Tic Toc, The Death's A Clock

di Tomi Dark angel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una Seconda Occasione ***
Capitolo 2: *** Rintocchi Finali ***
Capitolo 3: *** Una Nuova Famiglia ***
Capitolo 4: *** Quando La Lancetta Compie Il Giro ***
Capitolo 5: *** Guardare Al Nuovo Giorno ***



Capitolo 1
*** Una Seconda Occasione ***


Il Maestro sta morendo. Respira piano, quasi assaporando quelli che saranno i suoi ultimi ansiti di vita, aria pulita che gonfia polmoni danneggiati. Sente il petto levarsi nell’ennesimo respiro, gli occhi iniettati di sangue fissi sul volto dell’unico uomo che l’ha saputo fronteggiare, spaventare. È un osso duro, il Dottore.
L’ha visto mantenere la speranza anche quando ogni cosa era perduta.
L’ha visto respirare a dispetto dell’aria rarefatta che insieme all’anzianità ha rischiato di finirlo.
L’ha visto vivere. Vivere e insegnare la vita laddove le persone hanno creduto di dimenticare.
Il Dottore è luce, il Dottore è salvezza. Ma lui, il Maestro… lui non è niente. E adesso muore come povero nulla affogato nell’immenso tutto di bontà e speranza che il Dottore ha sempre emanato. Gli hanno parlato di lui, e adesso il Maestro capisce, comprende, assimila per l’ultima volta. E per la prima e ultima volta si concede una decisione, atto caritatevole nei confronti di chi ha saputo aspettare, pregare, senza tuttavia implorare mai.
-Lei aveva… ragione.- mormora infine, aggrappandosi forte alla giacca del Dottore. Si specchia nei suoi occhi lucidi di disperazione, ascolta la sua patetica supplica di reietto che ancora spera in un maledetto miracolo. –Io sono… un curioso, Dottore. Lo sono sempre stato. E fin dall’alba della mia vita io… io amavo studiare le cose.-
-Ma che cosa stai dicendo? Smettila di dire stupidaggini, rigenerati!- urla ancora il Dottore, scuotendolo con dolcezza. Le sue mani sono pietà sulla pelle e gli occhi ancora sembrano scrutare passato e futuro esplorati, epoche di anzianità, stanchezza e solitudine vissute troppo spesso nel silenzio di una vita trascinata nelle lacrime del rimpianto.
-Quando usai il TARDIS per raggiungere questa epoca mi… mi accorsi che esso conservava ricordi… ricordi di un contatto, di qualcosa che non sarebbe dovuto acca… accadere. Era nata una strana creatura che la natura stessa non ha mai saputo concepire… e io riuscii a trasportarla qui grazie al Vortice del Tempo. Invertii il flusso temporale, aprii una breccia in un’altra era, in un’altra dimensione. Rischiai un buco nero ma… alla fine, lei era lì, ed era bellissima…-
Il Dottore smette di piangere, gli occhi si sbarrano allucinati nel metabolizzare le parole del Maestro e il significato che esse comportano. Ripercorre mentalmente trascorsi passati, ricordi che riconducono alla prima e ultima volta che ha versato una lacrima per amore. Trema il Dottore, ha paura.
-Che cosa hai fatto?- mormora, vibrante di un terrore che quasi sovrasta il dolore per la perdita che a breve subirà.
Il Maestro sorride di un sorriso folle, alterato, che si estende agli occhi spalancati, iniettati di sangue e sofferenza per la ferita che poco a poco lo consuma. Ha vinto lui, e adesso il colpo di grazia sarà decisivo per decretare l’ultima caduta psicologica del Dottore. Oh, ascolterà le sue mura di sorrisi e amore crollare davanti all’operato dell’ultimo vero Signore del Tempo. Sarà la fine per entrambi, ma il Maestro avrà vinto.
-Smetteranno mai, Dottore? I tamburi…- E per brevi istanti, la voce del Maestro vacilla, si spezza di terrore maniacale, soverchiante, che infine lo schiaccia con tacco impietoso, affossandolo nelle tenebre della sua follia, ove solo i cipressi a guardia dei cimiteri sapranno tener compagnia a un cadavere che nella sua immobilità, rammenta ancora il vibrare assordante di tamburi nelle membra.
Il Dottore non ha la forza per piangere, ha esaurito le lacrime anche per questo. Si imprime nella mente l’ultimo viso che ha condotto l’estinzione della sua gente, l’ultima speranza di non restare solo in un universo che solo l’ha voluto. Nessun ricordo, nessuna speranza. I Signori del Tempo così tramontano, silenziosi, a capo chino, come scorrere di ere che dinanzi ad occhi indifferenti scivolano via.
Ora resta un dubbio, una supplica interiore che il Maestro abbia mentito. Raggiunge a grandi falcate la sua compagna, la afferra per le spalle e la scuote con violenza vera, pregnante, che le fa dolere i muscoli e gridare di paura.
-C’è una ragazza? C’è una ragazza tenuta prigioniera qui?-
E tutte le speranze del Dottore crollano quando la donna annuisce e scoppia in lacrime davanti ai suoi occhi sbarrati di rinato orrore. Non può essere lei, non deve essere lei.
Ti prego, anche lei no…
Lo stesso Jack trattiene il respiro mentre tutti loro seguono l’ex compagna e ormai assassina del Maestro li guida verso i sotterranei, più giù delle celle che hanno ingabbiato Jack, più giù di qualsiasi meandro il Dottore abbia mai visitato. E alla fine giungono lì, dove i passi dei vivi paiono confondersi con quelli silenziosi dei morti, del silenzio, del tempo che non scorre più.
Macchinari. Tanti, illuminati di luci intermittenti, insistenti, fastidiose. Sembrano tante formiche operaie in continua, mefitica attività. Diavoli intorno al condannato, inferno che abbraccia il paradiso. E il paradiso adesso è lei, il centro della stanza, dove un lungo cilindro di vetro ricolmo di strano liquido azzurrino, lucente, abbraccia una figura in posizione crocifissa, coi polsi e le caviglie bloccati da catene collegate alla sommità della sua stessa prigione.
Il Dottore guarda, gli occhi ricolmi di un terrore cieco che si mescola alla gioia di rivederla lì, viva e bellissima molto più di quanto abbia mai ricordato. Quella Rose tuttavia è diversa, ma allo stesso tempo… è lei. Splendida nella sua nudità che rivela un corpo scolpito da cicatrici, pallido, dai fianchi stretti e dalla vita larga. È dimagrita, ma non in modo eccessivo. Adesso il suo corpo pare scolpito in uno stampo da modella, con l’unica pecca di migliaia di ferite che disegnano una mappa infernale su pelle di paradiso. Il viso è smagrito da occhiaie, contratto in un sonno indesiderato probabilmente indotto dai migliaia di elettrodi che scompaiono tra i capelli fluttuanti e adesso lunghi fino alla vita. Forse è stato il liquido che l’abbraccia di orribile coperta ad accelerare il processo di crescita, perché il Dottore non li ricorda così lunghi.
Il Dottore si avvicina, poggia il palmo sulla gelida superficie del cilindro. È fredda, troppo fredda. Sembra ghiaccio, e se essa riporta all’esterno la temperatura interna, allora Rose sta…
-Dannazione!- urla il Dottore, e all’istante raggiunge il pannello dei comandi, li preme in un ordine noto a lui e a lui soltanto. Conosce quei meccanismi, li ha adoperati tante volte quando era su Gallifrey, ma non è con mani ferme che schiaccia i tasti. Trema visibilmente, i cuori battono impazziti e il dolore aumenta nella sua testa di una tacca ad ogni istante che passa.
Rose. Rose. Rose. Cosa ti hanno fatto?
In quel momento, il liquido presente nel cilindro comincia a calare, viene risucchiato via da due tubi laterali mentre la stessa prigione di vetro si abbassa, scivola via per liberare il corpo gocciolante della piccola preda ormai libera. Ed è allora che Rose spalanca gli occhi intrisi di una luce dorata che richiama alla grandezza del vortice del tempo. Tossisce, sputa grumi di sangue chiarissimo che nulla ha a che fare col sangue umano. Guarda stordita le catene che la bloccano, tenta di focalizzare faticosamente la situazione con occhi di preda ingabbiata, spaventata, che poco a poco realizza. Rose grida, ed è un lamento così straziato che il Dottore vacilla, si sente schiacciare, ferire, lacerare da quel suono maledetto.
Le catene si aprono, liberano il corpo di Rose che cade abbandonato, atterra tra le braccia di Jack, che subito la stringe a sé, le bacia la fronte, cerca di fermare i tremori che la scuotono di violenza. È fredda come il ghiaccio.
-Stai calma, è finita…- mormora al suo orecchio, strofinandole la schiena con una mano. Cerca di convincersi Jack che sia finita davvero, ma è stringendo quel corpo tremante che capisce l’inutilità dei suoi gesti. Rose è diversa, non lo riconosce. Ha paura di lui, di tutti loro. Del Dottore.
Rose spalanca gli occhi, urla di nuovo. Pare svegliarsi del tutto, si agita, ma Jack la trattiene a stento. Poi d’improvviso, una potente onda d’urto color dell’oro si propaga dal suo corpo e scaglia tutti i presenti, Jack compreso, contro il muro. Rose cade a terra, trema con tanta forza che pare scossa dalle convulsioni. Stringe i pugni fino a conficcarsi le unghie nei palmi, ansima come belva in gabbia e finalmente posa gli occhi su uno degli uomini accasciati a terra ma intento a rialzarsi. Incontra il suo sguardo lucido di lacrime, intriso di una sofferenza malata che pare prossima ad annientarlo come foglia secca sbriciolata da dita di una mano. Sono occhi arresi i suoi, occhi antichi che improvvisamente invecchiano, si incartapecoriscono e lasciano che il peso della vita schiacci ogni loro luce, ogni colpa fino ad ora sostenuta.
Lei lo conosce. Ricorda quelle mani, quei capelli morbidi al tatto, quelle labbra… oh, le labbra. Poi, il dolore esplode ancora nella testa e lei si rannicchia, scuote il cranio prossimo all’erosione. Sente sulla pelle il bruciore di mille aghi, di mille mani traditrici, di mille voci assassine, indifferenti. Ricorda le grida, il dolore provato, le preghiere sprecate, affidate al vento che con pazienza avrebbe dovuto custodirle. L’ha fatto? Non lo sa, non lo ricorda. Ricordare. L’unico ricordo adesso, è il dolore. Nessun sorriso, nessuna memoria felice. E la sua testa che lentamente pare sgretolarsi sotto l’incessante pressione di una sofferenza provata per mesi interi.
Lui mi troverà.
Lui verrà a cercarmi.
Io mi fido del Dottore.    
Voci, speranza, grida, sofferenza. Rose si agita, sente l’energia accumularsi nelle mani. Una possente aura dorata la ricopre, si aggrappa al corpo come parassita d’infamia pronto ad esplodere. Rose la sente, percepisce ogni briciolo di forza propagarsi, sfiorare gli organi con beata gentilezza, la stessa che mancava alle mani che in passato l’hanno afferrata, manovrata come marionetta.
Il vento aumenta, riempie i muri di crepe serpeggianti, schiaccia i presenti contro le pareti con facilità di mano umana che spinge via mosche moleste.
-Rose!- grida il Dottore, gli occhi socchiusi per combattere la tempesta di vento ed energia dorata che frusta l’ambiente e i presenti con rabbia finalmente esplosa. È una belva impazzita quella che serpeggia lungo ogni parete dell’edificio, scuotendolo senza sforzo dalle fondamenta. Il mondo trema, le nubi si raccolgono in un unico punto, ove il più feroce dei Lupi Cattivi si risveglia in tutta la sua rabbia pulsante, aggressiva, che sgretola ere, sfonda vite, distrugge mondi e universi.
E il fulcro stesso di quella forza animale è una fanciulla giovane e impaurita che fissa le sue mani assassine, luminose di una potenza incontrollabile, che la spaventa a morte. Si sente giudice di troppe vite, padrona di troppe ere. È fuori controllo, non ragiona più.
-Rose, calmati!- grida una voce da qualche parte, e allora Rose Tyler, se ancora questo è il suo nome, leva il capo, si guarda intorno con ansiosa disperazione. Cerca un appiglio, un atto di pietà che la rinchiuda di nuovo, che la metta sotto controllo perché sa che a breve, il rilascio d’energia distruggerà ogni cosa. Lei non vuole, la gente non lo merita.
Tenta di alzarsi, cade in ginocchio. Non ne può più, la giovane Rose. Quella non è lei, non ricorda più la sua identità. È mai stata qualcuno, prima?
-Rose.-
Ed è una voce che rompe di forza il muro di terrore che la circonda. Affonda nelle pieghe dell’anima contratta, carezza gentile la pelle dorata, rassicura di dolcezza ogni suo timore. È una voce amata quella, una voce che ricorda giorni di leggerezza… di libertà. Quella voce è libertà, adesso lo ricorda.
Qualcosa si muove verso di lei, combatte le raffiche di vento talmente gelido da ricoprire di brina il lungo cappotto sgualcito, ma non si ferma. Scivola sul pavimento, si rialza, cammina. Poi, due braccia gentili la avvolgono, riscaldano il corpo di Rose, la sfiorano senza violenza. Un profumo di fresco le invade le narici, la fa rilassare poco a poco che il cervello ripesca dei ricordi dolci che sanno di amore, libertà e felicità indomita, dove una ragazza libera affianca e tiene per mano un giovane uomo. Insieme sovrastano l’universo, balzano come cervo e cerbiatta indomabili da un tempo all’altro.
Uomo e donna.
Umana e alieno.
Un cuore e due cuori.
Rose quel tocco lo riconosce. Respira di quello sfiorarsi dolce di mani contro pelle nuda e finalmente si sente rinascere, sbocciare tra dita sottili che tante e tante volte l’hanno sfiorata, regalandole nuovi ricordi, nuove speranze alle quali ha saputo aggrapparsi nei momenti più rigidi. E alla fine, Rose ricorda.
Sa come si chiama, riconosce la vita che mattone dopo mattone, ha costruito la casa interiore che abita. E il mattone più importante, la pietra angolare, è lui, l’uomo che la sfiora, la risveglia.
Il vento diminuisce, cessa all’improvviso. L’accecante luce dorata si riduce, ricopre di velo splendente soltanto la pelle adamantina di Rose Tyler che finalmente espira, riprende il controllo. E dopo mesi di dolore e pugni stretti, le dita si distendono e posano con garbo sulla schiena dell’uomo che rabbrividisce e sospira. Ogni cosa scivola al suo posto, l’oro del Lupo Cattivo diventa semplice alba di sole gentile e anche la morte del Maestro all’improvviso pesa di meno.
Le ferite non sanguinano più.
La solitudine smette di pesare.
La libertà si fa padrona, l’affetto sorge di indomita luce dorata, la stessa che aleggia intorno alla giovane donna che si stringe al Dottore.
-Sono qui.- mormora lui, accarezzandole i capelli ormai asciutti. Lei lo sa, sente la sua vicinanza e all’improvviso non è più sola.
Respira dei suoi respiri puliti.
Palpita del suo doppio palpito emozionato.
Vive attraverso i suoi occhi rinati di sollievo.
-Puoi controllarlo, Rose. Controllati, andrà tutto bene.- dice il Dottore, paziente. –Io sono qui.-
Rose annuisce, si lascia andare contro il suo corpo. Non piange, perché teme che un nuovo sbalzo di emozioni ricreerebbe l’atmosfera per una nuova esplosione di energia, ma non si concede ancora di svenire.
-Voglio vederlo.- mormora, e il Dottore capisce, la prende in braccio. Lei appoggia il capo contro il suo petto, ascolta i battiti dei cuori e si sforza di rilassare le membra contratte. Salgono le scale, sfilano dinanzi ad ambienti che Rose non riconosce e non ricorda. Quando infine raggiungono la sala centrale dove il corpo del Dottore giace abbandonato in una pozza di sangue, la paura torna pulsante in lei, le fa artigliare il cappotto del Dottore come bambina che chiede riparo al genitore premuroso. Respira a fondo, cerca di non soffocare negli incubi che la assalgono ad ogni passo che la avvicina a quel corpo ormai inoffensivo.
Quando il Dottore si inginocchia e la posa a terra, sfilandosi il cappotto e posandoglielo sulle spalle per coprirla, Rose si rilassa appena. Inspira il profumo dell’indumento, il primo che indossa dopo mesi interi di nudità forzata e tende una mano. Sfiora il viso del suo aguzzino, lo riflette nei ricordi urlanti che la assordano ad ogni istante.
Adesso che il Dottore è accanto a lei, non ha più paura e ogni cosa è un po’ meno spaventosa. Ha uno scudo, un’ancora di sicurezza a cui aggrapparsi fino alla fine. Si sente improvvisamente più coraggiosa, fiduciosa della sua decisione. Conosce la sua forza, la grandezza di ciò che le è donato e infine decide di essere ciò che deve: il Lupo Cattivo, la bestia vendicativa e pietosa, bugiarda e sincera, umana e dea. Vita e morte, come fu all’inizio e come sarà adesso.
-Io riporto la vita.- ripete a memoria, ricordando la prima volta che si è impadronita del potere dannato. Così ripete, così chiude il ciclo a modo suo, facendosi padrona dell’ultima decisione madre.
Mai più morte per chi merita la condanna all’eternità.
Mai più scelta di andarsene finché il Dottore carceriere così non avrà deciso per il Maestro condannato.
E infine, Rose appoggia il palmo sulla fronte del Maestro, fissa l’energia dorata, bruciante fin dentro le ossa scivolare lungo il braccio, sulle dita, fino al corpo immobile e insanguinato del Signore del Tempo.
Tum.
Respira di nuovo, uomo malvagio.
Tum.
Sii causa della tua prigionia, ove non ti sarà più conferita alcuna fuga.
Tum.
Vivi e impara dalla vita.
-Ora io ti ordino, morte- tuona Rose, e la sua voce da dea risvegliata si schianta contro le pareti, nella mente di ogni essere vivente, che leva lo sguardo e attende, trattiene il respiro e si raduna al cospetto di quella luce dorata. -ripiega. Ritrai la falce, china il capo e ubbidisci al tempo sovrano, poiché tale è la mia decisione e tale è il tuo obbligo di rispettarla. CHE MADRE VITA RITORNI!!!-
E un fascio di luce vibrante di potenza erompe dal piccolo corpo di donna, riversandosi come un fiume nel corpo del Maestro, che sussulta e sbarra gli occhi, tossisce, si gira su un fianco e poco a poco realizza l’accaduto. Posa gli occhi in quelli giudiziosi e ancora dorati della persona che ha creduto di vincere con esperimenti bestiali. All’improvviso, nuovamente dinanzi al vortice del tempo che rimescola le carte nelle iridi chiare di Rose Tyler, il Maestro ha paura e grida, si afferra la testa, chiude gli occhi come bambino spaurito. Aspetta i tamburi, si prepara a venirne sovrastato, ma il suono non arriva.
-Cosa…- Il Maestro fissa Rose, i cui occhi tornano finalmente normali, caldi e ricchi di emozioni come solo quelli di un umano sanno essere. Barcolla, ma si costringe a non cadere.
-Non sono così crudele, Maestro.- decreta infine con voce gelida che stona col terrore che ha nello sguardo. –Ti sto dando una seconda possibilità. Puoi ricominciare, puoi ritrovare una strada che ricordi la grandezza dei tuoi avi, ma bada: non sarai solo. Io ho annullato il suono che ha saputo annientarti il sano ragionamento, ma in qualsiasi istante, se solo torcerai un capello a chiunque sulla tua strada, allora i tamburi torneranno, e finiranno il lavoro. Questa è la mia decisione: vivi coi tuoi fantasmi, combattili e ritrova la forza per sconfiggerli.-
Il Maestro non parla, a stento trova il coraggio di respirare. Vive. I tamburi non ci sono più.
-Non ci posso credere…- mormora il Dottore, fissando il suo simile ancora accasciato pietosamente al suolo. Non è più solo, non è più unico nel suo maledetto genere. Ha un amico, una mente a cui affidarsi quando i ricordi cominciano a scivolare via nell’anzianità. Si sente completo, ripulito e nuovamente fiorito nella speranza che una giovane ragazza non più umana ha saputo regalargli. Il Dottore la guarda mentre si alza, appoggiata all’avambraccio di Jack per combattere il violento tremore alle gambe. Sembra così fragile, eppure ha appena costretto la morte stessa ad ubbidire, a ripiegare gli artigli micidiali da un’anima distrutta.
E all’improvviso il Dottore non ragiona più, corre ad abbracciarla, inspira grato il suo profumo e finalmente tutto scivola al suo posto: il suo mondo si ricostruisce nel ghiaccio e nel fuoco, nella vita e nella morte, nel passato e nel presente. Ritrova tutto lì, tra i capelli di Rose che gli scivolano dorati tra le dita, sulla pelle di morbida seta che accarezza, nel corpo di giovane donna che riporta calore a una vita vissuta nel gelo.
Non più umana e alieno, ma dea e Signore del Tempo. Simili nella forma, differenti nella forza che li contraddistingue. Lui pietoso, lei giudiziosa. Lui speranzoso, lei viva di speranza. Pezzi di puzzle che si incastrano, si ritrovano, ricostruiscono un nuovo mondo agli occhi dei presenti che si stupiscono della magnificenza del quadro dipinto nello spazio dinanzi a loro.
Poi, l’incanto si spezza e Rose si accascia contro il petto del Dottore, gli occhi chiusi e le labbra semiaperte per lasciar spazio al respiro basso di fanciulla assopita. Lui la prende in braccio, le bacia la fronte con dolcezza cavalleresca, antica, ma non riesce a muoversi di lì: non può abbandonare il Maestro, non ora.
In soccorso giunge Jack, che gli sfila il corpo di Rose dalle braccia, riducendo il Dottore a un gelo inaspettato. –Sto io con lei. Tu occupati di mister Simpatia laggiù, prima che qualcuno gli spari di nuovo.-
Il Dottore si costringe ad annuire e raggiunge il Maestro ancora accasciato, immobile e fragile più del vetro. Quando Rose viene portata via, al Dottore quasi manca il respiro e nuovamente capisce che non è soltanto della solitudine che ha paura: teme di perderla, teme la sua lontananza. Lo svuota, lo riduce a un guscio abbandonato e senza senso una volta perduto il suo prezioso contenuto. Anche i suoi cuori faticano a battere ad ogni istante che Rose si allontana, ma sa il Dottore, che non è ancora finita, che più del Maestro, è la ragazza a dover combattere i suoi spettri adesso. Non sarà sola, non combatterà unica contro il mondo. Merita di più, merita di ritrovare l’umanità perduta.
Ma non sa il Dottore che la sua è una lotta contro il tempo. Tic tac, esso scandisce. Tic tac di lancette che scorrono verso l’ultimo rintocco della sanità mentale di Rose Tyler, che lotta in ogni istante per controllare un potere più grande di lei, più grande dell’universo stesso.
Tic tac.
 
