I hate everything about you. Why do I love you?

di fraVIOLENCE
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6. ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7. ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8. ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1. ***


Capitolo 1


30 Agosto 2008.

Mi svegliai abbastanza presto quella mattina.
Mi feci una doccia veloce, mi vestii e lentamente entrai nella cameretta di Ava.
Mi avvicinai al suo letto e le accarezzai i capelli biondi, svegliandola dolcemente.
"Amore? E' ora di alzarsi" - sussurrai.
Lei aprii lentamente gli occhi e sorrisi, perdendomi in quegli occhioni azzurri.
"Che ore sono, mamma?" - mormorò lei, con voce assonnata.
"Sono le sette e mezza, non ci vuoi andare stamattina al campo? Ci accompagna lo zio Mark!" - le risposi, sporgendomi a lasciarle un lieve bacio sul piccolo nasino.
Lei annuii sorridente e si alzò, correndo verso il bagno.
La aiutai a prepararsi, misi due fette di torta di mele e una bottiglietta di succo alla pera in una piccola borsetta fucsia e uscimmo di casa.

Faceva molto caldo quella mattina.
Presi Ava per mano dopo aver indossato gli occhiali da sole e sorrisi, avvistando Mark qualche metro più avanti.
Ava mi lasciò la mano e corse verso di lui, saltandogli in braccio.
"Zio Mark!" - strillò lei, divertita.
"Hei, principessa! Come andiamo? Tutto bene?" - le chiese Mark sorridente, baciandole la fronte e stringendola a sè.
"Sì! Voglio andare a giocare con gli altri bambini!" - rispose lei, mentre Mark la fece scendere dalle sue forti braccia e la prese per mano.
Mi avvicinai a loro e salutai Mark con un bacio sulla guancia, per poi afferrare delicatamente la mano della bambina, che saltellava felice.
"Come mai oggi ha tutta questa voglia di andare al campo estivo?" - mi domandò Mark, ridendo.
"Non lo so" - risposi, sorridendo - "Oggi si è svegliata più allegra del solito!" - dissi, iniziando a camminare sul marciapiede.
Avevo deciso di iscrivere Ava ad un campo estivo organizzato dal comune per farle conoscere i suoi futuri compagni di classe.
Eh già, tra poche settimane la mia bambina avrebbe iniziato la scuola elementare.
Arrivati al grande cancello dell'asilo in cui si svolgevano i corsi estivi, porsi la borsetta ad Ava e mi chinai per darle un lungo bacio sulla guancia.
"Divertiti amore! E stai attenta!" - le ricordai, sorridendo e vedendola correre verso il grande cortile dell'asilo.
Sospirai, voltandomi verso Mark.
"Tutto bene?" - mi chiese.
"Sì, è solo che non sopporto tutto questo caldo" - sbuffai, passandomi una mano sul viso.
"Dai vieni, andiamo a fare colazione" - mi propose, incamminandosi verso uno starbucks non molto lontano da lì.
Approvai e lo seguii, guardando dritto davanti a me.
Ci sedemmo su delle poltroncine all'ombra e ordinammo due cappuccini freddi quando il cameriere venne a chiederci le ordinazioni.
Afferrai il bicchiere e iniziai a bere dalla cannuccia, osservando Mark che beveva distrattamente il suo cappuccino.
"Hei.. Tutto okay?" - gli chiesi, agrottando la fronte.
Lui annuii appena, sospirando e appoggiando il bicchiere sul tavolino.
"Mi mancano Skye e Jack, da morire.." - sussurrò.
"Sono ancora in montagna dai genitori di Skye?" - domandai, mordicchiando la punta della cannuccia nera.
"Sì, tornano la settimana prossima. Non ce la faccio più, giuro" - rise nervosamente.
"Che tenero" - dissi, sorridendo dolcemente mentre mi sistemavo gli occhiali da sole.
"E poi.. C'è un'altra cosa che mi turba" - quasi lo sussurrò, mordendosi freneticamente le labbra.
"Cioè?" - domandai curiosa, appoggiando il mio bicchiere vuoto di fianco al suo.
"Ieri sera mia sorella ha visto Tom. E' tornato a Poway" - disse Mark tutto d'un fiato, sollevando lo sguardo per incrociare il mio.
Il mio cuore perse un battito e la mia schiena venne invasa dai brividi.
"E.. E allora?" - balbettai, strofinando i palmi delle mani sudati sulle cosce.
"No.. Nulla. E' che mi farebbe strano incontrarlo. Non ci vediamo da quasi tre anni.." - sospirò.
"Ci vorresti parlare?" - gli domandai, osservandolo.
Lui scrollò le spalle, soffocando una risata nervosa.
"Non saprei. Ma credo di no. Tom si è rivelata una persona completamente diversa da quella che avevo conosciuto" - ammise.
"Già" - sospirai, abbassando lo sguardo e mordicchiandomi le labbra.
"E Travis da quanto non lo vedi?" - mi domandò Mark.
"L'ultima volta l'abbiamo visto insieme, l'anno scorso, non ricordi? Quando è partito per Pittsburg con i bambini" - gli ricordai.
Lui annuii, ammirando la punta delle sue scarpe.
"Te lo dico apertamente, Jennifer. Se Tom si avvicina a te o ad Ava e fa qualcosa che non deve fare devi dirmelo subito, chiaro?" - disse Mark, serio.
I suoi occhi azzurri guardavano così intensamente i miei che quasi rabrividii.
"Certo, grazie" - sussurrai, con la voce appena tremante.
"E non esitare a chiamare la polizia" - mi raccomandò.
"Non preoccuparti. Il problema non sono io. L'importante è che non si avvicini ad Ava" - iniziai a giocare distrattamente con una ciocca di capelli.
Mi avvicinai a Mark e appoggiai la testa sulla sua spalla, chiudendo gli occhi e sospirando.
"Grazie" - mormorai, guardando distrattamente i due bicchieri ormai vuoti sul tavolino.
"Non devi ringraziarmi, lo sai che per te farei di tutto. Sei la mia migliore amica" - mi cinse le spalle con un braccio e accennai un sorriso, schioccandogli un lieve bacio sulla guancia.
"Ti ricordi anni fa quando il nostro unico pensiero era essere puntuali alle gare di skate, scegliere un film da guardare la sera e trovare un posto dove poter birra a non finire senza che nessuno ci dicesse nulla?" - domandai.
"Certo che mi ricordo" - rispose lui, sfoderando un sorriso malinconico.
"Non sai quanto vorrei tornare indietro" - sospirai.
"Sai cosa facciamo adesso?" - disse Mark, sorridendo e mollando lentamente la presa del suo braccio attorno alle mie spalle.
Lo scrutai curiosa, attendendo che finisse di parlare.
"Andiamo al parco vicino alla vecchia casa di Tom, ci distendiamo sull'erba e parliamo di tutto quello che ci passa per la testa. Come i vecchi tempi. Ci stai?" - mi domandò.
"Ci sto!" - sorrisi, alzandomi e lasciando una banconota da cinque dollari sul tavolino, accanto ai bicchieri vuoti.
Ci avviammo verso il parco, percorrendo prima un viale alberato.
Appena entrati nel viale che portava al parco sentii lo stomaco stringersi improvvisamente e il cuore mi sembrò fermarsi per un istante.

"Tu sei pazzo! Andrai in tour in Australia con la tua band e a cosa pensi? Alla tua ragazza che lascerai da sola solo due settimane?"
Lui si avvicinò a me, facendo sfiorare prima i nostri nasi e poi le nostre labbra.
"Ormai tu sei al primo posto nella mia vita. Tutto ruota intorno a te" - sussurrò, per poi lasciarmi un lieve bacio umido sull'angolo della bocca.
Sorrisi dolcemente e chiusi gli occhi, appoggiando le mani ai lati del suo collo, baciandolo e sospirando sognante.
"Ti amo, Jennifer"  - sussurrò.


Afferrai velocemente la mano di Mark, fermandomi di colpo.
"Hei, tutto bene?" - mi domandò Mark, preoccupato.
Annuii leggermente, sospirando e riprendendo a camminare.
"Troppi ricordi" - ammisi, abbassando lo sguardo e lasciando lentamente la sua mano.
"Vuoi tornare indietro?" - chiese lui, premuroso.
Scossi la testa, mordendomi le labbra e continuando a camminare vicino a lui.
"No. Non lascerò che uno stupido idiota rovini tutti i bei ricordi che ho di questo posto" - risollevai lo sguardo e il mio passo si fece più deciso.
Ci andammo a stendere sotto un albero ed entrambi appoggiammo le mani dietro la nuca, osservando il cielo.
Rimanemmo per qualche minuto in silenzio, ognuno perdendosi nei propri pensieri, finchè lui non interruppe quel silenzio.
"A cosa stai pensando?" - mi domandò.
"Che vorrei tornare indietro e rifare tutto da capo" - dissi decisa, osservando le nuvole muoversi nel cielo a causa del leggero vento che aveva iniziato a soffiare.
"E cosa cambieresti?" - Mark voltò il viso verso il mio, osservandomi.
"Non mi affezionerei a Tom. Non lo amerei. Non mi fiderei di lui, delle sue parole. Certo, se così fosse non esisterebbe Ava.. E non so la mia vita come sarebbe senza di lei" - risi nervosamente - "Non riesco nemmeno ad immaginarla una vita senza di lei. La amo così tanto. Penso sia l'unica cosa buona che Tom abbia mai fatto"
"Se Ava è una bellissima bambina è solo per merito tuo. Tom è stato presente solo i primi tre anni della sua vita, poi ti ha lasciata da sola. Quindi secondo me lui ha solo il merito di averti aiutato a metterla al mondo" - rispose Mark - "La piccola ti ha più chiesto di Tom?" - mi chiese.
Annuii, sospirando e chiudendo gli occhi.
"L'altro giorno mi ha chiesto dov'era il suo papà e ha detto che gli manca. Non so per quanto tempo ancora possa leggere la storia del lungo viaggio. Forse tra un po' sarò costretta a dirle la verità"
"E come pensi di fare? Insomma.. Lei lo vede in tv, lo riconosce, no?"
"Sì.. Mi dice sempre che vede un uomo che assomiglia al suo papà in televisione. E il più delle volte non le rispondo, cambio discorso, faccio finta di non capire o la confondo. Ma questa storia non regge più, non so cosa fare" - sospirai, passandomi le mani sul viso.
"E cosa hai intenzione di dirle? Che suo padre dopo aver chiuso i rapporti con i suoi due migliori amici ha iniziato ad avere problemi con l'alcohol e che il giudice gli ha vietato di vedere sua figlia dopo il divorzio?" - domandò Mark, sarcastico.
"Non lo so. Non lo so, Mark" - sussurrai con voce spezzata - "Ho paura che lei senta la mancanza di una figura maschile nella sua vita. Certo, ci sei tu. Ma hai già la tua famiglia. Lei ti vede come uno zio, non come un padre"
Mark non rispose e tornò ad osservare il cielo, sospirando silenziosamente.
Richiusi gli occhi e mi voltai verso Mark, appoggiando la testa sul suo petto e stringendomi a lui.
Dovevo trovare una soluzione. Dovevo trovare una soluzione a quel problema più grande di me.


Finalmente dopo tanto mi sono convinta a postare il seguito, anche se non mi convince moltissimo :/
Spero che l'inizio vi piaccia! :3

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Capitolo 2
*** Capitolo 2. ***


Capitolo 2.


