Cambia la tua vita con un Josh

di IlariaJH
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** I've got a feeling ***
Capitolo 3: *** Feel again ***
Capitolo 4: *** Il comico ***
Capitolo 5: *** Chasing pavements ***
Capitolo 6: *** Teenage Dream ***
Capitolo 7: *** Give your heart a break ***
Capitolo 8: *** Standing in front of you ***
Capitolo 9: *** Don't panic ***
Capitolo 10: *** What the hell? ***
Capitolo 11: *** Shake it out ***
Capitolo 12: *** It's time ***
Capitolo 13: *** The Forgotten ***
Capitolo 14: *** Home ***
Capitolo 15: *** Empire State of Mind ***
Capitolo 16: *** Here comes the sun ***
Capitolo 17: *** When I Come Around ***
Capitolo 18: *** Here's to us ***
Capitolo 19: *** Swallowed in the sea ***
Capitolo 20: *** It's the end of the world as we know it ***
Capitolo 21: *** On top of the world ***
Capitolo 22: *** Missing you ***
Capitolo 23: *** Jealous guy - part 1. ***
Capitolo 24: *** Jealous guy - part 2. ***
Capitolo 25: *** Iris ***
Capitolo 26: *** Blackout ***
Capitolo 27: *** Somewhere only we know ***
Capitolo 28: *** Carry on ***
Capitolo 29: *** Demons ***
Capitolo 30: *** Asleep ***
Capitolo 31: *** Good old days ***
Capitolo 32: *** Cannonball ***
Capitolo 33: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


NOTA DELL’AUTRICE
La vicenda è ambientata nel futuro, in quanto ho voluto che Josh avesse finito di girare “Hunger Games”. Perciò josh potrebbe avere sui ventiquattro/venticinque. Detto questo, Buona lettura! Spero che vi piaccia. 
 
 
PROLOGO
 
«Ah, la testa!»
Quando mi sveglio la testa mi gira e sento che ogni movimento che faccio mi sembra di fare una fatica enorme. Cerco di alzarmi, ma sento che un conato di vomito sta per salire, perciò mi sdraio di nuovo. Chiudo gli occhi e aspetto che passi. Quando mi sento un po’ meglio e noto che la testa non mi gira più, apro gli occhi. Mi trovo in una stanza sconosciuta. Non è la stanza che mi hanno assegnato al college. Il letto è più grande. Al soffitto è appeso un lampadario ultra moderno che il mio college non potrebbe permettersi neanche tra un milione di anni. Le pareti sono dipinte di un azzurro blu. Come quei colori che usano le mamme per dipingere le camere dei loro bambini appena nati. I sensi stanno tornando a funzionare piano, piano. Cerco di alzarmi ma la testa ricomincia a girare, perciò ci rinuncio. Che diavolo ho combinato per ridurmi in questo stato? Sento dei passi fuori dalla stanza e richiudo gli occhi. Ma lo faccio talmente in fretta che la testa inizia di nuovo a girarmi e un conato arriva quasi alla bocca. Un ragazzo entra giusto in tempo. Mi porge una bacinella di plastica prima che vomiti per terra. Passano due o tre minuti prima che il mio corpo smetta di essere scosso dai conati. Quando finisco il ragazzo mi toglie la bacinella da sotto la testa, la appoggia per terra e mi aiuta a sdraiarmi di nuovo sul letto.
«Fossi in te non cercherei di alzarmi» dice con una voce dolce «Sei messa piuttosto male»
Sto quasi per rispondergli in malo modo, ma una lampadina si accende in un angolo buio e desolato della mia mente: quella voce l’ho già sentita. Non mi ricordo dove e né in che circostanza, ma mi sembra una voce così familiare. Cerco di ricordare, ma la testa mi fa troppo male, perciò ci rinuncio. Lo sento che prende la bacinella piena di vomito e si allontana. Apre una porta e poi sento dell’acqua che inizia a scorrere. Chiude l’acqua, una porta si chiude e poi lo sento avvicinarsi e sedersi accanto al letto.
«Riesci a parlare?» mi chiede con lo stesso tono di voce dolce.
«Sì» dico «se non mi concentro troppo, sì»
Lo sento che ride, ma nella sua risata c’è un po’ di preoccupazione. «Ti chiami Ilaria, non è vero?»
Apro gli occhi piano e cerco di posarli sul suo viso, ma lui si tiene fuori dal mio campo visivo. «Come fai a saperlo?» chiedo un po’ preoccupata.
«Ho rovistato nella tua borsa e ho trovato la tua carta d’identità» dice quasi in tono di scusa.
«Fantastico!» dico «Quindi cosa sei, un ladro?»
«No» dice lui con una risatina «Mi chiamo Josh»
La lampadina accesa nella mia testa si illumina di più, come volesse obbligarmi a ricordare. A trovare un nesso tra la voce conosciuta e il nome Josh. Ma sono troppo messa male per voler anche solo provare a cercare quel nesso.
«Bene, Josh» dico sottolineando il suo nome «Dove mi trovo? E come mai sono finita qui?»
«E’ una storia abbastanza lunga» dice «puoi sopportare un alto livello di informazioni?»
Sento un po’ di ironia nella sua voce. Come se il ricordo di come sono finita qui lo divertisse. Improvvisamente mi sento arrabbiata. «No. Adesso voglio dormire» sbuffo.
Sento che soffoca una risata. «Come vuoi tu» si mette comodo sulla sedia e poi non si muove più. A poco a poco cado di nuovo nelle tenebre del sonno senza sognare niente.
 
Quando mi sveglio la testa non mi gira più. Apro gli occhi e muovo braccia e gambe senza che mi salgano conati di vomito. Mi siedo, curiosa di vedere il volto di quella voce così familiare. Ma nella stanza non c’è nessuno, a parte me. Sento qualcuno che parla, ma non riesco a capire cosa dicano. E’ ovvio che non sono più al mio college. Come ci sono finita qui? Sono ancora a Los Angeles? Qualcuno mi starà cercando? Oppure Josh ha fatto perdere le mie tracce? Mi hanno rapita? La mia mente viaggia talmente tanto che la testa inizia a farmi male, quindi smetto di farmi domande a cui non posso rispondere. Mi sdraio di nuovo e cerco di concentrarmi sulle voci provenienti da lontano, ma non le sento più. Sto quasi iniziando a credere che le voci fossero solo nella mia testa, quando qualcuno inizia a salire le scale. Chiudo gli occhi e mi fingo addormentata. Aprono la porta e sento dei passi avvicinarsi. Con l’intruso arriva anche un odore di brioches appena sfornate e di caffè. Inspiro quell’odore buono e mi scopro affamata come non mai.
«So che sei sveglia» mi canzona la voce di Josh «Vuoi fare colazione?»
Mi sento ancora un po’ arrabbiata, ma la voglia di mangiare è talmente tanta che apro gli occhi e mi tiro su a sedere.
Appena tirata su, la colazione perde tutta la sua importanza. Non sento più l’odore di brioches e caffè. Non do nemmeno importanza al mio stomaco che continua a brontolare dalla fame. Sono seduta davanti all’attore per cui ho una cotta da quando avevo sedici anni. Sono seduta davanti a Josh Hutcherson.    
 
 
NOTA DELL’AUTRICE
Spero che vi sia piaciuto :3
Ovviamente, questo è solo il prologo. Avremo dei chiarimenti sulla situazione di Ilaria pian piano nei prossimi capitoli..
 
Recensite in tanti! Al prossimo capitolo!

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Capitolo 2
*** I've got a feeling ***


I’ve got a feeling

 

                                                                                      All these years I've been wandering around the world,
                                                                                     Wondering how come nobody told me
                                                                                     All that I was looking for was sombody
                                                                                     Who looked like you.

                                                                                                                  The Beatles – I’ve got a feeling
 

 
 
Il mio corpo si blocca. Non risponde ai comandi. Solo il mio stomaco continua a protestare dalla fame. Avrò sognato questo momento un sacco di volte! Me lo immaginavo su un tappeto rosso, magari mentre lui faceva la sua entrata trionfale alla premiere del mio ultimo film. O magari dopo avermi tirata sotto con la sua macchina e, vedendomi ferita, si innamorava perdutamente di me. Di certo non così: con i postumi di un qualcosa che non ricordo, dopo essere stata a letto, da cosciente, per due giorni, con i capelli tutti scombinati e lo stomaco che protesta tanto forte che sembra che stia passando un trattore. Sento il mio cuore che martella contro il petto minacciando di uscire dalla sua postazione. Non oso nemmeno immaginare la mia faccia da ebete. Molto probabilmente con la bocca spalancata e gli occhi da maniaca. Fortunatamente non sembrano esserci specchi a portata di sguardo, anche se non credo che i miei occhi risponderebbero all’ordine di scrutare la stanza per capire dove mi trovo. Vedo comparire sul suo viso un mezzo sorriso. Di sicuro mi sta prendendo per pazza. Cerco di prendere aria, ma mi sembra di aver dimenticato come si respira. Faccio una fatica immensa solo per riuscire a sentire le poche parole che escono dalle sue labbra.
«Credo che il tuo stomaco sia un po’ stufo di aspettare la colazione» dice sorridendo.
Cerco di muovermi, ma il mio corpo continua a non rispondere. Vede che sono un po’ in difficoltà, perciò prende la brioches nel vassoio e me la porge sorridendo. Finalmente la mano decide che è ora di muoversi e la vedo afferrare la brioches e portarmela alla bocca. Inizio a masticare avidamente, ma i miei occhi non vogliono staccarsi dal viso di Josh. Lui continua a sorridermi, e sembra quasi divertito. Di sicuro non ha ancora ben chiaro che il problema è proprio il suo sorriso. Quel sorriso che ho sognato da sempre. Quel sorriso dolce che ho visto apparire per anni nei film, nelle riviste e nei poster che ricoprivano le pareti della mia stanza. Sono quasi tentata di chiedergli di smetterla di sorridere, ma la mia bocca è ancora impegnata a riempirsi avidamente, come se non vedessi cibo da mesi, e perciò evito di fare figuracce inutili davanti al mio mito. Quando finisco di ingozzarmi cerco di staccare il mio sguardo dal suo e, incredibilmente, i miei occhi decidono di obbedire. La stanza è grande e arieggiata. La pareti sono dello stesso blu azzurro del soffitto. Un grande armadio di legno scuro è posizionato da un lato del letto, mentre dall’altro un grande tappeto blu notte copre il pavimento di legno dello stesso colore scuro dell’armadio. Sempre dallo stesso lato c’è una grande finestra con le serrande alzate per metà, le tende tirate e vicino una porta chiusa che mi incuriosisce un po’. Di fronte al letto c’è poco spazio e una porta aperta che conduce al bagno, nell’angolo vicino alla finestra vi è una scrivania con un computer portatile e un sacco di cianfrusaglie e fogli. Nel complesso la stanza è abbastanza ordinata, a parte qualche paio di scarpe, di cui uno da donna, lasciate sul tappeto in disordine. Josh deve essersi accorto che il mio sguardo si è fermato interrogativo sulle scarpe da donna.
«Quelle sono tue» dice, e nel suo tono trovo lo stesso divertimento di quando mi aveva chiesto se ero interessata a sentire la storia di come ero arrivata qui «Te le ho dovute togliere per metterti a letto»
Solo in quel momento mi rendo conto che addosso non ho più i miei vestiti ma una maglietta bianca a maniche corte, che mi sta decisamente larga, e un paio di pantaloni del pigiama da uomo. Mi porto la mano al seno e lo sento ancora fasciato dal reggiseno imbottito. La mia preoccupazione si allevia un po’ anche se la testa ricomincia a farmi male. Non ricordo come ci sono arrivata in questa camera da letto, né cosa diavolo ho combinato per arrivarci.
«Ok, questo è troppo…» bisbiglio tra me e me.
Josh sente quel bisbiglio e si siede su una poltrona accanto al letto che prima non avevo notato.
«Se hai voglia di starmi a sentire, ti racconto come sei finita in camera mia»
Quasi mi prende un infarto. In camera di Josh Hutcherson. Sento che tutto inizia a girare, perciò mi siedo sul letto, ma la testa continua a farmi brutti scherzi. Mi sdraio, mi tiro la coperta fin sotto il naso e lo guardo negli occhi, ancora troppo scioccata per rivolgere a lui anche solo un monosillabo. Vedendo che non tiro su obbiezioni alla sua proposta si mette comodo, accavalla le gambe e inizia a raccontare.
«Quando la sera non ho niente da fare, mi piace andare al bar che c’è all’incrocio in fondo alla strada. E’ tranquillo e nessuno mi disturba. I paparazzi hanno perfino smesso di seguirmi. Ormai hanno capito che quando esco, quella è la mia unica meta.» Mi chiedo se sono riuscita a combinare un così grosso pasticcio da rendergli difficile perfino raccontarmelo, ma non lo interrompo. «Sono entrato e, come al solito, mi sono seduto nell’angolo più lontano, in modo che resti difficile vedermi. Mi piace sedermi lì e guardare la gente. Il barista mi ha portato da bere, come al solito. Poi la porta di ingresso si è aperta e sei entrata tu, in compagnia di un’altra ragazza. Mary, giusto?»
Rimango un po’ sorpresa. Come diavolo fa a sapere il nome di Mary? Sto quasi per chiederglielo, ma lui mi blocca.
«Più avanti si spiega tutto» dice con un sorriso. «Vi siete dirette al bancone, avete ordinato da bere e poi avete iniziato a parlare e a ridere. Un paio di ragazzi vi hanno avvicinate. Uno di loro era particolarmente interessato a Mary, mentre l’altro si guardava attorno annoiato. Non capivo cosa si stessero dicendo, ma tu lanciavi delle occhiate nervose alla tua amica.»
Improvvisamente mi torna in mente la scena. Avevamo preso il pullman dal college, quella mattina, decise a visitare Los Angeles. La sera, però, avevamo perso l’ultima corsa e quindi saremmo dovute rimanere in città tutta la notte. Era impensabile tornare a piedi, visto che il college era ad un’ora di macchina. Avevamo trovato un bar che sembrava molto carino dall'esterno ed avevamo deciso si entrare. Mary non voleva darmi ascolto. Lei voleva divertirsi e non pensava che, invece, avremmo dovuto cercarci un posto per dormire. Avevamo ordinato da bere. Ormai avevo deciso di lasciar perdere il fatto che, se la serata avesse proseguito così, ci saremmo ritrovate a dormire per strada, visto che non volevo litigare con Mary. Poi due ragazzi si erano avvicinati. Il primo, che era palesemente interessato a Mary, dopo qualche drink ci aveva chiesto se volevamo uscire con loro. Mary era entusiasta. Mark, così aveva detto di chiamarsi il ragazzo, era Newyorkese ed era simpaticissimo. Ma io non ero d’accordo. Non volevo andare via con due sconosciuti. Io e Mary avevamo iniziato a litigare.
«Non puoi andare via con uno sconosciuto solo perché è Newyorkese!» le avevo detto, arrabbiata.
«Sei peggio di mia mamma!» mi aveva sbuffato contro lei «Sono maggiorenne, perciò non sarai certo tu a impedirmi di andare via.»
«Bene allora. Visto che sei maggiorenne vai pure con loro. Io però rimango qui.»
«Bene.Ci vediamo al college.»
Avrei voluto gridarle dietro che poteva anche trovarsi un’altra migliore amica e compagna di stanza, perché io non le avrei rivolto più la parola. Ma non lo avevo fatto. Ero semplicemente rimasta a guardarla andare via senza dire niente, e quando era sparita dalla mia vista mi ero girata verso il barista, chiedendogli di riempirmi il bicchiere del cocktail più alcolico che aveva.
Il resto, però, sembra avvolto da nebbia troppo fitta. Non riesco a ricordare niente. Perciò decido di continuare ad ascoltare il racconto di Josh che, a quanto pare, mi ha guardata per tutta la sera.
«Hai iniziato a bere e non la smettevi più. Finivi un bicchiere e ne chiedevi un altro. Eri talmente ubriaca che non ti accorgevi nemmeno che il barista iniziava a riempirti il bicchiere solo d’acqua. Poi ti sei girata verso di me. Mi hai guardato per un po’. Non credevo che mi avresti riconosciuto con tutto quello che avevi bevuto ma alla fine ti sei alzata barcollando e sei venuta verso di me. Ti sei lasciata cadere sulla sedia accanto alla mia e mi hai guardato con uno sguardo appannato. Poi ti sei messa a ridere e hai detto:“Tu sei Josh Hutcherson!” più che detto l’hai gridato, ma nessuno ci prestava molta attenzione. Non badavi neanche al fatto che io ti avrei potuta trovare, carina sì, ma un’ubriaca da assecondare. Mi hai chiesto l’autografo e dopo averti firmato un tovagliolo, tu l’hai preso e mi hai guardato. Poi hai detto:“Tu non sei Josh Hutcherson. Io sono ubriaca! Quindi tu puoi essere Josh Hutcherson almeno quanto io sono sobria!” sei scoppiata a ridere e poi a piangere. Hai appoggiato la testa sulla mia spalla e non riuscivi più a smettere. Mi hai raccontato come ci eri finita lì e mi hai parlato dei tuoi studi per diventare medico.» si ferma un attimo e sorride al ricordo. Io vorrei sotterrami. Fare in modo di sparire dalla faccia della terra. Penso a tutto quello che ha raccontato, e mi sento arrossire di vergogna. Lui vede il mio rossore e decide che è meglio proseguire nel racconto.
«Ad un certo punto hai smesso di parlare. Io non sapevo che fare, quindi ti ho chiesto di raccontarmi della tua vita al college ma ti eri addormentata. Ho provato a svegliarti, ma non ne volevi sapere. Borbottavi che avevo una spalla molto comoda e che non volevi tornare nel mondo reale. Mi sono preoccupato, così ho chiamato un taxi, ma dato che non sapevo che college frequentavi e tu non avevi intenzione di dirmelo, ti ho portata a casa mia. Sei arrivata qua, ti ho tolto le scarpe, ti ho spogliata, rivestita e messa a dormire. Non ti sto a raccontare come hai passato la prima notte! Ero indeciso se farti la doccia o meno, ma poi sei stata meglio.»
Quando finisce di parlare mi guarda attentamente per vedere la mia reazione. Comincio a sperare che qualcuno esca da sotto il letto gridando che è uno scherzo, ma nessuno lo fa. Mi sento piena di vergogna e vorrei uscire da quella camera gridando a squarcia gola. Lui continua a fissarmi con un mezzo sorriso e mi viene voglia di prenderlo a ceffoni. Ma poi una domanda si fa strada nella mia mente e non riesco a fare in modo che non le venga data voce.
«Non mi stai prendendo in giro, vero?» chiedo, ancora con la speranza che qualcuno esca da sotto il letto.
Scoppia a ridere, e penso che, nonostante io l’abbia visto ridere per anni nelle interviste, vederlo ridere di persona sia tutta un’altra cosa. Potrei quasi sciogliermi sapendo che sta ridendo per qualcosa che ho detto io. Sento un sorriso spuntarmi in viso e sono sicura, al cento per cento, che è uno dei miei sorrisi più ebeti.
«No.» dice sorridendo «Ma ora mi togli una curiosità?»
Annuisco, ancora imbarazzata.
«Sei davvero italiana?»
Mi sento un po’ spiazzata. Con tutte le cose che poteva chiedermi, questa non me l’aspettavo per niente. Lo guardo per un attimo che a me sembra infinito. Il sorriso divertito che non l’ha ancora abbandonato da quando ha iniziato a raccontare la storia di come sono finita in camera sua e con i suoi vestiti, gli occhi che brillano di sincera curiosità, i capelli spettinati e in disordine e la tuta da casa composta da una maglia bianca come la mia che gli mette in risalto i muscoli e una tuta nera stretta alle caviglie con le ciabatte di lana e senza calze. Mi sembra ancora più sexy di quando lo vedevo nelle interviste in cui vestiva casual con jeans, maglietta e giacca di pelle. Cerco di riprendermi prima che un impulso, non del tutto sbagliato, mi spinga a saltargli addosso.
《Sì, sono italiana. Sognavo di venire a studiare in America da quando avevo quindici anni. Voglio diventare medico. L’anno scorso ho ricevuto una borsa di studio e ho mandato alcune domande nei college americani. Io volevo andare a New York, ma lì le rette sono troppo alte e non ce lo potevamo permettere. Così ho optato per Los Angeles, e non ho fatto così male…»
Non so se capisce che l’ultima frase è riferita a lui, ma sorride e la mia mente si svuota di nuovo. Se ne accorge, e comincia  a ridere.
«Scusa»
«No, non ti devi scusare. E’ che ho passato anni a guardarti sorridere nei film, nelle interviste e nelle foto, quindi mi fa un certo effetto»
Sono un’idiota. Sono una completa idiota. Ho appena detto a Josh Hutcherson che gli sbavo letteralmente dietro. Quindi ora, oltre al credermi un’ubriacona che non regge l’alcool e piange sulla spalla degli sconosciuti raccontando le proprie disgrazie, mi crederà anche una di quelle fan che impazziscono davanti al computer guardando le foto e i video degli attori famosi e che progettano matrimoni e bambini che non esisteranno mai. Ma, quando mi sorride, non c’è pena né compassione sul suo viso. Non c’è imbarazzo né voglia di uscire in fretta da quella camera pur di non passare altro tempo con me. In effetti, non riesco a capire cosa ci sia in quel sorriso oltre alla gentilezza che ho sempre creduto lo caratterizzasse.
«Quindi…» dico cercando di levarmi l’imbarazzo di dosso «Immagino che adesso che sono tornata in me chiamerai un taxi e mi rimanderai al college, vero?»
L’ipotesi mi spaventa. Non voglio tornare in quel college. Non avevo amici oltre a Mary, e ora che lei è scappata con il ragazzo Newyorkese, mi sembra che lì non ci siano ragioni per tornare. E’ vero, devo tornare per studiare. Non riesco nemmeno a immaginarmi mentre chiamo mio padre dicendogli che voglio tornare a casa. Ho sempre descritto l’America come l’unica mia vera possibilità di trovare casa. Ora che sono qui non permetterò ad una sciagurata di rovinarmi i sogni di una vita.
«In realtà,» dice distogliendo, per la prima volta da quando abbiamo iniziato a parlare, gli occhi da me «volevo invitarti a cena con me una di queste sere, ma se preferisci tornare al college…»
Sento che la mandibola potrebbe cadermi a terra dallo stupore e, preoccupata all’ipotesi, cerco di non aprire la bocca. Lo fisso incredula. Non riesco neanche a formulare una frase per rispondere. Ho perso la capacità di parola e di formulazione delle frasi. Il mio cervello ha staccato la spina e, come nei cartoni animati, ha fatto le valige e ha preso il primo volo per chissà dove. L’unica cosa che riesco a fare è impormi di non aprire la bocca ed evitare di spalancare gli occhi per la sorpresa. Ero riuscita a farmi le più assurde fantasie su Josh Hutcherson, ma me le ero fatte sapendo che erano solo fantasie. Che non si sarebbero mai avverate. Il mio cervello decide che forse partire non è una buona scelta e riesco a mettere insieme tante lettere da riuscire a formare una parola. La più stupida, in effetti.
«Cosa?»
«Hai capito…» mi dice un po’ imbarazzato, ma alza lo sguardo su di me e lo ripete «Ti va di venire a cena con me una di queste sere?»
 

 
SPAZIO AUTRICE
 

Ok, ecco il primo capitolo. Spero vi piaccia!
Voglio ringraziare tutti coloro che mi hanno lasciato le recensioni sul prologo. Mi avete veramente emozionata e siete stati fantastici, grazie <3  
Spero che andando avanti con i capitoli la storia vi piacerà sempre di più!
 
Un bacio grande, grande a tutti e al prossimo capitolo!    

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Capitolo 3
*** Feel again ***


Feel again.

 

I’m feeling better since you know me,
I was a lonely soul but that’s the old me.
A little wiser now but you show me…
Yeah, I feel again,
feel again.
OneRepublic – Feel Again




«Così tu sei Ilaria, eh?»  dice Connor con un sorriso malizioso.
L’ho conosciuto da neanche cinque minuti e già lo odio a morte. Lo prenderei a ceffoni fino a fargli sanguinare le guance e poi lo calpesterei come uno zerbino. E poi… beh, forse è meglio evitare di pensarci. Non credo che a Josh farebbe piacere sapere che torturerei suo fratello molto volentieri, ma è dal momento in cui ci ha presentati che continua a guardarmi con quel sorriso malizioso di chi sembra saperla molto lunga. Josh voleva aspettare il fratello visto che al nostro primo appuntamento non gli sembrava il caso di ordinare cinese. Andare fuori a cena comporterebbe il fatto di essere seguiti dai paparazzi e, anche se per me non ci sarebbe stato alcun problema, lui non voleva considerare l’ipotesi.
«Voglio che la tua prima apparizione con me sia diversa.» aveva detto, e io mi ero limitata a non fare proteste inutili.
Così abbiamo deciso di affidarci alle mani da cuoco di suo fratello che però si è fatto aspettare cinque giorni. Io e Josh abbiamo parlato e parlato e parlato… forse è per questo che Connor mi guarda maliziosamente. Crede che io e Josh in questi cinque giorni avremmo potuto mettere sottosopra l’intera casa. Invece si sbaglia di grosso e, con quel suo sorriso malizioso, non fa che aumentare la mia voglia di prenderlo a ceffoni. Guardo Josh per capire se è riuscito a leggermi in faccia quello che sto tentando di nascondere agli occhi attenti di Connor, ma lui non mi guarda. Sembra più interessato al notiziario serale che a me.
«Già…» dico, facendogli palesemente capire che mi dà fastidio il suo atteggiamento.
«Sei silenziosa.» sentenzia con il solito sorriso malizioso «L’ultima ragazza che Josh ha portato a casa non la smetteva di parlare di qualunque cosa.»
«Immagino che tra te e lei ci fosse una grande intesa.» replico tagliente.
Vedo che rimane un attimo scioccato dalla mia risposta, ma ritrova immediatamente quel sorriso malizioso che mi fa imbestialire. Gli occhi gli si illuminano mentre pensa al prossimo commento che potrebbe buttarmi giù di morale. Ha gli occhi identici a quelli di Josh, ma le somiglianze si fermano lì. E’ più piccolo di qualche anno. E’
magro, con un accenno di muscoli che si intravede sotto la t-shirt. Ha i capelli castano scuro e la bocca sottile. Oltre ad avere un grandissima passione per la cucina, ama andare a pescare tutte le domeniche mattina e, ho appena deciso, tentare di infastidirmi.  
«Ti sei ubriacata apposta?» chiede divertito.
Giro la testa e faccio finta di non averlo sentito. Non ho nessuna intenzione di rispondere alle sue stupide frecciatine.
«Secondo me l’hai fatto apposta.» sentenzia sapendo benissimo che lo sento «Insomma, tu non sei nessuno e Josh… Beh, lui è famoso in tutto il mondo!»
A quel commento vedo che Josh gira la testa verso il fratello più grande e gli lancia un’occhiata penetrante. Giro la testa facendo finta di non aver visto l’occhiataccia e sento Connor che scoppia a ridere divertito. Incuriosita guardo Josh, ma lui si è perso nuovamente nel notiziario della sera. Mi sento un po’ indispettita, perciò inizio a guardarmi intorno, cercando di tenere impegnata la mia mente  in modo che non si impegni nell’immaginare tutte le possibili torture da propinare a Connor. La cucina è grande e accogliente. Le pareti sono di un giallo ocra abbastanza chiaro. I mobili si alternano da un color del legno chiaro ad un panna quasi bianco. Davanti alla cucina c’è un grande tavolo in legno chiaro con le sedie dello stesso tipo di legno e i cuscini in panna per almeno otto persone.  Il pavimento in legno chiaro ricopre tutta la casa. Su un mobiletto sta una televisione sottile piccola, apposta per la cucina. Dalla cucina al salotto non ci sono porte che dividano una stanza dall’altra, solo due sporgenze che fanno in modo che ci sia lo stacco di colore tra i due ambienti. Il salotto ha le pareti dipinte di rosso scuro. Il soffitto è dipinto di grigio da cui pende un grande lampadario composto di tanti filini che vanno in tutte le direzioni. Un enorme divano grigio chiaro occupa lo spazio dal lato opposto ad una televisione enorme che occupa tutta la parete, tanto grande che quasi sembra di essere al cinema. Per arrivare all’ingresso si passa per un corto corridoio spaziosissimo con appese foto di famiglia che lo riempiono per intero. L’ingresso da immediatamente sulle scale che portano al piano di sopra. Ci sono un sacco di piante ovunque e il giardino della casa è perfettamente curato. Penso che sia opera della madre.
Ad un certo punto Josh si alza dalla sua sedia. Il movimento quasi mi fa sobbalzare talmente sono concentrata a guardare la casa.
«Vado ad aprire ai cani.» mi dice sorridendo, senza degnare di uno sguardo il fratello.
In cinque giorni che vivo lì non ho mai visto i due cani, anche se Josh me ne ha parlato. Ero talmente presa dal fatto che vivessi in una casa assieme a Josh che non mi sono mai preoccupata di cosa succedesse nel modo fuori dalla sua casa. Lo guardo andare via pregando che nei pochi minuti che passerò con Connor il mio istinto omicida non abbia la meglio sulla ragione. Stranamente, però lui non dice una parola. Quando Josh rientra è accompagnato da due cani grandi come pony che scodinzolano felici attorno al padrone. Uno è del color del cioccolato, mentre l’altro ha il manto bianco come la neve. Non riesco a riconoscerli in nessuna delle razze che conosco. Corrono verso Connor e lo riempiono di feste abbaiando e leccandogli la faccia. Poi il cane dal manto bianco come la neve si accorge di una presenza estranea nella cucina. Mi si avvicina annusandomi cautamente, pronto ad attaccarmi. Rimango immobile lasciando che mi annusi. Alla fine decide che sono un’amica e inizia a scodinzolarmi chiedendomi di giocare con lui. Appoggi il muso sulle mie gambe e scodinzola, felice di essersi trovato una nuova amica. Inizio ad accarezzarlo e poi decido di sedermi per terra per averlo alla mia stessa altezza. Il risultato è che il cane mi lecca la faccia e si sdraia scodinzolando per avere più coccole. Il cane color del cioccolato rimane a distanza vicino a Josh, come per proteggerlo, e quando lui decide di sedersi per terra vicino a me lo segue a ruota guardandomi un po’ di sbieco.
«Lui» dice Josh indicandomi il cane dal manto bianco «E’ Diesel.»
Lo guardo sorridendogli per fargli capire che lo ascolto.
«Mentre, invece, lei» dice indicandomi il cane color cioccolato «E’ Nixon.»
«Come mai ha un nome maschile?» chiedo.
«Perché quando l’abbiamo trovata non avevamo capito che fosse una femmina» dice sorridendo «E quando l’abbiamo scoperto abbiamo deciso che poteva rimanere Nixon.»
«Sono bellissimi» dico sentendomi una bambina.
«Sono tutti e due molto affettuosi» dice, prendendo ad accarezzare il testone di Nixon «Ma Nixon è innamorata di me da quando l’abbiamo trovata. Ogni volta che porto una ragazza a casa, lei deve approvarla.»
«Bene!» dico ironicamente «Di solito non piaccio mai ai parenti!»
In quel momento Nixon si alza e mi viene vicino prendendo ad annusarmi. Diesel, ignaro di tutto, continua a pretendere che io gli accarezzi il testone bianco. Il cagnone color cioccolato mi annusa per un po’ e poi, sorprendendomi un po’, mi lecca la faccia.
«Oh, Nixon!» sento Connor dalla cucina «Mi hai deluso.»
«Sapevo che le saresti piaciuta» dice invece Josh con un sorriso a trentadue denti.
Mi sento felice. Sembra quasi una felicità infantile, ma sento che per Josh è importante, quindi sono felice. Faccio una carezza a Nixon che torna ad appoggiare il testone sulle gambe incrociate di Josh.
«E se facessimo una prova?» dice Josh con un sorriso furbetto dipinto sul volto.
Lo guardo interrogativa, perché non ho idea di che cosa voglia combinare. Lui mi sorride incoraggiante e vedo che si avvicina lentamente a me. Il mio corpo si irrigidisce all’istante. Sento le sue labbra calde posarsi sulla mia guancia e lasciarci un piccolo bacio leggero. Un calore improvviso mi invade le guance mentre lo guardo sorridermi raggiante. La stanza si svuota completamente. Non vedo Nixon che scodinzola felice, né sento i commenti taglienti di Connor. C’è solo lui che mi sorride raggiante e il tocco ancora caldo delle sue labbra sulla mia guancia arrossata. Nonostante io viva qui da cinque giorni non ci eravamo mai scambiati niente di più che strette di mano. Quel bacio mi coglie talmente tanto di sorpresa che quasi devo ricordare a me stessa che non sto sognando. Che è tutto vero. Che Josh Hutcherson mi ha davvero dato un bacio sulla guancia. Sento un calore improvviso nella mia intimità ormai addormentata dai tempi del mio ultimo ragazzo. È strano, e mi sembra di sentirmi di nuovo viva. Solo allora mi  ricordo che non sono da sola in quella stanza. Scrollo la testa e sposto lo sguardo da Josh a Diesel che ha iniziato a leccarmi la mano, non contento del fatto che io abbia smesso di accarezzarlo. Sento che Josh accanto a me si alza e raggiunge il tavolo.
«E’ pronto, bella addormentata» mi chiama la voce di Connor.
Quando mi alzo vedo che la tavola è apparecchiata per tre. Sbuffo. Avevo sperato che sarebbe stata quella la serata del nostro appuntamento.
 
Mentre mangiamo la mia mente continua ad estraniarsi dalla conversazione tra i due fratelli. Non riesco a pensare a niente che non sia il tocco leggero delle labbra di Josh sulla mia guancia. Ogni tanto alzo lo sguardo verso di lui e tutte le volte si posa su quelle labbra rosee che si muovono mentre parla col fratello. Le trovo incredibilmente sensuali e non riesco a distogliere lo sguardo da esse. Una volta Josh, probabilmente sentendosi osservato, mi guarda e, vedendo che mi sono palesemente incantata a guardarlo, mi sorride gentilmente. Il suo sorriso mi fa sciogliere e mi sento disarmata, tanto che mi faccio un’appunto mentalmente di chiedergli di smetterla di sorridermi finché non mi sarò abituata a questa strana situazione. Ad un certo punto, però, qualcosa cattura la mia attenzione nella conversazione.
«Oggi ho sentito mamma» dice Connor lanciandomi un’occhiata furtiva.
Non capisco il senso di quell’occhiata, ma gli lancio un’occhiata fredda e lui si gira.
«Non le hai mica raccontato di Ilaria?» chiede Josh, improvvisamente preoccupato.
Quel tono di voce mi incuriosisce un po’, ma non dico nulla.
«No.» dice Connor, anche se immagino che l’avrebbe fatto volentieri. «Sono a Parigi, e il prossimo mese saranno in Italia. Poi torneranno a casa.»
«Bene.» dice Josh freddamente.
Qualcosa lo preoccupa. È talmente preoccupato che la mia curiosità diventa talmente tanta che non riesco a trattenermi.
«Qual è il problema?» chiedo ingenuamente.
Josh mi guarda e fa per rispondere, ma Connor è più veloce.
«Oh, vedrai» dice, tirando fuori di nuovo il sorriso malizioso di prima «Vedrai quando sarà qua…»
«Ma per adesso non ti devi preoccupare.» dice Josh, interrompendo Connor.
«Infatti» dice Connor ghignando «Per adesso non state nemmeno assieme!»
Io lo guardo male e vedo che Josh fa lo stesso. Finiamo di cenare in silenzio e poi io e Josh saliamo in camera sua. Mi siedo sul letto e lo guardo mentre si sdraia stropicciandosi gli occhi. Guardandolo sento il calore di prima invadermi, ma rimango immobile.
«Ha detto che domani se ne va e ci lascia la cena pronta» dice continuando a stropicciarsi gli occhi.
In tutta risposta annuisco senza guardarlo. Ho il cuore a mille e continuo a ripensare al leggero bacio di oggi. Sento il calore invadermi le guance e so di essere arrossita. Mi sto comportando come un’adolescente alla prima cotta e mi sento una stupida. Rimaniamo così per un po’, finché ad un tratto lo sento muoversi sul letto. Il mio corpo si immobilizza, se è possibile, ancora di più. Si siede accanto a me e sento il suo sguardo addosso. Cerco di ricordarmi come si respira, ma la mia testa riesce a concentrarsi solo sulla sua vicinanza. Sento il suo respiro vicino, caldo, tranquillo. Il mio cuore sembra un tamburo, e temo che lui riesca a sentirlo. Rimango immobile finché il suo respiro sul collo mi fa rabbrividire. Poi vedo con la coda dell’occhio che allunga il braccio. La sua mano entra nel mio campo visivo. Prende il mio mento tra il pollice e l’indice. Mi fa voltare la testa finché i miei occhi non incontrano i suoi. Arrossisco di nuovo, non riesco a farne a meno. Vedendo il mio rossore sorride, mozzandomi il fiato già corto.
«La devi smettere di sorridermi in quel modo.» gli dico «Insomma, sono un semplice essere umano, Hutcherson.»
Ride. La sua risata è talmente bella che potrei morire qui, e sarei felice. Tiene ancora il mio mento tra le sue dita. I suoi occhi si staccano dai  miei e si fissano sulle mie labbra, mentre il sorriso di poco prima abbandona il suo viso a poco, a poco. Continuo a guardarlo e mi abituo a questa improvvisa vicinanza. Inizio a sentirmi a bene, come se, in fondo, questo fosse l’unico posto in cui veramente dovrei stare. Ad un certo punto i suoi occhi si intrecciano di nuovo nei miei. Pochi centimetri distanziano le nostre labbra. Sento un forte impulso di togliere ogni distanza tra di noi per sentirlo ancora più vicino di come lo sento adesso. Ma prima che io possa anche solo decidere se seguire l’impulso o no, Josh posa le sue labbra calde sulle mie. Sento il cuore martellarmi nelle orecchie. Sono senza fiato. Rimango un attimo pietrificata, poi sentendomi invadere da un calore improvviso per tutto il corpo, apro leggermente la bocca lasciando che la sua lingua incontri la mia, iniziando una dolce danza di cui, senza neanche averlo previsto, entrambi conosciamo i passi. Sento le sue dita lasciarmi andare il mento, poi le sue mani si posano leggermente sui miei fianchi. Senza che il mio cervello l’avesse ordinato, le mie braccia si avvinghiano al suo collo mentre lo tiro più vicino a me. Nessuno dei due ha intenzione di staccarsi dall’altro finché io non sento un bisogno impellente di prendere aria. Mi stacco ma, quasi come una calamita, le mie labbra vengono attirate dalle sue. Sento la su amano poggiarsi sulla schiena e attirarmi più vicina a lui facendo così aderire i nostri corpi. Mi sembra di essere in paradiso quando le sue labbra si staccano dalle mie e scendono giù per il collo per poi risalire bisognose del contatto con le mie. Tutto è così perfetto. La vicinanza dei nostri corpi mi sembra perfino familiare. Poi, ad un tratto, un sospiro mi esce dalle labbra e Josh si allontana di qualche millimetro da me. Lo guardo un po’ scossa, mentre lui fissa il nostro groviglio di corpi.
«Scusa.» mi dice. Il tono di voce basso sembra quasi eccitato. «Non è un rifiuto… E’ che voglio andarci piano questa volta.»
Lo guardo scossa, mentre sento il rossore, ormai familiare in sua presenza, invadermi il viso. Si avvicina di nuovo e mi posa un bacio sulla guancia. Poi mi attira a se in un abbraccio che potrebbe essere perfino migliore di mille baci. Appoggio la testa sul suo petto e sento il suo cuore battere veloce. Rimaniamo così finche Josh si sdraia tirando giù anche me. Non so quanto passa prima che il sonno mi attiri nelle sue tenebre. So solo che mi addormento tra le braccia forti di Josh.

 

SPAZIO AUTRICE

 

Allora, ero indecisa se mettervi anche il pezzo dove descrivo il mattino seguente, ma poi ho deciso che stava meglio nel capitolo successivo.
Vi vedo già mentre vi armate di pale e forconi e venite a prendermi a casa! Vi prego non lo fate, altrimenti come farete a sapere come va a finire il loro primo appuntamento?!
 
Detto questo, sembra che il nostro Josh voglia fare morire Ilaria! Ma state tranquilli, lei avrà la sua rivincita.
Cosa ne pensate di Connor? Il fratello di Josh che, a quanto pare, si diverte tanto a dare fastidio alla nostra protagonista. Su di lui non voglio commentare più di tanto. Scoprirete tutto leggendo!
 
Un bacio, e al prossimo capitolo! 

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Capitolo 4
*** Il comico ***


Il comico.

Sognavi di essere trovata
su una spiaggia di corallo, una mattina
dal figlio di un pirata.
Chissà perché ti sei svegliata..
Cesare Cremonini – Il comico (Sai che risate)

 
 

La sveglia è meravigliosa. Ancora con gli occhi chiusi sento il suo vicino al mio. Prima che possa impedirlo, sento un sorriso spuntarmi sul viso, e quando apro gli occhi mi ritrovo faccia a faccia con il suo. Rimango scombussolata come tute le volte che mi sorride. Si china su di me e mi scocca un leggero bacio sulla fronte.
«Finalmente avremo il nostro appuntamento questa sera.» dice contento.
Lo guardo sorridendo. Se stare assieme a Josh comporta delle sveglie simili, non credo che il mio cuore reggerà a lungo. Lo sento già battere forte, tanto che potrebbe uscirmi da un momento all’altro dal petto. In quel momento vedo Josh che si avvicina di nuovo, ma questa volta punta alle mie labbra. Giro la testa appena in tempo. Mi guarda interrogativo.
«Scusa, ma non mi sono ancora lavata i denti.» mi giustifico imbarazzata.
«Tu sei matta!»
Guardandolo ridere mi chiedo perché abbia deciso di uscire con me. Non sono bella come le ragazze che aveva avuto precedentemente. Ho i capelli castani, rovinati alle punte dal troppo passare la piastra. Sono alta appena come lui, sono magra, ho poche tette e porto gli occhiali. Sono una ragazza normalissima. Né bella né brutta, anche se io non mi sono mai veramente vista carina. Non riesco a capire come uno come lui, possa volere una come me.
Si tira su improvvisamente e mi guarda.
«Oggi sei più carina del solito.»
Come era prevedibile, arrossisco.
«E quando arrossisci sei ancora più carina.»
Credo che abbia intenzione di farmi morire. Se solitamente mi sciolgo solo quando mi sorride, ora che mi riempie di complimenti mi sento del tutto persa. Come se stessi vivendo un sogno. Ma non voglio svegliarmi. Voglio che rimanga tutto così come è adesso. Poi, lo vedo che si china un’altra volta su di me puntando alle labbra. Mi allontano da lui facendo finta di essere indispettita.
«Sei un leccaculo!»
«Non è vero!» .
«Oh, si che è vero. Non l’avrei mai detto, Hutcherson.»
«Tu non mi lasci molta scelta.» dice puntando ancora una volta alle labbra.
Ma prima che riesca ad avvicinarsi afferro il cuscino dietro di me, e glielo tiro in piena faccia. Sul suo viso spunta lo stupore. Rimane a bocca aperta mentre io gli scoppio a ridere in faccia. La pancia quasi inizia a farmi male talmente rido. Ora non sono più io quella indispettita, ma lui. Mi guarda senza dire niente mentre le lacrime iniziano a rigarmi il viso, ancora piegata in due dalle risate. Lo trovo così buffo! E’ ancora stupito del fatto che gli abbia tirato una cuscinata in faccia. I suoi occhi sono semichiusi e la bocca è leggermente aperta. Come se stesse guardando un miraggio. Quando finalmente mi riprendo inizio a massaggiarmi la pancia ancora indolenzita dal troppo ridere.
«Non è divertente.» dice fingendosi offeso.
«Dovresti vedere la tua faccia!»
«Trovi che la mia faccia sia buffa?»
«Non immagini quanto!»
«Ah sì?» dice prendendo in mano il cuscino che gli ho lanciato. «Allora prendi questo!»
La cuscinata mi prende in testa. Tasto con la mano il materasso alla ricerca dell’altro cuscino e, non appena lo sento sotto la mia mano, lo afferro e colpisco Josh in pancia. In tutta risposta lui fa per tirarmene una sulle gambe, ma io mi alzo dal letto e la scanso giusto in tempo per tirargliene una sulla schiena.
«Guerra sia!» esclamo come se stessi per intraprendere una vera guerra.
Tiro un’altra cuscinata e prendo in pieno il cuscino di Josh che stava per prendermi sulla pancia. Indietreggio e lui usa lo spazio che ho lasciato libero per scendere dal letto e farsi più vicino. Ognuno colpisce a caso. Mi sento il cuore leggero. Come due bambini che giocano innocentemente a farsi la guerra. Nel mondo fuori potrebbe anche scoppiare una bomba e non ci farei caso. Josh prende un pupazzo da uno scaffale e me lo lancia addosso.
«Il generale sacrifica la sua vita per salvare la mia!» grida ridendo.
Tiro una cuscinata all’aria e l’orsacchiotto che mi stava volando addosso finisce per terra.
«Questo non vale! Io non ho soldati da sacrificare!»
Per evitare l’ennesimo colpo, salgo sul letto e mi metto in piedi cercando di prenderlo in testa col mio cuscino, ma lui mi prende per le gambe e mi fa cadere. Inizio a dimenarmi per liberare le braccia dalla sua presa, ma non ci riesco. La sua mano stringe entrambi i miei polsi e me li tira sopra la testa, mentre sale a cavalcioni su di me e mi immobilizza le gambe con le ginocchia. Cerco di mordergli un braccio, ma lui prende a farmi il solletico. Ha trovato il punto debole. Comincio a ridere gridandogli di smetterla. Cerco di liberare le gambe e le braccia, ma Josh continua a tenermele ferme. Ad un tratto si ferma e mi lascia riprendere fiato.
«Ti arrendi?»
«Giammai!»
Ricomincia a farmi il solletico e io riprendo a gridargli di smetterla mentre non riesco a respirare per le troppe risate.
«Arrenditi o non la smetterò!»
«Basta! Basta, ti prego!»
«Non voglio essere pregato! Arrenditi!»
Rido talmente tanto che non riesco a prendere il respiro.
«Va bene!» grido nel limite che mi concede il mio respiro «Mi arrendo. Contento?»
La sua mano smette di farmi il solletico. L’altra libera i miei polsi e poi Josh scende dal letto. Rimango nella posizione in cui mi ha lasciata a massaggiarmi la pancia indolenzita e a riprendere fiato.
«Non immagini quanto.»
È lì che sorride. Sembra che anche lui, come me, sia tornato bambino. Mi sento diversa. Il mio cuore è leggero più che mai. Dopo anni di rimpianti e di momenti bui, sono tornata a sorridere veramente. Il bello è che ho dovuto incontrare Josh per tornare ad essere quella che da tanto non ero più. Felice.
 
A quanto pare, Connor è riuscito a pensare proprio a tutto. Credo che il mio primo giudizio su di lui non fosse del tutto corretto. Forse, dovrei riconsiderare le torture a cui la mia mente l’ha sottoposto. Forse, non è così male come l’ho giudicato. Una tovaglia bianco panna copre il lungo tavolo di legno. Il posto a capotavola e quello a alla sua destra sono apparecchiati per me e Josh. Sul resto del lungo tavolo sono posate le portate stupendamente decorate che fanno a gara a chi appare più bella. Al centro del tavolo una grande candela emette una luce danzante. Credo di non aver mai visto una cosa del genere. La mano di Josh si intreccia con la mia stringendomela forte. Giro la testa solo per incontrare i suoi occhi sorridenti, e mi sento sciogliere. Se ne sta lì, bello come un Dio, a stringermi la mano davanti all’entrata di una stanza piena di candele. Ci sediamo a tavola e mi sembra che tutta la mia vita stia diventando così irreale che potrei perdere di vista la realtà. Parliamo per tutto il tempo di cose futili e senza senso, come abbiamo fatto per tutta la settimana. E’ facile parlare con lui, ma mi chiedo se affrontare argomenti seri sarebbe la stessa cosa. Ad un certo punto un domanda si fa strada nella mia mente.  
«Qual è il tuo colore preferito?»
E’ una delle più idiote domande che si possano fare, ma l’ho sempre trovata una cosa essenziale. Una di quelle informazioni vitali che ho sempre chiesto alla prima uscita. Come una piccola fissazione.
«Cosa?»
«Insomma» dico un po’ imbarazzata «Sono qui da una settimana e ancora mi sembra di non conoscerti veramente.»
«Il blu e il rosso, credo»
«Credi?»
«Non credo di avere un colore preferito. E comunque, nessuno me lo aveva mai chiesto prima.»
Rimaniamo per un momento in silenzio. Non penso a niente. O forse penso talmente tanto che non riesco ad elaborare tutto. Fino ad una settimana fa studiavo in un college col desiderio di diventare medico, avevo una migliore amica e cercavo di farmi notare da un ragazzo che trovavo incredibilmente carino. Nient’altro era importante. Vivevo una vita che mi piaceva, in un posto in cui avevo sempre desiderato di stare. La vita legata all’Italia era sepolta da qualche parte nei miei ricordi. Niente più amici che mi avrebbero potuta portare a riconsiderare la decisione di vivere in America. Niente relazioni a distanza. Partivo per una nuova vita senza guardarmi indietro e senza avere rimpianti. Avevo deciso di cominciare una nuova vita e, quando avevo ricevuto la lettera di ammissione, nemmeno le lacrime di mia madre mi avevano trattenuta in quel posto in cui non mi ero mai sentita veramente viva. Non mi ero mai sentita veramente a casa. Ma avevo capito subito di essere nel posto giusto non appena ero atterrata in America. Mi ero sentita come se una nuova me si stesse facendo spazio tra le tenebre per riportare un po’ di luce. Avevo iniziato a sentire quella lingua che già padroneggiavo perfettamente farsi strada e mettere le radici, come se l’avessi sempre parlata. Quella gente che mi aveva sempre affascinata era diventata tutto quello di cui avevo bisogno per sopravvivere. Sentire le lezioni in lingua mi emozionava a tal punto da invogliarmi ad impegnarmi e a studiare. E poi… poi mi ero ritrovata in una stanza sconosciuta, con i postumi di qualcosa che al principio non ricordavo e avevo incontrato Josh Hutcherson. Una settimana con lui, e mi sembra che la nuova me che si era fatta spazio tra le tenebre stia lasciando il posto ad un’altra nuova me. Mi era sempre piaciuto Josh. Ero sempre stata una sua grandissima fan. Mai, però, avrei pensato che mi sarebbe potuto capitare tutto questo. Non riesco nemmeno a classificarlo. Mi sento quasi smarrita.
«Ho deciso che domani tornerò al college.»
Lo vedo che alza lo sguardo su di me. Non riesco a leggere l’espressione sul suo viso.
L’unica cosa che dice è «Perché?»
«Perché…» non so come fargli capire quello che sento con le parole. «Mi sento smarrita. Non che tutto questo non mi piaccia, anzi! Ma non riesco a non pensare che sia solo una fantasia. Non riesco a collocarlo nella mia vita di tutti i giorni. Tu sei troppo, e troppo in fretta. E io… io credo di aver bisogno di tornare un attimo alla vita normale, per riuscire ad abituarmi al fatto che questa vita, che tu, non sia solo un sogno.»
Non parla. Mi sembra che il tempo si sia fermato. Ho quasi paura che abbia frainteso tutto quello che gli ho detto.
«Ti chiamerò tutte le sere» dice poi sorridendomi. «Finche non sarai pronta a tornare, ok?»
«Promesso?» gli chiedo, mentre già mi vedo la sera col telefono in mano, aspettando con ansia una sua chiamata.
«Promesso. Vuoi andare a dormire adesso?»
Ci alziamo da tavola e, senza volerlo, con una mano sposto di un poco il mio tovagliolo. Con la coda dell’occhio vedo un pezzo di carta spuntare dal punto dove prima c’era il quadratino di stoffa. Non ho idea di cosa sia, ma immagino che non sia di Josh, così  aspetto che si sia allontanato un po’ e lo apro.
 
Non saranno buoni come i piatti italiani, ma sono comunque cucinati col cuore.
Credo che tu sia quella giusta.
Connor.
 
Sento un sorriso comparirmi sul viso.
«Beh, che fai lì?» sento la voce di Josh che mi chiama da lontano «Andiamo?»
«Arrivo» 
Metto il foglietto nella tasca dei Jeans e raggiungo Josh ancora sorridendo. Al suo sguardo interrogativo rispondo con un’alzata di spalle e poi gli scocco un bacio sulla guancia.
Sì, avevo decisamente giudicato male Connor.

 
 
 

SPAZIO AUTRICE

 

Per prima cosa volevo ringraziare tutte le persone che hanno recensito il capitolo e a cui non ho potuto rispondere per vari impegni improvvisi. Siete sempre meravigliosi nelle recensioni e mi fate venir voglia di continuare a scrivere! Grazie anche per il fatto che nessuno è arrivato con pale e forconi per come avevo lasciato il capitolo prima xD E grazie a tutte le meraviglie che leggono e seguono la mia storia!
 
Detto questo…
Ilaria ha deciso di tornare al college. Cosa ne pensate? L’avreste fatto anche voi?
E Josh le ha promesso di chiamarla tutte le sere.
E il punto forte è Connor! Ve lo sareste aspettato?
Ilaria alla fine ha dovuto ricredersi su di lui. Secondo voi come andrà a finire?
 
Voglio sapere tutto quello che vi passa per la testa u.u (much love).
 
Un grandissimo bacio, e al prossimo capitolo! 

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Capitolo 5
*** Chasing pavements ***


Chasing pavements.

 

Should i give up,
or should I just keep chasing pavements?
Even if it leads nowhere.
Would it be a waste?
Even if I knew my place, should I leave it there?
Adele – Chasing Pavements

 
 

Lo schermo del telefono non ha nessuna intenzione di illuminarsi.
Il giorno dopo che sono tornata al college sono ricominciati i corsi dopo la pausa di gennaio, così oggi, dopo essere stata impegnata nei corsi obbligatori e dopo aver fatto un bel ripasso generale, mi sono sdraiata sul letto, aspettando per l’intero pomeriggio che lo schermo nero si illuminasse per avvisarmi di una chiamata. Ma non lo ha fatto, perciò sono stata qui ad aspettare inutilmente.
Decido di alzarmi per sgranchire le gambe e mangiare qualcosa, dato che non ho nemmeno pranzato. Mi alzo e faccio scrocchiare il collo. Mi dirigo verso il piccolo frigorifero che il college mette a disposizione in tutte le stanze. Non ci trovo nulla, a parte del gelato all’amarena. Il preferito di Mary. Io odio il gelato all’amarena. Chiudo il frigo sbuffando e mi dirigo nuovamente verso il letto. Prendo in mano il telefono e guardo lo schermo ancora scuro, poi mi butto a pancia in giù sul letto e chiudo gli occhi per un attimo. Mi sento incredibilmente sola in questo posto. Oltre al fatto che non conosco nessuno, non ho nemmeno una compagna di stanza per chiacchierare. Mi sento talmente sola che ho iniziato a parlare col mio telefono. Ogni tanto lo scongiuro di illuminarsi. Poi ad un tratto sento una vibrazione e parte la suoneria. Mi siedo sul letto e, senza nemmeno guardare chi è, mi porto il telefono all’orecchio e premo il pulsante verde.
«Pronto?»
«Ehi!» sento dire alla voce di Josh. Perfino al telefono ha una voce meravigliosa.
Sono così contenta di sentirlo che un brivido mi percorre la schiena, facendomi tremare. Sto sorridendo come un ebete, nonostante non ci sia nessuno a cui sorridere. Credo di essere anche arrossita. Non mi comportavo così neanche quando ero una ragazzina alla prima cotta!
Non so perché, ma non mi sono mai trovata bene a parlare al telefono. Se poi ci aggiungiamo il fatto che sto parlando con Josh Hutcherson! Sento il mio cuore martellarmi nel petto. Rimaniamo in silenzio per un po’, mentre sento il suo respiro nel telefono e mi rendo conto che sto cercando di respirare al suo stesso ritmo.
«Come è andata la giornata?» mi chiede dopo un po’. La sua voce è perfettamente calma e rilassata, così cerco di prendere esempio da lui.
«Sta mattina ho dormito fino a tardi, visto che non avevo corsi. Oggi pomeriggio sono stata in classe fino alle quattro e poi sono tornata in stanza. È stata piuttosto monotona come giornata.»
«E poi che hai fatto quando sei tornata in stanza?»
«Niente… Ma perché ti interessa come ho passato la giornata?»
«Diciamo che mi interessa tutto di te.» risponde lui, e riesco quasi a sentire il sorriso sulle sue labbra mentre pronuncia quelle poche parole.
La reazione è immediata. Un calore invade le mie guance e un sorriso mi spunta sul viso. Non riesco a immaginare quale sarebbe stata la mia reazione se ce l’avessi avuto davanti, probabilmente sarei svenuta. Forse la frase necessita di una risposta romantica come l’affermazione, ma non sono brava in queste cose. Non sono romantica. Anzi, la cosa che mi viene meglio è essere cinica! Così decido di sorvolare su questo commento.
«Tu, invece, che hai fatto oggi?»  
«Mi sono annoiato.» dice. Si ferma un attimo e poi gli viene in mente qualcosa. «Ho scoperto che verso la fine di febbraio ci sarà la premiere del mio nuovo film. Janet mi ha chiamato poco prima che ti chiamassi.»
«Janet?» chiedo con una punta di…
Non so cosa sia. Non la riconosco. Non riesco a decifrare i miei sentimenti. Non mi sono mai sentita così prima d’ora. È come se provassi odio per questa Janet che nemmeno conosco e rabbia nei confronti di Josh perché parla di un’altra donna.
«La mia agente.» dice in tono divertito, anche se non capisco cosa ci sia di divertente. «Sei gelosa?»
Ecco cos’era! Gelosia. Non ero mai stata gelosa. Nonostante a volte fossi stata possessiva, non ero mai stata gelosa. Mi sento strana, quasi come se sentissi questo nuovo sentimento farsi spazio nel mio cuore. E’ sbagliato, lo so, ma non riesco a fare a meno di lasciare che si impossessi di me.
«Certo che no!» dico con un moto di orgoglio. Non credo che ammetterei di essere gelosa nemmeno in punto di morte.
«Certo che no! La mia ragazza è gelosa della mia agente. Nessuna lo era mai stata!»
Si sta divertendo proprio tanto. Scoppia a ridere e non smette per un bel po’, continuando a ripetere che sono gelosa. Ma io non ho tempo per stare dietro alle sue risate. Mi ha appena definita la sua ragazza. Non ci avevo ancora pensato. Però, i fatti parlano chiaro. Ho vissuto in casa con lui per una settimana, abbiamo avuto il nostro primo appuntamento a lume di candela e lui ha promesso di chiamarmi tutte le sere finché non sarò pronta a tornare a vivere con lui. Beh, una cosa è certa: non siamo una coppia del tutto ordinaria. Ma non credo che stare con una celebrità possa fare della tua storia una “storia ordinaria”. Mi spunta un mezzo sorriso in viso. Nemmeno nelle mie più vive fantasie avrei pensato che la mia vita sarebbe andata così. Josh deve essersi accorto che non sto dicendo niente, perché smette di ridere e chiama il mio nome per sentire se sono ancora in linea.
«Ci sono. E comunque non sono gelosa!»
«Va bene…» dice lui assecondandomi e decidendo, saggiamente, di sorvolare sull’argomento «Vuoi sapere un’alta novità?»
Annuisco e solo dopo mi rendo conto che siamo al telefono, e che quindi dovrei dire qualcosa. «Spara!»
«Mi hanno chiamato per dare la voce al protagonista di un cartone animato Disney!»
«E’ fantastico! Di che tratta?»
«Ancora non lo so di preciso. Hanno parlato solo con Janet e le hanno detto che vogliono parlarmi di persona»
«Beh, è meraviglioso»
«Già!»
Riesco a sentire l’incredula felicità nella sua voce. Deve essere veramente emozionante venire chiamati per dare la voce ad un protagonista di un cartone animato Disney. Sento come se tutta la felicità che prova lui, fosse anche mia. Riesco a provarla soltanto sapendo che lui la sta provando. Come se qualunque cosa possa provare lui, potessi riuscire a provarla anche io. Mi spavento un po’. L’ultima volta avevo giurato che non mi sarei più lasciata trasportare. Ma a quanto pare, non puoi decidere di tenere a bada il tuo cuore. Potrei anche lasciare perdere tutto. Avrei il coraggio di farlo. Di dire a Josh che avevo deciso che per un po’ di tempo avrei smesso di perdere tempo con i ragazzi. Ma mi sento dentro qualcosa che mi tiene legata a lui, che conosco da poco ma che ho amato da sempre. E poi, mi sentirei veramente a posto con me stessa? Quale ragazza con un briciolo di senno rifiuterebbe tanta fortuna? Credo che io sarei capace di farlo, ma non ho mai creduto di essere del tutto finita. La sua voce mi riporta nella solitaria stanza del college.
«Perché non mi accompagni alla premiere del film a febbraio?» chiede.
Rimango per un attimo scombussolata e credo che le mie orecchie abbiano sentito una frase che non è mai stata pronunciata. Non può appena avermi invitato ad accompagnarlo alla premiere del suo ultimo film. Sarebbe da pazzi.
«Cosa?»
«Accompagnami alla premiere a febbraio.»
Le mie orecchie avevano sentito bene.
«No.» dico decisa.
«E perché no?» chiede lui sorpreso.
Forse immaginava che, essendo una normalissima ragazza che viene dal niente, non vedessi l’ora di fare uscite pubbliche con lui. Ma non sono quel tipo di ragazza. Non sto con Josh per questo e non credo che riuscirei a fare un red carpet davanti a milioni di persone che non aspettano altro di avere del gossip per le mani, anche se so benissimo che prima o poi saremo sulla bocca di miliardi di ragazzine in tutto il mondo. Per di più non sarei all’altezza. Prima di tutto, non sono bella come tutte le attrici di Hollywood. Secondo, sono timida e mi imbarazzo facilmente. Non potrei mai farlo, anche sapendo che Josh sarebbe lì al mio fianco per tutto il tempo. E poi…
«Non voglio.»
«Ti vergogni? No, ho capito cosa c’è che non va. Non credi di essere all’altezza delle celebrità e del red carpet. E poi non ti credi abbastanza carina per uscire con Josh Hutcherson, vero?»
Colpita e affondata. «Non è vero! E’ che…»
«Stai cercando scuse! Ma io voglio che la nostra prima apparizione in pubblico sia speciale.»
«Non ci trovo nulla di speciale in una premiere di un film…»
«Sarai meravigliosa!» dice cercando di convincermi «Fidati di me, non hai nulla da invidiare a tutte quelle false belle di Hollywood.»
«Questo lo dici tu…»
«E’ quello che conta, no? Che ti importa di quello che diranno? A me piaci. E’ l’unica cosa che conta.»
Sento ancora una volta il rossore invadermi, e ringrazio il fato che lui non sia lì davanti a me. Ma non demordo comunque. Non ho nessuna intenzione di sfilare sul red carpet. Potrebbe anche mettersi in ginocchio e pregarmi di accompagnarlo, ma non direi di sì.
«Beh, pensaci, comunque. Ma non accetto un no come risposta.»
«Dovrai arrenderti. Perché sarà tutto quello che avrai.»
Sono arrabbiata, perciò chiudo la conversazione e butto il telefono sul letto. Non mi interessa quello che vuole o non vuole lui. Questo, il red carpet, non è speciale. È un suicidio! E io non ho nessuna intenzione di assecondare questa pazzia.
Guardo l’orologio sulla parete opposta al mio letto e vedo che sono le dieci e mezza. In effetti sono un po’ stanca. Vado in bagno, mi lavo i denti e mi infilo il pigiama. Poi torno nel letto e spengo il telefono. Non voglio parlargli. Mi infilo nelle coperte e, proprio mentre chiudo gli occhi, il mio sguardo cade sul letto vuoto di Mary. Lei mi avrebbe capita. Avrebbe saputo cosa dirmi e mi avrebbe dato un consiglio, anche se, molto probabilmente, non lo avrei accettato. Mi manca, ma il suo pensiero mi fa capire immediatamente di aver fatto una stupidaggine. Prendo il telefono e lo accendo, vado sulle chiamate ricevute, cerco il nome di Josh e premo il tasto verde. Non passa nemmeno un secondo che lui risponde al telefono.
«Ila?» dice un po’ titubante.
E’ meraviglioso come pronuncia il mio nome. Lo fa sembrare come la parola più bella e dolce del mondo. Quasi come se fosse il complimento migliore che qualcuno possa mai pronunciare. Sembra quasi pronunciato con amore. Mi sento sciogliere.
«Scusami.» quasi lo imploro «Non avrei dovuto comportarmi così…»
«No, scusami tu. Non posso importi di fare cose che non vuoi fare. Mi dispiace.»
Sento il cuore come se fosse diventato tutto ad un tratto pesante e so che, se non faccio qualcosa potrei anche mettermi a piangere. Inizio a tremare mentre mi chiedo che diavolo mi stia succedendo. Non riesco a capire che cosa mi prenda. E’ come se il mondo avesse iniziato a girare al contrario. Provo un sacco di cose, ma non riesco a decifrarle e sono abbastanza sicura di non volerlo nemmeno fare. Sento di avere bisogno di chiudere quella telefonata e addormentarmi senza pensare a nulla. Così gli auguro la buonanotte, contenta di averlo richiamato, e chiudo la chiamata.
 
Sono appena uscita dall’aula quando sento il telefono squillare. Penso quasi che sia mia mamma, dato che riesce a chiamarmi agli orari più impensabili del giorno e della notte. Guardo il display illuminato e un sorriso mi compare sul viso. Non è mia mamma.
«Josh!»
C’è un attimo di silenzio, in cui penso che gli sia partita la chiamata senza volerlo, poi la sua voce arrabbiata mi arriva all’orecchio facendomi spaventare.
«Mi prendi per il culo?»
Sono un po’ confusa. «Hei, ciao anche a te!» ironizzo spaesata «Come stai? Io sto alla grande! Anzi, ti stavo quasi per chiamare: credo di essere pronta a tornare da te.»
Glielo dico tutto d’un fiato, perché so che se inizio a tentennare non glielo dirò mai. La reazione è un po’ diversa da quella che mi aspettavo. Insomma, credevo che non aspettasse altro che questa notizia, ma non ricevo né un “E’ fantastico!” né un “Parto immediatamente. Vengo a prenderti.” In effetti avrei dovuto capirlo da come era iniziata la conversazione.
«Davvero?» è tutto quello che dice. Sembra più spaesato di quanto lo fossi io per come mi aveva risposto. «No! No, non è questo il punto!»
Rimango basita. Non solo la reazione non è quella che mi aspettavo, ma lui è perfino arrabbiato! Cerco di pensare a cosa potrei aver fatto di male, ma non mi viene in mente nulla. Dopo la telefonata in cui abbiamo litigato, le altre sono state sempre tranquille e incredibilmente mielose.
«Ok… E qual è il punto?»
«Tu!» mi dice con rabbia «Sono andato a sbirciare nel tuo profilo facebook. Indovina cosa ho trovato?»
Una vampata di calore mi invade il viso. Il mio profilo facebook è pieno di sue foto! Mi vergogno come non mai. Forse avrei dovuto cancellare tutto quando sono arrivata al collegge… sentendo il mio silenzio, però, lui parla di nuovo.
«Oltre a tutte le mie foto…» sembra quasi imbarazzato. Non più di quanto lo sono io però.
Scorro mentalmente la lista di quello che ci potrebbe essere sul mio profilo facebook. Fandom. Tutto ciò che era collegato ai vari fandom di cui facevo parte. Niente di cui mi debba vergognare, insomma. Sono le mie passioni e non me ne sono mai vergognata. Non riesco a focalizzare cosa diavolo possa aver trovato per essere così arrabbiato.
«Non ne ho idea.»
«Non ne hai idea?!»
Sembra che la mia risposta lo abbia fatto infuriare ancora di più, ma non so veramente cosa possa esserci che non va. Insomma, non nascondo una relazione segreta e sono sicura di non essere lesbica. Non riesco a capire cosa possa averlo fatto infuriare a tal punto.
«Visto che non ti viene in mente» dice esasperato dal mio silenzio «Te lo dico io: teatro.»
Una lampadina si accende nella mia mente e credo di aver capito cosa lo abbia fatto infuriare così tanto.
«Ok. Avevo sedici anni, Josh!»
«Andavi in giro per l’Italia a fare spettacoli! Da quanto ho potuto capire, erano i teatri più importanti d’Italia. E non vuoi venire alla premiere del film?! E’ una stupidata, in confronto!»
È davvero fuori di se. Non gli avevo mai detto questo piccolo particolare, ma era un periodo della mia vita che non mi va di raccontare. Avevo appena sedici anni. Guardavo queste meravigliose attrici fare commuovere e emozionare la gente, e volevo essere anche io come loro. Così mi iscrissi a recitazione. Col tempo divenni brava e il mio insegnante mi raccomandò ad un suo amico che cercava una attrice per il ruolo di Elizabeth Bennet. Questa importante compagnia teatrale metteva in scena “Orgoglio e pregiudizio”. Feci il provino e mi presero. Iniziammo a girare l’Italia , teatro dopo teatro. Ero brava e sul palco mi sentivo a mio agio. Volevo emozionare le persone. Ma poi erano successe cose...
«Almeno dimmi perché.» mi chiede. La rabbia si sente ancora, ma il mio silenzio la deve avere temprata.
«Sono successe cose di cui non mi va di parlare e...ho chiuso con tutto: teatro, cinema. Chiuso, non ne voglio sapere.»
Rimane in silenzio per un po’. Immagino che debba prendersi un momento per assimilare e per rispettare ciò che non voglio dire.
«E' solo una premiere. E non lo fai per te. Lo fai per me.»
«Josh…»
«No, riuscirò a convincerti.» dice come se fosse l’ultima cosa che farebbe in questo momento.
La sua determinazione quasi mi commuove. Non sa di avere a che fare con un mulo, ma non voglio rovinargli la festa.
«Vedremo» gli dico ironizzando.
 
Mi infilo la felpa del college ed esco. Ho preso l’abitudine di andare a camminare la mattina presto, quando in giro non c’è nessuno. Quando esco nel cortile, l’aria fresca del mattino mi punge il viso, svegliandomi del tutto. Il sole sta sorgendo e tutto attorno a me i colori del paesaggio sono sfumati di arancione. Comincio a camminare infilando le mani nelle tasche della felpa. Il prato verde perfettamente tagliato è ancora umido dalla notte passata. Gli uccellini ancora non cantano. Non c’è nessun rumore, ed è tutto perfetto. Attraverso tutto il giardino dirigendomi verso il parcheggio, e solo allora lo vedo. Un fuoristrada beige parcheggiato in un angolo lontano. A quest’ora di mattina non ci sono macchine posteggiate, perciò spicca abbastanza. Mi fermo e lo fisso, credo di averlo già visto da qualche parte, ma non riesco a collegare. Poi la porta del fuoristrada si apre e, come se stesse girando un film, Josh scende mentre si toglie gli occhiali da sole con un sorriso splendente sul volto. Non mi accorgo nemmeno che i miei piedi hanno ricominciato a camminare. In pochi secondi mi ritrovo tra le sue braccia, protettive e affettuose. Sto sorridendo, mentre inspiro a pieni polmoni il suo profumo che, scopro con piacere, mi è mancato tantissimo in queste settimane.
«Sono venuto a prenderti.» dice dolcemente al mio orecchio. È felice.
«Non aspettavo altro.»
Mi bacia. E’ una bacio dolce. Sembra che le nostre labbra non riescano a staccarsi, come se dovessero recuperare tutti i baci che ci siamo negati in queste settimane. Riusciamo a staccarci solo per prendere fiato.
«Però non andiamo subito a casa.» dice con un misto di mistero nella voce.
«E dove andiamo?»
Mi accompagna al posto del passeggero senza rispondermi e mi apre la porta. Ma qualcosa mi blocca improvvisamente.
«Non mi posso cambiare?» dico agitata. Sono in jeans e felpa del college, non mi sembra il vestiario più appropriato per fare nient'altro che andare a camminare nel parcheggio del college quando nessuno può vederti.
«No. Sei bellissima così.»
Sento il rossore ormai familiare invadermi il viso e il cuore iniziare a martellare dentro al petto. Mi siedo e allaccio la cintura. Lui chiude la porta, fa il giro della macchina e si siede al posto del guidatore.
«Ti piacciono le sorprese?» chiede mettendo in moto la macchina.
«Le odio.»
Scoppia a ridere ed esce dal parcheggio puntando all’autostrada. Guardo fuori dal finestrino il college che si allontana. Non credo che questo posto mi mancherà.
 

 

SPAZIO AUTRICE

 

Ed ecco il quinto capitolo!
Chiedo scusa per il ritardo, ma se volete andare a lamentarvi con qualcuno andate a dirlo ai miei professori! La scuola è iniziata da neanche tre settimane e già rompono le scatole come se fosse novembre D:
 
Cooooomunque…
Il carattere di Ilaria sta venendo fuori pian piano. E abbiamo scoperto un passato un po’ scombussolato nella sua vita. Ovviamente Josh, il solito dolce Josh, non si fa mettere i piedi in testa nemmeno da questo. Secondo voi che sorpresa ha in mente, questo ragazzo dalle mille risorse?
Connor non è presente in questo capitolo, lo so, mea culpa, ma ne avrete le scatole piene di lui nei prossimi capitoli… Ops, forse ho detto troppo xD 
 
Ok, belle gioie, that’s all!
Grazie a tutte le meraviglie che seguono e recensiscono la storia, siete fantastiche! Tanto ammore per voi :3
 
Un bacio grandissimissimo e al prossimo capitolo :D (Fatemi sapere tutto quello che vi passa per la testa u.u)  

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Capitolo 6
*** Teenage Dream ***


Teenage dream

My heart stops when you look at me.
Just one touch, now baby I believe this is real.
So take a chance and don’t ever look back.
Katy Perry – Teenage Dream

 
 
 

«Dove siamo?»
La macchina é parcheggiata davanti ad un palazzo alto quattro piani completamente dipinto di bianco con tantissimi finestroni di dimensioni enormi. L’entrata dell’edificio è semplice. Come una qualunque entrata di un qualunque edificio. L'unica cosa che potrebbe darmi un'indizio è l’insegna nera in cima all’edificio: “J. McGregor”.
«Jimmy McGregor è il mio stilista personale.» dice.
«E perché siamo qui?» chiedo cautamente.
«Per tre motivi. Jimmy è uno dei miei migliori amici, e quindi volevo presentartelo. Voglio farti vedere il tuo vestito per premiere…»
«tralasciando il fatto che é assurdo che tu abbia fatto fare un vestito solo per me, farmelo vedere non mi farà cambiare idea.»
«Sinceramente, non capisco. Venire ad una premiere con me non ha niente a che fare col tornare nel mondo del cinema. Anzi, per quanto ne so, ti odieranno in tutto il mondo. Perciò non mi interessa se non vuoi, io riuscirò a convincerti.»
Il suo commento mi fa sentire un po' in soggezione, perché in effetti ha ragione:é solo una semplice uscita. Però continuo a pensare che sia un'idiozia: che la nostra prima uscita pubblica sia davanti a centinaia di paparazzi e gente assetata di gossip, in fondo, é una cosa assolutamente normale!
«E il terzo motivo?» decido di citare l'argomento.
«Non posso dirtelo.»
«E perché mai?»
«Perché se te lo dicessi scapperesti a gambe levate.»
Sto per ribattere, ma lui si avvicina e mi posa un leggero bacio sulle labbra. Rimango spiazzata e appena mi accorgo che mi sta porgendo un paio di occhiali. Lo guardo interrogativa mentre lui si infila un cappellino da baseball blu e un paio di occhiali da sole. Quando vede il mio sguardo interrogativo si limita a dire «Paparazzi.»
Certo, siamo nel centro di Los Angeles. Saranno ovunque.
Mi infilo gli occhiali da sole e scendo dal fuoristrada. Raggiungo Josh dall’altro lato della macchina e lui mi prende la mano. Poi ci avviamo verso l’edificio.
 
Quando entriamo mi sembra di essere all’entrata dell’edificio di Mode della serie televisiva “Ugly Betty”. D’istinto mi tiro un pizzicotto per capire se questo è solo un sogno o è veramente la vita reale. Le pareti sono tutte dipinte di bianco. Dall’altra parte dell’entrata, colorata in oro, c’è la stessa insegna che c’è sopra la parete dell’edificio. Al centro della stanza c’è una grande bancone rotondo con una centralinista seduta al centro. Josh le fa cenno con la testa e lei quasi si scioglie. Non sembra neanche notarmi, così io mi avvicino a Josh, gli stringo forte la mano, e lo tengo stretto accanto a me come un cagnolino che sta per segnare il suo territorio. Quando la centralinista mi vede, arrossisce e si gira dall’altra parte per rispondere al telefono. Josh mi guarda e scoppia a ridere scuotendo la testa, ma io non posso prestare attenzione a lui. Sono troppo occupata a lanciare occhiatacce alla centralinista sexy che fa gli occhi dolci al mio ragazzo. Prendiamo l’ascensore e saliamo fino all’ultimo piano. Arriviamo in un ufficio che si affaccia sulla strada con, al posto delle pareti, vetrate enormi. Un scrivania di vetro è piena di fascicoli con schizzi e modelli di vestiti. Dietro la scrivania c’è un enorme sedia girevole bianca in pelle. Tutto attorno alla scrivania ci sono appendi-abiti stracolmi di vestiti. Ci sediamo sulle sedie di pelle e aspettiamo Jimmy. Un rumore di tacchi sul parquét e subito dopo una voce infastidita ci avvisa dell’arrivo di qualcuno.
«No, Joannah!» grida una voce affemminata «Non ho intenzione di sentire scuse! Te lo avevo chiesto…»
La voce si spegne quando raggiunge l’entrata dell’ufficio. Mi giro verso l’entrata e mi trovo davanti ad una spilungona con i capelli perfettamente lisci, dei vestiti bellissimi e un trucco perfetto, che immagino essere Joannah, e un uomo che è la metà della ragazza, vestito completamente di nero con un gilet bianco, i capelli perfettamente in ordine le braccia e il petto, se ne intravede un po’ da sotto la camicia sbottonata, depilati, che immagino essere Jimmy. Senza prestare attenzione a Josh, mi squadra dalla testa i piedi con un espressione scioccata sul viso. Il suo sguardo si sofferma sulle maniche della felpa tirate su. Si gira verso Joannah e le bisbiglia «Fai preparare la sala.»
Joannah sembra scioccata almeno quanto lui e corre letteralmente via dall’ufficio dirigendosi verso l’ascensore. Credo di essere finita in una gabbia di matti, mentre abbasso lo sguardo sulle mie braccia. Non c’è niente di così scioccante, solo un po’ di peluria.
«Josh!» dice con un urlettino che mi fa rabbrividire. Sembra il suono che fanno le unghie sulla lavagna. «Come stai, caro?»
L’uomo si avvicina verso Josh e gli stringe la mano. Poi il suo sguardo si posa un’altra volta su di me, questa volta cercando di mascherare il suo shock. Josh mi guarda incoraggiante e poi si rivolge all’uomo.
«Lei è Ilaria, Jimmy.»
Mi alzo e gli porgo la mano, ma il suo sguardo si posa di nuovo sulla mia leggera peluria e lo vedo rabbrividire. Ritiro la mano e guardo Josh, che alza gli occhi al cielo e scrolla le spalle, come per dire di lasciarlo perdere.
«Oh, ma certo.» dice ancora un po’ schifato. «Proprio qualche ora fa è arrivato il suo vestito.»
Si allontana da noi e si dirige verso uno dei tanti appendi-abiti stracolmi. Il suo modo di fare mi infastidisce. Non solo si é rifiutato di stringermi la mano, ma mi guarda anche storto. Sta per tirare fuori uno dei tanti abiti, ma un ticchettio di tacchi alti lo distrae.
Joannah si ferma sull’uscio dell’ufficio e dice «La sala è pronta.»
Mi guarda con un misto di pietà e schifo e poi se ne va.
«Josh, non ti da fastidio se ti porto via Ilaria per un po’, vero?»
Cerco di guardare Josh nel modo più intimidatorio che conosco, ma lui non mi guarda. Lo vedo che scrolla le spalle e dice «Fai pure.»
Jimmy si dirige verso l’uscita dell’ufficio e mi fa segno di seguirlo. Mentre esco lancio un’occhiataccia a Josh e lo seguo con riluttanza.
 
Trafficano per due ore su tutto il mio corpo. Mi sembra di essere Katniss mentre la preparano per la sfilata sui carri, prima degli Hunger Games. Ovviamente non sono in condizioni pietose. Le mie gambe sono perfettamente depilate e l’inguine altrettanto, ma trovano comunque qualcosa da ridire. Poi passano alle braccia, mi mettono a posto le sopracciglia e mi puliscono il viso. Quando finiscono è come se il mio corpo non fosse stato toccato. La pelle è liscia e senza segni di recente ceretta, e sul viso non ho nemmeno un segno rosso che faccia supporre la pulizia del viso. Mi rivesto e seguo di nuovo Jimmy nel suo ufficio. Mentre siamo in ascensore mi osserva e poi mi rivolge un sorriso uguale a quello che aveva rivolto a Josh quando l’aveva visto.
«Io sono Jimmy, cara.» dice stringendomi la mano «Ora che sei sistemata sei bellissima!»
Poi guarda i miei vestiti e un tremolio gli prende tutto il corpo.
«Beh, a parte per i vestiti. Ma ci sarà tempo per questi!»
Sono scandalizzata. Sono veramente finita in una gabbia di matti! Il cambiamento di sentimenti nei mi confronti da parte di Jimmy mi lascia scombussolata. Se basta una ceretta a renderlo così… inoltre sono arrabbiata con Josh. Non solo mi ha portata qui, ma ha lasciato che mi torturassero! Quando entriamo nell’ufficio però, vederlo seduto che mi sorride raggiante fa sciogliere tutta la rabbia che provavo nei suoi confronti. Lui gioca sporco! Sapeva dove mi avrebbero portata e sapeva che sarei tornata furiosa, così crede che qualche sorriso mi possa addolcire. Ma se pensa che gliela darò vinta facilmente si sbaglia di grosso. Mi siedo e evito di guardarlo, mentre Jimmy tira fuori il mio vestito.
È qualcosa di meraviglioso. Bianco, fascia il seno, per poi cadere giù largo. È corto ed è interamente ricoperto di un tessuto nero che, posto sopra il vestito, gli dà una sfumatura bellissima di nero-viola. Jimmy me lo porge con un sorriso e io lo prendo in mano come se stessi tenendo qualcosa di sacro. Poi vedo le scarpe abbinate. Una tacco decisamente troppo alto per i miei standard. Sono nere e ricoperte dello stesso tessuto del vestito, ma bianco. C’è anche una poshette abbinata, nera pure lei con il tessuto bianco sopra che, assieme alle scarpe formano un bellissimo contrasto col vestito. Tutto è così meraviglioso, che mi viene voglia di vedere come mi starebbe addosso, dato che è stato studiato apposta per me. Jimmy deve avermi letto nel pensiero perché mi mette le scarpe in mano e mi indica un divisore di bambù dall’altro lato della stanza. Mi ci dirigo quasi correndo, seguita a ruota da un super eccitato schizzofrenico e dallo sguardo attento di Josh. Mi cambio con l’aiuto dello stilista e poi mi infilo le scarpe. Jimmy mi prende per mano e mi conduce fuori dal divisore, davanti ad uno specchio.
«Wow.» è l’unica cosa che riesco a dire.
Il vestito non solo mi calza a pennello, ma mi sta anche bene. Il colore dell’abito riesce a far sembrare il mio corpo sexy, cosa che non avevo mai pensato potesse succedere. Sulle scarpe barcollo un po’, dato che sono sempre stata abituata solo alle converse, ma sono incredibilmente comode. I miei capelli sono legati e non sono truccata, ma Jimmy ha già pensato anche a questo.
«Ovviamente, avrai i capelli slegati e forse, per quella data, anche senza doppie punte. Ti truccheremo gli occhi di nero, in modo che risalti il tuo bellissimo colore castano-verde.» poi, con un impeto di gioia, cinguetta «Oh, sarai meravigliosa!»
Con indosso quel vestito e con Jimmy dietro che cinguetta orgoglioso del suo lavoro, non posso fare a meno di sentirmi a disagio. Cerco Josh con lo sguardo e lo trovo immediatamente. Mi guarda sorridendo con dolcezza. I suoi occhi sono luminosi e incredibilmente belli. Incontra il mio sguardo ed è come se mi stesse dicendo le migliore parole gentili del mondo. E in quel momento, so di essere caduta nella sua trappola. Sapeva benissimo che il vestito mi avrebbe fatto impazzire e che mi sarei lasciata convincere dal cinguettio fastidioso del suo stilista. Così finisco per rifilargli un’occhiata truce e poi mi giro verso Jimmy, che ancora sta tessendo le sue lodi. Quest’uomo ha un ego smisurato!
«Oh, e va bene!» dico esasperata, guardando per l’ennesima volta quel meraviglioso vestito che ho addosso. «Andrò alla premiere!»
Jimmy inizia a saltellare felice come un bambino che sta per scartare i suoi regali di Natale, e non riesco a fare a meno di sorridergli sinceramente. È una di quelle persone che, con il loro modo di fare, ti fanno fare tutto quello che vogliono. Poi, guardo Josh. Ha la stessa espressione di vittoria dipinta sul viso di quando mi aveva estorto le parole “mi arrendo” dopo avermi fatta morire col solletico.
 
«Alla fine, non abbiamo parlato del terzo punto» dico a Josh, con una punta di curiosità.
Sono ancora arrabbiata perché ha giocato sporco, ma non posso tenergli il muso tutta la vita. Quando siamo tornati a casa, abbiamo trovato Connor intento a cucinare e Josh gli ha raccontato della mia sconfitta. Si erano divertiti un mondo a prendermi in giro, mentre io continuavo a guardarli con aria truce. Poi, quando avevano smesso, mi ero ricordata del terzo punto che Josh non mi aveva voluto dire e, sotto un impulso di improvvisa curiosità, avevo messo da parte lo sguardo assassino e glielo avevo chiesto.
«Oh, per quello dovrai aspettare la premiere.» dice lui finendo di masticare un pezzo di carne. «Diciamo solo che se il vestito piacerà, Jimmy non ti lascerà più vivere.»
Lui e Connor scoppiano a ridere, ma io non ho tempo per ucciderli con lo sguardo. Lascio che i miei pensieri si affollino, per capire perché diavolo Jimmy non dovrebbe più lasciarmi vivere. Ripenso a tutta la giornata, ma non mi viene in mente niente di niente. Mi dimentico perfino di continuare a mangiare, quando un battutina di Connor mi riporta alla realtà.
«Attenta a non pensare troppo, Ila. Potresti consumarti il cervello!»
Scoppia in una sonora risata che fa tremare il tavolo. Gli lancio un’occhiata assassina e poi gli faccio la lingua. Dopotutto mi ero promessa di riconsiderarlo da quando avevo trovato il suo bigliettino sotto il tovagliolo durante il primo appuntamento tra me e Josh. Con Josh non ne avevo mai fatto parola. Non so perché, ma il fatto di averlo trovato sotto il mio tovagliolo mi aveva fatto pensare che fosse un qualcosa riguardante solo me e lui. Come una specie di segreto che dovevo mantenere. E da come Connor si comportava avevo la sensazione che nemmeno lui ne avesse fatto parola con Josh.
Quando finiamo di mangiare, io e Josh saliamo in camera sua. Quando chiude la porta, sento come se qualcosa nell’aria mi spingesse verso di lui. Mi sento strana. Non riesco nemmeno a concentrarmi su qualcosa che non sia la sua presenza nella stanza. Decido di chiudermi in bagno per un po’. Mi lavo i denti con lo spazzolino che Josh mi ha fatto trovare in bagno e poi mi sciacquo la faccia. Spero che quella sensazione se ne vada, ma il sentire nell’altra stanza Josh salire sul letto, la fa crescere ancora di più. Faccio un respiro profondo ed esco dal bagno. Cerco di evitare di seguire la sensazione che mi dice di andare a sedermi accanto a Josh. Faccio qualche passo e rimango in piedi a guardarlo. Sul suo viso compare quel sorriso che ogni volta mi fa sciogliere. Lui si alza dal letto e io mi immobilizzo all’istante. Si avvicina piano e appoggia le mani sui miei fianchi. Ha ancora quel sorriso stampato in faccia, quel sorriso di quando gioca sporco.
«Che ti avevo detto riguardo a quel sorriso?» dico cercando di prendere le redini del gioco.
«Quale sorriso?» chiede avvicinando lentamente il suo viso al mio.
«Questo sorriso!»
«Non ricordo niente riguardo a questo sorriso…»
«Non ti ricordi niente riguardo al fatto che sono un semplice essere umano?»
«No. Credo di avere un vuoto di memoria al riguardo.»
«Ma davvero?!»
Le sue mani si posano sulla mia schiena e avvicinano i nostri corpi. Tra le nostre labbra c’è appena un centimetro di distanza. Ora capisco cosa c’era nell’aria. Tensione sessuale. Riesco a percepirla su tutto il corpo. Vorrei assecondare la mia voglia di baciarlo, ma mi ricordo come è andata l’ultima volta, e non voglio un altro rifiuto. Perciò lascio che sia lui a fare la prima mossa. Le sue labbra si avvicinano un po’ di più e, quando sono sicura che mi bacerà, lui cambia direzione e scocca un tenero bacio sulla mia guancia. Rimango basita. Quando torna a guardarmi negli occhi, ha di nuovo quel sorriso furbetto sul viso. Mi viene quasi voglia di prenderlo a sberle. Mi mordo il labbro inferiore e abbasso lo sguardo sulla sua maglietta cercando di tenere a freno l’imbarazzo. Fortunatamente la stanza è buia. Mi sto ancora mordendo il labbro quando un movimento del pomo d’Adamo di Josh richiama la mia attenzione. Non credo che il momento lo richieda, immagino che a questo punto dovrei sfruttare l’occasione per prendere le redini del gioco, ma scoppio a ridere.
«Che c’è?» chiede lui incuriosito dalla mia improvvisa ilarità. E’ evidente che non se lo aspettava.
«Vuoi farmi credere che questo…» dico mordendomi il labbro come ho fatto prima «Ti eccita?»
Non dice nulla. In effetti, ho quasi paura che se ne esca con una frase del tipo “In questo momento, sei tu che mi ecciti”. Non saprei come passare oltre. Ma lui non dice niente. In compenso, annulla la distanza tra le nostre labbra e mi coinvolge in uno di quei baci che ti tolgono il fiato. E capisco quanto tutto ciò che sto vivendo sia veramente reale. Nessun sogno ad occhi aperti, nessuna fantasia che si confonde con la realtà. Lui non è più quel Josh Hutcherson che guardavo nelle interviste e vedevo al cinema. Lui è un ragazzo che mi ha portata a casa con lui ubriaca fradicia e che mi ha invitata ad un appuntamento quasi galante. Un ragazzo che si chiama Josh Hutcherson e che adesso è il mio ragazzo. E mentre con il nostro avvicinarsi al letto vi è un allontanamento dai vestiti che fino ad un momento prima avevamo addosso, mentre tutto diventa appassionato e movimentato e incredibilmente meraviglioso, mi faccio un appunto mentale di ringraziare Jimmy per il trattamento di oggi.

 
 

SPAZIO AUTRICE

 

Ok… beh, non so che dire.
Sta volta non voglio commentare, voglio lasciare a voi i commenti!
 
Dico solo due cose:
La prima è che Jimmy è ovviamente gay. La sua storia la scopriremo più avanti, anche se spero di avervelo fatto capire quando c’è stata la presentazione.
La seconda è che nel prossimo capitolo, Ilaria avrà a che fare con il gossip e… con sua madre.
 
Dopo questo spoiler, come sempre, ringrazio tutte le belle gioie che seguono la mia storia e che la recensiscono, siete M E R A V I G L I O S E u.u
 
Un bacio grandissimissimissimo, e al prossimo capitolo! <3
 
P.S. Ottobre, oltre a essere il mese in cui compio gli anni :3, è il mese della lotta contro il bullismo. Per chi avesse Twitter, ovviamente è cosa nota, ma è un’iniziativa che è stata portata anche su facebook. Voglio solo dirvi di continuare a lottare. Sempre. Perché nessuno è migliore di voi. Chi si permette di trattarvi male non deve provare felicità nel vedere che si sta riuscendo. Bisogna continuare a lottare il bullismo, perciò
KEEP FIGHTING.  

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Capitolo 7
*** Give your heart a break ***


Give your heart a break

Don’t wanna break your heart,
Wanna give your heart a break.
I know you’re scared is wrong,
I think I might make a mistake.
Demi Lovato – Give your heart a break.



 

Quando mi sveglio, sento ancora l’odore di Josh nell’aria. Flashback della sera prima mi tornano in mente, e sento un sorriso fare la sua comparsa sul mio viso. Apro gli occhi, convinta che lui sia lì ad osservarmi, ma l’altro lato del letto è vuoto. Tenendomi il lenzuolo mi tiro su a sedere e mi guardo attorno alla ricerca di Josh, ma lui non c’è. Mi alzo, mi vesto in fretta raccattando i vestiti da terra e mi dirigo verso il bagno. Apro la porta, ma non è nemmeno lì. Non sento nessun rumore provenire dal piano di sotto. Guardo alla finestra per vedere se è fuori coi cani, ma in giardino ci sono solo Diesel e Nixon che giocano mordendosi. Mi giro verso il letto, e solo allora lo noto. Un piccolo post-it giallo attaccato al cuscino di Josh. Mi avvicino e lo prendo in mano.

Avrei voluto svegliarmi assieme a te, ma oggi inizio a lavorare per il doppiaggio al cartone animato di cui ti avevo parlato. Mi dispiace. Già mi manchi.
Mandami un messaggio quando ti svegli.
 
Senza pensarci troppo, prendo il telefono e vado sul suo nome per inviargli un messaggio.
 
Mi sono appena svegliata. Fai un buon lavoro, che quando il film esce al cinema voglio che mi porti a vederlo!
Un bacio.
 
Aspetto finché non vedo che il messaggio non è stato inviato e poi mi siedo sul letto. Rimango così per un po’, senza fare niente, poi un crampo allo stomaco mi avverte che è ora di colazione. Mi avvio verso la porta e mentre faccio il giro del letto inciampo in uno scatolone. Cado per terra, sbattendo il ginocchio.
«Ahi!»
Guardo imbestialita la scatola che mi ha appena assicurato un livido sul ginocchio e le urla di Jimmy per almeno due settimane. L’ultima cosa che devo fare adesso è procurare danni al mio corpo prima della premiere che Jimmy non può mettere a posto. Ovviamente il livido guarirà prima e un po’ di trucco farà in modo che la sfumatura di giallo-viola non si veda. Ma questo non assicura la mia testa dal dover sopportare le sue lamentele. La scatola è chiusa, ma riconosco subito il post-it giallo simile a quello che ho trovato sul cuscino di Josh.
 
Questa scatola te la manda Jimmy. Ci sono alcune cose che trovo incredibilmente carine. A proposito, pensavo che forse dovremmo andare a prendere la tua roba al college.
 
La scatole è abbastanza grossa, e non ho la più pallida idea di cosa ci possa essere dentro. Quando la apro scopro che Jimmy mi  ha mandato un intero guardaroba! Ci sono maglie con scolli improponibili, e maglie decisamente più normali. Jeans aderenti, gonne, pantaloncini, giacche e felpe. C’è anche qualche tuta e qualche maglia a maniche corte che immagino mi abbia mandato perché sapeva che sarei rimasta a casa di Josh. Ci sono perfino dei reggiseni imbottiti e delle mutandine. Alcune troppo osé, che immagino non indosserò mai. Anche se credo si stesse riferendo a queste Josh nel post-it. In tutta la mia vita credo di non aver mai avuto tanti vestiti. Mi chiedo come abbia fatto a fare stare tutto in questa scatola che, a vedere la quantità di roba che c’era dentro, sembra perfino piccola. Mentre tiro fuori tutto, qualcosa sul fondo attira la mia attenzione. Jimmy è riuscito a farci stare perfino tre paia di scarpe, oltre a tutto il resto. Un paio di Converse, un paio di paperine nere opache da usare in qualunque occasione e un paio di scarpe, con un tacco decisamente troppo alto, nere. Mi piacerebbe chiamarlo per capire il motivo di questo rifornimento, ma non ho il suo numero. Sto quasi per mandare un messaggio a Josh, quando un profumino di pancetta e uova strapazzate mi ricorda che ho una fame da lupi. Mi accorgo di avere addosso i vestiti con cui sono venuta via dal college, perciò prendo una tuta nera, una maglietta a maniche corte bianca e un paio di calzini dal mucchio dei vestiti, e mi cambio in tutta fretta. Quando arrivo in salotto l’odore è così forte che i crampi allo stomaco aumentano.
«Buongiorno!» dico entrando in cucina e prendendo posto al tavolo apparecchiato per due.
«Buongiorno.» dice Connor girandosi verso di me e guardando il succhiotto di Josh sul mio collo. «Ti vedo felice sta mattina. Immagino che sia per il fatto che ve la siete spassata alla grande sta notte.»
Arrossisco di colpo e abbasso la testa sul piatto ancora vuoto, coprendo con una mano il collo. Mi sono sempre imbarazzata a parlare di certe cose, se poi consideriamo che il fratello del mio ragazzo, che non riesco a sopportare,  ha appena fatto una battutina al riguardo, il mio arrossire è perfino una minima conseguenza. Scoppia ridere e sento la rabbia invadermi.
«Non è affar tuo quello che facciamo io e Josh quando siamo soli.»
«No, hai ragione. Ma diventa affar mio quando, per colpa di quello che fate tu e Josh quando siete da soli, io non riesco a dormire.»
Mi guarda tagliente e allo stesso tempo malizioso. Lo odio. L’odio che provo per lui è direttamente proporzionale all’affetto che provo per suo fratello.
«Comunque» dice girandosi per prestare attenzione alle uova strapazzate che sta cucinando «Josh mi ha detto di farti vedere questo.»
Mi lancia un giornale che era appoggiato sul bancone della cucina. Lo prendo al volo e lo poso sul tavolo. Sto per chiedergli di cosa si tratta, ma l’immagine che vedo in copertina parla da sola. Sotto il titolo gigante del giornale di gossip, contornata da altre foto di personaggi famosi su cui il mio sguardo non si sofferma nemmeno per un istante, c’è una foto, che occupa l’intera pagina, di me e Josh abbracciati davanti al suo fuoristrada. Spalanco gli occhi, mentre mi sento cadere nel panico. Nella foto si vede che siamo in un parcheggio, che io so essere quello del college. Siamo teneramente abbracciati. Io poso la testa sulla spalla di Josh, ma la mia faccia non si vede, si vede solo il mio chignon fatto alla veloce. La faccia di Josh, invece, si vede benissimo mentre mi posa un bacio tra i capelli. Ricordo quel momento, mentre tutto il mondo era scomparso e c’eravamo soltanto noi due. Ma il mondo esisteva eccome. E ci stava anche immortalando per metterci in prima pagina su un giornale di gossip. C’era da immaginarselo. Era passato un sacco di tempo dall’ultima ragazza di Josh, e i giornali scandalistici non vedevano l’ora di trovare qualcosa di cui parlare. La voce di Connor mi riporta bruscamente alla realtà, rompendo il filo dei miei pensieri.
«L’abbiamo trovato davanti alla porta di casa sta mattina, assieme al giornale del mattino»
Non ho voglia di mangiare, ma vedere il cibo nel piatto mi provoca un crampo che mi ricorda quanta fame io abbia. Comincio a mangiare mentre leggo la vignetta che descrive la nostra foto sul giornale.
 
Josh Hutcherson paparazzato ad abbracciare una ragazza nel parcheggio di un college. Dopo mesi che non se ne sentiva più parlare, ritorna nel mondo del gossip con  un bel mistero! (A pag. 10, l’intero articolo.)
 
«Un bel mistero? Seriamente?»
«Beh, non sanno chi sei.» dice Connor con la bocca piena «Insomma non sei famosa, e nessuno ti ha mai vista prima d’ora.»
Scrollo le spalle. Un po’ mi sorprende il fatto che non abbiano ancora scoperto la mia identità. Insomma, parliamo di un giornale di gossip! Vado a pagina dieci. Sono curiosa di vedere quali diavolerie sul mio conto sono riusciti ad inventare. Quello che mi trovo davanti sono quattro pagine, di cui tre piene di foto e l’ultima con un articolo. Sgrano gli occhi impressionata.
«Fanno un lavoro impeccabile quando vogliono.» dice Connor con amarezza.
È evidente che odia i giornali di gossip almeno quanto li sto odiando io in questo momento. Siamo entrambi consapevoli che avere a che fare con un personaggio famoso rende la tua privacy pari a zero, ma a volte questi giornali sono incredibilmente esagerati. Ci sono talmente tante foto che ci si potrebbe riempire un album. Nella prima pagina c’è la stessa foto che c’era in copertina, contornata da sequenze di foto dove ci baciamo, Josh ride abbracciato a me, mi apre la porta mentre salgo sul fuoristrada e sale anche lui. La cosa incredibile è che non si vede nemmeno una volta la mia faccia. Nelle due pagine restanti si affollano foto di noi due in macchina che parliamo di fronte all’edificio “J. McGregor”, e la mia faccia inizia a vedersi in continuazione. Sono perfino sorpresa di vedere che in alcune foto sono uscita bene. Il collage si conclude con una foto di me e Josh che, tenendoci per mano, ci avviamo all’entrata dell’edificio bianco, mentre Josh mi guarda sorridendo teneramente. Sto per iniziare a leggere l’articolo, ma Connor mi interrompe.
«Leggi ad alta voce. Io non l’ho ancora letto.»
«Ok.» .
 
Dopo mesi lontano dai paparazzi, se non per girare il suo nuovo film che uscirà il 1° marzo, finalmente Josh Hutcherson torna a farsi vedere in compagnia di una ragazza. Ovviamente tutti sappiamo che, dopo la rottura drammatica con la sua ultima e storica ragazza agli inizi di luglio dell’anno scorso, il nostro caro Josh non si è più mostrato molto in giro. In molti hanno supposto che il non farsi più vedere fosse legato alla rottura. Un cuore spezzato è difficile da guarire. Ma come possiamo vedere, il suo “cuore spezzato” è guarito in fretta. Sembra che abbia dimenticato completamente anni di amore, o magari, molto semplicemente, ha deciso di andare avanti. Lo vediamo abbracciato con una ragazza che potremmo quasi definire “senza volto”. Nessuno sa chi sia questa ragazza che con la felpa del college, i jeans, le Converse e i capelli legati, è riuscita a conquistare il cuore del bell’attore Hollywoodiano. Magari è proprio per questo che si dirigevano dallo stilista di Josh. La ragazza ha decisamente bisogno di uno nuovo guardaroba! Ma le foto parlano chiaro. È ovvio che Josh si è preso una bella cotta per questa sconosciuta. Lo vediamo guardarla teneramente, non in una, ma bensì in TUTTE le foto. Lei ovviamente, non sembra da meno. Sarà amore? Beh, se non lo è, poco ci manca. Ma la domanda più importate rimane: chi è la fortunata? Sappiamo che, negli ultimi mesi, moltissime belle attrici, a conoscenza del fatto che il bell’attore fosse single, hanno provato a mettergli le mani addosso. Completi fiaschi. Nessuna era abbastanza alla sua altezza, ovviamente in senso figurato. Di certo la nuova fiamma di Hutcherson non è un’attrice famosa. Non la vediamo in alcun film al cinema né in uscita prossimamente, e le congetture sulla sua vera identità arrivano quasi a sfiorare il ridicolo. Ricordiamo le ultime parole dell’attore in un intervista a dicembre:”Per ora non ho bisogno di una ragazza. Ho il mio lavoro e la mia famiglia. Adesso, sto bene così. […] Credo di voler aspettare quella giusta, questa volta.” Che l’abbia finalmente trovata? Ovviamente, vi terremo aggiornati riguardo all’identità della misteriosa ragazza.
 
«Ringraziamo il cielo che queste congetture che sfiorano il ridicolo non siano state scritte!»
Chiudo di scatto la rivista ancora sconcertata. La gente è senza ritegno. Non solo spiano le persone famose e le fotografano da lontano per farsi i fatti loro, ma scrivono menzogne di proporzioni enormi pur di fare gossip. In compenso, ho appena scoperto perché Jimmy mi ha mandato tutti quei vestiti. Scuoto la testa, mentre alzo lo sguardo su un Connor stranamente silenzioso. Ha un’espressione da serial killer dipinta sul volto. Un mezzo sorriso gli storce la linea dritta delle labbra mentre il viso è tirato in una serissima espressione che mi fa spaventare. Mi viene quasi voglia di scuoterlo, ma poi lui scoppia ridere. Lo guardo spaventata mentre si mette le mani sulla pancia preso da risate che non comprendo. Continua per un bel po’, e l’unica cosa che riesco a fare è continuare a guardarlo rotolarsi dalle risate. Quando smette mi guarda divertito.
«Mi è mancato leggere le stronzate che la gente riesce ad inventare su Josh!» dice scoppiando di nuovo a ridere.
Sono scioccata. Non l’ho mai visto così. Ho quasi la tentazione di chiamare uno di quei centri per matti e farlo portare via con la camicia di forza. Sto per dargli uno scossone, ma lui si riprende. Mi guarda un attimo in faccia, mentre io cerco di capire se posso fidarmi a stare così vicina a lui.
«Beh!» dice tornando ad essere il Connor che conosco io. «Non guardarmi con quella faccia da ebete! Che ne pensi?»
Scrollo le spalle senza commentare. In quel momento mi viene in mente una cosa. Mi ricordo come, quando Josh e la sua ex stavano ancora insieme, le fan sulle varie pagine dedicate a lui su facebook si divertissero ad insultarla. Sono curiosa di sapere cosa stanno dicendo in questo momento.
«Hai un computer portatile con la connessione ad Internet?» chiedo improvvisamente.
«Sì…» dice Connor spiazzato dal cambio di argomento improvviso. «E’ già acceso sul divano.»
Mi dirigo a grandi passi verso il divano e mi ci siedo col computer sulle gambe. Accedo al mio profilo facebook che ormai è deserto da agosto dell’anno scorso, quando sono partita per venire qui. Vado sulla pagina Italiana di Josh e trovo immediatamente quello che cerco. Sento Connor avvicinarsi e sedersi accanto a me  per guardare cosa sto combinando. Gli amministratori della pagina hanno già creato un album con le foto che sono uscite sul giornale. Ne apro una a caso. I commenti non sono piacevoli. “Ma chi è sta troia?”. “Non mi piace. Ha la faccia da pesce lesso.” “E Josh starebbe con questa? Ma siamo sicuri?!”. “No, seriamente. Josh si merita di meglio.” “Ma avete visto come è vestita? Sembra una stracciona!”. “Lo guarda come se dovesse mangiarselo.” “Secondo me c’è tipo un contratto sotto. Non è possibile che Josh stia con una tipa del genere.” L’ultimo commento è così fantasioso, che scoppio a ridere. Glielo indico a Connor, ma solo dopo averlo guardato in faccia mi ricordo che i commenti sono in italiano e lui non li può capire. Quando glielo traduco, lui scoppia a ridere e mi obbliga a tradurre tutti gli altri. Ce ne sono alcuni che ci fanno piegare in due dalle risate, altri che sono talmente offensivi che mi sento sprofondare nel divano, solo ora consapevole di quanto la gente possa essere crudele. alcuni, però, mi ricordano che esistono anche le persone buone al mondo. “Ma ragazze, ma vi sentite? Neanche sapete chi è e già la insultate. Siete incredibili! Magari è la ragazza più buona e dolce di questo modo e voi state qui ad insultarla. Pensate se in questo preciso istante stesse leggendo i vostri commenti! Voi come vi sentireste se persone che non conoscete in tutto il mondo vi insultassero senza motivo? Io sono contenta per lei. È davvero una ragazza fortunata. E se Josh è contento quando sta con lei allora, da buona fan, lo sono anche io. Che poi, diavolo è la su vita privata! Lui non dovrebbe nemmeno preoccuparsi di non poter stare mano nella mano con la ragazza che ama per le strade, solo perché ci sono i paparazzi.” Mentre lo leggo credo di essere incredibilmente grata a questa sconosciuta che, senza conoscermi, mi difende. Non solo i commenti precedenti mi avevano abbattuta, ma mi avevano anche fatta sentire una nullità. Continuo a leggere anche gli altri commenti sotto le foto. I commenti gentili, su milioni di commenti, posso quasi contarli sulle dita di una mano. Ma, vedendo che esistono anche ragazze che mi supportano, non mi sento scoraggiata. Io e Connor passiamo così un’altra mezz’ora finché una lampadina non mi si accende nella testa. Mi giro verso Connor con gli occhi spalancati, e lui mi guarda spaventato.
«Che c’è?» mi dice guardando prima me e poi il portatile. «Cosa c’è scritto?»
Scrollo la testa. «Non… non c’è scritto niente!» dico quasi nel panico.
«E allora che c’è?»
«Sono le dieci del mattino…»
«E allora?»
«Vuol dire…»
«Vuol dire? Mi dici che diavolo succede?!»
Prendo un respiro profondo. «Vuol dire che adesso in Italia sono le sei.»
Spero che abbia capito cosa voglio dire, ma lui mi guarda come se fossi un ebete.
«Mi vuoi spiegare?!»
«No, tu non capisci.» dico mentre la mia testa è già avanti nel tempo, a quando il mio telefono comincerà a squillare… «Queste foto sono in rete! Vuol dire che tutti possono vederle!»
Mi guarda scombussolato, ma non ho il tempo di spiegargli. Dal piano di sopra arriva la suoneria del mio cellulare. Sento il mio corpo immobilizzarsi. Poi Connor, ancora scombussolato, mi scuote il braccio. Corro al pian di sopra e lui mi segue a ruota. Comincio a frugare nella mia roba e trovo il telefono. Premo il tasto verde.
«Pronto?» rispondo in italiano. So già chi c’è dall’altra parte.
«Spiegami come diavolo ci sei finita su Internet!» la voce di mia mamma che urla mi fa spaventare.
Sento la voce di mio padre da dietro che cerca di calmarla. «Magari non è lei! Non urlarle contro. Stai tranquilla.»
«Io sono calmissima!» urla mia madre in risposta. «Voglio sapere perche diavolo è su Internet!»
«Non sei calma. Prendi un bel respiro e tranquillizzati.»
Sento mia sorella in sottofondo che urla felice per sovrastare il battibeccare dei miei genitori. «Oh mio Dio! Oh mio Dio! OH MIO DIO! Mia sorella sta con JOSH HUTCHERSON!»
«Non dirmi quello che devo fare! L’unica cosa che devo fare adesso è capire perché mia figlia è su Internet!»
Sento un cane abbaiare da qualche parte a casa dei miei.
«Mamma…»
«Smettila di urlare come una pazza!» sento gridare mio padre, credo rivolto a mia sorella, ma lei continua a dare di matto felice. «Buttate fuori quel cane!» ma il cane continua ad abbaiare.
«Papà…» .
«Voglio silenzio!»
«IO starò zitta quando TUA figlia mi darà come mai è finita in rete!»
«Oh mio Dio, sono così felice! Josh Hutcherson! JOSH HUTCHERSON!»
Nella confusione più totale, vedo Connor avvicinarsi al caos infernale che ho lasciato sul letto. Allunga una mano e tira fuori dal mucchio una di quelle mutandine che avevo giudicato troppo osé. La tira su come se potesse esplodere da un momento all’altro e la esamina per bene, tenendola tra l’indice e il pollice.  Prendo una penna che trovo sulla scrivania accanto a me e gliela lancio. Lo prendo in pieno sulla mano, sorprendendo perfino me stessa per la mia ottima mira. Lui lascia andare la mutandina e si gira verso di me sorpreso, mentre gli lancio una delle mie occhiate assassine. Non basta già l’inferno che mi risuona nell'orecchio, ci si deve mettere pure lui!
«Ora basta, ok?!» grido rivolta al telefono.
Dall’altra parte si sente un silenzio di tomba. Perfino il cane smette di abbaiare. Connor mi guarda spaventato. Far per dire qualcosa, ma poi cambia idea. Rimane lì a guardarmi mentre prendo il controllo della situazione.
«Non so perché ci sia un cane in casa vostra. Ma portatelo fuori perché se lo sento ancora abbaiare chiudo la conversazione.»
Sento una porta aprirsi e poi richiudersi e sono sicura che il cane non è più nella stanza.
«Ora, per favore, parlate uno per volta.»
Mi sembra di parlare ad un gruppo di bambini che si affannano per avere una caramella, anche se c’è né una per tutti. Il risultato, però, non è come me lo aspetto.
«Dio, davvero stai con Josh Hutcherson?»
«Perché diavolo sei in rete?!»
Il cane ricomincia ad abbaiare nell’altra stanza.
«Qualcuno abbatta quel cane!»
Alzo gli occhi al cielo e sbuffo. Sono una causa persa. Connor, incuriosito dalle urla provenienti dal telefono, lascia perdere il caos sul letto e mi guarda interrogativo. Apre la bocca per dire qualcosa, ma io gli faccio segno di stare zitto. Per come sto potrei perfino mandare a monte il mio piano di non prenderlo a ceffoni. Con l’intento di portarlo via dalla camera da letto prima che trovi qualche altro indumento imbarazzante, scendo al piano di sotto e mi siedo sul divano. Ovviamente, mi segue a ruota e si siede vicino a me. Avvicina l’orecchio al telefonino ma poi si allontana con una smorfia quando si accorge dall’altra parte stanno urlando in una lingua a lui incomprensibile. Si alza e si dirige verso un cassetto della cucina. Tira fuori un foglio bianco e una penna e torna a sedersi accanto a me. Me li mette in mano e io, cercando di non seguire l’impulso che mi sta dicendo di prenderlo a ceffoni, lo guardo interrogativa.
«Traducimi la conversazione!» mi mima con le labbra.
Ho le mani che mi prudono, ma decido di non rifilargli una delle mie occhiate truci. Immagino come debba sentirsi. Deve essere straziante sentire la gente che si urla contro e non capire che diavolo si stanno dicendo. Annuisco con la testa, mentre dall’altra parte, incredibilmente, è sceso il silenzio.
«Posso parlare?» sbuffo irritata, mentre traduco per iscritto quello che dico a Connor. Sentendo che nessuno dice niente, comincio. «Sì, sto con Josh Htcherson.» sento mia sorella piantare un urletto che somiglia incredibilmente a quelli di Jimmy. Uno di quelli che dà i brividi. «Sono finita su Internet, perché Josh è venuto a prendermi al college e mi ha presentata al suo stilista. Vuole che lo accompagni alla premiere del suo nuovo film.» mia mamma prende una boccata d’aria per dire qualcosa, ma io la fermo. «Prima ho detto di no, ma ho visto il vestito, ed era “wow”, così ho detto si. Nessuno sa chi io sia, e siamo decisi a tenerlo segreto fino alla premiere. Poi… Ah sì! Ci siamo conosciuti in un bar, e io ero ubriaca.» Sta volta è mio padre che cerca di dire qualcosa, ma fermo anche lui. «Tranquillo, non mi sono dimenticata la mia adolescenza. Non torneròin quel mondo... Non commetto un errore due volte. C’è qualcos’altro..? Beh, ora faccio la spola tra casa sua e la stanza del college, ma fortunatamente c’è solo un’ora di viaggio. Sto bene, e son felice. Domande?»
Dall’altra parte c’è un silenzio tombale, come quando mie ero messa a gridare per farli star zitti. Immagino che siano scioccati. Perfino Connor è scioccato mentre legge la mia traduzione, quasi simultanea. Non capisco cosa lo confonda tanto. Non ho fatto errori grammaticali e lui sa già tutto. Immagino che Connor rimarrà sempre un incognita per me.
Mia sorella è la prima a riprendersi. «Com’è? Caratterialmente, intendo.»
Faccio un mezzo sorriso, un po’ me lo aspettavo da lei. «E’ simpatico. E premuroso. E incredibilmente dolce. È paziente, e tenace. Non demorde al primo no. È testardo. Adora gli abbracci. È meticoloso in tutto quello che fa. È ordinato. Troppo ordinato. Credo che gli piacciano i casi senza speranza, altrimenti non mi spiego come possa essersi messo con me. E’ un po’ pigro e dormiglione. Odia alzarsi presto la mattina. Non gli piacciono gli sport estremi. Ama giocare a basket. Crede nel lieto fine. E’ un ragazzo ci piedi per terra, ed è naturale. Non ha peli sulla lingua. A volte è un po’ timido. Mette amore in tutto quello che fa. Adora i cani. E… a proposito di cani! Perché avete un cane in casa?»
Credo che il cambio improvviso di argomento li abbia scombussolati un po’ tutti. Connor mi guarda con un sorriso malizioso a cui rispondo con un’occhiataccia. So cosa sta pensando. Pensa che sia sul punto di non ritorno. Pensa che sia sul confine. Quel confine che divide il territorio della cotta dal territorio dell’amore. Ma io non sono disposta a crederci. Non sono a quel punto. Non sono al punto di non ritorno. Mi immagino mentre la possibile consapevolezza di essere innamorata di Josh si impossessa di me. Sento i brividi salire su per la schiena. Sono così terrorizzata…
«L’abbiamo trovato sul ciglio di una strada.» dice mio padre. «L’avevano investito. Lo abbiamo portato dal veterinario e l’hanno rimesso in sesto in pochi giorni. Abbiamo cercato il proprietario, ma sembra che nessuno lo voglia indietro, così…»
Mia sorella non lo lascia finire. «L’abbiamo tenuto! E l'abbiamo chiamato Jack!»
«Sei senza fantasia!»
Immagino che se fossi lì accanto a lei mi farebbe la linguaccia. Lo fa ogni volta che la prendo in giro. Connor mi scuote il braccio, e solo allora mi rendo conto che non sto più scrivendo quello che succede. Sto per dirgli che certe cose sono private, che non è che posso scrivergli tutto, ma poi mi ricordo che sono ancora al telefono. Una voglia improvvisa di chiudere la conversazione si fa spazio dentro di me. Non voglio stare ancora al telefono con loro. Mi mancano troppo.
«Io… Io devo andare.» dico sbrigativa.
Ci salutiamo ma prima che io chiuda la chiamata sento la voce di mio padre.
«Stai attenta, ok?»
«Ok.» Non aggiungo altro e chiudo la telefonata.
Cerco di non guardare negli occhi Connor. So che, adesso che ho chiuso la chiamata, inizierà a rompere le scatole sul punto di non ritorno con quel sorriso malizioso che mi manda fuori dalle grazie di Dio. Per di più, ogni volta che chiudo una telefonata con la mia famiglia, mi sembra che un pezzo di me torni con loro, e così piano, piano ho paura che potrei perdere tutta me stessa. Scuoto la testa e mi costringo a guardare Connor.
«Sai a che ora torna Josh?» gli chiedo con naturalezza, cercando di chiudere fuori i miei pensieri.
«No. Ma secondo me sarebbe contento di sapere che parli così di lui.»
«Fatti i fatti tuoi.»
Si alza dal divano alzando le mani sopra la testa in segno di resa, e se ne va scoppiando a ridere. Lo guardo allontanarsi, mentre reprimo la voglia che mi dice di seguirlo e picchiarlo.
 
