I verdi campi francesi. di Layla (/viewuser.php?uid=34356)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1)In Francia per punizione. ***
Capitolo 2: *** 2)La storia dei Willy McBride. ***
Capitolo 1 *** 1)In Francia per punizione. ***
1)In Francia per punizione.
Aveva preso l’ennesimo
votaccio e questa volta non sapeva
proprio come presentarlo al padre.
Will calciò via la neve che stava invadendo
progressivamente il marciapiede, Londra – o meglio londinesi
– non era fatta
per la neve, la gente dimostrava sempre un menefreghismo devastante.
I vialetti delle case erano sempre puliti,
a scapito dei marciapiedi di cui non si
curava nessuno,
Sbuffando estrasse l’i-phone e scrisse a Matt che non ci
sarebbe stato alla festa di sabato, perché probabilmente il
suo vecchio
l’avrebbe messo in punizione.
L’amico gli rispose che gli dispiaceva e che erano
riusciti a convincere Sherilee a venire, Will imprecò
sottovoce.
Sherilee Lynch era il sogno proibito di ogni ragazzo,
aveva lunghi capelli neri, due occhi azzurri meravigliosi, un bel
davanzale e
tutte le curve al posto giusto.
“Merda!”
Probabilmente Matt se la sarebbe fatta e lui sarebbe
rimasto a bocca asciutta. Il pensiero gli diede una fitta di rabbia.
Beh, ormai era tardi, doveva solo affrontare suo padre e
sperare che non si arrabbiasse troppo.
Era ormai arrivato a casa sua, così sali i tre gradini e
aprì la porta rossa su cui era rimasta una malinconica
ghirlanda di Natale.
Suo padre lo aspettava all’ingresso e questo era
perlomeno strano.
“Ciao, papà.”
Lo saluto cauto, intuendo la tempesta in arrivo.
“Ciao, Willy. Vieni, dobbiamo parlare.”
Ok, non poteva più salvarsi, sperò solo di essere
capace
di riuscire a sopravvivere nella tempesta che si sarebbe scatenata di
lì a
poco.
Arrivarono in salotto, lui si sedette sul divano, suo
padre su una poltrona davanti a lui.
“William, mi ha telefonato la tua insegnante di
matematica. Hai preso l’ennesimo brutto voto, si
può sapere cosa hai in mente?”
“Io… niente.”
“Ecco il problema! Tu non hai in mente niente se non fare
casino con quei teppisti dei tuoi amici!
Sparisci ogni venerdì e sabato sera e domenica –
quando
dovresti fare i compiti – o dormi oppure giochi con quei tuoi
videogiochi. Non
si può continuare così, non ho intenzione di
lasciarti perdere un anno di
liceo, visto che io e tua madre ci spacchiamo la schiena per farti
studiare!”
Eccolo lì, il solito tentativo di farlo sentire in colpa
mettendo a confronto la sua adolescenza con quella dei genitori. Will
respinse
il senso di colpa e tornò ad ascoltare suo padre.
“Sei in punizione per due settimane e, visto che non ti
interessa nulla né della mia adolescenza né di
quella di tua madre, riceverai
presto una lezione.”
“Non è che non mi interessa
nulla…”
“Sì, non ti interessa nulla. Ogni tanto uscivamo
anche
noi a divertirci, ma non come te che non sai fare altro che bere e
scopare,
suppongo.
Adesso puoi andare in camera tua.”
“E il pranzo?”
“Se lo salti una volta non muori.”
Rispose suo padre, William si alzò reprimendo un sospiro
di infelicità e salì in camera. Ai genitori dei
suoi amici non importava nulla
del loro rendimento scolastico, perché proprio a lui era
capitato un padre
vecchio stile?
Buttò lo zaino a terra, si tolse jeans, scarpe e calzini
e si buttò sul letto, il pranzo era andato a farsi benedire,
tanto valeva farsi
una bella dormita.
Più tardi forse avrebbe fatto i compiti
Odiava la scuola anche solo per il doversi alzare presto,
lui non era affatto mattutino, iniziava a ingranare del tutto verso le
undici,
le ore precedenti erano spesso nient’altro che una nebbia
indistinta in cui si
trovava costretto a vivere.
Nemmeno cinque minuti dopo dormiva già.
Era immerso nel sonno dei giusti quando sentì qualcosa
cadere su di lui che lo sbatte giù a calci con poca
gentilezza, poi aprì gli
occhi e capì che si trattava di Freddie, un suo amico.
“Che cazzo di modo hai di svegliare le persone?”
Gli chiese con la voce impastata dal sonno.
“Uno piuttosto diretto.”
Commentò alzandosi e massaggiandosi il sedere.
“Cosa ci fai qui, comunque?”
“Niente, sono solo venuto a trovarti.
Tuo padre mi ha detto che devi scendere, c’è
quella gran
figa di tua cugina Liz dabbasso.”
“Non è figa.”
Ripose lui, raccogliendo i suoi jeans.
“Certo che lo è.”
“Ma per favore! Con quei capelli rosso sangue, la faccia
pallida, i suoi vestiti neri e le sue band emo fa pena.”
“Secondo me è figa.”
Lui sospirò esasperato, mettendosi una felpa, dei calzini
e le ciabatte.
“E allora provaci con lei.”
“Nah, non ne vuole sapere di gente stupida come me.”
Will non fece commenti, la cotta di Freddie verso Liz era
abbastanza strana.
Scese dabbasso e trovò il suo vecchio seduto sul divano a
chiacchierare amabilmente con quella secchiona.
“Ciao a tutti.”
