Il sole e la luna

di venusia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Preparativi ***
Capitolo 2: *** Un nuovo testimone ***
Capitolo 3: *** Vuoto di potere ***
Capitolo 4: *** Sorprese ***
Capitolo 5: *** E' la fine? ***
Capitolo 6: *** Visioni ***
Capitolo 7: *** Rinvio ***
Capitolo 8: *** Di nuovo insieme ***
Capitolo 9: *** Tanya ***
Capitolo 10: *** Desirèe ***
Capitolo 11: *** In gita a First Beach ***
Capitolo 12: *** Alla ricerca di Desirèe ***
Capitolo 13: *** Imprinting - Prima parte ***
Capitolo 14: *** Imprinting - Seconda parte ***
Capitolo 15: *** Fuga da Chicago ***
Capitolo 16: *** 10 settembre ***
Capitolo 17: *** Ghiaccio che fonde ***
Capitolo 18: *** Faccia a faccia ***
Capitolo 19: *** Ardo e son di ghiaccio... ***
Capitolo 20: *** Fredda e superficiale ***
Capitolo 21: *** Buon compleanno, Bella! ***
Capitolo 22: *** Sola contro tutti ***
Capitolo 23: *** Un piacevole incubo ***
Capitolo 24: *** Parola d'ordine: uccidere Jacob! ***
Capitolo 25: *** All'ombra delle nuvole ***
Capitolo 26: *** Come un'umana - prima parte ***
Capitolo 27: *** Come un'umana - seconda parte ***
Capitolo 28: *** Un senso di vuoto ***
Capitolo 29: *** La nostalgia e il rimpianto ***
Capitolo 30: *** Una luce in una lacrima ***
Capitolo 31: *** Vendetta ***
Capitolo 32: *** Canto di battaglia ***
Capitolo 33: *** Sola... ***
Capitolo 34: *** Una pace che non ci sarà mai ***
Capitolo 35: *** La tenerezza di un fiocco di neve - I parte ***
Capitolo 36: *** La tenerezza di un fiocco di neve - II parte ***
Capitolo 37: *** La tenerezza di un fiocco di neve - III parte ***
Capitolo 38: *** La tenerezza di un fiocco di neve - Parte IV ***
Capitolo 39: *** Un dono dal cielo ***
Capitolo 40: *** Ti odio, Edward! ***
Capitolo 41: *** Emmett o Jacob? ***
Capitolo 42: *** Gli ostacoli del cuore - I parte ***
Capitolo 43: *** Gli ostacoli del cuore - II parte ***
Capitolo 44: *** Gli ostacoli del cuore - III parte ***
Capitolo 45: *** Battaglia impari ***
Capitolo 46: *** Lotta per Charlie ***
Capitolo 47: *** Resta con me... ***
Capitolo 48: *** Edward ***
Capitolo 49: *** Quando il sogno incontra la realtà ***
Capitolo 50: *** Il compleanno di Jacob ***
Capitolo 51: *** Rosalie e Jacob ***
Capitolo 52: *** Bella vs Rosalie ***
Capitolo 53: *** Una minuscola parte di me - I parte ***
Capitolo 54: *** Una minuscola parte di me - II parte ***
Capitolo 55: *** Tutto cambia, tutto resta com'è ***
Capitolo 56: *** Sensi di colpa ***
Capitolo 57: *** Agonia di un sogno - I parte ***
Capitolo 58: *** Agonia di un sogno - II parte ***
Capitolo 59: *** Agonia di un sogno - III parte ***
Capitolo 60: *** Una scelta per Bella ***
Capitolo 61: *** Una nuova luna ***
Capitolo 62: *** Mai più mia ***
Capitolo 63: *** Il mio demone immortale ***
Capitolo 64: *** Alle porte dell'inferno ***
Capitolo 65: *** Il mio angelo custode ***
Capitolo 66: *** Ritorno a casa ***
Capitolo 67: *** Rose e basta ***
Capitolo 68: *** Merry Christmas ***
Capitolo 69: *** Più forte ***
Capitolo 70: *** Charlie ***
Capitolo 71: *** Il segreto svelato ***
Capitolo 72: *** L'ultima speranza ***
Capitolo 73: *** Nuove priorità - Prima parte ***
Capitolo 74: *** Nuove priorità - Seconda parte ***
Capitolo 75: *** Una piccola poesia ***
Capitolo 76: *** Legami ***
Capitolo 77: *** Ricordi dimenticati ***
Capitolo 78: *** ... e i ricordi riaffiorarono ***
Capitolo 79: *** Uno sfortunato scivolone ***
Capitolo 80: *** Per l'ultima volta ***
Capitolo 81: *** Istinto e passione ***
Capitolo 82: *** Al cospetto dei Volturi ***
Capitolo 83: *** Nelle mani di Bella ***
Capitolo 84: *** Finalmente qui... ***
Capitolo 85: *** L'armistizio ***
Capitolo 86: *** Verrà la morte e avrà i tuoi occhi ***
Capitolo 87: *** Il matrimonio ***
Capitolo 88: *** Una speranza per noi ***
Capitolo 89: *** Il destino della falena ***
Capitolo 90: *** Per amore di Rosalie ***
Capitolo 91: *** Mai con te, mai senza di te ***
Capitolo 92: *** La mia vita senza sole ***
Capitolo 93: *** Il sole e la luna ***



Capitolo 1
*** Preparativi ***


Ciao a tutti. Questa è la mia prima Fan fiction. L'ho scritta in quanto insoddisfatta del finale di Breaking Dawn, pur attingendo da quest'ultimo per le idee che ho trovato più interessanti. Le lettrici più attente non potranno non notare i cambiamenti di alcuni legami fra i vari personaggi e, soprattutto, di alcune qualità dei vampiri. Una su tutte: possono piangere! Se possono avere figli, allora possono anche piangere, secondo me! E altre differenze le troverete lungo la lettura. I primi capitoli saranno introduttivi. Posterò una volta a settimana in quanto l'ho già scritta tutta. I primi capitoli sono scritti secondo il punto di vista di Bella, vi aggiornerò quando cambia il punto di vista.
Ah, ultimo punto: come avrete modo di notare se procederete nella lettura, io sono una fan di Jacob, quindi gran parte delle scene riguarderanno lui, anche se troverà largo posto anche Edward!!!
E ora si comincia. Scusate se mi sono dilungata.

'Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Stephenie Meyer; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro'.





Era mattina da un pezzo ormai e io stavo perdendo tempo in bagno. La voglia calava ogni istante se pensavo a ciò che mi attendeva.
Una giornata di shopping con Alice. Che depressione!
Non era proprio per me ma purtroppo questa volta non avrei potuto sottrarmi. Alice si era messa in testa di prepararmi il corredo per il viaggio di nozze. Io, in realtà, non mi ero minimamente posta il problema, ma per la sorella del mio futuro marito sembrava essere l’inconveniente principale. Il matrimonio era imminente e cercavo di pensarci il meno possibile, dato che l’idea mi terrorizzava. Ma l’avevo promesso a Edward e non potevo più tirarmi indietro, anche perché era l’unica condizione che aveva posto alla mia entrata nella famiglia Cullen. Dovevamo prima sposarci e poi avrei potuto diventare come loro. Un vampiro…
Penso che la prospettiva avrebbe sconvolto chiunque, ma non me. Non potevo invecchiare e perdere Edward. Volevo a tutti i costi restare giovane e vivere in eterno con lui. Non vedevo l’ora. Ma l’idea del matrimonio… No, quella non mi andava proprio a genio. Forse perché i miei genitori avevano divorziato poco dopo la mia nascita, o forse no. Sta di fatto che avevo sempre criticato tutti quelli che avevano l’ardire di prendere quella decisione, pensando che mai avrei commesso un errore del genere e ora io facevo la stessa cosa! Anche se per me era diverso. Io sapevo che sarebbe durato in eterno. E anche Edward.
Nonostante questa consapevolezza, avrei preferito una convivenza, ma lui era all’antica. E voleva fare le cose per bene.
In fondo non potevo biasimarlo. Aveva più di 100 anni. Agli inizi del 1900 le cose si facevano così.
“Bella!!!!” urlò mio padre dal piano terra. “Io vado al lavoro. Ci vediamo stasera”.
Sentii sbattere la porta e pochi istanti dopo il motore della macchina della polizia mettersi in moto e partire.
Charlie non era molto felice di questo matrimonio. Aveva detto di sì a malincuore, sperando che fosse la mamma ad opporsi, in modo tale da trovare un’alleata e poter fermare tutto. Ma così non era stato. E aveva accolto di malavoglia tutto questo.
I miei genitori quindi avevano più o meno accettato la situazione. Alice, la mia futura cognata, aveva già spedito gli inviti per la cerimonia che si sarebbe svolta fra una settimana, il 10 settembre, poco prima del mio compleanno. Tutti i miei amici avevano già chiamato per farmi le congratulazioni e confermarmi la presenza al matrimonio.
Tutti tranne uno.
Il più importante di tutti.
Il “mio” Jacob.
Era sparito. Nessuno sapeva dove fosse finito. Ma a differenza di Charlie che aveva disseminato, in quanto capo della polizia, volantini per l’intera provincia e fatto affiggere in tutti i commissariati dello stato una sua foto, suo padre e i suoi amici non si preoccupavano. Sapevano che stava bene. Da qualche parte.
Aveva preso le sembianze di un lupo ed era fuggito. Tra loro erano in contatto tramite telepatia. Quindi loro sapevano come stava, ma io no.
Lui era scappato da me, da me che lo stavo facendo soffrire.
E aveva fatto bene. Mi amava e io non avevo fatto altro che torturarlo. Ero stata tremendamente egoista e ingiusta con lui. Avevo pensato solo a me stessa in tutto questo tempo. La mia felicità con Edward era sempre stata al centro dei miei pensieri mentre Jake aveva sofferto in silenzio accanto a me. Era stato lui a consolarmi, rallegrarmi e a riportare un po’ di gioia nella mia vita quando Edward aveva deciso di lasciarmi, pensando che la sua presenza mi arrecasse solo danno. Aveva continuato a essermi amico e a vegliare su di me anche dopo il ritorno di Edward. Mi aveva difeso insieme a tutto il branco da Victoria e dai suoi vampiri Neonati quando avevano cercato di uccidermi, quel giorno aveva rischiato di morire e io cosa avevo fatto dopo? Non avevo trovato niente di meglio che invitarlo al mio matrimonio, chiedendogli addirittura di farmi da testimone! Sì, okay, l’idea era stata sua, ma dovevo capire io per prima che questa sua proposta era stata fatta solo per cercare di mettersi in testa che con me era finita, che non avrebbe mai potuto esserci niente fra noi. E io, da vera stupida, avevo continuato a trattarlo come il mio migliore amico, quello a cui confidare tutto. Fino a quando Seth, il più giovane del branco, non mi aveva detto che era andato via e non sapeva quando sarebbe tornato.
Era passato poco più di un mese e mezzo da quel giorno.
Chiamavo tutti i giorni casa Clearwater per avere notizie ma la risposta era la stessa tutte le volte: nessun ritorno in vista.
Guardai l’ora: erano quasi le 11. Mancavano 10 minuti. Facevo ancora in tempo. Alice era sempre puntuale come un orologio svizzero, ma potevo farcela. In fondo ero già pronta. Mi guardai allo specchio e per l’ennesima volta contemplai la mia totale insignificanza. Capelli lunghi, castano scuro, dritti senza nemmeno un’onda che potesse renderli meno anonimi; viso ovale e magro, dal colorito pallido; occhi marroni e labbra naturalmente color amaranto. Non avevo proprio niente di attraente. Eh sì che mia madre da giovane era stata una bella ragazza. Non avevo preso da lei…
Ok, non avevo tempo per compatirmi. Corsi giù per le scale come una furia. Quasi inciampai ma riuscii a restare in piedi (strano! Di solito cadevo sistematicamente!). Andai al telefono e composi in fretta il numero: ormai lo avevo imparato a memoria, data la frequenza con cui chiamavo.
“Pronto?” rispose una voce femminile dall’altro capo del telefono.
Oh no! Era Leah!
La sorella di Seth, licantropo anch’ella, mi odiava. Non c’era mai stato molto feeling fra di noi, anche se non ne avevo mai capito il motivo.
Fui tentata di buttare giù il telefono. Ma in fondo non ero più una bambina, dovevo andare avanti senza imbarazzo, né disagio.
“Ciao Leah. Sono Bella. C’è Seth in casa?” domandai.
“Sì. Adesso te lo chiamo”.
Il mio coraggio era stato premiato. Non so perché avessi tanta paura di lei: era una ragazza più o meno della mia età e non mi aveva mai fatto delle scenate. Non per telefono almeno.
“Pronto, Bella? Ehi ciao! Come stai?” esclamò Seth appena impugnò l’apparecchio.
Seth era un’iniezione di energia. Così gioioso e pieno di vita! Andavamo molto d’accordo lui ed io. E poi era l’unico del branco che non odiasse i vampiri. Anzi, dopo la vicenda di Victoria e dei suoi Neonati, lui e Edward avevano addirittura stretto amicizia.
“Ciao Seth, io tutto bene”.
“Ti ho già detto che noi veniamo al tuo matrimonio, vero?”.
“Sì, sì. Non ti preoccupare. Me lo avevi già confermato. Non ti chiamo per questo, ma per la solita cosa”.
“Ah, sì, certo. L’ho già sentito. Tutto ok”.
“E quando…?”.
“Non lo ha detto, Bella. Mi dispiace. Per ora non ha programmato nessun rientro”.
“Capisco…” il mio tono di voce a questo punto della telefonata diventava sempre triste tutte le volte. “Va bene. Io continuo a chiamarti se per te non è un problema…”.
“No, anzi. Figurati. A me fa piacere sentirti. Piuttosto mi dispiace perché ogni volta non ho mai buone notizie da darti” mi rincuorò Seth sinceramente affranto.
“Non ti preoccupare. Per il momento va benissimo sentire che sta bene. Però Seth promettimi che se dovesse succedergli qualcosa o decidesse di tornare, me lo dirai subito, senza aspettare le mie petulanti chiamate quotidiane. Ok?”.
“Ma certo, Bella. Non ti preoccupare. Ti avviserò immediatamente”.
Dopo i saluti del caso, la telefonata terminò.
Ma perché? Perché non tornava? Lo avevo ferito così profondamente? Sospirai: non avevo potuto fare diversamente. Ero divisa fra due parti che si odiavano ferocemente. I vampiri Cullen da una parte e i licantropi Quileute dall’altra. E avevo scelto i primi.
Sentii suonare il clacson.
Era Alice.
Afferrai la borsa e corsi fuori.
La mia adorata futura cognata era nel vialetto di casa mia che mi salutava a bracciate da una Mercedes decappottabile. Non riuscivo a capire. Io facevo di tutto per nascondermi e mettere cose poco appariscenti e lei invece amava tutto ciò che era fashion, glamour e… costoso! Vabbé, con tutti i soldi che i Cullen guadagnavano grazie alle previsioni sull’andamento delle borse mondiali di Alice, potevano permetterselo, però io non li avrei ugualmente spesi in macchine.
Un momento! La Mercedes non era sua! Quindi…
Mi sporsi a guardare meglio.
Alice era al posto del passeggero. Alla guida c’era… Rosalie?!
Magnifico!!! Di bene in meglio!
Già la giornata di shopping non mi entusiasmava neanche un po’. In più c’era anche Rose con noi… Avrei voluto spararmi!
Mi avvicinai alla macchina.
“Ehi ciao, Bella! Siamo in orario, vero?” esclamò la voce argentina di Alice, supportata da un sorriso cristallino come l’acqua di una fontana.
“Perfette, come al solito” le dissi, cercando di mostrare un po’ di entusiasmo.
“E’ venuta anche Rose, spero non ti dispiaccia”.
“Certo che no. Anzi almeno sarete in due a divertirvi visto che per me sarà solo una gran sofferenza” soffiai.
“Andiamo, Bella, non fare storie. Vedrai che sarà divertentissimo” mi sorrise, alzandosi e facendomi accomodare sul sedile posteriore.
Partimmo in sgommata.
Alice per me era al pari di una sorella. Amavo tutta la famiglia Cullen, ma lei in modo particolare. Forse perché era stata la prima ad accogliermi nella loro casa, quasi come fossi una di loro, o forse semplicemente perché era impossibile non volerle bene! Era così gioviale, allegra e coinvolgente in qualsiasi cosa. Era diventata in breve la mia migliore amica, anche se a volte la sua capacità di prevedere il futuro mi aveva creato non pochi problemi. Tuttavia l’avevo amata fin dal principio.
Al contrario di Rose.
Rose non aveva mai fatto mistero della sua antipatia nei miei confronti, che forse era solo invidia della mia umanità. Anche se tutto sommato, non poteva certo lamentarsi!
Dire che fosse splendida era riduttivo della sua reale situazione. Bionda, con i capelli inanellati in lunghi boccoli, labbra carnose che non avevano certo bisogno di rossetto per attirare gli sguardi altrui, lineamenti delicati. Era alta, molto più alta della norma, snella ma con tutte le curve al posto giusto. Sembrava una Barbie in carne e ossa. In più era fidanzata (o sposata, come si definivano loro) con Emmett che a sua volta si poteva definire il Ken della situazione: alto, nerboruto e dal carattere d’oro. D’altra parte per sopportare i suoi scatti di nervi non poteva che essere così. Nonostante questa indubbia fortuna, avrebbe dato un braccio, pur di tornare umana. Odiava la sua condizione di vampira, anche se ormai ci aveva fatto il callo. L’essere umano secondo lei aveva dei lati positivi che il vampiro non avrebbe mai avuto: ad esempio, procreare. I vampiri non potevano avere figli e lei invece li avrebbe disperatamente voluti. Mi ero convinta che proprio per questo avrebbe fatto di tutto pur di riavere quel briciolo di umanità a cui tanto teneva e che le era stata strappata nella maniera più crudele: era stata brutalmente violentata e picchiata da un gruppo di giovinastri. L’avevano lasciata morente sul ciglio della strada. Se non fosse intervenuto Carlisle, il capostipite della famiglia Cullen e colui che aveva trasformato anche Edward, sarebbe morta.
Pur essendo molto grata a Carlisle per la sua salvezza, rimpiangeva ciò che aveva perso, e non si capacitava del perché io volessi diventare vampira. Secondo lei, io stavo gettando la mia vita: da ciò era evidente che nemmeno lei capiva me. Ultimamente era diventata ancora più fredda e scostante, non solo nei miei confronti ma anche verso tutta la sua famiglia.
E oggi doveva essere una delle sue ennesime giornate no.
Lo capivo da come rispondeva ai tentativi di Alice di instaurare un discorso. Tanto che la mia chiaroveggente preferita si girò verso di me e iniziò una conversazione, ovviamente basata su decorazioni per il giardino, vestiti per le damigelle, e pettinatura dei capelli della sposa.
Argomenti veramente interessanti per me!
Povera Alice! Oggi aveva due interlocutrici che non avevano molta voglia di discorrere!
Il viaggio fu abbastanza breve: Rosalie aveva il piedino un po’ pesante in macchina.
Arrivammo a Seattle e iniziò subito il giro per negozi. Ovviamente Alice mi portò in tutti quelli che frequentava lei e dove potevo trovare i vestiti più costosi e alla moda. Mi disse di non preoccuparmi perché tanto avrebbe pagato lei, in quanto l’idea era stata sua e io quindi dovevo solo provare quello che mi passava.
Alice era una ragazza dedita a tutto ciò che era moda. Il suo guardaroba era immenso e comprendeva abiti di tutti i generi, dai più eleganti a quelli più sportivi, da quelli firmati a quelli da grande magazzino. Ma tutti avevano un denominatore comune, che anche io inesperta qual ero, potevo riconoscere: la classe e la finezza. E sicuramente, affidandole il mio matrimonio, sapevo di avere fatto centro, anche se lei amava le cerimonie e le feste in grande stile. Esattamente come sua sorella. Come lei, Rosalie amava lo shopping e comprare vestiti e accessori era il suo passatempo preferito, ma prediligeva sempre tutto ciò che era firmato. Questo era qualcosa che le era stato inculcato fin da piccola: lei infatti era figlia naturale degli Hale, una delle famiglie borghesi più in vista di tutta Boston a cavallo fra ottocento e novecento. E  immaginavo che, fin da piccola, fosse stata solita vestirsi con abiti creati dai sarti più famosi dell’epoca. Le diedi una rapida occhiata: non aveva qualcosa addosso che non portasse una firma. Persino gli occhiali da sole. Adesso Alice mi aveva detto che aveva perso la testa per uno stilista italiano, un nome strampalato tipo Cavalli, e comprava solo suoi prodotti. Questa era un’altra cosa che ci allontanava, anziché avvicinarci.
Durante quella giornata Alice mi fece provare scarpe di tutti i tipi: coi tacchi, senza, di vernice e di tela, scure e colorate. Io mi prestavo come una bambola, agghindata dalla ragazzina di turno.
Poi fu la volta degli abiti.
Passammo mille negozi dove in ognuno Alice riusciva a trovare qualcosa da comprare.
Infine arrivò il momento più terribile: la biancheria intima.
Entrammo in un negozio molto grande dove c’erano parecchie altre persone. Tirai un sospiro di sollievo: le commesse non avrebbero seguito tutti i nostri movimenti, come invece era successo negli altri.
Alice cominciò a spulciare in ogni angolo. Io la seguivo come un cagnolino, ma senza alcun entusiasmo. Eravamo piene di sporte, che ovviamente le mie due accompagnatrici riuscivano a portare senza alcuna fatica. Di tutto quello che avevamo acquistato non c’era una sola cosa che mi andasse a genio completamente. Mi chiedevo se ad Edward sarei piaciuta con quei vestiti addosso. Finora mi aveva sempre visto vestita in maniera molto semplice e non sapevo che effetto gli avrei fatto con quegli abiti così eleganti e costosi.
Mi girai per guardarmi attorno. Rosalie stava osservando la merce esposta. In tutti gli altri negozi dove eravamo entrate era sempre stata attaccata a noi senza mai pronunciare parola. Forse la biancheria intima le interessava di più. E allora colsi l’occasione al volo per parlare con Alice.
“Cosa ha fatto Rose? Non ha detto una parola in tutto il giorno…” sussurrai, tentando goffamente di non farmi sentire.
“E’ un po’ giù” rispose laconica Alice, continuando a frugare tra i completini appesi alla parete del negozio.
“Come mai?”.
“Mah… E’ sempre stata un po’ strana, lo sai. E poi adesso sono saltati fuori dei problemini con Emmett”.
“Con Emmett?! Come mai? Quei due si amano alla follia. Hanno litigato?”.
Alice mi guardò di traverso. Forse stava ponderando se dirmelo oppure no. “Beh, non si tratta di un vero e proprio litigio. Credo solo che sia… Come posso definirla… una crisetta…”.
Sgranai gli occhi. Una crisi?! Lei ed Emmett?! Assurdo! Passavano tutto il tempo attaccati l’uno all’altra e ogni volta che erano da soli non perdevano tempo per baciarsi o fare altro. Almeno questo era quello che mi raccontava Edward.
“Mi stai prendendo in giro, Alice?” le domandai incredula.
“Certo che no, Bella. Pensi che noi vampiri non possiamo avere crisi come voi esseri umani? In una vita lunga un’eternità credi che siamo sempre felici e contenti?” mi rispose, quasi irritata dalla mia ingenuità.
“Non intendevo questo. Volevo solo dire che Rose ed Emmett sono sempre stati, perlomeno da quando li conosco io, la passione fatta persona, amore con la A maiuscola, insomma” mi affrettai a chiarire.
“Beh, si amano alla follia da 70 anni! Direi che una crisetta ci può stare… E poi, sai, quando una passione è così bruciante, come la loro, si consuma in fretta. Intendo dire cioè che può essere più soggetta a crisi di altre che magari sono apparentemente più tranquille” mi spiegò Alice.
“Ma quindi credi che sia passeggera?”.
“Direi di sì. Vedi, Rosalie è molto passionale, mette l’amore al primo posto in tutto e pretende che anche per Emmett sia la stessa cosa… sempre…” continuò la mia interlocutrice.
“Cosa intendi dire?”.
“Beh, in questo Rose ha ragione”disse Alice alzando le spalle. “Emmett è proprio uno stupido. Lei a volte invidia molto me e te perché Jasper e Edward sono presenti nelle nostre vite in maniera costante”.
“Ma perché? Emmett non lo fa?” chiesi. “Mi sembra che anche lui sia sempre presente”.
“Beh… Ecco ti faccio un esempio per farti capire meglio. E’ da 2 giorni che Rosalie vorrebbe fare una gitarella, oltre confine, con me e Jasper, ma non si può. Non si può perché Emmett è incollato al televisore a guardare un torneo, o come cavolo si chiama, di baseball!”.
Ora che ci pensavo le ultime due volte che ero stata a casa Cullen avevo visto Emmett attaccato al televisore. E ripensandoci bene, non solo negli ultimi giorni. Accadeva ogni volta che andavo là.
“Credo di capire cosa intendi dire. Direi che Rose ha ragione” conclusi.
Continuammo ad aggirarci per il negozio.
Era pieno di begli articoli ma io mi sentivo così inopportuna lì dentro! Alice invece saltava da un attaccapanni all’altro. Aveva le mani piene di biancheria intima, che nella sua mente forse immaginava di farmi provare. Ma ormai ero esausta. Non ne potevo più. Odiavo le giornate di shopping feroce e questa, dedicata solo a me, era diventata la più lunga e terrificante della mia vita.
Ad un tratto Alice si girò di scatto verso di me:“Rosalie mi ha chiamato. Andiamo a vederla”.
Io non l’avevo udita affatto. Probabilmente si era limitata a sussurrare ma i sensi dei vampiri erano così sviluppati che Alice aveva sentito perfettamente la sua voce.
La seguii e ci avvicinammo verso un camerino. Alice aprì la tendina e vidi qualcosa che, se necessario, mi avvilì ancora di più.
Rosalie si stava provando un completino intimo di pizzo. Era molto semplice. Il reggiseno era nero, con elementi di raso rosso che ne decoravano le coppe. Le mutandine erano culotte.
In sé non era niente di che, ma quello che lo rendeva eccezionale era il corpo di Rosalie. Era perfetto. Non aveva certo bisogno di push up per evidenziare un seno tonico e prosperoso. Anche i glutei, rotondi e sodi, non mostravano il minimo segno di smagliature e cellulite. Il girovita era quello di una libellula.
Feci un paragone e la mia autostima crollò ai minimi storici.
Cielo, com’era bella! Io non potevo competere neanche lontanamente.
Si girava e rigirava davanti allo specchio. Si alzava i capelli, come se dovesse fare un servizio di moda. Era stupenda e lo sapeva. Sapeva che tutti gli uomini la guardavano ammirati. Che tutti l’avrebbero voluta, anche solo per una notte. Al liceo era stata la ragazza più ammirata. Quando passava, tutti i maschi la contemplavano con desiderio. E lei, nonostante fosse già impegnata con Emmett, rispondeva a ogni sguardo con espressione ammiccante. Ad alcuni sorrideva, ad altri strizzava l’occhio. Ma nessuno si era mai avvicinato per paura del suo muscolosissimo fidanzato.
Ma non avrebbero comunque ottenuto nulla. Per quel poco che la conoscevo, lei era molto innamorata di Emmett. Si divertiva soltanto a giocare col suo corpo, a riscuotere consensi, a vedere le donne invidiare il suo aspetto e gli uomini in imbarazzo di fronte alla sua bellezza.
“Cosa ne pensi, Alice? Mi sta bene?” le chiese, continuando a rimirare la propria immagine riflessa.
Alice era una vera esperta di moda. Aveva indubbiamente un gusto particolare e molto fine. In qualsiasi cosa, dalla scelta delle macchine ai vestiti, dalle organizzazioni delle feste alle pettinature. Avere un suo parere positivo era fondamentale se volevi essere una ragazza alla moda. E Rosalie lo era di sicuro, al contrario di me.
“Beh, che dire Rose… Sei semplicemente stupenda! Il modello è molto semplice ma ti sta d’incanto” le rispose la sua “sorellina”.
Rose sorrise compiaciuta.
“Credi che riuscirò a distogliere Emmett dal televisore?” le domandò con un ghigno.
Alice scrollò le spalle:“Se non ci riesci neanche con questo, dovrò pensare che abbia cambiato sponda!”.
Tutte e due risero di gusto.
Erano complici in tutto quello che facevano. Sembravano davvero sorelle. Due sorelle affettuose, anche se Alice era quella che comunicava l’impressione di tenere di più a questo rapporto. Rosalie le voleva bene, però non faceva molto per dimostrarlo, mentre Alice si lasciava andare ad abbracci e spesso arrivava a casa con regali solo per Rose.
Alice era più equilibrata all’interno della famiglia Cullen, rispetto a Rosalie. Era affezionata a tutti i membri della famiglia. Ovviamente aveva un occhio di riguardo per Jasper, suo marito, ma voleva molto bene a tutti e lo dimostrava ampiamente. Adorava letteralmente Edward con cui aveva un’intesa profonda; amava Carlisle ed Esme come se fossero i suoi veri genitori, anche se non era neppure stata creata da loro perché lei e Jasper si erano uniti alla famiglia Cullen solo in un secondo momento.
Rosalie invece, a parte la complicità con Alice, sembrava spesso avere occhi solo per Emmett, come se loro due fossero un’isola a sé stante. Certo, per come impostavano l’amore, non potevano fare altro che passare molto tempo insieme e da soli. Edward mi aveva detto che nei primi anni del loro matrimonio, avevano distrutto, a causa di rapporti sessuali un po’ “passionali”, 7 case costruite appositamente per loro. Non osavo neanche immaginare che cosa avessero fatto. I vampiri avevano un rapporto diverso col proprio corpo rispetto agli umani: non sentivano il dolore e tutti i sentimenti che provavano erano portati all’estremo, tuttavia i racconti di Edward avevano destato la mia curiosità.
Chissà che cosa avremmo fatto Edward ed io? Avremmo passato i primi 20 anni di matrimonio, come loro, in camera da letto?
Il pensiero mi fece arrossire violentemente…
“Dove l’hai preso? Bella, ti va di provarlo anche tu? Sono sicura che ti starà benissimo!”. La proposta di Alice mi fece tornare bruscamente alla realtà.
Provarlo anch’io? A confronto con Rosalie? Mai e poi mai!
Ma Alice si stava già dirigendo verso l’angolo che Rosalie le aveva indicato e fui costretta a rincorrerla.
“No, Alice, ti prego no!” la scongiurai.
“Perché? E’ carino e semplice. E’ di tuo gusto, no?”.
Di tutta la roba che mi aveva fatto provare, quello sarebbe stato sicuramente l’unico articolo che mi piaceva. Ma non potevo provarlo, non dopo averlo visto indosso a Rosalie. Non poteva starmi bene come a lei. Sarei sembrata sicuramente uno spaventapasseri. Non avevo neanche una vaga rassomiglianza col suo corpo. Mi sarei sentita troppo umiliata.
“Sì, è carino, ma sono esausta. Ti prego, basta provare. Non ne posso più” le dissi stremata.
Alice sbuffò. Poi alzando gli occhi al cielo mi disse:”E va bene. In fondo sei ancora un’umana. Capisco che ti possa stancare. Abbiamo preso abbastanza per oggi. Finiremo un’altra volta”.
Finalmente avevamo terminato quella giornata d’inferno.
Rosalie comprò il suo completino e uscimmo dal negozio. Andammo alla macchina con mia grande soddisfazione e tornammo verso Forks.
Ero davvero stanca. Fare cose che mi annoiavano profondamente mi faceva venire sonno, lo shopping  era una di quelle. Non proferii parola per tutto il ritorno mentre Alice e Rosalie non fecero altro che parlare di questo e quel completo. Mamma mia, che pizza!
Alla velocità a cui Rosalie conduceva la macchina, arrivammo in pochissimo tempo e fu una benedizione.
Quando scesi dall’autovettura, Alice mi disse:”Dobbiamo fare un’altra giornata come questa. Abbiamo preso pochissimo oggi!”.
Oh mio Dio! La prospettiva mi ghiacciò il sangue. Non c’era niente di peggio. Non ce l’avrei fatta a resistere ancora. Dovevo liberarmene assolutamente. E così decisi di puntare sulla sua comprensione.
“Oh Alice, non penso proprio di riuscire a trovare ancora il tempo. Tra una settimana c’è il matrimonio,  ho un sacco di giri da fare e poi voglio passare più tempo con papà. Sai com’è, dopo la trasformazione, io non potrò più vederlo. Voglio stare con lui il più possibile…”.
Il volto di Alice si accigliò. Non sembrava affatto soddisfatta della mia risposta, però sapeva anche quanto tenevo a mio padre. E dopo la mia trasformazione non avrei potuto più vederlo. Sia perché probabilmente la mia iniziale e insaziabile fame da vampira Neonata avrebbe portato a desiderare di berne il sangue, sia perché, una volta passata quella, mio padre si sarebbe posto delle domande sul perché non invecchiavo e non potevo permetterlo.
La legge dei Volturi era chiara in questo: ogni essere umano che avesse scoperto l’esistenza dei vampiri avrebbe dovuto essere ucciso o trasformato a sua volta. Il segreto non poteva trapelare in nessun modo. Andava difeso ad ogni costo. E io non volevo assolutamente mettere in pericolo la sua vita.
Alice mi capì perfettamente.
“D’accordo, Bella. Ci penserò io a finirti il corredo. Ok?”.
Non riuscii a trattenermi dall’abbracciarla. “Oh grazie, Alice. Grazie. Sei davvero gentile. D’altra parte tu hai un gusto fantastico in fatto di vestiti. Sono sicura che ciò che sceglierai sarà molto meglio di quanto potrei fare io stessa” le dissi felicissima.
Alice mi sorrise. La sua autostima doveva essere andata ai massimi livelli. Sapevo come prenderla, ormai.
Salutai lei e Rosalie e mi affrettai in casa.
Papà era già lì, seduto in poltrona. Lo salutai, poi corsi a mettermi il grembiule e a darmi da fare tra i fornelli. Ogni tanto, quando cucinavo, gli facevo dei corsi accelerati di cucina. Lui era assolutamente negato e non volevo che patisse troppo la mia assenza. Ma oggi ero in ritardissimo e non potevo perdere tempo anche con lezioni di cucina.
Preparai una pietanza in fretta e nel giro di 15 minuti eravamo già a tavola.
“Com’è andata la giornata oggi?” mi domandò distrattamente.
“Sai com’è, papà… Lo shopping non mi piace molto. E’ stata una tortura. Alice e Rosalie invece si sono divertite alla follia” risposi, mettendo a caso la forchetta in qualche pezzetto di carne. Non avevo nemmeno molta fame.
“C’era anche Rosalie? Com’è andata? Avete bisticciato?”.
Questo sembrò un argomento che destava il suo interesse.
“No. Io e lei non litighiamo mai. Semplicemente non ci rivolgiamo la parola più dello stretto necessario”.
La conversazione sembrò arenarsi in questo punto. Decisi allora di chiedergli del suo lavoro.
Questo fu un argomento più interessante, perlomeno per mio padre. Mi raccontò dell’arresto di un criminale che aveva scippato una vecchietta (wow! Questi erano i massimi crimini che potevano esserci qui a Forks. A parte la catena di omicidi che aveva turbato il circondario qualche mese fa e che era semplicemente imputabile a Victoria e ai suoi amichetti. Ma questo mio padre certo non lo sapeva) e delle ricerche ancora senza esito di Jacob. Charlie era molto preoccupato per lui: forse perché lo aveva visto crescere, forse perché mi aveva aiutato molto quando Edward mi aveva lasciato o forse semplicemente perché era figlio di una persona a lui molto cara. Lo cercava tutti i giorni instancabilmente, senza ovviamente ottenere risultati.
Ma perché non torna, dannazione?!pensai.
Questo argomento mi irritò e cominciai a sparecchiare la mia parte, ancora prima che mio padre finisse di mangiare.
“Hai fretta Bella? Devi uscire?” chiese, mentre si puliva la bocca col tovagliolo.
“No, è solo che sono molto stanca e voglio andare a letto”.
Si alzò dal tavolo, andò a prendersi una birra dal frigo e si sedette davanti alla tv.
Lavai in fretta i piatti, gli diedi la buonanotte e poi salii in camera, dove finalmente avrei trovato il premio di quella orrenda giornata.
Edward era sdraiato sul mio letto. Stava leggendo un libro. Alzò lo sguardo quando mi sentì chiudere la porta.
Quello era il nostro appuntamento fisso: a fine giornata entrava dalla finestra della mia camera, agilmente come tutti i vampiri, e passava la notte con me. Nella più assoluta castità, con mio profondo rammarico.
Lo guardai senza dire nulla. Le parole non riuscivano ad uscirmi di bocca. Era così sfacciatamente bello. Sembrava un angelo. Sentii il cuore accelerare di colpo. Ogni volta che lo vedevo succedeva. Non riuscivo ad abituarmi ad uno spettacolo così magnifico, ad un viso così perfetto, a occhi così limpidi e lucenti.
Gli corsi incontro e lui mi abbracciò teneramente.
Rimanemmo in silenzio per qualche minuto poi cercai avidamente le sue labbra. I minuti successivi furono allietati solo dal battito eccessivo del mio cuore, che non riusciva a smettere di martellare ogni volta che lo baciavo.
Socchiusi gli occhi e incontrai il suo sorriso. Mi guardava rapito, in estasi. E io mi sentivo così dannatamente fortunata. Avevo tra le braccia l’essere più bello e più speciale dell’intero universo. La natura non avrebbe potuto generare niente di meglio.
“Com’è andata la giornata, amore? Ho letto i pensieri di Alice e non credo che ti sia divertita molto” mi chiese, mentre le sue mani fredde mi accarezzavano le guance.
Sbuffai. “Lo sai che non mi piacciono queste giornate. Ma almeno Alice si è messa tranquilla. L’ho accontentata, anche se non abbiamo concluso granché” risposi. Non avevo molta voglia di perdermi in chiacchiere. Volevo solo che mi abbracciasse, che mi baciasse. Volevo sentire le sue labbra a contatto con le mie. Adesso erano fredde come il marmo ma, una volta trasformata, non avrei più sentito la differenza di temperatura.
Quando le nostre labbra si staccarono per consentirmi di respirare (ogni volta che lo baciavo l’emozione aveva il sopravvento e sentivo il respiro mancare), i nostri sguardi si incrociarono di nuovo: i suoi occhi dorati erano così profondi che immaginai di potermici immergere.
“Tra una settimana saremo marito e moglie” mi disse. E sembrò rapito da questa visione.
“Già. E dopo sarò tua. Solo tua per l’eternità” sussurrai.
Intrecciai le dita nei capelli, appoggiando il viso sul suo petto marmoreo.
Restai a lungo in quella posizione, fino a che non sentii un brivido corrermi lungo la spina dorsale. Cominciavo a sentire freddo. Il suo corpo era troppo gelido per restare così a lungo a contatto col mio. Presi il plaid che giaceva sempre sul mio letto e mi avvolsi, come in un bozzolo.
Avrei voluto continuare a dare e ricevere coccole ma la giornata era stata molto più che stressante e non riuscivo a tenere gli occhi aperti. E in fondo mancava davvero poco perché potessi avere la mia luna di miele. In quell’occasione Edward non avrebbe potuto ritrarsi, come invece accadeva quando, secondo il suo giudizio, ci spingevamo troppo oltre. I patti andavano rispettati.
Continuò ad accarezzarmi e io pian piano mi assopii. Ero fra le sue braccia. E non potevo desiderare niente di più.


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Capitolo 2
*** Un nuovo testimone ***


 Ciao a tutti!
Ringrazio quei pochi che hanno letto il primo capitolo e che, soprattutto, non l’hanno cestinato. Se avrete pazienza di seguirmi, i vostri sforzi verranno premiati. Non ho ricevuto alcuna recensione ma non mi perdo ugualmente d’animo.
Buona lettura!

 
 
 
 
 
Quando aprii gli occhi Edward non era più al mio fianco.
Strano. Generalmente restava tutta la notte fino al mio risveglio.
Subito fui assalita da un senso di solitudine. Lo so, ero una stupida. In fondo lo vedevo tutti i giorni, anche di notte; però da quando mi aveva abbandonato, in quello che sarebbe rimasto nei miei ricordi come il periodo più cupo della mia vita, ogni volta che mi lasciava, anche per il motivo più banale, avevo sempre il terrore di non rivederlo mai più.
Mi alzai dal letto e andai ad aprire le finestre.
Allora capii il motivo per cui era sparito.
C’era un sole accecante.
Il sole. A Forks.
Succedeva così raramente che non ero più abituata.
E infatti i suoi raggi mi accecarono, pur scaldandomi. La temperatura doveva essere salita di un paio di gradi, altrimenti non avrei avuto così caldo con solo la camicia da notte, anche se era inizio settembre.
Avevo sempre adorato il sole ma da quando mi ero trasferita a Forks avevo dovuto imparare a farne a meno. Tanto avevo il mio “sole personale”…
Jacob…
Questo pensiero prosciugò la gioia di aver visto il mio astro preferito dopo tanto tempo.
Tornai a sedermi sul letto.
Chissà dov’era. Cosa stava facendo. Stava bene? L’avrei mai più rivisto? Volevo credere di sì. In fondo tra qualche giorno avrei avuto l’eternità davanti e tutto il tempo per incontrarlo. Già. Ma se non fosse più tornato? Poi sarei dovuta andare via io. Forse questa era l’ultima settimana che avevo a disposizione e quel cretino non era qui. Stava buttando via i nostri ultimi giorni insieme.
Ma lui non li voleva. Voleva dimenticarmi.
Magari stava semplicemente aspettando che mi trasformassi e abbandonassi Forks, per ritornare. Sì, doveva essere così per forza. I suoi amici, la sua famiglia erano qui. Non poteva abbandonarli per sempre. E io non lo avrei mai più rivisto.
Un groppo di angoscia mi salì dallo stomaco fino in gola. Ma decisi di rispedirlo da dove era venuto. Non volevo lasciarmi condizionare da Jacob, né da nessun altro. Questi erano i giorni più belli e nessuno me li avrebbe rovinati. Anche se, e ne ero convintissima, i momenti migliori sarebbero venuti dopo il matrimonio.
L’eternità per stare con Edward. Mi sembrava persino troppo breve.
Il mio cuore si riaccese subito per l’emozione.
Iniziai a vestirmi velocemente. Volevo andare da lui subito.
Oggi i Cullen, a causa del sole, sarebbero stati blindati in casa sicuramente, quindi sapevo dove trovarli. E dove era lui.
Scesi al piano di sotto. Mio padre era già andato al lavoro e mi aveva lasciato un bigliettino sul tavolo della cucina. Gli diedi una scorsa veloce.
“Alice ha telefonato e ha detto che oggi non riesce a venire. Ha posticipato tutto a domani, quindi vado alla centrale. A stasera”.
Mi ero dimenticata. Oggi Alice doveva passare per provare l’abito da cerimonia a mio padre. Il sole aveva spostato tutti gli appuntamenti.
Mi preparai una colazione velocissima, feci la solita, inutile telefonata a Seth e poi uscii.
Salii sul mio rumorosissimo e scassatissimo pick up e partii alla volta di casa Cullen.
La strada mi sembrava sempre troppo lunga quando dovevo recarmi da Edward, però non avevo nessuna intenzione di accelerare e correre. Con la mia fortuna avrei sicuramente beccato l’unica pattuglia che mi avrebbe multato o peggio sarei stata vittima di un incidente. Considerato tutto, meglio andare tranquilla.
Forks sembrava molto più bella quando c’era il sole. Era tutto più allegro e vivace. La città sembrava risvegliarsi. Per noi era un evento. Come se si fosse trattato di una festa. Era davvero un peccato rintanarsi in casa, ma d’altra parte Edward avrebbe avuto qualche problema a passeggiare senza attirare l’attenzione: il suo corpo a contatto con i raggi del sole si illuminava, come una lampada al neon. Decisamente una situazione da evitare, se non volevamo essere notati.
Imboccai la stradina sterrata che portava alla villa dei Cullen.
Non era una casa normale, ma quasi una reggia, immersa nel verde del bosco che la circondava. Sul lato che si affacciava sulla strada, il piano rialzato era circondato da un’ampia vetrata che fungeva da veranda, nella quale però spesso le tende erano tirate. Al piano superiore, dove c’erano le camere da letto, vi era un unico piccolo terrazzo. Per raggiungere il portone c’era una larga scalinata decorata da piante di vario genere (il giardinaggio era una delle passioni di Esme), mentre al piano interrato si trovava il garage, ,grande quasi quanto casa mia. Vi erano parcheggiate una decina di autovetture: infatti ogni membro della famiglia aveva il proprio mezzo di trasporto e ciascuna di esse non era propriamente una macchina comune. C’erano Mercedes, Bmw, una Aston Martin e anche delle macchine italiane che io non conoscevo ma sapevo essere molto costose.
Per delle persone normali sarebbe stato molto dispendioso mantenere questo tenore di vita, tranne che per loro. Carlisle era dottore all’ospedale di Forks. Ma non era questo la vera fonte di mantenimento della famiglia. In realtà Alice prevedeva l’andamento delle borse di tutto il mondo e quindi a loro bastava investire una volta sul titolo giusto per essere sistemati un anno intero.
Quando scesi dal mio vecchio e poco decoroso, ma amatissimo, pick up, invece di trovare il solito silenzio ad accogliermi, sentii urla risuonare dalle finestre aperte. Non mi era mai successo.
All’inizio mi spaventai poi, quando capii distintamente che cosa stavano dicendo, tirai un sospiro di sollievo. Era Rosalie che stava litigando con Emmett.
Salii la scala che portava all’entrata principale con timore reverenziale: temevo di essere di troppo in quel momento. Ma prima che suonassi il campanello, la mia quasi cognata aprì la porta.
“Ciao Bella! Come va?” mi accolse Alice calorosamente.
Non credevo di averla mai vista così felice di vedermi.
Entrai nell’ingresso. Edward mi venne incontro e il mio cuore, vedendolo, accelerò. Mi abbracciò e, fra le sue braccia, mi sentii di nuovo nel mio rifugio felice. Niente avrebbe potuto essere più bello di quel momento, ma a turbarlo giunse la voce di Rosalie dal salone.
“Che sta succedendo?” chiesi a Edward, senza però smettere di abbracciarlo. Non volevo interrompere quel magico momento per nessun motivo.
“Litigano” mi rispose laconico.
Si staccò da me, con mio grande dispiacere.
“Perché?” domandai.
Edward fece spallucce. Era molto discreto nelle faccende personali della sua famiglia e non ne parlava mai volentieri. Mi girai allora verso Alice, che sicuramente, da vera donna, avrebbe saziato la mia curiosità. E infatti così accadde.
“Emmett sta guardando per l’ennesima volta una partita di baseball. Rosalie voleva approfittare del sole per andare a fare una scampagnata nei boschi a nord e lui, come al solito, non si schioda. Dice che per altre due settimane non se ne parla, fino a che non finirà la manifestazione. E da lì è partita la litigata”.
“Ma perché urla? Voi vampiri non avete bisogno di questo per sfogarvi…” contestai, non del tutto convinta della mia affermazione.
“Retaggi da umana” rispose.
Non capii. Alice allora continuò:“Rosalie è l’unica di noi che è rimasta attaccata ferocemente ad alcuni comportamenti tipicamente umani, come urlare per liberare le emozioni. Lo fa raramente, e adesso è uno di quei momenti…”.
Subito mi chiesi se anche a me sarebbe successo questo. Sarei stata così anch’io? Mi sarebbe rimasta la voglia di urlare, di andare a fare passeggiate sotto il sole, di dormire, anche se non ne avevo bisogno? Mah, non mi interessava. Tutto ciò che mi serviva era accanto a me in questo momento.
Entrammo nel salone e vidi la scenetta, che mi parve alquanto comica. Emmett era seduto sul divano con le mani intrecciate sul grembo, Rosalie era in piedi che urlava e gesticolava. Comportamento tipicamente umano, non c’è che dire. Lui rispondeva ogni tanto, per il resto era sempre lei a parlare.
Non ebbi nemmeno tempo di ascoltare quello che si stavano dicendo perché Alice subito mi distolse:“Visto che sei qui potremmo provare l’abito da sposa, che ne dici?”.
Oh cielo, no! Mi ero completamente dimenticata di questa sofferenza che avrei dovuto sostenere. Sbuffai. Non ne avevo voglia. Ero venuta lì con la sola intenzione di vedere Edward e non volevo perdere minuti preziosi provando uno stupido vestito.
“Ahh, non protestare. Ci vorrà pochissimo e hai tutta l’eternità per stare con Edward. Sù, andiamo in camera mia” affermò Alice in tono perentorio. Edward sorrise, indicando la scala.
Sapevo che non avevo alternative. E in fondo questo era un dovere che avrei dovuto adempiere prima o poi. Meglio togliersi il dente subito. Così marciai in camera di Alice.
Feci un bel respiro e chiusi gli occhi. Dovevo farmi forza in questo momento. Quasi peggio di una tortura cinese per me. Mi spogliai e, con la sola biancheria addosso, e alzai le braccia, in modo tale che potesse fare tutto ciò che voleva.
“Non voglio crocifiggerti” mormorò Alice indispettita.
Emisi un profondo sospiro.
Tirò fuori il lungo vestito da una bianca sacca per abiti appoggiata su una poltrona. Non gli buttai neanche un’occhiata fugace, anzi chiusi gli occhi. Non volevo sapere come sarei stata conciata. Per me quel matrimonio e tutto ciò che ruotava attorno erano soltanto un’assurdità per accontentare Edward e la sua anima vecchio stampo. Non mi rimproverò per la mia mancanza di curiosità. In silenzio mi sistemò la gonna, il corpetto e poi mi osservò.
“Stai benissimo” mi sorrise compiaciuta. Pensai che stesse facendo più i complementi a se stessa che a me: la scelta del vestito era stata sua. Quindi il risultato per lei era entusiasmante. “Vuoi guardarti allo specchio?” mi domandò, già pronta ad aprire un’anta del suo gigantesco armadio.
“No, grazie. Mi fido del tuo gusto” le risposi, fintamente felice. “Adesso posso togliermelo?”.
Alice alzò gli occhi al cielo:“Bella, il tuo entusiasmo è deprimente! Però sono sicura che il giorno del matrimonio mi ringrazierai. Oh, sì lo farai, eccome”. Poi fece cenno che mi potevo spogliare. Ovviamente mi aiutò, altrimenti con la mia grazia avrei corso il rischio di rompere ciò che lei aveva accuratamente scelto e fatto modificare appositamente per me.
“Con tuo padre come va? Sta cominciando a digerire la cosa?” domandò.
“Credo di sì. Perlomeno all’apparenza. Anche se credo che non sia affatto facile. E se penso a dopo, per lui sarà anche peggio…” mi rattristai, immaginando il dolore che avrebbe provato Charlie quando sarei improvvisamente sparita dalla sua vita. E non avrebbe più potuto rivedermi. Non avevo minimamente idea di cosa potesse provare un padre dinanzi alla perdita di un figlio, ma sapevo che per lui sarebbe stato devastante. E anche per me. Ma questa era la mia scelta, per quanto dolorosa. Non potevo fare altrimenti. Raccontargli tutto e metterlo in pericolo era fuori questione. D’altra parte i Cullen periodicamente erano costretti a cambiare città per non destare sospetti sul loro mancato invecchiamento. E io dovevo rispettare le regole e farle mie in fretta. Questo era il prezzo da pagare.
Avrei rinunciato a tutto pur di avere Edward accanto a me per tutta la vita.
“Capisco” concluse Alice. “E Jacob? Hai più avuto sue notizie?”.
Sentii il groppo in gola di questa mattina e per fortuna me lo domandò mentre mi stavo infilando la maglietta quindi ebbi qualche secondo di tempo per riprendermi e dare ad Alice una risposta distaccata.
“No. Seth mi ha detto che non ha nessuna intenzione di tornare. Mancano solo 6 giorni al matrimonio, quindi non credo che lo rivedrò prima della cerimonia. E a questo punto neanche dopo, direi…”.
“E quindi col matrimonio come farai? Sei senza testimone…” disse e improvvisamente una lampadina brillò nel mio cervello. Ecco dove voleva arrivare.
La guardai mentre sorrideva furbescamente.
“Ti va di essere la mia testimone, Alice? Dopo Jacob, sei tu la mia migliore amica…” le proposi. Ed ero già certa della risposta. Mi saltò leggiadramente addosso, dicendo di sì. Sembrava davvero felice di quel ruolo ed io fui lieta di conferirglielo. Avrei detto una bugia a me stessa se avessi detto che non preferivo un’altra persona, ma quello stupido voleva continuare a fare il lupo selvatico della foresta! Pertanto Alice, in sua assenza, era una sostituta più che degna.
Finii di rivestirmi e scesi al piano di sotto, dove la scenata era terminata. Edward stava leggendo il giornale ed Emmett stava guardando la tv, abbracciato a Rosalie. La velocità di riappacificazione di quei due era impressionante. Fino a pochi minuti fa sembravano pronti a scannarsi e ora tubavano come due colombe. Cose da vampiri, direi.
Quando apparii, Emmett mi salutò allegramente e Rosalie mi additò con il solito saluto di cortesia. Non c’era proprio speranza che riuscissimo a diventare amiche. Io ritenevo di impegnarmi, ma lei mi rispondeva sempre freddamente. Chissà, forse più avanti: avremmo convissuto per tutta l’eternità nella stessa casa, quindi rapporti più civili avremmo dovuto instaurarli per forza.
Edward chiuse subito il giornale e si alzò dal divano. “Allora com’è andata?” mi domandò.
Io alzai le spalle ed Alice, dietro di me, rispose di rimando:“Sta d’incanto. Il giorno del matrimonio resterai a bocca aperta!”.
“Ne sono sicuro” disse, guardandomi ammirato.
Infine mi prese per mano e andammo in camera sua.

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Capitolo 3
*** Vuoto di potere ***


Ciao,
la narrazione riprende subito da dove si era interrotto il capitolo precedente. Di fatto non c’è alcun intervallo temporale.
Ci tengo a sottolineare che non è una Edward x Bella o una Jacob x Bella: potrebbe diventare qualsiasi cosa in qualsiasi momento! Tutti e quattro i personaggi indicati come principali sono ampiamente descritti. Certo ho una preferenza (come tutti, no?), però non posso svelarvi troppi particolari perché altrimenti mi perdo l’effetto sorpresa! E allora chi legge più?!
Inoltre ringrazio tutti quelli che hanno letto finora, anche senza lasciare la recensione.
Arrivederci e buona lettura.
Ah, Attenzione a Alice!!!!

 
 
Ci sedemmo sul letto che aveva comprato appositamente per me, visto che lui non dormiva, e, senza lasciarmi il tempo di respirare, mi baciò. Così a lungo che mi tolse letteralmente il fiato.
Quando si staccò, non mi ero quasi accorta che stavo letteralmente per svenire a causa della lunga apnea. In compenso il cuore batteva così forte che credevo volesse volare fuori dal mio petto. I suoi occhi dorati mi guardavano rapiti. Mi gettai tra le sue braccia. “Sono così felice Edward. Non pensavo che nella mia vita sarei mai stata così… E tutto grazie a te” gli confessai. Non riuscivo a credere che la sorte mi avesse dato in dono un regalo così fantastico. Edward era ciò che ogni donna avrebbe desiderato e lui era mio, solo mio.
Rimanemmo così, senza parlare, per qualche minuto poi mi staccai desiderosa di un altro, anzi di mille baci. Ma Edward si allontanò. Non gradii affatto quel gesto. Aveva un brutto significato. C’era qualcosa che non andava.
Edward mi accarezzò i capelli e, continuando a fissarmi, iniziò a parlare:“Sai, oggi quando sono tornato in fretta a casa, per via del sole, ho avuto modo di riflettere. E ho pensato a tante cose. Tra le quali, una più di tutte. Una stupidaggine in sé e per sé”.
“Continua” lo invitai anche se non ero sicura di voler conoscere la conclusione del suo discorso.
“Tu adori il sole, Bella”.
“E allora?”.
“Dopo il matrimonio non potrai più vederlo… E io non voglio privarti di niente” concluse amaramente.
Iniziai a ridere. “Edward, questa è una sciocchezza! Credi che il mio bisogno del sole potrebbe farmi desistere dal matrimonio con te?! Non dire fesserie. E poi potremo continuare a uscire, soltanto che dovremo andare in posti dove non ci sono esseri umani. Sei tu l’unica cosa di cui ho bisogno. Al resto posso sopravvivere” e lo abbracciai nuovamente.
Si irrigidì. Stavolta avevo esagerato.
“Davvero?” domandò a bassa voce. “Come pensi di fare con Reneè, con Charlie?”.
“Mi mancheranno”.
Un attimo di silenzio e poi quel nome “E con Jacob…?”.
Non esitai. Non potevo sopportare l’idea che Edward pensasse che non avrei voluto passare la mia vita con lui solo per Jacob. “Lui non è qui. Non posso vederlo comunque. Quindi dov’è il problema?”.
“Prima o poi tornerà Bella. Lo sai tu e lo so anch’io. E tu non vorrai più rivederlo?”.
“Beh, se vorrà potremo rivederci, se torneremo ogni tanto a Forks. E se lui non vorrà, sarà soltanto perché non accetterà la mia nuova natura. Quindi non sarebbe un amico sincero. No problem, giusto?”.
Cercò di ribattere ma lo fermai subito. “Io so a cosa posso rinunciare e a cosa no. Sei tu l’unica cosa a cui non posso rinunciare. Tutto il resto per me non è importante. Io ti amo, Edward”. Avevo le lacrime agli occhi.
Edward, timoroso del fatto che mi stesse involontariamente ferendo, mi abbracciò.
“Scusami Bella. Ho solo paura che tu stia prendendo una decisione senza ponderare bene le conseguenze. Tutto qui. Come ad esempio, il fatto che non potrai mai avere figli”.
Non dovetti pensarci nemmeno per un secondo. “A me non interessa diventare madre”.
“Lo dici adesso, ma fra qualche anno potresti cambiare idea e purtroppo questa scelta è irreversibile. Rosalie ed Esme non si danno pace per quest’opportunità persa”.
“Perché mi paragoni a Rosalie? Io non sono come lei. Pensa ad Alice: lei è felice, no?”.
“Certo, ma…”.
“E allora basta”. Sospirò pesantemente.
Sapevo di non averlo convinto completamente ma sapevo ciò che volevo, ed era lui. Non mi interessava se nutriva dubbi sulla mia trasformazione, io ne ero certa. Come ero certa che mai e poi mai mi sarei pentita della mia scelta.
La porta della camera si aprì improvvisamente.
Le nostre labbra si dovettero, ahimè, separare.
“Ops, scusate…” ghignò Alice, la responsabile.
“E’ successo qualcosa?” chiesi. Guardai il viso di Edward. Lui sorrideva. Non c’era niente di cui preoccuparsi. Aveva letto i pensieri della sorella, quindi sapeva già tutto.
“Niente. Volevo solo dirti che Kate ha appena deciso di venire al matrimonio. Spero che non ci siano inconvenienti con i licantropi…”.
“Beh, dei licantropi verranno solo Seth e Billy, il padre di Jacob. Non credo che loro abbiano alcun problema. Al massimo, sarà Kate ad averne…”.
Alice sospirò. Effettivamente non poteva sapere con che disposizione d’animo potesse venire il membro del clan dei Denali, ma Kate era stata avvisata della presenza dei licantropi.
“Irina e Tanya?” domandò Edward.
“Beh Irina sai come la pensa…” disse, quasi imbarazzata nei miei confronti.
Sapevo che Irina non sarebbe venuta, anche senza la conferma di Alice.
“Tanya non ha ancora deciso, credo. Non riesco a vederla…” continuò Alice.
I poteri di Alice. In realtà nessuno dei Denali aveva comunicato niente ai Cullen. Sapevano che grazie alla previsione del futuro di Alice bastava che si prendesse una decisione perché tutta la famiglia lo sapesse. Quindi Kate aveva deciso di prendere parte alla nostra cerimonia, Tanya ancora no.
Non potei trattenermi dal tirare un sospiro di sollievo.
“Beh, potete riprendere da dove vi ho interrotto” rise Alice e sparì dietro la porta.
Edward si girò verso di me e ridacchiò. “Sei contenta che Tanya non venga, vero?”.
Distolsi lo sguardo e cominciai a giochicchiare con le dita, tremendamente impacciata . Ne ero felice, sì, ma non perché la odiassi in qualche maniera. Non la conoscevo neppure. Il fatto era che un tempo, probabilmente prima ancora che io nascessi, aveva fatto il filo a Edward. Non che potessi dare la colpa a lei per averlo desiderato, ma la immaginavo come minimo bellissima e al massimo straordinaria. Malgrado Edward preferisse me, cosa evidente quanto incomprensibile, sapevo che non mi sarei trattenuta dal fare paragoni e la mia autostima, già molto fragile, sarebbe crollata.
“Sì” sussurrai flebilmente. “Ma spero che venga, alla fine. So che tu e tutta la tua famiglia ci tenete tantissimo ad averli qua, con voi, a festeggiare”.
“Oh Bella, sei un’attrice pessima!” mi lanciò un sorriso sarcastico.
La mia capacità di dire bugie era paragonabile solo alla mia autostima. Anzi era anche peggiore. Direi praticamente inesistente.
“Lo so Edward. Ma cerca di capire anche tu…” cercai di giustificarmi.
“Loro sono parte integrante della nostra famiglia. Sono come parenti e non ce la sentiamo di escluderli. Per loro sarebbe come restare orfane un’altra volta…” disse improvvisamente amareggiato.
Abbassai il viso con un’espressione colpevole. Edward mi aveva raccontato la triste storia della madre di Tanya, Kate e Irina, di come avesse creato un vampiro da un bambino neonato e di come i Volturi l’avessero punita, giustiziandola. Questi vampiri, così piccoli e inconsapevoli, con i loro desideri indomabili di sangue, avevano messo a rischio il segreto sull’esistenza dei vampiri e per questo i Volturi li avevano sterminati, così come avevano punito tutti quelli che li avevano difesi, la madre delle tre sorelle Denali compresa. Da quel momento la creazione di vampiri da neonati era stata proibita e i successivi episodi puniti con la massima severità.
Tanya e le sue sorelle avevano sopportato con dignità la perdita della loro creatrice, ma il dolore non aveva mai smesso di raggomitolarsi in loro.
Era una storia straziante e ne ero rimasta profondamente colpita. Non volevo causare altra sofferenza, soprattutto per un motivo così banale come le mie insicurezze.
Lo strinsi fra le braccia. “Non c’è problema se vengono… Anzi, sono curiosa di conoscerle”.
Era una mezza verità e credo che Edward ne fosse consapevole perché non ridacchiò come accadeva ogni volta che provavo a mentirgli.
In quel momento sentii il telefono squillare. Non capii chi rispose, ma non era un mio problema. Io ero nel mio piccolo rifugio felice. Niente e nessuno avrebbe dovuto rovinarlo. Edward e solo Edward. In una parola soltanto era racchiusa tutta la mia felicità. Lo strinsi forte e mi baciò.
La giornata volò. D’altra parte quando ero con lui, il tempo passava troppo velocemente. Ma fra meno di una settimana, il tempo avrebbe potuto volare a suo piacimento, tanto avremmo avuto l’eternità. Finalmente il mio desiderio avrebbe preso vita.
“Credo che sia ora che tu vada. Sono le sette. Tra poco Charlie tornerà a casa. E vorrà vederti…” mi ridestò Edward dal mio magnifico sogno.
Sbuffai. “Ok. Però dopo cena, vieni, vero? Come al solito…”
“Certo. Come potrei non venire?”.
Quando scendemmo in salone, Edward sorrise, osservando Rosalie.
Stranamente sua sorella sembrava particolarmente felice, mentre Alice aveva un’aria afflitta. Non ne capii il motivo, ma Rosalie decise di informarmi subito della novità. In piccola parte mi riguardava.
“Tanya ha confermato la sua presenza al matrimonio” esclamò soddisfatta.
Non potei dire lo stesso di me. Credevo di poter evitare di vederla, e invece… Cercai di essere il più sorridente possibile: in fondo erano gli unici invitati dei Cullen e io dovevo essere maggiormente accondiscendente.
“Bene. Sono contenta” dissi fintamente entusiasta.
“Con lei viene qualcun altro. Non mi ha detto chi però… Ha detto che è una sorpresa” continuò Rose.
A quel punto Alice sbottò:“Santo cielo, ma vi rendete conto? Non ho previsto il suo arrivo! Ho visto solo Kate. Perché diavolo…?! Forse il mio potere sta perdendo colpi?”.
Jasper si mise a ridere:”Stai calma, Alice. Non puoi prevedere tutto quello che succede nel mondo. Oppure forse non aveva ancora deciso e lo ha fatto solo quando ha telefonato. Non può essere?”.
“No! Perché ha telefonato Kate e io avevo previsto la sua telefonata. Quindi avevano già deciso…” continuò Alice. Aveva un tono tra l’infuriato e l’affranto. La cosa tuttavia non mi preoccupava affatto e sinceramente non capivo neanche perché Alice ne stesse facendo una questione di stato.
“Forse è la persona che viene con Tanya che non riesci a vedere e quindi anche lei ti diventa invisibile” suppose Carlisle.
Credo che questa ipotesi nessuno l’avesse pensata perché tutti si zittirono. E forse sarebbe stato meglio che neanche Carlisle l’avesse pronunciata, perché su ogni volto si dipinse un’espressione preoccupata.
“Ma gli unici esseri che non riesco a vedere sono i licantropi! Tanya sta venendo qua con un licantropo?! Mi sembra assurdo!” esclamò Alice.
“Oh no, un altro licantropo no!” inveì Rosalie, che odiava a morte tutta la comunità Quileute.
“Oh, andiamo, non può essere. I Denali non hanno simpatia per i licantropi, non credo che abbiano cambiato idea” concluse Esme, la moglie di Carlisle.
“Forse Tanya ha trovato il tuo amichetto pulcioso e te lo sta riportando come regalo di nozze!” mi derise Rosalie. L’allusione a Jacob era evidente.
“Piantala, Rosalie” tagliò corto Edward. “Credo che sia inutile perderci in tutte queste congetture, vedremo quando arriverà. A quando…?”
“Due giorni prima del matrimonio” rispose Rosalie.
“Come mai così presto?” non potei trattenermi dal domandare.
Rosalie mi guardò con disprezzo. “Se non ti dispiace è una mia amica e la vedo raramente quindi le ho chiesto di venire prima per passare un po’ di tempo insieme. Contenta?”.
Mi sentii terribilmente in imbarazzo. Solo perché io non la volevo non significava che tutta la famiglia si dovesse adeguare alle mie necessità. Avrei voluto sprofondare. Edward ringhiò: non poteva sopportare che qualcuno fosse scortese con me, ma con Rosalie era tempo perso. Siccome non volevo essere assolutamente causa di scontri, salutai tutti e varcai la soglia del portone per raggiungere il mio pick-up. Edward mi seguì.
“Scusami per Rosalie” riuscì a sussurrare.
“Non hai niente di cui scusarti. Sono io che ho fatto una domanda stupida”.
“Il fatto è che Rosalie e Tanya sono molto amiche e lei ci tiene particolarmente alla sua presenza. Non ce l’aveva con te…” continuò.
E invece sì che ce l’aveva con me. Non mi poteva sopportare. Era palese. Mi chiedevo se una volta che fossi stata vampirizzata il suo atteggiamento sarebbe cambiato oppure se avrei dovuto ponderare con cura tutte le frasi che le rivolgevo per evitare una rissa, perlomeno verbale.
“Non ti preoccupare” mormorai: non volevo assolutamente che si sentisse in colpa.
“…comunque, se ti dà fastidio, posso dire a Tanya che venga solo per il giorno del matrimonio e che se vuole può rimanere dopo. Tanto noi saremo in viaggio di nozze…” propose.
Oh santo cielo, no! Se Edward avesse fatto una cosa del genere, Rosalie mi avrebbe sgozzato. Dovevo iniziare bene la mia convivenza con sua sorella, non certo con una litigata furiosa.
“No, no. Non voglio assolutamente turbare Rosalie. E poi a me non dà fastidio. Figurati, va bene che sono molto complessata, ma posso sopravvivere. Stai tranquillo”.
Lo salutai con un bacio e mi diressi verso casa.
Arrivai prima di mio padre e quindi ebbi il tempo di preparare la cena.
Quando varcò la soglia, aveva l’aria distrutta. C’erano state parecchie beghe al lavoro e lui, complice anche lo stress per il matrimonio, aveva somatizzato tutta la stanchezza. Si buttò sul divano, stremato. Accese la Tv. Le prime parole che mi rivolse furono:“Domani Alice viene per la prova del vestito, vero? Ho veramente bisogno di una giornata di riposo…”.
Non potevo certo dirgli che dipendeva dalle condizioni climatiche. Però a Forks la presenza del sole era così sporadica, che quasi sicuramente l’indomani sarebbe stato nuvoloso.
“Sì, viene domani” risposi laconica.
Per tutto il resto della serata non scambiammo alcuna parola. Era veramente a pezzi. Finita la cena, non si fermò neanche a guardare la Tv, ma andò direttamente a letto. Io rimasi in cucina a lavare i piatti e fui assorbita dai miei pensieri.
Tanya sarebbe venuta con qualcuno. Forse si trattava di un “lui”. Se fosse stato così, non so perché, ma mi sarei sentita straordinariamente meglio. Edward amava me e allora perché temevo la presenza di Tanya? Era soltanto invidia o forse stava subentrando un pizzico di gelosia?
Edward aveva scelto me. E Tanya, da quello che mi aveva raccontato lui, aveva capito da un pezzo che non c’era alcuna possibilità, già prima che mi conoscesse. Perché mai Edward avrebbe dovuto cambiare idea proprio adesso? Sospirai. La verità era che, a pochi passi dalla meta, avevo dannatamente paura che subentrasse qualcosa che potesse far svanire i miei sogni. Ma non poteva succedere più nulla. Neonati in giro non ce n’erano, segugi desiderosi del mio sangue neanche. Quindi potevo tranquillizzarmi…
Chissà chi era la persona che si portava dietro Tanya? La mia curiosità stava avendo il sopravvento. E chissà perché Alice non la vedeva? Forse Jasper aveva ragione: non poteva prevedere tutto quello che il mondo avrebbe fatto in qualsiasi momento. Anche se questo era alquanto inconsueto, per lei.
Chiunque fosse, io mi sarei sposata ugualmente e sarei diventata una vampira. E Rose sarebbe stata contenta di vedere la sua amica dopo tanto tempo.
Edward mi aveva raccontato dell’amicizia fra sua sorella e Tanya. Un’amicizia strana, nata dall’odio più profondo. Entrambe erano dannatamente belle (Rose la vedevo e su Tanya non avevo dubbi) e appena si erano conosciute l’invidia aveva subito preso piede. Nonostante Tanya fosse molto più vecchia di Rose (parliamo di qualche secolo) e quindi in teoria più matura, si era lasciata contagiare dalla competizione. Si contendevano i vestiti più belli, i trucchi migliori e gareggiavano persino a chi riceveva più attenzione dai ragazzi. Per Tanya non c’era alcun problema: non aveva mai avuto un ragazzo fisso, mentre Rose aveva Emmett. Che capendo la situazione si era fatto indietro. Mi sembrava assurdo: come poteva Emmett acconsentire che Rose facesse la civetta con altri solo per vincere una stupida competizione con Tanya? E Rosalie come faceva, pur essendo innamorata alla follia di Emmett? Inconcepibile. Anche se Edward mi aveva detto che di fatto Rose non si faceva neppure sfiorare dalle sue conquiste, non mi sembrava ugualmente corretto.
Avevano continuato così per una quarantina d’anni, poi stufe della facilità con cui gli esseri umani si lasciavano conquistare, avevano deciso di provare con i vampiri. Tutta la famiglia Cullen si era ribellata a questa ennesima trovata, dicendo che con i vampiri non era possibile giocare come con gli umani, che erano pericolosi, ma loro avevano deciso di continuare nel loro passatempo.
Un pomeriggio durante una battuta di caccia organizzata dalle due affascinanti ragazze con un vampiro conosciuto da pochi giorni, le cose erano degenerate improvvisamente. Tanya si era ritrovata da sola col vampiro mentre Rosalie aveva rincorso un puma, allontanandosi da lei di parecchi chilometri. La neo-conquista aveva cominciato a fare apprezzamenti pesanti a Tanya e, visto che lei non lo respingeva (ufficialmente aveva sempre fatto finta di essere interessata a lui), lui si era preso la libertà di tentare un approccio poco ortodosso. A quel punto Tanya lo aveva respinto in maniera cortese, ma decisa. Il vampiro non aveva accettato il rifiuto e le cose avevano preso una piega sbagliata. E Tanya, che si era sempre considerata tanto forte, si era accorta di un’altra verità: come per gli esseri umani, anche nei vampiri gli uomini sono spesso più forti delle donne, a meno che non ci si trovi di fronte a Neonate.
Per sua fortuna, Rosalie, nonostante la distanza, aveva sentito le sue urla ed era arrivata.
Insieme l’avevano ucciso.
A parte la ramanzina che si erano beccate entrambe una volta rientrate a casa Cullen, da quel momento le due vampire erano diventate così amiche da confidarsi tutti i segreti più intimi. Tanya per Rosalie, era diventata quasi una seconda sorella, anche se ovviamente il loro legame non era paragonabile a quello che Rosalie aveva con Alice.
Edward mi aveva raccontato che per un decennio Tanya era venuta tutti i mesi a trovarla. Il viaggio lo faceva sempre lei perché aveva piacere di vedere anche tutto il resto della famiglia Cullen (secondo me invece era solo una scusa buona per vedere Edward!). Passavano due-tre giorni insieme parlando di tutto, andando a caccia, a fare shopping, a raccontarsi tutte le novità.
Poi le riunioni avevano cominciato a diradarsi finché, da qualche anno, non si erano più viste. Emmett pensava che Tanya si fosse trovata un compagno con cui condividere l’esistenza. Per Rosalie era inconcepibile perché vista l’amicizia che le univa, si aspettava che Tanya glielo confidasse. Poi Alice si era sempre presa il disturbo di investigare nel futuro di Tanya e non aveva mai visto niente di particolare. Però adesso la teoria di Emmett poteva avere un fondamento: chi poteva essere la persona che si portava dietro al matrimonio?
Se fosse stato davvero suo marito Rosalie sarebbe rimasta molto delusa vista la confidenza che credeva ancora di possedere con l’amica.
Quando Edward mi aveva raccontato del loro rapporto ne ero stata un po’ invidiosa. Io non avevo mai avuto un’amica così intima. Sempre amicizie molto superficiali che alla fine non mi avevano lasciato nulla. Forse era anche per questo che avevo lasciato Phoenix per trasferirmi a Forks senza troppi rimpianti. Dopo tante esperienze negative mi ero quasi convinta di essere io ad avere qualcosa che non andava. Tutte le donne avevano amicizie femminili, perché io no? Anche a Forks, a parte Angela e Jessica, conosciute a scuola, non avevo molte amicizie. E sinceramente non sentivo neanche la loro mancanza, quindi non potevo considerarle realmente amiche. Più che altro conoscenze piacevoli con cui scambiare qualche battuta ogni tanto, niente di più.
Sì, Rosalie era molto fortunata.
E chi ero io per impedirle di vedere la sua migliore amica? Solo per uno stupido complesso di inferiorità nei suoi confronti?  Non so come facesse Edward ad amarmi tanto.
Guardai l’ora. Erano già le 21,30!
Mi tolsi il grembiule e corsi in camera mia dove, ne ero certa, il mio meraviglioso futuro marito mi stava aspettando.

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Capitolo 4
*** Sorprese ***


Ciao a tutti,
dopo BEN tre capitoli incentrati sui Cullen, ci orientiamo verso l’altra parte dello schieramento: indovinate quale?!?! Il capitolo è un po’ lunghetto perché non me la sono sentita di dividerlo a metà (non avrei proprio saputo dove separare!) ma non scoraggiatevi, mi raccomando!
Baci e buona lettura.

 
 
Meno 5.
Mancavano solo 5 giorni prima che diventassi la signora Cullen.
Il solo pensiero mi faceva rischiare l’infarto per la gioia. Avevo persino smesso di guardarmi allo specchio, non temevo più il sorgere di nuove rughe. In fondo qualche segno di espressione potevo ancora permetterlo.
E tutto era diventato sopportabile al pensiero del traguardo che avrei raggiunto a breve.
Persino fare la spesa, che io avevo sempre odiato ferocemente, era diventato quasi divertente. E poi quella forse sarebbe stata l’ultima che avrei fatto nella mia vita. Questa odiosa necessità umana tra poco non mi avrebbe più assillato.
Vagare per le varie corsie del supermercato sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo da cucinare: che cosa tremendamente noiosa! Anche adesso, mi stavo annoiando a morte, come al solito.
Giravo per gli scaffali, stipando il carrello di cibi inutili, perlomeno per me: lo stavo riempiendo, pensando a mio padre. Doveva avere qualcosa di cui cibarsi in vista della mia assenza e non volevo lasciarlo a digiuno soprattutto i primi giorni, quando sarebbe stato da solo e avrebbe maggiormente sentito la mia mancanza. Poi speravo che si sarebbe organizzato in qualche modo. Il problema era la cucina: non riusciva a cuocere niente senza bruciarlo. Pensai quindi che fosse meglio comprargli della pasta e carne precotte, soltanto da scaldare. Mi diressi verso il banco dei surgelati.
La corsia era lunghissima e fu per questo che non mi accorsi di chi era lì a fare la spesa.
Mi stavo aggirando per i vari scomparti, cercando qualcosa che riscuotesse i gusti di Charlie, quando sentii chiamare il mio nome. Una voce femminile.
Alzai lo sguardo e incontrai quello, all’apparenza quasi fraterno, di una ragazza dal viso magro e il sorriso bonario, vagamente deturpato dalla lunga cicatrice che le solcava la guancia destra.
Emily.
L’incontro non destò in me alcun tipo di piacevole sensazione. Anzi inizialmente mi sentii tremendamente a disagio. Emily era la compagna di Sam, e io, nonostante i nostri rapporti fossero sempre stati cordiali, in quel momento mi sentii in colpa, anche se non avevo niente di cui vergognarmi.
“Bella, come stai? Anche tu indaffarata a fare acquisti, vedo…” commentò guardando il mio carrello colmo di ogni tipo di genere alimentare.
“Beh, sì… Tu piuttosto che fai qui? Non c’è un supermercato anche a La Push?”.
Mi pentii subito dopo: sembrava che fossi seccata di averla incontrata, mentre invece non era affatto così. Ma lei non sembrò farci caso.
“Oh è vero, ma Sam ama alla follia alcune salse e tipi di carne che vendono solo qui. Perciò ogni tanto mi tocca fare un’incursione da queste parti. Allora cosa mi racconti? Come procedono i preparativi per il matrimonio? Mancano solo 5 giorni, giusto?”.
“Già. Ormai non c’è più niente da fare. E’ tutto pronto. Mancano solo i dettagli… Io non ho praticamente fatto nulla. Alice si è occupata di tutto”.
“Capisco…”.
La conversazione sembrò arenarsi. Emily ed io ci eravamo parlate solo in un paio di occasioni e non sapevo bene cosa raccontarle. Inoltre temevo che lei mi odiasse per quello che era successo con Jacob.
“Bella, volevo dirti che io sono sinceramente felice per il tuo matrimonio. Non ho mai avuto l’occasione di dirtelo anche se questa, tra gli scaffali del supermercato, non mi sembra la situazione migliore. Sei molto coraggiosa. Io non credo che, al posto tuo, avrei avuto il coraggio di fare questa scelta. Per tutto quello che comporta… Capisci a cosa mi riferisco, no? Comunque, ti volevo fare le mie felicitazioni più sentite” mi disse sorridendo.
Rimasi a bocca aperta. Quello che mai mi sarei aspettata di sentire dalla compagna del capo branco dei Quileute, mi stava venendo detto proprio ora, in quel momento. Il mio imbarazzo svanì come neve al sole.
“Ti ringrazio Emily” sussurrai, ancora incredula.
“Io sono del parere che bisogna sempre seguire il cuore e se il tuo ti suggerisce questo è sicuramente la scelta giusta”.
“Grazie. Piuttosto mi dispiace non aver invitato al matrimonio te e Sam, ma ho pensato…”.
“Non ti devi assolutamente scusare per questo. Al matrimonio si invitano gli amici più cari, e poi Sam non sarebbe mai venuto. Credo che tu ne comprenda il motivo…” disse. Stavolta fu il suo turno a essere imbarazzata.
“Sì, lo immaginavo. A dire il vero a parte i Black, abbiamo invitato solo i Clearwater. E non verranno neanche tutti…” dissi, riferendomi a Leah. Non me la sentii di continuare in quanto Leah era sua cugina e preferii astenermi da qualsiasi commento potesse essere frainteso. Emily capì al volo e glissò signorilmente sull’argomento.
“Già. Hai fatto bene. Anche perché credo che nessuno del branco sarebbe venuto. Nessuno di loro è un tuo fan accanito… Però” si affrettò a chiarire “ritengo che sia una reazione stupida. In fondo, tu hai fatto le tue scelte e Jacob le sue. Non si può serbare rancore a una persona soltanto perché ha preso decisioni diverse da quelle che noi speravamo”.
“Ti ringrazio Emily. Sono felice di sapere che, a parte Seth, c’è qualcun altro che non ce l’ha con me…” le dissi sinceramente felice.
Si avvicinò a me, mi diede due baci sulle guance poi mi salutò:“Adesso vado. Ancora congratulazioni” e si allontanò.
Quella conversazione mi rallegrò improvvisamente, se ce ne fosse stato bisogno. Non che mi importasse particolarmente di quello che pensava il branco, però sapere che c’era qualcuno che si distaccava dall’odio incondizionato verso i vampiri e vedeva le cose in maniera più obbiettiva mi rese serena.
Ultimai la spesa velocemente e poi mi diressi verso quella che sarebbe rimasta casa mia solo per 5 giorni.
“Papà?” dissi mentre aprivo la porta d’ingresso. “Sono a casa”.
Quando entrai lo incrociai mentre si stava infilando nei pantaloni la solita camicia scozzese. Si era spogliato? Sentii la voce argentina di Alice provenire dal salotto. Già, oggi era in programma la prova del vestito. Me n’ero completamente dimenticata.
“Perché non mi avete aspettato?” brontolai, lasciando le sporte sul tavolo in cucina.
“Non era proprio il caso. Avrai l’onore di vedermi vestito da pinguino solo fra 5 giorni. Non prima” ringhiò Charlie, prima di sparire al piano superiore. Non so se fosse più arrabbiato perché odiava certi tipi di cerimonie o perché sua figlia sarebbe stata la futura sposa. Forse la seconda.
“Quando arriva tua madre, Bella?” domandò Alice mentre raccoglieva tutti i ferri del mestiere.
“Domani pomeriggio” risposi.
Ovviamente la madre della sposa arrivava un po’ prima e io ero la prima a esserne contenta. Sarebbero stati i nostri ultimi giorni e poi non l’avrei più rivista. Avremmo avuto solo 4 giorni, però d’altra parte non potevo metterle fretta altrimenti si sarebbe insospettita. E solo io sapevo quanto poteva diventare petulante mia madre con tutte le sue domande.
“Ti vedo particolarmente allegra oggi, Bella. E’ successo qualcosa che mi è sfuggito?” domandò Alice.
“Non particolarmente” risposi.
“Emily ti ha detto qualcosa di bello?”.
Sbuffai. Accidenti, con Alice era impossibile avere un segreto! Non riuscivo a fare niente senza che lei lo sapesse in anticipo.
“Niente di particolare. Mi ha semplicemente fatto le felicitazioni per il matrimonio e beh… mi ha fatto piacere. Tutto qui” confessai.
Alice non commentò. Si limitò a sorridermi.
In quel momento mio padre scese dalla scala che portavano alle camere. “Vado al lavoro, Bella. Ci vediamo stasera” disse.
“Come? Avevi detto che avevi preso tutta la giornata di ferie…” protestai, arricciando le labbra.
“Scusami. Ma c’è molto lavoro al commissariato. Devo proprio andare. A stasera” e uscì frettolosamente.
La notizia mi rattristò. Avevo sperato di passare la giornata con lui. Il tempo ormai stringeva.
“Devi capirlo, Bella. Per lui è molto difficile affrontare tutto ciò. Il lavoro lo distrae…” lo scusò Alice.
“Lo so, ma questi sono gli ultimi momenti. Poi non lo vedrò più. Non voglio che gli restino rimpianti…”
“Purtroppo credo che questo sarà inevitabile, in ogni caso, anche se tu passassi il prossimo mese accanto a lui 24 ore su 24. Per un genitore è difficile perdere un figlio” affermò tristemente.
Cercai di non pensarci. Non volevo neanche immaginare quello che Charlie avrebbe provato quel giorno. Sarebbe stato troppo doloroso, anche per me.
“Senti Bella, devo andare a Port Angeles a prendere le vostre bomboniere. Ti va di accompagnarmi?” mi propose.
“Port Angeles? Ma… veramente volevo vedere Edward…”.
“Edward stamane non c’è. E’ andato con Jasper a caccia”.
“Come mai? Ieri sera non mi ha detto niente…”.
“E’ stato improvviso. Jasper ha avuto sete e visto che io non potevo andare con lui, ha chiesto a Edward. Tanto pensava che tu saresti stata impegnata tutto il giorno con Charlie…”.
“Ah…”.
Delusione. Profonda delusione mi si stampò in faccia.
“Oh andiamo, Bella! Tra 5 giorni sarete marito e moglie e starai per sempre con lui. Cosa vuoi che sia mezza giornata! Tornerà nel primo pomeriggio…” rise.
Ai suoi occhi dovevo sembrare proprio ridicola. Stavo a elemosinare ogni secondo con Edward quando presto l’eternità si sarebbe stagliata di fronte a noi. Proprio patetica.
“Allora vieni o no con me a Port Angeles?” ribadì, con un tono vagamente accigliato.
A Port Angeles, a prendere le bomboniere? Mamma mia, sarebbe stato più sopportabile un’intera giornata di ginnastica e palestra! Però mi sentivo tremendamente in colpa nei confronti di Alice: si stava adoperando completamente per il mio matrimonio, per il quale io non avevo alzato neanche il dito mignolo. Potevo andare a prendere almeno le bomboniere …
“D’accordo, vengo. Però torniamo nel pomeriggio” decisi risoluta.
“Sì, sì. Non ti preoccupare. Non porterò via neanche mezzo minuto al tuo pomeriggio con mio fratello”.
Andai in camera a mettermi le scarpe e poi uscimmo.
Il viaggio sulla sua Porsche giallo canarino fu brevissimo, anche se per me troppo lungo. Soprattutto quando arrivammo in città. Tutti si voltavano per guardarci. Sicuramente osservavano più la macchina di noi, ma mi sentivo ugualmente in imbarazzo. Io che cercavo di passare il più inosservato possibile, sapevo che era una missione impossibile quando stavo con Alice. Lei era l’appariscenza fatta persona. Non perché fosse bellissima, come Rosalie, ma per il suo atteggiamento sempre entusiasta e sorridente. Poco più alta di un metro e mezzo, camminava a passo spedito, quasi saltellando, come un piccolo folletto. E a comunicare questa sensazione contribuivano anche il suo nasino all’insù e i capelli corti e arruffati. A volte la immaginavo come aiutante di babbo Natale e sarebbe stata perfetta!
Non trovammo parcheggio immediatamente. Girammo mezza città prima di riuscire a posteggiare l’auto e sentire gli sguardi di tutti su di me fu terrificante.
Una volta ferme, mi allontanai in fretta perché non volevo che la gente lì presente mi etichettasse come “quella della Porsche gialla”. Alice invece indugiò a frugare nel portaoggetti della macchina. Io mi avvicinai alla vetrina di un negozio, per giustificare in qualche modo, senza che si offendesse, il motivo della mia fuga.
Quando mi raggiunse guardò anche lei la vetrina e mi indicò la direzione che dovevamo prendere per raggiungere le bomboniere.
Port Angeles era una cittadina molto carina, ma non certamente grande. Mi stupii del fatto che Alice avesse scelto uno dei pochi negozi di confetti, invece che correre fino a Seattle. Evidentemente doveva proprio essere rimasta conquistata dai suoi prodotti.
Raggiungemmo il posto in fretta. Quando entrammo nel negozio, una signora sulla cinquantina ci accolse cordialmente e salutò Alice con un ossequioso “Buongiorno signora Cullen, la aspettavo”. Si ricordava di Alice. Chissà perché…
Andò nel retro bottega e torno con una scatola di cartone che doveva essere piena di bomboniere.
La signora fece per aprirla per farci vedere il risultato ma Alice la fermò con un cenno della mano.
“No, la prego. Lei” mi indicò “è la sposa e non voglio che le veda. Deve essere una sorpresa. Comunque mi fido: sono sicura che sono esattamente come le ho ordinate” disse.
La signora le presentò il conto e capii perché si ricordava di Alice. Una cifra semplicemente astronomica. Con che cosa le aveva fatte fare? Con oro fino?
Mi passò completamente la curiosità di vederle.
Le prendemmo e tornammo alla macchina.
Aiutai Alice a sistemarle nel portabagagli. Stavo per accomodarmi sul sedile, quando Alice mi propose:”Ti va di fare una passeggiata? Non è neanche mezzogiorno. Edward non tornerà prima delle 16”.
Una passeggiata? Con Alice sarebbe stato sicuramente un giro per negozi.
Uff! Però a casa non avevo niente da fare. E così acconsentii.
Ci dirigemmo verso il centro della città, dove stavano tutti i principali negozi. Non ce n’era nessuno di grandi firme, perciò forse mi sarei divertita anch’io.
Ci aggirammo fra un negozio e l’altro ed entrammo praticamente in tutti.
Andammo anche in un fast food. Io dovevo pur mangiare. E quello sarebbe stato uno dei miei ultimi pasti.
Mi stavo divertendo. D’altra parte con Alice era impossibile annoiarsi.
Era un vulcano di idee e di chiacchiere. Riuscivo a parlare con lei praticamente di tutto e lei riusciva a coinvolgermi anche in argomenti che, di per sé, non destavano in me il benché minimo interesse. Ma lei era così. Semplicemente entusiasmante. A parte Edward, la migliore in casa Cullen.
La giornata era diventata bellissima. Prima le congratulazioni di Emily e poi il divertimento inaspettato con Alice. Almeno fino a quel momento.
E’ strano come le giornate possano diventare improvvisamente orrende. E a me successe.
Passando davanti all’ennesima vetrina, Alice si inchiodò. Non capii che cosa ci fosse di così interessante visto che erano esposti articoli sportivi. Poi disse:”Guarda quelle scarpe” e me le indicò.
“E allora? Sono delle normali scarpe da tennis” semplicizzai.
“Sì, certo. Anche a me non sembrano niente di che, però Jasper le ha viste su un catalogo e gli piacciono moltissimo. Dai, entriamo che gliele compero. Sarà una bella sorpresa!” e mi trascinò dentro il negozio dove fummo servite subito da un commesso. Mentre lei si intratteneva con lui, iniziai a girare. Il locale era davvero grande, in proporzione alle dimensioni della città che lo ospitava. Aveva moltissimi scaffali e tre camere immense dove si poteva trovare di tutto: dall’attrezzatura per sci alle scarpe da tennis, dalle tute da ginnastica ad attrezzi per ogni tipo di sport. Di tutti i prezzi, dagli articoli firmati a quelli per tasche meno abbienti.
Nel mio percorso arrivai nell’ultima sala e mi misi a curiosare a giro. Non c’era niente che mi interessasse particolarmente ma, in attesa che Alice finisse i suoi acquisti, dovevo pur passarmi il tempo in qualche modo. E non mi accorsi subito di chi c’era lì, fra i vari scaffali in mezzo alla sala. Fu lui ad accorgersi di me. E d’altra parte non poteva essere altrimenti, visto il suo acutissimo fiuto.
“Ehi Bella, che ci fai qui?” esclamò Jared.
Riconobbi subito la voce. Mi girai verso di lui e fingendo un’espressione felicemente sorpresa, lo salutai.
“Ciao, come stai?”.
“Tutto ok. E tu?”.
“Bene, grazie”.
Come per Emily, non fui felice di incontrarlo. Soprattutto dopo che lei mi aveva velatamente fatto capire che mi odiavano. Se penso che per un breve periodo tutti o quasi quelli del branco erano stati miei amici, mi faceva sorridere l’idea di come i nostri rapporti si fossero deteriorati. E soltanto perché io sposavo un vampiro. In fondo i Cullen non erano come gli altri, assetati di sangue umano, quindi non capivo il motivo di tanto astio nei loro confronti.
“Cosa fai qui? Hai intenzione di andare al tuo matrimonio in scarpe da tennis?” ironizzò Jared.
Risi sinceramente. Per quanto interessava a me quella stupida cerimonia, avrei anche potuto farlo. Maglietta e scarpe da ginnastica. Ecco l’abbigliamento che avrei preferito!
“No” risposi. “Sto solo accompagnando Alice. Deve fare acquisti”.
“Ah, c’è anche lei?” si rabbuiò il licantropo.
Confermai.
Continuammo a parlare ma il suo tono di voce era completamente mutato. Sembrava a disagio e desideroso di interrompere la conversazione in fretta. Forse l’idea di incontrare una dei Cullen non lo entusiasmava. Decisi che non lo avrei trattenuto oltre. Ci stavamo salutando quando la mia “rovinagiornata” arrivò a grandi falcate.
“Jared, dove sei? Io ho fatto. Ah… Ciao Bella!”.
No! Proprio lei, no!
Leah.
Una ragazza alta per la media. Circa vent’anni anni, capelli a caschetto neri, occhi scuri. Pelle olivastra e labbra carnose. Un tempo molto graziosa ed estremamente femminile. Poi in seguito alla trasformazione, i geni da lupo avevano preso il sopravvento e la sua corporatura era profondamente mutata, facendola diventare robusta e muscolosa, anche se i tratti del viso tipicamente femminili li aveva conservati. Ora non si poteva certo definire una bellezza, ma non potevo negare che magari agli occhi di un uomo potesse sembrare affascinante.
Era sbucata all’improvviso. Non avevo capito dove si fosse rintanata nel negozio, visto che non l’avevo notata, altrimenti me la sarei data a gambe all’istante.
“Ciao Leah. Come va?” cercai di essere il più educata possibile.
“Bene. Tu piuttosto? Come procedono i preparativi? E’ tra 5 giorni, vero?” domandò.
Accidenti. Oggi ho vinto una giornata col branco! Però mi sembrava tutto strano. Anche Leah sembrava eccezionalmente cortese. Come se non ci fosse mai stato nulla fra noi. Prima che scoprisse la sua vera natura, l’avevo incontrata solo una volta. La conoscevo più che altro grazie ai racconti che Jake mi aveva fatto su di lei e Sam. E quell’unica volta, davanti al falò, avevo sentito un forte senso di compassione per lei e la profonda tragedia che aveva vissuto. E probabilmente me l’aveva letto negli occhi. Era una persona tremendamente orgogliosa e non amava affatto essere compatita.
Subito dopo la trasformazione, dal modo in cui mi guardava non avevo avuto dubbi: mi odiava. Forse perché io, al contrario di lei, sarei riuscita a coronare il mio sogno d’amore. O semplicemente perché non capiva come facessi ad amare un vampiro. Lei li odiava profondamente perché attribuiva alla loro esistenza la fine del suo amore con Sam.
Però ora era squisitamente gentile. Notai che aveva fatto acquisti. Forse lo shopping l’aveva ammansita.
Illusa!
Parlammo un poco del mio matrimonio e dei preparativi, di cui in realtà sapevo poco e niente. Ma, onde evitare di svegliare il can che dorme, decisi di non nominare mai il nome di nessuno dei Cullen.
Buttavo ogni tanto un’occhiata verso Jared che sembrava sulla graticola, come se volesse scappare il più velocemente possibile. Conosceva Leah molto meglio di me.
“Verranno anche Seth e mia madre. Te l’hanno già detto, no?” mi domandò.
“Certo. Seth me l’ha confermato subito” ribadii.
“Spero che non ti dispiaccia se io non vengo. Non è mia abitudine andare a feste organizzate da succhiasangue. Non riuscirei neanche a mangiare al buffet. Già. Ma il buffet ci sarà? Sai com’è, la tua futura famiglia non mangia molto…” mi sorrise beffarda.
Jared incrociò le braccia e cominciò a battere nervosamente il piede a terra. Capii che la tregua era finita.
Ma decisi che io sarei stata superiore e non avrei risposto alle provocazioni di Leah.
“Certo che ci sarà. In fondo sono praticamente tutti invitati miei. Anzi mi dispiace che tu non venga. E’ stato preparato un pranzo veramente gustoso…”.
“Uhm, immagino… Qualche puma sgozzato?”.
Contai fino a 5 prima di rispondere. La ragazza sapeva come farmi irritare.
“No, figurati. Ci sarà un po’ di tutto per soddisfare i palati più esigenti” conclusi, tentando di mantenere la calma.
In quel momento arrivò Alice. Sapevo che la sua presenza avrebbe fatto precipitare la situazione, già in bilico. E lei elegantemente, come erano soliti fare tutti i Cullen, salutò Leah e Jared. Non sopportava i licantropi, e perciò tutto il branco dei Quileute, ma sapeva che erano miei “amici” e quindi cercava di evitare ogni scontro. Per di più avevano aiutato i Cullen contro Victoria e i suoi Neonati questa primavera. Gli era quindi profondamente grata, perché lei, più di tutti, sapeva che senza il loro intervento sarebbero morti.
“Ciao. Alice, giusto?” chiese Leah.
Alice annuì e tese la mano, in segno di amicizia. Leah la guardò con disgusto e voltò il suo sguardo verso di me. Jared gliela strinse, presentandosi a sua volta. Credo che il suo gesto fosse dettato solo dal voler evitare una rissa nel negozio. Non conosceva Alice e non sapeva come avrebbe reagito, ma il disprezzo reciproco fu evidente persino ai miei occhi.
“Tornando al matrimonio, chi è il tuo testimone di nozze, visto che Jacob non c’è?” continuò Leah.
“Alice” la indicai. “E’ la mia migliore amica”.
“Dopo Jacob, ovviamente” puntualizzò.
“Ce…Certo” balbettai.
Non capii subito dove volesse portare il discorso. Sapevo solo che il mio cuore aveva accelerato il battito.
Leah sorrise e poi si rivolse ad Alice.
“Beh, io se fossi in te avrei paura di questa affermazione. Se i suoi amici li tratta come ha fatto con Jacob, è meglio evitarla come la peste”.
Alice rimase interdetta un istante. Poi mi lanciò un’occhiata: voleva la mia autorizzazione a risponderle per le rime. La rabbia cominciò a montare come un uragano. Ero stata fin troppo paziente. Se Leah voleva la guerra, non mi sarei tirata indietro.
“Io non ho fatto niente a Jacob. Anzi, gli voglio molto bene…” ribattei.
“Uhm, si vede. Te lo sei tenuto stretto finchè ne hai avuto bisogno, però quando la tua sanguisuga è tornata dalla vacanza, non ti ricordavi neanche più chi fosse, Jacob”.
“Questo non è assolutamente vero. Io darei un braccio per la felicità di Jacob…”.
“Ti ringrazio del gesto, ma a Jacob non serve affatto un braccio. Vuole altro…”.
I toni erano cambiati. Entrambe avevamo alzato la voce e il sorrisetto era sparito dal suo volto.
“Io non posso dargli altro e lui lo sa molto bene. Sono stata estremamente chiara a questo proposito” esclamai con rabbia.
“Oh certo. Come no?” rise sarcastica. Poi si portò le mani al petto e guardando verso il soffitto con occhi sognanti disse, imitando la mia voce: “Ti amo Jacob. Sei una parte di me e lo sarai sempre. Il mio sole personale. Però, sai, non è abbastanza. Preferisco diventare un vampiro!”. Poi tornò a fissarmi. “Tu la chiami chiarezza, questa? Lo sa il tuo prezioso Edward che chiami Seth tutti i giorni per sapere se Jacob è tornato?”.
Un misto di rabbia e tristezza mi stava quasi soffocando. Avrei voluto ucciderla. Come si permetteva di discutere cose personali che appartenevano solo a me e a Jake?! Capivo che purtroppo tra licantropi non esistevano segreti perché appena si trasformavano tutti i pensieri dell’uno diventavano dell’altro, ma non era un buon motivo per parlarne in pubblico.
“Certo che lo sa. Io non gli nascondo niente. E non ho niente di cui vergognarmi, né tantomeno di cui scusarmi. Soprattutto con te” le urlai, stringendo i pugni. Stavo facendo una fatica tremenda. Sentivo il desiderio profondo di schiaffeggiarla e al tempo stesso dovevo reprimere le lacrime che spingevano per uscire.
“Oh, scusami. Dimenticavo che a te non interessa nulla se gli altri soffrono. L’importante è che il tuo piccolo mondo sia felice, poi tutto il resto può andare a quel paese. Io sinceramente non ho mai capito Jacob e il suo amore per te, ma spero che, al suo ritorno, non ti voglia più vedere. Anzi, sono sicura che non lo farà. Ha capito con chi ha a che fare: con una bambinetta viziata incapace di prendere le sue decisioni e che vuole tutto per sé. Se gli volessi veramente bene, lo lasceresti in pace”.
Sentii gli occhi diventare lucidi. Non ce la facevo più a trattenermi. Ma non volevo che Leah mi vedesse piangere. Non volevo che capisse quanto le sue parole mi facessero soffrire.
“Beh, allora sarai felice fra qualche giorno. Subito dopo il matrimonio me ne andrò e non avrete più il dispiacere di vedermi!” dissi con voce tremante.
“Benissimo. Ma sarà sempre troppo tardi, Bella. Non hai idea di quanto tu abbia rovinato Jacob! Gli hai distrutto la vita per sempre. Tu non senti i suoi pensieri. Non hai mai capito come lui soffrisse nel vedere te ed Edward insieme. L’hai ucciso giorno dopo giorno. Non puoi immaginare quanto sia duro essere respinti dalla persona che si ama più di se stessi!”
“E’ vero, io non posso saperlo. Mentre tu sei un’esperta in questo campo: com’è stato essere lasciata dall’uomo che ami per la propria cugina?” dissi, ritrovando forza nella voce.
Ma nel momento stesso in cui proferii quella frase, mi pentii. Non avrei mai dovuto dirlo. Jacob mi aveva detto svariate volte che nonostante fossero passati molti anni, Leah ne soffriva ancora. La mia frase la zittì. Le sue labbra cominciarono a tremare, i suoi occhi a velarsi di lacrime.
“Credo che sia ora di andare” interloquì Jared. “Siamo già in ritardo”.
Alice colse la sua affermazione al balzo per invitarmi a fare altrettanto. Ma nessuna delle due si mosse. Nonostante lei mi avesse attaccato per prima, mi sentivo tremendamente in colpa. Stavo per scusarmi, quando Leah disse:”Hai ragione. Spero che tu o il tuo Edward non dobbiate mai subire quello che è successo a me e a Jacob”.
“Non accadrà mai” dissi sicura.
“Mai è una parola grossa, Bella. Comunque, fateci un piacere. Una volta sposati, toglietevi dai piedi”.
Senza neanche salutarci Leah si avviò verso l’uscita. Jared ci salutò con un veloce cenno della testa e la seguì.
Rimasi imbambolata per una decina di secondi guardando la porta verso cui si erano diretti.
“Bella, tutto bene?” domandò Alice, scuotendomi leggermente.
Feci cenno con la testa e lei mi invitò ad uscire dal negozio.
Raggiungemmo la macchina in completo silenzio e rimanemmo in questo stato per buona parte del tragitto di ritorno.
L’incontro con Leah mi aveva travolto come un treno in corsa. Sapevo che non le riuscivo simpatica e non era questo ad avermi turbato, ma tutto quello che aveva detto di Jacob. Mi ero davvero comportata così male? Se lo avevo fatto, non me ne ero accorta. Ma non era una scusante. Il mio continuo bisogno di Edward aveva ottenebrato il mio giudizio? Stavo distruggendo Jacob? Sicuramente il fatto che fosse scappato per starmi lontano avvalorava le parole di Leah. Aveva detto svariate volte che mi amava. E io avevo fatto l’indifferente. Edward e solo Edward contava per me. Forse Leah aveva ragione. Dovevo aprire gli occhi e rendermi conto di ciò che stavo facendo. Pensare che Jacob, nonostante il mio rifiuto, stesse bene soltanto per la gioia di godere della mia amicizia era stata una terribile leggerezza. Come potevo non capire il dolore che gli avevo provocato in tutto questo tempo?
“Se fossi in te Bella, non darei troppo peso alle sue parole” ruppe il silenzio Alice.
Non ebbi la forza di risponderle.
“Quella ragazza ti odia, è plateale. Ha calcato molto la mano solo per farti sentire in colpa. Io credo che tu non abbia niente da rimproverarti” continuò.
“Forse Jacob pensa davvero quello che Leah ha detto” sussurrai a stento.
“Forse… O forse no. Non puoi saperlo se non parli direttamente con lui. E finché non torna, non potrai mai saperlo”.
“Ma allora perché Leah l’avrebbe detto, se non fosse vero?”.
“Perché Jacob è un suo amico e lo vuole difendere. Tutto qui”.
Scossi la testa. “Lei e Jacob non sono mai andati d’accordo. Anzi diciamo che si sopportano a mala pena…”.
“E allora vedi? Perché lei dovrebbe perorare la sua causa? Dammi retta: voleva solo ferirti”.
Forse Alice aveva ragione. Ma la ferita era stata riaperta. Ora dovevo richiuderla ancora una volta e mi costava una fatica enorme.
Arrivammo a casa mia. Ci salutammo e io entrai.
Sperai con tutte le mie forze che fosse Edward dentro ad aspettarmi. E così fu.
Era seduto sul divano del salotto.
Lasciai cadere la borsetta e corsi ad abbracciarlo. L’unico che sapeva come tranquillizzarmi e farmi vedere tutto più bello di quanto non fosse.
Mi accarezzò i capelli mentre immergevo il viso nel suo petto.
“Ho sentito i pensieri di Alice. Non devi preoccuparti di quello che ha detto Leah. Sono sicuro che Jacob non pensa una sola parola”.
“Come fai a dirlo?” gli domandai rauca.
“Perché fino a quando è stato qui sentivo i suoi pensieri, Bella. E ti posso assicurare che non te ne ha mai fatto una colpa. Anzi, incolpava me. Quindi puoi stare tranquilla…” disse.
Non risposi. Volevo cancellare Leah e le sue parole dalla testa. E volevo cancellare anche Jacob e il suo ricordo. Solo Edward doveva avere il privilegio di occupare i miei pensieri. Ero un’egoista davvero, ma è una colpa cercare solo ciò che ci può rendere felici? E solo il mio Edward era capace di rendermi tale.
Restai accoccolata su di lui per tantissimo tempo. Poi avvertii i brividi: il contatto con la sua pelle fredda si stava facendo sentire. Mi alzai, mio malgrado, e dovetti andare in camera a prendere il plaid. Quando tornai si era alzato dal divano per venirmi incontro.
“Domani arriva Renèe. Sai l’orario? Così andiamo a prenderla…”.
“Dovrebbe essere verso le sette di sera. Ha detto che mi mandava un messaggio poco prima del decollo dell’aereo per confermarmi l’orario di arrivo” risposi.
“Ok”.
Ci risedemmo sul divano e mi accoccolai su di lui.
“E Tanya quando arriva?” domandai.
“Fra due giorni. Rosalie ha insistito tanto perché venisse prima. Non ho potuto impedirlo, Bella. Mi spiace” si rammaricò.
“Non c’è niente di cui ti debba preoccupare. A parte lo shock iniziale, sono sicura che la sua presenza non mi procurerà nessun problema” lo rincuorai.
La sua risposta fu un dolcissimo bacio.
Ero così felice con lui. Non c’erano parole per descrivere i sentimenti che provavo. E il tempo non era mai abbastanza, quando eravamo insieme. Ogni minuto diventava insostituibile.
“Domani ti va se ci prendiamo una giornata tutta per noi?” gli chiesi.
Sul suo viso comparve prima lo stupore poi mi sorrise:”Tra poco saremo insieme per l’eternità e tu vuoi passare i tuoi ultimi giorni da umana con me? Sei veramente straordinaria, Bella!”.
“Oh Edward, io non ce la faccio a vivere senza te. Il tempo non basta mai. Ti prego…”.
“E tuo padre?”.
Sbuffai. “Lui per primo non vuole stare con me. Anche oggi dovevamo stare insieme tutta la giornata e lui è andato a lavorare…”.
“Non sa quello che succederà dopo, Bella…”.
“Lo so, ma io non posso dirglielo di certo. Quindi come faccio a tirarlo fuori dalla sua amata stazione di polizia? Visto che non ci riesco possiamo stare insieme tu ed io, no?”.
Mi abbracciò forte.
“Lo sai che non riesco a dirti di no. Hai una forza irresistibile su di me”.
“Spero di continuare ad averla anche dopo, signor Cullen” sorrisi.
“Per tutta l’eternità”.
Il pomeriggio passò troppo velocemente. Buttai un occhiata veloce sull’orologio a pendolo che stava di fronte a me. Ormai Charlie sarebbe arrivato a breve. Purtroppo dovevamo interrompere tutto. Si trattava solo di cenare con mio padre, ma quei pochi minuti mi sembravano un’eternità rispetto alle ore che passavo con Edward.
Malvolentieri mi alzai dal divano. “Tra poco arriverà papà. Devo cominciare a preparargli la cena”.
“Non c’è problema. Posso restare ancora un po’? Mi piacerebbe vederti cucinare…”.
Sbuffai. Io avrei preferito fare ben altro invece che mostrare le mie scarse doti culinarie.
Mi alzai e mi diressi in cucina, seguita da Edward. Si sedette su una delle sedie attorno al tavolo e io, indossato il grembiule, iniziai a spignattare.
E per la prima volta in vita mia mi divertii. Edward non diceva una parola ma a me fece una strana impressione cucinare con lui di fronte. Mi sembrava di essere una mogliettina che preparava la cena a suo marito. Come una coppia normale. Adoravo tutto quello che facevo con Edward, e ora scoprivo che perfino cucinare era meraviglioso, con lui accanto. Mi guardava rapito e io gli sorridevo voltandomi spesso a guardarlo. Perfino la cena venne meglio del previsto. Almeno all’apparenza.
La misi dentro il forno per tenerla tiepida.
“Ha un buon profumo, nonostante non sia per me granché appetibile” commentò.
“Credo che Charlie dovrebbe ringraziarti. Grazie alla tua presenza, stasera mangerà meglio degli altri giorni” risposi.
Si rabbuiò. “Mi dispiace che per me non lo potrai mai fare”.
“Per fortuna!” esclamai ridendo. “Io odio cucinare!”.
La mia affermazione non lo rallegrò. Restò pensieroso a lungo. Per lui, il pensiero di togliermi l’umanità era una vera tortura. E io non riuscivo a fargli entrare in testa quanto io invece ne fossi felice.
Rimase assorto per un po’ poi improvvisamente mi sorrise. Anzi, accennò persino una risata. Devo ammettere che all’inizio pensai fosse ammattito. Infine disse, guardandomi:“Finalmente una bella notizia”.
Si alzò dallo sgabello.
“Tuo padre sta tornando. Io vado” concluse.
Si avvicinò, mi diede un bacio di saluto e si diresse verso la finestra aperta del salotto.
Lo seguii e prima che uscisse gli dissi:”Ci vediamo verso le 21,30 in camera mia, come al solito”.
Mi sorrise tristemente. “Forse non ne avrai molta voglia stasera. Comunque, se decidessi di sì, lascia la finestra aperta e io arriverò, come al solito”.
Poi sgattaiolò via. Non capii il senso della sua frase. Forse stava davvero impazzendo. Perché mai non avrei dovuto avere voglia di vederlo? Mah…
Passato esattamente un minuto, la macchina di mio padre si posteggiò davanti alla casa.
Andai a spegnere il forno. Presto avremmo mangiato.
Sentii la porta di casa aprirsi.
“Ciao papà!” esclamai ad alta voce.
“Ciao Bells!” rispose di rimando Charlie. E sembrava contento. Anzi oserei quasi definire entusiasta. Quando mai mio padre era tornato felice e soddisfatto dal suo lavoro?
Mi tolsi il grembiule e lo deposi vicino al lavello della cucina. Mi diressi verso il salotto dove lo vidi, impaziente, seduto sul bordo del divano.
“Che ti prende? E’ successo qualcosa di bello?” chiesi, incuriosita.
“Non indovinerai mai”.
“Beh, allora dimmelo tu. Avete arrestato qualche pluriomicida, latitante per caso a Forks?” domandai ironica, conoscendo “l’intensa” vita criminale di questa città.
“Meglio” disse. Sembrava scoppiare dalla voglia di parlarmene. Non lo avevo mai visto così euforico ed ero davvero curiosa di saperne il motivo. Improvvisamente mi vennero in mente le parole che aveva detto Edward poco prima. Aveva sentito i pensieri di Charlie e aveva parlato di una bella notizia. Chissà di cosa si trattava?
Mio padre era ancora in silenzio.
“Allora cosa aspetti? Dimmi papà, dai! Non tenermi sulle spine” lo incalzai. La mia curiosità era alle stelle.
“Tu non ne sai niente, Bells?” mi domandò, aggrottando la fronte.
“So niente di cosa? Smettila di fare il gioco degli indovinelli! Dimmi tutto. Non farti pregare” sbottai spazientita.
Charlie mi sorrise.
“A pranzo mi ha telefonato Billy: Jacob è tornato a casa” sentenziò.
Il mio cuore si fermò per un attimo.

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Capitolo 5
*** E' la fine? ***


Ciao a tutti,
non voglio dilungarmi in introduzioni perché il capitolo è già abbastanza lungo di suo! Come avrete intuito dalla fine del precedente, è incentrato su un licantropo di nostra conoscenza. Che posizione sceglierà di prendere dinanzi al matrimonio della sua Bella?
Leggete e lo scoprirete…
Baci.

 
 
 
 
“Allora Bella, non dici nulla?” domandò Charlie.
Ero frastornata. La notizia aveva avuto su di me un effetto inatteso. Ero turbata, ma non distinguevo se da sentimenti positivi o meno.
Poi misi a fuoco lentamente le parole appena udite: era tornato. Tornato da me, finalmente.
Cominciai a respirare profondamente e il cuore riprese il suo andamento normale. Passati i primi secondi di smarrimento, la gioia si fece largo tra le mie emozioni. Un sorriso enorme mi si stampò sulla faccia.
“Oh papà! Ma quando è successo? Oggi, vero?” gli chiesi, incontenibile.
“Beh, non proprio. Billy mi ha detto che Jacob è tornato ieri. Però, sai, erano tutti così felici che non hanno pensato di chiamarci istantaneamente. Sono veramente contento. Sù, Bella, mangiamo in fretta chè andiamo da loro dopo cena. Voglio vederlo, chiedergli se sta bene e sapere che diavolo ha combinato in tutto questo tempo!” esclamò entusiasta.
Lo vedevo davvero felice. Ma dopotutto non poteva che essere così. Lui e Billy si conoscevano da una vita e Charlie aveva visto nascere e crescere tutti i figli del suo amico. Erano stati come dei figli adottivi per lui. Anzi, quantificando il tempo che avevamo passato insieme lui ed io, si poteva quasi dire che loro fossero più figli di Charlie di quanto non lo fossi io!
Andammo in cucina e servii subito la cena.
Ecco perché Edward mi aveva detto che non ci saremmo visti stasera: conosceva le intenzioni di mio padre.
Finalmente il mio migliore amico era tornato, era qui. Avrei potuto vederlo un’ultima volta prima di trasformarmi. Il cuore traboccava di emozione ed ero curiosa di investigare. Chissà che cosa aveva fatto tutto questo tempo. Chissà se era rimasto lo stesso sbruffone di due mesi fa. Sicuramente sì. Non poteva cambiare. Mi immaginai la sua faccia. Sarebbe stato contento di vedermi. Come lo ero io. Due mesi lontani. Un’eternità per noi.
Tuttavia mi indispettii: era qui da ieri e non aveva avuto la decenza di farmi neanche una telefonata! Dovevo sgridarlo subito. Non ci si comportava così. Non lo avrei neanche abbracciato e sarei passata subito alla ramanzina. Doveva darmi una motivazione più che convincente. Assolutamente. Ma sapevo che non mi sarei trattenuta a lungo. Era impossibile. E poi erano gli ultimi giorni per noi, non potevo buttarli via in assurdi litigi. Il mio Jacob…
Però lui un giorno l’aveva buttato via, visto che non mi aveva avvisato del suo ritorno. Anche se lo capivo: aveva voluto passare del tempo con suo padre che non vedeva da due mesi. Non potevo dargli torto.
E poi c’erano anche i suoi amici del branco…
Si fecero strada nella mia mente le parole di Leah del pomeriggio. “Se fossi in lui, non ti vorrei più vedere e quando tornerà sicuramente lo avrà capito!” mi rimbombavano nel cervello. Lui era tornato ieri e non mi aveva avvisato. Avevo incontrato Emily la mattina e Leah nel pomeriggio e nessuna di loro mi aveva detto nulla. Anche Jared aveva taciuto. E Seth, a cui mi ero raccomandata di avvisarmi nel caso che tornasse, si era ben guardato dal dirmelo.
Forse si era dimenticato… Impossibile.
Mi passò l’appetito, mentre valutavo le cause di questa omertà. Jacob non mi voleva più vedere? Forse le parole sentite poche ore fa non erano iniziativa di Leah, ma si era soltanto limitata a riportare il pensiero di Jake. In questi due mesi che cosa aveva provato? Che decisioni aveva maturato? Che volesse davvero troncare i rapporti con me? Ci aveva già provato un’altra volta, quando Edward era ritornato, ma non ce l’aveva fatta. E ora? Aveva deciso di nuovo di escludermi?
Un nodo mi chiuse la gola. Mi cadde la forchetta a terra.
“Che c’è, Bella? Non hai più fame? E’ delizioso… Complimenti davvero” disse Charlie.
“No, no…” mi scusai e tentai di continuare la cena, ma lo stomaco si era inevitabilmente chiuso.
Se fosse stato davvero come pensavo, non gli avrebbe certo fatto piacere che io piombassi stasera a casa sua, tanto più che con mio padre presente non avrebbe potuto trattarmi male, né dirmi quello che provava realmente. Forse era meglio se non andavo.
Mio padre terminò in fretta e io stancamente iniziai a sparecchiare.
Ero combattuta. Volevo vederlo a tutti i costi, ma il fatto che non mi avesse chiamata, non mi avesse avvertita della sua presenza, mi tratteneva. Forse si era fatto prendere dagli scrupoli: mancavano pochi giorni al matrimonio e mi riteneva completamente assorta nei preparativi. Poteva essere una spiegazione plausibile. Non voleva disturbarmi. Oppure pensava che mi fossi dimenticata di lui. Ma no, non poteva essere così. Sapeva quanto tenevo a lui.
Le parole di Leah continuavano a turbinarmi nella testa.
“Sù, Bella” mi incitò Charlie. “Puoi lavarli domani, andiamo da Billy”.
Deposi l’ultimo piatto nel lavello.
La paura ebbe il sopravvento.
“Scusa papà, ma non vengo stasera”.
Il suo sorriso si tramutò in una smorfia. “Perché, Bells? Non sei contenta che sia tornato? Non hai voglia di vederlo?”.
“Sì, sono felicissima, ma ho tanti piatti da lavare” e questa era la verità. “Poi oggi Alice ed io abbiamo fatto un sacco di giri per il matrimonio e sono un po’ stanca. Fagli le scuse da parte mia e digli che andrò da lui nei prossimi giorni”.
Charlie bofonchiò qualcosa a bassa voce, poi, senza neanche salutarmi, se ne andò.
Iniziai a lavare le stoviglie.
Ero una maledetta codarda. Non avevo neanche il fegato di farmi riempire di insulti che mi sarei ampiamente meritata. Ma io non volevo perdere il mio migliore amico poco prima del matrimonio. Volevo credere che tutto sarebbe andato nel migliore dei modi e che Jacob, nonostante tutto, fosse ancora dalla mia parte, che avrei sempre potuto contare sulla sua amicizia. Ma cosa avrei fatto se non fosse stato così? Per stasera decisi di non pensarci più.
Finii le mie faccende e andai al piano di sopra dove trovai Edward seduto sul letto, come al solito. Un’espressione preoccupata. Sapevo già di cosa voleva parlarmi, ma tentai di mascherare il disagio.
“Non avevi detto che dovevo aprire la finestra per farti capire che ti volevo vedere?” ironizzai.
Si alzò dal letto, leggero come un battito d’ali. “Scusami. Vado via”.
Corsi da lui e lo abbracciai per trattenerlo. “No, no. Stavo scherzando”.
Ci sedemmo, sempre avvinghiati, sul bordo del letto.
“Perché non sei andata con Charlie, Bella? Credevo che ti facesse piacere rivederlo…” disse. Sapevo quanto gli costava parlare di Jacob. Era conscio di quanto io tenessi a lui e dei sentimenti molto profondi che mi legavano al mio migliore amico. Era una ferita aperta e per questo tentavo sempre di evitare l’argomento, ma ero sempre stata onesta con Edward e adesso avevo bisogno di sfogarmi.
“Sì, mi fa piacere ma ho paura”.
“Paura?”.
“Sì. Ho paura che non mi voglia più vedere”.
“Perché mai?”.
“E’ da ieri che è tornato a La Push e non si è fatto vivo. In più tutti i suoi amici, Seth in primo luogo, non si sono degnati di dirmi niente. Forse è un suo preciso ordine…”.
“Se fosse così, perché Billy avrebbe avvisato Charlie del suo ritorno? Poteva stare zitto e tenere la cosa nascosta fino a dopo il matrimonio. Nessuno lo avrebbe scoperto”.
“Tranne te…” ironizzai.
Rise soddisfatto. “Beh, a me non si riesce a tenere nascosto un segreto tanto a lungo, però non sento i loro pensieri fino a La Push. Lo avrei scoperto solo il giorno del matrimonio quando avrei incontrato Seth. Ma a quel punto sarebbe stato troppo tardi comunque per organizzare un incontro…”.
Sciolsi l’abbraccio e lo fissai.
“Quindi tu pensi che mi stia facendo troppe paranoie?”.
“No, i tuoi dubbi sono leciti perché effettivamente è un comportamento un po’ strano da parte di Jacob, però ti dovresti mettere nei suoi panni. La ragazza che ami si sta per sposare, e per giunta con il tuo peggiore nemico. Non contento, lei presto non sarà più umana. Non è una situazione facile da accettare…”.
“Tu cosa avresti fatto se fosse successo a te?” domandai curiosa.
Si incupì. “Lo hai già visto cosa ho fatto quando temevo di averti persa per sempre”.
Un brivido mi scese lungo la schiena ripensando a quel momento. Cambiai argomento subito.
“Forse ha avuto l’imprinting…”.
Edward rise di gusto “Lo ritengo alquanto improbabile”.
Misi il broncio. Mi accarezzò i capelli e dolcemente sussurrò:”Credo che dovresti andare da lui e chiarirvi”.
“Perché?”.
“Perché tra qualche giorno ci sarà il matrimonio e voglio che la mia sposa sia felice, ecco perché”.
“Ma io sarò felice eccome!” sbuffai.
Alzò un sopracciglio, scettico. “Se questa cosa non sarà a posto, ti resterà il dubbio tutta la vita e non voglio vederti infelice neanche un secondo della vita che ci attende”.
Gli sorrisi. “Non potrei mai essere infelice con te al mio fianco. Mai e poi mai. Neanche se Jacob decidesse di mettermi nella sua lista nera!”.
Lo baciai.
Decisi di finire il discorso perché non volevo che Jacob ci rovinasse la serata. “Domani pomeriggio andrò, ok?”.
A quel punto fu lui a baciarmi. E dimenticai tutto.
Tutta la notte fu immeritatamente felice per me che non avevo fatto niente per guadagnarmela.
Il giorno successivo mi svegliai serena, come se non avessi alcun problema. Ed effettivamente non potevo certo definire problema gli ormoni impazziti di un adolescente. Anche se quest’adolescente era Jacob.
“Come stai amore?” mi domandò Edward.
“Quando sto con te, meravigliosamente” e lo baciai a lungo.
Le sue labbra erano così belle. Impossibile non desiderare di passare la vita a baciarle. Ma, come al solito, Edward si staccò. Solito segnale per fermarci.
“Ancora 4 giorni” sospirai. Quattro giorni prima di poter avere la mia tanto agognata luna di miele. Il mio vampiro comprese al volo e sorrise.
Si alzò dal letto.
“Dove vai?” chiesi delusa.
“E’ tardi dormigliona. Sono quasi le dieci”.
“Davvero?” chiesi stupita, cercando la sveglia con lo sguardo.
“Già. Hai dormito abbastanza”.
“Non ho neanche preparato la colazione per Charlie” dissi a voce alta un pensiero che era balenato come la luce di una lampadina in una camera buia.
Che figlia degenere. Ero talmente presa dal pensiero di Jacob che ieri sera mi ero completamente dimenticata di apparecchiare per la mattina dopo.
“Non ti preoccupare, non era arrabbiato. Era troppo rintronato dal sonno. Ieri sera ha fatto tardi…”.
“Ah sì? E com’è andata?” domandai, fingendo disinteresse.
Ma Edward non si fece ingannare. “Lo scoprirai stasera da Charlie, oppure oggi pomeriggio se avrai abbastanza coraggio, fifona!”.
Sbuffai. Accidenti, Edward era troppo coscienzioso per me!
“Vado. Vieni a casa mia dopo?” domandò.
“Certo”.
Mi diede un bacio veloce e sgattaiolò dalla finestra.
Mi alzai dal letto e andai a farmi la doccia, facendo mentalmente un rapido ripasso della giornata. Oltre alla promessa fatta a Edward di andare da Jacob, nel pomeriggio sarebbero arrivati anche Renèe e Philipp. Dovevo andare a prenderli però non sapevo a che ora. Una volta uscita dalla doccia, la chiamai e lei tutta felice mi confermò che l’aereo sarebbe atterrato alle 18,45. Rimasi delusa dalla telefonata. Speravo che arrivasse prima così avrei potuto evitare il faccia a faccia con Jacob. Che codarda!
Guardai l’orologio. Erano passate abbondantemente le undici. Sarei dovuta andare dai Black nel primo pomeriggio se volevo rispettare la tabella di marcia. Uscii per recarmi dai Cullen. Le mie crisi di astinenza da Edward stavano diventando sempre più frequenti. Era passata solo un’ora da quando era andato via e già stavo male.
Una volta nella mia futura casa mi buttai tra le braccia di Edward e trascorremmo il resto della mattinata in camera sua. Non c’era bisogno di parlare. Bastava la sua presenza per tranquillizzarmi, anche se stavolta non ero completamente serena. Sapevo cosa mi attendeva ed ero in ansia, anche se cercavo di non pensarci troppo.
Verso l’una Esme mi preparò uno dei suoi prelibati pranzetti, che io non gustai fino in fondo, pur sforzandomi di mangiare per non essere scortese.
Poco prima delle tre ci fu il momento del distacco.
“Pensi che per le cinque avrai finito?” domandò.
“Potrei aver finito anche prima, se decide di non vedermi” constatai amaramente.
Mi abbracciò da dietro le spalle. “Dimmelo subito allora, chè lo ammazzo” disse e non sembrava scherzare più di tanto.
Concordammo di incontrarci alle cinque e mezzo per andare a prendere mia madre. Dopodiché salutai tutti e me ne andai con il mio pick up, destinazione La Push. 
Sbuffai più volte. Non avevo affatto voglia di andarci, era una punizione. Ripensandoci era tutta colpa di Leah. Se non mi avesse detto quelle cattiverie, io sarei stata al settimo cielo all’idea di incontrare Jacob, e invece ero divorata dall’ansia e dal timore. Ma come avrebbe reagito? Forse mi stavo semplicemente spaventando per niente…
Quando arrivai a casa Black, parcheggiai il rumoroso pick-up, mi feci forza e, respirando più volte a pieni polmoni, raggiunsi la porta d’ingresso. Suonai il campanello, in attesa.
Mi aprì la porta una brunetta dai capelli lunghi, poco più grande di me. Uno sguardo curioso.
“Sì?” domandò.
Mi chiesi se avevo sbagliato casa. Ragazze non ce n’erano in casa Black. Chi era? E a giudicare dalla sua espressione, lei si stava facendo la mia stessa domanda.
“Sto cercando Jacob. E’ in casa?” chiesi titubante.
I suoi occhi si strinsero in due fessure, squadrandomi da capo a piedi. Stava cercando di identificarmi in una qualche maniera; anch’io stavo facendo lo stesso ma per quanto mi sforzassi non ci riuscivo. Non era sicuramente di Forks. Non l’avevo mai vista prima.
“Tu, per caso sei Isabella Swan?” investigò.
“Sì” acconsentii.
Il suo sguardo dubbioso lasciò il posto a un sorriso aperto e mi fece cenno di entrare. Mi accomodai di qualche passo all’interno dell’abitazione, tuttavia restando vicino alla porta. Lei mi conosceva ma io non conoscevo lei. Chi diavolo poteva essere?
“Sono contenta di rivederti. Accidenti, come sei cresciuta!” constatò divertita.
Simulai un sorriso di circostanza, tremendamente in imbarazzo. Dirle che non la riconoscevo mi sembrava una tremenda scortesia.
“Non ti ricordi di me?! Beh, l’ultima volta che ci siamo viste eri ancora piccola… Io sono Rachel, la sorella di Jacob. Ti ricordi? Giocavamo sempre insieme tu ed io…”.
Rachel. Non mi ricordavo il suo viso però avevo dei vaghi ricordi di quando da piccola giocavo con lei. Era poco più grande di me e, quando papà mi portava dai Black, finivo sempre per divertirmi con lei. La guardai meglio: se non me l’avesse detto non l’avrei mai riconosciuta. Non somigliava per niente a Jacob, a parte per i capelli scuri e la pelle olivastra.
“Scusa, ma è passato tanto tempo…” cercai di giustificarmi.
“Non c’è problema. Allora come stai?” domandò allegra.
“Beh, tutto bene. Tu, piuttosto? Sapevo che facevi l’università a Denver…”.
“Sì, infatti l’ho terminata a giugno. Mi sono laureata e sono tornata a La Push. Adesso devo trovarmi un lavoro” sbuffò esageratamente. “Ma prima un po’ di vacanze. In più avevo voglia di rivedere mio padre e il mio fratellino. E tu? Mi hanno detto che stai per sposarti. Cavolo, così giovane! Davvero precoce!”.
Non c’era la minima traccia di animosità nella sua voce. E mi sembrava terribilmente strano, considerando che sicuramente sapeva tutto e, secondo la logica, avrebbe dovuto perorare la causa di suo fratello a tutti i costi. Mi convinsi che parlava così solo per educazione.
“Beh, abbiamo deciso… Effettivamente anche per me è un po’ presto, ma Edward ha preferito così” tagliai corto.
Mi sorrise e poi girandosi verso il salotto, disse ad alta voce:“Ehi Paul, guarda chi c’è? Isabella!”.
“Bella” puntualizzai.
“Mi ricordo che già da piccola non amavi il tuo nome…”.
Paul spuntò dalla porta. E di nuovo l’imbarazzo riemerse. Ogni volta che mi trovavo di fronte un membro del branco mi sentivo come sui bracieri ardenti.
“Ciao Bella, come va? Tutto ok?” domandò Paul, che aveva in mano una gigantesca scatola di pop-corn.
“Bene, grazie” risposi laconica.
“Ti aspettavamo ieri sera. Come mai non sei venuta? Avevo fatto dei biscotti per l’occasione…” disse Rachel.
“Ehm… Ero un po’ stanca. Sapete, tutti i preparativi” dissi, quasi in un sussurro.
“Ti sei persa veramente una gran cosa” disse Paul entusiasta “I biscotti erano davvero fenomenali”.
“Purtroppo Paul li ha fatti fuori tutti altrimenti te ne avrei fatto assaggiare qualcuno” si scusò Rachel.
“Non c’è problema… Piuttosto, c’è Jacob?” domandai, sicura della risposta. Se Paul era lì, Jacob non poteva essere lontano e quindi per forza in casa.
Invece Rachel mi smentì. “No, Bella. Mi spiace. E’ uscito”.
“Capisco…” dissi estremamente delusa.
“Però credo che lo troverai alla spiaggia della riserva. Ha detto che andava lì…” suggerì Paul.
“Allora proverò ad andarci. Grazie”.
Dopo gli ultimi convenevoli, li salutai e uscii. Presi il pick-up e mi diressi verso la spiaggia. Ero rimasta davvero delusa di non averlo trovato in casa. Avevo voglia di vederlo. La paura era svanita e aveva lasciato il posto al desiderio fremente di riabbracciarlo. Anche se però non capivo perché Paul fosse lì. Con Rachel che confidenza poteva esserci? Era appena tornata da Denver. Forse erano stati molto amici quando erano piccoli; ma ora?
Raggiunsi la spiaggia velocemente e parcheggiai. C’era una brezza leggera e piacevole, che invogliava a fare il bagno.
Scavalcai il piccolo muretto che separava la strada dall’arenile. La spiaggia era ampissima, delineata da una parte da un’alta scogliera da dove i ragazzi temerari si buttavano per fare le tipiche prove di coraggio dell’adolescenza, e dall’altra da una pineta che diventava ben presto un fitto bosco e di fatto congiungeva La Push a Forks. Ero venuta lì spesso e non potevo negare che quel posto esercitasse su di me un certo fascino. La calma e insieme l’irrequietezza dell’oceano, spesso agitato in quel punto, creavano un contrasto inesorabilmente attraente.
Non avevo proprio l’abbigliamento da sabbia, però le mie scarpe da tennis avevano retto eventi più traumatici. Mi arrotolai i jeans fino ai polpacci e cominciai ad avanzare verso l’oceano, guardandomi attorno. Non lo vedevo da nessuna parte. Mi fermai. Forse non era venuto alla spiaggia o forse era venuto e se ne era anche già andato. Oppure magari stava facendo il bagno… Continuai a camminare stancamente ancora. Infine buttai lo sguardo su un enorme tronco che stava a qualche metro dalla riva, arenato lì probabilmente dalle mareggiate delle ultime settimane. Su di esso era seduta una persona.
Il cuore accelerò d’un balzo. Feci qualche passo avanti per cercare di metterne a fuoco la fisionomia. Era lui.
Era di schiena ma non potevo sbagliarmi. I capelli neri, le spalle larghe, la solita maglietta rosso amaranto… Sentii un senso di vertigine. Mi misi una mano sul petto. Temevo che esplodesse o che, peggio, lo sentisse.
Mille domande mi vorticarono nella testa. Che cosa potevo dirgli? Come mi avrebbe trattata? Mi avrebbe respinta? Cominciai a pregare che non fosse così.
Ero talmente terrorizzata che pensavo sarei rimasta in quella posizione per sempre se il vento non avesse risolto tutto. La brezza gli portò il mio odore.
Si alzò in piedi e si voltò verso di me.
Era davvero lui, ma rimase immobile, come me. Il suo viso era inespressivo. Non tradiva alcuna sensazione, né felicità né rabbia.
Cominciò a girarmi la testa: non mi ero accorta di essere andata in apnea.
“Ti prego, ti prego, dì qualcosa” lo scongiurai mentalmente. Rimuginai nuovamente sulle parole di Leah: non dovevano essere vere. Se lo fossero state, come avrei fatto a vivere senza il mio sole?
Ma il suo sguardo mutò. Le sue labbra si allargarono nello splendido sorriso che tanto amavo.
“Ehi Bells, che fai lì impalata? Vuoi venire qui o dobbiamo parlare a gesti?” disse col consueto tono canzonatorio.
L’emozione si sciolse. Le mie gambe cominciarono a correre verso di lui. Lo vidi allargare le braccia nelle quali mi gettai avidamente. Sentii gli occhi inumidirsi.
Restammo così per qualche istante, senza parlare. Non riuscivo a staccarmi e nemmeno a stancarmi del suo abbraccio. Per due mesi era stato lontano e adesso ero completamente conscia di quanto fosse stato duro senza di lui.
Strinsi più forte le braccia.
Nessuno avrebbe capito il rapporto che ci legava, probabilmente neanche io, ma sapevo che la sua assenza mi aveva fatto male da morire. Edward era fondamentale per la mia vita ma non avrebbe mai preso il posto del mio migliore amico.
“Ehi Bells, tutto bene? Non sapevo di farti quest’effetto!” mi prese in giro, non smettendo di abbracciarmi.
“Stupido! Mi sei mancato tantissimo” dissi, alzando il viso e incontrando i suoi occhi.
“Anche tu Bella. Non immagini quanto…” rispose con un velo di emozione nella voce.
Quando il nostro abbraccio si sciolse, ci sedemmo sul tronco.
“Allora, raccontami tutto, dai. Cosa hai fatto per tutto questo tempo?” chiesi emozionata.
“Mah… niente di particolare. Diciamo che non sono stato molto umano, anzi. Affatto, direi. Ho lasciato che l’istinto mi guidasse e direi che ho fatto un bel po’ di strada. Sono stato in Canada, praticamente sempre. Hanno delle bellissime foreste laggiù, sai?”.
Iniziò a raccontarmi di tutte le specie di alberi e di animali che aveva incontrato e che lì a Forks non esistevano. Raccontava con entusiasmo dirompente: sembrava proprio un bambino appena tornato dalla gita scolastica. Un bambino, già. Aveva 17 anni, era un adolescente. Solo un anno ci divideva ma lui sembrava dannatamente più grande di me. Era stato lontano due mesi eppure c’era qualcosa di cambiato nel volto. Gli occhi, il sorriso, i lineamenti erano sempre gli stessi ma ora aveva un’espressione più matura, più consapevole. Prima soltanto il fisico, così alto, statuario e scolpito, lo invecchiava, ora anche il viso. Vedendolo per la prima volta, avrei detto che avesse 25 anni, più o meno.
Restammo in silenzio a guardare il mare. Mi bastava Jacob e la sua presenza. Non mi serviva altro in quel momento. Era un toccasana, una medicina che andava presa tutti i giorni. Lui completava la mia felicità, già così dirompente.
“Con gli altri come va?” domandai.
“Bene. A proposito…” disse con tono maligno. “Mi risulta che hai chiamato Seth tutti i giorni o quasi. Allora? Cos’hai da dire a tua discolpa?”.
Colpita e affondata.
“Te l’ha detto lui?”.
“Certo che no, ma sai che fra di noi non ci possono essere molti segreti. Allora sto aspettando la tua scusa”.
“Ero semplicemente preoccupata per te. Non è un reato, credo. Sei sparito senza neanche salutarmi. Non ti sei più fatto vivo. Temevo che ti succedesse qualcosa, e basta” dissi piccata.
Cambiò espressione. “Scusa Bella se ti ho fatto preoccupare. Non era mia intenzione. Davvero…”.
Vedendolo turbato, mi affrettai a cambiare argomento e a distoglierlo da cattivi pensieri che avrebbero potuto rovinare la nostra riconciliazione.
“Ho incontrato Rachel. Sai non la ricordavo quasi per niente. Non l’avrei mai riconosciuta se non si fosse presentata”.
“Già, è tornata” sbuffò.
“Che c’è? Non sei contento?”.
“Non siamo mai andati molto d’accordo. Siamo troppo diversi. Avrei preferito che fosse tornata Rebecca” rispose.
Rebecca era la sorellona adorata, di cui mi aveva spesso raccontato. Era un maschiaccio e insieme si divertivano a fare tutte quelle cose tipiche dei ragazzi: giocare a pallone, andare a pesca, fare la lotta. Poi inaspettatamente Rebecca poco più che diciottenne se n’era andata: si era sposata e si era trasferita alle Hawaii per via del lavoro di suo marito. Perciò si vedevano solo sporadicamente. Subito dopo, Rachel si era trasferita a Denver per l’università. Quindi Jacob aveva passato gli ultimi anni da solo con suo padre.
Rachel era un temperamento diverso dal suo e con lei non si era mai trovato a suo agio più di tanto. Però sembrava oltremodo seccato del suo rientro, forse troppo.
“E poi adesso mi ritrovo anche Paul per casa!” esclamò, quasi a spiegare il suo disagio.
“Perché?”.
“Anche adesso era lì, giusto?” chiese.
Feci cenno di sì con la testa.
“Paul ha avuto l’imprinting con Rachel”.
“Co-Cosa?”.
“Già. Appena si sono visti… Bam! Colpiti. E così adesso è sempre fra i piedi. Sono tornato da due giorni e non riesco a togliermelo di torno. Non fa altro che svuotare il frigorifero. E poi passano il tempo a fare ciccì e cicciò” disse simulando uno sbaciucchiamento. “Sono insopportabili. Sono talmente sdolcinati che fanno cariare i denti!”.
Immaginai la scena. E mi scappò un risolino.
“Sì, ridi pure. Intanto se penso che me li dovrò sorbire per il resto della vita, mi viene voglia di scappare ancora!” disse, piantandomi il muso.
Imprinting: anche Paul ne era rimasto vittima. Perciò non lo si poteva più chiamare “leggenda da licantropi”. Esisteva davvero. Cominciai a fare i conti: Sam, Jared, Quil e ora Paul. Già in quattro avevano incontrato l’anima gemella. Il prossimo chi poteva essere? Il mio Jacob? Questo pensiero mi stuzzicò un pizzico di gelosia. Se avesse avuto l’imprinting, si sarebbe dedicato solo a “lei” e non mi avrebbe più degnato neanche di uno sguardo. Avrei perso il mio migliore amico.
“Ormai siete in pochi a non avere avuto l’imprinting…” pensai a voce alta.
“Non è vero. Siamo io, Leah, Seth, Embry e Brady…” contestò seccato. “E per quanto mi riguarda l’imprinting non l’avrò mai!”.
“Perché? Lo stanno avendo tutti…”.
“Non credo all’imprinting. E comunque gli altri non erano messi nella mia situazione…” disse, cominciando a giocare con la sabbia ai suoi piedi.
“In che situazione sei?”.
“Intendo dire che non erano già innamorati di nessun altra… Il mio cuore è già impegnato, Bella”. Si girò verso di me. Fu la prima volta durante quella conversazione che i nostri sguardi si incrociarono. Era serio, gli occhi profondi come la notte. Sapevo a cosa stava alludendo. Trattenni il fiato.
“Per me non è cambiato niente da due mesi fa, Bella. Assolutamente niente” continuò.
Non riuscii più a sostenere il suo sguardo e mi voltai a guardare il mare. Cercai qualcosa per cambiare discorso.
“S-Sam era innamorato di Leah quando ha avuto l’imprinting con Emily…” fu l’unica stupidaggine che mi venne in mente. Ma servì.
“Allora, parliamo di te. Come vanno i preparativi?” domandò allegro. Sembrava che non fosse un tasto dolente, ma dopo quello che mi aveva appena confessato non sarebbe stato sensibile da parte mia parlargliene come se niente fosse. Decisi quindi che sarei stata il più sintetica possibile.
“Mah… Bene. Io in realtà ne so poco, per non dire nulla. Come ben sai è un’idea di Edward e io ne voglio sapere il meno possibile. Sta organizzando tutto Alice. Lei è bravissima in queste cose, quindi lascio che sia lei a divertirsi…”
“Già. Mi ricordo la festa per il tuo diploma. Molto bella”.
“A proposito, ti ricordi di quello che mi avevi detto prima di partire…” iniziai titubante.
Mi guardò incuriosito.
“Beh, che mi avresti fatto da testimone… E’ ancora valida quella proposta?”.
Tacque. Buttai un’occhiata veloce su una delle sue mani che si strinse a pugno, come se stesse tentando di trattenersi. Capii che avevo esagerato.
“Bella, io non credo che sia una buona idea. Forse il tuo ciucciasangue avrebbe qualcosa da ridire…” ridacchiò con una risata ostentata.
“Ma no. Edward non direbbe nulla. Lo sa che mi farebbe piacere che fossi tu. E poi ha invitato lui i Clearwater al matrimonio. Seth viene. Te l’ha detto, no?” lo incalzai.
“Non intendevo dire che avrebbe problemi per via della mia natura da licantropo. Ma… Insomma, fino a poco tempo fa il testimone ha tentato di rubare la sposa allo sposo! Non mi sembra che sarebbe molto simpatico che stessi lì al vostro fianco…”.
Conoscendolo, sapevo perfettamente che si stava arrampicando sugli specchi: a lui non interessava un fico secco di quello che Edward poteva pensare, anzi se avesse potuto fargli un dispetto, glielo avrebbe fatto più che volentieri. Stava solo trovando delle scuse per dirmi di no.
“Jacob, ti prego. Ci tengo tanto che sia tu…” lo pregai.
Si voltò velocemente verso di me poi tornò a guardare le onde che lambivano la riva.
“No, Bella. Mi dispiace. Io non ce la faccio a venire lì a vedere voi due che vi sposate. Non sono un masochista. Non so perché te l’abbia proposto. Forse durante la battaglia con Victoria avevo battuto la testa più forte del previsto. Dovevo essere proprio impazzito. Sarebbe troppo doloroso per me. Perdonami” disse con la bocca distorta in un’espressione di amarezza.
Mi sentii una cretina. Ma come avevo fatto a fargli una proposta del genere? Ero un’egoista allo stato puro. Dovevo ringraziare il cielo che fosse tornato invece che sconvolgerlo con i miei capricci. In quel momento mi sarei data degli schiaffi da sola.
“No, Jacob. Perdonami tu. Non c’è problema. Davvero”.
Alzai lo sguardo al cielo e vidi un gabbiano volare e tuffarsi in acqua a prendere un  pesce. Libertà. Mi ritrovai a pensare che dovesse essere bello vivere come lui. Libertà e istinto. Più o meno quello che aveva vissuto Jacob per quei due mesi. Era stato bene, come mi aveva raccontato. Però alla fine era ritornato alla vita umana…
“Come mai sei ritornato? Ti mancava la tua famiglia?” domandai.
Fece cenno di sì.
“Avevo voglia di rivederli tutti. Papà, i ragazzi del branco… L’istinto è bello, ma quando si hanno degli affetti, credo che prevalgano su tutto… E poi mi sono reso conto di una cosa…”.
“Cioè?”.
“Che stavo scappando da me stesso. Soltanto una parte di me è lupo e ho lasciato che dominasse per un periodo di tempo ma l’altra parte era ugualmente presente. Sentivo le voci dei miei compagni, oltre alla mia, rimbombarmi nel cervello. Alla fine ho capito e mi sono arreso. Fuggendo dal problema non risolvevo nulla. Dovevo tornare qui ed affrontarlo. La situazione va risolta, in qualche modo…”.
“E finora come procede?”domandai con voce flebile.
Rise rumorosamente. “Finora sta andando tutto a rotoli! Sono qui da quasi due giorni. Mi ero imposto di non chiamarti, ho pregato Seth di non avvisarti del mio ritorno, pensando che ce l’avrei fatta a non vederti più e invece stavo per scoppiare. Se non fossi venuta tu, sarei piombato a casa tua. Me l’ero già ripromesso. E’ più forte di me Bella: se non ti vedo, muoio… A questo punto però si parte col piano B”.
“E quale sarebbe?”.
“Seth, Embry ed io stasera andiamo a caccia…”.
“A caccia? Di cosa?” domandai. Cacciare animali sarebbe stata la soluzione? Poi pensai: la risposta era un’altra. Forse c’erano dei vampiri in giro ed Edward non mi aveva detto niente. “Ci sono vampiri?” gridai freneticamente.
Jake rise di nuovo.
“Ma no, Bella! Niente vampiri. Ragazze. Andiamo a caccia di ragazze”.
Tirai un sospiro di sollievo.
“Embry dice che chiodo schiaccia chiodo, quindi stasera si esce. Effettivamente non abbiamo fatto una vita da ragazzi della nostra età ultimamente, e, visto che adesso è un periodo di pace, possiamo riprendere. Ragion per cui andiamo a Port Angeles a cercare compagnia…”.
Gli lanciai un sorriso d’intesa.
“Fate bene. Avete perso fin troppo tempo a difendere me e avete trascurato la vostra vita vera. Allora in bocca al lupo!”.
“Crepi. Oddio mica tanto, però…”.
E risi del nostro involontario gioco di parole. Era meraviglioso stare con lui. Riuscivamo a divertirci con poco. Persino con battute banali.
Jake mi guardò in contemplazione.
“Hai un sorriso bellissimo” disse.
Mi sentii arrossire e il fatto che non staccasse gli occhi dal mio viso mi fece avvampare ancora di più.
Poi tornò a fissare il mare. Lo vidi digrignare i denti e serrare i pugni: stava combattendo una battaglia personale e potevo intuirne la motivazione.
“Quando avverrà? La trasformazione intendo…” domandò infine.
“Un paio di settimane dopo il matrimonio, credo…”.
“Come mai non subito dopo la cerimonia?”.
“Non voglio rovinarmi la luna di miele”.
“Luna di miele?” sgranò gli occhi e si alzò in piedi di scatto. “Che intendi dire?”.
“Di che parli?”.
“Cosa vuol dire? Una vera luna di miele? Mentre sei ancora umana? Stai scherzando?”.
Mi alzai anche io, scrollandomi la sabbia da dosso, con totale indifferenza. “Non sono affari tuoi. Sono faccende mie e di Edward”.
Mi afferrò per le spalle e cominciò a scuotermi.
“Bella, sei impazzita! Ti ucciderà!”.
“Lasciami, Jake!” urlai. Le sue dita si stavano piantando in profondità nella carne, pur non ferendomi. Lo sentivo tremare. La rabbia lo stava trasformando.
Tentai di divincolarmi ma era troppo forte. Se si fosse trasformato vicino a me…
Non riuscii più a sopportare il dolore. Emisi un gemito.
Fu allora che mi lasciò. Jake cadde a terra, a carponi. Le sue mani affondarono violentemente nella sabbia. Sentii un ringhio. Feci qualche passo indietro, atterrita. Il mio respiro affannoso cercò di ossigenare i polmoni. Non sapevo cosa fare, né cosa dire per tranquillizzarlo.
Mi allontanai ancora.
Il suo corpo era scosso da mille tremiti. Le braccia cedettero e cadde disteso a terra. I suoi pugni erano stretti stretti. Cercò di fare forza sulle ginocchia per tornare in piedi ma sembrava che le sue articolazioni non ne volessero sapere. E io mi sentivo inutile. E davvero terrorizzata. In preda a una crisi così violenta avrebbe anche potuto uccidermi. Sarei dovuta fuggire, ma ero semplicemente paralizzata dalla paura. Serrai gli occhi.
“E’ un errore Bella. Un errore grossolano” mugugnò Jacob con parte del viso ancora immersa nella sabbia.
Mi stupii. Stava riuscendo a controllarsi. Aveva bloccato la trasformazione. Era rimasto umano. Con grande sforzo, riuscì a riconquistare la posizione eretta. Lo guardai. La rabbia nei suoi occhi.
Non risposi.
“Ti ucciderà, Bella. Non sarà capace di controllarsi!”.
Stavolta sentii un ringhio nascere dentro di me.
“Questo non è un problema che ti riguarda. Io mi fido di Edward, sa controllarsi perfettamente. E poi mi sembra che fino a parere contrario, qui, l’unico che non si sa controllare non è certamente lui…” urlai.
Si morse un labbro così violentemente che ne uscì qualche goccia di sangue.
“Sei proprio disposta a tutto, anche a morire… Ah già dimenticavo che alla tua vita non dai nessuna importanza…”.
“La mia vita non ha importanza se non c’è Edward!” esclamai senza alcuna esitazione.
“Bene. Ma tu sappi che per me invece ne ha… Ti dò un consiglio: quando ti avrà trasformata, se riuscirai ad arrivare a quel momento, vi conviene scappare a mille miglia di distanza da qui…”
“Che diavolo vuoi dire?”
“Che Edward mordendo te avrà violato il patto stipulato con i Quileute di non trasformare nessuna ragazza della zona e quindi non potrà più stare qui. E neanche nei paraggi perché io lo cercherò per ucciderlo…”.
Parlò con un ghigno che non credevo potesse appartenere a Jacob. Perlomeno non al mio Jacob. “Che stai dicendo? Io vengo trasformata di mia volontà…” replicai sbigottita.
“Un patto è un patto, Bella. E in questo non sono ammesse deroghe…”.
La rabbia mi ribollii dallo stomaco fino al cervello. Forse Jacob stava impazzendo ma di una cosa ero sicura: non avrei mai permesso che attaccasse Edward.
“Se solo proverai a toccargli un capello, io ti ucciderò Jacob. Mi hai capito bene?” intimai con tutta la rabbia che avevo in corpo.
“Sto tremando di paura, Bella”.
“Quando sarò vampira, in quanto Neonata, sarò più forte di te, quindi mi dovrai temere e molto…”.
“Bene. Allora vedremo chi vincerà…”.
Ma cosa stavamo dicendo? Ci stavamo minacciando di morte?! Jake ed io?! Il mio cervello stava cercando di assimilare se ciò che le orecchie sentivano era frutto dell’immaginazione o se stava accadendo davvero. Ma questa orribile sensazione di odio che stava invadendo ogni cellula del mio corpo era reale.
Jacob si mise le mani nelle tasche dei jeans e fece per andarsene.
“Dove stai andando?” gli domandai.
“Direi che non abbiamo più niente da dirci tu ed io”.
“Dunque dovrò passare la vita a guardarmi le spalle da te? Da quello che consideravo a torto essere il mio migliore amico?”.
“Io ero davvero il tuo migliore amico. Almeno fino a quando non hai perso il coraggio di essere viva…” disse amaramente.
“Io non ho perso nulla. Sei tu che non capisci. Ma credo che ormai sia inutile stare qui a parlarne”.
Lo guardavo in viso cercando nei suoi occhi una luce, qualcosa che mi potesse far illudere in un riavvicinamento. Invece vedevo solo il vuoto. Un’amara consapevolezza si fece largo nella mia mente: ci stavamo perdendo. Lacrime di rabbia e insieme di dolore cominciarono a sgorgare dai miei occhi, mentre lui, freddo e distante, continuava a fissarmi.
“Hai ragione, Bella. E’ inutile parlarne. La vita è fatta di strade e tu hai scelto la peggiore che si potesse percorrere…”.
“E’ la mia scelta, Jake. E tu non la vuoi rispettare…”.
“E’ sbagliata!” gridò. Non aveva mai alzato la voce con me. “E sai di cosa ho più paura? Che tu te ne possa pentire quando sarà troppo tardi…” sussurrò.
“Io non me ne pentirò mai”.
“Come vuoi” fece spallucce.
Tornò ad incamminarsi verso la strada. Lo richiamai ad alta voce.
“E’ la fine, Jacob?” gli chiesi.
Si girò un’altra volta. “Addio Bella. La prossima volta che ci rivedremo saremo davvero nemici”.
Di nuovo mi ritornarono alla mente le sue parole di poco prima.
“Se ti avvicinerai a noi, sarai tu a morire Jacob. Mi hai capito?”.
Non sembrò colpito per nulla dalla mia minaccia. Se ne andò.
Lo vidi allontanarsi. Man mano che la distanza fra noi aumentava, la rabbia scemava. E la consapevolezza della discussione di cui ero stata protagonista mi colpiva con ferocia. Ci eravamo detti cose orribili. E non sapevo se le pensavo davvero. Ero furiosa con lui per quello che aveva detto contro me ed Edward ma forse avrei dovuto capirlo. Eppure noi due, così diversi e così eguali, ci eravamo sempre compresi. Perché non ora? Aveva ragione lui: le nostre strade ormai erano troppo diverse.
Ma allora che cosa restava della nostra amicizia?
Un attimo aveva cancellato di colpo un anno intero di pomeriggi passati insieme a ridere, scherzare e giocare. Ma forse non era stato solo un attimo. Forse tutto questo già covava in Jacob e ora era esploso. La nostra amicizia era finita e iniziava il vuoto. 
Quando la rabbia sembrò sparire, le mie gambe cedettero e mi ritrovai inginocchiata sulla sabbia.

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Capitolo 6
*** Visioni ***


La delusione lasciò ben presto il posto alla rabbia. Una rabbia furibonda.
Jacob doveva essere completamente impazzito. L’esilio a cui si era forzato doveva avergli distrutto le cellule cerebrali. Mi sembrava di sognare. Come aveva osato fare quelle affermazioni?! E poi, cosa ancora più terribile, ci credeva, perlomeno a giudicare dal suo sguardo. Ma perché Dio mi aveva dato così poca forza?! Avevo tanta rabbia in corpo che se avessi potuto, lo avrei cancellato dalla faccia della terra. Ma presto avrei potuto farlo. Per il momento mi dovevo accontentare di cancellarlo dal mio cuore.
E niente altro.
Sentivo ancora un tenue dolore per il distacco che inevitabilmente si era creato fra noi e che stavolta sarebbe stato incolmabile ma, prima o poi, anche quello sarebbe sparito.
La mia vita non sarebbe certo stata condizionata da Jacob Black e dalle sue minacce.
Guidavo alla massima velocità consentitami dal codice della strada, ma avrei voluto schizzare via come un missile, allontanarmi il più presto possibile da La Push, nella quale, lo giurai, non avrei mai più rimesso piede.
Se penso che avevo insistito perché mi facesse da testimone, mi chiedevo che cosa mi avesse detto il cervello. Anche se però, a mia scusante, c’era che fino alla sua partenza eravamo stati grandi amici, e questo non potevo negarlo. Ma adesso dovevo ignorare il passato se non volevo stare male.
Jacob mi aveva confessato che aveva tentato di escludermi dalla sua vita e che la sua intenzione era di non vedermi più: ora sarebbe stato esaudito. Il solo pensiero di incontrarlo ancora mi nauseava.
E purtroppo suo padre sarebbe venuto al matrimonio. Non che avessi qualcosa contro Billy, ma l’associazione con suo figlio sarebbe stata fin troppo scontata. E rovinarmi il matrimonio con penosi ricordi non era certo augurabile. Ormai non potevo più ritirare l’invito, che lui aveva accettato. Potevo solo sperare che avesse il buon senso di starsene a casa. Ammesso che quel deficiente gli raccontasse la scenata di cui era appena stato protagonista.
Ripensandoci, dubitavo che lo avrebbe fatto…
Sicuramente non si rendeva nemmeno conto di quello che aveva detto. Tanto per lui il suo ragionamento filava perfettamente e la pazza, in questo caso, ero io. Sentii l’acido impregnarmi lo stomaco. Dovevo assolutamente smettere di pensarci. Non potevo permettere a Jacob Black di rovinarmi i giorni prima del matrimonio.
Per fortuna arrivai a Forks in breve tempo. Erano passate le cinque e quindi ero in ritardo. Spinsi un po’ di più sull’acceleratore ma il mio pick up non era in grado di raggiungere elevate velocità, anzi era già buona che continuasse a camminare. Non potevo chiedergli più di quello che non stesse già facendo.
Passai la stazione di polizia di papà. Quasi quasi avrei potuto fermarmi e dirgli che Jacob mi aveva aggredito e farlo arrestare. Una notte al fresco forse lo avrebbe fatto rinsavire.
Mah… Che cavolo stavo pensando?! Stavo scendendo al suo livello. E poi chi se ne frega se non rinsaviva, tanto Edward ed io dopo la mia trasformazione saremmo andati via, con o senza le sue minacce. Anzi, adesso era meglio: avrei sentito solo la mancanza di Charlie. Tutto di guadagnato.
Arrivai a casa Cullen e parcheggiai davanti alla scalinata.
Scesi dal pick-up e, richiudendo lo sportello, lo sbattei violentemente.
Il tonfo spaventò anche me. Avevo esagerato e forse avevo danneggiato qualcosa. Edward si affacciò subito dal portone e mi venne incontro.
“Bella, che succede?” domandò con un’inquietudine tangibile.
“Niente” ringhiai.
Mi guardò sconcertato.
“Scusami, Edward. Mi dispiace. E’ che sono infuriata a morte”.
“Per Jacob, immagino…”.
Solo il sentire il suo nome mi faceva ribollire il sangue. Non riuscii a trattenermi neanche davanti a Edward che aveva il raro dono di sollevarmi da tutti i miei problemi.
“E’ un deficiente completo! Io non so come ho fatto a sopportarlo per tutto questo tempo!” mi sfogai.
Edward, vedendo il mio stato di agitazione, si preoccupò ancora di più. Dapprima turbato, infine si alterò. “Che diavolo ha fatto quel bastardo stavolta? Ti ha toccata, per caso? Se lo ha fatto ancora, ti giuro che lo ammazzo…” imprecò, furioso.
“No, magari lo avesse fatto. Sarei meno arrabbiata!” risposi.
“E allora cosa è successo?”.
“E’ una cosa lunga, Edward…” sbuffai.
“Ma io la voglio sapere. Non ti ho mai vista così…”.
“D’accordo. Ma andiamo in casa. Sono esausta…”.
Insieme entrammo nella grande dimora dei Cullen dove Alice mi venne incontro, come un cagnolino che aspetta il rientro del padrone. “Allora? Cosa ti ha detto? Farà lui il testimone?” domandò ansiosa.
“No. E sono contenta che non lo faccia. Alice, sei ufficialmente tu la mia testimone e niente mi farà cambiare idea!” le dissi, in un tono tra il rabbioso e il frustrato.
E lei mi abbracciò felice. Aveva appena vinto il posto d’onore vicino alla sposa. E ne era più che soddisfatta, anche se io non comprendevo la sua gioia. Io mi sarei sparata se mi avessero chiesto di fare da testimone a un matrimonio.
Poi Edward ed io salimmo in camera sua. Appena vidi il letto, mi ci buttai sopra, esausta. Mi sembrava di aver fatto la maratona di New York. L’adrenalina del litigio con Jacob era scesa di colpo e ora avevo bisogno di un appoggio se non volevo ritrovarmi stesa a terra.
“Allora Bella, mi vuoi spiegare? Se non me lo dici, andrò direttamente a chiederlo a lui…” disse spazientito.
E così fui costretta a ripercorrere di nuovo le ultime due ore appena trascorse. Edward si sedette a fianco a me, con gli occhi vividi di rabbia.
“Non posso credere a quello che mi stai raccontando… E poi?” domandò.
“Io mi sono allontanata. Dopo qualche secondo è riuscito a controllarsi ed è rimasto umano. Abbiamo continuato a discutere, sempre su questo argomento… Poi è arrivata la ciliegina sulla torta”.
“Quale?”.
“Che dopo la trasformazione, io e te dovremo fuggire a Timbuctù perché ti ucciderà in quanto hai violato il patto stipulato con i Quileute” conclusi.
Edward si alzò dal letto e lessi un’espressione più sconvolta della mia.
“Capisco cosa provi. Anch’io ero furiosa…” ammisi.
Ma Edward mi guardò con una faccia stranita.
“Ti rendi conto del pericolo che hai corso oggi Bella? Se si fosse trasformato così vicino a te, avresti potuto morire…”.
“Sì, ma alla fine non si è trasformato” dissi.
Santo cielo! Non mi sembrava vero. Mi toccava anche difendere quello stupido!
Avevo avuto molta paura, però non mi ero mai sentita realmente in pericolo di vita. Non credevo che sarebbe riuscito a controllarsi, ma sapevo che non mi avrebbe mai fatto del male. Anche se forse la mia fiducia era malriposta. Ed Edward di questo era fermamente convinto.
“Bella, non si è trasformato per un niente, da quello che mi hai raccontato. Se l’avesse fatto, a quest’ora non saremmo qui a parlarci. Ti ho sempre detto che frequentare un licantropo era pericoloso. Sono inaffidabili e per nulla dotati di autocontrollo. Se penso al pericolo che hai corso…” disse, cominciando a camminare febbrilmente avanti e indietro nella camera.
“Beh, adesso non dovrai più preoccuparti perché non ci frequenteremo più” affermai risoluta.
“Questo è certo” convenne Edward, sedendosi sul letto vicino a me.
“Non è successo niente…” cercai di calmarlo. “Piuttosto non sei infuriato per quello che ha detto? Ha minacciato di ucciderti. Ha detto che verrà a cercarti. Non posso permetterlo! Se lo farà, giuro che lo ucciderò io stessa!”.
Edward mi accarezzò il viso dolcemente, sorridendomi.
“Non sono certo preoccupato per le minacce di un licantropo adolescente… Posso sistemarlo come e quando voglio”.
“E allora perché non lo facciamo subito?” lanciai l’idea.
Edward rise di gusto. “Bella, potrei farlo, anche se non per le motivazioni che spingono te, ma so che tra poco la tua rabbia scomparirà, come accade ogni volta che litigate, e dopo ti vedrei piangere ed è l’ultima cosa che voglio”.
“No, stavolta ha passato il segno…” dissi convinta.
“Indipendentemente da questo, se io facessi del male a Jacob significherebbe scatenare la guerra contro il branco e non è quello che voglio. Finché non mi attaccherà, non farò niente. A meno che non faccia del male a te, ma questo è un altro discorso…”.
Aveva ragione, come al solito. Proporgli di uccidere il mio ex-migliore amico era stata un’idea esagerata e completamente fuori luogo. Bastava attendere ancora pochi giorni e mi sarei lasciata alle spalle Jacob e tutto ciò che lui rappresentava.
Alzai lo sguardo e vidi che Edward si era rabbuiato. Stava pensando qualcosa. E conoscevo quello sguardo: non era niente di buono.
“Cosa c’è?” domandai.
“Credo che Jacob abbia ragione… Stiamo facendo una pazzia” rispose tristemente.
“A cosa alludi?” domandai facendo la finta tonta, anche se sapevo benissimo dove voleva arrivare.
“Sto parlando della luna di miele, Bella. E’ troppo rischioso…”.
“Di nuovo?! Ne abbiamo già parlato fino allo sfinimento”.
“Sì, ma forse non abbiamo analizzato bene le conseguenze. Tu sarai ancora umana e per quanto io abbia imparato a trattenere il mio istinto, potrei non riuscire a farlo. In quella situazione il cervello non è in funzione, sono gli istinti a predominare. E se anche non volendolo, ti facessi del male? Non potrei mai sopportarlo…”.
“In quel caso Jacob ti ucciderà ancora più volentieri!” sdrammatizzai.
“Sarei io ad andare a cercarlo per farmi uccidere…” sussurrò con voce ferma.
“No, andrà tutto bene, amore mio. Ne abbiamo già parlato e vedrai che non succederà niente” gli dissi stringendolo forte.
“Tu riponi troppa fiducia in me”.
“Affatto. Ti conosco e so che mi posso fidare. So perfettamente che il mio benessere e la mia felicità ti stanno a cuore più di qualsiasi altra cosa al mondo ed è per questo che sono disposta a correre qualche rischio. Non mi farai niente di male”
Chinò il viso su di me e mi baciò. Il cuore rullò come un tamburo. Ogni volta che mi toccava accadeva e mi chiedevo che cosa sarebbe successo quella notte. Forse invece che uccisa da lui, sarei morta di infarto!
“Va bene, però se all’ultimo ti volessi tirare indietro, sappi che per me farà lo stesso. In fondo possiamo farlo tranquillamente dopo la tua trasformazione”.
“Non ci ripenserò, puoi stare tranquillo” sbuffai. Secondo me, ci sperava. “Ho barattato la nostra notte d’amore con questo matrimonio di cui io sinceramente potevo fare a meno e secondo te mi tiro indietro?! Neanche morta!”.
Rise, anche se la sua risata non aveva alcun calore.
“D’accordo, Bella. Sei veramente una testona. A proposito del matrimonio, sono sicuro che quel giorno mi ringrazierai e sarai davvero felice…”.
“Ne dubito. Odio le cerimonie in pompa magna”.
Buttai un occhio distratto sull’orologio da camera su uno scaffale della libreria. Accidenti, le 17,30! “La mamma…” esclamai.
“Giusto. Mi fai perdere la testa!” disse.
“Spero che sia così tutta la vita…”.
Mi diede un veloce bacio e poi ci affrettammo nel garage di casa Cullen, dove trovai, tra le solite auto, una coperta da un telone.
“Che cosa c’è lì sotto?” domandai.
“Il mio regalo di matrimonio per te” disse malizioso.
“Cosa? Di che diavolo stai parlando? Il mio pick up va benissimo!” mi arrabbiai.
Alzò le spalle, come se non desse importanza alle mie proteste.
Ci accomodammo nell’auto che sembrava la più confortevole tra tutte: probabilmente Edward aveva pensato che Renèe e Philipp sarebbero arrivati con parecchi bagagli e quindi, avendo bisogno di spazio, non potevamo certo stare in una biposto.
Quando mi sedetti, mi accorsi della profonda differenza col mio pick up scassato. Gli interni erano in pelle, color avorio, i sedili larghi e comodi, il portaoggetti aveva persino il poggiabicchiere. Decisamente un’altra categoria.
“Di chi è questa macchina?” domandai, mentre Edward mise in moto, senza quasi che me ne accorgessi. Era anche silenziosa.
“Di Carlisle. A lui piacciono questi modelli. Anche se non rinuncia alla linea sportiva…”.
“Che marca è?”.
Edward rise. “Che differenza fa, Bella? Tu non capisci niente di macchine…”.
Sbuffai. “E’ solo curiosità. E’ molto bella, tutto qui…”.
“E’ una Maserati…”.
“Ah”. Non fece effettivamente alcuna differenza. Non la conoscevo, però di una cosa ero sicura: doveva essere costata un sacco di soldi.
“Ti piace questo modello? Se ti piace, te ne prendo una uguale…” mi propose.
“Non particolarmente. E comunque non è adatta a me. Io sono per una macchina più… piccola…” mi giustificai.
“Beh, non ti preoccupare, la tua sarà più piccola di questa” mi rincuorò.
Tirai un sospiro di sollievo. Andare in giro con quel carro armato voleva dire sbandierare bandiera rossa davanti a un toro e io volevo passare il più inosservato possibile.
“Ma la tua è la più bella al mondo, amore mio. Vedrai che ti piacerà…”.
Mi mancò il fiato. La più bella al mondo? Allora era sicuramente vistosa. Le mani cominciarono a sudarmi.
“Che cos’è?” sillabai.
“Non te lo dico. E’ una sorpresa…”.
“Ma tanto, come dici tu, probabilmente la casa di produzione non la conoscerò. Quindi puoi dirmelo…”.
“No, non te lo dico. Non si sa mai…”.
Sapevo che quando faceva così non c’era speranza di spillargli nemmeno un’informazione. Forse avrei potuto chiederlo ad Alice. Sicuramente lo sapeva, però aveva certamente ricevuto ordini perentori da Edward di tacere. Pena punizioni corporali. Non avrei scoperto nulla prima del matrimonio.
Certo che il motore di questa macchina era davvero un usignolo rispetto al mio pick up. Aveva un’accelerazione formidabile. Ed Edward sapeva usarla bene. Preferii non guardare il tachimetro perché sicuramente stavamo andando a una velocità che io non mi sarei mai sognata. Le altre macchine sembravano ferme. Mi venne da sorridere: se ci fosse stato Jacob, quanto si sarebbe divertito! Lui adorava le macchine. I pomeriggi passati insieme nel suo garage a riparare la mia moto erano bellissimi e indimenticabili ricordi. Questa era l’unica cosa che accomunava lui ed Edward: la passione per i motori, oltre a quella per me! Questo pensiero mi provocò un lieve bruciorino nello stomaco. Quello stupido e inopportuno sentimento aveva rovinato la nostra amicizia e adesso invece che con vampiri sanguinari mi ritrovavo a dover fare i conti con un licantropo. Incomprensibile!
Ero talmente assorta nei miei pensieri che non mi ero resa conto di quanto fosse volato il tempo e in perfetto orario eravamo arrivati davanti all’entrata dell’aeroporto. Scendemmo dalla vettura e ci recammo all’area di sbarco, in attesa di vedere due sagome familiari. Non ero particolarmente emozionata, anche se mia madre non la vedevo da più di 4 mesi. L’unica emozione che mi colpiva a stilettate era la profonda rabbia nei confronti di Jacob mista al dolore per la consapevolezza di aver perso per sempre il mio migliore amico.
Quando però intravidi una signora dai capelli biondi, coperta di bagagli, uscire dalle porte scorrevoli che delimitavano gli arrivi, tutti i miei cattivi pensieri svanirono. Lei ci sorrise, agitando un braccio, in segno di saluto.
Edward ed io ci avvicinammo.
“Bella, tesoro, come stai?” esclamò Renèe buttando per terra le valigie e abbracciandomi forte.
“Tutto bene, mamma. Tu, piuttosto, fatto un buon viaggio?” le domandai, quando riuscii a riprendere fiato dal suo abbraccio stritolante.
“Sì, la compagnia aerea era buona. Edward, caro, come stai?” e si gettò tra le sue braccia.
Devo ammettere che io non avevo proprio preso niente da mia madre. Né l’aspetto né tantomeno i fin troppo socievoli modi di fare. L’aveva visto solo una volta e già lo abbracciava come se fosse suo figlio. Trattenni una risata, osservando il viso imbarazzato di Edward.
“Renèe lascialo. Non lo fai respirare…” intervenne Philipp, l’attuale compagno della mamma.
Mia madre eseguì l’ordine mentre io scambiai qualche battuta con lui. Uscimmo dall’aeroporto mentre Renèe, presami sotto braccio, riversava su di me le sue curiosità: i preparativi, il buffet, la cerimonia, gli abiti nuziali. Domande a cui non sapevo rispondere. Era tutto in mano ad Alice e non esitai a confermarglielo. Sbuffò seccata. Forse sperava in notizie fresche fresche. Invece la sua, non mondana, figlia non soddisfava la sua fame di scoop.
Quando arrivammo alla macchina, gli “Ohh” si sprecarono. Indubbiamente la Maserati di Carlisle faceva la sua figura. Anche troppo per i miei gusti.
Caricammo le valigie nel bagagliaio e partimmo.
“Dove siete alloggiati?” domandò Edward.
“Al Runisher, a Forks” rispose mia madre.
“Beh, vi accompagnamo là…” dissi.
“Oh no, non siamo stanchi e poi manca ancora più di un’ora alla cena” disse mia madre, che evidentemente aveva altri progetti.
Edward ed io ci guardammo di sottocchi.
“Dove volete andare?” domandò il mio affascinante fidanzato.
“Beh, se per te non è un problema, Edward, vorrei conoscere la tua famiglia. Sai, Bella nelle sue mail mi ha parlato talmente tanto di tutti i suoi componenti che sono davvero curiosa. E poi forse finalmente qualcuno saprà rispondere alle mie domande sull’organizzazione del matrimonio…”.
“Mamma, non essere invadente! Sei appena arrivata e già vuoi piombare dai Cullen?” la rimproverai. In realtà portare degli umani in casa loro senza avvisarli non la ritenevo una decisione felice. Sicuramente ci sarebbe stato dello scompiglio e non volevo che mia madre, fantasiosa com’era, arrivasse alla verità o a qualcosa che ci assomigliasse.
“Non c’è alcun problema” rispose Edward, guardandola dallo specchietto retrovisore. “Andiamo subito. Esme sarà felicissima di conoscerla”.
Restai di sasso. Era straordinario come per lui fosse tutto estremamente facile.
“Ah, Edward non devi assolutamente darmi del lei, ma del tu. Sarò quasi una seconda madre per te, quindi niente convenevoli!” lo rimproverò bonariamente.
Edward rise. “D’accordo mamma!”.
Mi sembrava tutto troppo normale. Mia madre e il mio quasi marito si ritrovavano a parlare allegramente, come nelle più classiche riunioni familiari. Non sembrava neanche che ci fosse un sostanziale problema di fondo. L’unico inconveniente era l’approccio che avrebbero avuto gli altri Cullen all’arrivo degli intrusi umani. Ma pensandoci meglio, sicuramente Alice aveva già previsto tutto nel momento in cui era stata presa la decisione. Quindi dovevamo arrivare in fretta se non volevamo trovare i festoni appesi fuori dalla porta! Questo era il minimo che potessi aspettarmi da lei.
Quando giungemmo davanti alla porta di casa era tutto tranquillo. Salimmo le scale e nessuno venne ad aprirci la porta in anticipo come succedeva sempre al mio arrivo. Effettivamente dovevano comportarsi come umani e non prevedere l’arrivo degli ospiti.
Suonammo il campanello.
Alice ci aprì la porta con un bellissimo sorriso.
“Siete già tornati?” ci domandò e poi simulando la sorpresa sul volto continuò:“Chi è questa signora? E’ tua madre, vero?”.
Alice era davvero una grande attrice. Uscì sulla soglia e subito le porse la mano per presentarsi.
Renèe, che non aspettava altro, gliela strinse amichevolmente e nel giro di pochi secondi erano già care amiche. Ma con Alice era impossibile non diventarlo. Ci fece accomodare dentro e subito trovammo tutta la famiglia schierata.
Renèe e Philipp si presentarono a tutti e non potei non notare la meraviglia con cui il compagno di mia madre guardò Rosalie. Probabilmente pensava che una divinità si fosse materializzata davanti ai suoi occhi. Tanto che indugiò perfino a stringerle la mano.
Subito mia madre cominciò a tempestare di domande Alice riguardo al matrimonio. E lei fu davvero lieta di risponderle: finalmente poteva parlare con qualcuno che comprendeva il suo sincero entusiasmo per i preparativi che seguiva in maniera maniacale. Io non le ascoltavo però guardavo come tutti quanti si dessero da fare per farli sentire a proprio agio. Anche Philipp: infatti appena Emmett seppe che era un giocatore di baseball in una piccola squadra, subito iniziò a interrogarlo e a farsi raccontare di quel mondo che a lui pareva appassionante.
Edward mi cinse le spalle con un braccio e sussurrò:”Vedi, è andato tutto bene… Noi Cullen sappiamo stare in società”.
“Non avevo paura per voi. Temevo che mia madre sospettasse qualcosa di strano, ma finora siete stati perfetti, come al solito”.
Alice addirittura la portò al piano di sopra per mostrarle l’abito da sposa. E lei, eccitata come una bambina, corse incuriosita.
“E’ una signora molto simpatica, Bella. Complimenti” constatò Carlisle con accento bonario.
Lo ringraziai. Rosalie era seduta sul divano e stava un po’ sulle sue, come previsto. Non sembrava minimamente interessata al trambusto che i miei stavano portando. Anzi, addirittura si era messa a sfogliare una rivista. Non la conoscevo abbastanza per affermarlo con certezza ma credo fosse infastidita della loro presenza. Io invece ero inaspettatamente felice. Mi sembrava di camminare in paradiso: le mie due famiglie che si incontravano e si piacevano. L’unico un po’ orso era Charlie ma col tempo sarebbe cambiato anche lui. Se ne avessimo avuto, di tempo… Dopo aver visto questo quadretto, mi rattristava un po’ il pensiero di quello che perdevo: una vita serena allietata dal calore di entrambe le famiglie. Ma dovevo accontentarmi di una famiglia sola e andava bene ugualmente.
Renèe tornò al piano di sotto, entusiasta:“Il tuo vestito è fantastico! Amore mio, Alice ha fatto una cosa meravigliosa… Dovresti vederlo!”.
Alzai le spalle. “Mi fido di Alice… E poi mi piacciono le sorprese”. Non era affatto vero, ma dovevo giustificarmi in qualche modo.
“Piuttosto, Esme, Alice mi ha detto che il buffet lo prepari tu da sola, con le tue mani… E’ un lavoro sovrumano! Dovrai lavorare anche di notte” esclamò incredula rivolgendosi alla mia “quasi” suocera. Renèe non poteva sapere che per lei non era affatto un problema stare sveglia di notte. Anzi, era un modo piacevole di passarsi il tempo.
“Non è un problema. A me piace molto cucinare…” si schermì Esme.
“Posso immaginare… Ma per tutta quella gente! Piuttosto, in che cosa consiste il menù?” domandò. E si inerpicarono in discussioni prettamente culinarie. Non prestai molta attenzione alla loro conversazione, ma ne sentivo il tono: sembrava fossero amiche da una vita. Ed Esme pareva davvero felice di parlare con qualcuno che la capisse e si interessasse a una cosa che in quella casa non poteva certo riscuotere un grande successo. Invece mia madre ne era sempre stata appassionata e quindi in lei poteva trovare una valida interlocutrice.
Tutto era così fantastico. Abbracciai Edward: in un modo o nell’altro era sempre lui l’artefice della mia felicità. Forse il giorno del matrimonio non sarebbe neanche stato così male, se fosse stato tutto come questa sera. Insieme e sereni. E al diavolo Rosalie e Jacob! Potevo sopravvivere tranquillamente senza di loro e la loro approvazione. Persino la presenza di Tanya era diventata qualcosa di tollerabile.
“Amore, sapessi quanto sono felice…” sussurrai al suo orecchio.
Mi sorrise. Lui lo era ancora di più. Sapere che riusciva a procurarmi gioia era un premio. La mia felicità era il suo scopo nella vita, ormai.
Sentivo il suo dolce profumo e ne ero inebriata. Percepii le guance poggiarsi sulla mia testa, come se tutto il suo corpo tentasse di avvolgermi. Una bellissima sensazione resa ancora più piacevole dal clima che mi circondava.
Alice ci stava osservando compiaciuta, quando improvvisamente alzò lo sguardo. Non stava guardando niente di particolare. Era fisso nel vuoto. Stava avendo una delle sue solite visioni.
Edward alzò il viso e la scrutò attentamente.
Non potei trattenermi dal fissarlo. La sua reazione mi avrebbe chiarito se la visione di sua sorella fosse funesta o meno. Restò un secondo interdetto. Alice si voltò, in cerca del suo sguardo, come se aspettasse conferma dei suoi pensieri.
“Cosa succede, Edward? Cattive notizie?” domandai timorosa.
Mi sorrise:“No. Ha visto una cosa su Kate… Niente che ci possa interessare particolarmente”.
Tirai un sospiro di sollievo. Non volevo che proprio adesso qualcosa rovinasse il mio momento di beatitudine. Tutto doveva filare liscio, niente poteva rovinarlo. Mancavano 4 giorni al matrimonio. Ero troppo vicina al traguardo.
Ben presto si fecero le 20.
“Mamma, devo andare a casa. Papà è senza cena…” la richiamai.
“O santo cielo! Com’è tardi! Charlie in tanti anni da solo non ha ancora imparato a cucinare?!” disse rivolta più a se stessa che a me.“D’accordo, andiamo. Esme, se me lo permetti, domani sarei molto felice di venire per aiutarti a cucinare…”.
“Certo. Mi farebbe molto piacere!” esclamò lei di rimando.
Mia madre e Philipp si stavano avviando verso la porta, dopo aver salutato tutti quanti, quando Renèe si girò bruscamente verso Edward e domandò:“Perché non vieni anche tu a cena da noi?”.
“Da noi?” domandai sorpresa.
“Beh, è ovvio che ci fermiamo da Charlie a cena. Ho voglia di vederlo e soprattutto capire come ha preso tutta questa storia…”.
“Ma… Veramente non so se sia il caso, mamma…”.
“Vedrai che non avrà niente da obbiettare. Su, Edward, vieni anche tu!” lo incitò.
E questa prospettiva era ancora peggio della precedente. Sarei stata felicissima della sua presenza, ma tutti si sarebbero accorti che non mangiava e si sarebbero posti delle domande.
Iniziai a temporeggiare. Non sapevo cosa inventarmi per lasciarlo a casa. Per fortuna, intervenne Jasper.
“Edward, aspetta. Abbiamo promesso di sentire i Denali stasera”.
“Ah, è vero. Se per voi non è un problema, verrei dopo cena…”.
“Ma certo. Va benissimo. Mangeremo tutti insieme un’altra volta…”.
“A dopo allora”.
Mi diede un bacio veloce e ci accompagnò alla porta.
In macchina Renèe non stette zitta un attimo. Era più esaltata di me. Mi raccontò di tutto quello di cui aveva parlato con Alice ed Esme, come se io non fossi stata nemmeno lì con loro e non avessi potuto ascoltare i loro discorsi. Sembrava che il matrimonio fosse il suo e non il mio. Ma lei era sempre stata così. Anzi, spesso le persone che ci conoscevano dicevano che la madre sembravo io: più pacata e tranquilla mentre lei viveva costantemente con la testa sulle nuvole e in stato di agitazione per ogni situazione nuova le si potesse presentare. A volte dovevo essere proprio io a stroncare le sue fantasie in circostanze in cui si veniva a trovare e cui cercava di porre rimedio con le soluzioni più assurde e strambe. Poi lei aveva questo modo così naturale di esternare i suoi sentimenti. In questo avevo preso da papà. Non ero ai livelli di Charlie ma certe volte la mamma mi sembrava esagerata.
“Ma lo sai che la tua futura famiglia è davvero splendida? Sono uno più bello dell’altro. Sembrano tutti attori del cinema. Non è vero Philipp?” domandò Renèe, girandosi verso il suo compagno.
“Effettivamente sono tutti dei bei ragazzi. Davvero notevoli…”.
“Sono belli, ricchi, educati, simpatici… Insomma, Bella, hai vinto alla lotteria! Sei davvero stata fortunata. Sono contentissima per te, tesoro!” concluse mia madre.
Arrivammo a casa. Ovviamente papà era già arrivato.
Mi chiedevo come Charlie avrebbe preso tutto questo trambusto e soprattutto la presenza della mamma, senza preavviso. Forse mi avrebbe scannata. Anzi, sicuramente.
Quando varcai la soglia me lo ritrovai davanti, visibilmente accigliato per il ritardo. Ma la sua espressione cambiò radicalmente quando si accorse che ero seguita da Renèe e Philipp. Neanche mio padre era un grande attore (come me, d’altronde) ma sapeva cos’era l’educazione. E accogliere la mamma col muso non sarebbe stato molto cortese. Una smorfia forzata figurò sul suo viso.
“Ciao Renèe, ciao Philipp. Come state?” e si avvicinò a loro. Baciò la mamma su una guancia e strinse la mano al suo compagno.
“Tutto bene, Charlie. Grazie” rispose Renèe.
“Il viaggio com’è andato?”.
“Bene. L’aereo non ha fatto ritardo. Siamo arrivati in orario…”.
Ero un po’ tesa. L’atmosfera non era delle migliori. Soprattutto, grazie a papà. Per fortuna la mamma era come un treno in corsa senza controllo e continuò a parlare, incurante del fatto che Charlie rispondesse a monosillabi.
“Mamma e Philipp restano a mangiare da noi stasera” esordii.
“Ah, benissimo” affermò Charlie.
“E dopo ci raggiunge Edward…” continuò Renèe. Il viso di mio padre si indurì: per lui non era mai un momento piacevole incontrare colui che stava per strapparmi alla mia famiglia.
La mamma, per peggiorare ulteriormente la situazione, continuò decantando le lodi del mio fidanzato e di tutta la famiglia Cullen. Charlie era in silenzio e continuava ad annuire con la testa, pronto ad esplodere.
“Vado a preparare da mangiare. Mamma mi aiuti?” dissi per aiutare papà ad uscire da quella incresciosa conversazione.
“Ma certo, tesoro” mi accompagnò in cucina.
Lasciammo i due uomini da soli ma papà non aveva alcun problema con Philipp. Anzi, il fatto che fosse un giocatore dilettante di baseball era un fattore avvicinante. La passione per quello sport in mio padre era talmente radicata, che sapevo che sarebbe stato subito il loro argomento dominante. Infatti poco dopo, buttando l’orecchio verso il salotto, li sentii parlare di fuori campo, enning e squalifiche. Almeno papà si sarebbe calmato.
La mamma ed io invece parlammo sempre di Edward e del matrimonio. Era alquanto monotematica. Ma ne fui felice: parlare di Edward con qualcuno che fosse finalmente soddisfatto di me e della mia scelta, era davvero un sollievo. Finora le congratulazioni erano state così rare, sporadiche e poco sentite che mi ero quasi avvilita. Non certo perché pensassi di sbagliare o mi stessi pentendo della mia decisione, ma mi ero stancata di critiche e musi lunghi. E avevo preferito non toccare più l’argomento. Invece con la mamma era tutta un’altra musica!
Tutte le nostre chiacchiere rallentarono pesantemente la preparazione della cena, ma alla fine riuscimmo a sederci a tavola. E per fortuna la mamma cambiò argomento. Parlammo del lavoro di papà e di Philipp, della mia università, dei miei amici. Ma stavolta la mazzata colpì me, invece che Charlie.
“E Jacob? Come sta?” mi domandò. Mi morsi il labbro.
“Già. Sei andata da lui oggi? Come l’hai trovato?” incalzò mio padre.
“Bene. Però direi che la lontananza non gli ha giovato…” risposi, innervosita.
“Perché? Cosa gli è successo?” si incuriosì la mamma.
“Era scappato di casa” rispose laconico Charlie, continuando ad affettare la carne.
“Oh, cielo! Come mai? Solite ribellioni adolescenziali?” domandò Renèe.
Mio padre mi guardò di sottecchi. “Mah, non si è capito bene… Comunque, è rinsavito ed è tornato a casa” si limitò a dire.
Mia madre cominciò un suo monologo personale su come i giovani di oggi fossero molto problematici e difficili da crescere. Soprattutto i maschi, che, a suo dire, a quell’età erano ingestibili. Smisi di ascoltarla. Ringraziai mentalmente papà per non avere detto la verità. Non avrei potuto reggere un interrogatorio di Renèe sui sentimenti di Jake verso di me.
“…comunque, ci sarà anche lui al matrimonio, no?” terminò la mamma.
“Certo. Anzi, lui è il testimone di Bella” disse papà.
“Il testimone? Ma è Alice la testimone…” contestò Renèe. Entrambi si girarono con aria interrogativa verso di me.
“L’avevo chiesto a Jacob ma lui ha rifiutato. Così ho domandato ad Alice…” risposi con finta noncuranza. Cominciai a battere i piedi a terra. Quella cena era diventata una tortura.
“Come mai? Doveva esserne onorato…” mi interrogò Renèe.
Respirai profondamente per reprimere la rabbia che stava sorgendo di nuovo al pensiero della discussione del pomeriggio.
“Non verrà neanche al matrimonio, non ama le cerimonie ufficiali…”conclusi, deponendo le forchette. La cena per me era finita, anche se il mio piatto era molto lontano dall’essere vuoto.
Mi pulii la bocca col tovagliolo e incrociai lo sguardo di mio padre. Mi stava rimproverando col pensiero. Stava probabilmente immaginando perché Jacob aveva rifiutato e soprattutto perché non veniva al matrimonio.
Mi alzai per sparecchiare e sentii dalla cucina che Renèe si stava interessando delle sorelle di Jake.
Suonò il campanello e andai ad aprire. Il mio principe era lì.
Lo abbracciai forte come se non lo vedessi da una vita. Ed era davvero il mio salvatore. Se avessi dovuto continuare in questo modo, sarei fuggita da casa entro i successivi 10 minuti!
Mia madre lo intravide dalla fessura dello stipite della porta. “Oh Edward, finalmente sei arrivato! Vieni qua, accomodati pure…” gli urlò dalla tavola. Era sconvolgente come Renèe si comportasse come se fosse a casa sua.
Io sospirai. Non ci lasciava neanche un minuto di pace.
Edward entrò nel salotto e salutò educatamente tutti i commensali. Mio padre alzò lievemente il viso e gli fece un cenno con la testa, continuando a mangiare l’arancia che aveva cominciato a sbucciare. Edward sollevò il braccio e mostrò un sacchetto.
“Vi ho portato una torta, se non sono arrivato troppo tardi…” disse, alludendo a mio padre che era già alla frutta.
Ovviamente l’atteggiamento di Charlie non cambiò di una virgola, mentre mia madre sembrò colta da un attacco di gioia.
“Oh, grazie, caro. Ma no, che non è tardi. Abbiamo appena finito la pietanza” e prese il sacchetto. Lo scartò sulla tavola e mi sollecitò a prendere forchette, coltello e piattini. Devo dire che Edward ci sapeva davvero fare con le persone: sapeva come farsi adorare. Certe volte mi chiedevo se fosse tutto spontaneo oppure se un’educazione così rigorosa gli fosse stata inculcata da Carlisle o dai suoi genitori naturali. Charlie si scusò perché ovviamente lui aveva già terminato la cena.
La cena finì con mia madre che continuava a parlare del matrimonio, coinvolgendo Edward e cercando di spillargli la destinazione del viaggio di nozze, ma con scarsi risultati.
Durante la conversazione, suonò il telefono. Andai a rispondere. Era Jessica, la mia ormai ex compagna di liceo. Cominciò a chiedermi dei preparativi e di mille altre futili curiosità. Infine arrivò al dunque. Lei e Angela avevano preparato, a sorpresa, il mio addio al nubilato per la sera successiva e io non potevo assolutamente rifiutarmi di mancare.
La prospettiva era terrificante. Anche questo dovevo subire! Tutto per accontentare Edward. E conoscendo Jessica sicuramente aveva elaborato qualcosa di osceno. Osceno nel vero senso della parola. Sicuramente travestimenti di dubbio gusto o giochini da sexi shop sarebbero saltati fuori durante la serata. Mamma mia, che tristezza. La mia prima reazione fu di mandarla a quel paese, ma sapevo che mi avrebbe tartassato per tutto il giorno successivo fino a che non avesse ottenuto una risposta positiva.
Sbuffai e acconsentii. Erano solo poche ore, in fondo. L’unica mia speranza era che Angela, era più simile a me nei gusti, avesse tentato di boicottare le sue idee.
Quando appesi il ricevitore, tornai al tavolo più sconcertata di prima. E mi toccò pure il rimprovero di Renèe sul fatto che tentavo sempre di tirarmi fuori da queste serate “esilaranti”.
“Tu, Edward, cosa fai per l’addio al celibato?” domandò Charlie.
“Mah… Non ne ho idea. Lo stanno organizzando Emmet e Jasper. Loro dicono che sarà una sorpresa ma non lo credo affatto considerando la loro assoluta mancanza di fantasia…” rispose Edward.
“Ma… tesoro… ti stavo guardando… Sei sicuro di stare bene? Sei così pallido…” esclamò la mamma, sinceramente preoccupata. Gli prese la mano. “E’ gelida! Sei sicuro di non avere la febbre?”.
Stavo per scoppiare a ridere. E anche Edward si trattenne dal farlo. Ma con la sua solita eleganza le rispose che si sentiva benissimo e non doveva assolutamente preoccuparsi.
“Lo spero bene” continuò Renèe. “Non vorrei che ti ammalassi proprio a poche ore dal matrimonio e dovessimo rimandare tutto”.
Vidi il viso di Charlie illuminarsi: era una prospettiva affatto disprezzabile. Ma sapevo che era più facile che arrivassero i dischi volanti: i vampiri non potevano ammalarsi. Non era proprio possibile.
Verso le 22 Renèe cominciò ad accusare la stanchezza ed Edward cavallerescamente si offrì di accompagnare lei e Philipp in albergo. Gli diedi la buonanotte, promettendo a mia madre che sarei stata da lei il mattino successivo appena sveglia, per passare tutta la giornata insieme. Edward mi salutò con un bacio sulla guancia. Tanto ci saremmo rivisti, all’insaputa di tutti, in camera mia di lì a una mezz’oretta.
La serata era stata abbastanza piacevole ma quella, seppur breve, parentesi su Jake mi aveva un po’ scombussolato. Iniziai stancamente a lavare i piatti. Speravo che Edward fosse veloce ad accompagnare Renèe perché ero distrutta dalla giornata terribile che avevo appena affrontato e temevo di addormentarmi, se fossi andata ad aspettarlo in camera.
Charlie si mise a guardare la tv come al solito, in silenzio. Non mi rivolse più la parola per tutto il resto del tempo. Doveva essere arrabbiato. Non so se perché gli avevo portato mamma ed Edward in casa senza preavviso, oppure per la reazione di Jacob e la mia mancanza di tatto nei suoi confronti. Qualunque fosse il motivo, decisi che non me ne sarei preoccupata. Tanto conoscendolo, gli sarebbe passata in fretta e io ero troppo stanca per prendermi a cuore anche le sue paranoie.
Finite le faccende, lo salutai freddamente e mi avviai in camera. Come sospettavo, Edward non era ancora arrivato: probabilmente Renèe lo stava intrattenendo in chiacchiere. A volte era davvero logorroica. Non so come facesse Philipp a sopportarla.
Mi stesi sul letto e mi misi a leggere un libro per cercare di tenere gli occhi aperti. Ma non capivo nemmeno quello che stavo leggendo. Troppo stanca.
Per fortuna, Edward arrivò di lì a poco.
Entrò dalla finestra con la leggerezza di un gatto, poi si avvicinò subito per abbracciarmi. Ci sdraiammo sul letto, come al solito. Iniziò a raccontarmi tutto quello che Renèe gli aveva detto e come l’aveva intrattenuto davanti all’hotel, ma io non arrivai alla fine del discorso. Caddi in un sonno profondo ma non abbastanza.
Feci un incubo terribile.
Ero sulla spiaggia di La Push, apparentemente deserta. Sapevo che c’era qualcuno, ne percepivo la presenza e lo cercavo disperatamente. Iniziai a correre guardandomi freneticamente intorno ma la mia ricerca sembrava vana.
Poi, all’improvviso, vidi un cumulo di rocce e decisi di avvicinarmi ad esso. Man mano che procedevo, mi resi conto che non erano rocce, ma corpi umani. E quando fui a pochi passi capii. Erano i corpi di Charlie, Renèe, Edward, e degli altri Cullen. Mi buttai su di loro per rianimarli ma era tutto inutile. Iniziai a urlare fino a che un’ombra non si proiettò su di me dalle mie spalle. Mi girai.
Era una ragazza dai capelli scuri e gli occhi di ghiaccio. La riconobbi subito. Jane.
Quella maledetta guardia dei Volturi aveva fatto questo.
Mi svegliai di soprassalto, completamente sudata.
La sveglia sul comodino vicino al letto proiettava le 4,30.
Voltai lo sguardo sia a destra che a sinistra. Edward non c’era. Generalmente rimaneva fino al mattino successivo. Perché non era qui?
Ebbi una terribile sensazione. Come se il mio sogno fosse diventato realtà. O lo stesse per diventare.
La paura mi paralizzò. Mi stesi a letto, coprendomi fin sopra la testa, come se questo potesse proteggermi. Ma non riuscii a tranquillizzarmi e restai sveglia per il resto della notte. Con una domanda che mi turbinava nel cervello: dov’era Edward?


Ciao,
e con questo capitolo finiamo l’ampia introduzione che vi siete sgranati!!! Dal prossimo capitolo si comincia a fare sul serio! Vi aspetto numerosi e, per favore, lasciate almeno qualche commentino, anche se vi fa schifo. A me andrà bene lo stesso…
Bacioni! 

