Let me go di Bay24 (/viewuser.php?uid=127656)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 01. Il Titanic ***
Capitolo 2: *** 02. L'oceano e il cuore ***
Capitolo 3: *** 03.La notte delle lacrime. ***
Capitolo 4: *** 04.Epilogo ***
Capitolo 1 *** 01. Il Titanic ***
Piccola premessa: Questa minilong di appena tre capitoli è
il seguito della mia os Let me go contenuta nella raccolta scritta per
la thadastian week di novembre, Give me love, che è
piuttosto indispensabile aver letto per capire il resto della storia e
che trovate qui. http://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2277281
Molti di voi mi hanno fatto sapere come pensavano che sarebbe
finita quella storia e mi hanno chiesto di conoscere anche la mia
versione dei fatti. Eccola.
Come sapete io non ci vado leggera con l'angst, per cui siate pronti a
tutto, ma veramente.
Come mio solito in questa ff sarà presente anche un po' di
Klaine. Per la loro storia mi sono ispirata alla reale storia d'amore
avvenuta tra due personaggi davvero imbarcati sul Titanic e
innamoratosi contro i pregiudizi dell'epoca. Quella
tra il Maggiore Archibald Butt e il pittore Francis Millet è
una delle storie d'amore naufragate sul Titanic, infatti. Entrambi
purtroppo morirono la notte del 14 aprile 1912 a bordo del
transatlantico.
Pronti per questo viaggio?
Buona lettura.
01. Il titanic
10 aprile 1912
La nave era anche più grossa di quanto Thad avesse
immaginato. Molto più grossa.
Lì, ancorata al molo, la gente di sotto che
salutava i suoi cari saliti ormai a bordo, immersa nel viavai di auto e
facchini, riluceva sotto il caldo sole di aprile e sembrava un gigante
di ferro .
Non era la prima grossa nave che vedeva, eppure c’era
qualcosa, in essa, che riusciva a lasciarlo comunque senza
fiato.
Il viaggio più lungo lo aveva fatto sulla Mauritania.
Quattordici giorni, partendo dalle coste inglesi di
Liverpool, attraversando tutto l'Atlantico verso
ovest.
La Mauritania era conosciuta, con la gemella Lusitania, come la
più veloce e imponente di quegli anni. Fino a quel momento,
almeno.
Il gioiello, che Thad stava guardando a bocca aperta per lo
stupore, il Titanic, era sicuramente più grosso e, da quello
che si diceva, più veloce di entrambe quelle navi.
"Chiudi la bocca, Harwood. O un intero esercito di moscerini ci
passerà attraverso" esordì una voce divertita
dietro di lui, e Thad ripiombò sul molo di South Hampton, e
nel suo personale incubo, in un attimo.
Cercava di pensarci il meno possibile. A ciò che era
successo, e a quello che sarebbe accaduto quando fossero arrivati in
America. Ma quando sentiva la sua voce, o vedeva il suo volto,
ripiombava nel tormento.
Erano passati solo quattro giorni del resto.
"Tutto bene?" gli chiese ancora il suo signore, Sebastian, quando gli
fu vicino. Aveva usato quel tono caldo e intimo, quello che usava
sempre quando erano da soli e si concedevano di tenersi la mano,
guardarsi negli occhi e parlarsi come pari e non come servo e padrone.
"È stupenda, signore" rispose semplicemente Thad,
perché, quando si trovavano in mezzo alla gente,
lui era questo, un servo. E sembrava essere l'unico a
ricordarsi che c'erano delle regole da rispettare, e delle
distanze da mantenere. Sopratutto adesso. Ma del resto, tra i
due, era lui che aveva sempre rischiato di più, e
quindi era anche quello più cauto.
"Thad..." cominciò a dire il suo Lord, ma uno dei facchini
della nave si fece sotto, per chiedere loro se serviva aiuto con i
bagagli, con il massimo dell’affettazione. Faceva questo
effetto a chiunque, Sebastian Smythe. Se il suo volto non fosse
già stato piuttosto noto, sarebbero bastati i suoi abiti e
le sei automobili, con cui erano entrati nel porto, per fare
capire a chiunque che era ricco.
Thad sembrava essere il solo a vedere la persona che stava dietro a
quei soldi.
E sembrava essere il solo a dispiacersi del fatto che, dal matrimonio,
avvenuto ben quattro giorni prima, quello fosse il primo vero momento
che passava così vicino a Sebastian.
Non era stato chiamato durante quelle notti. E non aveva trovato
nessuno ad attenderlo in camera sua alla fine del suo lavoro.
Sapeva cosa ciò volesse dire, ed era preparato a vederlo
succedere, perché quello era il compito di Lord Smythe e,
all' inizio, quando era ancora nella casa di suo padre, avrebbe dovuto
salvare le apparenze.
Ma faceva male lo stesso.
Faceva male pensare che forse per Sebastian non era poi così
brutto sostituire il calore del suo corpo con un corpo diverso,
così come lo era per Thad. Faceva male avere la
certezza che, tra i due, lui fosse stato, di sicuro, il solo a passare
quelle notti solitarie a piangere per ciò che aveva perso.
Faceva ancora più male pensare che, di lì a pochi
giorni, niente di tutto ciò sarebbe più
stato un problema per lui.
Non più.
"Non mi sembra questo granché. Non capisco di cosa la gente
si stupisca." Una voce femminile irruppe nei pensieri di
Thad, sovrastando il rumore della banchina e della nave stessa, che
ogni tanto suonava il suo richiamo per far salire i passeggeri a bordo.
Lady Lopez, ora Lady Smythe, non era quella che si sarebbe detta una
donna raffinata, dato che aveva una grossolanità, nei modi,
che nemmeno le migliori scuole femminili di Londra avevano saputo
stemperare; ma di sicuro era una delle donne più belle che
Thad avesse mai visto in vita sua.
Pelle ambrata, un corpo sinuoso, capelli neri e lucenti che catturavano
i riflessi del sole e un viso praticamente perfetto. Gli uomini, che
sulla banchina stavano svuotando le macchine dei loro padroni, per
portare i bagagli sulla nave, non le toglievano gli occhi di dosso,
mentre camminava lentamente verso Sebastian con al fianco la sua
domestica privata, Miss Pierce.
E lei ne era consapevole, si vedeva.
Le piaceva essere sfoggiata, gli aveva detto Sebastian durante una
delle loro notti rubate prima del matrimonio. Le piaceva l'idea che la
gente parlasse di suo marito non solo per il suo successo
negli affari, ma anche per la bella moglie che era riuscito a
conquistare. Era uno dei motivi per cui l'aveva scelta.
E Lady Lopez sembrava davvero fiera del fatto che il suo unico compito
fosse farsi guardare.
"Credo che la vera sorpresa del Titanic sia al suo interno. Secondo
esperti del settore, è molto più lussuoso di ogni
nave esistente, e anche più veloce. La gente
parlerà sicuramente molto di questa nave" le rispose
Sebastian con quel tono, fintamente dolce, che riservava sempre alla
donna.
Apparenze.
Thad sapeva che Sebastian provava ammirazione e rispetto per la donna.
Sapeva anche che, per quanto dicesse il contrario, in
realtà non era così infastidito dall'averla
vicino. Lo leggeva nel suo sguardo quando la guardava, e lo
coglieva nei suoi gesti spontanei verso di lei. Un interesse latente
che faticava a tener nascosto.
Sebastian era attratto da Santana Lopez.
Sarebbe stato felice con lei quando Thad fosse sparito. E forse un
altro amante avrebbe scaldato il suo letto quando si fosse annoiato.
Thad doveva pensare a se stesso, perché lui era l'unico ad
avere un cuore davvero spezzato, l’unico a cui tutto era
stato tolto.
"Se lo dici tu, mio adorato. Thad, fai portare i nostri bagagli in
cabina" comandò poi Lady Santana guardando altezzosa l'uomo.
"Cara, ti ho già detto che il mio domestico personale non
è qui per occuparsi di questo genere di cose. Per questo
c'è il resto della servitù" la
redarguì Sebastian con tono contrariato.
"Lo capisco. Ma lui è qui, e non sta facendo nulla.
Perciò può occuparsi almeno della disposizione
dei bagagli, e badare che nessuno di questi giovinetti rovini nulla, ti
pare?"
"Certo Milady" disse Thad facendo un breve inchino, sovrastando
Sebastian che stava per ribattere di nuovo contro la moglie. Senza
guardarlo in volto poi, si rivolse ai facchini della nave che
attendevano un comando, e disse loro cosa prendere e in quali
cabine della nave sistemarlo.
Sebastian faceva di tutto per fargli sentire che nulla era cambiato. E
che, anche se da quattro giorni era sposato, lui era ancora il vecchio
Sebastian, il Sebastian che amava passare pomeriggi interi con lui a
parlare di arte, e che la notte, nel silenzio della propria
camera, sapeva amarlo con tutto se stesso.
Solo che non lo era. Non era più quel Sebastian, non era
più il suo Sebastian. Era un uomo che presto avrebbe avuto
dei figli a cui badare, perché questo gli imponevano
le regole della società. Le regole del suo mondo.
Un mondo che non era di Thad. E di cui presto non avrebbe fatto
più parte.
*****
Sebastian era fiero di aver scelto, per la sua luna di miele, il
viaggio inaugurale di una nave come il Titanic. Ne aveva parlato per
giorni a Thad dopo l’acquisto dei biglietti.
Sarebbe stato un caso dentro il caso. Il ricco ereditiere del grande
impero Smythe che arrivava in America, con la giovane moglie, a bordo
di una nave destinata a stracciare ogni record finora detenuto dalla
marina.
Sì, era fiero della sua scelta.
E Thad ne capiva il motivo.
Mentre lo osservava muoversi sul ponte personale della sua cabina, in
compagnia di un ufficiale, per ispezionare la vista e accertarsi
che tutto fosse di suo gradimento, riconosceva il
suo sguardo compiaciuto, e se ne sentiva partecipe.
Non importava cosa il viaggio significasse per lui. Per Sebastian era
un nuovo inizio. E di questo era felice.
Lo era sempre quando poteva condividere un successo dell'uomo. Ma lo
era, anche e soprattutto, nel sapere che forse tutto ciò lo
avrebbe aiutato a sopportare meglio il distacco da lui.
Ammesso che ciò gli fosse pesato.
La cabina in cui si trovavano era quanto di più lussuoso
Thad avesse mai visto in vita sua. Dotata di salottino e ponte
personale. Era, in pratica, grande quanto la casa in cui Thad era
cresciuto prima di trasferirsi dagli Smythe. E
comunicava con quella di Lady Lopez tramite una
porta.
Intimità discreta.
Thad dormiva sul ponte inferiore, invece, in una cabina egualmente
lussuosa, anche se un po' più piccola, vicino a Lady Pierce,
la dama di compagnia di Lady Lopez.
Eppure non avrebbe potuto essere più lontano da Sebastian.
Perché la loro non era una distanza calcolabile in metri.
Quanto, casomai, in sentimenti.
Inutile negarlo.
Mentre la nave lentamente usciva dal porto e si allontanava da South
Hampton, Thad seguiva con lo sguardo Sebastian, in movimento
su quel ponte, in attesa che si accorgesse che era entrato per avere
nuovi ordini, e ascoltava l'ufficiale snocciolare le qualità
di quella nave. Thad si chiedeva perché un ufficiale, e non
un inserviente, si occupasse di quello.
Sebastian sembrò leggere nella sua mente quando, voltandosi
verso di lui, e vedendolo in attesa, dopo avergli sorriso, come faceva
ogni volta che lo vedeva dopo un distacco, che fosse breve o lungo, gli
disse: "Thad, ti sei sistemato? Bene. Questo è Kurt Hummel.
Hummel è un mio caro amico di infanzia. Abbiamo fatto la
scuola insieme a Cambridge. Io poi sono entrato negli affari e lui si
è arruolato in marina."
"Come mio padre prima di me e come mio fratello" sentenziò
l'uomo che, togliendosi il cappello, porse la mano a Thad e si
presentò. "Kurt Hummel. Per ogni cosa chiedete pure a me."
"Molto gentile, signore" disse Thad, come voleva l'etichetta, ma fu
ripagato da una risata divertita dagli altri due uomini.
Notò allora che quell’Hummel sembrava troppo
delicato e molto giovane. Troppo, per essere già un
ufficiale.
"Kurt è un buon amico ed è come noi, Thad. Per
cui non devi essere cerimonioso con lui." Gli spiegò
Sebastian che un po' confuse Thad, il quale si limitò a
sorridere e a fare un cenno di assenso, onde evitare brutte
figure. Avrebbe chiesto delucidazioni per le sue parole,
quell’ "è come noi", quando fosse rimasto da solo
con Sebastian.
Era più sicuro.
"Bene, presto dovrò tornare al mio posto, la nave
sarà in mare aperto a breve e dobbiamo preparare
tutto per stasera, quando imbarcheremo gli altri
passeggeri da Sherborne. Per cui, se tu e la tua signora
volete fare quel famoso giro della nave, il momento migliore
è ora. Vi aspetto di sopra. "
"Sì, grazie Kurt" disse Sebastian che aspettò che
l'uomo fosse rientrato nella cabina, e sparito dalla sua vista, per
afferrare Thad per un gomito e portarlo lontano dalle porte finestre da
cui i camerieri, che dentro stavano ancora portando e sistemando i suoi
bagagli, avrebbero potuto vederli.
Poi lo spinse contro il muro e, senza dire nulla, assalì le
sue labbra con un bacio caldo e umido.
Le ginocchia di Thad cedettero all'istante, e sarebbe caduto se le mani
dell'altro non fossero state premute, possessive, sulla sua vita, a
tenerlo ben pressato tra il muro e il corpo di Sebastian.
Erano giorni che l'altro non gli stava così vicino. E,
contrariamente a quanto Thad aveva pensato, o forse sperato, il suo
profumo non era cambiato diventando quello di un altro. Il suo tocco
non si era fatto più freddo, anzi, se possibile, era ancora
più possessivo. E il modo in cui lo baciava era ancora come
una tortura per Thad. Una lunga, dolce, lenta, tortura.
Quando Sebastian si staccò dal bacio, gli sorrise e
sussurrò: "Ciao".
"Ciao" rispose scioccamente Thad, gli occhi persi in quelli dell'altro,
che si erano fatti più scuri per il desiderio.
La voglia che tratteneva da quasi una settimana, e il bisogno
di sentire di nuovo le mani dell'altro su di sé, presero il
sopravvento su tutto. Anche sul suo istinto di sopravvivenza.
Quell’istinto che gli diceva che, più stavano
lontani l’uno dall’altro, più facile
sarebbe stato dirsi addio. Lo stesso che subito ricordava a Thad che
però, forse, prendersi un nuovo attimo, un semplice momento
di passione col suo padrone, avrebbe potuto mandarlo avanti quando
sarebbe stato da solo. Tutto solo. Lontano da lui.
Quella indecisione, che lo rendeva debole e plasmabile dal suo stesso
desiderio, era proprio ciò che Thad non poteva
permettersi di provare, non in quel momento in cui la cabina, a pochi
metri da loro, era piena zeppa di persone che entravano e uscivano,
spostandosi tra la sua cabina e quella di Lady Lopez.
Così, per distogliere l'altro, e se stesso, da fin troppo
chiare intenzioni, chiese con voce non tanto ferma: "Cosa intendevi
prima con "Kurt è come noi”?"
Sebastian fu sorpreso da quella domanda ma, sentendo un rumore
più forte provenire da dentro, sembrò ricordarsi
dove fossero e cosa stava accadendo intorno a loro, e si
staccò da Thad, allontanandosi.
Il freddo che colpì Thad a quel distacco fu immediato ma,
ricomponendosi a sua volta, cercò di non darci troppo peso.
Avrebbe dovuto farci l'abitudine del resto, perché tra pochi
giorni avrebbe dovuto fare a meno del calore di Sebastian per il resto
della sua vita.
Dio, come avrebbe potuto fare?
Sebastian guardò dentro per assicurarsi che
nessuno li ascoltasse e poi, voltandosi di nuovo verso Thad,
chiese: "Ricordi i due mesi che ho passato a Londra quando avevo 16
anni?"
E sì, Thad ricordava quel periodo. Lo ricordava
dolorosamente bene anche se erano passati ben 10 anni. Il periodo
più lungo passato lontano da Sebastian, che a quel tempo era
solo un padrone e un amico per lui. Il migliore, ma un amico e nulla
più. Fu, anzi, in quei mesi di distacco che Thad
cominciò a pensare di essere forse troppo attaccato al suo
padrone. E di provare per lui un sentimento che trascendeva l'affetto,
il rispetto, e il senso di obbligo dovuto dalla sua posizione.
"Fui ospitato a casa degli Hummel in quel periodo. Passavo molto tempo
con Kurt ed ebbi modo di conoscere anche alcuni suoi amici. Alcune sue
abitudini." Continuò Sebastian ammiccando verso di lui.
"Non ti seguo" disse Thad, quando l’altro si sedette al
piccolo tavolino posto fuori, e prese a prepararsi una sigaretta al
mentolo, le uniche che fumava.
"Sai che Kurt è sposato e ha due figlie femmine?" chiese
Lord Smythe, cambiando del tutto discorso. Thad faceva onestamente
fatica a stargli dietro, o a capire dove volesse andare a parare, ma
comunque rispose: "No, certo che non lo sapevo, l'ho appena conosciuto."
"Beh, lo è. È sposato da cinque anni con la
figlia di un banchiere, un americano. Si chiama Quinn Fabray, suo padre
è piuttosto noto nell'ambiente. Comunque è
sposato, ha due figlie, e una relazione clandestina. Che va avanti da
tutti questi anni.”
“Capisco” sussurrò Thad, anche se in
realtà non capiva per nulla. Non era una novità
per nessuno che un uomo sposato potesse avere una tresca,
nell’ambiente di Sebastian. Molte volte i matrimoni, in
quell’ambiente, erano fatti per questioni
di interesse e affari, non per vero
affetto, e non era poi così strano che, nel letto di un
uomo, entrassero altre donne oltre alla moglie.
“La relazione in questione, Hummel ce l’ha con un
altro uomo. Un artista delle sue parti. " Disse poi Sebastian, e
finalmente Thad comprese.
Oh. Era dunque quello il punto?
“Ovviamente non è una confidenza che lui mi fece a
cuor leggero. Diciamo che lo sorpresi in atteggiamenti intimi nel
capanno della sua famiglia con questo ragazzo. Lui mi chiese,
ovviamente, di mantenere il segreto e, quando giurai che lo avrei
fatto, mi rivelò tutto. Quando ho iniziato la storia con te,
mi sono confidato solo con lui. Perciò ti dico che non devi
essere cerimonioso in sua presenza. Sa tutto di te. Di noi. Lui ci
capisce, Thad.“
Il che poteva anche essere una grande cosa ma, a dire il vero, era Thad
quello che non capiva. Perché Sebastian gli parlava di
questo Hummel soltanto adesso? Perché gli aveva confidato
tutto senza farne parola con lui? Thad si fidava del giudizio di Lord
Smythe e, se lui diceva che di qualcuno ci si poteva fidare, di sicuro
era così. Eppure, non poteva fare a meno di sentirsi
infastidito dal fatto di non essere stato tenuto al corrente di un
segreto come quello. Che infondo lo riguardava eccome.
"So che durante la cena di questa sera non sarai seduto con noi al
tavolo di John Jacob Astor ma, se passi dalle parti della sala, osserva
l'orchestra. Nella fattispecie, il ragazzo che suona il violoncello. Si
chiama Blaine Anderson, ed è lui, l'amante di Kurt."
Thad non sapeva che dire a quella ennesima rivelazione,
perciò non disse nulla. Il fatto che altri fossero nella
loro condizione, e la portassero avanti da anni, non faceva nessuna
differenza per lui. Ma adesso cominciava forse a capire per quale
motivo Sebastian avesse insistito a portarlo con sé
in luna di miele, pur sapendo che dolore tutto ciò
gli avrebbe provocato.
Voleva mostrargli una coppia che faceva funzionare le cose. Magari
presentargli questo Anderson, per fargli recitare il mantra in cui
diceva a Thad che il dolore era tanto, ma si sopportava se si credeva
nel sentimento.
Sarebbe stato nel suo stile.
Sebastian Smythe otteneva sempre quello che voleva, in un modo o in un
altro.
Peccato che Thad avesse già pensato a diverse soluzioni, che
includevano anche quella che gli stava presentando adesso il suo
signore, e avesse capito semplicemente di non essere il tipo che poteva
sopportarle. Non lui.
