Let me go

di Bay24
(/viewuser.php?uid=127656)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 01. Il Titanic ***
Capitolo 2: *** 02. L'oceano e il cuore ***
Capitolo 3: *** 03.La notte delle lacrime. ***
Capitolo 4: *** 04.Epilogo ***



Capitolo 1
*** 01. Il Titanic ***


Piccola premessa: Questa minilong di appena tre capitoli è il seguito della mia os Let me go contenuta nella raccolta scritta per la thadastian week di novembre, Give me love, che è piuttosto indispensabile aver letto per capire il resto della storia e che trovate qui. http://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2277281
 Molti di voi mi hanno fatto sapere come pensavano che sarebbe finita quella storia e mi hanno chiesto di conoscere anche la mia versione dei fatti. Eccola.
Come sapete io non ci vado leggera con l'angst, per cui siate pronti a tutto, ma veramente.
Come mio solito in questa ff sarà presente anche un po' di Klaine. Per la loro storia mi sono ispirata alla reale storia d'amore avvenuta tra due personaggi davvero imbarcati sul Titanic e innamoratosi contro i pregiudizi dell'epoca.  Quella tra il Maggiore Archibald Butt e il pittore Francis Millet è una delle storie d'amore naufragate sul Titanic, infatti. Entrambi purtroppo morirono la notte del 14 aprile 1912 a bordo del transatlantico.

Pronti per questo viaggio?
Buona lettura.   



                                                                                                         01. Il titanic



 
 10 aprile 1912





La nave era anche più grossa di quanto Thad avesse immaginato. Molto più grossa.
Lì, ancorata al molo, la gente di sotto  che salutava i suoi cari saliti ormai a bordo, immersa nel viavai di auto e facchini, riluceva sotto il caldo sole di aprile e sembrava un gigante di ferro .
Non era la prima grossa nave che vedeva, eppure c’era qualcosa, in essa,  che riusciva a lasciarlo comunque senza fiato.

Il viaggio più lungo lo aveva fatto sulla Mauritania. Quattordici giorni, partendo dalle coste inglesi di Liverpool,  attraversando  tutto l'Atlantico verso ovest.
La Mauritania era conosciuta, con la gemella Lusitania, come la più veloce e imponente di quegli anni. Fino a quel momento, almeno.
Il gioiello,  che Thad stava guardando a bocca aperta per lo stupore, il Titanic, era sicuramente più grosso e, da quello che si diceva, più veloce di entrambe quelle  navi.

"Chiudi la bocca, Harwood. O un intero esercito di moscerini ci passerà attraverso" esordì una voce divertita dietro di lui, e Thad ripiombò sul molo di South Hampton, e nel suo personale incubo, in un attimo.

Cercava di pensarci il meno possibile. A ciò che era successo, e a quello che sarebbe accaduto quando fossero arrivati in America. Ma quando sentiva la sua voce, o vedeva il suo volto, ripiombava nel tormento.
Erano passati solo quattro giorni del resto.

"Tutto bene?" gli chiese ancora il suo signore, Sebastian, quando gli fu vicino. Aveva usato quel tono caldo e intimo, quello che usava sempre quando erano da soli e si concedevano di tenersi la mano, guardarsi negli occhi e parlarsi come pari e non come servo e padrone.

"È stupenda, signore" rispose semplicemente Thad, perché, quando si trovavano  in mezzo alla gente, lui era  questo, un servo. E sembrava essere l'unico a ricordarsi che  c'erano delle regole da rispettare, e delle distanze da mantenere. Sopratutto adesso. Ma del resto, tra i due,  era lui che aveva sempre rischiato di più, e quindi era anche   quello più cauto.

"Thad..." cominciò a dire il suo Lord, ma uno dei facchini della nave si fece sotto, per chiedere loro se serviva aiuto con i bagagli, con il massimo dell’affettazione. Faceva questo effetto a chiunque, Sebastian Smythe. Se il suo volto non fosse già stato piuttosto noto, sarebbero bastati i suoi abiti e le sei automobili,  con cui erano entrati nel porto, per fare capire a chiunque che era ricco.

Thad sembrava essere il solo a vedere la persona che stava dietro a quei   soldi.
E sembrava essere il solo a dispiacersi del fatto che, dal matrimonio, avvenuto ben quattro giorni prima, quello fosse il primo vero momento che passava così vicino a Sebastian.
Non era stato chiamato durante quelle notti. E non aveva trovato nessuno ad attenderlo in camera sua alla fine del suo lavoro.
Sapeva cosa ciò volesse dire, ed era preparato a vederlo succedere, perché quello era il compito di Lord Smythe e, all' inizio, quando era ancora nella casa di suo padre, avrebbe dovuto salvare le apparenze.
Ma faceva male lo stesso.

Faceva male pensare che forse per Sebastian non era poi così brutto sostituire il calore del suo corpo con un corpo diverso, così  come lo era per Thad. Faceva male avere la certezza che, tra i due, lui fosse stato, di sicuro, il solo a passare quelle notti solitarie a piangere per ciò che aveva perso. Faceva ancora più male pensare che, di lì a pochi giorni, niente di tutto ciò  sarebbe più stato un problema per lui.
Non più.

"Non mi sembra questo granché. Non capisco di cosa la gente si stupisca." Una voce  femminile irruppe nei pensieri di Thad, sovrastando il rumore della banchina e della nave stessa, che ogni tanto suonava il suo richiamo per far salire i passeggeri a bordo.
Lady Lopez, ora Lady Smythe, non era quella che si sarebbe detta una donna raffinata, dato che aveva una grossolanità, nei modi, che nemmeno le migliori scuole femminili di Londra avevano saputo stemperare; ma di sicuro era una delle donne più belle che Thad avesse mai visto in vita sua.
Pelle ambrata, un corpo sinuoso, capelli neri e lucenti che catturavano i riflessi del sole e un viso praticamente perfetto. Gli uomini, che sulla banchina stavano svuotando le macchine dei loro padroni, per portare i bagagli sulla nave, non le toglievano gli occhi di dosso, mentre camminava lentamente verso Sebastian con al fianco la sua domestica privata, Miss Pierce.
E lei ne era consapevole, si vedeva.

Le piaceva essere sfoggiata, gli aveva detto Sebastian durante una delle loro notti rubate prima del matrimonio. Le piaceva l'idea che la gente parlasse di suo marito non solo per  il suo successo negli affari, ma anche per la bella moglie che era riuscito a conquistare. Era uno dei motivi per cui l'aveva scelta.
E Lady Lopez sembrava davvero fiera del fatto che il suo unico compito fosse farsi guardare.

"Credo che la vera sorpresa del Titanic sia al suo interno. Secondo esperti del settore, è molto più lussuoso di ogni nave esistente, e anche più veloce. La gente parlerà sicuramente molto di questa nave" le rispose Sebastian con quel tono, fintamente dolce, che riservava sempre alla donna.

Apparenze.
Thad sapeva che Sebastian provava ammirazione e rispetto per la donna. Sapeva anche che, per quanto dicesse il contrario,  in realtà non era così infastidito dall'averla vicino. Lo leggeva nel suo sguardo quando la guardava, e  lo coglieva nei suoi gesti spontanei verso di lei. Un interesse latente che faticava a tener nascosto.
Sebastian era attratto da Santana Lopez.
Sarebbe stato felice con lei quando Thad fosse sparito. E forse un altro amante avrebbe scaldato il suo letto quando si fosse annoiato. Thad doveva pensare a se stesso, perché lui era l'unico ad avere un cuore davvero spezzato, l’unico a cui tutto era stato tolto.

"Se lo dici tu, mio adorato. Thad, fai portare i nostri bagagli in cabina" comandò poi Lady Santana guardando altezzosa l'uomo.

"Cara, ti ho già detto che il mio domestico personale non è qui per occuparsi di questo genere di cose. Per questo c'è il resto della servitù" la redarguì Sebastian con tono contrariato.

"Lo capisco. Ma lui è qui, e non sta facendo nulla. Perciò può occuparsi almeno della disposizione dei bagagli, e badare che nessuno di questi giovinetti rovini nulla, ti pare?"

"Certo Milady" disse Thad facendo un breve inchino, sovrastando Sebastian che stava per ribattere di nuovo contro la moglie. Senza guardarlo in volto poi, si rivolse ai facchini della nave che attendevano un comando, e disse loro cosa prendere e in quali  cabine della nave sistemarlo.

Sebastian faceva di tutto per fargli sentire che nulla era cambiato. E che, anche se da quattro giorni era sposato, lui era ancora il vecchio Sebastian, il Sebastian che amava passare pomeriggi interi con lui a parlare di arte, e che  la notte, nel silenzio della propria camera, sapeva amarlo con tutto se stesso.
Solo che non lo era. Non era più quel Sebastian, non era più il suo Sebastian. Era un uomo che presto avrebbe avuto dei figli a cui badare, perché questo gli imponevano le  regole della società. Le regole del suo mondo.

Un mondo che non era di Thad. E di cui presto non avrebbe fatto più parte.



    
                                                                                                                    *****



Sebastian era fiero di aver scelto, per la sua luna di miele, il viaggio inaugurale di una nave come il Titanic. Ne aveva parlato per giorni a Thad dopo l’acquisto dei biglietti.
Sarebbe stato un caso dentro il caso. Il ricco ereditiere del grande impero Smythe che arrivava in America, con la giovane moglie, a bordo di una nave destinata a stracciare ogni record finora detenuto dalla marina.

Sì, era fiero della sua scelta.
E Thad ne capiva il motivo.

Mentre lo osservava muoversi sul ponte personale della sua cabina, in compagnia di un ufficiale, per ispezionare la vista e accertarsi che   tutto fosse di suo gradimento, riconosceva il suo sguardo compiaciuto, e se ne sentiva partecipe.
Non importava cosa il viaggio significasse per lui. Per Sebastian era un nuovo inizio. E di questo era felice.
Lo era sempre quando poteva condividere un successo dell'uomo. Ma lo era, anche e soprattutto, nel sapere che forse tutto ciò lo avrebbe aiutato a sopportare meglio il distacco da lui.
Ammesso che ciò gli fosse pesato.

La cabina in cui si trovavano era quanto di più lussuoso Thad avesse mai visto in vita sua. Dotata di salottino e ponte personale. Era, in pratica, grande quanto la casa in cui Thad era cresciuto prima di trasferirsi dagli Smythe. E comunicava   con quella di Lady Lopez tramite una porta.
Intimità discreta.

Thad dormiva sul ponte inferiore, invece, in una cabina egualmente lussuosa, anche se un po' più piccola, vicino a Lady Pierce, la dama di compagnia di Lady Lopez.
Eppure non avrebbe potuto essere più lontano da Sebastian. Perché la loro non era una distanza calcolabile in metri. Quanto, casomai, in sentimenti.
Inutile negarlo.

Mentre la nave lentamente usciva dal porto e si allontanava da South Hampton,  Thad seguiva con lo sguardo Sebastian, in movimento su quel ponte, in attesa che si accorgesse che era entrato per avere nuovi ordini, e ascoltava l'ufficiale snocciolare le qualità di quella nave. Thad si chiedeva perché un ufficiale, e non un inserviente, si occupasse di quello.

Sebastian sembrò leggere nella sua mente quando, voltandosi verso di lui, e vedendolo in attesa, dopo avergli sorriso, come faceva ogni volta che lo vedeva dopo un distacco, che fosse breve o lungo, gli disse: "Thad, ti sei sistemato? Bene. Questo è Kurt Hummel. Hummel è un mio caro amico di infanzia. Abbiamo fatto la scuola insieme a Cambridge. Io poi sono entrato negli affari e lui si è arruolato in marina."

"Come mio padre prima di me e come mio fratello" sentenziò l'uomo che, togliendosi il cappello, porse la mano a Thad e si presentò. "Kurt Hummel. Per ogni cosa chiedete pure a me."

"Molto gentile, signore" disse Thad, come voleva l'etichetta, ma fu ripagato da una risata divertita dagli altri due uomini. Notò allora che quell’Hummel sembrava troppo delicato e molto giovane. Troppo, per essere già un ufficiale.

"Kurt è un buon amico ed è come noi, Thad. Per cui non devi essere cerimonioso con lui." Gli spiegò Sebastian che un po' confuse Thad, il quale si limitò a sorridere e a  fare un cenno di assenso, onde evitare brutte figure. Avrebbe chiesto delucidazioni per le sue parole, quell’ "è come noi", quando fosse rimasto da solo con Sebastian.
Era più sicuro.

"Bene, presto dovrò tornare al mio posto, la nave sarà in mare aperto a breve e  dobbiamo preparare tutto per stasera, quando imbarcheremo gli  altri passeggeri  da Sherborne. Per cui, se tu e la tua signora volete fare quel famoso giro della nave, il momento migliore è ora. Vi aspetto di sopra. "

"Sì, grazie Kurt" disse Sebastian che aspettò che l'uomo fosse rientrato nella cabina, e sparito dalla sua vista, per afferrare Thad per un gomito e portarlo lontano dalle porte finestre da cui i camerieri, che dentro stavano ancora portando e sistemando i suoi bagagli, avrebbero potuto vederli.
Poi lo spinse contro il muro e, senza dire nulla, assalì le sue labbra con un bacio caldo e umido.
Le ginocchia di Thad cedettero all'istante, e sarebbe caduto se le mani dell'altro non fossero state premute, possessive, sulla sua vita, a tenerlo ben pressato tra il muro e il corpo di Sebastian.

Erano giorni che l'altro non gli stava così vicino. E, contrariamente a quanto Thad aveva pensato, o forse sperato, il suo profumo non era cambiato diventando quello di un altro. Il suo tocco non si era fatto più freddo, anzi, se possibile, era ancora più possessivo. E il modo in cui lo baciava era ancora come una tortura per Thad. Una lunga, dolce, lenta, tortura.

Quando Sebastian si staccò dal bacio, gli sorrise e sussurrò: "Ciao".

"Ciao" rispose scioccamente Thad, gli occhi persi in quelli dell'altro, che si erano fatti più scuri per il desiderio.

La voglia che tratteneva da quasi una settimana, e  il bisogno di sentire di nuovo le mani dell'altro su di sé, presero il sopravvento su tutto. Anche sul suo istinto di sopravvivenza. Quell’istinto che gli diceva che, più stavano lontani l’uno dall’altro, più facile sarebbe stato dirsi addio. Lo stesso che subito ricordava a Thad che però, forse, prendersi un nuovo attimo, un semplice momento di passione col suo padrone, avrebbe potuto mandarlo avanti quando sarebbe stato da solo. Tutto solo. Lontano da lui.
 
Quella indecisione, che lo rendeva debole e plasmabile dal suo stesso desiderio, era proprio ciò  che Thad non poteva permettersi di provare, non in quel momento in cui la cabina, a pochi metri da loro, era piena zeppa di persone che entravano e uscivano, spostandosi  tra la sua cabina e quella di Lady Lopez. Così, per distogliere l'altro, e se stesso, da fin troppo chiare intenzioni, chiese con voce non tanto ferma: "Cosa intendevi prima con "Kurt è come noi”?"

Sebastian fu sorpreso da quella domanda ma, sentendo un rumore più forte provenire da dentro, sembrò ricordarsi dove fossero e cosa  stava accadendo intorno a loro, e si staccò  da Thad, allontanandosi.
Il freddo che colpì Thad a quel distacco fu immediato ma, ricomponendosi a sua volta, cercò di non darci troppo peso. Avrebbe dovuto farci l'abitudine del resto, perché tra pochi giorni avrebbe dovuto fare a meno del calore di Sebastian per il resto della sua vita.
Dio, come avrebbe potuto fare?

Sebastian guardò dentro per assicurarsi  che nessuno li ascoltasse  e poi, voltandosi di nuovo verso Thad, chiese: "Ricordi i due mesi che ho passato a Londra quando avevo 16 anni?"

E sì, Thad ricordava quel periodo. Lo ricordava dolorosamente bene anche se erano passati ben 10 anni. Il periodo più lungo passato lontano da Sebastian, che a quel tempo era solo un padrone e un amico per lui. Il migliore, ma un amico e nulla più. Fu, anzi, in quei mesi di distacco che Thad cominciò a pensare di essere forse troppo attaccato al suo padrone. E di provare per lui un sentimento che trascendeva l'affetto, il rispetto, e il senso di obbligo dovuto dalla sua posizione.

"Fui ospitato a casa degli Hummel in quel periodo. Passavo molto tempo con Kurt ed ebbi modo di conoscere anche alcuni suoi amici. Alcune sue abitudini." Continuò Sebastian ammiccando verso di lui.

"Non ti seguo" disse Thad, quando l’altro si sedette al piccolo tavolino posto fuori, e prese a prepararsi una sigaretta al mentolo, le uniche che fumava.

"Sai che Kurt è sposato e ha due figlie femmine?" chiese Lord Smythe, cambiando del tutto discorso. Thad faceva onestamente fatica a stargli dietro, o a capire dove volesse andare a parare, ma comunque rispose: "No, certo che non lo sapevo, l'ho appena conosciuto."

"Beh, lo è. È sposato da cinque anni con la figlia di un banchiere, un americano. Si chiama Quinn Fabray, suo padre è piuttosto noto nell'ambiente. Comunque è sposato, ha due figlie, e una relazione clandestina. Che va avanti da tutti questi anni.”

“Capisco” sussurrò Thad, anche se in realtà non capiva per nulla. Non era una novità per nessuno che un uomo sposato potesse avere una tresca, nell’ambiente di Sebastian. Molte volte i matrimoni, in quell’ambiente, erano fatti per questioni di   interesse e affari, non per  vero affetto, e non era poi così strano che, nel letto di un uomo, entrassero altre donne oltre alla moglie.

“La relazione in questione, Hummel ce l’ha con un altro uomo. Un artista delle sue parti. " Disse poi Sebastian, e finalmente Thad comprese.
Oh. Era dunque quello il punto?

“Ovviamente non è una confidenza che lui mi fece a cuor leggero. Diciamo che lo sorpresi in atteggiamenti intimi nel capanno della sua famiglia con questo ragazzo. Lui mi chiese, ovviamente, di mantenere il segreto e, quando giurai che lo avrei fatto, mi rivelò tutto. Quando ho iniziato la storia con te, mi sono confidato solo con lui. Perciò ti dico che non devi essere cerimonioso in sua presenza. Sa tutto di te. Di noi. Lui ci capisce, Thad.“

Il che poteva anche essere una grande cosa ma, a dire il vero, era Thad quello che non capiva. Perché Sebastian gli parlava di questo Hummel soltanto adesso? Perché gli aveva confidato tutto senza farne parola con lui? Thad si fidava del giudizio di Lord Smythe e, se lui diceva che di qualcuno ci si poteva fidare, di sicuro era così. Eppure, non poteva fare a meno di sentirsi infastidito dal fatto di non essere stato tenuto al corrente di un segreto come quello. Che infondo lo riguardava eccome.

"So che durante la cena di questa sera non sarai seduto con noi al tavolo di John Jacob Astor ma, se passi dalle parti della sala, osserva l'orchestra. Nella fattispecie, il ragazzo che suona il violoncello. Si chiama Blaine Anderson, ed è lui, l'amante di Kurt."

Thad non sapeva che dire a quella ennesima rivelazione, perciò non disse nulla. Il fatto che altri fossero nella loro condizione, e la portassero avanti da anni, non faceva nessuna differenza per lui. Ma adesso cominciava forse a capire per quale motivo Sebastian avesse insistito a portarlo con sé in  luna di miele, pur sapendo che dolore tutto ciò gli avrebbe provocato.
Voleva mostrargli una coppia che faceva funzionare le cose. Magari presentargli questo Anderson, per fargli recitare il mantra in cui diceva a Thad che il dolore era tanto, ma si sopportava se si credeva nel sentimento.  

Sarebbe stato nel suo stile.
Sebastian Smythe otteneva sempre quello che voleva, in un modo o in un altro.

Peccato che Thad avesse già pensato a diverse soluzioni, che includevano anche quella che gli stava presentando adesso il suo signore, e avesse capito semplicemente di non essere il tipo che poteva sopportarle. Non lui.