Liz alzò una mano e arrossì lievemente quando
vide
Freddie spuntare alle sue spalle.
“Buongiorno, figliolo.
Veniamo al dunque: tu e Liz farete un bel viaggetto in
Francia, lei deve insegnarti un paio di cose.”
“Sì, a vestirmi di nero e ad amare band che
inneggiano al
suicidio.”
“No, dovrei insegnarti qualcosa sulla vita, ma dubito di
riuscirci con il cervello bacato che ti ritrovi!”
Le rispose acida lei, Will stava per risponderle a tono
quando si intromise suo padre.
“Non siete qui per litigare! Vi ho prenotato
l’aereo,
partirete domani sera.”
“Agli ordini!”
Fu la sua riposta acida.
La proposta di suo padre non gli piaceva affatto,
trascorrere del tempo con Liz sarebbe stato di una noia mortale per lui
e poi
lei era un’acida di prima classe, sempre pronta a commentare
malignamente le
sue abitudini.
“Beh, se non c’è nient’altro
da dire io me ne vado.”
Liz si alzò dal divano e recuperò la sua borsa,
Will tirò
un intimo sospiro di sollievo.
“Vuoi che ti accompagni a casa?”
Li z guardò Fred leggermente stupita, poi fece cenno di
sì con la testa, in un attimo erano spariti tutti e due.
“Cos’è questa storia della
Francia?”
Chiese a suo padre.
“Visto come ti stai comportando è arrivato il
momento di
raccontarti qualcosa di più sulla nostra famiglia e siccome
so che non mi
ascolterai sarà Liz a farlo.”
“Chi ti dice che la ascolterò? Lei non mi piace
con
quell’aria da miss so-tutto-io.”
“La ascolterai, te lo garantisco.”
Rispose duro suo padre, Will scoprì di non avere parole
con cui rispondergli.
Due giorni dopo erano in volo
sopra la Francia, il tempo
era nuvoloso e una volta atterrati a Parigi si sarebbero presi un bel
po’ di
acqua.
“Ripetimi il piano.”
“Atterriamo, prendiamo un taxi per la gare de
l’Est, io
faccio i biglietti per Verdun e poi ci fermiamo per una notte in un
ostello che
ho prenotato io.”
“ ‘k, cosa vi siete detti tu e Freddie?”
Lei arrossì leggermente.
“Nulla che ti possa interessare.”
“Dai, dimmelo.”
Lei prese fiato.
“Senti, William, io non piaccio a te e tu non piaci a me,
ma siamo costretti a fare questo viaggio insieme, quindi stabiliamo
delle
regole.
1)Non parliamo più del necessario.
2) Tu non fai cazzate.
3)Non parlarmi più di Freddie o giuro su Dio che me ne
torno a Londra e ti mollo per cazzi tuoi.”
“Agli ordini!”
Rispose seccato lui, che non pensava di meritarsi una
risposta così cattiva.
Era inutile, non avrebbe mai capito Liz. Da bambini
giocavano insieme, poi qualcosa si era guastato, sua cugina aveva
cominciato a
essere derisa per il suo essere troppo grassa ed era diventata
anoressica e
strana: niente più vestiti colorati, niente più
sorrisi o feste, solo quelle band
deprimenti. Era guarita alla fine, ma non era tornata quella di prima,
era
rimasta quella con i vestiti neri e delle band strane.
Anche adesso le stava ascoltando a giudicare dal ronzio
che sentiva dalle sue cuffie, Will decise di lasciar perdere.
Un quarto d’ora dopo atterrarono al DeGaulle, ritirarono
i bagagli e cambiarono la cara vecchia sterlina in euro.
“Bene adesso cerchiamo un taxi.”
Gli disse sua cugina, che parlava un francese abbastanza
buono al contrario di lui che capiva a stento metà di quello
che le persone
dicevano attorno a lui.
“Va bene.”
Uscirono dall’aeroporto trascinandosi dietro i loro
bagagli, Liz camminava a passo talmente svelto che lui faceva fatica a
starle
dietro, dannata emo!
Alla fine si ritrovarono fuori dalla grande struttura, lui si
guardò attorno
spaesato, lei invece aveva già individuato i taxi e lo
costrinse a muoversi con
uno strattone alla giacca.
Will si affrettò a seguirla, lei parlottò per un
po’ con
il taxista che annuì e li aiutò a caricare i
bagagli. Entrarono nella vettura –
piacevolmente riscaldata – e lui si sentì un
po’ meglio, curiosamente aveva
voglia di un bel the caldo.
La macchina si mise in moto e lui si perse a guardare le
strade di Parigi tra le gocce di pioggia che scendevano a rigare il
finestrino,
Liz non gli disse niente.
Will cominciò a trovare un po’ pesante
quell’assenza di
comunicazione, in fondo era un bel ragazzo e con un carattere amabile!
Era biondo e con gli occhi verdi e sapeva essere
simpatico se voleva, alle ragazze piaceva e amavano anche i suoi
capelli irti
in una specie di cresta. Liz non gli aveva mai detto una volta che era
bello,
al contrario lo chiamava scimmia.
Alla fine arrivarono alla Gare de l’Est ed entrarono di
nuovo in un ambiente affollato e freddo.
“Senti, io vado a fare i biglietti, non
allontanarti.”
Lui annuì e si sedette su una panchina lì vicino,
ben
presto venne avvicinato da uno sconosciuto.
“Se ti interessa ho un po’ di roba a buon
mercato.”
Perché no? In fondo gli toccava trascorrere una serata
con un’acida.