"Non poteva farlo salire su questa nave come suo cameriere personale
perché, agli ufficiali di bordo, non è permesso
averne uno, quindi ha dovuto trovare per lui un altro impiego. Il
ragazzo, tra le altre cose, sapeva suonare diversi strumenti, quindi
eccolo qui. Un membro dell'orchestra della nave. E questo escamotage
gli consentirà di passare dei mesi lontano dalla moglie di
Kurt, e vicini l'uno all'altro. È fattibile"
continuò Sebastian, alzandosi e avvicinandosi di nuovo a
Thad che, presa la giacca che l’altro gli porgeva,
lo aiutò a indossarla. "Se si vuole restare insieme,
è fattibile. Se ami, sopporti anche questo. Anderson lo fa
da 10 anni."
“È sposato anche lui?” chiese Thad,
mentre lisciava le spalle della giacca del Lord per far sparire le
pieghette che si erano formate.
“Anderson? Non che io sappia, ma cosa c’entra
questo?”
“Potrebbe sposarsi anche lui, no? Mettere su famiglia e fare
dei bambini. Porterebbe avanti il ruolo prefissato per lui in questo
mondo, e potrebbe comunque continuare a vedere il suo uomo di nascosto,
come di sicuro faranno adesso. Darebbero ancor meno
nell’occhio, direi, anzi. E potrei farlo anche io. Trovarmi
una brava moglie e sfornare con lei un paio di
marmocchi”continuò Thad, facendo voltare Sebastian
verso di sé per sistemargli la cravatta. Cercò di
ignorare lo sguardo alterato che l’altro gli stava rivolgendo
ma, se era di quello che dovevano parlare, se dovevano fingere che una
soluzione ci fosse, e fosse facile per tutti e due, tanto valeva
esporre le cose per quelle che erano. “Diventerebbe
impossibile per te raggiungermi di notte ogni volta che volessi, ma
potremmo sempre trovare il nostro piccolo, segreto, nido
d’amore. Accontentandoci l’uno delle briciole
dell’altro, come probabilmente fanno questo Hummel e questo
Anderson.”
“Thad, perché devi sempre complicare
tutto?”chiese Sebastian portando le mani sopra le sue, per
fermare i suoi movimenti nervosi. Thad, con uno scatto, le
liberò dalla presa e poi lanciò uno sguardo
nervoso verso l’entrata della cabina. Nessuno prestava
attenzione a loro, ma ciò non significava nulla. Dovevano
essere più cauti.
“Le serve altro signore, prima di cena?” chiese poi
alzando la voce e tornando al suo modo affettato di rivolgersi
al suo padrone in pubblico.
“Testardo” lo sentì sussurrare
con rabbia. Poi Sebastian aggiunse, alzando la voce a sua
volta: ”No Harwood. Questa sera dopo cena sarai libero. Non
serve che ti faccia trovare nelle mie stanze per concordare i dettagli.
Ne riparleremo domani.”
I dettagli di cosa, restava un mistero per Thad, era certo solo che
Sebastian gli stava dicendo che nemmeno quella notte avrebbero potuto
essere soli.
E andava bene così.
Thad avrebbe afferrato ogni attimo che avesse potuto avere con
Sebastian, se ci fosse stato. Ma, se il suo signore aveva
intenzione di privarlo anche di quelli solo per punirlo della sua
testardaggine, Thad ne avrebbe fatto a meno. Non avrebbe cambiato idea.
Non stavolta.
Perciò “Come volete signore” disse e,
dopo un inchino, uscì dalla cabina di Sebastian, non
voltando più lo sguardo dietro di sé.
Si sarebbe dovuto abituare anche a questo.
*****
Il ponte era come tutto il resto della nave.
Grande, imponente, lussuoso.
Persino immerso nella notte ormai calata, nel silenzio,
eccetto per il rumore del mare, e nel suo essere privo della
vita che vi scorreva durante il giorno, lo era. Forse persino di
più.
Thad lo percorreva stringendosi nel cappotto e cercando un posto dove
sedersi per poter fumare in pace.
Dopo la cena, Sebastian si era ritirato con Hummel e altri ufficiali
della nave, per parlare di chissà cosa, e lui era libero
fino alla mattina seguente. Non sperava certo che la nuova routine di
Sebastian avrebbe cambiato rotta proprio quella notte, su quella nave.
Non certo quando Thad stesso lo aveva fatto arrabbiare, e la sua cabina
era praticamente adiacente alla suite della moglie, e quella
di Thad, invece, alla cabina della sua dama di compagnia.
Troppi rischi.
Sebastian continuava a dire che a lady Lopez non importava nulla di
quello che faceva quando non era con lei, eppure Thad era piuttosto
certo che, se avesse scoperto che il marito andava a letto con un uomo,
la cosa non le sarebbe andata poi così a genio.
Paradossalmente, avrebbe potuto forse sopportare mille
avventure con diverse donne, ma non avrebbe mai retto a quell'affronto.
Ci sono scandali che nemmeno i soldi possono aiutarti a superare.
Quando raggiunse il “ponte A”, Thad procedette fino
alla coda della nave. Non conosceva i nomi tecnici delle parti di
quella meraviglia. Ma quella mattina, giù in terza classe*,
dove Thad era andato a curiosare giusto per capire che ambiente fosse
rispetto alla prima classe, e se sarebbe stato più adatto a
lui, recluso in seconda quando non era con Sebastian, c'erano stati due
ragazzi, un americano e un italiano, che avevano detto di aver visto
dei delfini viaggiare con la nave, e Thad era curioso di vedere se
avrebbe assistito a uno spettacolo simile anche lui.
Il mare era buio ma le luci della nave, forse, erano sufficienti per
poter vedere qualcosa, se qualcosa c'era. E poi tutto, anche il freddo
pungente della notte, era meglio che tornare nella desolazione della
sua piccola cabina, ben sapendo che, a soli pochi metri di distanza,
Sebastian dormiva, respirava, e forse amava qualcuno che non era lui.
Per dovere, o per piacere che fosse, a Thad non interessava.
Il suo dolore non era mitigato in alcun modo dalle motivazioni che
giustificavano le azioni di Sebastian.
Salendo alcuni scalini, si trovò proprio sulla punta della
prua e, quando stava per fare un ulteriore passo
avanti, udì una risatina. Automaticamente, senza
nemmeno sapere perché, si nascose dietro l'angolo che
portava all'interno del ponte principale e da lì alla sala
si lettura e soggiorno della prima classe.
Sporgendosi, si trovò davanti a una scena che mai si sarebbe
aspettato.
Kurt Hummel era appoggiato al muro, nell’angolo nascosto da
occhi indiscreti, tolti quelli di Thad, e un giovane uomo gli stava
praticamene addosso. Si baciavano. E quando l’uomo si
staccò dall’ufficiale Thad, riconobbe il giovane
violoncellista della banda, quello che Sebastian gli aveva indicato
come Blaine Anderson.
A un tratto, le parole che il suo signore gli aveva detto ebbero
improvvisamente un senso.
Hummel aveva fatto imbarcare il suo amante per potersi concedere con
lui dei momenti come quello, lontano da tutto e
tutti.
Una vita clandestina. Ma una vita insieme.
Dieci anni sembravano così tanti. Ma momenti come quello,
rubati alla vita, sembravano enormente più
importanti di tutto il resto.
Improvvisamente a Thad venne voglia di chiedere ad Anderson come
facesse a sopportare l’idea che altri mani toccassero il suo
uomo in modo intimo. Come potesse sopportare il fatto di non poter dire
a nessuno che Kurt era suo e solo suo. Come riuscisse a farsi bastare
quelle briciole. Quei pochi momenti rubati.
Thad sorrise intenerito quando vide il musicista staccarsi dal bacio e
inginocchiarsi davanti a Kurt. Poteva immaginare cosa sarebbe successo
dopo, ma lui di sicuro non sarebbe rimasto lì a guardare.
Silenziosamente, mosse dei passi indietro e, uscendo
dall’angolo, tornò verso la proprio cabina.
Il freddo si stava facendo più intenso e Thad era stanco.
Voleva solo dormire fino al mattino, e smettere di pensare per un
attimo, uno solo.
Scese al suo ponte, cercando di fare il più piano possibile,
per non recare disturbo a nessuno. Quando fu davanti alla porta della
sua cabina, fu colto per un attimo dal desiderio di salire, per vedere
se al suo signore servisse nulla. Sarebbe stata un scusa. In
realtà voleva solo passare quanto più tempo
possibile con Sebastian, fino a che poteva. Rubare un po' di quei
preziosi momenti con lui. Ma non avrebbe veramente fatto nulla per
metterlo in difficoltà. Anche se questo significava dovergli
dire addio, arrivati in America, senza averlo potuto amare
un’ultima volta.
Sospirando, infilò la chiave nella toppa e poi
entrò.
Il tempo di accendere le luci e, davanti a lui, si palesò
l'immagine più bella che conoscesse.
Sebastian, con la camicia slacciata, e con in mano
un bicchiere di liquore, lo stava aspettando.
Sorrise quando lo vide. Quel sorriso caldo che riservava solo a lui.
Quel sorriso che non aveva ancora rivolto neanche a sua
moglie. Solo a lui.
"Eccoti" sussurrò Lord Sebastian.
"Eccomi" gli fece eco Thad, sorridendo a sua volta. Poi mosse un passo
verso di lui, con la consapevolezza che, se quella era la
loro ultima volta insieme, avrebbe fatto di tutto per renderla magica.
Thad sapeva di dover dire addio, e lo avrebbe fatto.
Gli serviva solo tempo.
L'angolo della pirla che ci gode a complicarsi la vita con
‘ste robe qui (se si definisce pirla un motivo ci
sarà):
Partendo dal presupposto che tutti voi abbiate visto il film Titanic di
James Cameron e abbiate quindi tutte le nozioni di base riguardo la
nave, ho volutamente ignorato le parti tecniche e descrittive in favore
di altri aspetti inerenti al resto di questa storia. Quindi
ecco spiegato il motivo per cui non vi ho dettagliatamente descritto la
nave. Nel caso non conosceste il film di J. Cameron, trovate tutte le
informazioni tecniche sulla forma della nave qui http://it.wikipedia.org/wiki/File:RMS_Titanic_3.jpg
se vi interessano.
Qualora invece conosceste il film e trovaste nel mio racconto dei
dettagli che non concordano, sappiate che non sono io a prendermi
licenze (salvo in caso dove specificato come per il fatto ovvio che
Blaine non fosse un membro della orchestra. Oltretutto in
realtà i membri erano 8 e non 5 come appaiono nel film, ed
erano cioè Wallace Hartley, Roger Bricoux, Fred
Clarke, P. C. Taylor, G. Krins, Theodore Brailey, Jock Hume, e
J.W.Woodward. Blaine ovviamente è una mia aggiunta al
gruppo.) ma che in molti casi è stato proprio James Cameron
a farlo. Non saprei dirvi perché. E' stato così
accurato nel ricreare il disastro da averci regalato le due effettive
ore che ci mise la nave ad affondare ma in altre cose è
stato molto più liberale (come inserire quadri di Picasso
che ovviamente a bordo del Titanic non sono mai stati) Btw
farò presente quando ci saranno queste discordanze.
* Si capisce qui che parlo di Jack e Fabrizio di Titanic ? Un piccolo
omaggio su. XD
Anche per questo capitolo i ringraziamenti per la betatura vanno tutti
a Nessie86 . Avete letto la sua klaine? La trovate qui-http://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2316665&i=1
Alla prossima e fatemi sapere cosa ve ne pare di questo prologo.
Baci Bay24
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Capitolo 2 *** 02. L'oceano e il cuore ***
PICCOLA PREMESSA: Il capitolo è diviso in due
perché nella seconda parte(la prossima pubblicazione
appunto) ci sarà il racconto di quello che accadde la notte
tra il 14 e il 15 aprile 1912. Come capirete sarà un
racconto molto angst perché sappiamo tutti quello che
successe al Titanic e i nostri lo vivranno su loro stessi, e per questo
voglio lasciarvi la scelta di leggerlo con i vostri tempi e staccato
dal resto della storia.
Per il resto, vi auguro BUONA LETTURA!!!
02. L'oceano e il cuore
I primi due giorni passati sul Titanic non furono molti diversi l'uno
dall'altro.
Thad non aveva molte mansioni da portare a termine a bordo e, la
mattina, dopo che aveva aiutato Sebastian a vestirsi, era
praticamente libero di fare quello che voleva.
Così trascorreva la maggior parte del tempo sul
ponte di terza classe. I suoi modi educati, e i suoi abiti di alta
classe, gli avrebbero consentito l'accesso anche alla prima classe, ma
lui con quella gente non aveva poi molto da spartire. Preferiva di gran
lunga starsene con i suoi nuovi amici di terza, un gruppo di irlandesi
e italiani che stavano andando in America in cerca di fortuna.
Come lui.
Con loro passava i pomeriggi parlando della terra
che Fabrizio, uno dei suoi nuovi amici, avrebbe
“vinto” una volta giunto in America, dato che si
diceva che laggiù ne avessero così tanta da
arrivare a darla a chiunque la volesse.
Thad non era certo che fosse proprio così, ma le idee di
Fabrizio, seppur semplici, gli piacevano e gli facevano venire voglia
di trovare anche per sé un pezzo di terra da lavorare. Un
posto tutto suo da chiamare casa e in cui
costruirsi quell’intimità familiare che aveva
sempre desiderato per sé e Sebastian. Un intimità
che adesso avrebbe dovuto costruirsi da solo, però.
Passava il suo tempo anche giocando a ramino, o
suonando con gli altri e facendo ballare tutte le belle
ragazze sul ponte.
Questo, almeno, fino all'ora di pranzo, quando il suo Lord era solito
cambiarsi per scendere al ristorante, e lui era
quindi tenuto a recarsi di nuovo nella sua cabina
per aiutarlo. Routine che si ripeteva anche per l'ora di cena. Se il
suo signore non richiedeva la sua presenza per il resto della giornata,
però, - ed era raro lo facesse, perché Lady
Santana lo reclamava di continuo, costringendolo a lunghe passeggiate
su e giù per i ponti della prima classe, in modo da mettersi
in mostra con gli altri passeggeri - quelli nella cabina di Sebastian
erano gli unici attimi che avevano da soli durante il giorno.
E in quei pochi minuti, quando Sebastian faceva un
bagno o Thad lo aiutava a indossare le sue camicie, erano ancora i
vecchi Thad e Sebastian. Il suo signore gli raccontava delle persone
che incontrava e degli affari che pensava di poter concludere
con loro, come aveva sempre fatto. A volte chiedeva un suo parere, e
c'erano volte in cui Thad si concedeva di darglielo con quella
semplicità e schiettezza che superava il suo ruolo e che era
sempre piaciuta all'altro.
Altre volte era Thad a intrattenerlo con i racconti delle sue
avventure in terza classe, e Sebastian rideva con lui delle battute e
degli scherzi che gli amici irlandesi facevano un po' a tutti.
Tornavano ad essere, insomma, quelli che erano sempre stati.
Un padrone e il suo servo. Ma anche due amici.
Fino alla notte, perlomeno.
La notte, cullati dal rumore del mare, erano solo due amanti.
Sebastian, infatti, era stato da lui ogni notte, da quando erano
salpati alla volta delle coste americane.
La mattina, quando Thad si svegliava, il letto era freddo e vicino a
lui non c'era più nessuno. Si chiedeva a che ora della notte
Sebastian lo lasciasse, e se dopo andasse da Santana per svolgere
quelli che erano i suoi doveri; e spesso cercava di impedirsi di
addormentarsi, solo per vedere, solo per capire. Ma Sebastian lo
cullava, e Thad cedeva sempre alla spossatezza, perché ogni
volta l'altro lo amava in modo irruento, senza risparmiarsi o
risparmiarlo.
Thad era convinto che fosse proprio per farlo stancare. Per non fargli
vedere quando se ne sarebbe andato. Da lei.
E tutto questo faceva male ma, in un certo senso, non era importante.
Perché ogni notte Sebastian andava a trovarlo, e ogni notte
era di nuovo il Sebastian del quale Thad si era innamorato. Quello che
– come per molto tempo aveva creduto
– avrebbe potuto essere suo. Solo suo.
Quello che mai sarebbe stato, però.
Ed era tremendo per Thad rivivere questa sensazione, ora che aveva
deciso di dire addio, ma al tempo stesso non avrebbe mai e poi mai
potuto rinunciarvi.
Ancora pochi giorni e avrebbe dovuto farlo, tuttavia. Per il suo bene e
per quello di Sebastian. Ma, per il momento, poteva godere ancora di
quel tocco gentile e al tempo stesso possessivo. Di quel
corpo forte e al tempo stesso cedevole sotto le sue attenzioni.
Poteva farlo e voleva farlo. Era il suo risarcimento per aver deciso di
rinunciarvi. Per sempre.
Lady Lopez avrebbe avuto il resto della vita di Sebastian. Lui poteva
avere quei pochi attimi su quella nave.
C'erano momenti in cui Thad diceva a se stesso che Lady Lopez non
avrebbe mai potuto conoscere il corpo di Sebastian quanto lo conosceva
lui, che non avrebbe mai saputo interpretare i suoi stati d'animo solo
guardando negli occhi, e che mai e poi mai avrebbe potuto
sapere come aiutarlo, senza sentirsene offesa quando l'ansia del ruolo
che ricopriva nella società lo sommergeva, rendendolo
nervoso e quasi cattivo, e che questo sarebbe sempre mancato al suo
padrone, quando fosse sparito dalla sua vita.
E a volte questo gli bastava. A volte.
Ma c'erano momenti in cui pensare al dolore, che forse l'altro avrebbe
provato, non mitigava affatto il suo di dolore, ma anzi lo triplicava.
Non avrebbe mai voluto arrecare danno a Sebastian e, in tutta
onestà, non poteva gioire della possibilità di
farlo.
Ma non aveva scelta.
Si conosceva: vivere con lui una vita a metà non
gli sarebbe mai bastato, lo avrebbe portato solo ad odiarlo;
e lui non voleva. Preferiva dire addio, portare via con se i bei
ricordi, e lasciare che l'immagine del suo amato non fosse intaccata da
cose futili, come rancore e infelicità.
Di notte, però, di notte tutto questo non esisteva.
C'erano solo le mani di Sebastian e le sue labbra che lo imploravano di
non fermarsi, di fargli posto, di lasciarsi amare.
E c'era Thad che diceva sì.
Ancora un altro sì.
Un sì che prima o poi sarebbe stato l'ultimo.
XXXXX
Sebastian detestava quella specifica parte delle sue giornate.
Vestirsi e pranzare con Santana, per poi uscire e passeggiare
sul ponte, lasciando che gli altri ospiti della nave lo vedessero e
andassero a tributargli gli onori che il suo buon nome, e la sua
posizione, si meritavano.
Santana adorava quella parte. Lui per nulla.
Detestava il fatto di essere costantemente tenuto d'occhio e giudicato;
e detestava il fatto di dover ospitare al proprio
tavolo o al proprio fianco gente terribilmente
noiosa, ma facoltosa, che di buono avrebbe solo potuto
portargli vantaggi negli affari.
Era raro, che a essi, si accompagnasse anche un conversazione
interessante, infatti. Certo, raro, ma non impossibile. Ogni tanto
succedeva che qualcosa di buono ci fosse, in quegli interminabili
pranzi e cene.
Quel giorno, ad esempio.
A pranzo, lui e Santana avevano mangiato con John Jacob Astor IV. Era
stato interessante, per una volta. L'uomo era schietto e onesto, fatto
di una tempra di acciaio, come il padre di Sebastian. La giovane moglie
di lui, incinta di sette mesi, era una ragazza di diciasette
anni educata e molto docile, che si frapponeva in
modo evidente all’audace verve di Santana, ma era stato
interessante vederle interagire.
Sebastian aveva molto rispetto per il lato più selvaggio di
sua moglie. Era quello che lo aveva convinto a chiederla in sposa.
Insieme al suo buon nome, la sua bellezza, e i suoi soldi-
tutte cose, queste ultime, che appartenevano però anche ad
altre mille donne che gli si erano proposte- era
stato il suo carattere libero, infatti, a
rappresentare il motivo più importante per la
decisione presa da Sebastian.
Thad diceva che era sembrato un atto di
compravendita, più che un matrimonio, e non era poi molto
distante dalla verità.