Continua……………………………………………………..
 
Angolo dell’autrice:
Caaaalma. Ok, ho dato vita a un… una… cosa accidenti ho scritto? Va bene, diciamo che Rose la maltratto in modi indescrivibili e il povero Dottore non trova un attimo di pace. No, Dottore, non è servito smontarmi il pc per impedirmi di pubblicare. Mi è stato chiesto di farlo e lo farò! Fermo dove sei, o scarico le chiavi del TARDIS e il cacciavite sonico nel water e dopo voglio vedere come li ritrovi! Oh, buono lì. Dunque, dicevo? Ah sì. Allora, premetto che il secondo capitolo DOVREBBE essere l’ultimo (dico dovrebbe perché l’ultima volta che l’ho scritto sono finita a scrivere altri 3000 capitoli di troppo). Spero che vi sia piaciuto e… sì, insomma… potreste lasciare un commentino? Non riesco a non convincermi che questa cosa meriti un secondo capitolo anziché un lanciafiamme conseguente al dovuto esorcismo. A voi la scelta, chiamo il prete o continuo? XD no, Dottore, il tuo voto non vale. E sì, se osi toccare i miei cofanetti delle serie tv ci finisci tu nel water, ma di testa finché non ti spuntano le branchie per poter respirare sott’acqua. Pussa via, qui c’è gente che lavora!
A prestissimo!

Tomi Dark Angel

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Capitolo 2
*** Rintocchi Finali ***


Ombre. Voci. Freddo. Da qualche parte qualcosa và in frantumi, poco lontano qualcuno genera crepitio di vetri calpestati. Lei ascolta, vive, galleggia inerme nel limbo di stallo che ha costruito la sua mente per proteggerla, per sottrarla al dolore. Perché il mondo fa male, perché il mondo è cattivo e non risparmia mai neanche chi ha appena la forza di pregare Iddio in un miracolo di carità.
Acque celestine la abbracciano, sfiorano di macabra carezza il suo corpo nudo, ma lei non riesce a beneficiarsi di quel contatto talmente gelido da sedare ogni sorta di dolore. La mente è ancora sveglia, la coscienza percepisce il pericolo, la paura, la solitudine. E lei stavolta è sola davvero, perché ogni frammento di speranza si perde col passare dei giorni delle ore. È sola perché stavolta lui non verrà. Il Dottore l’ha abbandonata.
 
Rose Tyler spalanca gli occhi, riflette nel cervello le immagini dell’incubo. Non urla, non ci riesce più da quando per pura ripicca scelse in laboratorio di non donare al Maestro anche l’ultimo piacere di udirla implorare. Si era morsa la lingua a sangue, quasi staccandola coi denti pur di resistere, di mantenere quel po’ di dignità che insieme ai vestiti non le avevano sfilato dal corpo. Cara, umana caparbietà. Rose ne ha pagato alto il prezzo, ma non riesce a pentirsene. Ha sofferto, è rimasta in piedi a costo di spezzarsi. Piegarsi, mai.
Una morsa soffocante le stringe la gola, serra le corde vocali con ferocia animale e lei annaspa, tossisce forte, agitandosi tra le lenzuola del letto che adesso occupa, ospite del TARDIS. Il Dottore è stato fermo nella sua decisione e quasi sibilando ha convinto tutti i presenti, autorità maggiori comprese, a lasciarla in pace, a relegarla nel silenzio della sua tranquillità tanto a lungo cercata. Il TARDIS sa di casa, di ritrovata libertà, e lei in quel letto si è sentita abbastanza rilassata da riuscire a chiudere gli occhi. Grande sbaglio.
Rose cerca di scendere dal letto, ma le gambe cedono e lei crolla di schianto al suolo, tremante come fragile foglia in balia del vento. Si aggrappa all’unica sensazione pacifica che quel ricordo le regala. Acqua. Ha bisogno di acqua, perché solo in quel cilindro, dove l’acqua gelida sedava perfino i pensieri, lei si era sentita erroneamente al sicuro.
Si trascina verso il bagno adiacente alla camera, raggiunge quasi strisciando la doccia e, aggrappandosi alle mattonelle della parete, stira i muscoli finché non raggiunge l’interruttore che aziona il getto. L’acqua tiepida e subito confortante scivola lungo il suo corpo, bagna il pigiama che Martha Jones le ha fornito, carezza come placida madre le piaghe cicatrizzate della figlia indifesa.
Rose chiude gli occhi, inspira l’acqua gentile che scorre purissima sulla pelle sudicia di peccati altrui, malati, violenti. I polmoni non bruciano più, si sono adattati ai lunghi mesi rinchiusi in una tomba acquatica ove respirare non rappresentava altro che puro miracolo. Adesso l’acqua è sua amica, adesso l’acqua purifica, salva, sana migliaia e migliaia di ferite. Ha saputo nascondere le lacrime, celare il dolore come unica privacy concessa e per questo lei si sente al sicuro, di nuovo rilassata sotto la carezza morbida di un elemento che paziente, ripulisce pezzo dopo pezzo la sua anima sanguinante.
Non sa per quanto tempo resta al sicuro sotto la campana d’acqua che la circonda, ma realizza di essersi addormentata quando all’improvviso riapre gli occhi e qualcuno è lì al suo fianco, seduto sotto la doccia proprio come lei. Rose guarda il Dottore appoggiare la schiena alla parete, gli abiti fradici e i capelli aderenti al cranio. Sembra a suo agio, pare tranquillo, ma non si avvicina. Le concede il suo spazio, attende paziente come gentile estraneo che veglia silenzioso sulla pace del randagio capitato dinanzi alla porta di casa sua. Non la abbandona, non parla, ma resta lì e Rose può sentire la sua presenza, il calore della sua vicinanza.
Guarda il Dottore e rivede la speranza che credeva d’aver perduto.
Guarda il Dottore e ricorda la libertà.
Guarda il Dottore e capisce di essersi mossa verso di lui soltanto quando si accuccia al suo fianco e posa il capo sul suo petto, abitato da due cuori pulsanti di calma serafica. È un suono così bello, credeva di non poterlo sentire più.
Sospira quando lui passa un braccio intorno alle sue spalle e la stringe protettivo, ma senza esagerare. Ha paura che vada in pezzi, Rose lo sente, ma lei non cederà finché lui è al suo fianco. Si sente completa e al sicuro, non più Lupo braccato ma creatura libera, pulsante di aspettative per il nuovo giorno.
-Non sei sola. Prometto che non lo sarai mai più.- E quelle semplici parole sanciscono un nuovo pulsare d’emozioni ritrovate, una nuova bolla di pace che poco a poco si ricompatta intorno al caos che regna in lei. Sta scivolando tutto al suo posto, lentamente, ma la strada da percorrere è ancora lunga.
-Ti ho mai raccontato di quando fui inseguito dall’intero esercito francese per aver… ehm… erroneamente fatto un commentino sulla scarsa altezza di Napoleone?- dice lui, e Rose sorride del sorriso che sente sbocciargli nelle parole. Scuote la testa senza parlare, perché adesso gli unici suoni che vuole udire sono la voce del suo angelo protettore misto al pallido mormorio dell’acqua sui loro corpi.
E così accade infine. Il Dottore parla, racconta, narra di fughe avventurose e vicende spericolate senza domandare, senza pressare Rose in alcun modo per l’accaduto del loro ultimo incontro. Non menziona il Maestro, non menziona l’ultima invasione aliena. La tratta normalmente, e per un momento Rose si sente umana, viva e felice di esserlo. Scivola nel sonno quasi senza accorgersene, pregna del profumo del suo Dottore e serena del mormorio arcano della sua voce che, nelle vicende raccontate, costruisce l’intreccio di una ninna nanna paradisiaca. Per la prima volta dopo tanto tempo, Rose non ha gli incubi.
 