“Che roba?”
“Erba.”
“Va bene.”
L’uomo gli infilo senza farsi vedere un cubetto in tasca
lui gli infilò venti euro nella tasca del giubbotto, poi
come era arrivato
l’uomo se ne andò, il problema era che anche la
rossa lo aveva visto e dalla
faccia con cui gli stava venendo incontro non aveva affatto gradito.
“Cosa hai comprato?”
Gli sibilò tagliente.
“Un po’ di erba per stasera.”
“Sei incorreggibile!”
Sputò lei.
“Comunque ho i biglietti, partiamo dopodomani alle sei e
adesso andiamo all’ostello, è davanti alla
stazione.”
“Va bene. si può sapere perché non ti
va mai bene quello che faccio io?”
“Perché tre quarti di quello che fai è
dannatamente
stupido!”
“Pensa un po’ alla tua storia!”
Lei si girò e lo fulminò con
un’occhiata così carica di
rancore che si stupì di non prendere fuoco
all’istante.
“Io ero malata, tu non sei malato, sei solo uno
stupido!”
Sibilò prima di girarsi di nuovo e chiudere del tutto la
comunicazione con lui.
Will sbuffò, possibile che non ne indovinasse una con
lei?
Che ogni volta che cercasse di abbattere a suo modo il
muro tra di loro sua cugina lo respingesse così brutalmente?
Attraversarono la strada, il secondo edificio era il
famoso ostello e venne assegnata loro una camera a due letti e con un
piccolo
bagno.
“Io vado a farmi una doccia.”
Annunciò Liz.
“Si può sapere cosa ti ho fatto?
Siamo cugini in fondo!”
“Quando i tuoi amici mi prendevano in giro,non ero tua
cugina, non ero nemmeno una tua lontana parente, non ero
nessuno.”
Poi si chiuse in bagno e Will si stese su uno dei due
letti, non aveva mai considerato la vicenda da quel punto di vista,
forse
avrebbe dovuto chiederle scusa, ma non era certo che lei le accettasse,
aveva
un tale carattere!
Finita la doccia se ne fece una anche lui e quando uscì
la trovò addormentata mentre
ascoltava
la sua musica, indossando solo una maglia lunga,
in un impeto di pietà decise di coprirla e
poco dopo la imitò anche lui.
La mattina dopo si svegliarono con un bel sole, Will si
sentiva riposato.
“Quando abbiamo il treno?”
“Domani alle sei, quindi se vuoi possiamo fare un giro
per la città.”
“Va bene, ma prima mettiamo qualcosa sotto i denti. Ho
fame.”
“Nell’ostello è compresa la prima
colazione.”
Lui sorrise.
“Che bello!”
Si cambiarono e scesero a mangiare un abbondante
colazione continentale, poi tornarono in camera e si guardarono negli
occhi.
“Cosa facciamo ora?”
“Io andrei a vedere la tour Eiffel e poi
Montmartre.”
“Va bene, vengo con te.”
Lei alzò gli occhi al cielo.
“Se devi.”
“Scusa se non sono bravo come te con il francese!”
“Se fossi stato attento a scuola…”
“CHE PALLE”
Urlò esasperato.
“Non è colpa mia se non sono un secchione!
E poi cosa ti costa aiutarmi?”
“Il fatto è che non voglio aiutarti, non voglio
aiutare
nessuna delle persone che mi hanno fatto del male.”
Lui sbuffò.
“Ho sbagliato, va bene?
Succede.”
Lei fece uno strano gesto con la mano.
“Facile liquidare tutto così, senza nemmeno una
scusa, ma
cosa posso aspettarmi da te?
Dai, andiamo, ma non aprire bocca durante il giro, odio
la tua voce!”
Liz aprì la porta con rabbia e non si curò del
fatto che
lui la seguisse o meno, non si aspettava che sua cugina ci fosse
rimasta così
male per qualche scherzetto innocente.
La sua coscienza dissentì, non erano scherzetti
innocenti, era bullismo vero e proprio e lei aveva imparato a
difendersi
allontanando tutti.
Uscirono nel sole di Parigi, la rossa aprì una mappa e
poi cominciò a camminare svelta sul marciapiede, lo stava
completamente
ignorando come aveva detto avrebbe fatto.
Lui la seguiva a fatica, intralciato dalla gente, e la
vide quasi per miracolo scendere in una delle stazioni della
metropolitana.
Sbuffando la ritrovò davanti a un’edicola, lei lo
vide e
gli passò un paio di biglietti.
“Cristo, potresti almeno aspettarmi!”
Per tutta risposta lei ricominciò a camminare.
“Liz, aspettami!”
Will dovette correrle dietro e riuscì a portarsi al suo
fianco giusto poco prima che la carrozza della metro arrivasse.
Salirono
insieme, a giudicare dalle fermate la prima tappa doveva essere la
torre.
“Penso ci fermeremo anche a Notre Dame e alla Saint
Chapelle.”
“Va bene.”
Aveva qualche altra possibilità?
Scesero a una fermata, lui la seguì docile e dopo aver
percorso un paio di stradine si ritrovarono davanti alla torre.
“Wow!”
Will le fece una foto con l’i-phone.
“Puoi farmi un favore?”
“Dimmi, Liz.”
“Fammi una foto con il mio cellulare, io accanto alla
torre.”
Lui annuì e la cugina si mise in posa, lui cliccò
un
tasto ed ecco che la loro prima tappa era stata immortalata.
Gironzolarono ancora un po’ alla torre, arrivarono fin
sotto la struttura per ammirare gli incastri perfetti del ferro, lui
sarebbe
rimasto volentieri ancora un po’ma lei lo trascinò
via.