"Sono contento di essere riuscito a convincerti a farti uscire stasera!" - rise Mark, sistemandosi la camicia e uscendo dal locale.
"Sono contenta anche io di essere uscita. Per fortuna che Dylan era a casa e ha potuto badare ad Ava" - risi anche io, seguendolo e sistemandomi la borsa sotto al braccio destro.
Camminavamo velocemente sul pontile, allontanandoci dalla musica house che risuonava nella discoteca.
Era circa mezzanotte, il cielo era pieno di nuvole e soffiava un forte vento: avrebbe iniziato a piovere da un momento all'altro.
I fulmini tagliavano il cielo e i tuoni emettevano un rumore frastornante dopo aver dipinto il cielo di bianco.
Mi strinsi a Mark per ripararmi dal vento e mugolai, sentendo la pelle venire invasa dai brividi.
"Perchè abbiamo deciso di venire a piedi? Perchè?" - domandò Mark, ridendo.
Risi anche io, chiudendo gli occhi e lasciandomi guidare dai passi del mio amico.
Accellerammo maggiormente il passo, continuando a ridere come due bambini, finchè una voce che chiamò il nome di Mark non ci fece sussultare.
La riconobbi subito quella voce. Non volevo e non dovevo voltarmi.
La mia mano scivolò subito su quella di Mark, che me la strinse forte.
Mark si girò, sospirando.
"Thomas" - disse, distaccato.
Mi voltai anche io, mordendomi nervosamente le labbra.
"Ciao, Jennifer" - disse Tom, barcollando verso di noi con un sorriso molto poco sobrio.
Infatti, appena aprì bocca, venni invasa da un odore di vodka alla menta che mi diede la nausea.
Mi ricordò l'ultima volta che lo avevo baciato e lo stomacò si rivoltò al solo pensiero di quella bocca che premeva sulla mia, di quelle mani sul mio corpo.
Lo guardai con tutto l'odio che avevo dentro, senza degnarlo di una risposta.
"Che cosa vuoi?" - domandò Mark, irritato.
"Cosa c'è? Non posso nemmeno salutarvi?" - chiese Tom con una risata, cercando di rimanere in equilibrio.
"Mark, andiamo.." - sussurrai, indietreggiando e stringendo più forte la sua mano.

Tom in quelle condizioni mi aveva sempre fatto paura. Non lo vedevo da tre anni, e non sapevo che razza di persona era diventata.
Tre anni fa Tom aveva deciso di dedicarsi ad un nuovo gruppo dopo aver conosciuto dei ragazzi in un locale di San Diego. Voleva creare musica più seria, più matura.
Fondò una nuova band, gli Angels and Airwaves. Nome che tra l'altro scegliemmo insieme. Lui diceva che quella band sarebbe stato un tributo a nostra figlia Ava.
Iniziò però a trascurare Mark e Travis: non rispondeva più alle loro chiamate, non si presentava alle prove e agli appuntamenti, finchè un giorno li accusò di essere degli immaturi, senza un motivo specifico.
Cambiò numero e disse al manager di avvisarli che lui non avrebbe mai più fatto parte della band.
Tom era diventata un'altra persona: aveva iniziato a bere e di conseguenza ad allontanare tutte le persone per lui care. Non gliene importava più niente di nessuno, nemmeno di me o di Ava.
Una sera, più sbronzo del solito, arrivò ad insultare anche a me. Sopportai anche quella per il bene di nostra figlia, ma quando Tom arrivò ad alzare le mani con me, non esitai a denunciarlo e a chiedere il divorzio.
Dopo una notte passata in cella, Tom pagò la cauzione. E non solo quella. Pagò anche vari giornalisti e fotografi, per non far sapere in giro quanto era accaduto.
Sembrava importargli più della sua nuova cerchia di amici che del bene della nostra famiglia. Quando il giudice gli vietò di vedere Ava, infatti, lui scomparve.
Non una telefonata, non una lettera, nemmeno un tentativo per cercare di rinconquistarci.
Si trasferì a New York e continuò la sua carriera, come se niente fosse successo.


Tom agrottò la fronte, facendo scivolare il suo sguardo sulle nostre dita intrecciate.
"Oh mio dio" - sbottò in una risata che sembrava tutto tranne che sincera. Una risata sarcastica.
"Voi due vi siete messi insieme?!" - chiese Tom, sbalordito.
Non gli risposi e mi tenni stretta a Mark, che lo fissava con odio.
Non avevo mai visto Mark guardare qualcuno in quel modo. E non avrei mai immaginato che un giorno avesse guardato così Tom.
Tom si avvicinò al viso di Mark, ricambiando quello sguardo e facendo sfiorare la punta del naso con il suo.
"Jennifer è mia" - sibilò tra i denti.
"Mark, ho detto andiamo" - sospirai, indietreggiando ancora e tirandolo verso di me.
"No Thomas, non stiamo insieme. Ma Jennifer non è più tua. E devi starle lontano" - rispose a tono Mark.
"Mark, lascia stare!" - alzai il tono della voce per attirare l'attenzione, mentre i brividi aumentavano. Un po' per la paura e un po' per il freddo.
Tom si allontanò dal viso di Mark e si avvicinò al mio.
Era cambiato. Non lo riconoscevo più. E non era di certo merito del taglio di capelli diverso, dei chili in più e del modo di vestire diverso.
Il suo sguardo era diverso. I suoi occhi. Il suo cuore. Non era la persona che avevo conosciuto quel pomeriggio di settembre del 1992.
Non era la persona che avevo sposato, non era più la persona di cui mi ero innamorata e con cui volevo condividere il resto della vita.
"Hai detto bene Jennifer, lascia stare. Tu sarai per sempre mia, lo sai?" - mi sussurrò, avvicinandosi alle mie labbra con uno strano sorrisetto dipinto in volto.
Mark si mise in mezzo e lo spintonò con forza.
"Lasciala in pace!" - urlò con rabbia, per poi voltarsi e portarmi con rapidità lontano da lì.

Entrai in casa dopo aver salutato Mark con ancora le mani che mi tremavano e gli occhi pieni di lacrime.
Salutai distrattamente Dylan, che mi chiese cos'avessi.
Mi giustificai dicendo di essere stanca e non abituata a uscire la sera: non volevo che si preoccupasse.
Entrai nella cameretta di Ava dopo essermi tolta quelle fastidiosissime ballerine: nonostante avessi ormai trent'anni non riuscivo ad indossare scarpe con il tacco o che possedessero un minimo di classe o eleganza.
Mi sedetti sul bordo del suo letto, facendo attenzione a non svegliarla e sospirai, passandole delicatamente una mano tra i capelli.
Gli occhi mi si colmarono presto di lacrime che iniziarono a scendere rapidamente dai miei occhi.
I singhiozzi si erano fatti così rumorosi che Ava si svegliò e si mise seduta sul materasso mentre rapidamente mi asciugavo le lacrime.
"Stai piangendo, mamma?" - sussurrò lei assonnata, sbadigliando.
Scossi la testa, tirando su con il naso.
"No amore, sono solo un po' raffreddata. Adesso dormi dai, è tardissimo. Sennò domani mattina non riesci a svegliarti" - sussurrai con voce spezzata dal pianto.
Lei annuii, sbadigliando nuovamente.
"Posso dormire nel lettone con te?" - farfugliò, stropicciandosi l'occhio destro con la manina.
"Certo piccola" - mormorai con voce roca, prendendola in braccio e incamminandomi verso la mia camera.
La appoggiai delicatamente sul materasso e la coprii con un lenzuolo, per poi sfilarmi il vestito e indossare una lunga maglia della DC.
Mi distesi vicino ad Ava e sorrisi, quando lei si strinse al mio petto.
"Buonanotte mamma" - biascicò, strusciando il nasino nell'incavo del mio collo.
"Buonanotte amore" - le baciai amorevolmente la testa e iniziai ad accarezzarla per fare in modo che si addormentasse più in fretta.
Sistemai la testa sul cuscino e chiusi gli occhi, sospirando e cercando di non pensare a quanto accaduto, ma era inevitabile.
Avevo paura. Avevo paura che lui tornasse, che mi dicesse qualcosa. Che parlasse ad Ava, che mi seguisse.
Avevo paura di tutto. Non sapevo che razza di persona era diventata Tom. Poteva fare qualsiasi cosa. E la cosa che mi spaventava era la sua testardaggine.
Secondo Mark avrei dovuto chiamare la polizia, ma non me la sentivo di scombinare nuovamente la nostra vita, soprattutto adesso che Ava si era quasi abituata all'assenza di suo padre.
Quel pensiero mi tormentava, mi uccideva.
Quella notte dormii circa un'ora, e in più feci anche uno strano sogno.
Sognai una spiaggia deserta in un giorno di pioggia, con delle rose sulla riva e un orsacchiotto di peluche, nient'altro.
Quando suonò la sveglia mugolai in segno di disapprovazione, allungando la mano sul comodino per spegnerla.
Quella sarebbe stata una lunga giornata.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3. ***


Capitolo 3


Uscii dalla casa di mia madre dopo aver accompagnato Ava che erano circa le 22.30: avrebbe passato il week-end con la nonna.
Frugai tra la borsa e presi le chiavi, aprendo la macchina e mettendomi la cintura.
Sarebbe stato un fine settimana noiosissimo senza Ava.
Abbassai i finestrini della macchina e ruotai le chiavi, mettendo in moto e partendo verso casa con una sgommata.
Dopo circa un quarto d'ora arrivai a casa e parcheggiai la macchina fuori dal cancello, per poi uscire e sistemarmi la camicetta in jeans.
Iniziai a camminare distrattamente verso la porta, iniziando a cercare il telefono nella borsa, finchè non mi sentii tirare per un polso.
Istintamente iniziai a urlare e dimenarmi, finchè una mano non mi tappò la bocca e venni invasa da un profumo che conoscevo bene.
Continuavo a urlare, nonostante la mano sul mio viso e con molta fatica riuscii a liberarmi da quella possente stretta.
"Tom, lasciami o giuro che chiamo la polizia!" - strillai, spingendolo con forza verso il cancello - "Che cazzo ci fai qui?" - continuai a urlare.
"Jennifer, ssh" - sussurrò lui, avvicinandosi nuovamente a me e appoggiando le sue mani sul mio viso, cercando di accarezzarmi con dolcezza.
Lo spinsi nuovamente, ma lui fu più veloce di me e mi afferò per i polsi, avvicinandosi a me e premendo la fronte sulla mia.
Abbassai lo sguardo per non guardarlo negli occhi.
"Lasciami, mi stai facendo male" - sibilai.
"Tu fammi parlare e io ti lascio in pace" - rispose lui, calmo.
Sospirai, strattonando appena i polsi e lui mollò la presa.
Sollevai lo sguardo e feci un passo indietro, scrutandolo.
"Parla, ma fai in fretta" - dissi, più fredda che mai.
"Niente.. Volevo solo dirti che mi mancate" - mormorò lui, guardandomi intensamente negli occhi.
"Bene, hai parlato, adesso puoi anche andare" - mi voltai e presi le chiavi dalla borsa, aprendo la porta ed entrando velocemente.
Lui corse verso la porta e la bloccò con un piede, tenendo la maniglia esterna con la mano.
"Tom, smettila. Non mi interessa che ti manchiamo. Hai fatto le tue scelte e adesso ne paghi le conseguenze, finiscila" - cercai di chiudere la porta, ma senza risultato.
Tom riuscì ad aprirla ed entrò in casa, tenendo gli occhi fissi sui miei.
"Jen, te lo leggo negli occhi che anche io ti manco. Cosa hai intenzione di dire ad Ava? Lo so che continua a chiederti di me, è normale per una bambina della sua età" - disse, avanzando verso di me.
"S-smettila, non è vero. Lei non mi chiede mai di te, no. Le dò tutto l'affetto di cui ha bisogno, lei non ha bisogno di te" - balbettai con voce roca, cercando di essere il più convincente possibile.
Lui continuava ad avanzare ed io ad indietreggiare, finchè non mi trovai con le spalle al muro.
"Dire bugie non ti porta da nessuna parte, lo sai che ho ragione" - disse, appoggiando i palmi delle mani sul muro e impedendomi ogni tipo di via di fuga.
Chiusi gli occhi e abbassai la testa, iniziando a singhiozzare silenziosamente.
Aveva ragione: Ava aveva bisogno di una figura maschile nella sua vita e non sapevo più cosa raccontarle.
"Non piangere" - mormorò lui dolcemente, appoggiando l'indice sul mio mento e facendomi alzare la testa.
Aprii gli occhi, tirando su con il naso e guardandolo profondamente negli occhi.
"Mi distrugge vederti piangere" - sussurrò lui nuovamente, avvicinandosi al mio viso e appoggiando la fronte sulla mia.
Mi sembrava di essere diventata una bambola. Non riuscivo a muovermi. Ero rimasta rapita da quegli occhi color nocciola che in quel momento mi sembravano quelli che mi avevano fatta innamorare.
Tom mi cinse la vita con le braccia e lentamente portai le mani dietro al suo collo, stringendomi leggermente a lui.
In quella stanza c'era il silenzio più assoluto, si sentivano solo i nostri respiri che soffiavano uno sul viso dell'altro.
Tom si decise finalmente ad accorciare quella distanza e appoggiò le labbra sulle mie, baciandole teneramente.
"Non ho smesso un attimo di amarti, Jennifer" - sussurrò tra le mie labbra.
A quelle parole rabbrividii e mi strinsi maggiormente a lui, schiudendo le labbra e facendo incontrare le nostre lingue.
Il mio cuore iniziò a battere più veloce mentre le nostre bocche si muovevano dolcemente una sull'altra.
Gli morsi leggermente le labbra quando il bacio divenne più passionale e gli afferrai i capelli con le mani, mentre una sua mano si insinuò sotto la camicia appena sbottonata per accarezzarmi il seno.
Non sapendo nemmendo il perchè, lo lasciai fare, ma quando la sua mano sinistra cercò di slacciarmi i jeans, lo allontanai.
Lui mi guardò interrogativo, con le labbra appena gonfie e il respiro affannato.
Mi passai la mano sulle labbra per asciugarle e scossi la testa, sospirando.
"No, non ce la faccio" - mormorai.
"Devi solo lasciarti andare" - disse lui, avvicinandosi al mio collo e iniziando a mordicchiarlo.
Sospirai di piacere mentre la mia schiena veniva invasa dai brividi. Cercai di raccogliere tutta la mia volontà e appoggiai una mano sul suo petto, scostandolo.
"Tom, vai a casa" - sospirai, riabottonandomi la camicia ed evitando il suo sguardo.
"Va bene, vado. Ma ricorda che non potrai fingere per sempre" - si allontanò, si voltò e uscì dalla porta.