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Capitolo 7
*** Rinvio ***


Ciao,
spero che almeno dopo questo capitolo vorrete lasciarmi un piccolo commento, altrimenti potrei cominciare a demotivarmi…
Baci a tutti

 
 
 
 
 
 
Fu una nottata infernale.
Paralizzata sotto le lenzuola, non osavo muovere neanche un muscolo. Comportandomi in questo modo avevo la sensazione di proteggermi da un’entità senza pietà, che mi cercava e mi avrebbe scoperto a causa di un mio solo movimento. Per un lungo periodo ebbi persino il respiro affannoso. Mi sembrò di essere tornata a quando ero piccola e, dopo un brutto sogno, mi rintanavo sotto le coperte, sperando di salvarmi dai mostri che mi avrebbero attaccato se avessi osato buttare anche solo un’occhiata intorno a me. Ma adesso non ero più una bambina e non potevo farmi sopraffare da simili paure.
Cercai di calmarmi e, dopo qualche minuto, ci riuscii. Ma un pensiero fisso continuava a ronzarmi nel cervello: dov’era Edward? Perché era andato via? E la visione di Alice del pomeriggio precedente continuava ad affacciarsi nella mente, come se c’entrasse qualcosa con il mio nervosismo.
E se avessero detto che era inerente a Kate solo per tranquillizzarmi? Non sarebbe stata la prima volta che dicevano una bugia per nascondermi una preoccupazione. Ripensai al viso di Alice: era quello la chiave di tutto. Non sembrava spaventata da quello che aveva visto, più che altro stupita e sconcertata. E se non fosse stata Kate l’oggetto delle sue visioni, chi poteva essere? Sapevo che non potevano essere i licantropi: non era in grado di vederne il futuro. Quindi chi poteva riguardare? Me? O forse Edward?
Avrei voluto alzarmi e correre a telefonare ai Cullen, ma mio padre avrebbe sicuramente sentito la telefonata e mi avrebbe dato della pazza scatenata. Ed Edward non mi avrebbe detto nulla in ogni caso. Però almeno sarebbe ritornato. Ma se era andato via, sicuramente c’era un motivo più che valido. Cercai di distogliere il pensiero, concentrandomi su qualsiasi altra cosa, ma per quanto mi sforzassi, tornavo sempre a quel punto.
Queste idee continuarono a preoccuparmi per parecchio tempo fino a che il mio cervello, stremato, si addormentò.
Mi svegliai verso le 9. Mio padre era già uscito da un pezzo.
Mi alzai, dondolando su me stessa. Mi sembrava di essere vittima di una sbronza. Andai in bagno e mi guardai allo specchio. Avevo due profonde occhiaie che mi segnavano il volto.
Mi sciacquai il viso, mi preparai alla buona e andai al piano inferiore a fare colazione. Ma anche lo stomaco si rifiutava di rispondere al comando di nutrirsi. Mi sedetti al tavolo e rimasi a guardare il caffè fumante che pian piano si raffreddava.
Non riuscivo a togliermi dalla testa quel sogno. Jane e quei suoi crudeli occhi vacui che mi guardavano, desiderosi di farmi fare la fine di tutti gli altri che aveva già crudelmente assassinato. Appoggiai il viso sulle mani. Non potevo più resistere.
Mi alzai per andare a chiamare Edward ma mentre mi incamminavo verso il telefono, l’apparecchio suonò prima che potessi comporre un numero. Ne fui sorpresa. Di nuovo il mio respirò tornò a farsi affannoso. Appoggiai la mano sulla cornetta e pian piano la sollevai. Quando la portai all’orecchio dall’altra parte risuonò la voce argentina di Renèe:“Pronto, Bella?”.
Tirai un sospiro di sollievo. “Sì, mamma?”.
“Oh, tesoro. Dov’eri finita? Ci hai messo una vita a rispondere” mi domandò.
“Ero lontana. Dimmi…”.
“Dimmi?! Veramente sei tu che dovresti dire qualcosa a me. Non eravamo rimaste d’accordo che oggi ci saremmo viste?”.
Me ne ero completamente dimenticata. Tutto il trambusto del sogno mi aveva fatto completamente rimuovere il ricordo dei miei impegni odierni.
“Scusami, mamma. Il fatto è che ho avuto una nottataccia e mi sono svegliata solo adesso” mi scusai.
“Ok, tesoro. Non c’è problema. Fra quanto riesci a essere qui?”.
“Fra dieci minuti”.
“Perfetto. Ti aspetto allora” e riappese.
Accidenti, questo non ci voleva! Non sarei riuscita a parlare con Edward, con mia madre fra i piedi. Adesso dovevo anche intrattenere Renèe e Philipp. Ma il solo pensiero di stare tutto il giorno con questo dubbio mi faceva venire il crepacuore. Mi sedetti sullo sgabello vicino al telefono e cercai di respirare profondamente per calmare i battiti accelerati del cuore, ma con scarsi risultati.
Decisi che qualunque fossero state le idee di mia madre, sarei andata dai Cullen e avrei parlato con Edward o Alice. Uno dei due avrebbe dovuto svelarmi se le mie preoccupazioni avevano un fondamento o meno. Non potevo restare a lungo in questo stato.
Mi alzai di scatto, presi borsetta, chiavi del pick up e uscii per andare al Runisher Hotel.
Trovai mia madre e il suo compagno nella hall che mi aspettavano. Mi scusai del ritardo e li feci accomodare sul mio potente mezzo. Non dovetti nemmeno prepararmi un discorso particolarmente convincente perché Renèe subito, prendendomi in contropiede, disse:“Ti va se andiamo dai tuoi futuri suoceri? Mi piacerebbe aiutare Esme a preparare il buffet…”.
Cavolo, mia madre era davvero un portento in certe occasioni! Ovviamente dissi di sì e ci dirigemmo verso casa Cullen.
Il tragitto fu breve. Fui soffocata dalle chiacchiere di Renèe sulla differenza tra una piccola cittadina come Forks e una grande metropoli come Phoenix. All’inizio non le prestai molta attenzione: ero troppo presa dalle mie riflessioni, ma poi cercai di risponderle, se non altro per distogliere la mente.
Quando arrivammo, contemplai la grande casa bianca che quel giorno aveva un’aria stranamente cupa, nonostante il candore delle sue pareti. Le gambe inspiegabilmente iniziarono a tremarmi. Feci la scalinata a passi lenti. Ero impaurita perché si affacciò nella mia mente una possibilità che non avevo preso in considerazione: che potesse essere successo qualcosa ad Edward. Qualcosa che lo avesse allontanato da me. Ma, ripensandoci meglio, era un’ipotesi più che plausibile. Forse Edward era andato via da casa mia per un problema importante e dopo non era più riuscito a tornare perché trattenuto da qualcuno o qualcosa. Forse stava male o peggio. Mi sentii quasi svenire: rimasi indietro rispetto a Renèe e Philipp, ansimando affannosamente. Mi portai una mano sul petto: sembrava che il cuore volesse balzare fuori.
Mia madre si accorse quasi subito del mio malessere e tornò indietro. “Cosa c’è, Bella? Non stai bene? Vuoi tornare a casa?”. Feci faticosamente cenno di no con la testa. Le parole non riuscivano neanche a uscirmi di bocca. Sentii gli occhi velarsi di lacrime, lacrime che trattenevo a stento, solo per non far preoccupare Renèe. Mi sentii quasi svenire: se gli fosse successo qualcosa, che cosa avrei fatto?
Ma la porta della casa si aprì e il viso angelico di Edward comparve sull’uscio.
“Renèe, Philipp, ciao!” esclamò sorridente. Poi guardò me e, vedendo il mio viso cereo, mi corse incontro:“Bella, amore, come sei pallida! Stai bene?”.
Il cuore si arrestò di colpo per poi tornare al solito battito. Stava bene. Era qui, con me. Mi appoggiai al suo petto senza dire nulla. Mi girava la testa in maniera vorticosa. Gentilmente mi prese in braccio e mi portò sul divano in salotto. Mi sdraiai mentre Alice ed Esme ci raggiungevano.
“Bella, tesoro, cosa c’è? Stai male?” disse Esme, sinceramente preoccupata.
Edward mi prese una mano fra le sue e la baciò più volte. Mi guardava sbigottito e io non riuscivo a dire una parola per tranquillizzare nessuno. Mi sembrava di essere appena andata cento volte in ottovolante. E stessi cercando di riprendermi solo ora. Carlisle arrivò subito con la sua valigetta e mi toccò la fronte, poi misurò la pressione. “Ha la pressione molto bassa. Esme, hai qualcosa di dolce? Cioccolata?” disse, rivolto a sua moglie.
Lei corse subito in cucina e tornò con una gigantesca fetta di torta. Io non avevo per niente fame, anche perché conoscevo la reale causa del mio stato, ma sapevo che dovevo impegnarmi. Ne mangiai un poco, poi tornai a stendermi. Sentivo che mi stavo lentamente riprendendo ma stare in posizione eretta era ancora troppo per il mio fisico.
Udii Carlisle e Renèe parlare, ma ero troppo presa dal viso di Edward che mi guardava in ansia. Non mi interessava il mio stato: ero profondamente prostrata all’idea di averlo fatto preoccupare per qualcosa di stupido. Ma averlo vivo e vicino a me era meglio di qualsiasi medicina Carlisle potesse somministrarmi. Il mio angelo era lì, accanto a me e -santo cielo!- avrei potuto morire per la gioia. Gli sorrisi debolmente. Lo osservai a lungo senza proferire una sola parola, continuando a stringere con tutte le forze disponibili la sua mano contro il mio viso.
Poi finalmente riuscii ad alzarmi. Renèe corse vicino a me per aiutarmi. “Sto bene, mamma. Non ti preoccupare. E’ tutto passato” la tranquillizzai, ma lei mi guardava scettica.
Edward si sedette accanto a me e ne approfittai per appoggiarmi a lui.
Mia madre, vistami in più che ottime mani, cominciò a parlare con Esme del menù del buffet e Philipp fu rapito da Emmett per guardare insieme l’ennesima partita del torneo tanto odiato da Rose.
“Perché stanotte sei sparito? Ero preoccupata da morire…” sussurrai flebilmente.
“Mi dispiace, Bella. Sembrava che ci fosse un problema a casa e sono dovuto scappare via…” rispose mortificato.
Alzai il viso per guardarlo negli occhi, cercando di capire se mi stava mentendo. “Aveva a che fare con la visione di ieri pomeriggio di Alice?” gli domandai.
Annuì. Mi si ghiacciò il sangue nelle vene.
“Kate…?” sillabai.
“Già… Pareva che dai Denali ci fosse qualcosa che non andava, ma ora sembra tutto risolto…” disse, accennando un sorriso.
“Edward, me lo diresti se ci fosse un problema, vero?” gli domandai senza nascondere l’angoscia.
“Certo, amore. Ormai sei abbastanza forte per sopportare tutto…” disse stringendomi le spalle.
Sospirai. Mi sentii decisamente meglio.
La mia fantasia mi aveva giocato l’ennesimo brutto tiro. Mancavano tre giorni al matrimonio e avevo ormai il terrore che succedesse qualcosa. Se dovevo passare il tempo che rimaneva in questo stato, avrei dovuto imbottirmi di tranquillanti altrimenti avrei rischiato l’esaurimento nervoso. Dovevo resistere assolutamente. Non potevo cedere proprio ora. I miei sogni si stavano per realizzare e non dovevo trasformarli in incubi proprio adesso.
Restammo abbracciati per più di un’ora mentre Renèe ed Esme dalla cucina parlavano e ridevano in continuazione. Questo mi rasserenò. Tutto era tranquillo: non avevo nulla da temere. Questo era chiaro. Anche se c’era qualcosa che mi turbava. Uno strano presentimento. Cominciai a respirare profondamente per calmarmi. Non capivo cosa c’era che non andava. Tutto era come al solito, anzi meglio.
Poi notai l’assenza di Jasper e Rosalie. Forse erano al piano superiore.
Alice era seduta al tavolo del salotto e sembrava intenta a sfogliare un catalogo. “Dove sono Rosalie e Jasper?” domandai, rivolta sia a Edward che alla mia cognatina preferita.
Alice non alzò neanche il viso dal catalogo, ma rispose ugualmente:“Sono fuori. Sono andati a farsi un giro…”.
Rosalie e Jasper insieme. Non avevo mai visto questa combinazione. E mi sembrava quanto meno insolita. Per tutti quanti era normale e quindi perché mai io avrei dovuto non trovarla tale? Eppure per me c’era qualcosa che non quadrava. Anche se tutti quanti simulavano la più perfetta armonia. O forse ero vittima delle costruzioni mentali più inverosimili.
“Bella, te la senti di andare a fare la spesa?” mi domandò Renèe, sporgendosi dallo stipite della cucina.
Alzai la testa dall’abbraccio di Edward e feci cenno di sì con la testa. Mia madre si tolse il grembiule e arrivò in salotto. “Mancano degli ingredienti. Ti va se andiamo a prenderli insieme?” mi domandò.
“Certo” risposi.
Con profondo dispiacere dovetti lasciare le braccia di Edward e mi alzai dal divano. Presi la borsa che avevo lasciato sul tavolo vicino ad Alice e feci per andare verso la porta. Renèe si girò verso Edward e lo invitò a venire con noi. “Mi dispiace, ma ho delle cose da sistemare qui…”.
“Non importa… Staremo insieme più tardi…” disse Renèe.
Poi, seguite da Philipp, uscimmo. E ci recammo in un supermercato molto grande lì vicino. Facemmo la spesa e poi vista l’ora ci sedemmo in una tavola calda nelle vicinanze. Renèe sembrava davvero soddisfatta dei futuri consuoceri e soprattutto del suo futuro genero. Se le avessi detto come stavano le cose, non credo che sarebbe stata così felice, però l’importante era ignorare la verità.
“Allora, come ti trovi con Esme?” le domandai.
“Ah, benissimo. E’ una donna fantastica. E poi è una gran cuoca. Tutti i Cullen mangiano da Dio con lei. Devono ritenersi molto fortunati” esclamò entusiasta.
Se avesse saputo che tutto quel ben di dio era sprecato si sarebbe mangiata le mani! Soltanto io avevo assaggiato i cibi preparati da Esme e concordavo con lei: cucinava divinamente! E ben presto anch’io non avrei più potuto mangiare le sue prelibatezze.
“Sì, cucina molto bene” ammisi. “Per il resto, hai qualcos’altro da dichiarare?” indagai.
“Ma… Niente che non ti avessi già detto ieri… Piuttosto oggi la bellissima e l’altro ragazzo biondo non ci sono?” mi domandò.
“Sono usciti. Credo che nel pomeriggio li ritroveremo…” constatai.
Questa domanda mi fece tornare in mente quello che avevo faticosamente represso. E mi fece agitare ancora una volta. Perché mai erano usciti insieme? Riflettendo, forse Rosalie aveva litigato ancora una volta con Emmett e, considerando il potere di Jasper di calmare gli animi, lui era uscito con lei per rasserenarla un po’. Già, questa possibilità non mi era venuta in mente lì per lì. E probabilmente era proprio questo il motivo. Mi ripromisi, una volta tornata dai Cullen, di chiedere il perché di quella strana uscita.
“E’ stasera che hai l’addio al nubilato, vero?” mi chiese Philipp.
Il ricordo della fantastica serata che mi attendeva mi fece venire mal di pancia. Santo cielo, chissà cosa si era inventata Jessica! Sicuramente qualcosa che non era di mio gradimento. Ma perché tutti si sentivano in obbligo di farmi divertire quando io, in realtà, non avevo bisogno di altro che essere lasciata in pace?!
“Sì, è stasera” ammisi stancamente. “Ho una voglia di andarci sotto i tacchi…”.
“Oh, come sei! Vedrai che ti divertirai!” mi incoraggiò Renèe.
Le possibilità che la sua affermazione fosse vera erano inferiori allo 0,02%. Avrei preferito stare davanti alla Tv con Charlie, piuttosto che andare da Jessica a passare chissà che serata squinternata! Anche questa mi toccava. E tutto per colpa di Edward e della sua idea del matrimonio. Se avessimo fatto una banale convivenza, come volevo io, tutto questo non sarebbe accaduto.
Sbuffai. “Forse mi divertirò, ma avrei preferito passare la serata con voi due, piuttosto che con due amiche che poi non sono così amiche…”.
“Come? Nelle tue mail mi parlavi sempre di Jessica e Angela. Adesso salta fuori che non sono così amiche?” mi domandò meravigliata la mamma.
Stavo peggiorando la situazione. Dovevo rimediare prima che cominciasse a subissarmi di domande.
“Eravamo molto amiche, ma poi nell’ultimo periodo ci siamo allontanate per via di Edward e mi sono legata di più ad Alice. Tutto qui. Avrei preferito che fosse stata lei a organizzarmi l’addio al nubilato…” commentai.
“Voi due siete molto amiche, vedo. Sono contenta per te. E’ bello che tu possa contare anche su qualcun altro, oltre a Edward, all’interno della famiglia Cullen. Anche se direi che lì dentro ti vogliono tutti un gran bene…” rispose la mamma.
Tirai un sospiro di sollievo: avevo spostato la sua attenzione su altra meta. Ma Renèe iniziò un discorso su cui io non avevo molto da dire: Charlie. Dopo essere stata sposata con lui per una decina d’anni lo conosceva abbastanza da aver capito, con la cena di ieri sera, che a lui questo matrimonio non andava giù per niente. Anzi era come fumo negli occhi.
Cominciò a parlarne, chiedendomi cosa ne pensassi, ma io effettivamente ne sapevo molto poco, visto che lui con me non si confidava affatto. Ero totalmente estranea ai suoi sentimenti. Come previsto, lei si lanciò nelle sue ennesime crociate, proponendo rimedi per il broncio di papà. Ma era assolutamente inutile, secondo me. Prima o poi gli sarebbe passata. E invece Renèe stava dicendo di coinvolgerlo di più nelle nostre attività pre-matrimoniali. Mi veniva da ridere al pensiero: già io non volevo averci nulla a che fare, figurati Charlie. Improponibile!
Ma Renèe continuò a parlare come se sia io che Philipp stessimo ad ascoltare quello che diceva come la verità rivelata, ma, perlomeno per quanto riguardava me, non c’era dubbio che io avrei assecondato le sue teorie. E poi ormai tutto era già pronto: in che cosa avremmo dovuto coinvolgerlo? No, come al solito, le idee della mamma erano assurde.
Il pranzo finì e tornammo dai Cullen. Quando arrivammo, fummo accolti all’ingresso da una dolce melodia: era la ninna nanna che Edward aveva composto per me tempo fa. La stava suonando al pianoforte. Renèe quando entrò e lo vide al piano subito corse verso di lui:“Sai suonare anche il pianoforte? Ma sei un portento! Che canzone è questa?” gli domandò.
Edward mi guardò e rispose:“E’ una melodia che ho composto tempo fa pensando a Bella… Ti piace?”.
“E’ stupenda. Diamine, Bella, hai anche un fidanzato compositore!” esclamò Renèe.
Mentre lei era ammirata dalla musica, io mi guardai attorno: Rosalie e Jasper erano rientrati. La prima era abbracciata ad Emmett sul divano, come usuale, e il secondo leggeva il giornale.
Finito il concerto, Renèe riprese a cucinare con Esme. Io ero dannatamente curiosa di sapere dove erano stati quei due, ma domandare così, su due piedi, non mi sembrava il caso. Forse a caccia?
Mi accomodai vicino a Edward e rimanemmo in silenzio per parecchio tempo. Come tutti gli altri in salotto.
Buona parte del pomeriggio passò così. Senza una parola scambiata fra nessun altro che non fossero Emmett e Philipp.
Fino a che Esme non sbucò dalla cucina con il grembiule in mano, avvisando che ci eravamo dimenticate un ingrediente fondamentale e che quindi lei e Renèe sarebbero uscite a prenderlo. Invitò anche Philipp ad andare con loro e lui accettò di buon grado. Capii più tardi che questo era stato solo un espediente per liberare la casa da orecchie indiscrete.
Appena se ne andarono, Edward si alzò dal divano e mi invitò a fare altrettanto. Inizialmente fui restia a seguirlo fino a che non vidi davanti a me tutti quanti e Carlisle seduto al tavolo della sala: fu allora che compresi che c’era qualcosa che non andava. Imitai Edward e lui mi fece accomodare su una delle comode sedie che circondavano la tavolata.
Il sangue mi pulsava nelle vene. Temevo che stessero per darmi delle brutte notizie, soprattutto quando Edward accanto a me, mi prese la mano.
“Cosa succede?” gli chiesi angosciata.
“Non ti preoccupare, Bella. Cerca di stare calma, ok?” mi blandì. Questa risposta mi fece agitare ancora di più. Edward fece un cenno a Carlisle che era seduto esattamente di fronte a me e io, come un segnale, mi girai verso di lui.
“Bella, c’è un problema e come ormai avrai capito Esme ha portato fuori Renèe con una scusa per consentirci di parlarne con calma…” cominciò. Deglutii inutilmente mentre un groppo si formava in gola.
Annuii e il capofamiglia proseguì nella sua dissertazione.
“Ieri pomeriggio Alice ha avuto una visione e non riguardava Kate, come Edward ti ha detto in un primo momento, ma noi direttamente…”.
Mi girai verso Edward con sguardo di rimprovero: mi aveva mentito ancora una volta. Sembrava proprio che non ce la facesse a dirmi le cose chiare e tonde come stavano. Il mio futuro marito mi chiese scusa per la sua bugia, ma poi disse che avrei capito se avessi permesso a Carlisle di continuare.
“Edward ti ha mentito perché non voleva farti preoccupare inutilmente… Il fatto è che Alice ha previsto l’arrivo dei Volturi” affermò risoluto.
A questo punto se non fossi stata seduta sarei crollata a terra. Sentire pronunciare quel nome era sinonimo di terrore. Quei vampiri assetati di sangue e senza scrupoli venivano qua, a Forks. E c’era un unico motivo per cui potevano intraprendere un viaggio così lungo.
“Vengono per me…” dissi con un sibilo di voce.
“Non lo sappiamo. Alice non riesce a vederlo…”.
“Aspetta un attimo” si intromise Edward. “Io non credo che vengano per te, Bella”.
“E per quale motivo allora? Sanno sicuramente che io sono ancora umana, mentre invece avrei dovuto essere già vampira. Sto violando le loro regole e vengono a farle rispettare”.
“Loro sanno che ci sarà il nostro matrimonio perché li ho invitati io, sanno anche che tu verrai trasformata subito dopo, quindi dubito fortemente che si prendano il disturbo di venire da Volterra solo per te…” mi sorrise, nel tentativo di rincuorarmi.
“E allora perché dovrebbero venire?” chiesi scettica.
“Non lo sappiamo, purtroppo…” rispose Carlisle. Mi voltai verso Alice che era la più imbarazzata. Era stranissimo che non vedesse la motivazione che li aveva spinti a tale decisione.
“Purtroppo non riesco a vederla e dannazione non riesco a capire il perché…” disse mettendosi le mani fra i capelli. Mi dispiaceva vederla in quello stato ma lei era l’unica che poteva aiutarci e doveva fare tutto il possibile per capirne la spiegazione.
“Calma, Alice” disse Jasper, mettendole una mano sulla spalla. “Non è il caso di agitarsi…”.
Alice si alzò di scatto e con voce leggermente alterata, disse:“Prima non vedo Tanya e ora non vedo il motivo dell’arrivo dei Volturi… Direi che il mio potere sta perdendo colpi alla grande!”.
Jasper allora la abbracciò cercando di portarle un po’ di pace e sembrò riuscirci. Ne avrei avuto bisogno anch’io, anche se presagivo che il peggio dovesse ancora venire.
“Chi verrà? Aro?” domandai.
Carlisle fece cenno di no con la testa. “Solo la guardia reale…” si limitò a rispondere.
“E cosa vuol dire?” balbettai.
“Vuol dire che non vengono qua a conversare ma a sistemare questioni irrisolte” mi chiarì Alice.
La prospettiva peggiorava ogni minuto che passava. Il fatto che venissero qui solo le guardie aveva quindi un oscuro significato: non venivano a parlamentare, ma anzi con ogni probabilità a combattere, ad appianare a modo loro il problema che si era venuto a creare. E considerando che nessuno dei Cullen aveva minimamente violato la legge, e che ero io l’unica che ora violava le loro regole, venivano sicuramente per me, per uccidermi. Mille brividi mi percorsero la schiena e iniziai a tremare in varie parti del corpo.
Edward mi cinse con le sue braccia: mi attaccai a lui ma tremavo ugualmente.
“Calma Bella,” disse Alice. “Neanche io credo che vengano per te. Come ha già detto Edward, li abbiamo invitati al vostro matrimonio, perciò sono consci del fatto che la tua trasformazione avverrà a breve. Non c’è alcun motivo di mandare la guardia a far rispettare le regole…”.
“E allora qual è la motivazione?” domandò Rosalie.
Si guardarono tutti in silenzio. Purtroppo non c’era una spiegazione plausibile, a parte me.
“Un attimo. E se venissero per i lupi?” ipotizzò Emmett.
“I lupi? Ma loro non sono a conoscenza della presenza del branco. L’unica volta che i Volturi sono venuti, in occasione dello scontro con i Neonati di Victoria, ci siamo preoccupati di farli sparire prima del loro arrivo…” rispose sua moglie.
“Magari ne hanno avvertito la presenza, anche se sul momento non hanno detto niente. Tu che ne pensi Carlisle?”.
Il capofamiglia era dubbioso. Sembrava che nutrisse alcune riserve su questa teoria, anche se, come l’altra, non poteva scartarla a priori.
“Sarebbe l’unica possibilità per cui Alice non riesce a vedere il motivo del viaggio. Se fosse inerente a Bella, Alice vedrebbe il perché di questa decisione… O no?” continuò Emmett.
Alice sbuffò:“Sempre che il mio potere non si stia affievolendo, cosa che non mi sentirei di escludere!”.
“Smettila! Il tuo potere funziona perfettamente. Ci deve essere un’altra spiegazione plausibile…” esclamò seccata Rosalie.
“Se la teoria di Emmett fosse vera, i Volturi verrebbero qui per sterminare il branco, giusto?” ipotizzai titubante.
La prospettiva mi angosciò. Non volevo più avere niente a che fare con Jacob e i suoi amici ma non potevo permettere che i Volturi gli facessero del male.
“Se fosse vera, sì” ammise Carlisle. “Il fatto è che i Volturi odiano a morte i licantropi. Per di più secoli e secoli orsono Caius è stato quasi battuto da uno di loro e quindi se sapessero della loro esistenza, sicuramente ne ordinerebbero la distruzione. Però non abbiamo prove che vengano qua per loro…”.
“Sì, ma allora quale sarebbe la spiegazione?” domandò Emmett. “Secondo me i licantropi c’entrano in qualche modo”.
“Ammettendo che la tua teoria fosse vera, che cosa vorrebbero da noi?” domandò Rosalie, volgendo lo sguardo verso Alice, in attesa di risposte che solo la sorella poteva dare.
“Verranno a parlare con noi” sentenziò risoluta.
Iniziai a toccarmi le mani, a stringermele forte per tentare di calmarmi, sortendo l’effetto opposto.
“Credo che dovremmo avvisare il branco” disse Carlisle. “Non possiamo lasciarli in balia dei Volturi. Loro ci hanno aiutato quando abbiamo avuto bisogno…”.
“Aiutarli? Siamo matti? Quei cani pulciosi? Non ci pensare nemmeno. Anzi i Volturi ci fanno il favore di liberarci di loro e noi andiamo anche a fare la spia? Non se ne parla!” disse piccata Rose.
“Vengono per un altro motivo che Alice non è ancora riuscita a vedere…” irruppe Jasper, che era rimasto in silenzio finora.
Tutti ci girammo nella sua direzione.
“Non credo che vengano per Bella e tantomeno per il branco” continuò lo spilungone del gruppo. “C’è qualcosa che non va. Analizziamo la situazione. Viene la guardia, quindi vuol dire che pensano di dover combattere e che ci sia stata una violazione plateale della legge. Che non ammette repliche, visto che le guardie non hanno potere decisionale, ma possono soltanto eseguire gli ordini impartiti da Volterra. Ci manca un tassello per capire il motivo della decisione. Chi verrà?”.
“Lehausle, Demetri e Jane” rispose Alice.
“Due segugi e una guardia dotata di poteri particolari… Non mandano Alec, quindi non pensano che sarà una battaglia particolarmente ostica. Sono troppo pochi per un branco di licantropi di cui non conoscono forza e numero… No, secondo me vengono per qualcos’ altro” concluse Jasper.
Sentire “quel” nome, Jane, mi aveva fatto letteralmente sollevare i peli in tutto il corpo. Il pensiero delle doti che possedeva quella dannata vampira mi terrorizzava, come il ricordo dell’incubo che mi aveva sconvolto stanotte.
“Quando arriveranno?” domandai con voce tremante.
“Il giorno del matrimonio” rispose fermamente Carlisle.
La notizia mi fece trasalire ulteriormente. Il giorno della cerimonia ci sarebbero stati anche loro.
“Non può essere che siano stati mandati per partecipare al matrimonio?” domandò Rosalie.
“Magari…” alzò gli occhi al cielo Alice.
“Visto che non abbiamo risposte in merito, io propongo di rinviare il matrimonio, se voi due non avete niente in contrario” disse Carlisle, guardando me e Edward.
Mi alzai di scatto dalla sedia. “Come sarebbe?! E’ già tutto pronto. Non possiamo!” protestai vivacemente.
“Bella, calmati” disse Edward alzandosi e cercando di farmi accomodare di nuovo sulla sedia. “Sarebbe solo di qualche giorno…”.
“Ma, Edward, è già tutto a posto… E poi il viaggio di nozze… E…” cercai di contestare, anche se la mia voce aveva perso vigore.
“Bella, cerca di capire. Non sappiamo a che ora arrivino. E se arrivassero nel pieno della cerimonia? Ricordati che loro si nutrono di sangue umano, quindi non saremmo in grado di garantire la sicurezza di nessuno degli invitati. Potrebbero fare del male a qualcuno. E con alcuni del branco presenti, la situazione potrebbe sfuggirci di mano. Insomma diventerebbe una tragedia invece che una festa. Comprendi quello che sto cercando di dirti?” mi spiegò Carlisle.
Purtroppo capivo perfettamente il suo discorso ma non volevo arrendermi. Non mi interessava affatto la cerimonia in sé, ma volevo il viaggio di nozze a tutti i costi. E se non avevo l’uno, non avrei avuto neanche l’altro. Ciò che più temevo si avverasse, stava per accadere. Il mio matrimonio, di cui contavo ormai anche i secondi, non avrebbe più avuto luogo e tutto per colpa di quei maledetti vampiri italiani. Tuttavia Carlisle aveva ragione: non avrei mai potuto sposarmi sapendo che i miei amici e i miei parenti erano in pericolo di vita. Avrei dovuto aspettare ancora e sperare che le guardie si muovessero per una stupidaggine. E, soprattutto, non a causa mia.
“Va bene, ma solo di qualche giorno, non di più…” replicai decisa.
“Piuttosto che cavolo ci inventiamo? Tra poco Renèe ed Esme saranno qui, che cosa diciamo?” domandò Alice.
Rimanemmo in silenzio per qualche attimo, poi Edward, ricordando una frase di mia madre, esclamò:“Diciamo che sono malato! In fondo, sono bianco come un cencio e freddo come un morto quindi se la berranno tutti quanti. Che malattia posso avere Carlisle?”.
Carlisle assunse un’aria pensierosa e poi disse:“Una bronchite va più che bene”.
Mi appoggiai sul tavolo, sempre più avvilita. Il mio matrimonio era andato a quel paese, così come la mia trasformazione e per di più dei vampiri sanguinari stavano arrivando a Forks a pretendere non si sa cosa. E se fossero venuti davvero per me? Se avessero voluto trasformarmi su due piedi? Mi sarebbe anche andata bene, piuttosto che essere uccisa.
“Sù, coraggio. E’ solo un rimandare, niente di più. Faremo la prossima settimana” cercò di consolarmi Alice, ma con scarso successo. Non so perché ma avevo orribili presentimenti.
“Piuttosto” iniziò Carlisle. “C’è un altro problema”. Si girò verso di me. “Bella, visto che noi siamo in debito nei confronti del branco, vorrei avvisarli dell’arrivo dei Volturi”.
“Ancora con questa storia! Dammi una motivazione valida per farlo!”ribadì Rosalie a braccia conserte.
“Perché innanzitutto siamo in debito nei loro confronti dopo la storia dei Neonati di Victoria. In secondo luogo, Jane e i suoi scagnozzi non sono a conoscenza del patto che ho fatto con i Quileute, quindi loro si sentiranno liberi di girare indisturbati per tutto il territorio. E come voi ben sapete non è così. Ci sono dei confini da rispettare e nella riserva di La Push vampiri non ne possono entrare, quindi vorrei avvisare Sam che c’è la possibilità che entrino nel loro territorio e che decidano di cibarsi di sangue umano. Voglio evitare a tutti i costi battaglie con il branco e l’unico modo per farlo è essere schierati tutti dalla stessa parte. Quindi, Bella, ti sarei grata se chiamassi Sam e Jacob e li facessi venire qui in modo tale che ci si possa parlare” disse Carlisle.
La richiesta era stata fatta in tono ufficiale, e non potevo sottrarmici, ma piuttosto che chiamare Jacob, avrei discusso io stessa con i Volturi.
“Lo chiamerò stasera, se non è un problema…” tentennai.
Carlisle mi fece cenno di sì con la testa. Il problema maggiore era in questo momento giustificare con Renèe e Philipp il rinvio del matrimonio. Alice suggerì a Edward di andare in camera sua e sdraiarsi a letto. Doveva simulare una bronchite e doveva farsi trovare febbricitante per l’arrivo di mia madre e del suo compagno. Mentre Edward saliva al piano superiore per sistemarsi, io rimasi seduta, immobile. Non riuscivo a credere a quello che stava accadendo. I Volturi stavano per arrivare. Non si sapeva il motivo della loro venuta, l’unica cosa certa era che venivano a portare guai. Mi girò la testa. Sentivo che tutto questo era colpa mia, anche se i Cullen avevano tentato di convincermi del contrario. Ma non poteva esserci altra spiegazione. Nessuno aveva violato le regole dei Volturi, tranne io quando ero venuta a conoscenza del loro segreto e non ero ancora stata trasformata. Nella migliore delle ipotesi mi avrebbero fatto trasformare lì per lì, se la causa fossi stata davvero io. Oppure nella peggiore avrebbero tentato di uccidermi. A meno che Alice non avesse trovato la reale causa del loro viaggio…
Mentre stavo meditando su tutte le possibili alchimie che avevano portato Jane e i suoi sgherri a Forks, sentii Renèe e Philipp fare il loro ingresso in casa. Ero completamente assorta nei miei pensieri, mentre Carlisle spiegava loro dell’improvvisa malattia che aveva colpito Edward. Non sentii nulla di ciò che Renèe obbiettò, ma sapevo che sarebbe venuta da me.
“O cielo, Bella, mi dispiace” disse, avvicinandosi.
Mi abbracciò e io ricambiai meccanicamente mentre le lacrime mi solcavano il viso.
“O Bella, tesoro, non devi piangere. L’avevo detto ieri sera che, secondo me, non stava bene. Ma il matrimonio è rimandato solo di qualche giorno. Di bronchite si guarisce… Non preoccuparti” cercò di consolarmi.
Quando lasciò le mie braccia, si girò di nuovo verso Carlisle, chiedendo quando avrebbe potuto essere spostato il matrimonio.
“Non so. Questa data era stata scelta appositamente perché io la prossima settimana ho un convegno di medici a Chicago. E’ una cosa lunga, quindi non so quando, a questo punto, verrà celebrato. Probabilmente andremo a fine mese…” tergiversò Carlisle.
Renèe e Philipp si lanciarono un’occhiata mortificata.
“Mi dispiace, ma se andiamo così avanti, io ho una partita. Quindi mi converrebbe tornare a Phoenix e poi ritornare quando avrete una data certa…” disse Philipp. “Se vuoi, però, tu puoi restare qui con Bella”.
Mia madre fece cenno di no con la testa. “No, tornerò con te quando ci sarà un’altra data sicura. Non posso restare qui un mese, in attesa, magari, senza concludere niente, a meno che… Tu, Bella, vuoi che resti qua?” mi domandò.
“No, mamma, non ti preoccupare. Non voglio impegnarti più del necessario. Ti avvertirò quando avremo di nuovo fissato la data…”.
Renèe andò in camera a trovare Edward che si era sdraiato a letto e stava fingendo la sua grave malattia. Io rimasi seduta. Non riuscivo a muovere neanche un muscolo. Tutto questo mi stava letteralmente devastando. Per fortuna Renèe e Philipp sarebbero tornati a Phoenix. Non volevo nessuno dei miei cari qua attorno con l’arrivo dei Volturi, di cui non sapevamo la missione.
La prima cosa che mi venne in mente fu quella di chiamare Jessica per annullare la festa di addio al nubilato: questa era l’unica cosa positiva dell’arrivo di Jane. Quando le telefonai, raccontandole tutto, la sua voce apparve terribilmente frustrata. Sembrava che avesse investito tutta se stessa in questa festa che ora le veniva annullata. Tirai un sospiro di sollievo: conoscendola, chissà che cosa aveva architettato. Mentre appendevo la cornetta, Renèe scese al piano terra.
“Sta proprio male” mi disse. “Spero che si rimetta in fretta, tesoro”.
Io rivolsi lo sguardo a terra: non ero una brava attrice e mia madre avrebbe riconosciuto subito dal mio sguardo se c’era qualcosa che non andava.
“Noi a questo punto andiamo da Charlie e lo aggiorniamo. Piuttosto, se tu vuoi stare qui, noi prendiamo un taxi…” mi disse, accarezzandomi il capo.
“No, no” sopraggiunse Esme. “Vi accompagno io da Charlie. Coraggio, venite…”.
Mia madre e Philipp salutarono cordialmente e, seguiti da Esme, uscirono da casa Cullen.
Adesso Charlie avrebbe stappato una bottiglia di champagne. L’unica persona che sarebbe stata contenta del rinvio del matrimonio. Per fortuna, mia madre si era fatta carico dell’annuncio: non avrei resistito a vedere la sua faccia soddisfatta.
Continuai nel mio giro di telefonate a tutti gli invitati mentre Edward mi teneva la mano per farmi coraggio. Erano contrariati dalla notizia, ma ognuno mi confermava che per la data successiva, qualunque essa fosse stata, sarebbe stato presente.
Avvisai anche i Clearwater. Per fortuna mi rispose Seth, che ovviamente sapeva che Edward non poteva ammalarsi e quindi insistette parecchio per sapere la vera ragione che ci costringeva a posticipare il matrimonio, ma riuscii a mantenere il segreto, anche se presto lo avrebbe saputo da altri.
Tra una telefonata e l’altra si erano fatte le 21. E l’unica chiamata che non avevo ancora fatto incalzava. Avevo promesso a Carlisle che li avrei contattati e dovevo farlo. Edward mi guardò:“Bella, se vuoi lo chiamo io. Non ti preoccupare. Basta che mi dai il numero…” tentò di confortarmi.
Feci cenno di no con la testa  e composi il numero di casa Black.
Il telefono suonò parecchie volte fino a che Rachel non rispose.
“Ciao Rachel, sono Bella. C’è Jacob?” dovetti deglutire per chiedere di suo fratello. La rabbia la faceva ancora da padrona nel mio cuore.
“Ciao Bella, no, Jacob non c’è. E’ appena uscito. Stasera credo che sia a Port Angeles con Embry e Seth. E’ urgente?”.
“Sì, abbastanza. Domani lo trovo in casa, vero?”.
“Direi proprio di sì. Comunque, se stasera prima di andare a dormire lo vedo, gli anticipo che hai chiamato. Prova in mattinata, sul tardi però…”.
“Va bene, grazie”.
Ci salutammo e appesi la cornetta.
Riferii la conversazione a Edward e Carlisle. E il primo parlò con il capofamiglia, forse riferendo un malumore generale:“E’ proprio necessario mettere al corrente il branco dell’arrivo dei Volturi? In fondo, probabilmente non è una questione che li riguarda…”.
“Edward, la zona è anche loro. Se avessimo delle certezze, io per primo non riterrei opportuno raccontarglielo, ma, onde evitare problemi, sì, ritengo necessario dirglielo…”.
Purtroppo Carlisle aveva ragione e non potevo fare niente per ribellarmi a questa decisione. Ma adesso il pensiero di rivedere Jacob era il meno preoccupante. L’arrivo dei Volturi era imminente: fra tre giorni sarebbero stati qui. E il non sapere che cosa venissero a fare mi faceva palpitare il cuore. Perché Alice non lo prevedeva? Il sogno della notte precedente si affacciò di nuovo alla mia mente.
Sentii gli occhi velarsi di lacrime.
Edward percepì il mio disagio e l’angoscia e venne ad abbracciarmi. Ma niente e nessuno avrebbe potuto rendere meno inquietante la notte che mi si prospettava. 

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Capitolo 8
*** Di nuovo insieme ***


Ciao a tutte,
innanzitutto ringrazio quelle che hanno recensito perché le loro critiche mi hanno convinto ad aggiustare alcuni particolari del capitolo precedente. Adesso vi lascio col nuovo capitolo che è il mio preferito (finora, ovviamente): gustatevelo e poi fatemi sapere!!!! 

 
 
 
 
 
 
Telefonai subito a Charlie, avvisandolo del fatto che non sarei rincasata per restare dai Cullen, ufficialmente per accudire Edward. Riscontrai nel suo tono di voce un calcolato compiacimento a causa del nostro mancato matrimonio. La malattia di Edward per lui cadeva a proposito. Non poteva sperare in niente di meglio. La fortuna non l’aveva ancora abbandonato.
Io, al contrario, ero profondamente frustrata. Non tanto per la mancata cerimonia, di cui ormai era chiaro che non mi interessava nulla, ma piuttosto per la mancata trasformazione nella creatura che ormai bramavo di diventare da mesi. Sembrava un crudele scherzo del destino. Mancavano solo tre giorni e accadeva ciò che più temevo: un terribile imprevisto, che rischiava di compromettere tutti i miei sogni.
Quando appesi la cornetta, incontrai lo sguardo compassionevole di Edward. Mi tese le braccia. Le lacrime mi inumidirono le guance. Tutto ciò che avevo desiderato più di me stessa si stava dissolvendo come neve al sole.
“Amore, non ti devi preoccupare. Vedrai che i Volturi non vengono qui con cattive intenzioni, perlomeno non contro di noi. Non abbiamo fatto niente di male, quindi non dobbiamo temere nulla” cercò di rincuorarmi, mentre lo stringevo.
Tentai di respirare profondamente per reprimere l’angoscia, ma fu inutile. Sembrava che la camera ruotasse attorno a me, come se dovessi svenire da un momento all’altro.
Anche se non avevamo fatto niente di male, sapevo che sarebbero stati capaci di trovare peccati a un santo! E io stavo violando le loro regole. Va bene, erano a conoscenza del fatto che la trasformazione sarebbe avvenuta subito dopo il matrimonio, ma che ne sapevano che sarebbe effettivamente accaduta e che non fosse soltanto uno stratagemma per tenerli buoni? Quegli esseri erano talmente perversi che potevano immaginare qualunque cosa.
E se fossero venuti per farci rispettare le regole e avessero deciso di trasformarmi su due piedi? Avrei dovuto rinunciare al sogno della luna di miele da umana. Ma questo sarebbe stato il meno. Avrebbero persino potuto uccidermi per il tardivo rispetto del patto, stipulato con loro a Volterra qualche mese fa.
Cercai il viso verso Edward: sembrava sereno. Era davvero convinto che non venissero per me? Ormai non potevo più fidarmi: era evidente che, pur di non farmi preoccupare, avrebbe anche giurato il falso e, al contrario di me, era perfettamente in grado di mentire.
Iniziai a singhiozzare. Ero davvero a pezzi.
Mi prese in braccio e mi portò in camera da letto, dove rimasi tutta la notte. Che trascorse quasi insonne. Per fortuna la mia condizione di essere umano verso l’alba mi fece assopire.
Quando mi risvegliai la mattina successiva, Edward era ancora nella stessa identica posizione in cui l’avevo lasciato. “Sei sveglia, tesoro?” mi sussurrò amorevolmente. Era così bello svegliarsi con lui accanto e trovare nel suo sguardo la forza per affrontare la giornata. Qualunque essa fosse.
Feci cenno di sì con la testa.
Mi alzai stancamente e mi specchiai. Avevo un aspetto orribile. Sembravo già diventata una vampira e della peggior specie. Avevo delle occhiaie profondissime che mi circondavano gli occhi. In più il viso era di un colorito biancastro. Mi portai le mani sulle guance, pizzicandole con le dita, cercando di dargli un po’ di colore, ma fu tutto inutile.
Edward si alzò e venne a cingermi la vita per farmi coraggio.
“Non ti devi preoccupare. Vedrai che andrà tutto bene…” disse.
Deglutii a fatica.
Erano appena le dieci e questo voleva dire che sicuramente, se aveva fatto tardi ieri sera, Jacob non era sicuramente ancora sveglio. Avrei dovuto aspettare almeno fino a mezzogiorno. Sarei potuta tornare a letto ma volevo parlare con la mamma. Con le ultime novità era di certo in fermento e alla ricerca di un aereo per tornare a Phoenix.
“Bella, vuoi fare colazione?” mi domandò Esme, quando scesi al piano terra.
“Ti ringrazio, ma non ho proprio fame…”.
Lei si avvicinò e mi abbracciò teneramente, come solo una madre può fare. Mi sussurrò all’orecchio:“Non ti preoccupare bambina, vedrai che andrà tutto bene. Si sistemerà ogni cosa…”. La strinsi forte. Riusciva a infondermi quella sicurezza che neanche Renèe riusciva a dare. Sentii gli occhi riempirsi di lacrime, ma cercai di tranquillizzarmi: dovevo credere fortemente a quello che mi stava dicendo, dovevo sperare che tutto si sarebbe risolto in una bolla di sapone.
Quando si allontanò, sorrise e mi asciugò quell’unica lacrima che mi stava rigando una gota. “Non vedo l’ora che tu diventi un’altra mia figlia, Bella. E sono certa che accadrà presto…” mi consolò.
“Speriamo bene” dissi, tirando sù col naso.
Salutai amorevolmente Edward, poi uscii da casa Cullen. Con la morte nel cuore mi diressi verso l’hotel Runisher. Quando lo raggiunsi vidi che Renèe e Philipp stavano depositando le valigie nella hall. Mi fermai davanti all’ingresso e con aria sbalordita, domandai:“Dove diavolo state andando? Volevate andare via senza salutarmi?”.
“Ma no, tesoro. Stavamo per chiamare un taxi e venire dai Cullen” si giustificò subito Renèe.
Tentai di obbiettare, ma Philipp si intromise nella conversazione, forse per cercare di tutelare mia madre.
“Abbiamo trovato un volo che parte all’una da Seattle. Quindi saremmo venuti a salutare te ed Edward. Tanto sapevamo che ti avremmo trovato da lui…”.
“Ma perché partite così in fretta? Non c’è nessuna premura…” protestai.
“Ma Bella… Abbiamo pensato che vorrai stare a fianco di Edward e che noi saremmo solo un peso, non solo per te ma anche per tutto il resto della famiglia. Per non parlare di Charlie… In più Philipp ha un periodo di ferie limitato, quindi preferiamo andare via subito per trattenerci di più quando avrete un’altra data. Non credi anche tu che sia meglio?” disse mia madre.
Sospirai ma compresi che aveva ragione, anche se non per i motivi che adduceva lei. Con l’arrivo dei Volturi, non sapendo quale fosse la ragione della loro venuta, era meglio che tutte le persone a cui volevo bene fossero il più lontano possibile. Non volevo mettere in pericolo nessuno e allontanare mamma e Philipp era un’ottima soluzione.
“D’accordo, allora vi accompagno io a Seattle. Salite, coraggio…” dissi.
“Aspetta, vorrei andare a salutare Edward prima di partire” contestò Renèe.
“Oh no, mamma. Non possiamo” esclamai. “Il mio pick up non va veloce come la macchina di Edward. Se ci fermiamo dai Cullen, perderete l’aereo. E poi non è mica moribondo. Lo rivedrete tra qualche settimana quando rifisseremo un’altra data…”.
Sperai che la mamma fosse convinta altrimenti continuare a far simulare ad Edward la bronchite mi sarebbe sembrato oltremodo patetico.
“D’accordo, hai ragione. Andiamo all’aeroporto, allora”.
Deposero le valigie nel retro del pick up, poi si accomodarono al mio fianco.
Il viaggio fu estremamente silenzioso da parte mia mentre Renèe non fece altro che parlare, tentando di consolarmi della mancata cerimonia. Mi limitavo a monosillabi. Non ero proprio dell’umore. Inoltre, ignorando quale fosse il motivo della venuta dei Volturi, temevo fortemente che questa sarebbe stata l’ultima occasione per me di stare con Renèe e Philipp.
Dovevo essere ottimista, come diceva Esme, ma in questo momento mi era proprio impossibile.
Da un certo punto di vista speravo che quel giorno venisse in fretta, dall’altro avevo paura che queste fossero le mie ultime ore di vita. Per tutto il viaggio, il mio cervello fu riempito da questi pensieri e dal timore che se fossero venuti davvero per me, Edward avrebbe fatto di tutto per difendermi. La prospettiva era ancora più terribile: conoscendo i suoi sentimenti, sarebbe stato disposto a mettere in gioco anche la sua vita, pur di salvarmi. E io non volevo assolutamente che gli accadesse qualcosa di male. Era mille volte più sopportabile la mia morte, che la sua.
Ero ancora assorta quando arrivammo all’aeroporto di Seattle. Li aiutai a portare le valigie al check-in e rimasi con loro in attesa. Quando fu annunciato l’imbarco, Renèe e Philipp si diressero verso l’entrata. Salutandoli, strinsi la mamma con forza. Ebbi la sensazione che quella sarebbe stata l’ultima volta.
Abbracciai anche Philipp e li vidi andare verso l’imbarco. Li salutai alzando il braccio e pregando di poterli rivedere un giorno.
Il viaggio di ritorno fu un continuo singhiozzare. Ero riuscita a evitarlo davanti alla mamma, ma adesso dovevo dare libero sfogo alla disperazione. Nonostante questo, non mi fermai mai e riuscii ad arrivare a casa Cullen. Parcheggiai e restai un pochino seduta in macchina, stringendo forte il volante e cercando un nascondiglio alle mie paure, ma fu tutto inutile.
Dopo poco mi ritrovai tra le braccia di Edward che aveva sentito il pianto da dentro casa. Mi portò all’interno e mi fece accomodare sul divano. Continuai a piangere: sembravo un rubinetto aperto. Perfino Alice si avvicinò:“Stai calma, Bella. In fondo non sappiamo perché vengano. Magari tu non c’entri niente. Anzi, sono sicura che è così. Altrimenti lo vedrei, no?”.
La sua teoria era giusta, ma non riuscivo a calmarmi. Edward mi strinse per un po’, fino a che le lacrime smisero di scendere. Respirai intensamente e a lungo per calmare i battiti del cuore.
Carlisle mi si avvicinò e mi fissò. Sapevo perfettamente che cosa voleva e cosa significava quello sguardo. Controllai l’orologio: erano le due. Mi alzai dal divano, sorretta da Edward e mi diressi verso l’apparecchio telefonico per fare quella dannata telefonata.
Dopo qualche squillo, la cornetta si alzò dall’altra parte. Rispose una voce maschile. Una voce che un tempo sarei stata davvero felice di sentire ancora una volta, ma che adesso suonava nauseante.
“Pronto?” rispose Jacob, assonnato.
Feci un lungo respiro e dovetti guardare Edward, che stava vicino e mi stringeva la mano, per rispondergli.
“Ciao, sono Bella…”.
D’altra altra parte fu il silenzio. Doveva essere alquanto stupito di sentirmi, anche se sicuramente Rachel doveva avergli parlato della mia chiamata precedente.
“Ciao” mi rispose freddamente, senza aggiungere altro.
“Ti chiamo perché c’è un problema e ne vorrei parlare” tagliai corto: non volevo annunciargli niente per telefono in quanto non sapevo cosa Carlisle volesse raccontare dei Volturi.
“Un problema? Di che tipo? Ti si è rotto il pick up?” domandò sarcastico.
Il suo tono di voce cominciò subito a irritarmi. Dovetti deglutire la rabbia che iniziò a fare capolino nel mio cervello.
“Niente di tutto questo. E’ qualcosa di davvero importante…”.
“Qualcosa che il tuo fantastico succhiasangue non riesce a risolvere? Me ne meraviglio davvero, perfetto com’è…” rise.
“Senti, Jacob, non ho nessuna intenzione di perdere tempo con te al telefono” continuai spazientita. “Se fosse per me non ti avrei neanche chiamato. Ma abbiamo bisogno della presenza tua e di Sam…”.
“Cos’è successo?” mi domandò, perdendo improvvisamente il suo tono canzonatorio.
“Te ne parlerà Carlisle direttamente. Riuscite tu e Sam a venire dai Cullen nel pomeriggio?”.
Tacque, poi mi disse che avrebbe contattato subito il suo capo e che sarebbero venuti prima possibile.
Quando agganciai il ricevitore, guardai Edward sollevata. Avevo fatto il mio dovere. Il peggio per me era passato. Adesso non volevo più avere a che fare con lui, anche se sicuramente sarei stata presente alla conversazione perché non volevo più essere tenuta all’oscuro di nulla. E volevo essere a conoscenza delle posizioni che il branco intendeva prendere.
Edward mi accolse tra le sue braccia. “Sei stata bravissima, tesoro. Adesso ci pensiamo noi…” mi consolò.
Ero curiosa di vedere le reazioni dei due licantropi e di sapere come pensavano di procedere. Quando Victoria e i suoi Neonati mi avevano minacciato, Jacob e i suoi erano stati i primi a proporsi per la mia difesa, ma ora tutto era cambiato. Jacob ed io non eravamo più amici, quindi sicuramente non avrebbe più voluto difendermi, né tantomeno lo avrebbero fatto Sam e gli altri, anche se io per prima non volevo la protezione di nessuno. Nessuno doveva rischiare la vita. Se i Volturi volevano davvero me, avremmo cercato una soluzione pacifica, altrimenti sarei morta volentieri pur di lasciare al sicuro tutte le persone a me care, Edward per primo.
Quando tornammo in salotto, Edward fece un cenno del capo a Carlisle, che gli rispose facendo altrettanto. La loro intesa era totale su tutti i fronti.
“Quando arriveranno?” domandò Esme.
“Mi ha detto che chiama Sam e poi vengono subito…” risposi.
“O cielo, ma allora non riesco a preparargli nulla!” rincarò Esme, sinceramente preoccupata. “Ho soltanto un po’ della torta che tengo per Bella… Loro hanno un gran appetito, non so se basterà…”.
Trattenni una risata. Esme era davvero insostituibile. Voleva preparare una degna accoglienza per due persone che in teoria erano loro nemici giurati e oltretutto non venivano certo per fare merenda.
“Esme” richiamò Rosalie. “Non devi dargli niente da mangiare. Non vengono in visita di piacere!”.
“O Rose, come sei scortese! Vengono qui per aiutarci e noi dovremmo essere gentili…”.
Rosalie, esasperata, alzò gli occhi al cielo e andò a sedersi sul divano tra le braccia di Emmett.
“Non credo che avranno molta fame, Esme, quando sapranno le motivazioni che ci hanno spinto a chiamarli…” mediò il capofamiglia.
Mi sedetti su una delle sedie che circondavano la tavolata e attesi l’arrivo dei due invitati, tesissima. L’idea di rivedere Jacob mi innervosiva. Erano passati poco meno di due giorni dal nostro litigio, ma sembrava che fossero trascorsi secoli e la mia rabbia era tutt’altro che scemata. E, dal tono con cui mi aveva parlato, lo stesso valeva per lui. Decisi che lo avrei ignorato per tutta la durata della loro permanenza. Se fossi intervenuta nella conversazione, avrei rivolto parola solo a Sam, anche se pure con lui non avevo un rapporto idilliaco.
“Non ti preoccupare, Bella. Se non te la senti, puoi andare al piano di sopra. La tua presenza non è indispensabile…” mi disse Edward, che pur non leggendomi nel pensiero, aveva compreso perfettamente il mio disagio.
Scossi la testa. “Non ti preoccupare. Ce la posso fare e poi voglio sentire cosa ne pensano e come intendono comportarsi…”.
Mi sorrise amorevolmente e mi strinse la mano. Rimanemmo in quella posizione fino a che, poco dopo, non distolse il suo viso dal mio e girandosi verso Carlisle, sentenziò:“Sono arrivati”.
Sentii il mio cuore accelerare con un tonfo. Strinsi le labbra mentre vidi il capofamiglia e sua moglie dirigersi verso la porta. Edward si alzò e io feci altrettanto. Mi strinse più forte la mano per farmi coraggio. Udii Carlisle dare il benvenuto sulla scalinata, ma io ancora non li vedevo.
I secondi che trascorsero prima che facessero il loro ingresso in casa Cullen mi sembrarono un’eternità e al tempo stesso troppo brevi. Non volevo assolutamente incrociare di nuovo il suo sguardo ma sapevo che non potevo sottrarmi. E contemporaneamente mi sembrava tutto assurdo: come poteva la persona che avevo sempre considerato una parte di me essermi diventata così odiosa?
Il primo a entrare in casa fu Sam. Il nerboruto capo dei licantropi entrò con risolutezza e piglio deciso, per niente intimidito dalla presenza così numerosa di tutti quei vampiri. Lui era il più vecchio del branco. Aveva poco più di vent’anni, anche se, come per tutti gli altri, il manifestarsi dei geni da licantropo l’aveva fatto invecchiare più velocemente e sembrava, facendo dei paragoni, solo poco più giovane dei trent’anni di Carlisle.
Poi entrò Jake, con le mani nelle tasche dei pantaloni e lanciando occhiate arroganti: questo suo atteggiamento me lo rese ancora più odioso. Quando voleva imitare il comportamento di Sam era completamente indigesto. Sam era sempre così freddo e con manie di onnipotenza… Il mio Jacob non era così.
Ma cosa stavo pensando? Il mio Jacob non esisteva più! Quello che mi stava davanti era soltanto uno sconosciuto. E basta.
Esme subito si parò davanti ai due invitati e cominciò a subissarli con proposte di spuntini, se volevano mangiare questo o quello. I due licantropi con tono perentorio risposero negativamente a tutte le sue domande e cominciarono a guardarsi in giro.
Alice e Jasper si avvicinarono e li salutarono cortesemente. Altrettanto fecero loro, ma era palese che erano soltanto saluti di circostanza.
Poi i loro sguardi incontrarono me e Edward. Jacob ed io ci guardammo a lungo senza salutarci né dire una parola. Per me l’amicizia era finita e non riuscivo neanche rivolgergli un cenno amichevole. Ma lui sembrava altrettanto intenzionato a ignorare la mia presenza. Si girò e vide Emmett e Rosalie seduti sul divano. Emmett si alzò e fece perlomeno il gesto di salutarli, mentre Rosalie rimase immobile, seduta con le gambe accavallate e un sorriso di sfida. Li squadrò da capo a piedi con aria altezzosa e poi con la mano cominciò a sventolarsi davanti al viso, come per liberarsi dalla puzza che la circondava.
Jacob sbuffò e poi, in tono divertito, disse rivolto a Sam:“Pare che sua altezza non faccia una doccia da almeno dieci giorni!”.
Rosalie sembrò adirarsi. “Mi riferivo a te, cane. Credo che neanche le tue pulci vogliano starti addosso…” ironizzò.
“Può essere… Però almeno il cervello vuole stare nella mia testa, al contrario dei tuoi neuroni che ti hanno abbandonato da tempo ormai…”.
Quest’ultima frase di Jacob mi fece sorridere, ma tentai di camuffare la mia espressione. Pure Emmett sembrò gradirla, e, al contrario di me, gli scappò un risolino. Rose, in un sussulto di rabbia a stento trattenuta, si alzò di scatto dal divano, tirò uno scappellotto sulla testa di suo marito e, sembrava pronta a controbattere, quando Sam intervenne:“Basta così, Jacob! Non siamo qui per stupide schermaglie”.
Anche Carlisle contribuì a sgridare Rosalie per il suo atteggiamento poco amichevole, ma nessuno dei due sembrava disposto a cedere le armi.
Rose e Jacob proprio non si sopportavano. Si erano visti pochissime volte ma era bastato perché ne nascesse un odio piuttosto acceso. Loro erano la raffigurazione vivente di come vampiri e licantropi potessero essere acerrimi nemici solo perché appartenenti a razze diverse, senza nessun reale motivo.
“Perché ci avete chiamati?” tagliò corto Sam.
“C’è un problema ed è anche molto importante. Credo che siate a conoscenza che il matrimonio tra Edward e Bella è stato rimandato…” rispose Carlisle.
Sam si girò sorpreso verso Jake: il suo subordinato evidentemente non si era preso il disturbo di avvisarlo.
Jake alzò le spalle:“Me l’ha detto papà ieri sera...”.
“Qual è il problema? Non ci avrete chiamato per inconvenienti inerenti alla cerimonia, spero…” disse freddamente Sam.
“Il matrimonio è stato rimandato perché Alice ha avuto una visione di un evento che accadrà il giorno del matrimonio” disse Carlisle con tono grave.
“Di che cosa stiamo parlando Carlisle?” continuò sbrigativamente Sam.
“E’ stato previsto l’arrivo dei Volturi, la stirpe reale che comanda e controlla le mosse di tutti i vampiri nel mondo”.
Questa affermazione sembrò finalmente togliere il fiato all’Alfa del branco. Jacob, che sembrava aver avuto un atteggiamento svogliato fino a quel momento, si ridestò e prestò attenzione alle parole di Carlisle. Lui sapeva perfettamente di chi si stava parlando in quanto gli avevo narrato a lungo dell’avventura che avevo vissuto con Edward a Volterra presso la corte di quei sanguinari vampiri italiani.
“Qual è il motivo per cui vengono qui? Che cosa vogliono?” domandò Sam.
“Non lo sappiamo. Alice non riesce a prevederlo. L’unica cosa sicura è che non vengono i capostipiti, ma le guardie reali, e questo non è un buon segnale. Vuol dire che non vengono qui a parlamentare ma a eseguire ordini…”.
Mi sentii nuovamente il sangue ghiacciare nelle vene. Un fremito mi percorse tutto il corpo. Edward mi abbracciò per sostenermi. Jacob mi guardò turbato per qualche secondo, poi sembrò riprendere la padronanza di sé. “Vengono per Bella?” domandò.
Carlisle rimase in silenzio.
A quel punto intervenne Edward:“Non credo. Sapevano che la trasformazione sarebbe avvenuta dopo la cerimonia. Per loro non dovrebbe esserci alcun problema in questo senso”.
Sam non perse la sua lucidità, come al solito, e domandò:“Che cosa c’entriamo noi in tutto questo? Se vengono qua a parlare con voi, noi non abbiamo nessuna intenzione di mettere il naso in questa faccenda”.
Carlisle sembrò spiazzato dal suo disinteresse: probabilmente pensava che sarebbe stato più partecipe della situazione. Allora sbottò Rosalie, che fino a quel momento se ne era stata buona buona in disparte:“Brutto cane pulcioso, vi abbiamo chiamato perché se vengono qui e decidono di fare una carneficina, noi non saremo certo in grado di fermarli! E neanche ci interessa, se vogliamo essere onesti…”.
“Cosa vuol dire? Possono venire qua ad uccidere esseri umani?” chiese Sam visibilmente alterato.
“E’ un’eventualità” ammise Carlisle. “Loro si nutrono di sangue umano e certo non devono rispettare alcun patto con i Quileute, anche perché non sanno nemmeno della vostra esistenza. Rosalie vi ha parlato in maniera piuttosto sbrigativa, ma questo è il motivo per cui vi abbiamo chiamato. Potrebbero venire qui a parlare con noi e decidere di cibarsi di qualcuno nelle vicinanze oppure possono attraversare il territorio di La Push e anche in questo caso non potremmo farci nulla”.
“Non potete fargli presente la situazione?” ipotizzò Jacob.
“Fuori questione” obbiettò Edward. “Odiano a morte i licantropi e potrebbero venire a braccarvi per principio. Preferiamo evitare una guerra, nella quale non sapremmo che posizione prendere e voi sareste sicuramente condannati a morte”.
I due licantropi erano in silenzio. Queste ultime parole li avevano spiazzati. L’arrivo di questi vampiri, che sembravano invincibili a tutti, poneva anche loro sulla graticola.
“E se venissero a piantare rogne a voi?” domandò Jacob.
“Speriamo di no” sospirò Carlisle. “Altrimenti costituirebbero un grave problema”.
“Non riuscireste a tenergli testa?”.
“No” disse deciso Carlisle.
Il mio cuore iniziò a palpitare. Pensare a un possibile sterminio della famiglia Cullen era qualcosa di inammissibile per me. E quel sogno, dove tutti erano stati uccisi da Jane, si riaffacciava con sempre maggior vigore nella mia mente.
“Che cos’hanno questi vampiri di così tremendo da non poter essere fermati?” investigò Sam.
“Due di loro sono segugi e quindi sono come Victoria ma 100 volte più forti. Uno solo di loro può riuscire a fronteggiare tre di noi contemporaneamente. E poi c’è uno dei due capi delle guardie…” si interruppe Carlisle.
“E’ lei il vero problema” si intromise Jasper. “Gli altri due ritengo che con un po’ di tattica e di coalizione sia da parte nostra che vostra possano essere vinti, ma Jane…”.
“Chi è?” chiese Jacob.
“E’ una vampira dalle doti eccezionali. Riesce a penetrarti nella mente e a procurarti dolori così lancinanti da farti sembrare torturato a morte. Di fatto è solo un’illusione, ma così facendo ti neutralizza mentre gli altri o lei stessa possono ucciderti comodamente, in quanto sei troppo impegnato a sopportare il dolore” rispose Jasper.
Jacob e Sam si lanciarono un’occhiata preoccupata.
“E’ imbattibile” rispose Edward ai loro pensieri. “E’ per questo che è capo delle guardie reali. Lei e un altro vampiro, che per fortuna non verrà…”.
“Però…” disse Alice, quasi soprappensiero. “Con Bella i suoi poteri non hanno avuto effetto…”.
Si riferiva alla volta che, andata in Italia, avevo avuto la fortuna di incontrare Jane, la quale aveva sperimentato su di me i suoi poteri, per fortuna con scarso successo.
“E questo cosa vuol dire?” domandò superbamente Sam.
“Niente” concluse Jacob. “Semplicemente che Bella è sempre stato un essere strampalato. E questa ne è la prova…”.
Il silenzio si addensò inquietante nella camera. I due licantropi sembravano un po’ confusi e in ansia. La situazione era davvero terrorizzante per me e potevo capire la loro indecisione. Poi Jake guardò Edward e Carlisle con aria investigativa. “Davvero non sapete qual è il motivo della loro passeggiata da queste parti?” domandò scettico.
“No, non ne abbiamo alcuna idea. Ve l’abbiamo detto” disse Carlisle. “Però… abbiamo pensato che il fatto che Alice non riesca a prevederlo potrebbe essere legato a voi in qualche modo…”.
“Cosa intende dire, dottore?” domandò glaciale Jacob, incrociando le braccia.
“Quando sono venuti l’ultima volta pensando di sistemare la faccenda di Victoria e dei suoi Neonati, vi abbiamo fatto sparire velocemente per evitare di farvi venire in contatto con loro, ma potrebbero aver sentito il vostro odore. E loro sono mortalmente nemici dei licantropi… Potrebbero aver deciso di venire a fare piazza pulita”.
“Capisco…” disse Jacob, che aveva preso completamente in mano la conversazione e sembrava lui il capo. “E cosa verrebbero a chiedere a voi?”.
“Forse, conferma della vostra esistenza…”.
“E se così fosse, voi cosa gli direste?”.
“Che non esistete, è ovvio” intervenne Esme. “Vi siamo grati per l’aiuto che ci avete dato questa primavera e non vogliamo mettervi nei guai”.
Jake la guardò con aria di sufficienza. “E conoscendoli, loro si accontenterebbero della vostra parola?” domandò.
“Ne dubito…” rispose Carlisle.
Jake cominciò a camminare lentamente per la stanza, dirigendosi verso una colonna defilata sul lato della camera. Aveva un’aria pensierosa, poi appoggiandosi al pilastro, si rivolse di nuovo a noi.
“Mettiamo che scoprano della nostra esistenza e che ci attacchino, quale sarebbe la vostra posizione?” domandò.
“Non pensiamo che vengano per voi” disse Edward, dopo un lungo momento di disagio.
“Stai evadendo la mia domanda, succhiasangue! Vi siete appena dichiarati nostri grandi amici, quindi in teoria dovreste essere pronti ad aiutarci, o sbaglio?” ironizzò.
“Vi stiamo già aiutando, bastardo! Potremmo fregarcene e invece vi stiamo dando delle informazioni preziose” intervenne furibonda Rosalie.
“Non sto chiedendo a te, principessa! So perfettamente che su di te non bisogna contare. Penso che non aiuteresti neanche tuo marito se fosse in difficoltà” rispose Jacob con altrettanta collera.
Rosalie fece qualche passo velocemente e se Edward, leggendole nel pensiero, non l’avesse fermata in tempo, si sarebbe gettata contro Jacob. Tentò di liberarsi dalla presa di Edward, invano. Jasper arrivò subito vicino a lei per calmarla.
Jacob si mise a ridere. “La dovete legare… E’ pericolosa!” esclamò.
A questo punto sbottai: quel suo atteggiamento arrogante e prepotente mi aveva fatto saltare i nervi.
“Loro vi stanno aiutando, senza essere tenuti a farlo e per giunta tu vieni qua, a casa loro, ad atteggiarti come se fossi il padrone… Dovresti chiedere scusa e subito!” ringhiai, profondamente alterata, col cuore che scoppiava dalla rabbia.
Jacob rimase un attimo interdetto, poi, incurante del mio intervento, si voltò verso Carlisle: “Non mi hai risposto…”.
“Non c’è niente a cui rispondere” si intromise Sam, osservando cupo tutti i Cullen. “Direi che la loro risposta è fin troppo ovvia… Comunque sia, vi ringraziamo delle informazioni e spero che vorrete farci sapere come si evolverà la situazione. Andiamo Jacob”.
Fece un cenno di saluto e si diresse verso l’uscita.
Jacob fece per seguirlo, poi improvvisamente si bloccò.
“Vai pure avanti, Sam. Ti raggiungo più tardi” gli disse.
Il suo capo gli lanciò un’occhiata carica di disapprovazione poi rispose:“Ok. Ma fai in fretta. Voglio radunare gli altri e parlargli di questa storia”.
Sam varcò velocemente il portone mentre Jacob restò immobile dove si era fermato. Si girò verso di me, guardandomi intensamente. Edward si frappose fra noi: Jacob stava pensando qualcosa che mi riguardava e che ovviamente il mio fidanzato aveva intercettato.
“Toglitelo dalla testa, cane” disse a denti stretti il mio fidanzato.
“Lascia che sia lei a deciderlo, sanguisuga!” rispose spavaldo Jake.
Io guardai entrambi, non capendo a cosa si stessero riferendo.
“Ho bisogno di parlarti, Bella. Puoi uscire un attimo?” mi domandò con tono freddo.
“Che cosa vuoi?” dissi, seccata.
“E’ una cosa privata. E preferirei parlarne senza troppe orecchie in ascolto…”.
“Niente di quello che puoi dire mi può interessare”.
“Ma interessa a me sapere cosa ne pensi…” continuò.
Lo guardai. Non volevo assolutamente ascoltarlo ma qualcosa si incrinò nella mia ferma convinzione di odio incondizionato nei suoi confronti. Pensai che se davvero i Volturi venivano qui per i licantropi, forse questa sarebbe stata l’ultima occasione per parlare, anche se ne avevo avuto abbastanza della volta scorsa. Lanciai un’occhiata a Edward.
Sbuffai. “E va bene, ma che sia una cosa breve”.
Edward mi guardò incredulo e poi mi disse:“E’ fuori questione, Bella. Non ti ricordi cosa stava per accadere l’ultima volta?”.
“Con me è al sicuro, vampiro!” disse Jacob.
“Non credo proprio. Stavi per ucciderla…”.
“Non l’avrei mai fatto!” alzò la voce il giovane licantropo.
Sembravano quasi pronti a combattere in mezzo al salone. Appoggiai una mano sul braccio di Edward. “Non ti preoccupare amore, sarò subito lì fuori, in giardino. Potrai vederci dalla finestra” cercai di rassicurarlo. Lui mi guardò, mordendosi il labbro inferiore. Acconsentì a malincuore.
“E va bene. Ma stai attento a come ti comporti, cane, perché ti posso assicurare che se farai qualcosa di sbagliato, non avrai mai il privilegio di vedere Jane, perché ti ammazzerò prima io. Intesi?” lo minacciò.
Jacob si diresse verso la porta come se le parole di Edward non lo avessero minimamente scalfito e io lo seguii giù per le scale stancamente fino a raggiungere il piccolo spiazzo davanti alla casa.
“Certo che i tuoi futuri parenti sono uno peggio dell’altro e non sanno neanche cosa sia la riconoscenza!” sbuffò, girandosi verso di me.
“Veramente potevano anche stare zitti e tenersi tutto per loro. Invece vi hanno voluto aiutare. Sei tu che sei un irriconoscente” dissi trattenendo a stento la rabbia.
A Jacob sfuggì una risata ironica poi continuò:“La bionda è proprio psicopatica… Vi conviene tenerla sotto chiave, oppure potrebbe fare una brutta fine”.
“Se mi hai chiamato fuori, soltanto per parlarmi male dei Cullen, torno dentro…” gli dissi e feci per tornarmene in casa.
“No, no aspetta” disse, afferrandomi per un braccio.
Mi divincolai e la sua stretta si allentò subito.
“Che diavolo vuoi, Jacob?! Non ho tempo da perdere!” esclamai innervosita.
Rimase in silenzio, guardandomi a lungo. Poi fece qualche passo verso la boscaglia. Sembrava imbarazzato, come se dovesse tirare fuori qualcosa di cui avrebbe preferito non parlare ma che era indispensabile. Io incrociai le braccia in attesa che si decidesse.
“Bella, ti volevo parlare della nostra discussione dell’altro giorno…” disse a bassa voce, con lo sguardo rivolto a terra.
Mi morsi le labbra: non avrei mai più voluto affrontare quell’argomento, ma sembrava che fossi destinata a dover disseppellire ciò che avevo faticosamente occultato. Il solo ripensarci fece accelerare il mio battito. Feci un respiro profondo per calmarmi.
Jacob insistette:“Io non ho dormito tutta la notte per quello che ci siamo detti. In particolare, io ho detto cose terribili che… non volevo dire”.
Continuava a camminare nervosamente avanti e indietro, senza avere il coraggio di guardarmi negli occhi.
“Che cosa intendi dire, Jacob?” domandai freddamente.
“Che ne sono pentito” disse risoluto, alzando finalmente lo sguardo su di me. “Non volevo ferirti, ma devi capire che per me è tutto molto difficile. Sto cercando di affrontare la situazione ma… Non lo so… Voglio solo dirti che non pensavo quello che ho detto”.
“Quindi non hai nessuna intenzione di rincorrere Edward per tutti gli Stati Uniti per punirlo di non aver rispettato il patto con i Quileute?”.
“No” sospirò. “L’ho detto solo perché ero arrabbiato. So perfettamente che tu vieni trasformata di tua volontà e quindi non c’è nessuna violazione del patto”.
“E quindi a te va bene che Edward mi trasformi? Non hai nessuna riserva su questo?”.
“Certo che sì. Lo ammazzerei subito quel bastardo, se potessi…” digrignò i denti.
Sbuffai. “Sei un ipocrita, come pensavo” e mi voltai diretta verso casa Cullen.
“Cosa ti aspetti che dica, Bella?!” urlò. “Che sono felice che diventi una di loro? Che rinneghi i miei sentimenti per te? Che ti dica che dormo la notte all’idea che tu sia fra le sue braccia e non fra le mie? Vuoi sentirmi dire questo? Questa sarebbe ipocrisia…”.
“No!!” gli gridai, girandomi di scatto verso di lui. “Io non voglio sentire questo…”.
“E allora cosa vuoi, Bella?” domandò. Poi, come se lo dicesse a sé stesso, mormorò: “Io so cosa vorrei, ma non posso averlo…”.
“So cosa voglio, ma neanche io posso più averlo…” sussurrai mentre gli occhi mi si velavano di lacrime. Sentii di nuovo il mio cuore accelerare di colpo e un groppo salire dallo stomaco. Cercai di fermarlo perché sapevo che se gli avessi permesso di salire le lacrime sarebbero sgorgate a dirotto e non volevo che Jake mi vedesse piangere, non per lui almeno.
Si avvicinò. “E cioè cosa? Se ti posso aiutare ad averlo, lo farò…”.
Rimasi in silenzio, ma lo guardai negli occhi mentre camminava verso di me: era di nuovo lo sguardo dolce e premuroso che amavo tanto.
Iniziai a piangere senza freno.
“Rivoglio il mio migliore amico… I nostri pomeriggi passati nel tuo garage a sistemare le nostre moto, sulla spiaggia di La Push a fare il bagno, a ridere… Rivoglio il mio Jake…” dissi nascondendo il viso fra le mani per cercare di asciugare le lacrime.
Stavo dando un pessimo spettacolo di me stessa, soprattutto davanti a Edward che sicuramente ci stava osservando dalla finestra, ma non riuscivo a trattenermi. Jacob riusciva sempre a tirare fuori una parte di me che cercavo di nascondere con tutte le mie forze.
Sentii le sue braccia cingermi le spalle e fu anche peggio. Le lacrime diventarono inarrestabili. Quelle che la rabbia aveva trattenuto per due giorni erano libere di sgorgare e senza quasi che me ne rendessi conto mi ritrovai a contraccambiare il suo abbraccio. E mentre le mie braccia stringevano il suo torace, le parole di Leah in quel negozio mi rimbombarono nel cervello: ero una maledetta ragazzina viziata, che voleva tutto a suo modo e se ne fregava se gli altri stavano male. Ora stavo ferendo sia Jacob che Edward e c’era un’unica cosa che potevo fare per salvare entrambi ma mi sembrava dannatamente difficile.
“I nostri pomeriggi non potranno più tornare, Bella” disse Jake. “Ma io sono qui e ci sarò sempre per te…”.
Perché erano tutti così buoni con me mentre non mi sarei meritata altro che essere abbandonata? Perché ero circondata da persone che mi amavano così tanto mentre io mi comportavo così male con loro?
Cercai di calmarmi con lunghi respiri, poi mi allontanai di qualche passo da Jacob.
“Non possiamo più essere quelli di un tempo. E io devo rassegnarmi a quest’idea…” dissi con un filo di voce, cercando di fare mie le parole di Leah.
“Certo che no, però possiamo essere amici ugualmente” mi sorrise Jacob.
Scossi la testa freneticamente da una parte all’altra. “Sono cambiate troppe cose e tutti e due dobbiamo capire che le nostre strade si stanno dividendo…La discussione dell’altro giorno ne è una prova”.
“Cosa stai dicendo, Bella? Ti ho appena chiesto scusa…”.
“Non dipende dalle scuse. Anch’io ho detto cose che non pensavo solo perché dettate dalla rabbia, ma è la discussione in sé che…”.
“Abbiamo litigato tante di quelle volte…” rispose scrollando le spalle.
“Non come questa volta. Abbiamo minacciato di ucciderci, ti rendi conto?” esclamai.
“Sì… Io ho esagerato ed è per questo che sono volate parole grosse, ma nessuno dei due le pensava”.
“Jacob, tra poco tempo non sarò più umana… Io e te saremo acerrimi nemici…” mormorai in un soffio.
“Bella, le inimicizie che nascono semplicemente perché apparteniamo a razze diverse si possono combattere, me l’hai insegnato tu. Non potremo mai essere nemici tu ed io…”.
“Santo cielo, perché rendi tutto così difficile?” gli chiesi esasperata.
Jake cambiò espressione e, lanciando un’occhiata torva verso le finestre di casa Cullen, mi domandò con rancore:“E’ lui che non vuole più che ci vediamo, non è vero? Ti stai facendo mettere i piedi in testa ancora una volta!”.
“No! Edward non c’entra niente in questa storia. Sono io che non voglio più vederti!” mi affrettai a chiarire.
“Perché? Dimmi il motivo…”.
Il respiro tornò a farsi affannoso. Non sapevo cosa rispondere. Ero combattuta. Stavo cercando di fare ciò che era meglio per Jacob ma lui sembrava non comprendere le mie intenzioni. Non capiva che lo stavo facendo per lui soltanto. Allontanarlo da me era l’unico modo per salvarlo.
Alzai gli occhi al cielo cercando forza.
Poi, sospirando e simulando una risolutezza che non mi era mai appartenuta, dissi:“Ho deciso così e basta. Ora torno dentro…”.
Ma prima che potessi muovermi, Jacob mi  afferrò per una mano:“Bella, non abbandonarmi… Non adesso…”.
Lo guardai: gli potevo leggere negli occhi il dolore più profondo.
“Jake, ti prego…”.
“Lo so che hai bisogno di me come io di te… Non ti sto chiedendo niente che tu non possa darmi, Bella. Voglio soltanto la tua amicizia. Posso tornare come un tempo, devi solo essere paziente, prima o poi passerà…” mi implorò. Sembrava quasi disposto a inginocchiarsi pur di non perdermi.
Cercai di ricorrere alle mie ultime energie, che ormai si stavano rapidamente esaurendo. Cominciai a guardare ovunque, tranne che nella sua direzione. Sapevo che guardarlo negli occhi avrebbe significato desistere.
“Bella” mi chiamò ad alta voce e fui costretta a voltarmi.
“Ti prego, non sacrificare noi… Ti scongiuro” mi supplicò. Uno sguardo carico di dolore e sofferenza. Non lo avevo mai visto così indifeso. Solo lui e il suo cuore erano davanti a me. Un cuore che io con quelle poche parole stavo spaccando a metà. E anche il mio stava sanguinando perché Jake era inevitabilmente una parte di me.
E fu allora che le mie energie terminarono.
“E va bene, Jake! Non lo farò…” sospirai, stringendo la mano che era rimasta per tutto il tempo inerte fra le sue dita. Vidi finalmente stamparsi sul suo volto un bellissimo sorriso. “Di nuovo amici?” mi domandò per essere rassicurato.
“Certo” risposi, facendogli cenno con la testa.
“Come prima?”.
“Più di prima” gli sorrisi.
Jacob rise felice. Tanto felice che mi prese in braccio e cominciò a correre in tondo nell’ampio spiazzo del parcheggio di casa Cullen. Tanto veloce che cominciò a girarmi la testa. Ma non volevo che si fermasse. Tutti e due ridevamo come matti. Intravidi le figure dei Cullen uscire sull’uscio per vedere il motivo di tanto chiasso. Ma non ci feci troppo caso. Quel momento era solo nostro. Mio e di Jacob. Mi sembrava di essere tornata a quei bei pomeriggi, dove due persone condividevano gioie e spensieratezze, tristezze e dolori. Per qualche minuto fu tutto come un tempo. Ed ero davvero felice di non aver dato retta ai “consigli” di Leah, anche se in fondo al mio cuore ero conscia di aver ubbidito ancora una volta al mio egoismo.
Ma adesso non ci volevo pensare.
Esistevamo solo Jacob ed io.

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Capitolo 9
*** Tanya ***


Quando Jacob se ne andò, mi affrettai verso casa Cullen.
Gli altri abitanti erano già rientrati. Era rimasto soltanto Edward ad attendermi all’ingresso, a braccia conserte.
Quando lo raggiunsi lo stato di beatitudine, in cui ero immersa per via del ricongiungimento col mio migliore amico, sparì guardandolo in viso. Aveva un’espressione, a dir poco, truce. Mi avvicinai a lui lentamente, con lo sguardo basso, come una bambina che torna dal papà, dopo aver fatto una marachella, sapendo che verrà sgridata.
Non accennò a voler rientrare. Sembrava infuriato.
E non pareva volermi parlare.
Gli misi una mano sul braccio, cercando di avvicinarlo a me, ma non si mosse.
“Sapevo che alla fine l’avresti perdonato, come al solito…” brontolò.
“Hai ragione…” ammisi frustrata.
“Io non riesco a capirti, Bella. Ti ha quasi uccisa la volta scorsa. Potrebbe rifarlo al prossimo scatto d’ira. E tu non solo lo perdoni, ma lo abbracci pure… E avete dato uno spettacolo degno di due bambini dell’asilo!” bofonchiò, alzando gli occhi al cielo.
“Perdonami, ti prego… Ma è importante per me: è il mio migliore amico, gli voglio bene e lui ne vuole a me” cercai di giustificarmi. “Però se non vuoi che lo frequenti, farò in modo di non vederlo più… Davvero. Dimmi cosa vuoi che faccia e lo farò” gli dissi, quasi implorandolo. Avrei fatto di tutto pur di vedere di nuovo sul viso il suo fantastico sorriso.
“Sì, come l’altra volta. Sei addirittura scappata dalla scuola per stare con lui…”
“Ero più giovane… più immatura…” mormorai alla ricerca di una spiegazione convincente.
“Sono passati solo 6 mesi da allora. Cosa dovrebbe farmi pensare che sei cambiata?”.
“Il fatto che sto per sposarti…”.
Non replicò alla mia risposta che sapevo essere stupida, ma volevo che capisse che niente era più importante di una vita al suo fianco.
“Ho capito a mie spese che è impossibile tenervi separati” disse, guardandomi serio.
“Non è vero affatto. Possiamo stare separati benissimo” contestai accigliata.
Emise un profondo e marcato sospiro, poi disse:“E va bene, Bella. Vuoi Jacob come amico? Tienitelo pure, anche se io non capisco. Ma se ti farà del male, anche solo un graffio per sbaglio, io lo ammazzo, mi hai capito?”.
Feci cenno di sì con la testa.
Finalmente mi sorrise bonariamente:“Sono contento se tu sei felice, amore mio. Spero che Jacob non ti faccia più soffrire. Almeno le premesse ci sono tutte…”.
“Cosa intendi dire?”.
“Ho letto i suoi pensieri, ovviamente” ridacchiò.
“Quindi?” domandai curiosa.
“Era sincero, Bella. Molto dispiaciuto per tutta questa storia. L’ho sentito davvero convinto di voler ricominciare con te, impostando un rapporto fondato sull’amicizia vera. E’ per questo che l’ho perdonato, altrimenti ti posso assicurare che non avrei ceduto”disse cupo.
Il mio Jake aveva finalmente capito come stavano le cose e si sarebbe impegnato affinché tutto andasse nel migliore dei modi. Anche Edward ne sembrava persuaso. Potevamo provare ad avere un rapporto normale. Forse la litigata dell’altro giorno era servita a qualcosa…
Edward mi cinse le spalle con un braccio e rientrammo insieme in casa. Dove sembrava esserci un acceso dibattito.
“Che cavolo vi è saltato in mente di chiamare i licantropi?! Avete visto qual è stata la riconoscenza?” esclamò Rosalie, alterata.
“Beh, la loro reazione è plausibile. In fondo gli abbiamo dato notizie non molto confortanti. Cosa ti aspettavi che dicessero?” disse Jasper.
Rosalie sbuffò e continuò:“Io penso che non dovevamo dire niente. Anzi, spero che i Volturi vengano apposta per loro, così ce ne liberiamo una volta per tutte! E poi Jacob è insopportabile! Avete visto come mi ha trattata? Spero che sia il primo che uccidano!” E voltandosi verso di me, con aria indispettita, disse:“Bella, non ti sognare mai più di portarlo qua! Non deve mettere mai più piede in questa casa, siamo intesi?”.
Rimasi in un silenzio imbarazzato. Non sapevo cosa ribattere, anche perché aveva pienamente ragione: era stato parecchio maleducato, considerando che era ospite e aveva insultato una delle padrone di casa. Avrei dovuto fargli una bella ramanzina a proposito, anche se sapevo cosa avrebbe ribattuto. Rosalie in certi frangenti era davvero insopportabile. E pure lei non era stata molto accogliente con loro.
Ripensandoci, si erano comportati proprio come due bambini! Potevo capire Jake, ma Rosalie ormai aveva passato da un pezzo l’età per quelle cavolate, anche se dall’aspetto non si sarebbe detto.
“Comunque, li abbiamo avvisati e la mia coscienza è a posto. Adesso non ci resta altro che aspettare l’arrivo dei Volturi e vedere qual è il motivo della loro visita” concluse Carlisle.
“Voglio sapere una cosa” cominciò Alice. “Quale sarebbe la nostra posizione nel caso venissero davvero per i licantropi?”.
Tutti tacquero e si voltarono verso Carlisle, attendendo una sua risposta.
“Non potremo fare assolutamente niente” sospirò. “Mi dispiace molto perché sono tutti ragazzi molto giovani, ma schierarsi contro i Volturi sarebbe un suicidio…”.
“Volevo ben dire!” esultò Rosalie.
Questa frase mi lasciò sgomenta, anche se me l’aspettavo. Loro non dovevano niente al branco e mettersi in guerra con i Volturi voleva dire andare incontro a morte certa. Io per prima non volevo assolutamente che i Cullen rischiassero, però non volevo neanche che succedesse qualcosa ai lupi. Preferivo quasi che venissero per me. Anzi, valutando il tutto, lo speravo. Se questa era l’unica opportunità per salvare le persone che amavo, era meglio che morissi io.
“Sta arrivando Tanya” disse Alice.
Io la guardai sgomenta: Tanya? Non pensavo che venisse. Il matrimonio era stato annullato, quindi cosa veniva a fare? Guardai Edward che colse la mia sorpresa.
“Non siamo riusciti ad avvisarla in tempo. Era già partita quando l’abbiamo chiamata ieri sera…”.
“Capisco…” constatai.
“E poi è una della famiglia. A questo punto più siamo, meglio è. Davanti ai Volturi, intendo”.
Annuii. Non ero molto sicura di questa sua teoria. E soprattutto non ero pronta psicologicamente per sostenere l’incontro con lei e la sua bellezza. Anzi, con la notte che avevo passato dovevo avere un aspetto assolutamente orribile.
“Fra quanto arriverà?” domandai.
“Dieci minuti” rispose Alice.
Decisamente troppo poco per una rapida seduta di assestamento davanti allo specchio. Sbuffai: e va bene mi avrebbe visto in tutta la mia bruttezza. Ma la visione di Alice accese un dubbio. “Come mai riesci a prevedere il suo arrivo, visto che non avevi previsto che avrebbe partecipato al matrimonio?” domandai.
“Boh” alzò le spalle, corrucciata. “Questa è la prova che il mio potere sta perdendo colpi. E funziona quando pare a lui…”.
“Ma va, amore mio. C’è una spiegazione per tutto. E sicuramente è logica!” disse Jasper, abbracciandola.
Rosalie invece sembrava il ritratto della felicità. L’imminente arrivo della sua amica l’aveva messa di buonumore e cancellato il ricordo della sua scaramuccia con Jake. Anzi, era corsa in bagno a pettinarsi e a sistemarsi (come se ne avesse avuto bisogno), neanche arrivasse il principe di Galles. Era la prima volta da quando la conoscevo che la vedevo così entusiasta. D’altra parte erano anni che non si incontravano quindi potevo capire che la nostalgia stesse giocando un ruolo importante. E non potevo che provare gioia per lei.
Ero curiosa di vedere la persona che veniva con lei. Sperai con tutte le mie forze che si trattasse di un uomo, così tutte le mie angosce sarebbero sparite.
I minuti trascorsero rapidamente e Tanya alla fine arrivò. Edward come al solito la sentì dai suoi pensieri e, sorridendo verso Rose, disse:“E’ fuori. Sta per salire le scale…”.
Rosalie si alzò dal divano e corse alla porta. La spalancò in fretta e uscì.
Restai indietro mentre i Cullen si avvicinarono all’uscio. Edward si voltò e incrociò il mio viso teso. Tornò indietro per abbracciarmi. “Non ti preoccupare, non ti mangia mica…” mi sussurrò all’orecchio.
“Non è per questo…”.
Sorrise. “Tu sei molto più bella di lei…”.
Lo strinsi. Sapeva sempre rincuorarmi. Non avrei mai trovato sulla terra un uomo migliore di lui.
Mi cinse le spalle e restò con me più indietro rispetto agli altri. Sentii le risate di Rose provenire dall’esterno: non l’avevo mai sentita ridere così sfacciatamente. Ero contenta di non aver chiesto a Edward di posticipare l’arrivo di Tanya. Almeno qualcuno in questo momento era felice.
Poi la nuova arrivata salutò gli altri Cullen. Aveva una voce più roca della tonalità acuta propria di tutti i vampiri. Non si poteva definire bassa, ma sembrava quasi umana. Pian piano, come a un’entrata in scena, tutta la famiglia si spostò ai lati e Tanya varcò per prima la soglia: come previsto, la sua bellezza mi fece venire il mal di stomaco. Ma l’unica cosa che mi deluse fu il fatto che era da sola: dov’era la misteriosa persona che doveva accompagnarla?
Si avvicinò a noi e con un sorriso ammiccante salutò Edward. Lui fu costretto a staccarsi da me e avvicinarsi a lei che prontamente lo abbracciò. A lungo.
“Mi sei mancato” disse, fin troppo languida.
Lui ridacchiò e con gentilezza sciolse l’abbraccio. “Ne è passato di tempo, Tanya. Ti trovo bene”.
“Anch’io”.
“Lascia che ti presenti la mia fidanzata. Tanya, questa è la mia Bella”.
Tanya era adorabile come l’avevo immaginata nei miei incubi peggiori.
“Piacere Bella” mi disse amabilmente.
Le strinsi la mano che mi aveva porto e la fissai ancora più depressa, se possibile. Era stupenda, anche se, facendo dei confronti, Rosalie la superava nettamente. O perlomeno, Rose era molto più vistosa, vista anche la sua statura, mentre Tanya era alta come me. Però aveva lineamenti davvero perfetti e quei capelli lunghi color mogano sottolineavano ancora di più il candore del viso. Guardandola meglio, aveva uno sguardo davvero magnetico. Esercitava un fascino irresistibile. Immediatamente mi domandai perché Edward avesse rifiutato una così sconvolgente bellezza per prendere un’insulsa come me. Certe volte il mio fidanzato proprio non lo capivo.
Quando mi lasciò la mano, Esme la fece accomodare sul divano del salotto. Cominciarono a parlare di come stavano le sue sorelle a Chicago e di quanto fosse noiosa la vita laggiù. L’unica cosa che deponeva a favore di quella città era il fatto, secondo loro, che era talmente vasta e dispersiva, che nessuno si occupava realmente dei fatti degli altri, quindi loro avevano potuto mettere radici per parecchio tempo, senza che nessuno facesse caso al fatto che non invecchiavano. Però ogni tanto lei e Kate facevano viaggi per uscire dalla solita routine. E ci raccontò dell’ultimo che avevano fatto: a Praga, in Europa. Non era una città che conoscevo. L’avevo sentita nominare, in qualche libro di scuola, ma non sapevo neanche dove fosse, in realtà. La descrisse in termini entusiastici.
Per una buona ora restammo praticamente in silenzio ad ascoltare i suoi racconti. Rosalie era la più interessata e ogni tanto fissava Emmett con espressione di muto rimprovero: probabilmente anche lei avrebbe voluto fare tutti quei viaggi, ma suo marito non era un tipo che amava muoversi da casa. Già era difficile trascinarlo fuori per una scampagnata, figuriamoci una vacanza. Quasi impossibile.
Tacqui per tutto il tempo, ammirata da quella donna. Doveva essere stata trasformata in vampiro intorno ai venticinque anni, visto che i suoi lineamenti delineavano un’età leggermente più matura rispetto a quella di Rosalie. Oltre a essere bella, possedeva un carisma nella conversazione davvero impressionante: riusciva a calamitare l’attenzione delle persone. Era sempre più attraente ai miei occhi. E per giunta simpatica, dovevo ammetterlo. Sicuramente consapevole della sua bellezza, a differenza di Rose, non le dava nessuna importanza e sembrava una persona alla mano. Coinvolse tutti nei suoi racconti, ridendo e facendoci ridere più volte in imitazioni di sua sorella Kate, che doveva adorare, nonostante le prese in giro. Accidenti, alla fine mi resi conto che la sua bellezza passava totalmente in secondo piano rispetto alla carica di simpatia a dir poco devastante. Mi sembrava impossibile, conoscendola, che fosse la stessa persona che aveva orchestrato quella stupida gara con Rosalie a chi conquistava più umani. Non mi sembrava assolutamente capace di cimentarsi in divertimenti di così bassa levatura.
Quando terminò i suoi resoconti, Rosalie fece l’unica domanda di cui tutto sommato incuriosiva anche a me la risposta: “Ma la persona che dovevi portare con te dov’è?”.
A Tanya sfuggì un sorrisetto malizioso:“Perché ti interessa tanto?”.
“Perché sono curiosa di sapere chi è. Allora? Voglio conoscere chi è quest’uomo che ti ha rubato il cuore”.
Tanya rise di cuore. “Non è un uomo” rispose.
La delusione si dipinse sul volto di Rose e anch’io non fui per niente soddisfatta della sua risposta. Era una paura decisamente puerile ma avrei tanto voluto che anche lei avesse trovato l’anima gemella, così da togliere definitivamente gli occhi dal mio Edward. Sapevo che lui era soltanto mio, ma avevo ugualmente paura che lei non si fosse rassegnata e sperasse in un riavvicinamento.
“E allora chi è?”.
“Una persona a cui voglio più bene di quanto ne vorrei a qualsiasi uomo” sussurrò con tono quasi sognante.
A quel punto la famiglia Cullen si incuriosì: tutti volevano sapere chi fosse.
“E’ una vampira, vero?” domandò scettica Rose.
Tanya si girò stupita verso la sua migliore amica e chiese:“Perché non dovrebbe esserlo?”.
“Perché Alice non riesce a vederla e lei non vede solo i licantropi” rispose con un’alzata di spalle.
L’ospite si girò verso Alice che fece un rapido cenno con la testa a conferma di quello che aveva appena detto la sorella.
“E’ in albergo a Forks, più tardi la porterò qua da voi” rispose frettolosamente. Poi si girò verso me ed Edward che eravamo seduti all’estremità del divano ed esclamò, ridendo:“Allora, il matrimonio come procede? E’ tutto pronto per il grande giorno?”.
Il sorriso scomparve dal mio viso e mi voltai verso Edward. Tanya si rabbuiò e guardando gli altri chiese:“Ho detto qualcosa che non va?”.
Edward mi strinse la mano delicatamente e rispose alla sua domanda:“No, non hai detto niente di sbagliato. Il fatto è che non potevi saperlo perché non abbiamo fatto in tempo ad avvisarti, ma il matrimonio è stato rimandato”.
“Come mai?” domandò e parve sinceramente mortificata.
Carlisle intervenne nella conversazione. “Purtroppo Alice ha previsto un inconveniente e abbiamo preferito spostare la data. Rosalie ha chiamato Kate per avvisarla ma purtroppo tu eri già partita. La decisione è stata presa solo ieri sera”.
“Già… Sono partita ieri mattina perché prima di venire ho voluto fare una sosta a Seattle” disse abbassando il viso a disagio, come se dovesse a noi delle spiegazioni per le sue scelte.
Si instaurò un pesante silenzio che nessuno di noi tentò di infrangere.
“Scusate, forse non vi va di dirlo perché sono fatti vostri, ma come mai avete deciso di posticipare?” domandò Tanya infine.
“Alice ha previsto l’arrivo dei Volturi” rispose semplicemente Edward.
L’espressione di Tanya mutò radicalmente. Sembrava spaventata. Era stupita ma contemporaneamente potevo leggere il terrore nei suoi occhi. E lo collegai subito alla triste esperienza in cui era stata coinvolta secoli prima quando sua madre aveva creato uno dei bambini immortali e le tre sorelle erano state imprigionate dai Volturi per capire quale fosse stato il loro ruolo all’interno della vicenda.
“Aro, Caius e Marcus?” balbettò.
“No. Parte della guardia reale. Verranno Jane, Demetri e Lehausle” rispose Rosalie.
Tanya abbassò il viso e sembrò confondersi nei suoi pensieri. Cominciò a toccarsi le mani febbrilmente.
“No, non crediamo che vengano per motivi pacifici. Sai perfettamente anche tu che la guardia reale non si muove mai per dialogare e basta” disse Edward rispondendo ai suoi pensieri.
Tanya alzò il volto di scatto, atterrita dalla risposta di Edward, come se avesse dimenticato che lui leggeva il pensiero.
“Per quale motivo vengono?” domandò.
“Non lo sappiamo, Alice non riesce a prevederlo” rispose Rosalie.
“Come mai?”.
“Perché il mio potere si è messo a funzionare quando vuole lui, ecco perché” disse spazientita Alice, più rispondendo a se stessa che a Tanya.
“Cosa vuoi dire?”.
“Vuol dire che non ho previsto il tuo arrivo con una persona, che tu hai appena ammesso essere un vampiro, quindi dovrei vederla, senza problemi. Per di più non vedo la motivazione dell’arrivo dei Volturi, quindi vuol dire che c’è qualcosa che non va in me. Forse sto perdendo le mie doti…” ammise tristemente.
Jasper abbracciò sua moglie per cercare di consolarla. Nessuno di noi pensava che Alice stesse perdendo il suo potere però era anche vero che si trattava di una situazione inspiegabile.
“Quando arriveranno?” domandò.
“Il giorno del matrimonio, nel pomeriggio” rispose Carlisle.
Tanya si alzò come un automa dal divano. “Credo allora che sia meglio che vada” disse in tono concitato.
Rosalie la imitò e le si avvicinò. “Ma no, non è il caso. Resta qui. In fondo, non vengono certo per te. Possiamo stare insieme questi giorni che restano. Abbiamo tante cose da raccontarci. E’ da una vita che non ci vediamo” le disse, cercando di convincerla.
Ma lei sembrava altrettanto convinta ad andarsene e io non capivo il perché di tanta furia. Aveva un atteggiamento spaventato, come se dovesse scappare da qualcosa o qualcuno. Ma non ero l’unica ad aver notato questo strano comportamento. Lanciai un’occhiata in direzione di Edward e notai che anche lui stava esaminando ogni singolo movimento di Tanya. I suoi splendidi occhi color topazio si erano ristretti in una fessura: stava tentando di leggere nella mente di Tanya il motivo del suo gesto, e nessuno meglio di lui poteva riuscire a farlo.
“No, meglio che io vada” replicò Tanya. “Sai che meno vedo i Volturi, meglio è”.
“Certo, ma se non vuoi vederli, puoi andare via la mattina. Tanto loro arriveranno nel pomeriggio…” contestò Rose.
“Se resto, potrebbero sentire il mio odore e non voglio”.
“Anche se fosse? Non hai fatto niente di male, come noi. Non hai nulla da temere. E poi voglio conoscere questa misteriosa persona…” disse con un sorriso forzato.
“La conoscerai un’altra volta. Abbiamo un’eternità davanti…” sorrise amaramente.
“Mi farebbe tanto piacere se restassi…” la supplicò Rose, prendendola per mano.
Non avevo mai visto la sorella di Edward così arrendevole e disponibile: doveva tenerci veramente tanto a Tanya. E conoscendola potevo capire il perché.
La componente della famiglia Denali si guardò intorno combattuta, poi si voltò verso la sua migliore amica:“Mi dispiace Rose, ma cerca di capire. Non me la sento proprio. Preferisco andare e tornare quando non ci saranno problemi. E sicuramente ci divertiremo molto di più”.
Rosalie le lasciò la mano e la delusione fece capolino sul suo viso. Tanya ringraziò in fretta tutti per la gentile ospitalità e si affrettò verso la porta. Aveva appena abbassato la maniglia quando Edward la chiamò a voce alta. Si bloccò sull’uscio, dandoci le spalle. Non sembrava volersi girare verso il mio fidanzato, come se fosse paralizzata dalla paura. Paura di quello che lui aveva potuto leggere nella sua mente.
“Chi è Desirèe?” domandò semplicemente Edward.

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Capitolo 10
*** Desirèe ***


Furono istanti interminabili nei quali aspettammo una risposta che non arrivò. Tanya rimase immobile per qualche secondo, poi richiuse lentamente la porta. Si girò verso di noi: una smorfia di dolore segnava il suo sguardo e le mani tremavano.
“Non ti si può nascondere niente, vero?” constatò amaramente. Chiuse gli occhi e vidi una lacrima solcarle una guancia.
Mi chiesi che cosa avesse letto nella sua mente di così devastante da indurre quella reazione.
Esme le si avvicinò percependone la disperazione e la abbracciò cercando di portarle conforto. Tanya non pianse, sembrava soltanto profondamente turbata da quello che credeva Edward avesse scoperto. Rose si affiancò a loro e mise una mano sul braccio di Tanya per farle comprendere che anche lei voleva aiutarla.
A quel punto guardai Edward con aria di rimprovero e lui capì perfettamente per cosa lo stavo sgridando: c’era proprio bisogno di porle una domanda su un argomento palesemente così doloroso? Ma lui non mosse un muscolo, affatto turbato dalla sua reazione e da quella di tutti i suoi familiari. Anzi si alzò dal divano e facendo due passi verso di lei, le disse:“Tanya, capisco i tuoi sentimenti, ma credo che sia il caso che ci spieghi…”.
Lo seguii e gli tirai un pizzicotto sul braccio per fargli capire che stava esagerando, ma ovviamente non sentì nemmeno il fastidio che avrebbe dato a una persona normale e continuò a fissarla, freddo e distaccato. Tanya lo guardò e fece cenno di sì col capo. Si staccò con delicatezza da Esme, ringraziandola della comprensione e poi guardando alternativamente ora l’uno ora l’altro iniziò il suo racconto. Tutti i Cullen, me compresa, tornarono a sedersi sul divano, intuendo che si sarebbe trattato di una storia lunga e sofferta, perlomeno per Tanya.
“E’ iniziato tutto circa 6 anni fa con uno dei soliti viaggi, miei e di Kate, in qualche paese strano e sconosciuto. Quell’anno avevamo deciso di andare in Brasile, una terra che mi aveva sempre incuriosita, ma di cui avevamo visitato solo le metropoli e i posti più conosciuti. Quella volta decidemmo di inerpicarci nelle zone più selvagge della foresta amazzonica, dove c’erano soltanto piccoli villaggi e potevamo ammirare tutte le razze di animali più rare al mondo. Pensavamo così di unire l’utile al dilettevole: avremmo ampliato la nostre conoscenze e in più avremmo potuto cacciare senza problemi.
Eravamo lì già da un mese e avevamo visitato 120 villaggi, percorrendo più di 10.000 chilometri, quando ci imbattemmo in una stranissima lince. Era molto più grande della norma e aveva la testa completamente bianca. Rimasi incantata a guardarla, mentre lei sembrava molto interessata a fissare un punto dinanzi a lei.
Fu allora che percepimmo un odore noto, quello umano. Ci girammo entrambe nella direzione opposta a quella della lince e notammo due persone, una donna e una bambina.
La lince voleva attaccarle. Io non pensai due minuti a quello che sarebbe accaduto e mi scagliai sull’animale, che nel frattempo aveva già spiccato un balzo verso di loro. Ovviamente riuscii ad avere ragione della bestia in poco tempo e la uccisi sotto lo sguardo impietrito delle due umane. Kate era rimasta immobile al suo posto, senza muovere un muscolo.
Finito il mio compito, mi alzai e guadai le due indigene. Erano vestite in maniera strana, ma non come si vede nei film, con ossa attaccate al naso, gonne di paglia o altre stupidaggini. L’una aveva una gonna di lana e una maglia lunga, l’altra dei pantaloncini e una canottierina, sempre di lana, dai colori sgargianti.
La donna si avvicinò e quasi si buttò ai miei piedi, pensai, in segno di ringraziamento. Doveva avermi scambiato per una divinità o qualcosa del genere. Kate mi raggiunse e anche lei fu trattata nello stesso modo. Ci parlarono in uno spagnolo un po’ arcaico, ma abbastanza comprensibile.
Ci proposero di seguirle al loro villaggio a pochi chilometri da lì.
Kate voleva andarsene, mentre io insistetti per visitarlo: ero curiosa di vedere come erano organizzati e le loro strutture abitative. Questo fu il primo di una serie di errori” sospirò e tacque.
Dopo un minuto, riprese:“Quando arrivammo, vedemmo delle abitazioni fatte di legno e mattoni, non cadenti, come avevo immaginato. Il villaggio era strutturato in tondo, le case degli abitanti delimitavano un cerchio e al centro c’era qualcosa che sembrava un tempio e che doveva essere il fulcro della vita del paese. Tutti gli abitanti, appena arrivammo, si precipitarono ad accoglierci. Il loro capo disse qualcosa che non capimmo e alcuni si gettarono per terra come in adorazione, altri cinsero le mani in preghiera, altri ancora ci portarono da mangiare. Mangiare che fummo costrette a rifiutare.
Non sembravano particolarmente primitivi, anzi alcuni di loro avevano una sorta di cultura di base, in quanto vidi che scrivevano e leggevano.
Dal tempio uscì un uomo barbuto che si inginocchiò ai nostri piedi. Inoltre in quel momento anche il sole sgusciò da dietro le poche nuvole che lambivano il cielo e quindi i nostri corpi iniziarono a splendere: tutto questo alimentò ulteriormente in loro l’idea che fossimo davvero divinità. Il presunto sacerdote farfugliò qualcosa che capii dovessero essere ringraziamenti. Ci accompagnò dentro una casa, dove ci accolse una donna, molto gentile e cortese che parlava uno spagnolo più recente: doveva essere una delle più colte in quel villaggio. Ci portarono in una camera buia, nella quale accesero delle candele al nostro ingresso. Non che ne avessimo bisogno, ma loro non potevano certo saperlo.
Lì c’era una donna sdraiata, con un viso sofferente. Si voltò verso di noi e tentò di sorriderci, ma sembrò più una smorfia che un’espressione di saluto. Guardandola, intuimmo che era incinta e doveva essere al nono mese, a giudicare dalla grandezza della pancia. Quella che doveva essere l’ostetrica del paese ci spiegò, in parte a gesti e in parte a parole, che la donna era al quinto mese di gravidanza.
“Secondo me, ci hanno preso per dei medici” mi sussurrò impercettibilmente Kate.
Effettivamente questa era anche la mia convinzione. Ma noi non potevamo certo far nascere dei bambini. E poi un parto così prematuro avrebbe di sicuro ucciso sia la puerpera che il nascituro.
L’ostetrica ci fece capire che, visti i nostri poteri, dovevamo assolutamente salvare la donna, non il bambino perché se fosse sopravvissuto, in seguito lo avrebbero ucciso loro. Io non capii il perché di tanto accanimento: lei disse che era figlio del diavolo e come tale andava eliminato.
L’ostetrica mi raccontò che il neonato non aveva un padre appartenente al villaggio. Era accaduto tutto in maniera strana. La donna era sparita per circa una settimana nella foresta, tanto che l’avevano data per morta, sbranata da uno dei tanti animali feroci. Poi invece era ritornata, con una strana luce negli occhi, come se avesse visto qualcosa di terribile e insieme magnifico. Successivamente si accorsero della gravidanza e quindi fu costretta a rivelare ciò che era accaduto: era stata sempre con un uomo, che a suo dire era bellissimo, un vero dio sulla terra.
Tutti i capi del villaggio ovviamente la additarono come svergognata e quindi una vita distrutta in quanto madre senza marito: ovviamente il presunto padre era sparito, così com’era apparso. Ma l’avanzare della gestazione e gli effetti che procurava sulla donna, convinse tutti che ella avesse giaciuto con il diavolo in persona. Quel bambino non poteva essere normale. Cosa di cui mi stavo convincendo anch’io, vedendola ridotta in quello stato. Mentre ci stava raccontando che noi dovevamo salvare la donna, indipendentemente dal destino del bambino, la puerpera gridò che il nascituro doveva essere salvato a tutti i costi perché era il figlio del dio della luna e come tale doveva vivere.
Pensai che stesse delirando. Ma invece sembrava ben consapevole di quello che stava dicendo e, non senza spasmi di dolore, continuò dicendo che quell’uomo era stupendo e aveva la pelle bianca come la luna e dolcissime labbra. Noi dovevamo assolutamente salvare il bambino, a costo della sua vita.
A quel punto mi pentii di non aver dato ascolto a Kate: ci eravamo messe in una situazione più grande di noi, dalla quale difficilmente saremmo uscite decorosamente. Nessuna di noi due, come ben sapete, ha nozioni di medicina e ritrovarci con una persona agonizzante lì di fronte ci poneva in condizione di impotenza.
Fu a quel punto che successe la cosa che chiarì completamente le idee…”.
“Quale?”domandò incuriosita Alice.
“Le portarono da mangiare. E non le portarono cibo normale, ma carne cruda e sangue da bere …”.
Lo stupore si dipinse nei nostri occhi. E io non capii cosa voleva dire tutto ciò.
“La guardai inorridita. Vedere quella donna avventarsi così avidamente su quella roba, mi fece rabbrividire. Neanche noi vampiri ci comportiamo così. L’ostetrica ci raccontò che era soprattutto per nutrire il bambino e tenerlo il più fermo possibile nel ventre materno. E fu proprio mentre stava mangiando che udimmo un rumore sordo. La donna urlò di dolore: il bambino le aveva rotto una costola. Il rumore della frattura si era distinto chiaramente. E mi fece dannatamente pietà. Quella povera donna stava patendo le pene dell’inferno per quella creatura che invece la stava letteralmente distruggendo. Fu allora che compresi le motivazioni per cui volevano uccidere il bambino.
Kate mi trascinò fuori dalla casa. E mi parlò nella nostra lingua per evitare che capissero:“Quel bambino è figlio di un vampiro, lo capisci?”. Feci cenno di sì con la testa. “E allora dobbiamo andarcene, e subito. Non possiamo fare niente per lei!” continuò incollerita.
Anch’io ero in preda alla rabbia, ma per il motivo diametralmente opposto: non volevo che quella donna si sacrificasse per dare la vita al figlio di un vampiro e volevo salvarla ad ogni costo. Lo comunicai a Kate e senza aspettare che ribattesse, tornai in casa”.
“Un momento” la interruppe Carlisle. “Ma noi vampiri non possiamo avere figli… Il nostro sviluppo si blocca nel momento stesso in cui subiamo la trasformazione e ciò vale sia per le donne che per gli uomini”.
“Come lo spieghi, allora? Un bambino che beve sangue, cresce in maniera abnorme nel ventre di sua madre e un padre con la pelle bianca come la porcellana?” domandò Tanya.
“Deve esserci un’altra spiegazione… Per forza!” sentenziò dubbioso.
“Aspetta. Facciamola proseguire…” intervenne Esme.
“Rimanemmo nel villaggio per due settimane. Ero convinta che il bambino sarebbe venuto alla luce prima dei canonici quattro mesi restanti. Non la abbandonavo un attimo, tranne che per andare a caccia. Ogni tanto sentivo rumori strani e pensavo che le stesse rompendo altre ossa o comunque procurando dei danni irreversibili. Più il tempo passava, più si radicava la convinzione che non saremmo riuscite a salvarla. Le sue condizioni peggioravano di giorno in giorno. Trascorsa la nostra prima settimana di permanenza, cominciò ad avere la febbre alta e il delirio. Parlava solo di suo figlio e del padre. Io sinceramente non capivo lo spirito di sacrificio di quella donna, che era conscia del fatto che sarebbe morta ma tentava di resistere ugualmente, solo perché suo figlio vivesse. Una sera, mentre eravamo sole, mi fece promettere che io lo avrei protetto dagli altri abitanti del villaggio e che, se fosse stato necessario, lo avrei portato via. Ovviamente non le dissi quali erano le mie reali intenzioni, per non turbarla ulteriormente, e glielo promisi.
Passò un’altra settimana durante la quale il febbrone non accennò a scendere: eravamo giunti alla fine. Durante una notte, sentimmo un altro rumore agghiacciante, seguito da un urlo devastante della donna. Quando la raggiunsi, vidi la sua pancia completamente deformata e capii cosa era accaduto: il feto aveva rotto le ossa del bacino. Decisi che era ora di tirare fuori quell’abominio, altrimenti non saremmo riuscite a salvarla in ogni modo. Ma sembrava che la creatura avesse preso la mia stessa decisione. E prima che riuscissimo a trovare qualcosa per tentare un cesareo frettoloso, il bambino ruppe a morsi l’addome e uscì da lì…”.
Tanya interruppe il racconto, sopraffatta dall’emozione, come se fosse accaduto ieri. Io che mi stavo immaginando la scena, mi sentii quasi male, all’idea di quello che Tanya aveva visto e soprattutto al dolore di quella povera donna. E non capivo, non capivo perché non avesse abortito invece di portare avanti una gravidanza che sapeva l’avrebbe uccisa.
“Non avevo mai visto tanto sangue. E per la prima volta in vita mia, non provai sete, ma profondo ribrezzo…” disse Tanya, visibilmente provata.
“Cosa successe dopo?” domandò Esme, altrettanto sconvolta.
“Kate alzò da terra la creatura e me la diede tra le braccia. Era una bambina. Mentre lei tentava con l’ostetrica di ricucire la lacerazione, cercando vanamente di salvare la madre. La bambina mi morse, quando la tenni in braccio, ma, non trovò sangue, come sperava. Aveva fame e lo intuivo chiaramente. Uscii di corsa dalla camera della minuscola casetta ed entrai in un’altra, mentre tutto il villaggio o quasi si affollava all’esterno. Avevo un compito da portare a termine: dovevo uccidere quell’essere e farlo in fretta. Mi sarebbe bastato rompere l’osso del collo. Ce l’avrei fatta senza problemi. Se la donna, per qualche volontà divina, fosse sopravvissuta, le avrei detto che la bambina era morta durante il parto. Ero decisa. Avevo una rabbia in corpo che non riesco nemmeno a descrivere. La volevo morta a tutti i costi. Ma commisi un altro errore. Un errore tremendo…” e tacque, stringendo le dita sulle labbra.
“Quale?” domandò ansiosa Rosalie.
“Ero curiosa di vederla e così la guardai negli occhi”disse. Poi alzò il viso verso noi tutti e continuò:“Era bellissima. Aveva la pelle dorata e i capelli neri come l’ebano. Ma ciò che mi colpì furono gli occhi: verde smeraldo. Semplicemente meravigliosi. Ne rimasi abbagliata e fu finita… Me ne innamorai al primo istante. Capii che non avrei mai potuto ucciderla. Mai e poi mai. E fu allora che compresi il desiderio di sua madre. Perché fosse morta per quella bambina”.
“Cosa intendi dire?” chiese Rose.
“Compresi il legame indissolubile che le aveva unite perché io stessa ne ero caduta vittima. Quella bambina mi ha conquistato subito. Fin da quando l’ho guardata, l’ho amata dal primo istante, come se fosse stata mia figlia. Aveva un viso così angelico, Rose… Avresti dovuto vederla. Stupenda. Giurai a me stessa che l’avrei difesa da tutto e da tutti, a costo della vita, come se fossi stata io la madre. E sai qual è stata la cosa altrettanto buffa? Che lei sembrò capire i miei sentimenti. Mi sorrise e si accoccolò tra le mie braccia. Quando Kate tornò, dicendomi che la madre era spirata e chiedendomi se avevo ucciso la piccola, le comunicai la mia decisione. Lei replicò che dovevo essere impazzita e che comunque stavo violando le regole, in quanto neonati vampiri non potevano esistere, grazie alla legge dei Volturi. Ma io non cambiai idea. La bambina sarebbe venuta via con noi. Non potevo lasciarla nel villaggio dove sicuramente l’avrebbero uccisa. E così, una volta convinta anche Kate, consce che stavamo facendo una pazzia, scappammo da una finestra, veloci come il vento. E tornammo a Chicago…”.
Tacque. Ci guardò tutti, aspettando un commento da parte nostra.
“E’ lei la persona che hai portato con te?” chiese Esme.
Tanya fece cenno di sì con la testa.
“Perché non mi hai mai detto niente in tutto questo tempo?” sussurrò Rose amareggiata.
“Cerca di capire. Abbiamo violato le regole per salvare la bambina” rispose, prendendole la mano. “Se te l’avessi detto, Edward l’avrebbe scoperto subito e io non volevo assolutamente mettervi in una brutta situazione. L’unico nostro problema era Alice. Avevamo paura che lei avesse previsto tutto”.
“Non ho visto niente. Anche adesso continuo a non vederla” affermò Alice, nervosamente. “E non riesco a capire perché…”.
Calò di nuovo il silenzio. Nessuno sapeva rispondere alla domanda di Alice. A questo non c’era spiegazione.
“Come si chiama?” domandai.
“Desirèe” disse, sorridendomi amorevolmente.
“Come mai hai deciso di portarla qui, proprio adesso?” domandò Edward.
“C’è un problema e volevo parlarne con Carlisle…”.
Il capostipite dei Cullen aggrottò la fronte.
“La bambina è un mezzo vampiro, per metà umana e per metà vampira. E come tale ha un cuore che batte, respira anche se può restare in apnea molto più a lungo del normale, ha sangue nelle vene, può ferirsi, mangia cibo umano, ma può anche cibarsi solo di sangue. Il problema è la crescita…”.
“Non cresce, ovviamente. E’ rimasta neonata” concluse Emmett.
Tanya scosse la testa. “Tutt’altro. Sta crescendo, ma troppo velocemente…” e si voltò verso Carlisle.
La guardai meravigliata poi mi girai anch’io verso il capofamiglia. I suoi occhi luccicavano di curiosità: la sua anima da studioso si stava risvegliando. E in questo caso non poteva essere altrimenti: un vampiro che riusciva a procreare, una bambina mezza vampira e mezza umana, che mangiava, respirava e, per giunta, cresceva. Una situazione troppo ghiotta per non destare interesse.
“Spiegati meglio” la invitò.
“Sta seguendo il processo che ha avuto nel ventre materno. Per intenderci: adesso anagraficamente ha 6 anni, mentre fisicamente, direi che ne dimostra, anno più anno meno, una quindicina”.
La bocca di Carlisle si spalancò per lo stupore. E tutti noi rimanemmo a dir poco sconvolti.
“La cosa ti preoccupa?” le domandò.
Tanya fece cenno di sì con la testa. “Il fatto è che ho paura che la sua vita sia troppo breve. Temo che segua un processo diverso da quello degli umani. Magari potrebbe morire a 30 anni per uno sviluppo troppo veloce del suo corpo” disse tristemente, torturando nervosamente le sue mani e fissando il vuoto avanti a lei.
“Tu non pensi che sia immortale come noi”.
Alzò le spalle. “Non lo so. Il fatto è che non ho esperienze di mezzi vampiri o cose del genere. Non ne ho idea. L’unica cosa che mi fa sperare è che sembra che il suo processo di invecchiamento si sia arrestato ultimamente, o comunque rallentato”.
“Cosa te lo fa credere?”.
“Fino a pochi mesi fa i suoi mutamenti avvenivano quasi tutti i giorni e si potevano notare chiaramente. Invece è da qualche mese che è sempre uguale… Non so cosa pensare. Per questo mi sono decisa a parlartene. So che tu sai tante cose e magari puoi aiutarmi…”.
Carlisle si alzò e cominciò a camminare avanti e indietro per la camera, a braccia incrociate. “Se devo essere sincero anch’io non ero a conoscenza di queste eventualità. Vampiri in grado di fare figli sono una novità completa anche per me e quindi, di conseguenza, non so nulla nemmeno sulla loro prole. Però… Ecco, dovrei vederla per tentare una diagnosi” disse.
“Certo. Se vuoi, la vado a prendere e te la porto…” si illuminò, fiduciosa che il sapiente dottor Cullen potesse trovare una spiegazione ai suoi dubbi.
“Beh sì, sarebbe meglio…”.
“Dove l’hai lasciata?” domandò Esme.
“In albergo, a Forks”.
“Ok, allora ti aspetto” disse Carlisle.
Tanya guardò l’orologio e solo allora si accorse che erano quasi le 20. “Ormai è un po’ tardi. Sapete, lei dorme, come gli umani. Se non è un problema, la porto domani mattina di buon ora, così dopo ce ne andiamo subito per evitare incontri spiacevoli con i Volturi…”.
Carlisle acconsentì. Tanya si alzò dal divano, sorridente. Sembrava essersi tolta un peso dallo stomaco e potevo capirla perfettamente. Salutò tutti quanti, ringraziandoci. Abbracciò a lungo Rosalie e uscì.
Io volsi subito lo sguardo verso Carlisle. Era emozionato, sorrideva estasiato, con lo sguardo fisso sulla porta appena chiusa. Il risultato di tanti suoi studi si sarebbe materializzato il giorno seguente in quella casa. Non ci credeva nemmeno lui. Rosalie era altrettanto emozionata, ma per motivi diametralmente opposti. La sua migliore amica aveva realizzato il suo sogno: avere una figlia, anche se non biologicamente sua. Ma era come se lo fosse, visto che l’aveva cresciuta lei. Aveva gli occhi lucidi. Non capivo se fosse felice per Tanya oppure se ne fosse invidiosa. Gli altri erano piacevolmente sconvolti dalla rivelazione. Tutti, tranne il mio Edward. Era serio, con un’espressione che sembrava non tradire alcuna emozione. Tuttavia mi sembrava irrequieto. E non tardò a manifestare il suo disappunto.
“Che ti prende?” gli domandò Alice.
“Forse non vi rendete conto di quello che ci ha appena raccontato Tanya” cominciò.
“Cosa intendi dire?” gli chiese Rosalie.
Edward si alzò, guardandoci severamente uno ad uno. “Tanya, salvando quella bambina, ha violato le leggi dei Volturi che proibiscono la creazione di vampiri neonati e ora la pagherà, e anche cara”.
“Desirèe non è più una neonata, è cresciuta. Non è un pericolo” contestò Esme.
“Ma a loro non importa niente di questo. Ha violato le regole anni fa e ora la puniranno. Come puniranno Desirèe. Il solo fatto che viva ed esista è un peccato mortale per loro. Per di più, la sua esistenza contraddice tutte le leggi naturali dei vampiri e loro non amano quello che va contro ciò che affermano. La uccideranno, come uccideranno tutti coloro che l’hanno protetta…”.
Carlisle sembrò pensieroso all’affermazione di Edward, che era parsa molto brutale, ma purtroppo realistica. “Credo che tu abbia ragione. Quella ragazza e Tanya stessa sono in pericolo…” pronunciò alla fine.
“Un momento!” intervenne Esme, rivolta a Edward e suo marito. “Quindi voi credete che la venuta dei Volturi sia legata alla mezza vampira?”.
Il loro silenzio fece intuire la verità.
“Aspettate!” esclamò Rose. “Come fate a dire questo? Non ci sono prove. Alice non riesce a vedere la motivazione per cui stanno arrivando… Non è così?” e si voltò in direzione dell’amata sorella.
Alice confermò ancora una volta la mancanza di visioni.
“Questo non è un buon segnale” disse Jasper, uscendo finalmente dal suo prolungato silenzio e calamitando l’attenzione di tutti. “Alice non riesce a vedere neanche Desirèe. E quindi può essere tranquillamente che non veda il motivo del viaggio dei Volturi perché in relazione a lei. Il fatto è che, facendo paragoni, Alice non riesce a vedere i licantropi non in quanto licantropi ma perché non sono creature complete come noi vampiri o gli esseri umani. Sono a cavallo di due mondi, per metà umani e per metà lupi. Esattamente come Desirèe: metà umana e metà vampiro. Per questo Alice non riesce a vederla ed è per questo che i Volturi vorranno ucciderla…”.
Carlisle confermò il pensiero di Jasper. “Direi che la tua è un’ottima teoria a cui non avevo pensato. E temo che sia quella più reale…”.
“Se anche fosse vero, noi cosa dovremmo fare?” domandò Esme preoccupata.
“Dobbiamo tagliare fuori Tanya e Desirèe dalla nostra vita. E quando Jane arriverà qui, negare di aver mai saputo della sua esistenza, che poi è la verità…” disse Edward serio.
“Ma ti rendi conto di quello che stai dicendo?” si infuriò Rosalie. “Stai dicendo che dovremmo lasciare Tanya in loro balia? Fregarcene di quello che le faranno?”.
“Se non lo facciamo, loro ci ammazzeranno tutti quanti…”.
“Edward! Non ti riconosco più! Stiamo parlando di un membro della nostra famiglia, non del primo che passa…” constatò amaramente.
“Rose ha ragione: non possiamo lasciarle da sole a fronteggiare i Volturi. Io credo che dovremmo aiutarle a fuggire” si intromise Esme.
Rosalie le sorrise non sentendosi più sola. Ma trovò un muro di fronte a lei. Sembrava che tutti quanti, tranne loro due, fossero della stessa opinione di Edward.
“Forse voi siete talmente prese dalla gioia della maternità di Tanya che non vi rendete conto del casino che ha combinato e dal quale dobbiamo assolutamente tenerci fuori. E quanto a te Esme, la tua idea fa acqua da tutte le parti. Secondo te, se sono venuti a conoscenza dell’esistenza di Desirèe, non capiranno chi le sta aiutando a fuggire? Nessuno sfugge ai Volturi. E quando lo capiranno, tutta quanta la nostra famiglia sarà condannata a morte. Forse ci converrebbe consegnargliele direttamente…” disse Emmett.
“Non esageriamo…” esclamò Carlisle. “Ci basterà negare la sua esistenza e fare finta di nulla. D’altra parte, mi sembra che Tanya per prima non voglia coinvolgerci, quindi non si offenderà se non l’aiuteremo”.
Gli occhi dorati di Rosalie si scurirono per la collera. Poi, a denti stretti, disse:“Voi volete lasciarla morire…”.
“Non è detto” balbettò Alice. “Se lei lasciasse Desirèe ai Volturi, forse avrebbe salva la vita”.
“Secondo te, abbandonerà sua figlia a quei sanguinari?! Piuttosto si farà ammazzare lei stessa! Non avete visto come le brillavano gli occhi quando parlava di Desirèe?”.
“Sì, ma qui in gioco è la vita, Rose” esclamò Emmett.
“Mi fai schifo, Emmett! E anche tu, Edward! Tutti quanti… Siete degli egoisti. Pensate solo alla vostra salvezza e non al miracolo a cui abbiamo il privilegio di assistere. Siete davvero degli esseri terribili…” urlò trapassandoci con lo sguardo uno ad uno. Esme le toccò un braccio per calmarla, ma Rose si girò di scatto e corse al piano di sopra.
“Credo che stavolta abbiamo esagerato…” constatò tristemente Emmett.
“Forse è meglio che vada su a parlarle” suggerì Esme.
“Lascia perdere. Sarebbe inutile. E’ arrabbiata con tutti noi…” disse Edward.
“Comunque, voi donne non capite la situazione…” iniziò Jasper. “Siete così felici della maternità realizzata di Tanya che non capite l’enorme cazzata che ha fatto. Ha violato le leggi platealmente. Proprio lei, la cui madre ha distrutto la sua esistenza per dare la vita a un neonato immortale. Lei che aveva giurato che mai avrebbe fatto lo stesso sbaglio. Sono esterrefatto…”.
“Bisogna trovarsi nella situazione. Non si possono giudicare così gli altri…” disse Esme, che condivideva a pieno le motivazioni di Tanya, anche se non aveva preso una posizione decisa come Rosalie.
“Sentite, condivisibili o meno, Tanya ha sbagliato e adesso rischiamo di pagarla cara tutti quanti” sentenziò Edward con un tono molto duro. “Carlisle, che posizione hai deciso di prendere? Domani mattina quando Tanya verrà qui con Desirèe dovremo essere chiari in merito”.
Carlisle sembrò pensieroso, ma sapevo che condivideva l’opinione di Edward: generalmente loro due erano sempre sulla stessa lunghezza d’onda. Forse perché lui era stato direttamente trasformato da Carlisle (anche se lo stesso non si poteva dire di Rosalie, che era stata trasformata anche lei dal capofamiglia Cullen), o forse semplicemente perché avevano un carattere simile.
“Penso che tu abbia ragione. Dobbiamo cercare di restarne fuori il più possibile…Domani visiterò Desirèe, poi parlerò molto francamente a Tanya” decise Carlisle.
“E con Rosalie?” domandò Alice.
“Si rassegnerà e alla fine capirà”.
Con la sentenza emessa dal dottore pareva che tutti si fossero calmati. Come se quello che avesse deciso fosse legge per tutti, la legge dei Cullen. Generalmente seguivano tutti le decisioni di Carlisle: lui era la saggezza personificata e quello che diceva aveva sempre un senso e una ragione.
Quasi contemporaneamente Edward si voltò verso di me:“Bella, amore, è tardi. Credo che sia meglio che torni a casa…”.
“Veramente pensavo di restare qui stanotte, come ieri…” protestai.
“Io invece credo che sia meglio che torni a casa”.
“Perché?”.
“Questa è una brutta situazione e come dobbiamo restarne fuori noi, così devi fare anche tu”.
Rimasi interdetta. Non capivo dove voleva arrivare.
“Ma stasera Tanya non sarà qui…” contestai.
“Già ma domani di prima mattina sì. E non voglio che tu veda Desirèe, né tantomeno che parli con lei. La tua situazione è già precaria con i Volturi e se ci aggiungiamo anche questa non voglio che decidano di punirti in qualche maniera”.
“Ma tu Desirèe la vedrai… Perché non posso farlo anch’io?” sbuffai.
“Io non sono nelle mire dei Volturi, come invece è per te, perché non sei ancora stata trasformata in vampiro! Ti prego, Bella, per una volta ascoltami. Stai fuori da questa storia. Vorrei essere tranquillo di saperti al sicuro…” mi implorò.
“Credo che Edward abbia ragione. E’ meglio se tu non entri in questa faccenda” disse Carlisle con sguardo bonario.
Anche su di me il parere di Carlisle aveva un peso. Quando parlava lui, mi sentivo di obbedire, anche se di fatto non ero ancora una Cullen.
“E va bene” sospirai. “Però appena se ne vanno da casa vostra, mi avvertite. Ok?”.
Edward mi sorrise sereno. A quel punto salutai tutti e, accompagnata dal mio fidanzato, mi diressi al mio pick-up nel parcheggio di casa.
Arrivammo alla mia autovettura completamente in silenzio. Edward sembrava sulle spine e bisognoso di parlarmi ma pareva teso. Stavo per aprire lo sportello, quando trovò coraggio:“Credi che sia stato troppo duro?”.
“Con chi?”.
“Con Rosalie e di conseguenza con Tanya domani mattina…”.
La loro conversazione era stata così febbrile che non avevo avuto tempo né modo di pormi domande sulla situazione in particolare. Solo negli ultimi minuti avevo cominciato a focalizzare il problema ed effettivamente Edward era stato fin troppo deciso, forse quasi brutale. Sia nel tono, sia nei modi. Ma comprendevo perfettamente la motivazione che l’aveva spinto a farlo e forse il fatto che sua sorella non mi stesse particolarmente simpatica mi faceva difendere ulteriormente il mio futuro marito.
“No” dissi. “Però immagino ciò che ha spinto Tanya a fare ciò che ha fatto. Anche se non lo comprendo. Sarà che io non ho nessuna ansia materna…” alzai le spalle.
“Quello che mi fa imbestialire è che Tanya ha sempre dimostrato una fedeltà quasi ossessiva alle leggi dei Volturi e poi, proprio lei, le viola. Da non crederci…” disse leggermente infervorato, passeggiando avanti e indietro. Non l’avevo mai visto alterato, tranne che per Jacob. Solo lui era riuscito finora a farlo imbestialire. Ma qui la situazione era completamente diversa. C’era la sua famiglia di mezzo. “E poi ci si mette anche Rosalie! Che ovviamente con le sue ansie materne vuole difendere Tanya!”.
“Pensi che Rose farà qualcosa?”.
Mi guardò torvo. “No, per il momento ha intenzione di seguire la volontà della famiglia. E spero che non le salti in mente di fare niente… Ci mancherebbe solo questo. Comunque, dirò a Emmett di cominciare a tenere d’occhio la sua mogliettina. Non ho nessuna intenzione di dover sorvegliare anche lei…” commentò seccato.
“Tanya è la sua migliore amica e sa perfettamente che lei non cederà mai Desirèe ai Volturi. Non vuole perderla. Credo che sia anche per questo che si oppone. Mi dispiace per lei…” dissi, quasi soprappensiero.
Ed Edward mi guardò stupito. Probabilmente non si aspettava tanta compassione e comprensione da parte mia nei confronti dell’odiata Rosalie, ma tutto questo mi aveva rattristato.
“Credi che dovremmo combattere contro i Volturi per difendere Tanya e Desirèe?” mi domandò.
“No!” gridai senza alcuna esitazione. Combattere contro di loro voleva dire suicidarsi e io non volevo perdere il mio angelo per niente al mondo. Neanche per compassione nei confronti di Tanya. Ero un’egoista, lo sapevo, ma non volevo perderlo, neanche per una giusta causa. Mai e poi mai. La vampira dei Denali sapeva a cosa andava incontro quando aveva salvato quella neonata e ora non poteva lamentarsi, anche se mi faceva pena.
“Beh, siamo d’accordo su questo…” mi sorrise.
Lo abbracciai stretto stretto. Mi diede un bacio troppo breve, come al solito, e tornai verso casa.





E con questo credo che sia chiaro a tutti quale sia il problema che dovranno affrontare i Cullen, anche se apparentemente hanno deciso di lavarsene le mani. In alcuni tratti so che ricorda Braking Dawn, ma da adesso in poi le strade saranno completamente diverse.
Buon proseguimento e fatemi sapere i vostri pareri o le vostre obiezioni.
Ciao ciao!!!

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Capitolo 11
*** In gita a First Beach ***


Quella notte Edward non venne da me.
Aveva voluto restare con Carlisle per fare ricerche sui vampiri e soprattutto sulla possibilità per essi di avere figli. Questa scoperta, abbastanza comprensibilmente, aveva sconvolto tutti. Si trattava di un’anomalia mai verificatasi nella storia o, perlomeno, di cui non si era mai saputo niente. Ed ero sicura che, mentre Carlisle la analizzava dal punto di vista prettamente scientifico, Edward volesse approfondirla per motivi puramente personali.
La luna di miele da umana poteva essere fonte di pericolo, se i vampiri fossero davvero stati in grado di procreare. Quando Tanya l’aveva raccontato, l’idea era apparsa per un attimo nella mia mente. E se era successo a me, certamente doveva aver toccato anche Edward, da sempre preoccupato di non arrecarmi, mai, per nessun motivo, alcun danno.
Un figlio da Edward. Ero così presa dal nostro amore che non mi ero mai posta il problema; e anche adesso continuava a non interessarmi particolarmente. Pensando a come Esme e, soprattutto, Rosalie detestavano la loro condizione, pensai che ero io a non essere normale. Mi bastava Edward e non avevo bisogno di altro. Però se la ricerca avesse portato da qualche parte, magari per Rosalie ci sarebbe potuta essere una possibilità. Anche se più ci pensavo e più mi convincevo che fosse quel vampiro a essere anomalo, altrimenti le coppie di casa Cullen avrebbero già partorito almeno una decina di figli a testa. A meno che condizione indispensabile fosse la presenza di un umano nella coppia.
E fu su questi pensieri che mi addormentai.
Il mio sonno fu insolitamente rilassato, senza una ragione apparente. O forse sì, però facevo finta di niente. Scavando nella mente mi resi conto che ancora una volta il mio egoismo aveva preso il sopravvento. Ero contenta di non essere io l’obbiettivo dei Volturi. E questo aveva fatto sì che i miei nervi si rilassassero. L’ennesima vigliaccata da parte mia.
Inoltre il mio ricongiungimento con Jacob faceva in modo che il sollievo fosse doppio: nemmeno i licantropi erano in pericolo.
Non avevamo prove certe di questa salvezza, però la teoria di Jasper era, secondo me, inconfutabile. E per giunta ricongiungeva tutti i punti oscuri con precisione millimetrica.
Però, stando così le cose, era coinvolta una ragazzina che non aveva fatto niente di male, tranne nascere diversa dalle altre. Se ci pensavo, non potevo che provare un’immensa pietà per lei. La sua sorte era già segnata: doveva morire. E senza neanche un processo per verificare se fosse davvero una minaccia per la società dei vampiri. Una tremenda ingiustizia. Ma “Volturi” per me era sinonimo di angheria.
Pensando a Tanya e Desirèe, dovevo ammettere che, per qualche minuto, avevo dato ragione a Rosalie: come si poteva abbandonarle al loro destino, condannandole di fatto a morte? Anche Edward e gli altri Cullen avevano avuto una certa dose di egoismo nel giungere a questa scelta. Si trattava sempre di loro parenti: acquisite certo, ma pur sempre parenti.
Ma aiutarle significava suicidarsi: i Volturi avrebbero ucciso chiunque si fosse schierato dalla parte dei fuorilegge. Senza alcuna pietà. E io non volevo che Edward si ficcasse nei pasticci. Per nessun motivo. Così, anche se il mio lato umano mi rimproverava che avremmo dovuto fare qualunque cosa pur di salvarle, il mio egoismo, dettato dall’amore smisurato nei confronti di Edward, faceva sì che non muovessi un dito per aiutarle. Anche Edward si era ben raccomandato di non fare nulla. Ma non mi conosceva abbastanza. O forse sì.
Invece mi chiedevo che cosa avrebbe fatto Rosalie. Nutriva un profondo affetto per Tanya, ma possedeva anche un profondo senso di appartenenza alla famiglia: non reputavo possibile che potesse ribellarsi a un ordine impartito da Carlisle in persona. Ma se lo avesse solo ipotizzato Edward l’avrebbe fermata ancora prima che il pensiero lambisse tutti i neuroni del suo cervello. Lei sicuramente sarebbe stata quella che avrebbe patito di più le conseguenze: volere bene a una persona e non poterla aiutare. E per di più Tanya aveva realizzato il desiderio che Rosalie da decenni covava nel profondo. Un’ironia della sorte. Questa situazione avrebbe certamente travolto il suo difficile equilibrio. Ultimamente era diventata davvero insopportabile per tutti, non solo per me. Mi chiedevo se avrebbe nutrito rancore perenne nei confronti della sua famiglia per essere stata costretta ad abbandonare Tanya e Desirèe. Non la conoscevo abbastanza per dare una risposta.
Quando mi svegliai la mattina il cielo era completamente coperto, come al solito, e mio padre era già andato al lavoro. Lui sì che era stato davvero felice della notizia, ignorando ovviamente la verità. Quando mi aveva accolto al mio rientro a casa la sera precedente, aveva cercato di nascondere la sua soddisfazione. Con scarso successo. La sua bambina sarebbe rimasta ancora a casa e nubile. Almeno fino alla durata della bronchite dello sposo. E nel suo cuore forse sperava che si trasformasse in polmonite, in modo tale da rinviare di un bel po’ la cerimonia.
Erano le nove suonate ed ero già pronta. Mi misi a riassettare la casa in attesa della telefonata di Edward per il “via libera”. Le pulizie però finirono in fretta e mi ritrovai senza nulla da fare. Mi sedetti in poltrona e accesi la tv. Buttai un’occhiata veloce all’orologio attaccato alla parete. Le dieci e mezzo. Ma cosa diavolo le stavano facendo?! Forse vivisezionando?
Sbuffai. Magari avevano finito da un pezzo, Carlisle si era messo a fare le sue ricerche ed Edward lo stava aiutando. La mia ipotesi poteva essere reale, e mi fece imbestialire. Accidenti, avevo già dovuto rinunciare alla mia notte con lui, e ora mi toccava anche perdere minuti preziosi in ricerche che non avrebbero condotto a niente! Potevano continuarle dopo la luna di miele, se ci tenevano tanto. Decisi che non avrei sopportato oltre. Ero stata fin troppo paziente.
Corsi in camera e mi infilai le scarpe. Uscii di casa e partii con il pick up per raggiungere la villa dei Cullen. Edward, vedendomi senza preavviso, si sarebbe alterato certamente, ma sapevo come riportarlo alla ragione. E non poteva farmene una colpa: avevo bisogno di lui e non poteva pretendere di tenermi distante per così tanto tempo. E se Desirèe fosse stata ancora lì? Vabbè, l’avrei vista. Che male c’era? Io ero un’umana e non dovevo sottostare alle regole dei Volturi. Potevo ancora fare quello che mi pareva. Anche se la mia condizione, in verità, era molto equivoca: non ero una vampira, però potevo essere uccisa ugualmente, secondo le loro assurde leggi. Ma l’esistenza di Desirèe non c’entrava affatto con me: era un problema loro, io non potevo fare assolutamente nulla.
Mi persuasi di tutto questo nel tragitto. Ero molto brava quando si trattava di convincermi di una cosa gravemente sbagliata. Eppure era più forte di me: avevo bisogno di lui e basta. E d’altra parte, se correva un pericolo, era giusto che lo corressi anch’io. Dovevamo condividere tutto, rischi compresi.
Quando arrivai e salii la scalinata per raggiungere l’entrata, il portone mi fu aperto da Emmett. Né Edward, né Alice. Davvero insolito.
“Ehi, ciao Bella, come va stamane?” mi salutò con un sorrisone. Emmett era un allegrone. L’unico nella famiglia che non negasse mai una risata a nessuno e, a differenza della sua quasi odiosa consorte, era una fonte inesauribile di battute. Volevo bene anche a lui, come a tutta la famiglia. Però a differenza degli altri, lo tenevo sempre un po’ distante, perché non sapevo come la sua mogliettina avrebbe preso la mia vicinanza. Ma ero consapevole che stavo perdendo qualcosa a stargli lontana.
“Tutto bene” dissi, entrando nella loro dimora. “E qui come va? Tanya e Desirèe sono andate via?”.
“Oh sì, da un’oretta buona ormai”.
Ecco, come sospettavo! Edward non mi aveva chiamato. Sicuramente era impegnato con Carlisle in assurde ricerche che avrebbe potuto fare tranquillamente dopo. Ma adesso mi avrebbe sentito!
“Edward?” domandai.
“Oh beh… E’ impegnato in una… come dire… discussione. Ma penso che appena ti vedrà si libererà subito…” disse un po’ imbarazzato.
Emmett mi guidò in salotto, dicendo:“E’ arrivata Bella…”. Come per avvisare che la discussione doveva aver fine, almeno secondo lui.
Quando mi affacciai nella grande sala mi trovai davanti a una situazione insolita, che non avevo preso in considerazione nelle mie meditazioni. In mezzo alla camera erano in piedi, faccia a faccia, Edward ed Alice. Dietro a lei, c’era Rosalie, col viso abbassato e malinconico. Il mio fidanzato, vedendomi, si voltò verso di me e, col suo adorabile sorriso sghembo, mi disse:“Ciao amore mio! Adesso arrivo! Ho quasi finito”. Feci cenno di sì con la testa e rimasi in attesa di capire quale fosse il problema tra Alice ed Edward. Da quando li conoscevo non li avevo mai visti litigare.
“Allora il discorso è chiuso! Non voglio più sentire queste stupidaggini. Siamo intesi?” esclamò serio Edward.
“Non capisci niente! E poi non puoi importi sempre. Non sei tu il capofamiglia!” protestò vivacemente Alice.
“Alice, lascia stare” bisbigliò Rose, mettendole una mano sul braccio.
“No, non lascio stare. E’ una questione di principio. Tu pensi di avere sempre ragione, ma non è così…” sbottò Alice diretta verso suo fratello.
“Non l’ho detto solo io ma anche Carlisle. E mi sembra che sia stato molto chiaro in proposito. O sbaglio?”.
“Sì, certo. Ma voi maschi non capite. Rose è in crisi e quindi potremmo lasciar correre per questa volta…”.
Gli occhi di Edward fiammeggiarono per la rabbia e lo vidi chiaramente digrignare i denti. Si allontanò un poco dalle sue sorelle, probabilmente per evitare gesti sconsiderati contro di loro. Poi, alzando lievemente la voce, continuò:“Ora basta, Alice! Sono stanco di questa storia! La povera Rosalie è in crisi, quindi tutti noi dobbiamo stare prostrati ai suoi piedi per cercare di aiutarla. Non ne posso davvero più. E poi tu perdi tempo a difenderla. Ma non capisci che ti sta usando per i suoi scopi? Vuole suscitare pietà in noi per fare quello che vuole. Beh, con me questo suo giochetto non funziona!”.
“Questo non è assolutamente vero! E non mi sembra che tu in questi anni l’abbia mai sostenuta molto…”.
“Forse non vi rendete conto di quello che succederebbe se ci scoprissero… E tutto per accontentare la piccola e trascurata Rosalie! Se voi due vi siete bevute il cervello, non mi interessa, ma il mio e quello di Carlisle funzionano perfettamente!”.
Cominciai a capire quale fosse il problema e non mi piaceva affatto. Quello che avevo ipotizzato stanotte si stava avverando: Rosalie voleva che la famiglia si schierasse con Tanya. Non avevo idea di cosa avesse chiesto di fare, ma il fatto che Alice fosse dalla sua parte mi faceva tremare. Di qualunque cosa si fosse trattato, io non volevo assolutamente che aiutassero le due fuorilegge. Sarebbe stata una pazzia e, per fortuna, Edward appariva fermo sulla sua posizione.
“Ma non succederebbe niente…” si intromise Rose nella discussione.
“Ma a te chi lo dice? Alice non può prevedere il futuro, in questo caso. Siamo ciechi come talpe. E saremmo in torto, senza alcuna possibilità di difenderci”.
Li guardavo e il fervore con cui Alice difendeva Rose mi stupì. Le voleva davvero bene per aiutarla in questa enorme e colossale stupidaggine. Era davvero adorabile e in quel momento sperai che, anch’io una volta diventata una Cullen, sarei stata difesa da lei in quel modo.
“Ma forse, se ci scoprissero, potrebbero chiudere un occhio…” disse Alice, lanciandomi un’occhiata rapida.
Che cosa c’entravo io?
“Ah no!!! Non provare nemmeno a tirare dentro Bella in questa situazione… Lei ne è fuori e resterà fuori!” si adirò Edward ancora di più, se possibile.
Alice sembrò aver concluso le argomentazioni e voler ultimare la conversazione che non stava portando da nessuna parte. E a quel punto tornò in campo Rosalie:“Tu sei un egoista. Pensi solo alla tua felicità con Bella e non ti interessa se io sto male. D’altra parte mi hai sempre odiata fin da quando sono entrata in questa famiglia. I miei bisogni sono sempre stati gli ultimi qua dentro. Per una volta potresti aiutarmi…”.
Edward si avvicinò minaccioso a lei: per un secondo pensai che l’avrebbe picchiata. “Egoista a me?! Tu sei un egoista! Per accontentare il tuo piccolo capriccio, rischiamo una guerra con il branco. Non ti importa di mettere in pericolo la tua famiglia… L’importante è accontentare te! Oggi è la spiaggia, domani cosa sarà? Non ti basta il problema con i Volturi? No, adesso bisogna crearne degli altri anche con i licantropi!”.
Spiaggia? Licantropi? Ma di cosa stavano parlando? Non si trattava di Tanya e Desirèe. Ma non capivo quale fosse il problema.
Emmett si avvicinò e, sussurrandomi all’orecchio, chiarì:“Rosalie stamattina si è messa in testa che vuole vedere l’oceano. E come ben sai l’unica spiaggia nelle vicinanze è quella di La Push”. Finalmente capii il motivo del litigio. Rosalie voleva andare là a tutti i costi, ma ovviamente il resto della famiglia aveva negato il consenso. E non poteva essere altrimenti: il territorio di La Push era vietato ai Cullen. Se l’avessero scoperta, avrebbe significato guerra. E non ne valeva proprio la pena.
“Ma forse non mi scoprirebbero. Ci starò poco…” balbettò. Poi si voltò verso di me:“Ci vanno spesso alla spiaggia?” domandò senza specificare nulla, sicura che ormai avessi capito la situazione.
“Tutti i giorni” risposi amaramente.
“Ecco, vedi!” esclamò Edward trionfante. “Adesso basta. Il discorso è chiuso. Non ci vai e punto”.
Nonostante la mia antipatia per Rosalie, non potei non provare compassione. Quel giorno la vedevo davvero triste e depressa. Mi sarebbe piaciuto fare qualcosa per aiutarla. Ma il patto con i Quileute era chiaro e violarlo avrebbe portato a combattimenti sanguinari con il branco, che spesso mi aveva dato l’impressione di non aspettare altro che una violazione banale per attaccare briga con i Cullen. Neanche la mia amicizia con Jacob li avrebbe fermati. A meno che…
Mi venne un’idea.
“Posso usare il vostro telefono?” domandai a Emmett, che era a fianco a me a godersi lo spettacolo come se fosse davanti alla televisione. Mi fece cenno di sì con la testa, con aria incuriosita.
Mi diressi all’apparecchio che era ubicato in un vano subito dietro la parete del salotto e composi velocemente il numero di telefono.
Mi rispose uno Jacob affannato. Sì, lui era l’unico che poteva tirarci fuori dai pasticci.
“Ciao sono Bella” mi presentai.
“Oh, Bells! Ciao…”.
“Che stai facendo? Sembra che tu abbia appena fatto la maratona…” ridacchiai.
“Quasi… Sto cercando di sfuggire a Rachel che vuole farmi mettere in ordine la camera. Dice che è un porcile…”.
“Conoscendoti, sarà sicuramente così…”.
“Che fai? Ti coalizzi con lei? Comunque, l’ultima volta che sei venuta non era sporca, giusto?”.
L’ultima volta… L’ultima volta che ero stata nella sua camera era stata quando i Neonati di Victoria l’avevano ferito e giaceva immobile in quel letto. Al ricordo mi sentii tremare le gambe. Preferii non pensarci.
Nel frattempo Emmett si era appoggiato al muro divisorio del vano e sembrava molto attento a non perdersi neanche un secondo della mia conversazione.
“Senti, Jake, ti chiamo perché avrei bisogno di un piacere enorme. Mi potresti aiutare?” cominciai con tono suadente. Dovevo lavorarmelo un po’ per arrivare allo scopo e dovevo iniziare dal principio.
“Uh… Quando mi parli con questo tono, il favore è davvero molto grosso…” disse sospettoso. “Sù, sputa il rospo, Bella. Cosa vuoi?”.
“Come tu ben sai, la spiaggia di La Push è l’unica della zona nell’arco di chilometri e, come sai altrettanto bene, è una delle più belle della zona occidentale degli Stati Uniti…”.
“Certo. E’ persino zona protetta…” confermò, non abbandonando il tono sospettoso.
“Quindi puoi trovare comprensibile che le persone vogliano venire a vederla, no?”.
Rimase in silenzio. Infine disse:“Bella, taglia corto. Qual è il problema?”.
“Beh, una delle Cullen vorrebbe venire a vedere la spiaggia e mi sono chiesta se si potesse fare uno strappo alla regola…”.
Intanto accanto a Emmett si erano radunati altri spettatori: Edward, Rosalie ed Alice, tutti in ascolto.
Dall’altro capo del filo sembrava fosse caduta la linea perché regnava il silenzio tombale. Poi un improvviso grido:“Bella, ti sei bevuta il cervello, per caso? Ti rendi conto di quello che mi stai chiedendo? Vampiri qua? Non se ne parla!”.
“O suvvia, solo per questa volta… Non succederà più. Verrò anch’io con lei. La controllerò e vedrai che andrà tutto bene” lo implorai.
“Oh, sicuramente tu sarai in grado di controllarla, se si darà alla fuga! Come no?!” ironizzò. Poi tornando serio disse:“Un momento! Hai detto “lei”: lei chi? Non sarà mica la pazzoide bionda?”.
“No, ma che dici! Figurati! E’ Esme che vuole venire a vedere il mare…” dissi e pregai che per una volta nella vita il mio tono di voce fosse convincente.
“Senti, Bella, credo che tu non capisca. Se dico di sì questa volta, diventerà un’abitudine… E poi Sam, se lo venisse a scoprire, mi ucciderebbe. Anzi, che dico! Lo verrà sicuramente a scoprire e mi scorticherà!” ribadì, ma non sembrava più arrabbiato.
“Ma no. E’ solo per questa volta, te lo prometto. Non accadrà mai più. Ti prego Jake. Puoi dire a Sam che è stata un’idea mia”.
“Sono stati i Cullen a pregarti di chiamarmi?” domandò.
“Ma figurati! Sono là che discutono perché non vogliono che Esme venga a La Push. E’ stata tutta un’idea mia per cercare di risolvere la situazione…”.
Tacque per qualche secondo, poi, sospirando, disse:“E va bene, Bells. Ma a una condizione: vengo anch’io con voi e resterò nelle vicinanze a sorvegliarvi. Ok?”.
La soluzione non mi andava a genio perché così avrebbe scoperto che era Rosalie e non Esme a venire a La Push, però tutto sommato era accettabile.
“Va benissimo. Veniamo subito”.
“Ok. Così mi salvate anche dalla pulizia della camera. A fra poco” e riagganciò.
Non feci in tempo a deporre il ricevitore che Alice mi saltò addosso, abbracciandomi per la gioia: ovviamente col loro finissimo udito avevano sentito perfettamente la nostra conversazione anche senza che mettessi il vivavoce.
“Oh Bella, sei stata fantastica! Non credevo che avrebbe ceduto…” e cominciò a ridere. Poi si girò entusiasta verso la sorella:“Sei contenta, Rose?”.
Rosalie ci sorrise debolmente. Anche se non la conoscevo affatto, sapevo che era contenta, solo che adesso per lei si poneva il dilemma di dovermi ringraziare. Cosa impensabile! Ma io non mi sarei offesa: non l’avevo certo fatto per ricevere i suoi ringraziamenti.
“Piuttosto, hai detto che veniva Esme. Adesso come farai?” chiese Alice.
Alzai le spalle, sorridendo:“Ci penseremo quando saremo là…”.
“Ma si arrabbierà sicuramente…”.
“Ormai so come tenerlo a bada...” dissi, anche se io per prima non ne ero così certa. Poi mi voltai verso Rose:“Sei pronta? Possiamo andare?”.
“Vado a prepararmi. Dammi cinque minuti…” mi rispose, correndo in camera sua.
In mezzo a tutta quella gioia, c’era solo una persona, la cui espressione del viso stonava con la soddisfazione dell’ambiente. Edward. Mi stava guardando duramente. Sospettavo che mi avrebbe rimproverato alla prima occasione. E la prima occasione arrivò subito.
“Scendiamo al pick up” mi invitò. E io lo seguii docilmente come un cagnolino.
“Spero che tu ti renda conto del disastro che hai appena combinato!” iniziò, appena giunti nel parcheggio. “Anzi no. Sicuramente non te ne rendi conto, altrimenti non l’avresti fatto…”.
“Non ti capisco…”
Alzò gli occhi al cielo. “Oh Bella, tu sei buona e ingenua e pensi di aver compiuto un gesto generoso, ma invece hai soltanto dato il via a una tragedia”.
“Spiegati meglio. Le ho fatto un piacere, dovrebbe esserne contenta…” balbettai, non più sicura della mia scelta.
“Oh lo è, eccome! Ma il problema è che Rose è una bambina viziata e adesso che l’hai accontentata lo pretenderà un’altra volta e un’altra ancora fino a farla diventare la regola. Noi tutti, tranne Emmett ed Alice, abbiamo sempre cercato di dire di no a tutte le sue richieste balorde per questo motivo. Quando le dai un dito, si prende tutto il braccio… E adesso tu hai combinato un bel guaio!” disse amaramente.
“Ma no… Lo sa che è solo per questa volta, anche perché se volesse andarci ancora, dovrebbe chiederlo a me e, come vedi, piuttosto che ringraziarmi si taglierebbe la lingua. Figurati se troverà il coraggio di avanzarmi di nuovo questa richiesta!” dissi con esagerato sarcasmo.
“Non sottovalutarla, Bella! E non sottovalutare la sua cocciutaggine…”.
“E tu non sottovalutare la sua superbia… E poi appena Jacob vedrà che si tratta di Rosalie e non di Esme, non mi farà mai più un piacere, neanche se fossi in punto di morte!” dissi ridendo. Gli strappai una risata: era sicuramente l’argomentazione più convincente di tutte.
Di lì a pochi secondi comparve Rosalie sul portone in calzoncini corti e scarpe da tennis. Salutai Edward e saltammo sul mio pick up. Il tragitto fu estremamente silenzioso. Non sapevo cosa dirle per iniziare una specie di conversazione e lei d’altra parte non sembrava interessata a iniziarne una. Anzi, era completamente voltata verso il finestrino, mostrandomi le spalle. Decisi allora di non dire nulla. Anzi, forse era meglio se cominciavo a pensare come scusarmi con Jake, visto che mi avrebbe torto il collo. Dovevo pensare a qualche frase per ingraziarmelo. Sperai che decidesse di lasciarci stare in spiaggia ugualmente, altrimenti sarebbe stato tutto inutile.
“Grazie, Bella” pronunciò d’un tratto Rosalie, continuando a guardare il paesaggio. “Davvero. Te ne sono grata”.
A quel punto pensai che sarebbero arrivati i dischi volanti. Mai e poi mai avrei pensato di sentir pronunciare da Rosalie quelle parole, per di più indirizzate a me.
“Non c’è di che” minimizzai. Dire che fossi stupita, era poco: letteralmente a bocca aperta. E così restai fino al nostro arrivo.
Quando scendemmo dalla macchina, Jacob non era ancora arrivato. Rosalie si avvicinò al muretto che delimitava la spiaggia e, contemplando l’oceano, ne restò incantata. Era un peccato che la giornata fosse ancora più nuvolosa del solito, altrimenti i colori sarebbero stati più vivaci. L’oceano era calmo e l’acqua accarezzava dolcemente la riva. I due faraglioni che si ergevano a pochi metri dalla spiaggia davano un’immagine di imponenza. Non si poteva salirci perché erano troppo impervi, perfino per uno scalatore esperto, ma, nuotando, una volta mi ero avvicinata ad uno dei due e avevo notato che in primavera vi crescevano una grandiosa quantità di fiori e che vi erano tantissimi nidi di gabbiani. Peccato che adesso non fosse periodo di fioritura, altrimenti Rose li avrebbe apprezzati maggiormente. Tutto sembrava incontaminato, anche perché non c’era nessuno. Rosalie fece per scavalcare il muretto.
“Aspetta. Attendiamo l’arrivo di Jacob… Non si sa mai…” la bloccai. Non volevo alimentare l’incendio che sicuramente tra poco sarebbe divampato.
Cominciai a guardarmi intorno preoccupata. Mi era venuta in mente una cosa che non avevo considerato prima: e se avessero cominciato a litigare, io, umana impotente, cosa avrei potuto fare? Come avrei potuto fermarli? Questa ipotesi non l’avevo ponderata e adesso? Sarei stata la causa di una guerra licantropi-vampiri? Cominciai a pregare tutti gli dei conosciuti.
“Ehi Bells!” mi sentii chiamare. Era Jacob.
Alzai lo sguardo verso di lui. Stava camminando a passo spedito. Si voltò anche Rosalie, mantenendo però lo sguardo a terra. Scrutai con attenzione il viso di Jake, sottolineato dal codino con cui si era raccolto i capelli sulla nuca e che quindi lasciava il suo volto completamente scoperto: non cambiò mai espressione. Il suo cordiale sorriso restò stampato. Mi chiesi se avesse perso dei gradi di vista. Ma anche parecchi, però.
“Ciao, scusa il ritardo, ma Rachel non voleva proprio lasciarmi andare” incominciò. Dopo un’occhiata veloce a entrambe, disse:“Allora, entriamo?”.
Io feci cenno di sì e tutti e tre scavalcammo il muretto. Il tempo di fare qualche passo avanti, poi Jake asserì:“Io mi fermo qui. Fate pure come se foste a casa vostra, ma restate in vista, chiaro?”. Rosalie mi guardò e capii che voleva stare sola. Mi fermai, mentre lei si dirigeva verso la riva.
Jacob rimase in silenzio fino a che Rosalie non raggiunse l’oceano.
“Bella, spero che tu abbia una spiegazione convincente, altrimenti ti faccio a fette subito” disse serio, evitando di guardarmi, segno che era davvero arrabbiato. E io mi sentii tremendamente in imbarazzo e a corto di scuse. Che cosa potevo inventarmi? E poi Jacob mi conosceva troppo bene per non accorgersene. La spietata verità era necessaria.
“Scusami. Il fatto è che Rosalie è molto depressa per una serie di motivi, ha manifestato il desiderio di vedere la famosa spiaggia di La Push e io ho pensato di tentare di accontentarla…” balbettai, abbassando il viso a terra.
“Raccontando delle balle a me!” continuò infuriato. Non sembrava disposto a perdonarmi. “Forse, Bella, non ti rendi conto del casino in cui mi stai mettendo per quell’arpia…”.
Lo guardai con aria interrogativa.
“Io rischio una sgridata da storia per averti accontentata. Quando Sam lo scoprirà mi scuoierà vivo!” rispose trafiggendomi con lo sguardo.
“Ma questo problema ci sarebbe stato anche se fossi venuta con Esme…” contestai decisa.
“Sì, è vero, ma un conto è essere sgridati per Esme, che insieme a Carlisle è la persona migliore di quella famiglia, un conto è esserlo per quella che ucciderei per prima dei Cullen. Sai, certe volte penso che ti approfitti della nostra amicizia per farti i tuoi porci comodi!” disse, spazientito.
“Non è assolutamente vero” mi affrettai a ribattere. “Anzi, se devo essere sincera, non pensavo nemmeno che mi avresti accontentato.”.
“Certo, come no?” commentò sarcastico. “E allora perché mi hai chiamato?!”. Poi dopo un attimo di silenzio, proseguì:“Sai qual è la verità? Tu stai cercando di comprarti l’affetto di quella strega, usando questa storia della spiaggia. Nega se hai coraggio!”.
“Non è vero!” sbottai immediatamente. “A me non interessa quello che pensa Rosalie di me, tanto io entrerò a far parte di quella famiglia con o senza il suo benestare!”. Però… Effettivamente Jacob non aveva tutti i torti. In fondo al mio cuore mi avrebbe fatto piacere essere benvoluta anche da Rose e con questo mio piccolo gesto avevo sicuramente fatto un passo avanti. Però non avevo considerato in quali pasticci avrei cacciato Jake.
“Dì quello che ti pare, io continuo a pensarla così” disse, scrollando le spalle. Poi si sedette a terra, lasciandosi cadere pesantemente sulla sabbia. Io lo imitai.
“Mi dispiace, Jacob. Davvero. Ho agito senza pensare alle conseguenze. Sono mortificata” sussurrai, senza il coraggio di guardarlo negli occhi.
“Non importa. Ormai il danno è fatto. E poi è anche colpa mia: non avrei dovuto darti il permesso di venire qui. Esme o Rosalie che fosse… Adesso mi arriverà una bella strigliata. Vabbè…” esclamò sconfortato.
Una lunga pausa nella conversazione ci consentì di controllare cosa stesse facendo Rosalie sulla riva. Passeggiava avanti e indietro. A volte immergeva in acqua anche le braccia, altre volte sembrava avere degli slanci per iniziare una corsa invece si fermava di botto. Mi sarebbe piaciuto sapere cosa pensava: era così strana e incomprensibile. Aveva dei comportamenti assurdi… Probabilmente c’era qualcosa al di sotto di quella immagine da arpia, come la definiva Jacob (e io non potevo dargli torto), e mi sarebbe piaciuto scoprire cosa. Ma sembrava irraggiungibile. Almeno per me.
“Allora? Avete scoperto qualcosa circa la gita dei vampiri italiani?” mi domandò Jake, rompendo il silenzio. E io rimasi interdetta. Non sapevo bene cosa rispondergli. Non avevo parlato con Edward di cosa avrei potuto dire a Jacob. Forse tutto, forse niente. Ma… Ripensandoci, quando lui e Sam erano venuti dai Cullen, loro gli avevano raccontato tutto quanto, quindi probabilmente potevo aggiornarlo su quello che avevamo scoperto.
E iniziai il mio racconto. Con tutti i particolari.
Alla fine Jake tirò un sospiro di sollievo. “Mamma mia, Bella. Per quanto mi hai appena detto, ti perdono di avere portato qui quella strega! Ti confesso che Sam ed io eravamo molto preoccupati ieri sera. Pensavamo di dover affrontare un altro combattimento. E invece questo sistema tutto. Sia noi, che te”.
“Beh, direi proprio di sì. E ne sono felice anch’io. Sto meglio all’idea che nessuno di noi due sia in pericolo” gli sorrisi. “Però… Mi dispiace molto per Tanya e quella ragazzina”.
“Non vorrei essere nella loro situazione per tutto l’oro del mondo… Però quella Tanya se l’è cercata… O no?”.
“Dovrai ammettere che le leggi dei Volturi sono alquanto assurde”.
“Sono dei succhiasangue, che ti aspetti? I succhiasangue sono stupidi. Ne hai un esempio a pochi metri di distanza…” sentenziò, indicando Rose.
“Non è affatto vero” contestai decisa e già pronta alla discussione. Ma Jacob smorzò subito i toni.
“Ok, ok. Tutti tranne uno. Sua maestà in persona, ovviamente. Però…”.
“Però cosa?” domandai, incuriosita dalla sua espressione improvvisamente cupa.
“Promettimi che non ti arrabbi”.
“Va bene, lo prometto”.
“Il tuo fidanzatino e tutta la tua futura famiglia si stanno comportando decisamente male. E stavolta la strega non si è comportata come tale…”.
Abbassai il viso come se il bersaglio della sua critica fossi stata io e sapevo perfettamente a cosa si riferiva.
“Io non li comprendo proprio. Capisco che ha sbagliato deliberatamente, ben sapendo quali erano i rischi, ma, cazzo, è pur sempre un membro della tua famiglia! Come fai a lasciarla da sola ad affrontare quei sanguinari, che sicuramente, da quello che mi hai detto, la uccideranno. Così come uccideranno quella ragazzina indifesa. Questa cosa nel branco non sarebbe mai successa” esclamò fiero.
Io non seppi controbattere: tutto sommato la pensavo esattamente come lui, ma mi faceva comodo che Edward e la sua famiglia avessero preso quella posizione. Il mio cuore non avrebbe retto se avesse saputo di uno scontro fra i Cullen e i Volturi. Anche perché l’esito sarebbe stato prestabilito. Rimasi in silenzio. Non volevo iniziare una discussione basata su argomentazioni così fragili in cui io per prima non credevo e svelare a Jacob il mio profondo egoismo. Stavolta la sua stima nei miei confronti non avrebbe retto.
“Cambiando discorso, adesso che è tutto chiarito, potete fissare di nuovo la data del matrimonio e la tua trasformazione…” affermò senza alcuna animosità.
“Prima devono venire questi scocciatori e poi riprenderemo i nostri programmi da dove li avevamo lasciati…” dissi sorpresa della sua totale indifferenza.
“Sai, ieri sera stavo pensando una cosa…”.
“Cosa?”
“Mi hai raccontato che la preveggente non ricorda nulla del suo passato da umana e il tuo vampiro ricorda poco. Così come tutte le altre sanguisughe. L’unica che ricorda parecchio è l’arpia là di fronte. Ma… tu? Cosa ricorderai quando verrai trasformata?”.
La domanda mi colse impreparata. Sinceramente non ci avevo mai pensato. Ero sempre stata tanto presa dal mio amore per Edward che non avevo mai preso in considerazione altri, per me, insignificanti dettagli, come in questo caso, la mia memoria.
“Non so… Forse dimenticherò delle situazioni… ma credo che la maggior parte le ricorderò, come è successo a Rosalie…”.
Stavolta fu Jacob a tacere. Arricciò la bocca e iniziò a giocare con la sabbia. Era il comportamento tipico di quando era irrequieto e ne intuii la motivazione.
“Certe cose spero di dimenticarle davvero…” dissi con tono tra il serio e il faceto. “Tipo tutte le problematiche che ho avuto di recente con un certo rompiscatole…”.
Sbuffò. “Se hai tanta fretta di dimenticarmi, allora ti conviene andare a farti trasformare subito…”disse soffiando.
Scoppiai a ridere fragorosamente poi mi sollevai da terra per attaccarmi al suo collo, cercando di tirarlo a me scherzosamente. Ma non mi riuscì: era come tentare di spostare una roccia.
“Andiamo, Jake! Credi che voglia dimenticarmi di te?!” risi. “Posso dimenticarmi di tutto e di tutti, ma un posto nel mio cuore per te, papà e mamma, ci sarà sempre”.
Alzò il viso imbronciato. “Lo credi davvero?” domandò.
“Ne sono sicura” dissi convinta. Poi continuai:“Però mi devi promettere una cosa”.
“Cosa?”.
“Che in caso contrario mi starai appiccicato fino a farmi ricordare tutto. Ok?” dissi avvicinandogli il mignolo.
Mi sorrise poi affermò:“Promesso” e allungando il suo mignolo, strinse il mio. Il patto era siglato. Nessuna trasformazione ci avrebbe mai separato.
Ritornai a sedermi al mio posto.
Il discorso appena concluso mi fece venire in mente un’altra cosa di cui ero curiosa: sapere le novità che potevano essere sopraggiunte in questi ultimi giorni.
“Come procedono le tue cacce notturne a Port Angeles? Hai conosciuto delle ragazze in queste sere?”.
“Ma… niente di esaltante per il momento” sospirò. “Di ragazze ne abbiamo conosciute parecchie. Come ben sai, nessuno di noi è timido quindi abbiamo attaccato pezza a tutte quelle carine che incontravamo. Però non ce n’era nessuna di particolarmente invitante. Tutte di bell’aspetto ma poi mancava quel certo non so che, che ti sprona a tentare di conoscerle meglio. Non so se mi spiego…”.
“Capisco perfettamente cosa intendi dire. Ma quante ne avete conosciute?”.
“In totale, una ventina più o meno”.
Mi scappò una risatina. “E tu vuoi farmi credere che su venti ragazze non ce n’era una che ti interessasse? Non ci credo!”.
Rimase un secondo assorto poi confessò:“A essere sincero ieri sera abbiamo conosciuto una ragazza davvero molto carina, anzi direi bella, che era accattivante anche come modo di fare…”.
“Però…?” domandai.
“E’ troppo piccola per me!” sbuffò.
Piccola? Mi chiesi se Jacob fosse diventato pedofilo.
“Ma quanti anni aveva?” chiesi dubbiosa.
“Quattordici”.
“Quattordici?!” e scoppiai a ridere.
Jacob mi guardò imbronciato mentre io non riuscivo a tenermi la pancia dalle risate. Incrociò le braccia sempre più seccato. “Cosa c’è da ridere?” domandò.
“Scusa” dissi asciugandomi le lacrime. “Ma tu quanti anni credi di avere? Hai diciassette anni, mica trenta. Una ragazzina di quattordici per te va più che bene”.
“Già. Peccato che per tua stessa ammissione io sembro più uno di venticinque che di diciassette, quindi verrei scambiato per suo padre invece che per il suo ragazzo, mentre lei non dimostrava affatto più anni della sua età. E poi anche se fosse, mi sono dovuto fare indietro comunque”.
“Perché?”.
“Seth sembrava che avesse visto la Madonna. E allora cosa volevi che facessi? Che dicessi “No, ci provo io!”? Inoltre è più adatta a lui che a me. Fine del problema. Si sono anche già scambiati il numero di cellulare…”.
“Capisco. Coraggio, andrà meglio la prossima volta” dissi dandogli una pacca sulle spalle.
“Ma sì, in fondo la caccia è appena cominciata. Non bisogna arrendersi subito. Però… Era davvero carina quella ragazzina” rimarcò con velato rammarico.
“Uhm… Carina quanto? Mi piacerebbe sapere qual è il tuo metro di valutazione” investigai. “Dammi un esempio di bella ragazza”.
“Tu” disse senza alcuna esitazione.
“Per carità!” esclamai alzando gli occhi al cielo. “Non dire stupidaggini. Il tuo non è un giudizio imparziale ma traviato dai sentimenti. Restando lucido, fammi un esempio di bella ragazza”.
“Un esempio ce l’avrei ma preferisco tacere, la seconda sei tu, ma visto che non vuoi essere citata ti dico la terza che è Leah. Prima che si risvegliassero i geni da licantropo in lei, la consideravo addirittura più bella di te. Poi è diventata un po’ mascolina e ha perso un po’ di punti. Però è rimasta ugualmente molto attraente”.
“Ok. Però a questo punto mi hai messo la pulce nell’orecchio. Dimmi chi è la prima, dai!”.
“No, non mi va”.
“Perché? Mica è una dichiarazione d’amore. Su, dai… Non farti pregare… Coraggio! Non ti vergognerai con me?!”.
“Non è per questo. E’ solo che non voglio parlare di lei… Tutto qui”.
“Perché? Che problema c’è?” domandai. Non capivo perché fosse così restio a dirlo. Pensai a tutte le ragazze che conoscevo e non mi venne in mente nessuna che avesse un problema con Jacob, a parte Leah con cui non andava d’accordo, che però era stata citata nella classifica senza alcuna esitazione.
“E va bene, te lo dico, tanto non cambia certo ciò che provo per lei. Però ricordati che mi hai chiesto solo un parere estetico e lei non è assolutamente il metro a cui paragono le altre ragazze. Ok?” si raccomandò.
Annuii incuriosita.
Lui mosse la testa indicando la direzione davanti a noi, come se solo pronunciare il suo nome lo disgustasse.
“Rosalie?!” domandai stupefatta.
“Non dirmi che sei sorpresa! Non puoi certo dire che sia brutta. Però lei è l’emblema vivente di quanto la bellezza non sia assolutamente niente se non c’è altro. Contenta?”.
“No, non sono stupita. Anzi anch’io ritengo che sia bellissima, ma il fatto è che non l’avevo minimamente presa in considerazione. Ma hai ragione. Piuttosto” domandai “cosa hai pensato quando l’hai vista?”.
“Che cavolo di domanda è?” brontolò.
“Così… Per sapere…”.
“Ho pensato che un angelo fosse sceso sulla terra” rispose imbarazzato. “Però ho cambiato idea appena ho scoperto che era una Cullen e soprattutto appena ha aperto bocca. E se ci tieni tanto a saperlo, tutto il resto del branco, a parte Leah ovviamente, la pensa come me. Ora è finito l’interrogatorio su quella strega? Possiamo cambiare argomento, grazie?”.
Ci fu un altro periodo di silenzio, dopodiché Jacob incominciò a parlare con tono serio:“Sai, penso che tra qualche mese Sam e Emily si sposeranno”.
“Davvero?” chiesi sinceramente felice.
“Già…”.
“Non mi sembri molto contento” dissi, leggendo la sua espressione preoccupata.
“No, no. Sono felicissimo per loro. Il fatto è che tutto questo ha delle conseguenze, prima fra tutte il fatto che Emily sta invecchiando, come tutti gli esseri umani, mentre Sam, trasformandosi in continuazione, no. E il loro matrimonio potrebbe voler dire che lui ha deciso di farsi indietro dal ruolo di Alfa del branco e cominciare una vita normale, con un normale invecchiamento, a fianco di Emily”.
“Non vuoi diventare il capo…” constatai.
Fece cenno di no con la testa. “Non ce la faccio proprio, Bella. Non me la sento di comandare gli altri. Sono tutti miei amici. E non riuscirei a mantenere il sangue freddo di Sam. Metti che ci dovesse essere un eventuale combattimento con dei vampiri: come potrei guidarli ben sapendo che potrebbero morire? E’ più forte di me. Dammi del codardo, ma non ce la faccio. E so che quando Sam si farà indietro, tutti guarderanno a me. Ma io non voglio…”.
“Non sei un codardo, Jake. Affatto. Non so nemmeno io come faccia Sam a impartire certi ordini. E non ti dò torto se non vuoi assumerti questa responsabilità. Ma purtroppo fa parte dei tuoi geni e prima o poi accadrà. E’ inutile cercare di sottrarsi” dissi amaramente.
“Speriamo solo che non ci siano altri vampiri assetati di sangue in giro per un bel po’. Così non mi toccherà ordinare un bel niente…” sorrise tristemente.
Già. Presto i Volturi sarebbero stati qui e la calma sarebbe svanita. Ma Tanya e Desirèe dovevano essersene già andate da Forks a quest’ora e quindi l’unica cosa che dovevo sperare era che le deduzioni di Jasper fossero corrette e gli italiani fossero venuti solo per loro. E non per me. O per il branco.
Rimanemmo in contemplazione del mare, godendoci la brezza che ci accarezzava la pelle. Poi Jacob buttò gli occhi sull’orologio: era l’una. Eravamo lì da quasi due ore. Jake si voltò verso di me, avvertendomi che era ora di andarcene. Mi alzai per andare a chiamare Rosalie, ma il mio amico, con un tono di voce più elevato, ribadì il concetto appena espresso. Vidi Rose uscire dall’acqua e dirigersi verso di noi. “Ci sente benissimo da quella distanza, alzando un po’ la voce” mi chiarì. Ogni tanto mi dimenticavo di avere a che fare con un vampiro e non con un essere umano.
Si avvicinò rapidamente a noi. Stavo per dirigermi al pick up, quando Jacob le disse, sarcastico:“Allora altezza? Le è piaciuta la spiaggia di La Push? E, soprattutto, ha guarito la sua depressione?”.
Rosalie mi lanciò un’occhiataccia e io sentii che Jacob con due parole aveva vanificato il mio sforzo di farmi benvolere dalla mia futura cognata. Gli avrei dato un ceffone, ma ormai la frittata era fatta.
“La mia depressione non è affare tuo, cane!” esclamò con rabbia.
“Lo è invece quando vieni nel mio territorio, altezza…” disse, alzando le spalle.
Rosalie non sembrava interessata a proseguire oltre la discussione e fece due passi verso di me. Ma Jacob purtroppo era peggio di un bambino di due anni e continuò a stuzzicarla:“Credo che dovrò parlare con il tuo maritino: evidentemente non ti soddisfa abbastanza…”.
E Rosalie, che non aspettava che un pretesto per dare inizio a una rissa con Jacob, alzò un braccio per colpirlo. Sicuramente se il suo bersaglio fosse stato un uomo normale, lo avrebbe centrato ma lui la fermò, afferrandola per il polso.
“Non ci provare più, principessa. Io non sono come Emmett!” azzardò con un sorriso a dir poco irritante.
“Ti piacerebbe…”.
“No, però piacerebbe a te che io fossi al posto suo!”.
Stavolta sentii solo un fruscio e il rumore sordo dell’impatto della sua mano contro la guancia di Jacob. Il ghigno sparì dal viso del mio amico, che le ruotò di centottanta gradi verso l’esterno il polso che teneva ancora stretto nella sua mano. Se si fosse trattato di un essere umano, sicuramente le avrebbe rotto il braccio, ma il viso di Rosalie non tradì alcuna sensazione di dolore.
“Adesso basta, altezza… La misura è colma!” le ringhiò contro. La sua mano stava tremando. Il braccio era irrigidito, in tensione. Digrignò i denti. Oh mio Dio, se si fosse trasformato sarebbe successo il finimondo! Incurante del pericolo, mi gettai su di lui, implorandolo di lasciarla stare. Rosalie non mosse nemmeno un muscolo, per niente spaventata da un’ipotetica battaglia tra di loro.
Le mie preghiere non andarono sprecate. Jacob le lasciò il braccio e fece qualche passo indietro:“Portala via subito!” sibilò.
Non persi tempo e la spinsi via, verso il pick up.
Mentre ci dirigevamo a Forks, stavo ancora respirando profondamente per calmarmi e ringraziando il cielo del pericolo appena scampato quando Rosalie disse poche, ma più che sentite parole:“Non provare mai più a raccontargli i fatti miei, altrimenti te ne farò pentire. Siamo intesi?”.
Feci cenno di sì con la testa. E così ebbi la consapevolezza che tutti i miei sforzi erano andati definitivamente a quel paese.

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Capitolo 12
*** Alla ricerca di Desirèe ***


Un bacione a tutte quelle che seguono e recensiscono: siete un incentivo per andare avanti!!!! Grazie mille!!!





Raggiungemmo in fretta casa Cullen, ma, all’inizio dello sterrato, Rosalie mi incitò ad accelerare. Non ne capii il motivo, ma eseguii l’ordine. Appena parcheggiato, uscì dalla macchina e salì di corsa le scale.
Quando raggiunsi anch’io l’interno della casa, trovai Tanya, seduta in salone, in lacrime, consolata da Esme e Jasper. Tutti gli altri erano in piedi attorno a lei. Edward, appena mi vide, venne ad abbracciarmi:“Tutto bene a La Push?” mi domandò, pieno di apprensione.
“Sì, più o meno. Ma… cos’è successo qui? Come mai Tanya sta piangendo?”.
“Desirèe è sparita” disse laconico.
Rimasi allibita. E la prima cosa che pensai fu che i Volturi fossero arrivati prima del previsto, l’avessero trovata e portata via. Un brivido mi scese lungo la schiena. Strinsi più forte Edward. Avevo paura che desse conferma alla mia teoria. Ma anche Rosalie pensò la stessa cosa e chiese subito ad Alice.
“No, i Volturi non sono ancora arrivati. Arriveranno dopodomani, come previsto…” rispose sua sorella.
Subito Rosalie si sedette accanto a Tanya, che scoppiò a piangere, riducendo in poltiglia un fazzoletto di stoffa che stringeva tra le mani.
“Ma allora dove può essere andata?” domandai, guardando uno ad uno ogni membro della famiglia.
“Subito dopo la loro visita, sono tornate in albergo a fare le valigie per il rientro a Chicago e Desirèe ha detto che sarebbe scesa un attimo a prendere un ricordino di Forks. Da allora è sparita… E non ha neanche il cellulare con sè” mi spiegò Carlisle.
“Forse ha incontrato qualche malintenzionato…” ipotizzai.
Edward mi fece cenno di no con la testa. “Non ha la forza di un’umana, Bella. Se incontra qualcuno con brutte intenzioni, può anche essere armato fino ai denti, ma riesce a difendersi tranquillamente…”.
“Allora, forse si è persa…” suggerì Rosalie.
Tanya, singhiozzando, rispose:“Impossibile. L’ho cercata per tutta Forks. L’avrei trovata”.
“E se fosse andata a Port Angeles?” disse Emmett.
“Perché mai sarebbe dovuta andare là? Non sa neanche come arrivarci!”.
Ci guardammo tutti, dubbiosi. Non erano rimaste molte soluzioni, a parte il fatto che il suo corpo si fosse dissolto nel nulla. Ipotesi da film di fantascienza.
“O forse…” disse Edward, guardando sia me che Rosalie.
“Cosa?” chiese Carlisle.
“Visto che l’unica possibilità che ci resta è che si sia persa, lasciando perdere la teoria di Emmett su Port Angeles, che è un po’ troppo distante, potrebbe essere andata a La Push…”.
“A La Push? A fare cosa? Non ci siamo mai andate, anche perché io non ci posso entrare” disse Tanya. “E gliel’ho anche detto”.
“Già, però lei in quanto per metà essere umano, ci può andare…”.
“Sì, però resterebbe sempre la domanda di fondo: perché è andata là?” domandò Tanya.
“La spiaggia è famosa. Voi l’avete vista da quelle parti?” chiese a Rosalie che fece cenno di no con la testa.
“Questo però non vuol dire niente, perché può essere là in questo momento, oppure da qualsiasi altra parte di La Push…” constatò Carlisle, che sembrava credere all’ipotesi di suo figlio.
“Dobbiamo andare là a cercarla!” esclamò Tanya, alzandosi di scatto dal divano, pronta a uscire di casa.
Carlisle subito la fermò:“Non possiamo entrare là per nessun motivo, Tanya, e lo sai bene!”.
“Ma Rosalie e Bella vengono proprio da là, o no? Possiamo chiedere un’altra deroga!”.
Tutti si voltarono verso di me, cercando una conferma. Abbassai il capo:“Non credo proprio. Jacob era parecchio arrabbiato della mia sortita. Non ci concederà sicuramente altre deroghe…”.
Tanya si lasciò cadere sul divano, come se le forze fossero mancate tutto d’un tratto. I singhiozzi ripresero. Era straziante vedere come fosse preoccupata e in ansia per quella figlia. Potevo solo immaginare quale fosse il suo stato e provavo una fortissima pietà per lei. Rosalie, cingendole le spalle, mi buttò un’occhiata, implorante aiuto.
Lasciai il braccio di Edward, al quale ero stata avvinghiata per tutto il tempo e mi diressi verso il telefono, componendo il numero che ormai quell’apparecchio aveva imparato a memoria negli ultimi due giorni.
Jacob mi rispose senza attesa. “Ancora tu, Bella? Ah basta, favori a te non ne faccio più. Siamo intesi?” specificò ancora prima che spiegassi il motivo della telefonata.
“Jake, ti prego, è una questione di emergenza!” parlai allarmata.
“Anche quella di prima lo era, secondo te…”.
“No, questa lo è davvero! Ti ricordi di quella ragazzina, mezza umana e mezza vampira, di cui ti ho parlato prima?”.
“Sì e allora?”disse con tono apparentemente disinteressato.
“E’ sparita. Tanya non la trova più. L’ha cercata per tutta Forks e non l’ha trovata. Pensiamo che sia venuta a La Push, anche se non si sa bene a fare cosa…”.
Un attimo di silenzio.
“Se tu credi, Isabella Swan, che io permetterò a qualcuno dei tuoi amici di venire a cercarla a La Push hai sbagliato numero di telefono! Chiama Sam, se vuoi!”.
“No, non hai capito. Potresti per favore cercarla tu? In fondo, sai benissimo quale problema è legato a lei, quindi prima se ne va, meglio è, no?” dissi, quasi stupefatta della mia arguzia.
“E come faccio, secondo te? Mi metto a fermare tutte le ragazzine e chiedo:“Ehi, sei tu la mezza vampira?””.
Rimasi a pensarci un attimo, poi una possibile soluzione fece capolino nella mia mente.
“Tanya!” la chiamai, sporgendomi verso di lei. “Per caso, tu hai una foto di Desirèe?”.
All’inizio sembrò interdetta, poi tirò fuori il portafoglio e, frugando in esso, ne estrasse una fotografia e me la portò. Ritraeva lei e la figlia. Accidenti, quant’era bella Desirèe! Davvero da lasciare senza fiato. Cercai di non farmi distrarre e ripresi subito la conversazione con Jacob.
“Ho una foto e si vede bene. Allora? Mi fai questo piacere?” supplicai.
Jacob sospirò poi disse:“E va bene! Accidenti a te e ai tuoi amici sanguisughe! Portami quella foto e ti vado a cercare quella dannata ragazzina!”.
“Grazie, Jacob. A tra poco” e riappesi.
Chiarii ai Cullen come si sarebbero svolte le cose, cercando di rassicurare Tanya. Ed effettivamente sembrai riuscirci. Ma specularmente fu Edward a preoccuparsi.
“Bella, non voglio che tu entri in questa faccenda, per nessun motivo” disse, mettendomi le mani sulle spalle.
“Amore, non ti preoccupare. Vado solo a portargli la foto e poi me ne vado subito. Si arrangerà lui a cercare Desirèe…”.
Mi guardò a lungo negli occhi, cercando una conferma più profonda alle mie parole. Mi accarezzò il viso e mi diede un bacio sulla fronte. “Hai promesso…” mi disse, teso.
Gli sorrisi debolmente: mai e poi mai avrei fatto qualcosa per farlo preoccupare. Era una sofferenza vedere quel viso così angosciato e desideroso di proteggermi da qualsiasi pericolo mi si potesse avvicinare.
Presi la foto e ritornai per la seconda volta in quella giornata a La Push, stavolta però a casa Black. Ancora prima che suonassi il campanello, Jacob mi aprì la porta. Aveva un’espressione estremamente seccata e non mi salutò neanche quando entrai. Gli unici che lo fecero furono Rachel e Billy, che avevano appena finito di mangiare. Era ora di pranzo. Tutto questo trambusto mi aveva fatto completamente passare la fame, ma ora, vedendo Rachel riporre i piatti nel lavello, uno strano brontolio risuonò nel mio stomaco. Jacob lo avvertì e mi chiese se avevo fame. Io risposi di no, anche se in realtà non era proprio vero. Ma bisognava risolvere al più presto la questione.
“Io esco. A dopo” disse, rivolto ai suoi familiari, poi entrambi uscimmo in strada, davanti a casa sua.
“Sai, Bella, che in un solo giorno mi hai rotto le scatole più di quanto tu abbia fatto in un anno?!” sbottò.
“Scusami, ma, capisci anche tu, che prima la troviamo e se ne vanno, prima ci liberiamo anche del problema dei Volturi…” mi giustificai, anche se convenivo che quel giorno avevo approfittato un po’ troppo della nostra amicizia.
“E va bene… Fammi vedere ‘sta mezza vampira” sospirò.
Estrassi la foto dalla borsetta e gliela diedi. La impugnò e le lanciò dapprima un’occhiata fuggevole, poi indugiò a lungo la sua attenzione sull’immagine. Pensai che fosse rimasto colpito dall’avvenenza di Desirèe, come era successo a me poc’anzi.
“La mezza vampira è…” disse.
“…la ragazzina mulatta. L’altra ovviamente è Tanya” terminai la sua frase.
Lo stupore lasciò ben presto il posto a una sorta di rabbia che filtrò distintamente dai suoi occhi. Strinse la foto come se fosse un giornale vecchio.
“Ehi, che ti prende?” domandai. Ma Jake non rispose e tornò rapidamente in casa. Io lo seguii per cercare di capire quale fosse il problema.
Raggiunse il telefono e chiamò qualcuno che capii più tardi essere casa Clearwater.
“Ciao Leah, sono Jacob. C’è Seth in casa?” chiese, sbrigativo.
Dall’altra parte probabilmente gli rispose che non c’era. “Senti, tu sai dove può essere? Ho bisogno urgente di parlargli!” continuò.
Subito dopo la salutò e mise giù la cornetta. E con la stessa velocità con cui era entrato, uscì. Io ero sempre più confusa. Non capivo perché avesse telefonato a Seth con tutta quell’ansia. Forse voleva chiedergli se lo aiutava nella ricerca.
Io lo rincorsi chiamandolo ad alta voce, visto che non sembrava volersi fermare. Ma non servì a nulla.
“Si può sapere che diavolo succede?” domandai, riuscendo ad afferrarlo per un braccio e costringendolo qualche modo ad arrestarsi.
“Maledizione, Bella. Questo è un casino!” disse, passandosi le mani fra i capelli.
“Di cosa stai parlando?”
Mi diede la foto stropicciata e indicandomi Desirèe rispose:“Ti ricordi cosa ti ho detto stamane? Del fatto che ieri abbiamo conosciuto una ragazzina molto bella, troppo piccola per me? Beh, è lei. Ne sono sicuro!”.
La rivelazione mi stordì, ma subito fece sorgere in me mille domande. “Ma non l’avevate conosciuta a Port Angeles? Lei non c’è mai andata!” contestai.
“Non ho mai detto che l’abbiamo conosciuta a Port Angeles. L’hai pensato tu. L’abbiamo conosciuta a Forks ieri sera, intorno alle 19, più o meno…”.
Feci quattro conti. Tanya l’aveva lasciata in albergo a Forks mentre lei era dai Cullen. Probabilmente Desirèe era uscita per passarsi il tempo, mentre Tanya era rimasta con noi fino alle 20. Effettivamente tutto quadrava. Anche troppo.
“Un momento. Tu mi hai detto che si è scambiata il numero con Seth. Quindi potrebbero essere insieme ora, o no?” domandai.
“Sono sicuramente insieme! Leah mi ha detto che Seth è fuori dalle undici e che secondo lei doveva avere un incontro galante in quanto si è riempito di profumo”.
“Fantastico!” esclamai, soddisfatta. “Basta che troviamo Seth e siamo a posto!”.
“Fantastico un accidente, Bella! Non capisci qual è il problema!” ringhiò Jacob.
“Cosa intendi dire?” chiesi.
“Te l’ho detto come la guardava. Se Seth si innamora, o peggio ha l’imprinting con lei, chi glielo va a dire che Desirèe è condannata a morte?!” esclamò furioso.
Le braccia mi caddero senza forze lungo i fianchi e il mio sorriso trionfante si trasformò in una smorfia. Non so perché ma non avevo nemmeno preso in considerazione questa ipotesi e ora si faceva largo nella mia mente con una forza inarrestabile. Jacob aveva perfettamente ragione. Se Seth avesse addirittura avuto l’imprinting, questa storia si sarebbe velata di un alone di tragedia. Anche perché sapevo di cosa erano capaci i licantropi una volta scelta la loro compagna di vita: non abbandonarla mai, per nessuna ragione al mondo.
Guardai Jacob e iniziai a correre senza una direzione precisa.
“Si può sapere dove diavolo stai andando?” mi domandò Jake, raggiungendomi facilmente e afferrandomi per la mano.
“Dobbiamo trovarlo e anche in fretta… Non c’è tempo da perdere” dissi, cercando di divincolarmi dalla sua stretta.
“Dobbiamo?! Ci penso io, Bella. Non c’è alcun bisogno della tua presenza!” replicò, strattonandomi verso di lui.
“Ma…” cercai di obbiettare. “Avrai bisogno di una mano…”.
“Una mano? E tu che mano mi potresti dare? Posso fare tranquillamente da solo” disse, dirigendosi verso la strada principale.
“In due faremo prima” protestai, seguendolo passo dopo passo.
“Senti, Bella, mi trasformerò in lupo e sarò molto più veloce che con te a rimorchio!”.
“E pensi di entrare nei bar e nei ristoranti sotto forma di lupo?” mi indispettii.
Jake si fermò improvvisamente, mettendosi le mani sui fianchi, apparentemente stremato dalle mie resistenze.
“Ok, hai ragione tu. Ma una volta finita la gita per i locali di La Push, te ne vai. Va bene?”
“Non va bene affatto! Voglio venire con te anche dopo!” ribattei.
Jacob sospirò rumorosamente. “Dopo andrò per i boschi, trasformato in lupo e tu con me non puoi venire!” mi spiegò, tentando di camuffare il tono alterato della voce.
“Sì, invece che posso venire!”.
“E come?”.
“Mi porti in groppa”.
Jacob iniziò a ridere forzatamente, poi in un lampo tornò serio. “Dico, mi hai preso per un cavallo da soma?” disse.
“Non fare il tignoso. Sei perfettamente in grado di portarmi sulla schiena. Basta che vai un po’ più lentamente del solito e io riuscirò a non cadere, vedrai!”.
“Ma se non riesci neanche a camminare coi tuoi piedi senza cadere!”.
“Non è affatto vero!” mi imbronciai.
“Perché ci tieni tanto a venire con me?” mi domandò.
“Perché mi sento coinvolta. Non voglio che succeda qualcosa a Seth e vorrei evitare che questa storia diventasse ancora più tragica di quanto già non sia. So che la mia presenza in sé non servirebbe a niente, ma voglio tentare di essere d’aiuto. Almeno un po’. Ti prego Jacob… Non chiedo molto, mi sembra” lo pregai con tutte le forze.
Fece qualche passo lontano da me, ripensando alle mie parole. Infine il responso:“E va bene. Però se sarai d’intralcio, ti lascio giù. Anche in mezzo al bosco. Siamo intesi?”.
Annuii soddisfatta.
E la nostra ricerca partì.
Ovviamente cominciammo controllando tutti i ristoranti e bar, vista l’ora, della piccola cittadina. Senza arrivare a nulla.
Mentre camminavamo entrando nei vari locali, avevo cominciato a chiedermi perché avessi insistito così tanto per prendere parte alla ricerca. Solo poco più di un’ora prima avevo garantito a Edward che mi sarei tenuta lontana da Desirèe e tutto quello che portava con sé, ma ciò che Jacob aveva detto mi aveva turbato profondamente. Bisognava trovarli in fretta ed evitare un possibile dramma. In un certo senso volevo davvero rendermi utile. Rivedevo nella mia mente il viso straziato di Tanya, la sua disperazione per la scomparsa della figlia adorata. Non potevo fare nulla per salvarla dai Volturi, ma almeno nel mio piccolo potevo contribuire a risolvere questa situazione. E, conoscendo la delicatezza di Jacob in certe situazioni, era meglio che ci fossi anch’io, altrimenti chissà che cosa le avrebbe detto.
Quando uscimmo dall’ultimo bar, Jacob mi guardò scettico:“Sei ancora dell’idea di fare la cavallerizza?”.
“Certo” affermai sicura.
Sapevo che di lui potevo fidarmi. Avrebbe sicuramente fatto in modo che non mi capitasse niente di male, conoscendo il mio scarso senso dell’equilibrio.
Non era molto entusiasta di dovermi portare in giro sulla schiena, ma ormai restavano soltanto i boschi da perlustrare. E, sotto forma di lupo, i suoi sensi si sarebbero acuiti tanto da poter avvertire la presenza di Seth da lontano. Ci saremmo risparmiati parecchio tempo.
Si avviò stancamente verso il bosco che costeggiava la spiaggia mentre io lo seguivo silenziosamente.
Quando ci fummo addentrati, mi fece fermare. “Aspettami qua e non ti muovere”si raccomandò. Lo vidi sparire nel fitto della boscaglia. Mi appoggiai a un albero in attesa del suo ritorno. Non passarono che tre minuti quando sentii un ululato vicino a me. Istintivamente sobbalzai. Da dietro un albero comparve il grosso lupo rossiccio che ormai conoscevo bene.
Mi si avvicinò. Notai che aveva legato la maglietta e i pantaloni nella gamba destra posteriore. Già, i licantropi dovevano spogliarsi prima di trasformarsi, altrimenti avrebbero distrutto il vestiario. Una trasformazione tipo Incredibile Hulk, insomma. Mi scappò un risolino. Jacob mi latrò in faccia tutto il suo disappunto, poi si accucciò, indicandomi la schiena.
Lo guardai. Anche sdraiato era davvero enorme. Era più un orso che un lupo, perlomeno a giudicare dalle dimensioni. Come diavolo facevo a salirci sopra? Era più alto di me che ero in piedi. Cominciai a guardarmi intorno, cercando un appiglio. E dovevo trovarlo in fretta, altrimenti avrebbe usato questa scusa per lasciarmi lì. Dopo un’accurata ricerca, trovai un albero il cui tronco era separato in due parti, e il punto di scissione era abbastanza in basso perché riuscissi a salirci sopra. Lo raggiunsi e feci cenno a Jacob di seguirmi. Emise un latrato seccato e mi accompagnò, accucciandosi ai piedi di quell’albero. Riuscii con grande sforzo ad arrampicarmi. Ora veniva la parte peggiore. L’altezza per salire sulla schiena del lupo era perfetta però mi sarei quasi dovuta lanciare per sedermi. Jake capì il problema e si mise radente il più possibile all’albero, alzandosi lievemente sulle zampe, in modo che non ci fosse troppa distanza tra i miei piedi e la sua schiena. Alzai gli occhi al cielo e pregai che andasse tutto bene. Allungai la gamba in modo tale che raggiungesse la parte destra della sua schiena e effettivamente sembrò andare tutto bene. L’allineamento c’era stato e mi sedetti lentamente. Poi visto che riuscivo a stare in equilibrio senza troppi problemi staccai dall’albero il braccio e l’altra gamba.
Ce l’avevo fatta! Ero sul dorso di Jacob e non sembrava neanche troppo difficile!
Il problema venne quando si alzò completamente. Il movimento mi fece perdere l’equilibrio e sarei caduta rovinosamente se non mi fossi attaccata al pelo. Riuscii a ritornare nella posizione di partenza trascinandomi tra una ciocca e l’altra. Jake girò il muso verso di me per controllare. Quando si fu sincerato del mio stato, cominciò a scuotere la testa a destra e a sinistra in segno di disapprovazione.
“Non ti preoccupare” dissi ridendo e battendogli una mano su una spalla. “Sono sicura che andrà tutto bene. E’ stata una falsa partenza!”.
Iniziò a fare qualche passo nell’interno del bosco. Un’andatura tranquilla per controllare la mia stabilità. Poi pian piano accelerò il passo. Dopo un’iniziale difficoltà per cercare di non cadere da una parte o dall’altra, ero riuscita a trovare una posizione abbastanza comoda e sicura per poter affrontare una sorta di galoppata. Galoppata che Jacob non tardò ad intraprendere. Ovviamente Jake non stava andando all’andatura massima dei licantropi, altrimenti sarei caduta dopo pochi metri, però eravamo ugualmente parecchio veloci.
Correre in mezzo al bosco fu un’esperienza magica. Avevo già fatto una cosa del genere in braccio a Edward tempo fa, però ora era completamente diverso. Il vento nei capelli, la luce che filtrava dai rami, guardare gli uccellini che andavano più lentamente di noi. Il fatto che fossi con un lupo mi permise di osservare tutti gli animali che normalmente al passaggio di un essere umano, o un vampiro, non si sarebbero mai mostrati: serpenti, scoiattoli, un gatto selvatico, stranissimi uccelli mai visti prima… Intravedemmo perfino un orso. Magnifico! Solo ora capivo che cosa provava Jacob ogni volta che si trasformava. Essere a contatto con la natura. Solo io e lei. Sentii il cuore svuotarsi da ogni sensazione, da ogni sentimento bello o brutto che fosse; al loro posto solo pace e serenità. Non avevo bisogno di altro. Sempre tenendomi stretta al pelo, alzai gli occhi al cielo e li chiusi. Volevo abbandonarmi a quel momento. Non sentire niente altro che i rumori della foresta. Respiravo profondamente come se potessi imprigionare quel senso di tranquillità che mi pervadeva. Lì dentro non c’era nessun problema, nessuna paura: stavo ritrovando una parte nascosta di me. Ero così felice che mi misi a ridere. Sembrava di volare: staccarmi da terra e spiccare il volo verso qualcosa che non conoscevo, ma che magari mi avrebbe aiutato a sentirmi di più. Le cose che erano successe ultimamente mi avevano talmente assorbito che non avevo più avuto tempo né modo di ascoltare me stessa. E ora sentivo la mia voce: era felice di potersi finalmente esprimere, di poter lasciar esplodere le ansie e le gioie maturate. E mi sembrava che il vento le stesse ascoltando, portando via le une e cantando con la sua voce melodiosa le altre.
Fui costretta a ritornare alla realtà quando Jacob si fermò per annusare alcuni alberi.
“Nessuna traccia?” domandai alla fine dell’indagine.
Non fece alcun movimento e non capii quali fossero le sue deduzioni. Guardai l’orologio. Erano quasi le cinque: erano tre ore che li cercavamo?! Il tempo era volato però non avevamo ancora concluso niente. Eppure La Push non era certo New York!
“E se fossero andati a Seattle o a Port Angeles?” ipotizzai, avvicinandomi all’orecchio di Jacob. Fece cenno di no col muso.
Continuammo il nostro giro turistico del bosco, stavolta ad andatura più sostenuta, tanto che dovetti accovacciarmi sul suo dorso e tenermi ben stretta per evitare di cadere. Pini, abeti, aceri e perfino qualche salice, oltre a una grandissima varietà di cespugli di varia specie: non avevo mai fatto caso a tutti i tipi di alberi di quella foresta. Questa ricerca mi stava facendo scoprire una parte di La Push per me assolutamente ignota. E sì che ero andata con la mia classe in giro per il bosco in una delle noiosissime lezioni di Biologia, però non avevo mai notato tutte quelle meraviglie: ero troppo presa da Edward per accorgermi che c’era qualcos’altro attorno a me.
Jake si fermò, sempre per annusare possibili tracce del loro passaggio. Anche se non capivo quello che cercava di dirmi, intuii che si stava lasciando prendere dallo sconforto. Effettivamente eravamo in giro nel bosco da quasi due ore e per giunta a una buona velocità. Ormai della foresta, dalle mie conoscenze, restavano soltanto le zone più impervie e sinceramente dubitavo che Seth al primo appuntamento ci avrebbe mai portato una ragazza. E credo che Jacob fosse del mio stesso parere. Camminammo lentamente senza una meta precisa per un centinaio di metri.
Io ero ormai convinta della mia ipotesi: erano a Seattle o a Port Angeles. Si trattava dell’unica spiegazione plausibile, visto che in città non c’erano e nel bosco nemmeno. Poi improvvisamente alzò il muso appuntito e girò le orecchie verso destra, come se avesse sentito qualcosa. Annusò qualcosa nell’aria e partì di corsa così velocemente che quasi cadetti. Ovviamente avevamo girato talmente tanto che avevo perso l’orientamento: non sapevo più se eravamo verso Forks o dalla parte opposta. Dopo 5 minuti di corsa frenetica, si bloccò vicino a un grandissimo albero, che dalle dimensioni poteva sembrare una quercia, ma l’unico esemplare era quello che segnava il confine tra Forks e La Push e non era quello. Pensai che avrei dovuto urgentemente fare un ripasso del mio libro di Biologia.
Jacob si accovacciò a terra e capii che era giunto per me il momento di scendere. Il problema era che io non toccavo terra con i piedi e non sapevo come fare. Mi guardai intorno alla ricerca di un albero che facesse al caso mio, per ripetere all’incontrario ciò che avevo fatto prima. Ma non fui fortunata, stavolta. Pensai a come potevo risolvere il problema quando Jacob si girò verso di me sbuffando.
“Un attimo, accidenti! Sto riflettendo!” sbottai.
Ma il mio lupo aveva fretta. Alzò di scatto le zampe anteriori, persi l’equilibrio e scivolai indietro, dando una pacca per terra col fondoschiena.
Una volta scaricatami si allontanò di fretta.
Mi rialzai accarezzando i miei poveri glutei doloranti. L’urto era stato bello forte, però le natiche erano imbottite per quello, no? Jacob mi avrebbe sentito appena avrebbe avuto l’ardire di farsi rivedere.
Ardire che ebbe dopo due minuti. Arrivò in forma umana. La sua assenza era giustificata dal fatto che doveva rivestirsi dopo ogni trasformazione.
“Dico, potevi trovare anche un altro modo per farmi scendere, no?” domandai fintamente alterata.
“Ci stavi mettendo troppo tempo, Bells! E noi non ne abbiamo, giusto?” mi rispose con una certa frenesia.
Incrociai le braccia come se fossi arrabbiata. “Spero che i lividi che mi verranno domani siano almeno serviti a qualcosa! Perché ci siamo fermati?”.
“Sono a 100 metri da qua, oltre quei cespugli, là in fondo” disse, indicandomi la direzione.
A quelle parole la mia irritazione sparì.
“Bene. E adesso che facciamo?” domandai.
“Andiamo a prenderli, no?” e fece per andare nella direzione indicatami. Io lo rincorsi e lo afferrai per un braccio. “Aspetta! Che diavolo gli diciamo? Non credo che lei sappia dei Volturi e non penso nemmeno che Seth sappia che lei è una mezza vampira come lei che Seth è un licantropo” esclamai.
“E allora che facciamo, Bells? Visto che hai insistito tanto per venire pensavo che avessi un ingegnoso piano” disse sprezzante.
Strinsi le labbra, pensando a come potevamo giostrarci in quella situazione. Alla fine conclusi che l’unica cosa possibile era improvvisare e vedere che cosa sapevano l’uno dell’altro, evitando accuratamente l’argomento Volturi. Jake fu d’accordo con me e ci dirigemmo verso i cespugli.
Ero emozionata: incontrare quella ragazzina mi metteva una certa ansia, forse perché non sapevo cosa aspettarmi. Avevo visto la foto, ma mi chiedevo come fosse incontrarla dal vivo. Inoltre avevo paura per Seth. Iniziai a pregare che non avesse avuto nessun imprinting verso di lei altrimenti sarebbe stata la fine. E tutto sommato speravo che non avesse nemmeno avuto il tempo di innamorarsene, di provare un amore banalmente umano. Anche in quel caso, il pensiero di doverli separare mi fece stringere il cuore.
“Calma, Bells. Mica ti mangiano!” sussurrò Jacob.
Respirai profondamente e attraversammo tramite una galleria di rami, il cespuglio, arrivando alla nostra meta. Guardandola capii perché Seth aveva portato lì Desirèe.
C’era un minuscolo laghetto costeggiato da migliaia di fiori fucsia e rossi. Lo specchio d’acqua era illuminato dalla luce che filtrava dai rami degli alberi che in quel punto erano più radi ed emanava bagliori blu, gialli, violacei; dall’altra parte del lago salici piangenti che sembravano invitarti a sederti sotto la loro folta chioma per assaporare il meraviglioso paesaggio che si stagliava davanti agli occhi. Nel laghetto una famiglia di anatre selvatiche stava tranquillamente nuotando, emettendo il loro tipico verso, incurante di due persone sedute sulla riva.
“E’ stupendo qui, Jacob!” esclamai meravigliata.
“Sì, è vero”.
“Tu ne eri a conoscenza? Perché non mi ci hai mai portato?”.
“Speravo di fare colpo su di te in un altro modo, non ricorrendo alle papere…” ridacchiò.
“Che stupido!”.
Guardai attentamente le due persone che erano sedute poi lanciai un’occhiata a Jacob. Come al solito ci comprendemmo al volo e ci incamminammo nella loro direzione. Io trattenni il fiato fino a quando Seth si accorse della nostra presenza e ci salutò con un ampio gesto della mano. La ragazza che era con lui, vedendo il suo movimento, lanciò un’occhiata veloce e si alzò in piedi per salutarci anch’ella.
Mentre ci avvicinavamo a loro il mio sguardo fu letteralmente calamitato da Desirèe. Una ragazzina non troppo alta, dalla corporatura sottile e dalla pelle dorata. Lunghi capelli neri ricci incorniciavano un ovale perfetto. Quando fummo vicini potei notare i suoi bellissimi occhi verde smeraldo, inquietanti quanto quelli di un gatto. Semplicemente stupenda. Non avevo mai visto un essere così perfetto in ogni suo particolare, perfino Rosalie si sarebbe dovuta inchinare a tanta bellezza. Salutai Seth e cercai di cogliere in lui un segno che mi facesse sperare che eravamo ancora in tempo, che non tutto era perduto.
Volevo tirare un sospiro di sollievo con tutte le forze, anche se, a dire il vero, non avrei potuto dargli torto se si fosse innamorato di Desirèe al primo sguardo.
Ci fermammo a pochi metri da loro. Lo sguardo mio e di Jacob si incrociarono: ora sarebbe venuta la parte più dolorosa della nostra missione.

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Capitolo 13
*** Imprinting - Prima parte ***


BUON NATALE A TUTTI!!!!



“Però… c’è qualcosa in Jacob, di cui lui non si è accorto, o come dire, a cui non vuole dare importanza, tanto da dimenticarlo”.

Tratto dal capitolo 
 

 
 
 
 
Eravamo a pochi passi l’uno dall’altro e per qualche istante aleggiò un silenzioso imbarazzo, anche se non ce n’era alcun motivo apparente.
Effettivamente io stavo riflettendo su che cosa dire. Non sapevo che discorso impostare. Era palese che fossimo andati a cercarli, altrimenti si sarebbe trattata di una ben strana coincidenza che ci trovassimo tutti lì… Mi girai verso Jacob e lui sembrava ipnotizzato da Desirèe: la guardava e la ammirava in ogni minuscola parte del corpo. E non potevo dargli torto. Era davvero uno spettacolo. Qualcosa di indescrivibile.
“Beh, che avete? Vi siete mangiati la lingua?” ci domandò Seth, con un sorriso così limpido che fece sentire la mia presenza lì ancora più inopportuna.
“No, affatto” replicò Jake indispettito, ma non seppe andare oltre. Mi lanciò un’occhiata, implorante aiuto mentre io non sapevo cosa dire, non avevo idea come rompere il ghiaccio. Non trovai niente altro di meglio che presentarmi alla nuova venuta.
“Non ci hanno presentato questi due cafoni. Piacere, io sono Bella” le dissi, allungandole la mano.
Un sorriso irresistibile spuntò sulle sue labbra. Se poteva, divenne ancora più stupenda.
“Piacere. Io mi chiamo Desirèe” rispose.
Mi strinse la mano. Ed io, che me la aspettavo gelida e dura, rimasi delusa. Era calda quanto la mia, anche se a differenza di me, aveva la pelle liscia come la seta.
“Comunque, io non sono un cafone!” ribatté seccato Jacob. “Mi ero distratto e basta!”.
“Sì, sì, come no! Dilla tutta! Ti eri imbambolato a guardare Desirèe!” lo presi in giro.
“Non è affatto vero! Non dire stupidaggini!” disse, incrociando le braccia e soffiando.
Mi misi a ridere: mi divertivo a farlo arrabbiare.
Desirèe ci sorrise bonariamente.
“Litigano per ogni sciocchezza!” disse Seth, quasi a scusarsi del nostro bisticcio.
“Sì, ma si vogliono bene, si vede…” sussurrò quasi a se stessa, anche se tutti la udimmo. “Siete fidanzati, per caso?” domandò, maliziosa.
Io arrossii come un peperone, ma mi affrettai a smentire. E lo stesso fece Jacob, colorando ovviamente a suo modo, la negazione: “Ti pare che possa essere fidanzato con questa bisbetica piagnona?! Dovrei proprio essere masochista! Non ci penso proprio!”.
“Ma senti chi parla! Sono io che non starei mai con un immaturo come te!” replicai sinceramente seccata. E avrei continuato se non mi fossi girata verso Desirèe per vedere se si stava facendo quattro risate con i nostri penosi siparietti. Invece era inaspettatamente seria. Il suo sguardo aveva perso l’espressione giocosa di pochi minuti fa. Abbassò leggermente il viso e continuò a fissare sia me che Jacob alternativamente.
Una sensazione stranissima mi investì in pieno. Mi sentii come se fossi da sola, circondata dal nulla. Davanti a me solo Desirèe. Desirèe e i suoi occhi penetranti. Mi sembrò che mi stesse analizzando in ogni piega del corpo. Ogni parte di me ora faceva parte di lei. Anche le mie emozioni erano sue. Il cuore iniziò a battermi all’impazzata. Mi portai una mano al petto come se potessi rallentarlo o nasconderlo a lei, ma era inutile e ne ero conscia. Mi sentii svuotata. Che cosa mi stava succedendo? Non sentivo dolore ma era come se mi stesse aprendo a metà per far uscire tutti i miei sentimenti. Mi sembrò di essere nuda, privata di ogni protezione.
Poi, come prima aveva stranamente cambiato espressione, così tornò sorridente. Mi guardò serena e sorridendo a entrambi, disse:”Scusate, avete ragione”.
Alzai un sopraciglio: che cosa intendeva dire? Come faceva ad ammettere di essersi sbagliata? Non capii.
“Desirèe!” la rimproverò Seth. “L’hai fatto di nuovo!”.
Si girò verso di lui, facendogli la linguaccia. “Scusami, ma erano troppo interessanti per resistere!” gli rispose e poi iniziò a ridere sonoramente. Seth alzò gli occhi al cielo, esasperato, mentre Jacob ed io ci guardammo come due ebeti, in attesa di spiegazione. Anche lui aveva avuto le mie stesse sensazioni, lo capivo dal suo sguardo, ma cos’era successo?
“Allora? Chi è Edward? Descrivimelo, dai!!!” mi domandò eccitata e un’espressione stranita si dipinse sul mio volto. Come faceva a sapere di Edward? Guardai Seth: forse le aveva accennato qualcosa… Ma la domanda era stata formulata in maniera bizzarra. Non capii ma mi limitai a risponderle:”Edward è il mio fidanzato. Ci dobbiamo sposare a breve”. Non andai oltre perché forse Seth non sapeva quale fosse la natura di Desirèe e se avessi chiarito di quale Edward stavo parlando, il giovane licantropo avrebbe capito che lei lo conosceva e avrebbe cominciato a porsi delle domande, a cui magari Desirèe non voleva rispondere.
“Capisco. Lo ami in maniera assoluta, vero?” mi domandò, come se fosse partecipe delle mie emozioni.
“Sì”.
“Si vede”.
Dove voleva arrivare con quel discorso? E poi quel “si vede”… Non avevo minimamente accennato a lui, come diavolo faceva a dire una cosa del genere? Mi sentii un po’ confusa. Questa ragazzina stava diventando enigmatica.
“Desirèe, l’Edward di cui sta parlando è Edward Cullen” disse Seth. Desirèe lo fissò e poi si voltò verso di me, visibilmente sorpresa. Ma la vera stupefatta ero io: allora Seth sapeva perfettamente che lei conosceva i Cullen.
“Edward Cullen?! Ma allora tu sei la famosa Bella? Quella che ha rubato il fidanzato a mia madre!” esclamò, indicandomi col dito.
Trasalii: rubato il fidanzato? Ma cosa stava dicendo? Che diavolo le aveva detto Tanya? Mi si bloccarono le parole in gola, come se fossi stata io a fare qualche scorrettezza, a dovermi discolpare. Avrei dovuto subito smentirla, ribadendo che Edward aveva scelto me fin dall’inizio e che non c’era stata alcuna competizione con sua madre. Ripensandoci: questo era quello di cui ero a conoscenza io, ma se non fosse stato così? Se Edward mi avesse tenuta nascosta la verità? Forse Tanya aveva continuato a corteggiarlo, o forse loro due erano stati insieme e io ero arrivata dopo, portandoglielo via. Ma Edward me l’avrebbe detto. Non mi avrebbe mai mentito su questo, ne ero certa.
“Ma bene, Bella! Hai rubato il fidanzato a sua madre! Non ti facevo così competitiva!” esclamò Jake, divertito.
“Ma… non è affatto vero…” riuscii a balbettare. E fu l’unica cosa che uscì dalle mie labbra, almeno fino a che non vidi Desirèe ridere di gusto. Non ci stavo capendo più nulla eppure l’unica cosa chiara era che quella ragazzina si stava prendendo gioco di me. E trovavo la cosa estremamente irritante.
“Scusami, Bella” mi sorrise. “Ti stavo prendendo in giro. Immagino che avrai capito che io sono la figlia di Tanya”.
Annuii.
“So perfettamente che tu non hai rubato niente a nessuno. Piuttosto sono davvero felice di conoscerti. Sai, nelle telefonate alla mamma Rosalie parlava solo di te e così, pur non sapendo nemmeno che faccia avessi, ti conoscevo di fama…”.
“Immagino che non parlasse di me in tono entusiasta…”.
“Effettivamente no. Però ero curiosa di conoscerti ugualmente. Sei davvero una bella ragazza, e per giunta simpatica. Sono contenta per Edward”.
Seth si sedette e Desirèe andò ad accomodarsi vicino a lui. Il licantropo le mise una mano sulla spalla e la tirò a sé, dandole un bacio sulla guancia.
Jake ed io ci scambiammo uno sguardo: le premesse non erano delle migliori.
Ad ogni modo, anche noi ci sedemmo vicino a loro. Desirèe continuò nelle sue domande:“Come mai avete posticipato il matrimonio? La mamma ed io abbiamo fatto parecchia strada per venire qui…”.
Capii che Tanya non le aveva confidato nulla sul reale motivo del rinvio e decisi che non sarei certo stata io a farlo. “C’è stato un imprevisto… Ma la cerimonia è rinviata di qualche settimana, non di più” mi affrettai a chiarire.
“Ma scusate un attimo! Questo vuol dire che tu sai chi è lei?” domandò Jacob, sbalordito, a Seth.
“Certo. E’ una mezza vampira. E io le ho raccontato tutto di noi”.
“Sì, siete licantropi. Santo cielo, deve essere bellissimo trasformarsi in lupi! Seth me ne stava parlando poco prima che arrivaste. Piacerebbe anche a me poterlo fare…” esclamò rapita da questa possibilità negata.
“Ti posso assicurare che all’inizio non è stato affatto facile… Anzi, un vero e proprio incubo” affermò Jacob. E iniziò a raccontarle di quando si era trasformato per la prima volta nella radura poco distante. Desirèe sembrava molto interessata al suo racconto. E mentre lei ascoltava estasiata, io la scrutavo attentamente.
Era paurosamente bella e per giunta anche simpatica. Sembrava avere le stesse caratteristiche di Tanya anche se quest’ultima non ne era la madre biologica. Ma era stata cresciuta da lei e quindi potevo capire che avesse inconsciamente deciso, avendo come riferimento un modello così perfetto, di somigliarle in tutto e per tutto. Rasentando in questa maniera l’eccellenza. Il pensiero che un essere che poteva essere d’esempio per tutti fosse stato condannato a morte senza neanche un processo equo mi fece salire una rabbia incontenibile. I Volturi erano degli esseri davvero spregevoli e si sarebbero meritati di essere uccisi con la stessa crudeltà con la quale trattavano le loro vittime.
Volsi la mia attenzione sulla mano che Seth aveva appoggiato sulla spalla di Desirèe. Inoltre ogni tanto le lanciava sguardi dolci e pieni di sentimento. Troppo per due persone che si erano appena conosciute. E’ vero che Edward ed io ci eravamo amati alla prima occhiata, ma il nostro amore non era stato umano fin da principio. Così come non lo era quello di Seth per Desirèe. Imprinting. Non poteva essere altro.
Vittima del nervosismo, strappai delle erbacce che crescevano vicino alle mie gambe. E cominciai a giocarci, mentre ascoltavo le domande curiose di Desirèe. Mi sentivo così impotente dinanzi a tutto questo. Se la mia intuizione fosse stata giusta, ora la situazione sarebbe diventata ingestibile. Che cosa avrebbe fatto Seth, quando Jacob lo avrebbe messo al corrente delle novità? Sicuramente si sarebbe ribellato alle direttive dei Volturi. E il branco che posizione avrebbe preso?
Alzai gli occhi verso di loro e vidi Seth spostare una ciocca dispettosa di capelli dal viso di Desirèe. Lei alzò il volto su di lui e gli sorrise amabilmente per ringraziarlo di quel gesto gentile. Non so perché, ma in quello sguardo riconobbi me stessa quando guardavo Edward: quando lo fissavo e capivo che tutta la mia vita era in quegli occhi che mi sfioravano, in quelle labbra che mi desideravano, in quelle mani che mi accarezzavano. I loro occhi luccicavano per la tenera consapevolezza di appartenere eternamente l’uno all’altra, sapendo che ogni respiro che gonfiava il petto dell’uno sarebbe stato ceduto all’altro pur di farlo vivere. Non avevo mai visto Seth così felice ed era la vicinanza di Desirèe a renderlo tale. Mentre ascoltavano il racconto di Jacob, Desirèe accarezzò più volte la mano di Seth appoggiata sulla sua spalla e le sue dita giocarono a lungo con quelle del giovane licantropo prima di intrecciarsi. Sì. Loro due erano anime gemelle, ritrovatesi per caso e amatesi per destino. Una combinazione perfetta di entusiasmo e ingenuità. Le mancanze dell’uno erano le abbondanze dell’altra e viceversa. Desirèe e Seth erano la gioia e la frizzante armonia che ogni coppia aspirava sempre a raggiungere, molto spesso vanamente. Rappresentavano insieme la combinazione di tre razze che avrebbe potuto sembrare un’incredibile assurdità, mentre per me erano un meraviglioso e insostituibile esempio di amore che riusciva a superare le apparenti imperfezioni della natura stessa.
“Quindi tu, Bella, sei venuta qua a cavallo di Jacob. Deve essere stato divertente, vero?” mi domandò Desirèe. La sua richiesta mi colse impreparata. Non avevo ascoltato più niente della loro conversazione, distratta dalle mie considerazioni.
“Ce-Certo. Davvero una bella esperienza” balbettai.
“Piuttosto, come mai ci stavate cercando?” domandò Seth, guardando sia me che Jacob.
Jake mi lanciò un’occhiata abbastanza eloquente: adesso dovevo gestire io la situazione. Riflettei un attimo poi risposi:“Perché tua madre è molto preoccupata. E’ venuta dai Cullen in ansia perché oggi dovevate partire e tu sei sparita. Non sapeva cosa pensare. Abbiamo fatto una serie di considerazioni, e siamo arrivati alla conclusione che dovevi essere a La Push visto che ti aveva cercato a Forks senza risultato. Ho chiamato Jacob, lui mi ha detto che ti conosceva casualmente e beh… eccoci qua!”.
“La mamma è preoccupata?” mi domandò seria.
Annuii. Controllai l’orologio. “Sarebbe meglio che tornassimo a casa. E’ già tardi” suggerii.
Abbassò lo sguardo, poi strinse le braccia attorno a Seth. “No, non voglio. Lei vuole tornare a Chicago” mugugnò.
Seth rise. “Non ti devi preoccupare, tesoro. Verrò a trovarti tutte le settimane”.
“Non ci credo…”.
Le sollevò dolcemente il viso per guardarla negli occhi. “Lo sai perfettamente che non sto mentendo. Sai quanto ti amo e che non posso stare neanche un minuto senza di te. Quindi verrò, non puoi dubitarne” e la baciò. Distolsi lo sguardo sia per lasciargli un attimo di intimità, sia perché lacrime di rabbia mi stavano salendo agli occhi. Non capivo perché il destino fosse così ingiusto verso questi due ragazzi.
“Ho un’idea. Potrei chiedere a Carlisle di ospitarmi! Loro hanno una casa così grande e sicuramente possono ospitare un’altra persona senza problemi. Che ne pensi, Bella?” mi domandò Desirèe, piena di entusiasmo.
La guardai imbarazzata. Non sapevo cosa risponderle: non potevo certo dirle la verità. Non adesso, perlomeno. Presi tempo:“Non lo so. Penso di sì, ma devi chiederlo a lui…”.
Si alzò di scatto e disse:“Ok. Vado a chiederglielo subito. Seth, vieni con me, così ti conosce anche la mamma?”
“Certo” le rispose. Noi tutti la imitammo e ci scrollammo le erbacce che si erano depositate sulle gambe.
La decisione di Seth di venire dai Cullen non mi sembrava delle migliori, anche perché avrebbe reso la separazione dannatamente più complicata. Probabilmente avrebbero parlato a Desirèe della minaccia dei Volturi per convincerla a venire via da Forks, e se ci fosse stato anche lui, la discussione avrebbe potuto prendere una brutta piega. Per fortuna Jacob intuì la mia preoccupazione e mi salvò.
“Seth, adesso è meglio di no. C’è una riunione con Sam, per quel problema di cui abbiamo parlato ieri sera. E’ meglio che ci siamo tutti” disse al suo amico.
Seth si morse il labbro inferiore poi disse a Desirèe:“Va bene. Allora, amore, temo che dovrai fare da sola. Ma ti telefono appena finita la riunione, così mi racconti tutto, ok?”.
Desirèe mise il broncio ma poi si rassegnò. “E allora come torniamo a Forks?” domandò.
“Ho la macchina da Jacob. Torniamo insieme, ti va?” le proposi.
“Benissimo” mi sorrise, soddisfatta.
“Piuttosto” disse, guardando con un sorriso malizioso sia Jacob che Seth. “Che ne dite se per raggiungere La Push, vi trasformate in lupi e noi vi cavalchiamo, come avete fatto prima voi due?”.
Jacob sbuffò. “Non se ne parla. Bella in groppa non me la prendo più! Tanto più che è troppo maldestra!”.
Misi le mani sui fianchi, irritata. “Ehi, come ti permetti? Non mi sembra di averti dato troppi problemi prima, o sbaglio?” esclamai.
“Dai, Jake” lo implorò Desirèe.
“No!”.
“Amore, tu non hai bisogno di salire sulla schiena di un lupo. Corri veloce quasi quanto un vampiro” contestò bonariamente Seth.
“Sì, ma voglio provare. Ti prego, amore!” lo supplicò.
Lo disse con un tono che avrebbe commosso persino uno dei Volturi. E Seth, come prevedibile, cedette.
“Ok” sospirò, stringendosi nelle spalle.
Jacob si avvicinò a me e senza dirmi nulla mi prese in braccio bruscamente. “Accidenti, che modi!” imprecai seccata.
“Noi partiamo subito allora. Anche perché voi andrete sicuramente più veloci. Ci vediamo davanti a casa mia” si accordò con Seth. Poi partì, veloce come il vento. Ovviamente l’andatura non era come quella di prima, ma eravamo ugualmente rapidi. Guardai Jacob. Aveva una strana espressione. Non aveva il suo solito sorriso, sembrava molto preoccupato e potevo intuire quale fosse il motivo.
“E’ troppo tardi, vero?” gli domandai.
“Sì” rispose semplicemente. Questa fu la conferma di tutti i miei timori. Anche se non aveva potuto leggere i pensieri di Seth, Jake sapeva quali fossero i comportamenti tipici delle persone succubi dell’imprinting. Nessuno meglio di lui avrebbe potuto confermare i miei sospetti. “E ora?” domandai, ma non ricevetti alcuna risposta.
Né io, né lui parlammo per tutto il resto del viaggio. Non c’era più niente da dire. C’era solo una soluzione da trovare e in fretta. Io per prima non sapevo bene cosa fare ed ero assai confusa e turbata.
Quando giungemmo a casa di Jacob, ovviamente i due fidanzatini erano già là. Jake mi depose a terra, in maniera neanche tanto delicata. Il mio sguardo cadde inesorabilmente sulle mani che i due tenevano teneramente intrecciate. Avevano un’espressione così felice che ringraziai il cielo di non essere al posto delle persone che avrebbero avuto il compito di infrangere il loro sogno d’amore.
“Allora, quando Carlisle mi avrà dato conferma, ti avviso. Va bene?” si accordò Desirèe con Seth. Lui sollevò la mano della sua ragazza e gliela baciò, annuendo con la testa.
“Credo che sia ora di andare…” li incalzai, anche se mi pentii subito dopo perché forse quella sarebbe stata l’ultima volta che si sarebbero visti, e avrei dovuto lasciargli più tempo per vivere i pochi istanti rimasti.
I due si baciarono e Jacob ed io ci girammo fingendo di dargli intimità. In realtà gli rivolsi uno sguardo implorante. “Ci penso io” mi liquidò velocemente. Non ero tanto convinta a questo punto che dividerli sarebbe stata la scelta migliore.
“Andiamo” mi incitò Desirèe.
Mi voltai verso di lei e le sorrisi, facendole segno di salire sul pick up. Lei salutò gioiosamente anche Jake e poi salì sul mio automezzo. Mentre partivamo, si sporse dal finestrino salutando a bracciate i due licantropi. Mi sentii stringere il cuore da una tenaglia.
“Adoro Seth” disse non appena finito di salutarli. “Sai, non credevo che questo viaggio mi avrebbe portato a conoscere l’uomo della mia vita. Sono davvero stupita però molto, molto felice”.
Non ebbi il coraggio di risponderle. Mi limitai a un sorriso di circostanza. Ma Desirèe continuò:“Che dici? In questo stato ci si può sposare anche se minorenni?”.
“Credo che ci voglia il consenso dei genitori…” balbettai.
“Ah. Credi che a mamma piacerà Seth? Sono sicura di sì. Non può non piacerle… E’ impossibile!”.
“Scusa, ma come fai a dire che Seth è l’uomo della tua vita? Sei così giovane…” cercai di buttare acqua sul fuoco sperando di limitare, non so in quale modo, i danni.
“Come tu lo sapevi quando hai incontrato Edward per la prima volta, nello stesso modo lo so io…”.
Mi mancò il respiro: come faceva Desirèe a conoscermi così bene dopo solo un’ora? A descrivere così dettagliatamente le mie sensazioni più intime? Quello che aveva appena detto era vero. Era un’emozione che si impadroniva di te e sapevo che era una consapevolezza a cui non si poteva fare altro che arrendersi. Mi tornò in mente quella strana sensazione che avevo avuto poco più di un’ora fa: che cosa poteva essere stato? Mi convinsi che Desirèe c’entrasse qualcosa e decisi di investigare.
“Desirèe, hai preso me e Jacob per fidanzati, poi ci hai chiesto scusa, dicendo “hai ragione”. Che cosa voleva dire? Come facevi poi a conoscere Edward visto che non avevi capito ancora chi ero io?” domandai.
La sentii ridere di una risata contagiosa. Sembrava sinceramente divertita dalla mia domanda; io però non capivo cosa ci fosse di così esilarante.
“Scusami, l’ho fatto ancora. So che non avrei dovuto, ma, come ho già detto, eravate troppo interessanti. Impossibile resistere!” mi sorrise maliziosa. “E poi sinceramente non mi fidavo molto di quello che avevate risposto sul fatto che non eravate fidanzati. C’era troppa complicità fra voi”.
“Non ti sto seguendo. Di cosa stai parlando? Che cosa hai fatto?” domandai sempre più interessata.
“Vedi, come Alice prevede il futuro, Jasper riesce a controllare le ansie e le paure, ed Edward legge nel pensiero, anch’io ho una dote, ereditata da mio padre direi: leggo nel cuore”
“Come scusa? Non capisco…”
“Leggo i sentimenti e le emozioni delle persone” mi spiegò semplicemente.
“Sei come Edward, in parole povere?”.
“No. Edward legge la parte razionale del cervello, che in alcune persone può essere più sviluppata che in altre, e quindi ha una visione più ampia della mentalità e delle caratteristiche di una persona. Ma non legge i sentimenti, a meno che questi non siano così profondi e radicati da influenzare anche la sfera razionale. E questo succede generalmente quando una persona ha consapevolezza di ciò che prova. Io invece leggo la parte emozionale, che a volte, come ti ho già spiegato, può leggere anche Edward, ma molto spesso no, perché le persone provano dei sentimenti di cui non si rendono conto nemmeno loro e di cui si accorgeranno quando esploderanno. E non è sempre detto che accada. A volte la sfera razionale li reprime così profondamente che non ce la fanno ad emergere. Ma io li leggo ugualmente”.
“Ma… è fantastico! Il tuo potere è eccezionale! Anche adesso stai leggendo?” esclamai entusiasta.
“No, a differenza di Edward che legge involontariamente i pensieri di tutti, io posso dominare il mio potere e decidere se usarlo o meno”.
Questo dono mi sembrava davvero notevole e a differenza di quello del mio fidanzato, avrei desiderato possederlo anch’io. E poter così leggere nel cuore di tutti, soprattutto in quello di Edward, che a volte mi sembrava così inaccessibile, anche se le dimostrazioni d’affetto nei miei confronti erano fin troppo rappresentative dei sentimenti che nutriva per me.
“Quindi tu hai letto nel cuore mio e di Jacob?” domandai, incuriosita di sapere che cosa aveva trovato.
“Sì. E siete due persone stupende, con tantissime sfumature”.
“Guarda che puoi dire cosa hai letto. Non mi offendo mica” la rassicurai. Volevo un parere onesto.
“Sono sempre sincera! Ho visto dei sentimenti molto particolari, da ambo le parti. Ma anche se te ne parlassi non credo che ti rivelerei niente che tu non sappia già…” disse alzando le spalle. “Però… c’è qualcosa in Jacob, di cui lui non si è accorto, o come dire, a cui non vuole dare importanza, tanto da dimenticarlo”.
“Che cosa?”.
“Non posso dirtelo… Sono faccende personali. Non vado a spettegolare di quello che leggo, altrimenti farei disastri uno dietro l’altro. No, meglio che nessuno sappia. Così le emozioni sono più libere di uscire”.
Visto che non riuscivo a farmi dire nulla su di lui, gli chiesi qualcosa di cui poteva parlare:”E da me che cosa hai letto?”.
Si mise a ridere nuovamente. “A parte una minuscola parte di te, che sai perfettamente da chi è occupata, in tutto il resto, ho letto solo una cosa. O piuttosto un nome: Edward, Edward, Edward dappertutto! Un amore profondo e irripetibile. Mi ha fatto piacere trovare questo: in tutti i cuori letti finora non avevo mai visto un sentimento così radicato e coinvolgente. Davvero coinvolgente” rispose estasiata.
Avvampai. Ma ero contenta che il mio amore fosse così visibile e palese.
“Siete davvero una coppia bellissima. E anche lui ti ama alla follia…” continuò.
“Hai letto anche nel suo cuore?”.
“Sì, ho letto il suo cuore, come in quello di tutti i Cullen…”.
“E cosa hai visto?”.
“Ah Bella, ti ho già detto che non posso dirtelo. Però, a parte l’amore innaturale che prova per te, ho visto un’altra cosa che non ho capito…”.
“Cioè?”.
“Ho sentito astio nei miei confronti. Tu sai il perché?”.
Io avrei saputo spiegarglielo perfettamente, ma non era né il momento né il caso. Questa era una matassa che spettava a Tanya sbrogliare. Vigliaccamente non volevo immischiarmi in una faccenda in cui avevo già messo fin troppo il naso, a differenza delle direttive che il mio fidanzato mi aveva dato da seguire.
Ma, senza aspettare la risposta, Desirèe continuò:“Entrambi siete molto gelosi l’uno dell’altra, però finora non ce n’è stato alcun motivo. A parte il tuo bacio con Jacob… E Edward ti è talmente devoto che mi è impossibile pensare che possa provocare una tua crisi di gelosia”.
Aveva ragione: lui si era sempre comportato correttamente mentre non si poteva dire lo stesso di me. Però adesso, accantonato il sentimento per Jake, le cose stavano andando nella giusta direzione. E mi ritrovai a pensare che, a parte per Tanya, non avevo mai nutrito una gelosia così feroce da provocarmi crisi di panico. E se Desirèe non me l’avesse detto ora, non mi sarei mai considerata una persona gelosa. Riflettendoci, dovevo esserlo, eccome. Edward era troppo incredibile perché passasse inosservato alle altre donne. E col tempo, chissà, magari avrei dovuto difenderlo con le unghie e con i denti.
“Però… devi stare attenta… Perché le cose spesso non sono come sembrano. Tutto può cambiare ed evolversi in maniera velocissima”.
“Che intendi dire?”.
“Che la gelosia è un sentimento che, nella giusta misura, è sinonimo di amore, ma se esplode può fare molti danni oppure può far nascere situazioni inaspettate”.
Stavo per ribattere quando mi zittì:“Forse te ne accorgerai, forse no… Chissà… Non è detto…E allora ne vedremo delle belle” le scappò un risolino.
Il mio cervello cominciò a vagare. Gelosia? Mi accorgerò di cosa? Non so perché ma pensai subito a Tanya. Che lei nutrisse ancora dei sentimenti per lui era chiaro, ma il mio Edward che cosa pensava? Dopo il disastro che aveva provocato, non credo fosse minimamente interessato a lei, ma se invece questo portasse a un loro avvicinamento, dettato da un desiderio di consolarla e sostenerla? Impossibile. O forse sì? Iniziarono a tremarmi le mani sul volante e il cuore a pulsare come un tamburo. Se si fosse accorto di quanto lei fosse bella e speciale, non avrei mai potuto reggere il confronto.
“Anche gli altri Cullen sono molto interessanti” continuò Desirèe.
“Ah sì?” dissi soprapensiero. In realtà non le prestavo molta attenzione in quanto ero troppo assorta nelle mie considerazioni.
“Sì. Sono davvero delle belle persone, con buoni sentimenti. Però anche in questo caso, ci sono due persone che mi hanno colpito più di altre…”.
Mi scossi un attimo per cercare di seguire la conversazione. “A chi ti riferisci?” chiesi.
“A Jasper e Rosalie”.
“Perché? Sempre che tu me lo possa dire…”.
“Beh, non scendendo nei particolari, direi che soffrono perché combattuti da emozioni contrastanti. Per esempio, Jasper vive bene la sua condizioni di vampiro vegetariano, però vorrebbe tornare al suo naturale stato, e cioè bere sangue umano. Ne sente il bisogno ma lo reprime per non creare problemi alla famiglia che lo ha accolto così benevolmente. Per lui è una battaglia continua. Soprattutto quando sente il tuo odore per casa…”.
“Ah”.
“Ma questo non vuol dire che non ti voglia bene. Anzi, te ne vuole moltissimo. Ma il richiamo in lui è molto forte” si affrettò a chiarire.
“E Rosalie?”.
“E’ un rebus quella ragazza. Secondo me, non lo sa neanche lei che cos’è. A parte i sentimenti di profondo affetto che nutre per tutta la sua famiglia, e…” si zittì di colpo, come se si fosse resa conto che stava dicendo troppo. Ma io la tranquillizzai subito, intuendo che cosa avesse cercato di trattenere:“E il fatto che mi odia a morte… Lo puoi dire, tanto lo so perfettamente”.
Mi sorrise. “Beh, meglio così. Però sicuramente non ne conosci il motivo. C’è cioè una ragione chiara ed evidente che è molto estesa e che probabilmente sai anche tu. Ma c’è n’è anche un’altra più piccola e francamente quasi inspiegabile, che ovviamente non ti dirò” si affrettò a puntualizzare. “A parte questo, è perennemente in contrasto con se stessa perché vorrebbe fare alcune cose e non può. Ma contemporaneamente non è sicura di volerle fare. Inoltre si sente a disagio per una serie di questioni irrisolte. Insomma, il suo cuore è un caos. Spero per lei che riesca a fare chiarezza, altrimenti sarà infelice tutta la vita. L’unica cosa lampante è che sembra volermi molto bene, anche se mi ha vista una volta sola. L’unica spiegazione che mi sono data è che probabilmente, volendo molto bene a mia madre, mi ama per induzione… A volte sarebbe meglio avere la connessione con la parte razionale. Forse riuscirei a spiegarmi più cose” ridacchiò.
Proprio in quel momento raggiungemmo la casa dei Cullen e parcheggiai il pick up.
Prima di scendere, Desirèe si raccomandò quasi impercettibilmente:“So che Edward non riesce a leggere nella tua mente, quindi mi raccomando non raccontargli quello che ti ho detto, ok?”.
Annuii e mi preparai alla scenata che il mio fidanzato mi avrebbe fatto di lì a poco.