“Prossima tappa?”
“Notre Dame e la saint Chapelle:”
Presero di nuovo la metro e si fermarono alla fermata giusta per andare
a visitare i due monumenti.
Già fuori dalla chiesa Will si fermò per un
attimo, incantato, poi entrò per vederlo meglio.
Le vetrate di Notre Dame erano davvero belle, con la luce colorata
che diffondevano nella chiesa la rendevano fuori dal tempo. Un fiore etereo che non
sarebbe durato,
un’eterna preghiera verso il cielo con i costoni e i
gargoiles che si alzavano
come mani protese verso il cielo blu.
Usciti da Notre Dame, entrarono nella Saint Chapelle, se
possibile era ancora più bella di Notre Dame, le vetrate
erano più alte e
ricoprivano quasi interamente tutte le pareti, sembrava di stare in
paradiso.
Tutta quella luce strana – filtrata – dava
l’impressione
di essere entrati in un altro mondo, un mondo di santi, streghe, re e
regine
che da tempo avevano lasciato questo mondo insieme alla loro
mentalità.
C’era qualcosa di epico in tutto questo, un pulsare di
vita estinta che si faceva sentire attraverso l’arte.
Era magico.
Anche Liz era incantata allo stesso modo, almeno in
quello erano cugini. Uscirono a malincuore con gli altri turisti, prima
di
riprendere il loro giro si sedettero su una panchina,entrambi accesero
una
sigaretta.
Will non sapeva se potesse parlare o meno a sua cugina,
quindi per non fare la figura del fesso faceva finta di concentrarsi
sui
passanti.
“Come ti sono sembrate?”
Alla fine era stata Liz a rompere il silenzio.
“Bellissime, soprattutto la Saint Chapelle.”
Era incerto se aggiungere altro, alla fine decise di
farlo.
“Sembrava di stare in un altro mondo.”
“Esattamente quello che ho pensato io.”
Per la prima volta Liz gli sorrise e dovette ammettere
che quando sorrideva era una bella ragazza, peccato lo facesse
così di rado!
“Adesso, cosa facciamo?”
“Cerchiamo un posto dove mangiare e poi andiamo a
Montmartre.”
“Va bene.”
Si alzarono dalla panchina e cercarono un bar che non
fosse troppo costoso, presero un panino e una bottiglietta
d’acqua ciascuno. Il
silenzio era di nuovo calato tra di loro, ma Will percepì
che era meno carico
di ostilità.
Finito di mangiare presero di nuovo la metro e arrivarono
a Montmartre, salirono la scalinata del Sacro Cuore e da lì
si godettero il
panorama dei tetti di Parigi. Non era magico come le chiese, ma era
romantico,
gli sarebbe piaciuto portarci la ragazza dei suoi sogni.
Chissà se a Sherilee sarebbe piaciuto?
Si chiese Will, probabilmente sì, ma lui non sarebbe mai
riuscito ad averla. Quelle come Sherilee non sceglievano mai quelli
come lui.
“William!”
L’urlo di sua cugina lo fece trasalire.
“Dobbiamo andare! Si può sapere a cosa stavi
pensando?”
“A come sarebbe bello portare Sherilee qui e a come sia
impossibile che lei scelga me.”
La risposta sincera gli era uscita da sola e lui non
avrebbe voluto che succedesse.
“Sherilee Lynch? Non ti perdi nulla, è solo
un’oca.”
Will scosse la testa e seguì Liz lungo la scalinata,
presero di nuovo la metro e arrivarono nei pressi del loro ostello.
Gironzolarono un po’ fino all’ora di cena, poi
cercarono
un altro bar per mangiare, trovarono una pizzeria che faceva prezzi
decenti.
Mangiarsi una pizza a Parigi non era poi così male!
Usciti dal locale rientrarono in ostello e si fecero
entrambi una doccia, poi Liz si stese sul letto a leggere qualcosa, un
manga
probabilmente, lui invece si diede da fare con l’erba
comprata il giorno prima.
Preparò la cartina, prese il tabacco, lo mischiò
a un po’ di erba e chiuse
tutto con il filtro.
La accese soddisfatto.
“Vuoi fare un tiro?”
“No.”
“Eddai, non fare la santa!”
Liz appoggiò il manga al comodino e si sedette accanto a
lui sul terrazzino della loro camera e gli tolse la canna dalle mani,
traendone
un lungo tiro.
“E poi non la volevi. Non sei una principiante.”
“No, in qualche modo dovevo sopravvivere alla scuola e, a
volte, ho scelto metodi sbagliati.”
Per un attimo i suoi braccialetti si alzarono rivelando
sottili cicatrici bianche, lui fece una smorfia.
“Sì, sono proprio metodi sbagliati.”
Continuarono a fumare insieme, quando la canna era quasi
finita e Liz rilassata si azzardò a domandargli una cosa che
gli premeva fin da
quando erano sull’aereo.
“Liz, ma ti piace Freddie?”
“Sì, ma è fuori dalla mia portata e poi
uscire con me gli
rovinerebbe la reputazione.”
“Penso che non gliene freghi un cazzo della
reputazione.”
“Pensi che mi possa aspettare
che mi chieda di uscire con lui allora?”
Chiese con voce sognante la rossa.
“Può darsi.”
“Sarebbe bellissimo.”
Poi chiuse gli occhi e si addormentò di schianto.
Will la mise sotto le coperte e si disse che dopotutto
viaggiare con lei non era male. Era curioso di sapere cosa avrebbero
visto
l’indomani e cosa c’entrasse con la sua famiglia.