Sebastian aveva un buon nome, una posizione da mantenere, e l'obbligo
di procurarsi degli eredi che avrebbero perpetrato quel buon nome anche
in futuro. Santana era la donna perfetta, per aiutarlo in questo.
Non avrebbe mai potuto amarla, ovviamente.
E non solo perché era una donna, ma anche, e soprattutto,
perché lui amava Thad, e non avrebbe mai potuto provare
uguale trasporto per nessun altro; tuttavia era sicuro di
aver fatto la scelta migliore, essendovi praticamente
obbligato.
Di notte, quando entrava nel suo letto, subito dopo essere stato in
quello di Thad - sempre dopo, perché non avrebbe mai
lasciato che Thad sentisse l'odore di qualcun altro su di lui, in
quei momenti intimi così importanti per loro,
quando andava a cercarlo perché respirare era diventato
difficile, e solo Thad sapeva ridargli vita e forza - aveva forse
bisogno di aiutarsi con immagini del corpo nudo del suo amante, per
riuscire a portare a termine il suo compito di marito, e gli atti erano
forse scomposti e freddi, anche se piacevoli a modo loro, visto che di
sicuro Santana sapeva essere focosa anche dentro il letto; ma, per
tutto il resto, il connubio tra lui e la donna era perfetto.
Alle false smancerie di facciata, Sebastian preferiva la schiettezza, e
Santana i gioielli. Alle paroline dolci, lui preferiva l'essere pratico
e diretto, e lei il vedere che i propri capricci venissero
soddisfatti il più presto possibile.
Non faceva storie, se non le faceva lui. E non chiedeva mai
più di quanto fosse disposta a dare.
Sebastian non l'aveva conquistata con un serrato corteggiamento, come
gli era richiesto dalla società, bensì
palesandole tutti i benefici che avrebbero tratto dalla loro
unione, benefici che la donna aveva dato modo di conoscere
già perfettamente. E, dal canto suo, Santana aveva espresso
chiaramente di non essere innamorata o interessata a innamorarsi di
lui. Lo trovava bello. Era ricco e facoltoso quanto bastava, e non la
obbligava a seguire le sue regole, lasciandole quella
libertà cui lei tanto anelava. E questo le bastava.
Santana non voleva un uomo da amare più di quanto lui
volesse una donna. Voleva solo ancora più soldi, e un nome
che fosse più importante del suo.
Sebastian, in questo, poteva accontentarla, e in cambio lei gli offriva
una mente brillante con cui era piacevole conversare, e un corpo caldo
da ingravidare per perpetrare il suo buon nome quando Dio avesse
ritenuto giusto.
Agli occhi della società, la loro unione era perfetta. Non
serviva altro.
Contava ben poco quello che pensava lui in merito.
"Tesoro, dovresti provare a sorridere. Hai l'aria di un uomo che non si
sta divertendo molto" cinguettò Santana a un tratto, la mano
ben salda al suo braccio e un sorriso perenne dipinto sul volto, con il
quale salutava tutti quelli che incontravano sulla loro strada. Tutti
quelli che contavano, ovviamente.
"Sì, scusa tesoro. Credo solo di non aver digerito molto il
pesce, oggi a pranzo" ribatté Sebastian, rivolgendole uno
sguardo indifferente, mentre la seguiva docile. Chiunque li avesse
guardati, avrebbe detto che era il giovane sposo a condurre la moglie.
Ma, in realtà, era lei quella che lo stava guidando.
"Oh, ti avevo detto di prendere l'agnello" rispose Santana,
concedendogli un sorriso sincero che Sebastian ricambiò
senza esporsi troppo.
Un’intolleranza alimentare, in fondo, era un motivo
più che accettabile per non sentirsi in vena di inscenare i
loro soliti teatrini. La responsabilità sarebbe andata a
chiunque lavorasse nelle cucine del Titanic, e non a lui. Anche se non
era il vero motivo per cui il suo sorriso, quel giorno, era
sparito.
Dipendeva da Thad.
Thad, che era caldo e cedevole ogni volta che entrava nel suo letto. Ma
terribilmente distante e freddo al di fuori di esso.
Thad, che passava tutto il suo tempo lontano da lui, tranne quando
erano i suoi doveri a imporgli di stargli vicino. Thad, che si era
fatto nuovi amici proprio lì, su quella nave, dove Sebastian
aveva creduto egoisticamente di poterlo avere tutto per sé.
C'era qualcosa che non andava. Lui se lo sentiva.
Lo percepiva nel suo tocco, a volte più frettoloso, e
nell'ansia che leggeva nei suoi occhi quando tentava di parlargli del
loro futuro insieme.
E in realtà era anche geloso. Geloso di questo Fabrizio che
Thad nominava spesso. Anche se gli aveva raccontato che
Fabrizio stava corteggiando una ragazzetta della terza classe, non
riusciva lo stesso a scacciare via quella sensazione di malessere che
lo opprimeva ogni volta che sentiva quel nome.
Un giorno sarebbe successo.
Thad si sarebbe trovato una brava ragazza da sposare, oppure un uomo
più libero di lui, e se ne sarebbe andato. Sebastian lo
sapeva con l'ineluttabilità con cui sapeva che non avrebbe
potuto fare proprio nulla per fermarlo.
E questo lo uccideva.
Ma quello era il suo ruolo, il suo obbligo. Per avere Thad -
averlo per sempre - avrebbe dovuto impedirgli di spiccare il
volo, e di sicuro avrebbe potuto farlo con tutto il suo
potere e i suoi soldi. Ma questo era un crimine che non avrebbe mai
commesso nei confronti di qualcuno che amava così tanto.
Quindi, poteva solo sperare che Thad non lo lasciasse. Mai.
Il fatto, però, che Sebastian avesse la costante paura che
quel momento fosse infine giunto, il fatto che se lo sentisse in ogni
terminazione nervosa, non rendeva le cose più facili per lui.
"Lord e lady Smythe, buongiorno" proruppe a un tratto una voce gioviale
e, voltandosi, Sebastian si trovò davanti Hummel. Il suo
umore migliorò all'istante.
Kurt non era solo un buon amico. Era anche una delle poche persone con
cui poteva parlare liberamente, perché sapeva la
verità su di lui, e non gliene faceva una colpa.
"Signor Hummel, che piacere vedervi. Gli impegni sul Titanic non vi
danno molta tregua. Ci siete mancato oggi a pranzo." Lo accolse Santana
in modo gioviale. La ragazza aveva rivelato, al marito, di
trovare l'ufficiale un uomo davvero a modo, distinto e molto
ben educato.
Sebastian si chiedeva se l'avrebbe pensata sempre così, nel
caso in cui avesse saputo del suo particolare vizietto. Si chiedeva
anche che cosa avrebbe detto la donna, se le avesse confessato che
anche lui nutriva piacere nell’amare un altro uomo.
C'era una frase che Santana amava sempre dirgli, quando erano soli. Era
una frase che secondo lei racchiudeva tutto il suo odio per le stupide
regole impostole dalla società, e tutto il suo profondo
desiderio di libertà.
“Verso l'orizzonte e oltre.”
Sebbene fossero marito e moglie da solo una settimana, era una frase
che le aveva sentito dire spesso. A Lady Lopez non piaceva essere
rinchiusa entro i limiti della società. Ma, la sua voglia di
ribellione, come avrebbe accolto simile notizie?
Sebastian dubitava che il suo orizzonte arrivasse così
oltre.
"Come procede questa traversata, milady?" chiese Hummel, dopo aver
fatto un accenno d'inchino. Il piccolo Kurt era sempre
così cerimonioso in società, che Sebastian si
stupiva della sua trasformazione, quando invece era tra gente che lo
conosceva davvero. Diventava più aperto, scherzoso e
schietto.
Sebastian preferiva di gran lunga l'altra versione.
"Solo oceano, per adesso. Ma la vostra nave di sicuro è una
meraviglia. Siamo stati nella palestra per un po', ieri. È
stato interessante. Oh, Hummel, sareste così gentile da
portar via con voi per un po' mio marito, e fare qualcosa per ridargli
il sorriso? Forse, mostrargli la cabina di comando aiuterebbe. Voi
uomini siete sempre così interessati ai motori"
sentenziò Santana con voce annoiata, e la cosa
scatenò risatine sia in suo marito che in Hummel.
"Il messaggio è chiaro. Ti ho tediato anche troppo per oggi,
cara" scherzò Sebastian, e poi si piegò per
lasciare un casto e dolce bacio sui capelli della moglie.
"Sarò al caffè Parisienne, se mi cerchi" lo
congedò la donna, dirigendosi verso il “ponte
E”.
"Sei diverso quando sei con lei" disse a un tratto Kurt, tornando a
quella forma colloquiale che riservava sempre a Sebastian quando erano
da soli, attirando di nuovo la sua attenzione. "Non sembri nemmeno tu."
"Non lo sono, infatti. Sono quello che la società mi impone
di essere. Dovresti saperlo. Non ti rivolgi poi in modo molto diverso
alla tua giovane moglie, mi pare."
"Però una differenza c'è, eccome." Disse Kurt,
prendendo a camminare dalla parte opposta in cui era andata lady
Santana, subito seguito da Sebastian.
"E sarebbe?"
"Io non rispetto mia moglie Quinn, come chiaramente tu rispetti e
ammiri la tua. Ma è comprensibile. Mia moglie sarebbe una
donna molto intelligente e colta, ma usa solo metà del
cervello che il buon Dio le ha dato, e solo per sembrare
amabilmente sciocca nella misura che questo mondo le richiede
come donna. Non lo trovi assurdo?"
"Lo trovo triste" rispose Sebastian a bassa voce.
"Non sono in servizio questa sera. Che ne diresti di una cena nella mia
cabina? Io, tu e Harwood. Ci sarà anche Blaine"
continuò Kurt, cambiando discorso e abbassando la voce
sull'ultima frase.
"Non risulterà sospetta una cena privata tra soli uomini?"
"Ah per favore, questa società nemmeno crede possibili certe
cose, e poi io sono un rispettabile ufficiale della White star, e tu un
Lord, e per la gente qua intorno ciò che
succederà in quella cabina non sarà diverso da
quello che succede quando, dopo cena, gli uomini si ritirano nei vari
salotti del Titanic a bere brandy. Si immagineranno che parleremo di
affari e nulla più."
"Con il mio cameriere e uno della banda?"
"Il cameriere per servirci e il suonatore per suonare, no? Il capitano
chiama spesso i membri della band nella sua cabina, la sera, quando ha
ospiti. Noi faremo una cena e nessuno lo troverà strano. "
"Invece ci daremo alle orge?" Scherzò Sebastian, con quella
libertà che sentiva di avere solo con Kurt. Questi lo
ripagò alzando gli occhi al cielo, ma non raccolse la sua
provocazione. "Scusa, ma sai com'è? Ieri ho osservato bene
il tuo Anderson durante la cena. È un bel bocconcino, non
c'è che dire." Continuò quindi a provocarlo
Sebastian.
"È un uomo stupendo." Fu tutto quello che gli concesse
però Kurt, con uno sguardo così compiaciuto e
innamorato che Sebastian ne fu colpito.
"È lo sguardo che ho io quando osservo Thad?" si chiese, ma
era una domanda stupida, perché sapeva già che
era così.
Le emozioni che sentiva, quando Harwood gli era vicino, erano
così tante e potenti che contenerle dentro di sé,
come sapeva di dover fare, aspettandosi che da qualche parte non
lasciassero una scia della loro presenza, era assurdo.
Quella società non consentiva a un uomo di amare un altro
uomo. Non alla luce del sole, almeno. Nemmeno a un uomo potente come
era Sebastian. Ma ciò non voleva dire che
quell’amore non potesse esserci, ed essere anche
vero e totalitario.
"Comunque, è quello che mi hai chiesto di fare, no? Parlare
con Thad. E nella mia cabina saremo al sicuro." Disse Kurt, catturando
di nuovo la sua attenzione.
"Sì, ma credo che dopo cena sarà più
facile per me. Non dovrò inventare scuse con lady Lopez. E
mi sarà più facile convincere Thad ad esserci, se
penserà semplicemente di dovermi aiutare ad andare a letto.
Sa essere testardo su questo argomento. Venite tu e Blaine nella mia
cabina. Nessuno ci disturberà. Santana resta per ore con la
sua dama di compagnia, dopo cena, e rientra sempre molto tardi in
cabina."
"Credi ancora che Thad voglia lasciarti?"
"Io ne sono certo. So che vuole farlo. Non so quando, o come, ma lo
farà. Te l'ho già detto. Lo leggo nei suoi occhi,
lo percepisco nei suoi gesti. È insofferente. E sta cercando
di convincere se stesso a staccarsi da me. Gli ho imposto di
accompagnarmi in questo viaggio di nozze che sapevo, per lui, sarebbe
stato tremendo, solo perché temevo che, tornato a casa, non
lo avrei più trovato."
"Se lo ami come dici di amarlo, dovresti farlo. Dovresti lasciarlo
libero."
"E lo farò. Lo lascerò andare; se
è questo che vuole. Ma devo...almeno provare a fargli
cambiare idea."
"Perfetto. Io e Blaine parleremo con lui questa sera, allora"
sentenziò Kurt tranquillo. Sebastian avrebbe voluto esserlo
la metà di lui. Ma non era possibile, perché
sapeva che Thad non sarebbe stato contento, quando avesse capito che
stava cercando di incastrarlo a parlare con i suoi amici, per
convincerlo ad accettare il ruolo dell'amante segreto.
Sebastian si sentiva anche in colpa per questo. Ma doveva provarci. Non
gli avrebbe mai tarpato le ali, ma al tempo stesso
non avrebbe potuto nemmeno lasciarlo scivolare dalle
sue dita senza lottare.
Se ne sarebbe pentito per il resto della sua vita, se lo avesse fatto.
"E' una mia impressione, o la nave va più veloce adesso?"
chiese poi, cambiando discorso, per non innervosirsi
ulteriormente, o ciò lo avrebbe portato ad annullare tutti i
suoi piani.
"No, la velocità è di fatto cresciuta. Ismay ha
richiesto al capitano di accendere anche gli ultimi motori. Vuole
arrivare in America prima del previsto, pare. La White Star ha speso
molto nella costruzione di questa nave. Ha bisogno che faccia parlare
di sé per battere le rivali Lusitania e Mauritania. "
"Ma non ci sono iceberg in questa zona?"
"Sì, in questo periodo dell'anno sì, ma non
c'è stato nessun avvistamento significativo per ora, da
quello che ci ha detto il capitano. È fiducioso, e io mi
fido di lui. È un ottimo marinaio. Sai che ha rimandato il
suo pensionamento per fare quest’ultimo viaggio? La White
Star lo ha corteggiato per molto tempo, proprio perché ci si
può fidare di un uomo come Smith. Certo, Ismay non gli
lascia molto spazio di manovra e dato che lui, a bordo, è il
portavoce dei proprietari della nave, in pratica comanda
su tutti noi, compreso il capitano. Ma, se ci dovessero
essere problemi, Smith è l'uomo giusto per risolvere tutto.
E comunque non ci saranno problemi, vedrai. Sei a bordo di una nave
inaffondabile, ricordi?" gli disse Kurt, facendo eco al modo in cui il
Titanic era stato presentato, in quei mesi di pubblicità, su
tutti i giornali che se ne erano occupati: inaffondabile, e lussuosa
come poche altri navi al mondo.
Sul lussuoso Sebastian non aveva proprio nulla da dire, lo era
certamente. Sull’inaffondabile però... Sebastian
accolse queste parole con un sorriso di scherno.
"È fatta di ferro e legno. Per me può affondare,
eccome." Disse poi.
"Oh, non fare il guastafeste, Smythe" lo rimbeccò allora
Kurt divertito, e la sua sicurezza tranquillizzò anche
Sebastian che non ci pensò più.
Fino alle 23.45 di quella notte, almeno.
XXXXX
Thad si sentiva strano quella sera.
Era stato strano fin da quando Sebasian lo aveva mandato a chiamare,
dopo cena, adducendo la scusa di aver bisogno del suo aiuto
per fare un bagno. Bagno che Thad lo aveva già aiutato a
fare prima di cena.
Ed era stato strano quando, invece di ritrovarsi assaltato dalle
attenzioni del suo Lord, come pensava che sarebbe stato, si era trovato
ad avere a che fare con un Sebastian nervoso, che lo fissava
inquieto mentre lui preparava il tè che gli inservienti
della nave avevano portato in cabina.
Sebastian aveva richiesto anche dei dolcetti, e tazze per quattro, e la
cosa era stata piuttosto sospetta. Ma Thad aveva capito quanto lo
fosse, solo quando, sentendo bussare alla porta, era andato ad aprire e
si era trovato davanti Hummel, l'ufficiale, amico di Sebastian, con un
ragazzo che riconobbe essere colui con il quale lo aveva visto
amoreggiare sul ponte, la prima sera.
Anderson si chiamava, se non ricordava male.
Aveva capito subito, poi, cosa stava succedendo lì.
Prima ancora che Hummel e Anderson si presentassero, e cominciassero a
dire di ritenersi liberi di poter parlare, in quella cabina, della loro
relazione, perché nessuno li avrebbe giudicati, Thad aveva
capito che, ciò che aveva creduto sarebbe successo, la prima
volta che Sebastian gli aveva parlato di loro, stava in effetti
avvenendo.
Sebastian aveva davvero chiesto aiuto a quei due per cercare di
convincerlo che, essere il suo amante per il resto della sua vita, lo
avrebbe reso felice.
Era stato circondato. In una parola: incastrato.
I due, con gentilezza, gli avevano raccontato tutto della loro storia
fin da subito. Gli avevano raccontato di essersi conosciuti da
ragazzini. Blaine era il figlio dell'uomo che si occupava dei cavalli
del padre di Kurt, ed era capitato che giocassero spesso insieme.
Quando Kurt, a 12 anni, era stato mandato in collegio, aveva capito di
essere diverso dagli altri ragazzi, di provare determinati impulsi non
proprio leciti o "normali", non per la società, almeno, e
quello gli aveva creato problemi a scuola; così era stato
costretto a lasciarla. A 16 anni, tornato a casa, da Blaine, non si era
trovato davanti un brufoloso bambino troppo allegro, ma un educato e
bellissimo quindicenne, e le cose tra loro erano presto
cambiate. Divenendo molto più romantiche e fisiche.
Blaine gli disse che era stato facile ritagliarsi del tempo per se
stessi e, tranne che per quella volta in cui lo
stesso Sebastian, in visita alla famiglia di Kurt, li aveva colti in
flagrante, non avevano mai avuto problemi. Almeno fino a quando, 4 anni
dopo, Kurt era stato costretto dal padre a sposare Quinn Fabray. Blaine
era stato così male che era partito per l'Italia, dove aveva
trascorso un anno presso alcuni amici di famiglia.
Era stato un anno stupendo per lui. Blaine era un ragazzo semplice,
amante dell'arte e della buona musica, e in Italia aveva trovato cibo
per la sua anima. Così tanto che pensava di essersi
dimenticato di Kurt. Del resto, aveva il mondo ai suoi piedi, o
così credeva allora.
Thad poteva capire la sensazione che Anderson diceva di aver provato.
Era quella che sperava di trovare lui, del resto, un volta staccatosi
da Sebastian.
Nel modo di porsi e di parlare di Blaine, Thad ci si ritrovava molto.
Sembrava molto diverso da Kurt, più ricercato e attento,
eppure, quando quei due erano insieme, sembravano anche completarsi in
un modo difficile da spiegare.
Blaine, comunque, gli aveva poi raccontato di essere tornato a casa per
sostituire il padre - caduto da cavallo e infortunatosi gravemente -
nel suo lavoro, e di aver così scoperto di essere in pratica
diventato un dipendente di Kurt e di sua moglie, e non più
di suo padre.
Le cose, tra loro, erano state complicate all'inizio. La gelosia, il
rancore malcelato e il rimpianto, sopratutto. Ma fin da subito avevano
capito, rivedendosi, che niente era veramente finito tra loro, e visto
che a quel punto erano due uomini, e non più due ragazzini ,
le cose si erano fatte anche più importanti.
Erano amanti da allora. Tra alti e bassi.
Quando il padre di Blaine era guarito e aveva ripreso la sua
attività, Blaine era tornato alla sua vita, ma le
cose tra lui e Kurt non si erano fermate; neanche quando Kurt era
diventato padre.
"Sono quasi come uno zio per quei bambini" gli aveva detto
Blaine, con un sorriso sincero dipinto sul viso. "Ci sono volte in cui
questa vita mi risulta terribilmente difficile, è vero. Ma
non la cambierei per nulla al mondo. Questo è il modo in cui
mi è concesso di amare, e preferisco amare
così, che non farlo per nulla."