"Non poteva farlo salire su questa nave come suo cameriere personale perché, agli ufficiali di bordo, non è permesso averne uno, quindi ha dovuto trovare per lui un altro impiego. Il ragazzo, tra le altre cose, sapeva suonare diversi strumenti, quindi eccolo qui. Un membro dell'orchestra della nave. E questo escamotage gli consentirà di passare dei mesi lontano dalla moglie di Kurt, e vicini l'uno all'altro. È fattibile" continuò Sebastian, alzandosi e avvicinandosi di nuovo a Thad che, presa la giacca che l’altro gli porgeva,  lo aiutò a indossarla. "Se si vuole restare insieme, è fattibile. Se ami, sopporti anche questo. Anderson lo fa da 10 anni."

“È sposato anche lui?” chiese Thad, mentre lisciava le spalle della giacca del Lord per far sparire le pieghette che si erano formate.

“Anderson? Non che io sappia, ma cosa c’entra questo?”

“Potrebbe sposarsi anche lui, no? Mettere su famiglia e fare dei bambini. Porterebbe avanti il ruolo prefissato per lui in questo mondo, e potrebbe comunque continuare a vedere il suo uomo di nascosto, come di sicuro faranno adesso. Darebbero ancor meno nell’occhio, direi, anzi. E potrei farlo anche io. Trovarmi una brava moglie e sfornare con lei un paio di marmocchi”continuò Thad, facendo voltare Sebastian verso di sé per sistemargli la cravatta. Cercò di ignorare lo sguardo alterato che l’altro gli stava rivolgendo ma, se era di quello che dovevano parlare, se dovevano fingere che una soluzione ci fosse, e fosse facile per tutti e due, tanto valeva esporre le cose per quelle che erano. “Diventerebbe impossibile per te raggiungermi di notte ogni volta che volessi, ma potremmo sempre trovare il nostro piccolo, segreto, nido d’amore. Accontentandoci l’uno delle briciole dell’altro, come probabilmente fanno questo Hummel e questo Anderson.”

“Thad, perché devi sempre complicare tutto?”chiese Sebastian portando le mani sopra le sue, per fermare i suoi movimenti nervosi. Thad, con uno scatto, le liberò dalla presa e poi lanciò uno sguardo nervoso verso l’entrata della cabina. Nessuno prestava attenzione a loro, ma ciò non significava nulla. Dovevano essere più cauti.

“Le serve altro signore, prima di cena?” chiese poi alzando la voce e tornando al suo modo affettato di rivolgersi al  suo padrone in pubblico.

“Testardo” lo  sentì sussurrare con rabbia. Poi Sebastian  aggiunse, alzando la voce a sua volta: ”No Harwood. Questa sera dopo cena sarai libero. Non serve che ti faccia trovare nelle mie stanze per concordare i dettagli. Ne riparleremo domani.”

I dettagli di cosa, restava un mistero per Thad, era certo solo che Sebastian gli stava dicendo che nemmeno quella notte avrebbero potuto essere  soli.
E andava bene così.
Thad avrebbe afferrato ogni attimo che avesse potuto avere con Sebastian, se ci fosse  stato. Ma, se il suo signore aveva intenzione di privarlo anche di quelli solo per punirlo della sua testardaggine, Thad ne avrebbe fatto a meno. Non avrebbe cambiato idea. Non stavolta.

Perciò “Come volete signore” disse e, dopo un inchino, uscì dalla cabina di Sebastian, non voltando più lo sguardo dietro di sé.
Si sarebbe dovuto abituare anche a questo.



                                                                                                           *****




Il ponte era come tutto il resto della nave.
Grande, imponente, lussuoso.
Persino  immerso nella notte ormai calata, nel silenzio, eccetto per  il rumore del mare, e nel suo essere privo della vita che vi scorreva durante il giorno, lo era. Forse persino di più.
Thad lo percorreva stringendosi nel cappotto e cercando un posto dove sedersi per poter fumare in pace.

Dopo la cena, Sebastian si era ritirato con Hummel e altri ufficiali della nave, per parlare di chissà cosa, e lui era libero fino alla mattina seguente. Non sperava certo che la nuova routine di Sebastian avrebbe cambiato rotta proprio quella notte, su quella nave. Non certo quando Thad stesso lo aveva fatto arrabbiare, e la sua cabina era praticamente adiacente alla suite  della moglie, e quella di Thad, invece, alla cabina della sua dama di compagnia.
Troppi rischi.

Sebastian continuava a dire che a lady Lopez non importava nulla di quello che faceva quando non era con lei, eppure Thad era piuttosto certo che, se avesse scoperto che il marito andava a letto con un uomo, la cosa non le sarebbe andata poi così a genio. Paradossalmente, avrebbe potuto forse sopportare  mille avventure con diverse donne, ma non avrebbe mai retto a quell'affronto. Ci sono scandali che nemmeno i soldi possono aiutarti a superare.

Quando raggiunse il “ponte A”, Thad procedette fino alla coda della nave. Non conosceva i nomi tecnici delle parti di quella meraviglia. Ma quella mattina, giù in terza classe*, dove Thad era andato a curiosare giusto per capire che ambiente fosse rispetto alla prima classe, e se sarebbe stato più adatto a lui, recluso in seconda quando non era con Sebastian, c'erano stati due ragazzi, un americano e un italiano, che avevano detto di aver visto dei delfini viaggiare con la nave, e Thad era curioso di vedere se avrebbe assistito a uno spettacolo simile anche lui.

Il mare era buio ma le luci della nave, forse, erano sufficienti per poter vedere qualcosa, se qualcosa c'era. E poi tutto, anche il freddo pungente della notte, era meglio che tornare nella desolazione della sua piccola cabina, ben sapendo che, a soli pochi metri di distanza, Sebastian dormiva, respirava, e forse amava qualcuno che non era lui.

Per dovere, o per piacere che fosse,  a Thad non interessava.
Il suo dolore non era mitigato in alcun modo dalle motivazioni che giustificavano le azioni di Sebastian.

Salendo alcuni scalini, si trovò proprio sulla punta della prua e, quando  stava per fare un ulteriore passo avanti,  udì una risatina. Automaticamente, senza nemmeno sapere perché, si nascose dietro l'angolo che portava all'interno del ponte principale e da lì alla sala si lettura e soggiorno della prima classe.
Sporgendosi, si trovò davanti a una scena che mai si sarebbe aspettato.
Kurt Hummel era appoggiato al muro, nell’angolo nascosto da occhi indiscreti, tolti quelli di Thad, e un giovane uomo gli stava praticamene addosso. Si baciavano. E quando l’uomo si staccò dall’ufficiale Thad, riconobbe il giovane violoncellista della banda, quello che Sebastian gli aveva indicato come  Blaine Anderson.

A un tratto, le parole che il suo signore gli aveva detto ebbero improvvisamente un senso.
Hummel aveva fatto imbarcare il suo amante per potersi concedere con lui  dei  momenti come quello, lontano da tutto e tutti.
Una vita clandestina. Ma una vita insieme.

Dieci anni sembravano così tanti. Ma momenti come quello, rubati alla vita,  sembravano enormente più importanti di tutto il resto.
Improvvisamente a Thad venne voglia di chiedere ad Anderson come facesse a sopportare l’idea che altri mani toccassero il suo uomo in modo intimo. Come potesse sopportare il fatto di non poter dire a nessuno che Kurt era suo e solo suo. Come riuscisse a farsi bastare quelle briciole. Quei pochi momenti rubati.

Thad sorrise intenerito quando vide il musicista staccarsi dal bacio e inginocchiarsi davanti a Kurt. Poteva immaginare cosa sarebbe successo dopo, ma lui di sicuro non sarebbe rimasto lì a guardare. Silenziosamente, mosse dei passi indietro e, uscendo dall’angolo, tornò verso la proprio cabina.

Il freddo si stava facendo più intenso e Thad era stanco.
Voleva solo dormire fino al mattino, e smettere di pensare per un attimo, uno solo.

Scese al suo ponte, cercando di fare il più piano possibile, per non recare disturbo a nessuno. Quando fu davanti alla porta della sua cabina, fu colto per un attimo dal desiderio di salire, per vedere se al suo signore servisse nulla. Sarebbe stata un scusa. In realtà voleva solo passare quanto più tempo possibile con Sebastian, fino a che poteva. Rubare un po' di quei preziosi momenti con lui. Ma non avrebbe veramente fatto nulla per metterlo in difficoltà. Anche se questo significava dovergli dire addio, arrivati in America, senza averlo potuto amare un’ultima volta.

Sospirando, infilò la chiave nella toppa e poi entrò.
Il tempo di accendere le luci e, davanti a lui, si palesò l'immagine più bella che conoscesse.
Sebastian, con la camicia slacciata, e  con  in mano un bicchiere di liquore, lo stava aspettando.
Sorrise quando lo vide. Quel sorriso caldo che riservava solo a lui. Quel sorriso che non aveva ancora  rivolto neanche a sua moglie. Solo a lui.

"Eccoti" sussurrò Lord Sebastian.

"Eccomi" gli fece eco Thad, sorridendo a sua volta. Poi mosse un passo verso di lui,  con la consapevolezza che, se quella era la loro ultima volta insieme, avrebbe fatto di tutto per renderla magica.

Thad sapeva di dover dire addio, e lo avrebbe fatto.
Gli serviva solo tempo.









L'angolo della pirla che ci gode a complicarsi la vita con ‘ste robe qui (se si definisce pirla un motivo ci sarà):

Partendo dal presupposto che tutti voi abbiate visto il film Titanic di James Cameron e abbiate quindi tutte le nozioni di base riguardo la nave, ho volutamente ignorato le parti tecniche e descrittive in favore di altri aspetti inerenti al resto di questa storia. Quindi  ecco spiegato il motivo per cui non vi ho dettagliatamente descritto la nave. Nel caso non conosceste il film di J. Cameron, trovate tutte le informazioni tecniche sulla forma della nave qui http://it.wikipedia.org/wiki/File:RMS_Titanic_3.jpg se vi interessano.

Qualora invece conosceste il film e trovaste nel mio racconto dei dettagli che non concordano, sappiate che non sono io a prendermi licenze (salvo in caso dove specificato come per il fatto ovvio che Blaine non fosse un membro della orchestra. Oltretutto in realtà i membri erano 8 e non 5 come appaiono nel film, ed erano cioè  Wallace Hartley, Roger Bricoux, Fred Clarke, P. C. Taylor, G. Krins, Theodore Brailey, Jock Hume, e J.W.Woodward. Blaine ovviamente è una mia aggiunta al gruppo.) ma che in molti casi è stato proprio James Cameron a farlo. Non saprei dirvi perché. E' stato così accurato nel ricreare il disastro da averci regalato le due effettive ore che ci mise la nave ad affondare ma in altre cose è stato molto più liberale (come inserire quadri di Picasso che ovviamente a bordo del Titanic non sono mai stati) Btw farò presente quando ci saranno queste discordanze.

* Si capisce qui che parlo di Jack e Fabrizio di Titanic ? Un piccolo omaggio su. XD

Anche per questo capitolo i ringraziamenti per la betatura vanno tutti a Nessie86 . Avete letto la sua klaine? La trovate qui-http://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2316665&i=1
Alla prossima e fatemi sapere cosa ve ne pare di questo prologo.
Baci Bay24


Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 02. L'oceano e il cuore ***


PICCOLA PREMESSA: Il capitolo è diviso in due perché nella seconda parte(la prossima pubblicazione appunto) ci sarà il racconto di quello che accadde la notte tra il 14 e il 15 aprile 1912. Come capirete sarà un racconto molto angst perché sappiamo tutti quello che successe al Titanic e i nostri lo vivranno su loro stessi, e per questo voglio lasciarvi la scelta di leggerlo con i vostri tempi e staccato dal resto della storia.

Per il resto, vi auguro BUONA LETTURA!!!




                                                                                    02. L'oceano e il cuore






I primi due giorni passati sul Titanic non furono molti diversi l'uno dall'altro.
Thad non aveva molte mansioni da portare a termine a bordo e, la mattina, dopo che aveva aiutato Sebastian a vestirsi, era praticamente  libero di fare quello che voleva.
Così trascorreva la maggior parte del tempo  sul ponte di terza classe. I suoi modi educati, e i suoi abiti di alta classe, gli avrebbero consentito l'accesso anche alla prima classe, ma lui con quella gente non aveva poi molto da spartire. Preferiva di gran lunga starsene con i suoi nuovi amici di terza, un gruppo di irlandesi e italiani che stavano andando in America in cerca di fortuna.
Come lui.

Con loro passava  i  pomeriggi parlando della terra che Fabrizio, uno dei suoi nuovi amici, avrebbe “vinto” una volta giunto in America, dato che si diceva che laggiù ne avessero così tanta da arrivare a darla a chiunque la volesse.
Thad non era certo che fosse proprio così, ma le idee di Fabrizio, seppur semplici, gli piacevano e gli facevano venire voglia di trovare anche per sé un pezzo di terra da lavorare. Un posto tutto suo da chiamare casa e in cui   costruirsi quell’intimità familiare che aveva sempre desiderato per sé e Sebastian. Un intimità che adesso avrebbe dovuto costruirsi da solo, però.

Passava il suo tempo anche giocando  a ramino, o suonando  con gli altri e facendo ballare tutte le belle ragazze sul  ponte.

Questo, almeno, fino all'ora di pranzo, quando il suo Lord era solito cambiarsi per scendere al ristorante, e lui  era quindi  tenuto a  recarsi di nuovo nella sua cabina per aiutarlo. Routine che si ripeteva anche per l'ora di cena. Se il suo signore non richiedeva la sua presenza per il resto della giornata, però, - ed era raro lo facesse, perché Lady Santana lo reclamava di continuo, costringendolo a lunghe passeggiate su e giù per i ponti della prima classe, in modo da mettersi in mostra con gli altri passeggeri - quelli nella cabina di Sebastian erano gli unici attimi che avevano da soli durante il giorno.

E in quei pochi minuti,  quando  Sebastian faceva un bagno o Thad lo aiutava a indossare le sue camicie, erano ancora i vecchi Thad e Sebastian. Il suo signore gli raccontava delle persone che incontrava  e degli affari che pensava di poter concludere con loro, come aveva sempre fatto. A volte chiedeva un suo parere, e c'erano volte in cui Thad si concedeva di darglielo con quella semplicità e schiettezza che superava il suo ruolo e che era sempre piaciuta all'altro.
Altre volte  era Thad a intrattenerlo con i racconti delle sue avventure in terza classe, e Sebastian rideva con lui delle battute e degli scherzi che gli amici irlandesi facevano un po' a tutti.

Tornavano ad essere, insomma, quelli che erano sempre stati.
Un padrone e il suo servo. Ma anche due amici.

Fino alla notte, perlomeno.
La notte, cullati dal rumore del mare, erano solo due amanti.

Sebastian, infatti, era stato da lui ogni notte, da quando erano salpati alla volta delle coste americane.
La mattina, quando Thad si svegliava, il letto era freddo e vicino a lui non c'era più nessuno. Si chiedeva a che ora della notte Sebastian lo lasciasse, e se dopo andasse da Santana per svolgere quelli che erano i suoi doveri; e spesso cercava di impedirsi di addormentarsi, solo per vedere, solo per capire. Ma Sebastian lo cullava, e Thad cedeva sempre alla spossatezza, perché ogni volta l'altro lo amava in modo irruento, senza risparmiarsi o risparmiarlo.
Thad era convinto che fosse proprio per farlo stancare. Per non fargli vedere quando se ne sarebbe andato. Da lei.
E tutto questo faceva male ma, in un certo senso, non era importante. Perché ogni notte Sebastian andava a trovarlo, e ogni notte era di nuovo il Sebastian del quale Thad si era innamorato. Quello che – come  per molto tempo aveva creduto –   avrebbe potuto essere suo. Solo suo.
Quello che mai   sarebbe stato, però.

Ed era tremendo per Thad rivivere questa sensazione, ora che aveva deciso di dire addio, ma al tempo stesso non avrebbe mai e poi mai potuto rinunciarvi.
Ancora pochi giorni e avrebbe dovuto farlo, tuttavia. Per il suo bene e per quello di Sebastian. Ma, per il momento, poteva godere ancora di quel tocco gentile e  al tempo stesso possessivo. Di quel corpo forte e al tempo stesso cedevole sotto le sue attenzioni.
Poteva farlo e voleva farlo. Era il suo risarcimento per aver deciso di rinunciarvi. Per sempre.
Lady Lopez avrebbe avuto il resto della vita di Sebastian. Lui poteva avere quei pochi attimi su quella nave.

C'erano momenti in cui Thad diceva a se stesso che Lady Lopez non avrebbe mai potuto conoscere il corpo di Sebastian quanto lo conosceva lui, che non avrebbe mai saputo interpretare i suoi stati d'animo solo guardando  negli occhi, e che mai e poi mai avrebbe potuto sapere come aiutarlo, senza sentirsene offesa quando l'ansia del ruolo che ricopriva nella società lo sommergeva, rendendolo nervoso e quasi cattivo, e che questo sarebbe sempre mancato al suo padrone, quando fosse sparito dalla sua vita.
E a volte questo gli bastava. A volte.
Ma c'erano momenti in cui pensare al dolore, che forse l'altro avrebbe provato, non mitigava affatto il suo di dolore, ma anzi lo triplicava. Non avrebbe mai voluto arrecare danno a Sebastian e, in tutta onestà, non poteva gioire della possibilità di farlo.

Ma non aveva scelta.
Si conosceva:  vivere con lui una vita a metà non gli sarebbe mai bastato,  lo avrebbe portato solo ad odiarlo; e lui non voleva. Preferiva dire addio, portare via con se i bei ricordi, e lasciare che l'immagine del suo amato non fosse intaccata da cose futili, come rancore e infelicità.

Di notte, però, di notte tutto questo non esisteva.
C'erano solo le mani di Sebastian e le sue labbra che lo imploravano di non fermarsi, di fargli posto, di lasciarsi amare.
E c'era Thad che diceva sì.
Ancora un altro sì.
Un sì che prima o poi sarebbe stato l'ultimo.



 
                                                                                                       XXXXX




Sebastian detestava quella specifica parte delle sue giornate.
Vestirsi e  pranzare con Santana, per poi uscire e passeggiare sul ponte, lasciando che gli altri ospiti della nave lo vedessero e andassero a tributargli gli onori che il suo buon nome, e la sua posizione, si meritavano.
Santana adorava quella parte. Lui per nulla.
Detestava il fatto di essere costantemente tenuto d'occhio e giudicato; e detestava il fatto di dover ospitare   al proprio tavolo o al proprio fianco  gente  terribilmente noiosa, ma facoltosa, che di buono avrebbe solo potuto portargli  vantaggi negli  affari.
Era raro, che a essi, si accompagnasse anche un conversazione interessante, infatti. Certo, raro, ma non impossibile. Ogni tanto succedeva che qualcosa di buono ci fosse, in quegli interminabili pranzi e cene.

Quel giorno, ad esempio.
A pranzo, lui e Santana avevano mangiato con John Jacob Astor IV. Era stato interessante, per una volta. L'uomo era schietto e onesto, fatto di una tempra di acciaio, come il padre di Sebastian. La giovane moglie di lui, incinta di sette mesi, era una ragazza di diciasette anni  educata e molto docile,  che si frapponeva in modo evidente all’audace verve di Santana, ma era stato interessante vederle interagire.

Sebastian aveva molto rispetto per il lato più selvaggio di sua moglie. Era quello che lo aveva convinto a chiederla in sposa. Insieme al suo buon nome, la sua bellezza, e i suoi soldi-  tutte cose, queste ultime, che appartenevano però anche ad altre mille donne  che gli si erano proposte- era stato  il suo carattere libero,  infatti, a rappresentare il motivo più importante per la  decisione presa da Sebastian.

Thad diceva che era sembrato   un atto di compravendita, più che un matrimonio, e non era poi molto distante dalla verità.
Sebastian aveva un buon nome, una posizione da mantenere, e l'obbligo di procurarsi degli eredi che avrebbero perpetrato quel buon nome anche in futuro. Santana era la donna perfetta, per aiutarlo in questo.