C’è un fruscio morbido nell’aria, il Dottore lo avverte con chiarezza. Poco a poco, risveglia gli altri sensi, li lascia agire ancor prima di aprire gli occhi.
Olfatto. Profumo di donna, intriso di una calda mescolanza di vaniglia e girasoli.
Gusto. Sapore di pace, sapore di un’infinita dolcezza, talmente serena da lasciarlo stupefatto.
Tatto. Sentore di lenzuola morbide sotto le dita… vuoto di calore umano, freddo di assenza.
Il Dottore spalanca gli occhi, si guarda intorno agitato al ricordo della sera precedente, ma subito si rilassa e qualcos’altro sostituisce la sua paura: una forte emozione s’impadronisce di lui, gli occhi si beano di una visione che per lui non ha eguali sulla Terra, nell’universo, nelle ere vissute ed esplorate.
Di meraviglie il Dottore ne ha viste anche troppe, ma nessuna, nessuna di esse eguaglia la regale dolcezza che colora d’incanto l’immagine che ha davanti.
Rose Tyler siede al suo fianco, tra le lenzuola, e gli dà le spalle. Nuda, gli abiti ancora umidi e appena sfilati giacenti ai piedi del letto, a far compagnia all’asciugamano in cui lui l’ha avvolta la sera prima per evitarsi di spogliarla. La schiena dritta, dipinta d’oro dalla luce dorata e così simile a quella del sole che piove dalle pareti. Lui  scorge appena il suo viso, voltato di tre quarti e appena inclinato verso il basso per poter fissare i morbidi filamenti d’oro purissimo che sgorgano come acqua dalle dita, s’avvolgono in spirali fantasiose intorno ai polsi sollevati, sfiorano di riverente gentilezza la pelle rosea della creatura caritatevole che gioca come giovane bambina coi suoi stessi poteri. Appare appena stupita, ma sorride con una dolcezza talmente infinita che il Dottore si sente indifeso, fragile come cristallo al cospetto di una Rose incredibilmente bella e pietosa, con quella cascata di capelli d’oro che scivola come acqua illibata sulla pelle, indomita nei suoi mille arabeschi di chioma selvaggia eppure magnifica.
Il Dottore si accorge a stento che la pelle di lei brilla di un tenue bagliore come di raggio solare, carezzevole sulla polvere di stelle che è quel corpo temprato dal dolore e dalle innumerevoli prove combattute e vinte infine. Rose non è mai stata così splendente, eppure così umana. Lo dimostra l’espressione di puerile dolcezza, mista alla magnificenza spiazzante, inconsapevole del suo aspetto.
Rose solleva un braccio, lascia che i filamenti luminosi scivolino da una mano all’altra, dipingendo di dorati arabeschi solari la pelle di luna. Scosta morbidamente prima un braccio, poi l’altro, come in una danza arcana, d’altri tempi, ma sorride e non pare concentrata nei gesti. Sono casuali, e nella loro casualità, meravigliosi.
-Sei bellissima.- si lascia sfuggire il Dottore, e in quel momento lei si volta, senza vergogna. È abituata ormai a essere fissata, studiata nella sua nudità, ma lo sguardo che adesso il Dottore le rivolge è di dolcissima contemplazione, senza malizia o interesse scientifico. La guarda come si guarderebbe una splendida opera d’arte o una rosa in morbido sboccio, e questo la fa arrossire perché quegli occhi sono ben diversi da quelli degli scienziati.
Fa per abbassare le braccia e nascondersi, ma in uno slancio di coraggio, il Dottore allunga le braccia, le circonda la vita bollente con timore quasi reverenziale. Aderisce il petto alla schiena di lei, la fa sbilanciare contro il suo corpo mentre ancora i filamenti di sole danzano lenti intorno ai suoi arti. Si espandono ai bicipiti, fino alle spalle, e carezzano di un calore gentile le mani del Dottore. Incredibile che tanta potenza si racchiuda in visioni così belle.
-Ho avuto paura.- ammette lui infine, le mani poggiate sul ventre di Rose, il suo calore che abbraccia di morbida coperta ogni suo organo alieno. –Ho temuto di perderti. Già è accaduto una volta, e adesso… è colpa mia, Rose. Soltanto mia.-
Una lacrima d’uomo pentito gli solca la guancia mentre lui appoggia la fronte contro la spalla di Rose. Nasconde il viso alla vista, stringe forte gli occhi per non guardare le lacrime adamantine che come cristallo fuso bagnano le lenzuola, le impregnano di pesante dolore oscuro.
Ma è all’improvviso che un suono armonioso si spande nell’aria, la alleggerisce d’incanto fatato e fa sussultare i cuori del Dottore. Lui solleva il capo, fissa il corpo scosso di Rose e capisce che quell’argentino scampanellio di risate è suo.
-Andiamo Dottore, non ti credevo così stupido!- ride lei, ma non vi è cattiveria nella sua voce, solo gentile divertimento. –Puoi addossarti davvero la colpa di tutto ciò che ti accade intorno? Fu mia la scelta di incarnare il Lupo Cattivo, mia la scelta di affrontare le avversità che ne sarebbero seguite.-
Rose fa perno sui gomiti e con un colpo di reni si volta, inginocchiata tra le gambe del Dottore che subito chiude gli occhi per non guardare il suo corpo nudo, per non scivolare lo sguardo sulla più bella opera di Dio, se Dio esiste. Si affida alla sensazione di mani calde e profumate sul viso, pollici luminosi che cancellano di pietà la scia cristallina delle lacrime.
Il Dottore riapre gli occhi, li fissa in quelli adesso dorati come oro fuso di Rose. Lei sorride, lo stringe al petto e lui crollando, si aggrappa alla sua schiena, affida le ultime lacrime di terrore ormai passato a quel corpo aggraziato, a quell’anima pulita che ha saputo ripulirlo. Appoggia senza malizia la guancia sui suoi seni, ascolta il battito del cuore di lei e si accorge che è lento, troppo per un umano, ma abbastanza normale per una creatura ultraterrena senza eguali.
Perché adesso Rose respira di ere passate, vive di tempi futuri. Adesso Rose è una figlia del tempo, diretta discendente di un Dio superiore che manipola gli universi e il loro trascorrere.
-Ho scelto il sacrificio perché era ciò che meritavi, Dottore, e lo rifarei mille e mille volte.- Gli solleva il viso con dolcezza, sorride. –Tu sei la mia casa. Quasi non credevo alla concretezza del sole finché non me l’hai mostrato, fissavo le stelle senza poterle raggiungere, ma alla fine me le hai fatte addirittura toccare. La mia vita, quella vera, io l’ho vissuta con te.-
Altre lacrime scivolano lungo le guance del Dottore, ma adesso non pesano più. Si fanno leggere delle parole di Rose, si ripuliscono del suo tocco, del luminoso della sua anima che quasi sfiora quella del Dottore.
-Grazie.- riesce a dire soltanto, ma lei capisce. Sa che c’è dell’altro, racchiuso in quella piccola parola.
-Che scena toccante.- dice una voce, e subito i due levano lo sguardo sul Maestro. Ha la schiena poggiata contro lo stipite della porta, le mani accostate da un paio di manette che il Dottore detesta a morte. Non può vederlo come un criminale, come un nemico. In qualche modo, è suo fratello.
Rose si rannicchia subito, trema di paura ai ricordi che quel viso le risveglia. Il Dottore se la stringe al petto e fissa accigliato il Maestro.
-Fuori di qui.- ordina seccato, ma lui non si muove.
-Be’? Non ho niente da fare qui, mi è stato vietato di uscire e non ho neanche il mio cacciavite sonico con cui giocare. Qualcosa devo pur fare.-
Ma Rose sente la rabbia assalirla, il Lupo in lei che s’agita innervosito al centro del petto. All’istante, i filamenti dorati intorno al corpo diventano incandescenti, tanto che il Dottore si vede costretto a ritrarsi scottato, ma lei non se ne cura. Vede soltanto il viso della sua prigionia, la paura che ha saputo causarle, e come un lupo in gabbia reagisce aggredendo per autodifesa, così lei protende entrambe le braccia a indirizzo del Signore del Tempo.
I filamenti dorati si espandono come possenti raggi di sole, frustano l’aria di violenza. Si compattano e si schiantano con violenza contro il petto del Maestro, sbalzandolo all’indietro, oltre l’uscio.
Il Dottore ha gli occhi spalancati, cerca di parlare, ma quando guarda in faccia Rose quasi trema al cospetto della gelida furia che pervade ogni muscolo del suo viso. Si sente quasi fragile dinanzi allo splendore accecante degli occhi, ai capelli oscillanti e percorsi da scariche di potere. È il potere del tempo, l’oscillare di un pendolo sempiterno che si specchia in lei.
Non la trattiene quando si alza in piedi, fluida nei suoi movimenti e raggiunge il bagno. Ci si chiude dentro e pochi minuti dopo ne esce con addosso jeans e maglietta. Glieli ha prestati Martha, ignorando le richieste di Jack che la supplicava di donarle abiti alquanto succinti appartenuti alla sorella di quest’ultima.
-Vuoi uscire?- chiede il Dottore lentamente, ma lei scuote il capo. La paura del mondo esterno supera di gran lunga il pensiero di avere il Maestro nella stanza accanto.
-Raggiungo la console. Ti aspetterò lì.-
E Rose mantiene la parola, si appoggia ai comandi del TARDIS nello stesso istante in cui una fitta tremenda alla testa la costringe a sorreggersi per non cadere. Immagini di ere passate, presenti e future le percuotono il cervello, sfilano impazzite davanti agli occhi e lei si sente morire di mille vite morenti, vivere di mille respiri avvenuti. Tossisce, sputa un grumo di sangue e a stento si accorge del sangue che cola macabro dalle orecchie e dal naso. Si ripulisce in fretta, continuando a tossire, e lotta con tutte le sue forze per vincere il dolore.
-Fa male, eh?- dice il Maestro, e Rose lo vede seduto poco lontano da lei, ancora intontito per la botta subita poco prima.
Lei si infuria. –Ma non hai niente da fare?-
-Come ho già detto, no. Dovevi lasciarmi morire.-
-Non ti avrei risparmiato l’umiliazione di dover passare i prossimi secoli in compagnia di una balia.-
Lui arriccia il naso, ma poi sorride di un sorriso sadico, malato. –Oh, e la tua, di umiliazione? Fai tanto l’invincibile, ma presto cederai anche tu. Sarai la prima a morire, e questo non risparmierà alcun dolore al mio caro… collega.-
Stavolta Rose non s’infuria. Sorride stancamente, gli occhi intrisi di un dolore antico misto a umana debolezza. –Ti ho salvato per un motivo, Maestro. Io sono il Tempo, so qual è il mio destino. Non lascerò il Dottore da solo e, per quanto sia fastidiosa la tua compagnia, sarai l’impegno che terrà occupato il suo dolore. Non crederti onnipotente solo perché ti è stato concesso per breve tempo di sovrastarmi. Al tempo soccombono tutti, e infine anche tu sentirai il peso del mio potere, ma non è ancora la tua ora. Per adesso vivi, e cerca di ricucire le ferite col tempo che ti viene concesso.-
Il Maestro non replica, fissa stavolta serio i suoi occhi lucidi di dolore e quasi la invidia quando la vede raddrizzarsi, pulirsi il sangue dal viso e ripulirlo da terra. Quando il Dottore entra, non vi è traccia del fragile rosso malato che sporcava il pavimento e la morbida pelle di Rose Tyler. Neanche il Maestro lo menziona.
-Allora Rose, cosa ti andrebbe di fare oggi?- chiede allegramente, ritrovando la sua energia di bambino.
-Ehi, io sono qui, eh.- si lamenta il Maestro, ma Rose e il Dottore lo ignorano. L’alieno comincia ad armeggiare intorno alla console, pensa che portare la sua Rose lontana dall’umanità possa aiutarla, ma non ha fatto i conti con i suoi amici.
Qualcuno bussa alla porta, la spalanca di scatto e Martha Jones, seguita da Jack e sua sorella entrano nel TARDIS.
-Accidenti, chi ha lasciato la porta aperta?!- si lamenta il Dottore, nascondendo dietro un falso broncio il sorriso che sente nascere sulle labbra alla vista dei suoi amici.
-Rose, come ti senti?- esclama Jack, stringendola in un abbraccio che la fa irrigidire per qualche istante. Quando la lascia andare, Rose respira di nuovo e si rilassa un po’.
-Oh, ciao, esserino immortale.- saluta il Maestro con un sorriso maligno. –Passato il dolore per le piccole torture che mi sono divertito a impartirti?-
-Posso spararlo?- chiede Tish, ma Martha sorride.
-No, ha già quello che si merita.- si rivolge a Rose. –Allora, hai intenzione di restare confinata qui in eterno?-
-Uhm… sì?-
-E invece no. Sei tutta stropicciata, hai bisogno di un’aggiustata. Ci penseremo noi.-
Ma Rose indietreggia e subito il Dottore compare al suo fianco. –Non mi sembra il caso.- dice, fissando impassibile le due sorelle e Jack. Lui alza le mani.
-Oh, non guardare me. Io non c’entro niente in questa storia, hanno fatto tutto loro.- si difende.
-Molto bene. Allora vuol dire che lo faremo qui…-
-No.- le ferma Rose. –Non ho bisogno di nulla, vi ringrazio. Devo solo restare da sola. Voglio… niente, scusate.-
Si volta e torna a rintanarsi nella sua stanza, odiandosi per le sue debolezze. Fa appena in tempo a chiudersi la porta alle spalle che le gambe cedono, un nuovo flusso di dolore la piega in due. Si morde a sangue la lingua per non urlare, ma è aprendo gli occhi che posa lo sguardo allucinato sulle mani coperte di crepe luminose, come pronte a spaccarsi per svelare un dorato contenuto di potenza.
Sussulta, chiude gli occhi e si concentra sul battito del suo cuore per calmarsi, per non crollare. È allora che lo sente. Un altro battito, un altro giovane respiro. Non sono suoi, non le appartengono, eppure sono lì, al suo interno… e li sente proprio lì, all’interno del suo ventre.
Non è possibile, non è concepibile. Non avrebbe mai avuto possibilità di… o sì? No, è assurdo, è sbagliato. Eppure, allo stesso tempo, ha paura di chiedere spiegazioni all’unico uomo che può fornirgliele.
Tic tac. Il pendolo oscilla, scocca i rintocchi di una fiammella prossima a estinguersi.
Tic tac. Un cuore che rallenta la sua corsa, l’ansito di un respiro che potrebbe essere l’ultimo.
Tic tac. Avanza, la signora Morte, leva la sua falce.
Tic tac. Ultimo rintocco, ultimi battiti di vita.
Tic tac.
 
Continua……………………..
 
Angolo dell’autrice:
Io mi detesto. Ma mi detesto davvero. Dovevano essere due capitoli, accidenti!
Dottore: che c’è? Non te la prendere con me, non ho fatto niente!
Mi hai distratta! Che cavolo, ho allungato il capitolo e ho dovuto tagliarlo in due!
Dottore: be’? Non ho fatto niente per distrarti! Certo, a parte lanciarti tutte quelle banane… e organizzare un rodeo di Sleethyn nel tuo corridoio… e giocare a poker con tutti quegli Ood… wow, non hai idea di quanti soldi ho vinto!
Ma brutto… ok, dovrò raddoppiare le sedute dalla psichiatra… e dallo psicologo… e di quel corso di yoga. Va bene, torniamo a noi. Premettendo che trovo piuttosto difficile giostrarmi col carattere del Maestro, spero di non aver scritto l’ennesimo danno all’ecosistema. Ma passiamo ai ringraziamenti, così forse vi convinco a posare quelle spranghe!
Tony Stark: eh, Rose deve ancora sopportarne, di maltrattamenti. Non so se ti farò felice oppure ti farò imprecare. Scegli la via di mezzo, è sempre la più giusta. E sì, ho salvato il Master, ma sto scoprendo che è un personaggio totalmente difficile da gestire. Essendo tanto geniale quanto svitato, è imprevedibile e difficile da riprodurre come nella serie televisiva. Spero di non aver fatto guai… sappi comunque che quando hai scritto di non aver notato errori nella storia, il mio unico commento è stato un grandissimo: “CHE C**O!!!”. Ammetto di non revisionare mai le storie quando le scrivo, perciò evviva le botte di fortuna! Detto questo, ti ringrazio per il commento e spero di leggerne un altro da parte tua. A prestissimo!
 
Kimi o Aishiteiru: finiscila con tutti questi complimenti, o mi monterò la testa e… ouch! Dottore, PIANTALA DI LANCIARMI BANANE!!! Credevo di averle sequestrate tutte! Ma non hai minacce aliene da sventare? (No, sono in vacanza. Nd Dottore) Tutti qui me li ritrovo… comunque, credo di aver raggiunto il limite massimo dell’incompetenza con questo capitolo. E giuro che l’ultima parte dello scritto non era in programma! Credo di essere uscita pazza all’improvviso! Sì be’… il Master è un po’ un problema, Rose e il Dottore vanno a farfalle mentre scrivo e tutti gli altri personaggi sono una faticaccia da gestire. Mai sudato tanto su una storia, ma l’ultimo capitolo sarà l’ultimo, spero… credo… oddio, impediscimi di scrivere altro! IMPEDISCIMELO!!! *la scuote* A prestissimo, e grazie come sempre! saluti a tutte voi, e anche alle tue amiche! Loro cosa ne pensano della storia?
 