Mark.
Ero steso sul divano a guardare la televisione, finchè il campanello che suonava ininterrottamente non mi fece sobbalzare.
Mi sollevai di colpo dal divano, sbattendo più volte le palpebre, per poi alzarmi e andare ad aprire la porta, sbadigliando.
"Ciao Mark" - biascicò Jennifer, decisamente sbronza.
Sospirai e la presi per mano, tirandola in casa e chiudendo la porta dietro le sue spalle.
"Che cazzo hai combinato?" - le chiesi.
"Nulla, ho trovato una bottiglia di vodka a casa e per sbaglio l'ho bevuta tutta" - rise lei, appoggiandosi a me.
"Dio, Jennifer! Perchè fai queste stronzate? Me lo spieghi? Non hai più ventunanni!" - la tirai per un braccio, facendola sedere sul divano.
"Non strattonarmi così, sono pur sempre una signora!" - piagnucolò lei, tirandomi vicino a sè.
Caddi sul divano vicino a lei, sospirando.
"E' per Tom che l'hai fatto, vero? Rivederlo l'altro giorno ti ha messo angoscia e hai deciso di bere?" - le domandai.
"L'ho visto anche prima" - rise - "Stava per scoparmi, ti rendi conto?" - mi domandò, continuando a ridere.
"Che cosa?" - agrottai la fronte, guardandola - "Jen, sei ubriaca, non sai quello che stai dicendo" - sospirai - "Ti metto a letto, stanotte rimani qui"
"E' vero! E' venuto a casa prima, mi ha baciata, stava iniziando a spogliarmi ma poi l'ho mandato via" - farfugliò lei, guardandomi con un sorriso poco sobrio.
"Continuava a dirmi che mi ama, che Ava ha bisogno di lui e che non posso continuare a fingere" - continuò, facendo una smorfia - "Ha ragione, non posso fingere! Ma che posso farci?!" - scrollò le spalle.
"Cosa? E' perchè non hai chiamato me o la polizia? Lui non può fare così, lui ti ha tirato uno schiaffo tre anni fa. Ti rendi conto o no?" - urlai contro di lei, furioso.
"Non urlare, ti prego" - sussurrò lei, con gli occhi lucidi.
"Domani ci pensiamo. Adesso vieni, ti porto a letto" - la strattonai verso di me, guidandola in camera.
Aprii la porta e lei si buttò sul letto, mugolando.
"Vado sul divano, se stai male o hai bisogno di qualcosa chiamami, va bene?" - le sistemai il cuscino dietro la testa.
"No, non lasciarmi da sola" - sussurrò lei, afferrandomi la mano e facendomi sedere sul materasso.
"Ti lascio da sola perchè sono arrabbiato" - dissi, freddo.
"Mark, ti prego!" - mugolò lei, tirandomi per un braccio.
Mi sdraiai vicino a lei e appoggiai la testa sul cuscino, sospirando.
"Potevi venire subito da me invece di ridurti in questo stato, cretina" - la rimproverai e come risposta ricevetti solo un mugolio.
"Abbracciami, sto male" - sussurrò lei impercittibilmente, stringendosi al mio petto.
"Ti gira la testa?" - le domandai, accarezzandole la testa e abbassando il viso per guardarla.
Lei annuii, per poi scoppiare in un pianto liberatorio.
"Sfogati" - le sussurrai all'orecchio, stringendola maggiormente a me e accarezzandole la schiena.
Lei sollevò il viso e la guardai profondamente negli occhi.
Le presi il viso tra le mani e le asciugai le lacrime con i pollici, abbozzando un sorriso.
Jennifer socchiuse gli occhi e portò una mano dietro la mia nuca, avvicinando il viso al mio e facendo sfiorare le nostre labbra.
"Jennifer.. Che stai facendo?" - balbettai, cercando di allontanarla.
"Voglio un bacio. Solo uno. Ho.. Ho solo bisogno di affetto" - sussurrò con un tono di voce poco cosciente.
Sospirai e mi allontanai velocemente.
"Sei ubriaca, non sai cosa stai facendo. Adesso dormi, ne hai bisogno" - afferrai il lenzuolo e cercai di coprirla.
"Un bacio solo Mark, cosa ti costa?" - mi domandò, avvinghiandosi nuovamente al mio collo.
"Jennifer, smettila. Ti abbraccio ma non ti bacio. Non sai quello che stai facendo" - la strinsi a me e appoggiai la testa sulla sua spalla, sospirando.
Lei non mi rispose e iniziai ad accarezzarle lentamente la schiena con le dita, cercando di farla addormentare.
Lentamente si voltò, dandomi le spalle e mi prese il braccio, facendolo avvolgere attorno alla sua vita e facendomi appoggiare la fronte sulla sua nuca.
Dopo circa un quarto d'ora riuscii a percepire il suo respiro lento e regolare e capii che finalmente si era addormentata.
Strusciai il naso nei suoi capelli e mi sistemai meglio dietro di lei e dopo non so quanto, finalmente, mi addormentai anche io.

Scusate il grandissimo ritardo, ma ho avuto un periodo molto impegnativo!
Recensite se vi va :3

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Capitolo 4
*** Capitolo 4. ***


Capitolo 4


Aprii lentamente gli occhi e mugolai, richiudendoli subito a causa della luce che riempiva la stanza.
Mi rifugiai sotto al cuscino, sbuffando. Era già mattina, e mi svegliai con un gran mal di testa. Si prospettava un bel sabato, insomma.
Mi schiarii la voce e spostai il cuscino da sopra la mia faccia.
"Mark?" - lo chiamai, per poi sbadigliare.
Sentii dei passi avvicinarsi alla camera e lo vidi entrare, guardandomi con aria interrogativa.
"Che c'è?" - mi domandò, freddo.
"Hai qualcosa per il mal di testa?" - sospirai, mettendomi a sedere.
"Sì, dovrei avere delle pastiglie. Adesso te ne porto una" - disse, prima di sparire nel corridoio.
Mi portai le ginocchia al petto e sollevai lo sguardo quando accanto a me trovai Mark, che mi porgeva una piccola pastiglia bianca.
La afferrai e la mandai giù, senza aver bisogno di bere dell'acqua.
Mark si risollevò dal materasso e uscii velocemente dalla stanza.
Agrottai la fronte, era strano. Strano forte.
"Mark?" - lo chiamai nuovamente, aspettando una sua risposa.
Lo sentii sospirare e ritornò in camera.
"Dimmi" - rispose, scocciato.
"Mi dispiace per ieri sera. Non dovevo bere e non dovevo disturbarti. Mi dispiace tanto" - sospirai, abbassando lo sguardo - "Spero di non averti dato fastidio 'sta notte"
"Non preoccuparti, okay?" - si sforzò di sorridermi.
"Non mi preoccupo, okay. Ma perchè sei così.. Distaccato? Che è successo?" - sollevai lo sguardo per guardarlo.
"Non importa Jennifer, lascia stare" - fece per allontanarsi, ma gli presi una mano e lo costrinsi a voltarsi verso di me.
"A me importa. Cosa ho fatto?" - gli domandai, guardandolo intensamente negli occhi.
"Tralasciando il fatto che ti sei quasi lasciata scopare da Tom invece di chiamare aiuto? Oppure vogliamo parlare del fatto che ti sei ubriacata come se non ci fosse un domani e ti sei messa alla guida? Mah nulla, hai tentato di baciarmi. Perchè avevi 'bisogno di affetto'" - precisò lui - "Ma, hey, lascia stare, non mi va di parlarne" - continuò.
Abbassai lo sguardo, mentre le mie guance si dipingevano di un rosso acceso.
"S-Scusa.. Mi dispiace" - balbettai, scoprendomi e alzandomi dal letto.
"Dove vai?" - mi domandò Mark, mentre mi rimettevo le converse.
"Ti ho disturbato fin troppo.. Torno a casa. E poi stasera tornano Skye e Jack, dovete stare insieme" - mi legai i capelli in una coda e feci per uscire dalla camera, ma il mio amico mi bloccò.
"Jennifer, non sono arrabbiato poi così tanto" - mi guardò negli occhi.
"Infatti. Sei incazzato nero, è diverso. E mi dispiace, davvero. Non so cosa mi sia preso, non sapevo quello che stavo facendo. L'incontro con Tom mi ha scombussolata" - ricambiai lo sguardo.
"Sono infastidito più che altro. Volevi baciarmi per usarmi, non è così? Per non pensare a Tom?" - mi domandò lui, agitato.
"No!" - sbarrai gli occhi - "Io non me ne approfitterei mai di te! E so che tu non faresti mai lo stesso con me, e ti ringrazio molto per avermi fermata" - dissi.
"Va bene, l'importante è questo" - rispose Mark, spostandosi dalla porta per farmi passare.
"Perchè questa domanda?" - lo scrutai, curiosa.
"Così" - si limitò ad una scrollata di spalle - "Lo sai quanto mi dia fastidio essere usato ed essere preso in giro. Ma lasciamo stare questa storia, mi fido di te" - mi pizzicò la guancia, accennando un sorriso.
"Grazie, davvero. Grazie di tutto. Non so come farei se non ci fossi tu" - ricambiai quel debole sorriso e lo abbracciai, schioccandogli un bacio sulla guancia.
Mark ricambiò quella stretta, per poi scioglierla lentamente dopo qualche istante.
"Io vado a casa a farmi una doccia, mi sento uno schifo" - soffocai una risata - "Buona fortuna per stasera, divertiti con Jack e Skye!" - dissi cordialmente.
"Va bene! Se hai bisogno chiamami! Ciao, Jen, ti voglio bene" - esclamò lui, mentre scendevo velocemente le scale.