Non avrebbe mai potuto amarla, ovviamente.
E non solo perché era una donna, ma anche, e soprattutto, perché lui amava Thad, e non avrebbe mai potuto provare uguale trasporto per nessun altro; tuttavia  era sicuro di aver fatto la scelta migliore, essendovi  praticamente obbligato.

Di notte, quando entrava nel suo letto, subito dopo essere stato in quello di Thad - sempre dopo, perché non avrebbe mai lasciato che Thad sentisse l'odore di qualcun altro su di lui, in quei  momenti intimi così importanti per loro, quando andava a cercarlo perché respirare era diventato difficile, e solo Thad sapeva ridargli vita e forza - aveva forse bisogno di aiutarsi con immagini del corpo nudo del suo amante, per riuscire a portare a termine il suo compito di marito, e gli atti erano forse scomposti e freddi, anche se piacevoli a modo loro, visto che di sicuro Santana sapeva essere focosa anche dentro il letto; ma, per tutto il resto, il connubio tra lui e la donna era perfetto.

Alle false smancerie di facciata, Sebastian preferiva la schiettezza, e Santana i gioielli. Alle paroline dolci, lui preferiva l'essere pratico e diretto, e lei il vedere che  i propri capricci venissero soddisfatti il più presto possibile.
Non faceva storie, se non le faceva lui. E non chiedeva mai  più di quanto fosse disposta a dare.

Sebastian non l'aveva conquistata con un serrato corteggiamento, come gli era richiesto dalla società,  bensì palesandole  tutti i benefici che avrebbero tratto dalla loro unione, benefici che la donna aveva dato modo di conoscere già perfettamente. E, dal canto suo, Santana aveva espresso chiaramente di non essere innamorata o interessata a innamorarsi di lui. Lo trovava bello. Era ricco e facoltoso quanto bastava, e non la obbligava a seguire le sue regole, lasciandole quella libertà cui  lei tanto anelava. E questo le bastava.

Santana non voleva un uomo da amare più di quanto lui volesse una donna. Voleva solo ancora più soldi, e un nome che fosse più importante del suo.
Sebastian, in questo, poteva accontentarla, e in cambio lei gli offriva una mente brillante con cui era piacevole conversare, e un corpo caldo da ingravidare per perpetrare il suo buon nome quando Dio avesse ritenuto giusto.
Agli occhi della società, la loro unione era perfetta. Non serviva altro.
Contava ben poco quello che pensava lui in merito.

"Tesoro, dovresti provare a sorridere. Hai l'aria di un uomo che non si sta divertendo molto" cinguettò Santana a un tratto, la mano ben salda al suo braccio e un sorriso perenne dipinto sul volto, con il quale salutava tutti quelli che incontravano sulla loro strada. Tutti quelli che contavano, ovviamente.

"Sì, scusa tesoro. Credo solo di non aver digerito molto il pesce, oggi a pranzo" ribatté Sebastian, rivolgendole uno sguardo indifferente, mentre la seguiva docile. Chiunque li avesse guardati, avrebbe detto che era il giovane sposo a condurre la moglie. Ma, in realtà, era lei quella che lo stava guidando.

"Oh, ti avevo detto di prendere l'agnello" rispose Santana, concedendogli un sorriso sincero che Sebastian ricambiò senza esporsi troppo.

Un’intolleranza alimentare, in fondo, era un motivo più che accettabile per non sentirsi in vena di inscenare i loro soliti teatrini. La responsabilità sarebbe andata a chiunque lavorasse nelle cucine del Titanic, e non a lui. Anche se non era il vero  motivo per cui il suo sorriso, quel giorno, era sparito.

Dipendeva da Thad.
Thad, che era caldo e cedevole ogni volta che entrava nel suo letto. Ma terribilmente distante e freddo al di fuori di esso.
Thad, che passava tutto il suo tempo lontano da lui, tranne quando erano i suoi doveri a imporgli di stargli vicino. Thad, che si era fatto nuovi amici proprio lì, su quella nave, dove Sebastian aveva creduto egoisticamente di poterlo avere tutto per sé.

C'era qualcosa che non andava. Lui se lo sentiva.
Lo percepiva nel suo tocco, a volte più frettoloso, e nell'ansia che leggeva nei suoi occhi quando tentava di parlargli del loro futuro insieme.

E in realtà era anche geloso. Geloso di questo Fabrizio che Thad nominava spesso. Anche se  gli aveva raccontato che Fabrizio stava corteggiando una ragazzetta della terza classe, non riusciva lo stesso a scacciare via quella sensazione di malessere che lo opprimeva ogni volta che sentiva quel nome.

Un giorno sarebbe successo.
Thad si sarebbe trovato una brava ragazza da sposare, oppure un uomo più libero di lui, e se ne sarebbe andato. Sebastian lo sapeva con l'ineluttabilità con cui sapeva che non avrebbe potuto fare proprio nulla per fermarlo.
E questo lo uccideva.

Ma quello era il suo ruolo, il suo obbligo. Per avere Thad - averlo  per sempre - avrebbe dovuto impedirgli di spiccare il volo, e di sicuro  avrebbe potuto farlo con tutto il suo potere e i suoi soldi. Ma questo era un crimine che non avrebbe mai commesso nei confronti di qualcuno che amava così tanto.
Quindi, poteva solo sperare che Thad non lo lasciasse. Mai.
Il fatto, però, che Sebastian avesse la costante paura che quel momento fosse infine giunto, il fatto che se lo sentisse in ogni terminazione nervosa, non rendeva le cose più facili per lui.

"Lord e lady Smythe, buongiorno" proruppe a un tratto una voce gioviale e, voltandosi, Sebastian si trovò davanti Hummel. Il suo umore migliorò all'istante.
Kurt non era solo un buon amico. Era anche una delle poche persone con cui poteva parlare liberamente, perché sapeva la verità su di lui, e non gliene faceva una colpa.

"Signor Hummel, che piacere vedervi. Gli impegni sul Titanic non vi danno molta tregua. Ci siete mancato oggi a pranzo." Lo accolse Santana in modo gioviale. La ragazza aveva rivelato, al marito, di trovare  l'ufficiale un uomo davvero a modo, distinto e molto ben educato.

Sebastian si chiedeva se l'avrebbe pensata sempre così, nel caso in cui avesse saputo del suo particolare vizietto. Si chiedeva anche che cosa avrebbe detto la donna, se le avesse confessato che anche lui nutriva piacere nell’amare un altro uomo.
C'era una frase che Santana amava sempre dirgli, quando erano soli. Era una frase che secondo lei racchiudeva tutto il suo odio per le stupide regole impostole dalla società, e tutto il suo profondo desiderio di libertà.

“Verso l'orizzonte e oltre.”

Sebbene fossero marito e moglie da solo una settimana, era una frase che le aveva sentito dire spesso. A Lady Lopez non piaceva essere rinchiusa entro i limiti della società. Ma, la sua voglia di ribellione, come avrebbe accolto simile notizie?
Sebastian dubitava che il suo orizzonte arrivasse così oltre.

"Come procede questa traversata, milady?" chiese Hummel, dopo aver fatto un accenno d'inchino. Il piccolo  Kurt era sempre così cerimonioso in società, che Sebastian si stupiva della sua trasformazione, quando invece era tra gente che lo conosceva davvero. Diventava più aperto, scherzoso e schietto.
Sebastian preferiva di gran lunga l'altra versione.

"Solo oceano, per adesso. Ma la vostra nave di sicuro è una meraviglia. Siamo stati nella palestra per un po', ieri. È stato interessante. Oh, Hummel, sareste così gentile da portar via con voi per un po' mio marito, e fare qualcosa per ridargli il sorriso? Forse, mostrargli la cabina di comando aiuterebbe. Voi uomini siete sempre così interessati ai motori" sentenziò Santana con voce annoiata, e la cosa scatenò risatine sia in suo marito che in Hummel.

"Il messaggio è chiaro. Ti ho tediato anche troppo per oggi, cara" scherzò Sebastian, e poi si piegò per lasciare un casto e dolce bacio sui capelli della moglie.

"Sarò al caffè Parisienne, se mi cerchi" lo congedò la donna, dirigendosi verso il “ponte E”.

"Sei diverso quando sei con lei" disse a un tratto Kurt, tornando a quella forma colloquiale che riservava sempre a Sebastian quando erano da soli, attirando di nuovo la sua attenzione. "Non sembri nemmeno tu."

"Non lo sono, infatti. Sono quello che la società mi impone di essere. Dovresti saperlo. Non ti rivolgi poi in modo molto diverso alla tua giovane moglie, mi pare."

"Però una differenza c'è, eccome." Disse Kurt, prendendo a camminare dalla parte opposta in cui era andata lady Santana, subito seguito da Sebastian.

"E sarebbe?"

"Io non rispetto mia moglie Quinn, come chiaramente tu rispetti e ammiri la tua. Ma è comprensibile. Mia moglie sarebbe una donna molto intelligente e colta, ma usa solo metà del cervello che il buon Dio le ha dato, e solo per sembrare  amabilmente  sciocca nella misura che questo mondo le richiede come donna.  Non lo trovi assurdo?"

"Lo trovo triste" rispose Sebastian a bassa voce.

"Non sono in servizio questa sera. Che ne diresti di una cena nella mia cabina? Io, tu e Harwood. Ci sarà anche Blaine" continuò Kurt, cambiando discorso e abbassando la voce sull'ultima frase.

"Non risulterà sospetta una cena privata tra soli uomini?"

"Ah per favore, questa società nemmeno crede possibili certe cose, e poi io sono un rispettabile ufficiale della White star, e tu un Lord, e per la gente qua intorno ciò che succederà in quella cabina non sarà diverso da quello che succede quando, dopo cena, gli uomini si ritirano nei vari salotti del Titanic a bere brandy. Si immagineranno che parleremo di affari e nulla più."

"Con il mio cameriere e uno della banda?"

"Il cameriere per servirci e il suonatore per suonare, no? Il capitano chiama spesso i membri della band nella sua cabina, la sera, quando ha ospiti. Noi faremo una cena e nessuno lo troverà strano. "

"Invece ci daremo alle orge?" Scherzò Sebastian, con quella libertà che sentiva di avere solo con Kurt. Questi lo ripagò alzando gli occhi al cielo, ma non raccolse la sua provocazione. "Scusa, ma sai com'è? Ieri ho osservato bene il tuo Anderson durante la cena. È un bel bocconcino, non c'è che dire." Continuò quindi a provocarlo Sebastian.

"È un uomo stupendo." Fu tutto quello che gli concesse però Kurt, con uno sguardo così compiaciuto e innamorato che Sebastian ne fu colpito.

"È lo sguardo che ho io quando osservo Thad?" si chiese, ma era una domanda stupida, perché sapeva già che era così.
Le emozioni che sentiva, quando Harwood gli era vicino, erano così tante e potenti che contenerle dentro di sé, come sapeva di dover fare, aspettandosi che da qualche parte non lasciassero una scia della loro presenza, era assurdo.
Quella società non consentiva a un uomo di amare un altro uomo. Non alla luce del sole, almeno. Nemmeno a un uomo potente come era Sebastian. Ma ciò non voleva dire che quell’amore non  potesse esserci, ed essere anche vero e totalitario.

"Comunque, è quello che mi hai chiesto di fare, no? Parlare con Thad. E nella mia cabina saremo al sicuro." Disse Kurt, catturando di nuovo la sua attenzione.

"Sì, ma credo che dopo cena sarà più facile per me. Non dovrò inventare scuse con lady Lopez. E mi sarà più facile convincere Thad ad esserci, se penserà semplicemente di dovermi aiutare ad andare a letto. Sa essere testardo su questo argomento. Venite tu e Blaine nella mia cabina. Nessuno ci disturberà. Santana resta per ore con la sua dama di compagnia, dopo cena, e rientra sempre molto tardi in cabina."

"Credi ancora che Thad voglia lasciarti?"

"Io ne sono certo. So che vuole farlo. Non so quando, o come, ma lo farà. Te l'ho già detto. Lo leggo nei suoi occhi, lo percepisco nei suoi gesti. È insofferente. E sta cercando di convincere se stesso a staccarsi da me. Gli ho imposto di accompagnarmi in questo viaggio di nozze che sapevo, per lui, sarebbe stato tremendo, solo perché temevo che, tornato a casa, non lo avrei più trovato."

"Se lo ami come dici di amarlo, dovresti farlo. Dovresti lasciarlo libero."

"E lo farò.  Lo lascerò andare; se è questo che vuole. Ma devo...almeno provare a fargli cambiare idea."

"Perfetto. Io e Blaine parleremo con lui questa sera, allora" sentenziò Kurt tranquillo. Sebastian avrebbe voluto esserlo la metà di lui. Ma non era possibile, perché sapeva che Thad non sarebbe stato contento, quando avesse capito che stava cercando di incastrarlo a parlare con i suoi amici, per convincerlo ad accettare il ruolo dell'amante segreto.
Sebastian si sentiva anche in colpa per questo. Ma doveva provarci. Non gli  avrebbe mai tarpato le  ali, ma al tempo stesso non avrebbe potuto  nemmeno lasciarlo scivolare dalle sue   dita senza lottare.
Se ne sarebbe pentito per il resto della sua vita, se lo avesse fatto.

"E' una mia impressione, o la nave va più veloce adesso?" chiese poi,  cambiando discorso, per non innervosirsi ulteriormente, o ciò lo avrebbe portato ad annullare tutti i suoi piani.

"No, la velocità è di fatto cresciuta. Ismay ha richiesto al capitano di accendere anche gli ultimi motori. Vuole arrivare in America prima del previsto, pare. La White Star ha speso molto nella costruzione di questa nave. Ha bisogno che faccia parlare di sé per battere le rivali Lusitania e Mauritania. "

"Ma non ci sono iceberg in questa zona?"

"Sì, in questo periodo dell'anno sì, ma non c'è stato nessun avvistamento significativo per ora, da quello che ci ha detto il capitano. È fiducioso, e io mi fido di lui. È un ottimo marinaio. Sai che ha rimandato il suo pensionamento per fare quest’ultimo viaggio? La White Star lo ha corteggiato per molto tempo, proprio perché ci si può fidare di un uomo come Smith. Certo, Ismay non gli lascia molto spazio di manovra e dato che lui, a bordo, è il portavoce dei  proprietari della nave, in pratica comanda su  tutti noi, compreso il capitano. Ma, se ci dovessero essere problemi, Smith è l'uomo giusto per risolvere tutto. E comunque non ci saranno problemi, vedrai. Sei a bordo di una nave inaffondabile, ricordi?" gli disse Kurt, facendo eco al modo in cui il Titanic era stato presentato, in quei mesi di pubblicità, su tutti i giornali che se ne erano occupati: inaffondabile, e lussuosa come poche altri navi al mondo.

Sul lussuoso Sebastian non aveva proprio nulla da dire, lo era certamente. Sull’inaffondabile però... Sebastian accolse queste parole con un sorriso di scherno.
"È fatta di ferro e legno. Per me può affondare, eccome." Disse poi.

"Oh, non fare il guastafeste, Smythe" lo rimbeccò allora Kurt divertito, e la sua sicurezza tranquillizzò anche Sebastian che non ci pensò più.

Fino alle 23.45 di quella notte, almeno.





                                                                                                             XXXXX





Thad si sentiva strano quella sera.
Era stato strano fin da quando Sebasian lo aveva mandato a chiamare, dopo cena, adducendo la  scusa di aver bisogno del suo aiuto per fare un bagno. Bagno che Thad lo aveva già aiutato a fare prima di cena.

Ed era stato strano quando, invece di ritrovarsi assaltato dalle attenzioni del suo Lord, come pensava che sarebbe stato, si era trovato ad avere a che fare con un Sebastian  nervoso, che lo fissava inquieto mentre lui preparava il tè che gli inservienti della nave avevano portato in cabina.
Sebastian aveva richiesto anche dei dolcetti, e tazze per quattro, e la cosa era stata piuttosto sospetta. Ma Thad aveva capito quanto lo fosse, solo quando, sentendo bussare alla porta, era andato ad aprire e si era trovato davanti Hummel, l'ufficiale, amico di Sebastian, con un ragazzo che riconobbe essere colui con il quale lo aveva visto amoreggiare sul ponte, la prima sera.
Anderson si chiamava, se non ricordava male.

Aveva capito subito, poi, cosa stava succedendo lì.
Prima ancora che Hummel e Anderson si presentassero, e cominciassero a dire di ritenersi liberi di poter parlare, in quella cabina, della loro relazione, perché nessuno li avrebbe giudicati, Thad aveva capito che, ciò che aveva creduto sarebbe successo, la prima volta che Sebastian gli aveva parlato di loro, stava in effetti avvenendo.
Sebastian aveva davvero chiesto aiuto a quei due per cercare di convincerlo che, essere il suo amante per il resto della sua vita, lo avrebbe reso felice.
Era stato circondato. In una parola: incastrato.

I due, con gentilezza, gli avevano raccontato tutto della loro storia fin da subito. Gli avevano raccontato di essersi conosciuti da ragazzini. Blaine era il figlio dell'uomo che si occupava dei cavalli del padre di Kurt, ed era capitato che giocassero spesso insieme. Quando Kurt, a 12 anni, era stato mandato in collegio, aveva capito di essere diverso dagli altri ragazzi, di provare determinati impulsi non proprio leciti o "normali", non per la società, almeno, e quello gli aveva creato problemi a scuola; così era stato costretto a lasciarla. A 16 anni, tornato a casa, da Blaine, non si era trovato davanti un brufoloso bambino troppo allegro, ma un educato e bellissimo quindicenne, e  le cose tra loro erano presto cambiate. Divenendo molto più romantiche e fisiche.

Blaine gli disse che era stato facile ritagliarsi del tempo per se stessi e, tranne che  per quella volta in cui  lo stesso Sebastian, in visita alla famiglia di Kurt, li aveva colti in flagrante, non avevano mai avuto problemi. Almeno fino a quando, 4 anni dopo, Kurt era stato costretto dal padre a sposare Quinn Fabray. Blaine era stato così male che era partito per l'Italia, dove aveva trascorso un anno presso alcuni amici di famiglia.

Era stato un anno stupendo per lui. Blaine era un ragazzo semplice, amante dell'arte e della buona musica, e in Italia aveva trovato cibo per la sua anima. Così tanto che pensava di essersi dimenticato di Kurt. Del resto, aveva il mondo ai suoi piedi, o così credeva allora.
Thad poteva capire la sensazione che Anderson diceva di aver provato. Era quella che sperava di trovare lui, del resto, un volta staccatosi da Sebastian.

Nel modo di porsi e di parlare di Blaine, Thad ci si ritrovava molto.
Sembrava molto diverso da Kurt, più ricercato e attento, eppure, quando quei due erano insieme, sembravano anche completarsi in un modo difficile da spiegare.

Blaine, comunque, gli aveva poi raccontato di essere tornato a casa per sostituire il padre - caduto da cavallo e infortunatosi gravemente - nel suo lavoro, e di aver così scoperto di essere in pratica diventato un dipendente di Kurt e di sua moglie, e non più di suo padre.
Le cose, tra loro, erano state complicate all'inizio. La gelosia, il rancore malcelato e il rimpianto, sopratutto. Ma fin da subito avevano capito, rivedendosi, che niente era veramente finito tra loro, e visto che a quel punto erano due uomini, e non più due ragazzini , le cose si erano fatte anche più importanti.

Erano amanti da allora. Tra alti e bassi.
Quando il padre di Blaine era guarito e  aveva ripreso la sua attività, Blaine era tornato  alla sua vita, ma le cose tra lui e Kurt non si erano fermate; neanche quando Kurt era diventato padre.

"Sono quasi come uno zio per quei  bambini" gli aveva detto Blaine, con un sorriso sincero dipinto sul viso. "Ci sono volte in cui questa vita mi risulta terribilmente difficile, è vero. Ma non la cambierei per nulla al mondo. Questo è il modo in cui mi è concesso di  amare, e preferisco amare così, che non farlo per nulla."