BBpeki: eccoti il nuovo capitolo! Sono felicissima che ti siano piaciute le storie precedenti, ma spero di non averti delusa con questa… ho un po’ paura di ciò che ho scritto. Eheh, Rose ne ha ancora di poteri da sviluppare, ma pian piano il Bad Wolf sta venendo fuori. Hai capito fin troppo bene il mio stile di trama, sai? Specialmente la parte delle catastrofi, qui tutti mi dicono che sono di un sadico enorme! E hanno ragione, muahahahahah!!! Comunque, il mio non è talento, è semplice perdita di tempo. Non smetterò mai di convincermi che scrivo sempre un mucchio di stupidaggini ma sì, il mio sogno è diventare una scrittrice, e leggere le tue parole… mi ha quasi fatto piangere. Grazie. Grazie di cuore, e spero di non averti deluso con questo capitolo. Ci vediamo nel prossimo! Allons-y!!!

Tomi Dark Angel

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Capitolo 3
*** Una Nuova Famiglia ***


A volte respirare, andare avanti, fa male più di ogni altra cosa. È un obbligo che si collega al terrore di porre fine ad ogni cosa, al semplice battito cardiaco che, caino, procede nelle sue lente pulsazioni.
Rose Tyler respira, trema di un terrore assoluto che scorre avvelenato nel suo corpo. Ne avverte il peso, si sente schiacciata, non riesce neanche ad alzarsi. Giace abbandonata da due giorni, rannicchiata sul letto o sotto la doccia aperta, tanto che le coperte non hanno mai il tempo di asciugarsi. Ha chiuso a chiave la porta, si sente in trappola e indifesa ogni volta che il Dottore bussa e cerca di parlarle attraverso il pannello spesso che soltanto Rose può aprire. Non ce la fa. Non può guardarlo negli occhi e sentirsi morire al pensiero di essere diversa al punto da ospitare qualcosa, forse un abominio nel ventre.
In aggiunta alla debolezza psicologica che poco a poco la invade, qualcos’altro striscia in lei come macabro malanno pronto a sottrarle il respiro nei rari momenti di pace e sonno. All’improvviso e con sempre maggior frequenza, Rose si sente male, sputa sangue e subito il suo corpo si ricopre di un velo sottile di luce dorata, che pulsa come un timer ticchettante, volto a contare gli ultimi secondi di resistenza prima dell’esplosione.
Rose vorrebbe parlarne con qualcuno, sentirsi meno sola, ma più il tempo passa, più la realtà dei fatti la sovrasta al punto da schiacciarla ancora di più: non c’è nessuno al suo fianco, né ci sarà in futuro. Il Dottore è nient’altro che mero sogno al quale lei, pallida imitazione di una Rose passata, si aggrappa per non consumarsi nella sua stessa miseria. Si sente meglio non appena ode la sua voce, le pare di respirare al solo sentirlo lì, al suo fianco, ma ogni calore scompare quando lui ammutolisce e si allontana. Non sa Rose che il Dottore non è mai andato via. Non sa che passa le sue giornate appoggiate allo stipite della porta, paziente, vegliante. Attende in silenzio, con calma, senza invadere i suoi spazi. Non sente la bassa risata del Maestro che gironzola intorno alla console senza poter premere alcun tasto. Attende. Attende che lo stato d’impasse cessi, e allora potrà ridere e sentirsi realizzato dalla sua ultima opera d’arte.
 
È notte fonda quando Rose cede del tutto. Tre giorni, forse quattro di silenzio, dolore e forzata prigionia. Si guarda allo specchio di sfuggita, e tutto ciò che scorge sono occhiaie violacee, sguardo privo di luce, pelle sottile e pallida come di porcellana rovinata. Ha perso troppi chili, si sente svuotata. Eppure, il battito al suo interno prosegue, cresce.
Raggiunge zoppicando la porta, la apre con cautela, senza sapere che la fortuna ha saputo aiutarla, stavolta: il Dottore si è allontanato poco prima, trascinato via da Jack che ha voluto costringerlo a mangiare qualcosa.
Rose avanza, striscia per i corridoi come spirito inquieto, fino alla cabina della console, ove trova il Maestro, intento a lanciare una pallina da tennis contro il muro per poi riafferrarla con precisione impeccabile. Non si volta quando lei entra, non la degna di uno sguardo.
-Ce ne hai messo di tempo per usci…-
Ma la pallina gli sfugge di mano, il corpo di Rose, improvvisamente attivo come arti di lupo in caccia, schiaccia il Maestro al suolo. Lei gli pianta un ginocchio sull’inguine, gli stringe i polsi e li inchioda al pavimento. Lui ride.
-Attenta, che la mia ex moglie potrebbe essere gelosa! Non sapevo che avessi certi pensieri su di me!- esclama realizzato, ma Rose preme il ginocchio sul suo inguine, lo fa gemere di dolore e sbarrare gli occhi. Il tempo degli scherzi è finito, le risate non aiutano più: adesso è la meraviglia, quella vera ad agguantare il Maestro quando si specchia negli occhi d’oro purissimo di Rose, della sua creatura. Nella sua sciattezza, appare comunque magnifica, lupo dominante che si erge sovrano sul branco di semplici quadrupedi ubbidienti. –Oh, sei così bella.-
-Da quanto è così?- ringhia invece lei, il viso a pochi centimetri dal suo. Il Maestro si lecca le labbra.
-Oh, da parecchio. La pancia non si è gonfiata, è vero, ma non è necessario. È il tuo potere a nutrire il… bambino… e sappi che manca poco ormai. Sorridi, sarai madre!-
Ma Rose fa scattare il ginocchio, preme con forza sull’inguine del Maestro e lo fa gemere di dolore.
-Di chi è?! Rispondi!-
Ma il Maestro ride e piange lacrime di dolore, sembra perdere il senno. –Scappa, piccola gazzella! Scappa via! Sei tu a portare il nostro futuro in grembo!-
E allora Rose sbarra gli occhi, interpreta quelle parole come la peggiore delle maledizioni. Lui voleva ricreare una nuova Gallifrey, un nuovo pianeta gemello al suo simile deceduto. Ma una Gallifrey, ha bisogno della sua gente per risultare tale, per tornare ad essere abitata da Signori del Tempo. E quale Signore del Tempo potrebbe risultare migliore di un nascituro incrociato con la figlia del tempo stesso?
È del Maestro, il bambino. E questo spezza l’ultima resistenza, l’ultimo briciolo di razionalità che Rose più volte ha sentito scricchiolare di fragilità. Balza in piedi, indietreggia, cade. Si afferra la testa tra le mani e urla a pieni polmoni prima che un nuovo attacco di dolore la invada, facendola contorcere al suolo, sputare sangue, vomitare succhi gastrici. Sente il polso sbattere contro la base della console con tanta violenza da rompersi di netto come fragile arto di porcellana.
Quando l’attacco finisce, Rose ansima, non riesce più a muoversi. Lacrime di sangue le attraversano il viso mentre lei muove appena la testa per guardare stordita il Maestro, e ciò che vede le pare più strano dell’ultimo attacco subito. C’è paura adesso nei suoi occhi. Lo vede sbarrare le palpebre, stringere i pugni così forte da conficcarsi le unghie nei palmi. Suda. Il Maestro ha… paura.
-Aiutami… ti prego.- riesce a biascicare lei mentre la difficoltà di respirare le conferma che qualcosa non và nella cassa toracica. Deve essersi incrinata una costola, il cuore batte a mille nell’ultima, faticosa resistenza. Rose non ce la fa più, ma il suo ultimo pensiero và a lui, alla piccola creatura che cresce nel suo ventre. Non ha mai pensato realmente alla possibilità di considerare quel bambino diversamente da una maledizione. È una vita, nuovi occhi e nuova specie che potrebbe rinascere, andare avanti e non lasciare più solo il suo Dottore. Sorriderebbe di nuovo, e quasi può sentirlo, il suo sollievo, la sua assenza di solitudine. Sarebbe felice, ogni cosa andrebbe al suo posto.
E lei? Non ha importanza.
Tende una mano verso il Maestro, lo vede incespicare all’indietro, lontano dal volto che incarna le sue colpe.
-Salva lui…- mormora Rose, tossendo sangue. –Salva lui, abbi pietà… abbi pietà, ti prego… per favore…-
Sono le suppliche di una madre che toccano l’udito del Maestro, suppliche di donna morente. Gli ricordano la sua famiglia, l’ultima volta che l’ha vista. Quando era bambino e già udiva il suono dei tamburi, sua madre passava le notti a consolarlo, a dirgli che sarebbe finito tutto, prima o poi. Non ha mai perso la speranza, e adesso, dinanzi a quegli occhi così simili a quelli di sua madre, il Maestro sa che le ultime preghiere dei suoi genitori erano per lui. Loro credevano, lui no… ma forse è il momento di iniziare, il momento di rimediare per quel poco che gli è concesso.
Avanza lentamente verso il corpo sanguinante del suo esperimento. Detesta il sangue, e quella ragazza ne è coperta come di un macabro drappo rossiccio. Non era previsto che si riducesse così, non era previsto che non sopportasse il potere da Lupo Cattivo. Il Maestro si stupisce che la gravidanza non sia interrotta, con lei ridotta in quello stato pietoso.
-Non posso aiutare il bambino.- ammette infine, vergognoso. Per la prima volta si sente incapace, debole dinanzi a tanto dolore che pare soverchiare ogni cosa, ogni angolo.
-Và a c… cercarlo. Trova il Dottore.- mormora Rose, esangue. –Non resisterò a… lungo.-
E il Maestro non sa cosa lo fa annuire, quale forza lo spinga ad alzarsi e lasciare il TARDIS con mani ancora sporche di sangue e il dubbio che, in confronto alla terribile visione di quegli occhi di madre morente, forse il suono dei tamburi non era così male.
Rose ansima, rotola faticosamente di lato, accompagnata dallo scricchiolio di ossa rotte e costole incrinate. Tocca con dita tremanti la console, mentre lacrime di dolore e paura le scivolano sul viso, tradendo l’umana debolezza che sente strisciarle sul corpo. Sente un leggero brivido, il segnale che identifica il debole collegamento che li lega. Il TARDIS attende, ascolta.
-Per favore.- mormora lei. –Dammi solo la forza. Dammi la forza per non spezzargli il cuore… non lasciare che mi veda così.-
Il Maestro è ormai fuori, lei è sola. Può andare, ma ha bisogno del TARDIS, dell’aiuto donatole da quel piccolo collegamento che per lei può essere puro miracolo o dannata maledizione. Perciò attende, lascia che il TARDIS decida, mentre ancora ricorda della volta in cui il Dottore le disse che i Signori del Tempo allevavano le loro navicelle anziché costruirle. Rose vuole crederci, sente che è vivo. Vuole darsi un’ultima speranza.
Dio, se un Dio esiste, raramente ascolta le preghiere. A volte volta il capo dall’altra parte, chiude gli occhi, ignora. Ma stavolta, non è così: stavolta è la pietà ad esercitare il suo volere. Una scarica di energia la attraversa, placa i dolori che la scuotono di convulsioni. Improvvisamente tutto finisce, Rose può respirare di nuovo e, anche se la cura momentanea è incarnata dallo stesso fattore che la sta consumando, si rialza grata e accarezza il TARDIS con riconoscenza.
Con fatica e stanchezza si dirige verso la sua stanza, si sfila i vestiti zuppi di sangue e li nasconde sotto il letto. Ci mette un po’ a ripulire tutto, a ripulire se stessa, mentre la stanchezza pregnante avanza, appesantisce i suoi arti di giovane donna. Vorrebbe dormire, ma teme gli incubi.
-ROSE!!!- Il Dottore si catapulta nel TARDIS quasi sfondando la porta, il lungo cappotto marrone svolazzante come un buffo mantello. Rose lo guarda, incrocia con un debole sorriso il suo sguardo traboccante d’ansia e paura mai visti. Ha temuto per lei, ha gli occhi lucidi a causa sua.
Subito Rose si sente meglio, rinata in quello sguardo d’emozioni sincere e sollievo palese quando agli occhi del Dottore ogni cosa appare apposto. In due grandi falcate la raggiunge, la stringe in un abbraccio che urta le ossa sporgenti del corpo martoriato di lei e quasi la fanno gemere. Tuttavia, il dolore non è niente adesso che il profumo del suo Dottore lava via il puzzo del sangue, adesso che il suo respiro pulito sostituisce il rarefatto del respiro di lei. Il Dottore è rinascita, e lei rinata si sente.
-Ho avuto paura.- ammette lui, tremante di debolezza che non vergogna di mostrare al tatto della sua Rose, di colei che aveva temuto di perdere. Adesso che la può toccare, respirare il suo respiro, il Dottore si sente meglio e sorride di nuovo. Tocca le costole sporgenti, strabuzza gli occhi, ma si sforza di sostituire la preoccupazione crescente che prova con un sorriso sbarazzino, quello che Rose ama tanto. –E queste cosa sono? Non va bene, signorina! Adesso si mangia, non voglio sapere niente!-
Il Dottore la fa sedere e Rose si perde alla vista del suo Dottore che gironzola per il TARDIS, saltellando come una gazzella. Ha lanciato il cappotto per terra, ma lei lo raccoglie e ci si avvolge, assaporando il calore che tanto ama. Si bea della sua voce, della sua presenza. Al suo interno, il pulsare lento di due cuori in aggiunta al suo la tranquillizza, non pare più così terribile.
Forse potrebbe dirlo al Dottore, forse lui non la vedrebbe come un mostro. Forse…
-Eccoci qui!- esclama Martha, catapultandosi nel TARDIS con tanta irruenza che Rose sussulta e la fissa come un animale braccato. Lei abbassa lo sguardo, imbarazzata. –Scusa, non volevo…-
-Martha, togliti di mezzo!- esclama Tish alle sue spalle. Entra carica di buste, accompagnata da Jack e dall’intera famiglia Jones, una folla non indifferente che lascia Rose di stucco. Il Dottore è subito al suo fianco, le stringe una mano.
-Martha, non siete un po’ troppi?- dice, preoccupato per la reazione che potrebbe avere la sua compagna. La signora Jones si acciglia, appoggia le mani sui fianchi, le borse penzolanti ai polsi.
-Oh, per l’amor del cielo! Non pretenderai che lasci morire di fame questa ragazza, vero? Non mi fido del tuo giudizio, Dottore: sei capace di distrarti per inseguire una farfalla, e lei ha bisogno di attenzioni. Perciò, togliti di mezzo, oppure…-
Il cappotto del Dottore scivola, cade a terra. Il riflesso di lunga chioma dorata scivola sui loro volti stupefatti, due braccia sottili avvolgono la signora Jones con riconoscenza. Davanti agli occhi di tutti, Rose cerca il contatto di qualcuno che non sia il Dottore, ringrazia silenziosamente le parole di colei che si comporta come una madre. Le ricorda tanto Jackie, e questo la rende fragile, ma meno restia ad accostarsi. Ed è quando la signora Jones ricambia l’abbraccio che Rose sorride e la guarda negli occhi.
-Allora, mangiamo?- dice la donna, facendo l’occhiolino. Ha gli occhi lucidi, ma tenta di nasconderli. Rose annuisce, e tenendola per mano la trascina in cucina, scivolando tra i corridoi del TARDIS senza perdersi mai. Quella è casa sua ormai.
Il fracasso che quella piccola folla di gente costruisce mentre ognuno si occupa di apparecchiare o di cucinare quanta più roba possibile non è invadente, trasmette calore e sollievo. Rose se ne sente avvolta, ed è guardando tutti quei volti familiari che un altro tassello scivola al suo posto, ricostruisce una porzione appena più grande di umanità che credeva di aver perso. Ride quando Martha e suo fratello cominciano a contendersi una fetta di polpettone, che prontamente viene sottratta da Jack, che si diverte ad andare in giro con un coltello piantato al centro del cranio. Lo trova divertente, ma la signora Jones sembra l’unica a non ridere.
Una mano le afferra il polso, la sbilancia all’indietro. Rose cade in braccio al Dottore, si trova avvolta nel suo lungo e largo cappotto. Si sente a casa, si sente bene, e glielo fa capire con un piccolo, innocente bacio sulla guancia.
-Grazie.- dice, poco prima che la sua pelle cominci a rilucere d’oro. Il Dottore la guarda, la trova bellissima. Un piccolo sole personale, un’indispensabile fonte di calore dalla quale non si separerebbe mai.
La porta si apre all’improvviso, tutti si voltano verso l’entrata dove il Maestro sta immobile, indeciso. Fissa Rose come se non credesse ai suoi occhi, pare non capire, ma lei non ha la forza per spiegargli.
-Che ci fai qui?- ringhia Tish, stringendo forte un coltello. Lui scrolla le spalle e si volta per andarsene.
-Fermo lì!-
Rose lo raggiunge senza esitazioni, si ferma a pochi centimetri da lui. È più bassa, e avvolta com’è in quel cappotto enorme sembra una bambina dinanzi a un gigante. Lo fissa per qualche istante, e il Maestro scorge nuovamente in lei l’impronta della madre che non sarà mai. Sta troppo male, è un segreto che custodiscono entrambi, che li lega, e per qualche motivo, Rose sa che il Maestro non saprà tradirla. Per questo sorride, si allunga per prendergli una mano. Il Maestro sbarra gli occhi, fissa come ipnotizzato il piccolo arto smagrito e pieno di cicatrici che tocca la sua pelle d’aguzzino, la stessa che le ha procurato quelle ferite.
-Resta con noi.- dice Rose con un sorriso. Il Maestro fissa le espressioni sbigottite alle spalle di lei, ma non se ne cura. Negli occhi di Rose vi è qualcosa di più che semplice odio. Adesso c’è complicità, dolcezza di madre che al Maestro continua a ricordare la sua famiglia. È forse per questo che accetta con un cenno, senza proteste e recalcitri. Si lascia guidare a capotavola, Rose siede al suo fianco e continua a stringergli la mano come per infondergli coraggio.
È il Dottore il primo a muoversi, a sciogliere quello stato d’impasse. Siede al fianco di Rose, sorride al Maestro senza rancore e annuisce.
-Bentornato.- dice soltanto, e in un istante Jack è all’altro lato del Maestro, lo guarda per qualche istante e senza parlare si siede. Tutti lo imitano, formano un complesso perfetto di famiglia bizzarra, costruita faticosamente. Ognuno di loro è un pezzo importante, una punta di diamante che costruisce il più prezioso dei tesori.
Dopo poco, anche il Maestro si lascia sfuggire piccoli e fugaci sorrisi. Non si sente a casa, non lo sarà mai, ma forse… forse qualcosa di buono in tutto questo c’è. Saranno sempre nemici, ma per lui è come cenare al banco dei vincitori, che, deve ammetterlo, sono loro. Almeno, per ora. Intanto, Rose Tyler preme una mano sul ventre e combatte in silenzio il male che accresce in lei.
Tic toc, e il tempo scivola via.
 Tic toc, nuovo rintocco, maggiori i minuti sottratti alla gentile concessione che gli ultimi rimasugli di vita concedono.
Tic toc, tic toc...
 