L’avrebbe scoperto con Liz, si disse e se c’era una
persona adatta per scoprirlo era lei, perché oltre a essere
acida era anche
pratica e semplice.
Sì, sarebbe andata bene.
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Capitolo 2 *** 2)La storia dei Willy McBride. ***
2)La
storia dei Willy McBride.
La mattina dopo fu un disastro, si
svegliarono in ritardo
e solo il fatto che la stazione era praticamente davanti al loro
ostello gli
impedì di perdere il treno per Verdun.
Cosa aveva di speciale quella piccola città della Lorena?
Il nome gli sembrava familiare, ma aveva paura di
chiedere spiegazioni alla cugina, gli sembrava che fosse di malnumore e
che
quel minimo di complicità che avevano sviluppato se ne fosse
andato.
“Liz?”
“Sì?”
“Sei incazzata? Ti ho fatto qualcosa?”
“No, Will. Sto solo pensando a come approcciarmi, che
parole scegliere per farti capire il messaggio che tuo padre vuole
darti
mandandoti qui.”
“Cos’ha di speciale questo posto?”
“Fu una delle principali battaglie della prima guerra
mondiale. Iniziò nel 1916 e durò undici mesi
causando la morte di in milione di
soldati circa.”
Will riflette un attimo, sapeva di essere stato chiamato
con quel nome per onorare qualcuno della famiglia, un bisnonno che
aveva
partecipato alla grande guerra.
Ci pensò e ripensò, alla fine decise di
rinunciarci.
“Non ho idea del perché dovrei andare
lì.
“Io sì.”
“Beh, svegliami quando siamo arrivati, ho sonno e quindi
penso di dormire un po’.”
Lei annuì seria, il suo cervello stava ronzando –
poteva
sentirlo persino da lì – ma il biondo non aveva
idea di cosa girasse nella
testa della rossa.
Si sentiva la testa pesante e i pensieri intorpiditi dal
sonno, così decise di lasciarsi andare a un riposino
ristoratore, magari dopo
sarebbe stato in grado di collegare tutte le cose.
Al momento il suo viaggio con Liz gli sembrava un puzzle
non risolto e aveva l’impressione che gli mancassero degli
elementi per
capirlo.
L’avrebbe scoperto tra poche ore, inutile fasciarsi la
testa prima di essersela rotta.
Gli sembrava di aver chiuso gli occhi solo cinque minuti
prima quando una mano gentile lo scosse: era Liz.
Da quando avevano visitato insieme Parigi, lei sembrava
mano acida e prevenuta nei suoi confronti.
“Siamo arrivati, Will.”
Lui annuì e la aiutò con le valigie, riuscirono a
scendere dal treno appena in tempo, sospirando di sollievo uscirono
dalla
stazione, che era totalmente diversa rispetto a quella parigina.
C’era meno gente e non c’erano taxi, Will si
soffermò un
attimo a leggere le indicazioni per un museo
sulla battaglia di Verdun.
“Andremo qui?”
Chiese alla cugina, ma lei scosse la testa.
“Adesso lasciamo le nostre cose in un bed & breakfast
e vedrai dove andremo.”
Lui annuì e la seguì lungo le strada poco
affollate del
paese, la stagione turistica non era ancora iniziata. La rossa si
fermò in una
casetta con i fuori sulle finestre del piano terra.
“Eccoci qui.”
Lei suonò e rimasero in attesa di qualcuno che venisse ad
aprire loro.
Poco dopo arrivò una donna sulla quarantina, bionda e con
un’aria materna.
“Buongiorno, voi siete?”
“McBride.”
Rispose con un sorriso sua cugina.
“Perfetto, vi aspettavo! Adesso vi faccio vedere la
camera e poi vi lascio liberi.
Ragazzo, sei fortunato ad avere una ragazza così
carina.”
“È mia cugina.”
Ridacchiò Will facendo arrossire la signora.
La loro camera era al secondo piano ed era perfettamente
pulita, con tanto di tendine alla porta finestra e fiori sul balcone,
per il
resto c’erano due letti e una stanzetta per il bagno.
“È veramente deliziosa!”
Cinguettò Liz.
La signora accettò il complimento e poi sparì,
Will si
gettò sul suo letto.
“Ti cedo il bagno per fare la doccia per prima, basta che
non ci metti trent’anni.”
“Grazie, Will!”
Gli sorrise lei.
Sua cugina sparì in bagno e lui ne approfittò per
farsi
un sonnellino, le ragazze stavano sempre
un’eternità in bagno. Dopo un po’ Liz
lo sveglio e lui si fece una doccia veloce e si cambiò i
vestiti, uscito dal
bagno la trovò sul balcone a fumare e decise di farle
compagnia.
“Dove andremo dopo?”
“Fuori dalla cittadina, c’è un posto che
devi vedere e
una storia che devi sentire.
Forse non sei proprio la testa di cazzo impermeabile a
ogni insegnamento che credevo.”
“Mi stai dicendo che mi farai una lezione?”
“Qualcosa del genere, non farmi dire una parola di
più.
Sto ancora pensando a come impostare il tutto, è importante
che tu capisca il
messaggio ed è per questo che tuo padre ha scelto
me.”
“Uhm, capisco.”
Finirono la sigaretta e rientrarono nella stanza, Liz
cominciò a ficcare alcune cose in uno zaino più
piccolo e lui capì che doveva
fare lo stesso.