Thad credeva di poter comprendere le sue parole. Le reputava anche giuste. Per Blaine. Ma non per se stesso. Lui si conosceva troppo bene per poter credere il contrario.
A differenza di Blaine, pur amando, lui avrebbe finito per odiare. Avrebbe finito per sentirsi incompleto, e ne avrebbe fatto pagare le conseguenze anche a Sebastian.
Perché, semplicemente, certe volte l'amore non basta.

Ma come poteva spiegarlo? Come poteva far capire a Sebastian che non stava dicendo addio a quello che potevano essere in segreto, ma a quello che erano destinati ad essere per il mondo?
Lui stesso vedeva a fatica la differenza fra le due cose, eppure c'era, era lì, e un giorno sarebbe stata pressante per lui. Lo sapeva.

"In America esistono dei club. Non sono accessibili a tutti, ovviamente, ma con le tue conoscenze, Smythe, sarà possibile entrarci." Disse Kurt a quel punto, riportando l'attenzione di Thad nel presente.

"Club?" chiese curioso.

"Sì, club dove uomini come noi, con i nostri gusti, possono essere se stessi, protetti da occhiate indiscrete. Vi si offrono cene, spettacoli di buona musica, e quanto di più bello ci possa essere. Agli occhi di tutti, sono semplici club del sigaro, di carte, o di lettura. Ma sono, in realtà, molto di più. Sono rifugi sicuri. Io e Blaine..." continuò l'uomo, allungando la mano, a prendere quella del giovane musicista tra le sue "...siamo iscritti da anni ad uno di essi. Intridurremo anche voi, quando avremmo raggiunto New York. Voi vi fermerete lì, no?" chiese poi guardando dritto in faccia Sebastian.

Thad sobbalzò a quelle parole. Era una cosa che risultava nuova per lui. Pensava che Sebastian sarebbe tornato a Londra, dopo la luna di miele in giro per America e Europa di cui quella crociera era solo l'inizio.  

Come intuendo la sua confusione, Sebastian gli spiegò: "Santana vuole vedere la proprietà che abbiamo in Texas. Le piacerebbe vivere lì. Senza...senza i miei intorno." Ed ovviamente, quello che la moglie chiedeva, avrebbe avuto. Era così che doveva andare. Adesso si spiegava perché Sebastian si fosse dato tanto da fare per allacciare buoni rapporti con alcuni passeggeri di quella nave.
E si spiegava perché avesse insistito tanto a portarselo dietro nel viaggio. Erano partiti da Londra per non farvi ritorno. Piuttosto ironico che fosse stato così anche per Thad, fin da subito.

Forse, a quel punto, avrebbe dovuto dire che lui non sarebbe rimasto vicino al suo signore per iscriversi a quel club. Avrebbe dovuto farlo, visto lo sguardo speranzoso che Sebastian gli rivolgeva, nel notare che non si stava minimamente ribellando a quelle chiacchiere, come forse si era aspettato che facesse. Ma non poteva.
Non poteva dire che trovava inutile lottare, perché tanto aveva già deciso, e non sarebbero state quelle false promesse di felicità a fargli cambiare idea.

Thad Harwood non era tipo da farsi dire da altri come vivere. E non era nemmeno tipo da lasciare che fossero gli altri a decidere per lui. Era  ben conscio che, ciò che per uno significava felicità, per un altro poteva essere solo inferno.
E non lo voleva.
Aveva già dovuto rinunciare a troppo, per perdere anche l'ultima cosa che gli restava. Se stesso.

Non riusciva nemmeno ad esserne arrabbiato, però. Non poteva permetterselo. Era diritto di Sebastian provare, quanto lo era per lui continuare a dire di no.
"Sono certo che il Texas le piacerà" disse quindi, non promettendo né recriminando nulla con quelle parole .

"E a te? A te piacerà?" chiese però Sebastian, che non ce la faceva ad accontentarsi. Non era nel suo carattere, non lo era mai stato.
O tutto o niente. Questo era Sebastian Smythe.

Ma non era nel carattere di Thad mentire. Omettere, forse, ma non mentire. Perciò si limitò solo a dire: "Il Texas mi è sempre interessato come posto" perché, in fondo,  era vero.
Sperò che a Sebastian quella risposta bastasse per il momento. E sembrò così, quando gli sorrise felice. Per un attimo, uno solo, Thad si sentì in colpa per avergli mentito. Ma si ricordò perché lo faceva, e tenne duro. Non aveva scelta.

"Amare non è peccato, Harwood. Impedire a qualcuno di amare lo è." sentenziò Blaine con vigore, come leggendo i dubbi nella sua testa. "Il fatto che viviamo in una società come questa, non vuol dire che non vi possiamo  ritagliare i nostri spazi. Ne abbiamo ben diritto, direi."

Sì, forse sì, purché tutto restasse lontano dagli occhi del mondo, ovviamente. Pensò malinconico Thad, ma ripagò la frase di Blaine con un altro sorriso tirato; poi si alzò e, adducendo come scusa di avere caldo, si scusò e semplicemente uscì nella cabina terrazzo.
Ne aveva abbastanza di sentirsi addoso gli occhi di tutti e tre. Voleva solo scendere in terza classe, ballare con Fabrizio e gli altri, cercando di scacciare per un paio d’ore almeno quei brutti pensieri.

Una volta fuori, si accorse subito che la temperatura si era fatta più fredda, e rabbrividendo strinse le braccia al suo corpo.
Non si stupì di sentire qualcuno che gli posava la giacca sulle spalle e, subito dopo, non si stupì di sentirsi circondare da due braccia forti e calde.
Aveva sentito il profumo di Sebastian. Aveva percepito la sua presenza quasi subito.
Lo faceva sempre.

"Stai bene?" gli chiese Sebastian, sussurrandogli direttamente nell'orecchio. Brividi caldi percorsero subito il suo corpo. Era sempre così che reagiva alla vicinanza dell'altro.

"Vuoi sapere se ti perdono questa imboscata?" Lo stuzzicò Thad, sorridendo quando sentì il corpo dell'altro, praticamente incollato al suo,  scosso da una leggera risata." Immagino che potrò farlo. Capisco perché ci hai provato. E di sicuro mi hanno dato materiale su cui riflettere."

"E lo farai?" gli chiese ancora Sebastian, prendendolo per le spalle e obbligandolo a voltarsi verso di lui.

Eccolo lì. Il ragazzo che  lo conosceva bene, tanto quanto lui conosceva  se stesso. Quello che intuiva che c'era tanto che Thad   non diceva, e  molte più verità nascoste in quello, che in ciò che davvero Thad esternava.
Come poteva nascondersi da questo?

Sebastian lo guardava in modo  penetrante e deciso. Cercava di carpire le cose che non diceva, solo fissando lo negli occhi, e Dio solo sapeva se non ci fossero   state volte in cui era riuscito a farlo veramente.
Ma non adesso. Thad non glielo avrebbe permesso.

Per questo si scostò da lui senza rispondere e fece per entrare di nuovo dentro, quando davanti gli si parò una scena che lo colpì. Dentro la cabina, Blaine e Kurt si stavano baciando dolcemente. I loro gesti, il modo calmo con cui si concedevano quell’intimo contatto, tutto in loro suggeriva un'intima   conoscenza che durava da  anni.

Thad ne provò gelosia.
Avrebbe voluto avere la stessa forza d'animo di Anderson, per riuscire ad accontentarsi di brevi attimi rubati, pur vedendo il proprio uomo stare con un’altra donna e crearsi una famiglia con lei.  

Quando Thad glielo aveva chiesto, Blaine gli aveva risposto  che probabilmente, un giorno, anche lui si sarebbe sposato. Per fare felici suo padre e sua madre, e perché questo era ciò che ci si aspettava da lui.
E lo aveva detto con una calma e una praticità che avevano colpito Thad.
Probabilmente era più forte di quanto non fosse Thad. Perché conosceva i propri doveri, e non aveva paura di doverli affrontare.

"Noi siamo come loro. Potremmo esserlo sempre, se tu lo volessi" tornò alla carica Sebastian, facendolo voltare di nuovo  e abbracciandolo ancora. "Lascia che ti faccia una promessa, Thad. Comunque vada, quali che siano  il mio destino e il mio dovere, io non mi pentirò mai di amarti ogni giorno, come faccio ora. Neanche se tu dovessi andartene mi pentirei di averlo fatto. Non dirò mai a me stesso che sono stato un folle. Perché non mi importa se non posso gridarlo al mondo. Io non ti amo per avere il benestare di chi mi circonda. Ti amo perché non posso farne a meno, perché tu mi completi, perché...ti amo. E se oggi vuoi arrenderti perché non posso darti l'apparenza, se oggi vuoi dire basta perché credi che la forza del mio sentimento non sia abbastanza, rispetto a quello che il mondo potrebbe pensare guardandoci, allora vai. Io ti posso solo dare tutto il mio amore. Se non è abbastanza, non posso darti molto di più."

Thad tremò a quelle parole. Avrebbe voluto impedirselo, ma non poteva obbligare il proprio corpo e il proprio cuore a mascherare le emozioni che Sebastian sapeva dargli.
Quando di notte il suo signore entrava nel suo letto, c'era sempre un attimo in cui Thad diceva a se stesso: "No, stavolta no." Ma poi Sebastian cominciava ad accarezzarlo, e lui diventava subito cedevole . Il suo corpo rispondeva al richiamo di quello di Sebastian, in modo naturale. Sembrava nato per farlo. Per cantare il loro canto insieme a   lui.
Ma, ancora una volta, non poteva dirgli cio  che avrebbe voluto   sentirsi dire, senza mentirgli, e Thad non voleva farlo. Non esplicitamente. Così allungò una mano ad accarezzargli una guancia. Sebastian chiuse gli occhi al contatto, beandosi di quella carezza.

E poi Thad si allungò, e posò dolcemente le proprie labbra su quelle di Sebastian.
L'altro si irrigidì d'istinto, preso un po' alla sprovvista, ma fu solo un attimo. Si rilassò quando Thad portò le mani a coprire il suo viso, e subito cominciò a ricambiarlo con trasporto.

Pochi secondi. Pochi secondi e Thad lo avrebbe preso lì, su quel terrazzino privato, con Hummel e Aderson nell'altra stanza, non gli interessava. Pochi secondi e avrebbe detto addio a se stesso, consegnandosi interamente nelle mani di Sebastian e di quell’amore che lo travolgeva sempre.

Perché forse potevano farcela anche loro. Lui poteva farcela.
E non sarebbe stato facile, ma cosa lo era? E lui in cambio avrebbe avuto quell'amore, quel sentimento così importante da proteggere e accudire.
Avrebbe avuto mille giorni. Ancora mille giorni al fianco di Sebastian.
Il suo Sebastian.

Fu a quel punto che la nave sotto di loro cominciò a tremare.
Sebastian e Thad si staccarono, presi alla sprovvista, mentre dalla cabina arrivò un rumore di vettovaglie in pezzi. Alcune delle tazze in cui avevano bevuto il tè, infatti, erano finite  a terra.

Quel tremore durò per molti secondi.
Seastian e Thad si guardarono intorno confusi ma non lasciarono l'uno la presa dalle  braccia dell'altro.

Quando il tremore cessò, e poco dopo anche la nave si arrestò, segno che i motori dovevano essere stati spenti, i due provarono ad affacciarsi all parapetto del ponte della cabina di Sebastian ma intorno era solo buio e non si vedeva nulla di strano. Non da quel lato della nave almeno.  Così rientrarono nella cabina. Kurt era alla porta e stava parlando con uno degli altri ufficiali. Blaine era già sparito.

Sebastian e Thad attesero che Kurt avesse finito di confabulare con quell'uomo per chiedergli cosa fosse successo. Ogni tanto si osservavano preoccupati. Sebastian sembrava anche leggermente scocciato. Ma non Thad. Lui aveva una brutta sensazione alla bocca dello stomaco.
Quando Kurt rientrò e si voltò verso di loro, i due videro subito che era molto preoccupato. Hummel si avviò svelto verso la poltrona, dove aveva adagiato la sua giacca, e la indossò  di nuovo.

"Kurt, che succede?" chiese allora Sebastian, esasperato dal silenzio dell'altro.

Kurt alzò la testa e fermò i suoi movimenti frenetici. Sembrava essersi ricordato solo in quel momento che anche gli altri due erano presenti in quella stanza.
"Abbiamo impattato contro un iceberg" rispose poi con una voce debole, non da lui. Le sue stesse parole sembrarono però risvegliarlo da quello shock e, finendo di vestirsi alla svelta, disse: "Ricordi quello che ti ho detto sulla nave, Sebastian? Cerca lady Santana e falla salire subito sul ponte . Ci metteranno ancora un po' prima di cominciare a caricare i passeggeri sulle scialuppe, ma lo faranno, ed è bene che voi siate in prima linea quando succederà."

"Caricare i passeggeri sulle scialuppe? Santo Dio, è così grave?"

"Abbiamo imbarcato troppo acqua. Il Titanic può sopportare uno squarcio e rimanere comunque a galla con 4 compartimenti allagati, ma noi ne abbiamo già allagati 5 pare  e in pocchissimo tempo. La stiva postale. Il locale caldaie. Tutto perduto. Le paratie sono aperte ma non stanno facendo uscire abbastanza acqua. Il Titanic...credo che...affonderà" sentenziò Kurt, lo sguardo perso oltre un punto imprecisato. "Lo hai detto tu, ricordi? Questa nave è fatta di ferro e legno e può affondare. Beh, credo che lo farà, Sebastian. Fai presto." Gli disse ancora Kurt. "Thad, voi...è stato un piacere conoscervi. Vi auguro buona fortuna" aggiunse poi guardando Thad, e a Sebastian non piacque lo sguardo dispiaciuto che lesse sul suo volto. Avrebbe voluto fare domande in merito, ma Kurt era già uscito di gran fretta dalla cabina.

Sebastian ricordava le sue parole durante il breve tuor che aveva fatto fare a lui e Santana,   ovviamente,  ricordava che non c'erano abbastanza scialuppe per tutti i passeggeri che la nave stava contenendo in quel momento.
Erano state previste, ovviamente, nel progetto originale, ma qualcuno alla White Star line aveva pensato che rovinassero  la bellezza dei ponti, e per questo quasi la metà di loro era stata tolta di mezzo.

Il Titanic aveva un carico di circa duemiladuecentoventi anime, tra passeggeri e personale di bordo. Le scialuppe, sedici  classiche  più quattro pieghevoli in tutto, erano meno della metà di quelle  necessarie per l'effetivo carico della nave e se caricate al loro  massimo, erano in grado di salvarne solo  milleduecento.    
Milleduecento su duemiladuecentoventi.

Kurt aveva detto a Sebastian come funzionava nella marina.
I passeggeri di prima classe, i passeggeri come Sebastian e Santana, sarebbero stati imbarcati per primi, ovviamente. Ma quelli come Thad,  di seconda e di terza classe, avrebbero dovuto attendere che gli ospiti più "importanti" della nave  fossero tutti al sicuro, per essere portati in salvo; e se, nel frattempo, le scialuppe fossero finite...

Lo sguardo di Sebastian corse subito su Thad.  
L'altro aveva un espressione scioccata dipinta sul volto, ma non era nulla in confronto alla paura che sentiva Sebastian dentro di sé in quel momento.       
                                        
Perdere Thad era una cosa che aveva messo in conto. Ma non in quel modo. NON in quel modo.

La sua mano corse possessiva verso la vita di Thad e con uno strattone lo tirò verso di sé per avvolgerlo in un abbraccio possessivo. Non gli interessava che Kurt avesse lasciato la porta aperta nella fretta di uscire, e che nel corridoio ci fosse una certa agitazione. Non ancora paura, certo, era presto per quella, e gli altri passeggeri probabilmente non sapevano quello che sapeva lui.

Non gli interessava  nulla che non fosse il rumore del battito del cuore di Thad contro il suo.

Lo avrebbe protetto.
Lo avrebbe tenuto vicino a sé.

Se lui fosse salito su una scialuppa, Thad sarebbe stato al suo fianco. Oppure non ci sarebbe salito affatto.

Erano appena passate le 23.40  di notte del 14 aprile 1912.  







L'angolo della pirla che scrive sta roba:

Non ho molto da dire onestamente su questa parte del capitolo. A parte qualche informazione tecnica che di sicuro conoscerete meglio di me.
John Jacob Astor IV era davvero a bordo del Titanic e così la sua giovane moglie. Ismay come sapete è il bastardo che obbligò il capitano Smith a aumentare la velocità nonostante l'allarme iceberg. E Fabrizio sì, è il Fabrizio di Titanic, il film di Cameron. Nel film si vede ben poco ma a me è sempre piaciuto e volevo dargli una piccola particina anche in questo mio scritto.
Beh per ora vi dico ciao. Il prossimo capitolo arriva venerdì 24.
Alla prossima.
Baci Bay24

                                                               

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 03.La notte delle lacrime. ***


PICCOLA PREMESSA: La notte in cui il vero Titanic si inabissò finirono in acqua 1518 persone.  Più della metà dei passeggeri della nave.
Molte facevano parte  della seconda e della terza classe e dell'equipaggio, ma non solo.   
Il capitolo che segue è il mio personale racconto di quella notte.  Volutamente si concentra soprattutto sui protagonisti della mia storia, ma altrettanto volutamente riporta anche fatti realmente accaduti quella notte.
E' angst  gente, e  non fa sconti a nessuno. Siate preparati.
Perché questa è solo una storia, è vero. Ma il Titanic non lo è.
BUONA LETTURA! 


       
   


                                                                                            03. La notte delle lacrime.







Sebastian si sentiva strano.
Si muoveva come su di una nuvola. I rumori intorno a lui erano tutti ovattati e lontani. Le risate, gli uomini che chiedevano altro brandy al personale di bordo, le donne che cinguettavano spettegolando su quella o quell'altra donna uscita ancora in camicia da notte dalla cabina, mentre fuori al freddo altri uomini stavano preparando le scialuppe da mettere in acqua.

"Restate dentro. Per voi qui fuori è troppo freddo e rumoroso. Verremo a chiamarvi quando saremo pronti per farvi salire a bordo delle scialuppe" aveva detto uno di loro a Sebastian quando aveva cercato di far uscire Santana e Brittany per imbarcarle.

Si comportavano come se non ci fosse alcuna fretta. Come se ci fosse stato spazio per tutti.
Ma Sebastian sapeva che non era così.
E se lo sapeva lui dovevano ben saperlo anche loro, no? Eppure sembravano così calmi e composti. Al momento, almeno.

Per un attimo si ritrovò a pensare anche lui che non fosse così grave come aveva creduto. Ma no, non era possibile. Aveva visto la faccia di Kurt e sapeva cosa vi aveva scorto: terrore puro.

Anche Santana era calma. Se ne stava seduta su una panca a parlottare fitto con Brittany e di quando in quando le due donne si lasciavano scappare una risatina complice. Thad invece percepiva il suo umore, sentiva su di sé il suo spavento, anche se Sebastian faceva di tutto per tenerlo nascosto, e ne sembrava preoccupato.
Ancora non aveva avuto il coraggio di dirgli la verità, però. Ogni volta che Thad gli chiedeva: "Cosa succede, dimmelo" lui fuorviava il discorso spostandolo su argomenti più neutri.

Da quando Kurt lo aveva avvertito di sbrigarsi,  Sebastian non aveva fatto altro che mentire a Thad. Anche quando lo aveva trascinato con sé a cercare Santana, lo aveva fatto inventandogli che aveva bisogno di lui al suo fianco per calmare la donna in caso si fosse spaventata, visto che lui non era molto capace e Thad invece aveva una gentilezza innata che faceva subito tranquillizzare tutti.
L'atro lo aveva seguito di malavoglia dato che di sicuro il benessere di Santana non rientrava nelle sue priorità. Ma a ordine diretto non aveva detto di no.
Sebastian si odiava quando dava comandi a Thad come fosse un suo normalissimo dipendente e basta. Ma  non voleva lasciare il suo fianco  nemmeno per un minuto. Non voleva perderlo di vista. Non voleva rischiare di... Dio, era difficile persino da pensare.