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Capitolo 14
*** Imprinting - Seconda parte ***


Volevo augurare un Buon Anno a tutte le mie lettrici!!! Ci rivediamo nel 2012, sperando che la mia storia continui a piacervi!!!!
Bacioni e non mangiate troppo!!!!
Venusia









Non avevamo neanche fatto il primo gradino della scalinata, che la porta si spalancò e ne uscì Tanya che corse ad abbracciare sua figlia così forte da toglierle il fiato.
“Oh cielo! Dov’eri finita Desirèe? Stai bene, vero? Sono stata tanto in pensiero per te…” le disse mentre la stringeva in un abbraccio senza fine. Al contrario, sua figlia sembrava frastornata da una simile dimostrazione d’affetto, come se non capisse il motivo di tanta preoccupazione.
Le guardai con affetto e poi alzai gli occhi verso il portone da dove tutti i Cullen si erano affacciati. C’era anche Edward e mi stava osservando con un’espressione severa. Mi preparai alla sgridata. Gli avevo promesso di non mettere il naso in questa storia, tenendomi lontana da Desirèe, e avevo fatto esattamente l’opposto. Ma non potevo non farlo, e quando avrebbe saputo la verità, ero convinta che mi avrebbe dato ragione.
“Perdonami, mamma. Io credevo che tu sapessi con chi ero…” mormorò Desirèe, ammiccando verso Alice.
“Non riesco a vederti…” spiegò la chiaroveggente di casa Cullen.
“Capisco… Non lo sapevo…” disse mortificata Desirèe.
“Non importa, tesoro. L’importante è che tu stia bene” disse Tanya, accarezzandole i capelli. Poi alzò il viso verso di me:”Grazie, Bella. Di cuore” mi disse con gratitudine.
“Non c’è di che”.
Salimmo le scale ed entrammo in casa.
“Tesoro, con chi sei stata a La Push? E poi perché sei andata là? Non capisco…” le chiese Tanya, mentre Esme aveva servito subito a Desirèe un bicchiere di Coca cola.
“Ieri sera ho conosciuto un ragazzo, mamma, mentre tu eri qui e volevo rivederlo prima di tornare a Chicago…” ammise sua figlia, dopo essersi dissetata.
“Un ragazzo? Che ragazzo?” le domandò incuriosita.
Desirèe alzò lo sguardo verso di me, come per cercare aiuto nel parlare con la madre. Il suo comportamento mi parve strano: poc’anzi era così convinta di dire tutto a Tanya e ora ne sembrava quasi intimorita. Forse l’inattesa reazione della vampira l’aveva un po’ scombussolata.
“Si chiama Seth Clearwater” presi la parola.
Lei guardò sua figlia, poi indirizzò la sua attenzione verso di me. “Lo conosci, Bella?” domandò.
Annuii.
“E’ un licantropo” disse Rosalie, disgustata.
Tanya si voltò verso Rose, poi verso sua figlia. “Un licantropo? Ma, tesoro… E tu lo sapevi?” le chiese turbata.
“All’inizio ovviamente no. Però dopo ci siamo raccontati un po’ di cose: mi ha parlato di lui e io gli ho detto cosa sono. E nessuno dei due si è spaventato dell’altro. E’ davvero una bella persona, mamma. E mi sono divertita tanto. Dopo sono arrivati anche Bella e Jacob” disse guardandomi col suo amabile sorriso. “Sono due persone incredibili e simpaticissime. Poi pensa che per tornare alla macchina di Bella, Seth si è trasformato in lupo e mi ha portato in groppa. Non mi sono mai divertita tanto in vita mia!”.
“Beh… ne sono felice...” balbettò Tanya.
Lanciai un’occhiata ad Edward: aveva incrociato le braccia e si era appoggiato al muro. Mi guardò corrucciato e capii: aveva letto nella mente di Desirèe e conosceva la verità.
“Sai, mamma, Seth è davvero fantastico. Non ho mai conosciuto un ragazzo come lui. Oltre a essere bellissimo, è dolce e premuroso, è spiritoso, gentile, affabile, generoso, altruista. E’ la prima persona, a parte te ovviamente, che mi ha fatto sentire davvero importante. Oh mamma, mi piacerebbe tanto che lo conoscessi…” continuò entusiasta Desirèe.
Sua madre sgranò gli occhi. Non sembrava capire dove sua figlia voleva arrivare descrivendogli tutte le qualità di questo ragazzo. O forse, faceva finta di non capire.
“Tesoro, sono felice che tu abbia conosciuto questa persona, ma adesso dobbiamo partire. Come ti ho detto ieri sera, il matrimonio tra Bella e Edward è stato rimandato quindi dobbiamo tornare a Chicago…” sentenziò Tanya.
“Oh mamma, non potremmo restare qui ancora un pochino? Voglio passare qualche altro giorno con Seth…”.
“Tesoro… non è proprio il caso…” balbettò Tanya in evidente imbarazzo.
“Perché no?”.
“Ma… ecco…”.
“Ho pensato una cosa, mamma. Potresti tornare tu a Chicago mentre io potrei restare qui. Loro potrebbero ospitarmi, vero zia Rose?” chiese speranzosa all’unica persona che sapeva essere dalla sua parte.
Rose guardò Tanya e poi le rispose:“Certo, Desirèe. Però se la mamma non è del parere, non mi sembra il caso…”.
“Oh mamma, ti prego. Giuro che non gli darò problemi. Mi comporterò bene e verrò a trovare spessissimo te e zia Kate, ma lasciami qui ti scongiuro!” la implorò, cingendo le mani a mò di preghiera.
“Tesoro, ci sono dei problemi. Non possiamo restare qui” la liquidò Tanya.
“Che problemi?” domandò scettica. “Non sarà perché è un licantropo? Mamma, se lo conoscessi, te ne innamoreresti anche tu. E poi lui non ha nessun problema con i vampiri. Anzi, mi ha detto che i Cullen gli stanno molto simpatici. Ti prego, mamma…”.
Tanya sembrò spazientirsi: “Tesoro, ti ho detto che non si può e basta. Adesso andiamo via e poi tornerai più avanti, ok? Penso che tu e questo Seth possiate aspettare qualche settimana…”.
Desirèe si alzò di scatto dalla sedia sulla quale si era accomodata e urlò risolutamente:“No! Io non vengo!”.
“Che stai dicendo?” domandò Tanya alquanto adirata.
“Io sono innamorata di lui e da qui non me ne vado. Se necessario andrò a dormire a casa di Seth…”.
Tanya scosse la testa, sicura che si trattasse dei soliti capricci da bambina. Si voltò verso Edward, per avere conferma del suo pensiero, ma il mio fidanzato scosse la testa:“E’ imprinting, Tanya”.
Quelle poche parole furono una doccia fredda. Vidi le espressioni dei loro visi diventare preoccupate: sapevano, pur essendo leggende proprie dei licantropi, che cos’era l’imprinting e cosa comportava.
Desirèe si avvicinò alla madre e mettendole una mano sul braccio, tentò di attirare la sua attenzione. Tanya era stravolta da quello che Edward  aveva appena asserito e ci mise qualche secondo a prestare di nuovo ascolto alla figlia.
“Ti prego, mamma. Non voglio andare via, non posso restare nemmeno un minuto senza Seth. Voglio restare qui. Lasciami qui, con lui… Ti scongiuro!”.
Tanya la guardò impietosita. Poi deglutì a fatica il blocco di cemento che le si era formato in gola. Non sapeva cosa dire. L’unica cosa certa era che doveva portarla via da lì, ma non voleva darle un dolore così forte. E strapparla al ragazzo di cui era innamorata sicuramente glielo avrebbe provocato.
“Desirèe, ascoltami” intervenne Esme, con un tono morbido e pacato. “C’è un problema davvero importante e non potete restare qui. Non ora almeno. Tua madre te ne parlerà quando sarete sole. Una volta risolto questo inconveniente potrai tornare e stare qua tutta la vita, ospite in questa casa. E resterai con Seth. Ma ora è meglio che torniate in albergo e parliate un po’…”.
“Che problema?” domandò Desirèe.
“Te lo dirà Tanya… Ma ti prometto che dopo potrai stare qui” disse amorevolmente. Le brillavano gli occhi: anche Esme si era già affezionata a Desirèe. E non poteva essere diversamente. Non si poteva non amarla.
Desirèe aveva gli occhi lucidi e mi avvicinai anch’io per tentare di consolarla:“Desirèe, se torni a Chicago per un po’ di tempo, non succederà niente. Seth ti aspetterà. Sempre che non decida lui di trasferirsi là da te…”.
Un sorriso abbagliante come un lampo le illuminò il viso. “Davvero mi verrà a trovare?” domandò trattenendo a stento le lacrime.
“Ma certo. Non dubitarne. Neanche lui può vivere senza di te”.
Si asciugò le lacrime e annuì.
“D’accordo. Allora torno a casa”.
Tanya sorrise sia a me che a Esme, con uno sguardo pieno di gratitudine. Ci salutarono e fecero per andare verso la porta, quando Desirèe si bloccò e mi disse:“Dì a Seth che lo penserò ogni momento e che spero di tornare prestissimo. Mi raccomando…”.
“Certo. Non ti preoccupare” le sorrisi amorevolmente.
Mi prese una mano e la strinse:“Grazie Bella. Tu e Jacob stategli vicino, se dovesse avere bisogno di qualcosa”.
“Stanne certa. Gli voglio molto bene…” le dissi per convincerla che gli sarei stata vicina sul serio e che non erano solo parole senza senso. Era una promessa che intendevo mantenere.
“Sei un’amica!” e mi abbracciò.
Mentre mi stringeva, mi resi conto anch’io di quanto mi fossi affezionata a quella ragazzina e che avrei dato qualunque cosa pur di farla rimanere a Forks. Quando si staccò, mi sorrise poi lanciò lo sguardo oltre le mie spalle. I suoi occhi traboccarono di tenerezza. Mi voltai per vedere che cosa o chi c’era dietro di me. Rosalie.
Desirèe si avvicinò a lei e la abbracciò. Rose sembrò sorpresa da questa improvvisa e inattesa dimostrazione d’affetto.
“Zia Rose… Ti voglio bene e spero di rivederti presto…” mormorò Desirèe affondando la testa nel suo seno.
Rosalie, dopo i primi attimi di turbamento, sorrise e la strinse, accarezzandole i lunghi capelli. “Sono sicura che ci rivedremo, bambina. Prima di quanto pensi” la incoraggiò con voce vellutata.
Quando Desirèe si staccò, Rosalie le asciugò le lacrime che stavano segnando il viso. “Non piangere. Presto tornerai e voglio che tu rimanga qui almeno un anno” le disse. Poi girandosi verso la sua amica continuò:“Siamo intesi, Tanya?”.
La giovane madre annuì, sforzandosi di sorridere.
Desirèe si stava allontanando da Rosalie quando si fermò e tornò sui suoi passi. Le fece cenno di chinarsi e le sussurrò qualcosa all’orecchio. Io ovviamente non sentii ma nemmeno gli altri Cullen perché tutti la guardarono incuriositi. Quando Rosalie si rialzò aveva un’espressione incerta, come se non avesse capito. Desirèe le sorrise e si diresse verso Tanya.
“Aspetta…” tentò di fermarla.
“Non ti preoccupare. Devi solo avere pazienza!” ribatté la ragazzina, che raggiunse Tanya. Sua madre la prese per mano e insieme varcarono la soglia, allontanandosi dalla casa.
Noi tutti ci guardammo angustiati. Rosalie si sedette sul divano ed Esme le si accomodò accanto, come per sostenerla. Loro due erano le più provate da questa situazione e si vedeva chiaramente. Erano partecipi della gioia e contemporaneamente della disperazione di Tanya. Io stessa non ero più così insensibile ma anzi mi scoprii a rimuginare se non ci fosse un modo per risolvere la situazione senza dover per forza combattere.
“Bella”: sentii la sua voce melodiosa. Lo guardai. Aveva mani sui fianchi e un’espressione grave. “Cosa ti avevo detto prima? Evidentemente non presti molta attenzione alle mie parole” mi rimproverò anche se non sembrava davvero arrabbiato.
“Mi dispiace, ma non potevo lasciare Jacob a gestire la faccenda da solo. Avevo paura che le dicesse qualcosa di sbagliato. In più ero anche spaventata per Seth…” mi giustificai. E per la prima volta in vita mia, sapevo che, anche se avesse detto il contrario, avevo fatto bene. Ma Edward allargò le braccia, nelle quali non esitai a gettarmi.
“Amore mio, non sono arrabbiato. So che sei una persona generosa e ti amo anche e soprattutto per questo. Hai fatto bene. Sono felice che sia stata tu a trovarla. Almeno non è stato troppo traumatico per lei”.
Per fortuna Edward condivideva la mia scelta. Lo strinsi più forte a me e ringraziai il cielo di non essere al posto di Desirèe e Seth: essere divisi e per giunta senza molte possibilità di rivedersi, per me, sarebbe stato insopportabile.
“Edward” esordì Carlisle. Dovemmo separarci per una forma di rispetto verso il capofamiglia che aveva un’aria molto più che severa.
“Sei sicuro che si tratti di imprinting? Non c’è alcuna possibilità di errore? Non può essere una normale cotta da ragazzina?” domandò a suo figlio.
“Non mi sento di scommetterci al cento per cento, ma i sentimenti che emergevano nella sua mente erano molto profondi. Troppo per una cottarella. Sì… ne sono sicuro al 90%” rispose pacato Edward.
Carlisle si girò verso di me e mi domandò:“Eri con Jacob quando li avete trovati, giusto? Che cosa dice lui?”.
“Imprinting” mi limitai a rispondere tristemente, abbassando lo sguardo.
Carlisle iniziò a mordicchiarsi il pollice in preda al nervosismo. Purtroppo non c’erano speranze di errore.
Sebbene ci fosse un’enorme distanza, sia mentale che di razza, sembravano profondamente dispiaciuti e partecipi della situazione. Nonostante quello che diceva Jacob, i Cullen erano davvero delle brave persone.
“Ma allora adesso cosa succederà?” domandò Alice.
“Non ne ho idea. L’unica cosa che so è che l’imprinting è uno dei legami più forti esistenti, anche più forte di quello tra madre e figlia. Quindi temo che Tanya non sarà in grado di dominarla” affermò Carlisle con una punta di amarezza.
“Intendi dire che Desirèe potrebbe decidere di stare con Seth qualsiasi cosa accada?” domandò Edward.
“E’ un’eventualità, sì”.
Secondo me non era un’eventualità, ma una certezza. Avevo visto il comportamento di Sam ed Emily, di Paul e Rachel, di Jared e Kim, per non parlare di Quil e Claire: impossibile tenerli separati. Più ci pensavo e più mi convincevo che anche quando Tanya avrebbe dato l’importante notizia a sua figlia, lei avrebbe deciso di rimanere qui ugualmente. Sempre che non fosse così innamorata di Seth da decidere di stargli lontana pur di tenerlo al sicuro. Mi sovvennero le ultime raccomandazioni di Desirèe: avere cura di Seth. E avevo l’intenzione di farlo. Glielo dovevo.
“Scusa Edward, ma io ora devo andare” dissi sinceramente dispiaciuta.
“Dove?” mi chiese.
“Da Seth”.
“A fare cosa? Ci sono già i suoi amici con lui…”.
“Proprio perché ci sono loro sono preoccupata. Gli avranno già detto come stanno le cose e hanno un tatto che sicuramente l’avranno distrutto. Devo andare a tirarlo sù di morale. L’ho promesso a Desirèe…”. Dovevo andare da Seth assolutamente. A costo di dover litigare con il mio fidanzato.
Ma lui capì i miei desideri e, come al solito, li rispettò.
“D’accordo, amore. Vai pure, non ti tratterrò. Hai ragione, non possiamo lasciare Seth in balia dei suoi compagni “indelicati”” mi sorrise. Mi si avvicinò e mi diede un veloce bacio a fior di labbra. Lo abbracciai.
“Ci vediamo stasera, dopo cena” mi disse. E quella fu la notizia più bella della giornata. Finalmente! Di fatto era mancato solo una sera da casa mia, ma avevo sentito la sua assenza come se fossero passati mesi. Quella sera avrei dormito di nuovo con il mio angelo. Non potevo chiedere di meglio.
Lo salutai e uscii, destinazione casa Clearwater a La Push.
Durante il tragitto non pensai minimante a cosa avrei potuto dire per consolare Seth, anche perché non avevo proprio idea di come lo avrei trovato. E soprattutto se lo avrei trovato a casa. Se non fosse stato lì, l’avrei cercato per tutta La Push: dovevo rintracciarlo e fargli capire quanto Desirèe tenesse a lui.
Quando raggiunsi la sua abitazione, scesi dal pick up e fu tanta l’emozione che dirigendomi verso la porta inciampai e rimasi in piedi miracolosamente, appoggiandomi alla buchetta della posta. Sembrava strano che negli ultimi due giorni le mie difficoltà di coordinazione non fossero mai emerse!
Davanti al campanello respirai profondamente e suonai. Mi aprì Leah.
“Ciao Bella, cosa vuoi?” mi domandò seccata. Aveva il potere di farmi sentire a disagio e fuori posto anche se non avevo fatto nulla.
“Ciao. Sono qui per Seth. E’ in casa?” domandai con tenacia.
“Se anche fosse, non credo che abbia proprio voglia di vederti in questo momento. Quindi, per favore, vattene!” disse severamente, facendo il gesto di chiudere la porta.
“Aspetta! Ti prego, è importante che ci parli” la implorai. Mi guardò scettica, poi udii la voce di suo fratello provenire dall’interno della casa. “E’ Bella? Falla entrare!” urlò.
Leah alzò le spalle e aprì la porta, facendomi segno con la mano.
Entrai timorosamente, e mi sembrò di essere in una casa sconosciuta, anche se in quella abitazione ci ero già stata parecchie volte. Avanzai a piccoli passi, guardando a destra e a sinistra cercando Seth, fino a che comparve all’ingresso del salotto. Lo osservai. Non aveva una bella cera. Tutt’altro. Aveva un sorriso forzato dipinto e il dolore esondava dagli occhi gonfi. In quelle poche ore sembrava invecchiato di colpo: aveva perso la sua naturale aria da bambino gioioso e le spalle, generosamente larghe, si erano incurvate come se sostenessero il peso del mondo. Il viso era ancora paffuto ma lo sguardo spettralmente spento.
Quando mi avvicinai, mi abbracciò, bisognoso di condividere la sua sofferenza con qualcuno che, forse, poteva capirlo. Strinsi le braccia attorno a lui e sentii il suo respiro irregolare, come se stesse per piangere, ma quando si allontanò non notai lacrime sul viso.
“Come stai?” gli domandai mentre mi faceva accomodare sul divano.
“Non bene, come potrai notare. Sono a pezzi…” rispose strofinandosi gli occhi.
“Gli altri…” iniziai.
“…mi hanno già detto tutto. So ogni cosa nei minimi dettagli” concluse dolorosamente.
Io abbassai lo sguardo: ecco, adesso toccava a me dirgli qualcosa ma avevo la testa completamente vuota. Tutte le parole che mi venivano in mente mi sembravano stupide e retoriche.
“Come sta Desirèe? Dov’è ora?” domandò inquieto.
“Beh, non stava molto bene quando è andata via, ma non le abbiamo detto come stanno le cose per non turbarla ulteriormente visto che era già molto addolorata di non poter restare ospite dai Cullen. Penso che Tanya glielo dirà quando saranno sole in modo tale da poterglielo spiegare senza spaventarla troppo…” dissi, sollevando il viso verso di lui.
“E’ ancora a Forks?” balbettò.
“Non credo. Tanya voleva tornare a Chicago il più presto possibile per evitare che i Volturi possano sentire la scia”.
Vidi le sue mani stringere in maniera quasi rabbiosa i jeans, anche se il suo viso non tradiva alcuna rabbia ma solo dolore.
“Seth, ascoltami” iniziai “Desirèe mi ha detto che ti ama da morire e che tornerà da te, qualsiasi cosa accada. Non devi disperare, vedrai che le cose si sistemeranno. Basterà aspettare che le acque si siano calmate un po’ poi lei verrà qua e potrete stare insieme”.
“Lo credi davvero?” abbozzò un debole sorriso.
“Certo” appoggiai la mano sulla sua. “Non devi dubitarne. Vedrai che si sistemerà tutto. Non può essere altrimenti”.
“Grazie Bella. Sei davvero gentile a dirlo anche se non lo pensi”.
“Non è affatto vero” replicai. “Io lo penso davvero. Sei tu che sei troppo pessimista!”.
In quel momento suonò il campanello e il viso di Seth si rabbuiò. Leah andò ad aprire la porta e poco dopo sentii parecchi passi nel corridoio. “Dov’è Seth?”. Riconobbi la voce di Sam. Ebbi una cattiva sensazione.
Tutto il branco al completo entrò nel salotto:. La camera sembrò di colpo diventare minuscola con quei ragazzoni che la riempivano. Tutti si sorpresero di vedermi lì, ma io non feci una grinza: non dovevo spiegare cosa facessi in quella casa. Anzi a giudicare dalla faccia di Seth, sembrava che gradisse più la mia presenza che la loro.
“Ciao Bella” mi salutò Sam. Io risposi freddamente. Poi l’Alfa si rivolse a Seth:“Sei andato via prima che finissimo la conversazione”.
“Non c’era più niente da dire” disse risoluto il più giovane del branco.
Vidi anche Leah entrare in salotto e appoggiarsi a una parete, in disparte.
“Tutt’altro! Ci sono ancora molte cose da chiarire. Piuttosto” rivolse di nuovo a me la sua attenzione. “Dov’è ora Desirèe? E’ ancora a Forks?”.
“No, dovrebbe essere già partita per Chicago” risposi.
Sam tirò un sospiro di sollievo così evidente da far alterare Seth. “E’ meglio che se ne sia andata. Ci eviteremo una gatta da pelare” continuò incurante Sam.
“Se non torna, andrò io da lei” esclamò Seth, alzandosi in piedi, pronto ad affrontare il suo capo.
“Mi sembrava di essere stato abbastanza chiaro su questo punto. Tu devi mettere una pietra sopra quella ragazza!” affermò con tono che non ammetteva replica.
“Non ci penso proprio. Io la amo e lei ama me. Non posso neanche respirare senza di lei e non ho intenzione di lasciarla andare. E poi a Chicago non ci sono quei dannati vampiri, quindi andrò a stare là”.
A Sam sfuggì una risata ironica. “Forse non hai ancora capito con chi hai a che fare. Tu credi che loro si accontenteranno della parola dei Cullen e non la cercheranno? Pensi di passare tutta la vita a guardarti le spalle? E poi quando vi troveranno, cosa farete senza di noi, eh? Vi ammazzeranno tutti e due!” disse sprezzante.
Seth si voltò verso di me come per chiedere conferma delle parole di Sam. E io a malincuore non potei fare altro che dire:“Non credo che si accontenteranno della parola di Carlisle, sicuramente la cercheranno. Ma può anche darsi che dopo un po’ si stanchino e lascino perdere”.
“Io non li conosco, ma so come ragionano i vampiri. Non mollano la preda. Mai” continuò Sam. E purtroppo aveva ragione: io stessa ero stata vittima della perseveranza di due vampiri che erano arrivati a perseguitarmi e a sfidare tutti i Cullen pur di ammazzarmi. Ed i Volturi dovevano essere peggio, da questo punto di vista, anche perché Desirèe e Tanya avevano violato le regole e sapevo quanto loro si considerassero capi supremi e incontrastabili.
“A me non interessa” continuò fermo. “Io la amo e non lascerò che nessuno le torca un capello. La mia vita non ha senso senza di lei e allora sarò contento di morire, se la saprò al sicuro. Desirèe è troppo importante e non la lascerò sola ad affrontare quegli esseri”.
Mi si strinse il cuore e mi chiesi perché il destino li aveva fatti unire per poi separarli così brutalmente. Non capivo questa sottile ironia e volevo ribellarmi ad ogni costo a questo scherzo della provvidenza.
Jacob intervenne: sapevo quanto teneva a Seth. Erano stati molto insieme ultimamente. I migliori amici di Jake erano sempre stati Embry e Quil, ma, da quando si era costituito il branco, Seth aveva preso un posto prepotente nella sua vita.
“Forse non ti è del tutto chiara la situazione. Questo non è un gioco e non abbiamo a che fare con i Neonati di questa primavera. Questi fanno sul serio e hanno il potere di ammazzarci tutti. Tu da solo non saresti capace di fare nulla. Moriresti senza scopo. Lo capisci o no?” disse alterato.
“Il mio scopo è difendere Desirèe e solo quello mi interessa. E se lei deve morire, allora voglio morire anch’io” replicò l’innamorato.
L’ira fiammeggiò negli occhi di Jacob, che si avvicinò rabbiosamente a Seth:“Ascoltami bene, ragazzino. Non c’è niente di bello né di nobile nel morire per amore. Anzi ti posso garantire che è la morte più inutile che ci sia, soprattutto in quanto non servirebbe neanche a lei. La tua vita vale molto di più di questo amore e io non ti posso permettere di gettarla via!”.
Seth fronteggiò fieramente il suo sguardo e ribatté con tutto il rancore che i loro discorsi avevano suscitato nascere in lui:“Non accetto queste critiche, soprattutto da te! Proprio tu che questa primavera eri disposto a morire, pur di salvare Bella! Tu più di tutti dovresti capire cosa provo ed appoggiarmi nelle mie decisioni!”.
Jacob si irrigidì: Seth aveva parlato davanti a tutti e soprattutto davanti a me di emozioni che riguardavano solo lui. Si zittì. Mi lanciò un’occhiata incerta e poi voltò il viso nella direzione opposta alla mia. Mi sentii in imbarazzo anch’io: non volevo rivangare sentimenti spiacevoli, soprattutto per Jake. Non volevo che si sentisse in obbligo a giustificarsi con me. Tutto questo era morto e sepolto, e tale doveva restare.
“Qualunque cosa diciate non mi interessa” continuò Seth, rivolgendosi a tutti quanti. “Io la difenderò, anche da solo se necessario”.
“Non sarai solo, Seth” intervenne Leah, che era rimasta fino ad allora silente in un angolo del salotto. “Ci sarò io con te”.
Sua sorella si avvicinò a Seth. Sam la fissò con vibrante disapprovazione e mugugnò:“Leah, non puoi dire sul serio…”.
“Sì invece. Io aiuterò Seth e questo è quanto!”.
“Ascoltami…” iniziò Sam.
“No, ascoltami tu invece” lo interruppe duramente la licantropa del gruppo. “Tu sai perfettamente cosa si prova con l’imprinting, sai quali sentimenti si instaurano nella mente e nel cuore. Tu l’hai provato e non puoi venire qua a fare la predica a Seth, dicendogli quello che può e non può fare”. Si bloccò. Deglutì un attimo, poi riprese, con la voce tremante:“Quando è toccato a te, non ti sei ribellato, hai distrutto tutto pur di seguire i tuoi nuovi sentimenti. L’amore che c’era fra noi non era immaginario e nemmeno superficiale. Noi due avevamo la favola. Una favola nella quale ogni giorno aggiungevamo una nuova pagina e di cui eravamo felici. E tu hai voluto chiuderla. Mi hai fatto del male e anche tu ne hai sofferto, lo so. Io non ti ho mai detto niente perché sapevo che non era colpa tua e nemmeno di Emily. Ma ora non puoi dire a mio fratello che deve fare finta di niente, come se nulla fosse accaduto. Non è più così. Sam, ti prego, non puoi abbandonare Seth proprio adesso. Se sei anche soltanto l’ombra dell’uomo che ho amato più di me stessa, non farlo, ti supplico”.
Gli occhi di Leah si velarono di una tristezza opprimente ma orgogliosa. Era consapevole di quanto fosse stato difficile fare questo discorso davanti a tutti, mettere palesemente in mostra i suoi sentimenti. E vidi anche Sam vacillare: per la prima volta da quando lo conoscevo, la sua freddezza era venuta meno. Jacob mi aveva raccontato di quanto Sam si fosse sentito in colpa e odiato per quello che aveva fatto a lei e ora i sentimenti a lungo sopiti erano stati risvegliati di colpo da una Leah smascherata nella sua fragilità e debolezza. Era ancora innamorata di lui, era evidente, e tutto questo non poteva fare altro che alimentare in Sam il rancore che provava nei confronti di se stesso.
“Io non posso, Leah” disse il capo, dopo un lungo silenzio. “Il mio compito è pensare alla salvaguardia del branco e questa sarebbe un’azione suicida”.
“Il compito principale del branco è quello di salvare vite umane e Desirèe lo è per metà. Dobbiamo difenderla, così come abbiamo fatto per Bella questa primavera. Questo è il nostro dovere” sbottò Leah, ritrovando fermezza nella voce.
Sam guardò i due fratelli a lungo poi sancì:“Non si può fare niente per aiutare Desirèe e dispiace anche a me, non immaginate quanto. Noi resteremo in disparte, e per quanto mi riguarda la discussione è chiusa”.
“Io difenderò Desirèe” disse fermamente Seth.
Sul viso di Sam comparve un’espressione rabbiosa. “Seth, non mi costringere a impartire l’ordine” lo minacciò. “Non voglio farlo, ma se intendi disubbidire, lo farò”.
Il fratello di Leah abbassò lo sguardo, come se fosse rassegnato, poi lo rialzò di colpo, colpito da un’idea:“Jake, tu…”.
“Non se ne parla. Io sono d’accordo con Sam” lo interruppe, frantumando le ultime speranze. Il suo tono di voce era stato risoluto, ma io che lo conoscevo bene avevo colto qualcosa di diverso, un cedimento quasi impercettibile.
“Adesso basta” alzò la voce Leah. “Andatevene tutti da casa nostra. Uscite subito”.
Sam fece un cenno agli altri e si diressero verso l’uscita. Mentre tutti varcavano la porta d’ingresso, Sam guardò a lungo Leah, ma lei sdegnosamente volse lo sguardo altrove, per fargli capire quanto l’avesse delusa per l’ennesima volta.
Nel salotto rimanemmo soltanto Seth ed io. Si sedette sul divano portandosi le mani nei corti capelli castani. Sembrava disperato. Adesso era conscio del fatto che anche i suoi amici gli avevano voltato le spalle. Era solo, solo contro i Volturi. Leah ci raggiunse.
“Grazie per avermi difeso” disse Seth, guardando sua sorella pieno di gratitudine.
“Purtroppo non è servito a granché…” constatò amareggiata.
“Non importa. Almeno adesso so che non ho mai avuto degli amici veri…”.
“Però hai una sorella vera. E lei ti aiuterà, fratellino” gli disse, sedendosi accanto a lui e prendendogli una mano.
Seth le sorrise:“Non è necessario. Non voglio metterti in pericolo…”.
“Non posso lasciarti solo. Senza di me chissà che pasticci combineresti…” scherzò.
Seth fu commosso dalla generosità di Leah e la abbracciò a lungo.
E improvvisamente mi resi conto di quanto questo evento stesse rivelando le reali nature di tutte le persone attorno a me. Rosalie era in una profonda crisi e il fatto che volesse difendere Tanya mi faceva sospettare che non fosse così egoista come pensavo. E ora scoprivo quanto anche l’odiata Leah fosse generosa e legata a suo fratello. La sua disperata difesa di Seth mi aveva commosso. Non so come avesse fatto Sam a restare insensibile di fronte alla sua accorata richiesta di aiuto. Io per prima, che non provavo alcuna simpatia per lei, avrei acconsentito ad aiutarla. E ora mi rendevo conto che questa faccenda mi stava coinvolgendo più di quanto avrebbe dovuto accadere. Avrei tanto voluto aiutare Seth e Desirèe, ma non sapevo in che modo. Il mio fragile corpo mi rendeva inutile. Non potevo fronteggiare i Volturi. Non servivo a nulla. Ma volevo disperatamente fare qualcosa.
“Purtroppo se Sam impartirà l’ordine, nessuno di noi potrà farci più nulla” continuò Seth, appoggiando pesantemente la schiena sulla spalliera del divano.
“Vedrai che non lo farà” lo consolò sua sorella.
Seth sospirò.
“Voi credete che lo farebbe?” domandai.
Leah alzò le spalle: voleva sperare che Sam non fosse crudele fino a questo punto, ma ora probabilmente, dopo il discorso appena ultimato, non ne era più così sicura. Al contrario di suo fratello che ne era invece più che certo. “Lo farà perché sa che io non ubbidirò alle sue direttive” mi rispose Seth.
“Ma non c’è nessun modo per impedirglielo?”.
“L’arrivo di un nuovo capo. Se ci fosse un altro lupo dominante come Sam, lui potrebbe contrastare l’ordine. Non dovrebbe lottare con lui o fare altro, basterebbe la sua presenza. Allora potrei scegliere con quale lupo schierarmi e sarei libero. L’ordine non varrebbe più per me. C’è un’unica persona che avrebbe la forza per sovrastare Sam…” ammise scoraggiato Seth.
Jacob. Soltanto lui avrebbe potuto essere il nuovo capo. Lui avrebbe dovuto comandarli tutti, Sam compreso.
“Cosa dovrebbe fare per diventare il capo?” domandai.
“Non lo so di preciso, ma credo che dovrebbe semplicemente far risvegliare i suoi geni dominanti. Noi li avvertiremmo e lo riconosceremmo come capo”.
“E’ inutile che ti illudi. Jacob è d’accordo con Sam…” affermò Leah.
“Non è vero” replicò Seth. “Lo conosco e so che mi capisce”.
“Capire non vuol dire aiutarti. E comunque è un inetto. Non prenderà mai il posto che gli spetterebbe di diritto. Gli fa comodo restare subordinato a Sam. Nessuna responsabilità…” commentò acida Leah.
Seth si girò verso di me. Sapeva che nessuno meglio di me poteva avvalorare la sua tesi. Ma io non me la sentivo di coinvolgere Jacob e soprattutto illudere Seth di un’eventuale posizione che Jake non avrebbe mai preso. Proprio stamane mi aveva detto quanto avrebbe volentieri ritardato l’infausto giorno in cui avrebbe dovuto diventare il capo. Non lo avrebbe fatto proprio adesso, mandando di fatto Seth a morire.
“Non so… Io non credo che lui voglia prendere una posizione contraria a quella di Sam, e di fatto sminuirne l’ autorità” gli spiegai.
“Allora è davvero finita” concluse.
Né Leah, né io ci pronunciammo. Purtroppo se Sam avesse veramente voluto distruggere i sogni di Seth ci sarebbe riuscito e io per prima ero convinta che l’avrebbe fatto pur di salvarlo da se stesso. Lo faceva a fin di bene, ma così facendo lo avrebbe condannato a un dolore eterno.
“Non mi importa” disse in un improvviso scatto d’ira. “Dov’è Desirèe, Bella? Voglio raggiungerla subito”.
“Credo che sia verso Chicago, ormai…” balbettai. “Ma non so quale sia l’indirizzo di casa sua…”.
“Puoi averlo?”.
“Credo di sì, ma…”.
“Bene, allora io andrò là” disse deciso.
“Aspetta un attimo” lo fermai. “Non credo che sia il caso di correre troppo”.
“Cosa intendi dire?” mi chiese impaziente.
“Che i Volturi non sono arrivati, e quindi non sappiamo ancora quale sia il motivo del loro viaggio. Finora abbiamo solo ipotizzato e ci siamo convinti tutti che vengano per Desirèe ma non ne abbiamo la certezza assoluta. Magari vengono per ben altri motivi. Non dobbiamo giungere a conclusioni affrettate. Aspettiamo di saperlo da loro e poi ci organizzeremo di conseguenza” gli dissi.
“Credo che Bella abbia ragione” concordò Leah. Ed era la prima volta in cui lei ed io eravamo d’accordo su qualcosa. “E’ meglio aspettare e vedere tutte le carte scoperte, altrimenti rischiamo di prendere degli abbagli e commettere imperdonabili errori”.
“D’accordo. Avete ragione voi. Quando verranno?” mi domandò Seth ansioso.
“Dopodomani pomeriggio” risposi, già terrorizzata alla sola idea.
“Voglio che tu mi avverta subito appena saprai la ragione della loro visita” si raccomandò.
“Non ti preoccupare. Lo farò” promisi.
Subito dopo lo salutai affettuosamente e feci rientro a casa.
Erano le sei e mio padre sarebbe tornato a casa fra un’ora. Dovevo cominciare a preparargli la cena. E soprattutto cominciare a rimuginare qualcosa per aiutare Seth e Desirèe, prima che Edward giungesse da me quella sera.

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Capitolo 15
*** Fuga da Chicago ***


Ciao, intanto BUON ANNO! E' cominciato bene? Il mio insomma... Pieno di spese....
A parte questo, ecco il primo capitolo dell'anno nuovo. Per chiarire la cosa, nel caso non fosse chiara dalla lettura (mi auguro di sì, in realtà), fra gli eventi del capitolo 14 e di quello attuale sono passati 2 giorni, ragion per cui siamo arrivati al fatidico giorno (il 10 settembre) in cui arrivano i Volturi, ma questo capitolo rappresenta un flashback, raccontando di fatto ciò che è successo il 9 settembre. Dal prossimo capitolo la narrazione riprenderà normale.
So che non dovrei supplicare però un piccolo parere, non tanto su questo capitolo in sè, ma su tutta la storia finora, mi piacerebbe averlo!
Baci a tutte!







Alzai il viso dalle ginocchia sulle quali ero rannicchiata da più di due ore. Lo sguardo mi cadde inesorabilmente sul calendario. La data odierna era circondata da un cerchio rosso. Oggi era il 10 settembre. Il giorno in cui si sarebbe dovuto celebrare il mio matrimonio. Quello che avrebbe dovuto essere il giorno più felice della mia vita e che invece, per un crudele scherzo del destino, era diventato il più terrificante.
Nel pomeriggio sarebbero arrivati i Volturi e avremmo avuto il verdetto. I Cullen ormai erano convinti circa il motivo della loro venuta e avevano persuaso anche me. D’altra parte gli elementi in mano erano quasi inoppugnabili. Io probabilmente non c’entravo nulla, come nemmeno il branco, in compenso però la vittima predestinata sarebbe diventata una ragazzina inerme che nessuno voleva difendere. Nessuno, tranne il suo innamorato.
Guardai la sveglia sul comodino. Erano quasi le undici.
Mi distesi sul letto, fissando il soffitto. A quest’ora sarei dovuta essere dai Cullen a cominciare la preparazione per l’acconciatura. E invece ero qui a pensare come aiutare Desirèe. Che cosa potevo fare? I Volturi erano troppo forti per me, come per chiunque. Non avrei mai potuto affrontarli senza di fatto suicidarmi. E la mia morte non sarebbe, per giunta, servita a nulla. Santo cielo! A pensarci era tutto così irreale. Mi stavo contorcendo alla ricerca di una soluzione per salvare la vita a una ragazzina conosciuta poco meno di 48 ore prima. Ma Desirèe era speciale, qualcosa di inestimabile. Sarebbe stato davvero disumano lasciare che la uccidessero senza pietà.
Nelle mie peregrinazioni mentali avevo ipotizzato che forse Carlisle avrebbe potuto andare a Volterra a perorare la causa di Desirèe presso Aro. Dopotutto lui e il capo dei Volturi erano stati a stretto contatto per parecchi secoli e la stima era reciproca. Forse avrebbe potuto convincerlo. Nel frattempo noi, per guadagnare tempo, avremmo nascosto Desirèe da qualche parte, in modo tale che Jane, Demetri e Lehausle non la trovassero. L’avevo proposto ad Edward la sera stessa in cui Desirèe e Tanya erano partite per Chicago, ma lui aveva detto che questo piano era una pazzia completa e assolutamente inutile perché Aro non avrebbe cambiato idea, anche se mi aveva promesso che l’avrebbe proposto agli altri. Sta di fatto che il giorno dopo, quando ero andata a casa loro, come al solito, nessuno mi aveva accennato alcunché e quindi avevo pensato che pure Carlisle avesse bocciato la mia idea. Anche se a me non era sembrata poi così stupida. Era abbastanza pericolosa, questo sì, però avrebbe potuto funzionare.
E così mi ero ritrovata a passare la notte in bianco tentando di inventare qualcos’altro. Ma la mia mente si era come svuotata. E anche adesso stavo vagliando un sacco di possibilità, ma nessuna era plausibile o praticabile. E come lo stavo facendo io, sicuramente anche Rosalie stava cercando una soluzione. Da ieri infatti si era chiusa in camera e non voleva vedere nessuno. Doveva essere disperata molto più di me. E come me inconsolabile.
Improvvisamente sentii le lacrime bagnarmi il volto. La situazione di Seth e Desirèe mi stava coinvolgendo troppo, più di quanto avrebbe dovuto. Anche Edward se n’era accorto e aveva cercato di tranquillizzarmi, invano. Al contrario di me, lui aveva tirato un sospiro di sollievo con la partenza di Tanya. Almeno non erano più qua e quindi forse i Cullen se la sarebbero cavata. Sperava che anche per Tanya fosse la stessa cosa. Riteneva che ai Denali sarebbe convenuto fare le valigie e scappare dall’altra parte della Terra, ma Seth come avrebbe fatto lontano da Desirèe? Sarebbe stato un tormento per lui, oltre che per lei. Non osavo nemmeno pensarci. Sentivo mancarmi il respiro al solo pensiero. Tuttavia questa era la soluzione più auspicabile per entrambi: almeno sarebbero sopravvissuti in una qualche maniera. Se però questo fosse successo a me, piuttosto che stare lontana da Edward, mi sarei uccisa. Senza alcun dubbio.
E lo stesso valeva per Seth e Desirèe. Ripensai alla scena a cui avevo assistito dai Clearwater. L’appello di Leah a Sam perché il branco difendesse i due giovani innamorati era stato qualcosa di straziante. Avevo sentito perfino un groppo in gola, ma sembrava che non avesse scalfito più di tanto l’Alfa del gruppo: era stato inamovibile. In un certo senso lo capivo. Doveva tutelare il gruppo, ancora prima che pensare alla felicità del singolo. Ma lasciare Seth al suo destino mi sembrava ugualmente disumano. E i Cullen avevano fatto lo stesso con Tanya. Se ci ripensavo, eravamo stati tutti profondamente egoisti, io per prima. Per evitare che Edward finisse coinvolto in una guerra che avrebbe portato a un unico risultato, avevo appoggiato la decisione di voltare le spalle a Desirèe e a sua madre mentre adesso stavo lì in preda ai sensi di colpa e a cercare vanamente una soluzione. Fra tutte le mie idee, una più di tutte mi aveva turbato. Avevo pensato di farmi trasformare subito. Avrei dovuto passare una settimana a contorcermi per il dolore, però dopo forse sarei stata abbastanza forte per poter fronteggiare, almeno per qualche minuto, i tremendi vampiri italiani. Ma da sola non sarei comunque servita a molto. La cosa che mi aveva sconvolto era che avrei rinunciato alla mia luna di miele da umana con Edward pur di aiutare Desirèe: questo era sintomatico di quanto mi fossi affezionata a lei. E se ci pensavo era tutto drammaticamente inverosimile: come facevo a volerle così bene, essendole stata vicina per meno di un giorno?
Mi faceva innervosire, ma non potevo farci nulla. Erano questi i miei sentimenti per lei e non sarebbero cambiati.
Comprendevo perfettamente come avesse fatto Seth a innamorarsi all’istante di lei, indipendentemente dall’imprinting, e perché Tanya fosse rimasta vittima dell’affetto, nato dal solo gesto di tenerla tra le braccia: era impossibile non amarla. E bisognava aiutarla per forza. In una qualche maniera. Ma i Cullen non volevano farlo. E il branco sembrava intenzionato a mantenere la stessa filosofia.
Se pensavo a quello che mi aveva detto sulla spiaggia Jacob, mi veniva quasi da ridere: il branco non avrebbe mai abbandonato un compagno in difficoltà. Quanta retorica in queste sue parole! Alla fine anche loro avevano dato forfait, come gli altri. Non potevo dare torto a nessuno, visto che c’era la propria vita e quella di amici o parenti in gioco. L’egoismo aveva prevalso su sentimenti di amore, amicizia e solidarietà.
Questa situazione aveva fatto emergere tutto il peggio di noi, e ciascuno era da compatire.
Seth, il piccolo del branco, ora si trovava a fronteggiare una situazione chiaramente più grande di lui e senza neanche il suo migliore amico.
Jacob…
Ripensai alle sue parole dai Clearwater e soprattutto al tono di voce. Non era convinto di quello che aveva detto, ne ero sicura. L’aveva fatto soltanto perché non voleva che Seth si cacciasse nei guai, voleva salvarlo, così come Sam, a modo suo ovviamente. Però se Jake condivideva a pieno quello che Seth si sarebbe apprestato a fare, allora avrebbe mantenuto sempre questa posizione?
“Capire non vuol dire aiutarti” aveva detto Leah. C’era della verità in questa frase, però conoscevo Jacob e sapevo quanto voleva bene a Seth e soprattutto quanto era impulsivo. In più, dopo quello che mi aveva detto Edward appena ieri, dopo il loro incontro davanti a casa mia…
Mi alzai di scatto.
E se Jacob avesse deciso di combattere con Seth? Non era una possibilità così remota. Non era capace di lasciare un compagno in difficoltà. Aveva aiutato persino Leah nel combattimento con i Neonati di Victoria, pur non nutrendo per lei alcun sentimento di amicizia o affetto. E Seth non era soltanto un compagno. O mio Dio! Sentii un brivido lungo la schiena. Non poteva fare una cosa del genere! Non il mio Jake. Se lo avesse fatto, sarebbe morto. Ma ero altrettanto consapevole che lo avrebbe fatto: lo conoscevo troppo bene. Si sarebbe schierato con Seth e Desirèe.
Cominciai a camminare nervosamente avanti e indietro per la camera.
Come potevo fermarlo? Testardo com’era, non lo avrei convinto neanche pregandolo in ginocchio. L’unico modo era che Sam desse l’ordine. Che però non sarebbe servito a niente. Jacob era perfettamente in grado di disubbidire, anche se da quello che aveva detto Leah, non sembrava una cosa facilissima, forse non ce l’avrebbe fatta su due piedi. Mi lasciai cadere sul davanzale della finestra. Era buffo pensare che l’unico che poteva tentare di salvarli fosse Sam, e io speravo fortemente che lo facesse. E mi rendevo contemporaneamente conto di quanto fossi contraddittoria: volevo salvare Desirèe ma senza coinvolgere nessuno. Cosa impossibile. Per di più tacciavo tutti di egoismo, però ero io la prima che non volevo che combattessero.
Guardai fuori dalla finestra. Stava piovendo. Tutto sommato era meglio aver rimandato il matrimonio: non mi sarebbe affatto piaciuto celebrarlo sotto la pioggia. Sorrisi amaramente. Stavo pensando delle banalità, mentre c’erano questioni molto più importanti in gioco.
Sospirai.
Oggi pomeriggio i Volturi si sarebbero presentati dai Cullen, e io avevo pregato Edward perché mi permettesse di essere presente. Lui aveva negato il suo consenso, ma lo avevo talmente assillato che alla fine aveva dovuto cedere. Volevo sapere in ogni dettaglio quello che avrebbero detto e avvisare Seth di conseguenza. Anche perché, visto come si erano messe le cose ieri, era indispensabile che lo facessi.
Ieri…
Non erano passate neanche ventiquattro ore da quando Tanya era tornata a Chicago, che la brutta notizia si era abbattuta su di noi.
Ricordavo perfettamente che io ero, come al solito, in camera con Edward, abbracciata a lui, quando un trillo improvviso echeggiò per tutta la casa. Mi alzai di scatto, presagendo cattive notizie.
Rimasi immobile cercando di carpire le parole della conversazione, ma non udii praticamente nulla: chiunque avesse risposto, sussurrava. Mi girai fissando Edward: sul suo volto si era dipinta la preoccupazione. Avevo ragione: era accaduto qualcosa.
“Che succede? Ti prego dimmelo!” implorai allarmata. E la mia angoscia divenne ancora più profonda quando lui tardò a rispondermi. Prese la mia mano e mi disse di accompagnarlo in salotto. Eseguii subito e quando arrivammo al piano inferiore, osservai i visi di tutti i componenti della famiglia. Non ce n’era uno che mi potesse rassicurare in qualche modo, tutt’altro.
“Non riesce a trovarla?” domandò Edward, guardando Carlisle. Il padre fece cenno di no. Non ci fu bisogno di aggiungere altro. Capii di chi stavano parlando. Desirèe era sparita.
“Quando?” riuscii a mormorare.
“Stamattina. Erano appena tornate a casa, a Chicago. E’ scappata dalla finestra e non ha neanche un po’ di denaro con sé” mi rispose Esme.
“Dobbiamo fare qualcosa. Dobbiamo cercarla!” esclamò Rosalie.
“E’ fuori questione! Non possiamo correre per tutti gli Stati Uniti…” la ghiacciò Jasper.
“Non è andata chissà dove!” disse Rosalie accigliata. “E’ qui, a Forks”.
“Tu credi sia tornata da Seth?” domandò Esme.
“Sono sicura di sì”.
Ci fissammo atterriti. Mancava solo un giorno alla venuta di Jane e dei suoi scagnozzi. Desirèe non poteva stare qui attorno per nessun motivo, soprattutto per la sua sicurezza.
“Se è qui, che facciamo? Non è al sicuro. Dobbiamo cercarla e riportarla subito da Tanya” affermò Esme.
“Calma” disse pacatamente Carlisle. “Se quello che pensa Rose è vero, dovrebbe essere estremamente facile ritrovarla. Basta contattare Seth e sapremo come stanno le cose”.
“Lo chiamo subito” dissi e, senza aspettare alcun cenno di approvazione, corsi al telefono.
Ero talmente in ansia che i pochi squilli che seguirono parvero un’eternità. Mi rispose Sue, la mamma di Seth e Leah. Le chiesi di suo figlio che, per fortuna, era in casa. E me lo passò velocemente.
“Pronto Seth? Sai dov’è Desirèe?” domandai, senza alcun preambolo. Dall’altra parte seguì il silenzio, e iniziai a pregare che Desirèe fosse lì.
Sentii il suo respiro farsi irregolare e il tono di voce divenire concitato:“Non è qui, Bella. Dov’è? Dov’è andata? Cosa le è successo? Rispondimi, ti prego”.
“Non lo so, Seth” risposi altrettanto allarmata. Se non era neanche lì, dove diavolo poteva essere finita? Il mio cuore martellò all’impazzata. “E’ scappata da Chicago stamattina e Tanya non riesce a trovarla. Noi tutti pensavamo che fosse tornata da te”.
“No, qui non c’è. O Dio, Bella, non è che…”
“No, Seth. Non sono ancora arrivati. Non devi neanche pensarlo…” gli dissi, intuendo perfettamente quale fosse la sua paura più grande.
“Ma dove potrebbe essere andata? Io non ne ho la più pallida idea…” continuò Seth. La sua voce vibrava: era davvero spaventato. Era chiaro che nemmeno lui sapeva dove potesse trovarsi Desirèe. E io tentai di pensare velocemente qualcosa, sia per tranquillizzarlo, sia per dare a me stessa una spiegazione logica.
“Ascoltami. E’ scappata stamattina, quindi anche alla velocità con cui corrono i vampiri, non potrebbe comunque essere già arrivata qui da Chicago e Tanya ha detto che non ha soldi con sé, perciò non può aver preso l’aereo. Potrebbe essere ancora sulla strada per arrivare a La Push. Non ci resta altro che aspettare. Se verrà qui, penso che dovrebbe arrivare verso sera oppure domani mattina. Per ora non possiamo fare niente. Però tu domani potresti provare a cercarla per La Push. Ad esempio, vicino a quel laghetto dove siete stati ieri. Credo che per lei abbia un’importanza particolare” dissi, tentando di avere la voce ferma. Non potevo fargli capire quanto io stessa fossi spaventata.
“D’accordo”.
“Anche noi la cercheremo qui a Forks. I primi che la trovano avviseranno gli altri. Ok?”.
“Va bene” e buttò giù bruscamente il telefono.
Quando ritornai in salotto, i visi di tutti i Cullen erano, se possibile, ancora più afflitti. Anche l’ultima nostra speranza era svanita.
“Quello che ha detto Bella al telefono è giusto” rifletté Carlisle. “Desirèe, anche correndo rapidamente, non può essere già a La Push. Alla velocità che il suo corpo può raggiungere dovrebbe essere qui domani mattina, se ha deciso di tornare da Seth. E’ inutile mettersi a cercarla adesso”.
“Ma se viene qui domani mattina, sarà un suicidio!” disse spaventata Rosalie. “I Volturi potrebbero sentirne la scia”.
“I Volturi non ne conoscono la scia. Se anche la sentissero non sarebbero in grado di capire a chi appartiene. E questo ci farebbe guadagnare tempo” la tranquillizzò Carlisle.
“Un momento” intervenne Emmett. “Noi non possiamo andarla a cercare, come ha suggerito Bella. Perlomeno non domani. I Volturi arrivano domani pomeriggio. Non possiamo permetterci di frugare tutta Forks, rischiando di essere scoperti o, peggio, che la sua scia, conosciuta o meno, ci resti addosso”.
“E se andassimo a cercarla adesso?” suggerì Alice. “Potremmo provare lungo le vie che collegano Forks a Chicago”.
“Ammesso che stia venendo qui…” interloquì Jasper.
“Sta venendo qui sicuramente” disse Edward, che fino ad allora era stato silente. “E’ troppo innamorata di Seth. Non può restare separata da lui”.
Mi stavano salendo le lacrime agli occhi. Se stava tornando davvero, voleva dire consegnarsi nelle mani dei Volturi. L’avrebbero trovata e sarebbe stata la fine. A meno che non li depistassimo volontariamente, ma quando l’avrebbero scoperto anche il destino dei Cullen sarebbe stato inevitabilmente segnato. Alzai lo sguardo verso Edward, che amorevolmente mi cinse le spalle con il braccio. Le gambe avevano iniziato a tremarmi. Dovevamo fare qualcosa in qualche modo. Un modo qualsiasi ma dovevamo aiutarla. Lo stesso pensò Rosalie perché si diresse rapidamente verso la porta e la spalancò. Edward mi lasciò altrettanto velocemente e rincorse sua sorella. La prese per un braccio e richiuse la porta, sbattendola brutalmente.
“Maledizione! Vuoi stare calma?!” imprecò. “Comportandoti così non ci aiuti! E non aiuti neanche Desirèe!”.
“Io devo andare a cercarla! Non posso lasciarla sola là fuori” gli rispose con voce ferma.
“E dove diavolo vuoi andare a cercarla? Sulla strada per Chicago? Ci sono centinaia di vie che portano qui. E poi potrebbe passare per i boschi. Dove andresti? Su, dimmelo!” la incitò ironicamente.
Rosalie si sentì sconfitta nei suoi propositi, scontratisi con la fredda razionalità di Edward. “Non posso lasciarla. Lei ha solo Seth e lui da solo non ce la può fare…” rispose quasi in un sussurro.
“Ce la può fare a fare cosa?” la rimproverò furente. “Vuoi affrontare i Volturi? Sei impazzita?! Vi ammazzeranno tutti e tre. Lo capisci, o no? Questo non è un gioco, Rose. Non credere che basterà un tuo sorrisetto per fermarli; le cose non funzionano in questa maniera, anche se nella tua testa pensi che sia così”.
“Adesso basta, Edward!” intervenne Emmett, che andò a frapporsi tra la moglie e il fratello. “Non esagerare. Rose vuole soltanto aiutarli, niente di più. E non ti permetto di parlarle a questo modo, siamo intesi?”.
Edward alzò le spalle e tornò verso di me. Certe volte era così brutale e violento con Rosalie che mi aveva indotto a pensare che la odiasse. Rose non era una persona facile da comprendere, soprattutto per me che non riuscivo a leggerle nel pensiero. Ma per lui non doveva essere altrettanto. E invece lo vedevo sempre freddo e scostante nei suoi confronti, mentre invece verso Alice era così adorabilmente affettuoso. Avevo notato anche l’amore che dimostrava verso Carlisle ed Esme, diventati suoi genitori a tutti gli effetti, la complicità tipicamente maschile che lo legava a Jasper ed Emmett, ma verso Rosalie sembrava provare solo astio. Dai litigi a cui avevo potuto assistere, era parso che la considerasse superficiale e viziata, esattamente come la ritenevo io. Tuttavia pensavo che lei non mostrasse il lato vero del suo carattere e che ci fosse qualcos’altro che non riuscivo a cogliere: Desirèe stessa aveva confermato questo dubbio. Ma Edward invece, che avrebbe dovuto conoscerla meglio di chiunque, non sembrava condividere le mie incertezze.
“Credo che sia meglio che ci diamo una calmata” affermò Carlisle. “Tanto fino a domani mattina non potremo farci niente. Facciamo passare queste poche ore e poi ci penseremo”. Tutti sembrarono d’accordo. Tutti tranne Rose, che scappò in camera sua e ci si chiuse dentro.
Tutto il giorno era rimasta lì. Ne era uscita solo in seguito alla telefonata di Tanya, ma ora era ancora più afflitta.
Il resto del pomeriggio trascorse in preda alla paura. Da quando erano emersi il problema dei Volturi e la preoccupazione per Desirèe, anche il poco tempo passato con Edward non era più stato lo stesso. Il mio rifugio felice era stato distrutto. Non riuscivo a staccare la spina. Ero perennemente in pena e in ansia per quello che sarebbe successo. Sapevo che sarebbe accaduto qualcosa di brutto. Il mio cuore spesso batteva all’impazzata per poi rallentare di colpo e ricominciare fino a quasi uscire dal petto. Da una parte non vedevo l’ora che arrivasse il giorno in cui Jane avrebbe chiarito finalmente il motivo della loro venuta, dall’altra ne ero semplicemente terrorizzata.
Verso sera decisi che era ora di tornare da Charlie. Quando mi alzai dal letto di Edward, sentii le gambe cedermi improvvisamente e ripiombai di colpo fra le sue braccia.
“Amore, stai bene?” mi domandò agitato.
“Sì, tutto ok” balbettai. Mi sentivo svuotata di tutte le mie energie, ma non volevo far preoccupare Edward: di ansie ce n’erano già abbastanza, senza metterci anche quella per un giramento di testa. Ma lui non sembrò persuaso della mia spiegazione.
“Credo che sia meglio che ti accompagni a casa. Non vorrei che ti succedesse qualcosa mentre guidi il pick up”.
Cercai di dissuaderlo, ma fu irremovibile.
E così tornai a casa, passeggera del mio pick up. Tutto sommato fu meglio così, perché fui vittima di parecchi giramenti di testa durante il percorso. E probabilmente se fossi stata io alla guida, sarei finita fuori strada. Ma non sapevo che appena giunta davanti a casa, sarebbe passato tutto in un attimo.
Seduto sull’ultimo gradino della piccola scala che portava al mio portone c’era Jacob. Mi stava aspettando.
Aprii la portiera e piombai giù. Mi avvicinai frettolosamente a lui, il quale accennò un lieve sorriso, per poi diventare cupo appena vide Edward.
“Ciao cane” lo salutò il mio fidanzato.
Jake soffiò e si voltò verso di me. “Seth mi ha riferito quello che è successo…” mi disse, come a giustificare la sua presenza a casa mia.
Annuii.
“Voi non avete idea di dove possa essere?” domandò a entrambi, anche se continuava a guardare soltanto me.
“No, anzi pensavamo che fosse da Seth. Per questo l’ho chiamato”.
Jacob tacque, assorto nei suoi pensieri.
“Potrebbe farlo?” domandò Edward.
Jake lo guardò severo. “Sì, potrebbe. Ma solo se non si trasformasse, altrimenti sarebbe impossibile, come ben sai”.
“Si è mai trasformato da ieri pomeriggio?”.
“No. Ma è anche vero che non ce n’è mai stato bisogno”.
Avevano cominciato un discorso partito da un pensiero di Jacob e ovviamente non stavo capendo nulla. “Insomma, volete spiegare anche me!” sbottai.
“Jacob si è semplicemente chiesto se Seth non stia nascondendo la verità” mi spiegò Edward.
Nascondere la verità? Ma era impossibile. Tra lupi non c’erano segreti, a meno che… Seth non si era mai trasformato da ieri, come aveva appena detto Jake e quindi non c’era stato modo di leggergli il pensiero. Ma no. Non era possibile. Avevo sentito il suo tono di voce al telefono: era sinceramente spaventato per la scomparsa di Desirèe. E poi perché avrebbe dovuto? Eravamo dalla stessa parte. Tutti volevamo che lei si salvasse. Però… Il prezzo era tenerla lontana da qui, e quindi da lui. La mia convinzione vacillò.
“Bella ieri sera mi ha accennato della discussione che c’è stata a casa di Seth…” iniziò Edward.
“Non sono cose che ti riguardano, succhiasangue” replicò piccato Jake.
“Voglio sapere cosa intende fare Leah. E soprattutto la posizione di Sam in tutto questo” disse Edward con tono perentorio.
“Leah, se necessario, difenderà Seth e Desirèe”.
“E Sam? Impartirà l’ordine?”.
“Per ora no. Ha parlato con Emily e lei lo ha convinto che non può imporsi su Seth. Perlomeno non in questo caso. Ma non è detto che non cambi idea”.
Edward alzò gli occhi al cielo, mentre io tirai un sospiro di sollievo.
“State sottovalutando la situazione. Tutti quanti”.
“Ribadisco che non sono affari tuoi. Sappiamo benissimo cosa fare. E non gradiamo interferenze” ringhiò Jake. Poi si girò verso di me:“Se hai delle novità, fammele sapere. Lo stesso farò io” mi disse amabilmente.
“Forse non capisci che anche noi siamo in ansia e vogliamo ritrovarla per evitare che domani le facciano del male. Se verrà da Seth si caccerà direttamente nelle loro mani. Potrebbero sentirne la scia e nemmeno Seth potrà salvarla” disse Edward, con aria di rimprovero.
“Lo sappiamo anche noi. Non è il caso che tu venga a farci la lezione, vampiro” si alterò Jacob.
Ebbi l’impressione che la situazione mi stesse sfuggendo di mano. Ammesso che avessi mai avuto il potere di controllarla. Edward era tranquillo, come al solito, mentre invece Jake si stava innervosendo. Ogni volta che si trovava Edward davanti, sapevo che il suo primo impulso sarebbe stato quello di attaccarlo, finora si era sempre trattenuto per rispetto dell’accordo tra i Quileute e i Cullen, ma se stuzzicato sarebbe scoppiato. Cercai di buttare acqua sul fuoco.
“Credo che loro sappiano cosa fare per tenere sotto controllo la situazione” mi intromisi non troppo persuasa. “Tutto il branco è concorde sul fatto che per il momento bisogna tenere Desirèe lontana da Seth. Non è vero?”.
Jacob fece cenno di sì, non distogliendo lo sguardo da Edward.
“Credo sia meglio che andiamo in casa” dissi. “Ci teniamo in contatto. Ok?” mi rivolsi a Jacob.
Finalmente mi guardò. “Certo. Alla prossima allora” e fece per andarsene.
“Aspetta un attimo” lo fermò Edward. “Ti devo parlare. Bella” mi sorrise gentilmente “puoi rientrare in casa? Devo parlare da solo con Jacob”.
“Ma…” obbiettai.
“Non ti preoccupare. Non ho alcuna intenzione di intraprendere un combattimento” mi tranquillizzò.
Fui costretta ad andare in casa. Percorsi lentamente le scale e ci misi un’eternità ad aprire la porta. Ma una volta entrata, mi precipitai alla finestra della cucina, da cui si poteva dominare la scena.
Jake si era appoggiato con la schiena a un albero e guardava Edward ogni tanto, come se non volesse prestargli attenzione. Edward non aveva cambiato di una virgola la sua posizione e stava parlando. Avevo i nervi tesi come corde di un violino. Sapevo che non avrei mai dovuto lasciarli soli. Era stato come invitarli a combattere, soprattutto Jake. Avevo il respiro sospeso e ogni tanto riempivo d’aria i polmoni soltanto per evitare di morire soffocata. Riuscivo a stare parzialmente calma perché controllavo la posizione di Jacob. Mi chiedevo di che cosa stessero parlando, quale fosse l’argomento della conversazione. Era evidente che Edward avesse letto qualcosa nella sua mente di cui aveva preferito non parlare con troppi ascoltatori. Ma facendo così non aveva fatto altro che accentuare l’ansia.
Poi Jacob si staccò dall’albero e si avvicinò a Edward. Sembrava alterato. Stavolta fu lui a replicare mentre il mio angelo era in silenzio. Ne fui terrorizzata. Se Jacob si fosse innervosito troppo, si sarebbe trasformato. Decisi che sarei scesa di prepotenza a difendere Edward: se ci fossi stata io, Jake si sarebbe fermato, o, perlomeno, questo era ciò che speravo. Edward fece inspiegabilmente un passo verso di lui. Jacob alzò la voce, tanto che riuscii a sentirla stando dentro casa, pur non potendo capire che cosa gli stesse dicendo.
Era troppo. Dovevo andare a fermarli, qualsiasi cosa stessero dicendo. Mi precipitai fuori dalla porta, ma quando la aprii, Jacob si era già incamminato verso la strada principale. Edward scosse la testa con disappunto. Poi si voltò verso di me, con un ampio sorriso, per tranquillizzarmi.
Silenziosamente salì le scale ed entrò in casa. Non sembrava molto intenzionato a rendermi partecipe della conversazione appena avuta, ma si sbagliava di grosso se pensava di tenermi all’oscuro.
“Che cosa vi siete detti?” domandai.
“Niente di importante…” minimizzò.
Incrociai le braccia, sbuffando. “Non pensare di tenermi ancora nascoste le cose. Anch’io voglio sapere. Anche perché sennò andrò direttamente da lui e sai perfettamente che me lo dirà!” lo minacciai.
Non sembrò affatto spaventato, anzi mi mostrò nuovamente il suo splendido sorriso. Forse stavolta mi stavo preoccupando per niente.
“Abbiamo semplicemente parlato del problema Desirèe e di come lui pensa di gestire la situazione. Tutto qui”.
“Se è tutto qui, perché mi hai fatto allontanare? Non ce n’era alcun motivo…” replicai scettica.
“Il fatto è che quando ci sei tu, non è mai del tutto sincero”.
“Ma tu gli leggi nel pensiero. Non è necessario che sia sincero…”.
“E’ diventato abbastanza bravino. Riesce a trattenersi dal pensare certe cose, e questo rende tutto un po’ più difficile per me. L’unico modo è farlo adirare e, come ben sai, ci riesco benissimo, anche senza dire nulla”.
“Per questo mi hai allontanato allora…”.
Fece cenno di sì con la testa.
“Perché? Pensavi che non avesse detto la verità prima? Credi che loro nascondano Desirèe da qualche parte e non ce lo vogliano dire?” chiesi.
“No. Jacob non sa davvero dove sia Desirèe. E anche tutto il resto del branco ne è all’oscuro. L’unico problema è Seth. Mi chiedo se lui non sappia realmente dove sia… Non si trasforma da ieri e questo dà adito a certi pensieri”.
“E allora cosa hai cercato nella sua testa?”.
“Mentre parlava con te, un pensiero gli è balenato nel cervello. E’ stato molto fugace, ma l’ho letto ugualmente. E ho voluto investigare”.
“Dimmi”.
“Nel caso che Sam cambi idea e impartisca l’ordine, Jacob potrebbe schierarsi con Seth”.
Credo di essere sbiancata. Mi dovetti appoggiare allo schienale della sedia, altrimenti sarei caduta a terra. Edward si avvicinò, premuroso, e mi prese sottobraccio. Mi accompagnò fino in salotto dove mi aiutò a sedermi sul divano. Nel frattempo il mio cervello aveva finalmente elaborato le sue parole.
“Cosa vuol dire? Jacob si schiererà con Seth? E’ impazzito?” domandai concitata.
“Credo di essermi spiegato male. Lui pensa che Sam non dovrebbe impartire l’ordine in quanto Seth deve essere libero di decidere cosa fare. Visto che lui è innamorato di Desirèe, deve avere la possibilità di difenderla, se è questo ciò che vuole. Perciò se Sam cercherà di imporsi, Jacob potrebbe decidere di costituire un sotto branco o un branco parallelo, per liberare Seth. Non ha pensato che intende combattere al suo fianco” mi rassicurò.
“Ma così ucciderà Seth, non lo capisce?”
“E’ quello che ho cercato di spiegargli. Ma sai com’è lui, no? Gli ho fatto presente che Sam fa così soltanto per salvare la vita di Seth, ma si è arrabbiato. Si è infuriato ancora di più quando gli ho detto di non provare a tirarti dentro in questa faccenda, altrimenti l’avrei ammazzato. Ovviamente ha detto che non ti avrebbe mai coinvolta, ma sappiamo tutti come funzionano le cose con Jake…”.
“Cosa intendi dire?” domandai.
“Che quando si tratta di lui tu perdi un po’ la testa e ti lasci coinvolgere in tutte le sue pazzie. In più è un irruente e un impulsivo…”.
Abbassai lo sguardo. Non aveva tutti i torti: quando Jake aveva avuto bisogno io ero sempre corsa, anche se si era verificato più volte il contrario. Edward mi prese le mani per avere la mia attenzione.
“Bella, adesso devi farmi una promessa”.
Sapevo già cosa voleva dirmi. E sapevo già che avrei fatto una fatica terribile a mantenerla.
“Ti prego, qualsiasi cosa accada, non ti fare coinvolgere da Jacob in niente di tutto quello che farà. Potrebbe cacciarsi nei guai e non voglio che tiri dentro anche te. Anzi, vorrei che tu non lo sentissi più fino a che la situazione non verrà risolta” mi sussurrò, preoccupato.
“Tu glielo hai detto che corre dei pericoli?”.
“Certo. Mi sembra che gli sia entrato in testa, ma è molto legato a Seth e non vorrei facesse delle scemenze per dargli una mano… E io voglio che tu stia fuori, qualsiasi cosa decida di fare. Ti prego, Bella, promettimelo. Ma sul serio, non come l’altra volta quando sei andata a cercare Desirèe…”.
Tacqui.
“Ti prego amore. Giuramelo!” mi implorò.
Non volevo farlo preoccupare. Avevo letto nel suo sguardo lo spavento per il mio comportamento, quando avevo riportato Desirèe a casa e non volevo ritrovarlo di nuovo. Soffrivo quanto e più di lui quando lo vedevo stare in ansia. Tanto più che non avrei potuto fare proprio nulla per aiutare Jacob, né tantomeno Seth. Però volevo una cosa e decisi di barattarla con questa promessa.
“Te lo prometto. Però in cambio voglio…” dissi.
“Cosa?”.
“Quando domani pomeriggio verranno i Volturi, voglio esserci anch’io”.
Si alzò dal divano, affatto felice dello scambio che gli stavo proponendo.
“No, Bella. Non se ne parla. I Volturi sono troppo pericolosi e non voglio per nessun motivo che tu venga a contatto con loro”.
“Perché? Se dici che non corro alcun pericolo, posso tranquillamente stare lì” cercai di convincerlo. “Se hai paura che io sia con voi, vuol dire che non sei persuaso che loro vengano per Desirèe”.
“Non è questo il punto. Il fatto è che non voglio coinvolgerti in questa faccenda. Devono pensare che ne sei completamente estranea, altrimenti potrebbero decidere di interrogare anche te”.
“Ma lo penseranno ugualmente perché sanno che io e te stiamo insieme. Se credono che voi Cullen sappiate qualcosa e che glielo stiate nascondendo, verranno a chiedere anche a me e allora è molto meglio che lo facciano con voi presenti, piuttosto che mi trovino da sola”. Il solo pensiero mi fece rabbrividire. Essere da sola, faccia a faccia, con quei mostri mi terrorizzava.
“Edward, ti prego” lo implorai. “Voglio esserci anch’io. Non escludermi dalla tua vita. Se tu corri dei pericoli, voglio correrli anch’io”.
“Bella, non c’è nessun pericolo, per ora. Non ti devi preoccupare” cercò di tranquillizzarmi. Con scarso successo.
“E allora perché non mi vuoi con te?”.
Tacque. Non lo avevo mai visto così combattuto. Forse stava valutando quale dei mali fosse il peggiore. E alla fine l’ebbi vinta io.
“D’accordo” sospirò. “Ci sarai anche tu, ma mi raccomando non dire nulla. Lascia che siamo noi a rispondere alle loro domande. Ok?”.
“Grazie” gli gettai le braccia al collo. Era la prima volta che riuscivo a ottenere il permesso per essere partecipe a qualcosa di davvero pericoloso. Io non ero totalmente convinta che non venissero per me, ma non importava. L’importante era stare con lui, sempre e comunque.
“Ricordati la promessa che mi hai fatto”.
“Promesso” alzai la mano destra.
Glielo avevo giurato e ora, mentre stavo alla finestra della mia camera, cercavo una scappatoia per aiutare Seth e Desirèe. E soprattutto evitare in qualche modo a Jacob di mettere in pericolo la sua vita. Era passato un giorno da quando Desirèe era scappata e sicuramente, se diretta a Forks, ormai doveva essere arrivata. Non avevo più sentito né Jake, né Seth, ma non credo che se fosse stata qua me l’avrebbero detto. Forse perché non volevano mettermi in pericolo o forse perché io lo avrei detto ad Edward. Ero convinta che volessero arrangiarsi da soli. Ma così facendo avrebbero solo rischiato di ammazzarsi tutti e tre. Né Sam, né i Cullen volevano far parte di questa missione suicida e non potevo dargli torto. Secondo me, bisognava trovare una soluzione senza violenza, altrimenti l’esito sarebbe stato già deciso.

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Capitolo 16
*** 10 settembre ***


Dico soltanto una cosa: finalmente sono arrivati!!! Per chi segue la mia storia, sa di chi sto parlando...
BUONA LETTURA!!!!





Mi lambiccai il cervello per tutta la mattina, ma non trovai niente di niente. Perlomeno, nulla che non coinvolgesse anche Edward. E questo non lo volevo assolutamente. Egoisticamente pensai che tutti gli altri sarebbero potuti morire, ma non lui. Ero davvero un mostro. Come potevo pensare certe cose? Non avevo proprio alcun briciolo di umanità. Ma purtroppo era così. Lui era troppo importante per me, ed era l’unica cosa che avesse qualche valore su questa terra. Era buffo pensare che cercavamo di salvarci a vicenda. Ognuno per l’altro era qualcosa di insostituibile e fondamentale. Anche noi eravamo, come Desirèe e Seth, nati per stare insieme, e, dopo mille traversie, ce l’avevamo fatta, mentre invece per loro, sarebbe stato molto difficile, quasi impossibile. Nonostante, però, volessi  a tutti i costi tentare di tenerlo al sicuro dai pericoli, volevo anche salvare la nuova coppia. Ma per ora, nessun risultato. L’unica cosa che potevo sperare era, come avevo detto a Seth, che i Volturi non stessero venendo qua per Desirèe. Presto lo avremmo saputo.
Il tempo era volato e ormai era pomeriggio. I Volturi stavano arrivando. Nel giro di un’ora sarebbero stati qua. Per fortuna aveva smesso di piovere.
Alle 16,30, puntualissimo come al solito, arrivò Edward. Scesi velocemente le scale di casa e mi accomodai sulla sua Volvo. Mi diede un rapido bacio, dettato più dall’abitudine che dal reale bisogno di un contatto con le mie labbra. Sapevo il perché di tanta freddezza, ma stavolta non potevo evitarlo. Dovevo sapere la verità. E se il prezzo fosse stato un lieve distacco per qualche ora dal mio adorabile fidanzato, il mio cuore avrebbe potuto sopportarlo.
Raggiungemmo la villa dei Cullen nel quasi assoluto silenzio. Io per prima non me la sentivo di parlargli. Ero consapevole di quanto il mio gesto lo stesse facendo stare in ansia, ma una promessa era una promessa e sapevo la serietà con cui lui prendeva questi patti.
Mentre parcheggiava l’autovettura, mi disse:“Sei proprio convinta di quello che stai facendo?”.
“Certo” affermai senza indugio.
“Bella, sai che io non sono d’accordo e non ti vorrei qui per nessun motivo al mondo. Ti prego con tutto il cuore: torna a casa. E’ troppo pericoloso”.
“Io voglio stare qui con te. Qualsiasi cosa accada. Non negarmi questa possibilità. Non ci siamo ancora sposati ma per me già vale ciò che ci farà promettere il prete: insieme nella vita e nella morte. E questa è l’occasione per dimostrarlo”.
“Non voglio nessuna prova del tuo amore per me”.
“Sì, ma voglio dartela io. E poi voglio far vedere alla tua famiglia che ormai mi sento parte di essa, anche se di fatto non c’è stato ancora alcun matrimonio. E’ giusto che io partecipi…”.
Edward si sentì battuto dalle mie obiezioni e non poté fare altro che arrendersi.
Quando entrammo in casa, erano tutti in salotto. Potevo leggere la tensione vibrante sui loro volti. Anche se ognuno di loro tentava di mascherarla: Alice stava sfogliando un catalogo di moda, Esme cucinava, Rosalie e Emmet erano davanti alla televisione, Jasper leggeva uno dei quotidiani e Carlisle un libro di anatomia. Ma tutti quanti avevano lo sguardo assente.
Quando entrai, Jasper sembrò contraddetto dalla mia presenza e non esitò a manifestare il suo sconcerto. “Non credo sia una buona idea che la trovino qua”.
“Lei fa parte della famiglia ormai ed è giusto che senta ciò che i Volturi hanno da dire” replicò Edward.
“Sì, ma nella remota eventualità che siano venuti qua per lei, fargliela trovare servita su un piatto d’argento, sarebbe un gesto assai stupido”.
“Non vengono qui per lei” si intromise sua moglie. “E trovo giusto che stia con noi. Deve sentire ciò che diranno quei maledetti”.
Jasper alzò le spalle e tornò a sedersi. Edward la pensava esattamente come lui, ma davanti a tutti non poteva far vedere quanto in realtà fosse in disaccordo con le mie decisioni. Esme si avvicinò subito chiedendomi se desideravo qualcosa da bere o da mangiare. Ovviamente risposi di no: la paura mi aveva chiuso la bocca dello stomaco. Anzi, avevo anche un po’ di nausea ma cercai di nasconderlo.
Il tempo volò.
Ad un tratto Alice si alzò. “Fra cinque minuti” si limitò ad affermare.
Le gambe iniziarono a tremarmi, tanto che fu un vero sforzo riuscire ad alzarmi. Ed i minuti purtroppo passarono velocemente. Troppo.
Il campanello suonò. L’intensità del suono fu così forte da farmelo apparire come un rombo di cannone. Esme e Carlisle andarono alla porta, mentre Edward ed io rimanemmo indietro, come tutti gli altri. Udii la voce squillante di Jane. Contemporaneamente la testa iniziò a girarmi vorticosamente. Avevo talmente paura che restai in piedi soltanto perché appoggiata a Edward. Non sapevo se avrei resistito a rivederla ancora una volta, dopo la terribile esperienza di Volterra.
Pian piano fecero il loro ingresso. Erano in tre, come previsto da Alice, e indossavano un mantello nero con bordi rossi. Sembravano proprio gli angeli della morte. Avevo già avuto modo di incontrare Demetri: uno spilungone piuttosto alto ed esile, dai capelli arruffati e dal sorriso inquietante. Lehausle invece era una novità per me. Non l’avevo mai visto. E per bellezza era paragonabile soltanto al mio Edward. Biondo, lineamenti dolci e sguardo angelico. Mai e poi mai avrei indovinato la malvagità che si nascondeva dietro quegli occhi.
Jane la conoscevo ormai. Bassa, dalla corporatura esile, all’apparenza una bambina, probabilmente trasformata all’età di 12 anni. I suoi capelli neri incorniciavano un viso dall’espressione innocente. Ma quando sorrideva, la sua bocca assumeva un ghigno che aveva un che di terribile e minaccioso. Era uno dei due capi della guardia reale. La più terribile e spietata. Si divertiva ad arrecare male al prossimo. Torturare e uccidere sembrava fosse la sua massima aspirazione. E il fatto che fosse qui copriva tutta la  missione di un aroma angoscioso e crudele.
“Salve a tutti” salutò con voce falsamente gentile.
Gli unici che risposero a nome di tutta la famiglia furono Carlisle e Esme, che li invitarono cortesemente ad accomodarsi.
Jane si aggirò per il salotto compiaciuta poi disse, quasi ammirata:“Davvero una bella casa. Complimenti Carlisle”.
“Il merito è tutto di Esme. E’ lei che l’ha scelta per la nostra permanenza a Forks ed è sempre lei che la cura”.
“Complimenti a te, allora” si voltò verso la moglie di Carlisle. Poi continuò:“Da quanto siete a Forks? Ormai è un pezzetto…”.
“Due anni all’incirca”.
“Credo che tra un po’ dovrete andarvene, prima che gli umani scoprano che non invecchiate…”.
“Ma veramente noi pensavamo di restare per altri cinque - sei anni. Non penso che nessuno si stupirebbe, considerando che ci sono tante persone umane che si portano molto bene i loro anni”.
Lo guardò scettica.
“Piuttosto, pensavamo che oggi ci sarebbe stato un matrimonio qua. Come mai non vedo né invitati, né festeggiamenti?”.
“Alice ha previsto il vostro arrivo e abbiamo deciso di posticipare la cerimonia” rispose Carlisle.
“Perché mai? Non avremmo certo mangiato gli invitati!” ironizzò la brutta megera.
“Non volevamo porvi la tentazione davanti agli occhi” interloquì Esme. “E poi volevamo darvi la massima attenzione, e con la cerimonia e tutto il resto non sarebbe stato possibile”.
“Immagino che ci sarebbero stati molti umani…” disse, passandosi la lingua sulle labbra, pregustando il mancato banchetto.
Quella dannata strega avrebbe voluto mangiarsi i miei amici: quanto avrei voluto spaccarle la faccia! Lottai con me stessa per non intromettermi nella discussione, che per ora si stava svolgendo nella più totale cordialità anche se vedevo Edward e Carlisle estremamente tesi. Tutti noi stavamo ansiosamente aspettando di sentire la motivazione per cui erano giunti lì e questo tergiversare ci faceva stare ancora più in pena.
Jane si girò verso Alice e cambiando completamente argomento, sorrise. “Così hai previsto il nostro arrivo, eh? Hai un dono magnifico. Saresti perfetta nelle file dei Volturi. Sai che Aro ti vorrebbe alla sua corte. Ne sarebbe davvero felice. Non vuoi unirti a noi?”.
“No, grazie. Mi trovo bene con Carlisle e preferisco restare qui. Tanto più che non mi cibo più di sangue umano. Mi sentirei a disagio con voi…” rispose Alice amichevolmente, col chiaro intento di non farla irritare.
“Capisco. Però non sapete cosa vi perdete a essere, come dire, vegetariani… Ma” disse voltandosi verso me e Edward “il matrimonio è solo rimandato, vero?”.
“Certo. Abbiamo sempre la ferma intenzione di sposarci” replicò risoluto il mio fidanzato.
“Bene. Perché altrimenti questo sarebbe inutile” ed estrasse da una tasca un pacchetto grande quanto una mano e me lo diede. Lo presi titubante. “Possiamo aprirlo?” chiese Edward al mio posto.
“Certo. Altrimenti che razza di regalo sarebbe?!”.
Mi tremavano le mani e probabilmente fu per questo che ci misi molto più tempo del previsto a scartarlo. Era un cofanetto. Lo aprii. C’era un ciondolo a goccia con una pietra poco più grande di un’unghia che brillava in maniera accecante.
“E’ un brillante. Aro mi ha detto che lo dovete trattare bene” ci sorrise Jane.
Lo feci vedere a tutta la famiglia e ovviamente Alice e Rosalie impazzirono letteralmente per il regalo.
“Ringrazia Aro da parte nostra. E’ davvero stupendo” disse Edward, con eccessiva deferenza. “Ma non doveva disturbarsi…”.
“Figurati. E’ molto affezionato alla vostra famiglia e voleva dare un segno della sua felicità per il matrimonio, nonché manifestare il suo rammarico per non essere potuto venire alla festa”.
Ci mancava solo che questi sanguinari venissero al mio matrimonio! Piuttosto sarei scappata a Las Vegas a sposarmi senza alcun invitato e lontano da tutti. A me poi il regalo non faceva né caldo né freddo. Anzi, avrei preferito che se ne fossero andati senza dare alcuna cattiva notizia. Però, ripensandoci, magari erano qua soltanto per dare il regalo. Sapevo che era un’illusione, ma mi ci cullai per un po’.
“Quando pensate di celebrare il matrimonio?” investigò Jane.
“Beh, pensiamo verso fine settembre. Perché?” domandò innocentemente Esme.
“Perché le regole sono state violate molto a lungo, direi” e si voltò verso di me. Il cuore iniziò a battere all’impazzata. Era giunto il mio momento. “Aro è stato fin troppo generoso in questo senso e mi sembra di capire che ne stiate approfittando”.
“Non è affatto vero” intervenne deciso Edward, stringendomi la mano. “Se voi non foste venuti oggi, a quest’ora saremmo già stati sposati e la trasformazione sarebbe avvenuta subito dopo”.
“Capisco. Spero che stiate dicendo la verità, altrimenti la prossima volta che verremo non saremo altrettanto clementi. Gli umani a conoscenza dell’esistenza dei vampiri vanno trasformati o uccisi. Non vorremmo essere costretti a porre fine alla sua esistenza” disse guardandomi. “Anche se deve essere davvero appetitosa”.
Mi tremò la mano che Edward così dolcemente mi stava stringendo.
“Non ti preoccupare. La prossima volta che ci vedremo lei sarà un vampiro e non dovrete scomodarvi a far rispettare la legge”.
Un sorrisetto maligno apparve sul suo viso. Sembrava che ci sperasse.
Questa maledetta strega godeva nel far soffrire le persone e pensavo che nutrisse una certa antipatia per i Cullen. Il fatto che fossimo usciti indenni dalla loro dimora a Volterra doveva averla fatta infuriare. Inoltre i suoi poteri su di me non avevano alcun effetto e quindi minavo la sua onnipotenza. Ragione in più per volermi eliminare al più presto.
Camminò per il salotto e si diresse verso la veranda. Buttò una rapida occhiata attraverso i vetri. “Che bel giardino!” esclamò. Dal suo tono, se non l’avessi conosciuta, avrei potuto dire che fosse sinceramente ammirata.
“Ti piace? Lo curo io personalmente” disse orgogliosamente Esme.
“Infinitamente. Possiamo andare a visitarlo?”
“Certo” e ci fece strada scendendo dalla porta secondaria.
Demetri e Lehausle ci seguirono silenziosamente chiudendo la sfilata. Non avevano detto nulla fino ad ora e non capivo il loro ruolo. O forse erano semplicemente i galoppini di Jane. Dovevano incuterci paura. Come se Jane non fosse sufficiente.
Ci aggirammo per il giardino, mentre Esme illustrava tutta la quantità di piante presenti e Jane ascoltava interessata. Fu attratta particolarmente dal roseto. Ormai i fiori stavano appassendo, ma le piante erano talmente rigogliose che non potevano non destare ammirazione. E io cominciai a chiedermi a che gioco stessero giocando questi maledetti vampiri. Erano qui da più di mezz’ora e ancora non avevano detto il motivo della loro visita. Stavano indugiando troppo e i miei nervi presto non ce l’avrebbero più fatta. Ma anche gli altri membri della famiglia Cullen erano nelle mie stesse condizioni. Gli unici che riuscivano ancora a mantenere il sangue freddo erano i due capofamiglia. Non so come facessero ma riscuotevano la mia totale ammirazione.
Pian piano rientrammo in casa. Edward mi lanciò un’occhiata: neanche lui ce la faceva a sopportare questo lento stillicidio. Era diventato una tortura e come tale doveva avere una fine. Vedeva inoltre la mia espressione spaventata e decise, sfrontatamente, di andare al punto.
Jane stava ancora chiacchierando amorevolmente con Esme, come se fossero state vecchie amiche, quando Edward le domandò a bruciapelo:“Come mai siete venuti qua? Volevate partecipare al matrimonio? In questo caso, ci dispiace averlo rimandato…”.
Jane lo guardò infastidita. Non tollerava certe intromissioni e desiderava avere sempre il controllo della situazione. Quella del mio fidanzato non mi sembrò una gran mossa: troppo aggressiva e incosciente. Ma Jane rise:”No, Edward. Effettivamente non siamo venuti qua per partecipare alla cerimonia. Noi guardie reali non abbiamo compiti di rappresentanza. Piuttosto, pensavamo che in seguito al matrimonio avreste invitato tutti i vostri conoscenti e parenti acquisiti…”.
“E in effetti è stato così…” concluse Edward.
“Non avete tanti parenti, a parte i Denali”.
“No, effettivamente no. Però non capisco dove tu voglia arrivare…”.
“In che rapporti siete con loro?”.
“Li consideriamo nostri parenti a tutti gli effetti. Ultimamente ci vediamo raramente ma riusciamo a tenerci in contatto, tramite posta elettronica e telefono” subentrò Carlisle.
Jane si voltò verso di lui, improvvisamente seria. Capii che i convenevoli erano finiti e a giudicare dal suo interesse nei confronti della famiglia di Tanya, le ipotesi di Edward stavano lentamente prendendo forma.
“Capisco. Durante queste conversazioni, come dire, virtuali, vi raccontate tutto?”.
“Direi di sì. Ultimamente ci siamo sentiti davvero poco, però i rapporti di affetto sono rimasti”.
“Anche loro erano invitati al matrimonio, vero?”.
“Certo”.
“Siamo venuti questo giorno proprio perché speravamo di incontrarli” concluse Jane.
“Perché?” domandò Carlisle.
“Da quanto tempo i vostri rapporti non sono più assidui?” continuò, ignorando la domanda di Carlisle.
“Mah… Poco meno di una decina d’anni”.
Jane tacque, guardando i suoi due aiutanti.
“Scusa, ma ci sono dei problemi? E’ successo qualcosa che li vede coinvolti?” domandò timorosa Esme.
Jane la fissò con i suoi occhi di ghiaccio.
“Effettivamente qualcosa è successo” rispose. Fece un passo verso la veranda e cominciò quello che suonò come una condanna a morte:“Da nostre fonti, siamo venuti a conoscenza dell’esistenza di un vampiro neonato. Creato non so in quale modo, ma figlio di un vampiro e di un essere umano. Questo essere è stato adottato dalla famiglia Denali. Superfluo sottolineare che questo gesto è contrario alle nostre leggi in quanto andava ucciso appena nato, per cui Aro, Caius e Marcus ci hanno mandato qui a risolvere la faccenda. Voi ne sapete qualcosa?” si voltò scrutandoci uno ad uno con sguardo penetrante.
“Un vampiro neonato?” disse Carlisle. “Non ne sappiamo niente e mi sembra strano che i Denali, da sempre così attenti alle leggi, abbiano trasgredito. Ma siete sicuri delle vostre fonti?”.
“Assolutamente”.
“Anche se fosse vero, devono avere avuto le loro buone ragioni. E poi stiamo parlando di un mezzo vampiro. Quindi deve sottostare ugualmente alle vostre leggi?”.
Jane sorrise beffarda. “Certamente. Sai, Carlisle, dal tuo tono si direbbe quasi che tu ne sappia qualcosa…”.
Sentii una goccia di sudore imperlarmi le tempie. Se si fosse accorta che stavamo recitando, sarebbe stata la fine.
“Non ne so niente. Però devo essere sincero: se lo trovaste mi piacerebbe studiarlo. Un mezzo vampiro… E’ la creatura più straordinaria che abbia mai sentito” concluse con aria sognante. Sì, Carlisle era un gran attore, a differenza di me.
“Non credo che avrai il tempo di farlo. Abbiamo ricevuto ordini tassativi di eliminarlo…”.
Avrei voluto urlare e gridargli di non farlo, ma così mi sarei tradita. Edward mi mise una mano sulla spalla, intuendo l’uragano di sentimenti che si agitava dentro di me.
“Ma perché? E’ un’evoluzione inimmaginabile della specie. Potrebbe portarci a raggiungere vette di conoscenza mai neanche sognate. Finora abbiamo sempre pensato che i vampiri non potessero avere figli e invece questa creatura smentisce tutto” la difese appassionatamente Carlisle.
Jane sbuffò. “Di questo, se vuoi, puoi parlare direttamente con Aro. Io devo solo rispettare gli ordini impartitimi. Sapete dove posso trovare i Denali?”.
“No, purtroppo no. Cambiano città continuamente. Gli piace viaggiare e adesso potrebbero essere ovunque” disse Esme.
“Ma per invitarli al matrimonio, come avete fatto a contattarli?”.
“Gli abbiamo telefonato sul cellulare per cui non sappiamo dove siano. Poi li abbiamo ricontattati per avvisarli del ritardo del matrimonio e non li abbiamo più sentiti da allora” rispose Edward.
“Gli avete detto il motivo del ritardo?”.
“Sì, perché?”.
“Qual è stata la loro reazione?”.
“Niente di particolare. Hanno semplicemente preso atto della situazione e basta”.
Jane lanciò un’occhiata complice verso i suoi due compagni. Era chiaro che stavano macchinando qualcosa.
“Qual è stata la loro ultima dimora, che voi sappiate?”.
“New York”.
Jane annuì, poi fece un gesto nei confronti di Demetri e Lehausle che uscirono di casa.
“Vi ringrazio per il vostro aiuto, ma credo che dopo la vostra chiamata sicuramente saranno andati via da New York. Anzi la nostra fonte, diceva che si dovevano trovare a Chicago. Potrebbe essere, secondo voi?”.
Carlisle ed Esme si guardarono, simulando stupore.
“Non ne abbiamo idea. Potrebbe essere, come no” concluse il capo dei Cullen.
“Va bene. Spero che non vi dispiaccia se diamo un’occhiata qui, a Forks. Giusto per fugare ogni dubbio. Dopodiché amplieremo il nostro raggio d’azione. Chicago non è così lontana… Intanto vi ringraziamo per le informazioni”.
“Non c’è di che, anche se non mi sembra che siamo stati di alcuna utilità”.
“Oh no, tutt’altro” ridacchiò Jane e si diresse verso l’uscita. Poi improvvisamente si voltò nuovamente verso di noi:“Ah, è scontato, ma ve lo dico ugualmente, giusto per ricordarvi le regole: chi aiuterà quella creatura verrà considerato fuorilegge al pari di lei, e quindi giustiziato. Siamo intesi?”.
Un groppo di paura e stizza mi ruggì nello stomaco.
“Certo. E’ fuori discussione. Conosciamo bene le leggi” disse  Carlisle compiacente.
Jane ci salutò con un ghigno e uscì.
Quando chiudemmo la porta ci guardammo sconcertati. Le nostre paure si erano materializzate davanti ai nostri occhi. Emmett fece per parlare, ma Edward lo fermò con un cenno della mano. I Volturi erano ancora troppo vicini e potevano ascoltare la nostra conversazione. Aspettammo qualche minuto poi finalmente Edward annuì.
“E’ come temevamo” iniziò Carlisle. “Credo che per Desirèe sia la fine”.
“Non possiamo fare proprio niente?” domandò Esme.
“Li hai sentiti. Se ci muoviamo in qualche direzione, ci ammazzeranno tutti.” Intervenne Jasper.
“Però potremmo telefonare a Tanya, dirle di andare via da Chicago e cambiare completamente stato” suggerì Alice.
“Dimentichi però che Desirèe è sparita. E se sta venendo qua davvero, la troveranno sicuramente e nessuno potrà farci più niente” sancì Emmett.
Rosalie rimase in silenzio per tutta la conversazione. Stava assimilando la situazione, come me d’altra parte. Eravamo impotenti. Tutti avremmo voluto fare qualcosa per aiutare Tanya e Desirèe, ma purtroppo non c’era molto che potessimo fare.
“Quando la troveranno, come ci comporteremo?” domandò Esme.
Nessuno rispose. Il silenzio fu fin troppo eloquente. Avremmo assistito alla tragedia e basta. Se lei fosse davvero tornata da Seth, a quest’ora doveva già essere qui. Guardai Edward:“Vado a chiamare i Clearwater” sibilai. Lui annuì.
In pochi minuti raccontai a Seth quello che i Volturi avevano detto. La sua voce era indescrivibile: anche lui ci aveva sperato fino all’ultimo, ma ormai era finita. Colsi l’occasione per sapere se Desirèe era arrivata in giornata a Forks, sottolineando che con i Volturi in giro, la situazione era ancora più pericolosa. Ma lui mi confermò ancora una volta che non si era vista e che avrebbe continuato a cercarla. Infine mi ringraziò per la telefonata e appese il ricevitore.
Quando tornai dagli altri, il silenzio aveva preso possesso della camera. Nessuno osava dire nulla. Ed effettivamente non c’era proprio nulla da dire. Mi sentivo impotente e inutile. Scrutando il viso degli altri  capii che si sentivano esattamente come me, ma ormai la decisione era stata presa. Abbandonare Desirèe al suo destino.
Mi chiesi cosa sarebbe successo. Seth non avrebbe sicuramente lasciato il suo amore da solo proprio adesso e l’avrebbe cercata ovunque per aiutarla. E Jacob? Lui era l’incognita di tutta l’equazione. Tremavo al solo pensiero che si schierasse con lui. I Cullen erano al sicuro. Non avrebbero corso rischi. Ma il mio migliore amico no. Dovevo fare qualche cosa per salvarlo da se stesso. Era troppo impulsivo e sconsiderato, come diceva Edward. E per giunta testardo. Se aveva deciso, sicuramente non avrei potuto far niente per fargli cambiare idea. Questo mi rattristò ulteriormente. Guardai Edward: avevo promesso di non intromettermi e non avere contatti con il branco fino a che la situazione non si fosse risolta. E avrei mantenuto la promessa, così come aveva fatto lui. Non l’avrei fatto preoccupare ulteriormente.
Mi sedetti sul divano. L’eccitazione dovuta alla visita dei Volturi era sparita di colpo e ora mi sentivo stanchissima, come se avessi fatto un’estenuante corsa. E in più un macigno opprimeva lo stomaco. Non sapevo come darmi sollievo. Neanche il delicato abbraccio di Edward servì a qualcosa. Facevo anche fatica a respirare. Mi guardavo attorno e vedevo ovunque visi sconsolati. Ogni angolo della casa mi riportava alla mente l’arrivo dei Volturi e le loro perfide parole. Decisi che forse sarei stata meglio se fossi tornata a casa mia. Necessitavo di un po’ di pace e lì non potevo riuscire a trovarla.
Alice mi fissò e previde la mia decisione. Edward mi guardò addolorato, ma capì perfettamente il mio stato.
“Ti accompagno” si offrì.
“No, amore, ti ringrazio. Resta pure qua. Ho bisogno di un po’ di solitudine… E poi non possiamo correre il rischio che qualcuno ti veda, altrimenti salterebbe la copertura”.
“L’abbiamo già fatto ieri…” replicò.
“E infatti è stato molto imprudente”.
Annuì, sorridendomi forzatamente. Sapevo che lo stavo ferendo, ma avevo davvero bisogno di stare sola. Volevo piangere e non davanti a lui. Era consapevole di quanto fossi partecipe della tragedia di Desirèe e Seth e non volevo che si rattristasse più di quanto già non fosse.
Lo conoscevo. Sapevo quanto fosse razionale e a volte freddo davanti agli altri, ma dentro di sé era angustiato. Non avrebbe mai voluto voltare le spalle a Tanya e a sua figlia, ma c’era la sua famiglia in gioco. Non poteva fare altrimenti. Si era dimostrato il più deciso nel fronteggiare questo avvenimento. E aveva dovuto per forza esserlo. Gli altri membri, a parte Carlisle, sembravano essere molto combattuti e c’era stato bisogno di qualcuno che prendesse in mano la situazione e non mostrasse il benché minimo cedimento. Aveva convinto tutti. Le più restie erano state Esme e Rosalie, ma non sembravano intenzionate a volersi ribellare agli ordini.
Fu Alice ad accompagnarmi a casa.
Quando arrivai, Charlie era già lì e vide la mia espressione sconcertata.
“Bells, cosa è successo? Edward è peggiorato?” mi domandò preoccupato.
“Sì. Oggi aveva un gran febbrone. Carlisle aveva pensato persino di farlo ricoverare” inventai, guardando a terra. Se l’avessi fissato avrebbe capito che stavo mentendo.
“Mi dispiace, ma vedrai che tutto si sistemerà. Non si muore di bronchite oggigiorno” tentò di consolarmi.
Avrei voluto piangere. Niente si sarebbe sistemato. Ma questo mio padre non poteva neanche lontanamente immaginarlo.
Cercai di distogliere il pensiero con la cucina. Mi cimentai addirittura in una ricetta assurda. Pensai che forse mi avrebbe aiutato. Purtroppo funzionò solo in parte. Ormai l’angoscia era parte di me e non me ne sarei più liberata.
Sentii anche un lieve rumore provenire da fuori. Mi affacciai alla finestra. Aveva ricominciato a piovere.
Sembrava tutto così dannatamente ironico! Anche il cielo ci prendeva in giro.
Singhiozzai, ma mi asciugai subito le lacrime. Mio padre si sarebbe insospettito troppo. Iniziai a pregare di riuscire a trattenermi almeno durante la cena. Poi finalmente, in camera mia, sarei stata libera di dare sfogo alla mia disperazione. Dovevo soltanto resistere una mezz’oretta.
Per fortuna quando servii la cena, c’era una partita in tv e Charlie non fece troppo caso, né a quello che mangiava (avevo bruciato praticamente tutto), né a me. Non riuscii a mandare giù neanche un boccone. Supplicai mentalmente mio padre di finire in fretta. Non avrei resistito a lungo.
Charlie aveva quasi terminato, quando il campanello suonò. “Oh no, non dirmi che mio padre ha anche degli ospiti, perché non ce la potrei fare” pensai sconsolata.
Ma, al contrario, fu sorpreso quanto me. “Aspettavi qualcuno, Bella?” mi chiese.
Feci cenno di no. Chi diavolo poteva essere a quell’ora? Edward, no di sicuro. Se fosse venuto, sarebbe passato dalla finestra, come al solito. Mi alzai dalla tavola e mi diressi alla porta.
Quando la aprii, mi trovai davanti le uniche due persone che non credevo avrei mai più rivisto.
Seth e Desirèe.

 

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Capitolo 17
*** Ghiaccio che fonde ***


Ciao,
questo è un capitolo nel quale viene approfondita la figura di Desirèe e che ve la farà amare ancora di più (nel caso non sia già successo!!!). E’ anche un po’ un revival della storia d’amore fra Edward e Bella: però vi consiglio di tenere occhi e cervello ben collegati perché tra le righe c’è scritto molto di più e di cui le conseguenze si troveranno più avanti. Ricordate che i miei personaggi non ammettono mai, nemmeno a sé stessi, ciò che provano!!!! Tocca al lettore capire… Baci a tutti.

 

 
 
 
 
Erano entrambi bagnati. Desirèe aveva un’espressione spaurita, mentre Seth controllava alle spalle, guardingo.
“Che diavolo fate qui?!” esclamai sorpresa.
“Non sapevamo dove andare” si scusò Seth. “Possiamo entrare?”.
Avrei dovuto dirgli di no, ma apparivano così disperati, così bisognosi di aiuto. Il mio cervello non poté ribellarsi a ciò che il cuore ordinava fermamente. Li feci accomodare. Entrarono ma si fermarono nell’ingresso. Non sembravano voler avanzare oltre. Si guardavano intorno, ascoltando ogni più piccolo rumore o movimento che potesse destare allarme. “Non c’è Edward” dissi, tentando di indovinare le loro paure.
“Lo so. Altrimenti ne avrei sentito la scia” commentò sicuro Seth. E allora non capii quale fosse il motivo di tanto timore. Forse avevano paura che i Volturi fossero da quelle parti o qualcun altro che potesse segnalare la loro presenza.
“Ehi Seth, che ci fai da queste parti?” domandò divertito Charlie, sporgendosi dallo stipite della porta.
“Sono di passaggio…” si limitò a rispondere.
Mio padre abbandonò la partita per venire verso di noi. Vide Desirèe e si presentò subito con molto calore.
“Ma lei…” disse Charlie.
“E’ la mia ragazza” concluse orgoglioso Seth. A mio padre sfuggì un fischio di approvazione. Prima si rivolse a Desirèe:“Sei davvero molto bella” e poi a Seth:“Complimenti. Hai scelto bene. Ma Sue non mi ha detto niente”.
“E’ una novità di due giorni fa…”.
Charlie annuì. Poi, osservandoli, mi rimproverò:“Bella, sono tutti bagnati. Vai a prendere degli asciugamani. Non vorrai lasciarli in questo stato.”.
Mi affrettai di sopra per prendere qualche telo. Ero talmente scioccata che non riuscivo a riflettere. Seth aveva detto che non sapevano dove andare. Era logico, pensandoci bene. I Cullen sicuramente li avrebbero divisi e il branco isolati. Non c’era molta scelta. Soltanto io mi ero dimostrata solidale e compassionevole della loro situazione. Nonostante questo, non sapevo che pesci pigliare. Erano venuti qui solo per asciugarsi i vestiti? Ne dubitavo. Io avevo fatto una promessa ad Edward ed intendevo mantenerla. Anche a costo di metterli alla porta. Ovviamente speravo che ci andassero di loro iniziativa, ma qualcosa mi diceva che non sarebbe accaduto.
Quando scesi, mio padre si stava ancora intrattenendo con i due ospiti. Chiese loro dove si fossero conosciuti, da dove venisse Desirèe, e restò profondamente stupito dalla serietà dei loro sentimenti. Li paragonò a quelli miei per Edward e gli chiese quando si sarebbe svolto il matrimonio, ridendo. Quest’ultima affermazione tolse loro il sorriso. Porsi agli ospiti gli asciugamani e con una scusa li portai in cucina, mentre Charlie ritornò in salotto a guardare la sua partita di baseball.
“Come diavolo…?” iniziai, ma ero talmente soffocata dalle domande che non sapevo da che parte cominciare.
“Sono scappata da casa” interloquì Desirèe.
“Questo lo so. Tanya ha avvisato i Cullen ieri” dissi. “Ma quando sei arrivata qua, e soprattutto come hai fatto?”.
“Sono venuta attraverso i boschi. E’ stata dura ma avevo una buona motivazione a spingermi qua” e strinse la mano di Seth. “Sono arrivata stamattina, verso l’ora di pranzo”.
“Mio Dio, sarai stremata! Chicago è parecchio lontana da qua. Vuoi qualcosa da mangiare?” e mi diressi verso uno scaffale, pronta a cucinarle qualsiasi cosa. Ma entrambi mi fermarono. Seth aveva già provveduto a portarla in un ristorante.
Scese un silenzio innaturale. Io stavo aspettando la loro richiesta, che senza dubbio sarebbe arrivata a breve. E loro indugiavano a farmela, perché sapevano che mi avrebbero molto probabilmente messo nei guai. Cosa che volevo evitare a tutti i costi.
“Bella…” iniziò Seth, con tono perentorio. Ma fu trattenuto da Desirèe che lo afferrò per un braccio e gli fece cenno di no con la testa. Ma lui doveva andare avanti e lo capivo: era l’unico modo per salvare il suo amore a tutti i costi.
“Bella, siamo qui per chiederti un favore”.
“Quale?”.
“Da quello che mi hai detto oggi pomeriggio quei maledetti sono ancora qua e non posso portarla in un albergo o in un motel e lasciarla da sola; né tanto meno portarla a casa mia perché per il momento non voglio coinvolgere Leah, almeno fino a quando non avrò chiarito con Sam come stanno le cose. E quindi ti chiedo, per favore, di ospitarla. Solo per questa notte” disse e sembrò quasi una supplica.
La loro richiesta non mi stupì. Era ciò che mi aspettavo. Strinsi nervosamente le mani una dentro l’altra. La mia risposta doveva essere no. L’avevo promesso ad Edward. E invece domandai:“Nessuno del branco sa niente?”.
“Nessuno, neanche Jacob” ci tenne a precisare.
“Come faccio a sapere che sarà solo per questa notte e non diventerà la regola?” chiesi scettica.
“Stanotte ho una riunione col branco e parlerò della situazione creatasi. Verranno prese delle decisioni, in un senso o nell’altro. Ti posso assicurare che non la lascerò qui ulteriormente”.
Senza accorgermene iniziai a camminare avanti e indietro per la stanza. “Perché proprio qui?” domandai.
“Questa casa è un posto sicuro per Desirèe e so che tu le vuoi bene. Non la tradiresti mai e, Dio solo sa, quanto abbiamo bisogno di amici fidati in questo momento”.
Guardai Desirèe: non aveva il coraggio di sostenere il mio sguardo. Era evidente che non condivideva tutto quello che il suo fidanzato stava orchestrando, ma sapeva anche lei che, senza la permanenza in casa mia, il rischio di cadere in mano ai Volturi sarebbe aumentato esponenzialmente. Ero profondamente combattuta. Amavo Desirèe, ma avevo fatto una promessa ad Edward. Non volevo farlo preoccupare per le mie scelleratezze. Finora tutta la famiglia Cullen era sempre finita nei guai a causa mia, e non volevo aggiungere un’altra perla al mio già ricco forziere. Però era anche vero che non potevo lasciare Desirèe proprio ora. Seth aveva ragione: erano soli e avevano bisogno di qualcuno che li capisse e li appoggiasse. In fondo si trattava solo di una notte e poi le regole dei Volturi valevano anche per me che ero umana? No, potevo ancora fare quello volevo. La trasformazione non era ancora avvenuta e forse questo giocava a mio favore. Nonostante questo, la promessa ad Edward continuava a ronzarmi nel cervello. Lo stavo tradendo ancora una volta. La fiducia che lui riponeva in me sarebbe stata delusa. Guardai i due timidi fidanzati e chiesi perdono mentalmente al mio futuro marito.
“D’accordo” sospirai. “Ma una notte soltanto, altrimenti Edward mi ucciderà e ucciderà anche voi!”.
Seth sorrise entusiasta. “Grazie, Bella. Di cuore. Domani mattina presto verrò a prenderla, ok?”.
Annuii e il  patto fu siglato.
Li lasciai un attimo da soli ed andai ad avvisare Charlie che avremmo avuto un ospite per la notte.
“E dove pensi di farla dormire?” mi chiese ironico.
“Nel mio letto, è ovvio. Per me prenderò la brandina che sta in soffitta” e mi diressi alla scala. Ma mio padre mi fermò.
“Non credo che quella brandina resisterà a lungo. L’ultima volta, durante un campeggio con Billy e Bruce, l’ho sfondata. Facciamo che voi due dormite nel letto matrimoniale e io nella tua camera. Ok?” mi propose.
“Papà, davvero non è il caso. Possiamo arrangiarci…”.
“Non ti preoccupare, Bells. E’ sempre un letto, come tutti gli altri. Starò comodissimo. E poi è solo per una notte. Dai, facciamo così”.
A malincuore, accettai. Non volevo arrecare disturbo a papà, però quella era l’alternativa più praticabile. In quell’istante ci raggiunse Seth che ringraziò nuovamente me e Charlie per l’ospitalità, giurando che l’indomani sarebbe venuto a prendere la sua ragazza nella prima mattinata. E poi se ne andò.
Salii le scale, seguita da Desirèe. Sconsolata, sul pianerottolo dinanzi alla mia camera, si rammaricò: “Mi dispiace, Bella. Non volevo tutto questo, ma Seth ha tanto insistito e ha detto che questo era l’unico posto dove avremmo trovato un amico. Sappiamo che ci stiamo comportando da egoisti e non ti avrei dato torto se ci avessi messo alla porta fin dal principio”.
Mi avvicinai. “Non ti devi preoccupare. Se l’unico modo per aiutarvi è questo, lo faccio volentieri. Anzi, mi dispiace di non poter essere di maggiore aiuto” la rassicurai. Si girò verso di me e mi abbracciò senza dirmi altro. In quel momento anche le mie ultime resistenze svanirono: non mi sarei mai pentita di averle dato ospitalità. Aveva disperatamente bisogno di qualcuno, oltre Seth, che le desse sostegno e la aiutasse a superare questo difficile momento. Ed io ero ben felice di poterglielo dare, anche se solo in parte. Mentre la stringevo a me, iniziai a pregare che le cose andassero meglio. Doveva esistere un Dio là sopra che mi avrebbe ascoltato! Non poteva essere così crudele. Doveva pur esserci una soluzione, ed io ero intenzionata a trovarla. Anche da sola, se necessario.
Quando sciolsi l’abbraccio, vidi che stava piangendo. Frugai nelle tasche e le diedi un fazzoletto.
“Papà mi ha detto che eccezionalmente ci cederà il letto matrimoniale in camera sua. Immagino che sarai stanca. Vuoi andare subito a dormire?” le chiesi.
“Sì, effettivamente sono distrutta”.
Le sorrisi. Entrai in camera e dall’armadio estrassi una camicia da notte. Lei non aveva un ricambio con sé. E dentro di me ringraziai il cielo che Edward quella sera non fosse venuto, altrimenti sarebbe successo sicuramente il finimondo.
La feci accomodare nella camera di Charlie. Si buttò sul letto, stremata. D’altra parte fare tutti quei chilometri in un giorno, e, peggio, a piedi, avrebbe tramortito chiunque. E una parte di lei era pur sempre umana. Si stancava, meno di noi, ma sia a causa del viaggio, sia a causa della paura, la vedevo davvero spossata. Le dissi che sarei scesa in cucina a finire di sparecchiare e a lavare i piatti, poi sarei risalita. Lei poteva scegliere la parte del letto che preferiva, per me era uguale. Non mi rispose nemmeno. Pensai che si fosse già addormentata.
Mentre sbrigavo le ultime faccende, il mio cervello fu preda di mille domande e congetture. Se Edward avesse saputo cosa stavo facendo proprio in quel momento, si sarebbe arrabbiato seriamente con me, per la prima volta da quando lo conoscevo. A livello razionale sapevo che questo era il mio ennesimo colpo di testa, ma quando rivedevo Seth e Desirèe alla porta, sotto la pioggia, non potevo fare a meno di pensare che avevo fatto la cosa giusta. Magari con un po’ di fortuna sarebbe andato tutto bene. I Volturi non mi avrebbero scoperto, il branco avrebbe sostenuto Seth e li avrebbero aiutati a scappare da La Push. La mia visione della vita era un po’ troppo ottimista, ma avevo bisogno di crederci.
Quando tornai al piano superiore mi aspettavo di trovare Desirèe addormentata, invece era sdraiata supina sul letto, con lo sguardo fisso sul soffitto.
“Sei ancora sveglia?” le domandai.
Fece cenno di sì, ma senza guardarmi. Mi sdraiai accanto a lei. “C’è qualcosa che non va?” chiesi affettuosamente.
“Non sarei mai dovuta tornare. Vi ucciderò tutti… Edward ha ragione ad odiarmi. Sarebbe stato meglio che la mamma e Kate mi avessero ammazzato appena nata” proferì dolorosamente.
Mi alzai di scatto. “Che stai blaterando? Nessuno morirà, nemmeno tu!” la rimproverai.
Si voltò verso di me. Solo allora mi accorsi che aveva gli occhi rossi. “Mi dispiace, Bella. Ti ho messo nei guai, così come Seth. Se i Volturi scopriranno che mi tenete nascosta, vi uccideranno”. Poi si mise le mani sugli occhi:“Ma cosa pensavo di fare venendo qui?! Sono stata una sciocca egoista!”.
“Non è vero. Nessuno ti scoprirà e tutto si sistemerà, in un modo o nell’altro. Devi essere fiduciosa. E ti proibisco di piangerti addosso!”.
Mi sorrise forzatamente. “Grazie, Bella. Sei davvero straordinaria! Capisco perché Edward ha perso la testa per te…”.
“Forse è innamorato del mio profumo!” scherzai. Non sembrò capire il gioco di parole. “Sai” continuai “all’inizio cercava di starmi lontano perché il mio odore lo inebriava e aveva una voglia pazza di bere il mio sangue. Quindi magari è ancora così… E nel momento stesso in cui diventerò vampiro, non mi troverà più attraente e mi lascerà!”. Un tempo avrei creduto a questa possibilità, ma non adesso. Non dopo tutto quello che avevamo passato.
Invece Desirèe si sentì in dovere di tranquillizzarmi. “Non è affatto per questo motivo che ti ama. Ma penso che tu lo sappia meglio di me. Quando siamo ritornate a casa, dopo che mi avevi ritrovato a La Push, ho visto come ti guardava e soprattutto il sentimento che trasudava da ogni sua occhiata. E’ stato bellissimo, anche per me che non ero nemmeno l’oggetto di quello sguardo. Immagino per te…”.
Veramente non ci avevo fatto caso, anzi ero stata troppo terrorizzata dalla sgridata che avevo creduto sarebbe arrivata di lì a poco. E avevo notato solo preoccupazione nei suoi occhi. Ma di una cosa mi accorgevo sempre: avevo necessità di sentire il suo sguardo su di me, che fosse turbato, severo, dolce. Non avrei potuto più nemmeno respirare senza di lui.
“Quando vi siete conosciuti?” domandò curiosa. La fissai: sembrava più serena di prima. Evidentemente parlare di qualcos’altro che non fosse la sua situazione la faceva stare meglio.
“Appena mi sono trasferita. Poco meno di due anni fa. Frequentavamo la stessa scuola…” risposi.
“E?” mi incalzò.
“Ma… Niente. All’inizio non sapevo cosa fosse veramente, come ovviamente lo ignoravo di tutta la sua famiglia. Però c’era qualcosa in lui di magnetico, non riuscivo a stargli lontana. E lo stesso succedeva a Edward. Soltanto che all’inizio tentò di tenermi a distanza perché non voleva espormi a rischi inutili. Ma il legame che già ci univa era troppo forte e alla fine, dopo molte resistenze da parte sua, abbiamo deciso che era inutile resistere. E da quel momento non ci siamo più lasciati” conclusi.
Desirèe si mise a ridere. Non mi ero accorta che mi ero commossa ricordando tutti i nostri bellissimi momenti. Mi sentii davvero una stupida. Ancora piangevo quando ripensavo a noi.
“Non vi siete mai lasciati?”.
“Ci sono stati effettivamente sei mesi durante i quali lui è scappato con tutta la famiglia da Forks perché aveva deciso che la sua vicinanza era nociva per me, ma per fortuna quel periodo è passato e non voglio più ripensarci. Mi è sembrato di morire…” sospirai. Ripensai anche al fatto che ero dovuta correre a Volterra per impedirgli di farsi ammazzare dai Volturi, ma decisi che era meglio non nominare quell’argomento, per non riportarle alla mente pensieri spiacevoli.
“Come mai hai deciso di farti trasformare in vampiro?” domandò.
“Io invecchio mentre lui no. Resta fermo ai suoi diciassette anni, ed io non posso permettere che uno stupido inconveniente di rughe ci separi” dissi ridendo.
“Capisco. Ma sono sicura che lui ti amerebbe ugualmente”.
“Sono io che voglio amarlo per l’eternità. Non è soltanto un problema di invecchiamento”.
Mi sdraiai sul letto. “Sai, certe volte mi ritrovo a pensare come sarebbe stata la mia vita senza di lui. Non oso nemmeno immaginarlo. Un’esistenza piatta e senza alcun colore. Un continuo alzarsi dal letto, uscire, studiare, lavorare, mangiare, dormire… E’ lui che dà un senso ad ogni giorno, ad ogni mia azione, ad ogni battito del cuore, anche alle cose che prima mi sembravano banali. Quando mi sono trasferita qua mi ero quasi sentita male al pensiero di finire in questa misera cittadina. Non avrei mai pensato che mi attendesse la felicità” sussurrai.
Lo sguardo di Desirèe era pieno di comprensione e compiacimento.
“Quando siamo andati al ballo di fine anno, mi sembrava davvero di essere una principessa e non perché fossi vestita come tale, ma soltanto perché c’era lui al mio fianco. Abbiamo persino ballato” continuai, immergendomi nei miei sogni ad occhi aperti. “Io sono assolutamente negata, ma tra le sue braccia mi sento così a mio agio che tutto diventa più facile. E poi è molto romantico! Anche troppo certe volte. Mi ha chiesto in ginocchio di sposarlo. Io avrei volentieri evitato, ma ha voluto farlo a tutti i costi. E’ dolce, tenero, premuroso…” e avrei continuato un bel po’ nell’elenco dei suoi pregi, se Desirèe non mi avesse bloccato.
“Sembra proprio l’uomo perfetto!” disse.
“Non sembra, lo è!” replicai piccata.
“Mi piacerebbe conoscerlo, ma non so ne avrò mai l’occasione…” sospirò.
“Oh sicuramente!” dissi, mettendomi a sedere a gambe incrociate. “Quando tutto questo si sistemerà, potremmo fare qualche scampagnata tutti e quattro insieme. Sai, ad Edward piace molto Seth e credo che la cosa sia reciproca. Che ne dici?”.
“Mi piacerebbe tantissimo” si entusiasmò.
Stavo riuscendo a farla distrarre ed era l’obbiettivo che mi ero prefissata, però non mi ero accorta che avrei continuato a parlare di Edward per ore. Dovevo limitarmi altrimenti l’avrei annoiata a morte, anche se lei invece si mostrava interessata.
“Sai, la mamma mi aveva sempre descritto Edward in maniera completamente diversa ed io mi ero fatta un’idea differente, ma evidentemente lei non lo conosce bene quanto te…”.
“Beh, questo è quello che vedo io. Magari Tanya ti ha dato una visione più obbiettiva mentre, come avrai notato, la mia non lo è molto…”.
“Me lo aveva descritto come una persona un po’ fredda e molto razionale” mi chiarì.
“Freddo non è di sicuro!” risi. “Anzi, quando si tratta di me, si accende molto facilmente. Però, pensando a tutti gli avvenimenti, direi che sì, è una persona razionale. Cerca di risolvere tutti i problemi in maniera logica, però quando si tratta di me, va, come dire, un po’ in corto circuito”.
“Se ti ama, è giusto che sia così. Altrimenti non avrebbe senso”.
“Sì, mi preoccuperei molto”.
“Quindi è fuoco e ghiaccio contemporaneamente” sintetizzò. Ed io non avrei saputo definirlo meglio. Desirèe si sdraiò su un fianco e appoggiò la testa sulla mano. “E Jacob come si colloca in tutto questo?” mi chiese.
Ero talmente presa da Edward, che cambiare argomento così bruscamente fu una doccia fredda. “Che c’entra Jake?” balbettai confusa.
“Con Edward un accidente. Ma con te sì. Avete deciso di puntare sulla semplice amicizia, giusto?”.
“Sì. Non c’erano altre alternative, perlomeno da parte mia. E sembra che la cosa stia funzionando. Però non canterò vittoria fino a che non sarà passato un altro po’ di tempo…”.
Alzò un sopracciglio. “Cosa intendi dire? Canteresti vittoria se lui trovasse un’altra?”.
“Certo” risposi sicura. “Anzi, sarei contenta per lui. Deve mettere una pietra sopra tutto ciò che mi riguarda. Io ho fatto la mia scelta e ne sono convinta, e vorrei che anche lui fosse felice.”.
“E non saresti gelosa?”. La conversazione sembrava diventato un interrogatorio.
“Ma figurati” le risposi, facendo un gesto con la mano. “Magari all’inizio un pochino, ma sarebbe soltanto per orgoglio femminile. Sai, a noi donne piace essere corteggiate e perdere un pretendente può essere una delusione, anche se di fatto questa persona non ti piace”.
“Non ci provare, Bella. Lo sai che a me non la puoi raccontare” ridacchiò. Accidenti, sembrava che si divertisse a mettermi in imbarazzo e a mascherare tutti i miei segreti. Mi ero tanto divertita a parlare di Edward, che adesso rivolgere la mia attenzione su Jacob sembrò un tormento.
“Cosa vuoi sentirti dire? Questo è quello che provo. Va bene, Jake è più di un amico, ma io amo Edward e Jacob può fare quello che vuole. Avrà sempre la mia amicizia, in qualsiasi momento” le risposi indispettita.
“Edward è geloso di Jake”.
Abbassai lo sguardo. “Forse sì” ipotizzai.
“La mia non è una domanda, Bella. E gli devo dare ragione. Sei troppo attaccata a Jacob. Non è una situazione normale. Se Seth fosse così legato a una sua amica, caverei gli occhi sia a lui che a lei”.
“Sì, ma io ho passato l’inferno un anno fa e se non ci fosse stato Jacob non credo che sarei qua a raccontartelo”.
“Capisco. Ma la gratitudine non va confusa con altri sentimenti” mi rimproverò severamente.
Il tono della sua voce, basso e fermo, mi fece sentire ancora più in colpa di quanto già non fossi quando si parlava del rapporto che mi legava a Jacob. Io amavo Edward e questo era certo quanto il fatto che il sole sorge all’alba, ma era anche vero che non potevo fare a meno dell’amicizia di Jake. Certo, se Edward mi avesse messo alle strette, chiedendomi di scegliere, avrei sicuramente tagliato con il mio amico. Ma sapevo che non l’avrebbe mai fatto: mi amava troppo per causarmi un tale dolore.
“Mi stavo chiedendo una cosa: che cos’ha Edward che Jacob non ha? Sai, io non conosco nessuno dei due, però leggendo nei loro cuori, mi sembrano due persone splendide, anche se totalmente diverse tra loro. Edward è molto razionale, mentre Jacob è un istintivo”.
“Jacob è un immaturo. E a volte non ti nascondo che è talmente sbruffone che gli torcerei il collo. Edward è bello, dolce, affettuoso, gentile, affascinante, sensibile. Ha tutte le doti del mondo”.
“E Jacob non è nessuna di queste cose?”.
“A volte sì. Ma è anche un testardo impulsivo, e agisce senza pensare. Vuole sempre fare le cose a modo suo, indipendentemente da quello che gli altri possono obbiettare, me compresa” brontolai un po’ alterata.
“Ti riferisci a un episodio in particolare?”.
“Beh, sì. Un pomeriggio ha detto che mi amava e mi ha baciato con la forza. Io non sono riuscita a ribellarmi perché, ovviamente, è troppo più forte di me. Sta di fatto che ho cercato di schiaffeggiarlo col risultato che mi sono rotta una mano!”. Al solo ricordo la bile tornò a consumare le pareti dello stomaco, mentre Desirèe rideva a crepapelle. E questo mi irritò ancora di più. Nessuno capiva quanto quest’episodio mi avesse infastidito.
Poi tornò seria. “Però Jacob nel suo cuore ha ben altri ricordi. L’ha stravolto?”.
Mi morsi un labbro e cominciai a torturare le lenzuola sotto di me. “No, c’è stato un altro bacio” sussurrai evasiva.
“Cioè? Ovviamente se non ti dà fastidio raccontarlo”
Mi dava fastidio eccome! Però volevo evitare che fraintendesse il motivo per cui non volevo parlarne.
“Ci siamo baciati prima della battaglia con Victoria e i suoi Neonati. Come al solito, Jake mi ha ingannato, facendomi credere che volesse suicidarsi in battaglia e io stupidamente l’ho baciato”.
“E…” mi incalzò.
“E’ stato in quel momento che mi sono resa conto che provavo ben altro per lui, aldilà della semplice amicizia, ma comunque non abbastanza forte da farmi lasciare Edward. Tutto qui” tagliai corto.
“Ed è di questo che Edward è geloso” mi disse. 
Questo fu un fulmine a ciel sereno. Edward ci pensava ancora dopo sei mesi?
“Cosa intendi dire?”.
“Che lui non l’ha dimenticato ed è per questo motivo che odia Jacob ancora di più. Nonostante sappia che tu lo ami e non lo lascerai, si sente in competizione con il tuo amico licantropo. E, nonostante l’immensa gioia che provoca in Jacob quel ricordo, anche per lui è un problema perché sapendo cosa provi, non può fare a meno di pensare a come sarebbe stata la vostra vita insieme. Insomma, un solo bacio ha causato quasi un disastro!”.
Il mio comportamento aveva danneggiato entrambi, ne ero sempre stata consapevole, ma quello che per me appariva incomprensibile era che Edward si sentisse in competizione con Jacob. Doveva aver frainteso. Anche perché non c’era mai stata gara. L’esito era sempre stato scontato e chiaro. Mi sembrava di aver dato prove sufficienti del mio amore per lui, che non ci fossero né dubbi, né sospetti sulla mia assoluta devozione. Forse la riconciliazione tra me e Jacob dell’altro giorno, a cui tutti i Cullen avevano assistito, l’aveva irritato più di quanto avessi immaginato. Dovevo stare più attenta. Non potevo lasciarmi trasportare dai miei sentimenti per Jacob e farlo soffrire di più. Decisi che d’ora in poi avrei trattato Jake più freddamente in modo tale da non ferire Edward.
“Sai, può darsi che presto ti libererai del problema “Jake”” riprese la conversazione.
“Cosa intendi dire?” investigai.
“Sta soffrendo troppo, Bella. E’ stanco. Non ce la fa più. Questo dolore potrebbe portarlo alla decisione opposta e cioè cercare più velocemente qualcuna che ti sostituisca. Per questo si sta guardando intorno. Sta cercando quella pace che tu non sei riuscita a dargli. Certo, c’è il problema che paragona tutte le ragazze che conosce a te, però prima o poi smetterà di farlo, credo”.
“Ma scusa, tu hai letto tutte queste cose nei cuori di Edward e Jacob vedendoli per pochi minuti soltanto?” domandai stupita.
Desirèe ammiccò. “Ho un bel potere, vero? E se vuoi te ne dico un’altra. Ma questa non dipende dalla mia dote, ma semplicemente dai miei occhi. E che ti dovrebbe far ulteriormente capire, se ci fossero ancora dei dubbi, su quanto siano l’opposto uno dell’altro”.
“Cosa?” domandai sinceramente incuriosita.
“Ti guardano in maniera diversa”.
Non capii cosa intendesse dire e la incitai a spiegarmelo.
“Beh… Diciamo che Edward ti guarda con ammirazione, devozione, come una dea da venerare. E ti tratta di conseguenza, da quello che mi hai detto: come se fossi di porcellana”.
“E Jacob?”.
“Ti guarda come una donna, una bella donna. Non so se mi spiego…” sorrise maliziosa. Capii perfettamente e mi sentii arrossire violentemente fino all’ultima unghia del piede.
Si rovesciò sul letto e si mise a guardare il soffitto. “Sai, ci sono certe donne che preferiscono la prima e altre la seconda. Deduco che tu appartenga al primo gruppo” girò la testa verso di me.
“Assolutamente” confermai. Mi sorrise comprensiva.
“E Seth come ti guarda?” le domandai.
“Non lo so. Sai, certe cose le nota un esterno, non chi le sta vivendo. Però spero non come una dea da venerare: non lo sopporterei. Non voglio che mi consideri una fanciulla indifesa da soccorrere”.
“Non credo che ti veda in questo modo”.
Desirèe rimase in silenzio per qualche istante, poi affermò dolorosamente:“Gli sono di peso. E questa è l’ultima cosa che vorrei”.
“Non è vero affatto. Seth è felice di aiutarti. Certo, se tutta questa storia dei Volturi non ci fosse, potreste vivere il vostro amore in maniera diversa. Però non devi vedere tutto negativo. Pensa che questa situazione rafforzerà di più i vostri sentimenti” cercai di rasserenarla.
Non replicò. Non seppi interpretare il suo silenzio, se l’avessi convinta o meno. Infine sorrise. “Sai, la mamma quand’ero piccola mi leggeva un sacco di favole prima di dormire. Ma, in realtà, le adoravo talmente tanto, che invece di farmi assopire, mi svegliavano ancora di più, anche se ormai le conoscevo a memoria. E quando sono arrivata qui e ho visto Seth, mi è sembrato di essere diventata una delle principesse di quelle storie. Era lì, davanti a me. Non mi disse neanche una parola all’inizio. Pensai di non piacergli. Mentre per me era già tutto. Poi ricordo la gioia quando parlò. Non avevo mai provato un sentimento così intenso fino ad allora. E quello che è successo dopo è stato un continuo crescendo di felicità. In quei due giorni ho maturato tantissimi sogni su noi due. E quando la mamma mi ha detto la verità mi sono resa conto di quanto fossero irrealizzabili”.
“I sogni non è mai detto che siano irrealizzabili. Bisogna crederci”.
Scosse la testa. “No, i miei non si realizzeranno mai. Lo so”.
“Non posso negare che non sarà facile, ma non è detto. Sono molto fragili, come se fossero di cristallo, ma, fidati, non si romperanno”.
“Sono sogni inutili e dannosi per tutti. Per Seth in particolare”.
“Sono coraggiosi invece. Come lo sei tu. Anche Edward ed io abbiamo affrontato tante difficoltà e a volte pensavo che non ce l’avremmo fatta. Invece adesso siamo qui, ad un passo dal coronamento del nostro sogno. Anche tu e Seth ce la farete”.
“Lo sto mettendo in pericolo per egoismo. Se lo amassi davvero me ne andrei, ma non riesco nemmeno a pensare di separarmi da lui. E’ più forte di me. Non riesco a respirare, non sento nemmeno il cuore battere se non sono vicino a lui. Credo che tu capisca cosa intendo…”.
“Direi proprio di sì”.
Si sedette di fronte a me. “Ieri notte, mentre ero in cammino per tornare qua, mi sono addormentata in un bosco. Ho sognato il nostro matrimonio. Era a La Push. In un giardino. C’era un gazebo, decorato con fiori di ciliegio. Sai, sono i miei preferiti. Eravamo avvolti da un bellissimo profumo. Io camminavo lungo un tappeto rosso per raggiungere Seth. Mi ricordo che ho provato una stranissima sensazione, come se fossi stata destinata fin da principio a lui e quella fosse semplicemente la conclusione di una storia già scritta. Sentivo una gioia profonda perché sapevo che sarebbe stato il mio unico amore e che la mia vita sarebbe stata votata solo a lui…” si interruppe, visibilmente commossa. Poi mi guardò, cercando di sorridere:“C’eravate tutti quanti, sai? Tu, Edward, la mamma, Jacob, Rosalie… Una giornata meravigliosa. Poi mi sono svegliata, come accade sempre quando si sogna…”. Abbassò lo sguardo per nascondere i propri sentimenti. Pareva rassegnata al suo ineluttabile destino. Strinse forte le mani. E chiuse le palpebre più a lungo del necessario, come se stesse trattenendo le lacrime. E ci riuscì. Erano invisibili ma io le vidi distintamente e avrei tanto voluto avere il potere di asciugarle. Ma nessuno avrebbe potuto farlo. A parte forse qualche angelo, che, pietosamente, avesse posato lo sguardo su di noi.
“Ne uscirai, Desirèe. E avrai il tuo sogno. Noi tutti cercheremo di aiutarti. Troveremo una soluzione” le dissi, mettendole una mano sulle sue.
“Non voglio mettervi in pericolo. Lo sto già facendo con Seth, e non voglio che qualcuno rischi la vita per me. Troverò io una soluzione in qualche modo…”.
“Non dire idiozie. Non sai che l’unione fa la forza? Sistemeremo ogni cosa insieme”.
“Potrei scappare, andare a nascondermi da qualche parte, così non ucciderò Seth. Sarebbe una pena indescrivibile, ma almeno servirebbe a proteggervi tutti”.
“Ma sei impazzita?! Non risolverai un bel niente. E poi credi che Seth ti lascerebbe andare via? Forse non ti è ben chiaro quanto sia innamorato di te. Non gliene importa un bel niente di mettere in pericolo la sua vita…”.
“Ma io non voglio che lo  faccia!” alzò la voce, in un’espressione allarmata. “Se gli accadesse qualcosa, morirei”.
“Lo stesso discorso vale per lui. Hai ragione quando dici che siete stati destinati l’uno all’altra e per questo non si può perdere ciò che si è cercato per tutta una vita. Non riuscirete mai a separarvi, perché ormai siete un’anima sola…”.
Iniziò a piangere. “Oh Bella, ho tanta paura. Ho paura dei Volturi e di quello che potrebbero fare. Non temo per me stessa, ma per te, Seth e la mamma. Non voglio che vi succeda niente di male…”.
La abbracciai forte e le sfiorai la fronte con un bacio rassicurante. “No, tesoro. Non succederà niente a nessuno. Non aver paura. Ne usciremo tutti sani e salvi. Carlisle ed Edward troveranno una soluzione. Sai, loro sono bravissimi a tirare fuori dai pasticci la gente. Sapessi quante volte l’hanno fatto con me!”.
“Se la mamma non mi avesse salvato quel giorno, ora non saremmo a questo punto. Perché l’ha fatto? Non doveva!” disse, continuando a singhiozzare.
“L’ha fatto perché ti ha amato dal primo istante, ha capito subito quanto saresti stata adorabile e speciale, quante qualità avessi e che saresti stata una persona splendida. Non si distrugge mai un dono del cielo, ma lo si protegge con tutte le forze”.
Cominciò a inspirare a lungo per tentare di calmarsi. Quando non la udii più piangere, la lasciai. “Sai” iniziò, sollevando una catenina dal petto “questa me l’ha regalata la mamma per il mio primo compleanno”. La scrutai attentamente. Era un ciondolo a forma di rosa. “Non ha nessun valore economico, però ci tengo tantissimo. Mi ha accompagnato per tutta la vita e ogni volta che lo guardo ripenso a quanto mi ama la mamma e a quanto sono importante per lei. Anche adesso mi dà coraggio. E’ diventato una sorta di portafortuna”.
Lo strinse forte con una luce calda nello sguardo. Io non avevo niente che mi potesse legare così tanto alla mia famiglia. Ma era anche vero che il legame tra lei e Tanya appariva così profondo, da superare quello normale tra madre e figlia. Provai quasi invidia. Tanya le aveva salvato la vita e da allora tutte le sue azioni si erano svolte in funzione di quella figlia adorata. E Desirèe, grazie al suo potere, non poteva non averlo apprezzato. L’affetto era stato immediato ed era diventato sempre più solido con gli anni.
“La mamma” continuò “è sempre stata fantastica con me. Non è la mia madre biologica, ma è come se lo fosse. Non esiste una persona migliore e qualcuno che mi avrebbe amata più di quanto abbia fatto lei. Spesso mi sgridava ma sapevo che aveva le sue buone ragioni. Non mi ha mai negato un sorriso, neanche quando sapevo che era preoccupata per me e la mia repentina crescita. Ha sempre cercato di aiutarmi e di consolarmi quando ero triste perché non ero come gli altri bambini. Mi ha insegnato che la diversità esiste negli occhi di chi guarda, non in quello che si è realmente. Mi ha convinto di essere migliore degli altri, mentre invece è lei a esserlo. Io ho sempre cercato di imitarla perché vorrei tanto essere come lei, ma nessuno può eguagliarla”.
Quello che stava dicendo rafforzava l’opinione che mi ero fatta di Tanya e di quanto fosse eccezionale. Mi dispiaceva averla conosciuta in una circostanza così spiacevole. Ero consapevole che fosse una persona dalla quale avrei potuto imparare, così come aveva fatto Desirèe. Lei era così perfetta in ogni movimento, in ogni gesto, che non poteva non averlo appreso da un così degno esempio. Era terrorizzata per Seth e sua madre e purtroppo aveva ragione. Immaginavo che entrambi sarebbero morti, pur di salvarla. Era inutile illudersi del contrario. Tanya aveva cresciuto quella figlia così amorevolmente non certo per lasciarla ai Volturi. L’avrebbe protetta, come ogni madre col proprio figlio. E Seth l’avrebbe ugualmente difesa perché era l’aria che respirava. Tutti e tre erano condannati anche se avevo cercato di dissuaderla da questa ipotesi. Ma non volevo che accadesse. Mi decisi: l’indomani avrei parlato personalmente con Carlisle perché contattasse Aro e lo convincesse a lasciare a Desirèe la possibilità di una vita normale.

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Capitolo 18
*** Faccia a faccia ***


Passammo la notte a parlare. Fu estremamente piacevole. Desirèe era schietta e sincera. Si divertiva a mettere a nudo le mie debolezze, ma non era poi così male. Quella sera compresi tante cose di me stessa che non sapevo. E d’altro canto la mia missione era distrarla e pensai di esserci riuscita. La vidi sorridere spesso, a volte anche ridere di cuore. Tuttavia fu spesso sopraffatta da momenti di tristezza, che per fortuna riuscii sempre a scacciare.
Dormimmo poco più di quattro ore, ma quando mi svegliai non ero minimamente stanca, nè provata. Aprii gli occhi e notai che Desirèe non era accanto a me. Guardai l’orologio: erano le otto e mio padre doveva già essere uscito. Mi alzai velocemente e andai a bussare in bagno, pensando che fosse lì, ma era vuoto. Mi stavo già preoccupando, quando sentii un buon profumo salire dal piano terra. Mi vestii alla buona e scesi in cucina. Trovai Desirèe ai fornelli.
“Ciao, Bella! Dormito bene?” chiese gioiosamente.
“Sì… Ma cosa stai facendo?”.
“Ti sto preparando la colazione, mi sembra evidente. Ti ho fatto sia il caffè che un succo di frutta. Non so che cosa prendi, di solito. Lì ci sono pane, burro, marmellata, bacon, cereali e se aspetti un attimo dovrebbe essere pronta anche la torta. E’ al cioccolato”.
“Una torta?” domandai sorpresa. “Ma a che ora ti sei alzata?”.
“Un’oretta fa. Volevo cucinare qualcosa per ringraziarti dell’ospitalità”.
“Grazie, ma non era necessario”.
Sorrise poi mi invitò a sedere. Il dolce era pronto. Lo estrasse dal forno. Ne tagliò una fetta e me la servì. La assaggiai con piacere.
“Buona” esclamai. Era davvero una delizia.
“Ti piace? L’ho imparato facendo esperimenti con libri di cucina. Sai, mamma e zia Kate non mangiano cibo umano…”.
Risi.
Si sedette anche lei. La nostra colazione fu troppo breve perché suonò il campanello. Andai ad aprire e mi trovai davanti Seth. Mi salutò molto più amichevolmente del solito. Lo invitai ad accomodarsi e lui non esitò a farlo. Non ebbi il tempo di dire altro perché Desirèe gli piombò tra le braccia.
“Amore finalmente!!!” esclamò.
“Tesoro, come stai? Tutto ok?”.
“Benissimo! Sai, Bella, è stata gentilissima. Mi sono trovata fantasticamente qua da lei!” affermò, guardandomi piena di gratitudine.
Seth la allontanò delicatamente e poi si voltò verso di me. “Grazie, Bella. Senza di te stanotte non avrei saputo come fare. Ti sarò debitore in eterno”.
“Ma figurati! E’ stato un piacere. Anzi, se vuoi lasciarla ancora qui per qualche altra notte, non c’è problema. La ospiterò più che volentieri” risposi sinceramente entusiasta.
“Ti ringrazio, ma cercheremo di arrangiarci in qualche altro maniera”.
Nonostante il sorriso, il suo viso nascondeva uno sconforto profondo. Dedussi che la riunione col branco non avesse preso la piega che sperava.
“Amore, vuoi un po’ di torta? L’ho appena sfornata” lo invitò Desirèe. Era stupefacente come quella ragazza fosse piena di vita. Le lacrime della sera prima sembravano non essere mai esistite.
“Certo.” e si accomodò su una delle sedie attorno al tavolo.
Durante la colazione decisi di investigare su cosa avevano deciso. Deglutì lentamente il pezzo di torta che aveva tagliato: era palesemente un tasto doloroso.
“Purtroppo non ho concluso granché. Sam, come previsto, ha ribadito che non vuole che il branco sia invischiato in tutta questa storia. L’unica cosa positiva è che non emetterà l’ordine. Ha detto che io sono libero di fare ciò che meglio credo, senza però coinvolgere nessun altro” ammise tristemente.
“Gli altri sono obbligati a seguire le sue direttive?” domandai.
“Certo che no. Non ha emesso ordini nemmeno in questo senso, però so che tutti ubbidiranno”.
Lanciai un’occhiata a Desirèe. Aveva abbassato il viso e fissava il caffè che si stava raffreddando. Non era difficile intuire quanto si sentisse in colpa nei confronti di Seth, mentre io cominciavo a chiedermi dove fosse finita la tanto esaltata solidarietà fra compagni del branco. Ma Sam non aveva torto. Non poteva mettere in pericolo tutti quanti per motivi personali di uno solo.
“Cosa pensi di fare?” gli domandai.
“Non ne ho proprio idea. Da quello che mi hai detto i Volturi resteranno qua attorno per un po’ e l’unica cosa prioritaria in questo momento è trovare un buon nascondiglio a Desirèe, poi ci penserò”. Fu colpito dall’espressione sconfortata della sua ragazza e le strinse la mano tra le sue. “Non ti preoccupare, amore. Troverò una soluzione, vedrai. Sistemerò tutto in un modo o nell’altro. Non temere”.
“Senti, se ci sono dei problemi, può restare qui. Non è un disturbo davvero!” gli dissi. Volevo essere d’aiuto, e se questo era l’unico modo, l’avrei fatto volentieri. Tanto più che mi ero accorta di adorare la compagnia di Desirèe.
Seth scosse la testa. “Ti ringrazio, ma abbiamo già approfittato troppo della tua disponibilità. Da adesso in poi ci penserò io, com’è giusto che sia”.
Un silenzio pesante scese sulla tavola, e nessuno sembrò avere più voglia di mangiare. Poi improvvisamente Seth alzò la testa e guardò in direzione della porta. Sentì qualcosa. Si alzò in piedi e si avvicinò a Desirèe. Questo atteggiamento mi fece spaventare. Ebbi paura. Forse qualcuno dei Volturi aveva scovato la mia amica. Udii distintamente il mio cuore sobbalzare.
Poi il rumore del campanello. Il sangue mi si ghiacciò nelle vene. Anche se il mio primo pensiero fu che i Volturi non avrebbero certo suonato per entrare in casa. Guardai Seth per avere conferma da lui se aprire o meno. Mi fece cenno di sì con la testa. Mi avvicinai lentamente all’uscio e aprii la porta.
Era Edward.
Da una parte il mio cuore traboccò di gioia, ma dall’altra fui pervasa da una scarica elettrica dovuta al timore. Timore alimentato dal fatto che sul suo viso non c’era il bel sorriso che non mi stancavo mai di ammirare, ma un’espressione assai cupa. Istintivamente tenni la porta socchiusa, come per impedirgli di entrare.
“Ciao Bella” mi disse semplicemente.
Non ebbi il coraggio di rispondere al suo saluto. Ero davvero una pessima attrice! Non riuscivo neanche a simulare una certa tranquillità.
“Posso entrare?” mi domandò.
“Certo” risposi e spalancai la porta completamente. Sapevo che da quel momento la situazione sarebbe precipitata. E così fu.
Quando entrò, non perse nemmeno un attimo a guardarsi attorno. Il suo sguardo puntò in direzione della cucina e ci si diresse a passi decisi. Io lo seguii velocemente.
Entrò nel locale e vi trovò Seth e Desirèe. Il giovane licantropo si era già messo davanti alla fidanzata per proteggerla. Edward li fissò entrambi a lungo, con uno sguardo carico d’odio.
“Edward, posso spiegarti tutto. Sono passati a fare colazione…” cercai di giustificarli.
Mi illusi che si fosse bevuto la mia pessima invenzione. Purtroppo disse:“Bella, non sai dire neanche le più stupide bugie!”.
“Edward, ascolta…” cercai di spiegare ma mi zittì subito:“Bella, taci per favore!”.
Non mi aveva mai parlato con tanta durezza e io non ebbi più il coraggio di dire nulla. Sapevo di aver violato la promessa. Aveva ragione ad essere infuriato con me, e non volevo che se la prendesse con Seth e Desirèe. Ero io ad aver disubbidito. Nonostante volessi attirare su di me tutte le colpe, non riuscii a pensare a niente che potesse distrarlo.
“Che cosa ci fate qui?” domandò.
Seth tacque: cercare scuse era inutile, oltre che dannoso. Ma al contrario di me, non sembrava sentirsi in imbarazzo. Pareva ben conscio delle sue azioni e niente affatto dispiaciuto per quello che aveva fatto.
“Sai, Seth, pensavo che fossi una persona intelligente, invece mi rendo conto che sei uno sventato tale e quale ai tuoi amichetti.” disse, con una smorfia ironica. Poi tornò serio:“Io non so perché siate qui e nemmeno mi interessa. Sta di fatto che non dovreste starci”.
“Desirèe aveva bisogno di un tetto dove stare questa notte e io le ho dato ospitalità” intervenni, cercando di fargli capire la situazione. Ma mi resi conto di aver solo peggiorato le cose.
“Di bene in meglio” esclamò con espressione feroce. ”Sei proprio un bastardo! Sei venuto qui perché sapevi che Bella non ti avrebbe mai detto di no e ti sei approfittato della sua generosità”.
“Questo non è affatto vero” rispose finalmente Seth. “Era liberissima di cacciarci via, se voleva. Il fatto che ci abbia aiutato sta semplicemente a significare che non è senza cuore come voi Cullen!”.
“Come no? Io ci dovrei credere? Se non l’hai fatto sapendo già il risultato, perché non sei andato dai tuoi amichetti a chiedere asilo? Sicuramente loro ti avrebbero aiutato… O forse no?”.
Seth si morse il labbro inferiore. Non aveva molte obiezioni da opporre.
“Edward, ascoltami, non te la devi prendere con lui. La colpa è mia… Sono stata io a suggerirgli di venire qui. Non c’entra niente. Prenditela con me” esclamò Desirèe con voce spezzata. Era una pietosa bugia per distogliere l’attenzione da Seth, ma purtroppo non sarebbe servito a molto di fronte alla sua facoltà di leggere nel pensiero.
Edward la scrutò severamente. “Desirèe, è inutile che cerchi di difenderlo. So perfettamente che l’idea è stata sua. Sai Seth, dovrei ammazzarti per quello che hai fatto e penso che lo farò. Tu non hai minimamente idea contro chi ti sei messo e l’errore di coinvolgere Bella è l’ultimo che hai fatto nella tua vita”. Lo vidi stringere nervosamente i pugni.
“Bene. Come preferisci. Ma ti posso assicurare che non mi lascerò uccidere tanto facilmente” rispose il licantropo con aria di sfida.
Afferrai il braccio di Edward nel tentativo di scuoterlo. “Ti prego, lascia perdere. Non è il caso…”.
“Bella, non ti rendi conto del casino in cui ti ha messo. E ti posso assicurare che stavolta non la passerà liscia. Ne ho abbastanza della loro razza” mi rispose, senza tuttavia distogliere lo sguardo da Seth.
Potevo leggere l’odio nei loro occhi. Non avrebbero esitato a battersi. Abbassai lo sguardo verso Desirèe. Era spaventata e anche lei conscia del fatto che Seth non avrebbe ascoltato le sue preghiere. Volevano uccidersi, era chiaro. Ma io non volevo che combattessero. Sapevo che Seth avrebbe avuto la peggio. Edward era troppo forte per lui e io non volevo che gli succedesse qualcosa, né che Desirèe soffrisse. Ancora una volta avevo combinato un disastro e non sapevo come uscirne, cosa inventarmi per fermarli.
Edward fece qualche passo nella sua direzione. Seth allontanò Desirèe da sé. Era la fine e io ero impotente dinanzi a tutto ciò. Chiusi gli occhi. Non volevo vedere nulla. Invece udii distintamente dei passi provenire dal salotto.
“Se vuoi prendertela con qualcuno, ci sono io”. Quella voce roca la conoscevo fin troppo bene. Jacob.
Fece il suo ingresso in cucina. Doveva essere entrato dalla finestra del salotto.
Si avvicinò a Seth e Desirèe.
“Che diavolo vuoi, cane? Nessuno ha chiesto il tuo intervento!” ringhiò Edward.
“Seth è un mio subordinato e sono io che rispondo di tutto quello che fa. Quindi se hai qualcosa da dire, dilla a me” rispose Jake duramente.
“Forse non ti rendi conto di quello che avete fatto stanotte. Avete incasinato Bella e se i Volturi vengono a saperlo saranno guai. E guai seri”.
“Non è colpa mia se non vi sapete scegliere le amicizie!” lo canzonò Jake.
Edward impugnò uno dei bicchieri che erano sul tavolo e, stringendolo, lo frantumò.
“Ti ho sempre considerato un idiota, e adesso so che avevo ragione” esclamò Edward.
“La cosa è reciproca, sanguisuga!”.
“Ieri pomeriggio avevi promesso che non avresti coinvolto Bella per nessuna ragione al mondo e adesso so che non ti importa nulla nemmeno di lei. Non mantieni neanche le promesse che fai a te stesso!”.
Il viso di Jacob sembrò incupirsi per un attimo. “Non è stata un’idea mia, ma ormai è troppo tardi per piangerci sopra”.
La sua esclamazione fece infuriare Edward ancora di più. Jacob non era minimamente pentito di ciò che Seth aveva fatto e anzi lo accettava serenamente. Edward digrignò la bocca, mostrando i canini affilati. Sul viso di Jacob comparve un ghigno. “Sai, è da un pezzo che ti volevo ammazzare e non credevo che avrei avuto l’occasione così presto” lo provocò sarcastico.
Il sangue mi si raggelò nelle vene. Non c’era modo di fermarli. Edward era troppo arrabbiato e Jacob aveva sempre aspettato con ansia questo momento. Il mio cervello tentò di elaborare qualcosa per separarli. Ma mi sembrò una ricerca vana.
Poi inaspettatamente Jake sferrò un pugno verso Edward, ma lui lo bloccò afferrandogli il polso. “Non mi sottovalutare, cane!” sibilò, poi quando strinse la presa avvertii un rumore sordo. Doveva averglielo rotto. A Jacob sfuggì un lamento.
“Ti conviene trasformarti, altrimenti non supererai i prossimi due minuti, e mi dispiacerebbe. Vorrei mettercene almeno cinque, prima di ammazzarti altrimenti non sarà divertente” sorrise crudelmente Edward.
“D’accordo” mormorò Jacob ancora provato dal dolore. “Usciamo da casa di Bella, però”.
Si avviarono verso la porta. Ma questo fu davvero troppo anche per me. Non potevo permettere che Jacob si addossasse colpe non sue e non volevo che nessuno dei due si facesse male a causa mia.
Li rincorsi e, prima che uscissero, riuscii a chiudere la porta.
“Adesso basta. Tutti e due. Vi state comportando come bambini!” li rimproverai aspramente. Poi rivolta a Edward:“Amore, lascia perdere. Non voglio che ti batta con lui. Ti supplico”.
“Mi dispiace, Bella, ma non posso lasciar correre. E’ fuori questione”.
“No, ti prego” lo implorai appoggiando le mani al suo petto. “Non voglio!”.
Le lacrime iniziarono a scendere sul mio viso, inarrestabili. Edward mi guardò in silenzio.
“Ti scongiuro, se mi ami non farmi questo”. Stavo sfoderando tutte le armi possibili per calmarlo e convincerlo a lasciar correre. Sapevo che era un’impresa praticamente impossibile, ma dovevo provarci. Nessuno doveva morire oggi per una colpa non sua. Avevo causato tutto io, come al solito. E come al solito, Edward non voleva colpevolizzarmi in nessun modo, decidendo di sfogare, in questo caso,  la sua rabbia su Jacob.
Lo fissai a lungo prima che il suo sguardo si addolcisse. Mi asciugò le lacrime passando delicatamente le dita sul viso. “E va bene. Hai vinto tu, come sempre” sospirò. Poi si voltò verso Jacob:“Stavolta te la cavi, cane. E ringrazia Bella. Ma giuro su Dio che la prossima che farai, nessuno, neanche lei, ti potrà salvare!” lo minacciò.
Jake mi fissò con rancore. Avrebbe voluto combattere e io ero riuscita a bloccare tutto per l’ennesima volta. “Come vuoi, sanguisuga. Ma se dovessi cambiare idea, io sono sempre disponibile” gli disse.
Jacob fece un cenno a Seth e uscì da casa mia, seguito dal suo amico e da Desirèe. Ma quando fu sull’uscio, la mia nuova amica si fermò e mi abbracciò a lungo. “Ti ringrazio, Bella. Per stanotte e per quello che hai fatto adesso” mormorò. Ricambiai il suo abbraccio appassionatamente.
“Non ti preoccupare, Desirèe. L’ho fatto con piacere” dissi. Poi indietreggiò di qualche passo. Un sorriso triste le si dipinse sul viso. “Ti prego, dì alla mamma che le voglio un mondo di bene, che la ringrazio per tutto quello che ha fatto per me e che la amerò sempre qualsiasi cosa accada”.
“Ma…” cercai di obbiettare.
Desirèe intuì che cosa intendevo dire e mi prevenne:“No, non tornerò mai più a casa. Il mio posto è con Seth”. Continuò a guardarmi per imprimersi ogni particolare nella mente.
“Addio” mi salutò e raggiunse Seth che la stava attendendo a pochi metri. Lo prese per mano e si allontanarono. Ebbi un terribile presentimento guardandoli andare via, come se non dovessi vederli mai più. Ma lo scacciai con forza.
Richiusi la porta, sapendo che adesso per me sarebbe venuta la parte peggiore. Edward.
Mi voltai e non lo trovai più dietro di me. Andai in cucina ma non era neanche lì. Mi diressi in salotto e lo vidi seduto su una delle nostre poltrone con il capo reclinato tra le mani. Il mio cuore si riempì di dolore: l’avevo deluso per l’ennesima volta. Non avevo mantenuta la promessa che gli avevo fatto. E ora ne dovevo sopportare le conseguenze. Mi avrebbe sgridato e non potevo dargli torto. Mi ero cacciata deliberatamente nei guai, ma lui doveva capire che non avrei potuto abbandonare Desirèe. Mi ero trovata a un bivio, e la mia coscienza mi aveva imposto di scegliere Desirèe.
Mi avvicinai a passi lenti e cadenzati, in attesa di incontrare il suo viso infuriato e contemporaneamente angustiato. Ma continuò a rimanere nella medesima posizione. Mi inginocchiai vicino a lui, incapace di sostenere il suo silenzio. Doveva rimproverarmi. Solo così il mio senso di colpa si sarebbe  placato.
“Edward” sussurrai con un filo di voce. “Mi dispiace. So che non avrei dovuto farlo. Te l’avevo promesso… Ma è stato più forte di me. Non potevo abbandonarli. Mi hanno chiesto rifugio soltanto per una notte ed io non credevo che la situazione potesse essere in qualche modo pericolosa. Questa non è una giustificazione, sto solo cercando di farti capire le mie motivazioni”. Ma lui non rispose. Né alzò il viso. E il mio cuore cominciò a battere all’impazzata. Gli misi una mano sul ginocchio. Ma non sortì alcun effetto. Era così arrabbiato? Le lacrime cominciarono, senza un reale motivo, a sgorgare.
“Edward…” lo richiamai.
Finalmente mi fissò. Era profondamente addolorato. Non lo avevo mai visto in questo stato e subito mi rimproverai per aver agito così stupidamente.
“Bella, mi dispiace enormemente” mormorò con una voce così morbida da poterla quasi toccare.
Non capii cosa intendesse dire. “Perché? Sono stata io ad aver sbagliato, io ad averti ferito ancora una volta”.
Scosse la testa. “No, ho sbagliato io. Non avrei mai dovuto permetterti di fare pace con Jacob. Se fossi stato più deciso quel giorno, tutto questo non sarebbe mai accaduto. Sono stato io a lasciarti in balia della loro sconsideratezza” disse, prostrato dal dolore.
“Non è vero. Non è stata colpa tua. Anche se io non avessi fatto pace con lui, non avrei avuto nessun motivo per avercela con Seth e tutto questo sarebbe  accaduto ugualmente. Sono solo io la responsabile di questo guaio, e mi merito una solenne sgridata. Non ho pensato alle conseguenze”.
Si chinò su di me e amorevolmente mi diede un bacio sulla fronte. “Bella, non devi addossarti colpe che non hai. E’ stata ancora una volta colpa mia. E non soltanto per il branco, ma anche per la storia dei Volturi…”.
“Non ti capisco…”.
“Se non ci fossi io, non saresti in questa situazione. Ora la tua vita è in pericolo e soltanto perché sei la mia ragazza. Se io non avessi accettato di tornare con te al ritorno da Volterra, niente di tutto questo sarebbe successo. Sono stato troppo egoista. Ho pensato solo a me stesso e alla mia felicità. Non alla tua…”.
Cominciai lentamente a comprendere quale fosse il fine di questa discussione e non mi piacque per niente. Il fatto che si colpevolizzasse per la nostra riunione mi gettò nel panico. Temevo che prendesse decisioni insopportabili da sostenere.
Si alzò e andò a guardare fuori dalla finestra. Io rimasi inginocchiata, seguendolo con lo sguardo. “Forse sarebbe meglio se ci lasciassimo…” mi raggelò.
Il mio cuore si fermò per un attimo. Questa frase l’avevo temuta da quando eravamo tornati da Volterra. Ogni giorno passato insieme l’avevo sempre vissuto come regalato dal cielo e sempre con la paura che decidesse ancora una volta di abbandonarmi. Non avrei potuto sopportarlo. E ora questa prospettiva si riaffacciava nella mia vita. La mia mente non riuscì a elaborare nessun pensiero che avesse un senso o una logica. Iniziai a scuotere nervosamente la testa. Non capivo più nulla. Guardavo la sua figura slanciata stagliarsi davanti alla finestra.
“Edward, come puoi dire questo? Sai che io ti amo e non posso vivere senza di te. Ogni pericolo vale la pena di essere corso se sono al tuo fianco” esclamai, riuscendo a malapena ad alzarmi in piedi.
“Bella, stai rischiando la vita. Se i Volturi si sono accorti di stanotte, sarà la fine. Lo capisci?”.
“E allora? Lasciandomi risolveresti tutto? Se mi abbandonassi, sarebbe come se mi uccidessi, e allora tanto varrebbe che lo facessero loro” singhiozzai.
Edward rimase in silenzio.
“Hai ragione. Non risolverei nulla nel caso se ne fossero accorti. Ma se Dio volesse che così non fosse, allora sì che la nostra separazione avrebbe un senso. Anzi penso che sarebbe l’unica cosa accorta da fare” disse con fin troppa convinzione.
“No!” urlai. “Come puoi dire questo?! Stai parlando così perché mi vuoi punire per quello che ho fatto stanotte. Ti ho chiesto scusa e so che non avrei mai dovuto farlo, ma ti prego non castigarmi in questo modo. Non lo merito”.
“E’ proprio perché meriti una vita migliore che è meglio che la chiudiamo qui” sussurrò. Sapevo che stava soffrendo, che questa era una decisione che non voleva prendere. Ma io glielo avrei impedito a tutti i costi. Non poteva lasciarmi. Se lo avesse fatto, mi sarei uccisa. Non avrei potuto sopportare un dolore così forte un’altra volta.
Mi avvicinai a fatica a lui. Le energie mi stavano lentamente abbandonando. Lo raggiunsi e appoggiai il viso sulla sua schiena. “Ti prego, no” lo implorai. “Ho bisogno di te”.
“Lo so. Ma forse… con un po’ di pazienza, potresti rifarti una vita. Jacob ti aiuterebbe…” disse e lo sentii pronunciare a denti stretti il nome del mio amico.
“No!” replicai decisa. “Io non voglio Jake, voglio te, solo te. Solo tu dai un senso alla mia vita, e nessun altro!”.
Tacque. Forse la sua convinzione stava cominciando a vacillare. Lui mi amava almeno quanto lo amavo io e non voleva abbandonarmi, anche se tentava di convincersi del contrario.
“Perché lasci che le circostanze ci separino? Perché non credi più al nostro sogno? Devi continuare a farlo! Non distruggere tutto quello che abbiamo costruito”.
“Finché io sarò al tuo fianco, sarai in pericolo”.
“Preferisco essere in pericolo al tuo fianco, che salva senza di te. In questo anno e mezzo con te ho finalmente capito cosa vuol dire amare e non voglio perdere ciò che ha significato tutto nella mia vita. Fino ad allora ogni giorno vissuto è stato vuoto e inutile. E l’averti incontrato è stato come scoprire l’oro in una vita fatta di povertà. Credi di essere un male, ma non è così. Anzi è vero il contrario perché da quando ci sono io, l’intera esistenza tua e della tua famiglia è stata stravolta…”.
Si voltò verso di me con sguardo carezzevole. “Tu sei stata la malattia migliore in cui potessi imbattermi. E quello che c’è stato tra noi non potrò mai dimenticarlo. Tu hai dato un perché al mio presente. Non sarà così per il futuro ma so che tu invece l’avrai senza di me. Ciò che mi hai regalato è stato qualcosa che non pensavo avrei mai provato nella mia vita fatta di sterili soddisfazioni. Ora è giusto che ti restituisca a un’esistenza normale”.
Mi stava lasciando. E tutto per colpa di una mia insensatezza.
“No, no!” urlai. “Ti scongiuro, no! Non tornare indietro! Non sacrificare noi, non un’altra volta. Perché ti ostini a negare che noi ci apparteniamo uno all’altra? Siamo fatti per stare insieme. Non possiamo separarci. E non puoi ostinarti a dire che non è vero”.
Chiuse gli occhi per allontanarsi, per mettere una barriera fra noi. Era per lui il più grosso sacrificio. E sapevo che il suo cuore si stava ribellando. Era la ragione che stava parlando in questo momento, la necessità di sapermi al sicuro, lontana dai pericoli che la vicinanza di vampiri poteva costituire per un essere umano.
Mi avvicinai e lo abbracciai. “Ti amo. Non riesco a immaginare un’esistenza senza di te. Ormai siamo a pochi passi dal riuscire ad ottenerla. Non fermarti proprio ora. Questo è l’ultimo ostacolo prima del nostro sogno. Poi avremo la nostra vita. Edward…” lo supplicai guardandolo negli occhi. Mi sorrise dolcemente e ricambiò l’abbraccio. “Non sono in grado di ammalarmi come gli umani, eppure è successo anche a me. Mi sono ammalato di te e tu stessa sei l’unica cura a questa mia malattia. Non potrei abbandonarti neanche se lo volessi. Ti appartengo e ti apparterrò sempre”.
Mi baciò. Mai e poi mai era accaduto che avessi avuto tanto bisogno di un contatto con le sue labbra. Perché tutto questo sapeva di conferma, conferma che le mie parole avevano avuto un senso. Avrebbe continuato a fare parte della mia vita e io della sua. Questo era tutto ciò che chiedevo e l’unica cosa che mi interessava su questa terra.
“Edward, non mi fare mai più un discorso del genere. Siamo intesi? Mai più!” lo sgridai.
“Stavo solo cercando di farti capire quanto la mia vicinanza ti stesse nuocendo…”.
“Non è vero affatto. E’ solo grazie a te che vivo. Necessito di te ogni istante e non provare mai più a lasciarmi!”.
“Amore mio, ci ho provato adesso, ma mi sono reso conto anch’io che era un tentativo inutile. Sei una calamita per me e, per quanto mi sforzi, non riuscirò mai ad allontanarmi. Purtroppo per te, ti assillerò molto a lungo…”.
Affondai il viso nel suo petto e maledii i Volturi per aver rischiato di compromettere ancora una volta il mio legame con l’amore della mia vita umana e anche oltre. Mai e poi mai qualcuno ci avrebbe diviso. L’avevo giurato a me stessa e a lui. Avrei fatto di tutto per impedirlo. Desiderai che tutta questa storia  finisse in fretta, così finalmente avremmo celebrato quel dannato matrimonio, sarei stata trasformata e niente avrebbe potuto separarci.
“Ti va di andare a casa mia? Vorrei parlare con Carlisle di quello che è successo qui” mi propose.
Annuii. Presi la mia borsetta e uscii mano nella mano col mio adorato fidanzato.
Non prendemmo il mio pick up ma passammo direttamente per il bosco. Non potevamo correre il rischio che qualcuno vedesse Edward: adesso sarebbe stato troppo presto per giustificare una sua guarigione. Mi prese in braccio e alla velocità dei vampiri raggiungemmo in due minuti la villa bianca dove mi avrebbe aspettato l’inferno. Se Edward era stato così generoso nel perdonarmi, non potevo aspettarmi lo stesso trattamento da parte degli altri membri della famiglia.

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Capitolo 19
*** Ardo e son di ghiaccio... ***


“Ciao!” mi accolse Alice gioiosa. Era molto felice di vedermi, come al solito. Non immaginava che tra un po’ l’avrei delusa.
La salutai senza troppo calore, consapevole della mia colpa e delle eventuali conseguenze che si sarebbero potute scaricare su di me a breve.
“Che cos’hai, Bella? E’ successo qualcosa?” mi chiese angustiata.
Non ebbi il coraggio di sostenere il suo sguardo. Edward mi prese per mano e mi fece accomodare su una delle sedie attorno al tavolo. “Cosa succede?” si intromise Carlisle.
“Ieri sera è accaduta una cosa e credo che sia il caso che ne parliamo tutti insieme”. Poi si girò verso Emmett:”Chiama Rosalie per favore e tu Carlisle, Esme. E’ molto importante”.
Nel giro di brevissimi istanti tutta la famiglia fu riunita. Fui costretta a fare più volte dei profondi respiri per calmarmi. Ora avrei saputo il parere di tutti ed ero consapevole che avrei perso l’affetto che mi legava a loro.
Edward raccontò succintamente quello che era successo a casa mia la sera precedente e durante il racconto guardai alternativamente tutti i Cullen. I loro visi erano diventati da inespressivi, a sorpresi, esterrefatti, e infine severi.
“Era per questo che ieri sera non riuscivo a vedere il tuo futuro. Eri con Desirèe…” commentò Alice con un filo di voce. Poi si girò verso Edward:“Mi dispiace. Avrei dovuto avvisarti che non vedevo più nulla, ma credevo che si trattasse soltanto del fatto che non stava prendendo alcuna decisione. Ho sbagliato”.
Edward le sorrise amorevolmente:“Non è stata colpa tua. Sono io che ho sottovalutato l’intera vicenda”.
“Credo che adesso ci sia un problema” ammise Carlisle. “Soprattutto se i Volturi se ne sono accorti. Edward, hai percepito la loro scia vicino alla casa di Bella?”.
Il mio futuro marito scosse la testa.
“Beh, questo è incoraggiante”continuò Carlisle. “Possiamo sperare che la cosa sia passata inosservata”.
 “Se l’avessero notato, sarebbero subito entrati in casa e avrebbero preso Desirèe” concluse Esme. “Quindi vuol dire che non si sono accorti di nulla”.
“Non è detto” contestò Edward. “Potrebbero averlo visto e aver deciso di non intervenire. Di vedere come le cose si evolvono e soprattutto il nostro ruolo in tutto questo”.
“Cosa intendi dire?” domandò Jasper.
“I Volturi non mi hanno mai convinto a pieno. Anzi l’idea che mi hanno dato è che non aspettino altro che un’occasione propizia per eliminarci tutti”.
“Questa è un’assurdità” esclamò Carlisle. “Io conosco Aro e so che non ci farebbe mai del male, a meno che non fossimo noi ad attaccarli. E non è proprio questo il caso”.
“Già. Ma Jane non ha mai provato simpatia per noi. Per nessuno di noi. E se avesse ricevuto ordini dall’alto di eliminare chiunque si schierasse dalla parte di Desirèe, questo potrebbe essere un ottimo pretesto”.
Mi ricordavo perfettamente il nostro viaggio a Volterra e che tutti i Volturi, guardie reali comprese, avrebbero voluto uccidere me, Alice ed Edward. E soltanto la benevolenza di Aro ci aveva salvato. Le parole di Edward potevano essere verosimili. In questo caso per me sarebbe stata la fine. Voleva dire la morte, in quanto avevo aiutato Desirèe. Ma io non ero un vampiro, ero umana. Quindi perché applicare le loro regole anche a me? Il mio stesso pensiero attraversò la mente di Esme.
“Anche se fosse, Bella è umana. Non deve sottostare alle loro leggi” obbiettò.
“E’ vero, ma il fatto che loro l’abbiano lasciata viva, nonostante sia a conoscenza del nostro segreto, vuol dire che la considerano di fatto una vampira, anche se ancora la trasformazione non c’è stata” affermò suo marito.
“Nel caso se ne siano accorti, cosa facciamo?” domandò Jasper.
“Non ne ho idea. Non possiamo fare illazioni fino a che non sapremo che cosa decidono di fare”.
“Come facciamo a capire se non hanno visto nulla?” domandò Emmett.
“Lo sapremo nelle prossime ore. E Alice sicuramente ci aiuterà in questo…” disse Edward, guardando sua sorella, che annuì.
“Mi dispiace” balbettai. “Sto creando un casino dietro l’altro. Spero che non si siano accorti di niente, ma se non dovesse essere così, non voglio che vi immischiate. Il problema è solo mio”.
Edward si inginocchiò per guardarmi negli occhi. “Amore, io non ti abbandonerò mai. Qualsiasi cosa accada. Entrambi abbiamo fatto un errore e lo rimedieremo assieme”.
Le lacrime mi solcarono il viso. Sapevo che avevo sbagliato ancora una volta e dentro di me cominciai a pregare che quei dannati vampiri non mi avessero visto. Non per me, perché in fondo al mio cuore, non mi ero pentita di quello che avevo fatto, ma perché non volevo coinvolgere Edward. Lui doveva restarne fuori. Non poteva correre altri rischi per me.
Il mio sguardo fu calamitato da Rosalie. Non aveva detto una sola parola in quella discussione. Anzi non sembrava neanche interessata. Aveva il viso reclinato e pensai che non avesse assolutamente ascoltato nulla. Era assorta da altri pensieri. E forse era meglio così. Per quanto volesse bene a Desirèe non credevo che avrebbe accolto il mio gesto con gioia. Anche se magari lo aveva condiviso.
“Quindi non possiamo fare altro che aspettare, poi ci penseremo” concluse diplomaticamente Carlisle.
“Io sono sicura che non si sono accorti di niente!” mi rassicurò Alice. Si avvicinò e mi abbracciò stretta. “Non devi dubitarne, Bella. Tutto si risolverà per il meglio. Non aver paura”.
Il suo ottimismo mi risollevò lievemente il morale, ma la paura la faceva ancora da padrona nel mio cuore. Per fortuna c’erano Alice ed Edward.
“Se la discussione è finita, torno in camera mia” disse Rosalie. Non aspettò nemmeno la risposta e salì le scale.
Nessuno commentò il suo comportamento: ormai eravamo abituati alle sue stranezze e ai suoi colpi di testa, che in questo periodo, grazie alla situazione creatasi con Desirèe, si erano fatti ancora più frequenti.
Pian piano tutti quanti tornarono alle loro occupazioni, mentre Edward ed io ci accomodammo sul divano. Emmett ed Alice fecero di tutto per tirarmi sù di morale e distrarmi, anche se si rivelò impresa più ardua del previsto. Erano troppo gentili con me. La mia futura famiglia ormai mi considerava una di loro e, dopo quello che avevo combinato, mi chiedevo se lo meritavo. La mia emotività mi aveva giocato un brutto tiro e non me la sentivo di dare la colpa a Seth o a Desirèe. Avevo fatto di testa mia e ora dovevo essere coraggiosa ed affrontare l’eventuale punizione che mi sarebbe toccata, anche se speravo di scamparmela, in una maniera o nell’altra. Con la fortuna che mi ritrovavo, non potevo certo illudermi. Ma almeno la mia sorte era incerta, mentre invece quella di Desirèe era già decisa. Mi chiesi dove Seth l’avesse nascosta: speravo in un posto lontano anni luce da qui.
“Vuoi qualcosa da mangiare, Bella?” mi domandò Esme.
“No, grazie” risposi abbacchiata. Poi guardai l’orologio appeso sul muro. Erano quasi le venti. Il tempo era volato. Le angosce erano calate su di me e non mi ero resa conto che ormai era ora di cena. Sarei dovuta tornare a casa, ma il solo pensiero di stare là, sola, mi riempì il cuore di terrore.
“Posso restare qui stanotte?” domandai. Non avrei mai dovuto autoinvitarmi a casa loro, ma ero troppo spaventata.
“Certo, amore! Puoi restare qui tutto il tempo che vuoi” mi rispose Edward.
Pertanto avvisai Charlie che non sarei tornata quella notte e che doveva arrangiarsi per la cena. Ovviamente la mia scusa fu un improvviso peggioramento delle condizioni di Edward. Non sollevò alcuna protesta. Si limitò a prendere atto della mia decisione, anche se sapevo che non ne era affatto felice.
Esme mi preparò una cena deliziosa, che però assaggiai appena. Non ero preoccupata per me, ma per le conseguenze che avrebbero investito Edward. Quando avevo ospitato Desirèe non avevo minimamente pensato che la mia decisione avrebbe potuto travolgere anche lui, che se i Volturi avessero deciso di farmela pagare, Edward si sarebbe opposto, a costo della vita. Era stata un’imperdonabile leggerezza. Se fossi potuta tornare indietro, tuttavia, l’avrei fatto ugualmente: lei aveva bisogno di un’amica e non avevo potuto tirarmi indietro. Tutti quanti avevano voltato le spalle a Desirèe e a Seth. Non potevo farlo anch’io. E così mi ritrovavo col cuore spaccato a metà: da una parte la consapevolezza di aver tradito Edward e la fiducia che lui riponeva in me ancora una volta; dall’altra il sentimento di amicizia e solidarietà che mi legava indissolubilmente alla figlia di Tanya.
“Vuoi andare a riposare, Bella? Hai il viso stanco” affermò Esme preoccupata.
Effettivamente ero a pezzi. La notte insonne con Desirèe stava cominciando a farsi sentire. Annuii e Edward mi accompagnò in camera sua.
Appena chiuse la porta mi gettai tra le sue braccia, singhiozzando. “Mi dispiace. Non avrei mai dovuto farlo, ma è stato più forte di me. Non potevo lasciarla da sola” balbettai.
Mi strinse a sé. “Non ti preoccupare, amore. Non ce l’ho con te. E’ stata colpa di Seth, è stato lui a metterti nei guai. Ma vedrai che tutto si aggiusterà. Come ho detto prima, non ho sentito la scia dei Volturi vicino a casa tua, quindi quasi sicuramente non se ne sono accorti. Basterà aspettare qualche giorno, o addirittura qualche ora e poi lo sapremo. Qualsiasi cosa accada, sappi che non sono arrabbiato. Amo tutto di te, anche la tua incoscienza”.
Sollevai il viso e lo guardai. Era così sfacciatamente buono con me. Per quanto lo facessi stare in pena, riusciva sempre a trovare un sorriso per me. Non lo meritavo. Neanche in tutta l’eternità sarei riuscita a perdonarmi tutte le stupidaggini che avevo fatto e che lui riusciva ad amare. Mi tornarono in mente le parole di Desirèe. Ripensava ancora al bacio con Jacob. Si sentiva stranamente in competizione con lui. Perché? Come facevo a fargli capire che non esisteva nessun altro per me? Jacob era solo un amico. Più stretto di tanti altri, non potevo negarlo, ma sempre e soltanto un amico.
Edward mi accompagnò al letto per farmi sdraiare, ma volli prima chiarire questa faccenda.
“Amore, ieri sera ho parlato con Desirèe e mi ha detto una cosa…” cominciai non troppo convinta.
“Cosa?”.
“Mi ha confessato che tu ogni tanto ripensi ancora al bacio fra me e Jacob e che ti senti quasi in competizione con lui…”.
Mi fissò a lungo, come se avessi detto una stupidaggine. Infine abbassò lo sguardo. “L’ha letto nel cuore, vero?”.
Confermai.
“Non mi sento in competizione con Jacob. So che tu hai scelto me e che mi ami profondamente. Ma quando sei con lui e ti vedo così felice, non posso fare a meno di pensare a quel bacio che vi siete scambiati” sussurrò.
“Ma sai quali sono state le circostanze per cui l’ho baciato. Non ero certo innamorata di lui!” contestai vivacemente.
“Lo so. Non sono le circostanze che mi danno fastidio. O perlomeno non posso dire che non l’avrei ucciso, ma è tutto quello che è seguito dopo che mi fa soffrire”.
Il mio cuore sussultare. Quello che avevo fatto allora lo aveva distrutto, e i miei sentimenti per Jacob continuavano a ferirlo anche ora. “Quello che provo per lui non è neanche lontanamente paragonabile all’amore che nutro per te” replicai con impeto.
“Lo so, amore. Ma non posso fare a meno di pensare che se io non fossi tornato, a quest’ora tu saresti con lui. E forse mi avresti anche già dimenticato”.
“Ma che stai dicendo?! Io non avrei mai potuto dimenticarti. E non voglio neanche pensare che cosa sarebbe successo di me se non fossi tornato. E’ vero, lui mi ha aiutato in un momento particolarmente doloroso della mia vita, ma io amavo e volevo te. Non lui. Mi sembra di avertelo dimostrato quando sono venuta a Volterra con Alice!”.
“E’ vero, ma ogni tanto mi trovo a pensare che se non ci fosse stato l’equivoco del funerale e se avessi indugiato un po’ di più a ritornare sui miei passi, tu avresti avuto una vita normale al suo fianco”.
“Io non posso amare nessun altro al di fuori di te. E’ vero, forse mi avresti trovato con lui, ma sarebbe stato solo un ripiego. Appena ritornato, avrei voluto sicuramente fare parte nuovamente della tua vita”.
Rimase in silenzio. Non mi disse nulla ed io temetti che stesse pensando nuovamente di lasciarmi, com’era accaduto nel pomeriggio. Mi pentii di aver iniziato quella discussione. Stavo riaprendo in lui una ferita che, a giudicare dall’espressione del suo viso, era molto profonda. “Mi dispiace. Non avrei mai dovuto baciarlo. Se non fosse successo, non staresti soffrendo. Non credevo che ti avrei deluso così tanto”.
“Non mi hai deluso, Bella. Anzi sono contento che tu abbia scoperto i tuoi sentimenti perché ora conosco il tuo cuore completamente. So altrettanto bene che l’amore fra voi due l’ho fatto nascere io, quando mi sono allontanato da te, e quindi ora non posso lamentarmi. Ma tutto questo ha fatto sorgere in me altri sentimenti. Mi fa sentire in colpa perché sto per privarti della tua umanità. Con lui avresti potuto mantenerla, mentre con me…”.
“Ma vuoi capire che non mi interessa! Io voglio essere tua per l’eternità e non mi interessa se non respirerò, non mangerò o non dormirò più. Desidero solo te. E se ti fa stare meglio che non veda più Jacob, lo farò. Posso resistere senza di lui. Non voglio che pensi che sia indispensabile per la mia vita. Tu lo sei”.
“No, non voglio renderti infelice, Bella. So che lui è una parte importante di te e non posso, e non voglio, privartene. Solo che sono invidioso del vostro rapporto e lo resterò per sempre” disse, stringendomi le mani fra le sue.
“Non devi invidiarlo. Lui ha soltanto la mia amicizia, mentre tu hai ben altro”.
“Già. Ma lui ti comprende al volo. Sa che cosa pensi in ogni momento. E’ come se ti leggesse nel pensiero, pur non potendolo fare. Io non riesco a capire tutto quello che ti passa per la testa”.
Non seppi cosa rispondere. Purtroppo era vero. Jacob ed io avevamo un’intesa e una complicità non comune. Ci capivamo con un’occhiata e sapevamo uno i pensieri dell’altro. Non si trattava di un feeling accresciuto con il tempo, ma era stato così fin da principio. Jake diceva che proprio per questo eravamo anime gemelle, ma io non lo credevo. O perlomeno in un mondo normale lo saremmo stati, ma non in questo. E io in questo volevo vivere.
“Sai” continuò Edward “non ho mai rimpianto la mia trasformazione. L’ho sempre vissuta come una seconda possibilità. Però da quando ti ho conosciuta ho sentito dentro di me il rimpianto per la mia umanità. Anche ora. Vorrei tanto rinascere per te e ricominciare una vita normale insieme. E so che sparirebbe anche il dolore, perché finalmente non temerei più il confronto con un licantropo che in fondo più di me ha soltanto l’umanità. Questo sarebbe il mio desiderio più grande, ma so che non potrò fare niente per ottenerlo”.
Lo abbracciai forte. Perché? Perché si sentiva così inadeguato a me, come se fosse lui ad avere dei difetti e non io? Lui, la perfezione. Ed era tutta colpa mia e della mia stupida amicizia con un licantropo. L’unica soluzione che mi veniva in mente era troncare con Jacob, ma farlo sarebbe stato impossibile. Sia per me che per lui. Potevo solo cercare di allontanarlo da me il più possibile. Solo così Edward avrebbe definitivamente capito che non rimpiangevo nulla della mia vita umana e che vivevo solo ed esclusivamente per lui.
Mi accarezzò a lungo il capo fino a che lo udii proferire:
 
“Pace non trovo e non ho da far guerra
E temo, e spero; e ardo e sono un ghiaccio;
e volo sopra ‘l cielo, e giaccio in terra;
e nulla stringo, e tutto il mondo abbraccio.
 
Tal m’ha in pregion, che non m’apre né sera,
né per suo mi riten né scioglie il laccio;
e non m’ancide Amore, e non mi sferra,
né mi vuol vivo, né mi trae d’impaccio.
 
Veggio senz’occhi, e non ho lingua, e grido;
e bramo di perire, e chieggio aita;
e ho in odio me stesso, e amo altrui.
 
Pascomi di dolor, piangendo rido;
egualmente mi spiace morte e vita:
in questo stato son, donna, per voi”. *
 
Alzai il viso e incontrai il suo sguardo. Aveva recitato questa poesia a memoria.
“E’ bellissima” balbettai incantata.
“Ti piace?” mi guardò. “L’ho letta in uno di quelle centinaia di libri che vedi lì dietro e l’ho imparata  perché mi fa pensare a te. E’ la somma di tutti i sentimenti che provo. Riesci a farmi sentire miriadi di sensazioni, anche opposte tra loro. Il mio mondo gira intorno a te. Sei tu che mi dai calore, luce, pace. Senza di te sarei perso. E’ vero, posso essere un po’ geloso di Jacob, ma so altrettanto bene che sei soltanto mia. E spero che lo resterai per l’eternità”.
“Non dovrai mai dubitarne”.
Mi avvicinai a lui affinché le mie labbra sfiorassero le sue. Erano gelide, come sempre. Volevo mettergli in testa che non c’era nessun altro per me e mai ci sarebbe stato. Non sapevo bene come fare, ma volevo raggiungere il mio obbiettivo. Inoltre, dopo quella giornata così sconvolgente, avevo bisogno di lui, del suo calore, che, nonostante il corpo freddo, riusciva sempre a trasmettermi.
Con la lingua gli accarezzai la bocca. Non mi ero quasi resa conto di questo gesto che mi era venuto istintivo. Ma con altrettanto stupore mi accorsi che lui non mi respingeva, come succedeva ogni volta. Non rispondeva al mio bacio, ma neanche lo evitava. Divenni più insistente e finalmente socchiuse le labbra.
Fu la prima volta da quando eravamo insieme che si lasciava andare in questo modo. I nostri baci erano sempre stati solo a fior di labbra, perché temeva di non sapersi controllare. Ma ora non stava accadendo. Finalmente ebbi quello che desideravo da un anno e mezzo. Avere un contatto più profondo con lui.
Mi prese il viso fra le mani, come se non volesse che mi staccassi. E questo non sarebbe certo accaduto. Sentii la sua lingua a contatto con la mia. Mi sembrò di toccare il cielo con un dito. Ero felice. Non potevo immaginare un momento più bello di questo. Si stava abbandonando a me e io volevo fare lo stesso con lui. Il fatto che fossi l’unica persona di cui non sentiva i pensieri mi faceva tirare spesso dei sospiri di sollievo ma contemporaneamente mi sembrava di non essere una parte di lui. Il mio ragionamento era stupido ed infantile, ma avevo davvero la necessità che lui mi capisse e mi sentisse fino in fondo. A volte lo sentivo distante e mi impaurivo, senza alcun motivo. Adesso questa orrenda sensazione non mi apparteneva.
Quel bacio fu tutto e niente. Era come se stessi assaggiando la cioccolata più buona e gustosa, e proprio per questo non potessi fare a meno di volerne ancora e ancora. Sfilai la camicia dai jeans, la sbottonai in parte e guidai le sue mani all’interno, avvicinandole ai miei fianchi, tanto da sentire i brividi.
Una scintilla aveva acceso un incendio dentro di me che non volevo, né potevo spegnere. E proprio quest’incendio aveva sciolto il ghiaccio di Edward, che sapevo essere tutta apparenza. Ora finalmente vedevo il suo lato più passionale, quello che avevo sempre e solo intuito, ma sapevo essere nascosto e pronto ad emergere. Mi accarezzò la pelle, sfiorando con le dita la curva dei miei seni, e a quel punto non riuscii più ad aspettare, né a pensare. Lo tirai verso di me e lui mi assecondò. I nostri baci si fecero più febbrili, quasi disperati, mentre mi slacciavo gli ultimi bottoni della camicia. Lo desideravo più di qualsiasi altra cosa al mondo e potevo averlo. E senza quella dannata luna di miele.
Annebbiata ed estatica, reclinai la testa all’indietro. Strofinava la lingua sul mio collo e io non avevo paura, non temevo che mi mordesse. Tutt’altro. Intrecciai le dita fra i suoi capelli per trattenerlo, fintanto che mi faceva sentire così. A quel punto tornò a baciare la mia bocca aperta, senza fiato e pazzo come me.
Il nostro bacio sarebbe continuato all’infinito, finché inaspettatamente si allontanò. Delicatamente ma con decisione.
“No, Bella. Basta” mi respinse, deglutendo a fatica.
“Che c’è? Non ti piaceva?”.
“No, non è questo. E’ proprio perché mi piaceva troppo che ho dovuto fermarmi. Sentivo che stavo perdendo il controllo. E non voglio farti del male”.
“Ma non me ne farai…” cercai di replicare. Non potevamo fermarci proprio ora. Mi spostò da un lato e si alzò dal letto.
“No, non puoi saperlo. Lo so io che cosa stavo sentendo e non era niente di buono” disse angosciato.
“Ma sarà lo stesso durante la luna di miele…” contestai infervorata. Non mi rispose. Sapevo perfettamente che cosa stava pensando. “Non ci stai ripensando, vero? Intendo per la luna di miele”.
Continuò a non rispondermi e questo confermò le mie paure. “L’hai promesso…” balbettai.
“Lo so” rispose finalmente. “Ma so anche che cosa ho sentito adesso. Non voglio che tu rischi. Non a causa mia”.
“Abbiamo già deciso e non si torna indietro” esclamai risoluta. “Piuttosto perché non adesso?”
“Te l’ho già detto perché, Bella!” disse esasperato.
“E se i Volturi domani mi uccidessero? Non voglio morire prima di aver fatto l’amore con te!”.
Si avvicinò a me con un’espressione dura. Mi prese il viso fra le mani. “Io non permetterò mai a nessuno di farti del male. Mai, mi hai capito?” disse senza alcun cedimento nella voce.
Tacqui. Non sarei riuscita a fargli cambiare idea.
Annuii debolmente.
“Posso almeno dormire abbracciata a te?” domandai, bisognosa di affetto.
“Certo, amore mio”.
Ci sdraiammo a letto e mi accoccolai su di lui. Non prima di aver preso una coperta. Il fuoco che mi aveva dilaniato poco prima si era ormai spento e il contatto con la sua pelle gelida avrebbe cominciato presto a farsi sentire. La notte passò velocemente e io non riuscii a chiudere occhio. Sapevo che stavo correndo un grosso rischio e soprattutto che lo stavo facendo correre anche a Edward, tuttavia non potevo fare a meno di pensare a Desirèe e a quello che stava facendo in quel momento: se Seth fosse riuscito a trovarle un nascondiglio, se in una qualche maniera fosse al sicuro. L’unico modo sarebbe stato portarla via da Forks, ma se i Volturi erano in giro era meglio per lei restare nascosta un altro po’. Almeno finché i Cullen non avessero sentito sparire la loro scia.
Passai le ore successive affogando in questi pensieri e arrivò l’alba.
Ero appena riuscita a chiudere gli occhi quando Edward si alzò di scatto. Il suo movimento mi fece sobbalzare.
“Cosa c’è?” urlai. Edward mi ignorò. Scese dal letto e uscì velocemente dalla camera. Io lo seguii in salotto: erano tutti lì. Guardai Alice. Aveva le mani sulla bocca, disperata. Mi fissò a lungo, poi si voltò verso suo fratello. “Mi dispiace tanto” sussurrò. E io ebbi un’orribile sensazione.
Passarono soltanto due minuti, quando qualcuno suonò il campanello. Il mio fidanzato subito si mise davanti a me, coprendomi quasi totalmente. Carlisle andò alla porta e la aprì con circospezione. Il mio cuore voleva balzare dal petto. Non sapevo cosa aspettarmi, ma, di qualsiasi cosa si trattasse, non doveva essere niente di buono. Mi bastò guardare Edward e leggergli lo sgomento sul viso. Quando la porta si spalancò intravidi una figura a me purtroppo nota. Lehausle.
Senza aspettare che Carlisle lo invitasse a entrare, varcò la soglia e li fissò uno ad uno. Poi abbassò il suo sguardo su di me. Aveva uno strano sorriso, come se pregustasse il pasto. Mi si gelò il sangue. Istintivamente mi nascosi dietro Edward, anche se continuai a guardarlo. Finalmente posò la sua attenzione su Carlisle.
“Sono venuto qui a portare un messaggio da parte di Jane”.
“E sarebbe?”
“Sappiamo da fonti certe che la figlia di Tanya è qua. E sappiamo altrettanto bene che la fidanzata di tuo figlio le ha dato ospitalità stanotte” si voltò guardando Edward compiaciuto.
“Non è assolutamente vero” obbiettò Carlisle. “Quali sarebbero le vostre fonti? Non sono attendibili”.
A Lehausle sfuggì una risata. “Andiamo Carlisle. E’ inutile che cerchi di difenderla. Sapete anche voi che è così. E comunque, se proprio vuoi saperlo, l’ha visto Demetri. E’ abbastanza attendibile come fonte?” ironizzò.
“Ieri sera Bella ha dato ospitalità alla ragazza di un suo amico, non certo a un mezzo vampiro…” disse Edward.
“Stai cercando di darmi a intendere che la tua futura mogliettina non sapesse chi aveva in casa?” disse incredulo. “Beh, allora le consiglio di scegliersi meglio le amicizie”.
“Bella non è un vampiro. Può fare quello che vuole” mi difese Esme, cercando di cambiare tattica.
 “Questo è vero, però di fatto è come se lo fosse. Oppure se volete potremmo considerarla un essere umano e allora visto che a loro è proibito conoscere il nostro segreto, dovremmo ucciderla subito. Che prospettiva preferite?” continuò sarcastico.
Aveva un tono di voce così arrogante e prepotente che mi meravigliai della calma ostentata da Edward. Se fossi stata un vampiro, non sarei certo riuscita a trattenermi.
“Comunque” disse Lehausle “pensiamo che voi sappiate perfettamente dove si trova la ragazza. Anzi forse l’avete saputo fin dall’inizio, ma di questo non abbiamo riscontri. Al contrario di quello che è successo ieri sera…”.
“Vogliamo le prove” esclamò Carlisle.
Lehausle lo guardò con un ghigno inquietante. “Non abbiamo foto, se è questo quello che vuoi. Ma devi ringraziare il cielo che accusiamo solo lei e non tutti voi per aver nascosto la figlia della vostra parente”.
“Non abbiamo nascosto nessuno” disse Jasper. “E fino a quando non siete arrivati voi, non sapevamo nemmeno della sua esistenza. Tanya non ci ha mai detto nulla in proposito. E anzi dubito persino che esista davvero…”.
Il messaggero di Jane lo fulminò con lo sguardo. “Noi non scherziamo mai, ricordatelo bene”.
“Che cosa vuoi allora? Visto che avete già tutte le risposte, cosa sei venuto a fare qui?” domandò Carlisle spazientito.
“Non abbiamo risposte a tutto, come ho già detto. Non sono venuto qui a discutere con voi, ma solo a portare un messaggio da parte di Jane”.
“Dillo e vattene” tagliò corto il capo famiglia Cullen.
Mi guardò di nuovo poi alzò lo sguardo verso Edward. “Bella è accusata di aver aiutato la figlia di Tanya, che è già stata dichiarata fuorilegge. Quindi anche lei ora lo è e va punita secondo le nostre leggi” sentenziò con la massima solennità.
Vidi la mano di Edward stringersi nervosamente. Tremava. Era la prima volta che lo vedevo così agitato. E ne capii il motivo quando Lehausle continuò la sua sentenza che sapeva di condanna senza appello. “Avete tre giorni di tempo per consegnarcela, altrimenti verremo a prenderla noi e sarà guerra con chiunque la difenderà” concluse. Infine salutò tutti quanti e varcò la soglia. “Tre giorni, ricordatevelo. E non sognatevi di darvi alla fuga, perché tanto vi teniamo sotto controllo” minacciò, prima di andarsene.
Carlisle chiuse la porta e guardò uno ad uno sua moglie e i suoi figli. E io capii che stavolta per me era finita. Non avevo scampo. Tre giorni ancora e mi avrebbero uccisa.
  
 
 
* Tratto dal Canzoniere di F. Petrarca.



 
E con questo capitolo finisce la parte di cui Bella era la narratrice (però potrebbe tornare più avanti. Chissà? Vedremo…). Dal prossimo capitolo, il POV cambierà (non vi svelo chi sarà il prescelto/a) ma spero che vorrete continuare a leggermi.
Ringrazio le persone che hanno messo la mia storia fra i preferiti, quelle da seguire e ricordare e posso sapere se la storia vi piace, vi incuriosisce o vi fa schifo? Potete dirlo, non mi offendo!!! Ormai la prima parte è terminata e un'idea ve la sarete pur fatta, o no?
Baci.

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Capitolo 20
*** Fredda e superficiale ***


Ciao a tutti,
da questo capitolo, la storia verrà raccontata dal punto di vista di Rosalie. Ci tenevo a cambiare POV perché lei è uno dei miei personaggi preferiti e volevo che avesse un ruolo importante all’interno della storia. Premetto che probabilmente non la troverete molto coerente con come è stata descritta finora, ma io parto dal presupposto che molte persone nascondano ciò che sono realmente e che si “divertano” a far vedere agli altri la parte di sé che gli crea meno problemi, che li fa sembrare meno fragili. Per me, Rosalie è una di loro e visto che la Meyer non è mai entrata in profondità in questo personaggio, l’ho fatto io. Quindi nella prima parte narrata da Bella, avete visto Rosalie stile Meyer, adesso vedrete cosa vi combino io. Spero che la mia Rose sia di vostro gradimento.