Erano circa le 23.30.
Ero distesa sul divano a mangiare pizza surgelata e a guardare uno stupido quiz in tv. Indossavo una maglia larga e dei pantaloncini corti e i capelli erano sciolti e scompigliati: il ritratto della femminilità.
Morsi l'ultimo pezzo di pizza e appoggiai il piatto vuoto sul tavolino, masticando.
Mi alzai e mi diressi in cucina, aprendo il frigo, prendendo una bottiglia di succo alla pesca e bevendo da essa.
Mi asciugai le labbra con il dorso della mano e chiusi il frigorifero dopo aver risposto la bottiglia.
Tornai in salotto e presi il telecomando della tv, sbuffando e spegnendola.
Odiavo la televisione, non trasmettevano mai nulla di interessante. Solo stupidi reality show e film strappa-lacrime. Anche MTV aveva smesso di passare musica decente: si era dedicata ad un demenziale programma che riprendeva la vita quotidiana di giovani quindicenni rimaste incinte. Stupide idiote, io a quindici anni a malapena avevo dato il mio primo bacio.
Mi avviai verso la camera da letto, ma mi bloccai vicino le scale quando sentii citofonare.
Agrottai la fronte e mi voltai verso la porta, pensando a chi potesse essere a quell'ora.
Afferrai il citofono e risposi.
"Sì? Chi è?"
"Jennifer, ti prego, mi apri?"
Sospirai e chiusi gli occhi, appoggiando la fronte sul muro che reggeva il citofono.
"Tom, ti ho già detto ieri sera che te ne devi andare. Non ti voglio più vedere, non abbiamo bisogno di te" - spiegai.
"Solo un attimo, per favore" - insistette.
Sbuffai e premetti il pulsante per aprire il cancello, aprendo la porta e vedendolo camminare verso di me.
"Ti dò solo un minuto, sono stanca e voglio andare a dormire. Dimmi cosa vuoi. Per l'ultima volta, Thomas, poi giuro che se ti rifai vivo chiamo la polizia, non me ne importa nulla della figura che ci fai con i tuoi fan e con i giornali. Ti faccio finire dentro seriamente questa volta" - lo guardai intensamente negli occhi mentre si richiudeva la porta dietro le spalle.
"Jennifer, perchè non capisci? Perchè non capisci che sono cambiato? Che voglio cercare di rimediare a tutti gli errori commessi in passato? Sono cambiato, sono tornato quello di prima!" - cercò di convincermi, prendendomi una mano, ma io lo scostai.
"Ti ho detto che non ho bisogno di te! Non ti amo Thomas, non ti amo più!" - bugia, lo amavo ancora. Ma amavo il vecchio Tom: quel ragazzo con il piercing al labbro. Quel ragazzo scombinato che non si sentiva al sicuro se non si nascondeva sotto quel cappellino arancione. Quel ragazzo che pianse di felicità quando gli confessai di aspettare un bamino. Quel ragazzo che mi accudiva, che mi amava, che prendeva in braccio nostra figlia e che la cullava per farla addormentare. Quel ragazzo che la notte si svegliava per darle da mangiare, quel ragazzo che ripeteva di amarmi. Quel ragazzo che mi sorrideva sempre, che mi faceva sentire al sicuro, che mi faceva sentire viva.
"Va bene, va bene" - sospirò lui, passandosi una mano sul viso.
"No, non va bene nulla! Devi sparire, Tom. Devi starmi lontano. Devi stare lontano soprattutto da Ava. Pensa se lei fosse stata qui stasera! Cosa mi sarei dovuta inventare per motivare la tua visita?" - il tono della mia voce si era fatto più alto e stridulo.
"La verità! Jennifer, quella bambina ha bisogno della verità!" - lui avanzò verso di me, ma allungai il braccio per mantenere le distanze.
"Non avvicinarti. Non mi interessa. Ava è mia figlia. Io la conosco, tu no. Tu non ci sei stato il suo primo giorno di asilo, non ci sei stato quando è caduto il suo primo dente e quando ha imparato a contare" - sibilai, guardandolo profondamente negli occhi.
"Non c'ero perchè tu non me l'hai permesso" - rispose lui, ricambiando quello sguardo intenso.
"Ah beh, certo! Non te l'ho permesso" - soffocai una risata isterica - "E cosa avrei dovuto fare? Continuare a fartela vedere? Invitarti ai suoi compleanni? Alle feste di Halloween e Carnevale?" - mi avvicinai a lui, puntando il dito contro il suo petto - "Io non permetterò mai che mia figlia sappia che suo padre è un alcolizzato di merda che ha preferito mandare a puttane la sua intera vita senza un motivo!"
"E va bene! Bevevo spesso, e allora? Avevo i miei motivi! Litigavo ogni fottuto giorno con Mark e Travis, non ci capivamo più e ho avuto l'esigenza di fondare un'altra band, qual è il problema?" - premette la fronte sulla mia, alzando il tono della voce.
"Non urlare, idiota!" - lo spinsi con forza, scrollandomelo di dosso - "Mi chiedi qual è il problema? Il problema è che sfogavi tutta la tua rabbia con noi! Eri sempre fuori con i tuoi nuovi amici a bere e a suonare! E noi? Noi dov'eravamo? Qui, a casa! Ad aspettarti! Mi sei sembrato mio padre in quel periodo, cristo!" - risposi.
Mi voltai, con il respiro affannato e gli occhi che mi bruciavano dalla rabbia. Non ne potevo più di quella discussione.
Mi portai le mani sul viso e iniziai a piangere istericamente.
"Jennifer.. Io.. Non volevo farti del male. Sono venuto qui per chiarire" - sospirò Tom, avvicinandosi e appoggiando una mano sulla mia spalla.
"L'hai fatto, mi hai fatto del male! Di nuovo, lo fai in continuazione! Non fai altro che ferirmi!" - strillai tra le lacrime - "Perchè non mi lasci in pace?" - sussurrai con voce spezzata, in preda alla disperazione.
"Perchè ti amo, Jennifer. E non mollerò. Non mollerò mai" - rispose Tom, dolcemente - "Ti ricordi anni fa? Quando mi avevi visto con quella ragazza? Holly? Non mi credevi. Non volevi più vedermi. All'inizio ti ho lasciata stare, però poi capii che eri tu quello che volevo veramente. Corsi da te e feci di tutto per riaverti. Ti cantai quella canzone sotto casa tua e tu mi perdonasti. E adesso è la stessa storia! Sto facendo di tutto per riaverti, perchè tu ed Ava siete tutto quello che ho, e non voglio più perdere tempo. Voglio passare la mia vita con voi. Ne sono sicuro" - concluse.
Continuai a singhiozzare, portandomi le mani a coppa sul viso e scuotendo la testa.

"We'll dance off time to the songs we've never liked.
And sing off key thinking it sounds all right.
And you know I almost lost my will to live.
We're sure you tell time in your.
Episode IV leads us away from here.
Don't expect to find what you're looking to
"

Me l'aveva cantata, di nuovo. Dopo tanti anni.
Tirai su con il naso e allontanai le mani dal viso, voltandomi lentamente e mordendomi le labbra.
Lui abbozzò un sorriso, dopo aver finito di cantare quelle dolci frasi.
"Non basta una canzone per farmi cambiare idea, mi dispiace.." - sussurrai con voce spezzata dal pianto, mentre vedevo Tom avvicinarsi a me.
"Lo so" - sussurrò, trattenendo una risata - "Ma è pur sempre un inizio, no?" - mi domandò, cercando le mie mani e intrecciando dolcemente le sue dita con le mie.
"Non riesco a smettere di pensare a quel bacio di ieri. A quanto mi sono mancate le tue labbra" - continuò lui, portando una mano sul mio viso e accarezzandomi le labbra con il pollice.
Mi sembrava di essere diventata un burattino o qualcosa del genere, non riuscivo a muovermi. Anzi, non sapevo se non ci riuscivo o se effettivamente non volevo.
In alcuni momenti mi sembrava veramente il vecchio Tom.
"Ti voglio Jennifer, voglio averti mia" - mormorò sul mio viso, puntando i suoi occhi color nocciola nei miei.
Quella frase mi fece impazzire, mi mandò via di testa. Mi fece sobbalzare.
Senza pensarci due volte afferrai il suo viso con le mani e spinsi con violenza la lingua nella sua bocca.
Iniziammo a baciarci con foga, con passione, desiderio. Ansimavamo ognuno nella bocca dell'altro. Volevo essere sua.
Conclusi quel bacio, respirando con affanno sulle sue labbra. Lo guardai negli occhi, per poi scrollarmelo di dosso e afferrandolo per la maglia, facendogli segno di seguirmi.
Salimmo velocemente le scale e mi voltai verso di lui dopo aver aperto la porta della camera da letto.
Mi avventai nuovamente sulle sue labbra, mordendole e lasciandomi spingere sul letto.
Gli strinsi la vita con le gambe e presto iniziai a sfilargli la maglia. Lui fece lo stesso con la mia e in pochi istanti ci liberammo dei vestiti.
Appoggiai le mani sulle sue spalle e cercai di rilassarmi, chiudendo gli occhi e respirando lentamente.
"Ti amo Jennifer, ricordalo" - sussurrò lui, muovendo leggermente le labbra sul mio orecchio.
A quelle parole rabbrividii e subito lo sentii entrare dentro di me. Strizzai gli occhi e gemetti per il dolore, che presto fu sostituito da un piacere indescrivibile.
I nostri corpi si muovevano insieme in quel letto cigolante. Le nostre mani si intrecciavano, le nostre bocche si sfioravano e i nostri ansimi eccheggiavano nella stanza.
Dopo aver raggiunto l'apice del piacere insieme, si stese vicino a me e appoggiò la testa sul cuscino, addormentandosi poco dopo, stanco e soddisfatto.
Lo coprii con il lenzuolo e mi sistemai vicino a lui, osservandolo.
Volevo davvero provare a dimenticare quando accaduto, volevo davvero provare a fidarmi di lui, volevo davvero provare a dargli un'altra possibilità.
Lo volevo con tutta me stessa. Volevo che Ava avesse una famiglia felice. Un padre e una madre che la amavano, che si amavano.
Ma non ce la facevo: il solo pensiero che ero appena stata a letto con lui mi fece rabbrividire. Mi sentivo uno schifo solo a respirare la sua stessa aria, e adesso che ci ero andata a letto mi sentivo ancora peggio.
Mi voltai dall'altra parte, iniziando a fissare la parete davanti a me: dovevo mettere fine a quella pagliacciata.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5. ***


Capitolo 5


Tom.
Mi svegliai di soprassalto a causa della sveglia che continuava a suonare ininterrottamente.
Mi grattai la testa e mi misi a sedere sul materasso, sbadigliando.
Allungai la mano e spensi la sveglia, agrottando la fronte dopo aver visto un biglietto vicino ad essa.
Mi stropicciai gli occhi e presi il biglietto tra le dita.
"Sono andata a prendere Ava, torno per le 15. Non farti trovare in casa. Se vuoi fai una doccia, ma stai attento a non dimenticarti nulla. E riguardo a stanotte, è stato uno sbaglio. Tu sei stato uno sbaglio. Non doveva succedere, mi dispiace. Non farti più vedere, Thomas. E' tutto finito, mettiti l'anima in pace e accetta le conseguenze dei tuoi errori. Addio. - Jennifer"
Stropicciai quel foglietto e lo lanciai in aria, furioso.
"Fanculo!" - esclamai, sbattendo una mano sul materasso.
Sospirai e mi passai le mani sul viso.
Dovevo farmene una ragione, non mi voleva più. Non sarebbe mai più stata mia.
E se avessi saputo che quella sarebbe stata l'ultima notte che l'avrei vista, l'avrei tenuta stretta un po' di più.
Mi alzai lentamente da quel letto che profumava ancora di noi e mi vestii.
Presi le chiavi della macchina e scesi le scale, aprendo la porta d'ingresso.
Sospirai nuovamente e uscii, sbattendo con forza la porta.