Passo il resto del pomeriggio a dormicchiare e ad annoiarmi sul divano. Non ho nemmeno le dispense per ripassare. Avrei dovuto pensarci prima. Tra due settimane ho un esame e non so ancora niente. Mi mordo la lingua. Sono sempre quella dell’ultimo minuto. Connor pasticcia sul computer portatile per tutto il pomeriggio. Vedendomi sdraiata sul divano che guardo catatonica l’orologio, che non ha intenzione di muoversi, scoppia a ridere.
«Sai, il tempo non andrà più velocemente se continui a fissare l’orologio!»
In tutta risposta alzo la testa, lo guardo annoiata, e la riappoggio sul divano, come se lui non avesse mai parlato. Immagino che, se quel giorno in cui Josh ci aveva presentato, lui non avesse continuato a stuzzicarmi, non lo odierei così tanto. Magari saremmo perfino amici.
«Cos’hai lì, da pasticciare?» gli chiedo un po’ curiosa.
«Fatti i fatti tuoi.» dice facendomi la voce. Come quando glielo avevo detto io la mattina.
Sbuffo e ritorno a guardare l’orologio. Le lancette ce l’hanno con me, ne sono sicura. Hanno dato inizio ad una rivolta, e non intendono muoversi finché io non smetterò di guardarle. Immagino le lancette che prendono vita e si mettono a gridare contro di me. L’immagine mi sciocca talmente tanto che scuoto la testa per mandarla via. Devo assolutamente trovarmi qualcosa da fare. Potrei impazzire.
«Credi di essere innamorata di lui?» mi chiede Connor ad un tratto.
La domanda mi lascia basita. Non me la sarei mai aspettata. Non voglio rispondere. Primo, perché è Connor. Oltre a non essermi ancora del tutto simpatico, è il fratello di Josh. Non voglio confidare i miei pensieri a lui. Secondo, perché speravo di poter evitare questo argomento ancora per un po’. Ho paura. So di aver paura. Sono sempre stata terrorizzata dalla parola “amore”. Sono sempre stata terrorizzata dal fatto di potermi affezionare alle persone. Per questo sono sempre stata una persona solitaria. Non voglio fare questo discorso. Né con me stessa, né con nessun altro. Non credo di essere ancora pronta. Ma c’è qualcosa, qualcosa che non riesco a capire, che mi spinge a rispondergli. Qualcosa che mi dice che mi posso fidare, che posso sfogarmi.
«No.» gli dico in tutta sincerità, guardandolo negli occhi. «Non ancora, almeno.»
Non riesco a decifrare il suo sguardo, il che mi da un po’ fastidio. Ma non riesco a fermarmi.
«E’ strano. Sono sempre stata innamorata di lui da fan. Conoscevo le sue battute a memoria in ogni film in cui ha recitato. Ho sempre seguito tutto quello che faceva, anche quando la saga di Hunger Games è finita. Mettevo tra i preferiti tutti i suoi tweet, e conoscevo a memoria ogni singolo discorso che faceva. Sognavo di incontrarlo e scattare una foto con lui dopo essermi fatta autografare una sua foto. Ma amare da fan è tutta un’altra storia. Questo… non sarei nemmeno riuscita a sognarlo. Invece sono qui, lui vuole portarmi alla premiere del suo nuovo film e ieri sera abbiamo fatto l’amore. Ho paura. Ho paura di innamorarmi. Ma nello stesso tempo mi sembra impossibile avere paura di innamorarmi di lui. Quando sono con lui mi sembra così semplice, così giusto. Quando non c’è… vado in crisi. Sento che sto perdendo la testa. Non ho mai provato l’amore vero e… sono terrorizzata.»
Mi lascia sfogare. Mi lascia descrivere ciò che sento, anche se è molto probabile che non riesca capirlo. Non riesco a farlo io! Mi sembra così normale parlare con lui che continuo, senza riuscire a fermarmi. Do voce ai miei dubbi. Lascio che tutti i miei sentimenti escano. Lui mi guarda, ascoltandomi attentamente, e sento che parlare con lui è la cosa più naturale che io abbia mai fatto. Non mi interrompe mentre elabora i suoi pensieri che non riesco a indovinare. Finché io non ho più niente da dire. Rimaniamo in silenzio.
«Non dici niente?» .
«No.» .
«E allora perché mi hai fatto quella domanda?» .
«Perché volevo capire. E ho capito. Ma tu non ancora, e non voglio condizionare le tue scelte.»
«Non capisco.»
Sono confusa. M ha fatta parlare per tutto questo tempo, e adesso non esprime neanche un parere? E poi, che diavolo doveva capire? A che cosa gli serve sapere se sono o no innamorata di Josh? Mi sembra un indovinello. Un rompicapo, e non sono mai stata brava in questo genere di cose.
«Lo so che non hai capito.» dice sorridendo, e sta volta sorride veramente. Niente sorrisi maliziosi. «Ma non mi convincerai ad esprimere un parere.»
«Ma io…» sento la porta che si apre.
Mi giro di scatto, e lo vedo. Il mondo sparisce. Sento il cuore che mi martella nel petto, mentre sul suo viso compare un mega sorriso che gli illumina gli occhi. Quando sorride la mascella si evidenzia ancora di più, e lo adoro. Rimango per un attimo spiazzata. Non credo che mi abituerò mai al fatto che sta sorridendo veramente a me. che quel sorriso è solo ed esclusivamente per me. Poi mi alzo e gli vado in contro e quando Lo raggiungo, nascondo il viso nell’incavo del suo collo. Come per magia, tutte le preoccupazioni spariscono. Come avevo detto a Connor, quando sono con Josh, l’unica cosa che mi sembra logico fare è lasciare che i miei sentimenti per lui crescano. Chiudo gli occhi, mentre le sue braccia si stringono forti attorno a me e lo sento che affonda il fiso nei miei capelli. Il suo odore mi riempie i polmoni. Non voglio staccarmi dal lui. Voglio assaporare per un altro po’ quel momento.
«Come è andata oggi?» gli chiedo senza lasciare che lui si sciolga dall’abbraccio.
«E’ andata bene. Ci siamo divertiti. Ma sembrava che il tempo non passasse mai. Volevo solo tornare da te.»
Alzo la testa per guardarlo negli occhi. Gli tengo le braccia allacciate al collo, stringendolo ancora a me.
«Beh, ora sei qui. Quindi…»
Poso le labbra sulle sue e lo sento accettare il bacio molto volentieri. Ma neanche il tempo di un lieve tocco, che qualcosa lo turba.
«Hai letto la rivista?» mi chiede un po’ preoccupato.
«Sì. E indovina? La mia famiglia ha visto le foto!»
Mi guarda scioccato. «Quella robaccia esce in Italia?»
«Sai, in Italia esiste Internet!» Neanche l’Italia fosse Narnia!
«Ah, già… Come l’hanno presa?»
Sto per rispondergli, ma la voce divertita di Connor mi impedisce di farlo.
«Si sono urlati dietro per un bel po’!Avresti dovuto vedere la scena! Ilaria che urla in Italiano è qualcosa di unico!»
Scoppia a ridere. Io e Josh, ancora abbracciati, lo raggiungiamo in cucina. Gli racconto la telefonata, mentre sul suo viso vedo passare le diverse emozioni che avevano colpito anche suo fratello. Quando alla fine capisce che i miei genitori approvano, tira un sospiro di sollievo.
«Davvero credevi che mi sarebbero venuti a prendere con la camicia di forza per riportarmi a casa?» lo stuzzico divertita.
«Beh, hanno scoperto che la figlia, che sta dall’altra parte del mondo, è fidanzata con una celebrità e si fa fotografare per le strade di Los Angeles! Io lo avrei fatto.»
«Mia sorella avrà passato ore a tessere le tue lodi! I miei non avevano possibilità! Lei sa essere molto convincente.»
Mi bacia, e in quel momento mi torna in mente la conversazione con Connor. Mi da leggermente fastidio sapere che tra di noi c’è un accordo di segretezza. Ovviamente, nessuno dei due ne ha fatto parola, ma entrambi sappiamo che c’è. È come se l’avessimo stipulato prima che io iniziassi a confessargli tutto quello che provavo. Lui non avrebbe detto nulla a Josh, e io avrei risposto alla sua domanda. È la seconda volta che io e lui stipuliamo un accordo del genere. Josh ancora non sa del foglietto sotto il mio tovagliolo. Un po’ mi infastidisce il fatto di tenere segrete queste cose a Josh, ma sapere che Connor è disposto ad avere dei segreti con me mi fa sentire stranamente sicura. È come se, alleggerendo il mio cuore da tutti quei dubbi e affidarli a Connor, fosse la cosa più normale del mondo. Magari arriverà un momento in cui confesserò quei sentimenti anche a Josh, ma per ora, sapendoli nelle mani di Connor, mi sento tranquilla. È bello sapere di avere un amico. Anche se questo è il fratello del mio ragazzo. E anche se, fino a quella mattina, nutrivo un odio profondo nei suoi confronti.
Chiudo gli occhi, e accetto il bacio volentieri. Per come stanno le cose, potrei quasi considerare la mia vita perfetta.
 

 
 

SPAZIO AUTRICE.

 

Come sempre, spero che il capitolo vi sia piaciuto :D
Voglio vedere quante ipotesi riuscite a inventare sul rapporto Connor/Ilaria, visto il bell’interrogativo che vi ho lasciato. Perché Connor ha chiesto a Ilaria se era innamorata di Josh?
 
SPOILER del prossimo capitolo:
Dato che ho deciso di lasciare le cose così come stanno per un po’, nel prossimo capitolo ci sarà una bella scena sotto la pioggia. Voglio imbottirvi di un po’ di romanticismo prima della bufera…
 
Un bacio dolcezze, e al prossimo capitolo!  

 
P.S. Il 12 ottobre il nostro Josh compie 20 anni! Gli auguro tutto il bene di questo mondo! 

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Capitolo 8
*** Standing in front of you ***


Standing in front of you.

Take a breath and listen,
Open up, stop wishin’ all that you’ve been missin’
Standing in front of you.
Everything you’re fearin’, all the wall you’re buildin’
Take a chance your reason,
Standing in front of you.
Kelly Clarkson – Standing in front of you.

 
 

 
«Cammina dritta!» mi urla Jimmy dall’altro lato della stanza. «Attenta al vestito! Non lo tirare troppo su!»
Vorrei tagliargli la lingua. Ho i piedi che mi fanno male e un vestito che mi intralcia e lui continua a urlarmi dietro. Dire che è fastidioso è un eufemismo.
Quando mi sono svegliata, sta mattina, Josh mi ha detto che mi avrebbe accompagnata da Jimmy. Avevo avuto un flash del livido al ginocchio ed ero andata nel panico più totale. Non sarei riuscita a sopportarlo.
«Vieni anche tu?» gli avevo detto supplicandolo con gli occhi.
«No. Oggi è l’ultimo giorno di doppiaggio.»
Avevo preso il cuscino e me lo ero schiacciata in faccia, convinta che soffocarmi sarebbe stata la miglior scelta. L’altra era subirmi le lamentele di Jimmy tutto il giorno. Non capivo nemmeno perché volesse vedermi. Il mio corpo non aveva bisogno di un urgente ceretta e alla premiere mancavano ancora… due settimane! Come aveva fatto il tempo a passare così in fretta? Avevo immediatamente capito perché lo stilista volesse vedermi. Scarpe col tacco. Ero andata nel panico, presa dalla consapevolezza che quella sarebbe stata una lunga, lunghissima giornata.
«Uccidimi.» avevo detto a Josh mentre cercava di convincermi a prepararmi.
«No, non lo farò. Non contare su di me per questo!»
«Bene. Allora chiederò a Connor!»
«Mmmh, non credo che lo farebbe.» aveva detto avvicinandosi a me e stringendomi a lui con tenerezza. «Prima dovrebbe passare sul mio cadavere! E comunque, gli stai simpatica.»
«Quindi preferisci che io venga torturata da Jimmy, piuttosto che farmi fuori tu?»
Era scoppiato a ridere e mi aveva posato un leggero bacio sulle labbra. «Proprio così.»
Avevo cercato di brontolare ancora un po’, ma i suoi baci mi avevano distratta del tutto. Ci eravamo quasi dimenticati del fatto che eravamo in ritardo tutti e due. Io ero quasi riuscita a togliergli la maglietta, ma poi la sveglia aveva cominciato a suonare di nuovo, e addio ai miei piani.
«Se vuoi posso venire a prenderti per pranzo…» aveva detto sperando di tirarmi su il morale.
Ovviamente, avevo accettato di buon grado, ma quando ero scesa dalla sua macchina e avevo varcato la soglia dell’edificio bianco, l’ora di pranzo mi era sembrata lontana secoli.
«Metti i piedi dritti, non hai un paio di Converse!» la voce di Jimmy mi riporta alla realtà.
Chiudo gli occhi, tentando di trattenere la rabbia che mi  monta dentro ogni volta che Jimmy mi rimprovera per qualcosa. Ho male ai piedi, la testa mi martella dal dolore e manca ancora un’ora all’ora di pranzo. Fortunatamente Jimmy non ha ancora visto il livido sul mio ginocchio. Il vestito lungo che mi ha obbligata ad indossare per provare i tacchi e la camminata lo copre del tutto. Ma, ovviamente, le cose non possono andare bene come spero.
«Ok, abbiamo capito che con un vestito lungo sei una frana. Proviamone uno corto.»
Cerco di pensare ad una scusa per non fargli prendere in vestito corto e obbligarmi ad indossarlo. Immagino la sua faccia quando vedrà il livido viola sulla mia gamba. Sarà qualcosa di simile alla faccia che aveva quando gli avevo allungato la mano per presentarmi, il giorno in cui ci eravamo conosciuti. Quando era rimasto schifato dai peletti sulle mie braccia. Il mio cervello non riesce a trovare ad una scusa decente. Anche perché, in effetti, cosa diavolo posso dirgli? Il mio vestito per la premiere è corto! Il fatto è che speravo di poterglielo nascondere ancora per qualche giorno… Mi tolgo il vestito lungo e indosso il vestito che mi porge dall’altro lato del divisore. Mi infilo di nuovo le scarpe col tacco sperando che sta volta non mi facciano male, ma è solo una futile speranza. Più li tengo addosso, più mi provocano un dolore atroce. Chiudo gli occhi mentre esco da dietro il divisore e in quel momento uno strillo acuto di Jimmy rischia di rompermi i timpani. Rabbrividisco.
«COSA DIAVOLO HAI COMBINATO?» urla alzando la voce di troppe ottave rispetto a quelle che la mia testa può sopportare «PERCHE’ C’E’ UNA CHIAZZA VIOLA SUL TUO GINOCCHIO?»
Ho paura che gli occhi gli possano uscire dalle orbite da un momento all’altro. Mi guarda con un espressione talmente scioccata che mi sento quasi in colpa. Come se fosse colpa mia se Josh ha lasciato uno scatolone pieno dei vestiti in mezzo alla stanza! Se Jimmy non avesse mandato quello scatolone a casa, Josh non lo avrebbe lasciato in mezzo alla stanza e io non avrei un livido viola sul ginocchio. Però Jimmy l’ha fatto perché era uscito l’articolo su me e Josh. Quindi se non fosse uscito quell’articolo, ora non avrei quel livido sul ginocchio e Jimmy non mi guarderebbe come se fossi un mostro. È tutta colpa dei paparazzi se ora dovrò subirmi le sue urla!
«Sono inciampata e sono caduta e…» inizio a dire, ma lui non mi lascia parlare.
«Io non ci posso credere! NON CI POSSO CREDERE. Tu hai una premiere tra due settimane, devi indossare un vestito corto e non sai nemmeno camminare sui tacchi. E adesso anche questo! UN LIVIDO SUL GINOCCHIO. Non voglio nemmeno sapere perché c’è un livido sul tuo ginocchio. Ho una voglia matta di… di… di STROZZARTI! Tu sei la mia rampa di lancio per entrare nel mondo della moda femminile! Non puoi… NON PUOI AVERE UN LIVIDO SUL GINOCCHIO.»
«Io sono che cosa, scusa?» dico incuriosita, il panico ormai dimenticato.
«Io sono un Dio nella moda maschile, ok? Ora, devo entrare nel mondo della moda femminile! E tu, tu dovevi essere la mia rampa di lancio. E ORA HAI UN LIVIDO SUL GINOCCHIO.»
Ecco qual’era il terzo motivo! Josh ha intenzione di farmi fare la modella per Jimmy. Sento un moto di rabbia farsi strada dentro di me, ma poi ci ripenso. Lui e Jimmy sono amici da secoli ormai. È normale che voglia aiutarlo coi suoi sogni. Il problema è: perché hanno aspettato me? Jimmy avrebbe potuto entrare nel mondo della moda femminile da un sacco di tempo. Insomma, non ho il fisico da modella e non sono una superstar. Ci sono un sacco di modelle famosissime che pagherebbero per posare per lui. Mi sembra una domanda senza risposta, ma poi mi si accende una lampadina. Aveva bisogno di uno scandalo per far parlare di sé ancora di più. Io sarò lo scandalo. La nuova ragazza di Josh Hutcherson. Saremo sulle bocche di tutti per mesi, e lui sfrutterà tutto questo per entrare nel mondo dei suoi sogni. Della serie: prendi due piccioni con una fava. Josh avrebbe avuto la sua speciale prima apparizione con me, e Jimmy avrebbe visto il suo sogno avverarsi. Sono sorpresa, e anche un po’ infastidita. E’ un bel piano e Josh avrebbe dovuto dirmelo, ma probabilmente ha ragione, non avrei mai accettato di andare con lui alla premiere. Se il vestito avrà veramente successo, è probabile che Jimmy vorrà farmi indossare altri suoi vestiti…
Jimmy nota che qualcosa non va e smette di urlare.
«Che c’è?»
«Niente. È solo che…» dico cercando di non offenderlo. «Io adoro i tuoi vestiti Jimmy. Davvero, sono fantastici! Ma non voglio fare la modella.»
Lo vedo sorpreso, come qualcuno che è appena stato visto con le mani nel sacco.
«Non è questo il mio sogno. Non sono venuta in America per questo. Se il tuo vestito avrà successo sarò veramente contenta di averti aperto le porte, ma… Non voglio diventare la tua modella. Sarò già la ragazza che arriva dal niente e si fa Josh Hutcherson. Non voglio essere anche la ragazza che usa il suo ragazzo famoso in tutto il mondo per avere il suo momento da celebrità.»
Rimane per un po’ in silenzio, senza riuscire a dire niente.
«Io non avrei dovuto dirtelo.» dice Jimmy, ormai è inutile negarlo. «Non mi piace questo tuo modo di vedere le cose. Tu vuoi studiare e fare quello per cui sei venuta a vivere in America, ma cosa c’è di male nello sfruttare la celebrità del proprio ragazzo? Sei bella, simpatica e talentuosa. Il mondo dello spettacolo cerca solo questo. E Josh non ha nulla in contrario. Comunque non cercherò di farti cambiare idea. Se quello che potrà pensare la gente è più importante di quello che vuoi davvero fare, questa è una scelta tua. Ma voglio che ci pensi, ok?»
Mi sorride gentilmente. Mi sento quasi in colpa per avergli detto di no. Mi sa che mi sono affezionata a questo stilista eccentrico che cerca di convincermi a diventare la sua modella. Non ho scampo. Più cerco di non affezionarmi alle persone, più avviene il contrario. Gli sorrido di rimando e lui cambia argomento.
«Comunque, il livido andrà via e, se non lo farà, un po’ di trucco sistemerà tutto. Non sarà di certo un livido a mettermi fuori gioco!» la rabbia del tutto scomparsa. «Coraggio, riprendi a camminare!»
Sospiro e riprendo a fare avanti e indietro per la stanza sopra quei trampoli. Spero che i tacchi per la premier siano più bassi, ma per come gira la fortuna, non ne sono del tutto convinta. Stranamente, però, inizio a camminarci decentemente. Riesco a fare due giri della stanza senza neanche prendere una storta o inciampare nei miei stessi piedi.
«Fantastico! Una settimana a provare così tutti i giorni e sarai perfetta.»
Una settimana così, ha detto. Una settimana. Forse dovrei riconsiderare l’idea del suicidio.
 
«Sai, ho appena scoperto il terzo motivo per cui mi hai portato da Jimmy!» dico a Josh mentre salgo in macchina. È venuto a prendermi con un rifornimento sandwich e bibite. Aveva in programma di pranzare in un parco, senza preoccuparci dei paparazzi, ma il tempo, come la fortuna e i tacchi e il vestito, oggi non è a mio favore. Ha iniziato a diluviare come non mai. Quindi siamo costretti a fare il nostro pranzetto romantico chiusi in macchina. Non possiamo nemmeno tornare a casa, dato che Josh ha solo un’ora di pausa pranzo e poi dovrà tornare allo studio di registrazione. Io, invece, mi passerò il pomeriggio nella sua macchina, visto che Jimmy mi ha lasciato il pomeriggio libero, non posso tornare a casa a piedi perché piove e non ho nessuna intenzione di andare in sala registrazione con Josh per sentirmi squadrata dalla testa ai piedi da un gruppo di doppiatori.  
«Te l’ha detto Jimmy?»
«Non ti immagini neanche il potere di un livido sul ginocchio a distanza di due settimane dalla premiere!» gli dico ridendo.
Ride anche lui. «Quindi mi accompagni lo stesso?» suona quasi come una preghiera.
«Certo! Non posso deludere due persone in una sola volta. E Jimmy mi ha promesso che non mi forzerà nello scegliere se voglio o no diventare la sua modella.»
«Come ci sei riuscita? In tanti anni che conosco Jimmy non sono mai riuscito a fargli fare quello che volevo io!»
«Perché io sono fantastica!» mi avvicino e lo bacio.
Poi lui mi porge un sandwich sorridendomi dolcemente. Addento il panino, sorpresa di essere così affamata. Tutto quel camminare sui trampoli mi ha veramente stancata. Vedo che continua a guardarmi, tenendo il suo sandwich a mezz’aria. Gli sorrido alzando le sopracciglia, incuriosita dalla sua espressione mentre mi guarda. Ma lui scuote la testa, poi mi mette un braccio attorno alle spalle e mi stringe a lui. Appoggio la testa alla sua spalla felice. Mi sto abituando in fretta a tutto questo romanticismo. Sono perfino sorpresa nel trovarlo piacevole.
«Pensavo che ti saresti arrabbiata.» dice dopo che per un po’ si sente solo il rumore della pioggia sul tettuccio del fuoristrada.
«Infatti mi sono arrabbiata. Ma poi ho pensato che l’hai fatto perché gli vuoi bene, e ho pensato che se non lo avessi fatto per te o per Jimmy, almeno lo avrei fatto per la vostra amicizia. Mi sento a posto con la coscienza.»
Mi guarda divertito. «Lo fai per la nostra amicizia?» dice alzando un sopracciglio.
«Io ho un cuore, sai?» dico alzando la testa dalla sua spalla per guardarlo meglio.
«Attenta che ti cresce il naso!»
«E’ la verità! Non lo fai perché quel vestito è talmente bello che ti ha convinta.»
«Josh Hutcherson…» inizio a dire puntandogli il dito contro ancora fingendomi offesa.
Ma lui non mi fa finire la frase. Mi si avvicina e mi posa un bacio sulle labbra. Poi si stacca e mi sorride.
«Tu sei…» tento ancora di dire, ma mi bacia di nuovo interrompendomi.
«Io sto cercando…» non mi lascia finire nemmeno questa volta.
Cerco di parlare ancora una volta, ma mi mette un dito sulle labbra.
«Sto cercando di farti stare zitta, in caso non te ne fossi accorta.»
«E io sto cercando di parlare per farti continuare. in caso non te ne fossi accorto.»
Scoppia a ridere scuotendo la testa. Posa le labbra sulle mie, e sta volta non le stacca subito. Quando cerco di approfondire il bacio, lui non si oppone e mi stringe dolcemente fra le sue braccia. Oggi però, non è proprio la mia giornata. Come sta mattina, il suo telefono inizia a squillare, avvisandoci che la pausa pranzo è finita.
«Coraggio» dice chiaramente contrariato dal dover interrompere il nostro bacio. «Ti presento i miei colleghi di lavoro.»
«Assolutamente no.» preferirei passare il pomeriggio con Jimmy, piuttosto che passare un pomeriggio con persone che non conosco, che magari non vedono l’ora di saperne di più riguardo al mistero che rappresento.
 
«Ok.» dice l’addetto alla registrazione iniziando a premere tasti qua e là «Tre, due, uno… doppiaggio scena finale!»
Inutile dire che è riuscito a convincermi.
Sono qui, in una piccola stanza dove ci sono un sacco di monitor e tasti e lucine che si accendono, a fare compagnia all’addetto alla registrazione, agli ideatori del cartone animato e ai doppiatori che aspettano il loro turno per entrare e dare voce al loro personaggio che farà sognare milioni di bambini in tutto il mondo. Josh mi ha presentata a tutti e, al contrario di come immaginavo, nessuno di loro mi ha squadrata dalla testa ai piedi. Al contrario, sono stati tutti gentili e socievoli. La voce della protagonista femminile è data da Emma Stone. Non appena Josh me l’ha presentata sono rimasta pietrificata a guardarla, mentre lei, immagino ormai abituata a certe reazioni dei fan, mi ha sorriso gentilmente. È una ragazza incredibilmente simpatica. Dieci minuti a parlare con lei, e mi rotolo per terra dalle risate. Sono indecisa se chiederle una foto e un autografo. Insomma, certe occasioni ti capitano una sola volta nella vita, anche se sei la ragazza di Josh Hutcherson. Dal vetro li vedo ridere, mentre nel monitor in alto passano le immagini dei due protagonisti che ridono. Si divertono un mondo. Emma, per immedesimarsi meglio nel ruolo, ha una parrucca castana in testa e un vestito da principessa e continua a muoversi come la principessa nel cartone animato. Josh cerca di trattenersi dal ridere, ma puntualmente devono ricominciare da capo, perché scoppia a ridere anche quando non ce né bisogno. Alla fine decidono di fare togliere il vestito e la parrucca a Emma, e sgridano Josh attraverso un microfono. Quando finiscono la scena, sono decisa a chiedere la foto e l’autografo all’attrice.
Raggiungo lei e Josh, ancora piegati in due dalle risate per chissà quale battuta. Quando Josh mi vede arrivare mi viene in contro felice.
«Voglio chiederle la foto e un autografo.» gli bisbiglio nell’orecchio. Non so perché ma mi sento avvampare.
Vedo Josh che scoppia a ridere, mentre Emma si avvicina.
«Smettila di ridere! Mi vergogno veramente! Insomma, è una delle mie attrici preferite!»
In tutta risposta, Josh tira fuori l’iPhon dalla tasca e guarda Emma e poi me. Ovviamente lei capisce subito. Si avvicina e mi mette un braccio attorno alle spalle. Poi prende un pezzo di carta e me lo autografa.
 
A Ilaria,
una delle poche persone che è riuscita a vedermi con una parrucca e un vestito da principessa a ormai quasi trent’anni.
Emma Stone
 
Sono così felice che continuo a sorridere come un’ebete e saltellare al posto di camminare per tutto il resto del pomeriggio. Non è stato poi così male accettare di accompagnare Josh qui.
 
Arriviamo a casa verso sera, e ancora piove. Josh parcheggia il fuoristrada nel vialetto del cortile di casa sua e scendiamo dalla macchina. Mi dirigo veloce verso la porta di ingresso, ma, mentre lo aspetto, mi infradicio comunque, dato che non c’è una tettoia per ripararsi. Diesel e Nixon non ci vengono nemmeno in contro per paura di bagnarsi. Rimangono nelle loro cucce senza muoversi. Vedo Josh chiudere la macchina e poi chinarsi a terra e mettere la mano in una pozzanghera alla ricerca di qualcosa. Corre verso di me.
«Non ho le chiavi di casa.» dice mettendosi a suonare il campanello ripetutamente. «E le chiavi della macchina mi sono appena cadute nella pozzanghera.»
Lo guardo sconvolta. Vuol dire che per un po’ saremo bloccati qui sotto la pioggia, visto che nessuno ci viene ad aprire la porta. A quanto pare Connor non è in casa. Mi siedo sui gradini mentre sento arrivare i primi brividi dovuti al fatto che sono già fradicia. Josh fa lo stesso. Rimaniamo seduti per un po’ in silenzio, lasciando che la pioggia ci inzuppi completamente. Io adoro stare seduta sotto la pioggia, ma così è troppo. Starnutisco. Fantastico, Jimmy non me lo perdonerà mai se mi ammalo. Josh si toglie la giacca per mettermela sulle spalle, ma è inutile, anche quella è completamente fradicia. Non sapendo cosa fare, mi abbraccia. Rimaniamo in silenzio ad ascoltare la pioggia che cade, poi la sua domanda mi coglie di sorpresa.
«Cosa c’era scritto, in quel foglietto?»
«Quale foglietto?» la domanda mi ha colta talmente alla sprovvista che non riesco a focalizzare nessun foglietto.
«Il foglietto sotto il tovagliolo. Quello di Connor. Poteva essere solo suo. E lui non mi ha mai voluto dire niente. E… sinceramente, un po’ mi da fastidio che abbiate segreti. Insomma, tu stai con me.»
Lo guardo. Non avrei mai pensato che sarebbe venuto a sapere di quel foglietto. Non avrei mai pensato che sarebbe stato geloso di un piccolo segreto tra me e suo fratello. Ma ha ragione, io sto con lui. E’ con lui che devo parlare. Non con Connor.
«Io… Ho paura, Josh. Quando sono con te sto bene. Mi sembra giusto che i miei sentimenti diventino sempre più profondi. Ma quando tu non ci sei impazzisco. Ho paura di amare. Ho paura di poter soffrire. Ho paura perché sei entrato nella mia vita improvvisamente e mi sentivo spiazzata. Sto cercando di fare le cose con calma. In quel foglietto c’era scritto che secondo lui ero quella giusta. E qualche giorno fa mi ha chiesto se ero innamorata di te. Lo so, lo so che dovrei dire a te tutte queste cose, ma ieri ne avevo bisogno e… non gliene avrei mai parlato, se lui non me lo avesse chiesto.»
Rimaniamo di nuovo un po’ in silenzio. Sento una strana sensazione. Come se parlarne con Josh mi avesse fatta sentire ancora più libera, rispetto a come mi ero sentita a parlarne con Connor. Non voglio avere segreti con Connor. E mi sento meglio adesso. Lui guarda la pioggia che continua a cadere, mentre io lo guardo di sottecchi. È incredibile quanto possa essere bello in qualunque situazione.
«Io mi sento diverso, da quando ti ho conosciuta.» dice all'improvviso, serio. «Mi sento come un adolescente alle prime armi. Tutte le volte che penso a te o sto con te, sento come se lo stomaco si stringesse ogni volta. Sento di avere bisogno di te in tutti i momenti della giornata. Sento che i miei sentimenti diventano più profondi ogni giorno che passa e potrei anche credere di aver cominciato ad innamorarmi di te. Lo so, posso capirlo, se tutto questo ti spaventa. E mi sta bene se parlarne con mio fratello ti fa sentire meglio. Solo, vorrei che ne parlassi con me.»
Lo guardo e non riesco a far altro che annuire, mentre il peso di quelle parole mi cade addosso come piombo. Sentire che si sta innamorando di me mi fa sentire strana, quasi diversa.
«Sai, abbiamo tutti sofferto tanto. Perfino Connor, sotto la sua aria da spavaldo, è triste. Immagino sia per questo che volesse parlare dei tuoi sentimenti. Ha bisogno di distrarsi dai suoi. Ma io ho ancora voglia di innamorarmi, e sì magari è troppo presto, ma sono fatto così, e anche se ho provato a resistere a tutte queste emozioni, non posso fare a meno di sentirmi felice quando penso che, nonostante tutto, posso ancora amare. Perciò ti aspetterò. Perché voglio te. E non mi interessa quanto ti ci vorrà a dire quelle due semplici paroline, continuerò a ripetertele finché non sarai pronta. Solo… parla con me. Stai con me.»
Sento le lacrime fare forza per uscire. Un groppo alla gola mi impedisce di parlare. Le sue parole sono così belle, che alla fine non riesco più a trattenere le lacrime, e lascio che escano. Che si aggiungano alla gocce di pioggia che scendono lungo il mio viso. Sento un esplosione di sentimenti dentro di me, a cui non riesco a dare un nome. O forse non sono ancora pronta a darglielo. In quel momento ho solo voglia di annullare la distanza fra noi e fargli capire quello che la mia voce non riesce ad esprimergli. Accetta il mio bacio, e sono sicura che ha capito tutto quello che io ho paura di capire. Lasciamo che la situazione ci trasporti, ora che nessuno ci può disturbare sotto la pioggia. Ci stringiamo forti l’uno all’altra. Un sacco di emozioni mi prendono in pieno, ma non le respingo. Lascio che mi invadano in tutta la loro potenza. Vorrei che fossimo da un’altra parte, e non sotto la pioggia chiusi fuori casa. Mi dimentico di tutto. Ma come avevo già avuto modo di capire durante tutta la giornata, questa non è la mia. La “Mini Minor” di Connor fa la sua entrata nel vialetto di casa. Io e Josh ci stacchiamo, e solo allora ci rendiamo conto del groviglio che sono i nostri corpi. Connor ci guarda interrogativo, immagino si stia chiedendo perché siamo fuori casa sotto la pioggia, ma non dice niente. Si dirige verso il bagagliaio e inizia a tirarne fuori valige. Sento il corpo di Josh irrigidirsi a quella vista. Capisco che c’è qualcosa che non va. La porta vicino al posto di guida si apre e ne esce un uomo di media statura con i baffi, i capelli brizzolati e il viso simpatico, ha la stessa mascella di Josh. Ci guarda e ci sorride amichevolmente poi apre un ombrello nero e va verso una porta posteriore che si apre in quel momento. Ne esce una bella donna di mezza età, i capelli perfettamente in ordine, altezza media e un po’ in carne. Ha un’espressione seria e non ci degna di un’occhiata. Guardo Josh, che guarda loro imbambolato, e capisco chi sono.
No, questa non è decisamente la mia giornata. Sono i suoi genitori.

 

SPAZIO AUTRICE

 

Ok guys, that’s all! Spero vi sia piaciuto il capitolo e spero anche in qualche recensione *fa gli occhi alla ‘gatto con gli stivali’ di Shrek*! Ovviamente ringrazio tutte le meraviglie che seguono la mia storia, quelle che la recensiscono e quelle che l’hanno addirittura messa tra le preferite (Tanto, tantissimo amore per voi :3)!

 

SPOILER: dal prossimo capitolo aspettatevi una bella bufera! Tre parole per voi: Mamma di Josh.

 

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Capitolo 9
*** Don't panic ***


Don’t panic.

All that I know
There’s nothing here to run from
‘Cause everybody here’s got somebody to lean on.
Coldplay – Don’t panic.

 
 
 

Spengo il phon, prendo un elastico e mi lego i capelli. Ora che sono asciutta posso ragionare un po’ meglio, anche se non riesco a pensare ad altro che non sia la faccia seria della madre di Josh. Sento i brividi.
Josh entra in bagno come una furia. Non l’ho mai visto arrabbiato, ho solo sentito la sua voce. Sembra che da un momento all’altro dal suo naso inizierà ad uscire fumo e dalla bocca fuoco. Prende un asciugamano e inizia ad asciugarsi i capelli con violenza.
«Josh…» cerco di dire, ma il suo sguardo mi blocca.
Credo non voglia essere disturbato mentre la sua mente si invade di rabbia. Io, in quei casi, preferisco mettermi ad urlare contro qualunque cosa nel mio raggio d’azione, ma è questione di carattere. Da quando Connor ha aperto il portone di casa, Josh non fa altro che fulminare con lo sguardo qualunque cosa nel suo campo visivo. Me compresa. Per di più non vuole farmi capire per quale motivo è così arrabbiato col mondo intero, anche se credo di poterlo intuire.
Io, a differenza sua, sto tremando di paura. Non voglio immaginare il momento in cui mi presenterà ai suoi genitori. Mi torna in mente la reazione che aveva avuto Josh quando, la sera in cui mi aveva presentata al fratello, Connor gli aveva detto di aver sentito la madre per telefono. Josh era diventato una statua e aveva chiesto, con un misto di preoccupazione e rabbia assieme, a Connor se le avesse parlato di me. Nella mia testa si affollano troppi pensieri, e in questo momento non ho bisogno di domande, ma di risposte. Apro la bocca per parlare con Josh, ma la porta della camera da letto si apre. Fortunatamente sono vestita. Vedo Connor che ci raggiunge in bagno. Ha dipinta sul volto la maschera della preoccupazione. Guarda Josh e prende fiato per parlare. Cerco di avvertirlo con lo sguardo, ma lui non mi considera. Immagino che sappia come gestire la rabbia del fratello. Ma forse mi sbaglio.
«Josh, io…» inizia a dire, ma lui non lo lascia finire.
Vedo che lo fulmina con lo sguardo, come se volesse veramente ucciderlo. Inizia quasi a farmi paura. Fortunatamente, smette di asciugarsi i capelli con violenza. Per un attimo avevo temuto che gli sarebbero caduti tutti. Non riesco a immaginare Josh senza capelli.
«L’hai chiamata tu!» urla contro a Connor, e si riferisce alla madre. È fuori di se.
«No che non l’ho chiamata io! Ma esiste Internet, sai?»
Sembra che questo lo calmi un po’. Se non altro smette di fulminare tutto e tutti con lo sguardo. Di sicuro, la madre è arrivata nel momento sbagliato. Con tutte le cose che dovrà fare Josh in questi giorni per la promozione del film, non credo che avrà anche il tempo di occuparsi della madre. Forse è per questo che è così furioso.
«Magari le piacerà…» butta lì Connor lanciandomi un’occhiata.
«Non le piacerà.» dice Josh gelido. «A lei non piace nessuna.»
Guardo prima uno e poi l'altro fratello, incuriosita da questo scambio di battute, ma tutti e due sembrano preoccupati da qualcos’altro.
«Di sicuro non deve sapere dello stato in cui era quando l’hai portata qui.» dice Connor con fare pratico.
«E non deve sapere che vive qui.» dice Josh nello stesso tono.
«Come hai intenzione di nasconderglielo? Tutta la sua roba è qui.»
«Le possiamo dire che è qua solo per qualche giorno. E che poi tornerà al Collegge.»
Nessuno dei due si è ancora ricordato che esisto anche io e che non sto capendo nulla di quello che stanno dicendo. E non per il fatto che parlano velocemente. E’ che proprio non capisco a chi si riferiscano. Solo l’ultima frase sono sicura fosse riferita a me.
«Non ci crederà. Sappiamo tutti  benissimo quanto puoi essere frettoloso.»
«Allora proponi qualcosa tu!» sbotta Josh iniziando a mettere in ordine la stanza.
«Ehi, è il tuo pasticcio questo!»
«E non hai intenzione di aiutarmi?!» Josh si ferma di colpo con un mio reggiseno  a mezz’aria. Sto per dirgli di metterlo giù, ma lui se ne accorge e lo lascia cadere a terra.
«Certo che ti aiuterò. Ma non puoi darmi la colpa se non ho idee.»
«Beh, sei tu quello geniale. Fatti venire in mente qualcosa!»
Connor si mette a misurare a falcate la stanza, e Josh continua a piegare i vestiti riponendoli con cura nei vari cassetti. Nessuno dei due si è ancora ricordato che in quella stanza ci sono anche io, che potrei non aver capito nulla di quello che si sono appena detti e che magari potrei dare una mano. Quando sono sicura che abbiano smesso di parlare, prendo aria.
«Qualcuno potrebbe spiegarmi cosa succede?»
Non l’avessi mai detto.
Josh smette di piegare vestiti e mettere in ordine cose che sono già al loro posto. Mi guarda come se non mi vedesse veramente. Il suo sguardo è appannato, e sono sicura che la sua mente è altrove. Così altrove da non trovare le parole per rispondere alla mia semplice domanda. Decido di lasciarlo nel suo mondo di preoccupazioni e rabbia. Guardo Connor, che nel frattempo ha smesso di camminare avanti e indietro per la stanza. Vedo che mi guarda, perciò alzo un sopracciglio interrogativa, sperando che almeno lui mi possa rispondere.
«E’ la donna migliore che esista al mondo.» dice, misurando con cura le parole. «Ed è una mamma fantastica, ma…»
Non finisce la frase. Immagino speri che Josh la finisca al posto suo. In fondo ci spero anche io. Ma in questo momento il mio ragazzo non mi aiuta per niente. È ancora lì, che mi fissa senza vedermi veramente.
«Ma..?»
«Ma… Non approva facilmente le nostre relazioni con le ragazze che le presentiamo. E… beh, di solito, le relazioni che non approva…»
Mi sta dando il nervoso. Continua a non finire le frasi.
«Connor, hai intenzione di dirmi tutto si o no?!»
«Le relazioni che non approva non vanno a finire bene.»
Guardo Josh, ma è ancora in trans. Fantastico. Ora, al problema che io non sono mai piaciuta a nessun genitore dei miei ex, dovrò aggiungere il fatto che la madre del mio ragazzo mi odia a priori. Cosa avevo detto di questa giornata? Ah sì, che non era quella giusta. Per di più, Josh continua a restare in questo stato di trans che mi infastidisce più di Connor che non finisce le frasi! Sento le mani che iniziano a tremare. Mi tremano sempre, quando sono in ansia.
«Però guarda il lato positivo.» dice Connor cercando di non mandarmi del tutto nel panico. «Alcune relazioni le ha approvate!»
Cerco di trarne incoraggiamento, ma non sento proprio niente. Sembra che la consapevolezza di essere una frana in questo tipo di cose sia più pesante di qualunque altra cosa. Sento il bisogno di mettermi in un angolino e iniziare a guardare catatonica il pavimento, sperando che le cose si sistemino per conto loro. Ma non posso. Sento anche  un altro bisogno invadermi. Il bisogno di abbracciare Josh. Il bisogno di sentire quelle braccia muscolose stringersi attorno a me e cullarmi dolcemente. Lo raggiungo.
«Josh…» gli dico, mettendogli una mano sulla spalla.
Sembra riprendersi immediatamente. Mi abbraccia forte. Nascondo la testa nell’incavo della sua spalla. Sento passi attraversare la stanza e poi una porta aprirsi e richiudersi, e so che Connor è uscito dalla stanza lasciandoci da soli. Chiudo gli occhi e lascio che mi culli finché ne ha voglia. E in quel momento so, anche se non credo di poterlo ancora ammettere, che il mio mondo ha iniziato a ruotare attorno a lui.
 
«Mamma, papà…» dice Josh un po’ teso, anche se non credo che il suo livello di tensione sia alto quanto il mio. «Lei è Ilaria.»
Mi immobilizzo come una statua, aspettando di vedere la classica faccia diffidente che compare su tutti i volti dei genitori a cui vengo presentata. Mi sento il cuore martellare nel petto. Non so perché questa volta sento la necessità di piacergli. Non mi è mai importato molto di piacere ai genitori. Non era con loro che dovevo vivere e passare il mio tempo. Ma questa volta mi sembra un dovere. Come se dal fatto di piacere a loro dipendesse la mia vita futura. Sento i brividi.
Sul volto del padre si dipinge un sorriso a trentadue denti. Sembra felice come un bambino il giorno di Natale. Ha lo stesso sorriso di Josh. Quel meraviglioso sorriso che mette in evidenza la mascella, e che hanno ereditato entrambi i figli, anche se a Connor si vede di meno. Si avvicina e mi porge la mano.
«Molto piacere! Io sono Chris. Dammi pure del tu.»
Mi viene da sorridere, mentre quella stretta di mano forte mi infonde sicurezza. Il suo sorriso raggiante sembra illuminare la stanza. Nessuno mi aveva mai tratta così prima d’ora. Sento il livello di tensione abbassarsi di un po’. Penserei che se anche la madre fosse così sarei a cavallo, ma le parole di Connor mi rimbombano ancora nella testa, rialzando il mio livello di tensione.
Chris mi lascia la mano, ancora tutto contento. Lancio un’occhiata veloce a Josh, per vedere se sorride anche lui, ma è una statua. Guardo la madre sperando di vederla sorridere, ma lei mi tende una mano squadrandomi dalla testa ai piedi.
«Io sono Michelle.» dice freddamente. «Puoi darmi del “lei”»
La sua stretta di mano è più fredda della sua voce. Distaccata. Piena di antipatia ancora prima di conoscermi. Sento il sangue gelarsi nelle vene. Ho come l’impressione che, per tutto il tempo che passeranno qui i genitori di Josh, lei mi farà passare le pene dell’inferno. Sento la mano di Josh posarsi sulla mia schiena, e mi aggrappo a quel tocco con tutta me stessa. Come se, in quel momento, quel tocco fosse la mia unica salvezza.
«Molto piacere.» dice cercando di sorridere amichevolmente, anche se è difficile con tutto il gelo che sento dentro. Vedo Chris sorridere ancora raggiante e decido che farò affidamento su quel sorriso quando la moglie mi manderà nel panico.
Connor ci chiama dalla cucina e ci andiamo a sedere a tavola. Josh mi fa sedere tra lui e il padre, e mi sento un po’ incoraggiata. Ma in quel momento la madre si siede esattamente di fronte a me, azzerando ancora una volta la mia sicurezza. Vorrei sprofondare nella sedia. O magari correre via a perdifiato per mettere più distanza possibile tra me e quello sguardo di ghiaccio. Anche se credo che sarei lo stesso perseguitata da quei due occhi grigio-azzurro e dalla loro freddezza. Ma l’unica cosa che faccio è stringere la mano di Josh sotto il tavolo. Mi da sicurezza. Tengo lo sguardo fisso sul piatto vuoto e spero che Connor si sbrighi a mettere le pietanze nei piatti, così da potermi tenere impegnata.
«Josh ci ha detto che sei italiana.» dice il padre calorosamente. «E’ fantastico! Io adoro l’Italia e gli italiani. Siete così accoglienti e simpatici!»
Alzo la testa dal piatto e non posso far altro che sorridere di rimando a quel fantastico sorriso così incoraggiante. Mi piace il fatto che stia tentando di fare conversazione, non credo che avrei resistito un altro secondo guardando il piatto in silenzio.
«Eravate in Italia, no?» dico, cercando di fare del mio meglio «Cosa avete visto?»
Chris apre la bocca per parlare, la Michelle lo anticipa.
«Solo un albergo ad Aosta.» dice freddamente. «Perché poi siamo dovuti tornare in America per conoscere “la nuova fiamma di Josh”.»
Sento ancora una volta il sangue gelarsi nelle vene. Non so perché, ma ho la sensazione che qualunque cosa dirò, mi si rivolterà contro.  Mi sento come in quei film polizieschi. “Qualunque cosa dirai potrà essere usata contro di te.” Però loro avevano diritto ad un avvocato!
«Oh, tranquilla.» dice Chris lanciando un’occhiata penetrante alla moglie. «Non ci dispiace esserci presi una pausa dal nostro viaggio!»
Gli sorrido cercando di non guardare nella direzione di Michelle. Mi vengono i brividi solo al pensiero dei suoi occhi.
«Cosa avevate intenzione di visitare?»
«Pensavamo ad Aosta. Poi volevamo andare a Milano, Venezia, Firenze, Pisa, Ferrara, Roma, Napoli…»
E mentre lui parla, mi chiedo come un uomo così solare possa stare con una donna tanto fredda e indifferente alle sue idee, ma forse non dovrei giudicare la madre di Josh solo per come si comporta con me. In quel momento arriva Connor con il  primo. Cominciamo tutti a mangiare e per un attimo cade il silenzio. Solo per un attimo.
«Come mai sei qui in America?» mi chiede con fredda cortesia Michelle.
Quando parla lei sembra che la stanza diventi fredda e lugubre. Come se stessimo vivendo un film horror. Cerco di non far vedere la tensione che mi provoca il solo rivolgerle la parola.
«Studio medicina. Ho fatto un anno in Italia e poi ho vinto una borsa di studio, perciò ho deciso di partire.»
«Ci sono un sacco di college migliori rispetto a questo a Los Angeles.» dice guardando Josh come se volesse avvisarlo con gli occhi. «Gli stranieri puntano al meglio. Perché proprio qui?»
Ho capito dove vuole andare a parare. Vuole insinuare che sto con Josh solo per i soldi e la popolarità. Astuta, ma non ho intenzione di mentirle.
«I miei genitori non potevano permettersi le rette degli altri college. La borsa di studio copre un certo periodo, ma poi avrebbero dovuto pagarmelo loro. Quindi ho deciso che questo andava più che bene.»
Ovviamente, come prima, tutto quello che dico si ritorce contro di me. Michelle guarda Josh con decisione, e poi parla scandendo tutte le parole con cura.
«Non potevi permetterti il meglio, quindi…» dice freddamente, ma con decisione.
Sento la rabbia fare la sua prima comparsa. Come si permette? Ci credo che i figli non vogliono presentarle le loro ragazze. Scappano. Il mio corpo deve essersi irrigidito vistosamente perché Josh mi da un calcio sotto il tavolo. Scrollo le spalle, facendo finta di avere un brivido di freddo, e poi riprendo a mangiare. Vedo con la coda dell’occhio Chris che la guarda intensamente, ma non dice nulla.
«Joshua, come vi siete conosciuti?» sta volta, nel suo tono di voce, c’è un amore che non riesco a collegare a lei. Pronuncia il nome del figlio con talmente tanto amore che quasi mi spavento per quell’improvviso cambiamento.
Sono sicura che dentro Josh stia andando nel panico come quando eravamo nella sua stanza. Che andrebbe in uno stato di trance, cominciando a mettere in ordine tutto quello che c’è nella stanza. Vedo che Connor lo guarda preoccupato. Era uno di quei punti su cui avevano deciso di mentirle. Ma Josh è un attore. Non si fa di certo prendere dall’ansia.
«Ci siamo incontrati ad una festa.» Sorride come se i ricordo gli procurasse gioia. Mente talmente bene che, se non fosse che ricordo come se fosse ieri il momento in cui me lo ero trovato davanti sorridente, crederei anche io che fosse vero. «Abbiamo iniziato a parlare e poi abbiamo deciso di uscire.»
Sorrido, cercando di tenergli il gioco. Forse non sarò brava come lui a mentire, ma ho studiato da attrice e qualcosa so ancora fare. La madre ci guarda con sospetto.
«E che tipo di festa era?»
«Non ricordo… Niente di importante, comunque.»
«Quindi non ti ricordi a che festa l’hai conosciuta?» fa finta di essere sorpresa. Sono convinta che abbia il sospetto che le stiamo mentendo.
«Sono stato a talmente tante feste ultimamente…» dice Josh sbrigativo.
«Allora credo che Ilaria si ricordi il vostro primo incontro…» .
Cerco di mantenere la calma, ma è difficile. In qualunque altro momento, se avessi dovuto mentire, mi sarebbero venute in mente miliardi di idee, ma sta volta sono bloccata. So che sono tutti qui che aspettano di sentire una bella storia uscire dalle mie labbra, ma non mi viene in mente nulla. Sono nel panico più totale. Poi, però, mi si accende una lampadina. Jimmy.
«Era una festa che aveva dato Jimmy…»
«Ah, giusto!» dice Josh tenendomi il gioco. «Ora ricordo!»
«E tu come mai eri lì?» mi chiede Michelle, ancora sospettosa.
«Una mia amica al college conosceva un tipo alla festa. E mi ha invitata.»
«Un gran bel colpo di fortuna, quindi…»
Vorrei sottrarmi a quello sguardo di ghiaccio, ma farlo manderebbe all’aria tutto il castello di bugie che abbiamo costruito io e Josh. Non posso neanche guardarla con sfida, perché anche questo sarebbe sospetto. Perciò decido di guardarla con umiltà, sperando che i miei occhi non tradiscano la mia espressione.   
Finiamo di cenare, e poi rimaniamo lì a chiacchierare e a rispondere agli interrogatori della madre di Josh. Arrivo al punto che la mia mente non è più in grado di pensare a nulla. Josh vede che inizio ad essere in crisi, così, senza destare sospetti alla madre, mi chiede con gentilezza se sono stanca. Salutiamo tutti e stiamo per uscire dal salotto, ma la madre ci ferma.
«E’ stato un piacere conoscerti, Ilaria.» dice glaciale. «Spero che domani sera cenerai ancora con noi.»
La sua voce trasuda talmente tanto odio nei miei confronti, che non posso trattenermi dal risponderle prima che lo faccia Josh.
«In realtà…» dico cercando di essere gentile. «Io rimango qui per qualche giorno, perciò ci vedremo già domani a colazione.»
Sento il corpo di Josh irrigidirsi affianco a me. Mi stringe la mano, ma io non faccio niente. Connor mi guarda con gli occhi spalancati come avvertendomi di non dire altro. Chris sorride felice, dicendo che è veramente contento che passeremo un po’ di tempo tutti assieme. Michelle, invece, rimane interdetta per un attimo, ma si riprende subito e mi sorride facendomi rabbrividire.
 
«E’ stato terribile!» dico infilandomi sotto le coperte del letto di Josh.
Mi sorprende che non mi abbia ancora detto niente riguardo al mio comportamento prima di salire in camera. Sembra impegnato a cercare qualcosa. Così impegnato che non dice niente, continuando a cercare in tutta la stanza.
«Che stai cercando?»
«Il mio telefono. Devo avvertire Jimmy della versione dei fatti.»
Già, la bugia che mi sono inventata. Josh mi aveva detto che, qualunque cosa ci saremmo inventati, lei avrebbe cercato di scoprire se era vero. Data la mia versione dei fatti, Michelle chiamerà subito Jimmy per capire se è vero o no. Vedo il suo telefono sul comodino, lo prendo e glielo lancio. Compone il numero di Jimmy e gli racconta tutto quello che siamo riusciti ad inventarci, in modo che la madre non scopra la verità. Quando chiude la chiamata si infila nel letto e chiude gli occhi. Lascia il telefono al fondo del letto, così lo prendo per appoggiarglielo sul comodino. Rimango per un attimo sorpresa. Sullo sfondo vedo la mia immagine sorridente. Riconosco la foto. E’ quella che mi aveva fatto con Emma Stone, ma ha tagliato l’attrice dalla foto in modo da avere solo la mia immagine. Ha messo la mia foto come sfondo! Sento il cuore sciogliersi di felicità. Mi volto verso di lui sorridendo. Quando capisce il motivo di tanta felicità mi posa un leggero bacio sulla guancia.
«Non sei arrabbiato per come le ho risposto, vero?» gli dico seria.
Mi guarda serio per un attimo, poi sorride. Nonostante tutto, credo di non essermi ancora abituata ai suoi sorrisi. Rimango lì a fissarlo senza riuscire a pensare ad altro. Potrei vivere solo dei suoi sorrisi. Non mi servirebbe altro.
«No…» dice appoggiando la testa sulle mie gambe. «Però non pensavo avresti resistito così tanto.»
Prendo ad accarezzargli i capelli. «Perché non hai fiducia in me.» dico ridendo.
«Sì, invece. E tanta. Ma è difficile tenere testa a mia madre.»
«Io sono un osso duro!»
«Me ne sono accorto…»
Rimaniamo un po’ in silenzio. Io continuo ad accarezzargli i capelli fissando i suoi occhi, mentre lui fissa il muro pensieroso. È incredibile come solo la sua presenza riesca a calmarmi. È come una medicina. La mia cura personale. Sento le farfalle nello stomaco. Rivedo l’espressione di Connor, dopo che avevo chiuso la chiamata coi miei genitori. Lui ci aveva visto lungo. Ormai sono al punto di non ritorno. Quel punto in cui la cotta diventa quella cosa terrificante che tutti chiamano amore. La voce di Josh mi richiama alla realtà come una dolce melodia.
«Magari sta volta è diverso…» dice rivolto più a se stesso che a me. «Magari tu le piacerai…»
Non capisco a cosa si riferisca, e sto per chiedergli spiegazioni, ma mi accorgo che ha chiuso gli occhi. Sento il suo respiro rallentare. Si è addormentato. Continuo ad accarezzargli i capelli finché non mi addormento anche io.
 
 «Adesso basta!» grido alzandomi da tavola all’improvviso.
Gli occhi di tutti si puntano su di me. Riesco quasi ad intuire quello che la mia reazione improvvisa ha provocato ad ognuno di loro. Josh scuote la testa esasperato. Anche lui, come me, non ce la fa più. Credo che se in questo momento la madre commentasse si metterebbe ad urlare anche lui. Guarda la madre deciso, come a sfidarla a dire qualcos’ altro. Connor mi guarda con un sorriso malizioso sulla faccia che mi fa infuriare ancora di più. Immagino non fosse mai riuscito a pensare a una versione di me che grida di smetterla alla madre del ragazzo che le incute terrore. Il suo sguardo passa veloce dal viso della madre al mio, come se non aspettasse altro che vedere mentre ci urliamo contro e magari iniziamo una bella rissa. Chris, invece, mi guarda con sincera sorpresa. E’ sorpreso dal fatto che fino ad un secondo prima ero calma e tranquilla e un secondo dopo mi metto a urlare come una pazza sclerata contro la moglie. Il problema è che sono una pazza sclerata in questo momento. Sopporto questa situazione da due giorni ininterrotti. Da quando i genitori di Josh sono arrivati, non faccio altro che sopportare le frecciatine glaciali della madre, i suoi occhi di ghiaccio che mi guardano con odio e i suoi commenti su quanto io sono sbagliata per suo figlio. Ho cercato di essere gentile e carina con lei, come lo sono stata con Chris, ma dopo un po’ non si può più resistere. Ogni commento contro di me accendeva un po’ di rabbia che si andava a sommare a quella dei commenti precedenti. Ogni sguardo glaciale mi faceva sentire sempre più a disagio, come se tutto quello che facevo fosse sbagliato. Ogni parola fintamente sussurrata all’orecchio di un Chris che la stava a sentire solo per farla smettere, mi faceva sentire sempre meno sicura di quello che volevo davvero. A niente erano servite le parole di incoraggiamento della popolazione maschile della casa, che tifava palesemente per me. I suoi occhi di ghiaccio spazzavano via qualsiasi sentimento positivo, lasciandomi vagare nel terrore di sbagliare e nell’indecisione più totale. Avevo perfino finito il mio repertorio di bugie. Qualunque cosa dicevamo io e Josh era sempre seguita da mille perché e mille per come. Ma il commento che mi aveva fatto scoppiare era stato:«Non riesco a capire come ti possa piacere una ragazza del genere, Joshua.»
Ero scoppiata e, adesso, non sarei più riuscita a fermarmi.
«Vuole sapere una cosa?» dico con la rabbia che invade ogni parte del mio corpo. «Lei è perfida. È arrivata già qui con l’idea che non le sarei piaciuta. Con l’idea che non avrebbe mai approvato, chiunque fosse stata la ragazza che Josh le avrebbe presentato. Non so quale sia il suo problema nei miei confronti. Non credo di aver sbagliato niente. Avrei potuto capire se, dopo avermi conosciuta, non le fossi piaciuta. Ma non riesco a capire che cosa io abbia fatto per meritarmi tutto questo. Lei incute terrore. Ho passato due giorni in ansia sapendo perfettamente che, qualunque cosa avessi detto, lei avrebbe trovato qualcosa che non andava. È stato orribile.»
Riprendo fiato, ma non mi curo di guardare l’espressione di Josh. Ora è il momento in cui la mia rabbia trova finalmente il suo sfogo.
«Io… Sa cosa? L’abbiamo imbottita di cavolate per due giorni interi. Io sono convinta che lei l’abbia capito immediatamente, ma adesso deve sapere la verità. Vuole sapere come ci siamo conosciuti io e Josh? Ero ubriaca. Non mi ricordo nemmeno che diavolo ho combinato quella sera, talmente ero ubriaca. Sono andata a chiedergli un autografo barcollando. Sognavo un momento del genere da quando avevo sedici anni, e l’unica cosa che sono riuscita a dirgli è stata “Tu non sei Josh Hutcherson. Io sono ubriaca! Quindi tu puoi essere Josh Hutcherson almeno quanto io sono sobria!”. L’incontro che sogni da una vita, che programmi da una vita, si riduce alla tua più grande figura di merda! I primi giorni che sono stata qui mi riempivo le braccia di pizzicotti per capire se quello che stavo vivendo era un sogno o era la realtà. Dopo il nostro primo appuntamento sono tornata al college per riuscire a capire che diavolo di piega avesse preso la mia vita. Poi Josh se ne salta fuori con una premiere. Vuole che io lo accompagni. Ha la minima idea di come mi potessi sentire? Io, arrivata dal nulla, mi ritrovo a stare con la super star che ho sempre amato che per di più mi vuole portare alla premiere con lui! Scombussolata è un eufemismo. Poi fa la sua comparsa come il principe azzurro della fiabe, solo che lui era alla guida di un fuoristrada. Mi porta da Jimmy e mi mostra il mio perfetto abito per la premiere. Come Cenerentola. Il giorno prima sono una semplice ragazza che studia e vive al college, il giorno dopo mi ritrovo a stare con Josh Hutcherson e a pizzicarmi il braccio per capire se sogno o sono davvero desta! Ho accettato. Ora vivo qui. E se a lei non sta bene, okay. Me ne posso andare e tornare al college. Ma niente, niente di tutto quello che lei insinua mi farà rompere con Josh. Perché…»     
Sento un peso enorme allo stomaco. Un peso che schiaccia tutte le farfalline che hanno iniziato a viverci dentro. Non so se sono pronta a dire le cose che ho in testa, ma se non lo faccio adesso, quando lo farò?
«Ogni volta che sono con lui mi sento bene.» dico guardando Josh negli occhi. «Mi sento completa. Sento che qualunque cosa può andare bene, che non c’è nulla da temere. È riuscito a convincermi a fare passi che non avrei mai fatto. A superare ostacoli che non avrei mai superato. Qualunque cosa io provi per lui, ogni giorno cresce, cresce, e cresce ancora. Ho avuto tanti problemi nella mia vita. Ho un carattere di merda e lui è la persona migliore che io abbia mai conosciuto. E ancora non capisco come possa stare con me. Ma a lui sta bene. Io sono felice. Lui è felice. Perfino Connor è felice per noi!» Vedo Connor farmi la linguaccia. Sorrido. «Non mi importa se lei approverà o no. Non mi importa se lei mi odia o no. Non mi importa se continuerà a bisbigliare cose contro di me all’orecchio di Chris. Non mi importa se per l’opinione pubblica sono solo una troia. Qualunque cosa succederà, qualunque cosa pensi o dica la gente di me, ora ho la mia felicità, e nessuno me la porterà via.»
Forse dovrei soltanto sedermi e finire di mangiare, ma sento un groppo in gola, così corro via senza riuscire ad impedirmelo. Sento un sedia muoversi dietro di me, e sono sicura che Josh si è alzato per seguirmi. Apro la porta della sua camera e mi lancio sul letto, cercando di dare un senso a tutti i sentimenti che si ingarbugliano in me. Josh entra e si siede accanto a me, cominciando ad accarezzarmi i capelli. Prende aria per dirmi qualcosa, ma la porta della camera si apre di nuovo. Immagino sia Connor, ma la mano di Josh smette di accarezzarmi i capelli. Ho un brutto presentimento.
«Joshua, puoi uscire un attimo?» sento la voce priva di gelo della madre. È incredibile quanto i suoi sbalzi di voce mi scombussolino. «Voglio parlare con lei.»
Mi drizzo a sedere, mentre guardo Josh uscire dalla camera. Michelle rimane in piedi accanto alla porta. La guardo seria, mentre aspetto che parli. Io non ho più niente da dirle. Per sta sera, mi sono sfogata abbastanza.
«Io non sono una perfida donna.» dice guardandomi negli occhi. «E non sono nemmeno una perfida madre. Ho fatto tutto ciò che una brava madre dovrebbe fare, e ho cresciuto due figli meravigliosi. La mia famiglia è fantastica, sono sposata da trent’anni e amo ancora mio marito come quando ci siamo sposati. E non ti odio. Non odio nessuna delle ragazze che mi presentano i miei figli. Ma devo farlo. Devo proteggerli. Josh è una star a livello mondiale. Esistono milioni di ragazze che si metterebbero con lui solo per diventare popolari. E lui è così dolce e gentile. La gente sfrutta questo tipo di persone, non tutti li apprezzano per quello che sono. E poi c’è Connor. Lui non è una star mondiale, ma è conosciuto anche lui. E esistono milioni di ragazze che starebbero con lui solo per avvicinarsi a Josh. Il mondo è cattivo. E io voglio solo il meglio per loro. Per questo sono così “perfida”. Voglio capire se le persone con cui stanno li amano davvero per quello che sono, o se li vogliono solo per quello per cui sono famosi.»
Rimane per un attimo in silenzio, guardandomi senza lasciare trasparire alcuna emozione. Rimango sorpresa da quello che mi ha detto. Questa è l’ennesima prova che non bisogna mai giudicare prima di conoscere. Avrei dovuto capirlo, che faceva tutto per i suoi figli. Vorrei dire qualcosa, ma non so che cosa. Quello che mi ha detto mi ha lasciata talmente tanto spiazzata che sono bloccata.
«Ma tu non sei quel genere di persona.» dice facendo un mezzo sorriso e venendosi a sedere accanto a me. «L’ha capito. Ci ho messo un po’, ma l’ho capito. Quando ti ho vista per la prima volta, avrei giurato che eri quel tipo. Che lo stavi usando solo per la sua popolarità. Ma sta sera ho capito che mi sbagliavo. Sei un brava ragazza e, anche se magari non hai ancora capito di amarlo davvero tanto, io l’ho capito. Voglio solo che mio figlio sia felice, e sembra che con te lo sia, perciò voglio darvi fiducia. Anche perché dove la trovo una ragazza che riesce a tenermi testa in questo modo?»
La cosa la diverte tanto da farla scoppiare a ridere. È strano sentirla ridere dopo giorni che la vedevo seria e glaciale. Noto che Josh ha preso il suo stesso taglio d’occhi, ma si vede solo quando ride. Mi sento un po’ a disagio, ma rido anche io. Dopotutto, mi ha appena detto che ha fiducia in me! Quando smette di ridere si alza, e si dirige verso la porta, augurandomi la buonanotte. Rimango ancora per un po’ stordita e, alle domande insistenti di Josh su cosa ci fossimo dette, riesco solo a dire, ancora incredula «Ci da la sua fiducia..!»
 

SPAZIO AUTRICE.

Salve bella gente! :3
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e, come sempre, spero nelle vostre bellissime recensioni C:

 

Un bacio e al prossimo capitolo! <3

 

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Capitolo 10
*** What the hell? ***


NOTA DELL’AUTRICE.

 Volevo solo ricordare che la storia è ambientata nel futuro. I film della saga di Hunger Games, quindi, sono finiti. Boh, detto questo, buona lettura!

 
 

What the hell?

 
 

Quando scendo le scale trovo nell’ingresso già tutte le valige ammucchiate davanti alla porta, pronte per essere messe in macchina e portate in aeroporto. Questa mattina Michelle e Chris ripartono per l’Italia. È una strana sensazione. Tre giorni fa me li sono vista arrivare sotto la pioggia, per due giorni ho dovuto sopportare gli occhi di ghiaccio della madre di Josh e solo ieri sera ho avuto la sua approvazione. Sono ancora un po’ scombussolata per la velocità con cui è successo tutto quanto. Connor ha cercato di convincerli a rimanere qualche altro giorno qui, ma loro non vedono l’ora di passare un mese in Italia. Inoltre, da domani Josh inizia la sua campagna promozionale per il nuovo film che esce tra una settimana e quattro giorni, e loro non vogliono essere d’intralcio a tutti gli impegni che avrà, rimanendo a casa. Chris mi ha confidato, in segreto, che quando si avvicina la premiere di un film Josh diventa abbastanza irascibile, e lui e Michelle non fanno altro che litigare in quei giorni. Perciò ora le loro valige sono nell’ingresso e i due si stanno preparando a partire. Connor li accompagnerà all’aeroporto, e in un giorno saranno di nuovo in Italia a godersi il viaggio da tempo programmato.
Quando entro in cucina hanno già tutti finito di fare colazione. Sono un po’ arrabbiata con Josh perché mi ha lasciata dormire fino a quest’ora senza svegliarmi prima, ma vado lo stesso a sedermi accanto a lui e, prima di accomodarmi e dare il buongiorno a tutti, gli poso un leggero bacio sulla guancia. La madre ha subito un cambiamento impressionante. Non mi guarda più come se fossi una mosca fastidiosa da uccidere al più presto, ma, incredibile a dirsi, mi sorride raggiante. Non avrei mai pensato di vederla sorride raggiante, nonostante ieri sera l’avessi vista addirittura ridere. Almeno ora capisco di cosa si è perdutamente innamorato Chris. Il suo sorriso è un raggio di sole. Illumina la stanza meglio della luce che arriva dall’enorme finestra.
«Buongiorno!» dico sorridendo a tutti.
Mi sembra di essere nella famiglia delle pubblicità del mulino bianco. Tutti sorridono e tutto è perfetto. Per forza che Josh è venuto su così gentile e premuroso. Con una famiglia del genere non puoi diventare scontroso e cinico. È decisamente la famiglia perfetta.
Comincio a mangiare, ma in quel momento un sveglia inizia a suonare facendoci trasalire tutti.
«Bene.» annuncia Chris alzandosi da tavola col suo solito sorriso allegro. «E’ ora di andare.»
Ci alziamo tutti e iniziamo a salutarci. Chris stringe forte la mano di Connor, mentre Michelle abbraccia forte Josh. Mi sento un po’ fuori posto. Forse avrei dovuto continuare a dormire. Rimango lì a guardarli salutarsi, cercando di mimetizzarmi con la parete. Poi, però, Chris si avvicina e mi abbraccia. Lo fa come se fosse la cosa più normale del mondo. Mi sento quasi a casa, mentre lo abbraccio di rimando.
«E’ stato un vero piacere conoscerti.» dice sorridendomi, quando decide di sciogliere l’abbraccio.
«Il piacere è stato mio!»
Un po’ mi dispiace che se ne vadano. Anche se fino alla sera prima la madre mi incuteva terrore, mi ero abituata a Chris e un po’ mi dispiace vederlo andare via. Michelle si avvicina sorridente. Ovviamente, anche se mi ha detto di avere fiducia in me, non siamo così in confidenza da abbracciarci. Ci stringiamo la mano, sorridendoci a vicenda. Nessuna delle due dice nulla, anche se, ne sono sicura, entrambe stiamo pensando a ieri sera. Immagino che se l’avessi conosciuta bene, mi mancherebbe anche lei. Invece, anche se abbiamo chiarito, non credo che mi mancherà. Almeno non quanto Chris.
Li accompagniamo all’uscita e rimaniamo con la porta aperta finché la macchina non esce dal vialetto e gira l’angolo. Poi Josh chiude la porta.
«Se ne sono andati, finalmente.» dice buttandosi contro la porta.
Era evidente che non ce la facesse più. Era stanco e stufo di avere i genitori che giravano per casa. Lo guardo mentre si stropiccia gli occhi. Immagino stia pensando a tutti gli impegni che avrà nei prossimi giorni, anche se Janet, l’agente, non l’ha ancora chiamato per avvisarlo di cosa dovrà fare. Josh le aveva detto che l’avrebbe chiamata lui non appena i genitori fossero ripartiti. Sono curiosa di vedere quanto può essere lunga la lista degli impegni di un attore che deve promuovere il suo nuovo film, anche se, nel caso di Josh, già solo il fatto che ci sia la sua faccia nel trailer, lo promuove automaticamente.
«Vuoi finire di fare colazione?» dice guardandomi negli occhi.
Non so perché, ma c’è qualcosa di strano nell’espressione con cui mi guarda.
«No.» dico cautamente. «Non ho fame…»
Si avvicina lentamente e mi posa una mano sul fianco. «Io sì, invece.» dice con la stessa espressione indecifrabile di prima.
«Ok…» dico un po’ confusa. «Andiamo in cucina.»
Al mio commento, quel sorriso furbetto che mi fa impazzire fa la sua comparsa, illuminandogli il viso. Ho capito di cosa ha fame… La mano poggiata sul mio fianco si sposta sulla mia schiena e mi avvicina al suo corpo. Sorride ancora, mentre vede dipingersi sul mio volto la consapevolezza.
«Non saprei…» mi sussurra all’orecchio. «Non credo che in cucina si stia molto comodi…»
Quelle parole sussurrate al mio orecchio mi fanno venire i brividi. Sorrido, mentre le mie braccia si allacciano al suo collo.
«Dipende dal tipo di fame che hai, Hutcherson.»
In tutta risposta, posa le sue labbra sulle mie e comincia a baciarmi con passione. Avvicina i nostri corpi ancora più di prima, senza smettere di baciarmi. Poi si stacca di poco da me, sorridendomi ancora.
«Proporrei la camera da letto, per questo.» dico mentre cerco di riprendere il bacio.
Mi prende in braccio e ricomincia a baciarmi mentre sale le scale. In fin dei conti, non credo di essere così dispiaciuta dalla partenza dei suoi genitori.
 
Si sentono le grida di sottofondo delle ragazzine, mentre la giornalista avvisa la telecamera che ha appena fatto la sua entrata in scena l’attesissimo Josh Hutchrson.
«Dovrei essere lì con lui.» dico infilando una mano nella busta di pop-corn e guardando la televisione con una smorfia.
«Nah, lui ha ragione.» dice Connor, anche lui con una smorfia al sentire le urla. «Ti avrebbero tirato i pomodori.»
Sbuffo e mi infilo in bocca un'altra manciata di pop-corn. Davanti alla telecamera spunta la faccia sorridente di Josh. Saluta le fan con la mano e poi la telecamera. Ha una maglietta bianca aderente con lo scollo a V che gli mette in evidenza i muscoli, un giubbotto di jeans grigio e un paio di jeans scuri che mettono in mostra il suo bel culo. La giornalista gli fa una domanda che non si capisce in mezzo a tutte quelle urla e poi gli porge il microfono degli MTV Movie Award. Gli deve aver chiesto se è contento di essere lì a promuovere l’uscita del suo nuovo film.
«Oh, certo!» dice Josh, dopo avergli fatto ripetere la domanda due volte. Immagino che anche lì non debba sentirsi molto, tra tutte quelle urla. «Questo film è veramente fantastico. Sono veramente contento di essere qui a promuoverlo.»
Una ragazza in mezzo alla folla si mette a gridare talmente tanto forte che sovrasta tutte le altre urla.
«Vogliamo vederti nudo!» urla come una pazza.
C’è un millesimo di secondo di silenzio, poi il rumore riprende più forte di prima. Quella ragazza sta diventando il mito di Tumblr in questo esatto momento. Mi viene quasi da ridere guardando la faccia imbarazzata di Josh.
«Alcune sono fuori di testa.» commenta Connor con una smorfia.
«E’ colpa sua!» dico tenendo il mio tono cinico e guardando il sorriso di Josh. «Non ci ridurremmo in questo modo se lui non facesse quel sorriso come per dire: ‘Hei, guardatemi sono Josh bello-da-stupro Hutcherson! Col mio sorriso posso fare svenire milioni di fan, che però non potranno mai avermi perché sono impegnato con una ragazza cinica e scontrosa che adesso è arrabbiata con me perché non l’ho portata qui e ho mandato in fumo uno dei suoi sogni. Ma, hei, io continuo a sorridere!’»
Connor ride. «Qual è il tuo problema?»
«Non ho nessun problema.»
La telecamera fa un panorama delle fan urlanti, cercando la pazza che ha avuto il coraggio di urlare. Sbuffo di nuovo e mi prendo un’altra manciata di pop-corn.
«Perché non la smettono di urlare come delle forsennate?»
«Perché sono lì per quello. Quale sarebbe il ruolo di una fan se non quello di urlare come una forsennata?»
«Hei!» gli dico tirandogli un pugno sul braccio. «Mi stai offendendo.»
Lo vedo che scoppia a ridere, e rido anche io. Anche se l’ultima cosa che ho voglia di fare è ridere. A guardare questa diavolo di diretta sono diventata più cinica di quanto lo fossi mai stata. Josh, da bravo ragazzo, sorvola sul grido della fan.
«Sono incredibili! Sono qui da giorni solo per sostenere i loro idoli. Sono fantastiche.»
Ovviamente, questo provoca solo altre grida. Ho quasi voglia di spegnere la televisione e abbandonarmi al mio cinismo. Quando ho saputo che una delle tappe per la promozione del film sarebbero stati gli MTV Movie Award, assieme a tutta una scaletta di interviste e eventi infiniti prima della premiere, avevo pregato Josh di portare anche me, ma non c’era stato niente da fare. Il suo no era stato irremovibile. E quando gli avevo chiesto perché non mi ci voleva portare, la sua risposta era stata:«Ti tirerebbero i pomodori.»
Non gli avevo parlato per un giorno intero, anche se avevo capito che lo stava facendo solo per il mio bene, oltre che per il suo grandissimo desiderio di presentarmi alla premiere di Los Angeles al mondo intero. Tutti questi eventi organizzati da MTV sono pieni di ragazzine che non vedono l’ora di vedere i loro idoli. Ammazzerebbero anche solo per essere ad un chilometro da loro. Portarmi con lui non sarebbe stata una buona idea, anche se voleva dire realizzare un sogno. Il mio sogno. Ma, anche se l’ha fatto per il mio bene, non posso che essere cinica mentre lo guardo salutare le fan e mettersi in posa assieme a decine di bellissime attrici per farsi fare le foto. Non sono gelosa. Sono solo cinica.
«Se continui così ti verranno le rughe.» dice Connor riferito alla smorfia che si è impossessata del mio viso da quando abbiamo acceso la televisione e ci siamo seduti sul divano mangiando pop-corn. «Jimmy non te lo perdonerebbe mai.»
Lo guardo continuando a tenere la stessa smorfia.
«Se Jimmy sapesse quanto mi sto abbuffando in questi giorni, non si preoccuperebbe tanto delle rughe.»
«Perché continui ad abbuffarti allora?»
«Perché sono in ansia. E quando sono in ansia mi abbuffo.»
Credo di aver parlato in un tono che non ammette repliche, ma ovviamente per Connor non funziona.
«Perché sei in ansia?»
Mi infilo una manciata di pop-corn in bocca e riprendo a guardare lo schermo della televisione che inquadra ancora Josh.
«Perché tra una settimana c’è la premiere.» dico sperando che la smetta di fare domande inutili che mi rendono ancora più cinica.
«Se non entri nel vestito…» inizia a dire, ma io lo fulmino con un’occhiataccia, e decide di non finire la frase, anche se è sempre più divertito dal mio cinismo.
Star internazionali continuano a sfilare, farsi le foto e poi scomparire all’interno dell’edificio e prendere posto per assistere alla premiazione. Avevo chiesto a Josh se potevo anche solo stare in poltrona senza fare la sfilata con lui, ma anche questa proposta era stata stroncata con un no secco. In effetti, in questi giorni stava stroncando quasi tutte le mie proposte con un no secco. “Posso accompagnarti agli MTV Movie Award?” “No.” “Posso fare parte del pubblico quando andrai da Letterman?” “No.” “E da Fallon?” “No.” “E a Good Morning America?” “No.” “Posso saltare gli incontri con Jimmy per imparare a camminare sui tacchi?” “No.” “Posso almeno portare a spasso Diesel e Nixon?” “No.” Ormai parlare con lui era diventato inutile. Qualunque cosa dicessi era seguita da un no secco.
«Vuole solo tenerti lontana dalle telecamere fino alla premiere.» aveva detto Connor quando, arrabbiata, ero scoppiata nelle sue vicinanze.
«Certo.»
«E’ vero. Vuole solo presentarti alla premiere, senza che ti si conosca prima del tempo. Lascia che realizzi questo suo desiderio.»
«Okay. Ma così inizio a sentirmi in prigione.»
Connor era scoppiato a ridere. Quando poi avevo confidato a Josh come mi sentivo, lui mi aveva confermato quello che mi aveva già detto il fratello. Perciò io sarei rimasta in questo carcere ancora per una settimana. Dopo sarò libera? Assolutamente no. Dopo la premiere sarà ancora peggio! Ogni volta che vorrò uscire mi troverò seguita da paparazzi fastidiosi. Anche portare a spasso i cani sarà uno strazio. Inizio a chiedermi come facciano a sopportare tutto questo le star. Immagino sia solo questione di abitudine. Faccio per prendere un’altra manciata di pop-corn, ma la mia mano afferra il vuoto.
«Ma che diavolo..?»
«Non ti permetterò di fare arrabbiare Jimmy.» dice ridacchiando Connor.
«Rompiscatole.»
Josh sta davanti ad un’altra giornalista che gli sta giusto chiedendo di me.
«Quando hai intenzione di presentarcela?» chiede curiosa.
Mi sa che mi sono persa un bel pezzo di conversazione.
«E’ una sorpresa.» dice Josh sorridendo misteriosamente. «Ma sono sicuro che vi piacerà!»
Sono sicura che questo è per farsi perdonare da me per non avermi portata con lui. Mi scappa una sorriso, ma poi ricordo a me stessa che oggi non sono in vena di sorrisi, e ritorno alla mia espressione cinica. Non la scamperà con due belle parole. La giornalista fa per fare un’altra domanda, ma Josh viene chiamato da alcune fan impazzite per farsi fare l’autografo. Così chiede scusa alla giornalista e si avvicina a loro iniziando ad autografare foto di lui a destra e a manca e sorridendo a tutte le macchine fotografiche. Più lo guardo e più penso che sia troppo perfetto per questo mondo. Troppo gentile. Troppo generoso. Troppo intelligente. Troppo bello. Troppo. Semplicemente troppo.
La sfilata delle celebrità finisce e le telecamere iniziano a mostrare le star che prendono posto. Josh prende posto accanto a tutti gli attori del nuovo film che sono andati lì con lui. Ad un certo punto si sente in sottofondo una voce che urla “JOSHUA RAYAN HUTCHERSON”. Sto quasi per chiedermi come abbia fatto ad entrare una fan impazzita, quando la telecamera inquadra una sorridente Jennifer Lawrence che saluta. Nell’inquadratura compare anche Josh e si vede che va da lei per salutarla. Si abbracciano forte e poi iniziano a chiacchierare. Il mio cuore si mette a martellare nel mio petto, mentre ritorno ad essere quella ragazzina brufolosa che shippava “Joshifer”. Sono quasi certa che i miei occhi abbiano preso la forma di due cuoricini. Prendo il cuscino che sta accanto a me, lo abbraccio forte e comincio a sorridere come un ebete.
«Waaaaaaa! JOSHIFER. Oh mio Diooo!» inizio a gridare indicando lo schermo.
Connor quasi si prende un infarto a sentirmi urlare. Si era abituato al mio tono basso e scontroso. Solo in quel momento mi accorgo che c’è anche lui lì. Mi ero completamente dimenticata di lui. Mi ero perfino completamente dimenticata di essere la ragazza di Josh! Lo sento che comincia a ridere e non la smette più. Gli punto un dito contro minacciosa.
«Prova solo a farne parola con qualcuno, e faresti bene a iniziarti a scavare la fossa da solo.» gli dico mentre tutto il mio malumore si riversa contro di lui.
Lui annuisce, ma continua a ridere ancora per un bel po’. Fortunatamente iniziano a premiare. Josh torna al suo posto e, sul mega schermo, fanno vedere le categorie e presentano tutte le star presenti a ritirare i vari premi. Sono annoiata, oltre che essere cinica. Come minimo Josh arriverà a metà del programma. Io e Connor continuiamo a guardare il programma senza più dirci una parola. Dopo la bella figura che mi sono fatta, il mio essere cinica e scontrosa è peggiorato. Quando finalmente Josh e gli altri attori salgono sul palco, esco a fatica dalla nebbia di noia che mi ha avvolta. Fanno vedere il trailer del film e commentano ridendo e scherzando tutti assieme. Mostrano poi alcuni pezzi del film e, a turno, parlano un po’ tutti. Alla fine salutano e scendono dal palco, mentre il programma va avanti. Sono ancora cinica, quando una telecamera inquadra gli attori che scendono dal palco mentre salutano sorridenti. Josh si avvicina alla telecamera, punta gli occhi sorridenti dentro, tanto che sembra veramente che mi stia guardando, e poi manda un bacio. Sento un calore improvviso invadermi le guance, mentre mi accorgo immediatamente di averlo appena perdonato. Ora, però, sono arrabbiata con lui perché si è fatto perdonare.
 
«Jimmy, accendi la tv!» lo prego quasi in ginocchio. «Josh è da Fallon adesso!»
«Finché non mi fai una camminata e una posa decenti, no.» dice minacciandomi.
«Ma a che mi serve fare una posa decente?!» dico esasperata, guardando l’orologio.
«Tu falla e basta!»
Sbuffo e mi rimetto a camminare, fermandomi di tanto in tanto per fare qualche posa, che ovviamente Jimmy non approva. Dice che le mie pose sono troppo annoiate. Vorrei proprio vedere lui dopo essere stato tutta la mattina su un paio di trampoli a camminare e fare pose. E la mattina prima. E quella prima ancora. Ormai sono giorni che andiamo avanti così. Sono arrivata al punto di desiderare questa premiere con tutta me stessa, pur di mettere fine a questa tortura. Fortunatamente mancano pochi giorni. Già assaporo il momento in cui sarà tutto passato, quando non dovrò più sentire le urla esasperate di Jimmy e potrò vedere Josh per qualche ora di seguito da sveglio. Ovviamente so benissimo che dopo questa premiere ce ne saranno altre, a cui io non andò perché Janet non è riuscita a convincere gli organizzatori e tutta la gente che sta dietro a questi eventi, ma ultimamente non fa altro che dormire. E quando non dorme è ad un evento per promuovere il film. L’unico modo per vederlo è guardarlo in tv. Mi sembra di essere tornata la fan sclerata che si alza alle tre di notte pur di vedere l’intervista a Josh in diretta. Non sono nemmeno più sicura di stare realmente assieme a lui. Dopo la premiere di Los Angeles ci sarà quella a New York, a Londra, a Parigi, a Barcellona, a Berlino e, per concludere in bellezza, anche a Roma. Josh mi ha detto che se voglio posso accompagnarlo da una città all’altra, ma non posso andare alle premiere con lui. Non che io ne sia dispiaciuta, anzi. Questo mi risparmia la tortura che sta diventando Jimmy. Ho deciso che andrò a New York e in Italia, anche perché, durante le altre tappe, dovrò preparami per gli esami al college e non ci sarei potuta andare comunque. Quindi starò lontana da lui per un lunghissimo tempo ancora.
Finalmente faccio una posa che convince Jimmy, così accende la televisione. L’intervista è già iniziata da un bel pezzo. E, guarda un po’ che sorpresa, stanno parlando di me. Ultimamente sono tutti curiosi di conoscermi. E’ strano. Ho come la certezza che deluderò tutti quanti. Fallon manda il video di Jennifer che si mette a gridare il nome di Josh durante gli MTV Movie Award. Ridono per un po’ entrambi, e poi Fallon fa la fatidica domanda.
«Alla tua ragazza è piaciuto questo?»
Josh scoppia a ridere e guarda il pubblico prima di rispondere.
«A quanto ne so, l’ha adorato!» risponde misteriosamente.
Ovviamente, Fallon è incuriosito da quella risposta.
«Cosa ti ha detto?»
«A me non ha detto niente… Ma un uccellino mi ha raccontato tutto…»
Non capisco dove vuole arrivare. Io non gli ho raccontato proprio niente del mio ritorno al fangirlamento. Poi mi si accende la lampadina. Gli istinti omicida che non avevo provato più da quel lontano giorno del mio primo appuntamento con Josh tornano a farsi sentire. Intanto Fallon cerca ancora di fargli dire qualcosa.
«Coraggio! Ora vogliamo saperlo!»
Josh ride di nuovo. Sono quasi tentata di dire a Jimmy di spegnere la televisione perché so già cosa sta per succedere, ma scommetto che adesso si rifiuterebbe con tutto se stesso. Sto per farmi la mia prima figura di merda mondiale.
«Questo non le piacerà…» dice Josh facendo finta di disperarsi.
Rimane per un attimo in silenzio mentre Fallon pende dalle sue labbra, poi parla di nuovo.
«Lei non è una ragazza famosa. E, quando io recitavo nel ruolo di Peeta, lei era una fan di Hunger Games…»
C’è un silenzio di tomba in studio. Si sentirebbe una mosca volare.
«Hai presente quelle fusioni di nomi per definire la propria coppia, famosa di solito, ideale?»
Ormai non riesce più a trattenere il sorriso.  Fallon annuisce con entusiasmo e credo che abbia appena capito tutto, perché inizia a sorridere anche lui. Vorrei scomparire. Diventare un tutt’uno con la parete. Tutto piuttosto che sentire quelle parole.
«Beh, io e Jennifer eravamo la “Joshifer”. Ecco, lei si è dimenticata di stare assieme a me e… questo la farà infuriare… la sua reazione è stata tipo questa…» prende il cuscino della poltrona su cui è seduto e lo stringe al petto. Poi si mette le mani sulla bocca e si mette a urlare battendo i piedi a terra. «Waaaaa! JOSHIFER. Oh mio Diooo!»
Mi sento arrossire come non mai, mentre in studio scoppiano tutti a ridere. Nascondo il viso fra le mani per impedire a Jimmy di vedere la mia reazione e per non vedere la reazione di Jimmy. Non so se sono più arrabbiata con Josh, perché mi ha appena umiliata in diretta mondiale, o con Connor, perché è andato a spifferare le mie reazioni da manicomio al fratello. In questo momento so solo che potrei ucciderli entrambi e farlo sembrare un incidente. Loro non sanno che io ho una cultura di C.S.I, N.C.I.S. e Criminal Minds da fare impallidire un serial killer. Cercando di non guardare Jimmy, che sta cercando con tutte le sue forze di rimanere serio, guardo lo schermo della televisione. L'intervistatore è piegato in due dalle risate mentre Josh cerca di farlo smettere. Non si sentono altro che risate di sottofondo.
«Sei perfido!» dice Fallon quando, finalmente, riesce a smettere di ridere.
«E perché?»
«Hai appena umiliato la tua ragazza in diretta televisiva! Tutta l’America la prenderà in giro!»
E non solo l’America, penso guardando Josh che scoppia ridere. Poi guarda la telecamera, cercando di fare il serio. La scena sarebbe anche divertente se non fosse che vorrei prendere a sberle sia lui che Connor.
«E’ colpa sua!» dice indicando l'uomo seduto accanto a lui e, ne sono completamente certa, come se si stesse rivolgendo a me.
 «Sei un bugiardo.» Inizia a protestare Fellon.
Josh lo guarda incredulo, mentre non sa se ridere o sentirsi in colpa verso di me.
«Non sono un bugiardo!»
Si sente il pubblico in delirio. Si devono divertire un sacco.
«Chiedile scusa!» dice a Josh indicando la telecamera.
Josh guarda la telecamera, piegato in due dalle risate. Non riesce nemmeno a respirare, talmente sta ridendo di gusto. Quando finalmente riesce a riprendere fiato inizia a scusarsi con la telecamera.
«Mi dispiace…» dice cercando di trattenersi dallo scoppiare nuovamente a ridere. Poi si rivolge a Fallon. «Dai, lo sa che si scherza!»
Fallon lo guarda come sconvolto.
«Sei vergognoso!» dice alzandosi in piedi e guardandolo dall’alto.
Poi si rivolge alla troupe televisiva.
«Mi rifiuto di continuare questo programma!»
Josh cerca di farlo sedere, ma con poco successo. Si alza in piedi, ma è ancora più basso di Fallon. La gente in studio non fa altro che ridere.
«Voglio che tu le chieda scusa decentemente.» dice Fallon a Josh indicando la telecamera.
Josh cerca di trattenere le risate e porta le mani dietro la testa in segno di resa. Poi si avvia verso la telecamera e si inginocchia. Sta ancora cercando di trattenere le risate, quando Fallon dice qualcosa che non riesco a sentire perché Josh scoppia di nuovo a ridere. La telecamera lo riprende mentre si sdraia a terra e continua a ridere tenendosi le mani sulla pancia. Il conduttore si avvicina e si inginocchia accanto a lui. 
«Ma chi è questa povera ragazza che riesce a stare con te..?» commenta cercando di fare alzare Josh.
Il risultato è che Josh ride ancora di più e Fallon ci rinuncia. Rimane seduto lì aspettando che smetta di ridere, continuando a scuotere la testa e a mostrare il suo finto disprezzo. A un certo punto cala tutto silenzio in studio. Perfino Josh ha smesso di ridere e sta cercando di rialzarsi. Fallon gli tende una mano e in quel momento si sente la risata divertita di una signora del pubblico. La sua risata fa sorridere perfino me. Scoppiano di nuovo tutti a ridere.
«No, signora!» grida lo showman rivolto a un punto imprecisato tra il pubblico «Non si ride delle disgrazie altrui!»
Alla fine riescono a fare smettere di ridere Josh. Fallon lo fa inginocchiare davanti alla telecamera e gli dice che non si alzerà di lì finché non mi avrà chiesto scusa decentemente. Josh, allora, riprende il suo contegno e fissa gli occhi nella telecamera.
«Mi dispiace.» dice serissimo, restando in ginocchio. Fallon da dietro annuisce. «Mi dispiace tantissimo di averti fatto fare una figuraccia davanti a tutta l’America. Perdonami. Lo sai che ti amo.»
Sorrido, mentre sento un calore invadermi il viso. In televisione si vede Fallon che annuisce felice e fa rimettere in piedi Josh. Gli stringe la mano e so che deve chiudere il programma.«Josh Hutcherson, signore e signori!» Sullo schermo compare il logo della trasmissione mentre si sente ancora la voce di Fallon che dice:«Voglio proprio conoscere questa povera ragazza!» e Josh che scoppia di nuovo a ridere.
Jimmy spegne la televisione e, per un attimo, nella stanza cade il silenzio. Poi lo stilista, non riuscendo più a trattenersi, scoppia a ridere. Lo guardo mentre sento la rabbia nei confronti di Connor e Josh aumentare, anche se Josh era quasi riuscito a farsi perdonare con quel “Lo sai che ti amo”. Riprendo a camminare, mentre le risate di sottofondo che escono dalla bocca di Jimmy mi fanno tornare il malumore.
 
Accendo il computer portatile di Josh chiudendomi in camera sua, ancora imbronciata. Quando sono tornata a casa, Josh per sua fortuna ancora non c’era, Connor mi ha pregato, ridendo come non mai, di non fargli del male. Avrei voluto seguire il mio istinto e tirargli un vaso in testa, ma un omicidio in casa Hutcherson sarebbe stato troppo sospetto. Così avevo deciso di portarmi avanti col lavoro. dopo la premiere il mio nome sarà ovunque. Accedo a facebook e vado sulle impostazioni. Prima decido di optare per un “blocca profilo”, ma poi mi elimino direttamente. Poi mi collego a twitter. Inizio a cancellare tutti i miei tweet da quando mi ero iscritta all’ultimo, risalente a qualche mese fa. È rilassante, cancellare tweet. Riesco perfino a togliermi il broncio dal viso. Temporaneamente. Dopo mezz’ora che sono lì, Josh entra in camera. Gli lancio un’occhiata e mi rimetto a cancellare tweet. Ovviamente, capisce che sono ancora un po’ offesa.
«Mi dispiace…»
Rimango in silenzio, continuando ad eliminare roba. Credo che farei più in fretta a cancellarmi da twitter e iscrivermi nuovamente, ma se non fosse per il fatto che sto cancellando tweet, si sarebbero sentite già le mie urla fino a New York. Al mio silenzio capisce che ci vorrà più di un “Ti amo” per farsi perdonare.
«E’ stato divertente, però…»
Cerco di fare la seria, ma la scena di Josh che, piegato in due dalle risate, cerca di rialzarsi da terra mi compare davanti, strappandomi un piccolo sorriso. Ovviamente, Josh lo nota.
«Ti sei divertita anche tu!»
Cerco di tornare al caro vecchio broncio, ma non ci riesco. In quell’esatto momento, Josh si leva la maglietta, mostrando tutti i suoi pettorali. Potrei quasi perdonarlo del tutto solo per essersi tolto la maglietta.
«Mi hai presa in giro davanti a tutta l’America!» dico cancellando l’ultimo tweet e puntandogli il dito contro cercando di sembrare arrabbiata, anche se mi scappa un piccolo sorriso.
Josh mi guarda sorridendo. «In realtà… Ti ho resa simpatica a tutto il fandom mondiale.»
Lo guardo con gli occhi spalancati.
«Mi hai preso in giro davanti a tutta l’America.»
«La gente non vede l’ora di conoscerti…» si avvicina pericolosamente.
«Mi hai presa in giro davanti a tutta l’America.» cerco di non guardargli il petto, anche se è estremamente difficile.
«Sarai un mito per le mie fan…» prende a giocare con i miei capelli.
«Mi hai presa in giro davanti a tutta l’America.» continuo a ripetere ostinata, anche se i suoi muscoli e il fatto che stia giocando con i miei capelli mi distraggono decisamente.
«Magari, la prossima volta che mi invitano da Fallon, vogliono anche te…» inizia a baciarmi il collo.
«Mi hai presa in giro davanti a tutta l’America.» la mia voce si spezza, anche se cerco ancora di fare l’imbronciata.
«Ti ho detto che ti amo davanti a tutta l’America…» mi fa sdraiare sul letto.
Mi toglie il portatile da sopra le gambe e lo appoggia per terra. Poi prende a baciarmi dolcemente.
«Beh…» gli allaccio le braccia al collo. «Magari posso iniziare prendere in considerazione l’idea di perdonarti...»
 Ride sul mio collo provocandomi un brivido che sale su per tutta la schiena. Rido anche io, mentre lo stringo ancora di più a me. Dopotutto, mi ha detto che mi ama davanti a tutta l’America.
 
Josh esce dal bagno con il viso bianco come un lenzuolo. Come se avesse appena visto un fantasma. Mi guarda con gli occhi spalancati, tanto da farmi preoccupare.
«Cosa c’è?»
Apre la bocca per dire qualcosa, ma non esce niente. Ci ritenta, ma ne escono solo suoni che non riesco a capire. Al terzo tentativo riesco ad afferrare qualcosa.
«Il mio…» dice indicando verso il basso.
Ho un’illuminazione, mentre tutte le malattie relative al pene mi si allineano davanti agli occhi formando una bella lista. Contando che studio medicina, la lista è incredibilmente lunga. 
«Oddio… Cos’ha il tuo…»
Ma lui non mi lascia finire.
«No, no! Non il mio pene!» dice quasi sconvolto dal fatto che io abbia solo potuto pensare che il suo pene non funzionasse a dovere.
«E allora qual è il problema?!»
«Il preservativo…» dice sbiancando ancora di più. «Si è… si è rotto il preservativo.»

 
 

SPAZIO AUTRICE.  

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Capitolo 11
*** Shake it out ***


Shake it out.

And I’m done with my graceless heart
So tonight I’m gonna cut it out and then restart,
Cause I like to keep my issue strong
It’s always darkest before the dawn.
Florence and the Machine – Shake it Out.

 
 

Guardo Josh sconvolta. Non riesco a muovere un muscolo. Vorrei dire qualcosa, muovere anche solo un braccio, ma il mio corpo non risponde agli ordini. Nemmeno Josh sembra molto a suo agio. Mi guarda pietrificato, senza riuscire a fare nient’altro se non restare sull’uscio della porta del bagno a fissarmi preoccupato. Vorrei che facesse qualcosa. Che dicesse qualcosa. Ma non lo fa. Rimane lì impalato mentre il suo volto assume un preoccupante pallore e flashback dal mio passato affollano la mia mente.
 
«Edoardo Ivadi!» urla Gianni dagli spalti.
Entro nel teatro cercando di fare meno rumore possibile. Le audizioni per il ruolo di Darcy sono iniziate da mezz’ora, non sono proprio tantissimo in ritardo. Cerco di confondermi con gli altri membri della compagnia già assegnati ad un ruolo, ma Gianni si gira in quell’esatto momento e mi lancia un’occhiataccia, come per dire “Sei in ritardo, quindi sta sera metti tu apposto il teatro.” Io odio mettere apposto gli oggetti di scena. Mi piace usarli e lavorarci, ma metterli in ordine è la cosa che odio di più. E Gianni lo sa. Ci conosciamo da poco tempo, ma lui mi riesce a leggere meglio di chiunque altro. E’ come un secondo papà per me. Ci aveva presentati il mio vecchio insegnante di teatro. Lui cercava una ragazza per il ruolo di Elisabeth Bennet, visto che voleva fare uno spettacolo teatrale su “Orgoglio e pregiudizio”. Io avevo fatto l’audizione solo dopo averlo conosciuto, e lui mi aveva subito assegnato la parte. Non so perché, ma mi sono sempre immedesimata bene in Elisabeth. È uno dei miei personaggi femminili preferiti. Adesso, Gianni vuole che lo aiuti a scegliere il perfetto Darcy, visto che, secondo lui, sono la perfetta Elisabeth. Io, però, non voglio. Non voglio avere tutto questo peso sulle spalle.
Visto che però ormai mi ha vista, vado a sedermi accanto a lui e guardo fare la sua entrata sul palco Edoardo Ivadi. Alto, camminata orgogliosa, pelle che sembra quasi abbronzata, anche se siamo in pieno inverno, e priva di imperfezioni, magro con accenni di muscoli, capelli castano ramato lasciati in disordine, occhi di un verde marino, un mezzo sorriso stampato in faccia e un accenno di barbetta sotto il mento. Lo guardo per un po’. Potrebbe avere sui diciotto anni, non gli darei che due anni in più di me. Lui guarda Gianni e poi me. Il suo mezzo sorriso si apre in un sorriso gentile che quasi mi toglie il fiato. Sembra un modello. Decido di non sorridergli di rimando, anche se Gianni mi da un calcio invitandomi a sembrare cordiale, visto che tanto il mio carattere non lo prevede. Si presenta e comincia a parlare di se e del perché vuole questo ruolo. La sua voce è profonda e gentile. Somiglia quasi ad una melodia. Recita divinamente. I mie occhi si perdono nel mare che vedo nei suoi. Sento un brivido percorrermi la schiena. Mi sento strana e riesco perfino a togliermi il cipiglio cinico dalla faccia. Gianni è’ felice come una Pasqua. Ho quasi paura di vedere la sua figura mediamente alta e abbastanza cicciottella, mettersi a saltellare dalla felicità. I suoi baffi vibrano mentre ride contento anche guardando la mia faccia priva di qualsiasi espressione. Ogni tanto mi sgrida per questo. Dice che, guardandomi in faccia, perde tutta la sua voglia di vivere. Secondo lui sono affetta da una grave forma di depressione perenne. Ogni volta che sorrido darebbe una festa. Ma io non mi sento affetta da una grave forma di depressione perenne. Sono solo annoiata dalla mia vita. Continuo a guardarlo ridere felice, mentre sale sul palco e stringe la mano di Edoardo annunciandogli che è perfetto per il ruolo. Sbuffo e mi appiattisco sulla poltrona, sperando in bene.
 
Prendo la scopa, e comincio a spazzare il pavimento del palco. Come punizione per non aver assecondato Gianni e il suo furore continuando a mostrarmi cinica, devo mettere in ordine il teatro per tutta la settimana. Sbuffo infastidita. Lo capisco che lui vorrebbe vedermi sorridente per tutto il tempo, ma sorridere costa troppo. Preferisco continuare a guardare seria tutto quello che succede attorno a me. Sono un caso senza speranza. Un albero di cartone, dipinto solo per metà, intralcia le mie pulizie. Lascio cadere la scopa a terra e faccio per prendere l’albero per spostarlo.
«Vuoi una mano?»
Sono talmente immersa nei miei pensieri che mi spavento tanto da saltare e piantare un piccolo urletto. Mi giro in direzione della voce, pronta per mettermi ad urlarle contro. Ma mi trovo faccia a faccia con Edoardo. Gli lancio un’occhiataccia.
«Non farlo mai più.» lo minaccio prendendo l’albero fra le braccia.
«Scusa… Ma non sei credibile con un albero in braccio.»
Guardo l’albero che ho in braccio e poi lui. Faccio un mezzo sorriso, ma sono ancora immersa completamente nei miei pensieri, e il mezzo sorriso finisce per sembrare una smorfia.
«Ok…» dice un po’ imbarazzato. «Comunque, vuoi una mano?»
Sul suo viso compare il sorriso gentile. In effetti è un bel sorriso. Gli illumina il viso e gli fa brillare gli occhi di una luce bellissima. E’ molto alto, ma non è quel tipo di altezza che rende goffi. I suoi movimenti sono perfetti. Mi accorgo di essermi persa nella sua contemplazione. Faccio spallucce.
«Se hai voglia…»
Edoardo prende la scopa e comincia a spazzare il pavimento. Non parliamo per un po’, se non quando lui mi chiede dove vanno i vari oggetti di scena. Sono contenta che non sia un chiacchierone. Nonostante io odi mettere in ordine il teatro, farlo mi rilassa e lascia ai miei pensieri libero corso. Solo una volta ho rimesso tutto in ordine con Gianni, ed era stato un inferno. Non aveva smesso di parlare per un secondo. Nemmeno per riprendere fiato. Si esalta facilmente, ed è difficile farlo rimanere con la bocca chiusa. Almeno Edoardo rispetta il mio silenzio.
«Non sei obbligato a farlo.» gli dico ad un tratto, mentre lo vedo alzare una panca pesante. Lui si ferma e mi guarda incuriosito. «A rimanere qui ad aiutarmi, intendo.»
In tutta risposta, fa spallucce e mi sorride. «Non mi crea problemi.»
«Ok…» dico guardandolo mentre riprende la panca e la porta al suo posto, operazione che lui fa in cinque secondi e per la quale io ci avrei messo almeno mezz’ora.
Continuiamo così per tre sere di fila. Lui mi aiuta a mettere a posto poi andiamo a casa senza dirci niente. Non so dove voglia arrivare. Poi, una sera, rimaniamo in teatro più a lungo. Non c’è molto da sistemare. Fortunatamente Gianni non ci ha fatto tirare tutto fuori. Quando finiamo mi siedo per terra e guardo l’immensa tribuna. E’ strano pensare che tra pochi mesi cominceremo a girare per i teatri più importanti d’Italia e che le tribune saranno grandi il doppio. Non credo di essere pronta.
«Mi piace.» dice Edoardo sedendosi accanto a me. Lo guardo interrogativa. «Il teatro vuoto, intendo.»
Abbozzo un mezzo sorriso. «E’ rilassante.»
«Già…»
Non sono mai stata brava con le conversazioni. Non mi è mai importato molto, visto che preferisco il silenzio. Ma credo che, in questo momento, mi piacerebbe riuscire a spiccicare qualche parola in più. Drizzo la schiena, ma non dico niente. Il silenzio è quasi opprimente. Mi sento tesa. La sua vicinanza mi mette a disagio.
«Da quanto conosci Gianni?» chiede dopo un po’.
Continuo a guardare il teatro vuoto, un po’ sorpresa dalla domanda.
«Qualche mese. Perché?»
«Così… Piccola curiosità.»
Lo guardo per un attimo, mentre tutto quello che ho sentito la prima volta che avevamo recitato assieme mi passa davanti.
«Sei ambiguo.» gli dico senza girarci troppo attorno.
Lui scoppia a ridere e poi mi guarda interrogativo. «Ambiguo?»
«Già… E, per di più, è da tre sere che mi aiuti a rimettere tutto in ordine.»
Fa spallucce. «Mi tengo occupato. A casa dovrei studiare…»
Rido. Il problema di tutti. A casa dobbiamo studiare.
«E allora aiutiamo Ilaria a mettere tutto in ordine…» dico cercando di imitare la sua voce.
La cosa lo diverte, perché scoppia a ridere. La sua risata rimbomba per tutto il teatro. Ha la risata contagiosa. Una bella risata cristallina che ti fa venire voglia di ridere. Lascio che quella voglia mi invada e scoppio a ridere. E non riesco più a smettere. Continuo a ridere finché non sento un crampo alla pancia. Erano mesi che non ridevo più così. Da quando avevo deciso che la mia vita era troppo noiosa per ridere e per sorprendermi di qualcosa. Non so nemmeno perché continuo a ridere. Edoardo mi guarda sorridendo.
«Sono riuscito a farti ridere almeno. Anche se sono “ambiguo”.»
Finalmente riesco a smettere di ridere, ma non mi levo più il sorriso dalla faccia. Anche se sento i muscoli tirare.
«Hai un bel sorriso…» butta lì, dopo un po’ che non parliamo.
Rimango pietrificata. L’unica cosa a cui riesco a pensare è “No.” Non voglio rovinare tutto col mio carattere del cavolo. Prima di fare qualcosa di stupido mi alzo.
«Ok. E’ ora di tornare a casa.» dico smettendo di sorridere.
«Ah, è questo il problema…» dice fissandomi, mentre cerco di non guardarlo negli occhi. «Nessuno te lo aveva mai detto vero? Oppure… Sarai mica una di quelle ragazze che ha intenzione di arrivare al matrimonio vergine?! No, è qualcos’altro… Mai stata baciata!»
Sembra contento di essere arrivato alla giusta conclusione in così poco tempo. Ho sempre saputo di avercelo scritto in faccia. Il massimo a cui posso puntare è l’amicizia. Sono un fallimento completo. Ma prima che possa tornare ad essere la ragazza affetta da grave depressione perenne, lui riprende con la sua analisi del mio essere.
«E quindi credi di non essere bella.» dice tutto soddisfatto. «Hai provato un sacco di volte, ma non sei mai riuscita ad ottenere nulla, e così punti all’amicizia…»
Cerco di interromperlo prima che possa dire altro.
«Chi sei? Una specie di vampiro alla Edward Cullen?»
Mi avvio verso l’uscita a passo spedito, sperando che la smetta di analizzare tutto quello che ho in testa. Mi sta decisamente infastidendo.
«E il tuo essere cinica è la difesa a tutto questo!» non ha bisogno di correre per tenere il mio passo. «Ti chiudi in te stessa e ti estranei dal mondo…»
«Smettila.»
Ma lui non ha intenzione di farlo.
«E credi ancora nelle favole, non è vero? Lo vedo quando reciti. E tutto il resto…beh, basta guardare il tuo gesticolare. Sei così semplice da leggere!»
Mi fermo di botto e lui quasi mi viene addosso. Sono furiosa e nei suoi occhi leggo solo il divertimento, il che mi fa infuriare ancora di più.
«Adesso basta.» gli dico puntandogli il dito contro con decisione. «Sei uno sbruffone. Ti credi grande solo perché riesci a leggere tutto ciò che sono dai miei gesti. E hai la presunzione di dirmelo in faccia solo perché sei così sicuro di te. Ma forse dovresti esserlo un po’ di meno. Non sei migliore di nessuno. Anzi, mi pare proprio il contrario.»
Mi giro ed esco dal teatro. Cammino così veloce che non mi accorgo nemmeno che ha cominciato a piovere. Non me ne sarei preoccupata comunque, ma almeno avrei tirato fuori l’ombrello.
«Dovremmo uscire assieme qualche volta!» mi grida Edoardo da dietro.
Sbuffo infastidita e mi metto a camminare più veloce, facendo finta di non averlo sentito.
 
E’ incredibile come le cose, spesso, decidano di prendere una via diversa da quella che avresti voluto prendessero. Tu ti impegni, cerchi di importi sul corso degli eventi ma, puntualmente, niente va come ti aspettavi. A volte è un bene, a volte un male. Ma non sei mai pronto a quello che la vita ha in serbo per te. Mai.
Io e Edoardo cominciamo a diventare amici. Cominciamo a parlare, a ridere, a prenderci in giro, a farci i dispetti e a condividere ogni tipo di emozione. Passiamo così tanto tempo assieme a provare, che ormai il suo “essere ambiguo” mi sembra quasi una presa in giro. Riesco a capire ogni sua emozione, prevedere ogni sua mossa, capire a cosa sta pensando. Ogni tanto mi spavento perfino. Ma è bello avere qualcuno che ti capisce con un solo sguardo, anche se quel qualcuno continua a provarci spudoratamente. Ogni tanto, mentre ridiamo, se ne esce con frasi del tipo:
«Il tuo sorriso porterebbe la luce nelle tenebre più oscure.»
E io non riesco a fare nient’altro che arrossire violentemente e cambiare argomento, oppure prenderlo in giro.
«Certo… Puoi aggiungere anche questa alla lista delle frasi che metterai nel tuo prossimo romanzo “Sono un imbecille che crede ancora di poter far cadere le ragazze ai suoi piedi con frasi che usavano nel paleolitico.”»
E lui ride, come sempre. «Forse è un po’ troppo lungo come titolo, non credi? Chi comprerebbe un libro del genere?»
«Io lo comprerei.» dico seria, ma felice di riuscire ogni volta a svicolare il discorso.
Cerco di tenerlo a distanza ogni volta, anche se è difficile. È insistente e non si arrende mai. Nemmeno il suo essere così bello aiuta granché. Ogni tanto sorprendo me stessa a contemplare i suoi occhi color del mare e il suo sorriso gentile, che fino a poco tempo fa non riuscivo nemmeno ad associargli. Mi piacciono perfino i suoi capelli castano ramato sempre lasciati in disordine. Ogni tanto ci passa la mano in mezzo per metterli ancora più in disordine. Non so se lo faccia apposta, ma ogni volta che lo fa guardandomi negli occhi e sorridendomi sento una stretta allo stomaco. Una stretta che, secondo le mie esperienze, vuol dire guai in arrivo. Passiamo settimane continuando questo giochino. Lui continua a provarci e io lo tengo a distanza, finché un giorno la stretta allo stomaco diventa troppo forte, e lascio che tutti i miei tentativi di tenerlo a distanza vadano in fumo.
Il primo bacio non si scorda mai, dicevano. Credo che sarà così. Credo che questo bacio non lo scorderò veramente mai. E nessuno degli altri baci che seguono.
Cominciamo ad uscire assieme, finché non decidiamo di uscire allo scoperto. Mi presenta la sua famiglia. Io gli presento la mia. La reazione di mia mamma alla sua entrata in casa è qualcosa di simile a quelle dei personaggi dei manga giapponesi quando sono felici. Gli occhi a cuoricino, e la bocca spalancata. Vorrei sotterrarmi. Diventare un tutt’uno con gli arrendi. Ma Edoardo, fortunatamente, sorvola su questa reazione da manicomio.
Andando avanti coi mesi arriva anche la mia prima volta. In tour con la compagnia di teatro, a Roma, in una stanza d’albergo a quattro stelle dopo una cena a lume di candela e dopo che mi aveva detto “Ti amo” per la prima volta. Credo che niente di tutto questo lo scorderò mai. Mi ha cambiato la vita. Ero una ragazzina che trovava la sua vita noiosa e non faceva altro che lamentarsi. Ora sono diversa. Ora sono felice. Mi ha resa una persona migliore. Edoardo, primo bacio, prima volta e primo amore. Tutto è perfetto. Tutto è meraviglioso. Ma tutti sanno che niente è per sempre. O, almeno, tutti tranne me.
 
«Non puoi lasciarmi per questo!» gli urlo contro guardandolo negli occhi.
Lui distoglie lo sguardo. Fissa per terra, triste. Siamo stati assieme per troppo tempo, perché so benissimo a cosa sta pensando in questo momento. Un bambino. Io ho sedici anni e lui diciotto. Non potremmo mai farcela. E’ successo tutto troppo in fretta.
«Non voglio avere un figlio.» dice tornando a guardarmi. «Ho appena diciotto anni. Voglio vivermi la vita!»
«Non ti sto proponendo di crescere un figlio con me!» dico sull’orlo delle lacrime. «Ti sto dicendo che non lo terrò!»
E’ questo quello che voglio. Non ho intenzione di crescere nessun bambino. Non intenzione di farmi aiutare dai mie genitori per questo. Sono solo una sedicenne terrorizzata che ha appena scoperto di essere incinta. Come potrebbe crescere un bambino con me come madre? Non mi piacciono i bambini. E, anche se mi sposerò, non ho nessuna intenzione di mettere al mondo dei figli. Terrò il bambino fino al parto, e poi lo darò in adozione. Ma lui, questo, non lo vuole capire.
«Beh, non ho nessuna intenzione di passare altri nove mesi con una ragazza incinta.» dice fissandomi dritto negli occhi.
Apro la bocca per ribattere, ma solo allora mi accorgo di quello che ha appena detto. Mi crolla addosso come un macigno e mi distrugge dentro, senza che esternamente sembri che io abbia subito danni. Sento il cuore andare in frantumi. Le mani mi tremano. Provo un odio enorme verso di lui. Come se tutti questi mesi passati assieme non fossero contati nulla. Come se tutto quello che abbiamo passato si potesse cancellare con un soffio. Vorrei urlargli contro per buttargli addosso tutto l’odio che provo per lui in questo momento. E poi… poi vorrei scongiurarlo di non andarsene, di non lasciarmi. Di restare con me, perché possiamo superarlo. Cos’è un bambino, di fronte al nostro amore? Ma forse è questo il problema. Forse, lui non mi ha mai amata veramente. Forse, per tutto il tempo, sono solo stata la ragazza di turno da usare per sfogare i propri piaceri. E sono una stupida. Perché non mi sarei dovuta fare ingannare da due occhi verdi e i capelli castano ramato. Perché avrei dovuto ascoltare il mio istinto messo a tacere per troppo tempo. E ora cosa mi dice il mio istinto? Perché non mi aiuta? Non sento niente. Immagino si sia stufato di urlare al nulla. Guardo ancora una volta il viso di Edoardo, e poi mi allontano dal teatro. Lascio che le lacrime mi righino il viso. Mi immagino al nono mese, aspettando che un bambino si decida a fare la sua prima comparsa sulla terra. Mi vedo mentre, l’unica cosa a cui riuscirò a pensare sarà al padre di quella piccola creatura innocente che, per viversi la vita, mi ha spezzato il cuore. Non dovrei decidere io. Non sono Dio. Non ho il potere di scelta su chi deve vivere e chi no. Ma, in quel momento, decido di abortire. In quel momento, decido che la mia vita è più preziosa di quella di un essere che nemmeno si è ancora formato. In quel momento, faccio la scelta più dolorosa che un essere umano possa mai fare.
 
«E’ andato tutto bene.» mi dice la dottoressa che ha eseguito il mio aborto. «Il tuo organismo non ha subito alcun danno.»
Mio padre e mia madre sono fuori dalla stanza. Li vedo, mentre cercano di capire come mi sento. Vogliono vedere come prenderò la notizia. Vogliono solo che io stia bene. Ma non sto bene. Non avrei nemmeno voluto farglielo sapere. Stanno soffrendo. Mi tocco la pancia, mentre milioni di emozioni mi assalgono. Decido di chiudere tutto fuori, e ascoltare la dottoressa che mi spiega cosa dovrò e non dovrò fare per i prossimi mesi. In realtà vorrei solo essere lasciata in pace. Vorrei solo essere mollata qui nel letto, senza più essere nutrita. Vorrei passare quel che ho fatto passare alla creatura che ho deciso di uccidere. Sono un’assassina. Sono una persona orribile. Sento un groppo in gola, e lascio che le lacrime mi righino il viso senza nemmeno provare a fermarle. La dottoressa rimane per un attimo interdetta vedendo la mia reazione, ma, senza dire niente, mi accarezza i capelli e si allontana dalla stanza, dicendo ai miei genitori che è meglio lasciarmi stare. “Sono un’assassina” è il mio unico pensiero. Non riesco a pensare ad altro. Non riesco a guardare l’immagine dei miei genitori che mi guardano preoccupati. Non fermo i singhiozzi che non mi lasciano respirare, e non fermo l’infermiera che entra e mi seda.
 
Mi trasferiscono in psichiatria. Passo le giornate a guardare il soffitto e, ogni volta che i singhiozzi diventano troppo forti, un’infermiera mi seda. Comincio a pensare che da sedata la mia vita sia migliore. I miei familiari si alternano per venirmi a trovare, ma non apro bocca. Non rispondo a nessuna delle loro domande. Non commento nessuno dei loro racconti. Non cerco una soluzione a nessuno dei loro problemi. Uno strizzacervelli mi fa visita ogni giorno. I primi tempi non volevo nemmeno guardarlo in faccia. Poi, ho deciso di iniziare a parlare con lui. A confidarmi. E’ l’unico con cui parlo. L’unico che credo possa veramente capirmi. Lo chiamo “strizzacervelli” e a lui sta bene così. E’ un uomo vecchio con gli occhialetti rotondi. Credo che se non fosse per la mia situazione, lo troverei anche simpatico. Mi dice che non devo credere di essere un’assassina. Che ho pensato al bene del bambino. Che non poteva avere un futuro. Ma io continuo a sentirmi un’assassina. Non c’è parola o frase incoraggiante che tenga. Ogni movimento che faccio, ogni parola che pronuncio, mi sembrano parole e gesti rubati. Rubati alla vita che la creatura che ho ucciso avrebbe potuto condurre.
Passano varie settimane. Sto sempre uguale, ma non mi piace vivere in ospedale. Soprattutto nel reparto di psichiatria. Ci sono troppi pazzi, e non mi sento così messa male da vivere qui. Inoltre voglio tornare a recitare, anche se vorrà dire che vedrò Edoardo tutto il tempo. Quando lo confido a Strizzacervelli, mi dice che questa è una buona cosa. Ma che se voglio davvero andarmene devo smettere di farmi sedare e devo ricominciare a parlare con le persone che mi amano. Porto il compito a termine perfettamente, e un mese dopo sono fuori, con la promessa di tornare qualche volta a parlare con Strizzacervelli.
 
Provo a ricominciare a vivere. Provo a tornare a sorridere. Ma anche fuori dal reparto di psichiatria, la parola assassina continua a perseguitarmi. Non do a vederlo. I miei genitori mi stanno troppo addosso perché io possa lasciar trapelare una sensazione di qualsiasi tipo. Devo essere felice. Almeno quando ci sono loro. Almeno quando sono circondata dalla gente. Anche se dentro muoio, fuori torno a essere la ragazza felice di prima. Come se non mi fosse mai successo nulla.
Torno a recitare. Ma una sera, dopo una performance particolarmente ben riuscita, un ragazzo mi offre da bere. Non ricordo niente di quella sera. So solo che adesso giro sempre con una bustina di polverina bianca in borsa. Quella polverina che tutti chiamano “cocaina”, ma che io chiamo “salvezza”. Quando sono troppo giù di morale e la parola “assassina” mi crea troppi problemi, una sniffata, e riesco a essere felice.
Felice. Una sensazione che non riesco più a provare, se non grazie a lei.
 
«Che diavolo…» apro gli occhi e vedo un camice. «Dove sono?»
Il camice diventa una persona, e la persona un dottore. Lo sfondo dietro al dottore diventa una sala di ospedale. Tiro su col naso. E’ il segnale che ho bisogno della mia “salvezza”. Cerco la borsa con lo sguardo. Muovo un braccio, ma qualcosa mi distrae. Le mie braccia sono piene di aghi e cerotti. Tutto attorno a me c’è un concerto di bip che mi fanno venire il mal di testa.
«Ho buttato via tutta la cocaina che ho trovato nei tuoi vestiti e nella tua borsa.» dice il dottore in tono piatto.
Ho un moto di rabbia verso il vecchio che prende appunti su dei fogli e studia le mie cartelle. Tiro ancora su col naso. Sento un prurito al braccio, ma ho paura a grattarmi per i troppi aghi. Le mani mi iniziano a tremare.
«Ti sei fatta un overdose.» dice con lo stesso tono piatto. «Ti abbiamo salvata per miracolo.»    
Continuo a tirare su col naso. «Ho bisogno della mia cocaina.» dico guardandomi in giro preoccupata.
Cerco di alzarmi, di ribellarmi a quel medico. Comincio ad urlare che ho bisogno della mia cocaina. Mi mette una mano sulla spalla e mi dice di stare calma. Prendo a dimenarmi. Gli aghi nelle mie braccia si muovono e mi fanno male. Il medico mi tiene stretta al punto che comincio a sentire dolore dove mi tiene. Ma niente è paragonabile alla sensazione di bisogno che provo. Il cuore mi batte forte nel petto. Tutto si muove in modo strano. Come posso stare calma? La parola assassina mi appare davanti. La vedo ovunque. Comincio a tremare come una foglia. Cerco di muovermi, ma il medico me lo impedisce. Preme un pulsante blu alla destra del mio letto. Arriva un infermiera. L’ultima cosa che ricordo è mio padre che entra nella stanza preoccupato.
 