 
 
 
Quando Lehausle chiuse la porta dietro di sé, ci scrutammo attentamente per carpire l’uno la reazione dell’altro. Eravamo tutti storditi dalle poche parole appena udite. E la prima a riprendersi fui io. Iniziai a ridere sguaiatamente. Non riuscii a trattenermi. La situazione era tragica, ma questa fu ugualmente la mia prima reazione.
“Perché diavolo stai ridendo?!” esclamò Jasper, fissandomi con astio misto a stupore.
“Scusa, ma è tutto assurdo!” dissi.
“Non c’è niente da ridere, Rose” mi rimbrottò Alice. “E’ gravissimo e dobbiamo decidere come comportarci”.
“Non credo che ci sia niente da decidere” continuai, tornando seria. “Dobbiamo consegnare Bella altrimenti ci ammazzeranno. Direi che non ci sono molte alternative…”.
Mi osservarono perplessi poi lanciarono delle occhiate a Edward. Stava cingendo le braccia attorno a Bella e appariva profondamente scosso. E non potevo dargli torto. La sua “adorabile” fidanzatina aveva commesso l’ennesimo errore. Soltanto che adesso l’avrebbe pagato caro. Nessuno di noi poteva farci alcunché. Tutto sommato i Volturi mi facevano un piacere: me la levavano dai piedi. Eliminarla era un po’ esagerato, però raggiungevo lo stesso il risultato sperato.
Edward alzò il viso e mi fissò, dopo aver sentito i miei poco nobili pensieri. Mi fulminò letteralmente con lo sguardo. Alzai le spalle. Non mi importava cosa pensasse. Io non volevo Bella e basta. Oltretutto aveva sbagliato in maniera colossale, anche perché Edward si era raccomandato di non fare nulla per aiutare Desirèe, e lei aveva fatto di testa sua. Se ora sperava che la togliessimo dai guai, come era già successo in passato, si sbagliava di grosso.
“Dobbiamo riflettere su come risolvere la situazione” esclamò Carlisle. “E non vi nascondo che non so da che parte cominciare”.
“Potremmo provare a contattare Aro e spiegargli come stanno le cose” ipotizzò Esme.
“Non credo che servirebbe” intervenne Edward, uscendo finalmente dal suo silenzio. “Credo che Jane li abbia già contattati, altrimenti non avrebbe preso questa decisione”.
Carlisle iniziò a camminare nervosamente. Anch’io condividevo la teoria di Edward: le guardie reali non potevano prendere decisioni in autonomia.
“Io non capisco” disse Alice. “Che interesse hanno i Volturi ad uccidere Bella? Non ci guadagnano assolutamente nulla”.
“Vogliono eliminarci” le rispose Edward.
“Perché mai?”.
“Perché noi abbiamo delle doti che non possiedono e visto che ci rifiutiamo di unirci a loro, hanno deciso di fare piazza pulita. Ti ricordi a Volterra? Hanno cercato per tutto il tempo di trovare una scusa per ucciderci, con scarso successo. E ora possono farlo. Sanno che io non consegnerò mai Bella e così potranno togliermi di mezzo”.
Tutti noi eravamo in silenzio. Io non ero stata a Volterra, ma da quello che mi aveva raccontato Alice, non potevo che dargli ragione.
Bella aveva avuto il buon senso di mantenere lo sguardo basso. Era perfettamente consapevole della sua ennesima stupidaggine, e non poteva avere l’ardire di chiedere a noi di difenderla. Anche perché sarebbe stata pura follia.
“E quindi cosa facciamo?” domandò Emmett.
“Combattere contro Jane e gli altri non mi sembra una buona idea, anche perché perderemmo” constatò tristemente Jasper.
“Nessuno di voi dovrà combattere” disse fermamente Edward. “Penserò io a lei”.
“Come, scusa?” domandò Alice.
“Quello che ho detto. Io combatterò, voi ne resterete fuori”.
“Ma sei impazzito?! Vuoi combattere da solo?! Ti ammazzeranno e senza neanche troppi problemi”.
“Non posso lasciare Bella nelle loro mani. Questa è una certezza”.
“No, un attimo” intervenne Carlisle. “Se li affronti da solo, la fine è già scritta. Dobbiamo trovare un’alternativa che escluda il combattimento”.
“E quale?”.
“Edward, calmati. Capisco che sei agitato, ma non risolverai nulla in questo modo. Abbiamo tre giorni di tempo per pensare e troveremo una soluzione”.
“E’ vero. Carlisle ha ragione” lo appoggiò Esme. “Dobbiamo riflettere con calma. E cercare qualcosa che tiri fuori Bella dai pasticci”.
“Non c’è niente a cui pensare e lo sapete perfettamente anche voi” ribatté Edward. “Lo abbiamo fatto per Desirèe e non abbiamo concluso nulla. E ora siamo nella medesima condizione. Combatterò”.
“No!” urlò Bella, uscendo finalmente dal suo silenzio. “No, Edward. Non voglio che tu combatta per me. L’errore è stato mio e sono disposta a pagarlo”.
Mio fratello le accarezzò dolcemente il viso. “Amore mio, non posso lasciarti nelle loro mani. Combatterò fino alla morte per te. La tua vita è molto più importante della mia. Farò di tutto pur di continuare a far battere il tuo cuore.”.
“No” singhiozzò Bella, scuotendo la testa. “Non posso lasciartelo fare. Sarebbe un suicidio e io non voglio che ti succeda nulla”.
Edward la abbracciò. “Bella, non voglio sopravviverti. Se tu devi morire, voglio seguirti. Io ti difenderò, e forse lo farò anche per egoismo, perché non riesco a immaginare una vita senza di te”.
Alzai gli occhi al cielo, esasperata. Mi sembrava di sognare. Lei aveva sbagliato e ora mio fratello doveva rimediare, rimettendoci la vita. Stavo per sbottare quando intervenne Carlisle. “Edward, non possiamo lasciarti andare in questa missione suicida. Sarebbe pura follia. Dobbiamo cercare assolutamente una soluzione alternativa. D’accordo, Bella ha sbagliato, ma le leggi dei Volturi sono assurde e dobbiamo ribellarci, senza arrivare a uno scontro”.
“Oh, Carlisle, mi dispiace tanto. Io non volevo mettervi in pericolo. Non ho riflettuto, come al solito. Ma, vi prego, se volete aiutarmi veramente, lasciatemi a loro. Non potrei vivere col rimorso di avervi causato, in qualsiasi modo, un danno” implorò Bella tra le lacrime.
Esme le si avvicinò e la abbracciò. “Tesoro mio, non devi preoccuparti. Ne usciremo, come sempre, e nessuno si farà male. Non devi sentirti in colpa. Hai fatto solo quello che ti suggeriva il cuore e hai fatto bene. Sistemeremo ogni cosa”.
Anche Alice la raggiunse, le mise la mano su un braccio e le mormorò parole di sostegno.
Non potevo crederci. Aveva combinato un guaio e gli altri cercavano di consolarla, dando la colpa ai Volturi e non a lei che aveva deliberatamente ignorato le leggi. Che per quanto assurde e prive di fondamento, erano sempre state rispettate. Mi chiesi che diavolo avesse Bella da suscitare la pietà e l’affetto di tutti quanti, al contrario di Tanya. Erano intorno a lei e cercavano di tirarle sù il morale. Persino Emmett. Io le avrei torto il collo ma era evidente che fossi l’unica a pensarla così. O comunque l’unica che aveva ancora un po’ di cervello.
Non avevo tuttavia compreso quale fosse la posizione del resto della famiglia. L’unica cosa chiara era che quel pazzoide di mio fratello si sarebbe suicidato per difenderla. Se voleva farlo, si accomodasse. Io non avrei sicuramente alzato un dito per quella stupidina, tanto amata da tutti. Li osservai. Erano partecipi del suo dolore, del suo rimorso e la guardavano con dolcezza. Alice ormai la considerava una sorella, Carlisle e Esme una nuova figlia, Jasper e Emmett si trovavano d’incanto con lei. E io? Non potevo soffrirla. Era troppo diversa da me, troppo insulsa, con quel suo sguardo da povera ragazza indifesa, sempre bisognosa di protezione e affetto, perennemente piangente, con l’intento di stimolare negli altri compatimento e compassione. E ci riusciva a pieno. Io ero la sola ad aver compreso questo suo giochetto. Mi mandava in bestia sia perché gli altri cadevano nella sua tela, sia perché, apparentemente, non voleva che Edward la difendesse. Sapeva perfettamente che l’avrebbe fatto e quindi si era sentita libera di fare ciò che voleva. Tanto c’era qualcuno che rischiava la vita al posto suo. Dovevo essere onesta: l’avrei picchiata. Come poteva essersi comportata così? E come potevano gli altri essere così ciechi da non accorgersene?
Mi morsi il labbro inferiore. Dinanzi a quella scena patetica non sapevo quanto avrei resistito. Mi feci indietro di qualche passo per calmarmi.
“Tesoro mio” la abbracciò mio fratello. “Sistemeremo tutto, vedrai. I Volturi non ti faranno del male. Lo impedirò a tutti i costi”.
Bella lo guardò prostrata dal dolore. “No, Edward. Non devi rischiare. L’errore è stato mio ed è giusto che ne sopporti le conseguenze”.
“Non è stata colpa tua, Bella, ma di quei dannati cani e di Desirèe. Si sono approfittati della tua buona fede. Ti giuro che la pagheranno…” esclamò Edward con altrettanta ferocia. E questa fu la goccia che fece traboccare il vaso.
“Sei impazzito?!” inveii contro di lui. “Adesso diamo pure la colpa a Desirèe e al suo ragazzo che non fa altro che tentare di proteggerla? Diciamo la verità: Bella ha fatto l’ennesima cazzata e noi dobbiamo rimediare. Come sempre, direi”. Mi avvicinai a lei e continuai:“Allora, mia cara, come pensi di uscire da questa storia? Quanti di noi vuoi che muoiano prima di cominciare ad azionare il cervello? Soltanto perché sei un’umana non ti devi aspettare di essere difesa qualsiasi cosa tu faccia. Ma ti dò una notizia. Questa volta nessuno verrà in tuo soccorso. Ne abbiamo abbastanza di te e delle tue stupidaggini!”.
Bella non ebbe neanche il coraggio di guardarmi in faccia. Tenne il viso abbassato per tutto il tempo della mia accusa: avevo ragione e non poteva ribattere. Qualsiasi suo tentativo di difesa sarebbe stato smorzato. Neanche gli altri dissero nulla. Intuii che fossero d’accordo con me, anche se nessuno osava dire ciò che pensava per non sconfortarla ulteriormente. Ma al posto suo, come previsto, intervenne Edward.
“Nessuno ha chiesto il tuo parere, Rosalie. E poi da quando sei diventata il difensore del branco?”.
“Io non difendo il branco. Possono andare a impiccarsi per quello che me ne importa. Io difendo soltanto Desirèe. Lei non si è approfittata di nessuno, tanto meno di Bella. E poi non era stata proprio lei a prometterti di non invischiarsi in questa faccenda? D’accordo, l’avrà fatto per generosità o per qualsiasi altro motivo, non mi interessa, ma adesso non può pensare di tirarci dentro”.
“Nessuno vuole tirare dentro nessuno, neppure te. Non ti preoccupare, puoi ritornare davanti allo specchio. Penserò io a lei” mi rispose sprezzante. “Per quanto riguarda Desirèe lei sapeva qual era il rischio a cui andava incontro Bella, andando a dormire a casa sua. Ma se n’è fregata, come Seth. E’ quella ragazzina il vero problema. E’ tutta colpa sua se siamo in questa situazione. E ti posso assicurare che se non fosse nascosta a La Push, andrei io stesso a prenderla e a consegnarla ai Volturi”.
Quest’ultima frase mi fece ribollire.
“Vuoi difendere Bella, però te ne freghi di Desirèe. Mi fai vomitare! Come diavolo puoi solo immaginare di consegnare Desirèe ai Volturi?! Lei non ha fatto niente di male. Il suo unico errore è quello di vivere e respirare. Credi che sia abbastanza per punirla? Beh, per me no. E poi a Tanya non ci pensi? Se  consegnassi sua figlia, ne morirebbe”.
“Questo non è un problema mio. Tanya sapeva a cosa andava incontro quando l’ha salvata e ora non può recriminare o aspettarsi la nostra compassione!”.
“Già. Anche Bella però sapeva a cosa andava incontro e quindi neanche lei può aspettarsi la nostra compassione o il nostro sostegno”.
Edward non mi rispose. Sapeva che avevo ragione, anche se ovviamente non poteva fare a meno di difenderla. Certe volte era così ottuso che mi faceva uscire di senno. Avrei voluto ficcare nella sua testa un po’ di giudizio, ma sembrava impossibile quando si trattava di Bella.
“Bella non solo ha attirato la rabbia dei Volturi su di sé, ma anche su di noi. Ora il suo comportamento ci sta mettendo tutti in pericolo. La famiglia si trova ad affrontare una situazione gravissima. Come pensi di uscirne, Edward? Tu che hai sempre una soluzione! Sù, coraggio, sto aspettando…” dissi, incrociando le braccia.
Edward mi guardò cupo. Sentivo il suo odio su di me, ma ormai c’ero abituata. Era la regola. E non mi importava.
“Non ti preoccupare, Rose! Voi non correrete alcun rischio. Come ho già detto prima, soltanto io difenderò Bella. Nessuno dovrà intervenire” concluse, guardando il resto della famiglia.
“Edward, affrontarli da solo sarebbe un suicidio!” replicò Alice con un velo di disperazione.
“Non possiamo coinvolgervi. E con questo il discorso è chiuso”.
“Bravo!” dissi sarcastica. “Ammazzati pure. D’altra parte non puoi fare altrimenti. Verrò ogni tanto sulla tua tomba a portarti un fiore”.
“Rosalie, piantala!” mi richiamò Esme. “Stai parlando con tuo fratello!”.
“E quando mai lui mi ha considerato sua sorella?! Io invece dovrei farlo?”.
Esme mi fissò con un’espressione di rimprovero. Come al solito, per lei io avevo torto e Edward ragione.
“Fai come ti pare. L’importante è che noi siamo al sicuro, il resto non mi interessa” conclusi, decidendo di andarmene in camera. Ne avevo abbastanza di tutto il buonismo di cui circondavano Bella.
Una volta raggiunta la stanza, mi buttai sul letto. Ero furiosa. Tutti la difendevano, mentre io passavo perennemente per la cattiva della situazione. Nessuno capiva il casino che aveva combinato. O perlomeno, nessuno lo dava a intendere. Bisognava consolarla, poverina. Lei così indifesa, in balia di Rosalie, la perfida. L’unica però che aveva il coraggio di dire ciò che pensava, al contrario di tutti quei pecoroni là sotto.
Mi rotolai e guardai il soffitto. Tutto sommato mi dispiaceva per Edward, ma d’altra parte non era colpa mia se si era trovato una fidanzata stupida e avventata. E lui era così succube da farmi compassione. Pareva che non avesse una testa pensante. Tutto ruotava attorno a Bella.
A volte mi sarebbe piaciuto aprirgli il cervello e vedere se i suoi neuroni funzionavano o meno. Secondo me, no. Quando c’era lei di mezzo, non mi sembrava neppure la stessa persona che riusciva a mantenere i nervi saldi e affrontare razionalmente ogni problematica. Scontrarsi da solo contro i Volturi: era proprio uscito di senno.
Ah, basta. Non ci volevo più pensare. Erano problemi suoi. E per fortuna, gli altri, nonostante non avessero detto nulla, erano concordi con me. Avevo visto le loro espressioni: rammaricate, certo, ma convinte dell’errore di Bella. D’altronde la posizione della famiglia era stata quella di isolare Desirèe e lasciare che si arrangiasse da sola. E ora non potevano certo rimangiarsi tutto per Bella.
Carlisle e Edward avevano dato l’ordine e tutti l’avevamo seguito. Un ordine che di per sé era disumano, ma la filosofia della nostra famiglia era sempre stata quella di agire tutti insieme e rispettare le regole che venivano date da Carlisle. Come se lui avesse la verità in tasca. Tutti ubbidivamo, mentre Bella ovviamente poteva fare ciò che voleva e essere sempre perdonata. Ma se volevamo essere precisi, lei non faceva ancora parte dei Cullen, quindi ufficialmente era libera. Libera di agire secondo la sua testa, e soprattutto secondo coscienza.
Aveva dato ospitalità a Desirèe. Aveva sbagliato, certo, ma aveva dimostrato di avere un cuore. Cosa che noi non avevamo fatto. Era la figlia di Tanya: io avrei dovuto aiutarla e non Bella. Ma Desirèe si era rivolta a lei perché sapeva che qua non avrebbe trovato una mano amica.
Non avevo fatto nulla per sostenerla e appoggiarla, mentre Bella sì. Ora era condannata a morte, ma almeno sapeva di aver fatto la cosa giusta. Al contrario di me.
Chiusi gli occhi.
Avvertii il rimorso divorarmi. L’avevo abbandonata, mentre lei sembrava che mi amasse. Inspiegabilmente, perché non mi conosceva affatto. Io avevo ubbidito a Carlisle, ma con quale risultato? Desirèe era in pericolo e ora anche parte della mia famiglia perché il solo errore di Bella era stato ascoltare il suo cuore. Mi sentii uno schifo. Sia nei confronti di Tanya che di quelli di Desirèe. Ma soprattutto verso me stessa. Avrei dovuto tentare di salvare la figlia della mia migliore amica e invece ora ero qua, in salvo certo, ma a provare quasi invidia per Bella perché aveva fatto la cosa giusta.
“Io sono tuo padre e come tale devi obbedire a quello che ti dico” mi risuonò nella testa. I miei ricordi di quando ero umana riaffioravano in continuazione. L’educazione che avevo avuto si basava sul rispetto, sempre e comunque, degli ordini impartiti da mio padre. Non importava che fossero giusti o sbagliati, io dovevo chinare la testa. Ero una ragazzina a quel tempo e non capivo cosa fosse giusto, ma ora lo sapevo e nonostante questo continuavo a negarmi la libertà di decisione. Carlisle ed Edward, che consideravo l’uno un padre e l’altro un fratello maggiore, avevano sancito la decisione e io come una schiava avevo eseguito. Come se non avessi un cervello e una ragione. Sì, invidiavo dannatamente Bella perché aveva avuto il coraggio delle sue azioni, mentre io ero rimasta immobile a disperarmi, senza fare nulla. Mi misi le mani sugli occhi. Non avevo mosso un dito non perché temessi l’ira dei Volturi, ma semplicemente perché così ero stata educata e così continuavo a comportarmi. E non riuscivo a fare diversamente. Avrei tanto voluto difendere e lottare per Desirèe, ma era stato più forte di me. Mi sembrava di essere legata con le catene. E non riuscivo a fuggire, e tantomeno sapevo se lo volevo. Ero un’inetta o più facilmente una codarda.
Desirèe aveva bisogno di me e io non trovavo niente altro di meglio che stare qui a rimproverare Bella e a compatire Edward.
Mi alzai e andai a sedermi sul pavimento del balcone che si affacciava sull’ampio roseto, orgoglio di Esme.
Restai lì tutto il giorno, con il cervello completamente svuotato. Era l’unico modo per sopravvivere a me stessa. Il tempo volò: avevo deciso di non pormi più domande a cui non volevo rispondere e questo velocizzò il trascorrere delle ore.
Poi guardai l’orologio. Erano poco meno delle 18. Avevo passato quasi tutta la giornata seduta lì.
Mi alzai meccanicamente e scesi al piano terra.
Edward e Bella non c’erano. “Edward l’ha accompagnata a casa” disse Emmett, quasi in risposta al mio pensiero.
“Resterà là tutta la notte?” domandai, ma in realtà ero totalmente disinteressata alla risposta.
Mio marito annuì.
“Qualcuno ha avvisato Tanya di quello che sta succedendo?”.
“Non credo”.
“La chiamo io allora”.
Le telefonai e le raccontai le ultime evoluzioni. Sembrò sollevata del fatto che Desirèe fosse con Seth, come se lui avesse potuto difenderla in caso di attacco. Quando arrivai alla sortita di Bella, fu profondamente addolorata che anche lei si trovasse involontariamente nei guai. E soprattutto a causa sua e di sua figlia, ma le era grata per l’aiuto prestato. Si raccomandò di ringraziarla. D’altro canto invece Kate e gli altri componenti della famiglia Denali si sarebbero trasferiti in un’altra città. Ormai il rischio di essere coinvolti, e quindi uccisi, era troppo alto. Tanya invece sarebbe tornata a Forks.
“Sei impazzita?! Se vieni qua, è morte certa!” la rimproverai.
“Secondo te, posso lasciare mia figlia da sola?! Sono rimasta anche troppo qui a Chicago. Il fatto è che ho sperato fino all’ultimo che sarebbe tornata, ma ora che tu mi confermi che si trova a La Push, non c’è per me alcun motivo di restare. Prenderò il primo volo” disse decisa.
“D’accordo” annuii tristemente. “Dimmi quando arrivi e ti vengo a prendere”.
“No. Siete già troppo coinvolti e non voglio causare altri danni. Verrò e cercherò di contattare mia figlia in qualche modo. Non ti preoccupare, fai come se non ti avessi detto niente”.
“Non posso, Tanya”.
“Ti prego, Rose, se vuoi farmi un piacere, stanne fuori. Ti prometto che se avrò bisogno, ti chiamerò. Ok?”.
“L’hai promesso! Mi raccomando, non ti dimenticare che sono tua amica e voglio esserti di aiuto”.
“Lo sei sempre stata, e lo sarai sempre. Ora vado a preparare le valigie” e riagganciò. Sentii il rumore sordo del telefono. Una rabbia smisurata crebbe dentro di me.
“Vado a fare un giro” dissi, passando velocemente nel salotto. Non aspettai la risposta di nessuno e d’altra parte non me ne importava nulla. Sarei uscita ugualmente.
Appena allontanatami dal giardino di casa, iniziai la corsa. Accelerai il più possibile l’andatura per cercare di lasciare i rimorsi dietro di me, ma erano dannatamente veloci. Non mi guardai mai intorno. Non ero interessata a cosa mi circondava. Avrei anche potuto incontrare uno dei Volturi, ma non mi sarebbe interessato granché in quel momento. Anzi forse sarebbe stato un sollievo perché mi avrebbero ricordato che avevo fatto bene a non fare niente per aiutare Desirèe. Ma non li vidi. E non ne sentii la scia. Poi improvvisamente mi accorsi che ero arrivata vicino al confine con La Push.
Mi bloccai.
Mi sarebbe tanto piaciuto entrarvi e andare da Desirèe. Ma non avrei saputo dove cercarla e per di più se quei cani mi avessero sorpreso prima di trovarla, ne avrebbero approfittato per dichiarare una inutile quanto banale guerra a tutta la nostra famiglia.
Poi balenò un altro timore. Se i Volturi mi stavano seguendo, avrei solo contribuito a fargli trovare il nascondiglio di Desirèe. C’erano troppi pericoli. Mi invertii e proseguii la corsa in un’altra direzione, fino a che non raggiunsi una radura. Una delle tante che costellavano quella zona.
In quella avevamo addestrato il branco a difendersi dai vampiri Neonati di Victoria. Sorrisi.
Mi sedetti sotto uno degli innumerevoli alberi che la circondavano. E lì rimasi per un po’.
Ero una codarda? Per questo non avevo preso posizione in questa situazione? Mi ero comportata in maniera diametralmente opposta a quello che volevo. Ma non potevo fare nulla. Ribellarmi non era quello che mi era stato insegnato. Come avrei potuto prendere una decisione diversa da quella imposta? Anche se lo avessi voluto, non avevo la forza necessaria per farlo.
Alla fine capii. Ero davvero una codarda, a differenza di Bella. Ma, nonostante questo, non potevo fare a meno di odiarla.
Mi sdraiai. Il profumo delle ultime margherite della stagione mi fece sentire meglio. Mi ritrovai a fissare il cielo sempre nello stesso punto, come se ne fossi ipnotizzata.
Il cielo si stava coprendo. Le nuvole si stavano addensando. Forse tra poco sarebbe piovuto e qua a Forks non era certo una novità. Sbuffai. L’idea di dover ritornare a casa non mi allettava affatto. In questo momento soltanto la presenza di Emmett mi invogliava a rientrare, ma era un po’ poco, considerando la rabbia che covava dentro di me.
Inaspettatamente avvertii la scia di Alice, che si sedette silenziosamente accanto a me.
Per un poco sembrò ignorarmi. Forse voleva semplicemente farmi sentire il suo appoggio, ma sapevo che prima o poi avrebbe parlato.
“Come stai?” mi domandò infine.
“Bene. Perché? Dovrei stare male?” dissi seccata.
“Ti conosco. So che c’è qualcosa che non va”.
Tacqui, perciò continuò:“E’ per via di Bella, vero? Oggi non ho detto nulla, ma sono d’accordo con te: ha fatto una stupidaggine. Non ha riflettuto e ora…” si interruppe.
“Beh, almeno lo riconosci, però perché non l’hai detto quando è stato il momento? Sembra sempre che sia io a recitare la parte della cattiva, soltanto perché ho il coraggio di dire quello che penso”.
“Il fatto è che lei mi sembrava già molto depressa e non ho voluto infierire ulteriormente…”.
Tornai in posizione eretta.
“Mi vuoi spiegare perché nonostante tutti siate consci dei suoi grossolani errori, nessuno dice mai niente?! Dobbiamo sempre proteggerla? Io non capisco il vostro atteggiamento. Così non imparerà mai! Comunque, adesso lo farà, ma a caro prezzo, e non avrà certo l’occasione di mettere a frutto l’esperienza fatta”.
“Sembra che tu ne sia felice…” disse freddamente.
“Non ne sono felice. Non la detesto tanto da volerla ammazzare, anche se devo ammettere che la sua morte non creerà alcun dolore in me. Mi è assolutamente indifferente!” dissi con voce piatta.
“Non si direbbe. Che cos’ha Bella che non va?”.
“Niente” tagliai corto.
“Rose…” mi incalzò.
Strappai una margherita e la annusai.
“E’ sempre per lo stesso motivo, vero?” mi domandò amaramente.
“No, affatto!” mi affrettai a chiarire.
Alice scosse la testa. “Invece sì, lo è”. Mi guardò impietosita e io distolsi lo sguardo. Alice mi conosceva perfettamente: sapeva quali erano i miei punti deboli e anche se non mi confidavo praticamente mai con lei, mi leggeva tutto in faccia.
“Rose, perché non ci metti una pietra sopra? Ormai sono passati ottant’anni e non ci puoi fare più niente. La trasformazione c’è stata e non si può tornare indietro. E prendersela con Bella perché vuole diventare una di noi, non ti porterà sollievo. Lei la pensa diversamente da te e lo fa per motivazioni profonde…”.
“Non ha pensato alle implicazioni. Crede che il suo amore per Edward compenserà tutto, ma non è così” sibilai frenetica.
“Rosalie, i figli non sono tutto e comunque non è giusto odiare una persona soltanto perché fa scelte diverse dalle nostre. Non le puoi rimproverare nulla…”.
“Bene. Anch’io ho fatto le mie e in queste non si comprende che la debba sopportare come cognata” conclusi acida.
“E allora? Nel caso esca viva da questo guaio, hai intenzione di abbandonare la famiglia per evitare ogni contatto con lei?”.
“Non lo so. E’ un’ipotesi che non mi sento di scartare”.
Mi afferrò la mano violentemente e la tirò a sé. “Ma sei ammattita? Non puoi andartene!” mi rimproverò.
“Perché no? Tanto nessuno mi rimpiangerebbe. Anzi fareste una festa!”.
“Ma cosa stai dicendo? Vuoi fare la vittima, ora?” mi biasimò aspramente.
Mi sfuggì una risata. “Bella la può fare, mentre io no? Ah scusa, a lei si può perdonare tutto: l’essere perfetto che non sbaglia mai!”.
Il viso di Alice mutò radicalmente. Sembrò rattristarsi.
“Rosalie, c’è qualcosa che non capisco e mi piacerebbe tanto che me lo dicessi. So che tu non sei abituata a confidarti, ma vorrei che per una volta lo facessi. Hai sempre detto che mi vuoi bene e che mi consideri una sorella a tutti gli effetti. Adesso vorrei una dimostrazione di queste tue parole…”.
Mi rannicchiai e appoggiai il mento sulle ginocchia. “Lo sai che non riesco”.
“Ma provaci, accidenti” si infervorò. “Io non ho la dote di Edward e non ti capisco completamente…”.
“Meglio per me. Lui mi legge nel pensiero e fa di tutto per evitarmi. Sa che è meglio perdermi che trovarmi”.
“Edward ti vuole bene” disse laconica.
“Non è vero. Mi odia. Mi ha sempre odiato fin da quando sono entrata a far parte della famiglia. Non ho mai avuto una sola dimostrazione d’affetto da parte sua in tutti questi anni”.
“Ma tu quante gliene hai date? Non sei facile da capire. Forse si aspetta che tu faccia la prima mossa…Sai, Rose, le persone ogni tanto hanno bisogno di gesti affettuosi, anche se sanno di essere amate. Tu sei una persona fredda, va bene, ma potresti sforzarti…” continuò nell’esposizione delle sue convinzioni.
“Tu non ne hai bisogno” dissi.
“Solo perché non te lo chiedo non vuol dire che non mi piacerebbe un abbraccio da parte tua. Da quando sono in questa famiglia, mi avrai abbracciato, sì e no una decina di volte. E’ un po’ poco, considerando che sono una di voi da sessant’anni. Non credi?”.
Non risposi. Sapevo che aveva ragione, ma era più forte di me. Non riuscivo a dimostrare affetto. Non così almeno. Con Emmett era molto più facile: il sesso era espressione dell’amore che provavo per lui. Era naturale baciarlo e abbracciarlo. Ma con Alice non potevo certo farlo e impostare un rapporto così diverso mi sembrava complicatissimo. Le volevo un gran bene ma finora era sempre stato un amore a senso unico: lei me lo dimostrava chiaramente, mentre io non facevo assolutamente niente. Tanto era scontato che  lo sapesse. Ma ero io a sbagliare.
“Rose, cosa c’è che non va? Non è soltanto per Bella e i Volturi, lo so. Aiutami a capirti, ti prego”.
“Mi conosci perfettamente. Sono la solita superficiale, capricciosa e vanitosa Rosalie. Niente di più” ridacchiai amaramente.
“Non ti conosci nemmeno tu, se parli così”.
“Non sono io che lo dico, ma voi tutti”.
“Io non l’ho mai detto!” sbottò.
“Tu no e nemmeno Emmett, ma tutti gli altri sì. Li sento benissimo anche se lo sussurrano”.
Alice non disse nulla. Non poteva negarlo, come io non avevo potuto negare i suoi rimproveri di poc’anzi.
“Non sono arrabbiata. Probabilmente sarà così, anzi lo è senz’altro. Se tutti sono d’accordo su una medesima cosa, sarà giusta per forza, no?”.
“Rosalie, a volte le persone sbagliano, soprattutto se dall’altra parte c’è qualcuno che si nasconde…”.
“E perché mai dovrei farlo? Secondo te, mi divertirei a farmi passare per la stupida di turno?” poi tornai a fissare il cielo. “Sono così e basta. E sto bene, indipendentemente da quello che possiate pensare. Sono soddisfatta di me stessa” sorrisi forzatamente.
“Non è vero. Non lo sei mai stata, anche se reciti molto bene. E da quando c’è il problema di Desirèe sei cambiata. Sembra che tu stia per esplodere, anche se non capisco il motivo”.
“Ti prego, Alice, torna a casa. Voglio restare qui un altro po’ a pensare” le suggerii.
“D’accordo, come preferisci”.
Mia sorella si alzò e mi lasciò sola come le avevo chiesto, ma avrei tanto voluto che restasse. Volevo una persona con cui parlare, che mi capisse come faceva lei. Anche se stavolta non ci sarebbe riuscita. O forse sì. Mi alzai di scatto. Cercai di sentirne la scia, ma era già sparita. Troppo veloce per raggiungerla.
Mi sentii svuotata delle mie energie e mi accasciai al suolo.
Perché ero così cattiva? Sembrava che mi divertissi a ferire le persone che mi stavano accanto. E facendo così ferivo anche me stessa. In quest’ultimo periodo ero diventata talmente acida che mi stupivo che Alice ed Emmett volessero ancora starmi accanto. Tutto il resto della famiglia mi sopportava a mala pena. E avevano ragione. Persino io mi odiavo.
Anche l’attacco che avevo sferrato in mattinata ad Edward: non volevo dire quelle cose. Ero stata davvero spregevole. E non sapevo il perché. Io non volevo che Edward morisse, mai e poi mai l’avrei lontanamente desiderato. Aveva il solo torto di avere scelto la donna sbagliata, ma niente altro. E io l’avevo aggredito violentemente.
All’inizio gli avevo voluto bene. Troppo. Più di quanto una normale sorella ne volesse a un fratello.
Ma lui non mi aveva mai amato. Anzi.
Forse aveva ragione Alice: glielo avrei dovuto dimostrare a fatti, ma avevo sempre temuto di essere respinta.
Ricordavo ancora le sue parole sprezzanti quando ero stata trasformata. Ero in preda al dolore che il morso di Carlisle mi stava provocando, ma udivo ugualmente quello che veniva detto vicino a me.
“Perché diavolo l’hai portata qui?! E soprattutto perché l’hai trasformata?” aveva domandato infuriato a Carlisle.
“Perché stava morendo, Edward! E non era giusto. Poi guardala: ti pare che potessi permettere che una tale meraviglia morisse?”.
“Già, peccato che è una Hale. E la sua famiglia metterà a soqquadro la città per ritrovarla! Saremo costretti a trasferirci!”.
“Per me non è un problema. Anzi stavo già pensando di farlo. Siamo qui da troppo tempo e il nostro mancato invecchiamento sta cominciando a destare sospetti. E poi non è detto che lei decida di restare con noi”.
“Beh, io spero che se ne vada. Se resta, saranno solo problemi”.
Non avevo sentito altri discorsi, ma ero curiosa di vedere questo ragazzo che non mi conosceva affatto ed era già così ostile nei miei confronti. Quando aprii gli occhi, incontrai i visi amabili di Carlisle e Esme, che mi spiegarono la situazione e che cosa ero diventata. Mi colpirono entrambi, soprattutto Esme. Sembrava che mi amasse, anche se non mi aveva mai visto prima. Furono adorabili fin da principio, come due veri genitori. Edward lo conobbi solo due giorni dopo. Non si era mai preso il disturbo di venire da me.
Me lo presentò Carlisle e ne rimasi colpita: non avevo mai visto un ragazzo così bello in vita mia. Ma mentre io restai letteralmente a bocca aperta, lui non ebbe alcuna reazione. Non avevo mai provocato quest’effetto in un uomo. Non mi capacitai del perché. Che cosa c’era in me che non gli piaceva?
Dopo aver deciso di restare con i Cullen, mi posi come traguardo la conquista di quel fantastico ragazzo. Ma più mi sforzavo e più sembrava non voler avere alcun contatto con me. Non mi parlava quasi mai, a parte lo stretto indispensabile. Anche andare a caccia con lui era impossibile. Riusciva sempre a trovare una scusa per non venire con me. E io mi sentivo sempre più frustrata, anche se mi rendevo conto che non lo volevo conquistare perché fossi innamorata di lui ma solo per orgoglio personale. Non era un obbiettivo molto nobile, ma non ci potevo fare nulla. Io, da sempre abituata ad avere tutto il mondo maschile ai miei piedi, non potevo rassegnarmi al fatto che qualcuno mi rifiutasse.
Poi un giorno rimanemmo in casa da soli. Edward si mise ad ascoltare la radio, mentre io mi sedetti sul divano accanto a lui, con l’intento di sfruttare l’occasione. Ma non riuscii a spiaccicare parola. Non ero solita essere io a colpire i miei interlocutori, come invece avrei dovuto fare adesso. E lui non diceva nulla.
Mi alzai dal divano e feci per andarmene.
“Dove vai?” mi domandò. Era la prima volta che mi rivolgeva la parola di sua iniziativa. Mi voltai sconsolata verso di lui.
“Non lo so. Pensavo di andare a fare un giro per la città” alzai le spalle.
“Vengo anch’io, se non ti dispiace”.
Mi sembrò di toccare il cielo con un dito: ero finalmente riuscita a scuoterlo dalla sua indifferenza. Forse si stava accorgendo che esistevo.
Durante la nostra passeggiata parlammo un po’ di tutto. Gli chiesi il motivo per cui era stato trasformato, quanti anni aveva e da quanti era in quello stato. Gli rivolsi anche delle domande stupide, solo ora me ne rendevo conto, ma a quell’epoca non mi sembravano tali. E pareva essere diventato improvvisamente gentile. Dopo più di un anno di convivenza.
Poi, quando tornammo a casa, mi disse:“Sai, Rosalie, forse Carlisle non te l’ha detto, ma io leggo nel pensiero”.
“Co-come?” balbettai.
“Già” e si mise a ridere. “Non sei il mio tipo, quindi lascia perdere. Ok?”.
Avrei voluto morire per la vergogna. Aveva sentito quello che avevo pensato in tutto quel tempo. Doveva avermi trovato estremamente stupida e superficiale, anche perché io non ero innamorata di lui, ma lo volevo soltanto come sorta di premio, da scartare poi alla prima occasione.
Da quel momento fui io a non voler più instaurare un rapporto con Edward, anche se lui tentò svariate volte di parlarmi. Mi vergognavo troppo. Credevo che ridesse di me ogni volta che mi guardava o mi rivolgeva la parola. Così cercai di allontanarlo col risultato che fui io a emarginarmi. La mia sola occupazione divenne comprare vestiti e scarpe, civettare con ragazzi umani e guardarmi allo specchio. Tutto per cercare di convincermi che anche se un uomo sulla terra mi aveva respinto, sarebbe rimasto un caso isolato. E forse fu per questa mia vanità che il suo impulso di conoscermi meglio e magari considerarmi una vera sorella, sparì. Io invece mi accorsi quasi contemporaneamente di quanto avevo bisogno di lui, di quanto desiderassi la sua compagnia e di quanto lo adorassi. Era mio fratello a tutti gli effetti. Non volevo niente altro che il suo affetto, ma non mi diede più nulla, come io non diedi nulla a lui.
Successivamente, prima arrivò Emmett, che mi rapì letteralmente il cuore, poi Alice, che adorai fin da principio e infine Tanya, che, dopo una profonda rivalità, divenne la mia migliore amica. Ma una persona continuò a mancare sempre nel mio cuore.
Non feci niente per tentare di riavvicinarmi a lui, e col tempo divenne di ghiaccio. Vedevo quanto adorasse Alice e si trovasse bene con tutti gli altri, mentre con me era distante, e anzi le uniche parole che mi rivolgeva erano di astio o di scherno. Ed ero quasi arrivata a odiare Alice perché lei era riuscita dove io avevo fallito. Mi guardavo allo specchio e spesso mi chiedevo che cosa avessi che non andava. Avrebbe dovuto adorarmi solo per il mio aspetto, senza che aprissi bocca. Ma non era così. Anzi Alice era palesemente meno bella, però non aveva occhi che per lei. Tanya aveva provato più volte a conquistarlo in virtù della bella cotta che aveva per lui, ma aveva fallito miseramente. Nonostante questo, Edward nutriva del sincero affetto per lei, mentre io non riuscivo a stimolare proprio nulla. Ci parlavamo pochissimo e le poche volte che accadeva era soltanto per litigare. In una delle nostre innumerevoli discussioni mi disse che ero una persona vuota e inutile e che non valeva la pena conoscermi, tanto sarei stata solo una delusione. Non mi ritenevo così, anzi forse ero fin troppo convinta delle mie qualità, ma lui era l’unico che riuscisse sempre a ferirmi. Non mi curavo delle critiche altrui e non destavano nemmeno il mio interesse, tranne le sue.
Poi le cose peggiorarono ulteriormente, se possibile, con la comparsa di Bella. Ma come diavolo aveva fatto questa sciacquetta a conquistarlo con tanta facilità, mentre io ancora non ci ero riuscita? La invidiavo da morire perché aveva Edward. Non era il loro sentimento a darmi fastidio: non mi interessava essere amata in quel senso da lui, ma così facendo Edward stava lentamente escludendo tutta la famiglia dalla sua vita, ponendo lei al centro del mondo. A quel punto raggiunsi la decisione di cancellarlo completamente dalla mia vita. Non avrei mai più fatto in modo che la sua assenza mi procurasse dolore. Ma non potevo fare a meno di odiare la sua futura moglie. Aveva deciso di diventare vampiro e questo per me era incomprensibile. Come poteva rinunciare a una vita normale, ai figli, a mangiare, a respirare, ad un cuore che batte? Lo amava da morire e questo lo capivo, ma non ritenevo che fosse la scelta giusta.
L’odio per Bella era diventato così profondo che non perdevo occasione per attaccarla. Sapevo che questo non faceva altro che attirare il rancore di mio fratello, ma ormai il contrasto era diventato insanabile. Se voleva detestarmi che lo facesse pure, tanto io avevo Alice e soprattutto Emmett. Non avevo bisogno di lui per rendere la mia vita migliore. E quel poco affetto che nutrivo ancora per Edward scomparve definitivamente.

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Capitolo 21
*** Buon compleanno, Bella! ***


Persa nei miei pensieri, mi accorsi improvvisamente che era sera inoltrata. Mi alzai velocemente e corsi verso casa. In salotto trovai Esme ed Alice sedute che chiacchieravano amabilmente. “Dove sono gli altri?” chiesi, senza neanche salutarle.
“Beh… Ovviamente Edward è a casa di Bella e ci resterà tutta la notte. Da ora in avanti, se possibile, saranno ancora più uniti. Carlisle ha avuto un’emergenza in ospedale, e Jasper ed Emmett sono a caccia. Dovrebbero rientrare tra un po’” rispose Esme.
Annuii e rimasi in piedi dinanzi a loro, indecisa sul da farsi.
“Rose, tutto bene?” si sincerò Esme.
“Sì, sì. Tutto ok”.
Esme si alzò e si diresse verso di me. “Tesoro, so che Bella non ti piace e che non la vorresti in questa famiglia, ma lei di fatto ne fa parte ormai. Non è ufficialmente sposata con Edward ma è come se lo fosse”.
“Voi non la amate soltanto perché è la compagna di Edward”.
“No, questo è vero. Noi le vogliamo bene indipendentemente da tutto. E, credimi, mi dispiace che per te non sia altrettanto. Ma sono sicura che se la conoscessi meglio, la ameresti anche tu”.
“Ne dubito fortemente… E comunque l’occasione non ci sarà perché tanto fra tre giorni la uccideranno” commentai ironica.
Sul viso di Esme comparve la disperazione. Avrebbe dato tutto pur di salvare la sua nuova figlia acquisita. E questo suo dolore mi fece imbestialire ancora di più.
“Vado in giardino” dissi e uscii dalla porta posteriore. Scesi la minuscola scala che portava sul retro.
Mi incamminai e mi sedetti sull’unica panchina ubicata lì, proprio di fronte al roseto. Era alto, con piante molto fitte. Alcuni fiori campeggiavano ancora su di esse. Rose rosse, rosa, perfino gialle. Esme amava il giardinaggio, e in modo particolare il rosaio. Mi guardai intorno. Alle mie spalle molte aiuole, nelle quali in primavera troneggiavano margherite, narcisi, orchidee e ortensie. Sul lato esterno c’era anche un salice, ma era ancora giovane e dubitavo che l’avremmo mai visto crescere. Non pensavamo di trattenerci molto a lungo, soprattutto dopo la trasformazione di Bella. Ma tutto era diventato un gigantesco punto interrogativo. Non volevo pensarci più. Mi ero già rovinata la giornata, pensando alla mia futura “cognatina”. Ero sfinita.
Decisi di concentrarmi solo sulle rose e di spegnere finalmente il cervello.
Rimasi molto a lungo in questa fase di isolamento dal mondo esterno. Poi sentii le mani di Emmett accarezzarmi le braccia. Ero talmente assorta che non mi ero neppure accorta che si era avvicinato. Era alle mie spalle e mi strinse a sé.
“Allora principessa, come stai?” mi chiese suadente.
“Bene”.
“Sei sicura?”.
Non risposi. Non avevo voglia di parlarne per l’ennesima volta. Emmett si sedette accanto a me sulla panchina. “Amore, so quando c’è qualcosa che non va. Sei ancora arrabbiata per Bella, non è così?” mi domandò.
“Sì, tesoro. Ma non ne voglio più parlare. Direi che è abbastanza chiaro cosa penso. Non mi sono trattenuta molto, oggi”.
Emmett sospirò. “Me ne sono accorto. E devo dirti che hai esagerato. Dovresti cominciare a calmarti quando si tratta di Bella. So come la pensi e anche gli altri lo sanno, ma non c’era nessun motivo per aggredirla così violentemente. E’ perfettamente conscia di ciò che ha fatto e dei guai che Edward passerà per difenderla. E’ distrutta. Te lo posso assicurare…”.
Non gli risposi. Quell’argomento ormai aveva esaurito le mie ultime forze. Mi passai una mano sulla fronte poi dissi:“Ti prego, Emmett, non parliamone più. Sai come la penso e non cambierò idea. Non volevo dire quello che ho detto, riguardo a Edward intendo. Mi sono lasciata prendere la mano. Ma non voglio più ricordare questa penosa conversazione. Anzi” gli sorrisi e iniziai ad accarezzargli un braccio “ho un’idea a cui potremmo dedicarci invece di stare a parlare di Isabella Swan”.
“Uhm… si fa interessante”.
“O sì che lo è” gli sussurrai ammiccante.
Mi alzai dalla panchina e mi sedetti a cavalcioni su di lui. Gli misi le braccia attorno al collo. Mi sorrise, mentre giocavo con i suoi riccioli neri. Lo baciai a lungo e con passione. Mi accarezzò la coscia, prima delicatamente, poi con più veemenza. Gli sollevai la maglietta e le mie mani gli sfiorarono gli addominali. Mi staccai dalle sue labbra e mi spostai sul collo. Lo leccai, lo baciai più volte. Lo sentii fremere. Lo desideravo ma sembrava non volersi muovere da quella maledetta panchina.
“Allora? Hai intenzione di fare l’amore qua?” mormorai leccandogli il lobo dell’orecchio.
“Rose…” sospirò prima di allontanarmi delicatamente da lui.
“Che c’è?”.
“Amore, oggi mi sono spaventato…”.
“Perché?”.
“Sei sparita tutto il giorno e con i Volturi in giro non mi fido”.
“Ma… Alice prevede il futuro. Avrebbe visto se mi fosse successo qualcosa…”.
“Lo so, ma ti amo e ho paura quando non sei con me. Soprattutto ora che ci sono quei sanguinari in giro. Ho visto come ti ha guardato Lehausle stamattina…”.
“E allora?” risi. “So difendermi, amore mio”.
“Non da Lehausle” mi guardò serio. “Ascoltami: so che la mia paura è completamente irrazionale, ma preferirei che fino a quando questa situazione di emergenza non sarà finita, non andassi in giro da sola”.
“Non posso garantirtelo” risposi altrettanto seria. “Avrai notato che ultimamente sono parecchio scostante, ho spesso bisogno di stare sola. Questo tipo di solitudine in casa non la trovo, soprattutto se c’è Edward che legge i pensieri di tutti. Ma cercherò di fare il possibile per non farti stare in pena…”.
“Va bene” esclamò rassegnato.
Gli sorrisi e mi slacciai il primo bottone della camicetta. “Allora? Cosa vuoi fare con me stanotte? Devo andare in camera da sola?” domandai.
“Mai e poi mai” ghignò. Mise le mani sotto i miei glutei e mi sollevò. Incrociai le gambe intorno alla sua schiena e andammo in camera da letto.
La notte fu estremamente eccitante. Non potevo chiedere niente di meglio per dimenticare tutto. Il sesso era una medicina che non ero mai stanca di prendere. Emmett ed io avevamo un’intesa pressoché assoluta, che non era dettata soltanto dal fatto che fossimo insieme da quasi settant’anni. Era stata così fin dalla prima volta. Lui era stato il mio primo e unico grande amore. Mi era sempre stato vicino in ogni momento della mia vita. Non potevo immaginare un’esistenza lontana da lui. Era tutto ciò che potevo desiderare. L’unico neo purtroppo era che non potevamo avere figli, ma era una mancanza a cui cercavo di non dare troppo peso, anche se spesso faceva capolino nella mia mente, soprattutto ora, dopo l’arrivo di Desirèe. Ma l’importante era avere lui. Tuttavia il nostro amore era così appassionato e focoso che ci portava spesso ad avere crisi. Non lunghe, una settimana, due al massimo. Però a Carlisle e Esme, ad Alice e Jasper non erano mai capitate. Erano più tranquilli di noi. Ma per me non poteva essere diverso. Mia sorella aveva ragione: ero una persona fredda che faceva fatica a lasciarsi andare a dimostrazioni di affetto, però al mio Emmett ne davo fin troppe. Lo amavo da morire e tutte le volte che lo facevamo nell’arco di una giornata stavano a quantificare la grandezza dei miei sentimenti per lui. Non mi aveva mai neanche lontanamente sfiorato l’idea di fare l’amore con qualcun altro, né tantomeno di lasciarlo. Per me era la perfezione, come io lo ero per lui. Non potevo negare a me stessa, che proprio in questo periodo ci fosse una delle nostre ennesime crisette. Forse dettata dal suo interminabile torneo di baseball in televisione, o forse dai miei pensieri interminabili su Desirèe e Tanya. Ad ogni modo sapevo che l’avremmo superata, come tutte le altre volte, appena si fosse concluso tutto. Ma concluso in quale modo? Non volevo pensarci. Volevo soltanto essere sua. Niente altro aveva importanza in quel momento.
Quando la luce filtrò dalle finestre decidemmo che era arrivato il momento di smettere: ci eravamo divertiti abbastanza per quella notte. Scesi dal suo addome e mi sdraiai a fianco a lui. Mi accarezzò il viso. “Ah Rose, mi farai morire un giorno o l’altro…” sospirò.
“Non puoi morire” risposi malignamente.
“Per fortuna, perché altrimenti sarei già nella tomba!”.
Sorrisi. Gli diedi un bacio e poi mi alzai. “Ti va di venire a fare la doccia con me?”.
Ammirò il mio corpo nudo poi disse a malincuore:“Non sai quanto mi piacerebbe, ma mi è venuta una sete tremenda”.
“Ma sei andato a caccia ieri pomeriggio!” protestai.
“Colpa tua che mi prosciughi le energie”.
Alzai le spalle. “Fai come vuoi. Io vado”.
Entrai in bagno e mi feci una rapida doccia. Mi sentivo un’altra, come se tutta la brutta storia di Bella non esistesse affatto. Potere del sesso!
Quando uscii, trovai Alice seduta sul letto disfatto. Mi salutò amabilmente. Io risposi altrettanto soddisfatta e mi sedetti davanti allo specchio per pettinarmi i capelli.
“Vi siete divertiti stanotte, eh?” iniziò.
“Direi proprio di sì” ammisi.
“Emmett è sceso con un sorriso inconfondibile”.
Mi sfuggì una risatina. Mi spruzzai un po’ di profumo, mentre Alice continuò:”Sono felice che tu stia meglio da ieri…”.
“Non immagini quanto…” mi girai raggiante verso di lei.
“Bene”.
“Sai, sono talmente contenta che potrei anche essere compiacente con la tua amichetta del cuore!” fantasticai. Non sapevo se fosse vero, ma questo era il modo migliore per farle capire quale fosse il mio umore.
Ridacchiò. “Meglio così. Perché, sai, oggi è il compleanno di Bella. Compie 19 anni”.
“E temo che sarà anche il suo ultimo compleanno…” dissi senza alcuna ironia o animosità.
Alice abbassò lo sguardo, sofferente.
“Mi dispiace…” sussurrai.
“Non importa. Risolveremo anche questa… Comunque, ti volevo parlare del compleanno. Esme ed io avremmo pensato di farle una piccola festicciola. Fra di noi, giusto per farle sentire il nostro affetto e tirarla sù di morale”.
Sgranai gli occhi.
“Come scusa?” domandai.
“Hai capito benissimo”.
Mi alzai dal puffe e camminai nervosamente per la stanza con le braccia incrociate. Poi mi fermai:“Alice, ma siete impazzite?! Quella ci ficca in un mare di guai e noi cosa facciamo? Una festa per ringraziarla? Io non so davvero chi sia più pazzo qua dentro!”.
“Andiamo, Rosalie! E’ solo una festa. E’ molto depressa. Edward mi ha detto che non ha dormito tutta la notte ed è a pezzi. Dobbiamo fare qualcosa e io ho pensato solo a questo…”.
Aprii l’anta dell’armadio e tirai fuori un paio di jeans e una maglietta rossa con la scollatura a V. “Alice, io non sono d’accordo con questa cosa. Se la facciamo, penserà che l’abbiamo perdonata e non è così!”.
“Ma noi l’abbiamo perdonata!” puntualizzò.
“Beh, io no”.
“Rosalie, ti prego sii gentile con lei, almeno questa volta” mi implorò.
“Non capisco perché stai qui a chiedere il mio benestare. Avete sempre fatto tutto senza chiedermi niente. Se avete deciso, fatelo e non rompetemi le scatole!” esclamai, tentando, con scarso successo, di pettinarmi da sola i capelli in una treccia.
Alice allora, vedendomi in difficoltà, si alzò e venne ad aiutarmi. “E’ vero, abbiamo già deciso di farla, ma vorrei che ci fossi anche tu…”.
“Perché?”.
“Per lei sarebbe importante vederci tutti schierati dalla sua parte”.
“Sa perfettamente che la mia sarebbe solo una recita. E non ho nessuna intenzione di sembrarle falsa”.
“Rose, ti prego! Fammi questo piacerino. Non dovrai certo saltarle al collo e baciarla. Basta che tu sia qui e le faccia ogni tanto un sorrisino di incoraggiamento. Niente di più” mi supplicò, ultimando la treccia. Mi voltai verso di lei.
“E’ così importante per te?”.
“Più di quanto tu creda”.
Sbuffai. “E va bene. Ma solo perché me l’hai chiesto tu”. Andai a mettermi il braccialetto che indossavo tutti i giorni da quando Emmett me l’aveva regalato per il nostro primo anniversario. “E a che ora sarebbe questa festa?” domandai con sufficienza.
“Verso le cinque, più o meno. Appena arriva Jacob” mi rispose, felice della mia decisione.
Il braccialetto cadde a terra, come se i muscoli non avessero avuto controllo dai nervi. Lo raccolsi e mi girai verso mia sorella:“Cosa hai detto? Hai invitato anche quel cane?” domandai furiosa.
“E’ il migliore amico di Bella. Mi sono fatta dare il suo numero da Charlie e l’ho invitato. A dire il vero, non so se verrà. Mi è sembrato un po’ seccato, ma spero che cambi idea” concluse.
“Bene. Allora se viene lui, io non resto di sicuro. Potete eliminarmi dalla vostra bellissima festa”.
“Rose, andiamo, è il suo migliore amico. E’ importante per lei che ci sia. Non posso tagliarlo fuori”.
“Non ti ricordi come mi ha trattato l’ultima volta che è venuto qui?! E tu non c’eri quando siamo andate alla spiaggia di La Push, ma mi ha detto che…” non osai nemmeno terminare la frase, altrimenti non mi sarei trattenuta dal correre alla riserva ad ammazzarlo. “No, se volete evitare una rissa è meglio che io non ci sia. E con questo il discorso è chiuso”.
“Cosa farai allora?”
Alzai le spalle. “Andrò a Port Angeles a fare un po’ di shopping e tornerò verso le sette così sarò sicura che se ne sia andato”.
“D’accordo” disse sconsolata, poi uscì dalla camera.
Mi lasciai cadere sul letto. Mi sembrava tutto irreale. Prima la festa di compleanno e ora anche quel cane pulcioso. Era un incubo, dal quale non mi sarei svegliata.
Rimasi in camera mia tutta la mattina, mettendo ordine fra le migliaia di vestiti. Poi nel primo pomeriggio scesi in salotto: Bella e Edward non erano ancora arrivati, mentre Esme era indaffaratissima a preparare la torta. Entrai in cucina e fui soffocata da una puzza terribile. Mi bruciò perfino la gola.
“Che stai cucinando?! C’è un odore nauseante!” imprecai.
“Torta al cioccolato farcita di panna” rispose mia madre, estremamente soddisfatta del risultato che si stava profilando all’orizzonte.
Cioccolato. Da piccola lo adoravo. Passavo la giornata a mangiarlo di nascosto perché i miei genitori non volevano. Dicevano che mi avrebbe fatto male alla pancia, ma non era mai successo. Mi rattristai. Adesso il profumo mi dava la nausea, come tutti gli altri cibi umani. Osservai Esme guarnirla amorevolmente. Aveva veramente un bellissimo aspetto. Mi sarebbe tanto piaciuto mangiarne una fetta, ma non potevo. Un improvviso accesso di rabbia mi fece uscire dalla cucina: non volevo più vedere quella dannata torta e soprattutto Esme che si impegnava tanto per Bella. Andai in camera mia di corsa, presi la mia borsetta e mi avviai verso la porta d’ingresso.
“Non resti per la festa, tesoro?” mi domandò Emmett, avvicinandosi.
“No, amore. Non ho nessuna voglia di vedere quel cane!” ringhiai. “Fate gli auguri a Bella da parte mia. Io torno stasera”. Gli diedi un rapido bacio e uscii.
Andai in garage e partii con la mia Mercedes decappottabile, destinazione Port Angeles.
Restare lì con quel cane in giro per casa. Neanche per sogno! Anche senza avvicinarmi a lui, avrei puzzato per una settimana intera. E non potevo assolutamente permettere che la mia pelle, che conservavo sempre il più profumata possibile, si impregnasse di quel puzzo nauseabondo. Storsi la bocca pensando che anche se io non ero lì, al mio rientro tutta la casa sarebbe puzzata in maniera tale da essere invivibile. Mi chiesi come facessero gli altri a sopportarlo. Quando quei due cagnacci erano venuti a parlare dei Volturi, avevo sentito l’olezzo per tutta la giornata successiva, anche se Esme aveva lavato e deodorato ovunque. E poi c’era un’altra cosa che non comprendevo. A parte Edward, sembrava che a tutto il resto della famiglia Jacob non desse fastidio. Anzi, a volte Alice mi aveva perfino dato l’impressione che le stesse simpatico. Inconcepibile, visto che lui odiava tutti platealmente. L’unico per cui mostrava rispetto era Carlisle. Doveva essere una sorta di riconoscenza visto che la primavera scorsa l’aveva aiutato a guarire dalle ferite procurategli dai Neonati di Victoria. Peccato che quel Neonato non avesse fatto a pieno il suo lavoro! Ora starei decisamente meglio. Senza quell’arrogante e villano tra i piedi. Bella lo adorava e io mi chiedevo perché non avesse scelto lui invece che mio fratello. Se l’avesse fatto, mi sarei liberata delle due persone che odiavo di più. E invece, oltre al danno anche la beffa.
Parcheggiai l’auto e mi misi a passeggiare per la città. Non era grandissima. Non ci avrei messo molto. Guardai l’orologio. Erano appena passate le tre. Per essere sicura di non incontrare Jacob avrei dovuto restare lì almeno fino alle sette. Non mi restava altra soluzione che analizzare tutti i negozi minuziosamente. E così feci.
Entrai in tutti quelli di abbigliamento, ma non trovai niente di sufficientemente costoso da attrarre la mia attenzione. Puntai sulle scarpe. Effettivamente ne avevo bisogno. Ne avevo solo quaranta e dovevo cercare di mantenermi al passo con le ultime direttive della moda. E in questo campo fui più fortunata. Trovai un paio di stivali di pelle nera veramente stupendi. L’unica pecca era il tacco. Una decina di centimetri. Erano alti. Troppo alti, forse. Con quelle scarpe sarei arrivata al metro e ottantacinque, come Emmett, e non volevo essere alta quanto lui. Ma le guardai a lungo, mentre la commessa non faceva altro che sperticarsi in complimenti. Non la ascoltai nemmeno. Ci stavo davvero comoda ed erano troppo stupendi per resistere. Li acquistai.
Continuai la mia passeggiata e mi ritrovai davanti alla vetrina di una gioielleria. Indugiai ad osservare ogni articolo. C’erano alcuni anelli davvero pregevoli ed eleganti, mentre altri troppo vistosi e rozzi. Notai un girocollo di brillanti che mi fece letteralmente perdere la testa. Pensai a quando fosse l’anniversario mio e di Emmett. Fra otto mesi. Un po’ troppo lontano. Però ora che ci pensavo Natale sarebbe stato fra tre mesi esatti. Decisi che lo avrei caldamente invitato a regalarmelo. Sorrisi. Spesso gli altri avevano ragione: ero così capricciosa che a volte ero odiosa perfino a me stessa. Mi spostai all’altra vetrina, sempre della medesima gioielleria, ma c’erano solo orologi e portachiavi. Niente per me. Li osservai ugualmente. Uno a forma di angelo, le cui pietre brillavano  tremendamente, attirò la mia attenzione. Mi fece venire in mente Bella. E feci la cosa più assurda della mia vita: entrai e lo comprai.
Mi feci fare il pacchetto, pagai e uscii. Mi fermai a osservare il fiocco che troneggiava sulla scatolina. Avevo preso un regalo per Bella. Non riuscivo nemmeno io a credere che l’avessi fatto davvero. E per di più avevo anche speso parecchio. Cinquecento dollari per un portachiavi decorato con zirconi non erano una follia, ma lo erano se pensavo che li avevo spesi per la mia odiata futura cognata. Lo infilai nel sacchetto delle scarpe e decisi di non pensarci più. Guardai l’orologio: erano quasi le cinque. Il tempo stava passando abbastanza velocemente. Sicuramente il cane era già arrivato a casa.
Dovevo solo avere un po’ di pazienza.
Camminavo indolente, mentre la testa cominciava ad affogare in mille pensieri. Tanya ieri sera mi aveva comunicato che sarebbe partita per venire a Forks. Chissà se era già arrivata. Era una mossa molto rischiosa con i Volturi in giro. Forse se avesse consegnato Desirèe l’avrebbero risparmiata, ma era inconcepibile pensare che  l’avrebbe fatto. E a questo punto dunque sarebbe stata una fuorilegge al pari di Bella. Ma chi l’avrebbe aiutata? Io l’avrei fatto volentieri ma mi aveva espressamente chiesto di restarne fuori. Ma ormai non sapevo neanche io se volevo davvero restarne fuori. Bella aveva avuto coraggio e aveva difeso, a modo suo, Desirèe; Tanya sicuramente si sarebbe battuta, anche fisicamente, per proteggere sua figlia. Io sbandieravo tanto il mio affetto per Desirèe, ma non avevo fatto nulla. Edward e Carlisle si erano pronunciati in questo senso, però proprio mio fratello alla fine era rimasto, suo malgrado, coinvolto. Dal suo discorso era chiaro che lui avrebbe difeso soltanto Bella, e non avrebbe aiutato Seth e Desirèe. Non mi sembrava una buona mossa. Insieme avrebbero raggiunto obbiettivi migliori. Forse Edward sperava ancora che se i Volturi avessero trovato Desirèe, avrebbero risparmiato Bella. Poteva essere una teoria realistica, ma io non volevo che ciò accadesse. Anzi, chissà come stava, se era al sicuro. Erano passati due giorni dalla sera in cui Bella l’aveva ospitata e non si era più saputo nulla. Seth l’aveva fatta sparire, però così non avevamo più avuto notizie delle sue condizioni.
Mi bloccai.
Seth l’aveva nascosta e Jacob sicuramente sapeva dov’era e come stava. Controllai l’orologio. Erano le cinque e mezzo.
Tornai di corsa al parcheggio dove avevo lasciato la macchina, e partii con una sgommata. Dovevo tornare a casa il più velocemente possibile. Volevo chiedere a lui come stava Desirèe, e glielo avrei fatto sputare, a costo di ammazzarlo davanti a tutti. Presi l’autostrada a tutta velocità. Buttai un’occhiata fugace al tachimetro. Segnava centottanta. Alzai le spalle. Avevo abbastanza soldi per pagare le multe di tutti gli abitanti di Forks. Non mi avrebbero certo spaventato quattro foglietti di carta.
Dopo poco più di mezz’ora imboccai la stradina sterrata che portava a casa mia. Mentre parcheggiavo l’auto, vidi una figura robusta salire i gradini della scala. Era Jacob. Mi mancarono le energie. Non ce la potevo fare. Rimasi seduta in macchina per qualche secondo, poi feci ricorso a tutta la mia forza di volontà e scesi di fretta.
“Ehi tu!” urlai.
Si voltò verso di me. “Che cosa vuoi, bionda?” domandò freddamente.
“Ti devo chiedere una cosa” dissi risoluta.
“Un’altra volta, magari” rispose svogliato, e continuò a salire i gradini. Maledizione a lui! Ma stavolta non si sarebbe liberato di me tanto facilmente! Lo seguii e lo raggiunsi all’entrata.
“Mi vuoi dare retta, sacco di pulci?!” sbottai.
In quel momento la porta si aprì e mi ritrovai davanti Alice, sorpresa di vederci lì insieme. Aggrottò le sopracciglia. Poi esclamò, entusiasta:“Sei venuto alla fine! Dai, entra!” e gli fece segno di accomodarsi, poi si voltò verso di me e sussurrò:“Sono contenta che tu abbia cambiato idea!”. Fui disorientata dalla sua gioia. Le sorrisi flebilmente, e seguii Jacob in casa.
Tutta la famiglia era in piedi attorno al tavolo, mentre Bella era seduta fra loro con la torta davanti e le candeline accese. Nonostante il sorriso, non sembrava davvero felice. Come se fosse una recita ad uso e consumo dei membri della mia famiglia. Ma quando vide Jacob cambiò diametralmente espressione. Allargò le labbra nel più luminoso dei sorrisi.
“Jake…” balbettò.
“Auguri Bells!” esclamò entusiasta il suo amico, sollevando un sacchetto.
Bella si alzò di scatto e corse ad abbracciarlo. Li guardai. Per un attimo fui invidiosa. Si volevano davvero bene e il loro affetto si poteva quasi toccare. Lo vedevo da come si abbracciavano, da come la presenza di Jacob avesse cambiato l’atmosfera mesta che avevo percepito nell’attimo in cui ero entrata. Io non avevo mai avuto un amico come lui lo era per lei.
Bella singhiozzò. Jacob la allontanò delicatamente. “Ehi Bells, piangi sempre quando ci incontriamo! Smetterò di farmi vedere se devo farti avere questa reazione!” la canzonò.
“Cretino!”.
Guardai Edward. Stava sorridendo, ma distinguevo chiaramente la sofferenza. Non ne avevamo mai parlato, ma ero certa che lui fosse geloso del loro rapporto e non potevo dargli torto. Erano molto uniti. Non poteva chiedere a Bella di tagliare fuori Jacob dalla sua vita, non avrebbe mai potuto causarle un simile dolore, ma il prezzo da pagare era la sofferenza ogni volta che li vedeva insieme. Poco importava che Bella fosse perdutamente innamorata di lui. L’affetto che provava per Jacob era troppo profondo per essere soltanto amici. Lui era innamorato, lo sapevo, ma cosa provasse realmente lei, per me era un mistero.
“Ti ho portato un pensierino. Devo ammettere che me ne ero dimenticato e quindi ti devi accontentare” si scusò, allungandole il sacchetto. Bella lo prese e lo portò sul tavolo. Ne estrasse un pacchetto, confezionato con una carta marrone e un fiocco fucsia. Pessima combinazione di colori: si vedeva che era stato fatto in fretta. Ma Bella non ci fece caso. Lo scartò amorevolmente e ne estrasse un fermaglio per capelli a forma di farfalla. Una di quelle paccottaglie da negozietto all’angolo.
“E’ bellissimo! Grazie Jake” esclamò entusiasta. Lo ammirò a lungo. Ne sembrava davvero conquistata. “Alice, me lo puoi mettere?” domandò.
Mia sorella le si avvicinò e le raccolse alcune ciocche di capelli dietro la nuca, infine le diede uno specchio. “E’ fantastico. Davvero. Sei stato troppo gentile, come al solito” lo ringraziò amabilmente, continuando a rimirarsi.
Poi Alice si girò verso di me. “E tu, Rose?” mi domandò. Mi ero dimenticata che il mio acquisto sicuramente doveva averlo previsto.
Estrassi il mio pacchetto dalla sportina e glielo diedi, profondamente imbarazzata. Bella alzò lo sguardo su di me, stupita. “Tanti auguri” dissi, non troppo convinta. Prese il mio regalo e lo scartò, ancora esterefatta dal mio gesto. Quando vide il portachiavi, la sua bocca si spalancò.
“Non sapevo cosa prenderti. Non conosco i tuoi gusti” mi scusai, anche se continuavo a non comprenderne il motivo: a me non interessava cosa pensasse.
“E’ stupendo” balbettò. “Ti sarà costato una fortuna”.
Alzai le spalle. Si voltò verso di me: aveva gli occhi velati di lacrime. “Grazie, Rose. Infinitamente. Io non credevo che tu… Grazie” singhiozzò. Edward le fu subito accanto e la abbracciò. “Sù, amore, non fare così” mormorò.
“Scusami” disse asciugandosi le lacrime. “E’ che sono felice. Siete tutti così gentili con me e io non lo merito”. Sante parole! Però mi astenni dal commentare.
“Lo userò per le chiavi del pick up” mi disse, accennandomi un sorriso di riconoscenza.
“Ah, stavo dimenticando un altro regalo” intervenne Jacob. Tirò fuori dalla tasca dei pantaloni un oggetto minuscolo, anch’esso incartato in maniera alquanto goffa. Bella lasciò le braccia di mio fratello e si avvicinò al cane.
“Di chi è?” domandò.
“Apri e lo scoprirai” disse Jacob.
Bella lo scartò voracemente, più spinta dal desiderio di sapere chi glielo avevo mandato che dalla curiosità di vedere il regalo. Quando lo aprì, era talmente piccolo che all’inizio non riuscii nemmeno a distinguere cosa fosse. Lo sollevò. Era un ciondolo dorato a forma di fiore, di rosa avrei detto. Aveva qualcosa di familiare. Mi sembrò di averlo già visto da qualche parte.
Bella iniziò a singhiozzare rumorosamente. Edward le mise le mani sulle spalle nel tentativo di calmarla ma non servì a nulla. Ai singhiozzi seguì un pianto quasi disperato.
“Perché? Non doveva” riuscì a dire fra le lacrime.
“Ha detto che voleva lo tenessi tu” le rispose Jacob.
Mi avvicinai per guardarlo più da vicino e fu allora che mi ricordai dove l’avevo visto. Al collo di Desirèe. Il regalo era da parte sua.
“Io non posso accettarlo” disse Bella. “So quanto sia importante per lei questo ciondolo. Ti prego, ridaglielo” e allungò la mano verso il suo amico, che scosse la testa.
“Ha detto che ora è tuo. E’ un ringraziamento per quello che hai fatto l’altra notte e per dirti che ti considera davvero un’amica”.
Bella guardò il ciondolo e se lo strinse al petto. “Dille che non lo toglierò mai. Ce l’avrò sempre con me” promise e lo allacciò al collo.
“Beh, potresti spegnere le candeline, prima che si consumino completamente” suggerì Alice per smorzare la tensione. Bella annuì e tornò vicino al dolce. Le spense tra gli applausi di noi tutti.
Esme cominciò a tagliare la torta. Ne diede una fetta alla festeggiata, ovviamente, che però sembrava non avere molta fame. Poi si voltò verso Jacob:“Ne vuoi un pezzo?”.
L’ammasso di pulci arricciò il naso: non era affatto del parere di gustare torte preparate da vampiri. “Grazie, ma ho mangiato tantissimo a pranzo e sono ancora pieno” si giustificò. Sbuffai. Non avevo mai sentito una scusa più pietosa. Se ne resero conto tutti quanti, soprattutto Esme. La vidi rattristarsi. Sapevo quanto impegno aveva messo in quella torta e ora gli unici che potevano mangiarla, non volevano farlo. I suoi sforzi erano stati del tutto inutili. Se avessi potuto, l’avrei mangiata io, anche se il solo odore mi disgustava. La sollevò dal tavolo e si diresse in cucina.
“Aspetta” la fermò Jacob. “Magari una fettina piccola ci sta…”.
Il viso di Esme si illuminò. “Benissimo. Vado a tagliartene una…”.
A Bella sfuggì una risata. “Conoscendo il tuo appetito, la divorerai tutta” lo schernì.
“Niente affatto!” rispose seccato.
Esme tornò con una fetta che di piccolo non aveva assolutamente nulla. Anzi, a giudicare dalle proporzioni della torta, direi che era circa un quarto del totale. Ma Jacob non protestò affatto. Prese la forchetta che lei gli allungò, e, con circospezione, la infilò nel dolce. La annusò prima di metterla in bocca: forse pensava che lo stessimo avvelenando. Inizialmente masticò lentamente, poi quando trangugiò si voltò verso Esme:“E’ davvero ottima. Complimenti!” e continuò a mangiare. Credetti che Esme stesse toccando il cielo con un dito. Aveva trovato qualcun altro, a parte Bella, che apprezzava la sua cucina. E anche parecchio, a giudicare da come la divorava avidamente. Quando finì la fetta, domandò:“Ne posso avere un’altra?”. Esme tolse il piatto e tornò in cucina a tagliarne un altro pezzo.
Bella scoppiò in una risata. “Lo sapevo. Finirà come avevo previsto!”.
“E’ buona. Sarebbe un peccato lasciarla qui. Potresti mangiarne un’altra fettina anche tu. L’ha fatta per te, mica per me…”.
“No, grazie. Non ho proprio fame oggi… Poi tu stai facendo onore alla torta per entrambi”.
Jacob sbuffò. Esme tornò con un’altra fetta e lui la mangiò, con lo stesso entusiasmo di prima. E noi lo guardammo in silenzio, come se fosse uno spettacolo interessante. Mi invogliò. Doveva essere bellissimo poter mangiare. Ricordavo distintamente quale fosse il sapore della cioccolata ed era uno dei miei cibi preferiti.
E come previsto da Bella, Jacob si mangiò tutto il dolce.
Nel frattempo decisi che era giunto il momento di avere le informazioni per le quali ero tornata indietro. Mi avvicinai a lui e domandai, senza troppi preamboli:“Come sta Desirèe?”.
All’inizio non sembrò volermi rispondere, indaffarato com’era a trangugiare i grossi pezzi di dolce. “Perché lo vuoi sapere?” mi domandò a sua volta, senza distogliere la sua attenzione dal piatto.
“Non abbiamo più notizie di lei. Sappiamo che è a Forks, ma da quando è stata a casa di Bella non si è più saputo nulla. Anche Tanya è preoccupata e sta tornando qua per cercarla”.
“Sta bene” tagliò corto.
“Dov’è?”.
“Non lo so”.
La sua risposta mi irritò. “E’ la ragazza del tuo amico e mi vuoi dare a intendere che non sai dove sia? Vallo a raccontare a qualcun altro”.
Alzò il viso dal piatto e mi fissò, cupo. “Sei libera di non crederci, se vuoi, ma non so davvero dove sia. Seth l’ha nascosta e non ha detto a nessuno dove, me compreso. In più non si è più trasformato da allora, quindi ho le mani legate”.
“E perché lo avrebbe fatto?”.
“Perché sa che io potrei vedere Bella, e accanto a lei c’è sempre lui” disse, indicando Edward. “Non vuole che voi sappiate dov’è. Se non mi credi, chiedi a tuo fratello”. Lanciai un’occhiata a Edward che acconsentì: Jacob stava dicendo la verità.
Tacqui. Seth pensava che noi fossimo un pericolo. Forse riteneva che se avessimo saputo del suo nascondiglio, saremmo andati a strappargliela via o i Volturi avrebbero potuto scoprire più facilmente dove si trovasse e non aveva torto, soprattutto dopo le minacce che aveva proferito Edward quella mattina. Abbassai il viso, soddisfatta: avevo saputo che stava bene e questo era quello che mi interessava. Feci per allontanarmi.
“Aspetta bionda” mi richiamò.
“Cosa vuoi?”.
Il suo sguardo sembro addolcirsi impercettibilmente. “Mi ha detto di dirti che ti vuole bene e che non ti devi preoccupare”.
“Come faccio a non preoccuparmi con quei maledetti in giro? Se la dovessero trovare…” e non osai terminare la frase.
“Non si riferiva a se stessa ma a te”.
“Come? Non capisco…”.
“Effettivamente non lo capisco nemmeno io, ma ha detto che è in pensiero per te, per quello che ti sta succedendo adesso. Ma si raccomanda di non preoccuparti perché tutto si risolverà. La luce è molto vicina, devi solo saperla afferrare. Questo mi ha detto di riferirti. A me sembra uno scioglilingua ma ha detto che tu avresti capito” concluse e poi tornò a concentrarsi sulla sua fetta.
Ero attonita. Desirèe stava rischiando la vita e si preoccupava per me. Quella ragazzina era qualcosa di incomprensibile. Esprimeva un altruismo non comune, che in questo mondo di egoisti, di cui io per prima ero una degna rappresentante, era assolutamente perdente. Diceva che avrei capito, ed effettivamente fu così. Ricordai la frase che mi aveva detto poco prima di andare via con Tanya. Guardai Edward. Preferii non pensarci ora. Era solo mia e di Desirèe e tale doveva rimanere.
Sentendo nominare il suo nome, lo sconforto si dipinse sul viso di Bella. Evidentemente le era tornata alla mente la sua sciagurata azione e le conseguenze.
“Come avete deciso di comportarvi riguardo a Desirèe?” domandò Carlisle a bruciapelo. Jacob non sembrò affatto turbato e continuò a mangiare senza prestargli attenzione. Poi una volta terminata l’ennesima fetta, si rivolse a Esme:“Davvero ottima. Ce n’è ancora?”.
“Mi spiace. E’ finita, l’hai mangiata tutta…” rispose mortificata.
Jacob si mise a ridere. “Non c’è problema. Comunque, ancora complimenti. Sei un’ottima cuoca…” commentò, poi si voltò verso Carlisle. “Cosa vuoi sapere?” domandò serio.
“I Volturi sono qui e la stanno cercando. Se dovessero trovarla, Seth cosa intende fare? La difenderà?”.
“Pensi che sarebbe capace di non farlo?” affermò aspramente. “La proteggerà, com’è giusto che sia”.
“Così sarà morte certa” si intromise Alice.
“Non puoi saperlo. Non riesci a prevedere il futuro dei licantropi”.
“Non bisogna essere preveggenti per intuire il risultato di un’eventuale scontro”.
“Avete proposte alternative?”.
Non c’erano soluzioni che non portassero a un atto di forza, il cui epilogo era già deciso in partenza.
“Come pensavo” constatò il randagio. “Se vorranno prendersi Desirèe, allora combatteremo. E può anche darsi che ci vada bene!” disse eccitato, proprio come un bambino, all’idea di un combattimento, indipendentemente dalla forza dell’avversario e dal finale che poteva attenderlo.
Bella si alzò di scatto dalla sedia, sbattendo i palmi delle mani sul tavolo. “Cosa vuol dire “combatteremo”?” esclamò furibonda.
Jacob si fece serio. “Vuol dire che Seth, Leah ed io difenderemo Desirèe”.
Bella rimase imbambolata per qualche secondo, poi si avvicinò precipitosamente a lui. “Sei impazzito?! Ti uccideranno! E’ gente senza scrupoli! Non potete farcela voi tre soli!” urlò, ma quello che era stato formulato come un rimprovero, sapeva di implorazione.
“Bella, perché devi essere sempre così maledettamente pessimista! Anche con i neonati di Victoria ci avevi visti tutti sepolti, e invece siamo qui a festeggiare il tuo compleanno” disse, alzando gli occhi al cielo.
Bella scosse la testa. “Jake, non li conosci. Non sai cosa sono capaci di fare. Soprattutto Jane. E’ un essere malvagio e si diverte a fare del male al prossimo. Se combatterete contro di lei, perderete certamente e vi ammazzerà, dopo avervi fatto patire le pene dell’inferno”.
Il licantropo si alzò e la guardò intensamente. Capii che il tempo delle ironie era finito. “E allora moriremo” concluse.
“No, Jacob, no! Lascia perdere, ti prego” lo supplicò, prendendogli una mano e stringendola con tutta la forza possibile.
“Mi dispiace, Bells, ma io non posso lasciare un  mio amico da solo, proprio in un momento come questo. Sarei un irriconoscente. Ormai la decisione è presa e nessuno di noi ha intenzione di ripensarci”.
“E Sam cosa farà?” domandò Carlisle.
“Assolutamente niente. Non è dovere del branco difendere una mezza vampira e tutto sommato va bene così. Ci saranno meno perdite…”.
“Cosa intendi dire?” chiese Esme.
“Noi sappiamo benissimo come andrà a finire. E considerando la numerosità del branco, la perdita di tre elementi si può ancora contenere. Se combattessimo tutti, ci sarebbero molti più morti” chiarì. La sua affermazione ci raggelò. Sapeva che sarebbero morti, ma avrebbero combattuto ugualmente. Nonostante il mio odio smisurato per Jacob e tutto il branco, non potei non provare ammirazione per il loro gesto. E contemporaneamente rancore per me stessa, perché io non ero capace di fare altrettanto.
Alle sue parole, Bella gli si gettò addosso e lo strinse forte. “No!” urlò. “Non voglio che tu muoia. Non devi combattere” e non riuscì a proseguire. Le lacrime iniziarono a soffocarla. Potevo sentire distintamente il suo respiro farsi più affannoso ogni secondo che passava.
Edward si avvicinò e le mise una mano sulla spalla, per farle capire che le era vicino. Ma sembrò un gesto assolutamente inutile. Bella continuò a piangere disperata, aggrappata a Jacob. Il silenzio ci dominava e l’unico rumore all’interno della casa era il suo pianto.
“Bells, non piangere. Magari ce la caveremo anche stavolta…” cercò di rincuorarla.
“Sai che non è vero” sussurrò Bella.
Jacob non seppe contestare. Sapeva che non ce l’avrebbero mai fatta.
“Desirèe vi lascerà fare una cosa del genere?” domandò Alice.
“Non è una scelta sua. Abbiamo deciso noi. Non può farci nulla” affermò severo, poi tentò per l’ennesima volta di dare un tono scanzonato alla conversazione. “E’ davvero simpatica quella ragazzina. Ci ho parlato tutta la mattina quando siamo usciti da casa tua. E’ fantastica. Quasi quasi, spero che facciano la pelle a Seth così potrò provarci io. Che ne dici, Bells? Faremmo una bella coppia, non trovi?”.
Ma non rispose. Sembrava che le sue lacrime fossero senza fine. Le accarezzò dolcemente i capelli, poi sciolse delicatamente il suo abbraccio. La spinse verso Edward e guardandola a lungo, come se volesse imprimersi la sua figura nella mente. “Bells, è giusto così. Hai la tua nuova famiglia ora, che non condivido, ma l’hai scelta tu e io mi adeguo. Non hai più bisogno di me” sussurrò.
“Io avrò sempre bisogno di te” replicò, cercando di asciugarsi le lacrime. “Ti prego, non abbandonarmi…” e allungò una mano verso di lui, sperando che gliela stringesse. Ma Jacob non si mosse.
Dopo tutto quel siparietto romantico, mi salì una rabbia incontenibile. Bella stava facendo quella scena per Jacob, quando Edward avrebbe rischiato la vita per proteggerla, mentre sembrava che solo la vita del suo amichetto avesse importanza.
“Non piangere, Bella” esclamai sarcastica. “Non ti abbandonerà, perché vi ritroverete tutti e due in paradiso, non sei contenta?”.
“Rosalie!” mi sgridò Edward. Feci spallucce e continuai, rivolta a Jacob:”Forse non te l’ha detto, ma anche lei si trova nei guai e assai seri”.
“Cosa intendi dire?”.
“Che ieri mattina i Volturi sono venuti a comunicarci che Bella è fuorilegge come Desirèe in quanto l’ha ospitata per una notte. Tra due giorni vogliono che gliela consegniamo, altrimenti uccideranno chiunque la difenderà” conclusi.
Jacob aggrottò la fronte poi guardò prima Bella poi Edward:“E’ vero?”.
“Sì” rispose mio fratello.
Il licantropo tacque. Il pensiero del pericolo in cui era precipitata Bella doveva averlo travolto.
“Ti avevo detto di non tirarla in mezzo, ma tu e Seth avete voluto fare di testa vostra. E adesso Bella si trova invischiata in una storia da cui io per primo non so come uscire” lo sgridò Edward assai duramente.
“Io non credevo. Sono stato un irresponsabile” disse abbassando lo sguardo a terra, poi si rivolse alla sua amica:“Mi dispiace Bella. Non avrei mai dovuto…”.
“Non è stata colpa tua. Non sapevi niente del piano di Seth, lo so. E comunque non importa, perché io, se tornassi indietro, lo rifarei ancora”.
“Cosa pensi di fare?” domandò Jacob a Edward.
“Quello che farete voi per Desirèe: combatterò”.
“No, tu non combatterai” si girò di scatto Bella. “Ho già detto che non sono pentita di quello che ho fatto e accetto serenamente la sentenza”.
“Non posso lasciarti morire. Io combatterò e basta”.
“Beh, adesso, se ne avevo bisogno, ho delle motivazioni ancora più valide per non tirarmi indietro” constatò Jacob. “Seth ed io abbiamo fatto un bel casino e te ne tireremo fuori. Fosse l’ultima cosa che faccio…” esclamò in tono risoluto.
“Non avete fatto nessun casino e io non voglio che facciate nulla per aiutarmi!” esclamò furibonda. Ma Jacob si mise a ridere e anche a Edward scappò un risolino. “Si potrebbe fare, perché no?” ammise mio fratello.
“Si potrebbe fare, cosa?” domandò Bella.
“Niente, amore” le rispose Edward. “Semplicemente Jacob ha pensato che lui ed io potremmo ritrovarci sullo stesso campo di battaglia a proteggerci a vicenda. Sarebbe veramente ironico, a pensarci…”.
“Smettetela” imprecò Bella. “Nessuno proteggerà nessuno perché io mi consegnerò”.
“Non pensarci nemmeno!”: il viso di Edward si fece immediatamente tetro. “Tu resterai qua”.
Bella si coprì nuovamente gli occhi con le mani, dando il via a un altro pianto silenzioso.
“Jacob, anche se è coinvolta Bella, Sam non farebbe niente?” domandò Carlisle.
“Non lo so” esclamò scoraggiato. “In teoria, il branco dovrebbe difendere gli esseri umani dai vampiri e quindi dovremmo intervenire. Ma, come ho detto prima, preferirei non chiamare in causa gli altri… Comunque, gliene parlerò e vi farò sapere” concluse.
Alice abbracciò Bella per darle conforto. Si erano riuniti tutti attorno a lei e dai loro visi capii che si stavano schierando dalla sua parte. Ancora una volta l’aveva avuta vinta lei.
Presi il sacchetto con il mio nuovo acquisto e andai in camera, esasperata.

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Capitolo 22
*** Sola contro tutti ***


Sono stata a lungo indecisa se postare o meno questo capitolo, perché, devo ammettere, sono un po’ delusa. Dopo poco più di 20 capitoli, continuo ad avere scarse recensioni e mi chiedo a cosa sia dovuto. Almeno se diceste che la storia è brutta, non vi piace o noiosa, saprei a cosa imputare il problema. Invece i contatori girano e allora mi chiedo:”Aprono e non leggono?”, visto che un commento, seppur stupido e banale, ormai la storia avrebbe dovuto suscitarlo.
La ff è, a scanso di ogni equivoco, già ultimata (per la cronaca non siamo nemmeno a metà) e io avevo cominciato a metterla su questo sito nella speranza che qualcuno, al di fuori della mia famiglia e degli amici più stretti che l’hanno già letta, mi desse un parere obbiettivo. Parere che, a parte pochissime persone che si contano sulle dita di una mano monca (ringrazio Seira73 e Anitablake82 per il loro sostegno), non è arrivato.
A questo punto mi chiedo quanto sia utile postare e ammetto che non so se continuerò, dopo questo capitolo. Mi dispiace perché la parte migliore stava per arrivare ma se a nessuno interessa, non ne vedo l'utilità…
Buona lettura, per chi legge davvero, e arrivederci (forse).
 
Ah, a questo punto posso anche dirlo: era un triangolo Rose-Jake-Bella.

 
 
 
 
 
 
 
Mi leccai le labbra perché avevo appena finito di dissanguare una lince. Un buon pranzetto, non c’è che dire.
Mi guardai attorno, cercando Alice che era venuta a caccia con me. L’avevo vista allontanarsi. Doveva aver visto un gatto selvatico. Mi incamminai nel punto in cui ci eravamo separate. Non avevo fretta di raggiungere il posto di ritrovo, anzi continuai a cercare altri animali da cacciare. La lince era stata davvero gustosa, però se avessi trovato qualcos’altro non mi sarei tirata indietro. Guardai i miei pantaloncini di Ives Saint Laurent: si erano stropicciati. Ormai erano da buttare. Non sarei mai dovuta venire a caccia vestita a quel modo. Ma erano già vecchi di un anno e fuori moda. Era ora di cambiarli.
Percorsi due chilometri trovai Alice appoggiata a un albero. Alzò il viso verso di me con lo sguardo inconfondibile di chi doveva aver fatto un buon pranzetto.
“Allora? Mangiato bene?” mi domandò.
“Certo. E tu?”.
“Così così. Quel gatto selvatico doveva essere un po’ in là con gli anni. Il suo sangue era un po’ amaro…”.
“Mi spiace”.
Fece spallucce.
“Che facciamo? Hai ancora fame?” le chiesi.
“No. Possiamo tornare a casa”.
Feci per iniziare a correre ma Alice mi trattenne. Capii che voleva chiacchierare in intimità e non era un buon segno.
“Oggi è l’ultimo giorno. Domani i Volturi vorranno avere una risposta su Bella…” commentò amaramente.
“Già” risposi. Il problema non mi toccava affatto.
“Edward la difenderà…” continuò, come se cercasse di stimolare in me una qualche sorta di conversazione.
“Così sembra… Affari suoi. Io sono molto più preoccupata per Desirèe”.
“Credi che la troveranno?”.
“Temo di sì”.
“Ci saranno Jacob, Seth e Leah a difenderla”.
“Credi che tre lupetti possano sostenere uno scontro con i Volturi? Io no” esclamai perplessa.
Alice guardava a terra mentre camminava.
“Bella era disperata l’altro giorno. Per Jacob, intendo. Se morisse, ne soffrirebbe molto” constatò con tenerezza.
“Per Jacob sì e per Edward no? Quella ragazza mi sembra incomprensibile, a volte”.
Alice non rispose.
“Perché è così affezionata a quel sacco di pulci? C’è qualcosa che non so?” le domandai incuriosita. Non che la cosa mi interessasse particolarmente, però tutta la scena a cui avevo assistito aveva fatto nascere molti dubbi.
“No. Perché?”.
“Mah… Sembra quasi innamorata di lui!” conclusi. Alice mi fissò esterrefatta e mi sentii in dovere di chiarire. “Non intendo dire che lei non ami Edward, anzi. Però, ecco, mi è parsa una scena esagerata per uno che si considera solo un amico”.
“Sarà perché si sente in debito nei suoi confronti da quando l’ha aiutata a superare l’assenza di Edward un anno fa”.
“Già, può essere” tagliai corto. “Indipendentemente da questo però, sono da encomiare. Difendono una ragazza che conoscono appena a rischio della vita…”.
“Credi che facciano bene?” mi scrutò Alice.
“Secondo me, sì. Sembra che Desirèe sia una delinquente, mentre ha gli stessi diritti di Bella. Ma a casa nostra nessuno se ne ricorda” dissi amareggiata.
“Penso anch’io che loro tre facciano bene a difendere Desirèe, però tu non dovresti criticare Edward perché vuole fare lo stesso per Bella. Ognuno difenderà colei a cui tiene di più. Tranne Jacob che si dovrà spaccare in due…”.
“Affari suoi. Doveva innamorarsi di qualcun'altra. Tanto più che lei è già impegnata quindi se fossi in lui, avrei già tagliato i ponti, senza pensarci troppo”.
“Fai troppo in fretta a dare giudizi, Rose. E poi al cuore non si comanda”.
“Si comanda eccome, soprattutto quando ti suggerisce delle stupidaggini! Comunque, tutto il male non viene per nuocere: i Volturi mi faranno fuori quel cagnaccio e così potrò finalmente tirare un sospiro di sollievo!” esclamai soddisfatta.
“Non capisco perché lo odi tanto. Non lo trovo un cattivo ragazzo. E’ un po’ sbruffone e scortese nei nostri confronti, ma nella sua situazione è comprensibile”.
Guardai Alice trasognata.
“Il sangue di quel gatto selvatico era davvero avariato! Che stai dicendo? Jacob dovrebbe essere ammazzato per il semplice fatto che respira!” sbuffai infervorata: quel sacco di pulci riusciva a farmi alterare anche soltanto come argomento di conversazione.
Alice si mise a ridere. “Può essere, però tu stessa l’hai appena elogiato perché difenderà Desirèe. Vuol dire che non lo ritieni cattivo nemmeno tu”.
Alzai gli occhi al cielo. “Come al solito, stai travisando le mie parole! Stavo solo dicendo che fanno bene a difendere Desirèe e questo l’avrei detto di chiunque”.
“Ma di Bella non lo dici…”.
“Cosa intendi dire?” domandai.
“Anche Bella ha aiutato Desirèe a modo suo, però per lei hai avuto soltanto parole di rimprovero. Dovresti lodarla invece ed essere pronta a proteggerla, in base ai tuoi ragionamenti”.
“In base ai miei ragionamenti dovrei difendere Desirèe, e non Bella!” tentai di obbiettare.
“Sappiamo tutte e due perfettamente che qualsiasi cosa faccia Bella, a te non andrà mai bene” disse Alice.
Sbuffai e dovetti ammettere. “E’ vero, però non vedo che cosa ci sia di male a detestare qualcuno. Tutti noi abbiamo persone che ci stanno antipatiche e nessuno lo fa pesare come fate tutti voi con me!”.
“Soltanto perché il tuo odio non è motivato. Come non è motivato l’affetto che provi per Desirèe, dato che non la conosci nemmeno”.
“E’ la figlia della mia migliore amica, ed è abbastanza”.
“Cosa ti ha detto il giorno che è andata via? Non sono riuscita a sentire…”.
“Niente di particolare…” minimizzai.
Continuammo a camminare in silenzio per parecchie centinaia di metri, infine domandò:“Vorresti parlarle, non è vero?”.
Annuii. “Ma non so come mettermi in contatto con lei, e d’altra parte con i Volturi in giro non sarebbe nemmeno prudente. Potrebbero tenerci d’occhio anche in questo momento”.
“Per il momento non lo stanno facendo, ma, hai ragione tu, potrebbe essere molto pericoloso per la sua incolumità. Io spero soltanto che se la cavi, come i ragazzi del branco” concluse Alice.
Eravamo quasi in prossimità di casa. E io avevo la stranissima sensazione che la conversazione fosse ben lontana dal terminare, ma che anzi, la parte più importante dovesse ancora arrivare. E il mio sesto senso non mi tradì nemmeno questa volta.
Alice si fermò e io, dopo pochi passi, feci altrettanto. “Cosa c’è? Che mi devi dire?” le domandai a bruciapelo.
Tacque. Sembrava essere un gran peso quello che si doveva togliere, ma contemporaneamente fosse molto difficile scrollarselo di dosso. Mi avvicinai in modo tale da essere a pochi centimetri da lei.
“Alice…”.
“Ho preso una decisione” iniziò.
“Riguardo cosa?”.
“A proposito di Bella. Ho deciso di combattere con Edward” proferì decisa.
Ciò che più temevo stava prendendo forma. Da quando Lehausle era entrato in casa nostra condannando Bella, avevo avuto paura della reazione di mia sorella. Sapevo perfettamente che Edward l’avrebbe difesa e avevo pregato che lo facesse da solo. All’inizio sembrava che le mie preghiere avessero avuto effetto, ma ora tutto mi crollava addosso, come un castello di carte.
“Che stai dicendo?” balbettai.
“Voglio difendere Bella. Lei è una mia amica ed è giusto che aiuti Edward a farlo” ribadì.
Feci qualche passo indietro, abbassando lo sguardo. “Non puoi farlo…” sussurrai scioccata.
Alice non disse nulla, in attesa di una reazione. Sperai di aver capito male, che mi stesse prendendo in giro. Ma vidi la prostrazione nei suoi occhi, conscia che le sue parole mi stavano ferendo, ma desiderosa di avere il mio sostegno. Sostegno che non potevo assolutamente darle.
“Capisci che cosa stai dicendo?” le domandai incredula.
“Sì, lo so, e vorrei che tu capissi le motivazioni della mia scelta…”.
Mi passai una mano nei capelli, poi tornai a fissarla: la sorpresa stava lasciando il posto alla rabbia.
“Io non posso capire perché  hai deciso di ucciderti!” esclamai.
“Non ho nessuna intenzione di uccidermi. Voglio soltanto aiutare Edward e difendere una persona che amo” replicò, senza alcuna animosità.
“Sei impazzita!!!” urlai. “Se combatterai contro i Volturi, ti ammazzeranno. E tutto per cosa? Per Bella?!”.
“Bella è una mia amica. Le voglio bene. Non posso permettere che le facciano del male”.
“E quindi hai deciso di sacrificarti per lei? Non ne vale la pena…”.
“Decido io se ne vale la pena. Tu non sei la più indicata per fare questa valutazione, visto che la odi” commentò infastidita.
“Il punto non è se la odio o meno. Ma il fatto è che tengo a te e non voglio perderti. Lascia perdere, ti prego…” la implorai.
“Non posso. E nemmeno lo voglio. Poi c’è anche Edward coinvolto in questa storia. E’ mio fratello e gli voglio bene. Non posso lasciarlo solo, in questo momento”.
“Hai sentito cosa ha detto, no? Nessuno deve intromettersi”.
“Non mi importa un accidente di quello che ha detto. Non può impedirmi di aiutarlo…” replicò seccata.
“Glielo hai già detto?”.
“Non ce n’è bisogno…” mi sorrise.
Gli occhi si inumidirono. Le voltai le spalle. Non volevo che mi vedesse in quello stato. Avevo già dato fin troppa dimostrazione della mia fragilità quando avevo litigato con tutti gli altri, dopo che se ne era andata Tanya, e ora non potevo confermare l’idea che sicuramente Alice si era già fatta.
“Non voglio che tu muoia…” sussurrai. “Se dovesse succederti qualcosa , cosa farei?”.
“Avrai Emmett”.
“Non potrà mai sostituire mia sorella. Non mi capisce quanto te”.
Sentii i suoi passi avvicinarsi. Mi mise una mano sulla spalla. “Non posso farne a meno, Rose. Devo farlo” disse dolcemente.
“Perché? Non ce n’è alcun bisogno…”.
“Ci sono la mia migliore amica e mio fratello in pericolo. E’ una motivazione più che sufficiente, direi”.
L’aveva definita “la mia migliore amica”. Alice era sempre stata sinceramente affezionata a Bella, e anzi era stata la prima ad accoglierla nella nostra famiglia, quasi come una nuova sorella. Le aveva organizzato prima le feste di compleanno, poi quella per il diploma, e infine anche il matrimonio. Diceva che lo faceva perché si divertiva e per appagare il suo desiderio di mondanità, ma la verità era che le voleva bene. Non c’erano altre motivazioni, ed era ciò che mi consumava di più. Che cosa ci trovava di simpatico in lei? Perché la adorava così tanto da andare in battaglia contro i Volturi? Era inspiegabile, ma stava accadendo. Quella ragazza non solo si era presa Edward, ma anche mia sorella.
“Riesci a vedere il futuro?” domandai.
“No. I Volturi non conoscono ancora la nostra decisione e quindi non hanno preparato un attacco. Ma domani Lehausle verrà per saperlo e probabilmente riuscirò a prevedere le loro mosse”.
“Alice, non voglio che tu muoia…”.
Si portò davanti a me. Avevo il capo chino e non lo rialzai. Ma lei mi abbracciò ugualmente. “Non devi aver paura. Magari, come dice Jacob, le cose andranno meglio di quanto speriamo…” tentò di consolarmi. Appoggiò la fronte sulla mia spalla. La sentii singhiozzare. Piegai i gomiti per ricambiare il suo abbraccio, ma non riuscii ad andare oltre. Se lo avessi fatto, avrebbe pensato che la appoggiavo e che condividevo le sue ansie. E invece non era così. Mi stava tradendo. Voleva combattere per Bella e non si meritava il mio sostegno. Anzi, avrei voluto schiaffeggiarla per quello che mi stava facendo. Abbandonarmi soltanto per quella sciocca. 
Nonostante questo, avrei tanto voluto abbracciarla e dimostrare quanto la amassi, ma era così difficile. Ero convinta di essere nel giusto. Era Alice che sbagliava e per quanto affetto nutrissi per lei, non potevo mostrare il benché minimo cedimento. Aveva deciso così. E allora che andasse ad ammazzarsi come Edward! Strinsi forte i denti. 
Quando si allontanò, disse sconsolata, più a se stessa che a me:“Non mi hai abbracciato neppure adesso…”.
Fu come uno schiaffo: mi stava accusando per la mia desolante mancanza di attenzioni. Mi ero talmente abituata a reprimere i miei sentimenti, che non riuscivo più a liberarli. E invece di giustificarmi, proferii una frase che non avrei mai dovuto dire, eppure solo questa uscì dalle mie labbra:”Se ci fossi stata io al posto di Bella, non lo avresti mai fatto…”.
“Che stai dicendo?” esclamò con rabbia. Era la prima volta che alzava la voce. “Per te avrei fatto anche di più. Lo capisci o no?”.
Mi mise una mano sotto il mento e mi girò il viso con la forza. “E guardami, maledizione, quando ti parlo!”. La fissai duramente.
“Pensi che voglia più bene a Bella che a te, non è vero?”.
“Perché? Non è così?” ribattei.
“No, che non lo è! E’ vero, le voglio un gran bene, la considero una sorella. Ma ne voglio anche a te…”.
Accennai una risata. “Bene. Provi lo stesso affetto sia per me che per lei. Peccato che la sottoscritta la conosci da sessant’anni, mentre Bella solo da due. C’è di che essere entusiasta!”.
“Almeno lei non ha paura di esprimere affetto o di abbracciarmi!” replicò piccata.
Subito dopo quella frase, le lessi il pentimento sul viso, ma ormai il danno era stato fatto. “Bene. Allora fatti abbracciare da lei poco prima di morire” dissi con triste sarcasmo. “Io torno a casa. Buona fortuna a te e ad Edward” e mi allontanai rapidamente.
Mentre salivo le scale, mi ero già pentita di quello che avevo detto, ma non potevo tornare indietro e ammettere che avevo sbagliato nel risponderle in quel modo; sapevo di essere nel giusto a non partecipare a quel gioco al massacro che lei ed Edward stavano intavolando per difendere quella stupida.
In salotto non c’era nessuno, a parte Emmett, che stava guardando una delle sue monotone partite. Non lo salutai nemmeno e salii direttamente in camera. Mi sedetti sul letto. Da domani mia sorella sarebbe stata ufficialmente in pericolo. Avrei dovuto passare il tempo che restava insieme a lei e invece ero lì a rimuginare sulla sua stoltezza e sulla mia rabbia, come se servisse a qualcosa. Appoggiai il viso sulle mani. Come potevo farle cambiare idea? Magari se le avessi espresso un po’ di affetto, l’avrei fermata. Forse amava Bella perché le dava quelle dimostrazioni di cui io non ero capace. Ma io non potevo farci niente. Abbracciare, piangere, soffrire: erano tutte cose che mi ero negata da quando ero diventata vampiro. Non volevo che gli altri mi vedessero soffrire, che capissero che non ero così inespugnabile come sembrava. Non dovevo far vedere quanto fossi toccata da tutto quello che mi succedeva. Desirèe mi aveva sconvolta fin troppo e fatto riemergere antichi fantasmi nascosti con cura. Dovevo ritrovare il mio equilibrio e abbracciare Alice non mi avrebbe certo aiutato.
Andai in bagno a guardarmi allo specchio: avevo un aspetto orrendo. Mi sciolsi i capelli che mi ero legata per facilitarmi la caccia. L’umidità li aveva fatti arricciare. Erano esattamente come ottant’anni fa… Sentii un dolore profondo spaccarmi in due. Accadeva ogni volta che ci pensavo. Chiusi gli occhi, piegandomi sul lavandino. Quanto avrei voluto piangere!
“Che succede? Stai male?” mi domandò Emmett allarmato, improvvisamente alla porta.
Lo guardai. Ero talmente assorta che non lo avevo nemmeno sentito entrare in camera.
“Tutto bene. Non ti preoccupare” dissi, simulando un sorriso.
“Non si direbbe…”.
“Niente di grave. Stavo solo pensando a una cosa”.
E uscii dal bagno. Andai a spazzolarmi i capelli per cercare di ricomporre i miei boccoli.
“A cosa?” investigò il mio compagno.
Non seppi cosa dirgli. Non volevo parlargli di quello. Era una cosa solo mia e tale doveva rimanere. Ma decisi di cogliere l’occasione al balzo per sfogarmi riguardo ad Alice.
“Ho parlato con Alice poco fa e mi ha detto che vuole combattere con Edward per difendere Bella. E’ una cosa inconcepibile e non capisco nemmeno perché lo faccia”.
“Le vuole molto bene e ne vuole anche ad Edward. Non li lascerebbe mai da soli. Credo che sia perfettamente comprensibile”.
“No, affatto. Anche perché in questo caso vuol dire amare tanto Bella da mettere in pericolo la propria vita e questo non esiste da nessuna parte!”.
“Se vuoi bene a una persona fai questo e altro…” si limitò a concludere Emmett.
Appoggiai la spazzola su un ripiano e mi voltai verso di lui, incredula. “La stai giustificando?” domandai.
“Sì. Trovo che le sue motivazioni siano più che giuste…”.
“Beh, io no. Tanto più che Bella non ha fatto proprio niente per meritarsi tutto questo affetto da parte di Alice. E’ una combinaguai e basta. Da quando c’è lei abbiamo dovuto affrontare un combattimento dietro l’altro. E ora dopo l’ennesima stupidaggine, Alice si offre di difenderla ancora una volta. Forse ha la vocazione da crocerossina, per questo è tanto attaccata a lei!”.
“Sei gelosa di Bella?” mi domandò.
“Gelosa? E perché mai dovrei esserlo?”.
“Perché lei ha l’affetto di Alice. Credi che voglia più bene a Bella che a te” disse convinto.
“Che stai dicendo? Non è affatto vero! Questo è uno dei tuoi vaneggiamenti, che, per fortuna, accadono raramente!” esclamai sarcastica.
Incurante del mio commento, continuò:“Alice ti vuole molto bene, ma non può abbandonare un’amica in pericolo. Dovresti cercare di capirla, non darle addosso. E invece lasci che la gelosia parli per te”.
“Non lascio un bel niente! Dico semplicemente che Alice sta sbagliando, e io non ho nessuna intenzione di appoggiarla in questa sua follia. Faccia quello che ritiene più giusto” conclusi alzando le spalle.
Andai al balcone a guardare fuori. Come al solito, il cielo era coperto. Mai un raggio di sole in questa cittadina.
“Sai, mi chiedo come la prenderà Jasper… Non credo che ne sarà molto felice” borbottai rattristata.
Emmett tacque per qualche secondo poi disse:”Jasper lo sa già e ha deciso di combattere anche lui”.
Quelle parole mi colpirono come un fulmine. “Anche Jasper vuole buttarsi nella mischia?” domandai, guardando mio marito con la coda dell’occhio.
“Sì. Non vuole lasciare Alice da sola. Per giunta anche lui è affezionato a Bella”.
Sbuffai. “Quindi il morbo “Bella” ha fatto un’altra vittima”. Mi voltai verso di lui ed andai ad abbracciarlo. “Ti conviene stare lontano, amore mio, altrimenti potrebbe infettare anche te” sorrisi. Mi strinse a sé.
Metà della famiglia voleva fare un combattimento dalle sorti già decise? Che facessero pure. Io avevo Emmett al mio fianco e solo questo era importante. Lui non mi avrebbe mai abbandonato. Era la roccia sulla quale potevo sempre appoggiarmi e trovare sicurezza.
Mi accarezzò a lungo la testa poi, quasi sussurrando, disse:”Rose, ti devo dire una cosa…”.
“Dimmi amore” lo incoraggiai ignara, mentre strusciavo la testa contro il suo petto.
“Ho deciso che anch’io aiuterò Edward e Bella. Ritengo che la famiglia in questa circostanza debba stare il più unita possibile”.
Rimasi abbracciata a lui, come se non avessi sentito, come se quelle parole fossero state solo un incubo dal quale presto mi sarei svegliata. Ma Emmett tacque e, quando capii che non era uno scherzo, mi divincolai e mi allontanai di qualche passo.
“Anche tu?”. Non riuscii a dire altro.
“Rose, cerca di capire…”.
Scossi la testa meccanicamente, poi lo fissai duramente. “Vuoi abbandonarmi anche tu per lei?” mormorai.
“No, amore, non lo faccio per lei. O perlomeno non soltanto per lei, ma anche per il resto della famiglia che ha deciso di prendere una posizione ben definita”.
“Io non entrerò in questa stupida battaglia. Quindi non è tutta la famiglia che ha preso questa posizione” contestai.
“E sono contento che tu non l’abbia fatto. Non voglio saperti in pericolo, e lo saresti unendoti a noi. Combatterò meglio, sapendoti al sicuro”.
Il mio Emmett avrebbe rischiato la vita per Bella. No, non poteva farlo. Non doveva. Come avrei fatto senza di lui? La mia anima, la mia forza. Ciò che fino ad ora aveva dato un senso alla mia vita. E tutto per Bella. Quella ragazza stava riuscendo a sconvolgere la mia esistenza. La paura invase ogni cellula del mio corpo. Paura che ben presto lasciò il posto alla rabbia. Sapevo che avrei detto cose che non pensavo, come con Alice, ma non potei trattenermi. Volevo che capisse quanto il suo atteggiamento mi stesse distruggendo.
“Non ti importa nulla di me, non è così?” domandai, trattenendo i singhiozzi.
“Ma che dici, Rose?! Lo sai quanto ti amo. Darei la mia vita per te…”.
“E allora perché ti comporti così?” urlai. “Hai deciso di combattere per una ragazza che conosci appena e non ti curi del dolore che procurerai a me! Se mi amassi, staresti con me!”.
“Te l’ho detto. Non si tratta solo di lei. Tutti gli altri combatteranno e io non voglio lasciarli soli”.
“Anche Carlisle ed Esme?”.
Annuì.
Sola. Ero completamente sola. L’unica con un po’ di criterio in quella famiglia. O forse la più codarda di tutti.
Mi lasciai cadere sul bordo del letto. Repressi con forza i singhiozzi che cercavano di farsi largo fra le mie paure. Si sedette accanto a me e mi prese la mano. “Ti prego, amore, resta con me” balbettai. “Solo per questa volta… Non ti chiederò mai più nulla. Lascia che se la sbrighino da soli. Non rischiare la vita”.
Mi accarezzò il viso. “Tesoro, tornerò, vedrai. Non temere”.
Le mie implorazioni non davano risultati. Mi trovavo dinanzi a un muro che non aveva nessuna intenzione di crollare. “Non tornerai. Nessuno di voi tornerà. Morirete tutti…” sussurrai.
“Non è vero. Qualcuno di noi ce la farà…”.
Mi alzai dal letto. Questo era davvero troppo.
“Qualcuno chi? Di chi potrò fare a meno? Sembra che la vita improvvisamente non abbia più alcun senso per voi. Che vi piaccia gettarla via! Volete fare i martiri? Bene, andate pure, non vi tratterrò. Però a questo punto, visto che il suicidio di massa va per la maggiore, allora io non posso essere da meno…” esclamai con un ghigno.
“Cosa intendi dire?”.
“Volete difendere Bella? Fate pure, allora io difenderò Desirèe. Anzi, aspetta, vado da Bella a chiedere il numero di telefono del suo amico pulcioso…” e mi diressi verso la porta. Ma Emmett mi fermò.
“Sei impazzita?! Non puoi farlo!” mi rimproverò.
“E perché no? Tanto lo fate tutti. A questo punto entrerò in gioco anch’io e difenderò l’unica persona che avrei dovuto proteggere fin dall’inizio e che invece, stupidamente, per seguire le direttive di Edward e Carlisle non ho fatto. Direttive che tutti voi non avete esitato a trasgredire quando si è trattato di Bella” esclamai disgustata.
“Capisco che tu possa essere arrabbiata ma proteggere Desirèe sarebbe ancora peggio. La uccideranno, appena la trovano, mentre magari Bella potrebbero risparmiarla, in qualche modo”.
Lo applaudii. “Bravo, amore mio. Davvero un bellissimo discorso! Perché già che ci sei non dici che speri che prendano Desirèe così magari potrebbero risparmiare Bella ed evitare a voi il disturbo di dover combattere?!”.
“Non è questo che intendevo dire, e lo sai bene”.
“No. Non so più chi sei. Come non so più chi è nessuno della mia famiglia” affermai amareggiata.
“Pure tu sei molto cambiata, Rosalie. Anch’io ormai faccio fatica a capirti. Ma di una cosa sono sicuro che ti amo e voglio che tu stia lontana dalla mischia. Qualsiasi cosa succeda”.
“Vuoi impormi delle regole che tu stesso non seguirai. Tutto per la perfetta ed insostituibile Bella. Lei merita il nostro appoggio a tutti i costi” ridacchiai.
“Adesso smettila!” mi biasimò. “Bella non merita tutto il tuo astio”.
“Ah no? Lei farà uccidere tutta la mia famiglia e io dovrei essergliene grata?”.
Mi afferrò per un braccio. “Non toccarmi!” alzai la voce.
Ritirò subito la mano. “Mi dispiace, Rose, che tu non capisca” constatò angustiato.
“Non sai quanto dispiaccia a me sentire che preferisci lei” mormorai. Mi diressi alla porta e girai la maniglia per uscire. Emmett mi domandò:“Dove stai andando?”.
“Vado a farmi un giro” risposi. Poi mi voltai verso di lui:“Ah stasera, amore mio, se vuoi fare sesso con qualcuno, vai da Bella, perché da me non avrai proprio un bel niente”.
E me ne andai, sbattendo la porta. Scesi velocemente le scale. Incrociai Alice di cui evitai accuratamente lo sguardo.
Uscii nello spiazzo davanti a casa e incrociai Edward che stava scendendo dalla macchina. Non era con Bella. Strano, considerando che non si lasciavano nemmeno un minuto dall’ultimatum dei Volturi. Non gli prestai attenzione.
Mi incamminai verso il sentiero, ma me lo ritrovai davanti. “Si può sapere dove stai andando?” chiese nervosamente, stringendomi un braccio.
“A farmi un giro. Non si può?” sbottai.
“Non in questo momento. E’ pericoloso”.
Mi si dipinse un ghigno sul viso: sentire Edward simulare una sorta di preoccupazione nei miei confronti era esilarante. “Vogliono la tua adorata mogliettina, non me. Posso andare in giro tranquilla” dissi, rimarcando ciò che più lo infastidiva.
“Sì, ma non sappiamo a cosa potrebbero spingersi per arrivare al loro scopo”.
“Beh, se mi rapiscono e chiedono un riscatto, potete lasciarmi a loro. Ti dò la mia benedizione” sorrisi ironica.
“Per quanto mi riguarda lo farei senza alcuna remora”.
“E allora cosa ti trattiene?”.
“Non voglio che Emmett soffra. Mi preoccupo solo ed esclusivamente per lui. Una bambina capricciosa non può stimolare nessun sentimento di affetto in me” esclamò torvo.
Non risposi.
“Tu per me sei solo una convivente, una persona con cui condivido il medesimo tetto. E direi che lo stesso vale per te, no?” domandò con voce tagliente.
Nei suoi occhi lessi l’odio. Quello che avevo sempre visto da quando ci eravamo conosciuti.
“Io non…” iniziai. Poi mi fermai.
“Io non, cosa?”.
Strinsi le labbra. Che cosa volevo dirgli? Quanto lo odiavo, quanto avrei voluto che uscisse dalla mia vita, che lui e Bella se ne andassero finalmente e mi lasciassero in pace.
“Direi che i tuoi pensieri sono fin troppo eloquenti…” commentò.
“Lasciami il braccio!” sibilai.
Ubbidì. Mi fissò a lungo poi si diresse verso casa. Lo vidi salire le scale. Corsi via per il bosco, senza sapere dove dirigermi, come era successo fin troppo spesso recentemente.
Quando fui circa a un chilometro abbondante da casa mi fermai.
Ero solo una convivente e lui era lo stesso per me. Mi appoggiai ad un albero e osservai gli sprazzi di cielo che punteggiavano la fitta chioma dell’abete. Da decenni ormai non era più niente per me. E mai più lo sarebbe stato. Dovevo tirare un sospiro di sollievo. Almeno sapevo che lui la pensava esattamente come me. Ci detestavamo cordialmente. Eravamo d’accordo su qualcosa. Non c’era da andarne fieri ma sempre meglio di niente. Mi sfuggì una risata. Doveva essere di felicità e invece sembrò isterica, come se dovessi risollevarmi dall’ennesima delusione.
Mi misi a camminare, guardando fisso per terra.
“Io non…”: non volevo dire ciò che avevo pensato e che lui aveva letto. Ma non avevo capito nemmeno io che cosa volevo esprimere con quella frase. Niente di fondamentale. Per Edward niente di quello che mi riguardava era importante e allora perché darsi pena nel dirglielo? Tanto più che ci avrebbe riso sopra e mi avrebbe sbeffeggiato, come faceva di solito. Tentai di immaginare la sua reazione se gli avessi detto che gli volevo un bene da morire, che era l’unico della famiglia che avevo amato fin dal primo istante. Sicuramente prima sarebbe rimasto a bocca aperta e poi si sarebbe messo a ridere. E, ad essere onesti, lo avrei fatto anch’io. A parti invertite, non gli avrei creduto neanche se si fosse buttato ai miei piedi, chiedendomi perdono. Risi, stavolta di gusto. Io non pensavo minimamente quello che avevo ipotizzato. Non lo odiavo ma dopo come si era comportato al mio ingresso nella famiglia Cullen, non potevo nutrire particolari sentimenti di affetto nei suoi confronti. E dopo il suo fidanzamento con Bella, ancora meno.
Io ero una semplice convivente per lui. Accettavo la cosa serenamente. Non mi toccava affatto. Aveva semplicemente espresso ciò che a fatti aveva più volte manifestato e quindi non dovevo stupirmi. Tutto nella norma. Se pensavo a tutti gli anni persi tentando di farmi amare da lui, mi veniva nuovamente da ridere. E mi davo della stupida. Una Hale non deve mai abbassarsi a chiedere l’affetto di nessuno. Le è dovuto e basta. E se una persona non ricambia, vuol dire che è lei ad avere dei problemi. Edward era sempre stato strano, in fondo. Era lui ad essere sbagliato, non io. Io ero perfetta. Diceva che ero superficiale e viziata. Lui non era certo meglio di me, con le sue manie di onnipotenza, spesso detestabili.
Alzai le spalle. Non avevo l’intenzione di passare la mia passeggiata a rimuginare su quell’idiota. Ero uscita per cercare di non pensare a ciò che tutta la mia famiglia si apprestava a fare per difendere la sua preziosa fidanzata, e non volevo rovinare ulteriormente la mia giornata, già di per sé terrificante. Non volevo nemmeno dargli la soddisfazione, anche se non lo avrebbe mai saputo, di perdere più di due minuti a pensare a lui e ai suoi insulti.
Ormai non riusciva più a scalfirmi. Erano passati quei giorni, per fortuna. Erano lontanissimi. Solo un triste ricordo.
Continuai a camminare, anche se più velocemente. Avevo deciso di raggiungere il centro di Forks e farmi una passeggiata fra quei pochi e trasandati negozi. Non sarei riuscita neanche a fare shopping sfrenato per sedare la rabbia.
Mettevo un piede davanti all’altro, ma la mia testa sembrava non essere lì. Come se ci fosse qualcosa che mi urtava, ma non c’era nulla a parte la mia discussione con Alice ed Emmett.
Io ero solo una convivente…
Assorta nei miei pensieri, raggiunsi il centro di Forks. La cittadina era talmente minuscola che consisteva in poche strade, di cui soltanto la principale e una laterale avevano negozi. La mia passeggiata sarebbe durata poco. Ma andare a Seattle o Port Angeles non mi andava proprio: mi sarei accontentata di quello che potevo trovare qui attorno.
Osservai con cura tutte le vetrine, persino una ferramenta, ma non trovai nulla che destasse il mio interesse. D’altra parte non c’era alcun negozio che vendesse vestiti o oggetti firmati. Era tutto semplice e banale, niente che facesse per me. Camminai stancamente. Cercai di distrarmi dai colloqui fatti prima con Alice e poi con Emmett, ma la pochezza di ciò che mi veniva proposto rendeva difficile raggiungere lo scopo.
Ero nella laterale quando sentii un odore terribile. Mi bruciò la gola. Licantropi. Mi guardai intorno ma non intravidi nessuno di conosciuto. Anche se ripensandoci, conoscevo solo Jacob. Gli altri del branco li avevo sempre visti trasformati. In altre occasioni, sarei scappata nella direzione opposta, ma invece lo seguii. La scia si interruppe davanti a un supermercato. Chiunque fosse, doveva essere all’interno a fare la spesa. Decisi di aspettare.
L’attesa non fu lunga.
L’odore si fece insopportabile quando uscì un ragazzo dai capelli castani e lo sguardo solare. Non lo conoscevo e ora, guardandolo, mi chiesi perché diavolo ero andata lì. Inutile. Lui mi fissò: sapeva perfettamente chi ero. Tutti quelli del branco mi conoscevano. Sorrise e si avvicinò. Esitai. Sarei dovuta andare via, ma decisi di rimanere: il suo viso non sembrava ostile.
“Ciao Rosalie” mi salutò.
“Ciao” contraccambiai indecisa.
“Probabilmente non mi riconosci, ma io sono Seth”.
Quell’affermazione mi riempì inaspettatamente di gioia: potevo chiedergli di Desirèe, di come stava, di cosa avevano intenzione di fare.
“Desirèe sta bene” mi precedette. “Sai, avrebbe molta voglia di vedere te e Bella, ma adesso non è il caso”.
“Anche se a me piacerebbe tanto riabbracciarla…” ammisi. Sperai che lui potesse aiutarmi e cedere su questo punto. Ma fece cenno di no con la testa.
“No, mi spiace. Non posso permettermi alcuno sbaglio”.
“Capisco”.
“Piuttosto, vorrei che dicessi a Edward e Bella che mi dispiace molto per quello che ho combinato. Se avessi anche solo lontanamente immaginato i guai in cui li avrei messi, non mi sarei mai comportato a quel modo. So che le mie scuse sono tardive e inutili, ma sono sinceramente pentito”.
Annuii. Dopodiché Seth mi salutò e si avviò verso uno scooter parcheggiato di fianco al supermercato. Non avevo concluso niente. Avrei potuto seguirlo, ma ero consapevole che sarebbe stato un errore. Sicuramente i Volturi non lo conoscevano, ma se mi stavano tenendo d’occhio, avrei messo in pericolo Desirèe. Decisi di dirigermi dalla parte opposta.
Continuai a vagare senza una meta precisa. Mi inoltrai persino nelle strade dove c’erano solo abitazioni e giardini. Ritornare a casa era fuori questione. Sarebbe significato iniziare nuove discussioni e non ne avevo proprio voglia e nemmeno le forze.
Passeggiai fino a che non avvertii un’altra scia. Ma questa non era di un licantropo. Un vampiro e, per giunta, perfettamente nota. Tanya. Seguendo pian piano l’odore, raggiunsi un albergo. Era uno degli unici due hotel presenti a Forks. Indugiai davanti all’ingresso. Tanya doveva essere ritornata, come mi aveva preannunciato. Esitai a lungo, pensando e ripensando a cosa fosse meglio fare. Mi guardai intorno sospettosa. Non c’era traccia dei Volturi e non sentivo nemmeno la loro scia. Ma questo non voleva dire niente. Anche Edward non aveva avvertito nulla intorno alla casa di Bella. Tuttavia avevo assolutamente bisogno di parlarle e di sfogarmi con qualcuno. Poi volevo essere di aiuto almeno a lei, se non potevo esserlo a sua figlia.
Decisi.
Entrai nella hall e dietro al bancone trovai un uomo sulla sessantina, dal viso squadrato e il mento sporgente.
“Desidera?” domandò.
“Salve, sto cercando una mia amica che dovrebbe alloggiare qui. Tanya Denali”.
Controllò l’elenco degli ospiti e confermò la mia supposizione.
“Vorrei parlarle. La trovo in camera?” domandai.
“Sì, ma prima la devo avvisare”. Alzò la cornetta e compose un numero. “Chi devo dire?” mi domandò.
“Rosalie Hale”.
Parlò con qualcuno dall’altra parte del filo, poi appese. “Può andare. Stanza numero 15”.
Salii precipitosamente le scale e arrivai davanti alla porta indicatami dall’usciere.

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Capitolo 23
*** Un piacevole incubo ***


Bussai e dopo pochi istanti Tanya mi aprì. Mi abbracciò affettuosamente. Tentai di fare altrettanto ma ne risultò solamente uno sfioramento leggero del suo corpo. Mi fece accomodare.
La stanza era molto frugale. Un letto, un comodino e una poltroncina. Niente di elegante e sofisticato.
“Quando sei arrivata?” le domandai.
“Ieri sera”.
“E Kate e Irina?”.
“Kate voleva venire qua a tutti i costi ma l’ho convinta a non farlo. Sarebbe stato troppo rischioso, e direi che la nostra famiglia è già abbastanza nei guai. Voglio che almeno lei ne resti fuori. Loro partiranno per un’altra città. Non so ancora quale e ho preferito non saperlo. Non vorrei che i Volturi, tramite me, riuscissero a scoprirlo”.
Si lasciò cadere sul letto e sconfortata mi chiese notizie di Desirèe.
“Purtroppo non so niente di preciso. Ho parlato con un componente del branco l’altro giorno e con Seth proprio pochi minuti fa. Entrambi mi hanno detto che sta bene e che è nascosta in un luogo sicuro. Non so altro. Il fatto è che non vogliono che nessuno di noi sappia dov’è: temono che i Volturi lo scoprano”.
Tanya annuì.
“Seth la difenderà vero?” chiese piena di speranza.
“Sì. Lui, sua sorella e un altro amico. Ma sai anche tu che sono decisamente troppo pochi. Non ce la faranno mai” affermai senza pensare a quanto l’avrei fatta soffrire con le mie parole.
Abbassò lo sguardo, addolorata. Purtroppo sapeva anche lei la forza che si celava dietro le guardie reali e tre licantropi erano un numero troppo basso per fronteggiarli. Rimase in silenzio per qualche minuto e io non seppi cosa dirle per consolarla. Ogni frase mi sembrava retorica e fuori luogo. Mi sforzai ma non mi venne in mente niente.
“Vorrei tanto riuscire a vederla almeno un’altra volta” sospirò.
Il cuore mi si strinse in una morsa. Potevo intuire perfettamente il suo dolore e io per prima avrei voluto darle una mano, ma non sapevo come.
“Sai, Desirèe ha un cellulare. Ho provato a chiamarla più volte ma è sempre staccato oppure non risponde” continuò. “Forse vuole tagliarmi fuori dalla sua vita… Forse è arrabbiata perché ho provato a separarla da Seth e adesso non vuole più vedermi!”.
“Non è vero. Desirèe è solo preoccupata. Non vuole coinvolgerti più di quanto tu non sia…”.
“Ma io sono già coinvolta” replicò agitata. “E’ mia figlia. Come diavolo può pensare che la potrei lasciare da sola contro di loro?! Non potrebbe accadere mai e poi mai!”.
“Capisco ciò che provi, ma questo è ciò che vuole. D’altra parte deve essere rimasta profondamente sconvolta per ciò che è successo a Bella e non vuole farti fare la sua stessa fine”.
Tanya sembrò calmarsi improvvisamente. “Come sta Bella?” mi domandò.
Alzai le spalle. “Non l’ho vista molto spesso in questi due giorni. O è a casa sua con Edward oppure se c’è lei, io sono fuori. Da quello che mi ha detto Alice è molto scossa. E’ più preoccupata per Edward che per se stessa”.
“Lo ama molto…” commentò.
“Così sembra…”.
Mi fissò dubbiosa. “Cosa intendi dire?”.
“Semplicemente che se ci teneva così tanto, avrebbe dovuto calcolare meglio le conseguenze. Anche se non posso negare che è stata molto coraggiosa e generosa a mettere in gioco la sua vita per Desirèe”.
Mi sorrise amabilmente e abbassò lo sguardo. In qualche modo doveva essere soddisfatta che ci fosse stato qualcuno ad aiutare sua figlia. Una persona che in fondo non conosceva né lei, né Tanya ed ugualmente aveva dato loro sostegno. Al contrario di tutti noi Cullen. Di me in particolare.
“Mi hai detto al telefono che Edward la difenderà. E tutti gli altri?”.
“Ho parlato proprio oggi con Alice e Emmett: mi hanno detto che tutta la famiglia farà altrettanto. Tutti tranne me”.
“Capisco” constatò amareggiata.
Pensai di intuire il motivo di quello sguardo. Si stava chiedendo perché tutta la famiglia si sarebbe schierata contro i Volturi per Bella mentre per Desirèe non avevano mosso un dito. E io, ancora rabbiosa per le conversazioni di stamane, gettai benzina sul fuoco. “Si stanno comportando malissimo, Tanya, lo so. Non riesco a capire il perché del loro atteggiamento. Sembra che Bella sia diventata il centro del mondo. Ho provato più volte a spingerli a difendere Desirèe e mi è sembrato di parlare al muro. In compenso per quella scioccherella, si sono lanciati come cavalieri serventi!”.
“Bella è la fidanzata di Edward e capisco che si sentano in dovere di aiutarla. Inoltre io ho violato deliberatamente le regole salvando Desirèe alla nascita, quindi è ovvio che mi debba arrangiare da sola”.
“Anche se tu hai violato le regole, resti comunque una nostra parente, cosa che Bella non è ancora” contestai infervorata. Poi abbassai i toni:“La mia famiglia è costituita da persone egoiste e solamente adesso me ne  accorgo…”.
“Non è affatto vero! Siete molto generosi e il fatto che vogliano difendere Bella a rischio della vita ne è una prova. E’ stata solo una questione di scelte e io posso capirli. Probabilmente anch’io avrei fatto lo stesso. Desirèe chi è per loro? Nessuno. Mentre Bella è ormai parte della famiglia. Non mi sento di fargliene una colpa”.
Il suo tono di voce così compiacente mi fece irritare ancora di più. Era mai possibile che nessuno capisse l’insensatezza del loro gesto?! Pareva che solo io avessi un po’ di sale in zucca, che ormai mancava a tutti, Tanya compresa. Ma era giunto il momento che prendessi una decisione.
“Tanya, voglio difendere anch’io Desirèe insieme a te” affermai risoluta.
Sgranò gli occhi sconvolta, poi scosse la testa. “Non se ne parla proprio, Rose. E’ fuori luogo. Ne resterai fuori!”.
“Ma perché? Tu sei la mia migliore amica e voglio poterti essere d’aiuto!” replicai.
“Mi sarai di maggiore aiuto se non ti intrometterai!”  rispose duramente.
“Perché?”.
“Rose” si addolcì “sappiamo tutti come andrà a finire questa diatriba. Molti di noi moriranno, chi per una e chi per l’altra. L’unico fine comune di tutto questo è salvare le persone che amiamo e, per me, tu sei fra quelle. Nessuno ti sta minacciando per ora, ma se ti unissi a me, saresti condannata ed è l’ultima cosa che voglio…”.
“Ma non è giusto che ti lasci sola in questo momento. Voglio combattere con te. Io adoro Desirèe e non voglio che le succeda nulla” cercai di dissuaderla.
“Se vuoi davvero aiutarmi, starai lontana. Sarò più tranquilla se saprò che almeno tu sei al sicuro. Non sai quanto mi dispiace che a causa di mia figlia, tutta la tua famiglia si trovi a dover combattere, e voglio che almeno tu sia salva”. Mi prese una mano. “Ti prego, promettimi che non ti immischierai!”.
“Ma…”.
“Giuramelo!” mi interruppe decisa.
Ora che tutti noi eravamo liberi di fare quello che volevamo e potevo decidere di schierarmi e combattere, Tanya non mi voleva. Nessuno voleva coinvolgermi come se io fossi una bambola di porcellana da salvaguardare ad ogni costo. Mi sentii offesa. Forse tutti pensavano che la mia presenza fosse inutile e di nessun aiuto. Tanya mi strinse più forte la mano e capii. No, lei non la pensava in questo modo. Voleva davvero che io mi salvassi. Ma non era il mio obbiettivo. Non se la mia amica fosse morta per difendere la figlia che io avrei tanto voluto avere.
“Tanya, ti voglio aiutare. Ti prego!” la scongiurai.
“Se mi vuoi davvero essere d’aiuto, fammi rintracciare Seth”.
“Come?!” esclamai.
“Non posso difendere Desirèe se non riesco a parlare con lui. Hai detto che saranno in tre. Quando ci sarà la battaglia voglio essere insieme a loro e tu devi solo aiutarmi a contattarli”.
“Ma non so come fare. Oggi ho incontrato Seth per caso, ed era la prima volta che lo vedevo. Non saprei come chiamarlo…” balbettai.
“Bella non può darti il numero di telefono?”.
“Mah… Forse sì… Sicuramente lei ha il numero di uno degli altri due. Posso provare a chiederglielo. Però non te lo consiglio…”.
“Perché?”.
“Quello lì è meglio perderlo che trovarlo, ti posso assicurare! E non gli darei nessun affidamento…” commentai acida. “Però magari, potrei, tramite lui, arrivare a Seth. Ma non garantisco niente…”.
“Va bene. Prova, ti supplico”.
“D’accordo. Però, Tanya, io volevo darti ben altro tipo di aiuto”.
Mi sorrise serafica. “Questo andrà più che bene. Comunque, se ti può sollevare anch’io ti faccio una promessa”.
“Quale?”.
“Se dovessi aver bisogno e intendo come guerriera al mio fianco, ti chiamerò”.
“Sul serio?” domandai.
“Lo giuro”. Ne fui felice. Non riuscivo a dare dimostrazioni di affetto come baci o abbracci, ma combattere per lei e Desirèe sarebbe stata la più grossa dimostrazione nei suoi confronti.
Rimanemmo parecchio tempo a conversare, poi Tanya decise di andare a cercare il nascondiglio dei Volturi. Mi sembrò un gesto assai rischioso, ma mi chiarì che non voleva avvicinarsi a loro o intraprendere una battaglia. Voleva solo sapere dove si nascondessero per poter pianificare con Seth, quando sarei riuscita a darle il numero di telefono. Non ne fui per niente convinta, ma lei aveva già deciso in questo senso e tentare di farle cambiare idea appariva una perdita di tempo. La salutai e tornai verso casa.
All’inizio mi ci avviai velocemente, poi pian piano ridussi l’andatura. Non sapevo che cosa mi avrebbe aspettato. O forse sì e proprio per questo volevo ritardare al massimo l’inevitabile. Avrei tanto voluto aiutare Tanya e invece lei mi aveva respinto. Volevo salvare Desirèe ma non mi veniva concesso. Forse la mia famiglia avrebbe desiderato il mio sostegno nel difendere Bella, ma piuttosto che farlo avrei contattato io stessa quei cagnacci per difendere la figlia della mia migliore amica.
Avevo amato Desirèe dal primo istante. Era una ragazzina deliziosa e adorabile. Tutte le poche azioni che le avevo visto compiere avevano destato in me sentimenti che pensavo sopiti. Affetto per una persona che non conoscevo e al di fuori della mia famiglia. Certe volte mi ero chiesta se questo sentimento non derivasse esclusivamente dal mio desiderio di maternità che si rifletteva su di lei. All’inizio avevo invidiato in maniera quasi perfida la fortuna di Tanya, poi era mutata quando avevo conosciuto sua figlia. Desiderai essere io la madre di quella stupenda creatura, ma mi resi conto che era così stupenda proprio perché la madre era stata Tanya. Sicuramente Desirèe aveva delle doti naturali, ma non sarebbero mai emerse senza il calore e l’amore della sua madre adottiva. Da lì la bramosia di difenderla a tutti i costi. Bramosia che era stata soppressa dall’ordine della mia famiglia. Non avrei mai dovuto seguirlo, me ne rendevo conto solo ora, ma mi avevano bloccato l’abitudine a ubbidire, la paura dei Volturi e non so cos’altro. Ma era giunto il momento per me di prendere posizione. Tanya non voleva, ma dovevo agire. Iniziai a pensare come, ma per ora l’unica cosa che potevo fare era procurarmi il numero di Seth. Non doveva essere una cosa difficile. Quasi sicuramente Bella doveva esserne a conoscenza. Pensai che forse lui avrebbe accettato il mio aiuto e allora mi sarei ritrovata a dover combattere con i licantropi, e soprattutto con l’insopportabile Jacob, ma almeno avrei avuto la mia soddisfazione.
Quando fui sotto casa, avvertii la scia di Bella. Era lì. Sbuffai. Non avevo proprio voglia di vederla, non adesso, però, forse, tutto il male non veniva per nuocere. Salii le scale lentamente, cercando di calmarmi. Sapevo che il solo vederla mi avrebbe innervosito, ma dovevo cercare di mantenere il controllo.
Alice aprì la porta e mi salutò gioiosamente: doveva aver dimenticato la nostra conversazione mattutina. Ma lei era così. Quando discutevamo, dopo qualche minuto, sul suo viso tornava sempre il sorriso, al contrario di me che portavo rancore e non avrei mai perdonato per prima. Con lei mi risultava tutto più facile.
Entrai in casa e trovai tutti in salotto, schierati come un plotone d’esecuzione. Il primo istinto fu quello di fuggire, ma dovevo affrontarli e tanto valeva farlo subito.
Li salutai il più cordialmente possibile, ad eccezione di Bella. Lei era la responsabile dei guai e come tale l’avrei ignorata.
Nessuno sembrò voler incominciare una conversazione e decisi di salire in camera a fare la doccia.
“Rose, aspetta” mi chiamò Carlisle.
Mi fermai e lo fissai.
“Credo che dobbiamo affrontare un argomento molto importante” continuò.
“Va bene” dissi conciliante.
“Ho saputo che hai parlato con Alice ed Emmett stamattina. Loro ti hanno anticipato quella che è stata la decisione dell’intera famiglia”.
“Sì, e allora?”.
“So anche che ti sei molto alterata. Quello che vorrei che capissi sono le motivazioni del nostro gesto. Non voglio che tu lo consideri alla stregua di un abbandono. Noi vogliamo semplicemente difendere Bella. Sappiamo che tu non lo farai e non ti chiederei mai di cambiare idea, anche perché io per primo vorrei che tutti i miei figli restassero fuori da questa situazione. Ma non posso fare niente per impedirlo e  non sai quanto sono felice che almeno tu non preda parte a questa guerra” si espresse con affetto.
Sentii un profondo rammarico per la loro decisione. Avrei tanto voluto dirgli nuovamente di non farlo, di non condannarsi a morte per una persona che non era nemmeno parte della famiglia, ma sapevo che sarebbe stato fiato sprecato. Ero infuriata, ma anche estremamente addolorata perché li avrei persi tutti.
“Ne siete proprio convinti?” bisbigliai.
“Sì, Rose. Affronteremo tutti insieme i Volturi e sono sicura che andrà bene” cercò di rassicurarmi Esme.
“Sapete perfettamente che non sarà così. Morirete”.
“No!” esclamò Bella. “Non dovete combattere per me. Non è giusto. Voi non c’entrate nulla in questa storia. La responsabilità è solo mia. Non posso addossare a nessuno le conseguenze delle mie azioni!”.
“Bella, hai sbagliato, d’accordo” iniziò Alice. “Ma tu fai parte della famiglia. Per chiunque di noi al tuo posto, avremmo fatto la stessa cosa” e si voltò verso di me, alludendo al nostro discorso di stamane.
“Sì, ma non è giusto. Non voglio che vi succeda alcunché. Vi prego, statene fuori” singhiozzò. Edward subito la abbracciò, cercando di consolarla.
“Amore” le sussurrò “non ti preoccupare. Andrà tutto bene. Vedrai che ne usciremo indenni”.
Sbuffai. Sentire tutte quelle parole rassicuranti mi diede sui nervi. Guardai Emmett. Anche lui voleva combattere e lasciarmi sola. Evidentemente l’affetto per la famiglia superava di gran lunga l’amore per me. Mi ero sbagliata a metterlo sempre al primo posto. Un amore buttato al vento, così come tutta la mia vita. Lo avevo amato tanto che mi ero annullata in sua funzione e ora vedevo che tutti i miei sforzi erano stati vani. Avrei tanto voluto convincerlo a restare, ma non sapevo che arma utilizzare. Pareva irremovibile. Forse se mi fossi messa a piangere dinanzi a lui, lo avrei commosso, ma era anche vero che non riuscivo a piangere da decenni. Solo singhiozzare non sarebbe stato sufficiente.
“Rosalie, che cosa hai intenzione di fare con Tanya?” mi domandò Alice.
“Cosa intendi dire?”.
“Ho visto le tue decisioni e non mi sono piaciute per niente”.
Alzai le braccia. “Se voi volete morire per Bella, non posso impedirlo, ma non potete per lo stesso motivo impedire a me di aiutare Tanya”.
Esme sgranò gli occhi. “Non puoi farlo! E’ troppo rischioso!”.
“E voi invece? Pensate di andare a giocare a carte con i Volturi?” la sbeffeggiai.
“Sì, ma la posizione di Tanya è molto più pericolosa della nostra. Lei stessa è una fuorilegge. Dopo che avranno sistemato Desirèe, sicuramente vorranno eliminare anche lei. Se la aiutassi, sarebbe morte certa. Siete in troppo pochi per farcela…”.
“Sarà una morte eroica, allora!” risi sarcastica. “L’unica cosa orrenda sarà dover combattere spalla a spalla con quei cagnacci, ma posso sopportarlo per Tanya e Desirèe”.
“Quello che ti accingi a fare è un suicidio” si intromise Emmett.
“Non ti permetto di dirmi cosa devo o non devo fare. Ognuno di noi ha preso la sua decisione. Io difenderò Desirèe e il discorso è chiuso. Comunque, se ti può consolare, Tanya non vuole che partecipi. Mi chiamerà solo se strettamente necessario, quindi fino ad allora sarò al sicuro. Ma tanto sappiamo tutti quanti che la mia presenza si farà indispensabile”.
“Vuoi diventare l’eroina della casa?”.
“No, Emmett. Voglio semplicemente fare quello che avrei dovuto fin dall’inizio e che per obbedire alle vostre stupide regole non ho fatto”.
“Ti conviene starne fuori, Rose” disse Edward. “Combattere con il branco sarà inutile, oltre che dannoso”.
“Uhm, invece farsi ammazzare per la tua fidanzata sarà utile! Forse per te lo sarà, ma io non ci guadagnerò proprio niente. Quindi direi che decido io per quale causa farmi martire”.
“Rose, se hai deciso in questo senso, non possiamo fare niente per impedirlo, però sappi che non siamo d’accordo” replicò pacatamente Carlisle.
“Siamo nella stessa situazione direi…” mi limitai a rispondere.
“Non voglio che tu combatta” disse Emmett, con estrema sofferenza. “Rinuncia”.
“Non combattere neanche tu e io mi tirerò fuori” lo ricattai. Era l’unica carta che mi era balenata in mente per farlo desistere. Tacque, come se ci stesse riflettendo. Mi sentii piena di speranza. Lui era più importante di tutto, anche di Tanya. Non doveva combattere. Non volevo che morisse. Avrei fatto di tutto pur di fargli cambiare idea, anche i mezzucci più sporchi. Non importava cosa avrebbe pensato di me. L’unica cosa che volevo era che restasse al mio fianco. A ogni costo.
“Non posso, Rose. Mi dispiace…” rispose infine, abbassando lo sguardo a terra, come se temesse di scorgere sul mio viso la delusione più profonda.
“Dunque, è più importante la vita di Bella, che la mia…” pensai tristemente a voce alta.
“Non è affatto vero, e devi smettere di fare la vittima!” mi rimproverò.
“Fare la vittima?! Tu non pensi minimamente a come posso stare io in questo momento. Nessuno di voi ci pensa” e mi voltai fissandoli uno ad uno. “Siete troppo presi da lei per stare vicini a quella che fino a poco tempo fa era una di voi”.
“Tesoro, non è affatto vero. Siamo tutti molto preoccupati per te” interloquì Esme.
“Lo vedo come siete preoccupati! Bella, solo Bella esiste qua dentro. Ma io dove sono finita? Non pensate al dolore che darete a me se morirete? Io resterò sola qui…”.
“Hai paura della solitudine, dunque?” domandò Edward ironico.
“Se pensi che la mia unica preoccupazione sia restare sola, sei proprio un idiota” dissi rivolta a mio fratello. Poi mi girai verso Esme:“Io voglio bene a tutti e non voglio che vi succeda niente. Siamo insieme da una vita e sono affezionata a ciascuno di voi. Non posso fare niente per impedire la vostra decisione, ma vorrei che almeno per una volta capiste come mi sento io!”.
“Mi dispiace, Rose” disse Alice.
“Già. Questa è la sola parola che mi sento ripetere da oggi. Evidentemente non vi dispiace abbastanza, altrimenti non lo fareste” dissi trattenendo il groppo che mi si era formato in gola. “Se volete farlo, fate pure, non vi tratterrò, ma io non sarò al vostro fianco. Se si fosse trattato di qualsiasi altro motivo, sarei stata dalla vostra parte, ma non per lei. Mai e poi mai per lei” ripetei furiosa fissando Bella.
“Rosalie, non dovresti parlare così…” mi ammonì Carlisle.
“E cosa dovrei fare? Andare da lei e stringerle la mano?! Se voi avete il perdono facile, fate pure, io non la perdonerò mai per quello che ha fatto, soprattutto se uno qualsiasi di voi dovesse morire in questa impresa” ringhiai.
Bella aveva gli occhi rossi e vedevo che stava per scoppiare nuovamente in lacrime. Le mie parole la stavano ferendo ulteriormente e doveva essere così. Non volevo che passasse mai più un minuto di serenità nella corta vita che le rimaneva. Lei era la responsabile della mia infelicità. Doveva soffrire, almeno cento volte più di quello che stavo patendo io. La odiavo. La odiavo tanto che l’avrei uccisa io stessa. Edward mi fulminò con lo sguardo. Questo era quello che provavo e niente e nessuno mi avrebbe fatto cambiare idea. Non avrei mai potuto provare il benché minimo affetto per lei, soprattutto dopo che era riuscita a rubarmi l’amore della mia famiglia.
“Non è così” commentò Edward.
“E com’è allora? Dimmi. Visto che tu leggi nel pensiero di tutti, spiegami un po’…” lo istigai perfidamente.
“Se non lo capisci da sola, non posso riuscire a spiegartelo”.
“Non è che non puoi, non vuoi, è diverso. Comunque sia, non mi interessa. Se volete sacrificarvi per lei, fatelo” dissi, tentando di ritrovare la calma. Poi mi avviai nuovamente verso il portone.
“Dove stai andando?” mi domandò Emmett.
“Chiedilo ad Alice. Lo sa meglio di me” risposi acida e uscii.
Una volta nello spiazzo, mi resi conto che era sera. Il sole era già tramontato. Mi allontanai lentamente. Avevo passato quasi tutta la giornata a discutere con i membri della mia famiglia. Mi rendevo conto che il mio comportamento non era facile da comprendere, ma sembrava che fosse chiaro che io volevo solo un po’ di affetto da parte loro. Affetto che adesso era devoluto solo ed esclusivamente alla combinaguai per eccellenza. Forse era giunto per me il momento di lasciare la famiglia Cullen e cercare da qualche altra parte. Avrei potuto andare dai Denali, una volta sistemata questa faccenda dei Volturi. Ma come avrei fatto, nel caso fosse sopravvissuto, a lasciare Emmett, che sicuramente non mi avrebbe seguito? No, era una soluzione improponibile.
Ero troppo innamorata di lui per separarmene, anche se ultimamente c’era qualcosa che non andava. Prima la piccola crisi periodica e ora Tanya. La faccenda di Desirèe mi aveva colpito profondamente e aveva risvegliato il desiderio, mai sopito, di diventare madre, desiderio che Emmett non aveva mai compreso. Aveva sempre detto che a lui bastavo io. Non che per me non fosse la stessa cosa, ma un bambino sarebbe stato il coronamento della nostra storia. E, vedendo la felicità di Tanya, avvertivo ancora di più questo vuoto. Come se non bastasse tutto questo affetto nei confronti di Bella mi faceva uscire dai gangheri. Anche lui sembrava soggiogato dal suo sorrisetto falso, anche se si nascondeva dietro il desiderio di appoggiare la famiglia.
Ormai avevo giocato tutte le mie armi per farlo desistere, ma niente era servito. Non mi restava altro che rassegnarmi e sperare che se la cavasse.
Avevo camminato tanto che non mi ero resa conto di dove fossi andata a finire. Non che me ne importasse, però con i Volturi in giro non era il caso di perdersi per il bosco. Sentii un profumo intenso: proveniva dall’imponente quercia di fronte a me. Era l’unica nella foresta. La fissai a lungo prima di rendermi conto di un inconveniente. La quercia delimitava il confine con La Push ed io ero ad appena una trentina di metri. Sbuffai. Anche il vagare senza meta mi era proibito in questo dannato posto.
Mi allontanai un po’, lanciando delle occhiate veloci e furtive al bellissimo albero. Poi un fruscio improvviso. Mi guardai attorno sospettosa. C’era qualcosa vicino a me, forse un animale. Lo sperai. Non avevo proprio nessuna voglia di imbattermi in uno dei Volturi. Dopo pochi istanti mi rasserenai: sentii distintamente il battito di un cuore e un respiro. Non era un vampiro. Sorrisi a me stessa e continuai a camminare, ma avvertii un bruciore intenso in gola. Mi fermai nuovamente. Era puzza, puzza di licantropo. Inconfondibile. Era vicino a me, molto vicino. Sicuramente mi aveva notato. Dovevo solo capire quali fossero le sue intenzioni.
Aguzzai le orecchie. Dei passi. Non erano animali. Il licantropo era in forma umana. Sperai che si trattasse di Seth: avrei potuto comunicargli che Tanya desiderava contattarlo. Ma le mie speranze svanirono in un attimo.
“Ehi, cappuccetto rosso, che ci fai da queste parti? Non hai paura di incontrare il lupo cattivo?” rise alle mie spalle.
Quella voce disgustosa purtroppo l’avrei riconosciuta tra mille.
“E’ il lupo cattivo che deve stare attento, non io…” commentai, beffarda.
Non rispose. Mi voltai incuriosita di constatare se la mia affermazione per una volta fosse riuscita a prenderlo in contropiede.
Jacob era appoggiato a uno degli alberi, a braccia incrociate, con il suo irritante sorriso stampato sulla faccia. Direi tutt’altro che domo. Restò fermo per qualche istante, poi fece qualche passo verso di me.
Non volevo assolutamente che si avvicinasse: non sarei riuscita a sopportare il suo odore nauseante. Gli ringhiai contro.
Gli sfuggì una risata canzonatoria. “Sto tremando di paura, altezza!”.
Cercai di trattenermi dal spaccargli la faccia.
“E’ troppo vicina al confine. Le conviene tornare a casa signorina Cullen, se non vuole avere rogne” affermò grave.
Non potevo crederci. Anche questo cane pulcioso osava darmi ordini. Non potei più trattenermi.
“In primo luogo vado dove mi pare; in secondo luogo mi chiamo Rosalie Hale e non Cullen. Siamo intesi? Ricordatelo bene, randagio!”.
Feci per andarmene, quando un improvviso rumore alle spalle mi colse impreparata. Mi ritrovai a terra con Jacob sopra di me. Mi sorrise malignamente:“Mai girare le spalle ad un nemico, signorina Hale. Se avessi voluto, lei sarebbe già morta”.
“Un poppante non è un nemico” dissi e gli sferrai una gomitata sul viso, scostandolo da me. Mi rialzai velocemente, arretrando di qualche passo. Sentii la mia pelle impregnarsi del suo sudicio odore. Mi diede il vomito.
“Non mi toccare mai più, altrimenti te ne farò pentire” proferii con tutta la rabbia che avevo in corpo.
“Davvero? Sono curioso di vederti all’opera, succhiasangue dei miei stivali”. Si mosse e i suoi passi puntarono dritto verso di me.
Non pensai che volesse davvero farmi del male, ed il fatto che non si trasformasse avvalorava la mia tesi, ma volevo evitare ogni contatto.
Iniziò la sua corsa. Non sapevo che cosa volesse fare, ma l’unico modo era tenermi il più lontana da lui. Quando fu a pochi centimetri da me, con un balzo lo superai e gli atterrai alle spalle. Gli afferrai un braccio, affondandogli le unghie. Sobbalzò: sentì dolore ed era quello che volevo. Tentai di rompergli l’avambraccio, ma con l’altra mano mi sferrò un pugno nella pancia, facendomi volare contro il fusto di un albero. In un attimo fui di nuovo in piedi e lo osservai. Si stava toccando il braccio che sanguinava vistosamente.
“Non credere che un graffietto possa mettermi fuori combattimento, bionda” rispose, bloccando la mia soddisfazione in gola.
Tornò nuovamente a farsi sotto. Mi scansai, ma fu più veloce di me. Mi afferrò per la gola e mi sollevò. Tentai di fargli mollare la presa ma era dannatamente forte, anche da umano. Le sue mani mi si piantarono in gola. Non potevo permettere a uno stupido licantropo di avere ragione di me. Con un colpo di reni, sferrai un calcio e gli feci mollare la presa. Ovviamente rimasi in piedi, ma, con enorme stupore, anche lui.
“Vuoi morire, randagio? Se vuoi, ti servo subito” lo istigai, mostrandogli i canini.
“Non ne hai il coraggio, bionda”.
Non aspettavo altro che un invito. Mi dispiaceva soltanto che effettivamente non potevo ucciderlo, in virtù di quel maledetto patto di Carlisle. Dio solo sapeva quanto lo odiavo e quanto avrei voluto morderlo. Mi ero ripromessa di non bere più sangue umano, ma per lui avrei fatto volentieri un’eccezione. Tanto più che il profumo che usciva dalla sua ferita era stranamente invitante.
Quando fui abbastanza vicina, gli saltai addosso. Gli feci perdere l’equilibrio, ma Jacob mi afferrò per i capelli e mi trascinò a terra con sé. Prese un ramo vicino e me lo sbatté sulla testa. Non sentii dolore, ma, dopo il primo urto, rotolai lontano. Mi rialzai, ma Jacob era già in piedi e si stava avvicinando. Troppo velocemente. Non ebbi tempo di pensare a nessuna contromossa. Mi limitai a saltare in alto per evitarlo e atterrai su un ramo.
“Non pensare di riuscire a sfuggirmi lassù” ghignò e saltò anche lui.
Mi guardai intorno. Vidi il ramo dell’albero vicino e saltai su esso. Lo stesso fece lui. La mia fuga durò quattro fronde, poi sull’ultima fu più veloce di me. Atterrammo quasi contemporaneamente e il ramo non riuscì a sopportare il peso di entrambi. Cedette di colpo e caddi a terra.
Sarei rimasta sicuramente in piedi se Jacob non mi fosse atterrato addosso.
Mi ritrovai accasciata con tutto il suo peso sulle gambe. Tentai di fare forza con le ginocchia e alzarmi, ma i suoi polpacci le premevano contro il terreno. Non riuscivo a muoverle. Mi mise le mani sulle braccia e le spinse contro la corteccia dell’albero. Tentai di divincolarmi ma era molto forte, più di quanto avessi pensato.
“Allora come la mettiamo, principessa?” mi domandò con un petulante ghigno.
“Ti conviene lasciarmi, cane, altrimenti sarà peggio per te” lo minacciai, anche se sapevo che in quel momento le mie erano solo vuote parole. Non avevo nessuna arma per scrollarmelo di dosso. Potevo solo sperare che si muovesse leggermente dalla sua posizione, in modo tale da spingerlo via.
“Perché dovrei, di grazia?”.
“Perché altrimenti lo racconterò a Emmett e ti farà a fette”.
Rise di gusto. “Bene. Allora raccontagli anche questo!”.
Quando ultimò la frase, intravidi una strana espressione. Stava macchinando qualcosa, e io non riuscivo a muovermi. Tentai di dimenarmi ma le braccia erano tenute saldamente ferme dalle sue mani.
Il suo viso si avvicinò al mio. Troppo.
Avrei voluto disperatamente allontanarmi, ma avevo già la testa contro il fusto dell’albero. Anche volendo, non sarei riuscita a muovermi più di così.
Quello che accadde il secondo successivo non lo avrei mai potuto immaginare, nemmeno nel peggiore dei miei incubi.
Mi baciò.
Ero sconvolta. Sentivo le sue labbra a contatto con le mie. Cercai di dimenarmi con la testa. con scarso successo. La sua puzza mi dava il voltastomaco e volevo assolutamente allontanarlo da me. Tentai di fare forza sulle gambe, ma non si mossero di un millimetro. Feci la stessa prova con le braccia ma fu altrettanto inutile.
E lui non sembrava minimamente scalfito dai miei tentativi di fuga. Continuò a baciarmi, violentemente. Spingeva le labbra brutalmente contro le mie.
Un’idea mi attraversò la mente. Avrei potuto morderlo. Ma, come era comparsa, così dovetti abbandonarla. Un mio morso lo avrebbe ucciso e per quanto in questo momento desiderassi farlo, non potevo causare una guerra col branco proprio ora. E per di più Desirèe aveva bisogno di essere protetta anche da lui.
Quei pochi istanti in cui pensai tutto ciò mi sembrarono un’eternità. Non sapevo cosa fare. Avrei solo voluto farlo a pezzi. Se stava cercando di farmi imbestialire, il suo tentativo stava andando perfettamente a buon fine. Mi chiesi quanto tempo sarebbe durata questa tortura.
Smisi di agitarmi. Pensai che forse sentendo che non opponevo più resistenza, quest’ incubo sarebbe terminato. Voleva solo farmi arrabbiare, oppure era uno di quei tanti uomini che si divertiva soltanto quando la preda dall’altra parte si ribellava. Io purtroppo lo sapevo bene. In entrambi i casi, poteva essere la risposta migliore per indurlo a desistere.
Ma non accadde.
Smise solamente di premere contro la mia bocca, e le sue labbra iniziarono ad accarezzare le mie, la sua lingua le sfiorò, come se volesse assaggiarle.
Avvertendo che non avevo più intenzione di ribellarmi, mi lasciò andare le braccia che caddero pesantemente lungo i fianchi. Ora sarei riuscita a spingerlo via.
Ma non lo feci.
Le sue labbra erano così calde, quasi roventi, e morbide rispetto alle mie dure e fredde.
Sembrava di baciare il sole ed era una sensazione piacevole.
Mi mordicchiò dolcemente il labbro inferiore, leccandolo.
Socchiusi la bocca e chiusi gli occhi, come se volessi lasciarmi trasportare da quel fiume in piena, come se volessi godere appieno del calore di quel bacio.
Probabilmente questo fu il cenno che aveva aspettato fin da principio. Avvertii la sua lingua nella bocca. Non osai fare nulla, non feci alcun movimento. Avevo già fatto troppo, mi ero spinta oltre, senza neanche riflettere.
Ma il suo respiro, il battito del suo cuore, il tepore delle sue labbra appiccarono un incendio dentro di me. Mossi timorosamente la lingua e sfiorai la sua. Ancora e ancora. Avrei dovuto fermarmi, ma non ci riuscii.
Passò un braccio dietro la mia schiena, mi sollevò leggermente da terra e mi strinse a sé. Ora ero inesorabilmente abbracciata a lui e compresi che ero sua, che poteva fare qualsiasi cosa e che io non avrei fatto nulla per difendermi. Il contatto con il suo corpo così vigoroso e forte mi diede alla testa. Potevo distinguere chiaramente ogni muscolo, che con ferma dolcezza mi abbracciava, impedendomi una fuga che mai e poi mai avrei tentato.
Il contrasto tra le temperature dei nostri corpi, la mia così gelida e la sua così bollente, stuzzicò un brivido di piacere. Era qualcosa di inesprimibile, di inspiegabile per me che ero un vampiro. Ma sentii il desiderio prendere vita dentro di me e dilagare in ogni minuscola parte del corpo.
Il suo braccio mi circondò ancora più energicamente. Avvertii chiaramente i battiti del suo cuore contro il mio petto. Erano velocissimi e quasi rumorosi per il mio fine udito. Ma dannatamente eccitanti. Le nostre bocche non davano il minimo segno di volersi separare, le nostre lingue ormai ballavano un valzer sempre più veloce e appassionato.
Non mi resi conto di quello che stavo facendo, ma una cosa sola aveva importanza: che non smettesse di baciarmi. Era una sensazione che mi fece sentire desiderata come mai in vita mia. Ero talmente coinvolta che non feci nemmeno più caso a chi stavo baciando e soprattutto chi stavo ferendo con il mio comportamento. Noi due eravamo tutto quello che aveva un senso in quel momento.
Non so quanto durò: un attimo, un minuto, una vita. Ma quando le sue labbra si allontanarono, desiderai solo che tornassero sulle mie il più presto possibile.
Un secondo più tardi tornai in me. Scossi la testa come se mi fossi appena svegliata e dovessi riprendermi. Ero frastornata.
Dopo qualche istante misi a fuoco la sua mano davanti a me: la stava porgendo per aiutarmi ad alzarmi. Avrei voluto staccargliela a morsi.
“Faccio da sola!” e gliela colpii.
Quando fui in piedi, serrai la bocca per dominare l’istinto di avventarmi contro di lui e morderlo. Ero stata troppo buona e quindi punita.
“Allora signorina Hale? Pensa ancora di avere a che fare con un moccioso?”.
Ero furibonda. Non gli risposi immediatamente perché altrimenti non sarei riuscita ad evitare di ucciderlo. Come aveva osato quel sudicio cane?!
Quando ripresi nuovamente la padronanza di me, sibilai:“Non osare mai più! Mi hai sentito?”.
Non riuscivo a togliergli quella stupida smorfia dalla faccia.
“Non ti avvicinare! Stai lontano per il resto della tua vita, altrimenti non ci sarà nessun patto a salvarti. E questa è una promessa!”.
Alzò le spalle, affatto colpito. “Come vuole, altezza. Non mi avvicinerò più, contenta? Tanto sarà lei a farlo…”.
Sgranai gli occhi perché avevo capito a cosa stava alludendo. Mi portai la mano alla bocca e iniziai a ridere sinceramente divertita. “Sai, sapevo che eri un bamboccio arrogante, ma non pensavo che fossi anche pazzo! Mi dispiace deluderti ma non avrai più l’onore di arrivare tanto vicino a me, a meno che tu non voglia morire… Anzi, spero che tu lo faccia, così avrò la scusa per eliminarti!”.
“Vedremo chi ha ragione, bionda…”.
La sua ostentata sicurezza mi fece andare su tutte le furie.
“I miei ossequi, altezza” disse, accennando un inchino. Se ne andò, lasciandomi lì, immobile per la rabbia. Non potevo credere a quello che era appena accaduto. Come aveva osato “toccarmi”? Un essere così banalmente inferiore mi aveva baciato e oltretutto si era anche convinto che mi fosse piaciuto! Avrei tanto voluto rincorrerlo e ucciderlo, solamente per l’impertinenza della sua affermazione. Ma, maledizione, non potevo. Non adesso almeno.
Inspirai a fondo, come se avessi potuto farlo davvero, come se fossi umana, ma lo facevo sempre quando ero agitata. Dopo un paio di volte, l’effetto tranquillizzante mi avvolse, ma avvertii anche quella puzza nauseante. Mi portai il braccio al naso. Ero io che la emanavo. Ce l’avevo dappertutto. Mi ero impregnata del suo odore. Corsi via, veloce come il vento. Dovevo assolutamente farmi una doccia. Raggiunsi casa mia in due minuti ed entrai come una furia. Avrei raggiunto la camera con la medesima velocità se Emmett non mi avesse fermato. “Amore, dove sei stata?” mi domandò preoccupato.
“In giro… niente di che”.
Si portò una mano al naso, disgustato. “Rose, ma che diavolo hai fatto? Puzzi di cane!” esclamò.
“Ho avuto una scaramuccia con Jacob” minimizzai.
“Con Jake?” intervenne Bella. Solo allora mi accorsi che c’era anche lei ed era seduta con Edward ed Alice sul divano. Era tesa, forse preoccupata che avessi fatto del male al suo prezioso amichetto. Decisi di essere conciliante e tranquillizzarla.
“Non ti preoccupare è ancora tutto intero. Ma non lo resterà a lungo…”.
Edward mi fissò pensieroso, poi sul suo viso comparve una smorfia. Iniziò a ridere. A ridere come mai l’avevo visto fare da quando lo conoscevo. Tutti lo guardarono attoniti, evidentemente altrettanto sorpresi. Ma io sapevo perché stava ridendo.
“Smettila!” esclamai infuriata. Ma lui continuò. Avrei voluto uccidere anche lui, insieme a quel cagnaccio. Mi avvicinai:“Lo trovi tanto divertente?”.
“Sì” rispose. “E’ estremamente divertente. Quel ragazzino è davvero una bomba a orologeria: una ne fa e cento ne pensa!”.
Sbuffai. Bene, adesso anche mio fratello si prendeva gioco di me.
“Cosa è successo?” chiese Emmett.
Lo guardai incerta. Istintivamente pensai di dirglielo così lo avrebbe ammazzato subito, però, in questo modo, avrebbe tolto a me la soddisfazione di farlo con le mie mani. Non ultimo c’era il fatto che sarebbe stato troppo umiliante dover raccontare che mi aveva sconfitto, anche se il merito era di quel maledetto ramo.
“Niente. Lascia perdere. Vado a farmi una doccia”.
Raggiunsi in fretta la camera, mi spogliai velocemente gettando i vestiti a terra, ed entrai nella doccia. Mi lavai due volte col bagno schiuma, strofinando vigorosamente fino a che non sentii solamente il profumo del sapone. Poi passai ai capelli, che puzzavano altrettanto. Completata anche quell’operazione, arrivò la parte peggiore. La bocca. Passai talmente tante volte il sapone che se fossi stata umana sicuramente avrei visto sgorgare sangue. E lo stesso feci con la lingua.
Quando finalmente non sentii il benché minimo aroma, uscii dalla doccia. Ero furiosa. No, non mi importava un bel niente di quel patto, e mi dispiaceva enormemente per Desirèe, ma dovevo ucciderlo. L’avrei difesa io, senza il consenso di Tanya. Non potevo permettere che Jacob continuasse a respirare e soprattutto che andasse a vantarsi con i suoi compagni della bella impresa di stasera. Aveva voluto umiliarmi e ora ne avrebbe sopportato le conseguenze.
Mi asciugai e uscii in biancheria intima in camera. Guardai i vestiti a terra. Li avrei bruciati: non li avrei indossati mai più. Mi sedetti davanti allo specchio per pettinarmi.
Quella giornata l’avrei archiviata negli annali come una delle peggiori della mia vita, seconda soltanto a quella in cui ero stata… La spazzola si impigliò in un nodo. Non ebbi la forza di districarlo e l’appoggiai sul comodino.
Non potevo assolutamente paragonare ciò che aveva fatto Jacob a quello che era successo ottant’anni fa ed ero ben lontana dal farlo. Questa era stata solamente una bambinata. Nessuna conseguenza per me, a parte il fatto di farmi infuriare a morte, solo per lui, perché l’avrei ucciso, esattamente come era successo a Royce dopo quella notte. Ma a parte il gesto in sé, c’era stata un’altra cosa che le differenziava profondamente: il mio comportamento.
Mi accarezzai le labbra. Mi sembrò di avvertire ancora la sensazione di calore.
Cretina. Ero stata davvero una cretina. Che diavolo mi era passato per la testa? Non avrei mai dovuto. Avevo sbagliato.

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Capitolo 24
*** Parola d'ordine: uccidere Jacob! ***


Continuai a guardarmi allo specchio, ponendomi delle domande a cui la mia immagine riflessa doveva darmi una risposta. Ma per quanto la interrogassi, non riuscivo a ottenere nulla di ciò che avevo bisogno di sentire.
Avevo commesso un’azione spregevole. Non soltanto per me, ma soprattutto per Emmett. Se glielo avessi confidato, mi avrebbe detestato, e non avrei saputo dargli torto. Io stessa mi stavo odiando per quello che era successo poco fa. Non volevo nascondermi dietro false ipocrisie: avevo ricambiato il suo bacio. Un gesto che era nato come una sopraffazione, era diventato un invito. Ora, a mente fredda, non comprendevo che cosa mi avesse spinto in quel momento. Quando mi aveva tolto le mani dalle braccia, avrei potuto respingerlo facilmente, e invece non l’avevo fatto. Ero rimasta inerte, come una bambola.
Era bollente. Il calore che emanava mi aveva riscaldato. Per un attimo non avevo più avvertito il gelo del mio corpo, come se fossi tornata umana, come se la mia trasformazione non fosse mai avvenuta. Tuttavia questo non poteva essere una giustificazione al mio comportamento. Baciare Jacob aveva significato tradire me stessa e tutti i sentimenti che provavo per lui. Come se tutto l’odio che avevo sempre nutrito si fosse estinto di colpo. Ma era stato proprio quest’ultimo a portarci a quella situazione. Quel sacco di pulci aveva semplicemente voluto umiliarmi, farmi sentire inferiore e io, stupidamente, l’avevo anche esaltato. Adesso credeva che io non avrei desiderato altro che ripeterlo. Cosa assurda e assolutamente impensabile. Mi stavo odiando mortalmente, solamente per la soddisfazione di cui lui adesso si stava pascendo. Il solo pensiero mi avrebbe indotto a correre fino a La Push per ucciderlo e se lo avessi eliminato, avrei anche soppresso il mio senso di colpa: sarebbe stato come se non fosse successo niente.
Tutto questo non faceva altro che accrescere il mio rancore verso di lui. Il suo comportamento era stato spregevole. Si era approfittato della situazione, e ora dovevo vendicarmi in qualche modo. Ero stata una stupida a non farlo subito, soltanto per un insensato senso del dovere nei confronti di Carlisle e Desirèe. Ma dovevo assolutamente recuperare l’occasione perduta. Non mi importava più se avrei scatenato una guerra con il branco. Almeno la mia sete di vendetta sarebbe stata placata.
Continuai a fissarmi allo specchio. E nonostante la mia rabbia crescesse ogni secondo che passava, sempre quella maledetta domanda mi ronzava nella testa: perché non l’avevo allontanato quando ne avevo avuto l’opportunità? Era stata semplicemente una ripicca da parte di un bambino stupido e immaturo, ma il modo in cui mi aveva guardato poco prima di posare le labbra sulle mie, come mi aveva abbracciato, mi aveva fatto sentire desiderata come mi era successo poche volte nel corso della vita. E, inutile dirlo, mi aveva dato soddisfazione, nonostante fosse stato lui a provocare in me tale reazione. Questa era nata certamente dalla mia insensata bramosia di essere considerata la più sensuale fra tutte le donne.
Non avevo mai avuto bisogno di conferme. Tutti avevano sempre affermato che io ero la più bella ragazza che avessero mai incontrato. E non si trattava solo complimenti di cortesia: lo ero davvero. Ma tanta avvenenza mi avrebbe mai portato la felicità? Ne ero sempre stata persuasa fino al giorno in cui morii, ma ora sapevo che si era trattata di un’arma a doppio taglio. Se fossi stata meno appariscente, probabilmente non sarei stata trasformata. Avrei avuto la mia vita normale e sarei morta come qualsiasi essere umano. Invece ero ancora qui a pormi stupide domande sul perché non avevo respinto un licantropo. Mi sfiorai le labbra. Non era mai accaduto che qualcuno mi avesse baciato contro la mia volontà.
Una nube offuscò la mia convinzione. I miei occhi color topazio diventarono lucidi.
Una volta era successo. Quella maledetta sera. La mia immagine riflessa ne sarebbe rimasta un eterno ricordo. Il mio viso si era bloccato a quel momento e mi avrebbe rammentato per sempre ciò che tentavo di rinnegare con tutte le forze.
Distolsi lo sguardo dallo specchio, cercando di scacciare quel tremendo senso di oppressione. E ci riuscii. Ricominciai a pensare a come uccidere Jacob: non avevo mai immaginato che quel cagnaccio mi avrebbe aiutato a scappare da me stessa. Mi sfuggì persino un sorriso.
Ripresi a pettinarmi i capelli. Erano morbidi, così lucenti. Mi piaceva accarezzarli e passare le mani fra le ciocche. Mi rilassava e mi faceva sentire serena.
“Hai davvero dei bellissimi capelli, Rosalie”: questa frase sprezzante mi rimbombò nel cervello.
No. Scossi testardamente la testa. L’avevo scacciato poc’anzi. Non poteva essere ritornato. Mi tappai le orecchie con le mani per cercare di zittire quella voce. Chiusi gli occhi e un silenzio rassicurante inondò la mia mente. Dopo pochi istanti tornò ad ossessionarmi.
Anche quella sera, lui aveva passato le mani fra i miei capelli, mi aveva baciato con la forza e si era fatto beffe di me. Ma non si era fermato solo a quello. Non potevo dimenticarlo e mai sarebbe accaduto. Sentii nuovamente quelle fitte lancinanti al ventre. Le stesse fitte che sentivo da quella sera ogni volta che ci pensavo. Mi piegai su me stessa, come se non riuscissi a respirare. Appoggiai le mani, come per alleviare la sofferenza. Ma fu inutile. Il dolore pareva spaccarmi in due. Avrei quasi voluto piangere, ma mi sforzai di non farlo. Sapevo benissimo che era soltanto una mia fantasia.
Quando il dolore scomparve, mi passai le mani sul volto sconcertato e le fissai.
Quella sera erano sporche di sangue. Del mio sangue. Anche i vestiti ne erano impregnati. Ricordai il ribrezzo per quell’orribile visione, la puzza forte e penetrante che mi aveva avvolto. L’avevo sentita ovunque, insieme al dolore.
Quella sera fu l’unica volta in cui maledii la mia bellezza. Se fossi stata più banale, probabilmente non mi sarebbe successo niente. O forse sì, perché non erano stati dei semplici ragazzi di passaggio a farmi questo, ma il mio futuro marito coi suoi amichetti. Lui, quello che avrebbe dovuto amarmi più di se stesso. Ma io non l’avevo mai amato e evidentemente la cosa era stata reciproca. Ero morta cullandomi nell’illusione che anch’io avrei avuto la vita che sognavo come Vera, la mia migliore amica. Lei che si era sposata con un ragazzo di ceto più basso del suo, ma, nonostante questo, era felice. Quando ero uscita da casa sua quella sera, avevo sentito un senso di spossatezza, come se avessi già intuito che la mia scelta fosse sbagliata. Ma, ripensandoci, non avevo mai avuto una scelta. I miei genitori avevano deciso per me e io mi ero adeguata, lusingata dalla vita ricca di beni materiali che avrei avuto, al contrario di lei.
E invece era stato tutto un colossale sbaglio, e me n’ero accorta troppo tardi. In quel momento. Tutto aveva avuto un senso solo allora. Avevo visto tutta la mia frivolezza e avidità, e fu mia la colpa di quello che successe.
Quando casualmente li incontrai, erano ubriachi e io troppo provocante, secondo loro, per resistere. La trasformazione non aveva avuto pietà nemmeno in questo: tutto era rimasto scolpito nella memoria. Con selvaggia veemenza mi avevano buttato a terra. Avevo provato a scappare ma mi avevano afferrato per i capelli, proprio quei bellissimi capelli decantati da tutti, anche da lui. In un attimo me li ero ritrovati addosso. Li pregai di lasciarmi andare, ma non ebbero alcuna indulgenza. Quello che successe dopo fu qualcosa di infernale. Ricordavo ogni singolo istante: i vestiti lacerati, gli schiaffi per farmi stare ferma, le risate di scherno. L’aria si era riempita di urla e lacrime, ma niente li aveva fermati.
Il terrore si trasformò nella consapevolezza che la tortura sarebbe continuata a lungo. Si stavano divertendo un mondo mentre il giocattolino tentava di reagire ogni volta che sentiva le loro mani sul suo corpo. Infine mi rassegnai mentre il dolore e gli spasimi quando li sentivo dentro di me mi toglievano pian piano il respiro. E fu allora che chiusi gli occhi e iniziai a pregare che finissero in fretta oppure che Dio mi prendesse al suo fianco.
Poi improvvisamente non sentii più niente. Socchiusi le palpebre. Ero sola. Cercai stancamente di rialzarmi e fu allora che vidi le mani, le gambe e parte del ventre coperti di sangue. Non avevo nemmeno più forze e poi perché darsi disturbo? Ormai ero finita. Crollai di nuovo a terra e fissai la luna che splendeva. Ero immersa nella neve e sentivo il gelo togliere pian piano sensibilità a ogni parte del corpo. Mi girai su un fianco e mi ranicchiai. Non lo feci per tentare di scaldarmi e quindi sopravvivere, ma solo per proteggere ciò che restava del mio orgoglio e della mia ingenuità. Di nuovo chiusi gli occhi, invocando che qualche angelo dal cielo mi portasse via e mi lavasse da tutto quel sudiciume. Quell’angelo arrivò sotto forma di vampiro e fece ciò che io non volevo.
Avrei desiderato solo morire, ma Carlisle mi salvò. Avrei dovuto essergliene grata, ma una parte di me lo odiava a morte. Io volevo spirare e non portare più questo fardello: sentire il dolore dentro di me e contemporaneamente fare finta di aver superato tutto, soltanto per evitare la telepatia di Edward e non far intuire agli altri quanto invece ne soffrissi ancora. Era tutto dentro il mio cuore, ma annegato in un oceano di banalità per nasconderlo a tutti, anche a me stessa. Ma a volte, come in questo momento, riemergeva, e non potevo ignorare che quella ferita fosse ancora aperta e che mai si sarebbe rimarginata.
Avevano distrutto la mia esistenza, i miei sogni. La vita mi era stata ridata da Carlisle ma a che prezzo. Il prezzo di passare ogni attimo come una condanna. Se mi avessero ucciso, sarebbe stata una benedizione. Invece avevano voluto privarmi di tutto.
Quella violenza non l’avrei mai dimenticata. Avrei solo potuto fare finta che non fosse mai successa, come avevo fatto negli ultimi ottant’anni. Tutto per far credere che Rosalie Hale non si facesse abbattere da niente e nessuno e che tutto la accarezzasse come acqua. Una ragazza forte che non conosceva sofferenza né punti deboli. Adesso dovevo solo convincermi nuovamente di questo. Ce l’avrei fatta, come sempre. Non gli avrei mai dato la soddisfazione di distruggermi, perché nulla poteva scalfirmi. Nulla. E continuai a ripetermi queste parole all’infinito fino a suggestionarmi. Ma per quanto tempo sarebbe durato prima che quel pensiero bussasse di nuovo?
Poi udii un lieve tocco sulla porta.  
Sollevai velocemente il viso dalle mani. Alice entrò in camera. Aveva un’aria serena e il suo tranquillizzante sorriso dipinto sulle labbra.
“Ti disturbo?” domandò.
“No, affatto”.
Si avvicinò e l’inquietudine ombreggiò i suoi occhi. “Cosa è successo, Rose? Hai una strana espressione e non mi piace affatto”.
“Niente…” sospirai. Poi un fulmine illuminò la mia mente. “Dov’è Edward?” domandai allarmata.
“E’ uscito poco dopo il tuo arrivo. Ha accompagnato Bella a casa e resterà con lei tutta la notte, come al solito. Perché?”.
“Curiosità”.
Mi fissò. “Non volevi che sentisse i tuoi pensieri, non è così?”.
Alice certe volte era troppo intuitiva. Non riuscivo ad ingannarla facilmente. “Qualcosa di grave? A giudicare dalla faccia si direbbe di sì…”.
“No. Stupidaggini. E’ per questo che non volevo ascoltasse. Ha già un’opinione troppo infima di me…”.
Continuò a guardarmi perplessa. Non l’avevo convinta. Ma non volevo parlargliene, come non volevo che Edward avesse sentito, altrimenti entrambi avrebbero frainteso. Io non ci pensavo più. Il fatto che in quel momento mi fosse tornato in mente, non voleva dire che ancora lo ricordassi o, peggio, ci stessi male. L’avevo cancellato definitivamente.
“Come vuoi” mi accontentò. “Piuttosto, sono venuta per quello che è successo con Jacob”.
Sgranai gli occhi.
“Allora? Eri molto agitata prima e il fatto che Edward si sia messo a ridere in quella maniera mi ha fatto preoccupare. Inoltre pochi minuti fa hai preso una decisione: vuoi ucciderlo. Qual è il motivo?” mi domandò.
“Niente di che. L’ho detto prima. Abbiamo avuto una scaramuccia e basta. Il fatto che lo voglia uccidere non è una novità. Sai che l’ho sempre odiato” minimizzai.
“Sì, è vero, però non avevi mai preso la decisione. Vuol dire che è successo qualcosa di grave. Che diavolo ha combinato stavolta?”.
“E va bene” sbuffai. “Ero arrivata molto vicina al confine con La Push, senza accorgermene. E lui mi ha trovato lì. Come al solito, ha iniziato a stuzzicarmi, ma io non avrei risposto, se non me lo fossi ritrovato addosso. Da lì è partita una piccola rissa…”.
“Una rissa?! Ma si è trasformato?”.
“No. E’ rimasto umano”.
“Beh, allora non voleva farti del male…”.
“Fondamentalmente neanche io, altrimenti ti posso assicurare che sarei andata molto più pesante. E’ stato semplicemente un giochino”.
“E com’è andato a finire il giochino?” chiese divertita.
“Ho perso” risposi a malincuore.
“Hai perso?! Non ci posso credere! Ti sei fatta battere da un licantropo e, per giunta, nemmeno trasformato?! Rosalie, mi meraviglio di te. Ti sei rimbambita?!” rise.
Misi il broncio. “Ti ho detto che era un giochino e comunque ho perso semplicemente per un colpo di sfortuna. Se quel maledetto ramo non avesse ceduto, avrei vinto io”.
“Che ramo?”.
Le raccontai sommariamente del nostro piccolo combattimento e anche lei alla fine convenne che si era trattato solo di scalogna.
“E sei così arrabbiata con lui per una sconfitta che tu stessa ammetti essere frutto del caso?! Non credo. Cos’è successo dopo? Te lo sei ritrovato sulle gambe e poi…”.
Mi morsi il labbro inferiore. Non avrei dovuto raccontarle questa storia. Adesso mi vedevo costretta a ultimarla. “Mi ha baciato” dissi tutto d’un fiato.
Alice aggrottò la fronte e si sedette sul bordo del letto, sconcertata. Il suo sguardo rimase per qualche secondo fisso nel vuoto, poi le scappò una risatina. “Non ci posso credere” esclamò.
“Non dirmi che anche tu ti metti a ridere perché se lo devi fare, allora, per favore, esci dalla camera”.
Tornò seria. “Non sto ridendo. Sono semplicemente stupefatta. Non credevo che mai in vita mia avrei sentito una cosa del genere raccontata da te”.
“Beh, neanche io lo credevo. Ti posso assicurare che è stato un incubo. Non riuscivo a scrollarmelo via e così ho dovuto patire in attesa che si allontanasse di sua volontà. E’ stato orribile” mi sfogai, appoggiando una mano sulla fronte.
“Posso immaginarlo. Capisco perché sei così arrabbiata e hai assolutamente ragione. Ma che cavolo gli è saltato in mente? E’ ammattito!”.
“Io devo ucciderlo, Alice. Non posso fargliela passare liscia” sibilai, trattenendo a stento la rabbia.
“Sì, certo, posso comprendere, ma…” tentennò. “Ucciderlo per questo motivo sarebbe assurdo”.
“Cosa intendi dire?”.
“Se lo uccidi, scatenerai una guerra col branco. Ne sei consapevole, no? E un bacio rubato non è propriamente una motivazione valida. Saresti dalla parte del torto”.
“Dalla parte del torto?! E allora quando sarò dalla parte della ragione? Quando lui ammazzerà me?” mi infuriai.
“Non ti ucciderà. E il fatto che non si sia trasformato ne è la prova”.
“E allora, cosa vuol dire? Che devo lasciargli fare tutto quello che vuole, perché tanto non mi ucciderà?!”.
“Oh, andiamo!” disse, cercando di smorzare la tensione. “E’ stato soltanto un innocuo bacetto, spregevole e irritante certo, ma solo un bacetto. Non ti ha mica…” e si fermò di colpo.
Le diedi le spalle. Avevo capito perfettamente cosa intendeva dire e non mi piacque affatto. Sentii un dolore nel petto, come se mi ci avessero infilato un coltello. Cercai di soffocarlo, di fare finta di non averlo sentito.
“Scusami, Rose, non intendevo… Mi dispiace” disse mortificata.
Buttai giù il groppo in gola e mi voltai nuovamente verso di lei, accennando uno dei sorrisi più falsi della mia vita. “Non ti preoccupare. Non è un problema. Non lo è più da tempo”.
Tacque a lungo, come se si sentisse a disagio e aspettasse un mio cenno per continuare la conversazione da dove era stata interrotta.
“Bacetto o meno, io lo ammazzerò. E nessuno potrà fermarmi” ripresi.
“Se hai un po’ di pazienza, lo faranno i Volturi al posto tuo”.
“No, voglio farlo io, altrimenti non mi sarò vendicata!”.
Alice non rispose: sembrava assorta nei suoi pensieri. Poi finalmente affermò:“Per farlo devi trovare una motivazione valida, così saresti giustificata ed eviteresti la rottura del patto”.
“E quale sarebbe?”.
“Non so” alzò le spalle. “Dovresti aizzarlo, in modo tale da farti attaccare. Ma dovrebbe accadere in maniera molto violenta, così potresti ucciderlo per legittima difesa. Però se devo essere sincera, è un ragazzino irruente, ma non mi sembra idiota. Credo che sarà molto difficile farlo arrivare a questo punto”.
“Non ho idea di cosa potrei fare per aizzarlo. Lui con me ci riesce benissimo, ma non è detto il contrario…”.
“Senti, lascia perdere. Non ne vale la pena. L’ha fatto per farti infuriare e ci è riuscito. Punto. Combattere non è il caso, anche perché se lo provochi davvero, potrebbe finire male”.
“Stai forse insinuando che perderei?” replicai offesa.
“No, non dico questo. Dico semplicemente che è inutile rischiare la vita per una cosa tanto banale”.
Stavo per risponderle a tono, quando chiarì il suo pensiero:“Non è banale, lo so. Se fosse successo a me, anch’io sarei infuriata, però adesso non si può intraprendere una guerra. Né tanto meno una battaglia con lui. Potrebbe rivelarsi utile…”.
“Utile? Quel cane pulcioso?! Difenderò io Desirèe al suo posto”.
“Sai che non sono d’accordo, comunque, più si è, meglio è”.
“Uffa. E va bene aspetterò la fine di tutto questo. E se sopravviverà, sarò io a porre fine ai suoi giorni. D’accordo?” sorrisi soddisfatta.
Alice rise. “Quando ti ficchi in testa una cosa, sei terribile! Mi piacerebbe essere ancora viva per vedere mentre lo fai fuori!”.
“Spero che tu lo sia” dissi seria.
“Lo sarò, Rose” mi rassicurò. “Ce la faremo. Come è già successo…”.
“Vorrei crederci. Ma questa volta non sarà così. Spero soltanto che qualcuno si salvi…”.
“Sei proprio convinta di voler sostenere Tanya? Nessuno ti obbliga”.
“Il mio affetto per lei e Desirèe mi obbliga, come il vostro a difendere Bella. Comunque, siete voi quelli più in pericolo. Sanno dov’è Bella ma Desirèe per il momento no. Finché non la trovano, lei è molto più al sicuro della tua futura cognata”.
“Stavolta hai ragione. A ogni modo alla fine io sopravviverò perché…”.
“Perché?”.
“Perché voglio vederti uccidere Jacob!” rise divertita.
“Non vedo l’ora che venga quel momento!”.
Quando terminò di ridere, mi fissò a lungo. “Cosa c’è?” chiesi.
“Sai, da quando hai conosciuto il branco, e Jacob in particolare, sapevo che prima o poi saremmo arrivati a questo punto. Tu odi troppo quella razza”.
“Sono puzzolenti, insolenti, arroganti e presuntuosi. Sono insopportabili e la loro presenza su questa terra è inutile. Non capisco perché siano stati creati”.
“Questa è soltanto la descrizione di Jacob. Non sai come siano gli altri… Non puoi dare giudizi su persone che non conosci soltanto perché diversi da te. Stai facendo con loro la stessa cosa che hai fatto con Bella”.
“Non è vero” risposi infastidita. “Con lei il discorso è differente. In ogni caso non capisco perché tu li difenda”.
“Semplicemente perché non li conosco. Sono diversi da noi, ma ritengo che si potrebbe convivere tranquillamente, anche senza il patto”.
“No” esclamai risoluta. “Non si può convivere. E poi loro sono i primi che ci odiano. Ci attaccherebbero subito, se potessero”.
“Non lo credo. Sam mi sembra una persona coscienziosa. Non scatenerebbe una guerra con noi, senza valide motivazioni. E fra queste non è incluso un bacetto innocente”.
Mi alzai di scatto. “Perché diavolo continui a dire che sia una motivazione stupida?! Per me non lo è! Sembra che lui possa fare tutto quello che vuole, mentre io devo sopportare. Sono stanca. Non fa altro che provocarmi. Lo fa perché vuole la guerra, e sa che con me può scatenarla facilmente”.
Scosse ostinatamente la testa. “Non è così. Non lo conosco, ma non credo che sia pazzo. Una guerra adesso sarebbe controproducente e lo sa anche lui. Però su una cosa ti dò ragione: lo fa apposta, ma, secondo me, vuole soltanto combattere. Niente di più. Poi sto cominciando a nutrire dei dubbi anche sul vostro odio reciproco…”.
“Ma che stai dicendo? Come ti permetti di dire una cosa del genere? Io lo odio e mi sembra abbastanza chiaro!” affermai duramente.
“Non sto dicendo che non lo odi, anzi. Piuttosto è il contrario su cui nutro dei dubbi”.
La osservai incuriosita. “Non mi sembra molto logico baciare una persona che odi alla follia, soltanto per farla infuriare. C’erano altri mille modi diversi per farlo. Perché scegliere proprio questo?”.
“Non lo so” alzai le mani al cielo. “Perché è contorto?! Oppure sapeva che questo era il modo più sicuro per farmi arrabbiare. E torniamo al discorso originario: lui vuole la guerra, Alice!”.
Arricciò le labbra, poco convinta poi esclamò:“Mi sembra strano ugualmente. Se l’ha fatto davvero per questo, allora fai bene ad ammazzarlo! Ma un bacetto non mi sembra abbastanza…”.
Sbuffai pesantemente. “Insomma, vuoi smetterla di chiamarlo bacetto innocente?!” dissi piccata.
“E come lo dovrei chiamare? In fondo ti ha solo sfiorato le labbra. Non può aver fatto niente di più, senza la tua partecipazione”.
“Mi ha toccata e questo è più che sufficiente” risposi prontamente. Neanche a lei potevo dire che cosa era successo dopo. Chissà cosa avrebbe pensato, salvo poi lanciarsi in una delle sue strampalate teorie sul fatto che non lo odiavo davvero. E questo non l’avrei sopportato, perché se c’era qualcosa di  certo, era il mio rancore per lui. “Senti, basta parlare di quel cane perché non ne posso più. Piuttosto” dissi, tornando a sedermi davanti allo specchio “stavo pensando una cosa”. Mi alzai i capelli fino alle spalle. “Cosa ne pensi?” domandai.
“Di cosa?”.
“Stavo pensando di tagliarmeli. Di farmi la frangia e il caschetto. Un caschetto alle spalle…” le dissi sorridendo, aspettando un suo felice cenno di conferma. Che però non arrivò. Mi fissò scettica.
“Non ti piace come idea? Pensi che starei male?”.
“No, non è questo. E’ che hai dei capelli bellissimi. Sono così luminosi! E boccoli perfetti. Non capisco perché tagliarli”.
“Perché sono stanca. A parte il fatto dei boccoli, credi che starei male?” insistetti.
“Ma no, Rose. Tu sei talmente bella che staresti bene con qualsiasi pettinatura. Quello che voglio dire è che devi essere assolutamente sicura della tua scelta, perché sai che una volta tagliati non ricresceranno più…”.
Lasciai cadere i capelli sulle spalle, delusa e prostrata.
“E’ vero” ammisi, sconsolata. Alice notò la mia frustrazione. “Ma” iniziò, sollevando alcune ciocche “guarda, che belle pettinature si possono fare. I capelli lunghi danno più possibilità. E poi li puoi anche stirare…”. Abbassai lo sguardo.
“Senti, se vuoi cambiare, puoi sempre tingerli con un riflessante, così dopo un po’ di lavaggi torneranno come adesso. Non ci saranno problemi. Che ne dici?” esclamò.
“Certo, si potrebbe provare” sorrisi forzatamente.
“Bene! Allora possiamo andare a prenderne uno nei prossimi giorni, ok?”. Annuii. Poi Alice si scusò e si avviò verso la porta: Jasper l’aveva chiamata. Poco prima di varcare la soglia, mi guardò maliziosa. “Hai proprio deciso di lasciare Emmett a digiuno stanotte?” domandò.
“Certo” risposi decisa. “Ha fatto una scelta e ora ne sopporterà le conseguenze”.
Quando Alice se ne andò, rimasi a guardarmi allo specchio. I miei capelli, una volta tagliati, non sarebbero più cresciuti. Erano bloccati nel loro sviluppo e come tali non potevo toccarli, né mutarne la pettinatura. Io non ero umana, ma soltanto un essere che si spacciava per vivente, ma non aveva nessuna caratteristica per definirsi tale. I miei occhi si inumidirono. Perché non ero come tutte le altre persone che camminavano su questo pianeta? Non respiravo, non mangiavo, non dormivo e… i miei capelli non crescevano. Sembrava un’inezia, ma per me era davvero importante. Non perché considerassi la mia chioma fondamentale, nonostante l’enorme quantità di ore che passavo allo specchio, ma semplicemente perché era un sintomo della mia diversità. E tutto per colpa di quella maledetta notte.
Mi alzai come una furia e iniziai a buttare all’aria tutti i vestiti dentro gli armadi. L’unica cosa che sapeva distrarmi era lo shopping oppure mettere ordine tra i miei vecchi acquisti. Per giunta non avrei nemmeno potuto fare l’amore con mio marito, quindi quella restava la mia sola distrazione. Passai tutta la notte frugando e scartando gli abiti più vecchi di due anni e fuori moda.

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Capitolo 25
*** All'ombra delle nuvole ***


Ehi Seira73 dove sei finita? Sto aspettando ancora il tuo parere sul bacio tra Rosalie e Jacob!!!! ;)




A mattina inoltrata, Carlisle mi chiamò dal piano terra. Guardai l’ora. Mi sembrò strano che non fosse all’ospedale, ma scesi ugualmente. Ritrovai buona parte della famiglia radunata, perfino Bella. Mi fissarono tutti tesi e io non compresi quale fosse la motivazione di quella riunione.
“Lehausle sta arrivando per avere la nostra risposta riguardo alla consegna di Bella” iniziò severamente il capo famiglia.
“E allora?”.
“Penso che sia meglio che quando arrivi non ti trovi”.
“Per quale motivo?”.
“Noi saremo schierati qui e Lehausle capirà che vogliamo difendere Bella. Se dovesse vedere anche te, non vorrei che fraintendesse la tua presenza, e pensasse che vuoi partecipare alla guerra. Per questo è meglio che tu esca e ritorni fra un’oretta…”.
Capii perfettamente cosa intendeva dire e aveva ragione. Feci cenno di sì con la testa. Salii in camera per indossare le scarpe, seguita a poca distanza da Emmett. Osservò attentamente ogni mio movimento, poi quando feci per uscire, mi fermò. “Sono contento che sarai fuori oggi” disse amorevolmente. Non gli risposi. Mi abbracciò, ma rimasi immobile. Ero ancora infuriata con lui dal giorno precedente, e non avevo nessuna intenzione di cedere, nemmeno di fronte alle sue finte preoccupazioni, dato che teneva più a Bella che a me. Quando si allontanò, notò la mia espressione fredda.
“Mi dispiace, amore mio, ma devi cercare di capire…” cercò di giustificarsi.
Alzai una mano per fermarlo. “Non so cosa farmene delle tue scuse. Ora vado e divertitevi con i Volturi”. Non replicò e mi lasciò uscire.
La mia passeggiata all’aria aperta fu quasi piacevole. Mi sarebbe piaciuto che ci fosse stato il sole, ma tanto non avrei potuto assaporarne il calore, a meno che non avessi voluto attirare l’attenzione di ogni essere umano. Solo il corpo di quel dannato cane avevo potuto sfiorare di tiepido.
Mi sedetti sotto un albero, controllando l’orologio. Dovevo restare lì un’oretta. Mi guardai attorno per qualche minuto, poi iniziai a strappare le erbacce che mi circondavano. Ben presto feci il vuoto attorno a me, ma non era un problema. Sarebbero ricresciute, al contrario dei miei capelli, delle mie unghie e delle mie ciglia. Non avevo nessun tipo di ricambio nel corpo. Non ricrescevano, ma nemmeno li perdevo. Presi una ciocca e iniziai a giocarci, poi le fissai una ad una. I miei capelli erano talmente lunghi che avrebbero dovuto avere le doppie punte e invece erano semplicemente perfetti, come ogni parte del mio corpo. Tutte le donne mi invidiavano mentre io mi ero resa conto che invidiavo loro. Cosa me ne facevo di tutta questa perfezione se non avevo un cuore che batteva e l’aria che mi gonfiava il petto? L’altro giorno quando avevo visto Jacob mangiare la torta di Esme, l’avevo invidiato da morire. Come avrei voluto assaggiarla anch’io! Mangiare… Mi ricordavo qualche sensazione al riguardo, ma non era del tutto nitida. Sapevo solo che era piacevole. Come dormire. Sognavo tantissimo quand’ero umana. C’erano gli incubi, ma anche bellissimi sogni e in nessuno di questi era contemplata la vita eterna. Non l’avevo mai cercata e ora mi ritrovavo a possederla senza aver fatto nulla per tentare di ottenerla.
Mi accarezzai il braccio. La pelle era liscia come la seta, ma dura come il marmo. Avrei dato tutto quello che avevo per sentirla nuovamente morbida e tiepida. Mi ranicchiai sulle ginocchia e rimasi in quella posizione per parecchio tempo. Poi improvvisamente una voce richiamò la mia attenzione. Non la misi a fuoco subito. Dovetti alzare il viso per capire a chi apparteneva. Un ragazzo dal sorriso angelico mi stava osservando. Lehausle.
Mi alzai in fretta, a disagio.
“Cosa stai facendo qui?” mi domandò gentilmente.
“Una passeggiata. E tu?”.
“Dovresti sapere da dove torno”.
Non risposi e distolsi lo sguardo. “Non eri a casa. Deduco che tu sia l’unica con un po’ di cervello nella tua famiglia” continuò sarcasticamente.
“Cosa intendi dire?”.
“Ho capito perfettamente perché non eri là. Non vuoi difendere Bella, giusto?”.
“E’ così” ammisi.
“Bene. Messaggio ricevuto. Dirò a Jane che sei la sola che ha capito contro chi si sta mettendo…”.
Si avvicinò. Un velo di paura mi bloccò ma cercai di dominarmi: non doveva accorgersene. Mi prese una mano e la baciò. “Sono contento. Sai, mi sarebbe dispiaciuto molto fare del male a una ragazza deliziosa come te…” disse suadente.
Ritirai bruscamente la mano. “Non è detto che tu non debba farlo” replicai, ritrovando coraggio.
“Hai intenzione di cambiare idea e combattere con la tua famiglia?”.
“Non intendevo dire questo”.
“Beh, Rosalie, ti conviene mantenere la tua posizione altrimenti farai una brutta fine e non credo che riuscirei a impedire a Jane di ucciderti”.
“Non so che farmene della tua pietà. Meglio morire che essere salvata da te!”.
“Non dovresti sdegnare tanto la mia compassione. Sai, morire non è bello, soprattutto pensando a come ti ucciderebbe Jane. Non hai idea di cosa sia il dolore fino a che non la combatti. E presto la tua famiglia lo scoprirà”. Indugiò nel silenzio per qualche attimo, poi continuò:“Verranno sterminati tutti. Ti conviene andartene se vuoi evitare di essere coinvolta, tuo malgrado”.
Sussultai. Lo sapevo che li avrebbero uccisi, ma sentire la prospettiva diventare certezza con questa drammatica solennità fu un colpo al cuore. Avrei voluto ammazzarlo in quel momento, ma da sola non ce l’avrei mai fatta.
“Posso fare qualcosa per evitarlo?” domandai.
“Ci sarebbe una cosa che potrebbe salvarli” esclamò con aria indulgente.
“Quale?”.
“Consegnami Desirèe. Consegnamela e noi risparmieremo la tua famiglia, e chiuderemo un occhio sul comportamento di Bella”.
Esitai poi risposi:“Io non so dove sia. Sul serio”.
“Oh andiamo, non sai dove si nasconda la figlia della tua migliore amica?” affermò ammiccante.
“No, non lo so”.
“Allora dicci dov’è Tanya: ci penseremo noi a farla parlare”.
“Non so nemmeno dove sia lei”.
A Lehausle sfuggì una risata ironica. “E così non sai dove siano nessuna delle due?! Come preferisci. Allora saluta tutti i componenti della tua famiglia perché fra qualche giorno potrai parlare solo sulle loro tombe” concluse con un ghigno agghiacciante.
“Ora torno da Jane a riferire le decisioni della tua famiglia. Ci vediamo presto. Quando resterai sola, se lo vorrai, sarò disponibile a consolarti, mia cara”.
Ero talmente stordita dalle sue parole che non ebbi neanche la prontezza di rispondergli. Ero scioccata e scoraggiata. Non sapevo cosa fare. Consegnare Desirèe era fuori questione. Non l’avrei fatto neanche se avessi saputo dove si trovava.
“Ah Rosalie” richiamò la mia attenzione mentre si stava allontanando. “Ho fatto la stessa proposta anche alla tua famiglia e credo che ci stiano pensando seriamente. Morire per una mezza vampira non è l’aspirazione di nessuno”. Mi sorrise e corse via veloce come il vento, mentre io ero raggelata. L’aveva detto anche agli altri. E ci stavano pensando. No, non poteva essere. Non avrebbero mai consegnato Desirèe, anche perché ignoravano il suo nascondiglio. E comunque, li conoscevo. Non le avrebbero mai fatto una cosa del genere. Nessuno di loro. Nessuno, tranne Edward. Pur di salvare Bella avrebbe fatto quello e anche di peggio. Ma non poteva sapere dov’era. Però, riflettendoci, tramite lei, poteva arrivare a Seth.
Corsi via. Dovevo parlare con Edward per conoscere le sue reali intenzioni. Ero convinta che avrebbe potuto consegnare Desirèe ai Volturi, se ne avesse avuto l’occasione.
Quando fui davanti a casa mia, trovai Emmett seduto sull’ultimo gradino. Quando mi vide, si avventò su di me, abbracciandomi stretta. Non capii il motivo di tanto affetto.
“Che succede?” domandai.
“Niente” si scusò. “ Alice mi ha detto che avresti incontrato Lehausle una volta uscito da qui e mi sono preoccupato da morire. Cosa ti ha detto? Ti ha fatto qualcosa? Ci ha provato?”.
“Ma no!” esclamai. “Non ci ha provato. Mi ha fatto capire che sarebbe molto disponibile nei miei confronti, ma niente di più!”.
Tirò un sospiro di sollievo e mi abbracciò nuovamente. Fui lusingata da tutto questo calore nei miei confronti.
Mi prese sotto braccio e salimmo insieme le scale. Lungo il tragitto ci venne incontro Alice, che sussurrò:“Rose, non è il caso. Non è dell’umore”.
“Devo sapere cosa vuole fare” replicai dura.
“Non ha intenzione di fare nulla”.
“Voglio che sia lui a dirmelo”.
Alice alzò le spalle e ci fece passare. Quando varcai l’uscio, trovai Edward seduto sul divano con Bella tra le braccia. Lei aveva le guance bagnate dalle lacrime: l’incontro con Lehausle doveva averla sconvolta. Mio fratello mi fissò poi si alzò, lasciando Bella accanto a Esme. Aveva uno sguardo teso, turbato dalla discussione appena sostenuta con il segugio dei Volturi, ma anche infuriato per quello che aveva appena letto nella mia mente.
“Allora?” lo incitai.
“Credi che sarei capace di farlo?” mi domandò infastidito.
“Sì” risposi senza indecisioni.
“Sei proprio una stupida”.
“Non hai fatto altro che ripeterlo in questi giorni: consegnare Desirèe pur di salvare Bella. Lehausle vi ha detto quale sarebbe il metodo per salvarla, non è così?” dissi, guardandoli uno ad uno.
“Sì, l’ha detto” ammise Jasper.
“E voi cosa intendete fare?”.
“Niente. Ti pare che potremmo consegnare Desirèe? Ci credi così senza cuore?” interloquì Alice.
“Non lo so. So soltanto che fareste qualsiasi cosa pur di salvare Bella”.
“Sì, ma non questo”.
Mi voltai verso Edward:“E tu?”.
“Credi che lo farei? Credi che consegnerei la figlia di Tanya a loro? Nonostante quello che ho detto in tutti questi giorni, io voglio bene a Tanya e non farei mai niente che le potesse arrecare dolore. E’ vero, sono arrabbiato con Desirèe e Seth per quello che hanno combinato tre giorni fa, ma non la punirei mai a questo modo”.
“Vuoi dire che se sapessi dove si trova, non faresti nulla? Lasceresti Bella in pericolo per la figlia di una quasi parente? Io non credo”.
“L’affetto che nutro per Tanya me lo vieta. E anche il valore che dò alla vita umana”.
Era serio. Sapevo che potevo credere alle sue parole, che potevo fidarmi. Avevo esagerato pensando che sarebbe stato capace di farlo, ma io avevo tanta paura per Desirèe. Temevo che qualcuno le facesse del male, persino mio fratello. L’assurdità era che temevo quasi più per lei che per la mia famiglia. Forse perché speravo che alla fine le minacce dei Volturi fossero solo parole vuote per spaventarci e costringerci a consegnare Desirèe.
“Non stanno scherzando. Fanno sul serio. Vogliono davvero uccidere Bella, però è anche vero che se gli dessimo Desirèe, rinuncerebbero” disse Edward con un tono simile alla carta vetrata.
“…e questo non possiamo farlo” concluse Carlisle.
“Non ci resta altro che combattere e…” esordì Alice.
“E?” domandai.
“Sperare nel branco”.
“Nel branco? Cosa intendete dire?”.
“Bella è un essere umano e come tale andrebbe difesa da loro. Sono passati tre giorni e Jacob non ci ha ancora detto nulla. Non credo abbiano preso decisioni in merito, ma ormai sarà questione di ore oppure minuti”.
Mi sedetti. Sperare nell’intervento del branco mi sembrava una follia. Era sicuramente meglio che combattere da soli, ma non sarebbe servito a granché. Nessuna contromossa sarebbe servita. La mia famiglia sarebbe morta per salvare Bella, parte del branco per Desirèe e io dovevo solo scegliere per chi delle due morire. Ma era una scelta che avevo già fatto. Desirèe.
“Non devi schierarti per forza” disse Edward.
“Ormai ho deciso” ammisi amaramente.
Emmett si inginocchiò davanti a me. “Amore mio, Desirèe non ha bisogno di aiuto. Per ora è salva e non c’è bisogno che tu faccia nulla. Stanne fuori”.
“Non posso. Lei è figlia di Tanya e non m’importa se ha detto che non vuole il mio aiuto. Io glielo darò ugualmente. Devo solo parlare con Seth”.
Mi prese le mani e le strinse forte. “Tesoro, siete in troppo pochi per difendere quella ragazzina. Vi uccideranno sicuramente e io voglio che tu sia al sicuro”.
“E io? A te non interessa quello che voglio io?” chiesi. “Perché tu non stai fuori da tutto questo?! Non c’è alcun bisogno del tuo sacrificio”.
“Noi possiamo vincere, Rose”.
“E come?” urlai, alzandomi in piedi. “Come?”. Poi abbassando il tono, continuai:“Moriremo tutti. Chi per l’una chi per l’altra. Ormai è deciso. Possiamo solo sperare che accada il meno dolorosamente possibile. E sapete una cosa? Non mi interessa. Finalmente avrò quello che ho sempre cercato…”.
“Che stai dicendo?” domandò Esme.
Edward mi fissò meditabondo. Probabilmente per la prima volta nella sua vita non comprendeva quello che passava nella mente di una persona.
“Niente” mi limitai a rispondere. “Piuttosto quando prevedi che attaccheranno?” domandai a mia sorella.
“Jane l’ha appena saputo e non sta facendo programmi per il momento”.
“Non credo che lo faranno a breve” sentenziò Edward. “E soprattutto non verranno da soli”.
“Pensi che prepareranno un esercito?” domandò Jasper.
“L’idea che ronzava nella mente di Lehausle era questa” ammise.
“Sei ancora convinto di vincere, amore mio?” canzonai Emmett.
Non rispose.
Mi alzai dalla sedia e mi diressi verso la porta che dava sul giardino. “Dove vai?” mi domandò mio marito.
“Vado a farmi un giro tra le rose”.
In pochi secondi mi ritrovai a passeggiare fra le aiuole, ormai sfiorite. Mi avvicinai al roseto: troneggiavano su esso pochissimi fiori, di cui per ognuno restavano soltanto alcuni petali. Li osservai minuziosamente. Era arrivato anche per loro il momento: stavano morendo. Ne sfiorai una: era morbida e delicata, tutto ciò che non ero io. Non potevo definirmi essere vivente, al contrario di quella rosa. Aveva un ciclo vitale: una nascita, uno sviluppo e una morte. Respirava, si nutriva, traeva forza da quei pochi raggi di sole che illuminavano Forks e di cui io non potevo godere. Dovevo rassegnarmi: ero un vampiro, la trasformazione era irreversibile. Tutta la mia famiglia sembrava aver accettato la situazione, forse perché la vedeva come una seconda opportunità, oppure perché non avevano ricordi della vita precedente. Io ricordavo ogni singola sensazione. E mi mancavano, anche le più squallide, come dolore, batticuore, ansia. Tutto era ancora parte di me, mentre io non appartenevo più a me stessa. A volte mi chiedevo perché il destino mi avesse lasciato questi ricordi, quando non avrei mai più potuto riviverli. La mia umanità era sparita e con essa ogni remota possibilità di essere felice.
Avrei dovuto ringraziare Carlisle mille e ancora mille volte per ciò che aveva fatto, ma non era così. Non ce l’avevo con lui, ma in questo momento avrei solo voluto essere morta, come tutte le persone che avevo conosciuto durante la mia vita umana.
Misi una mano sul gambo di una rosa: era pieno di spine, com’era naturale che fosse. Appoggiai un dito sopra una di esse e lo spinsi con forza. Avrei dovuto sentire dolore e invece non provai assolutamente nulla. Sarebbe dovuto uscire sangue e invece la spina si ruppe. La mia pelle era talmente dura che anche solo col tocco riuscivo a distruggere una pianta. Mi guardai il dito: perfetto, come sempre. Fui scossa da un accesso di rabbia e strinsi la corolla tra le mani. I petali caddero lentamente a terra. Avevo polverizzato un fiore, ma la prossima primavera sarebbe rifiorito ancora, mentre io sarei rimasta fiorita per l’eternità. Una prospettiva allettante che avrei barattato volentieri. Avrei dato tutto pur di invecchiare, di avere quella morte che sola dà senso alla vita. Ogni cosa mi era negata. Anche una semplice amicizia, al di fuori della specie dei vampiri. Amici umani sarebbero invecchiati, accumulando esperienza di vita dovute all’età mentre io restavo sempre intrappolata in questo universo immobile, senza mutazioni. Quando ero viva mi ero cullata nella mia bellezza pensando che fosse tutto quello a cui aspirava ogni donna e mi pascevo di essere una delle fortunate; ora mi chiedevo che cosa avessi fatto di male per essere punita a questo modo.
Quanto avrei desiderato andare al mare, abbronzarmi, mangiare un gelato, anche soltanto inspirare aria nei polmoni. Tutto scontato e tutto strappato dalle mani.
Erano passati ottant’anni dalla mia morte eppure il dolore non era mai cessato. Ero diventata solo molto brava a nasconderlo a tutti. Nessuno, tranne Edward probabilmente, sapeva quanto avrei voluto riavere la mia umanità. Tutti pensavano che la mia unica pena fosse il non avere figli. Ma questa era solo la punta dell’iceberg. Io volevo essere una persona normale. Solo questo. Spesso mi trovavo a specchiarmi, pregando di vedere una ruga sul mio bel viso, e a chiedermi cosa me ne facevo di questa vita, quando non avevo un cuore che batteva. Essere desiderata da ogni uomo non mi dava niente. Certo, appagava la mia vanità, ma questa spariva quando vedevo il sole affacciarsi da dietro le nuvole e illuminare Forks. Io non potevo restare sotto i suoi raggi. Di tutto quello che era tipico di un essere umano, mi era rimasto solo il pianto. E negli ultimi decenni avevo perso pure quello. Anche se, a rifletterci bene, uno strano fenomeno mi ossessionava occasionalmente.
Negli anni di non-vita infatti mi era accaduto tre o quattro volte che i miei occhi da color dell’ambra fossero tornati blu. In realtà non erano proprio umani: si trattava più che altro di pozzanghere nell’iride che mi costringevano a portare lenti a contatto colorate per nascondere l’inspiegabile evento a semplici spettatori. Carlisle mi aveva fatto fare dozzine di esami medici credendo che fosse l’inizio di un fenomeno di regressione ma gli esiti erano stati tutti negativi: ero morta e basta. Per fortuna questo fenomeno durava qualche mese poi spariva, contribuendo a rinfacciarmi ciò che non ero più.
Passeggiavo e vedevo tutte persone diverse da me. Anzi, ero semplicemente io ad essere diversa. E ciò che mi distruggeva di più era fingere di essere uguale a loro, simulare che non fossero problemi, illudermi che fosse tutto un sogno e che, in fondo, non fossi un essere differente. Ma erano solo pochi secondi perché appena vedevo una persona mangiare, bere o ferirsi, ritornavo alla realtà. Mi voltavo dalla parte opposta e mi chiedevo se la fine di quella agonia sarebbe mai arrivata. Una parte del cuore mi si strappava lentamente ogni volta che attiravo l’attenzione di qualcuno, che, probabilmente, pensava che non potessi volere altro che quello che già possedevo. Ma io non possedevo un bel niente. Forse avrei dovuto rassegnarmi ed accettare la mia condizione. Ma come riuscirci? Non era possibile trasformare un difetto in qualcosa di cui andare fieri. Nessun umano avrebbe mai voluto avere a che fare con me, se avesse saputo cos’ero. Io non ero invogliata dal sangue umano ma non avrebbe fatto differenza. E se gli altri non mi potevano accettare, come avrei potuto farlo io stessa? Ero un cumulo di difetti che comprendevo ma che ignoravo perché mi faceva comodo. Tuttavia prima o poi si fa i conti con se stessi e Dio mi aveva punita sotto forma di Royce. Aveva voluto farmi capire quanto fossi viziata e superficiale: ero stata io stessa la causa della mia morte. Non i miei genitori e nemmeno lui. Io che avevo desiderato un matrimonio che mi avrebbe portato a essere la più invidiata e la più ricca. Aspirazioni futili.
Nessuno mi capiva e io facevo di tutto perché non ci riuscissero. Perfino i membri della mia famiglia mi isolavano.
Alice era la persona che più si avvicinava alla mia sofferenza, ma gliela nascondevo in tutti i modi possibili. Non volevo che intuisse quanto fossi fragile. Dovevo mantenere l’apparenza gelida, mentre invece mi sarebbe tanto piaciuto piangere. Mi ero talmente abituata alla mia freddezza che parlare, confidarmi, esprimere sentimenti era diventato irrealizzabile. E a volte mi chiedevo se ciò che provavo in ogni situazione fosse reale oppure frutto della mia ansia di non concedermi troppo agli altri.
L’unico sentimento certo era che odiavo Bella. La odiavo perché non la comprendevo. Non eravamo troppo diverse, semplicemente davamo valore a cose diverse. Soltanto Edward dava un senso alla sua vita e lo stesso era per me con Emmett, ma, ad essere sincera, se mi fosse stata offerta l’opportunità di tornare umana, barattando la mia storia d’amore con lui, non sapevo cosa avrei scelto. Ma io non potevo scegliere, solo restare all’ombra delle nuvole per l’eternità.
Mi sedetti sulla panchina e appoggiai il viso sulle mani. Dio, com’era fortunata Bella! Quanto avrei voluto essere al suo posto! Se mi fosse stata offerta un’altra chance, non l’avrei certo buttata, come stava facendo lei ora. Se ne sarebbe pentita, era ovvio, a meno che non le fosse toccata la stessa sorte di Alice: non ricordare più nulla della precedente vita da umana.
Guardai le finestre della casa. Mi ricordai improvvisamente che non ero abbastanza lontana perché Edward non sentisse i miei pensieri. Sbuffai. Che andasse al diavolo! Ero stanca di nascondere ogni mia sensazione persino a me stessa. Mi avrebbe compatita certamente, ma non era di lui che mi preoccupavo. Anzi a essere sinceri, non mi interessava più niente di nessuno. Rivolevo solo la mia vita.
Se non fossi tornata sola da casa di Vera… Quante volte mi ero posta questa domanda e ogni volta ricevevo la medesima risposta: avrei continuato a vivere. Vivere nell’illusione che Royce mi amasse, che la mia bellezza fosse tutto e che i soldi mi avrebbero reso felice. Avevo imparato la lezione, ma la morte sembrava non volermi con sé.
Una lacrima mi solcò il viso.
Era tutto ironico. Avrei tanto voluto suicidarmi, ma non potevo neanche fare questo. Avrei dovuto chiedere a qualcuno di uccidermi. Nessuno della mia famiglia lo avrebbe mai fatto, anche se non mi amavano. E i Volturi arrivavano giusto in tempo. Ci avrebbero pensato loro. Finalmente le mie sofferenze avrebbero avuto un termine. Mi dispiaceva tanto per Emmett, ma ero stanca, stremata, da me stessa e dai desideri che coltivavo e che si erano tramutati in una persecuzione.
Mi stavo asciugando le lacrime, quando sentii l’odore di Esme, vicino a me. Mi voltai fuggevolmente per guardarla e farle capire che avevo avvertito la sua presenza.
Camminò fino alla panchina, dove si accomodò. “Rose, cosa succede?” mi domandò amorevole come sempre.
“Niente”.
“Stai piangendo. Per che cosa? Sei preoccupata per Emmett?”.
“Sì”.
“Non ti preoccupare. Troveremo il modo per sistemare ogni cosa. Però non è il solo motivo…”. Non dissi nulla. Non avevo voglia di parlare, certa che nessuno avrebbe capito.
“Che problema c’è?” continuò a domandarmi. “Sai, è da tempo che ti volevo parlare. Sei strana e da prima di questa storia di Desirèe”.
“Emmett ed io stiamo attraversando la nostra solita crisetta, ma ormai direi che la posso dire superata” mi affrettai a chiarire. Volevo sviare la sua attenzione da qualsiasi altra ipotesi. Ma non fu facile.
“E’ da prima. Anzi, a dire il vero, tu hai periodicamente questi atteggiamenti strani, ma adesso sono diventati troppo plateali. Non riesci più a nasconderli, come un tempo”.
“Non capisco di cosa tu stia parlando” dissi gelida.
“Sei sempre stata una ragazza dal carattere scostante, ma mai come adesso. All’inizio non eri così fredda. Lo sei diventata a pochi anni dalla tua trasformazione e non ho mai capito che cosa ti ha fatto cambiare. E’ successo qualcosa di grave? Ti abbiamo irritato in qualche modo? Oppure semplicemente non ti trovi bene con noi? Sai, avrei sempre voluto affrontare con te quest’argomento, ma vedevo quanto ti confidavi con Alice e pensavo che lei ti avrebbe aiutato, ma mi rendo conto che non è così”.
“Te l’ha detto lei? E poi comunque, non mi conoscevi prima. Non sai come fossi”.
Scosse la testa. “E’ vero, ma stai peggiorando, Rose, e non lo dico con cattiveria. Vorrei solo capirti, ma se non dici niente non riesco”.
“Chiedilo a Edward. Dovrebbe sapere tutto di tutti”.
“Sai perfettamente che è molto discreto e non andrebbe mai a raccontare in giro i pensieri degli altri. E poi voglio che sia tu a dirmelo”.
“Non ho niente da dire. Sono semplicemente un po’ giù, sempre per la stessa storia…”.
“Questa storia di Desirèe e Tanya non ci voleva proprio” mi strinse la mano. “Capisco che tu desideri con tutte le tue forze un figlio, ma come vedi non è possibile. Guarda Tanya come si è ridotta per realizzare il suo sogno”.
“Almeno non potrà dire di non averci provato”.
“Rosalie, anch’io, come te, volevo dei figli, ma ho risolto il problema adottandovi. Questa è stata la soluzione. Non nego che ogni tanto ne vorrei uno mio, ma vi sono talmente tanto affezionata che non potrei concepire una vita lontana da voi”.
“E io chi dovrei adottare? Un altro vampiro? Un essere che non cresce, non mangia, non respira!” dissi amaramente. Poi capii di essermi lasciata andare un po’ troppo. Mi fissò enigmatica.
“Non è solo per il figlio, non è così?”.
“Sì, è solo per quello” tagliai corto, distogliendo lo sguardo.
Tacque per qualche minuto, lasciando che l’aria si riempisse di un’inquietudine strisciante, poi riprese. “Sai, mi sono sempre chiesta come hai fatto a superare così velocemente quello che ti è successo. Ogni donna avrebbe faticato molto, mentre tu invece… Sembrava che non ti fosse accaduto niente, che fossi morta di malattia, come Edward” mormorò.
“Io ho superato tutto perfettamente. Non è stata colpa mia e quindi perché avrei dovuto avere dei problemi?!” digrignai i denti.
“Nessuno ha mai detto che sia stata colpa tua. Dico semplicemente che è stata un’esperienza che avrebbe traumatizzato chiunque”.
“Io non sono chiunque. Sono forte, l’hai sempre detto anche tu. Quindi perché salti fuori con questa storia a distanza di ottant’anni?! Non esiste e non esisterà mai alcun problema in merito”.
“D’accordo. Mi sono sbagliata allora”.
“Completamente” confermai.
“E allora a cosa è dovuto? A Bella, vero?”.
Sospirai. “In parte sì, ma non ne voglio parlare. Ormai con Alice ho approfondito l’argomento in lungo e in largo. Basta”.
“Come preferisci…” e fece per alzarsi, ma la trattenni.
“Tu credi che io sia una persona cattiva?” le domandai a bruciapelo.
“No, tesoro, non l’ho mai creduto. Sei solo più introversa degli altri. E hai la pessima abitudine di dire ciò che pensi riguardo a Bella. E non sempre è il caso” ridacchiò.
“Gli altri mi odiano” continuai seria.
“No, non è vero. Nessuno ti odia, anzi ti amano. Il fatto è che sei tu che non vuoi lasciarti amare. Sei talmente chiusa in te stessa che non permetti a nessuno di entrare. Persino Emmett ha delle difficoltà. Perché non lasci che le persone ti capiscano?”.
“Perché mi odierebbero ancora di più” singhiozzai.
“Ti amerebbero ancora di più. Rose” sussurrò, abbracciandomi “sei nascosta da una scorza durissima, ma so che sei dolce come il miele. Non devi fingere di essere qualcosa che non sei. Mostrarsi insicure e fragili non è un difetto”. Quando si allontanò, mi spostò i capelli dal viso. “Ti voglio bene e ci sarò sempre per te. Aspetterò il giorno in cui vorrai confidarti con me e spero che arrivi presto. Anche perché, ti devo rivelare una cosa” e si avvicinò al mio orecchio “Sei la mia preferita!”.
Mi sfuggì una risata. Si alzò dalla panchina e si avvicinò a quello che restava delle sue adorate rose. Le osservò poi disse:“I fiori stanno morendo, ma le piante sono rigogliose”. Poi si voltò verso di me:“Quando cambierà la stagione, ci saranno nuove rose. Bisogna solo essere pazienti”. Abbassai lo sguardo, mentre lei rientrò in casa.
Non ci sarebbero state nuove rose. Mai più. Io ero morta quella notte. Quando pensavo a quei momenti, non riuscivo a trattenere rabbia e contemporaneamente dolore. Tutto mi aveva ferito, sia a livello fisico che mentale, e fatto scoprire lati disgustosi di me stessa.
Mi facevo ribrezzo. La consapevolezza della mia bellezza mi aveva tolto lo sviluppo di qualsiasi altra parte del mio carattere che potesse essere più desiderabile dell’apparenza. Esme aveva ragione: avevo una scorza dura, ma l’avevo creata per evitare che gli altri vedessero il vuoto all’interno. Non c’era niente in me di appetibile. Edward diceva che ero una bambinetta viziata e aveva perfettamente ragione. Lo odiavo semplicemente perché diceva la verità. Anche come vampira non significavo nulla. Non ero stata capace di prendere una posizione con Desirèe, avevo odiato Bella per quello che aveva fatto, quando io avrei fatto lo stesso al posto suo, in un certo senso odiavo anche Alice perché lei era capace di esprimere i suoi sentimenti mentre io non riuscivo a fare nemmeno quello. Ero diventata così fredda per nascondere la sofferenza per la violenza che avevo subito, ma ora, dopo anni di finzione, non riuscivo più a cambiare. E forse era meglio così.
“Dentro di te c’è una piccola poesia. Devi solo riuscire a leggerla. E se non ce la farai da sola, qualcosa o qualcuno potrebbe aiutarti”: questo era quello che mi aveva sussurrato Desirèe quel giorno. Lei leggeva nel cuore e forse mi conosceva più di me. Ma come facevo a trovare qualcosa che non avevo? E se non ce la facevo da sola, chi mi avrebbe aiutato? Soltanto lei poteva farlo e, egoisticamente, forse era per questo che volevo salvarla. Doveva aiutarmi. Se fossi riuscita a trovare quella pace e serenità interiore che mi mancavano da quando ero diventata questo obbrobrio, sarei riuscita ad accettare la mia condizione. Ma per ora non vedevo la fine di questa galleria buia.