Thad credeva di poter comprendere le sue parole. Le reputava anche
giuste. Per Blaine. Ma non per se stesso. Lui si conosceva troppo bene
per poter credere il contrario.
A differenza di Blaine, pur amando, lui avrebbe finito per odiare.
Avrebbe finito per sentirsi incompleto, e ne avrebbe fatto pagare le
conseguenze anche a Sebastian.
Perché, semplicemente, certe volte l'amore non basta.
Ma come poteva spiegarlo? Come poteva far capire a Sebastian che non
stava dicendo addio a quello che potevano essere in segreto, ma a
quello che erano destinati ad essere per il mondo?
Lui stesso vedeva a fatica la differenza fra le due cose, eppure c'era,
era lì, e un giorno sarebbe stata pressante per lui. Lo
sapeva.
"In America esistono dei club. Non sono accessibili a tutti,
ovviamente, ma con le tue conoscenze, Smythe, sarà possibile
entrarci." Disse Kurt a quel punto, riportando l'attenzione di Thad nel
presente.
"Club?" chiese curioso.
"Sì, club dove uomini come noi, con i nostri gusti, possono
essere se stessi, protetti da occhiate indiscrete. Vi si offrono cene,
spettacoli di buona musica, e quanto di più bello ci possa
essere. Agli occhi di tutti, sono semplici club del sigaro, di carte, o
di lettura. Ma sono, in realtà, molto di più.
Sono rifugi sicuri. Io e Blaine..." continuò l'uomo,
allungando la mano, a prendere quella del giovane musicista tra le sue
"...siamo iscritti da anni ad uno di essi. Intridurremo anche voi,
quando avremmo raggiunto New York. Voi vi fermerete lì, no?"
chiese poi guardando dritto in faccia Sebastian.
Thad sobbalzò a quelle parole. Era una cosa che risultava
nuova per lui. Pensava che Sebastian sarebbe tornato a Londra, dopo la
luna di miele in giro per America e Europa di cui quella crociera era
solo l'inizio.
Come intuendo la sua confusione, Sebastian gli spiegò:
"Santana vuole vedere la proprietà che abbiamo in Texas. Le
piacerebbe vivere lì. Senza...senza i miei intorno." Ed
ovviamente, quello che la moglie chiedeva, avrebbe avuto. Era
così che doveva andare. Adesso si spiegava perché
Sebastian si fosse dato tanto da fare per allacciare buoni rapporti con
alcuni passeggeri di quella nave.
E si spiegava perché avesse insistito tanto a portarselo
dietro nel viaggio. Erano partiti da Londra per non farvi ritorno.
Piuttosto ironico che fosse stato così anche per Thad, fin
da subito.
Forse, a quel punto, avrebbe dovuto dire che lui non sarebbe rimasto
vicino al suo signore per iscriversi a quel club. Avrebbe dovuto farlo,
visto lo sguardo speranzoso che Sebastian gli rivolgeva, nel notare che
non si stava minimamente ribellando a quelle chiacchiere, come forse si
era aspettato che facesse. Ma non poteva.
Non poteva dire che trovava inutile lottare, perché tanto
aveva già deciso, e non sarebbero state quelle false
promesse di felicità a fargli cambiare idea.
Thad Harwood non era tipo da farsi dire da altri come vivere. E non era
nemmeno tipo da lasciare che fossero gli altri a decidere per lui.
Era ben conscio che, ciò che per uno significava
felicità, per un altro poteva essere solo inferno.
E non lo voleva.
Aveva già dovuto rinunciare a troppo, per perdere anche
l'ultima cosa che gli restava. Se stesso.
Non riusciva nemmeno ad esserne arrabbiato, però. Non poteva
permetterselo. Era diritto di Sebastian provare, quanto lo era per lui
continuare a dire di no.
"Sono certo che il Texas le piacerà" disse quindi, non
promettendo né recriminando nulla con quelle parole .
"E a te? A te piacerà?" chiese però Sebastian,
che non ce la faceva ad accontentarsi. Non era nel suo carattere, non
lo era mai stato.
O tutto o niente. Questo era Sebastian Smythe.
Ma non era nel carattere di Thad mentire. Omettere, forse, ma non
mentire. Perciò si limitò solo a dire: "Il Texas
mi è sempre interessato come posto" perché, in
fondo, era vero.
Sperò che a Sebastian quella risposta bastasse per il
momento. E sembrò così, quando gli sorrise
felice. Per un attimo, uno solo, Thad si sentì in colpa per
avergli mentito. Ma si ricordò perché lo faceva,
e tenne duro. Non aveva scelta.
"Amare non è peccato, Harwood. Impedire a qualcuno di amare
lo è." sentenziò Blaine con vigore, come leggendo
i dubbi nella sua testa. "Il fatto che viviamo in una
società come questa, non vuol dire che non vi
possiamo ritagliare i nostri spazi. Ne abbiamo ben diritto,
direi."
Sì, forse sì, purché tutto restasse
lontano dagli occhi del mondo, ovviamente. Pensò malinconico
Thad, ma ripagò la frase di Blaine con un altro sorriso
tirato; poi si alzò e, adducendo come scusa di avere caldo,
si scusò e semplicemente uscì nella cabina
terrazzo.
Ne aveva abbastanza di sentirsi addoso gli occhi di tutti e tre. Voleva
solo scendere in terza classe, ballare con Fabrizio e gli altri,
cercando di scacciare per un paio d’ore almeno quei brutti
pensieri.
Una volta fuori, si accorse subito che la temperatura si era fatta
più fredda, e rabbrividendo strinse le braccia al suo corpo.
Non si stupì di sentire qualcuno che gli posava la giacca
sulle spalle e, subito dopo, non si stupì di sentirsi
circondare da due braccia forti e calde.
Aveva sentito il profumo di Sebastian. Aveva percepito la sua presenza
quasi subito.
Lo faceva sempre.
"Stai bene?" gli chiese Sebastian, sussurrandogli direttamente
nell'orecchio. Brividi caldi percorsero subito il suo corpo. Era sempre
così che reagiva alla vicinanza dell'altro.
"Vuoi sapere se ti perdono questa imboscata?" Lo stuzzicò
Thad, sorridendo quando sentì il corpo dell'altro,
praticamente incollato al suo, scosso da una leggera risata."
Immagino che potrò farlo. Capisco perché ci hai
provato. E di sicuro mi hanno dato materiale su cui riflettere."
"E lo farai?" gli chiese ancora Sebastian, prendendolo per le spalle e
obbligandolo a voltarsi verso di lui.
Eccolo lì. Il ragazzo che lo conosceva bene, tanto
quanto lui conosceva se stesso. Quello che intuiva che c'era
tanto che Thad non diceva, e molte
più verità nascoste in quello, che in
ciò che davvero Thad esternava.
Come poteva nascondersi da questo?
Sebastian lo guardava in modo penetrante e deciso. Cercava di
carpire le cose che non diceva, solo fissando lo negli occhi, e Dio
solo sapeva se non ci fossero state volte in cui
era riuscito a farlo veramente.
Ma non adesso. Thad non glielo avrebbe permesso.
Per questo si scostò da lui senza rispondere e fece per
entrare di nuovo dentro, quando davanti gli si parò una
scena che lo colpì. Dentro la cabina, Blaine e Kurt si
stavano baciando dolcemente. I loro gesti, il modo calmo con cui si
concedevano quell’intimo contatto, tutto in loro suggeriva
un'intima conoscenza che durava da anni.
Thad ne provò gelosia.
Avrebbe voluto avere la stessa forza d'animo di Anderson, per riuscire
ad accontentarsi di brevi attimi rubati, pur vedendo il proprio uomo
stare con un’altra donna e crearsi una famiglia con lei.
Quando Thad glielo aveva chiesto, Blaine gli aveva risposto
che probabilmente, un giorno, anche lui si sarebbe sposato. Per fare
felici suo padre e sua madre, e perché questo era
ciò che ci si aspettava da lui.
E lo aveva detto con una calma e una praticità che avevano
colpito Thad.
Probabilmente era più forte di quanto non fosse Thad.
Perché conosceva i propri doveri, e non aveva paura di
doverli affrontare.
"Noi siamo come loro. Potremmo esserlo sempre, se tu lo volessi"
tornò alla carica Sebastian, facendolo voltare di
nuovo e abbracciandolo ancora. "Lascia che ti faccia una
promessa, Thad. Comunque vada, quali che siano il mio destino
e il mio dovere, io non mi pentirò mai di amarti ogni
giorno, come faccio ora. Neanche se tu dovessi andartene mi pentirei di
averlo fatto. Non dirò mai a me stesso che sono stato un
folle. Perché non mi importa se non posso gridarlo al mondo.
Io non ti amo per avere il benestare di chi mi circonda. Ti amo
perché non posso farne a meno, perché tu mi
completi, perché...ti amo. E se oggi vuoi arrenderti
perché non posso darti l'apparenza, se oggi vuoi dire basta
perché credi che la forza del mio sentimento non sia
abbastanza, rispetto a quello che il mondo potrebbe pensare
guardandoci, allora vai. Io ti posso solo dare tutto il mio amore. Se
non è abbastanza, non posso darti molto di più."
Thad tremò a quelle parole. Avrebbe voluto impedirselo, ma
non poteva obbligare il proprio corpo e il proprio cuore a mascherare
le emozioni che Sebastian sapeva dargli.
Quando di notte il suo signore entrava nel suo letto, c'era sempre un
attimo in cui Thad diceva a se stesso: "No, stavolta no." Ma poi
Sebastian cominciava ad accarezzarlo, e lui diventava subito cedevole .
Il suo corpo rispondeva al richiamo di quello di Sebastian, in modo
naturale. Sembrava nato per farlo. Per cantare il loro canto insieme
a lui.
Ma, ancora una volta, non poteva dirgli cio che avrebbe
voluto sentirsi dire, senza mentirgli, e Thad non
voleva farlo. Non esplicitamente. Così allungò
una mano ad accarezzargli una guancia. Sebastian chiuse gli occhi al
contatto, beandosi di quella carezza.
E poi Thad si allungò, e posò dolcemente le
proprie labbra su quelle di Sebastian.
L'altro si irrigidì d'istinto, preso un po' alla sprovvista,
ma fu solo un attimo. Si rilassò quando Thad
portò le mani a coprire il suo viso, e subito
cominciò a ricambiarlo con trasporto.
Pochi secondi. Pochi secondi e Thad lo avrebbe preso lì, su
quel terrazzino privato, con Hummel e Aderson nell'altra stanza, non
gli interessava. Pochi secondi e avrebbe detto addio a se stesso,
consegnandosi interamente nelle mani di Sebastian e di
quell’amore che lo travolgeva sempre.
Perché forse potevano farcela anche loro. Lui poteva
farcela.
E non sarebbe stato facile, ma cosa lo era? E lui in cambio avrebbe
avuto quell'amore, quel sentimento così importante da
proteggere e accudire.
Avrebbe avuto mille giorni. Ancora mille giorni al fianco di Sebastian.
Il suo Sebastian.
Fu a quel punto che la nave sotto di loro cominciò a
tremare.
Sebastian e Thad si staccarono, presi alla sprovvista, mentre dalla
cabina arrivò un rumore di vettovaglie in pezzi. Alcune
delle tazze in cui avevano bevuto il tè, infatti, erano
finite a terra.
Quel tremore durò per molti secondi.
Seastian e Thad si guardarono intorno confusi ma non lasciarono l'uno
la presa dalle braccia dell'altro.
Quando il tremore cessò, e poco dopo anche la nave si
arrestò, segno che i motori dovevano essere stati spenti, i
due provarono ad affacciarsi all parapetto del ponte della cabina di
Sebastian ma intorno era solo buio e non si vedeva nulla di strano. Non
da quel lato della nave almeno. Così rientrarono
nella cabina. Kurt era alla porta e stava parlando con uno degli altri
ufficiali. Blaine era già sparito.
Sebastian e Thad attesero che Kurt avesse finito di confabulare con
quell'uomo per chiedergli cosa fosse successo. Ogni tanto si
osservavano preoccupati. Sebastian sembrava anche leggermente
scocciato. Ma non Thad. Lui aveva una brutta sensazione alla bocca
dello stomaco.
Quando Kurt rientrò e si voltò verso di loro, i
due videro subito che era molto preoccupato. Hummel si avviò
svelto verso la poltrona, dove aveva adagiato la sua giacca, e la
indossò di nuovo.
"Kurt, che succede?" chiese allora Sebastian, esasperato dal silenzio
dell'altro.
Kurt alzò la testa e fermò i suoi movimenti
frenetici. Sembrava essersi ricordato solo in quel momento che anche
gli altri due erano presenti in quella stanza.
"Abbiamo impattato contro un iceberg" rispose poi con una voce debole,
non da lui. Le sue stesse parole sembrarono però
risvegliarlo da quello shock e, finendo di vestirsi alla svelta, disse:
"Ricordi quello che ti ho detto sulla nave, Sebastian? Cerca lady
Santana e falla salire subito sul ponte . Ci
metteranno ancora un po' prima di cominciare a caricare i passeggeri
sulle scialuppe, ma lo faranno, ed è bene che voi siate in
prima linea quando succederà."
"Caricare i passeggeri sulle scialuppe? Santo Dio, è
così grave?"
"Abbiamo imbarcato troppo acqua. Il Titanic può sopportare
uno squarcio e rimanere comunque a galla con 4 compartimenti allagati,
ma noi ne abbiamo già allagati 5 pare e in
pocchissimo tempo. La stiva postale. Il locale caldaie. Tutto perduto.
Le paratie sono aperte ma non stanno facendo uscire abbastanza acqua.
Il Titanic...credo che...affonderà" sentenziò
Kurt, lo sguardo perso oltre un punto imprecisato. "Lo hai detto tu,
ricordi? Questa nave è fatta di ferro e legno e
può affondare. Beh, credo che lo farà, Sebastian.
Fai presto." Gli disse ancora Kurt. "Thad, voi...è stato un
piacere conoscervi. Vi auguro buona fortuna" aggiunse poi guardando
Thad, e a Sebastian non piacque lo sguardo dispiaciuto che lesse sul
suo volto. Avrebbe voluto fare domande in merito, ma Kurt era
già uscito di gran fretta dalla cabina.
Sebastian ricordava le sue parole durante il breve tuor che aveva fatto
fare a lui e Santana, ovviamente,
ricordava che non c'erano abbastanza scialuppe per tutti i passeggeri
che la nave stava contenendo in quel momento.
Erano state previste, ovviamente, nel progetto originale, ma qualcuno
alla White Star line aveva pensato che rovinassero la
bellezza dei ponti, e per questo quasi la metà di loro era
stata tolta di mezzo.
Il Titanic aveva un carico di circa duemiladuecentoventi anime, tra
passeggeri e personale di bordo. Le scialuppe,
sedici classiche più quattro pieghevoli
in tutto, erano meno della metà di quelle
necessarie per l'effetivo carico della nave e se caricate al
loro massimo, erano in grado di salvarne solo
milleduecento.
Milleduecento su duemiladuecentoventi.
Kurt aveva detto a Sebastian come funzionava nella marina.
I passeggeri di prima classe, i passeggeri come Sebastian e Santana,
sarebbero stati imbarcati per primi, ovviamente. Ma quelli come
Thad, di seconda e di terza classe, avrebbero dovuto
attendere che gli ospiti più "importanti" della
nave fossero tutti al sicuro, per essere portati in salvo; e
se, nel frattempo, le scialuppe fossero finite...
Lo sguardo di Sebastian corse subito su Thad.
L'altro aveva un espressione scioccata dipinta sul volto, ma non era
nulla in confronto alla paura che sentiva Sebastian dentro di
sé in quel
momento.
Perdere Thad era una cosa che aveva messo in conto. Ma non in quel
modo. NON in quel modo.
La sua mano corse possessiva verso la vita di Thad e con uno strattone
lo tirò verso di sé per avvolgerlo in un
abbraccio possessivo. Non gli interessava che Kurt avesse lasciato la
porta aperta nella fretta di uscire, e che nel corridoio ci fosse una
certa agitazione. Non ancora paura, certo, era presto per quella, e gli
altri passeggeri probabilmente non sapevano quello che sapeva lui.
Non gli interessava nulla che non fosse il rumore del battito
del cuore di Thad contro il suo.
Lo avrebbe protetto.
Lo avrebbe tenuto vicino a sé.
Se lui fosse salito su una scialuppa, Thad sarebbe stato al suo fianco.
Oppure non ci sarebbe salito affatto.
Erano appena passate le 23.40 di notte del 14 aprile 1912.
L'angolo della pirla che scrive sta roba:
Non ho molto da dire onestamente su questa parte del capitolo. A parte
qualche informazione tecnica che di sicuro conoscerete meglio di me.
John Jacob Astor IV era davvero a bordo del Titanic e così
la sua giovane moglie. Ismay come sapete è il bastardo che
obbligò il capitano Smith a aumentare la velocità
nonostante l'allarme iceberg. E Fabrizio sì, è il
Fabrizio di Titanic, il film di Cameron. Nel film si vede ben poco ma a
me è sempre piaciuto e volevo dargli una piccola particina
anche in questo mio scritto.
Beh per ora vi dico ciao. Il prossimo capitolo arriva
venerdì 24.
Alla prossima.
Baci Bay24
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Capitolo 3 *** 03.La notte delle lacrime. ***
PICCOLA PREMESSA: La notte in cui il vero Titanic si
inabissò finirono in acqua 1518 persone.
Più della metà dei passeggeri della nave.
Molte facevano parte della seconda e della terza classe e
dell'equipaggio, ma non solo.
Il capitolo che segue è il mio personale racconto di quella
notte. Volutamente si concentra soprattutto sui protagonisti
della mia storia, ma altrettanto volutamente riporta anche fatti
realmente accaduti quella notte.
E' angst gente, e non fa sconti a nessuno. Siate
preparati.
Perché questa è solo una storia, è
vero. Ma il Titanic non lo è.
BUONA LETTURA!
03. La notte
delle lacrime.
Sebastian si sentiva strano.
Si muoveva come su di una nuvola. I rumori intorno a lui erano tutti
ovattati e lontani. Le risate, gli uomini che chiedevano altro brandy
al personale di bordo, le donne che cinguettavano spettegolando su
quella o quell'altra donna uscita ancora in camicia da notte dalla
cabina, mentre fuori al freddo altri uomini stavano preparando le
scialuppe da mettere in acqua.
"Restate dentro. Per voi qui fuori è troppo freddo e
rumoroso. Verremo a chiamarvi quando saremo pronti per farvi salire a
bordo delle scialuppe" aveva detto uno di loro a Sebastian quando aveva
cercato di far uscire Santana e Brittany per imbarcarle.
Si comportavano come se non ci fosse alcuna fretta. Come se ci fosse
stato spazio per tutti.
Ma Sebastian sapeva che non era così.
E se lo sapeva lui dovevano ben saperlo anche loro, no? Eppure
sembravano così calmi e composti. Al momento, almeno.
Per un attimo si ritrovò a pensare anche lui che non fosse
così grave come aveva creduto. Ma no, non era possibile.
Aveva visto la faccia di Kurt e sapeva cosa vi aveva scorto: terrore
puro.
Anche Santana era calma. Se ne stava seduta su una panca a parlottare
fitto con Brittany e di quando in quando le due donne si lasciavano
scappare una risatina complice. Thad invece percepiva il suo umore,
sentiva su di sé il suo spavento, anche se Sebastian faceva
di tutto per tenerlo nascosto, e ne sembrava preoccupato.
Ancora non aveva avuto il coraggio di dirgli la verità,
però. Ogni volta che Thad gli chiedeva: "Cosa succede,
dimmelo" lui fuorviava il discorso spostandolo su argomenti
più neutri.
Da quando Kurt lo aveva avvertito di sbrigarsi, Sebastian non
aveva fatto altro che mentire a Thad. Anche quando lo aveva trascinato
con sé a cercare Santana, lo aveva fatto inventandogli che
aveva bisogno di lui al suo fianco per calmare la donna in caso si
fosse spaventata, visto che lui non era molto capace e Thad invece
aveva una gentilezza innata che faceva subito tranquillizzare tutti.
L'atro lo aveva seguito di malavoglia dato che di sicuro il benessere
di Santana non rientrava nelle sue priorità. Ma a ordine
diretto non aveva detto di no.