Mi risveglio frastornata. Le luci sono tutte spente, a parte quelle nel corridoio. Cerco di muovermi, ma mi hanno legato i polsi e le caviglie. Credono che sia pazza?Mi trasferiranno di nuovo in psichiatria? Sento il panico. Senza riuscire a controllarmi, tiro su col naso. Di nuovo quella sensazione di bisogno mi assale. Ho bisogno della cocaina. Adesso. Cerco cautamente di slegarmi i polsi, ma non riesco a muovermi. Di nuovo quella parola.
Assassina.
«No.» dico muovendo la testa cercando di smettere di pensarci. «No. Non sono un’assassina.»
«Ilaria…» è la voce di mio padre.
Vorrei girarmi verso la voce, ma quella parola mi perseguita. La vedo ovunque. Continuo a bisbigliare “No.” ma non se ne va. Non se ne andrà mai. Tremo. Ho bisogno di cocaina. E’ l’unica cura contro tutto questo.
«Ilaria!» mio padre mi prende il viso tra le mani e mi guarda con decisione negli occhi. «Guardami. Guardami, dannazione!»
Comincio a fare fatica a respirare. Continuo a muovere gli occhi per la stanza. Mio padre mi tiene stretta. Cerco di muovermi, mentre le sue parole mi colpiscono in pieno, anche se non vorrei sentirle.
«Fermati.» dice. Nella sua voce ci sono tristezza, paura, stanchezza, preoccupazione e tante altre cose che non riesco a percepire. «Tra poco arriveranno. Ti sederanno ancora una volta. E ricominceremo tutto da capo. Guardami. Guardami!»
Smetto di muovermi. E lo guardo. Lo guardo negli occhi.
«Puoi farcela, ok?» dice con decisione. «Sei più forte di lei. Non hai bisogno di lei per sopravvivere. Non sei un’assassina. Lei te lo fa credere, ma tu non sei un’assassina. Hai fatto quello che ritenevi giusto. Smettila di tormentarti. Smettila di cercare la felicità dove ne esiste soltanto l’illusione. Sei forte. Cerca la felicità da altre parti. Cercala dove ci sono le persone che ti amano. Smettila di farti sedare. Non lasciare che lei ti porti via da me. Ti prego.»
In quel momento entra un’infermiera. Sta per sedarmi, ma io mi immobilizzo. Rimane interdetta, poi svuota per metà la siringa e il resto me lo inietta nel braccio.
 
Passano mesi strazianti. La voglia. Il bisogno. La negazione. L’astinenza. Poi, finalmente, comincio a sentirmi meglio. I medici dicono che piano, piano mi sto disintossicando. Che starò meglio.
«Parole al vento.» è l’unico commento di Strizzacervelli.
Sempre lui. Il vecchietto che è riuscito ad aiutarmi già una volta. Secondo lui se non lo voglio veramente, non mi disintossicherò mai. Non tornerò mai a essere quella di un tempo, se la vita che sto facendo adesso mi da la felicità di cui credo di aver bisogno.  
E io lo voglio? Voglio veramente disintossicarmi?  Voglio veramente tornare a vivere?
Credo che la risposta sia sì. Per mio padre. Per la mia famiglia. Per me. Perché non voglio più sentirmi un’assassina. Perché voglio tornare a vivere come facevo prima. Perché adesso la mia “noiosa vita” che mi provocava tanto cinismo, mi sembra la vita migliore che si possa desiderare. Perché un giorno, avanti con gli anni, voglio guardare indietro a questi giorni bui e dire “Ce l’ho fatta.” Perché queste persone, i medici, hanno fatto veramente tanto per me. E io voglio essere come loro. Voglio salvare le persone.
Perciò, sì, voglio veramente disintossicarmi. Sì, voglio veramente tornare a vivere. 
 
Stiamo ancora immobili. Io seduta sul suo letto e lui in piedi davanti alla porta del bagno. Sul suo viso ancora quel pallore preoccupante. Lo guardo negli occhi, mentre sento un groppo in gola e l’unica cosa a cui riesco a pensare è a quanto sarà difficile raccontargli tutto.     

 
 

SPAZIO AUTRICE.

 

Salveeeeee! C:
 
Sinceramente, non so che dire… Ci ho messo un po’ a scrivere questo capitolo, lo so, ma mi è preso il “blocco dello scrittore” e stavo letteralmente impazzendo. Una mia amica è uscita pazza a furia di sentire che mi lamentavo perché non riuscivo a mettere le mie idee su foglio word D:
 
Anyway, scommetto che a voi non ve ne frega niente del mio “blocco dello scrittore” e.e
 
Boh, che ne dite di questo passato un po’ movimentato?
Tutte sapevate che aveva avuto problemi con la droga ma… incinta! Lei era incinta!
 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto! Come sempre, ringrazio tutte le meraviglie che leggono e recensiscono :D
Al prossimo capitolo <3

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Capitolo 12
*** It's time ***


It’s time.

It’s time to begin, isn’t it?
I get a little bit bigger, but then I’ll admit
I’m just the same as I was
Now don’t you understand
I’m never changing who I am.
 Imagine Dragons – It’s time.                               

 
 
 

Guardo Josh, pietrificata. Lui guarda me, pietrificato. Nessuno dei due si muove. Nessuno dei due pronuncia una parola. Siamo immobili mentre i nostri sguardi rimangono intrecciati. Vorrei poter dire qualcosa. Vorrei avere la forza di raccontargli tutto quello che ho passato. Vorrei anche solo, semplicemente, riuscire a muovere un muscolo.
Sento un groppo in gola. Cercando di trattenere le lacrime, inizio a deglutire per fare in modo di non piangere. Comincio a giocherellare con un angolo del lenzuolo, sperando di distrarre la mente da quei ricordi del passato. Ci provo con così tanta decisione, che credo di poterci riuscire. Ma è solo una speranza. Sento una lacrima scendere lungo la mia guancia. La asciugo prima che Josh se ne accorga ma, non appena asciugata, un’altra comincia a rigarmi il viso. E un’altra ancora.
Comincio a singhiozzare. Josh mi guarda sorpreso. Il pallore provocato dalla rottura del preservativo lascia per un attimo il suo viso, ma solo per un attimo. Viene immediatamente sostituito dal pallore provocato dalla preoccupazione. Mi si avvicina immediatamente, si inginocchia davanti al letto e mi posa delicatamente le mani sulle cosce. Mi porto le mani al viso, per non farmi vedere in lacrime da lui. Cerco di asciugarle per l’ennesima volta, ma niente. Continuano imperterrite a rigarmi le guancie.
«Ilaria…» la sua voce è un misto di emozioni che non riesco a decifrare.
Mi prende le mani, cerca di guardarmi negli occhi, ma non ce la faccio. Non riesco a guardarlo. Mi tengo ostinatamente le mani sul viso. Lui non cerca di forzarmi. Rimane così, fermo per un attimo a guardarmi piangere. Vedo passarmi davanti agli occhi la stanza di ospedale del reparto di psichiatria. Vedo Strizzacervelli, che rispetta  il mio voto del silenzio. E poi vedo mio padre… Vedo mio padre, con le occhiaie e il viso pallido che mi dice di tenere duro. Sento un forte dolore al petto. Come se il cuore si stesse spezzando. I singhiozzi diventano più forti. Faccio quasi fatica a respirare. Cerco ancora di nascondere il viso, ma i singhiozzi mi impediscono di fare qualunque altra cosa. Josh mi prende le mani e poi mi fa inginocchiare davanti a lui. Cerco di smettere. Cerco di respirare. E’ così difficile… Non riesco a vedere la sua espressione. I miei occhi sono appannati. Tutto è sfocato. Sento le sue braccia stringersi attorno a me. Mi stringe forte. Rimango immobile, cercando ancora di coprirmi il viso. Mi sento così patetica… Faccio sempre più fatica a respirare. Ho un attacco di panico. Lo so perché, dopo che ero uscita da tunnel della droga, quasi tutte le notti mi svegliavo e cominciavo a piangere fino al punto di non riuscire più a respirare. Allora mio padre, e a volte mia madre, quando riusciva a trattenere le lacrime che le rigavano il viso ogni volta che mi guardava, mi abbracciava e mi stringeva forte finché non passava tutto. Finché non riuscivo a tornare a respirare normalmente. A volte mi svegliavo dopo aver sognato tanti bambini appena nati. In quelle notti, potevo andare avanti per ore a piangere senza riuscire a smettere.
Josh posa una mano tra i mie capelli e mi fa appoggiare la testa sulla sua spalla. Mi accarezza gentilmente, e posa teneri baci sulla mia tempia. Sussurra parole che non riesco a sentire. Il mio corpo trema a ogni singhiozzo. Le lacrime bagnano la maglietta di Josh. Dopo un po’, le mie braccia si stringono a lui. Lo stringo forte, e lui fa lo stesso. Non avrei mai voluto che mi vedesse in questo stato. Nessuno, oltre ai miei familiari, mi aveva mai vista così. Sono sempre riuscita ad apparire normale agli occhi della gente.
Ma tra le sue braccia mi sento al sicuro. Mi sento protetta. Mi sento amata.
Mi lascia sfogare, finché dei singhiozzi non restano soltanto che le lacrime che mi bagnano le guance. Mi tiene stretta a lui, finché non decido che è ora che sappia come stanno le cose. Prendo aria per parlare. Mi faccio coraggio.
«Ti ricordi quando avevo detto che erano successe delle cose... delle cose per cui avevo smesso di recitare?» dico guardandolo negli occhi. Quei bellissimi occhi che mi guardano preoccupati.
«Non devi dirmelo, se non vuoi…» dice serio e incerto allo stesso tempo.
Lo sta facendo per me. Immagino che non voglia che io richiami alla memoria tutti i brutti ricordi del passato. Il passato è passato, dicono. Ma non questa volta. Non con la possibilità di essere nuovamente incinta. Non con lui.
«Invece devi sapere.» dico appoggiando la schiena al letto e incrociando le gambe, pronta per un lungo racconto. Lui fa lo stesso, stringendo le mie mani nelle sue. «C’era un ragazzo… Avevo 16 anni. Non avevo ancora dato il mio primo bacio, non avevo ancora mai avuto un ragazzo…»
Comincio a raccontargli la mia vita. Cose che fino a qualche settimana fa non avevo nessuna intenzione di fargli sapere. Gli parlo dei miei sentimenti. Tutto ciò che provavo. Nella mia mente ogni ricordo è così nitido che potrei descrivergli tutto per filo e per segno. E lo faccio. Ogni dettaglio, ogni sfumatura. Voglio che sappia tutto. Se mi dovrà lasciare perché sono un mostro, voglio che lo faccia conoscendo ogni piccola sfumatura. E’ facile raccontargli di come ero un’adolescente innamorata. Mi vedo così innocente. Così fragile. La vita non aveva ancora messo alla prova la mia forza di volontà. A quei tempi, nemmeno sapevo di averne una. E’ incredibile come tutto sia successo così in fretta. Lascio che le parole escano dalla mia bocca come un fiume in piena. Inizio a parlare veloce. Sento un tremolio leggero alle mani, e Josh me le stringe più forte nelle sue. Quando gli racconto dell’aborto e del reparto di psichiatria, il suo volto è serio. Ascolta ogni mia parola senza dire o fare niente. Rimane lì di fronte a me guardandomi negli occhi e aspettando di sentire il resto del racconto. Come un bambino che ascolta la mamma che gli racconta le fiabe, ansioso di sapere se il principe riuscirà a uccidere il drago per salvare la principessa. Ma questa non è una fiaba. E’ più un racconto dell’orrore.
Mi rivedo mentre sniffo nascosta nei bagni della scuola. Mentre vedevo piano, piano scomparire dalla mia vista la parola “assassina”. Era una sensazione strana. I drogati dicono di sapere benissimo quando arriva il momento di darci un taglio. Dicono che è facile uscire da quel tunnel di oscurità e solitudine. Ma è solo una grande cavolata. Nel momento in cui pensi di poter smettere quando vuoi sei fregato. È in quell’esatto momento che diventi dipendente. È in quell’esatto momento che sai già che non avrai più una vita. Io ne ero consapevole. Eppure, se non mi avessero ricoverata per overdose, non avrei mai smesso.
Il volto di Josh rimane serio per tutto il tempo. Sul suo viso non compaiono odio, pena o dolore. È attento a ogni mia parola.
Quando smetto di parlare abbasso lo sguardo sulle nostre mani intrecciate. Sento il terrore solo al pensiero che è possibile che decida di lasciare andare le mie. Mi torna in mente Edoardo che mi lasciava. Mi ricordo mentre correvo via, lontano da lui, e decidevo di uccidere la piccola creatura che stava crescendo in me. Ho paura che Josh si allontani terrorizzato da me. Che mi dica che il mio passato è troppo per lui. Ho così tanta paura di perderlo…
Ma le sue mani non lasciano le mie, al contrario, le stringono. Alzo lo sguardo su di lui e lo vedo che mi fissa. Sono senza parole.
«Io non ti lascio.» dice guardandomi intensamente negli occhi.
Sento le lacrime che ricominciano a rigarmi il viso, mentre lo guardo sorpresa. Lui allunga una mano e mi accarezza una guancia bagnata da lacrime salate. Mi sorride incoraggiante. Non è rimasto scioccato dal mio passato. O se lo è, ha deciso che può sopportarlo. Cerco di abbozzare un sorriso, ma tutto quello che riesco a fare è piangere ancora di più. Lo vedo che scoppia a ridere, sorpreso dalla mia reazione. Lo abbraccio forte.
«Che ne dici se rimandiamo il test di gravidanza a dopo la premiere?» mi sussurra all’orecchio.
Credo che in questo momento, se me lo proponesse, potrei anche buttarmi giù da un ponte senza la corda e l’imbragatura.  Annuisco sulla sua spalla cercando di smettere di piangere. Sto decisamente diventando patetica. Sento un improvviso bisogno di renderlo partecipe di quello che ho scoperto negli ultimi giorni.
«Io…» cerco di dire, ma le parole non escono.
«Tu?»
Faccio un respiro profondo. «Mi sa che mi sono innamorata di te.» gli sussurro ancora col viso nascosto nell’incavo della sua spalla.
Le lacrime smettono di rigarmi il viso, e sorrido. Pensavo sarebbe stato bruttissimo. Pensavo che mi sarei sentita persa. Invece mi sento bene. Mi sento come se il mio cure potesse prendere il volo da un momento all’altro. Leggero come un colibrì.
«Ti amo anche io.» mi sussurra.
Nella sua voce sento un sorriso. Vorrei guardarlo negli occhi e ripetergli quelle due parole all’infinito. Invece rimango nella stessa posizione, con la testa sulla sua spalla assaporando la dolcezza del momento. Mi ci è voluto un preservativo rotto e una possibile gravidanza per riuscire ad ammettere ad alta voce che lo amo.
 
Mi siedo sul letto e apro il portatile di Josh sulle gambe. Il fatto che domani ci sia la premiere mi ha ricordato che tra poco dovrò anche dare un esame. Il che mi riporta al fatto che io sia sempre quella dell’ultimo minuto. Sono senza speranze…
Apro la cartella di posta e cerco l’indirizzo mail del mio professore di anatomia. Lui, a differenza mia, non è quello dell’ultimo minuto. Dopo la nostra ultima lezione ci ha mandato le sue dispense in modo da preparare qualcosa di decente. Non si fida molto dei nostri appunti. Il che non è un male, dato che a guardare i mie appunti c’è da mettersi le mani nei capelli. Frecce in tutte le direzioni, cerchi attorno alle parole, scritte colorate ovunque e disegnini di organi che non hanno decisamente nulla di umano. Credo che se qualcuno vedesse questi disegni penserebbe che io sia stata rapita dagli alieni.
Mentre salvo i file sul desktop, Josh entra in camera, portando con se un buonissimo odore di frittelle. Connor deve essersi alzato presto sta mattina. Alzo lo sguardo su di lui e noto che in mano ha un vassoio.
«Oooh, mi hai portato le frittelle!»
Il mio stomaco brontola forte, segno che avevo proprio bisogno di queste frittelle. Josh lascia il vassoio sul letto e si sdraia accanto a me appoggiando la testa sulle mie gambe. Sposto il computer per fargli spazio e tiro verso di me il vassoio. Oltre alla frittella c’è anche una tazza di caffè e un bicchiere di succo d’arancia. Prendo il bicchiere col succo d’arancia e lo bevo tutto d’un fiato.
«Che stavi facendo?» dice Josh guardandomi in faccia dal basso.
«Guardavo le dispense che mi ha mandato il mio professore di anatomia.»
Lui mi fissa mentre mi ingozzo e poi prende il suo iPhone. Comincia a pasticciare sullo schermo e, con la coda dell’occhio, noto che è su twitter. Una notifica gli mostra che ha una menzione, ma a lui sembra non importare più di tanto. Va su e giù sulla sua timeline con fare annoiato.
«Sai, dovresti guardare le tue menzioni.» gli dico prendendo in mano la tazza di caffè.
Lui mi lancia un’occhiata e poi torna a guardare lo schermo dell’iPhone.
«Se guardassi tutte le menzioni non potrei staccarmi un attimo dal telefono.» dice sorridendomi tranquillamente. «Sono quasi tutte uguali, comuque. Tutte scrivono le stesse cose. E poi ci sono quelle che scrivono nella loro lingua, il che è un po’ strano visto che il non capisco quello che scrivono…»
Potrei mettermi a ridere, se non fosse che anche io lo facevo. Scrivevo frasi filosofiche in italiano e poi citavo Josh. Ovviamente, non mi sentivo completamente apposto, ma non ci trovavo niente di male. Lui comunque non mi avrebbe mai risposto, perciò mi ero messa l’anima in pace e avevo continuato a portare avanti il mio spirito fangirl.
«Aspetta…» dice tirando su la testa per guardarmi negli occhi. «Lo facevi anche tu?»
Senza guardarlo mi nascondo dietro la tazza di caffè, facendo finta di sorseggiare la bevanda ancora bollente. Me la prendo con comodo, mentre lui continua a guardarmi cercando di capire a cosa sto pensando.
«Ovviamente no…» dico cercando di sembrare seria e convincente. «Non mi abbassavo a certi livelli io!»
Josh alza il sopracciglio guardandomi scettico.
«Che c’è? E’ vero!»
Lui continua a guardarmi scettico e il suo sopracciglio si alza ancora di più. Credo che abbia capito che non gli sto dicendo la verità…
«E va bene! Ero una di quelle fan che ti citavano inutilmente. Sei soddisfatto? Però gli auguri te li scrivevo sempre in inglese…»
Mi guarda sogghignando. «Ah sì?»
«Sì. E ti scrivevo delle bellissime frasi.»
Lui scoppia a ridere divertito.
«Non c’è niente da ridere! E comunque, anche tu non dovresti considerarti del tutto finito. Vogliamo parlare dei tuoi tweet?»
«I miei tweet sono geniali.» dice facendomi la lingua.
«Certo, come no… Come “The pencil is red.”!»
Il suo viso si illumina mentre un sorriso gli mette in evidenza la sua perfetta mascella. E’ incredibile come io non sia ancora riuscita ad abituarmi a questi sorrisi. Sento il cuore martellarmi nel petto. Potrei sciogliermi da un momento all’altro. fortunatamente lui torna ad appoggiare la testa sulle mie gambe, e il mio cure riprende il ritmo di sempre, per quanto la vicinanza di Josh glielo possa permettere.
«Quindi eri una di quelle pazze sclerate che urlano non appena escono nuove foto…» dice con un sorriso furbetto in faccia. QUEL sorriso furbetto in faccia. «Interessante… perché non me ne hai mai parlato?»
Sta per scoppiare a ridere. Lo sento che cerca di trattenere le risate. Gli lancio un’occhiata assassina e torno al mio caffè. Faccio per bere, ma la bevanda è ancora calda. Mi scotto la lingua. Josh scoppia a ridere e si tiene la pancia. Immagino che questo sia solo un pretesto per ridere dell’immagine che sono sicura si è fatto di me attaccata al computer a gridare come una cretina ogni volta che esce una sua nuova foto. Sapendo che porto anche gli occhiali, non è molto difficile capire perché non riesce a trattenere le risate. Scuoto la testa contrariata. Josh intanto ha smesso di ridere.
«Scusa…» dice sorridendo, nient’affatto dispiaciuto. «E’ che ho un immagine troppo divertente in testa!»
Scoppia di nuovo a ridere. Lascio che faccia. Sposto il vassoio e mi rimetto a leggere il materiale di anatomia. Non ho nessuna intenzione di perdere altro tempo. Quando finalmente si riprende torna ad appoggiare la testa sulle mie gambe e ricomincia a guardare la schermata di twitter. Lo vedo che scrive qualcosa e con la coda dell’occhio riesco a leggere.
 
Anatomia è un passatempo migliore di quanto possa esserlo io.
 
«Josh!» gli urlo, facendolo sobbalzare. «Cosa scrivi?!»
Lui scoppia ridere e poi pubblica il tweet. Avrei voglia di tirargli un pugno. Se lo meriterebbe anche, dato che in questo esatto momento, milioni di fan nel mondo si stanno chiedendo che cosa rappresenti questo tweet senza senso. Non che ci sia più da impressionarsi. Tutto quello che scrive Josh è senza senso. Mi chiedo se tutti quei bei discorsi alle premiazioni se li scrivesse da solo… Vedo che cerca il mio nome e va a curiosare sul mio profilo. Non ci trova molto, visto che avevo cancellato tutto.
«Di quanti secoli fa è questa foto?»
Lancio un occhiata veloce alla foto. È di quando facevo terza liceo. Avevo i capelli legati ed ero il laboratorio di chimica. Ero tutta concentrata, senza trucco e con le lenti a contatto. Mi stavo divertendo un sacco con la pipetta a fare scendere una goccia alla volta nel baker tarato. Mi era sempre piaciuta quella foto, perciò avevo deciso di lasciarla.
«Avevo appena compiuto sedici anni.» dico fissando la mia foto.
«Eri così carina tutta concentrata! Però, se vuoi che io ti segua, dovremmo cambiarla…»
«Qual è il problema di quella foto?»
«Nessun problema. Però perché non provi a mettere quella con Emma?»
«Fai come vuoi.» dico rimettendomi a leggere gli appunti. «Basta che la smetti di distrarmi.»
Mi costringe a entrare col mio profilo dal suo telefono e poi la smette di darmi fastidio. Prende a pasticciare per un po’ e poi mi mostra la mia nuova icon. Quando lo zittisco in malo modo ci rimane un po’ male, fa per dire qualcosa ma poi decide che è meglio smettere di infastidirmi. Vedo che chiude gli occhi, ma non si addormenta. Il suo respiro non cambia e ogni tanto lo vedo con la coda dell’occhio che apre gli occhi e mi guarda dal basso. Mi chiedo cosa stia pensando. Mi piacerebbe saperlo. Dopo un po’ mi accorgo che ho riletto la stessa riga per la quinta volta e sbuffo. La presenza di Josh mi distrae.
«A cosa stai pensando?» gli chiedo curiosa mettendo il computer da parte. Ho appena rinunciato a studiare anatomia.
«Pensavo di dover smettere di parlare…» dice mostrarsi offeso, ma vedo che cerca di non sorridere.
Mi chino su di lui e gli poso un leggero bacio sulle labbra. Sento il sorriso dipingersi sul suo volto. Cerca di approfondire il bacio, ma io mi tiro su. Sto ancora aspettando una risposta alla mia domanda. Alzo un sopracciglio come aveva fatto lui poco fa.
«La tua presenza mi distrae.» dico in tono indifferente. «A cosa pensi?»
Rimane per un attimo in silenzio.
«Pensavo che mi piacerebbe il nome Clarissa.» dice sorridendo al soffitto. «Sai, mi è sempre piaciuta l’idea che si può abbreviare con Clary…»
Rimango sconvolta. Il mio corpo si irrigidisce, ma lui non sembra accorgersene, troppo impegnato a guardare il soffitto con aria sognate.
«E se è un maschietto… Mi piacerebbe il nome Andrew. Tu che ne pensi?»
Non riesco a guardarlo. Nella mia testa si affollano immagini di bambini piccoli e mi torna alla mente Strizzacervelli. In questi ultimi giorni sto pensando a lui un po’ troppo spesso. Non credo sia un buon segno. Come non è un buon segno il fatto che Josh si diverta a fantasticare su come potremmo chiamare la creatura, che non sappiamo neanche se realmente esista, che potrei portare in grembo. Sento in lontananza la voce di Josh che mi chiama.
«Penso che non siamo nemmeno sicuri che io sia incinta.» il mio tono è piatto.
Il solo pensiero che io possa essere realmente incinta mi terrorizza. Credo di essere troppo giovane per avere un bambino. Per non parlare del fatto che la prima volta che sono rimasta incinta ho abortito. Il ricordo della stanza di psichiatria mi fa rabbrividire. Fortunatamente Josh non se ne accorge.
«Lo so… Ma se lo fossi?»
Vorrei dirgli che non voglio pensarci. Che non voglio avere un bambino. Che sono terrorizzata al solo pensiero. Che noi due siamo troppo giovani per mettere su famiglia. Che stiamo assieme da troppo poco tempo. E se ci lasciassimo? E se succedesse qualcosa di brutto? Non voglio avere il peso di una bambino piccolo sulle spalle… Ma il suo viso sognante mi lascia senza parole. Sembra che lui stia davvero prendendo in considerazione l’ipotesi che potrei essere incinta. E credo che l’idea non gli dispiaccia più di tanto. Ha un’aria felice, mentre pensa ai possibili nomi che il nostro bambino potrebbe avere. Sento una fitta allo stomaco. Chi sono io per distruggere le sue fantasie prima di avere qualcosa di concreto tra le mani? Josh sembra contento, e non voglio vedere la sua espressione farsi cupa solo perché io ho insistito sul fatto che potrei anche non essere incinta.
«Credo che Clarissa e Andrew siano carini…» dico cercando di suonare convincente.
Non credo che il mio tono fosse proprio come avrei voluto, ma Josh sembra felice della mia risposta. Mi sorride raggiante e poi torna a guardare il soffitto, immerso in chissà quali pensieri.
 
La stanza dell’albergo è grande e luminosa. Le pareti sono colorate di un panna perlato che sembra scintillare. Un grande caminetto su un lato del salotto lancia sfumature arancioni su un divano in pelle bianca che riempie metà salotto. Davanti al divano, su un tavolino moderno in vetro, c’è un grandissimo mazzo di fiori che profuma tutta la stanza. Il pavimento è in legno e, proprio davanti al divano, è coperto da un meraviglioso tappeto nero con disegni astratti grigi e perlati. La camera da letto è enorme, come tutto il resto della stanza. Le pareti sono rosse scure, abbinate al copriletto. Un televisore al plasma ultrasottile è fissato alla parete di fronte al letto. Una porta da su una cabina armadio vuota e piena di specchi, che io non riuscirei a riempire nemmeno mettendoci dentro i vestiti che ho usato da quando sono nata fino ad oggi. Perfino il bagno è enorme. Credo di non essere mai stata in una bagno così grande. C’è una doccia quadrata che riempie metà del bagno, chiusa da vetri opachi. Tutto è moderno in questa stanza.
Mi butto sul letto morbido. «Wow…» dico a Josh, che mi guarda divertito sulla soglia della camera. «Potrei perfino abituarmi a tutto questo.»
Vedo che fa per ribattere, ma in quel momento la porta della camera di albergo, che io credevo di aver chiuso a chiave, si apre con un rumore forte e sento la voce si Jimmy che impartisce ordini a qualcuno.
«A che ora arriva Jillian?» dice in tono dittatoriale.
«Per le due e mezza.» dice efficiente la voce che riconosco come quella della sua segretaria.
«Bene. Fai in modo che abbia tutto quello di cui ha bisogno per quell’ora. Non ammetto ritardi di nessun tipo.»
«Ecco…» la voce della segretaria si fa evasiva. «Ci sarebbe… ci sarebbe un piccolo…»
Jimmy parla prima che lei riesca a finire la frase.
«Cosa stai blaterando?»
«Ecco…» la sua segretaria fa un respiro profondo, come per prendere coraggio. «L’autista che sta trasportando gli abiti di Ilaria e Josh è bloccato nel traffico. Potrebbe non riuscire ad essere qui per le due e mezza…»
Jimmy potrebbe esplodere, letteralmente, da un momento all’altro.
«E ALLORA COSA FAI ANCORA QUI?!» urla alzando la voce di troppe ottave per le mie orecchie. «Fai qualcosa! MUOVITI! Chiama il Padre Eterno se devi, ma fai in modo che tutto quello che serve a Jillian sia qui prima di lei!»
Sento dei tacchi a spillo correre fuori dalla stanza e poi una porta sbattere. Sono ancora sdraiata sul letto quando Jimmy fa la sua entrata. Ovviamente, è tutto agghindato perfettamente, anche se non credo che quello sia il suo abito definitivo per la premiere. Dubito che voglia presentarsi con una giacca rossa e i pantaloni blu con motivi a quadri. Insomma, questa è la premiere che potrebbe cambiargli la carriera! Lo saluto con una sorriso, ma prima che Josh possa fare altrettanto, Jimmy lo prende per una braccio e lo chiude fuori dalla camera da letto.
«Ma che fai?» chiedo sbalordita.
Senza guardarmi, Jimmy socchiude la porta quanto basta per riuscire a guardare la figura imbambolata di Josh.
«Ilaria deve prepararsi.» dice riprendendo il tono dittatoriale che aveva con la sua assistente. «Adesso la metto apposto prima che arrivi Jillian e poi sono da te per prepararti.» Fa per chiudere la porta, ma poi si ricorda di una cosa importante. «Non provare ad entrare in questa camera. Non sei il benvenuto finché la tua ragazza non sarà pronta.»
Lo guardo sconvolta. Se questo è l’atteggiamento che assume Jimmy in preparazione a una premiere, cosa farebbe se dovesse organizzare un matrimonio? Tremo solo al pensiero. Josh protesta da dietro la porta, ma a un urlo di Jimmy si zittisce, decidendo che forse è meglio non fare arrabbiare lo stilista. Non oggi, almeno.
Jimmy inizia a torturarmi. In camera entra un’estetista che elimina tutti i peli da ogni parte del mio corpo. Praticamente il suo lavoro è quasi inesistente, dato che mi aveva fatto la ceretta due giorni prima, ma contrariare Jimmy e il suo tono da dittatore oggi non è cosa buona e giusta. Poi, lo stilista, mi fa fare la doccia e dopo, borbottando infastidito che non ha intenzione di fidarsi di nessuno oggi, mi spazzola i capelli. Poi li avvolge in un asciugamano ed esce dalla stanza, lasciandomi lì senza spiegazioni. Chiude a chiave la camera da letto una volta uscito. Josh gli chiede qualcosa, ma non lo sento rispondere. Poi la porta della camera di albergo sbatte e immagino che sia uscito.
Dopo nemmeno cinque minuti Jimmy rientra nella stanza e questa volta è accompagnato da una donna. Alta, magra, bella e bionda. Mi sento un sacco dell’immondizia in confronto a lei. Mi sorride raggiante e si avvicina tendendomi la mano. Mi alzo tenendomi stretto l’accappatoio che ho addosso da quando sono uscita dalla doccia.
«Io sono Jillian Dempsey.» dice solare, stringendomi gentilmente la mano.
Sorrido, contagiata dal suo sorriso solare. «Ilaria.»
Il suo nome l’ho già sentito da qualche parte, ma non ho proprio idea di chi possa essere lei. Da come Jimmy ne parlava, però, immaginavo che mi sarei trovata davanti una vecchia signora tutta agghindata che pretendeva tutto apposto esattamente quando e dove lo voleva lei. Jillian, invece, è vestita sportiva e sembra che non gliene importi niente del fatto che Jimmy si stia scusando ripetutamente con lei perché i vestiti e il materiale per il suo lavoro sia bloccato in mezzo al traffico, affidato ad un autista decisamente troppo incapace. Noto che il tono di voce di Jimmy è cambiato. Se prima era il tono che avrebbe potuto usare un dittatore, adesso sembra che dalla sua bocca escano cuoricini e arcobaleni. Jillian declina tutto il suo blaterale con una gesto della mano. Incredibilmente, Jimmy smette di parlare. Se questa donna riesce a fare smettere di parlare lo stilista con un solo gesto della mano, deve essere veramente importante!
«Io sono la tua make up artist.» dice rivolgendosi a me con un sorriso.
Una lampadina si accende nella mia testa.
«Ora mi ricordo chi sei!» dico spalancando gli occhi.
Mi ricordo che avevo iniziato a seguire il suo lavoro dopo che avevo scoperto che era la make up artist di Jennifer Lawrence. Avevo scoperto che lavorava anche per Kristen Stewart e per tantissime attrici di fama mondiale. In quel momento avevo deciso che, se mai fossi diventata famosa, l’avrei voluta nel mio staff di preparatori. Mi chiedo come Jimmy lo potesse sapere. Insomma, non gli ho mai parlato del fatto che fossi una fan di Jillian Dempsey! Forse Jimmy ha iniziato a leggermi nel pensiero… Sento un brivido. Chiacchieriamo per un po’, in attesa che arrivino i vestiti e i trucchi di Jillian. Quando poi Jimmy riceve una chiamata dall’autista che lo sta aspettando fuori ci annuncia tutto contento che siamo pronti a metterci all’opera.
«Bene!» dice lei con fare pratico, ma continuando a sorridere. «Mettiamoci subito al lavoro!»
Jimmy esce di corsa dalla camera da letto. In meno di due secondi è di ritorno accompagnato dalla sua assistente, che corre su dei trampoli allucinanti, e un fattorino che porta mille valige e valigette. La visione sarebbe anche ridicola, se non fosse che sto ancora elaborando il fatto che a preparami sarà Jillian Dempsey. Anche lei li fissa divertita. Jimmy urla dietro, con fare dittatoriale, a tutto quello che gli sta attorno. Ho quasi paura che si metta a urlare contro la poltrona che intralcia il suo cammino. Solo quando si rivolge a Jillian il suo tono assume una sfumatura tanto dolce e piena di ammirazione da farmi venire il vomito. La sua assistente, capelli lunghi e neri che continuano ad andarle davanti agli occhi e le intralciano i movimenti, cerca di eseguire tutti i suoi ordini tenendo in mano un iPhone che continua a vibrare insistentemente. Immagino che Jimmy sia un uomo abbastanza impegnato, visto che lei non si stacca un attimo da quel telefono! Cammina talmente veloce che se prendesse una storta si romperebbe l’itera gamba. E poi c’è il fattorino. Un omino basso e mingherlino che suda freddo per il terrore che possa sbagliare uno dei milioni di ordini che gli sta dando Jimmy. Lancio un’occhiata a Jillian che se la sta ridendo di gusto. Io opto per uno scuotimento contrariato del capo. Ridere potrebbe fare andare Jimmy su tutte le furie, e Dio solo sa se riuscirei a sopportare le sue urla da donna isterica. Quando finiscono di trafficare per rendere il lavoro più agevole a Jillian, lei li fa uscire tutti dalla stanza mettendo fine a tutte le parole, che traboccano ammirazione ovunque, di Jimmy chiudendolo fuori dalla stanza.
«Ok.» dice poi rivolgendosi a me con un’espressione professionale in faccia. «Possiamo cominciare.»
Mi fa sedere sulla poltrona che, fino a poco prima, intralciava i movimenti da donna in pieno ciclo mestruale, di Jimmy. Dopodiché copre tutti gli specchi presenti nella stanza. La guardo interrogativa e lei mi sorride con un’alzata di spalle.
«Non voglio che tu ti veda finché non ho finito.» spiega tranquillamente.
Apre tue le sue borse e valige sul letto. Poi, piano, piano comincia a chiudere quelle che contengono colori e sfumature che stanno male sul mi viso. Mi fa chiudere gli occhi quando rimangono poche trousse aperte sul letto. Prima di iniziare mi fa indossare il vestito che metterò alla premiere, in modo che non ci sia alcuna possibilità di sporcarlo. Poi mi fa indossare un accappatoio per coprirlo. Inizia a pennellarmi e a truccarmi il viso. Usa un sacco di roba di cui non conosco nemmeno la funzione. Non sono una che si trucca molto. Le uniche cose che uso sono la matita nera e il mascara. Il resto è qualcosa avvolto in una nube di mistero. Vedere tutta la roba che tira fuori dalla trousse mi mette decisamente a disagio. Quando finisce guarda contenta la sua opera poi, prima che io possa aprire bocca, esce dalla stanza. La sento che chiede a Jimmy, che sono sicura sia impegnato a preparare Josh, di mandarle nell’altra stanza la parrucchiera che fa parte del suo staff. In pochi minuti la parrucchiera è nella mia stanza e mi asciuga velocemente i capelli. Jillian le da istruzioni su come sistemarmeli. Non vuole acconciature strane. Vuole sono che i miei capelli siano un po’ mossi e mi ricadano sulle spalle. Niente di troppo impegnativo. Non è nel suo stile. Jillian rimane per tutto il tempo nella camera assieme a me per controllare il lavoro. Quando la parrucchiera finisce la fa uscire dalla stanza e chiama Jimmy, che arriva quasi saltellando dalla felicità. Quando entra rimane a bocca aperta. Jillian lo guarda sorridendo, credo più per il fatto che non stia parlando che per il fatto che sia rimasto sorpreso dal suo lavoro. Credo che questa donna abbia una grande stima di se stessa. Vedendo che Jimmy non riesce a proferire parola, decide di scoprire tutti gli specchi. Mi fa togliere l’accappatoio e mi fa indossare le scarpe col tacco. Sono sorpresa dal fatto che camminarci sopra non mi dia alcun problema. Credo che tutte quelle ore passate con Jimmy abbiano dato i loro frutti. Jillian mi fa posizionare davanti a uno specchio e, per la prima volta, vedo la mia immagine dopo il “trattamento Dempsey”, come l’aveva chiamato Jimmy.
Sono bella. Per la prima volta in vita mia riesco a definirmi bella.
Il trucco sul mio viso è leggero. Niente che mi cambi completamente. Sono sempre io, ma con un lieve strato di trucco che migliora l’aspetto della mia pelle. I miei occhi castano-verde sono messi in risalto da un leggero trucco perlato sfumato di nero. Le mie lunghe ciglia risaltano grazie al mascara nero. Le labbra sono tinte di un lucidalabbra che nemmeno si nota. La mia pelle sembra perfetta. I capelli, lunghi fin sotto le spalle, non sono acconciati in modo stravagante o troppo lavorato. Mi ricadono leggeri sulle spalle, lisci, ma con le punte leggermente mosse. Il vestito perfetto disegnato da Jimmy mi sta benissimo. Il colore del trucco sui miei occhi si sposa perfettamente col vestito. Bianco, ricoperto da un tessuto sottile nero che gli da una sfumatura nero-viola, mi fascia il seno, per poi ricadere largo sul mio corpo. È decisamente corto per i mie standard, ma, come la prima volta che l’avevo visto, mi piace. Jimmy ha apportato delle modifiche. C’è un piccolo motivo floreale nero che parte dal basso da un lato del vestito, per poi girare sulla schiena e terminare sulla parte del vestito che mi fascia il seno. Le scarpe sono uguali. Nere, coperte con lo stesso tessuto che copre il vestito, ma bianco. Anche alla pochette sono state apportate le stesse modifiche del vestito, infatti ci sono gli stessi motivi floreali.
Rimango a bocca aperta a fissare la mia immagine. Sorrido a Jillian e a Jimmy, e loro mi sorridono di rimando. Non riesco a dire niente, perciò immagino che quel sorriso valga più di mille parole. Jimmy fa per dire qualcosa, ma poi torna ad ammirare la mia immagine nello specchio. Vedo con la coda dell’occhio la porta aprirsi.
«Jimmy, la tua assistente…» Josh entra nella stanza convinto. I suoi occhi si posano sulla mia immagine riflessa nello specchio e lo vedo che si blocca di botto, restando con la bocca aperta. «Wow..!» è l’unica cosa che riesce a dire.
Lo guardo con un mezzo sorriso. Non credo che mi definirei “wow” ma, guardandolo in faccia, capisco che non riesce a trovare altre parole per descrivermi. Si avvicina piano, piano come se stesse guardando un miraggio. Anche lui è già pronto. Indossa un completo di giacca e cravatta nero che, alla luce giusta, rimanda al colore del mio vestito. Jimmy ha davvero fatto un bel lavoro. Avanza con una mano nella tasca dei pantaloni e la bocca per metà aperta. Ha lo sguardo imbambolato e credo di non averlo mai visto così bello in nessuna foto. Ha uno strano sguardo, immagino che si possa definire quasi… innamorato. Mi guarda con una luce diversa negli occhi. Una luce che nessuna foto potrebbe immortalare. Una luce che, incredibile a dirsi,  sono io a provocargli. Se qualcuno, qualche mese fa, mi avesse detto che tutto questo sarebbe successo proprio a me, probabilmente gli avrei riso in faccia dicendogli di smetterla di prendermi in giro. Invece eccomi qua, a guardare Josh Hutcherson che mi guarda imbambolato. Se questo è un sogno, vi prego, non svegliatemi mai.
«Sei bellissima.» dice guardandomi negli occhi.
Credo che potrei quasi mettermi a singhiozzare e rovinare tutto il lavoro di Jillian. Gli sorrido, e per un po’ i nostri sguardi rimangono intrecciati scambiandosi tutti quei sentimenti che le parole non possono esprimere. Ti amo, gli dico con gli occhi. È l’unica cosa a cui riesco a pensare in quel momento. Il mondo attorno a noi scompare e, per un attimo, esistono solo i suoi occhi che mi dicono quanto mi ama.
Solo per un attimo. Poi Jimmy, rovina tutta la magia del momento.
«Sì, è proprio bellissima.» dice seccato. «Ma io ti avevo detto che non avresti dovuto mettere piede in questa stanza fino a contrarie istruzioni.»
Raggiunge la porta a passo di marcia e chiude fuori Josh con uno sbuffo scocciato.
 
Una limousine ci viene a prendere all’albergo per portarci alla premiere. Ci fanno entrare in fretta e furia, in modo che nessun paparazzo possa scattarci foto prima del previsto. Una volta dentro, Josh tira fuori l’iPhone e me lo porge per metterlo nella piccola pochette. Quando prendo il telefono in mano, mi balena un’idea in testa.
«Facciamoci una foto.» dico sorridendo a Josh.
«Cosa?» chiede preso in contropiede dalla mia improvvisa affermazione.
«Facciamoci una foto.» ripeto sbloccando il telefono di Josh e toccando l’icona della fotocamera. «Ti prego, voglio pubblicarla su twitter!»
«Cosa? No!» dice lui sorpreso. «Perché vorresti pubblicarla su twitter?»
«Perché voglio che tutti sappiano quanto sono stata fortunata.» dico guardandolo dritto negli occhi. «Per una volta, voglio poter essere orgogliosa di quello che ho.»
Per un attimo mi guarda sorpreso, poi mi sorride. Con un’alzata di spalle si avvicina e si posiziona per la foto. Scatto e poi fisso per un attimo la foto. Io sono resa bella dal lavoro di Jillian, ma lui è decisamente perfetto. Sorridiamo felici e io intravedo nei miei occhi quel luccichio che poco prima, nella camera da letto dell’albergo, avevo intravisto in quelli di Josh. Lo scintillio che hanno solo gli occhi delle persone innamorate. Sento aprirsi sul mio viso un mezzo sorriso.
Accedo a twitter col mio profilo e posto la foto scrivendo “Non riesco ancora a credere che tutto questo stia succedendo nella vita reale.”
Poi metto il telefono di Josh nella pochette e faccio un respiro profondo.
La limousine si ferma.
Un uomo apre la portiera dalla parte di Josh.
Lo vedo che mi sorride incoraggiante e poi scende dall’auto salutando felice la folla urlante.
Si volta.
Mi porge la mano.
Sento l’ansia che mi assale, mentre guardo prima la mano e poi Josh.
Metto un piede fuori dall’auto.
Sento solo urla.
Vedo solo flash.
Stringo forte la mando di Josh.

 
 

SPAZIO AUTRICE.

 

Saaaaalveeee geeeeenteeee!
Ok, ci sono decisamente troppe “e” e troppe “a”… e.e
 
SALVE GENTE!
Così sembra troppo capslockoso.
 
Salve gente!
Ok, così va decisamente meglio.
 
Ok, dopo tutti questi saluti scommetto che la maggior parte di voi starà pensando che io sia da ricovero e.e
Anyway!
Piaciuto il capitolo? :3
Scusate se ci ho messo così tanto, ma lo studio mi sta uccidendo lentamente… >.<
Comunque voi siete meravigliose! Io vi adoro! Facciamo un mega-virtual-hug (?) :3 *gli scleri di una scrittrice di FF*
 
Per chi non la conoscesse, Jillian Dempsey è veramente una Make Up Artist e si è occupata veramente del trucco della nostra bellissima Jen :P
 
Boh, adesso che vi ho lasciate con questo finale molto… boh, molto qualcosa, posso anche lasciarvi senza dire niente :)
 
Baci, baci dolcezze! <3
 
P.S. Nelle prossime settimane mi resterà difficile trovare tempo per scrivere, quindi non pensate che io sia morta se non aggiornerò e.e

 

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Capitolo 13
*** The Forgotten ***


The Forgotten.

Well don’t look away from the arms of a bad dream,
Don’t look away, sometimes you’re better lost than to be seen.
Don’t look away from the arms of the moment,
Don’t look away from the arms of tomorrow,
Don’t look away from the arms of the moment,
Don’t look away from the arms of love.
Green Day – The Forgotten.

 
 
 

Il vociare si spegne piano, piano. L’ansia aumenta sempre di più. Sai perfettamente che tutto dipende solo ed esclusivamente da te. La prima impressione è la più importante. Quella che deciderà se puoi farcela o no. Se puoi andare avanti o devi fermarti. Se quello che stai facendo piacerà oppure no.
Dietro le quinte, tutti si fermano. Sei al centro del palco scenico, consapevole che la prima scena la dovrai fare da sola. Il peso del silenzio ricade pesantemente sulle tue spalle. Vuole costringerti a cedere. A sbagliare la prima battuta. A mandare a monte tutti gli sforzi fatti nei mesi precedenti per fare venire la prima scena decentemente. Mesi e mesi di lavoro che… puff, vanno a finire nel cesso. Ma tu cerchi di non cedere. Rimani lì, al centro della scena. Il sipario ancora non si alza. Aspettano che tutti si zittiscano in teatro. Le luci si affievoliscono lentamente, fino a spegnersi. Fai un respiro profondo. Ripassi le battute mentalmente. Cerchi di tranquillizzarti. “Coraggio! Hai passato mesi e mesi a provare! Puoi farcela.”
Poi, lentamente, il sipario si alza. I fari si puntano su di te. Vedi solo la luce. Non vedi più gli spettatori, anche se sei consapevole della loro presenza. Fin troppo consapevole. Tutto è silenzioso. Stanno tutti aspettando che tu dica le tue battute. Ma dalla tua bocca non esce niente. Vuoto. Non ti ricordi più niente. Che cosa devi fare? Che cosa devi dire? Vuoto. Non sai nemmeno più come si fa a parlare. Sei nel panico più totale. Vorresti quasi scappare via urlando. Ti vien voglia di tirare giù tutti i santi. Lo sapevi benissimo che non ce l’avresti fatta. E allora perché sei lì? Perché hai acconsentito a salire su quel palco scenico, che tanto temevi, per prima? Nero. Vuoto. Il nulla.
Intanto i minuti passano. Sembrano ore. Giorni infiniti. E tu sei lì. E la gente comincia a stufarsi di rimanere a guardarti mentre fai scena muta. Come una commissione d’esame.
Poi, intravedi uno spiraglio di luce. Una parola. Puoi una frase. Ecco! Adesso ricordi il tuo discorso! Apri la bocca e senti il suono della tua voce. Ora che sei riuscita a parlare, niente potrà fermati…
 
Stringo forte la mano di Josh. Forse troppo forte, ma lui non sembra preoccuparsene. Sorride. Sorride alla folla urlante. Sorride alle telecamere che ci inquadrano. Sorride agli intervistatori che aspettano solo di poterlo intervistare. Sorride a me.
Sorrido anche io. O, almeno, credo di sorridere anche io. Un immagine di noi due compare su un mega schermo posizionato in mezzo alla folla alla mia destra. Josh è del tutto a suo agio mentre saluta la folla con la mano che non sta subendo le mie torture. Io, invece, sembro un manico di scopa. Si vede benissimo che mi sto letteralmente reggendo alla mano di Josh. I miei muscoli sono tesissimi. Sento l’ansia che si impadronisce di me. Potrei anche a mettermi a correre a perdifiato in questo momento. Tutto pur di allontanarmi da tutta questa grande stupidaggine. Perché sono qui? Perché mi sono lasciata convincere? Mi voglio proprio così male da andare volontariamente in contro a morte certa? L’ansia si mescola al terrore provocato dal fatto che non so cosa questa gente stia pensando di me. Immagino che nessuno si sorprenderebbe se scoppiassi a piangere e mi nascondessi dietro a Josh. Faccio un respiro profondo, cercando di elencare dieci buoni motivi per non scappare. “Primo motivo.” Dico mentalmente. “Sono qui per fare felice Josh.” E’ un buon motivo. Sì, è decisamente un buon motivo. “Secondo motivo.” Penso cercando di auto-convincermi che il secondo sarà ancora meglio del primo. “Sono qui per fare un favore a Jimmy.” Sì, anche questo è un buon motivo. Dopotutto, mi sono davvero affezionata a Jimmy, quindi perché non dovrei essere qui per fare un favore anche a lui?
Mi guardo attorno. C’è una marea di gente. Fan che urlano e cercano di fregarsi il posto proprio dietro le transenne in modo da farsi fare l’autografo e magari anche una foto col proprio idolo. I flash delle loro macchine fotografiche illumina la passerella a giorno. Davanti a me, una lunga passerella, che sembra non finire mai, all’aperto è coperta da un tappeto rosso. Ai lati, dietro alle transenne, ci sono i fan urlanti. In mezzo a loro, sono stati montati mega-schermi che riportano le immagini degli attori che sfilano sul red carpet, in modo che tutti possano vederli. Davanti a noi, all’entrata del teatro dove verrà proiettata la prima del film, ci sono tantissimi poster, più alti di me, con i nomi degli sponsor e la locandina del film. Tutto è immerso in uno spazio talmente enorme che mi sento leggermente spaesata, oltre che terrorizzata e completamente nel panico. Sento Josh che mi tira per la mano. Lo guardo con gli occhi sbarrati per fargli capire quanto sono terrorizzata in questo momento. Lui mi guarda per un attimo poi, come se tutto attorno a noi non ci fosse nessuno, si avvicina e mi posa un bacio leggero sulla guancia. Sento il calore invadermi le guancie e vorrei che non l’avesse fatto. Non perché mi dia fastidio, ma perché mi viene solo più voglia di correre via. Il che mi riporta ai dieci motivi per cui devo restare qui. “Ok… dove eravamo? Ah, sì. Terzo motivo.” Dico cercando di sciogliere i muscoli e smetterla di comportarmi come un manico di scopa. “Perché voglio poter essere felice di quello che ho.” Anche questo è un motivo decente. Non come i primi due, ma direi che può andare.
Josh comincia a tirarmi e, distratto dal fatto che sto camminando, il mio corpo smette di stare rigido. Facciamo pochi passi, poi lui mi tira a sé e mi fa mettere in posa. Mi tornano in mente le parole, o forse dovrei dire le urla, di Jimmy mentre cercava di farmi fare una posa decente. Solo ora riesco ad apprezzare tutti quei pomeriggi col male ai piedi e la testa che minacciava di scoppiare. Mi faccio un appunto mentale di ringraziare Jimmy per non aver mollato con me.
I flash mi accecano, ma cerco di continuare a sorridere. Il bacio di Josh di poco prima non è stato del tutto inutile. Mi sento carica e riesco a sorridere in modo che sembri un vero sorriso e non una smorfia tirata. Lancio uno sguardo al mega-schermo davanti a me, e sono contenta del mio successo. “Motivo numero quattro.” Penso discretamente felice. “Perché non avrei mai avuto l’occasione di agghindarmi a questa maniera.”
La mano di Josh sul mio fianco è il mio salvagente. Credo di riuscire a fare tutto questo solo perché lo so qui affianco a me, anche se non posso fare a meno di chiedermi cosa succederà nel momento in cui dovrà allontanarsi per fare le interviste e la rassegna stampa. Mi lascerà in un angolino sola con me stessa? Mi daranno in pasto alle fan impazzite? Un brivido mi percorre la schiena al solo pensiero e inizio a pentirmi di avere pubblicato quella foto su twitter. Ci sono passata anche io. Nel momento in cui il tuo idolo si fa la ragazza, il mondo non può fare altro che crollarti addosso. Puoi dire di essere felice perché lui è felice, ma in realtà muori letteralmente dentro. Ed è colpa tua! Hai passato un sacco di tempo a farti storie mentali degne di un Oscar su una vita immaginaria che, sapevi benissimo, non sarebbe esistita mai, e poi la realtà ti sveglia bruscamente, ricordandoti che la vita reale è uno schifo. Che i sogni non si avverano. Mai. “Ed ecco che arriva il motivo numero cinque.” Penso filosoficamente. “Voglio dimostrare ad ognuna di loro che i sogni posso davvero avverarsi. Magari non il loro sogno di avere tanti bei bambini che porteranno il cognome Hutcherson, ma… I sogni possono davvero avverarsi.”
Continuiamo a camminare a fermarci di tanto in tanto. Dopo un po’, Josh si avvicina alle transenne e comincia a firmare sue foto, libri e locandine del film. Io rimango in dietro, facendomi da parte, per non rovinare le foto delle sue fan. Cerco di sorridere, ma dentro mi sento di troppo. Posso elencare tutti i motivi che voglio, ma in realtà, io non dovrei essere qui. E lo sanno tutti. Lo so io. Lo sanno le fan. Lo sa Jimmy. E lo sa anche Josh, ma a lui non gliene importa niente. Forse dovrei prendere esempio da lui. Semplicemente, non dovrebbe fregarmene niente. Ma è difficile, visto che sto con una star di livello mondiale.
Si avvicina e mi riprende per mano, guidandomi da un lato all’altro del corridoio per firmare autografi.
«Cosa c’è?» mi chiede ad un tratto. Credo che abbia capito come mi sento, anche se cerco di nasconderlo.
«Lo sai cosa c’è.» gli dico guardandolo negli occhi.
Per un attimo i suoi occhi si fanno seri. Poi, però, ricomincia a sorridere.
«Smettila.» dice stringendomi forte. «Sei bellissima. E questo è l’unico posto in cui devi essere. Esattamente qui, assieme a me.»
Gli faccio un mezzo sorriso. Vorrei dirgli qualcosa, ma in quel momento si avvicina un’intervistatrice seguita da un cameraman e tutta una troupe. Cerco di allontanarmi un po’ da Josh ma lui mi stringe forte, per non farmi scappare. Immagino che abbia capito che avevo intenzione di stare il più lontana possibile dalla telecamera.
«Signori e Signore, uno degli attori più attesi della serata!» dice l’intervistatrice alla telecamera. «Josh Hutcherson!» poi si volta verso Josh e gli sorride. «Allora, finalmente sei riuscito ad arrivare puntuale!»
Josh scoppia a ridere e io mi perdo nella sua risata. «Sì. Ed è tutto grazie a lei!» dice indicandomi con un gesto della mano.
Percepisco di essere arrossita e nello stesso momento in cui sorrido imbarazzata, la giornalista ride.
«Oh, eccola!» dice fendo un gesto alla telecamera di inquadrare le nostre mani intrecciate. «Finalmente riusciamo a conoscere la ragazza di Josh! Come ti senti ad essere la sua ragazza?» dice porgendomi il microfono.
Rimango scioccata. Cosa mi ha chiesto?! Perché mi sta porgendo il microfono?! “Ricorda i dieci motivi per cui non devi scappare. Ricordateli!” dice una voce angelica nella mia testa. “Ma quali dieci motivi!” sento dire ad una voce diabolica “Nemmeno li ha finiti di elencare!” Sto impazzendo. Ho due voci nella testa che si fanno la guerra. Come nei cartoni animati! Scrollo la testa e sorrido, sperando di apparire innocente.
«Ora non si vede…» dico, sperando di non apparire stupida. «Ma all’inizio avevo le braccia piene di lividi perché quando lui era nei paraggi mi riempivo di pizzicotti pensando:”Questo è solo un bel sogno!”»
La mia voce è nervosa e piena di ansia e panico. La sento tremare sulla fine, ma la giornalista ride divertita, non so se per farmi un favore o perché è realmente divertita da quello che ho detto. Mi sto prendendo in giro da sola. Però non può essere peggio di quando Josh aveva raccontato il mio episodio fangirl davanti a tutta l’America!
«Me lo immagino!» dice ancora divertita. «Posso chiedere come vi siete conosciuti?»
La curiosità nella sua voce è decisamente troppa. Mi verrebbe da risponderle “No.”, ma non credo che Josh sarebbe d’accordo. La mia mente comincia a elaborare qualche balla, in modo da tenere nascosta la verità su come ci siamo incontrati. Lui, però, non sembra condividere questa decisione di dire balle.
«Beh, è stato abbastanza divertente e insolito.» dice sorridendo al ricordo.
“Vuole davvero dirle che ero ubriaca?!” Penso, sperando che non lo faccia.
«Eravamo in un bar. Io per i fatti miei e lei con una sua amica…» continua lui imperterrito.
“No. Fermati. Non farlo!” Vuole per caso umiliarmi di nuovo davanti al mondo intero?!
«L’avevo notata perché, come potete vedere, è decisamente troppo carina…» mi sorride raggiante.
“Leccaculo.” Gli vorrei dire. Fa così solo perché vuole addolcirmi.
«Poi era rimasta sola…» dice tornando a guardare la giornalista e la telecamera.
“Sono fottuta.” I cinque buoni motivi che ero riuscita a trovare stanno sfumando tutti d’un colpo.
«E aveva cominciato a bere…» continua a sorridere contento, come se sbandierare le mie figure di merda lo compiacesse un sacco.
“Ti prego non dirlo..!” Perché non mi riesce a leggere nella mente? Sarebbe tutto più semplice…
«Poi, praticamente era ubriaca persa, è venuta da me barcollando, e mi ha detto…» mi stringe la mano, mentre l’unica cosa che vorrei fare e scioglierla dalla sua stretta.
“Fantastico, sarò lo zimbello dell’intero fandom..!” penso scocciata. Davanti alla telecamera, però, mi fingo imbarazzata coprendomi con le mani il viso rosso come un peperone. In questo momento vorrei prendere Josh a ceffoni.
«”Mi fai un autografo?”» dice imitandomi. «Poi, mi ha guardato bene e ha detto:” Tu non sei Josh Hutcherson. Io sono ubriaca! Quindi tu puoi essere Josh Hutcherson almeno quanto io sono sobria!”»
Scoppia a ridere, e con lui anche l’intervistatrice, il cameraman e tutta la troupe. Vorrei sotterrarmi, nascondermi sotto il tappeto rosso e farmi calpestare. E’ ancora peggio dell’imbarazzo che ho provato dopo che Josh aveva parlato con Fallon. Lì c’era solo Jimmy che mi poteva vedere. Qui sembra che il mondo intero mia stia deridendo. Rido con loro, sperando che la mia risata suoni vera. Sento una vergogna enorme. La prossima che racconterà quale sarà? La mia sfuriata alla madre? Le frecciatine che ci lanciavamo all’inizio io e il fratello? Il mio primo incontro con Jimmy? O magari il fatto che mi blocco ogni volta che mi sorride? Bisognerebbe farci uno show televisivo. Si chiamerebbe “Le più grandi figure di merda della ragazza di Josh Hutcherson! Raccontate per voi da Josh Hutcherson.” ne avrebbero per stagioni e stagioni.
Stringo forte la mano di Josh, per fargli capire che sono arrabbiata con lui e lui mi risponde con un sorriso da cucciolo indifeso. E io l’ho appena perdonato. Sono decisamente senza speranze. Intanto, lui e la giornalista, cominciano a parlare del film e, quando un omone enorme viene a chiamare Josh per le interviste con il resto del cast, lei sembra decisamente contraria a lasciarlo andare. Ma la procedura è la procedura.
Ci allontaniamo ancora mano nella mano.
«Lo sai che sono arrabbiata, vero?» sussurro a Josh mentre ci muoviamo verso la fine della passerella.
«Pensavo che il sorriso avesse funzionato…» dice sfoggiando il suo sorriso perfetto.
Lo guardo male. «Questa me la dovrai pagare più tardi.» dico muovendo appena le labbra.
«Come l’ultima volta…» dice lui alludendo alla mia sfuriata, decisamente mal riuscita, dopo l’intervista con Fallon.
Faccio per ribattere, ma lui mi batte sul tempo.
«Shhh…» mi dice ancora con quel sorriso furbetto. «Lo sai che sei ancora più carina quando ti arrabbi?»
«Josh Hutcherson..!» comincio a dire fingendomi arrabbiata.
Ma lui si avvicina e mi posa un bacio sulla guancia. Sento che le mie guance sono di nuovo diventate rosse e abbasso lo sguardo sul tappeto rosso, sorridendo come una bambina. Con la coda dell’occhio lo vedo sorridere soddisfatto. Rialzo la testa di scatto e faccio per dire qualcosa, ma, mentre continuo a camminare, muovo male un piede che va a intralciare i movimenti dell’altro. Mi ritrovo in un groviglio di gambe e piedi e perdo l’equilibro. Il mio cervello non ha tempo di elaborare un ordine da mandare alle mani, in modo che si aggrappino alle braccia forti di Josh. Sto per cadere, ma lui, come un principe a cavallo di un destriero bianco e fiero, mi afferra e mi tiene prima che io cada. Lo sento incredibilmente vicino. Arrossisco, pensando che mi sono appena fatta la figuraccia del secolo, che andrà a sommarsi a tutte quelle che ha reso pubbliche Josh. Lo guardo e sto quasi per ringraziarlo, ma lui mi lascia e scoppia a ridere. Ride tanto che si deve tenere la pancia e quasi cade anche lui. Gli lascio la mano infastidita e lo guardo con aria assassina. Vorrei che tutta questa gente attorno a noi non ci fosse, ma credo sia solo grazie a questo sottofondo continuo di urla che non ho ancora preso Josh a ceffoni. Io mi sono appena umiliata pubblicamente, senza il suo aiuto, e lui scoppia a ridere come un bambino. Cerco Jimmy con lo sguardo, ma non riesco a vederlo. Vorrei che fosse qua, in modo che Josh possa andarsene. Sta ancora ridendo quando si riavvicina e mi prende la mano. Il fatto che siamo al centro della passerella, mi impedisce di lasciargliela andare, ma non mi impedisce di lanciargli uno sguardo truce. 
«Ti amo così tanto.» mi sussurra gentilmente all’orecchio.
Divento rossa in viso e cerco di darmi una regolata. Non è possibile che riesca a farsi perdonare con così poco!
Arriviamo davanti a Jimmy e Josh mi lascia la mano.
«Ti lascio in buone mani.» dice solo, sorridendo e camminando velocemente verso l’entrata del teatro dove ad aspettarlo ci sono gli altri membri del cast.
Vedo che si mettono in posa per le foto e poi un’intervistatrice li raggiunge e comincia a fare domande a tutto il cast. Rivolgo a Jimmy uno sguardo perplesso e lui mi sorride tutto contento.
«Vieni.» dice prendendomi a braccetto. «E’ il tuo momento!»
Non so che cosa significhi tutto questo, ma ne sono decisamente terrorizzata.
Comincia a farmi sfilare con lui sotto braccio, sorridendo ai flash dei giornalisti e dei loro fotografi. I fotografi cominciano a chiamarlo, urlandogli di girarsi da una parte e dall’altra. E solo allora capisco perché questo dovrebbe essere “il mio momento”. Jimmy sta mostrando la creazione che lo farà sfondare nel mondo della moda. Il mio vestito. Guardando bene lo stilista, noto che si è vestito in modo da essere in tinta col mio abito. Ha una giacca e un pantalone elegantissimi neri, coperti dallo stesso tessuto bianco che copre le mie scarpe. Sul suo completo ci sono gli stessi motivi floreali ricamanti sul mio, solo che i suoi sono bianchi. Il mio abito infatti è bianco coperto da quel tessuto nero che lo rende nero-viola, mentre il suo è nero coperto dallo stesso tessuto, ma bianco. Ha fatto i vestiti apposta, e il risultato è qualcosa di meraviglioso. Inizio a sperare con tutta me stessa che Jimmy riesca davvero a sfondare nel mondo della moda femminile. Non credo ci sia molto con cui sbizzarrire la propria fantasia nel mondo della moda maschile. In quello femminile, invece, puoi fare tutto quello che vuoi con un vestito. E lui ha decisamente un sacco di immaginazione.
Sorrido alle fotocamere, lasciando che Jimmy mi guidi come piace a lui. Non mi sento così fuori luogo come prima. Immagino che se Jimmy riuscisse davvero a sfondare nel mondo della moda femminile e avesse bisogno di una modella, potrei anche pensare di accettare…
 
Secondo la scaletta, dopo il red carpet, ci dovrebbe essere la rassegna stampa sul film e, subito dopo, la proiezione. Io e Jimmy aspettiamo in sala conferenze, in un angolino al fondo per non farci vedere. Noto che Josh non è seduto nei posti al centro, quindi immagino che non sia uno dei personaggi principali del film. Forse è per questo che gli hanno permesso di portarmi qui con lui. La maggior parte delle domande sono per gli attori principali e quelle per Josh sono veramente poche, ma lui non sembra preoccuparsene tanto. Anzi, sembra contento del fatto di non essere al centro dell’attenzione. Faccio scorrere lo sguardo sugli attori del cast. La maggior parte di loro non li conosco, ma riconosco Lily Collins e Jake Abel. Vorrei tanto che Josh me li presentasse. Sarebbe bellissimo. Un sogno che si realizza. Guardo Jimmy, che è perso in chissà quali pensieri, con lo sguardo fisso sulla testa del giornalista seduto davanti a lui. La sua testa non ha niente di interessante, visto che è anche pelato, perciò decido di riportare coi piedi per terra lo stilista.
«Come sono andata?» chiedo in un sussurro.
Lui si scrolla e sembra che si sia svegliato da un sogno ad occhi aperti. Mi guarda per un attimo come se non mi vedesse e poi, quando sembra realizzare che gli ho appena fatto una domanda, mi sorride raggiante.
«Sei stata fantastica!» bisbiglia tutto contento. «Davvero!»
Fa per dire qualcos’altro, ma poi decide che forse è meglio non farlo. Lo guardo interrogativa, ma lui si gira dall’altra parte con un gesto della mano.
«Cosa c’è?» gli chiedo testarda.
«Era solo che…» dice tornando a fissare la testa pelata del giornalista davanti a lui. «Pensavo che, magari, se tutto va bene, poteviesserelamiamodella?»
Dice l’ultima frase tutta d’un fiato e alza un po’ troppo la voce. Il giornalista davanti a noi si gira e ci intima di fare silenzio. Ha una faccia imbronciata e arrabbiata, quindi decido che forse è meglio non farlo arrabbiare.
«Cosa?» chiedo in un sussurro appena udibile a Jimmy.
Lui mi guarda incerto. «Pensavo che magari, se tutto va bene, potevi essere la mia modella.» ripete lentamente.
Lo guardo, e gli sorrido felice. Se sono sopravvissuta ad un red carpet a braccetto con Josh che rivela al mondo intero le mie figuracce e ai trampoli che lo stilista mi ha obbligato a mettere, posso sopravvivere a qualunque cosa. Annuisco lentamente guardandolo negli occhi. Sul suo viso compaiono milioni di emozioni. Incertezza, sorpresa, incredulità, negazione, felicità e furore. Senza che riesca a capire come è successo, mi ritrovo in un abbraccio stritola-costole e lo sento ridere felice come un bambino che ha ricevuto il regalo di Natale in anticipo. Gli dico di fare silenzio, ma lui continua a fare piccoli urletti che mi fanno venire i brividi. Il giornalista davanti a noi si gira di nuovo e, tutto rosso in viso per la rabbia, ci minaccia con un dito grassoccio di fare silenzio. Jimmy lo guarda male, poi si alza, mi prende per mano e mi fa spostare due file più indietro.
 
Il film riceve dodici minuti di applausi. Io quasi stavo per scoppiare a piangere alla fine. È stato davvero commuovente, anche se Josh ha avuto una piccola parte nella storia. Si, anche se non sono una fan sfegatata dei film d’amore, quelli a cui mi appassiono dall’inizio mi fanno sempre cadere qualche lacrima. Ma sono stata brava. Ho fatto in modo che nemmeno una lacrima riuscisse a solcare il mio viso. Ora però, guardando gli attori che si alzano in piedi e ricevono gli applausi, mi sto di nuovo commovendo. Perché diavolo non la smettono di applaudire?
Ci fanno spostare in una gigantesca stanza che è stata preparata per il rinfresco. Sto per prendere parte a un party da dopo premiere. Sono emozionata come non mai! La mano di Josh è sempre posata sul mio fianco. Lui non ha intenzione di staccarsi da me nemmeno per andare a prendere da bere. Il che è incoraggiante. Stare in mezzo a tutta questa gente senza la presenza della sua mano sul mio fianco mi lascerebbe decisamente frastornata.
La stanza è completamente decorata di bianco. Al centro c’è un enorme fontana di vetro, e tutto attorno, su un tavolo circolare, è messo in modo decorativo del buonissimo cibo. Assaggio di tutto, perché la maggior parte della roba che vedo non l’ho mai assaggiata. Ci sono tavolini e divanetti, bianchi, sparsi nella sala. Il pavimento è bianco perlato. Sembra di essere in una rappresentazione del paradiso. Tutto è bianco e luccicante. C’è un sacco di gente. Ovunque io giri lo sguardo vedo persone vestite di tutto punto. Tra Josh e Jimmy, vengo presentata a un sacco di persone importanti e famose, di cui però non riesco a ricordare i nomi. Jimmy mi presenta un sacco di icone del mondo della moda. Io, sinceramente, non conoscevo nemmeno un nome, ma sentendo come descrive lui questa gente, sembrano degli dei scesi in terra. Mi fanno sentire una nullità. Josh, invece, mi presenta un sacco di attori e regesti. Alcuni di loro mi chiedono se ho mai avuto esperienze nel cinema e, quando gli dico che ho avuto esperienze solo nel teatro, ci rimangono quasi male. Uno dei tanti, di cui però non riesco a pronunciare il nome, parla italiano. Dice di conoscere il nome di Gianni. Mi racconta che una volta, dopo aver visto un suo musical, gli aveva offerto di partire con lui per l’America e lavorare a uno spettacolo a Broadway, ma non aveva accettato. A sentire Josh, il regista è uno molto conosciuto da queste parti, il che mi fa pensare che lo spettacolo di Gianni dovesse essere molto bello per proporgli di seguirlo a Broadway. Quello che mi chiedo è: perché Gianni non ha accettato? Insomma, chi con un po’ di senno rifiuta un’offerta del genere? Ma non ho mai pensato che lui fosse completamente finito, il che mi evita di pormi troppo quesiti a cui non riuscirò mai a dare una risposta.
Nella stanza ci sono un sacco di fotografi. Seguono le star come dei cagnolini. Fanno venire il nervoso. Io e Josh veniamo fotografati un sacco di volte. A lui non sembra dar fastidio. Ma immagino che ci abbia fatto l’abitudine ormai. A me, invece, danno decisamente fastidio. Trovo però strano che ci sia tantissima gente, soprattutto stilisti, che non vedono l’ora di farsi una foto con me. Mi allontanano da Josh e chiamano un fotografo perché immortali le nostre facce sorridenti. Mi sento quasi una star. Una star con la nausea e leggeri giramenti di testa ogni volta che un flash mi illumina il viso tirato in un sorriso.
«Stai andando benissimo.» mi incoraggia la voce di Jimmy.
Mi ha portata via da una conversazione noiosa con Josh e un altro attore del film con la scusa di presentarmi “una famosissima stilista! Un icona del nostro mondo. Vorrei arrivare anche io un giorno a quei livelli!”. Non vorrei staccarmi da Josh. Non adesso che ho questi giramenti di testa che non riesco a capire da cosa siano provocati. Ho paura che sia qualcosa legato al mio utero. Cerco di non pensare all’ipotesi di poter essere in cinta. Spero ancora con tutta me stessa, al contrario di Josh, di non esserlo. Non so se riuscirei a sopportare l’idea che tra nove mesi potrei avere un pancione enorme ed essere in attesa che nasca mio figlio. Mio figlio. Sento un brivido corrermi lungo la schiena. Ho improvvisamente freddo.
Jimmy mi distrae dai miei pensieri presentandomi a una donna. La guardo intensamente, mentre mi sorride. Il suo viso è solare e, anche se non si potrebbe definire bella, beh… è bella! Ha la classica espressione delle… donne incinta. Abbasso lo sguardo sulla sua pancia e noto che è gigantesca. Potrebbe benissimo essere al nono mese. Sento le mani tremare leggermente. Che diavolo mi prende? Quando alzo nuovamente lo sguardo su di lei, vedo il mio viso. Vorrei urlare. Il mio cervello mi sta giocando brutti scherzi. Chiudo gli occhi, sperando che l’allucinazione se ne vada. Quando li riapro, fortunatamente, la donna ha la sua faccia. Scrollo la testa e sorrido, mentre lei ride con Jimmy. Mi guardo attorno, alla ricerca di Josh. Vorrei che fosse qui. Mi sento male. Comincio a sudare freddo e tutto attorno a me prende a girare. Credo di aver iniziato a tremare, ma nessuno sembra accorgersene. Sento freddo. Tanto freddo.
«Dov’è Josh..?» chiedo a Jimmy sperando che non noti quello che mi sta succedendo.
Lui non mi risponde. Sembra non aver sentito quello che ho detto. Ho forse parlato troppo piano? Lo ripeto, ma lui continua a non sentirmi. Sembra tutto un incubo. E tutto è freddo. Tutto gira. Vedo Josh in lontanaza. Sta ancora parlando con quell’attore da cui Jimmy mi ha portata via. Faccio un passo verso di lui, ma davanti a me si para un uomo che somiglia incredibilmente a Strizzacervelli. Sono scioccata. Ho paura. Tutto attorno a me cambia. Rivedo la stanza di psichiatria, ma questa volta gira ininterrottamente. Faccio un altro passo. Il bianco della stanza diventa improvvisamente nero. Poi, più niente.
 
«Oddio, cosa succede?»
«E’ svenuta?»
«Si sente male?»
«Magari è inciampata e ha sbattuto la testa…»
«Chiamate un’ambulanza!»
«Portate dell’acqua!»
«Vado a chiamare una macchina.»
«Si sta svegliando..?»
«Si muove..!»
Nella mia testa le voci si affollano rumorosamente. Vorrei rimanere in questa oscurità che mi circonda. Rimanerci per sempre. Si sta così tranquilli qui. Ma tutto questo caos mi distrae. Perché non fanno un po’ di silenzio? Perché tutti continuano ad urlare? Vorrei che la smettessero…
«Spostatevi!» una voce familiare si fa strada nella mia testa, sovrastando tutto il rumore. Arriva da lontano, ma si fa sempre più vicina. Una voce bellissima. Una luce, nell’oscurità che mi circonda. «Che cosa succede?! Ilaria!»
Qualcuno mi tocca. Sento una mano che si muove sotto la mia schiena, staccandola dal pavimento freddo. Sento un corpo caldo a contatto col mio. Ma non voglio aprire gli occhi. Non voglio lasciare quest’oscurità.
«Ilaria. Ilaria!» la voce si fa sempre più forte. Il mio cervello vuole che io riconosca quella voce, ma io non ce la faccio. Non voglio fare niente. Voglio solo che questa voce smetta di illuminare la mia perfetta oscurità. «Portate qualcosa per farle aria! Ilaria, mi senti? Svegliati, ti prego!»
La luce è troppo abbagliante. Cerco di allontanarmi, ma più mi allontano, più lei si avvicina. La voce si fa sempre più familiare. Finché mi si accende una lampadina. C’è solo una cosa da fare: aprire gli occhi.
 
Sbatto le palpebre, mettendo a fuoco quello che succede attorno a me. Ci sono un sacco di persone vestite elegantemente che mi guardano preoccupate. Il soffitto bianco è come un pugno in un occhio. Continuo a sbattere le palpebre. Una figura sfocata sopra di me mi sta parlando, ma io non capisco quello che dice. Cos’è successo? Sento freddo alle gambe quindi immagino di essere sdraiata per terra. Che diavolo ci faccio per terra? I miei occhi riescono a mettere a fuoco la figura che incombe su di me. Josh. Il suo viso è pallido e preoccupato.
«Josh…» il suo nome è come una cura.
Ora capisco cosa è successo. Sono svenuta dopo aver visto la donna incinta e l’uomo che assomigliava a Strizzacervelli. Stavo cercando Josh. Adesso lui è qui, che mi guarda preoccupato. Al sentire la mia voce tira un sospiro di sollievo. Si lascia cadere seduto per terra e mi guarda ancora preoccupato. Almeno sta riprendendo colore. Faccio per dire qualcosa, ma lui me lo impedisce. Mi abbraccia forte e dolcemente allo stesso tempo. Deve essersi preoccupato davvero tanto. Quando mi lascia, un uomo mi porge un bicchier d’acqua, che inizio a sorseggiare debolmente. Cioccolata. È l’unica cosa che mi viene in mente. Quando andavo alle medie svenivo sempre. Allora mio padre mi dava la cioccolata. Conosceva la mia fissa per Harry Potter, e anche a lui piaceva. Sapeva che il cioccolato mi avrebbe ridato le forze solo perché si legava in qualche modo con quel magico mondo in cui ancora oggi mi rifugio. Mia mamma diceva che la mia era solo una scusa per mangiare il cioccolato, visto che il medico diceva che faceva male alla mia acne, ma lui continuava a passarmelo di nascosto. Adesso avrei bisogno di cioccolata. Guardo Josh, ma non credo si sia ancora ripreso dallo spavento per queste fesserie da bambina, perciò non dico niente.
«Riesci ad alzarti..?» mi chiede circondandomi la vita con le braccia, pronto per alzarsi.
Annuisco e mi aggrappo a lui. Mi tira su con facilità, e non mi lascia andare neanche quando sono in piedi. Mi fa togliere le scarpe e le prende lui. Vedo Jimmy che ritorna affannato nella stanza.
«E’ arrivata la macchina.» dice a Josh cercando di riprendere fiato.
Lui annuisce in tutta risposta e poi mi guarda serio. È preoccupatissimo per me. Credo che abbia paura di vedermi cadere di nuovo per terra, priva di sensi. Gli stringo il braccio per fargli capire che sto bene. Che se ce lui non può succedermi niente.
«Dove andiamo?» chiedo incuriosita.
«A casa.» risponde Josh dopo un attimo di esitazione.
«Che cosa? No.» dico spiazzata dalla sua risposta. Tutti mi stanno guardando, ma a me non interessa. «Questa è la festa per il tuo film. Non puoi andartene!»
«Non resterò qui.» dice stringendomi ancora preoccupato. «Sei appena svenuta. Devi riprenderti, e non ti lascerò andare a casa senza di me.»
Faccio per ribattere, ma sarebbe inutile. È testardo, e comunque è troppo preoccupato per me perché possa allontanarsi anche di pochi passi. Lascio che mi guidi fuori verso la macchina. Due omoni enormi vestiti di tutto punto ci seguono e ci scortano fino ad essa. Josh mi apre la porta e mi fa entrare. Mi segue a ruota e, una volta dentro, mi prende la mano e mi stringe a lui.
«Che cosa è successo?» mi chiede dopo un po’.
I suoi occhi sono seri e preoccupati. Non riesce a guardarmi. Non gira nemmeno il viso verso do me. Deve essere davvero sconvolto. Ci penso un po’. Dovrei essere io a chiederlo a lui ma, giustamente, era lontano in quel momento. Ripenso alla donna incinta. Alla sua bellezza e al suo pancione da nono mese. A come avevo visto il mio viso sostituire il suo. Al tremolio che mi aveva preso le mani. E all’uomo che somigliava a Strizzacervelli. Non ho idea del perché io sia svenuta, ma credo che in qualche modo sia tutto collegato al fatto che potrei essere incinta. Di nuovo. E, di nuovo, non voglio questo bambino. Potrei suonare pazza, insomma, chi rifiuterebbe la possibilità di avere un bambino con Josh Hutcherson? Ma quelle sensazioni, quelle paure che ho provato a sedici anni mi perseguitano. Ho paura. Anzi no, sono terrorizzata. Forse è per questo che sono svenuta… Guardo i suoi occhi. Quei bellissimi occhi che mi fanno sciogliere. Quegli occhi che rispecchiano tutte le sue battaglie interiori. Sto imparando a leggerli piano, piano. Non voglio raccontargli quello che ho visto. Non voglio buttargli addosso un altro peso. L’ho già sovraccaricato abbastanza per una vita intera.
«Credo che riguardi il fatto che potrei essere incinta…» butto lì poco convinta.
Me ne pento immediatamente. L’espressione sul suo volto passa da preoccupata a sorpresa. Mi guarda e riesco a intravedere nei suoi occhi una sfumatura di felicità. Mi mordo la lingua prima che tenti di dirgli la verità. Ho la sensazione che pagherò cara questa bugia, ma vederlo così mi fa sentire come se fosse una bugia perdonabile. Detta a fin di bene. Che male c’è in una bugia detta a fin di bene, se rende felice una persona che amiamo?
«Vuol dire che sei davvero incinta?» dice.
Non riesce a nascondere la felicità che gli provoca saperlo. La sua felicità potrebbe essere travolgente,  ma mi sento talmente in colpa che non riesco nemmeno a fingermi lontanamente felice. Decido di mettere un freno alla sua felicità prima che possa essere troppo tardi.
«Non so se sono incinta.» dico con cautela, misurando bene le parole. «Dico solo che potrebbe essere legato magari allo stress da non saperlo…»
Non mi lascia finire di parlare.
«Vorrei che avesse i tuoi occhi.» dice prendendomi le mani nelle sue e guardandomi dritto negli occhi. «Vorrei che somigliasse in tutto e per tutto a te…»
Sta andando come un treno.
«Josh…» cerco di fermarlo, ma lui non mi sente.
«Compreremo una casa tutta per noi…» dice perso nelle sue fantasticherie. «Avremo un sacco di bambini. Potremmo prendere un altro cane! Ai bambini piacciono tantissimo i cani, e magari anche un gatto…»
«Josh…» alzo un po’ la voce, ma non mi ascolta.
«No, Connor è allergico ai gatti.» dice scrollando vivamente la testa. «Avremo un giardino enorme. E una piscina. E un parco giochi…»
«Josh, fermati…» dico scrollandogli il braccio. Inizio ad essere preoccupata.
«Dobbiamo decidere il nome!» dice sorridendo felice. «Tu pensi che Clarissa e Andrew siano carini, ma non mi hai detto le tue preferenze. Non voglio essere io a scegliere…»
«Josh, basta…» cerco di stare tranquilla, ma tutto questo progettare un futuro legato a qualcosa che io non voglio avere mi terrorizza.
«Potremmo sposarci.» dice guardando nel vuoto. «Saresti bellissima con un abito bianco che fa vedere il tuo pancione al nono mese…»
L’ultima affermazione mi manda nel panico più totale. Spalanco gli occhi, terrorizzata.
«JOSH.» grido per farlo smettere. «Smettila, basta! Io non voglio un bambino..!»
Questo lo ferma. Smette di parlare e di progettare. Rimane scioccato. Mi guarda come se solo in questo momento mi vedesse davvero. Come se in tutto questo tempo non si fosse accorto che io ero accanto a lui. Vedo nei suoi occhi tutti i castelli che si era costruito sbriciolarsi e crollare. Ho appena distrutto tutte le sue fantasie.
«Tu non…» non riesce nemmeno a finire la frase.
È scioccato come non l’avevo mai visto prima. I suoi occhi si riempiono di tristezza. Li vedo, mentre perdono in un lampo tutta la loro felicità. Sento un colpo al cuore. Come se avessi detto a un bambino che Babbo Natale non esiste. Che il topino dei denti non ha mai preso i suoi denti. Che i draghi che sputano fuoco sono solo pura fantasia. Che il mondo reale è solo una grossa fregatura. Mi pento di aver messo un freno alle sue fantasticherie. Mi pento di avergli appena detto che quello che vuole lui non è nemmeno lontanamente vicino a quello che voglio io. Mi pento di avergli dato false speranze dicendogli che trovavo carini i nomi che aveva scelto per il nostro bambino. Sono un essere così spregevole!
«Scusa, non volevo…» cerco di riparare il danno che ho appena fatto.
Lui gira la testa verso il finestrino, senza guardarmi. Vedo il suo pomo d’Adamo che si alza e si abbassa come se stesse per mettersi a piangere. I suoi occhi velati di tristezza mi fanno sentire la peggiore persona sulla faccia della terra. Le sue mani lasciano andare le mie e io mi sento sprofondare. Quelle mani sono state la mia ancora per tutto il giorno. E adesso, lasciarle andare, mi fa sentire come se fossi in caduta libera. Senza la possibilità di aprire il paracadute.
«No.»  la sua voce è fredda e distaccata. «Non devi scusarti.»
Lo guardo, mentre mi sento ancora in caduta libera. Allungo la mano per toccare il suo braccio, ma poi decido che forse è meglio non farlo. È meglio lasciare che si lecchi le ferite. Ma la mia bocca non la pensa nello stesso modo.
«Ho paura.» dico senza riuscire a fermarmi. «Non puoi pretendere che io riesca da un giorno all’altro a dimenticare tutto quello che ho passato. Sono terrorizzata. Il solo pensiero di poter essere incinta mi ricorda quella dannata stanza del reparto di psichiatria. Tu non puoi nemmeno immaginare cosa si prova. È una tortura. Ogni giorno, ogni ora, ogni minuto non puoi far altro che pensare che sei un’assassina. Che hai appena privato della possibilità di vivere una creatura che nemmeno esisteva. Che nemmeno si era ancora formata!» la mia voce è piena di rabbia. Non so perché mi sto comportando così. Josh nemmeno mi guarda. «E tu sei lì. E vivi. Mentre lui non ha avuto la tua stessa possibilità. Sai cosa ho visto, prima di svenire? La donna davanti a me si è trasformata in me con un pancione enorme. E ho visto Strizzacervelli. E le mani mi tremavano. E so che tu vuoi questo bambino, ma io non sono pronta. Non sono pronta ad avere un bambino, una casa con un enorme giardino. Non sono pronta al pensiero che mi chiamerebbe mamma, perché non sarò mai una madre decente! Non voglio nemmeno sposarmi!»
Josh gira lentamente la testa. Mi blocco immediatamente, sperando che voglia dire qualcosa. Lui mi guarda per minuti che sembrano interminabili. Non riesco a capire quali sentimenti passano nei suoi occhi. Mi sento vuota. Vorrei solo prendergli le mani e sentire la sua voce che mi dice che andrà tutto bene. Ma lui non lo fa. Rimane in silenzio. Sento il peso di ogni secondo di quel silenzio, pesarmi sulle spalle. Mi schiaccia. Mi opprime.
«Perché non me l’hai detto subito?» mi chiede freddamente. È così lontano da me, nonostante i nostri corpi siano ancora attaccati.
«Perché era troppo.» dico senza guardarlo. «Ti ho già buttato addosso troppe cose brutte. Pesavo che poteva essere una bugia a fin di bene.»
I suoi occhi si illuminano, ma questa volta di rabbia.
«Beh, non lo era.» dice arrabbiato, fulminandomi. «Io ero davvero felice di sapere che volevi anche tu un bambino. Mi dicevo “Tranquillo Josh, evidentemente ha superato le sue paure.” Ma non è così. E io mi sono costruito castelli di sabbia. E tu mi assecondavi!»
«Mi dispiace…» gli dico sentendo un groppo in gola.
L’ho fatto davvero stare male. Sono veramente una persona orribile.
«Anche a me.» dice, sento la sua rabbia aumentare. «Non pensi che sia ora di iniziare anche solo a provare a vedere le cose in modo diverso? Non sei più una sedicenne terrorizzata. E’ ora di superare le tue paure!»
Sento il senso di colpa che viene sostituito dalla rabbia.
«Non è facile!» dico cercando di non mettermi a urlare. «Mi piacerebbe riuscire a non avere più paura, a superare tutto questo…»
«Ma tu non ci stai nemmeno provando!» urla guardandomi furioso.
«Scusa se tutto questo mi terrorizza!» urlo a mia volta.
«Ma è una cosa normale.» mi guarda dritto negli occhi. «Ti ostini a pensare che tutto questo sia dovuto a quello che hai passato, ma non capisci che è la cosa più normale del mondo!»
«Non mi sembra che tu sia la persona più adatta per dirlo.» dico con amaro sarcasmo.
Lui mi fissa per un attimo. Vedo la sua rabbia smontarsi lentamente.
«Hai ragione.» dice con tristezza e amarezza. «Forse non dovremmo nemmeno parlarne. Perché è questo che fai tu. Semplicemente, sorvoli sull’argomento, vero?»
Sento una tristezza insopportabile nel petto.
«Josh, io…» cerco di dire. Ho un groppo in gola.
«No.» dice con freddezza, tornando a guardare fuori dal finestrino oscurato. «Adesso voglio solo sapere se sei o no incinta.»
Mi sento un mostro. Ha ragione a non volermi nemmeno più guardare in faccia. L’ho ferito. E l’ho fatto sapendo benissimo quello che stavo facendo. Guardo i suoi occhi velati di tristezza. Non mi sorprenderei se decidesse di chiudere con me. Non solo ho distrutto tutti i suoi castelli, ma ho anche rovinato il giorno che aspettava con ansia da quando aveva saputo che ci sarebbe stata la premiere a Los Angeles.  
 
Mi siedo sul bordo della vasca da bagno. È da un quarto d’ora buono che sono qui a fissare la scatola di test di gravidanza chiusa. La rigiro tra le mani aspettando un segno divino, immagino. La mia testa è vuota. Non riesco a pensare a niente. So solo che dovrei aprire la scatola e guardare se sono realmente incinta. Ma non riesco. Non riesco a fare nient’altro che non sia continuare a rigiramela tra le mani. I passi di Josh fuori dalla stanza mi mettono in ansia. Continua a fare avanti e indietro davanti alla porta chiusa del bagno. Ogni tanto si ferma, e poi riprende a percorrere a falcate la sua camera da letto. Non oso immaginare il casino che c’è nella sua testa in questo momento. Immagino che si stia aggrappando al fatto che ancora non sappiamo se sono incinta o meno solo per non crollare. Gli ho fatto troppo male.
Con un moto di coraggio, apro la scatola. Dentro ci sono quattro tester. Prendo il foglio delle istruzioni, lo apro e solo allora mi ricordo di non averne bisogno. So benissimo come si usa uno di questi affari. Ricordo ancora come se fosse ieri il momento in cui mi ero chiusa in bagno, sperando che i miei sospetti fossero infondati, con una scatola simile a questa. Ma una donna non sbaglia mai quando si parla di queste cose. O, almeno, così mi avevano detto. Guardo i quattro tester sigillati in modo da rimanere sterili.
Faccio un respiro profondo. Apro il primo e lo provo. Poi poso il tester sul piano del lavandino in modo che il risultato sia coperto. Voglio provarli tutti prima di leggere il risultato. Provo il secondo, poi il terzo e alla fine l’ultimo. Rimango per un attimo a guardare tutti e quattro i tester girati al contrario. Solo una domanda che mi rimbomba nella testa. Sono o non sono incinta?
Mi faccio coraggio e giro i tester uno ad uno. Guardo i risultati. Tutti uguali per tutti i tester. Non c’è dubbio.
Mi dirigo verso la porta lentamente. La apro. Josh è lì dietro. Mi guarda, in attesa.

 
 

SPAZIO AUTRICE.

 

Ora, ne sono sicura, mi ucciderete perché vi ho lasciato sulle spine in questa maniera bruttissima. u.u 
Chiedo venia. (?)
Sono un verme, verme verminoso! *Hercules rulers*  
 
Anyway, ci ho messo un bel po’, ma alla fine c’è l’ho fatta!
SI PUO’ FAAAREEEE! *adesso la smetto, giuro*
 
Comunque, credo che da adesso in poi pubblicherò ogni due settimane. Anche perché in una settimana non riesco nemmeno a scriverne metà, di capitolo. e.e
Quindi non pensate che io sia morta (facciamo le corna! Tocchiamo ferro!) se dopo una settimana non aggiorno! :P
 
Detto questo… sarà incinta  o non sarà incinta?
Vorrei dirvelo, ma… no, non è vero. Non ho nessuna intenzione di dirvelo! :P
 
Vorrei, invece, anche se l’ho già detto una marea di volte, ma a Natale siamo tutti più buoni (non c’entrava una cippa e.e) ringraziare tutte quelle sweethearts che seguono la mia storia e mi fanno venire voglia di abbracciarle una ad una ogni volta che mi lasciano tutte quelle meravigliose recensioni. Siete semplicemente adorabili. :3 
 
Inoltre, se non riuscissi ad aggiornare in tempo, cosa molto probabile, vorrei farvi gli auguri in anticipo di Natale!
 
“Hang a shining star upon the highest bough and HAVE YOURSELF A MERRY LITTLE CHRISTMAS NOW!”
 
Oh, il Natale riesce sempre a emozionarmi così tanto :’)
 
Ok, adesso vi lascio, sperando di riuscire ad aggiornare prima di Natale (in modo che i miei auguri Natalizi in questo capitolo vadano dolcemente a farsi un giro e.e) e vi saluto.
 
Al prossimo capitolo, gente! <3
  

 

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Capitolo 14
*** Home ***


                 Home.

The trouble it might drag you down.
If you get lost, you can always be found.
Just know you’re not alone,
‘cause I’m going to make this place your home.
Phillip Phillips - Home

 
 
 

Vorrei non doverlo dire. Vorrei che potesse leggerlo tra i miei pensieri. Vorrei non dover mai pronunciare questa breve frase. I miei occhi cercano di non fissarsi nei suoi, ma non posso fare altro che imporglielo. Devo guardarlo. Il suo volto è pallido e credo che sia ancora arrabbiato con me. Non posso certo avercela con lui per questo. Me la sono cercata. È la mia punizione. I suoi occhi mi scrutano, alla ricerca della risposta che io non vorrei dovergli dire ad alta voce. Faccio un respiro profondo, cercando di rimanere calma.
«Non sono incinta.» dico fissandolo.
Il suo volto, per quanto possibile, sbianca ancora di più. Un lenzuolo. Un cadavere. Ho paura che possa sentirsi male. Faccio per allungare la mano, ma lui mi impedisce di toccarlo. Si siede sul letto e il suo sguardo si perde in un punto fisso della stanza. Io rimango in piedi, sulla soglia della porta del bagno, a fissarlo. Cerco qualcosa da poter dire in questo momento, ma qualunque cosa mi sembra così sbagliata. Oppure troppo banale. Josh sembra distante anni luce. Appoggia i gomiti sulle gambe e ci appoggia la fronte sopra, in modo da nascondermi il suo viso. Era la sua ancora di salvezza per non crollare. Dopo quello che gli avevo fatto, dopo il modo in cui gli avevo mentito, tutto quello che gli restava era sperare che io fossi incinta. E adesso che non lo sono… che cosa gli resta?
Io non riesco a capire cosa sento in questo momento. Sono felice di non essere incinta, tanto che potrei mettermi a saltellare per la casa urlando. Ma sento anche un enorme tristezza, come se quello che sta provando Josh in questo momento riuscissi a provarlo anche io. Potrei impazzire.
«Josh…» inizio a dire.
Con tutto quello che ho in testa, è difficile credere che non riesco nemmeno a formare una frase. Vorrei dirgli tutto quello che sento. Vorrei chiedergli scusa per quello che ho fatto. Ma le parole non vogliono uscire. Come se qualcosa le tenesse legate dentro di me. Lui alza la testa. Il suo sguardo è vuoto. Mi guarda, ma in realtà non mi guarda veramente. Sta crollando. Lo sento e lo vedo. Ed è tutta colpa mia…
«Io…» dice più a se stesso che a me. «Lo volevo davvero questo bambino.»
Sembra così fragile, come se anche toccarlo potesse spezzarlo. I suoi occhi sono così persi nel nulla che mi viene voglia di abbracciarlo. Ma non posso. In mezzo a tutta la confusione che sono i miei sentimenti in questo momento, sento montare una rabbia profonda. Non capisco perché e non riesco a controllarla. So solo che in questo momento sono veramente furiosa. Con due falcate sono esattamente davanti a lui. Il mio corpo emana un alone di rabbia. Ho ancora il vestito della premiere addosso, ma non mi importa. Mi siedo a cavalcioni sulle sue gambe. Lo guardo negli occhi. Lui sembra risvegliarsi solo in quel momento dallo shock. Mi guarda stupito.
«Coraggio, Josh.» dico portando le mani al bottone dei suoi pantaloni e aprendolo. «Allora facciamo un bambino. Coraggio!»
Inizio a tirare giù la cerniera, ma le sue mani si stringono attorno alle mie, immobilizzandole. Lo guardo, ancora furiosa. Ma la tristezza nei suoi occhi smonta tutto. Mi sento vuota. Deglutisce per cercare di trattenere le lacrime, immagino. I suoi occhi sono lucidi. Non l’avevo mai visto in questo stato. Mi sento subito in colpa per quello che ho appena fatto. Sono veramente un mostro.
«Esci da questa camera.» mi dice, fissandomi coi suoi occhi lucidi e vuoti.
Rimango pietrificata. Tra tutte le reazioni che mi ero immaginata, questa non l’avevo proprio prevista. Lo guardo, spalancando gli occhi. Forse ho sentito male. Prendo aria per chiedergli se quello che ho appena sentito è davvero uscito dalla sua bocca, ma lui mi lascia le mani.
«Esci.» ripete senza più guardarmi. «Subito.»
Senza riuscire a pensare a niente, mi alzo dalle sue gambe e esco dalla stanza. Solo quando chiudo la porta mi rendo conto di quello che è appena successo. Mi ha lasciata.
 
Mi ha lasciata. Una vocina nella mia testa continua a ripetermi queste tre parole.
Mi ha lasciata. Non mi sembra nemmeno vero.
Mi ha lasciata. Ho combinato un disastro. 
Mi ha lasciata. Ora vorrei essere rimasta incinta.
Scendo le scale in uno stato di trance. Non so nemmeno come sono arrivata nell’entrata, finché non mi accorgo di avere indossato un cappotto e le scarpe che avevo alla premiere. Non mi sono nemmeno cambiata.
Cosa sto facendo? Sto andando via?
In effetti, mi sembra la cosa più sensata da fare. Lui, non riesco nemmeno a pensare al suo nome, mi ha lasciata. Mi ha lasciata perché l’ho trattato da schifo. Perché gli ho mentito. E perché non sono incinta. Mi sento male. Ero appena riuscita a dirgli che lo amavo… e adesso eccomi qui, pronta per scappare.
Mi guardo un’ultima volta attorno. Pensavo che magari, lasciare questo posto, mi avrebbe fatto ripensare al momento in cui avevo lasciato casa mia per venire a studiare qui. Invece non sento niente. Non mi sento come se mi mancherà questo posto, perché, in fondo, io non sono mai appartenuta a questo posto. Tutto questo, adesso, sembra solo un illusione. Dove sono? Di certo non a casa.
Faccio un passo verso la porta e appoggio una mano sulla maniglia. Sto per aprirla, quando una voce richiama la mia attenzione.
«Non puoi andartene.» è una voce fin troppo familiare.
Mi giro di scatto e mi trovo davanti a Connor, in piedi sull’ultimo gradino con un pigiama addosso. Non sembra che si sia appena svegliato. Non si sta stropicciando gli occhi e non sta sbadigliando. E’ lì che mi guarda. I suoi occhi sono seri e, guardandoli, potrei perfino credere che lui sappia tutto. Che riesca a leggermi in faccia tutto quello che ho combinato. E che, per questo, non me ne faccia una colpa.
«Lui non la pensa allo stesso modo.» dico, cercando di trattenere le lacrime che minacciano di uscire.
Connor scende l’ultimo gradino e mi si para davanti. I suoi occhi fissi nei miei.
«Invece è esattamente quello che pensa.» dice senza esitazioni.
Il suo tono è duro, ma allo stesso tempo dolce, come se stesse cercando di spiegare ha una persona troppo testarda che sta sbagliando. Che in realtà non è così che vanno le cose. Invece si sbaglia. Si sbaglia, e io lo so benissimo. Lui mi ha lasciata.  
«Gli ho fatto troppo male.» sento la prima lacrima rigarmi il viso.
Senza che riesca a fermarle, le lacrime cominciano a scendere. Vorrei smettere di piangere. Mi sento una bambina che fa i capricci, ma le lacrime continuano il loro percorso. Riesco a pensare solo a tutto quello che sono riuscita a combinare in così poco tempo. Sono un mostro e sono un disastro completo.
Connor mi porge la mano. Non sorride e, per farmi smettere di piangere, non dice frasi stupide come “Tu non hai fatto niente di male.” Guardo la mano, esitando. E’ un invito a restare. A non scappare da questo posto, che non riesco a sentire come mio. Ho due scelte davanti a me. Due strade. Tornare al college o restare? Ma restare per cosa? Ho ancora qualche possibilità di farmi perdonare da lui? Scruto gli occhi di Connor, sperando di trovare lì la risposta a tutte le mie domande, ma l’unica cosa che trovo è una luce che mi ricorda lontanamente casa.  
«Vieni.» dice, continuando a guardarmi fisso negli occhi, porgendomi ancora la mano. «Che ne dici di una tazza di thè?»
I suoi occhi sono incoraggianti. Belli e buoni come quelli del fratello. Lancio uno sguardo alla porta dietro di me e poi torno a guardare Connor. E’ ora che io prenda in mano la mia vita. Il college è davvero casa? No, esattamente come non lo è questo posto. O, almeno, non adesso che mi sento sola senza la presenza del ragazzo al piano di sopra. Ma qua c’è qualcuno che sembra determinato a fare di questo posto, la mia casa.
Afferro la sua mano e la stringo forte.
 
E’ difficile. Troppo difficile.
Giro per la casa con una tuta che mi ha prestato Connor. Mi rinchiudo in una bolla che comprende divano, cibo, televisione e, ogni tanto, ci faccio entrare anche lui. Sta diventando la mia ancora. Passa ore ad ascoltare le mie lagne senza dire niente. Rimane lì e aspetta che io mi calmi. Che riprenda il controllo di me e lo chiuda di nuovo fuori dalla mia bolla. Da quando gli ho raccontato, davanti a una fumante tazza di tè annacquata dalle mie lacrime salate, quello che era successo, non fa altro che restarmi vicino quando ne ho bisogno. Non fa domande, non sbuffa e non commenta. Si limita semplicemente a tenermi una mano sulla spalla e a passarmi i fazzoletti, che si spargono sporchi sul bellissimo divano. E’ stato facile raccontargli tutto. Partendo dai miei sedici anni per arrivare al preservativo rotto e infine alla rottura con Josh. Mi sento sempre più in colpa. Ogni volta che provo a pensare a cosa stia succedendo dentro la sua testa. Ogni volta che penso che forse avrei potuto agire diversamente. Ogni volta che sento la mano di Connor posarsi sulla mia spalla, segno che sto di nuovo cominciando a lasciarmi andare alla tristezza.
Non riesco ancora a pensare al suo nome. Mi fa male. E’ come se il mio cuore si spezzasse a metà tutte le volte. Perfino sentire Connor che, con il suo accento americano, mi chiama per nome come faceva il fratello mi fa male. Così prende l’abitudine di chiamarmi semplicemente I. Come un linguaggio in codice, di cui solo noi conosciamo le lettere.
Vago per casa, ciabattando lentamente e con poca voglia. A volte mi ritrovo in una stanza senza sapere come ci sono arrivata. Il che comincia a preoccupare Connor, che mi segue con lo sguardo ogni volta che mi alzo dal divano. Mi sentirei quasi in prigione, se non fosse che sto perdendo il senso del tempo e del luogo. Mi sorprendo a guardare la scala, sperando di vederlo scendere con il suo sorriso felice e la sua camminata noncurante. Ogni volta scrollo la testa, cercando di allontanarmi da quelle speranze. Non ho ancora capito bene perché vivo qui ma, e di questo ne sono completamente certa, lui non scenderà quelle scale finché io continuerò a stare qui. Ma Connor non è d’accordo con me. quando gli dico che voglio tornare a vivere all’università lui si arrabbia e mi dice che devo solo dargli il tempo di leccarsi le ferite. Secondo lui, prima o poi, scenderà quelle scale. Ma l’unica cosa a cui non posso fare a meno di pensare è: cosa sta pensando in questo momento? Starà immaginando il bambino che non avremo mai?
Una volta mi ritrovo a immaginare come sarebbe potuto essere il nostro bimbo. Lo vedo, un po’ cicciottello, ancora instabile sulle gambe corte. Me lo immagino con i suoi occhi e un accenno della sua mascella, ancora cicciottella. Mi sorride felice, mentre corre verso di me con le braccia aperte e chiamandomi mamma. Mando via quell’immagine dalla mia testa. È tutto troppo triste. Se lui tutte le volte immagina questa piccola figura che magari corre verso di lui chiamandolo papà… beh, non posso nemmeno immaginare cosa possa provare.
Smetto di sorridere e, anche se Connor prova a tirarmi su il morale con qualche sua frecciatina scherzosa, non riesco a rispondergli. Mi siedo al centro del divano e passo il tempo a fare zapping per i canali, senza guardare davvero la tv.
«E se ti accompagnassi al college per seguire qualche corso?» mi chiede Connor, preoccupato per la mia sanità mentale. «Non segui più da un sacco di tempo, e tra poco hai un esame. Potrei accompagnarti in macchina e venirti a prendere…»
Come per tutto il resto delle cose che mi capitano attorno ultimamente, questa non mi attira nemmeno un po’. Scrollo le spalle con indifferenza. Lui capisce che non voglio farlo entrare nella mia bolla e rimane lì, seduto sul divano perso nelle sue preoccupazioni, a guardare i canali della tv seguirsi uno dopo l’altro.
Un pomeriggio chiama Jimmy, nero di rabbia perché nessuno si è degnato di fargli sapere come stavo. Ovviamente, lui non sapeva niente della mia possibile gravidanza. Mi aveva solo vista svenire e si era preoccupato. E’ difficile resistere alla tentazione di chiudergli il telefono in faccia dopo aver sentito le sue urla, ma capisco che è solo preoccupato e lo lascio parlare senza ascoltarlo. Chiama anche Janet, la manager. Risponde Connor al telefono e si preoccupa un sacco quando la donna gli dice che il fratello non risponde più alle sue chiamate. Lascia cadere il telefono per terra e corre al piano di sopra per assicurarsi che stia bene. Sentire la sua voce che, da dentro la stanza, gli urla di lasciarlo in pace, mi fa sentire una fitta al cuore. Lo sento prendere il volo nel mio petto a quel suono e subito dopo cadere su rocce appuntite perché la sua voce è piena di dolore. Almeno sappiamo che è ancora vivo.
Connor comincia a stufarsi del nostro comportamento infantile. Di tutti e due, specifica sbuffando. Si sfoga con me, perché il fratello lo fa entrare solo per l’ora di pranzo e quella di cena. Qualche volta anche a colazione, ma solo raramente. Io lo ascolto con disinteresse finché non lo sento arrabbiarsi con me. Mi sento subito in colpa, come se mi servisse qualche altro buon motivo, perché lui mi ascolta sempre quando ne ho bisogno. Gli chiedo scusa, ma cinque minuti dopo, sono di nuovo lì che mi perdo nei miei pensieri.
«Adesso basta!» mi urla contro un pomeriggio, mentre alla televisione danno la replica di non so che telefilm.
Esco dalla nebbia che mi circonda per qualche istante e lo guardo spaesata. Per quanto si lamentasse sempre del nostro atteggiamento, non era mai scoppiato così all’improvviso. Mi prede il telecomando dalle mani e spegne la televisione con uno sbuffo furioso. E’ tutto rosso in viso e ho paura che scoppi da un momento all’altro.
«Ora tu prendi il mio computer, e cominci a studiare.» dice puntandomi un dito contro, con aria minacciosa.
Scrollo le spalle e faccio per tornare nella mia bolla, ma lui mi prende un braccio come per costringermi a rimanerne fuori. I miei occhi si intrecciano nei suoi, e ci vedo la tristezza per quello che sta succedendo sotto i suoi occhi, senza che lui possa fare niente per mettere le cose apposto.
«Sai perché ho insistito affinché restassi qui, I.?» dice, ancora furioso.
Faccio no con la testa. Mi sento spaesata. E’ da troppo tempo che non esco dalla mia bolla per così tanto. Lui sbuffa. Si prepara, come se dovesse mettersi a spiegare una cosa troppo difficile a qualcuno troppo deficiente per capirla.
«Dopo la rottura con quell’attrice, passava il suo tempo in quel bar dove ti ha incontrato.» mi guarda dritto negli occhi e scandisce tutte le parole. «Diceva che non aveva più senso fare qualcosa. Che la sua vita era andata a pezzi.» alza gli occhi al cielo ricordando il periodo. So cosa pensa. Lui si fa coinvolgere sempre troppo. Da tutto se stesso agli altri e, alla fine, rimane sempre deluso. Lo so, perché è anche per questo motivo se mi sento in colpa. Lui è troppo buono. «Ricordo benissimo il momento in cui sei arrivata qua. Ridevi. Ridevi per qualunque stupidaggine. E continuavi a ripetere che lui non poteva essere Jo…» sento un fremito. Lui se ne accorge e evita di finire il nome. «Beh, non poteva essere lui. E lui rideva con te. Era contento. Non lo vedevo così da mesi. Mi sei venuta vicino e mi hai urlato all’orecchio:”Lui non è Josh Hutcherson! Ma sssh, è un segreto. In realtà, l’FBI lo sta cercando perché è un evaso. Pensa, era un serial killer!”.» si ferma e, questa volta, ignora palesemente il fremito che mi prende di nuovo. «Sembravi uscita fuori da una lista di desideri. Come se qualcuno ti avesse dato vita solo per riportarlo alla sua, di vita. E ci sei riuscita. Lui è tornato quello di sempre. Sei stata come una benedizione. Sei rimasta nel suo letto per due giorni, svegliandoti solo per vomitare. Si prendeva cura di te come se fossi una bambina con la febbre. Gli dicevo che non sapevamo nemmeno chi eri e che non avremmo dovuto fidarci, ma lui era testardo e non c’era modo di convincerlo.»
Si ferma un attimo, e mi torna alla mente la voce che avevo sentito fuori dalla mia stanza, in uno di quei pochi momenti di coscienza. Ora capisco di chi era!
«Era già perso.» dice lasciandomi andare il braccio, la rabbia che diminuisce poco a poco. «Lo avevi già conquistato, e non eri nemmeno cosciente. Tu sei la cosa migliore che gli sia capitata! Ha preso te e, con te, ha accettato tutto il pacchetto: passato e presente. Non ti ha abbandonata quando smaltivi la sbronza e non l’ha fatto quando ha saputo del tuo passato. Ora ha solo bisogno di stare per i fatti suoi e leccarsi le ferite, e tu credi che ti abbia lasciato e non fai altro che lamentarti. Continui a dire che questa non è casa tua senza che lui sia qui con te, ma non è vero! Lui non ti ha lasciata. E non lo farà, a meno che tu gli offra un più che valido motivo. Perciò smettila di chiuderti nella tua bolla di depressione. Smettila di fissare impalata il televisore. Prendi in mano la situazione. Ti dimostrerò che hai torto. Che questa è ancora casa tua.»
Non so a cosa pensare. Lo guardo senza riuscire a dire niente. Ha ragione? Non lo so. forse sì, forse no. Di sicuro lui conosce suo fratello da più tempo di me, quindi perché non tentare? Perché non provare a rimanere qui ancora per qualche giorno. Se ha davvero bisogno di leccarsi le ferite, perché non lasciargli il tempo per farlo? Gli ho già fatto abbastanza male. Ora è arrivato il momento di aspettare e capire se quello che gli ho fatto è davvero imperdonabile come credo.
Appoggio la testa sulla spalla di Connor, senza dire niente.
 
Credo di essermi addormentata sulla sua spalla, perché sento tremare tutto, mentre la voce di Connor mi sveglia. Sta parlando con qualcun altro e, non sentendo nessuno che gli risponde, immagino sia al telefono. Da quanto dormo sulla sua spalla senza che lui decida di spostarsi? Poi, una voce decisamente familiare, risponde a una sua domanda. La riconosco immediatamente, nonostante triste e devastata dal dolore, riesco ancora a sentire una leggera dolcezza. La dolcezza che può avere solo la sua voce.
«Posso?» chiede, indeciso.
Tengo gli occhi chiusi, in modo che non si accorgano che mi sono svegliata, per sentire quello che si stanno dicendo. Sento il corpo di Connor muoversi e immagino stia annuendo. Muove il corpo sempre in un modo strano, quando annuisce. Delle mani mi prendono con delicatezza la testa, sento il corpo di Connor alzarsi dal divano, sostituito immediatamente da quello di qualcun’altro. Poi le mani mi appoggiano, sempre delicatamente, la testa sopra una spalla diversa. Capisco immediatamente che è sua. Ho passato un sacco di tempo con la testa appoggiata sulla sua spalla. La riconoscerei fra mille. Sento il cuore riempirsi di milioni di sensazioni. Felicità, soprattutto. Mi muovo e mi metto più comoda, appoggiando una mano sul suo petto. Loro lo devono aver interpretato come un movimento di una che sta dormendo profondamente, perché non dicono niente. Sento il suo corpo irrigidirsi sotto il contatto della mia mano e ho paura che decida di spostarla. Ma, sorprendendomi, mi fa passare un braccio attorno alle spalle e mi stringe la mano. Come facevamo quando parlavamo sdraiati sul suo letto. Sento una stretta allo stomaco. Non pensavo che qualche giorno senza di lui potesse provocarmi tutto questo e, anche se mi sono depressa per tutto il tempo, solo adesso mi rendo conto di quanto mi sia mancato veramente. Il cuore mi batte forte.
«Mi manca così tanto.» sento la sua voce bisbigliare tra i mie capelli.
Mi posa un leggero bacio e poi appoggia la testa sulla mia. Potrebbe essere tutto come prima, se non fosse per la tristezza che sento nella sua voce. Una tristezza che mi fa sentire così in colpa!
«Parlale.» suggerisce la voce di Connor.
Come stava cercando di fare con me, adesso sta cercando di convincere Josh a parlare con me. Crede ancora che ci stiamo comportando tutti e due da ragazzini alle prime armi, quando invece siamo grossi e vaccinati.
«Sono stato così cattivo…» dice la sua voce sofferente.
Rimango un attimo sorpresa. Lui è stato cattivo?
«Se non avessi pensato solo a quello che volevo io e mi fossi soffermato un attimo a pensare a quello che stava passando lei…» dice ancora sofferente.
E’ per questo che non vuole uscire dalla sua stanza? Perché si sente in colpa? E io cosa dovrei dire? Negli ultimi giorni non ho fatto altro che ripetermi di essere stata un mostro.
«Aveva paura.» continua, senza parlare con nessuno in particolare. Sembra che si sia dimenticato perfino della presenza di Connor nella stanza. «E io, invece di aiutarla, mi sono rifugiato nelle mie fantasie e le ho detto che non stava nemmeno provando a combattere le sue paure.»
Sono scioccata. Si sente in colpa davvero per questo? Io gli ho rovinato la premiere, gli ho mentito e distrutto le sue fantasie, e lui non mi incolpa di niente? Mi ama davvero fino a questo punto? Mi sento uno schifo. Non credo di meritare tutto questo. Forse è davvero tutto frutto della mia immaginazione…
Connor rimane in silenzio. Esattamente come faceva con me, lascia che il fratello si sfoghi.
«Sono una persona orribile.» sentenzia tristemente.
Non è vero, vorrei urlare. Ma mi mordo la lingua. Sono curiosa di sentire la loro conversazione.
«Io continuo a pensare che siate solo due idioti.» risponde la voce di Connor.
Non so perché, ma ho la sensazione che abbia capito che sono sveglia.
«Questo l’hai già detto.» risponde il fratello stancamente.
Sento che sbadiglia sulla mia testa. Non credo che abbia dormito molto in questi ultimi giorni. Come me, immagino. Solo che ho la sensazione che per lui sia stato molto peggio. non solo doveva lottare contro i castelli di fantasie che gli crollavano addosso, ma anche con i sensi di colpa.
«Perché non vai a dormire?» la voce di Connor è seria. E’ preoccupato per suo fratello.
Lo sento annuire. Pi posa un bacio sul capo e, con tutta la delicatezza possibile, mi alza la testa e me la appoggia su un cuscino del divano. Poi, avvicina le labbra al mio orecchio.
«Ti amo.» sussurra dolcemente.
Spero di non essere avvampata e, per precauzione mi giro dall’altra parte, in modo che non si veda il mio viso. Sento i suoi passi che si allontanano, ma non apro gli occhi finché non sento la porta al piano di sopra chiudersi.
Quando decido che non c’è più pericolo, mi metto a sedere e trovo Connor seduto ai miei piedi che mi guarda divertito.
«Ero sicuro che stessi ascoltando, I.» dice con il sorriso di quando mi prende in giro.
Alzo le mani in segno di resa. All’improvviso mi sento piena di felicità.
«Mi sono svegliata quando mi hai appoggiato la testa sulla sua spalla.» dico, giustificandomi.
Lui mi guarda e alza un sopracciglio, poco convinto dalle mie parole. Forse perché sono troppo felice per riuscire a dire le cose con la giusta serietà. O forse sta cercando di  dirmi qualcos’altro?
«Cosa?» dico guardandolo, scontrosa. Odio quando fa quella faccia di io-so-cosa-sta-succedendo-e-ti-tengo-sulle-spine-apposta.
Lui scoppia a ridere. «Voglio sentirtelo dire.» dice tornando al suo sorrisetto presuntuoso.
Lo guardo male, per quanto io possa guardarlo male, presa da tutta questa felicità. Josh mi ama ancora. Non è arrabbiato con me per quello che gli ho fatto. Perché non sono incinta. Perché gli ho distrutto tutte le sue fantasie e rovinato la premiere. E’ triste sì, ma mi ama ancora. Ed è tutto ciò che conta. Perché assieme possiamo farcela. Ho fatto bene a rimanere qui. Ho fatto bene ad accettare quella tazza di te, a non scappare. E forse, Connor aveva ragione… una lampadina si accende nella mia testa.
«Avevi ragione.» sbotto infastidita.
Ecco cosa voleva sentirsi dire, il pezzente.
«Non basta.» dice ancora col sorrisetto presuntuoso.
Alzo un sopracciglio. «Allora sentiamo, cosa dovrei dire di più?» torno al solito tono infastidito che riservo solo ed esclusivamente a lui.
«Prova a pensarci, I.» continua divertito. Penso che, in fondo, sia contento che io sia tornata ad essere quella di sempre. «Credo che anche il tuo unico neurone possa arrivarci facilmente.»
Prendo aria e mi alzo in piedi sul divano. «Io non ho solo un neurone!» dico puntandogli il dito contro. «E, comunque, il mio “unico neurone” fa il culo al tuo!»
Lui si stampa in faccia un irritante sorriso di superiorità.
«Non credo proprio…» dice con decisione. «Ma visto che il tuo neurone è tanto intelligente, perché non mi dici quello che voglio sentirmi dire e la facciamo finita?»
Non lo sopporto. Non posso crede che in questi giorni passati io possa anche solo avere immaginato che avesse un cuore e dei sentimenti. Non può avere dei sentimenti! Non sarebbe Connor, altrimenti.
«Puoi anche scordartelo.» dico portandomi le mani al fianchi, testarda.
Lui si finge offeso.
«Ah, quindi è così che si dice grazie a qualcuno che ha passato giorni a sentirti lagnare?» dice, colpendo il bersaglio in pieno.
Mi sento ancora in colpa, e lui lo sa benissimo. Sta facendo affondare la nave. Ho già detto che non lo sopporto?
«E va bene!» sbuffo, tornando a sedermi sul divano. «Hai vinto! Avevi ragione. Avevi ragione su tutto. Grazie.»
Era tutto quello che poteva pretendere da me, e sa anche questo. Sorride, godendosi la vittoria. Gli tiro un pugno sul braccio. Lui ride.
«Non so proprio come faccia Josh a sopportarti, I.» dice ancora ridendo.
In tutta risposta gli faccio la lingua. Mi sento sorpresa nel non provare dolore al petto a sentire pronunciare il suo nome.
E, per la prima volta dopo giorni, rido.

 
 
 

SPAZIO AUTRICE.

 

Saaaaaalveeee!
 
Avete visto? Alla fine sono riuscita ad aggiornare prima di Natale! :3
 
Volevo ringraziarvi tutte perché siete sempre qui a leggere questa storia e a lasciarmi recensioni tenerissime e, lo so sono ripetitiva, vi vorrei abbracciare tutte quante una ad una. Mi sono sorpresa nel vedere che la mia storia è preferita da 18 persone, ricordata da 6 e seguita da 22! Insomma, ho iniziato a scrivere questa storia pensando che sarebbe stata solo la mia valvola di sfogo e adesso, guardando come si sta evolvendo e come sta crescendo, mi sento così felice!
Siete davvero le migliori lettrici che si possano desiderare e, dato che con alcune ho anche iniziato a parlare su twitter, sono davvero felice di aver pubblicato quella che era nata solo come una stupida fantasia.
Spero che il Natale e l’anno nuovo portino tantissime belle cose a tutte voi!
E spero anche che sarete sempre qui a leggere tutte le cagate che scrivo. :P
 
Ok, dopo questo discorso decisamente troppo mieloso, che sono sicura nemmeno la metà di voi avrà letto e.e, posso augurarvi BUON NATALE e BUON INIZIO ANNO NUOVO! :3
 
Volevo anche dirvi che non aggiornerò più per il 2012, quindi il prossimo appuntamento è al 2013!
 