Avevano trovato Santana nella cabina di Lady Pierce, come Sebastian si era aspettato, e quando le avevano detto cosa era successo, usando termini semplici e poco allarmisti, la donna si era detta certa che fosse solo uno scherzo. Quando però il personale della nave aveva bussato allo loro porta  per far indossare loro il salvagente e farli salire sul ponte, scocciata dal contrattempo,  aveva seguito Sebastian e Thad nel salone principale senza fare ulteriori storie.
Non sembrava molto più preoccupata di quanto lo sembrassero gli altri. Sebastian aveva sentito un gruppo di giovinetti addirittura dirsi certi che fosse  solo una stupida esercitazione. L'ombra dell’iceberg contro cui avevano impattato era ben visibile anche dagli oblò adesso che le luci del Titanic lo illuminavano, ma nessuno sembrava credere possibile che ne fosse uscito sconfitto il transatlantico.
Il Titanic era una nave inaffondabile. E loro erano tutti privilegiati. Tale sfortuna non era contemplata nel loro mondo.

Questa convinzione si era rafforzata quando la banda di Wallace Hartley era entrata nel salone centrale e aveva preso a suonare dando a tutti ancor di più l'idea che niente di grave stesse accadendo.
Sebastian aveva osservato Anderson  posizionarsi con tutti gli altri al suo posto e imbracciare il suo violino che aveva preso a suonare con brio. Non sembrava preoccupato, eppure nei suoi occhi non c'era la luce che Sebastian vi aveva sempre scorto.
Stava pensando a Kurt? Probabilmente.
A differenza di lui, a Blaine non era concesso restare vicino al suo uomo in quel momento, e Sebastian nemmeno voleva immaginare quanto fosse difficile per lui.  

Mezzora dopo, circa, da quando erano saliti nel salone, uno degli ufficiali venne a chiamarli chiedendo loro di procedere ordinatamente sul ponte per essere imbarcati. Il fumaiolo non mandava più quell'orribile suono che aveva imperversato per tutto il tempo delle manovre degli uomini di bordo sulle scialuppe e fuori, a parte il freddo, sembrava una normale serata come tante altre.
Si vedevano anche un po' di stelle.

"Per favore, per adesso chiediamo che solo donne e bambini si facciano avanti. Gli uomini saliranno su altre scialuppe a breve" disse uno degli ufficiali e la cosa fu accolta da un chiacchiericcio divertito da parte degli uomini che presero a far salire le loro dame a bordo con allegria, concedendosi scherzi come se nulla fosse.
Sebastian, che una cosa simile se l'era aspettata,  portò più avanti Lady Pierce perché fosse imbarcata insieme a Santana, che stava parlottando con uno degli altri ufficiali.  Thad era rimasto indietro per non intralciare il passaggio, ben sapendo che per lui su quella scialuppa non ci sarebbe stato posto neanche se fosse stata aperta  agli uomini.

"Brittany" disse a un tratto Santana tornando vicino a Sebastian. "La signora Brown dice che in queste scialuppe al momento c'è posto solo per i passeggeri di prima.  Perché non scendete di nuovo in cabina e  ve ne state per un po' davanti al fuoco? Sono certa che vi imbarcheranno a breve ma nel frattempo non dovreste stare fuori a prendere freddo. Siete delicata, e oggi fa molto freddo. Sebastian si occuperà di voi, vero caro?" chiese poi voltandosi verso il marito.

Lui non credeva che quella fosse una buona idea ma non aveva tenuto di conto, neanche aveva immaginato a dirla tutta, che gli ufficiali sarebbero stati così fiscali in un momento simile. Eppure li vedeva mandare via le dame di compagnia e le cameriere delle signore che imbarcavano.
Persino in un momento simile continuavano a seguire le loro sciocche regole.
"Sì, Lady Pierce, tornate in cabina. Verrò a chiamarvi non appena ci sarà una scialuppa per voi" disse quindi. In quel momento gli premeva far salire Santana su una di quelle barche per metterla in salvo. E di sicuro avrebbe fatto in modo che anche Brittany salisse su una scialuppa dopo.

La donna lo ringraziò e voltandosi si diresse di nuovo all'interno del Titanic. Era tranquilla e sembrava grata di non dover restare ancora tanto fuori al freddo.
Intanto Santana, dopo aver salutato Sebastian con un bacio casto sulle labbra, si fece aiutare da uno dei marinai a salire sulla scialuppa. Appariva ancora scocciata per quel contrattempo ma c'era anche una lieve nota divertita nei suoi occhi.

Sebastian sapeva che tutto quello stava diventando un’avventura per lei.
Avrebbe voluto avere quella stessa beata ignoranza anche lui.

A un tratto uno degli uomini, Jonhs si chiamava se non ricordava male, uno degli inservienti addetto al suo piano comunque, gli si avvicinò con fare sospetto e, tirandolo da una parte, gli disse:  "Hummel si trova nel lato est, vicino alla poppa. Dice che c'è una scialuppa per voi e un certo Harwood da quella parte, se vi dirigete lì."
Sebastian lo ringraziò tirando fuori dal panciotto qualche dollaro. Persino in quel momento la sua educazione vinceva su tutto.

Voltandosi verso il punto dove aveva lasciato Thad ad attendere gli si avvicinò per riferirgli la notizia. Thad però non la accolse come si era aspettato che avrebbe fatto.
"Dovresti dirigerti lì e salire su quella scialuppa, allora" disse infatti con tono nervoso. Appariva preoccupato e ansioso mentre si guardava intorno, e  Sebastian temeva che stesse cominciando a capire quello che stava succedendo e come stavano davvero le cose.

"Noi. Noi saliremo su quella scialuppa. Hummel ha un posto anche per te" precisò.
Era lui che lo aveva obbligato a salire su quella nave per paura di perderlo. Era lui che lo aveva obbligato a seguirlo in quella luna di miele. Per niente al mondo lo avrebbe lasciato da solo là sopra, anche se Kurt gli avesse assicurato di trovare un posto per lui in un’ altra scialuppa subito dopo.

"Io non scendo, Sebastian. Non adesso almeno" lo freddò però Thad prendendo a dirigersi verso il ponte A, che era dalla parte opposta rispetto a dove si trovava Kurt.

"Che intendi dire?" gli chiese Sebastian seguendolo.

"Dio, volevo aspettare che fossi salito su una delle scialuppe per fare qualcosa. Essere certo che non avresti avuto idee stupide, tipo seguirmi."

"Seguirti dove?" gli chiese ancora Sebastian prendendolo per un polso e fermando la sua fuga.

Thad si voltò verso di lui e dopo aver sospirato pesantemente disse: "Ho sentito uno degli uomini dire che hanno chiuso i cancelli di terza per impedire a quella gente di venire su. Questa nave sta per affondare e sì, lo so, perché non sono uno stupido e ho capito le parole di Hummel anche se tu fai di tutto per tenermi all'oscuro. Ti rendi conto? Persino in questo momento sono attaccati alle loro sciocche regole e le loro classi. Ma lo squarcio riguarda zone della nave che comprendono i ponti di terza e laggiù  adesso deve essere un inferno.  Devo scendere e aiutare quella gente, Sebastian. Ho sicuramente tempo prima che cominciano a imbarcare quelli di seconda classe, e là sotto ci sono i miei amici ."

"Di chi stai parlando?"

"Danny e Raul. E Fabrizio" rispose Thad con tono esasperato e Sebastian capì.  Oh, giusto. I suoi cari amici. Il suo caro Fabrizio.

Un rabbia improvvisa montò dentro di lui e prima che se lo potesse impedire quella rabbia divenne paura e la paura, parole. "Sei innamorato di quel ragazzo, Thad?" chiese con enfasi.

"Oh Dio! Non ci credo" sussurrò Thad cercando di liberarsi dalla presa dell'altro ma Sebastian non intendeva lasciarlo andare.

"Mi stai dicendo che vuoi sacrificare la tua salvezza per lui. Perciò rispondi" esclamò poi con durezza.

"No, non lo amo va bene? E' solo un amico. Un buon amico. Io amo te, stupido presuntuoso. E adesso lasciami" urlò Thad attirando l'attenzione di alcuni uomini che stavano passando lì vicino per dirigersi verso altre scialuppe e riuscendo a liberarsi dalla stretta di Sebastian. "Non è il momento di essere gelosi" sentenziò poi con tono più pacato.
Aveva ragione, Sebastian lo sapeva bene, ma era stato più forte di lui. Lui possedeva case, poderi, fabbriche, compagnie, addirittura negozi e ristoranti. Ma era Thad  il suo bene più prezioso. L'unico che davvero gli premesse possedere.

E non era neanche possesso.
Era bisogno. Puro e semplice bisogno.

Aveva paura di vederlo andare via. Aveva paura che altri uomini vedessero quello che aveva visto lui, innamorandosene perdutamente. Ancora di più temeva che lo stesso Thad avrebbe presto scoperto di aver diritto ad avere molto di più di quello che Sebastian poteva offrirgli.
E quella sera doveva separarsi da lui lasciandolo su quella nave? Non poteva farlo. Thad non poteva chiederglielo.

A un tratto l'altro prese la sua mano e la strinse forte tra le sue. Era l'unico contatto che fosse loro concesso in quel momento su quel ponte, lo sapeva, ma quella stretta gli stava trasmettendo tutto l'amore dell'altro lo stesso. "Sali su quella scialuppa, Sebastian. Ti prego, io starò bene" gli sussurrò poi Thad, e detto questo lasciò la presa sulla sua mano e corse via.

Sebastian lo osservò per alcuni secondi rimanendo immobile. Ma nemmeno per un attimo pensò di fare quello che Thad gli aveva chiesto.
Aveva fatto una promessa anzitutto a se stesso. Non sarebbe sceso da quella nave senza Thad.
E l'avrebbe mantenuta, pensò correndogli dietro.





                                                                                                        XXXXX





Thomas Andrews, progettista del Titanic e suo passeggero, aveva fatto dei calcoli dopo l'impatto con l'iceberg, durante i quali era venuto fuori che non solo il Titanic era destinato ad affondare ma che  la nave ci avrebbe messo due ore al massimo a inabissarsi.
I calcoli si rivelarono esatti.

Mezzora dopo l'impatto, quando ormai i passeggeri erano stati tutti svegliati e gli ufficiali Murdoch e Wilde avevano  già messo al lavoro i loro uomini sulle scialuppe, la nave aveva già imbarcato acqua sufficiente a causarne la progressiva, anche se ancora non evidente, inclinazione dal lato della prua.

Le paratie stagne continuavano incessantemente a espellere acqua ma non abbastanza velocemente per evitare che  vari scompartimenti venissero  allagati.  Mentre questo succedeva, la nave soccombeva al peso dell'acqua al suo interno.

L'equipaggio sapeva che bisognava assolutamente evitare di diffondere il panico per quanto al momento la situazione non sembrasse ancora pericolosa. L'unica cosa fuori posto infatti era il terribile sibilo del vapore che fuoriusciva dai fumaioli, attivati onde impedire lo scoppio delle caldaie contenute negli scompartimenti già allagati, che comunque ben presto fu ridotto.  Così faceva di tutto per dare l'impressione che niente di grave stesse per succedere.

I passeggeri comunque non stavano capendo. Nemmeno immaginavano il grave disastro a cui stavano andando incontro. Non indossavano i salvagente anche se era stato richiesto loro di farlo, e molti perdevano tempo a  giocare con i pezzi dell'iceberg che si trovavano sul ponte di prua, o a cercarne di "carini"da usare  come souvenir, o canzonavano chi indossava il salvagente e mostrava segni di ansia.

Quando l'orchestra verso le 24.20 si posizionò nel salone di prima classe per suonare, molti di loro si misero addirittura a ballare con il proprio marito o la propria   moglie.
 
La prima scialuppa fu calata in mare quasi  un’ora dopo l'impatto, e cioè alle 00.40. Aveva solo 28 persone a bordo per una capacità di 65 passeggeri. Poco dopo ne fu calata un’altra che al suo interno aveva solo 12 persone.
Gli ufficiali, preoccupati che le scialuppe non reggessero il peso, le mandavano in acqua praticamente vuote, sprecandone così quasi  la metà.

Era solo l'inizio di quella che sarebbe stata una vera tragedia.




                                                                                                           XXXXX




Thad era nervoso.
Non aveva preventivato che Sebastian lo seguisse  e si sentiva un idiota totale per questo. Conosceva l'uomo, sapeva che se si metteva in testa qualcosa nessuno poteva fargli cambiare idea e, per qualche motivo, adesso aveva deciso  di non lasciare la nave se  non quando Thad fosse   salito con lui su una scialuppa.
Era una responsabilità enorme per Thad.

Eppure anche quello che stava facendo era importante e andava fatto e non poteva semplicemente ignorare tutto  per assicurarsi che Sebastian si mettesse in salvo.
Al tempo stesso, lui non poteva mettersi in salvo se prima non sapeva che anche Fabrizio e gli altri avrebbero avuto almeno una chance per farlo.
Non capiva il senso del resto: perché chiudere i cancelli di terza? Perché condannare volutamente quegli uomini a rischiare la vita?

Fino a quel momento  però non erano stati molto fortunati.
Avevano già trovato due cancelli che conducevano al ponte di terza classe ed erano entrambi chiusi con guardie e addetti della nave a tenerli d'occhio. Thad aveva cercato di parlare con loro e quando questo non era stato sufficiente anche Sebastian si era fatto avanti forte del suo buon nome, ma nessuno aveva dato loro ascolto.

"Perché fanno questo?" aveva chiesto a un certo punto esasperato Thad a Sebastian mentre cercavano di raggiungere l'ennesimo cancello.

"Immagino siano stati ordini del capitano" tergiversò Sebastian che continuava  a seguirlo senza protestare più di tanto.
 
"Smith mi era sembrato un uomo più umano di così" lo accusò Thad, la voce resa acuta da una rabbia quasi incontenibile.
Aveva visto i volti dei passeggeri di terza al di là di quei cancelli. La paura che si mischiava alla speranza che fosse finalmente  giunto qualcuno che avrebbe dato loro la possibilità di salvarsi.  Thad si era sentito male nello scoprire che non poteva fare nulla invece.

"Lo è. Perlomeno la sua lunga carriera suggerisce questo,  ma stavolta non credo dipenda solo da lui. Ci sono più di 2000 passeggeri su questa nave. Se li facesse salire tutti insieme sarebbe il caos e l'equipaggio non potrebbe aiutare nessuno." Disse Sebastian, ma Thad capì che mentiva perché non lo guardava in viso mentre parlava bensì un po' ovunque. E Sebastian lo faceva solo quando gli diceva bugie. Lo aveva fatto anche quando gli aveva detto che avrebbe dovuto sposare Lady Lopez ma che per loro nulla sarebbe cambiato. Ben sapendo che invece tutto sarebbe cambiato.

E stava per chiedere cosa gli stava nascondendo quando Thad avvistò un altro cancello che conduceva alla terza classe e vi  corse incontro. A differenza degli altri non c'era nessuno davanti  a questo però, e la cosa risultava strana.
Ma poco male perché come gli altri anche questo era chiuso.

A un tratto la rabbia che Thad sentiva dentro esplose. Si avventò sul cancello cercando di aprirlo mentre urlava improperi di ogni tipo.
Non aveva ancora visto né Fabrizio né gli altri e cominciava ad esserne preoccupato.
E non era solo quello. Perché più tempo lui passava su quella nave, più ce ne passava Sebastian e quel senso di terrore stava ancora attanagliando il suo cuore.

Sebastian svelto lo prese per le spalle cercando di calmarlo e Thad si voltò spingendolo lontano con forza.
"Cosa diavolo ci fai ancora qui tu? Sali sulla tua scialuppa e vattene!" inveì contro di lui cieco di rabbia.

"Non posso, Thad. E anche se potessi non lo farei. Non ti lascerei qui" ripeté Sebastian e Thad cominciava a non poterne più. Non intendeva suicidarsi e sarebbe sicuramente salito su una scialuppa quando fosse toccato ai passeggeri di seconda classe. Perché Sebastian ne era spaventato quindi?
"Cosa è che non mi dici?" chiese così Thad quasi urlando perché anche quella situazione con Sebastian lo stava innervosendo.
 
L'altro però cominciò a scuotere la testa come se non intendesse rispondere a quello e  gli fece segno di continuare a camminare. "Ci saranno altri cancelli più avanti  se vuoi controllarli. Sbrighiamoci."

"Sebastian, non mi muovo se non mi dici cosa ti prende" disse ancora Thad ormai convinto che fosse successo qualcosa di grave.

A quella domanda Sebastian si fermò e si portò le mani alla testa come se provasse un grosso dolore e chiudendo gli occhi rispose: "Non ci sono abbastanza scialuppe, Thad."

"Cosa, cosa vuol dire questo?" sussurrò Thad che davvero non afferrava il senso di quelle parole. Che voleva dire che non c'erano abbastanza scialuppe? Santo Dio, quella nave era il nuovo gigante dell'oceano, la nave più lussuosa creata fino a quel momento, una nave che conteneva una palestra, un caffè, un ristorante, una chiesa  e le cabine tra le più grandi e lussuose mai viste… e non aveva scialuppe sufficienti per salvare i suoi passeggeri? Era assurdo.

"Kurt me lo ha detto quando mi ha fatto fare il giro turistico della nave" precisò allora Sebastian come leggendo il suo stupore nel suo viso. "Le scialuppe avrebbero dovuto essere 36 ma la White Star ha richiesto la rimozione di 16 di esse perché rovinavano l'estetica del ponte, e adesso ne restano solo poco più della metà. Non possono salvare tutti Thad, credo sia per questo che hanno chiuso i cancelli di terza. Credo che li stiano volutamente sacrificando. Ed è... terribile."

E lo era, lo era veramente.  Non solo per quello che le parole di Sebastian implicavano per i suoi amici, ma anche e soprattutto per quello che significavano per lo stesso Sebastian.
"Mi stai dicendo che neanche tu... potrai salire su una scialuppa se... se quando saliremo non...." ma Thad non continuò la frase mentre un’enorme bolla di spavento esplodeva dentro di lui, immobilizzandolo. Non aveva mai contemplato l'idea che Sebastian non si salvasse. Aveva sospettato che potesse succedere a lui, certo, ma non a Sebastian. Ed era tremendo sapere che l'unica possibilità di mettersi in salvo che forse aveva avuto era stata accantonata per seguire lui.

"Penso che Kurt mi darà una mano, ma non è sicuro, no" rispose comunque Sebastian, risultando più calmo di quanto lo stesso Thad si sentisse in quel momento.

"Perché mi sei venuto dietro?"

"Lo sai perché. Pensi davvero che avrei potuto lasciarti qui sapendo quello che so, Thad? Voglio che tu sia con me quando salirò sulla scialuppa. Non ti lascio qui. "

"Allora perché non me lo hai detto subito, perché non mi hai impedito di fare lo stupido?"

"Perché ti saresti sentito in colpa dopo. Diavolo, io stesso mi sento in colpa dopo aver visto le facce di quelle persone. Il tuo lato compassionevole e altruista è ciò che di te più amo e non potrei mai farti una colpa di aver voluto provare a salvare i tuoi amici, Thad. "

"Ma tu stai rischiando per questo, e io non posso accettarlo, Sebastian. Non avrei mai voluto questo e se lo avessi saputo sarei salito su quella scialuppa subito, pur di sapere che anche tu eri in salvo."

Sebastian si lasciò andare a una risatina triste a quelle parole e poi sussurrò: "Sembra che non riesca ad essere egoista quando dovrei esserlo, eh? Scelgo sempre il momento sbagliato."

"Oh Sebastian" disse Thad e poi si avvicinò a lui per poterlo abbracciare. Fu in quella posizione, stretto al corpo caldo e forte dell'altro che chiese: "Il Titanic affonderà davvero, eh?"
Era una domanda che gli girava in testa dal momento dell’impatto con l'iceberg. Benché avesse sentito Hummel infatti, un piccolo dubbio lo aveva avuto vedendo come si comportava l'equipaggio della nave. Tranquillo, estremamente tranquillo. Troppo per un rischio elevato come quello.