Sebastian si odiava quando dava comandi a Thad come fosse un suo
normalissimo dipendente e basta. Ma non voleva lasciare il
suo fianco nemmeno per un minuto. Non voleva perderlo di
vista. Non voleva rischiare di... Dio, era difficile persino da
pensare.
Avevano trovato Santana nella cabina di Lady Pierce, come Sebastian si
era aspettato, e quando le avevano detto cosa era successo, usando
termini semplici e poco allarmisti, la donna si era detta certa che
fosse solo uno scherzo. Quando però il personale della nave
aveva bussato allo loro porta per far indossare loro il
salvagente e farli salire sul ponte, scocciata dal
contrattempo, aveva seguito Sebastian e Thad nel salone
principale senza fare ulteriori storie.
Non sembrava molto più preoccupata di quanto lo sembrassero
gli altri. Sebastian aveva sentito un gruppo di giovinetti addirittura
dirsi certi che fosse solo una stupida esercitazione. L'ombra
dell’iceberg contro cui avevano impattato era ben visibile
anche dagli oblò adesso che le luci del Titanic lo
illuminavano, ma nessuno sembrava credere possibile che ne fosse uscito
sconfitto il transatlantico.
Il Titanic era una nave inaffondabile. E loro erano tutti privilegiati.
Tale sfortuna non era contemplata nel loro mondo.
Questa convinzione si era rafforzata quando la banda di Wallace Hartley
era entrata nel salone centrale e aveva preso a suonare dando a tutti
ancor di più l'idea che niente di grave stesse accadendo.
Sebastian aveva osservato Anderson posizionarsi con tutti gli
altri al suo posto e imbracciare il suo violino che aveva preso a
suonare con brio. Non sembrava preoccupato, eppure nei suoi occhi non
c'era la luce che Sebastian vi aveva sempre scorto.
Stava pensando a Kurt? Probabilmente.
A differenza di lui, a Blaine non era concesso restare vicino al suo
uomo in quel momento, e Sebastian nemmeno voleva immaginare quanto
fosse difficile per lui.
Mezzora dopo, circa, da quando erano saliti nel salone, uno degli
ufficiali venne a chiamarli chiedendo loro di procedere ordinatamente
sul ponte per essere imbarcati. Il fumaiolo non mandava più
quell'orribile suono che aveva imperversato per tutto il tempo delle
manovre degli uomini di bordo sulle scialuppe e fuori, a parte il
freddo, sembrava una normale serata come tante altre.
Si vedevano anche un po' di stelle.
"Per favore, per adesso chiediamo che solo donne e bambini si facciano
avanti. Gli uomini saliranno su altre scialuppe a breve" disse uno
degli ufficiali e la cosa fu accolta da un chiacchiericcio divertito da
parte degli uomini che presero a far salire le loro dame a bordo con
allegria, concedendosi scherzi come se nulla fosse.
Sebastian, che una cosa simile se l'era aspettata,
portò più avanti Lady Pierce perché
fosse imbarcata insieme a Santana, che stava parlottando con uno degli
altri ufficiali. Thad era rimasto indietro per non
intralciare il passaggio, ben sapendo che per lui su quella scialuppa
non ci sarebbe stato posto neanche se fosse stata aperta agli
uomini.
"Brittany" disse a un tratto Santana tornando vicino a Sebastian. "La
signora Brown dice che in queste scialuppe al momento c'è
posto solo per i passeggeri di prima. Perché non
scendete di nuovo in cabina e ve ne state per un po' davanti
al fuoco? Sono certa che vi imbarcheranno a breve ma nel frattempo non
dovreste stare fuori a prendere freddo. Siete delicata, e oggi fa molto
freddo. Sebastian si occuperà di voi, vero caro?" chiese poi
voltandosi verso il marito.
Lui non credeva che quella fosse una buona idea ma non aveva tenuto di
conto, neanche aveva immaginato a dirla tutta, che gli ufficiali
sarebbero stati così fiscali in un momento simile. Eppure li
vedeva mandare via le dame di compagnia e le cameriere delle signore
che imbarcavano.
Persino in un momento simile continuavano a seguire le loro sciocche
regole.
"Sì, Lady Pierce, tornate in cabina. Verrò a
chiamarvi non appena ci sarà una scialuppa per voi" disse
quindi. In quel momento gli premeva far salire Santana su una di quelle
barche per metterla in salvo. E di sicuro avrebbe fatto in modo che
anche Brittany salisse su una scialuppa dopo.
La donna lo ringraziò e voltandosi si diresse di nuovo
all'interno del Titanic. Era tranquilla e sembrava grata di non dover
restare ancora tanto fuori al freddo.
Intanto Santana, dopo aver salutato Sebastian con un bacio casto sulle
labbra, si fece aiutare da uno dei marinai a salire sulla scialuppa.
Appariva ancora scocciata per quel contrattempo ma c'era anche una
lieve nota divertita nei suoi occhi.
Sebastian sapeva che tutto quello stava diventando
un’avventura per lei.
Avrebbe voluto avere quella stessa beata ignoranza anche lui.
A un tratto uno degli uomini, Jonhs si chiamava se non ricordava male,
uno degli inservienti addetto al suo piano comunque, gli si
avvicinò con fare sospetto e, tirandolo da una parte, gli
disse: "Hummel si trova nel lato est, vicino alla poppa. Dice
che c'è una scialuppa per voi e un certo Harwood da quella
parte, se vi dirigete lì."
Sebastian lo ringraziò tirando fuori dal panciotto qualche
dollaro. Persino in quel momento la sua educazione vinceva su tutto.
Voltandosi verso il punto dove aveva lasciato Thad ad attendere gli si
avvicinò per riferirgli la notizia. Thad però non
la accolse come si era aspettato che avrebbe fatto.
"Dovresti dirigerti lì e salire su quella scialuppa, allora"
disse infatti con tono nervoso. Appariva preoccupato e ansioso mentre
si guardava intorno, e Sebastian temeva che stesse
cominciando a capire quello che stava succedendo e come stavano davvero
le cose.
"Noi. Noi saliremo su quella scialuppa. Hummel ha un posto anche per
te" precisò.
Era lui che lo aveva obbligato a salire su quella nave per paura di
perderlo. Era lui che lo aveva obbligato a seguirlo in quella luna di
miele. Per niente al mondo lo avrebbe lasciato da solo là
sopra, anche se Kurt gli avesse assicurato di trovare un posto per lui
in un’ altra scialuppa subito dopo.
"Io non scendo, Sebastian. Non adesso almeno" lo freddò
però Thad prendendo a dirigersi verso il ponte A, che era
dalla parte opposta rispetto a dove si trovava Kurt.
"Che intendi dire?" gli chiese Sebastian seguendolo.
"Dio, volevo aspettare che fossi salito su una delle scialuppe per fare
qualcosa. Essere certo che non avresti avuto idee stupide, tipo
seguirmi."
"Seguirti dove?" gli chiese ancora Sebastian prendendolo per un polso e
fermando la sua fuga.
Thad si voltò verso di lui e dopo aver sospirato
pesantemente disse: "Ho sentito uno degli uomini dire che hanno chiuso
i cancelli di terza per impedire a quella gente di venire su. Questa
nave sta per affondare e sì, lo so, perché non
sono uno stupido e ho capito le parole di Hummel anche se tu fai di
tutto per tenermi all'oscuro. Ti rendi conto? Persino in questo momento
sono attaccati alle loro sciocche regole e le loro classi. Ma lo
squarcio riguarda zone della nave che comprendono i ponti di terza e
laggiù adesso deve essere un inferno.
Devo scendere e aiutare quella gente, Sebastian. Ho sicuramente tempo
prima che cominciano a imbarcare quelli di seconda classe, e
là sotto ci sono i miei amici ."
"Di chi stai parlando?"
"Danny e Raul. E Fabrizio" rispose Thad con tono esasperato e Sebastian
capì. Oh, giusto. I suoi cari amici. Il suo caro
Fabrizio.
Un rabbia improvvisa montò dentro di lui e prima che se lo
potesse impedire quella rabbia divenne paura e la paura, parole. "Sei
innamorato di quel ragazzo, Thad?" chiese con enfasi.
"Oh Dio! Non ci credo" sussurrò Thad cercando di liberarsi
dalla presa dell'altro ma Sebastian non intendeva lasciarlo andare.
"Mi stai dicendo che vuoi sacrificare la tua salvezza per lui.
Perciò rispondi" esclamò poi con durezza.
"No, non lo amo va bene? E' solo un amico. Un buon amico. Io amo te,
stupido presuntuoso. E adesso lasciami" urlò Thad attirando
l'attenzione di alcuni uomini che stavano passando lì vicino
per dirigersi verso altre scialuppe e riuscendo a liberarsi dalla
stretta di Sebastian. "Non è il momento di essere gelosi"
sentenziò poi con tono più pacato.
Aveva ragione, Sebastian lo sapeva bene, ma era stato più
forte di lui. Lui possedeva case, poderi, fabbriche, compagnie,
addirittura negozi e ristoranti. Ma era Thad il suo bene
più prezioso. L'unico che davvero gli premesse possedere.
E non era neanche possesso.
Era bisogno. Puro e semplice bisogno.
Aveva paura di vederlo andare via. Aveva paura che altri uomini
vedessero quello che aveva visto lui, innamorandosene perdutamente.
Ancora di più temeva che lo stesso Thad avrebbe presto
scoperto di aver diritto ad avere molto di più di quello che
Sebastian poteva offrirgli.
E quella sera doveva separarsi da lui lasciandolo su quella nave? Non
poteva farlo. Thad non poteva chiederglielo.
A un tratto l'altro prese la sua mano e la strinse forte tra le sue.
Era l'unico contatto che fosse loro concesso in quel momento su quel
ponte, lo sapeva, ma quella stretta gli stava trasmettendo tutto
l'amore dell'altro lo stesso. "Sali su quella scialuppa, Sebastian. Ti
prego, io starò bene" gli sussurrò poi Thad, e
detto questo lasciò la presa sulla sua mano e corse via.
Sebastian lo osservò per alcuni secondi rimanendo immobile.
Ma nemmeno per un attimo pensò di fare quello che Thad gli
aveva chiesto.
Aveva fatto una promessa anzitutto a se stesso. Non sarebbe sceso da
quella nave senza Thad.
E l'avrebbe mantenuta, pensò correndogli dietro.
XXXXX
Thomas Andrews, progettista del Titanic e suo passeggero, aveva fatto
dei calcoli dopo l'impatto con l'iceberg, durante i quali era venuto
fuori che non solo il Titanic era destinato ad affondare ma
che la nave ci avrebbe messo due ore al massimo a inabissarsi.
I calcoli si rivelarono esatti.
Mezzora dopo l'impatto, quando ormai i passeggeri erano stati tutti
svegliati e gli ufficiali Murdoch e Wilde avevano
già messo al lavoro i loro uomini sulle scialuppe, la nave
aveva già imbarcato acqua sufficiente a causarne la
progressiva, anche se ancora non evidente, inclinazione dal lato della
prua.
Le paratie stagne continuavano incessantemente a espellere acqua ma non
abbastanza velocemente per evitare che vari scompartimenti
venissero allagati. Mentre questo succedeva, la
nave soccombeva al peso dell'acqua al suo interno.
L'equipaggio sapeva che bisognava assolutamente evitare di diffondere
il panico per quanto al momento la situazione non sembrasse ancora
pericolosa. L'unica cosa fuori posto infatti era il terribile sibilo
del vapore che fuoriusciva dai fumaioli, attivati onde impedire lo
scoppio delle caldaie contenute negli scompartimenti già
allagati, che comunque ben presto fu ridotto. Così
faceva di tutto per dare l'impressione che niente di grave stesse per
succedere.
I passeggeri comunque non stavano capendo. Nemmeno immaginavano il
grave disastro a cui stavano andando incontro. Non indossavano i
salvagente anche se era stato richiesto loro di farlo, e molti
perdevano tempo a giocare con i pezzi dell'iceberg che si
trovavano sul ponte di prua, o a cercarne di "carini"da usare
come souvenir, o canzonavano chi indossava il salvagente e mostrava
segni di ansia.
Quando l'orchestra verso le 24.20 si posizionò nel salone di
prima classe per suonare, molti di loro si misero addirittura a ballare
con il proprio marito o la propria moglie.
La prima scialuppa fu calata in mare quasi un’ora
dopo l'impatto, e cioè alle 00.40. Aveva solo 28 persone a
bordo per una capacità di 65 passeggeri. Poco dopo ne fu
calata un’altra che al suo interno aveva solo 12 persone.
Gli ufficiali, preoccupati che le scialuppe non reggessero il peso, le
mandavano in acqua praticamente vuote, sprecandone così
quasi la metà.
Era solo l'inizio di quella che sarebbe stata una vera tragedia.
XXXXX
Thad era nervoso.
Non aveva preventivato che Sebastian lo seguisse e si sentiva
un idiota totale per questo. Conosceva l'uomo, sapeva che se si metteva
in testa qualcosa nessuno poteva fargli cambiare idea e, per qualche
motivo, adesso aveva deciso di non lasciare la nave
se non quando Thad fosse salito con lui
su una scialuppa.
Era una responsabilità enorme per Thad.
Eppure anche quello che stava facendo era importante e andava fatto e
non poteva semplicemente ignorare tutto per assicurarsi che
Sebastian si mettesse in salvo.
Al tempo stesso, lui non poteva mettersi in salvo se prima non sapeva
che anche Fabrizio e gli altri avrebbero avuto almeno una chance per
farlo.
Non capiva il senso del resto: perché chiudere i cancelli di
terza? Perché condannare volutamente quegli uomini a
rischiare la vita?
Fino a quel momento però non erano stati molto
fortunati.
Avevano già trovato due cancelli che conducevano al ponte di
terza classe ed erano entrambi chiusi con guardie e addetti della nave
a tenerli d'occhio. Thad aveva cercato di parlare con loro e quando
questo non era stato sufficiente anche Sebastian si era fatto avanti
forte del suo buon nome, ma nessuno aveva dato loro ascolto.
"Perché fanno questo?" aveva chiesto a un certo punto
esasperato Thad a Sebastian mentre cercavano di raggiungere l'ennesimo
cancello.
"Immagino siano stati ordini del capitano" tergiversò
Sebastian che continuava a seguirlo senza protestare
più di tanto.
"Smith mi era sembrato un uomo più umano di così"
lo accusò Thad, la voce resa acuta da una rabbia quasi
incontenibile.
Aveva visto i volti dei passeggeri di terza al di là di quei
cancelli. La paura che si mischiava alla speranza che fosse
finalmente giunto qualcuno che avrebbe dato loro la
possibilità di salvarsi. Thad si era sentito male
nello scoprire che non poteva fare nulla invece.
"Lo è. Perlomeno la sua lunga carriera suggerisce
questo, ma stavolta non credo dipenda solo da lui. Ci sono
più di 2000 passeggeri su questa nave. Se li facesse salire
tutti insieme sarebbe il caos e l'equipaggio non potrebbe aiutare
nessuno." Disse Sebastian, ma Thad capì che mentiva
perché non lo guardava in viso mentre parlava
bensì un po' ovunque. E Sebastian lo faceva solo quando gli
diceva bugie. Lo aveva fatto anche quando gli aveva detto che avrebbe
dovuto sposare Lady Lopez ma che per loro nulla sarebbe cambiato. Ben
sapendo che invece tutto sarebbe cambiato.
E stava per chiedere cosa gli stava nascondendo quando Thad
avvistò un altro cancello che conduceva alla terza classe e
vi corse incontro. A differenza degli altri non c'era nessuno
davanti a questo però, e la cosa risultava strana.
Ma poco male perché come gli altri anche questo era chiuso.
A un tratto la rabbia che Thad sentiva dentro esplose. Si
avventò sul cancello cercando di aprirlo mentre urlava
improperi di ogni tipo.
Non aveva ancora visto né Fabrizio né gli altri e
cominciava ad esserne preoccupato.
E non era solo quello. Perché più tempo lui
passava su quella nave, più ce ne passava Sebastian e quel
senso di terrore stava ancora attanagliando il suo cuore.
Sebastian svelto lo prese per le spalle cercando di calmarlo e Thad si
voltò spingendolo lontano con forza.
"Cosa diavolo ci fai ancora qui tu? Sali sulla tua scialuppa e
vattene!" inveì contro di lui cieco di rabbia.
"Non posso, Thad. E anche se potessi non lo farei. Non ti lascerei qui"
ripeté Sebastian e Thad cominciava a non poterne
più. Non intendeva suicidarsi e sarebbe sicuramente salito
su una scialuppa quando fosse toccato ai passeggeri di seconda classe.
Perché Sebastian ne era spaventato quindi?
"Cosa è che non mi dici?" chiese così Thad quasi
urlando perché anche quella situazione con Sebastian lo
stava innervosendo.
L'altro però cominciò a scuotere la testa come se
non intendesse rispondere a quello e gli fece segno di
continuare a camminare. "Ci saranno altri cancelli più
avanti se vuoi controllarli. Sbrighiamoci."
"Sebastian, non mi muovo se non mi dici cosa ti prende" disse ancora
Thad ormai convinto che fosse successo qualcosa di grave.
A quella domanda Sebastian si fermò e si portò le
mani alla testa come se provasse un grosso dolore e chiudendo gli occhi
rispose: "Non ci sono abbastanza scialuppe, Thad."
"Cosa, cosa vuol dire questo?" sussurrò Thad che davvero non
afferrava il senso di quelle parole. Che voleva dire che non c'erano
abbastanza scialuppe? Santo Dio, quella nave era il nuovo gigante
dell'oceano, la nave più lussuosa creata fino a quel
momento, una nave che conteneva una palestra, un caffè, un
ristorante, una chiesa e le cabine tra le più
grandi e lussuose mai viste… e non aveva scialuppe
sufficienti per salvare i suoi passeggeri? Era assurdo.
"Kurt me lo ha detto quando mi ha fatto fare il giro turistico della
nave" precisò allora Sebastian come leggendo il suo stupore
nel suo viso. "Le scialuppe avrebbero dovuto essere 36 ma la White Star
ha richiesto la rimozione di 16 di esse perché rovinavano
l'estetica del ponte, e adesso ne restano solo poco più
della metà. Non possono salvare tutti Thad, credo sia per
questo che hanno chiuso i cancelli di terza. Credo che li stiano
volutamente sacrificando. Ed è... terribile."
E lo era, lo era veramente. Non solo per quello che le parole
di Sebastian implicavano per i suoi amici, ma anche e soprattutto per
quello che significavano per lo stesso Sebastian.
"Mi stai dicendo che neanche tu... potrai salire su una scialuppa se...
se quando saliremo non...." ma Thad non continuò la frase
mentre un’enorme bolla di spavento esplodeva dentro di lui,
immobilizzandolo. Non aveva mai contemplato l'idea che Sebastian non si
salvasse. Aveva sospettato che potesse succedere a lui, certo, ma non a
Sebastian. Ed era tremendo sapere che l'unica possibilità di
mettersi in salvo che forse aveva avuto era stata accantonata per
seguire lui.
"Penso che Kurt mi darà una mano, ma non è
sicuro, no" rispose comunque Sebastian, risultando più calmo
di quanto lo stesso Thad si sentisse in quel momento.
"Perché mi sei venuto dietro?"
"Lo sai perché. Pensi davvero che avrei potuto lasciarti qui
sapendo quello che so, Thad? Voglio che tu sia con me quando
salirò sulla scialuppa. Non ti lascio qui. "
"Allora perché non me lo hai detto subito, perché
non mi hai impedito di fare lo stupido?"
"Perché ti saresti sentito in colpa dopo. Diavolo, io stesso
mi sento in colpa dopo aver visto le facce di quelle persone. Il tuo
lato compassionevole e altruista è ciò che di te
più amo e non potrei mai farti una colpa di aver voluto
provare a salvare i tuoi amici, Thad. "
"Ma tu stai rischiando per questo, e io non posso accettarlo,
Sebastian. Non avrei mai voluto questo e se lo avessi saputo sarei
salito su quella scialuppa subito, pur di sapere che anche tu eri in
salvo."
Sebastian si lasciò andare a una risatina triste a quelle
parole e poi sussurrò: "Sembra che non riesca ad essere
egoista quando dovrei esserlo, eh? Scelgo sempre il momento sbagliato."
"Oh Sebastian" disse Thad e poi si avvicinò a lui per
poterlo abbracciare. Fu in quella posizione, stretto al corpo caldo e
forte dell'altro che chiese: "Il Titanic affonderà davvero,
eh?"