Jennifer.
"Mamma, posso guardare i cartoni adesso?" - mi chiese teneramente Ava, mentre aprivo la porta d'entrata.
Appena entrai in casa chiusi gli occhi e sospirai, venendo invasa da un'ondata del profumo di Tom.
"Mamma?" - mi ripetè la piccola, tirandomi la maglia.
"Sì amore.. Vai sul divano. Vuoi che ti prepari la merenda?" - le chiesi, mentre richiudevo la porta alle nostre spalle.
"Sì! Voglio il succo di frutta!" - disse lei, correndo in salotto e prendendo il telecomando della tv.
"Va bene, te lo porto subito" - sorrisi, guardandola ed entrai in cucina, prendendo dal frigo una bottiglietta di succo di frutta alla mela.
Tornai in salotto, aprendo la bottiglietta e trovai Ava che fissava a bocca aperta la televisione.
Agrottai la fronte e mi voltai verso la tv.
"Mamma, lui è papà! E' lui! Hanno detto che si chiama Tom!" - esclamò Ava, mentre fissavo l'immagine di Tom alla televisione.
Era un'intervista al suo nuovo gruppo e di sottofondo c'era la sua voce che cantava sulle note di Everything's magic, una canzone degli Angels&Airwaves.
"No, gli assomiglia e basta" - presi il telecomando dalle sue mani e cambiai canale.
"Perchè hai cambiato?" - mi domandò Ava, delusa.
"Guarda i cartoni animati e bevi il succo, non fare storie" - dissi, con la voce che mi tremava appena.
Lei sbuffò e prese la bottiglietta dalle mie mani, iniziando a sorseggiare lentamente il succo.
Sospirai e salii lentamente le scale, per poi entrare in camera.
Il mio cuore perse un battito quando vidi quel letto ancora disfatto.
Mi avvicinai e notai il bigliettino stropicciato per terra. Lo raccolsi e lo misi in tasca, per poi sistemare il letto.
Mi sedetti su di esso e presi il cuscino sulla quale Tom aveva dormito, avvicinandolo al naso e inspirandone il profumo.
"Mamma, corri! Corri!"
La mia attenzione venne catturata dalla stridula voce della piccola Ava, che urlava con enfasi il mio nome.
Mi alzai subito e scesi velocemente le scale, andandole incontro.
"Amore! Perchè urli? Cosa c'è?" - le domandai.
"Guarda! E' papà!" - indicò il grande schermo di fronte a lei, aveva cambiato su MTV e stavano trasmettendo un altro video della nuova band del mio ormai ex marito.
"Ava, smettila!" - mi avvicinai al televisore, spegnendolo.
Lei mugolò in senso di disapprovazione.
"Mamma, ma quello è papà! Ecco perchè non c'è, perchè canta!" - quella vocina così innocente e quegli occhioni azzurri mi provocarono un brivido che mi invase la schiena.
Mi sedetti vicino a lei, prendendo in braccio la piccola e facendola sedere sulle mie cosce.
"Vedi, tesoro.. Molti bambini crescono senza uno dei genitori. E' normale che tu senta la mancanza di tuo padre, ma noi ce la faremo lo stesso. Siamo una squadra, no?" - le sorrisi, sistemandole un ciuffetto di capelli biondi dietro l'orecchio.
"Perchè dici così? Papà non torna?" - mi domandò con aria triste, abbassando lo sguardo.
Sospirai e la strinsi più forte a me, appoggiando la fronte sulla sua testa e chiudendo gli occhi.
"Non lo so.. Cioè, no, non penso proprio torni. Lui è sempre impegnato, lavora, viaggia in giro per il mondo" - balbettai.
"Allora significa che non ci vuole più bene" - borbottò Ava.
"Tuo padre ti vuole bene, Ava. Te ne vuole tanto" - annuii, cercando di risultare il più convincente possibile.
"E perchè non mi chiama mai?" - mi chiese, alzando lo sguardo e guardandomi negli occhi.
Iniziai a fissare il pavimento, cercando di elaborare una risposta plausibile da darle, ma con scarsi risultati.
"Mamma?" - la sua vocina mi fece sobbalzare - "Tu al papà vuoi ancora bene?" - mi domandò.
"Sì.. Sì Ava, gli voglio bene" - mi sforzai di soridere.
"Sono stanca" - sbuffò lei con voce assonnata, agganciando le sue sottili braccia intorno al mio collo.
"Vuoi dormire un pochettino?" - le chiesi amorevolmente, stringendola forte.
Lei scosse la testa, iniziando a giocare con i miei capelli.
"Ci mettiamo nel lettone ad ascoltare la musica?" - "Quella bella però, quella che ti fa piangere" - sussurrò.
Agrottai la fronte, sciogliendo lentamente quell'abbraccio per guardarla in volto.
"Quella che mi fa piangere? Quale?" - la scrutai, curiosa.
Lei annuii, guardandomi con quei grandi occhi celesti e iniziando a intonare Call to Arms, una canzone del gruppo di Tom.
Arrossii di colpo, mi aveva beccato.
"Non è vero che piango! Dai su, andiamo ad ascoltarla!" - farfugliai, prendendola in braccio e salendo le scale.
Entrai in camera e la feci distendere sul letto, per poi mettermi accanto a lei dopo aver preso l'ipod dal cassetto del comodino.
Sistemammo le nostre teste sui cuscini e poi le porsi una cuffietta, mettendo la mia sull'orecchio sinistro.
"Dai, chiudi gli occhi" - sussurrai ad Ava, cercando tra le mille canzoni l'album degli Angels and Airwaves.
Lei obbeddì e chiuse gli occhi, stringendosi forte a me.
Alzai il volume dell'ipod e la canzone partì.

"C'è una piccola, nera, oscura, inaridita linea spartiacque
E' così, riesci a sentirmi?
Ti sei mai sentita triste, ferita, come sepolta viva?
Tu puoi fare quasi tutto
C'è un piccolo ponte rosso dal quale si vede il sole
Con un lago, raccomandato come un segnale assolato
E migliaia di stelle contate migliaia di volte
Le possiamo raggiungere solo se tu ci credi,
Solo se tu ci credi

Ti senti come se avessi perso
Tutto quello che avevi da perdere?
E' così, riesci a sentirmi?
Quando piangi, le tue lacrime
Si sono mai sparse nella stanza?
Urlando in un momento di bisogno
Sei mai rimasta distesa e sveglia
Con quell'espressione negli occhi?
E Dio, un desiderio troppo grande da negare
Ti offro una via di fuga che
Era pronta per essere usata
Fammi sapere se sei pronta per me

Mi piacerebbe dirti che sei la mia unica paura
E quando sogno, essa lentamente scompare
E quando mi sveglio, sono proprio qui accanto a te
Per sentire il tuo cuore battere, tutto il tempo
"

Chiusi forte gli occhi e cercai di respirare lentamente.
Non sapevo nemmeno io perchè avessi quelle canzoni nell'ipod.
La voce di Tom era un colpo al cuore ogni volta, quelle parole mi provocavano dolore e mi facevano sentire meglio allo stesso tempo.
Quelle canzoni avevano un effetto strano su di me, quella in particolare.
Si chiamava Call to Arms ed Ava aveva ragione, ogni volta che la ascoltavo calde lacrime mi percorrevano il viso. Speravo che non se ne fosse mai accorta.
Riaprii lentamente gli occhi, lasciando cadere qualche lacrima e trovai Ava che mi fissava, soffocando una risatina.
"Avevo ragione io!" - mi canzonò lei, con la sua dolce vocina.
Risi tra le lacrime, per poi asciugarmi il viso con il palmo della mano e tirare su con il naso.
"Sei una piccola peste, lo sai?" - iniziai a farle il solletico e lei iniziò a sbellicarsi dalle risate.
Sentirla ridere mi rendeva felice. Sì, decisamente. Lei era la mia felicità.

Questo capitolo lo dedico ad Eve, che dopo la Family Reunion mi ha salutato abbracciandomi e dicendo "continua la fan fiction" <3

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Capitolo 6
*** Capitolo 6. ***


Capitolo 6

19 Settembre 2008.

"Dai amore, adesso vai. Vedrai che ti divertirai" - accarezzai la testa ad Ava e mi abbassai sulle ginocchia per darle un bacio sul nasino.
"E se poi voglio tornare a casa?" - piagnucolò lei, mentre Jack la prendeva per mano.
"Vieni a giocare, dai!" - esclamò il biondino, che riuscì a strappare un sorriso alla piccola.
"C'è Jack con te, siete in classe insieme! Dai, andate!" - sistemai il grembiulino rosa ad Ava e mi sollevai da terra, guardandoli allontanarsi.
"Sono proprio belli insieme" - sospirò felice Skye, stringendo maggiormente la mano di Mark.
"Secondo me tra un po' si fidanzano" - rise Mark, osservando i bambini entrare con delle maestre.
"Sì, anche secondo me" - risi anche io, per poi mordermi le labbra - "Oddio, mi manca già" - sbuffai.
"Anche a me!" - piagnucolò Skye, piegando appena la testa di lato per appoggiarsi alla spalla di Mark.
Iniziammo a fantasticare sul futuro dei nostri figli, finchè la suoneria del telefono di Mark non interruppe i nostri discorsi.
Afferrò il telefono e rispose alla chiamata.
"Sì, sono Mark." - disse, passandosi una mano tra i capelli.
"Shanna?" - chiese, sbalordito.
"Cosa?! Quando è successo?" - continuò, con un'espressione accigliata.
"In quale ospedale? Sì, arrivo subito!" - mise il telefono in tasca, mentre io e Skye lo guardavamo preoccupate.
"Che succede?" - Skye agrottò la fronte, scrutando Mark.
"Era Shanna. Travis è in ospedale perchè il suo aereo si è schiantato" - balbettò Mark, guardandoci.
"Schiantato?!" - chiedemmo in coro, spalancando gli occhi.
"E adesso dov'è?" - domandai, con la voce che mi tremava.
"E' ricoverato in un ospedale a Los Angeles" - rispose Mark, quasi spaesato - "Io.. Devo andare, devo andare da lui" - proseguì.
"Vengo anche io" - risposi subito - "Merda, non c'è nessuno che venga a prendere Ava" - sospirai, passandomi una mano sul viso.
"Stai tranquilla Jen, ci penso io ad Ava! La porto a casa con me.. Voi andate, Travis ha bisogno di voi" - annuì Skye.
La salutai con un abbraccio e Mark con un bacio, per poi entrare nella macchina di Mark.
Mi allacciai la cintura e Mark fece lo stesso e dopo aver messo in moto la macchina, si voltò verso di me.
"Jen.. Non è che dovremmo avvisare anche Tom?" - azzardò lui, mordendosi le labbra.
"No.. Cioè sì, non lo so" - risposi, portando lo sguardo dritto davanti a me.
"Fidati, Jen, dobbiamo chiamarlo. Ha fatto lo stronzo con noi, ma penso che anche lui abbia il diritto di sapere"
"Tu.. Tu parti, io lo chiamo" - presi la borsa e iniziai a cercare il telefono, mentre Mark ingranò la prima e partì.
"Tom ha cambiato numero" - mi ricordò Mark.
"Ho quello nuovo, me l'aveva dato l'avvocato tre anni fa" - spiegai.
Afferrai il cellulare e cercai il numero tra la rubrica, per poi selezionare il contatto. Avvicinai il telefono all'orecchio, sospirando.
"Pronto?! Jennifer?" - rispose lui, quasi incredulo.
"Tom, sono in macchina con Mark, andiamo all'ospedale di Los Angeles, hanno ricoverato Travis" - dissi, tutto d'un fiato.
"Travis? Ospedale? Che cazzo gli è successo?" - domandò Tom, preoccupato.
"Il suo aereo si è schiantato ed è ricoverato a Los Angeles.. Fai quello che vuoi, ma noi volevamo avvisarti" - appoggiai la testa al finestrino, tenendo il cellulare vicino all'orecchio.
"Certo che vengo, scherzi?! Voi siete già in macchina?"
"Sì.. Ci vorranno quasi due ore per arrivare" - risposi, giocando nervosamente con una ciocca di capelli.
"Digli che se vuole lo andiamo a prendere" - si intromise Mark, svoltando in una via principale.
"Mark dice che possiamo venirti a prendere se vuoi" - sospirai, senza farmene accorgere.
"Sono al Sombrero tra dieci minuti massimo!"
"Va bene, veniamo lì" - chiusi la chiamata e cacciai il telefono nella borsa, chiudendo forte gli occhi.
"Tutto bene?" - mi domandò Mark.
"Una meraviglia." - feci, sarcastica - "Tom ci aspetta al Sombrero e sono preoccupatissima per Travis, davvero. Shanna non ti ha detto nulla?"
"No, non hanno detto nulla neanche a lei. Mi ha detto solo che fortunatamente i bambini erano dai suoi genitori" - sospirò Mark.
"Già, per fortuna" - mormorai, abbassando lo sguardo.
In pochissimo tempo arrivammo al Sombrero e Mark accostò la macchina. Quando vidi Tom avvicinarsi al veicolo sbuffai rumorosamente.
"Stai tranquilla.. Travis è stato molto importante per Tom, dovevamo avvisarlo per forza" - Mark mi accarezzò una gamba.
"Preferisco andare a Los Angeles strisciando piuttosto che passare due ore in macchina con lui"
Non ebbi tempo di finire la frase che lo sportello del passeggero destro si aprì ed entro Tom, che salutò imbarazzato.
Mark si voltò e allungò la mano verso di lui, accennando un sorriso.
Tom gliela strinse e ricambiò quel lieve sorriso, per poi sospirare.
"Non ti hanno detto cosa gli è successo di preciso?" - chiese Tom, osservando Mark dallo specchietto.
"No, non ancora. C'è Shanna lì con lui" - rispose Mark, dando un'occhiata all'orologio posto sopra la radio.
"Con Shanna è rimasto in buoni rapporti? E' tanto che non sento Travis" - domandò timidamente Tom.
"Sì, abbastanza. Lo fanno per i bambini più che altro" - sospirò Mark.
Tom annuì debolmente, per poi voltare la testa verso il finestrino.
Sospirai, passandomi le mani sul viso e chiudendo forte gli occhi.
"Stai tranquilla" - mi sussurrò Mark, allungando la mano verso il mio viso per pizzicarmi la guancia.
Annuii appena, appoggiai la testa contro il finestrino, socchiusi gli occhi e cullata dal movimento della macchina, mi appisolai.