Spero che siate sopravvissute tutte alla “Fine del Mondo” predetta dai Maya!
Beh io, per vostra sfortuna, sono ancora viva :3
 
Un bacione grande, grande e al prossimo capitolo <3
 
P.S. Per chi avesse twitter, io mi chiamo @IlariaJH :3 

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Capitolo 15
*** Empire State of Mind ***


Empire State of Mind.

New York, concrete jungle where dreams are made of
There’s nothing you can’t do. Now you’re in New York,
There streets will make you feel brand new,
Big lights will inspire you,
Hear it for New York!
Alicia Keys & Jay-Z – Empire State of Mind

 
 
 

Mi stropiccio gli occhi assonnata. Ancora non mi sono abituata del tutto a dormire sul divano. Mi sento come se mi fossero passati sopra con un trattore, più e più volte. Mi manca il letto. Quello nella stanza al piano di sopra. Quello dove dorme Josh…
Ciabattando, mi dirigo verso la cucina. Non arriva nessun profumino buono, a differenza di tutte le altre mattine. Di solito Connor, con la sua passione per la cucina, si sveglia prima di tutti e prepara la colazione. E’ strano non vederlo ai fornelli. E’ come se mancasse qualcosa a quella cucina.
Sbadiglio e, mentre cerco un segno della sua presenza, mi accorgo di un vassoio pieno di muffin al cioccolato posato in bella vista sul tavolo. Immagino che se fossi la protagonista di un manga mi verrebbero gli occhi a cuoricino. Dimenticandomi completamente del sonno, corro verso al vassoio. Prendo un muffin e lo guardo, sentendo lo stomaco brontolare. Noto delle scagliette di cioccolato. Io amo i muffin al cioccolato. Lo addento con vigore e ne assaporo il gusto perfetto. Perché diavolo Connor non ha ancora aperto una pasticceria?! Saprà anche cucinare tutto alla perfezione, ma i sui dolci sono decisamente qualcosa di divino.
Ne mangio tre tutti d’un fiato, prima di accorgermi che affianco al vassoio dei muffin c’è una rivista con appiccicato sopra un piccolo post-it giallo fluo, scritto con una calligrafia che riconosco immediatamente. Ancora conservo il primo biglietto scrittomi con quella calligrafia. Connor.
 
So che prima di leggere questo post-it ti sarai mangiata almeno metà dei muffin nel vassoio, ma ci provo lo stesso…
Ti ho lasciato i muffin per colazione e, nella caffettiera, c’è il caffè pronto solo da riscaldare. Se vuoi qualcos’altro, apri il frigo e cercatelo.
Torno per pranzo. Ti prego, non ti suicidare mentre sono via. Non sopporterei di averti sulla coscienza. Già il fatto che giri per casa è una rottura.
                                                                                                    Connor.
 
P.S. Dai un’occhiata alla rivista…
 
Faccio una smorfia. E’ sempre la solita zolletta di zucchero…
Dopo la chiacchierata con Josh, vedendo che ero tornata a sorridere, è ritornato a comportarsi come il solito vecchio Connor. Quello che lancia frecciatine e mi guarda come se prevedesse quello che mi succederà, prima ancora che io possa solo provare pensare a cosa fare. Peccato, cominciava a piacermi il lato dolce e sensibile che mi aveva mostrato durante il mio periodo buio. Però sono curiosa. Prendo la rivista e guardo la copertina. Come immaginavo, è una rivista di gossip. In copertina non c’è niente che possa riguardare me o Jimmy o Josh, perciò mi chiedo perché Connor me l’abbia lasciata qui da guardare.
Comincio a sfogliare le pagine con fare annoiato, mentre mangio un altro muffin. Davanti ai miei occhi scorrono immagini di vip paparazzati in giro per qualche città assieme all’ultimo, o l’ultima, amante focoso. Sono decisamente schifata. Non mi sono mai piaciute le riviste di gossip, e l’unica persona di cui mi interessasse davvero sapere era Josh.
Continuo a sfogliare le pagine e smetto perfino di guardare le immagini che mi scorrono davanti. Questa deve essere l’ennesima presa in giro di Connor.
Sto per chiudere la rivista, quando tre foto mi saltano agli occhi. Lascio quasi cadere il muffin per terra.
In una ci siamo io e Josh. Lui mi tiene un braccio attorno alla vita e saluta le fan, sorridendo. Io sorrido guardando la folla, anche se si vede che sono palesemente a disagio. Però, guardando bene la foto, posso dire che siamo belli. Vicini, sorridenti e… felici. Chissà a cosa pensava lui in quel momento. Al fatto che avrei potuto essere incinta? Si stava costruendo i suoi castelli di fantasie?
Nella seconda foto ci siamo sempre io e Josh, solo che sta volta lui mi sta reggendo, mentre io… cado. Hanno pubblicato una foto della mia figura di merda di proporzioni colossali.  Ride, mentre io lo uccido con lo sguardo. Fantastico! Per chi non avesse Tumblr o si fosse perso tutte le gif che saranno girate per le pagine facebook dedicate a Josh in tutto il mondo. Accorrete, signore e signori!  
Nella terza ci siamo io e Jimmy. Fortunatamente, niente di strano. Sorridiamo, mentre lui mi fa fare quello che vuole. In questa foto sono decisamente più a mio agio. Non sono più rigida come un manico di scopa e il mio sorriso non sembra forzato.
Lancio un’occhiata alla pagina affianco, completamente coperta dall’articolo che parla di noi. Sto per iniziare a leggere, ma una voce me lo impedisce. Una voce così familiare che la testa comincia a girarmi.
«Uh. Connor ha fatto i muffin al cioccolato.»
Josh.
Il cuore inizia a battermi forte nel petto, minacciando di uscire. Felicità. Solo la sera prima mi fingevo addormentata tra le sue braccia, ascoltando quello che diceva al fratello, e adesso sta parlando davvero con me. E io sono sveglia. Potrei mettermi a saltellare dalla felicità. Immaginavo che, dopo quello che avevo sentito, prima o poi sarebbe tornato al piano di sotto e avrebbe rimesso le cose apposto. Solo che credevo ci avrebbe messo un po’ più di tempo. Dopo questa prima sensazione, però, arriva la stretta allo stomaco. La sua voce è piena di tristezza e sofferenza.
Mi giro lentamente verso di lui, come se per compiere quel facile movimento stessi usando tutte le mie energie. Mi aggrappo a una sedia, perché credo che con tutte queste emozioni il mio povero cuore non potrà reggere a lungo. Tengo gli occhi bassi. Non sono pronta per guardarlo in faccia. Avrò anche ripreso a sorridere, ma mi sento ancora in colpa per quello che è successo. Come lui, d’altronde. L’ha ammesso ieri sera. Questi giorni non sono stati una passeggiata per nessuno dei due.
Faccio un respiro profondo, e mi costringo a guardarlo negli occhi. Ed è lì che trovo conferma a tutte la cose che avevo solo potuto immaginarmi. Il suo viso è pallido e leggermente tirato. La barba è cresciuta, incoraggiata dal fatto che l’ultimo dei problemi di Josh era curare l’aspetto esteriore. I suoi occhi sono stanchi, come se non dormisse da un sacco di tempo. Le borse sotto gli occhi danno una sfumatura scura al viso, facendolo sembrare ancora più triste di come l’avevo immaginato dal suono della sua voce. Le sue labbra si aprono in un sorriso indeciso, che dà un po’ di luce al suo viso tirato. Mi chiedo se abbia mai toccato il cibo che il fratello gli portava in camera. I capelli sono spettinati, ma puliti. Non credo sarei riuscita a sopportare il fatto che in tutto quel tempo non si fosse nemmeno lavato. In questi giorni, io l’ho fatto solo perché Connor mi buttava sotto la doccia vestita. Non mi accorgevo nemmeno del tragitto fino al bagno, finché il getto d’acqua mi risvegliava. Durava poco, ovviamente. Una volta pulita e asciutta, tornavo sul divano e mi richiudevo nella mia bolla. Continuo a guardare quel sorriso bellissimo, anche se velato di tristezza. Vorrei sorridergli di rimando, ma non ci riesco. Non riesco a fare niente, anche se so benissimo che il prossimo passo deve essere il mio. Lui è qui e mi sorride. Ora tocca a me. Mi ricordo di avere in mano la rivista di gossip, così la uso come pretesto per dire qualcosa. Qualsiasi cosa.
«Già.» gli dico senza riuscire a staccare gli occhi dal suo viso, la voce mi trema. Tiro su la rivista, in modo che veda le foto. «E mi ha anche dato questa. Siamo finiti di nuovo su una rivista di gossip.»
Sembra che questo lo diverta, perché il suo sorriso timido diventa un mezzo sorriso divertito, ovviamente nei limiti che l’imbarazzo gli può consentire. Io sento quella sensazione che mi mangia da dentro. Mi impedisce di fare qualsiasi cosa. Vorrei corrergli incontro e abbracciarlo forte. Sentire le sue braccia stringersi attorno a me, tenermi stretta a lui, mentre mi sussurra che tutto è stato solo un brutto sogno. Che non c’è mai stata la possibilità che io fossi incinta. Che tutti questi giorni bui non ci sono mai stati. Ma non succederà. Perché i sensi di colpa ancora si fanno sentire come il giorno in cui sono uscita dalla sua stanza. Perché anche lui si sente in colpa. Perché non possiamo semplicemente dimenticare tutto come se non fosse mai successo niente.
Lui continua a guardarmi. Non so cosa fare. Le mani iniziano a tremarmi e cerco qualcosa da dire. Magari potrei iniziare con un semplice “Mi dispiace.” ma Josh parla prima che possa farlo io.
«Mi dispiace.» dice, i suoi occhi fissi nei miei, come a dire tutte le parole che nessuno dei due riesce a dire. «Mi ero fatto tutto un discorso di scuse, ma sembra che adesso non valga più niente.»
Abbozza un sorriso e si porta una mano dietro la testa con fare imbarazzato. Anche io avevo pensato molto a questo momento. Mi ero preparata tutto un discorso con i fiocchi in cui gli avrei chiesto scusa e gli avrei detto come mi sentivo, ma che non contava nulla. Che non potevo stare senza di lui. Ma adesso sembra tutto così stupido. Come potevo pensare di preparare un discorso? Abbozzo un sorriso anche io, senza riuscire a dire niente.
«Il fatto è che…» comincia a dire, ma poi si blocca.
Si guarda alle spalle, come se avesse sentito qualcosa, ma non c’è niente. Connor non è in casa e i cani sono fuori, ci siamo solo io e lui. Si guarda attorno e poi i suoi occhi tornano a guardare i miei. Credo di avere un’espressione confusa, perché lui mi viene vicino, mi prende la mano e mi porta in salotto. Sento il cuore che perde un battito. Guardo le nostre mani intrecciate, sentendo fin troppe emozioni. Confusione, prima di tutto. Ma non dico niente. Lo lascio fare. Mi dice di sdraiarmi sul tappeto, e poi si sdraia accanto a me. Lo guardo e, questa volta, cerco di assumere volontariamente un’aria interrogativa. Lui mi sorride. L’imbarazzo iniziale completamente sparito dal suo viso, e la tristezza con lui. Come se il fatto di essere riuscito a prendermi la mano e a farmi sdraiare accanto a lui sul tappeto avesse richiesto talmente tanto coraggio, che adesso era felice di averlo fatto.
«Scusa.» dice guardandomi negli occhi. «Non mi chiedere perché, ma tutte le volte che provavo a immaginarmi come avremmo fatto pace, eravamo qui, sdraiati sul tappeto.»
Sento un timido sorriso impossessarsi del mio volto. Mi viene quasi da ridere. Non pensavo che un particolare così insignificante potesse contare tanto per lui. Insomma, a chi interessa dove siamo mentre facciamo pace? Mi sembra così stupido e divertente allo stesso tempo. Ma non dico niente. Se questo è importante per lui, non sarò certo io a dirgli che è stupido. Ho distrutto abbastanza sue fantasie per una vita intera. Ci guardiamo per un attimo che sembra infinito, poi lui riprende da dove aveva lasciato la frase.
«Il fatto è che mi sono nascosto dietro alle mie fantasie.» dice senza distogliere gli occhi dai miei. «Dovevo immaginarlo che non ti sentivi ancora pronta. E lo sapevo che nascondermi nei mie sogni avrebbe portato qualche guaio, ma era facile. Era più facile dimenticarmi dei tuoi problemi, fare finta che non esistessero. Mi piaceva l’idea che avremmo potuto avere un bambino. All’inizio continuavo a ripetermi che tu non eri pronta. Che le tue cicatrici non si erano ancora rimarginate del tutto. Ma…»
Fa una pausa. Deve essere difficile ripensare a quello che gli ho fatto passare. So cosa sta per dire. Poi io gli ho detto che i nomi mi piacevano. Poi io ho cominciato a illuderlo.
«Ma poi mi hai detto che i nomi ti piacevano.» riprende, senza abbassare mai lo sguardo. «E allora ho pensato: “Forse non ha più paura. Forse è riuscita ad andare avanti, a lasciare che il passato non influenzi il suo futuro.” Ho iniziato a farmi fantasie su fantasie. Ho passato la premiere pensando che non vedevo l’ora di arrivare a casa, per sapere se eri davvero incinta. Ho cominciato a immaginare come sarebbe potuto essere il nostro bambino.»
Un’altra pausa. Un’altra fitta allo stomaco, ripensando a quello che è successo dopo. Io l’ho vissuta dal mio punto di vista, ma sentirlo raccontare cosa provava in quei momenti mi fa sentire ancora peggio di come già mi sto sentendo.
«E’ stato quando mi hai detto che non volevi un bambino che sono crollato.» I suoi occhi tornano ad essere tristi. «Riuscivo quasi a sentire, come vetri che vanno in frantumi, tutto il mondo che mi ero costruito creparsi, e poi crollare tutto d’un colpo. Lo sentivo quasi come un tradimento. Come se in tutto quel tempo avessi giocato a illudermi. Rimanevo attaccato solo alla speranza che tu fossi davvero incinta.»
Sono stata davvero un mostro. Non riesco a pensare ad altro. Mi chiedo come possa solo pensare di sentirsi lontanamente in colpa. E’ ovvio che la colpa è solo mia! Come può riuscire ad amarmi dopo quello che gli ho fatto? Nella mia testa è tutto in uno stato di confusione. Vorrei parlargli ma, in un certo senso, sono curiosa di sapere il resto della sua storia. Così lo lascio andare avanti.
«Ma la speranza è un’arma a doppio taglio.» dice, come per mettermi in guardia. «Quando sei uscita dicendomi che non eri incinta… beh, è stato allora che sono crollato definitivamente. Non volevo davvero sbatterti fuori dalla stanza. Ma non riuscivo…» lascia la frase in sospeso. Deglutisce, come a mandar giù un groppo che gli blocca le parole. «Davanti ai miei occhi c’era il piccolo bimbo che mi ero immaginato. Era sempre lì, pronto a ricordarmi che tu non eri incinta e che io ti avevo sbattuto fuori dalla mia camera. I primi giorni non facevo altro che stare sdraiato sul letto a guardare il soffitto, immaginandomi mentre mi chiamava papà. Mentre lo prendevo in braccio e tu eri lì, che sorridevi. Mi alzavo per aprire la porta a Connor e poi guardavo il cibo senza riuscire a toccarlo. Poi, un giorno, lui mi disse che tu eri ancora qui. Che volevi andartene, ma che lui pensava che fossimo due idioti, e ti aveva convinta a rimanere. Mi disse che si stava prendendo lui cura di te. Che avrebbe aspettato che io mi fossi leccato le ferite. E l’ho fatto.»
Si ferma e mi sorride. Un sorriso come quelli che mi dedicava ogni volta che ero accanto a lui. Uno di quelli che mi facevano sciogliere tutte le dannate volte.
«Ho iniziato a pensare a cosa sarebbe successo se te ne fossi andata. Al fatto che non sarei sopravvissuto. Ho ripreso a mangiare e a lavarmi.» ride e la sua risata mi provoca un mezzo sorriso. «Iniziavo a sentirmi in colpa perché avevo pensato solo a me stesso, quando avrei dovuto starti vicino e aiutarti a superare le tue paure. Mi mancavi così tanto. e ieri ho capito che non potevo continuare a nascondermi in camera. Che tu avevi bisogno di me, almeno quanto io avevo bisogno di te. E, in fondo, sono contento che tu non sia rimasta incinta, perché non è quello che vuoi. Immagino che non mi sarei mai perdonato, se tu fossi rimasta incinta, una volta che mi fossi accorto che avevo sbagliato tutto.»
Si ferma. Una pausa più lunga delle altre, perciò immagino che abbia finito.
«Josh, io…» comincio a dire.
Ma lui mi posa un dito sulle labbra, sorridendo.
«Tu ti senti in colpa perché non mi ha detto subito che non volevi un bambino.» dice, prevedendo quello che avrei voluto dire. «Non sto dicendo che è tutta colpa mia. E nemmeno che è tutta colpa tua, perché Connor ha ragione, tu avresti dovuto dirmelo subito e io non mi sarei dovuto lasciare sopraffare dalle fantasie, come faccio sempre. Sto dicendo che ti amo, e che voglio che tutto questo rimanga solo un piccolo problema che abbiamo affrontato e superato con successo. Insieme.» fa una pausa e fissa i suoi occhi stupendi nei miei. «Mi sei mancata così tanto.»
Mi vengono le lacrime agli occhi. Cerco di ignorare il groppo in gola che cerca di farmi piangere. Gli sorrido e lui mi sorride di rimando.
«Anche tu mi sei mancato.» gli dico e, sta volta, non riesco a trattenere le lacrime.
Scoppio a piangere e gli butto le braccia al collo, appoggiando la testa sulla sua spalla, una posizione che mi sembra così familiare che sono contenta che lui mi abbia fatta sdraiare sul tappeto. La sua mano comincia ad accarezzarmi i capelli, spettinati e mezzi legati in uno chignon improvvisato. Non dice niente. Lascia che mi sfoghi, mentre sento tutta la tristezza di quei giorni scivolare via da me, lasciando il posto alla felicità. La felicità di riaverlo accanto. Alzo la testa e avvicino le labbra alle sue. Le sento morbide e, mentre lui approfondisce dolcemente il bacio, aspiro il suo odore a pieni polmoni. Gli poso un mano sulla guancia, accarezzando la barba che gli è cresciuta in questi giorni. Mi punge leggermente, ma decido in quel momento che la adoro.
«Potresti smettere di farti la barba?» gli chiedo, staccandomi per prendere aria.
Lui scoppia a ridere, riempiendo la stanza di quel suono bellissimo e pieno di felicità.
«Come mai questa richiesta?» mi chiede, avvicinandosi di nuovo e attirandomi in un altro bacio.
«Mi piace sentirla pungere sulla pelle.» gli sussurro sulle labbra, guardandolo maliziosamente.
Lui afferra immediatamente. Mi sorride e torna a baciarmi. Continuiamo così per un bel po’. Come due drogati in astinenza dalla migliore cocaina, noi eravamo in astinenza dai baci. Lascio che mi stringa a se, senza che nessuno dei due provi ad andare oltre al semplice bacio. In questo momento, la vicinanza e i baci, sono tutto quello di cui abbiamo bisogno. Ma, ovviamente, non potevamo sperare di andare avanti per sempre.
La porta all’entrata si chiude con fragore e dei passi raggiungono il salotto. Sento una risata che conosco fin troppo bene, e maledico il tempo per essere passato troppo in fretta.
«Oh, andiamo!» dice la voce di Connor divertita. «Vi sembra il caso di farlo sul tappeto?! Siete senza ritegno!»
Josh fa per staccarsi, ma io lo trattengo, facendo pressione con la mano ancora poggiata sulla sua guancia. Poi tiro su il braccio libero, la mano stretta a pugno. Apro gli occhi leggermente e noto che anche i suoi sono socchiusi. Lancia uno sguardo al mio braccio alzato, guardandolo senza capire. In quel momento, tiro su il dito medio e lo rivolgo a Connor. Lo sento che scoppia in una fragorosa risata e si allontana, sempre ridendo, verso il piano di sopra.
 
La nostra stanza d’albergo all’ultimo piano si affaccia su Central Park. Un finestrone mega galattico, illuminato dal sole, riempie tutta la stanza di luce. Mi piacerebbe passare le ore a guardare i minuscoli puntini che sono le persone, passeggiare, presi in chissà quali problemi e ignari di essere osservati, ma non appena ci chiudiamo la porta alle spalle, mi ritrovo sdraiata sull’enorme divano ultra moderno, col corpo muscoloso di Josh premuto su di me.
In questi due giorni passati, per rispetto a Connor che si era preso cura di noi quando noi stessi non eravamo stati in gradi di farlo, avevamo deciso di fare un voto d’astinenza, finché non fossimo arrivati in albergo a New York, dove ci sarebbe stata la seconda premiere del nuovo film di Josh. Non che fossimo entusiasti di questa decisione, ma entrambi ci ricordavamo l’ultima volta, quando un Connor a dir poco irascibile per non aver chiuso occhio per colpa nostra, ci aveva detto che non avrebbe cucinato per tutta la settimana, e aveva passato la giornata a brontolare come una vecchia zitella. Per noi era stato decisamente divertente vederlo così, ma non potevamo permetterci di farlo anche sta volta. Non dopo quello che era successo.
Così eccoci qui, avvinghiati sul divano, mentre cerchiamo di andare piano, dopo aver resisto a questi due giorni di astinenza.
«E io che pensavo che mi sarei goduta il panorama per tutta la giornata.» gli sussurro sulle labbra, anche se mi riesce difficile parlare, troppo presa da tutti questi baci.
Lui sposta le labbra sulla mia guancia e scende lungo il collo. Mi sussurra qualcosa sul collo, ma non riesco a sentirlo. Sento solo il solletico che mi provocano i suoi sussurri sulla pelle. Gli butto le braccia attorno al collo, stringendolo, se possibile, ancora di più a me. Le sue labbra cominciano a muoversi su e giù per il mio collo, lasciando una scia infuocata. Inclino la testa per fargli spazio. Sento le sue mani trafficare con il bottone dei miei jeans, mentre io gli tolgo senza molti sforzi la t-shirt. Rimango per un attimo incantata da tutti quei muscoli, come ogni volta che è senza maglietta. Ancora non mi sono abituata.
«Ma credo che anche questo potrà andar bene.» sussurro accarezzandogli i muscoli, e lo sento che scoppia a ridere.
E non mi sono abituata nemmeno al suo sorriso mozzafiato e ai suoi occhi che mi guardano con amore. Non penso mi ci abituerò mai. Ho passato troppo tempo davanti a un computer osservando tutto quel ben di dio sulle foto, per potermi abituare.
Lui, intanto, è riuscito a liberare il bottone. Tira giù la cerniera, continuando a lasciare fuoco sul mio collo. Sento l’urgenza nei suoi baci. Cerco di fare lo stesso, e liberarlo dai jeans, ma qualcuno bussa alla porta.
«Mmmm.» lo sento grugnire in segno di disapprovazione sulla mia guancia.
Gli poso le mani sul petto, per farlo staccare, ma lui non si muove.
«Se non li consideri se ne vanno.» mi sussurra, cercando di convincere più se stesso che me.
Mi attira in un bacio che mi fa dimenticare che fino ad un attimo prima stavo cercando di staccarmi da lui. Continuano a bussare alla porta, ma nessuno dei due ci fa più caso, troppo impegnati a baciarci. Ci auto-convinciamo che prima o poi se ne andranno e, per un momento ci crediamo anche. Beh, almeno finché un urlo trapana-cervello di Jimmy non ci fa sobbalzare. Sbuffando, Josh si dirige a petto nudo verso la porta. Si riabbottona i pantaloni e aspetta che io faccia lo stesso. Cerco anche di darmi una sistemata ai capelli, ma ultimamente non riesco più a farli stare dritti come sempre. Gli faccio cenno col capo di aprire la porta, e me ne pento immediatamente.
Lo stilista entra come una furia seguito, come sempre, dalla sua bella segretaria che si regge in piedi su quegli instabili tacchi a spillo. Fuma rabbia, letteralmente. Guarda Josh come se volesse ucciderlo e poi fa lo stesso con me. Mi vorrei fare piccola, piccola. La cosa peggiore che una persona possa fare in tutta la sua vita è fare arrabbiare Jimmy. Le conseguenze, di solito, sono devastanti per il tuo cervello.
«Tu.» dice puntando un dito verso Josh, che lo guarda con un sorrisetto divertito. «Hai idea di che ora sia?! DOVRESTI GIA’ ESSERE PRONTO! Invece, oltre a non aprirmi la porta, perdi tempo con quella scansafatiche della tua ragazza! Abbiamo una tabella di marcia da rispettare, QUINDI INFILATI SOTTO LA DOCCIA, E VEDI DI FARLO IN FRETTA.»
Ha la faccia tutta rossa e la sua voce è troppo alta. Vedo la sua segretaria fare di tutto per non guardare la figura di Josh, ancora a petto nudo. La guardo male, e lei esce dalla stanza balbettando una scusa che Jimmy nemmeno si prende la briga di ascoltare. Mi sento soddisfatta, ma lo stilista ha una ramanzina pronta anche per me, e la soddisfazione sparisce con la stessa velocità con cui è arrivata.
«E tu.» dice puntando il suo dito minaccioso verso di me. Vorrei sparire nel divano. «Perché diavolo non ti sei fatta più sentire?! Dovevamo metterci d’accordo per il servizio fotografico! Adesso dovrò rimandarlo. PER L’ENNESIMA VOLTA! Hai idea di quello che stai facendo passare ai miei poveri nervi?!» mi guarda e penso che sia in attesa di una risposta. Faccio cenno con la testa a metà tra un si e un no. Inutile dire che me ne pento immediatamente. «Beh, IO CREDO PROPRIO DI NO.»
Non credo che cercare di scusarmi sia la cosa giusta da fare, perciò me ne sto zitta. Incrocio lo sguardo divertito di Josh, che cerca di trattenersi per non scoppiare a ridere. Sento un mezzo sorriso dipingersi sulla mia faccia, e distolgo lo sguardo prima di scoppiare a ridere in faccia a Jimmy. Sarebbe la mia morte definitiva.
Intanto lo stilista comincia a calmarsi. Inizia a sistemare la sua roba nella stanza per poter preparare Josh. Si muove velocemente da una parte all’altra. Sbuffa un paio di volte e guarda l’orologio, con un cipiglio contrariato. Prende il telefono dalla tasca dei pantaloni a scacchi blu notte, e compone un numero.
«DOVE DIAVOLO SONO I DUE CAFFE’ CHE TI AVEVO CHIESTO?!» urla.
Immagino che stia parlando con la sua segretaria. Ascolta quello che gli viene detto dall’altro capo del telefono, sbuffando. Intanto, Josh si viene a sedere accanto a me sul divano e mi abbraccia da dietro, sfiorandomi il collo con la punta del naso. Io non gli presto attenzione, mentre la presenza di Jimmy infuriato nella nostra stessa stanza mi terrorizza.
«Non mi interessa quanto è lunga la fila!» urla un’altra volta. «MUOVI QUEL CULO ANORESSICO E PORTAMI I CAFFE’. ADESSO!»
Chiude la telefonata e, improvvisamente calmo, ci rivolge un sorriso. Sono spaventata da questi sbalzi d’umore. Un attimo prima urla a chiunque stia nel suo raggio d’azione, e un attimo dopo sorride come se niente fosse. Poi, nota che Josh non è ancora sotto la doccia.
«Perché diavolo sei ancora qui?!» lo guarda con gli occhi spalancati, mettendo su il suo tono dittatoriale. «Mi sembrava di essere stato chiaro. FILA IMMEDIATAMENTE SOTTO LA DOCCIA.»
Josh si alza tranquillamente. Lo guarda con fare annoiato e poi si dirige, sempre in tutta calma, verso il bagno. Lo fa apposta. Si diverte un sacco a guardare Jimmy che da di matto. Io resto lì a guardare lo stilista preoccupata. Lui fissa la porta del bagno e prende a sbuffare, finché non sentiamo l’acqua della doccia cominciare a scorrere. Poi mi guarda. Fa per dire qualcosa, ma in quel momento la sua segretaria fa irruzione nella stanza, facendomi spaventare. Ha in mano due caffè provenienti da uno Starbucks. Mi chiedo se Jimmy sia davvero così drogato di caffè da scolarsi due tazze tutte da solo, anche se a questo punto niente mi sorprenderebbe più. Prende i caffè e poi manda via la sua segretaria con un gesto annoiato della mano. Si avvicina, sorridendo, e mi porge una delle due tazze.
«Che ne dici di un bel pomeriggio in New York City?» chiede, trattenendo a stento la felicità.
Lo guardo scioccata. Ero sicura che, una volta che fosse iniziata la premiere, io sarei andata a farmi un giro per la città da sola. Da fanatica viaggiatrice, mi ero preparata tutta una scaletta dei posti che volevo vedere. Di sicuro non avrei mai pensato che Jimmy avrebbe abbandonato la premiere di Josh solo per venire a passeggiare con me per New York. Ci metto un po’ per realizzare e, quando finalmente capisco quanto sarei felice di farlo, mi alzo dal divano e lo abbraccio forte.
«Oddio, sì!» mi metto a urlare, mentre lui scoppia a ridere. «Un bel pomeriggio in New York City!»
 
Central Park è enorme. E meravigliosa. E incredibilmente affollata.
Sento i brividi. Ho sempre sognato di vederla dal vivo. Di sentire il chiacchiericcio provocato dalla gente che passeggia in mezzo agli alberi, sdraiata a prendere il sole sui prati, correre con il cane, andare in bicicletta, mangiare un gelato. Respiro l’aria a pieni polmoni, mentre fotografo tutto quello che posso. Jimmy mi guarda sorridendo. Mi sento proprio una bambina. Ogni cosa che riesce a catturare la mia attenzione, come ricompensa, si ritrova immortalata dalla mia macchina fotografica. E’ più forte di me. Mi guardo attorno, sorridendo sia ai passanti che non mi degnano di uno sguardo, sia ai turisti che, come me, sembrano dei bambini in un negozio di giocattoli, sia alla gente che mi guarda come se fossi pazza. Tutto sembra più luminoso ai miei occhi. Le foto non possono rendere giustizia a questa meraviglia. Perfino i barboni sul ciglio dei vialetti sembrano stupendi. Mi vengono in mente tutti i film che conosco girati qui. Mi viene voglia di correre e saltellare e, magari, mettermi a cantare una canzone. Ho la sensazione che nessuno canterebbe con me come fanno nei film, ma non me ne importerebbe niente. Sono qui e sono felice, non mi interessa se mi prenderebbero per pazza. Trascino Jimmy avanti e indietro, indicandogli quell’albero particolarmente bello o quella ragazza vestita in modo strambo che fischietta tranquillamente, seduta su una panchina. Tutto attira la mia attenzione. Tutto è fantastico.
Ci prendiamo dello zucchero filato e camminiamo a braccetto lungo la riva del laghetto al centro del parco. Poi lo convinco a dare da mangiare alle papere, che nuotano tranquille, incuranti del fatto che continuo a immortalarle come se fossero fotomodelle. Passiamo un’altra ora così, mentre Jimmy asseconda tutto quello che faccio. Poi però, stufo di vedermi fotografare alberi e papere, mi trascina sotto l’Empire State Building.
«Wow!» è l’unica cosa che riesco a dire.
Alzo la testa, per cercare di vederne la fine, ma più la alzo, più mi sembra che il palazzo diventi più grande. Sorrido come un ebete. E faccio foto.
«Per forza che Josh non voleva che girassi per New York senza di lui!» dice Jimmy divertito dalla mia espressione.
Quando ha saputo che sarei andata in giro per la città con lo stilista c’era rimasto un po’ male. Aveva detto che la prima volta a New York non si scorda mai, e che voleva essere lui il primo con cui l’avrei visitata. Anche a me sarebbe piaciuto passeggiare per quelle vie affollate mano nella mano con lui. Insomma, non ti capita mica tutti i giorni di essere qui. Ma lui aveva la premiere, e domani io tornerò a Los Angeles e lui partirà per le varie tappe per la promozione del suo film. Sarei comunque uscita, con o senza Jimmy, perciò alla fine aveva rinunciato a tentare di convincermi a non andare. Sarebbe stato solo tempo sprecato.
«La tua faccia è fantastica!» continua lo stilista.
Scoppia a ridere, poi mi prende di nuovo sotto braccio e mi porta in cima al palazzo. Da quassù si vede tutta Manhattan! Una distesa che sembra quasi infinita di altissimi palazzi. Palazzi su palazzi che sembra facciano a gara a chi è più alto. Posso quasi scorgere il ponte di Brooklyn. E magari, se si guarda attentamente, anche la Statua della Libertà, imponente e stupenda. Le persone, viste da quest’altezza, non sembrano nemmeno più puntini. Non sono nemmeno più macchie di colore. Sono talmente piccole! Si intravede Cetral Park, un’enorme macchia verde che spicca, in contrasto a tutti questi palazzi grigi o marroni. Corro da una parte all’altra. Come prima, tutto mi sembra meraviglioso e luminoso. Non credo di aver mai visto i colori così luminosi. Come se avessi vissuto una vita guardando quello che mi accadeva attorno attraverso un velo. Vorrei rimanere qui per sempre, ma Jimmy mi porta via e mi trascina in Times Square.
Negozi su negozi. Gente su gente. Taxi su taxi. Cartelloni pubblicitari su cartelloni pubblicitari. Insegne su insegne. E’ qualcosa di indescrivibile. Continuo a guardarmi attorno affascinata e, più di una volta, vado a sbattere contro un Newyorkese di fretta, come la maggior parte dei Newyorkesi, che sbuffa e tira dritto, troppo di fretta perfino per mandarmi a stendere. Ma anche loro sono fantastici! Non guardano in faccia nessuno. Continuano a camminare veloci per la loro via, come se fossero sempre in ritardo. Mi ricordano tanto il Bianconiglio di Alice nel Paese delle Meraviglie. Tanti piccoli Bianconiglio che guardano l’orologio pensando di essere in ritardo. E’ un immagine che mi fa talmente ridere che non posso non condividerla con Jimmy.
«Ma come ti vengono in mente certe idee?» dice lui ridendo.
Mi porta da Tiffany & Co. Un negozio decisamente enorme. Io mi sento un po’ Audry Hepburn, in “Colazione da Tiffany”. Per Jimmy, invece, è come entrare in paradiso. Mi trascina da una parte all’altra. Su e giù per i piani che sono sempre di più man mano che sali. Sembra che spuntino come funghi! Tutto attorno a me luccica e brilla. Mi fa venire perfino male alla testa. E, visto che non ho un particolare interesse per i gioielli, mi sento anche un po’ fuori posto. Lo stilista, da parte sua, non sembra mai soddisfatto.
«Oh, guarda!» dice indicandomi qualcosa che brilla. «Quanto vorrei essere donna per poter portare uno di quelli!»
Lo guardo scioccata, mentre lui continua a sorridere come un ebete guardando tutto questo luccicare con occhi sognanti. Immagino che la mia faccia fino a un attimo fa fosse identica. Mi sento un po’ stupida.
«Non c’è ne bisogno, sai?» dico, prendendolo in giro. «Gli uomini hanno iniziato a travestirsi apposta.»
Mi lancia un’occhiataccia e poi mi trascina su per un altro piano che, ne sono sicura, fino a cinque secondi prima non c’era.
Quando si sente finalmente soddisfatto, riesco a farlo uscire, ma non senza un sottofondo di brontolate contrariate. Ovviamente tutte contro di me. Non può credere al fatto che io non sia interessata ai gioielli.
Mi faccio portare all’Hard Rock Cafè con l’intento di non uscirne senza essermi comprata la maglietta. Quando vediamo la coda infinita per pagare, sento Jimmy che sbuffa, dicendo che potevamo stare ancora un po’ da Tiffany, ma io non demordo. Non sarà una coda chilometrica a impedirmi di comprare la maglietta dell’Hard Rock Cafè di New York! Dopo mezz’ora, finalmente, riusciamo a uscire e io sono più contenta che mai!
Jimmy mi porta sulla Brodway e poi a fare un giro tra le ricche case nell’Upper East Side. Lo supplico di Portarmi a vedere St. Patrick’s Cathedral e la Grand Central Station. Vorrei anche andare a vedere Soho e Chinatown, per non parlare di Dowtown e magari fare anche una capatina sulla Statua della Libertà, ma sono troppo lontani da dove ci troviamo e ormai siamo stanchi morti tutti e due. Ritorniamo all’albergo decisamente sfiniti. Sento ancora il rumore della città nella testa, ma mai in vita mia sentire questo tipo di rumore mi ha resa così felice.
Avevo sognato New York per tutta la vita e, ora che finalmente ero riuscita a vederla, sentivo che la giornata era passata troppo in fretta. Avrei voluto fermare il tempo, o magari rimanere lì per qualche giorno in più.
Non appena entro in camera, mi levo le scarpe e mi dirigo , stanca morta, sulla terrazza. Guardo le luci sui palazzi e i grattacieli che si estendono a perdita d’occhio. L’aria della sera non è tanto fredda, ma sono talmente stanca che sento i brividi lungo la schiena. Mi siedo sul divano, cercando di rimanere sveglia per aspettare Josh, ma sento gli occhi che si chiudono. Prendo il libro che avevo messo in valigia per il viaggio e comincio a leggere. Nemmeno riesco a finire la prima riga che i miei occhi si chiudono e crollo sul divano.
 
«Ila!» una voce mi chiama, mentre mi sento scrollare dolcemente. «Svegliati, devo farti vedere una cosa!»
Mi giro dall’altra parte, mentre mi scrollo di dosso le mani di Josh. Gli faccio cenno con la mano di lasciarmi dormire. La cosa che deve farmi vedere può benissimo aspettare fino a domani mattina. Sono troppo stanca. Ma lui non demorde. Continua a chiamarmi con dolcezza. Mi posa teneri baci sulla guancia e, alla fine, mi lascio convincere ad alzarmi. Strizzo gli occhi, alla vista della forte luce della lampada accanto al divano. Josh è ancora in smoking. Deve essere appena tornato dalla premiere.
«Che ore sono?» borbotto infastidita, mentre abbasso l’intensità della lampada.
Ma Josh è sparito. Mi guardo attorno allarmata. Poi lo vedo arrivare dal buio con il mio cappotto, la mia sciarpa e le mie Converse. Sono un po’ perplessa.
«Sono le tre e mezza del mattino.» nella sua voce non c’è stanchezza.
Mi chiedo se si sia fatto di qualcosa per essere tanto sveglio e pimpante a quest’ora di notte. Io sono distrutta. Mi porge le scarpe e mi aiuta a metterle, mentre io, seduta sul divano, cerco ancora di capire perché ho gli occhi aperti quando, invece, vorrei solo tornare a dormire.
«Coraggio.» dice sorridendo. Non riesco a capire che diavolo ha in mente. «Mettiti il cappotto. Io vado a prendere una coperta.»
Una coperta? Dove diavolo ha intenzione di portarmi? Central Park di notte non è uno dei posti in cui preferirei andare… Ma non faccio storie. Mi metto la mia sciarpona di lana, mi infilo il cappotto e rimango in attesa che riemerga dal buio della camera da letto. Mi sta chiamando a gran voce, il letto. Se ne sta lì, tentandomi con parole gentili e invitanti. Come vorrei sdraiarmici sopra e infilarmi sotto le coperte calde…
Josh riemerge dal buio, tenendo sotto braccio un plaid blu. Mi guarda sorridendo.
«Dove mi porti?» gli chiedo, lasciando che mi afferri la mano e mi guidi nel corridoio fuori dalla nostra stanza. Mi muovo alla velocità di un bradipo.
«E’ una sorpresa.» dice facendomi l’occhiolino. «Mi sembra di ricordare che ti piacciano le sorprese…»
Gli lancio un’occhiataccia. No. Io odio le sorprese, e lui lo sa benissimo.
In tutta risposta, mi posa un bacio sulla guancia.

 
 

SPAZIO AUTRICE.

 

SONO IN RITARDO MOSTRUOSOOOOO!
Mi vergogno perfino di aver postato e.e
 
Ma vabbè…
 
COME STATEEEE?! TUTTO BENEEEEE?!
Adesso la smetto con il Caps Lock. u.u
 
Eccoci nel 2013, anno meraviglioso, secondo me.
Elencando, ci saranno: The Host, The Mortal Instrument – City of Bones, Noi siamo infinito, Beautiful creatures, Lo Hobbit, Percy Jackson e gli Dei dell’Olimpo – Il mare dei mostri eeeeeeeee (sempre che io non ne abbia dimenticato nessuno e.e) …
… CATCHING FIRE! (non dovevo smetterla col Caps Lock?! >.<)
Porca vacca, gente, passerò tutto l’anno ad aspettare!
 
Poi adesso che sono appena passati i PCA ( e Jen è stata nominata agli Oscar! I’m so proud :’3) e sono uscite le still dal film :3
“Welcome to the games”
Cappero, sì! Non riuscirò a resistere fino a novembre ç.ç
 
Ok, dopo questi scleri che mi potevo decisamente risparmiare…
 
Boh, non so che scrivervi >.<
Come al solito spero che il capitolo vi sia piaciuto, anche se vi ho fatto aspettare un’eternità e.e
 
Un bacione, Ila.
 
P.S. BUON ANNO! Cacchio, me n’ero scordata :P Spero che abbiate passato delle buone feste! Tante belle cose per questo 2013 :3
 

 

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Capitolo 16
*** Here comes the sun ***


Here comes the sun.

Little Darling, the smiles returning to their face,
Little Darling, it seems like years since it’s been here.
Here comes the sun,
Here comes the sun, and I say:
It’s all right.
The Beatles – Here comes the sun.

 

 
 

Mi ritrovo con una benda legata davanti agli occhi, aggrappata letteralmente alla mano di Josh che continua a non volermi dire dove stiamo andando. Cerco di toccare qualcosa attorno a me, ma lui mi prende entrambe le mani, impedendomi qualsiasi movimento. Mi sta facendo innervosire. Ho quasi paura che voglia davvero trascinarmi tra i vialetti di Central Park.
«Mi dici dove stiamo andando?!» chiedo, acida.
Non posso nemmeno vedere che faccia sta facendo! Mi sento impotente. Il pavimento sotto di me si muove con un leggero strattone, e incominciamo a muoverci. Perdo l’equilibrio, ma cerco di tenermi stretta a Josh, che scoppia ridere divertito. Mi giro verso il suono della sua risata, vestendomi del mio sguardo assassino, ma poi mi ricordo che ho una benda davanti agli occhi.
«Sono da questa parte.» dice prendendomi il mento tra l’indice e il pollice e facendomi girare la testa dalla parte opposta rispetto a dove avevo rivolto il viso. «E, se non te ne fossi accorta, siamo in ascensore.»
Faccio una smorfia con la bocca. Sicuramente quella la può vedere. Muovo la testa, in modo da sfuggire alla sua presa sul mio mento. Riesco a immaginarmelo mentre sorride tutto goduto della mia acidità. Già odio le sorprese di mio, in più se ci si mette anche lui!
«Ma pensa!» dico, sempre con lo stesso tono acido. «Grazie, Josh. Proprio non mi ero accorta che mi hai portato in ascensore! Sai, spero che la tua sorpresa non consista nel portarmi trai vialetti di Central Park, perché sto seriamente pensando di scaricarti e se tu continui…»
Non mi lascia finire. Mi posa un dito sulle labbra, mentre ride.
«Giuro.» dice con tono divertito. «La prossima volta ti lascio in camera da sola!»
Sbuffo e cerco di mordergli il dito, ma lui lo sposta prontamente dalle mie labbra e si mette a ridere. Vorrei non avere la benda sugli occhi solo per potergli lanciare un’occhiataccia. Provo a sottrarre dalla sua presa ferrea una mano, per spostare la benda, ma, ovviamente, tronca anche quel mio tentativo.
«Stai ferma!» mi rimprovera. Sento ancora quel tono divertito. Inizio a non sopportarlo. «Dobbiamo scendere. Vieni.»
Gli faccio la lingua, ma poi mi lascio guidare senza dire niente. Mi fa camminare per un po’. Sento il rumore delle nostre scarpe sul parquet dei corridoi dell’albergo. Ad un tratto si ferma e io vado a sbattere contro di lui. Rivoglio la mia vista!
«Potresti evitare di fermarti di botto?!» sbotto ancora inacidita. «Sai com’è, non ci vedo!»
Già me lo immagino, mentre alza gli occhi al cielo e poi mi guarda sorridente.
«Quanto sei fastidiosa..!» borbotta, ancora tutto goduto.
Sbuffo. «Ti ho sentito, sai?» Non mi degna di risposta. «Sarò anche momentaneamente cieca, ma non sono sorda!»
In tutta risposta, lo sento aprire una porta alla mia destra, o almeno credo. Non sono molto sicura che il mio udito funzioni ancora a dovere, visto che sull’ascensore mi sono girata dalla parte opposta rispetto a dove stava Josh. Infatti, lui mi tira verso la mia sinistra. Sono un disastro! In meno di un millisecondo, da caldo in stile Bahamas, passiamo a un freddo in stile Polo Sud. Un brivido mi percorre la schiena, facendomi tremare.
«Dove diavolo mi stai portando?!» gli dico battendo i denti, mentre lui comincia di nuovo a trascinarmi.
Camminiamo per qualche metro, immagino. Poi lui si ferma. Gli vado di nuovo addosso. Sto per mettermi a brontolare un’altra volta, ma lui parla prima che possa farlo io.
«Ci sono delle scale.» mi dice, già divertito al pensiero di vedermi salire le scale con una benda sugli occhi. «Puoi farcela, o vuoi che ti porti in braccio?»
Mi sta prendendo in giro. Lo sento dal suo tono di voce, così simile a quello di Connor quando decide che deve rompermi le scatole. Faccio un passo in avanti, come a minacciare di andarmene senza di lui. Giro la testa verso il lato opposto a quello da cui mi sembra provenire la sua voce, anche se sono convinta di aver sbagliato un’altra volta. Infatti sento il suo respiro a pochi centimetri dal viso. Faccio una smorfia.
«Ce la faccio da sola.» dico facendo un altro passo in avanti, ma andando a sbattere contro un gradino e sentendo una fitta di dolore. Lo sento che scoppia a ridere, ma non demordo. «Vogliamo andare?»
Mi fa salire un gradino. «Ma certo, Vostra Maestà!»
«Grazie.» dico acida salendone un altro, complimentandomi con me stessa per non essere inciampata.
Una voce nella mia testa mi ricorda che non so ancora dove stiamo andando, e che quindi tre gradini non sono chissà quale traguardo, ma non mi lascio buttare giù. Chiudo la voce in un angolino e faccio festa ogni volta che supero indenne un gradino che minacciava di farmi finire male. Josh non dice più niente. Quando superiamo il primo piano decide di farmelo presente, ma notando che rischio di morire ad ogni passo, decide di stare zitto. Lo sento soffocare qualche risata, quando inciampo e mi deve sostenere.    
«Perché non posso togliermi la benda solo per salire le scale?» gli chiedo, facendo la voce da cucciolo indifeso.
«Stai scherzando?!» mi prende in giro fingendosi scioccato. «E perdermi questo spettacolo?! Tu non ti immagini nemmeno quanto io mi stia divertendo!»
Mi fermo un attimo per mostrargli tutto il mio disappunto.
«Idiota…» sbuffo, ma inciampo. Mi prende al volo e mi tiene in piedi.
Mi fermo un attimo per riprendere il mio normale baricentro. Poi mi rivolgo verso le sue risate.
«Vedi?!» ma lui mi prende di nuovo il mento per farmi girare la testa. «Se solo tu mi togliessi la benda…»
Mi zittisce all’improvviso. Mi bacia e, prima che io possa ricominciare a lamentarmi o fare qualsiasi altra cosa, mi mette un braccio attorno alle gambe e mi tira su di peso, facendomi appoggiare sulla sua spalla.
«Hei!» grido scioccata.
Prendo a tiragli pugni sulla schiena, ma lui non mi molla.
«Mettimi giù!» grido, mentre comincia a salire le scale. Sento tutto ballare e ho paura che mi venga il vomito. «Mettimi giù, subito!»
Ovviamente, continua a salire le scale.
«Te l’hanno mai detto che sei davvero noiosa?!» dice divertito. Non aspetta nemmeno una mia risposta, che comunque non otterrebbe perché gli rispondo con uno sbuffo. «Adesso smettila di tirarmi i pugni e fai la brava.»
Gli rispondo con un altro sbuffo.
«E prova a toglierti quella benda e ti porto davvero nel centro di Central Park e ti lascio lì!» mi minaccia.
Rabbrividisco, anche se so benissimo che non lo farebbe mai. Comunque decido di non togliermi la benda. Voglio proprio vedere che diavoleria si è inventato…
 
Quando finalmente mi rimette giù mi sento come se tutto attorno a me si muovesse. Su e giù. A onda. Mi tengo un attimo al suo braccio, per riprendermi, poi ricomincio a brontolare.
«Adesso ti tolgo la benda, sì!» sbuffa, leggermente stufo di sentirmi lamentare.
Ci metto un po’ per mettere a fuoco quello che c’è davanti a me. La mia bocca si spalanca in una “O” meravigliata. Sento la felicità invadermi.
«Wow.» è tutto quello che riesco a dire.
Sento Josh ridere accanto a me, mentre guarda l’effetto che fa la sua sorpresa.
«Sorpresa!» dice felice, prendendomi per mano.
L’acidità provata per tutto il tragitto svanisce tutta d’un colpo.
«Lo so che tutto questo di vede anche dalla finestra della stanza.» sembra quasi che si stia scusando. «Ma da quassù si vedono anche le stelle!»
Dalle sue parole capisco che siamo saliti sul tetto dell’albergo.
Davanti ai miei occhi, una distesa infinita di luci di tutti i colori fanno a gara a chi brilla di più. Ho già visto tutto questo dalla finestra della stanza, ma quassù, al freddo, sapendo che è severamente vietato oltrepassare la soglia dalla quale siamo venuti, ha tutto un altro prezzo. Alzo lo sguardo verso il cielo e vedo la luna e le stelle. L’inquinamento luminoso di New York ne copre buona parte, ma il cielo ne è comunque pieno. Non c’è nemmeno una nuvola, perciò tutto brilla. Ovunque io guardi, verso il basso o verso l’alto, tutto risplende.
«Ti piace?» mi chiede, dopo aver steso per terra il plaid sottratto dalla stanza d’albergo.
Non so che dire. Tutto è troppo bello per essere vero. E’ come se stessi sognando. Per precauzione chiudo gli occhi e mi tiro un pizzicotto ma, quando li riapro, sono ancora qua, sul tetto di un palazzo altissimo a guardare dall’alto la città. E’ fantastico!
Mi giro verso Josh, adesso che riesco a vedere ruoto la testa dalla parte giusta, e gli sorrido.
Annuisco. «Anche se non mi è piaciuto per niente il tragitto.» lo prendo in giro.
Lui mi fa la lingua, poi si siede sul plaid, facendo sedere anche me.
Rimaniamo in silenzio per un po’. Mi stringo le gambe al petto e contemplo le stelle. Dopo una giornata meravigliosa come questa, sembra che brillino di una luce diversa. La luna è piena, e sembra ancora più bella del solito.
«Piaciuta New York?» mi chiede dopo un po’, distraendomi dalla mia contemplazione senza pensieri.
Senza distogliere lo sguardo dalle stelle, inizio a raccontargli tutto quello che è successo durante il pomeriggio con Jimmy. Mi soffermo a raccontargli del servizio fotografico alle papere e dei piani che spuntavano come funghi mentre eravamo da Tiffany & Co. Mi animo talmente tanto, che comincio a gesticolare e mi distraggo dalle stelle. Abbasso lo sguardo su di lui, mentre gli racconto tutto quello che provavo mentre passeggiavamo per Times Square. Mentre parlo, mi sembra di tornare a rivivere quei momenti fantastici. Lui mi sorride, come sorriderebbe una maestra al suo alunno che gli racconta animatamente quello che gli piace fare quando è a casa. In effetti, mi sento un po’ una bambina. Ma questo è tutto quello che ho sempre desiderato. Sono i sogni di una vita che si avverano. Magari, non avevo desiderato visitare New York a braccetto con uno stilista un po’ pazzo, nel senso affettivo del termine, e con la consapevolezza che il mio ragazzo è alla premiere del suo nuovo film, ma anche così va benissimo!
Quando finisco, è il suo turno  di raccontarmi della premiere.
«Sempre le solite cose.» dice alzando lo sguardo verso le stelle. «Mancava la tua presenza…» si ferma un attimo. Cerco di elaborare qualcosa di carino da dire, ma lui riprende a parlare. «In compenso, ho incontrato Robin Williams, l’attore.»
Spalanco gli occhi, scioccata. E anche invidiosa. Lui si accorge della mia espressione e torna a guardarmi con un sorriso divertito stampato in faccia.
«Tu hai incontrato chi?!» dico, certa di aver sentito male.
Ride della mia reazione. «Robin Williams.»
I miei occhi si spalancano ancora di più, se è possibile, e la mia bocca si apre in una “O” ancora più grande di quella che avevo fatto quando Josh mi aveva tolto la benda.
Ho sempre amato Robin Williams, nonostante potrebbe essere mio nonno. Il film che mi aveva fatta innamorare, senza vie di scampo, di lui era stato “Hook – Capitano Uncino” e da allora avevo visto tutti i suoi film, senza eccezioni. Mi ricordo che un Natale, avevo sui tredici anni, avevo chiesto ai miei di regalarmi Robin Williams. Mio padre non si era pronunciato, mentre mi madre mi aveva guardata scioccata dicendo “Trovatene uno della tua età. E’ troppo vecchio.” Come se avessero potuto davvero regalarmi Robin Williams! Ovviamente, però, io non lo volevo in quel senso. Volevo solo conoscerlo, perché mi ritrovavo a fantasticare su giornate passate assieme a un nonno come lui. Mentre lo racconto a Josh, lui mi guarda come se fossi pazza e allo stesso tempo come se stessi raccontando la cosa più tenera di questo mondo.
«Ti odio.» concludo mettendo su un finto broncio.
Avrei voluto essere lì solo per incontrare quel mito di Robin Williams. Lui si mette a ridere, sdraiandosi sul plaid e tirando giù anche me, che sto ancora cercando di tenergli il broncio.
«Sai, non è colpa mia se l’ho incontrato senza di te.» dice solleticandomi la guancia con il naso.
Cerco di nascondere il sorriso, ma poi inizia a farmi il solletico e scoppio a ridere.
«Almeno dimmi com’è!» gli dico, girandomi a pancia in giù per guardarlo in faccia. «E’ simpatico?»
«E’ simpatico.» dice tenendomi sulle spine, accarezzandomi la schiena.
Apre la bocca per dire qualcos’altro, ma non lo lascio finire.
«Cosa vi siete detti?» gli dico, spronandolo a parlare.
«Siamo attori.» alza le spalle, come se fosse una spiegazione più che sufficiente. Alzo un sopracciglio, non contenta. «Abbiamo parlato che fare un film assieme sarebbe fantastico. Così gli ho detto che tra poco inizieranno i provini per il nuovo “Journey” e lui ha detto che ci penserà.»
Sento il mio spirito da fan farsi strada dentro di me e scoppiare.
«OH MIO DIO!» mi metto a urlare tirandomi su a sedere sorridendo come un ebete. «Farai un film con Robin Williams! MA CI CREDI?! Voglio venire sul set. Me lo devi assolutamente presentare! Dio, Josh Hutcherson e Robin Williams! Posso morire in pace.»
Lui mi guarda ridendo.
«Non è ancora detto…» tenta di riportarmi alla realtà.
Gli impedisco di finire la frase con un gesto della mano. «Quell’uomo è un mito! Chiunque con un po’ di cervello lo prenderebbe in un qualsiasi cast, per un qualsiasi film.» dico, come se non ammettessi repliche da parte sua.
«Dipende dal tipo di personaggio che deve interpretare…» cerca ancora di dire.
Gli lancio un’occhiataccia. Una che riassume bene anche tutte quelle che gli avrei voluto lanciare durante il tragitto fin quassù.
«La finisci di cercare di mettere fine al mio stato di fangirlamento?!» gli dico puntandogli minacciosamente il dito contro.
Mi guarda, scioccato dalla parola “fangirlamento”, ma evita di chiedere spiegazioni.
«Mi abituerò mai al fatto che sei ancora una fan, nel profondo?» si tira su e mi attira a se.
Lo guardo negli occhi e poi gli faccio la lingua.
Torniamo a guardare le stelle, mentre continuo a pensare al fatto che tra qualche mese potrei accompagnare Josh alle riprese del suo nuovo film e a svenire davanti a Robin Williams. Perché è questo che succederebbe. Potrei dare di matto o svenire o magari iniziare a tirarmi pizzicotti a tutto andare. Vengo riportata alla realtà dalla testa di Josh che si posa sulla mia spalla. Sempre che di realtà si possa parlare.
«Sai, dovrebbero scoprire una nuova galassia e chiamarla col tuo nome.» dice all’improvviso. Inutile dire che avvampo. Fortunatamente è buio. «Io lo farei.»
Mi sento imbarazzata. Vorrei dirgli qualcosa di dolce, ma non mi viene in mente niente. Non credo che lui si aspetti una risposta ma, dopotutto, mi ha fatto questa sorpresa stupenda e si è subito tutti le mie brontolate. E adesso è tornato ad essere il solito, inguaribile, romantico.
«Allora meno male che tu non sei un astronomo.» dico, dandogli una leggere spallata.
Lui mi guarda, un po’ confuso.
«Hai rovinato l’atmosfera romantica!» dice, senza riuscire a trattenersi dal sorridere.
Rido, mentre mi stringe e mi scompiglia i capelli. Cerco di ribellarmi, ma lui mi tiene stretta.
«E’ la giusta punizione!» dice ridendo.
Ridiamo e poi, lentamente, cadiamo in un silenzio pieno di gioia. Continuiamo a guardare le stelle e la città che spazia davanti a noi. Da quando siamo saliti, credo che le stelle siano diventate di più, anche se non riesco a capire che ore siano. Il cielo, però, comincia ad essere meno scuro e mi chiedo perché Josh mi abbia portato quassù. Così, rompo il silenzio.
«Come mai siamo venuti qui?» gli chiedo, mentre un brivido, uno dei tanti, mi percorre la schiena.
Rimane per un attimo in silenzio, poi sorride raggiante.
«Oltre a farti una sorpresa…» dice lanciando uno sguardo al cielo. «Volevo vedere il sole sorgere su New York. Sono stato un sacco di volte qui, ma non l’ho mai visto.»
Io sto ancora guardando la città. E non posso tenermi dal commentare.
«Il tramonto sarebbe stato più romantico.» dico, prendendolo in giro.
Lui sembra sconcertato. Nel giro di poco ho rovinato due momenti ad altissimo livello di mielosità. Non so cosa mi prenda sta sera, ma non riesco a farne a meno.
«Cosa ti ha fato mangiare oggi, Jimmy?» dice, di nuovo con quel tono che mi ricorda tantissimo Connor. «Pane e simpatia? O hai passato troppo tempo con Connor? Perché questo sarebbe davvero un disastro.»
Scoppio a ridere, perché ha ragione. Ma, anche se con lui non mi sono mai comportata così, non mi sono mai sentita più me stessa in vita mia.
Sento gli occhi stanchi e non sono sicura che riuscirò a rimanere sveglia ancora per molto, in tempo per vedere l’alba. E, comunque, c’è una cosa che mi piacerebbe fare prima di addormentarmi…
«Sai cosa mi piacerebbe fare, adesso?» gli dico con un sorriso biricchino.
Mi guarda senza capire. Non gli do spiegazioni, ma mi alzo in piedi e vado verso la ringhiera che sta tutto attorno ai lati del palazzo. La afferro saldamente, guardo giù, mentre sento quell’adrenalina che soli i posti tanto in alto mi riescono a provocare. E’ una cosa che volevo fare da sempre. Da quando sognavo di venire a qui. L’avevo visto fare in qualche film, e da allora, avevo sempre sognato di salire su un palazzo, di sera, e farlo anche io. Come se fossi la protagonista di quel film che mi era tanto piaciuto.
Lancio un occhiata a Josh, che ancora mi guarda interrogativo e, adesso, anche un po’ preoccupato.
Gli sorrido, poi torno a guardare la città sotto di me e prendo aria.
«HEI GENTE! SONO A NEW YORK!» comincio a gridare con tutta l’aria che ho nei polmoni. «SONO A NEW YORK!»
Immagino che ci si senta così. Liberi. Felici. Come se la vita, dopotutto, non fosse così male come ti fanno credere che sia. Come le tue esperienze passate ti costringano a crederla. Come tutte le persone nel mondo, almeno una volta nella vita, la maledicano per esserlo. Per anni ho vissuto nell’oscurità. E ora? Ora sono qui. Sul tetto di un palazzo, a sorridere a tutte le disgrazie che mi sono capitate. A tutti i torti che la vita mi ha fatto. Sorrido, perché credo che, in un certo senso, tutto quello che ho vissuto abbia portato a questo. A questo momento. A questa felicità. A questa liberazione. A questa vita a cui, lentamente, sto cominciando ad abituarmi. Perché, prima o poi, dopo una caduta, ci si deve rialzare.
Comincio a ridere felice, e sento Josh che mi raggiunge.
«Non urlare!» mi sussurra scioccato. «Sveglierai tutto l’albergo.»
Ma io continuo a ridere.
«OOH-UUUH!» inizio a dondolarmi, tenendomi stretta alla ringhiera. «SONO A NEW YORK! Coraggio, Josh! Prova anche tu. E’ fantastico! SIAMO A NEW YORK!»
Mi guarda letteralmente scioccato. Penso che, per questa sera, io l’abbia scioccato abbastanza. Cerca di farmi allontanare dalla ringhiera e mi intima di fare silenzio, ma io continuo a urlare. E’ una sensazione stupenda. Perché dovrei preoccuparmi di svegliare l’albergo intero? Io sono a New York, e niente ha più importanza.
«Sssssh!» cerca ancora di farmi smettere Josh. «Sei impazzita?! Che ti prende?»
Gli prendo il viso tra le mani e lo guardo negli occhi. Poi lo attiro in un bacio, liberatorio quasi quanto l’urlare in cima a un palazzo. Non sono impazzita. Ho solo voglia di urlare e di essere felice e di baciarlo. Quando mi stacco, sembra essere più convinto. Mi riaggancio alla ringhiera e lui fa lo stesso. Incominciamo a urlare come pazzi. Godendoci tutto questo. Sento la voce che diventa un po’ roca, ma non mi importa.
«NEW YORK!»
Ma in quel momento, qualcuno apre la porta che da sul tetto.
«Che diavolo state combinando voi due quassù?» la voce di una guardia ci fa sobbalzare.
Ci stacchiamo dalla ringhiera con aria colpevole, cercando di trattenerci dallo scoppiare a ridere in faccia all’omone scuro di carnagione che ci scruta con aria minacciosa.
Ci riconduce nella nostra camera, guardando Josh senza credere veramente di avere davanti una star che ha appena pescato a urlare sul tetto dell’albergo. Ci minaccia con un dito di controllare la stanza e noi cerchiamo di rimanere seri ma, non appena chiudiamo la porta alle nostre spalle, scoppiamo a ridere come due bambini.
«Mi dispiace di averti fatto perdere l’alba.» dice, cercando di smettere di ridere.
Ma lui mi attira a se e comincia a baciarmi.
«Stai scherzando?!» mi guarda con un sorriso che gli illumina il volto. «E’ stata una delle migliori cose che io abbia mai fatto!»
Non capisco bene cosa succede dopo, ma mi ritrovo sdraiata sul letto, ancora sorridente, mentre sbottono la camicia di Josh.
 
La mattina seguente, all’aeroporto, ci dividiamo. Lui, prende il suo volo per Londra. Io, invece, il mio per Los Angeles. Mi piacerebbe andare con lui a Londra, la mia città preferita al mondo in assoluto, ma tra pochi giorni iniziano le sessioni degli esami, e devo assolutamente prendere il massimo in tutti quelli che ho deciso di dare. Per il resto, ho tempo fino a giugno!
Consapevoli che passeranno tre settimane prima che ci rivedremo, ci prendiamo un lungo momento per i saluti, consistenti in baci. Tanti baci.
Poi, però, il telefono di Josh squilla. E’ Janet, la manager, che, pronta per imbarcarsi, lo sta spettando. Lei non ammette ritardi di alcun genere, perciò dobbiamo separaci sul serio. Mi promette che mi chiamerà appena atterrato, ma gli dico di stare tranquillo. Dovrà riprendersi anche per il fuso orario, oltre che per il viaggio, e comunque io starò bene. Sempre che Connor non inizi a tormentarmi tanto da farmi pensare al suicidio, cosa che non è del tutto esclusa.
A Los Angeles il sole splende e il cielo è di un azzurro meraviglioso, senza nemmeno una nuvola. Quando arrivo in aeroporto, vedo, in lontananza, Connor che sorride. Ha un cartello che da lontano e senza occhiali o lenti a contatto non riesco a leggere. Man mano che mi avvicino, però, le lettere si fanno più chiare.
ROMPISCATOLE.
E’ sempre così tenero e gentile!
Gli arrivo vicino e, lanciando un’occhiataccia al cartello che tiene in mano, gli tiro un pugno sulla spalla.
«E’ bello sapere che le buone azioni sono sempre molto apprezzate.» dice, divertito.
Lo guardo con aria assassina.
«Che ti aspettavi?!» e con un gesto improvviso della mano gli faccio cadere il cartello.
Lui si china in fretta a raccoglierlo, lanciandomi un sguardo di disapprovazione.
«Hei!» mi dà una spinta leggera. «Ci ho messo un sacco di amore per preparare questo cartello! La prossima volta te la fai a piedi fino a casa.»
Scuoto la testa, ma sento un mezzo sorriso dipingersi sul mio viso. Lo seguo mentre si avvia a falcate verso la macchina, che scopro essere il fuoristrada di Josh. Almeno non ha preso la moto. Non credo che al fratello avrebbe fatto piacere.
Non appena usciamo dal parcheggio, inizio a pensare che forse avrei fatto meglio a farmela a piedi. Guida decisamente troppo da pazzo! Ogni curva, prego qualche anima buona che da lassù mi protegge, di non far sbandare la macchina per nessuna ragione al mondo. Quando arriviamo nel vialetto di casa, sani e salvi fortunatamente, mi viene voglia di baciare l’asfalto. Non lo faccio solo perché Connor non la smetterebbe di prendermi in giro per il resto della mia vita.
Nei giorni successivi, studio come non ho mai fatto in vita mia. Comincio a pentirmi di non aver fatto niente fino ad adesso, perché c’è davvero troppo da studiare. Contando che devo dare altri due esami oltre ad Anatomia, mi chiedo davvero perché ho temporeggiato fino ad adesso. Fortunatamente, per gli altri due ero già pronta, così devo solo più ripassare qualcosa che mi sfugge qua e là. Inizio a chiedere a Connor di ascoltarmi mentre ripeto quello che non riesco a farmi entrare in testa, visto che lui ha finito per ora e può prendersi una piccola vacanza. Non ho ancora capito bene cosa studia, ma è roba da geni, quindi non provo nemmeno a chiederglielo.
«Mi ascolti o ti fai i fatti tuoi?!» dico spazientita.
È la terza volta che dico una stupidaggine e che mi correggo da sola, mentre lui pasticcia sul suo portatile. Sto ripetendo Anatomia, per l’ennesima volta. Il problema è che ho troppa confusione in testa, e continuo a confondermi. E domani ho l’orale. Il che vuol dire che mi vedo male. Molto male.
«Non ho più voglia di sentirti.» dice sbuffando. «Me l’hai ripetuta già tre volte. La sai, cavolo!»
Alzo gli occhi al cielo. Non mi aiuta.
«Non la so.» dico appoggiando la testa sul tavolo, scoraggiata. «Se la sapessi non continuerei a dire stupidaggini!»
Lui sbuffa, e mi da una spinta, facendomi perdere l’equilibrio e quasi cadere dalla sedia.
«Per forza che dici stupidaggini!» dice afferrandomi per il braccio prima che io possa cadere. «Ormai, più la ripeti più ti confondi le idee.»
«Non è vero.» sbotto con uno strattone del braccio per liberarlo dalla sua presa. «Devo prendere il massimo dei voti. Non mi accontenterò di un 27 o un 28. Punto al 30.»
«Beh, fai come vuoi.» si rimette a pasticciare sul computer, lasciandomi alla mia testardaggine. «Ma non arriverai mai al 30 se continui così. Prenditi una pausa, chiama Josh, vai a portare a spasso Diesel e Nixon. Tutto, ma smettila di ripetere quella roba!»
Emetto un suono contrariato. Avevo voglia di prendermi una pausa, ma ogni volta che cerco di distrarmi mi torna in mente qualcosa che non mi ricordo, e vado in crisi. In più, non posso chiamare Josh, perché adesso starà sicuramente dormendo. Il programma prevede che passino alcuni giorni in ogni città dove si tiene una premiere, per poter partecipare a tutti gli eventi e per farli anche riposare dai viaggi, anche se viaggiano in aereo. In questi giorni sono a Parigi e, alcuni tra gli attori del cast, tra cui Josh, parteciperanno anche a una sfilata di moda, se ho ben capito. Ogni volta che ci sentiamo, lui è così stanco che dopo poco chiude la conversazione per andare a riposare. Gli fanno fare degli orari folli e pretendono che sia anche in forma smagliante per tutti gli eventi. È da pazzi!   
Non rispondo e mi avvio verso la dispensa per vedere se c’è qualcosa da mangiucchiare. Trovo la torta al cioccolato che sta mattina ha preparato Connor. Ne prendo una fetta bella grossa e torno a sedermi al tavolo, guardando un punto fisso nel vuoto e ripensando a quello che so e quello che non so.
«Lo sai che…» comincia a dire guardando la fetta di torta decisamente troppo grande.
Io lo fulmino con lo sguardo.
«… che dopo gli esami devo fare il servizio fotografico con Jimmy e che se scopre che mi abbuffo così tanto mi potrebbe uccidere.» finisco la frase per lui. «Sì lo so, ma sono in tensione. E poi esiste Photoshop apposta!»
Lui alza gli occhi al cielo. Credo che non mi sopporti più. Avermi in giro per casa quando sono sotto esami deve essere peggio che provocarmi mentre sono in piena fase mestruale. Un suicidio, immagino. Mi chiedo come faccia ancora a sopportarmi. Da quando è diventato così paziente?
Distraggo la testa, momentaneamente, dai miei esami, fissando Connor che batte le dita sulla tastiera del suo portatile. Sento un’improvvisa voglia di scoprire cosa sta facendo. Inclino leggermente il capo e, senza dare nell’occhio, mi chino un po’ per riuscire a vedere il monitor, ma lui si accorge che voglio sbirciare. Chiude le finestre aperte prima che io possa fare qualsiasi cosa. Mi guarda, alzando un sopracciglio.
«Semplice curiosità.» dico fingendomi innocente.
Sposta il portatile lontano dal mio sguardo e si allontana un po’.
«Non sono affari tuoi.» il suo tono non ammette discussioni.
Gli faccio una smorfia e torno a mangiare la mia fetta di torta. Dopo un po’, però, la curiosità mi prende talmente tanto che non riesco a starmene zitta sentendo le sue dita battere sulla tastiera con velocità.
«Oh, andiamo!» sbotto cercando di avvicinarmi. «Fammi dare un’occhiata. Sono solo curiosa!»
Lui corruga la fronte, e allontana di nuovo il portatile.
«No.» dice, guardandomi un po’ contrariato dalla mia insistenza. «Non voglio che tu veda.»
Inclino la testa di lato, cercando di assumere un’espressione da cane bastonato per ottenere quello che voglio.
«Non fare quella faccia, sai?» ha ancora la fronte aggrottata. «Sono cose private.»
Scoppio a ridere, senza riuscire a trattenermi.
«E cosa staresti scrivendo di così privato?» dico scettica. «Le tue memorie? Hai un diario segreto?» non riesco a trattenermi dal ridere al pensiero di Connor che scrive il suo diario segreto come una teenager. Poi, però, ho un’illuminazione. «Aspetta… stai scrivendo alla tua ragazza?»
Una mezza smorfia si impossessa del suo viso e fa per tornare a scrivere, ma ormai sono certa di aver indovinato.
«Oddio!» dico saltando in piedi dalla sedia, sentendomi contenta per lui, sorpresa per il fatto che abbia una ragazza e con la voglia di prenderlo in giro perché si comporta come un’adolescente alle prime armi. «Hai davvero una ragazza?! Connor! Perché non me l’hai detto?!»
Lui mi guarda scioccato e spazientito.
«Esattamente per questo.» dice, guardandomi saltellare tutta emozionata.
Mi emoziono così. Quando sento che le persone sono felici e hanno accanto la persona che si meritano, mi sento felice. Comincio a saltellare e, con le mani davanti alla bocca, inizio a fare versetti strani e incomprensibili. E’ una cosa bella, il fatto che Connor sia così scontroso solo con me. Il fatto che abbia una ragazza. Sono felice!
«E comunque non ho una ragazza.» dice, riaprendo tutte le finestre. Tanto ormai è inutile continuare a nascondermi cosa sta facendo.
Rimango un po’ delusa da quest’ultima affermazione, anche se non sono del tutto convinta che lui non mi stia nascondendo qualcosa. Mi avvicino e guardo il monitor. C’è una foto. una bellissima foto luminosa che riprende due persone. La prima è Connor. Non sembra tanto vecchia come foto, perché è uguale a come è adesso. Sorride, felice. Al suo fianco c’è una bellissima ragazza, anche lei sorridente. Bellissima, credo sia poco. Ha occhi azzurri e capelli biondissimi legati in una treccia fatta a caso. Ma a lei sta benissimo. E’ magra e slanciata. Non c’è niente che non vada in lei. Non un brufolo, non un’imperfezione. La ragazza perfetta. Mi fa sentire male. Confronto a lei, mi sento decisamente brutta. Non che normalmente io mi creda la ragazza più bella del mondo, ma ultimamente avevo cominciato ad avere un po’ più di autostima nei miei confronti…
Connor mi riporta alla realtà, sospirando. Gli lancio un’occhiata veloce, senza farmi vedere. Ma non c’è pericolo che lui mi stia guardando, ha occhi solo per la ragazza nella foto. Come se in quel momento stesse guardando una dea. E, più o meno, è quello che sembra di guardare…
«E allora lei chi è?» gli chiedo scettica, gli occhi ancora puntati sui volti sorridenti della foto.
Connor, ancora incantato, inizia a sorridere come un idiota. Guarda la ragazza, e non può fare a meno di sorridere. Rimango un po’ scioccata da questo sorriso. Non che normalmente abbia una faccia tanto sveglia, ma non avrei mai creduto che prima o poi l’avrei visto con un sorriso da idiota a increspargli le labbra. Lo prenderei in giro a vita, se non fosse che sono curiosa di sapere chi è la ragazza.
Gli passo un mano davanti al viso, come a volerlo svegliare dalla trance in cui è caduto. Lui si scrolla e così gli ripeto la domanda.
«Si chiama Lindsay.» dice semplicemente, come se bastasse a spiegare tutto. Stacca gli occhi dal monitor per guardarmi ma, vedendo la mia espressione ancora curiosa, decide di continuare. «Era la mia ragazza. Ci siamo lasciati qualche mese prima che Josh ti incontrasse.»
Era la sua ragazza. Ma lui ha ancora le sue foto sul portatile. Questo vuol dire che Connor è ancora innamorato.
Mi sembra strano. Non avevo mai pensato al fatto che Connor potesse provare amore. Forse perché ero troppo impegnata a lanciargli frecciatine, godermi la mia storia con Josh e, nel momento in cui avevo bisogno, lasciare che questo ragazzo, incredibile a dirlo, fin troppo sensibile mi aiutasse a non cadere nell’oblio. E invece eccolo qui, con le sue pene d’amore, a guardare un foto con occhi adoranti. Mi sento un po’ in colpa.
«E’ a lei che stavi scrivendo?» gli chiedo con un sussurro. Come se parlare ad alta voce disturbasse il ragazzo accanto a me dalla sua visione.
«No» scuote il capo, deciso.
Credo che mi stia nascondendo qualcosa, o che comunque non voglia dirmi tutto, ma non mi sento di indagare di più su cose che non vuole dirmi.
«Come mai vi siete lasciati?» chiedo prima di riuscire a tenere a freno la mia lingua.
Non vorrei immischiarmi nella sua vita privata, anche se credo che, quello strano rapporto di battute e frecciatine sarcastiche che è il nostro, sia diventato qualcosa di più, dopo quei giorni bui che sembrano lontanissimi adesso. Potrei quasi definirla un’amicizia che va verso il rapporto tra fratelli. E’ strano, non ho mai avuto un fratello, o un’amicizia con un ragazzo che potessi considerare tale. Ma con Connor mi sento davvero come se fosse mio fratello, anche se non ho niente a cui paragonare questo tipo di rapporto.
«Studiava per diventare chirurgo.» dice, fissando di nuovo i suoi occhi sul monitor. «Volava salvare la gente. Poi, un giorno, ha avuto a che fare con una famiglia che non poteva permettersi le cure mediche. Sai, qui in America, o hai i soldi per pagare la sanità, o alla sanità non hai diritto…»
Si ferma un attimo. Sospira, e guarda la foto senza cercare di nascondere la malinconia che gli provoca. Mi tornano in mente le parole di Josh mentre, sotto la pioggia, mi diceva che lui, nonostante tutto, aveva ancora voglia di innamorarsi.
Sai, abbiamo tutti sofferto tanto. Perfino Connor, sotto la sua aria da spavaldo è triste. Immagino sia per questo che volesse parlare dei tuoi sentimenti. Ha bisogno di distrarsi dai suoi.
In quel momento, non avevo fatto caso alle sue parole. Non pensavo che il fratello, che non sopportavo, potesse soffrire. Nulla, a partire da quello che diceva, faceva pensare che stesse soffrendo. Ma forse avrei dovuto capirlo. Io, che dopo tantissime sofferenze, avevo ripreso a vivere con un sorriso che dovevo portare addosso solo per convincere il resto del mondo.
«… Ha capito che non voleva semplicemente salvare le vite della gente.» riprende Connor tristemente. «O almeno, non solo quelle della gente che poteva permetterselo. Voleva salvare anche le persone che non potevano permetterselo. Così si è associata a “Medici Senza Frontiere” e ha fatto i corsi per i volontari. Subito non l’hanno presa per nessuna missione poi, però, qualche mese fa, l’hanno chiamata per una missione in Bolivia.»
Si ferma di nuovo. Sembra felice per l’opportunità che Lindsay ha avuto, e allo stesso tempo triste, per non poterla avere accanto a sé.
«E’ partita.» dice con un sorriso triste. «Mi ha detto che questa sarebbe stata la sua vita, e che non voleva che io rimanessi attaccato a lei. Voleva che vivessi la mia vita con una persona che non ne avesse avuta una movimentata come quella che da quel giorno avrebbe avuto lei. Voleva semplicemente che fossi felice e, secondo lei, non potevo essere felice se avessimo continuato a portare avanti la nostra storia. Ci siamo lasciati ed è partita per la Bolivia, ha realizzato il suo sogno e io… Beh, io sono venuto a vivere da Josh. Il Kentucky sembrava troppo vuoto e triste senza di lei. Non ho nemmeno lottato. Ma cosa potevo fare? Era il suo sogno…»
Non so cosa dire. Non sono mai stata brava in queste cose. Nelle conversazioni tra amiche disperate, quella brava era Mary. Io ero semplicemente quella che si lasciava psicanalizzare e, nel caso fosse stata lei a stare male, tiravo fuori frasi che nemmeno sapevo da dove mi uscissero. Lei affermava che quando stava male, io le dicevo cose che la facevano stare meglio, ma ho sempre creduto che mi prendesse in giro. Ho sempre pensato che i suoi problemi riuscisse a risolverseli da sola, solo che non aveva intenzione di dirmelo. Per non farmi stare male, o per non farmi sentire in colpa.
Che è esattamente come mi sento in questo momento, guardando la triste figura di Connor che, immagino, si aspetta di essere confortato.
«Sotto alcuni aspetti le somigli, sai?» si gira verso di me, con un sorriso sincero.
Rimango scioccata e, per sicurezza, lancio un’occhiata alla foto. Tanto per assicurarmi di aver guardato la stessa foto che stava guardando lui. Accertatami di questo, alzo un sopracciglio scettica.
«Hai seriamente bisogno di un paio di occhiali.» dico, tanto per alleggerire la situazione.
Lui scoppia a ridere. Almeno, penso con un sospiro, non ha più sul volto quell’espressione triste.
«Ovviamente, lei non si sarebbe mai messa con un attore.» dice ancora ridendo.
Lo guardo un po’ confusa.
«Non li sopporta.» dice con un’alzata di spalle. «Pensa che siano pieni di sé. Le festività erano una strage! Mamma cercava di fare andare tutti d’accordo, papà sorrideva come se non stesse succedendo niente, Lindsay, con cocciutaggine, continuava a esporre le sue tesi sulla brutta razza che erano gli attori e Josh non faceva altro che guardarla male.» scoppia a ridere, ripensandoci. «Ci saresti dovuta essere. Ti saresti divertita!»
Non riesco a immaginarmi la ragazza bionda che, con una smorfia cocciuta, parla male degli attori e Josh che la guarda male. Prima di tutto perché non credo che quella ragazza così bella e raggiante possa portare scompiglio da qualche parte. E poi perché non credo che Josh sia capace di guardare male qualcuno! Provo a immaginarmelo mentre, tirando un po’ fuori la lingua in un espressione tutta concentrata, socchiude leggermente gli occhi tentando di guardarla male. Magari con la fronte aggrottata per lo sforzo. Scoppio a ridere.
«E tu non dicevi niente?» chiedo, ancora ridendo per l’immagine di Josh.
«Beh, io ero d’accordo con lei.» dice, tornando alla smorfia che usa per prendermi in giro.
«Ma certo!» dico alzando gli occhi al cielo e ridendo.
«Siete tutti uguali, voi attori.» mi chiedo perché abbia messo anche me in quella categoria, ma credo si riferisca al fatto che io recitavo in teatro. «E poi guarda come vi riducete. Josh nemmeno riesce a stare al telefono con te, talmente è stanco!»
Sono d’accordo con lui sull’ultima affermazione, ma non rispondo. Rimaniamo in silenzio per un po’. Cerco qualcosa di dire, ma non so proprio cosa. In questi momenti, credo che avrei dovuto imparare qualcosa da Mary. Lei avrebbe saputo cosa dire, e gli avrebbe tirato su il morale come io non sono in grado di fare, anche se credo che il fatto che sia tornato a prendermi in giro, si possa considerare un mio piccolo successo. Infinitamente piccolo, ma pur sempre un successo.
«Prima o poi tornerà.» dico, anche se non avevo intenzione di dirlo.
Connor mi guarda, un cipiglio scettico sul viso. Non per il fatto che tornerà, ma più perché, anche se lo farà, non tornerà da lui.
«Non ci scommetterei…» dice, con un po’ di amarezza.
Chiude il portatile e si alza dalla sedia, come a voler chiudere quella conversazione.
«Io si.» dico con decisione. Gli porgo la mano destra, in un invito a stringerla. «Che cosa ci scommettiamo?»
Lui guarda la mia mano con un mezzo sorriso.
«Perderai I., lo sai?» dice in tono divertito.
Nonostante tutto, continua a chiamarmi I. E’ qualcosa di solo nostro. Qualcosa che rafforza il mio pensiero sul fatto di considerarci qualcosa di molto simile a fratelli.
«Io non perdo mai.» lo guardo con aria di sfida. «E, visto che tu perderai, dovrai andare in giro per LA a inseguire le celebrità “piene di sé” per tutto il giorno e comportarti da fan accanito, mentre io ti riprenderò con una videocamera.»
Già assaporo il momento in cui Connor, comportandosi come si comporterebbe una fan urlante, correrà dietro agli attori pregandoli di avere un autografo e una foto. Il tutto ripreso da una videocamera e conservato negli anni, pronto ad essere riutilizzato per le frecciatine future.
«Ok, I.» dice guardandomi con superiorità. «Ma se tu perdi… Beh, diciamo solo che sarai in debito con me.»
Eccolo di nuovo, quel comportamento che tanto mi infastidisce. Come se lui sapesse cosa mi succederà prima ancora che io possa solo iniziare a pensare a cosa fare della mia vita. E’ assurdo! Come se mi leggesse nella mente o, peggio ancora, nel futuro.
Mi stinge la mano con solennità poi, sorprendendomi, prende in mano i fogli che stavo studiando e mi guarda in attesa.
«Allora, signorina.» si mette a scimmiottare uno dei suoi professori, sistemandosi occhiali immaginari sul naso e parlando con la “r” moscia. «Che ne dice di iniziare a espormi i suoi studi?»
Lo guardo, e alzo gli occhi al cielo. Forse non mi mentiva del tutto Mary, quando affermava che quello che le dicevo nei momenti peggiori la faceva davvero stare meglio. O almeno, con Connor è stato così.
 
Sento l’ansia chiudermi lo stomaco. Come tutte le dannate volte che devo sostenere un esame. Non ho nemmeno fatto colazione.
Connor guida, con la solita velocità decisamente allarmante, verso il college. Si è proposto di accompagnarmi e aspettare lì fino alla fine dell’esame. All’inizio non volevo, sentendomi già terrorizzata dalla velocità a cui, sicuramente, avrebbe mandato la macchina a schiantarsi contro un albero. Poi, però, silenziosamente grata, avevo accettato. Non tanto per il fatto che in macchina si fa prima, ma più perché, anche se mi lascia ribollire nella mia ansia restando in silenzio, la sua presenza mi trattiene dall’andare letteralmente nel panico più totale. E’ un lato positivo!
Quando arriviamo mi sorride, come a incoraggiarmi. Guardo il giardino davanti al college, sentendo la stretta allo stomaco farsi più forte.
«Augurami buona fortuna.» cerco di impormi la calma.
«Non ne avrai bisogno.» dice con tranquillità.
Prendo il telefono e faccio per spegnerlo, quando vedo una notifica di un messaggio. E’ di Josh. Lo apro.
 
In bocca al lupo.
 
Sorrido. Non so che ore siano in Francia, in questo momento, ma ricevere un suo messaggio mi fa sentire più sicura di me.
Così, semplicemente, mi avvio verso l’aula in cui terrò l’orale del mio primo esame dell’anno. Come sempre, si passa prima dagli assistenti, che mettono un voto provvisorio, e poi dal professore che conferma o cambia il voto. Respiro, sentendo l’ansia diventare insopportabile. Aspetto che chiamino il mio nome e, quando lo fanno, mi avvio dall’assistente che mi ha chiamata, come se stessi andando al patibolo. L’uomo mi sorride, compila un foglio e poi comincia a farmi domande. Rispondo piano, scandendo le parole, cercando di tenere un tono di voce chiaro e tranquillo. Quando decide di avermi torturata abbastanza, scrive un numero sul foglio e mi guarda sorridendo…
 
«Pronto?» la voce di Josh gracchia assonnata dal mio telefono in vivavoce.
«30, signori e signore!» urlo al telefono, entrando in macchina e svegliando Connor che si era appisolato. «30 in Anatomia!»
Il ragazzo davanti a me ci impiega un po’ a capire che sta succedendo, poi, in un lampo di genio, sorride e mi abbraccia forte.  Il ragazzo al telefono ci impiega ancora di più, ma quando finalmente ci arriva, si mette a urlare felice al telefono, come se fosse stato lui a ricevere il 30 in Anatomia! Ridono e si congratulano con me, mentre io mi sento la persona più felice del mondo. E niente, nemmeno la prospettiva di aver ancora due esami da sostenere, può scalfire questo piccolo momento di felicità.

 
 

SPAZIO AUTRICE.

 

Eccoci, finalmente!
Beh, vi avevo avvisato che avrei aggiornato ogni due settimane. :P
 
Innanzi tutto, volevo dirvi che la parte in cui Josh e Ilaria si mettono ad urlare sul tetto, l’ho scritta sotto l’influenza che ha avuto il fatto di tenere tra le mani il biglietto per il concerto dei Green Day a Milano! Quindi è venuto decisamente stupido, solo che non mi andava di modificarlo XD
 
Poi, volevo prendermi un piccolo spazio per un ringraziamento particolare a
Valeria.
Da queste parti forse meglio conosciuta come
Hazel92, e forse ancora meglio conosciuta come l’autrice di “Questa volta la fortuna è stata dalla mia parte”, storia bellissima sul nostro Joshua Musetto Da Strapazzo Hutcherson, che consiglio vivamente!
La volevo ringraziare con tutto il cuore perché, con molta pazienza, mi ha aiutata a non perdermi nel complicato mondo dell’università in cui mi sono addentrata per scrivere questo capitolo.
Grazie, carissima! ^^
 
Infine, volevo aggiungere una cosa che mi sono scordata di mettere nello
Spazio Autrice dell’altro capitolo: io non sono mai stata a NY, quindi tutto quello che ho descritto l’ho solamente visto in foto, e ho cercato di renderlo il più realistico possibile. C:
 
E come sempre, grazie a tutte le ragazze che recensiscono, perché mi riempiono di gioia, e anche a tutte le Lettrici Silenziose, perché il solo fatto di vedere aumentare le visualizzazioni mi rende felice. :’)
 
Detto questo, vi saluto, e a risentirci al prossimo capitolo! :3
 

Baci, baci, Ila.

 
 

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Capitolo 17
*** When I Come Around ***


When I come around.

So go, do what you like.
Make sure you do it wise!
You may find out that yourself-doubt
Means nothing was ever there.
Green Day – When I Come Around.

 
 

Uno scatto.
Cambio posa.
Un altro scatto.
Altra posa.
E via così.
Poi arriva il cambio trucco.
Il cambio acconciatura.
Il cambio abito.
È tutta la mattina passa. In un attimo. Tra scatti e cambi.
Mi sento leggermente confusa. Non ho mai fatto così tante foto in vita mia, ma Jimmy, che osserva in un angolo il fotografo e gli addetti al posizionamento delle luci, sembra felice come una Pasqua. Ogni tanto fa qualche osservazione, o mi da qualche dritta, ma non tira fuori nemmeno una volta quel suo tono dittatoriale che, in queste situazioni, mi sembra sia diventato quasi un obbligo. Non appena mi hanno messo davanti a tutte queste fotocamere e luci, mi sono sentita talmente in soggezione, che ci sono voluti dieci minuti buoni prima che mi abituassi. Non mi ero mai sentita così fuori posto, nemmeno quando Josh mi aveva portata alla premiere. Adesso, però, dopo una mattina di scatti e pose, mi sento meglio. Quasi a mio agio.
Il fotografo mi dice di fare qualcosa di un po’ più sensuale. Alzo un sopracciglio, ma poi cerco di fare del mio meglio. Non sono una ragazza molto sensuale. Insomma, sono una nerd. Non sarei sensuale nemmeno tra un milione di anni! Però, non voglio deludere nessuno. Soprattutto se si parla di quello stilista mezzo matto che mi fissa, negli occhi un luccichio felice.
Dopo dieci minuti buoni che le mie pose, che spero siano abbastanza sensuali, vengono immortalate, il fotografo, che credo si chiami Chris, urla a tutti di prendersi una pausa.
Ovviamente, quando dice tutti, io e il mio staff di preparatori siamo esclusi.
Rose, la mia parrucchiera, mi prende per mano e mi trascina in camerino. Jimmy ci segue a ruota, e vedo che, lontano dal fotografo e dalla sua troupe, la sua aria dittatoriale torna a farsi spazio tra le leggere rughe del viso. Lui e Rose sono amici da un secolo ormai, quindi lei sa benissimo come comportarsi con lui. Non appena ci ha presentate, ha cominciato a prenderlo in giro a raffica, ridendo alle sue stesse battute senza curarsi che la gente attorno a lei ridesse o meno. Io la trovo simpatica. Ha dei capelli rosso scuro, occhi verdi, contornati da una leggera linea di eyeliner. E’ bassa e in carne, ma io credo che sia bellissima. Forse per il suo modo di ridere contagioso, forse perché lei sembra piacersi davvero. E’ avida di gossip e chiama tutti “dolcezza”, anche se l’hai conosciuta da nemmeno dieci minuti. Jimmy dice che è perché non si ricorda mai i nomi.
In camerino ci aspettano Jillian e Luke, il suo assistente. Quando la make-up artist ha saputo che avrei posato per un servizio fotografico che promuoveva la linea di abbigliamento femminile di Jimmy, ha chiamato la sua assistente e l’ha obbligata a dire allo stilista che lei si sarebbe occupata del trucco. Niente, nemmeno il fatto che io avevo già pronto un truccatore da mesi ormai, è riuscito ad ostacolare i suoi piani. Ha iniziato a chiamare e richiamare, finché alla fine il truccatore, infuriato per il rifiuto dell’ultimo minuto, non è stato sostituito con la leggendaria Jillian Dempsey.
Mi fanno sedere, mi disfano l’acconciatura complicata che Rose mi aveva fatto e lavano via il trucco. Luke è davvero bravo. E’ mingherlino e alto. Ha la pelle di un rosa pallido, e occhi azzurri sempre sorridenti. I capelli neri sono scompigliati e ha baffi e barbetta. Lo trovo strano, anche se non saprei dire in che modo, forse perché ha sempre la testa tra le nuvole e non si cura di quello che gli succede attorno, a meno che non lo riguardi in prima persona. Ha mani grandi, ma sono incredibilmente precise e delicate.
«Allora…» dice Rose, mentre è intenta a spazzolarmi con foga i capelli. «Come ti senti?»
Mi sorride dallo specchio, guardandomi negli occhi. Le sorrido di rimando, per quello che mi permette il fatto che Luke mi stia decorando di nero le palpebre.
«Non farla parlare!» Jimmy rimprovera la parrucchiera che mi fa l’occhiolino.
Sbuffa teatralmente subito dopo, iniziando a muovermi le dita tra i capelli con tanta foga che inizio a muovere la testa. Luke, sempre guardandomi con gli occhi sorridenti, si ferma un attimo.
«Dovresti cercare di non muoverti troppo.» dice con gentilezza. «Altrimenti si sbava tutto il trucco.»
Faccio per rispondere, ma Rose mi anticipa, stroncando sul nascere una protesta di Jimmy nei confronti della parrucchiera.
«Scusa, dolcezza.» dice guardando Luke, poi si rivolge all’amico. «Jimmy, smettila di parlare. Anzi, fai una cosa, esci dalla stanza e smetti di interferire nel lavoro di professionisti.»
Sgranerei gli occhi dalla sorpresa, se non fosse che butterei nel cesso tutto il lavoro perfetto di mezz’ora. Intravedo nello specchio la faccia dello stilista diventare di un preoccupante bordeaux, e ho paura che stia per scoppiare. Nessuno provoca Jimmy in questo modo, nemmeno Josh, che si diverte tanto a ridergli in faccia quando è infuriato. Jillian soffoca una risata e Luke continua il suo lavoro senza dar segni di aver sentito le parole di Rose. Lo stilista, intanto, inizia a prendere piccole boccate d’aria come un pesce fuor d’acqua, mentre riesco quasi a vedere il suo cervello che lavora cercando di trovare una risposta adeguata.
«E’ inutile che fai quella faccia.» continua imperterrita Rose, sempre più divertita. «Lo sai che il Bordeaux non ti dona.»
Gli occhi di Jimmy si sgrano ancora di più, se è possibile. Continua a prendere aria senza riuscire a dire niente, e la donna che, tranquillamente, continua a pettinarmi i capelli, se la ride di gusto.
«Io… Tu…» boccheggia, senza sapere bene cosa dire. «Io… mmmm!»
Si dirige verso la porta e la apre come una furia, fa per uscire, ma poi, come illuminato da un’improvvisa consapevolezza, si volta di nuovo verso di noi.
«E il bordeaux mi sta benissimo!» esce, e si chiude la porta alle spalle facendola sbattere con forza.
Luke sembra accorgersi di quello che gli è appena successo attorno. Guarda la porta come se si fosse svegliato solo in quel momento, poi scuote la testa e torna a dedicarsi solo al mio trucco.
 
«Pronto?»
Siamo in un’altra “pausa” e il mio staff mi sta di nuovo rimettendo in sesto. Questa volta è Jillian che mi prepara il trucco e, a differenza di Luke, che si concentrava solo e soltanto sul suo lavoro, la donna non smette un attimo di parlare con Rose. A volte mi fanno delle domande o cercano di tirare anche me nei loro discorsi di moda e stile, ma non sanno che a me, di queste cose, non me ne importa proprio un accidente. Jimmy ci gira attorno come un avvoltoio che aspetta che la sua preda in fin di vita muoia definitivamente. Lancia occhiate furiose all’amica, ancora arrabbiato per l’affronto di prima, ma lei non sembra curarsene affatto. Anzi, se è possibile, sembra divertirsi ancora di più a prenderlo in giro, cosa che io trovo alquanto pericolosa.
Jillian mi fa l’ennesima domanda di moda, che questa volta riguarda l’ultimo vestito che mi hanno fatto indossare, che non mi ricordo nemmeno più come era fatto, ma fortunatamente, il mio telefono squilla, salvandomi da una risposta che non avrei saputo formulare.
«Io capisco che sei diventata una donna molto impegnata.» una voce incredibilmente familiare mi risuona nell’orecchio, facendomi sorridere. «Ma almeno una telefonata alla mamma, ogni tanto, la potresti fare!»
Jillian mi guarda con curiosità, Rose, che continua a spazzolarmi e intrecciarmi i capelli, alza un sopracciglio, avida di gossip su cui chiacchierare, Jimmy smette di muoversi avanti e indietro per il camerino, e Luke, con il suo solito disinteresse per quello che gli succede attorno, continua a sfogliare la sua rivista. 
«Mamma!» dico con felicità, prendendo a parlare in italiano. Primo, perché mia mamma non capisce un accidente di inglese, secondo, perché comunque mi da fastidio il fatto che tutti siano qui ad ascoltare la mia telefonata con lei. «Come stai?» aggiungo, sorvolando palesemente sul suo rimprovero.
«Sono contenta che almeno fingi di interessarti della mia salute.» risponde con un tono di rimprovero, addolcito dal fatto che comunque le manco, e non può permettersi di rimproverarmi a tutti questi chilometri, e un oceano, di distanza. E troppo perfino per una come lei! Sbuffo, ma poi sorrido divertita. Non si immagina nemmeno quanto mi manchino i suoi rimproveri.
«Volevo solo sapere come sono andati gli esami.» dice poi dolcemente.
Mi sento leggermente in colpa. Avrei dovuto chiamarla io, solo che me ne sono completamente scordata, presa dal fatto che Jimmy mi ha incastrato in questo servizio fotografico, ancora sotto l’effetto stress da esami, e Connor, dopo essere riuscito a convincermi che ero seriamente ingrassata grazie a tutto quello che avevo mangiato mentre ero sotto pressione, mi portava a correre tutte le mattine con lui e i cani. Inutile precisare che, dopo le prime volte, e resami conto che mi stava palesemente prendendo in giro, avevo deciso di fregarmene della ciccia, inesistente, che avevo messo su e optato per il poltrire sul divano. Opzione decisamente più rilassante e molto meno faticosa.  
«30 in tutti e tre!» dico felice.
«E’ fantastico!» dice, ancora più felice di quanto non lo sia io. Poi, però, si da una controllata. «Sono così contenta.»
Mi ha sempre motivata, o almeno, ci ha sempre provato. Felice quando prendevo bei voti, incredibilmente paziente e comprensiva quando andavo male. Non credo di essere mai stata in punizione per un brutto voto. Era dell’opinione che, a continuare ad andare male, ci avrei rimesso io, che lei mi avesse messo in punizione o no. E’ sempre stata abbastanza quella che i miei amici definivano “una grande”. Forse perché si divertiva a scimmiottare i miei professori, forse perché sapeva sempre come mettermi in imbarazzo davanti a tutti. In quei momenti la odiavo con tutta me stessa, ma non le ho mai detto quanto in realtà le volessi bene. Questa lontananza è difficile da sopportare…
Vedo Jimmy nello specchio farmi cenno con la testa di chiudere la chiamata, perché devo fare gli ultimi scatti e poi sarò libera. Scuoto la testa, mimandogli con le labbra che voglio finire la telefonata con mia mamma, ma lui assottiglia gli occhi e mi guarda con quell’espressione dittatoriale che trovo divertente e inquietante allo stesso tempo.
«Ila, che c’è?» intanto, mia mamma, preoccupata dal silenzio, sembra un po’ incerta.
«Mamma, devo…» cerco di dire, soffocando i sensi di colpa che si fanno strada in me.
Non voglio chiudere la chiamata così. Non è nemmeno cinque minuti che siamo al telefono, e ancora mi sento in colpa per non aver chiamato né lei né papà. Sono decisamente una pessima figlia!
  «Io devo… devo andare, ho una cosa…» balbetto insicura, non del tutto certa di volerle dire che sto facendo un servizio fotografico.
Mi ricordo tutti i pianti che si è fatta quando… beh, quando avevo avuto tutti i miei problemi. Non le ho detto che sono quasi rimasta incinta, l’avrei fatta preoccupare troppo e del tutto inutilmente. Ora, dirle che sto posando per la campagna promozionale di un paio di stracci, come direbbe lei, mi fa sentire a disagio.
«Lo so.» dice lei, sorprendendomi. «Tua sorella me l’ha detto. Ultimamente mi fa paura. Riesce a scovare certe notizie in rete che farebbero impallidire perfino Penelope Garcia!» Mi scappa una mezza risata. Mia mamma. Mia mamma e la sua fissa per “Criminal Minds”. «E’ anche per questo che ho chiamato.» continua con dolcezza. «Non importa se stai facendo un servizio fotografico, volevo solo essere sicura che fosse quello che vuoi veramente tu. Che non lo stessi facendo solo perché il tuo ragazzo è una star di fama mondiale.»
Sorrido. Il groppo in gola si fa sentire sempre di più, e non posso assolutamente piangere.
«No.» le rispondo, semplicemente, ripensando alla premiere e a come mi ero sentita quasi a mio agio a sfilare sotto braccio con Jimmy. Forse, in parte, lo faccio anche per lui, ma di sicuro non lo ammetterei con mia madre. Verrebbe a prendermi per le orecchie, se solo lo sapesse. «Lo faccio perché lo voglio.»
Vorrei aggiungere qualcos’altro. Ma non so cosa. Non so davvero cosa potrei aggiungere in questo momento. Il groppo che ho in gola mi impedisce di pensare. Ma lei mi risparmia la fatica di dire altro.
«Bene.» dice, e dalla sua voce riesco a intendere che si è appena tolta un peso dallo stomaco. «Allora ti lascio al tuo lavoro.»
«Grazie.» dico semplicemente.
E le sono davvero grata. Perché mi ha dato la sua approvazione. Perché in fondo, il fatto di non poter vedere la mia famiglia quando ne ho voglia, mi rende un po’ insicura e decisamente spaventata da quello che la vita ha cominciato ad offrirmi. Ho sempre voluto andarmene di casa. Sognavo ad occhi aperti di partire, non appena avessi avuto diciotto anni. Perché niente mi tratteneva. Perché volevo andare alla ricerca di qualcosa che casa mia non era mai riuscita ad offrirmi. E qui l’ho trovata. Ho trovato davvero quello che mi mancava, ma resta comunque il fatto che la famiglia rimane sempre la famiglia. E, anche se qui sono felice come non lo sono mai stata, mi manca. Non so come avevo potuto pensare di non dirle del servizio fotografico, perché adesso anche io mi sento con un peso in meno sullo stomaco. E si sta decisamente meglio.
Chiudo la chiamata e mi alzo con un sorriso, pronta ad altri scatti infiniti.
 
«Josh, mi senti?»
Sistemo il portatile sul tavolo in cucina. Riesco a vedere il suo viso contento, ma non riesco a sentire la sua voce. Fa dei segni con la mano e poi parla, ma io continuo a non sentire nulla.
«Connor, qual è il problema del tuo computer?» sbuffo frustrata verso il ragazzo che sta affettando la cipolla, per preparare la cena.
E’ da mezz’ora che cerco di fare andare l’audio, nel tentativo di fare una chiacchierata su skype con Josh. Il problema è che questo computer è pacco. Esattamente come il suo possessore…
«Ho disattivato l’audio.» dice con noncuranza Connor. «Devi riattivarlo. Hai presente la rotella sul lato..? Ecco, devi girarla verso l’alto.»
Spalanco gli occhi, scioccata e infuriata allo stesso tempo. Oltre al fatto che mi ha appena dato della stupida, come se non sapessi dove trovare la rotella del volume su un computer portatile! Credo che farebbe bene a fare sparire tutti i coltelli che ha sparso il giro per la cucina, perché io mi vedo già accusata di omicidio.
«E non potevi dirlo prima?» sbuffo assottigliando gli occhi, assumendo la mia aria assassina.
Lui fa spallucce, mentre un ghigno divertito gli si dipinge sulle labbra.
«Eri divertente.» assume il tono che usa per prendermi in giro.
Con aria tutta goduta mi lancia un’occhiata e poi torna a curarsi solo della cena.
Sbuffo. «Ti odio.» dico, voltandomi verso il portatile e girando la rotella del volume.
Lo sento che scoppia a ridere, e reprimo l’istinto di mollargli un ceffone.
«Anche io ti voglio bene, I.» dice, accompagnando questa enorme balla con una sonora risata.
Josh mi guarda dal monitor, ridendo dello scambio di battute tra me e suo fratello.
«Era quello che stavo cercando di mimarti.» dice con un sorriso innocente, anche se so benissimo che si è appena alleato con il fratello contro di me.
Gli faccio una smorfia.
«Non ti ci mettere anche tu.» dico puntandogli il dito contro, con fare minaccioso.
Scoppia a ridere e, per evitare di seguire l’istinto di assassinare Connor e chiudere la chiamata con Josh, sistemo meglio il portatile sul tavolo, in modo che il ragazzo dentro il monitor riesca ad avere la visuale completa sulla cucina. Poi mi dirigo a falcate verso la mensola che contiene i piatti e prendo tutto quello che è necessario per due persone. Comincio ad apparecchiare il tavolo, mentre mi riempio le orecchie del suono della voce proveniente dal computer, di cui sento la mancanza come non mai. Josh ci racconta tutti gli eventi a cui sta partecipando. Ci dice che sente la mancanza di casa, ma che comunque si sta divertendo come sempre. Io ho smesso di seguire tutte le sue interviste e apparizioni su Internet. Non sono mai stata così poco informata su di lui. Da brava fan quale ero fino a poco tempo fa, sapevo cosa faceva in tutti i momenti della giornata. Dove andava, con chi andava, perché ci andava. Ci mancava poco che sapessi anche quante volte andasse in bagno! Sembra quasi che io abbia passato il testimone a mia sorella che, come ha detto mia madre, mi tiene sotto controllo in base a quello che dicono i paparazzi e quello che lasciano trapelare Josh e Jimmy. Fa uno strano effetto, sentirsi osservati. Come se ti guardassero in tutti i momenti… Scrollo la testa, scacciando questi pensieri, e mi rimetto ad ascoltare, ma Josh ha smesso di parlare.
«Ila, invece, oggi ha fatto il suo primo servizio fotografico.» dice Connor con un mezzo sorriso, rivolto al portatile.
Io, che mi trovo nei paraggi, gli tiro un pugno sulla spalla.
«Volevo dirglielo io!» sbotto contrariata.
Lui ride, mentre gli volto le spalle e vado a sedermi di fronte alla webcam.
«Non ho mai fatto così tante foto in vita mia.» dico scrollando la testa, scioccata. «Davvero. Credo che tutti quei flash mi abbiano dato alla testa!»
Josh fa per ribattere, con un mezzo sorriso sulle labbra, ma Connor lo precede.
«Fidati I, se sei così non è colpa dei flash.» mi canzona con sarcasmo.
«E’ esattamente quello che stavo per dire..!» lo segue a ruota il fratello, che in questo momento deve solo ringraziare che ci separi un oceano.
Spalanco la bocca scioccata. Guardo prima Josh e poi Connor senza riuscire a dire niente. Il primo mi guarda con occhi pieni di scuse e, allo stesso tempo, un sorriso divertito, il secondo non riesce a fare a meno che continuare a sghignazzare, contento di questa nuova alleanza col fratello. Cerco di ridarmi un contegno, chiudo la bocca e li guardo con aria assassina.
«Questa sera fai una brutta fine.» dico puntando il dito verso il più vicino dei due. Poi mi rivolgo all’altro. «E tu, ringrazia solo che ci sia un oceano di distanza.»
Scoppiano tutti e due a ridere e Connor, che ha finalmente finito di preparare la cena e deve solo aspettare che il tutto cucini per bene, si viene a sedere accanto a me. Josh mi chiede di raccontargli la giornata e, essendo che non vedevo l’ora di farlo, mi lancio in una descrizione dettagliata di tutto quello che è successo. Quando racconto di Rose, tutti e due scoppiano a ridere, perché entrambi l’hanno conosciuta e sanno benissimo cosa succede quando lei e Jimmy sono nella stessa stanza. Parlo di tutti i vestiti che mi hanno fatto indossare e di tutte le acconciature. In fondo, anche se mi sentivo scombussolata e un po’ fuori posto, mi sono divertita.
Poi, racconto della telefonata con mia mamma.
«Dobbiamo andarli a trovare.» dico, finendo con un sospiro e la speranza che Josh accetti.
Lui alza un sopracciglio.
«Chi?» chiede ingenuamente.
«I miei genitori.» rispondo pazientemente. Come se non avessi parlato di loro fino ad adesso!
«Dove?» chiede ancora ingenuamente.
Sbuffo, leggermente infastidita dal fatto che non capisce.
«A Torino, Josh.» dico spazientita. «Dobbiamo andare a trovare i miei genitori a Torino dopo la tua premiere in Italia.»
«Ah.» Lui mi guarda pensieroso, come se stesse soppesando le parole che vuole usare per dirmi che non ha nessuna intenzione di conoscere i miei.
Prima che possa anche solo continuare, comincio a preparami un discorso d’effetto per far valere le mie ragioni. Non può dirmi di no! E’ da mesi che non vedo i miei genitori, contando che non sono nemmeno tornata a casa per Natale. E poi, io li ho conosciuti i suoi. Non vedo perché lui non debba conoscere i miei.
Sono talmente presa dall’idea che possa voler dirmi di no, che sorvolo sul fatto che lui abbia appena parlato.
«Va bene.»
«Non puoi dirmi di no.» inizio a snocciolare tutto quello a cui ho pensato. Ma poi mi accorgo di quello che ha appena detto. «Insomma, io non li vedo… aspetta, cosa?»
Lui sorride.
«Va bene.» dice contento. «Non vedo l’ora di conoscerli!»
Lo guardo per un attimo sorpresa, maledicendo e benedicendo allo stesso tempo skype che fa vedere le persone sgranate, ma almeno te le fa vedere. Poi gli sorrido contenta.
Faccio per parlare, ma Connor, da dietro il ripiano della cucina, tossicchia, ricordandoci della sua presenza. Non mi ero nemmeno resa conto che si fosse allontanato per andare a scolare la pasta.
«Hei, Josh.» richiama il fratello con aria divertita. «La tua ragazza mia ha preparato il Pesto alla Genves!»
Lo so che spera di prendermi in giro, perché sono una frana ai fornelli e lui ne è reso conto mentre cercavo di preparare un pesto degno di questo nome seguendo palesemente la ricetta di Internet, ma il pesto che ha appena menzionato non esiste, e io scoppio a ridere.
«Genovese, Connor!» dico, tenendomi la pancia.
Lui mi guarda, contrariato.
«E’ quello che ho detto.» sbuffa, mettendo su il broncio per essere appena stato corretto. Poi, lasciandomi alle mie risate, torna a rivolgersi al fratello. «Comunque, se dopo sta sera ti ritroverai senza una ragazza e un fratello…»
«… So che è stata colpa del pesto alla Genves di Ila!» dice scoppiando a ridere.
Connor gli fa una smorfia e poi riempie i nostri piatti con la pasta. Io, finalmente riesco a smettere di ridere, mi butto a capofitto sul cibo, senza pensare a nient’altro se non al fatto che ho fatto proprio un buon pesto. Dal monitor, vedo Josh che si mette a mangiare una fetta di pizza. E’ strano, vederlo di nuovo solo attraverso un monitor. Non ci ero più abituata… Mi perdo un momento che sembra infinito, continuando a fissarlo con un sorriso, che sono sicura essere completamente idiota. E’ incredibile come riesca ad essere bellissimo anche con la definizione decisamente pessima di skype, vestito solo con la maglietta e i pantaloni del pigiama, mangiando una fetta di pizza. Non è umanamente possibile!
Sentendosi osservato, alza gli occhi su di me e mi sorride. ci perdiamo un attimo l’uno negli occhi dell’altra, mentre riesco a pensare solo a quanto mi manca in questo momento.
Poi, però, Connor si porta le mani al collo e comincia a emettere strani versi iniziando a tossicchiare. Spalanca gli occhi e inizia a cercare con tutto se stesso di prendere aria. Salto su dalla sedia, cercando di trattenere l’urlo di preoccupazione che mi è salito su per la gola. Gli corro vicino, senza pensare a niente e allo stesso tempo pensando a qualsiasi cosa.
«Connor!» inizio a dargli colpi secchi sulla schiena, al colmo della preoccupazione.
La fase dopo è iniziare a gridare il suo nome come un’isterica. Lui continua a cercare aria. Non so nemmeno cosa sia successo! Che io abbia sbagliato a fare il pesto? Però l’ho mangiato anche io. Magari è lui che è allergico a qualcosa…
«Chiama l’ambulanza!» la voce di Josh mi arriva lontana.
Non so cosa fare. Sto andando nel panico più totale.
Ho paura che stia morendo.
Io non voglio davvero che muoia.
Stavo solo scherzando quando lo minacciavo mentalmente!
Continuo a dargli pacche sulla schiena e dire parole senza senso, cercando il telefono con gli occhi, senza davvero volermi allontanare dal ragazzo che continua a tossire alla ricerca d’aria. Sento Josh che continua a parlare, ma non gli do ascolto. Alla fine vedo il mio telefono. Mi stacco da lui e corro verso il divano. Inizio a premere tasti a caso, senza davvero sapere che numero fare.
Poi, Connor scoppia a ridere.  
Lascio cadere il telefono, mentre un’infinità di sensazioni mi attraversano. Sorpresa, shock, sollievo, felicità, rabbia. Tanta rabbia.
Lui continua a ridere. Ridere di gusto.
Mi ha appena fatto preoccupare come non mai e RIDE DI GUSTO.
Mi avvicino a piccoli passi. Non guardo nemmeno la faccia di Josh, perché ci troverei la mia stessa espressione. Quando sono abbastanza vicina, gli tiro uno schiaffo.
«Hei!» dice, smettendo per un attimo di ridere.
Mi ha preso in giro per tutto il tempo! Mi ha fatta preoccupare come non mai, e poi stava solo fingendo di stare male per prendermi in giro.
«Ma sei impazzito?!» mi metto a urlare, e la mia voce diventa quasi stridula. «Mi hai fatto spaventare! Come ti è venuto in mente?!»
Josh, dal computer, rincara la dose. Cominciamo a parlarci l’uno sull’altra, mettendo su una ramanzina coi fiocchi. Continuiamo a parlare, o meglio urlare preoccupati, per almeno dieci minuti buoni. Quando finiamo, negli occhi del ragazzo davanti a me, intravedo del senso di colpa, ma non dice niente. Si limita a guardarci con un’espressione dispiaciuta. Poi, però, i suoi occhi si fissano nei miei.
«Però è buono, questo pesto.»
Sbuffo e poi gli tiro un altro schiaffo, solo che sta volta è leggero e affettuoso. Guardo Josh. Anche lui sbuffa e poi si mette a ridere, credo perché dopo uno spavento del genere o ti metti a ridere, o ti metti a urlare. Poi, non so perché, scoppiamo a ridere. A ridere forte. A ridere di gusto. Non so che diavolo ci sia preso. Connor ci guarda come se fossimo pazzi. E mi sento un po’ pazza, solo che non riesco a smettere di ridere! Mi fa male la pancia. Cerco un sedia, ma cado per terra e inizio a rotolarmi cercando di smettere. La risata di Josh risuona dal portatile, mischiata assieme alla mia.
Andiamo avanti per un bel po’ e, quando finalmente riesco a rimettermi in piedi senza più ridere, mi avvicino a Connor e, scherzando, gli porto le mani al collo.
«Ti dovrei strozzare io, in questo momento!»
Poi gli metto un braccio attorno alle spalle, bisbigliando un “Pazzo” che però lui sente.
«Non sono io quello che si rotola per terra dalle risate senza motivo!» dice con sarcasmo, tirandomi un pugno leggero sulla spalla.
Poi, scoppiamo tutti e due a ridere, seguiti a ruota da Josh.
 
E sono di nuovo in aeroporto. Ultimamente sto frequentando più questo posto che il college. Il che è decisamente strano.
Parto con qualche giorno di anticipo. Janet ha chiamato a casa, qualche sera fa, dicendo che, visto che voleva fare una sorpresa a Josh, che ultimamente era più sfinito che mai, mi voleva far partire un po’ prima per l’Italia in modo da fargli una sorpresa. Ovviamente ho accettato. Mi manca così tanto!
Un’ora fa, Connor mi salutava, dopo avermi accompagnata, e sono arrivata viva e vegeta nonostante la velocità decisamente troppo elevata, fin qua.
«Era ora che mi lasciaste di nuovo a casa da solo!» aveva detto.
Gli avevo fatto la lingua.
«Tanto lo so che ti mancherò.» avevo detto io alzando le spalle e sorridendogli.
Lui era scoppiato a ridere.
«Fai buon viaggio, I.»
Poi si era girato sorridendo, e se n’era andato.
Sono pronta per tornare a casa. Ho un libro per il viaggio, e l’iPod pieno di musica.
Non vedo l’ora di rivedere Josh e poi, dopo la premiere di Roma, portarlo a Torino.
Non vedo l’ora di presentarlo ai miei genitori e vedere la faccia di mia sorella alla vista del ragazzo nella sua stessa stanza.
Non vedo l’ora di passare del tempo con lui. Solo noi due. Senza stilisti invadenti, fratelli che si divertono a prenderti in giro, premiere o eventi che incombono e esami da superare.
Solo io e lui.

 
 
 
SPAZIO AUTRICE.
 
Non saprei.. non mi convince più di tanto come capitolo, ma dovevo scriverlo.
Consideratelo come di passaggio.
Avevo bisogno di specificare alcune cose e anticiparne altre, quindi doveva per forza essere così.
 
Anyway!
Mi sono sorpresa nello scoprire che a così tante persone è piaciuta la scena sul tetto!
La trovavo così stupida che mentre aggiornavo pensavo: “Fattene una ragione Ila, non piacerà a nessuno! Ed è colpa tua, perché sei troppo pigra per cambiarla.”
Invece è piaciuta..!
Oddio, sono così felice! ^^
 
Questo capitolo è stato leggermente un casino..
A parte perché non mi ispira, ma perché non riuscivo a trovare il titolo! >.<
 
Rose e Luke.. Beh, non saprei, avevo in mente la scena di Ila che si fa spazzolare i capelli e questi due e Jillian nella stanza con lei, perciò.. eccoli qua! :P
 
Che altro dire.. Ecco, spero che vi piaccia! **
 
Un bacione grandissimo e un grazie a tutte le persone che hanno messo la storia tra le seguite/ricordate/preferite, perché aumentano ogni giorno di più, e che mi hanno messa tra gli autori preferiti (facendomi sciogliere come un panetto di burro sul fuoco *O*). Un grazie anche a coloro che leggono in religioso silenzio, e a coloro che mi hanno scovata su twitter per farmi sapere quello che pensano della storia! :3
 
Baci, baci Ila. 

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Capitolo 18
*** Here's to us ***


Here’s to us.

Here’s to us, here’s to love,
All the time that we messed up.
Here’s to you, fill the glass,
Cause the last few days has kicked my ass.
Halestorm – Here’s to us.