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Capitolo 26
*** Come un'umana - prima parte ***


Ecco il nuovo capitolo ma, prima di tutto, BUONA PASQUA!!!!!!




Era trascorsa una settimana da quando la mia famiglia aveva dato la sua risposta all’ultimatum e da allora i Volturi non si erano più fatti vivi. Ogni mia giornata passava nel terrore di sentirli bussare alla porta. Cercavo di non pensarci ma il loro ricordo mi ossessionava.
Alice impiegava ogni minuto frugando nel futuro per prevedere i loro movimenti, ma purtroppo non era facile, essendoci Desirèe di mezzo. L’unica idea che ci eravamo fatti era stata dettata dalla telepatia di Edward: probabilmente stavano allestendo un esercito, anche se io non ne coglievo l’utilità. Potevano tranquillamente sterminare tutta la mia famiglia da soli, senza ricorrere all’aiuto di nessuno. La giustificazione che mi ero data era che avessero avvertito la presenza del branco. La loro scia, per me, era inconfondibile e percepibile a distanza di chilometri, ma era altrettanto vero che Jane e i suoi scagnozzi non erano abituati a riconoscerne l’odore.
Nonostante questo, potevano comunque aver intuito che si trattasse di nemici e forse volevano coprirsi le spalle con una squadra di vampiri Neonati. Se questa era la ragione, la ricerca di Alice nel futuro diventava ancora più problematica: i licantropi, e tutto ciò che li riguardava, erano completamente nascosti alle sue visioni, così come Desirèe.
Jacob, dopo due giorni, aveva contattato Edward e gli aveva detto che il branco avrebbe combattuto per difendere Bella: era loro compito proteggere un essere umano e avrebbero aspettato le mosse dei Volturi, nonché la chiamata di mio fratello, nel caso di un attacco improvviso. Avrei dovuto riferirgli della decisione di Tanya di affiancarli ma ero ancora troppo infuriata con lui per pensare di parlargli civilmente, persino al telefono. E così non avevo ancora contattato Seth, peraltro convinta che i nemici avrebbero tentato di uccidere prima Bella, bersaglio più facilmente raggiungibile di Desirèe. Non c’era bisogno di dire che la mia “cognatina” era sempre più impaurita e oppressa da sensi di colpa: Edward, tutta la mia famiglia, Jacob e il branco avrebbero rischiato la vita per lei. E, per quanto potevo immaginare, sarebbero morti.
Avevo smesso volontariamente di pensarci perché ormai non ce la facevo più. Se avessi seguito le mie emozioni l’avrei uccisa sicuramente ma, per quanto la odiassi, non volevo alienarmi ulteriormente l’affetto dei miei cari.
Chiusi gli occhi, e così sarei rimasta se Emmett non mi avesse abbracciato. Eravamo stesi a letto e io gli davo le spalle. Mi strinse forte e schioccò un bacio sul mio braccio.
“Tutto bene, tesoro?” mi domandò.
Annuii.
Avvertivo un groppo in gola e mi sembrava di scoppiare. Tuttavia il mio silenzio continuò impietoso. 
“Hai paura, Rose?”.
“Sì, tanta” ammisi sconsolata.
“Non devi. Va tutto bene”.
“Per adesso. Ma prima o poi arriveranno e allora sarà la fine”.
“Non è detto. La presenza del branco, non so come, mi rassicura. Come se loro potessero servire a qualcosa. Ma meglio essere in tanti, no?”.
Non condividevo affatto la sua opinione. I licantropi non sarebbero serviti a niente. La perdita di vite sarebbe stata solo più numerosa. Mi chiedevo quel randagio chi avrebbe protetto in caso di attacco contemporaneo. Per lui, Bella era troppo importante per rinunciare al combattimento in sua difesa, ma mi sembrava di aver intuito che l’amicizia per Seth rappresentasse un legame altrettanto forte. E io non sapevo più che posizione prendere. Da una parte la mia famiglia, dall’altra Tanya e sua figlia. Razionalmente avrei dovuto scegliere immediatamente Emmett e gli altri, ma qualcosa mi univa profondamente a Desirèe. Come se lei fosse davvero mia figlia.
“Perché Bella non muore?” domandai ad alta voce. “Se non esistesse, non ci sarebbero questi problemi”.
“Che stai dicendo?!”.
Tacqui, pentita di aver lasciato uscire la mia segreta speranza. Parlavo come un automa, come se non fossi realmente interessata e stessi leggendo un cartellone pubblicitario.
“Rose!” disse Emmett richiamando la mia attenzione. “Che cosa c’è? Perché la odi così? Cosa ti ha fatto?”.
“Niente” dissi con voce piatta.
Appoggiò la mano sulla mia spalla e mi girò dolcemente verso di lui. “Perché…?” mi domandò.
“Le perdonate ogni cosa. Sempre. E questo perché tutti voi la amate, come se fosse parte della famiglia. Io non conto più nulla. Lei ha preso il mio posto nei vostri cuori, compreso il tuo” spiegai amaramente, senza riflettere sulle mie parole.
“Ma che stai dicendo? Io ti amo, Rose, e anche gli altri. Il fatto che siamo affezionati a lei non vuol dire che vogliamo meno bene a te”.
Scossi ostinatamente la testa.
Emmett mi baciò a lungo ma le mie labbra rimasero inerti. Fredde e dure. Si allontanò e mi fissò sconfortato. “Pensi che lei ti abbia strappato il nostro affetto? Non è così. Ti vogliono tutti bene, e io ti amo più di me stesso. Desideriamo soltanto difenderla. Niente di più. Tu sei tutto per me e morirei per renderti felice, ma non ti capisco, non capisco cosa c’è che non va… Non è soltanto per Bella, è chiaro. Qual è il problema?”.
“E’ umana” risposi meccanicamente. Non stavo dando un peso alle mie parole. Rispondevo e basta, senza pensare a ciò che avrei potuto scatenare.
Il mio sguardo era fisso rivolto al soffitto e non mi accorsi come mi guardò Emmett. Ero persa dentro me stessa e non volevo uscire.
Le lacrime iniziarono lentamente a solcarmi le guance. Me le asciugò con le dita.
“Odi Bella perché vuole diventare una di noi, mentre tu vorresti essere umana per avere figli. E’ così, giusto?”.
Feci cenno di no. “Non solo per questo” ammisi.
“Cosa vuol dire? Non sono i figli il problema?” domandò titubante.
“No” singhiozzai. Mi alzai e iniziai a vestirmi. Emmett si sedette sul letto e mi tempestò di domande:“Che succede, Rose? Spiegami…”.
Lo fissai. Forse Esme aveva ragione, forse era giunto il momento di sfogarmi con qualcuno. Avevo sempre pensato che fosse Alice la mia confidente, la persona che mi capiva più di tutti, ma Emmett era il mio compagno, la mia ancora di salvezza e ora poteva essere lui ad aiutarmi.
“Io vorrei essere umana per respirare, mangiare, dormire, ferirmi, invecchiare e invece sono qui, intrappolata dentro questo corpo, condannata all’immortalità. Invidio Bella perché è fatta di carne e sangue, mentre…” mormorai “io no”.
“Da quanto tempo pensi questo?” balbettò.
“Da quando sono stata trasformata” sorrisi. “Sono stata brava, eh? Una splendida attrice. Perfino Edward non se n’è mai accorto”. Presi un fazzoletto e mi asciugai le guance. Intravidi il suo sguardo sconcertato.
“Perché non me l’hai mai detto? Siamo insieme da settant’anni e credevo che fra noi non ci fossero segreti…”.
“Non è un segreto. E’ semplicemente il mio modo di essere, anche se una parte di me è stata ben nascosta per tutto questo tempo” dissi e continuai a vestirmi febbrilmente. Emmett si alzò dal letto e subito dopo si avvicinò a me, bloccandomi. Mi baciò il capo e poi mi abbracciò.
“Sapevo che i momenti successivi alla trasformazione erano stati duri per te, ma credevo che fosse acqua passata. Non immaginavo che ne soffrissi ancora e così profondamente…”.
“La colpa è mia. Non mi sono mai voluta confidare con nessuno e non immaginavo che prima o poi sarei scoppiata. Ma ora” dissi, alzando il viso e guardandolo piena di speranza “se mi ami davvero, aiutami”.
“Certo, amore. Farò tutto quello che vuoi”.
“Uccidimi allora” affermai decisa.
Emmett sgranò gli occhi. “Che stai dicendo?”.
“Hai capito benissimo. Voglio che mi uccidi”.
Mio marito tacque per alcuni lunghissimi secondi, poi si allontanò da me, come se avessi avuto una malattia terribile ed estremamente contagiosa.
“Ti prego. La nostra natura ci impedisce il suicidio e io non ce la faccio più. Sono stanca e stremata. Voglio morire. La mia vita è inutile. Non devi pensare che sia una cosa brutta, ma che così facendo mi renderai felice”.
Si lasciò cadere sul letto, incredulo. “Ho sempre sofferto per questo” continuai con voce spezzata, inginocchiandomi vicino a lui. “Non sai quante volte ho rimpianto ogni alito di vita perso, ogni pezzo di pane che non potevo mangiare, ogni goccia d’acqua che non potevo bere. Invidio tutti gli esseri umani, anche quelli in ospedale da Carlisle gravemente malati, perché loro sono vivi, mentre io sono condannata a questa solitudine eterna. Fin dall’inizio mi sono sentita sola, nonostante la presenza di Carlisle e Esme. Loro sono diventati i miei genitori, anche più affettuosi di quanto siano mai stati quelli reali, ma mancava sempre qualcosa. Passare le notti distesa sul letto ad occhi aperti era qualcosa di tremendo. Una tortura. Poi siete arrivati tu ed Alice, il mio rifugio in tutti questi anni. Avete reso la mia esistenza felice. Non pensavo più a quello che avevo perso, convinta di aver guadagnato molto di più. Infine è arrivata Bella col suo maledetto desiderio di diventare una di noi. Quello che credevo sopito si è ridestato di colpo e ho iniziato a odiarla con tutte le forze. Mi sento male ogni volta che la vedo respirare, mangiare, dormire e non capisco perché voglia gettare tutto all’aria. Con Desirèe sono arrivata alla conclusione che non c’è più niente che abbia un valore in questa vita. Tanya ha realizzato il suo sogno e all’inizio l’ho invidiata da morire. Un sentimento insano e ostile. Poi ho sentito qualcosa di diverso: un affetto immenso, come se Desirèe fosse diventata anche figlia mia. E qualche giorno fa ho capito: il mio sogno di avere un bambino, e quindi di essere viva, si è realizzato tramite Tanya. Lei ha quello che io ho desiderato per tutta la mia eterna vita. E ora” conclusi sorridendogli “so che posso finalmente morire. Tutto ciò che verrà dal futuro sarà inutile. Uccidimi: sarà il regalo più grande che tu mi possa fare”.
Rimase inerte per qualche istante poi si alzò di scatto, facendomi barcollare. “Mi stai dicendo che tutto quello che abbiamo tu ed io non vale niente?! Che adesso sei infelice e vuoi morire?” imprecò.
Lo seguii per rabbonirlo. “No, non sto dicendo questo. Io ti amo ancora, ma non ce la faccio. Il tuo amore non mi basta più. Ho bisogno della vita e nessuno su questa terra me la può ridare. E se non posso averla, voglio morire”.
Scosse la testa ostinatamente. “No, queste sono solo scuse. Se tu mi amassi davvero, non parleresti così. Staresti al mio fianco e queste idee non ti passerebbero nemmeno per la testa!”
“Non è vero! Comunque non gira tutto intorno all’amore! Ci sono anche altre cose importanti! E io non potrò mai averle, quindi tanto vale finirla qui”.
“Io non capisco. Abbiamo tutto. Che cos’altro vuoi?! Abbiamo una vita felice, certo diversa da quella degli altri, ma sempre di un’esistenza si tratta” esclamò.
“Io non voglio essere diversa dagli altri, ma come gli altri…”.
Tacque per qualche istante poi disse, furioso:“E’ tutta colpa di Desirèe. I problemi sono cominciati da quando è arrivata! Maledizione a lei e a Tanya!”.
Sentire buttare fango sulla mia migliore amica e sua figlia mi fece ribollire. “Non è affatto colpa loro, il problema c’è sempre stato. Ho ficcato la testa sotto la sabbia sperando che svanisse, ma è stato un errore madornale. Adesso è esploso e né tu né io possiamo farci niente”.
“Io non posso credere che tu voglia gettare via tutto quanto, soltanto per un vano desiderio di mortalità che tra un po’, come tutti i tuoi capricci, svanirà…”.
Lo guardai storto. Ero stupefatta. Credeva che fosse la mia ennesima bizza. “Tu pensi questo, dunque?” gli domandai seria. Increspai le labbra furente, prima di sbottare:“Sai invece cosa penso io? Che ho buttato settant’anni della mia vita a fianco di un uomo che non mi ha mai capita, che dice di essere innamorato di me e invece ama soltanto un corpo. C’è di che essere orgogliosi!!”
“Sei ingiusta!” alzò la voce. “Io ti ho sempre amato in tutto e per tutto, capricci compresi. Ti ho sempre protetto da tutti, anche da Edward”.
“Nessuno ti ha mai chiesto niente! Sono perfettamente in grado di difendermi da sola! Non ho bisogno del cane da guardia! Anzi, forse un cane sarebbe stato più comprensivo! Ti sei mai chiesto perché mi sfogo con Alice e non con te?! Beh, sarebbe ora che ti ponessi la domanda, mio caro!”.
“E quindi io cosa sono per te? Il giocattolino per fare sesso? Bene, sono contento che tu me l’abbia detto, almeno così ognuno potrà trovarsene un altro. Ah già, dimenticavo, tu vuoi morire, quindi non avrai più trastulli…” commentò sarcastico.
Improvvisamente mi accorsi che stavamo dicendo delle assurdità. Sia io che lui. Non pensava quello che stava dicendo come non lo pensavo io. Ci stavamo solo ferendo entrambi e non era quello che volevo. Dovevo interrompere assolutamente quella discussione prima che il nostro litigio diventasse la teatrale rappresentazione di emozioni mai provate. Ultimai di vestirmi e mi pettinai alla buona.
“Dove stai andando, mia cara? A fare il tuo ennesimo giretto anti-noia? A farti venire in mente qualche altra diavoleria?”.
Mi avvicinai al balcone. “Non ho mai pensato quello che ho detto e vado via prima di continuare” affermai affranta. ”Mi dispiace anche di non essermi confidata con te prima. Ho sbagliato e ormai è tardi. Se ti può essere di sollievo, tutto questo non l’ho mai detto a nessuno, nemmeno ad Alice, e  non l’ho fatto perché me ne vergognavo troppo, non perché non mi fidassi di voi, di te in particolare” dissi, distogliendo lo sguardo dal suo. “Prima o poi qualcuno mi ucciderà, ma quando accadrà, non dubitare mai che ti ho amato ogni secondo della mia vita e che tu hai saputo trasformare un calvario in un paradiso”.
Scavalcai il balcone e saltai, atterrando in giardino.
“Rose, dove stai andando?” mi domandò, precipitandosi alla ringhiera. Alzai lo sguardo e soffiai un bacio verso di lui.
Poi mi allontanai velocemente da quella casa e da tutto quello che poteva significare.
Correre, soltanto questo potevo fare ormai ed era la sola cosa che mi rendeva felice del mio essere vampira. Veloce come il vento e più rapida di tutti gli altri animali. Nessuno poteva competere con me, come se la mia unica aspirazione fosse correre più forte degli altri esseri viventi.
Una lacrima mi inumidì le ciglia.
Io volevo ben altro dalla vita, che non sarebbe mai stata come l’avevo sognata. Il destino me l’aveva strappata e io non potevo competere con esso. Ormai ero stanca, esausta. Non ne potevo più. La mia famiglia mi stava isolando, oppure ero semplicemente io ad allontanarmi. Sapevo soltanto che si era messo in moto un processo inarrestabile a cui non riuscivo ad oppormi. La settimana passata era stata la peggiore della mia esistenza e aveva causato danni irreversibili.
Desirèe diceva che io avevo una poesia dentro di me, Esme che presto sarebbe venuta una stagione migliore. Entrambe si sbagliavano. Ed io non avevo nessuna intenzione di sostenere le loro idee e sforzarmi di dimostrare che avevano ragione.
Emmett non mi aveva voluto aiutare a morire. Nessuno della mia famiglia l’avrebbe fatto. Forse Edward. Ma, per rispetto del mio compagno, non avrebbe mai acconsentito. Io però avevo deciso. Volevo morire in qualche modo e avrei fatto qualsiasi cosa pur di raggiungere il mio scopo. Chi poteva farlo? Chi mi avrebbe ucciso senza alcuna remora?
Un licantropo. Solo uno di loro poteva salvarmi. E l’unico modo per aizzarlo facilmente contro di me, era entrare nel loro territorio.
Aumentai la mia folle andatura, desiderosa di raggiungere il mio obbiettivo come un’oasi nel deserto.
Giunsi alla spiaggia di La Push. Bella quel giorno aveva detto che il branco si recava spesso a First Beach: non potevo essere così sfortunata da non trovarne nemmeno uno!
Camminai verso la riva, guardandomi attorno. Era deserta. Annusai l’aria voracemente: non c’era alcuna traccia di licantropi. Decisi che sarei rimasta lì: prima o poi qualcuno sarebbe venuto e mi avrebbe attaccato, vista la violazione plateale del patto.
Camminai verso il mare. Il vento mi accarezzava i capelli. Le onde lambivano dolcemente la spiaggia.
Mi sedetti sul tronco dove mi ero accomodata l’unica volta che ero stata lì.
Chiusi gli occhi per sentire lo scrosciare del mare.
Avrei voluto morire in quel momento, a contatto con ciò di cui avrei dovuto essere parte e da cui invece ero esclusa.
A un tratto mi raggiunse un terribile fetore. Una puzza insostenibile. Annusai più accuratamente e ne riconobbi la scia: finalmente un randagio ed era proprio quello di cui avevo più bisogno. Sicuramente lui non avrebbe avuto problemi ad accontentarmi.
Udii la sua voce sprezzante provenire dalle mie spalle:“Allora, signorina Hale, cosa ci fa nel nostro territorio? Cerca guai?”.
Alzai leggermente il volto e intravidi un piede appoggiato sul tronco, vicino a me.
Avrei voluto sorridergli, ma avrebbe ritenuto insolito il mio comportamento e non potevo permettermi alcun errore.
”Volevo vedere il mare, tutto qui. Sono stanca di dover chiedere l’autorizzazione a voi cani” mugugnai con tono insolente nell’intenzione di provocare una reazione violenta.
Jacob scavalcò il tronco e si posizionò davanti a me.
“Mi sembrava di essere stato abbastanza chiaro. Voi succhiasangue non potete stare qua. E soltanto perché te l’ho permesso una volta, non vuol dire che sia diventata la regola!”.
Non replicai, ma lo fissai con espressione arrogante.
“Allora, altezza? Mi risponde oppure ha perso la lingua?”.
Era visibilmente irritato.
“Vattene, altrimenti sarà peggio per te” minacciò.
Mi alzai in piedi e mi avvicinai di qualche passo. “Altrimenti cosa succede, cagnaccio? Mi fai la bua?” sorrisi ironica.
“Non provocarmi. Quella sera non facevo sul serio, ma stavolta…”.
“Secondo me, invece, eri al massimo delle tue potenzialità. Anche se ti trasformassi, non riusciresti a battermi, neanche se fossi legata e bendata”.
“Scommettiamo?”.
“Ok, vediamo cosa sai fare, sacco di pulci”.
Strinse le labbra nervosamente. Ce la stavo facendo. Ormai era mio. Alice aveva avuto torto: anch’io riuscivo ad irritarlo. Non era così intelligente come lei sosteneva.
Fece un passo indietro, probabilmente per cercare di controllarsi. Notai che le sue braccia stavano tremando, segno di un’imminente trasformazione. Decisi di rincarare la dose per non fargli cambiare idea.
“Allora? Devo aspettare ancora molto, oppure è tutta una tattica per stancarmi e farmi andare via? Solo perché hai paura…”.
Tutto il suo corpo iniziò a fremere. Sorrisi, soddisfatta. Ancora qualche minuto e l’opera di Carlisle sarebbe stata finalmente vanificata, come sarebbe dovuto essere fin da principio.
“Preparati bionda, perché libererò la Terra dalla tua presenza” mormorò, tenendo il volto abbassato, con i muscoli del collo contratti.
Mi fissò negli occhi con aria di sfida. Ma la sua espressione cambiò radicalmente e smise di tremare. Continuò a guardarmi, poi distolse lo sguardo, confuso.
“Che cosa hai fatto?” bofonchiò.
“Che stai dicendo?”.
Fece cenno verso di me, toccandosi la guancia con le dita. Io feci altrettanto e solo allora mi accorsi che alcune lacrime mi stavano rigando le gote.
“Non sono affari tuoi, lupo” dissi, seccata.
“Lo sono invece finché stai nel mio territorio”.
“A te non importa un accidente! La verità è che non vuoi combattere perché hai paura!” esclamai.
“Paura io?! Ma figurati! E’ solo che non ho nessuna intenzione di combattere contro un vampiro che vuole suicidarsi. Non potrei neanche vantarmene in giro!” scrollò le spalle.
“Suicidare?” esclamai. “Che diavolo stai blaterando?!”.
“E allora perché stai piangendo?” chiese serio.
“Ribadisco che sono affari miei!”.
“Ti trema persino la voce…”.
“Niente affatto”.
“Se non sei venuta per cercare volontariamente rogne, perché sei qua?”.
“Volevo solo vedere il mare. Te l’ho già detto” risposi esasperata.
Mi guardò scettico, poi disse:“D’accordo, come vuoi. La mia sensazione rimane. In ogni caso, vattene. Ti dò cinque minuti poi, se quando torno, ti ritrovo ancora qua, ti porto al confine di peso!”.
Mi voltò le spalle e fece per andarsene.
“Perché non vuoi combattere?” domandai disperata. Non avrei mai dovuto usare quel tono, ma uscì senza controllo dalle mie labbra.
“Te l’ho già detto. Non sei in condizione di sostenere una battaglia. Ti vincerei in due minuti e non sarebbe divertente!”.
“Io resterò qua” contestai risoluta.
Finalmente riuscii ad attirare la sua attenzione. “Come preferisci. Ma se ti becca uno dei miei compagni, non sarà indulgente come me” disse tranquillamente.
“E’ quello che voglio” risposi e mi sedetti sul tronco, in attesa che se ne andasse e arrivasse qualcun altro desideroso di punirmi per la mia disubbidienza.
Ma Jacob improvvisamente tornò sui suoi passi, mi prese per un braccio e mi sollevò violentemente. “Sei impazzita?! Ti ammazzano, se ti trovano. Vuoi capirlo o no?” esclamò furibondo.
“E a te cosa importa?”.
“Voglio essere io a farlo, ma a modo mio. Nessuno deve togliermi questo privilegio!”.
“E allora fallo adesso” lo istigai velenosamente.
Jacob mi lasciò il braccio e arretrò di qualche passo. “Perché vuoi morire?” mi domandò sconcertato.
“E perché nessuno vuole uccidermi?!” esclamai, alzando la voce, quasi in un’implorazione.
“Che succede, bionda?”.
“Niente. Non capiresti, esattamente come gli altri”.
“Gli altri chi? Deduco che tu alluda alla tua famiglia. Che cosa ti hanno fatto?”.
“La domanda è che cosa sto facendo io a loro” sussurrai mestamente. “Ma non voglio parlarne con uno stupido randagio. Non capirebbe…”.
“Neanche la tua famiglia da quello che dici. E forse, proprio perché è un randagio, diverso da tutti quelli che conosci, potrebbe aiutarti…”.
“E perché dovrebbe prendersi il disturbo di farlo?”.
Abbozzò una risata. “Perché altrimenti che cavolo ci vengo a fare dai Cullen se non ci sei tu?! Farti infuriare ormai è lo scopo della mia vita. Se sei depressa, non è più divertente!”.
Le sue parole mi strapparono un lieve sorriso.
Mi guardò bonariamente, poi si sedette sul tronco. “Allora, che cosa è successo? Perché sei triste?”.
Pareva sinceramente interessato alla mia condizione, ma non volevo renderlo partecipe dei miei sentimenti. Non mi ero confidata con nessuno, e men che meno l’avrei fatto con quel sudicio bastardo.
“Niente che ti riguardi!” dissi decisa.
“C’entra Bella, per caso?” domandò, incurante del mio tono scortese.
“Bella?! E secondo te, verrei a suicidarmi per lei?! Non la sopravvalutare troppo!” ghignai, pentendomi subito dopo di aver dato conferma alle sue supposizioni.
“Avevo ragione allora” commentò cupo, come se non fosse soddisfatto della sua intuizione. “Non vale la pena suicidarsi per Bella, come non c’è nessun altra ragione che giustifichi questo gesto. E’ insano e malato”.
“Non mi interessa quello che pensi”.
“E a me non interessa che interessi a te. Solo tu devi interessare a te stessa. Sei una stupida, se pensi che gettare la vita risolverebbe tutto. Ho sempre pensato che fossi una bella scatola vuota, ma non credevo fino a questo punto”.
“Tu non sai perché voglio morire. Se lo sapessi, mi daresti ragione!” esclamai, seccata dal fatto che tentasse di farmi la lezione.
“Io non darò mai ragione a un’aspirante suicida! Non conosco le tue motivazioni, e non voglio nemmeno che tu me le dica. So soltanto che non butterei mai la mia vita”.
“Tu non sai cosa sia la sofferenza, quindi non puoi parlare!” dissi sprezzante.
“E tu cosa sai di me?! Non mi conosci affatto e non puoi venire a dirmi che non ho mai sofferto!”.
“Immagino! Come no… Cosa può esserti successo di così terribile?!” affermai ironica, sicura che non avrebbe detto niente che potesse essere paragonabile al mio dolore.
Il suo viso si rabbuiò. Indugiò a rispondermi, come se stesse per sputare un boccone troppo grosso da mandare giù. “Circa quattro anni fa i miei genitori sono rimasti vittima di un incidente stradale: mio padre è rimasto paralizzato e mia madre è morta. Le ero molto legato, era il mio punto di riferimento all’interno della famiglia. La persona a cui raccontavo tutto e che non mi negava mai un abbraccio, nemmeno quando la facevo infuriare. La sua improvvisa assenza ha tolto senso ad ogni cosa, facendomi perdere il coraggio di andare avanti. Non immagini quante notti insonni ho passato inveendo contro il destino che me l’aveva portata via e chiedendomi quale fosse stato il motivo. Dopo poco più di tre mesi inoltre, mia sorella Rebecca si è sposata ed è andata a vivere alle Hawaii. E per me è stato come se fossi diventato orfano una seconda volta: lei era la sorellona che letteralmente adoravo. Qualche mese più tardi è partita anche l’altra mia sorella, Rachel: è andata all’università a Denver e io sono rimasto solo con papà. E così a quattordici anni mi sono ritrovato a dover sostenere, aiutare e consolare lui, che soffriva quotidianamente per la morte della mamma e per la sua condizione, e soprattutto a dover far forza a me stesso per sopravvivere. Non biasimo le mie sorelle per essersene andate: avevano una vita e dovevano portarla avanti ugualmente. Ma io ero qui, in una casa piena di ricordi, a recitare la parte dell’inespugnabile Jacob: non potevo neanche piangere davanti a papà perché non volevo che vedesse il mio dolore e così finivo per rifugiarmi qua. C’è una grotta là in fondo, sotto la scogliera” e me la indicò “dove passavo tutti i momenti della giornata in cui non riuscivo a guardare in faccia mio padre, senza singhiozzare. Tante volte ho pensato di farla finita, di porre un termine a tutto questo. Ma poi pensavo che lui ne avrebbe sofferto, che un’altra persona lo avrebbe lasciato nuovamente e soprattutto che ero così fortunato ad avere una vita, a respirare, e non potevo gettare la spugna per un attimo, per quanto lungo, di debolezza. Il destino mi aveva dato un pugno, che ha fatto molto male, ma ho deciso di rialzarmi, solamente per non lasciargliela vinta. E lo stesso puoi fare anche tu”.
“No” balbettai. “Io sono stanca. Esisto da troppo a lungo. E’ giunto il momento di porre fine al “miracolo” di Carlisle”.
“Non capisci proprio niente, bionda. Carlisle è stato un idiota a salvarti. Doveva lasciarti morire, se questa è la ricompensa” commentò acido.
“E io mi chiedo perché non l’abbia fatto” sussurrai.
“Lui ti ha dato una seconda opportunità. Dovresti baciare il terreno dove cammina e invece stai qui a piangerti addosso. Tu hai avuto una fortuna che agli altri esseri umani non verrà mai concessa”.
“Doveva lasciarmi morire perché quel giorno in ogni caso sono morta. Non volevo questa vita. Non sono arrabbiata con Calisle: so che l’ha fatto a fin di bene. Però ora è giunto il momento di ultimare quello che la natura aveva disposto”.
“La natura non c’entra un accidente in tutto questo. La vita non va mai gettata, in nessun caso. Il destino te l’ha ridata e ora devi portarla avanti”.
“Non ce la faccio più. Sono sfinita…” dissi rassegnata.
“Non bisogna mai arrendersi. Devi solo convincerti che il sole esiste per tutti e anche se adesso è tramontato, la notte prima o poi finirà e, per quanto possa essere buia, ci sarà sempre una stella ad illuminarla. Lei ti aiuterà ad aspettare l’alba”.
Lo fissai sorpresa: non sembrava vero che quelle parole stessero uscendo dalla sua bocca. Come se non fosse lo stesso bamboccio che una settimana fa mi aveva fatto infuriare e che avrei voluto disperatamente uccidere. Sbattei un paio di volte gli occhi come se la sua figura non fosse nitida: non poteva essere proprio lui a rischiarare il mio buio, anche perché non sapeva qual era il motivo che mi aveva spinto a desiderare la morte.
“Qual è il problema? Perché vuoi farla finita?” domandò.
Non risposi.
Era tutto così inverosimile! Mi trovavo in un territorio dove non avrei dovuto stare, a parlare con l’ultima persona che avrebbe dovuto sapere i miei pensieri. E la cosa più assurda era che sembrava capirmi, anche se non aveva mai abbandonato, se non per qualche minuto, il suo tono duro.
A causa del mio prolungato silenzio disse:“Affari tuoi. Io quello che potevo dire per farti desistere l’ho detto. Ho la coscienza pulita. Spero di rivederti alla mia prossima incursione dai Cullen, altrimenti addio!”. Mi voltò le spalle e si allontanò.
Feci qualche passo nella sua direzione, come per seguirlo. Poi mi fermai. Lui era un licantropo e per giunta Jacob. L’essere più odioso che poteva camminare su questa terra, ma mi stava aiutando, come nessun altro. E io sentivo il desiderio profondo di sfogarmi con qualcuno. Che fosse Jacob o meno, non era qualcosa che mi potesse importare in quel momento. Dovevo parlare, confidarmi. Emmett non era stato sufficiente e forse era vero: proprio perché era uguale a me non poteva capire, mentre Jacob avrebbe potuto.
“Non sono umana…” urlai senza riflettere.
Si bloccò e si voltò lentamente verso di me, stupito. “Neanche io lo sono…” sospirò.
“No. Mangi, respiri, dormi, sogni, cammini sotto il sole. E’ vero, non invecchi e sei immortale, come noi, ma è una tua scelta. Se decidi di reprimere i tuoi geni, puoi ricominciare una vita normale, mentre io sono condannata qua dentro!”.
“Credi che sia un difetto da distruggere?”.
“Tu no? Da quello che mi risulta ci volete uccidere proprio per questo motivo, o sbaglio? Io sono solo uno scherzo della natura e come tale andrebbe eliminato”.
“Tutti noi abbiamo un ruolo in questo mondo. Se ti ritieni uno scherzo della natura, allora dovrei esserlo anch’io, ma non mi considero tale. Anch’io, subito dopo la prima trasformazione, ho avuto grosse difficoltà ad accettarmi e a capire che cos’ero, che cosa dovevo fare, perché mi fosse capitato tutto questo. Ma pian piano, grazie a mio padre e agli altri del branco, che erano nelle medesime condizioni, sono riuscito a capirmi e ad accettarmi. Anche tu puoi farlo, così come hanno fatto tutti quelli della tua famiglia”.
Scossi la testa. “Io non posso farlo perché ricordo la mia vita umana e sento la mancanza di ogni piccola banalità. Tutti i miei sogni sono andati in fumo. Passeggiare sotto il sole, respirare, avere un cucciolo e amarlo incondizionatamente senza desiderare di berne il sangue, mangiare un gelato, andare all’università, avere degli amici. Questo è vivere. Non ho più niente che mi spinga a lottare contro la mia condanna eterna”.
Sentii le lacrime solcarmi il viso, ma mi sentii meglio, come se mi stessi svuotando di un peso.
Tuttavia compresi di avere fatto l’ennesima stupidaggine. Mi ero sfogata Jacob che avrebbe riso di me. Anzi, adesso avrebbe avuto un motivo in più per denigrare la nostra natura di vampiri, come faceva sempre. Non avevo il coraggio di guardarlo per paura che stesse per mettersi a ridere. Ma fu lui a richiamare la mia attenzione.
“Vuoi porre fine alla tua vita perché non sei umana, dunque?” mi chiese senza alcuna traccia di ironia o scherno.
Feci cenno di sì con la testa e mi asciugai le lacrime, passando i polsi sotto gli occhi.
“Io darei tutto quello che ho per poterlo ritornare”.
“Non si può morire per un rimpianto. Essere umani non è uno stato, ma un modo di essere” affermò rassicurante.
“Anche se fosse come dici, io non posso fare tutto quello che fate voi. Sarò sempre e comunque diversa. Nessuno potrà mai cambiare questa condizione”.
Mi guardò meditabondo. “Ti va di fare un gioco?”.
“Che gioco?” chiesi scettica.
“Si chiama Come un essere umano” mi disse.
Non capii di cosa stesse parlando.
“Consiste nel tentare di essere umano per tutta la giornata. Vince chi dei due lo sembrerà di più. E’ divertente, vedrai. Allora che ne dici?” domandò.
Che gioco idiota! Non avrei mai potuto vincere. Ero una vampira. Lui almeno era umano per metà. E poi a cosa poteva servire? Non ne trovavo l’utilità.
“Mi sembra una stupidaggine. No, non credo che faccia per me” tagliai corto.
“Secondo me, la signorina Hale ha paura di perdere…” ridacchiò.
Perdere?! Che diavolo stava dicendo? Non era certo per questo motivo che non volevo partecipare al suo gioco. Certo che se avessi detto di no, sarebbe andato dalla sua massa di pulciosi a dire che mi ero ritirata per paura e non lo potevo permettere.
“D’accordo, randagio. Rosalie Hale non si ritira mai. Anche perché sono sicura di vincere… Allora da dove si comincia?”
Rimase in silenzio qualche secondo, portandosi le dita sul mento alla ricerca di una prima prova da sostenere.
“Andiamo a Seattle, ti va?” mi propose.
“Seattle? Che ci andiamo a fare?”.
“Beh, è una grande città. Ci sono sicuramente più cose da fare che a Forks”.
“Va bene. Allora, trasformati e andiamo” dissi, ansiosa di concludere questo gioco il più in fretta possibile.
Jacob si mise a ridere. “Cominci male. Siamo esseri umani o no? Gli esseri umani non si trasformano in lupi, ne tantomeno corrono veloci quanto i vampiri” mi redarguì sornione. “Ho già guadagnato un punto”.
Accidenti, cominciavo male davvero! Non potevo farmi battere da un lupo. Dovevo stare più attenta.
“Allora come andiamo? In macchina?”.
“Ho un’idea migliore. Ti va la moto?”.
“In moto? Non la so guidare. Non ne sono capace”.
“Non ti preoccupare. Andiamo con la mia. Ok?”.
In moto. Non ci ero mai salita. Né da vampira né da umana. Poteva essere un’esperienza interessante. Annuii. Forse questo gioco poteva essere più divertente di quello che avevo immaginato.
Mi fece cenno con la testa e corse verso la strada, non veloce come un licantropo è in grado di fare, ma con un’andatura umana. Anch’io iniziai a correre, tenendo il suo passo. Poi rallentai un po’, ricordando che le donne sono più lente. Arrivai dopo di lui. Era fermo ad aspettare. Quando lo raggiunsi, simulai il fiatone, come se fossi stremata dalla corsa.
“Non correre così Jacob. Non riesco a starti dietro” ansimai.
“Stai imparando in fretta, bionda. Direi che siamo pari” ridacchiò. “Andiamo a prendere la moto nel mio garage”.
Mentre raggiungevamo casa sua, notai che la gente ci fissava in maniera singolare. Sicuramente contemplavano me: a La Push non mi conosceva nessuno e una tale bellezza non passava inosservata. Poi mi accorsi che guardavano anche lui. Probabilmente pensavano che fossimo una strana coppia. L’unica cosa che ci accomunava era l’altezza, anche se lui, col suo metro e novanta abbondate, mi superava di parecchio. Ma io ero bionda con la pelle bianca come la porcellana, lui invece aveva i capelli nero corvino, occhi scurissimi e pelle ambrata: non pensavano che fossimo fratello e sorella.
Un pensiero orrendo mi balenò nella testa: se non lo ritenevano possibile, potevano pensare un’altra cosa. E cioè che fossimo fidanzati. Che prospettiva aberrante! La compagna di un licantropo! Mai e poi mai! Piuttosto la morte per mano dei Volturi! Non potevo permettere che nessuno avesse una fantasia così disgustosa. Mi allontanai un po’ da lui. Alla debita distanza tirai un sospiro di sollievo.
E poi anche se io non fossi stata una vampira, bella com’ero, non avrei mai potuto stare con uno del genere. Figuriamoci. Così rozzo e volgare! Gli buttai un’occhiata fugace, a conferma della mia idea e mi resi conto che non l’avevo mai guardato bene. Mi era sempre passato davanti come niente. Indubbiamente dovevo ammettere che il fisico era disegnato, messo in ulteriore risalto da una muscolatura perfetta. E considerando la sua altezza, era molto ben proporzionato. Spostai la mia attenzione sul viso. Aveva occhi allungati e, purtroppo io lo sapevo bene, labbra morbide e carnose. Lo sguardo profondo come la notte e impetuoso come una tempesta contribuiva a renderlo più affascinante. I capelli neri ricadevano sottili e folti sulle spalle. Considerando che era un umano, era fin troppo bello. Non avrebbe sfigurato accanto a me, e, soprattutto, la mia reputazione non ne avrebbe sofferto. Mi riavvicinai di nuovo.
“Che stai facendo? Stai zigzagando come un’ubriaca” commentò neutro.
“Niente, niente” tagliai corto.
Camminammo lungo la strada principale senza dirci una parola. Mi sembrava che casa sua fosse in capo al mondo. E per di più mi sentivo a disagio: che cosa facevo con lui? Una vampira insieme a un licantropo. Non avrei dovuto prestare ascolto al mio orgoglio. La punizione sarebbe stata passare tutto il pomeriggio con Jacob. Oh cielo! Solo la prospettiva mi faceva rabbrividire. Per fortuna, almeno il fetore che emanava sembrava essere un po’ calato. O forse ero io che mi stavo abituando. Prospettiva ancora peggiore. Mi ripromisi che appena tornata a casa, mi sarei fatta una doccia.

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Capitolo 27
*** Come un'umana - seconda parte ***


Ciao,
dopo un percorso lungo in cui ho fatto procedere la trama, seppur a piccoli passi, ecco il capitolo in cui c’è l’evento che, dopo l’arrivo dei Volturi a Forks e l’ultimatum sulla consegna di Bella, di fatto sconvolgerà la storia e le vite di molti personaggi.
Fatemi sapere cosa ne pensate, se vi va.

 
 
 
“Secondo me, la vita è un dono, non ho intenzione di sprecarla. Non si sa mai quali carte ti capiteranno nella prossima mano. Impari ad accettare la vita come viene. (…) Così ogni singolo giorno ha il suo valore.”
Jack Dawson dal film Titanic, a cui questo capitolo e il precedente sono devotamente e rispettosamente ispirati.
 
 
 
 
Svoltammo in una delle strade secondarie e dopo poco ci fermammo.
“Aspettami qua. Vado a tirare fuori la moto” mi disse.
Senza accorgermene eravamo arrivati davanti a una casa di legno beige su due piani, con un piccolo porticato che copriva una porta di legno. La classica casetta di queste parti. Erano fatte tutte così. Certo che la nostra, al confronto, sembrava una reggia. Era almeno il triplo di questa. Le camere dovevano essere minuscole, vista la grandezza. Però questa casettina aveva un che di accogliente. Viverci non doveva essere così male…
“Buongiorno. Ha bisogno di qualcosa?”
Mi girai di scatto, trovando una ragazza più o meno sui 25 anni. Capelli neri, lisci, molto lunghi. Occhi scuri. Due adorabili fossette a incorniciare un sorriso rassicurante. Non era bella, però aveva l’aria simpatica.
“E’ una mia amica, Rachel. Stiamo andando a fare un giro” esclamò Jacob, spingendo la moto spenta.
“Ok” disse la ragazza facendogli un cenno, poi, sorridendomi, esclamò:“Scusa, avevo visto che guardavi la casa, non pensavo fossi con mio fratello. Piacere, io sono Rachel”.
Mi porse la mano e gliela strinsi, presentandomi a mia volta.
“Non ti ho mai visto da queste parti. Ti sei appena trasferita?” domandò con espressione curiosa.
Mi colse impreparata. Non potevo certo dirle che ero una Cullen e lei, se faceva quella domanda, non aveva capito la mia identità. Rimasi in silenzio, ma Jacob arrivò prontamente a salvarmi.
“Non abita qui. E’ di Port Angeles. L’ho conosciuta ieri sera, in quel bar dove sono andato con Embry e Jared”.
Rachel annuì, fin troppo entusiasta di quello che le stava dicendo.
“Beh, complimenti fratellino. E’ davvero una bella ragazza. Fai la modella, per caso?”. Mi sentii stranamente in imbarazzo e stavolta fui grata alla mia natura di vampiro che non mi faceva arrossire.
“No, ma ti ringrazio per il complimento” le risposi cordialmente. Sembrava una ragazza simpatica e molto solare. Mi avrebbe fatto quasi piacere conoscerla meglio.
“Dove state andando? Torni per cena?”.
“Andiamo a Seattle. Non so a che ora rientro. Se mi vedi per le 20, allora vuol dire che sono a cena, altrimenti mangiate senza di me” risolse Jacob montando in sella alla moto.
Rachel sbuffò, portandosi le mani sui fianchi:“Ti sembra il modo?! Quindi devo cucinare per te, o no? Mah… Fai quel che ti pare, dopo però non ti lamentare se non trovi nulla da mangiare”. Non sembrava davvero arrabbiata. Si girò di nuovo verso di me, sfoderando nuovamente il suo accogliente sorriso:“Divertitevi. E state attenti in moto. Se sopravvivi al pomeriggio con mio fratello, ti va di venire a cena qualche volta?”.
“Certo, con molto piacere” risposi.
Annuì e, salutandoci, si diresse verso casa.
A cena da licantropi? Ma siamo matti?! Anche se lei non emanava la puzza di Jacob. Probabilmente era un’umana qualsiasi.
Mangiare da loro. Questo pensiero mi rattristò. Io non potevo mangiare. Non avrei mai potuto cenare con nessun altro che non fosse della mia famiglia.
Sentii il fruscio di un oggetto tirato verso di me. Mi girai e lo presi al volo. Un casco da moto?!
“Cosa me ne faccio, scusa?” gli domandai.
“Ah. 2 a 1 per me” disse Jacob trionfante. “Non sai che gli umani devono metterlo? Se cadono in moto, rischiano di ammazzarsi”
Vero. Me ne ero completamente dimenticata. Me lo sarei messo, però mi avrebbe rovinato i capelli. Uffa. Dopo la giornata di oggi avrei dovuto fare un passaggio completo di doccia e parrucchiera!
Lo infilai e Jacob mi aiutò ad allacciarlo.
Salii dietro di lui. Non sapevo bene come comportarmi. Avevo visto spesso le moto passare e il passeggero era sempre abbracciato al conducente. Ma io non ne avevo bisogno. Noi vampiri avevamo un perfetto senso dell’equilibrio. Non sarei sicuramente caduta, per quanto le curve potessero essere strette. Ma dovevo essere umana… Cinsi con disgusto le braccia attorno alla sua vita e partimmo.
Una volta usciti dalla cittadina, l’andatura si fece più sostenuta.
Fu una sensazione stranissima: andare così rapidi, senza essere io a controllare la velocità. Mi guardai intorno. Quando correvo attraverso i boschi non riuscivo mai a farlo: dovevo osservare il mio percorso per forza. Invece ora potevo vedere tutto. La strada, la boscaglia, gli animali che correvano. Intravidi persino un lupo. Probabilmente era uno del branco in una ronda di controllo. Chiusi gli occhi e alzai il viso. L’ebbrezza della velocità era bellissima. Nonostante non fosse un’emozione nuova, tutto ad un tratto sembrava esserlo diventata. Il vento mi sferzava la pelle, ma invece di infastidirmi, provai una dolce sensazione: la facoltà di sparire, staccarmi dal corpo e volare via. Come se potessi dare alla mia anima quella libertà che desideravo e dimenticare la mia angoscia di non essere viva. Fissai il cielo e mi persi tra le nuvole. Non c’era il sole per fortuna, ma sentivo ugualmente uno strano calore. Era Jacob. Era da tanto tempo che non sentivo il tepore. Lo abbracciai più forte. Volevo quella sensazione su tutto il corpo.
Jacob prese una curva in velocità e la moto si piegò fino a farci sfiorare la terra con le ginocchia.
Avrei sentito il cuore in gola, se lo avessi avuto. Avvertii il rischio di cadere, ma sapevo che non mi sarei fatta niente se fosse successo. Fu indescrivibile. Mi sarebbe piaciuto fare tutto il tragitto in curva, ma purtroppo furono poche e nell’arco di un’ora arrivammo a Seattle.
Quando Jacob scese e si tolse il casco, ero quasi delusa. Sarei arrivata fino in Canada, pur di continuare in moto. “Allora ti è piaciuto?” mi domandò.
“Sì, piacevole” risposi con aria di sufficienza: non volevo dargli soddisfazione. Mi tolsi il casco e mi guardai nello specchietto retrovisore. Avevo i capelli arruffati. Sembravo un riccio.
“Mamma mia, non posso andare in giro così! Sono terribile!”
Jacob si girò verso di me e, stranamente gentile, mi disse:“Ma va là! Sei bellissima, come sempre”.
Ne fui sorpresa. Non mi aveva mai fatto un complimento da quando lo conoscevo e non aveva nemmeno utilizzato il suo abituale tono canzonatorio. Forse aveva deciso di essere conciliante con me, come io lo ero con lui, per cercare di passare la giornata il più civilmente possibile. Mi accarezzai i capelli per dare un senso alla loro piega, mentre Jacob legò i caschi alla moto con un catenaccio.
Terminate le nostre operazioni, chiesi quale sarebbe stata la prossima mossa. Fece spallucce:“Boh. Facciamo un giretto. Un’idea ci verrà”.
Fantastico! Eravamo venuti fino a qua a fare… niente! Cosa ci poteva essere di interessante, a parte i negozi? Ma Alice non c’era. Con lei sarebbe stato fin troppo divertente, ma con un uomo, licantropo o vampiro che fosse, la prospettiva diventava terribilmente noiosa. Camminammo un’oretta abbondante per la città, senza dirci nulla. Non avevamo molti argomenti in comune e non sapevo neanche che cosa potesse interessarlo. Non lo conoscevo affatto. Le nostre uniche conversazioni erano sempre volte allo sbeffeggiarsi a vicenda.
“Ti va di andare al luna park?” mi disse indicandomi un cartello, che segnalava la presenza di un piccolo parco di divertimenti a 500 metri da dove eravamo.
“Un luna park?! Mah…” mi lamentai. La proposta mi fece cadere le braccia; però ero anche conscia del fatto che non sapevamo dove andare e mi adeguai rassegnata.
Con il passo da umani ci mettemmo quasi una vita, per me. Il lato positivo era che si trovava in una strada piena di negozi e quindi potei ammirare ogni vetrina. Per fortuna non c’era niente che esaltasse la mia fantasia, altrimenti, se mi fossi fermata, Jacob mi avrebbe uccisa.
Entrammo nel parco di divertimenti. Era stato allestito in uno spiazzo non cementato, pieno di terra e polvere. Lanciai un’occhiata mortificata alle mie scarpe di Dolce e Gabbana, che ben presto sarebbero diventate inguardabili. Sbuffai: ma chi diavolo me l’aveva fatto fare?!
Intorno a me c’erano tante persone. Grandi e bambini. Era sabato pomeriggio, quindi plausibile. Compimmo una piccola perlustrazione. Il luna park non era molto grande. Lo visitammo in fretta. C’erano le montagne russe, la pesca di premi, la ruota panoramica, la casa degli specchi e perfino… la casa delle streghe.
Quest’ultima attrazione mi fece sorridere.
“Ti va di andarci?” mi domandò Jacob, indicandola.
Risi fragorosamente. “Ma dai! Cosa ci entriamo a fare?! Al massimo dovremmo essere noi a far parte della giostra!” risposi.
“Hai ragione, però potrebbe essere divertente…”.
Sì, poteva esserlo. Alla fine acconsentii.
Facemmo i biglietti e ci accomodammo nei veicoli che ci avrebbero fatto fare il giro dell’attrazione.
La macchinina partì con un balzo improvviso. A entrambi sfuggì una risata. Entrammo in una camera oscura, passando tra ragnatele artefatte e voci gracchianti. Nel percorso ci imbattemmo in mostri illuminati improvvisamente da neon giallo fosforescente e altri invece mossi meccanicamente verso di noi. Ovviamente non potevano mancare un lupo gigantesco che ringhiava e apriva le sue fauci, ed esseri con facce deformi e sporche di sangue. Era tutto così divertente e surreale, considerando chi eravamo. Infine fummo sommersi da finti pipistrelli e intuimmo chi sarebbe apparso: Dracula, con i suoi canini enormi, sporgenti da labbra che abbozzavano una diabolica risata. Mi avvinghiai al suo braccio, ridacchiando:“O Dio, che paura!! Voglio uscire, Jacob!”.
Terminato il percorso, scendemmo velocemente dalla macchinina. Una volta lontani dall’attrazione, ci guardammo l’un l’altro e non potei trattenermi dal ridere.
“Ti è piaciuto?” mi domandò.
“Purtroppo devo darti ragione. E’ stato spassosissimo”.
“Hai finto bene la parte della spaventata, anche se non era necessario. Ma direi che ora siamo 2 pari”.
Era stato divertente e recitare mi era venuto spontaneo. Ma la cosa che mi sembrava insolita era che stavo bene, anche in questo momento. Mi sentivo serena, tranquilla. Era da decenni che non venivo al luna park. L’avevo sempre ritenuto un futile divertimento, anche quand’ero umana. Ma ora era diverso: mi sentivo viva.
Mi ero accorta inoltre di un altro fatto altrettanto insolito: lo stavo chiamando per nome. Non era mai successo.
“Ti va di andare sulle montagne russe?” mi propose.
Le scrutai attentamente. Nonostante il percorso non fosse particolarmente lungo, c’erano spirali, curve veloci e addirittura un giro della morte. Un’inaspettata sensazione si impadronì di me: la paura. Era assurdo, considerando chi ero, ma avevo paura. Non volevo salirci. Inconsapevolmente feci un passo indietro.
“Che ti prende?” domandò, notando il mio indugio.
“No, non mi va di salirci” risposi, continuando a fissarle.
“Perché? Non dirmi che hai paura?!” mi canzonò.
“Non mi va e basta. Vacci tu, io aspetto qui” dissi, ostentando una calma apparente.
“Ok, come vuoi” e si allontanò, diretto alla cassa, poi ritornò in attesa che arrivasse il suo turno.
“Sei sicura di non voler venire?” insistette. E questo suo tentare di convincermi a tutti i costi, mi irritò.
“Ti ho detto di no” alzai la voce. Poi vidi il trenino fermo alla stazione di partenza. “E’ arrivato. Vai, altrimenti ti perdi anche questo giro” lo incalzai per togliermelo dai piedi.
“Ok”.
Successe tutto in pochi secondi. Si voltò verso di me e, senza che avessi tempo di fare nulla, mi sollevò di peso. Cominciai a scalciare e ad agitarmi. Tenendomi per le gambe, si diresse verso le montagne russe. Lo colpii più volte nella schiena ma non servì assolutamente a nulla. Avrei potuto liberarmi utilizzando le mie doti di vampiro ma non davanti a una cinquantina di spettatori umani. Arrivati sui binari, mi rovesciò brutalmente dentro uno dei vagoncini.
“Sei impazzito?! Ti ho detto di no!” urlai.
Come se nulla fosse, entrò anche lui, spostandomi per farsi spazio. Tentai di scavalcarlo per uscire, ma mi trattenne. Passò anche il ragazzo che, trattenendo una risata, ritirò i biglietti. Erano due. Jacob aveva dunque pensato tutto fin dall’inizio!
Guardai la salita. No, era troppo per me. Non ce l’avrei mai fatta ad affrontare questo. Non sarei sicuramente morta, ma avevo troppa paura. Gli rivolsi uno sguardo spaventato.
“Ti prego Jacob, fammi scendere. E va bene, lo ammetto. Ho paura. Ti prego…” lo implorai. Ormai mancavano pochi secondi e poi sarebbe stato troppo tardi.
Si limitò a sbuffare e a farmi capire che la mia preghiera non stava sortendo alcun effetto.
“Non ce la faccio. Fammi scendere. Farò tutto quello che vuoi, ma non farmi questo!” continuai impaurita.
Appoggiò le sue dita sulla mia bocca. “Vinci la paura, Rose. Non è difficile, vedrai” mi sussurrò affettuosamente.
In quel momento calarono le protezioni.
Il trenino partì. Sentii brividi ovunque. Avevo perfino la sensazione che mi stessero tremando le gambe.
Iniziò la lenta salita. Afferrai talmente forte la ringhiera nel nostro vagone che la sentii scricchiolare. Una volta in cima, maledii cento volte Jacob: stavolta me l’avrebbe pagata cara. Iniziò la discesa. Strinsi gli occhi. Il vento mi sferzò il viso e la velocità, così forte, mi tolse il fiato. Iniziò il giro della morte. Lo stomaco mi balzò in gola. Non potei trattenermi e iniziai a urlare. Il percorso continuò con le spirali. La paura pian piano scemò e avrei voluto che andasse sempre più forte. Avevo il petto squarciato da mille sentimenti diversi: gioia, esaltazione, terrore, senso di libertà, eccitazione. Tutto in pochi secondi.
Ma troppo brevi.
“Allora? E’ stato così terribile?” mi domandò Jake, una volta scesi.
“No. E’ stato eccitante” ammisi senza pensare al fatto che così gli avrei dato ragione per l’ennesima volta.
A distanza dalla giostra non potei trattenermi dal domandargli:“Ti va un altro giro?”.
Si mise a ridere. “Lo sapevo che sarebbe andata a finire così. Va bene” e ritornammo verso la cassa.
Rifacemmo più volte le montagne russe. Mi stavo divertendo tantissimo e Jacob sembrava volermi assecondare.
Continuammo con la casa degli specchi, poi Jacob sparò anche con i fucili. Non fece tanti punti. Ovviamente lui aveva una vista perfetta e teneva l’arma ferma nel suo braccio ma non poteva fare un punteggio troppo elevato: un umano non ne sarebbe mai stato capace. Vinse un pupazzo a forma di cane e me lo regalò.
“Questo è il cagnolino di cui parlavi. Potrai amarlo senza desiderare di mangiarlo” ammiccò ridendo.
Sorrisi anch’io e diedi un bacio al peluche. Sarebbe stato un bel ricordo di questa giornata.
Subito dopo ritornammo nel centro della città.
“Era da un bel po’ che non venivo al luna park” commentai, stringendo a me il pupazzo.
“Non immagino da tanto. Sei giovane, no? Quanti anni hai?” domandò.
Capii che il gioco per lui stava continuando.
“18 anni. Però, sai, mamma e papà non erano soliti portarmi al luna park. Sarà successo uno o due volte…”.
“Come mai? Per un bambino dovrebbe essere il massimo del divertimento”.
“Sì, ma io sono una Hale e come tale non potevo divertirmi con questi giochi di bassa levatura”.
Fischiò. “Accidenti, da come parli devi avere un sacco di soldi!”.
“Sì, è così” annuii soddisfatta. “Sono molto ricca. Una delle famiglie più in vista di Boston. Vestita soltanto dai migliori stilisti, piena di servitori pronti ad esaudire ogni mio desiderio, una macchina privata a mia disposizione. E ogni settimana facciamo anche delle bellissime feste…”.
“Dove immagino tu sia sempre al centro dell’attenzione”.
“Proprio così. Adorata e venerata da tutti. Ho una fila di pretendenti lunga un chilometro!”.
“Per questo sei così viziata!” ironizzò pungente.
“Niente affatto” replicai, arricciando le labbra. “I miei genitori non accontentano tutti i miei desideri. A volte mi dicono anche di no”.
“A volte?! Immagino che accada una volta l’anno!”.
“Non è vero. Mio padre, quando c’è bisogno, fa rigare dritto tutta la famiglia”.
“Sei figlia unica?”.
“Sì”.
“Allora capisco perché sei la cocca di casa. Ma, tornando al discorso dei pretendenti, quante relazioni hai avuto?”
“Relazioni?! Neanche una! Non posso avere relazioni senza il consenso di mio padre. Posso al massimo civettare, ma niente di più”.
“Mamma mia, una prigione allora! Non ti invidio” commentò.
E aveva ragione. Apparentemente libera di fare tutto ciò che volevo, in realtà non era mai stato così. Avevo sempre dovuto rispettare gli ordini di mio padre, belli o brutti che fossero. Ma ero talmente presa da vestiti e gioielli che non ci avevo mai prestato molta attenzione.
“Immagino, che ti abbiano organizzato il matrimonio con un altro della tua razza. Giusto?”.
“Io ero, cioè, sono, la punta di diamante della famiglia. Quella che essendo così bella può essere scambiata per ottenere qualcos’altro di maggiore interesse” constatai amaramente.
“Stiamo parlando ovviamente di denaro e prestigio sociale”.
“Già. Mi hanno promesso al figlio di un banchiere che controlla parecchie banche degli Stati Uniti orientali”.
“Che tu immagino non abbia mai visto”.
Annuii.
“E cosa ne pensi?”
“Me l’hanno fatto conoscere da poco: è un bel ragazzo e si chiama Royce. Simpatico. Il fatto è che a me interessa solo essere madre, non importa con chi. Mi hanno educato che se all’inizio l’amore non c’è, può essere indotto dopo”.
“Questo ti hanno inculcato?” domandò sorpreso.
“Sì. E poi lui mi manda talmente tanti fiori tutti i giorni che non posso non amarlo. Una persona del genere merita il mio amore per forza!” dissi, fintamente rapita. Ma quando pensai a quello che era successo dopo, un conato di rabbia quasi mi fece scoppiare il petto.
“E come mai lei, signorina Hale, è fuori con un ragazzo di ceto così inferiore al suo?”.
“Perché ogni tanto bisogna passare del tempo con il popolo! Poi ho come l’impressione che lui si diverta più di me” ridacchiai.
“Su questo ci può contare. E la giornata non è ancora finita!”.
“Abbiamo parlato di me, ma di te non so niente…” affermai incuriosita.
“Non c’è molto da sapere. Sono il figlio di un artigiano, non sono certo della sua classe sociale. Ho diciassette anni, vado a scuola, il prossimo anno avrò il diploma e passo la giornata in giro con i miei amici. Niente di più. Una vita normale”.
“E finita la scuola cosa vorresti fare?”.
“Vorrei aprire un’officina tutta mia: adoro le macchine e sarei capace di passare una giornata intera a smontare e rimontare un motore. Sì, questo mi piacerebbe fare…” sognò entusiasta.
“Allora vuol dire che se si romperà qualcosa sulla mia macchina, la porterò da te”.
“Che macchina hai?”.
“Una Mercedes classe E cabrio”.
Jacob sgranò gli occhi. La sua bocca si spalancò in chiaro segno di stupore.
“Cazzo, che macchina!” esclamò. “Cilindrata?”.
“2100, cambio manuale a 5 marce, automatico a 6, benzina, con sistema Aircap. Velocità massima 250 km/h, accelerazione da 0 a 100 in 8,8 secondi” risposi compiaciuta.
Jacob non commentò: si stava rodendo. La mia macchina entusiasmava tutti e sicuramente anche lui.
“L’hai scelta tu?” chiese incredulo della mia spiegazione tecnica.
“Certo. A me piacciono molto le auto e me ne intendo abbastanza…”
“Vediamo… Porsche Boxter Spider”.
“6 cilindri boxer di 3,4 litri con 320 cavalli. Cambio a doppia frizione”.
“Accelerazione?”.
“Da 0 a 100 in 4 secondi e riesce a toccare i 267 km/h”.
“Bmw M3 Gts…”.
“Motore V8 con 450 cavalli, cambio doppia frizione e sette marce”.
Jacob si mise a ridere di gusto:“Brava. Sei la prima ragazza che conosco che si intende di motori!”.
“Già, ma di motociclette non so niente!”.
“Vuol dire che ti insegnerò qualcosa io…”.
“E a ragazze?” irruppi.
Abbassò lo sguardo. Solo allora mi resi conto del mio errore madornale. Non avevo minimamente pensato a quello che avevo detto. “Lascia perdere” mi affrettai a chiarire.
Scosse la testa. “Non è un problema. Sono perdutamente innamorato di una ragazza che non mi contraccambia. Anzi si deve sposare a breve. Per lei sono e resterò soltanto il suo migliore amico. Tutto qui”.
“Non riesci a staccarti da lei? Magari se smettessi di frequentarla, prima o poi passerebbe” ipotizzai.
“Non ce la faccio. Ho sempre bisogno di vederla. A parte la mia famiglia, lei è l’unica persona che ha un’importanza per me su questa terra”.
“Mi spiace. Ma credo che sia giunto il momento di metterci una pietra sopra, altrimenti continuerai solo a soffrire”.
“Non sai quanto mi piacerebbe. Ci sto provando ma per il momento è tutto inutile” sospirò.
“Non ci sono ragazze che ti potrebbero interessare all’orizzonte? Potresti provare a puntare su una di quelle, anche se adesso di fatto non ne sei innamorato”.
“Non ce n’è nessuna che valga nemmeno la pena di conoscere. Sai, a volte mi trovo a implorare l’arrivo dell’imprinting: almeno mi toglierebbe da questo stato di disperazione”.
Per la prima volta da quando lo conoscevo provai pietà per lui. Potevo solo intuire il suo stato d’animo. Io non ero mai stata respinta dall’uomo di cui ero innamorata, anche perché avevo amato solo Emmett. Ma doveva essere davvero tremendo. Oltretutto sapere che lei sarebbe diventata una di noi, doveva essere logorante. Optai per cambiare argomento. Jacob si era troppo rabbuiato e non volevo che Bella Swan ci rovinasse la giornata.
Continuammo a passeggiare, fino a quando non rimasi letteralmente folgorata da un vestito che faceva bella mostra di sé in una vetrina. Era incantevole. Avrei tanto voluto provarlo ma Jacob che cosa avrebbe detto? Sicuramente avrebbe sbuffato per tutto il tempo e non volevo avviare una discussione. Però evidentemente rimasi davanti al negozio più tempo di quanto pensassi.
“Vuoi entrare?” mi domandò.
O cielo, era una proposta troppo ghiotta per dire di no! Senza neanche rispondergli, varcai in fretta la soglia, prima che ci ripensasse.
Per fortuna la commessa mi servì velocemente. Jacob era entrato con me e si aggirava, fingendo di essere interessato ai capi di abbigliamento esposti anche se dal suo viso si capiva perfettamente che non vedeva l’ora di uscire.
Mi provai il vestito. Non aveva spalline. Era di un rosso acceso con scollatura arricciata, stile impero e diventava aderente appena sotto il seno. La gonna era corta e ampia. Sembrava che mi stesse bene però ero un po’ contrariata dal fatto che la scollatura mettesse troppo in risalto le mie forme. Inoltre la gonna era davvero microscopica: copriva a malapena il fondoschiena. Mi piaceva molto ma non sapevo che decisione prendere. Ed Alice non c’era…
Non potevo chiedere alla commessa perché sicuramente mi avrebbe consigliato di prenderlo. Non era un parere obbiettivo. Ponderai tutte le possibili soluzioni e alla fine giunsi alla più tragica: chiamai Jacob che arrivò pigramente al camerino.
“Cosa ne dici? Ti prego, un parere serio e onesto…” lo implorai, pentendomi l’istante successivo di averlo coinvolto.
Rimase in silenzio a guardarmi, come se stesse analizzando ogni centimetro del vestito. Sicuramente mi avrebbe preso in giro dicendo che sembravo una foca ammaestrata, o, comunque, un animale da circo. Poi sul suo volto si dipinse un sorriso quasi compiaciuto, che mi imbarazzò. Infine iniziò a battere le mani, in un silenzioso applauso:“Perfetta, come sempre”.
Era convinto, o almeno così sembrava. Mi guardai allo specchio e poi lo riguardai di sottecchi: non sapevo se fidarmi o meno. Però forse stavo bene davvero.
“Ma la scollatura non è troppo profonda?” insistetti.
“Beh, se non sapessi chi sei, dovresti girare con la guardia del corpo. Ma tu non ne hai bisogno… Comunque, quel vestito non durerà molto. La prima volta che lo metterai, sicuramente Emmett te lo strapperà per vedere quello che c’è sotto!” rise malizioso.
“Non è un vestito da sesso, ma per uscire la sera…” sbuffai.
“Non durerà, appena rientrerete a casa. Ammesso che tu riesca, con quel coso addosso, ad uscire dalla camera da letto”.
Sorrisi. Ad Emmett sarebbe piaciuto sicuramente. Lo comprai.
Poi continuammo il nostro giretto. Passeggiammo tranquillamente senza renderci conto che ormai erano quasi le 20 e si era fatta sera.
“Io avrei un po’ fame. E lei, signorina Hale?” mi domandò ai limiti dell’ironia.
“No, mi dispiace. Sono a dieta” risposi elegantemente.
Si mise a ridere. “Ok, allora le va di accompagnare me?”.
“Se proprio non puoi farne a meno, mi sforzerò!” dissi, simulando una certa dose di insofferenza.
Camminammo per qualche metro, poi ci imbattemmo in un bar, anzi, a giudicare dall’esterno, una bettola.
“Ti va bene?”.
“Se va bene a te” risposi sostenuta. In realtà non mi andava bene per niente, ma era lui che doveva mangiare, non io.
Entrammo e, con disgusto, notai che l’interno era anche peggio. C’era un bancone di legno, dove si trovavano un uomo e una donna sulla quarantina, probabilmente marito e moglie. Esattamente di fronte  tavoli, sempre di legno, alcuni tondi, altri rettangolari, i primi in mezzo alla sala, gli altri rasenti al muro. Il locale era abbastanza buio. Forse volevano risparmiare sull’energia elettrica.
“Ci sediamo qui, ok?”.
“Va bene”.
Appena ci accomodammo, arrivò subito un ragazzo con i listini, ma Jacob sapeva già cosa prendere. Ordinò un panino farcito con così tanta roba che mi chiesi come faceva a non scoppiare. Ovviamente domandò anche a me, ma risposi che non desideravo nulla.
“Sicuramente questo posto non è di tuo gradimento, però ho voluto entrare per fare prima. Se fossimo andati in un ristorante, ci avremmo messo un’eternità”.
“Non c’è problema” mentii.
Mentre aspettavamo il suo panino, non scambiammo nemmeno una parola. Io per prima non ne avvertivo il bisogno, ma non sentivo l’imbarazzo, come se fosse una normale pausa di conversazione tra amici. Infine arrivò la sua cena. Emanava una puzza incredibile, quasi insopportabile. In più aveva preso anche la birra.
“Scusa, ma tu sei minorenne. Perché ti hanno dato la birra?” domandai.
“Ti sembro uno di diciassette anni?!”.
“No, direi proprio di no” ammisi.
“Se anche dicessi quanti anni ho, non ci crederebbero, quindi tanto vale approfittarne!”.
Iniziò a mangiare e l’odore del suo panino mi fece venire il voltastomaco. Cominciai a pregare che finisse in fretta.
Preghiera inutile. Praticamente lo divorò. Poi una volta finito, mi porse la birra. “Bevine un po’” mi invitò.
“Cosa? Ma sei ammattito! Io non…” e mi bloccai di colpo.
“Puoi berla, eccome”.
“No, non posso e lo sai perfettamente anche tu” replicai.
“Non la bevi non perché non puoi, ma semplicemente perché ti fa schifo. E’ diverso”.
“Non è vero! Carlisle dice che non possiamo”.
“Ne dice di cose Carlisle! Secondo lui, Desirèe non sarebbe neanche dovuta esistere! Un sorso e ti dò vinto il gioco”.
Mi faceva ribrezzo. Presi il bicchiere e la fissai a lungo. Così gialla e con quella schiumetta. Un puzzo orribile. Guardai Jacob: aveva un ghigno sulla faccia estremamente irritante. Sicuramente pensava che non ce l’avrei mai fatta. Mai e poi mai gliela avrei data vinta. Portai alle labbra il boccale e me le inumidii. Santo cielo, che schifo! Peggio di quanto credessi. Mi feci forza e bevvi. Ne trangugiai più di quello che mi accorsi. Quando lo ridiedi a Jacob, si mise a ridere.
“Brava, brava. Anche alcolizzata sei” mi canzonò.
Guardai la birra. L’avevo finita! Non ce n’era tanta, anzi, però l’avevo finita.
“Hai vinto, Rose. Brava” si congratulò.
Un sorriso incredulo mi si dipinse sul viso. Avevo una boccaccia terribile e mi sembrava di dover correre in bagno a vomitare, ma ce l’avevo fatta. “Sono…” esclamai quasi commossa.
“Umana” concluse.
Mi sfuggì una risata. Tutto quello che avevo sempre desiderato si era realizzato in quella giornata. Potevo dirlo. Ero umana.
Ero ancora incantata dal bicchiere vuoto, quando mi accorsi che Jacob si era alzato. “Andiamo?” mi chiese.
Annuii e lo seguii alla cassa.
In attesa che lui pagasse la mia attenzione fu attratta da una serie di persone attorno a un tavolo. Mi avvicinai: stavano giocando a biliardo.
Indugiai a guardarli. Troppo a lungo evidentemente, perché si voltarono tutti verso di me. Inutile dire che, essendo uomini, gli sguardi di ammirazione si sprecarono e alcuni mi fissarono in un modo che non mi piacque affatto. Anzi uno si avvicinò di qualche metro, poi tornò improvvisamente sui suoi passi. E subito dopo mi resi conto del perché.
“Che stai facendo, Rosalie?” domandò Jacob alle mie spalle.
Risi.
“Che c’è?” domandò.
“Mi hai appena salvato da un tentativo di abbordaggio!”.
“Accidenti, se lo sapevo stavo indietro, così vedevo quanti ne facevi fuori combattimento!”.
“Pensi che una signorina così sofisticata come me, possa menare le mani? Ci sei tu apposta, no?” sorrisi altezzosa.
“Stai cominciando a essere un po’ troppo umana, per i miei gusti!”.
Tornai a guardare quegli uomini. Sembrava che si stessero divertendo. Mi sarebbe piaciuto giocare, ma non sapevo fare. Buttai l’occhio nel resto della sala. C’erano altri due tavoli e entrambi liberi.
“Jake, tu sai giocare a biliardo?” domandai senza distogliere lo sguardo.
“Insomma… Sì, abbastanza. Ma non sono un maestro. E’ Jared lo specialista”.
Mi voltai verso di lui e, con il sorriso più amabile del mondo, sussurrai:“Mi insegneresti?”.
Alzò gli occhi al cielo, esasperato. “Nemmeno questo sai fare?!”.
“No. Nessuno me lo ha mai insegnato. Ti prego, ti prego!”.
“Rosalie, è già tardino. Forse sarebbe il caso che tornassimo a casa…”.
“Non avrò mai più una giornata come questa. Ti scongiuro!” cercai di muoverlo a compassione.
“E va bene” sospirò. “Vado ad affittare il tavolo. Tu tira fuori le stecche”. Sorrisi entusiasta: avrei imparato a giocare a biliardo.
Quando mi raggiunse, avevo già le stecche in mano. Preparò la disposizione a triangolo delle palle.
“E adesso?” domandai.
“Spacco io”.
“Spacchi?”.
“Sì, si dice così” e tirò la pallina bianca contro le altre che si dispersero in varie direzioni. Quindi bisognava tirare quella bianca. Era lei che doveva mandare in buca le altre. Questo almeno era chiaro. Successivamente Jacob mi insegnò le varie posizioni, come impugnare la stecca e tirare. Fu divertente.
La partita proseguì: Jacob rispetto a me sembrava il genio del biliardo. Ogni tiro che faceva metteva in buca una palla, e nonostante questo, per farmi imparare, fece fare molti più tiri a me. Ovviamente alla fine vinse lui, ma io ero riuscita a metterne in buca ben tre. Ero soddisfatta di me stessa.
Facemmo una partita sola poi decidemmo di tornare a Forks. Ormai erano quasi le 22 e probabilmente a casa mia si stavano chiedendo dove fossi finita.
Salimmo in moto e ripartimmo.
Appoggiai la testa sulla sua schiena: non ero stanca, ma rilassata.
Ormai ci avevo preso gusto ed era un peccato che il ritorno a casa avrebbe significato la fine della mia illusione.
Il viaggio mi sembrò maledettamente breve.
Era notte ma io vedevo tutto benissimo, come se fosse giorno. Chiusi gli occhi per perdere definitivamente quella sensazione che solo un vampiro poteva possedere.
Il suo odore mi solleticò il naso: era diventato simile a un profumo.
Indossava solo una maglietta. Non era freddo, e Jacob lo sentiva ancora meno di qualsiasi altro essere vivente. Lo abbracciai forte e sentii i suoi addominali perfetti disegnarsi sotto le mie mani. Le sue spalle mi proteggevano completamente dalle folate di vento. La sua schiena era larga e possente.
Sorrisi dentro di me: la giornata da umana mi aveva veramente dato alla testa.
Non avevo alcuna voglia di tornare a casa. Il pomeriggio era stato così bello e rasserenante che non volevo terminasse. Jacob era riuscito a farmi sentire bene. Non avrei mai creduto che proprio lui ce l’avrebbe fatta. L’avevo sottovalutato. Forse non era così male come persona. A parte la puzza, potevo sopportarlo.
Arrivammo in fretta a Forks. Si fermò nei pressi del boschetto in prossimità della stradina sterrata che portava a casa mia.
Scesi dalla moto, sfilando il casco. Ora veniva la parte peggiore. Dovevo ringraziarlo e d’altra parte non potevo fare altrimenti: a modo suo, mi aveva salvata da un gesto sconsiderato. Se ripensavo a come stavo la mattina prima di incontrarlo e lo paragonavo al mio umore attuale, non potevo credere che si trattasse della stessa giornata. Ero stata quasi felice. Avevo staccato la mente da tutti i pensieri negativi e mi ero persuasa di non essere così sola come credevo, di avere ancora tante esperienze, per quanto banali, da fare. Un’esistenza diversa da quella che avevo sognato, ma non per questo meno attraente. Non volevo ammetterlo, ma forse l’umanità era davvero un modo di essere e io potevo esserlo. Mi prendevo in giro, ma era con questa illusione che volevo vivere.
“Ti ringrazio Jake. E’ stata una bella giornata” sussurrai, violentando il mio orgoglio.
“Anche per me, Rose”.
Involontariamente gli sorrisi. Me ne sarei pentita subito dopo, se lui non avesse fatto altrettanto. Il suo sguardo fu così amabile che sembrò abbracciare il mio. Si incise a fuoco nella mente perché sapevo che dal giorno successivo saremmo tornati come prima. Anche se adesso non avrei avuto più scuse per ucciderlo: si era sdebitato completamente dalla sua impresa della settimana passata. Ricordai che Alice mi aveva raccontato che Bella lo chiamava “il mio sole personale” e forse stavo cominciando a intuirne il motivo. Quel giorno l’avrei conservato tra i più preziosi della mia esistenza.
Gli allungai il casco che legò al sedile della moto.
“Io vado Rosalie. Divertiti con i tuoi familiari succhiasangue!”.
”Ti dimentichi che anch’io sono una succhiasangue, randagio pulcioso!”.
“Si torna alle sane, vecchie abitudini. Sai, mi stavo quasi preoccupando della tua eccessiva gentilezza”.
Sbuffai.
Lo salutai e corsi via.
La moto rombò e ripartì.
Dopo qualche metro rallentai. Non avevo fretta di tornare a casa. Probabilmente Emmett era ancora  infuriato con me per la discussione della mattina e doveva aver coinvolto l’intera famiglia. Non volevo cominciare un’estenuante conversazione e perdere gli effetti benefici della giornata. Dovevano prolungarsi il più possibile. Mi sentivo ancora un’umana a tutti gli effetti, e una volta entrata in quella casa, per quanto piena di persone che amavo tantissimo, sarei stata di nuovo una vampira. E per ora non ne volevo proprio sapere.
Inoltre c’era un altro problema: Edward. Edward e quella sua maledetta dote. Non volevo che mi leggesse nel pensiero, scoprisse che avevo passato la giornata con Jacob e che, per giunta, mi ero anche divertita. Me ne sarei vergognata troppo. Mi avrebbe preso in giro per l’eternità. Dovevo cominciare a escludere quel lupo dai miei pensieri. Lentamente ma inesorabilmente. Ma come potevo fare?
Guardai il sacchetto che tenevo in mano: il mio acquisto mi avrebbe aiutato.
Mi fermai e lo tirai fuori. Lo rimirai a lungo. Non potei fare a meno di immaginare, senza alcuna costrizione, la faccia che avrebbe fatto Emmett quando me l’avrebbe visto indosso. Gli sarebbe piaciuto sicuramente. Quanto sarebbe durato? Un sorrisetto malizioso mi scivolò sul volto.
La curiosità mi travolse. Ricominciai a correre verso casa con l’intenzione di mostrargli subito il mio nuovo acquisto.
La raggiunsi nel giro di qualche secondo. Salii le scale che portavano al portone principale. Tirai fuori le chiavi dalla tasca e le infilai nella serratura. La porta scattò. Entrai con un sorriso felice, che scomparì ben presto.
Erano tutti nel soggiorno, come al solito.
Però Emmett, stranamente, non stava guardando il televisore; Carlisle, Alice ed Esme erano seduti attorno al tavolo tondo di vetro vicino alla veranda; Jasper era sul divano con Bella, accasciata su Edward che le cingeva delicatamente le spalle con un braccio.
Quando entrai, sette paia di occhi si concentrarono su di me. Percepii un’atmosfera pesante. Forse ero stata via troppo a lungo senza avvisare. Sì, doveva essere così. Effettivamente non era stata una mossa molto intelligente da parte mia sparire un’intera giornata senza avvisarli, con i Volturi in giro. In fondo loro erano la mia famiglia. Inoltre il modo in cui ci eravamo separati Emmett ed io poteva averli condotti a deduzioni inquietanti.
“Sono tornata” dissi con tono fintamente allegro. Speravo di passarla liscia, stavolta. Ma capii presto che non sarebbe stato così.
Emmett mi guardò preoccupato. “Dove sei stata tutto il giorno?” domandò duro, alzandosi dal divano.
“Scusate” risposi mortificata. E sollevai la sportina che tenevo in mano: “Sono andata a Seattle a fare shopping. Non mi sono resa conto del tempo che passava. Mi dispiace se vi siete preoccupati”.
Nessuno commentò, ma vedevo che le loro facce non erano cambiate: non parevano davvero arrabbiate, solo turbate. Guardai Bella. Il suo viso era una maschera di dolore. Aveva gli occhi lucidi: sembrava avesse pianto a lungo.
Edward lasciò Bella sul divano e si diresse verso di me, senza lasciar trasparire alcuna emozione.
“Mentre tu stavi in giro a spendere soldi e a guardarti allo specchio, qui è successa una cosa. Una cosa molto grave” disse serio.
“Cosa?” domandai titubante. Non ero sicura di volerlo sapere. Avevo paura. Paura di sentire ciò che temevo da più di dieci giorni.
“Desirèe è morta. E’ stata uccisa dai Volturi” rispose laconico.
Il mio cervello non elaborò quello che Edward aveva detto così in fretta e così direttamente. Sentii il fruscio del mio sacchetto che cadeva a terra, le lacrime di Bella riprendere a scorrere, Emmett sedersi pesantemente sul divano.
“Come?” chiesi meccanicamente.
“Si è consegnata ai Volturi di sua volontà. Non voleva più mettere in pericolo, né noi né Seth” disse Alice.
Sentii il bisogno di sedermi: le mie gambe stavano tremando. La testa si fece pesante.
Desirèe non c’era più. Un groppo mi salì dallo stomaco fino in gola. Le lacrime mi inondarono gli occhi. Quella ragazzina. Quella ragazzina che si era appena affacciata alla vita era già morta. Aveva compiuto un gesto che probabilmente neanche io, in un secolo di esistenza, avrei mai fatto. E tutto per amore. Mentre io stavo in giro a bighellonare e a perdermi nei miei finti problemi, la figlia della mia migliore amica si era sacrificata per salvarci tutti.
“Come l’avete saputo?” chiesi, anche se la risposta non mi interessava.
“Il branco ha trovato il suo corpo. Sam ha chiamato e ci ha raccontato tutto” rispose Alice.
“E Tanya?”.
“L’ha saputo da noi circa due ore fa. E’ scappata, non siamo riusciti a trattenerla. Non riesco a vederla ed Edward a sentirla. Non abbiamo la più pallida idea di dove sia. Siamo molto preoccupati. Abbiamo paura che faccia un gesto sconsiderato”.
Tanya doveva essere sconvolta. Quella figlia che aveva così disperatamente salvato e amorevolmente cresciuto, non c’era più. Potevo solo lontanamente immaginare il suo dolore. Chissà dov’era e cosa stava facendo. Se fossi rimasta qui, invece di andare a perdere tempo a Seattle…
“Non sarebbe cambiato niente Rosalie” rispose Edward. “Nessuno avrebbe potuto fare nulla per fermarla. Era troppo innamorata di Seth per pensare di mettere in ulteriore pericolo la sua vita”.
Un amore così grande, nato in così poco tempo, e già spezzato.
Mi coprii il viso con le mani, tentando di nascondere i singhiozzi.
Emmett mi abbracciò a lungo, accarezzandomi i capelli e cercando di consolarmi. Poi, visto che nulla sembrava calmarmi, mi prese in braccio e mi portò in camera nostra, dove rimanemmo tutta la notte.

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Capitolo 28
*** Un senso di vuoto ***


L’acqua ormai era diventata gelida, ma, pur percependo la diminuzione di temperatura, non ne risentivo affatto. La schiuma traboccava ancora dalla vasca, anche se ero a mollo da più di un’ora. Il mio sguardo era perso nel vuoto. Il mondo attorno a me si era fermato. Una sola cosa, o meglio, una sola persona, riempiva la mia mente. Desirèe.
Era morta da sette giorni e non era trascorso un solo secondo senza che io avessi pensato a lei. Non ero più riuscita a fare nulla: non andavo a caccia, non facevo l’amore con Emmett, non riuscivo neanche a parlare con Alice. Ero completamente assorbita dal suo ricordo e dal mio senso di colpa: mentre ero in giro a piangermi addosso e a fare la cretina con Jacob, la stavano uccidendo. Avevo deciso di difenderla dai Volturi, ma non avevo fatto nulla per dimostrarlo. Doveva essersi sentita abbandonata, anche se Edward pensava che si fosse consegnata per salvare Seth. Ma questo sacrificio non ci sarebbe stato se ci avesse visti schierati compatti al suo fianco. Sapeva che tre lupi non sarebbero bastati per vincere e aveva voluto evitare uno scontro già perso in partenza; oppure, come la parte egoista di me mi aveva ripetuto miliardi di volte, si sarebbe consegnata ugualmente anche se io e tutti gli altri fossimo stati dalla sua parte. Certe volte facevo in modo che questa illusione mi imbottisse il cervello, ma ero convinta che fosse semplicemente una subdola strategia per consolarmi. In realtà buona parte della colpa era mia. Avevo lasciato sole lei e Tanya, rifugiandomi dietro remote abitudini all’ubbidienza, e ora avrei passato l’eternità a chiedermi come sarebbero andate le cose se fin dall’inizio avessi fatto ciò che era giusto e dovuto.
Quando mi aveva abbracciato quel giorno, per dirmi quelle poche parole che dovevano essere di incoraggiamento, il piacevole tepore del suo affetto mi aveva riscaldato. Non mi conosceva per niente, ma mi amava già, come io amavo lei. Erano sentimenti nati e cresciuti senza alcuna logica ma ugualmente profondi. Tuttavia Bella era stata migliore di me. Il rimorso per non aver compiuto nessun gesto che sottolineasse sostegno mi stava facendo impazzire. Mi bagnai il viso già umido, ma capii che non era acqua ciò che scorreva sulle mie guance, bensì lacrime. Non sapevo se stavo piangendo per affetto nei suoi confronti o per la mia codardia. In entrambi i casi, erano inutili perché non l’avrebbero riportata in vita. E, nonostante tutto, non riuscivo a piangere come avrei voluto e sentire finalmente la disperazione scorrere via.
La voce argentina, gli occhi verdi come l’erba in primavera, la gioia contagiosa. Tutto questo avrei potuto riaverlo soltanto nei ricordi. Quei maledetti avevano strappato il fiore più bello che la natura avesse potuto far sbocciare. Tanya aveva realizzato il suo desiderio facendole da madre e la morte di Desirèe aveva estirpato nella stessa maniera il mio entusiasmo per la sua felicità. Era come se fosse morta mia figlia.
Da quando ero stata trasformata non sentivo un dolore così profondo e lacerante, e non facevo altro che domandarmi come avrei fatto a farlo sparire. Non avrei mai potuto, e, frugando nel mio cuore, non lo volevo. Desirèe era stata la mia salvezza e contemporaneamente la mia condanna. Aveva risvegliato tutto ciò che di odioso e di sbagliato c’era in me, aveva tramutato la mia vita in un incubo, ma non potevo dimenticare la bellissima emozione che avevo provato quando avevo visto un essere umano, con un cuore che batteva, un respiro che gli riempiva i polmoni, amarmi soltanto per quello che aveva visto dentro di me. Mi aveva amato non perché fossi bella o semplicemente perché condivideva il medesimo tetto, ma perché forse aveva scoperto qualcosa che non ero riuscita a scorgere in cento anni di convivenza con me stessa. Mi illudevo che questa bella scatola non fosse vuota. Se fosse vissuta, avrei tanto voluto averla accanto a me: sarei stata come una sorella maggiore, l’avrei amata incondizionatamente e avrei fatto in modo di farle avere tutto ciò che a me era stato negato. E ora non avrei potuto realizzare niente di tutto questo. Il destino mi aveva fatto intravedere un bagliore, tramite lei, e, esattamente come quella notte, dopo aver visto la felicità di Vera, mi aveva fatto ripiombare nel buio.
Jacob aveva torto: non c’era nessuna stella a rischiarare la mia notte.
Mi immersi nella vasca. Avrei potuto rimanere lì tutta la vita, tanto non avevo bisogno di respirare. Nulla mi serviva per vivere e io non servivo a nulla alla vita.
In quello stato catatonico, mi tornò alla mente quando, tre giorni dopo la morte di Desirèe, la porta della mia camera si era aperta di colpo ed era entrata Alice trafelata. “Sta arrivando Tanya. Sarà qui fra cinque minuti al massimo” sentenziò, poi, così com’era entrata, se ne andò.
Tanya.
La sua previsione provocò una valanga di domande a cui non sapevo dare ordine e nemmeno risposta. Ma l’unica importante era sapere dove fosse stata in tutto quel tempo.
Non mi accorsi di essere rimasta imbambolata per parecchi minuti fino a quando non sentii la porta dell’ingresso chiudersi. Mi precipitai al piano inferiore dove la trovai abbracciata ad Esme, circondata da tutti i membri della mia famiglia, Bella compresa. Rimasi in disparte, in attesa che fosse lei a venire da me, ma non accadde.
Accompagnata da Esme, raggiunse il divano dove si accomodarono entrambe. Alice le si avvicinò e le strinse la mano. “Mi dispiace tantissimo. Non pensavo davvero che sarebbe finita così e se il mio potere fosse più forte, questo non sarebbe accaduto” mormorò trattenendo a stento le lacrime.
“Non è stata colpa tua. Hai fatto quello che hai potuto. Non è una mancanza il fatto che non riuscissi a vedere il suo futuro” balbettò Tanya.
Mia madre tornò ad abbracciarla. Lei era la migliore fra noi ad incoraggiare e a consolare. Nessuno avrebbe saputo fare meglio, ma nulla avrebbe potuto attenuare la disperazione di una madre che perde una figlia. Io ero prostrata, ma non potevo nemmeno immaginare il dolore di Tanya.
Edward le si sedette accanto, richiamando la sua attenzione. Le sorrise amaramente e disse:“Mi dispiace, Tanya. So che è stata colpa nostra, mia in particolare perché ho convinto tutti a restare in disparte. Solo ora capisco che è stato un errore madornale. Se fossimo stati uniti, tutto ciò non sarebbe mai accaduto. Ho pensato solo alla sicurezza di Bella, senza considerare che anche Desirèe aveva lo stesso diritto alla vita e che avrei dovuto proteggerla solo per il fatto che era tua figlia. So che sono stato imperdonabile e che le mie scuse sono tardive, ma volevo solo dirti che questo rimorso mi resterà incollato addosso per il resto della vita”.
Non lo avevo mai sentito rivolgersi a lei con tanto affetto e se pensavo a come fosse stato proprio lui il maggior sostenitore del lasciare Desirèe nel più totale isolamento, suonava tutto come una presa in giro. Ma non era solito farlo e, a maggior ragione, non in una situazione come questa.
Tanya tacque. Forse avrebbe voluto picchiarlo, punirlo per quello che aveva fatto perché ormai riconoscere l’errore non serviva più a nulla. La mia famiglia aveva avuto un ruolo determinante nel suo gesto disperato. Quando ci si sente abbandonati dalle persone che si amano e su cui si fa affidamento, è dura trovare una motivazione per andare avanti. Si ha l’impressione di restare in un eremo, pur sapendo che il mondo sta girando e che ti sta volutamente ignorando.
Tanya si asciugò una lacrima e poi, faticosamente, rispose:“Forse hai ragione, forse no… Sta di fatto che mia figlia non c’è più ed io non posso riaverla. Questo solo vorrei. Ma” lo guardò negli occhi “non credo che avreste potuto fare niente per impedirglielo. Ha deciso così ed è sempre stata una gran testona…” disse, accennando un sorriso stentato.
Ricominciò a singhiozzare e a stringere nervosamente le mani. “Mia figlia è morta” balbettò, come se cercasse di convincere se stessa. Edward le appoggiò una mano sulla spalla. Tanya gli si gettò fra le braccia, piangendo disperata. Nessuno ebbe il coraggio di interrompere il suo sfogo; soltanto Bella iniziò un singhiozzo silenzioso, sostenuta da Alice. Non mi avvicinai: ero sempre stata convinta che i sentimenti che lei aveva provato per Edward non si fossero mai sopiti del tutto e pensai che lui tutto sommato fosse la persona più indicata a consolarla.
Dopo qualche minuto, si allontanò lentamente e si scusò per il suo sfogo. Edward le sorrise e la baciò sulla fronte. Fu allora che Tanya si voltò verso di noi e ci guardò uno ad uno come se volesse stringerci in un unico, interminabile abbraccio.
Il suo sguardo indugiò su di me. Dapprima seria, le sue labbra si mossero in una smorfia di dolore. “Rose…” mormorò, quasi in un’invocazione. “Ti prego, aiutami, non ce la faccio da sola…”.
I miei occhi si fecero lucidi. Quanto avrei voluto esaudire il suo desiderio, ma io per prima non ero in grado di consolare me stessa, come potevo riuscirci con lei? Era una missione irrealizzabile, anche perché non ero mai stata brava con le parole. Non riuscivo ad esprimere dolore e nemmeno a sanare quello degli altri. La mia presenza era assolutamente inutile, ma non volevo lasciarla sola.
Edward si alzò per lasciarmi posto vicino a Tanya. Mi sedetti. Jasper fece qualche passo verso di noi, ma mio fratello gli fece cenno di no. Probabilmente avrebbe voluto, tramite il suo potere, calmare il dolore ma Edward sapeva che dovevamo lasciar sfogare la sofferenza accumulata in quei tre giorni.
“Sai, certe volte penso che è stata colpa mia” mugugnò. “Se non l’avessi portata qui per il matrimonio, non avrebbe mai conosciuto Seth e ora sarebbe al sicuro con me, a Chicago”.
“Non devi nemmeno pensarla una cosa del genere!” la rimproverai. “Non è stata colpa tua. Prima o poi avresti dovuto fare i conti con i Volturi e tutto sommato è meglio che sia accaduto qua piuttosto che altrove”.
“Perché?”.
“Per Seth. Forse mi sbaglierò, ma, nonostante la paura che deve aver provato, credo che queste due settimane siano state le più felici della sua vita. Quando è andata dai Volturi l’ha fatto per lui. E il rimpianto per quello che stava per perdere era di gran lungo inferiore rispetto alla consapevolezza di ciò che gli stava regalando: la possibilità di vivere e tentare in qualche modo di essere felice. Desirèe sapeva che da questa situazione non sarebbe uscita se non a costo del sacrificio di tante persone e, per quanto la conoscevo io, non poteva permetterlo. Il suo gesto in qualche modo era immaginabile, ma siamo stati noi a non prevederlo. Seth è stato il dono migliore che il destino potesse farle. Qualcuno per cui lottare e allo stesso tempo morire. Questo è amore, Tanya, e poche persone al mondo possono dire di averlo provato con tale intensità. Il suo destino era di perderlo dopo poco, ma almeno l’ha posseduto per qualche giorno ed è meglio che passare un’esistenza intera ad accontentarsi di ciò che si trova”.
Tanya, dopo un’iniziale momento di sorpresa, sorrise debolmente:“Probabilmente hai ragione tu, ma non posso e non potrò mai fare a meno di pensare che sono stata proprio io a consegnargliela”.
Si asciugò le lacrime che ancora sgorgavano inarrestabili. Rimase in silenzio, assorta, per parecchio tempo, poi finalmente domandò:“Dove sono ora? Intendono ancora attaccarvi?”.
“Non è ben chiaro come vogliano procedere, ma una cosa è sicura: adesso sei tu il loro obbiettivo primario. Sei stata tu a salvare Desirèe e quindi a violare le regole. Sei una fuorilegge e come tale ti vogliono punire” affermò Alice desolata.
“Capisco… Sono ancora qui, dunque?”.
“No. Jane e Demetri sono andati a Chicago, mentre qui è rimasto solo Lehausle con altri due vampiri, suoi scagnozzi”.
Tanya si alzò di colpo. “Sono venuti a cercare me. Kate e Irina sono in pericolo, vero?” esclamò spaventata.
“Temo di sì”.
Iniziò a camminare nervosamente per la camera.
“Avevi detto che sarebbero andate via…” obbiettai.
“Sì, è vero, ma non so se abbiano avuto il tempo di farlo. Dovrebbero essere già partite, ma non vorrei che per qualche motivo avessero ritardato”.
“Non hanno ritardato” la rassicurò Alice. “Sono già a Vancouver”.
Tanya sospirò sollevata. Almeno una parte della sua famiglia era in salvo, anche se con i Volturi in giro non si sapeva quanto questa salvezza sarebbe durata.
“Cosa intendi fare ora?” le domandai.
“Non lo so. Forse dovrei andare da loro. Ormai è inutile rimanere a Forks. Non c’è nessuno che abbia bisogno di me… Però è anche vero che se le raggiungessi, le metterei nei guai”.
“Questo è vero, ma sono le tue sorelle. Credo che ti vogliano accanto, qualsiasi sia il rischio a cui vanno incontro. E poi non è detto che i Volturi vi trovino. Forse se lasciaste l’America e cambiaste completamente continente, potreste definirvi al sicuro. Il mondo è piuttosto grande e non credo che vogliano passare tutto il loro a tempo a braccarvi” interloquì Carlisle.
Tanya non sembrò molto persuasa, ma sapeva perfettamente che la sua presenza lì sarebbe stata forse dannosa, pensando alla posizione traballante di Bella. E fu proprio di questo che volle avere notizie.
“Per Bella? Sono ancora intenzionati ad ucciderla?”.
“Il fatto che Lehausle sia rimasto qui, fa pensare che prima o poi ci attaccheranno, ma per il momento non hanno ancora preso la decisione. Sicuramente resteremo in guardia fino a che anche loro non se ne saranno andati” spiegò Edward.
“Mi dispiace enormemente per tutti i problemi che vi ho causato…” commentò Tanya.
“Tu non c’entri. Sono i Volturi ad avere leggi disumane” si affrettò a rincuorarla Esme.
Tanya si voltò nella direzione di Bella e le si avvicinò. “Ti ringrazio tanto per quello che hai fatto per Desirèe. Sei stata molto generosa, pur conoscendola appena. Non saprò mai come sdebitarmi…” sussurrò, abbracciandola forte.
“L’ho fatto con piacere. Era adorabile, impossibile non volerle bene” rispose Bella, abbozzando un velato sorriso. “Mi dispiace solo che non sia servito a nulla”.
“Grazie ugualmente”.
La guardò amorevolmente, piena di gratitudine per aver regalato a sua figlia qualche giorno di vita in più, poi, deglutendo un boccone amaro, le chiese:“Tu sai dov’è?”.
Bella annuì.
“E’ a La Push, vero?” domandò sconsolata, ben sapendo che là non sarebbe mai potuta entrare.
“No. L’idea era di seppellirla là, ma Seth si è opposto, pensando che tu avresti voluto visitare la tomba. L’hanno sepolta sul confine”.
Per quanto le circostanze non lo consentissero, il suo sguardo si illuminò per un istante. “Dove…?” balbettò.
“Ai piedi dell’unica quercia che c’è in quella zona”.
“Capisco” e si voltò verso di me. “Mi ci puoi accompagnare ?”.
“Certo” le risposi.
Guardò i membri della mia famiglia, li ringraziò ancora una volta e poi si diresse verso l’uscio. “Non credo che ci rivedremo mai più… Comunque sia, siete stati una vera famiglia per me” sussurrò. La seguii lentamente e nel giro di qualche secondo ci ritrovammo a camminare nel bosco.
Rimanemmo in un malinconico silenzio per parecchie centinaia di metri. Non sapevo cosa dirle e lei era chiaro che non aveva molta voglia di parlare. La sua conversazione con Bella aveva disseppellito tutto l’odio che avevo provato contro me stessa nei giorni passati. Non lo aveva detto esplicitamente, e non l’avrebbe mai fatto, ma le sue parole erano suonate come un’accusa. Bella aveva fatto più di quanto le sarebbe mai stato richiesto, e io assolutamente nulla. Inoltre Tanya ci aveva ringraziato tutti quanti, come se dovesse esserci debitrice in qualche maniera. Assurdo! Non capivo se covasse rancore nei nostri confronti: conoscendola avrei detto di no, ma ne avrebbe avuto tutte le ragioni.
“Sai, Rose, quando l’ho salvata, sapevo che prima o poi sarebbe accaduto” ruppe il silenzio. “Ho fatto di tutto per proteggerla, ma avevo violato le leggi e sapevo che a loro non sfugge niente. Presto o tardi l’avrebbero scoperto e tutto sommato è andata bene per sette anni. Non l’avrei mai detto, anche se l’ho sempre sperato. Quello che mi distrugge più di tutto, è che io non sono stata al suo fianco, quando è successo. Era sola. Mi ero sempre ripromessa che quando sarebbe venuto quel giorno, io l’avrei difesa a tutti i costi, invece non c’ero. Non ero con lei…”.
Si fermò e lacrime silenziose iniziarono a solcarle il viso. Mi avvicinai, tentando di costruire nella mia mente un discorso che fosse di conforto, ma la mia testa era completamente vuota. “Non è stata colpa tua” fu l’unica banalità che riuscii a proferire.
“Oh sì, invece. Sono stata una pessima madre. Se le fossi stata più vicina, invece di ridere dei suoi sentimenti per quel ragazzo, tutto questo non sarebbe successo”.
“Lo avrebbe fatto ugualmente. E, comunque, se vuoi buttare la colpa addosso a qualcuno, fallo con me. Io ero qui e non ho mosso un dito”.
“Non era un tuo compito”.
“Hai detto che siamo stati una famiglia per te. Beh, una vera famiglia difende ogni suo componente. E tu, oltre a essere una mia parente, sei anche la mia migliore amica, quindi sono doppiamente responsabile”.
“Non riesco a fartene una colpa. Non c’entravi niente in questa faccenda e sono contenta che tu sia rimasta lontana. Hai ragione: era tutto destino e nessuno avrebbe potuto cambiarlo. Tuttavia non posso fare a meno di pensare che se non fossi venuta a Forks, tutto questo non sarebbe accaduto, o forse l’avrei solo rimandato, ma almeno avrebbe avuto qualche giorno di vita in più”.
“Sai già che non sono d’accordo” dissi risoluta. Poi ripresi più pacatamente:”Credo che l’unica cosa da fare sia rassegnarsi e tentare di reimpostare, non so in quale modo, una vita. Quando raggiungerai Kate e gli altri, sicuramente ti aiuteranno in questo senso”.
“Il dolore per la perdita di una figlia non si cancella mai. Resterà per tutta l’eternità ed è giusto che sia così. Non voglio dimenticarla…”.
“Non ti sto incitando a farlo, ma voglio soltanto farti capire che col tempo la perdita sarà meno dura. La sua assenza sarà sempre parte di te, ma non puoi rinunciare a quel briciolo di serenità che ti meriti”.
Tanya non rispose e riprese a camminare. Procedemmo in silenzio, poi quando ormai eravamo in prossimità del confine, mi confidò:“Sai, quando Carlisle mi ha detto della sua morte, il primo istinto che ho avuto è stato quello di andare a cercarli e ammazzarli. Volevo vendicarla a tutti i costi. Poi” e tirò un profondo sospiro “ho pensato che non sarebbe stato un gesto utile per nessuno, né per me, né per Desirèe”.
“Hai detto bene. Andare a cercarli significava una condanna a morte e tua figlia non l’avrebbe voluto, visto che si è sacrificata per salvare anche te” dissi stizzita.
“Però Alice ha detto che Jane e Demetri sono andati via e qua è rimasto solo Lehausle…”.
“Tanya sei ammattita!” esclamai furibonda. “Ti ucciderebbe. Non puoi sperare da sola di vincerlo! Sarebbe una battaglia dall’esito scontato”.
“Lo so” ammise tristemente. “Non ce la farei mai”.
Mi sentii rassicurata da quelle parole e alzai il viso: eravamo arrivate davanti alla quercia. Gliela indicai e feci per accompagnarla. “Aspetta” mi afferrò per un braccio. “Se non ti dispiace, vorrei restare sola”.
Esitai poi capii. “D’accordo” le risposi.
La salutai e mi allontanai. “Rose” mi chiamò. “Spero di rivederti”.
“Sicuramente. Se dovessi avere problemi con i Volturi o anche con te stessa, alza la cornetta. Arriverò subito” le dissi bonariamente.
“Grazie”.
La guardai dirigersi alla quercia, poi corsi verso casa.
Nel mio cuore si dibatteva una tempesta di sentimenti contrastanti: sollievo per la salvezza della mia famiglia, anche se la posizione di Bella non era ancora ben definita, disperazione per la morte di Desirèe e rimorso per ciò che avevo avuto paura di fare in tutta questa situazione. Avrei dovuto prendere posizione chiaramente fin da principio e invece mi ero persa in congetture, rabbia verso gli ordini di Carlisle e altre banalità. Tutto mentre i Volturi decidevano la vita e la morte. Non mi potevo altresì perdonare di non esserci stata quel giorno. In giro a bighellonare con Jacob e a fare finta che lui risolvesse con un assurdo gioco i miei infimi problemi. Lucidamente ero consapevole che non avrei potuto fare niente, ma mi era impossibile non fantasticare che le cose sarebbero andate diversamente se fossi rimasta qui. E forse anche la lontananza di Jacob poteva aver giocato un ruolo in tutto questo. L’isolamento di Seth poteva averla indotta a quel gesto, insieme ai sensi di colpa nei confronti di Bella.
La mia corsa si fermò di colpo. Avvertii una sensazione di freddo mai provata. Pensare a Desirèe era qualcosa di estremamente penoso. Non riuscivo a darmi pace. Tutti i giorni passati erano stati un inferno, logorata dai sensi di colpa e dalla rabbia per l’ingiustizia che aveva subito. Tanya l’aveva pensato nel momento in cui Alice le aveva parlato della partenza di parte delle guardie reali, ma io l’avevo rimuginato subito: vendicare Desirèe. Se fossimo stati tutti insieme, noi e il branco, avremmo potuto farcela ed eliminarli finalmente. Loro e quelle assurde leggi. Ma per ottenere cosa? Sollievo, pace, vendetta, serenità? E Desirèe? Chi ce l’avrebbe riportata? Sarebbe stato inutile. L’unica cosa che potevamo portarci dietro era un fardello eterno. Non credevo neanche io alle parole che avevo sussurrato a Tanya. Io stessa non riuscivo a dimenticare un evento accaduto ottant’anni fa e pretendevo che lei si mettesse il cuore in pace per la perdita di una figlia? Ma d’altra parte cosa avrei potuto dirle? Sapeva anche lei che la sofferenza non sarebbe mai passata e probabilmente era talmente immersa nel dolore da non ascoltare più di tanto le mie parole, avendo compreso che stavo solo cercando, malamente, di tirarla sù di morale.
Ripresi a correre e rincasai.
“E’ rimasta là?” domandò Esme, al mio ingresso.
Annuii. Fui attirata dal pianto silenzioso di Bella. Sembrava la più colpita. Aveva passato ogni giorno a piangere da quando Desirèe era morta. Sembrava che le sue lacrime non avessero fine. La fissai. Non era una cattiva persona, tutt’altro. Avremmo potuto consolarci a vicenda invece che stare tra le braccia dei rispettivi compagni, che per quanto dispiaciuti, non erano partecipi come noi per la perdita di quella ragazza. Bella aveva detto che non aveva più saputo nulla di Seth: Jacob non si era fatto vivo con lei, anche se l’aveva cercato più volte. Ora mi chiedevo come stesse lui. Doveva essere distrutto. Sperai che i suoi amici fossero riusciti ad alleviare, almeno in parte, il dolore.
Bella continuava a piangere, stringendo la collana che Desirèe le aveva regalato per il suo compleanno. Aveva lasciato a ognuna di noi qualcosa di importante: a Bella un ciondolo, emblema della profonda amicizia che le legava e a me la speranza che la mia vita sarebbe migliorata e i miei rimpianti sanati. Ed entrambi i doni non confortavano nessuna di noi.
Ora a distanza di otto giorni le cose non erano cambiate. Non avevamo più notizie neppure di Tanya. Si era volatilizzata e anche Alice ne aveva perso le tracce. Non sapevo cosa pensare, ma ero inquieta e afflitta.
Ero ancora immersa nella vasca quando una mano afferrò la mia e la sollevò dolcemente. Il resto del corpo la seguì. Quando riemersi, trovai Emmett seduto sul bordo. Abbassai subito gli occhi, incapace di reggere il suo sguardo colmo di compassione.
“Come stai, amore?” domandò.
Non gli risposi. Non me la sentivo di dire altre bugie.
“So che soffri ancora per Desirèe e che qualsiasi cosa ti dicessi sarebbe inutile. Vorrei soltanto farti capire che sono molto in ansia e vorrei aiutarti”.
“Nessuno può fare nulla” bisbigliai.
“Non mi permetti di fare nulla” replicò amaramente, poi riprese:“Perché ti sei chiusa così, Rose? Perché non mi fai entrare?”.
“Non voglio essere consolata da nessuno. Sono perfettamente in grado di uscire dai miei problemi da sola” esclamai acida.
Emmett si rabbuiò. Il rimorso per quello che avevo appena detto mi squarciò il petto. Come potevo trattarlo a questo modo, dopo tutto ciò che aveva fatto per me in questa eternità?
“Sai, quel giorno in cui sei scappata via, dopo avermi chiesto di ucciderti…” balbettò. “Per la prima volta nella mia vita ho avuto tanta paura, Rose. Paura di perderti per sempre. Forse io non sono la cosa a cui tieni di più, ma tu lo sei per me. E senza di te mi sento perso. Io non ho bisogno della mortalità. A me basti tu. Sei il mio mondo e tutto ruota attorno a te. Questa è la mia vita, il resto è superfluo”.
Tacque per alcuni istanti, poi riprese:“Ho letto nei tuoi occhi la decisione di farla finita e non sapevo cosa fare per togliertelo dalla testa. Poi abbiamo discusso e io, stupidamente, non ho fatto niente per trattenerti. Sei fuggita e, non so perché, nella mia mente si è affacciata la malsana idea che stessi andando dal branco. Loro ti avrebbero uccisa senza troppi complimenti, anzi non avrebbero aspettato altro. Ti volevo seguire, ma Alice mi ha trattenuto. Ha detto che la mia presenza ti avrebbe solo nuociuto e che mi avrebbe avvisato se avessi deciso qualcosa di sconsiderato. Poi mi ha detto che non ti ha più visto e allora avrei voluto che qualcuno mi uccidesse per non averti impedito di andare via. Ho cominciato a pregare che tornassi presto da me…”.
Mentre parlava si interruppe più volte, come se fosse un estremo dolore rivangare quelle sensazioni.
“Tu non sai quel che darei perché tu sia felice… Se mi dicessi di cosa hai bisogno, te lo darei. Tutto quello che vuoi” disse, accarezzandomi il viso.
Abbassai lo sguardo per qualche istante, per staccarmi dal legame che faticosamente stava cercando di instaurare con me, poi mi imposi di tentare. Desirèe aveva detto che se non ce l’avessi fatta da sola, qualcuno mi avrebbe potuto aiutare. Lei non c’era più. Su chi potevo fare affidamento? Emmett. L’altra volta non aveva funzionato, ma ora magari sì. Se gli avessi raccontato la stupidaggine che avevo tentato di mettere in atto, forse avrebbe capito che non era soltanto un capriccio.
Lo fissai e, quasi in un sussurro, dissi:“Sono andata davvero a La Push…”.
Il mio compagno sgranò gli occhi. Continuai:“Volevo morire e quello mi è sembrato il posto più indicato. Sono andata alla spiaggia. Sapevo che se mi avessero trovato, mi avrebbero attaccato e io non avrei fatto nulla per difendermi. Solo il minimo indispensabile per non fargli capire per quale motivo fossi lì…”.
Emmett si sedette per terra, di fronte a me. I suoi occhi fiammeggiavano di rancore. “Sei impazzita?! Certo che ti avrebbero uccisa! Non aspettano altro quei cani!” esclamò. Poi si passò una mano tra i capelli ricciuti e disse:”Per fortuna non ti hanno vista…”.
Scossi la testa. “Uno di loro mi ha vista, ma non ha fatto niente” dissi, poi mi sfuggì una risata sarcastica:“Anzi, ha anche cercato di tirarmi sù di morale. Ironico a pensarci”.
“Chi era? Seth?”.
“Jacob” affermai, alzando un sopracciglio.
Mi fissò incredulo, poi sollevò l’angolo della bocca in un ghigno sarcastico. “Quel cane?! Come mai tanta gentilezza? Si era drogato?”.
“Ha capito che c’era qualcosa che non andava e allora, siccome vuole uccidermi quando sono al pieno delle mie energie fisiche e mentali, si è sentito in dovere consolarmi”.
“Beh… Per qualsiasi motivo l’abbia fatto, gli sarò debitore in eterno!” esclamò, poi riprese il suo tono preoccupato:“Perché Rose? Perché tentato una cosa del genere? Hai ragione quando dici che non capisco, ma mi sto sforzando di farlo”.
“Non ce n’è bisogno…”.
“Invece io voglio capire!” ripeté ostinatamente. “Perché soffri così tanto la mancanza di umanità? La nostra condizione ha tanti lati positivi che l’essere umano non ha. Certo, è vero anche il contrario, ma vorrei sapere che cosa rimpiangi di preciso. Ci deve essere qualcosa che ti abbatte più di altro”.
“Tu cosa ricordi di quando eri umano?” domandai.
“Mah… Ricordo quando l’orso mi stava sbranando, i miei genitori e che avevo un cane. Qualche vaga esperienza ma niente di particolare”.
Sorrisi amaramente. “Io ricordo tutto, ogni secondo. Non dico che sia stata sempre felice in quei diciotto anni, anzi. Forse sono più i brutti ricordi di quelli belli, ma sono le piccole cose che mi mancano. Tutto quello a cui non davo importanza e che sembrava scontato. Sai, ho sempre voluto un cagnolino, quand’ero piccola, ma i miei non me l’hanno mai voluto prendere. Ero convinta che quando mi sarei sposata, avrei potuto averlo. E invece non ho potuto e neanche adesso posso… Non arriverebbe alle ventiquattro ore in questa casa”.
Assunse un’espressione colpevole e continuai a ferirlo.
“Io adoravo la cioccolata. Ne mangiavo tantissima, era come una droga. Avrei tanto voluto assaggiare la torta di Esme. Mi sono dovuta accontentare di vedere Bella e quel sacco di pulci mangiarla. Non credo di aver mai invidiato così tanto una persona”.
Gli presi la mano. “So che le mie sono solo lamentele che non hanno costrutto e a cui non posso dare rimedio. Ed è questo che mi fa più male: non poter lottare. Non posso fare niente per cambiare le cose, ma soltanto rassegnarmi. E, credimi, ci sto provando, ma è molto difficile. Pensare che non potrò mai andare nemmeno al mare, che non potrò mai visitare l’Italia o la Spagna perché sono troppo assolate e dovrò limitarmi a vederne le foto sulle riviste mi fa morire. Certe volte le notti mi sembrano così lunghe ed esasperanti! Guardare le lancette dell’orologio scorrere in attesa che venga l’alba e contemporaneamente sperare che sia nuvoloso. Non c’è niente in questa vita, a parte te, che possa amare. Per questo volevo farla finita. Ma mi sono resa conto che sbagliavo. Sarebbe stato un gesto sciocco ed egoista nei tuoi confronti. Non posso e non voglio abbandonarti. Sto cercando di seppellire tutto quanto ancora una volta e spero di riuscirci, stavolta definitivamente. Devi solo avere un po’ di pazienza”.
“Rose, seppellire tutto non è la soluzione. Prima o poi riemergerà…”.
“E cosa possiamo farci? Anche se ne parlassimo all’inverosimile non concluderemmo niente. Sarebbe solo tempo perso. Continuare a sbattere la testa contro un muro che non puoi abbattere non è di alcuna utilità”.
“Secondo me, non devi rimuginare su quello che ti manca, ma su quello che hai acquisito. Ci devono pur essere dei lati positivi per te nell’essere vampiro. Devi solo trovarli e io ti posso aiutare a farlo” disse, cercando disperatamente di incoraggiarmi.
“Uno è vicino a me” gli sorrisi.
Si avvicinò e mi diede un bacio dolcissimo. “Ti prego, promettimi che non farai più una sciocchezza del genere” implorò.
“Non ti preoccupare. Non succederà mai più. E’ stato solo un momento di debolezza”.
Le sue labbra si spalancarono in un sorriso rasserenato. “Piuttosto, cosa hai fatto dopo? Sei stata sempre a Seattle?”.
“Beh sì. Hai visto che ho fatto shopping, no?”.
“Sì, ma non ti sei annoiata senza Alice? Tutto il giorno da sola a girare per negozi deve essere stato terribilmente monotono”.
Da sola?
“Non più di tanto. Sai che adoro girare per negozi. Ma Alice non ti ha detto che ero là?” domandai, cercando di investigare che cosa sapesse.
“Mi ha detto solo di non preoccuparmi. Che era tutto a posto”.
“Aha”.
Perché Alice non gli ha detto che non poteva vedere dov’ero e cosa stavo facendo? Pensandoci, forse non aveva voluto farlo preoccupare ulteriormente.
Decisi di terminare il bagno. Emmett uscì e tornò al piano terra dagli altri.
Al contrario, una volta vestita, io passai il resto della giornata in camera, come ormai ero solita fare. La notte, fu per l’ennesima volta, eterna. Minuti che non scorrevano mai, buio ovunque. Mi sentivo persa. Stava tornando tutto come prima e il dolore per Desirèe accresceva la mia angoscia.
La rabbia tornò nuovamente ad assalirmi: non volevo cedere. Dovevo fare qualcosa per scuotermi, ma non sapevo cosa. Rimuginai a lungo e l’unica cosa che riuscii a trovare fu la più banale di tutte. Mi alzai precipitosamente dal letto e corsi in salotto da Alice.
“Ti va di andare a Port Angeles a fare spese?”.
Alice aggrottò la fronte. Balbettò qualche parola  sconnessa, poi disse:“Ok. Se vuoi andiamo a Seattle…”.
“No, Port Angeles va più che bene. Domani pomeriggio” affermai decisa.
Sicuramente gli altri si stavano chiedendo se fossi impazzita. Effettivamente poteva sembrare inopportuno che volessi dedicarmi allo shopping, ma era l’unico modo che conoscevo per staccare la spina. Non era onorevole, ma almeno utile.
Passai la nottata a guardare la televisione, insieme a Emmett. Finché trasmisero noiosissimi film d’amore, che non facevano altro che riportare la mia mente a Desirèe, fu quasi una tortura. Poi finalmente nel cuore della notte prevalsero i thriller e gli horror di serie B e fu uno dei pochi momenti di serenità. Riuscimmo persino a ridere, soprattutto quando ne trovammo uno su Dracula e i suoi “perfidi” seguaci.
Quando il mattino arrivò, Edward ritornò a casa nostra con Bella e le ore passarono tra chiacchiere forzate, risate di circostanza e musica a tutto volume. Invidiavo Carlisle: con il suo lavoro all’ospedale riusciva a distrarsi mentre noi eravamo fra quelle quattro mura a rimuginare e a tentare di tenerci compagnia l’un l’altro per non pensare. Non era una cosa che a me riuscisse particolarmente facile.

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Capitolo 29
*** La nostalgia e il rimpianto ***


Finalmente giunse il tanto sospirato pomeriggio. Alice invitò anche Bella, ma lei declinò cortesemente l’invito: aveva sempre detestato lo shopping e non le avrebbe portato alcun giovamento.
Non avevo voglia di guidare, quindi prendemmo la Porsche giallo canarino di Alice. Per tutta l’andata non ci parlammo. Lei si limitò a guardare la strada e io il panorama. La cittadina non era lontana e la raggiungemmo in fretta. Quando scendemmo dall’autovettura, Alice ruppe il silenzio. “Come mai non sei voluta andare a Seattle? Ci sono più negozi là…” domandò incuriosita.
“Volevo fare un girettino, niente di più”.
“E’ di svago, giusto? Soltanto per staccare la spina…”.
Annuii.
“Penso che sia stata una buona idea. Mi si stava logorando il cervello a pensare a quello che avremmo potuto fare e non abbiamo fatto…”.
“Per favore, non ne parliamo, ok?” intervenni, bloccando sul nascere il suo discorso. “Siamo qui per rilassarci e non voglio ricordare niente”.
“Hai ragione. Andiamo a sventrare le nostre carte di credito, allora!” esclamò entusiasta. Sapevo che se c’era una persona capace di risollevarmi il morale, era mia sorella. Era sempre così allegra che riusciva a farti sorridere anche quando affondavi nella depressione più nera. Era completamente diversa da me ed era per questo che la adoravo. I miei difetti erano annullati dalle sue doti. Io ero fredda, scostante, introversa, egocentrica ed egoista. Lei era tutto l’opposto. Ripensando alla composizione della nostra famiglia, era sicuramente la migliore, quella che andava d’accordo con tutti e di cui nessuno poteva fare a meno. Il folletto della casa e ogni giorno ringraziavo Dio di avermela regalata.
“Guarda quelle scarpe…” mi indicò una vetrina. “Sono bellissime. Entriamo, le voglio provare a tutti i costi” esclamò rapita. Non ebbi nemmeno il tempo di risponderle perché mi trascinò dentro il negozio.
Impiegò tre minuti al massimo per decidere di comprarle. Il primo acquisto era stato fatto e ne sentivo già l’effetto benefico, anche se non l’avevo fatto io. Nel giro di poco ci ritrovammo con due sportine ciascuna. Io avevo comprato una camicetta e un vestito, lei le scarpe e un paio di pantaloni. E ogni tanto riuscivamo anche a ridere. Direi che venire lì era stata un’idea grandiosa. Per una volta nella vita anch’io avevo avuto un’intuizione vincente.
Ma Port Angeles, come aveva detto Alice, non era una grande città e verso le 18 ci ritrovammo a ripercorrere le stesse strade e a guardare gli stessi negozi. Non era divertente come prima, ma almeno svagante. Almeno fino a che Alice non intavolò un discorso che mi fece tornare alla mente qualcosa che sarebbe dovuto restare sepolto.
“Rose, quel giorno che sei sparita… Ci siamo tutti preoccupati da morire perché non ho visto dov’eri. Ho cercato il tuo futuro ovunque ma niente. Poi ho detto a Emmett che stavi bene per non farlo preoccupare di più, ma ero terrorizzata. Ero arrivata addirittura a credere che fossi morta”.
“Mi spiace”.
“All’inizio ho pensato, con angoscia, che fossi con Desirèe. Poi quando Sam ci ha dato la notizia, ho capito che non eri con lei, visto che…” e la frase le morì in gola per qualche secondo, poi continuò:“E così ho dedotto che fossi con uno del branco, anche se non ne capivo il motivo…”.
Non risposi. Sapevo quale sarebbe stata la domanda successiva.
“Eri con uno di loro, giusto?”.
“Sì” ammisi.
“Con chi? Scusa se te lo chiedo, ma mi sembra strano che tu e un licantropo abbiate passato un’intera giornata assieme”.
“Jacob” risposi, imbarazzata.
“Con lui?! Ma l’ultima volta che ne avevamo parlato, avevi detto che volevi ucciderlo” contestò vivacemente.
“E’ vero, ma, per motivi di cui non ho voglia di parlare, ero andata a La Push. L’ho incontrato e, non so come, mi ha risollevato. Tutto qua”.
“E come avrebbe fatto?”.
“Mi ha portato a Seattle per farmi divertire. E’ stato un toccasana. Se non ci fosse stato lui, probabilmente adesso starei facendo compagnia a Desirèe” dissi amaramente. Non mi piaceva parlare di Jacob in questi termini, ma non potevo non riconoscergli il merito di quella giornata fantastica. Alice abbassò il viso, continuando a camminare, anche se molto più lentamente.
“Compagnia a Desirèe? Che cosa intendi dire?” domandò. Poi sgranò gli occhi, come se avesse capito: “Tu eri andata a La Push per cercare qualcuno che ti uccidesse, vero?”.
“Sì”.
Si fermò di colpo. “Mi vuoi dire che diavolo ti è passato per la mente? Non capisci proprio niente!” rimbrottò alterata.
“Sto attraversando un momento difficile e ho pensato che farla finita fosse l’unico modo… Ma adesso ho cambiato idea” dissi, cercando di farle capire che il peggio era passato e che doveva smettere di preoccuparsi.
 “Per fortuna che hai trovato Jacob allora. Se al suo posto ci fosse stato qualsiasi altro del branco non ci avrebbe pensato due minuti ad accontentarti!” esclamò. Poi continuò malinconica:“Rose, qual è il problema? Potrebbe ripresentarsi e voglio essere io ad aiutarti,  non un cane!”.
“Sento la mancanza della mia umanità” assentii. “Vorrei respirare, mangiare e invecchiare. Tutto qui”.
“Tutto qui?!” esclamò sconcertata. “Ti rendi conto di quello che stai dicendo? Da quanto tempo va avanti questa storia?”.
“Da ottant’anni. Non ho mai accettato la mia trasformazione. Soltanto che ho sempre cercato, vanamente, di rassegnarmici. E, ultimamente, per tutta una serie di ragioni, è riesplosa prepotentemente”. Mia sorella tacque. Continuai per farle capire:“Mi sento a disagio dentro questo corpo. Non voglio vivere in eterno una vita banale. Sono stanca. E poi mi sento tanto sola perché sono l’unica in famiglia a pensarla così, mentre tutti voi apparite sereni. Vorrei tanto mangiare. Non immagini quanto…”.
“Non sei felice”.
“No”.
“E quando pensavi di dirmelo tutto questo?! Dall’aldilà?!” si inalberò.
“Non riuscivo ad aprirmi. Avevo paura che mi rideste in faccia” tentai di scusarmi.
“Stai scherzando?! Ed Edward perché non mi ha mai detto niente?!”. Alice sospirò. “Credevo che fra di noi ci fosse un certo tipo di rapporto e invece vengo a sapere che persino un cane mi ha superato… Perché tu ne hai parlato con Jacob, non è così?”.
“Sì” ammisi. “Però prima mi sono confidata con Emmett, che non ha capito” dissi, cercando di sminuire la situazione. “Ho parlato con Jacob solo perché sembrava che lui potesse aiutarmi. E a modo suo l’ha fatto. Ma questo non vuol dire che non ti voglia bene, anzi tutt’altro. Temevo che avresti riso dei miei problemi, perché so che sono solo capricci… Non volevo deluderti”.
“Secondo te, io credo che siano capricci?! Se ti volevi suicidare per questo, vuol dire che non sono affatto capricci!”.
“Senti, facciamo finta di niente. Passerà, come al solito. Tutto tornerà come prima” la rassicurai.
“Come no? Fino alla prossima crisi! E poi cosa farò? Andrò a chiamare lo psicologo Jacob? Se lo vuoi proprio sapere, sì, mi hai delusa. Non per i tuoi problemi, ma perché sei andata a parlarne con un estraneo. Sono esterrefatta!”.
“Alice, aspetta un attimo. Posso spiegarti tutto” cercai di blandirla.
“Non puoi spiegare un accidente! Hai ragione. Sono stanca di te e dei tuoi atteggiamenti lunatici. Se questo è come dimostri l’affetto alle persone che ti vogliono bene, ha ragione Edward ad odiarti”.
Le sue parole mi raggelarono.
“Ti voglio bene, Rose. Sei una sorella a tutti gli effetti, ma non ti capisco. Ho sempre cercato di starti accanto, ma evidentemente per te non è abbastanza. Ti nascondi dietro la paura di essere derisa, ma non è così. Non sai nemmeno tu cosa vuoi. Avverti il disagio e lo fai pesare a tutti noi. Credi che sia facile sopportare i tuoi scatti di nervi, gli atteggiamenti indisponenti e la tua superbia? Io l’ho fatto perché ti adoro, ma adesso non so più se il mio affetto è stato ben riposto. Per te l’immortalità sarà sempre una questione irrisolta, ma se ne avessi parlato con noi, forse avremmo potuto aiutarti. Io non so più cosa pensare” disse esausta.
Mi sentii ignobile. Avrei dovuto tacere con tutti quanti e portarmi dentro il fardello, come avevo sempre fatto in questi anni, e svelandolo avevo soltanto provocato rotture ulteriori tra me e la mia famiglia.
“Credo che sia meglio tornare a casa. Mi sono stufata” sbuffò e invertì la direzione di marcia. Invece io non me la sentivo di tornare. Non adesso che ero riuscita a farmi detestare anche da mia sorella.
“Io resto un altro po’”.
“Un altro po’ quanto?”.
“Non lo so”.
“Fai come vuoi. Ci vediamo a casa” affermò con voce tagliente e si diresse verso il parcheggio dove avevamo lasciato la macchina, facendosi carico anche dei sacchetti con i miei acquisti.
Ripresi a camminare senza meta. Non ero interessata a dove sarei finita. Volevo solo stare sola a riflettere su quanto fossi stupida e irriconoscente nei confronti dei miei familiari.
Feci probabilmente molte volte lo stesso percorso e improvvisamente mi accorsi che erano passate ore da quando Alice se ne era andata. Era quasi mezzanotte. Forse avrei fatto meglio a rientrare. Sicuramente a quest’ora lei doveva averne già parlato con Emmett, Edward aveva letto nel pensiero di entrambi e tutti dovevano essere infuriati con me oppure, magari, si stavano facendo delle grasse risate. No, era meglio restare a Port Angeles un altro po’.
Camminando, camminando, finii verso la periferia. E il mio sguardo fu attratto da una fila di persone che si accalcavano all’ingresso di un locale. Per curiosità mi avvicinai. Ragazze e ragazzi stavano varcando la soglia, vestiti, alcuni in maniera appariscente, altri più sobri. Alzai lo sguardo per osservare l’insegna, che emanava una brillante luce fucsia. “Island”: che razza di nome! Sentii un gran baccano provenire dall’interno. Era una discoteca.
Mi fermai, animata da sentimenti contrastanti. Le discoteche non mi erano mai piaciute tanto, però adoravo ballare e forse mi avrebbe aiutato. Pagai ed entrai. Scesi scale assai ripide e mi ritrovai in una grande sala, illuminata da riflettori di vari colori. Tanta gente stava ballando in pista. Il dj urlava frasi senza senso. Erano più di dieci anni che non ci mettevo piede. Quei generi di locali non sembravano cambiati. Sempre gran baccano, gente ubriaca e… bellimbusti desiderosi di fare conquiste. Due mi si avvicinarono, tentando di instaurare una conversazione. Sbuffai. Non ero certo venuta lì per farmi abbordare. E per di più puzzavano di fumo in maniera impressionante. Risposi seccata alle loro domande scontate, poi con una scusa li liquidai.
Andai a farmi un giro, osservando attentamente il locale. Erano tre stanze. La più grande era quella da dove si accedeva direttamente dall’entrata e nella quale c’era anche il bar; la seconda, più piccola, faceva musica, secondo me, senza capo né coda; infine la terza era un privè. Dedussi che si accedeva tramite invito perché c’erano due buttafuori davanti all’ingresso, pronti a bloccare ogni persona che cercasse di infiltrarvisi. Decisi di tornare nella sala più grande: la musica era decisamente più piacevole. Per evitare altri due abbordaggi, mi gettai in pista.
Ballai per parecchio. Fu rilassante e rigenerante. Non pensai a nulla e mi lasciai trasportare dalle note. Chiusi a volte persino gli occhi per costruire un’empatia con i vari suoni che rimbombavano nel salone. Superato il primo momento di smarrimento, mi accorsi che mi stavo persino divertendo. Da piccola ballavo in continuazione davanti allo specchio. A volte lo avevo fatto anche a casa Cullen, ma poi, per paura di essere scoperta, avevo smesso. Adesso non dovevo vergognarmi di niente: potevo essere me stessa, tanto non mi conosceva nessuno. L’unica seccatura era che periodicamente veniva qualche ragazzo a parlarmi. All’inizio l’avevo trovato divertente, ma poi mi ero stufata. Essere la più bella aveva questo piccolo inconveniente. Continuai a ballare, ma quando arrivai (li contai) al ventesimo abbordaggio, smisi e uscii dalla pista. Fuori, le cose non andarono molto meglio, anzi. Girai come una trottola, in modo tale da non dare tempo a nessuno di parlarmi.
Buttai un’occhiata fuggevole al bar. Era pieno di gente, pressoché ragazzi che dovevano essere in piena fase di conoscenza. Notai il barista. Davvero carino. Mi avvicinai, decisa a rifarmi gli occhi. Tra spintoni e pestate di piedi riuscii a raggiungere il bancone. In quel frangente il mio sguardo fu calamitato da un ragazzo seduto al bar, con un long drink in mano. Lo fissai attentamente e lo riconobbi. Seth.
Senza darmi una spiegazione logica, lo raggiunsi. Quando fui dietro di lui, gli misi una mano sulla spalla per attirare la sua attenzione. Si girò istantaneamente e vidi la sorpresa dipingersi sul viso. Ma non sembrò seccato, tutt’altro. Accennò un debole sorriso.
“Ciao Rosalie” disse.
“Ciao Seth”.
Rimanemmo imbarazzati per qualche istante, poi mi fece cenno di accomodarsi vicino a lui. Non ne ero del tutto convinta, ma lo assecondai.
“Come stai?” domandai. Il mio tono di voce, nonostante il frastuono, era basso: sapevo che sarebbe riuscito a distinguere perfettamente ogni mia singola parola, come potevo fare io. Tuttavia non mi rispose e mi resi conto solo in quel momento di quanto fosse stata inopportuna la mia domanda.
“Scusami” farfugliai mestamente.
“Non ti preoccupare” rispose. “Come immaginerai, non sto affatto bene. Penso a lei ogni secondo della giornata”.
“Capisco. Deve essere molto dura”.
“Gli altri del branco mi hanno portato qui per distrarmi, ma per il momento questo posto non sta sortendo gli effetti desiderati”.
“Non sei qua da solo, dunque…” commentai.
“No. Gli altri sono in giro da qualche parte, probabilmente a rimorchiare qualche ragazza. Io ho preferito rimanere qua”.
“Fammi capire: siete venuti in discoteca, e ti hanno lasciato al bar da solo? Bella compagnia di menefreghisti, non c’è che dire…” esclamai disgustata.
“Anche per loro è un brutto momento: mi sto appoggiando molto agli amici, a Jacob in particolare, e devono staccare la spina un pochino. In fondo il dolore è mio, ed è giusto che lo affronti da solo. E tu cosa fai qua? Ci sono anche gli altri Cullen?” mi domandò, guardandosi intorno.
“No. Sono sola. Anche per me quello che è successo è molto penoso e in casa non riesco a trovare pace. Sarà assurdo ma sono venuta a cercarla nel posto più chiassoso della città. Ho pensato che forse il rumore avrebbe coperto la sofferenza”.
“E’ la stessa cosa che ho pensato io. Però evidentemente non c’è abbastanza fracasso” esclamò amaramente.
Tacque e cominciò a giocare con il bicchiere che stringeva tra le mani. Era quasi vuoto.
“Che cos’è?”.
“Coca e rum”.
“Non dovresti bere” lo rimproverai dolcemente.
“Speravo che l’alcol anestetizzasse il cervello ma non è così. Sarà che ne ho bevuti solo tre…”.
“Tre?!”.
“Sì, ma, non ti preoccupare, non hanno lo stesso effetto che avrebbero su un essere umano. Per farci sentire leggermente rintronati, dobbiamo berne almeno una decina. O perlomeno, questo è quello che mi ha detto Sam. Io non ho mai provato. Bere non è una cosa che mi interessa”.
“E allora perché lo stai facendo?”.
“Te l’ho detto. Ma è inutile, come è stata inutile la mia gita in questo posto” concluse rabbuiandosi.
Aveva il capo reclinato sul suo cocktail e non mi aveva mai guardato. Doveva essere difficile mettersi a nudo davanti a me che in fondo ero solo una conoscente e, per giunta, sua nemica, fino all’avvento di Desirèe. Fissava il bancone, ma in realtà non lo vedeva nemmeno. Sembrava adagiato in uno stato di torpore, da cui non voleva scuotersi. Mi sentii in dovere di aiutarlo in qualche modo ma non sapevo come. Forse avrei dovuto distrarlo con altri argomenti, ma poi pensai che il giorno in cui ero stata male, sfogarmi con il suo amico era stato il rimedio migliore.
“Ti manca, vero?” domandai.
Sobbalzò, colto alla sprovvista dalla mia curiosità.
Si voltò verso di me e solo allora mi accorsi che aveva gli occhi lucidi.
“Sì, terribilmente” mormorò. “Siamo stati insieme due settimane all’incirca, eppure mi sembra di aver passato una vita con lei. Mi manca tanto la sua risata, la sua ingenuità, il suo buttarmi le braccia al collo ogni volta che le sorridevo. Ora che l’ho persa non mi sembra neanche di essere vivo. Adoravo coccolarla: passavo tutte le sere ad accarezzarla fino a che non si addormentava. La guardavo mentre dormiva ed ogni volta scoprivo qualcosa di lei da amare. La mattina era solita svegliarmi mordicchiandomi la guancia, ridendo, e ogni volta era come se dentro di me accendesse una luce, che però intravedeva solo lei. Era come se fosse la custode di tutto ciò che provavo, di ogni mio sentimento. Tutto dipendeva da come mi parlava, mi guardava, mi baciava. Non avevo mai nemmeno lontanamente provato una cosa del genere. Sapevo, tramite Sam, cosa provocava l’imprinting, ma non credevo che fosse così… devastante!”.
“Bella ci ha raccontato che l’imprinting è avvenuto subito, appena vi siete conosciuti…” abbozzai.
“Sì, infatti” annuì. “Mi ricordo che stavamo passeggiando per Forks, indecisi se venire a Port Angeles o meno, quando Brady ed Embry l’hanno vista. Si sono fiondati su di lei come falchi; io mi sono limitato a seguirli, non troppo convinto. Sono molto estroversi e attaccano bottone facilmente… Sono stati loro i primi a parlarle, poi è subentrato Jacob. Desirèe inizialmente sembrava contrariata dalla loro esuberanza, tanto da non volerci concedere troppa corda. Poi si è sciolta e ha cominciato a parlare, soprattutto con Jake. Io mi limitavo a guardarla e a pensare che fosse la ragazza più bella che avessi mai visto in vita mia. Poi improvvisamente ho incrociato il suo sguardo. E’ stato come se mi avessero sparato. Ho avvertito un dolore così acuto al petto, che mi sono voltato dalla parte opposta, pensando che mi stessi sentendo male. Mi sono accorto che avevo l’irresistibile impulso di fissarla e le ho rivolto ancora lo sguardo. Lei aveva gli occhi puntati su di me, nonostante stesse continuando a conversare con gli altri. In quel momento il dolore è cessato e ho capito che le sarei appartenuto per sempre” si interruppe, come se il ricordo fosse troppo penoso.
Non osai sollecitarlo. Fu lui a proseguire il racconto, accennando una risata. “Se ci penso, sono stato davvero un idiota. Ero lì, come un ebete a guardarla, mentre gli altri si facevano belli ai suoi occhi. Per fortuna che lei era molto spigliata: di punto in bianco ha interrotto il discorso con Embry per rivolgersi a me. Ero talmente impegnato ad adorarla, che le prime parole le ho pronunciate balbettando. Poi finalmente ho ripreso il controllo ed ho potuto intavolare discorsi che avessero un senso, ma ti assicuro che è stato davvero difficile… E’ stata sua l’idea di scambiarci i numeri di cellulare”.
“Posso intuire quello che hai provato. Deve essere stato bellissimo, come deve essere stato altrettanto doloroso quando se ne è andata”.
“Quando è tornata a Chicago, mi sono sentito alla deriva. Tuttavia la paura per l’arrivo dei Volturi e le eventuali conseguenze, mi hanno fatto tirare un sospiro di sollievo: volevo che fosse al sicuro. E speravo che a Chicago lo fosse. La notte che ho passato, pregando che non venissero per lei, è stata orribile. Così come il giorno dopo, quando Bella mi ha telefonato per dirmi che era scappata. Ero talmente terrorizzato che i primi secondi non sono nemmeno riuscito a parlare, poi ho trascorso tutta la giornata a cercarla. Sono andato anche a Seattle, fino a che non l’ho trovata in uno dei boschi, appena superata Port Angeles. Quando l’ho abbracciata, ho capito che non avrei permesso a nessuno di portarmela via. L’avrei difesa io. Tornando a La Push, Desirèe aveva affidato la sua vita a me e avrei dovuto affrontare subito i Volturi, invece di lasciarla a casa di Bella. Se l’avessi fatto, tutto questo non sarebbe successo…”.
“Non devi fartene una colpa. Non ce l’avresti mai fatta da solo. Lo sapeva perfettamente ed è per questo che ha preso l’unica decisione possibile. Non avrebbe mai permesso che tu morissi per lei” tentai di consolarlo, ma tutto questo mi fece tornare alla mente il motivo per cui mi ero rifugiata in quella discoteca. “La responsabilità è nostra. Vi abbiamo abbandonato al vostro destino, come se Desirèe non contasse nulla per noi. Non sarebbe dovuto accadere ma non ho saputo fare, né dire nulla per convincere il resto della famiglia ad aiutarvi. Mi sono limitata semplicemente a sprofondare nel mio rancore verso il destino, Carlisle e Edward, mentre invece avrei dovuto solo agire. E quando mi sono finalmente decisa a farlo, è stato troppo tardi”.
“Volevi aiutarci?” mi domandò.
“Sì. L’avevo già detto a Tanya. Anzi lei mi aveva dato il compito di trovarti per parlare, ma non sapevo come fare, senza coinvolgere Bella. Inoltre avevo paura perché temevo che i Volturi mi stessero sorvegliando e non volevo portarli involontariamente a voi. Sono stata profondamente in crisi…” spiegai esitante. “So però che queste non possono essere scusanti. Mi dispiace, Seth, non sai quanto”.
Scosse la testa. “Non è stata colpa tua, come di nessuno dei Cullen, ma solo ed esclusivamente mia” disse, trangugiando le ultime gocce del suo cocktail. “Il giorno prima ero andato in perlustrazione” affermò angustiato “e per caso ho sentito una scia, diversa dalle vostre. L’ho seguita e ho visto una ragazza dai capelli neri correre per la foresta. Si è rifugiata dentro la casa abbandonata di una famiglia di falegnami che aveva vissuto lì fino a qualche anno fa. Ho capito che doveva essere una delle guardie reali di cui mi aveva parlato Bella e, stupidamente, l’ho raccontato a Desirèe”. Appoggiò il viso sulla mano. “Gliel’ho praticamente consegnata io. Se non glielo avessi detto, non avrebbe mai saputo dove cercarli e ora sarebbe qua, con me”.
“Li avrebbe trovati ugualmente…” cercai di rincuorarlo.
“No, non avrebbe mai potuto. Non conosceva i boschi. E per di più quel giorno l’ho lasciata da sola per andare a parlare con Leah e quando sono tornato, non c’era più. L’ho cercata come un pazzo e poi…”. Tacque. Appoggiai una mano sulla sua. “Basta così, Seth. Non devi più pensare a quel momento, ma ricordarla semplicemente e continuare con la tua vita, come avrebbe voluto lei” dissi.
“Farà sempre parte della mia vita, anche se non c’è più…”.
“Forse col tempo…” supposi debolmente.
“No” smorzò subito la mia affermazione. “Senza di lei, sono al buio e so che non mi ci abituerò mai. Amore è questo, no?”. Mi sorrise forzatamente.
“Sì, è questo, purtroppo” dissi, stringendo le labbra.
Rimanemmo in silenzio per qualche minuto entrambi, poi udii una voce alle mie spalle apostrofarmi in maniera sprezzante:“Che diavolo fai qui, Cullen?!”.
Era un ragazzo molto alto, dai capelli cortissimi e il mento sporgente. Emanava una puzza incredibile. Evidentemente uno del branco.
La sua arroganza pungolò la mia rabbia. “Sono a Port Angeles e non mi risulta che qua ci siano restrizioni, o sbaglio, cane?”.
I suoi occhi divennero due fessure. “Vattene, sanguisuga!” replicò con tono perentorio.
“Non ne ho alcuna intenzione”.
Il ragazzo si avvicinò, deciso a far rispettare le sue regole, quando Seth giunse in mio aiuto. “Brady, lasciala stare. Stiamo parlando e la sua presenza non mi disturba affatto, anzi”.
“Non dovresti parlare con lei. E’ solo…una Cullen” disse disgustato.
“Invece voglio che rimanga”.
Brady arricciò le labbra, profondamente contrariato. “Come vuoi” disse e scomparve tra la folla.
“Ti ringrazio”.
“Non c’è di che” alzò le spalle. “Mi fa piacere parlare con te”.
Mi sforzai di sorridere, anche se a essere sincera, l’incontro con quel cane, mi aveva profondamente infastidito. Quelli del branco sembravano fatti tutti con lo stampino: arroganti e presuntuosi. Soltanto Seth era diverso. Mi chiesi come facesse una persona tenera e altruista come lui a stare insieme a loro.
“Non devi pensare che sia cattivo” disse, come se mi avesse letto nel pensiero.
“E’ solo deficiente!”.
“No” sogghignò. “E’ molto preoccupato per me, come tutti gli altri. Pensano che abbia bisogno di aiuto e vada difeso da tutto ciò che in questo momento può darmi sofferenza. Magari da un vampiro la cui famiglia è la stessa di Desirèe…”.
Non l’avevo mai pensata in questo modo. Mi ero avvicinata a lui per confortarlo e non avevo riflettuto sul fatto che potevo riportargli involontariamente alla mente tristi ricordi.
“Scusa. Forse hai ragione” e feci per andarmene.
“No, resta qui” mi supplicò, afferrandomi per una mano. “E’ quello che pensa Brady, non io. Questo è l’unico momento sereno che ho avuto in questi giorni. Non voglio perderlo, ne ho bisogno”.
Non dissi nulla. Mi limitai a riaccomodarmi sullo sgabello, stupita di sentire la mia vita meno inutile di quanto fosse in realtà.
“Sai, gli altri, come ti ho già detto, mi sono stati molto vicini, ma non sono mai riusciti a farmi sentire come te, in questo momento”.
“Davvero? Ne sono lusingata”.
“Non sto scherzando. Forse perché finalmente ne sto parlando con qualcuno, mentre prima non l’ho mai fatto. I ragazzi, come me d’altronde, hanno sempre pensato che fosse meglio seppellire tutto, ma evidentemente non è così”.
“Ho imparato sulla mia pelle che è meglio sfogarsi che tacere. Fare uscire le emozioni è il modo migliore per sopportare il dolore”.
“Hai ragione. Però all’inizio non ero addolorato, non so perché. Ero soltanto infuriato. Con Desirèe, con i Volturi, con me stesso e non sapevo cosa fare per liberarmi di tutta questa rabbia…”.
“E come hai risolto?” domandai incuriosita.
“Ho trovato un capro espiatorio!” rise.
Inarcai le sopracciglia, perplessa.
“Mi sono trasformato e ho picchiato Jacob”.
“Cosa?!”.
“Ha intuito perfettamente il mio stato d’animo. Mi ha aizzato fino a farmi esplodere e gliele ho suonate. Ad essere onesti, se le è fatte suonare. Si è difeso un po’ e ha sferrato qualche attacco, solo per farmi sfogare. Però ho esagerato: gli ho spezzato una gamba e lacerato parte dell’addome. Per fortuna che noi licantropi guariamo in poche ore…”.
Mi sfuggì una risata. “Ed è servito?”.
“Per scacciare la rabbia sì, ma il dolore è rimasto, purtroppo”.
“Sai, voi maschi, siete strani. Quando vi succede qualcosa diventate estremamente violenti, come se picchiare qualcuno potesse portare qualche giovamento” commentai, acida.
“Lo so. Non ha senso. Però nemmeno piangere in continuazione come fate voi femmine serve a granché…”.
Abbassai lo sguardo. Da quanto non piangevo. Seth diceva che non serviva a niente, ma quando, tempo  fa ci riuscivo, mi sentivo meglio.
“C’è qualcosa che non va?” mi domandò.
“No, assolutamente niente”.
Rimanemmo a fissarci per qualche istante poi bisbigliò:“Sai, avevo pensato di vendicarla…”.
“Volevi andare a cercare i Volturi?” domandai scioccata.
Annuì. “Non volevo che la passassero liscia. Mi hanno portato via ciò che avevo di più prezioso e volevo punirli. Non hai idea della rabbia che si agitava dentro di me. Volevo ridurli a brandelli. Non lasciargli nemmeno il tempo di chiedere aiuto. Poi Leah e Jacob mi hanno detto che avrei solo peggiorato le cose, che sarei morto, rendendo di fatto inutile la morte di Desirèe. Ne abbiamo parlato per ore, poi mi hanno convinto. Anche se comunque il desiderio di vendetta è rimasto e non so cosa darei per trovarmeli davanti. Vorrei tanto ammazzarli, Rose”.
“Capisco cosa intendi dire, ma il tuo sarebbe stato un gesto sconsiderato. Anche Tanya voleva farlo, poi per fortuna ci ha ripensato…”.
“Peccato, avrei avuto una compagna di combattimento…” rimuginò Seth.
Non risposi. Se ci fossi stata anch’io, avremmo potuto farcela, adesso che erano rimasti qui solo Lehausle e altri due vampiri. Ma non dovevo prendere in considerazione questa ipotesi, pur avvertendo la collera crescere di istante in istante. Tutto quello che Seth mi stava raccontando, stava alterando la mia capacità di giudizio. No, se avessi preso questa decisione mi sarei suicidata e avrei fatto ammazzare Tanya e Seth, mettendo di fatto la mia famiglia in una sgradevole situazione. Eppure non riuscivo a togliermi dalla testa che una nostra vittoria non fosse così improbabile. Ma se anche avessimo vinto, cosa avremmo concluso? Niente. Però io mi sarei sentita meglio, e anche loro due.
Misi i gomiti sul bancone e appoggiai il viso sulle mani. Vagai con lo sguardo prima sulle evoluzioni compiute dal barman con le bottiglie e poi sugli avventori. Non c’erano dei bei ragazzi. A parte pochissime eccezioni, erano tutti insignificanti.
“Ti piace questa canzone?” mi domandò Seth a bruciapelo.
La ascoltai per qualche secondo. L’avevo già sentita alla radio e non riscuoteva i miei consensi. “Non particolarmente” risposi. Lui invece sembrò gradirla: si mise a battere le dita sul bancone, tenendo il tempo. Sembrava quasi sereno e ne ero felice. Volsi lo sguardo e sgranai gli occhi quando vidi che dall’altra parte c’era Jacob in compagnia di una ragazza dai capelli ricci. Stavano chiacchierando amabilmente. Che imbecille! Lui stava a fare il galletto mentre il suo amico era qui a disperarsi. Per fortuna, Seth aveva incontrato me, altrimenti si sarebbe affogato in un mare di alcool se sperava in un cenno di altruismo da parte di coloro che si spacciavano per suoi amici. Guardandola meglio, la ragazza doveva avere circa vent’anni ed essere veramente stupida per farsi abbindolare da un ragazzo più piccolo (anche se non si sarebbe certo detto dall’estetica) e soprattutto se si trattava di Jacob. La mia convinzione assunse maggior vigore quando la vidi ridere più volte: considerando che gli argomenti di quel cane non erano dei più intelligenti, doveva essere stupida sul serio. Mi cadde lo sguardo sui capelli: aveva una pettinatura assolutamente fuori moda e sembrava che si fosse appena alzata dal letto. Non era nemmeno carina. Aveva un brutto naso. Insomma, non si poteva guardare, però a lui sembrava piacere. Che gustacci! Bella, rispetto a lei, era miss mondo. Però dovevo ammettere che aveva un sorriso accattivante.
“Ehi, mi dai retta?” mi disse Seth, sventolandomi una mano davanti agli occhi.
Scossi leggermente la testa. “Cosa? Scusa, mi sono distratta…” balbettai.
“L’ho notato… Ti ho chiesto se volevi andare a ballare”.
“No, no, grazie. Non ne ho molta voglia”.
“Ok”.
Volsi meccanicamente lo sguardo ancora una volta davanti a me. Jacob stava bevendo un intruglio, che, a giudicare dal colore, doveva essere lo stesso di Seth. La ragazza indossava una bella maglietta: chissà dove l’aveva acquistata…
“Sei gelosa?” mi domandò a bruciapelo.
“Sei ammattito?!” esclamai furibonda.
“Ehi, calma! Non volevo offenderti. E’ solo che li stai fissando da parecchio…”.
“Sto guardando com’è vestita la ragazza. Niente di più” dissi, abbassando il tono. Avevo esagerato a rispondergli così brutalmente, ma non sembrò affatto adirato.
“Non gli piace” ridacchiò.
Corrugai la fronte. “Come fai a dirlo?”.
“Lo conosco. Non è il suo tipo. Si sta solo divertendo a fare il galletto, ma non si scambieranno nemmeno il numero di telefono”.
“Mah… Comunque, a me non interessa” mi affrettai a chiarire, infastidita. Non sapevo il motivo, ma avevo l’impressione che mi stesse prendendo in giro oppure stesse sottintendendo cose che in realtà non esistevano.
“Lui è molto bravo a catturare l’attenzione delle ragazze…” disse.
“Cosa intendi dire?”.
“Riscuote un certo successo col gentil sesso. Probabilmente perché è molto sicuro di sé. A voi donne piacciono i tipi del genere. Non è di quelli che ti rintrona con le chiacchiere, però, come dire, ha un atteggiamento che conquista. E in più è un bel ragazzo. Questo perlomeno è quello che mi ha detto una mia compagna di classe, a cui Jacob piace tanto”.
Mi scappò un risolino. “Un conquistatore?! Lui? Ma fammi il piacere! Forse di ragazzine, non certo di donne!”.
“E tu chi sei? Una donna o una ragazzina?” mi domandò, con un ghigno irritante.
“Contrariamente al mio aspetto, io sono una donna. Si guarda la maturità, non l’apparenza” affermai, con atteggiamento presuntuoso.
“Lo so che sei una donna, contrariamente a noi che siamo solo dei bambini un po’ troppo cresciuti”.
Distolsi lo sguardo. Non andavo fiera di quello che aveva appena detto: non sapevo che farmene di sembrare poco più di un adolescente, quando in realtà sarei dovuta essere ben altro. Ma mi rifiutai di tornare mentalmente su quel penoso argomento.
“Stavamo dicendo? Di Jacob e delle sue potenzialità da latin lover…”: non mi interessava affatto ma era sempre meglio che compatirmi.
“Non c’è molto altro da dire” alzò le spalle. “Diciamo che tutte le ragazze di La Push e Forks lo adorano e se volesse ne potrebbe cambiare una al mese, però fa il superbo…”.
“E perché? Non ce n’è una di suo gradimento?”.
Alzò un sopracciglio e capii di aver fatto l’ennesima considerazione sciocca.
“Bella…” mormorai.
Seth annuì. “Non riesce a togliersela dalla testa. Ci pensa quasi in continuazione e le altre ragazze le vede solo passare. Continua a fare paragoni e non serve a nulla: non troverà mai nessuna uguale a lei, però sembra volerla cercare con le stesse caratteristiche. Tutti noi gli abbiamo più volte detto di metterci una pietra sopra, ma molto grossa, e lui ha promesso che ci proverà, ma è più facile a dirsi che a farsi… E adesso, dopo Desirèe, capisco perfettamente quanto possa essere difficile, anche se per fortuna sua, Bella non è il suo imprinting, quindi con un po’ di pazienza gli passerà… Credo…”.
“Beh, mi sembra che si stia impegnando: il giorno tanto desiderato potrebbe arrivare presto” dissi ironica.
“Questo sì” riprese Seth, incurante del mio sarcasmo. “Questa cosa dei Volturi lo sta aiutando parecchio a distrarsi. Però posso farti una confidenza?”.
“Certo”.
“Io voglio un gran bene a Bella, è quasi una parente acquisita per me, ma a volte mi chiedo che gioco stia giocando. Si deve sposare con tuo fratello, però cerca Jake in continuazione. Sembra che sia persa senza di lui e francamente non capisco come faccia Edward a sopportarlo”.
“Effettivamente me lo chiedo anch’io…” sbuffai.
“E poi tutta questa storia che è innamorata di lui, mi fa un po’ incazzare. Poteva almeno tenerselo per sé invece di dirglielo… Ci sta peggio”.
Sgranai gli occhi, allibita. Questa puntata della soap opera me l’ero persa. “Innamorata? Di Jacob? Te l’ha detto lui?”.
“L’ha pensato ed è più che sufficiente per noi. Deve averglielo detto dopo la battaglia coi Neonati di Victoria. So che si sono anche baciati”.
“Ed Edward? Lo sa questo?”.
“Non so. Mi spiace parlare in questo modo della tua futura cognata, anche se so che non ti sta molto simpatica, però tenerlo legato a sé in questo modo non mi sembra molto onesto. Tutt’altro”.
“Non riesco a crederci” furono le sole parole che uscirono dalle mie labbra. Era per questo che Bella aveva fatto tutta quella scena strappalacrime il giorno del suo compleanno. L’avevo ipotizzato ma mi era parso così surreale che non ci avevo dato assolutamente credito. Ma quello che mi stupiva era il comportamento di Edward. Sapeva tutto questo e si lasciava manipolare da quella ragazzina. Inoltre permetteva anche a loro due di frequentarsi. Era incomprensibile. Ma l’orgoglio di mio fratello dov’era andato a nascondersi? Poi osava dare a me della capricciosa!
“Non vorrei che fraintendessi” disse Seth, intromettendosi di prepotenza nei miei pensieri. “Bella è molto più innamorata di Edward che di Jacob. Per questo non lo lascia. Quello che volevo dire è che deve abbandonare uno dei due e visto che non può essere Edward, la scelta è obbligata. E sarebbe anche la più raccomandabile. Jake soffrirebbe molto però potrebbe liberarsi del suo fantasma più velocemente. Tu che ne pensi?”.
“Io penso che Bella sia una grandissima egoista” esclamai con malcelato rancore. “Non solo fa del male a Jacob, ma anche ad Edward. Non ne abbiamo mai parlato, ma sono sicura che lui soffra ogni volta che li vede o li sa insieme. Non dice nulla semplicemente perché non vuole procurarle un dolore, anche se così facendo la situazione non migliorerà mai. Per nessuno. Io vorrei sapere che cos’ha Bella di così speciale da poter tenere in pugno le vite di due persone. E a dire il vero, sto cominciando a mettere in dubbio l’intelligenza di mio fratello…”.
“E’ innamorato e questo rende tutti stupidi… E poi Bella è una persona magnifica. E’ dolce, sensibile, affettuosa, altruista, è talmente buona che spesso rasenta l’ingenuità. Solo perché ha un comportamento poco chiaro in questo frangente, non la rende una persona peggiore. Anche Desirèe la pensava così”.
“Bella sa recitare molto bene. Infinocchia tutti con il suo sorriso da povera ragazza indifesa” mugugnai.
“Anche tu reciti bene” mi sorrise bonariamente.
“Che vuoi dire?”.
“Tutti noi del branco ti abbiamo sempre considerato altezzosa e superficiale, desiderosa solo di rendersi più perfetta esteticamente di quanto già non fosse. E, non prendertela, stupida e insensibile. La classica ragazza che fa mozzare il fiato, ma che non ha niente da dare. Una bella scatola vuota, come ti definisce Jake…”.
“Non è detto che abbiate torto” confermai con profondo sconforto.
Scosse la testa. “La chiacchierata di stasera mi conferma che avevamo torto. Ti abbiamo mal giudicata, però, come nostra scusante, abbiamo che il tuo comportamento può effettivamente indurre in errore…”.
“Mi avete giudicata così perché sono un vampiro…”.
“Io non dò queste etichette” replicò infastidito. “Gli altri sì, ma non io. Per me non esiste un solo tipo di vampiri. Sarebbe come dire che gli esseri umani sono tutti uguali e quindi se ne odi uno, devi odiarli tutti. Non è così. Vi siete guadagnati il diritto a stare qui e, per quanto mi riguarda, io vi apprezzo. Siete delle brave persone. Il fatto che vi nutriate di sangue è un dettaglio”.
“Grazie” risposi piena di gratitudine. Non c’era bisogno di avere l’imprinting per amare questo ragazzo. Era davvero speciale, come Desirèe. Alice aveva ragione: anch’io li avevo etichettati come arroganti e presuntuosi mentre invece non lo erano. Non tutti almeno, e Seth ne era la prova.
“Non te lo dico per farti piacere ma perché lo penso davvero. Desirèe aveva un’adorazione per te e per Bella. Capivo per Bella, ma quella per te mi sembrava assolutamente incomprensibile. Non ti nascondo che ho pensato che ti volesse bene solo perché eri amica di sua madre, poi mi ha convinto. Ora so che aveva ragione” sospirò.
“Cosa ti ha detto?”.
“Diceva che sei una persona molto sensibile, abituata però a ignorare le emozioni, come se sentissi che questo sia il tuo ruolo. Sei anche impaurita da sensazioni che non riesci a controllare e che, per fortuna, sono una parte importante di te. Diceva anche che sei molto buona, nonostante tu voglia fare la perfida a tutti i costi. Però” ridacchiò “mi ha detto anche che sei vanitosa e parecchio egoista!”.
“Solo questo ti ha detto? Io sono un pozzo inesauribile di difetti! Non ti ha detto che sono egocentrica, che voglio tutto fatto a modo mio, che parlo spesso a sproposito e che sono fredda come il ghiaccio?”.
“Non sei fredda. Affatto. Sei un’emotiva e fatichi a parlare con gli altri di te stessa”.
“Desirèe aveva molta fantasia. Oppure si era talmente convinta che fossi una bella persona che se ne inventava di tutti i colori”.
“Questo non l’ha detto lei, ma l’ho pensato io, adesso”.
“Non mi conosci. Non puoi dire come sono sulla base di quattro chiacchiere scambiate nel bar di una discoteca”.
“Questa è l’idea che mi sono fatto. Piuttosto, Desirèe mi ha detto anche che hai un grave problema che ti porti dietro da parecchio tempo…”.
Il mio sorriso divenne una smorfia e cominciai a giocare nervosamente con le unghie delle dita. “Ti ha detto cos’è?” balbettai.
“No. E’ personale. Non me l’avrebbe mai detto ed è giusto così. Si è limitata a dire che a causa di questo era molto preoccupata per te. Sperava che questa cosa dei Volturi si risolvesse in un qualche modo per aiutarti a venirne fuori, se non ce l’avessi fatta da sola”.
I miei occhi si fecero lucidi. Mi voltai dalla parte opposta a Seth, mordicchiandomi le labbra.
“Scusa, non volevo farti pensare cose dolorose. Mi spiace…” disse, sinceramente mortificato. Mi voltai nuovamente verso di lui, cercando di ricostruire un’espressione serena.
“Non ti preoccupare. E’ tutto ok”.
Desirèe voleva aiutarmi e io non ero stata capace né di difenderla né di ricambiare il suo affetto. Non ero una persona buona. Evidentemente anche il mio cuore sapeva recitare bene, se era riuscito a imbrogliarla. Anche ora il mio egoismo stava prendendo il sopravvento: ero addolorata perché i Volturi mi avevano strappato la cura a tutti i miei problemi. Avrebbe potuto salvarmi e invece dovevo fare i conti da sola con tutti i miei demoni.
“Sam mi ha detto che Edward gira per Forks tranquillamente adesso. Avete deciso di farlo guarire dalla bronchite?!” sghignazzò.
“E’ da parecchio che è ufficialmente malato. Era ora di guarire, altrimenti sarebbe stata la bronchite più lunga della storia!”.
“Già” sussurrò. “Sapete cosa pensano di fare i Volturi con Bella?”.
“Non è chiaro. Jane e Demetri sono andati a Chicago, probabilmente per cercare Tanya. Adesso che…” mi trattenni dall’ultimare la frase, poi continuai “il loro obbiettivo è lei. Bella è passata in secondo piano. Ma Lehausle è ancora qui e questo non fa presagire niente di buono”.
“Vogliono Tanya, dunque?”.
“Sì. Ha violato le regole salvando e allevando Desirèe. Va punita”.
“La uccideranno?”.
“Se riescono a trovarla, temo di sì. Per questo le abbiamo detto di andarsene velocemente. L’ho vista qualche giorno fa e mi ha detto che avrebbe raggiunto le sue sorelle a Vancouver. Prima però è andata sulla tomba di Desirèe…”.
Seth deglutì faticosamente.
“Sei stato gentile a seppellirla sul confine. Almeno è potuta andare a salutarla un’ultima volta. E anch’io potrò andare là ogni tanto…”.
Non disse nulla. Avrei voluto mordermi la lingua: io una persona sensibile?! Continuavo a toccare tasti che avrei dovuto evitare. Dovevo distrarlo e invece tornavo periodicamente a rivangare ciò che per lui era peggiore della morte.
“Sai, Rosalie, questi sono stati i minuti migliori dell’ultima settimana. Sono contento di averti incontrato. Questa serata è stata molto più utile di quanto avrei mai potuto sperare”. Mi fissò intensamente. Era altamente improbabile, però mi piaceva credere fosse vero.
Il mio naso fiutò un odore. Un altro licantropo, la cui scia mi era familiare. Jacob si stava avvicinando.
L’istante successivo il suo braccio si appoggiò sul bancone del bar, alzando una barriera tra me e Seth.
“Quil è stanco: vuole tornare a casa” disse con un tono che non ammetteva repliche.
“D’accordo. Non c’è problema. Per stasera l’ho già annoiata abbastanza” rispose, alludendo a me. Jacob mi lanciò un’occhiata dura e fredda e non ne capii il motivo. Non avevo fatto niente di male, anzi Seth era contento. Gli avevo fatto un piacere, visto che, grazie a me, lui aveva potuto parlare con tutte le ragazze della discoteca!
Se ne andò senza nemmeno salutarmi.
“Ti ringrazio della compagnia, Rosalie. Nessuno avrebbe potuto fare meglio”.
“Non c’è di che. Anch’io sono stata bene”.
“Grazie. Ci vediamo”. Si allontanò e, nel giro di una frazione di secondi, lo persi tra la folla.

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Capitolo 30
*** Una luce in una lacrima ***


Un grazie di cuore a tutti quelli che continuano a seguirmi nonostante la lunghezza della storia!!!!!



Un senso di solitudine mi colpì come un fulmine. Non era dovuto solo al fatto che Seth se ne fosse appena andato. Mi guardai attorno: quella discoteca era piena di persone che ballavano e bevevano, inconsapevoli di tutto quello che era successo nei boschi poco distanti. Io stavo male per Desirèe, ma Tanya e Seth soffrivano decisamente di più. Cercavano di farsi forza come potevano ma la perdita era incancellabile. Il mio dolore, al confronto, era paragonabile a quello di una bambina a cui hanno rubato il peluche. Nonostante la diversità e la profondità dei nostri sentimenti, un intento ci aveva unito: il desiderio di vendetta. Più ci pensavo e più mi chiedevo perché i Volturi avrebbero dovuto passarla liscia. Avevano ucciso una ragazzina indifesa, adducendo stupide regole create per tutelare il loro potere. Ammazzarli non ce l’avrebbe ridata, però almeno i sensi di colpa si sarebbero placati, se non altro in minima parte. Non potevamo permettere che se ne tornassero a Volterra, gridando “Missione compiuta”. Il raggiungimento del loro obbiettivo l’avrebbero pagato a caro prezzo. Adesso volevano eliminare anche Tanya e ce l’avrebbero fatta se non fossimo stati uniti almeno questa volta. Jane e Demetri se n’erano andati, era rimasto solo Lehausle con altri due sgherri. Potevamo farcela. In tre però sarebbe stata dura. Lehausle era dannatamente forte. Dovevamo essere almeno in due contro di lui, o forse anche di più. La mia famiglia sicuramente non mi avrebbe appoggiata, anzi non avrebbero esitato a etichettarmi come una sventata. Però forse…
Mi alzai di scatto e mi diressi frettolosamente verso l’uscita. Lungo il percorso fui bloccata ancora una volta da due ragazzi che tentarono goffamente di conoscermi. Stavolta me ne liberai rudemente e varcai la soglia della discoteca. Percorsi qualche metro, guardando sia a destra che a sinistra, ma la strada era deserta. Erano le tre e mezza e non poteva essere diversamente.
“Dove diavolo sono andati?” imprecai.
Annusai voracemente l’aria. Sentii la loro scia provenire da destra e la mia rincorsa iniziò. Seguendola, percorsi diversi metri, svoltando per due strade. Poi finalmente li trovai. Quattro ragazzoni stavano camminando in mezzo alla carreggiata, consci che, data l’ora tarda, difficilmente qualche autovettura sarebbe transitata di lì. Camminai a passi corti e svelti verso di loro, poi mi fermai: improvvisamente tutta la sicurezza della mia idea era venuta meno. Forse era una stupidaggine. No! Dovevamo fargliela pagare a tutti i costi.
“Jacob!” urlai con tutta l’intensità della mia voce.
Si fermarono, voltandosi quasi simultaneamente. Seth mi lanciò un sorriso sorpreso, mentre gli altri tre mi fissarono severi.
Il braccio di Brady iniziò a tremare vistosamente: era arrabbiato. Mi guardai attorno, spaventata. Se si fosse trasformato mi sarei dovuta trovare un riparo, ma non c’era nulla che potesse proteggermi, e io non avevo le forze per combattere. Fece qualche passo verso di me.
“Che cosa vuole la Cullen?” domandò sprezzante il ragazzo che non conoscevo e che doveva essere Quil.
“Non so…” disse Seth titubante.
“So io cosa vuole!” esclamò Brady, pronto ad attaccare briga.
“Lascia perdere” intervenne duramente Jacob. “Ci penso io”.
“Potrebbe essere qui per piantare rogne” obbiettò Brady.
“Non ti preoccupare. Andate a casa. Ci vediamo domani”.
“Come vuoi” concluse Quil.
Si allontanarono lentamente, buttando ogni tanto delle occhiate veloci e curiose nella nostra direzione. Jacob mi raggiunse.
“Che cosa c’è, bionda?” domandò, seccato. Bionda? Perché mi apostrofava in quel modo? A Seattle mi aveva sempre chiamato Rosalie. Il suo atteggiamento mi mandò in confusione. Mi chiesi che diavolo stessi facendo in mezzo a una strada, con uno stupido licantropo. Stavo solo perdendo tempo.
“Sbrigati a farmi la dichiarazione d’amore, perché ho fretta” affermò con un tono tra il serio e il faceto.
La sua sfrontataggine mi fece ritrovare la parola. “Brutto idiota, non ho nessuna dichiarazione da farti, anche se forse a te piacerebbe!” esclamai velenosa.
“Finalmente ha ritrovato il dono della parola! Stavo cominciando a spaventarmi…” rise, divertito.
Strinsi le labbra. Era mai possibile che non potesse fare a meno di provocarmi?! L’idea di mollargli un ceffone attraversò la mia mente ma non era il momento di perdermi in futili litigi.
“Allora?” mi incitò.
Cominciai a pensare come presentargli la mia idea nel miglior modo possibile, senza però trovare le parole adatte.
“Qui la cosa si fa lunga!” sospirò, alzando gli occhi al cielo. Si diresse verso una panchina di legno sul ciglio della strada e vi si spaparanzò, come avrebbe fatto sul divano di casa sua, in attesa che mi decidessi a parlare, mentre io mi sentivo straordinariamente in imbarazzo.
Alla fine optai per esporre tutto quello che pensavo, senza perdermi in ragionamenti volti a farmi dare ragione. Tanto sapevo perfettamente di essere nel giusto.
“Ti volevo parlare della mia conversazione di stasera con Seth…” iniziai.
Jacob aggrottò la fronte, improvvisamente interessato.
“Discorrendo con lui a proposito di quello che è successo a Desirèe, mi ha detto che è molto, ovviamente, addolorato e abbattuto. E posso capirlo, visto quanto la amava. Però mi ha detto anche che all’inizio era molto arrabbiato per ciò che avevano fatto i Volturi e che il suo unico desiderio era quello di vendicarsi…”.
“Era così, infatti” mi confermò.
“Giorni fa ho parlato con Tanya che è venuta a casa nostra a sfogarsi e a salutare prima di partire. Anche lei era nelle medesime condizioni di Seth e avrebbe voluto correre da loro per ucciderli”.
“E’ comprensibile. Era sua madre. Sia lei che Seth sicuramente provano sentimenti simili”.
Annuii. “I Volturi, adesso che hanno raggiunto il loro obbiettivo, hanno deciso che la prossima sarà Tanya”.
“E per quanto riguarda Bella?”.
“Non è ben chiaro cosa intendano fare. Alice non riesce a prevedere nulla, come se non stessero facendo, né decidendo, alcunché. Sta di fatto però che Jane e Demetri sono partiti alla ricerca di Tanya, a Chicago. Qui sono rimasti solo Lehausle e altri due vampiri”.
Jacob strinse leggermente gli occhi.
“Tanya dovrebbe avere già raggiunto la sua famiglia a Vancouver, ma sono sicura che tornerebbe indietro se…” dissi, cercando di fargli capire a cosa stavo alludendo.
Rimase in silenzio a lungo.
“Scusa, ma mi sta sfuggendo un passaggio. Perché Tanya dovrebbe tornare indietro?”.
“Sei proprio tonto, allora!” esclamai, spazientita. “Lehausle è qua, praticamente da solo. Possiamo vincerlo e ottenere giustizia!”.
“Quindi tu vorresti organizzare una sorta di spedizione punitiva per vendicare Desirèe. Giusto?” mi domandò, ridacchiando.
“Sì”.
“Aha”.
Si curvò in avanti, appoggiando i gomiti sulle ginocchia. Lo sguardo fisso sul terreno. Stava riflettendo. Speravo che fosse d’accordo: in quattro, cinque con Leah, avremmo vinto sicuramente: Lehausle era solo un segugio, non dotato di poteri particolari come Jane.
Dopo istanti interminabili, finalmente mi guardò e non seppi interpretare la sua espressione.
“Sai, Rosalie, riesci sempre a stupirmi…” affermò con un sorrisetto. Scosse la testa. Il suo pugno si strinse nervosamente come una morsa.
“Ma sei impazzita?!” urlò furioso. Si alzò di scatto e si avvicinò. “Forse non hai ben capito cosa mi stai proponendo. Andare là sarebbe un suicidio! Come buttarsi volontariamente nelle fauci di un leone. Se tu hai delle velleità suicide, accomodati, ma non tentare di trascinare me, né tantomeno Seth!”.
“Non capisci. In quattro contro tre potremmo vincere…” obbiettai.
“Potremmo? Quindi non ne hai la certezza. Hai pensato che invece potrebbero ammazzarci tutti? Ha preso in considerazione questa ipotesi, altezza?”.
“E’ praticamente impossibile” affermai sicura.
“Già. Infatti è per questo che la tua famiglia si è opposta fin da principio a un combattimento con loro. Avevano paura di vincere troppo facilmente e fargli del male…” disse sarcastico.
“Non vogliono combattere perché temono Jane, non Lehausle”.
“Mettiamo che, per un colpo di fortuna, riuscissimo a vincere. Poi? Pensi che Desirèe risorgerà dalla tomba? Che a lei servirebbe che noi rischiassimo la vita in un combattimento inutile?”.
“Seth e Tanya starebbero meglio…” sussurrai.
“Certo. Come no?! Peccato che dopo ce li ritroveremo tutti addosso. E allora cosa faremo?”.
Tacqui.
“Non c’avevi pensato, eh? Ma quando mai azioni il cervello, ammesso che tu ce l’abbia?! Se arrivassero anche gli altri loro amichetti, ci ammazzerebbero. Non soltanto noi, ma pure la tua famiglia e il branco. Bella mossa, soltanto per dormire la notte. Ah già, ma tu non dormi…”.
Abbassai lo sguardo, infastidita.
“Non sai com’era ridotta Desirèe, quando l’hanno trovata” confessò amaramente. Trasalii. “Sam mi ha detto che aveva le gambe e le braccia frantumate, oltre all’osso del collo rotto. E, per quanto mi hanno raccontato i tuoi familiari, non penso proprio che l’abbiano prima uccisa e poi torturata”.
Gli diedi le spalle, sgomenta. Edward e Carlisle non me l’avevano detto. Sentii un groppo in gola, pensando a quanto doveva aver sofferto. Ma tutte le sue parole, invece di calmarmi, riattizzarono il fuoco della rabbia.
“E tu lasceresti impunita una cosa del genere?!”.
“Io non voglio che Seth faccia la stessa fine! Se tu tenessi alla tua amica, penseresti lo stesso! Ma sai qual è la verità? Non lo fai né per Seth, né per Tanya, ma solo per te!”.
“Non è vero!”.
“Sì che è vero! In realtà non riesci a darti pace perché non l’hai aiutata, perdendoti nei tuoi stupidi problemi, e adesso vuoi far tacere la coscienza, mettendo in pericolo tutti noi. Se la tua spedizione è così sicura, perché non lo proponi alla tua famiglia?! Forse perché Carlisle non è idiota come te!”.
“Non è così. Non lo faccio semplicemente perché non capirebbero!”.
Sbuffò. “Nessuno ti capisce, povera piccola Rosalie. Io invece sì. Non te ne frega niente se qualcun altro muore. Sei un egoista, tale e quale a come ti ho sempre immaginata. E oltre a questo, anche ipocrita, perché stai cercando di convincermi a fare qualcosa che in realtà servirebbe solo a te. Oppure questo è semplicemente l’ennesimo capriccio, come quello di venire a La Push con Bella oppure da sola per suscitare pietà…”.
“Io quel giorno stavo male davvero!” balbettai.
“Certo. Stai male perché non sei umana, e altre stronzate del genere. Ti piace piangerti addosso e attirare l’attenzione di tutti. Sai, è da una settimana che non faccio altro che chiedermi perché non ti ho lasciato crepare, invece di perdere tutta la giornata con te! Non ho mai buttato così male il mio tempo. E me lo sto chiedendo anche adesso…”.
Non riuscivo a tenergli testa. Stava mettendo in burla tutti i miei sentimenti più profondi, come se non esistessero e me li fossi inventati.
“Se fossi stata veramente affezionata a Desirèe l’avresti aiutata subito…”.
“Ho dovuto obbedire alle regole di Carlisle ed Edward!” trovai la forza di obbiettare.
“Obbedire?! Siete un esercito, per caso? Tutti fate e pensate le stesse cose? Non è vero che non hai potuto, non hai voluto, è differente. Ti sei spaventata e l’hai lasciata sola come ha fatto tutta la tua stramaledetta famiglia, e adesso vieni qua con il tuo bel faccino a raccontarmi la storia di quanto sei affranta e dispiaciuta. Ma fammi il piacere! Vuoi solo combattere per dimostrare a Tanya che le sei vicina e che condividi il suo dolore: peccato che tu non condivida niente, a parte il dolore per te stessa. Improvvisamente ti sei guardata allo specchio e ti sei accorta che gli altri ti disprezzano, e hai deciso di tentare di riabilitarti, ostentando affetto nei confronti di Desirèe. Un po’ tardivo come tentativo, non ti pare? Potevi cominciare a recitare un po’ prima! Adesso non sei più credibile…”.
Abbassai lo sguardo. Per la prima volta da quando lo conoscevo, mi sentii una nullità di fronte a lui.
“Sei un’irresponsabile” continuò, ritrovando la calma. “Agisci senza pensare alle conseguenze. Desirèe non te ne sarebbe grata. In ogni caso, se tu e Tanya volete fare le vendicatrici, fate pure e buona morte. Ma non provare a coinvolgere Seth nella vostra missione. Ho dovuto lottare parecchio per togliergli quest’idea dalla testa, e se dovessi anche solo accennarglielo, ti giuro che te la farò pagare”.
I suoi occhi erano freddi. Era fuori di sé dalla rabbia e sapevo che avrebbe mantenuto la sua promessa se ne avessi davvero parlato con il suo amico. Indietreggiai, conscia che aveva ragione su tutto. Mi aveva ferito, come mai nessuno era riuscito a fare. Nemmeno Edward.
“Scusami, è stata un’idea sciocca” balbettai impacciata.
Non attesi risposta e mi allontanai di corsa. Mi fermai solo un attimo per cercare di capire quale fosse la direzione giusta per raggiungere Forks. Decisi di passare per i boschi e ripresi a correre a perdifiato. Colmai in poco meno di mezz’ora il tratto di strada che mi separava dalla cittadina. Ma quando ne fui alle porte, mi dovetti fermare. Non ce la facevo più. Mi appoggiai ad un albero, esausta. Non della corsa, ma di tutto quello che ero e pensavo. Pian piano mi accasciai al suolo. Mi pareva che mi avessero pugnalato più volte, tanto da uccidermi. Non valevo nulla. Avevo deluso Alice, Emmett non mi capiva, Edward mi odiava, e, cosa ancora più orribile, avevo lasciato morire la figlia della mia migliore amica. Jacob aveva ragione: ero una fifona egoista. Non me ne era mai importato nulla e ora volevo solo farmi bella agli occhi di Tanya. Mi vergognavo di me stessa. Avevo cercato Desirèe perché poteva aiutarmi, mentre invece non avevo avuto nessuna intenzione di fare altrettanto per lei. In realtà mi compativo e probabilmente volevo solo vendicarmi perché mi avevano strappato la medicina. Brillavo per falsità ed egoismo.
Rabbrividii per il disgusto e iniziai a singhiozzare. Non sentivo solo le lacrime ma anche singulti che mi fecero dolere il petto, come se ci fosse qualcosa che doveva uscire e non aveva la forza sufficiente per farlo.
Poi una mano bollente sulla spalla. Alzai leggermente il viso, deglutendo le lacrime, come se me ne vergognassi.
Un bisbiglio.
“Rose…”.
In quell’istante il dolore, che avevo tentato di reprimere, uscì. Mi voltai di colpo verso di lui e lo abbracciai forte. Fu tanta la mia irruenza, che Jacob quasi perse l’equilibrio. Ma anche se fossimo finiti distesi a terra, avrei continuato a fare ciò che non mi era più riuscito da decenni. Piangere.
Dopo qualche istante, probabilmente di sorpresa, sentii le sue braccia stringermi. Ero disperata e il mio pianto talmente convulso che avevo l’impressione di non riuscire a sfogarlo. Urlavo anni di sofferenza, impotenza e delusione. Nonostante questo però, ogni lacrima che trovava la libertà sul viso, mi faceva stare meglio. Poco importava tra le braccia di chi stessi piangendo. Piangevo per Desirèe, per Tanya, per Seth, o semplicemente per me stessa. Qualcosa era riuscito a espugnare le mura che avevo tanto faticosamente costruito, ma ne ero sollevata. Non mi erano servite a niente, solo a rinchiudermi dentro una città desolata. Stavano cadendo con un rumore assordante, ma più le vedevo cedere, più mi sentivo libera finalmente di esprimere sentimenti troppo a lungo sopiti.
Jacob non parlava mentre le mie lacrime sembravano non avere mai fine. Il cuore si stava facendo leggero come l’aria e un ingiustificato senso di appagamento mi invase.
“Mi dispiace, Rose, per quello che ho detto prima… Ero davvero imbestialito e non sono riuscito a controllarmi” disse, quando si accorse che il mio pianto stava iniziando a scemare.
“Non è stata colpa tua. Era la mia idea ad essere assurda” riuscii a mugugnare, tentando di dare una parola ai miei pensieri.
“Questo è vero. Ma non avrei dovuto comunque dire quelle cose. Il fatto è che sono profondamente arrabbiato con me stesso e l’ho sfogato su di te, che non c’entri nulla”.
“Perché…?”.
“Per quello che è successo a Desirèe. In questi giorni non ho fatto altro che pensare che se fossi rimasto con loro invece che venire con te a Seattle, magari le cose sarebbero andate diversamente. Non sto dicendo che non mi sono divertito, ma se penso che mentre noi ce la ridevamo sulle montagne russe, la stavano uccidendo, non posso non infuriarmi e vergognarmi di quello che ho fatto e, soprattutto, di quello che non ho fatto. Li ho abbandonati e sono sparito tutto il giorno. Sam e Seth, in particolare, mi hanno cercato ovunque e non ho minimamente pensato che non fosse il momento per andarsene in giro a passeggio”.
“Non è vero. Il tuo errore è stato solo quello di aiutare un’immatura persa nei suoi capricci. Hai ragione quando dici che voglio attirare l’attenzione su di me. Anche quel giorno è successo. Sembra che farmi compatire dagli altri, sia diventato il mio passatempo. Ero sinceramente legata a lei, ma troppo egoista per aiutarla realmente”.
“Alla fine nessuno di noi l’ha fatto” sospirò. “Tutti suoi paladini, e nessuno, tranne Seth, che l’abbia sostenuta sul serio. Anch’io avevo pensato quello che hai proposto, ma non voglio mettere in pericolo Seth e gli altri, per nessun motivo. Forse vinceremmo, come dici tu, ma nessuno deve correre dei rischi, soprattutto se non servirebbe…”.
“Hai ragione. La mia idea era insensata e pericolosa. Non è vero che potremmo battere facilmente Lehausle. E’ molto forte. Tutto il mio ragionamento era inconcepibile e tu hai dimostrato per l’ennesima volta di essere più intelligente di me…”.
“Non sono più intelligente, semplicemente meno emotivo. Ragiono poco, però quelle poche volte che accade, partorisco qualcosa di sensato!” disse, accennando una risata.
“Stupefacente!” conclusi ironica, asciugandomi malamente le lacrime.
“A scanso di ogni equivoco, non penso di aver buttato il mio tempo quel giorno. E non mi sono pentito di averti aiutato” sussurrò rassicurante.
“Davvero?”.
“Sì”.
“Grazie”. Alzai lo sguardo per interpretare il suo viso: se fosse sincero oppure stesse soltanto tentando di rabbonirmi. Ma, così facendo, lo trovai a pochi centimetri dal mio. Mi sorrideva teneramente. Un brivido, mai sentito prima, mi scese lungo la schiena. Ci fissammo a lungo, senza un’apparente motivazione. Non parlavamo, ma non volevamo nemmeno farlo. I suoi occhi così scuri e profondi erano lo specchio dell’irrequietezza di un cavallo selvaggio. Provai a scuotermi ma lo sguardo cadde sulle sue labbra, così morbide e lisce. Quelle labbra che mi avevano baciato così appassionatamente.
Avrei voluto che il vento mi portasse via da quell’abbraccio di cui però ero così bisognosa e che avevo elemosinato fin da quando l’avevo visto quella sera. La mia mente era vuota, ma al tempo stesso riempita da un solo pensiero: lui. Tutto quello che cercavo era lì, tra le sue braccia.
Era dannatamente bello e mi ritrovai a invocare un suo bacio. Ma quei pochi centimetri erano una distanza incolmabile. Mi sembrò di morire, come se stesse distruggendo quel poco di anima che lui stesso diceva che non avessi. Tornai a rintanarmi fra le sue braccia, impaurita dai miei desideri e da ciò che poteva avere intuito. Mi vergognavo di quello che avevo pensato, ma al tempo stesso non potevo respingerlo: era come se mi stesse divorando. Un cuore inerte avrebbe ripreso a battere se si fosse chinato e mi avesse baciato.
Ero stretta a lui, ma volevo di più. Non mi bastava assorbire il calore del suo corpo, perdermi nel profumo della sua pelle, sprofondare nel suo abbraccio. Un bacio, solo uno. Avrei voluto che soddisfacesse la mia insensata bramosia, ma non volevo prendere l’iniziativa. Non ne avevo il coraggio. Mi avrebbe sicuramente respinta perché io non ero umana, non ero la “sua” Bella. Aveva occhi soltanto per lei, ma io non desideravo prendere il suo posto, volevo avere le sue labbra per pochi istanti ancora, come quella sera. Ci trovavamo così vicini… Se avesse voluto, avrebbe potuto farlo, e invece non si era mosso. E riflettendoci, perché avrebbe dovuto? Io ero una vampira, e, per giunta, quella che odiava di più. Probabilmente adesso la considerazione che aveva di me era un po’ cambiata, ma non poteva esserlo così radicalmente. E la mia? Nemmeno quella era mutata. Adesso lo desideravo per via di un’attrazione fisica irresistibile ma l’amore era ben altro. Era ciò che provavo per Emmett.
Improvvisamente mi chiesi cosa stessi facendo avvinghiata a un licantropo, mentre tutta la mia famiglia, di certo in ansia, mi stava aspettando a casa. Non era la persona con cui sarei dovuta stare in quel momento. Era un dannato cane che mi stava distogliendo dai miei tormenti. Non provavo affetto, né stima per lui. Niente. Nemmeno una sottospecie di amicizia. Era troppo lontano da me. Forse mi capiva più di qualcun altro, ma soltanto perché gli avevo parlato a cuore aperto. Alice sicuramente mi avrebbe compresa anche meglio, se mi fossi confidata con lei. Non dovevo stare lì. Mi sentii quasi male al pensiero di ciò che avevo sognato fino a un attimo prima. Non era reale e nemmeno speravo che lo fosse.
“Lasciami stare! Non mi toccare” urlai, divincolandomi.
Mi alzai bruscamente e feci qualche passo indietro. Sembrò stupito del mio gesto mentre io ero infuriata per ciò che stava cercando di farmi provare.
“Che ti prende? Volevo solo aiutarti!” replicò.
“Non ho bisogno dell’aiuto di nessuno, tantomeno del tuo!” dissi infastidita.
“Come vuoi… Ma credevo fossimo amici, ormai…”.
“Quando mai lo siamo stati tu ed io? Soltanto perché ci siamo parlati un paio di volte non vuol dire che siamo amici. Anzi, non lo saremo mai. Mai e poi mai. Io, amica di un licantropo?! La sola prospettiva mi dà il voltastomaco!”.
Jacob si alzò, scrollandosi l’erba con un rapido movimento della mano. “Quindi per te non è cambiato nulla?” domandò.
“Certo che sì, qualcosa è cambiato: ti odio più di prima. Non ho dimenticato quello che hai fatto quella sera…”.
“Era solo uno scherzo!”.
“Beh, per me non lo è stato. Mi hai umiliata come mai nessuno aveva fatto. Per quanto mi riguarda, prima o poi mi vendicherò. Perciò torna a guardarti le spalle!”.
“E’ questo quello che pensi? Dobbiamo ricominciare a considerarci nemici?”.
“Un licantropo e un vampiro saranno sempre nemici. Siamo stati creati per ucciderci a vicenda. E’ così e lo è sempre stato. E perché dovrei venire meno alla tradizione proprio io? E poi con un presuntuoso, arrogante come te, che crede di avere in mano la verità?! No, scordatelo”.
“D’accordo, bionda” mi fissò duramente. “Se vuoi la guerra come una volta, la avrai. Evidentemente mi sono sbagliato a darti un’altra possibilità”.
“La ringrazio, maestà, ma sto bene anche senza la sua accondiscendenza. Anzi, mi sentirei sminuita se in una qualche maniera avesse stima di me”.
“Bene” ringhiò. “Se questo è il tuo pensiero, la prossima volta che ti vedrò non mi farò troppi scrupoli ad ammazzarti”.
“Vedremo se ce la farai, sacco di pulci”.
Gli lanciai uno sguardo di sfida: per quanto mi riguardava avremmo potuto combattere anche in quel momento. Ma era troppo tardi. Tra poco sarebbe sarebbe stata l’alba e finché restavo con lui, Alice non avrebbe potuto vedermi.
“Alla prossima occasione, allora” conclusi.
Corsi via senza curarmi troppo dell’eventualità che mi stesse seguendo o meno, sicura che non l’avrebbe fatto. Nemmeno lui aveva molta voglia di combattere, ma prima o poi avrei fatto in modo che l’occasione si ripresentasse e allora neanche Dio lo avrebbe salvato. Tutti i pensieri di cui ero stata preda fino a pochi secondi prima, li trovavo assurdi e assolutamente fuori luogo. Il dolore per la perdita di Desirèe mi stava facendo uscire di senno. Essere attratta da un cane? Una barzelletta. Arrivare addirittura a pensare di  replicare quella sera era ancora più folle. Per fortuna, me ne ero accorta prima di fare gesti sconsiderati e di cui mi sarei sicuramente pentita.
Piombai in casa e trovai Alice, Jasper ed Emmett seduti in salotto, davanti alla tv. Nonostante fosse accesa, sembravano più presi dalla conversazione che dal programma. Quando mi videro, scese il silenzio. Alice mi salutò freddamente mentre Emmett, come previsto, mi si avvicinò preoccupato. “Dove sei stata fino a quest’ora? Alice non riusciva più a vederti…”.
“Sono andata in una discoteca e ho incontrato Seth. Abbiamo parlato parecchio. E’ molto abbacchiato” tagliai corto.
“Poveretto… Posso solo immaginare come si senta in questo momento” affermò sconsolato.
“Peggio di quanto tu creda” commentai sbrigativa. Lo afferrai per un braccio e tentai di trascinarlo verso le scale.
“Che ti prende, Rose?”.
“Puoi venire in camera con me, per favore? Ti devo parlare”.
“Adesso? Sta per cominciare la replica della partita di baseball di ieri sera…” protestò non troppo convinto.
“E’ una cosa velocissima, vedrai. Non ti farò perdere troppo tempo”.
“Ok”.
Salimmo in fretta le scale e entrammo in camera. Sapevo che quando c’erano le partite di mezzo, non era mai molto disponibile, ma ora doveva accantonarle, anche solo per pochi minuti. Chiusi la porta a chiave e gli buttai le braccia al collo, baciandolo. Non sembrò affatto turbato, perché rispose con altrettanta passione.
Quando mi staccai dalle sue labbra, gli sfilai la maglietta velocemente e lo spinsi sul letto. In pochi movimenti mi sedetti sopra di lui, togliendomi la camicetta. Mi chinai e lo baciai più volte. Mi strinse a sé, ma io avevo fretta. Non ce la facevo più. Non potevo perdermi in stupidi preliminari. Mi alzai e lo spogliai definitivamente. Tornai a cavalcioni su di lui e mi tolsi il reggiseno. Lo baciai ovunque, avvertendo i suoi singulti soffocati.
All’inizio apparve sorpreso del mio comportamento irruente, poi tornò il mio amato e appassionato Emmett. Le sue mani scesero lungo tutto il mio corpo, facendomi perdere il controllo.
Ci rotolammo talmente tante volte sul letto che persi il conto. Quando lo ritrovai su di me, ero già troppo stanca di attendere. Lo desideravo da morire. “Ti voglio… Adesso…” sussurrai al suo orecchio. Non finii la frase.
Pochi istanti più tardi mi sentii gridare.
Purtroppo, come tutte le cose eccitanti, ebbe una fine.
Mi alzai e raccolsi da terra la mia biancheria intima che, così come me ne ero sbarazzata, altrettanto velocemente indossai. Emmett fu più rapido di me nel rivestirsi. Stavo ancora indugiando con il reggiseno, quando mi tirò dolcemente a sé. “Che ti ha preso stasera, principessa?” domandò con voce vellutata.
“Niente, perché?”.
“Generalmente sono io che ti strappo i vestiti di dosso, non il contrario…”.
“Beh, ogni tanto bisogna cambiare. Non ti è piaciuto?”.
“No, anzi. L’ho trovato soltanto insolito. Ma possiamo farlo così tutte le volte che vuoi…”.
Mi baciò a lungo, e io avrei ricominciato, ma sapevo che non l’avrei spuntata nuovamente contro il baseball, soprattutto se era una semifinale, anche se in replica. Non aveva voluto sapere il risultato per poterla gustare e ora non potevo privarlo del suo secondo divertimento, dopo il sesso.
“Io scendo giù. Ormai saranno quasi alla fine…” rise divertito.
“Cerco qualcosa di comodo e ti raggiungo”.
Iniziai a frugare negli armadi ma trovai solo abiti eleganti e firmati. Accidenti a me e alla mia mania di comprare cose costose! Non avevo nemmeno una maglietta che non valesse almeno duecento dollari. Aprii tutte le ante e finalmente trovai un paio di jeans di Armani, vecchi di tre anni e optai per quelli. Ora veniva la parte più difficile.
Buttai praticamente all’aria tutto il guardaroba, ma non trovai granché. Decisi che mi sarei messa la prima maglia che trovavo, indipendentemente dal suo costo. Fui fortunata, perché in mezzo al caos ne scovai una fuori moda di Chanel e la indossai.
Guardai la camera. Un disastro: i vestiti erano sparsi ovunque e ora dovevo ripiegare tutto. Iniziai diligentemente la mia opera. Stavo spostando gli indumenti per creare una sorta di ordine sensato quando incappai in un sacchetto di cartone. Giaceva in fondo al mobile. Lo tirai fuori. Era di Maren, un negozio di Seattle. Uno dei miei preferiti. Mi chiesi che vestito ci potesse essere che non avessi ancora appeso. Lo aprii e ne estrassi un peluche. Lo riconobbi: era il cane che aveva vinto Jacob al luna park.
Un conato di rabbia portò via la mia serenità.
“Maledizione!” esclamai infuriata, scagliandolo contro il muro.
Mi sedetti sul letto, affondando il viso tra le mani. Era un incubo. Avevo fatto tanta fatica a scacciare i miei pensieri e ora tornavano a bussare. Quella giornata a Seattle, anche se divertente, andava cancellata il più velocemente possibile. Dovevo farlo. Tutto ciò che era scaturito da quel giorno era solo un’illusione che mi aveva stordita troppo a lungo.
No, non dovevo lasciare che uno stupido cane di pezza rovinasse l’estasi che avevo raggiunto facendo l’amore con Emmett. Mi alzai e continuai a sistemare l’armadio. Ma il mio sguardo cadeva sistematicamente e irresistibilmente su quel peluche. Una volta ultimato il mio compito, lo raccolsi da terra. Aveva uno sguardo dolce: sembrava davvero un cane in miniatura. I grandi occhi neri, il muso affilato, le enormi orecchie…
Lo accarezzai più volte, come se fosse reale. Addirittura gli sorrisi.
Lui era l’emblema di ciò che non sarei più potuta essere e che non avrei mai potuto possedere. Avrei potuto mangiare, dormire, bere, avere un animale…
Lo strinsi forte a me.
Se fossi stata umana, avrei anche potuto…

 

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Capitolo 31
*** Vendetta ***