Era una domanda che gli girava in testa dal momento
dell’impatto con l'iceberg. Benché avesse sentito
Hummel infatti, un piccolo dubbio lo aveva avuto vedendo come si
comportava l'equipaggio della nave. Tranquillo, estremamente
tranquillo. Troppo per un rischio elevato come quello.
"Sì, hai sentito Kurt: niente lo potrà impedire"
gli rispose Sebastian ricambiando quell'abbraccio con trasporto.
"Dovremo uscire di qui" sentenziò così Thad
staccandosi da lui.
"Non vuoi più cercare i tuoi amici?"
"Non se tu rischi..." cominciò a dire Thad, ma Sebastian lo
interruppe posando un dito dolcemente sulle sue labbra.
"Sono i tuoi amici. E non ti perdoneresti se li abbandonassi
qui, e io non perdonerei me stesso se te lo lasciassi fare.
Siamo insieme Thad ed è questo quello che conta, e
fino a che lo resteremo io non avrò paura. Andiamo?" chiese
poi porgendogli la mano che Thad con un sorriso prese subito tra le sue.
Sebastian non poteva sapere allora, sepolto dentro lo scheletro della
nave, quello che la gente fuori stava cominciando appena a
capire.
Il Titanic stava affondando davvero molto rapidamente. Troppo, per una
nave di quella stazza.
Mentre Thad e Sebastian riprendevano, mano nella mano, a cercare i
cancelli che conducevano in terza, la prua si stava
lentamente inabissando e l'oceano invadeva sempre
più scompartimenti.
Dal cancello davanti a cui erano appena stati, presto prese a uscire
molta acqua che si riversò anche in quei corridoi salendo
sempre di più. Il motivo per cui nessuno era stato
lì davanti infatti, era che quella zona della nave era
già perduta.
Lo scheletro di ferro del Titanic, che soccombeva sotto il peso della
marea sempre più crescente, mandava il suo lamento ovunque
ed era terribile.
Thad e Sebastian trovarono Fabrizio e gli altri davanti al quarto
cancello, e stavolta a differenza delle altre, Sebastian
riuscì a farsi ascoltare dall'agitata guardia e a
farglielo aprire.
Lui e Thad poi cominciarono a guidare i pochi passeggeri che erano
stati davanti a quel uscita in quel dedalo di corridoi. Thad li
conosceva un po' meglio, ma era comunque difficoltoso destreggiarsi.
Senza l'ausilio degli ascensori che ormai non scendevano e salivano
più e con le poche vie di accesso alla prima classe e ai
ponti lasciate aperte risultò un lavoro complicato e assai
difficile, anzi.
Fecero molti giri e molti risultarono a vuoto e una volta si
ritrovarono in una zona completamente allagata tanto che dovettero
tornare indietro.
Quando riuscirono a salire in prima classe fu considerevolmente
più facile da lì uscire poi sui ponti.
Ma quando ci arrivarono si trovarono davanti a uno spettacolo che non
si erano aspettati.
Lì fuori adesso era il caos.
XXXX
Alle 1.30, quasi due ore dopo la collisione, il Titanic aveva imbarcato
almeno 25 milioni di litri d'acqua e la prua era già
completamente sommersa, mentre la poppa restava fuori
dall'acqua continuando pericolosamente a inclinarsi verso il
cielo.
Era chiaro per tutti ormai quello che sarebbe successo, e il panico era
ovunque.
I passeggeri si erano riversati fuori sui ponti in cerca della salvezza
che solo una scialuppa avrebbe potuto dare loro.
Purtroppo però le scialuppe non erano sufficienti, e gli
ufficiali dovevano ricorrere a misure drastiche per impedire che la
gente le assaltasse causandone anche il rovesciamento.
Molti colpi furono sparati in aria quella notte.
I passeggeri di terza classe, prima rinchiusi da cancelli e dopo,
quando questi furono aperti, in difficoltà nel trovare la
strada per il ponte di prima dato che non era mai stato concesso loro
di salirvi e non era previsto che ciò fosse fatto, a parte
che per i passaggi usati dal personale di bordo, uscirono sul
ponte solo quando per loro trovare la salvezza era ormai
impossibile.
Nonostante il terrore e il caos, gli ufficiali continuavano senza sosta
a imbarcare gente e a mandare segnali con i razzi per le navi chiamate
in soccorso e a cercare gente in giro per la nave a cui far indossare i
salvagente.
Eppure lo stesso non avrebbero potuto fare nulla di più di
ciò che avevano già fatto.
Che non era abbastanza.
Non ci sarebbe stata salvezza per tutti quella
notte.
Non poteva esserci.
Molti lo avevano sempre saputo. Per tutti gli altri cominciava ad
essere dolorosamente chiaro.
XXXXX
Bruce Ismay, amministratore delegato della White Star Line, colui che
aveva dato il nome al Titanic e che aveva imposto
l'accensione degli ultimi motori nonostante l'avviso iceberg diramato,
non si diede molto da fare la notte tra il 14 e il 15 aprile 1912.
Cominciò ad aiutare la gente a salire a bordo delle
scialuppe, ma quando il caos imperversò fu uno dei primi ad
abbandonare il suo posto per mettersi in salvo.
E questo ben prima che le cose divenissero tragiche.
Più dell'iceberg che squarciò il
Titanic con una pressione di 958 kg/cm2 causandone il
repentino affondamento, fu Ismay a causare la morte dei suoi
passeggeri.
E tutto per arrivare prima del previsto in America.
Gustave le Bon diceva: "Ciò che facciamo per orgoglio
è spesso superiore a quello che completiamo per dovere."
Il Titanic non sarebbe mai arrivato in America. E la storia
avrebbe ribattezzato Bruce Ismay, Brute ossia Bestia.
Ma poco male. Ogni uomo in fondo è causa del proprio
destino.
Brittany Pierce non era una vera lady.
Aveva ottenuto il titolo solo quando Lady Lopez per simpatia verso la
madre, nobile decaduta, l'aveva scelta come dama di compagnia della sua
figlia maggiore, Santana. Le era piaciuta quella vita, per un po'. I
vestiti di classe, i balli, le cene con persone importanti, i viaggi.
Erano tutto quello che per molto tempo aveva guardato con invidia senza
potervi accedere. Ma poi aveva avuto tutto e aveva scoperto
che quella vita le stava stretta. Che la trovava noiosa, ripetitiva.
Lei era uno spirito più semplice, e sognava la
libertà.
Aveva sperato che con il matrimonio di lady Santana sarebbe stata
più libera, ma la donna sembrava avere più
bisogno di prima di lei e l'aveva anche costretta a quel
viaggio e a una vita ancor più rigida visto il cognome
importante di cui era portatrice adesso.
Quando era scesa nella sua cabina dietro invito di Lady Santana, non
c'era stato terrore nel suo cuore. Lady Pierce ne sapeva ben poco di
navi e tutti i suoi pensieri erano occupati dal fatto che aveva deciso,
arrivata in America, di accettare la proposta di matrimonio del vecchio
amico di suo padre. Era davvero un uomo vecchio per lei ed era solo un
banchiere noioso, è vero, ma la ragazza provava affetto per
lui e pensava che le avrebbe dato la vita che sognava, e tutta la
libertà che anelava.
Non lo aveva ancora detto a Santana, che era quasi un’amica
per lei, ma solo perché aveva deciso di farlo quando il
fidanzamento sarebbe stato reso ufficiale.
Quando si distese sul letto lo fece solo per riposarsi un po'. In
attesa che Lord Smythe la venisse a chiamare pensò che
sarebbe stato saggio recuperare un po' di ore di sonno.
Il ponte dove si trovava la sua cabina era praticamente vuoto ormai e
nessuno la disturbò.
Quando cominciarono le urla, e il rumore dei razzi, e gli stessi suoni
che produceva la nave che si stava piano piano spaccando e riempiendo
d'acqua Brittany non si accorse di nulla.
L'acqua era già filtrata dalla porta e
l'aveva trovata così, addormentata e serena.
E così serena se l'era portata via.
Il capitano John Smith, aveva continuato ad aiutare
ad imbarcare gente sulle scialuppe fino a che era stato possibile
farlo. Quando era sparito lo aveva fatto liberando
i suoi uomini dal loro lavoro con la frase: "Salvatevi, se potete."
Era chiaro che lui non lo avrebbe fatto. Un capitano, un vero capitano,
resta a bordo della nave fino a che c'è anche un solo uomo
sopra di essa. Questo gli era stato insegnato, e questo aveva fatto
durante tutta la sua carriera e i molti problemi che aveva affrontato
con successo in marina.
Stavolta era diverso. Lo aveva saputo fin dall'inizio. Aveva
saputo fin dall'inizio che non avrebbe mai e poi
mai potuto far abbandonare la nave a tutti gli uomini che vi erano
sopra e spontaneamente aveva deciso di restare a bordo fino alla fine.
Quello sarebbe stato il suo ultimo viaggio. Smith era già in
pensione quando aveva accettato di condurre il Titanic nel suo viaggio
inaugurale.
E adesso era diventato letteralmente il suo ultimo viaggio.
Nessuno vide dove si diresse e nessuno lo vide più dopo.
Certo era che tutti sapevano che anche questa volta John
Smith non avrebbe lasciato la sua nave.
Perché era un capitano e un vero gentiluomo.
Lo sarebbe stato fino all'ultimo.
Thomas Andrews, dal canto suo, trascorse le ultime ore della sua vita
cercando di rassicurare i passeggeri e il personale di bordo
incitandoli a indossare i salvagente benché lui stesso non
ne indossasse uno. A un certo punto anche lui aveva capito che non
avrebbe mai lasciato quella nave.
Ma in un certo senso pensava che dovesse essere così.
Lui aveva creato il Titanic, lui non aveva lottato per renderlo ancora
più sicuro di quanto fosse. E lui avrebbe dovuto portare con
sé la colpa dell'accaduto.
Andrews decise di non fare nemmeno un tentativo di salvarsi quindi, e
di restare con la sua creatura fino all'ultimo.
Un cameriere, dopo, disse di averlo visto nel salone del ristorante
intento a fissare un quadro. Disse che gli aveva chiesto se non
intendeva salvarsi e per tutta risposta Andrews gli diede il
salvagente che portava con sé vedendo che il
cameriere non ne aveva uno.
"Dai il buon esempio. Quando finiranno in acqua questi saranno utili"
gli disse con voce spenta per poi tornare a fissare il quadro. Quando
il cameriere corse via, l'uomo era ancora lì.
Ci sono uomini che fuggono via dalle loro responsabilità. Ce
ne sono altri che semplicemente, restano ad affrontarle
e scelgono il loro destino.
E Andrews aveva scelto il suo.
Margareth Brown aveva un suo credo.
Nata in una famiglia di poveri immigrati irlandesi, aveva lavorato come
sarta e commessa ed era diventata ricca solo quando suo marito era
diventato padrone di una miniera e aveva fondato una sua
società.
Era stata baciata dalla fortuna che le aveva cambiato la vita dandole
forse di più di quanto meritasse.
E Molly, come tutti la chiamavano, era convinta che un uomo
dovesse anche dire grazie per la sua fortuna.
Così, attiva in vari campi umanitari, Molly cercava di
rendere al mondo un po' di quella fortuna che costeggiava la sua vita.
Quando salì sulla scialuppa era ben conscia di essere ancora
una volta tra i fortunati e chiese agli ufficiali di continuare a
caricare gente ripetendo incessantemente che c'era posto, c'era ancora
posto.
Lo fece fino a quando un mozzo,
spaventato, la obbligò a sedersi e a
chiudere il becco o l'avrebbe gettata di sotto creando ancora
più spazio.
Non dimenticò di essere tra i fortunati nemmeno mentre la
scialuppa si allontanava dal Titanic e dalle sue urla sempre
più forti.
Più tardi avrebbe avuto modo di usare quella forza che
l'aveva sempre contraddistinta in vita, e la storia le
avrebbe dato un grande ruolo in quella tragedia, un ruolo che
lei avrebbe portato a termine in modo egregio.
Ma non avrebbe mai e poi dimenticato quanto fosse stata fortunata
quella notte.
Robert William Daniel, passeggero di prima classe, dopo aver affidato
la famiglia alla cure degli ufficiali che li misero in salvo su una
scialuppa, sfidò la furia dell'acqua gelida e
scese fino al ponte inferiore allagato solo per poter liberare il suo
bulldog Rigel dalle gabbie in cui era rinchiuso.
Già che era lì, liberò anche tutti gli
altri piccoli animali rinchiusi -terrier, pechinesi, volpini e chow wow
- affinché potessero avere una chance di salvarsi.
Amava gli animali Daniel, e quando il suo compito fu assolto
cercò di tornare sul ponte principale. Non gli fu possibile,
però. L'acqua aveva ormai invaso tutta la zona e non vi era
più alcuna via di uscita per lui.
Mentre l'acqua saliva inesorabilmente inghiottendolo Daniel
pensò che forse qualcuno di quegli animali grazie
a lui si sarebbe ricongiunto con il suo padrone. Era un buon pensiero
da concedersi in un momento simile.
Rigel dal canto suo, restò al fianco del padrone
fino a quando questi non morì. Dopo, restò
semplicemente ad aspettare che l'oceano
inghiottisse anche lui.
John Jacob Astor aveva sempre scelto il suo destino e anche quella
notte lo fece. Scelse il suo destino e fece quello che
doveva. Era riuscito a far salire la sua giovane moglie su una delle
scialuppe, e anche se il posto accanto a lei gli era stato rifiutato,
non si era demoralizzato.
Suo figlio sarebbe vissuto. Nulla contava di più.
L'ultima cosa che Astor fece poco prima di scendere di nuovo nel salone
principale e aspettare lì la morte fu osservare il cielo
stellato sopra la sua testa e pregare che
fosse un bambino sano, forte e coraggioso. Un uomo
o una donna che avrebbe portato conforto alla madre.
Qualcuno in grado di fare le sue scelte come aveva sempre saputo fare
il padre. Senza paura. Senza rimpianti.
Ida Straus non era nessuno. Solo una donna innamorata che aveva vissuto
tutta la vita con suo marito Isidor fino a creare con lui un piccolo
impero con i loro magazzini Macy's. Avevano avuto 8 figli, molti
nipotini. Avevano avuto una vita grande.
Quando le fu offerto un posto su una scialuppa, posto suo di diritto
proprio in virtù del suo ruolo di passeggera donna della
prima classe, si rifiutò di prenderlo per restare
accanto al marito.
"Come abbiamo vissuto insieme, moriremo insieme "esclamò la
donna per giustificare il suo rifiuto.
Quando l'ufficiale disse che forse visto l'eta dell'uomo anche lui
sarebbe potuto salire a bordo con la donna, l'uomo rifiutò
gentilmente a sua volta per lasciare il proprio
posto alla loro cameriera che, altrimenti, non si sarebbe salvata.
Senza paura, o rimpianto, anche Ida e Isidor fecero la
loro scelta quella notte.
Dimostrando nella tragedia che ancora una volta l'amore era
più forte della paura.
XXXXX
La musica aveva uno strano potere.
Blaine Anderson ne era sempre stato convinto. Fin da quando, da
bambino, aveva scoperto il potere terapeutico di un piano suonato nel
cuore della notte. O quello di un violino lasciato libero di esprimere
la propria magia attraverso le sue mani.
Mentre le urla intorno a lui si susseguivano, mentre i passeggeri gli
correvano intorno cercando di salvarsi e lui tentava di
mantenere il ritmo nonostante le spinte che riceveva, pensava che ce
l'avesse persino in quel momento.
La nave si stava inclinando pericolosamente e lui e gli altri membri
della banda dovevano tenersi vicini l'uno all'altro
per evitare di cadere mentre continuavano a suonare, ma nella musica
Blaine si sentiva in pace. Persino in quel momento in cui aveva
già capito cosa gli sarebbe successo.
Non ci sarebbe stata salvezza per lui. Non era previsto che ci fosse, e
non poteva esserci.
Non era nato tra i prescelti, e a bordo di quella nave nemmeno quelli
che lo erano sempre stati sembravano destinati ad avere poi tanta
più fortuna di lui.
Kurt gli aveva parlato della nave, e Blaine sapeva che le scialuppe non
bastavano. Sapeva che non ce ne sarebbe stata una per lui. Sapeva che
non c'era mai stata.
Quando il capitano aveva chiesto loro di suonare per evitare che le
persone fossero colte dal panico, quando aveva stretto loro la mano e
li aveva ringraziati per il lavoro svolto fino a quel momento,
augurando loro buona fortuna, lo sapeva non ci
sarebbe stata chance per loro? Blaine credeva di sì.
Dal canto suo, lui lo aveva saputo nell'attimo stesso in cui con gli
altri otto membri della sua banda si era messo a suonare in mezzo a
quel ponte.
Ma non si era tirato indietro.
E dopo, quando nessuno li ascoltava ormai più, sapeva che
aveva continuato a farlo come gli altri solo perché...
La musica è magia.
Chiunque dovrebbe poterla sentire poco prima di morire.
Lui in questo era stato fortunato. Come lo era stato nell'incontrare
Kurt, nel poter avere modo di amarlo. Amarlo davvero con tutto se
stesso. E lo aveva fatto. Lo aveva fatto fino all'ultimo.
Forse adesso non ci sarebbe stato posto in paradiso per lui, come
diceva la Bibbia, a causa del suo peccato, ma a Blaine non interessava.
Non si pentiva di aver amato un altro uomo, e ancor meno si pentiva del
fatto che questi fosse stato Kurt. Avrebbe peccato in quel modo per
molto ancora se gli fosse stato permesso.
E di questo ringraziava Dio, se un Dio c'era.
Avrebbe solo voluto vederlo un’ultima volta per
dargli un bacio, e questo era il suo unico rimpianto. Ma Kurt
era chissà dove, a cercare di salvare quante più
persone possibili e forse, se fosse stato fortunato, lui ce l'avrebbe
fatta alla fine. Si sarebbe salvato.
Dio, Blaine lo sperava con tutto se stesso.
Così suonò, suonò mettendo in quella
musica tutto il suo amore. Sperava che dovunque si trovasse ora, Kurt
riuscisse a sentirla e a capire che nelle note di "Nearer, My God, to
Thee " c'era un messaggio per lui, la preghiera di Blaine per
lui. Che quello era il suo modo di dirgli: "Ciao, amore."
Non addio. Non gli avrebbe mai detto addio.
Quando la musica finì, e stavolta per davvero, e l'acqua
arrivò a lambirgli i piedi, Blaine registrò a
malapena, il capo della banda Wallace Hartley, che diceva con enfasi:
"E' stato un onore suonare con voi stasera, signori".
Wallace aveva 33 anni. Tutto il resto della banda - tranne Blaine che
ne aveva 27- arrivava a malapena ai 20 anni. Erano ragazzi che
sognavano una vita migliore di giorno e che di notte rincorrevano le
gonne delle giovani cameriere a bordo, in attesa della propria
occasione per vivere una vita più appagante e completa,
ragazzi che non pensavano a cose come la morte, ma solo a come sarebbe
stato per loro il nuovo giorno. Eppure nessuno di loro si era tirato
indietro per cercare una chance, e tutti erano rimasti lì a
suonare fino alla fine.
Sì, come aveva detto Wallace, era stato un onore suonare con
loro quella sera.
Dopo, quando cominciò a lottare con la forza dell'acqua
fredda che lo stava inghiottendo, Blaine disse con rimpianto addio
al violino che gli aveva regalato sua nonna Anne e lo
affidò all'inclemenza dell'acqua, mentre lui cominciava a
nuotare cercando di allontanarsi il più possibile dal
risucchio della nave che stava affondando. Ed era difficile,
così difficile.
Nella sua mente non c'era nulla, solo lo spazio per
pensare: "Kurt, ti amo Kurt."
Non ci fu terrore per lui.
Blaine Anderson era un uomo che aveva peccato in vita sua di troppo
amore, se questo era poi davvero un peccato. Ma quando
arrivò il freddo, per lui ci fu solo pace.
E la speranza che Kurt si sarebbe salvato.
Dopo restò solo il freddo. Solo tanto freddo.
XXXXX
Kurt stava correndo più veloce che poteva.
Avvolgeva corde, liberava le scialuppe dai propri cardini,
urlava cercando di farsi sentire sopra il rumore delle grida e dei
rotori che tiravano già le scialuppe dai propri alloggi.
Non c'era tempo, non c'era più tempo.
