuttosto che l’elfo avesse molto più semplicemente violato i suoi pensieri, in barba alle regole che tanto sosteneva di seguire.
«Sì, quando non si ha a disposizione il linguaggio parlato è più facile usare quello del pensiero… e tu non l’avevi a disposizione perché tu stesso avevi imposto alla tua bocca di non rivelare ciò che era contenuto nel tuo cuore… ma esso ha trovato una via alternativa di raggiungere il mio» rispose flebilmente l’elfo, quasi stesse riflettendo tra sé e sé e non con un interlocutore reale, perso com’era nell’estasi della contemplazione.
«Continuo a non capire…» mormorò sommessamente Aragorn in risposta, mentre si rendeva conto di non capire nemmeno perché accidenti si fossero ridotti a bisbigliare come due amiche del cuore intente a scambiarsi segreti. Come se dopo la precedente piazzata ci fosse ancora qualche segreto che valesse la pena occultare per salvaguardare la dignità di ambedue, poi. O almeno la sua era irrimediabilmente compromessa, questo era poco ma sicuro.
Alla sua palese e, a giudicare dallo sguardo di profonda disapprovazione di Legolas, imperdonabile manifestazione di ignoranza, l’elfo si riscosse dalla trance in cui era caduto.
«Credevo che fossi cresciuto tra gli elfi, ma devo essermi sbagliato» considerò con ostentato sarcasmo, per poi esibirsi in un teatrale sospiro seccato, a guisa del mentore costretto a ripartire dall’ABC a causa di un alunno particolarmente inetto, e proseguire: «Devi sapere che la trasmissione del pensiero può avvenire, qualora non si disponga del linguaggio parlato, tra coloro che sono legati da parentela, amicizia o amore, in particolare quando si provino sensazioni intense, come gioia o rabbia». Dell’irritante tono da questo-lo-sanno-anche-le-mura-di-Minas-Tirith che aveva utilizzato per sciorinare quella risposta, non rimase nemmeno un briciolo quando, sollevando lentamente gli occhi ad inchiodarlo col più significativo degli sguardi, aggiunse «…e se questi sentimenti sono in un qualche grado condivisi dal ricevente il pensiero è trasmesso più chiaramente».
“Innanzitutto il contenuto del tuo sogno si è rivelato vivido nella mia mente quasi lo stessi vivendo io stesso…  E con esso ho percepito distintamente la forza dei tuoi sentimenti.”
«Quindi, mi stai dicendo che anche tu… - mormorò l’uomo, quando finalmente si concesse di credere di aver intuito il significato di quelle parole e soprattutto, visti i precedenti, si fosse assicurato che non vi fosse possibilità di aver frainteso qualcosa.
«Nessuno riuscirebbe a baciare un elfo contro la sua volontà» gli fece notare quello, lanciandogli uno sguardo allusivo «Se ho permesso che accadesse è perché anche io l’ho desiderato, per tanto, tantissimo tempo…» confessò, aggrottando appena le sopracciglia nel ritratto stesso della dolcezza, com’era solito fare nel dire qualcosa di particolarmente sentito. Valar, non l’aveva mai guardato con quegli occhi… o forse l’aveva fatto e lui era stato troppo cieco per accorgersene?
«Quanto tempo esattamente…?» boccheggiò, sentendosi invaso da un fiume in piena di sentimenti diversi.
«Da quando ho iniziato a bruciare dall’impazienza di poterti rivedere» mormorò l’altro in risposta, senza interrompere il loro contatto visivo ed avvicinandosi a lui di un passo per ogni frase. «Da quando le mie visite ad Imladris si sono moltiplicate, da quando osservando la luna ho iniziato a chiedermi se non la stessi guardando anche tu, ovunque tu fossi, da quando non ho desiderato altro che seguirti in ogni tua impresa. Da sempre Estel… ma non avrei mai fatto nulla contro la tua volontà ed un tempo la tua volontà era ben diversa da quella di ora…» concluse con un breve sorriso impacciato, fermandosi a pochi centimetri da lui.
«Oh… io…» sussurrò sopraffatto dall’emozione, sollevando una mano ad accarezzare quel viso dai lineamenti angelici e scoprendoli ancora più morbidi al tatto di quanto non si sarebbe immaginato. Era bellissimo, tanto bello che si stupiva di non aver mai formulato, prima di imbarcarsi in quella spedizione, quel pensiero che in quel momento gli appariva di un’oggettività schiacciante.
Era bellissimo ed era alla distanza di un respiro da lui, dal suo viso, dalla sua bocca.
