Over
KRonos
-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Third
Selene-“to
be a
doll in doom’s hands… to have something that you
want”_She&H.LA._(Her LineAge)
----------------------------------------------------------------------------------------------------------
Decisamente
decisa.
Ecco
come entrò in quel Tempio.
I
suoi occhi passarono sulle
rovine, sulle macerie che avevano distrutto i macchinari di
refrigerazione. E
allora il suo sguardo si fece ancora più corrucciato e i
suoi passi
tintinnarono veloci nella sua corsa verso le capsule annerite e
scardinate dai
binari per il rifornimento di energia.
La
sua fervida e gelida calma si
tramutò in orrore, quasi.
E
con la sola anormale forza delle
sue sottili braccia ribaltò uno di quei due contenitori
metallici a forma di
bozzolo, più grandi di una comune figura umana, atti
però a contenerla.
Il
coperchio era annerito e
spaccato e la striscia elettronica che avrebbe dovuto segnalare respiro
e
battito cardiaco, pressione e quant’altro indicasse se quell’individuo
era vivo o morto, era
tristemente nera.
Non
se n’era accorta, ma aveva il
respiro accelerato.
E
le erano anche usciti gli
artigli.
Quell’ombra
che si notava dietro il
coperchio non era quella di un individuo adulto.
Era
minuta e sottile.
Si
vedeva il candore mortale del
corpo.
Molto
probabilmente il crollo che
aveva distrutto i macchinari doveva essere stato recente.
Si
maledisse, stringendo i denti e
accostandosi con foga all’altra capsula.
E
s’immobilizzò, quando il suo fine
udito, sotto le urla dei suoi compagni che stavano arrivando in quel
momento ad
aiutarla, percepì un lieve ronzio artificiale e
singhiozzante.
Solo
sentitolo, s’accorse che quella
capsula, pur scardinata era ancora collegata ai binari.
Un
vero miracolo che rotolando, si
fosse portata dietro i fili di collegamento, e che così i
binari, in parte
ancora attivi, avessero continuato a trasmettere energia alla capsula.
Certo,
non ad aver certe speranze
che quell’altro individuo fosse vivo, ma ne restava comunque
un cumulo nel suo
cuore.
La
sua stirpe.
Con
la stessa anomala forza
scoperchiò la capsula, il cui tappo era annerito allo stesso
modo e la cui
striscia elettronica sobbalzava e non faceva altro che riempirsi di
puntini
gialli senza alcun significato.
L’investì
una nuvola di vapore, che
salì diretta dall’interno.
Ancor
prima che quello si
dissolvesse del tutto, sapeva che quell’individuo, quello,
sì, era vivo.
E
che, miracolo!
Per
quanto non fosse un componente
della sua arcaica famiglia, era un servitore del Signore!!
La
sua felicità, per un momento,
prese il posto della solita espressione gelida e struggentemente calma.
Ma
le bastò che il vapore si
diradasse ancora un po’, per capire che c’era
qualcosa che non andava.
In
fondo quella dannata barra
elettrica guasta non le aveva dato nemmeno l’ombra di un
segno vitale.
E
dopotutto, seppure quella
creatura ancora respirava, lei non ne sentiva affatto il battito
cardiaco.
-Dannazione!!Lezdry,
portami
l’attrezzatura medica qui, SUBITO!!-
Infilò
i bracci nel trasparente
materiale ghiacciato e ne divelse gentilmente ma velocemente quel corpo
e lo
tolse dalla capsula.
Lo
adagiò a terra e sopraggiunse
ciò che aveva chiesto con tanta foga.
Mentre
la sua gelida calma tornava
a farle eseguire le azioni necessarie con tutta la velocità
di cui era capace,
sentì la mente quasi ovattata, mentre i suoi occhi febbrili
vagavano dai suoi
tentativi di salvare la creatura a quei suoi tratti così
distintivi.
Poi
un battito, lento e smorzato.
Poi un altro. Un altro e un altro ancora.
E
quando la creatura aprì gli
occhi, lei si specchiò in due iridi smorte identiche alle
sue.
Quella
“ragazza” non era affatto
della sua stirpe.