“Tanya sta tornando a Forks” esclamò Alice, allarmata. L’avevo vista con gli occhi persi nel vuoto: era evidente che stava avendo una visione e mi ero preparata al peggio. Tuttavia le sue parole mi spiazzarono completamente. Tanya di ritorno? Perché? Non riuscivo ad immaginarne la motivazione. Ma la mia stessa domanda se la posero tutti. “Non riesco a vederla. Deve avere a che fare con i licantropi, altrimenti non avrei questi problemi…” ci precedette la mia sorellina. Ci fissammo a lungo, cercando una risposta l’uno negli occhi dell’altro. Carlisle iniziò a camminare nervosamente avanti e indietro. “Perché proprio adesso? Non è il momento. Lehausle è ancora qui e, se sentisse la sua scia, non ci penserebbe due volte ad avvisare Jane e Demetri” mugugnò alterato. “Forse a Vancouver non ha trovato il resto della sua famiglia e torna da noi per chiedere ad Alice dove si sono rifugiati” ipotizzò Esme, niente affatto convinta, ma decisa a rassicurarsi in qualche modo. “Poteva telefonare, allora” disse Jasper. “No, c’è qualche altro motivo. Il fatto che la previsione di Alice sia nebulosa, rende tutto molto chiaro: in qualche modo c’entra il branco, anche se non capisco perché dovrebbe tornare per loro”. “E se tornasse per conoscere Seth?” suggerì Bella. La guardai trasognata. Tornare qui significava rischiare di essere uccisa, e tutto per Seth?! “Cosa ne pensi, Rose?” mi domandò Jasper. Scrollai le spalle. “Non so. Non immagino neanche io cosa potrebbe spingerla. E, onestamente, l’ipotesi Seth mi sembra surreale. Non avrebbe alcun senso”. Nonostante il mio scetticismo, cominciai a rifletterci. Fantasticando l’assurdo, poteva essere che volesse conoscerlo per dare un volto al ragazzo tanto amato dalla figlia. Ma perché allora non l’aveva fatto subito, quando era stata qui? Mah… Non era questa la ragione. Incontrare Seth ora? Forse il dolore per la morte di Desirèe era diventato così lancinante che aveva deciso di tornare per condividerlo con qualcuno che potesse comprenderlo a pieno. Come aveva detto Jacob quella sera, loro due provavano sentimenti simili quindi una sorta di reciproca empatia. “Credi che voglia solo sfogarsi con qualcuno?” mi domandò Edward. Il suo sguardo non tradiva alcuna emozione. “Se l’ipotesi di Bella avesse un qualche fondamento, sì, potrebbe essere, anche se non la capisco. Sto andando per assurdo”. Abbassò il viso pensieroso. “Kate non sarebbe sufficiente a consolarla?”. “E’ molto legata a lei, ma forse può pensare che con Seth sarebbe diverso, anche se finirebbero solo per piangersi addosso a vicenda…”. “E’ inutile fare congetture” concluse Carlisle. “Fra quanto arriverà?”. “Domani mattina” rispose Alice. “Maledetti licantropi!” inveì Emmett. “Ogni volta che ci sono loro di mezzo, non abbiamo mai una visione limpida, ma solo stralci!”. Effettivamente erano un handicap. Non riuscivamo a vedere niente e questo non era il momento migliore per navigare nella penombra. Anche se per ora le cose più importanti erano tenute sotto stretto controllo: Lehausle era qui con i due suoi vampiri guardiani; Jane e Demetri a Chicago a cercare Tanya. Non avevano ancora archiviato la questione Bella e perciò dovevamo continuare a tenere gli occhi aperti e vigili, ma, per fortuna, grazie ad Alice, saremmo riusciti a prevedere un eventuale attacco, ammesso che il branco non si fosse intromesso. Sbuffai. Quei maledetti cagnacci! Ma perché erano stati creati e soprattutto perché erano sempre tra i piedi?! A parte Seth, gli altri andavano eliminati, Jacob in prima linea. Emmett accese la televisione e mi accomodai sul divano, vicino a lui. “Vorrei esserci anch’io domani, quando Tanya arriverà” affermò Bella, titubante. Edward storse il naso. “Non so se sia il caso, amore…”. “Perché? Ormai l’ho già vista altre volte…” “Non so… Ho un brutto presentimento”. “E da quando hai cominciato ad andare a sensazioni?” lo sbeffeggiò Jasper. “Da quando non riesco a dare spiegazioni logiche alle azioni di chi mi sta intorno!” rispose sarcastico. “Credo che sarebbe il caso che domani ci fosse anche lei” mi intromisi, tra lo stupore generale. Era la prima volta che mi sentivano prendere, in una qualche maniera, le parti di Bella. Edward strinse gli occhi. “Se Tanya vuole davvero parlare con Seth, Bella potrebbe aiutarci in questo senso” dissi, concreta. “Credo che Rose abbia ragione” mi appoggiò Jasper. Edward non era affatto persuaso della mia idea, ma il mio ragionamento aveva una logica fondata. Se avessimo dovuto organizzare un incontro, Bella sarebbe diventata indispensabile. E prima lo avessimo organizzato, prima Tanya se ne sarebbe andata e, di conseguenza, ci sarebbero state meno probabilità che i Volturi la sorprendessero a Forks. “D’accordo, amore. Domani puoi stare qui con noi” acconsentì Edward, a malincuore. La sua ragazza ne fu davvero felice. Ormai potevo credere che si fosse affezionata a Tanya quasi quanto lo era stata a Desirèe e volesse esserle d’aiuto. D’altra parte Bella stessa era diventata, suo malgrado, una delle protagoniste di tutta questa vicenda che non si sarebbe risolta a breve e, soprattutto, non senza altri morti. Con la morte di Desirèe, io ero l’unica della famiglia che avrebbe sicuramente avuto salva la vita, in quanto al di fuori di lotte. Non volevo combattere per Bella, ma, guardandomi attorno, avevo iniziato a chiedermi se valesse la pena abbandonare la mia famiglia soltanto per rancore nei confronti di una sola. Come avrei fatto senza uno qualsiasi di loro? Forse avrei dovuto prendere un’altra posizione. Potevo decidere diversamente e lo stavo già facendo. “E’ giusto così” disse Alice, fissandomi severamente. “Perché?” domandai. “Almeno uno di noi ce la farà”. “Non so se voglio essere quell’uno…” ammisi debolmente. “Tu resterai fuori” disse con un tono che non ammetteva repliche. Bella guardò alternativamente sia me che Alice e intuì l’argomento del nostro discorso. I suoi occhi si fecero lucidi. Edward la strinse forte e con uno sguardo ci fulminò entrambe. Aveva chiesto più volte di non parlare di morti e combattimenti quando Bella era presente e noi lo avevamo fatto, anche se non chiaramente. Ma tutto sommato la nostra conversazione non si prestava a molti fraintendimenti. Abbracciai Emmett e rimanemmo in quella posizione per parecchio. Bella avvisò Charlie che quella sera sarebbe rimasta a dormire da noi. Suo padre ultimamente non l’aveva vista molto. Era stata nostra ospite svariate notti. Edward non si fidava a lasciarla a casa sua, anche se restava con lei ogni istante. Il problema era che bisognava avere Alice il più vicino possibile per prevedere eventuali imboscate. La presenza di mia sorella era quindi diventata indispensabile. “Amore, hai il viso stanco. Forse sarebbe meglio se andassi a dormire…” sussurrò teneramente Edward. Profonde occhiaie avevano inciso la pelle di Bella. Da quando era morta Desirèe, Alice mi aveva detto che riusciva a dormire a malapena quattro ore a notte. Quasi due settimane in questo modo erano molto faticose per un essere umano. Carlisle avrebbe voluto somministrarle dei sonniferi, ma si era sempre rifiutata. E ora le conseguenze cominciavano a farsi sentire. Edward la prese sottobraccio e la accompagnò al piano superiore. Li osservai con la coda dell’occhio poi tornai a prestare attenzione al televisore. Ma non c’era proprio niente che si potesse ritenere interessante o comunque utile a distogliermi da tutte le moltitudini di fantasie che, supponevo, potessero condurre Tanya qua. Alla fine decisi che avevo bisogno di prendere un po’ d’aria. Abbandonai le forti braccia di Emmett e mi diressi verso l’uscio. “Dove vai?” domandò il mio compagno. “Mi siedo fuori, sui gradini della scala” risposi. Capì al volo che volevo stare sola e tornò a far finta di seguire i programmi televisivi. Una volta uscita, mi accomodai e mi ritrovai a fissare con sguardo vuoto la boscaglia che si contorceva davanti a casa. Ero stremata. Prima la mia crisi, che non era ancora finita, ma solo rimandata, e poi la morte di Desirèe: mi sembrava che il mondo mi stesse precipitando addosso. E non facevo niente per scansarmi. Avrei dovuto aiutare la mia famiglia a difendere Bella? Oppure starne lontana come mi aveva praticamente imposto Alice? La verità era che non avevo più voglia di far controllare le mie emozioni da qualcun altro, ma io stessa non sapevo come indirizzarle. Razionalmente non volevo schierarmi dalla parte di Bella in quanto sarebbe stata una mancanza di coerenza: a me non interessava che morisse o meno. Non gliene facevo più una colpa ma non provavo affetto per lei e quindi che vivesse non era una mia preoccupazione. Però desideravo fortemente sostenere gli altri. E Tanya? Come avrei dovuto comportarmi? Perché veniva qui? Avevo paura del suo ritorno. Temevo qualche sinistra intenzione. Sbuffai. Quante contorsioni mentali mi stavo facendo?! Non sapevo niente e continuavo a costruire castelli dalle fragili fondamenta. Guardai il cielo. C’era la luna piena. Mi ritrovai a chiedermi che cosa stesse facendo Seth. Provavo una sincera simpatia per lui. Era un ragazzo straordinariamente dolce e altruista. Mi dispiaceva ancora di più che quest’evento avesse colpito proprio l’unico del branco che si poteva definire una persona sensibile. Mi resi improvvisamente conto che mi sarebbe piaciuto conoscerlo meglio e diventare, in una qualche maniera, sua amica. La sintonia era scattata immediatamente quella sera, in discoteca: non mi considerava una vampira, ma un essere umano suo pari. E io stranamente non lo consideravo un licantropo, ma solo un ragazzino bisognoso di affetto, come qualsiasi altro che avesse perso l’amore della sua vita. Appoggiai il viso sulle ginocchia. Avrei voluto confortarlo ancora, come era successo quella sera, ma non potevo contattarlo. E lui aveva il branco e sua sorella con cui parlare. Non aveva bisogno di me. E se Tanya fosse davvero tornata per conoscerlo, quest’incontro non gli avrebbe nuociuto? Mi aveva detto che vedere altri vampiri gli riportava alla mente Desirèe e allora vedere proprio sua madre, che effetto gli avrebbe fatto? Ne avrebbero parlato in continuazione, strappandosi l’un l’altro la responsabilità della sua morte. No, Tanya gli avrebbe fatto solo del male e anche lei ne sarebbe uscita a pezzi. Decisi che avrei bloccato tutto sul nascere, se la mia amica fosse venuta a turbare il fragile equilibrio di Seth. “Rosalie”. Riconobbi subito la voce di Edward. Mi voltai: era in piedi dietro di me, lo sguardo inespressivo. “Cosa c’è? Perché non sei con Bella?”. “Si è addormentata e ne ho approfittato per venire da te…”. “Oh, che onore! A cosa devo tanta benevolenza?” esclamai ironica. “Posso sedermi?”. “Prego. La casa è anche tua, no?”. Il suo viso rimase immobile nonostante avessi fatto di tutto per provocarlo e me ne pentii: non avevo valide ragioni per attaccarlo, dato che si era dimostrato inaspettatamente gentile nei miei confronti. La mia prima reazione sarebbe stata quella di scusarmi, ma non ne ebbi voglia e il mio orgoglio fece il resto. “E’ una bella serata, non trovi?” iniziò. “Sì, ma è autunno. Le giornate di questo tipo sono agli sgoccioli…”. “Già”. Tacque. Lo fissai un attimo poi la mia attenzione sulla luna tornò a farsi più insistente. Era davvero bella e, nonostante la sua presenza, le stelle erano particolarmente luminose. Per quanto la notte possa essere buia, ci sarà sempre una stella e a quella dovrai aggrapparti…: quella frase mi attraversò la mente e mi sorpresi ad accorgermi che negli ultimi giorni mi aveva accompagnato spesso nelle mie riflessioni. “A quale stella ti sei aggrappata?” mi domandò Edward. Lo guardai infastidita: non amavo che frugasse nel mio cervello. Lo trovavo estremamente sgradevole, e lui mi ricambiò mortificato, come a scusarsi per la violazione della mia privacy. “Non ne ho avuta una in particolare. Diciamo che ne ho guardate parecchie” risposi tranquilla. “Per te è un periodo ancora peggiore di quanto lo sia per noi…”. “Sì, è vero, e sto pregando che passi presto, altrimenti i miei nervi potrebbero saltare…” dissi, accennando un sorriso amaro. Appoggiai il capo alla ringhiera della scalinata. “E tu come stai?” chiesi. “Anche i miei nervi stanno cominciando a cedere. Devo sostenere Bella, ma a volte ho paura di non farcela io per primo. Spero che questa storia finisca e, possibilmente, senza ulteriori spargimenti di sangue”. Tacqui: sapevamo entrambi che questa era una possibilità assai remota. L’attacco prima o poi ci sarebbe stato, a meno che Aro non decidesse di graziarci, ma, conoscendo i Volturi, non era un’ipotesi realistica. “Non ti sei mai chiesto qual è la motivazione per cui i vampiri esistono?” domandai, osservando le stelle, dopo un lungo e impietoso silenzio. “Tu credi che ci sia una motivazione?”. “Non lo so. Siamo una specie a parte, nata in non so quale modo. Viviamo in eterno, ma cosa cerchiamo di raggiungere? La nostra vita ha uno scopo?”. “Intendi la nostra o quella dei vampiri in generale? Non credo che i Volturi si pongano certi dilemmi morali. Ti posso rispondere per i membri della nostra famiglia e per tutti quelli che vivono come noi: lottiamo in eterno per assomigliare agli esseri umani, che sono migliori perché hanno un’anima…”. “Tu credi?”. “Siamo dannati per sempre”. “Queste sono leggende metropolitane” commentai. “Nel momento stesso in cui amiamo, condividiamo le nostre emozioni con gli altri, e facciamo di tutto per migliorarci, abbiamo un’anima. Tu ce l’hai grazie a Bella. L’amore è ciò che ci fa avvicinare agli esseri umani”. “Se è questo ciò che pensi, perché rimpiangi così tanto la tua umanità?”. Non risposi ed Edward abbassò nuovamente lo sguardo. “L’ho letto nella tua mente quella sera, quando sei tornata dopo aver incontrato Lehausle e poi l’ho letto nella testa di Emmett ed Alice. So che non dovrei, ma…”. “… non è colpa tua” ultimai la sua frase. “Io rimpiango le sensazioni umane. Se fossi umana, non sarei migliore di quello che sono adesso. Io penso che sia la morte a dare uno scopo alla vita: sai che morirai e quindi fai di tutto per raggiungere la felicità nel poco tempo a disposizione, ma noi non sentiamo questa necessità, proprio perché la nostra vita è eterna. Siamo emarginati in un limbo in cui ci fa comodo rimanere e non troviamo motivazioni per uscirne. Perché lottare, cercare di cambiare, aspirare a raggiungere un traguardo quando sai che non ti servirà a niente, tanto la tua vita non cambierà? Siamo dannati, è vero, ma non perché non abbiamo un’anima, ma solo perché non riusciamo a nutrirla e la lasciamo morire. Non si evolve, non cresce, resta immutata, esattamente come i nostri corpi”. “Quindi, in base al tuo ragionamento, la mia anima sopravvive per merito di Bella?”. “Sì. I sentimenti per lei ti stanno facendo crescere… E’ diventata il tuo scopo, la tua missione”. “E tu non hai una missione?”. Scossi la testa. “Io vorrei tornare umana, e questa non è una missione. Solo un rimpianto che andrebbe accantonato. Non si può vivere in funzione di questo”. “Tu vivi per Emmett, esattamente come io per Bella”. “Qualche tempo fa avrei risposto così, ma ora no. Non mi basta più. Ho bisogno di qualcos’altro che alimenti la mia voglia di vivere…”. “Desirèe era la tua missione. Proteggerla era ciò che alimentava la tua voglia di vivere. Carlisle ed io ti abbiamo distolto, e mi dispiace. Non avrei mai dovuto, per tanti motivi. Era tardi quando me ne sono reso conto e adesso non vorrei che cercassi una motivazione in qualcosa di sbagliato”. “Cosa intendi dire?” domandai, incuriosita. “Ho sentito alcuni tuoi pensieri subito dopo la sua morte e non mi sono piaciuti affatto…” ammise. Mi mordicchiai le labbra, intuendo a cosa si stava riferendo. “Vendicarla non sarebbe di nessuna utilità. Rischieresti solo di morire…”. “Non hai aggiornato le tue letture” lo schernii. “Affatto. So che è stato Jacob a farti cambiare idea. E ogni tanto penso che quel cane non sia così stupido!”. “Sì, è stato lui, lo ammetto. Volevo coinvolgerlo, insieme a Seth, nella mia vendetta, ma mi ha fatto capire quanto la mia idea fosse folle. Però questo non vuol dire che sia intelligente!”. Edward si mise a ridere. “Non ardirei mai sostenere un’ipotesi così surreale! Mi ha fatto soltanto un piacere: ha evitato a me di doverti fare un certo discorso e gliene sono molto grato, anche perché so che non mi avresti mai ascoltato!”. “E invece ti avrei ascoltato” sussurrai malinconica. Aggrottò la fronte come se non capisse. Mi stupii anch’io di me stessa. Non avevo mai dato molto peso alle sue idee e perché mai avrei dovuto farlo in quel frangente? Anzi, generalmente facevo di tutto per farlo infuriare e accontentarlo non mi sarebbe neanche passato per la testa. Ma adesso sembrava così dolce. Non lo era mai stato da quando ero entrata nella famiglia: la sua gentilezza doveva avermi spinto a interpretare il ruolo da brava sorella. “Senti, Rose, ti volevo parlare perché non vorrei che Tanya avesse la tua stessa idea…”. “Credi che torni qua per attaccare i Volturi?”. “Non lo so” scrollò le spalle. “Quando è venuta qui, avevo sentito che l’aveva accantonata, ma non vorrei che avesse cambiato parere. Se per di più, Alice non riesce a vedere la motivazione del suo rientro, temo che voglia davvero andare a cercare Seth ed io non posso pensare altro che lo faccia per convincerlo a combattere”. “Non credo che torni per questo…” minimizzai. “Effettivamente sono solo illazioni, per il momento. Comunque, appena arriverà, lo sapremo. E se fosse vero, dovresti convincerla a fermarsi e farle capire che sarebbe un’azione stupida”. “Se fosse convinta sul serio, non potrei fare niente per dissuaderla…”. “Ti ascolterebbe. Ha stima della tua opinione. E in ogni caso, la devi fermare, anche con la forza. Mi raccomando, mi aspetto molto da te…”. “Se fossi in te, non lo farei” ridacchiai. “Non sei un’incosciente e so che sei convinta ormai di desistere. Non potrebbe farti cambiare idea, quindi dovrai essere tu a farlo nel caso che manifesti idee bellicose”. “Forse dovresti parlarle tu. Ha ancora una cotta per te e pende letteralmente dalle tue labbra. Farebbe qualsiasi cosa per compiacerti!”. “Non quando si tratta della morte di una figlia” disse severo, smorzando di colpo la mia ironia. “In questo caso, tu le sei molto più vicina e lo sa. Sapresti sicuramente trovare le parole giuste, cosa che io non riuscirei assolutamente a fare”. Edward si alzò dal gradino e tornò verso il portone d’ingresso. “Siamo d’accordo, ok?”. “Sì” risposi. “Altrimenti sarò costretto a farti scannare da Jacob…” disse sarcastico. “Fallo e mi vedrò costretta a uccidere un licantropo e a violare il patto”. “Credo che ti farei un piacere…”. “Effettivamente sì” ammisi. “Messaggio ricevuto. Ah” disse “mi piacerebbe fare altre volte questi discorsi con te: hai delle opinioni interessanti. A domani”. Rientrò in casa mentre io rimasi seduta a riflettere. Convincere Tanya a desistere nel caso fosse tornata per combattere? Mi stava venendo da ridere. Non mi sentivo abbastanza forte emotivamente per riuscire a sovrastare e addirittura persuadere una persona molto convinta delle sue idee. Cominciai a pregare che non venisse davvero con questa motivazione. Era stata la prima volta da decenni che Edward ed io avevamo parlato senza prenderci per i capelli. Forse potevamo riuscire ad instaurare un rapporto, se non di affetto, almeno di convivenza civile; o forse era solo un’illusione perché in realtà ci eravamo venuti incontro per uno scopo comune. Alla prima divergenza di opinioni saremmo tornati alle vecchie abitudini. Nonostante questo, era stato piacevole essere fratello e sorella per qualche minuto. Mi alzai e rientrai. Incontrai il viso sorridente di Alice: era più soddisfatta di me della conversazione con Edward. Mi accoccolai nuovamente tra le braccia di Emmett e così rimanemmo fino all’alba. Sarebbe dovuto essere un momento sereno, invece sentivo una strana angoscia, la sensazione di qualcosa che avrebbe potuto turbare la mia traballante tranquillità. Verso le otto Edward uscì dalla sua camera, pregando Esme di preparare la colazione per Bella. Non aveva fame ma mio fratello era molto preoccupato perché in questi giorni aveva mangiato pochissimo e contava di costringerla a farlo. Anche quella notte aveva dormito quattro ore a malapena. Mi scoprii a provare una pena infinita per lei: non era la più adatta a sostenere certi tipi di dolori o situazioni. Era troppo fragile. Ma di me non si poteva dire diversamente. Ultimamente bastava poco per farmi rattristare, ma riuscivo, piangendo, a sfogarmi. Dopo quella sera a Port Angeles, il pianto era diventato estremamente facile e straordinariamente lenitivo. Accadeva sempre quando ero sola, anche se gli altri ovviamente mi sentivano. Onestamente non sapevo nemmeno io chi o cosa ringraziare, ma raggiungerlo era diventato una vittoria. “Sta arrivando. Poco meno di cinque minuti…” annunciò Alice con tono solenne. Edward annuì e salì al piano superiore a chiamare Bella. E, come puntualmente previsto da mia sorella, Tanya arrivò di lì a cinque minuti. Esme le aprì la porta, abbracciandola calorosamente. “Come stai?” le domandò, ricolma di affetto materno. Tanya alzò le spalle ed entrò in casa. “Ciao” sussurrò quasi impercettibilmente. Appariva mortificata sapendo che non sarebbe dovuta stare qui, come se si sentisse in colpa di eventuali rischi a cui ci avrebbe esposto la sua presenza. Non ne compresi il motivo, ma mi sentii in dovere di smentire le sue convinzioni. Mi avvicinai e la strinsi forte. Mentre la stavo abbracciando, alzai lo sguardo e incontrai quello incuriosito di Alice. E non ne intuii subito il motivo. Quando mi allontanai da Tanya, vidi la medesima espressione sul volto della mia amica: l’avevo abbracciata. Con molto, fin troppo, calore. E, a dispetto della stranezza del mio gesto, lo giudicai assolutamente naturale, anche se non lo era. Non da parte mia, almeno. Un rumore attirò la nostra attenzione. Bella stava scendendo le scale, mano nella mano con Edward. Avanzava pesantemente, come se facesse fatica a stare in piedi. Il suo viso si faceva, ogni giorno che passava, sempre più magro e smunto. Ormai sembrava un fantasma. Quando Tanya la vide, le si fece incontro e la abbracciò; Bella iniziò a singhiozzare. Rimasero parecchi secondi in quella posizione mai sazie di quell’abbraccio. Poi quando si scostarono, si guardarono a lungo, in silenzio. Tanya voltò il viso verso Edward e lo salutò affettuosamente. Carlisle, da bravo padrone di casa, la invitò ad accomodarsi, ma Tanya non sembrava essere tornata per una visita di cortesia. Assai tesa, rimase in piedi. “Scusate se sono piombata qua, senza avvisarvi, ma sapevo che Alice l’avrebbe previsto…” iniziò. “E’ stato così infatti. Ma come mai non sei a Vancouver?” domandò Jasper, senza alcun preambolo. “In realtà ero partita da Forks, diretta là, poi ho deciso di fermarmi un attimo a Chicago nella mia vecchia casa, in quanto Kate mi aveva detto, che, con la fretta, aveva dimenticato alcune cose di Desirèe e io non volevo lasciare niente in mano a… loro. Una volta lì, mi sono tornati alla mente tanti ricordi e sono rimasta più a lungo di quanto credessi”. “E Jane e Demetri? Non ti hanno trovato?” domandò Carlisle, visibilmente angustiato. Tanya scosse la testa. “Non li ho mai visti, né sentito la loro scia. Chicago è piuttosto grande, si perde parecchio tempo alla ricerca di una persona”. “Però non ci hai spiegato perché hai deciso di ritornare” la incalzò Jasper. La sua assoluta mancanza di tatto mi fece irritare: Tanya parlava con sforzo e lui sembrava solo interessato ad avere risposte alle sue domande, completamente disinteressato del suo dolore. “Mi sono sentita molto sola in quella casa. Non per il fatto che lo fossi materialmente, ma perché sapevo che stare con Kate e Irina non mi avrebbe aiutato. Sono le mie sorelle e sicuramente farebbero di tutto per rincuorarmi e consolarmi, ma… Inoltre ho pensato che se i Volturi mi stavano davvero cercando, le avrei soltanto messe in pericolo. Kate non è sulla loro lista nera e potrebbe ancora evitare una condanna, ma non se venisse trovata in mia compagnia. Non potevo farle una cosa del genere. Questo è stato uno dei motivi per cui sono rimasta a Chicago: speravo che mi trovassero e mi uccidessero, così avrei risolto i problemi che avrei potuto causare a loro e quelli già causati a voi”. “Che stupidaggine!” esclamai alterata. “Morendo non avresti risolto niente. Gliel’avresti solo data vinta e questo non puoi permetterlo!”. “Lo so, ma non puoi capire come mi sento. Nessuno può farlo…” disse sconfortata. “Tuttavia ho pensato che avevo disperatamente bisogno di qualcuno che invece ne fosse capace ed è per questo che sono tornata…” concluse fissandomi. Pensai che il suo ritorno fosse dovuto a me, che mi avesse scelto per questo arduo compito. E ne sarei stata ben lieta. Ma non si era riferita a me con quella frase. Edward mi lanciò un’occhiata fugace. “Voglio incontrare Seth” affermò risoluta. Aggrottai le sopracciglia: l’intuizione di Bella era stata giusta. “Ma, Tanya, perché…? Seth non è…” cercai di contestare. “Era il ragazzo di mia figlia e voglio conoscerlo”. “D’accordo, ma adesso non è davvero il caso. Lehausle è ancora qua e rimanere, anche solo per poche ore, ti metterebbe in grave pericolo. Forks non è Chicago”. “Voglio parlare con lui. Voglio che mi racconti di Desirèe e del loro rapporto. Voglio qualcuno che comprenda il mio dolore, con cui parlare di lei, anche tutto il giorno se necessario…”. “Rose, ha ragione” interloquì Carlisle. “Ogni minuto che passi qua ti mette in pericolo e penso che parlare con lui non farebbe altro che accrescere il dolore”. “Non mi interessa di essere in pericolo. Ormai non ho più nulla da perdere…”. “Ho parlato io con Seth” risolsi seria. “E’ profondamente sconvolto e addolorato per Desirèe. Andare a rivangare certe cose non lo aiuterebbe. E nemmeno te, se è per questo. Non concludereste niente, a parte piangervi addosso”. “Voglio conoscere il ragazzo che voleva morire per mia figlia!”. Feci qualche passo verso di lei. “Non è il momento” dissi con voce tagliente, improvvisamente ostile. “Lo feriresti ancora di più. I suoi amici stanno facendo di tutto per ridargli una vita quasi normale e adesso arrivi tu che, sbandierando il tuo dolore di madre, vuoi vanificare i loro sforzi? Ma a te non frega niente, non importa se lo farai soffrire!”. Mi pentii di quelle parole, ma non volevo che si avvicinasse a Seth. Non si meritava questo. Tanya raggelò. Probabilmente da parte mia si era aspettata sostegno e non un muro. “Mi basta incontrarlo per pochi attimi soltanto…” mugugnò. Stavo per ribattere quando la debole voce di Bella si fece sentire nel salotto. “Penso che a lui farebbe piacere…”. “Davvero?” domandò la mia amica, quasi euforica. Bella annuì. “Sì, gli ho telefonato l’altro giorno e mi ha detto che vorrebbe parlare di Desirèe con qualcuno, ma con gli altri non riesce”. “Allora, puoi organizzare un incontro con lui?”. “Certo. Vado a chiamarlo” confermò e si diresse verso il telefono. “Magari non è ancora sveglio…” dissi cercando di prendere tempo. Erano le otto di mattina e la mia scusa poteva essere perfettamente plausibile. “Oppure è a scuola” rincarai la dose. “Non credo. Papà mi ha detto che non se la sente di andarci per il momento”. Non seppi più cosa inventarmi e Bella gli telefonò. Pregai che non fosse in casa, che i suoi amichetti pulciosi l’avessero trascinato da qualche parte, che rispondesse sua sorella e non volesse passarglielo, insomma qualsiasi cosa. Ma non fui ascoltata. E così Bella organizzò l’incontro per il primo pomeriggio, in centro a Forks. Estremamente delusa, incontrai lo sguardo di Edward, che sembrò condividere le mie preoccupazioni. Mi chiesi insistentemente come salvare Seth, e non trovai alcuna opzione plausibile. Non ultima quella di trattenerla con la forza, ma ben presto mi resi conto che ero l’unica a preoccuparsi. Nessuno appariva turbato, a parte Edward. “Bella, mi accompagni tu da Seth?” le domandò Tanya. “Certo”. “No, è meglio di no. Vengo io con te” dissi con espressione dura. Mio fratello sorrise, soddisfatto della mia presa di posizione. Tanya non era affatto convinta, ma Bella non insistette per farle da guida e dovette rassegnarsi ad avere me. Le ore trascorsero in fretta. Tanya conversò sempre con Esme ed Alice, mentre io camminavo nervosamente avanti e indietro per la casa. Non sapevo perché fossi così in ansia per Seth, perché il suo benessere fosse balzato prepotentemente al primo posto nelle mie priorità, ma volevo proteggerlo. In quei pochi giorni mi sembrava che il mondo si fosse rovesciato: provavo pena per Bella, angoscia per un licantropo e… Edward mi si avvicinò impercettibilmente. “Stai attenta…” sussurrò. “Vuole…?”. “No. E’ venuta per conoscerlo. Non ha un secondo fine, ma ricordati quello che ti ho detto ieri sera…”. Annuii. Il pomeriggio giunse veloce e ci incamminammo verso il luogo dell’incontro. Durante il tragitto, non scambiammo una sola parola. Io ero infuriata e probabilmente Tanya percepiva la mia ostilità. Non capivo che avrebbe guadagnato da quest’idea sciocca e inutile. Potevano solo rivangare ricordi repressi e dolorosi. L’unica cosa che potevo sforzarmi di comprendere era che parlando con Seth avrebbe potuto scoprire una parte di sua figlia che non conosceva, ma questo avrebbe potuto farlo anche in un altro momento, quando i Volturi se ne fossero finalmente tornati nella loro Volterra. Erano molto vendicativi, ma altrettanto impazienti: se non avessero trovato Tanya in fretta, sicuramente avrebbero gettato la spugna. Avrebbe dovuto continuare a nascondersi per l’eternità, però almeno non l’avrebbero più deliberatamente cercata. Arrivammo in poco tempo a Forks e ci fermammo davanti ad un negozio di ferramenta, nostra meta. Seth non c’era ancora ed io ero in ansia. Edward mi aveva rassicurato, tuttavia mi sentivo un peso sullo stomaco, come se avessi la percezione che sarebbe accaduto qualcosa di terribile. La stessa sensazione della sera precedente. Poi un odore improvviso. Un ragazzo robusto avanzava a passi veloci verso di noi. Seth. “Ciao” disse con voce piatta. “Ciao” risposi. “Scusa se ti abbiamo disturbato”. “Non importa”. Si voltò verso Tanya e la fissò a lungo, cercando in lei una somiglianza con Desirèe, che ovviamente non poté riscontrare. Le allungò la mano, presentandosi cordialmente; Tanya fece altrettanto. Gli sorrise, compiaciuta del ragazzo che sua figlia aveva scelto come compagno. Ci dirigemmo verso una panchina, all’estremità del bosco che separava Forks da La Push. Si sedettero mentre io rimasi in piedi. Che diavolo facevo lì? Forse avrei dovuto lasciarli soli per permettergli di parlare liberamente. E anche Tanya pensò la stessa cosa, lanciandomi più volte sguardi assai eloquenti. “Sentite, vado a farmi un giro. Torno qui fra un’oretta, ok?” mi decisi infine. Entrambi annuirono e io mi diressi verso il centro di Forks. Un’oretta. Era dura da far passare in quella cittadina poco più grande di un paese. Camminai per le stesse strade più volte. Ero nervosa. Li avevo lasciati da soli, e per di più col pericolo di Lehausle. Mi trovai a maledire Bella e la sua dannata idea di organizzare quest’incontro. Non avrebbe mai dovuto farlo e sarebbe dovuto venire Edward. Lui avrebbe sicuramente gestito meglio questa faccenda. Ad un tratto, mi imbattei in una panchina e mi ci accomodai. Mi sforzai di pensare razionalmente: ero frastornata da tantissime idee che non avevano alcun tipo di riscontro. E poi sembravo quasi spaventata da Tanya, come se lei non fosse la persona con cui avevo stretto una solida amicizia da più di trent’anni. Era tutto assurdo. Dovevo fidarmi di lei. Non era una sprovveduta. Inoltre avevo paura che soffrissero troppo entrambi per quest’incontro e non volevo che accadesse. Seth aveva i compagni del branco, ma Tanya solo me e le mie doti consolatorie non erano delle migliori, visto che non riuscivo nemmeno a rassicurare me stessa. Mi alzai e tornai verso di loro. Da vera bambina, mi sporsi da dietro l’angolo del palazzo che copriva le loro figure e li spiai. Sembravano sereni. Addirittura vidi Seth sorridere. Tirai un sospiro di sollievo: avevo sopravvalutato l’intera vicenda. Ritornai alla mia panchina e aspettai buona buona che trascorresse l’ora di accordo. Decisi di lasciarli soli ancora un po’ e ricomparii dopo quasi due ore. “Beh, tutto bene?” domandai. “Certo. Seth è adorabile!” rispose Tanya. Le sorrisi compiaciuta. “Possiamo andare, allora? Ti ringrazio del tempo che ci hai dedicato” dissi, rivolta a lui e feci per andarmene. Ma Tanya mi prese per un braccio. “Aspetta un attimo” disse la mia amica. “Che c’è?” domandai. “Vorremmo il tuo parere su una questione”. “Ok. Ditemi”. Tanya mi fece segno di seguirli nel bosco e io ubbidii docilmente. Quando fummo penetrati tanto all’interno da non vedere più la strada principale di Forks, ci fermammo. Non osai dire nulla in attesa che fossero loro a prendere la parola. “Ti volevamo parlare di una cosa” disse Tanya, lanciando un’occhiata complice a Seth. Rabbrividii. “Cosa?” balbettai, affatto desiderosa di conoscere l’argomento della conversazione. “Riguardo ai Volturi. Hai detto ad entrambi che Jane e Demetri sono andati a Chicago per cercarmi…” iniziò Tanya. “Sì, è così”. Il principio di quella conversazione mi rammentò quella che avevo intrapreso con Jacob, all’uscita dalla discoteca, e non mi piacque per niente. “E che qua sono rimasti solo Lehausle e altri due vampiri”. Annuii e in quel momento mi pentii di aver fatto loro questa rivelazione. “Sia Seth che io abbiamo pensato la stessa cosa. Visto che sono in pochi e per giunta non c’è neanche Jane, potremmo punire almeno loro per quello che hanno fatto a Desirèe”. “Aha”. L’incubo che avevamo pronosticato Edward ed io aveva di colpo preso vita. Ma non capivo come. Mio fratello aveva detto che Tanya non l’aveva pensato quando era stata a casa, quindi doveva per forza essere un’idea nata in quelle due ore di conversazione con Seth. Strinsi i pugni tanto forte da piantarmi le unghie nei palmi. “Che ne pensi?” mi chiese Seth. “Io credo che sia un’idea idiota” ribattei con una semplicità irritante. “Come fai a dirlo?”. “Siete solo in due. Non potreste mai farcela. Vi ammazzerebbero entrambi e senza troppa fatica”. “Oh, andiamo! Sono solo due vampiretti e Lehausle. Lui è un segugio e senza Jane la sua forza è dimezzata…” minimizzò Tanya. “Sì, ma sareste in pochi ugualmente. E poi non sapete neanche dove si nascondono. Avete intenzione di fare un raid per tutta Forks e dintorni?” dissi ironica. “Dimentichi che io ho visto dove sono…” replicò Seth. Accidenti! L’avevo dimenticato davvero. Mi misi a frugare velocemente nella mia testa per trovare obiezioni consistenti e riuscii a trovare solo quelle di Jacob. “Se anche andasse bene, non pensate al dopo? Vi piomberebbero addosso e ammazzerebbero sia i Denali che voi del branco!”. “Quelli del branco sono al sicuro: i Volturi non sanno che qua ci sono dei licantropi. La mia famiglia è già nei guai. E comunque, cosa ne potrebbero sapere che c’entriamo qualcosa?”. “E secondo te, chi penserebbero sia stato? Vampiri di passaggio?” domandai sarcastica. “Se non lasciamo tracce, non avranno prove per attaccarci”. “Credi che a loro importi qualcosa di avere delle prove?! E poi, ribadisco, in due sareste in pochi…”. Tanya mi fissò a lungo e capii perché me ne stava parlando. “No, non puoi chiedermelo…” dissi come se fosse un’implorazione. “Ti prego, Rose, in tre avremmo la vittoria in tasca. E finalmente avremmo vendicato Desirèe…”. Scossi la testa ostinatamente. “No, non possiamo farlo. Sarebbe un suicidio!”. “Avevi detto che mi avresti aiutato qualsiasi cosa ti avessi chiesto. Beh, te lo sto chiedendo adesso…”. “Un momento!” esclamai, furibonda. “Questo è un ricatto bello e buono. Stai cercando di fare leva sul mio senso di colpa!”. “Niente affatto. Ti sto solo ribadendo quello che mi avevi detto. Evidentemente mentivi e simulavi compassione, esattamente come gli altri”. “Non è vero! Ti avrei aiutato per proteggere Desirèe, non per tentare di dare pace alla coscienza senza di fatto ottenere niente che la possa aiutare!”. “Tanya, lasciala stare. E’ evidente che non vuole. Faremo da soli” intervenne Seth bonariamente. “Seth, aspetta. Non capisci che è una follia? Andrete incontro a morte certa!”. “Non abbiamo più niente da perdere. Né io, né Tanya”. “Come puoi dire questo? La vita è importante e non va mai gettata!”. Ci guardammo a lungo. Il suo sguardo si era fatto di ghiaccio, come quello della mia amica. Evidentemente si aspettavano da me un’altra reazione. Fino ad allora avevo sbandierato a entrambi il mio desiderio di appoggiarli e adesso mi stavo tirando indietro. Avevo capito cosa intendeva dire Tanya: era arrabbiata con noi perché non avevamo fatto nulla. Quello poteva essere il gesto che mi avrebbe riabilitata ai suoi occhi. Avevo promesso a Edward che li avrei fermati anche con la forza, ma come potevo? Ero sola e per giunta comprendevo perfettamente le motivazioni che li spingevano. Non potevo fargliene una colpa se volevano vendicare Desirèe. Stavo cercando di oppormi ma sentivo la voce tremare quando parlavo. Non ero convinta. Anch’io volevo uccidere quelli che le avevano fatto del male, tuttavia saremmo anche potuti morire in quell’impresa. Per giunta inutile. “Jacob e Leah?” domandai. “No. Non voglio coinvolgere Leah e se Jacob sapesse cosa voglio fare, tenterebbe in tutti i modi di impedirmelo. E’ fuori questione che li chiami” rispose deciso. Se fossi uscita viva da quello scontro, ci avrebbe pensato Jake ad uccidermi. Mi morsi nervosamente un unghia della mano. Ero indecisa. Se li avessi lasciati andare da soli, le loro possibilità sarebbero state decisamente infime, invece in tre potevamo farcela. E tutto sommato Tanya non aveva torto: i Volturi non sapevano dell’esistenza del branco e come avrebbero fatto a dimostrare che c’ero anch’io in questa missione punitiva? Se avessi partecipato avrei però deluso Edward, che la sera precedente era sembrato così conciliante. Mi sarei giocata definitivamente quel poco di stima che poteva nutrire nei miei confronti. Vendicare Desirèe. Uccidere almeno Lehausle. Ne valeva la pena. Edward avrebbe capito e poi avrei sistemato anche quel cane, se avesse osato rinfacciarmi qualcosa. “Quando ci volete andare?” domandai titubante. “Ora” rispose Seth. “Ora?!”. “Sì. Se perdiamo tempo, alla mia prima trasformazione, gli altri del branco sentiranno cosa voglio fare e se tu e Tanya tornate a casa, Edward percepirà il nostro piano. Inoltre, finché rimanete con me, Alice non può prevedere il vostro futuro…”. Tanya annuì. Avevano già pensato a tutto. Tutto pur di non essere ostacolati. Indugiai. Combattere subito. Non avevo nemmeno il tempo di rifletterci con più calma. Che cosa dovevo fare? Rivolsi lo sguardo a loro: entrambi speravano che li aiutassi e come potevo dire di no? Non l’avrebbe riportata in vita, certo, ma almeno avremmo avuto giustizia. Le avevano frantumato le ossa prima di ucciderla. Ora era il nostro turno. Dovevamo essere noi a frantumare le loro. “Ok. Sono dei vostri” affermai.

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Capitolo 32
*** Canto di battaglia ***


Ci incamminammo nel bosco. Il passo di Tanya e Seth era rapido ed energico, il mio lento e cauto.
Avevo deciso di aiutarli, tuttavia dubbi angosciosi sgomitavano nella mia mente, alimentati dalle parole di Edward e di Jacob. Non mi sentivo in colpa nei confronti di quel cane, ma verso mio fratello: gli avevo promesso che avrei dissuaso Tanya e ora stavo tradendo la fiducia che aveva riposto in me. Ma era altrettanto vero che non sarei più riuscita a guardarmi allo specchio se l’avessi abbandonata nel momento del bisogno. Lasciarli da soli inoltre avrebbe significato condannarli di fatto a morte e non potevo permetterlo, anche se la mia presenza non era certo garanzia di successo. Se ci fossero stati anche Jacob e Leah, avremmo avuto la vittoria in pugno. Però Seth era forte: Edward aveva raccontato che lo aveva aiutato ad uccidere Victoria nella battaglia sostenuta la primavera scorsa.
Eppure  avevo paura, ma non per me. Seth era un ragazzino e Tanya la mia migliore amica. Non volevo che gli accadesse qualcosa. Ormai erano convinti e non potevo fare niente per fargli cambiare idea, però se qualcuno avesse dovuto morire in quello scontro, quella sarei stata io. Li avrei difesi a tutti i costi. Questo era il fine ultimo della mia missione, pur volendo vendicare Desirèe. Non potevo lasciare che quei maledetti la facessero franca. Andavano puniti, ma non a costo della vita di Tanya e Seth.
“Che ne dite di accelerare il passo?” ci propose Seth. Tanya acconsentì e iniziarono la loro cavalcata senza freni verso Lehausle. Io feci altrettanto, continuando a dibattermi tra i miei pensieri. Pensando a Desirèe, non avevo alcuna remora ad intraprendere questa missione, che sembrava racchiudere un che di eroico. Ma poi li fissavo mentre correvano e non potevo non pensare che in realtà fosse una colossale idiozia. Desirèe era morta per Seth e adesso noi stavamo andando a punire i suoi assassini, mettendo di fatto in pericolo le vite che lei aveva tanto coraggiosamente salvato.
La conseguenza era che ogni tanto rallentavo l’andatura, poi ripartivo con rinnovate energie, quando pensavo a come l’avevano torturata prima di ucciderla. Ma le parole di Jacob traevano forza dal buon senso: cosa avremmo ottenuto da questa missione punitiva? Riuscire a guardarci allo specchio? Io non ce l’avrei fatta ugualmente. Ormai era tardi per poterlo fare.
Mi trovai a invocare la presenza di Edward. Lui sarebbe riuscito a far ragionare sia Seth che Tanya. Invece si era affidato a me e ora l’avrei deluso. Non sapevo nemmeno perché mi stessi facendo tutti questi scrupoli, dato l’odio che avevo sempre provato nei suoi confronti. In realtà era solo una scusa per tirarmi indietro, per tornare a rinchiudermi dentro il mio piccolo bozzolo, dicendomi che avevo compiuto un nobile gesto salvando Seth e Tanya dalle loro idee suicide?
Però… Desirèe meritava un po’ di giustizia. Dovevamo vendicarla. E a me non sarebbe nemmeno dispiaciuto, distruggere una volta per tutte, anche solo una parte della guardia reale dei Volturi: volevo che smettessero di ergersi a paladini della nostra razza, mentre volevano soltanto comandare e seminare il terrore. Bisognava smettere di sottometterci a loro e questo sarebbe stato il nostro primo atto.
“Siamo arrivati” disse Seth, fermandosi dietro un grande albero. Ci indicò una casetta di legno, a un centinaio di metri di distanza. Sentii distintamente la scia di Lehausle e per fortuna il vento soffiava nella direzione opposta altrimenti avrebbero avvertito la nostra presenza e l’effetto sorpresa sarebbe svanito.
Fissando la minuta costruzione, le mie paure si eclissarono. Potevamo farcela e dopo avremmo festeggiato tutti, Edward e Jacob compresi. Anche loro avrebbero voluto vendicarla, ma erano frenati da mille paure, invece noi avevamo il coraggio di mettere in atto le intenzioni degli altri. Sorrisi dentro di me, invasa da un’irrefrenabile euforia. Quello schifoso l’avrebbe pagata. Chissà, magari era stato proprio lui a ucciderla e allora la nostra gioia sarebbe stata doppia.
“Rosalie, sei ancora convinta?” mi domandò Seth. “Non voglio che ti senta obbligata ad aiutarci…”.
“Non ti preoccupare” sogghignai. “Ne sono convinta ora più che mai e credo anche che vinceremo senza difficoltà!”.
Tanya mi guardò soddisfatta di sapermi completamente dalla sua parte. Sentire la scia di Lehausle era stato un incentivo determinante. Mi sarebbe piaciuto essere io ad ucciderlo, ma quest’onore spettava a Tanya o a Seth. Mi sarei limitata ad osservare mentre gli staccavano la testa, ovviamente dopo averlo torturato un po’. Volevo una fine lenta e dolorosa. Volevo che fosse lui a implorarci di ucciderlo, di porre fine alle sue sofferenze.
Da quei pochi pensieri capii che gli ultimi resti di razionalità erano spariti. La rabbia cresceva ogni istante perso dietro quel maledetto albero, ma dovevamo prima di tutto preparare l’assalto. All’inizio mi illusi che Seth avesse pianificato anche questo, ma capii quasi subito che nessuno dei due ci aveva riflettuto.
“Che facciamo?” domandò Tanya.
Alla sua domanda non seguì una risposta. Li guardai entrambi incredula:“Non avete pensato a niente?”.
“In verità, no” rispose Seth, abbassando lo sguardo. Il mio entusiasmo scricchiolò e Seth lo intuì, realizzando che la sua autorità stava venendo meno. Stavo per lanciarmi in una critica feroce, quando trovai la forza di astenermi: non avrebbe portato a nulla. Dovevamo inventarci qualcosa e in fretta. Il vento poteva cominciare a spirare in direzione della casa e allora nessun piano sarebbe servito. Pensai a lungo: non avevo mai avuto una mentalità criminale e meditare qualcosa che potesse uccidere delle persone, vampiri o umani che fossero, non era per me.
“Innanzitutto, credo che bisognerebbe tirarli fuori da quella casa” iniziò Tanya.
“Potremmo darle fuoco” suggerì Seth, rincuorato dal fatto che i nostri propositi non avessero perso forza.
“Per darle fuoco velocemente avremmo bisogno di benzina e dovremmo ritornare a Forks” osservai. “Cospargere la casa implicherebbe inoltre andargli troppo vicini. Potrebbero sentire la nostra scia…”.
“E allora cosa facciamo?”.
Mi passai le mani tra i capelli. Dovevamo stanarli, ma in maniera tale da prendere Lehausle per primo. Le nostre forze dovevano concentrarsi su di lui, non sui suoi scagnozzi. Separarli e contemporaneamente fare in modo che noi tre rimanessimo uniti. Come potevamo fare? Che cosa poteva farlo uscire da solo? Accidenti, se ci fosse stato un altro con noi. Solo uno sarebbe bastato.
“Ci vogliono due di noi per essere sicuri di uccidere Lehausle…” constatai. “Considerando i suoi servetti, in tre siamo in pochi”.
Mi voltai verso Seth con uno sguardo fin troppo eloquente.
“Chiamalo” dissi decisa.
“No”.
“Ma non capisci?! Ci serve. E’ forte e con lui saremmo sicuri di vincere”.
“Peccato che invece di loro, ammazzerebbe noi! Non vuole che combattiamo contro i Volturi. Farebbe di tutto per impedircelo!” protestò vivacemente.
“Di chi state parlando?” interloquì Tanya.
“Del suo “quasi” capo” risposi, esasperata. Era evidente che non lo voleva ma ne avevamo un bisogno disperato. L’unica mia speranza era che nel momento in cui Seth si fosse trasformato, Jacob fosse, per un qualsiasi motivo, lupo anche lui. Sicuramente sarebbe venuto ad aiutare il suo amico. Ma per ora dovevamo arrangiarci da soli. Continuai a pensare. Infine un’idea mi sfiorò.
“Dobbiamo separarli ed io penso di avere un trucchetto per tirarlo fuori di casa” dissi. “Ma una volta lontano dagli altri, sarebbe difficile tenergli testa da sola. Uno di voi deve stare con me”.
“D’accordo” rispose Seth. “E l’altro che farà?”.
“L’altro deve essere abbastanza forte da fronteggiare gli altri due vampiri, almeno finché non torniamo da lui”.
Tanya e Seth si fissarono a lungo, combattuti. Ero sicura che entrambi volessero combattere contro Lehausle, ma bisognava che qualcuno si occupasse dei suoi tirapiedi.
“Credo che sia meglio che ci sia Tanya con me” affermai rivolta al giovane licantropo. “La tua scia lo insospettirebbe…”.
Seth annuì, profondamente deluso.
“Spiegaci il tuo piano” disse Tanya. Glielo esposi ed entrambi lo approvarono fiduciosi.
“Speriamo che funzioni” commentò il licantropo.
“Ok” conclusi. “Seth, vai a trasformarti e tu, Tanya, allontanati per un chilometro circa, in quella direzione”.
La mia amica obbedì e ben presto sparì nel bosco. Seth si allontanò per qualche secondo, poi tornò sotto forma di lupo. Affondai la mano nel suo pelo per accarezzarlo. “Ce la faremo, vedrai” sussurrai affettuosamente. I suoi grandi occhi sembrarono sorridermi.
Gli feci un cenno e si nascose dietro un cespuglio. Ora veniva il mio turno. Pregai di essere convincente. Dovevo esserlo, altrimenti Dio solo sapeva a che morte saremmo andati incontro.
Mi avvicinai lentamente alla frugale costruzione. Quando fui a pochi metri, come previsto, la minuscola porta si aprì e ne uscì un ragazzino dai capelli rossi e i lineamenti marcati. “Chi sei?” domandò con voce tagliente.
“Cerco il tuo capo. E’ in casa?”.
Non rispose. Portai le mani sui fianchi in attesa, facendogli capire che non me ne sarei andata tanto facilmente. Dopo qualche secondo, uscì Lehausle. Era serio. Marciò a passo cadenzato verso di me. Feci appello a tutte le mie forze e mi costrinsi a ripensare a ciò che avevano fatto a Desirèe per ritrovare coraggio.
“Ciao, mia cara, cosa fai da queste parti?” mi domandò sinuoso.
“Cercavo te” risposi, sfoderando un sensuale sorriso.
“E come hai fatto a trovarmi?”.
“La tua scia è disseminata per tutto il bosco. Mi sono limitata a seguirla…” dissi, scrollando le spalle.
“Ok. Sono qui. Che cosa vuoi?”.
“Vorrei parlare con te. Da sola, se possibile” risposi, indicando il suo amichetto.
Lehausle mi sorrise e annuì. Fece un cenno al ragazzino e ci incamminammo insieme nel bosco. Non scambiammo una sola parola durante il tragitto. Dapprima si limitò a seguirmi, poi mi si affiancò. Ogni tanto gli lanciavo uno sguardo sospettoso. Era una canaglia e non ritenevo impossibile che il pensiero di essere tirato in un’imboscata non gli avesse attraversato la mente. Guardai il cielo: era quasi sera.
Improvvisamente Lehausle si fermò. “Allora? Dove stiamo andando?” domandò spazientito.
“Lontano dai tuoi scagnozzi” risposi semplicemente.
“Siamo abbastanza lontani. Che cosa vuoi?”.
Mi appoggiai a uno degli alberi. Finsi di essere molto combattuta sulle parole da usare, ma in realtà mi stavo chiedendo come fare ad allontanarlo: Tanya si trovava più avanti e non poteva ancora sentire la nostra scia, al contrario delle sue guardie, che invece avrebbero potuto comodamente raggiungerlo in caso di imboscata. Contemporaneamente mi chiesi se Seth si fosse già lanciato all’attacco. Guardai l’orologio. Gli avevo detto un quarto d’ora. Mancavano ancora cinque minuti e in quel poco tempo che restava Tanya ed io avremmo dovuto aggredirlo.
“Allora?” mi incalzò.
Cominciai a giocare nervosamente con le punte dei capelli. “Sai, Emmett ed io stiamo attraversando un periodo di crisi. E’ generalmente periodica, però stavolta credo che non riusciremo ad uscirne. Sono stanca e voglio qualcosa di nuovo…” iniziai.
“E io cosa c’entro?”.
“Ho pensato a quello che mi hai detto qualche giorno fa… E sono arrivata ad alcune conclusioni” dissi, accarezzandomi il collo. Lehausle mi sorrise, intuendo quale fosse il fine della mia conversazione. Si avvicinò lentamente. Quando fu vicino, mi passò le mani tra i capelli. Mi ricordò Royce: sentii il suo sguardo trapassarmi ed ebbi paura.
“Quindi?”.
“Tu sei un bel ragazzo” sussurrai. “Adoro gli uomini forti, che detengono il potere nelle loro mani. Sono molto affascinanti…”.
Mi abbracciò. Il mio solo desiderio sarebbe stato di scappare veloce come il vento, ma dovevo trovare un metodo per trascinarlo nel punto prestabilito. “Mi piaci molto” lo stuzzicai.
“Speravo che lo dicessi…”.
Avvicinò il suo viso al mio con l’intenzione di baciarmi. Lo evitai appena in tempo, ma il mio movimento sconsiderato lo insospettì.
“Che ti prende?” domandò perplesso.
“Niente” risposi, mettendogli le braccia intorno al collo, tentando di riparare al danno. Dischiusi le labbra e sussurrai al suo orecchio:“Non pensavo solo a un bacio. Voglio ben altro…”.
Lehausle sorrise compiaciuto. “Non mi aspettavo tanta intraprendenza!”.
“Lo imparerai…”.
Lo baciai lungo tutto il collo, per fargli capire che non stavo scherzando. La sua risposta fu infilare una mano sotto la mia maglietta. “Aspetta. Sai, sono un po’ rumorosa in certe situazioni. Non riesco a trattenermi…”.
“Capisco…”.
Sciolsi il suo abbraccio e lo presi per mano. “Andiamo un po’ più lontano, così le tue guardie non mi sentiranno… Sai, sarebbe un po’ imbarazzante”. Lehausle mi spogliò con gli occhi. Ormai era mio. Non fece alcuna resistenza e mi seguì docilmente. Camminammo per qualche centinaio di metri, quando improvvisamente la sua pazienza terminò. Mi tirò con violenza a sé. “Allora, mia cara? Siamo abbastanza lontani, sicuramente non ti sentiranno. Potrai urlare quanto vuoi…”.
Gli sorrisi nervosamente. Non eravamo nel punto in cui avevo immaginato, ma dovevamo essere abbastanza vicini a Tanya e da lì poteva sentire il nostro odore. Una cosa era sicura: se non fosse arrivata, avrei iniziato la battaglia da sola. Non gli avrei permesso di mettermi le mani addosso. Sentire il suo corpo così vicino al mio mi stava facendo venire i conati di vomito e la mia resistenza era agli sgoccioli.
Mi spostò la spallina della maglietta e questa fu la goccia che colmò il vaso. Affilai i canini e mi avvicinai al suo collo, pronta ad affondarli nella carne, quando un’ombra piombò su di noi dall’alto. Entrambi cademmo a terra, ma fui più veloce di lui a rialzarmi. Trovai Tanya vicino a me. Era in piedi, i muscoli tesi come corde di un violino. Non si voltò nemmeno per constatare se stavo bene. Era interessata solo a lui. Le sue mani stavano tremando vistosamente, in preda a una rabbia troppo forte per essere repressa.
Lehausle ci fissò, affatto sorpreso di vederla.
“Brava, Rose. Sei riuscita a sfruttare a tuo vantaggio ciò che madre natura ti ha così generosamente elargito” si congratulò sarcastico.
“E’ facile quando si ha a che fare con uomini preda dei loro ormoni!” sorrisi altrettanto ironica.
Accennò una risata, poi si rivolse a Tanya:“Alla fine sei arrivata, dunque. Credevo che non saresti più venuta…”.
“Credevi che avrei lasciato impunita la morte di mia figlia?” gridò furibonda.
“Non era tua figlia, ma se ti fa piacere crederlo, affari tuoi. In ogni caso, sono molto felice che tu sia qui. Ci hai risparmiato la fatica di venire a cercarti”.
Rimase comodamente seduto a terra, come se non ci fosse stato gettato. E non sembrava avere fretta di rialzarsi, né tanto meno turbato dal fatto che fossimo in due contro uno.
“Non sono venuta qui a consegnarmi…” sibilò la mia amica.
“Ah no? Speravo di sì. Sai, non ho affatto voglia di perdere tempo in un penoso combattimento dall’esito già scontato”.
“L’esito non è affatto scontato”.
Lehausle sogghignò:“La vendetta non è una buona compagna. Spesso fa commettere delle azioni avventate, soprattutto nel tuo caso. Venire a cercarmi è stata una pessima idea, a meno che il tuo non sia semplicemente un metodo per raggiungere la tua adorata figlioletta. Allora in questo caso, ti sgozzo subito, così non perdiamo tempo!”.
Tanya avanzò di qualche passo. Temevo che stesse perdendo il controllo e non potevamo permettercelo. Dovevamo restare il più lucide possibili, mentre Lehausle la stava provocando proprio per compromettere definitivamente le nostre mosse.
“Invece di essere qui desiderosa di farmela pagare, dovresti farmi un monumento, visto che ho posto io la parola fine alle sofferenze di Desirèe…”.
“Che cosa intendi dire?” ringhiò Tanya.
“Mi piace uccidere, ma è raro che sia crudele nei confronti delle mie vittime, soprattutto verso le ragazzine indifese. Invece, come ben sai, Jane è sadica per definizione. Non le importa chi si trova davanti, umano o vampiro che sia. Si diverte a vedere le persone soffrire. E lo stesso ha fatto con la tua Desirèe. Ti posso assicurare che non è stato un bello spettacolo né per me né per Demetri. Anzi, a un certo punto mi sono persino girato dall’altra parte. Ma la situazione non è migliorata granché…” disse, storcendo la bocca in segno di disgusto. “Dovevi sentire come urlava. Sembrava un maiale quando viene macellato. Scalciava e piangeva. E Jane rideva come una pazza. Non credo che si sia mai divertita così tanto. Prima le ha rotto le ossa delle gambe, poi dopo più di un’ora è arrivata alle braccia. E così ho imparato che il corpo umano è fatto da una grande quantità di ossa, non credevo. Me ne sono reso conto perché gliele ha rotte tutte, anche quelle più piccole, al ritmo di una ogni due-tre minuti. Veramente orribile, a pensarci”. Mentre parlava, aveva sempre tenuto lo sguardo fisso nel vuoto, come se fosse realmente sdegnato dallo spettacolo a cui aveva assistito. Poi fissò Tanya. “A un certo punto ne ho avuto abbastanza e le ho rotto il collo, altrimenti chissà per quanto Jane avrebbe continuato”.
Tanya si morse freneticamente il labbro inferiore.
“Una bella fine, eh? Non l’augurerei al mio peggior nemico, però ormai è andata” concluse, alzando le spalle.
Quello che Lehausle aveva così serenamente raccontato mi aveva scosso e le braccia iniziarono a fremere per la voglia di saltargli addosso. Doveva pagarla. Lui e tutta la marmaglia che si portava dietro. Una volta eliminato, la prossima sarebbe stata Jane, a costo di farlo da sola. Feci un passo nella sua direzione, ma Tanya mi precedette. Lehausle sbuffò e, prima che la sua assalitrice potesse raggiungerlo, fece leva sulle gambe, spiccando un rapidissimo balzo all’indietro. Tanya gli si avventò contro. Scattai veloce, percorrendo un semicerchio, per afferrarlo da dietro. Quando fui nella posizione studiata, feci per colpirlo, quando un braccio si avvolse intorno al mio collo e mi strattonò.
Ne fui così sorpresa che i primi istanti rimasi inerte, sconvolta da mille domande: chi era? Da dove veniva? L’unica cosa sicura era che si trattava di un vampiro. C’era un terzo scagnozzo di cui Seth non si era accorto? Se fosse stato così, le nostre possibilità di vittoria sarebbero diventate infime.
Tentai di divincolarmi dal suo abbraccio, ma non servì e scalciare non portò ad alcun risultato. Mi trascinò lontano da Lehausle e Tanya. Era forte. Doveva trattarsi di un vampiro Neonato. Puntellai più volte i piedi a terra, ma non riuscii a bloccarlo fino a che non raggiungemmo un albero, le cui radici sbucavano dal terreno. Mi ancorai a una di esse, afferrai il suo braccio e riuscii a scaraventare quel dannato vampiro lontano da me. Fu allora che lo riconobbi. Il ragazzino dai capelli rossi. Che faceva lì? Doveva occuparsene Seth. Un fremito mi scosse.
Cos’era successo a Seth? Era in pericolo? Gli era semplicemente sfuggito mentre si occupava dell’altro oppure gli avevano fatto del male? Guardai in direzione della casetta, ma non distinsi nulla in mezzo alla boscaglia. Scrutai attentamente il mio nemico. Non c’erano tracce di sangue su di lui. Mi convinsi che non avesse lottato con Seth, altrimenti qualche goccia, per quanto piccola, gli sarebbe rimasta addosso. Ma volevo sapere che cosa gli era accaduto e contemporaneamente aiutare Tanya. Non potevo lasciarla da sola con Lehausle. Alla fine giunsi all’unica soluzione sensata: uccidere il più velocemente possibile il vampiro che mi trovavo di fronte, poi avrei deciso in che direzione andare.
“Vattene, se non vuoi essere ucciso” lo minacciai. Non mi rispose e iniziò a girarmi intorno. Lo lasciai fare, ma quando si gettò su di me, senza alcuna difficoltà, lo sbattei contro il tronco di un albero. Il colpo fu così violento che la corteccia si incrinò leggermente. Il ragazzino si rialzò, furibondo. “Sei forte, Cullen” ringhiò.
“Ti avevo avvisato, bambino. Tornatene a casa da mamma, se non vuoi finire male!”.
“Una donna non può pensare di battermi”.
“Facciamo del maschilismo?” ghignai. Questo ragazzino mi piaceva: pregustavo già il momento in cui gli avrei staccato la testa dal collo. I miei passi si diressero silenziosamente verso la mia vittima. Dovevo sbrigarmi e andare da Tanya, ma non volevo lasciarmi assalire dall’impeto. Dovevo restare calma per batterlo più facilmente.
Quando fui a pochi metri da lui, scappò via. Se pensava che l’avrei lasciato in vita, si sbagliava di grosso. Lo rincorsi. Dovevo ammettere che era molto veloce, ma io non ero nemmeno al massimo delle mie capacità. Accelerai il passo.
Infine lo raggiunsi, lo afferrai per il collo e lo buttai contro l’ennesimo albero. “Fine della corsa bamboccio!” esclamai, alzando uno degli angoli della bocca. Se non fossimo venuti qua per uccidere Lehausle e vendicare Desirèe, avrei quasi potuto dire che ci stavo prendendo gusto. Rimasi immobile in attesa di un suo movimento, ma sembrava voler restare fermo. Mi innervosii: la pazienza non era il mio forte e indugiare così a lungo le mosse scontate di un essere quasi inerme mi fece innervosire. Fui io a fare la prima mossa. Mi approssimai frettolosamente a lui, che riuscì a respingermi con un calcio. Persi l’equilibrio e dovetti indietreggiare per restare in piedi. Si avventò su di me, colpendomi con un pugno. Caddi e si affrettò a completare l’opera sferrando alcuni calci, il primo dei quali andò a segno ma non il secondo. Gli piantai le mani in un piede e lo feci scivolare a terra. Nell’impeto dell’azione gli graffiai un braccio, ma sapevo che non sarebbe servito a nulla e che non doveva avere nemmeno provato dolore. Si rotolò di qualche metro e con un colpo di reni fu in piedi. Tentò di colpirmi svariate volte, ma per mia fortuna era lento e abbastanza prevedibile. L’unico problema era la sua forza. Quei pochi colpi che erano andati a segno, mi avevano fatto male o comunque fiaccata per qualche attimo. Avrei potuto lasciarlo fare, limitandomi a schivare e aspettando un suo errore, ma di tempo non ne avevo. Ci eravamo allontanati troppo da Lehausle e Tanya. E fu allora che capii il mio errore madornale: non avrei mai dovuto farmi trascinare via e soprattutto rincorrerlo. Ci avevano diviso e quindi irrimediabilmente indebolito.
Stanca di subire, colsi una delle innumerevoli, ma impercettibili ad occhio umano, pause e gli piantai le dita in una spalla. Le strinsi con tanta forza che quasi gli staccai il braccio, ma si difese con un’impensabile violenza, sferrandomi una ginocchiata allo stomaco. Caddi rovinosamente all’indietro e dovetti subire il suo attacco. Il ragazzino sembrava galvanizzato dall’illusione di poter condurre il gioco. E decisi di togliergli definitivamente quell’irritante sorriso dalla faccia.
Simulando la fuga, corsi via, sperando che mi inseguisse e così accadde. Quando fu molto vicino, sicuro di avermi ormai presa, saltai, atterrando dietro di lui. Prima che avesse il tempo di reagire, lo afferrai per la spalla colpita poco prima e finalmente completai l’opera, staccandogli il braccio. Il dolore trasfigurò il suo viso. Trionfante, buttai l’arto lontano da me. Il ragazzino abbandonò il combattimento per tentare di recuperarlo, ma, anche se non molto lealmente, lo colpii alla schiena, all’altezza dei reni. Cadde e in un attimo gli fui sopra. Con un movimento rabbioso, staccai la testa dal corpo, che rimase a terra senza vita.
Mi alzai soddisfatta: l’avevo battuto e senza neanche rovinarmi i pantaloni. Ero migliorata di parecchio. Diedi un calcio, come se fosse un pallone, a quell’oggetto rotondo, in cui risaltavano ancora gli occhi spenti e sbarrati. Rotolò lontano. Avrei dovuto bruciarlo, ma non era il momento per dargli sepoltura e cancellare i segni del combattimento. Dovevo andare anche se non sapevo bene dove. Da Tanya oppure a controllare cosa era successo a Seth? In pochi secondi fui travolta da una pioggia di ipotesi. Se quel vampiro era arrivato da noi, poteva essere che fosse sfuggito a Seth oppure che fosse successo qualcosa di irreparabile. Che addirittura fosse ferito. Se lo era sul serio, sarei dovuta correre ad aiutarlo, ma cosa avrei concluso? Se le sue condizioni fossero state gravi, non avrei potuto salvarlo; se invece si trattava solo di ferite lievi, non aveva bisogno del mio sostegno. Mentre invece Tanya sicuramente non poteva farcela da sola contro Lehausle. Alla fine decisi di correre da lei, pregando e scongiurando Dio che Seth stesse bene.

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Capitolo 33
*** Sola... ***


I pochi istanti che impiegai per raggiungere il punto dove li avevo lasciati sembrarono un’eternità. Ero terrorizzata all’idea che durante la mia assenza fosse successo qualcosa alla mia amica. Non potevo quantificare quanto tempo ci avevo messo a eliminare quel vampiro, ma più correvo, più mi convincevo che avevo sprecato troppi minuti preziosi con quel ragazzino. Inoltre a ciò si era aggiunto anche l’errore di dividere le nostre risorse. Cercavo di consolare me stessa, dicendomi che tutto sommato avevo fatto il più in fretta possibile, che non avrei potuto liberarmene in meno tempo.
Infine arrivai, ma era deserto. Dov’erano? Mi guardai attorno. Nessuno stava combattendo. Ebbi un terribile presentimento.
Camminai guardinga per qualche metro, ma non udii alcun rumore o fruscio. Perlustrai un’area più o meno vasta, ma non trovai nulla. Tentai di assorbire ogni piccolo odore che poteva sfiorarmi le narici, ma niente. Non sapevo dove cercare e quale direzione prendere. Forse Lehausle era ritornato verso la sua dimora, inseguito da Tanya. Decisi di tornare indietro.
Dopo un centinaio di metri, inciampai su qualcosa. Immaginai che si trattasse di una delle radici che mi avevano aiutato pochi minuti prima, ma ugualmente mi fermai a controllare. Mi chinai per osservarla meglio e ripulirla dalle foglie, cadute da poco. Solo allora mi resi conto che a una delle estremità c’era qualcosa che aveva la forma di un piede. Scrollai le foglie febbrilmente: era una gamba. Ma non era attaccata ad alcun corpo. Mi voltai a destra e a sinistra, non sapendo nemmeno io alla ricerca di cosa. Poi vidi una roccia spuntare dal terreno, o almeno apparentemente sembrava tale. La raggiunsi, intimorita da cos’altro avrei potuto trovare: tirai un sospiro di sollievo, osservando che era davvero una pietra. Ma quando mi rialzai, notai che nascosta dietro di essa c’era una mano.
Le labbra iniziarono a tremarmi convulsamente e contemporaneamente sentii una scia da vampiro. Mi girai come una furia e trovai Lehausle a pochi passi da me, con le mani in tasca e un’espressione divertita.
“Se cerchi la testa, non ho idea di dove sia rotolata. Se vuoi ti aiuto a cercarla…” ridacchiò.
Non poteva essere accaduto. Non a Tanya.
“Ti sei divertita col mio servetto?” mi domandò Lehausle, incurante del mio dolore. “Se fossi stata un po’ più veloce a farlo fuori, forse saresti arrivata in tempo per vedere quando l’ho decapitata. L’ho fatto con quel ramo laggiù. E’ parecchio robusto, come un’acetta”. Me lo indicò.
Mi portai le mani alla bocca sconvolta.
Tentai di convincermi che forse mi stava prendendo in giro, voleva farmi credere che Tanya fosse morta. Ma quella gamba indossava jeans molto simili a quelli che le avevo visto nel pomeriggio. Era un incubo.
Gridai forte il suo nome. Una, due, tre volte. Ma non ebbi mai risposta.
“Ci credi allo spiritismo?” mi domandò.
“Cosa?!”.
“Solo dall’aldilà ti potrebbe rispondere…”.
Mi guardavo intorno, cercando qualcosa che mi aiutasse a svegliarmi, a cancellare le mie paure ma niente mi fece uscire da quell’inferno. Lehausle sghignazzò vedendomi così terrorizzata. “Allora? Che cosa vuoi fare adesso?” chiese.
Indietreggiai, annientata. Seth. Dov’era Seth? Anche lui era…
“Tanya era un’abile combattente, ma non ci si può mettere contro di me, sperando di farcela… E’ stata un’azione sconsiderata. Però devo ammettere che mi ha allietato la giornata. Jane mi ha lasciato qui a presidiare la zona, ma era terribilmente noioso… Grazie a voi, mi sono divertito un sacco” esclamò assai soddisfatto.
Come si permetteva? Era lì, tronfio, a godersi la sua vittoria e a sbeffeggiare Tanya. Come se la sua vita non avesse avuto un valore e la sua morte un significato. Strinsi le labbra. Non avrebbe continuato a prendersi gioco di lei. Avevamo sbagliato ma ora ci avrei pensato io a rimettere le cose a posto.
“La parte migliore della giornata deve ancora venire…” dissi con malcelato rancore.
“Immagino” mi derise. “Vuoi attaccarmi? Vuoi tentare di completare l’opera, di fatto mai nemmeno iniziata, della tua amica? Si potrebbe fare…”.
“Facciamolo allora!” lo incoraggiai.
Mi avventai contro di lui senza una tattica. Volevo solo distruggerlo e mandai al diavolo tutti i miei ragionamenti di poco prima sulla lucidità con cui bisogna sempre affrontare un combattimento. Il risultato fu che alla distanza di un braccio, mi afferrò per il collo e mi scaraventò a terra. Si buttò su di me, ma gli colpii il ventre con un calcio. Un istante dopo ero già in piedi.
“Sei veloce, eh?” si complimentò.
Alzai gli occhi al cielo: i rami degli alberi erano troppo alti per riuscire a saltarci sopra. Mi sarei dovuta arrampicare. Un attimo di distrazione e me lo ritrovai a pochi passi. Mi picchiò con tanta energia che volai letteralmente contro una pianta. Cadendo, mi accorsi che proprio ai miei piedi giaceva il grosso ramo con cui si era vantato di aver ucciso Tanya. Lo afferrai: ora quello stesso arbusto avrebbe aiutato me. Quando mi raggiunse, lo colpii con tutta la forza che avevo in corpo e lo centrai. Stordito, Lehausle cadde a terra. In quel minuscolo lasso di tempo, spezzai la fronda, impugnai la parte appuntita e gliela spinsi nell’addome. Ebbe un singulto.
Avevo pochi secondi prima che si riprendesse e dovevo staccargli la testa subito. Mi chinai per completare l’opera ma fui troppo lenta e mi resi conto che non erano solo leggende quelle che si raccontavano sui Volturi e soprattutto sulle loro guardie reali. Erano davvero indistruttibili.
Mi afferrò una caviglia e mi strattonò a terra. In un attimo mi fu sopra. Guardai la ferita che gli avevo procurato: c’era ancora e ci avrebbe messo un po’ a rimarginarsi, ma come diavolo faceva ad avere ancora tutte quelle energie?! Posizionò le mani sulla gola e cominciò a stringere. Io feci altrettanto. “Allora? Vediamo chi dei due stacca per primo la testa all’altro?” mi provocò. Non avevo bisogno che mi istigasse, ma ero conscia dei miei limiti. Per decapitare una persona con le mani, ci voleva una forza non comune per un vampiro e io non ne ero senz’altro capace. In una battaglia alla pari non ce l’avrei fatta, perciò mi decisi a giocare slealmente. Invece di stringere, tirai il suo viso verso di me. La sua presa si allentò, probabilmente sorpreso dal mio gesto e quando fu abbastanza vicino, gli sputai in faccia. Si allontanò di colpo con la vista parzialmente annebbiata. Gli sfuggii dalle mani e mi arrampicai su uno degli alberi. Mi nascosi tra i pochi rami che ancora avevano una chioma che li infoltiva e illudevano chi li guardava che l’autunno non fosse ancora arrivato.
Sapevo che era stata un’idea inutile: mi avrebbe scoperta, ma almeno avevo guadagnato qualche istante prezioso per pensare. Lehausle scrutò gli alberi in silenzio, una volta ripulitosi gli occhi. Poi, per costringermi ad uscire allo scoperto, senza neppure prendersi il disturbo di venirmi a cercare, iniziò a ridere di me e Tanya e ad inveire contro Desirèe. Fu dura restare ferma dov’ero, ma c’era ben altro in gioco oltre alla vendetta. La mia vita.
Non sapevo cosa inventarmi. Come avrei potuto avere ragione di lui? Ero sola e Lehausle troppo forte. Dovevo escogitare qualcosa e in fretta. L’unica cosa sicura era che da quella boscaglia uno di noi due non sarebbe uscito vivo, e volevo essere io a tornarmene a casa. Il mio unico errore fu un leggero movimento fatto con una mano: alcune foglie caddero in maniera disordinata. Lehausle le notò e mi scorse. A quel punto saltai giù per attaccarlo, ma durante la mia discesa, mi afferrò un piede. Atterrai rovinosamente, raccolsi un sasso e glielo scagliai sul volto.
Era straordinario come l’istinto di sopravvivenza mi facesse compiere azioni che mai e poi mai avrei immaginato e come il cervello elaborasse velocemente ogni sensazione per tentare una difesa, per quanto inutile. Mi rialzai e, decisa ed esasperata, lo morsi voracemente a un braccio. Gridò. Strinsi con tanta violenza che affondai nella carne e i canini superiori lambirono quelli inferiori. Mi cullai nell’illusione di potergli staccare un braccio e che da allora il mio cammino sarebbe stato una ripida discesa. Vincerlo e vendicare Tanya e Desirèe: era tutto ciò che desideravo e che mi aveva spinto lì. Ma Lehausle mi colpì con forza sulla nuca. Troppo forte perché potessi resistere. Un dolore fortissimo mi perforò la testa. Quando riaprii gli occhi, stava controllando i danni che gli avevo provocato. Era seccato e infastidito. Gli stavo creando più problemi di quanti ne avesse immaginati e ne ero soddisfatta: se dovevo morire, almeno doveva penare per arrivare al suo scopo. Appoggiai le mani sul terreno e feci l’atto di rialzarmi ma fu più veloce: mi afferrò una caviglia e la tirò violentemente a sé. Feci resistenza e sentii una fitta acuta partire dalla gamba e irradiarsi fino allo stomaco. Questo spasimo durò poco ma quando mi ripresi, capii cosa era successo: mi aveva strappato il piede destro. Guardai la gamba mozzata e realizzai che era arrivata la mia fine.
“Hai perso, Rosalie” ridacchiò, giocando con il mio arto.
Si chinò. “Sei stata brava, molto più brava di Tanya. Mi hai dato filo da torcere, ma ora basta. Mi sono stufato. Allora? Come preferisci morire? La mia idea sarebbe quella di strapparti le membra una ad una come ho fatto per la tua amica, però, sai, vorrei dare qualcosa da seppellire alla tua famiglia. E poi squartarti sarebbe un vero peccato…”.
“Fai quello che vuoi, ma fallo in fretta” affermai impudente.
“Ok. Prima ti ammazzo, poi ci penso!”. Mi guardò amorevolmente, recitando la parte del vampiro pietoso, costretto ad uccidere per sopravvivere, mentre in realtà non vedeva l’ora di farlo. E che lo facesse: non mi sarei mai abbassata a invocare pietà, per compiacere il suo ego. Respirai più volte per avere un’ultima emozione da portare con me e fu allora che sentii un odore pungente bruciarmi la gola. Lo stesso accadde a Lehausle ma quando capì di che cosa si trattava, si ritrovò schiantato contro il fusto dell’albero più lontano. Vicino a me comparve un lupo dal manto marron scuro e lo riconobbi. Seth.
Si avvicinò e mi fissò a lungo con sguardo rassicurante, come a significare che ora c’era lui e non dovevo più preoccuparmi. Aveva alcune ferite sul dorso. Ferite da artigli di vampiro. Aveva combattuto con l’altro sgherro di Lehausle e quello che avevo ucciso io doveva evidentemente essergli sfuggito.
Il nostro avversario si rialzò, sorpreso. Ritrovarsi faccia a faccia con un licantropo non era sicuramente stato messo in conto nei suoi piani, ma la boria tornò ben presto a far capolino sulla sua faccia. “Guarda, guarda cosa abbiamo qui. Un licantropo. Che cosa fai da queste parti, lupetto? Ti sei perso?” domandò con un sorrisetto sardonico.
Seth iniziò a ringhiare. Avrei voluto dirgli di andarsene, ma non feci in tempo. Gli si scagliò addosso con ferma determinazione. Lehausle non si spostò, ma rimase immobile, con algida sicurezza. Il giovane lupo lo atterrò, tentando di morderlo al viso, ma Lehausle riuscì con la forza delle mani a tenerlo lontano. Seth tentò più volte di raggiungerlo, inutilmente, e vista la situazione di stallo, balzò velocemente indietro.
Lehausle si rialzò. Aveva una ferita sul viso. “Sei forte eh?” lo incalzò, poi si voltò verso di me:“Stai ravvivando in maniera indescrivibile la mia giornata! Non avrei potuto chiedere di meglio!”.
La sua arroganza mi faceva vomitare, e non potevo fare nulla. Ero inutile. Non riuscivo a muovermi e se Seth non fosse arrivato, sarei sicuramente già stata uccisa. Ma non volevo lasciarlo solo contro Lehausle, soprattutto dopo quello che era successo a Tanya.
Il lupo era fermo, in attesa di un attacco da parte del suo avversario. Attacco che non tardò ad arrivare. Lehausle si mosse leggero, come se stesse danzando, e si scagliò su Seth troppo velocemente perché riuscisse a prevederne i movimenti. Nella lotta riuscì a colpirlo con un pugno. Il mio amico guaì, ma si riprese quasi immediatamente. Lo azzannò ad una gamba e lo sbatté contro un albero. Lehausle apparve lievemente stordito dall’urto, ma presto il suo sconcerto lasciò il posto ad una rabbia incontenibile: non amava essere colpito da qualcun altro, considerando la grande stima che aveva di se stesso. E per di più da un licantropo.
Il combattimento sembrò non avere mai fine. Ogni volta che sentivo Seth lamentarsi, l’ansia quasi mi soffocava; quando toccava a Lehausle essere in difficoltà traboccavo di gioia. Forse poteva farcela, forse avremmo avuto la nostra vendetta. Mi guardai attorno, cercando il mio piede. Se fossi riuscita a ritrovarlo e Seth lo avesse tenuto impegnato a lungo, si sarebbe riattaccato al resto del corpo, e avrei potuto dare il mio contributo, ma fino a quel momento ero soltanto inutile, se non dannosa: infatti Lehausle aveva spesso dimostrato di volermi attaccare soltanto per distrarre Seth, e lui, ingenuamente, era sempre corso a difendermi. Gli avevo urlato più volte di pensare solo a sé, ma non mi aveva mai ascoltato. Mi ero trascinata il più possibile lontano da loro, ma di fatto ero solo arretrata di qualche metro. A volte abbassavo lo sguardo impaurita di fronte allo spettacolo che poteva presentarsi ai miei occhi. E temevo che Lehausle riuscisse a morderlo, ma per fortuna Seth era abbastanza abile da evitare il contatto con la sua bocca, anche se aveva ormai parecchie ferite in tutto il corpo.
Improvvisamente il vampiro salì su un ramo, come per prendere fiato. Seth si accucciò in attesa che scendesse, ma dovette aspettare a lungo. E intuii che si trattava soltanto di una tattica. Lehausle era furbo e aveva capito che si trovava di fronte un ragazzino forte, ma irruente, e per questo facile preda di comportamenti imprudenti.
Improvvisamente saltò, atterrando poco lontano da Seth, che lo raggiunse senza riflettere. Lehausle si chinò per raccogliere da terra quel maledetto ramo che avevo utilizzato poc’anzi. Chiusi gli occhi, ma purtroppo non potei tapparmi le orecchie. Il latrato di dolore di Seth spezzò il silenzio del bosco. Alzai il viso. Era ancora in piedi, ma teneva sollevata una delle zampe posteriori, vistosamente sanguinante. Lehausle rideva, consapevole che ora poteva vincere e che non doveva perdere tempo. Anche i Volturi sapevano che le ferite dei licantropi guarivano in fretta e non poteva permettere che il suo attacco venisse vanificato dall’eccessivo compiacimento per il risultato raggiunto. Si lanciò sul licantropo e Seth incautamente fece altrettanto, ma, non potendo contare su tutte e quattro le zampe, la forza che impresse nello slanciò fu troppo poca: Lehausle lo afferrò, stritolandolo in un abbraccio impossibile da sciogliere. Fu allora che sentii un colpo profondo e secco. Quando la guardia allargò le braccia, Seth scivolò a terra, senza riuscire più a rialzarsi. Muoveva le zampe ma era un movimento convulso e apparentemente slegato dal resto del corpo. Poi non si mosse più. Lehausle lo afferrò per la collottola e lo trascinò vicino a me. Sentivo il cuore battere, era ancora vivo, ma non opponeva alcuna resistenza, e il suo corpo ondeggiava ora a destra, ora a sinistra. Gli aveva rotto la spina dorsale.
Lo buttò poco distante e mi guardò compiaciuto. “Ho vinto, mia cara. A te la scelta. Vuoi una pelliccia di lupo, che lo morda oppure che gli rompa l’osso del collo?”.
Non risposi. Gli occhi mi si inondarono di lacrime e feci l’unica cosa che per me non avrei mai fatto: implorare pietà.
“Ti prego, lascialo vivere. E’ soltanto un ragazzino… Farò tutto quello che vuoi, ma lascialo andare!” dissi con la voce rotta dal pianto.
“Ok. Direi che hai preso la decisione migliore per lui” rispose, inclinando leggermente la testa.
Si chinò su Seth e, prima che potessi rallegrarmi per averlo convinto così facilmente, gli girò brutalmente la testa. Il suo cuore smise di battere di colpo.
Seth, il mio Seth, quello che mi ero ripromessa di difendere a tutti i costi da Lehausle, la stessa persona per cui Desirèe era morta, l’unico che mi aveva vista diversa da ciò che mostravo…
Reclinai il capo e iniziai a piangere sommessamente. Non riuscivo a smettere, dimentica persino della presenza di Lehausle. Guardai prima ciò che restava di Tanya e poi il corpo senza vita di Seth. Convinta che avremmo vinto, mi ritrovavo sola. La prima che sarebbe dovuta morire era l’unica ancora in vita.
Improvvisamente mi ricordai di Lehausle che si era inginocchiato vicino a me, sogghignando. Tentai di schiaffeggiarlo, ma mi bloccò il polso. “Hai ancora energie da vendere, Rose?” domandò.
“Perché l’hai ucciso? Non si meritava di morire…”.
“Non si attacca una delle guardie reali, sperando di cavarsela. Sei rimasta sola a meno che tu non riesca a tirare fuori dal cilindro qualcun altro. Cosa devo fare con te?”.
“Puoi solo uccidermi” esclamai risoluta.
“Ti senti così in colpa nei loro confronti? Non è un reato sopravvivere a un combattimento…”.
“In questo caso, sì. Non sarebbe giusto. E poi mi uccideresti comunque, quindi fallo subito!”.
Strinse le labbra, incerto. Poi vedendo le lacrime che mi rigavano il viso, si mise a ridere. “Sai, Rose, non ti capisco proprio. Sei qua a disperarti per una fuorilegge che ha tirato voi Cullen nei guai e per un randagio. Sei davvero sorprendente. In senso negativo, è ovvio!”.
“Tu non capisci cos’è l’amicizia…”.
“Contrariamente a ciò che pensi, c’è amicizia anche fra noi Volturi. Non è un legame che esiste solo per te”.
“E di chi saresti amico tu? Di Jane? Di Alec? Di Demetri? Voi non capite niente, tranne morte e torture. Se sapessi cos’è amore e compassione, non avresti ucciso Desirèe e nemmeno Tanya…”.
“Se ci tieni tanto a saperlo, Demetri ed io siamo molto amici, ma non mi devo giustificare con te. Io rispetto le regole, a differenza tua. Se sapessi realmente cos’è l’amicizia, loro due” disse, indicandoli “sarebbero ancora vivi, quindi non provare a venire a farmi la predica. Sapevi perfettamente qual era la mia forza e me li hai gettati tra le grinfie. Gli amici si difendono l’un l’altro e non soltanto in maniera fisica, ma anche da scelte avventate, o sbaglio?”.
Non seppi replicare: aveva ragione su tutto.
“Allora, vuoi morire? Ti accontenterò, non ti preoccupare. Non posso lasciare in vita una fuorilegge, come sei tu da questo momento. Però potrei decidere di ucciderti nella maniera più indolore possibile, a patto che tu risponda a una domanda. Una sola”.
“Quale?”.
“Il tuo amichetto lupo. Non è l’unico qui… Fa parte di un branco, giusto?”.
“No” risposi gelida.
“Andiamo, Rose. Non cercare di fregarmi. Sappiamo tutti e due che i licantropi vivono in branco, non ci sono lupi solitari. Dove sono gli altri?”.
“Ti ho già detto che c’è solo lui”.
Rise fragorosamente, poi mi afferrò per il collo, stringendo forte. “Non mi prendere in giro, signorinella!” sibilò, furioso. “Non mi va di doverti torturare!”.
Il dolore fu lacerante e si faceva più acuto ogni secondo che passava. Tentai di staccare le sue mani dalla gola, ma la stretta era troppo forte.
Affondai le dita nel terreno e gli buttai del terriccio in faccia. In questo modo riuscii a divincolarmi e approfittai della sua momentanea distrazione per tentare una fuga disperata. Mi rialzai faticosamente e, saltellando su un piede solo, cercai di allontanarmi, ma un istante dopo me lo ritrovai addosso. Mi afferrò per i capelli e mi fece cadere. Mi trascinò e si fermò solo in prossimità di un albero, quando mi sbatté la testa contro la corteccia.
“Dove diavolo è il resto del branco?!” gridò.
“Non esiste un branco…” risposi.
“Ti farò tanto male, Rose, se non me lo dici. Dove sono quei cani?”.
“Se sei convinto che esista davvero, cercatelo da solo, ma è tempo buttato!” esclamai ironica.
“Sai, cosa vuol dire essere scorticate vive?” mi domandò, estraendo un coltellino a serramanico dalla tasca. Non mi diede il tempo di replicare perché affondò con veemenza la lama nella mia gamba e la girò. Urlai così forte da farmi esplodere il petto e, quando lo estrasse, mi sembrò di svenire per il dolore.
“Do-ve so-no?” sillabò.
Il pensiero di rivelare la loro esistenza non mi sfiorò. No. Da me non avrebbe saputo niente. Lo dovevo a Seth: avevo ucciso lui, ma non avrei condannato alla medesima sorte i suoi amici e sua sorella.
“Te l’ho già detto. Non esiste un branco!” balbettai, soffocata dagli spasimi.
“Come vuoi. Cominciamo dal tuo bel faccino, che ne dici?” mi suggerì, accarezzandomi il naso. Lo stavo facendo divertire un mondo ed era l’ultima cosa che avrei voluto ma non avrei mai ceduto. Avevo tanta paura. Paura di soffrire, di morire, che riuscisse a farmi parlare. Non ero una coraggiosa e per giunta anche molto egoista. Quella sarebbe stata la prova più difficile della mia esistenza, ma dovevo trovare la forza di negare. Negare sempre.
Eravamo solo Lehausle ed io. Alice avrebbe potuto vedermi ora, ma cosa mi aspettavo? Che venissero in forze a salvarmi? Edward non avrebbe mosso un dito e non doveva neanche farlo. Non per me. Avevo sbagliato e ora l’avrei pagata, com’era giusto. Strinsi gli occhi, in attesa di un’altra coltellata in qualche parte del corpo, ma quando allentò la presa, li spalancai nuovamente. Lehausle stava fissando, compiaciuto, un punto oltre me. Ripose il coltello in tasca e commentò:“E siamo a due…”.
“Cosa?!” esclamai, sgranando gli occhi.
Cercai di capire, ma ero talmente confusa e impaurita che non sentivo altro che le mie membra scosse da mille tremori. Poi udii un ringhiare convulso. Mi voltai e vidi a una decina di metri un lupo. Un lupo dal manto rossiccio, più grande e robusto di Seth. L’avevo già notato durante gli addestramenti e il combattimento della primavera scorsa contro i Neonati di Victoria, ma non sapevo chi fosse. Comunque poco importava: l’unica cosa sicura era che non doveva stare lì.


So che alcuni di voi mi uccideranno per quello che è successo a Tanya e Seth però la mia storia non è una favoletta e in battaglia si può morire... Ma vi prometto che SARANNO VENDICATI!!!
Fatemi sapere cosa ne pensate, se vi va... Baci!!!!

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Capitolo 34
*** Una pace che non ci sarà mai ***


Ringrazio innanzitutto SirIrving per la recensione all’ultimo capitolo. Avevo bisogno di un parere e non me l’ha fatto mancare. Grazie mille!!!!!
Nell’ultimo capitolo vi avevo lasciato con l’arrivo del misterioso lupo dal pelo rossiccio (chissà chi è? ;) ) e vedremo chi dei due la spunterà. Una cosa è sicura con me: non date mai niente per scontato! Anche se credo di avervelo già dimostrato, visto che ho fatto fuori Desirèe, Tanya e Seth che erano tra i personaggi principali della ff.
Un'ultima cosa: BUONE VACANZE!!!!!

 
 
 
“Così non c’è un branco, eh?” mi provocò sarcastico.
Non seppi che ribattere. L’unica cosa che feci fu arrabattare qualche idea per far scappare via il lupo, chiunque esso fosse. Ma, a giudicare dall’espressione, non era affatto spaventato, né tanto meno desideroso di darsi alla fuga. Avanzò lentamente verso Lehausle, con fare guardingo.
“Allora chi sei tu?” ridacchiò il vampiro. “Sei arrivato un po’ tardi per il tuo compagno, ma per batterti con me sei sempre in tempo!”.
Il lupo sollevò il labbro superiore, mostrando i canini affilati. Il suo latrare echeggiò per tutta la foresta. Un rivolo di saliva gocciolò a terra. Si era acquattato sulle zampe anteriori, pronto a balzargli addosso, tuttavia non sembrava averne l’intenzione. Trascorsero alcuni secondi, poi Lehausle si spazientì:“Che facciamo? Se non ti muovi tu, dovrò farlo io!”. Constatando che le sue provocazioni non sortivano alcun effetto, saltò addosso al lupo, che lo colpì in pieno viso con una zampata, facendolo volare a terra. Lehausle ruzzolò di parecchi metri, e a quel punto toccò a lui. Nella lotta Lehausle gli afferrò una zampa, cercando di rompergliela, ma fu respinto, anche se riuscì a graffiargli la schiena. Il lupo guaì, ma non si diede per vinto. Presto fu in piedi e sferrò un nuovo attacco.
Ero terrorizzata: non volevo che facesse la fine di Seth e non sapevo che tipo di aiuto dargli. Ero assolutamente inutile. La mia vita era appesa al destino di quel lupo. Destino che però non volevo coincidesse col mio. Doveva vivere. Speravo fosse più sensato di Seth e che una volta capito che non ce l’avrebbe fatta, scappasse. Ma era diventato un circolo vizioso. Noi eravamo andati là con l’intenzione di vendicare Desirèe e avevamo finito con il farci uccidere; ora questo lupo era arrivato e combatteva col chiaro intento di vendicare Seth e probabilmente avrebbe fatto la medesima fine. E la mia famiglia? Se fossi morta, cosa avrebbe fatto?
Fui riportata alla realtà dal pianto del licantropo e mi accorsi che stava sanguinando vistosamente dal petto. Le mani di Lehausle erano sporche di sangue. Nonostante questo non si voleva arrendere. I movimenti successivi furono un continuo susseguirsi di lotte e latrati. Il lupo era ormai in condizione di inferiorità, ferito in varie parti del corpo. Stava ansimando, stanco e spossato. Si allontanò di qualche passo verso di me, ma Lehausle non intendeva lasciargli requie. Lo rincorse con balzi felini e gli saltò addosso. I due corpi rotolarono per qualche metro. Erano legati fra di loro quasi indissolubilmente e le membra si contorcevano, molto simili a quelle di due serpenti. Riuscivo a distinguere i movimenti di Lehausle: lo stringeva, ma sembrava non arrecare danni letali, fino a quando non sentii un rumore sordo, molto simile a quello che avevo già udito durante il combattimento con Seth. Il lupo gemette rumorosamente, cadendo a terra. Non si muoveva, ma era vivo. Respirava e il suo cuore batteva, ma quella scena somigliava troppo a un’altra assai dolorosa a cui avevo poc’anzi assistito.
“Bravo, randagio. Ti faccio i miei complimenti” commentò soddisfatto Lehausle. Poi notò il sangue sulle sue mani. Le portò alla bocca e le leccò avidamente. Sembrava un bambino che lecca la cioccolata sulle dita, dopo averle intinte in un barattolo.
“Hai anche un buon sapore! Spero non ti dispiaccia, se faccio colazione con te!”.
Il lupo, in un ultimo impeto di orgoglio, si rialzò. Perché non scappava? Perché voleva restare qui a farsi ammazzare? Mi voltai verso il corpo esanime di Seth. C’erano mille motivi per scappare, e uno per rimanere. Ed era solo quello a contare.
Indietreggiò verso un albero, ringhiando. Era la sua estrema difesa, quando improvvisamente le sue gambe cedettero. Cadde come schiacciato da un masso. Respirava a fatica, gli occhi erano sbarrati, la coda si muoveva nervosamente. Lehausle rise. Si avvicinò al suo trofeo. “Oggi ho vinto ben quattro avversari. Sono davvero un grande. Credo che Aro dovrà dare a me il compito di guidare le sue guardie reali!”. Si chinò sul lupo. “Bene, adesso ceno, perché tutti voi mi avete fatto venire una gran fame!”. Lo accarezzò un paio di volte, pregustando il pranzetto.
Non potevo sopportare oltre. Non gli avrei mai permesso di dissanguarlo davanti a me. Decisi di trascinarmi verso di lui: qualcosa mi sarei inventata. In fondo avrebbe ucciso anche me, quindi tanto valeva che facessi un ultimo tentativo.
Ma mi arrestai quasi subito, perché accadde una cosa che mai avrei ritenuto possibile. Lehausle stava allungando la mano sul suo collo, quando improvvisamente il lupo con uno scatto si alzò, piantando i denti aguzzi nel braccio del vampiro. Cercò di liberarsi, spingendolo via, ma questo gesto sortì l’effetto opposto. La stretta era troppo serrata e quando riuscì ad allontanarlo, il lupo stringeva tra le fauci l’arto di Lehausle. Glielo aveva strappato. Il vampiro si alzò, indietreggiando. Per la prima volta da quando lo conoscevo, lessi paura e stupore nei suoi occhi. Quel randagio l’aveva ridotto a palese inferiorità; viceversa lui era ferito in parecchie parti del corpo, ma almeno le zampe ce le aveva tutte, al contrario di Lehausle.
Il licantropo sputò disgustato il braccio, pronto ad un nuovo attacco, evidentemente galvanizzato dal vedere il nemico in difficoltà. Ringhiò, avvicinandosi irrefrenabilmente. Quando fu a pochi metri, gli saltò addosso, ma purtroppo era diventato troppo lento e Lehausle riuscì a scansarlo. Invece di attaccarlo, la guardia corse verso il suo braccio. Era chiaro che il suo obbiettivo primario fosse quello di recuperarlo e ricomporre velocemente il suo corpo. Ma avrebbe richiesto tempo. E lo sapeva perfettamente.
Lo raccolse e si allontanò febbrilmente. Il lupo tentò un’improbabile rincorsa, ma le sue ferite erano troppo profonde per poter sostenere la velocità del vampiro. Si fermò poco distante da Seth, ansimante. Era spossato, ma vivo. E anch’io lo ero, grazie a lui. Zoppicando raggiunse i resti del suo compagno e gli si sedette accanto, con lo sguardo assente. Ruotò più volte il muso, incredulo a ciò che stava così ostinatamente fissando.
Alzò la zampa e lo scosse delicatamente più volte, come se cercasse di svegliarlo, ma Seth non si mosse. Quanto avrei desiderato che si alzasse e mi tranquillizzasse, dicendo che aveva solo qualche osso rotto, ma non stava respirando ormai da troppo tempo. Non sentivo più il suo cuore. Anche il suo compagno lo sapeva ma rassegnarsi era impossibile. Si accucciò e con il muso spostò quello di Seth. Ma non ebbe risposta nemmeno allora. Continuò più volte meccanicamente a sfiorare con gentilezza quel corpo all’apparenza così massiccio. Movimenti leggeri e pieni di affetto.
Chiusi gli occhi, incapace di affrontare il suo dolore. Seth era morto, Tanya era morta. Tutti uccisi da quell’assassino. Ma, a ben pensarci, era difficile distinguere chi lo fosse veramente. Lui o io? Non avevo fatto niente per distoglierli dalla loro idea e ora mi ritrovavo ancora viva, salvata, per ironia della sorte, da un amico del ragazzo che avevo mandato a morte senza pietà. Lehausle era riuscito a fuggire: ora sapeva dell’esistenza di un branco; la mia famiglia era nei guai in quanto avevo deliberatamente attaccato uno dei Volturi. Due persone erano morte. Questo era il bilancio di quell’ora. Strisciando, tornai all’albero da cui mi ero allontanata, in preda a sentimenti contrastanti. Ero felice di essere ancora viva, ma condannata a che esistenza? Il mio piede sarebbe guarito e nemmeno una cicatrice avrebbe segnato il mio corpo. Niente mi avrebbe ricordato ogni volta che mi guardavo la nostra azione sconsiderata. La mia azione sconsiderata.
Non avevo alibi. Lehausle mi aveva scaraventato addosso la colpa dei suoi omicidi come uno schiaffo e mi aveva procurato molto più dolore delle torture. Era stato il momento più orribile. La morte sarebbe stata una benedizione.
Un impercettibile lamento mi distolse. Il lupo stava piangendo. Singhiozzai. Non avevo mai udito nulla di più straziante. Cercai con lo sguardo ciò che restava di Tanya, ma non riuscii a scorgerla, accecata dalle lacrime. In realtà mi rifiutavo di vederla, illudendomi che se non avessi visto il corpo, forse sarebbe spuntata da dietro un albero, ferita, e si sarebbe fatta beffe di me perché ero stata salvata da uno schifoso sacco di pulci. Anche Alice ne avrebbe riso, appena lo avesse saputo. Immaginai la sua faccia: dapprima stupita, la sua risata cristallina mi avrebbe perseguitato per l’eternità. Avrebbe guardato come mi ero ridotta e mi avrebbe portato a fare shopping con la forza. Mi passai le mani fra i capelli: erano annodati e intrisi di polvere. Avevo assoluto bisogno di una parrucchiera!
Mi sfuggì una risata isterica. Stavo vaneggiando.
Chissà se stavolta Emmett mi avrebbe uccisa. Non aveva molti appigli a cui aggrapparsi per evitarlo. Una moglie pazza, con manie suicide, che invece di uccidersi, uccide gli altri. Il mio sguardo cadde sulla caviglia mozzata. Non sapevo nemmeno dove fosse il mio piede, però perché darsi da fare a cercarlo? Se avevo pazienza, Lehausle sarebbe ritornato. Bastava che lo aspettassi buona buona. Oppure quando il branco fosse venuto a prendersi le spoglie del loro compagno, ci avrebbero pensato loro. Jacob me l’avrebbe fatta pagare, me l’aveva giurato. Perfetto. Avrei acchiappato due piccioni con una fava. Farmi ammazzare da lui non era proprio la mia aspirazione però in mancanza d’altro…
Chiusi le palpebre aspettando la morte e invece mi colpì un latrato profondo. Il mio salvatore si era avvicinato, ringhiando e sbavando. Era inferocito. Zoppicava ma il suo portamento non dava segni di cedimento, anzi aveva un che di spietato. Ed era il fine a dargli forza: vendicare il suo amico. Ero un vampiro e l’unica rimasta. Facile intuire che, nonostante tutto, mi considerasse responsabile della morte di Seth, al pari di Lehausle. Doveva eliminarmi. Non aveva senso lasciarmi in vita. La spedizione punitiva era fallita e non dovevano esserci sopravvissuti.
“Va bene” mormorai, con gli occhi lucidi. “Fai quello che devi”. Mi chinai leggermente, abbassando il capo, in segno di sottomissione. Attesi che i suoi denti si piantassero nel mio collo ma non avvenne. Il battito del suo cuore si affievolì di colpo e sentii un rumore di foglie secche schiacciate.
Alzai il viso, impietrita alla sola idea che Lehausle fosse già tornato indietro, ma davanti a me non c’era nessuno, nemmeno il lupo. Era fuggito. Battei nervosamente i pugni a terra. Non esisteva nessuno su questo schifosissimo pianeta che volesse uccidermi?! Eppure direi che ero davvero brava a rendermi odiosa! Forse Lehausle stava tornando e il licantropo si era allontanato, consapevole del fatto che non avrebbe potuto sostenere un secondo scontro. Ma non ne avvertivo la scia. I miei sensi erano confusi, troppo, per distinguere odori, sentimenti, idee… Mi accasciai su un fianco, disperata.
Anche quella volta ero rimasta distesa a terra, ma allora stavo morendo. E avevo tanto freddo. Non come adesso. Tuttavia mi raggomitolai. Quella notte ero morta, pur non avendo alcuna responsabilità di quello che mi era successo. Ora avevo tutte le colpe ed ero ancora viva. Eppure la sensazione era la medesima: vuoto. Così come il desiderio era lo stesso: morire. La scena era sempre quella. La vita è un ciclo e dovrebbe farti crescere, ma perché io restavo ferma? Perché non maturavo e commettevo gli stessi errori? Forse perché la mia non era una vita?
Pensai ad Emmett, al guaio in cui l’avevo messo, alla delusione che avrebbe provato. Mi dispiace, mi dispiace tanto…
Un’improvvisa folata di vento, attirò la mia attenzione verso la chioma dell’albero. Alcune foglie si staccarono da essa e atterrarono su di me. Guardai oltre. Il cielo era limpido. Cercai a lungo la mia stella, quella che doveva illuminare la mia notte, ma la mia ricerca fu vana. Ottant’anni fa era stato Carlisle quella stella. Ora la volta celeste si era definitivamente spenta. Appoggiai la fronte sulle ginocchia.
Rimasi così per qualche minuto, poi mi sorprese il battito di un cuore. Poteva essere un umano o un licantropo. Sperai nella seconda ipotesi. Un uomo non sarebbe servito allo scopo perché mi avrebbe prestato soccorso. Chissà, magari il lupo di prima ci aveva ripensato…
Sbucò da dietro un albero.
Jacob.
Mi rialzai di colpo. Aderii perfettamente al tronco, dietro di me, spaventata. Avevo pregato che arrivasse, ma ora si sarebbe reso conto di ciò che era successo e non avrei retto a vederlo disperarsi per Seth. Mi fissò negli occhi. Era serio, duro. Non sembrava stupito. Non si guardò nemmeno attorno, come se sapesse perfettamente che cosa avrebbe trovato. Le sue mani fremevano e respirò fino in fondo più volte per controllarsi. Indossava solo pantaloncini e in quel momento mi accorsi che aveva ferite sul petto e sulle braccia, oltre ad un taglio molto profondo sulla gamba destra. Aveva sangue anche fra i capelli.
Il lupo era stato ferito alla gamba destra.
Si diresse nel punto in cui giaceva parte del corpo di Tanya, si inginocchiò e le strappò un lembo della maglietta. Poi si alzò e andò, poco distante, dove raccolse da terra qualcos’altro che non distinsi.
Non poteva essere lui quel lupo. Aveva minacciato di uccidermi se fosse successo qualcosa a Seth. Non mi avrebbe mai salvato, ma quelle ferite dove se le era fatte? E poi come faceva a sapere esattamente dove dirigersi? Non aveva guardato Seth nemmeno di sfuggita.
Si inginocchiò vicino a me e solo allora vidi che cosa aveva raccolto: il mio piede. Lo fece aderire perfettamente alla mia caviglia e lo legò saldamente con la stoffa strappata. “Quanto tempo ci vuole perché si riattacchi?” domandò tagliente.
“Un’ora, credo” balbettai.
“Non abbiamo tutto questo tempo. Potrebbe tornare…”.
Quelle parole mi raggelarono. Era lui.
“Ok. Ti porto a casa” risolse risoluto. Mi prese in braccio e lo fissai incredula. Perché stai facendo tutto questo per me?
Avanzammo qualche metro, poi lo sentii cedere e crollammo a terra. Non mi feci nulla, ma Jacob sembrava soffrire. La sua mandibola si era contratta per impedirsi di urlare e contemporaneamente farsi forza.
“E’ la ferita alla gamba?” sussurrai, intimorita dall’idea che non volesse nemmeno sentire la mia voce.
“No. Quella è una stupidaggine. E’ il ginocchio. Me l’ha rotto…” rispose, reprimendo uno spasimo.
“Aspettiamo allora…”.
“No. Se aspettiamo, tornerà e ci ammazzerà tutti e due”.
“Vai a casa e lasciami qua. Me la caverò. E poi non voglio che uccida anche te…” replicai, ritrovando convinzione.
“Sta zitta!” urlò spazientito. Abbassai lo sguardo, spaurita. “Andremo piano, ma arriveremo a casa tua” disse, pacato. Strinse le labbra e ripartimmo.
Inizialmente i suoi passi furono incerti e traballanti, poi acquistò maggior sicurezza e la nostra andatura si fece più rapida. Soffriva: lo vedevo a tratti digrignare i denti e respirare più profondamente. Ma non sapevo per quale motivo si fosse ostinato nella decisione di portarmi a casa. Più volte lo avrei implorato di lasciarmi lì e andarsene, ma non volevo disturbarlo. Non parlava e teneva lo sguardo fisso davanti a sé, evitando deliberatamente di incrociare il mio. Avrei voluto scusarmi del mio comportamento, della mia assoluta incapacità a difendere Seth, di quanto fossi mortificata e distrutta per ciò che era successo, ma sapevo che mi avrebbe odiata ancora di più.
Dopo aver pianto per Seth, aveva ringhiato contro di me. Per un’assurda e incomprensibile ragione aveva desistito dall’uccidermi. Aveva forse pensato che, facendolo, avrebbe scatenato una guerra con la mia famiglia? O forse gli avevo fatto pena? No, non poteva provare compassione per l’assassina del suo migliore amico.
Seth e Tanya…
Non c’erano più, mentre io ero ancora viva. C’era giustizia a questo mondo? No, non ce n’era. E per giunta Lehausle era ancora vivo. Salvo, in qualche parte del bosco. E magari in questo preciso momento si stava mettendo in contatto con Jane e Demetri, raccontandogli del nostro agguato, di come aveva scoperto l’esistenza di un branco di licantropi, di come adesso avrebbero potuto incastrare definitivamente i Cullen. Un conto era Bella che aveva dato asilo a Desirèe, un altro era attaccarli deliberatamente. Sarebbe stata guerra, volta alla distruzione di una delle due parti. E tutto grazie a me.
Piansi. Senza singhiozzi, senza gemiti. Solo lacrime silenziose. Non volevo che Jacob mi prestasse attenzione anche se sicuramente le sentiva. Non avrebbe esitato a definirle ipocrite, ma non era per questo che non doveva udirle. In realtà non volevo intromettermi nella sua sofferenza. Si stava trattenendo dal piangere. Glielo leggevo in viso. Era freddo e distante, assorto nei suoi pensieri. Avrei tanto voluto che li condividesse con me, nella disperata convinzione che i miei sensi di colpa si sarebbero attenuati se si fosse sfogato.
Jacob... Ti prego, aiutami...
Cosa stavo pensando?! Volevo che mi soccorresse dopo tutto quello che aveva già fatto?! L’ultima volta gli avevo detto che l’avrei ucciso alla prima occasione e ora lo stavo mentalmente implorando di darmi conforto per l’ennesima volta. In quest’ultimo periodo, era diventato una specie di angelo custode per me, un paradiso personale nel quale rifugiarmi nei momenti di necessità. Ma ora, con il mio comportamento, mi ero chiusa fuori e il cancello non si sarebbe mai più riaperto.
Si fermò di colpo e si voltò attorno guardingo. Ebbi un fremito. Che Lehausle ci stesse rincorrendo? Non era possibile. Il mio piede non si era ancora riattaccato, nemmeno il suo braccio poteva esserlo. Jacob annusò l’aria, poi tirò un sospiro di sollievo. Riprese a camminare, zoppicando vistosamente. A giudicare dalla vegetazione, non eravamo molto lontani da casa mia, ma era stanco e probabilmente la frattura si stava rinsaldando male. Una volta tornato a La Push, gli avrebbero dovuto rompere il ginocchio ancora una volta per farlo guarire, mentre io sarei tornata come nuova. Sul mio corpo tutto sarebbe scivolato via, come se non fosse successo nulla, ma invece qualcosa era accaduto. Avevo perso Tanya, Desirèe, Seth; tra poco avrei perso anche Alice e Emmett. Cos’altro mi restava?
In quell’istante Jacob mi strinse più forte. Era stato un movimento chiaramente involontario ma mi illuse di essere amata. Non da lui, ma da qualcuno che, tramite le sue braccia, mi avrebbe concesso quel po’ di affetto indispensabile per poter guardare negli occhi i membri della mia famiglia e chiedere perdono. Era caldo. Appoggiai il capo sul suo petto e mi accoccolai tra le sue braccia, come un gattino davanti al caminetto. Dopo qualche secondo mi resi conto che non sentivo più niente: rancore, disprezzo, dolore. Tutto spazzato via. Restava soltanto una sensazione di sicurezza. Se Lehausle fosse arrivato, Jacob mi avrebbe abbandonato, ma fantasticavo che non l’avrebbe fatto, che mi avrebbe difesa. Chiusi gli occhi, con l’impressione di essere cullata. La guancia appoggiata a lui si stava scaldando.
Resta… Ho bisogno di te…
Dopo alcuni minuti, che sembrarono solo una manciata di secondi, i suoi passi rallentarono fino a fermarsi. Aprii gli occhi. Davanti a noi la gigantesca villa bianca. Sotto l’enorme patio erano tutti schierati, come un plotone d’esecuzione.
Jacob riprese il suo cammino. “No…” balbettai, implorante, stringendogli il braccio. Avevo paura. Paura di quello che mi avrebbero detto, di come mi avrebbero guardata, di come mi avrebbero fatta sentire… Ignobile. Ma lui non era per niente interessato ai miei timori e alle mie remore. Arrivò a pochi passi dalla scalinata. A quel punto Emmett scese e si avvicinò, tendendo le braccia, nelle quali Jacob mi depose. Tenni lo sguardo basso: non volevo scoprire come mio marito mi stesse fissando. Non volevo essere giudicata ora. Mi bastava ricordare il corpo di Tanya, il rumore della schiena fatta a pezzi di Seth, il pianto di Jake.
Senza alzare il viso, vidi Jacob allontanarsi di qualche passo.
“Aspetta!” lo richiamò Edward.
Il licantropo si voltò, scuro in volto. Mio fratello scostò delicatamente Bella, che era avvinghiata al suo braccio, e lo raggiunse. “Grazie. Intendo dire per aver salvato Rosalie. Mi dispiace tantissimo per quello che è successo. Ti prego di porgere le nostre condoglianze a tutta la sua famiglia e al resto del branco” chiosò solennemente. A un estraneo sarebbe potuta sembrare una frase di cortesia, ma avevo colto una punta di rammarico nella voce. Il suo sguardo era spento.
Jacob non rispose.
Alice mi raggiunse. “Come stai? Tutto bene?”.
Annuii.
Jacob deglutì nervosamente e perforò mia sorella con lo sguardo. Sì, io stavo bene, mentre un ragazzino di 15 anni con c’era più.
“Aspetta!”. La voce di Bella. Noi tutti volgemmo la nostra attenzione su di lei. Stava scendendo faticosamente le scale, come le sue gambe fossero troppo deboli e fragili, per poter sostenere il suo peso. Camminò, traballante, verso di noi. Aveva il viso teso, spaventato. “Che cosa è successo? Perché sei ferito? E perché Rosalie è ridotta in questo stato?” balbettò.
Scese il silenzio.
“Abbiamo litigato. Siamo venuti alle mani. Tutto qui” mentì Jake.
“Davvero?”.
“Sì”.
Bella fissò prima me e poi Edward, cercando conferme alla bugia del suo amico. “E’ così?” mi domandò. Nel suo sguardo insistente leggevo la speranza che le confermassi che non era successo niente, che tutta la vita sarebbe continuata come prima, che non avrebbe dovuto dire addio a nessun altro, oltre a Desirèe. Non era in condizione di sostenere un altro dolore. Non ce l’avrebbe fatta. Non alla perdita di Seth.
“Sì” riuscii a pronunciare. Mi sorrise, quasi soddisfatta, poi aggrottò la fronte. Sbatté più volte le palpebre, confusa. “Edward, perché Jacob deve porgere le tue condoglianze al branco?” domandò.
Mio fratello non ebbe la prontezza di risponderle. Stavolta non aveva scuse plausibili da inventare. Gli occhi di Bella si fecero lucidi. “Che cosa è successo? Che cosa è successo?” urlò. Edward abbassò lo sguardo a terra, incapace di rivelarle una verità che l’avrebbe distrutta. Visto che lui non rispondeva, si precipitò da me. “Cosa è successo? Rose… C’è stato un combattimento, non è vero? Perché siete ridotti così?” mi implorò, poi quando la sua mente riportò in superficie un particolare dimenticato, sillabò:“Dov’è Tanya? Eravate uscite insieme… Dov’è lei?”.
Al sentire pronunciare il suo nome, non seppi più trattenermi. “E’ stato tutto un errore, un colossale errore…” mugugnai. Bella si irrigidì, persa in una realtà troppo dura da accettare. Poi un rumore di passi. Il suo amico si stava allontanando. Lo rincorse e lo afferrò per un braccio. La sua presa era troppo gracile per sperare di poterlo fermare, ma se Jake l’avesse ignorata, le avrebbe fatto male, ed era l’ultima cosa che voleva. Fu costretto a bloccarsi.
“Non avete combattuto fra voi, vero? Contro chi? Dov’è Tanya?” gli domandò freneticamente.
“Contro i Volturi”.
“Tanya è…”.
Jacob fece cenno di sì con la testa. “Mi dispiace…” balbettò Bella verso di me, poi tornò a guardare il suo amico. “Eravate voi tre?” domandò con voce tremante. Sapeva che c’era dell’altro. Jacob non poteva essere in quello stato per la morte di una vampira.
“No, io non c’ero. Sono arrivato dopo…”.
“Chi c’era?” domandò, intuendo già la risposta.
Edward le si avvicinò. “Amore, torniamo a casa. Jacob è stanco e vuole andare a riposarsi” minimizzò, tentando di trascinarla via. Ma Bella non era dello stesso avviso e si attaccò al braccio di Jake.
“Dovevano vedersi con Seth… Non era già più con loro, vero?” balbettò, attendendo e sperando che la risposta fosse “No”. Ma quel monosillabo non arrivò mai. Jacob reclinò il capo, il mento compresso contro il petto.
“Seth, dov’è Seth? Sta bene, no? E’ tutto ok? E’ solo ferito, vero?”.
Edward la staccò teneramente da Jake e la supplicò di rientrare in casa. “No!” gli gridò. “Come sta Seth? Sta bene, sono sicura…”. Accennò un debole sorriso, ma nessuno la rassicurò. “Ora basta, vado a chiamarlo!” imprecò, ma non riuscì a fare un passo perché mio fratello la afferrò per un braccio. “No, Bella! Non chiamare casa sua…” la supplicò.
“Per…ché?”.
Solo allora Jake alzò il viso. Stava piangendo. Era la prima volta che lo vedevo in quello stato. “Seth non c’è più…” balbettò dolorosamente.
“Che stai dicendo? Come sarebbe a dire?! Mi prendi in giro?”.
“Una delle guardie reali… Quando li ho raggiunti, era già troppo tardi. Non ho potuto fare niente…”.
Bella inarcò le sopracciglia poi fece una smorfia. “Jake, carnevale è lontano. E anche il primo aprile!”. Continuò a sforzarsi di ridere, fino a quando Jacob la afferrò brutalmente per le braccia. “Secondo te, potrei scherzare su una cosa del genere?! Seth è morto! E’ in una pozza di sangue, con il collo rotto, a due chilometri da qua! Se non mi credi, chiedi al tuo maritino di portartici. E’ un bello spettacolo, sai!” inveì contro di lei.
“Jacob, smettila!” intervenne Edward, strappandola alle sue mani. Ma Bella era imbambolata. Impietrita. Afferrò il braccio di mio fratello, come in cerca di un sostegno. “E’ impossibile!” mormorò, cercando di convincere se stessa. Poi i suoi occhi divennero vitrei, immobili. Si accasciò tra le sue braccia. Edward accompagnò il suo corpo, deponendolo a terra, mentre Carlisle accorse per controllare le sue condizioni.
“Ha solo perso i sensi. Portala in casa!” confermò nostro padre. Edward la prese in braccio e salì frettolosamente le scale. Jacob osservò la scena con freddo distacco poi mi fissò. Nel suo sguardo lessi rancore e vendetta.
Si trasformò in lupo e corse via.
Lehausle non l’avrebbe passata liscia e, dopo di lui, sarebbe stato il mio turno.

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Capitolo 35
*** La tenerezza di un fiocco di neve - I parte ***


Non riuscivo a scorgere nemmeno una stella.
Seduta per terra, sul balcone di camera mia, con il viso rivolto all’insù e la testa vuota, avevo passato più di due ore alla sua strenua ricerca, ma alla fine avevo dovuto rinunciare.
Dopo che Jacob se ne era andato, eravamo entrati in casa e Carlisle aveva verificato con cura la condizione del mio piede e constatato che si stava rinsaldando al resto della gamba, con suo grande sollievo. Mentre mi visitava, gli occhi di tutti i membri della famiglia mi si erano incollati addosso. Nonostante questo, nessuno aveva osato pormi alcuna domanda, come se sapessero già tutto. Edward aveva portato Bella in camera e da allora non l’avevo più visto.
Doveva essere infuriato. L’avevo deluso per l’ennesima volta. Si era raccomandato di non commettere imprudenze e io avevo voluto fare di testa mia. Che cosa c’era di sbagliato in me? Perché continuavo a fare sciocchezze? Ero così stupida?
Mi guardai le gambe. Tutte le ferite erano sparite e potevo camminare tranquillamente. Non era rimasta nemmeno una cicatrice che potesse rimproverare per l’eternità la mia sciagurata impresa. Avrei tanto voluto tornare là, a seppellire ciò che restava di Tanya, ma Emmett mi aveva proibito di uscire. Ci avrebbero pensato lui e Jasper. Esme mi aveva detto che avrebbe contattato Kate quella sera stessa per darle la triste notizia, evitando a me questo compito. La sorella di Tanya mi avrebbe detestata appena le avessero raccontato come erano andate le cose, sempre che Esme non avesse tentato di stravolgere la realtà per proteggermi. Sembrava che volessero ad ogni costo sollevarmi da ogni colpa e responsabilità. E non capivo. Li avevo messi tutti in pericolo e si comportavano come se non fosse successo niente. Essere circondata da una folla di sorrisi compassionevoli mi distruggeva; non volevo la loro pietà ma solo una robusta strigliata.
Ero ancora viva, ma lo sarei rimasta per poco. Avevo i minuti contati e invece di esserne intimorita, speravo che passassero velocemente per poter finalmente porre fine a questa agonia. L’inferno sarebbe stato più piacevole dell’abisso in cui mi ero buttata spontaneamente.
Meritavo una punizione e dovevo averla. Per tutte le due ore passate, avevo implorato col pensiero mio fratello perché mi punisse, ma non l’avevo mai visto varcare quella porta. In compenso Emmett era venuto un paio di volte a sincerarsi delle mie condizioni, ma se ne era sempre andato subito dopo, per fortuna. Non volevo che mi facesse coraggio, che tentasse di rincuorarmi, di dirmi che non era colpa mia, che non avrei potuto fare niente per salvarli.
Tanya era morta, Seth era morto. Io ero l’unica sopravvissuta. Non serviva dire altro per capire. Perché Jake mi aveva salvato? Perché non mi aveva ucciso? Perché procrastinare qualcosa che avrebbe fatto comunque? Prima o poi sarebbe venuto a vendicarsi, era inevitabile. E allora che lo facesse subito! Non volevo continuare a contorcermi nel dolore.
Mi raggomitolai sulle ginocchia.
Mi tornò alla mente quando avevo conosciuto i Denali. Carlisle me li aveva presentati come le persone su cui poter sempre contare, in qualsiasi momento. Tanya mi aveva sorriso amichevolmente, mentre io avevo sbuffato, stringendole la mano. Per i miei gusti era troppo bella, troppo intelligente, troppo perfetta. Mi avrebbe oscurata e non potevo permetterlo. Al contrario di me, era solare, vivace e chiacchierona. Tutti sembravano ruotare attorno a lei quando veniva a trovarci e non mi andava a genio. Solo io dovevo stare al centro dell’attenzione, ma cercare di battere la sua loquacità era praticamente impossibile. Fu così che una sera, quando si vantò di poter avere tutti gli uomini che voleva, la sfidai a chi ne riusciva a conquistare di più. E lei accettò, sicura di vincere. Successivamente Emmett mi aveva sgridato, dicendo che stavo intavolando una competizione inutile e superflua e che lui non lo avrebbe tollerato, ma, dopo lunghe discussioni, l’avevo avuta vinta io.
Dopo decenni di conquiste e discussioni, Tanya ed io avevamo instaurato una sorta di rapporto nel quale riuscivamo persino a parlare civilmente, anche se da parte mia non c’era alcun affetto nei suoi confronti.
“Da quanto tempo sei stata trasformata?” mi aveva chiesto, mentre tornavamo da una serata con due umani in cui avevo palesemente vinto io.
“Da quarant’anni più o meno, nel 1933. E tu?”.
“Oh, io ho perso il conto! Non me lo ricordo più. Qualche secolo sicuramente!” rise. “So che ti ha trasformato Carlisle. Come mai? Stavi morendo? So che lo fa soltanto in circostanze eccezionali…”.
Non avevo nessuna intenzione di parlare con lei di quello che mi era successo. “Ero malata…” tagliai corto.
“Capisco. Che malattia?”.
“Polmonite” improvvisai. “E tu?”.
“Non lo ricordo. So soltanto che mi sono ritrovata immortale. Non so neanche cosa facessi prima, anche se ho dei flash a volte: campi, fiori, alberi. Chissà, forse ero una contadina!”.
“Chi ti ha trasformata non ti ha detto niente?”.
“No. La mamma diceva che tentare di ricordare la mia vita umana non mi avrebbe giovato e tanto valeva lasciarla sepolta. E penso che avesse ragione…”.
“Chi era tua madre?”.
“Nessuno di importante…” sussurrò. Non sembrava un argomento che la rallegrasse, però aveva cominciato lei rivangando involontariamente in me orrori che dovevano essere distrutti. Ora era il mio turno.
“Carlisle mi ha raccontato che è stata uccisa dai Volturi…” iniziai, con una punta di perfidia.
“Sì, infatti” ammise. “Ha violato le regole e l’hanno, giustamente, punita. Sapeva cosa stava facendo, ma ha voluto proseguire ugualmente, quindi se l’è cercata!”.
La sua affermazione mi colpì perché sembrava che la odiasse e non ne capii il motivo. Certo, con il suo comportamento aveva messo le sue figlie in pericolo ma non mi sembrava abbastanza per farla diventare indegna di un po’ di pietà. Continuammo a camminare, in silenzio. Non vedevo l’ora di arrivare a casa per stare un po’ con Emmett. E poi non ne potevo più della sua compagnia. Quando c’erano queste “belle” serate con lei, tornavo sempre distrutta: mi faceva venire la nausea doverla sopportare anche solo per due ore. Spesso avrei voluto sospendere questa stupida sfida, ma poi avrebbe pensato che mi volevo ritirare per paura e non potevo permetterlo.
“Eppure posso capire perché l’ha fatto…” affermò grave.
“Di cosa stai parlando?” domandai frastornata.
“Tu non vorresti figli?” mi chiese, fissandomi negli occhi. Non volevo rispondere, ma continuava a tenermi lo sguardo incollato addosso, in attesa di una risposta.
“Non so. A dire il vero, il pensiero non mi ha mai sfiorata” mentii spudoratamente.
“Sarà che sei stata trasformata da poco e sei ancora giovane, intendo mentalmente… Io invece ci ho pensato a lungo, soprattutto dopo che hanno ucciso la mamma. Lei voleva un bambino a tutti i costi. Kate, Irina ed io non eravamo abbastanza per lei. Eravamo già grandi… Ha creato un vampiro da un neonato soltanto per avere l’opportunità di essere madre, senza pensare però che, così facendo, il piccolo non sarebbe mai cresciuto e sarebbe stato indomabile, proprio per la sua incapacità a controllare gli istinti. Insieme ad altri, ha sterminato interi villaggi, ma la mamma l’ha sempre difeso, fino alla fine, anche di fronte ai Volturi. Come ha fatto con noi. Ci ha tenuto all’oscuro di tutto per farci apparire innocenti ai loro occhi e ce l’ha fatta. Ci voleva bene davvero, come ne voleva a quel bambino, che alla fine l’ha uccisa. Però, pensa…” esclamò, fermandosi di colpo, con un’adorabile luce negli occhi “…avere una creatura da amare, cullare, nutrire, che all’apparenza dipende solo da te, mentre in realtà sei tu a dipendere da lei, non ti piacerebbe?”.
Esitai. Sì, mi sarebbe tanto piaciuto, ma non volevo ammetterlo di fronte a lei. Non aspettò la mia risposta e riprese a camminare. “Sai, ho passate molte notti pensando a come la vestirei, che università le farei fare, cosa le darei da mangiare. A volte mi perdevo persino a ipotizzare se avrei voluto un maschio o una femmina e la decisione era sempre la stessa: una femmina. Sceglievo persino i nomi. Pensavo qualcosa tipo Brooke, Mary Ann, oppure Jeanne. O magari, Gisele…” fantasticò.
“Sì, credo che una femmina sarebbe l’ideale” commentai.
“Davvero? Lo credi anche tu?”.
“Sì. Fare shopping per lei deve essere bellissimo”. Mi stavo lasciando trasportare dalle sue fantasie, perché in fondo erano le mie.
“Però” disse rabbuiandosi “non vorrei un vampiro. Non saprei che farmene di qualcuno che non prova le esperienze che non ho potuto avere io, che è costretto a cambiare città periodicamente, che vive in epoche diverse ed è fuori luogo in tutte. Certo, lo amerei ugualmente, ma non sarebbe la stessa cosa…”.
“No, non lo sarebbe…” ammisi tristemente.
Tanya mi sorrise affabilmente. “Piacerebbe anche a te, vero?”.
“Sì” risposi, abbassando lo sguardo, incapace di bloccare le mie emozioni, esplose nel pronunciare quel semplice monosillabo.
Tanya si sentì rassicurata dall’idea di non essere la sola a pensarla così. Continuò a parlare di cosa avrebbe fatto, di cosa le avrebbe insegnato, della sua educazione, di come l’avrebbe voluta esteticamente, di mille desideri che non avrebbe mai potuto realizzare. Lo sapeva e lo sapevo anch’io, ma sognare era irresistibilmente attraente. Ben presto mi ritrovai coinvolta nei suoi discorsi, a partecipare attivamente alla conversazione, a condividere con lei aspirazioni e sensazioni.
Improvvisamente si zittì. Non capii che cosa le fosse preso.
“A volte mi chiedo che senso abbia sognare cose che non si potranno mai realizzare…” mugugnò.
“Non sarebbero sogni altrimenti…” risposi crudelmente.
“E’ vero, ma spesso ci credo così fortemente che mi illudo si possano avverare”.
“Tenta di realizzarlo, allora”.
“E come?” domandò, esasperata. “I vampiri non possono avere figli”.
“Rapisci un umano e crescilo” risposi troppo semplicisticamente. Tanya scoppiò a ridere.
“Non sarebbe la stessa cosa… Poi come gli spiegherei che sua madre non invecchia? Comunque gli esseri umani non possono essere a conoscenza della nostra esistenza. I Volturi non vogliono”.
“Che si facciano friggere loro e le loro assurde leggi! Non faremmo niente di male!” affermai spazientita.
“Tu lo faresti?”.
Mi soffermai, pensierosa. In quel momento avrei dato qualsiasi cosa pur di avere un figlio mio, ma ritrovarmi poi a dover fronteggiare i Volturi era una prospettiva che avrebbe fatto desistere chiunque.
“A ogni modo, non vorrei mai vedere morire mia figlia. I genitori non devono mai sopravvivere ai figli. E’ innaturale e accadrebbe se lei fosse umana… Forse i Volturi non hanno tutti i torti a proibirci certe azioni!” ridacchiò senza gioia.
“Se desideri una cosa, fai bene a cercare in tutti i modi di ottenerla e loro non potranno mai capirlo. Per questo distruggono i sogni degli altri. Comunque, la nostra vita sarà molto lunga e quindi chissà… Come si dice? Le vie del Signore sono infinite!”.
Mi sorrise e dopo poco ci ritrovammo nei pressi di casa.
“E Desirèe? Ti piacerebbe?” mi domandò, pensierosa. “E’ tanto desiderata, che non potrebbe non avere questo nome!”.
“Sì, è carino”.
“Ci penserò. Tanto ho un’eternità per farlo!”.
“Sai, Tanya, credo che saresti una buona madre” dissi. Non sapevo per quale motivo, ma dalla mia bocca erano uscite quelle parole che suonavano come un complimento. Mezz’ora prima non me le sarei neppure sognate e ora le pensavo.
“Ti ringrazio Rose” ed entrò.
Quella fu la prima volta in cui Tanya ed io ci sfiorammo. Pensavo che sarebbe rimasto un episodio isolato e invece pian piano ci avvicinammo sempre più fino a prenderci per mano. Diventammo amiche. Mi abbandonai a così tanti ricordi che era già mattina quando ritornai in me.
Ma i pensieri rimasero gli stessi. Il suo nome mi ronzava in testa come una mosca fastidiosa. Il desiderio di un figlio ci aveva avvicinato e quello stesso desiderio ci aveva separate per sempre. Avevo passato la vita alla ricerca di un’amica e ora l’avevo persa. Stavo qui a leccarmi le ferite, a piangermi addosso, mentre invece avrei dovuto fare ben altro. Desirèe era morta per una nobile motivazione. Anch’io potevo fare altrettanto e presi la mia decisione.
Mi alzai, raggiunsi la scarpiera, indossai frettolosamente un paio di tennis e mi affrettai sulla terrazza. Stavo scavalcando la ringhiera, pronta a saltare, quando Alice mi trascinò bruscamente indietro. Il movimento fu talmente inaspettato che persi l’equilibrio e incespicai. Sarei caduta se mia sorella non mi avesse sorretta. Quando ritrovai la stabilità, Alice lasciò la presa e arretrò di qualche passo.
“Lasciami andare” affermai, decisa.
“No” replicò con altrettanta fermezza. “Scordatelo. Se vuoi uscire da questa casa, dovrai combattere con me”.
“Allora lo farò, se proprio insisti…”.
“Che cosa credi di risolvere andando dai Volturi? Credi che si sistemerà ogni cosa e tutto tornerà come prima?” domandò infastidita.
“Non potrò risuscitare le persone, ma almeno eviterò che ne vengano uccise altre!”.
“Non è suicidandosi che le cose si risolveranno…”
“In questo caso sì. Io li ho attaccati, io devo pagare. Nessun altro. Se mi consegno, eviterò a voi di dover combattere…”.
“Credi che sia così facile? Edward ha ragione: stanno cercando un pretesto per eliminarci e anche se tu morissi, la situazione non migliorerebbe!”.
“Sì invece! Aro deve mantenere intatta la sua icona da giudice imparziale ed equo e non potrebbe farvi attaccare dalle sue guardie senza un valido motivo. Ma se quel valido motivo venisse a mancare, sareste salvi… La sentenza, per quanto mi riguarda, è già stata emessa, e se voglio evitare di tirarvi a fondo con me, devo andare”.
“Abbiamo già perso un componente della famiglia e non voglio perderne un altro…” commentò neutra.
“Ne perderai tanti, se insisti a volermi tenere qui! Vuoi una strage attorno a te, soltanto per salvare una persona?! Non sarebbe ragionevole!” contestai freddamente irremovibile.
“Cosa c’è di ragionevole nei sentimenti, me lo spieghi?!” alzò la voce. “Se tu avessi ragionato, non staremmo qui a discutere, perché Seth e Tanya sarebbero ancora vivi; se Tanya avesse ragionato fin da principio tutto questo non sarebbe mai accaduto perché lei avrebbe ucciso Desirèe alla nascita, invece di salvarla; se Bella non le avesse dato ospitalità quella notte, non passerebbe l’intera giornata ringraziando Dio per tutti i secondi di vita che le vengono concessi; se Seth avesse ragionato, Desirèe a quest’ora sarebbe a Vancouver con sua madre e le sue zie; se io ragionassi, come dici tu, non ti vorrei bene perché come si fa ad amare un essere così indisponente, presuntuoso ed egocentrico?! Ma invece è così che vanno le cose e non me ne frega niente di dargli una spiegazione logica!”.
Erano così rare le occasioni in cui Alice si arrabbiava con me che ogni volta che accadeva, non potevo fare a meno di tacere. Non ero abituata a ribattere alle sue accuse, anche perché quando sbottava a quel modo la mia posizione era sempre indifendibile.
“Ricordi cosa ti ho detto quella mattina, di ritorno dalla caccia?” domandò, mostrando un sorriso dolcissimo.
“No…” mormorai.
“Tu mi hai rinfacciato che, difendendo Bella, mi importasse solo di lei. Io ti ho detto che per te avrei fatto anche di più…”.
Sì, lo ricordavo ma non dissi niente.
“Io farò di più per te, Rose. Combatterò. Combatterò anche a costo di rimetterci la vita, anche se fossimo soltanto tu ed io… Perciò se vuoi andare dai Volturi, fai pure, ma verrò anch’io e ti difenderò. Su questo puoi starne certa”.
“Sei pazza…” balbettai, scuotendo la testa.
“Lo so” ammise, scrollando le spalle. “Ma sono fatta così. Avete sempre detto che io sono la pazzerella della famiglia, quindi ne accettate tutti i pro e i contro”.
Mi lasciai cadere pesantemente sul letto. Alice mi voleva bene e io ne volevo a lei, ed era per questo che non volevo metterla in pericolo. Ma era cocciuta come un mulo. Non capiva che con me accanto era morte certa.
Si sedette, inclinando la testa per potermi guardare in volto. “Rose, che cosa pensi di ottenere con questo gesto? Hai visto cosa ha concluso Desirèe? Si è consegnata per proteggere Seth e Tanya, e loro sono morti per cercare di vendicarla. Cosa pensi che farebbe Emmett, se tu facessi altrettanto? Credi che potrebbe sopportare la tua morte? E io? E Esme e Carlisle? Credi che non faremmo niente? Che li lasceremmo tornare pacificamente a Volterra? Desirèe ha sbagliato perché si è arresa e non ha riflettuto sul circolo vizioso che avrebbe innescato. Non fare anche tu lo stesso errore…”.
“E allora cosa posso fare?” domandai mestamente.
“Da sola niente. Insieme però qualcosa sì. Qualcosa che avremmo dovuto fare molto prima di arrivare a questo punto. Adesso staremo tutti dalla stessa parte…”.
Strinsi le labbra per soffocare il senso di colpa che la sua generosità stava rinfocolando dentro di me. Come potevo farle capire che non doveva morire nessuno per un mio errore?! Avevo tanto criticato Bella per la sua incoscienza e io avevo fatto di peggio.
“Giorni fa avevo promesso ad Edward che avrei fermato Tanya se avesse avuto idee bellicose nei confronti dei Volturi” confessai, cercando di farle comprendere quanto fossi stata irresponsabile.
“Lo so” ridacchiò. “Ogni tanto dimentichi che hai una sorella che prevede il futuro!”.
“Non mi difenderà mai e non voglio che lo faccia…”.
“Non conosci neanche tuo fratello, direi. Ti difenderà…”.
“Come fai a dirlo?”.
“Perché l’ha deciso nel momento stesso in cui ti ha visto in braccio a Jacob…”.
“Non capisco… Io l’ho deluso ancora una volta…” dissi, incredula.
“Già, però anche lui sa di avere molte cose da farsi perdonare. Ha abbandonato Tanya e Desirèe a se stesse e ora non vuole fare lo stesso errore con te. La famiglia deve stare unita. Solo in questo caso avremo qualche possibilità…”.
Abbassai lo sguardo, sconfitta. Sembrava avessero già deciso tutto. Combattere, uccidere, difendere a costo della vita. Ma io non potevo permetterlo. Alice aveva ragione: era stato innescato un circolo vizioso, ma andava fermato, anche se non avevo la più pallida idea di come fare.
“Senti” interloquì mia sorella. “Credo che sia il caso di parlarne tutti insieme e cercare di studiare una strategia sensata”. Si alzò e mi porse la mano, incitandomi a seguirla. Non ero per niente convinta. Non sapevo se me la sentivo di scendere al piano di sotto e sostenere lo sguardo degli altri. Ma prima o poi avrei dovuto affrontarli e forse quello era il momento migliore. Potevo ancora sperare di convincerli a lasciarmi andare.
“D’accordo. Facciamo come dici” la accontentai.
Uscimmo dalla camera. Alice scese le scale rapidamente, mentre io non trovavo il coraggio di poggiare il piede sul primo scalino davanti a me. Avrei tanto voluto chiamare mia sorella e dirle che avevo cambiato idea, che avevo paura, che volevo chiudermi per sempre in camera mia e non uscirne mai più, ma lei era lì, con il suo sorriso amorevole, in attesa. Dovetti fare ricorso a tutte le mie forze per spostare il piede dalla posizione in cui aveva trovato pace.
Poi si affacciò anche Esme, che mi raggiunse. “Come stai, Rose? Tutto ok?” mi domandò, preoccupata.
Annuii lentamente.
“Vieni allora” mi incalzò. Mi prese per mano e mi costrinse, mio malgrado, a percorrere velocemente la scala. Una volta arrivata, mi sentii come una cavia in un laboratorio: analizzata in ogni movimento. Erano lì tutti quanti, tranne Edward. I loro sguardi erano pieni di angoscia malcelata, di ansia per ciò che li attendeva, di rabbia per chi dovevano difendere solo perché ufficialmente faceva parte della famiglia. Mi sentii persa. Cosa facevo lì? Perché non ero morta? Almeno non avrei dovuto sopportare tutto questo. L’esecuzione di una condanna a morte sarebbe stata meno spietata e crudele.
“Tesoro, come va? Un po’ meglio?” mi domandò Emmett, premuroso come sempre. Mi abbracciò mentre io rimasi inerte. Era così dolce con me e anche adesso si comportava come se mi fossi limitata a rompere qualcosa di scarso valore.
“Sì, sto meglio” sussurrai.
Carlisle si avvicinò a noi e mi accarezzò il capo. “Sono contento, Rose. Eravamo tutti terribilmente preoccupati per te…”.
“Sto bene” ribadii.
“Ok. Te la senti di parlare un po’ di quello che è successo? Edward ci ha raccontato ciò che ha letto nei pensieri tuoi e di Jacob, ma preferirei parlarne direttamente…”.
Come poteva chiedermi di ripercorrere quello che era successo? Edward non era stato abbastanza dettagliato nel suo racconto? Afferrai i bordi della camicetta e ci giocai nervosamente.
“Ascolta” riprese, come se avesse intuito le mie obiezioni. “Non voglio che mi racconti la battaglia, voglio soltanto cercare di capire la situazione. Intendo dire, chi ha attaccato chi, se Lehausle ti ha detto qualcosa che potrebbe esserci di aiuto per intuire i loro piani futuri o cose del genere. Comunque, se non vuoi, possiamo parlarne più avanti…”.
Tirai una sedia verso di me e mi ci lasciai cadere pesantemente.
“No, preferisco farlo subito…”.
Ben presto anche gli altri mi imitarono e ci accomodammo attorno al tavolo.
Appoggiai il viso sulle dita intrecciate, in attesa di una loro domanda. Poi udii distintamente un fruscio e alzai gli occhi. Edward aveva fatto la sua comparsa. Era sceso dal piano superiore e si era appoggiato alla parete. Mi fissava e con una tale intensità da farmi sentire ancora più inopportuna e fuori luogo. Non sembrava arrabbiato, ma sapevo che se fossimo stati soltanto noi due, mi avrebbe ucciso. Avevo distrutto tutto e le conseguenze delle mie azioni avrebbero travolto anche lui.
Perdonami…
“Rose” mi distrasse Carlisle. Mi girai verso di lui, tentando di prestargli tutta la mia attenzione. “Come è partito tutto? Intendo dire: di chi è stata l’idea?”.
Già alla prima domanda mi trovai in difficoltà. Non sapevo nemmeno io cosa rispondere. L’idea iniziale era stata di Tanya o almeno così mi era parso, ma anch’io l’avevo meditata a suo tempo e non volevo gettare fango addosso a lei. Interpretò in maniera distorta il mio silenzio. “Non c’è un processo in corso. Non vogliamo darti alcuna colpa. Vogliamo solo tentare di capire…”.
“L’idea è stata comune… Eravamo arrabbiati per ciò che i Volturi avevano fatto a Desirèe e, dato che qui erano rimasti solo Lehausle e altri due vampiri, abbiamo pensato che avremmo potuto vincere facilmente…” risposi.
“Non è stata di Tanya l’idea?” intervenne Edward.
“No” negai decisa. “Te l’ho detto: è venuta a tutti e tre all’unisono”.
Una smorfia fece capolino sul suo viso. “Ok” disse, rivolgendosi a nostro padre. “L’idea è stata di Tanya”.
“Non è affatto vero!” gridai.
“Sì che è vero! Non puoi tentare di fare la furba con me!”.
“Tu non c’eri. Non sai come sono andate le cose!”.
“Se vuoi raccontare frottole a loro, fai pure, ma fallo anche con te stessa, perché altrimenti non puoi pensare di infinocchiare me!”.
Tacqui.
“Edward, calmati” intervenne Esme. “Non è il caso di agitarsi”.
Carlisle guardò sia me che mio fratello, indeciso su come proseguire. “Va bene, poco importa di chi sia stata l’idea. Come li avete trovati?”.
“Seth conosceva il loro nascondiglio. Aveva sentito la scia di Jane un pomeriggio e l’aveva seguita, scoprendo dove vivevano. E’ stato per questo motivo che Desirèe ha saputo dove andare a consegnarsi. Seth gliene aveva parlato, senza pensarci…”.
“Quindi dove siete andati?”.
“Nella ex casetta di una famiglia di falegnami a 4 chilometri sud ovest da qui”.
“Capisco. Siete andati là ed è cominciato il combattimento… Da quello che ci ha detto Edward, è stata Tanya la prima a…”.
“Sì. Io sono stata distratta da uno dei suoi sgherri e ho perso tempo. Quando me ne sono liberata, Lehausle l’aveva già uccisa…” sussurrai. “Dopo ho combattuto io con lui, ma avrebbe ucciso anche me se non fosse arrivato Seth…” e a quel punto fui costretta a fermarmi, bloccata da un groppo in gola così grande da impedirmi di parlare.
“Va bene. Quindi tu sei rimasta sola… Jacob dov’era?”.
“Jacob non era con noi. Seth non aveva voluto coinvolgerlo. Non so da dove sia spuntato. So soltanto che se non fosse arrivato, Lehausle mi avrebbe uccisa”.
“Ma come ha fatto a trovarvi?” domandò Jasper.
“Telepatia da licantropi” intervenne Edward, sedendosi. “Jacob si è trasformato e ha sentito che Seth era in pericolo. L’ha raggiunto nel posto che ha visto tramite gli occhi del suo amico…”.
“Cosa è successo dopo? Lui è arrivato e…” domandò Alice.
“Ha combattuto con Lehausle. All’inizio pensavo che avrebbe ucciso anche lui, poi invece è riuscito a strappargli un braccio…”.
“Gli ha strappato il braccio?!” intervenne Emmett, incredulo; poi gli sfuggì un fischio:“E’ forte il lupastro! Strappare un arto ad una delle guardie reali non è cosa da poco!”.
La sua indelicatezza riscontrò la nostra completa disapprovazione, tanto che si ritrovò ben presto in imbarazzo per ciò che aveva detto.
“Il resto lo sapete anche voi…” tagliai corto.
Un silenzio preoccupato aleggiò a lungo sulla tavola. Sarei scappata subito in camera mia, ma restava un’ultima cosa da chiarire.
“Prima che cominciate a porvi problemi che non esistono, vorrei dire che so che il mio atto è stato una stupidaggine. Anzi la parola “stupidaggine” non è la più adatta…” iniziai. “E’ stata una pazzia, mia, di Tanya e di Seth e non intendo coinvolgervi. Volevamo vendicare Desirèe e alla fine sono sopravvissuta solo io. Una sconfitta non l’avevamo neppure contemplata, convinti di essere nel giusto e che esistesse una giustizia divina che volesse ristabilire una sorta di parità per quello che era successo. Ma evidentemente ci siamo sbagliati. Per questo ritengo che tutti voi dobbiate rimanere al di fuori da questa storia. Io ho disubbidito e io vado punita”.
“Questo è fuori questione!” replicò Esme con ansia crescente. “Siamo una famiglia e gli errori di uno, sono gli errori di tutti. Affronteremo la questione insieme e ne verremo fuori!”.
“Tu non hai visto di cosa è capace Lehausle. Ha tenuto testa a tutti e tre…”.
“Sì, ma non contemporaneamente! Se l’aveste attaccato insieme, sarebbe morto a quest’ora!” disse trionfante.
Abbassai la testa: cercare di competere con il suo ottimismo era assolutamente impensabile. Se aveva deciso che avremmo potuto vincere, non potevo fare niente per dissuaderla.
“Esme ha ragione. Jacob l’ha messo in difficoltà da solo. Forse con un po’ di tattica, ne sareste usciti tutti vivi…” affermò Jasper. Oh no! Se anche lui si ficcava in testa queste assurde teorie, era davvero la fine!
“Voi dimenticate che non c’era Jane. Se ci fosse stata lei, anche da sola, a quest’ora non staremmo nemmeno parlando con Rosalie…” intervenne Edward con la sua consueta lucidità.
Lo ringraziai mentalmente del suo intervento che ebbe il potere di zittire le altre facili soluzioni. Jane era il pericolo reale: magari Lehausle e Demetri li avremmo potuti annientare, ma non se c’era lei al loro fianco.
“Quindi cosa pensi di fare?” gli domandò Jasper.
“Non lo so” ammise sconfortato mio fratello.
“Sentite, ve l’ho già detto. Ho combinato io il disastro e io lo sistemerò. Mi consegnerò e il problema sarà finito…” esclamai.
“Piantala di fare la vittima, Rose!” replicò Edward esasperato. “Ormai il danno è fatto. Non ti consegneremo e loro lo sanno perfettamente. Non si sono presi nemmeno il disturbo di darci un ultimatum. Siamo fuorilegge al pari di te…”.
“Lehausle ha già comunicato a Jane cosa è successo ieri sera e lei gli ha detto di lasciare immediatamente Forks. Si incontreranno a Chicago e allestiranno un piccolo esercito contro di noi… La prossima volta che li vedremo sarà per combattere” mi spiegò Alice.
Raggelai. Avevano già deciso tutto. Volevano attaccarci.
“Contenta?” mi canzonò Edward.
“Mi dispiace…”.
“Sono stanco dei tuoi “mi dispiace”” si alterò. “Non pensi mai che quello che fai può portare a delle conseguenze, più o meno devastanti? Ti avevo detto di calmare Tanya, nel caso partisse in quarta con idee di vendetta, e invece ti ci sei buttata a capofitto pure tu. Ora siamo in una situazione molto grave e da cui non usciremo, se non a costo di tante perdite. Ti sei divertita a fare la vendicatrice, ora però bisognerà difenderti!”.
“Smettila Edward!” intervenne Emmett, alzandosi bruscamente e dirigendosi con passo risoluto verso di lui. Ebbi la terribile sensazione che volesse picchiarlo.
“Ragazzi calmatevi!” intervenne Carlisle. “Non è litigando che si risolverà il problema”.
“Sono stufo di lui!” continuò il mio compagno. “Non perde occasione per attaccarla. Sarebbe il caso che guardasse Bella invece che sparare giudizi non richiesti. Ci ha messo nei guai e nessuno qua dentro ha detto una sola parola contro di lei. Siamo stati tutti concordi nel difenderla, anche se aveva palesemente sbagliato. L’abbiamo rispettata e ora pretendo lo stesso per Rosalie”.
Jasper si avvicinò a Emmett per calmarlo e ci riuscì dopo pochi secondi.
“Hai ragione. Scusami” ammise Edward con aria sconfitta, colpito nel suo punto debole. Non aveva armi affilate da utilizzare per difendere Bella, ma non era giusto.
“No” sussurrai teneramente. “La situazione non è la stessa. Bella ha fatto di testa sua, come me, ma con il suo gesto ha salvato una vita, io invece ne ho distrutte due. Nella sua incoscienza ha fatto una cosa sensata ed è stato l’unico comportamento da quando è cominciata tutta questa storia che ha denotato pietà e solidarietà. Nessuno di noi ha fatto più di lei e merita di essere difesa, al contrario di me”. 

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Capitolo 36
*** La tenerezza di un fiocco di neve - II parte ***


Ciao a tutti,
questa parte si attacca direttamente alla precedente, senza sbalzi temporali. Il capitolo originale era lunghissimo e quindi l’ho dovuto separare se non volevo postare 30 pagine di Word in un colpo solo (in realtà sarà diviso in quattro parti: questo per farvi capire la portata delle pagine: eh sì, mi sono lasciata prendere la mano)!!! Spero che abbiate ancora voglia di seguire le mie peregrinazioni mentali e soprattutto di farmi sapere cosa ne pensate. Baci a tutte e buone vacanze (io sono appena tornata e ho già la depressione da rientro!).

 
 
Edward mi osservò sorpreso, poi tornò a guardare gli altri commensali. “Cosa pensi di fare?” domandò a Carlisle.
“Non ne ho la più pallida idea!” rispose sconsolato il capofamiglia.
“Secondo me, l’unica cosa da fare è attaccarli per primi e sorprenderli. Quando torneranno qui, Alice ci avviserà e…” propose Emmett, come sempre, impaziente di combattere e dimostrare a tutti la sua forza.
“Sei impazzito?! Questa tattica è perdente come abbiamo già ampiamente dimostrato e poi stavolta non saranno soli!” gridai con ansia crescente.
“Rose, ha ragione” interloquì Edward. “Non possiamo gettarci allo sbaraglio senza un piano…”.
“E allora?” sbuffò Emmett.
“Credo che dovremmo aspettare le loro mosse…”.
Jasper appoggiò la sua affermazione, mentre mio marito si spazientì ulteriormente:“Dovremmo aspettare che vengano a farci la pelle?! Non sai che la miglior difesa è l’attacco?!”.
“Emmett, calmati!” disse Carlisle in tono conciliante. “Il fatto è che sono molto più forti di noi. E l’unica cosa che possiamo fare è respingere i loro attacchi. Non dimentichiamoci che Jane, Demetri e Lehausle sono i più forti vampiri in circolazione. E dobbiamo ringraziare il cielo che Alec non è qui…”.
Affondai tristemente il volto tra le mani. Cosa potevamo fare? Cosa potevo fare? Non c’era proprio niente che potesse riparare al mio errore? Avrei dato tutto quello che avevo pur di riavvolgere il nastro e tornare indietro.
Improvvisamente un cuore dal battito accelerato. Bella stava scendendo lentamente i gradini, appoggiata alla ringhiera. Sembrava che non riuscisse a stare in piedi e che ogni piccolo movimento le costasse un indicibile sforzo. Era pallida, gli occhi, ancora arrossati, cerchiati da profonde occhiaie. L’avevo sentita piangere per gran parte della notte e questo era il risultato.
Edward le corse incontro e l’abbracciò. “Come stai, amore?” chiese.
“Così, così. Scusate, se vi ho disturbato” balbettò.
“Non ti preoccupare, Bella” intervenne Esme. “Vuoi qualcosa da mangiare? Da bere?”.
Sorrise forzatamente e disse di no. Edward insistette perché tornasse a letto, ma rifiutò decisamente. “Vorrei sapere anch’io…” si limitò a ribattere.
“Bella ha ragione” disse Carlisle. “Anche lei fa parte della famiglia ed è giusto che sappia come intendiamo procedere”.
Edward non poté fare altro che rassegnarsi e la fece accomodare al suo posto.
Io abbassai il viso, immaginando cosa potesse pensare. Se ne avesse avuto la forza mi avrebbe ammazzata: avevo ucciso Seth, messo in grave pericolo Jacob e ora il resto della famiglia si accingeva al peggior combattimento che avesse mai potuto intraprendere. Erano passate tre settimane da quando l’avevo aspramente criticata, proprio in questa stanza, per l’ospitalità data a Desirèe e ora mi ritrovavo io stessa sul banco degli imputati per un’azione ben peggiore. Avrebbe potuto tranquillamente attaccarmi, tuttavia non disse nulla. Sentivo il suo sguardo addosso e non avevo il coraggio di sostenerlo. Non avrei mai potuto farle capire quanto stavo soffrendo e quanto sarei stata disposta a fare pur di cambiare il mio posto con quello di Seth o Tanya.
Alice fu la prima a ricominciare la discussione, riprendendo esattamente da dove avevamo interrotto:“E allora cosa facciamo? Subiamo? Ci facciamo ammazzare tutti?”.
Bella sussultò. Non era quello che sperava di ascoltare, ma ormai conosceva perfettamente la situazione. Alice era stata molto brutale e questo suo atteggiamento mi angosciò: generalmente tendeva a proteggere la sua amica da tutto e ora invece le stava sbattendo in faccia la verità. Questo significava che stava perdendo la calma, come tutti gli altri.
“Un attimo” intervenne Jasper. “In fondo Lehausle e Demetri sono due segugi. Molto forti, molto agili, ma non hanno poteri. Uno contro uno perderemmo sicuramente ma se ci unissimo tutti insieme forse ce la potremmo fare…”.
“Già. E come ci sbarazziamo di tutta la schiera di vampiri che si porteranno dietro?” disse Alice.
Purtroppo ritornavamo sempre allo stesso punto: Jane, la numerosità dei loro alleati… Non sembrava esserci una soluzione.
Poi la voce di Edward ruppe il silenzio:“No, non credo che sia il caso…”. Stava guardando Carlisle e rispondendo a un suo pensiero.
“Perché no?”.
“Non ci aiuterebbero mai dopo quello che è successo”.
Li fissammo, avidi di sapere a che cosa si stavano riferendo.
“Io credo che il branco potrebbe darci una mano, come è successo a primavera” ci chiarì Carlisle.
“No!” gridò Bella con voce strozzata. “I lupi no!”. Edward la abbracciò per confortarla.
Ogni parola era una continua tortura per lei: sentivo il suo cuore battere all’impazzata, il suo respiro farsi irregolare. Paura. Solo paura che succedesse qualcosa a Edward, a Jacob, ai membri della mia famiglia e del branco.
“Vi prego, non chiamate i ragazzi” ci implorò. “Hanno già perso Seth…”.
“Mi dispiace, Bella, ma credo che Carlisle abbia ragione. Siamo qualitativamente inferiori; per avere una chance dobbiamo perlomeno superarli numericamente” replicò mia sorella con inaspettato cinismo.
“E se ne parlassimo a Kate e Irina? Erano letteralmente sconvolte quando gli ho raccontato cos’è successo, però credo che, una volta superato il dolore iniziale, vorranno vendicare la sorella” suggerì Esme.
“Potrebbe essere una buona idea” approvò Carlisle. “Kate ha la dote di scaricare elettricità attraverso i corpi tramite il contatto. Riuscirebbe a tenere testa a parecchi vampiri…”.
Non riuscivo a credere alle mie orecchie: coinvolgere Kate e Irina. Dopo che io avevo fatto uccidere Tanya, avevo anche la faccia tosta di andare a chiedere il loro aiuto?!
“Siamo in pochi ugualmente. Abbiamo bisogno dei lupi…” replicò Jasper. “Tu che ne pensi Bella? Potrebbero unirsi a noi?”.
Bella sciolse dolcemente l’abbraccio di mio fratello e respirò più volte. “Non lo so” rispose infine. “Io conosco bene solo Jacob e credo che per vendicare Seth sarebbe anche capace di combattere al nostro fianco, ma è Sam che comanda. E non so se privilegi un sentimento di vendetta, alla salvaguardia del branco…”.
“Io credo che non abbiamo il diritto di chiedergli nulla. Hanno già perso un componente e non voglio che ne perdano altri, per colpa mia…” dissi decisa. “E poi non penso che combatterebbero ugualmente”.
“Io invece penso di sì. In fondo Jacob ha salvato te quindi può voler dire che intendono aiutarci…” ipotizzò Esme.
“Non l’ha salvata per generosità o solidarietà contro Lehausle…” replicò Edward.
“Cosa intendi dire?” domandò Carlisle.
“Non ne sono sicuro… I pensieri di Jacob erano molto confusi quando è arrivato con Rosalie, ma ho sentito qualcosa. Quando si è trasformato, Seth ha avvertito la sua presenza e l’ha chiamato. Ma non per se stesso: sapeva che ormai era tardi. L’ha pregato di salvare almeno lei…” disse, accennando a me.
“E’ per questo che non mi ha ucciso…” balbettai, rivolta più a me stessa che agli altri.
“Sì. Glielo aveva promesso, ma ora non ha più motivo di mantenere la parola”.
Una promessa. Soltanto questo gli aveva impedito di uccidermi. Avrebbe voluto farlo ma si era fermato per rispetto nei confronti del suo amico. E Seth aveva pensato a me poco prima di morire. Gli avevo chiesto di chiamare Jacob prima della battaglia e lui lo aveva fatto soltanto alla fine per aiutarmi.
Come potevo chiedere altri sacrifici?
“Se non ci saranno loro, moriremo tutti” sentenziò Jasper.
Non volevo coinvolgere nessuno, ma perché qualcuno di noi si salvasse, tutti dovevano combattere.
“Beh, presto lo sapremo” disse Edward con un’alzata di spalle. “Stanno arrivando…”.
Carlisle si alzò in piedi e, guardandoci uno ad uno, disse con tono solenne:“Vado a parlargli”. Ma mio fratello lo trattenne, mettendogli una mano sulla spalla.
“Aspetta…” bisbigliò. I suoi occhi si persero nel vuoto, nell’ascolto dei loro pensieri.
“Che c’è?” domandò Bella.
“Le loro intenzioni non sono amichevoli”.
Bella non capì il senso della sua frase fino a che una vetrata della nostra veranda non si squarciò. Il vetro andò in frantumi e le schegge si sparsero per tutta la stanza, investendoci come un uragano. Le fissai  saltellare sul pavimento, ai nostri piedi. Poi notai un grosso sasso, poco distante dalla finestra, probabilmente lanciato dall’esterno. Edward aveva riparato Bella col suo corpo, abbracciandola.
“Tutto bene, amore? Ti sei fatta male? Sei ferita?” domandò concitato mio fratello, sfiorando le sue braccia per cercare un eventuale graffio.
“Sto bene” balbettò Bella. Era confusa e il suo sguardo inchiodato su ciò che restava della finestra. “Chi sono?” domandò scioccata.
“Leah, Jacob e Sam” rispose Edward.
Scosse la testa, incredula. Poi guardò Carlisle ed Esme, profondamente sconcertata, come se volesse chiedere scusa per i danni arrecati alla casa.
“Che facciamo ora?” chiese Alice. “Direi che non hanno intenzione di parlare civilmente…”.
“Beh, qualcosa dovremo fare, prima che ci buttino giù la casa!” ridacchiò Emmett, cercando di smorzare la tensione.
“Non può essere… Non è possibile… Jacob non lo farebbe…” mormorò Bella. Era confusa, ma allo stesso tempo sembrava volerci convincere che il suo amico non ci avrebbe mai attaccato, senza un valido motivo. Ma non doveva convincere me: sapevo di avergli dato un motivo più che valido per farlo.
Udimmo una voce stridula gridare dall’esterno:“Dove diavolo siete? Venite fuori, se avete fegato!! Venite ad affrontarmi!”.
Leah.
Bella corse verso la vetrata infranta, ma Edward le si parò davanti. “Sei matta?! Non avvicinarti! E’ pericoloso!” esclamò, trattenendola con la forza.
La sua fidanzata tentò di divincolarsi ma, come prevedibile, non ci riuscì. “Lasciami andare, ti prego!” urlò. “Devo parlare con Jake… Sono sicura che lui capirà!”.
Edward la lasciò sfogare finché le sue forze vennero meno.
“Avete paura, eh?” ricominciò Leah. “Sì, ne avete, altrimenti non avreste lasciato un ragazzino da solo a combattere…”.
Le gambe mi cedettero e crollai sulla sedia.
Ero stata una vigliacca. L’avevo abbandonato. Avrei dovuto combattere fino alla fine invece che rassegnarmi soltanto perché avevo perso un piede. Seth aveva perso ben altro. Un altro sasso sfondò la vetrata adiacente. Sentii il frastuono ma non ci prestai attenzione.
“Lui era vostro amico. Vi rispettava, nonostante avessi sempre tentato di convincerlo del contrario. Quanto mi sarebbe piaciuto aver avuto torto! Fate schifo! Quando mai siete venuti a stare qua?! Da quando ci siete voi, c’è stato solo morte e dolore…” gridò. Sentivo distintamente le lacrime confondersi con le parole.
Bella singhiozzava tra le braccia di Edward.
“Dove sei, Rosalie? Vieni fuori dal tuo castello, se hai un minimo di ritegno!” imprecò.
Trasalii. L’oscuro timore che strisciava dentro di me si era trasformato in realtà. Non era qua per sfogarsi, per danneggiare la mia famiglia, coinvolgere innocenti, ma soltanto per chiudere la partita con me.
“Provo a calmarli…” disse Carlisle.
Sarebbe stato inutile. Leah voleva me e solo me.
“Vado io” affermai, alzandomi risolutamente dalla sedia.
Emmett mi trattenne:“Non puoi! Se vai là fuori, scatenerai una guerra…”.
“E quella che ho scatenato con i Volturi cos’è?” ironizzai.
“Ti attaccherà, Rose” intervenne Edward. “Ti dovrai difendere, se non vorrai essere uccisa. E Jacob e Sam sono dalla sua parte…”.
“Lo so” ammisi. “Ma devo parlarle. Non possiamo lasciare le cose in questo modo…”.
“Se devi solo parlarle, vengo fuori con te” esclamò mio marito.
“No” lo bloccò Jasper. “Se vai anche tu, penseranno che vogliamo combattere. Dobbiamo fargli capire che vogliamo la pace. Non dobbiamo compromettere ulteriormente i rapporti con loro…”.
Non riuscivo a crederci. Jasper stava ancora parlando di tattiche, di alleanze, quando là fuori c’era una ragazza che mi voleva gridare in faccia il dolore per la morte di suo fratello. Che andasse tutto al diavolo! Non le avrei certo parlato  di difesa, piani di combattimento o altre cazzate. Volevo soltanto descriverle il mio stato d’animo, poi le avrei lasciato fare quello che voleva.
Avanzai verso il portone quando Carlisle mi fermò. “Cerca di farle mantenere la calma e se ti dovesse attaccare, schiva. In ogni caso se te la dovessi vedere male oppure se a lei si unissero anche gli altri due, interverremo tutti quanti. Non sei sola, non ti preoccupare” mi rassicurò.
“Qualsiasi cosa accada, non intervenite…” pregai. Lo accarezzai con lo sguardo, pieno di riconoscenza, e varcai la soglia. Scesi le scale e feci qualche passo, barcollante, nella direzione da cui era giunta la voce. Inizialmente vidi solo lei, poi notai più indietro le robuste figure di Jacob e Sam vicino ad un albero. Una luce si accese negli occhi di Leah appena mi vide apparire.
“Sei venuta fuori dalla tua reggia, eh?” disse stizzita.
Si avvicinò a passi minacciosi. Il viso era arrossato e gli occhi inondati di lacrime.
“Allora? Sei felice di essertela cavata? Tanto altri sono morti al posto tuo!” mi rimbrottò. Respirava a fatica. Nonostante questo la sua voce era ferma. Non sapevo cosa risponderle. Volevo che capisse che anch’io stavo soffrendo per la perdita di suo fratello e di Tanya, che la salvezza che Jacob mi aveva dato in realtà era stata una punizione, ma non riuscivo ad articolare parole di alcun senso.
“Non riesci a dire niente, eh? Non riesci a rabbonirmi con una frase a effetto, magari suggerita da qualcun altro?” mi incalzò, mentre io continuavo a tacere. Probabilmente stava cercando di provocarmi, di far scattare una reazione da parte mia, ma io non ero uscita per combattere o rivaleggiare con lei quanto a dolore. Sapevo che non avrei mai potuto competere, in quanto lei aveva perso suo fratello, mentre io “solo” la mia migliore amica. Tanya era stata importantissima, ma non al pari di Alice. Se fosse successo qualcosa a lei, sarei sicuramente impazzita, esattamente come Leah.
Visto che non riusciva a ottenere nulla, si avvicinò e mi colpì con un pugno. Lo fece con tanta rabbia, che sentii quasi la testa staccarsi dal resto del corpo, ma riuscii a non cadere.
“Tu sapevi contro chi stavate andando e non hai fatto niente per fermarlo…” sibilò. Le sue parole erano soffocate dalla rabbia e dal dolore; i suoi occhi traboccavano desiderio di vendetta.
“Io pensavo che ce l’avremmo fatta. Ho fatto un errore di valutazione. Se avessi solo lontanamente immaginato, mai e poi mai…” balbettai, confusa.
“Un errore di valutazione?!” mi interruppe bruscamente. “Lo chiami errore questo? Due persone sono morte ieri sera e una di queste era mio fratello. Mio fratello, hai capito?! Per il tuo banale errore di valutazione io non ho più Seth!”.
La sua voce si spezzò e non ebbi la forza di replicare.
“Come hai potuto? Come? Un ragazzino che aveva tutta la vita davanti a sé… L’hai abbandonato… E ora chi mi ridà mio fratello?” singhiozzò, indifesa nella sua sofferenza. Sembrava una ragazza normale, colpita nella maniera più crudele possibile. Tutto distrutto, tutto perso. Un cuore che non batteva più, un sorriso che non avrebbe più rivisto, un abbraccio che non avrebbe più avuto.
La guardavo ed era come se mi vedessi allo specchio. Parlava, ma la sua voce era quella della mia coscienza che mi aveva ossessionata per tutta la notte. Era colpa mia se Seth non c’era più. Avrei dovuto combattere con più decisione. Avevo sbagliato fin da principio. Mi ero fatta trascinare via come una pivella da quel vampiro Neonato, ci avevo messo troppo tempo a ucciderlo, mi ero fatta salvare da un ragazzino che avrei dovuto proteggere e ora per la mia leggerezza eravamo tutti in pericolo…
Iniziai a piangere silenziosamente, ma il mio gesto la irritò. “Credi che le tue finte lacrime possano intenerirmi?!” sbottò.
“No, ma voglio solo farti capire che tenevo davvero a tuo fratello e, se potessi fare cambio con lui, lo farei subito… Io ho perso la mia migliore amica in quello stupido combattimento… So che il mio dolore non può essere paragonato al tuo, ma…”.
“Hai ragione: il tuo dolore non può essere paragonato al mio perché tu non hai un cuore. Sei soltanto una succhiasangue. Vuoi prendere il posto di mio fratello? Dovevi pensarci prima che il vostro amichetto gli spezzasse la schiena… Anche Jacob ha fatto un errore, come te. Un errore a cui intendo rimediare subito” ringhiò.
Capii subito a cosa alludeva e il secondo successivo si trasformò davanti ai miei occhi. Indietreggiai, disorientata.
Fece un balzo su di me, ma riuscii con un rapido movimento a scansarla e ad allontanarmi di qualche metro. Solo allora mi accorsi che tutta la mia famiglia era uscita sul patio e stava osservando la scena. Emmett fece per scendere di corsa le scale e raggiungermi, ma Carlisle lo fermò. Non poteva lasciarlo fare se voleva evitare la guerra. Mi guardai alle spalle: Jacob e Sam erano ancora umani. Sembravano non voler intervenire e restare in disparte, esattamente come la mia famiglia. La giovane licantropo iniziò a girarmi intorno, in attesa di un mio movimento. Cosa dovevo fare? Forse avrei dovuto lasciare che mi facesse del male. Questo le avrebbe fatto capire che ero davvero mortificata per ciò che era successo, ma lei non voleva solo ferirmi. Voleva uccidermi. Avrei dovuto lasciarglielo fare? La prima risposta che ebbi fu Sì. La mia morte avrebbe risolto ogni cosa.
Fu con questa intenzione che rimasi immobile in attesa del suo attacco, senza purtroppo fare i conti con l’istinto di sopravvivenza comune a tutte le specie, anche alla nostra. Quando mi corse addosso, la saltai e atterrai a pochi metri. Non feci in tempo a girarmi che mi aggredì. Era dannatamente veloce. Mi ricordavo dai combattimenti della primavera scorsa che lei era la più agile di tutto il branco; meno forte degli altri, ma sicuramente più svelta. Caddi a terra con il lupo dal mantello argentato addosso. Il suo muso a pochi centimetri dal mio viso. Non riusciva ad azzannarmi semplicemente perché la tenevo lontana premendole le mani sul collo. Digrignava i denti e alcune gocce di saliva mi caddero su una guancia. Sollevai una gamba e la calciai via con una ginocchiata al ventre. Scivolai sull’erba e mi spostai di qualche metro. Mi rincorse. Mi azzannò una gamba, facendomi ruzzolare a terra. Tentò di colpirmi in testa con una zampata, ma gliela afferrai e la percossi con un pugno. Fu lei stavolta a cadere. Mi rialzai e notai che i suoi denti mi avevano trapassato il polpaccio da parte a parte. Sentivo dolore ma potevo combattere. Leah invece non aveva un graffio e, a giudicare dal vigore con cui lottava, probabilmente anche se le avessi staccato una zampa avrebbe continuato ugualmente. Mi sorpresi di me stessa quando mi avvicinai, con intenzioni tutt’altro che rassegnate. In pochi secondi fui io a esserle addosso. Ci rotolammo per terra e nella contorsione dei corpi, piantai le unghie nella zampa anteriore destra. Guaì e provai un’innata soddisfazione per aver raggiunto l’obbiettivo che mi ero posta con quell’attacco. Ma tutto cambiò quando vidi la mano sporca di sangue.
Cosa sto facendo?
Si passò la lingua sulla ferita e avanzò a passi decisi verso di me. In quei pochissimi istanti ebbi modo di rimproverare me stessa. Non mi stavo limitando a difendermi, l’avevo attaccata per prima, di proposito, le avevo fatto del male. Non doveva andare così. Sentii dei latrati vicino a me. Sam e Jacob si erano trasformati, anche se sembravano non volersi muovere dalle loro posizioni. Mi distrassi e Leah ne approfittò per sferrare un attacco. Mi saltò addosso, mi mossi per schivarla ma fu più veloce e mi ritrovai i suoi canini piantati alla base della gola, vicino alla clavicola. Stupidamente la spinsi via col risultato che mi lacerò parte del collo. Portai istintivamente la mano alla gola per constatare la profondità della ferita. Per fortuna mi ero scansata di alcuni centimetri altrimenti con quel morso mi avrebbe uccisa. Nonostante questo, sentii le forze venire meno. Ero stanca e crollai a terra, in ginocchio. Alzai lo sguardo sul patio. Jasper stava tenendo fermo Emmett con brutalità; Bella era abbracciata a Edward, con il capo affondato nel suo petto per non vedere cosa stava succedendo ed Alice aveva gli occhi lucidi. Improvvisamente fece un brusco movimento verso le scale.
No, ti prego… Edward, fermala!
Mio fratello lasciò Bella e afferrò Alice per un braccio. “Sei impazzita?!” esclamò. “Devi stare calma!”.
“La ucciderà, se non facciamo niente… Lasciami!!!” rispose, come impazzita.
“Dobbiamo lasciare che si sfoghi…”.
“Sfogarsi?! La ucciderà e basta. Rosalie non ha le forze per difendersi da lei, non adesso. Dobbiamo intervenire!” esclamò sofferente, ma Edward non allentò la presa.
La mia sorellina. Io ero la più grande delle due eppure era sempre lei che mi aveva difesa e protetta. Non le avevo mai dimostrato niente. Solo ora lo capivo e me ne pentivo. Cinquant’anni di silenzio, ma cosa sarebbe successo se qualcuno le avesse fatto del male? Allora avrei capito cosa stavo perdendo? Sì, ma sarebbe stato troppo tardi. E invece ero stata graziata perché lei era ancora lì, davanti a me e stava bene. Immaginai una vita intera senza di lei, senza il mio folletto. Impossibile e invivibile, esattamente come sarebbe stata da ora in avanti per Leah senza Seth.
Affondai le dita nel terriccio. Cosa avrei fatto se fosse stata Leah la causa, seppur involontaria, della sua morte? L’avrei uccisa e ora non potevo muoverle rimproveri. Era giusto così.
Guardai il lupo argentato avvicinarsi e stavolta decisi: sarei rimasta ferma. Non mi sarei più mossa. Mai più.
Leah poggiava una zampa davanti all’altra, avanzando implacabile. Sembrava che non avesse risentito affatto della mia “carezza”. Probabilmente sentiva la vittoria in pugno e l’ebbrezza del trionfo annullava ogni altra sensazione di dolore. Pensai di rialzarmi, poi risolsi che sarebbe stato infinitamente più appagante per lei se fossi rimasta in ginocchio. Mi fissava negli occhi, senza alcun segnale di ripensamento. Poi si bloccò, pronta a scattare.
“Fermatevi!!!! Siete impazziti?!” urlò Esme, correndo da me. Mi rialzai con un balzo, incapace tuttavia di fare altri movimenti. Perché stava venendo qui? Quelli del branco l’avrebbero interpretata come una dichiarazione di guerra. Mi voltai per constatare le reazioni di Sam e Jacob. Si erano affiancanti a Leah e ci fissavano sospettosi. Esme mi raggiunse e mi abbracciò.
“Come stai, Rose? Fammi vedere…” domandò affettuosamente. Mi voltò il viso per controllare il taglio sul collo. La lasciai fare, felice dell’amore che mi stava dimostrando, ma poi tornai alla realtà, quando sentii il ringhio di Leah.
“Vattene! E’ pericoloso…” dissi.
“No, non me ne vado. Ne ho abbastanza!” replicò stizzita.
“Che stai dicendo…” balbettai.
“Sto dicendo che non ne posso più di tutto questo!” e si voltò verso i lupi. “Che volete fare?! Se pensate che vi lascerò ammazzare mia figlia, toglietevelo dalla testa!”.
Leah avanzò, seguita da Jacob, affatto intimorita dalle sue minacce. Le afferrai un braccio, e tentai di scostarla. “Sei impazzita! Se resti, sarà guerra!” urlai.
“Non me ne importa niente! Tanto sarà guerra comunque, se ti ferirà ancora!”.
Leah la scrutò con fare minaccioso ed ebbi paura che volesse attaccarla.
“Non te la farò toccare” affermò Esme, decisa. Poi riprese con voce malinconica:“Io non ti capisco, Leah. Perché stai qui? Che cosa vuoi dimostrare? Sai anche tu che quello che vuoi fare è sbagliato. Non è colpa di Rose se Seth è morto. C’era anche lei in quella dannata radura. Aveva le stesse probabilità di tuo fratello di morire e se è ancora qui è soltanto perché Jacob è arrivato in tempo, altrimenti a quest’ora sarebbero due le famiglie a piangere i loro morti. Non capite quello che ci stanno facendo? Ci stanno dividendo. Quanti di noi dovranno morire prima che ci rendiamo conto che stiamo tutti dalla stessa parte?! Non siamo mai stati amici e mai lo saremo, ma già una volta abbiamo trovato un modo per aiutarci e anche adesso possiamo farlo. Ammazzarci fra di noi non porterà a niente, faremo solo il loro gioco. Noi combatteremo perché non lasceremo mai Rose e Bella nelle loro mani, e anche voi lotterete perché volete vendicare Seth, e allora perché non lo facciamo tutti insieme? Leah, so che capisci quello che dico, stai solo cercando un capro espiatorio, ma non è ammazzando Rosalie che troverai pace. E’ Lehausle quello che va eliminato, lui e la sua maledetta congrega di amici. Tutti abbiamo motivazioni valide per combattere e insieme possiamo vincerli. Non conoscevo Seth, ma so che cosa stai provando. Era un ragazzino, esattamente come lo siete tutti voi per me e non si meritava di morire in questo modo. Ma anche Desirèe lo era e nessuno ha mosso un dito; volevo bene a Tanya e anche lei non c’è più. Io non resterò inerte a vedere seppellire altri morti e comincerò difendendo Rose da te, anche se non vorrei. Non voglio farti del male, ma lo farò, se costretta. Per me sono solo i Volturi il nemico. Nessun altro. E penso che anche per voi dovrebbe essere lo stesso…”.
La lupa la guardò a lungo, senza muoversi, e pregai che le parole di Esme avessero avuto un qualche genere di effetto. Ma la sua risposta fu un ringhio dapprima sommesso, che pian piano echeggiò per tutta la foresta. Voleva attaccare, era evidente. Tentai di spostare Esme, ma sembrava ancorata nel terreno. Nella mia mente si affollarono centinaia di idee e nessuna utile a farmi guadagnare tempo. Leah l’avrebbe attaccata, gli altri della mia famiglia a quel punto sarebbero intervenuti così come avrebbero fatto Jacob e Sam e da lì sarebbe stata guerra. Dovevo impedirlo.
Ma quando fece un passo verso Esme, Jake la colpì con una testata. Leah rotolò su un fianco per qualche metro, poi si rialzò confusa. Non capii quello che successe dopo. Leah ringhiò contro di lui, poi gli si scagliò contro, ma il lupo la respinse con una violenta zampata sul muso. Cadde con un guaito. Quando tornò in posizione eretta, si guardarono a lungo, probabilmente preda di una discussione, che soltanto Edward avrebbe capito. Infine un lamento: Leah stava piangendo. Ringhiava e contemporaneamente gemeva. Sam era immobile, apparentemente noncurante di quello che stava accadendo fra i suoi sottoposti. Leah lanciò un ululato straziante e fuggì. Il capo, con un cenno del muso, indicò a Jake di seguirla, e lui eseguì, sparendo velocemente nella boscaglia.
Sam si stava incamminando a sua volta, quando Carlisle lo fermò. Il lupo lo fissò con disprezzo, mentre mio padre gli dimostrò profonda gratitudine.
“Ti ringrazio, Sam. Sia te che Jacob. Siamo in debito nei vostri confronti e so che non riusciremo a sdebitarci facilmente…”.
Scese le scale seguito da Edward e si avvicinò al licantropo.
“Per quel che vale, io la penso esattamente come Leah. Non ho voluto semplicemente aggiungere dolore ad altro dolore…” disse mio fratello, leggendo nella mente di Sam, la risposta alle parole di Carlisle.
“So che non sarà facile, ma dovete capire che Rose non è una colpevole. E’ stata solo vittima della sua incoscienza, esattamente come Seth e Tanya”.
“Non potete pretendere il nostro perdono” continuò Edward, in vece di Sam.
“No, ma dovete cercare di razionalizzare la situazione. Noi abbiamo perso una persona cara, esattamente come voi, e non vogliamo perderne un’altra. E dovreste volere la stessa cosa. Lehausle ora sa della vostra esistenza e, indipendentemente da noi, verranno qui anche per sterminare il branco. Singolarmente siamo perdenti, ma se ci uniamo, come la primavera passata, possiamo uscirne. Non ti nascondo che le probabilità sono poche, ma sempre meglio che nessuna…”.
“Voi non combattereste per Seth, ma soltanto per voi stessi…”.
“E voi invece combattereste per noi? Non credo. Ciascuno combatterà per la motivazione che ritiene più valida, l’importante è che il risultato ci porti a essere uniti e vincenti contro di loro. Torneranno, probabilmente con un esercito, e noi saremo i primi, voi i secondi. Pensaci…”.
Sam digrignò i denti, infastidito, poi si allontanò di corsa.
Mentre parlavano, Emmett era sceso a sincerarsi delle mie condizioni. Mi abbracciò, ma non ci feci nemmeno caso. Avevo ancora negli occhi le lacrime di Leah e poco importava che stessi bene. Sam l’aveva fermata e ora mi trovavo nella condizione di dovere qualcosa a un altro del branco. Tutti mi salvavano, senza che lo meritassi. Il loro buonismo, come se dovessero vincere i campionati di bontà oppure guadagnarsi il paradiso, mi dava sui nervi. Mi divincolai brutalmente dalle braccia del mio compagno, che apparve sorpreso del mio gesto. Carlisle si avvicinò.
“Entriamo in casa. Voglio vedere la ferita sul collo…” disse.
“Non è niente”.
“Preferisco darci un’occhiata ugualmente”.

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Capitolo 37
*** La tenerezza di un fiocco di neve - III parte ***


Mi sedetti in salotto e lui scrutò attentamente i segni lasciatimi da Leah. Nel frattempo fra gli altri membri della mia famiglia si era scatenata un’accesa discussione su come ci si sarebbe dovuti comportare col branco, se dovevamo cominciare a preoccuparci di un eventuale attacco da parte loro, etc. etc. Non ascoltai una sola parola. Anche Carlisle mi stava parlando ma non capivo nulla di quello che stava dicendo. Lo vedevo muovere le labbra, ma sembrava che non ci fosse connessione tra le mie orecchie e il cervello. Mi limitavo ad annuire. Poi ci raggiunse Esme, che mi abbracciò e mi si sedette accanto.
“Come va?” domandò a suo marito.
“Niente di grave. Fra mezz’ora sarà come nuova, però stavolta hai rischiato davvero grosso, molto più che con Lehausle. Un centimetro più in alto…”.
“Perché sei intervenuta? Avevo detto che dovevate restare fuori da questa storia…” sgridai Esme, incurante del suo sguardo preoccupato.
“Ti avrebbe uccisa. Sono dovuta intervenire…”.
“E chi ti dice che non sarebbe stata una soluzione? Che non lo volessi anch’io?”.
Mi fissò sconcertata, cercando di trovare una spiegazione logica nei miei occhi. Poi esclamò, rassegnata:“Sei sconvolta e non ragioni, esattamente come Leah. Non avete la lucidità per affrontare questa situazione…”.
“E tu che lucidità hai?! Sei intervenuta nel bel mezzo di un combattimento. Potevi scatenare una guerra col branco, soltanto per salvare me. Bel gesto, davvero!” commentai acida.
“Non potevo lasciare che ti facesse del male…”.
“Non sono una bambina e non ho bisogno di essere difesa”.
“Sì invece. Ora più che mai”.
Scossi ostinatamente la testa, ma continuò:“Non sei una mamma, ma un giorno magari capirai…”.
Queste parole mi fecero saltare i nervi. “Non capirò mai cosa voglia dire essere madre, ma di sicuro so cosa vuol dire vedere la propria amica fatta a pezzi!” urlai. Il tono acuto della mia voce chetò il dibattito degli altri, che si voltarono nella nostra direzione.
Esme mi mostrò uno sguardo angustiato e dispiaciuto di non potermi dare conforto di alcun tipo.
“Ieri sera ho ucciso un ragazzino. Lui era più piccolo di me, io avrei dovuto difenderlo, non il contrario. Tu non sai cosa ho provato quando gli ha rotto il collo… Nessuno lo capirà mai…” singhiozzai.
Avvertii gli sguardi compassionevoli dei miei familiari che mi ferivano più di mille coltelli. Salii di corsa la scala, mi gettai sul letto in camera mia e rimasi immobile su di esso per tutta la giornata.
Pensai a Seth, Tanya e Desirèe. I ricordi mi passarono davanti senza interruzione, come un film, e io ero incapace di cambiare canale. Il cuore era vuoto e contemporaneamente riempito solo dai sentimenti che provavo per loro, come se non esistesse niente altro. Mi sentivo sola, tremendamente sola. La mia famiglia cercava di sostenermi, ma faceva solo più danni, senza aiutarmi. Dentro ero distrutta e non immaginavo un posto dove avrei potuto trovare pace. Mi alzai e andai sul balcone. Si era fatta sera. Alzai gli occhi al cielo: era coperto, come sempre, ma non sarebbe piovuto. Ritornai stancamente in camera e mi specchiai. Il collo era tornato a posto ed io ero la solita bellissima e capricciosa  bambina.
Gli altri avrebbero combattuto per salvare questa faccia: che spreco di energie! E avevano pure il coraggio di sperare nel sostegno del branco. Utopie, per fortuna. Probabilmente non avrei più rivisto nessuno, ma non era quello che volevo. Mi sarebbe piaciuto spiegargli come erano andate le cose, come mi sentivo, confrontarmi con Leah, con un combattimento o a parole, come preferiva, come l’avrebbe fatta sentire meglio. Volevo che capissero come stavo, che peso mi portavo dentro. Non ero un’insensibile, ero consapevole di ciò che avevo combinato. E in un attimo decisi.
Mi vestii in fretta e scesi al piano di sotto dove mi scontrai con Edward.
“Dove pensi di andare, Rose?” domandò, conoscendo già la risposta.
“Non ce la faccio più…”.
“E’ pericoloso. Scordatelo!”.
Emmett e Jasper ci sentirono discutere e si avvicinarono.
“Che succede?” chiese mio marito.
“Voglio andare dal branco” dissi risoluta.
“Sei impazzita?! Non se ne parla neanche! Non aspettano altro per farti la pelle…” contestò vivacemente.
Tacqui, ben decisa a proseguire.
“Non intendi rinunciare, vero?” mi domandò Edward.
“No”.
“Rose, capisco che ti senta in colpa, ma a loro non interessa quello che provi. In ogni caso, adesso è troppo presto per cercare di intavolare una conversazione civile. Non ti ascolterebbero mai…” interloquì Jasper.
“La soluzione allora quale sarebbe? Il tuo potere?!” esclamai ironica. “Passare la mia vita attaccata a te in modo da farmi anestetizzare il cervello?! Io ho bisogno di parlare con loro, con Leah in particolare. E andrò. Punto”.
“Quei ragazzi non sono propriamente la calma personificata, come hai potuto verificare stamane. Non saranno capaci di controllarsi quando ti vedranno. E comunque, dovresti andare a La Push e questo violerebbe il patto. Come se ci fosse bisogno di qualche motivo in più per indurli ad ammazzarti…”.
“Sono già andata là, senza permesso, una volta e non mi hanno fatto niente…”.
“Già, ma Jacob stavolta non si fermerà” proferì Edward grave. “Ti vuole ammazzare, esattamente come Leah. Se non ci fosse stato Sam oggi, non so come sarebbe andata a finire”.
“L’hai appena detto: c’è Sam. Sicuramente lui non permetterà che gli altri mi facciano del male…”.
“E’ un buon capo, lo devo riconoscere, ma questo non lo mette al riparo da scatti d’ira…” si unì Carlisle. Tutta la mia famiglia si stava schierando compatta per impedirmi di commettere il mio ennesimo colpo di testa, ma ormai ero decisa e sarei andata avanti, a costo di dover questionare tutta la notte.
“Lasciamo perdere” esclamò Edward, esausto. “Tanto ci vuole andare a tutti i costi e io non ho intenzione di parlarne per ore. Per quanto mi riguarda, vacci, se ci tieni tanto, ma uno di noi verrà con te…”.
“Non ho bisogno della guardia!” soffiai.
“Vado io con lei!” subentrò Alice.
Jasper ribatté subito:“Non se ne parla neanche. Andremo io o Emmett!”.
Alice alzò gli occhi al cielo. “Credo, maritino, che la presenza di uno qualsiasi di voi, sortirebbe un cattivo effetto” disse.
“Cosa intendi dire?”.
“Pensaci un attimo. Dobbiamo fargli capire fin da principio che andiamo là in pace. Siamo vampiri e quindi non certo indifese, ma sempre donne. Ci odiano comunque, ma è difficile pensare che andremmo ad attaccare rissa, noi due sole”.
Gli altri si guardarono dubbiosi. A Edward sfuggì un risolino, poi andò a sedersi sul divano accanto a Bella, che aveva assistito con crescente curiosità a tutta la scena.
“E va bene” acconsentì Carlisle. “Però state attente e mantenete la calma. Se dovessero attaccarvi, rispondete pure: tanto una guerra in più o in meno non ci cambierà la vita”.
Mi voltai verso mia sorella: avrei voluto abbracciarla per la gioia! Avevo ottenuto quello che volevo e, come al solito, lei mi aveva aiutato. Mi ripromisi che l’indomani, per ringraziarla, l’avrei invitata a uno shopping sfrenato a Seattle e le avrei comprato tutto quello che voleva.
Uscimmo come due frecce dalla nostra villa, dirette, da qualche parte, a La Push. L’unico luogo che mi veniva in mente era First Beach, ma se non ci fosse stato nessuno là, dove diavolo saremmo andate? Non sapevo dove abitava Leah. Potevo solo sperare che alla spiaggia ci fosse qualcuno che mi accompagnasse da lei. Viceversa, avrei dovuto studiare una soluzione alternativa.
Stavo vagliando tutte le varie prospettive, quando in prossimità del confine, Alice si fermò di colpo. “Che c’è? Hai visto qualcosa?” le chiesi, tesa.
“No. Tutto ok”.
“E allora?”.
“Siamo al confine. Io mi fermo” disse semplicemente.
“Non capisco. Perché…?” domandai confusa.
Alice rise con malcelata soddisfazione. “Stavolta le mie visioni sono state più veloci del tuo cervello!”.
“Che vuoi dire?”.
“Che fra un chilometro esatto mi avresti chiesto di lasciarti andare da sola e io ti risparmio tempo e parole e ti lascio qui”.
Rimasi a bocca aperta. Il pensiero non mi aveva neanche sfiorata, anche se a dire il vero il mio desiderio più profondo fin dall’inizio era stato quello di non avere compagnia con me.
Le sorrisi, ma lei subito mi sgridò:“Comunque, sappi che non sono assolutamente d’accordo. E’ pericoloso. Non sai come reagiranno… Le cose potrebbero non andare per il verso giusto e forse tutto sommato sto facendo una cavolata a lasciarti sola”.
“Però mi farai andare ugualmente…”
Sbuffò. “Sì. Dirò agli altri che i licantropi hanno voluto parlare solo con te e che erano calmi. Cercherò di pensarlo fortemente, così eviteremo Edward, il ficcanaso, ma non garantisco nulla. E non farmi pentire della mia bugia, intesi? Se le cose dovessero andare male, dattela a gambe! Ricordati che finché stai con loro io non riesco a vedere il tuo futuro, e se ti aggredissero, non riusciremmo ad aiutarti…”.
“Grazie. Sono sicura che andrà tutto bene”.
Mi guardò con tenerezza, poi sembrò rabbuiarsi. “Che c’è?” domandai.
“Ho sempre pensato che io e te avessimo un bellissimo rapporto, che ci confidassimo tutto, però ultimamente ho dovuto rivedere la mia opinione, visto quello che mi hai tenuto nascosto…”.
“Alice, ascolta…” tentai di spiegare, ma lei mi fece un cenno con la mano, a significare che non voleva essere interrotta.
“Non ti sto rimproverando. E’ evidente che non volevi parlarne, anche se non capisco perché tu ti sia tenuta dentro questo peso. Ma ora stai cambiando e sono sicura che non mi dirai perché…”
 “Non sto cambiando. Sono solo triste…” mi giustificai.
Scosse la testa. “Non è soltanto questo. All’inizio pensavo che il malumore fosse dettato dalla tua crisi periodica con Emmett, poi mi sono resa conto che quella era soltanto il sintomo di qualcosa di più profondo. E più mi scervellavo, più non riuscivo a venirne a capo, tanto che alla fine mi ero convinta che fosse il matrimonio di Edward il vero problema. Poi con l’arrivo di Desirèe è stato tutto chiaro. Quella ragazza ti ha mandato in crisi. Non solo perché Tanya ha realizzato il suo sogno di madre, ma perché lei ha stravolto il tuo mondo, quello in cui ti eri chiusa dentro per non soffrire…”.
“Hai ragione, Desirèe mi ha sconvolto. Sia in senso positivo che negativo” ammisi. “Se mi chiedi perché non te lo so spiegare, ma tramite lei e tutto ciò che l’ha riguardata, ho potuto leggermi dentro, e se devo essere sincera, non mi è piaciuto per niente!”.
“Non ti è piaciuto perché ti sei scoperta fragile”.
“”Fragilità” non è una parola del mio vocabolario” ridacchiai.
“Temo invece che dovrai farci l’abitudine”. Fece qualche passo fino ad appoggiarsi ad un albero. “In pochi giorni sei cambiata tantissimo…”.
“Non è vero…”.
“Sì, invece… Stamattina, ad esempio, hai difeso Bella: è stato sconvolgente per me. Non credevo che ti avrei mai sentito prendere le sue difese”.
“Ho capito che lei aveva fatto bene ad ospitare Desirèe quella notte e l’ho detto. Lei ha fatto qualcosa di molto più coraggioso di me…”.
“La stai difendendo anche ora… Dio, se è un sogno, non svegliarmi, ti prego!” esclamò alzando gli occhi al cielo e cingendo le mani a mo’ di preghiera.
“Smettila di prendermi in giro!” dissi, mettendo il broncio.
“Scusami, ma è da una vita che aspetto un ramoscello di ulivo nei suoi confronti e ora ne sono giustamente entusiasta. Però la cosa che non potrò mai dimenticare, in assoluto, è quella che hai fatto con Leah…”.
Abbassai gli occhi, inspiegabilmente a disagio. “Eri pronta a farti ammazzare pur di darle pace. E’ stato un bel gesto. La sorella che conoscevo io non l’avrebbe mai fatto, nemmeno in un milione di anni. Aiutare un licantropo era un’altra frase assente dal tuo vocabolario…”.
“Aveva bisogno di sfogarsi ed io avevo un errore da farmi perdonare. Però adesso la sorella che conosci da decenni vuole andare a scaricarsi la coscienza. Sono ancora come mi ricordi, no?” ammiccai.
“Ho visto una parte del tuo combattimento con Lehausle. Deve essere stato nel momento fra la morte di Seth e l’arrivo di Jacob. Sono stati solo pochi secondi, ed io stessa non ho capito se fosse una visione o semplicemente una paura, ma so quello che ti voleva fare per convincerti a confermare l’esistenza del branco: perché non gli hai detto dove trovarli?”.
“Lo dovevo a Seth” ammisi.
La vidi scettica. “Non mi credi? Seth era una persona incredibilmente dolce e gentile e ho voluto, nell’unico modo possibile in quel momento, sdebitarmi” affermai infervorata.
“Rosalie, sarò franca e spero che tu lo sia altrettanto…” disse, distogliendo volutamente lo sguardo dal mio. “Ho visto come guardavi Jacob quando ti ha riportato a casa, dopo il combattimento con Lehausle”.
“Non capisco…”.
“Non fare la finta tonta. Non adesso, almeno. Era uno sguardo pieno di devozione e ammirazione”.
“Mi aveva appena salvato la vita. Cosa avrei dovuto fare? Scuoiarlo?”.
“Quello sguardo l’avevo sempre visto rivolto solo a Emmett”.
“Che stai insinuando, Alice?!”.
“Che tu sia molto confusa. Tutto qui”.
“Cosa?! Mia cara, quello di cui tu stai parlando, va ben oltre la confusione. Sarebbe la pazzia totale, da ricovero in manicomio!” gridai con voce stridula.
“Perché? In fondo è un bel ragazzo…”.
“E’ un… sacco di pulci!” sputai.
“E’ un impulsivo, passionale, irritante, maleducato, spaccone. Ma è sicuro di sé e a te piacciono i tipi del genere”.
“Mi piacciono tanto che in ottant’anni di vita, il mio unico compagno è stato Emmett” contestai sarcastica.
“E’ molto simile a lui. Ma Jacob ha una cosa in più dalla sua parte: è umano”.
“E’ un licantropo! Uno schifosissimo, puzzolente licantropo!”.
“Ok. Ricordatelo sempre e andrà tutto per il verso giusto” concluse, sorridendo.
“Stai vaneggiando!” affermai esasperata.
“Lo spero anch’io. Adesso torno a casa. Non fare tardi” si raccomandò, poi sparì nella notte, lasciandomi incredula. Era pura fantascienza ciò che mia sorella aveva paventato. Non riuscivo a capacitarmene: il mio comportamento era stato così bizzarro da indurla a queste considerazioni? Niente affatto. Alice era la fanatica di soap opera, che tentava di vedere cose che non esistevano. Tutto pur di non prestare attenzione a ciò che stava accadendo sotto i nostri occhi.
Ma ora non avevo tempo di pensare ai vaneggiamenti di mia sorella e pertanto attraversai il confine. Dopo pochi metri, iniziai a chiedermi dovevo potevo andare. Mi ero diretta verso la spiaggia, però stavo cominciando a nutrire dei dubbi a proposito. Là avrei potuto incontrare qualsiasi membro del branco, ma io volevo Leah e, per avere un colloquio civile con lei, avevo bisogno anche di Sam. Ma non avevo la più pallida idea di dove trovarli. Non sapevo dove abitavano e non potevo girare tutto il paese cercando scie di licantropi.
Optai per la soluzione più scontata e cambiai direzione. Entrai nella minuscola cittadina e avanzai, a tentoni, cercando di riconoscere le strade, percorse una volta sola. Dopo un paio di svolte a vuoto, trovai la via giusta. Rallentai il passo, circospetta, fino ad arrivare alla mia meta. La casa di Jacob.
Di notte sembrava ancora più piccola, simile alla casetta dei sette nani. Rimasi imbambolata sotto l’albero di un giardino che la fronteggiava. E adesso? Dovevo suonare? Forse erano già a letto. Era quasi mezzanotte. Una luce però era ancora accesa. Qualcuno era sveglio. Forse Jake, forse suo padre o sua sorella. Che cosa avrei dovuto fare? Se mi avesse aggredito senza darmi il tempo di parlare? Avrei dovuto combattere per difendermi, ma allora che senso avrebbe avuto la mia venuta?!
No, avevo sbagliato. Era meglio se tornavo a casa. Tuttavia non riuscivo a prendere la decisione di muovermi da lì. Rimasi immobile per parecchio tempo, in attesa, poi improvvisamente la porta di casa sua si aprì e ne uscì Rachel con un sacco di plastica in mano, diretta verso il bidone dell’immondizia. Non ci pensai nemmeno un attimo e la raggiunsi, troppo silenziosamente.
Quando buttò la spazzatura, fece per tornare in casa, ma sobbalzò nel vedermi inaspettatamente vicina a lei. “Rosalie?! Che diavolo fai qui, a quest’ora?” domandò allarmata.
“Sono qui per…”.
“Non puoi stare qui. Voi non potete entrare a La Push!” esclamò alterata. Dunque, sapeva chi ero. Meglio, mi faceva risparmiare tempo con inutili spiegazioni.
“Lo so, ma ho bisogno di Jacob. E’ in casa?” domandai incurante delle sue obiezioni.
“Jacob?! Ma ti rendi conto di quello che stai chiedendo? E’ infuriato a morte con te, come lo sono tutti gli altri! Se ti beccano, ti staccano la testa prima che tu dica A… Vattene, è meglio” e tornò sui suoi passi.
La trattenni per un braccio. “Non hai risposto alla mia domanda. Tuo fratello è in casa oppure no?”.
“No e non ho la più pallida idea di dove sia. Lasciami!” ringhiò.
Certo che per essere soltanto un’umana, ne aveva di fegato! Parlare con quel tono insolente a una vampira, di notte, in una strada deserta: evidentemente l’arroganza era un vizio di famiglia ma in lei mi piaceva.
“Dove abita Leah?” continuai per nulla scoraggiata.
“Cosa?! Ma che diavolo credi di fare? Se sei venuta a creare maggior scompiglio e pensi che ti aiuti, scordatelo!”.
“Devo parlarle”.
Rachel mi fissò sgomenta poi respirò profondamente e più volte. “Stammi a sentire” disse, con ostentata calma. “So quello che è successo con quel vampiro, so che è morta anche una tua amica ed al contrario di Jacob e di quella manica di scalmanati, di cui, ahimè, fa parte anche il mio ragazzo, so che non è stata colpa tua. Posso capire cosa provi e perché vuoi parlare con Leah ma non è così che otterrai il suo perdono. Non è in condizione di ragionare. Complicheresti tutto ancora di più. Ti odiano e ti vogliono morta, dal primo all’ultimo. La cosa migliore che puoi fare è sparire. Tu e tutta la tua famiglia. Andatevene e lasciateci in pace. Non vi vogliamo più nei paraggi”.
Di colpo tutte le mie buone intenzioni vennero meno. Non dissi nulla, repentinamente consapevole che qualsiasi cosa avessi fatto non sarei mai stata perdonata.
“Io torno dentro. Non dirò a Paul che sei venuta a La Push, ma vattene alla svelta!” si raccomandò, e rientrò a passi concitati.
Quando sentii lo sbattere della porta, seguii il suo consiglio. Non avevo concluso niente. Ma cosa credevo di fare andando lì? A farmi osannare per il mio coraggio e che sarebbe finito tutto davanti a un boccale di birra? Che stupida. Continuavo a non capire che cosa avevo combinato, che cosa avevo distrutto.
Una volta raggiunta la strada principale, girai dalla parte sbagliata, senza neanche accorgermene. Me ne resi conto solo quando mi trovai dinanzi al lungomare. Udii lo scrosciare delle onde sulla riva. Era una rassicurante melodia. Scavalcai il muretto e avanzai prudentemente. Non c’era nessun licantropo nei paraggi e non ne avvertivo nemmeno la scia.
Parte della luna si specchiava nell’oceano, dando l’illusione che ci fossero milioni di cristalli. Mi inginocchiai e immersi la mano nell’acqua.
Rimasi in quella posizione con il cuore e la mente vuota, fino a quando non prestai attenzione al rumore della risacca. Jacob mi aveva detto che sotto il promontorio c’era una grotta in cui andava ogni volta che voleva stare solo. Poteva essere lì. Non pensai alle conseguenze e andai.
Per accedere alla grotta, dovetti scavalcare alcuni scogli resi particolarmente scivolosi dagli spruzzi delle onde.
Quando mi ritrovai all’ingresso, scrutai attentamente l’interno. Era buio pesto, non c’era nemmeno la scarsa luce della luna a illuminarlo. Ma io avevo ugualmente una buona visibilità e lo trovai.
Era rannicchiato, la testa appoggiata sulle ginocchia. Se non avessi memorizzato il suo odore, non lo avrei potuto riconoscere. Entrai silenziosamente perché non volevo disturbarlo; tuttavia non avevo nessuna intenzione di andarmene.
Avanzai di qualche metro, aspettando che alzasse il capo, sentendo la mia scia, ma non accadde. “Jacob…” sussurrai, desiderosa di attenzione, ma non sembrava volermene concedere. Pensai che stesse dormendo. Feci qualche altro passo e udii il suo respiro: irregolare. Era sicuramente sveglio ed era impossibile che non si fosse accorto di me. Ero troppo vicina.
“Jake…” ripetei, ed il silenzio fu ancora una volta la risposta che ottenni.
Mi ritrovai in piedi davanti a lui, incerta. Sarei dovuta andare via, dato che era evidente che non aveva nessuna intenzione di parlarmi, e anzi dovevo ringraziare il cielo che non mi fosse ancora saltato addosso per la rabbia, ma qualcosa mi tratteneva. Il mio senso di colpa. E allora, se ero lì per avere l’assoluzione, tanto valeva che parlassi invece di stare immobile, come una statua di sale.
“Cosa vuoi?” mi domandò, togliendomi dalle spine. Non mi aveva guardato e continuava a tenere testardamente la testa reclinata.
“Sono qui perché volevo parlarti…” dissi poco convinta.
“Non abbiamo niente da dirci”.
“Voglio solo dirti che mi dispiace per quello che è successo ieri. Mi avevi avvisato, ma ci siamo andati ugualmente. L’idea è stata di Tanya e Seth e io non ho avuto il coraggio di oppormi. Con questo, non voglio dire che la colpa sia stata loro, ma voglio solo farti capire che io avevo cambiato idea, dopo la nostra conversazione e non avrei mai combattuto…”.
“Evidentemente non eri sufficientemente convinta…” mi interruppe.
“No…” replicai confusa. “Il fatto è che loro ci sarebbero andati lo stesso e non ho voluto lasciarli soli, non dopo quello che non avevo fatto per proteggere Desirèe. Mi sono sentita in obbligo verso Tanya. Lo so che ho sbagliato perché se gli fossi stata veramente amica li avrei dovuti fermare, anche con la forza, e invece non ho riflettuto…”.
“Che cosa sei venuta a fare qui?” tagliò corto.
“Voglio ringraziarti per avermi salvato ma so che meritavo di morire ieri. Ho sbagliato tutto, dall’inizio alla fine. Ho lasciato morire Tanya, non sono stata capace di combattere con Lehausle e mi sono fatta difendere da Seth. Sono stata assolutamente inutile. Oggi siete venuti a casa nostra per punirmi e mi dispiace che Esme vi abbia fermato”.
“Sei qui per farti ammazzare? Una prospettiva interessante…” ridacchiò.
Non gradii affatto la sua affermazione. Non stava prendendo sul serio quello che gli stavo dicendo, come sempre. E il fatto che non mi guardasse mi irritava profondamente. Mi inginocchiai davanti a lui, sperando che con il mio gesto sarebbe stato costretto a incontrare i miei occhi, ma non lo fece.
“Se potessi prendere il posto di Seth, lo farei volentieri. Il dolore che ho causato non potrà mai essere cancellato, ma quello che ti chiedo di capire è che gli volevo bene davvero e che il pensiero di dover passare tutta la vita con questo rimorso mi distrugge. Inoltre ho messo in pericolo tutta la mia famiglia. Sono profondamente disgustata di me stessa…”.
“Dunque sei pentita e vuoi l’assoluzione?”.
“N-no” mormorai. “Nessuno potrà mai darmela…”.
“Io invece penso che te la darò…”.
“Cosa?!” esclamai sbigottita.
Non ebbi il tempo di capire cosa intendesse perché me lo ritrovai addosso. Mi buttò a terra, mi afferrò i polsi e me li spinse contro il petto. Finalmente lo vidi in faccia. Aveva uno strano sorrisetto e in quegli occhi neri non brillava più quella luce che io trovavo straordinariamente affascinante. Erano vuoti ed era colpa mia se lo erano diventati.
“Sai dove sei, altezza? Nel mio territorio, in violazione plateale dell’accordo, e questo significa che posso ucciderti senza neanche scatenare una guerra con la tua famiglia. Direi due piccioni con una fava!”.
Non risposi. Avevo fatto affidamento sulla presenza di Sam, ma lui non c’era. Avrei voluto parlare con Leah ma, visto come stavano le cose, non sarei riuscita a farlo. Avrei voluto fargli capire cosa provavo, ma a giudicare da come mi guardava, non c’ero riuscita. Mentre poc’anzi mi ero sentita parlare, io stessa non mi sarei creduta. Ogni parola suonava falsa e ipocrita e trovavo una sottile giustizia divina nell’essere uccisa da chi mi aveva salvato.
“Non dice niente, altezza?” domandò.
Il mio silenzio lo irritò e mi colpì in pieno viso con uno schiaffo. Non con la stessa forza di Lehausle, ma fece tanto più male.
“Allora? Vuoi dire qualcosa, o no?” mi incalzò, furibondo.
Mi limitai a guardarlo negli occhi.
“Tu ieri hai ucciso il mio migliore amico e io te la farò pagare, subito”.
“Perché non l’hai fatto ieri, allora?”.
“Dovevo mantenere una promessa, ma ora non è più valida. Posso procedere come voglio…” rise amaramente.
Tentai di divincolarmi dalla sua stretta, dandomi come spiegazione il fatto che volessi salvarmi, che non volessi morire davvero. Ma fu inutile, anche perché mi accorsi solo pochi secondi più tardi che non era l’istinto di sopravvivenza a guidarmi ma qualcosa di ben più orribile: la gioia nel dargli soddisfazione. Se mi fossi ribellata, se avessi combattuto, se avessi fatto finta di combattere, sarebbe stato più appagato nell’uccidermi. Mi aveva già graziato perché gli avevo fatto compassione e ora non volevo incorrere nello stesso pericolo. A differenza di quella volta però, io non volevo morire, ma se lui fosse stato meglio, allora ne sarebbe valsa la pena. Non mi sarei fatta uccidere da nessun altro, a parte Jake. Solo lui poteva avere diritto di vita e di morte su di me. Ogni volta che ci eravamo visti aveva salvato una parte di me ed era giusto che fosse lui a decidere che cosa doveva essere della mia vita.
Scalciai e riuscii a colpirlo in un polpaccio. Non gli feci male, ma si distrasse e sgattaiolai via. Si riprese subito e mi afferrò per una caviglia, tirandomi di nuovo a sé. Per difendermi gli piantai, non troppo in profondità, le unghie nel braccio. Mi prese per la gola e mi sollevò, sbattendomi contro la parete rocciosa. Mi dibattei per qualche secondo ma non toccavo terra con i piedi e le sue mani si piantarono nel collo con maggior impeto. Le mie forze cominciarono a scemare: bastava che stringesse un po’ di più… Non pensai più niente, sicura che stavolta sarebbe stata la fine, invece caddi a terra, come un sacco vuoto.



Volete sapere come va a finire? Non smettere di leggere!!!!!