«Estel…» mormorò l’elfo, portando la propria mano sopra la sua. «… Per lunghi anni ho sussurrato il tuo nome agli alberi della mia dimora, miei unici confidenti in una sì grande pena, per lunghi anni sono stato consolato solo dalle loro parole pietose e dall’abbraccio del vento che intonava con le loro foglie un canto di dolore. Ogni giorno mi fermavo ad ascoltarli e quel canto così struggente mi sembrava il più bello che avessi mai udito…»
«Legolas…» lo interruppe, passandogli un dito sulle labbra. Solitamente lo adorava anche quando si perdeva nei suoi vaneggiamenti altisonanti su alberi, vento e compagnia bella, ma non in quel momento. «…taci» ordinò, prima afferrare il suo viso con entrambe le mani e premere le proprie labbra contro le sue. Dal trasporto con cui risposero quelle dell’elfo, quasi non avessero aspettato altro da una vita intera, comprese che in fondo non doveva essersi risentito eccessivamente della maleducazione con cui l'aveva interrotto.
In un attimo fu risucchiato in un inebriante vortice fatto di dolcissimi brividi, mani insicure e tremanti, labbra umide, ciocche di capelli troppo morbide tra dita tanto ruvide e lingue che a stento avevano il coraggio di sfiorarsi.
Stava baciando Legolas, il suo caro vecchio amico Legolas. Assurdo come, pur vivendolo in quel momento stesso, quel pensiero gli risultasse tanto incredibile. Se avesse immaginato di trovarsi in una situazione del genere appena qualche tempo prima probabilmente sarebbe trasalito in preda all’orrore. Beh ad esser sinceri probabilmente sarebbe trasalito e basta, dato che i concetti “baciare Legolas” ed “orrore” erano semplicemente impensabili nello stesso contesto e sospettava non solo a suo dire. Tuttavia si sarebbe sentito quantomeno offeso nel suo orgoglio di uomo, invece in quel momento, mentre a poco a poco acquisivano sempre più ardore e tutti i limiti che entrambi si erano imposti fino a quel momento venivano audacemente scavalcati, non sentiva affatto vergogna o orrore.
Stava baciando Legolas, il suo caro vecchio amico Legolas. Ed era semplicemente meraviglioso.
Come ogni cosa bella che si rispetti però, anche quell’attimo finì in un batter di ciglia, quando l’uomo venne intempestivamente fulminato dalla consapevolezza di aver fino a quel momento trascurato un lato indiscutibilmente rilevante della faccenda.
«Legolas» esordì seriamente, imponendosi di interrompere seduta stante quell’intrigante scambio di saliva e stringendo le mani sulle spalle dell’elfo per impedire anche a lui di riavvicinarsi. Alla sua secca invocazione, l’elfo reagì con un profondo sospiro e, con l’aria di chi stesse compiendo uno sforzo sovrumano, sollevò le palpebre e sostenne il suo sguardo, in attesa che continuasse.
«Quindi tu… sapevi?» constatò il Dùnedain con quella che, nonostante l’intonazione interrogativa era un’affermazione a tutti gli effetti, un’affermazione indignata a dirla tutta «È per questo che insistevi nel chiedermi cosa mi turbasse, è per questo che ti strusciavi su di me in quel modo che avrebbe fatto infrangere il voto di castità ad un sacerdote!» continuò con un tono di voce sempre più aspro, risentito dal pensiero di quanto l’amico si fosse preso gioco di lui in quei giorni, e di quanto fosse stato stupido nel vedere malizia in tutti i membri della compagnia, tranne che nell’unico di cui davvero avrebbe dovuto sospettare. «Ed è per questo che mi sei saltato addosso a quel modo nella radura e che… oh per Eru ecco perché stamattina ti sei spogliato davanti a me inventandoti quell’assurdità sul fatto che Haldir fosse diventato la tua governante!» elencò, mentre gli si paravano in mente uno ad uno tutti i momenti in cui il comportamento di Legolas gli era parso ancor più discutibile del solito.
«Sì, beh… non avrei voluto dover ricorrere a tanto, ma tu non ti decidevi ad agire…» ammise l’elfo, guardandolo con l’espressione impaziente di chi avrebbe preferito affrontare in un altro momento quel discorso, dopo aver, a onor del vero, subdolamente sperato di averlo scongiurato del tutto.  «Aspetta però non mi sembra di aver mai detto che Haldir fosse la mia…» aggiunse, alquanto disorientato dalla sua ultima frase, ma le sue ragionevoli perplessità furono arrestate dalla furia dell’altro.