"Jennifer, siamo arrivati" - mormorò Mark, scuotendomi dolcemente.
Aprii lentamente gli occhi e sbadigliai, slacciandomi la cintura e aprendo lo sportello, uscendo dalla macchina.
Richiusi lo sportello e mi diressi subito all'entrata con Mark e Tom.
Ci recammo subito al centralino e Mark chiese di Travis ad un'infermiera, che ci disse di stare calmi e di accomodarci nella sala d'aspetto.
"Non ho con me la cartella clinica del paziente quindi non posso dirvi nulla, intanto accomodatevi pure nella sala d'aspetto, vi faremo sapere qualcosa appena possibile" - ci riferì l'infermiera.
Ringraziammo e lentamente ci andammo a sedere su delle scomodissime sedie di plastica.
Mi sedetti tra Tom e Mark, appoggiando la testa sulla sua spalla.
"Voglio sapere come sta" - mormorai con voce roca, mentre Mark mi avvolgeva le spalle con un braccio.
"Anche io Jennifer" - sospirò lui, prendendo il telefono dalla tasca dei jeans - "Vado a chiamare Skye, torno subito" - mi disse, per poi alzarsi e lasciarmi un bacio sulla fronte.
"Puoi chiederle se finita scuola può accompagnare Ava da mia madre per favore?" - gli chiesi, sollevando lo sguardo per guardarlo.
"Certo, glielo dico" - abbozzò un sorriso, mentre usciva dall'ospedale.
Mi guardai intorno, cercando di scorgere da qualche parte Travis, ma di lui nessuna traccia.
Sospirai e mi portai le mani sul viso, chiudendo gli occhi e iniziando a singhiozzare silenziosamente.
"Hei.. Jennifer" - Tom si voltò verso di me, appoggiando delicatamente una mano sulla mia spalla - "Non piangere" - mormorò.
Allontanai le mani dal viso e mi asciugai le lacrime con il dorso della mano, tirando su con il naso.
"Voglio sapere come sta, perchè non ci dicono nulla?" - domandai con voce spezzata.
"Appena sanno qualcosa ci fanno sapere, non preoccuparti" - mi rispose Tom con fare convincente, avvicinandosi timidamente a me.
Mi voltai verso di lui, guardandolo con occhi lucidi e gonfi e mi avvicinai anche io, appoggiandomi delicatamente sul suo petto.
Lo sentì sospirare e mi strinse appena.
"Andrà tutto bene, te lo prometto" - mi sussurrò all'orecchio.
Annuii e socchiusi gli occhi, per poi sobbalzare quando sentii la voce di Mark chiamare i nostri nomi.
"Tom! Jennifer! Venite, ho visto Shanna!" - Mark ci fece cenno di raggiungerlo: era dall'altra parte della sala.
Ci alzammo e una volta raggiunto, percorremmo un lungo corridoio, finchè non riconoscemmo Shanna, la sua seconda ex moglie.
Il matrimonio con Melissa era durato circa un mese e mezzo, poi lui fece le valigie perchè non la sopportava più.
"Shanna!" - la chiamò Mark, avanzando rapidamente verso di lei.
"Ragazzi! Siete qui, finalmente!" - esclamò, abbracciandoci uno ad uno.
"Come sta? Ti hanno detto qualcosa?" - domandò Tom, preoccupato.
"Ha delle ustioni abbastanza gravi, però comunque è stabile e fuori pericolo" - Shanna abbozzò un sorriso.
Era distrutta: aveva i capelli sciolti e scompigliati, il trucco sciolto e due grandi occhiaie.
Tutti e tre tirammo un sospiro di sollievo.
"Ma com'è successo?" - chiesi.
"Era in un jet privato, stava tornando a Pittsburg. Il jet ha avuto delle complicazioni mentre era in pista e si è schiantato, rompendo un recinto" - spiegò lei con voce roca - "Nell'impatto sono morte quattro o cinque persone, tra cui Chris, non so se lo conoscevate" - continuò lei, sospirando.
"Ci dispiace tanto, Shanna" - disse Mark, appoggiando una mano sulla spalla della ragazza per consolarla - "Tu l'hai visto?" - le domandò.
"Sì, sì. Travis se la cava. Adesso sta riposando. E' abbastanza indolenzito però è cosciente" - annuii lei.
"Meno male" - mormorò Tom, tirando un altro sospiro di sollievo.
"Ma.. Voi? Avete fatto pace?" - domandò timidamente la bionda.
Entrambi abbassarono lo sguardo, cercando una risposta da dare alla ragazza, ma nessuno dei due osò parlare.
"Comunque appena si sveglia entrate tutti e tre insieme, lo renderete felice, fidatevi" - Shanna abbozzò un sorriso e si voltò, andando a chiamare un dottore per chiedere ulteriori spiegazioni.
"Aspettiamo qui?" - chiesi imbarazzata ai due, indicando delle poltroncine sul corridoio.
Entrambi annuirono e mi sedetti nuovamente tra di loro.
"Skye cos'ha detto? Porta Ava da mia madre?" - domandai a Mark, per spezzare quel fastidiosissimo silenzio.
"Sì, la porta da tua madre" - si limitò a rispondere.
"Va bene" - mormorai, osservando Tom di sottecchi che si portava le mani sul viso.
"Sei stanco?" - gli chiesi con un fil di voce, tenendo comunque lo sguardo basso.
"Sì, molto. Non ho dormito granchè stanotte" - sospirò.
"A chi lo dici" - mi portai una mano davanti alla bocca mentre sbadigliavo.
"Come mai?" - mi domandò lui, curioso.
"Oggi è stato il primo giorno di scuola di Ava" - abbozzai un sorriso, sollevando lo sguardo verso di lui - "Ed ero molto emozionata"
"Capisco" - si limitò ad annuire.
"Scusa, non dovevo dirtelo. Non so nemmeno perchè ti sto parlando" - mi grattai la nuca, imbarazzata.
"Jennifer, non stai uccidendo nessuno. Mi hai solo fatto una domanda per sdramatizzare la situazione, stai tranquilla. Non mi hai chiesto di sposarmi" - si voltò a guardarmi.
"Sì, giusto" - sospirai.
Entrambi tacemmo e iniziammo a pensare, ognuno ai propri affari, finchè la voce di un giovane infermiere non catturò la nostra attenzione.
"Siete qui per Barker, giusto?" - domandò il ragazzo.
"Sì, Travis Barker" - ci alzammo tutti e tre.
"Se volete salutarlo, la stanza è la numero 175, in fondo a sinistra" - abbozzò un sorriso.
Il cuore iniziò a battermi all'impazzata, ringraziai distrattamente l'infermiere e attraversai tutto il corridoio, per poi svoltare a sinistra ed entrare nella stanza, seguita da Mark e Tom.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7. ***


Capitolo 7


Aprii la porta della stanza e voltai lo sguardo verso sinistra, trovando il mio amico disteso a letto, con la schiena appoggiata sul cuscino.
Non aveva una bella cera, aveva gran parte delle braccia fasciate a causa delle ustioni e il suo occhio destro era leggermente più chiuso del sinistro.
"Travis!" - mi precipitai su di lui, facendo attenzione a non fargli male e a non toccare nessuno dei tubi e dei macchinari attaccati al suo corpo.
"Jennifer! Che bello rivederti!" - fece lui con voce stanca, ricambiando lievemente la stretta di quell'abbraccio - "Ci sei solo tu?"
Sciolsi lentamente quell'abbraccio e mi allontanai appena, scuotendo la testa.
"Ragazzi, entrate!" - dissi, sfoderando un enorme sorriso sincero.
Fecero capolino dalla porta Mark e Tom e mi voltai verso Travis per ammirare la sua espressione.
Spalancò gli occhi e la bocca in un'espressione sorpresa e nonostante i dolori appena loro si avvicinarono a lui, li abbracciò con tutte le forze che aveva.
Mi morsi le labbra e sorrisi, ammirandoli.
Mi sembrava di essere tornata indietro nel tempo. O qualcosa del genere.
I ragazzi sorrisero e, leggermente imbarazzati, si allontanarono appena, sistemando le sedie vicino il letto di Travis.
Mi andai a sedere vicino a loro.
"Voi due qui. Insieme" - Travis ridacchiò - "Non ci posso credere!"
"Amico, nel '94 abbiamo suonato in Canada, e Mark a momenti non ci portava in Alaska" - fece Tom, ridendo - "Mi tocca sempre fargli da navigatore satellitare, altrimenti si perde"
"Ma se hai dormito tutto il tempo!" - rise Mark, spingendolo appena.
"Quella veramente è Jennifer!" - i ragazzi si voltarono verso di me e io soffocai una risatina nervosa.
Quella confidenza con Tom mi metteva in imbarazzo, e non poco. Sentivo il viso andare a fuoco, evidentemente ero rossa come un peperone.
"Beh, come stai?" - chiese Mark, voltandosi verso Travis.
"Le ustioni mi fanno abbastanza male, però guariscono. Mi dispiace moltissimo di aver perso Chris" - sospirò, abbassando lo sguardo.
Tom allungò una mano verso il braccio di Travis senza dire nulla, per consolarlo.
"E poi tutti i concerti saltati, dio" - Travis si portò una mano sul viso.
"Ma non pensare ai concerti adesso, hai bisogno di un po' di tempo per te stesso prima di ritornare a suonare" - dissi, guardandolo.
Travis annuì appena, tenendo lo sguardo basso.
"Ragazzi, vi dispiace se scorreggio? Ho fatto colazione con un Big Mac e non riesco a digerirlo" - sbottò all'improvviso Mark, cercando di sdramatizzare la situazione.
Io e Tom scoppiammo a ridere, trascinando nella nostra risata anche Travis.
"Non cambierai mai, Hoppus" - disse lui, sorridendo.
"Ti ricordo che io ho salvato il drago della Foresta Incantata, tanti, tanti anni fa" - ammiccò lui, passandosi una mano tra i capelli.
"Eccome se me lo ricordo! Amico, la tua gamba era davvero messa male! Ti dobbiamo tutti la vita, qui" - disse Tom, trattenendo una risata.
"Spero che tu abbia ancora lo scudo di quel giorno" - rise Mark, rivolgendosi a Tom.
"Oh, certo che ce l'ho! Come potrei liberarmene?" - rispose Tom, continuando a ridere.
"E io ho anche avuto l'onore di toccarlo quel bellissimo scudo! Ti dobbiamo la vita, Mark" - aggiunge Travis, ridendo.
Mark, Tom e Travis continuarono a scambiarsi battute divertenti e a ricordare i vecchi tempi e io li osservavo, sorridendo.
Non si vedevano da anni, eppure scherzavano come non fosse successo nulla.
E vederli era un piacere. Li scrutavo uno ad uno: era passato del tempo ma il loro animo da ragazzini ribelli viveva ancora dentro di loro.
E forse un po' viveva anche dentro di me, dato che ogni volta che incrociavo lo sguardo di Tom avvertivo una specie di scarica elettrica invadermi la schiena.
Guardarlo mentre rideva, mentre con la punta dell'indice si strofinava la fronte, mentre si passava la mano tra i capelli, mentre si mordeva le labbra, segnate ancora dal vecchio piercing.
Abbassai lo sguardo e arrossii di colpo, quando si accorse che lo stavo osservando attentamente.
Ad interrompere quel momento per me imbarazzante, fu l'infermiera, che irruppe nella stanza chiedendoci cortesemente di lasciarla, per fare in modo che Travis riposasse.
Io, Mark e Tom ci alzammo lentamente e uno ad uno salutammo il nostro amico.
"Mi ha fatto piacere rivedervi ragazzi, non sapete quanto" - Travis sorrise, stringendo la mano a Mark e a Tom.
"Anche a noi ha fatto piacere e mi raccomando, vedi di uscire il più presto possibile da qui che è tanto che non ci prendiamo una birra" - fece Mark, sorridendo.
Mi avvicinai a Travis e mi chinai su di lui, abbracciandolo.
"Ti voglio bene Travis, guarisci presto" - sussurrai, dopo avergli schioccato un bacio sulla guancia.
"Vi voglio bene, ciao ragazzi" - rispose Travis, che ci osservava mentre uscivamo dalla stanza.