Continua……………………………………………………………………………
 
Angolo dell’autrice:
Ultimo… avevo ditto ultimo capitolo. No, Dottore, vai a quel paese! Non posso credere che tu mi abbia fatta ubriacare e firmare un accordo dove promettevo un capitolo in più! E FAI SPARIRE TUTTI QUEGLI ALIENI DA CASA MIA!!!
Doctor: non posso, sto vincendo il torneo di poker con gli Ood! Stanno cominciando a giocarsi il cervello dopo aver perso i loro ultimi spiccioli, la cosa mi preoccupa… ah, e attenta agli indigeni nascosti nella tua stanza. Stanno organizzando qualche rito vodoo che credo necessiti di una vittima… no, tranquilla! Ci ho già pensato io!
Non ti chiedo chi è la povera anima… ehm, torniamo a noi. Dunque, stavolta passo ai ringraziamenti brevi perché altrimenti mi dilungo di nuovo e farete prima a invecchiare piuttosto che a finire di leggere. Ringrazio di cuore e dedico il capitolo a coloro che hanno consentito il continuo di questa piccola schifezz… storia. Grazie a voi ritrovo sempre quel po’ di fiducia in me stessa che viene spesso a mancare. Ogni vostro commento ha aiutato la crescita di questo capitolo, e… sì, insomma… spero di non aver fatto guai. Specialmente col Maestro, che ho modificato un po’, ma posso dire a mia difesa che ormai il suono dei tamburi nella sua testa non c’è più, quindi riesce a ragionare un po’ più lucidamente… per ora. Grazie infinite a:
Kimi o Aishiteiru
Tony Stark
Bbpeki
A voi la dedica e un fortissimo abbraccio virtuale!

Tomi Dark Angel

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Capitolo 4
*** Quando La Lancetta Compie Il Giro ***


Profumo. Dolcezza di un calore avvolgente, appagante. Per la prima volta dopo giorni, Rose è riuscita a dormire, e soltanto quando leva le palpebre ne coglie il motivo: il Dottore è lì, stretto a lei, le gambe intrecciate alle sue, il mento poggiato sulla sommità del suo capo in un gesto naturale, rilassato. Sono corpi che s’incastrano, anime che s’accarezzano di pallida dolcezza, e Rose si sente completa solo lì, in quell’abbraccio. È qualcosa di pulito, di sincero.
-Guarda che lo so che sei sveglia.- mormora il Dottore, con voce ancora impastata dal sonno. Rose sorride contro la sua clavicola, si stringe forte al pigiama che neanche ricorda quando lui ha indossato.
-Dovremmo alzarci.- risponde lei.
-Hai da fare?-
-Non molto.-
-Il mondo sta per cadere sotto minacce aliene o cataclismi non inclusi nel rispettivo lasso temporale?-
-Spero di no… ma quanto parli? Ti sei svegliato un momento fa!-
-Sono iperattivo, lo sai.-
Già, lo sa. Perché Rose lo conosce, ha più familiarità col battere intenso di due cuori in un petto che con uno solo. Per questo appoggia una mano proprio lì, dove il pulsare degli organi vitali si fa più importante, più forte, e adesso, reagendo al suo tocco, accelera ancora di più.
Il Dottore finalmente la guarda, si specchia in quegli occhi d’oro fuso. Per qualche istante vi è pace, silenzio, serenità… poi, l’inferno.
-Cos’hai lì?- si allarma lui, guardandola in viso con occhi sempre più sbarrati. Scatta a sedere, quasi facendola cadere dal letto, ma il Dottore non ci fa caso.
Rose si alza, tocca un punto poco sopra le labbra dove sente qualcosa di caldo colare silenzioso sulla pelle. Quando allontana la mano, le dita sono rosse di una traditrice goccia di sangue, piccola ma terribile nella sua immagine spettrale. Rose ne avverte il peso, capisce cosa sta per accadere ancor prima che succeda.
Disperata come un ratto in fuga dal mondo, scende dal letto e balza in piedi. Zoppica, riesce appena ad avanzare di qualche passo prima che le gambe cedano definitivamente in uno schiocco sepolcrale di ossa. Rose Tyler crolla al suolo, si rannicchia come bestia ferita mentre il Dottore grida il suo nome, la costringe a distendersi per poterla guardare in faccia e appoggiare il suo capo sulle ginocchia. C’è sangue dappertutto, e il Dottore non sa nemmeno quando sia uscito: piove dagli occhi, dalle orecchie, da naso e bocca. Le iridi di Rose, per quanto iniettate di sangue, adesso sono più dorate che mai. Ha paura, il Dottore glielo legge negli occhi. E lui? Lui si sente spezzato, sempre più a pezzi man mano che capisce cosa significhi quella situazione, cosa stia succedendo realmente. E all’improvviso, la chiamata del Maestro, gli sguardi che scambiava con Rose mentre erano a tavola… tutto assume un senso.
-Perché me l’hai nascosto?- riesce a mormorare lui con voce rotta, ma lei non lo ascolta. Sbarra gli occhi lucidi di pianto, singhiozza e stringe forte la mano del suo compagno, la mano del Dottore. Sono dita gentili, mani che hanno saputo ripulirla, confortarla, guidarla verso un gradino più alto, oltre le nuvole e il Creato. Quelle mani l’hanno fatta sognare e, così come esse hanno saputo schiuderle le porte del paradiso, così sarà giusto che le richiudano. Adesso è finita per davvero. Tempo non ne hanno più… e questo la uccide due volte: perché alla fine, lui resterà solo, perché piangerà l’ennesima perdita nel silenzio del dolore. Nessun domani per loro, nessuna scritta su pagina dorata che narra di una nascita, di una famiglia felice, di sorrisi. L’ultima pagina del tomo scritto insieme sul libro della vita, sarà nera e silenziosa. Non parlerà, non narrerà.
-Resisti. Resisti, ce la farai.- dice il Dottore, ma cerca di convincere se stesso, cerca in lei quel coraggio che viene a mancare proprio adesso. Le accarezza la fronte, si sporca la mano di sangue malato. Vorrebbe morire con lei, vorrebbe finirla lì. Farà male davvero, stavolta.
Rose trova la disperata forza di sorridere, perché il suo ultimo atto sarà per lui, per infondergli quel po’ di serenità che le rimane. Ha sofferto tanto, il Dottore, e non meriterebbe neanche più di sentire lacrime pesanti di dolore sulla pelle.
-Andrà tutto bene.- esala lei, ma già sente le forze abbandonarla, il sangue defluire dal corpo. Qualcosa le spezza le ossa dell’interno mentre il potere del Lupo Cattivo si dilata, schiaccia organi e nervi. Lei è nient’altro che mero risultato di una scelta compiuta tempo fa. Lo farebbe di nuovo, perché il risultato lei lo ricorda bene: Jack vive, il Dottore respira ancora, salva mondi, ere, galassie. È un angelo inconsapevole, antica creatura senz’ali. Eppure, nella sua antichità, ha saputo mantenere quella porzione di puerilità che lo rende vivo, giovane laddove vecchiaia avrebbe dovuto avanzare. Ed è bello. Il suo Dottore.
Vorrebbe piangere, Rose, perché sa che nessun futuro li attende. Nessun bambino riderà, stando tra le braccia del Dottore, nessun Signore del Tempo vedrà nascere una nuova dinastia, una nuova speranza. Rose chiedeva una famiglia, accoglieva la speranza di potersi vedere madre. Non sarà mai così. Non più.
-Vieni, andrà tutto bene.-
E Rose gli passa le braccia intorno al collo, stringe al petto il capo del Dottore. Ascolta i suoi singhiozzi, chiude gli occhi e s’infonde coraggio laddove paura e tristezza rischiano di sopraffarla.
-Avrei tanto voluto… vederlo.-
Dong, dong, dong. E mezzanotte infine giunge.
Dong, dong, dong. Il silenzio dei rintocchi, l’immobilità del tempo che pare fermarsi.
Dong, dong, dong. Suona, la campana della fine, annuncia un traguardo mai raggiunto di una vita lasciata a metà. Chiude il giro la grande lancetta, china il capo la madre vita che vede sottrarsi due dei suoi figli. Un bambino, una giovane madre.
La morte ride, adesso. E la vita piange.
Qualcuno urla da qualche parte, ed è un grido così straziato che scuote le pareti del TARDIS, lo fa rabbuiare, spezza il silenzio del tempo stesso con tanta forza da rivoltarlo come un guanto.
Fuori dalla cabina telefonica blu, appoggiato alla sua parete, vi è il Maestro. Si copre gli occhi con una mano, vergognoso s’appesantisce del peso della sua ultima colpa. Rose Tyler, colei che ha saputo accettarlo, sorridergli, tendergli una mano. Dell’immensità che poteva generare coi suoi enormi poteri, ha scelto di cancellare il diapason di tamburi nella sua testa. E lui l’ha uccisa.
-RIPRENDITELI!!!- grida una voce dall’interno, voce d’uomo arsa dalle fiamme. –RIPRENDITI I TUOI POTERI!!! LEI NON C’ENTRA NIENTE, L’HA FATTO PER ME!!!-
E il Dottore continua a supplicare, và avanti per ore intere, finché la voce non s’affievolisce, tramutandosi in suono indistinto, infernale. Il Maestro non si risparmia niente, ascolta e fa tesoro del dolore che quello strazio non cela.
Quando Jack e gli altri arrivano con le braccia stracolme di buste per un nuovo pranzo familiare, il Maestro chiude e gli occhi e gira il capo dall’altra parte. Non parla, ma lascia intendere che qualcosa non và. A conferma dei sospetti di Jack, giunge il grido del Dottore, il suo singhiozzare isterico.
Le borse cadono a terra, una folla di gente si catapulta per i corridoi del TARDIS, li attraversa seguendo il suono lacerante, fonte di un dolore che ha spento le luci nella cabina telefonica, piombandola nell’oscurità quasi totale. Jack e gli altri non sanno come riescono a non sbattere contro i muri, ma sono sicuri del percorso che seguono finché non spalancano la porta dinnanzi a loro e lì, posano gli occhi sull’inferno.
Sangue. Sangue ovunque. Sulle mani del Dottore, sul letto sfatto, sul pavimento, sul corpo di giovane donna che giace accasciato tra le braccia dell’alieno. Tish grida, Martha se la stringe al petto in cerca di un coraggio che non ricorda più di avere. Ma è Jack ad accasciarsi accanto al corpo di Rose, è Jack a specchiarsi negli occhi di vetro che durante il trapasso, la ragazza non ha avuto il tempo di nascondere sotto le palpebre. Sono occhi traboccanti di paura e tristezza, anche nell’inespressività della morte.
Jack non sa cosa gli impedisce di piangere, di gridare. Non ha più lacrime per questo, la voce sembra soffocata in gola e non accenna a sfiorare lingua e palato. Per questo Jack si limita a passare un braccio intorno alle spalle del Dottore, trovandole curve e stanche come quelle di un vecchio. Jack china il capo, chiude gli occhi. E da quel momento, solo rumore di pianto interrompe il silenzio mortifero che cade come cappa caritatevole sulla piccola, grande cabina blu.
 