«Per Gil-Galad!» esclamò rabbioso, strattonando con entrambe le mani la tunica dell’elfo verso di sé, cieco di fronte allo sguardo implorante con cui quello lo stava pregando, in maniera piuttosto palese, di rimandare gli insulti che certamente meritava per riprendere da dove si erano interrotti «Hai rischiato di farmi impazzire, te ne rendi conto? Non sai quello che avrei voluto farti in quei momenti in cui tu ti divertivi a provocarmi! Quindi anche l’abbraccio nelle miniere di Moria non era altro che un tranello?» chiese, improvvisamente rattristato dal pensiero che quello che per lui era stato uno dei momenti più intensi della sua vita, non fosse stato altro che una parte dello sporco piano ordito da quell’insospettabile mente criminale.
«No, no davvero, in quel momento non avrei mai potuto… fingere» rispose l’altro abbassando gli occhi e sorridendo appena a quel ricordo, in un’espressione tanto sinceramente raddolcita che Aragorn non poté che dargli -immeritatamente- fiducia, incantandosi ad osservare quei lineamenti delicati come durante una sfuriata come quella non era certo dignitoso fermarsi a fare. La sua mente però ci mise poco a richiamarlo all’ordine, facendogli severamente notare quanto gli occhi da pesce lesso che sicuramente aveva in quel momento, fossero inappropriati su un volto che nei suoi intenti avrebbe dovuto incutere, se  non paura, almeno un briciolo di timore.
«E in ogni caso non potevi confessarmi tutto, una volta aver appurato di essere ricambiato?!» riprese a sbraitare, più per una presa di posizione che altro, dato che, checché ne dicesse il suo orgoglio mutilato, era bastato quel mezzo sorriso melanconico dell’elfo a far scemare buona parte del suo rancore.
«E perdermi una dichiarazione come quella di oggi?» Fu la pronta e divertita risposta dell’altro, che non fu però in grado di nascondere del tutto la frustrazione con cui aveva preso atto del fatto che l’uomo non ne avesse ancora avuto abbastanza di sgridarlo. «Non vi avrei rinunciato per tutto l’oro dei nani!»
Si stava prendendo gioco di lui ancora, pensò Aragorn, mentre indispettito lo apostrofava: «Tu sei un piccolo, viscido…»  Ma Legolas non sembrava curioso di sapere come si sarebbe conclusa quell’affettuosa sequela di aggettivi, perché improvvisamente afferrò a sua volta il colletto dell’altro e, con una foga che mai Aragorn si sarebbe aspettato da lui, fece cozzare la sua schiena contro il tronco dell’albero più vicino, aggredendolo con un bacio che della delicatezza elfica aveva ben poco.
«Ti prego Estel, fai un uso migliore della tua bocca in questo momento» rantolò frettolosamente, per poi affrettarsi a premere nuovamente le labbra contro le sue e quella frase, complici forse le più indecorose interpretazioni a cui si prestava, fece dimenticare completamente all’uomo il motivo della sua rabbia, insieme a buona parte dei suoi pensieri.
Fu come se qualcuno avesse dato il via ad una gara senza esclusione di colpi su chi per primo avesse violato ogni parte del corpo dell’altro, perché, abbandonata in un attimo la sorpresa iniziale e represso il gemito di dolore che la botta gli aveva suscitato, Aragorn si premurò di approfondire quel bacio aprendo la bocca e celere la lingua di Legolas vi si infilò dentro. Altrettanto rapidamente le mani del Dùnedain scivolarono sfacciatamente al di sotto della sua tunica portandosi in alto e poi scendendo a poco a poco dai dorsali inarcati, alle provocanti fossette di Venere, a stringere infine la soda curva dei glutei ed accarezzare l’ambito solco che li separava. Anche i loro respiri affannosi sembravano quelli di due atleti intenti a contendersi il primo posto, mentre si mordevano e baciavano quanta più pelle nuda riuscissero a raggiungere, artigliandosi abiti e cute con le unghie come nel timore di potersi perdere, dopo averci messo così tanto a trovarsi.
Il gemito che l’uomo non riuscì a reprimere nel sentire la calda bocca di Legolas scendere a lambire il suo petto, dopo che quello aveva intrepidamente spalancato la tunica che lo copriva, richiamò la sua attenzione sulla situazione che stava rapidamente sfuggendo loro di mano. Era completamente, sfrenatamente e meravigliosamente in balia della sconvolgente passione fino a quel momento magistralmente celata dall’elfo e dovette fare uno sforzo sovrumano per riuscire ad uscirne.