Mark prese le chiavi e aprì la macchina.
Salii al bordo del passeggero e indossai la cintura, seguita da Mark e Tom.
"L'ho visto bene" - disse Mark, dopo aver messo in moto la macchina e aver ingranato la prima marcia.
"Già, per fortuna!" - aggiunse Tom, tirando un sospiro di sollievo con un sorriso.
Mi limitai a sorridere, appoggiando la testa sul finestrino.
"Tutto bene, Jen?" - mi domandò Mark, guardandomi con la coda dell'occhio.
Annuii distrattamente.
"Sono solo un po' stanca" - mormorai, abbassando il parasole e osservando la mia immagine riflessa nel piccolo specchietto per sistemarmi un ciuffo ribelle di capelli dietro l'orecchio.
"Riposati, tanto ne abbiamo di strada da fare" - rispose Mark, seguendo le indicazioni del navigatore.
Sbadigliai, voltandomi a guardare il sole che tramontava all'orrizzonte.
Era stata una giornata stancante, tutto quello che volevo era andare a casa, abbracciare la mia piccola e chiederle come fosse andato il suo primo giorno di scuola.
Ad un certo punto, sussultai, sentendo il cellulare squillare.
Misi la mano in tasca e lo afferrai, premendo il pulsante per rispondere alla chiamata dopo aver visto il nome di mia madre lampeggiare sul display.
"Pronto, mamma?" - risposi.
"Jennifer, tesoro, sono passata a casa di Skye a prendere Ava. L'ho portata a casa vostra visto che avevo il doppione delle chiavi e l'ho lasciata con la babysitter, ho fatto male?"
"No mamma, hai fatto benissimo, grazie" - mormorai, sbadigliando nuovamente.
"Mi dispiace tantissimo ma non potevo tenerla, avevo un impegno importantissimo al lavoro. Travis come sta?" - mi domandò, preoccupata.
"Ha delle bruciature su gran parte del corpo ma sta benone, è fuori pericolo" - risposi.
"Meno male.. Adesso ti devo lasciare, ci vediamo domani tesoro"
"Va bene, a domani mamma, ti voglio bene"
Allontanai il telefono dall'orecchio e chiusi la chiamata, gettando il telefono in borsa.
Mi sistemai sul sedile, spostando distrattamente lo sguardo sul parasole e arrossii, osservando il riflesso di Tom che mi sorrideva dallo specchietto.
Il mio cuore iniziò ad accellerare i suoi battiti e ricambiai leggermente il sorriso, distogliendo velocemente lo sguardo.
Iniziai a strofinarmi nervosamente le mani e sospirai, senza farmene accorgere.
Improvvisamente mi sentii una stupida adolescente impanicata dopo aver capito di essersi presa una cotta.
Scossi velocemente la testa e chiusi gli occhi: avevo solo bisogno di una dormita. Di una lunga dormita.
Schiusi leggermente le labbra e cullata dal lieve movimento della macchina e dal rumore delle ruote che sfrecciavano sull'asfalto, mi addormentai.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8. ***


Capitolo 8
"Jennifer, siamo arrivati" - sussurrò Mark, scuotendomi dolcemente.
Sbadigliai e lentamente aprii gli occhi, guardandomi intorno e riconoscendo il viale di casa.
Il sole era tramontato da un pezzo ed era stato sostituito da una grande luna piena.
"Dove posso lasciarti?" - domandò Mark a Tom, mentre mi slacciavo la cintura.
"Tranquillo, scendo qui" - rispose Tom, accennando un sorriso.
Mi stiracchiai e mi avvicinai a Mark, schioccandogli un bacio sulla guancia.
"Ci vediamo domani" - farfugliai, aprendo lo sportello.
"A domani Jen, ciao Tom" - fece Mark, battendogli il cinque.
Scesi dalla macchina e chiusi lo sportello dopo aver preso la borsa, mentre Tom faceva lo stesso.
Osservai la macchina ripartire e mi voltai verso Tom, accennando un sorriso e dandogli le spalle subito dopo, avviandomi verso casa.
"Non mi saluti nemmeno?" - fece lui con una risatina.
Mi voltai nuovamente, sospirando.
"Ciao, Tom" - dissi, camminando all'indietro.
"Jennifer" - sbuffò lui, venendomi incontro - "Siamo divorziati, è vero. Ne ho combinate di tutti colori e anche questo è vero, però questo non vuol dire che non dobbiamo rivolgerci più la parola"
Rimasi a bocca aperta, beandomi delle sue espressioni e del colore dei suoi occhi color nocciola illuminati dalla luce del lampione.
Mi ero dimenticata di quanto belli fossero i suoi occhi, di quanto belle fossero quelle labbra, ancora segnate dal vecchio piercing.
"Tutto bene?" - mi domandò lui, agrottando la fronte dopo aver notato il mio sguardo assente.
"Ehm, s-sì. Devo andare" - balbettai, gesticolando con la mano destra.
"Aspetta un attimo" - sussurrò lui, afferrandomi con delicatezza la mano.
A quel contatto rabbrividii e spostai lo sguardo sulle nostre mani, deglutendo nervosamente.
Cosa mi stava succedendo? Improvvisamente tutti quegli anni di distanza andarono a farsi friggere. Improvvisamente fu come se non fosse mai successo nulla.
"P-Perchè dovrei aspettare?" - mormorai, sollevando lo sguardo verso i suoi occhi e perdendomi di nuovo.
"Perchè voglio che mi saluti come si deve" - rispose lui, utilizzando il mio stesso tono di voce e avvicinandosi sempre di più al mio viso.
Indietreggiai, appoggiando una mano sul suo petto e rabbrividendo nuovamente al suo contatto.
"E come dovrei salutarti?" - domandai distrattamente, osservando le sue labbra troppo vicine alle mie.
Socchiusi gli occhi e sospirai, sentendo il suo profumo invadermi le narici.
Tom approfittò di quel momento per accorciare quella piccola distanza tra noi e appoggiò delicatamente le sue labbra sulle mie, baciandole lievemente.
"Perchè nonostante siano passati tre anni ogni volta che le tue labbra sfiorano le mie il mio cervello va in tilt?" - sussurrai.
"Allora mi allontano" - rispose lui, facendo un piccolo passo indietro.
Lo afferrai per la maglia e lo tirai a me, facendo aderire nuovamente le nostre labbra.
Sorrise. Un sorriso compiaciuto.
"E' più forte di me, non riesco a resisterti" - sospirai, chiudendo gli occhi e schiudendo le labbra quel poco che bastava per far incontrare le nostre lingue.
Lentamente mi aggrappai al suo collo e chiusi gli occhi, facendomi trasportare da quel dolce bacio.
Quell'uomo aveva fatto soffrire me e mia figlia, e io lo stavo baciando come se nulla fosse successo.
Aumentai la passione di quel bacio, cercando di sfogare la rabbia.
La rabbia nei suoi confronti, ma soprattutto nei miei. Ero arrabbiata con me stessa per aver buttato giù il muro che avevo impiegato così tanto tempo a costruire.
Iniziai a mordere le sue labbra, a tirarle con i denti, mugolando di piacere. Era incredibile il potere che quell'uomo aveva su di me.
"Devo andare" - sussurrai nella sua bocca, con il respiro affannato.
"Non voglio che tu te ne vada" - rispose lui, concludendo quel bacio e aprendo gli occhi per incrociare il mio sguardo.
"Nemmeno io voglio andarmene" - ammisi, abbassando lo sguardo e sentendomi letteralmente andare a fuoco.
Tom mi sollevò il mento con l'indice per guardarmi negli occhi.
"E allora non farlo, vieni da me" - rispose, dolcemente.
Scossi velocemente la testa, allontanandomi.
"C'è Ava a casa con la babysitter e.. Devo andare da lei" - deglutii, per poi mordermi le labbra - "Ti va di venire a salutarla?" - mormorai, stupendomi delle mie stesse parole.
Vidi Tom sbarrare gli occhi e grattarsi la nuca, imbarazzato.
"Jennifer.. Non devi sentirti obbligata, non voglio costringerti" - biascicò.
Continuai a tenermi il labbro tra i denti, facendogli cenno con la testa di seguirmi.
Camminavamo lentamente verso casa. Mi sentivo come se il cuore mi stesse per esplodere, le gambe stavano per cedere e le mani mi tremavano: cosa diavolo mi stava succedendo?
"Davvero Jennifer, ne sei sicura?" - mi domandò lui, quando arrivammo davanti la porta d'ingresso.
"Cogli l'opportunità prima che cambi idea" - sospirai, cercando le chiavi di casa nella borsa.
Rabbrividii quando la mano di Tom afferrò la mia. Sollevai lo sguardo per incrociare i suoi occhi.
"Sul serio, non devi farlo se non ne sei convinta. E' una decisione importante" - disse.
"Lo so, Thomas. Ne sono convinta, sul serio" - presi fiato - "La verità è che hai ragione. Ava mi chiede ripetutamente di te, e sono stanca di mentirle. Non se lo merita. Pensa che tu non le voglia più bene e questo non è giusto. In questi anni non ci sei stato, ma so che ci tieni a lei. Quindi è arrivato il momento di incontrarla" - affermai, guardando Tom dritto negli occhi.
Lo vidi accennare un sorriso, che ricambiai lievemente, per poi voltarmi e infilare le chiavi nella serratura, per poi ruotarle e aprire la porta.
"Amore, sono a casa!" - urlai dolcemente, per poi voltarmi verso Tom - "Aspetta qui, torno subito" - sussurrai.
Salii le scale ed entrai nella cameretta di Ava.
Lei fece cadere il libro che teneva tra le mani sul materasso, saltò in piedi e corse verso di me, aggrappandosi al mio collo.
"Mamma! Mi sei mancata tanto!" - strillò.
"Amore mio, mi sei mancata tantissimo anche tu! Com'è andata a scuola?" - le domandai, ricambiando quel tenero abbraccio.
"Benissimo, ho conosciuto tanti bambini simpatici!" - rispose euforica lei, aggrappandosi a me con braccia e gambe.
"E tu che avevi anche paura di andarci!" - la strinsi a me, ridendo, per poi spostare lo sguardo sulla babysitter - "Grazie mille Nicole, puoi andare" - le sorrisi.
Lei ricambiò il saluto, si avvicinò ad Ava per lasciarle un bacio sulla testa ed uscì dalla stanza.
"Come sta zio Travis?" - mi domandò Ava, con la sua tenera vocina.
"Zio Travis sta bene, cucciola" - le risposi, scostandole un ciuffetto di capelli biondi dietro l'orecchio.
"E zio Mark dov'è?" - chiese, inclinando leggermente la testa di lato.
"E' a casa, piccola. Ma lo sai che ti ho fatto una sorpresa?" - sorrisi.
Vidi i suoi occhi illuminarsi e iniziò a saltellarmi tra le braccia, emettendo gridolini di gioia.
"Adesso chiudi gli occhi e stringiti forte forte a me" - sussurrai, mentre la piccola chiuse gli occhi e nascose la testa nell'incavo del mio collo.
Lentamente uscii dalla stanza e scesi attentamente le scale. Per ogni scalino che scendevo, il cuore batteva più forte.
Non credevo a quello che stavo facendo, non capivo quello che mi stava succedendo.
Non potevo perdonare Tom, non in quel momento, almeno. Ma era più forte di me, come se un corpo estraneo si fosse imposessato delle mie gambe e le controllava senza il mio consenso.
Arrivai al piano terra e camminai verso Tom, deglutendo rumorosamente e accennando un lieve sorriso.
Tom si alzò di scatto dal divano alla vista di nostra figlia e sfoderò un sorriso mozzafiato che mi toccò il cuore.
"Amore, sei pronta?" - sussurrai all'orecchio di Ava, che annuii con energia - "Allora apri gli occhi e girati" - continuai, sorridendo e mordendomi il labbro.
Ava aprì lentamente gli occhietti azzurri e si voltò verso Tom, spalancando la bocca.
"Papà!" - strillò, saltando giù dalle mie braccia e correndo verso di lui.
Tom si chinò sulle ginocchia e aprì le braccia, accogliendo la bambina e stringendola al suo petto il più forte possibile.
"Sì amore, sono tornato" - mormorò lui emozionato, chiudendo gli occhi e sedendosi per terra, tenendo stretto a sè Ava.
Ava iniziò a singhiozzare dalla felicità, mentre si lasciava baciare la testa da Tom.
"Allora mi vuoi bene" - sussurrò lei, tirando su con il naso.
"Certo che ti voglio bene! Non ho mai smesso un attimo di farlo, piccola" - rispose Tom, sfregando il suo naso con quello della bimba.
Erano davvero bellissimi. Erano così belli che una lacrima sfuggì dal mio occhio destro. La asciugai velocemente.
"E perchè non mi hai mai chiamato?" - chiese dolcemente lei, tirando in fuori il labbro inferiore.
"Perchè.." - Tom si schiarì la voce, cercando il mio sguardo.
"Perchè papà era fuori per lavoro. Ma le cose tra noi non funzionavano molto" - mi avvicinai a loro, chinandomi sulle ginocchia e osservando Ava.
"E adesso vi volete bene?" - domandò lei con una voce innocente che mi fece quasi rabbrividire.
Voltai le testa verso Tom, che mi guardava ansioso, in attesa di una risposta che forse gli avrebbe cambiato la vita.
Mi morsi le labbra, osservandolo intensamente negli occhi e pensando in pochi secondi a tutti i momenti belli passati insieme.
Le giornate intere allo skatepark a bere birra con Mark e Travis, le serate al cinema a lanciare pop-corn ai fighetti, le corse sotto la pioggia, le nottate passate a tenerci per mano.
Il giorno del nostro matrimonio, i baci veloci prima dei concerti, i tour interminabili, le lacrime prima che partisse, la gioia di rivederlo dopo.
I primi di anni di vita di Ava, le foto e i pranzi di famiglia, le canzoni dedicate a lei.
Ava che mi tirò la maglietta mi riportò alla realtà.
"Mamma? Vuoi bene al papà?" - mi chiese nuovamente Ava.
Le mie labbra si allargarano in un sorriso.
"No, amore, non voglio bene al papà" - sussurrai.
Tom sospirò e vidi il viso di Ava incupirsi.
"Io il papà lo amo"