Riempiti gli zaini, salutarono la padrona di casa e
uscirono, era una giornata calda e soleggiata in cui passeggiare era
piacevole.
Will seguì la cugina, uscirono dall’abitato per
percorrere un sentiero: l’erba attorno a loro era verde e a
tratti interrotta
da qualche macchia rossa: papaveri.
Camminarono per un po’, lui non ci stava capendo molto,
dove diavolo stavano andando?
Alla fine capì, in lontananza vide un cimitero con
numerose croci bianche che si stagliavano nel sole. Liz
deviò verso quella
direzione e lui la seguì, probabilmente si sarebbero fermati
e lui non poté
fare a meno di essere contento, iniziava a essere stanco e il sole lo
stava
facendo implacabilmente sudare.
Alla fine entrarono nel cimitero, Will si guardò in giro
a disagio, su alcune di quelle croci c’erano foto di ragazzi
morti un secolo fa
che avevano circa la sua età e su quelle prive di foto le
date non cambiavano.
Come aveva detto Liz?
Erano morti circa un milione di soldati su quel fronte,
che ora non era altro che aperta campagna, a volte coltivata, a volte
no.
Sua cugina si sedette sotto un albero e lui la imitò,
stanco. Bevve un po’ di acqua e poi la guardò,
l‘ espressione della rossa era
assorta.
“Fa un bell’effetto, vero?”
Disse infine, misurando le parole.
“Abbastanza, un milione di ragazzi morti per …che
cosa
per la precisione?”
“Qualche metro di terra da rubare alla nazione
nemica.”
Rispose.
“Un milione sono tanti.”
“Furono un’intera generazione, impreparata a tutto
questo.”
“Cosa vuoi dire?”
“Questa fu la prima guerra di trincea della storia, ore
intere passate sotto il fuoco nemico
a
tentare di avanzare in quelle che erano lunghi buchi, fangosi e
puzzolenti.
Prima si combatteva a campo aperto, con la cavalleria,
poi si passò a usare le mitragliatrici, gli obici, i mortai,
le bombe a mano,
gli aerei.
Non bisognava essere troppo vicini per essere colpiti,
bastava essere sulla linea di tiro.”
“Capisco.”
Lei sospirò.
“Forse un po’, ma ora ti racconterò una
storia e forse
capirai meglio.”
“Ok.”
Rispose semplicemente lui, che non capiva l’intenzioni di
Liz.
“Ok.
Fai uno sforzo di immaginazione e segui le mie parole, so
che sei in grado di farlo.
“Sei sicura?”
“A Parigi mi sono accorta che hai un po’ di
immaginazione
anche tu e questi facilita le cose.”
“Ah, Parigi era un test…”
Lei bevve un sorso dalla sua bottiglietta.
“Mh, qualcosa del genere.”
“Adesso iniziamo.”
“Ok.”
Rispose lui.
“Immagina di vivere in un piccolo paese
dell’Inghilterra
rurale, uno di quelli in cui il tempo scorre sempre uguale a
sé stesso.
C’è un piazza davanti alla chiesa, una fontana in
mezzo e
su uno dei lati c’è un pub che fa anche da
locanda, sull’altro lato c’è un
negozio di alimentari.
Il resto è sparso sulle viette che portano alla piazza e
non manca nulla per la gente di allora.
La guerra li tocca solo marginalmente, ma la gente si è
fatta l’idea che sia un mostro mangia ragazzi, sempre
più giovani partono e
nessuno sa se ritorneranno.
La battaglia in Francia è come un tabù, lo sanno
tutti
che c’è, ma nessuno osa nominarla per non
attirarla di più.
Riesci a vedere?”
Will chiuse gli occhi e aprì la mente a quella visione,
vedeva tutto quello che Liz gli descriveva.
“Sì.”
“Ok, allora continuiamo.
Tu hai diciannove anni, fai il contadino, ma non ti piace
particolarmente lavorare la terra: il tuo sogno sono gli orologi.
Fin da quando eri piccolo ti fermavi incantato a guardare
la bottega dell’orologiaio, fantasticando su come sarebbe
bello riuscire a far
funzionare quegli ingranaggi così perfettamente messi
insieme.
Poi ti ricordi che i soldi per studiare non li hai, hai
solo le mani e la terra del tuo vecchio e lasci perdere, forse farai
studiare
tuo figlio se riuscirai a mettere da parte qualche sterlina.
In ogni caso adesso non sono tanto gli orologi a passarti
per la mente o meglio entrano come meteore funeste a indicare che il
tuo tempo
in paese è agli sgoccioli.
Lo senti sul collo il fiato della guerra e ti vengono i
brividi, ti sei appena sposato e non vuoi lasciare tua moglie. Si
chiama Annie
ed è la ragazza più bella del paese per te: ha
dei meravigliosi capelli biondi
che splendono al sole, due occhi azzurri ridenti da irlandese qual
è e un corpo
meraviglioso.
Non vuoi lasciarla, non vuoi vederla piangere e non vuoi
vedere le espressioni tristi sul volto dei tuoi, lo sanno loro e lo sai
tu che
ricevere una lettera di arruolamento è come ricevere una
condanna a morte.
Tu non vuoi morire, ti va bene fare il contadino basta
che tu rimanga nella cara Inghilterra insieme alla tua famiglia.
Stai tornando dai campi, ti fermi al pub e ordini una
birra, con la sensazione che qualcosa di brutto accadrà,
mentre falciavi il
prato hai sentito uno strano click come quello delle lancette di un
orologio
gigantesco quando segna un minuto trascorso.