"Sì, hai sentito Kurt: niente lo potrà impedire" gli rispose Sebastian ricambiando quell'abbraccio con trasporto.

"Dovremo uscire di qui" sentenziò così Thad staccandosi da lui.

"Non vuoi più cercare i tuoi amici?"

"Non se tu rischi..." cominciò a dire Thad, ma Sebastian lo interruppe posando un dito dolcemente sulle sue labbra.
"Sono i tuoi amici. E non ti perdoneresti se li abbandonassi qui,  e io non perdonerei me stesso se te lo lasciassi fare. Siamo insieme Thad ed è questo quello che conta, e  fino a che lo resteremo io non avrò paura. Andiamo?" chiese poi porgendogli la mano che Thad con un sorriso prese subito tra le sue.

Sebastian non poteva sapere allora, sepolto dentro lo scheletro della nave, quello che la gente fuori stava cominciando appena  a capire.
Il Titanic stava affondando davvero molto rapidamente. Troppo, per una nave di quella stazza.

Mentre Thad e Sebastian riprendevano, mano nella mano, a cercare i cancelli che conducevano in terza, la prua si stava lentamente  inabissando e l'oceano invadeva sempre più scompartimenti.
Dal cancello davanti a cui erano appena stati, presto prese a uscire molta acqua che si riversò anche in quei corridoi salendo sempre di più. Il motivo per cui nessuno era stato lì davanti infatti, era che quella zona della nave era già perduta.
Lo scheletro di ferro del Titanic, che soccombeva sotto il peso della marea sempre più crescente, mandava il suo lamento ovunque ed era terribile.  

Thad e Sebastian trovarono Fabrizio e gli altri davanti al quarto cancello, e stavolta a differenza delle altre,  Sebastian riuscì a farsi ascoltare dall'agitata  guardia e a farglielo aprire.
Lui e Thad poi cominciarono a guidare i pochi passeggeri che erano stati davanti a quel uscita in quel dedalo di corridoi. Thad li conosceva un po' meglio, ma era comunque difficoltoso destreggiarsi.
Senza l'ausilio degli ascensori che ormai non scendevano e salivano più e con le poche vie di accesso alla prima classe e ai ponti lasciate aperte risultò un lavoro complicato e assai difficile, anzi.
Fecero molti giri e molti risultarono a vuoto e una volta si ritrovarono in una zona completamente allagata tanto che dovettero tornare indietro.

Quando riuscirono a salire in prima classe fu considerevolmente più facile da lì uscire poi sui ponti.
Ma quando ci arrivarono si trovarono davanti a uno spettacolo che non si erano aspettati.

Lì fuori adesso era il caos.





                                                                                                               XXXX





Alle 1.30, quasi due ore dopo la collisione, il Titanic aveva imbarcato almeno 25 milioni di litri d'acqua e la prua era già completamente sommersa, mentre la poppa restava fuori dall'acqua  continuando pericolosamente a inclinarsi verso il cielo.
Era chiaro per tutti ormai quello che sarebbe successo, e il panico era ovunque.

I passeggeri si erano riversati fuori sui ponti in cerca della salvezza che solo una scialuppa avrebbe potuto dare loro.
Purtroppo però le scialuppe non erano sufficienti, e gli ufficiali dovevano ricorrere a misure drastiche per impedire che la gente le assaltasse causandone anche il rovesciamento.
Molti colpi furono sparati in aria quella notte.

I passeggeri di terza classe, prima rinchiusi da cancelli e dopo, quando questi furono aperti, in difficoltà nel trovare la strada per il ponte di prima dato che non era mai stato concesso loro di salirvi e non era previsto che ciò fosse fatto, a parte che per i passaggi usati dal personale di bordo,  uscirono sul ponte solo quando per loro trovare la salvezza  era ormai impossibile.

Nonostante il terrore e il caos, gli ufficiali continuavano senza sosta a imbarcare gente e a mandare segnali con i razzi per le navi chiamate in soccorso e a cercare gente in giro per la nave a cui far indossare i salvagente.

Eppure lo stesso non avrebbero potuto fare nulla di più di ciò che avevano  già fatto.
Che non era abbastanza.

Non  ci sarebbe stata salvezza per tutti  quella notte.
Non poteva esserci.

Molti lo avevano sempre saputo. Per tutti gli altri cominciava ad essere dolorosamente chiaro.





                                                                                                              XXXXX




Bruce Ismay, amministratore delegato della White Star Line, colui che aveva dato il nome al Titanic e che aveva  imposto l'accensione degli ultimi motori nonostante l'avviso iceberg diramato, non si diede molto da fare la notte tra il 14 e il 15 aprile 1912.
Cominciò ad aiutare la gente a salire a bordo delle scialuppe, ma quando il caos imperversò fu uno dei primi ad abbandonare il suo posto per mettersi in salvo.
E questo ben prima che le cose divenissero tragiche.
Più dell'iceberg che squarciò il Titanic  con una pressione di 958 kg/cm2 causandone il repentino affondamento, fu Ismay a causare la morte dei suoi passeggeri.
E tutto per arrivare prima del previsto in America.
Gustave le Bon diceva: "Ciò che facciamo per orgoglio è spesso superiore a quello che completiamo per dovere."
Il Titanic non sarebbe mai arrivato in America. E la storia  avrebbe ribattezzato Bruce Ismay, Brute ossia Bestia.
Ma poco male. Ogni uomo in fondo è causa del proprio destino.



Brittany Pierce non era una vera lady.
Aveva ottenuto il titolo solo quando Lady Lopez per simpatia verso la madre, nobile decaduta, l'aveva scelta come dama di compagnia della sua figlia maggiore, Santana. Le era piaciuta quella vita, per un po'. I vestiti di classe, i balli, le cene con persone importanti, i viaggi. Erano tutto quello che per molto tempo aveva guardato con invidia senza potervi accedere.  Ma poi aveva avuto tutto e aveva scoperto che quella vita le stava stretta. Che la trovava noiosa, ripetitiva.
Lei era uno spirito più semplice, e sognava la libertà.
Aveva sperato che con il matrimonio di lady Santana sarebbe stata più libera, ma la donna sembrava avere più bisogno di  prima di lei e l'aveva anche costretta a quel viaggio e a una vita ancor più rigida visto il cognome importante di cui era portatrice adesso.
Quando era scesa nella sua cabina dietro invito di Lady Santana, non c'era stato terrore nel suo cuore. Lady Pierce ne sapeva ben poco di navi e tutti i suoi pensieri erano occupati dal fatto che aveva deciso, arrivata in America, di accettare la proposta di matrimonio del vecchio amico di suo padre. Era davvero un uomo vecchio per lei ed era solo un banchiere noioso, è vero, ma la ragazza provava affetto per lui e pensava che le avrebbe dato la vita che sognava, e tutta la libertà che anelava.
Non lo aveva ancora detto a Santana, che era quasi un’amica per lei, ma solo perché aveva deciso di farlo quando il fidanzamento sarebbe stato reso ufficiale.
Quando si distese sul letto lo fece solo per riposarsi un po'. In attesa che Lord Smythe la venisse a chiamare pensò che sarebbe stato saggio recuperare un po' di ore di sonno.
Il ponte dove si trovava la sua cabina era praticamente vuoto ormai e nessuno la disturbò.
Quando cominciarono le urla, e il rumore dei razzi, e gli stessi suoni che produceva la nave che si stava piano piano spaccando e riempiendo d'acqua Brittany non si accorse di nulla.
L'acqua era già  filtrata dalla porta  e l'aveva  trovata così, addormentata e serena.
E così serena se l'era  portata via.



Il capitano John Smith,  aveva continuato ad aiutare  ad imbarcare gente sulle scialuppe fino a che era stato possibile farlo. Quando  era sparito lo aveva fatto  liberando i suoi uomini dal loro lavoro con la frase: "Salvatevi, se potete."
Era chiaro che lui non lo avrebbe fatto. Un capitano, un vero capitano, resta a bordo della nave fino a che c'è anche un solo uomo sopra di essa. Questo gli era stato insegnato, e questo aveva fatto durante tutta la sua carriera e i molti problemi che aveva affrontato con successo in marina.
Stavolta era diverso. Lo aveva saputo fin dall'inizio. Aveva saputo  fin dall'inizio che non avrebbe mai  e poi mai potuto far abbandonare la nave a tutti gli uomini che vi erano sopra e spontaneamente aveva deciso di restare a bordo fino alla fine.
Quello sarebbe stato il suo ultimo viaggio. Smith era già in pensione quando aveva accettato di condurre il Titanic nel suo viaggio inaugurale.
E adesso era diventato letteralmente il suo ultimo viaggio.
Nessuno vide dove si diresse e nessuno lo vide più dopo.
Certo era che  tutti sapevano che anche questa volta John Smith non avrebbe lasciato la sua nave.
Perché  era un capitano e un vero gentiluomo.
Lo sarebbe stato fino all'ultimo.



Thomas Andrews, dal canto suo, trascorse le ultime ore della sua vita cercando di rassicurare i passeggeri e il personale di bordo incitandoli a indossare i salvagente benché lui stesso non ne indossasse uno. A un certo punto anche lui aveva capito che non avrebbe mai lasciato quella nave.
Ma in un certo senso pensava che dovesse essere così.
Lui aveva creato il Titanic, lui non aveva lottato per renderlo ancora più sicuro di quanto fosse. E lui avrebbe dovuto portare con sé la colpa dell'accaduto.
Andrews decise di non fare nemmeno un tentativo di salvarsi quindi, e di restare con la sua creatura fino all'ultimo.
Un cameriere, dopo, disse di averlo visto nel salone del ristorante intento a fissare un quadro. Disse che gli aveva chiesto se non intendeva salvarsi e per tutta risposta Andrews gli diede il  salvagente che portava con sé  vedendo che il cameriere non ne aveva uno.
"Dai il buon esempio. Quando finiranno in acqua questi saranno utili" gli disse con voce spenta per poi tornare a fissare il quadro. Quando il cameriere corse via, l'uomo era ancora lì.
Ci sono uomini che fuggono via dalle loro responsabilità. Ce ne sono altri che  semplicemente, restano ad affrontarle e  scelgono   il loro  destino.
E Andrews aveva scelto il suo.



Margareth   Brown aveva un suo credo.
Nata in una famiglia di poveri immigrati irlandesi, aveva lavorato come sarta e commessa ed era diventata ricca solo quando suo marito era diventato padrone di una miniera e aveva fondato  una sua società.
Era stata baciata dalla fortuna che le aveva cambiato la vita dandole forse di più di quanto meritasse.
E Molly, come tutti la chiamavano, era convinta che un uomo  dovesse anche dire grazie per la sua fortuna.
Così, attiva in vari campi umanitari, Molly cercava di rendere al mondo un po' di quella fortuna che costeggiava la sua vita.
Quando salì sulla scialuppa era ben conscia di essere ancora una volta tra i fortunati e chiese agli ufficiali di continuare a caricare gente ripetendo incessantemente che c'era posto, c'era ancora posto.
Lo fece fino a quando un  mozzo, spaventato,   la obbligò a sedersi e a chiudere il becco o l'avrebbe gettata di sotto creando ancora più spazio.
Non dimenticò di essere tra i fortunati nemmeno mentre la scialuppa si allontanava dal Titanic e dalle sue urla sempre più forti.
Più tardi avrebbe avuto modo di usare quella forza che l'aveva sempre contraddistinta in vita,  e la storia le avrebbe dato un grande ruolo in quella tragedia, un ruolo  che lei  avrebbe portato a termine in modo egregio.
Ma non avrebbe mai e poi dimenticato quanto fosse stata fortunata quella notte.



Robert William Daniel, passeggero di prima classe, dopo aver affidato la famiglia alla cure degli ufficiali che li misero in salvo su una scialuppa,  sfidò la furia dell'acqua gelida e scese fino al ponte inferiore allagato solo per poter liberare il suo bulldog Rigel dalle gabbie in cui era rinchiuso.  
Già che era lì, liberò anche tutti gli altri piccoli animali rinchiusi -terrier, pechinesi, volpini e chow wow - affinché potessero avere una chance di salvarsi.
Amava gli animali Daniel, e quando il suo compito fu assolto cercò di tornare sul ponte principale. Non gli fu possibile, però. L'acqua aveva ormai invaso tutta la zona e non vi era più alcuna via di uscita per lui.
Mentre l'acqua saliva inesorabilmente inghiottendolo Daniel pensò che forse qualcuno di quegli  animali grazie a lui si sarebbe ricongiunto con il suo padrone. Era un buon pensiero da concedersi in un momento simile.
Rigel  dal canto suo, restò al fianco del padrone fino a quando questi non morì. Dopo, restò semplicemente ad aspettare che  l'oceano  inghiottisse anche lui.



John Jacob Astor aveva sempre scelto il suo destino e anche quella notte lo fece. Scelse il suo destino e fece  quello che doveva. Era riuscito a far salire la sua giovane moglie su una delle scialuppe, e anche se il posto accanto a lei gli era stato rifiutato, non si era demoralizzato.
Suo figlio sarebbe vissuto. Nulla contava di più.
L'ultima cosa che Astor fece poco prima di scendere di nuovo nel salone principale e aspettare lì la morte fu osservare il cielo stellato sopra la sua testa  e pregare che fosse   un bambino sano, forte e coraggioso. Un uomo o una donna che avrebbe portato conforto alla madre.
Qualcuno in grado di fare le sue scelte come aveva sempre saputo fare il padre.  Senza paura. Senza rimpianti.



Ida Straus non era nessuno. Solo una donna innamorata che aveva vissuto tutta la vita con suo marito Isidor fino a creare con lui un piccolo impero con i loro magazzini Macy's. Avevano avuto 8 figli, molti nipotini. Avevano avuto una vita grande.
Quando le fu offerto un posto su una scialuppa, posto suo di diritto proprio in virtù del suo ruolo di passeggera donna della prima classe,  si rifiutò di prenderlo per restare accanto al marito.
"Come abbiamo vissuto insieme, moriremo insieme "esclamò la donna per giustificare il suo rifiuto.
Quando l'ufficiale disse che forse visto l'eta dell'uomo anche lui sarebbe potuto salire a bordo con la donna, l'uomo rifiutò gentilmente a sua volta per lasciare   il proprio posto alla loro cameriera che, altrimenti, non si sarebbe salvata.
Senza paura, o rimpianto, anche Ida e Isidor fecero  la loro  scelta quella notte.
Dimostrando nella tragedia che ancora una volta l'amore era  più forte della paura.




                                                                                                               XXXXX




La musica aveva uno strano potere.
Blaine Anderson ne era sempre stato convinto. Fin da quando, da bambino, aveva scoperto il potere terapeutico di un piano suonato nel cuore della notte. O quello di un violino lasciato libero di esprimere la propria magia attraverso le sue mani.

Mentre le urla intorno a lui si susseguivano, mentre i passeggeri gli correvano intorno  cercando di salvarsi e lui tentava di mantenere il ritmo nonostante le spinte che riceveva, pensava che ce l'avesse persino in quel momento.
La nave si stava inclinando pericolosamente e lui e gli altri membri della banda dovevano tenersi vicini  l'uno all'altro  per evitare di cadere mentre continuavano a suonare, ma nella musica Blaine si sentiva in pace. Persino in quel momento in cui aveva già capito cosa gli sarebbe successo.

Non ci sarebbe stata salvezza per lui. Non era previsto che ci fosse, e non poteva esserci.
Non era nato tra i prescelti, e a bordo di quella nave nemmeno quelli che lo erano sempre stati sembravano destinati ad avere poi tanta più fortuna di lui.

Kurt gli aveva parlato della nave, e Blaine sapeva che le scialuppe non bastavano. Sapeva che non ce ne sarebbe stata una per lui. Sapeva che non c'era  mai stata.
Quando il capitano aveva chiesto loro di suonare per evitare che le persone fossero colte dal panico, quando aveva stretto loro la mano e li aveva ringraziati per il lavoro svolto fino a quel momento, augurando loro  buona fortuna, lo sapeva  non ci sarebbe stata chance per loro? Blaine credeva di sì.
Dal canto suo, lui lo aveva saputo nell'attimo stesso in cui con gli altri otto membri della sua banda si era messo a suonare in mezzo a quel ponte.
Ma non si era tirato indietro.

E dopo, quando nessuno li ascoltava ormai più, sapeva che aveva continuato a farlo come gli altri solo perché...

La musica è magia.
Chiunque dovrebbe poterla sentire poco prima di morire.

Lui in questo era stato fortunato. Come lo era stato nell'incontrare Kurt, nel poter avere modo di amarlo. Amarlo davvero con tutto se stesso. E lo aveva fatto. Lo aveva fatto fino all'ultimo.
Forse adesso non ci sarebbe stato posto in paradiso per lui, come diceva la Bibbia, a causa del suo peccato, ma a Blaine non interessava. Non si pentiva di aver amato un altro uomo, e ancor meno si pentiva del fatto che questi fosse stato Kurt. Avrebbe peccato in quel modo per molto ancora se gli fosse stato permesso.
E di questo ringraziava Dio, se un Dio c'era.

Avrebbe solo voluto vederlo un’ultima volta per  dargli un bacio, e questo era il suo unico rimpianto.  Ma Kurt era chissà dove, a cercare di salvare quante più persone possibili e forse, se fosse stato fortunato, lui ce l'avrebbe fatta alla fine. Si sarebbe salvato.
Dio, Blaine lo sperava con tutto se stesso.

Così suonò, suonò mettendo in quella musica tutto il suo amore. Sperava che dovunque si trovasse ora, Kurt riuscisse a sentirla e a capire che nelle note di "Nearer, My God, to Thee " c'era un messaggio per lui, la preghiera di Blaine per lui.  Che quello era il suo modo di dirgli: "Ciao, amore."
Non addio. Non gli avrebbe mai detto addio.

Quando la musica finì, e stavolta per davvero, e l'acqua arrivò a lambirgli i piedi, Blaine registrò a malapena, il capo della banda Wallace Hartley, che diceva con enfasi: "E' stato un onore suonare con voi stasera, signori".   

Wallace aveva 33 anni. Tutto il resto della banda - tranne Blaine che ne aveva 27- arrivava a malapena ai 20 anni. Erano ragazzi che sognavano una vita migliore di giorno e che di notte rincorrevano le gonne delle giovani cameriere a bordo, in attesa della propria occasione per vivere una vita più appagante e completa, ragazzi che non pensavano a cose come la morte, ma solo a come sarebbe stato per loro il nuovo giorno. Eppure nessuno di loro si era tirato indietro per cercare una chance, e tutti erano rimasti lì a suonare fino alla fine.
Sì, come aveva detto Wallace, era stato un onore suonare con loro quella sera.

Dopo, quando cominciò a lottare con la forza dell'acqua fredda che lo stava inghiottendo, Blaine disse con rimpianto addio al  violino che gli aveva regalato sua nonna Anne e lo affidò all'inclemenza dell'acqua, mentre lui cominciava a nuotare cercando di allontanarsi il più possibile dal risucchio della nave che stava affondando. Ed era difficile, così difficile.

 Nella sua mente non c'era nulla, solo lo spazio per pensare:  "Kurt, ti amo Kurt."

Non ci fu terrore per lui.
Blaine Anderson era un uomo che aveva peccato in vita sua di troppo amore, se questo era poi davvero un peccato. Ma quando arrivò il freddo, per lui ci fu solo pace.
E la speranza che Kurt si sarebbe salvato.

Dopo restò solo il freddo. Solo tanto freddo.




                                                                                                              XXXXX




Kurt stava correndo più veloce che poteva.
Avvolgeva corde, liberava le scialuppe dai  propri cardini, urlava cercando di farsi sentire sopra il rumore delle grida e dei rotori che tiravano già le scialuppe dai propri alloggi.
Non c'era tempo, non c'era più tempo.