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Capitolo 9
*** Capitolo 9. ***


Capitolo 9
 
Sentii la sveglia suonare e allungai la mano verso il comodino per spegnerla, mugugnando.
Avete presente quando succede qualcosa di bello e inaspettato nella vostra vita e la mattina dopo vi sentite come se fosse stato tutto un sogno? Non riuscite a realizzare quanto accaduto, vi sembra tutto così surreale, così finto.
Mi voltai verso destra e sorrisi dolcemente, osservando Ava che dormiva accoccolata al petto di Tom.
Allungai una mano verso di loro e scostai un ciuffo di capelli dalla fronte di Ava, per poi passare ad accarezzare una guancia di Tom, che lentamente aprì gli occhi.
"Hei, buongiorno" - sussurrò lui con un sorriso assonnato.
"Buongiorno" - mormorai, ricambiando quel tenero sorriso - "Dormito bene?" - domandai.
"Penso di non aver mai dormito così bene in vita mia" - rispose Tom, soffocando una risata e stiracchiandosi lentamente.
Distesi le labbra in un sorriso e mi stiracchiai anch'io, mettendomi a sedere sul letto.
Fece lo stesso anche Tom, facendo attenzione a non svegliare la piccola Ava che continua a dormire beatamente.
"Buongiorno" - sussurrò nuovamente Tom con un sorriso, avvicinandosi alle mie labbra e baciandole dolcemente.
Ricambiai quel lieve bacio, socchiudendo gli occhi e inspirando a fondo il suo profumo. Dio, quanto mi era mancato.
"Sei qui con me" - sussurrò lui contro le mie labbra - "Mi sembra un sogno" - continuò.
"A me sembra strano, non avrei mai pensato di tornare a condividere un letto con te" - strofinai il naso contro il suo.
"E sei contenta di essere tornata a condividere il tuo letto con me?" - mi domandò Tom, sollevando di poco il viso per guardarmi negli occhi.
"Tantissimo, non sai quanto" - sorrisi, ricambiando quello sguardo e mordendogli dolcemente il labbro inferiore.
Tom approfondì quel contatto, premendo le labbra sulle mie e facendo entrare la sua lingua nella mia bocca.
Iniziammo a baciarci lentamente e portai una mano sul suo collo, accarezzandolo, ma la voce stridula di Ava ci fece sobbalzare.
"Mamma, mamma! Devo andare a scuola!" - urlò lei.
Ridacchiai, voltandomi a guardarla. Era incredibile l'energia che aveva quella bambina, io non ero mai stata così. E nemmeno Tom. Chissà da chi aveva preso.
"Certo piccola, vai a lavarti la faccia e scendi in cucina che ti preparo la colazione!" - sorrisi, pizzicandole una guancia.
Ava balzò giù dal letto e diedi un ultimo bacio a Tom, prima di alzarmi e scendere in cucina a preparare la colazione.


Salutammo Ava con la mano dal cancello della scuola, sorridendo.
"E' davvero splendida, non so come io abbia fatto a perdermi così tanto tempo della sua vita" - mormorò Tom, con un tono malinconico.
Mi voltai verso di lui, prendendogli le mani e alzando il viso per guardarlo.
"Adesso sei qui. Lei è felice, e lo sono anche io. L'importante è questo. Hai tutta la vita per recuperare il tempo perso" - sorrisi dolcemente.
"Dici davvero?" - mi domandò lui, abbassando il viso quel poco che bastava per baciarmi lievemente le labbra.
Annuii, sorridendo teneramente, per poi prendergli una mano.
"Vieni, andiamo in un posto" - indietreggiai, tenendogli la mano e iniziando a camminare.
"Dove andiamo?" - mi domandò lui, sorpreso.
"Adesso vedrai" - risi, tirandolo verso di me e camminando lentamente.
Rise anche lui, seguendomi e camminando di fianco a me.
Dopo circa cinquecento metri, svoltai a sinistra e iniziai a camminare con più decisione.
"I ricordi iniziano a riaffiorarti la mente?" - sollevai lo sguardo verso Tom, sorridendo.
Il suo viso si illuminò e le sue labbra si allargarono in un tenero sorriso.
"Eccome se mi ricordo di questo posto" - disse.
Allungai il braccio, indicando la punta della strada.
"Lì infondo c'è lo skatepark in cui andavamo di solito, ma volevo fermarmi un po' prima" - continuai a camminare, rallentando il passo.
Dopo poco, ci fermammo davanti ad un condominio.

"Tom, parlami!" - strillai, afferrandolo per la maglia e sbattendolo con tutta la forza che avevo in corpo contro un portone di un condominio. Lo feci con così tanta forza che feci cadere il suo skate.
Continuavo a guardarlo negli occhi, tenendolo stretto per la maglia.
"Hai tutto il diritto di essere arrabbiato con Mark, ma ti prego, non prendertela con lui. Prenditela con me. Ti ho già detto che sono stata io a pregarlo di parlarti e di riferirmi tutto. Arrabbiati con me. Insultami, spingimi, sputami addosso! Ma non rovinare il tuo rapporto con lui per me, non ne vale la pena, sul serio. Sono solo una stupida ragazzina capricciosa. Se mi perdi non succede nulla, se perdi lui invece cambierà tutto per te. Non siete solo amici, suonate nello stesso gruppo. Ne va di mezzo anche la tua carriera! Ti prego, ascoltami per una volta! Te lo chiedo per favore!"
"Jen, che cosa stai dicendo? Se ti perdo non succede niente? Mark te lo ha detto, mi piaci! Cristo, Jen, mi piaci! Lo capisci o no? Non voglio perderti, non lo sopporterei. Voglio che tu mi stia vicino. Voglio che tu sia l'unica persona che mi stia vicino, perchè sei l'unica di cui ho bisogno veramente. Passiamo qualche ora insieme tutti i giorni da almeno sei anni, una giornata senza di te non sarebbe tale. E.. dio, non so nemmeno perchè io stia dicendo queste cose, non è da me! Io.. Io sono Tom Delonge, diamine! Non ho bisogno di dire queste cose!"
"Allora non dire niente"
Gli presi il viso tra le mani e chiusi gli occhi, premendo le labbra sulle sue.
Subito le schiuse e le nostre lingue iniziarono a cercarsi, per poi trovarsi e iniziare a muoversi insieme. Prima lentamente, poi sempre con più passione e desiderio.
Agganciai le braccia al suo collo e mi strinsi forte a lui, mentre mi cinse la vita con le sue forti braccia.
Mi sentivo al sicuro, continuavamo a baciarci, mordendoci di tanto in tanto le labbra.
Sembravamo una di quelle coppie protagoniste di quei film d'amore, che tra l'altro odiavo.
Eravamo una di quelle coppie che le persone si fermavano a guardare, lasciandosi scappare qualche tenero commento.
Continuammo a baciarci anche quando iniziò a diluviare.
In quel momento sarebbe potuto finire il mondo, ed io, noi, eravamo felici così.


"Ti ricordi cos'è successo qui davanti nove anni fa?" - gli domandai.
"Il nostro primo vero bacio" - sorrise lui, voltandosi verso di me e prendendomi le mani, intrecciando le sue dita con le mie.
Annuii, passandomi la lingua sulle labbra per inumidirle.
"Nove anni fa, qui, ci siamo dati il nostro primo vero bacio. E' stato l'inizio di tutto. Di tutto quello che abbiamo passato insieme. Dalle gioie e le risate ai pianti, alle litigate. Dai baci più passionali a tutti quei pugni che ti tiravo in petto tre anni fa, piangendo" - risi appena - "E' un posto speciale per me" - mi morsi le labbra, sorridendo.
"Lo è per te tanto quanto lo è per me" - mormorò Tom, portando un indice sotto al mio mento.
"Nove anni fa, in questo posto, mi sembra di aver iniziato a vivere. Non mi ero mai sentita così tanto speciale. In quel momento mi sembrava di essere in paradiso. Potrebbe essere successa qualsiasi cosa, ma io ero qui, con te. E mi importava solo di questo" - continuai.
Tom mi guardava attentamente, passando con le nocche della mano ad accarezzarmi la guancia sinistra.
"E nonostante siano passati così tanti anni, adesso, in questo momento, qui con te.." - gli occhi iniziarono a diventare lucidi - "Mi sento esattamente come quel giorno e.. Dio, sono così felice" -scoppiai in un pianto di gioia, agganciando improvvisamente le braccia al collo di Tom e lasciandomi stringere.
"Ti amo così tanto" - sussurrai tra le lacrime, affondando la testa nel suo collo e beandomi del suo dolce profumo.
Tom mi strinse forte a sè, baciandomi ripetutamente la tempia.
"Sapessi quanto ti amo io, quanto ho desiderato in questi anni di sentirtelo dire ancora" - sussurrò lui, allontanandosi di poco da me per asciugarmi le lacrime.
"Jennifer Jenkins" - si schiarì la voce, guardandomi pronfodamente negli occhi.
"Sì?" - mormorai con voce flebile, tirando su con il naso e ricambiando quello sguardo.
"Io.. Sì, insomma. Voglio che questo posto possa essere ricordato anche per un altro motivo" - spiegò lui.
Agrottai la fronte, non comprendendo le sue parole.
"Ecco.. Mi vuoi sposare? Di nuovo?" - disse, tutto d'un fiato.
Il mio viso si illuminò e le mie labbra si allargarono in un enorme sorriso. Gli saltai in braccio, stringendolo il più possibile.
"Certo che lo voglio! Lo voglio, Tom, lo voglio! Ti sposerei mille volte se potessi!" - dissi, euforica, sentendolo sospirare di sollievo e ricambiare quel dolce abbraccio.
Lentamente sciolsi quell'abbraccio e presi il suo viso tra le mani, guardandolo fisso negli occhi.
"Sei tutto quello che voglio e tutto quello di cui ho bisogno" - sussurrò lui.
A quelle parole dolci sorrisi, mantenendo il suo sguardo.
"Jennifer Jenkins, tu sei il mio tutto".
- THE END -
 
Okay, okay, era davvero troppo tempo che non postavo qualcosa.
Il punto è che mi ero bloccata alle prime tre righe di questo capitolo, non riuscendo mai a completarlo. Stamattina ho riguardato dopo tanto tempo ''Start the Machine'' e non lo so, mi è tornata l'ispirazione.
Finalmente sono riuscita a finirla! Spero che non vi siate dimenticate di me ahahahah e spero vi piaccia!
Un bacione, grazie a tutti per aver letto! :*

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