La cosa ti ha scosso, ma quando finalmente riesci a bere
una birra ghiacciata tutto sparisce, sei solo un contadino del 1916
stanco e
con una fervida immaginazione.
Paghi la birra e te ne vai a casa, sulla porta c’è
Annie
e i suoi occhi sono rossi e gonfi, il tuo cuore inizia a battere un
po’ più
veloce del solito.
Forse è morto tuo nonno, ha una malattia di quelle che
non perdonano e forse Dio ha avuto pietà della sua
sofferenza e l’ha finalmente
chiamato a sé.
“Annie, che succede?”
Le chiedi, affrettandoti verso di lei.
Lei non risponde, ma ti porge una lettera con il timbro
del ministero della difesa e tu inizi a sudare freddo. Forse morirai
prima di
tuo nonno.
“Annie, cos’è?”
“Aprila, Willy. Io non ne ho il coraggio.”
La apri e sai già cosa conterrà prima di avere
finito di
leggerla.
“Mi hanno chiamato alle armi, Annie, entro quattro giorni
devo essere a Londra.”
“Quindi partirai domani?”
Chiede lei con una voce tremula che non le hai mai
sentito, tu annuisce meccanicamente. Prima di questa lettera avresti
voluto
visitare la capitale con Annie, adesso vorresti che Londra sprofondi
nel cuore
marcio della terra.
Entrate tutte e due in casa, la cena è in tavola, ma nessuno
la
mangia volentieri; tutti e due avete altri pensieri per la testa e ti
accorgi
che lacrime silenziose solcano il volto di tua moglie.
Siete sposati da solo un anno, un anno è troppo poco per
un matrimonio come il vostro.
Finita la cena, ti lavi e poi ti butti a letto, la
stanchezza non la senti nemmeno, così come non
sentì il tepore della notte
d’aprile e i profumi che porta il vento: per te è
tutto congelato.
Le luci sono tutte fredde, i movimenti meccanici, la
vostra vita scorre come il torrente appena fuori dal paese quando
è ghiacciato.
Poco dopo senti i passi di Annie salire le scale, indossa
solo una veste di seta e pizzo che lascia poco
all’immaginazione.
“Ehi, non sapevo avessi questa roba.”
Tenti di scherzare, lei arrossisce,
“Volevo riservarla per il nostro primo anniversario, ma
ho pensato che oggi fosse il giorno giusto.”
Ti stringe la mano e tenta di sorridere, ma tu la conosci
bene, sai che sta trattenendo le lacrime.
Quella notte fate l’amore come non l’avete mai
fatto,
come se fosse l’ultima volta che vi vedeste.
E la cosa peggiore, ti dici il giorno dopo, è che
sarà
così.
Londra non ti accoglie bene.
Quando arrivi c’è una pioggia fredda e una sottile
nebbiolina fredda che sale dalle strade, del calore e dei profumi del
tuo
villaggio non c’è neanche l’ombra.
Vai all’indirizzo scritto sulla lettera e lì ti
visitano,
sei abile alle armi.
Lo sapevi già.
Ti consegnano le tua divisa, già lercia e ti rasano, poi
ti spediscono su un treno con un gruppo di altri ragazzi. Annie ti
manca già,
apri il medaglione con la sua foto e pensi che non le rende giustizia,
non c’è
il sole che gioca nei suoi capelli e non c’è quel
luccichio allegro nei suoi occhi
blu, ma questo è tutto quello che hai. Vorresti piangere, ma
solo le donne
piangono e tu sei un uomo, gli uomini affrontano il loro destino a
testa alta e
occhi asciutti.
Non puoi fare a meno di ricordare cosa ti ha detto il
medico che ti ha visitato.
“Vorrei trovare malformazioni, ma siete tutti sani,
ragazzi.
E tornerete malati, come orologi bloccati sempre alla
stessa ora, voi sarete sempre là nel fango
francese.”
Arrivate a Brighton e poi venite caricati su una nave diretta a
Dieppe, dal momento in cui ci metti piede senti di odiare il mare, non
fai
altro che vomitare per tutto il viaggio, ed è solo
l’inizio.
Da Dieppe inizia la marcia verso Verdun, alcuni dei tuoi
commilitoni sono tranquilli, altri hanno paura di venire bombardati. In
ogni
caso il sole è tornato a splendere e fa caldo con tutto
l’equipaggiamento e lo
zaino addosso.
Ogni giornata trascorre noiosa e faticosa, la marcia
sembra non finire mai e la notte crolli esausto nel sacco a pelo
Pensi che questo sia già l’inferno, ti sbagli:
questa è
solo la scala per l’inferno.
L’inferno ha un nome: Verdun.
Dopo qualche altro giorno di marcia arrivi a Verdun, è
una semplice cittadina francese, non ha certo l’aspetto di un
girone infernale,
ma il clima è strano. I pochi abitanti rimasti mormorano al
vostro passaggio,non
sai il francese, ma il tono è di pietà.
Usciti dalla cittadina vedete finalmente quello che sarà
il vostro inferno personale: le trincee.
Vi vengono consegnate le armi e siete assegnati ai vari
reparti, tu spari, lanci bombe e vieni assordato dalle granate.
Non ti è mai capitato nulla del genere, una luce che
arriva esplode e dietro di sé lascia solo morte e
distruzione.
Piano piano entra nei tuoi incubi insieme a un ticchettio
insopportabile, tuo nonno l’avrebbe chiamato
l’orologio della morte. Dice che
si sente solo quando la morte si sta avvicinando a te per portarti via,
implacabile.