Tempo. A volte dicono che basta questo per sentirsi meglio. Aspettare. Ma sono passare ore intere, interminabili, e il Dottore non accenna a separarsi da quel corpo tanto caro e ormai gelido. Piange in silenzio adesso, ma non smette di baciarle le guance, le palpebre che Jack ha calato a coprirle gli occhi. L’ha avvolta nel suo lungo cappotto, come se sentisse freddo, ma Rose Tyler il freddo ha dimenticato cosa sia. Non ricorda più, non respira più. Non c’è più niente in quel corpo.
Ma il Dottore non si arrende e continua a supplicare, implora il TARDIS di riprendersi quel potere assassino che l’ha uccisa, implora che qualcuno risparmi quella vita innocente. Grida al cielo, al creato, all’universo stesso, ma nessuno ascolta, nessuno sente davvero.
È ormai l’alba quando Jack, rimasto in quella stanza e addormentatosi durante la notte, decide che è tempo di rimuovere il corpo di Rose Tyler: si alza in piedi, poggia una mano sulle spalle curve da vecchio del Dottore.
-Dobbiamo spostarla. Và seppellita, Dottore.- dice soltanto, ma solo in quel momento si accorge che lui non alza gli occhi, non si muove più: c’è silenzio, troppo.
-Cosa…-
All’improvviso, il Dottore leva il capo, guarda Jack con occhi rossi di pianto e intrisi della rabbia animale di chi non accetta, di chi non si arrende alla crudezza di un destino malato.
-Non ci sto.- ringhia, prima di stringere a sé il corpo di Rose. Si alza in piedi e con andatura indebolita dal dolore, barcollante e mani sporche di sangue ormai rappreso, il Dottore esce dalla stanza. Raggiunge la sala console, e lì vi trova i Jones e il Maestro, seduto in un angolo lontano, riparato. Non parla da ore.
Quando tutti lo vedono, qualcosa pare muoversi, cambiare nei loro occhi. In un solo istante, chiunque può avvertire l’insormontabile presenza del più grande Signore del Tempo mai esistito. Lo guardano, e riconoscono in lui creatura pietosa e terribile, gentile e giudiziosa, occhi antichi su viso di gioventù. Ogni passo pare scuotere la terra, le acque del mondo, gli animi di chi lo abita. Perché quel Signore del Tempo non si è mai opposto, non ha mai cercato di cambiare fatti ormai avvenuti. Adesso è diverso, adesso lui punta i piedi e pretende quel briciolo di felicità al quale non vuole rinunciare più.
È il peso delle ere che accompagna ogni passo del Dottore.
È lo scorrere di lancette che china il capo e si ferma al suo passaggio.
In un solo istante, il tempo si cristallizza, gli orologi si bloccano. In tutto il mondo, la gente si innervosisce dinanzi allo spettacolo terrificante delle acque che interrompono il loro lento scorrere, gocce cristalline ferme a mezz’aria come frammenti di vetro in frantumi. Gli animali interrompono la loro lotta per la vita, alcuni si svegliano dal letargo e perfino una cometa si blocca in cielo, luminosa cicatrice su pallida distesa di blu cobalto.
Fermo il tempo, il mondo attende, trattiene il respiro. È pura leggenda quella che calca la misera Terra con superbia di grandezza e fermezza da gigante.
Il corpo ormai gelido di Rose Tyler si posa sul pavimento del TARDIS, il Dottore infila le dita in un piccolo varco nel pavimento che conosce a memoria, meglio del corpo che muta di continuo.
-Non vorrai mica…- si riscuote il Maestro, ma uno sguardo del Dottore lo fa ammutolire.
-State indietro.- sbotta il Dottore, e nessuno sente il bisogno di disubbidirgli. Indietreggiano tutti, come un sol uomo mentre il Signore del Tempo tira, digrignando i denti per lo sforzo.
È il vortice del Tempo che sfugge come possente fascio dorato dal pavimento del TARDIS, ricopre di riflessi cangianti i muri, la console, i volti atterriti di chi avverte anche solo alla lontana l’enorme potere che ha fatto a pezzi Rose Tyler. Il peso di ere intere stende le dita sull’ambiente, lo appesantisce di un’anzianità vissuta che i presenti neanche lontanamente hanno mai concepito.
-Riprenditeli. Non mi ripeterò ancora, mi conosci. Riprenditi il tuo Tempo, i tuoi poteri e lasciala andare. So che lei è ancora qui, da qualche parte: in tanti secoli di viaggi insieme non ti ho mai chiesto niente, nessuno sforzo in particolare, nessun desiderio… ma adesso sono qui per implorarti. Ti prego, riprenditeli.-
Il Dottore implora, trattiene a fatica il pezzo di metallo che preme per richiudere la breccia sul fascio di vortice che adesso si riflette come ombra mortifera negli occhi del Signore del Tempo. Lui guarda, si specchia in esso e antepone la possibilità del suo sacrificio al ritorno di colei che ha saputo riportare il sole nella sua vita.
Negli occhi di Rose, quei bellissimi occhi, ha visto nascere albe, poi morte in tramonti variopinti fino alla notte, dove mitica aurora boreale è esplosa nei cuori del Dottore per ricordargli che il suo posto finalmente, l’aveva trovato.
-Ti prego.-
Una lacrima piove dal suo volto, cade dal mento ispido di leggerissima barba. Il vortice del Tempo la assorbe, lascia che un pallido sussulto lo percuota. Qualcosa cambia, si muove, muta l’oro brillante del potere che alimenta il TARDIS in densa sostanza sfumata in caramello, bronzo, infine rosso porpora, troppo simile al sangue versato da Rose, la sua Rose. Il fascio colpisce il Dottore in pieno volto, lo sbilancia all’indietro. Quando sbatte la testa al suolo e sviene, non si accorge di aver stretto la mano di Rose così forte da farsi male.
 
Apri gli occhi, uomo dai due cuori. Ricordi il tuo nome, la tua storia? Fai con calma. Il tempo è poco, ma tu questo neanche lo sai. Ti limiti ad inspirare, a guardarti intorno tremante d’umana debolezza. Ma tu non sei umano, e di umano hai solo l’aspetto. Devi soltanto guardarti, guardare l’ambiente circostante e capire chi sei, dove ti trovi, perché sei qui. Puoi farlo, l’hai già fatto.
-Non può essere…-
Una voce, un mormorio basso di donna distrutta. È questo il timbro che ti scuote fin dentro le ossa, che ricopre di brividi la tua pelle all’apparenza umana. Ti guardi intorno, capisci di trovarti in una stanza pentagonale. Non vi è uscita, poiché cinque identici specchi, stretti e alti, ti circondano come predatori intorno alla preda ignara. È proprio in uno di questi specchi che guardi, vedi riflessa non la tua immagine, ma quella di una giovane in ginocchio, ansimante, col sangue che cola in rivoli sottili dalle labbra e dal naso. Rose Tyler, Lupo Cattivo.
La conosci, Dottore?
Ti avvicini, tocchi la superficie liscia dello specchio desideroso di entrarci, di stringere quel corpo tremante di cristallo per ricordare a entrambi che il mondo non è finito.
I tuoi occhi cadono sulla mano di Rose, poggiata convulsamente sul ventre. Lo artiglia con disperazione, quasi ferendosi per la forza che infonde in quel gesto terrorizzato. E un pensiero si forma nella tua mente, Dottore, s’insidia tra pieghe di paura e sorpresa.
-Di chi è? Rispondi!- grida un’altra voce, e allora nel secondo specchio compare una Rose bellissima e terribile, furiosa nella rabbia che pervade la sua pelle dorata di potere a stento trattenuto. Giace a cavalcioni del Maestro, preme un ginocchio sul suo inguine, nascondendo il terrore accecante che le fa appena tremare le mani. Il Maestro non se ne accorge, ride, parla, si prende gioco di lei. Ma è alla fine, quando pronuncia l’ultima frase, che qualcosa nel Dottore cambia: -Sei tu a portare il nostro futuro in grembo!-
Crack. È qui che tu, Dottore, ti senti morire davvero, barcolli, cadi in ginocchio. Congiungi i pezzi vacillanti dei ricordi che vedono una Rose intenta ad accarezzarsi il ventre, a parlare a bassa voce come a voler cullare qualcosa, qualcuno. Il dolore che quella giovane ragazza ha combattuto è molto più di quanto tu abbia mai immaginato. Hai perso lei, hai perso… un bambino. E pensi che saperlo da lei, per te sarebbe stato il più bel regalo del mondo. Provare il fiotto caldo di felicità al pensiero che adotterai un figlio del Tempo, perché così sarebbe andata, e non avresti accettato discussioni. Potevi avere una famiglia, una vita, piccole mani di infante che avrebbero poggiato corte dita calde sulle tue, lunghe e affusolate. Potevi essere padre.
Il terzo specchio s’illumina, mostra una Rose in vestaglia, che si aggira per il TARDIS. Raggiunge la console, vi si appoggia e sospira con tanta serenità che ti senti stringere i cuori. Ricordi quella notte, è esattamente quella che ha visto la prima e ultima cena familiare proprio lì, nella cabina telefonica blu, in compagnia di persone allegre, che sapevano di sorrisi.
-Dovresti dormire.- dice il Maestro, uscendo dall’ombra. La guarda con diffidenza, si tiene a debita distanza. Lei sorride appena e inclina il capo, rilassata. Resta in silenzio per qualche minuto, non sembra intenzionata a rispondere, ma il Maestro non le stacca gli occhi di dosso.
-Sto pensando di tenerlo.- dice lei alla fine, accarezzandosi il ventre con affetto di madre. Ha uno sguardo così dolce, così caritatevole, che le tue lacrime, Dottore, aumentano, si fanno accecanti e dolorose.
-Non posso salvare il bambino, te l’ho detto. Sei un esperimento fallito.- sbotta alla fine il Maestro, ma lei non se la prende. Scrolla le spalle, fissa la porta schiusa del TARDIS, lasciata così da Rose stessa per far entrare un po’ d’aria fresca. Intravede il cielo anche da lì, e da lì prega, sussurra in silenzio le sue speranze, esprime desideri alle stelle che fugaci ammiccano dall’alto della loro splendida superbia.
-Io mi fido di lui.-
E lo scenario cambia di nuovo, il quarto specchio s’illumina. È Rose che crolla al suolo, è Rose che ripete ancora una volta, davanti ai tuoi occhi distrutti, la fine di tutto. La guardi contorcersi, fissi te stesso stringerla tra le braccia e singhiozzare più di quanto tu abbia mai fatto in passato.
Silenzio. È il silenzio che adesso cade, interrompe il macabro spettacolo di una fine innocente, annerendo tutti gli specchi, calando un drappo di scura seta su tutte le superfici riflettenti, salvo l’ultima.
Guardi lo specchio, Dottore, ma il tuo riflesso non compare. È una superficie silenziosa, traboccante di luce non sua, che sa solo riprodurre in egual modo. Non sai cosa ti spinge ad avanzare con calma serafica per poi saltarci dentro, senza scontrarti contro ciò che in normalità sarebbe dovuto essere solido come metallo. Ci passi attraverso senza lesioni o danni, atterri con grazia quasi felina sull’erba di una prateria sconfinata, senza limiti, dove un cielo aranciato preannuncia l’appassirsi di una splendida alba d’oro e cremisi.
Lei è lì, seduta sul bordo di un fiumiciattolo che come nastro celestino si srotola sinuoso verso l’orizzonte, serpe benigna e mormorante. Ti avvicini e noti che un morbido abito di seta bianca, senza spalline, splendido e lucente come veste da sposa, le fascia il corpo. Ha i capelli legati in una complessa acconciatura che esaltano il collo longilineo, la gentile scollatura all’altezza del seno e il volto radioso, dipinto dell’oro del tramonto che si specchia nei suoi occhi di cristallo.
È quanto di più bello tu abbia mai visto. Quella visione ti ammalia al punto che quasi non ti accorgi del piccolo fagotto stretto tra le braccia di Rose, che agita come giovane ragazzina i piedi nudi nell’acqua.
È un bambino quello stretto quasi convulsamente dalla ragazza, ma non ne distingui il volto.
-Non potrò mai vederlo.- dice lei all’improvviso, senza distogliere gli occhi dal tramonto. Ha la voce incolore, e non si volta mentre ti siedi al suo fianco e continui a fissare il bambino oscurato. Cerchi di toccarlo, ma quando la tua mano si fa vicina, Rose sussulta e si ritrae. Capisci di dover mantenere una certa distanza.
-Questo è tutto quello che volevo.- continua lei. –Una famiglia, una vita, una piccola dose di serenità. Prima però era l’inferno, avevo paura, sapevo di dover perdere mio figlio. Niente di tutto questo mi fu concesso quando ancora respiravo. Ero sola, mi sentivo tale… poi, sei sbucato tu. E che Dio ti maledica, Dottore, perché hai saputo ricordarmi che vivere è bello.-
Rose non cambia espressione, ma il suo viso si bagna di un’unica lacrima, identica a quella che tu stesso hai concesso al vortice del Tempo.
-Io volevo solo… andare avanti, vivere. Ci ho creduto veramente, lo giuro. Ho pregato tanto, sai? Guardavo il cielo, lo stesso che abbiamo attraversato insieme tante e tante volte come compagni, amici. Aspettavo un miracolo, un piccolo barlume di umana pietà da un Dio nel quale non ho mai creduto, ma che si è rivelata l’unica speranza in un frangente dove mi imponevo il silenzio e soltanto le preghiere potevano aiutarmi. Ho sperato, ho fallito. Ora non posso più vedere mio figlio… e neanche te.-
-Ma io sono qui.-
Cerchi di prenderle la mano, ma lei si ritrae scottata. Nasconde il viso contro il fagotto di morbido velluto che stringe al petto, capricciosa come una bambina.
-Non posso più vedervi. Sono sola.- mormora, e comincia a ripeterlo ancora e ancora, finché i singhiozzi non soffocano le sue parole, stringendole in una crudele morsa da rettile.
Tu guardi, resti in silenzio. Poi, di scatto, ti avvicini a lei e la stringi con forza, combattendo la sua resistenza, la sua paura, le sue lacrime.
-Mi hai abbandonata! Mi avete abbandonata tutti!- urla, e allora è rabbia, piccoli pugni insignificanti contro il tuo petto finché le energie non si esauriscono e il sole comincia a tramontare sul serio, soffocando di macabra oscurità ogni barlume di luce.
Rose si rilassa, alla fine lascia che il tuo corpo funga da sostegno. Ti bei del suo profumo, del suo calore, del suo respiro troppo a lungo mancato. Tutto sembra tornato al suo posto e tu, egoisticamente, vorresti restare lì.
-Devi andartene.- dice lei invece, spezzando l’incanto della pace. Ti guarda in viso, con occhi incavati di lacrime e trucco sbavato. Poggia una mano sulla tua guancia, la accarezza. –Quando il tramonto sarà calato, qui sarà buio: non troverai più la strada per tornare indietro.-
-Forse non voglio tornare.- dici istintivamente, e in cuor tuo, con stupore e paura, capisci che è vero. Per una volta vuoi essere egoista, vuoi pensare a te stesso. Per una volta, una sola.
-Ma devi. Tu corri, Dottore, a te piace correre. Se mai tu smettessi, se ti fermassi una volta sola… quanti non vedrebbero la luce come non ho fatto io? Tu sei la luce, tu sei l’alba per tante e tante creature. Non dimenticarlo. Conosci il valore della vita, lo rispetti, e la tua forza, quella vera che ti rende diverso e più forte di tutti gli altri… è la vulnerabilità. Come chiunque, sai di poter morire, di essere fragile, eppure non combatti. È nella stretta di mano che infondi la tua forza, anziché nello schiaffo. È questo fa di te un grande.-
Ti accorgi di star piangendo solo quando lei con un bacio su ogni guancia ti sottrae alle lacrime.
-Và. E continua a correre.-
Vi alzate entrambi, fissi lo specchio luminoso che adesso riflette la vostra immagine, uno accanto all’altra, mano nella mano, mentre lei col braccio libero sostiene il fagotto e se lo stringe al petto come un tesoro prezioso. Non potrà mai vederlo, lì sarà sola. C’è pace, c’è silenzio… ma lì è solo lei e nessun altro. Un mondo bellissimo e solitario ove un’unica anima in abito nuziale vagherà in eterno tra le lande della sua desolazione. È questa la morte?
Semplicemente, non lo accetti. Correrai ancora, non smetterai di farlo. Ma avrai qualcuno accanto, e quel qualcuno, tu l’hai scelto tempo fa.
-No.- ringhi infine, e prima che lei possa fermarti, la stringi a te e ti sbilanci verso lo specchio, trascinandotela dietro.
 