 
 

«Ila?»
Una voce dolce e familiare mi risveglia dal mio sonno senza sogni. Sento delle mani scrollarmi dolcemente, mentre combatto con me stessa per non uscire dal dormiveglia in cui mi sentivo così bene. Emetto qualche verso contrariato, mi tiro le coperte sopra la testa e mi giro dall’altra parte nell’enorme letto della stanza d’albergo, cercando di ignorare la voce che continua a chiamarmi dolcemente e le mani che continuano a scuotermi con delicatezza. Cerco di rimettermi a dormire, perché sono stanchissima dopo aver camminato due giorni, cercando di visitare il più possibile di Roma, nonostante sapessi benissimo che in due giorni non potevo visitare molto.
Ma nello stesso momento in cui decido di ignorare la voce maschile che cerca di svegliarmi, una consapevolezza mi colpisce in pieno come un fulmine.
Josh.
La sorpresa.
Cacchio.
Mi sono addormentata. Dovevo rimanere sveglia fino all’arrivo di Josh e invece mi sono addormentata. Dovevo fargli la sorpresa!
Sono un disastro.
Sono un completo disastro.
Mi tiro su a sedere troppo in fretta e sento la testa girare leggermente. Stavo dormendo davvero bene! Mi giro verso il ragazzo che mi guarda divertito e sorpreso al tempo stesso, cercando di cacciare via dal mio viso i segni del sonno. Mi stropiccio gli occhi velocemente, cerco di sorridergli, mentre penso a qualcosa da dirgli per giustificare il fatto che mi fossi addormentata mentre lo aspettavo per fargli la sorpresa che io e Janet avevamo deciso di preparargli.
«Sorpresa!» riesco solo a dire.
La mia voce suona impastata e assonnata perfino alle mie orecchie, perciò immagino come debba suonare veramente! Mi ha sempre presa in giro perché, secondo lui, quando mi sveglio al mattino ho la voce da trans. Ecco, in questo momento capisco perché.
Mi guarda con gli occhi felici e un sorriso talmente bello che, per un attimo, credo di essere ancora immersa nei miei sogni. Mi scruta attentamente e poi scoppia a ridere.
«Sorpresa?» chiede, cercando di trattenersi.
Lo guardo scombussolata. Non era questa la reazione che mi aspettavo da lui. Avevo immaginato che mi avrebbe abbracciata, dicendomi che era la sorpresa più bella che gli potessi fare, il fatto di essere arrivata qui qualche giorno prima solo per lui. Oppure, che mi avrebbe guardato con sorpresa, pensando che magari non fossi davvero davanti a lui. Mi ero aspettata una reazione decisamente diversa, ma credo che, dato che mi sono addormentata, non potessi sperare in qualcos’altro.
«Sì, sorpresa!» gli dico, cercando di fingermi offesa.
Lui continua a ridere.
«Ti sei addormentata!» il solo fatto di ripeterlo ad alta voce, gli provoca un’altra scossa di risate che non riesce a trattenere.
Vorrei continuare a fingermi offesa, ma quel suono stupendo mi era mancato così tanto! Adesso posso decisamente affermare che i suoni registrati dalle telecamere non gli rendono affatto giustizia. Sentita dal vivo la sua voce, è incredibilmente più bella. Potrei restare qui per ore ad ascoltarlo ridere, e non avrei bisogno di nient’altro. Ma non posso nemmeno trattenermi dal commentare…
«Wow, che spirito di osservazione, Hutcherson!» dico con sarcasmo, cercando di sembrare convincente.
Lui smette di ridere, anche se sul suo volto continua ad aleggiare l’ombra di un sorriso contento. Si siede sul bordo del letto, appoggiandomi una mano sulle gambe. Si sporge verso di me e, con un luccichio furbetto negli occhi, mi posa un leggero bacio sulle labbra.
«Grazie per la sorpresa.» dice staccandosi di poco.
Sorride. Sorride, felice di vedermi dopo tre settimane di lontananza e chiamate veloci. Sorride, perché io, che odio le sorprese sopra ogni cosa, gliene ho appena fatta una, anche se mi sono addormentata nel tentativo. Sorride, perché il mio essere cinica lo ha sempre divertito molto. Sorride, e io mi ritrovo a sorridere con lui.
«E’ stato un piacere.» dico facendogli la lingua.
Gli butto le braccia al collo, attirandolo di nuovo a me. Credo che, in un altro momento, non l’avrei fatto, preoccupata dall’odore che il mio alito avrebbe potuto avere dopo ore di sonno profondo. E’ vero che ormai stiamo assieme da abbastanza tempo e lui mi ha vista in qualsiasi stato impensabile, ma credo che alcune priorità non dovrebbero morire nemmeno dopo una vita assieme. E non avere l’alito pesante mentre ci si bacia è una di queste. Ma non lo vedo da tre settimane. Tre settimane passate tra esami, ore a poltrire sul divano, e servizi fotografici stancanti. Ho davvero bisogno di sentire che non mi sono immaginata tutto questo per tutto il tempo.
Ma lui non sembra della mia stessa idea.
«Devo farmi una doccia.» dice, prendendomi una ciocca di capelli che mi cade davanti agli occhi e portandomela dietro l’orecchio.
Le sue mani, improvvisamente materializzate sui miei fianchi, fanno una leggera pressione, come se non volesse davvero andarsi a fare la doccia in questo momento. Anche i suoi occhi dicono la stessa cosa, accessi da un’improvvisa eccitazione. Sento un brivido percorrermi la schiena. Lo stringo di più a me, e lui non sembra affatto dispiaciuto di rimanere ancora un po’ qui.
«Mi stai davvero scaricando per una doccia?» gli chiedo divertita, alzando un sopracciglio.
Lui mi guarda, senza riuscire a smettere di sorridere.
«Questo era il mio intento.» dice con un sorriso malizioso. «Ma, se proprio insisti, puoi venire anche tu.»
Mi ritrovo inspiegabilmente seduta sulle sue gambe, a baciarlo con passione, mentre ci sorridiamo ogni volta che ci stacchiamo per riprendere fiato. E poi, sempre inspiegabilmente, mi ritrovo avvinghiata a lui, completamente fradicia sotto il getto caldo della doccia.
 
Dopo la premiere, ci ritroviamo in aeroporto. C’è tutto lo staff di preparatori di Josh, che ha girato per la stanza d’albergo tutto il pomeriggio, e, davanti al gruppo, c’è Janet. E’ una donna alta e magra dai modi decisi e severi. Ha i capelli neri legati in uno chignon perfetto, da cui non scappa nemmeno un capello. I suoi occhi azzurro cielo mi mettono in soggezione, anche se mi sorride gentilmente. Controlla il telefono ogni cinque secondi, e ha un auricolare fissato all’orecchio destro. Immagino che vada perfino a dormirci, con quell’affare nell’orecchio. E’ strano trovarsi in mezzo a tutta questa gente, ma Josh sembra completamente a suo agio. D’altronde, fa questa vita da un sacco di tempo.
Janet ha programmato la tabella di marcia in modo che, se mai trovassimo alcune fan per la strada, Josh abbia il tempo di fermarsi un momento con loro. Quando ha detto questa cosa, mentre viaggiavamo nella limousine, mi ha quasi spaventata. Questo non è essere organizzate, è molto di più!
Mentre camminiamo, Josh mi stringe la mano. Ha delle leggere borse sotto gli occhi e, immagino, che per qualche giorno non farà altro che dormire. Cammino a testa bassa, in modo da poterlo guardare di sottecchi. Nonostante le occhiaie, cammina a passo deciso e con un mezzo sorriso a increspargli le labbra. Si è cambiato, dopo la premiere. Adesso indossa una semplice camicia a quadri, con sopra una giacca di pelle, i jeans, strappati all’altezza del ginocchio, e delle converse blu. Ovviamente, non manca in suo solito cappellino, che sta volta è blu come le scarpe. Ogni tanto aumenta la presa sulla mia mano e noto che, quando lo fa, un luccichio leggero gli illumina gli occhi. Non saprei come interpretare questo suo atteggiamento, ma ogni volta mi viene da sorridere.
Sentendosi osservato, volta la testa verso di me, e sorride raggiante, mettendo ancora più in evidenza la mascella.
Mi sento avvampare leggermente e, imbarazzata, gli sorrido di rimando.
«Che c’è?» mi chiede, alzando un sopracciglio. 
Scrollo le spalle e torno a guardarmi le scarpe. Non mi va di dirgli quello che mi passa per la testa con tutte queste persone attorno, anche se sono il suo staff di preparatori e la sua manager. Non so perché, ma mi sento osservata, e mi da fastidio. Perciò rimaniamo in silenzio finché non ci separiamo. Io e Josh prendiamo l’aereo che ci porterà a Torino, e Janet e lo staff quello che li riporterà a Los Angeles.
Quando saliamo sull’aereo, scopriamo che i posti che ci sono stati assegnati sono sul fondo e sono sicura che Janet li abbia prenotati così in modo da non dare troppo nell’occhio. I restanti posti si riempiono in fretta e, nel giro di poco siamo pronti al decollo. Non appena l’aereo si ritrova per aria, Josh appoggia la testa sulla mia spalla e chiude gli occhi. Sono certa che si sia addormentato, perché il suo respiro si fa più profondo e lento. Gli porto un braccio attorno alle spalle e prendo ad accarezzargli i capelli con dolcezza. Mi era mancata perfino la morbidezza dei suoi capelli.
Continuo così per un po’ e, guardarlo dormire, mi fa venire sonno. Così comincio a guardarmi attorno. C’è un sacco di gente che dormicchia, o legge, o lavora al computer. Le luci cominciano a spegnersi sulle varie postazioni. Il mio sguardo continua a muoversi sulle persone che riesco a vedere, finché non passa sulla figura di una ragazzina, seduta qualche posto a destra rispetto ai nostri. Quando incrocia il mio sguardo, lo abbassa immediatamente, assumendo un accesso rosso in viso. Sono sicura che stesse guardando Josh, ma che abbia il timore di disturbarlo, facendosi avanti. E sono anche sicura che, se non lo farà, se non disturberà Josh che dorme come un angioletto, avrà un rimorso enorme da sostenere finché sarà una sua fan. Perciò prendo a fissarla intensamente finché, ancora rossa in viso, si volta di nuovo e mi guarda con un mezzo sorriso. Le sorrido di rimando, e le faccio cenno con la mano di avvicinarsi. Lei non sembra del tutto convinta di quello che sta per fare, ma poi si alza e mi raggiunge, sorridendo felice. Do una leggera scossa a Josh, che alza la testa con un mezzo grugnito.
«Stavo dormendo, Ila.» borbotta, stropicciandosi gli occhi. «Che succede? Siamo già arrivati?»
La ragazzina in piedi al mio fianco si stringe al petto un libro, che noto essere una copia di Hunger Games in italiano, e guarda Josh con gli occhi spalancati. Credo che potrebbe avere un infarto da un momento all’altro.
«No, non siamo ancora arrivati.» dico sorridendo. «Ma c’è questa ragazza che…»
Lui nota in quel momento la ragazza. Dimenticandosi che, fino a pochi minuti prima, stava dormendo beatamente, le sorride. Uno di quei sorrisi mozzafiato che io ancora non riesco a reggere. Figuriamoci una fan che non ci passa le giornate assieme! La vedo che trema per un attimo e poi si immobilizza. Mi giro verso Josh, che ancora sorride e gli tiro un pugno sul braccio.
«Che ho fatto?!» sbuffa, massaggiandosi, guardandomi con confusione.
«Hai sorriso.» sbraito di rimando, guardandolo in cagnesco.
Lui sembra non capire. Mi guarda confuso e poi guarda la ragazzina, ancora immobile davanti a noi. Per aiutarla, mi alzo e la faccio sedere accanto a Josh. Lei sembra riprendersi. Gli porge la sua copia di Hunger Games e una biro. Lui gliela autografa e poi le mette un braccio attorno alle spalle, pronto alla foto. La ragazza, che non ho capito come si chiama, mi porge il suo iPhone e si mette comoda. Non appena scatto la foto, lei si alza in piedi e sorridendo, saltella via fino al suo posto. Mi rimetto comoda sorridendo. Ho appena fatto una buona azione.
 
La mattina mi sveglio sotto un piumone tirato fin sopra al naso. Non mi rendo subito conto di dove mi trovo, e soltanto dopo un bel po’ capisco che sono nel mio letto, nella mia camera, a casa mia. E un cane tutto scodinzolante mi ha appena leccato la faccia.
Mi dirigo in bagno, ancora assonnata, visto che non ho chiuso occhio finché, dopo che mio padre era venuto a prendere me e Josh all’aeroporto, siamo arrivati a casa. Erano le quattro del mattino. Adesso sono le dieci e mezza.
Mi lavo la faccia e i denti, e poi torno in camera. Il mio letto è piccolo, quindi abbiamo dovuto mettere Josh a dormire su un materasso messo in mezzo alla stanza. Gli avrei volentieri lasciato il letto, ma lui non ne ha voluto sapere. Comunque, anche se fosse stato tanto grande da ospitare venti persone, mio padre non avrebbe mai accettato che io e lui dormissimo assieme sotto il suo stesso tetto.
Lo guardo dormire beatamente. Sorride leggermente, e mi chiedo cosa stia succedendo nei suoi sogni. Ha la coperta tutta da un lato, che gli copre solo i piedi. Si muove un sacco di notte. Mi avvicino e, attenta a non svegliarlo, mi siedo sul materasso e gli sistemo le coperte. Per un attimo non succede nulla poi, però, lui apre gli occhi e le sue mani mi afferrano la vita, costringendo il mio corpo a sdraiarsi accanto al suo. Scoppio a ridere, mentre mi tempesta di baci.
«Ti ho svegliato?» gli chiedo quando finalmente la smette, limitandosi a stringermi tra le braccia.
Lui scuote la testa, sorridendo.
«No.» bisbiglia a pochi centimetri dalle mie labbra. «Mi ha svegliato il cane.» aggiunge con una smorfia.
«Ha svegliato anche me.» sorrido, accompagnando quello che dico con una leggera alzata di spalle.
Lui scoppia a ridere, e poi rimaniamo un attimo in silenzio. Appoggio la testa sul suo petto e lascio che i miei occhi si posino sul suo profilo. Lo vedo che si guarda attorno, con un mezzo sorriso a increspargli le labbra. Credo che sia felice, di essere qui.
Io, invece, sono leggermente tesa, come tutte le volte in cui devo presentare il ragazzo con cui esco ai miei genitori. Prima cosa, perché i miei mi mettono in imbarazzo. Sempre. In qualunque occasione. Sembra quasi che si divertano, a vedermi diventare del colore di un pomodoro e torcermi le mani facendole scrocchiare nervosamente. Quasi avessero messo al mondo me e mia sorella solo per metterci in imbarazzo. E’ il loro sport preferito…
Josh mi riporta alla realtà con una risata.
«Sapevo che prima o poi li avrei visti.» annuncia divertito.
Con gli occhi, seguo il suo sguardo, finché non mi ritrovo a guardare il mio “Angolo Josh”.
Arrossisco violentemente.
Avevo completamente dimenticato quell’angolo della mia camera. L’avevo fatto con mia sorella, quando eravamo più piccole. Ci sono tutti gli scatti più belli del ragazzo steso accanto a me. Piccole immagini di lui ripreso in qualunque modo. Sorridente, coccoloso, serio, sexy, derp, sulla moto…
Mi porto le mani al viso, cercando di nascondermi alla sua vista. Questa è una cosa di cui mi vergogno profondamente.
Ma lui sembra divertito.
«Devo ammettere che sono un gran figo.» dice cercando di guardarmi negli occhi.
Al suo commento, riceve un pugno sulla spalla. Scoppia a ridere, stringendomi i polsi in una salda stretta, per impedirmi di tornare a coprirmi il viso. Faccio per alzarmi, perché in questo momento mi sento così imbarazzata che credo preferirei andare in giro nuda per le strade di New York, piuttosto che rimanere in questa stanza per un altro secondo. Ma lui mi stringe forte e cerca di guardarmi dritto negli occhi.
«Ok.» dice sorridendo. «Ho afferrato. Mai parlare di quelle foto. Va bene?»
Lo guardo per un attimo, in silenzio, e poi smetto di divincolarmi dalla sua presa, tornando ad appoggiare la testa sul suo petto e cercando di non guardare l’”Angolo Josh”. Credevo che mi avrebbe presa per una pazza completa, dopo aver visto quello scempio, invece sembra solo divertito. Guarda le sue foto con il sopracciglio alzato, come se in ognuna di quelle foto attaccate al muro ci fosse una parte del mio passato che lui avrebbe tanto voluto conoscere.
«Parlami della tua famiglia.» dice dopo un po’, sorprendendomi leggermente. «Almeno sono preparato.»
Ci penso su un attimo, poi scrollo le spalle.
«Ti rovinerei tutta la sorpresa..!» affermo alzando gli occhi nei suoi.
Lui mi sorride. Quel sorriso che mi fa impazzire. Il sorriso che mi rivolge quando vuole ottenere qualcosa da me facilmente. Quando sa che può vincere in partenza, senza nemmeno sforzarsi troppo.
«E non sorridermi in quel modo.» gli dico con un cipiglio contrariato.
Lui ride.
«Andiamo!» si tira su a sedere. «Vuoi che torni a parlare di quelle foto sul muro..?»
Gli lancio un’occhiata assassina.
«No.» scatto anche io a sedere, mettendogli le mani sulle labbra, prima che possa finire la frase. «L’”Angolo Josh” è tabù. Chiaro?»
«Ha anche un nome?!» mi prende in giro.
Gli punto un dito contro, cercando di sembrare il più minacciosa possibile.
«Tabù.»
«Ma…» cerca di dire, sorridendo.
«Tabù.» poi lo bacio.
 
«John, vuoi ancora un po’ di Lasagna?» chiede mia nonna, da parte di mamma, con la paletta di legno in mano, puntandogliela contro.
Sembra minacciosa. E’ bassa, in carne e, quando si tratta di fare ingozzare la gente, seria come non mai.   
«Josh, nonna.» sospiro spazientita. E’ la terza volta in dieci minuti che lo chiama con qualunque nome, tranne che col suo. «E tanto è inutile che glielo chiedi, perché non ti capisce!»
Mia nonna mi fa cenno di stare zitta. Josh mi guarda sorridendo, e annuisce a mia nonna anche se non sa cosa ci siamo appena dette. Quando però, si ritrova il piatto di nuovo pieno, spalanca gli occhi e mi lancia uno sguardo scioccato. Scuoto la testa, esasperata.
«Non annuire, se non sai cosa comporta.» gli dico, assottigliando gli occhi.
Penso che a breve vomiterà. Ha mangiato tutti gli antipasti almeno due volte, spinto da mia nonna, che ha continuato a riempirgli il piatto finché mia mamma non è passata a cambiarli. Credo che sia, tra tutti quelli che ha conosciuto, il mio ragazzo che preferisce di più. Più che altro perché non le ha ancora detto di no a niente.
«Che ci dici?» dice mia nonna dandomi una leggera sberla sulla spalla. «Che ci stai dicendo?»
Alzo gli occhi al cielo, mentre intravedo mia sorella soffocare una risata.
«Niente nonna.» sbotto piattamente.
Così, lei si rivolge subito a Josh.
«Allora, Rosh.» gli dice, ancora con la paletta di legno in mano. «Ti piace la Lasagna?»
Gli avrà fatto questa domanda almeno quattro volte. E per quattro volte, lui ha cercato di farle capire che non capiva la sua lingua. Faccio per ribattere, esasperata, ma mia sorella corre in mio aiuto.
«Nonna!» dice scandendo tutte le lettere. «Non ti capisce! Siediti e mangia.»
Lei si siede, ma continua a lanciare occhiate a Josh, come a volersi assicurare che mangi tutto quello che ha nel piatto.
Da quando siamo arrivati, sono successe un sacco di cose. Ed è passata solo una settimana.
Andando per ordine.
Subito dopo aver chiarito con Josh che l’”Angolo Josh” era un tabù, e esserci ritrovati in un groviglio di braccia e gambe, mia sorella era entrata in camera. Vedendoci così aveva avuto due reazioni: il divertimento per avermi beccata in quel modo, e lo shock per aver avuto davanti a sé Josh Hutcherson. In quel momento avevo sperato che il suo buon senso l’avrebbe spinta ad uscire in silenzio dalla stanza, invece si era fiondata vicino a noi e, con gli occhi letteralmente fuori dalle orbite, mi aveva allontanata dal mio ragazzo per stringerlo in un abbraccio che mi aveva lasciata di stucco. Josh aveva cercato di sorridere, ma aveva assunto un espressione così ebete che, nei giorni dopo, gli aveva procurato un martellante tormentone di prese in giro da parte mia. Così, mia sorella, gli si appiccicava in tutti i momenti che aveva liberi. Fortunatamente, la mattina era a scuola, perciò, fino a quando non tornava, potevo ancora considerarlo il mio ragazzo. E’ più piccola di me di quattro anni, ed è sempre stata il mio opposto. Lei bionda, io mora. Lei riccia, io liscia. Lei sempre circondata da amici, io sempre a selezionare poche persone con cui volevo passare il mio tempo. Ci sono poche cose su cui andiamo d’accordo. Josh è una di queste.
«Irene!» mia mamma rimprovera mia sorella, alzando la voce. «Non parlare così a tua nonna!»
Mia mamma, che non sa niente di inglese, ha cercato per tutto il tempo di parlare a gesti con Josh. Ogni volta fa dei movimenti strani, movimenti abbastanza ridicoli, mentre cerca, come sempre, di mettermi in imbarazzo. Lui ride, per non offendere nessuno ma, quando poi riusciamo a trovare un momento per stare da soli, cosa molto difficile, mi chiede cosa volessero dire tutti quei gesti incomprensibili.
All’inizio, mia mamma lo guardava storto. Forse perché crede ancora che mi stia portando sulla brutta strada, o forse perché sorride troppo, e lei ha sempre pensato che le persone che sorridono troppo nascondano qualcosa. Adesso, però, si sta tranquillizzando, e gli concede perfino dei sorrisi sinceri.
«Se non ne vuoi più, rimettile nella pentola.» mio padre cerca di andare in contro a Josh. «In questa casa, non si butta via niente.» fa un cenno a mia nonna, che lo guarda senza capire.
Lui gli sorride. «No, riesco ancora a mangiare. Grazie.»
Mio padre parla l’inglese perfettamente, a differenza di mia sorella, che è ancora molto incerta su questa lingua. Josh gli è piaciuto subito. Forse perché si ricorda ancora le lunghe chiacchierate tra noi sorelle mentre cercavamo di decidere in quale foto fosse più perfetto l’attore seduto al mio fianco, o quale fosse l’intervista che preferivamo di più. O forse perché finalmente mi vede pienamente felice. Ha come un sesto senso in queste cose. E, comunque, non sarebbe potuto essere altrimenti.
Una di queste giornate passate, mentre mio padre guardava le previsioni del tempo in montagna, Josh aveva buttato un occhio sul su portatile. Avevano passato la giornata a parlare della montagna e della neve e, il giorno dopo, mi avevano trascinata con loro a sciare. Quel giorno avevo deciso che andare in macchina con Connor alla guida era come passeggiare in riva al mare al tramonto. A tutta velocità, mi avevano costretta a scendere da piste impensabili o da fuoripista decisamente pericolosi. Era stato un incubo.
«E comunque devo mangiare tanto.» aggiunge divertito, lanciandomi un’occhiata. «Perché Ila mi fa fare chilometri in giro per Torino alla ricerca di qualche museo, per poi perderci in continuazione.»
Mio padre scoppia in una fragorosa risata, scuotendo la sua massa di capelli sempre più bianchi, mentre io tiro a Josh un pugno sulla spalla.
«Io non mi perdo.» cerco di farmi valere. «Predo solo strade più lunghe per farci fare movimento.»
Lui ride, e mi posa un leggero bacio sulla guancia facendomi avvampare pericolosamente davanti alla mia famiglia.
«Certo.» mi prende in giro. «Infatti oggi dove abbiamo intenzione di perderci?»
Gli faccio la lingua, sorvolando sul fatto che mio padre sta traducendo a mia mamma quello che ci siamo appena detti.
«Molto divertente.» sbotto, rimettendomi a mangiare le mie Lasagne. «Oggi volevo portarti sulla Mole Antonelliana, ma se vuoi, tu e il tuo senso dell’orientamento perfetto potete andarci da soli.»
Sta per ribattere, ma mia nonna, che sta a casa nostra solo per oggi, per nostra fortuna, lo interrompe di nuovo.
«Todd, hai finito?» sbotta, infastidita dal fatto che Josh si sia messo a parlare con me prima di aver finito di mangiare. «Che adesso ci sta il secondo da mangiare!»
Lui le sorride e annuisce di nuovo, mentre io cerco di farle capire, di nuovo, che il suo nome e Josh e che non capisce la sua lingua.
 
«Che stai facendo?»
Questa è la seconda settimana che siamo qui.
E sta decisamente diventando un inferno.
I miei genitori sono sempre tra i piedi e mia sorella passa tutto il suo tempo in camera con noi, senza lasciarci un attimo di pausa. Non abbiamo mai un momento libero e io sto dando letteralmente di matto. Ho chiesto a Josh di tornare a casa, a Los Angeles, ma lui non ne vuole sapere. Si diverte un sacco qui. Non fa altro che chiacchierare con mio padre, cercare di insegnare qualche parola di inglese a mia madre, e soddisfare tutte le richieste più assurde di mia sorella. Ma penso che un’altra settimana così e potrei tornare da sola, a Los Angeles.
«Stavo cercando di preparare una torta.» rispondo alla voce di Josh proveniente dall’entrata della cucina. «Ma non sono Connor e sono un disastro in cucina.»
Lo sento avvicinarsi lentamente, poi mi afferra per la vita e mi abbraccia da dietro, appoggiando la testa sulla mia spalla. Spero che mio padre non si in casa, perché ci sbatterebbe fuori entrambi. Per quanto gli piaccia Josh, è abbastanza geloso di me e mia sorella.
«Posso?» chiede, indicando la farina che avevo lasciato lì mentre cercavo gli altri ingredienti necessari.
Alzo un sopracciglio.
«Vuoi assaggiare la farina?» gli chiedo scettica, girando la testa verso di lui nel tentativo di guardarlo in faccia. «Perché non credo che…»
Mi sento tremare la spalla e il suono della sua risata riempie la cucina.
«No, volevo aiutarti.» alza la testa dalla mia spalla e mi guarda, senza però smettere di tenermi tra le sue braccia.
Sorride. Quel sorriso magnifico che diventa più bello ogni giorno di più che passo con lui. Quello a cui non mi sono ancora del tutto abituata. Sento le guancie scaldarsi e il cervello andare in tilt per un momento, poi scrollo la testa e cerco di riprendermi.
Mi rigiro tra le sue braccia, in modo da poterlo guardare negli occhi.
«Vuoi dirmi che sai preparare una torta, Hutcherson?» sorrido beffarda.
Lui alza un sopracciglio e avvicina il viso al mio.
«Sapessi quante cose so fare..!» bisbiglia divertito. «Ci sono un sacco di cose che non sai di me.»
Mi trattengo dallo scoppiargli a ridere in faccia, sopprimendo il brivido che sento tutte le volte che mi sta così vicino.
«Quindi… sai preparare una torta, eh?» lui annuisce, facendo sfiorare le punte dei nostri nasi. «Ok, allora. Mostrami che sai fare.»
Scioglie l’abbraccio e mi fa spostare leggermente. Versa tutta la farina che c’è nella busta, spargendola per tutto il piano di lavoro. Non credo di aver mai visto un pasticciere usare tutta la farina che c’è nella confezione ma non dico niente, limitandomi ad incrociare le braccia la petto e guardarlo con un sopracciglio alzato. Ci mette un po’ per spargerla tutta e poi fa dei piccoli cumoli. Mi si avvicina per prendere le uova e…
Mi tira della farina in faccia.
«Josh!» urlo sorpresa.
Non mi ero aspettata un gesto del genere. Lo sento che scoppia a ridere.
«Dovresti vedere la tua faccia!» dice tra una risata e l’atra.
Cerco di pulirmi il viso, sputacchiando nel lavandino la farina che mi è finita in bocca e nel naso. Lui continua a ridere come un matto, finché non deve appoggiarsi al piano di lavoro per non cadere per terra, tenendosi la pancia con la mano sporca di farina.
«Non è divertente.» sbraito, cercando di ripulirmi i capelli, anche se so già che mi ci vorrà una doccia.
Lui continua a ridere. Prova a dire qualcosa, tra una risata e l’altra, ma non gli viene fuori nulla.
«Va bene, Hutcherson.» prendo un po’ di farina. «L’hai voluto tu!»
La polvere beigiolina gli entra tutta in bocca e inizia a tossire.
Cominciamo a lanciarci la farina addosso, sporcando tutta la cucina. Spero che nemmeno mia mamma sia a casa, perché darebbe di matto.
Rido come una matta, mentre ci rincorriamo per tutta la cucina e alla fine, per colpa della farina finita atterra, Josh scivola, tirandomi giù con lui.
Cerco di sfuggirgli, ma lui comincia a farmi il solletico, e sa benissimo che quello è il mio punto debole. Comincio a gridare e lui ride. La casa si riempie delle nostre risate, mentre i nostri vestiti si riempiono ancora di più di farina. Continuiamo così per un po’ e in quel tempo mi sento talmente bene che non penso più a niente.
Poi, però Josh si ferma.
«Shh, senti?» dice alzando la testa di scatto e guardando verso il salone.
Ha i capelli completamente bianchi e, ogni volta che si muove, dai vestiti cade farina. Mi perdo un attimo a fissarlo. È perfetto anche così, con la mascella contratta in un sorriso che si spegne lentamente e l’espressione concentrata.
Mi appoggio sui gomiti, cercando di liberarmi dal suo corpo sopra il mio per vedere il salone.
«Io non sento niente.» ribatto dubbiosa.
Sembra che non ci sia nessuno in casa. Non mio padre né mia madre perché sarebbero venuti a vedere cosa stava succedendo in cucina. E neanche mia sorella, perché dalla sua camera non proviene la sua musica sparata a tutto volume.
Negli occhi di Josh si accende una scintilla.
«Appunto.» bisbiglia, fissando i suoi occhi nei miei.
Ci metto un po’ a capire, perché il mio cervello si perde un attimo nel luccichio dei suoi occhi e nel suo sorriso tutto contento. Poi, però, mi si accende la lampadina.
«Credo di aver bisogno di una doccia.» annuncia lui alzandosi in piedi e porgendomi una mano. Un invito a fare lo stesso.
Gli sorrido, mentre mi alzo, stringendogli la mano.
«La tua ossessione per le docce inizia a spaventarmi, Hutcherson.»
Scoppiamo a ridere e, questa volta, è lui che mi bacia.
 
«Non riesci a dormire?» la voce di mio padre arriva dal divano in salotto.
Mi avvicino ciabattando, stropicciandomi leggermente gli occhi e sistemandomi la maglia del pigiama.
«No.» dico con un’alzata di spalle. «E Josh sta parlando al telefono con la sua manager.»
Lui accenna un sorriso, poi chiude il libro che stava leggendo e lo appoggia sul tavolino ai suoi piedi. Batte un paio di volte con la mano sul divano, invitandomi a sedermi accanto a lui. Con la luce fioca della lampada affianco al divano, mi rendo conto che è invecchiato un sacco, dall’ultima volta che l’ho visto. Che, facendo due calcoli, sarebbero più di otto mesi fa. I capelli gli sono diventati più grigi e le rughe sono aumentate sul suo viso. E’ strano, vederlo invecchiare. E’ come se questa fase del suo ciclo vitale non gli appartenesse davvero. Come se avesse dovuto rimanere per sempre giovane.
«Sono le due di notte!» ribatte sorpreso, accentuando le rughe sulla fronte.
Scrollo le spalle e mi siedo accanto a lui, appoggiando istintivamente la testa sulla sua spalla. Un riflesso tanto naturale che quasi non ci penso.
«Già.» sospiro, trattenendo uno sbadiglio. «Ma lì è ancora sera e, conoscendo Janet, non mi sorprendo più di tanto.»
Rimaniamo per un attimo in silenzio. Ascoltando i ritmi dei nostri respiri. Ognuno perso nei propri pensieri. Sento una certa ansia, ma non saprei spiegare a me stessa a cosa è dovuta.
«E tu?» dico dopo un po’, sentendomi oppressa dal silenzio. «Non riesci a dormire?»
Non mi risponde subito. Come se dovesse prima pensare al modo giusto per rispondere a un quesito troppo complicato per lui. Il suo sguardo si perde nella contemplazione del cane che dorme ai suoi piedi, ignaro di tutto quello che gli accade intorno.
«Stavo pensando…» ribatte dopo un po’ di minuti.
Non so dove è diretta questa conversazione, perciò decido di non chiedergli a cosa stava pensando. Un po’ perché forse quest’ansia che mi sta divorando mi impedisce di parlare. Un po’ perché tutto quello che vorrei fare è rimanere qui in silenzio, ad aspettare che il sonno arrivi. Come tutte quelle volte che non riuscivo a dormire e aspettavo qui, esattamente in questa posizione, completamente in silenzio. È una specie di ritorno alla vecchia vita. A quella vecchia vita da cui ero scappata a gambe levate.
«Non sei curiosa di sapere a cosa pensavo..?» la voce di mio padre mi risveglia dai miei pensieri.
Non aspetto per rispondere.
«Non sono mai stata una persona curiosa, papà.» scrollo le spalle. «Dovresti saperlo.»
Lui ride. Una risata bassa e stanca, ma allo stesso tempo felice. E soltanto sentendo il suono di quella risata, capisco che anche lui si era perso a pensare a quella vecchia vita…
«Lo so fin troppo bene.» dice, prendendo ad accarezzarmi i capelli. «Anche se ho sempre pensato che tu fossi una di quelle persone che non vogliono esternare i loro sentimenti. Curiosità compresa.»
Rimango un attimo sorpresa. Non so nemmeno a cosa pensare. Perché io non sono veramente una persona curiosa. E non capisco nemmeno perché mi stia dicendo queste cose. Non ho mai parlato con i miei genitori dei miei sentimenti o del mio carattere. Semplicemente, loro sapevano come ero fatta e mi prendevano per quella che ero. Non parlavamo dei miei sentimenti nemmeno durante il mio periodo buio. In effetti, non credo di averne parlato mai con nessuno…
«Sai, ne ho visti tanti passare da questa casa.» riprende a parlare. Non capisco subito di chi stia parlando, e sono decisamente confusa. «Ma non ho mai visto un sorriso come quello che vedo addosso a te adesso.»
Ma di che sta parlando?
Tanti? Sorriso? E’ per caso impazzito in questi mesi che io sono stata via?
Alzo la testa dalla sua spalla e lo guardo, sperando di non avere un espressione troppo confusa in viso.
«Lui ti rende felice, non è vero?» chiede senza aspettare che io possa capire le sue affermazioni precedenti. Senza aspettare che io possa fargli qualche domanda riguardo ai suoi enigmi. «E non perché è la super star dei tuoi sogni. Lui ti rende felice in un modo che nessun altro ragazzo è mai riuscito a fare.»
Mi sorride e, in quel momento, mi si accende la lampadina.
Dopo il mio periodo buio ho avuto un sacco di ragazzi. Non mi piaceva stare da sola e non avevo molti amici, quindi mi buttavo sui ragazzi. Non era un bell’atteggiamento, ma non riuscivo a fare nient’altro. Studiavo, leggevo e cercavo di movimentare la mia vita lasciando e prendendo un sacco di ragazzi. Ovviamente, non li ho mai presentati tutti ai miei genitori, ma il sesto senso di mio padre nei miei confronti è sempre stato una cosa incomprensibile per me. Lui sapeva soltanto guardandomi in faccia.
E non è una domanda, quella che mi sta facendo.
Anche adesso sa. Sa, ancora prima di chiedere. Sa, perché ha il suo sesto senso. Sa. Sa e basta.
E sta parlando di Josh.
«Papà, io…» mi fermo, perché non so come continuare.
Come si può spiegare qualcosa a qualcuno che ne è già a conoscenza? Cosa si può fare, in questo tipo di situazioni? C’è qualcos’altro da dire? C’è qualcos’altro da fare? Non è vero che, in fondo, l’unica cosa che ti resta da fare è annuire in silenzio?
«Sì.» dico soltanto. «Sì, lui mi rende felice.»
Mio padre mi sorride e poi mi abbraccia.
Un abbraccio diverso da tutti quelli che ho ricevuto in questi mesi. Diverso da quello di Josh, caldo e pieno d’amore. Diverso da quello di Connor, quasi fraterno. Diverso da quello di Jimmy, accogliente e amichevole. Diverso da quello di Michelle, sbrigativo ma profondo. Diverso da quello di Chris, dolce. Diverso da quello di Mary, forte e affettuoso. Diverso da quelli di tutte le persone che ho conosciuto in queste settimane.
Sa di dolore e di felicità. Di caduta e di risalita. Sa di momenti brutti, superati con fatica. Sa di momenti belli, racchiusi in un angolo imprecisato della mente. Sa di ricordi impressi a fuoco oppure dimenticati. Sa di parole mai dette, espresse con qualche carezza o qualche abbraccio. Sa di momenti di panico. Sa di paura e di conforto. Sa di tutta una vita.
È come una rassicurazione. Una promessa. La promessa che lui ci sarà finché potrà.
Non so per quanto tempo rimaniamo abbracciati. So solo che ci stacchiamo solo quando Josh, preso da un’improvvisa felicità, scende le scale di corsa e irrompe in salotto con un sorriso che gli va da un orecchio all’altro. I suoi occhi si fissano nei miei.
«Grandi novità!» è l’unica cosa che dice.

 
 

SPAZIO AUTRICE.

 

Eccolo, tutto per voi! Finalmente ce l’ho fatta! :3
Scusate per l’enorme ritardo e.e
 
Anyway.
Non è venuto proprio come lo volevo io, perché ho tagliato un sacco di cose, ma credo che vada bene lo stesso :P
In compenso mi è venuta un’idea…
Ho aperto una pagina Facebook, e pensavo di postare ogni tanto qualche “Forgotten Moment” che nei vari capitoli ho tralasciato per non farli diventare troppo lunghi e noiosi :3
Quindi, se volete, mi trovate qui - - ->  Facebook
Che altro c’è da dire…
Mi sono leggermente emozionata a scrivere l’ultimo pezzo, sapendo cosa succederà più avanti. Quindi spero che piacerà anche a voi :3
 
E… niente. Mi scuso ancora per l’enorme ritardo e, come sempre, ringrazio tutte coloro che mi seguono/recensiscono/leggono la storia :3
 
Un bacione, Ila. 

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Capitolo 19
*** Swallowed in the sea ***


Swallowed in the sea.

And I could write a song a hundred miles long,
Well that’s where I belong, and you belong with me.
And I could write it down or spread it all around
Get lost and then get found, or swallowed in the sea.

 
 

«Perché non accetti semplicemente il fatto che a me piacciono le sorprese?»
Josh, imbronciato e stufo, scende le scale con passo spedito e si dirige verso la cucina.
Lo seguo a ruota, rossa in viso per la rabbia.
«Perché invece non accetti tu il fatto che a me non piacciono?» ribatto con voce stridula. La voce che mi viene tutte le volte che mi arrabbio.
Lui non si gira nemmeno a guardarmi. Continua a camminare verso la cucina senza accertarsi che io gli sia accanto o no.
E’ da quando siamo tornati a Los Angeles che va avanti così. Da quando aveva detto che c’erano grandi novità. Da quando mi aveva portata via da Torino di tutta fretta. Da quando non mi aveva voluto dire quello che sarebbe successo una volta tornati a casa sua, mettendo fine alle mie richieste di spiegazioni con un “E’ una sorpresa.” 
Ormai lo dovrebbe sapere benissimo che odio le sorprese. Il fatto che nei primi due casi gli sia andata bene, non vuol dire che può prenderci tutto questo gusto!
Con uno sbuffo, Josh sposta una sedia e si siede il più lontano possibile da me. Io non lo guardo. Mi siedo al mio solito posto e mi rivolgo a Connor che, come tutte le mattine da quando siamo arrivati, cucina e cerca di farsi gli affari suoi senza intromettersi nelle nostre litigate, cosa che non gli riesce del tutto, dato che, urlandoci dietro, ci sentirebbero anche dall’altra parte del mondo.
«Cosa hai preparato per colazione, Conn?» Lui fa per rispondere, ma io non gli lascio il tempo. Lancio un’occhiataccia a Josh. «O forse anche questa è una sorpresa?»
Il ragazzo a cui è diretta la frecciatina alza gli occhi al cielo e si lascia andare sulla sedia buttando le braccia in aria, mentre il fratello cerca di trattenere una risatina.
«Non capisco quale sia il tuo problema con le sorprese.» sbotta Josh guardandomi seriamente. «Non mi pare che le altre due ti abbiano fatto proprio schifo…»
Assottiglio gli occhi e afferro il tavolo per impedire a me stessa di fare stupidaggini. Lo guardo di rimando, cercando di apparire il più pacata possibile.
«Semplicemente, non mi piacciono.» ribatto guardandolo dritto negli occhi, senza battere ciglio. «Perché diavolo non puoi dirmi quello che sta succedendo senza fare troppe storie?!»
Lui sbuffa di nuovo.
«Se si chiama “sorpresa” ci sarà un motivo, no?» anche lui ha le gote leggermente arrossate dalla rabbia. «Porca miseria, Ila. Mi stai facendo passare la voglia di farti sorprese!»
Faccio per ribattere che forse sarebbe anche meglio, ma in quel momento squilla il telefono e Josh si alza bisbigliando un “Vado io” appena udibile. 
Sbuffo. Non ce la faccio più. Non mi piace litigare con lui. Non mi piace vederlo sbuffare a tutto quello che dico e sentirmi il suo sguardo arrabbiato addosso. Non mi piace quest’aria tesa che c’è in casa ogni volta che il silenzio sostituisce le nostre urla. Ci attacchiamo sempre per le stesse cose. Ci rimproveriamo per qualunque cosa. L’altra sera siamo scoppiati perché non mi voleva passare la maionese!
La situazione sta decisamente degenerando.
«Perché non provi a lasciarlo fare, I?» in un bisbiglio leggero, la voce di Connor, seduto sulla sedia accanto alla mia, mi raggiunge. «State litigando per un motivo così stupido!»
Ha ragione. E’ iniziato tutto perché non voleva parlarmi della sorpresa. Una cosa stupida e banale. Mi chiedo come siamo arrivati a questo…
«Prova a mettere per un attimo il tuo orgoglio da parte.» sussurra ancora, guardandomi con i suoi occhi sorridenti e seri allo stesso tempo. «Non è così male fare delle piccole rinunce per chi si ama, sai?»
Lo guardo senza vederlo davvero. Non sono ancora abituata a questo suo cambio di carattere improvviso. Un attimo prima è il ragazzo che mi prende in giro per qualsiasi cosa, un attimo dopo è il ragazzo premuroso che cerca di tirarmi su il morale e mi da buoni consigli. Non credo lo capirò mai.
«Lo so, ma…» cerco di rispondere, ma lui mi interrompe.
«In questo momento, solo due cose contando davvero nella sua vita.» dice lanciando un’occhiata al fratello. Un occhiata dolce e fraterna. «La prima sei tu e la seconda è questa sorpresa a cui pensa da un sacco di tempo. Lascialo fare. Smettetela di litigare.»
Mi lascia scioccata. E non per il fatto che lui sia a conoscenza di questa sorpresa a cui Josh tiene tanto, ma per il fatto che, secondo lui, io conti nella sua vita più di tutto il resto. E’ una cosa strana. Una cosa che mi fa sentire anche un po’ male. Come se avessi troppo peso sulle spalle. La consapevolezza di dover pensare alle felicità di due persone: la mia e la sua.
Vorrei rispondergli, ma mi ha lasciata troppo spiazzata e, comunque, non ce ne sarebbe bisogno perché lui mi capisce solo guardandomi in faccia.
Cerco di sorridere o fare qualcosa, ma l’arrivo di Josh mi risparmia la fatica.
«Mamma e papà hanno finito il loro viaggio in Europa.» dice rivolgendosi al fratello, il suo tono cerca di essere piatto, ma si sente qualcosa che non riesco a riconoscere. «Vengono a prendere Diesel e Nixon e tornano in Kentucky. Mamma dice che se vuoi tornare con loro non c’è problema…»
Capisco immediatamente cosa c’è che non va. Quel sentimento che si insediava nel suo tono di voce, che cercava di essere piatto.
Josh non vuole che il fratello torni a casa. E sono sicura che non è per il fatto che ultimamente non facciamo che litigare. Non vuole che il fratello torni a casa perché ne sentirebbe la mancanza. E mi sorprendo a capire i suoi sentimenti. Sia perché quando ero partita da Torino avevo provato le sue stesse emozioni al pensiero di separami da mia sorella, sia perché capisco che se Connor parte ne sentirò anche io la sua mancanza.
In questi ultimi tempi è stato davvero come un fratello. Un spalla sempre pronta a lasciarmi sfogare senza giudicare. La prima persona che si chiama quando si è felici. La prima che si chiama quando si è tristi. Se solo penso che all’inizio la sua sola presenza mi faceva venire i nervi a fior di pelle mi sembra quasi di aver cominciato a vivere un’altra vita.
«Grazie.» dice lui lanciando un’occhiata prima al fratello e poi a me. «Ma preferisco rimanere qui a rompere le scatole ancora per un po’.»
La ruga comparsa sul viso di Josh nell’attesa di sapere cosa sarebbe successo, scopare improvvisamente, sostituita da un sorriso felice. Il primo, da quando siamo tornati. Sento una stretta allo stomaco e mi scopro felice e malinconica allo stesso tempo.
Vorrei fare i salti di gioia perché Connor ha deciso di restare e, allo stesso tempo, vorrei che quel sorriso felice sulle labbra di Josh fosse diretto a me.
Mi viene un’improvvisa voglia di chiedergli scusa per tutte queste litigate inutili e faccio per alzarmi, ma lui, senza degnarmi di un’occhiata, esce dalla cucina e si dirige verso le scale.
 
Soltanto molti minuti dopo decido di alzarmi e seguirlo.
Rimango per un po’ ferma dietro la porta della sua camera prima di decidermi ad aprirla. Connor ha ragione. Tutto questo è davvero ridicolo e, dato che è colpa mia, perché sono io ad odiare le sorprese, è compito mio riparare al danno.
Josh è sdraiato sul letto con le mani sul viso e il corpo allungato in diagonale. Il suo respiro è regolare e sembra che stia dormendo. Vedendolo così mi viene quasi voglia di uscire dalla stanza, senza disturbarlo, ma poi la sua voce mi arriva alle orecchie.
«Se sei venuta per litigare di nuovo puoi anche andartene.» il suo tono è piatto e freddo.
Un tono che sta quasi diventando familiare a forza di sentirlo rivolto solo ed esclusivamente a me, in questi giorni. Sento una rispostaccia salirmi su per le corde vocali ma, ricordandomi delle parole di Connor, la rimando giù a fatica.
Senza parlare mi avvicino al letto e mi ci siedo sopra. Non guardo Josh in faccia, perché ho paura che la freddezza nella sua voce si rispecchi anche sul suo viso.
«Parti dal presupposto che so facendo una fatica immane per dirti quello che sto per dirti.» dico tutto d’un fiato, cercando di non mangiarmi le parole. «Ok?»
Non mi aspetto che lui risponda, e infatti non lo fa, ma ce lo aggiungo lo stesso.
Sento il suo sguardo puntato addosso, e mi sforzo di non girarmi a guardarlo negli occhi. Non so perché, ma non penso che riuscirei a dire quello a cui ho pensato, se solo mi voltassi.
«Voglio solo dirti che mi dispiace.» continuo alla velocità della luce. «E che smetterò di farti pesare il fatto che non mi piacciono le sorprese. E che accetto che tu le adori. E che le adorerò anche io, se questo ti fa piacere. E che non voglio più litigare con te, perché mi sento davvero male.»
Non so se abbia afferrato qualche parola di quello che ho detto, data la velocità a cui ho parlato, e questo mi spinge a voltare la testa verso di lui, in tempo per vedere che sta nascondendo un sorriso. Improvvisamente, torno a sentirmi arrabbiata nei suoi confronti. Come può sorridere mentre io gli sto chiedendo scusa?
«Beh…» dico alzandomi in piedi, cercando di impedire a me stessa di rimettermi a urlare. «Ora me ne vado. Così non ti disturbo.»
Sono infuriata, e la voce diventa un po’ stridula sulle ultime parole, ma faccio finta di non essermene accorta. Volto la testa, in modo da non riuscire a guardare il viso di Josh. So già che si mi voltassi a guardarlo, mi tornerebbe l’impulso di urlargli contro.
«Ok.» la sua voce arriva un po’ ovattata alle mie orecchie.
Sono talmente arrabbiata che i suoni non mi arrivano come dovrebbero. In più il suo “Ok.” privo di qualsiasi intonazione mi fa stare ancora peggio.
Forse non gli importa che mi dispiaccia.
Forse ha già progettato di mettere fine a queste litigate in un altro modo…
Il solo pensiero mi provoca una fitta di dolore al petto e, imponendo a me stessa di camminare, decido di uscire da quella stanza il più in fretta possibile. Percepisco tutto come un enorme fash-back. Come se avessi già vissuto questa situazione. Solo che l’ultima volta non stavamo litigando per una sorpresa. Ed era stato lui a dirmi di uscire dalla stanza.
Faccio un passo verso la porta. Un passo un po’ indeciso, per via del dolore al petto che mi ha presa, ma la mano di Josh afferra il mio polso e lo stringe forte.
«Ok. Accetto le tue scuse.» la sua voce torna ad essere di quel tono gentile che tanto amo. «E ti devo le mie.»
Mi immobilizzo sul posto, lasciando che le sue parole mi penetrino nella testa. Aspettando che il mio cervello le metabolizzi fino in fondo. Quando, finalmente, ne comprendo il significato sento la rabbia abbandonare il mio corpo, che torna a riprendere il controllo di se stesso. Lentamente, mi volto verso Josh che, inspiegabilmente, sorride.
Stringe un po’ più forte il mio polso e lo tira verso di se. Non oppongo resistenza alla sua forza e lascio che mi avvicini il più possibile a lui. Quando gli sono esattamente di fronte, si inginocchia sul letto e, senza aggiungere inutili parole o sciocchi commenti, mi abbraccia.
Per un attimo rimango imbambolata. Il mio cervello deve avere qualche problema di funzionamento oggi, perché ci mette un po’ ad elaborare tutto.
Poi , però, mi ritrovo a stringerlo forte tra le braccia di rimando.
 
«Ok, vediamo un po’ qui.»
Jimmy percorre a falcate nervose un enorme magazzino con le più grandi varietà di vestiti, scarpe, borse e accessori di ogni genere. È talmente grande che io, col mio pessimo senso dell’orientamento, mi ci sarei già persa una dozzina di volte. Lui, invece, si muove convinto, alla ricerca di qualcosa che porta avanti da ore. Senza alcun risultato.
Continua a borbottare tra sé, a voce troppo bassa perché io possa sentire. Ogni tanto urla qualcosa a “quegli incompetenti senza voglia di fare nulla dei suoi addetti al magazzino”, ma poi torna a brontolare tra se. Io lo seguo a ruota, come farebbe un cagnolino, per paura che possa mettersi a inveire anche contro di me.
Mi terrorizza quando è in questo stato.
Josh mi ha lasciata qui qualche ora fa con la scusa di dover fare delle cose importanti. Il suo unico commento è stato un «E comunque non credo che resterei. Non riuscirei a uscire vivo dal magazzino di Jimmy quando urla minacce contro i suoi dipendenti. E probabilmente sarebbe lui ad uccidermi.»
Il commento mi aveva terrorizzata non poco. Avevo cercato di convincerlo a restare, ma lui mi aveva sbolognato sulla strada dandomi un leggero bacio a fior di labbra. Trovandomi davanti al palazzone della “J. McGregor” avevo valutato la possibilità di scappare a gambe levate mettendo la massima distanza tra me e un Jimmy infuriato. Nella mia mente si era perfino delineata un’immagine dello stilista, alquanto realistica e terrificante, che, con due corna enormi sulla testa, sputava fuoco, e il cui corpo continuava a ingigantirsi e a deformarsi fino a trasformarsi in una creatura terrificante. Il tutto in uno sfondo pieno di fumo soffocante e una Los Angeles in fiamme.
E, ovviamente, io urlavo.
Ero rimasta anche un po’ sorpresa di trovarmelo di fronte in forma umana quando, avvistatami dalla finestra e incuriosito dal fatto che non mi decidevo ad entrare, era venuto a prelevarmi dal marciapiede.
«Cos’è quella faccia?» mi aveva chiesto incuriosito dalla mia espressione terrorizzata.
Avevo scosso le spalle cercando di chiudere in un angolo lontano della mente l’immagine di lui che sputava fuoco, e avevo cercato di sorridergli.
«Ma dove diavolo si è cacciato?!» Jimmy sbraita, riportandomi alla realtà, spostando alcuni abiti, all’apparenza molto delicati.
«Perché non mi dici cosa stai cercando..?» gli chiedo, cercando di sembrare il più innocente possibile. «Magari posso aiutarti…»
«NO.» la voce dello stilista si alza di alcune ottave. «DEVO TROVARLO E BASTA.»
Decido di non dire altro, perché oggi è davvero troppo irascibile. Perfino per i sui standard. Ha fatto bene Josh a non entrare qua dentro. Sarebbe scoppiata la terza guerra mondiale.
Siccome comincio ad essere stufa di stare in piedi, decido di sedermi su un enorme puff qualche scaffale più avanti rispetto a dove Jimmy sta cercando… beh, quello che sta cercando. Quando mi muovo lui non inizia a sputare fuoco, e questo è decisamente un buon segno. Non mi guardo nemmeno attorno. Tutti questi vestiti e accessori mi inquietano perfino un po’.
Sul puff, un enorme puff nero di pelle che ispira un sonnellino solo a guardarlo, sono ammassati alcuni vestiti alla rinfusa. Li sposto di lato e poi mi siedo lasciandomi cadere a peso morto. Per un po’ osservo Jimmy che continua a sbuffare, muovere vestiti e inveire contro i suoi collaboratori. A questa distanza sembrano solo rumori distanti che mi fanno venire ancora più sonno rispetto a quello che già sento. Cerco di tenere gli occhi aperti, perché non so come potrebbe reagire lo stilita a un mio pisolino mentre lui lavora. Ma poi il puff comodo, il troppo sonno e i borbottii a cullarmi mi fanno sentire talmente stanca che non riesco più a tenerli aperti.
Li chiudo per un attimo.
Non l’avessi mai fatto.
«ILARIA!» la voce di Jimmy mi fa sussultare. «GUARDA SU COSA HAI APPOGGIATO LA TESTA!»
Alzo la testa di scatto, preoccupata. Mi guardo attorno e vedo che, sotto la testa ci sono alcuni vestiti. Mi accorgo di avere il corpo rannicchiato e capisco che, mentre dormivo, muovendomi, ho fatto scivolare alcuni degli abiti che aveva spostato.
Lo stilista, che minaccia di cominciare davvero a sputare fuoco, ne prende uno tra le braccia e, sotto il mio sguardo preoccupato, se lo stringe al petto sorridendo come un bambino.
«Oh, eccolo!» dice in tono smielato cominciando a muovere leggermente la testa prima verso destra e poi verso sinistra. Poi il suo tono si indurisce. «Quegli incompetenti! Adesso mi sentono…»
Comincia a brontolare una serie infinita di minacce e si avvia a passo di marcia, sempre tenendosi il vestito stretto al petto, verso l’uscita del magazzino. Terrorizzata dal solo pensiero di perdermi qui dentro, lo seguo a ruota, stropicciandomi gli occhi.
Saliamo con l’ascensore fino all’ultimo piano del palazzo dove ci sono solo due uffici: quello di Jimmy e quello della sua segretaria, mai usato, visto che la poveretta è sempre in movimento a qualunque ora del giorno per cercare di eseguire tutti gli ordini dello stilista.
Entriamo nell’ufficio più grande e, senza troppe storie, Jimmy mi sbraita di andare dietro al divisore, in cui avevo provato il vestito che mi aveva fatto apposta per la premiere del film di Josh, e di infilarmi il vestito che ha tra le braccia.
Quando me lo ritrovo tra le mani mi accorgo di non averlo ancora osservato veramente.
E’ bianco e corto. Ha le maniche lunghe, ma è fatto in modo che lasci le spalle scoperte. Su tutto il tessuto ci sono dei motivi incomprensibili ricamati con un tipo di filo che, sotto la giusta luce, brilla leggermente, emanando un luccichio che sembra far brillare tutto il vestito. Non credo che, se mi fosse stato permesso di scegliere il vestito da indossare tra tutti quelli presenti nel magazzino, avrei scelto proprio questo, ma non mi dispiace poi così tanto. Nell’insieme è delicato e elegante.
Lo indosso, facendo attenzione a non provocare danni irreparabili e poi esco da dietro il divisore per farmi aiutare da Jimmy a chiuderlo.
Lui mi viene vicino e afferra con delicata decisione la zip.
Poi tira su…
 
Connor scoppia a ridere tenendosi forte la pancia.
«Ti prego!» cerca di dire tra una risata e l’altra. «Dillo un’altra volta!»
Lo fulmino con lo sguardo, ma lui non smette di ridere, perciò decido di lasciarlo perdere e rivolgermi a Josh. Cosa completamente inutile, dal momento che anche lui sta ridendo come un matto.
Sbuffo infastidita.
«No, ma è bello avere il vostro appoggio morale!» sbotto e metto il broncio, incrociando le braccia al petto e lasciandomi cadere sul divano.
Stanno ridendo come matti perché gli ho appena raccontato cosa è successo oggi da Jimmy. Il loro tatto nei miei confronti è pari a quello di un elefante imbizzarrito che calpesta tutto quello che ha davanti.
«Non…» Connor non respira più dalle risate. «Il vestito… La zip…»
Un attacco di risate lo prende di nuovo e sta volta cade per terra, prendendo a rotolasi. Lo guardo col mio solito sguardo assassino.
«Sai, in parte è anche colpa tua se non mi si chiudeva la zip!» lo rimprovero scuotendo la testa.
Lui scoppia di nuovo a ridere, seguito a ruota dal fratello. Stanno rischiando davvero tanto sta sera. E non se ne rendono conto. Forse dovrei ricordargli la mia cultura di serie TV come Criminal Minds o N.C.I.S. …
Mi sento ancora uno schifo. Non riuscivamo a chiudere la zip del mio vestito fatto su misura. Non che mi importi di essere un po’ ingrassata. Questo è solo un bene per il mio corpo pelle e ossa. Ma la faccia sconcertata di Jimmy che, a pochi giorni dalla sorpresa di cui ancora nessuno vuole parlarmi, deve modificare il vestito, mi ha fatto sentire leggermente in colpa.  
Josh viene a sedersi sul divano e mi fa passare un braccio attorno alle spalle.
«Se è il peso che ti preoccupa…» dice in tono gentile. «Io non ho notato nessuna differenza e, comunque, resti sempre bellissima.»
Mi sento sciogliere. Letteralmente. Anche se è andato completamente fuori strada riguardo a come mi sento. Avvampo leggermente.
«Non sono preoccupata per il peso!» appoggio la testa al suo petto. «Non sono quel genere di ragazza ossessionata dell’essere magra. Mi sento in colpa, perché Jimmy dovrà sistemare il vestito e ha solo pochi giorni per farlo.»
Sento la risata di Josh, che gli fa vibrare il petto.
«Tranquilla.» dice con lo stesso tono dolce di voce. «Lui va a nozze con questo tipo di cose…»
Connor lo interrompe.
«Ti ricordi quella volta che lo avevi avvisato all’ultimo momento che mamma ti avrebbe accompagnato a una premiere?!» si siede sul tappeto davanti al divano a gambe incrociate. «Aveva dato letteralmente di matto!»
Josh scoppia a ridere.
«Era diventato tutto rosso!» gesticola con il braccio libero. «E poi era scoppiato a urlare...»
«E Josh gli aveva riso in faccia!» continua il fratello ridendo al ricordo.
«Non ero riuscito a trattenermi..!»
«Poverino!»
«C’eri anche tu, no?! Aveva gli occhi fuori dalle orbite e la faccia tutta rossa…»
«Per poco dal naso non usciva il fumo..!»
Riesco a immaginare un Jimmy come lo descrivono Josh e Connor, perciò scoppio a ridere. Loro continuano a descrivere altre situazioni divertenti in cui il povero stilista, arrabbiato per chissà quale motivo, aveva fatto espressioni da sbellicarsi dalle risate. Mi viene mal di pancia dalle risate, ma loro continuano imperterriti.
Solo il suono del campanello interrompe i loro racconti.
Josh si alza dal divano incuriosito. Non aspettavamo visite, oggi. Si dirige verso l’ingresso a falcate decise e poi apre la porta.
«Tesoro!» la voce di Michelle arriva forte e chiara.
La donna abbraccia forte il figlio, che ha ancora un’espressione sorpresa stampata sul viso. Sapevamo che i suoi genitori sarebbero venuti a prendere Diesel e Nixon, ma li aspettavamo per domani sera. Subito dopo di lei, entra sorridendo Chris e anche lui abbraccia il figlio. I due cani gli scodinzolano attorno contenti.
«Non vi aspettavamo per oggi.» dice Josh sorridendo ai suoi genitori e accarezzando il testone di Nixon.
«Volevamo farvi una sorpresa!» Michelle è tutta un sorriso. «Guarda chi ti abbiamo portato?»
Si voltano tutti verso il giardino e, improvvisamente, sul volto del mio ragazzo si dipinge un sorriso enorme.
«Avan Jogia!» esclama dirigendosi verso l’uscita.
«Josh Hutcherson!» è una voce che ho già sentito da qualche parte.
Un ragazzo un po’ più alto di Josh entra nell’ingresso e i due si abbracciano.
Anche il nome mi è familiare. Per non parlare dell’aspetto. Ha capelli scuri e lunghi, legati in una coda bassa. Baffetti e occhi dello stesso colore dei capelli e pelle tra il mulatto e l’olivastro. Indossa una camicia a quadri rossa, tenuta sbottonata e, sotto, una maglia grigia con il simbolo di una squadra di baseball. Ha i polsi pieni di braccialetti e qualche anello, e al collo ha un sacco di ciondoli di tutti i tipi. Devo ammettere che ha un certo fascino…
«Non essere gelosa…» in un sussurro sarcastico, la voce di Connor mi raggiunge, facendomi distogliere lo sguardo dai due amici che si danno pacche affettuose. «E’ solo il suo migliore amico..!»
Gli lancio un’occhiataccia e torno a guardare Josh e Avan e, in quel momento, mi si accende la lampadina. E’ il suo migliore amico! Ecco perché mi suonava familiare…
Connor si alza e, sorridendo, si avvia verso l’ingresso.
Avan, vedendolo arrivare, tende un braccio verso di lui. «Eccolo! Il piccolo Hutcherson!»
Gli getta il braccio attorno alle spalle e gli scompiglia i capelli con l’altra mano, mentre il mio amico sorride e cerca di sfuggire alla sua mano.  
La scena che mi si presenta così intima e familiare che resisto alla tentazione di scappare in cucina e svignarmela dalla porta che da sul retro. Queste cose non sono mai state il mio forte. I miei muscoli non rispondono al comando di alzarsi e andare verso l’ingresso, perciò decido solo di alzarmi dal divano e rimanere lì. Immagino che si possa prendere questo mio gesto come una forma di cortesia. O almeno, come qualcosa che ci si avvicina.
Vedendomi in piedi, Chris, seguito a ruota da Diesel, attraversa l’ingresso e viene ad abbracciarmi, facendo sparire quella sensazione di estraneità.
Quanto posso adorare quest’uomo?!
«Come stai?» chiede sorridendo e sciogliendo l’abbraccio.
Sorrido, cercando di tenere a bada Diesel, che continua a saltarmi addosso.
«Bene.» non sono mai stata più sincera di così. «E tu?»
Lui scrolla le spalle.
«Alla grande!» il suo sorriso affettuoso scaccia via tutti i pensieri di poco prima. «E ti devo ringraziare per averci consigliato di visitare Torino. E’ davvero stupenda!»
Faccio per rispondergli, ma in quel momento un braccio mi stringe la vita, attirandomi al corpo di Josh.
«Lei è Ilaria!» è felice come una pasqua.
Mi ritrovo davanti ad Avan che mi sorride curioso. Cerco di sorridergli di rimando, anche se mi sento un po’ imbarazzata. Non credo che il mio vestiario sia uno dei più consigliati quando ti presentano al migliore amico del tuo ragazzo. Sono vestita con un paio di pantaloni della tuta di Josh, una t-shirt enorme e indosso i miei occhiali a fondo di bottiglia. In più, i miei capelli sono legati in quello chignon che di chignon non ha assolutamente niente.
«Finalmente ti conosco!» esclama il ragazzo con la pelle scura, tendendomi la mano. «Ne ho sentite talmente tante su di te..!»
Gli stringo la mano, ma non faccio in tempo a rispondergli.
«Avan, ti fermi a cena?» Michelle lo chiama dalla cucina.
Lui si guarda l’orologio da polso, che in mezzo a tutti quei bracciali nemmeno avevo notato.
«Certo!» le urla di rimando, sorridendo. «L’aereo parte all’una di ‘sta notte. E comunque non mi perderei mai la cucina di Connor!»
Il ragazzo, sentendosi tirato in ballo, gli fa la lingua e poi si dirige verso ai fornelli per aiutare la madre a preparare la cena.
Una volta seduti a tavola, la sensazione di estraneità torna a farsi sentire forte. Mi siedo tra Connor e Chris che, credo per venirmi in contro, dato che non spiaccico parola, mi racconta per filo e per segno del viaggio in Italia. Josh e Avan passano tutto il tempo a parlare e si raccontano tutto quello che hanno passato negli ultimi tempi. A quanto pare non si vedono da un paio di anni perché Avan, essendo anche lui attore, è stato impegnato con delle riprese a New York e poi in Messico per dei film e delle serie tv. Ogni tanto mi perdo a guardarli, sentendo un’incredibile felicità per loro. Ridono, rendono partecipe Connor ricordando vecchi momenti e Michelle li guarda con gli occhi che brillano di affetto materno. Mi sembra tutto così estraneo ma allo stesso tempo familiare.
A un certo punto del discorso, Avan si rivolge a me.
«Spiegami come lo sopporti!» indica Josh con un dito, facendo una smorfia divertita.
«Sono un angioletto!» ribatte lui ridendo.
«Caso mai è il contrario!» interviene Connor facendomi la linguaccia. «Mi chiedo come lui faccia a sopportare lei..!»
Gli tiro un pugno affettuoso sulla spalla e poi mi rivolgo ad Avan.
«Sinceramente…» dico con un sorriso furbo. «Sto ancora cercando di capirlo.»
«Cosa?!» Josh si finge offeso, mentre tutti scoppiamo a ridere.
Dopo questo, inizio a parlare senza smettere un solo momento. Mi faccio raccontare tutte le cagate che hanno fatto assieme i due amici e non smettiamo un attimo di ridere. Ogni tanto Michelle sgrana gli occhi, mentre viene a sapere di cose di cui non era a conoscenza. Chris ricorda i vecchi tempi in cui cercava di fare appassionare tutti quanti alle moto. Connor ricorda gli scherzi che gli facevano suo fratello più grande e Avan, nel tentativo di “farlo maturare”. Mi chiedono di raccontare degli aneddoti della mia gioventù e, anche se ne ho pochi, dato il mio carattere un po’ asociale e il mio “periodo buio”, sono ben felice di renderli partecipi di questi piccoli pezzi della mia vita. Josh mi sorride imbarazzato ogni volta che l’amico racconta delle sue figure imbarazzanti quando era interessato a una ragazza. Immagino che sia preoccupato che io possa essere gelosa delle ragazze del suo passato, ma non sa quanto si sbaglia. Tutto questo, il suo passato, non fa altro che ingigantire il già enorme amore che provo per lui.
E la serata passa così, tra risate e prese in giro.
 
Jimmy ha modificato il vestito e, anche se è un po’ troppo aderente, adesso è della misura giusta. I tacchi mi preoccupano un po’. Non sono più abituata a camminare su certi tipi di zeppe. Sono nere e completamente chiuse, a parte per i buchi alla punta, che lasciano intravedere lo smalto nero. Lo stesso che si vede sulle unghie delle mie mani. Anche la borsetta che mi ha affidato lo stilista è nera. I miei capelli, con un complicato sistema di forcine, sono stati tirati tutti da una parte, in modo che mi ricadano sulla spalla destra. Il trucco in viso, al contrario di come mi ero immaginata, è leggero. Nessuna traccia di nero troppo pesante. Jimmy ha voluto dare l’impressione che non mi fossi nemmeno truccata. Anche se, ovviamente, i quintali di fard e ombretti vari che sento in faccia dimostrano il contrario. Avevo anche pensato che Josh avrebbe proposto di bendarmi, dato che sarebbe dovuta essere una sorpresa, ma questo vestito da cerimonia Hollywoodiana unito a una sorpresa di cui non so ancora niente mi mandano in confusione.
La macchina su cui stiamo viaggiando si ferma lentamente.
«Coraggio.» Josh mi prende la mano, sorridendo. «Dobbiamo scendere.»
Quando si apre la portiera, flash accecanti mi riportano indietro nel tempo, quando, per la prima volta in vita mia, avevo affrontato tutto questo.
Il mio corpo si immobilizza, ma cerco di farmi forza e mi lascio trascinare fuori.
Davanti a me c’è solo un piccolo corridoio transennato, coperto da un tappeto rosso. Per attraversarlo non ci vorranno più di una decina di passi eppure mi sembra così distante!
Josh, nel suo smoking perfetto, mi cammina affianco finché non entriamo in un enorme hall che sembra uscita da un film.
Dietro di noi, un ammasso di giornalisti avidi di foto da prima pagina.
Davanti a noi, un ammasso di celebrità che nemmeno nei miei sogni più fantasiosi avrei mai pensato di vedere.
Celebrità.
Celebrità ovunque.
E io mi aggrappo alla mano di Josh per non svenire all’istante.
«Se questa è la sorpresa…» balbetto guardandomi attorno con gli occhi sbarrati. «Mi dispiace. Adoro le tue sorprese!»
Lui ride al mio fianco e poi si incammina lentamente verso la folla. In confronto a questo, la premiere del suo film era niente. Assolutamente niente.
Non trovo nemmeno le parole per descrivere tutta questa meraviglia.
Attori e attrici vestiti eleganti e alla moda che bevono e chiacchierano tutti assieme. Ai miei occhi, tutto brilla. Tutto è fantastico. Tutto sembra davvero uscito dai miei sogni! Potrei quasi definire tutto questo come…
«Un Party Hollywoodiano.» mi sussurra Josh. Il suo tono di voce è felicissimo. «E no, non è questa la sorpresa.»
Rimango un po’ stupita dalla sua ultima affermazione. Se questa non è la sorpresa… che diavolo ha in mente di fare?!
Ci penso su un attimo, mentre mi guardo attorno. Immagino di avere un’espressione abbastanza ebete sul volto, ma non me ne preoccupo più di tanto, convinta che il trucco di Jimmy possa coprire anche questo.
Ci sono talmente tante celebrità che ad elencarle tutte mi servirebbero secoli. Emma Stone, fasciata in un vestito bordeaux che le lascia scoperte le spalle e si allunga fino a terra con un piccolo strascico, ci si avvicina tendendo per mano un ragazzo più alto di lei. Immagino che sia il suo ragazzo, ma non ho mai visto la sua faccia e comunque non sarei così sfacciata da chiederglielo.
«Josh! Ilaria!» dal modo in cui mi chiama e mi abbraccia sembra che siamo amiche da sempre, cosa che mi lascia per un attimo di sasso.
 Scambia due chiacchiere con noi poi il suo sguardo viene attirato da qualcos’altro e lei ci saluta per poi allontanarsi trascinando di nuovo il ragazzo dietro di sé.
«Si ricorda di me..?» bisbiglio in un sussurro sorpreso a Josh.
Lui mi guarda sorridendo. «Ti sorprenderai di quanto questa gente possa essere diversa da come la si immagina.»
Io lo guardo scettica. Non credo che siano tutti come lui. Lui, per come la vedo io, è unico nel suo genere. Immagino che tutta questa gente, prima di entrare qui, abbia soltanto indossato la maschera con l’etichetta “Celebrità”, comprendente sorrisi, falsi saluti e abbracci per l’occasione. Ma evito di esprimere i miei pensieri ad alta voce.  
Ci incamminiamo di nuovo verso il centro della folla. Stringo forte la mano di Josh, per paura di perdermelo tra questo ammasso di gente. Lui è a suo agio. Sorride a chi riconosce tra la folla, mi presenta in giro, e stringe la mano agli attori con cui non ha mai avuto occasione di parlare.
Ci fermiamo a parlare con Matt Bomer, dopo che io gli sono praticamente andata a sbattere contro. Mi sorride incoraggiante dopo che immagino si sia accorto che i suoi occhi azzurrissimi mi mettono un po’ in soggezione. Quasi prendo una storta davanti a Bradley Cooper che, gentile più che mai e senza essersi accorto della mia mano stretta a quella di Josh, mi afferra per il braccio sorridendomi. Parlo con Anne Hathaway, che mi da qualche consiglio su come non cadere dai trampoli che indosso e continuare a camminare come se portassi delle scarpe da ginnastica. Con un bicchiere pieno di un liquido giallo che mi ha messo in mano un cameriere, inciampo nello strascico del vestito verde acqua di Penelope Cruz e quasi rovescio il contenuto del bicchiere addosso a Johnny Depp, a braccetto con una donna alta e bionda. La prima, mi racconta che ai primi tempi succedeva anche a lei. Il secondo, scherzando, mi dice che devo stare attenta a non bere troppo. Passo davanti a Meryl Streep che mi sorride con eleganza. Cercando di prendere una tartina, mi scontro con Jim Carrey con cui ridiamo per un bel po’. Intravedo Morgan Freeman che parla con Bruce Willis. Sempre stringendo forte la mano di Josh, guardo Amanda Seyfried parlare con Huge Jackman e Russell Crowe. Mi ritrovo davanti a giganti del cinema senza sapere come ci sono arrivata. Allungo la lista delle mie figuracce senza nemmeno rendermene conto.
«Hai finito?!» Josh cerca di non ridere della mia ennesima quasi caduta.
Lo guardo male, anche se poi mi concedo un sorriso. Non so cosa mi prenda. Se non fosse per lui sarei per terra ogni tre per due. Sarà per il fatto che le mie teorie sulle celebrità sono del tutto infondate. Questa gente è magnifica! Lui aveva ragione.
Faccio per rispondergli, ma poi mi ricordo che non mi ha ancora detto qual è la mia sorpresa.
«Non so che farci…» bisbiglio imbarazzata. «Allora..! Questa sorpresa?»
Sul suo viso compare un sorriso furbetto.
«E’ appena entrata.» allunga la mano verso l’alto e fa dei gesti, come a salutare qualcuno.
Muovo la testa tra la gente, per cercare di vedere l’entrata. E’ incredibile, ma sono davvero curiosa.
Un uomo che ha un viso familiare, anche se non saprei dire dove l’ho già visto, è appena entrato. Vedendo muoversi la mano di Josh, sorride e si dirige a passo veloce verso di noi. E’ alto, un po’ robusto, ha occhi grandi e scuri. Sorride in un modo strano, quasi equino. Ha le guance piene e la barba è appena accennata. Non è bello. Ha una faccia che mi mette un po’ di ansia.
«Josh!» sorride e stringe una mano al ragazzo accanto a me, che mi stringe la vita con delicatezza.
L’uomo si gira verso di me e, per un momento, una luce gli brilla negli occhi. Mi mette leggermente a disagio, ma cerco di trattenere un fremito mentre Josh ci presenta e io gli stringo la mano.
«Brad Peyton.» si presenta, sorridendo. Il nome mi stimola un angolo della mente, ma non riesco proprio a ricordare dove l’ho già sentito.
Gli  sorrido di rimando, presentandomi.
«Lui è il regista del prossimo “Journey”.» dice Josh tutto contento.
Mi si accende un lampadina, e i pezzi del puzzle cominciano a ricollegarsi uno alla volta, molto lentamente. Anche se ancora non capisco in che modo quest’uomo possa centrare con la mia sorpresa…
«Allora, ragazzo.» dice Brad con il suo vocione. «Non avevi detto che conoscevi la perfetta persona per il ruolo di Amy Warper?»
In quel momento il sorriso di cortesia che mi aleggiava sulle labbra sparisce, mentre quello di Josh diventa ancora più largo.
E capisco.
«Sorpresa!» la sua voce arriva ovattata alle mie orecchie.
 

 
 

SPAZIO AUTRICE.

 

ECCOLO! :3
Spero che vi piaccia, ci ho messo un’eternità a scriverlo >.<
 
“E non hai nemmeno chiarito questa cacchio di sorpresa..!” direte voi.
 
Lo so, lo so. Sono un essere ignobile (?)
Ma mi piace davvero tanto tenervi sulle spine! :3
E comunque, credo che si capisca abbastanza bene :P
 
La litigata a inizio capitolo l’ho scritta perché.. beh, non lo so perché, visto che non sono nemmeno capace di scrivere questo tipo di scene XD
Per me dovrebbero esserci solo momenti sdolcinati, tra quei due.
E pensare che odio questo genere di cose… e.e
 
Anyway, dopo un po’ ci si annoia! Abbiamo bisogno di smuovere le acque, suvvia :P
 
Ricordo la mia pagina Facebook  - - - > Facebook
HO PUBBLICATO IL PRIMO MISSED MOMENT :333333333
 
Ok, adesso mi dileguo.
Al prossimo capitolo! :3  

 
  

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Capitolo 20
*** It's the end of the world as we know it ***


It’s the end of the world as we know it.

 

Save yourself, serve yourself.
World serves it’s own needs, listen to your heart.
It’s the end of the world as we know it,
It’s the end of the world as we know it,
And I feel fine.
R.E.M – It’s the end of the world as we know it.

 
 
 

IL GIORNO IN CUI POTREBBE CAMBIARE LA MIA VITA. (DI NUOVO.)
 
Stringo forte la mano di Josh. Sono nervosa. Mi tremano le gambe. Ogni tanto, mi battono anche i denti.
Come ci sono arrivata qui?
Perché mi sono lasciata convincere?
Quale maledettissimo segnale è scattato nel mio cervello ritardato?
Sapevo di avere qualcosa che non andava, ma non credevo arrivasse fino a questo punto.
Ci sediamo in una piccola stanza piena di sedie. Attorno a noi ci sono un sacco di ragazze nervose almeno quanto me. Alcune si tengono la testa tra le mani. Altre stanno semplicemente sedute lì a guardare il vuoto. Altre ancora muovono le labbra, ripetendo silenziosamente le loro battute.
Io stringo solo la mano di Josh. E ripenso al tempo passato a dire no, per poi ritrovarmi a dire sì. Così. Stupidamente.
Con la mano libera tormento l’orlo della maglietta che indosso. Prendo aria un paio di volte, come se avessi qualcosa da dire, ma in realtà non ho proprio niente. Il mio cervello ha staccato la spina.
Sento nella tasca dei jeans il telefono vibrare. Lo tiro fuori confusa e trovo due messaggi. Il primo, di Jimmy, dice solo “In bocca al lupo” anche se so benissimo che dietro a quelle poche parole, lui sta facendo un arduo tifo per me. Magari gridando dietro a qualche suo collaboratore, perché troppo in ansia per quello che mi potrebbe succedere. O magari facendo muovere avanti e indietro il “culo anoressico” della sua povera segretaria, pretendendo di non vedere nessuno seduto a fare niente. Mi ritrovo a sorridere. Il secondo, invece, è di Janet. Anche lei mi augura un semplice “Buona fortuna” ma, in questo caso, non so come interpretarlo. È vero che si è offerta di aiutarmi come fa con Josh, ma non credevo che questo comportasse anche messaggi di incoraggiamento e, non conoscendola più di tanto, non so proprio cosa pensare.
Scorro ancora i messaggi in arrivo, ma non trovo nient’altro.
Nessun messaggio di Connor.
Mi sento un po’ dimenticata, da parte sua. Sta mattina non era nemmeno in casa! Così decido di scrivergli io. Ho bisogno anche del suo incoraggiamento, in questo momento. Soprattutto del suo incoraggiamento.
“Augurami buona fortuna.”
Premo invio.
Dopo nemmeno un minuto, il telefono vibra.
“Non ne avrai bisogno.”
Mi tornano in mente i minuti prima di andare a dare il mio esame di anatomia.
“Augurami buona fortuna.”“Non ne avrai bisogno.” 
Allora, non ne avevo avuto. Ma adesso? E’ davvero così convinto che non mi serva un po’ di buona fortuna? E’ davvero così sicuro di me?
Non lo so. Non lo so!
Comincio a tremare.
«Hei…» Josh mi guarda preoccupato. «Hei, andrà bene! Andrà bene, vedrai.»
Mi mette il braccio attorno le spalle e mi stringe a lui.
Passo qualche minuto a cercare, invano, di tranquillizzarmi. Poi, da dentro una stanza adiacente a quella dove ci troviamo, chiamano il mio nome.
Faccio un respiro profondo e mi alzo. Le gambe riprendono a tremare.
«Si te stessa.» mi sussurra Josh.
 
UNA SETTIMANA PRIMA DEL GIORNO IN CUI POTREBBE CAMBIARE LA MIA VITA. (DI NUOVO.)
 
«Non lo farò!» disperata, mi prendo la testa tra le mani e appoggio i gomiti sul tavolo della cucina. «Non ho nessuna intenzione di essere vista da tutti come la raccomandata di turno!»
Quando, la sera prima, Josh aveva detto a Brad Peyton che ero la perfetta persona per interpretare il ruolo di Amy Warper, uno dei personaggi del nuovo “Journey” di cui avrebbe fatto parte, a stento ero riuscita a non scoppiare a ridere in faccia al regista. Pensavo che si stessero beatamente prendendo gioco di me. Quando poi, dopo aver visto le loro facce serie, avevo realizzato che non era uno scherzo e che nessuno si stava prendendo gioco di me, a stento ero riuscita a trattenere le urla di rabbia per la pessima sorpresa.
Era una cosa che non avevo intenzione di fare.
Recitare, insomma.
Non faceva per me. L’avevo scoperto da tempo ormai. Avevo dei brutti ricordi legati al palco scenico.
«E’ davvero questo che ti preoccupa?» Josh si siede davanti a me, cercando di prendermi le mani tra le sue. «Essere vista da tutti come la raccomandata di turno?»
Sto cercando di arrabbiarmi con lui, ma proprio non ci riesco. Dopo che l’ho visto per tutta la sera sorridermi raggiante, proprio non riesco a tirare fuori tutta la rabbia che sento nei confronti della sua sorpresa. Insomma, perché non me l’ha chiesto prima? Perché, semplicemente, non mi ha detto che voleva che facessi un film assieme a lui? Non che questo gli avrebbe assicurato un sì come risposta, anzi, ma almeno non avrebbe tirato su tutto questo macello! Ora mi ritrovo con Janet che, gentile come mai avrei pensato di vederla, mi incoraggia a fare il provino per la parte e mi assicura che lei mi farebbe da manager. Jimmy che, in un moto di felicità incontrollata, in una mattinata è riuscito a chiamare tre volte, propinandomi idee assurde per vestiti di premiere a cui, da come la vedo io, non parteciperò mai. E Brad Peyton che subito mi ha mandato il copione della parte, visto che, a quanto pare, è davvero rimasto impressionato da me. Anche se, sinceramente, non so cosa ci abbia visto di così speciale.
L’unico che sembra non volere interferire è Connor che, seduto sul ripiano della cucina, mi guarda senza esprimersi.
«No… voglio dire… sì!» ribatto confusa, senza opporre resistenza. «Anche!»
Josh mi guarda senza capire.
«Non voglio tornare a recitare.» spero di sembrare decisa. «Non voglio essere una raccomandata. E… non voglio!»
Lui sbuffa, un po’ seccato dalla mia testardaggine.
«Ma a me piacerebbe proprio tanto..!» mi fa gli occhi dolci, e gli rispondo con un’occhiataccia.
Non gliela darò vinta. Non ho nessuna intenzione di mettermi a recitare solo perché a lui farebbe piacere. Ho altre priorità, io.
«No.» ribatto, fuggendo il suo sguardo da cucciolo indifeso.
Ma lui non demorde.
«Almeno dammi una ragione valida.» sbotta, più testardo di me.
Senza incrociare il suo sguardo, lancio un’occhiata a Connor, che mi guarda con curiosità. Come se anche lui volesse la risposta alla domanda del fratello. Anche se, ci metterei una mano sul fuoco, lui mi ha già letto tutto negli occhi. Come fa? Perché sono un libro aperto per lui?
«Non voglio fare l’attrice.» smetto di guardare il ragazzo appollaiato silenziosamente sul ripiano della cucina e punto gli occhi sulle mie mani strette in quelle di Josh. «Insomma, se sto studiando medicina e non cinema ci sarà un motivo, no?»
Non credo di essere stata abbastanza convincente, perché Josh alza un sopracciglio, scettico, e Connor scoppia a ridere.
In realtà, anche se non lo ammetterei nemmeno sotto tortura, questa idea di recitare mi attira un sacco. Ho sempre desiderato entrare nel mondo del cinema e il fatto che mi fossi iscritta a teatro ne era la prova lampante. E forse lo era anche il fatto che avessi deciso di venire proprio a Los Angeles a studiare medicina, nonostante ci fossero college ancora più convenienti in altre parti dell’America. Il problema è che mi sembra sbagliato. Ci sono un sacco di ragazze che magari si stanno preparando per fare il provino da mesi e hanno lottato con le unghie e con i denti per ottenerlo, e io passo senza fatica soltanto perché sono la ragazza di Josh Hutcherson. Non è giusto.
Anche se poi penso: “Ma a chi vuoi darla a bere, Ila? La maggior parte della gente famosa è stata raccomandata, e tu ti preoccupi di questo?!”
Forse sto solo cercando di sviare il fatto che, oltre ad allettarmi, l’idea di recitare mi terrorizza. Sì, sul palco scenico ero brava, ma quando avevo fatto alcuni provini per dei film… beh, non era andata molto bene. Immagino perché fossi mentalmente instabile e dipendente da una dose giornaliera di droga, ma chi può assicurarmelo? Nessuno me l’aveva mai detto esplicitamente. E se ricevessi un altro no, come risposta?
Scuoto la testa per cacciare questi pensieri. E davvero l’ipotesi di ricevere un no come risposta che mi terrorizza? Sono davvero messa così male?
«Andiamo, I» per la prima volta dopo un giorno che si discute, Connor da voce ai suoi pensieri. «Sappiamo tutti benissimo che vuoi recitare. Queste sono solo scuse.»
Josh annuisce con vigore all’affermazione del fratello. Li guardo per un attimo incerta, ma poi torno a scuotere la testa.
«No.»
«Per la miseria, Ila!» Josh cerca di tenere il tono di voce calmo, ma lo so che si sta stufando della mia testardaggine.
In fondo, anche lui ha imparato a leggermi senza bisogno di parole e sa benissimo che sto mentendo a me stessa e a tutti.
«Perché volete costringermi?» sbotto. Mi sto innervosendo. «Insomma, che cosa vi interessa se non voglio recitare?!»
Josh alza gli occhi al cielo.
«Perché questa è solo testardaggine.» sbotta. «Tu lo vuoi fare, ma per chissà quale problema del tuo cervello, hai deciso di impuntarti.»
Sbuffo, ma non gli rispondo.
«Perché certe cose non ricapitano, nella vita.» Connor scende dal ripiano della cucina e si avvicina al tavolo. «Sappiamo tutti che vuoi recitare in questo film, perciò prendi questa maledetta opportunità al volo!»
Non lo guardo, perché so che ha maledettamente ragione.
«Prima che tu te ne possa pentire…» aggiunge Josh a mezza voce.
E anche lui ha ragione.
Stanno facendo crollare i miei muri. Perché so benissimo che ho una voglia matta di recitare, repressa da troppo tempo ormai. Perché so benissimo che devo accettare, visto che questo tipo di opportunità capita una volta sola nella vita. Perché so benissimo che, se non accetto, passerò il resto della mia vita a chiedermi cosa sarebbe successo se avessi accettato. Se non avessi fatto la testarda. Se avessi ascoltato i consigli di persone che mi volevano bene. Se… se. Un mucchio di “se”.
Ma c’è qualcosa che mi blocca.
Questo mix di sentimenti che mi impedisce di dire sì.
Perché, oltre a tutto il resto, ho paura che la mia vita cambi drasticamente per l’ennesima volta. Adesso che sono finalmente felice, non voglio che qualcosa cambi. E se perdessi tutto quello che ho? E se non potessi più continuare a studiare medicina? E se il mio rapporto con Josh cambiasse? E se perdessi la possibilità di avere un vita tranquilla?
E se…
L’ennesimo mucchio di “se”.
«No.» bisbiglio quindi decisa.
Mi alzo e mi allontano dal tavolo. Da Josh. Da Connor. Da questa decisione che non voglio prendere.
Quando arrivo davanti alle scale che portano al piano di sopra, la voce di Josh mi arriva chiara dalla cucina.
«Non mi arrendo così.» dice, anche lui deciso. «Non accetto un no come risposta.»
 
CINQUE GIORNI PRIMA DEL GIORNO IN CUI POTREBBE CAMBIARE LA MIA VITA. (DI NUOVO.)
 
Stringendo alcuni libri al petto, mi dirigo verso il parcheggio del college, dove so già che ci sarà Josh ad aspettarmi. In questi giorni non sono voluta rimanere a casa, sapendo che, ogni minuto passato lì, avrebbe attaccato alla sicurezza dei miei muri di ostinazione e testardaggine. Continuo a ripetere la parola “no” all’infinito, e sto iniziando a convincermi di aver perso anche le mie motivazioni per continuare a farlo.
Cammino distratta e, mentre attraverso il parcheggio, una moto quasi non mi mette sotto.
Si ferma di botto mentre io, spaventata, lascio cadere i miei libri a terra.
«Hei, amico!»* grido arrabbiata. «Stai attento a dove vai!»
Il motore della moto smette di fare rumore e un ragazzo scende e mette a posto il cavalletto, in modo che non cada. Lo guardo con gli occhi ridotti a due fessure, finché, dopo che si è tolto il casco, mi accorgo che è Josh.
La sua risata raggiunge le miei orecchie, mentre, casco sotto braccio, mi prende un mano e mi attira a lui, scoccandomi un bacio sulla guancia.
«Scusa.» sussurra sorridendo. Io lo guardo confusa. «Però è bello sentirti iniziare a parlare all’americana.» mi sorride, il ghigno della presa in giro, e poi inizia a scimmiottarmi. «Hei, amico!»
Gli faccio la lingua e poi prendo a osservare la moto. Non era mai venuto a prendermi al college con questa. Aveva sempre preferito il fuoristrada, dicendo che con quello passava inosservato, visto che a Los Angeles un sacco di gente ne ha uno. Mi mette il suo casco, che però è nero, in mano e poi tira su la sella della moto, estraendone uno rosa. IL CASCO ROSA. Credo che potrei mettermi a fangirlare qui e ora per averlo visto dal vivo, ma mi trattengo per evitare battutine.
«Come mai in moto, oggi?» chiedo un po’ confusa dal cambiamento.
Lui mi infila il casco rosa e mi aiuta ad allacciarmelo, facendomi alzare il mento.
LO STO INDOSSANDO. STO INDOSSANDO IL CASCO ROSA.
Okay, con calma.
«Perché ormai è quasi maggio.» dice sorridendomi. Credo sia accorto del mio sclero interiore. «E perché mi sono proprio stufato di andare in giro in macchina!»
Gli sorrido di rimando, mentre si infila un paio di occhiali da sole e si allaccia il casco alla testa. Poi mi porge il suo zaino, che prima non avevo notato, e solo allora mi ricordo che i miei libri sono ancora per terra. Li raccolgo e li infilo velocemente dentro lo zaino di Josh. Lui sale sulla moto e leva il cavalletto. Mi fa segno di salire dietro e, una volta in sella, mi inizio a sentire un po’ instabile.
«Tieniti forte.» grida sopra il rombo del motore appena acceso.
Come se ci fosse il bisogno di dirmelo.
Gli stringo forte le braccia attorno alla vita e poi appoggio il mento sulla sua spalla.
«Vai piano!» gli urlo di rimando.
Ma non credo che abbia sentito, o forse ha solo fatto finta di non averlo fatto, perché la moto parte a tutta velocità e io mi ritrovo a soffocare un grido solo grazie a tutti i capelli che mi ritrovo in bocca.
Superiamo casa sua e ci dirigiamo verso la collina dove c’è l’enorme scritta “Hollywood”, almeno secondo le indicazioni stradali.
Proseguiamo a una velocità decisamente elevata, e mi ritrovo a pensare che forse, questa cosa della velocità, sia un problema di famiglia.
Sorpassiamo una lunga strada sui cui i lati stanno altissime palme. Mi piacerebbe che andasse un po’ più piano, dato che ho sempre sognato di vederla dal vivo, questa via, dopo tutti i film che ho visto in cui era presente.
Josh ferma la moto solo quando raggiungiamo un incrocio affollatissimo, e ho una mezza idea di dove siamo. Mi fa scendere e mi aiuta col casco, poi si mette lo zaino che gli porgo a spalla e mi prende per mano.
«Dove siamo?» gli chiedo incuriosita. Più perché voglio confermare i miei sospetti che per vera curiosità.
Ma lui non risponde alla mia domanda.
«Voglio raccontarti una storia.» mi dice sorridendo. «Vuoi sentirla?»
Credo di essere un po’ confusa.
«Non lo so…» gli faccio la lingua. «Perché l’istinto mi dice di no?»
Sono sicura che questo sarà un altro dei suoi tentativi di far crollare i miei muri di ostinazione e testardaggine, perciò non so se voglio davvero starlo a sentire. Ma se avevo ancora qualche dubbio, la stella che vedo per terra qualche metro più avanti, mi conferma i miei sospetti.
Siamo sulla Hollywood Walk of Fame.
Desideravo passeggiare su questi marciapiedi da quando… beh, da sempre!
E’ come un sogno. Come quando mi ha portata a New York.
E, da parte di  Josh, questo è davvero un attentato ai miei muri. Il peggiore a cui potesse pensare.
Ovviamente, lui comincia a raccontare la sua storiella.
«C’era una volta una ragazza…»
«Josh, questo è sleale…» protesto, cercando di liberare la mano dalla sua stretta.
«Non interrompere e ascoltami.» lui mette immediatamente a tacere le mie proteste, fulminandomi dolcemente con lo sguardo. «Dicevo. C’era una volta una bambina, che aveva un sogno…»
«Già sentita.» lo interrompo, cinica.
«Stai zitta, che mi fai perdere il filo.» mi rimprovera, stringendo la presa sulla mia mano. «Allora, aveva un sogno… ah, sì. Voleva diventare una famosa attrice di Hollywood. Voleva fare emozionare le persone come facevano quegli attori che tanto adorava. Quando divenne abbastanza grande per muoversi senza il bisogno dei genitori, cominciò a crearsi i suoi sogni e le sue passioni. Amava andare al cinema, emozionarsi al buio, senza preoccuparsi che qualcuno potesse accorgersi delle sue lacrime piante in silenzio, desiderando quel lavoro. Quella vita. Entrava in quel mondo fantastico che tanto amava e, per poche ore, dimenticava la sua vita che chiamava sempre “monotona e priva di interessi”.»
Mi perdo per un attimo nelle sue parole e, quando lui si gira per guardare la mia espressione, mentre camminiamo verso la prima stella, cerco di assumere un’aria cinica.
«Perché mi sa tanto che questa è la mia storia..?» sbotto, tentando di nascondere la curiosità che mi prende, volendo sapere come va a finire, nonostante sia palese che è la mia storia.
Ma lui se ne accorge, e mi sorride.
«E poi c’era un bambino…» continua, con una voce un po’ malinconica.
«Hei, avevi detto che era solo una storia!» protesto.
Mi sento un po’ come una bambina a cui viene raccontata la fiaba della buonanotte.
«Poi si intrecciano, le due storie. Vedrai.» mi assicura, con un sorriso. «Anche il bambino aveva un sogno…»
«Fantastico!» bisbiglio ironica. «Così siamo a due bambini illusi per il resto della vita.»
Lui sorvola sul mio commento.
«Ma il bambino non aspettò di diventare abbastanza grande per camminare senza l’aiuto dei genitori.» Josh continua il suo racconto, perdendosi con lo sguardo in un punto indeterminato. La mente indietro in ricordi lontani, perché, ne sono sicura, quel bambino è lui. «Lui aveva capito che la sua vita sarebbe stata nel mondo del cinema. E trovò subito la sua strada.»
Nonostante io sia curiosa, questa cosa delle storielle mi sta facendo diventare nervosa.
«Josh, dove vuoi arrivare?» chiedo seccata.
«Smettila di interrompermi!» mi lancia un’occhiataccia, e poi riprende. «Quando la ragazza, perché ormai non era più una bambina, decise finalmente di intraprendere quella strada che l’aveva sempre affascinata, scoprì di essere brava. Di piacere. La vollero in un gruppo teatrale famoso. Le diedero la parte più importante. Tutto era felice. Ma poi incontrò un ragazzo… e la sua vita crollò tutta d’un colpo.»
Per come sta raccontando la mia storia, sembra quasi che racconti una fiaba a un bambino. “La principessa viveva felice con i suoi genitori. Quando, però, un giorno arrivò la strega cattiva, che voleva distruggere la sua felicità.” Con leggerezza. Come se tutto fosse immerso in una nuvola di felicità e di magia. Sono completamente persa nelle sue parole, tanto che non penso nemmeno più a tenere il mio cipiglio cinico.
«Decise che sognare e amare non faceva per lei.» continua, senza guardarmi. Lasciando che io elabori senza il peso del suo sguardo addosso. «Si incarcerò in un mondo che non le apparteneva, chiudendo i suoi sogni a chiave in un cassetto, e lasciando che si impolverasse.»
Ma in questa storia la felicità della principessa non viene salvata dal cavaliere che si innamora di lei, arrivando in groppa al suo destriero bianco. Il cavaliere è la strega cattiva. E la felicità, la principessa la deve riconquistare a fatica, al prezzo di perdere i suoi sogni. I suoi desideri.
Questa non è il genere di fiaba che si racconta a un bambino prima di andare a dormire…
«Il bambino, invece, crebbe e divenne un uomo e continuò a vivere realizzando i suoi sogni.» la fiaba continua, ma noi smettiamo di camminare, fermandoci proprio davanti alla prima di una lunga sfilza di stelle. «Ma era gentile e si affezionava troppo in fretta. Fu così che il suo cuore venne spezzato.»
Una pausa. Tanto perché ormai l’attentato ai miei muri non ha devastato abbastanza.
«La ragazza, che era diventata una donna, decise di trasferirsi.» continua Josh con un respiro profondo. «Voleva seguire un sogno secondario. Uno di quelli che era sicura di poter realizzare, così diverso dal suo vero sogno rinchiuso nel cassetto impolverato. Fu così che i due si incontrarono. Uno col cuore spezzato, l’altra pensando di aver raggiunto la felicità.»
Credo di aver le lacrime agli occhi, e non capisco il perché. Sbatto velocemente le palpebre, in modo da ricacciarle dentro. Ma non faccio in tempo a nasconderle a Josh che, quando se ne accorge, mi posa una mano sulla guancia, sorridendomi.
«Il finale di questa fiaba non me l’ha ancora raccontato nessuno, mi dispiace.» mi sussurra. Il mio cuore batte forte. Che diavolo mi prende? «Ma adesso so che l’ex bambino sognatore sta cercando di convincere l’ex ragazza distrutta a riaprire quel cassetto impolverato e ricominciare a sognare. Sognare davvero.»
Non riesco a impedire a una lacrime di sfuggire alla presa ferrea delle mie palpebre e, mentre fisso gli occhi in quelli di Josh, la sento solcare il mio viso, catturata subito dal pollice della sua mano poggiata sulla mia guancia.
«Perché mi hai raccontato tutto questo, Josh?» gli chiedo, commossa.
Lui scrolla le spalle e si guarda per un attimo attorno. Poi torna a fissare gli occhi nei miei.
«Perché l’ex bambino sognatore ha un sogno che non è ancora riuscito a realizzare.» sorride.
Mi ritrovo a sorridere, mentre un’altra lacrima sfugge al mio controllo.
«E quale sarebbe questo sogno?» chiedo con una mezza risata.
Lui abbassa lo sguardo sulla piastrella su cui ci siamo fermati. E’ vuota. Non ha ancora una stella disegnata sopra. Nessun nome è ancora impresso qua sopra.
«Un giorno anche io avrò la mia stella.» sussurra piano, mentre vedo un luccichio illuminare i suoi occhi. «Ma questo è solo perché ho continuato a sognare. Sempre.»
Lascio che lui fissi i suoi occhi nei miei, ma non rispondo.
«E adesso dovresti ricominciare a farlo anche tu.» il suo tono si fa deciso. «E’ il tuo sogno. Vai e realizzalo. E non farlo perché a me piacerebbe recitare con te. E non impedirtelo perché potresti essere chiamata “raccomandata”. Hai solo una vita da vivere, ma tanti sogni da realizzare. Medicina? Ce l’hai fatta. Ora è arrivato il momento del grande sogno.»
Abbasso lo sguardo e mi ritrovo a sorridere.
Chissà che diavolo ho in testa…
«Va bene.» dico solo, prima di poterci ripensare. «Va bene, lo farò.»
Lo sento ridere contento. Mi abbraccia forte. I miei muri di ostinazione e testardaggine sono appena crollati del tutto. Anche se…
«Posso capire come facevi a sapere tanti dettagli della mia infanzia?» gli chiedo con un mezzo sorriso, sciogliendo di poco l’abbraccio in modo da poterlo guardare negli occhi.
«E’ possibile che tuo padre mi abbia raccontato qualcosa…» mi dice con un luccichio negli occhi.
«Lui lo sapeva?!» dico sorpresa, spalancando gli occhi. «Lui sapeva della tua idea e io no?!»
Lui alza le spalle sorridendo, poi mi prende per mano e ci incamminiamo sulla Hollywood Walk of Fame.
 
IL GIORNO PRIMA DEL GIORNO IN CUI POTREBBE CAMBIARE LA MIA VITA. (DI NUOVO.)
 
“Pronto?” la voce dall’altro capo del telefono mi risponde dopo due squilli.
«Papà!» rispondo, cercando di sembrare il più tranquilla possibile.
In realtà l’ansia mi sta divorando dentro. Domani è il giorno del provino.
Continuo a ripetermi di stare calma, inutilmente.
Jimmy continua a chiamare, raccomandandosi sull’importanza dell’apparenza.
Janet, felice del fatto che io abbia accettato, mi ha chiamata per dirmi che, se mai dovessero chiedere, lei è la mia manager.
Josh mi guarda sorridendo, continuando a chiedermi se c’è qualcosa di cui ho bisogno o se voglio che mi porti qualcosa.
Connor è uscito di casa, dicendo che non sarebbe tornato fino a sta sera.
E io avevo bisogno di staccare la spina.
Così mi sono chiusa in bagno e ho chiamato mio padre.
«Domani è il giorno, papà.» non gli lascio il tempo di chiedere niente. Non sto nemmeno lì a fingere di non essere nervosa. «Io…»
Perché l’ho chiamato? Non so nemmeno cosa dirgli quindi, perché l’ho chiamato?
“Sei nervosa?” mi chiede serio.
Ha capito. Non gli avevo nemmeno detto che avevo accettato. Non gli avevo detto niente, ma lui ha capito.
«Non lo so.» perché davvero non ne ho idea. «Ho paura… credo.»
C’è una piccola pausa.
“Di cosa hai paura?” il suo tono è curioso e serio allo stesso tempo.
Di cosa ho paura? Di un sacco di cose.
«E se cambiasse tutto?» stringo forte il telefono nella mano tremante. «E se il fatto che ho chiuso questo sogno in un cassetto significasse qualcosa? E se non dovessi davvero farlo? E se…»
Di nuovo un mucchio di “se”.
“E se, invece, andasse bene?” lui e la sua positività non cambieranno mai. “Perché ti ostini a pensare negativo? E se provassi a pensare positivo?”
L’ho fatto. In questi giorni passati ho pensato positivo tutto il tempo. Ero felice. Sapevo di aver fatto la scelta giusta. E allora perché tutti questi “se” sono tornati a tormentarmi?
“Questa è la tua occasione, Ila” non ricevendo risposta da me, riprende a parlare. “Non pensi di essertela meritata?”
Faccio un respiro profondo.
«Forse, ma…»
“Niente forse.” Mi interrompe, deciso. “Niente ma. Per una volta, prova a pensare che la fortuna stia dalla tua parte.”
«Non dura per sempre, non credi?» questa è la cosa che mi tormenta di più.
Non mi risponde subito, e prende aria più volte.
«Non credi?» riformulo la domanda, perché ho davvero bisogno di una sua risposta.
“No, non dura per sempre.” Dentro di me qualcosa crolla. “Ma finché dura ce lo godiamo, no?”
E poi si ricostruisce. Grazie a lui, come sempre.
E allora torno a pensare positivo come ho fatto in questi giorni passati.
 
QUALCHE GIORNO DOPO IL GIORNO IN CUI SAREBBE POTUTA CAMBIARE LA MIA VITA. (DI NUOVO.)
 
Deglutisco a forza, cercando di trattenere il fremito alle mani che mi prende ogni volta che faccio questa operazione da qualche giorno a questa parte.
Aprire la mail. Un’operazione così semplice e veloce che sembra quasi una presa in giro.
Dietro di me, Jimmy emette un vesto strozzato.
Inserisco la mail nel riquadro apposito.
Connor trattiene il respiro.
Inserisco la password nel riquadro apposito.
Josh mi posa una mano sulla spalla, stringendo forte.
Premo invio.
Janet, al telefono con Josh, smette di parlare.
Tutti assieme, tratteniamo il respiro mentre il sito carica la posta in arrivo.
E…
«OMMIODIO.» Jimmy salta sulla sedia. «C’è una sua mail!»
Sento l’ansia farsi ancora più forte nel petto. Da quando ho fatto il provino per Amy Warper è passato solo qualche giorno. A testarmi c’erano il regista del nuovo “Journey”, Brad Peyton, e gli sceneggiatori, Richard Outten, Brian Gunn e Mark Gunn. Credevo di aver fatto un buon provino, e mi avevano detto che in qualche giorno avrebbero deciso e fatto sapere via mail se fossi passata alla fase successiva oppure no. La fase successiva consiste nel recitare assieme all’attore scelto per il personaggio di Jace Murray, che nella sceneggiatura è il fidanzato di Amy.
Da quel giorno, tutti i giorni, alle cinque di pomeriggio in punto, perché è l’unica ora in cui Jimmy può venire a casa nostra, ci riuniamo per vedere se la fatidica mail è arrivata.
Oggi sembra sia il fatidico giorno.
Torniamo tutti a trattenere il fiato, mentre clicco sulla mail con il nome “Brad Peyton”.
Sembra che ci voglia un tempo infinito a caricare…
Loading…
Loading…
Loading…
Poi si apre.
 
Gentile Sign.ra Ilaria,
la informiamo che abbiamo deciso di tenere in considerazione il suo provino.
Assieme ad altre candidate, è invitata a presentarsi in sede per fare un provino assieme all’attore scelto per interpretare Jace Murray.
Cordiali saluti,
Brad Peyton.
 
Mi porto un amano davanti alla bocca. «Oh mio Dio. Sono passata!»
Quello che segue è solo confusione.
«Dio Ila, sono così felice!»
«ODDIO. ODDIO. ODDIO!»
«Ben fatto, I»
“Ce l’ha fatta? Ce l’ha fatta? Qualcuno mi dice cosa succede?!”
 
IL GIORNO DEL SECONDO PROVINO, IN CUI DAVVERO POTREBBE CAMBIARE LA MIA VITA. (DI NUOVO.)
 
Sono l’ultima ad entrare, e sta volta non mi tremano le gambe. Strano, visto che sono anche molto più agitata della prima volta.
Agitata perché dopo questa fase non ce ne sarà un’altra, quindi o ti prendo adesso, o non ti prendono più. E agitata anche perché sono curiosa di sapere con chi dovrò recitare.
Sarà simpatico? Andremo d’accordo? Riusciremo ad avere abbastanza chimica?
Nella stanzetta, dietro a telecamere e luci posizionate, c’è il solito quartetto composto da regista più sceneggiatori. Faccio per parlare, ma Brad Peyton, col suo vocione, mi anticipa.
«Ok, Ilaria. Sei pronta?»
Annuisco, sperando di non sembrare troppo nervosa.
«Bene, perché ti voglio presentare Alex Pettyfer.»
Alto. Camminata sicura. Capelli spettinati. Occhi di un bellissimo azzurro verde. Mezzo sorriso stampato in faccia. Maglia a maniche corte attillata che lascia intravedere i pettorali. Jeans che a vederli sembrano stra usati. Converse blu.
Cerco di sembrare il più possibile sicura di me. Insomma, all’ultimo party in cui Josh mi ha portata ho incontrato celebrità ben più celebrità di lui!
Mi porge la mano, e io gliela stingo sorridendogli.
«Tanto piacere.» dice, con quel suo mezzo sorriso.
 

 

SPAZIO AUTRICE.

 

Dovete ringraziare le vacanze di Pasqua se sono riuscita ad aggiornare così in fretta u.u
Quindi tutte insieme: GRAZIE VACANZE DI PASQUA.
Ok, la smetto. >.<
 
Hooooola!
 
Well, mi devo scusare per i “… IL GIORNO IN CUI POTREBBE CAMBIARE LA MIA VITA. (DI NUOVO.)”
Il fatto è che mi sono presa troppo bene, quindi.. :P
 
Non ho molto da dire, se non… ALEX!
 
Non spoilero, perché vi voglio bene, ma… beh, niente!
Non vi dico niente u.u
 
Come sempre ringrazio tutte le belle gioie che mi seguono/recensiscono!
Siete così meravigliose che mi fate sciogliere tutte le santissime volte :333333333333333
 
Ricordo la mia pagina Facebook, per spoiler, MissedMoment, scleri e anticipazioni *si sente molto una delle tizie che parlano nelle pubblicità XD* - - -> Facebook
E poi, se volete, sono anche su twitter - - -> @IlariaJH
 
Un mega-HUG! :3

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 21
*** On top of the world ***


On top of the world.

I’ve been waiting to smile,
Been holding it in for a while,
Take it with me if I can,
Been dreaming of this since a child.
I’m on top of the world!
Imagine Dragons – On top of the world.

 
 

«Sveglia!» qualcuno tira su le serrande, inondando la camera da letto di luce. «Coraggio, in piedi scansafatiche!»
Faccio un smorfia, e mi giro dall’altra parte nel letto. Cosa completamente inutile, dal momento che dall’altra parte c’è uno specchio alto tutta la parete che mi rimanda la luce negli occhi. Così opto per una soluzione più drastica. Prendo il cuscino di Josh accanto al mio e me lo butto in faccia, in modo che mi copra dalla luce del sole.
«Grazie.» la voce familiare di Connor si avvicina al letto, subito seguita dallo sprofondare del materasso, segno che si è appena seduto. «Così mi faciliti il lavoro. Almeno non devo soffocarti io…»
Emetto un mugolio contrariato in risposta alla sua affermazione e inizio a muovere gambe e braccia nel tentativo di farlo scendere dal letto. Ma lui ride.
«Come siamo scontrose..!» dice tutto contento.
Lo sento che si allontana, poi una porta si apre e altra luce entra nella stanza.
«Sparisci immediatamente dalla stanza.» biascico da sotto il cuscino, cinica.
Ma, ovviamente, lui non lo fa.
«Non posso.» dice, e me lo immagino che alza le spalle fingendosi innocente con, stampato in faccia, il sorriso odioso di quando mi prende in giro. «Il sole splende, in cielo non c’è nemmeno una nuvola, Josh è uscito, io sto per andare a correre, e ti è appena arrivata una mail.»
Snocciola tutto a una velocità impressionante, tanto che faccio fatica a seguirlo. Ma non appena il mio cervello finisce di elaborare il tutto, mi tiro su a sedere di scatto e lo guardo scioccata.
«Oh mio Dio, I!» la sua faccia si fa improvvisamente seria e contrariata. Sembra quasi quella di Jimmy quando arrivo da lui con dei vestiti presi a caso e i capelli legati alla bell’e meglio «Dobbiamo fare qualcosa per la tua faccia da post risveglio mattutino. È inguardabile, davvero. Per non parlare dei tuoi capelli. Sembrano un groviglio di ser…»
Non scopro mai cosa sta per dire, perché afferro il cuscino che fino a pochi istanti prima mi premevo in faccia e glielo lancio, prendendolo in testa.
«Idiota.» bisbiglio, ma in modo che mi senta.
«Ahi!» protesta con una mezza risata.
Scuoto la testa. «Oh, sta zitto…»
Drizzo la schiena e inizio a stirare le braccia, sbadigliando. Connor si avvicina, mi tira il cuscino, che però paro prontamente, e si siede di nuovo sul letto.
«Hai sentito quello che ti ho detto?» dice, ancora divertito. «Il sole splende, in cielo non c’è nemmeno una nuvola…»
Lo interrompo prima che possa finire, perché sono davvero curiosa.
«Dov’è andato Josh?» chiedo, subito dopo l’ennesimo sbadiglio.
I suoi occhi si accendono di una strana luce.
«E’ uscito…» dice con un’alzata di spalle e un’espressione innocente.
Alzo un sopracciglio.
«E dove è andato?» ormai ho completamente dimenticato il fatto che fino a pochi minuti fa stavo dormendo beatamente.
«Risponderò alle tue domande, ma…» alza un dito. «A una condizione.»
Mi acciglio, e incrocio le braccia al petto.
«Ok…» ripenso a quello che ha appena detto. «Come fai a sapere che mi è arrivata una mail?»
Lui comincia a guardarsi attorno, come se qualcuno lo stesse chiamando, facendo finta di non sentirmi.
«Sentiamo, allora.» faccio una smorfia. «Qual è la tua condizione?»
Riprende a fingersi innocente, sorridendo. E a me sembra tutto, tranne che innocente.
«Beh, mamma e papà si sono portati via Diesel e Nixon e…» alza le spalle. «Magari potevi venire a correre con me..!»
Fa un sorriso a trentadue denti. Io, invece, lo guardo storto. Mi ricordo benissimo com’è finita l’ultima volta che sono andata a correre con lui. Chilometri e chilometri senza mai fermarci a riprendere fiato. Lui correva tranquillo e io gli arrancavo letteralmente dietro. E, quando arrivavamo a casa, passava ore e ore a prendermi in giro. Era insopportabile.
«No, grazie.» rispondo con una smorfia.
Lui si finge offeso.
«Beh, vorrà dire che non scoprirai mai dov’è andato Josh.» fa un’alzata di spalle e si avvia alla porta. «E come faccio a sapere che ti è arrivata una mail..!»
Sbuffo.
«Beh, per questo non servi tu.» sbotto, voltandomi verso il comodino, alla ricerca del mio cellulare. «Mi basta un telef…»
Ma sul comodino non c’è.
Presa dall’improvvisa consapevolezza che è stato Connor a sequestrarmelo per farmi dire di sì alla sua stupida condizione, faccio per richiamarlo ma, con una risatina di scherno, mi anticipa.
«Cerchi forse questo?» chiede con un mezzo sorriso, tirando fuori dalla tasca dei suoi pantaloni della tuta il mio Blackberry.
Alzo gli occhi al cielo, esasperata.
«Ok!» sbraito alzandomi dal letto e dirigendomi verso la scrivania, alla ricerca del portatile. «Tieniti pure il mio telefono. Tanto posso usare il comp…»
Ma non c’è traccia nemmeno di quello. Mi volto verso il ragazzo che sghignazza alle mie spalle, con sguardo assassino.
«Puff!» dice, angelico, alzando le mani, come a mostrare di non avercelo lui.
«Sei un idiota.»
Mi volto di nuovo verso la scrivania, sperando che si sia dimenticato del telefono fisso e, quando lo vedo ancora lì intatto, lo afferro e compongo il numero di Josh. Aspetto che inizi a squillare e, quando non lo fa, capisco che l’ha staccato.
«E va bene!» mi butto sul letto, in una vergognosa resa. «Mi arrendo. Verrò con te a correre, ma ad una condizione…»
Il sorriso vittorioso che aveva fatto capolino sul suo viso, e che gli avrei volentieri tolto a suon di ceffoni, scompare improvvisamente.
«No.» mi blocca, prima che io riesca a finire la frase. «Le condizioni le faccio io. Ormai hai accettato.»
Spalanco gli occhi e poi li assottiglio nella mia solita aria assassina, solo che, questa volta, c’è anche la resa totale sul mio viso. La brutta consapevolezza che ha vinto lui e che ora mi devo impegnare per fargliela pagare.
«Ma…» tento di protestare, nonostante sia ovvio che è inutile.
«Niente “ma”.» mi zittisce e mi lancia il telefono che, fortunatamente, riesco a prendere al volo, rischiando di cadere dal letto. «Josh è andato da Janet. Dovevano mettersi d’accordo su alcune cose.»
«Poteva svegliarmi…» borbotto, mettendo il broncio.
Connor continua come se non avessi aperto bocca.
«E ho aperto la tua mail.» vedendo la mia espressione, fa uno dei suoi sorrisetti angelici. «Ecco come faccio a sapere…»
«Cosa hai fatto?» chiedo, alzandomi dal letto e avvicinandomi lentamente a lui.
Continuando a fingersi un angioletto, si allontana di qualche passo da me.
«Beh, ero curioso.» inclina un poco la testa, aggiungendo qualche altro passo di distanza tra di noi. «Josh mi aveva detto che ormai i ruoli erano tutti assegnati e che se ti avessero scelta oggi l’avresti sapu…»
Non aspetto di sentire il resto della frase. La curiosità di sapere come ha fatto a scoprire la password completamente soffocata dall’improvvisa voglia di sapere se sono riuscita ad ottenere la parte.
Mi fiondo letteralmente fuori dalla camera e giù per le scale, corro fino in salotto, dove quasi inciampo nel tappeto davanti al divano. Sul tavolo della cucina trovo il portatile che cercavo prima. Con dita tremanti inserisco la password e premo invio.
L’attesa è straziante.
Sento i passi di Connor dietro di me.
Il monitor ha tutta la mia attenzione.
Quando si apre la mail i mie occhi guizzano da destra a sinistra senza nemmeno leggerla per intero. Trovo subito la frase che cerco ma, per capacitarmene, devo rileggere tutto per intero due volte.
Poi scatto sulla sedia e, in un impeto di gioia e in un boom di altre emozioni, abbraccio forte Connor. Quasi lo stritolo, e lo sento ridere.
«Mi hanno presa. Mi hanno presa! MI HANNO PRESA!»
 
Nei giorni che passano dopo l’ormai ovvio cambiamento drastico della mia vita, succedono un sacco di cose.
Janet inizia a prendersi cura di me e dei miei futuri impegni con la stessa puntigliosa attenzione con cui si occupa di quelli di Josh.
Mi informa delle decisioni che ci sono da prendere e mi tiene aggiornata sulla vita che, a quanto pare, devo iniziare a vivere. Lei sa cosa è meglio per me, questo è sicuro. Però cerco comunque di imporre il mio pensiero e il mio volere, e alla mia manager (è davvero stranissimo parlare di lei in questi termini!) questo sembra piacere. È palese che non vuole prendere le decisioni al posto mio. Forse per paura che, se mai dovesse sbagliare, cosa che ritengo improbabile per una come lei, io potrei fargliene una colpa.
Mi informa del fatto che, verso l’inizio di agosto, cominceranno le riprese. Gireremo per un mese e mezzo alle Hawaii, poi un mese in una regione ai confini con il Canada, piena di distese di alberi e foreste, di cui però non riesco a ricordarmi il nome. E, per concludere in bellezza, qualche settimana negli studios a Los Angeles. Quando poi monteranno il tutto, ci sarà da doppiare alcune scene.
Scopro i nomi degli attori che fanno parte del cast, oltre ad Alex Pettyfer e Josh. Quasi mi viene un infarto a scoprire che il personaggio di Amy Warper ha un nonno letteralmente pazzo, che sarà interpretato da Robin Williams.
«Oh mio dio!» grido, guardando la lista. Josh, dietro di me, ride. Lo guardo scioccata. «Tu lo sapevi?!» al suo annuire, scoppio in un altro grido di felicità e lo abbraccio forte. «Oh, mio dio! Grazie, grazie, grazie!»
Janet mi fa avere l’intero copione e, tenerlo tra le mani, mi fa sentire incredibilmente bene. Mi fa sentire al posto giusto, tanto che mi ritrovo a ringraziare mentalmente Josh per non essersi arreso con me. Per non aver lasciato che commettessi un errore troppo grande, perfino per i miei standard.
Lui, dal canto suo, non ha bisogno di sentirsi ringraziato per sapere che ha fatto la cosa giusta. Sorride in continuazione. Sorride anche quando, sorridere, è assolutamente fuori luogo. Sorride come non l’avevo mai visto fare. E sono felice per questo.
Vedendolo così, inizio a pensare di aver fatto davvero la cosa giusta. Anche perché non credo che sarei riuscita a sopportare l’idea di vederlo recitare al fianco di un’altra ragazza. Forse sono soltanto una stupida gelosa e possessiva, ossessionata dal suo ragazzo, ma proprio non riesco a immaginare come avrei reagito, nonostante io l’abbia visto recitare accanto a un sacco di bellissime ragazze. Ma, a quei tempi, che ormai faccio perfino fatica a ricordare, lo guardavo con occhi diversi. Era solo la celebrità per cui avevo un’enorme cotta e della quale sapevo tutto.
«Sarà bellissimo.» non fa altro che ripetere.
E ne sono convinta anche io.
Intanto, la campagna promozionale della linea di abbigliamento femminile di Jimmy, inizia. «Allora…» Jimmy mi chiama a qualsiasi ora del giorno e della notte. «Ci hanno invitati a un’After Party di una sfilata per stilisti emergenti allestita e pubblicizzata da Vogue. Janet te l’ha detto? Poi, hanno chiesto espressamente di te per il party dell’uscita del nuovo profumo di Chanel, ma sono sicuro che questo Janet te l’abbia detto…»
E avanti così.
Ovviamente, Janet accetta gli inviti che le sembrano più appropriati per la mia “futura immagine” e ne rifiuta un’infinità perché “è ovvio che la mia immagine deve avere un certo livello!” concordando con Jimmy, dato che io non ne capisco una mazza di tutto quello che mi viene detto.
Li sento complottare nell’ufficio dello stilista, mentre io provo il milionesimo vestito per chissà quale inaugurazione o After Party.
«Oh, questo stilista è così dolce! Devo assolutamente andarci.»
«Ma non può venire a tutti i party!»
«Ok, allora… ci andrò da solo. Però a questo party deve assolutamente venire!»
«Ma lo stilista è uno sconosciuto!»
 «Beh, io lo conosco. E per Ilaria sarà solo un bene ven…»
«Non ci verrà. Io so cosa è meglio per lei.»
Il fatto che la gente inizi a ricordarmi come la modella di Jimmy, invece che come la ragazza di Josh mi lascia piacevolmente sorpresa. Immaginavo di dover lavorare sodo per evitare che mi credessero una raccomandata, invece è bastato indossare qualche vestito e fare qualche posa stupida. Che mondo strano!
Al college, la gente prende a guardarmi in modo diverso. Mi mette un po’ in soggezione, questa cosa. Rimango sempre la solita ragazza timida che sogna di diventare una ricercatrice, dopotutto! Non capisco come entrare a far parte di un cast possa fare cambiare così tanto il nome di una persona. La maggior parte della gente, in quel posto, non sapeva nemmeno che io esistessi. Ora mi sento di continuo osservata.
Le pagine su facebook dedicate alle news sul nuovo film “Journey”, la maggior parte delle quali sono dedicate sopratutto a Josh, iniziano a postare mie foto e, anche se non capisco bene come sia possibile, escono fuori video di quando recitavo a teatro.
La situazione mi spaventa un po’.
L’unica cosa che non cambia, sono la mia storia con Josh, il rapporto di amore e odio con Connor e le telefonate con la mia famiglia. E di questo sono davvero grata.
Josh continua a venirmi a prendere al college con la sua moto. Con l’arrivo della stagione calda, la fine dei corsi e l’inizio delle sessioni degli esami mi da una mano con lo studio e, nei momenti in cui sto per dare di matto per lo stress, mi porta al mare o a fare escursioni di ogni genere.
Connor riesce a convincermi, a furia di calci e tirate giù dal letto alle cinque del mattino, ad andare a correre con lui tutti i giorni. Per il primo periodo gli arranco dietro senza riuscire a fare nemmeno due chilometri, maledicendolo in tutti i modi che conosco. Poi inizio a prenderci la mano, abituandomi ai suoi ritmi e arrabbiandomi con lui quando non ha voglia di andare a correre.
La mia famiglia è, però, una grande sorpresa. Mia madre, un po’ contraria alla recitazione, in un primo momento se la prende con Josh, urlando talmente tanto al telefono che rischio di diventare sorda. Quando si mette l’anima in pace, dopo che riesco a convincerla del fatto che sono stata io a decidere e che lui non mi ha obbligata a fare nulla, anche se non è propriamente vero, prende a incoraggiarmi come non ha mai fatto in vita sua. Mia sorella, ovviamente, è al settimo cielo e, ogni volta che ci sentiamo, finisce con il trapanarmi il cervello con grida stridule al livello di quelle di Jimmy. Mio padre, non riuscendo a trattenersi, scoppia in lacrime per telefono, annunciando solennemente che sapeva benissimo che ce l’avrei fatta.
 