Tu rifiuti quest’ipotesi e scrivi ad Annie dopo un mese,
cerchi di rassicurarla, ma quello che ha bisogno di essere rassicurato
sei tu.
Inizi a odiare la pioggia, il fango, il freddo e il
marciume, poi inizi a odiare le granate che uccidono e mutilano senza
pietà i
tuoi compagni e infine inizi a odiare i tedeschi, anche se
sai che probabilmente sono ragazzi esattamente come te che vorrebbero
essere a casa loro e non in guerra, che le lanciano e speri di
farne saltare in aria un po’ con il tuo equipaggiamento.
La risposta di Annie arriva dopo quasi due settimane,
dice che sta bene, che tuo nonno è ancora vivo
e la vita di paese scorre tranquilla, ti racconta persino
un paio di
aneddoti, infine ti scrive che è incinta.
Sorridi, forse non vedrai mai tuo figlio, ma sai che
c’è.
Poi all’improvviso qualcosa si guasta dentro la tua
mente, lo senti persino il “crack” che segna la
fine di tutto e che fa
ticchettare all’impazzata l’orologio della morte.
Tu non sei in guerra, questo è solo un dannato sogno, tu
sei ancora al tuo villaggio e ti sei addormentato all’ombra
di qualche albero,
troppo stanco per continuare a lavorare la terra.
Se sei in un sogno puoi fare di tutto, quindi ti lanci
oltre le trincee con il tuo mitra in mano e le bombe a mano. Inizi a
sparare
all’impazzata abbattendo più mangia patate che
puoi, vedi il terrore nei loro
occhi e ridi, ridi come un matto o come uno che non a più
nulla da perdere.
Finisci le munizioni e lanci le bombe a mano, ma a un
certo punto finiscono anche quelle e tu sei solo che fluttua davanti
alla
difesa nemica: un bersaglio facilissimo da colpire.
Te ne rendi conto troppo tardi e capisci che non è un
incubo quando la prima pallottola ti trapassa la gamba facendoti un
male
d’inferno.
Il resto è confuso, ti senti trapassato da mille
pallottole e all’improvviso il tuo mondo diventa buio, lavato
via dalla pioggia
e dal sangue che scorre copioso dalle numerose ferite.
Sei solo un altro numero nel conteggio dei morti, ora.
Il tuo ultimo pensiero va ad Annie e al bambino, forse
lui potrà imparare a riparare orologi, per il tuo ormai non
c’è più niente da
fare.
L’orologio Willy McBride si è fermato.
All’improvviso la voce
di Anne tacque e Willi si accorse
di avere brividi per tutto il corpo, nonostante la giornata fosse calda e
soleggiata.
Lui avrebbe voluto dirle qualcosa, ma lei si alzò di
scatto e lo invitò a seguirla, attraversarono il cimitero
per arrivare a una
certa tomba: quella di William – Willy – McBride.
“Willy McBride era il nostro bisnonno e questa è
la sua
storia. Ce ne sono centinaia come la sua narrate da queste croci
bianche, ma
nessuno le ascolta più ora mai perché pensano
tutti che gente morta cento anni
fa circa non abbia nulla da dire a noi.
Non è vero, loro hanno tanto da raccontare.
Ci parlano di una generazione perduta e sacrificata tutta
sull’altare delle ambizioni. Non importa la loro
nazionalità, era gente della
nostra età che a un certo punto si è ritrovata
con un fucile in mano e due
possibilità: usarlo e vivere o non usarlo e morire.
Molti non credevano nemmeno alle ideologie o alle bugie
raccontate loro dal governo, erano qui perché dovevano e non
si sono tirati
indietro.
E il loro sacrificio è stato vano perché ovunque
si
combattono ancora guerre e nessuno racconta più la loro
storia, le hanno
raggruppate tutte in una festività a cui nessuno crede
davvero.
Quello che tuo padre voleva farti capire è che Willy non
ha avuto scelta, ha buttato via la sua vita perché non aveva
altre possibilità,
tu invece stai sprecando la tua solo perché sei pigro.
Willy avrebbe voluto andare a scuola, tu la odi.
Non ti chiedo di amarla, ma di pensare solo un attimo
alla fortuna che hai.”
Rimasero un attimo in silenzio tutti e due, la brezza li
accarezzava gentilmente e faceva danzare i papaveri rossi nei campi
vicini.
“Sai, Liz… Credo che mi ubriacherò solo
una volta al mese
e ridurrò il mio numero di canne.
Mi piacerebbe dare una svolta alla mia vita, non sarò mai
un secchione, ma non sarò mai un fancazzista come prima.
Grazie di avermi raccontato la storia di Willy McBride.
Dovresti fare la scrittrice, sai?”
Lei arrossì e balbetto qualcosa.
Lui sorrise, adesso aveva capito perfettamente le
intenzioni di suo padre e non poté fare a meno di
ringraziarlo mentalmente
perché gli aveva impartito una lezione importante senza
fargli una predica e
gli aveva permesso di rivalutare sua cugina.
In fondo Liz non era la secchiona emo che credeva, forse
avrebbero potuto essere amici ora.
“Ehi, Liz! Quando torniamo a casa ti va di sederti al mio
tavolo a mensa?”
Lei sorrise.
“Sì, mi va. Grazie Will.”
Lui sorrise, era tutto a posto adesso.
Ora potevano tornare a Londra, portandosi la mano sul
cappellino verde che indossava salutò i verdi campi
francesi, i tulipani e il
suo bisnonno.
Era sicuro che in paradiso stesse riparando orologi.
Angolo di Layla
Ringrazio Stukas are coming
per la recensione.
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