-Si sta svegliando!-
-Cosa? Ma avevi detto che ci avrebbe messo più tempo!-
-Scusami tanto se le informazioni che vanto in medicina riguardano le persone con un cuore solo!-
-Ma brutto…-
Un colpo di tosse interrompe la discussione, fa sussultare Martha e l’uomo sconosciuto che discutono lì, davanti al lettino dove il Dottore si muove lentamente, comincia a risvegliare gli arti intorpiditi. Entrambi lo guardano, osservano i suoi occhi schiudersi, realizzare lentamente l’ambiente circostante. Poco a poco, il Dottore ricorda, ricostruisce i pezzi degli ultimi momenti di coscienza, ed è allora che comincia ad agitarsi, scatta a sedere e cerca di scendere di slancio dal letto. Le gambe cedono, crolla di schianto, ma Jack irrompe nella stanza proprio in quel momento e lo sostiene, trascina con pazienza quel corpo abbandonato sul materasso e attende che il suo respiro si calmi.
-Dottore!- chiama Martha, ma il Dottore non ascolta.
-Rose…- biascica, tra un ansito e l’altro. –Dov’è Rose?-
Jack e Martha si guardano, inspirano a fondo prima di rispondere: -Dottore…- dice lei con cautela. –Sei incosciente da quasi tre giorni e Rose ormai… L’abbiamo seppellita ieri.-
 
Continua…………………………………………………………………
 
Angolo dell’autrice:
Ho ammazzato Rose. Ho fatto fuori Rose.
Dottore: come hai potuto?!
Colpa tua! Mi hai fregato la playstation, sono due giorni che la smonti e la rimonti col cacciavite sonico! Perché accidenti adesso emette una luce psichedelica ogni volta che la accendo?!
Dottore: è doppia funzione, no? se la appendi al soffitto funge anche da palla da discoteca! Ottima per far impazzire i Vashta Nerada, non sanno mai dove devono andare perché la luce si accende e si spegne di continuo!
Ma porc… va bene, basta così. Pussa via, sciò! Ehm, dicevo? Ah sì. Dunque, questo è davvero il penultimo capitolo, promesso. Il prossimo sarà la fine e diciamo… che non me l’aspettavo neanche io questo finale, lo ammetto. Prima scrivo le cose e poi mi chiedo che cacchio ho scritto. Contenta me… comunque, dedico e ringrazio di cuore coloro che hanno recensito, rendendo possibile il continuo di questa piccola storiella!
Grazie di cuore ai meravigliosi:
Tony Stark e Bbpeki! Spero di leggere ancora il vostro parere e specialmente, spero che il capitolo vi sia piaciuto!
A presto! ALLONS-Y!!!

Tomi Dark Angel

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Capitolo 5
*** Guardare Al Nuovo Giorno ***


Aria. I suoi piedi sono aria che vola sull’asfalto, soffio fugace di vento impietoso, tiepido, travolgente. Il Dottore corre perché è ciò che ama fare, ciò che ha sempre fatto. Tante volte ha assaporato l’adrenalina scorrere nelle vene, il pulsare impazzito del battito cardiaco dei suoi due cuori.
Di motivi per correre, lui ne ha sempre avuti tanti. Ha corso per salvarsi la vita, per aiutare pianeti e galassie. Corre sempre, non si ferma mai. Ma adesso è diverso, perché ciò che lo spinge a correre, ciò che dà insperata energia alle sue gambe è il bisogno fisico di rivedere lei, il corpo immobile che da chissà quante ore giace sottoterra, imprigionato, incatenato in una bara senz’aria né luce.
Il Dottore quasi sente ancora il suo calore sotto i polpastrelli, il suo respiro, il palpito giovane del suo cuore non più umano. La ricorda, lui sa.
“Và. E continua a correre”. Il Dottore assapora le sue ultime parole, la memoria della sua ultima carezza e questo è l’ennesimo incentivo che lo fa accelerare, che muove di purissima aria sfuggente i suoi arti inferiori. Esce dalla sede del Torchwood, si catapulta in strada, corre quasi accanto alle auto in corsa senza provare stanchezza o necessità di fermarsi. Conosce la meta, anche se ancora non può vederne il traguardo, ma la sente. Sa che lei è lì e lo aspetta, grida il suo nome. Vuole crederci per darsi quell’ultima speranza, quell’ultima convinzione che il TARDIS, compagna di tante e tante avventure, l’abbia ascoltato e abbia avuto pietà.
“Tu corri, Dottore, a te piace correre”.
E ci crede davvero, perché correre è la sua unica arma, l’unica speranza che gli resta. Perciò si sforza, implora ai suoi muscoli il titanico sforzo che non è mai riuscito a chiedergli finché un auto non lo affianca, decelera appena per non perderlo di vista. Il finestrino si abbassa, una voce lo chiama e lo fa voltare.
-Sbrigati, prima che cambi idea.- ringhia il Maestro, senza nascondere l’ombra di un ghigno inquietante che tuttavia non impedisce al Dottore di catapultarsi in macchina.
-Il cimitero, Maestro. Dobbiamo raggiungerlo adesso.- sbuffa il Dottore, ancora fremente d’adrenalina, e il Maestro accelera, quasi tampona l’auto che gli sta davanti. Sorpassa un auto volante della polizia e non si cura delle sirene che adesso ululano alle loro spalle.
-Ci stanno inseguendo?- chiede con noncuranza il Maestro, con un gomito appoggiato alla portiera e la mano a sostenere la testa inclinata di noia. Il Dottore si volta.
-Sì, ma non fermarti! Allons-y!-
-Se lo dici ancora inchiodo.-
-Perché, cos’ha di sbagliato… aaaaah!!!-
Il London Bridge sbuca davanti ai loro occhi, imponente e mastodontico come titano assopito. È ingombro dal traffico, non riusciranno a passare tanto in fretta in quel mosaico di mezzi incastrati tra loro.
-Oh, ma che cavolo!- esclama il Dottore quando il Maestro inchioda di colpo e fa slittare orizzontalmente l’auto fin quasi a urtare il cofano di una Berlina. Le ruote stridono, fumano, ma la macchina si ferma a pochissima distanza da quello che sarebbe stato un incidente che li avrebbe forse sbalzati oltre il parabrezza. La volante della polizia si ferma dietro di loro nello stesso istante in cui entrambi escono dalla vettura. Si guardano un attimo negli occhi, scambiano pareri silenziosi da Signori del Tempo e per la prima e forse ultima volta, capiscono.
Il Maestro estrae dalle tasche entrambi i cacciaviti sonici, ne lancia uno al Dottore e punta il suo per terra, a pochi passi da loro. Il raggio aranciato è micidiale, sfonda di forza il cemento, scavando come talpa laboriosa un buco circolare nello spessore massiccio del ponte. Nel mentre, il Dottore punta il suo cacciavite verso un idrante che spunta dal camion dei pompieri poco distante da loro. Il serbatoio dell’acqua esplode, riversa un piccolo tsunami sulla gente, fino ai poliziotti che già puntano le armi su di loro. Vengono sbalzati via, contro le auto, e mentre tossiscono, i due Signori del Tempo hanno attraversato con un balzo il grosso foro che il Maestro non ha negato di allargare a dovere.
-A tutte le unità- grida un poliziotto alla radiolina miracolosamente asciutta che ha estratto dall’auto. –abbiamo bisogno di…-
Ma una mano afferra la radiolina, la sbatte per terra e la schiaccia sotto un piede massiccio.
-Oh, che sbadati…- I signori Jones sorridono mentre gli agenti dell’ordine li schiacciano contro le volanti e gli infilano le manette con malagrazia.
-Coraggio, Dottore…- mormora la signora Jones, guardando in basso, verso il Tamigi. –Salvala.-
 
Lo schianto con l’acqua è spaventoso, li spossa e fa male come dopo aver sbattuto la testa contro un muro di cemento. Entrambi boccheggiano, annaspano intontiti, ma quando riemergono hanno la vista annebbiata e i polmoni svuotati di ogni briciolo d’aria.
Si guardano intorno, alla stremata ricerca della riva o di un appiglio, ma ancor prima che possano elaborare una strategia, il rumore di due identiche moto d’acqua in avvicinamento li allarma. Il Maestro stringe forte il cacciavite, pronto a difendersi, ma non è necessario.
-Serve un passaggio?- grida Jack mentre, al suo fianco, Martha sorride e tende una mano.
-Oh, no che non lo faccio. Questo è troppo.- ringhia il Maestro, ma il Dottore l’ha già afferrato per il bavero della camicia e lo trascina di forza verso Jack.
Entrambi balzano in sella, il Maestro stringe quasi con ripugnanza la vita di Jack, che ridacchia divertito prima di sfrecciare sul pelo dell’acqua, seguito da Martha e il Dottore.
Volano come cigni, quasi non toccano la superficie trasparente del Tamigi, che pare spingerli verso la meta, incitarli silenziosamente in un gradito aiuto. Non incontrano resistenze, non rallentano mai. Corrono tutti adesso, e l’unica che è riuscita a spingerli a questa maratona unanime è una ragazza innocente sepolta sottoterra.
-Capolinea!- grida Jack, slittando di traverso sull’acqua. Urta la riva con violenza e quasi vengono sbalzati dalla sella, ma Dottore e Maestro sono già balzati sulla terraferma, pronti a ricominciare, a correre di nuovo.
-Il cimitero è qui vicino.- esclama Martha, smontando a sua volta e in breve, quattro persone corrono, volano come libere aquile prima sulla terra umida e scivolosa delle rive del Tamigi, poi sull’asfalto. Sono creature agili, senza freni né ostacoli, con le menti focalizzate sull’unico, unanime obbiettivo, l’unica speranza, l’unica felicità raggiungibile.
Il telefono di Martha squilla, la fa decelerare appena per estrarre l’apparecchio dalla tasca dei jeans e leggere il messaggio di Tish, inviato probabilmente dalla sede centrale del Torchwood: “Poliziotti sulla vostra strada. Girate a destra, prendete l’undicesima. Buona fortuna.”
E loro ubbidiscono, non dubitano un istante della bizzarra collaborazione che si è creata tra loro. Svoltano, cambiano strada più volte, indirizzati dai messaggi secchi di Tish, fredda e macchinosa nella sua piccola genialità che momentaneamente si sforza al massimo, nella smania di essere utile.
Il traguardo compare all’improvviso, camposanto immenso, spianato di lapidi luminose come piccole torce bianche. Hanno quasi varcato i cancelli quando Jack e Martha si fermano con uno scivolone, ancora ansimanti si voltano verso le pattuglie in avvicinamento, preannunciate dai lamenti penetranti delle sirene.
-Ma perché devono sempre sbandierare il loro arrivo con le sirene?!- si infuria Martha, estraendo la pistola dalla fondina. Il Dottore non sa quando l’ha presa, ma capisce che forse, dal giorno dell’avvento del Maestro e del suo folle piano, la ragazza non ha mai abbandonato le armi e il suo fare da soldato sopravvissuto. Jack la imita, e stavolta il Dottore non ha bisogno di porsi domande, perché semplicemente… Jack è Jack.
-Andate.- sorride Harkness, ammiccando a indirizzo dei due Signori del Tempo. –E… Dottore? Mi devi un bacio, dopo tutto questo.-
Non aspetta risposta, affianca Martha e la sua posizione inamovibile, fredda, da soldato. Entrambi pronti a difendere, entrambi pronti a combattere. Lo faranno fino alla fine, lotteranno per un piccolo e forse inesistente bagliore di speranza che ancora anima il Dottore. È ciò che li lega, è ciò che li muove. Stavolta, sarà l’uomo ad aiutare il Signore del Tempo.
Fianco a fianco, gli uomini lotteranno per il suo domani.
Fianco a fianco marceranno, formeranno una barriera che li unifichi, che non possieda anelli deboli.
Fianco a fianco lo proteggeranno, crederanno nelle sue idee fino alla fine.
-Corri.- dice Martha, e il Dottore non attende. Oltrepassa accanto al Maestro i cancelli del cimitero, il secondo inchioda a una cripta il custode che tenta di fermarli inutilmente.
Il Dottore è solo quando raggiunge la lapide ancora bianca, ancora pulita di cura amorevole e lacrime versate. La terra è fresca, smossa da poco, perciò l’alieno non si preoccupa di affondare le dita nell’umidità gelida, con sassi che gli spezzano le unghie, si conficcano nei palmi, confondono alla scura madre terra il carminio del sangue scaturito. Non prova dolore, il Dottore, non si scoraggia mentre le dita scricchiolano implorando riposo. I muscoli bruciano, le gambe fanno male, gli abiti ancora bagnati si appiccicano addosso e diventano freddi. Trema, ma non di dolore e debolezza: è la speranza ad alimentare quel tremore, la preghiera di silenziosa aspettativa che avrebbe decretato una fine o un inizio.
Prega,il Dottore, proprio come ha fatto Rose.
Implora il cielo, i suoi avi, la pietà del TARDIS.
E mentre le dita affondano febbrili nella terra, lacrime di paura affiorano nei suoi occhi, cadono a bagnare quella stessa terra che abbraccia forse d’ultima stretta il corpo di Rose, della sua Rose.
“Ero sola, mi sentivo tale… poi, sei sbucato tu”.
Il Dottore scava, scava ancora, con lacrime e sangue che rimescolano le sue fatiche, alimentano paura e speranza.
“… hai saputo ricordarmi che vivere è bello”.
Lì sotto c’è il suo futuro, c’è la sua famiglia: una donna con la quale trascorrerebbe l’eternità, un bambino che adotterebbe come figlio. Vuole sperare, vuole pregare ancora e ancora, se questo è tutto ciò che rimane. Ha corso, ha raggiunto il traguardo. Adesso sta a Rose dimostrare che gli sforzi del suo Dottore salvano davvero delle vite.
“Tu sei la luce, tu sei l’alba per tante e tante creature”.
Altra terra smossa, altre lacrime miste a sangue.
“Non dimenticarlo…”
Il coperchio della bara compare, si rivela in tutta la sua lucida patina minacciosa. E intanto, il Dottore prega.
“Conosci il valore della vita, lo rispetti, e la tua forza, quella vera che ti rende diverso e più forte di tutti gli altri…”
-Ti prego. Ti prego, Rose Tyler, non arrenderti così… ti prego, respira, fallo per me… ho bisogno di te, ho bisogno della mia famiglia, del mio futuro. Non posso più correre se non ci sei tu a darmi un motivo, a spingermi ad andare avanti… non posso più correre senza di te. Diventerei zoppo.-
“…è la vulnerabilità.”
Infila le dita sotto il coperchio, lo sporca di sangue copioso e tira con forza disperata. Sforza i muscoli, respira a fondo le sue stesse fatiche, la speranza che fatica a sbocciare, il terrore che sia stato tutto inutile.
“Quante volte ci si sente accecati? Quante volte si dimentica la luce del sole e la sensazione che trasmette?”
Il corpo ripulito di Rose Tyler compare all’improvviso, avvolto dal velluto del suo letto di morte, con addosso uno splendido abito bianco, purissimo, appena sporco di terra. Appare innocente, addormentata in un sonno placido e senza sogni, esattamente come l’ultima volta in cui lei e il Dottore hanno dormito abbracciati, in pace con loro stessi e col mondo. Hanno toccato il paradiso insieme, e insieme lì sarebbero tornati. Ad ogni costo.
-Rose.- chiama lui, prendendole il viso tra le mani insanguinate. Le accarezza una guancia ancora morbida, combatte silenzioso contro il dolore di averla rivista così fredda e immobile. Ma lui spera, lui prega. Perché, come disse una volta la stessa Rose, pregare è tutto ciò che gli resta.
“Ci si vede spezzare le ali, si cade in basso, senza meta, e l’impatto col suolo della realtà, una volta spezzato il sogno, brucia come lava nelle vene. Allora si resta lì, ciechi e zoppi, senz’ali né speranze”.
Lacrime calde cadono sul viso gelido di lei, le accarezzano la pelle come pianto suo. –Ti prego. Per favore, non vanificare tutto questo… hai voluto ridarmi speranza e forza per credere in un domani, ma adesso non deludermi proprio tu. Sei sempre stata incredibile, Rose Tyler, sei sempre stata capace di scavalcare le mie aspettative, perciò… fallo di nuovo. So che puoi, lo fai sempre. Possiamo riuscirci, insieme.-
“Ma alcune volte, qualcuno prova pietà, si avvicina…”
Il Dottore si china, sfiora di lacrime e sangue versati le labbra di Rose e attende, continua ad accarezzarle i capelli senza curarsi di sporcarli. Come creatura innamorata, la prende in braccio e scala la fossa da lui stesso scavato, scivola sulla terra, si rialza, ma non lascia mai che Rose tocchi il terreno. Mai più.
Mai più lascerà che le sia fatto del male.
Mai più smetterà di credere in una nuova alba che lo accolga.
Mai più.
“Una mano si tende, un sorriso sboccia a spianarci la strada e insieme, due ciechi e zoppi, entrambi con ali spezzate, si fanno forza a vicenda. Alla fine credono nel sole, nel domani… e all’improvviso, il sole sboccia davvero, ripulisce di luce l’oscurità. E il domani esiste di nuovo”.
Alla fine, quando il Dottore scivola per l’ennesima volta e rischia di non poter frenare in tempo la caduta, un’altra mano si appoggia al suolo, preme per tenerli entrambi in equilibrio.
Il Dottore sbarra gli occhi, si volta per specchiarsi in quelli limpidi e coscienti di Rose Tyler. Quasi gli sembra di sognare quando la vede sorridere, ammiccare e spingere con forza disumana contro il terreno per ridare equilibrio a entrambi. Non guarda la tomba alle loro spalle, quella non serve più: c’è qualcos’altro che li muove, che rinnova di nuove energie i loro arti. Risalgono la fossa, si gettano al suolo e per qualche interminabile minuto si fissano in silenzio, riscoprendo i tratti dell’altro ridipingendoli di nuovi colori e nuove sfaccettature. Infine, entrambi scoppiano a ridere e si abbracciano come bambini, rotolandosi nella terra amica che li accoglie, sfiora di dolcezza la loro pelle risvegliata.
Intanto il tramonto cala, ma ormai l’oscurità non fa più paura, perché ovunque essi si trovino, qualunque sia l’ostacolo da scavalcare per riunirsi, loro ce la faranno. Hanno valicato la morte, hanno spezzato il volere del Tempo stesso: ormai sono padroni di loro stessi, del futuro che hanno scelto. Il Dottore correrà ancora, non smetterà mai di farlo, ma mentre appoggia una mano sul ventre appena rigonfio di lei e la guarda negli occhi ridenti di vita, sa di non essere più solo.
 