Ma
era qualcosa di molto vicino
alla sua razza.
**
Era
la vigilia di Capodanno.
Effettivamente,
il fatto che lo fosse, non implicava che venisse festeggiata.
E,
doveva ammetterlo, lì all’Ordine la vigilia era
solo un eco lontano della
London Down.
Quei
pochi che se la festeggiavano lo facevano per conto proprio e senza
disturbare
gli altri.
Yoshi
sapeva che in quel momento, dieci e mezza, Rick Lezdry, il caro beneamato supervisore stava scolandosi
qualche bottiglia di vecchio whisky, crogiolandosi nei suoi ricordi e
pensieri,
persi gli occhi su quelle carte abbandonate sulla sua scrivania
massiccia, come
al solito al lume di due ceri. A contrattare con i suoi demoni. Anzi,
col suo
demone personale!
Sapeva
anche che i finder e che gli esorcisti in missione in quel momento,
magari, un
po’ stavano invidiando la calma del castello, seppure
infuriasse ancora la
pioggia, proprio come la vigilia di Natale.
E
allora quelli che invece se ne stavano nell’alveare, magari,
evitavano di fare
troppa baldoria e un po’ pensavano anche a quei poveri
disgraziati, non sapendo
se sarebbero tornati o meno.
Il
Natale, il Capodanno..in quel luogo, in quel mondo, oramai, ogni giorno
era
uguale a tutti gli altri.
Grigio
e scuro, terribilmente appiattito sullo stesso schema di
“piglia e fuggi” col
Conte e i Noah.
Ed
era sfibrante pensare che nemmeno mentre la gente comune brindava, loro
non
potevano concedersi non una festicciola-oddio, è osare
troppo- ma almeno un po’
di sano riposo, un po’ di meritata tranquillità.
Era
per questo che Yoshi odiava doversene stare al castello durante i
periodi
festivi.
Perché,
diamine, lui mica lo faceva apposta a sentire tutti quegli sconsolati
pensieri??!!
E
fatto bello, senza che Josephine l’autorizzasse, non poteva
nemmeno stendersi a
letto e prendersi quella buona fialetta di sonnifero forte che gli
annebbiava
tanto la mente che tutti quei pensieri così carichi di
emozioni e desideri
s’ovattavano e lui almeno un poco riusciva a riposare.
E
allora girovagava.
Per
i corridoi, su e giù, dai sotterranei al castello, dal
castello ai sotterranei.
Infondo
nonostante le luci accese, non c’era davvero nessuno in giro.
Non
era nemmeno mezza notte.
Provò
a immaginare.
Provò
a pensare a quelle voci che per sentito dire gli erano arrivate vivaci
e
antiche, mentre continuava a curiosare per la struttura deserta,
inoltrandosi
pian piano e con fare dispersivo verso la sua vera meta.
Socchiuse
gli occhi, quando afferrò chiari quei racconti in mente.
I
vecchi che parlavano di fiori di colori che sbocciavano in cielo.
E
lui che ne vedeva gli adombrati ricordi nelle loro sagge e vecchie
menti.
Uno
scoppiettare sfavillante di colori in cielo.
Il
fischio, l’esplosione colorata e poi il rombo.
Fuochi
d’artificio.
Gli
avevano detto che di tanto in tanto c’era ancora qualche
folle che andava
bruciando qualche reliquia del genere, di tempi andati e che qualche
volta,
bhè, un botto singolo e accompagnato da grida allegre non
era affatto un
qualcosa di negativo.
Era
giusto un nostalgico fiore un po’ rinsecchito che splendeva
un’ultima volta,
consumandosi poi del tutto.
Ma
quella sera pioveva.
Yoshi
sapeva che anche se avesse avuto qualcuno di quei vecchi fuochi
d’artificio,
non avrebbe potuto far compiere quel magico istante che più
di quarant’anni fa
rallegrava al sol vederlo.
Pioveva
e il vento frusciava lieve nel suo rimbombo fra le pareti metalliche
dei
sotterranei.
I
sotterranei della Sezione Scientifica.