«Che poi, non mi hai mai raccontato come hai fatto.»
Io e Connor corriamo da dieci minuti buoni, e sento già il fiato corto. Mi ero abituata ai suoi ritmi, ma ora che fa caldo e il sole inizia a farsi sentire forte sulle mie spalle, comincio di nuovo a fare fatica. Il problema è che non ho voglia di alzarmi presto al mattino, ora che i corsi al college sono terminati e, per questo, mi devo subire il sole cocente delle undici.
«Beh, in effetti non è stata una grande cosa.» rispondo, cercando di concentrarmi sul respiro. «Ho solo dovuto scegliere una scena tra le varie selezionate dal copione per il provino, e recitarla con Alex Pettyfer.»
Non avevo più ripensato al mio provino da dopo che Josh si era fatto raccontare come era andato. Io mi ero aspettata qualcosa di difficile e arduo, invece mi avevano passato alcuni fogli, pinzati in tre gruppi diversi, e mi avevano detto di scegliere una delle scene e recitarla. Mi avevano lasciato il tempo di leggerle tutte e poi, scelta una, impararla un minimo. In due delle tre, avrei dovuto baciare l’attore al mio fianco, perciò le avevo prontamente scartate, pensando che al mio ragazzo non avrebbe fatto molto piacere e che io non avevo nessuna voglia di baciare qualcun altro.
In effetti, mi ci sarei dovuta abituare, dato che nel film avrei dovuto baciarlo un paio di volte, ma per ora non mi preoccupavo.
Janet, comunque, pensava che fosse stato per la mia scelta che mi avessero presa. Ma io non ci credevo più di tanto, e comunque non l’avremmo mai scoperto.
«Secondo me ha ragione Janet.» dice Connor dopo aver ascoltato il mio racconto. «Hai dimostrato… Oh mio Dio, I! Non abbiamo fatto nemmeno tre chilometri.»
Col fiato corto, mi sdraio per terra, mentre lui parla. Chiudo gli occhi, cercando di fare dei respiri profondi. Avremo fatto anche solo tre chilometri, ma io sono distrutta.
«No, basta!» bisbiglio sfinita. «Lasciami qua!»
Lo sento che scoppia a ridere, così riapro gli occhi e mi trovo la sua faccia strafottente ad occupare interamente il mio campo visivo.
«Andiamo pappa molle!» mi porge la mano, ma io la rifiuto. «Tirati su!»
«No, vai via.» metto su un tono melodrammatico. «Voglio risparmiarti la scena della mia morte! Lo so che sarebbe troppo per te.»
Mi guarda con un’espressione che è un misto tra il divertito e lo sconcertato.
«Coraggio, scansafatiche! Smettila di lamentarti…»
«Acqua.»
«Neanche avessi corso una maratona!»
«Il sole mi uccide.»
«Se non la smetti ti lascio qui davvero.»
«Sei senza cuore!»
Scuote la testa, e si siede per terra. Cerca di farmi il solletico, ma io inizio a mordergli la pancia, così si alza, fingendosi offeso.
«Queste potrebbero essere le tue ultime corse non paparazzate, sai?»
Sbuffo, senza rispondergli. Così cerca di convincermi in un altro modo.
«Vuoi proprio negarmi questo piacere?» mette su la sua faccia da cane bastonato. «Tra poco non sarai più a casa…»
«Mancano ancora due mesi, Connor.»
«… e io non saprò più con chi andare a correre.» continua come se non l’avessi interrotto, ignorando il mio tono cinico. «Sarò solo. Come farò, eh? Come farò?!»
Finge di scoppiare in lacrime, e scuoto la testa, scocciata.
«Sei un idiota.»
Però mi alzo lo stesso. Non so perché, ma starò via per quasi tre mesi e, in fondo, mi mancheranno le corse mattutine con questa sottospecie di essere umano odioso che sto iniziando a considerare quasi un fratello. Ovviamente, lui sa che penso queste cose di lui.
Mi sa che oggi sono un po’ sentimentale…
«Sei sentimentale, oggi?» mi chiede riprendendo a sorridere, e scrutandomi attentamente in viso, mentre mi preparo di nuovo alla corsa, meglio conosciuta come il mio suicidio.
«No.» sbotto, pulendomi i pantaloni della tuta. «E’ che tu sei un idiota, e io voglio tornare a casa!»
«Ti ho fatta intenerire!» ride.
«Non è vero.» sbraito senza guardarlo.
«Ti ho intenerita, ma non hai il coraggio di ammetterlo.»
Prendo a camminare, e lui mi viene dietro.
«Non è vero.»
«Ti mancherò, vero?» Il suo tono divertito mi dà ai nervi.
«No. Ma io mancherò a te!»
«Non hai risposto alla domanda.» sta cercando di sviare il discorso.
«Se ammetti che ti mancherò, risponderò alla tua domanda.» sto vincendo io!
Nel mio cervello si stappa lo champagne e si inizia a ballare la conga.
«Facciamo chi arriva primo a casa?» ovviamente, non si fa mettere i piedi in testa, ma è ovvio che gli mancherò.
«Fatti sotto!» dico, fermandomi di botto e mettendomi in posizione di partenza.
Si posiziona accanto a me, pronto a partire. Poi si accorge che nessuno può darci il via, come di solito fa Josh quando noi usciamo a correre. Si guarda intorno e, quando intravede una vecchietta, la chiama a gran voce.
«Signora!» si sbraccia e grida finché la vecchietta non lo nota e si avvicina sorridendo, mentre, da dietro, io me la rido. «Scusi, può darci il via? Vogliamo fare una gara e…»
La signora non lo lascia nemmeno finire. Annuisce, contenta e ci dice di metterci in posizione.
«Ti farò mangiare polvere, I»
«Non ci conterei..!»
Poi la signora da il via e, come due bambini, ci mettiamo a correre a tutta velocità, scoppiando a ridere.
 
«Vincerete, ne sono sicura, Jordan!»* mi avvio verso la moto di Josh, ma poi noto che lui ha in mano le chiavi del fuoristrada.
Gli rivolgo uno sguardo interrogativo.
«Ho voglia di prendere la macchina, oggi.» alza le spalle, e va verso il garage.
Strano, con la stagione calda, lui usa sempre la moto. E io stavo giusto imparando ad apprezzare la sua velocità spericolata.
Oggi ha una partita di Basket. La finale di campionato. Non so contro quale squadra giocherà, ma non sono mai stata così contenta di andare a vedere una partita. Ha promesso di dedicarmi un canestro! Tanto tempo fa, questo sport non mi piaceva. Poi, ho scoperto Josh…
«Ok.» vado verso il lato del passeggero e apro la porta.
Quando, però, guardo sul sedile, vedo un piccolo batuffolo nero con due palline color nocciola che si aprono e si chiudono…
Un momento. Si aprono e si chiudono.
Guardo meglio, e noto che il piccolo batuffolo è un cagnolino in miniatura che mi guarda con i suoi occhioni color nocciola. E’ talmente bello che rimango lì a fissarlo per un attimo. I suoi occhi catturano i miei senza via di scampo. Poi, il cucciolo emette un piccolo verso che dovrebbe essere un tentativo di abbaiare, solo che è troppo piccolo per farlo.
«Oooooh!» mi sciolgo, letteralmente. «E tu chi sei?»
Sto parlando con un cane. Josh ride della mia espressione intenerita, mentre mi avvicino al piccolo batuffolo nero e lo prendo tra le mani.
«Si chiama Cochise.»** dice, intenerito anche lui. «Una mia conoscente ha una cagnolina che ha partorito e così ho pensato che un po’ di compagnia ci avrebbe fatto bene… Mi sono innamorato dei suoi occhi!»
Rifletto un attimo sul nome, mentre il cucciolo mi mordicchia l’indice.
«Cochise?» bisbiglio pensierosa. «Perché mi ricorda qualcosa?»
Josh sorride, salendo in macchina.
«Questa ragazza è una patita della storia degli indiani d’America. Era un grande capo indiano, aveva guidato…»
«La resistenza al governo messicano che stava diminuendo i viveri alla sua tribù, nel tentativo di tenere a bada le loro rivolte!» lo interrompo all’improvviso.
Ora mi ricordo dove l’avevo già sentito. Qualche anno fa mi era preso il pallino per i capi indiani. Mi ero comprata un libro e avevo studiato tutta la loro storia. Era stato bellissimo.
«Beh, pensavo che avrebbe potuto essere nostro.» Josh sembra un po’ imbarazzato, e inizia a passarsi la mano tra i capelli. «Sai, mio e tuo. Potevamo…»
Non sa cosa dire, e io lo trovo talmente dolce!
Facendo attenzione alla piccola palla di pelo nera che ho tra le mani, salgo sul fuoristrada e mi sporgo verso Josh, che ancora cerca le parole giuste per esprimere quello a cui pensava quando ha deciso di prendere il cane. Ma io posso intuirlo. Gli mancano Diesel e Nixon e poi, quando inizieranno le riprese, io dovrò partire qualche settimana prima di lui, perché dovrà rimanere a presentare il cartone Disney che aveva doppiato con Emma Stone. Pensa che magari, portarmelo sul set, potrebbe essere di compagnia. Al posto suo. Qualcuno da amare, oltre a lui.
Non sa che, anche se è il regalo più bello del mondo, non mi serve un cane per questo. Mi basta solo lui. Il suo pensiero.
«Ho capito.» gli sfioro il braccio. «Ti amo anche io.»
Sospira, abbattuto perché non è riuscito ad esprimersi e contento perché sono riuscita a capirlo. Mi posa un leggero bacio sulle labbra.
«Ti amo.»
 
DUE MESI DOPO.
 
All’aeroporto, un uomo dalla pelle olivastra e vestito di tutto punto delle dimensioni di un armadio, mi aspetta davanti a una macchina nera con i vetri oscurati. Al guinzaglio, Cochise trotterella accanto a me, mentre, avvicinandomi, penso che sia un tantino esagerata come cosa, insomma, non sono ancora diventata la regina d’Inghilterra.
Josh ha insistito affinché portassi il batuffolo nero con me. Ormai non è più propriamente un batuffolo. E’ cresciuto. I suoi zamponi enormi stanno a mostrare che, nei prossimi mesi, crescerà ancora, ma, per adesso, la sua testa è all’altezza della mia coscia.
In poco tempo siamo sul set ma, prima di farmi fare un giro e presentarmi alle persone con cui lavorerò, vengo scortata in albergo. Io e Josh abbiamo le stanze divise. Uno spreco di soldi, secondo me, dal momento che potevano darci una camera matrimoniale e risparmiare qualche migliaio di dollari a notte.
Una volta entrata, mi siedo sul letto, lasciando i bagagli per terra. Non ho nessunissima fretta di disfarli. Cochise appoggia il suo testone sulle mie gambe, scrutandomi con quei suoi occhi color cioccolato, in attesa che io gli gratti la testa. Ha preso questo vizio, ultimamente, e a me piace coccolarlo sovrappensiero.
Intanto mi guardo attorno.
La stanza è enorme, arredata con mobili moderni. Tutte le stanze sono talmente tanto grandi che ho paura di perdermi. In compenso, il salone, sul lato del mare, è chiuso da una vetrata che da su un enorme terrazzo, arredato con divanetti e tavolini. Faccio fatica a chiudere la bocca, aperta dalla meraviglia da quando sono entrata nella hall dell’albergo. Nemmeno negli alberghi che avevano assegnato a Josh a Los Angeles, New York e Roma, avevo visto tanta bellezza.
La brezza marina mi scompiglia i capelli, il caldo mi penetra nella pelle e il cagnone nero accanto a me corre avanti e indietro, libero dal guinzaglio, mentre il ragazzo che si occuperà della mia tabella di marcia, di nome Bob, mi fa visitare il set. E’ un ragazzo abbastanza simpatico e molto figlio dei fiori. E’ alto e dalla pelle scura. Ha capelli riccissimi corti, con una fascia sempre legata attorno alla testa, all’altezza della fronte. Gira con un sorriso sempre stampato in faccia, mettendo in mostra i suoi denti bianchissimi e trasmettendo la sua calma a tutti. Basta ascoltarlo parlare per sentirsi già meno agitati, e io ne ho davvero bisogno.
«Ok, sorella.» sa il mio nome, ma preferisce chiamarmi così. «Da questa parte ci sono i camerini con i costumi, qui verrai preparata e truccata a dovere… Hei, ciao Kevin!»
Sorride e saluta con la mano un tizio che cammina tutto di fretta verso la spiaggia, dove stanno lavorando i cameraman e gli addetti alle luci per trovare l’angolatura migliore per le riprese che cominceranno domani. L’altro, senza notarci, ci passa accanto e tira dritto. Bob scrolla le spalle, a quanto pare non gli interessa più di tanto se la gente non lo saluta.
«Forse non si chiama Kevin…» cerco di trattenere un risolino al suo commento, e lo seguo nel tour. «Comunque, gireremo sempre sulla spiaggia, ma, nel tempo libero puoi addentrarti tra gli alberi. Devi stare attenta sorella, qua è pieno di animali strani. Però sono molto belli, se ci stai alla giusta distanza.»
Non so perché, ma mi immagino Bob, con la sua camminata dondolante, che si aggira nella foresta per vedere le creature che la popolano. Magari dando un nome ad ognuna di loro e raccontando di cosa ha mangiato oggi o chiedendo scusa all’albero di turno per aver pestato le sue radici. Credo che sia proprio quel genere di persona.  
«Ora… vuoi sapere altro?» mi chiede col suo sorriso bianchissimo.
Ci penso un attimo. In realtà, è stato abbastanza esauriente. Mi ha spiegato come funzionano le riprese e i turni di recitazione. C’è la pausa pranzo, ma al mattino dobbiamo alzarci presto per preparaci. Potremmo ritrovarci anche a girare di notte e, prima di iniziare, si possono fare delle prove. Domani mi verrà presentata la mia “insegnate”. Bob mi ha spiegato che Brad Peyton l’ha chiamata perché mi insegnasse a stare meglio davanti alle telecamere.
Nel tempo passato con lui tutto il nervosismo che provavo nel trovarmi qui per la prima volta è andato via come se non fosse mai esistito.
Soltanto una cosa manca, a questo magnifico tour.
«Beh, pensavo che avrei incontrato gli altri attori…»
Mi interrompe, sorridendo come non lo avevo ancora visto fare.
«E adesso arriva il pezzo forte, sorella!» lo guardo, alzando un sopracciglio.
Mi fa segno con la mano di seguirlo, così richiamo con un fischio Cochise, ma lui non arriva. Provo di nuovo a fischiare, ma non arriva nemmeno al secondo richiamo. Inizio a preoccuparmi, di solito arriva subito. Dico a Bob di aspettare un momento e torno indietro, verso i camerini. Da lontano, intravedo la sua coda nera muoversi velocemente, e ho la sensazione che abbia trovato qualcuno che apprezzi il suo fare le feste a chiunque attraversi il suo campo visivo. Scuoto la testa e mi avvicino, scoprendo che sta letteralmente costringendo al muro Alex Pettyfer pur di farsi coccolare.
«Cochise!» lo chiamo. Lui volta il muso verso di me e mi corre in contro, scodinzolando felice, come se non mi vedesse da secoli. «Perché importuni la gente, eh?»
Mi guarda con quei suoi occhioni nocciola che mi fanno sciogliere tutte le dannate volte, così alzo gli occhi al cielo, innervosita dalla mia stessa debolezza, e gli gratto la testa.
«Ciao, Rifiuta-baci!*** Non ti preoccupare!» l’attore, ridendo, si avvicina e riprende ad accarezzare il testone del cane. «E’ proprio simpatico.»
Lo fisso per un attimo. Col mio caratteraccio, faccio fatica a rapportarmi con le persone, soprattutto se a pelle non mi piacciono. E Alex Pettyfer, a pelle, mi da una strana sensazione, anche se non so come descriverla.
Forse sentendosi osservato, alza la testa e mi sorride.
«Dove l’hai lasciato il cavaliere?» mi chiede, guardandosi attorno.
Cerco di chiudere in un angolo lontano della testa i pensieri di poco prima, convinta che, prima faccio amicizia con questo attore, prima cederò al fatto che, volente o nolente, dovrò baciarlo.
«A presentare il cartone animato a cui ha dato la voce del protagonista.» dico, con un’alzata di spalle, sorridendogli di rimando.
«Quindi ti ha lasciata da sola?» mi fa l’occhiolino. «Ahi, brutta mossa!» devo avere un’espressione abbastanza confusa, perché si affretta a riparare. «Sto scherzando!»
Cerco di ridere, anche se la battuta mi ha messa un po’ in imbarazzo.
Fortunatamente, arriva Bob a salvarmi.
«Hei, sorella!» ci raggiunge con la sua camminata ondeggiante. «Stavamo per arrivare al pezzo forte… ah, vedo che hai trovato Alex!»
Sorride all’attore al mio fianco, che lo saluta con un cenno della mano.
«Bob.» gli fa un cenno del capo, e io mi ritrovo a pensare che la sua voce sia abbastanza sensuale. Poi si rivolge a me. «Sei appena arrivata, quindi?»
Annuisco.
«Scommetto che non hai ancora conosciuto il resto del cast!» mi afferra il braccio e, seguiti da Bob e Cochise, ci avviamo verso la spiaggia.
Lancio un’occhiata alla sua stretta sul mio braccio, mentre il mio cervello si arrovella su tutte le possibili spiegazioni, una più improbabile dell’altra, sul perché l’abbia fatto, senza prender nemmeno in considerazione la possibilità che potrebbe aver reagito così sovrappensiero. Sono troppo paranoica!
I miei pensieri, però, vengono messi a tacere dalla figura in lontananza di Robin Williams, che parla e ride con Brad Peyton.
Il mio cervello smette di funzionare.
Insomma, sapevo che lui sarebbe stato nel cast, ma trovarsi davanti l’attore che segui da sempre è, quasi tutte le volte, un shock. Letteralmente. E parlo per esperienza.
«Robin!» Alex si mette a gridare, sbracciandosi e mollando il mio braccio. «Ti ho portato tua nipote!»
L’uomo, sentendosi chiamare, volta la testa e, per la prima volta, incrocio il suo sguardo.
Non noto i suoi capelli bianchi o il sorriso che è appena spuntato sul suo viso anziano, procurandogli molte rughe. Vedo solo i suoi occhi azzurri che, nonostante ormai sia vecchio, rimangono sempre gli stessi che tante volte avevo sognato di vedere dal vivo. In una delle tante fantasie in cui diventava mio nonno.
Resto letteralmente paralizzata.
Si sta avvicinando.
Sta venendo verso di me.
ROBIN WILLIAMS STA VENENDO VERSO DI ME.
Se non muoio ora… beh, non so cosa potrà mandarmi sotto terra. Tranne la morte stessa, è ovvio.
«Oh, finalmente ti conosco Ilaria!» mi tende la mano, e io la guardo senza riuscire a muovere un muscolo.
Credo di avere un’espressione abbastanza ebete in faccia ma, forse per il fatto di aver avuto a che fare un sacco di volte con situazioni completamente disastrate come la mia in questo momento, continua a sorridere.
Sento Alex, dietro di me, trattenere una risatina e vedo Brad Peyton incoraggiarmi con lo sguardo.
«Si, beh, io sono…»
«Robin Williams.» ritrovo la voce improvvisamente. «Da piccola la chiedevo come regalo di Natale.»
Ed ecco a voi, la mia prima figuraccia davanti all’attore che stimo di più al mondo!
Sono decisamente un caso disperato.
«Oh, così almeno sappiamo che Babbo Natale prima o poi esaudisce i desideri!» scoppia a ridere e, in quel momento, riesco a riprendere il controllo del mio corpo e a stringere la sua mano ancora tesa. «Beh, è un piacere!»
«Piacere mio.» sorrido, o almeno spero di riuscire a sorridere. Senza sembrare stupida.
Ho appena stretto la mano a Robin Williams. Ho appena parlato con Robin Williams. Robin Williams mi ha appena detto che è un piacere fare la mia conoscenza. Robin Williams ha appena riso gentilmente di una mia figuraccia.
Non riesco nemmeno a formulare dei pensieri di senso compiuto. Nemmeno per dire a Cochise di smetterla di saltare addosso a Brad Peyton.
Questa giornata è decisamente troppo per me.
E io mi sento in cima al mondo.

 
 
 

SPAZIO AUTRICE.

 

*: Jordan è il soprannome con cui i compagni di squadra di basket chiamano Josh.
**: Il nome Cochise dovrebbe leggersi Cocìs. E sì, sono un’appassionata della storia degli indiani d’America, anche se ancora mi manca il libro. ^^
***: Ovviamente, è un riferimento al fatto che, durante i provini, Ilaria a scelto la scena dove non avrebbe dovuto baciare Alex. E’ abbastanza ovvio, ma ci tenevo a specificarlo >.<
 
Anyway, piaciuto? :3
 
Io, però, inizio a pensare che non vi piaccia più la storia…
Insomma, aumentano le visualizzazioni, ma diminuiscono le recensioni. e.e
Per me è importante sapere il vostro parere! :D
 
A parte questo.. ho postato oggi perché poi parto per la Grecia con la scuola per ben 10 giorni, e quindi non potrò più aggiornare!
In realtà, sto impazzendo a fare i bagagli XD
Fosse per me, mi porterei solo libri, la macchina fotografica e qualche straccio, ma mia madre pensa che non sia la cosa migliore da fare… quindi si è trasformata in un generale di guerra urlandomi dietro: “LEVA QUEI LIBRI DALLA VALIGIAAAAAAAAAA!”
Ancora non ci sento bene. XD
 
Beh, scommetto che non ve ne frega proprio una cippa.. :P
 
Non ho molto da dire.. potrei dirvi che dal prossimo capitolo cominceranno a girare, ma scommetto che l’avevate capito XD
Non ho intenzione di farvi spoiler u.u
Però ho intenzione di scusarmi per i troppi asterischi XD
 
Ma, se proprio volete gli spoiler, potete trovarmi qui - - - > Facebook
E qui - - - > Twitter
 
Ora vi saluto, e al prossimo aggiornamento!
Un mega abbraccio :3

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Capitolo 22
*** Missing you ***


Missing you.

I’m missing you,
I’m missing you!
You’re not around and I’m a complete disaster,
I’m missing you.
Green Day – Missing you.

 
 

ANNUNCIO IMPORTANTE.
Il “Journey” che stanno girando in questa FF non è il “Juorney” che stanno programmando di girare in America. La trama l’ho completamente inventata io e non credo che diventerà mai un film XD Detto questo, BUONA LETTURA :3  

 
 
 

Il bastoncino lanciato da Jaden cade in mare senza fare rumore, seguito a ruota dagli schizzi prodotti dal tuffo di Cochise.
L’undicenne dalla pelle scura, seduto accanto a me, scoppia in una risata contagiosa che mi fa sorridere, mentre vediamo il cane dal manto nero uscire dall’acqua portando in bocca il bastoncino e muovendosi con aria trionfante.
Jaden è il più giovane tra i membri del cast. Nel film, interpreterà un bambino testardo, figlio della governate della casa di Amy, che riuscirà a seguire il resto della combriccola nell’avventura.
Porta i capelli lunghi, tutti legati in piccole treccine che partono dal cuoio capelluto. Ha gli occhi di un bellissimo color nocciola, ed è sempre felice. Non appena Bob me l’ha presentato, ho capito che saremmo andati d’accordo.
«Scusa, ma mia mamma mi ha regalato un libro che mi piace tantissimo!»
Si era giustificato, dopo averci fatto aspettare mezz’ora fuori dalla sua camera d’albergo, in cui viveva con la mamma, il papà e il fratello più piccolo che, guarda caso, quel giorno erano andati in spiaggia.
Quel libro era Harry Potter e la Pietra Filosofale.
Da quel momento in poi, ogni momento libero che avevamo sul set, rapivo letteralmente Jaden dalla mamma e lo portavo in giro con me ovunque andassi. E a lui non sembra dispiacere, dal momento che, quando non sono io a cercarlo, è lui che mi viene a trovare.
E’ una buona compagnia. Strano a dirsi, visto che ha solo undici anni.
«Voglio conoscere Josh!» dice, girando una pagina della copia di Harry Potter e la Camera dei Segreti, che ha appena iniziato.
«Beh, tra qualche giorno dovrebbe arrivare.» sovrappensiero, prendo il bastoncino che mi porge Cochise e lo lancio di nuovo verso il mare.
«Ti manca?» la sua voce da bambino mi fa tenerezza.
«Un po’.»
«Anche a me manca la mia ragazza.» mi sorride da sopra il libro.
Alzo un sopracciglio, divertita. Ah, beata innocenza!
«Hai una ragazza e non me l’hai mai detto?» gli faccio il solletico, solo per sentire di nuovo la sua infantile risata contagiosa.
Si rotola a terra, riempiendosi tutti i vestiti di sabbia.
«Lei è bella come i raggi di sole del mattino.» annuisce soddisfatto della sua vena poetica.
«Wow, come siamo romantici!» rido, dandogli una spintarella.
Lui fa per rispondermi, ma veniamo interrotti dalla voce di sua madre, che lo chiama per l’ora di cena. Si alza, mormora un “ciao” sempre con la sua solita felicità e poi corre via.
Lo guardo allontanarsi sulla spiaggia e, quando non lo vedo più, torno a scrutare il mare. La brezza marina mi scompiglia i capelli e respiro quell’odore di mare che ho sempre amato. Cochise nuota nell’acqua, cercando disperatamente il suo bastoncino. Il sole tramonta e comincia a non fare più tanto caldo. Mi infilo la felpa che fino a poco fa era buttata a mo’ di gomitolo sulla spiaggia. Penso che potrei stare così per sempre. Questa è la pace.
Anche se, in questi giorni, non si può dire che io mi stia ammazzando di lavoro. Fino ad adesso ho girato solo due scene: una da sola, Amy che sistema i bagagli di Sean e Hank nel retro del suo pick-up nero sbiadito, e una con Jaden, sulla spiaggia mentre Mojo, il suo personaggio, prega Amy di portarlo con lei nella spedizione.
La trama del film è davvero interessante e, sapere che dovrò fare un bel po’ di scene di azione mi riempie di adrenalina già adesso. Il film dovrebbe cominciare con una persona che scompare: la mamma di Mojo (Jaden). Imparentata con il compagno della mamma di Sean (Josh), Hank (
Dwayne Johnson), e governate a casa di Karl Warper (Robin Williams). Questo attirerà i due, che raggiungeranno le Hawaii per scoprire cosa è successo. Verranno ospitati a casa di Karl, uno scienziato pazzo secondo cui i libri di Verne sono come la Bibbia. Amy, la nipote, e Jace Murray (Alex Pettyfer), il fidanzato, arrivano da New York per qualche settimana, dal momento che Jace, appassionato di scienza, viene chiamato da Karl per assisterlo in un nuovo esperimento. Naufragheranno su un’isola deserta, durante l’esperimento di Karl, che però si scoprirà avere base di ghiaccio. Esattamente come quella descritta da Verne ne “Il paese delle pellicce.” Tutto il film sarà incentrato sullo scoprire un modo per ritornare sulla terra ferma prima che l’isola si sciolga.
Non vedo l’ora che arrivi Josh, perché aspettano solo lui per girare le scene di gruppo. E non vedo l’ora di girare scene con Robin Williams. E di iniziare a prepararmi per le scene d’azione. E di puntare un coltello contro Dwayne Johnson (perché, a quanto pare, il copione prevede anche questo!)
Andrei avanti a fantasticare in questo stato di pace per ore, ma vengo interrotta sul più bello.
«Adoro il tramonto! Credo sia la parte più bella del giorno.» con la coda dell’occhio vedo Alex Petyfer sedersi accanto a me sulla sabbia. «Non credi anche tu, Rifiutabaci?»
Non mi volto nemmeno a guardarlo. E’ una settimana che mi chiama in quell’orribile modo, ed è da una settimana che gli dico che detesto essere chiamata così.
«Penso che tu abbia appena interrotto un meraviglioso momento di pace.» rispondo cinica. «E mi hai appena chiamata Rifiutabaci. E lo odio.»
Ride, così mi volto verso di lui per lanciargli un’occhiataccia.
«Ok. Ok, la smetto.» mi sorride divertito. «Ti ho stressata abbastanza. Ilaria.»
Sbuffo, nel sentire il tono che la sua voce prende nel pronunciare il mio nome. Credo che se in questa settimana non avesse continuato a chiamarmi Rifiutabaci, a quest’ora saremmo amici da un pezzo. Alex è molto simpatico e, anche se è un po’ troppo pieno di se, ho scoperto che abbiamo un sacco di interessi in comune. Anche lui legge qualunque cosa gli passi sotto il naso e abbia la forma di un libro, gli piace fare cose che ti riempiono di adrenalina, cosa che piace anche a me, a parte andare in macchina con Connor e in moto con Josh. Ha la battuta sempre pronta ma, non capisco perché, quando parla con me si diverte a farmi irritare.  E’ un po’ testardo e gli piace essere al centro dell’attenzione, ma per il resto è apposto.
«Grazie, Alex.» storpio il suo nome con lo stesso tono che ha usato prima. «Comunque sì. Adoro il tramonto.»
Rimaniamo per un attimo in silenzio, poi il sole tramonta, affogando nel mare calmo, scappando dalla luna che lo rincorre.
«Inizia a fare freddo.» mi stringo nella felpa, tirando su il cappuccio. «Sarà meglio che torni in camera.»
Mi alzo in piedi e comincio a spolverarmi i pantaloncini e le gambe dalla sabbia. Alex fa lo stesso.
«Ti accompagno.» mi sorride e non posso fare a meno di fissare i suoi bellissimi occhi azzurro-verde. «Tanto devo tornare anche io in albergo.»
Richiamo Cochise, che esce dall’acqua scuotendosi tutto, poi ci avviamo assieme verso l’albergo.
«Domani devo alzarmi alle cinque e mezza.» dico, tanto per fare conversazione. Sto per aggiungere che non ce la farò mai, ma poi mi ricordo che la scena che girerò sarà assieme a lui e Robin Williams. «Ma anche tu ti alzerai prima, vero?»
Lo dico con un filo di speranza, perché ho notato che io sono sempre quella che deve farsi preparare prima degli altri. A me devono fare il trucco, sistemare i capelli, e mettermi apposto dalla testa ai piedi tutte le volte che devo comparire davanti alla telecamera. Per il resto del cast, che sono tutti uomini, è diverso. Non che non debbano essere truccati e sistemati anche loro ma, semplicemente, ci vuole molto meno.
Infatti, Alex ride, mandando in fumo tutte le mie speranze.
«No. Sveglia alle sette!» ride e stiracchia le braccia. «Che bello essere uomini!»
Alzo gli occhi al cielo e poi gli tiro un pugno in pancia, facendolo smettere di ridere.
«Ehi!»
«Sei un idiota.»
Mi butta un braccio attorno alle spalle e fa una faccia strana, che non riesco a interpretare.
«Se vuoi, posso alzarmi presto anche io.» annuisce, e capisco che è la faccia che userà da adesso in poi per prendermi in giro, perciò lo guardo scettica. Assume un tono melodrammatico, come se stesse recitando una triste scena d’amore. «Davvero, lo farei solo per te.»
Scoppia a ridere, mentre mi scrollo di dosso il suo braccio e aumento la velocità della mia camminata.
«La grandezza del tuo cervello è pari solo alla quantità di battute divertenti che riesci a fare.»
«Decisamente grande, quindi?»
«Inesistente.»
Fa la faccia offesa, incrociando le braccia al petto e alzando un po’ le spalle. Sembra un bambino arrabbiato con la mamma perché non vuole comprargli un giocattolo. Potrei quasi pensare che sia tenero ma, allo stesso tempo, è talmente buffo che, questa volta, sono io che scoppio a ridere.
 
«Ciak! AZIONE.»
Il vocione di Brad Payton, il nostro magnifico regista, ci avvisa che la telecamera sta girando. Davanti a me, Robin comincia a recitare le sue battute e, braccio attorno alla mia vita e sorriso stampato in faccia, Alex si tuffa nel suo personaggio recitando la sua parte. Anche io mi immergo nel mio personaggio. Per pochi minuti, non sono più l’Ilaria che si sente a disagio sentendosi il braccio addosso del ragazzo affianco a lei, o che sente la mancanza del suo ragazzo, o che vorrebbe solo svenire per il fatto di essere a pochi passi da Robin Williams. Per pochi minuti sono Amy. La Amy che ama il ragazzo che la sta stringendo. La Amy che considera l’anziano davanti a lei solo un nonno con cui è cresciuta. La Amy preoccupata per il folle esperimento che le due persone che ama di più al mondo vogliono mettere in pratica. Per un attimo, non conta che una decina di persone mi stia fissando, attenta a ogni mio minimo gesto. Non conta più niente. Per un attimo ci sono solo più Amy, Jace e Karl.
Dura solo un attimo, perché poi una telecamera si avvicina a un palmo dal mio naso. Senza accorgermene, lancio un’occhiata verso l’enorme macchina nera, mandando in fumo la mia concentrazione, dal momento che arrossisco come un peperone, e l’intera scena.
«Stop. Stop! STOP!»
Sbuffo e inarco le spalle. Sono un caso disperato. È già la quinta volta che rifacciamo la scena perché sbaglio e comincio a sentirmi in colpa.
«Ma che ti prende?!» Brad si avvicina, la faccia un po’ rossa e il tono spazientito.
Sto facendo innervosire pure lui, la cui famosa calma è quasi intaccabile.
«Mi dispiace.» biascico senza guardarlo negli occhi, perché so benissimo che in quel castano scuro troverei solo delusione. «Non so che mi prende.»
Brad fa per dire qualcosa, ma poi ci ripensa. Respira, e immagino che stia cercando di calmarsi, torna alla sua postazione di regista e parla all’orecchio del suo assistente. Alzo la testa, in cerca di occhi che mi incoraggino e mi tirino un po’ su il morale, ma quello è il compito degli occhi di Josh, e in questo momento lui non è qui.
Comunque ci provo lo stesso, e i primi occhi che incrocio sono quelli di Alex. Mi sorprende un po’, perché immaginavo che anche lui si stesse rompendo le scatole a furia di fare e rifare la stessa scena. Invece è qui, ancora il braccio attorno alla mia vita, che mi sorride. Sento un moto di gratitudine nei suoi confronti invadermi il petto, e questo mi spinge a interrompere la catena tra i nostri sguardi e passare avanti.
Ad attendere la mia attenzione, trovo gli occhi ghiaccio di Robin e temo che le gambe non reggano. Anche lui mi incoraggia con lo sguardo.
«Non lasciarti prendere dallo sconforto!» mi sorride, e tante piccole rughe si impossessano del suo viso.
Mi prende le mani tra le sue, e si posiziona esattamente davanti a me. Io non so come reagire. A parte la volta in cui ci siamo conosciuti, non abbiamo avuto molte altre occasioni per parlare, e sto ancora cercando di abituarmi alla sua presenza.
Senza volerlo, lancio un’occhiata a Brad, che sta ancora confabulando con il suo assistente. Ho paura che mi mandino via. Comincio a dubitare che mi abbiano presa perché so recitare. Credo che dietro ci sia lo zampino di Josh. Potrebbe averli convinti a prendermi. In fondo, perché assumere “un’insegnate” solo per me perché Brad vuole essere sicuro che io riesca a recitare perfettamente davanti alle telecamere? Perché..?
I mie pensieri vengono interrotti da Robin, che attira la mia attenzione scrollandomi con dolcezza.
«Non ci pensare proprio!» mi fissa, in faccia ancora quell’espressione incoraggiante di poco fa.
Alzo un sopracciglio, perché non capisco la sua uscita.
«Credi che vogliano rimpiazzarti.» rimango un po’ sorpresa dal fatto che l’abbia capito così in fretta. «Non ci pensare proprio! Sei troppo perfetta per il ruolo perché ne riescano a trovare un’altra.»
Da sorpresa, la mia faccia diventa scettica.
«E’ inutile che fai quella faccia.» Alex si piazza dietro a Robin.
Gli lancio un’occhiataccia.
«Ha ragione.» sembra che vogliano a tutti i costi tirarmi su il morale, quando l’unica cosa che vorrei è che Brad mi dicesse in faccia che non so recitare. Che sono un caso senza speranza. Che non vado bene per il ruolo. E che è colpa di Josh se adesso sono qui a far perdere un sacco di tempo a tutti. «Ho visto il tuo provino. E Alex ha già avuto l’onore di recitare con te. Se ti hanno presa, non è perché il tuo ragazzo famoso ha fatto i capricci. Cosa che, oltretutto, non è mai successa. Se ti hanno presa è perché sei brava. Brad non prende gente a caso. Brad prende solo i migliori. Quindi ora smettila di pensare negativo. Vai, e mostra a tutti che sei la Amy che cercavano. Che nessuno, nemmeno una telecamera a un palmo dal naso, può demoralizzarti.»
Si allontana di un passo e mi tende la mano.
Che abbia ragione? Che mi fossi preoccupata per niente? Che, in fondo, io sia così poco concentrata solo perché mi manca Josh? Che non riuscissi a fare quello che ero venuta per fare solo perché troppo emozionata di essere qui? Di vedere il mio sogno realizzarsi? Di essere a contatto con l’attore che ho sempre voluto conoscere?
Forse.
So solo che ci riposizioniamo davanti alle telecamere e, quando Brad, con tono speranzoso, grida “Azione”, io sono Amy. E, anche quando la telecamera si avvicina, io rimango Amy.
 
«Smettila. Smettila!» Jaden ride, tenendosi la pancia. «Smettila di farmi il solletico!»
Rido dei suoi deboli tentativi di farmi smettere. E’ così tenero!
Stiamo per girare una scena con Robin e, tutte le volte che io e l’undicenne piegato in due dalle risate davanti a me, dobbiamo recitare assieme, mi diverto a farlo ridere prima di andare in scena. Guardando le telecamere che vengono accese e le luci che vengono posizionate, si innervosisce, e questo è un buono metodo per farlo sciogliere.
Ancora ridendo, smetto, per lasciarlo respirare. Mi prende i polsi e li stringe forte, come se questo mi potesse impedire di ricominciare a torturarlo quando voglio.
«Tranquillo, ragazzino.» Alex si avvicina, e da una pacca gentile sulla spalla di Jaden. «Ti difendo io!»
Si avvicina lentamente e pericolosamente, muovendo le mani come se avesse due chele. Sa benissimo che soffro il solletico. L’ha scoperto mentre stavamo per andare in scena. Sfilandosi la maglietta accanto a me, per sbaglio, mi aveva sfiorato la pancia, provocandomi una mezza risata isterica, che mi prende tutte le volte che mi fanno il solletico.
Allungo le mani verso di lui, cercando di prendergliele per impedirgli di torturami come, fino a poco prima, stavo facendo io con il mio ragazzino preferito.
«Non lo fare.»
«Cosa?» sul suo viso si dipinge un sorriso innocente.
«Quello che stai per fare.»
«Io non sto per fare niente..!»
Indietreggio, e vado a sbattere contro qualcuno, che mi afferra le braccia e mi tiene stretta. Comincio a ridere ancora prima che Alex prenda a farmi il solletico.
«Ehi, ehi, ehi!» il vocione divertito di Brad mi salva dalla tortura. «State cercando di far fuori la mia perfetta Amy?! Poi dove la trovo un’altra che me la interpreti?!»
Le mani che mi afferravano le braccia mi lasciano andare. Mi volto e mi ritrovo faccia a faccia con Robin, che mi sorride nel suo solito modo gentile. Gli lancio una finta occhiata offesa e, voltandomi verso Alex, incrocio le braccia al petto e gli faccio la lingua.
Lui sorride.
«No, no, no!» Bob ci raggiunge con la sua camminata dondolante. Mi mette un braccio attorno alle spalle e, sorridendo come sempre, mi fa allontanare di qualche passo dagli altri. «Qui nessuno fa fuori Ilaria.» fa una pausa e poi mi da una spintarella. «Come faccio senza lavoro io, eh?»
Stavo per annuire, contenta di essere protetta da qualcuno, invece spalanco gli occhi e guardo uno per uno i presenti con un’espressione che vuole essere offesa, ma che immagino essere solo ebete. 
«No, ma è bello vedere che mi volete tutti molto bene!»
La mia protesta scatena le risate generali. Perfino i ragazzi che lavorano per preparare la scena si fanno una mezza risata.
Quando abbiamo questi momenti vuoti tra una scena è l’altra mi diverto un sacco. A quanto pare, tutti si sono convinti che con me possono scherzare liberamente e sto diventando la vittima preferita di tutti per scherzi e prese in giro. Il fatto che non sono per niente suscettibile e un sacco cinica sembra incoraggiare tutti ancora di più. E’ divertente!
L’altro giorno, che ero arrivata in ritardo perché rimasta troppo al telefono con Josh, avevo trovato il set completamente vuoto. Perfino Cochise, che mi segue sempre ovunque, aveva smesso di scodinzolare felice. Avevo passato mezz’ora buona a cercare qualcuno, ma non avevo trovato anima viva. Quando mi ero avvicinata al limitare del bosco, avevo sentito un rumore come di un pianto. Ora, io non sono una persona coraggiosa, anzi, anche il meno pauroso dei film dell’orrore mi impedisce di dormire per una settimana buona. Ero rimasta a guardare tra gli alberi, cercando di decidere se scappare o scappare. Poi qualcuno si era mosso, rompendo qualche ramo. Non avevo resistito. Ero scoppiata a urlare e piangere assieme, finché, ridendo come matti, tutto lo staff era uscito dal bosco.
Non avevo più rivolto la parola a nessuno per dieci minuti buoni. Poi mi era passata.
Mentre la risata generale va scemando, sento il rumore di una macchina fotografica che scatta.
Ci giriamo tutti e, davanti a noi, Sam ci saluta con un piccolo inchino, la sua macchina fotografica, che affettuosamente chiama “Baby”, appesa al collo.
E’ una ragazza nella media. Capelli castano-biondo, tagliati corti, sempre sparati. Occhiali da sole sempre in testa, perché, a detta sua, è “una cosa da fighe!”. Occhi nocciola. Pantaloncini, di qualunque tipo, genere e colore, e a qualunque ora, sempre addosso.  
E’ l’addetta alle foto. Qualunque tipo di foto. L’unico ordine che ha dato ai suoi due collaboratori, uno dei due non si vede mai, mentre l’altro fa i video che poi verranno montati per la fine delle riprese, una specie addio, è stato:
«Divertitevi, con quelle macchine fotografiche. Divertitevi, finché dall’alto non riceveremo l’ordine di scattare le foto promozionali.»
Da allora, tutte le volete che stiamo girando, oppure stiamo per girare, una scena, Sam è lì con la sua Baby a scattare foto. E’ una tipa divertente.
«Scusatemi!» dice con un mezzo sorriso, sparandosi i capelli. «Ma eravate troppo belli per non essere immortalati.»
Bob si avvicina a lei, con la scusa di voler vedere la foto appena scattata, ma è palese che si è preso una cotta enorme per la nostra fotografa. E anche lei non gli è indifferente.
Scuoto la testa, sorridendo. Quei due assieme mi fanno sentire ancora di più la mancanza di Josh.
Fortunatamente c’è qualcuno che mi fa pensare ad altro.
«Iaia!»
Piccole braccia si attorcigliano alle mie gambe, accompagnando il gridolino felice di Will, il fratellino di Jaden. Ha sei anni, e può vantarsi dell’onore di unico bambino con meno di dieci anni che mi piaccia davvero. Io odio i bambini piccoli.
«Ciao mostriciattolo!» lo prendo in braccio e lui ride.
L’ho conosciuto qualche giorno fa. La mamma di Jaden, venuta a sapere che passavo le serate in camera da sola, mi aveva invitata, anzi no, costretta, perché non aveva voluto sentire nemmeno una parola che non fosse un sì uscire dalla mia bocca, a cenare con loro. Così mi ero innamorata del piccolino, come già era successo con l’undicenne, e come mi ero innamorata di tutta la famiglia.
Girare questo film mi sta cambiando un po’ troppo..!
«Ok, basta chiacchiere.» Brad ci richiama tutti al nostro lavoro. «E’ ora di mettersi al lavoro!»       
 
Il tempo libero che ho… lo passo a studiare. Già, perché tra meno di tre settimane cominciano le sessioni di settembre degli esami, e non ho intenzione di prendere un voto che vada sotto il trenta. Quando l’avevo detto in famiglia, mia mamma era scoppiata a piangere, dicendo che era così orgogliosa di sentire che avrei continuato gli studi nonostante stessi recitando in un film che avrebbe, secondo lei, sicuramente avviato la mia carriera da attrice. Non avevo capito subito perché si fosse emozionata tanto. Per me era una cosa così ovvia! E’ vero, il mio sogno di fare l’attrice si sta avverando, ma rimango comunque molto attaccata all’altro mio sogno: diventare una ricercatrice. Inoltre, con la mia visione pessimistica del mondo, che farebbe quasi impallidire i Maya e compagnia bella, non posso permettermi di mollare tutto solo perché adesso sul mio conto ci sono tanti soldi che potrei pagarmi un college migliore. E se un giorno Jimmy si stufasse di avermi come modella? E se Janet si accorgesse che farmi da manager è una perdita colossale di tempo? E se con Josh..?
All’ultima non ci voglio nemmeno pensare.
«Che stai facendo?» Alex si siede accanto a me sulla sabbia.
Mi piace venire a studiare in riva al mare. Tutto è tranquillo e riesco a trovare la giusta concentrazione per farmi entrare in testa tutte queste informazioni. Lascio libero Cochise, mi siedo sulla sabbia e inizio a ripetere mentalmente le informazioni che mi servono. Non oso nemmeno ripassare ad alta voce. Il rumore delle onde che si infrangono sulla spiaggia è talmente silenzioso che mi sembrerebbe di recare oltraggio a un posto sacro, col suono della mia voce.
Ogni tanto qualcuno mi viene a disturbare. Jaden che si mette a giocare con il cane, Robin che, interessato dalle mie origini, si fa insegnare l’italiano, o Alex, che si accontenta anche solo di sedersi e rimanere in silenzio ad osservare il mare.
«Sto studiando.» rispondo con uno sbuffo.
Le distrazioni non aiutano allo studio, ma nemmeno il paesaggio. Anche studiando nella mia camera d’albergo, il pensiero che a pochi metri c’è il mare che ti invita a buttarti in acqua a qualsiasi ora del giorno (qui fa sempre caldo!) mi fa sentire depressa. Insomma, non staremo qui per sempre a girare, e io non mi sto godendo un solo minuto del mio tempo libero!
«Ok…» Alex sospira, un po’ esasperato.
Da quando ha smesso di chiamarmi con quell’orribile nomignolo, andiamo molto più d’accordo. Sul set, mentre aspettiamo di girare, ci facciamo delle chiacchierate davvero interessanti, e ci divertiamo un sacco. Con lui posso parlare di tutto e, dal momento che ogni giorno che passa Josh mi manca sempre di più, è una buona distrazione. Tra lui, Jaden e Robin, credo di aver trovato dei buoni amici. E questo è tutto dire, date le mie tendenze all’asocialità.
Senza darmi fastidio, si sdraia e guarda il cielo un po’ annuvolato. Gli lancio un’occhiata e poi torno a studiare. Passa un buon quarto d’ora prima che Alex dia i primi segni di essersi scocciato. Inizia a sbuffare e a rigirarsi sulla sabbia, come se non trovasse la posizione giusta. Non l’aveva mai fatto prima, quindi mi giro a guardarlo, un po’ sorpresa.
«Mi sto annoiando.» si giustifica, guardando la mia espressione confusa.
Mi stringo nelle spalle.
«Nessuno ti obbliga a stare qui.» non lo dico con cattiveria, ma è un dato di fatto.
Lo capisco se si annoia. Anche io mi annoierei a stare vicino a qualcuno che studia tutto il tempo. Sono Josh ci riesce. Si mette lì e aspetta pazientemente che io finisca. La sua pazienza mi mette agitazione. Infatti la maggior parte della volte, dopo mezz’ora, lo butto fuori dalla stanza.
Alex sbuffa, si mette a sedere e mi prende il libro dalle mani.
«Ehi!»
«No. Adesso basta!»
«Se non passerò gli esami col 30, ti riterrò il diretto responsabile.»
Mi sporgo verso di lui, per riprendermi il libro, ma è più alto di me e, alzando un braccio lo porta fuori dal mio raggio d’azione.
«Ritienimi pure quello che ti pare.»
Mi sporgo ancora di più verso il mio libro, finché stufa di stare ai suoi giochetti, mi alzo in piedi e gli afferro il braccio. Inutile dire che Alex fa lo stesso, e il libro è di nuovo fuori dalla mia portata.
«Alex, restituiscimi il libro!»
«No.»
Inizio a saltare, appoggiandomi a lui e cercando di tirargli giù il braccio.
«Alex!»
«Dimmi..!» fa la faccia da angioletto e indietreggia di un passo.
Mi fermo con le mani sui fianchi, guardandolo scocciata.
«Dammi il libro, o questa me la paghi.»
Lui alza un sopracciglio e sorride serafico.
«E com’è che me la faresti pagare, sentiamo?»
Inclino la testa di lato, facendo un mezzo sorriso.
«Non vuoi davvero saperlo..!»
Lui continua a tenere il libro in alto e, con la mano libera, fa un cenno come per dire di accomodarmi.
«L’hai voluto tu!»
Mi avvicino di un passo, alzo la testa e gli mordo il braccio. Lui lancia un urlo e il mio libro cade per terra. Scoppio a ridere, mentre mi chino per prenderlo, ma lui mi afferra per la vita e, senza rendermene conto, mi ritrovo sulle sue spalle. Adesso è lui che ride. Si avvia verso il mare e capisco cosa vuole fare. Comincio a tirargli pugni sulla schiena, ma lui non si ferma né mi presta attenzione. Noto che si leva le scarpe e, un secondo dopo, mi ritrovo in acqua. Mi rimetto in piedi, togliendomi i capelli dalla faccia. Faccio in tempo a riprendere fiato, che Alex mi spinge di nuovo in acqua. Inizio a schizzare con i piedi e poi sono io che lo spingo in acqua. La sua faccia, quando si rimette in piedi, è talmente buffa che non riesco a trattenermi dal ridere e quindi mi ritrovo in acqua. Quando riemergo, lui è girato di spalle e corre verso la spiaggia. Lo rincorro, gli salto sulle spalle e gli copro gli occhi con le mani. Inizia a dimenarsi, tanto che alla fine ci ritroviamo entrambi in acqua. Ridiamo talmente tanto che sento le fitte alla pancia.
Arriva anche Cochise che, dato che riesce ancora a toccare in acqua, comincia a schizzarci, scrollandosi ogni tre per due.
«Cochise, basta! Smettila!»
«Ila! Alex!» la voce di Jaden arriva lontana alle mie orecchie, ma appena capisco che è la sua, mi volto verso la spiaggia e gli faccio cenno con la mano che l’ho sentito.
Mi fa segno di avvicinarmi e così esco dall’acqua, ancora ridendo.
«E’ arrivato, Ila!» il ragazzino saltella, felice come una pasqua. «E’ arrivato! Josh è qui!»
Sento il cuore perdere un battito dalla felicità. Richiamo Cochise con un fischio, e poi mi metto a correre verso l’albergo, seguendo Jaden, che mi fa strada.
Quando vedo il cappellino rosso non ho bisogno di aspettare di avvicinarmi per sapere che posso smettere di sentire la mancanza del ragazzo che amo. Mi metto a camminare per riprendere fiato. Lui non si è accorto di me, visto che sta parlando con l’autista della macchina che l’ha portato dall’aeroporto all’albergo. Indossa una maglietta bianca stretta e dei bermuda rossi come il cappellino. Ha una borsa a spalla e si sta mettendo gli occhiali da sole al naso. Cochise gli salta addosso, cercando di leccargli la faccia e scodinzolando come un pazzo dalla felicità. Senza farmi vedere lo raggiungo e lo abbraccio da dietro.
«Benvenuto alle Hawaii, signor Hutcherson!»
Sono talmente felice che mi ero perfino dimenticata di avere i vestiti completamente fradici, dopo che Alex mi aveva buttata in mare ancora munita di pantaloncini, canottiera e scarpe. Solo adesso mi rendo conto che ho i capelli fradici e sto letteralmente gocciolando. Lui, infatti, sobbalza sorpreso. Si leva gli occhiali, e mi guarda i vestiti.
«I tuoi vestiti..?»
La sua voce va scemando e il suo sguardo si perde in un punto imprecisato dietro di me. Sto ancora sorridendo come un’ebete dalla felicità che provo nel riabbracciarlo, quando mi giro e vedo che Alex sta venendo verso di noi, anche lui fradicio dalla testa ai piedi. Josh lo squadra e poi torna a squadrare i miei vestiti. Qualcosa si spegne nel suo sguardo, anche se non capisco bene cosa.
«Josh?» gli chiedo, incuriosita dalla sua faccia priva di espressione.
Lui scuote la testa e mi sorride.
«Come mai i vostri vestiti sono bagnati?» mi attira a se, senza preoccuparsi di bagnarsi.
Lo abbraccio stretto, gli rubo gli occhiali da sole e me li infilo.
«Alex mi ha rubato il libro mentre studiavo.» afferro il suo trolley senza mollare l’abbraccio. «Io gli ho morso il braccio e lui mi ha buttata a mare.»
Josh lancia un’occhiata dietro di se, al ragazzo interpellato. Poi si gira e continua a camminare.
«E tu hai fatto lo stesso..!»
Annuisco, ma non ho voglia di parlare di come sono finita in acqua. Adesso lui è qui e non ho intenzione di sprecare un attimo del nostro tempo a parlare di Alex Pettyfer.
Gli poso un bacio sulla spalla.
«Mi sei mancato tantissimo!»
«Anche tu!»
Il suo sorriso è un po’ forzato, e immagino che sia stanchissimo dopo il viaggio, ma adesso sono troppo felice per prestarci attenzione.
 

 
 

SPAZIO AUTRICE.

 

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Allora.. che dire..!

Riesco già a vedere i vostri commenti, perciò dovrei preoccuparmi in anticipo.. ma la verità è che mi diverto solo al pensiero che leggerò le vostre recensioni tutte infuriate! XD
 
Lo so a cosa state pensando. E non posso fare a meno di.. AHAHAHAH!
Scusatemi.. AHAHAHA!
Non dovrei ridere, ma.. AHAHAHA!
 
Ok, la smetto! u.u
 
Beh, non ho niente da dirvi, a parte la precisazione a inizio capitolo, che era IMPORTANTE!
E poi vorrei aggiungere che vi voglio davvero tanto bene! *Ila, sei una leccaculo!*
No, sono sincera, davvero. *Certo. Guarda che cresce il naso..!*
Ehi, io non dico le bugie alle mie lettrici. *Nono, questo mai. Se solo sapessero..!*
Shhhh, non spoilerare! *ok, capo!*
 
Sì, beh, questa conversazione con la mia vocina interire me la potevo evitare. e.e
 
Adesso vi lascio, e spero che ci sarete ancora per il prossimo capitolo! :3
Con tanto amore, Ila.   

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Capitolo 23
*** Jealous guy - part 1. ***


Jealous guy - part 1.

I was feeling insecure,
You might not love me anymore.
I was shivering inside.
I was shivering inside.
John Lennon – Jealous guy.

 

 
 

Non so se essere nervosa o entusiasta. Forse, guardando il tic nervoso di Josh, che muove velocemente la gamba su e giù facendo tremare la sedia su cui è seduto, dovrei optare per l’opzione “nervosismo”, ma l’incredibile realtà dei fatti è che sono davvero entusiasta.
Anche se credo che la parola “entusiasta” non sia quella corretta.
Insomma, non sono entusiasta di baciare Alex Pettyfer davanti al mio ragazzo che sta dando di matto. Anzi, non sarei entusiasta di baciare Alex Pettyfer in qualunque caso. Ma, non so perché, sono qui che fremo dalla voglia di iniziare a girare. Non mi sono mai sentita così pronta per una scena come lo sono in questo momento.
«Josh, non sei obbligato a restare.»
Gli metto una mano sulla gamba che continua a muovere ossessivamente, cercando di calmarlo. Okay che sono tranquilla, ma se continua così potrebbe passarmi il suo nervosismo.
«No, tranquilla. E’ tutto apposto.» il sorriso che cerca di fare non ricorda nemmeno lontanamente un sorriso. «Insomma, è solo un bacio, no?»
I suoi tentativi di auto convincersi di non essere geloso sono talmente pessimi che mi fa quasi tenerezza. Anche se proprio non capisco perché sia così geloso. Da quando è arrivato, tutte le volte che in un discorso esce il nome di Alex, irrigidisce le spalle e abbassa lo sguardo. Un giorno aveva cercato di parlarne, ma avevo chiuso l’argomento con un «Siamo solo amici, Josh.» secco.
«La maggior parte delle mie ex-ragazze erano attrici.» credo che non abbia mai recitato così male in vita sua. «E un sacco di volte hanno dovuto girare una scena di… beh, una scena come la tua. Non sei la prima!»
Lo guardo e alzo un sopracciglio, scettica. Non perché non creda alle sue parole, ma per fargli capire che i suoi tentativi stanno davvero degenerando nel ridicolo.
«Non mi guardare così! Non sono geloso.» si passa una mano tra i capelli, il gesto che fa sempre quando è insicuro. «Non adesso… voglio dire, non per questo bacio…»
Incrocio le braccia al petto e inclino la testa di lato.
«Nel senso, sono geloso di te…»
Alzo entrambe le sopracciglia, in un’espressione ancora più scettica.
«Sono geloso, ma perché ti amo… E’ normale!»
Annuisco sarcasticamente.
«Smettila! E’ tutto apposto. Io non sono geloso di questo bacio. Io…»
Faccio per fermarlo, ma grazie al cielo arriva Brad a interrompe la sua tirata che porta avanti da quando ci hanno confermato la data della scena del bacio.
«Sei pronta, Ila?» sorride tutto contento.
Non ci sono molti problemi. Le riprese procedono spedite. Siamo perfettamente al passo con la tabella di marcia e, in base a certi calcoli che hanno fatto ai “piani alti”, tutta la gente che si occupa dei costi di produzione e cose varie, sembra che non sforeremo nel budget.
«Mai stata così pronta!» errore!
La gamba di Josh riprende a muoversi più ossessivamente di prima.
«Bene! Perché tutto lo staff sarà presente!» ed ecco scoperto il motivo di tutta questa felicità.
Credo di essere sbiancata all’improvviso, perché una truccatrice che passava davanti a noi per caso, mi raggiunge di corsa e si mette a sistemarmi il trucco per darmi più colore.
Brad la manda via con un’occhiataccia. Non aspetta nemmeno che io risponda o faccia un sorriso o qualunque altra cosa.
«Sarà fantastico!» se ne va via fischiettando.
Beh, non avrei mai creduto di poter vivere abbastanza a lungo per vedere Bad Peyton camminare fischiettando.
Ma ora il problema è un altro: tutto lo staff sarà presente a una mia scena! Tutto!
Lo so perché lo fanno. Visto che ormai si divertono a vedere i miei errori mentre giriamo o anche solo mentre sono sul set, (c’è stata una volta in cui, mentre mi aggiravo per il set con un bastone in mano, puntandolo contro Jaden, con cui stavo simulando una battaglia tra Jedi di Star Wars, l’avevo dato in testa a un cameraman) non vedono l’ora di vedermi commettere qualche strano errore in una delle scene più difficili da girare.
Mi guardo attorno, solo per capire se quello che ha detto Brad è vero oppure no. E’ un colpo al cuore accorgersi che aveva ragione. Sono presenti davvero tutti!
Sbuffo, ma non faccio in tempo ad andare nel pallone che mi viene detto di andarmi a posizionare davanti alle telecamere.
Faccio un respiro profondo e mi avvio verso Alex, che sta saltellando sul posto. Lo fa tutte le volte che deve girare. E io lo prendo sempre in giro per questo.
«Oh, andiamo Pettyfer, non devi andare a correre una maratona!»
«Peggio, devo baciare te!» scoppia a ridere mentre gli faccio la linguaccia, e poi si leva la maglietta, come gli suggerisce Brad.
Mi viene un flash, mentre il mio collega pronuncia quella frase. Guardo Josh e vedo che sta guardando fin troppo intensamente la sabbia sotto i suoi piedi. Scuoto la testa e torno da lui.
«Tu.» gli prendo il viso tra le mani e lo costringo ad alzarlo per essere sicura che lui mi guardi negli occhi. «Tu sei l’unica persona che io voglia e vorrò sempre baciare.»
Poi mi abbasso e poso le labbra sulle sue per un leggero bacio. Quando mi stacco, lui sorride e, questa volta, il sorriso gli contagia anche gli occhi.
Quando Alex mi chiama, lo raggiungo di corsa, pronta a girare. Solo quando siamo tutti in posizione mi volto nella direzione di Josh, giusto in tempo per scoprire che se n’è andato.
 
Dai “piani alti” arriva l’annuncio che la seconda settimana di settembre sarò autorizzata a tornare a Los Angeles per dare gli esami. Tempo di dare l’ultimo e poi dovrò prendere un aereo e partire per il Canada, per un altro mese di lavoro.
Continuo a fare le stesse cose che facevo prima, solo che adesso, oltre ad avere Cochise che mi segue ovunque, ho anche Josh. Sta sempre con me, a parte quando deve recitare. E’ bello averlo sempre in torno, anche se diminuiscono le lezioni di italiano con Robin, i giochi da bambini di tre anni con Jaden, e le risate senza senso con Alex.
La cosa positiva è che, almeno mentre sto studiando, nessuno mi interrompe.
Anche se, come tutte le volte, la presenza di Josh mentre studio, mi distrae.
«Se mai mi dovessi sposare…» lui interrompe il silenzio, facendomi trasalire. «Voglio che sia al tramonto, su una spiaggia deserta.»
Sento un brivido salirmi su per la schiena. Sposarsi. Un altro brivido. Sono sempre stata dell’idea che i matrimoni rovinino il rapporto di coppia. Sono sempre stata decisa a non sposarmi mai. Infatti, per non rispondere alla sua affermazione, cambio discorso.
«Perché te ne sei andato, prima?»
Lui alza le spalle, continuando a scrutare il mare.
«Non avevo voglia. Sai…»
La luce del tramonto forma delle ombre sul suo viso che lo rendono ancora più bello del solito. I suoi occhi sembrano più scuri e i suo capelli assumono riflessi castano-rossi.
«E’ inutile.» mi giro completamente verso di lui. «Essere geloso, intendo.»
Anche lui si gira interamente verso di me, e fissa i suoi occhi nei miei.
«E’ il modo in cui ti guarda.» mi prende le mani tra le sue, senza interrompere il contatto visivo. «Non come se fosse follemente innamorato, è ovvio. Semplicemente… si vede che gli piace passare il tempo a ridere e scherzare con te e… non mi piace. Non mi piace, perché non prevedo il futuro e non so come andrà a finire, e ho troppi “e se..?” che mi riempiono la testa. E non mi piace perché lui è alto e pieno di pettorali e ha quei capelli biondi…»
Non riesco a trattenermi, e gli scoppio a ridere in faccia.
Si preoccupa che io cada nel vortice dell’attrazione verso i biondi alti e muscolosi. Lui non si rende davvero conto di tutto quello che mi provoca ogni volta che si avvicina! Non si rende conto che sento lo stomaco contorcersi ogni volta che mi sussurra “ti amo”. Che arrossisco tutte le volte che si parla di lui. Che il cuore mi batte ancora forte quando mi accorgo che mi guarda. Che ancora non mi sono abituata a tutto questo. A lui.
«Sai, io stavo cercando di fare un discorso serio!» si imbroncia teneramente.
«Scusa!» cerco di smettere di ridere. «Ma se ti preoccupa il fatto che sia biondo… beh, a me piacciono i mori. E, se vuoi saperlo, non hai nulla da invidiargli in fatto di pettorali.»
Lui fa una smorfia scettica.
«Josh, ti fidi di me?» torno seria.
«Sì. Certo che mi fido di te! E’ di lui che non…»
«Non c’è bisogno che ti fidi di lui. C’è bisogno che ti fidi di me. E ti sto dicendo che non ti devi preoccupare, perché io voglio solo te.»
Si perde per un attimo a guardare il mare poi, improvvisamente, con un braccio mi avvinghia la vita e mi stringe a se. Sorrido, poggiandogli le mani sulle guance e sentendo la barbetta di fine giornata che tanto adoro, pungere un po’ al tatto.
«E come la mettiamo sul fatto dell’altezza..?»
Mi bacia, e il suo sorriso contagia di nuovo gli occhi.
«Beh, per quella mi dovrò accontentare!»
 
Intanto, ai margini della “foresta di Bob” (io e Robin l’abbiamo soprannominata così dopo l’ennesimo racconto fantasioso dell’uomo) viene allestito un angolo in cui vengono fatte le interviste che verranno poi utilizzate nei video promozionali, nei Dvd o nei Blue-Ray, o magari verranno infilate nel video finale che verrà proiettato l’ultimo giorno di riprese. Un gruppo di persone costruisce un rialzo in legno, su cui vengono posizionate due sedie, una di fronte all’altra, e delle telecamere in modo che riprendano le persone intervistate con il mare sullo sfondo. L’intervistatrice è una donna sulla quarantina decisamente aggiornata sul gossip.
Beh, in fondo è il suo lavoro..!
«E’ la tua prima intervista?» gli occhi di Alex sono puntati sulle mie mani che si contorcono nervosamente, mentre mi accompagna a fare l’intervista.
Ci hanno chiamati assieme, subito dopo Robin.
«No.» la mia voce si spezza dal nervosismo. «Ci sono state quelle durante la promozione della linea di abbigliamento di Jimmy.»
«Perché così nervosa, allora?»
«Perché senza un copione da recitare, non so cosa dire davanti alle telecamere.» sbuffo, cercando di riprendere il controllo di me.
Lui ride, dandomi una leggera spallata.
«E’ il problema di tutti gli attori, tranquilla.»
Lo guardo alzando un sopracciglio, perché proprio non mi sembra il tipo di attore che ha problemi a fare le interviste.
«La mia prima vera intervista è stata traumatica.» sorride, divertito dal ricordo. «Non sapevo cosa dire o cosa fare, e c’era una sacco di gente in studio. Mi sentivo le mani sudate e mi sembrava che comunque mi muovessi, avessi sempre un arto fuori posto.»
Scoppio a ridere al pensiero di Alex, sempre così sicuro di se, che si muove nervosamente sulla sedia.
«Sai, non ti facevo il tipo che va in ansia da intervista.» gli tiro un leggero pugno in pancia.
«Beh, la vita è una sorpresa!»
«E questo cosa diavolo dovrebbe centrare?!»
Ridiamo, e riusciamo a smettere soltanto quando ci troviamo davanti all’intervistatrice. Attaccato alla maglia ha un cartellino con scritto il suo nome. Anne.
Ci fa accomodare sulle due sedie davanti alla sua. Noto che Alex comincia a passarsi le mani sui pantaloni a mezza gamba che indossa, e capisco che prima non stava scherzando. Io smetto di contorcermi le mani, perché se mi faccio prendere dal nervosismo pure io è finita!
«Ok, siete pronti?» annuiamo nello stesso momento. «Bene, fate partire le telecamere.»
Riconosco qualcuno dello staff di Sam, che mi sorride.
«Partiamo con te, Ilaria?» l’intervistatrice da uno sguardo ai suoi appunti, poi mi sorride. «Hai voglia?»
Annuisco senza pensarci.
«Ok!» comincia a parlare, iniziando a gesticolare con le mani. «Questa è la prima volta che lavori con un regista che si occupa di cinema. Come ti sembra? Ti piace?»
Ci penso un attimo, mentre cerco di formulare una risposta seria alla sua domanda. Il problema è che, se si parla di Brad, non posso far altro che prenderlo in giro.
«Beh, se tutti i registi sono come lui…» immagino già la sua faccia, quando verrà a conoscenza di questa mia risposta. «Credo che smetterò di fare l’attrice.»
Anne rimane sconvolta per un secondo, poi si accorge della risatina di Alex.
«Come mai?»
«Hai mai lavorato con una donna in pieno ciclo mestruale?» lei non sembra capire. «Intendo: non una di quelle donne che sono solo leggermente spossate e hanno bisogno di stare a letto. No. Lui appartiene a quel genere di donne che, durante il ciclo mestruale, diventano isteriche e scoppiano per ogni minima cosa.» poi mi rivolgo alla telecamera e mando un bacio. «Ma ti amo lo stesso, Brad!»
Il mio commento scatena la risata generale, ma Anne riprende in mano la situazione e si rivolge ad Alex, credo sperando che con lui si possano evitare certi paragoni.
«Ok, Alex, vuoi parlarci del tuo personaggio?»
Le prime domande riguardano i personaggi che interpretiamo, e allora capisco perché ci hanno chiamati assieme. Dopotutto, nel film siamo fidanzati. Alex non riesce a tenere le mani ferme per un secondo. Prima le passa sui pantaloni, poi si gratta un braccio, si riavvia i capelli, accavalla le gambe sistemandosi le scarpe da ginnastica. Sono movimenti che, presi singolarmente danno abbastanza fastidio, ma lui li fa talmente con naturalezza - non sembra nervoso - che non li si nota nemmeno.
Quando viene nuovamente il mio turno di parlare, mi accorgo di non aver bisogno di un copione per parlare di Amy, perché è come parlare di me stessa.
«E’ testarda.» mi metto comoda sulla sedia, sentendo le telecamere puntate addosso, ma guardando solo Anne. «Insomma, è una di quelle persone che sono talmente testarde che ti verrebbe da prenderle a testate.»
«Chissà come mai mi ricorda qualcuno..!» Alex mi interrompe.
«Si, beh, siamo molto simili…»
«”Molto” è decisamente riduttivo.»
«Pettyfer, stai disturbando la mia intervista.»
Gli do un pugno sulla spalla e poi torno a guardare Anne che credo sia leggermente seccata dalla nostra poca serietà.
«Dicevo…» torno a parlare di Amy.
Racconto di come siamo simili e di come non lo siamo. Le parlo di quello che succede al mio personaggio nel film, di come cresce e di come, interpretarlo, stia facendo crescere anche me. Poi, Anne passa a un’altra domanda.
«Qualche giorno fa avete girato la scena del bacio. Com’è stato?»
Io e Alex ci guardiamo e poi lui parla per primo.
«Beh, il risultato finale è buono.»
«Solo il risultato finale!» rido al ricordo.
Anne non poteva far altro lavoro che la giornalista, con le sue domande ovvie. «Come mai?»
«Sì, beh, diciamo che non riuscivamo a smettere di ridere.»
«LEI non riusciva a smettere di ridere!»
«Certo, tu mi facevi le smorfie!»
«Io non faccio smorfie. Questa è la mia faccia, e tu ridevi della mia faccia!»
«Mi faceva le smorfie.» mi rivolgo alla telecamera, prima di tornare al battibecco con Alex.
«Adesso sono offeso.»
«Povero, lui!»
«Certo, mi offendi e ridi delle mie espressioni!» mette su un musetto da cucciolo che mi fa ancora più ridere.
Continuiamo così, e ogni volta che riusciamo a rispondere seriamente a una domanda, poi seguono risate o battibecchi. Credo che in dieci minuti di intervista, assieme ad Alex, abbiamo prodotto più materiale da buttare di quello che avrebbero prodotto persone normali in due mesi di lavoro.
Quando ci lasciano andare, ci avviamo vero il set assieme.
«Non ero nervoso!» sorride facendo qualche passo più lungo dei miei, iniziando a camminarmi davanti, all’indietro. «Non ero per niente nervoso, ci credi?»
Annuisco, sorridendo felice per lui.
Almeno finché, spinto da non so cosa, mi abbraccia.
Mi stringe forte per un attimo. Sento il mio corpo irrigidirsi, anche se ricambio l’abbraccio. Quando si stacca, mi sorride e riprende a camminare come se non fosse successo niente.
Nella mia testa c’è appena stato un cortocircuito.
Il primo istinto è quello di guardarmi attorno, come a volermi assicurare che Josh non ci abbia visti. Dio solo sa cosa dovrei fare per convincerlo che non c’è niente! Perché davvero non c’è niente! Io, almeno, non sento niente. Il fatto che mi abbia abbracciata è solo segno di gratitudine. Perché, grazie a me, è riuscito a non sentire il nervosismo che lo divorava dentro. Il suo continuare a camminare tranquillamente ne è la prova.
E’ la prova che siamo solo amici.
Comunque, non appena raggiungiamo il resto del cast, la prima cosa che faccio è tuffarmi tra le braccia di Josh.
 
Qualche giorno prima della mia partenza per Los Angeles, finalmente, io e Josh giriamo una delle poche scene che abbiamo da soli. C’è un momento, nel film, in cui Amy e Sean, mentre tutto il resto del gruppo dorme, si ritrovano a parlare guardando le stelle, mentre il ragazzo mostra le costellazioni alla giovane. E’ una scena interessante, perché mi ricorda tanto la nostra serata sul tetto dell’albergo a New York.
Guardo i ragazzi che montano le luci, mentre lascio lavorare tranquillamente i miei truccatori. Poco più avanti, Brad, nascondendosi dietro un dei tanti ragazzi che stanno lavorando, cerca di mandare via Cochise, che gli abbaia scodinzolando felice.
Adora dare fastidio al regista.
Sorrido e, con un fischio, richiamo il mio “cane demoniaco”. Mi raggiunge trotterellando, al buio, con il suo manto nero, si noterebbe poco, ma il set è illuminato a giorno, quindi non ci sono problemi.
«Ripeto.» Brad mi raggiunge a passo di marcia. «Questo cane mi infastidisce. Se non lo riporti in albergo…»
«Io prima taglio la testa a lui e poi a te!» lo scimmiotto divertita.
«E poi ti butto fuori dal cast!» borbotta, guardando male Cochise.
«Oh, beh, questo sì che è problema, dal momento che sarò morta!»
Alza gli occhi al cielo. «Portalo in albergo. Adesso.»
Indico i ragazzi che stanno lavorando sul mio viso.
«Come vedi, non posso muovermi.» gli sorrido innocentemente, e sono sicura che mi manderebbe volentieri a stendere.
Fortunatamente arriva Josh a salvarmi, già pronto per girare.
«Posso portarlo io all’albergo.» sorride, accarezzando la testa del nostro cagnone.
«No.» Brad gli lancia un’occhiataccia. «Tu devi girare. Non vai da nessuna parte.»
«E io per cosa mi starei truccando?» ribatto imbronciata. «Per sport? Anche io devo girare.»
«Ma è colpa tua se questo cane infernale è sempre in giro!» il regista mi lancia un’occhiataccia. «Trova, anzi no, travate un modo di tenere questo coso lontano da me! E voi…» sbraita poi ai miei truccatori. «Muovetevi, non ho tutta la notte.»
«Gli sono arrivate.» borbotto a mezza voce per farmi sentire dal regista che, senza voltarsi, mi manda a stendere alzando il dito medio, e provocando le risate generali.
Poi alzo gli occhi, per intercettare Josh, che mi guarda in attesa.
«Beh, non guardarmi così!» alzo le mani, sfiorando un truccatore, che mi guarda di sottecchi, intimandomi silenziosamente di stare ferma. «Dov’è Bob?»
Lui si guarda attorno.
«Sta parlando con Sam…»
«No! Non disturbarlo.» lo fermo prima che apra la bocca. «Ho scoccato la freccia di Cupido su quei due.»
Mi guarda senza capire.
«Lascia perdere. Jaden?»
«Sono le undici, Ila. Starà dormendo..!»
«Robin?»
«Non lo vedo.»
«Alex?» pronunciare il suo nome mi viene spontaneo.
Solo dopo averlo detto mi accorgo di aver fatto un sbaglio. Un enorme sbaglio.
Le sue spalle si irrigidiscono all’istante, e abbassa lo sguardo sulla sabbia. Prima che io possa correggere il mio sbaglio, però, Alex si avvicina.
«Mi hai chiamato?» arriva sorridendo.
Vorrei davvero chiedergli di portare Cochise all’albergo, perché davvero Brad non mi lascerebbe più vivere, ma la durezza con cui gli occhi di Josh sono puntati su di me fa in modo che io desista. Continuo a dire che siamo solo amici, ma non credo che giocare con la gelosia sia una buona cosa. E poi, dopo l’abbraccio sulla spiaggia, sto cercando di mantenere le distanze, anche se è difficile, dal momento che con Alex mi diverto davvero tanto. Il problema è che mi sento soffocare. Mi sento soffocare, perché con questa gente ho instaurato dei bei rapporti e, il fatto di sapere che il mio ragazzo è geloso, mi fa sentire a disagio. A disagio, perché lui potrebbe essere lì a irrigidire le spalle e guardare atterra. A disagio, perché il suo sguardo potrebbe cercare di farmi capire quello che prova, mentre io potrei non rendermene conto. Non voglio pensare di non riuscire a rendermi conto di come si sente. Di come cerca di avvertirmi. E di come, mentre io non capisco, qualcosa potrebbe spezzarsi dentro di lui.
«No.» rispondo, contro voglia. «No, tranquillo.»
Finalmente mi libero dei miei truccatori, quindi mi alzo, prendo Josh per mano e mi allontano da Alex il più possibile. Intravedo un luccichio provocato dalla vittoria, in quegli occhi che tanto amo, mentre la sua mano si stringe più forte alla mia.  So che ho fatto bene, ma non riesco a fare a meno che una crepa si apra dentro di me.
Lego Cochise a un albero e poi sono pronta per girare.
 
«Quanto starai via?» Jaden scioglie l’abbraccio in cui l’avevo catturato.
Sto per partire e, è vero che starò via per pochi giorni, ma mi sento male al pensiero di perdermi anche solo un attimo con queste persone.
Mi chiedo cosa succederà quando saranno finite le riprese. Chissà se mi metterò a piangere?
«Solo pochi giorni.» mi rimetto in piedi e gli scompiglio i capelli.
«Buona fortuna per i tuoi esami, allora.» il ragazzino si mette in punta di piedi e mi da un leggero bacio sulla guancia.
Poi si allontana di corsa, raggiungendo sua madre, che mi saluta con la mano.
L’autista dell’auto che mi porterà fino all’aeroporto mi aiuta a sistemare le mie cose nel baule. Gli vorrei dire che riesco a farcela da sola, ma non sarebbe il primo che mi minaccia perché vuole fare lui. Un giorno sul set avevo reso tutti partecipi del fatto stavo morendo dissetata e mi ero avviata al frigo portatile che teniamo sempre sotto mano. Nemmeno il tempo di fare due passi che una ragazza mi aveva messo in mano una bottiglietta piena. Mia mamma, per non parlare di Connor, mi avrebbero volontariamente ignorata. Qui, invece, mi stanno viziando come una regina. Mi sento una nullafacente.
Lascio fare l’autista e mi appoggio alla fiancata della macchina, aspettando Josh, che mi raggiunge proprio in quel momento dalla spiaggia, seguito da Cochise. Adesso è il suo turno di restare da solo con il “cane demoniaco”. Il bestione nero mi corre in contro, saltandomi addosso per cercare di leccarmi la faccia. Ma ormai ho imparato i suoi trucchi e glielo impedisco facilmente. Lo allontano e lascio che le braccia di Josh mi stringano forte a lui.
«Devi proprio dare questi esami?» il suo sussurro a pochi centimetri dalle mie labbra mi provoca una scarica di brividi.
In realtà, ho davvero preso in considerazione l’idea di non dare questi esami. Di rimanere qui col mio ragazzo e con questa gente, perché non vorrei stare lontana da questo posto nemmeno per un istante. Ma non riesco a togliermi dalla testa l’idea che questi pochi giorni a Los Angeles non possano che farmi bene.
Oltre al fatto che mi sento soffocare sempre di più, da ieri sera non riesco a fare a meno di pensare che, più che fare bene a me, questi giorni, faranno bene sia a me che a Josh.
Lui, senza la mia presenza, potrebbe riuscire a conosce Alex e capire che la sua gelosia è infondata. E io, potrei cercare di riparare quella piccola crepa di cui sento sempre di più la presenza invadente.
«Devo proprio.»
Lo bacio, prima che possa provocarmi un’altra scarica di brividi con i suoi bisbigli a fior di labbra. Da quando ha capito che mi fanno un certo effetto, non fa altro che giocare col mio autocontrollo. Quando mi stacco, noto che dietro di lui ci sono Robin e Brad, che aspettano pazientemente la fine delle nostre smancerie.
«Hei, Brad, con chi te la prederai per qualunque cosa adesso?» lo prendo in giro sorridendo, senza sciogliere del tutto l’abbraccio di Josh.
«Sono solo pochi gironi, posso resistere.» mi stringe la mano e poi si allontana.
«Buona fortuna! E…» Robin si avvicina, guardandomi con un’aria furba. «Falli neri quegli insegnanti saputelli.»
Alzo gli occhi al cielo e scoppio a ridere. Poi l’autista mi chiama, dicendo che siamo in ritardo. Lascio un bacio sulla guancia di Josh ed entro in macchina. Quando, però, ci muoviamo, vedo Alex in lontananza che parla con un ragazzo dello staff. Abbasso il finestrino e mi metto a gridare, per farmi sentire.
«Pettyfer, non fare interviste stupide in mia assenza!»
Ci mette un po’ a capire che sono io a gridare ma, quando realizza, sorride e fa un cenno con la mano, come a dire “ok, capo!”.
 
Connor ha ripescato da chissà dove il mio personale cartello di benvenuto.  
ROMPISCATOLE.
Il problema è che sono troppo felice di vederlo per fare la scocciata.
«Stai sorridendo!» guarda il mio sorriso come se fosse Dio sceso in terra. «Chi sei tu?! Cosa ne hai fatto della I che conoscevo?!»
Ma il suo tono melodrammatico non funziona, dal momento che allarga le braccia e  mi stringe forte prima che il mio umore possa mutare.
«Chi sono io?!» sono scioccata da tutto questo affetto. «Chi sei tu! Mi ha appena abbracciata, Connor!»
«Vedi di non farci l’abitudine.» si stringe nelle spalle e alza il cartello, mettendomelo davanti agli occhi. «Il fatto che ti abbia abbracciata non cambia il tuo status sociale.»
«Status sociale?»
«Non mi contraddire, I, o ti lascio qua.»
Scuoto la testa, divertita. Poi ripeto lo stesso gesto che, la prima volta che avevo visto quel cartello, mi era venuto spontaneo. Tiro un pugno alla spalla di Connor.
«E’ bello sapere che le buone azioni sono sempre molto apprezzate.» e lui la stessa frase di quel giorno che sembra così lontano.
«Che ti aspettavi?» come quella volta, con un gesto della mano gli faccio cadere il cartello dalle mani.
Lui si china a raccoglierlo. «Ok, smettila. Mi sembra un déjà-vu, e quelli mi fanno sentire stupido.»
Lo guardo con un mezzo sorriso. «Tu sei stupido, Connor. Non è colpa dei déjà-vu.»
«Molto simpatica.» mi prende il trolley e si avvia verso il parcheggio. «Davvero molto simpatica.»
Inutile dire che scendere viva dalla macchina parcheggiata sul vialetto è sempre un sollievo.
Entrata in casa mi sembra di essere nel capannone di Jimmy. Vestiti da donna e da uomo sparsi ovunque. Il salone è letteralmente invaso. Ovunque ci sono accessori, scarpe, trucchi, smalti, perfino capelli finti. Mi guardo attorno, muovendo solo gli occhi, mentre il resto del corpo è immobile nell’ingresso.
In questo posto manca solo Jimmy in carne e ossa…
«ILAAAAA!» un urlo che trapana il mio cervello mi annuncia che anche quello che pensavo mancasse, in realtà è presente.
Due braccia mi stritolano in un abbraccio trita-ossa.
«Jimmy..!» gli do qualche pacca sulla schiena, mentre da dietro Connor mi mormora un “mi dispiace.” «Che ci fai qui?»
Lui si scioglie dall’abbraccio solo per lanciarmi un’occhiataccia.
«Come che ci faccio qui?» si volta verso il ragazzo dietro di lui. «Non le hai detto niente?! E’ la notizia dell’anno! Come hai potuto non dirgliela?!»
Connor fa per aprire la bocca, ma poi ci ripensa. Alza le mani in segno di resa e si avvia verso il divano in salotto, solo per scoprire che pure quello è invaso da tutta la roba dello stilista. Se conosco Jimmy, è stato lui a dirgli di non dire niente.
«Sei pronta per la notizia che ti cambierà la vita?» trema e si porta le mani al cuore.
Ho paura che da un momento all’altro si possa fare la pipì addosso. Non so perché, ma mi ricorda lontanamente un Chihuahua.
«Beh…»
«Sì, lo so, non stai più nella pelle!»
Credo che la mia faccia esprima bene il fatto che sono seriamente preoccupata per quello che mi deve dire ma, ovviamente, lui vede solo quello che vuole vedere.
Mi prende le mani tra le sue e sorride.
«Mi sposo.»
Ci metto un po’ ad assimilare la notizia. Jimmy. Si. Sposa.
«Oh mio Dio!» gli getto le braccia al collo. «Oh mio Dio è fantastico! Sono così contenta!»
I matrimoni degli altri mi provocano sempre questo effetto. E Jimmy sembra approvare.
«Come si chiama?»
«Simòn. Devi pronunciarlo alla francese.»
«Com’è?»
«Ha degli occhi azzurri che..! E dei capelli neri! E la sua bocca..! E... Dio, lo amo!»
«Quando vi sposate?»
«Il 14 febbraio.»
«Oh mio Dio, è così romantico!»
Lui saltella e io sono così felice che non penso nemmeno al fatto che ho sempre affermato che sposarsi il 14 febbraio fosse una cosa da diabete.
Connor ci guarda dal salone, scioccato. Posso immaginare come mi prenderà in giro nei prossimi giorni ma, sinceramente, sono troppo felice perfino per questo. Jimmy si sposa!
E’ davvero la notizia più bella del mondo!
Se Mary fosse qui direbbe: “Dio, Ila, nemmeno ti sposassi tu!”. Ma non posso farci niente. Mi sento anche io un Chihuahua!
«E tutta questa roba è qui per..?» chiedo, guardandomi attorno.
«Beh, per te è ovvio!» lo dice come se mi avesse appena detto che mi chiamo Ilaria. «Tu mi farai da damigella e Josh da testimone! E Connor farà il damigello.»
Non so da dove abbia tirato fuori la parola “damigello” ma tutto è talmente fantastico che non mi interessa.
Farò da damigella a Jimmy.
Jimmy si sposa.
Non ho mai conosciuto l’uomo con cui si sposerà, ma va bene!
Il mio cellulare mi vibra in tasca, segnando che è arrivato un messaggio. Penso che sia Josh, che sicuramente sa già la notizia e mi chiede che ne penso, invece il nome è un altro.
 

Alex Pettyfer.
«Manca la tua presenza scontrosa sul set.»

 

 
 
 

SPAZIO AUTRICE.

 

Ehilà! Come va la passate? **
 
Io alla grande, anche perché proprio ieri sono stata al concerto dei Green Day! (Awwwwwwww **)  Ma a voi non interessa, vero?
 
Beh, non credo che dire qualcosa a proposito del capitolo mi salverà dalle vostre future minacce.. perciò, per questa volta, ho deciso di fare scena muta (?)
 
Vi ricordo la mia pagina Facebook (MOOOOOOLTO IMPORTANTE :3) - - - > Facebook
 
E vi ricordo anche che vi voglio tanto bene ^^
Un bacione, Ila.  

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Capitolo 24
*** Jealous guy - part 2. ***


Jealous guy – part 2.

I was trying to catch your eyes,
Thought that you was trying to hide.
I was swallowing my pain.
I was swallowing my pain.
John Lennon – Jealous guy.

 
 
 

Il mio arrivo sul set in Canada porta con se un sacco di novità.
«Tu lo sapevi che Jimmy si sposa?»
Non mi preoccupo nemmeno di salutare Josh, entrando nella roulotte che ci hanno assegnato. Fortunatamente, questa volta, si sono risparmiati i costi di due di queste enormi case di lusso su quattro ruote.
«In realtà, lo sapeva ogni persona che si interessa di gossip su questo pianeta.» Con un alzata di spalle si avvicina e mi posa un leggero bacio sulla guancia. «E forse anche quelli a cui non gliene importa nulla. Ma tranquilla!»
Gli lancio un’occhiataccia.
«Tanto voleva essere lui a dirtelo per primo, quindi va bene.» mi sorride. «Ciao anche a te, comunque.»
Alzo gli occhi al cielo e lascio cadere la mia valigia a terra. Poi mi dirigo verso l’enorme divano e mi ci butto a peso morto sopra, talmente stanca che nemmeno Cochise che mi lecca la faccia mi infastidisce più di tanto.
«Come sono andati gli esami?» Josh mi fa posizionare con la testa sulle sue gambe, prendendo ad accarezzarmi i capelli. «Non mi hai chiamato e…»
«Bene. Credo che dovrò studiare più spesso in riva al mare!»
Lo sento ridere.
«Come è andata in questi giorni, a te?»
Spero di sentirgli dire che è diventato amico di Alex, perché in questi giorni ho pensato davvero tanto alla sua gelosia. E, tutte le volte, mi tornava alla mente l’ultima sera alle Hawaii. Quando avevo sentito aprirsi quella piccola crepa.
Ma, evidentemente, mi illudo troppo.
«Beh, non abbiamo fatto molto.» la sua mano smette ti accarezzarmi i capelli. «E, visto che si muore di freddo qui, quando siamo liberi ci barrichiamo nelle roulotte.»
Ovviamente. Che cosa mi aspettavo?
Evito di commentare, cercando qualcosa da dire per cambiare argomento, ma Josh mi anticipa.
«Ho una notizia bella, una brutta e una proposta.» nella sua voce c’è una nota di impazienza. «In che ordine le vuoi sapere?»
Ci penso un attimo.
«Bella, proposta e brutta.»
«Okay.» la sua mano riprende ad accarezzarmi i capelli. «Devo partire da qualche mese fa perché tu possa capire, però.»
Annuisco.
«Prima di conoscerti, pensavo che fosse arrivato il momento di scrivere, produrre e dirigere un film.» le sue continue carezze mentre parla minacciano di farmi addormentare, ma tengo duro. «Avevo alcune idee per la sceneggiatura, ma non riuscivo a collegarle. Mentre ti portavo a casa, la sera in cui ci siamo conosciuti, sono praticamente esplose tutte nello stesso momento. Continuavano a susseguirsi scene nitide nella mia testa e ero nel panico. Tu barcollavi e non riuscivi a reggerti in piedi da sola, e io non avevo niente su cui scrivere.»
Cerco di ripensare a quei momenti da ubriaca ma ancora adesso, a distanza di mesi, non riesco a ricordare assolutamente niente. E’ come se avessi un enorme buco nero nella mia esistenza.
«Ho iniziato a scrivere solo tra una tua vomitata e l’altra.» il commento gli procura un’occhiataccia a cui risponde con un sorriso. «Mi prendevo cura di te e scrivevo una sceneggiatura. Ti guardavo dormire e lasciavo che il tuo viso mi ispirasse il personaggio principale e la sua storia.»
Mi giro a pancia in su, continuando ad appoggiare la testa sulle sue gambe, incuriosita.
«Ti ho ispirato un personaggio?» non riesco ad evitare che un mezzo sorriso compaia sul mio viso.
«Non uno qualunque, quello principale.» sembra leggermente imbarazzato. «Però non mi interrompere, okay? Quando le idee erano diventate troppe e decisamente sconnesse, avevo deciso di chiamare Janet. Mi aveva aiutato contattando due sceneggiatori emergenti che, secondo lei, erano molto promettenti. E, sai, Janet non sbaglia mai. Ogni volta che non ero a casa, era perché ero con loro a scrivere e analizzare idee…»
Mi perdo a pensare a tutte quelle mattine passate con Connor perché lui non c’era per “motivi di lavoro”. Quando mi chiedevo quanto mai riuscisse a lavorare un attore che non era impegnato in nessun film.
«Perché non me l’hai mai detto?»
Lui alza le spalle. «Per scaramanzia. Pensavo che se te l’avessi detto mi sarei lasciato prendere troppo da questo progetto. Insomma, con molta probabilità non avremmo trovato nessun produttore pronto a credere nel nostro progetto, ed ero sicuro che dirtelo mi avrebbe reso troppo sicuro di me stesso.»
Probabilmente ha fatto bene. L’avrei spronato inutilmente facendogli credere che poteva fare tutto. Sono una di quelle persone che non crede per niente in se stessa ma fa di tutto perché gli altri credano in se stessi.
«Così abbiamo completato la sceneggiatura.» Josh riprende il suo discorso dopo una breve pausa. «E’ da giugno che cerchiamo produttori e, e qui viene la bella notizia, Janet è stata contattata da due signori che hanno accettato di mettere i fondi. Vogliono incontrarci!»
Mi alzo a sedere di scatto e lo guardo sorridendo.
«Mio dio, Josh, è fantastico!»
«Già!»
Faccio per abbracciarlo, ma lui non me ne da il tempo. Prende da sopra al tavolino ai nostri piedi un plico di fogli pinzati assieme e me lo mette in mano.
«Questa è la sceneggiatura e…» mi indica di andare alla fine. «Qui c’è la mia proposta.»
I miei occhi si soffermano per un momento sui suoi, che brillano di felicità. Poi abbasso lo sguardo e comincio a leggere. Devo leggere il tutto per due volte per rendermi conto di cosa sto tenendo in mano.
«Un contratto.» bisbiglio a mezza voce, fissando Josh con sorpresa.
«Vuoi essere la mia protagonista?»
I suoi occhi, se possibile, si illuminano ancora di più mentre il suo sorriso si allarga e gli compaiono ai lati della bocca due meravigliose rughette di espressione.
Il suo sorriso contagia anche me.
Nel momento stesso in cui guardo di nuovo il contratto, capisco quello che devo fare. Perché non importa se avevo accantonato il sogno di recitare. Adesso sono in una roulotte su un set e domani tornerò a fare ciò che da tempo non speravo più di poter fare. E sono felice per questo.
Josh mi sta offrendo la possibilità di farlo ancora. Di ritrovarmi ancora davanti alle telecamere. Di immedesimarmi ancora in un personaggio, questa volta che ho ispirato io. Di fare ancora impazzire un regista, che questa volta sarà lui.
E io dovrei rifiutare?
«Hai una penna?»
Lui capisce immediatamente le mie intenzioni.
«Ila, non hai nemmeno letto la sceneggiatura…»
«La leggerò.»
«Ma non sai nemmeno quello che dovrai fare.»
«Lo saprò.»
«Ma…»
Gli poso un dito sulle labbra. «Voglio essere la tua protagonista.» Lui prova ancora a protestare. «Ora dammi una penna.»
Cerca invano di convincermi prima a leggere la sceneggiatura, ma lo zittisco di nuovo.
«Mi piacerà, ne sono sicura.» mi guarda con fare scettico. «Senti, questo personaggio te l’ho ispirato io e, qualunque cosa faccia, lo odierò. Perché odio le persone che mi somigliano. Ma sono sicura che avete scritto una cosa fantastica. E non mi importa se diventerai una copia un po’ più giovane di quello sclerato di Brad Payton.» lui sorride del paragone. «Io voglio davvero essere la protagonista del tuo primo film come regista.»
Josh continua a guardarmi scettico per qualche minuto.
«No.»
Non capisco. «No?»
Lui alza le palle. «No. Voglio che tu prima legga la sceneggiatura.»
Lo guardo negli occhi per un istante e capisco che per lui tutto questo è troppo importante. Vuole davvero essere sicuro che la sceneggiatura mi piaccia prima di offrirmi la parte. Così mi arrendo. Anche se so già che accetterò, lo farò alle sue condizioni.
«La cattiva notizia, invece?»
«Non sarò presente all’ultimo giorno di riprese.»
Spalanco gli occhi. «Cosa? Perché?»
Lui fa una piccola smorfia.
«Davvero, avrei voluto esserci.» si passa una mano tra i capelli. «Janet ha fatto di tutto, ma i produttori non ne hanno voluto sapere di posticipare il nostro incontro. Hanno detto che o si faceva quel giorno, o potevamo andarci a cercare qualcun altro. Abbiamo dovuto accettare.»
Annuisco, un po’ contrariata. Come si può essere così ottusi da non voler posticipare nemmeno di un giorno un incontro?
Sbuffo. «Okay… Però non è giusto.»
Josh sorride, credo intenerito dalla mia smorfia.
«Lo so.» mi accarezza una guancia. «Ma credo che vedere la mia sceneggiatura diventare film sia più importante di un ultimo giorno di riprese…»
«Il mio primo ultimo giorno di riprese.» specifico imbronciata.
Mi prende il viso tra le mani. «Cosa posso fare per essere perdonato?»
Scrollo le spalle, e socchiudo le labbra per dirgli che…
Ma lui mi bacia, e io mi dimentico quello che dovevo dirgli.
«Perdonato?» mi sorride, con un’aria un po’ troppo furba.
Scuoto la testa, allacciandogli le braccia al collo, mentre lui fa scivolare il mio corpo sotto di se sul divano.
«Devi impegnarti di più, Hutcherson.»
«Sono sulla buona strada?»
«Non saprei. Forse…»
Ma lui chiude ogni discussione con un altro bacio.
 
Con l’arrivo di ottobre, si avvicina il compleanno di Josh. E io mi ritrovo a non avere la minima idea su cosa regalargli.
I compleanni sono decisamente il mio incubo peggiore.
Decido, per risolvere il mio problema, poco saggiamente, di chiamare Connor sperando che mi possa aiutare.
«Scordatelo. Questo è un tuo problema.»
Che cosa mi aspettavo? Un “sì, ovvio I, penserò a tutto io. Non devi preoccuparti!”? Non sarebbe Connor.
«Dai, devi solo darmi un’idea!»
«Io non ho mai idee per i regali. E comunque Josh lo capirebbe se ci fosse il mio zampino.»
«Grazie per la tua disponibilità.» sbotto ironicamente.
«E’ sempre un piacere!» posso quasi immaginarmelo mentre sorride tutto goduto di avermi fatta arrabbiare per l’ennesima volta.
Chiedo a Janet, ma è troppo impegnata con il nuovo progetto di Josh e non ha tempo per “cose a cui comunque dovrei pensare io”, come dice lei. Almeno è stata più gentile di Connor. Bisogna apprezzarlo.
Nemmeno Jimmy mi vuole aiutare, e comunque è troppo impegnato con i preparativi per il matrimonio.
«Ila, è il primo compleanno che festeggia con te! Usa un po’ la fantasia, non puoi farti aiutare dagli altri.»
Una cosa strana, però, è che il matrimonio lo sta rendendo una zolletta di zucchero. Jimmy il tenerone. Chi l’avrebbe mai detto?
Così finisco con l’andare in crisi da regalo di compleanno e, mentre cerco di farmi venire delle idee almeno accettabili, chiedo a Bob un parere sulle pasticcerie nei dintorni. Almeno per la torta voglio andare sul sicuro.
«Posso andare io a ordinarla, sorella.»
«No, tranquillo, tanto oggi pomeriggio non devo girare.»
Così il ragazzo si allontana con la sua camminata dondolante.
La pasticceria è abbastanza vicina alla strada che abbiamo invaso con le roulotte, quindi decido di andarci a piedi. Un po’ di movimento, anche con questo freddo, non mi farà sicuramente male. Mi infilo le cuffie nelle orecchie e mi incammino assieme a Cochise, questa volta legato al guinzaglio, sperando che le riprese di Josh durino abbastanza a lungo da non fargli notare la mia assenza.
«Dove stai andando?» una voce conosciuta si fa strada tra le note portate a un volume troppo alto di Bohemian Rhapsody, dei Queen.
Mi giro di scatto, un po’ spaventata, anche se ho riconosciuto perfettamente la voce di Alex. Lui alza le mani, sorridendomi.
«Scusa, non volevo spaventarti.» si giustifica, avvicinandosi di qualche passo.
Annuisco. «Sto andando a ordinare la torta per il compleanno di Josh.»
Mi stringo nel cappotto, alzando lo sciarpone di lana nera sopra il naso. Poi mi levo le cuffie, stoppo la canzone, e guardo Alex. Lui ha il cappuccio della felpa che indossa sotto il cappotto tirato sulla testa, e le mani infilate nelle tasche.
«Posso accompagnarti?»
«Certo!»
Tiro Cochise, che si è beatamente disteso atterra, e ci incamminiamo. Per i primi minuti rimaniamo in silenzio, ma non mi sento oppressa. Alle Hawaii, prima dell’arrivo di Josh, mentre io studiavo, abbiamo passato talmente tanti pomeriggi in silenzio che non mi sento per niente a disagio a non parlare di nulla.
Credo che lui, però, la pensi diversamente.
«Cosa hai intenzione di regalargli?» sento la curiosità nella sua voce tranquilla.
Faccio una piccola smorfia. «Ancora non ne ho idea.»
«E quand’è il suo compleanno?»
«Il 12.»
I suoi occhi si aprono più del normale, sorpresi. «Stai scherzando?! E’ tra cinque giorni.»
Gli lancio un’occhiataccia. «Lo so, ma non ho idee. Odio i compleanni.»
Alex abbassa la testa, guardando fisso il marciapiede. Non credo di aver detto niente di male. Non pensavo che il fatto di odiare i compleanni potesse essere preso come un’offesa personale.
Ma poi lui torna a guardarmi.
«Se fosse il tuo compleanno» nei suoi occhi si accende qualcosa che non riesco a comprendere del tutto. «e io fossi Josh, credo che ti regalerei qualcosa che ricordi uno dei momenti più belli che abbiamo vissuto. Che, qualunque cosa accada, riporti alla memoria quel momento. Magari facendoti capire quello che sentivo. Rendendoti pienamente partecipe di quello che provo per te.» fa una piccola pausa, distogliendo lo sguardo e puntandolo all’orizzonte. «Beh, se fossi Josh lo farei.»
Lo fisso con tanto d’occhi. Non avrei mai pensato che Alex avrebbe potuto dire parole tanto belle. Non so nemmeno cosa rispondere. Mi sento come se avessi ricevuto un pugno nello stomaco, e non ne capisco il motivo. Lui continua a guardare davanti a sé, e mi ritrovo a pensare, con una punta di un sentimento che non comprendo e sentendo la piccola crepa fastidiosa apertasi un po’ di giorni fa tornare a farsi sentire, che la ragazza di cui si innamorerà, sarà una persona davvero fortunata.
«Che ne pensi?» il suo sguardo torna a puntarsi su di me, distogliendomi dai miei pensieri.
Che ne penso? Non ne ho idea. Anche se, forse… Mi si accende un lampadina.
«Penso che tu sia un genio, Pettyfer.»
Lo abbraccio velocemente. Poi mi rimetto a camminare, o sarebbe meglio dire saltellare, felice di aver trovato un’idea per il regalo di Josh.
 
Porgo a Jaden l’enorme pacco contenente il regalo, mente accendo le candeline sulla torta.
Credo di non aver mai visto una torta tanto bella.
Mi sono fatta passare da Sam tutte le foto in cui era presente il festeggiato, ho selezionato quelle più belle e le ho mandate per mail alla pasticceria, con l’accordo di non renderle pubbliche. Josh tiene alla privacy, nonostante faccia l’attore praticamente da sempre.
Il risultato è una torta a due piani completamente coperta da foto. Le faccio una foto e la mando a Connor, anche perché non voglio che una cosa così bella possa essere dimenticata. Aspetto che sul set si spengano tutte le luci e poi mi avvio, mentre sento lo staff intonare un “tanti auguri” e Josh dire “Oh mio dio!”.
Lascio che sia la luce delle candeline a guidarmi. Guardo il mio meraviglioso ragazzo, sorridendo del suo sorriso.
«Siete pazzi.» dice, guardano le candeline.
«Esprimi un desiderio!» continuo a tenere la torta tra le mani.
Lui mi guarda negli occhi. Uno sguardo profondo, a cui rispondo con lo stesso sguardo. Poi sul suo viso compare un sorriso, abbassa gli occhi e soffia le candeline. Parte un applauso e le luci tornano ad accendersi sul set. Un ragazzo viene a togliermi la torta dalle mani e la appoggia su un tavolino, pronto a tagliarla per tutti, mentre io lascio che le braccia di Josh mi stringano forte.
«Vuoi sapere cosa ho desiderato?» mi bisbiglia all’orecchio.
«No, altrimenti non si avvera.» lo bacio e afferro il mega-pacco che mi porge Jaden. «Questo è solo da parte mia.»
Penso che non sappia cosa dire, perché si riavvia i capelli. Poi afferra il regalo, guardandomi negli occhi come aveva fatto prima.
«Coraggio, aprilo! Non morde mica.»
Lentamente, scarta il pacco. Tra le mani si trova un foglio, una busta dalettere e un grande quadro ancora incartato di cui non si vede l’immagine. Prende il foglio. Lo legge fino all’ultima parola e, mentre scorre, vedo un sorriso farsi strada sul suo volto, finché non raggiunge la fine e i suoi occhi si fermano su quella che credo essere la mia firma. Ho fatto come promesso, ho letto la sceneggiatura e l’ho amata fino all’ultima parola. Anche se, come previsto, ho odiato il personaggio principale. E, alla fine, ho firmato il contratto.
«Grazie.» mi bisbiglia.
Poi, la sua attenzione viene richiamata dalla busta da lettere. La prende e la apre lentamente.
«Ho pensato che non abbiamo mai visto l’alba.» sono un po’ commossa. «Che ho visitato la città con Jimmy, ma non con te. Così mi son detta: perché non rimediare?»
Dentro la busta ci sono due biglietti di andata e ritorno per New York. Le parole di Alex mi hanno fatto pensare tanto a tutte le cose belle che abbiamo vissuto io e Josh, ma nessuna è rimasta impressa così bene nei miei ricordi come quella notte.
Le parole mi riportavano spesso anche ad altri momenti sulla spiaggia… no. Non posso pensarci ancora. Non adesso. Né mai più.
Le labbra di Josh sono quasi immediatamente sulle mie, e capisco di essere riuscita a fare un buon regalo. Il migliore, nella storia dei regali che ho fatto.
Alla fine, decide di scartare il quadro. Subito non avevo pensato di regalargliene uno, ma poi, passeggiando per le vie della città in cerca di un’idea, questo meraviglioso dipinto mi aveva rubato il cuore. Rappresenta New York all’alba vista da un tetto. In lontananza si vede l’Empire State Building e, in primo piano, c’è una ragazza voltata di schiena che guarda il panorama. E’ meraviglioso e non fa altro che farmi ripensare a quella sera.
Anche lui sembra apprezzarlo e noto con piacere che si è commosso, perché sta cercando con tutto se stesso di nascondere gli occhi un po’ lucidi.
Sono fiera di me.  
Vorrei restare sola con lui tutta la sera, ma c’è un sacco di gente che vuole fare gli auguri al festeggiato e io non sono tanto importante da tenerlo lontano da tutti ancora per molto. Lo guardo, mente viene accerchiato da persone che lo abbracciano e gli danno pacche sulla schiena. E’ amico di tutti. E infondo, chi mai potrebbe odiare una persona come lui?
«Io pensavo ai nostri pomeriggi alle Hawaii.» Alex mi arriva da dietro, porgendomi una fetta di torta.
Mi irrigidisco, continuando a guardare il mio ragazzo circondato dalla gente.
«O ai nostri battibecchi.» continua. Sento il suo sguardo fisso sul mio viso. «O alle nostre interviste stupide.»
Anche io. No, non è vero.
Ma il mio tentativo di autoconvinzione non va a buon fine, perché nella mia mente tornano quei pomeriggi. Scorrono lenti, in una cornice di spensieratezza e qualcosa di simile alla felicità.
«Lo so che ci hai pensato anche tu.» i suoi sussurri si sentono a malapena tra le risate della gente tutto attorno a noi. «Solo che non vuoi ammetterlo. E capisco anche perché, anche se sono di un parere diverso.»
Continuo a non rispondergli. Io amo Josh. Alex sta solo diventando una tentazione un po’ difficile da reprimere. Non devo ammettere un bel niente!
«Sappi solo che tu mi piaci.» se è possibile, mi immobilizzo ancora di più. «E che, prima o poi, avrò la mia personale vittoria.»
Si china e mi lascia un bacio sulla guancia. Sento come se la faccia mi stesse andando a fuoco. Poi si allontana e io rimango lì, immobile a fissare il vuoto.
 
Prima di averci una conversazione che durasse più di un “Buongiorno” o uno scambio di battute mentre recitavamo davanti alle telecamere, Dwayne Johnson mi terrorizzava letteralmente. Forse per la sua mole enorme, forse per i suoi muscoli decisamente troppo grandi, forse perché è alto il doppio di me, forse per il suo sorriso troppo tirato, ogni volta che mi ritrovavo troppo vicina a lui, l’istinto mi suggeriva di darmela a gambe levate.
Non che non sapessi che in realtà era una brava persona molto simpatica e gentile, ma saperlo troppo vicino mi dava i brividi. Lo vedevo chiacchierare tranquillamente con il resto del cast. Scherzare e ridere. Forse era la sua risata a terrorizzarmi. Una di quelle risate tanto forti che sembra di sentire un tuono. O forse era il suo vocione, ancora non l’ho capito bene! So solo che mi allontanavo ogni volta che lui era nei paraggi.
Solo con l’arrivo di Josh sul set alle Hawaii ero riuscita a farmi passare questa specie di fobia. Il fatto che io e lui stavamo assieme praticamente sempre, aveva contribuito molto perché, ogni volta che Dwayne si avvicinava per chiacchierare con Josh io mi imponevo di rimanere lì con loro.
Col passare del tempo i mie muscoli si erano rilassati in sua presenza, fino al giorno in cui anche con lui ero riuscita a tirare fuori la mia natura di completa imbecille.
E ora mi ritrovo a dovergli puntare un coltello alla tempia.
«Tieni.» un ragazzo dello staff mi porge un coltello di gomma talmente ben fatto che, per un momento, ho il timore che sia vero.
Lo prendo senza farmelo ripetere due volte e poi lo punto verso Dwayne.
«Attento a te, Johnson, ho un coltello in mano!»
Inizio a muovere velocemente il pezzo di gomma, abbastanza rigida, sventolandolo davanti ai pettorali dell’enorme uomo. Avrei voluto sventolarglielo davanti alla faccia ma, per arrivarci avrei bisogno di una sedia. E forse dovrei ancora allungarmi. Di solito mi prende in giro dicendo che potremmo fare la bimba e il gigante buono.
Lo vedo ridere e fa per dire qualcosa, ma l’arrivo di Brad lo distrae.
«Chi è l’idiota che ha messo in mano il giocattolo alla bambina?» sbuffa, guardando quasi con ribrezzo me che gioco col coltello di gomma.
Io alzo un sopracciglio e guardo il mio cagnone nero che scodinzola alla vista di Brad.
«Cochise, attacca!» anche se so perfettamente che non lo farebbe mai.
Infatti, rimane fermo a scodinzolare, ma sul regista ha l’effetto desiderato. Fa qualche passo indietro, portandosi dietro al suo assistente.
«NON… Tieni lontano quel demonio da me!» poi, vedendo che riprendo a giocare col coltello, sbuffa, senza però osare muoversi. «Qualcuno le tolga quel coltello dalle mani!»
Detto, fatto. E so che non rivedrò più quell’arnese finché non inizieremo le riprese.
Così mi stringo nel cappotto, tanto per fare qualcosa.
«Come mai Josh non è qui con te?» Dwayne si avvicina, stringendosi anche lui nel cappotto per il freddo.
«Sta facendo i bagagli.» alzo le spalle. Non mi va ancora giù l’idea che domani è l’ultimo giorno di riprese e lui non sarà qui con noi.
«Ah, già. Sta notte parte.» annuisce, sorridendomi gentilmente. «Spero che con i produttori vada tutto bene. E’ gente che non si accontenta facilmente.»
«Lo spero anche io.»
La conversazione viene stroncata quando veniamo richiamati sulla scena per metterci in posizione. Faccio un respiro profondo mentre mi tolgo il cappotto e rimango in pantaloncini e canottiera. Finché eravamo alle Hawaii il costume di scena di Amy non mi dispiaceva. Adesso, con questo freddo, lo odio.
«Facciamo in fretta, ok?» dico a Dwayne cercando di sopprimere i brividi.
Lui annuisce, facendo stretching davanti alle telecamere per scaldarsi.
«Sii convincente con quel coltello e faremo in fretta.»
Credo che questo sia il suo modo di incoraggiarmi, perciò annuisco, prendendo il giocattolo che qualcuno mi sta porgendo.
Arriva anche Alex. Fortunatamente per lui, Brad ha deciso che può tenere la maglietta addosso. Credo che sarebbe morto dal freddo, altrimenti.
Si posiziona con noi e mi fa l’occhiolino, a cui rispondo con un sorriso un po’ indeciso. Non abbiamo più parlato molto dal compleanno di Josh. Non so perché, ma ogni tanto mi sembra di sentire ancora le sue labbra sulla mia guancia, subito seguite da una scarica di brividi totalmente differenti da quelli di freddo che provo adesso.
«Tutti pronti?» Brad urla dalla sua sedia con scritto “regista” dietro. Annuiamo. «Bene. Ciack, AZIONE.»
Punto il coltello con decisione alla tempia di Dwayne, la mano di Alex si stringe attorno al mio braccio libero e lascio che le battute fluiscano dalle mie labbra come un fiume in piena.
La scena viene talmente perfetta che Brad ce la fa rifare solo per “sicurezza”.
Quando siamo liberi di andare, sono talmente accaldata che non mi accorgo nemmeno di aver lasciato il cappotto sul set. Me ne rendo conto solo quando io e Alex, tornado assieme, siamo ormai lontani dalla foresta, perché comincio a tremare.
«Dov’è il tuo cappotto?» chiede Alex, preoccupato dal momento che sto battendo i denti un po’ troppo forte.
Cerco di rispondere ma, nel tentativo mi mordo la lingua, quindi lascio stare.
Lui, in uno slancio di galanteria, si leva il cappotto e la felpa, aiutandomi a indossare la seconda. Avrei preferito il cappotto ma, noto con piacere, la felpa è molto più calda.
«Scusa.» riesco finalmente a parlare. «L’ho lasciato sul set.»
Lui annuisce, ancora un po’ preoccupato. 
«Sto bene adesso.» gli sorrido, ma vengo scossa da un brivido di freddo.
Alex si avvicina e, senza che io possa pensare a cosa voglia fare, le sue braccia si stringono attorno alle mie spalle. Il mio corpo si irrigidisce e sono convinta che lui l’abbia capito, ma non mi lascia andare.
«Alex…» spigo con le mani sul suo petto, nel tentativo di allontanarlo.
Lo sento sbuffare tra i miei capelli e poi si scosta. Si allontana di qualche passo, prima di voltare il viso verso di me.
«Quella» indica la felpa che ho addosso. «puoi portarmela quando vuoi.»
Poi se ne va, raggiungendo la sua roulotte.
 
Entro nella roulotte mentre Josh chiude la valigia e fa per mettersi la giacca. Si ferma di botto, vedendo la felpa che indosso.
«Perché hai addosso quella felpa?» il suo tono è di ghiaccio.
Mi immobilizzo. Sento i sensi di colpa farsi strada dentro di me, anche se è solo una felpa. Ma forse non è per la felpa che mi sento male…
«Avevo freddo e mi sono scordata il cappotto sul set, così Alex…»
«Non dire il suo nome.»
La sua voce è come un pugno nello stomaco. Ne sto prendendo tanti, ultimamente.
«Okay. Ma, Josh, è solo una felpa…»
«Non è solo una felpa!» dal ghiaccio, la sua voce diventa fuoco. «E’ la sua maledettissima felpa. Potevi fartela prestare da qualcun altro.»
«Stavamo tornando assieme…»
«Eri da sola con lui?!» i suoi occhi mi inchiodano a terra. Non li avevo mai visti ardere di rabbia prima d’ora.
«Io…» vorrei provare a giustificarmi, ma non riesco.
«Sai, ci ho provato.» si infila la giacca del tutto, continuando a fissarmi. «Ho provato a lasciar perdere. Come avevi detto tu, no? Sono solo amici, mi ripetevo. Si stanno solo molto simpatici, è normale. Ma non è più normale nel momento in cui, alla mia festa, lui si avvicina e ti bacia sulla guancia!»
 Chiudo gli occhi, mentre tutto dentro di me crolla. Mentre sento come un pugnale che viene lanciato contro il mio cuore. Mentre lacrime salate minacciano di evadere la sorveglianza del mio autocontrollo.
I passi di Josh si avvicinano, portandosi dietro la valigia.
«Non…»
Non riesco a mettere assieme nemmeno le parole giuste per cercare di giustificarmi. Perché, in fondo, non ho niente da giustificare. Io ho respinto Alex.
«Non dire niente.» apro gli occhi, e Josh apre la porta. «Spero che ti passi, altrimenti puoi anche evitare di tornare a casa.»
Lui esce, dirigendosi con passo veloce verso la macchina che lo porterà all’aeroporto. Lontano da me. Lontano dalle mie lacrime che scendono incontrollate. Lontano dal mio comportamento da stupida che l’ha fatto soffrire. Lo stesso comportamento che mi ero promessa di cambiare per lui.
Esco di corsa, per seguirlo, anche se non so cosa dirgli. Ma la macchina è già andata via.
Mi ritrovo seduta a terra, a cercare di trattenere lacrime che invece continuano a scendere.
 

 
 

SPAZIO AUTRICE.

 

Vi ricordo la mia pagina facebook - - - > Ilaria.
 
Non so che dire, insomma… credo che il capitolo parli da sé. 
Vale la stessa cosa che avevo detto per la prima litigata (che sembra essere stata secoli fa XD). Io non so scriverle. Non mi piacciono proprio e.e
Dovrebbero fare un corso di scrittura di litigate solo per me :P
 
Spero che non mi abbandonerete dopo questo capitolo!
Io vi voglio bene <3
 
Un bacione, Ila. (che fa gli occhioni dolci a tutte) 

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Capitolo 25
*** Iris ***


Iris.

And you can’t fight the tears that ain’t coming,
Or the moment of truth in your lies.
When everything feels like the movies,
Yeah you bleed just to know you’re alive.
Goo goo dolls – Iris.