Non stavano salvando abbastanza persone, non stavano facendo abbastanza
in fretta. Qualcuno aveva fatto uscire le prime sei scialuppe
quasi vuote e adesso avrebbero potuto salvare ancora meno persone del
previsto.
Non avrebbero potuto in ogni caso salvarle tutte, ma Kurt ci aveva
sperato. Ci aveva sperato che sarebbe andata meglio di come stava
andando.
Sapeva che dopo qualcuno avrebbe guardato a quella tragedia e avrebbe
trovato mille dettagli di cui accusare i marinai di stazza su quella
nave. E sarebbe stato facile per loro parlare di ordine e
efficienza. Ma lui era lì, fianco a fianco di quegli uomini,
e non aveva proprio nulla di cui accusarli.
Non erano precisi e perfetti? Avevano commesso errori? Sì.
Ma stavano per morire. E lo sapevano. Senza ombra di dubbio.
Gli era concesso essere spaventati e caotici. Gli era concesso essere
poco precisi e forse troppo frettolosi. Eppure non stavano
mollando, anche se il capitano aveva dato loro il via libera dal loro
ruolo, ma continuavano a svolgere il loro lavoro seppur con
il terrore nel cuore.
E forse non erano precisi, perfetti, e marinai integerrimi, ma in quel
momento erano di sicuro uomini, uomini che stavano portando a termine
il loro compito nel modo migliore possibile.
Quando l'ultima scialuppa fu posizionata, Kurt cominciò a
far salire le persone che aveva vicino. Né lui né
gli altri badavano più a se erano di
prima classe, solo donne o bambini o che altro. Le facevano salire
sopra e basta.
Avrebbero dovuto farlo subito probabilmente. Non avrebbero potuto
salvarli tutti in ogni modo e non dipendeva dal
loro lavoro o dalla loro efficienza, ma avrebbero dovuto fin da subito
cercare di salvarne il più possibile.
Sì, Kurt era fiero di tutti gli uomini che erano
vicini a lui in quel momento. Non riteneva di poter giudicare
nemmeno Murdoch che si diceva si fosse sparato un colpo in
testa dopo aver ucciso un passeggero nella foga di non far scatenare il
panico. Semplicemente era impossibile. Stavano agendo in una situazione
in cui non potevano vincere. Ma non si fermavano. Anzi, molti
ufficiali stavano gettando in mare cose che secondo loro avrebbero
potuto aiutare i passeggeri finiti in acqua e quelli che di sicuro ci
sarebbero finiti poi a restare fuori dall'acqua gelida il
più possibile in attesa dei soccorsi. Kurt non poteva che
essere fiero di questo.
Era fiero anche di Blaine che dall'altra parte della nave stava ancora
suonando. Lo sentiva, al di sopra delle urla e di tutto il
rumore. Lo sentiva.
Lo sentì anche quando suonò quella canzone,
quella che suonava sempre per lui al piano della tenuta quando erano
ragazzini che avevano appena scoperto di amarsi, quando cercavano di
convincersi che Dio non avrebbe chiuso le porta del paradiso in faccia
a qualcuno in grado di provare un simile sentimento di amore.
Percepì il suo ciao in quelle parole. Non addio,
perché Blaine non gli avrebbe mai detto addio, ma ciao.
E per un attimo un’immensa rabbia montò in lui.
Avrebbe voluto che Blaine andasse a cercare la sua fortuna, la sua
chance di salvarsi, invece di stare lì a suonare per gente
che nemmeno lo ascoltava. Lui sapeva che non avrebbe lasciato quella
nave fino a che non lo avesse fatto l'ultima scialuppa, ma avrebbe
voluto che Blaine non si arrendesse subito in quel modo. Ma fu solo un
attimo. Blaine in realtà non aveva avuto scelta e
così nemmeno Kurt si sarebbe concesso di averla.
Senza Blaine non poteva.
Dopo ci furono solo le lacrime che gli appannavano la vista mentre
prendeva le persone senza nemmeno guardarle in volto e le faceva salire
alla svelta sulla scialuppa.
"Ti amo Blaine, ti amo" ripeteva incessantemente la sua mente.
Quando l'acqua prese a invadere il ponte qualcuno
cominciò a urlare: "I tiranti, tagliate i tiranti! Non
c'è tempo per calarla." Kurt svelto fece uscire il
coltellino di ordinanza dalla tasca della giacca e si
avventò su una corda per tagliarla. Le urla intorno a lui
triplicarono piene di terrore fino a coprire anche il suono della
musica suonata da Blaine e tutta la sua attenzione fu presa
dall'acqua che inesorabile saliva sempre di più.
In quell'attimo Kurt pensò al volto delle sue bambine.
Pensò che avrebbe voluto rivederle. Dire loro tutte quelle
cose che ancora non era riuscito a dir loro. Baciarle. Stringerle a
sé.
Pensò che avrebbe voluto avere la possibilità di
dir loro che non importava chi sarebbero state e chi
avrebbero preferito amare. Lui le avrebbe sempre accettate e amate.
Sempre. E non avrebbe mai chiesto di loro di fingersi diverse da
ciò che erano.
L'ultima cosa che sentì Kurt quella notte, fu il
rumore di uno dei fumaioli del Titanic posti sopra di lui,
che sotto il peso della forza dell'acqua, si staccava dai propri
tiranti per venire giù.
Proprio addosso a lui.
XXXX
Poco dopo le 2.00 l'ufficiale Lightoller disse ai suoi uomini
che dovevano liberare il battello pieghevole B dai propri tiranti.
Era l'ultimo rimasto a loro disposizione.
Circa un centinaio di persone si radunarono lì intorno, e
fra loro vi erano anche tutti i macchinisti che avevano lavorato fino
all'ultimo alle pompe per cercare di rallentare l'affondamento.
Nessuno di loro si sarebbe salvato, però. Nessuno.
Lightoller fu costretto a formare una catena umana con le persone che
erano riuscite a salire sul battello con lui per evitare che
quelli rimasti sulla nave facessero rovesciare l'imbarcazione nel
tentativo di salire a bordo.
E su tutto vegliava ancora l'ombra dell'iceberg dal quale non
erano riusciti ad allontanarsi poi molto quando i motori erano stati
arrestati, che se ne stava lì a
osservarli come una gigantesca sentinella che si faceva beffa dei loro
sforzi e della loro paura.
Quando Lightoller riuscì ad allontanarsi dal Titanic, circa
1400 persone rimasero a bordo.
Sebastian e Thad erano tra questi.
XXXXXX
Procedevano a fatica adesso.
La gente si stava raggruppando tutta verso la poppa e cercare di
raggiungerla era difficoltoso.
La nave si stava inclinando, la prua ormai era del tutto sommersa
dall'acqua e raggiungere la poppa equivaleva a restare fuori
dall'acqua gelida e tutti quelli rimasti sulla nave
- che erano davvero tantissimi, Dio! Tantissimi - stavano cercando di
raggiungerla.
Sebastian si muoveva dietro a Thad, lasciava che fosse lui a guidarlo,
perché Thad conosceva quei ponti meglio di lui,
tenendosi aggrappato alla sua mano.
C'erano gruppi di persone in ginocchio davanti a due preti che stavano
pregando ad alta voce, altri che se ne stavano in angoli in attesa di
chissà cosa, altri ancora che continuavano a correre senza
una meta precisa, preda del più totale panico.
Thad invece si sentiva in colpa.
Si sentiva in colpa per aver costretto Sebastian a restare sulla nave
troppo a lungo facendogli perdere così anche la
sua possibilità di salvarsi. Quando erano saliti
non erano riusciti a trovare Kurt in quel caos infatti, e di scialuppe
non vi era più ombra. Se solo avesse saputo prima
che non c'erano abbastanza imbarcazioni per salvarsi, se solo Sebastian
glielo avesse detto, lo avrebbe seguito subito e solo per essere certo
che si mettesse in salvo.
Non gli importava molto di cosa sarebbe successo a lui in quel momento.
Voleva solo essere certo che Sebastian si mettesse in salvo.
Quando raggiunsero le scalinate che portavano alla poppa, furono
costretti a rallentare perché la gente le aveva
invase per salire e stavano procedendo davvero lentamente.
Sebastian si avvicinò ancora di più a Thad fino
ad essere praticamente attaccato al suo corpo ma nessuno badava a loro
o trovava strano tale atteggiamento in quel momento. Avevano altro a
cui pensare del resto.
"Se restiamo il più a lungo possibile sulla nave dopo ci
basterà raggiungere a nuoto una delle scialuppe vicine e
saremo in salvo, vedrai" ripeté Thad per l'ennesima volta.
Aveva perso il conto di quante volte aveva detto quella frase cercando
di convincere più se stesso che Sebastian. Sapeva che la
temperatura dell'acqua era di 0 gradi e che lì dentro le
persone avrebbero potuto sopravvivere al massimo 10 minuti. Solo 20 se
riuscivano a continuare a muoversi.
"Volevi lasciarmi, vero?" chiese a un tratto Sebastian
cambiando del tutto discorso, direttamente nel suo orecchio,
e Thad si voltò verso di lui per quanto la gente pressata su
quelle scale e addosso a loro gli consentiva di fare.
"Cosa?"chiese stupito.
"Per favore, Thad, dimmelo. Almeno adesso sii sincero con me, ti prego"
uggiolò Sebastian e a Thad si spezzò il cuore.
Sebastian aveva avuto la salvezza sicura nel palmo della mano ed era
rimasto su quella nave per lui. Essere onesto era il minimo che Thad
poteva fare per lui adesso.
"Sì, volevo lasciarti" disse perciò, e subito
afferrò anche l'altra mano di Sebastian e la strinse insieme
all'altra sopra il suo busto di modo da impedirgli di allontanarsi da
lui.
"Non pensavo che avrei potuto sopportare di dividerti con lei"
continuò poi procedendo ancora lentamente e portandosi
dietro Sebastian che stava cercando, probabilmente per rabbia, di far
sì che Thad lasciasse le sue mani. Non con molta convinzione
comunque, per fortuna. "Ma stasera, quando mi hai detto
quelle cose in cabina ho cominciato a credere che forse ce l'avrei
potuta fare. Che se voleva dire restare con te, avere il tuo amore,
forse avrei potuto sopportare anche il dolore di dividerti con
qualcun'altro."
"Il tuo forse non è incoraggiante" protestò
Sebastian alzando un po' la voce per farsi udire sopra gli schiamazzi
della gente che avevano intorno.
Thad arrivò in cima alle scalinate e poi trascinò
di lato Sebastian, perché aveva bisogno di un momento solo
loro, un momento in cui spiegarsi e farsi capire anche in quel
disastro. E voleva guardare negli occhi l'altro mentre lo faceva.
"Lo so. Ma non conta. Perché questa sera, quando
tu mi hai detto delle scialuppe, quando ho capito che esisteva la
possibilità che ti perdessi per sempre, è stato
tutto chiaro per me. Io ti amo, Sebastian. Non ho amato mai nessuno
più di quanto ami te, nemmeno me stesso. E non importa
quanto dovrò soffrire o lottare pur di starti vicino. Non
farlo mi farebbe soffrire solo il doppio. Tu sei come l'aria per me. E
quando saremo fuori da questo inferno, se tu vorrai io
continuerò ad essere il tuo servo di giorno e il tuo amante
di notte. Tutto quello che vuoi, pur di non perderti. Pur di non
provare più la paura che sto sentendo in questo momento."
Sebastian sorrise teneramente a quelle parole e portando una mano ad
accarezzare il volto di Thad, disse: "No, non voglio questo." Una frase
che spiazzò un po' l'altro.
"E cosa, allora?"
"Voglio che tu ti senta a tuo agio. Voglio che tu sia felice del tuo
ruolo. Voglio che tu abbia la certezza che se anche non posso urlarlo
al mondo, io è te che amo. E quando tutto questo
sarò finito, se tu vorrai andare io ti lascerò
libero di farlo."
"Ma io voglio restare con te."
"E allora lo farai, ma solo perché tu avrai deciso di
farlo." Sentenziò Sebastian e Thad lo attirò in
un abbraccio, felice.
"Mi stai lasciando libero?"gli chiese sussurrando direttamente nel suo
orecchio.
"Ti sto lasciando libero di amarmi da pari, se è questo
quello che vuoi, ma amami, Thad. Per il tempo che ci resta, fallo, ti
supplico"rispose Sebastian con amore e Thad lo strinse ancora di
più a se.
In tutti quei mesi aveva creduto che fosse la libertà quella
che anelava, ma in realtà era solo la libertà dal
suo ruolo di servo. Voleva essere in grado di amare Sebastian da pari,
e nulla più.
Sperava solo di non averlo scoperto troppo tardi.
La gente intorno a loro continuava a incitarsi a sbrigarsi, e a
muoversi verso poppa e nessuno prestava attenzione a quei due ragazzi
stretti l'uno all'altro nei pressi di quella scalinata che si stava
inclinando sempre di più.
Quando Thad si staccò da lui, Sebastian gli sorrise di nuovo.
"Cerchiamo di restare su questa nave il più a lungo
possibile, va bene?"disse poi.
"D'accordo" gli rispose Thad.
I due si presero di nuovo per mano e uniti in quel modo ricominciarono
a salire verso la poppa.
Non sapevano cosa avrebbe riservato per loro il futuro.
Ma avevano ancora una speranza e tutta l'intenzione di lottare per
diffenderla.
E il loro amore.
Avevano ancora il loro amore.
XXXXXX
Verso le 2.10 la poppa del Titanic si sollevò al punto di
formare un angolo di 30° con la superficie del mare,
stagliandosi contro il cielo stellato. La forza terrificante
generata dall'emergere dello scafo provocò il lento
schiacciamento della chiglia e la dilatazione delle sovrastrutture, che
portarono lo scafo quasi al punto di rottura.
La ciminiera di prua si staccò, mentre l'acqua ruppe i vetri
della cupola e inondò lo scalone riversandosi nella nave.
Alle 2.15 il circuito elettrico dell'intero scafo sì
interruppe all'improvviso gettando il Titanic nel buio più
nero.
Dopo cominciò l'ultima parte di quell' inferno.
XXXXX
Santana non sapeva più che cosa stava guardando. Non sapeva
che cosa stava sentendo.
Tranne per il fatto che... lo sapeva. Lo sapeva fin troppo bene, ed era
tremendo.
La scialuppa sopra cui si trovava era ferma nell'immobilità
dell'oceano nero che la circondava. L'aria le si addensava davanti al
viso e le sue mani erano fredde, quasi congelate, nonostante il
manicotto che si era portata dietro.
E le urla... quelle non smettevano.
Erano lontano, eppure ovunque.
Santana osservava impietrita il Titanic che, rimasto al buio, si
alzava, lasciando fuori dall'acqua solo la poppa, e continuava a
sentire quelle urla, a vedere persone che si gettavano in acqua, altre
che venivano risucchiate dai finestrini ormai esplosi della nave stessa
e riportate al suo interno.
Un gigante che si stava accartocciando su se stesso.
C'erano delle persone che si agitavano nell'acqua lì vicino,
persone che erano cadute o si erano gettate dalla nave prima che si
innalzasse.
Ma la cosa peggiore era il riverbero del rumore metallico dei corpi
che, per la posizione della nave, venivano spediti contro le sue
parti metalliche.
Santana avrebbe voluto tapparsi le orecchie per tagliare fuori quei
suoni e distogliere lo sguardo per non assistere a quell’
inferno ma non poteva, attratta e al tempo stessa respinta da tutto
quel dolore.
Qualcuno vicino a lei continuava a dire: "Oh mio Dio, oh mio
Dio" senza sosta ma tutto il resto era silenzio.
Tranne che per le urla.
Non aveva capito. Lei non aveva capito che la situazione fosse
così grave. E aveva lasciato là sopra Sebastian,
e aveva fatto in modo che Brittany tornasse in cabina credendo che
sarebbe stata al sicuro.
E adesso non poteva far altro che sperare che fossero tutti in salvo su
una delle altre scialuppe.
Prima che il ponte fosse completamente sommerso, il Titanic
s'innalzò verticalmente per tutta la sua lunghezza e, forse
per 5 minuti, almeno 150 piedi della nave di
alzarono sopra il livello del mare, diretti contro
il cielo.
A un tratto uno strano rumore coprì tutto e osservando il
punto in cui la nave si era inabissata, Santana vide che la chiglia si
stava spaccando in due probabilmente per il peso della stessa poppa
rimasta fuori dall'acqua. Quando lo fece, la parte posteriore del
imbarcazione piombò con velocità di nuovo sul
letto dell'acqua.
Le urla si triplicarono, allora.
E Santana sperò per un attimo che sarebbe finita. Ma dopo
qualche secondo la nave si alzò di nuovo inesorabilmente
seguendo la prua inabissata. L'acqua era penetrata all'interno della
crepa di spezzamento e stava velocizzando l'affondamento del
troncone di prua infatti, consentendo alla poppa di rialzarsi
perpendicolarmente.
Solo che stavolta non si fermò quando fu in
verticale e cominciò presto a inabissarsi del tutto a sua
volta.
Non ci mise molto a sparire dai loro occhi. Il mare
inghiottì il gigante che era stato il Titanic nel giro di
pochi minuti.
Erano le 2.20 della notte del 15 aprile 1912.
Le urla intorno continuarono dopo, ma non per molto tempo. Non quanto
Santana si era aspettata che avrebbero fatto.
Divvennero via via più deboli con il trascorrere dei minuti.
L'acqua era gelida, lo sapeva. E quanto poteva un corpo sopravvivere
immerso in quelle temperature?
Santana pensò che dovevano fare qualcosa. Che forse
avrebbero dovuto tornare indietro con le scialuppe per aiutarli. E a un
tratto una delle altre donne espresse chiaramente ad alta voce il suo
pensiero. Santana sentì uno dei marinai
risponderle urlando che non potevano farlo, che sarebbe stato
pericoloso e avrebbero imbarcato solo acqua. Ma la donna non smise di
dire che era loro dovere.
"Sono i vostri mariti e figli quelli. Che cosa vi prende
donne, possiamo farlo, possiamo fargli posto." Diceva la donna con
enfasi. E solo quando anche le altre cominciarono ad appoggiarla allora
uno degli ufficiali disse che era vero e si prodigò per far
si di svuotare una delle scialuppe trasferendo il loro contenuto in una
di quelle semivuote per tornare indietro.
Quando lo fecero Santana sperò che fossero in tempo.
Sperò che qualcuno li avrebbe perdonati per non aver agito,
per aver aspettato.
Non si sentiva più nulla però, ormai.
Non un urlo. Non un’invocazione.
C'era solo silenzio intorno.
Solo il suono del mare.
E poi solo lacrime.
Solo... il niente.
Erano le 4.45 del 15 aprile 1912.
1518 persone erano finite in acqua quando il Titanic si era inabissato.
Le scialuppe avrebbero potuto ospitarne altre 500 ma solo una di loro
tornò indietro, quasi due ore dopo.
Una su venti.
60 passeggeri riuscirono a raggiungere a nuoto le scialuppe vicine dopo
l'inabissamento del Titanic e solo 6 persone furono
salvate dalle acque, ancora vive, dall'unica scialuppa tornata
indietro.
66 su 1518.
Ora dimmi: come puoi perdonare questo?
L'angolo della pirla che scrive ‘sta roba:
ç_ç e ancora ç_ç
Ed è tutto qui, lo vedete. Che fine hanno fatto Blaine e
Kurt credo sia chiaro, come per Brittany. E Thad e Sebastian?
Lo saprete nell'epilogo. Per ora solo Santana è sicuramente
salva e mi spiace se ciò delude molti di voi ma dovevo
essere il più onesta con la vera storia del Titanic e una
donna nella posizione di Santana sarebbe stata OVVIAMENTE salvata
subito.
E quando vi sarete ripresi se volete leggere qui sotto vi spiego alcune
cose tecniche che sono diverse dal film e perché.
- L'iceberg che colpì il vero Titanic non era grosso come
quello del film e non era bianco (quelli sono ghiacci dell'equatore).
Era a dire il vero più basso, con i bordi frastagliati e
cosiddetto nero (iceberg artico che era poi la zona dove si trovavano),
praticamente impossibile da vedere di notte. In ogni caso nel film
durante l'affondamento non vi è più traccia di
quel gigante e visto che la nave non poteva essersene distanziata molto
dopo l'arresto dei motori questo è un errore di Cameron. In
questa ff Kurt dice di vederlo solo perché la nave
è ancora vicina appunto e con le sue luci accese (fino a che
esse rimasero tali almeno) l'iceberg era più che visibile
come si evince dagli stessi racconti di alcuni sopravvissuti. Ho
pensato che inserire questo dettaglio fosse fondamentale visto che esso
era la causa del loro disastro, e trovo assurdo che nessuno ci pensasse
nei momenti in cui stavano affondando.