Non stavano salvando abbastanza persone, non stavano facendo abbastanza in fretta.  Qualcuno aveva fatto uscire le prime sei scialuppe quasi vuote e adesso avrebbero potuto salvare ancora meno persone del previsto.
Non avrebbero potuto in ogni caso salvarle tutte, ma Kurt ci aveva sperato. Ci aveva sperato che sarebbe andata meglio di come stava andando.

Sapeva che dopo qualcuno avrebbe guardato a quella tragedia e avrebbe trovato mille dettagli di cui accusare i marinai di stazza su quella nave. E sarebbe stato facile per loro parlare di ordine e  efficienza. Ma lui era lì, fianco a fianco di quegli uomini, e non aveva proprio nulla di cui accusarli.
Non erano precisi e perfetti? Avevano commesso errori? Sì. Ma  stavano per morire. E lo sapevano. Senza ombra di dubbio. Gli era concesso essere spaventati e caotici. Gli era concesso essere poco precisi e forse troppo frettolosi.  Eppure non stavano mollando, anche se il capitano aveva dato loro il via libera dal loro ruolo, ma  continuavano a svolgere il loro lavoro seppur con il terrore nel cuore.
E forse non erano precisi, perfetti, e marinai integerrimi, ma in quel momento erano di sicuro uomini, uomini che stavano portando a termine il loro compito nel modo migliore possibile.

Quando l'ultima scialuppa fu posizionata, Kurt cominciò a far salire le persone che aveva vicino. Né lui né gli altri  badavano più  a se erano di prima classe, solo donne o bambini o che altro. Le facevano salire sopra e basta.
Avrebbero dovuto farlo subito probabilmente. Non avrebbero potuto salvarli tutti  in ogni modo e non dipendeva  dal loro lavoro o dalla loro efficienza, ma avrebbero dovuto fin da subito cercare di salvarne il più possibile. Sì,  Kurt era fiero di tutti gli uomini che erano vicini a lui in quel momento. Non riteneva di poter giudicare nemmeno  Murdoch che si diceva si fosse sparato un colpo in testa dopo aver ucciso un passeggero nella foga di non far scatenare il panico. Semplicemente era impossibile. Stavano agendo in una situazione in cui non potevano vincere.  Ma non si fermavano. Anzi, molti ufficiali stavano gettando in mare cose che secondo loro avrebbero potuto aiutare i passeggeri finiti in acqua e quelli che di sicuro ci sarebbero finiti poi a restare fuori dall'acqua gelida il più possibile in attesa dei soccorsi. Kurt non poteva che essere fiero di questo.

Era fiero anche di Blaine che dall'altra parte della nave stava ancora suonando. Lo sentiva, al di sopra delle urla e di tutto il rumore.  Lo sentiva.
Lo sentì anche quando suonò quella canzone, quella che suonava sempre per lui al piano della tenuta quando erano ragazzini che avevano appena scoperto di amarsi, quando cercavano di convincersi che Dio non avrebbe chiuso le porta del paradiso in faccia a qualcuno in grado di provare un simile sentimento di amore.  
Percepì il suo ciao in quelle parole. Non addio, perché Blaine non gli avrebbe mai detto addio, ma ciao.

E per un attimo un’immensa rabbia montò in lui. Avrebbe voluto che Blaine andasse a cercare la sua fortuna, la sua chance di salvarsi, invece di stare lì a suonare per gente che nemmeno lo ascoltava. Lui sapeva che non avrebbe lasciato quella nave fino a che non lo avesse fatto l'ultima scialuppa, ma avrebbe voluto che Blaine non si arrendesse subito in quel modo. Ma fu solo un attimo. Blaine in realtà non aveva avuto scelta e così nemmeno Kurt si sarebbe concesso di averla.
Senza Blaine non poteva.

Dopo ci furono solo le lacrime che gli appannavano la vista mentre prendeva le persone senza nemmeno guardarle in volto e le faceva salire alla svelta sulla scialuppa.
"Ti amo Blaine, ti amo" ripeteva incessantemente la sua mente.

Quando l'acqua prese a invadere il ponte  qualcuno cominciò a urlare: "I tiranti, tagliate i tiranti! Non c'è tempo per calarla." Kurt svelto fece uscire il coltellino di ordinanza  dalla tasca della giacca e si avventò su una corda per tagliarla. Le urla intorno a lui triplicarono piene di terrore fino a coprire anche il suono della musica suonata da Blaine e tutta la sua attenzione fu presa dall'acqua  che inesorabile saliva sempre di più.

In quell'attimo Kurt pensò al volto delle sue bambine. Pensò che avrebbe voluto rivederle. Dire loro tutte quelle cose che ancora non era riuscito a dir loro. Baciarle. Stringerle a sé.
Pensò che avrebbe voluto avere la possibilità di dir loro che non importava chi sarebbero state  e chi avrebbero preferito amare. Lui le avrebbe sempre accettate e amate. Sempre. E non avrebbe mai chiesto di loro di fingersi diverse da ciò che erano.

L'ultima cosa che sentì Kurt  quella notte, fu il rumore di uno dei fumaioli del Titanic posti sopra di lui,  che sotto il peso della forza dell'acqua, si staccava dai propri tiranti  per venire giù.
Proprio addosso a lui.





                                                                                                               XXXX




Poco dopo le  2.00 l'ufficiale Lightoller disse ai suoi uomini che dovevano liberare il battello pieghevole B dai propri tiranti. Era  l'ultimo rimasto a loro disposizione.
Circa un centinaio di persone si radunarono lì intorno, e fra loro vi erano anche tutti i macchinisti che avevano lavorato fino all'ultimo alle pompe per cercare di rallentare l'affondamento.
Nessuno di loro si sarebbe salvato, però.  Nessuno.

Lightoller fu costretto a formare una catena umana con le persone che erano riuscite a salire sul battello con lui per evitare che  quelli rimasti sulla nave facessero rovesciare l'imbarcazione nel tentativo di salire a bordo.

E su tutto vegliava ancora l'ombra dell'iceberg  dal quale non erano riusciti ad allontanarsi poi molto quando i motori erano stati arrestati,  che se ne stava lì  a osservarli come una gigantesca sentinella che si faceva beffa dei loro sforzi e della loro paura.

Quando Lightoller riuscì ad allontanarsi dal Titanic, circa 1400 persone rimasero a bordo.
Sebastian e Thad erano tra questi.




                                                                                                          XXXXXX





Procedevano a fatica adesso.
La gente si stava raggruppando tutta verso la poppa e cercare di raggiungerla era difficoltoso.
La nave si stava inclinando, la prua ormai era del tutto sommersa dall'acqua  e raggiungere la poppa equivaleva a restare fuori dall'acqua  gelida e  tutti quelli rimasti sulla nave - che erano davvero tantissimi, Dio! Tantissimi - stavano cercando di raggiungerla.

Sebastian si muoveva dietro a Thad, lasciava che fosse lui a guidarlo, perché Thad  conosceva quei ponti meglio di lui, tenendosi aggrappato alla sua mano.

C'erano gruppi di persone in ginocchio davanti a due preti che stavano pregando ad alta voce, altri che se ne stavano in angoli in attesa di chissà cosa, altri ancora che continuavano a correre senza una meta precisa, preda del più totale panico.

Thad invece si sentiva in colpa.
Si sentiva in colpa per aver costretto Sebastian a restare sulla nave troppo a lungo  facendogli perdere così anche la sua possibilità di salvarsi.  Quando erano saliti non erano riusciti a trovare Kurt in quel caos infatti, e di scialuppe non vi era più ombra.  Se solo avesse saputo prima che non c'erano abbastanza imbarcazioni per salvarsi, se solo Sebastian glielo avesse detto, lo avrebbe seguito subito e solo per essere certo che si mettesse in salvo.
Non gli importava molto di cosa sarebbe successo a lui in quel momento. Voleva solo essere certo che Sebastian si mettesse in salvo.

Quando raggiunsero le scalinate che portavano alla poppa, furono costretti a rallentare  perché la gente le aveva invase per salire  e stavano procedendo davvero lentamente.
Sebastian si avvicinò ancora di più a Thad fino ad essere praticamente attaccato al suo corpo ma nessuno badava a loro o trovava strano tale atteggiamento in quel momento. Avevano altro a cui pensare del resto.

"Se restiamo il più a lungo possibile sulla nave dopo ci basterà raggiungere a nuoto una delle scialuppe vicine e saremo in salvo, vedrai" ripeté Thad per l'ennesima volta. Aveva perso il conto di quante volte aveva detto quella frase cercando di convincere più se stesso che Sebastian. Sapeva che la temperatura dell'acqua era di 0 gradi e che lì dentro le persone avrebbero potuto sopravvivere al massimo 10 minuti. Solo 20 se riuscivano a continuare a muoversi.

"Volevi lasciarmi, vero?" chiese a un tratto Sebastian cambiando  del tutto discorso, direttamente nel suo orecchio, e Thad si voltò verso di lui per quanto la gente pressata su quelle scale e addosso a loro gli consentiva di fare.

"Cosa?"chiese stupito.

"Per favore, Thad, dimmelo. Almeno adesso sii sincero con me, ti prego" uggiolò Sebastian e a Thad si spezzò il cuore.

Sebastian aveva avuto la salvezza sicura nel palmo della mano ed era rimasto su quella nave per lui. Essere onesto era il minimo che Thad poteva fare per lui adesso.
"Sì, volevo lasciarti" disse perciò, e subito afferrò anche l'altra mano di Sebastian e la strinse insieme all'altra sopra il suo busto di modo da impedirgli di allontanarsi da lui.
"Non pensavo che avrei potuto sopportare di dividerti con lei" continuò poi procedendo ancora lentamente e portandosi dietro Sebastian che stava cercando, probabilmente per rabbia, di far sì che Thad lasciasse le sue mani. Non con molta convinzione comunque, per fortuna. "Ma stasera,  quando mi hai detto quelle cose in cabina ho cominciato a credere che forse ce l'avrei potuta fare. Che se voleva dire restare con te, avere il tuo amore, forse avrei potuto sopportare anche il dolore di dividerti con qualcun'altro."

"Il tuo forse non è incoraggiante" protestò Sebastian alzando un po' la voce per farsi udire sopra gli schiamazzi della gente che avevano intorno.

Thad arrivò in cima alle scalinate e poi trascinò di lato Sebastian, perché aveva bisogno di un momento solo loro, un momento in cui spiegarsi e farsi capire anche in quel disastro. E voleva guardare negli occhi l'altro mentre lo faceva.
"Lo so. Ma non  conta. Perché questa sera, quando tu mi hai detto delle scialuppe, quando ho capito che esisteva la possibilità che ti perdessi per sempre, è stato tutto chiaro per me. Io ti amo, Sebastian. Non ho amato mai nessuno più di quanto ami te, nemmeno me stesso. E non importa quanto dovrò soffrire o lottare pur di starti vicino. Non farlo mi farebbe soffrire solo il doppio. Tu sei come l'aria per me. E quando saremo fuori da questo inferno, se tu vorrai io continuerò ad essere il tuo servo di giorno e il tuo amante di notte. Tutto quello che vuoi, pur di non perderti. Pur di non provare più la paura che sto sentendo in questo momento."

Sebastian sorrise teneramente a quelle parole e portando una mano ad accarezzare il volto di Thad, disse: "No, non voglio questo." Una frase che spiazzò un po' l'altro.
 
"E cosa, allora?"

"Voglio che tu ti senta a tuo agio. Voglio che tu sia felice del tuo ruolo. Voglio che tu abbia la certezza che se anche non posso urlarlo al mondo, io è te che amo. E quando tutto questo sarò finito, se tu vorrai andare io ti lascerò libero di farlo."

"Ma io voglio restare con te."

"E allora lo farai, ma solo perché tu avrai deciso di farlo." Sentenziò Sebastian e Thad lo attirò in un abbraccio, felice.

"Mi stai lasciando libero?"gli chiese sussurrando direttamente nel suo orecchio.

"Ti sto lasciando libero di amarmi da pari, se è questo quello che vuoi, ma amami, Thad. Per il tempo che ci resta, fallo, ti supplico"rispose Sebastian con amore e Thad lo strinse ancora di più a se.

In tutti quei mesi aveva creduto che fosse la libertà quella che anelava, ma in realtà era solo la libertà dal suo ruolo di servo. Voleva essere in grado di amare Sebastian da pari, e nulla più.
Sperava solo di non averlo scoperto troppo tardi.

La gente intorno a loro continuava a incitarsi a sbrigarsi, e a muoversi verso poppa e nessuno prestava attenzione a quei due ragazzi stretti l'uno all'altro nei pressi di quella scalinata che si stava inclinando sempre di più.

Quando Thad si staccò da lui, Sebastian gli sorrise di nuovo.
"Cerchiamo di restare su questa nave il più a lungo possibile, va bene?"disse poi.

"D'accordo" gli rispose Thad.

I due si presero di nuovo per mano e uniti in quel modo ricominciarono a  salire verso la poppa.
Non sapevano cosa avrebbe riservato per loro il futuro.
Ma avevano ancora una speranza e tutta l'intenzione di lottare per diffenderla.

E il loro amore.
Avevano ancora  il loro amore.




                                                                                                    XXXXXX




Verso le 2.10 la poppa del Titanic si sollevò al punto di formare un angolo di 30° con la superficie del mare, stagliandosi contro il cielo stellato.  La forza terrificante generata dall'emergere dello scafo provocò il lento schiacciamento della chiglia e la dilatazione delle sovrastrutture, che portarono lo scafo quasi al punto di rottura.
La ciminiera di prua si staccò, mentre l'acqua ruppe i vetri della cupola e inondò lo scalone riversandosi nella nave.
Alle 2.15 il circuito elettrico dell'intero scafo sì interruppe all'improvviso gettando il Titanic nel buio più nero.
Dopo cominciò l'ultima parte di quell' inferno.




                                                                                                        XXXXX




Santana non sapeva più che cosa stava guardando. Non sapeva che cosa stava sentendo.
Tranne per il fatto che... lo sapeva. Lo sapeva fin troppo bene, ed era tremendo.

La scialuppa sopra cui si trovava era ferma nell'immobilità dell'oceano nero che la circondava. L'aria le si addensava davanti al viso e le sue mani erano fredde, quasi congelate, nonostante il manicotto che si era portata dietro.

E le urla... quelle non smettevano.
Erano lontano, eppure ovunque.

Santana osservava impietrita il Titanic che, rimasto al buio, si alzava, lasciando fuori dall'acqua solo la poppa, e continuava a sentire quelle urla, a vedere persone che si gettavano in acqua, altre che venivano risucchiate dai finestrini ormai esplosi della nave stessa e riportate al suo interno.
Un gigante che si stava accartocciando su se stesso.

C'erano delle persone che si agitavano nell'acqua lì vicino, persone che erano cadute o si erano gettate dalla nave prima che si innalzasse.
Ma la cosa peggiore era il riverbero del rumore metallico dei corpi che, per la posizione della nave, venivano spediti contro le sue parti  metalliche.
Santana avrebbe voluto tapparsi le orecchie per tagliare fuori quei suoni e distogliere lo sguardo per non assistere a quell’ inferno ma non poteva, attratta e al tempo stessa respinta da tutto quel dolore.

Qualcuno vicino a  lei continuava a dire: "Oh mio Dio, oh mio Dio" senza sosta ma tutto il resto era silenzio.
Tranne che per le urla.

Non aveva capito. Lei non aveva capito che la situazione fosse così grave. E aveva lasciato là sopra Sebastian, e aveva fatto in modo che Brittany tornasse in cabina credendo che sarebbe stata al sicuro.
E adesso non poteva far altro che sperare che fossero tutti in salvo su una delle altre scialuppe.

Prima che il ponte fosse completamente sommerso, il Titanic s'innalzò verticalmente per tutta la sua lunghezza e, forse per 5 minuti,  almeno 150 piedi della nave di alzarono   sopra il livello del mare, diretti contro il cielo.
A un tratto uno strano rumore coprì tutto e osservando il punto in cui la nave si era inabissata, Santana vide che la chiglia si stava spaccando in due probabilmente per il peso della stessa poppa rimasta fuori dall'acqua. Quando lo fece, la parte posteriore del imbarcazione piombò con velocità di nuovo sul letto dell'acqua.

Le urla si triplicarono, allora.
E Santana sperò per un attimo che sarebbe finita. Ma dopo qualche secondo la nave si alzò di nuovo inesorabilmente seguendo la prua inabissata. L'acqua era penetrata all'interno della crepa di spezzamento e stava velocizzando  l'affondamento del troncone di prua infatti, consentendo alla poppa di rialzarsi perpendicolarmente.
Solo che stavolta non si fermò quando fu  in verticale e cominciò presto a inabissarsi del tutto a sua volta.
Non ci mise molto a sparire dai loro occhi. Il mare inghiottì il gigante che era stato il Titanic nel giro di pochi minuti.

Erano le 2.20 della notte del 15 aprile 1912.





Le urla intorno continuarono dopo, ma non per molto tempo. Non quanto Santana si era aspettata che avrebbero fatto.
Divvennero via via più deboli con il trascorrere dei minuti.
L'acqua era gelida, lo sapeva. E quanto poteva un corpo sopravvivere immerso  in quelle temperature?

Santana pensò che dovevano fare qualcosa. Che forse avrebbero dovuto tornare indietro con le scialuppe per aiutarli. E a un tratto una delle altre donne espresse chiaramente ad alta voce il suo pensiero. Santana sentì uno dei marinai  risponderle urlando che non potevano farlo, che sarebbe stato pericoloso e avrebbero imbarcato solo acqua. Ma la donna non smise di dire che era loro dovere.

 "Sono i vostri mariti e figli quelli. Che cosa vi prende donne, possiamo farlo, possiamo fargli posto." Diceva la donna con enfasi. E solo quando anche le altre cominciarono ad appoggiarla allora uno degli ufficiali disse che era vero e si prodigò per far si di svuotare una delle scialuppe trasferendo il loro contenuto in una di quelle semivuote per tornare indietro.

Quando lo fecero Santana sperò che fossero in tempo. Sperò che qualcuno li avrebbe perdonati per non aver agito, per aver aspettato.

Non si sentiva più nulla però, ormai.
Non un urlo. Non un’invocazione.

C'era solo silenzio intorno.
Solo il suono del mare.

E poi solo lacrime.
Solo... il niente.


Erano le 4.45 del 15 aprile 1912.
1518 persone erano finite in acqua quando il Titanic si era inabissato. Le scialuppe avrebbero potuto ospitarne altre 500 ma solo una di loro tornò indietro, quasi due ore dopo.

Una su venti.

60 passeggeri riuscirono a raggiungere a nuoto le scialuppe vicine dopo l'inabissamento  del Titanic e solo 6  persone furono salvate dalle acque, ancora vive, dall'unica scialuppa tornata indietro.

66 su 1518.

Ora dimmi: come puoi perdonare questo?









L'angolo della pirla che scrive ‘sta roba:
ç_ç e ancora ç_ç

Ed è tutto qui, lo vedete. Che fine hanno fatto Blaine e Kurt credo sia chiaro, come per Brittany.  E Thad e Sebastian? Lo saprete nell'epilogo. Per ora solo Santana è sicuramente salva e mi spiace se ciò delude molti di voi ma dovevo essere il più onesta con la vera storia del Titanic e una donna nella posizione di Santana sarebbe stata OVVIAMENTE salvata subito.

E quando vi sarete ripresi se volete leggere qui sotto vi spiego alcune cose tecniche che sono diverse dal film  e perché.