 
 
 

Non mi preoccupo di alzarmi e tornare nella roulotte.
Non mi preoccupo che qualcuno possa uscire e vedermi seduta a terra a piangere.
Non mi preoccupo del freddo.
Non mi preoccupo nemmeno del fatto che Josh si è portato via Cochise.
Lascio semplicemente che i sensi di colpa mi invadano e le lacrime continuino a uscire. In fondo è questo che mi merito. Mi avevano detto che a giocare con il fuoco prima o poi ci si brucia.
Non provo a giustificare le mie azioni, anche se il mio cervello continua a propinarmi scuse su scuse. Rimango ferma a stringermi nella felpa che ha ancora l’odore di Alex e che non fa altro che aumentare i miei sensi di colpa. Il mio sguardo continua a fissare il punto in cui fino a non so quanto tempo prima c’era la macchina che ha portato via Josh.
Quanto tempo sarà passato? Minuti? Ore? Per quanto sono stata seduta qui a piangere?
Non che mi interessi più di tanto.
Chiudo gli occhi mentre finalmente le lacrime smettono di scendere.
Sento gli occhi bruciare, credo sia per il freddo che per il pianto. Li strofino con la manica della felpa. In questo momento non mi importa che dovrò restituirla, dal momento che ho appena deciso che Alex ha chiuso con me.
Non voglio più vederlo. E’ vero che tutta questa situazione me la sono andata a cercare io, ma penso che, se solo provasse ad avvicinarsi un’altra volta, probabilmente si prenderebbe un ceffone. E sarei io a tirarglielo.
Mi alzo lentamente, appoggiandomi con la schiena alla parete della roulotte più vicina. Solo in quel momento mi accorgo di non essere sola.
«A meno che tu non ti stia esercitando per girare, cosa che non mi risulta dal momento che la sceneggiatura non prevede scene di questo tipo, quelle sono lacrime.»
Robin è davanti a me, col suo sorriso amichevole di sempre stampato in faccia.
Vederlo qui riesce quasi a sollevarmi il morale. Quasi.
Non rispondo alla sua affermazione. Non credo abbia bisogno di una risposta. Se ci pensa bene, credo che anche lui possa capire cosa è appena successo.
E lo fa. Lo capisce. Nei suoi occhi si accende la stessa luce che si accendeva quando capiva la traduzione dall’italiano all’inglese di una frase, lamentandosi poi del livello troppo basso di difficoltà.
Mi porge la mano, che io afferro immediatamente, alla ricerca di un porto sicuro tra tutte queste macerie e sensi di colpa che mi invadono.
«Ti va di venire da me?» mi sorride, incoraggiante. «Ti offro una tazza di tè, o un caffè, o…»
«Il tè andrà bene. Grazie.»
Mi prende sotto braccio, tenendomi stretta la mano. Così, mi sento più sicura.
La sua roulotte è esattamente di fronte a quella mia e di Josh. Ci preoccupavamo sempre che le tende fossero ben tirate, perché non credo che a Robin sarebbe interessato più di tanto quello che succedeva dall’altro lato della strada.
Al pensiero, sento una fitta alla testa e gli occhi tornano a bruciarmi.
Mi accomodo su una poltrona, mentre aspetto il tè. Rimango in silenzio. Se lui ha capito quello che è successo, non c’è bisogno che io gliene parli. Non voglio che pensi male di me, anche se forse lo sta già facendo, in cuor suo. Eppure non penso che mi avrebbe invitata qui se pensasse male di me. Sono sempre stata convinta, anche prima di conoscerlo, che Robin sia una di quelle persone talmente buone che vogliono solo che la gente attorno a loro sia felice, senza avere interesse di sapere quello che hanno combinato per non esserlo.
«Forse domani mattina dovresti chiamarlo.»
Mi raggiunge, con in mano due tazze fumanti. E le mie convinzioni vengono confermate. Non gli interessa sapere cosa ho combinato, vuole solo che le cose si risolvano per vedermi ancora una volta felice. Felice come mi sentivo quando l’ho conosciuto.
«Forse, sta volta, l’ho combinata un po’ troppo grossa per una chiamata.»
Non era il problema della felpa. Josh ha capito benissimo che ho cominciato a provare qualcosa per Alex. Ma è normale? E’ normale amare una persona alla follia ed essere attratti da un’altra?
Robin sorride. Il sorriso di chi ne ha viste e fatte tante nella sua vita, ma che ricorda benissimo com’è essere giovani.
«Io credo che l’attrazione fisica non si possa controllare.» adesso, sono sicura che abbia capito tutto. «E che sì, forse avresti dovuto capire un po’ prima quali erano i tuoi sentimenti, ma sei ancora in tempo per non fare danni e rimettere a posto tutto, se lo vuoi.»
«Lui…» mi tornano in mente le parole di Josh. «Lui ha detto che me la sarei dovuta far passare, o potevo anche evitare di tornare a casa sua.»
Questa sembra la prova che la sua teoria è esatta.
«Visto? Avevo ragione.»
Abbasso la testa, fissando la mia tazza che ancora fuma. E se…
«Ma c’è qualcosa che ti turba, vero?» la voce di Robin è piena di comprensione.
Mi sembra strano parlare così con la persona che ho sempre desiderato diventasse mio nonno. Rende tutto molto più vero.
«E se non riuscissi a farmela passare? Questa… attrazione. Se non passasse?»
La mia domanda deve essere molto divertente, perché Robin scoppia a ridere, lasciandomi un po’ confusa.
«Domani è l’ultimo giorno di riprese, Ilaria. Probabilmente, non vedrai più Alex fino al giorno della premiere. Se è solo attrazione passerà.» ma, dopo avermi guardato in faccia un po’ più a lungo, il suo sorriso scompare. Credo si legga bene quell’ “E se non fosse solo attrazione? Se ci fosse qualcosa di più?” «Sono sicuro, al cento per cento, che tu sappia cosa fare. Devi solo ricordarti cos’è più importante per te.»
 
Tutti sono un po’ tristi, e i loro sorrisi non raggiungono mai completamente gli occhi.
L’ultimo giorno di riprese sembra essere quasi un funerale.
Perfino Brad, che trova sempre qualunque scusa per sgridarmi, oggi è silenzioso. Tutte queste persone, ne hanno già visti tanti di ultimi giorni. Anche se credo che non importi più di tanto quanti tu ne abbia visti. Rimane sempre una cosa triste dover dire addio a gente con cui sei stato a stretto contatto per più di tre mesi.
Tutti si fanno foto con tutti. Ovunque ci sono telefoni o macchine fotografiche che scattano. Twitter si riempie di foto. Instagram pure.
E, sotto il velo leggero di tristezza, ci sono sorrisi felici per i ricordi che tutti porteremo per sempre con noi.
In fondo, non è un vero addio. Chissà, magari ci incontreremo in un altro film.
Un altro film…
Il pensiero mi riporta al contratto che ho firmato. Se con Josh andasse male, cosa succederebbe? Farebbero firmare il contratto ad un’altra attrice?
Credo che, molto probabilmente, sarei io a rifiutare il lavoro. Un contratto si può sempre distruggere. Ma, ripensando al discorso di ieri sera con Robin, non voglio prendere in considerazione questa idea. Andrà tutto benissimo. A me passerà l’attrazione. Io e Josh torneremo a essere felici come prima. E il suo film sarà un successone.
Sì, andrà sicuramente in questo modo.
Così, mentre la troupe si prepara a girare le ultime due scene, tiro fuori il telefono e cerco in rubrica il numero di Josh.
Non sono completamente sicura di volerlo chiamare. Mi sento ancora tanto in colpa. Ma sento che è la cosa giusta da fare.
Prendo un respiro profondo e avvio la chiamata.
Squillo.
Squillo.
Squillo.
Squillo.
Segreteria telefonica.
Mi prende il panico. Perché non risponde al telefono? Lui ha sempre con se il telefono, perché per qualsiasi motivo di lavoro deve rispondere sempre. E allora perché continua a squillare a vuoto?
Riprovo. Magari è solo in doccia e non sente il telefono.
Squillo.
Squillo.
Squillo.
Squillo.
Segreteria telefonica.
Che non voglia più parlarmi? E’ davvero così tanto arrabbiato con me da lasciar squillare il telefono senza degnarsi di rispondermi, sapendo che sono io?
Riprovo un’altra volta. Niente.
Passo così un quarto d’ora e, ne sono sicura, c’è qualcosa che non va. Nemmeno le docce lunghe di Josh durano più di un quarto d’ora.
Così chiamo Janet. Il telefono non squilla nemmeno una volta.
«Pronto?»
Grazie al cielo. «Janet! Sai dov’è Josh? Non mi risponde al telefono.»
Lei non si lascia scomporre dalla mia preoccupazione. Mi risponde con il suo tono professionale di sempre.
«E’ a pranzo con i produttori.»
Una lampadina si accende. Ero così preoccupata che volesse rompere, che mi sono dimenticata il motivo della sua prematura partenza. Il pranzo con i produttori.
«Ah, già. Grazie.»
«Figurati.»
Chiudo la chiamata e richiamo Josh. Posso comunque lasciare un messaggio alla segreteria.
Risponde la segreteria telefonica di Josh Hutcherson. Se avete bisogno, lasciate un messaggio dopo il bip.
«Ciao Josh, sono Ila.» in quel momento mi rendo conto di non sapere cosa dire.
Devo trovare delle giustificazioni al mio comportamento? Non credo proprio. Devo scusarmi? Forse sì, ma dovrei anche fare un discorso sensato.
Sono quasi tentata di chiudere la chiamata, ma poi farei la figura dell’idiota. Perciò lascio che le parole escano così come vengono. Prive di senso e filo logico.   
 
Nel tardo pomeriggio, finite le ultime riprese, veniamo tutti chiamati sul set.
E’ stato montato uno schermo e un impianto audio davanti a sei file di sedie. Non credevo che lo staff fosse così numeroso. A quanto pare, mi devo ricredere.
Come sempre, sono in ritardo. Cerco tra la folla Robin, che mi aveva detto che avrebbe tenuto un posto libero per me. I miei occhi scrutano tutte le file, alla ricerca della sua testa e, invece, si posano sulla faccia di Alex. Il mio corpo si irrigidisce mentre lui cerca di stabilire un contatto visivo, ma io passo avanti. La sua presenza mi infastidisce. In più, dopo il messaggio che ho lasciato a Josh, sono fermamente intenzionata a girargli alla larga.
La mia attenzione viene attirata da un braccio che si muove e vedo Jaden che, sorridendo, si sbraccia cercando di farmi capire che mi ha tenuto un posto accanto a lui. Mi avvio a passo di marcia e, quando mi siedo, abbraccio forte l’undicenne accanto a me. Anche se sono arrabbiata con Alex e la mia relazione con Josh è decisamente in bilico, non ho nessuna intenzione di farmi rovinare il mio ultimo giorno di riprese.
«Mi mancherai, ragazzino.» gli scompiglio i capelli.
Sto cercando di trattenere le lacrime. E’ davvero finita. Una delle esperienze più belle della mia vita è davvero finita.
«Non piangerai, vero?» mi sorride con il suo solito sorriso allegro, anche se sta volta sembra un po’ malinconico.
«Io? Piangere? Pff, roba da femminucce.»
Mi tende la mano.
«Quanto scommettiamo che piangerai?»
«Io non scommetto con i marmocchi.»
Lui si lascia andare a una piccola risata, che contagia anche me.
«Vuol dire che sai già che perderai.» mi fa la linguaccia.
Gli punto il dito contro, come per rimproverarlo. Anche se il mio tono direbbe tutto il contrario.
«Vuol dire che se non chiudi subito quella bocca ti faccio il solletico!»
Lui si alza in piedi davanti a me e si mette le mani sui fianchi.
«Io non soffro il solletico..!»
«Ah no?»
«No.»
Mi metto a ridere, lo afferro per il braccio e prendo a fargli il solletico. Lui scoppia a ridere e la sua risata riesce a mettermi di buon umore. A cancellare tutti i pensieri che mi stavano buttando giù. Credo che la risata di Jaden sia magica, perché ha un modo tutto suo di renderti felice. Anche quando credi che niente possa farlo.
Faccio sedere l’undicenne sulle mie gambe, e il suo posto viene occupato da Robin che mi sorride.
«Come stai?» è bello saperlo preoccupato per me.
Sono ancora sotto l’effetto della risata di Jaden, perciò non mento quando gli dico che sono felice. Lui annuisce e fa per dire qualcosa, ma la nostra attenzione viene attirata dall’inizio del video.
Appare Brad davanti alla telecamera.
«Come ti senti? Stai per dirigere un altro “Journey”.» gli chiede la giornalista da dietro alla telecamera.
Lui sorride. «Tranquillo, come sempre. Faremo un buon lavoro.»
E il suo sorriso rispecchia proprio la sua tranquillità leggendaria che solo io sono riuscita a trasformare in atteggiamento da donna mestruata.
Poi vengono mandate in sequenza le nostre prime impressioni.
«Siamo qui alle Hawaii. La troupe è meravigliosa, il cast è fantastico e io sto mi sto abbronzando come non ho mai fatto in vita mia!»Robin sorride alla telecamera.
«Sono il più piccolo! E’ fantastico, insomma, mi coccolano tutti.» Jaden ride.
«Sono arrivato da nemmeno due giorni e mi fanno già sgobbare come un matto.» Josh sbuffa e si allontana correndo verso il set.
«Che devo dire? E’ tutto fantastico e… cosa vuoi sapere?» Alex viene inquadrato mentre si stropiccia l’orlo della maglietta.
«Wow! Insomma, wow! Questo è il paradiso!» rido delle mie stesse perle di saggezza.
«Adoro girare senza maglietta!»qualche posto più in là rispetto a dove sono seduta, Dwayne ride fragorosamente di se stesso.
E finalmente, inizia il vero video.
Brad che scappa, inseguito da Cochise che gli corre dietro abbaiando e scodinzolando.
Alex che, preparandosi a girare, corre sul posto, come me dietro che gli faccio l’imitazione.
Josh e Dwayne che fanno la lotta.
Jaden che ride.
Un montaggio di Brad nella prima settimana, tranquillo e serafico. E Brad nell’ultima settimana, che si nasconde dietro il suo assistente intimandomi di tenere lontano da lui il mio cane.
Io che corro verso l’acqua urlando: «Liberaaaaaaaaaaaaaaaaaa!»
Josh che improvvisa un reggaeton.
Io, Robin e Bob che parliamo animatamente della “Foresta magica di Bob”.
Tutta la troupe che si nasconde nella foresta, mentre io mi aggiro sul set desolato mettendomi ad urlare quando mi avvicino troppo alla foresta, per poi vederli uscire tutti assieme e mandarli a stendere.
Brad e Robin seduti atterra tre le telecamere che ridono come bambini.
«Coraggio, so che puoi sorridere!»Robin si avvicina tenendo la telecamera e inquadrandomi mentre gli faccio il broncio. «Sorridi!» io rimango seria. «Questa roba andrà su internet prima o poi e tu non avrai sorriso…» mi alzo e gli spengo la telecamera.
La mia intervista con Alex sulla spiaggia, mentre io parlo di Brad e dei suoi periodi.
Brad che parla al telefono, chiedendo un divieto per la troupe e il cast di portare animali sul set. 
Brad che mi urla dietro di sbrigarmi e il mio solito commento. «Gli sono arrivate.»
Jaden che sbaglia una battuta e si mette a saltellare gridando per tutto il set.
Io che passo dietro a Dwayne mentre lui parla e mi metto a gridare: «Soffro di Dwyne-fobia!» facendo ridere l’omone.
Alcuni della troupe che si fanno gli scherzi con l’acqua mentre allestiscono la scena.
Dwayne che improvvisa la “danza dei pettorali”.
Jaden che si porta in giro per il set Will, il fratellino, che sorride raggiante alla telecamera.
Io che: «Sei un pappamolle, Josh!» e Josh che mi prende e mi butta nella sabbia. Il risultato: dopo rotolamenti nella sabbia, lui mi prende in braccio, mi porta in acqua e mi lascia lì.
Alex e Robin che sotterrano Dwayne sotto una montagna di sabbia.
Dwayne che si porta in giro Jaden sulle spalle.  
Io e Alex che ci prendiamo a pugni, fissando la telecamera seduti su un muretto.
Tutta la troupe davanti alla telecamera che saluta la telecamera gridando:«Ciao Ila!» probabilmente quando io ero tornata a casa per gli esami.
Il compleanno di Josh.
Durante tutto il video non faccio altro che sorridere. I muscoli del viso iniziano a tirare, ma non smetto. Tutto è stato fantastico. Ogni giorno. Ogni momento. Ogni secondo passato con questa gente. Tutto. Trattengo le lacrime per tutto il tempo. Mi ero chiesta un sacco di volte cosa sarebbe successo l’ultimo giorno di riprese e adesso eccomi qui, con Jaden seduto sulle mie gambe e Robin che ride al mio fianco. E mi sento felice. Perché ho accettato di fare il provino. Perché mi sono aperta con tutti. Perché avevo proprio bisogno di tutto questo.
Nelle ultime scene del video, scorrono immagini di tutte le persone che hanno lavorato a questo film mentre sorridono e salutano. Ognuno dice una piccola frase.
«Mi hanno fatto diventare pazzo!»
«E’ stato bello fare il nonno anche sul set.»
«Non ho mai riso così tanto.»
«Credo che ogni film sia un’avventura. Un’avventura tutta da scoprire.»
«Beh, che dire… E’ stato divertente.»
«Voglio tornare alle Hawaii. Qui fa troppo freddo per girare senza maglietta!»
Io dico solo:«Grazie. Soltanto… grazie.»
Poi il video finisce e io scoppio a piangere. Seguono abbracci, saluti, strette di mano e pacche sulla schiena. Jaden è il primo ad abbracciarmi e, quando si stacca, scoppia a piangere anche lui. Robin mi mette un braccio sulle spalle e mi posa un bacio sulla fronte. Poi mi guarda un momento, divertito dalle lacrime. Non riesco a scoccargli un’occhiataccia solo perché quasi mi soffoco con un singhiozzo e allora lui mi abbraccia. Dwayne mi prende in braccio come se davvero fossimo la bambina e il gigante buono. E pensare che ero terrorizzata da lui. Anche Bob mi abbraccia, facendomi promettere di chiamarlo per qualunque cosa. Saluto i miei make-up artist. Perfino Brad si avvicina e fa per stringermi la mano, ma io lo stringo in un abbraccio forte.
«Grazie, Brad. Grazie per aver avuto fiducia in me.»
Lui ride. «Non credo che lo farò un’altra volta se porti ancora quel tuo demonio sul set!»
Scuoto la testa e faccio per ribattere, ma poi noto che Alex si sta avvicinando lentamente e allora, con un scusa, mi allontano ad abbracciare qualcun altro.
Sarò anche felice, ma il pensiero di Josh continua ad essere presente, e non ho nessuna intenzione di parlare con il biondo.
 
Tra tre ore parto. Lascio definitivamente il set. Prenderò l’aereo per Los Angeles e inizierò la mia nuova vita tra il set di qualche film e gli studi alla facoltà di medicina. Perché è questo che voglio fare. Adesso che l’ho capito, non ho nessuna intenzione di cambiare i miei piani. Poco fa ho chiamato Janet per avvisarla, e lei per poco non ha perso il suo solito contegno talmente era felice. Mi chiedo se anche Josh lo sarà…
Il suo ultimatum mi rimbomba ancora nella testa, e io ho deciso cosa fare.
Robin aveva ragione. Devo solo ricordare cosa per me è davvero importante. E Josh lo è. E’ la cosa più importante che ho.
Mentre preparo la valigia e mi assicuro di non aver lasciato niente nella roulotte, appesa all’attaccapanni dove l’avevo lasciata questa mattina, vedo la felpa di Alex. La prendo e la guardo con diffidenza. Prima o poi la dovrò restituire, perciò…
Esco al freddo e mi avvio a passo di marcia verso la sua roulotte. Il piano è semplice: bussare, dargli la maglietta e tornarmene al calduccio a finire di preparare le valige. Nessuna parola. Nessun sorriso. E’ così che ho deciso di chiudere la nostra amicizia. Anche se, ormai, non era più amicizia per nessuno dei due.
Busso forte ma nessuno mi apre. Così busso un’altra volta, giurando a me stessa che, se non mi apre, lascio la felpa a terra e me ne vado.
Poi la porta si apre e la sua testa sbuca da dietro. Allungo l’indumento senza guardare il ragazzo negli occhi.
«Ti ho riportato…»
«Scusa, puoi aspettare un momento.» lui apre un po’ più la porta, come a volermi invitare ad entrare. «Sono appena uscito dalla doccia. Entra. Mi infilo qualcosa e arrivo.»
Sbuffo. Vorrei quasi aspettarlo fuori, ma il caldo che asce dalla roulotte è troppo invitante. Così entro. Lui si allontana e noto che indossa solo un asciugamano stretto in vita. Si chiude in quella che credo sia una camera, e io mi siedo sul divano, aspettando. Una voce nella mia testa mi dice che non dovrei assolutamente essere qui, ma la chiudo in un angolo. Alex ha capito benissimo che non ho intenzione di fermarmi.
«Vuoi un caffè?»
Il biondo esce dalla camera con indosso una tuta e infilandosi una maglia a maniche corte con un profondo scollo a V che lascia intravedere i muscoli.
Sento improvvisamente troppo caldo.
«No, grazie. Sono soltanto venuta a…»
«Perché non ti levi il giubbotto?»
«Io… No. Sono solo venuta a portarti la felpa.» dico con decisione. Devo uscire da questa roulotte. «Devo andare a finire di fare i bagagli.»
Lui sembra dispiaciuto. «Ce l’hai con me, vero?»
La decisione con cui pronuncia la domanda mi lascia un po’ scombussolata. Ma lui è stato diretto, perciò decido di esserlo anche io. Dopotutto, gli devo una spiegazione.
«Sì.»
«Perché?»
«Io e Josh abbiamo litigato. Lui era geloso e io passavo troppo tempo con te. Indossare la tua felpa è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso e adesso se questa fissa stupida per te non mi passa, il ragazzo che amo mi lascerà. Quindi, se non ti dispiace, me ne vado.»
Mi alzo e raggiungo la porta, ma lui mi prende per un polso. Brividi mi percorrono tutta la schiena.
«Hai detto che hai una fissa per me?» la sua voce si rompe sull’ultima parola.
Mi mordo la lingua. Non ho nessuna intenzione di rispondere.
Senza mollare la presa, si posiziona nel mio campo visivo e mi afferra anche l’altro polso.
«Alex, devo andare.» rimango immobile, cercando di contenere i brividi.
Ma lui non mi ascolta. I suoi occhi mi osservano, come se volesse imprimersi nella mente ogni particolare del mio viso.
«Mi piaci da quando hai rifiutato di baciarmi al provino.» esordisce, avvicinandosi di un passo. «Così insicura e allo stesso tempo sicura di te stessa. Ho sperato tanto che venissi scelta per il ruolo e quando ti ho vista sul set ho pensato che qualcuno la su mi avesse ascoltato. Il mio interesse per te cresceva ogni giorno di più e, quando il tuo ragazzo è comparso sul set, ho pensato che fosse la giusta punizione per aver voluto una ragazza impegnata. Ma tu continuavi a cercarmi.» fa un altro passo, ma io non mi allontano, sfidandolo con gli occhi. Il suo racconto non mi farà cadere tra le sue braccia come qualsiasi altra stupida ragazza. E mentre parla, l’unica cosa a cui riesco a pensare è a quanto Josh avesse ragione. «Ho preso in considerazione l’idea di non parlarti più. Di fare finta che non esistessi. Ma ogni volta che mi venivi a cercare mi sembrava uno sforzo troppo difficile da compiere…»
«Quindi sarebbe colpa mia?» cerco di liberarmi dalla sua stretta, ma lui non mi lascia andare anche se rimane interdetto dal mio commento.
«No, ma in realtà sì.» lascia la presa sui miei polsi solo per intrecciare le mani alle mie. «Tu non sapevi cosa provavo e non eri ancora consapevole di cosa tu provassi…»
«Io non provo niente.»
«Non è vero. L’hai detto tu stessa.» Alex accenna un mezzo sorriso.
Il mio cervello cerca una via d’uscita. «Ho detto fissa.»
Ora è lui che non sa più cosa dire. Quindi prendo in mano le redini della situazione.
«Senti, Alex, tra me e te non ci sarà mai niente. Io amo Josh e non ho nessuna intenzione di rovinare…»
Ma non mi fa finire.
Prima che io possa rendermi conto di quello che è successo, mi ritrovo schiacciata tra il muro e il corpo di Alex, le sue labbra premute sulle mie in un bacio appassionato e le mie braccia strette attorno al suo collo.
Mi sembra di andare a fuoco. La mia testa non ragiona più.
Le sue mani seminano fiamme lungo il mio corpo fino a fermarsi sui fianchi. Le sue labbra scendono sul mio collo per poi risalire e coprire di nuovo le mie. Ogni punto in cui il suo corpo sfiora il mio mi procura brividi sulla schiena. Senza che io me ne renda conto le mie mani corrono a levargli la t-shirt per poi andare a sfiorare i suoi pettorali che, mi ritrovo a pensare, ho sempre voluto sfiorare. Chiudo gli occhi e non vedo nero, vedo fiamme. Sento i miei sospiri. Poi le sue mani scendono lungo le mie cosce. Mi tira su, per avermi alla sua altezza e io gli allaccio le gambe alla vita. Senza volerlo, inarco la schiena mentre lui lascia una scia di fuoco sul collo. Si muove fino al divano per poi farmi sdraiare e sovrastarmi col suo corpo. Mi toglie il giubbotto e la felpa in pochi gesti veloci e infila le mani sotto la maglietta sottile che ho ancora addosso. A differenza dei baci affamati che continuiamo a scambiarci, il tocco delle sue mani e leggero e gentile, quasi timoroso. Il che mi manda ancora più in estasi. Conficco le unghie nella sua schiena lasciando segni rossi e sentendo il suo respiro affannato sul collo. Mi toglie la maglietta e i suoi baci scendono. Labbra. Collo. Spalla. Petto. Incavo del seno. E mi ritrovo a sospirare un po’ troppo forte.
Tutto questo, il fuoco che mi invade ogni volta che mi tocca, mi sembra così diverso da quel fuoco che mi divorava dentro quando facevo l’amore con Josh. Forse perché questo non è amore. Questa è semplice attrazione fisica. Il fuoco che mi provocava Josh era giusto. Questo è… sbagliato.
Una campanella comincia a suonare fastidiosa in un angolo della mia testa, e il mio cervello riprende a funzionare. Adesso mi rendo conto di quello che sta succedendo. Sento davvero le mani di Alex che mi abbassano i jeans, mentre la sua bocca è scesa a seminare fiamme sul mio basso ventre. Sento le mie mani stringere il tessuto del divano e la mia schiena inarcata. Sento l’eccitazione invadermi il corpo. E, quando i miei jeans raggiungono il resto degli indumenti atterra, mi accorgo che il biondo sopra di me è rimasto in boxer. Il mio corpo si irrigidisce e reagisco di scatto. Pudicamente, mi copro il seno con le braccia, che stranamente è ancora fasciato nel reggiseno, e mi allontano da Alex. Tento di afferrare degli abiti a terra per coprirmi, ma tanto ormai è inutile.
Lui mi guarda, nei suoi occhi la sorpresa provocata dalla mia reazione. Ma ha capito cosa è successo. Non è stupido e, ormai, sa leggermi abbastanza bene. Infatti, abbassa lo sguardo, sul volto non più la sorpresa ma la tristezza.
Vorrei dire qualcosa ma non credo che in queste situazioni ci sia qualcosa da dire. In fretta, mi rivesto, anche se sento ancora il fuoco su tutto il corpo. Quando sono completamente rivestita, allungo la mano come a volergli accarezzare i capelli, ma capisco che peggiorerei solo le cose. E ho già combinato abbastanza danni. Mi dirigo verso la porta. Nella testa il pensiero di Josh che mi spezza quasi il cuore, sul corpo i tocchi di Alex che ancora mi mandano in fiamme.
«Mi sono preso la mia vittoria.» la sua voce mi fa fermare di botto.
Non mi volto a guardarlo, perché già il suono mi fa capire che cosa vedrei. La tristezza di non essere riuscito a tirare fuori completamente la parte di me che si è presa una cotta per lui, e il senso di vittoria, perché, anche se per poco, sono stata sua.
Cerco di erigere una barriera mentale per tenere lontani tutti i pensieri finché non entro nella mia roulotte. E poi crollo.
La consapevolezza di aver tradito Josh. Di aver distrutto tutto quello che amavo. Perché non riuscirò mai a tornare da lui sapendo quello che ho fatto. Perché anche se ci riuscissi, non riuscirei mai a tenere un segreto così a lungo. Prima o poi crollerei e allora sarebbe ancora peggio.
«L’hai voluto tu, Ila. Ti sei scavata la fossa da sola.»
Non so se è un pensiero o se l’ho detto ad alta voce. L’unica cosa che so è che non ho più lacrime da versare.

 

 
 

SPAZIO AUTRICE.

 

Ok… ehm… Hola! *finge un sorriso a trentadue denti*
 
No, eh? No. Ok, ho capito.
E’ meglio se me ne torno nel mio angolino e non commento questo capitolo.
Anche perché non avrei molto da dire >.< (ultimamente sono un po’ a corto di commenti! e.e)
 
Voglio solo farvi due piccoli
#spoiler.
1. Nel prossimo capitolo scoprirete cosa ha detto Ila a Josh nel messaggio lasciatogli in segreteria telefonica!
2. Il prossimo capitolo non sarà scritto dal punto di vista di Ilaria, ma sarà scritto in terza persona e dal punto di vista di Josh, il padre di Ila e… il terzo è una sorpresa! :P (non posso dirvi proprio tutto! v.v)
 
Vi consiglio di riflettere bene sul commento di Ila: «L’hai voluto tu, Ila. Ti sei scavata la fossa da sola.»
 
Vi ricordo la mia pagina Facebook - - - >Ilaria.
 
Un bacione e tanto ammmore, Ila. 

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Capitolo 26
*** Blackout ***


Blackout.

Don’t kid yourself,
And don’t fool yourself.
This life could be the last,
And you’re too young to see.
Muse – Blackout.

 
 

Ore 10.30, Los Angeles.
 
Josh aveva passato tutta la sera prima e la mattina stessa seduto sul divano in salotto ad aspettare. Non aveva nemmeno dormito. Nonostante ne sentisse il bisogno, non aveva nessuna intenzione di lasciarsi andare al sonno. Lei sarebbe potuta arrivare da un momento all’altro.
«Non vuoi nemmeno fare colazione?» Connor si avvicinò porgendogli una porzione di frittelle ancora fumanti.
Lo stomaco del ragazzo si contorse dalla fame e si ritrovò a pensare che mangiare non l’avrebbe poi distratto così tanto dalla continua contemplazione dell’ingresso. Così accettò le frittelle, mormorando un leggero ringraziamento al fratello.
Aveva notato che anche lui era preoccupato da tanto ritardo. Ilaria, dopotutto, era una ragazza puntuale. L’aereo sarebbe dovuto atterrare alle tre di notte e lei, tramite Janet, aveva comunicato che avrebbe usato un taxi per tornare a casa. Quanto ci voleva dall’aeroporto a casa? Un quarto d’ora. Venti minuti, se proprio c’era traffico. Ma Josh non credeva che alle tre di notte le strade fossero poi così intasate.
Aveva passato tutta la notte a chiedersi se lei avesse scelto di non tornare a casa. Se avesse scelto Alex, invece che lui. Il solo pensiero gli faceva serrare la mascella dalla gelosia. Quel biondo tutto muscoli non gli era mai andato a genio, ma quando si era avvicinato e aveva posato un bacio sulla guancia della sua ragazza non ci aveva più visto. Era riuscito a tenersi le cose dentro fino a due giorni prima poi, però, era scoppiato. Ovviamente, nel momento stesso in cui aveva pronunciato il suo ultimatum e visto la delusione negli occhi di Ila, se ne era pentito. Ma ormai era stato troppo tardi per cambiare idea. C’era comunque anche da dire che non poteva essere sempre lui quello accomodante. Le aveva fatto capire benissimo che il vederla scherzare con Pettyfer gli dava fastidio, ma lei non aveva smesso. E a giocar col fuoco, prima o poi, ci si scotta.
Adesso, però, il pensiero che lei lo avesse lasciato per quell’odioso pezzo di… okay, si doveva calmare. Non poteva continuare così.
«Josh, io non vorrei essere sempre…»
Da quando Connor si era svegliato, non aveva smesso di lanciargli occhiate furtive. Josh non le sopportava. Non voleva che il fratello lo guardasse con quella espressione che gli toccava sorbirsi tutte le volte che una ragazza lo scaricava. Che ne sapeva poi lui, che era anche più piccolo! Ila non lo aveva scaricato per Pettyfer. Era molto probabile che l’aereo fosse partito in ritardo. Che ci fossero stati problemi con i voli e lei fosse ancora in Canada ad aspettare di partire.
«Arriverà, Connor. Me lo sento.»
«Josh…»
«Non dire il mio nome in quel modo. Io so che tornerà. Lo so.»
E ne era davvero sicuro. Nonostante gli fosse passato per la testa che se l’aereo non fosse partito o ci fossero stati cambiamenti di orari di sicuro Janet lo avrebbe informato, aveva accantonato l’idea. Ilaria non lo avrebbe lasciato così.
Il fratello si zittì, e Josh notò ancora quella occhiata piena di pena e di compassione. Cos’è, lo credeva veramente così disperato in fatto di ragazze? Non è che solo perché l’ultima l’aveva scaricato per un altro, adesso doveva diventare un rito.
E poi… Ila era diversa. Lei ne aveva passate di tutte i colori nella sua vita. E ne aveva passate di tutti i colori con lui. La loro storia non sarebbe finita così, per colpa di un biondo egocentrico.
Improvvisamente, perse il filo dei suoi pensieri e cominciò a sentire le palpebre pesanti. Si diede un pizzicotto al braccio e i suoi occhi tornarono ad aprirsi.
«Conn, mi sporgi del caffè, per favore?»
Avrebbe per forza dovuto ripiegare sul caffè. Doveva rimanere sveglio.
Si sedette più comodamente sul divano e sentì qualcosa di duro sotto la coscia. Tastando, trovò il telefono e, continuando a tenere sotto controllo la porta, si assicurò che non ci fossero novità. L’unica cosa che trovò fu un messaggio lasciato in segreteria, presente nelle sue notifiche dal pomeriggio del giorno prima. Da quanto tempo era che non guardava il telefono?
Si portò il telefono all’orecchio per ascoltarlo.
E riconobbe immediatamente la sua voce, perdendo quasi un battito.
 
«Ciao Josh, sono Ila. Ecco… volevo augurarti buona fortuna per l’incontro con i produttori, ma Janet mi ha detto che sei già con loro, quindi… beh, fammi sapere com’è andata e… Dio, non so che dire! Mi… mi dispiace per ieri sera. Io… io credo… io ti amo e ho sbagliato. Ho sbagliato perché sapevo cosa provavi ma… era come, non so… Ogni volta che ero con lui era come se mi dimenticassi del resto e… Io… io ti chiedo solo di perdonarmi perché sei la cosa migliore che mi sia capitata e… sai, non voglio perderti solo perché sono un’idiota. Sappi che… sappi che sono disposta a tutto per te e, anche se sei arrabbiato, non mi arrenderò. Esattamente come tu non ti sei arreso con me. Non… non era mia intenzione farti soffrire. Davvero, sono… E’ solo che a me servono le batoste per capire che forse sto sbagliando. Mi dispiace. Ci… ci vediamo a casa. Ti amo.»
 
Dovette ascoltare il messaggio due volte per comprendere appieno il significato di quelle parole e poi si lasciò andare sul divano.
Aveva scelto di stare con lui. Non lo aveva abbandonato per Alex. Lei sarebbe rimasta.
E allora perché non arrivava? Perché non era ancora tra le sue braccia?
Il filo dei suoi pensieri venne interrotto da Connor.
«C’è Janet in linea.» disse, porgendogli il cordless.
I loro occhi si incontrarono un attimo e, per un istante intravide il panico nello sguardo del fratello. Solo una frazione di secondo. Poi passò, come se non ci fosse mai stato.
Prese il cordless, le parole di Ilaria ancora che gli ronzavano nella testa, rendendo tutto un po’ più confuso e incorniciato da un alone di felicità.
«Pronto?»
«Ma dove hai il telefono?!»
La voce della donna lo sorprese. Poche volte nella sua vita l’aveva sentita così. Il tono pacato e sicuro non veniva mai sostituito da nessuna sorta di emozione quando lavorava. Poche volte l’aveva vista concedersi una risata, figurarsi lasciarsi andare al panico totale!
«Stavo…»
«Accendi la tv. Guarda il notiziario. Adesso!»
Mentre frugava tra le pieghe del divano, cercò di pensare a qualcosa che potesse essere talmente grave da mandare nel panico Janet, ma non gli venne in mente nulla. Perfino durante l’arrivo dell’ultimo uragano che aveva miracolosamente lasciato indenne Los Angeles aveva mantenuto il suo tono professionale. Credeva che nemmeno un’invasione aliena l’avrebbe piegata. Quella donna era una pietra.
Iniziò a preoccuparsi anche lui.
«Connor, dove diavolo è finito il telecomando?!»
Nessuna risposta. Eppure il fratello era solo a una stanza di distanza.
«Connor?»
Si alzò dal divano, la preoccupazione ormai aveva preso il sopravvento su qualunque altra cosa. In cucina, il fratello aveva acceso sul notiziario. Scene confuse si susseguivano. Un pullman ribaltato in fiamme, persone ferite, altre che venivano portate via in ambulanza, miracolosamente vive. Un sacco di facce che non aveva mai visto, che lo portarono a chiedersi perché mai avrebbe dovuto accendere la tv sul notiziario.
E poi la vide.
Avrebbe riconosciuto quel viso anche senza vederlo.
Coperto da graffi, contornato da una pozza di sangue, gli occhi chiusi. Ma lui la riconobbe.
Per poco non gli cadde il telefono di mano.
«Josh..?» la voce di Janet gracchiò dal telefono.
Ma lui non sentiva niente. Nonostante l’immagine fosse cambiata, lui continuava a vedere quel viso immobile. Tutto intorno a lui non esisteva più nulla.
Sentì soltanto la voce lontana del fratello che, come sempre, riusciva a tramutare i suoi più profondi pensieri in parole.
«Josh, credo che nessuno aprirà quella porta oggi.»

 
Stesso giorno, ore 19.30, Torino.
 
Lesse l’ultima frase del capitolo, sconvolto dalla piega che avevano preso gli eventi per il povero personaggio principale, costretto a dover scegliere se tradire la patria o morire. Adesso doveva assolutamente sapere che cosa sarebbe successo. Voltò la pagina e prese a leggere un altro capitolo ma, in quel momento, puntuale come solo un orologio svizzero avrebbe saputo essere, la moglie lo chiamò per cenare. 
Non ebbe fretta di alzarsi. Probabilmente per avere il piatto pieno avrebbe dovuto aspettare almeno un quarto d’ora buono. La moglie era una di quelle persone per cui vedere l’orologio segnare le dieci e mezza equivaleva a vedere l’orologio segnare le undici.
Ma a quanto pareva lei non voleva mollarlo. Sentì i suoi passi raggiungerlo e, in meno di un secondo, si ritrovò senza libro.
«Ho detto che è pronto.» gli disse, guardandolo male.
Lui alzò gli occhi al cielo e la seguì in cucina. Si sedette, come sempre, al suo solito posto e, come sempre, si ritrovò a pensare a quanto fosse strano trovarsi seduti a tavola in tre, invece che in quattro.
La sua era diventata quasi un’abitudine. Durava ormai da un anno e non ne aveva reso partecipe nessuno, sperando che prima o poi passasse. Ma non passava, anzi, peggiorava.
Sapeva benissimo che Ilaria stava bene, a Los Angeles. Josh la rendeva felice ogni giorno di più e, anche se non avevano sue notizie da quando aveva interrotto le riprese del film per dare gli esami, erano convinti che la sua vita fosse praticamente perfetta.
Ogni sera, però, si ritrovava a guardare la sedia vuota, sentendo il cuore appesantirsi dalla tristezza di non poter vedere la figlia più grande ogni volta che lo desiderava. E, ogni sera, vedeva la moglie e la figlia più piccola fare lo stesso.
E poi, tutto passava.
«Come è andata oggi a scuola?»
«Il lavoro?»
«Oggi è successa una cosa che…»
«Mia mamma ti manda le acciughe.»
«Quel cretino del mio capo…»
«Il mio professore è un idiota.»
E la cena passava. Come sempre. Poi si sparecchiava tutti assieme e ognuno tornava a fare quello che stava facendo prima.
Così, sbadigliando, tornò a sedersi sul divano, deciso a finire il capitolo e, se ci fosse riuscito, anche il libro. Tolse il pezzo di carta che usava come segnalibro, si sedette comodamente, spostando i cuscini per allungare le gambe, pronto a rilassarsi e…
Il telefono squillò.
«Irene, rispondi al telefono!»
La ragazza gli corse davanti in direzione del cordless. La vide rispondere e fare una smorfia. Quella era la smorfia delle “chiamate indesiderate”: quelle telefonate da gente che voleva proporti qualunque cosa, dai contratti alla frutta. Così tornò a prestare attenzione al suo libro. Irene se la sarebbe cavata da sola.
Si sorprese quando vide con la coda dell’occhio la figlia raggiungerlo e porgergli il telefono.
«Chi è?»
«Una tizia che parla in inglese. Non si capisce niente.»
Alzò un sopracciglio, ritrovandosi a pensare che non conosceva nessuna persona inglese.
«Pronto?» rispose alla voce della donna.
Doveva essere americana, perché si mangiava tutti i finali delle parole e cambiava l’uso dei verbi. La sua voce cercava di essere tranquilla, ma si sentiva che stava nascondendo la preoccupazione.
Cominciò dicendogli che chiamava da un ospedale a Los Angeles, che c’era stato un incidente: un pullman si era ribaltato dopo che l’autista, alla guida in stato di ebbrezza, era andato a scontrarsi contro un guard-rail. L’autista ne era uscito indenne, con solo qualche graffio e un braccio rotto, ma c’erano stati sette feriti gravi, otto morti e due ragazzi in coma.
L’uomo continuò ad ascoltarla durante tutto il suo racconto, ma non capiva dove volesse arrivare. Il fatto che lo chiamasse l’ospedale di Los Angeles lo incuriosiva e al tempo stesso lo preoccupava. Il viso della figlia più grande era impresso nella sua testa, ma il suo cervello continuava a negare quell’ovvietà a cui ormai era arrivato.
Quando finalmente la donna smise di girare attorno alla notizia che gli premeva sapere, il suo cuore prese a battere troppo forse. O forse perse un battito. Per un attimo vide tutto nero e sentì le gambe molli. Fortuna che era già seduto o sarebbe caduto a terra. Chiuse la conversazione, mormorando un appena udibile “okay” e poi il suo sguardo si perse nel vuoto.
«Papà, che cosa voleva?»
La voce della figlia gli arrivò così lontana alle orecchie che per un attimo pensò di essersela immaginata. Cercò di riprendersi.
«Devo partire subito per Los Angeles. Devo… Ilaria… io…»
E svenne.

 
Stesso giorno, ore 8.30, Los Angeles.
 
Billie ne aveva visti tanti come lui.
E come loro.
Con il suo lavoro non poteva essere altrimenti.
Facevano tutti la stessa fine.
L’autista ubriaco che decide comunque di mettersi alla guida di un pullman di linea.
L’incidente.
Il ragazzo che viene ferito gravemente. La ragazza che subisce solo qualche graffio. Quella che si rompe qualche osso. Quello che finisce sulla sedia a rotelle per il resto della sua vita. Quello che va in coma. E quella che muore.
Perché alla fine qualcuno ci rimette sempre la vita. L’autista ubriaco ne esce illeso ogni dannata volta. Ma un innocente ci rimette sempre.
Billie ne aveva viste tante di tragedie. E finivano sempre così.
Tutto attorno alla carcassa ribaltata dell’autobus era confuso e agitato. Alcuni vigili del fuoco spegnevano le fiamme, altri correvano dai loro camion all’autobus, portandone fuori le persone ancora vive e cercando a fatica quelle morte. Le sirene delle ambulanze si avvicinavano ululando, facendo capire chiunque passasse di lì che c’erano dei problemi. Le volanti della polizia si fermavano tutto attorno al luogo della tragedia, cercando di tenere lontani i curiosi e i giornalisti che, non si sa bene come, spuntavano come funghi da tutte le parti.
Le persone ferite venivano portate vicino alle ambulanze dove i medici si davano da fare per curare momentaneamente i loro mali. In seguito sarebbero stati portati tutti in ospedale. I cadaveri, invece, venivano soltanto allontanati dalle fiamme, e lasciati a terra in modo che non intralciassero il lavoro dei vigili del fuoco.
Billie notò con amarezza che, come tutte le dannatissime volte, i cadaveri erano più dei sopravvissuti. Chiuse gli occhi, cercando di isolarsi da tutta la disperazione che sentiva avrebbe raggiunto quel posto di lì a poche ore. Non capiva perché fosse venuto anche lui lì. Dopotutto, adesso che era diventato il capo del suo dipartimento, poteva benissimo starsene seduto in poltrona a dare ordini. Ma, puntualmente, lui lasciava la poltrona per seguire i suoi uomini sul campo.
«Stai invecchiando, Billie.» gli diceva ogni tanto sua moglie, preoccupata. «E’ arrivato il momento che lasci andare altri a fare il lavoro sporco.»
Ma lui proprio non ce la faceva. Metterlo in poltrona era come proibire ad un bambino di fare qualcosa. Sicuramente, prima o poi, il bambino avrebbe fatto quella cosa che gli era stata proibita di fare. Come sicuramente, prima o poi, lui si sarebbe alzato da quella poltrona.
Si avvicinò ai cadaveri. I loro volti ancora scoperti, dato che quelli della scientifica, come sempre, erano in ritardo e nessuno si era ancora preso la briga di coprirli. Volti di ragazzi sconosciuti che non avrebbero più avuto un futuro. Che non avrebbero più aperto gli occhi. Che non avrebbero più cambiato posizione.
Billie li fissò tutti attentamente, cercando di imprimere ogni dettaglio di quei visi nella sua testa. Non sapeva bene perché, ma lo faceva tutte le volte che vedeva dei morti il cui decesso era dovuto a cause non naturali. Come a volersi ricordare delle atrocità di questo mondo.
Graffi, sangue, bruciature. Posizioni innaturali. Graffi, sangue, bruciature.
Si sentiva male ogni volta, ma continuò a passare in rassegna a tutti i corpi.
Uno di essi catturò la sua attenzione. Era il corpo di una ragazza. Gli occhi chiusi, il corpo pieno di graffi e, dalla posizione innaturale del braccio sinistro, probabilmente un osso rotto. La testa era immersa in una pozza di sangue. Il corpo immobile. Era, ovviamente, morta, ma il suo viso lo attirava insolitamente.
Come se quella ragazza l’avesse già vista da qualche parte. Come se la conoscesse.
Billie si chinò su corpo cercando di immaginare quel viso privo di graffi, magari sorridente… Fu allora che comprese. L’aveva già vista in foto. Gliela aveva mostrata sua figlia dicendo che era la ragazza più fortunata del mondo perché stava con un certo Josh Hutchqualcosa.
Ne era sicuro al cento per cento. Era lei. Gli bastava immaginarsela con un sorriso sognante, gli occhi castano-verdi luminosi, i capelli lisci senza quel contorno ripugnante di sangue e, in fine, a braccetto di quel giovane immortalato in tutti i poster con cui sua figlia aveva tappezzato la camera.
Gli venne un groppo in gola.  
Fortunatamente, l’arrivo della scientifica, lo distrasse dai suoi pensieri.
«Signore, dobbiamo coprire i corpi.»
Si allontanò un poco, continuando a fissare gli uomini che armeggiavano con dei teli neri. Quando finirono, però, mollarono i cadaveri lì, rimandando a più tardi il loro spostamento.
«Signore, i giornalisti chiedono di lei.»
Un ragazzo mingherlino dalla chioma bionda gli si parò davanti. Un novellino, sicuramente. Chiuse gli occhi e scosse piano la testa.
«Non voglio parlare con quella gentaglia.»
«Ma, signore…»
«Falli parlare col capo dei vigili del fuoco. Io non ho fatto nulla qui.»
«Signore…»
Il ragazzo stava per aggiungere qualcosa, ma Billie gli voltò le spalle camminando verso i cadaveri. C’era come una forza di attrazione che lo spingeva ad andare vicino al telo nero che copriva la ragazza…
«Io…» il novellino, però, non dava segno di volerlo lasciare in pace.
«Ragazzo, fai quello che ti ho detto.»
Non aveva voglia di sgridare nessuno, ma i novellini testardi proprio non li reggeva.
«Sì, signore. Vado subito, signore.» il ragazzo fece per allontanarsi, aggirando il corpo che Billie continuava a fissare intensamente. Dopo pochi passi, però, si fermò. «Mi ha chiamato, signore?»
Billie lo guardò come se fosse matto. Gli aveva appena dato un ordine e gli aveva detto di eseguirlo subito. Perché era ancora lì che gironzolava cercando scuse e chiedendogli se avesse pronunciato il suo nome?!
Come se fosse diventato lui il pazzo, invece che il novellino.
«Ragazzo, non so nemmeno qual è il tuo nome!»
«Josh, signore, e qualcuno…» si guardò attorno, cercando la persona che aveva pronunciato il suo nome.
Anche Billie si guardò attorno, ma erano circondati da cadaveri. E sicuramente nessuno di loro, nemmeno volendo, avrebbe potuto parlare. Il ragazzo stava decisamente delirando.
Fece per mandarlo via e fu allora che lo sentì: appena udibile, se non per un orecchio attento. Un sussurro flebile che si spezzo quasi subito. “Jo…”, diceva.
Abbassò lo sguardo sul telo nero che ricopriva la ragazza, si chinò di scatto e lo scostò con forza. Avvicinò l’orecchio alle labbra appena socchiuse della giovane e quasi gli venne un colpo quando si accorse che stava respirando. Lentamente e con non poche difficoltà, ma stava respirando. Stava respirando davvero!
Si scostò di scatto. «E’ viva! Và a chiamare qualcuno, subito!»
Il ragazzo non si mosse, pietrificato sul posto dalla sorpresa.
«Ragazzo, và! Potrebbero ancora salvarla!»
Dovette dargli uno spintone per farlo riprendere, e poi lo guardò correre via verso l’ambulanza più vicina iniziando a parlare a raffica e indicando con gesti frenetici Billie e il quasi-cadavere.
Scostò definitivamente il telo dal corpo e prese tra le sue la mano della ragazza.
«Ti chiami Ilaria, giusto?» gli era venuto in mente in quel momento e, anche se sapeva che lei non avrebbe risposto, provò a parlarle lo stesso. «Sì è così. Mia figlia mi ha parlato di te. Ti stima molto, sai? Ti considera un esempio lampante del fatto che tutti possiamo fare avverare i nostri sogni, se ci crediamo veramente.» Accostò nuovamente l’orecchio alle sue labbra e sentì ancora i suoi respiri lenti e affaticati. Diminuivano. Se non l’avessero portata subito in ospedale sarebbe morta. «Ora però, Ilaria, devi promettermi che non morirai. So che puoi farcela. So che vuoi ancora vivere. Chissà quante persone là fuori ti vogliono bene! Non puoi mica deluderle così, vero?»
Vide correre verso di loro i medici.
«Coraggio! Ancora poco e sarai salva. Coraggio.»

 
 
 

SPAZIO AUTRICE.

 

Voi non ci crederete, ma avevo in testa questo capitolo da quando ho iniziato a scrivere questa FF. Il resto, per qualche capitolo, è già tutto pronto nel mio cervello. Deve essere solo più messo per iscritto, quindi immagino che aggiornerò più spesso! **
 
Anyway, su Facebook ho chiesto chi poteva essere il terzo narratore, anche se ovviamente sapevo che non ci sareste potute arrivare (Ilaria cattiva mode: on :P) ma è stato bello leggere i vostri commenti :3
Sì, mi prendo bene per così poco. E sì, sono un caso disperato .-.
 
Questo capitolo è uscito un po’ corto, lo so, ma dilungarmi troppo in descrizioni inutili non mi sembrava bello così.. beh, questo è il risultato!
 
Il prossimo capitolo tornerà a essere scritto in prima persona dal punto di vista di Ila v.v
Però lo scrivere in terza persona è stato davvero piacevole e, se il mio progetto di scrivere una storia originale andrà in porto, la scriverò in terza persona ^^
 
Vi lascio in link della mia pagina FB - - - > Ilaria.
 
Un bacione, Ila. 

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Capitolo 27
*** Somewhere only we know ***


Somewhere only we know.

This could be the end of everything.
So why don’t we go,
Somewhere only we know?
Keane – Somewhere only we know.

 
 

Tutto è confuso.
Io e Josh che litighiamo.
L’ultimo giorno di riprese.
Il bacio di Alex.
L’aereo che ritarda.
La decisione di non tornare a casa di Josh.
L’autobus che va a sbattere contro il guard-rail.
Una luce bianca. 
E poi più nulla.
Vuoto.
 
Bip. Bip. Bip. Bip. Bip.
Il suono mi da alla testa. Come se già la confusione dei miei pensieri non bastasse.
Serro le palpebre e stringo i pugni. Rimango così per un po’, sperando che il bip smetta di infastidirmi, ma non lo fa. Come se avesse percepito i miei pensieri, invece, aumenta la sua intensità.
Sbuffo e faccio per muovermi ma mi blocco sentendo un fruscio al mio fianco.
«Ila..?»
Una voce assonnata, preoccupata, un po’ roca. Un voce piena di tristezza e di speranza. Una voce che, nonostante tutto, riconoscerei tra mille altre.
Sento un groppo in gola. Perché mio padre è qui?
Dei passi si avvicinano di corsa.
«Si è mossa, signore?» una voce femminile che non riconosco.
«No. Credo… solo l’ennesimo sogno. Mi dispiace di averla disturbata.»
«Ma si figuri! E’ il mio lavoro.»
Sogno? Quale sogno? E a chi appartiene la voce femminile? Dove sono?
Un’altra voce attira la mia attenzione, mentre cerco di rimanere il più immobile possibile.
«Non si sveglierà, non è vero?»
Anche questa è triste ma, a differenza di quella di mio padre, sembra rassegnata. Sentendola, posso quasi immaginare la mascella contratta, i capelli scompigliati e gli occhi che mi fissano sofferenti, come quando si erano posati su di me quella sera… e il mio cuore perde un battito. Josh è qui.
Nessuno risponde alla sua domanda, e mi chiedo che cosa intenda con quel “non si sveglierà”.
«Lei non si sveglierà… e…» un singhiozzo interrompe la frase.
Un movimento leggero un po’ lontano e poi dei passi che si allontanano, seguiti da un respiro sofferente.
Forse dovrei aprire gli occhi. Non capisco dove sono, ma non posso lasciare che la sofferenza continui ad aleggiare tutto attorno a me. Il problema è che…
«Signore, ti prego.» la voce di mio padre è un sussurro flebile. «Ti prego. E’ giovane e… è stata punita abbastanza. Risparmiala, ti prego.»
Mi accorgo con sorpresa che sta pregando. Lui, fermamente convinto che Dio fosse solo una credenza stupida dell’uomo, sta pregando. Posso ancora sentire i suoi brontolii ogni volta che si parlava della chiesa e dell’onnipotente: “Vuoi sapere la verità, Ilaria? Tutto questo è solo una grande stupidaggine. L’uomo ha bisogno di credere che esista qualcuno pronto ad ascoltarci nel momento del bisogno. Pronto ad aiutarci.” Apriva le braccia, alzando gli occhi al cielo. “Come se un vecchio con la barba bianca, a dire il vero anche un po’ lunatico, potesse ascoltare e aiutare tutto il mondo nel momento del bisogno! Se devi credere in qualcuno, credi solo in te stessa. Nessun Dio ti aiuterà mai, questo è poco ma sicuro.” 
Ma la sua preghiera non continua per molto. Dopo un po’, anche lui si lascia andare ai singhiozzi, e allora decido di muovermi e aprire finalmente gli occhi.
La prima cosa che vedo è il soffitto fin troppo familiare. Lo riconoscerò fino alla fine dei miei giorni. Ho passato troppo tempo a fissarlo, mentre il mio corpo veniva imbottito di medicine e sedativi, per dimenticarlo. In qualunque parte del mondo tu vada, sarà sempre uguale. Il classico soffitto da ospedale.
In effetti, ci sarei dovuta arrivare. Sicuramente, dopo l’incidente avrò perso coscienza e così mi hanno portata qui. Ricordo che l’autista viaggiava molto velocemente, quando si è andato a schiantare.
Le luci mi danno fastidio agli occhi e, nel gesto più naturale del mondo, mi copro il viso con una mano. Nello stesso istante, smetto di sentire i singhiozzi.
Guardo mio padre e vedo i suoi occhi spalancarsi pieni di sorpresa, ancora arrossati dal pianto, mentre sulle sue labbra si increspa un sorriso pieno di speranza. Mi immagino che si metterà ad urlare dalla felicità o, come minimo, mi stringerà in uno dei suoi forti abbracci, invece fa una cosa alquanto strana. Si tira un pizzicotto.
«Questo è un sogno, non è vero?» il suo tono di voce è come una pugnalata nello stomaco. «Soltanto un altro bellissimo sogno.»
Scuote la testa. Dai suoi occhi scorre via, assieme alle lacrime che riprendono a scendere, tutta quella sorpresa che gli aveva provocato il mio risveglio. Il suo sorriso si spegne e la tristezza torna a far mostra di se in tutte le sue rughe.
Perché crede che tutto questo sia un sogno?
«Papà…»
Ma lui abbassa la testa, appoggiandola sul materasso dove sono distesa.
Il bip in sottofondo aumenta la sua velocità e solo allora capisco che scandisce i battiti del mio cuore. Ma non faccio in tempo a preoccuparmene che una donna entra nella stanza correndo. Mi guarda e sul suo viso si accende un sorriso sinceramente felice. Poi corre nuovamente fuori dalla stanza, lasciandomi qui con mio padre, che non crede possibile che questa sia la realtà.
Pochi secondi dopo ritorna correndo, seguita da un signore brizzolato che indossa un camice bianco, a cui è appeso un cartellino con scritto “Dr. Shurt”.
«E fu così che la nostra Bella Addormentata finalmente si svegliò.» dice con una voce tranquilla.  
 
«Dottoressa, vuole per cortesia accompagnare il signore fuori a prendere una sana boccata d’aria?» continua il dottore, sorridendomi gentilmente. «Ha passato abbastanza tempo in questa stanza.»
La donna si avvicina a mio padre e, con voce gentile, lo convince ad alzarsi e a uscire dalla camera ma, arrivata sulla soglia, il dottore la ferma.
«Si assicuri che anche il signor Hutcherson vi raggiunga.»
Lei annuisce e si allontana tenendo sotto braccio mio padre. Li guardo finché girano in un corridoio dell’ospedale, che li sottrae alla mia vista. Così torno a guardare il dottor Shurt.
Mi piacerebbe chiedergli cosa sta succedendo, ma non lo faccio. Semplicemente, aspetto che sia lui a parlare.
Ma non lo fa. Si avvicina, mi punta una luce negli occhi e mi fa seguire con lo sguardo il suo dito. Poi mi fa muovere gambe e braccia. Decide che sono ancora troppo debole per camminare, ma non oso domandargli nulla. Quando finiamo, finalmente, decide di parlarmi.
«Ti ricordi qualcosa?»
Capisco che si riferisce all’incidente. «Mi ricordo l’autobus che va a schiantarsi contro il guard-rail.»
Lui annuisce, grattandosi il mento.
«Sei arrivata qua tre mesi fa. Il braccio sinistro rotto, la caviglia destra fratturata, tre costole rotte, schegge di vetro conficcate nella testa e avevi perso talmente tanto sangue che pensavamo che la tua ripresa fosse solo momentanea. Sul luogo dell’incidente, i medici ti avevano data per morta. Quando sei arrivata qui, sei entrata in coma e ti sei svegliata solo adesso.»
Smette di parlare e incrocia le braccia al petto, in attesa di qualcosa. Ho bisogno di un momento per comprendere tutte le sue parole. Sono stata in coma per tre mesi.
Tre mesi.
Ora capisco perché mio padre parlava di sogni. Ora capisco perché Josh diceva che non mi sarei svegliata. Ora capisco perché mi sembra che l’incidente fosse avvenuto soltanto ieri.
«Tre mesi…» biascico, senza accorgermene.
Lui annuisce, ma non lo vedo. Non davvero, perlomeno. È come se mi fosse crollato il mondo addosso.
«Capisco che possa essere uno shock per te, ma è inutile girare attorno alle cose.» mentre lui parla, io annuisco meccanicamente. «Almeno, questa è la mia filosofia di vita.»
Fisso gli occhi in quelli del dottore e mi accorgo che mi sento come se il mondo fosse andato avanti senza aspettarmi. Come se adesso dovessi recuperare il tempo perduto. Di nuovo.
Ho toccato la morte. Di nuovo.
Ho toccato la morte e sono tornata alla vita. Di nuovo.
Ho fatto soffrire le persone che mi stavano vicine per troppo tempo. Di nuovo.
«Quindi… quali sono le mie condizioni, adesso?»
Lui mi scruta il viso per qualche secondo.
«Le tue condizioni attuali sono ottime. Potrebbero esserci dei problemi alle articolazioni ma, essendo che sei stata in coma relativamente per poco tempo, sarebbero solo temporanei.»
“Temporanei”… beh, è una cosa di cui andare fieri. Conoscevo una persona che, dopo un coma di quattro mesi, aveva perso l’uso di un braccio.
Ma nonostante io mi senta sotto shock, ci sono cose che mi importano di più delle mie condizioni.
«Perché mio padre pensa che tutto questo fosse un sogno?»
La mia voce è fredda. Come se tutto questo non mi toccasse.
«Ha avuto un crollo nervoso, due settimane fa.» il dottor Shurt misura attentamente tutte le parole. «Era da tempo che nei suoi sogni tu ti svegliavi e gli sorridevi. Ma non devi preoccuparti, lo stiamo tenendo sotto controllo.»
«E Josh?»
«Il signor Hutcherson… Beh, per colpa sua abbiamo il parcheggio dell’ospedale pieno di paparazzi.» fa un mezzo sorriso divertito. «Quattro giorni dopo il crollo nervoso di tuo padre, è arrivato qua con un labbro spaccato, e ogni tanto si lascia andare a pianti isterici. Ma lui sta bene.»
“Ma lui sta bene”. Sì, la descrizione perfetta di una persona che si lascia andare a pianti isterici e arriva con un labbro spaccato.
«Posso vederli?»
Lui mi scruta ancora un attimo. «Perché chiudi così lo shock che stai provando?»
Lo guardo, sorpresa. «Io non…»
«La maggior parte delle persone che si risvegliano da un coma vanno nel panico. Tu, invece…»
«Ho vissuto di peggio.» dico semplicemente, accarezzando uno dei tubicini che fanno a infilarsi nelle mie braccia. Il dottore sembra incuriosirsi. «Sono quasi morta di overdose.»
«Oh…»
«Già. Ora posso vederli?»
«Sì, li faccio chiamare.»
 
Li vedo arrivare dal corridoio. Sembrano dei morti che camminano. Mio padre con la faccia stanca e pallida ma, allo stesso tempo, illuminata dalla felicità di vedermi finalmente sveglia, e questa volta realmente, non solo in uno dei suoi sogni. E Josh con il labbro inferiore in fase di guarigione e i capelli in disordine ma, a differenza di come me lo ero immaginato, il suo viso è illuminato dalla felicità esattamente come quello di mio padre.
Irrompono nella stanza quasi di corsa. Mio padre mi abbraccia forte, Josh, invece, si ferma a qualche passo di distanza come a volerci lasciare un po’ di spazio solo per noi.
«Dio, sei sveglia! Sei…» mio padre mi accarezza il viso e sento gli occhi inumidirsi. «Sei davvero qui. Non… non è un sogno.»
La felicità è uno strano contrasto sul suo viso deformato dal dolore di questi mesi.
«Papà…»
Provo a iniziare una frase di senso compiuto, ma non riesco a finire. Sento un groppo in gola ma questa volta non trattengo il dolore. Lascio libere le mie lacrime.
«Tua madre sarà… sarà così felice!» le sue parole sono interrotte da singhiozzi. «Io devo… devo…»
«Non è qui?»
«No, lei… non ce l’avrebbe fatta.»
Mi immagino la disperazione di mia mamma. Quella disperazione che conosco fin troppo bene.
«Vai a chiamarla allora.»
Si allontana di qualche passo, deciso a prendere il telefono, ma poi si ferma. E’ interdetto. Riesco a leggere nei suoi occhi la paura. La paura di poter tornare e scoprire che era tutto l’ennesimo sogno.
Gli sorrido, la mia vista è appannata dalle lacrime. «Sarò ancora qui quando tornerai. Non me ne vado più.»
Lui annuisce, ancora indeciso. Fissa il mio viso ancora per un momento e poi esce dalla stanza con passo insicuro.
«Questi tre mesi sono stati una tortura per lui.»
Josh si avvicina al mio letto e mi prende una mano tra le sue. Avvicina il viso al mio e, per un attimo, credo che voglia baciarmi. Invece, le sue labbra si appoggiano delicatamente sulla mia fronte.
Non so perché, ma il viso di Alex si fa largo a spintoni tra i miei pensieri e faccio fatica a non dargli retta.
«E per te, invece?» gli domando non appena si allontana.
Non mi guarda. Prende una sedia e la posiziona accanto al letto e, prima di sedersi, si passa una mano tra i capelli. E’ nervoso.
«Io… me la sono cavata.» la sua lingua passa sul taglio ancora guarito del tutto.
Non so cosa mi spinge a farlo, il suo viso che porta ancora i segni del dolore o la mia lotta interna per tenere a bada i pensieri, ma gli poso una mano sulla guancia e prendo a sfiorare con il pollice il taglio.
«Che hai combinato?»
Lui prende un respiro profondo.
«Stavamo perdendo tutti le speranze…» i suoi occhi mi fissano. «Pettyfer mi ha chiamato. Mi ha raccontato tutto. Mi ha… sono andato fuori di testa. Gli ho chiesto se potevamo incontrarci e, non appena l’ho visto, gli ho tirato un pugno e… Fortuna che dei passanti ci hanno fermato.»
Abbassa lo sguardo e appoggia la testa sulle mie gambe. I sensi di colpa tornano a dilaniarmi come avevano fatto per tutto il viaggio di ritorno a Los Angeles.
«Mi dispiace.»
Deve essere distrutto. Non posso nemmeno immaginare come deve sentirsi, in questo momento. L’unica cosa a cui riesco a pensare è che, se non fosse stato per l’incidente, io sarei tornata al college e lui avrebbe sofferto molto di meno.
«Però non mi importa.» la sua voce è bassa ma decisa.
Rimango per un attimo sorpresa. «Cosa?»
«Non mi importa.» si alza dalla sedia e si china su di me, appoggiando la sua fronte alla mia.
«Josh, io…»
Mi posa un dito sulle labbra, mettendomi a tacere. Ma io non voglio stare zitta. L’ho tradito e a lui non importa?!
«Ho pensato un sacco in questi mesi.» non si sposta. I suoi occhi immersi nei miei. «Ho pensato a quello che ti ho detto, a quello che hai fatto, a come siamo andati avanti. Mi sono sentito in colpa come non mai. E più pensavo, più mi sentivo in colpa.» con i pollici asciuga le lacrime che iniziano a scendere dal mio viso. «Connor non sapeva più cosa fare. Ho passato ogni secondo qui, in questa stanza. Tornavo a casa solo per cambiarmi e lavarmi. Ti guardavo dormire e speravo che aprissi gli occhi. Poi tuo padre ha avuto il crollo nervoso.» stacca la fronte dalla mia, e torna a sedersi. «I dottori hanno detto che doveva stare tranquillo per qualche giorno lontano dall’ospedale e così mio fratello si è preso cura di lui.» riesco quasi a immaginarmelo Connor mentre, come aveva fatto con me, si prende cura di mio padre. «Poi Pettyfer ha chiamato. E l’unica cosa che riuscivo a pensare mentre mi mettevano a posto il labbro era che non ti avrei mai più lasciata andare. Mai più. Non mi importa se l’hai baciato. So che non provi nulla per lui.»
Le sue parole mi colpiscono come pugnalate in pieno petto, mentre i sensi di colpa mi impediscono di pensare lucidamente.
«Josh, tu sai perché ero su quel pullman…»
«Eri presa dai sensi di colpa, tutto qui.»
«Tu sai che…»
«L’unica cosa che so è che ti amo.» qualcosa sembra illuminarlo improvvisamente. «L’hai detto anche tu, ricordi? Ti servono le bastonate per capire che stai sbagliando.»
Mi sembra assurdo. Tutto quanto. Lui non dovrebbe perdonarmi, lui dovrebbe lasciarmi seduta stante. Non avrebbe nemmeno dovuto passare questi tre mesi seduto al mio capezzale!
«Quel messaggio te l’ho lasciato prima.»
«Prima di cosa?»
«Prima di aver baciato Alex.»
Così come si era improvvisamente illuminato, si spegne.
Mi sento tremendamente in colpa. E’ come se avessi tradito me stessa, in questo modo.
«Provavo davvero qualcosa.» è giusto che lui sappia tutta la verità. «E me ne ero resa conto, per questo ti avevo lasciato quel messaggio. Avevo deciso di non parlare più con lui, ma poi… Quando mi sono resa conto di aver sbagliato tutto, ormai era troppo tardi. Sono salita su quel pullman col preciso intento di non tornare da te. Ti avrei ferito ancora di più e ti amavo, e ancora ti amo, troppo per vederti distrutto da un mio sbaglio.»
Josh rimane in silenzio, schiacciato dal peso di consapevolezze che, sicuramente, fino a poco prima non aveva voluto prendere minimamente in considerazione.
«Mi dispiace, davvero. Ho cercato di trovare un altro modo ma…»
Sembra riprendersi un po’. «C’è sempre un altro modo.»
La sua convinzione, nonostante la verità che ha appena saputo, mi lascia sorpresa, ma i sensi di colpa sono troppi e anche se potremmo farcela a cancellare tutto questo, non sarebbe più la stessa cosa.
«Non questa volta, Josh. Ti ho tradito e poi me ne sono andata e… lo so che sono passati tre mesi, che pensavi sarei morta. Ma adesso sono qui e tu hai bisogno di riconsiderare la situazione senza la paura di non rivedermi riaprire gli occhi.»
Lui abbassa lo sguardo, senza dire niente.
«Lo so che…»
Ma non mi lascia finire.
«Te l’ho detto, non mi importa.» si stringe nelle spalle, tornando a guardarmi negli occhi. «Io so solo che non voglio più passare un solo momento della mia vita senza di te. Ho preso in considerazione qualunque cosa mi venisse in mente. Ti giuro, ci ho pensato davvero tanto e ancora prima di sapere da Pettyfer… ma arrivo sempre alla stessa conclusione.»
Sul suo volto spunta un sorriso. Si alza dalla sedia e si inginocchia davanti al mio letto. Poi tira fuori dalla tasca dei jeans un piccolo cofanetto quadrato. Non ho bisogno di vedere quello che c’è dentro per capire dove vuole arrivare. Il mio cuore perde un battito.
«Mi vuoi sposare?»
 
«Dove va Josh?» mio padre entra in camera tutto sorridente.
Guardandomi, però, capisce che c’è qualcosa che non va. Io stringo i pugni, cercando di non lasciarmi andare di nuovo alle lacrime.
«Ila..?»
Non voglio rispondere. Mi sento un mostro.
«Ila, dove sta andando Josh?» il suo tono prende una sfumatura di preoccupazione.
Vorrei riuscire a trovare una bugia da propinargli, in modo da non dovere raccontare la verità. Ma mio padre ha un sesto senso speciale, quando si tratta di me. Quindi non mi resta molta scelta.
«Mi ha chiesto di sposarlo.»
Lui sbianca. «E tu cosa gli hai risposto?»
Scuoto la testa, impegnata a trattenere le lacrime. «Io l’ho tradito, papà.»
Forse l’avrebbe scosso di meno sapere che mi sarei sposata ma non ha il tempo di dire nulla, perché scoppio a piangere. Un pianto isterico. Uno di quelli che lui conosce fin troppo bene.
Si siede sul bordo del letto e mi abbraccia forte. Non dice niente. Semplicemente, lascia che io consumi tutte le mie lacrime.
Lo so che tutto questo è sbagliato nei confronti di Josh. Insomma, dopo tutto quello che gli ho fatto e che ha passato in questi mesi, non ho nessun diritto di piangere. Ma non riesco a fermarmi. Non riesco a smettere di piangere.
«Credevo che la vita avesse smesso di darmi possibilità nel momento in cui ho ucciso quella piccola creatura.» dico quando riesco finalmente a calmarmi. «Credevo… poi, invece, mi ha offerto la possibilità di andare avanti. Di assemblare nuovamente i pezzi. E l’ho buttata, cadendo nel giro della droga. Ma lei non si è arresa con me. E’ stata buona, mi ha dato un’altra possibilità.» mio padre scioglie l’abbraccio e mi osserva attentamente, stringendomi le mani. «E quella volta l’ho fatto. Ho assemblato nuovamente i pezzi. Ma non si è accontentata di questo. Mi ha dato la possibilità di studiare, entrare a medicina e venire in un college in America e… mi ha dato Josh. La cosa migliore che mi sia capitata in tutta la mia esistenza.» un singhiozzo mi interrompe. «E, come se non bastasse, ho avuto la possibilità di entrare nel mondo del cinema. Cavolo, ci avresti mai creduto? Un sogno a cui avevo rinunciato quelli che sembrano secoli fa. La vita è stata buona con me nonostante tutto ma io non imparo mai, non è vero? Io non imparo proprio mai. Me lo sono cercata, tutto questo. Avevo tutto ciò che desideravo e… sono una stupida.»
Nascondo il viso tra le mani, anche se non piango più.
«Mi dispiace.» mio padre mi mette una mano sulla spalla e poi torna a stringermi in un abbraccio.
Ma so cosa direbbe se non mi fossi appena svegliata da un coma di tre mesi, se non avesse sofferto tanto, se non fosse stato lontano da casa per così tanto tempo e se non avessi appena finito di piangere. Mi direbbe che sono stata un’idiota, e gli darei pienamente ragione.
Mi chiedo solamente cosa porti l’essere umano a fare cose così diverse da ciò che farebbe se solo ascoltasse quella che è l’umana ragione.
 
Dopo tre giorni mi dimettono dall’ospedale. L’unico segno del fatto che ho passato gli ultimi tre mesi in coma è il movimento improvviso della mia mano sinistra che, ogni tanto, decide di prendere vita e ricordarmi il mio trauma. Ma il dottor Shurt dice che con il tempo passerà. Il mio cervello ha solo bisogno di riabituarsi a “vivere”, come ha detto lui.
Mio padre è contento di tornare a casa sapendo che sto bene, anche se credo sia ancora preoccupato che tutto questo sia solo un sogno.
Lo accompagno all’aeroporto e passa mezz’ora a farmi promettere di stare attenta agli autisti dei pullman. Come se tutti gli autisti avessero il vizio di mettersi alla giuda in stato di ebbrezza. Comunque, per essere sicura, decido di prendere un taxi.
Ma non vado subito al college. Prima, passo da casa di Josh.
Incrocio le dita, sperando di non trovarlo. Devo andarmi a riprendere tutte le mie cose e, saperlo nella stessa casa sarebbe soltanto un buon motivo per scatenare nuovamente i miei sensi di colpa.
Quando arrivo, noto che la sua macchina non c’è. Mi avvio verso l’ingresso e rimango di sasso. Davanti alla porta sono ammucchiati tanti scatoloni e, seduto accanto a uno di essi, Connor fissa il punto da dove sono appena arrivata.
Non posso fare a meno di pensare che voglia rendermi partecipe dell’odio che prova nei miei confronti. Quando, invece, si alza in piedi sorridendo mi rendo conto di quanto abbia sofferto anche lui in questi mesi.
Prima che riesca a rendermene conto, sto già correndo nella sua direzione e le sue braccia mi stanno già stringendo forte. E allora mi chiedo: come farò senza di lui?
Ho detto di no a Josh perché era la cosa giusta da fare. Perché lo amo, e sarebbe stato completamente sbagliato sposarsi, e… ho perso anche Connor. Il fratello che ho sempre desiderato. Una delle persone migliori del mondo, assieme a suo fratello.
Se mi avessero detto che sarebbe finita così, probabilmente avrei riso per giorni interi.
Mi stringo a lui, assaporando quella sensazione di casa. Di accoglienza. Quasi di famiglia.
Vorrei solo avere più tempo per spiegarmi, anche se so già che non servirebbe. La dura verità è che è tutta colma mia, lo so io e lo sa lui. Non servono inutili spiegazioni.
«Mi dispiace.» non riesco a pensare o a dire nient’altro.
Immagino che mi farà una ramanzina coi fiocchi ma, come sempre, dimentico che Connor è imprevedibile.
«Mi sei mancata, I.» la sua voce si rompe, mentre pronuncia il mio nomignolo.
Scioglie l’abbraccio e mi mette le mani sulle spalle. Come me, cerca di trattenersi dal piangere. Non avrei mai pensato di vivere abbastanza a lungo per vedere Connor sull’orlo delle lacrime.
Vorrei dirgli che mi mancherà, ma tutto quello che esce dalle mie labbra è un singhiozzo che tento di nascondere con un colpo di tosse. E allora cerco di cambiare discorso.
«Sono venuta a prendere le mie cose…»
Connor indica con un cenno del capo gli scatoloni dietro di se, e allora capisco.
«Non voleva che ti aspettassi qui.» dice semplicemente. «Voleva che prendessi la tua roba e te ne andassi, senza distruggere il cuore di qualcun altro. Ma io mi sono impuntato. Non potevo lasciarti andare via senza salutarti. Abbiamo litigato e… beh, ha messo la tua roba negli scatoloni, li ha portati fuori, ha preso il cane ed è andato via.»
Bene, non solo ho distrutto completamente Josh ma l’ho fatto anche litigare col fratello. Se prima mi sentivo un mostro, adesso mi trasformerei volentieri in un verme per poi farmi calpestare ripetutamente.
«Ti ricordi quando ti avevo detto che non ti avrebbe mai lasciata, a meno che non gli avessi offerto un più che valido motivo?» i suoi occhi, così simili a quelli del fratello, mi scrutano il viso con attenzione. Io annuisco. «Immaginavo che un tradimento fosse un motivo più che valido, invece… sai, I, credo che tu abbia fatto bene, a dirgli di no. Era accecato dall’amore e dal dolore. Credo che gli farà bene ripensare a quello che è successo a mente lucida.» sul suo viso compare un piccolo sorriso ironico. «Come credo che gli farà bene prendersi una piccola pausa da te.»
«Non credo che sarà solo una piccolo pausa.»
«E questo chi lo può dire con sicurezza?»
Si stringe nelle spalle e un sorriso gli illumina il volto.
«Connor, hai avuto ragazze dopo Lindsay?»
Non so perché glielo chiedo. Forse perché finalmente vedo un lato di lui che non credevo esistesse: il lato tendente all’ottimismo, alla speranza.
«No.»
«Perché?»
«Perché forse un giorno tornerà. E io voglio essere pronto per quel giorno.»
Non gli rispondo. Non gli dico che, forse, così aspetterà per sempre. L’unica cosa a cui penso è: sarei capace di farlo anche io?
«Beh… vuoi che ti accompagni al college?» lui interrompe il silenzio imbarazzato che è caduto tra di noi.
«No, c’è…» scuoto la testa, cercando di allontanare i pensieri. «C’è un taxi che mi aspetta.»
«Okay, allora ti do una mano con gli scatoloni.»
Ci mettiamo un tempo infinito, anche se le mie cose erano relativamente poche. Immagino che, come me, anche lui voglia posticipare ancora per un po’ il momento degli addii.
Ma non si può rimandare per sempre.
Mi fermo e lo guardo, prendendo a contorcermi le mani.
«Grazie per esserti preso cura di mio padre.»
«E’ stato un piacere.»
Mi abbraccia per l’ultima vota e cerco di farmi forza. Dopotutto, ho scelto io questa fine.
«Mi mancherai, Connor.»
«Anche tu mi mancherai, I.»
Mi posa un leggero bacio tra i capelli e poi mi lascia andare.
Lo guardo mentre il taxi si mette in moto, e non lo perdo di vista finché non svoltiamo l’angolo. Nessun saluto con la mano. Nessun cenno del capo. Anche se, poco prima che sparisca dalla mia vista, noto che una lacrima si è fatta strada sul suo viso.
 
L’autista mi aiuta a portare tutti gli scatoloni fino davanti alla porta della mia stanza d’albergo. Gli offro dei soldi in più per questo ma, con mia grande sorpresa, lui rifiuta.
«Potresti solo firmarmi un autografo?» e alla mia espressione totalmente scioccata aggiunge:«Sai, mia figlia ti stima molto…»
Annuisco e, senza rendermi bene conto di quello che sto facendo, mi ritrovo ad autografare una foto mia e di Josh. Lui sorride e si allontana fischiettando. Lo fisso mentre si allontana e, solo una volta che si è allontanato, comprendo ciò che mi è appena successo.
Ho firmato il mio primo autografo.
Un sorriso mi spunta sulle labbra.
Senza smettere di sorridere, afferro la borsa e ci frugo dentro alla ricerca delle chiavi. Mi sembra sia passata una vita dal’ultima volta che ho messo piede in questa stanza. Riporta un sacco di ricordi alla mente.
Ma, nel momento in cui la porta si apre del tutto e i miei occhi mettono a fuoco l’ambiente, il sorriso che ancora leggermente mi increspava le labbra sparisce del tutto.
Capelli lunghi e castani, occhi dello stesso colore dei capelli e un sorriso fin troppo familiare. Sulle sue gambe è appoggiata la testa di un ragazzo che mi sembra di riconoscere. Gli accarezza i capelli e ride di qualcosa che le ha detto.
La scena è come una pugnalata nello stomaco.
Un impulso di chiudere la porta e andare via prende il sopravvento su di me, ma poi Mary alza la testa e i suoi occhi intercettano i miei.
La sua espressione si fa seria.
«Guarda un po’ chi è tornata alle origini..!»

 
 
 

SPAZIO AUTRICE.

 

E’ un dramma, lo so.
Forse tra i generi dovrei aggiungere “drammatico”.
E, anche se voi penserete che io sia perfida, voglio solo dirvi che per me è stato davvero difficile scrivere gli ultimi capitoli.
 
Passando alle cose serie.
 
Per chi non se lo ricordasse, Lindsay è l’ex-ragazza di Connor. La volontaria per “Medici senza frontiere” partita per la Bolivia qualche mese prima che Ila incontrasse Josh.
 
Poi, volevo dirvi che le prossime due settimane sarò in vacanza con i miei, quindi (dannazione!) sarò senza computer e senza internet. I’m sorry e.e
 
E, last but not least, volevo ricordarvi la mia pagina facebook - - - >Ilaria.
 
Un bacione enorme, Ila. 

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Capitolo 28
*** Carry on ***


A Martina che, allo stesso tempo,
è la mia più affezionata lettrice e
la mia più temuta critica.
(Scusa se Mary non ti assomiglia per niente.
Sai che non riuscirò mai a cogliere il tuo essere
così in profondità da creare un personaggio
a tua immagine e somiglianza.
Comunque ho mantenuto la promessa: Fun, Carry On.)
 
 
 

Carry on.

If you’re lost and alone
Or you’re sinking like a stone,
Carry on.
May your past be the sound
Of your feet upon the ground,
Carry on.
Fun. – Carry on.

 
 
 

Nel sogno, Josh ride.
Guardo i suoi occhi che luccicano di felicità e ancora non mi rendo conto di come sia possibile che uno come lui abbia scelto una come me. E lui, ignaro di tutto, continua a ridere.
Prende un foglio e, con movimenti fluidi e leggeri, compiuti talmente tante volte che è impossibile numerarle, traccia con una penna la sua firma.
«Bene, vediamo se sai fare di meglio.» mi sorride a mo’ di sfida.
Ho coscienza di quello che sta succedendo. Parlavamo del mio essere sua fan e, tra una cosa e l’altra, ero arrivata a dire che avrei saputo perfino fare la sua firma meglio di lui.
Accetto la sfida. Dopotutto, sono stata io a lanciarla.
«Mi sottovaluti, Hutcherson.»
Prendo il foglio e riproduco la sua firma ma, nemmeno in tempo a fargliela vedere che il foglio finisce nello scanner.
«Che fai?» sono un po’ sorpresa dal gesto.
«La mando a Janet. Vediamo se riesci a ingannarla!»
«Ehi, non vale! Janet non vale!»
Ma lui mi ignora. Alla velocità della luce, spedisce un fax a Janet, prende il telefono e inizia a contare il tempo prima della sua chiamata.
Il fax non ha nemmeno il tempo di arrivare.
Josh la mette in vivavoce.
«Quella non era la tua firma, Josh!» la sua voce suona stizzita, come se avesse ricevuto un affronto assieme al fax.
Lancio un’occhiataccia al ragazzo per fargli capire che ha esagerato ma, quando i miei occhi si posano sul suo viso, tutte le intenzioni che avevo spariscono.
Perché, nel sogno, Josh ride.
 
La mano, oggi, trema più del solito. Non riesco a reggere nulla e gli spasmi sono tanto forti da farmi male. A volte mi fermo a guardare quell’arto che sembra quasi non appartenermi più e penso che, esattamente come non riesco a controllare la mano, non riesco a controllare niente di quello che mi sta succedendo.
Tutto non fa altro che ricordarmi ciò che ho perso.
Questo posto, i pomeriggi solitari, la camera, la vista di Mary, le lezioni al mattino, i sogni… tutto non fa altro che sbattermi in faccia la felicità che ho provato in tutto questo tempo e che ora non ho più. E fa male. Costantemente.
Mio padre ha preso il vizio di chiamarmi tutte le sere. Immagino che il giorno in cui sono quasi morta sia rimasto impresso nella sua mente come un marchio, e mi sento in colpa per questo.
Mi sento in colpa per tutto. E, allo stesso tempo, non mi sento in colpa per nulla.
Sento che tutto ciò che faccio mi provoca dolore. E, allo stesso tempo, niente riesce a provocarmene.
Il sogno di questa notte ancora occupa i miei pensieri. Se mi distraggo, riesco quasi a sentirmi felice, anche se la felicità è un sentimento che non mi appartiene praticamente più. Mi manca Josh. Mi manca Josh e… Mi manca Josh.
Sento gli occhi inumidirsi al pensiero e so che a breve mi metterò a piangere, ma il telefono squilla, strappandomi bruscamene dai miei pensieri.
«Pronto?»
«Ilaria, sono Janet.»
Sentire la sua voce è come ricevere una pugnalata nello stomaco, perché Janet è ancora uno spiraglio di luce proveniente da quella vita perduta.
Cerco di sembrare tranquilla, nonostante tutto quello che mi provoca il solo sentire la sua voce. «Hei, Janet! Come stai?»
«Bene, grazie. E tu? Come va la mano?»
Vorrei essere tanto ingenua da credere che le sue domande siano genuine e sincere, ma la sua voce è fredda e distaccata e, nonostante io sappia bene che sul lavoro non lascia trasparire nemmeno un’emozione, so che non è questo il caso. Questa volta, è fredda e distaccata perché non le interessa conoscere la risposta. E questa consapevolezza mi confonde.
«Bene, la mano… la mano sta bene.»
«Bene. Volevo parlarti, hai un minuto?» niente giri di parole e inutili convenevoli.
E capisco perché mi ha chiamata.
«Sì.» la verità mi fa male, perciò prendo anche io ad essere fredda e distaccata.
«Mi sono presa la libertà di cercarti una nuova gente.» la mano ha uno spasmo violento. «Ovviamente, potrei raccontarti che non riesco a seguire due attori contemporaneamente, ma non sarebbe la verità. E questo immagino che tu l’abbia già capito ma voglio comunque essere sincera con te. Perché lavoro con Josh da quando era un piccolo adolescente innocente, e lo considero molto di più di un uomo da cui prendo lo stipendio tutti i mesi. Non so cosa penserai, ma la verità è che non mi interessa.» ogni sua parola è una lama che si infila più profondamente nel mio stomaco. «Non lavorerò con te, dopo quello che gli hai fatto, non mi importa che tu sia appena uscita da un coma. Perciò chiama questo numero, e vai a realizzare i tuoi sogni senza il mio aiuto e, soprattutto, senza quello di Josh.»
Mi lascia il numero da chiamare e riattacca. Non un saluto. Non un cambio di tono della voce. Soltanto il freddo rumore del bip continuo che segna la fine della conversazione. La chiusura di quello spiraglio di luce che ancora riuscivo a intravedere.
Ma, di tutte le cose che mi ha detto, l’ultima frase è il colpo di grazia. E, menrte cammino verso la mia stanza, il ginocchio destro cede, e mi ritrovo per terra con il telefono ancora in mano e il tasto rosso ancora da premere.
 
«Ila?»
Passi che risuonano a terra.
«Ila..?»
Passi che si fermano vicini, ma non abbastanza da invadere il mio campo visivo.
«Ila!»
Una mano sulla spalla. Il mio corpo che inizia a muoversi sotto l’influenza di spinte leggeri. Il mio nome che viene ripetuto ancora, e ancora. E il mio campo visivo che viene invaso dal volto di Mary, una maschera di distacco resa meno credibile da crepe di preoccupazione.
«Fermali.» non riesco nemmeno a riconoscere la mia voce.
Non mi sono mossa dopo essere caduta. La mia testa ha smesso di pensare. La voce di Janet che continuava a rivolgermi le sue parole fredde e distaccate impediva qualsiasi movimento, o pensiero.
«Fermali? Cosa stai dicendo?» la sua voce è piena di terrore e preoccupazione, il distacco con cui mi ha trattata in tutti questi giorni ormai completamente dimenticato.
«Fermali.»
Gli spasmi alla mano sono aumentati. Il dolore è aumentato. Non so perché, ma sento salire su per la gola un conato di vomito che a stento reprimo.
«Ila, che stai dicendo? Cosa devo fermare?»
Mi prende il viso tra le sue mani e inizia a muoverlo, aumentando la nausea che sento. Vedo il suo viso sfocato e soltanto per un attimo mi sembra di riuscire a metterla a fuoco. Trattengo di nuovo a stento un conato di vomito.
«Sei troppo pallida, devo portarti in infermeria.» le sue parole giungono ovattate alle mie orecchie. Chiudo gli occhi perché, anche se Mary ha smesso di farmi muovere, la testa continua a girarmi. Ma nel momento stesso in cui li chiudo, lei mi tira un sonoro ceffone. «Ila, svegliati!»
Non so come, la mano sinistra, completamente fuori controllo, si appoggia sulla guancia appena schiaffeggiata. E vorrei solo tornare a chiudere gli occhi perché tutto questo mi infastidisce.
«Fermali, Mary. Ferma gli spasmi. Ferma il dolore.»
Al mio tentativo di tornare a chiudere gli occhi, ricevo un altro ceffone.
Ho un ultima visione fugace del suo viso contorto dalla preoccupazione, poi tutto scompare.
 
Quando apro gli occhi, sono nella mia camera al college e tutto sembrerebbe normale se non fosse per la presenza del dottor Shurt, il medico che mi aveva assistita nei tre mesi di coma.
«La prego,» la mia voce è un biascichio flebile. «non mi dica che ho dormito per altri tre mesi.»
Sul suo volto leggermente rugoso si fa strada un mezzo sorriso divertito.
«Non lo farò.» dice con schiettezza.
«Bene.» emetto un sospiro di sollievo e alzo la mano sinistra, che si esibisce in un spasmo. «Allora devo supporre che sia qui per questa.»
«Non esattamente.»
«Dottore, non ricordavo che gli indovinelli fossero la sua passione…»
«No, infatti, non lo sono.» si gratta il mento, pensieroso. Lo stesso gesto che aveva fatto prima di dirmi che ero stata in coma per tre mesi. «Sono qui perché hai subito un forte shock. Come ti avevo accennato, la maggior parte delle persone che si svegliano da un coma relativamente lungo, subiscono un forte shock quando lo vengono a sapere. Il tuo è arrivato in ritardo.»
Lo guardo con perplessità.
«Quando ti sei svegliata, il tuo shock non si è manifestato.» continua il dottor Shurt, paziente. «Eri troppo preoccupata per le persone a cui eri legata e non ti sei lasciata andare ai tuoi sentimenti. Ieri, qualcosa ti ha provocato un sentimento tanto forte, che lo shock si è manifestato. La tua compagna di stanza ti ha trovata seduta a terra delirante e, poco dopo, hai perso i sensi.»
Janet. Janet che mi dice di seguire i miei sogni senza il suo aiuto e, soprattutto, senza quello di Josh.
Pensavo di aver sognato tutto questo, e invece…
Ecco il mio shock. Avevo chiuso tutto dentro, cercando di sembrare forte, di essere forte. Per mio padre. Per Josh. Per la mia famiglia che aspettava notizie dall’altra parte dell’oceano. Perfino per Connor. Avevo tenuto duro finché Janet, e la verità con lei, sono arrivate distruggendo tutto.
Ma, scopro con sorpresa, non provo rancore verso l’agente. Lei ha solo anticipato i tempi: prima o poi, mi sarbbe comunque crollato tutto addosso.  
Faccio vagare lo sguardo per la stanza finché, appollaiata sul suo letto che mi guarda con preoccupazione mangiandosi le unghie, non vedo Mary.
«La mano era completamente fuori controllo.» lentamente, sposto lo sguardo dalla mia compagna di stanza al dottore. «Mi girava la testa e sentivo il bisogno di vomitare. Volevo soltanto che tutto si fermasse…»
«Fermali.» Mary mi interrompe. «Continuavi a ripetere questo: fermali. Ma non sapevo cosa dovevo fare e cercavo di non farti chiudere gli occhi, di portarti in infermeria. E poi, poco prima di perdere i sensi mi hai detto che dovevo fermare gli spasmi e il dolore…»
Sul suo viso, nella sua voce, nei suoi occhi c’è solo preoccupazione. Niente distacco. Niente sguardi freddi. Da quando sono tornata abbiamo fatto di tutto per ignorarci. Quando lei era in camera, io ero in biblioteca e quando io ero in camera lei spariva con il ragazzo dal viso familiare. Se ci incontravamo nei corridoi facevamo finta di non vederci. Quando seguivamo le stesse lezioni occupavamo posti distanti. E ora…
«Ilaria.» il dottor Shurt richiama la mia attenzione. «Ora stai bene, e io devo tornare a lavoro. Ma per qualsiasi problema, sai dove venirmi a cercare. Arrivederci.»
«Ma la mano…» pensavo fosse venuto anche per gli spasmi.
«La tua mano ha solo bisogno di tempo per riabituarsi a vivere.» e, detto questo, esce dalla stanza.
Sbuffo, frustrata. Non c’è alcun modo di farla guarire? Non esiste una medicina che possa farla “riabituare a vivere” più in fretta? Pensavo che il dottor Shurt fosse una persona degna del titolo che portava…
«Lui dice che esistono farmaci per farla guarire.» Mary si avvicina, indicando la mano. «Ma che nel tuo caso è meglio che guarisca da sola. Sai come funziona: guarisci da una parte e…»
«L’unica cosa che so è che odio questi spasmi. Con tutta me stessa.»
Sono talmente frustrata che non mi rendo nemmeno conto che tutto l’odio che ho creduto di provare nei confronti di Mary in questi giorni non esiste. Che non ce n’è traccia dentro di me.
Mary si siede sul bordo del letto. Noto che sembra leggermente intimidita, ma la conosco troppo bene. Lei non si fa mai intimidire da niente.
Prende aria per parlare un paio di volte, ma in entrambi i casi dalla sue labbra non esce una parola.
«Sai, sono venuta a trovarti quando…» tentenna, non sapendo come continuare. «quando eri in ospedale. Volevo entrare nella tua stanza e… non so, forse parlarti. O anche solo guardarti dormire. Ma quando sono venuta, Josh Hutcherson era seduto accanto al tuo letto. Ti guardava in viso, dagli occhi scendeva qualche lacrima, e restava in silenzio. Continuava a guardarti e sembrava che il resto mondo non esistesse. Il solo guardarlo mi faceva stare male. Ricordo di aver pensato che se solo fosse stata la sena di un film, probabilmente avrebbe vinto un oscar.» mi lancia un sguardo, le sue labbra si stringono in una smorfia che immagino volesse essere un sorriso. «Ripensandoci, volevo venirti a trovare solo perché così mi sarei sentita meno in colpa di averti abbandonata in quel bar, quella sera.» distoglie gli occhi dai miei. «Ma forse non ho fatto poi così male, non è vero? Io mi sono sposata a Las Vegas con un uomo che amo alla follia e tu hai trovato l’amore della tua vita.»
«Ma io l’ho anche perso.» biascico senza guardarla. Sapere che si è sposata mi ha lasciato parecchio scombussolata.
«Sai, qualcuno diceva che se due persone sono destinate a stare insieme, prima o poi, si rincontrano.» i suoi occhi brillano mentre pronuncia quelle parole.
Sento improvvisamente un forte bisogno di piangere, ma trattengo le lacrime.
«Balle. Ecco cosa dico io.»
Pensare a Josh mi fa stare male. Parlarne mi dilania da dentro. E’ un dolore continuo che non si ferma mai.
Mary si ferma un momento a guardarmi e, alla fine, sorride. E’ così cambiata da quando l’ho conosciuta! Non l’avevo mai sentita parlare d’amore come sta facendo adesso. Probabilmente il matrimonio cambia. Chissà se..? Trattengo per un attimo il respiro, cercando di allontanare dai miei pensieri il ricordo dell’anello che Josh aveva tirato fuori dalla tasca.
La mano ha uno spasmo improvviso e Mary me la sfiora delicatamente.
«Mi sei mancata.»
E, nel momento in cui lei pronuncia quelle parole, io sento che nel mio cuore distrutto qualcosa si rimette a posto. Una piccola parte, ma è pur sempre un buon inizio.
Mi rendo conto che in tutti questi giorni l’ho odiata solo perché, in un certo senso, attribuivo a lei tutte le mie colpe.
«Anche tu mi sei mancata.»
E tra sorrisi e occhi lucidi, mi abbraccia.
 
All’uscita della biblioteca, mi si avvicina un uomo della pelle scura, completamente vestito di nero, occhiali da sole sul naso e all’orecchio un auricolare. Guardandolo, mi sento prendere dalla paura.
«Ilaria?» mi chiede, e il suo vocione mi fa sobbalzare.
Annuisco, stringendomi i libri al petto come se mi potessero proteggere.
«Deve venire con me, signorina.» si avvia verso la strada ma, quando si accorge che non lo sto seguendo, mi guarda storto. «Il signor Mc. Gregor vuole vederla.»
Rimango un momento confusa a sentire quel nome che mi sembra così poco familiare. Poi, però, un lampo di genio mi colpisce in pieno e realizzo che sta parlando di Jimmy. Jimmy vuole vedermi.
Sbuffo, mentre mi incammino dietro l’omone. Jimmy è il solito esagerato: c’era proprio bisogno di mandare… una limousine?!  
Spalanco gli occhi vedendo l’enorme macchina. Non solo mi ha mandato una persona che spaventa chiunque, ma anche una limousine!
L’omone mi apre la portiera e da dentro la macchina, anch’essa nera, sbuca il viso sorridente di una donna. Capelli biondi ricci, occhi castani, un po’ in carne e leggeri segni di una vecchia acne giovanile sul viso rotondo.
I suoi occhi si illuminano nel vedermi, anche se io non so chi sia. Mi chiedo se Jimmy si sia trovato una nuova assistente in questi mesi…
«Ilaria! E’ un vero piacere conoscerti.» una volta che mi sono seduta e la portiera è stata richiusa, la donna mi porge la mano. Con indecisione, gliela stringo. «Sono Ashley, la tua nuova agente.»
«Oh, già.»
Dopo essermi svegliata, ieri, ho chiamato il numero che mi aveva dato Janet. Dopo la sua telefonata, ero stata tentata di abbandonare tutto. Senza Josh accanto, il mondo del cinema non era un mondo adatto a me. Ma poi, ripensandoci, avevo chiamato. Janet, dopotutto, era stata chiara. Dovevo seguire i miei sogni, secondo lei, ed è questo che ho intenzione di fare.
«Piacere di conoscerti.» aggiungo poi con un mezzo sorriso.
Ashley continua a sorridermi, raggiante. «Jimmy mi ha mandato una mail, avvisandomi che avresti passato il pomeriggio da lui, perciò ho deciso che sarebbe stato meglio essere presente così ci saremmo potute conoscere meglio.»
Parla tanto veloce che faccio fatica a starle dietro. Durante tutto il tempo in cui ha parlato, avrà preso fiato si e no mezza volta. E’ impressionante.
«Allora, dimmi: in che genere di film ti piacerebbe recitare?» la domanda mi lascia spiazzata e lei se ne accorge. «Insomma, io devo proporti provini, contattare produttori e cose noiose di questo tipo, quindi mi piacerebbe sapere in che ambito vorresti lavorare, così da potermi orientare meglio.»
«Io… non saprei.»
Lei si gira una riccio tra le dita. «Preferisci i colossal? O quelli un po’ meno colossal? Preferisci i generi con pochi effetti speciali? O quelli che ne sono talmente pieni che gli attori non servono nemmeno più? O magari preferisci quelli che è sicuro saranno candidati agli oscar? O…»
Tutte queste domande mi stanno confondendo, quindi la fermo prima che possa continuare.
«Io ho recitato solo in un film.» dico, alzando le spalle. «Non so ancora su che cosa voglio basare la mia carriera.»
«Figurarsi! Tutti gli attori sanno già su che cosa vogliono basare la loro carriera. Soltanto che prima hanno bisogno di farsi un nome.»
Mi sorride in un modo strano, come se lei già sapesse.
«Io…» scrollo le spalle, per farle capire che davvero non ne ho idea.
Lei si ferma un attimo a pensare, poi tira fuori il suo iPhone e me lo porge. E’ una lista di provini che avverranno a breve a Los Angeles. La scorro, leggendo i titoli dei film, i registi che li dirigeranno, il tipo di persona che cerano e la trama della sceneggiatura. Continuo a scorrere, mostrando ad Ashley quelli che mi sembrano più interessanti. Verso la fine, però, qualcosa attira la mia attenzione attira la mia attenzione.
Regia: Josh Hutcherson.
Nella lista dei personaggi da interpretare noto che però manca il nome del personaggio principale, il personaggio per cui avevo firmato il contratto. Quando lo dico ad Ashley, lei annuisce.
«Janet mi ha dato le date in cui verrà girato il film, dicendo che Josh non aveva voluto annullare il tuo contratto. Per questo il nome non c’è: sanno già che tu la interpreterai.»
Josh non ha voluto annullare il mio contratto.
Non so se sentirmi bene o male dopo aver ricevuto una notizia simile. L’unica cosa che mi chiedo è: perché vuole rovinarsi la sua prima esperienza da regista in questo modo?
«Comunque» continua la mia agente, probabilmente vedendomi distratta. «vedrò di…»
Ma non saprò mai cosa voleva dire. La macchina si ferma e la porta si apre talmente forte che per un attimo ho paura che qualcuno la voglia scardinare.
Poi sento la voce di Jimmy.
«OH MIO DIO I TUOI CAPELLI.»
Si, ecco, l’ultima volta che mi ha vista stavo per dare un esame, sono quasi andata a letto con Alex Pettyfer, ho avuto un incidente, sono stata in coma per tre mesi, io e Josh ci siamo lasciati e… lui è preoccupato solo per i miei capelli.
Io me ne ero perfino dimenticata. Per togliere le schegge di vetro che avevo conficcate nella testa, i dottori mi avevano dovuta rasare in modo da avere una migliore visuale. Dopo tre mesi di coma, i capelli sono ricresciuti, ma dei miei capelli lunghi non c’è più traccia. Inoltre erano stati tagliati in tutta fretta perciò… immagino che per Jimmy tutto questo sia un trauma.
«Sì, Jimmy…»
«Dio, bisognerebbe bandire dalla terra le persone che hanno così poca cura per l’aspetto esteriore!»
«Come…»
«Spero che chiunque ti abbia fatto questo non voglia diventare un hair-stylist!»
«Un…»
«Insomma, capisco tutto, ma tagli di capelli di questo genere proprio non li reggo.»
«Avevo delle schegge…»
«Bisognerebbe far seguire a certe persone dei corsi per diventare parrucchieri!»
Oh sì, me li vedo bene i dottori che, trovandosi davanti una testa sanguinante a causa di schegge che penetrano nella carne, si preoccupano di come fare un taglio perfetto in modo che al risveglio il paziente si ritrovi con l’acconciatura perfetta!
«Ma…»
Jimmy alza una mano, intimandomi di fare silenzio. La sua espressione scioccata e contrariata viene sostituita da quella dittatoriale che assume quando le cose si fanno serie.
«Ehi tu!» grida alla sua assistente. «Portala da Rose. Immediatamente.»
Lei annuisce e si avvicina, ma lo stilista la ferma.
«E portala anche dall’estetista. Non oso immaginare la quantità di peli presenti su quel corpo dopo tre mesi di totale dimenticanza.»
Sorvolo sul fatto che i miei tre mesi passati a lottare contro la morte siano diventati tre mesi in cui ho smesso di prendermi cura del mio corpo. Mi lascio semplicemente guidare per i corridoi sperando che la ceretta non sia così dolorosa come la ricordo.
 
«Okay, puoi scegliere tra questi dieci.» Jimmy guarda i dieci abiti appesi a un attaccapanni nel suo ufficio con aria pensierosa. «Facciamo nove. Con quei capelli, questo non ti starebbe per niente bene.»
Con un gesto veloce ne toglie uno e lo lancia alla sua assistente che, per prenderlo, per poco non vola a terra per colpa dei trampoli che ha ai piedi.
Non mi sforzo nemmeno di scegliere tra quelli rimasti. Se conosco lo stilista, e credo di conoscerlo bene, non ho nessuna libertà di scelta sul mio abito da damigella.
«Forse quello…»
Indico un vestito lungo tempestato di pagliette argentate che mi sembra il meno adatto per un matrimonio, sperando che Jimmy lo lanci alla sua assistente. E, fortunatamente, è quello che fa.
«Assolutamente no! Devi farmi da damigella, non andare a ballare in discoteca.»
Trattengo a stento una risata. E’ tutto molto buffo, dal momento che questi abiti li ha creati lui apposta per questo evento.
«Allora…»
Il mio sguardo si posta su un abito verde acqua corto che da molto scuro sul seno assume tonalità più chiare scendendo. Ovviamente, anche questo è poco adatto e Jimmy lo scarta con un brontolio irritato.
Andiamo avanti così finché appesi non ne rimangono solo più tre. Li guardo attentamente, sperando che il mio temporeggiare irriti lo stilista a tal punto da scegliere lui per me. Sono tutti e tre lunghi, perfetti per andare a un matrimonio e sono uno più bello dell’altro.
«Jimmy, perché non lo scegli tu?»
I suoi occhi quasi prendono fuoco. Ho paura di quello che potrebbe farmi e…
«A me piace questo qui.» Ashley, rimasta seduta su una poltrona per tutto il tempo senza dire una parola, si avvicina agli abiti.
Fa per prenderne uno, ma poi si ricorda della faccia che aveva fatto Jimmy quando la sua assistente ne aveva quasi fatto cadere uno, e lascia cadere la mano lungo il fianco fingendo disinvoltura. Il vestito che le piace è bianco. Lungo fino a terra, tanto che ai piedi potrei portare anche un paio di converse e non si noterebbe. Non è aderente e scende lungo il corpo formando pieghe che, alla luce del sole, assumono delle sfumature nere. Subito sopra l’ombelico la stoffa è chiusa in un anello nero per poi riaprirsi e richiudersi sotto il collo in un altro anello dello stesso colore. La stoffa dell’abito è legata attorno al collo da uno spesso nastro nero. La schiena è completamente scoperta, a parte per un nastro nero, uguale a quello che lega il vestito al collo, che lega la stoffa che copre il seno.
E’ un capolavoro.
Jimmy sembra soddisfatto dalla scelta di Ashley. Penso che il suo primo pensiero su di lei non sia stato uno dei più positivi. Ma a chi ha i suoi stessi gusti, Jimmy perdona tutto. Perfino i segni dell’acne giovanile.
«Ecco una persona che ne capisce di moda.» dice annuendo, poi mi guarda. «Questa tua nuova agente mi piace un sacco!»
Alzo gli occhi al cielo. Mi ha fatto perdere tempo inutilmente e sapeva già quello che voleva io indossassi.
Ashley, dicendo che deve organizzarsi con le idee che le ho dato in limousine, scappa via. Vorrei dire a Jimmy che devo tornare al college, ma qualcosa nei suoi modi di fare mi trattiene.
«Come vanno i preparativi per il matrimonio?» gli chiedo, sedendomi su una poltrona.
Lui si stringe nelle spalle. «Molto bene. Domani arriva Simon.»
«Oh, non vedo l’ora di conoscerlo.» sorrido cautamente. Jimmy mi sembra strano.
Annuisce e mi guarda con aria seria.
«Cosa c’è Jimmy? C’è qualcosa che non va, vero?»
Abbassa lo sguardo e una lacrima scende sul suo viso. Lo guardo, sorpresa.
«E se stessi facendo la scelta sbagliata? E se non dovessi sposarmi?»
Sento un moto di tenerezza nei suoi confronti e mi viene quasi da ridere, ma mi trattengo in caso dovesse mai alzare lo sguardo. Anche se piange, rimane pur sempre Jimmy. E non è il caso di fare arrabbiare Jimmy.
Mi avvicino e, siccome non so cosa fare, comincio a dargli leggere pacche sulla schiena.
«E se Simon non fosse quello giusto?»
«Jimmy…»
«Io lo amo ma… e se sposarmi avesse ripercussioni sul mio lavoro?»
«Io non credo che…»
«No, tu non capisci! E se poi vuole adottare dei bambini?»
«Non stai correndo troppo..?»
«Io non sono pronto per adottare dei bambini! Non voglio avere piccoli mocciosi in giro per casa!»
«Non per dire, ma…»
«No, no, NO. Questo non può essere. Io non voglio bambini. Non voglio lasciare il mio lavoro. Non voglio che lui mi tradisca come hai fatto tu con Josh!»
Mi blocco improvvisamente. E lui se ne accorge.
Sento un forte dolore al petto, come se qualcuno mi stesse aprendo il torace a mani nude, e un’improvvisa voglia di piangere.
«Scusa!» Jimmy mi mette una mano sulla spalla, sconvolto dalle sue stesse parole. «Scusa, davvero, non volevo dirlo. Mi dispiace.»
Deglutisco a forza, ricordando a me stessa che devo respirare. Trattengo a fatica le lacrime e sorrido debolmente allo stilista.
«Sono sicura che Simon è quello giusto e che non ti tradirà.» la mia voce è fredda, ma credo davvero in quello che dico. «Il tuo matrimonio non avrà ripercussioni negative sul tuo lavoro e magari, chissà, farà parlare ancora di più di te! E sono sicura che ti chiederà di adottare un bambino solo se anche tu lo vorrai. Vedrai, andrà tutto bene!»
Annuisco e cerco di sorridere con un po’ più di convinzione. Jimmy si asciuga le lacrime e mi abbraccia. Non posso avercela con lui per quello che ha detto, perché le sue scuse erano sincere. Lui è fatto così: dice le cose senza pensarci e, un attimo dopo averle dette, se le dimentica.
 
Cerco di sistemare il ciuffo dietro l’orecchio che, essendo troppo corto, continua ad andarmi sugli occhi. Qualche anno fa avrei dato qualsiasi cosa per riuscire ad andare dalla pettinatrice e dirle che volevo i capelli corti. Adesso, invece, capisco che non avere avuto il coraggio di farlo non è stato poi così male.
«Quindi sei andata via da qui su una limousine come fanno le persone importanti e io me lo sono persa?!»
Mentre andiamo a lezione, racconto a Mary di quello che è successo mentre lei era a New York da suo marito. E’ lo stesso con cui è scappata, lasciandomi da sola in quel bar a Los Angeles, quella lontana sera in cui tutto è cominciato. Per questo il suo viso mi sembrava lontanamente familiare. Mark, così si chiama, è il figlio di un ricco proprietario di una catena di alberghi a New York. Sta imparando il mestiere, quindi i due sposini si vedono poco.
Mary non fa nulla per trattenere le risate. La diverte l’idea di vedermi viaggiare in limousine. Credo che perfino l’idea di chiamarmi “modella” o “attrice” la diverta, nonostante mi ha raccontato che, in tutto questo tempo, ha comprato tutte le riviste in cui comparivo e mi ha seguita come solo le fan fanno con gli attori che stimano.
«Non fa ridere! Quell’uomo mi ha spaventata.» dico, fingendo un broncio.
Lei ride di nuovo ma qualcosa la blocca improvvisamente.
Il suo sguardo si fa serio e i suoi occhi fissano un punto lontano davanti a noi. Non aspetto che mi dica cosa ha visto. Seguo il suo sguardo e, nello stesso momento in cui i mie occhi si posano sulla figura che ha attirato l’attenzione di Mary, il mio corpo si blocca.
E l’unica cosa a cui riesco a pensare è: perché è qui?

 
 

SPAZIO AUTRICE.

 

Heilà, gente!
 
Non commenterò il capitolo, perché so già che le vostre recensioni lo faranno al posto mio! Sempre piene di amorevoli minacce per questi finali, che a me piacciono così tanto e a voi così poco, e per le pieghe che stanno prendendo i fatti. :P
Solo una precisazione: non so se esista lo shock post-coma. Ma io ne avevo bisogno e l’ho creato XD
 
Ho un po’ di cose da scrivere, quindi spero che arriviate tutte alla fine :3
 
E’ da un mese che non aggiorno e mi sento terribilmente in colpa per questo.
Avrei voluto aggiornare una settimana fa, ma poi ho guardato il calendario e mi sono accorta di una cosa importantissima:
OGGI “Cambia la tua vita con un Josh” COMPIE UN ANNO!
 
Questo vuol dire che, esattamente un anno fa, ero intenta ad andare fuori di testa cercando di capire come riuscire a pubblicare il prologo. Che, esattamente un anno fa, nella mia testa contorta, si disegnava la trama di una storia al cui solo pensiero mi davo della matta. Che, esattamente un anno fa, cliccavo sulla sezione “Attori” del sito e scoprivo che c’era una sezione dedicata a Josh Hutcherson. Che, esattamente un anno fa, mi davo della completa idiota mentre pubblicavo il prologo e immaginavo che tutto quello che avrei ricevuto sarebbero state critiche e derisioni. Che, esattamente un anno fa, ricevevo la prima recensione e saltellavo per la casa leggendo e rileggendo quello che c’era scritto. Che, un anno fa, non avrei mai immaginato di riuscire a scrivere 29 capitoli.
 
Vuol dire che è un anno che mi seguite. Che leggete tutto quello che scrivo. Che sclerate perché i personaggi non fanno quello che vorreste. Che mi minacciate con amore per i finali pieni di suspance. Che, semplicemente, continuate a esserci.
 
E volevo ringraziarvi tanto per questo.
 
Perciò:
TANTI AUGURI, CAMBIA LA TUA VITA CON UN JOSH! 

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Capitolo 29
*** Demons ***


Demons.

When you feel my heat,
Look into my eyes.
It’s where my demons hide.
Don’t get too close,
It’s dark inside.
It’s where my demons hide.
Imagine Dragons – Demons.

 
 
 

Prima di riuscire a impedirlo, la mano ancora sotto il mio controllo si muove fulminea, urtando il suo viso in un sonoro ceffone.
E non me ne pento assolutamente.
«Ok, questo me lo sono merita…»
Altro ceffone. E, al segno sulla sua guancia lasciato dal primo, si aggiunge quello lasciato dal secondo.
«Forse anche questo…»
Ennesimo ceffone e mi accorgo con piacere che la sua guancia ha assunto un delizioso color rosa acceso.
«Hei, questa faccia vale milioni di dollari…»
Assottiglio gli occhi e faccio per mollargliene un’altro, ma la mia mano viene intercettata.
«Ok, ho capito.»
Faccio per liberarmi dalla presa, ma è troppo salda. Il ghigno divertito sul suo viso mi manda fuori di testa dalla rabbia.
«Sei uno stronzo, Alex Pettyfer!» urlo inferocita.
Perché è qui? Che altro vuole da me? Non si è già divertito abbastanza? Io sto ancora cercando si assemblare i pezzi e lui cosa fa? Mi sbatte in faccia il suo sorriso divertito e soddisfatto. Perché, ne sono sicura, è contento della brutta piega che hanno preso gli eventi dopo il mio risveglio dal coma.
«Vuoi la verità?» non aspetta una risposta. «Mi aspettavo un’accoglienza leggermente diversa…»
Vorrei provare a calmarmi, ma la sua sola vista mi fa infuriare.
«Non mi interessa cosa ti aspettavi!»
«E poi, stronzo, è proprio una brutta parola Ila.» scuote la testa, come se mi stesse facendo la predica. Cerco di mollargli un altro manrovescio con la mano libera, ma adesso ha capito come prevedere le mie mosse. «E questi ceffoni…»
«Hai ragione, non posso continuare a prenderti a schiaffi.» dico con freddezza. «Perché meriteresti molto peggio!»
Lui ride. «Non immagini nemmeno quanto mi sei mancata.»
La presa sulla mano si allenta e, con uno strattone, la libero definitivamente, allontanandomi di qualche passo da lui.
«Certo, come no.» lo guardo con astio. «Perché sei qui?»
La domanda sembra offenderlo.
«Non è passato giorno, nemmeno uno, senza che io ti pensassi.» un velo di tristezza si impossessa dei suoi lineamenti. «Sapere che eri in coma…»
Lo fermo, prima che possa continuare.
«Non mi interessa, Alex.» scrollo le spalle, guardandolo con distacco. «E se sei venuto fin qui soltanto per questo, hai fatto un viaggio a vuoto perché non ho nessuna intenzione di starti a sentire.»
Non so se la sua tristezza sia vera o se sia solo il risultato di anni di recitazione. L’unica cosa che so è che non mi interessa cosa prova. Non mi interessa cosa vuole dire. Non mi interessa niente che lo riguardi.
«Io stavo per dichiararti i miei più profondi sentimenti e tu…»
«Alex, cos’è che non ti è chiaro della frase “non mi interessa”?»
Lui mette su un broncio divertito.
«Oh, non fare la preziosa. So che vuoi sentirmi…»
Incrocio le braccia al petto. «Non mi interessa.»
«Se tu mi stessi solamente…»
«Non mi interessa.»
«Ma…»
«Non mi interessa, Alex. Non mi interessa!»
Lui si allontana di un passo, tornando ad appoggiarsi alla colonna e alzando gli occhi al cielo. Lo osservo attentamente, senza nascondere la rabbia che provo nei suoi confronti.
«Va bene! Non starmi a sentire.» fissa i suoi occhi nei miei. «Perché sei così arrabbiata?»
Spalanco gli occhi, stupefatta. Davvero non l’ha capito o vuole solo continuare questa pagliacciata?
«Perché sono così arrabbiata… Non lo so, Alex. Perché sono così arrabbiata?»
Lui sembra confuso dalla mia reazione. Probabilmente si aspettava che cercassi di nuovo di schiaffeggiarlo.
«Io… oh!» la consapevolezza si fa strada sul suo viso.
Non dice altro, e immagino che si senta in colpa.
«Non avresti dovuto dirglielo. Dovevo essere io. Sono io che l’ho tradito, io che non mi sono accorta di come si sentiva, io che volevo abbandonarlo senza nemmeno dargli una spiegazione. Io, non tu.»
Lui gira il viso e il suo sguardo si perde nella contemplazione di un’altra colonna. Sono talmente arrabbiata che sento le mie guance arrossarsi. Aspetto che parli, che esprima quello che pensa rispetto a quello che gli ho detto, dal momento che non ho smesso per un attimo di urlare. Ma non lo fa. Continua a guardare la colonna con aria triste, come se fosse stata lei ad urlargli contro. E questo mi fa infuriare ancora di più, perché lui non è così. Lui non è il tipo di ragazzo che, non sapendo cosa dire, si nasconde dietro un velo di tristezza. Prendo aria per mettermi nuovamente ad urlargli contro, ma lui mi anticipa.
«Pensavo che saresti morta.» bisbiglia, continuando a non guardarmi.
Tutto quello che volevo urlargli contro mi muore tra le labbra.
«Lo so.» scrollo le spalle. «L’avevo capito. Ma non ero morta e non avevi il diritto di rovinargli la vita ancora di più.»
Ruota la testa e mi guarda divertito.
«Rovinargli la vita? Davvero mi credi così cattivo?! Non l’ho fatto perché non vedevo l’ora che vi lascaste… beh, sì, forse l’ho fatto anche per questo, ma non mi interessava più di tanto, dal momento che continuavi a dormire.»
«E allora perché diavolo l’hai fatto?»
Non sopporto i suoi giochetti, non sopporto che continui a girare attorno alla verità senza riuscire a dirla.
«Perché…»
Qualcosa, o meglio, qualcuno attira la sua attenzione. Per un attimo, sui suoi lineamenti riesco a leggere la preoccupazione. Per un attimo, riesco a intravedere un ragazzo che ci sta guardando.
Ma è solo un attimo.
Si stacca dalla colonna. Con un movimento deciso mi prende il viso tra le mani e lo avvicina al mio facendo aderire le nostre labbra. Succede tutto talmente in fretta che ci metto un po’ prima di accorgermene. Cerca di farmi dischiudere le labbra, sicuro di essere riuscito a confondermi. Ma sono decisa a non ripetere l’errore fatto quelli che sembrano secoli fa.
La mia mano si muove fulminea andando a urtare contro la sua guancia. Alex si stacca, sorpreso dalla mia reazione. Prende aria per dire qualcosa, ma mi allontano prima che possa farlo. A passi decisi, mi avvio verso il ragazzo che avevo intravisto. E’ uno studente del college, famoso per la sua sete di gossip. Alcuni l’hanno soprannominato Gossip Boy, ed ovvio il motivo.
«Ehi tu!» gli grido contro, puntando il dito.
Devo sembrare Medusa, con i suoi serpenti al posto dei capelli e i suoi occhi che trasformano in statue, perché il ragazzo si immobilizza, il suo iPhone ancora a mezz’aria come nel momento in cui ci ha scattato una foto.
«Mi presti il telefono?» sono inferocita, e non mi preoccupo di sembrare gentile.
Il ragazzo muove la testa, qualcosa a metà tra un sì e un no. Interpreto quel movimento come un sì e glielo strappo dalle mani. Fumante di rabbia come sono, vorrei scaraventarlo a terra e cominciare a pestarlo, ma non lo faccio. Elimino la foto che ha appena scattato e glielo rimetto tra le mani.
«Grazie.» dico in tono secco. Poi gli lancio un’occhiataccia e lui scappa via.
Faccio un respiro profondo. Se quella foto fosse finita in rete…
La risata di Alex distrugge tutti i miei tentativi di mantenere la calma. Mi volto infuriata verso di lui.
«Sei uno stronzo, Alex Pettyfer!»
Fa un mezzo sorriso divertito. «Non sono stato io a scattare la foto.»
«Ma l’hai fatto apposta!»
«Io mi sono solo preso quello che mi era dovuto.»
Per un attimo ho la sensazione di esplodere. «Niente ti era dovuto! Tu mi hai rovinato la vita, e sei convinto di poter venire qui e fare quello che vuoi! Sei uno stronzo!»
Fa qualche passo verso di me, ma non osa avvicinarsi troppo.
«Non sono stato io a rovinarti la vita, hai fatto tutto da sola.» scrolla le spalle. «E comunque io provavo davvero qualcosa per te, e tu ti sei divertita a illudermi fino alla fine. Sai una cosa? Spero che Josh apra gli occhi in fretta, perché di tutte le ragazze che ha avuto e che l’hanno fatto soffrire, tu sei la peggiore.»
Mi volta le spalle e si incammina verso il parcheggio. Le sue parole mi lasciano vuota. Non ho più rabbia, non ho più frustrazione, non ho più tristezza. Lo guardo allontanarsi con la sua andatura sicura e, nel momento stesso in cui gira l’angolo, mi ricordo che non mi ha detto perché è andato a raccontare tutto a Josh.
«Alex!» grido, prima di riuscire a trattenermi.
La sua testa sbuca da dietro la colonna, nei suoi lineamenti riesco a leggere la speranza. E capisco che non avrei dovuto chiamarlo, a costo di rimanere col dubbio per il resto dei miei giorni. Perché adesso capisco che quello che ha detto sui suoi sentimenti è vero.
«Non…» esito, conscia del fatto che quello che sto per chiedergli lo farà soffrire ancora di più. «Non mi hai detto perché lo hai fatto. Andare da Josh, intendo.»
I suoi lineamenti si induriscono e non c’è né divertimento né qualunque altro sentimento nella sua voce, quando risponde.
«Forse dovresti iniziare a documentarti sul gossip.»
La sua testa scompare dietro la colonna e io rimango immobile dove mi ero fermata, ascoltando l’eco dei suoi passi allontanarsi.
 