- Fu il capitano Smith a insistere che venissero salvate prima donne e
bambini, non uno dei suoi ufficiali. L'uomo sapeva che la nave non
aveva la quantità necessaria di scialuppe e credeva che
salvare loro fosse più importante. Non parlò
della terza classe nello specifico e anzi furono i suoi uomini e
seguire il protocollo non ufficiale e a tenere chiusi i
cancelli per permettere a quelli di prima classe di salvarsi per primi.
Certi protocolli furono aboliti solo dopo questo disastro
infatti. Il protocollo ufficiale ovviamente diceva solo di
salvare per primi i passeggeri di prima classe, poi quelli di
seconda e infine quelli di terza. In poche parole, più che
seguire il protocollo, che dava comunque modo anche alla terza classe
di salvarsi se ovviamente le scialuppe fossero state sufficienti,
l'equipaggio del Titanic operò una vera e proprio scelta che
portò alla morte quasi tutti i passeggeri di quella classe.
Quando Smith lo seppe ovviamente fece aprire subito i cancelli. Le
parole: "Dategli la possibilità di salvarsi. Sarà
Dio a scegliere, non spetta a noi" che Cameron per
metà usa anche nel film ma facendole dire a un passeggero di
terza classe, in realtà furono sue. Non so perché
Cameron abbia voluto mostrare Smith come un debole. Non lo fu. Fu un
grande capitano e in quell'occasione lo fu più che mai.
Purtroppo aprire i cancelli non aiutò i passeggeri di terza.
Come racconto qui per la disposizione della nave per loro fu davvero
difficoltoso raggiungere i ponti di prima, e quando ci riuscirono era
ormai troppo tardi. Anche per questo le vittime sono prevalentemente di
terza classe.
- Allo stesso modo Cameron fa apparire anche Molly Brown come una
debole nel film. La Brown era però una grandissima donna. Lo
era stata prima del Titanic e lo divenne ancora di più
dopo. L'unica scialuppa che tornò indietro fu
proprio la sua e lo fece perché
Molly insisté che ciò fosse fatto. E
non fu facile. Ci mise ore per spuntarla. Fu lei stessa a restare a
comando della scialuppa in cui furono trasferiti i passeggeri
per svuotare quella che poi effettivamente tornò indietro.
La storia l'ha ribattezzata "l'inaffondabile Molly Brow" per un motivo
che di nuovo nel film Cameron non mostra. Non so perché. La
donna che Santana sente litigare con gli ufficiali in questa storia
comunque è lei, perché vi sia chiaro.
- Resto vaga sulle sorti di Murdoch perché non è
certo che sia lui l'ufficiale che si è sparato in testa dopo
aver colpito alcuni passeggeri che stavano cercando di scavalcarne
altri per salire sulle scialuppe. Alcuni superstiti dissero che questo
era successo, altri asserirono che a sparare furono altri ufficiali e
altri ancora dissero di averlo visto lottare in mare con gli altri dopo
l'inabissamento del Titanic. Il suo corpo non fu tra quelli
recuperati perciò non ci sono certezze. Murdoch fu colpevole
della manovra che fece affondare il Titanic e forse molti hanno voluto
romanzare la sua fine dandogli un intimo senso di colpa che lo
portò al suicido. E' sicuro che se invece di virare avessero
centrato l'iceberg con la punta della prua, la nave avrebbe resistito
alla collisione e non avrebbe imbarcato acqua, ma non penso
gli si possa fare una colpa di questo. L'iceberg, proprio
perché non come appare nel film ma più nascosto
diciamo, fu visibile solo all'ultimo e lui dovette pensare
molto in fretta. Di sicuro se sul ponte ci fosse stato il capitano
Smith, con tutta la sua esperienza, ciò non sarebbe successo
ma di questo non è colpevole Murdoch. In effetti solo Ismay
quando comandò l'accensione anche degli ultimi motori pur
avendo ricevuto l'avviso iceberg lo fu. Di sicuro la ridotta
velocità della nave avrebbe aiutato e evitare l'iceberg e
comunque avrebbe portato meno danni alla nave. Purtroppo
però la velocità era molto elevata. E lui fu tra
i primi a scendere dalla nave e mettersi in salvo. L' UNICO tra i
lavoratori della White Star Line presenti a bordo a farlo. Anche il
progettista del Titanic infatti, Thomas Andrews, rimase a
bordo per aiutare i passeggeri e morì quella
notte.
I personaggi su cui mi soffermo e di cui vi racconto la morte o la
salvezza, tranne ovviamente, Kurt, Blaine, Brittany, Santana, E Robert
William Daniel sono personaggi davvero imbarcati sul Titanic. Daniel
era a sua volta davvero passeggero della nave, passeggero di prima ma
il cui corpo non fu mai ritrovato e non si sa come sia morto.
Si dice che sia morto come vi narro ma non vi sono prove di questo.
Anche il cane Rigel assume diverse identità. Per alcuni
è un terrier salvato dalla Carpatia, per altri un
bulldog che morì con il suo padrone. Nessuna di queste
storie ha però dei reali riscontri. A me è
piaciuta la storia e scoperto che sul Titanic c'erano davvero
tantissimi animali e che solo 3 di essi si salvarono ho voluto inserire
quel pezzettino. Non è storia però, per cui non
prendetelo per vero.
Ora vi rimando all'epilogo. Ci sono ancora delle cosine da dire. Ma vi
avverto... sarò onesta con questa ff. Niente finali in cui
la gente trova una bolla d'aria calda che li salva dal morire ad
esempio. (Chiedete alla mia beta o a mia madre. Solo loro trovano film
simili mi sa) Avete voluto conoscere la mia fine, e non sarà
facile.
Alla prossima(ossia Lunedì 27 gennaio)
Baci Bay24
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Capitolo 4 *** 04.Epilogo ***
In anticipo lo so, ma per motivi di lavoro settimana prossima
non ci sarò fino a mercoledì, quindi eccomi
qui.
Piccola premessa: ci siamo. Questa è la fine. La fine che ho
sempre voluto per questa storia. Come al solito abbiate fede in me fino
all'ultimo e se poi vorrete odiarmi ve ne darò tutto il
diritto. Ma ricordatevi di non smettere di sperare. Mai.
Ovviamente questo capitolo oltre a essere più corto rispetto
ai miei soliti standard, è tutto dal punto di vista di
Santana. O quasi.
ps: alcuni numeri di questo capitolo appariranno sotto forma di numeri
appunto e non lettere, come sarebbe grammaticamente più
giusto, SOLO perché sia chiara e immediata la portata della
tragedia.
Buona lettura.
XXXXX
04. Epilogo
1518 persone finirono in acqua quando il Titanic si inabissò.
C'erano diciotto scialuppe nelle vicinanze, dato che due erano state
risucchiate dall'inabissamento del Titanic. Diciotto scialuppe di cui
almeno la metà erano semivuote. Nessuna di loro
tornò indietro quando la nave sparì nel mare, e
la gente finì nell'acqua gelida, urlando per essere salvata.
Circa 60 persone, a nuoto, riuscirono a raggiungere le scialuppe
più vicine, ma molti di loro morirono una volta a bordo del
Carpathia, a causa del prolungato tempo trascorso nelle acque
gelide.
Una sola scialuppa tornò indietro, ore dopo, quando ormai le
urla di coloro finiti in mare avevano smesso di imperversare.
Una .
Solo 6 persone furono tirate vive fuori dall'acqua e, tra queste 6, non
vi erano né Brittany, né Thad, né
Sebastian.
Lady Santana li cercò. Quando fu al sicuro a bordo della
Carpathia - arrivata per trarre in salvo i superstiti - e anche nei
giorni dopo, li cercò tra coloro ripescati dalle acque e tra
i passeggeri delle altre scialuppe.
E li trovò. Nella lista dei nomi degli scomparsi.
Tutti e tre.
Una flebile speranza, dato che non erano in quella dei sicuramente
deceduti, come Blaine Anderson o Kurt Hummel, i cui corpi furono
ripescati, stesi su un pezzo di legno, una settimana dopo
l'affondamento, da un peschereccio che transitava dalle parti della
tragedia. Con le mani ancora unite in una stretta ormai congelata.
Dovevano essersi ritrovati in acqua. La cosa strana era che risultava
che Hummel fosse morto per un potente trauma al torace. Era stato
schiacciato da qualcosa di molto pesante, insomma. E Blaine, morto per
congelamento, doveva averlo tirato fuori dall'acqua e messo
su quel relitto di legno, forse non intuendo che non avrebbe mai potuto
davvero salvarlo.
O forse sperando che, chiunque li avesse trovati, avrebbe potuto farlo.
Una cosa che non divenne uno scandalo solo per la
particolarità della tragedia che gli aveva colpiti. Anche se
Santana sapeva. Era sempre stata una brava osservatrice e aveva notato
il modo in cui i due uomini erano soliti osservarsi a bordo.
Come qualcuno che ama di nascosto dal mondo.
Era il modo in cui lei osservava la sua dama di compagnia. Il modo in
cui avrebbe voluto essere guardata di rimando, anche se non era mai
successo. Era anche il modo in cui Sebastian guardava Harwood.
Sì, lei sapeva. Molte, troppe cose.
Avrebbe voluto sapere anche cosa fosse successo a Brittany,
Sebastian e Thad. Ma non poteva.
I loro corpi non furono tra quelli ritrovati, come mille altri, e
quando Santana toccò il suolo americano si chiese come
avrebbe fatto lei, adesso, a vivere.
Lei, sopravvissuta a discapito di molti altri.
Come poteva farlo?
La famiglia Smythe le fu molto vicina. Quando si rifiutò di
salire su un’altra nave per tornarsene in Inghilterra, le
diedero l'usufrutto della loro proprietà in Texas e una
rendita annua come vedova di Sebastian.
E, nove mesi dopo, quando divenne madre di un bel bambino che
chiamò Sebastian Junior, la famiglia di suo marito le fu
talmente grata che le intestarono tutti gli averi del loro figlio, in
modo che la donna li amministrasse per Sebastian junior fino al
raggiungimento dei suoi ventuno anni.
La resero quella che aveva sempre voluto essere, insomma. Ricca.
Libera.
Alla donna non interessava più, però. Anche se
per tutta la vita era stata educata a respingere la sua vera natura,
per fare un matrimonio che le portasse altro prestigio e lustro, ed era
infine riuscita nel suo compito, convolando a nozze con un Lord, uno
degli Smythe per di più; e anche se adesso, come sua vedova,
la sua rendita annua era in pratica triplicata, regalandole quella
libertà dai dogmi del padre che aveva sempre agognato, a lei
non interessava.
La notte del 15 aprile 1912, a bordo di una scialuppa semivuota,
circondata da donne silenziose e in lacrime, Santana Lopez aveva
scoperto che erano altro le cose che contavano davvero.
L'amore e il rispetto per esempio.
E lei era stata veramente affezionata a Sebastian.
Non lo avrebbe mai potuto amare, ma lo rispettava, e provava profondo
affetto per lui.
Lui che non poneva nessun freno al suo carattere ribelle. Lui che
ammirava la sua forza d'animo. Lui che la spronava a mostrare senza
paura la sua intelligenza e il suo coraggio. Lui che le aveva
dato un figlio bellissimo e sano, un bambino con gli stessi occhi verdi
del padre che le aveva insegnato un’altra stupenda lezione:
amare qualcuno con tutta se stessa, senza aspettarsi niente in cambio.
E adesso lo aveva perso.
Non riusciva più a dormire, a restare in spazi aperti per
troppo tempo, ad avvicinarsi all'acqua.
C'erano notti in cui la stanchezza la vinceva eppure finiva ugualmente
per svegliarsi piangendo, la testa ancora piena delle urla che aveva
udito quella notte.
Seguì il processo contro la compagnia White Star Line,
rappresentata da Bruce Ismay, e fu felice quando la parte civile, le
famiglie delle vittime, vinsero la causa. Vide il mondo cambiare la
propria mentalità bigotta a causa di quella tragedia. Lo
vide ridefinire i confini tra ricchi e poveri. E forse non avrebbe
vissuto tanto a lungo da vedere tutti i muri venire giù, ma
di sicuro aveva assistito all'inizio del declino di quegli ostacoli; e
lei, proprio lei che era sempre stata amante di certi confini,
cominciò a darsi molto da fare a sua volta
affinché fossero aboliti del tutto.
Eppure, il senso di colpa, quello, non la lasciava. Lei aveva rimandato
Brittany in camera perché non restasse fuori al freddo. Lei
aveva costretto Sebastian a mentire fino all'ultimo per poter restare
su quella nave con il suo vero amore, mentre lei saliva su una
scialuppa semivuota fingendo di non sapere che ogni notte lui andava da
Thad e solo dopo entrava nel suo letto, odorando del sesso con
un uomo, per dovere.
Lei li aveva condannati a morte. Prima ancora dell’iceberg,
lei li aveva fatti andare a fondo con quella nave.
Lei che era rimasta a guardare il Titanic prima spezzarsi in due e poi
colare a picco, a bordo di quella scialuppa che stava salvando il suo
corpo, ma non la sua anima.
Non vi sarebbe stata più pace e nessun perdono per coloro
che si erano salvati. Lo sapeva. Lo sapevano tutti.
E Santana, in fondo, sapeva che questo era anche giusto.
Cinque anni dopo l'inabissamento del Titanic, una nave che transitava
da quelle parti in cerca dei relitti del transatlantico,
riportò alla luce alcuni suoi tesori. Tra questi vi era un
vecchio violino di Liuterza dei primi del '900.
L'acqua salata non era stata molto inclemente con lui, probabilmente lo
stesso Titanic aveva fornito a quello strumento un riparo
più che adeguato e, a parte ovvie riparazioni di cui
necessitava, lo strumento era ancora in ottime condizioni.
Inciso sulla tastiera c'era il nome Blaine Devon Anderson.
Quando Santana lo seppe, partecipò all'asta per aggiudicarsi
il violino, e la vinse.
Dopo averlo rimesso a posto, lo regalò a Sebastian Junior
che aveva già mostrato, nonostante la giovane
età, una certa passione per la musica.
"La storia di questo violino è molto importante. Ha suonato
fino all'ultimo in un momento in cui molte persone stavano soffrendo, e
la persona a cui apparteneva ha dimostrato di avere forza d'animo e
fede nella speranza fino all'ultimo. Inoltre sapeva produrre note
davvero sublimi con esso. Note che parlavano di amore, di dedizione e
rispetto. Abbine cura, e lui renderà magica anche la tua
musica, Sebastian" disse al figlio, quando glielo regalò.
La vita va avanti del resto, no?
Non importa a quante cose brutte assisti, non importa quanti e quali
incubi ti tormentano cercando di impedirti di continuare a vivere.
Semplicemente, arriva un punto in cui smetti di tormentarti, e lo fai.
Vai oltre. Vai avanti. Per te stesso o qualcun'altro, ma lo fai.
È il regalo più bello e, insieme, il
più brutto che ci fa la vita.
Lei continua. E ti trascina via con sé.
Così, ogni cosa può rinascere a nuova vita. Ogni
cosa può trovare un suo nuovo futuro e, alla fine, per
quanto tu possa soffrire, risorgi a nuova vita anche tu.
Sempre.
Poi avvenne.
Sei anni dopo l'accaduto, il giorno del sesto compleanno di Sebastian
junior.
Lady Santana ricevette una cartolina. Una cartolina disegnata a mano
che raffigurava un campo di papaveri rossi. I suoi fiori preferiti.
Il timbro diceva che proveniva da Anchon Beach, una località
a sud di Cuba.
Una sola frase vi era vergata in un’elegante grafia.
"Verso l'orizzonte. E oltre. Come hai detto tu."
Non era firmata, ma alla donna non serviva per sapere chi
gliel'avesse mandata. Per sapere che era stato Sebastian.
Era vivo, dunque?
La donna si concesse di sperare di sì. Si concesse di
credere che fosse lui il mittente della missiva, e si concesse anche di
credere che Thad fosse con lui, finalmente libero di amarlo senza dover
nascondere i suoi sguardi o il suo amore, come aveva dovuto fare per
una vita.
No, Lady Lopez non era stupida, e di amori senza speranza ne sapeva
molto.
Eppure...lei era sopravvissuta a un naufragio. Lei era stata una delle
prescelte. Forse, in fondo, ciò significava che sperare non
è inutile. Che il destino, a volte, gioca anche a tuo
favore, persino nella disgrazia più nera.
Santana ci voleva credere. E lo fece, da quel giorno in poi.
Anche se non disse mai a nessuno di aver ricevuto quella cartolina, e
non gliene arrivarono altre, lei non smise mai di crederci.
Lontano molte miglia da lei, un uomo esausto dopo una lunga
giornata di lavoro nella sua terra, quella terra conquistata a fatica,
e non regalatagli per diritto di nascita, per una volta, le avrebbe
detto che faceva bene.
Che sperare, credere nel destino, era la cosa migliore che potesse fare.
Le avrebbe detto che quando stringeva la mano del suo uomo, e si
sentiva libero di essere se stesso e di avere la vita che voleva,
nascosto ma pur sempre libero, molto più di quanto fosse mai
stato, pensava che tutto il dolore sofferto fosse valso la pena.
Sebastian le avrebbe detto che credere nei miracoli, e nella forza del
destino, non era sbagliato.
Lui lo aveva fatto. Aveva combatutto contro l'inabissamento di una
nave, contro le acque gelide, contro la sua stessa debolezza per
salvare se stesso e Thad una notte di molti anni prima. Anche se ne era
stato ripagato solo a metà, lo aveva fatto. E aveva
continuato a farlo dopo. Come Thad gli aveva chiesto di fare.
Ed era stupendo.
Perché non era l'essere sopravvissuti. Era il potersi amare
senza vergogna o stupide imposizioni.
E adesso poteva farlo. Poteva amare.
Ed essere amato a sua volta.
_FINE_
L'angolo della pirla che scrive sta roba:
Fondamentalmente so che anche questo è un finale aperto. Che
cosa è successo davvero? È ancora un finale
aperto, lo so, eppure è il suo finale. L'unico che potevo
darvi. Potete pensare del futuro di Sebastian e Thad adesso, quello che
volete, quello che vi sembra più realistico.
So che deciderete che l'uomo vicino a Sebastian è Thad. Che
loro erano tra i 60 passeggeri che a nuoto raggiunsero le scialuppe
vicine dopo l'affondamento salvandosi e che un po' come Rose nel film
prendono un altro nome per potere avere una vita insieme. E volutamente
vi lascio il diritto di crederlo.
Nella mia mente invece l'uomo che Sebastian ha vicino NON è
Thad, ve lo confesso. È un uomo che si sente libero di amare
ma non il suo Thad. Thad è morto quella notte, dopo aver
raggiunto una delle scialuppe, lasciandogli in dono il coraggio di
essere libero. Non so perché lo veda così, ma
è così.
E all fine il dono che lascio a Sebastin non è il suo uomo
ma il coraggio di essere quello che è.
E Kurt e Blaine... Beh erano condannati. Non avrei mai descritto Kurt
come un ufficiale codardo che abbandona la sua nave e sopratutto non lo
avrei fatto dopo che era ovvio che Blaine, rispettando la fine della
vera banda del Titanic, sarebbe rimasto sopra di essa fino
all’ultimo per suonare. Questo è sempre stato il
mio finale per loro.
Brittany beh...avrei anche potuto salvarla ma non l'avrei mai descritta
a sua volta innamorata di Santana, non per questa storia, quindi lei
è stata piuttosto neutrale per me ma quando ho cominciato a
scriverne era così che la vedevo: addormentata
beata mentre l'acqua entrava nella cabina. E ormai lo sapete,
se la storia racconta io riporto.
Bene, concludo qui dicendovi alla prossima.
E grazie per essere stati con me anche durante questa piccola
avventura.
baci Bay24
Ps: piccola curiosità. Nel maggio del 2012 fu davvero
ritrovato il violino di Wallace e messo in vendita a un asta. La parte
che riguarda il violino di Blaine l'avevo scritta prima di scoprire
questo dettaglio però, scoperto in effetti solo quando sono
andata a cercare che tipo di violino avrebbero potuto suonare quelli
della banda del Titanic. Certe volte la fantasia non si discosta mai
molta da una verità seppur sconosciuta, eh? XD
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