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Capitolo 38
*** La tenerezza di un fiocco di neve - Parte IV ***


Mi rialzai quasi subito e lo guardai. Era in piedi davanti a me, ma arretrato di parecchi metri. Respirava affannosamente. “Jake, che…” iniziai.
“Vattene!” disse perentorio.
“Che succede? Che ti prende?”.
“Vattene, ho detto!” urlò con furore.
La mia immobilità lo costrinse a chiarire ciò che pensava. “Se non te ne vai, sarò costretto a ucciderti e non posso farlo…”.
“Perché?” chiesi ostile.
“Perché altrimenti non sarebbe servito a niente!”.
“Hai fatto un errore ieri e ora puoi rimediare. Sono qui, davanti a te… Puoi vendicare Seth!”.
“E cosa concluderei? Non tornerà in vita! Non credere che non muoia dalla voglia di farlo, ma lui non vorrebbe…”.
“Lui?! Lui è morto, l’ho ucciso io con la mia inettitudine e tu stai lì, come un idiota, in attesa della sua benedizione?!”.
“Non mi provocare, Rose, mi sto trattenendo a fatica!” ringhiò.
“Jake, io non merito niente…” dissi.
“Credimi, nessuno lo sa meglio di me, ma ieri Seth mi ha chiamato per salvare te e io non posso non pensare che non devo farti del male. Non adesso almeno. E non per vendicarlo. Quindi tornatene a casa e lasciami in pace!”.
“No” replicai convinta.
“Vedo che continui ad avere manie suicide…” commentò ironico.
“No, me le hai tolte tutte tu… Resto soltanto perché voglio farti capire che sono sinceramente pentita di quello che ho fatto e che voglio aiutare sia te che Leah. E se l’unico modo per farlo è combattere, allora combattiamo!”.
“Non puoi fare niente” mi liquidò. Si sedette pesantemente e rimase in silenzio, come se volesse deliberatamente ignorarmi. Inaspettatamente continuò:“Nessuno può fare niente. Ormai è tardi e la colpa è anche mia. Non avrei mai dovuto lasciarlo solo…”.
“Che stai dicendo? Non l’hai mai lasciato solo. Seth mi ha raccontato quanto tu gli sia stato vicino dopo la morte di Desirèe. Sei sempre stato con lui…”.
Scosse la testa. “No, nel momento del bisogno, del vero bisogno, io non c’ero. Mi sono illuso che ci fosse solo dolore nel suo cuore, che si fosse rassegnato e invece non era così. Mi aveva raccontato dell’incontro con Tanya e non l’ho accompagnato. Ha detto che preferiva andarci da solo e l’ho lasciato fare. Non avevo minimamente pensato che Tanya l’avrebbe convinto a…”.
“Jake, nessuno l’avrebbe mai pensato. Se avessi solo lontanamente immaginato quale sarebbe stato l’epilogo di quell’incontro, avrei fatto di tutto per impedirlo”.
“Se non avessi perso tempo con Quil e mi fossi trasformato prima, in vista della ronda serale, sarebbe ancora qui. E ora lui non c’è più… Quante cose avremmo potuto fare insieme e non avremo più occasione…”.
Si interruppe per lasciare spazi a sommessi singhiozzi. Da quando lo conoscevo, non l’avevo mai visto così vulnerabile e indifeso. Dov’era finita la sua proverbiale spavalderia?
Mi inginocchiai. Sentivo il cuore frantumarsi in pezzi sempre più piccoli. Avrei voluto consolarlo, in un modo qualsiasi, ma non sapevo cosa fare, né dire.
“Non sai quante volte in queste 24 ore mi sono chiesta se le cose non avessero potuto andare diversamente e non sono riuscita a darmi una risposta sensata. Forse era destino, forse no. Sta di fatto che devo ringraziare solo te se sono ancora in vita…”.
“Devi ringraziare Seth. Io non sono venuto per te, ma per tentare di salvare lui. E ho fallito”.
Gli passai una mano fra i capelli. Esme lo faceva con me nei momenti in cui ero triste e sortiva sempre un effetto benefico. E per qualche istante sembrò funzionare anche con lui: smise di piangere e io mi sentii meglio, come se il mio viaggio fin lì avesse avuto un senso, come se avessi assolto il mio compito e potessi tornarmene a casa, felice e soddisfatta. Ma durò solo pochi secondi.
“Vattene e lasciami in pace. Voglio stare da solo” disse.
Gli sollevai il viso delicatamente per asciugargli le lacrime. I nostri sguardi si incrociarono e fu tutto. In quegli occhi neri vidi me stessa: i miei capricci, i miei pianti, i miei comportamenti immaturi, le mie insicurezze. E soprattutto le mie bugie. Tutti non avevano mai perso occasione nelle ultime settimane per rimproverarmi un atteggiamento falso e ora mi scoprivo a dargli ragione. Nella maniera peggiore.
Seth e Tanya erano morti, la mia famiglia condannata a combattere i Volturi e il branco a difendersi da loro. E io? Ero corsa a La Push per parlare con Leah e Jacob, per sciogliermi dinanzi a loro in mille patetiche scuse e ottenere il perdono che mi sarebbe servito per continuare a vivere dignitosamente. Ma ora avevo perso la maschera. In realtà non ero lì per dare conforto, per espiare le mie colpe o per fargli capire il mio dolore. I motivi erano ben altri.
Mi scorsero nella mente le parole di Alice e capii che la mia acuta sorellina aveva intuito tutto prima di me. Qualcosa scalciava e non sapevo come domarlo. Sapevo cos’era, lo sapevo da quella sera a Port Angeles. Ne leggevo le parole, ne capivo il significato, ma era così difficile per me ammetterlo. Continuavo a ripetermi che stavo sbagliando, che stavo fraintendendo i miei sentimenti, eppure sentivo le sensazioni che brancolavano nell’oscurità del mio cuore e ad ognuna di loro avevo dato un nome.
Mi sporsi verso di lui e lo baciai. Non per attrazione fisica, compassione o gratitudine, ma solo per conoscere la verità, per avere la conferma di ciò che sentivo. E la ottenni. Nell’accarezzargli le labbra gli ultimi dubbi si dissolsero. Provai un’emozione che andava ben oltre la solidarietà e la condivisione di angosce e paure. La sentii insinuarsi in ogni residua parte del mio corpo: aveva trovato un modo per entrare ed era tardi per opporsi al suo ingresso. Era una sensazione troppo intensa per sottrarvisi. Mi stava divorando e ne gioivo. Tutto quello che volevo era di fronte a me; tutto quello che volevo era poter restare sotto la sua luce, anche solo per un attimo.
Sarei rimasta per l’eternità in quella posizione: così avida delle sue labbra che non mi sarei staccata mai più. Ma non valeva lo stesso per lui.
Si alzò con un balzo e mi spinse indietro bruscamente. “Che diavolo stai facendo?! Sei impazzita?!” inveì.
Abbassai lo sguardo, incapace di inventare una risposta che giustificasse il mio comportamento senza ricorrere alla verità.
“Allora?! Sto aspettando!” continuò, alterato.
Tacqui. Non volevo renderlo partecipe delle mie emozioni, immaginando che mi avrebbe deriso.
“A che gioco stai giocando?! Credi di farti perdonare con un bacio? Credi che le cose si risolvano così facilmente?” mi accusò velenosamente.
“No!” sbottai. “Non l’ho certo fatto per questo!”.
La mia voce rimbombò con un fracasso terribile nella grotta. E ancora di più nel mio cervello. Avevo fatto l’ennesimo errore e avrei tanto voluto avere una bacchetta magica per ritornare indietro e cancellare tutto.
“Sai, cosa credo io? Che tu sia soltanto una ragazzina viziata che sta cercando nuovi divertimenti e sollazzi…” mi disse con voce tagliente.
“Non capisco cosa vuoi dire”.
“Che ogni giorno te ne inventi una nuova per rendere la tua vita meno noiosa. Come darti torto?! In fondo è sempre stato tutto facile per te e da quando sei nata questo sarà stato il tuo unico passatempo… Avere tutti i giochi di questo mondo non ti bastava mai, vero? Adesso vuoi le persone come giocattoli. Prima Desirèe, poi Seth e adesso hai deciso che è il mio turno. Ti sbagli di grosso, se lo credi!”.
“Non è vero!” urlai tremante.
“Sì, che lo è! Rosalie Hale è una bambina snob e capricciosa, ferma nei suoi diciott’anni, che si diverte cercando di attirare l’attenzione su di sé. Questa è la sua vita. Si è divertita fino ad ora, altezza? Se credi di prendere in giro anche me, come fai con quegli idioti della tua famiglia, hai sbagliato indirizzo!”.
Gli occhi mi si inondarono di lacrime, anche se feci di tutto per non farne uscire nemmeno una.
“Io non ti considero il mio giocattolo. Sicuramente hai ragione quando dici che sono superficiale, ma non farei mai una cosa del genere. Non a te” replicai.
“Perché no? Chi sono io per meritare tutta questa generosità? Non si è mai clementi con il popolo, potrebbe essere pericoloso, potrebbe montarsi la testa!” esclamò sarcastico.
“Smettila di parlare così! Smettila” urlai.
La mia reazione isterica lo placò. Rimase immobile davanti a me, con lo sguardo duro. Era evidente che non credeva a una sola parola di tutto quello che stavo dicendo e io volevo solo fargli capire che si sbagliava.
“Che cosa vuoi, allora?” domandò.
“Niente” balbettai.
“Se l’hai fatto per compassione, non ne ho bisogno. Da te meno che mai. Preferisco morire piuttosto”.
Scossi la testa.
“Ah già, dimenticavo che non puoi provare sentimenti altruistici nei confronti degli altri…” ridacchiò.
“Mi credi così ignobile?” sussurrai.
Il suo silenzio fu fin troppo eloquente.
“Anch’io nutro dei sentimenti, esattamente come tutte le altre persone. E provo qualcosa per te…” ammisi dolorosamente.
“Immagino… Come no?! Che cosa potrai mai provare, a parte odio, rancore, disprezzo? Il massimo che ti posso concedere è la gratitudine… Non arrivi più in là di questo”.
Il suo tono villano e strafottente mi fece imbestialire. E così gridai, con tutta la forza che avevo in corpo, ciò che la ragione mi stava supplicando di tenere per me:“Amore!!”.
L’avevo detto. Avevo fatto tanta fatica ad ammetterlo alla mia mente troppo superba e ora l’avevo sbattuto in faccia al diretto interessato, che non avrebbe perso tempo a prendermi in giro. E così avvenne. Iniziò a ridere. Prima sommessamente poi fino a sbellicarsi. Se non avessi saputo qual era la causa del suo divertimento, sarei stata immensamente felice, ma non in questo caso. Che diavolo mi era saltato in mente?! Perché non avevo tenuto chiusa questa boccaccia? Non riuscivo proprio a riflettere prima di agire? E poi cosa credevo di concludere? Era evidente il suo disprezzo per me. Non avrebbe mai provato niente di diverso, anche perché lui aveva la “sua” Bella. Non aveva bisogno di nessun altra. Tantomeno di una vampira.
Il mio orgoglio urlava a squarciagola di andarmene, tuttavia era così bello vederlo ridere. Sarebbe durato un attimo, ma quello spettacolo era solo mio.
“Sa, altezza, che lei riesce sempre a stupirmi?!” esclamò, tra un profondo respiro e l’altro, cercando di riprendere il controllo.
“Ne sono felice” ribattei fiera.
“Io se fossi in te, neanche un po’… Non hai proprio idea di cosa sia l’equilibrio”.
“E tu nemmeno!”.
“Peccato che io non vado a sbandierare sentimenti che non provo per darmi importanza! Cosa dovrei pensare da quello che hai appena detto? Che sei invaghita di me? Quando fino a una settimana fa dicevi che volevi ammazzarmi? Ma fammi il piacere…”.
Questo era davvero troppo. Arretrai di qualche passo e feci per andarmene.
“Dove stai andando? Non ho finito”.
“Per quanto mi riguarda sì! Me ne torno da dove sono venuta e non mi vedrai mai più, contento? Addio” risposi sbrigativa. Uscii in fretta e feci velocemente il percorso inverso per ritornare alla spiaggia. Non pensai a niente, solo a scappare, fino a che non la raggiunsi, poi fui costretta a fermarmi: avevo iniziato a singhiozzare, terribilmente avvilita. Non era il mio orgoglio a piangere, e nemmeno il dolore per essere stata respinta: era stato così gentile negli ultimi tempi che mi ero illusa che provasse qualcosa, ma, analizzando la situazione, non era credibile. Ero un vampiro e solo questo avrebbe dovuto distogliermi dalla mia illusione. Per giunta capricciosa e volubile. Quella sera a Port Angeles, gli avevo gridato che avrebbe dovuto guardarsi le spalle da me e ora andavo a dirgli che lo amavo? Era un’assurdità solo immaginarlo, perfino per me.
Mi sentivo ridicola. Un vampiro non può provare niente altro che odio nei confronti di un licantropo, eppure per me non era così, non lo sarebbe più stato. Jacob aveva abbattuto tutte le regole che conoscevo, come se fossero state un castello di carte. Eppure, dopo lo stupore iniziale, il nuovo mattino mi rallegrava. Avevo corso un rischio, rivelandogli una verità apparsami solo pochi istanti prima, ma non me ne pentivo. Non sarei riuscita a tenerla dentro. Era un’emozione che non potevo nascondere. Qualcosa che riempiva totalmente il vuoto del mio cuore. Un vuoto che non era più tale.
Ripensando all’ultimo periodo, capii quanto quasi tutte le mie azioni fossero state influenzate da lui, ma ora? Gli avevo detto che non mi avrebbe più rivista, ma come potevo mantenere la promessa? Avevo bisogno di lui. Non potevo stargli lontana. Questo fu il reale motivo delle mie lacrime: la consapevolezza che ora avrei dovuto sopravvivere alla sua assenza.
“Non avevo ancora finito…” mi disse, inaspettatamente alle mie spalle.
Trasalii. Mi passai velocemente una mano sul viso per asciugare le lacrime.
“Per me hai finito. Direi che il tuo pensiero è fin troppo chiaro!” replicai, simulando disinteresse.
Non rispose e io rimasi immobile, sperando che sparisse, ma avvertivo distintamente il suo respiro. Non se ne sarebbe andato. Decisi che l’avrei fatto io e mi incamminai.
“Dove te ne vai?” mi domandò.
“A casa mia, come ho già detto”.
“La recita è finita, dunque? Peccato… Era divertente” ironizzò.
Mi saltarono i nervi. Quella sera era particolarmente perfido. Non ci misi troppo a capire che era la sua vendetta personale contro di me, ma avrei preferito combattere per la mia vita piuttosto che subire i suoi sberleffi.
“La vuoi piantare?!” imprecai. “Non è una recita. Non ti sto prendendo in giro, ma non ha più importanza. Sono la sintesi di ciò che disprezzi ed è naturale che non mi possa aspettare niente di più. Però, ti chiedo una cosa, una sola…”.
“Sentiamo”.
“Non dirlo ai tuoi amichetti” mormorai. “Mi sento già abbastanza stupida…”.
“Ti vergogni di quello che provi?” mi domandò grave.
“No, affatto. Soltanto che non voglio essere compatita anche da loro…”.
“Lo sapranno ugualmente anche se non glielo dico. Me lo leggeranno nel pensiero alla prima occasione…”.
L’avevo dimenticato. Fantastico! Adesso sarei diventata lo zimbello di tutto il branco. A questo punto era meglio che i Volturi mi uccidessero subito!
Mi sembrava che le gambe stessero tremando e le forze svanendo. Ero moralmente esausta, ma una cosa stava verosimilmente crescendo: la rabbia. Avevo calpestato la mia dignità prima con questa stupida dichiarazione, poi implorandolo di non dirlo agli altri. Per giunta stavo piangendo, mentre al contrario lui si stava congratulando con se stesso per essere riuscito a ferirmi ancora una volta. Ma dentro di me l’orgoglio urlava che dovevo impedirlo in una qualche maniera, anche la più puerile.
“Ok, non importa. Tanto passerà presto. E’ solo una cotta. Due-tre settimane e sarà tutto come prima…” minimizzai forzatamente.
“Hai già fatto la diagnosi, dunque?” mi sorrise. Un sorriso morbido, affascinante e mi sentii morire.
Balbettai qualcosa che doveva essere un “sì” ma effettivamente non seppi mai cosa uscì dalla mia bocca. L’occhiata che mi aveva lanciato mi aveva mandato completamente in tilt e impiegai parecchi istanti a mettere a fuoco i suoi passi verso di me.
“Quindi anche a me passerà fra due settimane, dottore?” domandò, quando mi fu vicino.
“C-cosa?”.
“La cotta che ho per te” rispose semplicemente.
Pensai che mi stesse prendendo in giro, che volesse stritolare per bene ciò che restava del mio piccolo cuore. Rimasi imbambolata. Mi mise le mani sulle spalle e mi tirò a sé.
Ero talmente sconvolta che non riuscii a porre nemmeno un’obiezione, né a chiedere spiegazioni. Ma tutto fu chiaro quando il mio corpo iniziò a sentire il suo calore. Solo allora mi resi conto che mi stava abbracciando. Notai quanto delicata fosse la sua presa: dolce ma forte. Meravigliosa.
Mi sentii in paradiso tuttavia non contrassi un muscolo, come una bambola di pezza. Non volevo illudermi che non stesse giocando con me, non volevo fargli capire quanto avessi desiderato quel momento, e, vista la mia inerzia, mi lasciò andare.
“Non ti sto prendendo in giro, Rose” disse, come se avesse intuito le mie paure.
“Prima hai riso di me…” replicai confusa.
“Non ridevo di te, ma della situazione e del fatto che quel discorso avrei dovuto farlo io a te e non il contrario”.
“Ma tu hai detto che ti faccio schifo, che sono insopportabile, superficiale e…”.
“Stavo parlando di Rosalie Hale, non della mia Rose” si giustificò.
Lo fissai scettica, ripensando alle sue parole.
“La mia Rose è bellissima, dolce, sensibile e altruista. E’ una bambina fragile e insicura che si nasconde dietro a Rosalie Hale per difendersi dagli altri. E’ un po’ vanitosa, d’accordo, ma non si può avere la perfezione!” ridacchiò. Mi accarezzò i capelli teneramente. “E’ quella che vorrei mi abbracciasse adesso e non c’entra niente con Rosalie Hale” concluse.
Eseguii velocemente come se si fosse trattato di un ordine dato da un generale alle truppe, ma sicuramente i soldati non avrebbero ubbidito con il medesimo entusiasmo. Lo strinsi tanto forte, che protestò:”Mi vuoi soffocare, Rose?”.
“Scusami” risposi, allontanandomi prontamente.
“Ehi, dove vai? Ti ho detto solo di non stringere così forte. Ho ancora bisogno di respirare, al contrario di te…”
Se fossi stata umana, sicuramente sarei avvampata. Vicino a lui mi sentivo così impacciata e pensavo che tutto ciò che facevo fosse fuori luogo e inopportuno. Mi prese la mano e ne accarezzò il palmo più volte. Ero già felice. Si trattava di un piccolo gesto, ma era tutto.
Improvvisamente si voltò prima a destra, poi a sinistra, inspirando velocemente.
“Cosa c’è?” domandai allarmata, seguendo la direzione del suo sguardo.
“Jared” rispose, cupo. “E’ trasformato ed è a un chilometro da qui. Se ti sente o, peggio, ti vede, mi tocca combattere. Andiamo”. Strinse la mano che ancora teneva nella sua, e mi strattonò via. Non ebbi il tempo di oppormi e lo seguii. Quando fummo vicino al promontorio, invece di passare sugli scogli, come avevo fatto prima, mi tirò in acqua e arrivammo a nuoto all’ingresso della grotta. Mi spinse all’interno, mentre lui uscì. Ritornò dopo alcuni, per me, interminabili istanti.
“Credi che sentirà la mia scia?” gli domandai con crescente ansia.
“Se viene alla spiaggia la sente di sicuro, ma non sarebbe una prova schiacciante contro di te”.
“E se dovesse venire qui?”.
“No, non verrà. Questo è il mio rifugio personale e sanno perfettamente che quando sono qui non voglio scocciatori”.
“Ma se sentisse il mio odore in questa direzione…”.
“Non lo sentirà. E’ per questo che ti ho fatto passare in acqua. Gli odori svaniscono…”.
Non ci avevo pensato. Per il momento, quindi, potevo definirmi al sicuro.
A quel punto seguirono diversi minuti di imbarazzo. Le parole che aveva detto poco prima sulla spiaggia risuonavano ancora nella mia mente, ma avevo tremendamente paura che avesse cambiato idea nel tragitto, che fosse tutto un sogno e che in realtà non fossi nulla per lui. Se gli avessi chiesto qualcosa, forse avrebbe smentito o forse avrei capito di aver frainteso ciò che provava ed io non volevo che accadesse.
“Quanto credi che resterà Jared in giro?” gli chiesi con la sola intenzione di rompere il silenzio.
“Tutta la notte o quasi. Comunque, non ti preoccupare. E’ sufficiente che vada dall’altra parte di La Push e potrai tornartene a casa senza correre il pericolo di incontrarlo…”.
“Come faccio a sapere quando se ne andrà?”.
“Jared è un abitudinario, fa sempre lo stesso percorso. Quindi più o meno fra una mezz’oretta, potrai andare… Hai fretta di tornare a casa?”.
“No, ma il fatto è che sarà sicuramente l’una passata e a casa mia saranno preoccupati. Finché stiamo insieme, Alice non riesce a vedermi…”.
“Già, è vero…”.
Ero combattuta. Stavo con lui e non avrei dovuto pensare a niente altro, ma la mia famiglia era in ansia. Ero uscita per parlare con il branco, non per fare shopping, e ogni minuto che passavo lontana, per loro doveva essere fonte di angoscia. Non potevo ignorarlo e, per di più, avevo tanta paura di quello che Jacob avrebbe potuto dirmi, se avesse continuato la conversazione. Avrei voluto continuare a sentire quelle parole ma in un certo senso temevo la mia reazione.
Si appoggiò alla parete rocciosa e scivolò lungo essa fino a sedersi. “Sii paziente un pochino, poi andrai…” risolse. “Ti va di sederti vicino a me?”.
Annuii e mi accomodai profondamente a disagio.
“Sai” iniziò, senza darmi tempo di elaborare un possibile argomento di conversazione “forse ti starai chiedendo perché ti abbia detto quelle cose sulla spiaggia e poco prima avessi cercato di staccarti la testa…”.
“No, non me lo stavo chiedendo…”.
“Il fatto è che hai il dono di trovarti sempre al posto sbagliato nel momento sbagliato” disse, incurante della mia affermazione. “Ero molto arrabbiato con te per quello che hai fatto e se devo essere onesto lo sono anche adesso. Non avresti dovuto andare con Seth e Tanya da Lehausle. Ti avevo detto chiaramente di non farlo e non mi hai dato retta. Ma so anche che lui era molto testardo. Quando si ficcava in testa una cosa era quella, soprattutto quando si trattava di Desirèe, e se tu non li avessi seguiti, ci sarebbero andati ugualmente. Non è stata colpa tua se è morto. Tu avevi le stesse possibilità di morire. E’ stato un colpo di fortuna a salvarti, lo stesso che ha ucciso Seth. Tu sei sopravvissuta e in un qualche modo ti riteniamo responsabile e non è giusto, lo so. Ma la razionalità non va per la maggiore in questo momento… Prima ti ho assalito, perché non riesco a dominarmi, ma non ce l’ho con te”.
“Non ti devi giustificare. Ti capisco” dissi.
“Anche dopo aver fatto fuggire Lehausle, mi sono avvicinato a te perché volevo sfogarmi con qualcuno. Ero accecato dalla rabbia e non ragionavo…”.
“Cosa?!” esclamai sbigottita. “Mi stai chiedendo scusa? Sono io che dovrei chiedere scusa a te e ringraziarti ogni volta che ti vedo per ciò che hai fatto, non certo il contrario!”.
“La morte di Seth è il dolore più grande che abbia mai affrontato negli ultimi anni e ho paura che non si attenuerà mai…”.
“Lo capisco” ammisi. “Ero venuta a cercarti perché volevo chiederti perdono e perché mi portassi da Leah per fare altrettanto”.
“Leah ti ucciderebbe e io non posso permetterlo… Finché sarò in vita nessuno dei miei compagni ti farà del male…” disse.
“Grazie” balbettai, confusa.
Mi fissò nel profondo degli occhi. “Non stavo scherzando prima, Rose. Non è la serata delle mie solite prese in giro. Ci tengo davvero a te. Sei la cosa più bella che mi sia capitata e non voglio perderla. Non mi importa se durerà due settimane o una vita: voglio solo starti vicino”.
In quel momento mi sembrò di aver vissuto tutta la vita in attesa di quelle parole. Come se il mio mondo avesse ricominciato improvvisamente a girare.
Spostò una ciocca di capelli dal mio viso e lo accarezzò. La sua attenzione si spostò sulle mie labbra. “Posso…?” sussurrò.
“Da quando chiedi il permesso?”.
“Da quando l’ultima, nonché unica, volta che è successo mi hai giurato vendetta. Anzi, se non ricordo male, dovrei guardarmi le spalle, o sbaglio?” ridacchiò.
“Già…” conclusi, distogliendo lo sguardo, imbarazzata al solo ricordare tutti gli insulti di cui era stato oggetto nelle settimane passate.
“Quindi…?” mi incalzò.
“Baciami” risposi.
Il brevissimo istante che seguì alla mia risposta durò un’eternità. Avevo desiderato tanto quel momento che temevo mi sfuggisse tra le dita. Volevo di nuovo le emozioni che avevo provato quella sera, al confine con La Push. Ma mi accorsi ben presto che non sarebbe stata la stessa cosa. Nel suo bacio non c’era alcuna traccia della passione che ci aveva uniti, ma fu infinitamente dolce.
I baci, gli abbracci, tutto per me era sempre stato sinonimo di fuoco e passione e quella sera mi aveva colpito perché aveva rispettato questa mia convinzione. Ora non era così. Il suo bacio era diverso, al confronto quasi timoroso, ma in esso racchiudeva una quantità di emozioni così variegate da farmelo ben presto preferire all’altro. Amore, tenerezza, protezione, gentilezza, affetto. Mi stava coccolando con un solo bacio. E lo adorai per questo.
Quando si allontanò, trattenni la mano sul mio viso per fargli capire che non ero affatto sazia. Mi sorrise e tornò a baciarmi. Ero così felice che non pensai più niente, a parte al paradiso in cui mi trovavo immeritatamente. Solo Jake esisteva. I Volturi, la mia famiglia, Seth, il branco. Niente ebbe più senso, soprattutto quando mi abbracciò.
Le mie mani accarezzarono più volte i suoi muscoli, che rispondevano con sussulti al loro passaggio. Iniziò a giocare con i miei capelli e i suoi baci persero la connotazione di tenerezza da me tanto amata per trasformarsi in ciò che c’era di più vicino a un braciere ardente. E a quel punto capii che ero molto vicina a superare quella linea a cui non pensavo mi sarei mai avvicinata.
Le sue mani scivolarono lungo i miei fianchi e mi tirò a sé. Lo strinsi più forte e il mio corpo aderì perfettamente al suo. Continuava a baciarmi e non dava segno di volersi fermare. Mi accarezzò la schiena, provocandomi mille brividi di piacere.
Poi si ritrasse bruscamente.
“Che c’è?” domandai, quando lo vidi alzarsi e allontanarsi di qualche metro. “Ho fatto qualcosa che non va?”.
“No, affatto, ma credo che sia meglio che ci diamo una calmata tutti e due. Soprattutto io…”.
Mi alzai e lo avvicinai. “Non capisco…”.
“Penso che tu non abbia ben chiaro con chi hai a che fare” disse, ostentando una risata sarcastica.
“Di che parli?”.
“Del fatto che tu sei una donna e io un adolescente preda dei suoi ormoni…”.
“Abbiamo circa la stessa età” farfugliai.
“Non sto parlando dell’età anagrafica o di quella che dimostriamo, ma del fatto che non riesco a starti così vicino, senza… fare niente. Non riesco a controllarmi come te!” disse, alzando lievemente la voce.
“Non ti sto chiedendo di farlo” ammisi, inaspettatamente anche per me.
Mi guardò incuriosito. “Di cosa stai parlando, Rose?”.
“Di quello che hai capito” dissi, imbarazzata da me stessa e dai miei pensieri. Jake non mi rispose e ogni sua esitazione diventò una coltellata nel mio fragile petto.
“Rose, tu non sei… libera” sussurrò a fatica. “Non voglio istigarti a fare qualcosa di cui poi ti pentiresti. Non ho detto quello che ho detto per arrivare a fare sesso. Mi basta restare abbracciato a te. Non chiedo di più”.
“Pensi che ti ritenga così meschino?” domandai.
“Non lo so. Sei molto bella e immagino che tu sappia come funziona il cervello degli uomini”.
“Non mi interessa il cervello degli altri, ma solo il tuo!” risposi indispettita. “So che non ragioni così, ma… è per il fatto che sono fredda, vero?”.
“Cosa?” mi domandò incredulo.
“Sì, è per via del mio corpo. E’ così freddo che non ti piace…” bisbigliai frustrata, fin troppo consapevole di aver colpito nel segno.
“Che stai dicendo? Non è affatto vero” dissentì con convinzione.
“Invece sì. Lo so che preferiresti un corpo caldo come il tuo, ma io non posso farci niente. E’ gelido e non posso scaldarlo. Sento il tuo calore ma a te dà fastidio non sentire altrettanto da parte mia” mi lamentai, sfregando le mani sulle braccia nell’inutile tentativo di scaldarle. “Non è bello, non è eccitante, non è niente di ciò che potrebbe piacere a te, ma ho solo questo. Non sono umana, non lo sarò mai più. So che non ti instillo desiderio, che non provoco niente, che posso stare solo con i miei simili, ma io…” e non riuscii a terminare la frase. Mi sentivo così inadeguata, incapace perfino di eccitare un uomo. Sarebbe dovuto essere tutto facile per me e invece per colpa di questo schifoso corpo, ogni cosa diventava insormontabile.
Jacob mi abbracciò.
“Credo che il tuo cervello sia definitivamente compromesso” sogghignò.
Percependo il suo tono canzonatorio cercai di calmarmi.
”Non hai capito niente di quello che ho detto…” continuò pacato.
“Ho capito invece. Stai solo cercando di indorarmi la pillola per non farmi sentire… diversa”.
“Vuoi la brutale verità? Te la dirò, però dopo non accetto lamentele a proposito. Tu sei la donna più desiderabile sulla faccia di questa terra. Il solo guardarti fa eccitare. Ma io non sono testosterone impazzito, tu hai una situazione che non posso ignorare e non mi sto riferendo al fatto che tu sia un vampiro e io un licantropo. Ho rispetto di questa cosa e del fatto che ti metterei in una brutta posizione. Mi sono fermato per questo motivo, non certo perché non ti desideri. Ultima cosa. Io quasi non sento nemmeno la differenza di temperatura: emano talmente tanto calore che scaldo tranquillamente anche te. E, ti posso assicurare, che i gradi in meno che hai sono stramaledettamente più eccitanti. Quindi per quanto mi riguarda, è anche peggio. Questo è tutto”.
“Davvero non ti dà fastidio?” domandai incerta.
“Da quando sei così insicura? Hai sempre trasudato presunzione da ogni poro…” chiese serio.
“Ho paura di non piacerti abbastanza…”.
“Mi piaci da morire, Rose. Penso di essere stato abbastanza chiaro. E non mi riferisco solo all’aspetto fisico. Quello è il meno. E’ come sei dentro che adoro. E questo non cambierebbe, di qualsiasi cosa fosse composto il tuo corpo. Poi” aggiunse “a me piace l’inverno. Accarezzarlo è qualcosa di unico”.
Sciolsi l’abbraccio e accennai un sorriso. “Preferisco l’estate…” bisbigliai.
“Allora siamo perfetti” concluse con un’alzata di spalle.
Mi alzai in punta di piedi e lo baciai. Quello fu il segnale che gli fece capire che volevo proseguire ciò che avevamo interrotto, nella convinzione, però, che non saremmo andati oltre il limite: ero abituata ad amoreggiare senza arrivare al punto e sapevo quando e come fermarmi. Non volevo altro che coccole. E lui era così bravo a farmi sentire amata, migliore. Mi piacevano le emozioni che mi inondavano tutto il corpo quando mi era vicino e mi ci abbandonai, non riflettendo sul fatto che i miei scrupoli sarebbero scomparsi, sommersi da esse. Gli scudi che mi circondavano crollarono silenziosamente, senza che me ne accorgessi. 
Insieme a loro, crollammo anche noi due e ci ritrovammo a terra, in balia di noi stessi. Allora fu lampante che non ero così brava a dominarmi, soprattutto quando mi sfilò i jeans. A quel punto ciò che restava della mia ragione mi implorò di tornare in me e pensare. Ma era più facile a dirsi che a farsi: avrei dovuto scuotermi, tentare di chiudere fuori il cuore e tutto sarebbe finito. Jake si sarebbe fermato se glielo avessi chiesto, ma questa era l’ultima cosa che avevo intenzione di dirgli.
Dapprima sperai che fosse lui a tirarsi indietro, come era successo prima. Tuttavia non volevo che lo facesse e iniziai una lunga lista di giustificazioni da sottoporre alla mia coscienza per farla tacere. Non ne ascoltai nessuna, così come non udii più nemmeno il suo seccante piagnucolare.
Incurante, gli sfilai i bermuda. Quando le sue mani raggiunsero i miei fianchi, rabbrividii di piacere, ansimante. “Rose…” sospirò, allontanando, purtroppo, le sue labbra dalle mie.
Scossi la testa.
Non poteva fermarsi, non adesso. Lo desideravo troppo.
Il suo viso era a pochi millimetri dal mio. Gli sfiorai il collo con la lingua. Questo fu l’ultimo gesto che la mia mente compì volontariamente. Subito dopo seguii soltanto ciò che il corpo e il cuore mi suggerirono.
Con un movimento fluido, mi sfilò gli slip, mentre io esploravo il suo corpo palmo a palmo, facendolo fremere. Mi circondò i fianchi con le braccia e mi sollevò, finendo a cavalcioni su di lui. Stava accadendo tutto senza che le nostre labbra si staccassero, come se fosse indispensabile per la nostra sopravvivenza che restassero unite.
Quello che successe dopo fu una serie di sensazioni indescrivibili e inimmaginabili.
Ci rotolammo parecchie volte sul terreno, reso ancora più duro dalle punte aguzze di alcune pietre che sporgevano da esso. Jacob non ci prestò attenzione e io avrei fatto altrettanto se una manica della maglietta non si fosse impigliata. Un nostro movimento brusco la strappò. Tuttavia nemmeno questo riuscì a distrarmi. L’unica cosa che calamitava la nostra attenzione erano i nostri ansiti e i nostri movimenti in sintonia. Il ballo si sospese un attimo soltanto quando mi spogliai completamente. Mi guardò, in contemplazione. “Oddio, quanto sei bella…” mormorò.
“Voglio essere tua stanotte” fu la mia risposta.
Non ebbi tempo di dire altro perché riprese a baciarmi. Dalla mia bocca scese su collo, spalle, seno, fianchi. Mi baciò ovunque, e gemevo a ogni passaggio delle sue labbra roventi. Prolungò quella dolce tortura per un tempo che mi parve infinito, fino a che, esausta, lo guardai implorante. Dischiusi le gambe e in un attimo fu sopra di me.
Fu un’ininterrotta sinfonia di gemiti fino a quando mi sentii gridare. Lo sentii gridare. Alla fine l’aveva avuta vinta per l’ennesima volta: quella sera, sotto la quercia, aveva detto che sarei tornata a cercarlo ed era accaduto davvero. Ero lì solo per lui. Non soltanto per i suoi baci, le sue carezze, i suoi abbracci ma soprattutto per un'altra cosa.
Gli sfiorai il viso lievemente sudato e mi persi dentro i suoi occhi, che mi fissavano come se fossi l’unica cosa bella di questa terra. Il suo cuore batteva all’impazzata. Immaginai che anche il mio avrebbe avuto lo stesso ritmo. Il mio respiro e il mio corpo avrebbero potuto essere caldi come i suoi. Quelle sensazioni potevano essere mie, tramite lui. E finalmente capii come avesse fatto Jake a diventare così importante: mi faceva sentire viva.
“Tutto ok?” mi domandò.
Seguirono lunghi attimi di silenzio e poi risposi con un debole flebito:“Ti amo”.
Mi sorrise e riprese a baciarmi.



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Preferite la coppia Jacob-Bella o quella Rosalie-Jacob (e di conseguenza vi va bene quella Edward- Bella)?
Fatemi sapere!

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Capitolo 39
*** Un dono dal cielo ***


Ero immobile da parecchio ormai. Forse un’ora. Ma non era una pena: la mia condizione di vampiro mi consentiva di mantenere la medesima posizione per molto tempo. E così ne stavo approfittando.
Jacob si era addormentato su di me e non avevo avuto il coraggio di svegliarlo. Era crollato quando avevamo finito di fare l’amore e ora dormiva silenziosamente. Doveva essere esausto, dopo i due giorni d’inferno che aveva passato ed era più che naturale che il suo fisico avesse ceduto.
Era la prima volta, dalla mia trasformazione, che vedevo una persona dormire così vicina a me. Aveva il capo appoggiato sul mio seno e sentivo il suo respiro debole, ritmico sulla pelle. Era una sensazione inusuale, ma meravigliosa. Lo guardai intenerita: sembrava un bambino. Riposava tranquillo, come se nulla potesse turbarlo. La serenità del suo viso mi indusse a immaginare che stesse facendo dei bei sogni e, se era così, non avrei mai fatto niente per svegliarlo.
L’unica cosa che mi infastidiva leggermente era di essere completamente nuda e stare lì, in un posto dove, in teoria, tutti potevano entrare. I miei vestiti giacevano a pochi metri di distanza ma, per raggiungerli, avrei dovuto spostarlo e non volevo assolutamente. Non avevo molte alternative, a parte l’immobilità, e ovviamente optai per quella.
Ogni tanto, delicatamente, gli accarezzavo il braccio che era appoggiato sul mio fianco. Mi piaceva coccolarlo.
La notte appena passata non era stata all’insegna delle coccole, però avevo imparato una cosa: i licantropi hanno la stessa resistenza dei vampiri. La parte lussuriosa di me ne aveva tratto giovamento e goduto selvaggiamente. Era stato tutto fantastico, e lontano da ogni mia fantasia. Fino a ventiquattr’ore fa non avevo nemmeno preso in considerazione che quello potesse essere l’epilogo della serata. L’effetto inebriante stava continuando e l’unica cosa che mi disturbava era quella parte di coscienza che, zittita dalle carezze di Jacob nella nottata, si stava risvegliando. Ne sentivo ogni tanto il tono accusatorio e mi irritava. Lo sapevo anch’io che il mio comportamento era stato disonesto nei confronti di tutti, ma, ora, alla luce del giorno, me ne pentivo? No. Avevo promesso a Alice che sarei tornata presto e, guardando la luce che filtrava dall’ingresso, doveva essere l’alba da un pezzo. Sicuramente la mia famiglia doveva essere stata in ansia tutta la notte, mentre io stavo a sollazzarmi con un lupo. Era tutto sbagliato, ma la risposta alla domanda era sempre quella: l’avrei rifatto.
Pensai a Emmett e fu la prima volta, da quando ero uscita di casa. Immaginai il dolore che avrebbe provato se gli avessi raccontato cosa avevo fatto e sentii il cuore andare in frantumi. Come potevo fare per evitargli una simile sofferenza? Potevo solo tacere, ma cosa avrei risolto? E in quale maniera pensavo di proseguire? Alla luce del nuovo giorno volevo ancora disperatamente Jacob, ma come facevo a sapere che non fosse soltanto un’infatuazione? Avrei dovuto buttare all’aria decenni di relazione felice per puntare su un rapporto licantropo-vampiro? E stavolta la risposta era tutt’altro che scontata. Ero dannatamente confusa. Quando stavo con Jake, non desideravo altro e questo era già un indizio preoccupante; ma mi si stringeva il cuore al pensiero di quanto stessi facendo soffrire Emmett, anche in questo momento. Avrei dovuto svegliare Jacob e correre a casa, ma come potevo farlo, quando la sola prospettiva di non sentire più il suo respiro, mi feriva, come tante stilettate?
Quale poteva essere la soluzione?
Alla fine la parte peggiore di me replicò con un “Ci penseremo più avanti, c’è già troppo casino, senza aggiungerci anche questo!” alla mia coscienza, che, scoraggiata, si zittì.
Poi improvvisamente udii un brontolio, da tempo inascoltato. Era lo stomaco di Jake: aveva fame. Mi sfuggì un risolino che lo fece svegliare.
Aprì gli occhi assonnati e mi fissò leggermente imbambolato. “Buongiorno!” biascicò.
“Buongiorno” sorrisi.
Si stiracchiò e si mise a sedere, ancora confuso. Lo imitai e gli dissi:“Mi dispiace se ti ho svegliato, scusami…”.
“No, figurati. Anzi mi dispiace se mi sono addormentato ma era da due giorni che non dormivo ed ero a pezzi”.
“Non ti preoccupare, mi sono divertita persino a vederti dormire. Piuttosto, ti brontola lo stomaco: hai fame?”.
“Sì, parecchia. Credo che potrei mangiare persino te…”.
Gli porsi un braccio. “Prego, allora!” lo invitai suadente.
Lo afferrò e mi tirò a sé, stringendomi. Rimanemmo a lungo così ed ebbi la conferma che avrei potuto fare di tutto in questa vita se come premio avessi potuto godere di un suo abbraccio.
Alzai lo sguardo e, fissando la luce, domandai:“Che ore credi che siano?”.
“Mah… A giudicare dalla mia fame, direi le nove, più o meno…”.
“Cosa?!” gridai, divincolandomi. “E’ tardissimo. A casa mi uccideranno!”.
Mi alzai di prepotenza e corsi a raccogliere i vestiti. Li indossai frettolosamente, mentre Jake, assai più semplicemente, indossò i suoi pantaloncini.
“Calmati, Rose. Ormai, minuto più minuto meno, non cambierà niente”.
“Non capisci. Saranno inviperiti! Non li ho nemmeno avvisati che avrei fatto tardi. Avranno pensato che mi avete mangiato viva o chissà cos’altro!” replicai, sistemandomi la maglietta. E allora mi accorsi della manica strappata.
“Cazzo!!!” imprecai.
“Che ti prende?”.
“Si è rovinata!” dissi, indicandogli il danno.
“Calma, ne puoi ricomprare un’altra…” minimizzò.
“Questa è costata un occhio della testa!”
“Che ti importa? Tanto voi Cullen i soldi li fabbricate! E poi perché sei venuta a La Push vestita firmata? Dovevi pensare che si sarebbe rovinata!” sbottò, alterato.
“Dovevi stare un po’ più attento!” lo accusai.
“Non mi sembrava che i miei modi ti facessero tanto schifo stanotte!”.
Tacqui e l’istante successivo realizzai quanto infantile fosse la mia scenata.
Mi cinse le spalle e tentò di rabbonirmi:“Te ne ricompro un’altra, ok?”.
Abbozzai un sorriso:“Sai quante paghette ti servirebbero per comprarmene una uguale?!”.
“Ok. Si accettano pagamenti in natura?” ridacchiò.
“Ne possiamo parlare…”.
Quando sciolse l’abbraccio, mi sentii in dovere di scusarmi:“Perdonami, sono un po’ nervosa”.
“Non c’è problema” mi rassicurò. “Piuttosto, ti accompagno io a casa, così non se la prenderanno con te…”.
“No, è meglio di no. Preferisco tornare da sola. Non voglio che Edward ti legga nel pensiero”.
“E pensi di riuscire a impedirgli di leggere il tuo?”.
“Ormai sono abbastanza navigata. Sono riuscita a nascondergli alcune cose per decenni. Posso riuscire anche con questa…”.
“D’accordo. Cosa pensi di dire?”.
“Non lo so. Mi inventerò qualcosa che giustifichi anche la rottura della maglietta…”.
“Qualsiasi cosa tu dica, non reggerà in eterno. Prima o poi tuo fratello lo scoprirà”.
“Lo so, ma voglio soltanto prendere tempo”.
“Ok, come preferisci. Ti accompagno fino alla quercia allora”.
Uscimmo dall’anfratto e a lunghe falcate ci dirigemmo verso il confine. Durante il percorso, Jacob non mi guardò mai, neppure di sfuggita, né tantomeno mi rivolse parola. Mi pareva irrequieto, o, più semplicemente, irritato. E mi convinsi di aver detto qualcosa che poteva aver frainteso. Poco prima della quercia, mi fermai. “Jake, aspetta un attimo” lo chiamai.
“Che c’è?” domandò con voce piatta.
“Lo devo chiedere io a te. E’ successo qualcosa?”.
“No, niente” scrollò le spalle.
“E’ per prima, vero? Per come mi sono comportata…”.
Sembrò volermi rispondere, invece tacque.
“Sono un po’ confusa e voglio tornare a casa per tranquillizzare la mia famiglia. Saranno preoccupati. Non dipende da te…” spiegai, tentando di assumere il tono più naturale possibile.
“Credi che dovrei pensare diversamente?”.
“Non lo so” balbettai, insicura. Non riuscii a proseguire oltre. Mi fissava in cerca di conferme, ma io per prima non sapevo darne a me stessa. Volevo andare a casa, eppure avrei tanto voluto restare con lui. Mi dicevo che quella notte avevo fatto una cazzata enorme, eppure l’avrei rifatta cento volte. Avrei voluto vedere Emmett, ma avevo paura di affrontarlo. Mi guardavo intorno e l’unica cosa che volevo vedere era Jacob. Ero in un vicolo cieco e non desideravo uscirne.
Improvvisamente mi prese in braccio e cominciò a correre. Dopo alcuni momenti di confusione, realizzai che aveva preso una direzione differente rispetto a casa mia. Corse parallelamente al confine e io rimasi docilmente accoccolata, in attesa di una spiegazione plausibile.
Infine sbucammo in una radura, una delle tante che punteggiavano la foresta, anche se questa, a differenza delle altre, era estremamente piccola e ben delimitata. Mi depose a terra e volsi lo sguardo. “Perché siamo qui?” domandai incuriosita.
“Perché non avevo alcuna voglia di riportarti a casa!” rispose impudente.
Incrociai le braccia, fintamente stizzita. “Questo è un rapimento in piena regola signor Black! Credo che dovrò denunciarla!” dissi scanzonata. Ma Jacob non mi prestò attenzione: si incamminò verso un albero e, raggiuntolo, ne accarezzò la corteccia. “Mi sono trasformato qui, la prima volta…” affermò, assorto.
“Davvero?” domandai, improvvisamente seria. Mi avvicinai e notai dei graffi sul fusto dell’albero. Erano profondi e molto larghi: il mio dito ci passava interamente.
“Li hai fatti tu?” sussurrai.
Annuì.
“Mi chiedevo che cosa mi stava succedendo, se sarei più tornato umano e mi sono sfogato su di lui”.
“Eri spaventato?”.
“Sì. Avevo paura di dover dire addio a tutto quello a cui tenevo e che sarei rimasto lupo per sempre. Sono stati attimi orrendi. Il cuore mi batteva così forte che temevo mi scoppiasse, facevo persino fatica a respirare. Mi è sembrato di impazzire. Poi ho sentito la voce di Sam nella testa. Mi ha raggiunto e mi ha spiegato tutto. Dopo, se possibile, è stato anche peggio…”.
Capii cosa intendeva dire: ricordavo perfettamente lo sconforto che avevo provato quando Carlisle mi aveva descritto in cosa mi aveva trasformata e che sarei dovuta essere per tutta l’eternità.
“Avevo paura di non sapermi dominare, di fare del male alle persone senza rendermene conto, come era successo a Sam con Emily. E poi non potevo confidarmi con Bella, che era la persona a cui tenevo di più. Dover rinunciare a lei mi è sembrata la cosa più terribile che potesse accadermi nella vita. Mi sono chiesto a lungo che cosa avessi fatto di male per meritarmi una punizione simile, perché non potessi essere una persona come le altre e avere una vita normale. Tutti mi dicevano che era solo una questione di tempo e che mi sarei abituato, ma non volevo rassegnarmici. Secondo me, era un’ingiustizia e volevo porvi rimedio in una qualche maniera. Vi ho odiato ancora di più perché è stata la vostra prolungata presenza nel territorio a risvegliare i nostri geni, ma anche se vi avessi uccisi tutti le cose non sarebbero cambiate. E alla fine gli altri hanno avuto ragione: mi sono rassegnato. Ho avuto addirittura dei momenti dove ho ringraziato Dio per questa trasformazione perché così ero in grado di difendere mio padre e Bella dai vampiri, come è successo la primavera passata. Non ti nascondo che, col passare del tempo, ho avuto spesso dei deliri di onnipotenza. Fino all’altra sera. Quando ho visto Seth a terra, ho capito che potevo morire, che non ero abbastanza forte per difendere chi amavo e che la nostra natura è davvero una condanna. E’ duro risvegliarsi dal sogno in cui ti eri volutamente nascosto per evitare il contatto con la realtà…”.
Mi rifugiai tra le sue braccia, per tentare di dargli conforto, anche se forse ero io a cercarlo. Condividevo appieno le sue parole: era tutto un’ingiustizia. Tanya, Seth, Desirèe, le nostre nature… Il fatto stesso che io fossi lì con lui non sarebbe dovuto accadere. Un licantropo e un vampiro non possono avere questo tipo di rapporto. Possiamo solo tentare di ammazzarci l’un l’altro. Questo è tutto.
“So che non dovremmo stare qui, in questo momento, per un miliardo e mezzo di motivi, uno più valido dell’altro, ma non vorrei stare da nessun’altra parte, con nessun’altra. Sei il mio dono dal cielo e non voglio perderlo” affermò dolce, come se mi stesse leggendo nel pensiero.
“Io non sono umana…” balbettai.
“Non importa”.
Mi allontanai da lui di qualche metro.
“Non sarò mai la donna che ti meriti perché resterò sempre così, sempre uguale, sempre perfetta” dissi irritata da me stessa.
“Ribadisco che per me non è un problema, a meno che non lo sia il fatto che io non sono un vampiro…”.
“Certo che non è un problema! Io sto pensando solo a ciò che è meglio per te: una ragazza che ha un cuore che batte, che mangia…”.
“A rischio infarto e diabete quindi… No, meglio di no. Con te evito tutte le spese mediche!” ridacchiò.
“Sei proprio un idiota!” sorrisi.
“Un idiota che dipende da te…” puntualizzò amaramente.
Colmò con due passi la distanza che ci separava e mi sfiorò la guancia con le labbra. Sembrava che non riuscisse a starmi lontano e ne ero felice. “Anche gli angeli non respirano, non mangiano, non muoiono, non hanno un cuore che batte, eppure tutti li vorrebbero al loro fianco. Io ho la fortuna di averne uno vicino a me in questo momento…” mi bisbigliò all’orecchio.
Scivolammo a terra, abbracciati. Adoravo stargli vicina e, per l’ennesima volta in poco meno di un giorno, dimenticai di avere una famiglia che aspettava il mio rientro. Mi aveva paragonata ad un angelo ma in realtà era lui ad esserlo. Mi faceva sentire protetta, al sicuro, lontana da tutte le mie paure. Da quel giorno a Seattle era cambiata ogni cosa. La mia vita sembrava essersi rovesciata e più sentivo battere il suo cuore, più mi convincevo che una relazione licantropo-vampiro non fosse così surreale. Improbabile ma non impossibile.
“Cosa pensi di fare adesso?” mi domandò a bruciapelo.
Sobbalzai e non risposi.
“Che cosa siamo tu ed io? E’ una serata da archiviare o ce ne saranno altre?” continuò. “So che non è il momento giusto ma vorrei sapere come mi devo comportare…”.
“Non lo so” mormorai. “Sono un po’ confusa al riguardo. Tu cosa vorresti?”.
“Vorrei rivederti, frequentarti, ma io non ho niente da perdere, tu sì…” ammise sconsolato e io continuai a trincerarmi dietro un muro di silenzio, che lui fraintese.
“Senti, vuoi che facciamo finta che non sia mai successo niente, che…” iniziò.
“No!!!!” lo interruppi rumorosamente. La sola prospettiva mi spaccò il cuore in due. “Non voglio Jake. Tu sei importante per me. E’ solo che sta succedendo tutto rapidamente e voglio capire bene quello che provo”.
“Ok. Stavolta hai ragione tu. Andiamo con calma e poi vedremo… Chissà, magari fra due settimane mi vorrai ammazzare per vendetta!!! E, accidenti, se per un bacio questo era il tuo proposito, chissà che cosa ti dovrai inventare per vendicarti di stanotte!!! Cosa devo aspettarmi? Una tortura a fuoco lento?” ironizzò.
“Scemo!” lo colpii allo stomaco.
Ebbe uno spasimo e mi profusi subito in un miliardo di scuse. “Devi moderare un po’ la forza, Rose” si lamentò. “Non siamo in combattimento”.
Abbassai la testa, dispiaciuta. A volte dimenticavo che non ero una ragazza normale e lui, in forma umana, non era forte come un vampiro.
“Stanotte mi è piaciuto tantissimo, Rose” disse affettuoso. Questa sua affermazione irruppe nei miei pensieri con la forza di un tornado e mi riportò indietro. “Anche a me, Jake” risposi e lo fissai. Sembrava in imbarazzo e non ne capii il motivo.
“Lo dici sul serio?” investigò.
“Certo. Perché dovrei mentire?”.
“Non hai proprio niente da rimproverarmi?”.
“No, perché?”.
Iniziò a ridere. “Che ti prende?” domandai innervosita.
“Le cose sono due: o sei abituata male oppure io ho una vocazione naturale!!!” esclamò profondamente divertito.
Arricciai le labbra. Ma di cosa stava parlando? Mi arrovellai per qualche istante, poi compresi e lo accompagnai. “Non ci posso credere” ridacchiai. “E’ impossibile!”.
“E invece è proprio così”.
“Ma come?! Sui giornali, alla televisione non fanno altro che parlare del decadimento dei valori morali della nuova generazione e poi salti fuori tu, un maschio per giunta, che a diciassette anni non ha mai avuto un rapporto sessuale?!”.
“Sono stato troppo impegnato con gli amici a sistemare moto, macchine e… a fare ronde per i boschi!”.
“Questo è vero, però pensavo che gli ormoni venissero prima di tutto, in un ragazzo!”.
“E invece ti sei sbagliata, tanto per cambiare!”.
“Comunque, sei stato molto bravo, considerando che sei un novizio! Direi che sei portato per la materia!” risi poi, alzando gli occhi al cielo, esclamai con un velo di sarcasmo:“Oh mio Dio, ho svezzato un ragazzino!”.
“Ragazzino, a chi?!” sbottò, offeso. Mi spinse indietro e caddi a terra, ridendo. Tentò di baciarmi ma lo respinsi. Rotolammo per qualche metro senza smettere di ridere.
Cielo, come stavo bene! Esisteva qualcosa che poteva rovinare quel momento? Sì, esisteva.
“Bene. Visto che mi sembra di essere stato preso in giro a sufficienza, parliamo di te. Com’è stata la tua prima volta? Stupefacente come per me, immagino” mi sbeffeggiò.
Le risate si spensero di colpo. Distolsi lo sguardo e Jacob se ne accorse. “Che c’è? Ho detto qualcosa che non va?” chiese impacciato.
Mi liberai dalle sue braccia per guardare le nuvole che ondeggiavano nel cielo.
“Rose, che ti prende?” continuò ma non risposi.
“Ero ancora umana quando successe…” replicai con voce piatta.
“Credevo che fosse una cosa divertente da raccontare ma se non lo è, lasciamo perdere” si affrettò a specificare.
“Bella non ti ha raccontato perché sono stata trasformata?” domandai, riuscendo a guardarlo in faccia e a vincere l’imbarazzo.
Scosse lentamente la testa.
“Ti ricordi che a Seattle ti ho raccontato che avevo un fidanzato, Royce? E’ stato con lui…” balbettai. “Lui e altri quattro”.
Mi fissò disorientato e proseguii, raccontandogli tutto di quella notte, come non avevo mai fatto con nessuno.
“… e poi?” mi chiese infine.
“Poi è arrivato Carlisle. Mi ha trasformato perché non c’era altro modo per salvarmi: stavo morendo a causa di un’emorragia interna”.
“E quei vermi? Non li avrai lasciati in vita?” domandò sprezzante.
Accennai un sorriso amaro. “No. Li ho uccisi tutti e cinque, ma non nello stesso momento. A ritmo di uno alla settimana. Volevo che capissero che la morte cercava loro appositamente e che non era un caso. Royce l’ho tenuto per ultimo e, devo essere onesta, l’ho ammazzato in modo troppo teatrale, ma volevo che avesse paura, la stessa paura che avevo avuto io quella notte. Sono entrata in casa sua di nascosto, vestita da sposa. Dovevi vedere la sua faccia! Deve avere pensato che fossi un fantasma tornato dall’aldilà! Gli ho parlato qualche minuto, giusto per fargli capire che ero lì per vendicarmi, e poi l’ho ammazzato. Non ho mai dissanguato umani: lui è stata la mia unica eccezione” conclusi, leccandomi il labbro superiore al pensiero di quel soddisfacente banchetto.
Jacob, durante il mio racconto si era seduto, a gambe incrociate e aveva prestato la massima attenzione. Non mi era sembrato strano parlarne con qualcuno, per giunta un maschio. Mi ero lasciata condizionare dal fatto che finora mi aveva sempre capita e che forse avrebbe potuto accadere anche in quella occasione. In certi punti avevo incespicato, mi ero dovuta fermare e trattenere le lacrime, ma ero giunta alla conclusione.
“Non pensavo che ti fosse successo questo…” balbettò.
“Capisci perché quel giorno a La Push volessi farmi uccidere?” gli spiegai. “Mi sono sentita così inappropriata da quella notte! Ho fatto di tutto per cancellare il ricordo, ma quasi tutti i giorni, anche se solo per pochi istanti, torna ad assillarmi e sono costretta a chiedermi: se non fossi tornata da sola quella notte, se mi fossi opposta al fidanzamento, se non fossi così appariscente, se…”.
“Alt!” esclamò. “Cosa stai dicendo? Non è stata colpa tua! Non potevi prevedere quello che ti avrebbero fatto e ad ogni modo non dovevano farlo! Lui era quello che ti avrebbe dovuto difendere, non farti del male!”. Questo era ciò che avevo creduto anch’io, ma a quale prezzo avevo imparato la lezione!
“Pensavo che mi avrebbe amata, che saremmo stati una famiglia felice, che avrei avuto quello che desideravo. E invece mi ha strappato tutto ciò a cui tenevo, mi ha completamente svuotata… Se quella sera non fossi stata lì, avrei avuto una vita umana, una famiglia, dei figli, sarei invecchiata, e invece non ho più niente…”.
Jake mi accarezzò la mano. “Non è stata colpa tua, Rose. Lui ti ha strappata alla vita, d’accordo, ma cosa ci avresti guadagnato? Saresti vissuta sempre nella menzogna, mai felice in ogni caso. Hai sofferto nel peggior modo possibile, ma ora hai una famiglia che ti ama davvero e che farebbe qualsiasi cosa per farti stare bene. Devi dimenticare tutta questa storia…”.
“E come? A volte non riesco nemmeno a guardarmi allo specchio o a passarmi le dita tra i capelli perché mi ricordo di lui e di quella sera!”.
“Perdona, Rose. Non lui perché non lo merita, anzi se fossi stato in te gli avrei staccato pezzi del corpo ad uno ad uno, ma te stessa. Non capisco perché ma ti stai prendendo la colpa di quello che è successo. Io non sono una donna e non potrò mai immaginare come ti sei sentita, ma so che la vita va avanti ugualmente e non ha senso perdere tempo ripensando a quel verme. Ti ha fatto del male ma sei ancora qui. Questo è quello che devi ricordare”.
“Io volevo morire e Carlisle mi ha salvato… E’ stato un gesto nobile il suo, ma faccio fatica a convivere con quello che non ho più”.
“Non hai più alcune cose ma ne hai guadagnate di molto più importanti, secondo me. Vivere in un palazzo, circondata da servitori e amici ipocriti non è mai stata la mia aspirazione, e credo, tutto sommato, neanche la tua. Quella notte non ti ha portato via solo la tua innocenza, ma le tue illusioni su te stessa e sul tuo modo di vivere. E’ questo ciò che rimpiangi e che ti fa stare male. Ma apri gli occhi e quando sei davanti allo specchio, guarda ciò che sei diventata: una persona migliore, infinitamente più sensibile e consapevole di come eri. Non saresti quella che sei senza di lui. E’ spiacevole da ammettere, ma è così…”.
“Sarei umana…” replicai stancamente.
“Che razza di umana saresti? Una che pensa solo a pranzi, a sfornare bambini, e spettegolare su questo o quell’altro? Ci vuole ben altro per lasciare un segno e adesso tu puoi farlo…”.
“Che segno posso lasciare?” domandai affranta. “Sono solo un vampiro…”.
“Sei speciale e questo basta. Sono i diversi a fare la storia, non gli uguali…”.
Mi accarezzò la guancia e poi, prima di baciarmi, disse:“Intanto hai cambiato la mia vita e per me è già più che sufficiente…”.
Lo strinsi forte: era qualcosa di magnifico. Non so come facesse ma riusciva sempre a trovare le parole per consolarmi. Nessuno, nemmeno Alice, aveva questa dote.
“Sei una piccola poesia, Rose, di cui non mi stancherò mai. L’unico problema è che tu non riesci a leggerla!” sussurrò. “Ma spero di poterti aiutare in questo”.
Desirèe mi aveva detto quelle parole, l’ultima volta che l’avevo vista. Dunque ero davvero come Desirèe mi aveva descritto? Aveva detto che qualcuno mi avrebbe aiutato a leggermi dentro se non ce l’avessi fatta da sola; Alice mi aveva detto che ero cambiata molto nell’ultimo periodo; io stessa me ne rendevo conto. Ma ero cambiata perché Jake mi aveva cambiata…
“Quando hai visto Desirèe, la prima volta, lei ti ha letto nel cuore, vero?” domandai.
“La prima volta no. E’ accaduto quando Bella ed io siamo andati a cercarla …”.
Chiusi gli occhi, come se avessi raggiunto il traguardo. Era lui, era a lui che alludeva Desirèe. Lui la persona che avevo sotto il naso e di cui non capivo le potenzialità. Lui che mi avrebbe aiutata, la luce che mi avrebbe scaldata. Appoggiai il viso al suo petto e lo abbracciai, serena. Avevo trovato la pace, dopo tanto peregrinare, all’interno della persona più improbabile che avessi potuto immaginare. Da quel giorno a Seattle avevo capito che c’era qualcosa di più in lui che mi sfuggiva e che mi attraeva. E ogni minuto che passava, mi chiedevo come avessi potuto non accorgermene prima. Ripensai a quella sera, al confine, quando mi aveva baciato. Ricordai la rabbia, il senso di frustrazione e di impotenza, l’odio… ma anche il desiderio, la passione, l’ardore. L’avevo odiato a morte per la sua tracotanza, e ora mi accorgevo che adoravo persino quella. Non sentivo più la sua puzza, ma solo un intenso profumo che mi mandava in estasi. Passai le dita sulle sue braccia muscolose. Senza rendermene conto, iniziai a baciargli il collo. Era diventato una droga e non ne ero mai sazia. Ma Jacob mi scostò gentilmente.
“Credo che sia meglio che vai a casa, Rose… E’ parecchio tardi” mi sorrise.
“Già, è vero” risposi delusa.
Ci alzammo e ci avviammo velocemente al confine. Quando fummo sotto la grande quercia, ci salutammo.
“Allora, buona fortuna” mi disse.
Tacqui. Non volevo separarmi da lui. Intrecciai la mia mano nella sua. “Quando ti rivedrò?” domandai.
“In questi due giorni non sarà possibile, temo. Voglio stare vicino a Leah e a sua madre, e tu devi stare lontana da La Push. Mi farò vivo io, va bene?”.
“Me lo prometti?”.
“Te lo prometto” e mi abbracciò. Quegli istanti furono troppo brevi. Mi diede un bacio sulla fronte e a quel punto mi imposi di andare, altrimenti non ce l’avrei più fatta.
Corsi via senza voltarmi, nemmeno una volta, orribilmente mutilata, come se mi avessero strappato un brandello di carne. Mi sentivo quasi male, anche perché avevo il terribile presentimento che non l’avrei più visto. Ma non potevo più fare a meno di lui, non dopo quella notte, non dopo che il chiarore dell’alba aveva rischiarato le mie tenebre. Lo amavo davvero o no? Tutte le sensazioni che albergavano dentro di me sembravano urlare che sì, lo amavo, che era davvero ciò che anelavo. Non era un’infatuazione dunque? Come poteva esserlo se già adesso sentivo la sua mancanza, se avevo paura che lui non avrebbe più voluto vedermi? Ma allora che cosa dovevo fare?
Mi bloccai, colpita della successive deduzioni.
Emmett… Cosa provavo? Se amavo Jacob, lui cos’era per me? Per il momento l’unica cosa chiara era che non sapevo come avrei fatto a guardarlo negli occhi e raccontargli una storiellina inventata ad arte per giustificare la mia prolungata assenza. Però non osavo nemmeno immaginare il suo dolore se gli avessi detto la verità. Eravamo insieme da settant’anni e ora? Cosa restava dell’amore che ci aveva unito per tutto questo tempo? Forse ci univa ancora ed era solo offuscato dalla passione per un licantropo? Oppure si era trasformato semplicemente in quell’affetto che resta dopo tanti anni di convivenza? Non sapevo rispondere a tutte quelle domande. Mi sembrava assurdo. Volevo davvero buttare via tutto per Jake? La risposta che mi diedi mi raggelò. Se adesso mi fosse stata imposta una scelta, io avrei optato per il mio cucciolo.
“Basta!” mi sgridai ad alta voce. Dovevo cominciare a pensare qualcosa da raccontare a casa e soprattutto convincermene per evitare la telepatia di Edward. Come se fosse stato facile. Come facevo a non pensare, nemmeno per un istante, a ciò che c’era stato con Jake? Dio, che stupidaggine! Non sarei mai riuscita a recitare in maniera così convincente.
Nel giro di due minuti partorii una fantasia, atta a giustificare la notte fuori, il difficile era convincersene. Cominciai a farmi il lavaggio del cervello e quando mi sembrò di aver raggiunto l’obbiettivo, ripresi il mio cammino. Nel giro di pochi minuti sarei arrivata a casa, ma molto prima dello scadere del tempo che mi ero data mi dovetti arrestare.

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Capitolo 40
*** Ti odio, Edward! ***


Vidi da lontano due figure, appoggiate a un albero. Una alta e slanciata, l’altra bassa e esile. Edward ed Alice. Cosa ci facevano lì? La risposta era fin troppo ovvia.
Ripresi a camminare, cautamente, sforzandomi di non pensare. Quando gli fui vicina, mio fratello mi fissò con malcelato rancore; lo sguardo di Alice era un misto tra il preoccupato e l’irrequieto.
“Rosalie, dove diavolo eri finita? Eravamo tutti preoccupati da morire!” sbottò mia sorella.
“Scusatemi. Ho fatto tardi, senza rendermene conto” mi giustificai.
“Tardi?! Ma lo sai che ore sono?! Sono le dieci suonate! Sei sparita per dodici ore! E senza avvisarci, per giunta!”.
Tacqui. Alice avrebbe proseguito nella ramanzina, ma intervenne Edward, che la bloccò con un rapido gesto del braccio.
Si avvicinò minaccioso. “Credo che la nostra amata sorellina non abbia ben chiaro quello che ha combinato stanotte…” ironizzò.
“Lo so, invece” interloquii. “Non avrei mai dovuto sparire per così tanto tempo, avrei dovuto avvisarvi, ma onestamente mi è passato di mente…”.
“Ti è passato di mente?!” gridò, furibondo. I suoi occhi fiammeggiavano di rabbia. Non l’avevo mai visto così. “Ti rendi conto che notte abbiamo trascorso per merito tuo? Questa sciagurata di Alice ti ha lasciato da sola con quelli del branco, come se foste un’allegra comitiva di amici in gita di piacere, e tu non ti dai neanche il disturbo di telefonare per dirci che stai bene?! Ma che diavolo ti passa in quella testa bacata?! In casa è stato l’inferno. Alice non riusciva a vederti e noi non potevamo venire a cercarti. Jasper ha dovuto stare attaccato ad Emmett tutta la notte per calmarlo: voleva venire a La Push e che cazzo sarebbe successo se non fossimo riusciti a trattenerlo?! Devi cominciare a metterti in testa che non ti puoi comportare come se fossi sola! Smettila di fare la bambina!”.
“Calma, Edward! Avrà avuto le sue buone ragioni, se è stata lontana fino ad ora” cercò di mediare Alice.
“Non me ne frega niente delle sue ragioni! E tu, piantala di difenderla! Per quanto mi riguarda può anche aver fatto un nuovo patto che ci permette di girare indisturbati a La Push… Sta di fatto che ha sbagliato!”.
Alice non replicò, consapevole del fatto che lui avesse perfettamente ragione.
“Lo so che ho sbagliato Edward” dissi con voce pacata. “Avrei dovuto avvisare…”.
“No, saresti dovuta tornare a casa!” replicò stizzito.
Abbassai lo sguardo. Era strano come fosse infuriato e contemporaneamente desse l’impressione che anche lui si fosse preoccupato per me. Ma questo non era possibile.
“Almeno le cose come sono andate con il branco? Sei riuscita a parlare con Leah?” domandò mia sorella cercando di cambiare argomento.
“Sì… Ecco, credo che non vorranno più uccidermi, ma la situazione non è del tutto chiara” balbettai.
“Come sarebbe a dire? Sei stata là tutta la notte e la situazione non è del tutto chiara?! Mi aspettavo che foste diventate grandi amiche!” commentò Edward sardonico.
Alice mi squadrò da capo a piedi e si accorse della manica strappata. Si precipitò per constatare il danno. “Oh Dio, ma è rotta! Ti hanno aggredito, ti hanno fatto del male? Rose, dimmelo!” esclamò sconvolta.
“No, Alice, non ti preoccupare, è tutto a posto” la tranquillizzai ma, così facendo, ricordai. Ricordai il motivo per cui la maglietta si era rotta e, di conseguenza, il sapore della pelle di Jacob sulle labbra. Fu un solo, rapidissimo, istante, ma per Edward fu abbastanza. Quando distolsi i miei pensieri, era già tardi.
Vidi stamparsi sul suo viso la medesima espressione di quando ero tornata dalla mia scaramuccia con Jake al confine. E come quella sera, iniziò a ridere sguaiatamente, gettandomi nella confusione. Anche Alice ne sembrò stupefatta e lo guardò attonita. Poi, altrettanto improvvisamente, tornò serio. “Sai, Rosalie, non pensavo che saresti arrivata a tanto” sibilò.
Mi morsi il labbro inferiore, ma non abbassai lo sguardo. Con due passi colmò la distanza che ci separava e, senza che avessi il tempo di opporre difesa, mi schiaffeggiò brutalmente.
“Edward! Che stai facendo? Sei impazzito?!” gridò Alice frastornata.
Mio fratello, per nulla distratto dal suo comportamento, mi definì duramente:“Sei proprio una sgualdrina”.
“Che dici? Sei uscito di testa?!” lo redarguì mia sorella.
 “Credo che sia ora che qualcuno ti apra gli occhi sulla tua amata Rosalie!” esclamò Edward.
Mi accarezzai la guancia dolente e mi feci forza, decisa a fronteggiare il suo sguardo. “Non sono una sgualdrina” replicai fieramente.
“Ah no? E come la chiameresti una che si è comportata come te, stanotte?”.
Mi mancò la prontezza per rispondere. Non mi ero preparata ad un attacco così diretto e non pensavo che la mia copertura sarebbe saltata così presto.
“Stavolta hai davvero toccato il fondo, Rose. Non soltanto per quello che hai fatto ma per come lo hai fatto. Te ne sei fregata di tutti, ti sei approfittata della situazione… E io che pensavo che stessi male sul serio per Seth e Tanya. Devo riconoscerlo: sei diventata un’ottima attrice, visto che riesci a ingannare anche me. Non c’è che dire. Avresti l’Oscar in tasca, se potessi recitare…” commentò ruvido.
“Io ci tenevo davvero a Seth e Tanya e sono andata dal branco con l’intenzione di farmi perdonare. Non avevo nessun doppio fine!”.
“Certo, infatti direi che hai consolato Jacob adeguatamente. Sarà sicuramente soddisfatto…” ridacchiò.
“Smettila! Io non l’ho fatto per quello!”.
“E allora per cosa l’hai fatto?! Per un capriccio?! Emmett non ti basta più, giusto? Bisogna sempre scovare qualcosa di nuovo che ti faccia divertire, che dia un senso alla tua misera vita, una missione, ricordi?”.
“Un momento!” si frappose Alice. “Ma di che diavolo state parlando?! Che cosa è successo, Rose?”.
Dovevo dirle la verità, ma non osavo farlo. Mi avrebbe condannato, nello stesso modo in cui stava facendo Edward.
“Quindi?” mi sferzò mio fratello.
Avrei dovuto rispondere, ma non ebbi il coraggio e al mio posto lo fece Edward. Nella maniera più crudele possibile. “Te lo dico io Alice. La tua Rosalie ha passato la notte a fare sesso con il suo eroico salvatore. Per quale motivo? Chissà… Gratitudine, desiderio di novità, voglia improvvisa… Non è dato saperlo. L’unica cosa chiara però è che mentre noi pensavamo che le stessero facendo del male, se la spassava un mondo!”.
Alice mi guardò incredula e indietreggiò di qualche passo. Quel gesto mi uccise più di tutti gli insulti di Edward: mia sorella mi aveva abbandonata.
“Non è stato un capriccio” mi limitai a proferire.
“E allora cos’è stato? Un colpo di fulmine?!” imprecò, piantando le dita nella corteccia dell’albero. Mentre piccoli frammenti di essa scivolavano a terra, Edward riprese a parlare più pacatamente. “Sei sempre stata un’egoista, Rose. Tu vieni prima di ogni cosa. Ogni tuo desiderio è un ordine, ogni tuo capriccio deve essere soddisfatto. Non mi sono mai fidato di te, sapevo che non te ne importava nulla di nessuno di noi e non è mai stato un cruccio: non è un mistero ciò che proviamo l’uno per l’altra, ma credevo che amassi davvero Emmett. Pensavo che lui venisse prima anche di te stessa e invece adesso ho avuto la conferma ai miei dubbi. Non so proprio come tu abbia potuto fare una cosa del genere, come l’abbia potuto pugnalare alle spalle in questo modo, dopo che ti ha sempre difesa, ti ha sempre messa davanti a tutto e tutti. Una vita costruita per accontentare la piccola Rose. Un bello spreco di energie, se è questa la ricompensa…” constatò amaramente.
“Io non volevo ferirlo. Non ero andata là con l’idea di…” e mi bloccai.
“Non ti devi giustificare. E’ esperienza, in fondo. Adesso anche gli altri sapranno ciò che io sospettavo da un pezzo e tutto sommato, quasi mi dispiace per loro, ma conviene sempre aprire gli occhi…”.
“Di cosa stai parlando?” domandai con voce tremante.
Il suo tono diventato così calmo, così tranquillo, mi infastidiva e allo stesso tempo mi terrorizzava: sembrava di essere di fronte a un giudice che stava per emettere una condanna senza appello.
“Che sei una poco di buono. Tutto qui” disse semplicemente.
“Non è vero…” balbettai con le lacrime agli occhi.
“Sì, invece. D’altra parte la tua vita parla per te. Anni passati davanti allo specchio a civettare con tutti i maschi che ti passavano sotto il naso, per non parlare di quella stupida gara orchestrata con Tanya per vedere chi delle due fosse la più bella. Un comportamento maturo, non c’è che dire! Non ti è mai passato per l’anticamera del cervello quanto Emmett ci stesse male a vederti fare la stupida con quelli su cui mettevi il nasino? Assolutamente no, perché bisognava prima di tutto appagare l’ego di Rosalie, poi si pensava al resto…”.
“Non mi sono mai fatta toccare da nessuno. Emmett lo sa, e tu anche!” ribattei nervosa.
“Santo cielo, Rose, ma credi che abbia importanza?! Tu dovevi fermarti per rispetto nei suoi confronti e invece non l’hai mai fatto! Dritta per la tua strada. Una strada possibilmente lastricata di uomini pronti a fare di tutto per te, o sbaglio?”.
“Non è vero” sussurrai, rivolta più a me stessa che a lui.
“E facendo il conto, direi che alla fine quella notte te la sei cercata…” concluse tagliente.
Fu come una frustata. “Come puoi dire questo? Non è stata colpa mia …” dissi stordita.
“I tuoi ricordi del periodo precedente dicono che hai giocato parecchio con Royce, o ricordi male?”.
“Civettavo un pochino, ma non ho mai fatto niente di sconveniente… E’ stato lui a fermarmi in mezzo alla strada…”.
“Siamo sicuri?” sbuffò irritante.
“Io non ho fatto niente per provocarli, mai e poi mai. Sono stati loro a fare tutto. Io volevo solo tornare a casa!”. Il mio tono di voce era diventato stridulo. Mi ero avvicinata a Edward perché mi guardasse e vedesse nei miei occhi, se non ci riusciva con la mia mente, come erano andate le cose. Non volevo che pensasse che avessi aizzato Royce, per poi tirarmi indietro. Ma il suo sguardo non mutò.
“Edward, devi credermi, non è stata colpa mia. Io non volevo che mi toccassero e non gli ho mai fatto intendere il contrario” singhiozzai e prima che me ne accorgessi nella mia mente passarono tutti i singoli istanti di quella lunga e orribile notte. Cercai più volte di fermarli, ma erano usciti e, per quanto tentassi di afferrarli, mi scivolavano fra le dita. Avrei voluto gridare per coprire le mie urla di quella notte. Io non provavo niente per Royce, non avrei mai voluto fare l’amore con lui. No, io ero sempre stata al mio posto, ogni volta che ci eravamo incontrati. Ripensai attentamente ai nostri pochi incontri, organizzati dai rispettivi genitori. Gli avevo lanciato qualche occhiata di nascosto da papà, ma non era certo per questo che mi si poteva addossare la colpa.
Perché era successo proprio a me? Non me lo ero meritato e non l’avevo nemmeno cercato.
“Non è stata colpa tua, non è stata colpa tua” continuavo a ripetermi ma poi sentivo di nuovo le parole di Edward nella testa. Credeva il contrario: perché? Ero una ragazza leggera? Lui leggeva nella mente e forse mi conosceva meglio di me stessa. Avevo spesso tenuto un atteggiamento superficiale, ma non sarei mai scesa a tanto. Lo sapevo. Ma perché Edward diceva altrimenti? Non doveva. Non volevo che mio fratello pensasse una cosa del genere di me. Chiunque altro ma non lui. Il motivo per cui avevo passato davanti allo specchio i primi anni della mia esistenza da vampiro. Non volevo piacere agli altri, ma a lui, solo a lui. E ora invece era chiaro che questo non aveva fatto altro che accrescere la pessima opinione che aveva di me, mentre invece io volevo solo mio fratello.
Singhiozzai a lungo, incapace di ribattere.
“Io torno a casa” esclamò improvvisamente Edward. “Per quanto mi riguarda, è meglio se tu non torni affatto, anzi vai pure a chiedere ospitalità al tuo cagnaccio. Sarà sicuramente lieto di farti rimanere a La Push!”.
Quando trovai il coraggio di alzare lo sguardo, era già sparito. Mi asciugai le lacrime. Alice era immobile, a pochi passi da me. Avrei tanto voluto parlarle, ma non sapevo da che parte cominciare, conscia di averla delusa. Feci per allontanarmi quando mi domandò dove stessi andando.
“Non lo so” risposi abbacchiata. “Ma è evidente che il mio posto non è più con voi”.
“Edward non pensava quello che ha detto” disse freddamente. “Si è sfogato in maniera brutale. Solo questo”.
“Lo pensava invece” mi limitai a replicare, sicura di ciò che avevo letto nei suoi occhi.
“Perché? Perché hai fatto una cosa del genere? Non lo capisco. E’ successo qualcosa con Emmett che non so?” mi chiese titubante.
Scossi la testa.
“E allora? Che cosa ti è saltato in testa?!”.
“L’hai detto tu ieri sera”.
“Sì, ma io non credevo che saresti arrivata a questo punto! Santo cielo, Rose! Ma capisci o no quello che hai fatto?”.
“Certo che lo capisco! Non sono stupida, contrariamente a quello che potete pensare voi!” gridai infervorata.
“E allora voglio che me lo spieghi! Cos’è? Ti sentivi in colpa nei confronti di Jacob? Volevi ringraziarlo per averti salvato?” ribatté a tono.
“Niente di tutto questo”.
Sembrò voler proseguire nella discussione ma invece si fermò. Camminò nervosamente avanti e indietro, per poi sospirare:“E’ un bel ragazzo, lo so, ma questo non ti giustifica”.
“Non sto cercando giustificazioni e comunque non l’ho fatto per attrazione fisica. E’ per qualcos’altro…”.
“Cioè?”.
“Credo di amarlo” mormorai.
Alice mi fissò trasecolata. Prima sgranò gli occhi, poi si girò dalla parte opposta. “Alice, ascolta…” iniziai per spiegarle come stavano le cose, ma lei mi interruppe:“Lo ami? Ti rendi conto di quello che stai dicendo? Riesci a dare il significato corretto alle parole? Fino a due settimane fa andavi in giro dicendo che volevi ammazzarlo e ora te ne salti fuori con dichiarazioni d’amore? Ma sei impazzita?! E quando avresti avuto questa geniale intuizione?!”.
“Ieri sera” risposi calma. “E’ stato uno shock anche per me, ma è così”.
“E lui cosa prova per te? Non mi venire a dire che ti ama, perché io non me la bevo!”.
“Che cosa stai insinuando?!”.
“Andiamo Rosalie, non essere ingenua! E’ un uomo! Che si è trovato una bella ragazza come te servita su un piatto d’argento! Credi che qualcuno al suo posto si sarebbe tirato indietro?”.
“No! Jake non l’avrebbe mai fatto! Lui mi vede diversa dagli altri!”.
“Certo, come no! Santo Jacob! Rosalie, apri gli occhi una buona volta. Non vedere solo quello che ti fa comodo! Proprio ieri avrebbe permesso a Leah di ucciderti e ora mi vieni a dire che prova qualcosa per te? Fammi il piacere…”.
“Era arrabbiato e aveva ragione. E comunque non mi importa di quello che dici. Io so che lui stanotte è stato sincero. D’altra parte è un licantropo quindi qualsiasi cosa faccia a te, a voi, non andrà mai bene!”.
“Veramente eri tu quella che sosteneva che i licantropi andavano sterminati per principio! Io non ho mai detto niente contro di loro, di lui in particolare”.
“E allora perché lo stai infangando in questo modo?!” esclamai esasperata.
“Perché voglio che ti togli quelle fette di salame dagli occhi! Non faceva altro che parlare di Bella e ora improvvisamente si è reso conto che ama te?”.
“Se è successo a me, può essere capitato anche a lui”.
Alice reclinò il capo, sconfitta. “Ammettiamo pure che lui ti ami, cosa pensi di fare? Vuoi lasciare Emmett?” mi domandò irrequieta.
“Ci sto pensando…”.
“Però non adesso…”.
“No, effettivamente non adesso…”.
“Quindi non sei sicura di ciò che provi, altrimenti lo lasceresti subito”.
“Voglio darmi del tempo, Alice. La situazione è complicata e non voglio fare scelte avventate, tutto qui”.
“E ovviamente non gli dirai niente di quello che è successo stanotte” commentò acida.
“L’idea era questa, ma tanto ci penserà qualcun altro a farlo” risposi sprezzante.
“Se ti riferisci a me o ad Edward, nessuno di noi dirà niente. Sono affari tuoi e sai come gestirli… Forse”.
“Edward non sembrava dello stesso avviso…”.
“Lo sai che lui non va a spifferare ciò che legge nella mente degli altri, anche se si tratta di qualcosa che riguarda suo fratello. In ogni caso ha deciso che resterà fuori da questa storia”.
Lo giudicavo improbabile, considerando come mi aveva aggredita, ma non poteva nemmeno sfuggire alle previsioni di Alice e lei non avrebbe avuto motivi per mentirmi.
“Che cosa ti ha fatto cambiare idea?” mi domandò a bruciapelo. Il suo tono era tranquillo, ripulito da tutto l’astio che mi aveva versato addosso poco prima. Sembrava che volesse aprire un nuovo tipo di conversazione, basata sulle confidenze che non ci facevamo da troppo tempo. E io rivolevo quei momenti, soprattutto ora.
“Mi sono accorta che quando siamo insieme, sto bene perfino con me stessa. E’ speciale. E mi fa sentire speciale. Non mi vede come un vampiro, ma come un essere vivente” risposi assorta.
“Capisco… E’ quello che hai sempre voluto, no?”.
Annuii.
“Comunque, io credo che si tratti soltanto di un’infatuazione” pensò a voce alta. “E’ un periodo molto particolare per te e stai scambiando per amore qualcosa che ci va vicino, ma non lo è. Sei confusa da tanti sentimenti e non riesci a dargli un ordine, ma tempo qualche giorno, e ti renderai conto che stanotte hai sbagliato”.
“Lo speri per Emmett?”.
“In parte sì, ma soprattutto per te. Jacob non è uno di noi e tu non sei una di loro. Non può esistere amore tra vampiri e licantropi. Vi fareste solo del male, senza volerlo. Nonostante questo, gli sono grata perché ti ha fatto cambiare, ti sta facendo cambiare, e mi piaci di più adesso. Anche con la paura di stanotte…” concluse, sorridendo.
“Mi dispiace per quello che vi ho fatto passare, ma non ho minimamente pensato che… O perlomeno, ci avevo pensato, ma poi ho staccato il cervello!”.
Alice rise di cuore. “Immagino! Però dovrai ringraziare Jasper quando torni a casa. Se non ci fosse stato lui a tenere buono Emmett, ti posso assicurare che a quest’ora saremmo in guerra col branco!”
“Lo ringrazierò come si deve, allora. Intanto ringrazio te” e la abbracciai. “Non so come farei se non ci fossi tu”.
Era da una vita che non avevo un gesto affettuoso nei confronti di mia sorella e ora mi rendevo conto di quante occasioni avevo perso per dimostrarle il mio affetto. Quando mi allontanai, incontrai il suo sguardo esterrefatto. “Mi hai abbracciato…” bofonchiò. “Erano anni che non lo facevi!”.
“Lo so” abbozzai un sorriso, imbarazzata.
Senza che avessi il tempo per dirle altro, mi saltò addosso, stringendomi forte forte e ridendo. “Se questo è l’effetto Jacob, te lo puoi anche sposare per quanto mi riguarda!” disse, tra gridolini di gioia.
Le sue parole mi fecero riflettere. Non so se era davvero merito suo o semplicemente degli avvenimenti, ma mi piaceva come mi stavo comportando, come lasciavo uscire le mie emozioni, ingabbiate per troppo tempo.
“Accidenti, Rose!” esclamò portandosi le dita sulle narici. “Puzzi da cane in maniera terribile! Devi assolutamente farti una doccia. Andiamo a casa, sù!”.
“E gli altri?”.
“Agli altri racconteremo la storiella che volevi rifilare a me e a Edward e tutti ci crederanno” tagliò corto, allegra e si incamminò. Non facemmo che pochi passi, quando si fermò di botto.
“Un momento! Non mi sembra giusto che io ti copra le spalle e non ci guadagni niente!” affermò, mettendosi le mani sui fianchi e mostrandomi il suo diabolico sorrisetto.
“Niente ricatti” sbuffai.
“Dai, voglio soltanto sapere una cosa. Non mi sembra di chiedere molto…”.
“Cosa?”.
“Com’è stato?” disse, tirando fuori la lingua e ansimando come un cane.
“Non sono affari tuoi!” replicai piccata.
“Oh, andiamo. Non voglio i particolari, quelli non mi interessano. Com’è con un licantropo? Suvvia, lo sai che sono curiosa…”.
“Sei morbosa!”.
“Quante storie, dai!” mi incalzò, ma non le prestai attenzione. Continuai a camminare, mentre Alice mi saltellava a fianco, ponendomi domande a raffica, una più assurda dell’altra.
“Sei proprio petulante, lo sai?!” dissi inviperita.
“Dai, dai, dai!!!!”.
“Uffa!” sbottai infine. “Ma che cavolo vuoi?”.
“Dimmi se ti è piaciuto”.
“Sì, mi è piaciuto. Contenta?”.
“No. Cosa c’è di diverso tra farlo con un vampiro e con un licantropo?”.
Non dovetti pensarci nemmeno un istante. “Il cuore” sospirai. “Lo avvertivo distintamente. Era stupendo sentirlo battere così velocemente. E il respiro caldo sulla pelle. Sì, queste sono le sensazioni che non dimenticherò mai…”.
Alice mi sorrise, compiaciuta di aver raggiunto il suo obbiettivo. Non mi domandò altro, ma io continuai a raccontare e lei mi ascoltò, mostrando, a tratti, un vivido interesse. Dentro di me ringraziai Jacob anche per questo: la ritrovata confidenza con mia sorella. Qualcosa che sembrava andato perduto e che invece era ancora mio.
Ovviamente una volta tornata a casa dovetti subire una scenata da parte di Emmett. Era letteralmente distrutto e per la prima volta mi sentii divorata dal senso di colpa. Ero stata tutta la notte a divertirmi, mentre lui aveva passato ore d’inferno, immaginandomi aggredita, morta o anche peggio. Mi guardava come se fossi appena risuscitata mentre io non riuscivo nemmeno a sostenere il suo sguardo. Nonostante questo, come diceva Edward, ero un’ottima attrice e avevo elaborato una storiella credibile, che tutti quanti si bevvero ingenuamente. Non ebbi nemmeno bisogno del sostegno di Alice, anche se il suo sorriso non si indebolì neanche per un istante.
Edward dal canto suo non mi guardò mai e io feci altrettanto. Non avevo creduto che avrebbe taciuto e invece mi ero sbagliata per l’ennesima volta. Ma su una cosa sapevo di avere ragione: il suo disprezzo verso di me saliva per ogni parola che usciva dalla mia bocca. Carlisle mi subissò di domande a cui risposi tranquillamente e con una spigliatezza così ostentata che non si poteva pensare che fosse una bugia. L’unico momento in cui mi trovai in difficoltà fu quando Jasper mi fece la fatidica domanda:“Quindi adesso cosa intendono fare? Ci aiuteranno contro i Volturi?”.
Tacqui e intravidi un’espressione divertita sul volto di Edward.
“A dire la verità non ne abbiamo… parlato” improvvisai. “Ho preferito non toccare quest’argomento. Non volevo che trovassero ipocrita la mia presenza lì”.
“Quindi siamo punto e a capo!” esclamò irritato.
“No, niente affatto!” mi difese Esme. “Gli ha fatto capire che era sinceramente dispiaciuta e l’hanno, a loro modo, perdonata. D’altra parte il fatto che sia rimasta là tutta la notte e non le abbiano fatto niente è una prova. Sono sicura che, appena le acque si saranno un po’ calmate e il dolore meno intenso, saranno loro stessi a prometterci sostegno”.
“A me non importa niente di quello che faranno quei cani! L’importante è che Rose stia bene” disse Emmett, abbracciandomi.
“Sì, ma noi abbiamo bisogno di sapere come organizzarci” protestò Carlisle.
“Posso provare a sentire Jacob… Sondare il terreno…” propose Bella.
“Non credo che sia il caso” intervenne Alice. “Non possiamo correre il rischio che pensino che vogliamo soltanto il loro aiuto. Esme ha ragione: è meglio aspettare un po’ e vedere come si comportano”.
Bella annuì e io tirai un sospiro di sollievo.
“Piuttosto, stanotte abbiamo telefonato a Kate e Irina” mi spiegò Jasper. “E abbiamo comunicato loro la situazione”.
“Cosa hanno detto?” domandai.
“In realtà non lo sappiamo ancora. Abbiamo parlato con Carmen: ci ha detto che Kate è distrutta e non vuole parlare con nessuno; Irina non era in casa. Sono troppo sconvolte per riuscire a ragionare e probabilmente hanno anche molta paura dei Volturi”.
“Se conosco bene Kate, vorrà vendicare sua sorella” affermò Carlisle. “Le era troppo legata. Non lascerà correre. Inoltre hanno perso anche Desirèe. Due morti sono troppi in una famiglia per lasciarsi condizionare dalla paura. Il problema è Irina: odia quelli del branco da quando hanno ucciso Laurent un anno fa. Non penso che vorrà combattere dalla stessa parte…”.
“Io non credo che dobbiamo farci troppe illusioni sui lupi” disse Edward con solennità. “Il fatto che non abbiano ucciso Rosalie stanotte non vuol dire niente. Probabilmente non vogliono una guerra con noi, ma non vuol dire che ci sosterranno”.
“Beh, vedremo…” concluse Carlisle. Guardò l’orologio e poi disse:“Vado in ospedale. Sta per cominciare il mio turno”.
Si andò a preparare mentre Edward accompagnò Bella a casa. Charlie si era preso un giorno di ferie per stare con la madre di Seth e sua figlia doveva preparare il pranzo. Il padre di Bella non sapeva nulla di vampiri, licantropi e via dicendo e mi chiesi che diavolo di panzana gli avessero raccontato per giustificare l’assenza del piccolo del branco e, soprattutto, lo stato di prostrazione di sua figlia e degli altri.
Emmett mi accompagnò in camera e, dopo aver chiuso la porta, mi strinse forte ancora una volta. “Ho avuto tanta paura, Rose. Mi sembrava di impazzire…” bisbigliò.
“Mi dispiace…”.
“Non ti hanno fatto niente, vero?” mi domandò con voce bassa e ferma, guardandomi negli occhi. “Me lo devi dire se è successo qualcosa…”.
Scossi la testa. “E’ tutto ok. Non mi hanno torto un capello. Le cose sono andate esattamente come ho descritto…” affermai, sicura. “Ora vado a farmi una doccia. Immagino che puzzerò un bel po’…”.
“Effettivamente sì” accennò un sorriso. Gli schioccai un bacio sulla guancia ed entrai in bagno.
Fu una doccia molto lunga, che diventò più un rifugio che un reale bisogno di pulizia. Non volevo scrollare dalla pelle il profumo di Jacob, ma ero obbligata a farlo.
Per tutta la durata della conversazione con la mia famiglia, non avevo provato nessuna sensazione particolare, poi quei pochi secondi in camera con Emmett avevano distrutto tutte le mie convinzioni. Mi ero sentita un verme. Così viscida, ipocrita e falsa. L’avevo fatto preoccupare, era stato in ansia, sarebbe stato addirittura capace di sfidare tutto il branco pur di venire a cercarmi mentre io invece ero fra le braccia di un altro. Come potevo avergli fatto una cosa del genere? Edward aveva ragione a definirmi una poco di buono. Avevo tradito mio marito. Un marito che si era sempre comportato correttamente e mi aveva sempre messo al primo posto nella scala delle sue priorità. E per ottenere cosa? Pochi attimi di godimento? Ero così annoiata, confusa e frustrata? Sembravo una delle protagoniste di quelle soap opera di cui Alice non perdeva una puntata e che io disprezzavo. Le consideravo spazzatura e le donne esseri deboli e deprecabili. E io? Non potevo comportarmi allo stesso modo. Ma allora cosa dovevo fare? Troncare con Emmett per Jake? Avevo sempre considerato il primo come l’amore della mia vita e quel lupo non poteva essere altro che una sbandata. Decisi di non riflettere oltre: Jacob andava cancellato e quando uscii dalla vasca mi convinsi che non sarebbe stato poi così difficile. In fondo, era un ragazzino, mi aveva salvato e io avevo frainteso la gratitudine con qualcos’altro. In più la situazione contingente aveva certamente inciso. Era stato tutto un drammatico sbaglio e ora dovevo solo fare finta che non fosse mai accaduto e sperare che Alice ed Edward non rivelassero mai niente.
Mi guardai allo specchio, soddisfatta delle mie conclusioni. Io amavo Emmett, e non provavo per Jacob niente di paragonabile. Era stata solo una distrazione.
I giorni seguenti furono tuttavia una lenta tortura. Il rapporto con Alice sembrava tornato quello spensierato di una volta, cementato dal segreto che condividevamo; inversamente quello con Edward era peggiorato ancora, se possibile. Non mi parlava più, non mi salutava nemmeno la mattina, quando rientrava da casa di Bella. Gli altri membri della famiglia mi trattavano come al solito, senza portarmi, apparentemente, nessun rancore per ciò che avevo combinato con Seth e Tanya. Della famiglia Denali non avevamo più avuto notizie: Alice aveva visto che non avevano ancora preso una decisione in proposito, anche se sembrava che l’idea di vendicare Tanya e Desirèe fosse preponderante. Carlisle però non voleva forzarli e aveva deciso di aspettare una loro chiamata. Anche dei Volturi non si era più saputo niente. Alice non riusciva a vedere le loro azioni future e questo era assai strano. Dovevano per forza avere un piano.
Ma era un’altra la cosa che mi ossessionava. Il branco. Ero riuscita a sapere che la famiglia di Seth aveva denunciato la scomparsa del ragazzo e che era stato diramato alle varie centrali di polizia un avviso di ricerca. Il suo ritrovamento sembrava essere diventato la ragione di vita del padre di Bella, e purtroppo nessuno poteva dirgli che i suoi sforzi non sarebbero mai stati premiati. Contemporaneamente il branco aveva svolto di nascosto un piccolo funerale e sepolto il corpo vicino a quello di Desirèe, sotto l’immensa quercia. Tutta questa segretezza perché, nonostante a poche ore dalla morte, il suo corpo fosse tornato umano, le molteplici ferite sarebbero state difficili da spiegare, soprattutto dopo un’attenta autopsia, che sicuramente Charlie non avrebbe mancato di sovrintendere.
Nessuno della nostra famiglia aveva osato presentarsi alla cerimonia, e pure Bella, considerata ormai parte integrante della nostra famiglia, era stata invitata a non partecipare.
Sam non si era fatto vivo con Carlisle e da quel poco che avevo intuito la mia futura cognata non era più riuscita a parlare con Jake. Io non volevo che i lupi combattessero contro i Volturi quindi questo silenzio, per me, era un buon segno. Tuttavia ero inquieta.
In alcuni momenti della giornata mi sembrava di impazzire senza un apparente motivo e allora andavo in giro per negozi, tornando però sempre a mani vuote. Alice aveva notato il mio stato e mi stava vicina, ma anche la sua presenza non sortiva l’effetto desiderato. Mi ero ritrovata spesso a pensare che Emmett fosse l’unico rimedio ma mi sentivo a disagio quando mi abbracciava. La mia difficoltà era così palese che non avevo potuto nascondergliela col risultato che i momenti di intimità erano praticamente svaniti. Mi ritrovai a fare i conti: erano più di due settimane che non facevamo l’amore e per noi era un evento straordinario, anche se a essere onesti, da quando era emersa la storia di Desirèe, l’avevamo fatto col contagocce. Non capivo che cosa mi prendesse: se avevo deciso che lo amavo, perché non glielo dimostravo? Non riuscivo nemmeno a guardarlo negli occhi quando ci parlavamo. Lo baciavo, sforzandomi di raggiungere la nostra vecchia complicità. A volte mi sembrava di farcela, ma poi una vecchia sensazione di calore mi riscaldava le labbra e trovavo una scusa per allontanarmi.
Sul suo viso si alternavano irritazione e rabbia, mischiate a incredulità. Non capiva cosa mi stesse succedendo e come poteva, visto che era un mistero anche per me? Probabilmente adduceva il mio strano comportamento alla preoccupazione e perciò non mi rimproverava nulla, ma sotto c’era ben altro. E ne ebbi la certezza quando, guardandomi allo specchio in un negozio, mentre provavo un completo di biancheria intima, non pensai a come mi stava e se a Emmett sarebbe piaciuto, ma a come Jacob me lo avrebbe sfilato. Questa fantasia mi aveva irritato, col risultato che ero tornata frettolosamente a casa, senza acquistarlo.
Perché continuavo a pensare a lui? Io amavo Emmett, volevo vivere con Emmett, la mia vita era Emmett: mi ero ripetuta queste frasi fino a farle diventare una cantilena. Eppure lo desideravo vicino a me, volevo le sue mani sui miei fianchi, la sua voce in un tenero sussurro al mio orecchio, vedere il fuoco nei suoi occhi. Questo mi avrebbe chetato. Ma dov’era? Era passata una settimana e non si era più fatto vivo. Io non potevo chiamarlo, ma ne avevo bisogno. Era questa consapevolezza a farmi del male.
Passai una notte a piangere, distesa sul letto. Mi mancava da morire ma non potevo provare niente per lui. Forse quello sarebbe stato il momento migliore per fare sesso con Emmett, ma come potevo se avrei voluto farlo con qualcun altro? Aprii l’armadio e tirai fuori il mio peluche. Lo abbracciai forte fino all’alba, immaginando. Ma volevo la realtà, non un sogno. Possibile che mi avesse già dimenticato? Alice aveva ragione? Aveva detto quelle cose solo per appagare un desiderio fisico? No, non lui. Chiunque, ma non lui. Forse stava male, forse Leah e sua madre erano così in crisi da non poter essere lasciate sole nemmeno un istante… O forse semplicemente aveva già ottenuto quello che voleva.
Quel pensiero mi consumò lentamente. Se era così, se era stato davvero così, allora era tutto da dimenticare. Avevo sbagliato a concedermi con tanta leggerezza. Conscia del mio errore, mi buttai a capofitto nella ricostruzione del mio rapporto con Emmett. Passammo un intero pomeriggio a baciarci, distesi sul letto. In altri tempi avremmo fatto ben altro e il mio compagno accennò un paio di volte a togliermi la camicetta, ma una tenue resistenza bastò a farlo desistere. Nonostante questo, verso sera sembrò soddisfatto della nostra rinnovata intimità. E tutto sommato anch’io. Pregustavo già un ritorno alle vecchie ed eccitanti abitudini, quando una mattina suonò il telefono. Io ero distesa sul divano in salotto con la testa sulle gambe di Emmett, senza alcuna intenzione di alzarmi. Fu Esme a rispondere.
Non prestai alcuna attenzione alla conversazione, che peraltro durò solo qualche minuto. Una volta appesa la cornetta, tornò raggiante da noi.
“Chi era?” domandò Emmett.
“Sam” rispose tranquilla. Sentire quel nome mi fece trasalire, ma ebbi abbastanza autocontrollo da restare immobile.
“Cosa voleva?” si incuriosì Jasper.
“Parlare con Carlisle. Gli ho detto che stamattina è in ospedale e che lo avrebbe trovato nel tardo pomeriggio…”.
“Quindi?” domandò Alice.
“Verranno stasera per parlare… presumo della situazione…”.
“Verranno? Chi?”.
“Lui e Jacob. Per fortuna che ci hanno avvisato per tempo, così posso preparargli qualcosa da mangiare. Anzi, vado a dire a Bella la novità. Sono sicura che ne sarà felicissima!” esclamò soddisfatta Esme, che scese in giardino per parlare con lei e mio fratello.
Quando sentii pronunciare quel nome, la mia testa capì che avrebbe dovuto compiere una disperata resistenza per impedirgli di entrare. Erano passati otto giorni e ormai era fuori da me, dalla mia vita. Eppure ero eccitata. Mi sembrava di tornare a respirare dopo un lungo periodo di apnea.

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Capitolo 41
*** Emmett o Jacob? ***


Mi alzai e accesi la Tv, desiderosa di pensare a qualcos’altro.
Passai il resto delle giornata, divisa tra la speranza e l’angoscia: la speranza che fosse almeno un pochino felice di vedermi e l’angoscia della reazione che mi avrebbe provocato quest’incontro. Avrebbe distrutto ciò che stavo ricostruendo con Emmett? Guardai i film più stupidi che trasmettevano, lessi tutti i giornali di moda che avevamo in casa ma se qualcuno mi avesse chiesto di cosa trattava ciò che avevo visto e letto, non avrei saputo rispondere. Mentre io ero tesa, Alice era profondamente annoiata e sembrava voler cercare a tutti i costi qualcosa per ingannare il tempo. Poi improvvisamente intravidi un bagliore malandrino nel suo sguardo. Non potevo leggere nel pensiero, come Edward, ma lo conoscevo fin troppo bene.
“No!” la precedetti.
“Oh, andiamo Rose! Ti stai annoiando anche tu!”.
“Non così tanto!” risposi risoluta.
“Dai, ti prego!”.
“Leggi un giornale!” le suggerii, ma non mi ascoltò. Anche Emmett e Jasper sapevano cosa significava quello sguardo, tanto che entrambi scoppiarono a ridere. “Temo che ti tocchi, amore!” commentò il mio compagno. Tentai di oppormi con tutte le forze, ma, quando si ficcava in testa una cosa, mia sorella era un ciclone. Mi afferrò per un braccio, spergiurando che avrebbe fatto in fretta e non mi avrebbe tediato troppo, e mi trascinò in camera. A quel punto mi rassegnai.
Da quando era entrata a far parte della nostra famiglia, ci eravamo sempre comportate come se fossimo sorelle, con divertimenti e svaghi tipici dell’infanzia che non avevamo mai trascorso insieme. Con il passare del tempo, ovviamente, questi tipi di giochi erano passati, ma Alice ne aveva conservato uno, che generalmente mi faceva divertire, ma adesso non era proprio il momento più adatto. Eppure dovetti recitare ancora una volta il ruolo della Barbie.
Alice si divertiva un sacco a pettinarmi, truccarmi, a volte vestirmi, come se fossi una bambola. Diceva che ero così bella che lo sembravo davvero e lei amava sperimentare su di me tutto quello che vedeva sui giornali. E lo fece anche quel giorno. La lasciai fare, non prestandole attenzione. Ogni tanto mi parlava, ma rispondevo a monosillabi, persa nei miei pensieri.
Poi improvvisamente disse:“Ho finito! Guarda come sei bella!” e mi portò davanti allo specchio. Aveva pettinato i capelli in maniera strana: apparentemente scompigliati, seguivano in realtà un ordine perfetto. Mi aveva truccata e non me ne ero nemmeno accorta. Ombretto color madreperla, eyeliner, mascara e lucidalabbra rosato. Aveva perfino passato la matita intorno agli occhi. Ero a bocca aperta.
“Sei stata brava, Alice” mi complimentai. “Una delle cose migliori che hai fatto, direi”.
“Grazie” si rallegrò, orgogliosa.
“Come mai hai lasciato sciolti i capelli? Sei una maniaca del raccolto…”.
“Stai bene così” mi liquidò con una scrollata di spalle e si mise a sistemare tutti i suoi ferri del mestiere mentre io mi miravo e rimiravo allo specchio. Ero bella, davvero bella. Alice si avvicinò e non poté trattenersi dal sussurrarmi:“Vedrai che gli piacerai un sacco!”.
“Come?!” esclamai accigliata.
La sua bocca si allargò nel suo tipico sorriso maligno.
“Non dirmi che l’hai fatto apposta?!” esclamai a voce alta, ma Alice mi fece cenno col dito di abbassare il tono.
“Non era quello che volevi? Andiamo Rose, ti conosco meglio delle mie tasche!” commentò quasi impercettibilmente. “Ti piace farti ammirare. Lo facevi sempre quando uscivi con Tanya e non ti interessava nessuno. Adesso a maggior ragione…”.
“Lui non mi interessa ed io non interesso più a lui…” sbottai, cercando di camuffare l’amarezza.
“Meglio per te e per Emmett. Ma quando ti vedrà, si renderà conto di quello che si è perso e si roderà le mani fino al gomito! Non vedo l’ora di godermi la scena!”.
“Non l’hai fatto per questo, ma perché pensavi di farmi piacere. Sapevi che volevo farmi bella, ma la cosa non sarebbe passata inosservata agli occhi degli altri, se l’avessi fatta da sola” commentai.
“E’ così” ammise, poi tristemente continuò:“Rose, questa è la prova del fuoco. Ne sei quasi fuori… Non tornare indietro”.
Strinsi le labbra.
“Ora scendo. Non ti cambiare d’abito, altrimenti gli altri mangeranno la foglia” e uscì.
Restai ancora qualche minuto davanti allo specchio. Mia sorella era davvero un portento, poteva avere un futuro come consulente d’immagine! Tra poco sarebbe stato lì e avrei potuto godere della sua presenza.
Quando scesi in salotto, Carlisle era già tornato dal lavoro e attendeva con ansia i due ospiti. Quando mi videro, gli altri, Emmett in particolare, si complimentarono con Alice per il risultato raggiunto. L’unico infastidito fu Edward e il perché era chiaro, dato che lui solo poteva sapere la reale motivazione che aveva spinto sua sorella a giocare con il mio viso.
Il crepuscolo venne in fretta e i due licantropi arrivarono puntuali.
Edward li sentì e fece un cenno a Esme che si precipitò alla porta. Mentre tutti si avvicinarono, chi più, chi meno, all’ingresso, io rimasi indietro, paralizzata. Neanche la prospettiva di combattere con Lehausle mi aveva spaventato tanto.
Quando Carlisle varcò la soglia, seguito da Sam e Jacob, realizzai che se fossi stata umana, sarei morta di infarto, dovuto prima alla paura e poi alla gioia. Entrò sicuro, come se quella ormai fosse casa sua, pur essendoci stato solo un paio di volte. Aveva i capelli legati da un laccio dietro la nuca e indossava i soliti bermuda e una maglietta verde acido che dipingeva i contorni perfetti della sua muscolatura e ne metteva in risalto la carnagione dorata. Percepii istantaneamente il suo odore, che, nonostante le convinzioni a cui avevo cercato disperatamente di aggrapparmi, era rimasto il profumo, che non mi stancavo mai di respirare. Voltò il viso e i suoi occhi incrociarono i miei per un istante. Erano ancora caldi come un braciere, ma non sembravano bruciare più per me. Una sensazione di freddo mi indusse a stringere la mano di Emmett che, interpretandolo come una richiesta di aiuto, mi appoggiò il braccio sulle spalle. Jacob non indugiò oltre su noi due, anche perché Bella gli piombò letteralmente tra le braccia.
“Jake, sapessi come sono felice di vederti!” esclamò, emozionata.
Ricambiò l’abbraccio, sorridendo. “Scusami, Bells, se non mi sono più fatto vivo, ma avevo bisogno di starmene un po’ solo. Perdonami” le spiegò.
“Capisco perfettamente” rispose. “Soltanto che mi sei mancato tanto…”.
Quando si separarono, Bella avrebbe voluto continuare a fare conversazione, ma Sam si frappose immediatamente, facendo capire che non aveva intenzione di perdersi in quisquilie. “Carlisle, siamo qui perché ho riflettuto su alcune questioni e credo che sia meglio che ci confrontiamo” iniziò.
Mio padre annuì e fece cenno a loro di accomodarsi. Sam, come previsto, rifiutò e rimase in piedi; Jacob si spaparanzò sul nostro divano, rivolgendo inaspettatamente al suo capo un’aria di sfida. Sam ignorò deliberatamente il suo gesto e riprese a parlare, imponente:“Da quello che hai detto quella mattina, mi sembra di aver capito che dobbiamo aspettarci un attacco dai Volturi. Intendo un attacco diretto a noi…”.
“Sì, è così. Aro, Caius e Marcus detestano i licantropi e ogni volta che hanno trovato un branco, anche solo per caso, hanno fatto di tutto per eliminarne i componenti. Non si pongono il problema che possano o meno attaccarli o che siano pericolosi, li distruggono per principio. Ora sanno di voi perché Lehausle è sopravvissuto e temo che abbiano già deciso a proposito”.
“Ne avete la certezza?” domandò accennando ad Alice.
“Ovviamente no. Sapete che le decisioni che riguardano voi, non riusciamo a vederle. La mia è una deduzione dettata dalla conoscenza di secoli che ho di loro e dal fatto che poco prima che Jacob arrivasse, Lehausle aveva tutte le intenzioni di torturare Rosalie per sapere dove vi nascondete. Direi che è abbastanza evidente quale fosse il suo fine…”.
“Purtroppo il combattimento intrapreso da Seth ha svelato la vostra esistenza” spiegò Jasper. “L’unico modo per evitarlo, sarebbe stato l’assenza di superstiti”.
“Quindi, tirando le somme, la colpa è mia” interloquì Jacob con voce affilata. “Se fossi riuscito a farlo fuori, questo problema non sarebbe esistito”.
“Non stiamo facendo processi!” lo zittì Sam.
Jake sembrava, a dispetto del solito comportamento arrogante, teso e nervoso. Non si era mai sentito a disagio davanti a noi, anzi; ora c’era qualcosa che lo irritava. Pensai di esserne la causa dato che non mi aveva mai guardata.
“Vorrei fare un’ipotesi” osservò Sam. “Tempo addietro ci avevate detto che, consegnando Bella, si sarebbe potuta risolvere la situazione, senza spargimenti di sangue. E’ ancora così? Consegnando lei e tua figlia, il problema svanirebbe? In fondo hanno già ottenuto sia la morte di Desirèe che quella di sua madre. Perché continuare a combattere?”.
“Consegnare Rosalie è fuori questione” ruggì Emmett.
Il capo del branco non apparve minimamente scalfito dall’affermazione di mio marito, come se non avesse nemmeno parlato e continuò a fissare Carlisle, in attesa della risposta.
“La situazione è cambiata. Nel caso di Bella c’era soltanto un asilo da contestare; in questo caso stiamo parlando di un vero e proprio attacco, una disubbidienza plateale alle leggi, senza contare che noi avevamo già comunicato a Jane la nostra decisione di difendere Bella. Consegnarle non servirebbe a niente, perlomeno non dopo la sortita di Rosalie…”.
“D’accordo. La mia era soltanto una curiosità” chiarì con un’alzata di spalle. “Ne abbiamo parlato fra noi, e abbiamo deciso che combatteremo al vostro fianco. Per proteggere Bella, la nostra razza e vendicare Seth. Sia chiaro però che a noi non interessa quello che succederà a Rosalie, non combatteremo per lei”.
“A noi non interessano le vostre motivazioni” disse Edward. “L’importante è stare tutti dalla stessa parte, anche perché il combattimento affrontato contro i Neonati di Victoria la primavera scorsa, sembrerà una passeggiata al confronto”.
“Come intendete procedere?”
“In realtà non abbiamo un’idea chiara neanche noi. Grazie ad Alice, sappiamo che stanno preparando un esercito di almeno venti elementi. Li stanno radunando da varie parti degli Stati Uniti. Probabilmente non ci attaccheranno prima di un mese e quindi avremo tempo di elaborare una tattica, ma dobbiamo concertarla insieme”.
“Un esercito da venti elementi? Non mi avevate detto niente! Perché…?” domandai allarmata, guardandoli uno ad uno.
“Non volevamo farti preoccupare” si giustificò Esme.
“Cosa? Ma sono troppi! Non ce la faremo mai…” balbettò Bella con voce tremante, anche lei evidentemente all’oscuro di tutto.
“Se sono almeno venti, vuol dire poco meno di due a testa” ragionò Sam a voce alta. “Sono decisamente troppi…”.
“Abbiamo contattato il resto della famiglia Denali, che sono altri quattro vampiri, di cui una dotata di poteri particolari” cercò di sedare gli animi Carlisle. “Quasi certamente ci daranno man forte”.
Sam sospirò, per niente convinto. Si stava figurando all’orizzonte una guerra che probabilmente non avrebbe portato alcun sopravvissuto. Bella era spaventata quanto me. Si mangiava voracemente le unghie delle mani mentre loro, gli strateghi, tentavano di arginare i danni fatti da noi due.
“Come pensate di agire?” chiese Sam. “Volete attaccare o semplicemente limitarvi a difendere?”.
“Attaccare per il momento è impensabile” rispose Edward. “Non sono a Forks e quasi certamente arriveranno giusto in tempo per fare la prima mossa e noi non potremo fare altro che difenderci. L’unica cosa è organizzare un buon piano di difesa”.
“Fate quello che vi pare” esclamò Jacob d’un tratto. “A me interessa soltanto che mi lasciate Lehausle, gli altri gestiteveli voi”.
“Vuoi affrontarlo da solo? Sarebbe una follia!” intervenne Bella.
“Posso batterlo. Non è un problema”.
“Che stai dicendo?!” non mi trattenni. “Avevi ferite in ogni parte del corpo, ti ha rotto un ginocchio. Come puoi pensare di batterlo da solo?!”.
“Non sono mai stato in difficoltà!” alzò la voce. “Ho finto la sconfitta perché volevo che mi venisse vicino, pensando di aver vinto. E lui ci ha creduto. E’ un idiota pieno di sé…”.
“Anche il tuo ginocchio rotto era una finzione?” ridacchiai scettica.
Jacob non rispose. Mi guardò torvo, pieno di risentimento. Ero lo stesso sguardo che gli avevo sempre visto rivolto a me. Era tutto finito, dunque? Mi odiava?
“Non possiamo fare la divisione dei nemici” commentò acido mio fratello. “E, comunque, Rosalie ha ragione: Lehausle non può essere affrontato da solo”.
“Ci penserò io a lui” ribadì Jacob. “E non provare a venire a farmi la lezione di combattimento, visto che ho salvato da solo la tua preziosa sorella!”.
“Jake” lo richiamò Sam. “Piantala. Tutti noi vogliamo vendicare Seth e quando verrà il momento ci penseremo”.
Jacob sbuffò e tornò ad appoggiarsi comodamente sullo schienale del divano.
“Abbiamo un mese, dunque?” domandò Sam.
“Direi di sì; ma potrebbe diventare di più, come di meno”.
“Va bene. Allora ci terremo pronti. Se e quando avrete notizie, ce le comunicherete e ci organizzeremo di conseguenza”.
Mio fratello lo scrutò a lungo poi disse:“Ci sono dei problemi, Sam?”.
“Cioè?”.
“Tutti i ragazzi del branco combatteranno, non è così? E’ importante saperlo, perché una sola persona in più o in meno può fare la differenza”.
Sam arricciò le labbra, incrociando le braccia. Era fin troppo evidente che c’era qualcosa che non andava e io, senza che venisse aggiunto altro, sussurrai:“E’ a causa  mia, vero? Non vogliono combattere con me…”.
Il capo mi guardò un istante e poi riportò la sua attenzione ad Edward. “Col tempo le cose si sistemeranno…” rispose freddo.
“Cosa vuoi dire?” domandò Carlisle interdetto. “Non vogliono combattere?”.
“Oh no, vogliono combattere, eccome! Soltanto non per tua figlia. Per loro è responsabile quanto i Volturi della morte di Seth”.
“Lei non c’entra niente!” mi difese Emmett. “E poi non abbiamo appena detto che motivazioni diverse ci spingono nella stessa direzione? Nessuno di loro dovrà difendere in prima persona Rosalie; a quello penserò io”.
Sam respirò profondamente, poi concluse:“Ho già detto che la situazione si risolverà al momento della guerra. Non c’è niente altro da discutere”.
“E’ stata fatta una cazzata, che investirà tutti” mi raggelò Jacob.
“Ormai è fatta” tentò di liquidarlo il suo capo. “Inutile rivangarla”.
“Se elimini quella persona, il problema svanirà e tutto il branco sarà dalla stessa parte…”.
“Ho detto no!” ringhiò Sam.
“Il tempo non risolverà un accidente!” esclamò Jake, alterato. “Stai ficcando la testa sotto la sabbia. Leah non perdonerà mai e tutti gli altri con lei!”.
“Ubbidirà, esattamente come farai tu!”.
Non avevo mai assistito a loro divergenze e lo trovai insolito, ma il motivo era alquanto evidente. Il branco non voleva stare dalla mia parte: Sam pensava che col tempo la cosa si sarebbe affievolita e la razionalità avrebbe preso il sopravvento, Jacob no. E la cosa più assurda era che proprio lui gli stava suggerendo di eliminarmi per riportare la pace nel branco. Come poteva anche solo pensarlo, dopo quella notte?
Alla fine Alice aveva avuto ragione: era stato solo sesso per lui, e io ci ero caduta da vera ingenua, anche se non trovavo spiegazioni sul perché mi avesse detto tutte quelle belle parole subito dopo se non le pensava.
“Bene. Visto che state parlando dell’opportunità di uccidermi voi per primi, credo che la mia presenza sia superflua” commentai risentita.
“Che stai dicendo, amore? Nessuno ti farà del male” cercò di rincuorarmi Emmett.
“Credo che tu sia il solo a pensarlo. Mi è venuta fame. Vado a caccia e vi lascio ai vostri piani di battaglia. Se avete fortuna può darsi che qualche puma mi sbrani” conclusi con voce piatta.
Un minuto dopo ero a spasso per la foresta. Non avevo fame, ma quella era stata la scusa più plausibile per dileguarmi con un minimo di dignità. Mi sentivo ferita e delusa. Mi ero fatta bella, avevo aspettato con ansia quell’incontro, per ottenere cosa? Per farmi insultare. Non mi aveva mai guardato, le uniche parole che aveva avuto nei miei confronti erano state di disprezzo e di odio; voleva uccidermi. Dunque tutto quello che c’era stato fra noi, lo dovevo considerare morto e sepolto. Tutte bugie.
Camminai fino al confine. La quercia si ergeva maestosa e la raggiunsi. Mi sedetti accanto alle tombe di Desirèe e Seth e rimasi lì. Pensai nei minimi particolari a tutto quello che era successo in queste settimane. Lo feci perché ero convinta che Desirèe potesse sentirmi, che fosse ancora viva in qualche parte del cielo e volevo renderla partecipe del mio errore. Avrei tanto voluto averla di nuovo vicina: avrebbe saputo aiutarmi a interpretare i miei sentimenti, e, soprattutto, a vincerli. Avrei dovuto essere furiosa con Jake per ciò che aveva detto, ma non ce la facevo, e il pensiero che avrebbe combattuto con tutto il branco mi faceva stare male.
“Non era lui, vero?” sussurrai, alludendo alla mia personale interpretazione delle parole che Desirèe mi aveva rivolto quel giorno. “Ho sbagliato… Ancora…”.
Le parlai a lungo e alla fine mi sentii sollevata. Decisi perciò di tornare a casa. Mi incamminai e dopo poco più di un centinaio di metri incrociai Jacob e Sam che stavano tornando a La Push. La mia prima reazione fu quella di cambiare strada, ma non gli avrei mai dato la soddisfazione di vedermi delusa e continuai ad avanzare fieramente. Da parte loro, non sembravano affatto turbati e procedevano in silenzio, distaccati, come se ci fosse un muro invisibile. Quando fummo a pochissimi metri di distanza, Jake si fermò. “Rosalie, aspetta un attimo” disse.
“Cosa vuoi?” replicai infastidita.
“Dobbiamo andare a casa!” lo richiamò Sam aspramente.
“Devo fare una cosa prima” gli spiegò. “Vai, ti raggiungo dopo”.
“Ti dò mezz’ora al massimo, hai capito?” disse il suo capo con voce tagliente prima di allontanarsi.
Quando Sam sparì all’orizzonte, lo incalzai a parlare e a farlo in fretta. “Voglio semplicemente sapere se è tutto a posto…” minimizzò. “Intendo dire, se hanno detto o fatto qualcosa quella mattina”.
“Che t’importa? Tanto tu ed io non abbiamo più niente a che fare” sbottai, sforzandomi di tirare fuori il vecchio tono velenoso riservato a lui solo.
“Non voglio problemi in più di quelli che già ci sono” si affrettò a ribattere con espressione dura.
“Credi che Emmett verrà a farti la pelle?! No, non ti preoccupare. Il nostro piccolo segreto è al sicuro. Lo sanno solo Edward ed Alice e nessuno dei due dirà mai niente, quindi puoi dormire tranquillo! E ora, se non ti dispiace, me ne torno a casa”.
“Meglio così allora…”.
Non mi piaceva quel suo sguardo così freddo e distaccato, eppure sarei rimasta a guardarlo per ore.
Volevo andarmene eppure mi tratteneva il bisogno della verità, per quanto brutale potesse essere. Se me l’avesse detta a chiare lettere, forse sarei riuscita a riportare finalmente l’ordine e ad eliminare per sempre il suo nome dal mio cuore. La temevo ma era indispensabile per far ripartire il mio rapporto con Emmett.
“Mi odi, vero?” balbettai.
“Cosa te lo fa credere?”.
“Come mi parli, come mi guardi… Hai persino suggerito a Sam di uccidermi”.
“Non mi riferivo a te e, se vuoi la conferma, puoi chiedere a tuo fratello. In ogni caso, non è questo il punto. Che cosa vorresti sentirti dire? Cosa ti farebbe stare meglio?”.
Sospirai e mi appoggiai esausta al tronco di un albero. “Sono due cose differenti” ammisi dolorosamente. “Da una parte vorrei che dicessi che mi odi, che è stato solo sesso, che mi vuoi uccidere per vendicare Seth e che fra noi tornerà tutto come prima di quella notte; dall’altra però la sola prospettiva mi uccide. Mi farebbe stare meglio sentire che sono importante per te, che mi consideri ancora un dono del cielo, che hai bisogno di me come io di te. Ma questa seconda ipotesi non sarebbe la migliore perché mi costringerebbe a non pentirmi di quello che ho fatto. Ad ogni modo, voglio la verità”.
Increspò le labbra. “La verità non ti piacerà allora” commentò.
“Non importa. Io ne ho bisogno. E non farti problemi a dirmela anche rudemente. Mi entrerà in testa più facilmente”.
“Ok. Come vuoi”.
Reclinò il capo, deglutendo a fatica, visibilmente riluttante a parlare. Questo suo atteggiamento mi fece pentire della mia richiesta. Non ero pronta a sentirmi dire che ero stata solo un passatempo. Avrei voluto fuggire via, ma ormai avevo posto una domanda e dovevo avere la forza di ascoltarne, per quanto dolorosa e amara, la risposta.
“La realtà è che da quando ti ho lasciata al confine, non ho mai smesso di pensarti un solo giorno. Avevo una gran voglia di vederti, ma non potevo venire dai Cullen, senza metterti nei pasticci o sollevare miriadi di domande. Inoltre quella mattina mi sei apparsa molto frastornata e confusa, forse pentita di quello che c’era stato fra noi, e ho pensato che per te sarebbe stato molto più comodo non avermi tra i piedi: avevi parlato di due-tre settimane per archiviare la pratica Jacob e probabilmente mi stavi già dimenticando, ammesso che non l’avessi già fatto. Poi non ho più resistito. Sam doveva parlare con Carlisle e io ho preso la palla al balzo per venire. Lui non mi voleva nemmeno, l’ho praticamente costretto. E ora, a giudicare da come mi sento, capisco che è stata una pessima idea… Tutto qui” ammise con un filo di voce.
Durante il suo discorso mi era sembrato che un raggio di sole mi avesse sfiorato. Il mio raggio di sole, quello che mi aveva bruciato durante le mie notti più buie, quello da cui potevo considerarmi completamente dipendente.
“Davvero?” domandai incredula.
“Mi sei mancata così tanto che non lo credevo possibile…”.
“Anche tu. Avrei tanto voluto vederti, telefonarti, ma non potevo… E poi il tuo silenzio mi aveva indotto a pensare che non mi volessi più…”.
“Certo che io e te siamo dei maghi nel non capirci!” ridacchiò.
“Ma perché ti sei comportato in quella maniera in casa? Ho pensato che mi odiassi…”.
“Cosa ti aspettavi che facessi?! Che ti strappassi dalle braccia di Emmett?! Se volevi scatenare una guerra, beh, questo era un ottimo pretesto!”.
Aveva ragione, come sempre; soltanto che io quei pochi secondi li avevo aspettati per otto lunghissimi giorni e non avevo potuto accettare che fingesse disinteresse nei miei confronti. Mi fissò e alla fine disse:”Sai, non so se sia la voglia di vederti, ma oggi ti trovo ancora più bella di quanto ricordassi…”.
Gli sorrisi e contemporaneamente mi ripromisi di fare un regalone alla mia adorata sorellina. Gli gettai le braccia al collo e lo baciai. Avevo giurato a me stessa che non ci sarei caduta un’altra volta ma non potevo evitarlo. E d’altra parte era un precipitare così delizioso e piacevole!
Ci sedemmo alla base dell’albero e rimanemmo, mano nella mano, in silenzio. Lui era lì e solo questo importava. Non pensai più a niente, non mi posi più domande. Non volevo rovinare quel momento, quasi miracoloso. Come avevo fatto a credere che Jacob potesse essere così meschino, come avevo potuto dare credito, anche solo per qualche minuto, alle sentenze di Alice?! Avevo interpretato correttamente le parole di Desirèe, lui era davvero la mia stella e non avrei permesso a nessuno di portarmela via. Nemmeno ai Volturi.
Quel nome mi fece risalire bruscamente dal mio stato di beatitudine.
“Vuoi davvero combattere contro Lehausle?”.
I suoi occhi mi apparvero più neri della pece. “Sì” rispose laconico.
“No” ribattei. “E’ pericoloso. Non puoi farcela da solo. E’ fuori questione…”.
“E’ fuori questione che non lo faccia. Quel bastardo ha ucciso Seth e io gliela farò pagare, fosse l’ultima cosa che faccio!”.
“No! E’ forte, troppo forte. Sei riuscito a metterlo in difficoltà, è vero, ma questo non vuol dire che riusciresti a ucciderlo. Mentre invece è quasi sicuro che sarà lui a farlo…”.
“La tua mancanza di fiducia nei miei confronti è quasi un insulto!” sogghignò.
“Non voglio che ti succeda niente. Non potrei sopportarlo. Ti prego, lascia perdere”.
“Mi dispiace, Rose, ma né tu né nessun altro riuscirà a distogliermi dalla mia idea!”.
Era un testardo e sapevo che non lo avrei convinto facilmente. Optai per un’altra soluzione: in fondo potevo aiutarlo anch’io nella sua impresa e forse avrei convinto anche Alice a fare altrettanto. In tre ce l’avremmo fatta. “D’accordo, uccidi Lehausle, però, una volta fatto, ti ritirerai, va bene? La guerra sarà solo nostra e del resto del branco. Tu uscirai di scena”.
Aggrottò la fronte e si mise a ridere. “Credi davvero che lascerei i miei amici da soli, ad affrontare i Volturi, anche con Lehausle fuori dai giochi? Non mi conosci abbastanza bene…”.
“Non ci sarà alcun motivo per continuare a combattere. La tua vendetta sarà portata a termine…”.
“Non si tratta solo di vendetta. Devo difendere anche te e Bella. Finché sarò vivo, nessuno ti farà del male…”.
“Non voglio perderti…” mugugnai, in balia di lacrime che faticavo a trattenere.
“Non mi perderai” mi rassicurò, stringendomi. “Qualsiasi cosa accada, ti difenderò. E’ molto più importante proteggere due persone vive, che vendicarne una morta”.
“Non voglio che tu muoia!”.
“Oh non ti preoccupare! Non ho nessuna intenzione di morire! Io vedrò la fine di questa storia”.
Il suo tono sarcastico mi irritò. Come faceva a sdrammatizzare una situazione così tragica? Non si rendeva conto del pericolo che correva. Mi divincolai con violenza e mi alzai di scatto.
“D’accordo. Io non voglio che tu mi difenda!” esclamai risoluta.
“Va bene” disse, stiracchiandosi. “C’è sempre Bella, però…”.
“Sono sicura che neanche lei non vuole essere difesa da te!”.
“Non è una vostra decisione” affermò grave. “E’ soltanto mia e io combatterò. Per quanto mi riguarda, il discorso è chiuso”.
Mi sentii ribollire, come se fossi vittima di una febbre improvvisa. Era un incosciente e non capiva quanto avrei sofferto se gli fosse successo qualcosa. Gli voltai le spalle, indispettita, persino tentata di tornarmene a casa, senza salutarlo. Ma poi riflettei: quanto tempo sarebbe passato prima di poterlo rivedere? Non potevo sprecare questi ultimi minuti soltanto perché non l’avevo avuta vinta.
“Perché ci tieni tanto che non mi accada niente?” domandò a bruciapelo.
“Che razza di domande fai?! Perché tengo a te!” risposi, infuriata.
Si alzò da terra e mi fissò teso. “Voglio sapere cosa intendi fare ora…” dichiarò.
“Non capisco…”.
“Hai detto che ti sono mancato molto in questi giorni, però oggi eri mano nella mano con Emmett, quindi deduco che sia ancora il tuo compagno. Onestamente non voglio sapere come ti sei comportata con lui in questo periodo, però voglio sapere come intendi comportarti con me da adesso in poi. Che cosa mi devo aspettare?”.
Non risposi.
“Quella notte, mi hai detto “Ti amo”” rincarò. “L’hai detto perché ti suonava bene in quel momento o perché lo pensi? Voglio solo sapere questo”.
Ripensai a quel momento, alla felicità che mi aveva inondata e accecata, ma anche ai miei sensi di colpa e al dolore per il mio tradimento.
“Allora lo pensavo, ma adesso non lo so più…” ammisi avvilita. “Emmett ed io siamo ancora insieme e la verità è che non so se voglio lasciarlo”.
Jacob abbassò il capo, deluso. Mi avvicinai e cominciai a farfugliare velocemente, in modo tale da non lasciargli modo di interrompermi. “Cerca di capire. Siamo insieme da settant’anni e non credo che sia giusto distruggere tutto per qualcosa che non so se sia un’infatuazione, un invaghimento o chissà cos’altro! Penserai che sono una bambina viziata ma ho paura a puntare tutta la posta su una mano di cui non conosco le carte”.
“Non ti devi giustificare. D’altra parte sono io il terzo incomodo, quindi devo accettare di essere trattato di conseguenza…”.
“La colpa è mia. Non avrei mai dovuto cominciare, tuttavia non posso fare a meno di te. Ho bisogno della tua presenza e vorrei tanto essere sicura che sarebbe la scelta giusta, ma questa certezza non ce l’ho. E tutta la situazione con i Volturi mi confonde ancora di più… Non riesco a essere lucida. Poi c’è un’altra cosa…”.
“Cosa?”.
Strinsi nervosamente le mani, per calmarmi e poter affrontare quell’argomento nella maniera più sicura possibile, ma era così difficile. Jacob riusciva sempre a farmi sentire fragile e sfiduciata.
“Bella” proferii angustiata.
Distolse lo sguardo, visibilmente a disagio, e il suo tentennare mi fece intuire che il problema non era stato superato.
Rimasi in silenzio fino a quando lui riuscì a dire:“Credi che la ami ancora?”.
“Perché? Non è così? Come faccio a pensare che la persona che dicevi di amare sopra ogni cosa sia diventata una semplice amica nel giro di qualche giorno? Io non voglio passare ogni minuto della vita a chiedermi se ami davvero me oppure se ti sei semplicemente accontentato perché non potevi avere lei…”.
“Tu non sei una persona di cui ci si può accontentare…”.
“Non hai risposto alla mia domanda”.
“Non lo ritengo necessario…”.
“E invece me lo devi. Hai detto che capisci la mia situazione, che sono io quella che ha tutto da perdere. Beh, voglio sapere che cosa guadagnerei in tutto questo…”.
“E va bene” sospirò. “Sì, la amo ancora, e penso che una parte di me le sarà legata per sempre, ma non è come prima. Non la penso più in continuazione, anzi. Il sentimento sta morendo pian piano e il merito è tuo. Mi stavo già guardando intorno prima e non trovavo nessuna con cui valesse la pena di parlare, nemmeno di litigare, fino a quel giorno a Seattle. Sei molto importante perché stai colmando il vuoto di Bella, ma capisco che per una ragazza non sia il massimo sentirsi dire che mi sta aiutando a dimenticarne un’altra. Sicuramente hai ragione quando dici che non vale la pena scommettere tutta la propria vita su questa miseria, ma tu sei l’unica persona che è riuscita a distogliermi da lei e che mi dà serenità. Se credi che non sia abbastanza, per me è molto più di quanto potessi sognare. Ho bisogno di te, ma non posso costringerti a starmi vicino”.
Quando terminò, mi sentii invasa da una profonda tristezza. Non era quello che avevo desiderato udire, ma cosa avevo sperato? In fondo lo sapevo anch’io che non poteva essere tutto finito e io stessa gli avevo parlato di Emmett in termini che facevano intendere che non avevo nessuna intenzione di lasciarlo. Non per il momento, almeno. Mi sentii perfida e detestabile. Volevo il cuore di Jake devoto a me soltanto, pur continuando a tenere Emmett come porto sicuro.
Mi lasciai scivolare a terra e mi abbandonai a mille prospettive. Lasciare Emmett e provare con Jacob: e se fosse stata solo un’infatuazione? Se lui non avesse mai dimenticato Bella? Cosa ne sarebbe stato allora della mia vita? Oppure tagliare con Jacob e ricostruire il rapporto con mio marito: questa sembrava la soluzione migliore per me, ma sarebbe stato come togliere il respiro alla mia esistenza.
Sentii il tocco della sua mano sulla testa e alzai il viso. “Ti sto creando un sacco di problemi…” commentò, abbozzando un sorriso amaro.
Si inginocchiò e mi prese la mano, avanzando una richiesta, senza pronunciarla ad alta voce: scommettere su di lui, su di noi; abbandonare ogni cosa e ricominciare da capo. Avrei voluto farlo ma ogni volta che avevo seguito l’istinto, avevo solo combinato guai. E in fondo Jacob non lo conoscevo. Magari non saremmo nemmeno andati d’accordo. Lui era un licantropo: ufficialmente un mio mortale nemico. I nostri due caratteri, così agli antipodi, avrebbero finito per scontrarsi, alimentati dalle nostre nature. Mente invece Emmett ed io eravamo perfetti, le due metà della stessa mela. Certo, adesso il nostro rapporto viveva un momento di ottenebramento ma, quale coppia, in una vita lunga un’eternità, non lo passa? Era lui la mia strada, la mia vita reale. “Cerca di capire. Io non posso lasciare Emmett…” mormorai sommessamente e poco convinta.
“Ok. Era stato tutto messo in preventivo” rispose con un sorriso stiracchiato. “Ora torno a casa”.
Si alzò e procedette verso il confine. La mia attenzione cadde sul suo incedere lento. Uno, due, tre, quattro passi… E se fosse stato un errore? Dieci, undici, dodici… E se invece avessi perso l’amore della mia vita? Se fosse stato lui davvero? Venti, ventuno, ventidue… Ogni passo era una coltellata al petto. Perché Desirèe era arrivata proprio in quel momento? Perché la mia contemporanea crisi con Emmett? Perché qualunque movimento facessi me lo ero sempre ritrovato fra i piedi? Perché quel giorno sulla spiaggia era arrivato proprio lui e non un altro a caso del branco? Era destino? Lui non era stato invitato nel mio cuore eppure se ne era impossessato.
Lo rincorsi come una furia e mi gettai tra le sue braccia. “Ti prego, ti prego, non abbandonarmi!” lo implorai. “Ti scongiuro, resta. Ti prometto che cercherò di capire cosa voglio, ma concedimi ancora qualche giorno”.
Per un istante mi chiesi dove fosse andato a finire il mio orgoglio ma trovare una risposta a questa domanda non era una delle mie priorità. Volevo solo che lui rispondesse “va bene”.
“Vuoi pensarci un altro po’?”.
“Sì” annuii. “Però voglio anche continuare a vederti. Passare altro tempo senza di te non mi aiuterebbe e continuerei a non capire cosa cerco”.
“D’accordo Rose. In fondo me la sono cercata…” ridacchiò, poi, tornando serio, disse. “Però non mi chiedere di venire a trovarti a casa tua. Non ce la farei. Mi darebbe fastidio…”.
“Va bene tutto quello che vuoi” lo strinsi a me.
Non disse nulla per qualche istante poi mi chiese:“Posso vederti tutti i giorni? Anche per pochi secondi va bene…”.
Gli rivolsi uno sguardo incredulo e sognante insieme. Era quello che desideravo anch’io. Ci accordammo che tutti i pomeriggi, alle quattro, ci saremmo incontrati sotto la quercia.
Non era etico, non era lodevole, non era onesto, era insomma una cosa degna di me, ma avevo bisogno di capire, di avere conferme. Da me stessa e da lui. Magari con una vicinanza costante, avrei avuto la certezza di essere davvero innamorata di lui e non vittima di una passione passeggera; e Jacob, per parte sua, si sarebbe innamorato completamente di me e io non avrei più avuto paura di un eventuale confronto.
Era davvero destino? La comparsa di Bella nella vita di mio fratello non era avvenuta per portare felicità solo a lui? Quel suo odioso e maleducato amico non esisteva per far dannare Edward soltanto, ma anche me? Risi di questi pensieri.
“Rendi partecipe anche me delle tue idee” si lamentò sfiorando il mio orecchio con le labbra.
“Stavo pensando a quanto è buffa la vita: noi due ci siamo sempre odiati”.
“O forse sempre amati” concluse.


Della serie "Il piede in due staffe" e penso che qualcuna di voi potrebbe non gradire. Cosa ne pensate? Voi chi scegliereste? Io so chi sceglierei...

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Capitolo 42
*** Gli ostacoli del cuore - I parte ***


La palla nera si trovava esattamente sulla traiettoria di quella bianca. La buca dichiarata a pochi centimetri. Ci avevo impiegato quattro tiri a posizionarle in questo modo, però adesso potevo chiudere la partita agevolmente. Non dovevo sbagliare.
“Non ce la fai, è inutile” sogghignò Jacob, spavaldo, alle mie spalle, appoggiato alla stecca.
“Ce la farò invece, lupastro!” replicai seccata.
“Secondo me, no! Per tre volte hai avuto la nera in buca e hai sempre sbagliato. E ora non farai eccezione!”.
“Non è affatto vero! E poi la colpa è tua che mi distrai! Comunque adesso imbucherò questa maledetta palla e vincerò!” dissi irritata. Se fosse davvero accaduto, sarebbe stata la prima volta che riuscivo a vincere una partita a stecca! Avevo avuto innumerevoli lezioni ormai dal mio maestro ufficiale e dovevo ammettere che non ero portata, ma mi piaceva da morire. Era estremamente divertente. Non giocavo per il desiderio di vincere, però avrei goduto selvaggiamente nel riuscire a batterlo. E adesso ero a un passo. Dovevo solo concentrarmi.
Mi chinai e appoggiai la punta dell’asta nell’incavo delle dita. Presi la mira e spinsi delicatamente la stecca contro la pallina bianca. Ondeggiò con un movimento lento e urtò la nera che si diresse verso la buca. La palla si muoveva, rallentando, però, a ogni centimetro percorso. Avevo colpito con poca forza per evitare che prendesse direzioni non richieste ma sembrava quasi volermi beffare, fermandosi a pochi millimetri dalla buca. Scongiurai fino a quando non cadde dentro.
Sgranai gli occhi, incredula, poi alzai la stecca in aria, in segno di trionfo.
“Ho vinto, ho vinto!!!” gridai.
Gli altri avventori del bar mi guardarono allibiti: probabilmente non avevano mai visto nessuno così contento di aver battuto il proprio avversario a biliardo.
“Solo fortuna” minimizzò Jacob, riponendo l’asta.
“Non sai perdere!!!” lo presi in giro.
“Ne riparleremo se vincerai ancora!”.
Sbuffai. “Allora cosa ho vinto?” gli domandai incuriosita.
“Non lo so. Quello che vuoi… Basta che non sia troppo costoso!” si premunì.
“Non sono così venale!” esclamai offesa, poi gli sussurrai all’orecchio:“Voglio un bacio… Un bel bacio, però!”.
Mi sorrise. “Il premio è per me o per te?” mi domandò.
Scrollai le spalle, maliziosa.
“Facciamo dopo. Nel bar non mi sembra proprio il caso…” disse. Acconsentii e uscimmo dal locale.
Era pomeriggio avanzato ormai e le tenebre avevano già oscurato l’orizzonte.
Le strade di Port Angeles si stavano riempiendo di auto guidate da persone che tornavano a casa dopo una dura giornata di lavoro. I lampioni illuminavano i marciapiedi e i visi di coloro che li percorrevano. Li scrutavo cercando di scorgere un piccolo, per quanto rapido, segno di felicità, ma non sembrava che nessuna persona di quelle che incrociavamo ne volesse mostrare. Mi chiedevo se non volessero condividerli oppure se non ne avessero proprio. Solo io dunque ero così fortunata?
Avevo un sorriso da ebete stampato in faccia e non riuscivo a toglierlo. Non certo perché avessi vinto una sciocca partita a stecca, ma solo perché ero con lui. Lo guardavo ed era come se vivessi in un sogno. Un sogno a cui quella sera, dopo la discussione in casa mia con Jacob e Sam, avevo dato solo pochi giorni di vita e di cui ora non volevo più privarmi. Erano passate alcune settimane e non avevo più pensato a un’eventuale soluzione, a chi volessi legarmi davvero. Mi limitavo a godere della sua presenza. Ci vedevamo tutti i giorni, alcune volte per un’ora, altre volte per un pomeriggio intero. Tutto dipendeva dalla scusa che riuscivo a inventarmi per uscire di casa senza destare sospetti in Emmett. Le più frequenti erano la caccia oppure il desiderio di stare sola per improvvisi attacchi di depressione; a volte anche Alice si prestava, suo malgrado, ad aiutarmi. E così ufficialmente le mie uscite diventavano shopping con la mia adorata sorellina, che si ritrovava a girare tutto il pomeriggio da sola a Port Angeles o a Seattle facendo acquisti per entrambe da mostrare a tutta la famiglia al nostro rientro. Detestavo chiederle di coprirmi, ma avevo bisogno di credibilità e lei era l’unica a potermela assicurare.
Jacob ed io non stavamo mai a Forks perché non passavo inosservata e l’avvenenza di tutti i membri della famiglia Cullen era cosa nota. Non avremmo potuto passeggiare tranquilli, senza il timore che qualcuno mi riconoscesse e spargesse voci in giro. Questa purtroppo era la controindicazione di vivere in una piccola cittadina. A La Push non potevo entrare e quindi ci rimanevano poche alternative: Port Angeles, Seattle o i boschi circostanti e spesso la scelta veniva fatta sulla base del tempo a nostra disposizione. Con Jacob facevo un sacco di cose a cui non ero più abituata da anni, come, ad esempio, andare al cinema di pomeriggio. Mi sembrava di tornare indietro a quando ero bambina e ci andavo con mamma e Vera.
Ma oltre a questo, facevamo lunghi giri in moto, andavamo a giocare a biliardo, come quel pomeriggio, in sala giochi, oppure semplicemente a passeggio. Eravamo tornati anche al luna park a Seattle. Tutte banalità rese fantastiche solo perché c’era lui al mio fianco. Non c’era un pomeriggio in cui non avessi riso a crepapelle per almeno un quarto d’ora. Giocavamo sempre, facendo perfino finta di litigare, ma poi era così piacevole fare pace! La sua vivacità mi aveva fatto dimenticare che eravamo in guerra e che da un momento all’altro sarebbe arrivato un attacco dai Volturi. A dire la verità mi ero perfino dimenticata di essere un vampiro: respiravo, pur non avendone bisogno; avevo smesso di correre per i boschi: lo facevo solo quando andavo a caccia; verso sera mi sembrava persino di essere stanca. Era semplice suggestione, ma adoravo quella sensazione.
Ero umana. Mi sentivo umana. E tutto per merito suo. Durante i nostri pomeriggi, non parlavamo quasi mai della mia famiglia e del branco. Sembravano essere argomenti tabù anche se in realtà non ci eravamo messi d’accordo in questo senso. Ci eravamo costruiti un nostro universo parallelo, dove non esistevano licantropi, vampiri e immortalità, ma solo noi due.
“E’ tardino. Sono quasi le sei. Torniamo a casa?” mi domandò.
“Sì, credo che sia meglio” ammisi sconsolata. Quella frase arrivava sempre a guastare tutto. E così ci dirigemmo verso il parcheggio dove avevamo lasciato la sua moto. Stavamo camminando fianco a fianco, quando mi cadde l’occhio sulla mano abbandonata di Jake che penzolava lungo il suo fianco. Non ci pensai due volte e la afferrai, come se fosse in cerca di un padrone e la volessi adottare a tutti i costi. Si fermò di botto e mi fissò, stupefatto.
“Che ti prende?”.
“Non so” balbettai. “Il fatto è che…”.
“Sì?”.
“Posso tenerti per mano?” domandai tutto d’un fiato.
“Uhm… Il noleggio della mano viene un dollaro al minuto” ridacchiò.
“Posso permettermelo!” conclusi. Jacob mi strinse la mano nella sua e continuammo a camminare. Non l’avevo mai preso per mano durante le nostre passeggiate: non perché non lo volessi ma perché pensavo che a lui avrebbe dato fastidio. Senza una motivazione, in realtà. Invece sembrava gradirlo. Quel piccolo gesto mi faceva sentire parte di lui e lui parte di me.
Il nostro ritorno alla moto divenne infinito e quasi senza rendercene colpo allungammo la strada di parecchio. Tutto merito di una mano… Stringerla era così bello. Sentirne il tepore e assaporarne l’energia.
Nonostante questo, troppo presto ci ritrovammo nel bosco tra Forks e La Push, dove finalmente ebbi il sospirato premio della mia vittoria a biliardo.
Quando le mie labbra si staccarono dalle sue, lo strinsi forte. Quello era il momento più crudele di ogni pomeriggio. Ogni volta mi dicevo che sarebbero passate meno di ventiquattro ore e poi lo avrei rivisto, ma era sempre e comunque una tortura.
“Mi manchi già…” esclamai mesta.
“Anche tu, Rose, ma vedrai che domani arriverà in fretta”.
“Lo so” convenni. “Però… C’è anche un’altra cosa”.
“Cosa?” mi domandò portandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
“E’ da una settimana che… Vorrei tanto che tu…”.
“Anche a me piacerebbe tanto ma i boschi sono troppo battuti in questo periodo… Se potessi uscire di notte, di sicuro non ci imbatteremmo in cacciatori, né tanto meno in escursionisti. Potremmo fare con più tranquillità” rispose, intuendo la mia richiesta.
“Lo sai che non posso. Riesco a malapena a uscire di giorno. Non riuscirei a trovare una scusa anche per la notte” mi lamentai, indietreggiando di qualche metro e appoggiandomi sconfitta ad un albero.
“Mi inventerò qualcosa…”.
“Ti voglio Jake, come quella notte a La Push. Ho bisogno di sentirti…” mi sfogai amareggiata.
“Ti ho già detto che ci penserò io. Non ti preoccupare” tentò di consolarmi. Lo baciai nuovamente e poi tornai verso casa.
Così stavo andando per l’ennesima volta in crisi di astinenza. Questa assoluta mancanza di intimità fra di noi mi abbatteva. Era da un mese che ci frequentavamo assiduamente e avevamo fatto l’amore forse 4-5 volte, se così si poteva definire perché di fatto erano quasi delle sveltine. E io avevo sempre odiato le sveltine, anche perché non lo volevo fare per desiderio del minuto ma perché volevo tutto di lui e fare così in fretta, in un qualche anfratto nel bosco, non appagava il mio cuore, ma solo il corpo e non era quello a interessarmi. Analizzando la questione, di giorno era praticamente impossibile, le nostre rispettive case erano per ovvie ragioni off-limits e quindi? Non c’era una soluzione.
Quando rientrai piuttosto abbacchiata, Emmett mi accolse:“Deduco che la passeggiata di oggi non sia servita a niente…”.
“No, infatti” dissi, ricordandomi che la scusa del giorno era stato un improvviso stato di disperazione. “Vado a farmi una doccia”.
Mi infilai rapidamente sotto il getto d’acqua, ripassando mentalmente il pomeriggio appena trascorso. Lo facevo ogni volta che tornavo a casa: mi aiutava a sopportare la venuta del giorno successivo. I momenti con Jacob erano così piacevoli che riuscivano a rallegrarmi, anche in una situazione che non sarebbe dovuta essere tale, considerando quello che era successo con i Volturi e le prospettive che ci si paravano davanti. L’unico fastidio era che non provavo alcun senso di colpa nei confronti della mia famiglia. Sentivo spesso che parlavano di eventuali difese, dell’assoluta mancanza di novità su quel fronte e del fatto che forse avremmo fatto meglio a fare una sorta di allenamento in attesa dell’attacco, ma io non riuscivo a staccare la mente da Jacob. Mi rifiutavo di pensare a qualsiasi cosa potesse rovinare il mio paradiso personale.
Due settimane fa ci aveva contattato Kate, comunicandoci che la famiglia Denali al completo sarebbe stata al nostro fianco per combattere i Volturi. Quindi, considerando loro e il branco, eravamo in una ventina e avremmo potuto fronteggiare il presunto esercito, quando ci avesse attaccato. Se avessi pensato lucidamente, avrei capito che il mio ottimismo era inconcepibile, ma ero talmente assorbita dalla gioia di stare con Jacob che vedevo tutto rosa.
Quando uscii dal bagno, ebbi appena il tempo di rivestirmi che Alice entrò in camera. Non aveva il suo solito sorriso, ma un’espressione tesa.
“Che succede?” le domandai con ansia.
“Niente” rispose, scrollando le spalle. “Volevo solo dirti quello che ho visto oggi pomeriggio e che gli altri non hanno avuto modo di dirti prima”.
“Cioè?”.
“Jane è tornata in Italia”.
“Cosa?” esclamai, non riuscendo a trattenere un sorriso.
“Non gioire troppo presto. Demetri e Lehausle sono ancora da queste parti. Il primo è in Canada che sta cercando il resto della famiglia Denali e Lehausle sta finendo di addestrare il piccolo esercito a Detroit”.
Strinsi le labbra, delusa.
“Perché si sono separati? Non capisco… E soprattutto perché Jane è tornata a Volterra? Crede che Lehausle e Demetri riusciranno a eliminarci senza di lei?” investigai, cercando conferme alle mie teorie.
“Non lo so. Ho cercato la motivazione ma non riesco a vederla. Forse è come dici tu, anche se ne dubito fortemente. In ogni caso non c’è un attacco in vista. Puoi continuare ad andare in giro a bighellonare…” commentò acida e se ne andò, sbattendo la porta.
Bighellonare. Alice non era d’accordo con quello che facevo alle spalle di mio marito, e onestamente, nei miei pochi momenti di razionalità, anch’io mi facevo ribrezzo, però sciogliere il nodo che mi legava al mio lupo era irrealizzabile. Dopo il pomeriggio in cui era venuto a casa nostra, l’idea non mi aveva più sfiorata. Anzi. Tutta la giornata la passavo pensando a lui e Edward doveva trovare i miei pensieri estremamente monotoni e noiosi.
Edward. Dopo la scriteriata notte a La Push non ci eravamo più parlati e la tensione fra noi era palpabile, quando ci trovavamo nella medesima stanza. Non ci rivolgevamo più la parola ed evitavo accuratamente di incrociare il suo sguardo. La cosa era diventata di dominio pubblico, tanto che Esme mi aveva più volte chiesto di parlare con lui e chiarire le nostre divergenze, ma non poteva sapere che nessuna conversazione avrebbe potuto sistemare il nostro rapporto.
Ma non avevo tempo di occuparmi di mio fratello persa com’ero nelle mie fantasie. Gli unici a cui permettevo di rovinarmi qualche minuto erano i Volturi, ma nemmeno a loro concedevo troppo. E per fortuna avevano deciso di starci lontani ancora per un po’. Speravo che quel po’ fosse sinonimo di mesi perché il tempo volava vicino a Jake.
Trascorsero dieci giorni e tutto sembrava assolutamente perfetto, ogni suo piccolo gesto e parola, tanto che il distacco quotidiano era diventato una sorta di incubo. Avrei voluto allungare a dismisura i pomeriggi e trovare delle scuse anche per le sere, ma sapevo che mi era concesso più di quanto meritassi.
“Senti” mi disse un venerdì pomeriggio in cui il nostro incontro fu più breve del solito per via di una grossa quantità di compiti arretrati che aveva lasciato sulla scrivania ancora da fare. “Domani pomeriggio riesci a uscire prima? Tipo alle 14?”.
“Ma… Non so… Forse sì. Devo chiedere ad Alice. Perché?”.
“Recuperiamo oggi pomeriggio” minimizzò.
Recuperare: la parola magica. Non ci misi molto a realizzare che avrei fatto qualsiasi cosa pur di convincere mia sorella, tanto più che il sabato era la giornata ideale per lo shopping a Seattle. Non avrebbe avuto difficoltà a trovare qualcosa da fare per tutto il pomeriggio. E così acconsentii.
La comodità di avere una sorella che prevedeva il futuro era che non avevo nemmeno bisogno di metterla al corrente delle mie decisioni e così, sbuffando, il giorno dopo uscimmo insieme, con la sua macchina e ci dirigemmo al confine con La Push. Nel breve tragitto non pronunciò una sola sillaba: era nervosa. Lo capii anche dalle grattate che diede con il cambio di quella povera Porsche che invocò pietà parecchie volte. Quando si fermò sul ciglio della strada, mi affrettai a scendere, ma mi afferrò per un braccio. “Aspetta un attimo” mi ingiunse.
La guardai in attesa e lei spense il motore. Non si sarebbe trattato di una cosa rapida.
“Dimmi un po’. Per quanto hai intenzione di andare avanti con questa storia? Per quanto ancora credi di riuscire a tenere il piede in due staffe?” mi domandò con voce tagliente.
Sapevo che prima o poi quel discorso sarebbe arrivato.
“Non è una cosa che ti riguarda” risposi recalcitrante ad affrontare quell’argomento.
“Sai che hai una bella faccia tosta?! Mi riguarda eccome, visto che passerò l’ennesimo pomeriggio in giro per Seattle da sola a coprire le tue scorribande! Credo di meritarmi di sapere se dovrò farlo per l’eternità o meno!”.
“Non lo farai per l’eternità, non ti preoccupare!” commentai acida.
“Mi preoccupo invece. Mi avevi garantito che questa cosa sarebbe durata qualche giorno e invece sono settimane che va avanti! Sono stanca!”.
“Hai ragione. Cercherò di arrangiarmi da adesso in poi” le risposi sbrigativa, ansiosa di raggiungere Jacob.
“Non pensare di cavartela con un mi dispiace perché ti sbagli di grosso. Anche Edward è stufo e ho paura che decida di vuotare il sacco…”.
Trasalii. “Non può farlo” balbettai.
“Lo farà invece se non cominci a darti una regolata!”.
“Regolata? Cosa vuol dire?”.
“Vuol dire prendere una decisione e portarla avanti!” dichiarò con fermezza.
Reclinai il capo. Alice aveva ragione, ma era un problema che avevo sempre accuratamente evitato di pormi, per timore delle sue conseguenze.
“Chi vuoi, Rose?” mi domandò tranquilla. “Devi solo decidere per un nome”.
“Non è così semplice”.
“Perché? Da come ti comporti direi che la risposta è scontata”.
“No, non lo è” ammisi combattuta.
“Lo so che non lo è” concordò tristemente. “A volte non vedo più il tuo futuro e credo che sia perché hai deciso per lui; altre volte ti vedo ancora con noi ed Emmett. Dipende dai momenti, giusto?”.
Annuii.
“Non lo ami più? Emmett, intendo” chiese.
“Non lo so. Adesso come adesso mi verrebbe da risponderti di no. L’unico oggetto dei miei pensieri è Jacob, mattino e sera, e penso che la mia vita dipenda da lui, da come mi sorride, da come mi abbraccia, da cosa mi racconta; però se mi dicessi di lasciare Emmett non credo che lo farei. E non capisco se non lo farei solo perché sono abituata a stare con lui oppure se c’è qualcos’altro che è temporaneamente oscurato da Jake”.
Sospirai. Era la prima volta che mi ritrovavo a fare confronti e non riuscivo a dire quale fosse il migliore dei due per me. Eppure di una cosa ero sicura: non avrei potuto fare a meno di Jacob.
“Io non credo che tu sia innamorata di Jacob. Penso che una serie di circostanze ti stiano condizionando: il matrimonio di Edward, la crisi con Emmett, la morte di Desirèe, i Volturi, il fatto che lui ti abbia salvata più volte e in modi diversi… E’ tutto avvenuto in maniera tale da farti legare a lui, ma questo non vuol dire che sia amore”.
“E cosa dovrebbe essere allora?” domandai sarcastica.
“Ti fa sentire umana. Tramite lui credi di poter vivere, di essere una persona normale, di poter avere quello che Royce ti ha tolto, ma non è così. E’ solo un’illusione, Rose, e quando te ne renderai conto sarà anche peggio. Tu sei un vampiro, non puoi avere una vita diversa solo perché lui ti fa credere il contrario…”.
“Ne ho avuto abbastanza. Ti ringrazio del sermone!” e feci per aprire lo sportello ma Alice chiuse le serrature col controllo automatico.
“Adesso mi ascolti”.
“Beh, fai in fretta” sbottai.
“Tu sei morta ottant’anni fa e nessuno ti potrà più riportare in vita. Ora stai bene perché lui ti dice quello che vuoi sentirti dire ma non è ficcando la testa sotto la sabbia che il problema si risolverà. Tu non ami lui, ma ciò che ti dice…”.
“E allora?!” inveii con voce stridula. “Cosa c’è di male se mi fa sentire speciale? Se mi fa sentire come mai è successo, da quando sono vampiro? Sembra che sia una colpa e invece è una benedizione. Forse hai ragione, mi sto convincendo di essere chi non potrò mai più diventare, ma la sensazione di gioia che sento quando sto con lui è reale! E a te sembra che non piaccia vedermi felice…”.
“Rosalie… Io sono felice per te, ma temo semplicemente che sia un fuoco di paglia e che alla fine tu ne esca con le ossa rotte”.
Non replicai. Il mio benessere era sempre stato tra le priorità di Alice ed era per questo motivo che, pur disapprovando il mio comportamento, era così disponibile a facilitare i miei incontri con Jake, ma non amavo la sua visione così catastrofica della mia vita.
“Tu credi che le cose andranno bene fra voi ma non è così…” mormorò con un tono quasi profetico.
“Non è vero…”.
“Rosalie, apri gli occhi! Tu sei un vampiro e lui un licantropo! Anche se adesso va tutto bene, prima o poi succederà qualcosa, anche banale, per cui vi accorgerete che state solo recitando una parte e allora il film finirà e nel peggiore dei modi! Non ci sarà un lieto fine! Prima chiuderai questa storia, meglio sarà, per tutti e due”.
“No. Tu parli così perché è un licantropo e non lo vuoi vicino a me!”.
“D’accordo, il fatto che sia un sacco di pulci non mi va giù, ma se tu fossi felice, davvero felice, io sarei la prima a darvi la mia benedizione. Il problema non verrà mai da me, né dal resto della nostra famiglia. E’ il branco il vero problema. Non vogliono vampiri nel loro territorio e non vorranno mai te, dopo quello che è successo con Seth. Lo capisci? Faranno di tutto per dividervi. Non sono pronti a un rapporto di questo tipo. E cosa credi che sceglierà quando gli metteranno di fronte l’alternativa? Non sarai tu, Rose”.
“Smettila! Finora nessuno ha messo i bastoni fra le ruote di nessuno e le cose continueranno così. Andremo avanti e a breve deciderò chi voglio. Contenta?”.
“Tu non hai nessuna intenzione di decidere…”.
“Certo che ce l’ho!”.
“Invece no. Passi tutti i pomeriggi con il cane e con Emmett non hai quasi più contatti. Che razza di decisione credi di prendere in questo modo?”.
“Con Jake sto soltanto 3-4 ore al giorno, per il resto sono sempre con Emmett. Direi che non c’è niente da eccepire sul fatto che stia dedicando a mio marito molto più tempo!” commentai sarcastica.
Alice sbottò con una risata. “Ma se hai appena affermato che passi la giornata a pensare a Jacob! La sera stai sempre in camera tua, da sola, e sì, la mattina la trascorri con Emmett, ma davanti alla Tv! Non gli parli mai, non lo abbracci, e, perdona la mia invadenza, ma abitiamo nella stessa casa e certe cose non passano inosservate, non fate più l’amore da settimane. Lui non dice niente perché ti crede ancora depressa per Seth e Tanya, ma sta male. Ha paura…”.
“Te l’ha detto lui?”.
“Sì. Me ne ha parlato perché voleva sapere se io ero a conoscenza del motivo che ti rende così scostante. Ha paura di perderti, Rose. Sente che ti stai allontanando ed è la prima volta da quando state insieme. Ho provato a tranquillizzarlo, ma il fatto che tu non ti faccia toccare non dà adito a troppi fraintendimenti. Lo sa perfettamente quale significato dai al sesso”.
Fu come se la forza di gravità mi avesse tirato bruscamente a terra dopo mesi di voli tra le nuvole: stavo facendo soffrire mio marito. Non avevo mai pensato che mentre io ero così felice, qualcun altro potesse vivere emozioni diametralmente opposte. Mi ero ripetuta che non facevo nulla di così sbagliato: in fondo mi dividevo fra entrambi. Mi comportavo come se fossi una dea da venerare e, benevolmente, accontentassi i miei sudditi elargendo pillole della mia presenza. Ma non era così. Avevo iniziato questo giochetto, sperando che il fuoco per Jacob si spegnesse e invece ora mi accorgevo che era ben lungi dall’affievolirsi. E non mi ero accorta che trattavo Emmett solo come un convivente e che avrebbe sofferto la mia indifferenza. Come se bastasse la mia presenza in quella casa per renderlo felice e contento.
“Devi capire che non c’è solo la tua vita in gioco, ma anche quella di altre due persone e questa decisione la devi prendere in fretta. Non puoi aspettare ancora perché, così facendo, rischi di perdere entrambi. Emmett non è stupido e capirà cosa stai facendo alle sue spalle. Sai com’è fatto: è orgoglioso. Non ti riprenderebbe mai, nemmeno se lo pregassi in ginocchio…”.
“Non è detto che sceglierei lui…”.
“Oh no, questo lo immagino, ma se la storia verrà fuori, non avrai molte alternative”.
“Vuoi a tutti i costi che stia con Emmett! E’ per questo che parli così…” sibilai irritata. “Stai cercando di impaurirmi e farmi decidere per qualcosa di cui non sono certa”.
“Cielo! Ma proprio ti ostini a non capire! Va bene, allora guardiamo la questione dal lato Jacob. Lui ha amato tanto Bella e forse la ama ancora o forse no. Si vede con te adesso e so per certo che non la frequenta più così spesso. Sta puntando tutto su di te, lo capisci? Si sta affezionando. E se tu fra due-tre-quattro mesi tornassi da Emmett, lui cosa farà? Si sarà innamorato dell’ennesima persona sbagliata che lo ha fatto soffrire. Hai tanto criticato Bella ma stai facendo peggio. Dici di amarlo ma non ti importa se starà male per te!”.
Mi fece sentire spregevole. Non avevo riflettuto, mai. Non mi ero mai posta il problema perché volevo conservare la pace interiore e adesso Alice mi faceva notare che stavo solo rimandando l’inevitabile.
“Tu diresti Emmett…” affermai, lamentosa.
“Sì, ma se tu sei felice, accetterò anche un lupo come cognato…” sospirò, alzando gli occhi al cielo.
Annuii mestamente, poi guardai l’orologio: ero in ritardo. La salutai, dandole appuntamento per le sette. Storse il naso, ma, come sempre, mi avrebbe accontentato. Mi diressi al nostro punto d’incontro, strascicando i piedi e quando lo raggiunsi, trovai Jake seduto, in mia attesa, sotto un albero. “Sei in ritardo…” disse.
“Scusami…”.
“Che ti prende? E’ successo qualcosa? Hai un’espressione corrucciata…” constatò, osservando il mio viso affatto gioviale.
“Tutto a posto. Ho solo avuto una chiacchierata con Alice. Piuttosto cosa facciamo oggi?” domandai, cercando di mostrarmi allegra.
“Ho una sorpresina per te!” esclamò entusiasta.
“Sentiamo” lo incalzai.
“Mio padre è partito stamattina per un “fantastico” weekend di pesca con Charlie e Rachel è a fare shopping con Emily a Seattle per tutto il giorno. Quindi…”.
“Quindi?” domandai non riuscendo a cogliere la conclusione che a lui appariva logica.
“Abbiamo la casa libera!” esclamò trionfante.
Sgranai gli occhi. La casa libera. Ma allora… Gli saltai al collo, abbracciandolo. Questa era davvero una sorpresa con i fiocchi!
“E’ meraviglioso. Ma perché non me l’hai detto prima?” mi lamentai, pensando che la biancheria intima che indossavo non era la più seducente che possedessi.
“Che razza di sorpresa sarebbe stata altrimenti?! Dai, andiamo!” concluse, prendendomi per mano.
Ero talmente eccitata che lo seguii per qualche metro prima di rendermi conto di un problema. Il mio problema. “Jake aspetta!” lo trattenni.
“Che ti prende?”.
“A meno che non vi siate trasferiti, io non posso venire a casa tua, lo sai” dissi con una smorfia che doveva essere ironica, ma che divenne soltanto sgradevole.
Jacob non sembrò minimamente scalfito dalla mia protesta. “Che problema c’è? Hai violato tante di quelle volte il confine che una volta di più, una di meno non cambierà nulla. E poi io sono il vice-capo quindi posso autorizzarti a entrare!” ridacchiò.
“Non dire scemenze!” replicai. “ Soltanto Sam può farlo e non lo farà certo per me!”.
“Non ti devi preoccupare del branco. Ci penserò io a loro, quando e se verrà il momento”.
“Non voglio metterti nei guai. Io non posso venire da te, altrimenti…” iniziai, ma non mi fece terminare la frase. Mi chiuse la bocca con la sua e, come se avesse premuto un interruttore, smisi di ragionare.
“Senti, ti ho già detto che non ti devi preoccupare, ma se il vero motivo è che non ti va, non è un problema…” mi disse.
“Certo che mi va. Come puoi pensare il contrario?”.
“E allora vieni con me”.
Il desiderio di lui era troppo forte e mi annebbiò completamente il cervello. Annuii e insieme raggiungemmo la sua moto, parcheggiata appena fuori dalla boscaglia. In pochi minuti eravamo davanti a casa sua, a La Push. Mi sfilai prudentemente il casco e mi guardai attorno, come se fossi evasa da un carcere. Non c’era nessuno, a parte un’anziana signora che stava rientrando in casa e un cane nero di mezza taglia, dalle orecchie pendenti e il muso affilato. Mi ricordò in maniera impressionante il peluche che tenevo nascosto nell’armadio. Indugiai a guardarlo e Jacob se ne accorse:“E’ Jerry. Non ha un padrone. E’ stato praticamente adottato dal quartiere visto che tutti gli danno qualcosa da mangiare. Ogni tanto lo facciamo anche noi”.
Feci qualche passo nella sua direzione ma mi fermai quando lui, notando la mia presenza, si irrigidì e indietreggiò. Non mi conosceva ed era comprensibile il suo timore. Avanzai lentamente per cercare di fargli capire che non volevo arrecargli alcun male, ma iniziò a ringhiare. Dapprima sorpresa, ritornai alla realtà. Aveva paura non perché non mi conosceva, semmai il contrario. Aveva colto la mia reale natura e che io mi cibavo di animali come lui. Non era possibile che si fidasse di me.
“Vuoi accarezzarlo?” mi domandò Jake.
“No, non importa” tagliai corto e mi diressi verso casa sua. Mi prese per mano, trattenendomi.
“Aspetta, ha solo paura. Ci avviciniamo piano piano e vedrai che si farà toccare” mi rassicurò.
Avanzammo mano nella mano di qualche passo, ma Jerry continuava a ringhiare.
“Lasciamo perdere. Non vuole, è evidente…” cercai di convincerlo.
Jacob si inginocchiò e allungò una mano al cane. “Vieni Jerry, vieni da me. Non ti voglio fare del male, e neanche Rose. Vieni qua. Falle vedere quanto sei intelligente…”.
Il cane smise di ringhiare ma rimase immobile mentre Jacob seguitava a chiamarlo. Non capivo perché si fosse intestardito in questo modo. Per me non era importante accarezzarlo. O forse sì. Gli animali sentivano il mio odore, lo distinguevano, sapevano che eravamo cacciatori e per giunta molto più temibili di qualsiasi altro. Era quasi impossibile che la preda ci sfuggisse e ogni volta che passavamo nel bosco, si zittivano e tentavano inutilmente di nascondersi ai nostri sensi fin troppo sviluppati. Era naturale che Jerry mi volesse sfuggire.
Jacob mi tirò giù, vicino a sé e mi costrinse ad allungare la mano, suggerendomi tuttavia di tacere. E, contro tutte le leggi di natura, Jerry si incamminò guardingo verso di noi. Avanzò lentamente fino a che il suo muso non sfiorò la mano di Jake, che riuscì ad accarezzarlo. Il cane abbassò le orecchie e scodinzolò lievemente. Allungai le dita, con un movimento lento, e le affondai nel suo pelo folto. Mi rivolse la sua attenzione e mi fissò a lungo, poi si sedette vicino a noi. Presi a grattargli la zona sotto l’orecchio e notai essere un massaggio a lui gradito. Inclinò leggermente il muso e socchiuse gli occhi, abbandonandosi completamente al piacere di quel lieve sfrigolio. Ero stupefatta.
“Hai visto?” mi domandò Jacob.
Annuii e continuai ad accarezzarlo. Mi avvicinai di più e lui non scappò. Non aveva paura, anche se dovevo tutto alla presenza di Jake. Lo conosceva, sapeva che era un essere umano e per giunta suo “parente”, se così potevo definirlo. Se fossi stata da sola non sarebbe rimasto, né si sarebbe avvicinato, ma in fondo andava bene così. Da quando era avvenuta la trasformazione non ero mai riuscita a sfiorare un cane. Quella era la prima volta in ottant’anni.
Volsi il viso per ringraziare Jacob con un sorriso, ma solo allora mi accorsi che non era più inginocchiato vicino a me. Lo scoprii seduto su una panchina, dall’altra parte della strada, a una ventina di metri. Perché stava lì? Riportai la mia attenzione su Jerry che continuava a pascersi delle mie coccole.
Jake era lontano eppure Jerry restava. In quel momento toccai l’apice della gioia. Allora aveva capito che non gli avrei fatto del male, che ero diversa da ciò che sembravo! E io non desideravo mangiarlo, ma soltanto volergli bene come al cane che non avevo mai potuto avere. Com’ero lontana dalla mia condizione di vampiro. In poche settimane l’avevo sentita morire lentamente e ora sapevo che il conflitto era finito. Potevo avere ciò che desideravo, bastava soltanto che mi facessi capire e che mi scrollassi da dosso quell’insopportabile sensazione di autocommiserazione che mi aveva tormentato per anni. Potevo, no anzi, ero umana.
“Scusa, se ti disturbo, ma hai intenzione di passare il pomeriggio con Jerry? Guarda che è capace di stare qui a farsi accarezzare per un’ora buona…” mi disse Jake, improvvisamente alle mie spalle.
“Vedremo…” ridacchiai.
“Devo arguire che preferisci lui a me…” commentò sarcastico.
“Temo di sì. E’ adorabile. E poi è un tuo simile, non devi essere geloso!” sorrisi, non distogliendo lo sguardo dal cane.
“Ok. Messaggio ricevuto” commentò.
Lo accarezzai per un altro minuto circa poi Jake mi prese in braccio contro la mia volontà. Protestai vivacemente tanto che Jerry abbaiò. “Mi dispiace fratello” gli rispose Jacob con un ghigno. “Ma ora è il mio turno. Continuerete un’altra volta!”.
Risi mentre vidi Jerry andarsene infastidito.

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Capitolo 43
*** Gli ostacoli del cuore - II parte ***


Potei camminare con le mie gambe soltanto dentro casa sua che era, come previsto, avvolta nel silenzio. Fin dal giorno in cui eravamo andati a Seattle, ero sempre stata curiosa di vedere l’interno di quell’abitazione all’apparenza così accogliente e le mie aspettative non andarono deluse. Era decisamente piccola rispetto alla nostra, ma emanava calore. Entrai in cucina e trovai una montagna di piatti sporchi nel lavello. Da noi non sarebbe mai successo neanche se fossimo stati umani, a causa del perfezionismo di Esme. Andai in salotto: un minuscolo divano e due poltrone davanti a un vecchio televisore. Niente di paragonabile con lo schermo al plasma che Jasper aveva voluto a tutti i costi l’anno scorso.
“Non abbiamo tutti i vostri soldi” si giustificò Jacob.
“No, avete molto di più” commentai malinconica. “Posso vedere camera tua?”.
Mi accompagnò al piano superiore dove entrai in una stanza così disordinata che faticai perfino a rintracciare il letto in mezzo a calzini, pantaloni e magliette buttati ovunque. Appesi alle pareti c’erano poster di automobili e moto; sopra un mobile c’era una radio smontata in vari pezzi. Non sapevo come facesse a vivere in quella confusione. Mi avvicinai al comodino accanto alla testata del letto, attirata da alcune foto incorniciate. In una c’erano lui e Bella seduti sulla moto, accanto un’altra nella quale riconobbi un’adolescente Rachel e un Jacob poco più che bambino. Con loro c’era un’altra ragazza. “E’ Rebecca” mi disse senza che chiedessi niente. Così era lei l’adorata sorella maggiore. A giudicare dalla vivacità della sguardo doveva essere più pazza di lui. Continuai la rassegna e ne vidi un’altra in cui spiccava il viso sorridente e rotondo di una signora dall’aria esuberante. Intuii che fosse sua madre ma non ebbi alcuna conferma in merito e non osai chiedere. L’ ultima mi strinse il cuore: Seth che teneva in braccio Desirèe. La presi in mano e i miei occhi si fecero lucidi. “E’ bellissima. Quando l’hai scattata?” domandai a mezza voce.
“Il giorno dopo il suo ritorno a Forks. Poco dopo essercene andati da casa di Bella…”.
Sfiorai il vetro, come se potessi toccarli davvero. Desirèe rideva e Seth faceva la linguaccia al fotografo. Sembravano felici. Jake me la estrasse delicatamente dalle mani e la ripose capovolta sul comodino. Avrei voluto riprenderla ma mi fermò con un gesto.
“Mi piacerebbe averla. Me ne faresti una copia?” domandai.
Jacob annuì. Infine guardai il poster attaccato sopra la testata del letto. Una ragazza dai lunghi capelli biondi in bikini, su una spiaggia dei Caraibi. La riconobbi: era un’attrice.
“Non pensavo che fossi un fan di Jessica Alba!” lo sbeffeggiai.
“Che male c’è?! A quasi tutti i ragazzi piace. E’ bella!” commentò increspando le labbra.
Sbuffai. Era davvero bella, non potevo negarlo, e sapevo che la fauna maschile la apprezzava molto. Perfino a casa mia.
Jacob mise le mani sui miei fianchi e sussurrò:“Ho messo la sua foto perché non ne ho una tua. Me la ricordi tantissimo, anche se tu sei molto più bella…”. In un’altra situazione avrei pensato che mi stesse prendendo in giro, ma anche Alice mi aveva detto più volte che somigliavo a quell’attrice e per questo spesso mi truccava e mi pettinava come nei suoi film.
“Ti va di andare di là?” propose, affondando il viso nei miei capelli.
“Perché? Questa è camera tua…” protestai.
“Sì, ma il letto è minuscolo. Per dormirci devo stare rannicchiato e tu non sei certo piccola. Di là staremo più comodi. Ho anche cambiato le lenzuola…”.
Mi lasciai convincere anche se avrei preferito restare lì. Mi accompagnò fino alla fine del corridoio ed entrammo in quella che intuii essere stata la camera dei suoi genitori. Jacob si sedette subito sul letto matrimoniale, come se volesse farmi ammirare la morbidezza del materasso, mentre io rimasi in piedi. Mi sentivo a disagio, pensando che se Billy l’avesse saputo avrebbe torto il collo a suo figlio.
“Qualcosa non va?” domandò.
Mi affrettai a smentire, ma l’imbarazzo rimase. Mi prese per mano e mi tirò dolcemente a sé. Mi baciò affettuosamente e, come sempre quando ero in sua compagnia, dimenticai dov’ero.
Le due ore successive furono meravigliose e insieme terribili. Meravigliose perché mi sentivo parte di qualcosa di speciale; terribili perché non volevo che finissero. Ne assaporavo ogni secondo, ma non ne ero mai sazia. In quei mesi il mio mondo si era capovolto ed era stato lui a farlo. La testa reclamava, confusa, sgridandomi per il rischio che stavo prendendo comportandomi in quel modo, ma non potevo stargli lontana. Era il mio sogno che stava diventando realtà.
Il suo sorriso rischiarava le mie tenebre, il suo respiro era come un vento caldo e la sua allegria mi strappava alle mie insicurezze. Se il mondo si fosse fermato adesso, se la Terra avesse smesso di girare, avrei potuto beneficiare di quegli istanti per sempre. Ma in fondo potevo farlo. Bastava scegliere. Bastava dare un colpo d’accetta al passato e ricominciare da capo con lui.
Ero persa nei miei pensieri quando sentii un dito caldo partire dalla nuca e scendere fino ai glutei. “Cosa stai pensando? Si può sapere o è strettamente riservato?” mi domandò.
“Pensavo a quanto sono felice con te accanto. Vorrei che non finisse mai…”.
“Anch’io Rose. Ma se lo vuoi davvero, c’è un modo per non farlo finire mai” mormorò. Le parole che seguirono al suo silenzio non furono una sorpresa:“Non tornare a casa. Resta qui, con me…”.
Mi rabbuiai. Sembrava tutto semplice e invece non lo era. Non riuscivo a prendere quella decisione, così, su due piedi. Sapevo che non volevo rinunciare a Jacob, ma rompere con Emmett mi sembrava un’azione da ingrata. Anche se effettivamente il mio attuale comportamento era ugualmente indegno.
“E’ difficile per me…” cercai goffamente di giustificarmi.
“Lo so e capisco quali possano essere i tuoi dubbi… E’ un’infatuazione dovuta semplicemente alla situazione oppure è amore reale? Queste domande me le faccio anch’io e onestamente non riesco a dar loro una risposta precisa ed è per questo che non ti sto mettendo fretta, nonostante ci frequentiamo assiduamente da parecchio. Per quanto mi riguarda non penso che sia una passione passeggera…”.
“Non lo credo neanche io…”.
“Beh, almeno siamo d’accordo su qualcosa” commentò ironico. “Comunque, posso aspettare ancora. Quando questa cosa dei Volturi sarà finita penso che avremo tutti e due le idee molto più chiare e potrai decidere senza timore di sbagliare o essere influenzata da condizioni esterne”.
“Davvero potresti aspettare fino ad allora?”.
“Sì, anche se, devo essere onesto, questa situazione mi è odiosa. Non mi piace fare l’amante…” ammise con una smorfia di disgusto.
“Non sei l’amante!” ribattei accigliata.
“E cosa sono allora, visto che il compagno ufficiale già ce l’hai?”.
Quella domanda mi spiazzò e non risposi.
“Non voglio dividerti con nessuno e invece sono costretto a farlo…” disse con una punta di acredine.
“Non mi dividi con nessuno” mi affrettai a chiarire.
“Mi prendi in giro?!”.
Mi sedetti vicino a lui, coprendomi il seno col lenzuolo. “Jake” sussurrai. “L’ultima volta che ho fatto l’amore con Emmett è stato la sera in cui tu ed io ci siamo incontrati in discoteca a Port Angeles. Dopo non abbiamo più fatto niente. Ci siamo baciati qualche volta, ma ormai sono svariate settimane che non mi faccio più nemmeno abbracciare. Non ce la faccio. Non riesco a concepire che qualcun altro, a parte te, mi tocchi. Adesso ti chiederai perché non lo lascio subito e ti rispondo che non lo so: forse per paura di una strada nuova, per abitudine, non ne ho idea. Però temo di essere innamorata di te…”.
“Davvero?” mi domandò serio.
“Credo di sì” ridacchiai.
“Allora sei messa male!!!” esclamò, sbeffeggiandomi.
Lo guardai imbronciata e lo picchiai per vendicarmi. Cominciò una piccola e infantile lotta sotto le lenzuola fino a che non mi ritrovai abbracciata a lui.
“Vorrei la verità…” mi disse grave. “Davvero non ti tocca?”.
“No” risposi laconica e con una decisione che non lasciava spazio a fraintendimenti.
Mi baciò soddisfatto e poi mi domandò se avevamo tempo per un altro round. Guardai l’orologio. Le cinque e mezzo. “Sì, ci potrebbe stare, però avrei bisogno di qualche minuto per farmi la doccia dopo. Non posso tornare a casa col tuo odore” precisai.
“Ce l’hai sempre il mio odore addosso” si lamentò.
“Sì, ma non forte come adesso…” esclamai maliziosa.
“Va bene…” si rassegnò. “Allora preferirei non perdermi in chiacchiere”.
Ricominciammo a baciarci quando sentii il rombo del motore di una macchina passare sotto le finestre e spegnersi davanti alla casa. Lo stesso rumore distrasse anche Jacob che si alzò e andò a spiare dal vetro. “Cazzo! Che ci fa qui?!” imprecò sbattendo le mani contro i fianchi.
“Di chi stai parlando?” domandai svogliata e impaziente che tornasse subito da me.
“Di Rachel. E’ tornata a casa”.
“Cosa?!” quasi gridai.
“Direi che il divertimento è finito…” commentò con disappunto, andando a raccogliere i vestiti da terra.
Ero stravolta. Sua sorella era già qui e Jacob non sembrava affatto spaventato, ma solo seccato. “Cosa facciamo? Non deve vedermi! Adesso mi vesto in fretta e esco dalla finestra…” dissi, indossando in tutta fretta i jeans.
“Calma” rispose tranquillo. “Non c’è niente di cui tu ti debba preoccupare. Questa è anche casa mia, se non sbaglio, quindi posso fare quello che mi pare”.
“Ma io non posso stare a La Push…”.
“Dove sto io, puoi stare anche tu” replicò fermo. Uscì un attimo dalla camera e rientrò con alcuni asciugamani. “Puoi andare a farti la doccia. Il bagno è la porta di fronte a questa”.
“Ma…”.
“Fai con comodo. Vado giù a sgranocchiare qualcosa e a parlare con la rompiscatole” e scese al piano inferiore. Per lui sembrava tutto normale, come se non stessimo violando le regole, come se non ci fossero problemi; e invece mi chiedevo che cosa avrebbe detto Rachel quando avrebbe saputo con chi era suo fratello. Presi i miei vestiti e sgattaiolai in bagno. Prima di aprire il getto d’acqua rimasi in ascolto per qualche minuto. Dapprima Jacob le chiese come mai fosse già a casa e Rachel gli rispose che era rientrata prima perché Emily non si era sentita bene; dal canto suo, la ragazza gli chiese cosa ci facesse lui in casa il sabato pomeriggio e, quando lo sentii dire che non era da solo, aprii il getto della doccia. Adesso gli avrebbe parlato di me e non volevo sentire la litigata che ne sarebbe scaturita. Mentre ero sotto l’acqua non distinsi più le voci e mi illusi che forse non avesse preso così male la mia presenza. La doccia fu velocissima e nel giro di pochi minuti fui pronta. Quando uscii dal bagno, stavano discutendo animatamente.
“Non capisci proprio niente! Sei un idiota!” gridava Rachel.
“Ma piantala! E non atteggiarti a padrona di questa casa!” replicò Jake con glaciale tranquillità.
“Ci sono decine di ragazze che pagherebbero per stare con te e tu vai a prendere proprio l’unica che non dovresti neanche guardare! E per di più, te la porti anche a casa, violando il confine. Vorrei sapere cosa ho fatto di male nella mia vita per avere un fratello così deficiente!”.
“Calmati, non vorrei che ti scoppiasse una vena…” ridacchiò.
“Ma prendi sul serio questa cosa o no? Lei non è come noi, non può stare qui e non può stare con te. Ha una famiglia di sanguisughe come lei. Quello è il suo posto. Ci sono delle regole”.
“Regole che appena sarò il capo spariranno…”.
“Cosa?!”.
“Farò in modo che possa venire a La Push tutte le volte che vuole…”.
“Quel patto è nato per proteggere la riserva dai vampiri e tu vuoi mandare tutto all’aria per lei?! Sei impazzito!!”.
“Dovrai abituartici! E comunque la deroga varrà solo per Rosalie, non per il resto della sua famiglia”.
“Essere capo non vuol dire elevarsi al di sopra delle regole e poter fare ciò che si vuole”.
“Stai diventando patetica. Comunque, se non ti andrà bene potrai sempre andartene” commentò sarcastico.
“Se ti ostinerai su questa strada, ti ritroverai solo… Gli altri non ti vorranno mai come capo!”.
“Non hanno facoltà di scelta. Li farò ubbidire, a forza se necessario…”.
“Così avrai solo sudditi, non compagni”.
“Non importa. In fondo, se loro non rispettano le mie scelte, perché io dovrei rispettare le loro?”.
“Un capo non può avere una vampira come compagna!”.
“E questo chi lo dice? Non mi risultano leggi a proposito”.
“Lo dice la natura e contro di lei neanche tu puoi farci niente!”.
La piega che stava prendendo questa conversazione non mi piaceva neanche un po’, così scesi le scale, facendo più baccano possibile, in modo da annunciare il mio arrivo. Quando entrai in cucina, Rachel si era zittita e mi fulminò con lo sguardo. La salutai ma non rispose. Diedi a Jacob gli asciugamani sporchi, offrendomi di portarli a casa per lavarli, ma Rachel glieli strappò di mano e salì al piano superiore. “Mi dispiace…” sussurrai con un filo di voce.
Jake scrollò le spalle. Il suo menefreghismo era intollerabile anche per me: eravamo chiaramente dalla parte del torto e lui si comportava come se fosse il padrone del mondo. Inoltre sembrava che volesse apertamente sfidare sua sorella: andò in salotto con un sacchetto di pop corn e si spaparanzò sul divano.
“Credo che sarebbe meglio che ce ne andassimo…” proposi.
“No” ribatté serio. “Ribadisco che questa è casa mia e se lei ha dei problemi, può andare a impiccarsi”.
Rimasi in piedi, combattuta, mentre lui accese il televisore, sintonizzandolo su un canale che programmava film dalla comicità demenziale. Allungò la mano tesa, che io, dopo alcuni tentennamenti, strinsi. Mi sedetti, abbracciata a lui. Guardammo quel film mentre mangiava: nonostante le battute del copione fossero assai scontate, ridemmo più volte. Quando terminò il gigantesco sacchetto, disse:“Ho ancora fame. Vado a vedere se c’è qualcos’altro” e sparì in cucina.
Ne tornò con un panino in una mano e nell’altra un pacchettino ben confezionato di cioccolata.
“Dolce e salato? Che combinazione assurda!” commentai, anche se non ero la più indicata a fare quel genere di affermazione.
“La cioccolata non è per me” e me la porse.
Scossi la testa. “No, non posso mangiarla” mugugnai.
“Anche la birra non potevi berla, eppure a Seattle l’hai fatto. Ti hanno fatto il lavaggio del cervello, Rose. Puoi mangiare, esattamente come me. Sù, dagli un morso; vedrai che non succede niente”.
La fissai. Se Jacob avesse avuto ragione? Forse Carlisle aveva fatto sue delle superstizioni oppure semplicemente io non ero un vampiro come tutti gli altri. Avevo bevuto la birra e non ero stata male; potevo anche mangiare, magari. Ne scartai una parte, indecisa. Quando la intravidi sbucare dalla stagnola, un fortissimo odore acre mi punzecchiò il naso. Sembrava di annusare acido. Stavo per richiudere la confezione, quando Jacob mise la mano sulla mia. “E’ buona. Hai detto che da piccola ne andavi pazza. Puoi mangiarla di nuovo, se vuoi. Puoi riavere tutto ciò che credevi perso. Prova…” mi invitò. Ripensai alle scorpacciate di torte che avevo fatto quand’ero piccola e mi riscoprii a pensare che non era passato tanto tempo. Ogni persona è ciò che vuole essere e io volevo essere umana. Così la addentai.
All’inizio un sapore amaro mi inumidì la lingua e mi parve strano visto che era cioccolata al latte, ma fui altrettanto sorpresa di non avere conati di vomito. La morsi una seconda volta e quando la deglutii, sentii finalmente il gusto dolce. Fu lo schiaffo più bello che potessi dare alla mia natura. Era buona e esattamente come la ricordavo. Ne mangiai un boccone e un altro ancora.
“Devo dedurre che ti piace…” affermò Jake, soddisfatto della sua vittoria personale.
“E’ buonissima!” convenni, continuando a masticare. Era un sogno. Potevo mangiare anch’io come lui e tutte le persone di questo mondo; potevo accarezzare un cane senza che sfuggisse spaventato. Chissà, magari fra qualche anno, avrei anche potuto camminare sotto il sole senza splendere. Non avrei mai potuto avere una famiglia mia, ma quante donne umane non possono avere figli? Questo non le rende diverse dalle altre.
Era merito di Jacob? Con lui era tutto facile. Forse questo era il segno di cui avevo bisogno. Mangiare. Non dovermi più cibare di sangue, non dovere più andare a caccia. Vivere come una persona normale. Con Jake. Mi emozionai talmente che la divorai per intero senza accorgermene.
“Ti avevo detto solo un pezzettino, non tutta la stecca!” mi sgridò amorevolmente.
Lo abbracciai forte forte. “Sono così felice…”.
Ricambiò il mio abbraccio, poi appoggiai la testa sulla sua spalla e mi immersi nei miei sogni ad occhi aperti, mentre scorrevano le immagini del film.
Le cose stavano cambiando? Sarei stata felice con lui? Già da settimane lo ero, ma adesso era tutta un’altra cosa. Anche le battute banali di quel film mi facevano ridere. Fu durante una di queste che mi si annebbiò la vista per l’eccesso di riso. Fu una sensazione strana. Non mi era mai successo da quando ero vampiro e anche questo lo interpretai come un segnale della metamorfosi tanto agognata.
Mi si annebbiò nuovamente. Sbattei più volte la palpebre e sparì, lasciando però al suo posto una sgradevole percezione di vuoto intorno. Sollevai la testa dalla spalla di Jake e mi sedetti eretta. La camera intorno stava girando.
“Che c’è?” mi domandò.
“Niente” minimizzai. Non ricordavo più cosa si provava, però sapevo che quello era un capogiro. I vampiri non li avevano, come nessun tipo di malore. All’inizio pensai che forse stavo mutando davvero, poi una fitta in corrispondenza dello stomaco mi fece piegare su me stessa. Si irradiò in tutte le zone limitrofe dell’addome. Jacob mi mise le mani sulle spalle e continuò a domandarmi se mi sentivo bene. Avrei voluto rispondergli di sì, ma il dolore mi tolse il fiato. Ed ebbi paura.
Mi accarezzò il viso e poi disse:“Sei tiepida…”.
Gli sorrisi, da una parte per non farlo preoccupare ulteriormente e dall’altra estremamente lieta perché quello che aveva appena detto per me era un complimento. Il dolore si attenuò leggermente e lo interpretai in maniera positiva. Le metamorfosi non sono mai indolori. Mi alzai per dimostrargli che era tutto a posto, ma le ginocchia cedettero e sarei crollata a terra se non mi avesse sorretto.
“Rose, che c’è? Non stai bene? Che ti prende?” ripeté spaventato.
Non sentivo più le gambe e contemporaneamente avvertivo la pelle diventare sempre più calda, come se mi stessero bruciando viva. Infine fui scossa da violenti conati di vomito.
“Chiamo Carlisle” risolse Jacob e si alzò, dirigendosi verso il telefono.
“No” balbettai ricorrendo a tutte le mie energie. Quello sforzo mi costò caro. Il fuoco mi arse la lingua, come se lava incandescente la stesse ustionando. Jacob si precipitò nuovamente vicino a me. “Portami in bagno… ti prego…” sussurrai a fatica.
Mi prese in braccio e mi portò al piano di sopra. Mi feci lasciare vicino al water e mi appoggiai ad esso. Quando vomitai, mi sentii meglio ma fu niente rispetto alla delusione che provai quando mi accorsi che il mio corpo aveva buttato fuori la cioccolata. Quella che avevo mangiato con tanto gusto, faceva bella mostra di sé nello scarico.
“Come va?” domandò Jake.
“Meglio” sospirai, anche se sapevo che non era ancora finita. Ricominciai ad essere scossa da spasmi e allora lo pregai di uscire e lasciarmi sola. Mi accontentò, ma si sedette fuori, lasciando la porta accostata.
Vomitai fino a quando le fitte allo stomaco non svanirono. Il mio corpo ritornò lentamente nel suo abituale gelo, ma la testa continuava a girare. Jacob entrò e mi accorsi che non riuscivo a metterlo a fuoco. Si inginocchiò e mi accarezzò i capelli. “Tesoro… E’ a posto ora?” chiese con un’espressione allarmata.
Annuii e mi aiutò ad alzarmi. Ma le gambe non volevano saperne di reggermi. Lo invitai a farmi risedere a terra e mi accontentò. Appoggiai la testa alla parete. La luce era accesa, ma sembrava penombra. Allungai una mano verso Jake, così lontano da me, salvo poi accorgermi che era a pochi centimetri: stavo perdendo la cognizione delle distanze.
“Cosa è successo? Sta male?” domandò Rachel. La sua immagine sfocata era apparsa all’ingresso del bagno ma capii che era lei solo dalla voce.
Jake lasciò la mia mano per abbracciarmi e il braccio, senza controllo, cadde pesantemente lungo i fianchi. Mi sentivo debole.
“Rose, che ti prende? Dimmi cosa posso fare per aiutarti” esclamò in ansia.
“Niente. Passerà… Dammi solo qualche minuto” ansimai.
I minuti passarono ma la situazione non migliorò. Non riuscivo quasi più a distinguere i lineamenti del suo viso. Chiusi gli occhi perché questa situazione di inattesa cecità mi terrorizzava e non avevo la più pallida idea di come porvi rimedio.
“Rose” mi scosse leggermente. Socchiusi le palpebre e la mia testa ondeggiò all’indietro. “Ti porto all’ospedale da Carlisle” affermò risoluto.
“No. Così scoprirà tutto e non voglio… Passerà” cantilenai.
“Jake, cosa facciamo?” intervenne Rachel atterrita.
“Stai indietro” le ordinò suo fratello. “Non ti avvicinare. Mi hai capito?”
Mi adagiai contro il muro e chiusi gli occhi. La testa girava anche con gli occhi chiusi. Potevo sembrare ubriaca ma la realtà era che non sentivo più il mio corpo. Mi chiesi se stessi morendo. Forse… Però ne sarebbe valsa la pena. Avevo mangiato la cioccolata.
Sentii un corpo freddo e duro appoggiarsi sulle labbra, che si dischiusero meccanicamente. Un liquido dolciastro le inumidì. Usai le forze residue per deglutire. Era buono. Aprii gli occhi. Jake aveva una tazza in mano e mi stava dando da bere qualcosa. Mi chiesi quanto tempo avessi passato con gli occhi chiusi. La appoggiò nuovamente e rovesciò parte del liquido.
“Come va?” domandò.
Mi passai la lingua sulle labbra, desiderosa di averne ancora. Qualunque cosa fosse era squisita e mi faceva sentire meglio. A piccoli sorsi me ne diede ancora fino a che tutti i miei cinque sensi non ritornarono a pieno regime. Mi strinse la tazza fra le mani. “Ce la fai a bere da sola?”. Gli feci cenno di sì e buttai un’occhiata fugace sulla pozione miracolosa. Il liquido era rosso, rosso sangue. “Dove l’hai preso?” domandai, sconvolta.
“Non ti preoccupare. Bevi e basta”.
“Jerry…” intuii con voce lamentosa.
“Credi che lo ucciderei per te? Non ci penso proprio! Jerry sta benissimo. Bevi…”.
Non volevo dare spettacolo di me stessa, in questo modo, davanti a lui e a sua sorella ma quel sangue era davvero troppo invitante per rifiutare e purtroppo mi faceva stare meglio. Lo trangugiai avidamente tutto in un sorso e fu allora che capii: troppo gustoso, troppo dolce, per essere animale.
Era umano.
La tazza mi scivolò dalla mano e andò in frantumi. Subito dopo, presa dalla frenesia, afferrai Jacob per le braccia, controllandole febbrilmente, alla ricerca della verità. Aveva una cicatrice sull’avambraccio sinistro. Una lacrima mi rigò la guancia. “Non ce n’era bisogno…” balbettai con voce rotta dal pianto.
“Ce la fai ad alzarti?” mi chiese serio.
Confermai e mi rialzai. “Ti riaccompagno all’incontro con tua sorella. Sono quasi le sette” disse.
Uscimmo dal bagno e incrociai l’espressione spaventata di Rachel. Scendemmo al piano inferiore ed ebbi modo di constatare quanto il sangue mi avesse fatto recuperare le forze in poco tempo. Riuscivo perfino a stare in moto senza alcun pericolo che perdessi l’equilibrio.
Quando fummo alla piazzola di sosta per le macchine, ci fermammo, in attesa dell’arrivo di Alice. In silenzio.
“Mi dispiace. So di averti delusa…” bisbigliai.
“Effettivamente speravo che morissi e mi è andata male!” mi sbeffeggiò. Non mi arrabbiai. Sapevo che la sua era stata solo una battuta per rompere quell’atmosfera opprimente. Successivamente continuò, grave:“Non mi hai deluso… Anzi, è stato utile perché finalmente ci è entrato in testa che tu non sei umana e non lo sarai mai”.
Sussultai e non risposi.
“Sono io che ti devo chiedere scusa perché ho tentato di cambiarti… Come se fosse possibile… E ho sbagliato” concluse teso.
“Non è stata colpa tua. Sono io che ho mangiato la cioccolata” ribattei cercando di assumermi le mie responsabilità.
“Dimentichi che non volevi farlo e che sono stato io a convincerti…”.
“Non è successo niente, comunque. Semplicemente non l’ho digerita…”.
“Tuo fratello non era dello stesso avviso…”.
“Mio fratello?!” domandai trasecolata.
“Sei svenuta e mi sono spaventato a morte. Ti chiamavo e non rispondevi. Non sapevo cosa fare Non volevi che avvertissi Carlisle e mi sono ricordato che lui sa tutto. Ho chiamato Bella perché ovviamente doveva essere con lei. E’ stato lui a dirmi che non bastava che avessi rigettato la cioccolata e di darti sangue…”.
“Non mi ero accorta di essere svenuta” ammisi pensierosa. “In ogni caso non dovevi chiamare Edward! E soprattutto non dovevi darmi il tuo sangue!” sbottai.
“Stavi morendo: cosa potevo fare?! Non avevo certo il tempo di andare in giro per la foresta a cercarti un animale da dissanguare”.
“Non stavo morendo! Ho avuto solo un’intossicazione! Mi sarebbe passata, se mi avessi dato tempo!”.
Jacob sospirò, demoralizzato. “La verità è che tu sei un vampiro e non possiamo farci niente. E’ inutile continuare a sbatterci la testa contro…”.
“Forse la cioccolata è troppo pesante. Potrei provare a mangiare qualcos’altro” ipotizzai, decisa a non rinunciare al mio sogno.
“Non dire idiozie. Non puoi mangiare e basta, esattamente come il resto della tua famiglia” rispose sprezzante.
Perché mi parlava con quel tono? Non era abbastanza terribile rendermi conto che Alice aveva ragione e che stavo vivendo un’illusione? Doveva mettercisi anche lui?
Entrambi udimmo avvicinarsi il rombo della Porsche di mia sorella. Jacob salì sulla moto e infilò il casco. “Ci vediamo domani?” domandai, speranzosa.
“No. Ho un esame di francese lunedì e devo assolutamente prendere la sufficienza…” rispose.
“Io so bene il francese. Posso aiutarti…”.
“No, grazie. Devo studiare seriamente, non posso giocare ancora… Ora vado a casa” e partì.
Perché? Perché questo comportamento? Non ero già mortificata? Ero io quella ferita dalla mia natura, non certamente lui. Ero io che dovevo farci i conti tutti i santi giorni, che mi ero illusa che tutto potesse cambiare.
Quando salii in macchina, Alice notò il mio pessimo umore. “Che c’è? Avete litigato?” domandò.
“No. Andiamo a casa” tagliai corto e lei non mi pose altre domande.
Una volta rientrate, lei ed io recitammo il solito film: far vedere agli altri cosa avevamo acquistato, anche se stavolta, feci particolarmente fatica a sembrare soddisfatta. Ed Esme se ne accorse. Dovetti inventare una scusa per giustificarmi e all’apparenza funzionò. In quel mentre rincasò Edward che mi trapassò con lo sguardo. Gli mostrai le spalle e, con la scusa di sistemare i nuovi acquisti nell’armadio, salii in camera mia.
Avevo tentato ma era stato inutile. Non potevo mangiare, non potevo comportarmi come un essere umano. C’erano dei limiti che non potevano essere valicati, un ordine naturale che non poteva essere sovvertito. Non ero stata capace di trattenere nello stomaco uno stupido pezzo di cioccolata e non potevo illudermi che sarei riuscita a deglutire altro. Non ne avevo la facoltà. Ma ciò che mi distruggeva maggiormente era la reazione di Jake. Perché era diventato così ostile nei miei confronti? La storia dell’esame di francese mi era sembrata una scusa bella e buona per liquidarmi. Forse anche lui si era illuso come me che io potessi essere diversa. Ma allora questo cosa significava? Che non voleva più avere a che fare con me? Il disgusto con cui aveva detto che non potevo mangiare esattamente come il resto della mia famiglia mi impauriva. Sapevo che li disprezzava tutti e io stavo per essere ricollocata allo stesso livello? Non avrei potuto sopportarlo.
Il giorno dopo restai in casa tutto il giorno. In quelli successivi mi recai quotidianamente al nostro solito posto di ritrovo, sempre alle 16. Ma per quanto lo aspettassi, non si fece mai vivo. Ed io, col passare dei giorni, mi sentivo sempre peggio. Ciondolavo per le camere senza parlare. Alice aveva capito che era successo qualcosa tra di noi, ma alle sue domande avevo sempre svicolato e da quello che sapevo non aveva mai chiesto chiarimenti ad Edward. Rispettava la mia volontà di tenermi tutto per me e, forse, sperava che fosse il primo passo di riavvicinamento ad Emmett.
Tutto quello che era successo recentemente mi aveva indotto al fatalismo e quindi avrei dovuto interpretare nel medesimo modo l’incidente di quel pomeriggio ma non mi volevo rassegnare.
Era domenica, una settimana dopo, quando suonò il telefono. Alice alzò, sorniona, lo sguardo e, nonostante fosse la più vicina a rispondere, mi invitò a farlo al suo posto. Estremamente seccata, andai al ricevitore.
“Pronto?” dissi distrattamente, continuando a sfogliare una rivista di moda, convinta che fosse una telefonata dall’ospedale destinata a Carlisle.
“Ciao”.
Quella voce profonda mi riportò sulla luna su cui non ero più salita da 8 giorni. Risposi stupefatta al suo saluto.
“Scusami se ti chiamo a casa, ma non sapevo come mettermi in contatto con te…”.
“Dimmi…” lo invitai, tentando di non assumere un tono troppo affettuoso, considerando che erano tutti in casa, tranne Edward, e sentivano la mia voce.
“Domani sei libera? Tutta la giornata, intendo…”.
“Non lo so”.
“Vorrei fare una gita. Ti va?”.
Avrei voluto urlare per la gioia ma risposi con sufficienza. “Sì. In ogni caso Bella non è qui…” mistificai, sperando che intuisse che non potevo dire diversamente.
“Allora facciamo domani alle 10 alla piazzola dove ti lascia tua sorella di solito. Prendiamo la tua macchina, ok? E portati il costume da bagno. Si va al mare…”.
“Non ce l’ho…” risposi, delusa. Non avevo mai fatto acquisti di quel genere, visto che non avrei potuto sfruttarli.
“Allora ne rimedio uno io per te. A domani” e riappese. Io feci altrettanto e appena tornai in salotto dovetti subito soddisfare la curiosità generale.
“Chi era?” chiese Esme.
“Jacob” dissi con un’alzata di spalle. “Cercava Bella”.
“Ah” constatò mia madre, che riprese a ricamare all’uncinetto, sua passione. Indirizzai un’occhiata d’intesa a mia sorella che rispose con un sorrisetto seccato. Per tutta la notte seguente non feci altro che contare i minuti che mi separavano dal nostro incontro. Tutta una giornata insieme. La cosa più strana era che voleva portarmi al mare. Assurdo. E poi dove? Non mi risultava ci fossero spiagge nelle vicinanze, altrimenti quella volta non avrei certo convinto Bella a portarmi a First Beach. In fondo chi se ne importava di dove saremmo andati, l’importante era andarci insieme.
Ma la mattina ebbi una sgradita sorpresa. Il sole batteva sui vetri delle finestre.
Sgranai gli occhi. Non potevo crederci. Era fine novembre, il mese più piovoso all’anno e oggi era limpido. Se fossi stata umana avrei dovuto saltare per la gioia, ma non era il mio caso. Come potevo fare? Non volevo rinunciare alla mia uscita, ma così facendo avrei attirato l’attenzione di ogni umano che avremmo incontrato. Decisi di ricorrere al tutto per tutto. Indossai jeans, cappotto, giganteschi occhiali da sole e in testa un foulard. Mi guardai allo specchio e constatai con piacere che il 98% del mio corpo era coperto, quindi rischi di luminescenza ridotti al minimo. Pregai che, vedendo le condizioni metereologiche, Jacob cambiasse idea sulla meta, pur non rinunciando alla gita. Scesi al piano terra, dove uno stupito Emmett mi chiese dove andassi così bardata. Gli dissi che volevo fare un giro a sud con la macchina e che probabilmente sarei tornata la sera. Si offrì di venire con me, ma, come al solito, apposi la giustificazione che preferivo stare sola. Storse il naso e mi fu chiaro che ben presto avrei dovuto affrontare una discussione. Tuttavia mi lasciò andare.
Quando raggiunsi la piazzola indicatami, Jacob era già lì, con una borsa appoggiata a terra. Quando vide la mia auto, la ammirò lamiera per lamiera, quasi ipnotizzato da quell’esibizione di tecnologia. Tuttavia appena scesi dalla macchina, si mise a ridere, senza alcun ritegno. “Smettila” esclamai inviperita, stringendo le labbra; ma lui non sembrava volermi accontentare. Mi risedetti in macchina, profondamente offesa, tentata di lasciarlo lì e mandare tutto a monte.
“Scusami, ma sei troppo buffa!” balbettò, asciugandosi le lacrime, mentre prendeva posto accanto a me.
“Dove andiamo?” sbuffai.
“A nord. Fai la panoramica. Ti dico io quando fermarti. In ogni caso dovrebbe essere fra una cinquantina di chilometri…” disse, indossando la cintura di sicurezza.
Partii con una sgommata e per qualche minuto non mi parlò, apparentemente interessato solo al paesaggio. Quella strada era tutta una curva e non potevo nemmeno sfogarmi andando a tavoletta, però almeno la visuale era affascinante, attorniati da una distesa sconfinata di foreste.
“Oggi non è una giornata da scampagnate, non per me almeno. Era meglio se rimandavamo” rimuginai a voce alta.
“No, l’ho scelta apposta” si oppose.
“Cosa vuoi dire?”.
“Ieri ho sentito le previsioni meteo e avevano messo, stranamente, sole in questa zona. Ho pregato che per una volta ci prendessero e mi è andata bene. Se non ci fosse stato, ti avrei dato buca!”.
“Non posso andare in giro col sole!”.
“Sì, ma al mare non ci si va se piove!”.
“Jake…”
“Sta zitta e pensa a guidare. Vedrai che ti divertirai. Fidati”.
Sospirai e continuai nel mio percorso. Una mezz’oretta più tardi il paesaggio non era cambiato di molto e mi chiesi se non mi stesse prendendo in giro. Mi disse di svoltare a sinistra e ci ritrovammo in una stradina che diventò ben presto sterrata, fino a terminare in un ampio spiazzo, ciottolato, ovviamente deserto. Mi fece segno di parcheggiare. Quando scesi, una folata di vento freddo quasi mi strappò via il fazzoletto. Lo dovetti tenere stretto e mi guardai attorno. Direi che eravamo in mezzo a un bosco, non diverso da quelli che circondavano Forks. “Andiamo!” mi porse la mano. Gliela strinsi e lo seguii. Non sembrava esserci l’ombra dell’oceano per chilometri, ma non importava. Bastava lui.
Camminammo a passo sostenuto, per una quindicina di minuti, immersi in una fitta vegetazione. Talmente fitta che non vedevo neanche più se il sole ci fosse ancora oppure se avesse deciso di graziarmi e nascondersi dietro qualche nuvola. Infine un raggio filtrò davanti a me e, man mano che avanzavamo, si fece sempre più intenso mentre gli alberi si diradavano. Alla fine la foresta terminò bruscamente su uno sperone di roccia e davanti a me, oltre al sole accecante, vidi l’oceano perdersi a vista d’occhio.
Mi tolsi gli occhiali per ammirarlo meglio.
Un’infinita lastra blu luccicante infondeva un senso di pace, nonostante il mare mosso. Potevo distinguere chiaramente la schiuma delle onde formarsi e disperdersi prima di schiantarsi contro le rocce. Mi avvicinai al dirupo e notai che il precipizio doveva essere alto una trentina di metri circa. Soffiava un vento che si faceva a volte imperioso, a volte tenue brezza. Davanti a me l’oceano e dietro i boschi. Mi sembrava di essere al centro del mondo e contemporaneamente di averlo ai miei piedi.
“Ti piace?” mi domandò.
“Sì, è meraviglioso”.
“Vieni con me, ma stai attenta a dove metti i piedi” si raccomandò.
La rupe era ostica e non pensavo che saremmo riusciti a scenderla senza ricorrere alle nostre doti, tuttavia ce la facemmo. Fu, letteralmente, una scarpinata, ma per fortuna avevo avuto il buon senso di mettere le scarpe da tennis. Non avevo idea di dove volesse portarmi, dato che erano tutti scogli, ma ogni passo era la scoperta di una porzione di quel meraviglioso paesaggio. Passando dietro un invalicabile masso, rimasi senza fiato.
Una minuscola spiaggetta. Forse una decina di metri, delineata da scogli ai lati e lambita dall’oceano che in quell’angolo era di un color verde bottiglia. Sembrava una delle foto che mi torturavano sui giornali. Lasciai la mano di Jacob per avvicinarmi alla riva. La sabbia era delicata e tanto soffice da affondarci dentro. Mi tolsi le scarpe e immersi i piedi. L’acqua era ovviamente gelida ma per me non faceva differenza. La differenza era un’altra. Il sole, la spiaggia ed io ero lì. Potevo godere di quello spettacolo. Potevo farne parte anch’io, a mio modo. Jacob mi sfilò il foulard dalla testa. Opposi una misera resistenza che venne definitivamente meno quando il sole mi accarezzò il viso. Alzai il volto e chiusi gli occhi. Vedevo la luce nonostante le palpebre chiuse, sentivo lo scrosciare della risacca, l’acqua mi accarezzava i piedi: quello doveva essere il paradiso.
Jake mi abbracciò da dietro. Il contatto col calore del suo corpo mi diede l’illusione di essere in estate. Mi ci abbandonai e lasciai che mi dondolasse. Non c’era mai stato niente nella mia vita che potesse essere così perfetto. Respirai a fondo per imprigionare l’aroma dell’aria salmastra. Sentii me stessa per la prima volta da quando ero stata trasformata. Ogni cellula del mio corpo mi parlava: mi diceva che esistevo, che ero parte di un tutto e quel tutto parte di me, che non ero uno scherzo della natura. Ero lì e le sensazioni erano le stesse di quando, da piccola, i miei genitori mi portavano in vacanza. Non era cambiato niente. Non mangiavo e non respiravo, d’accordo, ma ero reale. Ero cresciuta, in un modo particolare, che nessun umano avrebbe potuto notare, ma avevo subito un’evoluzione. Le rughe non mi avrebbero mai segnato il viso ma la mia anima era mutata ugualmente. Dovevo smettere di guardare lo specchio bugiardo. Non ero come apparivo né a lui, né agli altri. Nella mia immutabilità, ero speciale, non diversa, e me ne compiacevo.
Per la prima volta da ottant’anni fui felice di essere un vampiro.