Fisso il vestito da damigella con preoccupazione, come se potesse prendere vita da un momento all’altro e mangiarmi. Anche se le scarpe mi preoccupano molto di più, il tacco soprattutto.
«Quindi è venuto qui per dirti quello che provava per te?»
Mary, sdraiata sul suo letto, sfoglia una rivista di psicologia. Dopo il mio incontro con Alex è stata a New York due giorni da suo marito per festeggiare San Valentino in anticipo e non abbiamo avuto tempo di parlare. Il problema è che adesso non sono dell’umore giusto per parlarne, soprattutto perché oggi pomeriggio ci sarà il tanto atteso matrimonio di Jimmy.
«Mh-mh…» annuisco, continuando a scrutare l’abito depositato sul mio letto.
Ho il timore di indossarlo e non so perché.
«Carino.» Mary chiude la rivista e mi guarda. «Tra quanto è il matrimonio?»
«Un’ora e mezza.»
«E hai intenzione di preparati prima che cominci la funzione?»
«Ancora non ne sono sicura.»
La ragazza mi lancia un’occhiataccia ma non fa in tempo a dire niente, interrotta dal bussare frenetico alla porta. Ciabattando, portandomi dietro il mio umore nero, vado ad aprire.
In meno di un battito di ciglia, la piccola stanza del college si affolla.
«Okay, abbiamo mezz’ora per portare a termine il lavoro.» la segretaria di Jimmy si sistema l’orologio da polso e l’auricolare che porta costantemente all’orecchio.
Qualcuno mi afferra per le spalle e mi fa sedere su una sedia spuntata fuori dal nulla. Qualcun altro fa scattare la chiusura di una valigia. E qualcun altro ancora chiude la porta.
Un viso sorridente occupa il mio campo visivo.
«Jillian!» saluto sorridendo.
La make-up artist mi abbraccia con delicatezza, attenta a non rovinarsi il trucco e l’acconciatura. E’ tutta in tiro per il matrimonio di Jimmy. Indossa un lungo vestito verde acqua con un piccolo strascico tempestato di gemme verde chiaro e azzurro che scintillano alla luce.
«Ti presento mio marito Patrick.»
Solo in quel momento mi rendo conto che è a braccetto con un uomo. Vestito con un elegante smoking che gli mette in evidenza i muscoli, sorridente come solo lui sa essere, Patrick Dempsey mi porge la mano. Ho bisogno di un momento per capire che devo stringergliela. Il mio cervello è andato cortocircuito.
Patrick Dempsey è veramente davanti a me.
«Piacere.» dice, senza smettere di sorridere.
Riesco a costringere le mie labbra a piegarsi in un sorriso, anche se sono convinta di sembrare una completa idiota.
«Piacere mio.» improvvisamente, mi tornano in mente le buone maniere. Indico la ragazza sdraiata sul letto dall’altra parte della piccola stanza affollata. «Lei è Mary, la mia coinquilina.»
Patrick e Jillian la salutano con cortesia. Mary sembra ancora più imbambolata di me. Sono preoccupata che da un momento all’latro possa svenire… o iniziare a perdere bava dalla bocca. Dopo tutte le stagioni di Grey’s Anatomy che ci siamo divorate, parlando della perfezione dell’attore dai capelli scuri e il sorriso smagliante che Jillian mi ha appena presentato, ritrovarcelo nella nostra stanza è un avvenimento a cui serve del tempo per essere metabolizzato.
Ma il tempo per farlo non ce l’abbiamo.
Rose, la pettinatrice che mi aveva preparata per il photoshoot della campagna promozionale di Jimmy mi costringe a sedermi. «Dolcezza, abbiamo del lavoro da fare.» mormora, facendomi l’occhiolino. Anche lei è tutta in tiro per il matrimonio del suo amico d’infanzia. Indossa un abito bordeaux con un ampia scollatura che le mette elegantemente in risalto le forme. Accanto a lei – unico a non essere in tiro da matrimonio – l’assistente di Jillian, Luke, mi sorride amichevolmente. Anche lui aveva fatto parte del mio staff per il photoshoot.
Mi aiutano ad indossare l’abito con cautela, lo coprono con un lungo pezzo di stoffa bianca, in modo da non farlo sporcare durante la preparazione e poi si mettono al lavoro sotto la rigida attenzione della segretaria di Jimmy e l’amichevole sguardo di Jillian. Vicino all’ingresso, in modo da non intralciare i movimenti, intravedo Mary che chiacchiera con Patrick. Probabilmente, questa mezz’ora la ricorderà per sempre.
«Ho sentito che tu e Josh vi siete lasciati» Jillian, dopo più di venti minuti, rompe il silenzio. «Mi dispiace molto, avrei scommesso tutto su di voi.»
Non so cosa rispondere. Per fortuna Rose mi anticipa.
«Anche io, dolcezza.» dice, spruzzandomi qualcosa in testa. «Ma vedrai che con questo vestito riconquisterai il suo cuore!»
Ma io non voglio riconquistare il suo cuore, penso con amarezza, non dopo quello che gli ho fatto.
La pettinatrice si allontana di qualche passo, osservando soddisfatta la sua opera, anche se non so quanto lavoro abbia dovuto fare, visti i miei capelli corti. Dopo qualche minuto, anche Luke si allontana. Mi aiutano a indossare le scarpe e poi mi posizionano davanti a uno specchio. Il lungo vestito bianco scende quasi fino a terra ma la lunghezza è studiata perfettamente in modo da mostrare i tacchi lavorati mentre cammino. Infatti, le scarpe nere sono decorate da motivi ondeggianti tutti coperti di strass. I miei occhi sono dipinti di nero argentato. Le mie labbra sono coperte da un rossetto color carne che quasi non si vede.
Mi sento proprio una damigella d’onore.
In quel momento si apre la porta ed entra Ashley, anche lei pronta per andare a un matrimonio. Mi chiedo cosa abbiano pensato gli studenti del college che camminavano per i corridoi tra le camere, vedendo tutta questa gente elegante passare. La mia agente mi osserva con un sorriso orgoglioso e, prima che io possa ricambiare, scoppia a piangere come una fontana.
«Scusatemi!» singhiozza, cercando di asciugarsi le lacrime senza sbavarsi il mascara ma ottenendo solo di sbavarlo ancora di più. «Ma tu sei talmente bella e… i matrimoni mi commuovono sempre!»
Luke si precipita da lei e, aiutandola a calmarsi, le rimette a posto il trucco.
 
La limousine che porta me e Ashley si ferma davanti a una grande scalinata su cui è stato srotolato un tappeto rosso. Un signore vestito come un maggiordomo apre la portiera e mi offre la mano per aiutarmi a scendere. Di questo matrimonio, i media devono averne parlato tantissimo perché, ai lati della scalinata, sono state posizionate delle transenne in modo da tenere lontani i fotografi. Enormi omoni muniti di auricolare e occhiali scuri si muovono lungo la scalinata, terrorizzando chiunque.
L’uomo vestito da maggiordomo mi porge la mano, un invito a posare la mia sulla sua. Tiro leggermente su il vestito, come mi aveva insegnato Jimmy e lascio che il vecchio signore mi accompagni su per la scalinata. Ashley ci segue a breve distanza, anche lei accompagnata da un vecchio maggiordomo. Sento i fotografi chiamare il mio nome, così sorrido e saluto, sperando di non sembrare una completa idiota.
Veniamo accompagnate per un lungo corridoio illuminato dalla luce di candele posizionate su sfarzosi candelabri e raggiungiamo un illuminato ingresso dove veniamo annunciate da un altro maggiordomo.
Per il suo matrimonio, Jimmy ha affittato un’enorme residenza arredata come i palazzi dell’alta società ottocentesca. Avrei dovuto aspettarmelo. Nel giorno più importante della sua vita, Jimmy non poteva far altro che immaginare il suo matrimonio come un matrimonio pieno di sfarzo, eleganza e un pizzico di regalità.
La sala in cui entriamo ha un alto soffitto riccamente decorato. Le pareti sono ricoperte da tappezzeria color avorio decorata di rosso. Tante finestre, le cui pesanti tende rosse richiamano le decorazioni sui muri, alte e lunghe, danno accesso a una grande balconata. Da fuori proviene la luce rosso-arancio del tramonto che rende l’atmosfera ancora più romantica. Al fondo della sala, dei gradini coperti di petali rossi e oro portano ad un altare d’orato. La sala è piena di persone che cercano posti di loro gradimento.
Il maggiordomo che mi ha accompagnata fin qua, si fa strada tra la folla e mi fa salire sull’altare, al posto della damigella d’onore del… Jimmy ha scelto il lato della sposa. Avrei dovuto aspettarmi anche questo: come avrebbe potuto rinunciare all’abito bianco?
Continuo a guardami attorno stupita, finché lo stesso maggiordomo che mi ha scortata raggiunge nuovamente l’altare accompagnato da due ragazzi.
Indossano lo stesso elegante abito nero. La camicia sotto la giacca è ugualmente nera, con colletto, gemelli e taschino sul petto bianchi.
Connor mi è subito accanto e mi stringe in un abbraccio tanto familiare da farmi sentire un groppo in gola.
«Wow, come sei bella, I!»
«Anche tu sei molto bello!»
Dietro di lui, Josh mi sorride rigidamente. Sento il cuore andare in frantumi, un dolore al petto che mi fa girare la testa e posso quasi percepire che quello che sto provando io, lo prova allo stesso modo lui. Cerco di ricambiare il sorriso, ma abbassa la testa e si posiziona alla mia destra, nel posto del testimone. Connor, alla mia sinistra, mi stringe forte la mano, un gesto che mi infonde coraggio. E’ bello sapere che il genio alla mia sinistra mi supporta, anche se sa benissimo quello che è successo.
Dall’altro lato dell’altare si posizionano il testimone e le due damigelle d’onore di Simon che, guardando Josh, scoppiano in una risatina stupida. Mi accorgo che le sto guardando con disprezzo solo quando Connor mi tira una gomitata nel fianco, facendomi sobbalzare.
Ma prima che riesca a fare qualunque cosa, nella sala cala il silenzio.
Simon, in abito da sposo, fa il suo ingresso, camminando con disinvoltura fino all’altare. Ha capelli neri e occhi verdi, la barba è curata e tenuta corta. E’ un po’ più alto di Jimmy e la giacca gli mette in evidenza i leggeri muscoli. Fa un cenno del capo all’uomo che lo renderà a breve un uomo sposato e poi si volta verso l’ingresso, aspettando con evidente trepidazione l’amore della sua vita.
Jimmy non si fa aspettare molto. Fa il suo ingresso in grande stile.
Indossa un bianco smoking che, alla luce del tramonto, assume un delicato color panna. In testa porta un cappello su cui è cucita una retina che gli copre il viso e tiene in mano un mazzo di fiori.
Sorride come non l’ho mai visto fare.
Cammina nervosamente, cercando di mantenere il tempo con la marcia nuziale. Dietro di lui, due bambine dai capelli rossi con completini rosa e cerchietti dello stesso colore, lanciano dietro di loro petali rossi e oro. Tutti gli invitati guardano lo stilista con ammirazione e qualcuno, vedendolo, si lascia scappare una lacrimuccia.
Nel momento dello scambio degli anelli, anche io rischio di commuovermi. Jimmy dice il suo “Sì” senza la minima traccia di indecisione e, tutti i dubbi che lo preoccupavano, sembrano spariti improvvisamente.
«Ora lo sposo può baciare lo sposo.»
Simon afferra il cappello che Jimmy ha in testa e lo lancia via, poi, con passione, prende il viso dello stilista tra le mani e lo bacia.
 
Ci spostiamo in una grande sala per la cena, decorata di argento e con spessi tendaggi blu alle finestre, in cui i tavoli sono disposti tutto attorno a una grande pista da ballo. Un orchestra si posiziona su un’ampia balconata posizionata al di sopra del portone d’ingresso. Tutti i musicisti sono vestiti con lo stesso smoking nero a cui è appuntato, sulla giacca, un fiore blu in tinta con le decorazioni della sala.
Quando sono stati decisi i posti ai tavoli, io e Josh dovevamo ancora stare insieme, perché siamo seduti vicini. E siamo nello stesso tavolo del testimone e delle damigelle di Simon. Le due ragazze chiacchierano in francese e, ogni tanto, si abbandonano a una risatina stridula. Sotto il tavolo, tiro un calcio a quelli che spero essere i piedi di Connor ma non sono i suoi che prendo. Lui continua a guardarsi attorno con aria sognante, mentre il testimone di Simon, Pier, suo fratello, si immobilizza e guarda le ragazze sedute accanto a lui, come in attesa che una delle due gli rivolga la parola. Così prendo a fissare il giovane Hutcherson con insistenza sperando che, prima o poi, lui si accorga che lo sto fissando.
Ma non lo fa, e continua a guardarsi attorno.
«… mi dispiace che tu debba stare in quel tavolo.»
«Mamma potresti smetterla, per favore?»
«Perché è qui? Jimmy è nostro amico da secoli. Sapendo che ci saremmo stati anche noi non si sarebbe nemmeno dovuta presentare, non dopo quello che ti ha fatto.»
«Jimmy si è affezionato moltissimo a lei. E in più era anche la damigella d’onore…»
«Se ne sarebbe dovuto trovare un’altra. Come fa a rivolgerle ancora la parola?»
«Smettila. Non tutti sono come te.»
«Già, come tuo fratello e…»
Qualcuno mi tocca leggermente la spalla facendomi sobbalzare, troppo impegnata a cercare di origliare senza essere vista la conversazione tra Josh e sua madre.
«Chris!»
Sono sorpresa. Di tutte le persone presenti che Jimmy mi ha fatto conoscere in tutto questo tempo, l’ultimo che mi aspettavo di salutare e di vedere sorridere nella mia direzione era il padre di Josh. 
Lui mi sorride, spalancando le braccia. «Questo nuovo taglio di capelli ti dona un sacco.»
Lo abbraccio, assaporando quello stesso calore familiare che mi aveva trasmesso l’abbraccio di Connor. Mi sento così strana. In fondo, non è giusto che il padre e il fratello di Josh siano ancora così amichevoli nei miei confronti. Non ho fatto niente per meritarmi il loro affetto. Anzi, si potrebbe quasi dire che ho fatto di tutto per perderlo.
«E tu sei molto elegante in giacca e cravatta.»
«Si, lo so, dovrei iniziare a fare il fotomodello.» ride, dandomi una poderosa pacca sulla spalla. «Dici che Jimmy mi farebbe posare per la sua linea da uomo?»
«Ha fatto posare me, figurarsi se non fa posare te!»
Si lascia andare a un’altra risata, dandomi un’altra poderosa pacca sulla spalla.
In quel momento entrano gli sposi e l’uomo prende posto accanto alla moglie, che lo guarda con aria furente, ma non sembra preoccuparsene più di tanto.
Maggiordomi cominciano a sfilare tra i tavoli, portando in grandi vassoi di cibo per la maggior parte francese. Pier cerca di intavolare una conversazione, ma l’unico che tenta di tenerla viva è Connor. Le due damigelle di Simon non parlano inglese, Josh non alza lo sguardo dal piatto e io, dopo l’abbraccio di Chris, mi sento troppo in colpa per proferire parola.
Michelle ha ragione: non sarei dovuta venire qui. Sapendo benissimo che ci sarebbe stato anche Josh. Sapendo benissimo che vedermi l’avrebbe fatto soffrire. Sapendo benissimo che vederlo avrebbe risvegliato i miei sensi di colpa sempre pronti a farmi stare male. Sapendo benissimo che ancora lo amo con tutto il cuore.
«Dovete danzare attorno a noi.» la voce di Jimmy mi riporta bruscamente con i piedi per terra. Il tono dittatoriale. Quello con cui non si discute. Quello che non ammette un no come risposta. Il tono che si addolcisce improvvisamente, mentre descrive l’immagine creatasi nella sua mente. «Io e Simon l’abbiamo deciso secoli fa. Noi danzeremo al centro della pista da ballo sotto luci argentate che illumineranno il nostro amore perfetto, e voi volteggerete tutto attorno come per incoronarlo.»
Sento le due ragazze francesi scoppiare in un’odiosa risata acuta, mentre Pier traduce loro in francese quello che è appena stato detto. Capisco immediatamente che una di loro due ballerà con Josh e non voglio fare niente per impedirlo. E’ giusto che lui si goda almeno questo momento, visto che sicuramente ricorderà questa serata come una delle più brutte della sua vita. Mi volto verso Connor che si sta allontanando disgustato dalle ragazze francesi, ma qualcuno mi afferra la mano.
«Posso avere questo ballo?»
Josh.
I suoi occhi sono velati di tristezza. Il suo viso è velato di tristezza. I suoi modi sono velati di tristezza. La sua voce è velata di tristezza… e allo stesso tempo di speranza.
Un piccolo ciuffo di capelli mi cade davanti agli occhi e vedo la sua mano muoversi automaticamente per sistemarlo e fermarsi a mezz’aria. Era un gesto a cui era abituato. Un gesto talmente nella normalità che nessuno dei due ci prestava più caso. Ma adesso, qui, dopo tutto quello che è successo, l’abitudine non appare più così normale.
Sento la gola secca e mi impongo a rispondergli di no.
No, non voglio ballare con lui. No, non voglio farlo soffrire ancora. No, non voglio toccarlo e sentire il mio cuore martellarmi nel petto. Non voglio, non posso.
Ma l’unica cosa che esce dalle mie labbra è un flebile sì.
Sfiorare i muscoli coperti dalla giacca del suo braccio mi riporta ai primi giorni in cui vivevo a casa sua. Quando anche solo sfiorarlo mi provocava brividi e batticuore.
Sentire le sue mani poggiarsi con leggerezza sui miei fianchi mi riporta alla sera del nostro primo bacio. Quando ogni piccola cosa sembrava più luminosa.
Legargli le braccia attorno al collo mi riporta alla nostra prima volta. Quando tutto, tutto era circondato da un alone di perfezione.
Ogni movimento è un colpo al cuore. Ogni tocco è un ricordo tra i tanti che riemerge in tutta la sua bellezza. Ogni sguardo sono le tre paroline di cui avevo troppa paura che nessuno dei due ha mai pronunciato abbastanza volte. Che aleggiano tra di noi ricordandoci fin troppo bene cosa siamo stati e cosa non siamo più.
Josh mi fissa con quel suo sguardo velato di tristezza.
«Mio padre ha ragione: questo taglio di capelli ti dona molto.»
Se non fosse che stiamo volteggiando lungo il perimetro della pista da ballo, sono sicura che si passerebbe una mano tra i capelli, imbarazzato.
«Tua madre ha ragione: non sarei mai dovuta venire, dopo quello che ti ho fatto.»
Scuote debolmente la testa.
«Credo che mia madre abbia ragione su un sacco di cose, ma non su questa.»
Anche io mi ritrovo a scuotere la testa debolmente, ma non dico niente.
«Ho saputo che sei stata male.» cerca di cambiare discorso e, notando la sorpresa che mi prende, si affretta a spiegare. «Me lo ha… me lo ha detto Jimmy. Però vedo che la mano ha smesso di tremare.»
«Sì, adesso sto meglio.»
«Sono contento.»
Non so chi dei due sia più imbarazzato.
L’orchestra continua a suonare la dolce melodia del primo ballo, e noi continuiamo a muoverci senza nemmeno rendercene conto.
«Già…» biascico, non sapendo cosa dire. «Tu, invece, come stai?»
Il suo sguardo fugge il mio, guardando per un momento alle mie spalle.
«Mi sto... sto bene.» non ne sembra molto convinto.
Continua a guardare ovunque, ma i suoi occhi non si posano più sul mio viso. Le sue labbra si serrano in una linea sottile, tesa. I suoi occhi diventano improvvisamente lucidi. Non so a cosa la mia domanda lo stia facendo pensare, ma non deve essere bello. E torno a sentirmi in colpa.
Quando la musica si ferma, applausi, urla e fischi riempiono la stanza. E riempiono il nostro silenzio.
Si stacca da me con un passo indeciso.
«Perdonami.» dice con voce rotta, abbassando lo sguardo.
Poi si allontana a lunghe falcate. Lo seguo con lo sguardo finché non scompare dietro le grandi porte che conducono fuori dalla sala.
E mentre la pista da ballo si riempie e la musica riparte e tutto attorno a me il mondo sembra essere soddisfatto e felice, dentro il vuoto mi attanaglia il cuore escludendomi dal resto di questo apparentemente fantastico mondo felice.

 
 
 

ANGOLO AUTRICE.

 

E ho lasciato passare quasi un altro mese… Riuscirete mai a perdonare tutti questi miei ritardi negli aggiornamenti? *occhioni dolci*
 
Anyway, a chi è riuscita a indovinare chi fosse il personaggio andato a fare visita a Ila… TANTI COMPLIMENTI. Non era facile, secondo me. : )
 
Sono, come al solito, a corto di cose da dire, anche perché credo che il capitolo si pieghi bene da se, tranne per… beh, per le motivazioni di Alex.
Ma non disperate, tutti i nodi vengono al pettine, prima o poi! v.v
 
Vi ricordo il link della mia pagina facebook - - - >Ilaria.
 
Un super-abbraccio, Ila. 

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Capitolo 30
*** Asleep ***


Asleep.

Sing me to sleep,
sing me to sleep,
I don’t want to wake up
On my own anymore.
The Smiths – Asleep.

 
 

«Ma non sono io a doverlo perdonare! E’ lui che deve perdonare me.»
Prendo a camminare avanti e indietro per la piccola stanza del college. Mary non mi sta nemmeno guardando. Sdraiata sul letto a pancia in su, fissa il soffitto come se il muro potesse avere le risposte ai suoi problemi… e anche ai miei.
«Non capisco perché si prende le colpe anche quando non sono sue. Insomma, che cosa dovrei perdonargli? Tutto quello che è successo è stato…»
Continuo a sbraitare confusa, infastidita dal fatto che Mary non mi sta palesemente ascoltando. Tutto è troppo confuso. Non riesco a venire a capo di niente. La mia migliore amica non ne vuole sapere di aiutarmi. Ashley continua a chiamarmi e…
«Passami il portatile.» Mary si tira su a sedere, come se avesse avuto un’illuminazione.
Mentre lei accende il computer, io continuo a camminare avanti e indietro anche se la stanza è talmente piccola che dopo un po’ sento la testa cominciare a girare e mi siedo.
«Alex ti ha detto che forse dovresti cominciare a informarti di gossip.» dice, più a se stessa che a me. «Immagino che intendesse…»
«Non voglio informarmi di gossip!» sbraito, frustrata. «Sono tutte menzogne. I paparazzi si inventano fatti per cercare di fare notizia e poi li vendono al migliore offerente. Alex dovrebbe saperlo.»
Lei non ribatte. Invece, mi passa il portatile con una strana espressione in viso. «Forse i paparazzi mentono, ma non credo le foto facciano la stessa cosa.»
Probabilmente, molto probabilmente, avrei fatto meglio ad accettare tutto questo mistero senza permettere a Mary di indagare.
Non conosco questa ragazza, anche se il suo volto mi sembra familiare. Mediamente alta, bionda, bella e sorridente. Credo di averla già vista da qualche parte, magari in un film. Josh le tiene la mano e con l’altra fa per abbracciarla.
Il mio cuore perde un battito. Tutte le sensazioni provate in questo ultimo periodo sono state molto meno dolorose di questo. Sento un groppo in gola e gli occhi riempirsi di lacrime.
Ma la fase di dolore dura poco. E subito segue quella di negazione.
«Potrebbe essere solo un’amica.» dico con finta decisione, cacciando indietro le lacrime che minacciavano di uscire. Mary non risponde. «Potrebbe essere un’attrice con cui aveva recitato e che ha incontrato per strada. Alex potrebbe sbagliarsi. Insomma, potrebbe non essere nessuno. Io ero in coma in quel periodo. Quando mi sono svegliata mi ha chiesto di sposarlo!»
E tutta la mia decisione svanisce, perché mi rendo conto che Alex aveva ragione. Che questa ragazza non è solo un’amica. Che, molto probabilmente, Josh si è sentito talmente in colpa che non appena mi sono svegliata ha cercato di rimediare.
Ed è come se il mondo mi crollasse addosso.
Afferro il telefono e scorro nella rubrica. Premo il tasto verde e aspetto che risponda.
“Sapevo che ti saresti lasciata prendere dalla curiosità.”
Nemmeno un ‘ciao’, nemmeno un ‘pronto’, ma sapevo che sarebbe successo. Esattamente come Alex sapeva che, dopo aver visto quella foto, l’avrei chiamato.
«Adesso dimmi la verità: l’hai picchiato per questo?» nemmeno io mi perdo in inutili convenevoli.
“Esci con me, e lo saprai.”
L’arroganza nella sua voce mi manda in bestia.
«Non voglio uscire con te, voglio sapere la verità!»
“Niente appuntamento, niente verità. Credo di essermi ridotto abbastanza male, non sono mai dovuto ricorrere a questi espedienti per uscire con una ragazza.”
Sbuffo. Mary mi guarda e sono sicura che ha capito quello che sta succedendo.
«Perché l’hai fatto?» cerco di mantenere la voce calma, magari se non gli urlo contro potrei ottenere qualcosa.
“Te l’ho detto, Ila: niente appuntamento, niente verità.”
Chiudo gli occhi, rassegnata. E’ ovvio che non otterrò niente, nemmeno se mi mettessi a supplicarlo al telefono, anche se apprezzerebbe molto.
«Va bene, hai vinto. Dimmi ora e posto.»
Mi aspetto che rida, felice di essere riuscito ad ottenere il tanto agognato appuntamento. Invece, la sua voce si fa triste e distaccata.
“Così è troppo facile…” sospira. “Lascia perdere. Non voglio uscire con te solo perché vuoi la verità. Non voglio vederti andare via pensando al tuo principe azzurro senza poterti nemmeno consolare.”
Per un attimo rimango senza parole.
«Ma io… Alex io voglio sapere, voglio…»
“Se non te ne fossi accorta, sai già tutto. Ti ho già detto tutto. Spremi le meningi, Ila, e, per favore, non cercarmi più. Ero il ragazzo giusto nel posto giusto ma… al momento sbagliato.” 
Chiude la chiamata. Rimango per alcuni istanti con il telefono premuto contro l’orecchio, la mente piena di domande. Mi ha davvero già detto tutto? So già qual è la verità? Non che saperla mi farebbe stare meglio, insomma, Josh si è comunque trovato un’altra mentre io me la dormivo alla grande. Ma perché mai Alex avrebbe dovuto mettersi in mezzo? Ero scappata da lui, l’avevo fatto soffrire…
«Voleva proteggermi.» le parole mi escono in un sussurro impercettibile.
E non appena le pronuncio capisco che sono vere. Provava qualcosa di talmente forte per me che non voleva vedermi ferita. Avrebbe preferito continuare a vedermi assieme a Josh piuttosto che tradita e col cuore spezzato. Lui… mi rendo conto che in tutto questo tempo ho sempre creduto di conoscere un Alex che non era quello vero.
E adesso che poteva avere tutto, l’appuntamento, l’opportunità di aiutarmi, la speranza che tra di noi avrebbe potuto esserci qualcosa, adesso ha rinunciato a tutto. Ha deciso di proteggere se stesso, di evitarsi altre sofferenze. E posso biasimarlo per questo?
Mi chiedo se sarebbe potuta andare a finire diversamente, tra me e lui. Ero il ragazzo giusto nel posto giusto ma… al momento sbagliato. Probabilmente è così. Probabilmente, se non ci fosse stato Josh sarebbe stato il ragazzo giusto, nel posto giusto e al momento giusto. E forse adesso non mi ritroverei con il cuore spezzato, cercando di rimettere assieme i pezzi.
Ho la tentazione di chiamarlo, di chiedergli di provarci. Perché adesso non c’è Josh. Adesso potremmo essere solo io e lui.
Ma sarebbe una menzogna bella e buona perché, e lo sappiamo bene entrambi, se fosse davvero così non l’avrei mai chiamato. Non mi sarei mai lasciata prendere da tutte le domande che mi frullavano per la testa.
Perché io amo Josh.
Mi volto verso Mary, che mi guarda comprensiva.
«Era solo il momento sbagliato.»
Chiudo gli occhi e mi butto sul letto, trattenendo tutto quello che provo e pensando a quanto questo mondo sia ingiusto.
 
«Magari potremmo andare ad una qualche festa, questo weekend. Che ne dici?»
Mary cerca di tirarmi su il morale, anche se sa benissimo che il mio morale è talmente sotto i piedi che niente potrebbe farmi sentire meglio.
«Non mi va.» biascico, afferrando un libro dal mio comodino e aprendolo nel punto in cui l’avevo lasciato.
«O magari al cinema. Ti va di andare al cinema?»
«No.»
Sento il suo sguardo serio sulla nuca. Quando non ho nemmeno voglia di andare al cinema, significa che la situazione è davvero grave.
«Come si chiama quel tuo amico stilista…?»
«Jimmy.»
«Jimmy, giusto! Beh, potresti andare da lui.»
Scuoto la testa. «E’ in viaggio di nozze, e comunque l’ultima cosa di cui ho bisogno è di vedere Jimmy.»
«Perché?»
Non rispondo. Non ho nemmeno voglia di parlare. Il pensiero di Alex ancora mi lascia scossa. Se mi avessero detto che un giorno mi sarebbe successo tutto questo, probabilmente sarei morta dalle risate. Letteralmente.
«Hai chiamato la tua agente?» Mary, comunque, non si arrende.
«Perché dovrei chiamare la mia agente?»
«Non saprei…»
«Tutto quello che c’è da sapere me lo ha scritto per mail, non mi interessa altro. Può continuare a chiamare finché vuole.»
Sono una pessima persona. Ormai è ovvio. Combino guai, faccio soffrire persone e, come se questo non bastasse, allontano le uniche persone che a me tengono veramente.
«Scusa.» dico, guardando Mary negli occhi. «Non volevo essere dura.»
Lei alza le spalle. «Non fa niente…»
Il mio telefono squilla, interrompendola. E’ Ashley, ma questa volta decido di risponderle.
“Hai visto la mia mail?” trilla lei, dall’altra parte del telefono.
Purtroppo l’ho vista. Un perfetto riassunto dei miei peggiori incubi concentrato in poche pagine PDF di date e impegni. Le premiere in giro per il mondo di Journey, le interviste con il resto del cast e, rullo di tamburi, l’inizio delle riprese del film di Josh!
Tutto questo in aggiunta a una lista infinita di photoshoot e interviste che Ashley ha perfettamente incastrato nell’unica settimana che resta prima dell’inizio delle premiere.
«L’ho vista.» cerco di sembrare contenta, anche se non credo di esserci riuscita.
“Perfetto, ma non ti ho chiamata per questo. Ti ricordi quel provino a cui avevi partecipato qualche giorno fa?”
«Quello per il film il cui protagonista è Robert Downey Jr.?»
Sento l’adrenalina entrarmi in circolo. Ashley era riuscita a mettermi nella lista di candidate per il film, dopo che io avevo saputo che il protagonista sarebbe stato l’attore che mi aveva fatta sognare interpretando Iron Man. Era stato un provino abbastanza difficile per cui mi ero preparata in pochissimo tempo.
“Sì. Poco fa mi ha chiamato la responsabile del casting. Ti hanno presa!”
Salto giù dal letto mettendomi a gridare. Non avrei mai pensato che, tra tutte, avrebbero preso davvero me.
“E non ti ho ancora detto tutto.” Ashley urla per sovrastare i miei gridolini di felicità. “Siccome per adesso è ancora tutto segreto, il signor Downey Jr. sarà presente alla premiere di Journey a Los Angeles per annunciarlo pubblicamente!”
Penso che potrei morire. Non solo reciterò con lui, ma lo incontrerò alla premiere del mio primo film per la prima volta per annunciarlo pubblicamente! Per un attimo, presa dalla felicità, mi dimentico completamente sia di Josh che di Alex. E vorrei soltanto uscire fuori a gridare al mondo che sto per incontrare Robert Downey Jr.
 
Apro gli occhi di scatto. Ho il respiro affannato e tra le braccia stringo forte il mio cuscino.
Ho sognato di riabbracciare Cochise, il grande cagnone nero che Josh mi aveva regalato. Ma poi lui spariva e tra le braccia mi ritrovavo solo cenere. Mi avvio verso il mini-frigo e da esso tiro fuori una bottiglia d’acqua. Mi ci attacco a canna finché non sento i muscoli rilassarsi.
Da quando sono andata via da casa di Josh non ho più visto Cochise. Ogni tanto mi chiedevo se stesse bene o se sentisse la mia mancanza. Ogni volta mi rispondevo che sicuramente stava bene e che sicuramente non sentiva la mia mancanza.
Io, però, sento la sua. Mi mancano i suoi occhioni color nocciola, che scrutavano tutto con curiosità. Mi mancano le sue frustate di coda quando era felice. Mi manca perfino la sua brutta abitudine di venirmi a leccare la faccia al mattino. Ma ci si accorge di quanto qualcosa sia importante soltanto quando la si perde. Perché nonostante fosse un regalo, Josh si è ripreso Cochise senza battere ciglio. Senza chiedersi se la cosa mi facesse piacere oppure no.
Rimetto la bottiglia in frigo e mi infilo nel letto.
Al mio risveglio c’è una terza persona nella mia camera. Rimango immobile, sperando che Mary e la terza persona non si accorgano che sono sveglia. Sforzo inutile.  
«Ehi, Ila, buongiorno!» trilla Mary tutta contenta. «Se ti muovi ad alzare il culo dal letto ti presento mio marito.» 
Sorpresa, apro gli occhi. Alto, capelli castani, occhi a mandorla e fisico davvero niente male, Mark sorride e fa un cenno con la mano. Sono indecisa se uscire dal letto e mostrarmi nel mio meraviglioso pigiamo con gli orsacchiotti o rimanere nel letto e fare la figura della maleducata. Alla fine, rossa di vergogna, opto per la prima opzione. Lui non sembra fare caso al mio abbigliamento e di questo gliene sono sinceramente grata.
«Piacere.» dico, stringendo la sua mano.
«Piacere mio.»
Con la mano libera, noto di sfuggita, stringe forte a se Mary, come se avesse paura di vedersela sfuggire sotto il naso da un momento all’altro e le lancia occhiate leggere piene di amore. Ricordo che anche Josh mi guardava così e, non so perché, mi torna in mente il sogno di questa notte. Sento lo stomaco contorcersi.
«Stiamo per partire!» annuncia la mia compagna di stanza con voce stranamente acuta.
La guardo, senza capire.
«Vado a stare una settimana da Mark.»
«Oh…» non so perché, ma il pensiero di Mary a New York per una settimana mi fa sentire incredibilmente sola.
«Tranquilla, non ti libererai di me tanto facilmente. Ci sentiamo per telefono.»
E mi torna nuovamente in testa il pensiero di essere una pessima persona. Invece di essere felice perché la mia migliore amica va a stare per una settimana da suo marito a New York, riesco solo a pensare a me stessa e a quanto mi sentirò sola senza di lei.
Stringo le mani a pugno e mi costringo a sorridere.
«Divertiti e non pensare a me.»
Mi sento come spezzata. C’è la me che vuole Mary qui ad ascoltare e risolvere i miei problemi, e la me che la vuole lì ad essere felice con l’uomo che ha sposato.
Lei mi abbraccia, poi prende la valigia e, mano nella mano con Mark, esce dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle.
Mi lascio cadere sul letto con un sonoro sbuffo. Probabilmente, se continuo così, diventerò pazza.
 
“New York è bellissima, lo sai?”
Mary sembra talmente felice che non mi pare giusto renderla partecipe del fatto che il solo pensare a New York mi ricorda Josh. E il solo pensare a Josh mi fa stringere lo stomaco di nostalgia.
«Lo so, ci sono stata.» faccio distratta, mentre cerco di sistemare la stanza.
Dopo tutta la giornata passata a studiare, mi sarebbe piaciuto buttarmi sul letto e guardare qualche serie tv, ma la mia coinquilina era l’unica ad avere il portatile e se lo è portata via.
“Mark mi ha portata sulla Statua della Libertà. Siamo saliti fino alla corona, l’isola sembrava così piccola…”
La mia amica si lancia in un dettagliato racconto sulle due giornate appena trascorse. Sembra che non riesca a prendere nemmeno fiato. Tutto le è sembrato fantastico. Tutto l’ha resa felice. Mi perdo nel suo discorso quando inizia a parlare di Times Square perché mi sembra di essere tornata lì assieme a Jimmy, che mi trascinava ovunque tutto eccitato.
E’ come se fosse una vita fa.
Vengo riportata alla realtà dal bussare alla porta. Chiudo la conversazione con Mary promettendole di richiamarla e la apro piena di sospetto.
Tutti gli amici di Mary sanno che lei è andata via e, a meno che qualcuno non abbia sbagliato alloggio, nessuno verrebbe mai a bussare qui.
Quando apro, però, non è uno studente del college che mi trovo davanti.
Il telefono che ancora tenevo in mano scivola via dalla mia presa, toccando terra in un sonoro tonfo.
Il mio cuore perde un battito.
«Josh…»
La barba gli è cresciuta, i capelli sono ancora più in disordine di quando passavamo tutta la giornata a perdere tempo nel letto, ha delle occhiaie profonde sotto gli occhi arrossati, come se avesse pianto recentemente.
Mi sembra quasi di rivederlo nella stanza di ospedale, quando mi ero svegliata dal coma.
Rimango talmente spiazzata che non riesco a pensare a niente da dire o da fare. Il mio cervello non riesce neanche a porsi delle domande.
Lui fa un passo indeciso verso di me, continuando a guardarmi negli occhi. Non so cosa ci veda o a cosa stia pensando, ma il secondo passo è meno barcollante.
Ci separa meno di mezzo passo.  
Ho la vaga percezione della sua mano che cerca a tentoni la porta per poi chiudersela alle spalle. Continuo a guardarlo negli occhi, pensando che adesso mi sveglierò. Che il sogno sta per finire. Che mi ritroverò nella mia piccola stanza, sdraiata sul letto con qualche volume enorme di medicina da studiare.
Ma non mi sveglio.
Il sogno non finisce.
Josh rimane qui davanti a me, a mezzo passo da me.
«Perdonami.» bisbiglia.
Per cosa? Per cosa devo perdonarlo?
Ma non ho il tempo di chiederglielo.
Le sue labbra sono sulle mie. Le sue mani sulle mie guance. Il suo petto premuto contro il mio. I suoi occhi arrossati mi guardano, pieni di dolore, per poi chiudersi e lasciarsi andare al momento.
E la stessa cosa faccio io.
Gli allaccio le braccia al collo e, se possibile, mi stringo ancora più forte a lui. I miei piedi si muovono, senza che io abbia pensato a dove andare.
Se questo è sogno, dio, spero di non svegliarmi mai.
Tutto sembra immerso nella nebbia. Ho la leggera consapevolezza di essere andata a sbattere contro il mio letto, che diventa molto meno leggera quando mi ci lascio cadere sopra, portandomi Josh dietro. Le sue mani scendono ad accarezzarmi il collo e poi ancora giù lungo le braccia. Sento brividi raggiungere ogni punto del mio corpo. Cerco di regolarizzare il mio respiro affannato, ma è un’azione troppo complicata da compiere. Lui allaccia le sue mani alle mie e le guida sulle sue guance coperte di barba.
Poi apre gli occhi, due pozze di dolore. Si stacca da me e fa un respiro profondo. Quando abbassa le palpebre, una lacrima scende sulla sua guancia.
E tutta la nebbia scompare.
E la sensazione di stare sognando va in frantumi come il vetro.
Josh appoggia la testa sulla mia spalla e si lascia andare alle lacrime. Mi sento ancora più sconvolta di prima, ma non riesco comunque a reprimere l’istinto di prendere ad accarezzargli i capelli.
Sento il cuore battere all’impazzata. Sento il bisogno di scappare dalla stanza e mettere più distanza possibile tra me e lui. Sento un groppo il gola e la vista appannarsi, minacciando lacrime.
E tutte le domande che non mi sono venute in mente prima, giungono adesso come un fiume in piena. Vorrei chiedergli perché è qui. Perché aveva gli occhi rossi. Perché dovrei perdonarlo. Perché mi ha baciata. E perché adesso piange.
Ma l’unica cosa che faccio è chiudere gli occhi e continuare ad accarezzargli i capelli con delicatezza, mentre lui continua a versare tutte le sue lacrime.
 
Riapro gli occhi, sbadigliando, e capisco di essermi addormentata. Mi sento stranamente felice. Come se il bacia avesse risolto tutti i miei problemi e avesse cacciato via tutta la mia tristezza. Stendo le braccia e le gambe, stiracchiandomi, poi giro la testa cercando Josh.
Ma lui non c’è.
Mi tiro su a sedere talmente in fretta che per un attimo mi gira la testa. Mi guardo attorno in preda al panico. Corro verso il bagno, ma la porta è aperta e non c’è nessuno dentro. Ho una mezza idea di buttarmi atterra e guardare sotto i letti e mi do della stupida al solo pensiero.
Forse ho davvero sognato tutto.
E’ come se la stanza non avesse subito cambiamenti legati al passaggio di Josh. Ma io mi sento cambiata. Non poteva essere solo un sogno. Non poteva…
E poi lo vedo, sul mio cuscino, il cambiamento che stavo cercando. Il segno del suo passaggio. Un pezzo di carta che da lontano sembra soltanto un misero pezzo di carta.
Ma da vicino cambia tutto, perché sto tenendo tra le mani uno dei due biglietti di andata e ritorno per New York che avevo regalato a Josh per il suo compleanno.
Su un post-it appiccicato sul retro del biglietto c’è scarabocchiata la parola ‘perdonami’.
E capisco.
Mi precipito fuori dalla stanza, correndo verso il parcheggio. Vado a sbattere contro un sacco di gente, e grido scuse a caso. Continuo a correre come se correre fosse l’unica possibilità per continuare a vivere.
Voleva ricominciare.
Mi fiondo in macchina e, non con poche difficoltà, inserisco le chiavi nel blocco di avviamento e faccio partire la macchina. A tutta velocità prendo l’autostrada suonando il clacson quegli imbecilli che guidano come se fossero novellini alle prime armi.
Voleva dimenticare.
Mi sento felice. Mi sento triste. Mi sento in colpa. Continuo a premere sull’acceleratore. Ho paura. I miei muscoli sono così in tensione da farmi male, ma non ho nessuna intenzione di fermarmi per tranquillizzarmi.
Voleva credere che l’amore, il nostro amore, potesse superare qualsiasi ostacolo.
Ma perché non è rimasto, allora? Perché è andato via lasciandomi il biglietto dell’aereo? Ho fato qualcosa di sbagliato? Perché quel ‘perdonami’ scarabocchiato sul post-it? Se voleva davvero dimenticare… troppe domande. Troppe cose che non quadrano. Che si fosse reso conto di non poter dimenticare? O forse… o forse è ancora impegnato con la ragazza bionda e… non voglio nemmeno pensarci. Se fosse stato così non sarebbe nemmeno venuto fino al college.
Lui voleva davvero dimenticare. Ne sono convinta.
E’ quando passo a tutta velocità davanti a casa di Josh che mi rendo conto di aver impiegato solo mezz’ora per arrivare. Mi verrebbero i brividi al pensiero della velocità a cui stavo viaggiando, se non fosse che ho altri pensieri che mi frullano per la testa. Inchiodo di botto e le ruote stridono sull’asfalto. Scendo dalla macchina, correndo di nuovo.
Non posso permettergli di lasciarmi così. Non posso permettermi di perdere una possibilità del genere. Tutto questo tempo da sola, non ho fatto altro che pensare a lui. Non posso lasciare che esca definitivamente dalla mia vita dopo avermi abbandonata da sola con un biglietto sul cuscino.
Scivolo sul viale che porta a casa sua ma, magicamente, rimango in piedi.
«Josh!» grido a pieni polmoni, decisa come non lo sono mai stata in vita mia. «Josh! Non puoi farlo. Non puoi andartene così. JOSH!»
Sto urlando alla casa, sto urlando alla porta, sto urlando a nessuno.
Con la coda dell’occhio, vedo dei movimenti in fondo al giardino. Mi volto, e tutto ciò che ancora avevo da urlare mi rimane stretto in gola.
Chris mi guarda con aria sconvolta. Michelle mi osserva come se stesse scegliendo il modo migliore per uccidermi. Connor, il viso una maschera di sorpresa, fa un passo nella mia direzione, scoprendo alla mia vista…
Grido, sconvolta.
Josh, seduto a terra, sta piangendo. Sulle gambe ha poggiato un grande testone nero, inerme. E capisco che il ‘perdonami’ non stava per quel nuovo inizio che tanto avevo sognato.
Sento la cenere tra le mani, quella cenere che avevo soltanto sognato.
Non ho bisogno di avvicinarmi per capire cosa sta succedendo.
Cochise è morto.

 
 
 

SPAZIO AUTRICE.

 

Io sto piangendo.

Sto piangendo perché ho cercato un sacco di volte un’altra soluzione, ma purtroppo doveva andare così.
 
Prometto che spiegherò il ‘perdonami’ meglio. Anche perché mi rendo conto che non si capisce molto bene in queste ultime righe.
 
Volevo chiedere scusa per queste settimane senza l’aggiornamento, ma sono stata molto impegnata!
 
Volevo anche avvisarvi che ormai siamo giunti alla fine (quasi T.T) e che in tre/quattro capitoli, la storia sarà conclusa. Mi dispiace avvisarvi così, ma non ero sicura sulla fine e in queste settimane ci ho pensato un sacco e… beh, adesso so come deve andare!
 
Sto piangendo anche per questo, ecco. Non voglio che finisca! *versa tutte le sue lacrime*
 
Come sempre, vi lascio il link della mia pagina facebook - - - >Ilaria.
 
Aspetto vostri commenti! (scusate l’assenza di faccine sorridenti e cose varie ma, data la fine del capitolo, non mi sembravano appropriate).
 
Un bacio, Ila. (che vi ama taaaaaaanto!) 

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Capitolo 31
*** Good old days ***


Good old days.
But these are the good old days,
And I wish I could stay.
These are the good old days,
And the more that you let it go,
The faster the times goes,
The darker the night is.
P!nk – Good old days.
 
 

«No!»
E sto di nuovo correndo.
«Cochise, no!»
Ma questa volta non corro più per continuare a vivere.
«No, no, no, no!»
Questa volta, corro via dalla possibilità di poterlo fare.
«Che cosa gli hai fatto? CHE COSA GLI HAI FATTO?»
Ed è colpa sua. E’ colpa di Josh.
Qualcosa, o meglio qualcuno, intercetta la mia corsa. Connor mi afferra un braccio, attirandomi con forza a se. Sto piangendo, urlando. Sto scalciando, tirando pugni.
Sto morendo dentro.
«I, ferma. Ferma!»
«Lasciami andare! L’ha ucciso! L’HA UCCISO!»
Continuo a scalciare, cercando di liberarmi dalla presa ferrea delle braccia di Connor. D’improvviso, i miei piedi smettono di toccare terra e, invece che avvicinarmi al corpo inerme dell’enorme cagnone nero, mi allontano.
«No! Lasciami andare! Cochise, NO!»
Connor mi sta portando via. Lontano da Cochise. Lontano dai suoi occhi nocciola e dalla sua coda sempre pronta a sferzare colpi felici. Lontano dalle sue leccate mattutine e dal suo modo di guardarti come se capisse quello che gli veniva detto. Lontano dal grande cagnone nero che non era nient’altro che una piccola palla di pelo.
Lontano dal suo corpo inerme.
«Come sei arrivata fin qui?»
«Non voglio tornare a casa! LASCIAMI ANDARE!»
«Hai una macchina o sei venuta in taxi?»
«No, no, no, NO!»
«I, rispondimi! Non fai altro che peggiorare le cose così.»
«NON MI INTERESSA, LASCIAMI ANDARE!»
Di botto, i miei piedi tornano a toccare terra. Connor mi prende il viso tra le mani, dando forti scossoni per assicurasi che io lo stia a sentire.
«Ora basta! Puoi continuare a piangere e dimenarti ma rispondimi: come sei venuta fin qui?»
Cerco di guardarlo con ostilità, ma i pezzi riattaccati del mio cuore stanno andando nuovamente in frantumi perciò mi lascio andare. Perché so che lui, almeno lui, non vuole farmi del male.
«Fuoristrada. Qualche isolato più avanti, probabilmente ancora con il motore acceso.»
Rimane sorpreso della mia arrendevolezza. Probabilmente aveva pensato di dover lottare di più. Mi lascio andare nuovamente ai singhiozzi. Connor mi prende per mano e mi giuda lontano da tutta quella sofferenza.
Ma io non posso lasciare lì la mia di sofferenza, come non posso lasciarci la rabbia.
Mi ha portato via Cochise. Me l’ha portato via e… lui è morto. Il cane che rappresentava il simbolo del nostro amore, morto.
Come il nostro amore, d’altronde.
Ho solo la lontana percezione di essere entrata in macchina, quando Connor mi riporta alla realtà, sedendosi al posto di guida.
«Non l’ha ucciso.» lo sguardo è fisso davanti a se, le mani strette sul volante. «Non l’avrebbe mai fatto, lo sai bene.»
Non rispondo. Mi sembra di non aver mai saputo niente.
«Qualche giorno prima del matrimonio di Jimmy Cochise è stato male, così l’abbiamo portato dal veterinario.» continua, senza aspettare miei commenti. «Ha trovato un tumore, uno di quelli gravi. Ha detto che avrebbe sofferto tanto, e che lui avrebbe potuto abbatterlo subito, sai, per non farlo soffrire.»
Stringo i denti, cercando di smettere di piangere.    
«Ma Josh non ha voluto.» si volta a guardarmi. «Disse che prima ne avrebbe dovuto parlare con te, perché Cochise era vostro. Non ha avuto il coraggio di dirtelo al matrimonio e…»
Per un attimo, mi sembra di rivivere la scena: Josh, gli occhi bassi e l’aria triste; le sue mani sui miei fianchi; il suo respiro così vicino. «Perdonami.» bisbiglio, ripensando al momento in cui l’avevo guardato andare via, abbandonata sulla pista.
«Come, scusa?» Connor mi guarda con curiosità.
«Lui… Mi aveva lasciata sulla pista da ballo e aveva detto solo questo: perdonami. Avevo pensato che non riuscisse a sopportare il dolore di starmi vicino dopo quello che gli avevo fatto. Ma poi ieri sera si è presentato alla mia porta e… mi ha baciata e poi ha pianto e… quando mi sono svegliata ho trovato il post-it con scritto ‘perdonami’ e…»
Un singhiozzo interrompe il mio racconto.
«… hai pensato che volesse tornare da te, che volesse riprovarci.» conclude lui per me. «Mi dispiace che non te l’abbia detto. Meritavi…»
Sento la rabbia prendere il controllo di me a quella parola. Meritavi.
E grido.
«Meritavo di saperlo, sì. Esattamente come meritavo di non essere tradita mentre combattevo tra la vita e la morte!»
Connor spalanca gli occhi, sconvolto.
«Che cosa..?»
«Ma non potevo pretendere molto, no? Dopotutto, sono io che l’ho tradito per prima. E ognuno ha avuto la sua punizione: abbiamo perso Cochise!»
«I, che diavolo..?»
«Scendi da questa macchina, Connor.»
«Non posso lasciarti guidare così…»
«Scendi. ADESSO.»
Esita, lanciandomi uno sguardo preoccupato. Io non muovo la testa, né sbatto le palpebre. Voglio che se ne vada. Voglio che esca dalla mia vita, così come voglio che esca dalla mia vita Josh…
Lascia andare il volante e scende dalla macchina. Mi guarda ancora una volta prima di chiudere la portiera e poi se ne va. E così, come in un attimo era entrato in scena, in un attimo esce.
Piena di rabbia, torno al college. E’ solo quando spengo la macchina nel parcheggio che mi rendo conto di quello che ho detto, di quello che ho fatto.
Non voglio che Connor esca dalla mia vita.
Non voglio che Josh esca dalla mia vita.
Non volevo incolparlo della morte di Cochise.
Non voglio che il nostro amore muoia…
Inizio a tirare pugni al volante, facendo suonare il clacson. Ma non m’importa. Non m’importa se la gente mi guarda, se mi da della matta. Non m’importa niente. Vorrei solo che tutto tornasse come prima, vorrei svegliarmi e accorgermi che tutto è solo un sogno.
Ma è ovvio che non mi sveglierò.
 
“Ti piace il vestito?”
«Sì, Jimmy, è fantastico! Vorrei solo che tu fossi qui per vederlo.»
“Oh, tranquilla! Ti vedrò in TV.”
Rimango in silenzio tenendo il telefono premuto contro l’orecchio, non sapendo bene cosa dire.
“Sei nervosa?”
Mi concedo un sorriso. Nonostante io sia un fascio di nervi, immagino che lui lo sia ancora di più. «Abbastanza.»
Lo sento fare un respiro profondo. “Oh, sarà divertente, vedrai!”
«Certo, sì…» Mi immagino Alex, mi immagino Josh. «Sì, sarà divertente…»
C’è un altro momento di silenzio. Poi sento la voce di Simon di sottofondo.
“Beh, adesso ti devo lasciare. Parigi mi sta impegnando tantissimo! Ricordati di tenere dritta la schiena!”
«Lo farò.» dico, sorridendo. «Divertiti!»
Chiudo la chiamata e torno a guardare la mia immagine riflessa nello specchio della lussuosa stanza d’albergo di Los Angeles. I miei capelli corti sono pieni di gel e disordinati. Il vestito è corto, la gonna molto voluminosa, color avorio decorato da sottili linee d’oro. Le scarpe sono molto alte, color oro. I miei occhi sono truccati di nero.
Aspettavo questo giorno da un sacco di tempo, la prima premiere del mio primo film, e adesso…
Vorrei solo essere a casa mia. Non al college, no. A casa mia. Con i miei genitori e mia sorella. Perché mi mancano. Mi mancano con ogni fibra del mio essere. Perché, in questa occasione così importante, vorrei solo poterli abbracciare e sentirli dire che sono fieri di me. Ero sempre stata convinta della mia scelta di andare a vivere all’estero e non mi sono mai pentita di aver seguito i mie sogni, ma… Fino ad ora non ero mai stata sola. Prima Mary, poi Josh e, quando lui non c’era, Connor e Cochise. Da quando sono arrivata, c’è sempre stato qualcuno pronto a tenermi compagnia. E, adesso che Mary è a New York, Cochise è morto e Connor e Josh sono uscita dalla mia vita… Beh, sono sola.
Afferro la busta arrivata questa mattina. La apro e dispiego la lettera che ho riletto talmente tante volte da conoscerla a memoria.
 
Cara Ilaria,
Come stai?
Dio, ci sentiamo così stupidi a scriverti una lettera quando basterebbe alzare la cornetta e comporre un numero per sentire la tua voce. Purtroppo, però, siamo diventati troppo sentimentali. Dirti queste cose a voce, sarebbe stato troppo difficile e perciò eccoci qui, a scrivere una lettera. Io e tua madre dobbiamo essere sinceri, non ci ricordavamo nemmeno più come si scrive, una lettera.
Buffo, no? Siamo talmente immersi nella tecnologia che per poco non ci dimentichiamo la stupenda sensazione di scrivere su carta, di sentire le parole scorrere dalla mano e… ci stiamo dilungando.
Ovviamente, non volevamo scriverti una lettera per parlarti dei pregi e dei difetti dello scrivere su carta. Semplicemente, volevamo che tutto quello che sentiamo in questo momento trasparisse davvero. Di sicuro, non riusciremo a farti capire quello che proviamo perfettamente ma, almeno, ogni volta che vorrai, potrai  dispiegare questa lettera e sentirti a casa, con noi. Con la tua famiglia.
Ci manchi, ci manchi tantissimo! Verremo che tutto quello che stai vivendo lì a Los Angeles lo potessi vivere qui, con noi. Vorremo vederti sempre. Ci mancano le tue battute stupide, e i tuoi discorsi convinti. Ci mancano i tuoi sorrisi e i tuoi musi lunghi. Mangiare in tre sembra così strano, dopo anni passati a mangiare in quattro!
Ma, ormai, la tua vita non è più legata a questo posto.
Laggiù studi, hai amici, hai un ragazzo (che ancora non convince tua madre, ma non importa!).
Con oggi, hai perfino realizzato i tuoi sogni.
Girerai un film, diventerai un’attrice (un’attrice  famosa!), come hai sempre sognato. E noi non potremmo esserne più felici, davvero.
Tua sorella non vede l’ora di vederti sfilare sul tappeto rosso, firmando autografi e sentendo le persone acclamare il tuo nome a gran voce. (e anche noi non vediamo l’ora!)
Sappiamo che sarai felice, che sentirai di essere riuscita finalmente a realizzare tutti i tuoi sogni.
Quel giorno, sappi che ci saremo. Se non fisicamente, con il pensiero e con il cuore, noi saremo lì. Faremo il tifo per te, acclameremo il tuo nome e ti supporteremo fino alla fine. E, se mai sentissi la nostra mancanza… beh, non provare ad essere triste! Sarà il giorno più bello della tua vita e non dovrai rovinartelo per nessuna ragione al mondo.
Saremo lì con te, e ci resteremo sempre. Qualunque cosa succeda.
Sii felice, e lo saremo anche noi. Dimentica tutti i problemi e goditi quel momento, perché non tornerà.
Anche se ci manchi, niente sarà meglio del vederti felice dallo sgranato livestream di qualche sito.
E’ probabile che questa lettera ti arriverà tra mesi e mesi, ma noi siamo contenti di averla scritta. (tua madre mi ha fatto fare cinque versioni in brutta perché nessuna la convinceva del tutto!)
Speriamo che, dopo averla letta, ti sentirai un po’ meno lontana da casa.
Ti vogliamo bene,
Mamma e papà. (tua sorella si associa a tutto, anche se non ha la più pallida idea di quello che abbiamo scritto.)

 
Stringo forte la lettera, sentendo un grande vuoto nel petto. I miei genitori l’hanno scritta subito dopo aver saputo che avrei fatto parte del cast di “Journey”.
Sii felice, e lo saremo anche noi.
«Ila, dobbiamo andare.» Ashley spalanca la porta, sorridendomi.
Annuisco, cercando di tenere a bada il nervosismo che sento circolare nelle vene. Rimetto a posto la lettera e lancio un’ultima fugace occhiata all’immagine che lo specchio riflette.
Adesso, mi sento un po’ meno lontana da casa.
Adesso, mi sento un po’ più pronta ad affrontare quello che mi aspetta là fuori.
 
Josh sorride.
Alex sorride.
Io sorrido.
Guardandoci, nessuno direbbe che gli ultimi mesi sono stati un massacro.
So benissimo che tutte queste ragazzine urlanti non sono qui per me e, quando alcune di loro chiamano a gran voce il mio nome chiedendo foto e autografi, mi si riempie il cuore di felicità. Autografo foto e locandine a caso, sorrido a telefoni e fotocamere, concedo qualche foto qua e là.
Mi sorprendo nello scoprirmi divertita e a mio agio con tutto questo.
Non posso stare troppo tempo con le fan, però. Qualcuno si avvicina, mormorandomi che ci sono intervistatori pronti per farmi delle domande.
Tutto è così diverso da quando avevo sfilato sul red carpet tenendo Josh per mano. Quello era il suo red carpet, questo è il mio.
«Il tuo personaggio è forte e testardo, parlaci di lei.»
«Avete girato alle Hawaii. Come ti sei trovata?»
«Scherzando, Brad Peyton ci ha detto che lo hai fatto impazzire. Cosa gli hai combinato?»
«Robin Williams è un grande attore. Come ti sei trovata a recitare con lui?»
«Il tuo personaggio si scopre sempre di più durante il film. Puoi parlarci di questo cambiamento?»
Domande. Domande su domande che si susseguono senza interruzioni. Passo da cinque intervistatori da cui rimango massimo tre minuti. Tutto è calcolato al secondo. Non si sgarra.
Ma, nonostante tutto, sono talmente scombussolata e felice di essere qui, che anche essere guidata da una parte all’altra non mi pesa. E’ come se tutto fosse immerso in un grande alone di bellezza e felicità.
E tutti i problemi che mi tormentavano in albergo scompaiono. Mi sento piena di adrenalina.  
Il primo che vedo è Jaden. Mi correi in contro, fregandosene delle persone che lo stanno accompagnando da un intervistato all’altro. Lo abbraccio forte.
«Ila! Mi sei mancata tantissimo.»
Mi vengono in mente tutti i nostri momenti assieme. «Anche tu, ragazzino. Anche tu.»
Passo dietro a Robin, che sta rispondendo a qualche domanda di un giornalista da cui sono già stata intervistata. Lui si gira, interrompendo il discorso, e mi abbraccia.
«Sorridi e sii forte.» mi bisbiglia all’orecchio.
Io annuisco. Sicuramente sa tutto, ma non oso chiedere nulla davanti a tutte queste telecamere.
Incontro anche Dwayne Johnson ma, questa volta, sono io che interrompo la sua intervista. Se non fosse per il vestito, probabilmente gli salterei sulle spalle. Invece, mi limito a tirargli una leggera sberla sul collo facendolo spaventare. Lui si gira, gridandomi che avrà la sua vendetta.
Passo davanti ad Alex, che mi sorride facendomi cenno col capo, e davanti a Josh che mi saluta con la mano. Come me, indossano una maschera. E come me, la indosseranno fino alla fine delle premiere e interviste.
Nel caos più totale di urla e schiamazzi, musica e domande, luci e flash, vengo accompagnata da due giornalisti che, però, non mi stanno aspettando da soli. Sono in compagnia di Robert Downey Jr.
Mi fermo un momento, ammirandolo in tutto il suo fascino. Non so se sono pronta a parlare con Ironman. Sento il cuore battere forte, quasi voglia uscirmi dal petto. Faccio un respiro profondo, cercando di radunare tutto il mio coraggio e…
Robert si avvicina, mi stringe in un abbraccio caloroso sorridendo come se ci conoscessimo da sempre.
Il mio cure perde un battito.
«Signori, diamo il benvenuto alla mia nuova co-star!» dice, rivolto alla telecamera.
Cerco di riprendermi, sorridendo a chiunque mi sorrida. In realtà, mi sento una totale imbecille. «Oh, grazie!» biascico.
«Allora,» l’intervistatore sembra più emozionato di me, il che è tutto dire. «oltre a promuovere il nuovo Journey, Ilaria, oggi annuncerai anche il tuo nuovo progetto con Robert. Come ti senti?»
Non penso neanche, prima di rispondere. «Scombussolata? Esaltata? Felice? Sì, direi che felice va bene!»
Vicino a me, l’attore in questione mi viene in aiuto. «Ha fatto un provino fenomenale! Quando l’ho vista ho pensato: “Wow, è stato… wow!”»
Arrossisco per il complimento, ridendo imbarazzata. L’intervistatore, credo per non mettermi in imbarazzo ancora di più, si rivolge al mio futuro collega chiedendogli di parlargli del film. Quando mi riprendo, gli parlo del mio ruolo (sempre rimanendo nei limiti di quello che mi è concesso dire). Finito il tempo, ci lasciamo guidare nel grande spazio davanti ai fotografi. Io e Robert ci lasciamo fotografare, mentre a fatica reprimo la voglia di mollare tutto e mettermi immediatamente a girare il film con lui. Seduta stante.
«Comunque, è un piacere conoscerti.» dice lui, divertito.
«Piacere mio.» rispondo ridendo, neanche avesse fatto la battuta più divertente del secolo!
«Devo essere sincero, da come mi hanno parlato di te, non vedo l’ora che comincino le riprese!»
Il complimento, come quello di prima, mi lascia completamente scombussolata. «Con chi hai parlato?»
«Con Brad Peyton. Ha detto che sei una brava attrice e una persona molto divertente!»
Felice come sono, tutto quello che provo è elevato all’ennesima potenza, perciò mi vengono le lacrime aglio occhi sentendo quello che mi sta dicendo. Quando un uomo mi conduce verso agli altri attori del cast, mi dirigo a falcate decise verso Brad e lo abbraccio, cercando di trasmettergli tutta la gratitudine che provo per lui in questo momento. Ma non faccio in tempo a dirgli niente, perché Dwayne mi prende e, come un sacco di patate, mi butta sulla sua spalla destra, stando attento a non farmi alzare il vestito.
«Ecco la mia vendetta, scricciolo!» dice, scherzando.
Inizio a ridere e tirargli pugni sulla schiena. In quel momento Alex si avvicina e, indicandomi i fotografi urla: «Sorridi alle fotocamere, Ila!»
Intravedo Josh e Brad piegati in due dalle risate, Jaden che salta più in alto che può cercando di afferrare il braccio con cui Dwayne mi sta tenendo e sento la voce di Robin che, invano, cerca di convincerlo a mettermi giù.
E per un momento, un lunghissimo e bellissimo momento, mi sembra di essere tornata alle Hawaii, sul set di “Journey”, quando ci facevamo i dispetti l’uno con l’altro e tutto era felice e prefetto.
 
New York mi era mancata.
Essere qui, però, mi provoca sentimenti contrastanti: felicità, perché sono di nuovo qui, e tristezza, perché i ricordi legati a questo posto sono ancora impressi a fuoco nella mia mente.
Chiudo gli occhi e faccio un respiro profondo, lisciandomi le pieghe del corto vestito blu, con le maniche trasparenti e decorate di brillanti motivi ondeggianti. Mi chiedo se Josh senta lo stomaco sotto sopra come le sento io, al ricordo dell’unica sera passata qui. La benda sugli occhi, le mie lamentele contro le sorprese, le scale salite alla cieca e poi sulle sue spalle. Il mio andare fuori di testa scoprendo che Robin Williams era andato alla premiere del sul film. Lo stare sdraiati per terra a guardare le stelle.«Sai, dovrebbero scoprire una nuova galassia e chiamarla col tuo nome. Io lo farei.» E poi le urla. Le urla di gioia. Le nostre risate che venivano interrotte dal guardiano e… la magnifica notte che avevamo passato.
Mi chiedo se stia pensando a questo. O se invece non stia solo sperando che arrivi in fretta la fine di tutta questa farsa per tornare dalla sua bionda. Chissà se lei è a conoscenza del fatto che il suo “ragazzo” è venuto a piangere sulla mia spalla, passando la notte nella mia camera al college. Immagino di no. Esattamente come io non ero a conoscenza della sua esistenza.
Sento la rabbia arrivare assieme al ricordo della foto vista su internet, perciò cerco di pensare ad altro, guardando fuori dal finestrino l’affollata e caotica New York.
Non vedo l’ora di togliere questa maschera. Non vedo l’ora di poter smettere di scherzare con Alex e Josh come se non fosse successo niente. Perché, anche se poi sarò costretta a indossarla di nuovo per le riprese del film di Josh, almeno uno di noi sarà escluso da tutta questa sofferenza.
Anche se sembriamo felici, ogni intervista è un incubo. Ogni risata è una fitta al cuore.
Fortunatamente, per via delle riprese del film con Robert Downey Jr., anche se all’inizio Ashely mi aveva detto di sì, non presenzierò alle premiere in giro per l’Europa. Mi dispiace per Londra, la aspettavo con ansia, ma se la scelta è tra un’altra serata con la maschera addosso e le riprese con il magnifico attore, immagino che la risposta sia abbastanza ovvia.
La macchina rallenta fino a fermarsi. Faccio un respiro profondo.
Sii felice, e lo saremo anche noi.
Mi preparo ad uscire.
Flash, grida, foto, autografi, interviste, falsi sorrisi, momenti davvero divertenti e conferenze stampa.
Metto un piede fuori dalla macchina, sorridendo.
 
«Passa la palla, passa la palla!»
Robert si sbraccia, facendo segno di tirare verso di lui. Miro, sperando di non sbagliare, e poi lancio la piccola palla di gomma nella sua direzione. Lui la afferra al volo e va a fare canestro.
«SI!» grido, mentre corro a battergli il cinque.
«E ci riconfermiamo campioni!»
Dopo due settimane di riprese, dire che io e Robert andiamo d’accordo è un eufemismo grande come una casa. Ci divertiamo talmente tanto che tutte le sere, dopo essere tornata a casa, non vedo l’ora di tornare a lavoro il giorno dopo.
Così, per passare il tempo, abbiamo costruito un canestro con un’asta di legno e un pezzo di ferro rotondo attaccati insieme da nastro adesivo. Poi, con una palla di gomma grossa come quella da tennis, ci siamo messi a giocare a basket nei momenti morti sul set. Essendo lo spazio abbastanza piccolo, abbiamo deciso di giocare due contro due.
Inutile dire che siamo una squadra grandiosa, anche se io sono una schiappa.
Peter, il regista, ci manda a stendere. «Ah, non ci gioco più con vuoi due!»
Lui e il costumista, coppia fissa da quando abbiamo iniziato a perdere tempo così, non sono ancora riusciti a batterci.
«Ah, essere scarsi…» Robert scuote la testa, prendendolo in giro.
Mi passa la palla, facendomi l’occhiolino, e io la tiro sulla prominente pancia di Peter.
«Butta giù quella,» affermo ridendo «e FORSE potresti anche sperare di batterci!»
Lui mi mostra il dito medio e poi si allontana ridendo.
In quel momento sento squillare il mio telefono. Il numero è sconosciuto.
«Pronto..?» rispondo, incerta.
«I!» la voce di Connor mi fa spaventare. «Devi venire immediatamente qui. Lindsay, lei è… lei è… Lindsey è… è tornata!»
Il mio primo pensiero è che ho vinto la scommessa.
Il secondo, invece…

 
 
 

ANGOLO AUTRICE.

 

Buonasera!
 
Mi dispiace di avervi illuse, dicendovi che avrei aggiornato in fretta, ma… beh, ormai lo sapete che non c’è da fidarsi di quello che dico!
 
Ma voi mi perdonate, vero? Vero?! *occhi da cucciolo*
 
E mi perdonate anche il finale, vero?
Tanto non ne dovrete subire di questo genere ancora per molto, ormai siamo agli sgoccioli! *va a piangere in un angolino*
 
Per chi non lo ricordasse, Ila e Connor avevano scommesso sul ritorno di Lindsay. Ila diceva che sarebbe tornata, mentre Connor diceva di no.
In caso avesse perso Connor: «[…] dovrai andare in giro per LA a inseguire le celebrità “piene di sé” per tutto il giorno e comportarti da fan accanito, mentre io ti riprenderò con una videocamera.»
In caso avesse perso Ila: «[…] sarai in debito con me.» (me = Connor)
 
Detto questo… niente!
Al prossimo capitolo!
 
Un bacio,
Ila.

 
 
 
 

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Capitolo 32
*** Cannonball ***


Cannonball.

And now I will start living today,
Today, today I close the door.
I got this new beginning and I
Will fly, I’ll fly like a cannonball.
Lea Michele – Cannonball.

 
 
 

Ultimamente, decido mentre guardo la lancetta del tachimetro raggiungere numeri decisamente spaventosi, sto correndo un po’ troppo.
Passo con il rosso almeno due volte, strombazzando come una matta a chiunque vada più lentamente di me: ovvero tutti. Non ho mai amato andare troppo veloce, come se temessi di poter andare a sbattere contro un palo della luce alla prima occasione. Conosco fin troppo bene come gira la fortuna e, ormai è ovvio, il Sadico lassù non prova molto amore per me.
Nonostante tutto, però, continuo a correre.
Nella testa, immagini vengono sovrapposte e messe a confronto.
Ragazze bionde, mediamente alte, belle e sorridenti.
Ne ho conosciute e viste tantissime nella mia vita che rispettano queste credenziali, ma solo due di loro sono la stessa persona.
La persona che prima, sentendo l’opprimente bisogno di spezzare il cuore del mio “quasi fratello”, è scappata in Bolivia, e poi, sempre sentendo lo stesso opprimente bisogno, ha iniziato a uscire con il fratello che odiava mentre la sua ragazza, che sarei io, era in coma.
Lindsay. Una gran bella persona!
Scatta il semaforo rosso e, sentendomi in colpa per tutti quelli che ho già ignorato, inchiodo bruscamente facendo stridere le gomme sull’asfalto.
Spero per lei che non sia a casa di Josh in questo momento. Il solo pensiero di trovarmi quella bionda davanti mi manda il sangue al cervello. E spero che non sia in casa nemmeno Josh. La foto di loro due per mano è ancora impressa a fuoco nei miei ricordi e, infuriata come sono, potrei non rispondere delle mie azioni.
Il verde scatta e io pigio forte sull’acceleratore.
Gelosia. Mi sto crogiolando nella gelosia come se non ci fosse un domani.
«Maledetti!» sbraito, tirando un pugno sul clacson.
Non riesco a capire come sia potuta andare a finire così. Non riesco a capire come Josh abbia potuto tradirmi con la ex di suo fratello. Non riesco a capire più niente.
Accompagnata dall’ormai familiare stridio delle gomme sull’asfalto, parcheggio davanti a casa di Josh e, ricordandomi appena che forse dovrei spegnere la macchina, mi fiondo verso il portone d’ingresso.
Inizio a suonare il campanello, cercando di darmi un contegno, ma ottenendo solo di diventare ancora più nervosa. Tremo al pensiero di chi potrebbe aprirmi.
L’espressione corrucciata sul viso di Michelle, come se stesse decidendo il modo più doloroso per farmela pagare, mi torna in mente.
Per un momento, sono quasi tentata di correre via a gambe levate, ma il viso di Connor che spunta da dietro la porta mi trattiene.
«E’ una troia!» sbotto, prima di rendermi conto di quello che ho appena detto.
Non volevo essere così diretta. Insomma, è pur sempre la ragazza che ama e che ha aspettato nonostante tutto quello che era successo.
Lui mi guarda sconvolto.
Vorrei sotterrarmi, scappare via, chiedergli scusa in ginocchio per quello che ho detto ma… per quanto dura possa sembrare, ha bisogno di sapere la verità e, che io la condisca dei miei pensieri o meno, ormai conta poco: il danno è fatto.
Comunque, per non smentirmi, provo a riparare.
«No, insomma, non volevo dire così… è che, insomma, io… lei… Josh…» Connor, pazientemente, aspetta che io trovi le parole giuste. «Volevo dire che… ho trovato questa foto e poi… beh, mi sono ricordata la tua foto e, sai, mentre ero in coma lui… si, ecco…»
Mi rendo conto che il mio discorso non a senso, quindi smetto di farneticare e incrocio le braccia al petto. Mi vergogno talmente tanto che la rabbia che mi ha portata fino a qui a millemila chilometri all’ora è praticamente scomparsa.
«Hai finito?»  lui alza un sopracciglio cercando di nascondere un sorrisino divertito.
Annuisco senza guardarlo.
«Bene. Vuoi entrare?»
Annuisco. Poi, ripensandoci, scuoto preoccupata la testa.
«Lo prendo come un si.» adesso non tenta nemmeno di nascondere la smorfia divertita. «Magari davanti a qualche muffin riesci a concentrarti su quello che devi dire.»
Il mio stomaco approva la proposta e, guidata dalla fame invece che dal cervello, entro in quella che per mesi è stata anche la mia, di casa.
Un misto di paura e tristezza mi invade il petto.
Mi guardo intorno, come se da un momento all’altro dovesse spuntare Josh. Non voglio che mi veda qui. Dovrà già sopportare la mia vista per abbastanza tempo quando saremo nuovamente sul set assieme, senza che io mi faccia anche trovare a casa sua accusando la sua nuova ragazza di essere una… beh, quello.
Per questo motivo, mi fermo di botto nell’ingresso.
«Non voglio… non posso fermarmi.»
Mi concentro su quello che devo dirgli, senza farmi prendere da chissà quali emozioni.
Gli racconto della foto. Gli racconto di come subito non avevo riconosciuto Lindsay, e che solo in un secondo momento avevo collegato la ragazza mano nella mano con Josh alla stessa ragazza nella foto con Connor.
Lui mi ascolta. E più vado avanti con il racconto, meno riesco a leggere il suo viso. Di solito capivo quello che mi voleva dire dalle espressioni che faceva, adesso, invece, mi sembra di guardare in faccia un perfetto sconosciuto.
Quando smetto di parlare, chiude gli occhi. Fa un profondo respiro, come se pensasse a come rispondermi.
Poi, con mia grande sorpresa, scoppia a ridere.
Sta ridendo.
Sta letteralmente morendo dalle risate.  
«Hai sentito quello che ti ho detto, vero?» chiedo, sconvolta dalle sue ristate.
Lui quasi si strozza mentre, ancora ridendo, cerca di rispondermi.
«Mi prendi in giro, Connor?»
Scuote la testa, il viso rosso.
«Puoi gentilmente smettere di ridere e spiegarmi che ti è preso?»
Si batte un pugno sul petto e… ricomincia a ridere.
«Sei impazzito? Ti ho appena detto che la tua ex, la ragazza che ami, se ne va a spasso con tuo fratello e tu ridi?!»
Cerca di smettere ma non ce la fa.
«Connor, smettila! Io sono preoccupata per te.»
Prende un respiro profondo e, questa volta, riesce a trattenere le risate. «Mi dispiace che tu ti sia preoccupata tanto, e che il tuo amico Alex abbia spaccato il labbro a Josh solo per questo, ma…»
Dei passi al piano di sopra lo interrompono. Il mio primo pensiero va a Josh, il secondo a Michelle. Ma non è nessuno di loro due che vedo scendere le scale. Una ragazza mediamente alta, bionda, bella e… questa volta non sorride.
Lindsay mi guarda come se fossi una povera scema che non ha idea di quello che sta dicendo.
«… Io e il tuo ragazzo non andiamo decisamente d’accordo.» finisce la frase che Connor aveva lasciato in sospeso. Si stringe forte al mancorrente, ed è solo in quel momento che noto il problema. La sua gamba destra non c’è più. Una protesi di ferro la sostituisce da metà coscia in giù. Il ragazzo al mio fianco si muove per aiutarla, ma lei scuote la testa, decisa a fare da sola. «La base dove noi volontari abitavamo in Bolivia è stata distrutta. Sono rimasta un giorno intero con la gamba incastrata tra le macerie. Hanno dovuto amputare.» nota il mio disagio e fa un sorriso. «Ma tu non sei qui per questo, vero?»
Finalmente, scende dall’ultimo gradino. Mi guarda con decisione, perciò decido di non distogliere lo sguardo. Ma non rispondo.
«Josh è un’idiota, ma non ti avrebbe tradita nemmeno per tutto l’oro del mondo. Cosa che tu invece non hai esitato a fare, vero?» fa un mezzo sorriso, sembra che la situazione la diverta. «Quando sono tornata dalla Bolivia, ho capito che andarsene era stato uno sbaglio. E non solo per la gamba in meno. Avevo paura di aver perso Connor per sempre, non me lo sarei mai perdonata. Così ho messo l’odio da parte e ho chiamato Josh. Mi ci è voluto un sacco per convincerlo, perché non voleva staccarsi da te. Volevo parlargli per capire se potevo tornare.» lancia uno sguardo pieno d’amore al ragazzo accanto a lei. «In quella foto, che ha fruttato al tuo principe azzurro un meraviglioso labbro spaccato, sono scivolata su questo dannato affare di ferro e lui mi ha presa al volo. Non so perché stessi sorridendo, davvero. Mi dispiace di aver combinato tanti danni, volevo solo essere sicura di non aver perso l’amore della mia vita.»
Connor le stringe la mano, un gesto così semplice ma così pieno di sentimenti.
In questo momento, mi sento in colpa per tutte le cose brutte che ho detto e pensato su questa ragazza. «Mi dispiace di averti chiamata… beh, hai sentito.»
Lei sorride e il suo sorriso contagia anche me.
Sono contenta che Connor l’abbia aspettata, che adesso possano avere un futuro assieme. Ha fatto così tanto per me che, vederlo così felice, non può far altro che rendermi felice.
Tossicchio, guardandolo negli occhi.
«Qualcuno ha perso una scommessa, comunque.»
Si irrigidisce mentre Lindsay, al suo fianco, diventa curiosa. «Che scommessa?»
«Niente.» si affretta a risponderle, prima che lo possa fare io. Poi cambia discorso. «Qualcuno, invece, deve andare a scrivere il suo finale.»
Questa volta sono io che mi irrigidisco. «Il mio finale è già stato scritto un po’ di tempo fa, Connor. Sei rimasto indietro con gli eventi.»
Lui fa per rispondermi, ma la sua ragazza lo anticipa.
«Due persone che si amano così tanto non possono aver scritto un finale del genere.»
Lo dice come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Connor mi sorride come faceva quando sapeva più di quanto io stessa sapessi.
«Vuoi fare una scommessa, I?»
 
Questo posto non è cambiato per niente. Anche se lo ricordo vagamente.
E’ strano essere qui, dove tutto è iniziato, sapendo quello che è successo in seguito.
Mi sento come se stessi vivendo un enorme déjà-vu.
Aprendo la porta d’entrata, il campanello tintinna annunciando al barista dietro al bancone in fondo alla stanza che è entrato un cliente. Mi guardo attorno, ripensando a quella sera in questo bar all’angolo.
L’ultimo pullman del giorno che parte senza me e Mary, la decisione di prenderci qualcosa da bere invece di cercare un posto per dormire, i due ragazzi che si avvicinano chiedendoci di uscire, la litigata con la mia migliore amica, la pessima idea di darmi all’alcool e… vuoto.
Il resto, è solo un racconto sentito dopo un giorno passato a vomitare e dormire cercando di smaltire la sbornia nel letto di Josh Hutcherson. Mi chiedo cosa sarebbe successo se fossi riuscita a prendere quel pullman, o se avessimo deciso di trovare una stanza, invece che entrare nel primo bar in vista.   
Probabilmente, la mia vita non sarebbe cambiata e la metà dei miei sogni sarebbero ancora chiusi nel famoso cassetto che tutti hanno.
Mi siedo al bancone, nello stesso posto in cui mi ero seduta quella sera. Sembra sia passata una vita intera. Il barista, un ragazzo mulatto dal sorriso gentile, mi porta un bicchier d’acqua e delle noccioline.
Non so perché sono venuta qui. Sono scappata da Connor senza dargli spiegazioni non appena mi ha proposto la scommessa e, ascoltando solo il mio istinto, sono finita qui.
Il motivo, però, diventa immediatamente chiaro.
Il mio sguardo si posa sul tavolo all’angolo, lontano da finestre e occhi indiscreti.
Afferro le mie noccioline e il mio bicchiere d’acqua e mi vado a sedere lì. Credo che venendo qui, mi aspettassi di trovare Josh, ma lui non c’è. Che poi, penso masticando un’altra nocciolina, cosa gli avrei detto?
“Ciao. Sono appena stata a casa tua e ho dato della troia alla ragazza di tuo fratello perché pensavo che mi avessi tradita con lei.”
Sarebbe stato decisamente patetico. Come se non fossi stata la prima a tradirlo!
Ma non credo di essere venuta qui solo per Josh. A più di un anno di distanza, ancora non ricordo quello che è successo dopo che mi sono ubriacata. Forse, l’istinto mi ha portata qui per questo. Per ricordare. Anche se non capisco quanto questo possa aiutarmi.
La situazione è semplice.
Io amo Josh.
Josh ama me.
Io ho paura di ferirlo ancora.
E immagino che lui non abbia più voglia di farsi ferire da me.
Ci siamo lasciati, eppure io sento che manca ancora qualcosa. Come se la sua visita prima che io scoprissi che Cochise era morto avesse rotto quel muro che aveva definito la nostra separazione. Come se quel bacio avesse riaperto le ferite appena cicatrizzate, e ora la situazione richiedesse un ulteriore chiarimento.
Come se dovessimo lasciarci un’altra volta.
Scuoto la testa e mi passo una mano tra i capelli ancora troppo corti per i miei gusti. Non so se sarei capace di dirgli un’altra volta di no. Anche se, molto probabilmente, questa volta sarebbe lui a dirmelo.
E sarebbe per sempre.
Un cameriere si avvicina, chiedendomi se desidero qualcos’altro. Sono quasi tentata di chiedergli se hanno qualcosa per aiutarmi a schiarire le idee, invece gli chiedo un birra.
Nel momento in cui il ragazzo si allontana, un improvviso dolore alla testa mi prende.
«Hai iniziato a bere e non la smettevi più. Finivi un bicchiere e ne chiedevi un altro. Eri talmente ubriaca che non ti accorgevi nemmeno che il barista iniziava a riempirti il bicchiere solo d’acqua.»
Le parole di Josh iniziano a scorrermi veloci nella testa e, mentre scorrono, mi guardo attorno e comincio a ricordare.
«Ti sei lasciata cadere sulla sedia accanto alla mia e mi hai guardato con uno sguardo appannato. Poi ti sei messa a ridere e hai detto:“Tu sei Josh Hutcherson!” più che detto l’hai gridato, ma nessuno ci prestava molta attenzione.»
Mi ricordo di averlo fatto. Mi ricordo di aver gridato, mentre barcollavo per cercare di rimanere in posizione verticale.
«Sei scoppiata a ridere e poi a piangere. Hai appoggiato la testa sulla mia spalla e non riuscivi più a smettere.»
Divento tutta rossa al pensiero di aver pianto sulla sua spalla dopo avergli chiesto l’autografo e, ubriaca com’ero, averlo accusato di non essere Josh Hutcherson.
E poi non sono più le parole di Josh a rimbombarmi nella testa, ma quelle di Connor.
«Ricordo benissimo il momento in cui sei arrivata qua. Ridevi. Ridevi per qualunque stupidaggine. E lui rideva con te, era contento. Non lo vedevo così da mesi.»
Ricordo anche questo. Ricordo che, durante il tragitto, Josh ci aveva coperti entrambi con il suo cappotto per assicurarsi che nessuno ci vedesse. E di come mi intimasse sorridendo di smettere di ridere e urlare.
«Sembravi uscita fuori da una lista di desideri. Come se qualcuno ti avesse dato vita solo per riportarlo alla sua, di vita. E ci sei riuscita. Lui è tornato quello di sempre. Sei stata come una benedizione.»
Mi tornano in mente tutti i nostri bei momenti. Le serate al telefono quando non vivevo ancora a casa sua. I pomeriggi passati sdraiati sul suo letto a guardare il soffitto, a ridere e a scherzare. I suoi sguardi attenti e silenziosi, quando cercava di patteggiare sulla possibilità di rimanere in camera mentre studiavo, sperando di non distrarmi. I suoi baci teneri e appassionati. Le serate abbracciati sul divano a guardare le sue serie tv preferite. La nostra prima uscita pubblica. Il tentativo di guardare l’alba sul tetto dell’albergo a New York. Il suo racconto all’inizio della Walk of Fame, quando cercava di convincermi a fare il provino per Journey. I pomeriggi sulla spiaggia alle Hawaii. Il suo compleanno sul set.
Come può tutto questo essere finito? Come?
Il barista ritorna con la mia birra, ma io non posso trattenermi qui.
So cosa devo fare.
So dove devo andare.
So che per la propria metà non ci si può arrendere.
Pago, ricordando a me stessa di ringraziare Lindsay per quest’ultimo insegnamento. Poi mi dirigo verso l’uscita a passo di marcia.
 
Nel parcheggio, tutta l’euforia che mi aveva invasa uscendo dal bar, svanisce completamente. Perché, vicino al mio fuoristrada, appoggiata alla portiera sul lato del passeggero, c’è Michelle.
Sento brividi salirmi lungo tutta la schiena.
Cerco di leggere la sua espressione, ma non trovo niente. Assolutamente niente. Come se provare qualsiasi sentimento nei miei confronti fosse inutile.
Sono indecisa se passarle davanti senza guardarla facendo finta di niente, o fermarmi e ascoltare quello che deve dirmi. Perché, è ovvio, non è qui per caso.
Non credo che per Michelle il caso sia un’opzione possibile.
Faccio un respiro profondo e, col terrore addosso, decido di fermarmi davanti a lei.
E ora? Cosa le dico?
«Ciao.»
Con tutte le possibili frasi da dire in queste circostanze, brillantemente, me ne esco con la cosa più stupida che potessi dire. Vorrei sotterrarmi.
«Ciao.» risponde lei, senza sorridere, il volto una maschera priva di qualunque cosa.
Per un momento, rimaniamo a fissarci. Sono ancora convinta che stia meditando di uccidermi, ma non sarebbe così stupida da farlo alla luce del giorno e davanti a un bar. Sapendo, oltretutto, che suo figlio è ancora innamorato di me.
Al pensiero di Josh sento le proverbiali “farfalle nello stomaco”. Ma non durano per molto. Vengono sterminate tutte dalla voce di Michelle.
«Ho saputo che sei stata a casa di mio figlio.»
Lo so che non si aspetta una mia risposta, ma non riesco a trattenermi. «Che tu ci creda o no, io e Connor siamo diventati buoni amici. E se un amico ha bisogno di me, io ci sono. Non importa dove abiti.»
Lei sembra indispettita dalla mia risposta.
«Io lo capisco. Che tu ci creda o no.» assottiglia gli occhi, quei suoi occhi di ghiaccio. «Non siamo andate subito d’accordo, me lo ricordo bene. E ricordo bene anche il momento in cui ho cambiato idea. Il momento in cui ho capito chi eri veramente. Lo ricordi?»
E come potrei dimenticarlo? Dopo giorni stressanti passati a cercare di tenerle testa mentre trovava ogni mio piccolo difetto, dopo essere stata messa alla prova con ogni metodo possibile, dopo giorni di bugie, dopo essere scoppiata all’improvviso, come potrei dimenticare? Perfino il sorriso di Josh, il più felice che avesse mai fatto, dopo avergli detto che sua madre aveva fiducia in noi, è ancora impresso nella mia mente.
«Sì, ricordo.»
La sua maschera cade. Sul suo viso compare la tristezza. «Avrei scommesso tanto su di voi. Solamente un’altra volta avrei scommesso così tanto, e immagino tu sappia a chi mi riferisco.»
Annuisco. Connor e Lindsay. E, alla fine, non ha perso la scommessa.
«Non sono venuta qui a farti la predica.» sospira, abbassando per un momento lo sguardo. «E non sono venuta qui in nome di mio figlio, non mi permetterei mai. Sono venuta qui in qualità di madre. Una madre triste, una madre preoccupata, un madre che
ama il figlio e che per lui vuole solo il meglio.»
Non so perché, ma le sue parole mi incantano.
«Non si da pace, Ilaria. Non ci riesce. Da quando Cochise è morto, da quando è venuto a farti visita al college. Non so cosa sia successo quella volta, lui non me lo vuole dire. L’unica cosa che so è che si era abituato alla vostra rottura, mentre adesso sembra essere tornato ai tempi in cui tu eri in coma.»
Vorrei farla smettere. Vorrei che smettesse di parlarmi di tutto questo, ma non riesco ad interromperla.
«Rimaneva seduto lì vicino al tuo letto giorni interi senza mai muoversi. Sembrava che anche lui stesse lottando per la tua vita. E adesso, quando non ha impegni, si chiude in camera e non fa entrare nessuno. Non spiega a nessuno cosa prova.»
Mi guarda come se volesse leggermi dentro.
«Non so perché tu sia venuta qua, oggi. E, purtroppo, non so quello che provi in questo momento. Ma credo di sapere quello che prova lui e so che è arrivato il momento di mettervi fine.» mi punta un dito contro «Tu puoi decidere cosa fare. Non mi interessa se metterai una fine definitiva a tutto questo o pure no, ma ti prego fai qualcosa.»
Questa volta, aspetta una mia risposta. Ma io rimango lì senza sapere cosa pensare, cosa dire. Poi, improvvisamente, Michelle sorride e mi porge una mano. Anche io sorrido, era ovvio che non mi potessi aspettare di più da lei.
«Sai dove andare.» dice, mentre le restituisco la stretta di mano.
Poi si allontana senza più voltarsi.
 
Spalanco la porta della camera, il fiato corto per colpa della corsa dal parcheggio fino a qui. Mary mi guarda, spaventata dal mio arrivo improvviso.
«Che diavolo..?»
«Dobbiamo andare a New York, Mary. Adesso.»

 
 
 

SPAZIO AUTRICE.

 

E siamo giunte al penultimo capitolo.
Yeaaa… no. Non sono felice. Non sono per niente felice T.T
In questo momento vorrei nascondermi in un angolino e piangere per sempre.
 
Solo per avvisarvi, ma mi sto preparando un discorso lacrimevolmente (?) doloro per l’ultimo capitolo.
Lettrici avvisate..!
 
E’ corto questo capitolo, lo so. Ma non volevo allungarlo inutilmente.
Penso che come penultimo capitolo vada bene così.
 
E.. niente!
Adesso mi dileguo. (vado a deprimermi v.v)
Al prossimo capitolo, bellezze!
 
Un bacio, Ila. 



P.S. volevo consigliarvi, se siete fan di Hunger Games, questa storia. E' di una mia amica (viva la pubblicità!) ed è davvero bella v.v Forced to be fierce.

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Capitolo 33
*** Epilogo ***


EPILOGO.
 
 

«Aspetta: cosa?»
«Adesso, Mary. Dobbiamo partire adesso. Dobbiamo andare a New York!»
«Adesso?!»
«Sì, Mary, adesso.»
«Ma… perché adesso? Perché a New York?»
«Perché…»
Non ci avevo pensato. New York era stata il primo pensiero coerente dopo la scomparsa di Michelle alla mia vista. In effetti, lei mi aveva soltanto detto che sapevo dove sarei dovuta andare, ma questo non implicava necessariamente la famosa città americana.
Eppure il mio istinto continua a strillarmi di prendere quattro stracci con me e filare immediatamente laggiù.
«Perché sì.» non so se Mary capirebbe la faccenda dell’istinto.
«Perché sì..?»
«Sì.» cerco di mostrarmi il più decisa possibile. Non avrebbe comunque tutti i torti a darmi della pazza completa, dal momento che la sto praticamente costringendo a venire a New York con me sulla base di… niente.
«Tu mi stai dicendo che devo venire a New York con te perché… sì?»
Faccio un respiro profondo. Dalla sua espressione scocciata capisco che il fatto che non le sto dicendo tutto la sta facendo arrabbiare.
«E va bene! Ho la sensazione che lui sia lì, che Josh sia lì.»
«E quindi?»
Lo so che ha capito, glielo leggo negli occhi, ma vuole sentirlo dire da me.
«E quindi lo amo, Mary! Lo amo, e da quando è venuto qui e mi ha baciata non riesco a fare a meno di pensare che… devo parlargli…»
«E non puoi aspettare che torni?»
«…adesso.»
Mary sbuffa, contrariata da questo mio improvviso bisogno di partire. Lo so che vorrebbe dirmi di andare da sola laggiù, ma due cose glielo impediscono. La prima, sa che ho bisogno di lei. La seconda, sta cogliendo l’occasione per vedere suo marito.
«E va bene! Andiamo, andiamo.»
Corro ad abbracciarla, con le lacrime agli occhi.
«Grazie, Mary. Grazie.»
 
All’atterraggio a New York segue un momento di panico: adesso che sono qui, dove vado? Nel profondo, sapevo di dover venire ma… adesso? 
L’isola è grande, Josh potrebbe essere ovunque. Chissà quanti alberghi per super-star esistono!
Sento l’attento sguardo di Mary addosso e provo l’orribile sensazione di aver fatto una tremenda stupidaggine, venendo fin qui.
O forse no.
No, ripeto a me stessa nel deprimente tentativo di auto-convincermi, ho fatto la cosa giusta. Sono qui per un motivo ben preciso. So cosa devo fare e da chi devo andare: l’unico problema è che, se prima sapevo di dover venire qui, adesso non so precisamente dove andare.
Mentre le parole di Michelle mi rimbombano nella testa, penso che non sarebbe una cattiva idea mandare un messaggio a Connor chiedendogli in quale albergo posso trovare il fratello. Ma c’è qualcosa che mi ferma, come una consapevolezza fastidiosa che, se mandassi quel messaggio, proverei sensi di colpa per il resto dei miei giorni. Anche perché non posso affidarmi a lui per qualunque cosa.
«Sai dove andare.»
Davvero? Davvero Michelle mi ritiene così astuta da sapere dove devo andare anche se l’ultima vota che ho visto Josh l’ho accusato di avere ucciso Cochise? Anche se non ci parliamo da troppo tempo? Anche se sono arrivata a pensare che mi avesse tradita?
Anche se…?
Ho un lampo di genio. Non è vero che non so con precisione dove devo andare. No, io so perfettamente dove andare.
… e anche a che piano andare.
 
«Lo so, non ho tutta questa grande fama, ma non voglio che…»
«… Josh venga a sapere che sei qua?»
Annuisco. Mary continua a guardare con scetticismo gli occhiali da sole e il cappello che le porgo. Lo capisco che può sembrare assurdo, ma i paparazzi sono ovunque. E né Josh né nessuna delle persone che gli stanno attorno deve sapere che sono qui.
Deve essere una sorpresa.
Guardo nuovamente la mia migliore amica supplicandola con lo sguardo, finché lei sbuffa e, strappandomi gli occhiali e il cappello dalle mani, si avvia a passo di marcia.
«Non devi per forza venire con me, se non vuoi!» le dico, raggiungendola.
Lei alza gli occhi al cielo. «E come faresti senza di me?»
«Sempre la solita modesta! Non mi pare di essermela cavata male, in questi mesi.»
Lei alza un sopracciglio, divertita. «Si sono visti i risultati, infatti.»
«Ehi!»
Si mette a ridere e chiama un taxi.
Nell’immane traffico di New York City, ho tempo di perfezionare la mia strategia.
Non ho nessuna intenzione di presentarmi davanti a Josh senza sapere cosa dirgli e con la possibilità che la sua guardia del corpo e grande amico, Andre, mi allontani in un battito di ciglia. Perciò, con riluttanza, prima dovrò cercare di convincere il ragazzone che le mie intenzioni sono più che buone. Purtroppo, non avendo mai parlato con lui in tutto il tempo che sono stata con Josh e sapendo che sono grandi amici da un sacco di tempo, immagino che non sarà per niente un’impresa facile.
Quando il taxi si ferma per farci scendere, un fiume in piena di ricordi mi travolge.
Questo, è lo stesso albergo in cui io e Josh abbiamo passato la notte della sua prima. Questo, è uno dei posti a cui sono legati i più bei ricordi.
Faccio un respiro profondo, chiedendomi, sempre ammesso che Josh sia veramente qui, se anche lui, arrivando, abbia provato quello che adesso provo io. E, se sì, come mai è così masochista nei sui confronti.
Mary mi allontana dal fiume di ricordi con una leggera gomitata. Scuote la testa, come a chiedermi se è tutto a posto. Io annuisco e, a passo deciso, mi avvio verso la porta di ingresso.
In realtà, la decisione è l’unica cosa che in questo momento mi manca.    
Sono indecisa, intimorita, pentita, vergognosa, terrorizzata. Sono tutto, fuorché decisa. E, nella mia indecisione, di tutte le cose che potevo fare, faccio la peggiore.
«Vorrei sapere in quale stanza alloggia Josh Hutcherson.» dico togliendomi il cappello e gli occhiali, forse nella speranza che mi riconosca, alla ragazza al bancone della reception.
Ma lei non mi riconosce e mi guarda sconvolta e indispettita, e’ solo in quel momento mi ricordo che loro…
«Non diamo informazioni di questo genere. Sa, la privacy.»
Mentalmente, mi do della stupida. E non sono l’unica. Non appena mi giro, vedo Mary alzare gli occhi al cielo.
«E questa sarebbe la tua brillante idea per trovare Josh?» praticamente, sta vomitando sarcasmo.
Mi passo un mano tra i capelli corti e vado a sedermi sulle poltroncine nell’entrata.
Non so cosa fare.
Non so dove andare.
Non so se questo è il posto giusto.
Non so…
Una figura lontanamente familiare m passa davanti, diretta al bar dell’albergo. Non riconoscerei la persona in altre circostanze, ma queste non sono “altre circostanze”.
«E’ Andre!»
Mary guarda il ragazzo che gli sto indicando. «Chi?»
«Andre! La guardia del corpo e uno di migliori amici di Josh!»
Mi trattengo a stento dal mettermi a urlare.
Josh è qui. Il mio istinto aveva ragione.
Sono così felice da dimenticarmi che, purtroppo, il solo vedere Andre non comporta la soluzione di tutti i miei problemi.
«Rimani qui, okay?» dico a Mary, la mia testa si sta già preparando alla chiacchierata con la guardia del corpo.
Lei annuisce e io mi metto a correre dietro al ragazzone, sperando di non essermelo lasciato sfuggire. Lo cerco, un viso qualunque tra volti di persone che, solo per il fatto di alloggiare in questo hotel, non sono qualunque. Cerco di non andare nel panico o di lasciarmi andare alle forti emozioni che stanno prendendo il controllo di me. Nella mia testa solo una parola, ripetuta all’infinito: Josh, Josh, Josh, Josh.
Finché lo scovo, seduto al bancone, aspettando qualcuno che prenda la sua ordinazione.
Mi avvicino lentamente. Tutto il discorso che mi ero preparata durante il viaggio in taxi è… sparito. Scordato. Andato.
Cerco di non farmi prendere dal panico.
«Scusi, vorrei solo un bicchier d’acqua. Grazie.» dice Andre alla barista.
Faccio un respiro profondo e mi siedo accanto a lui.
«Ciao.» dico con forzata noncuranza.  
Lui si volta verso di me e il suo grande sorriso amichevole, che rivolge sempre a tutti, scompare quando realizza chi ha davvero davanti.
Lo sguardo che mi rivolge è peggio di un pugno nello stomaco.
Non c’è la pena di chi, impotente, non sa come aiutarti. Non c’è la compassione di chi pensa di sapere come sono andate le cose. No, nel suo sguardo c’è delusione. La delusione di chi ti credeva migliore.
Per un momento, mi manca il fiato.
«Vai via da qui.»
Le sue parole risuonano piene di rabbia. Risuonano di minacce non dette, nascoste in quello sguardo pieno di delusione. Risuonano di dolore non vissuto, ma visto vivere.
Il familiare dolore al petto, legato a tutte le cose sbagliate che ho fatto, torna a farsi sentire.
«Non posso.» dico in un soffio.
Ma il mio dolore non lo tocca nemmeno. «Certo che puoi. Chiama un taxi, torna a Los Angeles. Anzi no, puoi fare di meglio: annulla il contratto per il suo film e non farti più vedere.»
«Non posso.»
«Invece puoi e lo farai. Sei una persona di merda. Non so da quanto tempo tu lo sia, ma puoi ancora fare una buona azione, puoi evitargli altre sofferenze inutili. Perché sappiamo entrambi come andrà a finire: gli chiederai scusa, gli dirai che ti sei pentita di quello che hai fatto: prima il bacio con Pettyfer, poi il non essere tornata da lui e infine l’averlo lasciato dopo tre mesi di coma in cui Dio solo sa cosa ha passato! Gli chiederai scusa perché lo ami. E lui ti perdonerà perché ti ama, ma… si sarà spezzato qualcosa, e qualsiasi cosa sarà, nel tempo, non farà altro che peggiorare.»
Fa un respiro profondo e rimane per un attimo in silenzio. «Tu pensi che tutto tornerà come prima, ma non sarà così.»
Non parlo, non saprei cosa dire.
«Non dici niente, eh?» fa un mezzo sorriso ironico. «Già. Se non fosse che sono suo amico e voglio solo che lui sia felice, ti aiuterei. Ti direi di andare a parlargli, di provare a rimettere assieme i pezzi: così, un giorno, quando quel qualcosa che si è spezzato diventerà tanto insopportabile da rendere il tuo amore odio, saprai che avevo ragione. Ma sono suo amico, e non ti detesto abbastanza da augurarti un futuro del genere. Perciò puoi andartene e lasciare le cose come stanno, risparmiando a entrambi altre inutili sofferenze.»
Ho la gola secca e, mentre ripenso alle sue parole, nella mia testa nasce l’idea che forse ha ragione lui.
«Ma credo di sapere quello che prova lui e so che è arrivato il momento di mettervi fine. Tu puoi decidere cosa fare. Non mi interessa se metterai una fine definitiva a tutto questo o pure no, ma ti prego fai qualcosa.»
Eppure, Michelle non sarebbe d’accordo. E Michelle non sbaglia mai.
«Non sono venuta a chiedere scusa a Josh.» guardo Andre negli occhi. «Non sono venuta a chiedere il suo perdono, sarebbe troppo facile. Quando l’ho lasciato, dopo che mi ha chiesto di sposarlo, gli ho detto che stava prendendo decisioni affrettate, che tre mesi di coma e tanta sofferenza potevano offuscargli la visione della realtà. Io mi ero già scusata per quello che avevo fatto. Ma lui non era nelle condizioni giuste per pensare seriamente a un possibile perdono. Io sapevo – io so – quello che voglio. Io voglio Josh, perché lo amo, perché non sono mai stata così felice con una persona, perché lui era il sogno che non sapevo di avere. Insomma, ero una sua fan, è ovvio che volessi incontrarlo, ma non sognavo tutto questo. Non lo sognavo così.» la mia voce si spezza, ma ormai non riesco più a fermarmi. «Quando l’ho lasciato, sapevo che non sarebbe tornato da me. Presto si sarebbe accorto che non poteva perdonarmi, e avrebbe voltato pagina. Sarebbe stato felice. L’avevo messo in conto, sarei stata felice nel saperlo felice. Mai poi è… beh, Cochise è… e lui è venuto da me. E mia ha baciata e per l’ennesima volta non ho capito a cosa si riferiva la sua richiesta di perdono. E l’ho incolpato di aver ucciso il nostro cane, e con lui il nostro amore.»
Andre mi guarda rapito, mentre cerco di non mostrare quanto io mi senta vulnerabile in questo momento.
«Io mi sono già scusata, e lui mi ha già perdonata. Per questo è venuto da me, per questo non ha annullato il contratto, per questo adesso si trova qui. E quando Michelle dice che sono io che devo dare una svolta a questa storia, beh… è l’unico punto su cui ha torto. Adesso è arrivato il momento di dare una svolta a questa situazione. Ed è Josh che deve tirare fuori ciò a cui pensa da quando è uscito dall’ospedale con l’anello di fidanzamento in tasca e le lacrime agli occhi.»
Andre fa per dire qualcosa, ma lo blocco.
«Se non mi aiuterai non mi interessa, farò le cose da sola. Ma ti prego, non mettermi i bastoni tra le ruote. Andandomene non risparmierei sofferenze a entrambi, lo sai tu e lo so io.»
Interpreto il suo non muoversi come una promessa a non intralciarmi e non aiutarmi, perciò mi allontano. Dopo pochi passi, però, mi ricordo di una cosa.
«E nono sono una persona di merda. Forse lo sono stata, in alcune occasioni, ma non è una proprietà intrinseca del mio essere. Io sono soltanto una persona che è rimasta per molto tempo spezzata.»
 
«E adesso cosa facciamo?» chiede Mary, venendomi in contro mentre mi allontano dal bancone del bar. Non so perché, ma ho la netta sensazione che abbia origliato l’intera conversazione.
«Adesso… aspettiamo.»
Torniamo a sederci nell’atrio e iniziamo a guardare tutte le persone che entrano ed escono dall’albergo. Dopo un po’, Mary inizia a sbuffare.
«Non devi rimanere qui per forza.» le ripeto, senza guardarla.
Lei ignora quello che le ho detto. «Non potremmo cercarlo in modo più attivo?»
«In che senso ‘attivo’?»
«Non lo so, ma non mi va di stare seduta qui a guardare la gente entrare e uscire.»
Non ho altre idee, se non aspettare, quindi lascio cadere la conversazione. Non mi interessa quanto devo aspettare, prima o poi Josh arriverà. Mi preoccupa di più il fatto che Andre potrebbe spifferargli tutto, e sono terrorizzata all’idea che possa decidere di andarsene senza tornare nemmeno qui.
«Andiamo a bussare a tutte le porte dell’albergo?»
Improvvisamente, non voglio più stare qui ferma ad aspettare. Mary mi guarda come se fossi diventata pazza, il che non è da escludere del tutto.
«Che diavolo ti è preso? Hai presente quanti piani ha questo dannato edificio?!»
«Ho bisogno di fare qualcosa! Se continuo a rimanere qui muoio!»
«Bene, allora continua a morire tranquillamente. Non vengo a bussare a tutte le porte dell’albergo!» poi, quando inizio a camminare avanti e indietro, si addolcisce. «Ila, stai tranquilla: arriverà, me lo sento.»
Annuisco, non del tutto convinta, continuando a camminare.
Passiamo il pomeriggio così, camminando davanti all’entrata dell’albergo, prendendo caffè sedute al bar di fronte, ma senza mai perdere di vista l’entrata.
Aspettiamo.
Aspettiamo.
Aspettiamo.
Arriva la sera. Per cena un hot-dog mangiato in piedi. Potrei dire che ho visto più persone passarmi davanti oggi, che in tutta la mia vita. Iniziamo a perdere le speranze. Forse Andre l’ha avvertito. Forse è tornato a casa. Forse non passerà la notte in albergo.
Le occhiate nascoste di Mary cominciano a pesarmi, immagino che stia pensando a come potrà consolarmi quando perderò la speranza di vedere Josh arrivare. Non sono mai stata una persona speranzosa: pessimista, realista, ma mai speranzosa. Perché sprecare tempo a sperare che le cose possano andare in un certo modo, quando di sa benissimo che non sarà così? Quando si è consci che sperare equivale a illudersi? Poche volte ho sperimentato il dolce sapore delle speranza e, in quelle poche volte, ho sperimentato anche il sapore amaro della delusione, nel momento in cui capivo che sperare era inutile.
«Cosa vuoi fare?» chiede alla fine Mary con riluttanza, come se anche lei sperasse ancora.
Risponderle vorrebbe dire provare nuovamente quel sapore amaro che odiavo tanto da non sperare, perciò rimango in silenzio. Per la prima volta, da quando siamo qui, abbasso lo sguardo.
«Ila..?»
Vorrei dirle di non mettermi fretta, di non parlare. Non sono pronta a quel sapore amaro, di nuovo.
«Ila devi…»
«Per favre, Mary, lo so che non arriverà. Lasciami…»
«No, Ila, non hai capito. Devi guardare, adesso.»
La sua voce trema sul finale, ed è questo che mi fa alzare lo sguardo.
E lo vedo.
Cammina tranquillo, guardando il telefono. La sua guardia del corpo vicina. Viene verso di noi, verso l’entrata dell’albergo. Porta gli occhiali da sole nonostante sia sera e un cappello da baseball, ma lo riconosco comunque. Lo riconoscerei tra mille.
Il mio cuore perde un battito, ma non ho tempo per rimanere pietrificata delle mille emozioni che mi assalgono.
Lo guardo, mentre entra e poi, senza preoccuparmi di dire qualcosa a Mary, lo seguo.
Nel calore luminoso della hall, lo vedo parlare con Andre. Scuote la testa e poi indica il soffitto e, senza dover leggere il labiale o ascoltare quello che si stanno dicendo, so dove vuole andare. Mi precipito verso l’ascensore e, una volta dentro, premo freneticamente sul tasto col numero più alto. Il mio cuore batte così velocemente e sento l’adrenalina sostituire tutto il sangue che mi scorre nelle vene. Le mani mi tremano e la lentezza con cui sto salendo mi agita ancora di più. Fortunatamente, nessuno blocca la mia corsa verso l’alto. Le porte si aprono ed esco, correndo. Cerco un’uscita vietata. L’ultima volta che sono stata qui, ero bendata, ma non penso che una guardia ci avrebbe portati giù a forza se rimanere sul tetto non fosse stato vietato.
Il respiro si fa corto, e peggiora non appena trovo la porta e inizio a salire gli scalini a due a due. Quando arrivo in cima, ho la gola secca e non sento più le gambe.
Josh non è ancora arrivato e le uniche luci provengano dagli edifici attorno a me.
Mi siedo atterra. Non voglio ripensare a quella lontana e meravigliosa nottata qua su, ma i ricordi cominciano a passarmi davanti come un fiume in piena. Si fermano solo quando la porta alle mie spalle si apre.
Ed è adesso che mi volto e lo vedo.
«Ciao.»
 
Josh si ferma. Rimane a guardarmi come se non fossi davvero lì, e senza nemmeno avere il tempo di fermarle, lacrime salate cominciano a scendermi sul viso.
«Che cosa ci fai qui?»
E’ astio quello nella sua voce? Non ne sono completamente sicura.
Non mi lascia rispondere. «Perché piangi?»
Se prima c’era dell’astio, adesso in quella sua meravigliosa voce c’è solo preoccupazione.
Prima che riesca a rispondere, si incammina verso di me come faceva quando voleva abbracciarmi. Lo fermo, prima che possa pentirsene.
«Non… non ti avvicinare.» credo di non essere poi così credibile, seduta atterra e ridotta in lacrime con l’unico desiderio di essere abbracciata da lui, ma non posso lasciare che questi mesi passati a stargli lontana per onorare la decisione presa in ospedale vadano in fumo perché io sono diventata emotiva. «Non sono venuta qui a piangere, anche se non sembrerebbe.»
Sui suoi lineamenti pieni di indecisione, si fa strada un mezzo sorriso divertito.
«E perché allora?»
«Non lo so… o almeno, lo so, ma devi dirmi tu se è giusto che io sia qui.»
Mi accorgo di come potrebbe sembrare assurdo alle sue orecchie detto in questo modo, e mi lascio andare a una risata nervosa. Ancora tra le lacrime, mi rendo conto di essere terrorizzata da un suo no.
Non che non lo avessi preso in considerazione, non che non lo avessi temuto, ma una parte incredibilmente forte di me era sempre stata convinta che non mi avrebbe mai rifiutata. Era stato quel dolce sapore di speranza che non avevo mai completamente perso. Quel piccolo spiraglio di luce che avevo sempre visto.
Ora, davanti a lui, dimentica di qualunque discorso mi fossi preparata, non ho più nessuna convinzione, nessuna speranza, nessuno spiraglio di luce.
«Non credi che sia un po’ contorta come cosa?» eppure, nonostante quello che dice, gli leggo in faccia che ha capito.
«Decisamente contorta. E imbarazzante.»   
Fa un piccolo sospiro e, ignorando i miei tentativi di non farlo avvicinare, si siede davanti a me. Lo guardo negli occhi, temendo quello che sta per dire.
«Ti ho perdonata. Ti ho perdonata nello stesso momento in cui l’ho saputo. Ti avrei perdonata per qualunque cosa, e ti perdonerei di nuovo.»
«Non dovresti.»
«In amore si perdona tutto.»
Vedendo che sorride mi lascio andare ad un’altra risata nervosa. «Non credo sia propriamente così.»
«Lo so, ma dovrebbe. Soprattutto quando si ama una persona come te. Non c’è nemmeno bisogno di essere ricambiati se si tratta di te, il vero privilegio è amarti.»
Abbasso lo sguardo, piena di amarezza: è troppo buono. Nessuno si merita tanta bontà, io meno di tutti. «Stronzate. Continua ad essere così buono, e avrai solo delusioni nella tua vita Josh.»
Mi prende il mento tra le dita e mi costringe a guardarlo negli occhi.
«Ho capito perché mi hai lasciato, e hai fatto bene. Probabilmente, dopo i tuoi tre mesi di coma, se avessimo continuato a stare assieme adesso starebbe andando tutto a rotoli. E non ci sarebbe modo di rimediare. Mi hai dato la possibilità di pensare a ciò che era successo: ho sofferto, ho sofferto tantissimo, e ho sofferto ancora di più quando è morto Cochise, mentre ti chiedevo in tutti i modi di perdonarmi, e pensavo di non riuscire più a tirarmi su. Ma non è stato così. Ho capito e, più che perdonarti, adesso, ti ringrazio.»
Penso che sia fuori di testa, che sia drogato o chissà cos’altro. Spero che siano le mie orecchie, perché non posso credere di averlo appena sentito ringraziarmi. E per cosa poi, per averlo tradito?
Deve essersi accorto che quello che ha appena detto mi suona strano, e cerca di spiegarsi meglio.
«Beh, perché ti avevo già perdonata, quindi… sai, dopo la fase di rabbia e odio ho capito che forse l’avevi fatto per il mio bene e… hai capito no?»
Le lacrime, che si erano appena fermate, cominciano nuovamente a scorrere sul mio viso. Questa volta, però, per la felicità. Lentamente, gli poggio le mani sulle guancie e, ancora più lentamente, avvicino il mio viso al suo.
È entrato nella mia vita come… come in quelle pubblicità in cui un uomo dal viso simpatico e dalla voce squillante ti propone prodotti miracolosi. “Ehi, stai cercando il cambiamento? Cambia la tua vita con un Josh!” E ho accettato. E la mia vita è davvero cambiata. E, col senno di poi, rifarei tutto.
Non sono io ad annullare le distanze una volta per tutte.
Josh mi attira a sé con forza e dolcezza. Nessuna traccia di tristezza, dolore, amarezza, odio o qualunque altro sentimento ci abbia tenuti distanti per tutto questo tempo, è ancora presente tra noi.
Non mi ricordavo quanto un bacio potesse essere così pieno di dolcezza. Non mi ricordavo quanto un suo bacio potesse essere così pieno di amore.
Quando ci separiamo nei suoi occhi brilla la stessa luce che brillava quando ci eravamo scambiati il nostro primo bacio.
E’ così strano ma così giusto.
Mesi senza parlarci, convinti che di quello che eravamo non sarebbe rimasto niente. Mesi di sofferenze, pensando che avremmo dovuto voltare pagina invece che continuare ad aggrapparci al passato. Mesi vissuti cercando di perdonare e perdonarci, per quello che avevamo fatto e detto a noi stessi e all’altro. Mesi che, però, sono serviti.
Mesi che, ritrovandoci con le idee chiare, hanno portato a questa semplice e felice riconciliazione.
Perché se è amore vero, può davvero perdonare tutto.  
Mi stringe forte a se e io ricambio quella meravigliosa stretta. E mi sento bene.
«Sei venuta a New York solo perché dovevi farmi confessare?»
Rido, e annuisco.
«Avresti potuto aspettarmi a casa, a Los Angeles.»
Scrollo le spalle. Mentre sto per rispondere, un pensiero mi folgora come un fulmine a ciel sereno.
«Che cosa hai desiderato, il giorno del tuo compleanno?»
E’ il suo turno di ridere, gli occhi puntati sul cielo stellato.
«Te.» mi posa un bacio sulla fronte e mi guarda negli occhi. «Sempre.»
Normalmente tutta questa sdolcinatezza provocherebbe un mio brontolare sul miele e sul diabete, ma adesso sotto le stelle e abbracciata a lui dopo mesi di distanza, mi fa battere forte il cuore.
Perciò rispondo alla sua domanda.
«Los Angeles non è casa mia. Tu lo sei.»
 

 

SPAZIO AUTRICE.

 

E’ arrivata, dopo un anno e quasi cinque mesi, la fine è arrivata.
E' stato difficile cliccare sulla casella che mi chiedeva se la storia fosse finalmente completa, davvero straziante.  
Devo essere sincera: non pensavo che sarei riuscita a finirla. Non ci credevo per nulla. Ma voi avete creduto in me e allora..!
 
Probabilmente mi sarei smentita, come Petterhead, come Tribute e come me stessa, se non avessi messo un “Sempre” nel finale. Però suona bene, e spero che voi lo approviate.
 
Non so cosa scrivere, sono emozionata e in lacrime. Immagino che dovrei andare con ordine.
 
Prima di tutto vi voglio ringraziare per tutto questo tempo passato assieme. Mi avete seguita, mi avete insultata, mi avete ringraziata e mi avete minacciata, ma è stato comunque bello!
Grazie per tutte le vostre fantastiche recensioni, per avermi resa partecipe dei vostri scleri.
Grazie per esserci state sempre, anche quando i capitoli sembrava non arrivassero mai.
Grazie per tutto, davvero.
 
Tutto questo mi mancherà un sacco. Mi mancherà la storia, mi mancheranno i personaggi, mi mancherete voi.
Forse può sembrarvi strano, ma mi sento come se mi stessi separando da una mia creatura. Dopotutto, questi personaggi (anche se gran parte di loro sono reali) li ho creati io. Mi sono immaginata i loro caratteri,  mi sono immaginata le loro reazioni, mi sono immaginata i loro pensieri.
Li avevo nella testa, che mi sussurravano quello che volevano fare e dire.
Li avevo con me nei sabati sera passati a scrivere.
 
Nonostante sia stata fatta da dietro un computer, è stata una bella esperienza.
Spero di avervi fatte gioire, ridere, piangere, urlare, sognare, insultarmi. Spero di essere stata, almeno un po’, nei vostri pensieri mentre formulavate congetture su come potesse andare avanti. Spero che, almeno un po’, questa storia mancherà a voi come a me.
 
Non scriverò un sequel di tutto questo. Non sarebbe giusto.
Ma sarà comunque bello tornare ogni tanto a leggere quello che ho scritto, e soprattutto a leggere quello che voi mi avete scritto. Perciò, vi prego, lasciatemi tantissime recensioni. Anche solo per insultarmi per il finale. Fatemi passare questa malinconia che mi uccide per questa fine!
 
Spero che anche voi tornerete, di tanto in tanto.
Un abbraccio enorme, Ila. 

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