-Davvero, non posso credere che tu l’abbia fatto!-
-Cosa? Non è colpa mia se re Luigi ce l’aveva con me!-
-Gli hai detto che era un incompetente, è normale che se la sia presa! Egocentrico!-
Rose Tyler e il Dottore continuano a litigare mentre escono dal TARDIS appena atterrato sulla Terra. Sono stati via appena un paio d’ore, che nell’altra epoca si sono trascinate in appena due giorni, ma sanno tutti che il tempo a bordo del TARDIS e delle altre epoche è molto più che variopinto. Attraversano la strada, raggiungono la porta di legno massiccio della casa che hanno davanti e bussano.
-Avete fatto presto.- dice Martha Jones, sorridendo ampiamente. Si fa da parte per lasciarli entrare, non prima di aver rifilato un abbraccio stritolante ad entrambi. È piccola, ma adesso è un soldato medico e ha scoperto di possedere una forza notevole per essere una ragazza.
-Ragazzi!- urla la signora Jones, raggiungendoli di corsa e imitando la stretta della figlia. Scompiglia i capelli ad entrambi, li trascina verso il tavolo dove ha apparecchiato per un’intera famiglia. Ha avuto poco tempo per preparare tutto, ma alle sue cene, Rose e il Dottore non mancano mai.
-La finite di fare tutto questo casino?- sbraita Tish, scendendo le scale di corsa per raggiungerli. Ha in braccio un bambino di appena un anno, con grandi occhi dorati e un ciuffetto di capelli biondi. È già sveglio e, nella sua iperattività precoce, agita le piccole mani in direzione della madre e del padre adottivo.
-Yerfillag, li hai fatti dannare come al solito, vero?- dice Rose, prendendo tra le braccia suo figlio. Lascia che questi gli stringa con dolcezza un dito, lungo quanto la larghezza del suo piccolo palmo e sorride, cullandolo con braccia di madre innamorata, felice, leggera di una serenità alla fine sbocciata.
Il Dottore la guarda da lontano, appoggiato al muro con le mani in tasca, il fedele cappotto marrone ancora addosso, gli occhi traboccanti di lucide lacrime commosse. Cerca di nasconderle, ma ci riesce a stento. È un quadro meraviglioso, quello della giovane donna che culla leggera il suo splendido figlio. Ha lottato fino alla fine per tenerlo, per custodirlo nel ventre sicuro e ancora caldo, e quando infine ha vinto, il premio è arrivato: grandi occhi curiosi, piccole mani paffute, labbra schiuse in vagiti che aveva temuto di non poter mai sentire. Finalmente, può guardare in viso suo figlio.
Ma non è abbastanza, non è quello che serve.
-Stai bene?-
Il Dottore sussulta, quasi sfodera automaticamente il suo cacciavite sonico, ma non ce n’è bisogno: Jack Harkness giace al suo fianco, appoggiato al muro a braccia conserte, gli occhi ricolmi di affetto fraterno fissi sulla famiglia schiamazzante che invade salotto e cucina. È quella la loro famiglia, la loro completezza, la serenità che costruiscono come un palazzo, passo dopo passo, tenendosi per mano e collaborando come hanno fatto in precedenza, quando il Torchwood ha dovuto pagare fior di milioni per tirarli tutti quanti fuori dal carcere quella volta in cui Rose era intrappolata in una tomba sotto metri e metri di terra.
-Bene, benissimo.- risponde frettolosamente il Dottore, ma Jack inarca un sopracciglio.
-Si hanno notizie del pazzo scatenato che hai come ex concittadino?- chiede, riferendosi al Maestro.
-No.- risponde seccamente il Dottore, e non è mai stato così serio. Il Maestro scomparve dopo il salvataggio di Rose. Non chiese mai come era andata, se lei era salva o se stavano tutti bene. Niente. Svolse il suo ruolo, poi scomparve. Così fu allora, e così è adesso.
-Dopotutto, non era male come compagno di avventure. Aveva un gran bel culo…-
-Jack…-
-Che c’è? Sono serio!-
Il Dottore sorride appena, poi sospira e torna a fissare incantato la sua Rose. È seduta sul divano e gioca ancora con le mani di suo figlio. Se ne porta una alle labbra e le bacia con dolcezza, gentile e angelica nei suoi gesti di madre. Jack segue la traiettoria dello sguardo del Dottore e sorride a sua volta.
-Come si sente?- domanda. Il Dottore scrolla le spalle.
-Le è difficile sopportare l’idea che non può morire. Dopotutto, il processo che innescò in te le fu ritorto contro durante gli esperimenti: questo non se l’aspettava nessuno, forse neanche il Maestro. Ora resta da vedere quanto di lei e di Signore del Tempo c’è in Yerfillag.-
-Aha… allora, quando glielo chiederai?- dice all’improvviso, e il Dottore sussulta. Guarda il capitano Harkness e non sa cosa rispondere. Ha voluto nascondere l’esistenza del suo ultimo viaggio, ha soffocato la paura e l’emozione che l’hanno quasi sopraffatto durante il suo ultimo acquisto. Sono giorni che tiene quello scatolino in tasca, mesi che ci pensa, secoli che attende. Eppure, l’attesa non è mai stata abbastanza, perché tutti i millenni che potevano trascorrere, sarebbero valsi la pena per quel sorriso, per quelle piccole mani paffute, per quella donna e quel bambino.
-Dottore, devi dirglielo ora, o non lo farai mai.- lo incita Jack, ma il Dottore non risponde. Per qualche istante, ha smesso di respirare. Scuote la testa.
-Lo farò, ma non adesso.-
-Mi prendi in giro? Andiamo, sappiamo tutti che quando si tratta di sventare minacce apocalittiche sei un mito, ma in fatto di donne sei…-
-Non è vero! Troverò il momento giusto!-
-Non lo farai, è più facile che prendi il TARDIS e fili via. Si tratta della tua famiglia, Dott…-
-LO SO!!!- urla lui all’improvviso. È arrabbiato, si sente giudicato da chi non può farlo. Per quanto anziano, Jack non rasenta nemmeno un quarto dell’età del Dottore, dell’antico Gallifreyano sopravvissuto. Lui combatte ogni giorno, respira di fatica, è anziano nella sua apparente giovinezza, e adesso si sente giudicare da un umano. Normalmente non gli darebbe fastidio, non se la prenderebbe tanto ma… Jack ha ragione su tutto. E questo gli fa rabbia, lo manda in bestia.
-Credi che non abbia paura? Credi che non abbia mai provato il peso della solitudine, dell’assenza di qualcuno che sapesse di casa? Io viaggio da sempre, non ho quasi più memoria della pace che provai in gioventù, e per lungo tempo ho avuto modo di dimenticarla, di rimpiazzarla con la convinzione di essere rimasto da solo. Una famiglia, io non la meritavo. Ma poi è arrivata lei, e all’istante ho capito che era diversa, perché sapeva sopportare: non perdeva mai la pazienza con me, preparava un the buonissimo e sorrideva della mia esuberanza. Una volta mi ammalai, avevo la febbre alta, e lei si è occupata di me, ha vegliato e mi è rimasta accanto finché non smisi di delirare! Fu allora… fu allora che capii di non essere più solo. Gallifrey è estinta, non esiste più. Però sono certo, e posso confermarlo davanti all’intera corte planetaria, che nemmeno sul mio pianeta natale avrei trovato la mia metà. È sempre stata lei, sarà sempre lei, coi suoi difetti e i suoi pregi. La mia casa è Rose Tyler e quella peste di nostro figlio e io… dopo tutto quello che lei ha fatto per me… non ho neanche il coraggio di chiederle di sposarmi.-
Il Dottore respira, stringe forte i pugni affondati nelle tasche. Si sente svuotato, senza forze. Eppure sente di aver detto ciò che doveva, di aver espresso la verità. È un vigliacco, tutto qui.
Poi, un piccolo singhiozzo. Un altro. Il Dottore si volta, sente i cuori bloccarsi all’improvviso quando vede una Rose senza più Yerfillag in braccio e con le mani premute sulla bocca. Singhiozza, calde lacrime di cristallo scivolano lungo il suo viso familiare di donna in sboccio. È pallida, il Dottore teme che possa svenire, ma poi lentamente il suo cervello elabora, nota il silenzio improvvisamente sceso sulla casa, gli sguardi di tutti puntati su di lui. Rose piange, Jack sorride.
Porca miseria.
-Ho… parlato ad…-
-Alta voce, sì. Auguri, amico mio.- Jack lo spinge verso Rose, facendolo incespicare maldestramente in avanti. Vorrebbe correre il Dottore, scappare da quella situazione. Non vuole una risposta, la conosce già: lui è troppo esuberante, dorme poco, corre sempre e mette in giro un sacco di disordine. Ha azzardato troppo, è un passo troppo gra…
-Sì.-
Il Dottore spalanca gli occhi, guarda Rose con stupore assoluto misto alla convinzione di aver semplicemente immaginato quelle parole. –Che hai detto?-
Rose annuisce, sorride tra le lacrime, ed è come un raggio di sole che sboccia tra  fitto manto di pioggia e nubi temporalesche. È un raggio dorato, gentile, che irradia quel viso di lacrime felici, leggere come l’aria e altrettanto carezzevoli. Sono lacrime d’angelo, lacrime di ragazza innamorata, di madre orgogliosa, di donna sopravvissuta.
-Ma… Rose. Sei sicura? Io sono rumoroso, disordinato, corro sempre, e…-
Ma una scarpa da ginnastica lo colpisce dritto in testa, facendolo quasi cadere. Il Dottore si volta e incrocia lo sguardo minaccioso di Martha, che già impugna la seconda scarpa. A preoccuparlo tuttavia, è l’arma di Tish: quegli stivaletti hanno degli stramaledetti tacchi a spillo.
Rose lo ignora, gli prende il viso tra le mani e perdendosi nei suoi occhi, il Dottore ritrova il suo paradiso, la pace che ha sempre cercato: è casa.
-Diecimila volte sì.- mormora lei prima di baciarlo con tanta esuberanza da fargli perdere l’equilibrio. Rotolano al suolo abbracciati, ridenti uno sulle labbra dell’altra, col Dottore che le accarezza i fianchi e Rose che gli scompiglia i capelli già disordinati di per sé.
Il boato che esplode nel salotto ricorderebbe lo scoppio di una bomba nucleare se i due promessi sposi non sapessero che i loro amici sanno essere ben più rumorosi. Vedono Jack che solleva i pollici e per festeggiare palpeggia il sedere di Tish, che gli appioppa il tacco della scarpa dritto sulla fronte prima di abbracciare Martha. La signora Jones, con in braccio il piccolo Yerfillag, annuisce tra le lacrime e scoppia in singhiozzi felici sulle spalle del marito mentre il bambino batte le mani, assimila con piacere tutto quel rumore e si sente soddisfatto.
È una famiglia che si allarga, un’accoglienza serena per coloro che accettano la promessa ormai confermata di un amore sbocciato già da tempo.
Un bagliore dorato più forte del sole sfiora per un breve istante la spalla di Rose, ricoprendola di riflessi lucenti. Lei e il Dottore si voltano, guardano la finestra, dove una sagoma d’uomo in giacca e cravatta si allontana senza voltarsi indietro, sventolando lentamente una mano. È un saluto, un ringraziamento, un gesto che assimila mille cose non dette. Entrambi capiscono, entrambi sorridono e tornano a baciarsi proprio mentre l’uomo sparisce. Non lo rivedranno mai più.
Sarà la signora Jones ad accompagnare Rose all’altare. Sarà Jack Harkness il testimone del Dottore durante la sua ultima e più grande avventura. Saranno Martha e Tish le fedeli damigelle. Saranno centinaia gli alieni invitati al matrimonio, poiché di conoscenti e amici, il Dottore ne ha sempre avuti tanti, ma non tutti sono umani. Sarà una cerimonia baciata dal sole e dalla luna, dal giorno e dalla sera, avvolta in una cupola d’aurora boreale, dono di alcuni invitati venuti da chissà quale pianeta. Nessuna invasione, nessuna minaccia aliena. Per una volta, almeno per quel giorno, non ci saranno armi: voleranno fiori, risate e strette di mano, mentre strani uccelli variopinti sorvoleranno l’ambiente e tralci di fiori arcobaleno avvolgeranno l’abito della sposa e le gambe dello sposo, fino alle loro mani intrecciate.
Mai in tutto l’universo, si ripeterà quel brandello di pace, quell’unione variopinta di etnie, specie e culture diverse. Perfino gli umani non saranno a disagio e sapranno capire, interessarsi, ridere di serenità rinata.
Sarà un giorno ricordato, un giorno che in futuro molti narreranno.
Il Dottore che lottò, infine troverà pace.
L’uomo sopravvissuto, infine non sopravvivrà più alla vita, ma si limiterà a viverla davvero.
Una razza rinascerà, una speranza sboccerà dalle sue stesse ceneri. E forse un giorno, il Tempo vedrà realizzarsi qualcosa di nuovo, il rinnovato fiorire di un’alba senza guerre, di razze senza distinzioni, di un uomo che ormai, non corre più da solo: al suo fianco, c’è una donna. Molti la ricorderanno, molti racconteranno che insieme saranno due metà di un intero. E questa, credetemi, è la cosa più importante di tutte.
 
Angolo dell’autrice:
E qui finisce la nostra piccola storia. Non ho molto da aggiungere, se non alcune scemenze. So che il nome del bambino è piuttosto strano, ma provate a leggerlo al contrario, e credo che la cosa acquisti un senso per voi come lo è stato per me. Il Maestro poi, è stato un altro personaggio tanto difficile quanto piacevole da gestire. Quello della serie l’ho molto amato e spero di non aver fatto casini spingendolo a fare ciò che ha fatto. In quanto a Rose e il Dottore… il resto immaginatelo voi.
Immaginate, gente, perché l’immaginazione, la fantasia, è quanto di più bello abbiamo. Il coraggio vero, come ci ha insegnato il Dottore, come ha fatto anche il Maestro, è saper andare avanti, persistere nelle idee personali e crederci, credere fino alla fine. E quando le cose vanno male, semplicemente… ricordate che si può ancora sorridere, come spero che vi abbia indotto a fare questa storia. Grazie di tutto, con tutto il cuore, specialmente ai meravigliosi tre recensori che hanno lasciato la traccia di un brandello di felicità in me coi loro commenti mai noiosi e sempre più belli. Dedico a voi i miei sforzi e spero, in futuro, di leggere ancora le vostre parole, perché grazie ad esse siamo infine giunti a questo piccolo traguardo. Grazie a:

Kimi o Aishiteiru
Tony Stark
Bbpeki

Grazie e a voi un inchino speciale e accorato. A presto! Allons-y!!!
Tomi Dark Angel

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