Il
luogo ove lei stava come la regina
d’Inghilterra era stata per tanto sul suo trono.
Messo
su il paragone, forse, lei era capo della sezione Scientifica da
più tempo
della regina, lì, su quel suo bel trono dorato. Molto più tempo.
Una
pietra miliare che era già presente quando Rick Lezdry
Senior progettò il castello
sulla scogliera e quei sotterranei-e lei fu una di quelli che ne
realizzò i
punti strategici e la stazione della monorotaia sotterranea.
Il
ragazzo, indi, entrò nell’ antro della sezione
scientifica con un sorrisetto
alquanto buffo sulle labbra e da subito portò gli occhi
all’ampio e alto
soffitto, per poi scendere a arrivare al caos di scrivanie invase di
boccette e
quant’altro.
E
poi all’unica figura umanoide che lì si muoveva.
Deivendoff
Josephine.
Il
giovane allargò maggiormente il suo sorriso, mentre pian
piano avanzava fra le
scrivanie deserte. La guardava, di spalle, a destreggiarsi con quella
boccetta
colma di chissà quale sostanza che lei stava finemente
riscaldando sulla fiamma
con lenti movimenti circolari del polso.
Si
fermò giusto a una scrivania di distanza, poggiato su uno
degli spigoli,
incrociando i bracci sul petto e inclinando un po’ il capo,
silenziosamente in
attesa.
Notò
come le cascava la treccia lievemente sfatta sulla spalla sinistra e la
schiena, quel colore scuro e nero, oleoso, profondo che per ogni
singolo
capello mandava insoliti riflessi argentei; come era tesa la stoffa del
suo
abito altrettanto nero fra le scapole, come il tessuto si muoveva
assieme ai
movimenti del braccio, mentre la treccia di tanto in tanto ondeggiava
quando
magari si piegava di più sul tavolo da lavoro o quando il
capo girava a destra
e a manca.
Era
quasi ipnotizzante.
Bhè,
almeno così la sua attenzione non era più
focalizzata su quella miriade di
pensieri fortemente intensi che affollavano l’Ordine.
-Cosa
ti serve, Yoshi?-
Non
ci erano voluti nemmeno cinque minuti, perché la voce della
donna perforasse il
silenzioso ronzio della fiammella, dei suoi muscoli in movimento.
E
come al solito, aveva capito perfettamente da subito chi si trovasse
davanti-o
meglio dietro-senza nemmeno gettargli un’occhiata.
Il
ragazzo allora socchiuse gli occhi, stringendosi nelle spalle, portando
poi le
mani sulla nuca, i gomiti alti.
-Sai
a volte mi viene ancora da chiedermi come fai..alla fin fine
rispondermi da
solo mi annoia..-
Fece
con voce squillante e moderata allo stesso tempo, come a non voler
disturbare
troppo la donna che stava effettivamente lavorando.
-Dovresti
dormire-
Fu
la ripresa della mora, che ancora non s’era girata o aveva
smesso di far quello
che stava facendo.
In
realtà, ora che ci rifletteva meglio, il ragazzo
potè notare una sorta di
frenesia frettolosa nei movimenti del capo della Sezione Scientifica.
Mosse
qualche passo verso la sua schiena, fermandosi giusto giusto a una
distanza
quasi a dire di sicurezza dalla scrivania della donna.
-Anche
tu, sai? Domani parti assieme a noi..-
E
si azzardò cauto a posarle una mano su di una spalla.
Bloccandola
per un attimo.
Yoshi
vide gli occhi neri e opachi della donna sbarrarsi per un secondo, come
se quel
gesto le avesse mandato una scarica elettrica su per tutto il corpo,
mentre i
suoi muscoli s’erano istantaneamente irrigiditi in una
freddissima posa.
-..già..ma
è proprio per questo che devo sbrigarmi a finire..-
Interruppe
quel fastidioso silenzio ridonando mobilità al suo corpo,
inclinando giusto un
po’ il capo, scorgendo di sfuggita il volto mestamente
sorridente del ragazzo
dagli occhi blu.