- L'iceberg che colpì il vero Titanic non era grosso come quello del film e non era bianco (quelli sono ghiacci dell'equatore). Era a dire il vero più basso, con i bordi frastagliati e cosiddetto nero (iceberg artico che era poi la zona dove si trovavano), praticamente impossibile da vedere di notte. In ogni caso nel film durante l'affondamento non vi è più traccia di quel gigante e visto che la nave non poteva essersene distanziata molto dopo l'arresto dei motori questo è un errore di Cameron. In questa ff Kurt dice di vederlo solo perché  la nave è ancora vicina appunto e con le sue luci accese (fino a che esse rimasero tali almeno) l'iceberg era più che visibile come si evince dagli stessi racconti di alcuni sopravvissuti. Ho pensato che inserire questo dettaglio fosse fondamentale visto che esso era la causa del loro disastro, e trovo assurdo che nessuno ci pensasse nei momenti in cui stavano affondando.
- Fu il capitano Smith a insistere che venissero salvate prima donne e bambini, non uno dei suoi ufficiali. L'uomo sapeva che la nave non aveva la quantità necessaria di scialuppe e credeva che salvare loro fosse più importante. Non parlò della terza classe nello specifico e anzi furono i suoi uomini e seguire il protocollo non ufficiale  e a tenere chiusi i cancelli per permettere a quelli di prima classe di salvarsi per primi. Certi protocolli furono aboliti solo dopo questo disastro infatti.  Il protocollo ufficiale ovviamente diceva solo di salvare per primi  i passeggeri di prima classe, poi quelli di seconda e infine quelli di terza. In poche parole, più che seguire il protocollo, che dava comunque modo anche alla terza classe di salvarsi se ovviamente le scialuppe fossero state sufficienti, l'equipaggio del Titanic operò una vera e proprio scelta che portò alla morte quasi tutti i passeggeri di quella classe. Quando Smith lo seppe ovviamente fece aprire subito i cancelli. Le parole: "Dategli la possibilità di salvarsi. Sarà Dio  a scegliere, non spetta a noi" che Cameron per metà usa anche nel film ma facendole dire a un passeggero di terza classe, in realtà furono sue. Non so perché Cameron abbia voluto mostrare Smith come un debole. Non lo fu. Fu un grande capitano e in quell'occasione lo fu più che mai. Purtroppo aprire i cancelli non aiutò i passeggeri di terza. Come racconto qui per la disposizione della nave per loro fu davvero difficoltoso raggiungere i ponti di prima, e quando ci riuscirono era ormai troppo tardi. Anche per questo le vittime sono prevalentemente di terza classe.
- Allo stesso modo Cameron fa apparire anche Molly Brown come una debole nel film. La Brown era però una grandissima donna. Lo era stata prima del Titanic e lo divenne ancora di più dopo.  L'unica scialuppa che tornò indietro fu proprio la sua e  lo fece  perché Molly  insisté che ciò fosse fatto. E non fu facile. Ci mise ore per spuntarla. Fu lei stessa a restare a comando della scialuppa in cui  furono trasferiti i passeggeri per svuotare quella che poi effettivamente tornò indietro. La storia l'ha ribattezzata "l'inaffondabile Molly Brow" per un motivo che di nuovo nel film Cameron non mostra. Non so perché. La donna che Santana sente litigare con gli ufficiali in questa storia comunque è lei, perché vi sia chiaro.
- Resto vaga sulle sorti di Murdoch perché non è certo che sia lui l'ufficiale che si è sparato in testa dopo aver colpito alcuni passeggeri che stavano cercando di scavalcarne altri per salire sulle scialuppe. Alcuni superstiti dissero che questo era successo, altri asserirono che a sparare furono altri ufficiali e altri ancora dissero di averlo visto lottare in mare con gli altri dopo l'inabissamento del Titanic. Il suo corpo non fu tra quelli  recuperati perciò non ci sono certezze. Murdoch fu colpevole della manovra che fece affondare il Titanic e forse molti hanno voluto romanzare la sua fine dandogli un intimo senso di colpa che lo portò al suicido. E' sicuro che se invece di virare avessero centrato l'iceberg con la punta della prua, la nave avrebbe resistito alla collisione e non avrebbe imbarcato acqua, ma  non penso gli si possa fare una colpa di questo. L'iceberg, proprio perché non come appare nel film ma più nascosto diciamo,  fu visibile solo all'ultimo e lui dovette pensare molto in fretta. Di sicuro se sul ponte ci fosse stato il capitano Smith, con tutta la sua esperienza, ciò non sarebbe successo ma di questo non è colpevole Murdoch. In effetti solo Ismay quando comandò l'accensione anche degli ultimi motori pur avendo ricevuto l'avviso iceberg lo fu. Di sicuro la ridotta velocità della nave avrebbe aiutato e evitare l'iceberg e comunque avrebbe portato meno danni alla nave. Purtroppo però la velocità era molto elevata. E lui fu tra i primi a scendere dalla nave e mettersi in salvo. L' UNICO tra i lavoratori della White Star Line presenti a bordo a farlo. Anche il progettista del Titanic infatti, Thomas Andrews,  rimase a bordo per aiutare i passeggeri  e morì quella notte.
I personaggi su cui mi soffermo e di cui vi racconto la morte o la salvezza, tranne ovviamente, Kurt, Blaine, Brittany, Santana, E Robert William Daniel sono personaggi davvero imbarcati sul Titanic. Daniel era a sua volta davvero passeggero della nave, passeggero di prima ma il cui corpo non fu mai ritrovato e non si sa come sia morto.  Si dice che sia morto come vi narro ma non vi sono prove di questo. Anche il cane Rigel assume diverse identità. Per alcuni è  un terrier salvato dalla Carpatia, per altri un bulldog che morì con il suo padrone. Nessuna di queste storie ha però dei reali riscontri. A me è piaciuta la storia e scoperto che sul Titanic c'erano davvero tantissimi animali e che solo 3 di essi si salvarono ho voluto inserire quel pezzettino. Non è storia però, per cui non prendetelo per vero.

Ora vi rimando all'epilogo. Ci sono ancora delle cosine da dire. Ma vi avverto... sarò onesta con questa ff. Niente finali in cui la gente trova una bolla d'aria calda che li salva dal morire ad esempio. (Chiedete alla mia beta o a mia madre. Solo loro trovano film simili mi sa) Avete voluto conoscere la mia fine, e non sarà facile.

Alla prossima(ossia Lunedì 27 gennaio)
Baci Bay24

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 04.Epilogo ***


In anticipo lo so,  ma per motivi di lavoro settimana prossima non ci sarò fino a mercoledì, quindi eccomi qui. 
Piccola premessa: ci siamo. Questa è la fine. La fine che ho sempre voluto per questa storia. Come al solito abbiate fede in me fino all'ultimo e se poi vorrete odiarmi ve ne darò tutto il diritto. Ma ricordatevi di non smettere di sperare. Mai.
Ovviamente questo capitolo oltre a essere più corto rispetto ai miei soliti standard, è tutto dal punto di vista di Santana. O quasi.
ps: alcuni numeri di questo capitolo appariranno sotto forma di numeri appunto e non lettere, come sarebbe grammaticamente più giusto, SOLO perché sia chiara e immediata la portata della tragedia.
Buona lettura.



                                                                                                             XXXXX





                                                                                                             04. Epilogo







1518 persone finirono in acqua quando il Titanic si inabissò.
C'erano diciotto scialuppe nelle vicinanze, dato che due erano state risucchiate dall'inabissamento del Titanic. Diciotto scialuppe di cui almeno la metà erano semivuote. Nessuna di loro tornò indietro quando la nave sparì nel mare, e la gente finì nell'acqua gelida, urlando per essere salvata. Circa 60 persone, a nuoto, riuscirono a raggiungere le scialuppe più vicine, ma molti di loro morirono una volta a bordo del Carpathia, a causa del prolungato tempo trascorso  nelle acque gelide.

Una sola scialuppa tornò indietro, ore dopo, quando ormai le urla di coloro finiti in mare avevano smesso di imperversare.
Una .

Solo 6 persone furono tirate vive fuori dall'acqua e, tra queste 6, non vi erano né Brittany, né Thad, né Sebastian.

Lady Santana li cercò. Quando fu al sicuro a bordo della Carpathia - arrivata per trarre in salvo i superstiti - e anche nei giorni dopo, li cercò tra coloro ripescati dalle acque e tra i passeggeri delle altre scialuppe.
E li trovò. Nella lista dei nomi degli scomparsi.
Tutti e tre.

Una flebile speranza, dato che non erano in quella dei sicuramente deceduti, come Blaine Anderson o Kurt Hummel, i cui corpi furono ripescati, stesi su un pezzo di legno, una settimana dopo l'affondamento, da un peschereccio che transitava dalle parti della tragedia. Con le mani ancora unite in una stretta ormai congelata.
Dovevano essersi ritrovati in acqua. La cosa strana era che risultava che Hummel fosse morto per un potente trauma al torace. Era stato schiacciato da qualcosa di molto pesante, insomma. E Blaine, morto per congelamento,  doveva averlo tirato fuori dall'acqua e messo su quel relitto di legno, forse non intuendo che non avrebbe mai potuto davvero salvarlo.
O forse sperando che, chiunque li avesse trovati, avrebbe potuto farlo.

Una cosa che non divenne uno scandalo solo per la particolarità della tragedia che gli aveva colpiti. Anche se Santana sapeva. Era sempre stata una brava osservatrice e aveva notato il modo in cui i due uomini erano soliti osservarsi a bordo.
Come qualcuno che ama di nascosto dal mondo.

Era il modo in cui lei osservava la sua dama di compagnia. Il modo in cui avrebbe voluto essere guardata di rimando, anche se non era mai successo. Era anche il modo in cui Sebastian guardava Harwood.

Sì, lei sapeva. Molte, troppe cose.
Avrebbe voluto sapere anche cosa fosse  successo a Brittany, Sebastian e Thad.  Ma non poteva.
I loro corpi non furono tra quelli ritrovati, come mille altri, e quando Santana toccò il suolo americano si chiese come avrebbe fatto lei, adesso, a vivere.

Lei, sopravvissuta a discapito di molti altri.
Come poteva farlo?

La famiglia Smythe le fu molto vicina. Quando si rifiutò di salire su un’altra nave per tornarsene in Inghilterra, le diedero l'usufrutto della loro proprietà in Texas e una rendita annua come vedova di Sebastian.
E, nove mesi dopo, quando divenne madre di un bel bambino che chiamò Sebastian Junior, la famiglia di suo marito le fu talmente grata che le intestarono tutti gli averi del loro figlio, in modo che la donna li amministrasse per Sebastian junior fino al raggiungimento dei suoi ventuno anni.

La resero quella che aveva sempre voluto essere, insomma. Ricca. Libera.

Alla donna non interessava più, però. Anche se per tutta la vita era stata educata a respingere la sua vera natura, per fare un matrimonio che le portasse altro prestigio e lustro, ed era infine riuscita nel suo compito, convolando a nozze con un Lord, uno degli Smythe per di più; e anche se adesso, come sua vedova, la sua rendita annua era in pratica triplicata, regalandole quella libertà dai dogmi del padre che aveva sempre agognato, a lei non interessava.

La notte del 15 aprile 1912, a bordo di una scialuppa semivuota, circondata da donne silenziose e in lacrime, Santana Lopez aveva scoperto che erano altro le cose che contavano davvero.
L'amore e il rispetto per esempio.

E lei era stata veramente affezionata a Sebastian.
Non lo avrebbe mai potuto amare, ma lo rispettava, e provava profondo affetto per lui.
Lui che non poneva nessun freno al suo carattere ribelle. Lui che ammirava la sua forza d'animo. Lui che la spronava a mostrare senza paura la sua intelligenza e il suo  coraggio. Lui che le aveva dato un figlio bellissimo e sano, un bambino con gli stessi occhi verdi del padre che le aveva insegnato un’altra stupenda lezione: amare qualcuno con tutta se stessa, senza aspettarsi niente in cambio.
E adesso lo aveva perso.

Non riusciva più a dormire, a restare in spazi aperti per troppo tempo, ad avvicinarsi all'acqua.
C'erano notti in cui la stanchezza la vinceva eppure finiva ugualmente per svegliarsi piangendo, la testa ancora piena delle urla che aveva udito quella notte.

Seguì il processo contro la compagnia White Star Line, rappresentata da Bruce Ismay, e fu felice quando la parte civile, le famiglie delle vittime, vinsero la causa. Vide il mondo cambiare la propria mentalità bigotta a causa di quella tragedia. Lo vide ridefinire i confini tra ricchi e poveri. E forse non avrebbe vissuto tanto a lungo da vedere tutti i muri venire giù, ma di sicuro aveva assistito all'inizio del declino di quegli ostacoli; e lei, proprio lei che era sempre stata amante di certi confini, cominciò a darsi molto da fare a sua volta affinché fossero aboliti del tutto.

Eppure, il senso di colpa, quello, non la lasciava. Lei aveva rimandato Brittany in camera perché non restasse fuori al freddo. Lei aveva costretto Sebastian a mentire fino all'ultimo per poter restare su quella nave con il suo vero amore, mentre lei saliva su una scialuppa semivuota fingendo di non sapere che ogni notte lui andava da Thad e solo dopo entrava nel suo letto, odorando del sesso con un  uomo, per dovere.
Lei li aveva condannati a morte. Prima ancora dell’iceberg, lei li aveva fatti andare a fondo con quella nave.
Lei che era rimasta a guardare il Titanic prima spezzarsi in due e poi colare a picco, a bordo di quella scialuppa che stava salvando il suo corpo, ma non la sua anima.

Non vi sarebbe stata più pace e nessun perdono per coloro che si erano salvati. Lo sapeva. Lo sapevano tutti.
E Santana, in fondo, sapeva che questo era anche giusto.



Cinque anni dopo l'inabissamento del Titanic, una nave che transitava da quelle parti in cerca dei relitti del transatlantico, riportò alla luce alcuni suoi tesori. Tra questi vi era un vecchio violino di Liuterza dei primi del '900.
L'acqua salata non era stata molto inclemente con lui, probabilmente lo stesso Titanic aveva fornito a quello strumento un riparo più che adeguato e, a parte ovvie riparazioni di cui necessitava, lo strumento era ancora in ottime condizioni.

Inciso sulla tastiera c'era il nome Blaine Devon Anderson.

Quando Santana lo seppe, partecipò all'asta per aggiudicarsi il violino, e la vinse.
Dopo averlo rimesso a posto, lo regalò a Sebastian Junior che aveva già mostrato, nonostante la giovane età, una certa passione per la musica.

"La storia di questo violino è molto importante. Ha suonato fino all'ultimo in un momento in cui molte persone stavano soffrendo, e la persona a cui apparteneva ha dimostrato di avere forza d'animo e fede nella speranza fino all'ultimo. Inoltre sapeva produrre note davvero sublimi con esso. Note che parlavano di amore, di dedizione e rispetto. Abbine cura, e lui renderà magica anche la tua musica, Sebastian" disse al figlio, quando glielo regalò.

La vita va avanti del resto, no?
Non importa a quante cose brutte assisti, non importa quanti e quali incubi ti tormentano cercando di impedirti di continuare a vivere.
Semplicemente, arriva un punto in cui smetti di tormentarti, e lo fai. Vai oltre. Vai avanti. Per te stesso o qualcun'altro, ma lo fai.
È il regalo più bello e, insieme, il più brutto che ci fa la vita.
Lei continua. E ti trascina via con sé.

Così, ogni cosa può rinascere a nuova vita. Ogni cosa può trovare un suo nuovo futuro e, alla fine, per quanto tu possa soffrire, risorgi a nuova vita anche tu.
Sempre.



Poi avvenne.
Sei anni dopo l'accaduto, il giorno del sesto compleanno di Sebastian junior.
Lady Santana ricevette una cartolina. Una cartolina disegnata a mano che raffigurava un campo di papaveri rossi. I suoi fiori preferiti.
Il timbro diceva che proveniva da Anchon Beach, una località a sud di Cuba.

Una sola frase vi era vergata  in un’elegante grafia.

"Verso l'orizzonte. E oltre. Come hai detto tu."

Non era firmata, ma alla donna non serviva per sapere chi gliel'avesse  mandata. Per sapere che era stato Sebastian.
Era vivo, dunque?

La donna si concesse di sperare di sì. Si concesse di credere che fosse lui il mittente della missiva, e si concesse anche di credere che Thad fosse con lui, finalmente libero di amarlo senza dover nascondere i suoi sguardi o il suo amore, come aveva dovuto fare per una vita.

No, Lady Lopez non era stupida, e di amori senza speranza ne sapeva molto.
Eppure...lei era sopravvissuta a un naufragio. Lei era stata una delle prescelte. Forse, in fondo, ciò significava che sperare non è inutile. Che il destino, a volte, gioca anche a tuo favore, persino nella disgrazia più nera.

Santana ci voleva credere. E lo fece, da quel giorno in poi.
Anche se non disse mai a nessuno di aver ricevuto quella cartolina, e non gliene arrivarono altre, lei non smise mai di crederci.




Lontano  molte miglia da lei, un uomo esausto dopo una lunga giornata di lavoro nella sua terra, quella terra conquistata a fatica, e non regalatagli per diritto di nascita, per una volta, le avrebbe detto che faceva bene.
Che sperare, credere nel destino, era la cosa migliore che potesse fare.

Le avrebbe detto che quando stringeva la mano del suo uomo, e si sentiva libero di essere se stesso e di avere la vita che voleva, nascosto ma pur sempre libero, molto più di quanto fosse mai stato, pensava che tutto il dolore sofferto fosse valso la pena.

Sebastian le avrebbe detto che credere nei miracoli, e nella forza del destino, non era sbagliato.

Lui lo aveva fatto. Aveva combatutto contro l'inabissamento di una nave, contro le acque gelide, contro la sua stessa debolezza per salvare se stesso e Thad una notte di molti anni prima. Anche se ne era stato ripagato solo a metà, lo aveva fatto. E aveva continuato a farlo dopo. Come Thad gli aveva chiesto di fare.

Ed era stupendo.
Perché non era l'essere sopravvissuti. Era il potersi amare senza vergogna o stupide imposizioni.

E adesso poteva farlo. Poteva amare.
Ed essere amato a sua volta.






                                                                                                                     _FINE_









L'angolo della pirla che scrive sta roba:
Fondamentalmente so che anche questo è un finale aperto. Che cosa è successo davvero? È ancora un finale aperto, lo so, eppure è il suo finale. L'unico che potevo darvi. Potete pensare del futuro di Sebastian e Thad adesso, quello che volete, quello che vi sembra più realistico.
So che deciderete che l'uomo vicino a Sebastian è Thad. Che loro erano tra i 60 passeggeri che a nuoto raggiunsero le scialuppe vicine dopo l'affondamento salvandosi e che un po' come Rose nel film prendono un altro nome per potere avere una vita insieme. E volutamente vi lascio il diritto di crederlo.

Nella mia mente invece l'uomo che Sebastian ha vicino NON è Thad, ve lo confesso. È un uomo che si sente libero di amare ma non il suo Thad. Thad è morto quella notte, dopo aver raggiunto una delle scialuppe, lasciandogli in dono il coraggio di essere libero. Non so perché lo veda così, ma è così.
E all fine il dono che lascio a Sebastin non è il suo uomo ma il coraggio di essere quello che è.

E Kurt e Blaine... Beh erano condannati. Non avrei mai descritto Kurt come un ufficiale codardo che abbandona la sua nave e sopratutto non lo avrei fatto dopo che era ovvio che Blaine, rispettando la fine della vera banda del Titanic, sarebbe rimasto sopra di essa fino all’ultimo per suonare. Questo è sempre stato il mio finale per loro.
Brittany beh...avrei anche potuto salvarla ma non l'avrei mai descritta a sua volta innamorata di Santana, non per questa storia, quindi lei è stata piuttosto neutrale per me ma quando ho cominciato a scriverne era così che la vedevo: addormentata beata  mentre l'acqua entrava nella cabina. E ormai lo sapete, se la storia racconta io riporto.

Bene, concludo qui dicendovi alla prossima.
E grazie per essere stati con me anche durante questa piccola  avventura.
baci Bay24

Ps: piccola curiosità. Nel maggio del 2012 fu davvero ritrovato il violino di Wallace e messo in vendita a un asta. La parte che riguarda il violino di Blaine l'avevo scritta prima di scoprire questo dettaglio però, scoperto in effetti solo quando sono andata a cercare che tipo di violino avrebbero potuto suonare quelli della banda del Titanic. Certe volte la fantasia non si discosta mai molta da una verità seppur sconosciuta, eh? XD

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2320239