«No… Legolas… piano…» ansimò interrompendo il suo tentativo di succhiargli via l’anima attraverso la pelle del collo, mentre saldamente stringeva la sua vita, per opporsi alla sua spinta che premeva per far entrare in contatto i loro bacini. Se Legolas avesse continuato a tentarlo a quel modo non sarebbe più riuscito a trattenersi e, anche se il suo corpo in quel momento diceva l’esatto contrario, non era ciò che voleva. Per quanto l’avrebbe terribilmente appagato mettere in atto ciò che per troppo tempo aveva solo che potuto anelare con tutta l’anima, la sua priorità in quel momento era tutt’altra. Voleva dimostrare all’elfo, ma in piccola parte anche a se stesso, che lui non era quello del suo sogno, che non era quello che aveva deprecabilmente desiderato di possedere il suo corpo. Lui era Estel, il migliore amico di una vita, lo stesso Estel che si guardava intorno con l’angoscia di non trovarlo dopo ogni battaglia, lo stesso che per anni si era sentito stupidamente felice al solo vederlo sorridere, lo stesso che quella notte non avrebbe attentato come un animale alla sua virtù.
Alle sue parole lo vide deglutire, respirando affannato con gli occhi ancora chiusi, come tentando di ricomporsi, riportato a sua volta alla realtà dopo essersi lasciato travolgere da quell’istinto dal potere così forte da sfuggire perfino al controllo di un elfo millenario.
Sorridendo ed apprezzando suo malgrado quanto potesse risultare eccitante vederlo per la prima volta perdere il controllo sulle proprie pulsioni come un qualunque imperfetto umano, gli accarezzò il volto, perdendosi nell’azzurro dei suoi occhi quando quello li sollevò verso di lui, osservandolo in un silenzio carico di domande.
L’uomo posò la fronte contro la sua, dandogli altrettanto silenziose risposte, certo che, dopo anni passati a capirsi con lo sguardo, sarebbero bastate ed imponendo una volontà ferrea sui più bassi impulsi che quella vicinanza gli provocava. Quando, a poco a poco, i respiri di entrambi tornarono a ritmi più consueti, Aragorn si concesse nuovamente di posare le labbra sulle sue per un breve attimo, prima di asserire:
«Forse è meglio che ce ne andiamo a dormire per stasera, non credi?»
Senza aspettare risposta si allontanò faticosamente da lui, dandogli le spalle e prendendo a camminare in direzione del flet che sembrava gli altri avessero deciso, in un impeto di inaspettata bontà, di lasciare tutto per loro. «A meno che tu non preferisca dormire con Haldir» aggiunse provocatorio senza voltarsi, a fargli intendere che, nonostante si fosse appena imposto per mettere fine ad un bacio che prometteva di diventare molto di più, quando diceva “ce ne andiamo a dormire” intendeva proprio loro due, insieme.
Ci fu un breve attimo in cui si udirono solo i passi dell’uomo sulle foglie secche e in cui probabilmente l’elfo passò silenziosamente dallo stupore, all’indignazione, per finire al desiderio di rivalsa, di cui fu intrisa l’altrettanto provocatoria risposta che giunse alle orecchie dell’uomo:
«Per carità, Haldir russa».
Alle nervose domande dell’altro su come facesse a sapere quel particolare, l’elfo rispose con un’allegra risata, alla quale infine nemmeno Aragorn riuscì a trattenersi dall’unirsi, rigorosamente dopo che Legolas gli ebbe assicurato che stesse solo scherzando.
Quella fredda e prodigiosa notte invernale l’avrebbero passata stretti l’uno contro l’altro in un solo giaciglio, nel muto ascolto dei loro respiri per troppo tempo desiderati così vicini, prima di addormentarsi.
A questa tanto casta versione dei fatti, al mattino, nessun membro della compagnia avrebbe creduto, ma Aragorn avrebbe scoperto che, in fin dei conti, la cosa non lo turbava poi più di tanto.

 

FINE
 
Piccola nota
Volevo solo dare una piccola spiegazione riguardo la trasmissione del pensiero che viene spiegata da Legolas in questo capitolo. Non si tratta di una mia invenzione, ma è Tolkien stesso a descriverla in un saggio intitolato “Osanwe kenta”, dal quale ho preso in prestito i concetti.
Grazie tutti coloro che mi hanno letto e sostenuto nel corso di questa fic <3.


 

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