Yoshi
allora ritirò la mano, lasciandola al suo lavoro,
appoggiandosi quasi senza
peso allo spigolo della sua scrivania e lasciando i bracci stavolta
penzoloni
lungo la linea del busto, accomodati quasi innaturalmente stretti alle
cosce.
Era
proprio una cosa strana per lui. Stare così fermo e immobile.
In
realtà, era proprio la donna che gli faceva
quell’effetto. Quasi una sorta di
assuefazione, come se Josephine fosse lei stessa quel sonnifero che gli
serviva
a ottenebrare la sua mente fin troppo sensibile ai pensieri altrui e
alle
sensazioni. Infatti, in quel momento, il silenzioso ronzio della stanza
era
davvero l’unica cosa che in quel momento il ragazzo sentisse.
-Ah,
Josephie, ti prego, fammi dormire qui, stanotte!!
C’è così tanto silenzio che
sono sicuro che mi addormenterei subito e non ti disturberei affatto!
Bitte
bitte bitte!-
La
sua voce proruppe nuovamente nell’antro, e stavolta si
guadagnò
un’occhiataccia.
-Yoshi,
hai capito che sto lavorando? O la cosa ti è sfuggita di
mente? Tu parli quando dormi e non
riuscirei di
certo a concentrarmi!-
Josephine
mostrò un tono lievemente spazientito, per quanto il suo
volto, eccetto
l’occhiataccia, rimase fermamente statico nella sua atona
espressione decisa e
un po’ corrucciata.
Il
ragazzo sospirò, silenzioso. E fu allora che assunse
un’aria parecchio più
seria.
-..è
per lei, vero?...-
La
donna si sentì quasi paralizzata da quel tono di voce
così schematico e
immobile, muto di ogni sentimento all’apparenza, ma colmo di
una certa ansia.
Eppure Josephine non si permise d’interrompersi nuovamente.
Lasciò che quella
domanda le scivolasse addosso come nulla fosse e tacque, annuendo
proverbialmente a ciò che Yoshi gli chiedeva.
Eppure,
il piatto fruscio della fiamma e dei suoi muscoli e dei liquidi che
mesceva
rimase, solo per poco, tanto muto e sospeso.
Le
ampie vele degli archi a tutto sesto reclamavano suoni ben
più graditi da far
risuonare e i pilastri e le navate si contendevano quanto
più l’acustica di
quei mormorii d’oggetti in attesa di voci più
reali e umane.
-..domani
partiremo per giungere in Vaticano, a Roma, e il viaggio
sarà lungo. Per quanto
anch’io farò parte della
“comitiva”, non posso certo portarmi dietro tutto
il
mio laboratorio. E far ragionare Rick circa le condizioni di Sel dopo
la
vigilia di Natale è fuori discussione: questa bella
“scampagnata” è stata
progettata da più di due settimane, e di più non
possiamo aspettare, lo sai.. “la
vittoria va a chi fa la mossa giusta al momento giusto..”-
Yoshi
le aveva fissato la schiena senza nemmeno respirare, mentre lei parlava
fluida,
gelida, il tono che impattava con la pietra e si disperdeva subito,
senza che
questa avesse occasione di farla ondeggiare nell’aria.
Eppure
quella cantilena fredda al giovane parve tanto un terribile sfogo
dell’improduttività della donna.
-..Sel,
è arrivata così al limite tanto che nemmeno tu
riesci a fare
qualcosa..?...naahh!!Non ci crederò mai, Josephie, lo sai.
Tu sei troppo
testona, proprio come quella lì. Sono sicuro che entro breve
troverai la
soluzione.-
Aveva
allora cominciato a parlare a manetta, il piccolo uomo, guardando
quella
schiena sottile muoversi sporadicamente e intonando note ben
più calde di
quelle del capo della sezione Scientifica.
Dire
che era nella sua natura balzare da stati d’animo ad altri
del tutto opposti
era un eufemismo.
Considerare
che sapeva farlo così bene quanto modulare i suoi differenti
toni di voce era,
invece, più che giusto.
Infatti,
in quel momento, il microscopico esorcista, a stare sotto quella grande
volta,
sorretta da sottilissimi pilastri affiancati l’uno
all’altro, totalmente
ghiacciata non solo dal gelido tempo di quell’interminabile
inverno, pareva
riscaldare molto più di tizzoni ardenti che avrebbero
bruciato l’intera
struttura.
E
in quel frangente, strappò un sospiro di sollievo alla
donna, che scosse il
capo, mentre Yoshi continuava a parlottare fra sé.
-..puoi
rimanere a dormire qui, se ti trovi meglio, ma il sonnifero non te lo
do..-
-..mi
sa che la testardaggine dev’essere qualcosa di insito nella
vostra specie,
sennò non si spiegherebbe come tu e Sel siate
così capoccione, lo sai,
Josephie? E potrebbe darsi che questo aspetto, magari sia collegato a
un
particolare gene unico di voi vecchiacce cecate e così,
magari…-
-Yoshi…!!Accidenti!!-
Josephine
lo interruppe bruscamente, con tono quasi arrabbiato e il ragazzo
davvero si
bloccò, ma con un bel sorriso sornione sulle labbra.
-Dobbiamo
migliorare le tue parlate a sbafo, Yoshi. Quando attacchi a parlare sei
pericoloso.-
-Oh,
mai dai, Josephie! Eppure non mi lascerei mai scappare nessuna cosa
importante!!-
Il
sorriso si trasformò in un lieve broncio sogghignante, che
stemperò, se
possibile, ancora di più la cappa oscura della sala
sotterranea.
-..no,
hai capito male. Il pericolo lo corre la mia psiche, che
finirà per logorarsi a
starti a sentire. Ora fammi il favore e dormi. A terra, dove vuoi, ma
basta che
chiudi quella ciabatta.-
Le
parole di Josephine furono ordini imperativi. Nulla di strano.
Ma
il fatto che la donna avesse ordinato con tanta calma e
autorità significava
che era tornata quella di sempre, come se lo smarrimento di qualche
minuto
prima non ci fosse stato affatto.
Anche
quella, per il ragazzo, fu una bella conquista. E contento come una
pasqua sia
d’essere riuscito a svegliare dal torpore
dell’autocommiserazione Josephie, sia
per aver ottenuto di dormire lì, si diresse verso una
scrivania non molto
lontana e si sedette contro a gambe incrociate.
-Grazie!!-
Aveva
canterellato passando di fianco la scrivania della donna. Sorridendo
come
un’idiota, a detta di quest’ultima.
Cosa
che continuò a fare anche quando si sedette e perfino quando
chiuse gli occhi.
Si
addormentò con quel sorrisino deficiente in faccia, quasi
cose se avesse
ottenuto qualcosa di avidamente agognato.
Un
sospiro e un pavimento.
---------------------------------------------------------------------------------------------------------
Direi che
sono nuovamente in ritardo. Già. Ahahah. Stavolta non
accantonerò scuse.
Sono in
tremendo ritardo di più di un anno...
Vabbuò,
pazienza..scusatemi. Spero che almeno questo capitolo vi sia piaciuto(
per quanto possa augurarmi...Ma a qualcuno piace sta' cosa? E' brutta
l'idea di un D.Gray-man futuristico?..), e vi do una buona
notizia..penso di inserire anche i personaggi del manga...non verranno
fuori subito subito, ma pazientate un altro po'.
I miei
più grati ringraziamenti all'unico recensore(e primo)
Hamish!Thank you per il tuo parere. Sì, questi capitoli
iniziali sono atti a presentare questo futuro e i personaggi che ci
vivono, che agiscono in questo tempo. Mi sarebbe parso troppo infantile
e frettoloso partire subito in quarta con il nucleo della storia, senza
fare almeno un piccolo preambolo. Sono contenta che i capitoli ti siano
risultati gradevoli alla lettura, mi sto impegnando molto per non
rendere troppo pesante questa fic, nonostante ci vogliano parecchie
divagazioni, a volte, per spiegare varie cose..Comunque, ancora grazie
e spero che tu legga anche questo capitolo.
Concludo
qui, non ho null'altro da dire.
You'll comment, if you want
ColdFire§
|