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Capitolo 44
*** Gli ostacoli del cuore - III parte ***


Jake sciolse l’abbraccio e mi portò fuori dall’acqua, dove aveva lasciato la borsa. Frugò al suo interno e ne estrasse una pallottolina di stoffa. Un costume da bagno, color caramello.
“Spero che ti vada bene. L’ho fregato a mia sorella. Ho preso questo, con i laccetti, perché almeno lo puoi stringere sui fianchi…” disse imbarazzato.
“Stai per caso dando della culona a Rachel?” ridacchiai.
“Non è colpa mia se tu sei perfetta e lei no”.
“Però…” sussurrai. “Se mi spoglio, risplenderò…”.
“E allora? Che ti importa? Siamo solo noi due qua”.
“E se venisse qualcuno?”.
“Chi vuoi che venga?! Credi che qualcuno a novembre voglia venire a fare il bagno? Un aspirante suicida, forse…”.
Mi lasciai convincere e andai a cambiarmi dietro uno scoglio. Effettivamente i timori di Jake erano fondati: Rachel aveva i fianchi più larghi dei miei e dovetti stringere lo slip al massimo ma il risultato fu ugualmente discutibile; per fortuna almeno il reggiseno andava bene. Mentre mi spogliavo, la pelle cominciò a luccicare, come se mille brillanti vi fossero stati depositati dal vento. Splendevo, ma non mi sentivo a disagio. L’unica cosa che mi preoccupava era che a Jacob potesse dare fastidio. Lui nel frattempo si era già sistemato: aveva indossato i boxer, steso due teli di spugna e si era sdraiato, in mia attesa. Quando uscii dal mio nascondiglio, non sembrò minimamente turbato. Si limitò a commentare la mia pessima performance col costume di sua sorella.
Mi sedetti di fianco a lui, accecata dalla gioia. Si appoggiò su un fianco e passò la mano sul mio braccio. Al suo passaggio la pelle, in ombra, tornava opaca, per poi ricominciare a sfavillare quando le dita si allontanavano.
“Che dici? Potrei venderti al chilo a qualche orefice?” mi propose.
“Puoi provare, ma solo nelle giornate di sole!” risi.
“Sei felice?” mi domandò.
“Come mai in vita mia” ammisi languida.
Mi sorrise soddisfatto. Poi improvvisamente mi prese in braccio. “Che stai facendo?!” urlai.
“Un bagno!” rispose.
“No, aspetta, devo legare i capelli prima!”.
Non ebbi tempo di dire altro perché mi buttò in acqua. Quando riemersi, stava ridendo, soddisfatto della sua bravata. “Sei proprio uno stronzo!” gridai.
“Una ragazza bene educata come te non dice queste cose” scosse la testa.
“Ricordati che non hai a che fare con una ragazza normale… Posso farti molto male, se voglio!” lo sfidai.
“Vediamo, allora!”.
Non aspettavo altro che il suo invito. Iniziammo una lotta, durante la quale volarono anche colpi bassi. Uno spettatore esterno si sarebbe sicuramente spaventato per ciò che ci vedeva fare, ma per noi era divertimento puro. Non sentivamo dolore e nessuno dei due sembrava voler risparmiare l’altro. Anche se Jake sembrò stupirsi un paio di volte della mia forza e del fatto che riuscivo tranquillamente a tenergli testa. Anzi, a voler essere onesta, io in acqua ero nettamente più forte in virtù del fatto che non dovevo respirare e quindi poteva tenermi la testa immersa per un tempo indefinito, mentre lui bevette un paio di volte. Quando arrivò a questa conclusione, si arrese e nuotammo in tranquillità.
Quando risalimmo, mi accorsi che eravamo stati quasi due ore a mollo. Mi sdraiai per cercare di asciugare il costume, anche se con la temperatura esterna era abbastanza improbabile, mentre Jacob si sedette e lisciò i capelli all’indietro, strizzandoli, con una straordinaria esibizione delle spalle e del petto.
Eravamo soli. Nessuno sarebbe sceso in quell’eremo. Potevamo anche… Mi voltai bruscamente dalla parte opposta. “Rose! Datti una calmata! Sembra che non hai mai visto un uomo!” mi rimproverai. Impiegai qualche minuto a ritrovare la padronanza di me, ma quando fu completamente asciutto, potei dirlo al sicuro da miei eventuali assalti.
Verso l’una tirò fuori dalla borsa alcuni panini che si era portato da casa.
“Non hai portato niente per me?” domandai recitando la parte dell’offesa.
“Ah, scusa!” disse e mi porse il braccio.
Quel gesto mi offese per davvero e non feci niente per nasconderlo.
“Stavo scherzando” si giustificò.
Non dissi nulla, avvilita nei miei pensieri.
“Non berrei mai il tuo sangue, nemmeno se fossi l’unico essere vivente su questa terra” affermai con voce lugubre.
“Però una volta l’hai fatto…”.
“Non sapevo fosse il tuo!” urlai, irritata e costretta a guardarlo negli occhi.
“Se lo avessi saputo, cosa avrebbe cambiato? Non l’avresti bevuto?”.
“Certo che no!”.
Alzò un sopracciglio, scettico, ed effettivamente non aveva torto.
“Jake, il sangue umano è buono, molto buono, di gran lunga superiore a quello animale, ma il pensiero di dover dissanguare una persona mi fa vomitare. L’ho fatto solo una volta, te l’ho detto, e perché mi volevo vendicare, ma non lo farò mai più. Mi è bastato. E non avrei mai fatto del male a Rachel…” affermai perentoria.
“Non sapevo che cosa ti stesse succedendo quel giorno. Non avevo idea di come potevi reagire, non capivo nemmeno se fossi in te e mi sono preoccupato per l’incolumità di mia sorella. Lei non potrebbe difendersi se uno della tua razza la attaccasse…”.
Cercai di calarmi nei suoi panni per vincere la rabbia alimentata dalla mancanza di fiducia nei miei confronti, ma per quanto mi impegnassi, non ce la facevo. Tornai a sdraiarmi, cercando con la mente distrazioni che mi allontanassero da quello spiacevole ricordo.
Avvertii la delicatezza delle sue labbra sulle mie e quella fu la migliore distrazione che potessi trovare.
“Lo so che non faresti mai del male volontariamente a un essere umano. Ti conosco, ormai” mi sussurrò. “E mi dispiace di averne dubitato. Tu sei l’unico vampiro che avrà mai la mia stima su questa terra”.
“Anche i membri della mia famiglia non bevono sangue umano…” chiarii.
“Già, con indicibile sforzo, e se avessero l’occasione sotto mano non si farebbero certo troppi scrupoli. Quelli che tu chiami fratelli in primo luogo…” disse con disprezzo.
“Non è vero”.
“Oh andiamo! Ma se quell’idiota non può neanche dare a Bella un bacio degno di tal nome perché ha paura di perdere il controllo e farle del male! Tu come chiami questa cosa? Io pericolo. Per Bella almeno…”
“Questo è vero, ma Edward sono decenni e decenni che non beve più sangue umano e il fatto che faccia fatica a trattenersi è semplicemente perché la ama e tutto lo attrae di lei, sangue compreso…”.
“Certo come no…” commentò scettico. “Come fa Carlisle a lavorare in ospedale? Sangue e sangue per tutto il giorno. Come resiste?”.
“In lui il desiderio di fare del bene agli altri, è di gran lunga superiore a qualsiasi altra voglia. E’ una persona meravigliosa”.
“Già” ammise malvolentieri e la mia risposta fu un’espressione sorpresa.
“Sì, lui è l’unica persona della tua famiglia, a parte te ovviamente, di cui ho una sottospecie di rispetto. Mi ha aiutato a guarire la primavera scorsa, subito dopo il combattimento con Victoria e il suo esercito. Non l’ho dimenticato. E tutto sommato, anche Esme è una brava donna. E’ sempre molto gentile e inspiegabilmente affettuosa con me…” mi spiegò.
“Lei è molto materna. Ti potrebbe quasi vedere come un altro figlio, se tu… se noi…” mi interruppi, ma capì cosa intendevo dire con quelle parole.
“Va bene” soffiò. “Ti concedo queste due persone, ma il resto della tua famiglia, andrebbe sterminato immediatamente”.
Risi ma lui continuò serio:“Sono vampiri e non dovrebbero esistere. Sono pericolosi per gli esseri umani…”.
“Che stai dicendo?! Sono innocui e sono la mia famiglia!” ribadii, allontanandomi con violenza dalle sue braccia.
“Un vampiro non è mai innocuo”.
“Beh, allora questo discorso vale anche per me! Dimentichi che sono come loro. Se li disprezzi, allora disprezzi anche me”.
“No, tu sei diversa e l’hai ampiamente dimostrato” mi fissò. “Io sono un licantropo, Rose, e il mio compito è difendere gli esseri umani da quelli come te. La tua famiglia per il momento si sta comportando bene, ma questo non vuol dire che posso abbassare la guardia. E se dovessero diventare pericolosi, io li eliminerò. Anche Carlisle ed Esme”.
“Allora ammazzerai anche me…” esclamai aspra.
“No” disse addolcendo lo sguardo. “Non potrei mai farti del male”.
“Però vuoi distruggere la mia famiglia!” protestai.
“Non ho detto questo. Ho detto semplicemente che finché staranno lontani dalle persone, potranno stare tranquilli; se dovessero uccidere qualcuno, allora dovremo prendere dei provvedimenti. Tutto qua”.
“Loro non faranno mai niente. Sono persone buone. E’ solo che non li conosci…”.
“Speriamo, perché non ho alcuna intenzione di farti soffrire” disse accarezzandomi il viso.
In quel discorso sembravano essere riesplose tutte le differenze e le difficoltà  di un’eventuale convivenza tra le due razze. Io non avevo più alcun problema verso i licantropi, ma sembrava che loro ne avessero molti nei nostri confronti, esattamente come prospettato da Alice. Mi chiesi se il suo odio verso di me non sarebbe riemerso col tempo. In fondo io ero ciò che lui odiava di più al mondo e forse i suoi geni avrebbero preso il sopravvento, prima o poi.
“Sabato scorso mi sono spaventato tantissimo” mormorò, rompendo il silenzio e guardando fissamente il mare. “Mi dispiace per quello che ho fatto. Non avevo capito che il mio comportamento ti avrebbe danneggiato. Credevo che fosse giusto farti sentire come volevi essere… Umana… Ma i fatti mi hanno dato torto e ho rischiato di perderti. Mi sono arrabbiato con me stesso sia per la mia incoscienza, sia perché mi sono accorto che quello che voleva davvero che fossi diversa ero io. Dal giorno in cui abbiamo fatto quello stupido gioco, mi sono sul serio convinto che tu fossi umana perché eri completamente diversa da come ti avevo immaginata, e mi dicevo che una creatura così meravigliosa non poteva essere un vampiro. Mi faceva comodo continuare a recitare e contemporaneamente tentare di cambiarti. Non era facile rassegnarsi alla tua vera natura. Io vi ho sempre disprezzato, era Seth quello che cercava di convincermi che non foste affatto male. E’ stato un brutto risveglio, devo ammetterlo, ma durante questa settimana ho capito che ciò che provo per te è di gran lunga superiore all’odio per la tua razza. Adoro ogni piccola cosa di te, anche quelle proprie di un vampiro. Non sento differenze fra noi e sono felice che tu non sia umana. E’ vero che odio ancora la tua famiglia, ma non ci posso fare niente. Tu ed io siamo mondi paralleli che si sono incrociati: ci attraiamo e respingiamo e sarà sempre così. Ma non voglio scappare da te, indipendentemente da ciò che sei”.
“Davvero non è un problema per te ciò che sono?” domandai con la voce rotta dall’emozione.
Annuì e gli saltai addosso. Fu come se mi avesse riportato in vita, come se il velo che copriva le menzogne si fosse squarciato di colpo, rivelandomi che all’interno non c’era niente di ciò che avevo tanto temuto. Mi accettava, mi amava per ciò che ero, e la cosa buffa era che me l’aveva rivelato nel giorno stesso in cui io per prima avevo cominciato ad amarmi, a sentirmi migliore.
Mi abbracciò, affettuoso. Mi sentivo a casa mia, racchiusa e protetta. Appoggiai la guancia sulla sua spalla e mi raggomitolai su di lui.
Passarono i minuti senza che nessuno dei due sentisse la necessità di muoversi o parlare, appagati l’uno dall’altra. Niente avrebbe potuto rovinare quel momento e forse la mia decisione era più vicina di quanto pensassi. In fondo aspettare la fine della guerra con i Volturi poteva diventare un traguardo infinito. Erano passati quasi due mesi e non si era saputo più niente di loro e le mie idee stavano trovando una direzione ben precisa.
“Rinunceresti a invecchiare per me?” gli domandai.
“Certo” rispose senza esitazioni.
“Jake, io credo di avere deciso” sussurrai. Mi mise un dito sulle labbra.
“Non voglio sentire niente” rispose. “Adesso non saresti lucida e voglio che la tua sia una scelta sicura. Non voglio che tu mi dica che vuoi stare con me per poi cambiare idea dopo due giorni solo per colpa di una decisione presa dall’emozione del momento. Abbiamo detto che aspetteremo la fine della guerra con i Volturi e rispetteremo il termine”.
“E se i Volturi non tornassero mai più? Aspetteremmo per l’eternità” mi lamentai.
“Purtroppo verranno, Rose, anche se da un certo punto di vista spero che lo facciano il più tardi possibile”.
“Hai paura?” gli domandai incredula di fronte alla sua inusuale inquietudine.
Affondò le dita nella sabbia e cominciò a giocare, malinconico. “Stanotte ho sognato mia madre. Mi accoglieva al ritorno da scuola, con un regalo in mano per il mio compleanno. Mi faceva gli auguri e mi abbracciava. Le ho fatto vedere la pagella e lei si è congratulata, tutta contenta. Ha detto che era felice e che ero diventato l’ometto che sperava. Ma poi ha detto che doveva andare via. Ho iniziato a piangere e lei mi ha consolato dicendo che sarebbe stato per poco e che i prossimi compleanni li avremmo passati sempre insieme. A quel punto mi sono svegliato”.
Capii perché fosse spaventato.
“E’ stato solo un sogno, Jake. Non devi essere superstizioso. I sogni sono semplicemente l’insieme di idee che il cervello ha elaborato durante il giorno e che trovano sfogo nel momento di incoscienza”.
“Erano anni che non la sognavo più…”.
“Questo non c’entra…”.
“Non credo che vedrò i 18 anni…” sospirò.
“Che stai dicendo?!” esclamai spazientita.
“Però spero di riuscire a uccidere Lehausle. Almeno quello. Poi so che tu e Bella sarete in buone mani…”.
“Non mi piace questo discorso” replicai.
“La tua famiglia è costituita da ottimi combattenti, soprattutto il compagno di tua sorella. Se anche io non ci dovessi essere, ti difenderanno loro…”.
“Smettila” dissi esasperata.
“Sicuramente venderò cara la pelle. Non li lascerò vincere facilmente, ma se dovesse succedermi qualcosa sarò tranquillo perché saprò che non sei sola” continuò, ignorando le mie lamentele.
“Smettila, ho detto” gridai, sferrandogli un pugno sul braccio. “Ti ho detto che non voglio sentirti parlare così”.
“Credo che sia giusto che ci prepariamo al peggio…”.
“No. Tu vivrai, ne sono sicura. E arriverai a 18, a 19, 20… Persino a 200 anni! Mi hai capito? Nessuno ti farà del male. Solo io posso ucciderti, ricordi?”.
“Già” ridacchiò.
“Non mi lascerai mai. Promettilo!”.
“Non sono abituato a fare promesse che non so se potrò mantenere”.
“Beh, allora ci penserò io a fartela mantenere. Con la forza, se necessario” lo minacciai.
Tornai a rifugiarmi tra le sue braccia, tentando di chiudere fuori i cattivi pensieri. “A proposito, quand’è il tuo compleanno?”.
“Avanti” minimizzò.
“D’accordo, però quando sarà il momento me lo dirai perché voglio organizzare una bella festa. 18 anni sono un traguardo importante!”.
“Agli ordini, altezza. Intanto cosa ne dice di salire su quella rupe lassù e saltare in mare?” mi propose.
Guardai l’oggetto della sua proposta: mi sembrava esageratamente in alto e il percorso per arrivarci troppo accidentato. Tuttavia non ebbi tempo di protestare perché Jacob mi trascinò lassù. Una volta là, ci misi parecchio a farmi convincere, ma infine mi tuffai. E, esattamente come quella volta a Seattle sulle montagne russe, lo rifacemmo diverse volte, sempre su mia iniziativa. Vinta l’apprensione, era semplicemente esaltante. Non so perché ne avessi paura visto che mi arrampicavo senza alcun problema sugli alberi, eppure accadeva.
Il sole calò troppo velocemente per i miei gusti e quando accadde, fummo costretti a tornare a casa. Era stata una giornata stupenda ed era incredibile come lui riuscisse sempre a trasformare una banalità in qualcosa di meraviglioso. Era il responsabile di ogni singolo attimo di gioia degli ultimi tempi. Aveva la facoltà di creare atomi di felicità e disporli tutti attorno a me. Era davvero un piccolo sole personale e se Bella non aveva saputo apprezzarlo, lo avrei fatto io. Mi sentivo in debito nei confronti di colui che con tanta facilità influenzava in maniera così determinante la mia vita. Volevo fare anch’io qualcosa per lui e decisi.
Una volta al parcheggio, gli buttai le chiavi dell’auto. Le prese al volo e mi guardò sospettoso.
“Guida tu!” gli sorrisi.
“Cosa?!”.
“Hai la patente, no? Quindi guida” mi accomodai sul sedile del passeggero senza attendere risposta. Si sedette al posto di guida e accese il motore. Gli spiegai velocemente a cosa servivano tutte le spie e i comandi che si ritrovava al volante, dato che lui era abituato a guidare autovetture datate e non certo fornite di tutti quegli optional. Alla fine pretese che togliessi il cambio automatico.
Mise le mani sul volante, eccitato. “Non ho mai guidato un bolide del genere” commentò.
“Cominci oggi, allora”.
“Ma ti fidi?” mi domandò scettico.
“Perché non dovrei? Coraggio!” lo incalzai.
“Posso tirare giù il tetto?”.
Ormai era sera, niente raggi di sole. “Ok” e gli premetti il bottone dell’Aircap. In dieci secondi ci ritrovammo illuminati dalla prima stella della sera. Era freddo, ma noi potevamo andare su una macchina cabrio in pieno inverno.
Partimmo e fui subito fiera della mia decisione. Sembrava un bambino col giocattolo nuovo fra le mani. Guidare una macchina con tutti quei cavalli era il sogno di ogni ragazzo. Dopo qualche chilometro buttato nel cercare di instaurare un feeling, tirò fuori l’anima da corridore. Considerando la strada tutta curve, guidò proprio come se fosse in pista. Accelerate, frenate, sgommate. Non gli parlai mai per fargli assaporare a pieno il divertimento e d’altra parte non credo che mi avrebbe risposto, concentrato com’era ad ascoltare il canto del motore. Non ero affatto spaventata dalla sua guida, sia perché, in caso di incidente, difficilmente saremmo morti, sia perché anch’io avevo il piedino pesante e quindi non ero facilmente impressionabile.
Tirò dei profondi sospiri, quando arrivammo alla piazzola di Forks. “E’ fantastica!” esclamò rapito.
“Sono contenta che ti sia piaciuta. Piuttosto, com’è andato il tuo test di francese? Non mi hai più detto niente”.
“Ah, bene. Ho preso la sufficienza. Dio, che bella! Me la farai guidare un’altra volta, vero?”.
“Certo, amore mio”.
Ci baciammo a lungo, poi dovetti salutarlo, con la prospettiva di vederci ben due giorni dopo, in quanto avrebbe dovuto studiare per recuperare la giornata persa (non avevo minimamente realizzato che per stare con me, avesse marinato la scuola e che suo padre l’avrebbe ucciso per questo), ma sapevo che ce l’avrei fatta ad aspettare. Tutto sarebbe stato più semplice dopo oggi.
Quando varcai la porta di casa mia col foulard in testa per nascondere lo stato pietoso della mia capigliatura che avrebbe potuto far sorgere ragionevoli dubbi, l’atmosfera era sempre la stessa: tranquilla. Chiesi ad Alice se c’erano state novità sul fronte Volturi ma lei mi liquidò in fretta, troppo affascinata da una sfilata di moda in Tv. Salii in camera e mi feci la doccia. Ma quando uscii dal bagno con addosso solo l’asciugamano, totalmente immersa nel mio paradiso, non mi trattenni dal sobbalzare: Emmett stava frugando in un cassetto alla ricerca di una maglietta.
“Da quando ti spaventi perché mi trovi in camera?” domandò irritato.
“Scusami” cercai di rabbonirlo. “Ero assorta e non ti avevo sentito. Tutto qui”.
“Già. Ormai ho la stessa consistenza di un fantasma per te” commentò crudele. Mi fissò a lungo, come un leone che attende la preda. Era evidente che volesse intraprendere il discorso che la mattina ero riuscita ad evitare.
“Sono giorni che ti sento lontana. Come se non fossi nemmeno qui…” iniziò.
“E’ un momento strano e non sento bisogno di compagnia…” mi giustificai.
“Sei sempre fuori, non mi parli più, mi saluti a malapena, sei diventata ancora più volubile del solito. A volte sembri felice, altre volte sull’orlo del pianto. Non capisco cosa ti stia succedendo. La morte di Tanya è stato un brutto colpo per te, lo so, e vorrei che ne parlassimo”.
“Non è solo per questo. Sono in crisi e sto aspettando che passi…”.
“Ti posso aiutare se me ne dai la possibilità. Ne abbiamo già parlato, ricordi? Certe cose si superano insieme, ma sembra che tu non voglia…”.
“Sai che ho sempre avuto dei problemi a confidarmi. Non riesco ad esprimere ciò che provo e onestamente mi sento molto confusa. Non saprei bene nemmeno io cosa raccontarti…”.
“Sei cambiata in quest’ultimo periodo e speravo che mi volessi rendere partecipe della tua trasformazione. Forse il fatto che non insista per sapere cosa provi, ti fa pensare che a me non interessi, ma non è così. Tu ed io siamo una coppia, dobbiamo appoggiarci l’uno all’altro” protestò.
“Sì, hai ragione. Ma questa cosa mi ha travolto con estrema violenza. Non me l’aspettavo. Non è come cambiarsi d’abito. Voglio capire bene cosa sto diventando prima di coinvolgerti in una mutazione che magari è solo temporanea”.
“Va bene, amore, però non voglio perdere parti importanti della tua vita. Voglio essere al tuo fianco sempre, anche perché ti stai allontanando da me…”.
“No, non è vero”.
“Sì, lo è. Non voglio che ci siano incomprensioni fra noi”.
“E’ tutto ok, Emmett. E’ la situazione in generale. Forse questo periodo di stasi da parte dei Volturi non mi fa bene…” ridacchiai.
“Spero che sia così, ma di qualsiasi cosa si tratti, voglio che tu sappia che la possiamo risolvere insieme”.
Annuii, felice di essermela cavata a buon mercato, quando mi stupì, dandomi un bacio sulla spalla. E compii il mio errore: mi scostai involontariamente. Si ritrasse e mi fissò innervosito. Non dissi niente sperando che lui facesse altrettanto, ma non fu così.
“Non sopporti nemmeno che ti accarezzi”.
“Non è vero!” negai ferma.
“E allora perché ti sei spostata?!”.
“Mah… non lo so…”.
“Tu non sai mai niente! Diciamo le cose come stanno invece. Non ti fai toccare, né baciare, né tanto meno abbracciare. Sembriamo fratello e sorella. E tutto questo devo imputarlo alla situazione dei Volturi? E’ evidente che il problema è con me, non con te stessa, Tanya o che altro!” imprecò, alzandosi in piedi come una furia.
“Non c’è nessun problema con te! Stai facendo un castello da una stupidaggine”.
“Davvero?!” disse sarcastico. “Allora facciamo l’amore adesso”.
Si tolse la maglietta appena indossata e si avvicinò. Abbassai lo sguardo, impacciata, stringendo nervosamente l’asciugamano attorno a me.
“Allora?” mi domandò, impaziente.
“No, non ne ho voglia” risposi, ostentando una calma arrogante.
Emmett rise aspro, poi disse:“E se per una volta fossi io a comandare, che ne dici? Visto che è da più di due mesi che non facciamo niente, sono stufo di aspettare le tue voglie, quindi stavolta tu accontenti me”
“Ti ho detto di no. E ora esci. Mi devo vestire” gli ordinai. Decisi di tornarmene in bagno, quando mi afferrò per un braccio.
“Ne ho abbastanza dei tuoi capricci, adesso facciamo come dico io” ringhiò, trattenendo a stento la rabbia.
“Non puoi obbligarmi!” replicai, infuriata.
“Vogliamo provare?”.
“Lasciami” alzai la voce, dimenando il braccio nel tentativo di fargli mollare la presa.
Emmett non mi accontentò e con l’altra mano mi sfilò l’asciugamano. Una rabbia indicibile e una paura profonda, figlie del ricordo di quella notte con Royce, si impossessarono di me. Non esitai un istante e lo colpii con uno schiaffo. Emmett abbassò lo sguardo mentre io lo fissavo furente.
Ero arrabbiata ma non con lui. Sapevo che era mia la colpa se era arrivato a questo punto. Lo stavo facendo impazzire e solo per vigliaccheria ed egoismo. Come avevo potuto? Perché stavo distruggendo tutto?
Raccolse l’asciugamano da terra e lo sistemò nuovamente intorno al mio corpo, spietatamente immobile. Quando mi abbracciò, trasalii. “Perdonami, ti prego… Non volevo farti del male” balbettò. “Preferirei morire piuttosto”. Percepivo il suo malessere, il suo senso di colpa per ciò che potevo aver pensato di lui e del suo comportamento.
“Lo so” ammisi, cercando di rincuorarlo, ma non ricambiai la sua tenerezza.
Si allontanò, accasciandosi sul letto, con il capo tra le mani. “Ho paura, Rose. Ho tanta paura di perderti che non capisco più niente e non ce la farei senza di te” confessò con la voce rotta dall’emozione.
“Io non sono indispensabile per te… Per nessuno di voi…” ammisi malinconica.
“Hai ragione. Potrei sopravvivere senza di te, ma non esistere. Sei ciò che dà significato alla mia vita, la mia oasi nel deserto. Che senso avrebbe vivere lontano da te? Non mi ami più, vero?” domandò incrociando improvvisamente lo sguardo col mio.
Lo fissai senza tradire alcuna emozione. Avrei potuto dirglielo ora, potevo cogliere l’occasione. Ma dirgli cosa? “Sì, amo un altro”? Lo avrei distrutto e mi avrebbe odiata. Mi sedetti vicino a lui, combattuta.
Mi abbandonai ai ricordi di quel bel ragazzo che appena entrato a far parte della famiglia Cullen mi aveva corteggiata fino allo sfinimento. All’inizio mi ero fatta desiderare, pur ricambiandolo io stessa: adoravo civettare, creare illusioni per poi ritrarmi. Mi ero sempre comportata in questo modo quando ero umana e avevo mantenuto la stessa condotta da vampiro. Lo amavo ma volevo vedere fino a che punto mi avrebbe aspettato e cosa avrebbe fatto pur di stare con me. L’avevo torturato per un anno prima di decidere che aveva dimostrato ampiamente il suo amore. E da quel momento ero stata felice. Fino all’avvento di Bella, quando il nostro paradiso di cristallo aveva iniziato a scheggiarsi. Jacob l’aveva definitivamente infranto.
“E’ così, vero?” continuò.
“Sto male, Emmett, e questa crisi sta travolgendo il nostro rapporto. Il fatto è che sto cambiando, come hai detto anche tu, e questo cambiamento si sta riversando su tutti voi. La verità è che non so più chi sono e quindi non so dire se le mie priorità passate siano le stesse di adesso” confessai, con inaspettato coraggio.
“Stai dicendo che noi non abbiamo un futuro?” domandò.
“Non so neanche quale sia il mio presente e mi chiedi che futuro potremmo avere?” commentai ironica.
“D’accordo, però non hai risposto alla mia domanda: mi ami ancora?”.
“Non lo so” sussurrai tutto d’un fiato.
“Perché?”.
“Perché?! C’è un motivo per cui si smette di amare una persona?!” esclamai spazientita.
“C’è sempre un motivo, anche se non lo si vuole dire. C’è qualcun altro?” mi interrogò con fredda lucidità.
“Certo che no! Chi dovrebbe esserci?! Siamo circondati da cani e gli unici vampiri in giro che conosco sono i Volturi che ucciderei con le mie mani. Di chi potrei innamorarmi, secondo te?” scoppiai alterata.
“Scusami. So che la mia era una domanda sciocca…”.
Avrei dovuto gettarmi ai suoi piedi e chiedere perdono per la mia vigliaccheria. Non riuscivo nemmeno ad ammettere il mio tradimento, ma non volevo che mi odiasse, che dimenticasse tutti i nostri bei momenti, che se la prendesse con Jake, quando la colpa era esclusivamente mia.
“Vuoi lasciarmi?”.
“Potrebbe accadere…” confermai, tentando di prepararlo al peggio.
Calò il silenzio. Lo stavo ferendo più e più volte. Cercando di indorargli la pillola, lo stavo solo facendo soffrire maggiormente. Avrei dovuto dirgli direttamente la verità, ma cosa cercavo davvero? I nostri ricordi insieme erano vividi nella mia mente e cancellarli di colpo era impossibile. Erano proprio loro a impedirmi di far scendere il sipario sulla nostra storia, la speranza che forse avrebbero potuto tornare. Ma c’erano anche quelli con Jacob a spingere per avere il loro posto. Avevo il cuore diviso in due e, anche se sembrava che la parte dedicata a Jake fosse vincente sull’altra, quest’ultima non voleva ammettere la sconfitta e ritirarsi. 
“Forse in questo periodo ti sei sentita sola e la colpa è stata mia. Non ho fatto niente per aiutarti a stare meglio, ma so che ho sbagliato e ti posso assicurare che non ripeterò in futuro un errore del genere. Possiamo ricominciare da capo, come quando ci siamo conosciuti. Lo so che non è ancora tutto perduto, lo vedo da come mi guardi. Possiamo farcela e uscirne. Saprò farmi amare di nuovo, vedrai. Dobbiamo solo tornare a confidarci, come facevamo un tempo. Colorerò di nuovo la tua vita. Ti prego, dammi ancora una possibilità…” esclamò, a tratti tenero, a tratti grave.
“Perché vuoi continuare a soffrire? Vivere con me è una tortura e lo sai perfettamente…”.
“La vera tortura sarebbe perderti, amore mio” disse, accarezzandomi la guancia. “Ti scongiuro, ti chiedo solo qualche mese. Io ci credo ancora e voglio che te ne convinca anche tu. Quella ragazza che rideva delle mie penose barzellette e dei miei modi poco raffinati è ancora qui, davanti a me. Si è solo nascosta, dammi il tempo di ritrovarla e saremo ancora felici. Rose…”.
Quella ragazza avrebbe tanto voluto tornare ad amarlo come meritava ma probabilmente, a dispetto delle sue convinzioni, non esisteva più. Ripensai a ciò che mi aveva detto Alice: ero spesso con Emmett ma era come se non ci fossi. Non gli avevo mai dato una reale possibilità. Non avevo mai cercato di recuperare il nostro amore. Non sapevo se volevo realmente riaverlo, soprattutto dopo la giornata di oggi con Jacob. Ma Emmett si meritava qualsiasi cosa di buono potessi dargli e se lui voleva una seconda opportunità per riconquistarmi sarebbe stato mio dovere concedergliela.
Ricordavo perfettamente la sensazione di completezza che avevo provato durante quasi tutti gli anni al suo fianco. La consapevolezza di aver trovato la mia anima gemella e che lui mi avrebbe aiutato a superare tutti i miei demoni. Poi la crisi. Perché era accaduta? Il mio amore si era semplicemente esaurito oppure era stata la contingenza e tutto quello che ne era derivato a logorarlo? Nel primo caso non sarebbe servito a nulla dare qualche mese di proroga, ma nel secondo caso forse sì. I suoi occhi da cerbiatto invocavano la mia indulgenza. Quando mi guardava così, non resistevo mai. E lo accontentai anche quella volta.
“Va bene, Emmett. Tentiamo…”. Mi abbracciò con grande entusiasmo, mentre io ripromisi a me stessa che avrei provato davvero a salvare il mio matrimonio. Ricambiai la sua stretta e per un attimo mi sembrò di tornare a quei tempi.
“Ti va di andare a caccia? Ho sete ed è da tanto che non ci andiamo insieme” mi invitò. Effettivamente ero parecchio assetata anch’io e acconsentii di buon grado. Mi vestii in fretta e uscimmo.
Passammo tutta la notte a zonzo per il bosco, chiacchierando. Emmett aveva preso sul serio il tempo che gli avevo dato e sembrava non voler perdere nemmeno un minuto per tentare di risvegliare il mio amore per lui, mentre io mi domandavo insistentemente cosa stessi facendo. Di fatto non avevo risolto nulla e non avevo alcuna intenzione di tagliare con Jake. Stavo solo mettendo a tacere la mia coscienza, perché avrei continuato a tenere il piede in due staffe come prima.
Decisi di evitare con tutte le mie forze il pensiero di Jacob e ci riuscii. Ma sapevo di avere appena due giorni prima che tornasse a bussare alla mia porta. Questo minuscolo periodo di tempo fu dedicato solo a mio marito. Mi sforzai di sentire ogni sensazione, di imprigionare ogni attimo di gioia, di convincermi che potevo davvero riscoprire la nostra unione. Lo abbracciavo, stavamo mano nella mano persino seduti sul divano, eppure non era un contatto che mi comunicava passione. Denotava soltanto affetto, null’altro. Ma in due giorni non potevo certo aspettarmi di più. Gli esseri umani ci mettevano mesi a ricostruire un rapporto sentimentale e noi, in questo caso, non potevamo essere molto diversi da loro. Ed i cambiamenti positivi che io credevo di sentire erano soltanto un’illusione.
Verso la fine del secondo giorno la mia mente tornò a pensare inesorabilmente al mio irrequieto cavallo selvaggio. Il pomeriggio seguente l’avrei rivisto e fremevo dalla voglia di poterlo baciare.
Stavo sfogliando distrattamente una rivista di moda, quando Edward e Bella entrarono in casa. La mia futura cognata aveva un sacchetto in mano e sembrava entusiasta. Non l’avevo mai vista così lieta di un acquisto. Potevo solo immaginare che non l’avesse fatto per sé.
Mio fratello chiamò Esme, che sbucò velocemente dalla veranda, dove stava travasando una pianta.
“Bella ti vuole chiedere una cosa…” le spiegò.
Esme spostò la sua attenzione su di lei, che, quasi titubante, domandò:“Se domani pomeriggio avessi un attimo di tempo mi piacerebbe che mi aiutassi a cucinare una torta…”.
Il viso di mia madre si illuminò, come se avesse improvvisamente avuto una visione mistica. Probabilmente quello era il favore più gradito che le avessero mai chiesto di soddisfare. “Ma certo! Con enorme piacere. Che torta vorresti fare?” chiese.
“Beh, ecco… pensavo a quella che avevi fatto per il mio compleanno. Era davvero ottima e Jacob l’aveva apprezzata parecchio…”.
“Jacob?”.
“Sì, papà ed io domani sera siamo invitati a cena dai Black e volevo portare qualcosa. Così ho pensato alla tua torta…”.
“Fantastico. Allora cerco subito la ricetta e controllo se ho gli ingredienti…”.
“Oh no, Esme. Ci penso io a fare la spesa” si affrettò a chiarire Bella, ma mia madre scrollò le spalle, cominciando a sfogliare pagine su pagine di libri di cucina.
Sentire il suo nome mi aveva risvegliata di colpo. Così Bella era a cena a casa sua domani sera. Fui vittima di un’invidia così profonda da provare quasi vergogna.
“Come mai a cena dai cani?” domandò Emmett.
“Domani è il compleanno di Jacob” rispose Bella. Sussultai. Il suo compleanno?! Impossibile! Mi aveva detto che sarebbe stato più avanti… Questa scoperta mi indispettì. “Sua sorella ha organizzato una festicciola a sorpresa a casa sua”.
“A sorpresa?” si intromise Alice.
“Già” le rispose Bella, assumendo un’aria afflitta. “In realtà Jacob non vuole festeggiare, dice che non se la sente, a causa della morte di Seth. Però Rachel non lo ritiene giusto e così faremo una cosa ristretta ma almeno sarà festa”.
“Rachel ha perfettamente ragione. Non si possono piangere i morti in eterno e poi diciotto anni sono un traguardo importante” concluse Esme. “Gli hai già preso il regalo?”.
“Sì” disse, sollevando la sportina. “Edward mi ha aiutato, altrimenti da sola non ce l’avrei mai fatta”.
“Cosa avete comprato?”.
“Il carburatore per la moto. Si lamentava che doveva cambiarlo…”.
“Ti va bene di cucinare domani nel primo pomeriggio?” domandò mia madre.
“Certo” e iniziarono a discorrere degli ingredienti e delle tempistiche.
Perché non mi aveva detto niente? Non voleva festeggiare, però non era giusto che Bella potesse fargli gli auguri mentre io dovevo fare finta di nulla. Il pomeriggio ci saremmo incontrati e gli avrei fatto il regalo, anche se non avevo alcuna idea in proposito. Bella gli aveva preso qualcosa per la moto ed io?
Edward mi lanciò un’occhiataccia ma non ci prestai caso.
Affondai il viso nelle pagine della rivista, valutando ogni possibile alternativa.
 

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Capitolo 45
*** Battaglia impari ***


Dopo una lunga parentesi sentimentale, in questo capitolo e nei successivi riappariranno di nuovo i Volturi, di cui forse sentivate la mancanza (?). Un altro combattimento, molto più intenso del precedente, è in arrivo… Buon divertimento!!!!


Bella ed Esme erano ancora assorte dalla ricetta mentre io mi arrabattavo alla ricerca di un’idea. Certo, la trovata di Bella di prendere qualcosa per la moto era stata davvero intelligente e io non potevo presentarmi con qualcosa di simile. Le mie risorse economiche mi davano parecchia libertà di movimento e, come diceva Esme, diciotto anni erano un traguardo importante: meritavano un signor regalo.
“Una moto nuova!”mi illuminai.
Qualche giorno fa mi aveva mostrato il modello che gli sarebbe piaciuto. Onestamente, il nome non lo ricordavo proprio ma l’avrei riconosciuta senz’altro. Yamaha… qualcosa. Ripensandoci, avevo il conto in comune con tutto il resto della famiglia: come avrei giustificato l’uscita di tutti quei soldi, soprattutto ad Emmett? Arricciai le labbra. Dovevo trovare una bugia che reggesse.
La figura di Edward mi sovrastò costringendomi a levare lo sguardo su di essa. “Non ci provare, Rose” mi minacciò, chiaramente infastidito dai miei pensieri.
“I soldi sono anche miei e ci faccio quello che voglio” risposi indifferente.
“Non per certe cose…”.
Non puoi impedirmelo! pensai.
“Se lo farai, dirò la verità…” mi sussurrò.
Inarcai un sopracciglio, scettica. Vuoi davvero spezzare il cuore di tuo fratello?
Non rispose, ma si stava trattenendo a stento.
“Questa è una cosa nella quale tu non puoi entrare. Non sono affari tuoi…” sibilai.
“Come vuoi. Ma quando avrai perso tutto, non venire a piangere da me”.
“Da te non verrei neanche morta, non ti preoccupare” replicai fredda.
Emmett si avvicinò, chiedendo l’argomento della nostra conversazione ma Edward si allontanò senza rispondere e io minimizzai, enormemente seccata. Sembrava che mio fratello si divertisse a ficcare il naso nei miei affari. Ma perché non pensava solo a Bella invece di fare il sermone a me?! La sua seconda vocazione era forse essere il grillo parlante della mia coscienza?
Un improvviso rumore di vetri infranti ci fece sobbalzare. Alice aveva accidentalmente fatto cadere un vaso di cristallo. Accidentalmente?! Aveva il viso perso nel vuoto, lo sguardo fisso davanti a sé, immobile. Stava avendo una visione ed io un brutto presentimento. La paura decorò il suo viso. “Edward…” balbettò. Mio fratello si inginocchiò davanti a lei.
“Ne sei sicura?” le domandò sconvolto.
Alice annuì più volte.
“Che cosa succede?” chiese Jasper, allarmato.
“I Volturi ci attaccheranno” sentenziò Edward.
La tregua era finita, dunque. Riposi il giornale su un tavolino vicino alla mia poltrona. Avevo trascorso così tanti giorni pensando che prima o poi avrei dovuto risentire quelle parole che ritenevo che quando sarebbero state pronunciate non mi avrebbero sconvolto più di tanto. Ed invece una valanga di paure mi seppellì: non c’era alcun tipo di preparazione spirituale che potesse fronteggiare il loro arrivo.
“Fra quanti giorni?” domandò Carlisle.
Alice abbassò lo sguardo, costernata. “Quindici minuti, al massimo” esitò.
“Cosa?!” mi alzai, sconvolta. “Come sarebbe a dire? Non sono neanche a Forks! Come fanno a essere qui in un quarto d’ora?!”.
“Erano già a Forks, evidentemente” non si scompose Carlisle.
Guardai mia sorella, infuriata. “Tu dovevi prevedere il loro ritorno, in qualche maniera. Come hai fatto a non vederli, eh?”.
“Non so spiegarmelo nemmeno io. Non è passato un giorno senza che guardassi le loro azioni e non avevano mai preso decisioni, a parte quelle che sapete tutti. Non capisco come abbiano fatto a sfuggirmi…” rispose amareggiata.
Era davvero abbattuta, come se fosse colpa sua se quei maledetti stavano arrivando proprio ora. Bella corse ad abbracciare Edward, spaurita. “Cosa facciamo adesso?” gli domandò.
“Forse il loro piano primario era quello di attaccare il branco. Per questo che non li hai visti tornare. E ora che hanno cambiato idea, hai previsto il loro attacco…” ipotizzò Jasper, cercando di portarle sollievo.
“Potrebbe essere” sospirò Alice.
“Sentite, non abbiamo tempo da perdere” intervenne Carlisle. “Quanti sono?”.
“Una decina. E Lehausle e Demetri non sono con loro”.
“Come sarebbe a dire?!”.
“E’ così, lo vedo chiaramente”.
Un piccolo esercito mandato in avanscoperta senza nessuna delle guardie reali. Mi sembrava assurdo quanto improbabile. Tutto questo era a nostro vantaggio, anche se potevano tranquillamente metterci in difficoltà, ma perché? Ci ritenevano troppo deboli per scomodarsi a venire di persona? Non mi piaceva affatto. E, a giudicare dall’espressione di Carlisle, nemmeno a lui. Doveva esserci qualcosa sotto. A meno che, molto più banalmente, volessero semplicemente misurare la nostra forza. Poteva essere soltanto questo.
“Dove sono Lehausle e Demetri?” domandò Emmett.
Alice chiuse gli occhi, tentando di concentrarsi. Si passò le mani sul viso, esasperata. “Calma, Alice. Non farti prendere dal panico” la rincuorò Jasper, dandole un bacio sul capo.
“Demetri non lo vedo e Lehausle è qua a Forks, ma non so dove” rispose infine.
“Ok. Che facciamo? Il tempo si sta riducendo” intervenne Esme.
“Chiamiamo i cani” propose Emmett. “Con loro abbiamo la vittoria in tasca”.
I cani?! Sì, chiamarli ci avrebbe facilitato enormemente il compito ma non li volevo. Mi tornò in mente il sogno che mi aveva raccontato Jacob su sua madre; il giorno dopo sarebbe stato il suo compleanno. No, non era premonitore, non si sarebbe avverato. Impossibile. Se non ci avesse pensato il destino, sarei stata io a renderlo tale.
Stavo per negare il mio consenso, quando Carlisle mi precedette. “No, ce la possiamo fare da soli” disse con voce piatta.
“Ma perché dobbiamo complicarci la vita?” ribatté il mio compagno.
“Questa storia che non ci sono le guardie reali non mi piace” spiegò nostro padre. “Preferisco non giocarmi tutte le carte ora. Li chiameremo soltanto se ce la dovessimo vedere male”.
“Come ci organizziamo, allora?” domandò Edward.
“Rosalie e Bella in casa, noi tutti fuori a difenderle” rispose semplicemente Carlisle.
“Ehi, un momento” esclamai infervorata. “Voglio combattere anch’io! Non penserete per caso di lasciarmi qua a fare da cane da guardia a lei!”.
“Qualcuno deve stare accanto a Bella…”.
“Che ci resti Edward, come ha fatto la primavera scorsa!”.
“No, tu e lei siete gli obbiettivi e dovete restare al sicuro. Inoltre abbiamo bisogno di Edward per prevenire i loro movimenti. Deve stare con noi”.
Sbuffai rumorosamente e mi buttai sul divano. Il pensiero di dover fare da badante a quella piagnona mi faceva venire il voltastomaco, ma, considerando tutto, questa disposizione era la migliore che si potesse elaborare e dovevo solo rassegnarmici: la mia presenza sul campo di battaglia avrebbe potuto essere dannosa ed Edward era molto più forte di me. I nemici erano una decina e noi soltanto in sei, escludendo me. Come potevamo pensare di cavarcela senza il branco? Qualcuno della mia famiglia sarebbe potuto morire oggi ed io stavo a preoccuparmi per un cane. Era da sconsiderati: rischiare la vita di tutti per evitare la morte di uno solo, ma Jake doveva stare al sicuro. Presi Emmett per mano e pregai che ce la facesse, che ne uscisse vivo e che tornasse da me sano e salvo, come gli altri. Pochi minuti e la battaglia per difendere me, Bella e i nostri comportamenti irrazionali sarebbe iniziata. Ero così dannatamente inutile. Rinchiusa in casa senza poter alzare un dito, come Bella. Ma lei era un’umana, mentre io avrei potuto difendermi e anche attaccare. Sperai che lo scontro andasse come previsto da Carlisle, ma se le cose si fossero messe male, sarei uscita ad aiutarli, alla faccia di tutti i loro piani.
Alice ed Esme corsero in camera a cambiarsi d’abito in maniera da essere il più agili possibile nei movimenti; Emmett e Jasper non sembravano per nulla intimoriti, anzi quasi felici di poter dare libero sfogo alle loro attitudini guerriere; al contrario Carlisle appariva sulle spine, convinto che ci fosse qualcosa che non quadrava. Mi avvicinai a mio marito e lo abbracciai. “Ti prego, stai attento” sussurrai.
“Non ti preoccupare. Abbiamo concordato alcuni mesi di proroga e tornerò solo per quelli” ridacchiò senza gioia.
“Stupido!”.
“Sono quelli la ragione che mi spingerà a vincere. Se non ci fossi tu, non mi importerebbe di vivere o morire oggi” replicò grave. Voleva farmi capire che si trovava in un abisso da cui voleva uscire soltanto perché avevo lanciato quella corda composta da “pochi mesi”. Recepii il messaggio perfettamente e ciò mi fece sentire ancora peggio. Ma, a dispetto di tutte le mie incertezze, volevo davvero che non gli accadesse niente. Tutti dovevano uscire vivi da quello scontro.
In quel mentre Alice scese come una furia dalle scale, chiamando Edward e Carlisle. Aveva un’espressione spaventata. Fissò mio fratello negli occhi e per la prima volta da quando lo conoscevo lessi muto terrore. Strinse Bella più forte e affondò il volto nei suoi capelli.
“Che succede, Alice?” domandò Carlisle con cautela.
“C’è un altro gruppo di vampiri, comandati da Lehausle…”.
“Stanno venendo qui?” domandò Esme, comparsa alle sue spalle.
Alice scosse la testa e guardò Bella. Non capii.
“Dove stanno andando?” domandò Jasper, innervosito dalle frequenti pause di sua moglie.
“Alla stazione di polizia”.
“Alla stazione di polizia?! Vogliono farsi arrestare?!” rise Emmett.
Bella alzò il viso verso il suo fidanzato. “Perché stanno andando lì?” balbettò.
Edward tacque, incapace di proseguire.
“Vogliono prendere Charlie per costringerci alla resa” lo precedette Alice. “Non vogliono combattere con noi e pensano che con lui avrebbero una buona moneta di scambio”.
Bella sbiancò. Le ginocchia iniziarono a tremarle e i suoi occhi si fecero vacui. “Vogliono mio padre per arrivare a me…” mugugnò.
“Purtroppo è così” confermò mia sorella.
Bella lasciò le braccia di Edward e si diresse alla porta, decisa. Mio fratello la afferrò prontamente. “Dove vai? Sei ammattita! Non puoi consegnarti!” la rimproverò.
“E tu credi che io starò qui, mentre quei maledetti uccidono mio padre?! Loro vogliono me e mi avranno! Io devo andare là!” urlò con gli occhi lucidi.
“Calmati, Bella” cercò di rassicurarla Esme.
“Io non voglio che gli facciano del male. Lasciami andare” singhiozzò.
“Amore, ti prego di perdonarmi, ma non posso farlo. Tu sei troppo importante” si scusò Edward, abbassando lo sguardo.
“E’ colpa mia. Tutto questo è colpa mia e Charlie non deve pagare i miei errori…” sbottò. Era diversa dalla solita Bella che conoscevo, tutta paura e lacrime. Sì, era spaventata e stava piangendo, eppure aveva un’insolita risolutezza nella voce, e persino nei movimenti. Era la prima volta che la vedevo prendere una posizione opposta a quella di mio fratello e così determinata a portarla avanti. Purtroppo questa fierezza era destinata ad essere annullata: non aveva la forza per contrastare Edward ed uscire da quella porta. E mio fratello sembrava altrettanto intenzionato ad abortire ogni sua piccola resistenza.
“Fra quanto saranno alla stazione di polizia?” domandò Carlisle.
“Cinque minuti” rispose Alice.
“Ma la stazione di polizia è piena di gente. Non possono rapirlo davanti a tutti senza manifestare la loro natura” obbiettò Emmett.
“Lo rapiranno nel parcheggio o durante il tragitto verso casa. E’ sera e le strade non sono ben illuminate”.
“In quanti sono?”.
“Dieci, con Lehausle”.
“Ok. Chiamiamo il branco”.
“Il branco?” sussurrò Bella.
“Sì. Devono andare a proteggerlo. Noi non possiamo muoverci da qui. Presto, dacci il numero di Jacob” la esortò Carlisle.
Bella corse all’apparecchio telefonico e compose velocemente il numero. “Pronto Rachel? Ciao, sono Bella. C’è Jake? Ho urgenza di parlargli”.
Non intuii quale dovesse essere la risposta perché lei, troppo emozionata, iniziò a farfugliare. A quel punto intervenne mio fratello, che le sfilò delicatamente la cornetta dalla mano. “Ciao, sono Edward Cullen. Ho estrema urgenza di parlare con tuo fratello… Sì, capisco, ma lo devi rintracciare assolutamente. Lui, Sam, Leah, o chiunque faccia parte del branco e ti sia più facile trovare. Abbiamo un grosso problema qui. Siamo sotto attacco. Quando li trovi, dì che chiamino subito” e riappese.
“E allora?” domandò Esme.
“Non era in casa. Da quello che mi ha detto deve essere a una riunione del branco. Sono tutti insieme e questo ci facilita le cose da un parte, ma dall’altra Rachel non ha idea di come rintracciarli” rispose Edward con malcelata delusione.
“E allora che facciamo?” domandai.
“Qualcuno di noi deve andare a proteggere Charlie fino al loro arrivo” disse Jasper.
“Cosa?! Ma sei uscito di senno!” rispose Emmett irritato. “Non possiamo separarci e per di più se quelli del branco non arrivassero in tempo, quelli cha saranno andati là, ne dovranno affrontare 10. E’ morte certa!”.
“E’ tutta una trappola” esclamò Carlisle battendo un pugno sul tavolo. “Vogliono tenerci impegnati qua mentre loro arrivano a Charlie. Maledizione!”.
Bella iniziò a piangere senza controllo. Era evidente che non c’era una soluzione. Erano in troppi e senza il branco, eravamo battuti.
“Sentite, non abbiamo più tempo da perdere” intervenne Esme. “Vado io, mentre voi rimanete qui”.
“Cosa?! E’ fuori questione che tu vada là” rispose Carlisle.
“Non abbiamo molte alternative. Qualcuno deve tenerli occupati fino all’arrivo dei lupi. Andrò là e tenterò di tenere Charlie all’interno. Lehausle e i suoi non oseranno entrare in un edificio con così tanti umani. Questo ci farà guadagnare tempo”.
“Posso andarci io” si propose Jasper.
“No. Tu sei il più forte ed esperto. Devi restare per aiutare gli altri. Voi tutti dovete restare qui. Io sono la meno indispensabile in questo momento e una volta che i lupi saranno arrivati, per noi il combattimento sarà più facile, visto che ne avremo uno ciascuno, al contrario di voi che dovrete affrontarne praticamente due a testa”.
La sua teoria era inconfutabile e lo sapevamo. Tuttavia là ci sarebbe stato Lehausle e il solo pensiero mi faceva accapponare la pelle.
“Non mi va che tu vada là da sola…” obbiettò suo marito. Ma lei si avvicinò e lo abbracciò con intensa dolcezza. “Non ti preoccupare, tesoro. Andrà tutto bene. Ce la faremo”.
“Non abbiamo nemmeno la certezza che i lupi arrivino in tempo”.
“Arriveranno…”.
Lo baciò e ci salutò tutti con lo sguardo. “Io vado. Ci vediamo presto” disse con un veloce cenno della mano. Ci mandò un bacio e uscì di corsa.
I miei occhi si fecero lucidi. La mamma era andata via. Non volevo che si trovasse ad affrontare l’inferno da sola. Avevo paura, un’immensa paura ed era lo stesso sentimento che leggevo negli occhi di tutti.
“Stanno arrivando. Un minuto e saranno qui” sentenziò Alice.
Carlisle riprese in mano la situazione, cercando di mostrarsi sicuro e di non far trapelare l’ansia. In quel momento suonò il telefono. Edward si precipitò all’apparecchio ed i secondi che precedettero la sua risposta furono i più terrificanti. “Oh, per fortuna sei tu Jacob” esclamò sollevato. In pochi secondi gli descrisse la situazione poi riappese.
“Cosa ha detto?” mormorò Bella.
“Ha detto che andranno subito. Per fortuna erano ancora tutti insieme. Penseranno loro a Charlie” disse accarezzando il viso della fidanzata che si abbandonò fra le sue braccia, sollevata. E con lei, noi tutti perché sapevamo che Esme non sarebbe rimasta sola a lungo. Considerando la distanza tra La Push e la stazione di polizia di Forks e la loro velocità, una volta trasformati, Esme avrebbe dovuto resistere per pochissimi minuti. Due-tre al massimo. Mi sentii meglio, anche se durò solo pochi istanti perché Emmett e gli altri si prepararono al combattimento. Edward salutò Bella e mi fissò severo: mi stava affidando il suo bene più prezioso ed il suo sguardo racchiudeva una velata minaccia, nel caso le fosse successo qualcosa. Uscirono ed io sprangai la porta col catenaccio. Non che servisse a granché, nel caso di attacco da parte di un vampiro, ma almeno ci avrebbe fatto guadagnare tempo. Mi accomodai sul divano, stringendomi febbrilmente le dita, mentre Bella, incapace a stare ferma, si muoveva come una trottola per il salotto. Li sentivo. Sentivo le scie di vampiri sconosciuti. Erano arrivati e il combattimento sarebbe iniziato, mentre io ero lì, impotente, a fare la baby sitter.
Bella si avvicinò a una delle finestre e sbirciò fra le tende. La raggiunsi e la tirai indietro violentemente. “Sei impazzita! Non devi farti vedere!” la sgridai.
“Scusami”.
In un’altra situazione mi sarei divertita un mondo a rimproverarla e coprirla di insulti, ma adesso non lo trovavo affatto piacevole. Ero in ansia quanto lei, soltanto che sapevo dominarmi e qual era il compito affidatomi: difenderla. Se la cintura di protezione istituita dalla mia famiglia fosse ceduta, io sarei stata la sua estrema difesa. La cosa non mi inorgogliva neanche un po’, ma qualcuno doveva restare, in assenza di Edward, e, stando in questo modo le cose, quel qualcuno ero io.
“Non c’è nessuno fuori” balbettò.
“Sì, ci sono eccome e stanno anche già combattendo” le risposi.
“Non li vedo”.
“Se riuscissi a vederci di notte, non saremmo dei vampiri” ironizzai.
Reclinò il capo, avvilita, come un’alunna a cui viene segnalata una lezione ovvia da parte dell’insegnante. Iniziò nuovamente a piangere. Era sconvolta: tutte le persone che amava di più erano in pericolo. Edward, Jacob, Charlie. E probabilmente il suo senso di frustrazione era pari al mio. Affinando l’udito, cercai di cogliere tutti i possibili rumori che potessero farmi sperare nella buona sorte, ma non avvertivo nulla che potesse aiutarmi. Cosa stava succedendo là fuori? E alla stazione di polizia di Forks? Esme era ancora sola? Se Jacob aveva mantenuto la promessa, dovevano essere già arrivati. Forse stavano combattendo. Oppure, magari, vedendo il branco, Lehausle e i suoi potevano essersi intimoriti e aver desistito. No, non si sarebbe fatto spaventare dai lupi e Jacob non l’avrebbe lasciato fuggire in ogni caso. Mi appoggiai alla parete, scoraggiata. Mi scoprii superstiziosa. Perché il sogno di sua madre? Perché proprio oggi, la vigilia del suo compleanno? Avrei voluto essere al suo fianco e purtroppo dovevo restare qui. Ma c’era la mamma con lui. Lo avrebbe aiutato, se ne avesse avuto bisogno.
Improvvisamente un tonfo dal tetto. Bella rabbrividì e trattenne il respiro. A giudicare dal rumore, dovevano aver rotto alcune tegole: chi poteva essere lassù? Pensai ad Alice. Era veloce, molto più di me. Era quasi impossibile prenderla, ma ne stavano fronteggiando praticamente due a testa. Lanciai un’occhiata fugace a Bella: e se le avessi detto di chiudersi dentro e fossi andata fuori ad aiutare? Edward mi avrebbe uccisa. Non potevo abbandonare la sua “preziosa” creatura. Mi buttai nuovamente sul divano. Avrei voluto accendere la tv per coprire i fruscii, ma a nostra volta sia io che Bella dovevamo fare meno rumore possibile.
Mi accarezzai i capelli in cerca di distrazioni. Chissà come stava Emmett… Era forte, ma non uno spietato calcolatore come Jasper. Si affidava alla forza fisica, non alle tattiche come suo fratello. E a volte, in battaglia, fa più comodo il cervello che i muscoli. Edward era il più avvantaggiato in quanto prevedeva i movimenti dei suoi avversari e quindi quello che se la cavava meglio, ma Jasper era senz’altro un talento naturale. D’altra parte lui aveva combattuto per anni, a causa di faide interne al gruppo di cui faceva parte prima di incontrare Alice ed unirsi alla nostra famiglia. Se lui avesse avuto la dote di Edward, sarebbe stato imbattibile, al pari di Alec, l’altro capo della guardia reale dei Volturi.
“Come credi che stiano andando le cose?” domandò Bella.
“Non ne ho idea” ammisi mesta.
I rumori si erano fatti più fiochi e questo mi faceva pensare che qualcuno fosse stato abbattuto. Non volevo credere che si trattasse di uno dei nostri, tuttavia volevo sapere anch’io, come lei, se stavamo vincendo o perdendo, se dovevo prepararmi a sopportare la perdita di qualche membro della mia famiglia. Li passai rapidamente in rassegna e non c’era nessuno di cui avrei potuto fare a meno, nemmeno del mio saccente e irritante fratello. 
Mi alzai dal divano e saltellai vicino alla finestra.
“Che fai?” mi domandò Bella.
“Sta’ zitta e lasciami fare” mormorai.
Scostai delicatamente la tenda della cucina e buttai, in velocità, un’occhiata fuori. Nel buio distinsi alcuni corpi in movimento, ma troppo rapidi per capire a chi appartenessero. Era rischioso restare alla finestra, ma la curiosità mi stava bruciando come un incendio appiccato con la benzina. Avevo bisogno di sapere se qualcuno dei nostri era ferito o meno. Aprii un po’ di più la tenda e mi parve di scorgere la minuscola figura di Alice dietro un albero.
Non avevo mai creduto in Dio, ma iniziai a pregarlo per la prima volta.
Osservavo tutte le direzioni permessemi dall’angolazione di quella finestra ma non riuscivo a cogliere niente di particolare, fino a quando un ramo si spezzò da un albero e cadde a terra. Il suo tonfo fu seguito da quello di due corpi che si rialzarono prontamente.
Uno era Emmett e stava combattendo con un vampiro dalla stazza molto simile alla sua. Gli occhi si inchiodarono su di loro: una parte di me voleva allontanarsi e non guardare, ma l’altra voleva assistere. All’inizio lo scontro parve in equilibrio. La difesa dell’uno si opponeva all’attacco dell’altro, in perfetta sintonia. Ma poi dal nulla piombò su di loro un altro vampiro e non era sicuramente uno dei nostri.
Due contro uno. Probabilmente questa era una situazione in cui si erano trovati anche gli altri, ma, complice il fatto che il combattimento stesse avvenendo sotto i miei occhi, mi impaurii. Emmett sembrava in seria difficoltà, e fu ferito più volte, anche se io non ne ebbi la percezione precisa.
Stava combattendo per me ed io ero lì, a fare niente. Avrei potuto aiutarlo, abbandonando Bella, ma Edward non me l’avrebbe perdonato. Ed io mi sarei perdonata di aver abbandonato mio marito nel momento del bisogno? Decisi in un attimo.
Mi diressi verso la porta, a lunghe falcate. “Chiudi a chiave. Io torno fra un attimo” mi raccomandai a Bella, la quale annuì, sconcertata.
Scesi le scale con la rapidità di un felino e corsi sul retro. Quando arrivai, un vampiro dai capelli lunghi e corvini si era appena avventato contro Emmett e lo aveva sbattuto contro un albero, tenendolo bloccato; il secondo lo stava colpendo al ventre. Mi avvicinai in punta di piedi, e, raccogliendo uno ramo da terra, bastonai quello che lo stava picchiando. L’altro, sorpreso della mia comparsa, allentò la presa ed Emmett colse l’occasione per liberarsi e buttarlo lontano da sé.
“Che diavolo stai facendo qui?! E’ pericoloso” mi rimproverò aspramente.
“Se ci stai tu, posso farlo anch’io!”.
“Tornatene subito in casa!” mi ordinò, anche se non ebbi il tempo di replicare perché il vampiro che avevo colpito mi afferrò per le spalle e tentò di trascinarmi via. Divincolandomi, riuscii a liberarmi, ma mi buttò a terra. Me lo sarei ritrovata addosso senza l’intervento di Emmett che, con incredibile impeto, lo scaraventò lontano. Si rotolarono nel fango per parecchi metri fino a urtare contro la base di un pino. Mi rialzai per rincorrerli ma mi ritrovai a dover fronteggiare l’altro vampiro, che si era ripreso dopo il violento urto. Era evidente che non avrei potuto andare da Emmett se non mi fossi sbarazzata prima di lui.
Mi scagliai su di lui e lo sbattei contro l’albero. Rispose con altrettanta veemenza al mio attacco e non poteva essere diversamente, visto che c’era niente meno che la nostra vita in gioco. Nessuno dei due si sarebbe fermato prima dell’annientamento dell’altro. Combattemmo per un tempo apparentemente infinito: io volevo raggiungere Emmett e tutti i minuti passati a fronteggiare quello stupido vampiro sembravano tempo perso. Dovevo ammettere che era abbastanza forte, anche se, dopo il combattimento con Lehausle, apparivano tutti pivelli. Nonostante ciò, non era così facile batterlo. Tentò più volte di colpirmi ma ero più veloce e questo lo fece innervosire. Soltanto una volta riuscì ad afferrarmi e a colpirmi in viso con un pugno ma mi riebbi subito e scappai intorno alla casa fino ad arrivare alla porta di legno del garage. Frugai nella legnaia alla ricerca dell’accetta che Carlisle usava per procurarsi la legna per il camino, ma la mia ricerca non servì perché il mio inseguitore mi atterrò con un tronchetto da ardere. Caddi, intontita. Quando mi ripresi, vidi lo sfavillare luccicante della lama dell’ascia nelle mani del mio aggressore, ben pronto ad usarla. Rimasi immobile, cercando di pensare rapidamente a una mossa offensiva. Fu allora che notai che parte della pila di legna era franata vicino a me. Puntai il tronchetto più prossimo. Non era tondo, ma appuntito, come molti altri: d’altra parte mio padre non era uno spaccalegna e spesso mozzava i rami in maniera disordinata, cosa che irritava il perfezionismo di Esme. Ma in quel momento poteva tornarmi utile.
Sollevò l’accetta, pronto ad usarla contro di me. Quello fu il tempo morto che aspettavo: mi sporsi per afferrare il legno e glielo scagliai addosso con tutta la forza. Si conficcò nel suo petto e, per la prima volta dalla mia trasformazione, vidi l’effetto di un paletto di legno nel cuore di un vampiro: il corpo si annichilì e cadde nella polvere come un albero appena abbattuto. Lo decapitai subito, poi con l’ascia corsi nella direzione in cui l’avevo visto rotolare col suo avversario. Quando arrivai però, la battaglia era finita.
Emmett era appoggiato ad un albero e ai suoi piedi giaceva il corpo senza testa del suo nemico. Lo raggiunsi ed osservai che aveva una ferita profonda ad un braccio, oltre a qualche altro taglio meno grave sul busto. “Come stai?” domandai trafelata, controllando le cicatrici.
“Sto bene. Guarirò in fretta. Tu piuttosto?” disse, afferrandomi il viso.
“E’ ok. L’ho ucciso”.
Tirò un sospiro di sollievo, poi la tenerezza del suo viso lasciò il posto a un’espressione dura come l’acciaio. “Perché sei uscita di casa? Dovevi stare là!” mi sgridò nuovamente.
“Non ti preoccupare. Ho detto a Bella di chiudersi dentro! Non le succederà niente!” replicai.
“Non me ne frega niente di Bella! Tu devi stare in casa, al sicuro!”.
“Volevo aiutarti…”.
“Mi aiuti di più se so che non sei in pericolo, amore mio” disse, raddolcendosi.
Abbassai il viso, dispiaciuta. “Non potevo lasciare che ti facessero del male…” mugugnai.
“Sono felice di quello che hai appena detto” affermò, accogliendomi tra le sue braccia.
Poteva sembrare incoerente da parte mia, ma non volevo perderlo. Se me l’avesse chiesto, sarei rimasta volentieri ad aiutarlo, ma mi spronò ancora una volta a rientrare. Annuii stancamente.
“Non ti preoccupare. Ne abbiamo già fatti fuori parecchi, e da quello che so noi siamo ancora tutti interi. Completo l’opera e torno…”.
“Va bene” sorrisi forzatamente, poi, non me ne spiegai il motivo, ma raccolsi l’accetta da terra e mi diressi verso l’ingresso di casa, con la morte nel cuore. Da una parte ero contenta di quello che Emmett mi aveva appena detto: gli altri erano ancora vivi; dall’altra ero in ansia perché lui si accingeva a riprendere il combattimento, pur essendo ferito e non mi piaceva per niente. Dovevo cercare di conciliare le mie due anime, in una qualche maniera, per raggiungere un eremo di pace.
Quando arrivai davanti al portone, mi accorsi che era socchiuso. Come mai? Mi ero raccomandata a Bella di chiudere a chiave. Ispirai ed espirai vigorosamente più volte e avvertii un aroma diverso. Vampiro. E non dei nostri. Appoggiai la mano sulla porta e la spinsi delicatamente. Entrando, notai il salotto deserto. Avanzai sospettosa, frugando con lo sguardo ogni angolo del piano terra. C’erano dei soprammobili rotti, due sedie rovesciate e un quadro a terra. Tutto questo non era un buon indizio. Perché avevo lasciato Bella da sola? Non era in grado di difendersi. Cosa le avevano fatto? L’avevano già uccisa? Oppure portata via da qualche parte? Sentii un frastuono di vetri infranti al piano superiore.
Abbandonai ogni remora e corsi a perdifiato sulle scale. Veniva dalla camera di Edward. Quando entrai, trovai Bella vicino al letto che reggeva, tremante, un sasso di quarzo, preso dal comodino; dall’altra parte del letto c’era un vampiro. Il mobile, vicino a lei, da sempre pieno di oggetti e ricordini vari di tutte le città in cui avevamo vissuto, era quasi vuoto: Bella li aveva lanciati contro il suo assalitore per tenerlo lontano. Con scarso successo, direi.
Quando mi vide far capolino dall’entrata, mi sorrise, raggiante. Lo stesso non si poteva dire dell’altro vampiro che apparve infastidito della mia comparsa, proprio mentre stava per arrivare alla sua preda. Fu il mio arrivo inaspettato che lo spinse a balzare al di là del letto per afferrare Bella. Senza pensare, lo colpii con l’ascia che avevo in mano, bloccando di fatto il suo assalto. Ma purtroppo fu soltanto un lieve rallentamento in quanto non riuscii nemmeno a ferirlo con la lama. Però potei saltargli addosso prima che le sue mani si avventassero su Bella. E lì iniziò la mia lotta sotto il suo sguardo terrorizzato.
Ma questo non era un vampiro Neonato. Era ben conscio delle sue potenzialità e sapeva come utilizzarle. Stavolta sarebbe stato molto difficile.
Mi rovesciò sul letto, tentando di strangolarmi. “Vattene via” ansimai in direzione di Bella e lei ubbidì, sparendo all’istante. Dapprima tentai di fargli mollare la presa, poi visti gli scarsi risultati, gli piantai le unghie nel viso ma sembrava persino immune al dolore. A quel punto optai per una tattica che mi aveva insegnato Jasper anni fa ma che non avevo mai messo in pratica. Con fredda decisione gli infilai il pollice in un occhio. Lo spinsi dentro fino a sentire il liquido viscoso della retina e del corpo vitreo inumidirmi il dito. E finalmente lo sentii urlare. Il dolore fu così grande che allentò la presa ed io ne approfittai per sgattaiolare via. Infilai la porta e mi trovai di fronte Bella con un vaso di porcellana in mano.
“Che stai facendo ancora qui?! Dovevi andartene!” urlai, infuriata.
“Non potevo lasciarti da sola. Sono andata a prendere qualcosa che potesse essere di aiuto” replicò, convinta che la sua fosse stata una grande trovata. Beata ingenuità! Pensare che un semplice vaso avrebbe fermato un vampiro era pura follia, ma mi fece piacere che lei non mi avesse abbandonato.
Tuttavia ebbi modo l’istante successivo di dimostrarle che la sua arma non sarebbe servita a niente. Il vampiro si riprese fin troppo rapidamente e, barcollante, mi prese per un braccio. Strappai il vaso dalle mani di Bella e glielo ruppi sulla parte del viso già ferita, per accentuare il dolore. Come previsto, non servì a granché, ma almeno lo rallentò. Presi Bella per mano e la trascinai via, spingendola ad arrampicarsi sulla scaletta che portava in soffitta. Una volta entrate, sbarrai la porta.
“Che cosa gli è successo?” balbettò Bella, scioccata dalla mutilazione di cui il vampiro era stato vittima. Non provava pietà ma soltanto orrore.
“Ho pensato che fosse più affascinante con un occhio solo” ridacchiai, ammorbidendo la tensione. Le sfuggì una risata e sembrò tranquillizzarsi, complice anche il fatto che da fuori non si sentivano più rumori. Non sarei certo uscita a controllare fino a che non avessi udito la voce di uno dei componenti della mia famiglia.
Stavo quasi per cantare vittoria, quando udimmo un tonfo provenire dall’esterno. Poi un altro. E un altro ancora fino a quando qualcosa non luccicò tra gli assi di cui era composta la porta. Una lama di metallo. Il vampiro aveva preso l’ascia che avevo lasciato avventatamente in camera e si stava apprestando a buttare giù l’unica barriera che ci divideva.
“Che facciamo, Rosalie?” sussultò Bella.
“Non lo so” ammisi spaventata. Sarebbe riuscito a entrare, era evidente. Mi guardai intorno per cercare qualcosa da poter usare come arma, ma sapevo essere una ricerca inutile. Esme aveva fatto svuotare la soffitta quattro mesi prima. Non c’era più nulla.
Edward, ti prego, vieni qua… Non ce la faccio da sola. Bella è in pericolo…
Dovevo prendere tempo e capii come, quando vidi l’abbaino. “Presto, vieni con me” incalzai Bella.
Lo aprii e le diedi una spinta per farla scavalcare.
“Vai sul tetto. Edward arriverà…” le sussurrai.
“E tu?” mi domandò smarrita.
“Io devo tenerlo impegnato. Andrà bene. Vai ora” la incoraggiai.
Mi ringraziò con lo sguardo e si allontanò dalla finestra.
“Edward, Bella è sul tetto. Vai a prenderla…”pensai.
In quel momento la porta crollò ed il vampiro comparve all’ingresso. I suoi occhi rossi fiammeggiavano nell’oscurità, sintomo dell’incontrollabile fame di cui era preda. Avanzò risoluto verso di me, impugnando l’ascia, la cui lama si era scheggiata a causa dei violenti urti contro la porta. Il suo balzo fu rapido e silenzioso, come quello di una pantera. Non ebbi modo di schivarlo e me lo trovai addosso. Mi dimenai cercando di allontanarlo, ma la sua morsa sembrava inscindibile. Più mi muovevo, più le maglie intorno a me si stringevano. Era molto forte, ma, diavolo, ero riuscita a mettere in difficoltà Lehausle! Non potevo lasciarmi vincere da un suo tirapiedi! Lo colpii ai fianchi più volte ma mi aveva imprigionato in maniera tale che le mie percosse avevano la consistenza di carezze. Scivolai lungo il pavimento con lui addosso, cercando di raggiungere lo spigolo della parete ma non ci arrivai mai. Mi morse all’avambraccio, affondando i denti nella muscolatura fino a recidermi i legamenti. Urlai a squarciagola e, come estremo tentativo, lo colpii con un pugno sulla nuca. Questo lo staccò mentre io indietreggiai di qualche passo, con la mano sulla ferita. Il braccio era ancora attaccato al resto del corpo, ma non lo sentivo più. Non riuscivo nemmeno a muoverlo. Come avrei fatto ora? Per giunta era il destro. Ragionai: quanto tempo ci avrebbe messo a guarire? Una mezz’ora, forse anche meno, ma io non avevo tutto questo tempo. Dov’era Edward? Ed Alice? Possibile che non vedessero la mia situazione?
Il vampiro avanzava cauto mentre io elaboravo piani dall’esito improbabile. Si fermò ed alzò il viso, annusando. Sembrò illuminarsi e saltò sull’abbaino, uscendo sul tetto, ignorando la mia presenza. Conoscevo quello sguardo, lo sguardo di un vampiro affamato. Bella era là fuori. Avrei potuto lasciarlo andare: avevo già combattuto abbastanza e dovevo salvarmi anch’io. Lei non era la mia fidanzata. Potevo abbandonarla tranquillamente. Ma Edward non me l’avrebbe mai perdonato e io non volevo scappare come una vigliacca.

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Capitolo 46
*** Lotta per Charlie ***


La battaglia continua e non è un sogno... ;) E' tragicamente vera!
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Baci!


 

Saltai sull’abbaino e guardai fuori, sospettosa. Non vidi né lui, né Bella. Decisi di ricorrere all’odorato: non mi avrebbe tradito. Sentii subito il suo profumo e mi arrampicai sul tetto, fin troppo spiovente. Quando raggiunsi la cima, finalmente li scovai. Bella stava urlando qualcosa contro di lui mentre il vampiro non sembrava prestarci troppo attenzione, anzi continuava a incedere minaccioso verso di lei, pregustando il pranzo. Avanzai il più silenziosamente possibile, per coglierlo di sorpresa, senza un piano preciso. Mi gettai su di lui a peso morto, con l’intento di farlo scivolare, e lui, preso dall’inebriante odore del sangue di Bella si accorse troppo tardi della mia incursione, perse l’equilibrio e cadde lungo le tegole che ricoprivano il tetto. Era eccessivamente vicino a Bella e, crollando, la urtò, facendole perdere l’equilibrio. Cadde all’indietro, giù dall’edificio.
Eravamo troppo in alto. Cadere da quell’altezza per un essere umano significava morte certa. Non ci pensai due volte e, invece di controllare la sorte del mio avversario, mi precipitai verso di lei e le afferrai una mano, lasciandola dondolare nel vuoto. Il suo peso mi trascinò quasi giù con lei, ma riuscii ad aggrapparmi ad una delle grondaie.
“Rosalie, Rosalie! Non mi lasciare, ti prego” implorò.
“Non ti lascio, stai tranquilla. Adesso ti tiro sù” cercai di tranquillizzarla. Questo sarebbe stato il mio scopo ma capii subito che non sarei riuscita a metterlo in atto. L’avevo afferrata con il braccio sano e con l’altro non riuscivo a fare leva per sollevarmi. Se si fosse trattato solo di me non mi sarei preoccupata: potevo tranquillamente sostenere il suo peso, ora che avevo trovato un equilibrio. Ma sentivo ancora l’odore del vampiro: era da qualche parte vicino a me e avrebbe potuto attaccarci. Eravamo facili prede.
“Bella, ascoltami. Devi provare a sollevarti. Non riesco a farlo da sola” la esortai.
Annuì, desiderosa di rendersi utile e uscire da quella funesta situazione ma era talmente spaventata da essere incapace di prendermi la mano con l’altro braccio.
“Ahi, ahi! Direi che siete in una brutta posizione!” ci canzonò la stridula voce del vampiro. Alzai il viso. Era in piedi, sopra di me, ghignando. Era davvero la fine. Non potevo affrontare un suo attacco, senza lasciar cadere Bella.
“Cosa facciamo, mia cara?” mi domandò suadente. “Io se fossi in te mollerei la presa”.
“Lasciami, Rose, lasciami” urlò Bella, dondolandosi per indurmi a seguire il consiglio di quel vampiro. Ma non gliel’avrei mai data vinta. La mia risposta fu stringerle la mano ancora di più.
“Stavolta chiudiamo i conti” mi disse, additando la sua orbita vuota.
Mi avrebbe uccisa e non potevo impedirglielo. Il mio braccio destro era ancora fuori uso. Stavo per morire. Serrai gli occhi, pronta all’inevitabile. Io sarei morta e Bella con me. Provavo dispiacere per lei e soprattutto per il dolore che la sua morte avrebbe causato ad Edward.
Avrei tanto voluto essere davvero una sorella per te…
Uno spostamento d’aria mi sollevò i capelli. Subito dopo un tonfo. Quando li riaprii, mi accorsi che il vampiro era volato giù dal tetto e sopra di lui c’era qualcun altro che lo stava letteralmente facendo a pezzi. Era Edward.
“Rosalie, che è successo? Chi sta combattendo con lui?” mi domandò Bella.
“Edward” risposi fiacca.
Lei rivolse lo sguardo in basso, cercando di controllare cosa stesse succedendo al suo fidanzato, ma così facendo la mia presa si allentò. La sua mano stava sudando e il contatto con la mia, gelida e liscia, rendeva la stretta sdrucciolevole.
“No, Bella, sta ferma!” urlai. Mi guardò nuovamente.
“Edward vincerà, non ti preoccupare” le dissi convinta. “Ma ora tu devi aggrapparti anche con l’altra mano, altrimenti sarà stato tutto inutile. Ok? Mi stai scivolando”.
Annuì e meccanicamente alzò il braccio, senza però arrivare ad afferrare il mio.
“Bella, devi farcela. Non resisteremo ancora per molto” la incitai.
“Non ce la faccio!” si lamentava. Quel suo piagnucolare rassegnato mi fece andare in bestia.
“Cazzo, vuoi darti una mossa!” imprecai. “A momenti ci lascio la pelle qua, per te. Almeno vedi che sia servito a qualcosa!”.
Il mio grido servì. Punta nel vivo, provò più volte fino a che raggiunse il mio braccio, anche se, a dire il vero, la situazione non era migliorata di molto. Almeno non rischiavo più di farla cadere. Per fortuna, esattamente un minuto più tardi arrivò Alice, che, prendendola al posto mio, la sollevò e la fece sedere sul costone del tetto, vicino a me.
“Come state? Tutto ok?” ci domandò Alice.
Annuimmo entrambe e mia sorella, notando la mia ferita, controllò i danni. “Non è niente” minimizzai, mentre analizzava il taglio che aveva iniziato a cicatrizzarsi.
“Scendiamo…” ci incoraggiò. Prese Bella in braccio e saltò giù dal tetto. Io la imitai l’istante successivo. Una volta a terra, Bella tentò di raggiungere Edward, ma Alice la fermò. “Non ti preoccupare. Vincerà…” e se lo diceva lei era una certezza!
Feci qualche passo in avanti: eravamo avvolte in un silenzio irreale e inquietante. Nemmeno nelle notti tranquille c’era questa atmosfera. Non mi piaceva nemmeno un po’.
“Abbiamo vinto, Rose. Lui era l’ultimo” disse Alice, alludendo a quello che aveva appena tentato di ammazzarci e che sarebbe diventato polvere ben presto.
“Davvero?”.
“Sì. E tutti noi stiamo bene”.
Bella iniziò a singhiozzare per la gioia e si lanciò letteralmente tra le braccia di mia sorella, che la accolsero avidamente. Avevamo vinto: non ci potevo credere. E per di più eravamo tutti vivi. Non potevo essere più felice.
In quel momento, da dietro l’angolo della casa, sbucò Edward. Appena Bella lo vide, lasciò Alice per correre da lui. Contemporaneamente arrivarono anche gli altri. A parte Emmett, che aveva ancora qualche segno delle ferite procurate dai due vampiri, sembravano stare bene. Jasper si avvicinò ad Alice e la prese sottobraccio. Carlisle guardò i miei tagli. “Ce la fai a muovere il braccio?” mi domandò, piegandomi l’avambraccio.
“Non del tutto, ma sto guarendo”.
Mio padre mi osservò soddisfatto, così come tutti gli altri. Eravamo vivi e sopravvissuti all’attacco. Certo io me l’ero vista brutta, ma alla fine tutto si era svolto come sperato.
Edward alzò il viso dai capelli di Bella e mi guardò, torvo. Sapevo cosa intendeva dire.
Mi dispiace. So che non avrei mai dovuto allontanarmi da lei… Ma non potevo lasciare Emmett da solo.
Ripose nuovamente lo sguardo sulla sua amata e sembrò accontentarsi della mia pietosa giustificazione. Emmett mi appoggiò la mano sulla spalla. Gli sorrisi. Era così dolce e protettivo verso di me. Lo abbracciai teneramente.
“Sù, ragazzi. Credo che sia meglio bruciare tutto e in fretta, anche” ci incitò Carlisle. Mai ordine fu eseguito con più gioia. In pochi minuti accatastammo i cadaveri uno sopra l’altro e appiccammo il fuoco. Arsero come foglie secche e in breve non restarono che piccole montagnole di cenere a suggellare la nostra vittoria. Contemplammo il fuoco divampare con estremo compiacimento, come si trattasse della festa di fine estate sulla spiaggia, davanti a un falò.
Il primo round era nostro. Appoggiai la testa sulla spalla di mio marito. “Ti ringrazio per essere venuta ad aiutarmi…” mi sussurrò all’orecchio.
“Credevi che non l’avrei fatto?!” domandai offesa.
“Non lo so. Hai detto che non sai se mi ami e forse…”.
“Stupido!” lo interruppi. “Non lascerei mai che ti facessero del male. Non capisci proprio niente!”.
Sorrise e mi baciò la fronte.
Provavo ancora qualcosa, anche se non capivo che tipo di amore gli stessi riservando. Probabilmente sarei uscita di casa per chiunque della mia famiglia in difficoltà, ma non potevo negare che Emmett occupasse un posto particolare nel mio cuore. Non avevo esitato un attimo a correre da lui: ma questo era dovuto a tanti anni di convivenza oppure al fatto che qualcosa dentro di me lo voleva salvare disperatamente? Forse il filo che mi legava a lui era molto lontano dall’essere spezzato. L’amore che ci aveva uniti per anni non voleva essere reciso, anche se le forbici erano detenute dall’altra persona per la quale sarei morta.
Trasalii. Fu come risvegliarsi improvvisamente da un bel sogno.
Jacob.
Esme.
Com’era andato il loro combattimento?
Lo stesso pensiero attraversò anche la mente di Bella perché interruppe l’allegro crepitio delle fiamme, in ansia. “E mio padre? Come sta?” domandò, trattenendo il fiato.
Noi tutti dirigemmo il nostro sguardo verso Alice che rispose, senza alcuna difficoltà. “Sta bene, Bella. L’hanno portato a casa di Emily. E’ là in questo momento”.
Bella riprese a respirare, ma solo per qualche istante. “E il branco? Ed Esme? E’ andato tutto bene anche per loro, vero?”.
Mia sorella esitò. “Non lo so, purtroppo”.
“Non vedi Esme?” domandò Carlisle, irrequieto.
Alice scosse il capo, cercando di filtrare la preoccupazione e mantenere un’espressione la più neutra possibile.
“E’ logico che non la possa vedere, finché è con i lupi…” spiegò Jasper.
“E Lehausle? Lo vedi?” domandò Emmett.
“Non vedo neanche lui” ammise.
Strinsi febbrilmente le mani, una dentro l’altra, fino a far schioccare le nocche.
“Beh, questo può essere un buon segno” disse Emmett. “Può voler dire che l’hanno ucciso”.
“Oppure che stanno ancora combattendo…” chiosò Edward.
“Allora dobbiamo andare là ad aiutarli” propose Carlisle. La sua angoscia per Esme era così evidente, da rendere inutile ogni tentativo di mantenere i nervi saldi. Anch’io ero preoccupata. In fondo, noi avevamo combattuto le mezze cartucce, anche se molto più numerose; mentre il branco aveva avuto l’onore di affrontare Lehausle in persona. Jake… Come stava? E la mamma? Fu per questo che decisi di appoggiare la proposta.
“E’ meglio aspettare un attimo” obbiettò Jasper.
“Perché? Potrebbero essere in difficoltà…”.
“Potrebbe essere l’ennesima trappola…”.
Lo fissai scettica e si sentì in dovere di chiarire. “Visto che il padre di Bella si trova a La Push, al sicuro, potrebbero aver deciso di abbandonare l’attacco al branco e venire qui. E dato che comunque, non potremmo andare là tutti, visto che qualcuno dovrebbe restare qui con te e Bella, rischieremmo solo di indebolirci maggiormente”.
“Se avessero deciso di venire qui, Alice lo vedrebbe” rimarcai duramente.
“Alice vede solo quello che fa Lehausle. Non sa chi sia con lui. Non ha la visione delle decisioni di tutti i vampiri del mondo! Lui potrebbe aver deciso di restare là e mandare qualcun altro qua, a sistemarci…”.
“Esme potrebbe avere bisogno di una mano…” replicò Emmett.
“Potrebbe… O forse no. Non possiamo saperlo… E separarci in questo momento potrebbe rivelarsi una tattica suicida”.
“Posso andare io” si propose Edward. “Se Alice resta con voi, potrete prevedere le loro mosse e eventualmente scappare, mentre io posso andare ad aiutare il branco”.
“No, Edward, no! Ti prego resta qui con me!” lo implorò Bella.
“Amore, non mi succederà niente, stai tranquilla”.
“No, non andare! Non voglio!” singhiozzò, aggrappandosi alla sua camicia.
La freddezza di Jasper era quasi esasperante a volte, ma produceva sempre idee fondate. Se qualcun altro ci avesse attaccato in questo momento, non sapevo quanto avremmo retto, anche se le ferite mie e di Emmett erano in via di guarigione. Tuttavia…
“Jasper ha ragione” sentenziò Carlisle, parlando a fatica. “E’ meglio aspettare ancora un po’ e poi, se continueremo a non avere visioni, andremo là tutti quanti”.
Era una decisione disumana, a mio parere, ma non osai oppormi. Ero consapevole del fatto che a Carlisle fosse costato un enorme sforzo pronunciare quelle parole. Lui era il primo a voler correre da Esme, ma bisognava avere sangue freddo. Non potevamo lasciarci andare ai sentimenti. Io ne ero la prova. Per aiutare Emmett avevo rischiato la mia vita e quella di Bella. Se non fosse arrivato Edward, saremmo morte entrambe a quest’ora. Dovevamo mantenere la calma e sperare. Guardai l’orologio. Erano le 20,15. “Io aspetto un quarto d’ora, poi vado” dissi. Gli altri mi guardarono sorpresi, poi Emmett mi prese per mano e aggiunse:“E io verrò con te”.
Mi sentii più sicura ad avere il suo appoggio, ma non servì, perché tutti gli altri furono d’accordo con me.
Per far passare i minuti restanti e contemporaneamente cercare di staccare la mente, continuammo nelle nostre operazioni di pulizia, buttando nel fuoco i rami degli alberi che si erano spezzati nella lotta, brandelli di vestiti sparsi intorno alla casa e altre parti di corpi, per quanto piccole, che andavano fatte sparire.
Erano passati meno di dieci minuti dalla nostra decisione, quando un urlo squarciò il silenzio. Mi trovavo nel giardino e stavo sistemando i rosai spezzati di Esme, quando lo udii. Mi fece accapponare la pelle. Abbandonai tutto e corsi. Avevo riconosciuto la voce e proprio perché sapevo a chi apparteneva, la mia corsa si era fatta ancora più frenetica.
Fui la prima ad arrivare, seguita da Alice, Jasper ed Emmett.
Edward era carponi, a terra. I pugni stretti frantumavano alcune foglie secche. Si muoveva convulsamente, come scosso da mille tremiti. Bella era inginocchiata vicino a lui, confusa ed impaurita. Carlisle, in piedi dietro di loro, ci raggelò con un’espressione preoccupata.
“Amore, cosa succede? Stai male? Che c’è? Ti prego, dimmelo…” lo implorava Bella.
“No… no… no…” si lamentò, ma non era la risposta alla domanda della sua fidanzata. Non l’avevo mai visto così sconvolto. La sua voce era diventata improvvisamente rauca. Stava piangendo.
“Edward, che cosa succede? Ci stai spaventando!” esclamò mia sorella, con tono alterato, invaso da una sottile inquietudine.
“Non doveva succedere… No… Perché? Perché?” imprecò.
Ebbi un terribile presentimento.
Jake.
No, non era possibile. Jake stava bene. Non poteva essergli successo qualcosa. Era assurdo. Edward non si sarebbe mai disperato tanto per lui. Almeno di questo volevo convincermi.
Improvvisamente sollevò la testa e guardò davanti a lui. Noi tutti lo imitammo e ci ritrovammo a fissare l’orizzonte vuoto e la nebbia che stava serpeggiando tra le radici degli alberi e che di lì a poche ore ci avrebbe avvolti.
“Jacob aveva appena riappeso la cornetta del telefono quando Sam e gli altri sono entrati in casa per sapere che cosa fosse successo di così grave da costringerli a interrompere la loro riunione” disse Edward. Si inginocchiò e continuò a parlare con voce vuota. Sembrava un racconto ed io non ero sicura di volerlo ascoltare. “Ha riassunto velocemente agli altri la situazione” continuò mio fratello “si sono trasformati e sono corsi alla stazione di polizia. La distanza appariva infinita e sapevano che ogni secondo perso era prezioso. Erano le sette e di lì a pochi minuti Charlie sarebbe uscito per tornare a casa: dovevano impedire che uscisse dall’edificio. Quando sono arrivati, era all’ingresso: stava parlando con Esme. Hanno tirato un sospiro di sollievo, vedendolo ancora in salute e al sicuro, ma si è trattato solo di qualche istante perché è giunto pungente l’odore di vampiro e non di uno solo. Ce n’erano tanti e molto vicini. Sam ha dato l’ordine di separarsi e perlustrare il perimetro dell’edificio, mentre lui avrebbe ripreso le sembianze umane e lo avrebbe portato via con una scusa qualsiasi.
Quando Sam li ha raggiunti, erano già nel parcheggio. “Ciao Sam” ha esclamato Charlie, stupefatto di vederlo da quelle parti.
“Ciao Charlie… Buonasera Esme” ha risposto cordialmente. Nostra madre è apparsa visibilmente sollevata di vederlo ma con lo sguardo gli ha indicato l’ala destra della boscaglia che circondava il parcheggio.
“Cosa fai da queste parti? Se sei qui per avere notizie su Seth, purtroppo non posso dartene. Vuoto più totale: sembra che quel ragazzo si sia smaterializzato” ha esclamato deluso.
“Oh no, non sono venuto qui per questo. Piuttosto, Emily voleva invitare te e Bella questa sera a casa nostra per cena. Vi andrebbe di venire?”.
“Stasera? Non so… Dovrei avvertire Bella. Credo che sia ancora con Edward…” ha detto, guardando Esme, che ha annuito.
“L’abbiamo già avvertita noi e ha detto che va bene” ha tagliato corto Sam.
“Allora vado a prenderla dai Cullen, così intanto accompagno Esme”.
“Non ce n’è bisogno” si è intromessa Esme. “Torno a casa da sola”.
“Sarebbe un piacere. In fondo, siamo quasi con-suoceri…” ha esclamato Charlie. “E poi così prendo Bella”.
“La porta direttamente Edward. Credo che siano già partiti, anzi…” ha ribadito freddamente Sam.
In quel momento l’illuminazione nel parcheggio si è spenta, lasciandolo avvolto dalle tenebre. Un ringhiare sommesso fra i cespugli e il rumore di alcuni rami che si spezzavano hanno attirato l’attenzione di Charlie. Ha fatto qualche passo in quella direzione quando Sam lo ha colpito alla nuca ed è caduto, tramortito a terra. Esme si era chinata a controllare che l’urto non fosse stato troppo violento quando dal cespuglio è balzato fuori un vampiro. Sam si è trasformato all’istante e gli si è avventato contro, rotolando insieme a lui nella boscaglia da cui era uscito.
Esme ha preso Charlie e l’ha portato fino alla macchina. Il combattimento era iniziato e non poteva lasciarlo lì. Lo ha fatto accomodare sul sedile del passeggero e ha cominciato a frugare nelle tasche e nel porta oggetti alla ricerca delle chiavi. Le aveva recuperate e si stava precipitando dalla parte del guidatore per partire, quando si è trovata di fronte Leah.
“Dammi le chiavi. Ci penso io a portarlo al sicuro…” le ha intimato. Esme ha ubbidito e gliele ha deposte in mano.
“Ora puoi andartene. Ci pensiamo noi qua” ha concluso acidamente. E’ salita in macchina ed è partita con una sgommata.
Esme si è guardata intorno, indecisa su quello che doveva fare, se seguire o meno il consiglio di Leah, quando ha sentito un guaito. Non ci ha pensato neanche un attimo e si è gettata nella boscaglia. Si è ritrovata faccia a faccia con un vampiro che stava per mordere un lupo dal mantello grigiastro, con striature dorate. Si è gettata su di lui ed è riuscita a staccarlo. Nella lotta che ne è seguita, Esme è stata scaraventata contro un albero, mentre il lupo ha approfittato del momento di disattenzione del suo assalitore per attaccarlo a sua volta. Sono rotolati lontano da Esme, che si è ritrovata sola. Sentiva i rumori del combattimento, i latrati sommessi ed i fruscii dei passi dei vampiri, leggeri nonostante il combattimento. Immobile, ha aspettato che uno degli avversari si accorgesse della sua presenza e la assalisse. Ma non è stato un nemico a farlo, bensì uno di coloro che voleva aiutare.
Un enorme lupo rossiccio le è saltato addosso e sono caduti entrambi. Esme si è dimenata per colpirlo, ma il lupo, intuendo l’errore, si è allontanato prima di diventare bersaglio di una delle carezze di nostra madre. Quando Esme si è rialzata, l’ha visto davanti a sé: nei suoi occhi ha letto lo stupore e contemporaneamente il disappunto per averla assalita.
“Sono qui per aiutarvi” ha chiarito Esme per giustificare la sua prolungata presenza in quel luogo, soprattutto dopo l’ultimatum di Leah. “Sei Jacob, vero?”.
Il lupo ha annuito col muso ma non ha capito perché Esme volesse restare lì e non tornasse da noi. Gli ha fatto cenno un paio di volte di andarsene, anche ringhiando, ma lei si era convinta che il suo posto fosse lì…” disse Edward, poi tacque. Il suo racconto si interruppe di colpo, come se la pagina successiva fosse stata strappata.
“Che cosa è successo dopo?” domandò Alice, tesa.
Edward abbassò lo sguardo a terra. Non era un’espressione rassegnata ma innervosita. Stava leggendo nel pensiero di qualcuno a poca distanza, ma quel qualcuno doveva avere ricordi confusi perché mio fratello non riusciva a decifrarli correttamente.
“Jacob ed Esme hanno sentito una scia familiare” esclamò infine.
“La scia di chi?” domandò Carlisle.
“Lehausle. Jacob ha abbandonato subito Esme per rincorrerlo e lei gli è andata dietro, pensando che avrebbe avuto bisogno di una mano, se voleva affrontarlo”.
Quel nome ebbe il potere di stritolarmi.
Jake aveva trovato Lehausle e lo stava inseguendo.
Perché? Perché non c’ero io con lui? Perché Lehausle era andato da Charlie e non da noi? Avrei preferito che affrontasse me. Jacob non poteva farcela da solo e sapevo che non avrebbe riflettuto: gli si sarebbe semplicemente scagliato addosso, come mi aveva detto più volte. Però… c’era Esme con lui. Lei lo avrebbe aiutato.
“Jake ha combattuto con Lehausle” dedusse Bella.
Edward annuì.
“Ed Esme dov’era?” non riuscii a trattenermi dal domandare.
“E’ stata bloccata da un altro vampiro e si è dovuta fermare”.
No! Jake era rimasto solo contro Lehausle.
“Cos’è successo dopo?” domandò Bella, respirando a fatica per l’emozione.
“Jacob si è trovato faccia a faccia con Lehausle e lo ha assalito” rispose laconico, con tono pieno di sconforto. Fissò prima Bella e poi me. Non seppi interpretare questo gesto. Seppi però che dovetti fare ricorso a tutte le mie energie mentali per trattenermi dal correre via.
Edward continuò a raccontare ma non distinsi granché. Sentii spandersi nell’aria parole come “sangue”, “ferite”, “latrati” ma non lasciavo volontariamente che mi sfiorassero. Mi ero irrigidita talmente in profondità che non avrei nemmeno saputo muovere un muscolo se mi avessero chiesto di farlo. Tutti prestavano la massima attenzione al suo racconto ma io no. Avevo sconnesso il cervello dalle orecchie. Non capivo volutamente niente di quello che raccontava. Un velo di lacrime mi appannò la vista. “Jacob sta bene e ha sconfitto Lehausle…”: questo continuavo a ripetermi all’infinito come un disco rotto, tentando di coprire le parole di Edward, pur sapendo che questo mio isolamento non sarebbe durato in eterno. La curiosità stava sbriciolando le mie barriere e presto avrei dovuto fare i conti con la realtà.
“… è caduto a terra. Non riusciva più a rialzarsi” stava sentenziando Edward quando capii che era giunto il momento di affrontare ciò che più temevo.
“Perché?” domandai.
“Lehausle gli ha rotto quattro costole” rispose duro Edward.
“L’ha ucciso, vero? Lehausle ha ucciso Jacob…” balbettai, incurante dell’inflessione troppo affettuosa.
Edward digrignò i denti tanto forte da mostrare i canini.
“E’ arrivata Esme…” disse con voce piatta.
Il velo di lacrime scomparve per lasciarmi intravedere una stella di speranza. La mamma. C’era lei, per fortuna. Alzai timidamente gli occhi al cielo per ringraziare Dio.
“Esme si è buttata contro Lehausle mentre Jacob tentava faticosamente di rialzarsi. Aveva bisogno di qualche minuto per riprendere fiato e ricominciare il combattimento. Esme ha capito quale fosse il problema ed è riuscita ad allontanare Lehausle. Ha sostenuto il suo attacco da sola per parecchi minuti, in attesa che Jake avesse almeno la forza di respirare senza provare dolore”.
Si zittì. Nel suo racconto si alternavano momenti di desolante tristezza ad altri di malcelata rabbia che attribuivo senza mezzi termini al fatto che Esme si fosse trovata a proteggere un licantropo da Lehausle. Potevo capire il suo astio, ma ero contenta che Jake non si fosse trovato da solo contro la guardia reale.
“Più volte Lehausle l’ha sbattuta contro gli alberi e si è sempre rialzata, pronta a combattere, anche se in realtà le sue forze stavano scemando pian piano. E’ scappata lontano, trascinandoselo dietro ed è saltata su un ramo, arrampicandosi con la velocità di una scimmia. Ma Lehausle ha le medesime qualità, forse anche migliori, e l’ha seguita. Erano arrivati quasi in cima, quando l’ha raggiunta, trattenendola per una caviglia, e l’ha colpita più volte. Esme si è divincolata ed è riuscita a liberarsi. Così facendo però ha perso l’equilibrio ed è caduta…”.
“Oh mio Dio!” non poté trattenersi dall’esclamare Bella. “Si è fatta male?”.
Domanda ingenua. Cadere da una certa altezza non era un problema per un vampiro. Avevamo la dote naturale di atterrare in piedi, esattamente come i gatti, anche se infinitamente più robusti.
“No” rispose Edward. “Cadendo però ha trascinato con sé Lehausle… Sono precipitati a terra insieme, solo che Lehausle si è ripreso molto più velocemente e non le ha dato tempo di rialzarsi. L’ha morsa su una spalla e le ha stracciato buona parte di carne. Esme gli ha tirato una gomitata ed è fuggita, ma non ha fatto che pochi metri prima di ritrovarselo addosso. A quel punto Lehausle gli ha piantato i denti nel collo e ha stretto…”.
Mio fratello sospese il racconto ancora una volta e stavolta vidi la disperazione nei suoi occhi.
“Cos’è successo a Esme?” domandò Carlisle, angustiato.
Edward non rispose; si rialzò da terra e ci fissò uno ad uno. Creare le parole sembrava un atto troppo difficoltoso, soprattutto per lui che stava rivivendo quel momento nella mente di qualcun altro. Lo vedeva, ne sentiva la paura e io mi rifiutavo di immaginare nella testa di chi stesse leggendo.
“Jacob l’ha assalito alle spalle” riuscì a pronunciare. “Lehausle ha lasciato Esme ed è saltato addosso a Jake. Hanno lottato parecchio: Lehausle ha tentato spesso di stritolargli le ossa, come aveva fatto in precedenza, ma non ce l’ha mai fatta. Il lupo, da parte sua, è invece riuscito spesso a morderlo, ma senza procurargli danni letali. Il vampiro appariva stanco, mentre Jacob sembrava rigenerato. O forse la parola più appropriata è indiavolato: doveva vendicare Seth e nessuno l’avrebbe fermato. Nel corso della lotta, gli è saltato addosso, senza dargli requie, e gli ha strappato una mano. Lehausle ha raccolto un ramo da terra e l’ha colpito assai goffamente, poi ha cercato la fuga. Ha fatto solo pochi passi. Jacob l’ha atterrato e gli ha strappato la testa”.
Un silenzio innaturale scese fra noi.
“Gli ha strappato la testa?” domandai stupita. “Ma allora Lehausle è…” dissi incapace di arrivare alla logica e troppo meravigliosa conseguenza.
Edward annuì vacuo. “E’ morto. L’ha ucciso”.
Bella rise e saltò tra le braccia di mio fratello. “Ce l’ha fatta! E’ fantastico! Non posso crederci!” urlò per la gioia. Tutti noi eravamo soddisfatti. Uno in meno. Stupefacente! Jacob era riuscito ad uccidere una delle guardie reali. Un sogno.
Ma a differenza nostra, Edward appariva vivere in un incubo. Alzò il viso e abbandonò lo sguardo all’orizzonte. Bella si zittì. “Che succede amore? Non sei felice?” gli domandò titubante.
Guardai nella direzione fissata da mio fratello: non vedevo niente, però sentii qualcosa. Una scia da licantropo. La sua scia. La portava il vento e ogni istante diventava sempre più intensa. Stava venendo da noi.
“Edward, rispondi. Che ti prende?” lo invitò Carlisle, l’unico di noi che aveva appena accennato la sua gioia.
Mio fratello arricciò le labbra. “Quando la testa di Lehausle è rotolata lontano, Jacob ha fatto a brandelli il corpo ed è tornato da Esme, per controllare come stava…” bisbigliò.
Alice iniziò a singhiozzare sommessamente e io non ne capii il motivo. Avevamo vinto: perché piangeva? Dovevamo festeggiare… Sì, questo avremmo fatto appena la mamma sarebbe tornata.
“Edward…” lo richiamò dolcemente Carlisle. Si fissarono a lungo e solo allora vidi le lacrime sul viso di mio fratello.
“Mi dispiace, papà…” rispose con un smorfia.
Carlisle abbassò il viso con un movimento brusco.
“Cos’è successo alla mamma?” insistetti, spaurita.
Edward si girò verso di noi, accarezzando le guance di Bella. La strinse a sé e poi disse:“La ferita alla gola era troppo profonda perché si rimarginasse… Quando Jacob è tornato da lei, era già morta”.
“Morta?” balbettai, mentre le mie gambe si fecero di gelatina.
Bella iniziò a piangere senza freno mentre io, incapace di accettare quello che mi stava dicendo, mi rinchiusi in un gelido silenzio.
Non poteva essere vero. Esme stava bene e quando fosse tornata a casa avremmo fatto festa. Non capivo perché Edward si divertisse a dire queste cose. Era una vendetta nei miei confronti? Voleva farmi soffrire per quello che stavo combinando alle spalle di tutti? Ma se lo voleva fare, che si inventasse scherzi meno crudeli: Emmett, Jasper ed Alice stavano piangendo. Papà no, ma lui aveva un modo completamente diverso di manifestare il dolore. Mi salì in gola una rabbia terribile: avrei voluto uccidere Edward e l’avrei fatto se tra la nebbia non fosse sbucata una sagoma familiare. Una figura umana, imponente, nonostante il suo avanzare vagamente claudicante. Aveva qualcosa in braccio. Era un’altra persona. Feci qualche passo meccanicamente in avanti, ma Emmett mi trattenne.
Quando Jacob fu a pochi metri, riconobbi Esme tra le sue braccia.
Ecco, è con Jacob, sana e salva, alla faccia di Edward!
Ma il braccio penzolava lievemente senza alcuna direzione precisa, come se fosse inanimato. Così pure le gambe. La testa seguiva un movimento fisicamente innaturale.
Il lupo si diresse da Carlisle e la depose a terra a pochi metri da lui. “Mi dispiace…” sussurrò, abbassando per la prima volta lo sguardo davanti a noi. Mio padre si inginocchiò e le accarezzò i capelli, con aria assente.
Bella piangeva così convulsamente da indurre a chiedermi come facesse a respirare. Guardai ad uno ad uno i membri della mia famiglia. Avevano il capo reclinato e un’espressione sofferente. Sembrava che fossi io l’unica a non capire che in fondo si trattava solo di uno scherzo. Non era vero, non poteva esserlo. Esme stava bene e quel taglio che quasi le segava la testa dal corpo si sarebbe rimarginato. Ci sarebbe voluto un po’ più di tempo, ma poi sarebbe guarita. Carlisle iniziò a singhiozzare, mentre Alice si avvicinava a loro.
Perché non si rialzava?
Era un incubo. Un incubo orribile e dovevo solo svegliarmi. Ma io non potevo addormentarmi. Allora forse ero io ad essere morta e questa era una proiezione di me stessa. Un po’ futuristica come teoria, ma non ne trovavo molte altre che potessero essere credibili.
Jacob indietreggiò, appoggiandosi ad un albero. Sembrava stanco.
Gli altri si avvicinarono al corpo di Esme; soltanto io rimasi ferma, in attesa che la commedia finisse. La mamma era viva, sicuramente, altrimenti io come avrei fatto senza di lei? Aspettai. Aspettai pazientemente ma la scena era sempre quella. Avrei tanto voluto poter avere il telecomando e cambiare canale. Tentai di distrarmi guardando Jake. Era triste, infinitamente triste. E sfinito. Respirava a fatica. Sudava persino. Doveva essere il combattimento a cui si era appena sottoposto. Tuttavia non era felice. Avrebbe dovuto fare i salti fin sulla luna per essere finalmente riuscito a vendicare Seth, eppure sembrava che stesse in piedi per miracolo.
Voltai il viso nuovamente verso gli altri. Perché Esme non si alzava? Era così immobile, così inerme. Una pena infinita mi riempì il cuore. E proprio il cuore intuì per primo ciò che la mia testa si ostinava fermamente a negare. Fu lui ad impormi di piangere anche se non volevo. Piangere avrebbe significato ammettere che Esme fosse morta, e non era così. Dovevamo solo pazientare qualche altro minuto e tutto sarebbe tornato come un tempo. Ma i minuti passavano e non vedevo cambiamenti. Stavo cominciando a spazientirmi, tuttavia non volevo avvicinarmi. Emmett si accorse della mia lontananza e tornò verso di me, abbracciandomi. Mi strinse forte mentre io non riuscivo a staccare lo sguardo da Esme. Perché non ti alzi?
Digrignai i denti furibonda, scostai il mio compagno e mi diressi, decisa a smuoverla anche a calci. Quando fui sopra di lei, vidi appieno lo squarcio alla gola e fu allora che finalmente anche il mio cervello capì. La ferita era troppo, troppo profonda perché potesse guarire.
Mamma…
Iniziai a piangere e ben presto le lacrime si fecero da parte per lasciare posto alle grida. Emmett fu subito vicino a me, tentando di allontanarmi ma fu inutile. Mi sedetti vicino a lei, accarezzandole la mano. Non avrei mai più potuto parlarle o abbracciarla e l’unico modo per continuare a sentire la sua presenza era restarle accanto. Io non c’ero quando aveva avuto bisogno di me, mentre, al contrario, lei per me c’era sempre stata, soprattutto l’ultima volta con Leah. Non ce l’avevo con Jacob: sapevo che non era stata colpa sua, ma mia, solo mia. Quante morti volevo ancora sulla coscienza? Seth, Tanya, Esme e chi altro?
Chi avrebbe curato il suo bel roseto? Chi ci avrebbe accolto col sorriso più dolce del mondo al rientro a casa? Chi avrebbe riempito la cucina con la puzza di tutti i disgustosi cibi umani che si era sempre ostinata a cucinare?
Avrei continuato a piangere se non avessi sentito un tonfo, che distrasse tutti quanti. Jacob era svenuto.

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Capitolo 47
*** Resta con me... ***


Bella lasciò le braccia di Edward per soccorrerlo, ma mio fratello la trattenne quando si accorse che Jake stava tremando.
Carlisle si alzò e si avvicinò guardingo.
“Che cosa gli sta succedendo?” gridò Bella allarmata.
“Ha le convulsioni” rispose Carlisle con voce piatta.
“Si sta trasformando?” domandò Jasper.
Carlisle scosse la testa lentamente ma si raccomandò ugualmente di restare indietro. Abbandonai il corpo di Esme e mi avvicinai a Emmett, cercando delicatamente il suo braccio, in cerca di sostegno.
Dopo circa un minuto, Jacob smise di tremare, rimanendo però in stato di incoscienza. Nostro padre si chinò su di lui, controllandogli sommariamente i parametri vitali visibili. Alla fine sospirò.
“Come sta?” domandò Alice.
“Non lo so” ammise dolente. “E’ vivo e sembra stare bene, ma…”.
“Forse è solo stanco” ipotizzai.
“No” replicò deciso. “Ha una sudorazione eccessiva e il battito del cuore è troppo accelerato. C’è qualcosa che non va, ma non capisco cosa…”.
A quel punto gli controllò minuziosamente tutte le ferite che aveva sul corpo. Io non ero un medico e non me ne intendevo ma lo avevo visto molto più ferito di così e non era mai svenuto. Edward lasciò Bella e si accostò a nostro padre. “Aspetta un attimo…” disse.
Strinse gli occhi come se stesse tentando di ricordare qualcosa che non voleva proprio saperne di venire alla luce. Arricciò le labbra, irritato dal non riuscire a sbrogliare il groviglio di ricordi e pensieri in cui stava cercando. Infine alzò la gamba sinistra di Jacob ed indicò a Carlisle nel polpaccio un taglio che a prima vista poteva sembrare una ferita normale, nemmeno particolarmente profonda. Il capo famiglia la esaminò poi disse le uniche parole che non avrei mai voluto sentire:“E’ un morso”.
“Cosa?” esclamò Bella, sbigottita.
“Sì” confermò Edward. “Lehausle l’ha morso durante il combattimento, ma Jacob, lì per lì, non ci ha fatto caso…”.
Il braccio appoggiato a Emmett si afflosciò come un sacco vuoto. I morsi di vampiri erano mortali per un licantropo. Tutti noi lo sapevamo, anche Bella.
“Ne siete sicuri?” domandò.
“Sì. E adesso tutto il quadro torna. Le convulsioni, la sudorazione, la tachicardia: è avvelenamento da morso di vampiro” recitò Carlisle, come se stesse leggendo la diagnosi su un libro di medicina.
“Ma si può fare qualcosa, vero?” balbettò Bella.
“Mi dispiace…” disse con estrema compassione.
Barcollò verso il corpo del suo amico e si inginocchiò davanti a lui. Appoggiò le mani sulla sua e gliela strinse. Non potevo vederle il viso ma percepivo le sue lacrime.
“Quanto tempo gli resta?” domandò Jasper.
“Dipende dalla quantità di veleno, dalla sua fibra e dalla capacità di assorbimento del suo corpo. Ho visto alcuni licantropi morire in poco meno di cinque minuti, altri metterci un’ora… Non posso dirlo, anche perché non so con precisione da quanto tempo è stato morso” rispose meditabondo Carlisle.
“Jacob è forte, molto forte!” si voltò di scatto Bella verso nostro padre, apparentemente rinvigorita. “Non potrebbe farcela? Magari il veleno è poco e lui potrebbe sopravvivere!”.
Carlisle abbassò il capo, indeciso. Era evidente che non voleva distruggere le sue illusioni e non aveva idea di come continuare, senza abbatterla ulteriormente.
“Se ha avuto le convulsioni, vuol dire che il suo fisico ha già cominciato ad assorbire il veleno, Bella” disse Jasper senza alcuna pietà, guadagnandosi in questo modo un’occhiataccia da parte di Alice. “Non c’è niente da fare ed è inutile costruire false speranze”.
“Piantala!” lo redarguì aspramente Edward.
Gli occhi di Bella si svuotarono e tornò a prestare la sua attenzione a Jacob. Pian piano il suo pianto si fece via via più rumoroso: con la testa completamente affondata nel petto, la vedevo tremare a causa delle lacrime. Edward tentò di abbracciarla per darle conforto ma per la prima volta da quando la conoscevo la vidi respingerlo con decisione e irruenza. Il viso di mio fratello non tradì delusione o rammarico, ma ormai lo conoscevo abbastanza da sapere che in quel momento avrebbe voluto morire lui stesso.
“Avevi promesso, Jake, avevi promesso che mi saresti sempre stato vicino. E ora non puoi lasciarmi qua sola, ti prego. Devi guarire, puoi farcela, lo so…” parlò Bella, a tratti con sussurri, a volte con rabbia. “Hai sempre mantenuto le tue promesse e ora non puoi venire meno proprio a questa. Con chi litigherò se non ci sei tu? Non puoi, non devi abbandonarmi”.
Il lamento si era fatto più chiassoso e la disperazione così profonda da spaccare a metà il cuore di chi ascoltava, mentre il suo ormai era già a brandelli.
Ed io?
Subito dopo la diagnosi di Carlisle, mi ero impedita con tutte le forze di farmi illusioni al contrario di Bella, anche perché sapevo che sarebbero state inutili e dannose. Tuttavia lui era lì, stava morendo e io non potevo fare niente per impedirlo. Avrei dato tutto quello che avevo pur di vederlo aprire gli occhi di nuovo. La mia stella si stava spegnendo, i miei sogni frantumando e con essi la vita che avrei voluto vivere. Feci un passo avanti ma fui costretta a fermarmi. Cosa avrebbe detto Emmett se mi avesse visto piangere per lui? Avrebbe capito tutto ed ora non potevo ferirlo ancora, non dopo la morte di Esme. Ma come facevo a tenermi tutto dentro? A non far trapelare i miei sentimenti? Sentii lo sguardo di Alice addosso. Sapeva che stavo soffrendo ma anche lei non poteva dire né fare nulla per consolarmi. Gli occhi mi si bagnarono di lacrime e feci appello a tutto il mio autocontrollo per fermarle.
Invidiavo Bella da morire perché lei poteva stare vicino a lui in quegli ultimi istanti mentre io ero costretta a recitare distacco e indifferenza, a fare finta di niente. Da quella distanza sentivo ugualmente il suo cuore battere all’impazzata. Ancora qualche minuto e poi avrebbe cominciato a rallentare fino a spegnersi. Funzionava così. Le ultime resistenze prima della lenta agonia.
Amore, ti prego, svegliati…
Non riuscii a trattenere una minuscola lacrima che mi scese, dispettosa, sul viso.
Non mi avrebbe più parlato, non avrei più sentito l’odore della sua pelle.
Bella iniziò a dargli dei pugni sul petto così forti da farsi male lei stessa. “Alzati, maledizione! Alzati” gridò come una furia. Edward le afferrò i polsi dolcemente e tentò di abbracciarla. Stavolta si abbandonò tra le braccia di mio fratello, urlando e singhiozzando.
Le accarezzò la testa per rassicurarla e darle coraggio, ma lei alzò il viso ed iniziò a implorarlo:“Ti prego, Edward, fa qualcosa, ti scongiuro!!!”.
“Bella, io non…”.
“Non lasciarlo andare così, ti prego. Ho bisogno anche di lui…”.
Edward le diede un bacio sulla fronte e il suo sguardo cadde su di me: non fu di rimprovero, né di delusione. Era triste. Sembrava esprimermi il suo dolore per quello che stava accadendo. Non sapevo se stavo leggendo nel suo viso un’emozione che non gli apparteneva ma mi ritrovai a implorarlo anch’io.
Se puoi fare qualcosa, ti scongiuro, fallo. So che non merito niente ma farò tutto quello che vuoi, se lo salvi…
Affondò il viso nei capelli di Bella e la cullò per qualche istante. Tornai a fissare Jacob e decisi che non potevo più restare inerte. Emmett, Bella, Jasper e Carlisle avrebbero capito, ma che andassero al diavolo! Non potevo lasciare che la mia stella si spegnesse lontana da me. Feci un passo in quella direzione quando Edward esclamò:“Proviamo Carlisle. Direi che non abbiamo molto da perdere…”.
Bella guardò prima il suo fidanzato, sorpresa e poi rivolse, come noi tutti, la sua attenzione verso nostro padre, il quale stava contraccambiando il suo sguardo con un’espressione figlia di un profondo scetticismo. “Quasi sicuramente non servirà a niente… Anzi, forse è troppo tardi” replicò.
“Come ho già detto, non abbiamo niente da perdere” disse Edward con una scrollata di spalle.
“Cosa volete fare?” domandò Alice.
“Niente più che un esperimento. Ma vi spiegherò meglio in casa. Abbiamo poco tempo. Coraggio, qualcuno lo tiri sù e lo porti dentro mentre io vado a preparare il laboratorio”.
Le guance di Bella tornarono improvvisamente a imporporarsi, come se avesse riavuto indietro la vita e, sostenuta da Edward, si diresse in casa. Emmett, il più robusto di tutti, sollevò Jacob e lo portò nel laboratorio di Carlisle. Lo fece stendere su un tavolo di alluminio che nostro padre utilizzava quando tentava di fare esperimenti con il sangue o, il più delle volte, con alcune parti morte del corpo di vampiri. L’ultima volta che lo aveva utilizzato era stato quando aveva visitato Desirèe. Quasi tre mesi fa. Tutti noi ci radunammo vicino a lui, pronti ad ascoltare la sua idea.
“Allora, farò in fretta perché ogni istante è prezioso” iniziò con tono freddo e a tratti concitato. “Non sappiamo quanto veleno sia nel suo corpo. L’unica cosa certa è che il suo organismo lo sta assorbendo, o comunque ne ha assorbito una parte. Le convulsioni sono causate anche da minuscole quantità, quindi questo non fa testo. Il veleno è ancora in circolo nel sangue e l’unica cosa su cui possiamo puntare è che stia facendo effettivamente resistenza, che la quantità assorbita sia poca e che, ad ogni modo, non abbia toccato organi vitali. Sto parlando di polmoni, cuore e fegato. Generalmente il nostro veleno tocca per primo quest’ultimo ed è proprio l’insufficienza epatica che è causa della morte nei licantropi. Tuttavia possiamo sperare che il fegato non sia ancora stato attaccato…”.
“Quindi?” domandò Alice, impaziente.
“Se questo non è effettivamente successo, possiamo ancora tentare di evitarlo, pulendogli il sangue dal veleno”.
“E come facciamo?” domandò Jasper.
“Glielo succhiamo via” rispose laconico il capo famiglia.
Il gelo si insinuò in ognuno di noi.
“Aspetta un attimo, Carlisle” continuò Jasper. “Fammi capire bene. Tu vorresti che gli bevessimo il sangue?”.
“Sì, ma non tutto. Solo poco più della metà. I licantropi possono sopravvivere con così poco sangue perché hanno una rigenerazione cellulare dieci volte superiore a quella umana. Se siamo fortunati, possiamo riuscire a togliergli la maggior parte del veleno. Dopo resterebbe una quantità minima che il suo corpo potrebbe riuscire a debellare anche da solo. Ovviamente tutto questo è in via ipotetica e ogni secondo che passa è una possibilità in meno di fermare l’avvelenamento…”.
“Carlisle, ti dirò francamente quello che penso: è una pazzia!” esclamò Jasper indispettito.
“Sì” intervenne Edward. “Ma non possiamo fare altro”.
“Non so se vi rendete conto” continuò Jasper, assai determinato a far valere le sue ragioni. “Qui stiamo parlando di bere sangue umano! E berne tanto. Per poi fermarsi sul più bello. Io non credo proprio che sarei in grado di fermarmi e onestamente credo che nessuno di noi sia in grado di farlo. Forse voi non ricordate più quant’è buono, ma io lo ricordo eccome! E per quanto la puzza di quel cane possa essere nauseante, non riuscirei a fermarmi dal dissanguarlo completamente!”.
“Quindi mi stai dicendo che non ti offri volontario!” commentò Carlisle, con un tono vagamente divertito.
“No. Io mi tiro fuori” confermò Jasper.
“Neanche io me la sento” disse Alice mortificata.
“Ok” disse nostro padre e poi guardò me, Edward ed Emmett. “Lo farei io, ma c’è bisogno di qualcuno che dall’esterno controlli come vanno le cose e se l’operazione in corso ha qualche effetto su Jacob. Quindi restate solo voi tre…”.
Bella ci guardò speranzosa.
Emmett abbassò il viso. “Io la penso come Jasper. Non ce la faccio e non voglio la vita di quel cane sulla coscienza” si giustificò, poi aggiunse:“Mi dispiace Bella”.
Avevo la testa completamente vuota. Bere tre litri di sangue. Non erano tanti, ma, dannazione, era umano stavolta. E per giunta il “suo”. Ce l’avevo stampato in testa il sapore di quello che avevo assaggiato quel pomeriggio a casa sua. Era delizioso. Ne avrei bevuto fino a scoppiare.
Mi aspettavo che Bella sarebbe andata da Edward per chiedergli di fare questa sottospecie di dialisi e invece si avvicinò a me, prese la mia mano fra le sue e mi fissò insistentemente. Aveva gli occhi rossi e ancora umidi. Era triste, ma allo stesso tempo determinata. “Ti prego, Rose, solo tu puoi farlo…” sussurrò.
“Io non credo di essere la più qualificata…” replicai abbassando lo sguardo incapace di sostenere la sua fredda sicurezza.
“Affatto. Sei la migliore di tutti. Hai bevuto sangue umano una volta sola nella tua vita e per una giusta causa” continuò, cercando di incrociare il mio sguardo e ritrovare la complicità di quella sera in cui le avevo raccontato ciò che mi era successo con Royce. “Dopo non hai più avuto alcun problema a dominarti e non ti invoglia sfamarti del sangue di una persona. Tu puoi bere e fermarti in tempo”.
“Il fatto che non lo cerchi non vuol dire che se me lo trovassi pronto non lo berrei…” contestai debolmente.
“Sì, ma lui è un licantropo. Tu li odi e odi ancora di più il loro odore, quindi dovrebbe essere un buon incentivo a fermarti”.
Avrei avuto molto da dire anche su questo ma mi trattenni.
“Rose” mi richiamò inflessibile e fui costretta a fronteggiarla. “Jacob ti ha salvata da Lehausle ed è giusto che tu gli renda il favore”.
Sì, sarebbe stato giusto ma come facevo a dirle che il suo sangue era dolcissimo e mi piaceva da impazzire? Lo avrei ucciso invece di salvarlo.
“Lo faccio io Bella” interloquì Edward. “Non ti preoccupare”.
Bella mi lasciò la mano e corse ad abbracciarlo, mentre Carlisle, soddisfatto di aver trovato il suo volontario diede ordine a mia sorella di correre in cantina a prendere dalla nostra riserva di sangue, allestita in caso di emergenza, una sacca di AB positivo. Nel frattempo invitò tutti noi ad uscire: Emmett e Jasper si affrettarono ad ubbidire mentre io rimasi nella stanza.
“E’ meglio che esca anche tu, Bella. Non sarà un bello spettacolo…” la invitò Carlisle.
Non sembrava affatto convinta ma Edward la prese sotto braccio e la accompagnò alla porta.
“Lo faccio io” mi sentii dire.
Mio fratello e Bella si bloccarono.
“Non credo che sia il caso” obbiettò Edward, alludendo chiaramente a ciò che entrambi sapevamo.
“Invece credo che sia un mio preciso compito. Bella ha ragione: devo sdebitarmi in qualche modo e questo tutto sommato è il migliore. Mi faccio un pranzetto e lo salvo, senza neppure dover mettere in pericolo la mia vita. Direi che ho tutto da guadagnarci…” dissi, simulando una risata.
“Potresti ucciderlo…”.
“Tanto è morto comunque, no? Non avrò certo rimorsi…”.
“Va bene. Come preferisci…”.
Bella tornò indietro e mi strinse la mano, sciogliendosi in mille ringraziamenti. Quando Alice tornò e vide che la situazione era cambiata mi lanciò un’occhiata che sapeva di rimprovero misto a preoccupazione, dopodiché uscì, trascinandosi dietro Bella. Carlisle prese una sedia e la depose vicino al tavolo. Mi fece un cenno e mi ci accomodai.
“Ascoltami, Rose, ascoltami bene” iniziò scandendo le parole una ad una. “Adesso io gli metterò quella sacca di sangue all’altro braccio, ma scenderà lentamente quindi non si mischierà a quello che berrai tu. Lo faccio per non debilitarlo troppo, in caso l’operazione funzioni. Non devi aspirare alla solita rapidità altrimenti gli farai crollare la pressione troppo velocemente e potrebbe morire. Devi bere moderatamente…”.
“Quanto moderatamente?” domandai con frenesia.
“Un litro al minuto”.
“Un litro al minuto?! Vuol dire gustarlo in ogni singola goccia! Generalmente un animale lo dissanguiamo in pochi secondi!” mi lamentai.
“Lo so, ma l’animale non lo devi lasciare vivo, lui invece sì. So che è difficile ma credo che Bella abbia ragione a dire che tu sei la più indicata. Puoi farcela e ricordati che, comunque vada, non è colpa tua. Stiamo facendo un estremo tentativo e le possibilità sono molto scarse…”.
“Dove lo devo mordere?” domandai rassegnata.
“Dove vuoi”.
“Il braccio va bene?”.
“Benissimo. Aspetta un secondo che sistemo la sacca. Ti dirò io quando partire” concluse e si mise ad armeggiare con aghi e flebo dall’altra parte del tavolo.
Appoggiai le mani nervosamente sulle ginocchia e le strinsi tanto forte da far scricchiolare le ossa.
Cosa stavo facendo? Non dovevo esserci io. Non sarei stata capace di fermarmi e l’avrei ucciso. Carlisle diceva che non sarebbe stata colpa mia, ma invece sì, lo sarebbe stata eccome. Io avevo causato il combattimento con Lehausle dove erano morti Seth e Tanya e tutto quello che ne era derivato. Perché dovevo perdere anche lui, dopo Tanya ed Esme? Se avessi potuto dargli la mia immortalità l’avrei fatto; se avessi potuto fare cambio con lui, l’avrei fatto; se avessi potuto rivedere il suo sorriso, vendendo l’anima al diavolo, lo avrei fatto. Ma non bevendo il suo sangue.
Ripensando a quel pomeriggio a casa sua, sentivo già l’acquolina in bocca.
In quel momento si aprì la porta ed entrò Edward. Carlisle non distolse l’attenzione dal suo lavoro, ma si limitò a domandargli distrattamente:“Che cosa c’è?”.
“Credo che sia meglio che resti qua. Potete avere bisogno di una mano”.
Nostro padre lo guardò e come sempre la loro intesa fu istantanea. Annuì e continuò a cercare la vena nell’altro braccio. Edward mi mise una mano sulla spalla:“Non avere paura. Ti aiuterò io”.
“Come?”.
“Se sentirò che non ti vuoi fermare, ti strapperò da lui a costo di doverti staccare la testa, intesi?”.
Non riuscii a trattenere una risata, che ebbe il potere di rilassarmi, anche se solo per pochi secondi. Carlisle si avvicinò a entrambi e disse risoluto:“Tre minuti, Rose. Tre litri, non un centimetro cubo di più. Io cronometrerò il tempo e quando ti dirò “Stop” ti dovrai fermare, ok? Sei pronta?”.
Non ebbi la forza di rispondere, paralizzata com’ero dalla paura. Non mossi nemmeno un muscolo. Sangue umano, tanto sangue umano. Il pranzo era servito e io non avrei avuto la forza di smettere. Lo sapevo, non ero una volitiva. Lo avrei svuotato.
“Rose, ascoltami” mi sussurrò Edward all’orecchio. La sua voce ebbe il potere di ridestarmi di colpo. “Non pensare a quello che stai facendo. Non è niente. Pensa a qualcos’altro…”.
“A cosa?” balbettai poco convinta.
“Pensa che non puoi lasciare che Lehausle si porti via pure lui, pensa che gli devi molto di più della vita che ti ha salvato in quel combattimento, pensa che la morte di Esme non deve essere stata inutile. E se tutto questo non dovesse bastare, allora” sospirò e abbassò il tono della voce fino a trasformarlo in un alito di vento “pensa all’amore che provi per lui. Può vivere grazie a te, puoi fargli vedere l’alba dei suoi diciotto anni, puoi fargli il regalo più grande che una persona possa ricevere. Concentrati sul calore del suo corpo e fai in modo che non diventi freddo, regala a lui e a te stessa altri momenti per stare insieme” e mi appoggiò la mano sul suo braccio. Mi sorrise e mi sentii meglio: più coraggiosa, più fiduciosa.
“Pronta?” ribadì Carlisle.
Annuii e quando vidi il suo cenno, serrai forte gli occhi e appoggiai la bocca sull’avambraccio, dove i canini penetrarono in profondità. Perforai la carne fino a quando non sentii qualcosa di dolciastro bagnarmi le gengive. Il suo corpo sobbalzò, probabilmente come estrema difesa da un gesto che avvertiva come un attacco. Con entrambe le mani afferrai il braccio per tenerlo fermo ma non ce ne fu bisogno. Il sussulto durò solo pochi istanti, poi tornò immobile.
Qualche goccia di sangue uscì dalla ferita e mi lambì la lingua. Era dolce, così saporita e soave. Per me era paragonabile al gusto della cioccolata per gli umani: straordinariamente gustosa e stuzzicante. Aspirai voracemente i primi istanti poi lasciai che defluisse un poco e ricominciai con straziante lentezza. Non dovevo avere fretta, ma trattenersi era una pena. Se avessi potuto lo avrei bevuto tutto d’un fiato. Era inebriante e ben presto la bramosia abbatté ogni pallida barriera. Ero un vampiro: la mia natura era nutrirmi di sangue umano. Mi ero sempre trattenuta senza sforzo perché mi ripugnava l’idea di mordere una persona, ma ora, passati i primi momenti, capivo la delizia che perdevo ogni volta che rinunciavo a un pranzo a base di esseri umani. Jasper aveva ragione. Fermarsi era impossibile e poi perché prendersi questo disturbo? In fondo sarebbe morto comunque e non per colpa di Rosalie Hale. Avvertii la pulsazione del suo cuore farsi sempre più debole. Stava morendo. A causa del mio morso oppure del veleno di Lehausle?
Resta con me… Non abbandonarmi… Voglio andare ancora al mare insieme, in quella fantastica caletta… E poi devo vendicarmi per quella sera, al confine, ricordi? Voglio un combattimento serio… Tu devi restare qui. C’è una vita per te, Jake. Un’esistenza fatta di tante esperienze e le devi vivere. Non permetterò che tu vada via da me e sai che quando mi metto in testa una cosa riesco sempre ad ottenerla. Sono una capricciosa, viziata. Bene, il mio capriccio sei tu e non sarò contenta finché non ti avrò tutto per me. Non voglio vivere cercando i tuoi occhi in quelli di qualcun altro. Ti scongiuro, salvati e salva me ancora una volta.
Continuai con la stessa velocità quando un sapore amaro mi imbrattò le labbra: non era sangue o perlomeno lo era ma aveva un che di marcio. Era mischiato a veleno. Accelerai lievemente, presa dall’entusiasmo per i risultati che la mia ricerca stava fruttando.
Avvertii un sapore ancora più amaro del precedente, ma non era sulla mia lingua. Era nella vena, anche se io ne sentivo la presenza. Guastava impercettibilmente l’odore e il sapore del sangue.
“Alt” esclamò Carlisle.
Era lì e ce n’era tanto. Non potevo staccarmi adesso. Succhiai più forte che potei per estrarlo ma la grande quantità evidentemente aveva obnubilato i miei sensi: non era così vicino come credevo.
“Staccala Edward, altrimenti lo uccide” ordinò allarmato Carlisle, ma mio fratello non ubbidì.
Succhiai eppure continuavo a non sentirlo sulle labbra: dov’era, dov’era?! Piantai più profondamente i denti fino a squarciargli la carne. Infilai persino la lingua nella piaga e frugai al suo interno. Un’enorme quantità di liquido mi finì in gola. Lo deglutii con voracità fino a che qualcosa di disgustoso e leggermente più denso rispetto al resto mi fece tossire. Veleno da vampiri.
A quel punto mi staccai dal suo braccio. I volti di Carlisle e Edward erano agli antipodi: l’uno sconvolto, quasi scioccato; l’altro sorridente e soddisfatto.
“Tutto ok?” mi domandò Edward.
“Sì” balbettai, poi rivolta a Carlisle spiegai:“Ho indugiato perché ho sentito un grosso grumo di veleno e ho voluto toglierlo a tutti i costi”.
“D’accordo. Se sopravviverà, spero che non ti denunci” rise, indicandomi il suo braccio. Effettivamente gli avevo lacerato profondamente la carne tra il gomito e il polso. Per pochi centimetri non era visibile il luccicare del radio.
“Hai fatto un buon lavoro” mi incoraggiò Edward. “Credo che sia meglio che tu vada a lavarti la faccia”.
Acconsentii e mi recai nel bagno comunicante con il laboratorio. Quando mi specchiai, trovai uno spettacolo degno di un film horror. Avevo la bocca e le guance piene di sangue, alcune gocce mi erano colate anche lungo il collo. Sembravo davvero il conte Dracula, ma a differenza mia, lui non piangeva mentre dissanguava le sue vittime. Solo allora mi accorsi che durante l’operazione avevo pianto. Avevo ancora alcune lacrime vicino alle palpebre e altre, mischiate al sangue di Jacob, avevano lasciato un timido sentiero che aveva percorso il mio viso. Mi sciacquai velocemente e quando tornai di là, notai che gli altri erano già stati radunati. Perlomeno gli altri interessati, pensai. C’erano Alice, Jasper e Bella. Mancava Emmett.
“Allora?” mi domandò impaziente Bella appena mi vide comparire nella camera.
“Rosalie ha fatto un buon lavoro” sentenziò Carlisle. “E’ riuscita a trattenersi e non l’ha dissanguato”.
“Fantastico!” esclamò Alice, battendo le mani.
“Jacob si salverà?” domandò Bella ancora preoccupata.
Carlisle strinse le labbra. “Non lo so, purtroppo. Per il momento è ancora vivo ma non so quanto veleno ci fosse nella quantità di sangue succhiata da Rosalie. Possiamo solo sperare”.
“Quando sapremo se le cose sono andate bene?” domandò Edward.
“Mezz’ora al massimo. Se non muore nei prossimi trenta minuti, allora potremo dire che l’ha scampata…”.
Bella abbassò lo sguardo, avvilita. Sperava in qualcosa di più concreto. Edward la strinse a sé per confortarla. Io decisi di uscire e infilai la porta. Bella mi chiamò e fui costretta e ritornare sui miei passi. “Grazie” disse. “Comunque vada…”.
Abbozzai un sorriso di circostanza e andai in salotto, seguita da Alice e Jasper.
Mi buttai sul divano esausta. Fisicamente ero piena di energia, visto che avevo appena mangiato, ma psicologicamente ero devastata. Avevo fatto tutto quello che era in mio potere, eppure mi sembrava di non avere fatto abbastanza. Chiusi gli occhi, pregando.
“Sei stata brava, Rose” sussurrò Alice.
“Sì, è vero. Una forza di volontà davvero notevole” confermò Jasper.
Li osservai. Erano seduti l’una sull’altro nella poltrona vicina. Mi riempirono il cuore di tenerezza. Erano davvero una bella coppia. Così innamorati, così felici, nonostante tutto. Mi ricordavano me ed Emmett fino a qualche anno fa, prima che la routine distruggesse tutto. Sì, perché ormai ero convinta che fosse stata quella a spazzare via il nostro amore. Jacob era stato solo una conseguenza.
“Dov’è Emmett?” domandai loro.
“E’ salito in camera. Era molto triste…” rispose Jasper.
“Già… Come tutti noi” dissi, ripensando alla morte di Esme. Decisi di salire a fargli compagnia e cercare di rincuorarlo, anche se io stessa non ero convinta di come sarei riuscita a farlo. Quando aprii la porta, lo trovai immerso nelle tenebre più profonde. Era seduto sul bordo del letto e dava le spalle alla porta. Entrai silenziosamente e mi avvicinai. Aveva il capo reclinato, le braccia abbandonate sulle ginocchia.
“Come sta?” domandò distratto.
“Non lo so. Ho fatto il mio dovere, ma dobbiamo aspettare mezz’ora per sapere se è servito a qualcosa oppure no”.
“Capisco…” si limitò a commentare. Aveva una voce strana. Parlava come se volesse giustificare la mia presenza ma in realtà non gli interessasse affatto. Forse voleva stare solo, ma io no. Ero pur sempre la sua compagna, per quanto traditrice e snaturata, e avevo il preciso dovere di aiutarlo; inoltre non volevo pensare alle consistenti possibilità che Jacob morisse. Avevo bisogno anch’io di qualcuno che mi consolasse e questo aiuto potevo trovarlo in mio marito.
“Come sta Carlisle?” mi chiese.
“Credo che questa cosa di Jacob sia arrivata giusto in tempo” sospirai. “Non ha ancora avuto il tempo di rendersi conto appieno della morte di Esme”.
“Già. In lui il desiderio di salvare gli altri viene prima di tutto, anche di se stesso e dei suoi sentimenti”.
“Però passata questa mezz’ora dovrà farci i conti, in un modo o nell’altro…”.
“Questa è una mezz’ora determinante per tutti, non soltanto per Carlisle. Dovremo fare i conti con i nostri fantasmi e con tutto ciò che abbiamo ignorato finora”.
Aggrottai la fronte.
“Spero che quel cane muoia…” affermò tagliente.
Quella frase fu una frustata, ma potevo capirne l’origine. Dava a lui la colpa della morte di Esme, esattamente come Leah e quelli del branco la davano a me per quello che era successo a Seth. Ma non era giusto, non in questo caso almeno.
“E’ stato un combattimento, Emmett” cercai di spiegargli. “Poteva morire anche lui, come Esme. Nei combattimenti si muore e non ritengo che chi sopravvive debba ritenersi responsabile della morte degli altri…”.
“Tu però lo hai fatto…”.
“Nel mio caso era diverso. Io ho cercato lo scontro, Jacob no. Lui doveva difendere Charlie”.
“Difendiamo sempre il nostro eroico lupacchiotto. Rendiamo grazie al Signore della sua esistenza!” affermò sarcastico.
Alzai il viso e vidi la luce della luna filtrante dalla finestra aperta che lo stava rischiarando. Emmett aveva un’espressione triste e al contempo piena di risentimento. Non ci si rassegna alla morte di una persona cara senza una spiegazione. Bisogna trovare un capro espiatorio ed era ragionevole che lui lo avesse trovato in Jacob, cosa che però io non potevo fare. Non avevo nessuno su cui sfogare la mia frustrazione, a parte i Volturi e le loro assurde leggi.
“So perfettamente che i combattimenti sono combattimenti, che ci sono morti e sopravvissuti. Esme è morta, ma lui è riuscito a uccidere Lehausle e quindi ha saldato il conto, anche per noi” disse, stupendomi vivamente.
“E allora?”.
“Quel cane mi ha portato via la cosa a cui tengo di più su questa terra ed è per questo che lo voglio morto” disse, scavando fin dentro la mia anima.
Distolsi da vigliacca lo sguardo, fingendo di essere distratta dalla brezza notturna che stava sollevando le tende del balcone. “Credo che sia meglio che chiuda” dissi e mi alzai, ma Emmett mi afferrò bruscamente una mano.
“Non vuoi sapere a cosa mi sto riferendo?” domandò e la sua voce sembrò una lama pronta a colpire.
“Sono tutta orecchie…” dissimulai la tensione.
“Mi ha portato via te”.
“Non capisco di cosa tu stia parlando…”.
“Del fatto che provi qualcosa per lui…”.
“Sai, se non fossi un vampiro direi che sei ubriaco” replicai ostentando sdegno. “Oppure più semplicemente il dolore per la perdita di Esme ti ha dato alla testa”.
“Non sono mai stato più lucido di così. Da quando lo chiami per nome?”.
“Cosa?” sgranai gli occhi. “Stai facendo tutta questa scena soltanto perché un paio di volte non l’ho definito “sacco di pulci”, “randagio” o “bastardo”?!”.
“Ho visto come lo guardavi mentre eravamo nel bosco, quando è svenuto, quando Carlisle ha detto che sarebbe morto. Piangevi, ti tremavano le mani, avevi lo sguardo perso. Bella era disperata, certo, ma la vera disperata eri tu” sibilò.
“Ti stai sbagliando. Io ero disperata per Esme non certo per lui”.
“E’ assurdo che tu stia cercando di infinocchiarmi dopo una vita trascorsa insieme…”.
“E’ assurdo che tu voglia farmi ammettere cose false!” replicai, alzando la voce.
“Bene, allora non ti disturba se vado ad ammazzarlo subito… Tanto tu lo odi come sempre, no?” mi stuzzicò con un ghigno irritante.
“Certo. Fai pure”.
Mi sorrise e si diresse verso la porta. Credevo che scherzasse, che non lo avrebbe fatto sul serio. E invece sembrava intenzionato a portare a termine il suo obbiettivo. Lo rincorsi e lo raggiunsi sul pianerottolo. “Aspetta, Emmett, dove vai?” chiesi trafelata.
“Te l’ho appena detto. Vado a chiudere i conti…” replicò aspro.
“No!” urlai, incurante del fatto che così mi sarei scoperta. Emmett si fermò e mi fissò a lungo, in attesa.
“Torna in camera, per favore” dissi seria e lui ubbidì, riluttante.

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Capitolo 48
*** Edward ***


Quando rientrò, chiusi la porta alle mie spalle. Attraversò tutta la camera prima di fermarsi e avere il coraggio di guardarmi. Probabilmente non era più sicuro di volere quella risposta, ma ormai ero alla fine. La verità era necessaria.
“Che cosa vuoi sapere?”.
“Lo ami?” domandò tutto d’un fiato.
Sentii le gambe cedermi e fui costretta a sedermi sul letto. Avrei voluto scappare mille miglia da lì. La mia codardia mi impedì di guardarlo negli occhi quando risposi:“Sì” e stavolta fu lui a doversi sedere per sostenere il brutale fardello. Tacque e io non ebbi il coraggio di continuare. Per spiegargli cosa poi?
Quando l’avevo conosciuto mi ero detta che niente e nessuno ci avrebbe diviso, che non l’avrei mai fatto soffrire, che gli sarei sempre stata fedele e invece ero venuta meno a tutte le mie promesse. Era bastato un abbraccio caldo come il sole in estate a farmi vacillare. Ero una persona ripugnante, esattamente come mi aveva definito Edward, e ora tutto il male che avevo fatto stava emergendo. Decisi che stavolta non avrei fatto niente per nasconderlo. La verità era l’unica cosa che gli potevo dare per sdebitarmi. Lo avrei deluso e mi avrebbe odiata, ma era giusto così.
“Da quanto tempo…?” balbettò.
“Da qualche settimana” risposi.
“Da quel giorno a La Push” mi precedette, sicuro.
“Come fai a dirlo?”.
“Perché hai cominciato a cambiare da quel giorno e da poco dopo non hai più fatto l’amore con me…”.
“E’ stato un caso” minimizzai, anche se in realtà sapevo bene che avevo iniziato a covare quel sentimento da quando eravamo andati a Seattle, pur non definendolo amore. Perlomeno, non ancora.
“Perché, Rose? Che cos’ha fatto di così speciale da farsi amare da te? Lo odiavi…” esclamò esasperato.
“Non lo so” risposi, con un’alzata di spalle. “Non riesco a spiegarmelo nemmeno io. So soltanto che lui è importante per me. Lo è diventato senza che me ne accorgessi. Ho sempre creduto di odiarlo e poi improvvisamente, puff, l’odio è sparito ed ha lasciato al suo posto ben altro. Lo so che avrei dovuto dirtelo prima ma non l’ho fatto per paura e per vigliaccheria e probabilmente se non mi avessi messo alle strette, non te l’avrei mai detto. Avrei continuato nella mia recita imperfetta. E’ vero che sono disperata per lui: non voglio che muoia, non voglio perderlo. E’ strano da spiegare ma lui è riuscito a farmi sentire umana e contemporaneamente orgogliosa di essere un vampiro. E’ una sensazione di completezza che non ho mai sentito in tutta la vita…”.
“Quindi tutti quei pomeriggi in cui sparivi eri con lui…” mugugnò profondamente deluso.
“Sì…”.
“E lui cosa prova per te?”.
Stavo per rispondergli quando disse frettolosamente:“No, non dirmelo. Non mi interessa cosa prova quel cane…”.
Appoggiò il viso sulle mani. Ebbi la terribile sensazione che il mio robusto e invulnerabile marito avesse perso completamente le forze, come se fosse stato svuotato dall’interno. Non stava piangendo, lo sapevo: non aveva mai pianto in vita sua e non l’avrebbe fatto nemmeno adesso, ma il dolore, proprio perché inespresso, doveva essere ancora più logorante. “Sono stato proprio un idiota a non accorgermene prima” affermò amaramente. “Eppure lo vedevo che non eri più come prima, che ti stavi allontanando. Sentivo quello strano odore ogni volta che tornavi a casa, ma mi ero convinto che fosse solo immaginazione e che in realtà andasse tutto bene, che le cose si sarebbero risolte, e invece questo è il risultato…”.
Si alzò dal letto e, spostando la tenda, guardò lontanissimo, oltre la foresta. “Quindi se eri con lui, vuol dire che Alice sapeva tutto… Come Edward, ovviamente…” commentò monotono.
“Lo sapevano ma non hanno voluto entrare in questa faccenda” mi affrettai a chiarire, anche se, conoscendo Emmett, non gliene avrebbe mai fatto una colpa. “Anzi, mi hanno osteggiato in tutti i modi possibili. Non volevano che lo vedessi, ma alla fine ho praticamente costretto Alice ad aiutarmi ed Edward, beh, avrai notato che non mi rivolge più la parola da parecchio tempo. Questo è il motivo…”.
“Non sono arrabbiato con loro. So che Alice farebbe qualsiasi cosa per te e Edward non è un impiccione. Sono solo…” e non ebbe la forza di finire la frase.
“Sei deluso da me, puoi dirlo. Il mio comportamento è inqualificabile…”.
“Se lo ami tanto, perché non mi hai lasciato?” domandò e la sua freddezza mi raggelò. “Se vuoi lui, perché hai tenuto il piede in due staffe? Potevi farlo. Spero che non sia stato per senso di dovere nei miei confronti perché non potrei sopportarlo”.
“Avevo paura. Paura di sbagliare” ammisi. “Sento ancora qualcosa per te e non capisco cosa sia. Non capisco se è solo affetto oppure qualcos’altro. Ho pensato che forse avremmo potuto ricostruire il nostro rapporto ma era puerile da parte mia pensare di poterlo fare mentre continuavo a vedermi con un altro. Volevo dare a entrambi le stesse opportunità ma solo ora mi rendo conto che di fatto a te non le ho mai concesse”.
Tacqui, pensando di averlo già ferito abbastanza, anche se sapevo che mancava una cosa, una sola cosa a cui Emmett teneva molto e di cui sapeva l’enorme importanza che rivestiva per me. Prima o poi avrebbe trovato la forza di chiedermela e io avrei dovuto decidere se centuplicare il suo dolore o meno.
“Ci sei andata a letto?” mi domandò infine.
“Perché lo vuoi sapere?” temporeggiai.
“Voglio sapere quant’è grave la situazione”.
Se gli avessi detto la verità, avrebbe sofferto ancora di più e avrei messo Jacob in una spiacevole situazione. Emmett era molto possessivo nei miei confronti e se avesse saputo fino a dove mi ero spinta, avrei potuto causare una vera e propria catastrofe. Non volevo che facesse del male a Jake. “No” risposi ferma.
“Perché? Immagino che tu non vedessi l’ora e a lui non sarà parso vero di avere una come te per le mani!”.
“Non mi ha voluto” mentii spudoratamente. “Ha detto che dovevo lasciarti, che non voleva fare l’amante. Ne aveva già avuto abbastanza di Bella e prima di lasciarsi coinvolgere di più da me, voleva sapere di essere l’unico”.
Non replicò, forse persuaso della mia versione dei fatti, o forse cercando disperatamente di convincersene per non affrontare l’ennesima delusione. Ma io volevo che fosse deluso: doveva capire con chi aveva a che fare e che non meritavo niente da parte sua.
“Beh, adesso almeno so, più o meno, come stanno le cose…” disse, continuando a ignorarmi. “Non dovevi aiutarmi oggi. Almeno adesso sarei morto con l’illusione che mi amassi almeno un po’…”.
“Non devi parlare così… Io ti voglio bene”.
“Evidentemente non me ne vuoi abbastanza altrimenti non ti saresti comportata in questo modo” risolse amaramente. “Così questa è l’altra faccia della luna… Sarebbe stato meglio continuare a non vederla”.
“Per settant’anni sei stato il mondo attorno a cui giravo, ciò che mi ha dato la forza di vincere i rimpianti per la perdita della mia umanità, ciò per cui combattevo e continuerò sempre a desiderare il meglio per te e a volere il tuo bene, ma ora mi sono accorta che esiste un sole che illumina e riscalda e ne sono attratta oltre ogni legge fisica…”.
“Usando la tua metafora, Rose, il sole illumina la luna e la illude di essere più bella di quanto non sia, ma non è lui ad apprezzarla. Sono quelli che abitano su quel pianeta che tu ora disprezzi tanto, ad amarla. Il sole ti potrà attrarre perché è grande, luminoso e fonte di calore, ma tu appartieni alla Terra. La luna girerà sempre intorno ad essa…”.
“Perché il mondo dovrebbe volere ancora la luna dopo tutto ciò che ha fatto?” domandai con voce strozzata dall’emozione.
“Perché è uno stupido… La luna è infida e dispettosa, certe notti c’è, altre notti non c’è, a volte si mostra completamente, a volte solo per metà ma è bellissimo ammirare i suoi capricci. E’ proprio questo suo atteggiamento a renderla più affascinante: sai che non sarà mai tua completamente e non è scontato che ci sia. Non si può vivere senza di lei. La notte non avrebbe mai fine se non sapessi che prima o poi lei tornerà da me”.
“Perché vuoi farti del male? Io non ho niente di speciale”.
“Non ti nascondo che dopo tutto quello che mi hai detto una parte di me ti odia da morire, ma si tratta solo di una fase passeggera e domani tornerò ad amarti come e più di prima. Mi piacerebbe fuggire e nascondermi da tutto questo ma non voglio staccarmi da te, cancellare i nostri ricordi e vivere come se non fosse mai stato amore. Non posso farlo perché so che tu mi hai amato davvero…”.
“Non immaginerai mai quanto…” balbettai, soffocata dai ricordi di una vita insieme.
“Allora ti chiedo di non lasciarmi, non ancora almeno” disse fieramente, riuscendo finalmente ad affrontare il mio sguardo.
“Cosa vuoi dire?”.
“L’altro giorno avevi parlato di alcuni mesi. Te ne chiedo due, due soltanto. Non è stato merito di Jacob se ti sei allontanata, ma solo colpa mia. E voglio dimostrarti che possiamo recuperare la nostra vita. Non mi sembra di chiederti molto, ma solo di rispettare il patto che abbiamo fatto. Se le cose non andranno, allora quel cane ti avrà tutta per sé ed io me ne andrò”.
Lo conoscevo e sapevo quanto stava costando al suo orgoglio pronunciare quelle parole. Provare a riconquistarmi, come se la colpa fosse stata davvero sua. Non ero affatto convinta di questa sua proposta: sembrava soltanto un prolungare l’agonia, soprattutto adesso che avrei dato la mia vita perché Jacob aprisse gli occhi. Ma un rantolo dalla caverna del mio cuore si fece sentire e mi impose la sua volontà. “Va bene, proviamo” acconsentii.
Mi sorrise forzatamente poi si diresse verso di me. Pensai che mi volesse abbracciare e invece andò oltre e aprì la porta. “Vado a farmi un giro fuori. Ho bisogno di stare solo. A dopo” e sparì nel buio del corridoio. Mi lasciai cadere sul letto. Non sapevo cosa pensare di me e di quello che avevo appena promesso. Non ebbi tempo di rifletterci perché Alice entrò, bussando lievemente sulla porta socchiusa. Quando entrò e vide i miei occhi lucidi, disse:“Com’è andata?”.
“Immagino che tu lo sappia”.
“Ti ama, Rose, e non vuole perderti. E’ disposto a passare sopra ogni cosa pur di riaverti…”.
“Ha parlato così, ma, anche se io tornassi ad amarlo, non si fiderebbe mai più di me. E senza fiducia un rapporto non può resistere… Per di più non gli ho neanche detto tutta la verità”.
“Perché ferirlo ancora?”.
“Per fargli capire ciò che guadagnerebbe se mi perdesse davvero”.
“Non ti amerebbe di meno se sapesse che lo hai tradito fisicamente. Starebbe solo peggio, ma riuscirebbe a prendersi la colpa anche di quello…” abbozzò un sorriso triste.
“Già…” e tacqui.
Che cosa avevo di così speciale? Niente di niente, ma lui riusciva sempre a perdonarmi tutto.
“Rosalie” mi scosse Alice. “Non sono venuta qui per parlare di Emmett ma per un’altra cosa…”.
“Cosa?”.
“Jacob”.
“Che gli è successo?” domandai con ansia vibrante.
“Si è svegliato” mi sorrise amabilmente.
Fu tanta la felicità che mi parve di sentire battere il cuore. “Quando?” balbettai.
“Cinque minuti fa. Non sono venuta a dirtelo subito perché stavate parlando e non volevo disturbare… Sù, coraggio, vieni a salutarlo. Sta parlando con gli altri” mi incoraggiò, prendendomi per mano.
Mi trascinò per le scale e in un attimo fummo nel laboratorio di Carlisle. Quando entrai, notai subito che l’avevano spostato sul letto a fianco. Era sdraiato, appoggiato su un cuscino, adagiato sullo schienale e stava ridendo. Bella era seduta vicino a lui e attorno, in piedi, tutta la famiglia Cullen, con l’eccezione di Emmett.
“Ecco qui la tua salvatrice” esclamò Alice, spingendomi davanti a lui.
Esitai come una scolaretta al primo giorno di scuola. La mia comparsa lo distrasse dalle chiacchiere con la sua amica e fu costretto a guardarmi. Dapprima serio, mi sedusse con il suo sorriso impudente; e in quel momento ebbi la certezza che era davvero vivo, non si trattava di un sogno ad occhi aperti. Le emozioni che provavo erano troppo forti per essere immaginarie.
“Così sei tu che hai cenato col mio sangue stanotte…” commentò beffardo.
Inarcai le sopracciglia. “E’ questo il tuo modo di ringraziare, cane?” domandai ironica. Sapevo che questo era l’atteggiamento che dovevamo tenere davanti agli altri. Agli altri chi? Anche Emmett sapeva tutto ormai e il segreto era nato per proteggere lui. Mancavano solo Jasper e Carlisle e non credevo che a loro sarebbe interessato granché. Però c’era Bella e forse avrebbe preferito parlargliene in privato, senza troppi spettatori. Mi risolsi di continuare la farsa.
“Perché dovrei ringraziarti?! In fondo mi hai semplicemente reso il piacere. Io ti ho salvato da Lehausle, e ora tu hai salvato me. Direi che siamo pari…”.
“D’accordo siamo pari, allora”.
“Jake, quanto sei maleducato!” lo redarguì bonariamente Bella. “E’ stato faticoso per lei…”.
“Immagino…” ridacchiò.
Se avessi potuto, gli sarei saltata al collo e lo avrei baciato ma dovetti trattenermi.
“Beh, Carlisle, direi che il nostro malato sta meglio di prima” commentò Edward, a metà tra il sarcastico e il sollevato.
“Effettivamente direi di sì. Però” affermò tornando a parlare con il mio lupo “preferirei che la prossima settimana venissi in ospedale per fare dei controlli”.
“Perché di grazia? Sto benissimo” disse tentando di alzarsi, ma Bella lo trattenne.
“Non devi alzarti. Non hai sentito cosa ha detto Carlisle? Sei ancora debole e per stanotte devi restare qui”.
Jacob sbuffò: la prospettiva di dover restare in casa nostra non doveva essere delle più ammalianti. Ma dovette rassegnarsi in quanto, tentando di rialzarsi, constatò che non era effettivamente in grado di stare in piedi.
“Ti abbiamo tolto parecchio sangue, Jacob, e devi dare il tempo al tuo corpo di rigenerarlo. Una notte sarà più che sufficiente” gli spiegò nostro padre. “Piuttosto vorrei che venissi a fare degli esami perché l’avvelenamento è stato scampato ma c’è sicuramente un’intossicazione in corso e vorrei verificare come il tuo corpo la smaltisce, con che velocità e se c’è il rischio di qualche tipo di danni”.
“Uffa! Va bene, ne parleremo la prossima settimana” lo liquidò svogliato.
“Sono così contenta che tua sia vivo…” esclamò emozionata Bella, stringendogli la mano. Jacob ricambiò il suo gesto d’affetto ma si rabbuiò; guardò Carlisle di sfuggita e poi disse:“Mi dispiace per Esme… Non mi ero accorto che l’avesse ferita così gravemente. Se l’avessi capito, l’avrei portata subito qua…”.
“Non è stata colpa tua. E comunque non avresti potuto farci niente, come nessuno di noi…” confessò nostro padre, stringendo i denti. Adesso, come previsto da Emmett, avrebbe dovuto affrontare la realtà. Era rimasto solo, Esme non c’era più. Doveva fare i conti con questo, come avremmo dovuto farlo tutti quanti. Non era tipo da mostrare il suo dolore in pubblico e infatti a passi pesanti se ne andò.
Noi rimanemmo in silenzio nella camera, fino a quando Bella non cominciò a chiedere a Jake come stavano Charlie e gli altri del branco. Erano argomenti che non mi interessavano e, per di più, vederli così vicini e affiatati, mi infastidiva. Uscii, dirigendomi verso il salotto. Non sapevo bene cosa volevo, a parte stare un po’ sola anch’io. Avevo molte cose su cui riflettere. Andai in giardino.
Dopo la battaglia alcune piante erano state completamente distrutte, fra cui alcuni roseti. Se Esme l’avesse visto si sarebbe messa a piangere. Mi sedetti sulla panchina a constatare i danni. Non sarebbe mai più tornato come prima. Io ero negata per il giardinaggio e ad Alice non piaceva affatto. Chissà, forse Bella, una volta sposata con Edward, lo avrebbe potuto curare… Ma sicuramente non con la stessa passione e dedizione di mamma.
Adesso che la preoccupazione sulla sorte di Jacob era sparita, potevo pensare a lei e a lei soltanto. Piansi silenziosamente.
“Rosalie” mi distrasse bruscamente Edward. Mi asciugai le lacrime in fretta e alzai il viso.
Era di fronte a me, con aria gelida.
“Cosa c’è?” domandai, seccata che avesse interrotto il mio sfogo.
Indugiò prima di rispondere, poi rilassò i tratti del volto e disse:“Volevo farti i complimenti per quello che hai fatto con Jacob. Sei stata molto brava”.
“Grazie, ma il merito non è mio”.
“Cioè?”.
“Sei stato tu a leggergli nel pensiero. Se non lo avessi fatto, svelando il morso, e non avessi incitato Carlisle a seguire la sua idea, sarebbe morto. E poi sono state le tue parole e la tua presenza ad aiutarmi. Senza di te, l’avrei ucciso sicuramente…”.
“Io non ne sarei così sicuro…” confessò.
“Comunque, grazie per avermi aiutato. So che non avresti voluto farlo…”.
“E’ pur sempre un essere umano, anche se io non gli sono legato. Non potevo permettere che morisse”.
“Bella ne avrebbe sofferto troppo” cercai di leggergli nel pensiero.
“Non soltanto lei…” commentò sofferente e mi voltò le spalle, pronto a tornare in casa.
“Aspetta un attimo” lo raggiunsi. “Volevo dirti un’altra cosa”.
Mi fissò tranquillo.
“Mi dispiace aver abbandonato Bella in casa stasera, ma avevo visto Emmett in difficoltà e non ho voluto lasciarlo solo. Non credevo che sarebbero riusciti a entrare. Se non fossi arrivato tu, a quest’ora saremmo morte entrambe. Grazie mille” dissi, soffocando duramente il mio orgoglio.
“Beh, ti sei sdebitata, Rose, visto che hai rischiato tu stessa di morire. Certo, se lei fosse morta, tu l’avresti seguita perché avrei provveduto io stesso ad ucciderti” ridacchiò. “Però le cose sono andate bene. Non c’è niente di cui scusarsi”.
Era inusuale notare un’espressione di Edward così accogliente nei mie confronti. Forse la morte di Esme ci stava rendendo tutti più bisognosi di affetto.
“Ti va di andare a fare una passeggiata nel bosco?” propose.
La domanda mi colse impreparata. Non volevo andare troppo lontano da Jacob. Volevo parlargli appena Bella avesse finito.
“Solo per qualche minuto…” insistette.
“D’accordo” e lo seguii.
Pensai che volesse parlarmi di qualcosa, forse di Emmett e di quello che certamente sapeva già essere successo fra noi, ma dovetti ricredermi perché camminammo a lungo senza scambiare parola. Nonostante questo, fu estremamente piacevole perché non sentivo la solita tensione fra noi. Mi ricordò quel lontanissimo pomeriggio in cui eravamo usciti per la prima volta insieme dopo che ero stata trasformata in vampiro. Quella volta non eravamo stati zitti un attimo, tuttavia avevo la medesima sensazione. La giornata appena passata era stata la più brutta della mia vita eppure quella passeggiata dava l’impressione di rimettere tutte le cose a posto.
Ogni tanto lo guardavo mentre gli camminavo a fianco e non potevo fare a meno di constatare quanto fosse bello. Mi sembrava una di quelle statue greche che facevano bella mostra di sé sui libri di storia. Mi scoprii ad essere ancora affascinata da lui, anche se non come un tempo. C’era troppo odio, troppe cose da perdonare l’uno all’altro per pensare di instaurare un rapporto diverso. Forse ne ero dispiaciuta ma non volevo farlo diventare un rimpianto.
“Sai, Rose, cosa ho pensato quando ti ho visto la prima volta?” esclamò, rompendo il silenzio. “Mi sono detto:“Ecco la classica bambola di porcellana che si aspetterà di essere trattata da regina!” ed effettivamente non sono andato molto lontano dalla realtà”.
Non ribattei perché sapevo come la pensava su di me e se si aspettava che avessi voglia di mettermi a litigare, si sbagliava di grosso. Evidentemente avevo frainteso la situazione: non aveva alcun bisogno di affetto, perlomeno non del mio.
“Tutto quel tempo passato davanti allo specchio, tutti quei vestiti, quel tentare a tutti i costi di conquistarmi soltanto per appagare il tuo ego, mi dava sui nervi. Non avevo mai conosciuto una ragazza così vanitosa e presa da se stessa come te. Per parecchi mesi ho sperato che ti togliessi di torno, poi ho dovuto rassegnarmi alla tua presenza e al fatto che avresti fatto parte della nostra famiglia. Esme ti adorava e mi mandava in bestia perché l’ho sempre giudicata una donna intelligente, però sembrava istupidita da te. Avevo risolto che era troppo buona e che tu sapevi manipolare bene le persone per avere ciò che volevi. Purtroppo il tuo problema era che io potevo leggere nella mente e quindi sapere cosa provavi realmente. Ero io l’unico che poteva tenerti testa…”.
“Esme ha sempre preferito te a tutti noi” ribattei piccata. “Nei nostri battibecchi ha sempre preso le tue difese. Quindi se credi che volesse più bene a me, ti sbagli”.
“No, lei ci ha sempre amato nello stesso modo. Non aveva un preferito, anche se sapeva che fra noi c’era qualcuno che aveva più bisogno di altri del suo affetto. Lo capiva senza leggere nel pensiero… Era una sua dote particolare”.
Ripensai a quando poco prima della morte di Desirèe lei ed io avevamo parlato in giardino: aveva detto che era molto preoccupata per me e che voleva aiutarmi a rimettermi in piedi. Sospirai. Jacob l’aveva fatto al posto suo.
“Ho sempre pensato che il mio fosse un dono fantastico” continuò Edward. “Ma da quando ho conosciuto Bella, ho capito che in realtà è un limite. Lei è immune al mio potere e sono contento che lo sia. Leggere nella testa delle persone non è una risorsa. Rischi di restare deluso, di distruggere rapporti soltanto per un pensiero di troppo e non ne vale la pena”.
“Cosa intendi dire?” domandai curiosa.
“Che la gente non è sincera nemmeno con se stessa” disse fissandomi a lungo. “Oggi ho sentito una cosa che non credevo avrei mai udito in vita mia…”.
“Cosa?”.
Avrei tanto voluto essere davvero una sorella per te…” recitò serio.
Girai il viso dalla parte opposta alla sua fingendo interesse per un rumore, probabilmente provocato da qualche animale notturno.
Tacque in attesa di una mia risposta. Non sapevo cosa dirgli perché la verità era che non sapevo nemmeno io perché avevo pensato una cosa del genere. A me non era mai interessato niente di Edward e di quello che poteva pensare di me; era altresì vero che le sue parole mi ferivano sempre.
“Pensavo di morire e sai come si dice, no? In certi frangenti ti vengono in mente le cose più assurde” mi giustificai.
“Quando sei tornata quel mattino da La Push, ti ho fatto piangere e nel frangente in cui avresti dovuto odiarmi a morte hai pensato che io ero la persona a cui tenevi di più. Jacob ti aveva dato così alla testa da indurti a pensare pure questo?!” mi punzecchiò ironico.
“Non ricordo” tagliai corto.
“Non c’è niente che vuoi dirmi, Rose?” mi domandò.
“No” replicai freddamente.
“Nella tua mente ho sempre letto solo odio verso di me e questi tuoi pensieri mi hanno stupito, per quanto, come dici, siano stati dettati da situazioni eccezionali” continuò imperterrito.
“Non ti sbagliavi infatti. Ti odio. Fra noi le cose non sono mai funzionate perché non abbiamo caratteri compatibili e quindi possiamo solo essere semplici conviventi…” spiegai.
“Ti ricordi ancora che ti ho definito “convivente”” disse, accennando un sorriso sarcastico.
“Mah… Sì, lo ricordo” replicai, a disagio.
“Il più grande desiderio di Esme era che i suoi figli si amassero davvero come fratelli, ma tu ed io, per lei, eravamo un cruccio. Ogni tanto mi diceva che, anche se non lo manifestavi, mi volevi bene e che toccava a me dimostrarti affetto…”.
“Esme si sbagliava…” lo liquidai sbrigativa. Ogni parola che usciva dalla mia bocca era volta a contestare quello che diceva, come al solito, anche se mi stava parlando di cose di cui io non ero a conoscenza e che destavano in me grande stupore. Non avevo idea che Esme avesse tentato di perorare la mia causa agli occhi di Edward: era evidentemente dispiaciuta che non andassimo d’accordo, ma inventarsi che io provassi affetto per lui, era stato davvero infantile.
“No, non si sbagliava” ribatté con una durezza così implacabile da togliere il fiato.
Mi fissò a lungo da farmi quasi sentire nuda. Stava tentando di leggermi nella mente e io non potevo impedirglielo, ma non mi importava farlo. Non avrebbe potuto trovare niente di cui non fosse già a conoscenza, niente che volessi nascondere. C’era una cosa che non volevo rivelargli, ma era ben nascosta nel cuore e a quella non sarebbe mai arrivato. Soltanto Desirèe avrebbe potuto farlo, ma non c’era più. Ogni pericolo era scampato.
“Il primo anno in cui sei stata con noi ti ho isolata volutamente e crudelmente perché non ti volevo. Eri troppo superficiale, vanitosa e presuntuosa. Non volevo avere niente a che fare con te. Non ti odiavo ma non amavo la tua presenza. E ogni tuo gesto non faceva altro che renderti più insopportabile. Non capivo come tutti gli uomini potessero essere attratti da te, anche se ammetto che la bellezza sia un’arma piuttosto efficace ed effettivamente tu, sotto questo punto di vista, sei la donna più armata che abbia mai conosciuto. Ma la bellezza non è tutto” disse con tono severo.
“Se stai cercando di farmi la morale, Edward, puoi anche piantarla subito… Non ho bisogno delle sue lezioni, professore!” replicai stizzita.
“La lezione non è per te, ma per me” ammise dolorosamente.
Scossi lievemente la testa.
“Tutti gli uomini erano vittime della tua avvenenza e anch’io lo sono stato, ma in maniera diametralmente opposta” spiegò.
“Cosa intendi dire?”.
“Io ho un potere che mi permette di andare al di là dell’apparenza, ma come tutti i poteri bisogna saperlo utilizzare e io non sono stato capace di farlo, perlomeno non con te” mi spiegò, riprendendo a camminare. Lo seguii, incuriosita. “Ero talmente convinto che fossi soltanto bella che non mi sono mai sforzato di andare oltre, di leggere cosa ci fosse sotto. Mi sono sempre fermato ai pensieri più superficiali, fino a quel giorno in cui siamo andati in giro io e te da soli per Montreal. Lo ricordi quel pomeriggio?”.
Lo ricordavo eccome: l’unico pomeriggio felice con Edward, in cui mi era sembrato che il cielo non fosse così lontano. Ma ricordavo anche come quello stesso cielo mi avesse respinta in maniera così brutale, facendomi sentire una perfetta idiota.
“Volevo illuderti. Per questo ti ho invitato a quella passeggiata, e ogni secondo che passava mi divertivo sempre di più perché pregustavo il momento in cui ti avrei svelato che leggevo nel pensiero e quando è accaduto non sai quanto è stato esilarante vedere la tua faccia!” esclamò.
“L’hai fatto apposta?” balbettai.
“Sì. Volevo umiliarti perché ero sicuro che nessuno l’avesse mai fatto, ed ero convinto che ti servisse una lezione”.
Nella sua voce non c’era alcuna traccia di vanità o entusiasmo, ma sincero rammarico. Nonostante questo, ero infuriata. Come aveva potuto fare una cosa del genere? Prendermi in giro a quel modo, come se non avessi dei sentimenti anch’io. Alzai la mano per colpirlo ma mi fermai. Cosa potevo guadagnare? Lo sapevo che mi aveva sempre odiata e tutto questo non poteva stupirmi più di tanto. Sfogarmi dopo ottant’anni non sarebbe servito a niente. Lui rimase immobile, in attesa della punizione ma io abbassai il braccio.
“Se ti può essere di soddisfazione, me l’hai data una lezione. Contento?” bisbigliai.
“No, tu l’hai data a me” commentò spossato. “Ho sentito cosa hai provato e mi sono vergognato di quello che avevo fatto. Mi ero abbassato a un livello, per me, spregevole e mi sono sentito un verme, soprattutto dopo quello che ho letto”.
“Cosa?”.
“Ho letto fragilità, insicurezza per ciò che eri, paura di essere rifiutata, di essere apprezzata solo per il tuo aspetto fisico. E io, con il mio comportamento, non ho fatto altro che avvalorare queste tue convinzioni. Subito dopo la mia “performance”, ho cercato di starti di nuovo vicino per farmi perdonare, ma tu non me ne hai più dato possibilità. Mi hai tagliato fuori dalla tua vita mentre io volevo disperatamente farne parte e ci ho provato, anche se nel modo sbagliato…”.
“Non è vero” affermai decisa. “Non mi hai mai voluto parlare. Hai sempre detto che ero volubile, stupida, superficiale e che non valeva la pena conoscermi”.
“Non ho mai pensato una sola parola, Rose”.
“E allora perché lo dicevi?” urlai spazientita.
“Perché in tutta la tua vita umana eri sempre stata abituata ad essere servita e riverita e io ero convinto che lusingarti non fosse il modo migliore per farti uscire. Dovevi essere spronata in maniera diversa, ma ammetto che i miei metodi non siano mai stati molto ortodossi. Quando sono arrivati prima Emmett e poi Alice ho creduto che mi avrebbero potuto aiutare, ma loro ti amavano così com’eri e non volevano di più. Io so che c’era quel di “più” nascosto in te e ti ho torturato fino all’inverosimile per farlo uscire. Sapevo che mi avresti odiato ma alla fine saresti stata perfetta, Rose. Bella fuori e ancora più bella dentro… Poi è arrivato Jacob. Lui è stato più bravo di me. Pur non riuscendo a leggerti nel pensiero, ha intravisto la strada e ti ha trovata. E’ per questo che non ho potuto lasciarlo morire oggi. Anch’io gli sono debitore”.
Sentii le gambe farsi pesanti e una parte del cuore luminosa, come se un velo si stesse squarciando. Ma quel velo era la mia protezione da Edward. Non potevo permettere che si lacerasse e mi lasciasse in sua balia.
“Non sono cambiata” dissi ben sapendo che non era vero.
“No, infatti. Sei solo te stessa ora. Una persona che non teme di nascondere le sue emozioni, che va al di là delle apparenze, e ama gli altri per quello che sono, che sa di essere imperfetta e ne va fiera. E’ quella ragazza che ho intravisto quel pomeriggio a Montreal. E’ mia sorella” concluse orgoglioso.
Qualcosa nel cuore cominciò a spingere, a tentare di farsi largo in mezzo al rancore, per uscire.
“Non devi fingere affetto nei miei confronti, solo per sensi di colpa verso Esme” lo rimproverai.
“Esme non c’entra, se non per il fatto che oggi, dopo la sua morte, mi sono accorto che potevo perdere anche te e non volevo che succedesse senza che tu sapessi il perché del mio comportamento in tutti questi anni…”.
Si avvicinò ma io indietreggiai di qualche passo. Vedendomi ostile, fu costretto a fermarsi. “Credi che quattro moine possano cancellare ottant’anni di insulti?!” imprecai con voce rauca. “Mi hai sempre trattata come spazzatura, come posso credere che fosse tutta una recita?! Se mi avessi voluto bene, avresti avuto un gesto, una carezza per me. Non mi hai mai nemmeno guardato come una sorella!”.
La sua espressione rimase imperturbabile mentre continuavo a urlare il mio rancore:“Per tutti questi anni mi hai solo aggredito e rimproverato, non hai mai cercato di instaurare un rapporto che fosse al di fuori di tutto questo. Anche la mattina in cui sono tornata da La Push… Mi hai dato della sgualdrina: anche quello era un modo per tirare fuori la parte migliore di me?!”.
Gli occhi di Edward si fecero improvvisamente tristi e una smorfia di disgusto inasprì i suoi lineamenti. “No” disse cupo. “Quella mattina ho parlato a quel modo solo per insultarti”.
Alzai gli occhi al cielo, soddisfatta di essere riuscita a fargli ammettere la verità.
“Volevo ferirti, Rose” confessò. “Come tu avevi fatto con me. Non ho mai pensato quello che ho detto, neppure una virgola, ma tu non sai quello che ho passato quella notte. Tu eri sparita, non sapevamo dov’eri. Emmett era preoccupato da morire, Alice non riusciva a vedere il tuo futuro. Ho pensato che ti avessero uccisa. Non sapevo cosa fare. Dovevo tranquillizzare gli altri, mentre io per primo sarei venuto a La Push. Sono state ore di inferno e non ho trovato niente altro di meglio che pregare che tornassi sana e salva, mi ero ripromesso che le cose sarebbero cambiate, che sarei stato diverso se Dio avesse fatto in modo di riportarti a casa. Ma quando ho letto il motivo per cui eri sparita non ci ho più visto. Ti ho insultato apposta, ho detto cose che non pensavo perché volevo farti piangere e vendicarmi. Sono stato volutamente ripugnante e ho esagerato. D’altra parte io non immaginavo che tu, dopo tanti anni, pensassi ancora a Royce…”.
“Non è vero, non ci penso più” gridai. Ma più mi impegnavo a negare e più la mia voce sembrava voler affermare il contrario.
“Perché non dici cosa provi, Rose?” sussurrò calmo. “Perché continui a dire che non ti importa niente? Io lo so cosa ho letto quella mattina e ho capito che è talmente radicato che non riesci a non pensarci, anche se, come tutto il resto, l’hai sempre camuffato bene…”.
“Sono passati ottant’anni e io mi sono vendicata. Ho la coscienza pulita, non mi sento male. Sono passati quei giorni. Sono libera, hai capito? Libera! Non importa cosa potete pensare tutti quanti. Non è stata colpa mia. Io non volevo, ma non ero abbastanza forte per respingerli tutti e cinque. Hanno giocato con me, ma poi sono stata io a farlo con loro. Ed è stato divertente, davvero divertente…” chiosai, ridacchiando. Ma mentre mi sforzavo di ridere, mi accorsi che lo sforzo più grande era tentare di trattenere le lacrime. Mi coprii gli occhi, fingendo di grattarmeli, ma l’inatteso tocco di Edward sulla spalla mi fece trasalire.
“Hai fatto bene ad ucciderli…” disse con calore.
I suoi occhi erano di un giallo così acceso che emanavano la stessa luce che ti costringe a socchiudere le palpebre nelle giornate estive.
“Che cosa vuoi?” domandai tagliente. “Perché stai dicendo questo? Vuoi ottenere qualcosa da me? Pensi che questo sia il modo migliore per raggiungere il tuo obbiettivo, anche se non so di quale si tratti? Credi che mi possa bere tutte queste cavolate? Non sono una stupida”.
“Non ho alcun secondo fine, ma non posso darti torto se non mi credi. Resta il fatto che ti voglio bene sul serio”.
Ritrasse la mano dalla mia spalla e io distolsi lo sguardo. Non volevo guardarlo. Stava mentendo e io non dovevo caderci. Io non provavo più stima, né affetto per lui. Era tutto morto da troppo tempo. Niente avrebbe più potuto unirci.
“Quel giorno in cui hai mangiato la cioccolata da Jacob…” iniziò, e quel ricordo mi fece sussultare. “Mi sono spaventato così tanto che non sono riuscito a trattenermi neanche a distanza di giorni…”.
“Cosa intendi dire?”.
“Ho incontrato Jacob sotto casa di Bella e l’ho attaccato”.
“Cosa hai fatto?!”.
“La sua incoscienza ti stava per uccidere e io volevo solo fargli entrare in quella testaccia che se fosse successo un’altra volta un episodio del genere, lo avrei ammazzato senza pensarci due volte…”.
“Jacob non mi ha raccontato nulla…” borbottai scettica.
“Il cane non ama raccontare quando rischia di prenderle, ma se non ti fidi prova a chiederglielo. Non credo che negherà”.
“Come facevi a sapere che il sangue mi avrebbe salvato?” domandai.
“Perché anch’io ho mangiato subito dopo la mia trasformazione”.
Sgranai gli occhi.
“Non credere di essere stata la sola a non volersi rassegnare alla propria natura. All’inizio non volevo bere sangue, non ho mangiato per giorni interi e ho rischiato di morire di fame… C’erano giorni in cui avrei voluto morire ed è stato in uno di questi che, per convincermi che non era cambiato nulla, ho mangiato cibo umano… Patate al forno, per la precisione. Sono quasi morto. Mi ha salvato Carlisle e mi ha ribadito che non avrei mai più potuto cibarmi come prima. E’ stato un inferno ma poi mi sono rassegnato pensando che questa poteva essere una nuova occasione per me, che avrei potuto avere una vita diversa, anche senza anima…”.
“Tu ce l’hai, l’anima…” obbiettai.
“Divergenze di opinioni…“ disse con un’alzata di spalle. “In ogni caso, tutti noi abbiamo attraversato delle forti crisi ma ne siamo venuti fuori. Pensavo che valesse anche per te e che il dolore fosse dovuto soltanto per la mancata realizzazione del tuo desiderio di maternità. Mi dispiace non aver letto cosa celavi nel profondo…”.
“L’ho nascosto bene a tutti quanti…” ammisi amaramente.
“Già…”.
Mise le mani sulle mie spalle e mi tirò a sé delicatamente. “Io ci sarò se avrai bisogno, Rose. Ogni volta che lo desideri…” mormorò e mi sfiorò la fronte con le labbra. Fu un movimento quasi impercettibile ma ebbe il potere di una scarica elettrica. Lo avvertii con un’intensità tale da farmi esplodere il petto. Socchiusi gli occhi e reclinai il capo, quasi a volerlo nascondere. Non mi aveva mai toccata in quella maniera. Percepii tenerezza e affetto. Forse non stava fingendo, forse era davvero sincero, forse potevo fidarmi… No. Mi stava prendendo in giro ancora una volta e io non potevo lasciarglielo fare di nuovo. Perché continuavo a essere così fragile verso di lui? Perché volevo fidarmi a tutti i costi? Mi aveva delusa così tante volte che ormai avevo perso il conto. Non potevo permettergli di vincere. Non poteva venire qui a sventolare amore fraterno dopo ottant’anni, sperare che me la bevessi e magari lo perdonassi. No, non era così facile; tuttavia il velo si stava squarciando, lo avvertivo chiaramente e la frattura nel mio cuore rinsaldando.
Ti odio, Edward… E’ così e niente potrà mai cambiarlo…
Pensai queste poche parole con tanta forza da fargliele rimbombare nel cervello. Non disse nulla e tolse la mano dalla mia spalla, rassegnato. Inspiegabilmente la trattenni.
“Perché non l’hai detto subito? Perché hai lasciato che anni di odio si accumulassero? Adesso è troppo tardi…” mugugnai.
“Ho avuto paura, paura che mi respingessi. Ho sempre letto solo odio nei miei confronti e il mio orgoglio ha fatto il resto. So che è tardi, ma almeno adesso mi sento meglio…”.
Iniziai a singhiozzare ed Edward mi abbracciò. Non potei fare a meno di ricambiare la sua stretta e appoggiare il viso sulla sua spalla. Fu come entrare in casa, una casa che non avevo mai visto, né esplorato, ma che avevo tanto desiderato. L’avevo tanto sognata che non mi sembrava vero. Eppure era reale, ero tra le sue braccia, pur furibonda. Infuriata con lui. Il mio cuore aveva sanguinato così a lungo che mi ero abituata a soffrire la sua assenza, mentre adesso veniva a dirmi che mi aveva sempre voluto bene e che la mia infelicità era da addebitarsi alla mia superbia e alla sua presunzione. Avrei voluto ucciderlo ma stringerlo finalmente era qualcosa di unico, qualcosa che avevo aspettato dal giorno in cui l’avevo conosciuto.
“Dov’eri quando avevo bisogno di te? Dov’eri quando mi sentivo sola e tu non c’eri? Quando cercavo mio fratello e tutto quello che mi davi era solo indifferenza?” mormorai tra le lacrime. “Ti ho sempre cercato ma non mi hai mai voluto e mi sono convinta che mi detestassi, che non fossi alla tua altezza, troppo stupida per te…”.
“Non sai quanto mi dispiace, Rose”.
Avrei voluto insultarlo, colpirlo ma non ne avevo le forze e la volontà. All’opposto ero invece pervasa da una strana sensazione di felicità, provocata soltanto dalla sua presenza. Volevo oppormi ad essa ma dilagava e mi invadeva con una facilità inspiegabile. Stava accadendo la stessa cosa che avevo sentito con Jacob, con la differenza che mentre lui era riuscito a entrare, i miei sentimenti per Edward stavano uscendo dalla soffitta buia e polverosa nella quale li avevo rinchiusi fino quasi a dimenticarne l’esistenza. C’erano sempre stati, erano sempre esistiti, ma li avevo sepolti per paura di essere respinta per l’ennesima volta.
“Ti voglio bene, Edward” dissi e fu una liberazione. “Te ne ho sempre voluto tanto ma tu non me lo hai mai dimostrato e io ho avuto paura, esattamente come te. Mi sono convinta di odiarti perché non potevo amarti, ma non è così”.
Mi strinse più forte come se non volesse lasciarmi andare mai più.
“Ti prego” lo implorai, guardandolo in quel mare di ambra. “Promettimi che non mi lascerai più sola, che avrò sempre mio fratello. Giuramelo!”.
“Te lo prometto, sorellina”.
Il suo sorriso morbido mi avvolse e mi sentii al sicuro. Era con me, non sarebbe più andato via. Finalmente avevo ritrovato un fratello che credevo perso.
Gli passai la mano lungo la schiena per accentuare il contatto con lui. Volevo essere sicura che non stessi sognando, che fosse davvero Edward ad abbracciarmi. Dopo le ultime ore, non potevo immaginare che sarei piombata in un tale stato di beatitudine, eppure stava accadendo, anche se mi sentivo in colpa per la mia felicità.

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Capitolo 49
*** Quando il sogno incontra la realtà ***


“Credo che sia meglio rientrare…” mi propose Edward con fin troppa crudeltà. Non volevo separarmi da lui, ma dovevo credere a ciò che mi aveva detto. Non mi avrebbe più abbandonata. Da adesso in poi avrei avuto mio fratello e proprio nel momento in cui ne avevo più bisogno.
Quando allargai le braccia, Edward accolse la mia mano fra le sue e mi incoraggiò a seguirlo, ma lo fermai. “Aspetta, vorrei parlarti di una cosa, prima…” gli spiegai.
“Non credo di essere la persona più indicata” replicò.
“Sei obbiettivo, lo sei sempre stato…”.
“Credo che la tua fiducia in me sia immotivata…”.
“Affatto”.
Incrociò le braccia sul petto, sconfitto, e mi fece un cenno, invitandomi a proseguire.
“Tu sai che cosa è successo poco fa… Fra me e Emmett, intendo” iniziai mesta.
Mio fratello annuì. “Sai già come la penso. Hai fatto bene a dirgli la verità…”.
“Non gliel’ho detta tutta…” bisbigliai.
“Lo so, ma raccontare i particolari avrebbe soltanto fatto precipitare le cose. Jacob non è in grado di affrontare un combattimento né adesso, né nei prossimi giorni…”.
“Credi che lo avrebbe attaccato?” domandai tremante.
“Non lo credi anche tu?” replicò serio. “In fondo è per questo che non glielo hai detto. E onestamente mettermi a difendere quel cane era l’ultima cosa che volevo fare”.
Mi passai le mani fra i capelli, esasperata.
“Emmett non è molto razionale. E’ uscito per evitare di dover sostenere la situazione. Non ritornerà prima di domani mattina. Non può stare nella stessa casa con Jacob. Sarebbe troppo pericoloso e ne è consapevole…” chiarì.
Appoggiai le mani sul viso. Cosa stavo facendo?! Lo sapevo che avrebbe reagito in questo modo, ma avevo dovuto parlare: non potevo continuare a nascondermi. Adesso Jake era in pericolo e io avevo fatto una promessa a Emmett che non sapevo se sarei stata in grado di mantenere. Due mesi, due mesi solo per noi due. Ma questo voleva dire estromettere Jacob dalla mia vita e non volevo farlo; d’altra parte frequentare entrambi non mi avrebbe portato da nessuna parte. Ero dalla parte del torto e mio preciso compito sarebbe stato dare un’ultima possibilità a mio marito, ma a ogni minuto che passava mi chiedevo se sarebbe servito a qualcosa oppure se avrebbe soltanto prolungato l’agonia. Lanciai un’occhiata a Edward che mi fissò severo.
“Beh?” domandai impaziente.
“Preferirei che mi parlassi. Non voglio dare pareri su ciò che leggo nella tua mente, dopo i miei clamorosi errori del passato…” commentò accennando un sorriso limpido.
Risi e poi dissi a voce alta ciò che avevo pensato.
“Hai detto di sì soltanto per mettere a tacere la coscienza, dunque?” mi domandò.
“Non lo so. Tu cosa ne pensi? Cosa leggi nella mia mente?”.
“Qui non bisogna leggere nella mente, ma nel cuore. Desirèe sarebbe molto più utile di me… Comunque, devi essere tu a sapere cosa provi, non posso dirtelo io”.
“Fai finta di niente, ti prego. Dimmi cosa leggi…” lo implorai. Ero talmente confusa che non riuscivo a sbrogliare il bandolo della matassa e per questo speravo che Edward riordinasse al mio posto il caos delle mie idee.
Alzò gli occhi al cielo e sospirò. Non gli piaceva questo mio assurdo giochino, era evidente, ma avevo bisogno di una mano. “Jacob” rispose con una smorfia di disapprovazione.
Abbassai lo sguardo e giochicchiai con una ciocca di capelli. Era quello che mi aspettavo, ma adesso che cosa concludevo? Assolutamente nulla.
“Se vuoi il cane e hai già deciso che non vuoi provare a salvare il vostro rapporto, glielo devi dire. E’ inutile trascinare qualcosa che si è già deciso di recidere e dargli due mesi, soltanto per mettere a tacere la coscienza, sarebbe peggio che chiudere subito. Non puoi illuderlo ancora…” mi rimproverò.
Aveva perfettamente ragione ma come potevo distruggere i suoi sogni? Non ne avevo la forza.
“Tu cosa faresti?” gli chiesi.
“Non posso mettermi nei tuoi panni. Ognuno ragiona in modo diverso e dirti quello che farei io non ti aiuterebbe…”.
“Accidenti, Edward! Piantala di fare il bravo ragazzo giudizioso e dimmi che cazzo faresti tu!” sbottai.
“Io starei con chi amo” disse semplicemente.
“Anche se significasse ferire a morte la persona con cui hai passato una vita?”.
“Rinnegare ciò che provi vi farebbe soffrire in ugual modo”.
Accennai un sorriso tutt’altro che soddisfatto. Volevo Jake ma tagliare il legame con Emmett era improponibile. Come potevo distruggere tutto? In fondo la mia felicità fino a pochi mesi fa era tutta da addebitare a lui e abbandonarlo in quella maniera sarebbe stato da irriconoscente. Ma Jake… Non potevo separarmi da lui per due mesi. Sarei andata in crisi di astinenza, esattamente come i drogati. E due mesi per guarire una persona dall’assunzione di droghe erano decisamente insufficienti. Quei giorni erano troppo pochi e allo stesso tempo troppo numerosi. Non sarebbero serviti a niente in nessun caso.
“Rosalie” mi distrasse Edward. “Prima di prendere decisioni di cui ti potresti pentire, credo che dovresti parlare anche con Jacob. A quattr’occhi e molto sinceramente…”.
“Cioè?”.
“Che dovete chiarire i vostri reciproci sentimenti e poi, quando avrai una visione più nitida, potrai decidere”.
Le sue parole mi raggelarono. Ci leggevo un oscuro significato e la strana curvatura delle sue sopracciglia mi rendeva ancora più timorosa. La conoscevo quell’espressione. “C’è qualcosa che non so?” domandai.
Mio fratello non rispose; si limitò ad appoggiare la testa sul tronco dell’albero, combattuto da emozioni diverse. Avanzai decisa e gli afferrai il braccio.
“Che cosa c’è? Edward, dimmelo!” gridai.
“Lo sai che non dico ciò che leggo nella mente degli altri. Devi parlarne con lui direttamente…”.
“No!!! Hai detto che mi avresti aiutato in qualsiasi momento e ora lo devi fare! Che cosa c’è? Che cosa pensa Jake?”.
“E’ confuso, Rose, e io non me la sento di dire cosa pensa. Non voglio dare letture errate come ho fatto con te per anni…”.
Lo scossi violentemente. “Devi dirmelo. Non puoi lasciarmi così!” urlai ma quello che ottenni fu il silenzio. Edward strinse i pugni e capii. Indietreggiai di qualche passo. “E’ ancora innamorato di Bella, vero?” balbettai.
Ancora lei. Perché non riusciva a dimenticarla?
“Ascolta, Rose” disse Edward, prendendomi per mano. “E’ confuso. Prova sentimenti molto forti per te, ma c’è anche Bella nel suo cuore. Io non riesco a capire cosa prova perché a volte pensa a te, a volte a lei. Sono due tipi di amore completamente diversi, e non riesco a capire quale dei due sia più profondo. Quello che voglio che tu capisca è che dovete chiarire tutto questo prima di…”.
“Se la ama ancora, per me non c’è posto” lo interruppi altera.
“La vita è fatta di compromessi, Rose. I sentimenti non sono bianchi o neri. Ci sono varie sfumature e non puoi pretendere che cancelli il suo passato con un colpo di spugna; d’altra parte nemmeno lui può pretendere che cancelli Emmett e gli anni passati insieme…”.
“Non è la stessa cosa! Io non voglio che lui dimentichi Bella, ma non posso condividere il suo cuore con un’altra. Non ce la farei, sarebbe troppo umiliante…”.
“Se lo amassi davvero, lo faresti…” commentò con malcelata tristezza e nel suo sguardo intravidi l’oscurità di un segreto di cui era custode ormai da tempo. Ricordai ciò che Seth mi aveva confidato in quella discoteca a Port Angeles e provai una compassione sconfinata per mio fratello.
“Come fai, Edward?” domandai con voce fioca. “Come fai a sopportare che lei ami anche un altro?”.
I tratti del suo viso si ammorbidirono come se la salvaguardia di quel segreto che ora poteva condividere con qualcuno lo avesse lacerato nel profondo.
“Jacob l’ha salvata da se stessa, quando io l’ho abbandonata, e so che il loro amore l’ho fatto nascere io. Non posso biasimare loro, ma solo me stesso…”.
“Sì, ma se lei vuole stare con te, non dovrebbe provare sentimenti per un altro…”.
“E’ una minuscola parte di lei e pian piano mi sto abituando ad amare pure quella. Non posso fare a meno di Bella e sono costretto ad accettare anche il suo affetto per quel cane. A volte mi sento morire, ma questa è la punizione per ciò che le ho fatto”.
“Sei troppo duro con te stesso”.
“No, accetto solo le conseguenze delle mie azioni. Jacob sarà sempre una parte di lei, ormai l’ho capito e credo che sia vero anche il contrario. Come Emmett, in un modo o nell’altro, lo sarà per te. L’amore non si cancella mai, si trasforma soltanto in una parte di te…”.
“Credi che potrebbe amarmi completamente?”.
“Certo che sì. Sei speciale, Rose, e Jacob lo sa. Ma, ribadisco, devi parlarne con lui. Stare qui io e te a parlare del suo caos mentale non porta da nessuna parte…”.
Aveva ragione. Non aveva alcun senso che stessi qua ad assillare Edward. Ne dovevo parlare con lui e sicuramente mi avrebbe detto la verità. D’altra parte sentivo che Jacob provava qualcosa di importante per me e forse Edward aveva frainteso quello che pensava: mi amava e i sentimenti per Bella non erano altro che pallide luci del passato. Luci che io mi sarei impegnata a far spegnere completamente. Una volta che fossi stata completamente sua l’avrebbe dimenticata. Decisi di tornare a casa, quando Edward mi afferrò per un braccio.
“C’è un’altra cosa su Jacob di cui ti voglio parlare…”.
“Dimmi” lo incalzai, sicura che non potesse più essere portatore di cattive notizie.
“L’imprinting” chiosò.
Fu un fulmine a ciel sereno, come se improvvisamente qualcuno con una sciabolata mi avesse tagliato a metà. Imbambolata, le sue dita attorno al mio braccio si fecero ancora più gelide. Vide lo sconcerto nei miei occhi e mi lasciò andare.
“Credo, anzi ne sono sicuro, che tu non ci abbia mai pensato in tutto questo tempo…” disse con voce neutra. Scossi la testa debolmente.
“Al di là di Bella e di Emmett, del fatto che fra noi e il branco non scorrerà mai buon sangue, è l’imprinting l’unico vero vostro nemico…”.
Non avevo mai riflettuto su questa eventualità, convinta che tutto dipendesse da me e da Jacob, che fossero solo i sentimenti a contare, ma non in questo caso. Appartenevamo a due razze diverse e lui pertanto soggetto a questa maledizione, che doveva portare gioia nelle loro vite, mentre in realtà, per come l’avevo conosciuta io, aveva solo annientato Seth e Desirèe.
“Lui non l’ha ancora avuto e magari neanche l’avrà…” balbettai incerta.
Sentii lo sguardo ruvido di Edward dominarmi dall’alto. Non rispose subito, probabilmente incerto su come affrontare l’argomento, mentre io mi illudevo che potessi avere ragione.
“Rose” disse affranto. “Affrontiamo la realtà. Io non sono uno studioso di licantropi, ma sono sottomessi per natura a questa cosa. E’ vero che non tutti quelli del branco l’hanno ancora avuto e in fondo sono ancora giovani per trovare la propria anima gemella, ma prima o poi la troveranno. Tutti quanti. E’ assurdo illudersi che Jacob, il discendente diretto di Ephraim, quello con il sangue più puro di tutti, non assicuri una discendenza al branco di cui è a capo…”.
“E’ Sam il capo!” ringhiai, afferrandomi con tutte le forze alla corda che mi era stata lanciata.
“Sai perfettamente anche tu che è un capo ufficioso, Sam dovrebbe essere il vice. Comanda gli altri solo in virtù del fatto che è stato il primo a trasformarsi. Prima o poi sarà Jake a prendere in mano il branco. E’ così che deve andare e il fatto che non sia ancora successo non preclude ciò che comunque accadrà…”.
“Il fatto che sia o meno il capo non vuol dire che debba essere costretto ad avere l’imprinting!”.
“Non è una costrizione, Rose! E’ una forma di salvaguardia della specie. E tu più di tutti noi dovresti saperlo. Hai visto Desirèe e Seth. Credi che lui si sentisse costretto ad amarla? Credi che detestasse ciò che gli era successo? Loro si amavano e nessuno su questa terra avrebbe potuto dividerli… Tu, come nessun altra, puoi farcela contro una forza del genere”.
“Ma forse lui potrebbe…” iniziai ma Edward afferrò nella mente la mia insana soluzione e la stritolò:“Non puoi essere tu il suo imprinting. Non sei umana, non puoi avere figli”.
Camminai traballante per qualche metro, invocando argomentazioni che potessero contestare le sue, ma per quanto mi sforzassi, non ne scovavo nemmeno una. Invece lo sconforto si stava riprendendo quella piacevole sensazione che il ritrovare mio fratello aveva suscitato qualche minuto prima. “Quindi, anche se non esistesse il problema Bella, lui finirà per lasciarmi. E’ questo che vuoi dire…” commentai a fatica.
Lo intravidi annuire con la coda dell’occhio.
“Dovrei chiudere prima che questa cosa mi trascini a fondo, giusto?” domandai.
“Io ti sto soltanto mostrando le varie strade che ti si prospettano. Tutte quelle a cui non avevi pensato. Devi essere tu a valutarle e a decidere quale scegliere. Voglio farti capire che la vostra felicità potrebbe durare un giorno, un mese, dieci anni, ma prima o poi finirà. Basterà uno sguardo con una ragazza umana, anche dall’altra parte della strada, e la vostra vita insieme sarà finita. Potrebbe accadere anche nel periodo in assoluto più felice, proprio perché non dipenderà da nessuno. E la cosa più triste è che io non potrò nemmeno ucciderlo perché non sarà stata colpa sua…”.
Mi fasciai il corpo con le braccia, per proteggermi da tutte le cattiverie, purtroppo reali, che mi stava gettando Edward. Avrei voluto che mi scivolassero addosso, ma purtroppo era impossibile. Alice aveva prospettato fin da principio che le nostre due razze avrebbero finito per dividerci, ma non credevo in un modo così crudele. Avrei preferito di gran lunga cominciare a odiare il suo odore, che lui provasse disgusto per il mio cibo, per la freddezza del mio corpo o che, come nelle coppie più normali, avessimo cominciato a litigare per banalità, come il disordine, o il dividersi i lavori in casa, o qualsiasi altra cosa. Ma non così. Non così.
“Tutte le coppie che intraprendono relazioni sanno che potranno finire. A parte la vita di noi vampiri, non c’è nulla di eterno a questo mondo…” tentai come estrema difesa.
“Certo. Tutte le relazioni possono finire, ma incominciare un rapporto che sai che prima o poi finirà, per quanto tu ti possa impegnare in esso, è logorante e non porta alcun giovamento. Finisce solo per distruggerti”.
“Lo amo” sussurrai impercettibile.
“Lo so, Rose ed è proprio per questo che ti sto mettendo in guardia. Non ti sto dicendo di lasciarlo, se non te la senti. Se credi che un attimo di felicità sia di gran lunga superiore a una serenità eterna e che il gioco valga la candela, allora state insieme…”.
“L’amore non vince su tutto, dunque?”.
“No” constatò amaramente.
Reclinai il capo, sconfitta. Non mi bastava un attimo, volevo una vita felice e con Jacob sembrava che, ad ogni modo, non avrei potuto averla.
“Avete mai parlato di Leah e Sam?” mi domandò a bruciapelo.
“No, mai. So quanto ci hai raccontato tu, e cioè che Sam ha avuto l’imprinting con Emily, mentre era fidanzato con Leah e l’ha lasciata per mettersi con sua cugina. Niente altro…”.
“Non c’è altro da raccontare, ma io sento i loro pensieri, Rose, e ti giuro che è uno dei momenti in cui detesto maggiormente il mio potere. Tu non hai idea di quanto sia doloroso per loro. Sam ama Emily alla follia ma si sente in colpa nei confronti di Leah e si odia per come l’ha tradita. In più il fatto che Leah sia una del branco rende la situazione ancora più difficile. Sam si sente in obbligo verso di lei, tenta di trattarla come tutti gli altri, ma non sempre ci riesce. Sa che non è stata colpa di nessuno, ma sentirla soffrire in questo modo per lui, lo rende molto vulnerabile. E Leah per parte sua lo odia perché è costretta ad ubbidire ai suoi ordini, a restare nel branco e a constatare la sua felicità con Emily, ma…”.
“Lo ama ancora, vero?” conclusi con gli occhi gonfi di lacrime.
“Sì, lei sta aspettando l’imprinting per se stessa, come una benedizione. Ma tu non avrai nessun imprinting che ti possa salvare e non voglio vederti fare la fine di Leah. Per questo ti chiedo di pensarci bene prima di fare una scelta…”.
“Tu vorresti che scegliessi Emmett…” dissi.
Lui scosse la testa. “Io voglio che tu sia felice. Con Emmett, con Jacob, con chiunque, non mi importa… Jake è importante per te, si vede, lo si sente. Se ne sono accorti anche Jasper e Carlisle. Se lo ami tanto, allora stai con lui e sappi che il giorno in cui avrà l’imprinting io sarò al tuo fianco per aiutarti. Non sarai sola. Alice ed io ci saremo sempre…”.
Singhiozzai mentre Edward mi abbracciava. Avevo appena deciso che volevo Jacob e ora scoprivo che la scintilla che dava origine al mio fuoco era destinata a spegnersi. Ciò che faceva splendere la mia anima era soltanto un lampo che, così com’era apparso, sarebbe sparito di colpo. E insieme a lui tutta la mia vita. Il pericolo Bella era una sciocchezza rispetto a questo. Per darmi scampo avrei dovuto chiudere tutto e affrontare i due mesi con Emmett. Ma non volevo slacciare i nodi che mi avevano legato a Jake, nel bene e nel male. Avevo bisogno della sua presenza, ma come avrei fatto quando avrebbe trovato la sua donna umana? Come avrei sopportato la perdita?
“Credo che sia meglio tornare a casa” disse mio fratello.
“Non so se voglio venire…” risposi quando Edward allentò la presa.
“Invece devi venire assolutamente…” mi sorrise teneramente. “C’è qualcuno che ha una gran voglia di vederti e non puoi deluderlo”.
“Che…?”.
“Sento i suoi pensieri da qui…” si giustificò. “E vuole ringraziarti senza nessuno spettatore”.
Le mie labbra si allargarono profondamente ma non abbastanza per contenere la gioia di quell’istante. Non ci fu alcun bisogno che Edward mi invitasse ad andare perché fui io la prima a prendere la strada di casa. L’avevo lasciato con Bella e ora voleva vedere me. Allora, forse, ero davvero più importante di lei, potevo scalzarla definitivamente. E l’imprinting? Non era un problema, perlomeno non finchè fosse stato in una casa zeppa di vampiri e per ora ciò che volevo era abbracciarlo. Niente avrebbe dovuto rovinare quel momento.
Quando rientrammo, Edward si diresse nella camera dove li avevamo lasciati. E li trovammo ancora lì. Stavano parlocchiando. Bella aveva ancora gli occhi rossi, ma sembrava serena. Gli stava tenendo la mano e quando entrammo gliela lasciò subito. Jacob sembrò infastidito da quel movimento indelicato, ma quando mi vide alle spalle di mio fratello l’irritazione sfuggì.
“Bella, sei ancora qui?” domandò Edward. “Dovresti lasciarlo riposare. Hai sentito cosa ha detto Carlisle, no?”.
“Sì, hai ragione, ma ho avuto così tanta paura che adesso non voglio perdere nemmeno un minuto” si scusò.
“Domani mattina sarà ancora vivo, purtroppo” sbuffò mio fratello e rivolgendosi a Jacob:“Tu, piuttosto hai avvisato a casa che per stanotte resti qua?”.
“Se non lo avete fatto voi sanguisughe, io no di sicuro. Non riesco nemmeno ad alzarmi” si lamentò e poi, diretto verso di me, abbozzò:“Hai fatto una bella cenetta, bionda! Potevi anche trattenerti un po’ di più!”.
“La prossima volta ti lascerò crepare!” ribattei piccata.
“Mentre loro due litigano, che ne dici di andare a chiamare Rachel, prima che pensi che lo abbiamo ucciso noi?” intervenne Edward, rivolto alla sua fidanzata, la quale acconsentì e insieme uscirono dalla camera.
La mia prima mossa sarebbe stata quella di seguirli, ma mi sforzai di rimanere. Mi sentivo a disagio perché non era stato lui a chiedermi di restare, ma perché Edward avrebbe dovuto mentirmi? Per allontanare Bella da lui? No, mio fratello non si comportava così.
“Rose” mi chiamò.
Alzai il viso e solo allora notai quanto fosse pallido e le profonde occhiaie che gli contornavano gli occhi. Sembrava davvero appena uscito da una lunga malattia. Mi sorrise stentatamente e allungò una mano. “Puoi venire da me? Sono troppo stanco. Non riesco a raggiungerti” mi disse.
Mi avvicinai, a passi piccoli e lenti, come se temessi che la mia presenza potesse in qualche modo debilitarlo ulteriormente. Quando fui abbastanza vicina, incrociai le dita nelle sue e Jake mi tirò a sé dolcemente. Mi sedetti sul bordo del letto, con il capo chino.
“Che c’è?” domandò.
“Niente”.
Era appoggiato allo schienale del letto eppure sembrava che stesse facendo uno sforzo immane per mantenere quella posizione. Sembrava persino che respirasse a fatica. Avevo esagerato: gli avevo tolto troppo sangue. Anche per uno come lui ci sarebbero voluti parecchi giorni per riprendere completamente le forze. Gli passai un dito sul braccio, dal gomito fino al polso. Era tornato bollente. Era ancora vivo, ancora con me, ma, rammentando gli avvenimenti di poche ore prima, la sensazione di paura tornò a farsi forte.
“Rosalie, che ti prende?” insistette.
“Ho avuto tanta paura, oggi. Credevo che ti avrei perso, che saresti morto. Se fosse successo, non so come avrei potuto andare avanti…”.
“Invece sono ancora qui. Grazie a te” sorrise divertito.
“Non capisci niente!” replicai, battendo i pugni sul letto. “Potevo ucciderti io. Non so come ho fatto a fermarmi dal dissanguarti! Il tuo sangue è così dolce e io…”.
“Non sei un vampiro come gli altri. Lo sai tu e lo so anch’io. La mia vita non poteva essere in mani migliori…”.
“Domani è il tuo compleanno e io ti avevo detto che ne avresti festeggiati tanti. Ho rispettato la mia promessa…” bisbigliai, mentre alcune lacrime mi sgorgavano dagli occhi.
“Non credevo che avrei mai visto un vampiro piangere per me…” disse, accennando un sorriso mentre le sue dita si muovevano sulle mie guance.
“E io non credevo che avrei mai pianto per un licantropo…” ammisi infastidita.
Quello che seguì fu un silenzio pesante, nel quale mi persi. Non volevo pensare a tutto quello che era stato detto e fatto nelle ultime ore. Sapevo che non avevo le forze per affrontare quei discorsi. Avrei dovuto parlarne con lui, ma le sue condizioni erano anche peggiori delle mie. Non potevo subissarlo di domande sui suoi sentimenti per me e per Bella. Decisi che avrei aspettato almeno l’indomani.
“Mi dispiace non aver potuto fare niente per Esme… Sono sinceramente addolorato” mormorò. “Non volevo che morisse. Sai che avevo stima di lei”.
“Lo so. E’ stato un combattimento, esattamente come quello dove sono morti Tanya e Seth. Non ce l’ho con te”. Gli fissai il braccio che avevo morso: c’erano i segni dei miei denti e mancava ancora buona parte della carne, anche se il suo corpo si stava affrettando a rigenerarla. Se avesse avuto ancora tutto il sangue, probabilmente a quell’ora non avrebbe più avuto un segno, ma la sua debolezza stava ritardando le sue facoltà di guarigione.
“Non sei così triste solo per Esme. C’è anche qualcos’altro, vero?” mi chiese dubbioso.
Mi voltai leggermente, indecisa sulla risposta. Ma che senso aveva nascondere? Tanto valeva mettere le carte in tavola. “Emmett sa tutto” confessai.
“Glielo hai detto tu?”.
“No. L’ha capito da solo. Non sono riuscita a nascondere abbastanza bene la disperazione quando Carlisle ci ha detto che saresti morto. Mi sono limitata a confermare quando me lo ho chiesto…”.
“E come mai sono ancora vivo?”.
“Perché non gli ho raccontato tutto” risi sarcastica. “Gli ho detto quello che sapevo avrebbe retto, ma adesso è uscito. E finché tu resterai in questa casa, lui non tornerà”.
“Domani mattina all’alba me ne andrò, non ti preoccupare” mi tranquillizzò, ma il suo tono era duro, quasi sprezzante. Mi spazientii e mi allontanai dal letto per evitare di dargli uno schiaffo.
“Non capisci, non capisci niente!” balbettai tra le lacrime. “Io non voglio che tu vada via. Voglio che resti con me, ma non posso dimenticare i momenti trascorsi con Emmett. Oggi mi ha chiesto due mesi per ripartire, ma non so se glieli voglio concedere perché questo vorrebbe dire cancellarti o comunque provare a farlo. E io non voglio. Ma lui si merita molto di più di quello che gli dò, delle possibilità che gli sto negando. Io vorrei che tutto sparisse, che ci fossimo solo noi due e nessun marito o migliore amica da dimenticare, che non ci fossero vampiri, licantropi, ma solo due persone normali. Mi rendo conto che ho cercato una normalità che non riuscirò mai ad ottenere”.
Jacob, vedendomi così disperata, tentò di alzarsi per consolarmi, ma lo sforzo fu eccessivo e le sue gambe non lo ressero. Cadde pesantemente sul letto, mentre correvo per sostenerlo. Tentai di farlo stendere nuovamente ma si oppose con fermezza. “Rosalie, possiamo provare se te la senti. Non ho mai insistito fino ad ora, lo sai, ma se decidi, io ci sarò” mi rincuorò.
Decidere. Chiudere con Emmett, sfidare tutte le leggi di natura e poi ritrovarmi con un pugno di mosche in mano, appena fosse scattato l’imprinting. Prima o poi sarebbe arrivato e io ce l’avrei fatta a passare ogni minuto della mia vita con lui nel terrore che potesse essere l’ultimo? Che ogni ragazza che poteva incontrare fosse la sua anima gemella? Per amore si sfida tutto, questo era sempre stato il mio motto, ma ora non ne ero più così convinta. Lo amavo, ne ero sicura ormai, e ogni istante questo sentimento si rafforzava. Mi stavo legando indissolubilmente a lui e forse se mi fossi staccata adesso, i danni sarebbero stati limitati. Invece fra qualche anno, quanto tempo ci avrei messo a rimettermi in piedi? Iniziai a piangere, inorridita dalla mia vigliaccheria.
Jake mi abbracciò, anche se la sua stretta non era forte come al solito. Era calda e ne avevo un bisogno disperato. L’amore per lui aveva offuscato tutte le mie capacità di giudizio, ma ora ero costretta ad aprire gli occhi di fronte a tutto.
Quali erano i miei sogni? Che cosa volevo realmente? La risposta era facile: una vita normale, felice, con dei figli, con lui. Ma non avrei mai avuto niente di tutto questo. I sogni non si avverano mai. Non per me, almeno. Potevo trasformare la realtà in un sogno, ma non avrei mai potuto fare il contrario.
“Perché hai paura, Rose?” mi domandò preoccupato. “Sono qui e resterò con te”.
Come faceva a vedere dentro i miei occhi con tanta precisione, come se fossero porte aperte? Ogni volta che sentivo il suo sguardo addosso, mi dava l’impressione che arrivasse nelle profondità del mio corpo e solo allora sentivo calore. Ma se ci fosse stato l’imprinting chi avrebbe impedito alla mia anima di tornare ghiacciata? Aveva ritrovato il mio spirito, addormentato in qualche luogo freddo, e l’aveva riportato a casa, ma la sua presenza era indispensabile perché continuasse ad esistere. Senza di lui niente avrebbe avuto senso.
Strofinai il viso contro il suo petto, il suo cuore batteva contro la mia guancia. Sarebbe andato via e io avrei perso il mio alito di vita.
Mi allontanai, cercando di calmarmi: stavo perdendo completamente la lucidità. Non sapevo se era solo ed esclusivamente colpa di quello che aveva detto Edward oppure se erano tutte le emozioni racchiuse in quella serata che stavano riducendo in poltiglia i miei nervi.
“Credo che tu stia nascondendo qualcosa. Sei troppo agitata…” affermò grave.
“No, affatto”.
“Stai mentendo. So che questo non è il momento adatto. Troppi uditi fini in questa casa. Ma esigo che domani o al massimo dopodomani ne parliamo”.
Annuii stancamente soltanto per farlo tacere. Non volevo rivelargli le mie paure. Mi avrebbe mal giudicata.
Mi sorrise e si passò le mani sul viso prima di ravviarsi i capelli con un gesto che evidenziò meravigliosamente la muscolatura del petto e delle braccia. Allungai una mano e gli accarezzai le spalle. Raccolsi le gambe sul letto e mi spinsi su di lui. Il mio movimento fu rapido ed energico. Sapevo che non aveva le forze per respingermi, ma mi sorpresi quando notai che non fece alcuna resistenza.
Iniziai a leccarlo sul collo, per scendere via via sul petto e sugli addominali. Non amavo il suo sangue quanto il sapore della sua pelle. Aveva un che di appetitoso ed eccitante. Non volevo fare l’amore con lui, ma solo sentirlo mio.
“Rose, se vuoi farmi ammattire, mi arrendo subito!” ridacchiò, sventolando parte del lenzuolo bianco su cui era adagiato.
Mi fermai e gli sorrisi. Era la cosa più bella che si muovesse su questa terra. Non so se soltanto perché avevo avuto una paura tremenda di perderlo o se fosse effettivamente così. Se lui fosse stato solo mio, se Bella non fosse esistita, quanto tempo mi avrebbe concesso il destino prima di strapparmelo? Emmett era molto più facile. Mi apparteneva già, non mi avrebbe mai lasciata. Non lo aveva fatto stasera dopo quello che gli avevo rivelato, non lo avrebbe fatto nemmeno in futuro. E forse avrei dovuto scegliere Emmett. La cosa più naturale e più scontata.
“Bella mi ha detto che tuo fratello si era offerto di eliminare il veleno. Poi sei intervenuta tu. Sono contento che sia stata tu a salvarmi. Non avrei accettato nessun altro…” ammiccò, accarezzandomi le braccia.
“Soltanto io posso ucciderti, ricordi?”
“Però è vero anche il contrario”.
“Lo stai già facendo…” ammisi dolorosamente. Inarcò le sopracciglia non comprendendo a cosa alludessi.
Mi sdraiai su di lui. Lo feci delicatamente per paura di fargli male e se ne accorse. “Guarda che sono semplicemente stanco, non ferito…” mi rimproverò offeso.
Non ebbi voglia di replicare e appoggiai il viso sul petto per sentire il cuore. Il battito era lievemente accelerato, ma tutto sommato regolare. Rimanemmo in quella posizione fino a che non sentii cinguettare l’orologio a cuculo di Esme in cucina. Era mezzanotte. Con lo sguardo fisso nel vuoto, dissi:“Buon compleanno, amore!”.
“Grazie. Posso avere un regalino?” domandò apparentemente pensieroso.
“Tutto quello che vuoi”.
“Non mi hai ancora baciato…” si lamentò.
Mi sfuggì una risata compiaciuta e allo stesso tempo imbarazzata, come se mi fosse appena stato rimproverato un mancato adempimento a un mio preciso dovere. Lo accontentai molto più che felice. Quando mi baciava, appariva tutto più facile, più bello, incantato, come se vivessi in una favola. Le ultime settimane, nonostante alcuni avvenimenti, erano state tra le più felici e le più rassicuranti della mia vita e non ero ancora pronta a perderle. La mia coscienza diceva una cosa, ma finora non l’avevo mai ascoltata, e forse non lo avrei fatto nemmeno adesso. Che bisogno c’era? Il mio sogno era fra le mie braccia, dovevo solo stringerlo per evitare che scivolasse via.
Mi sedetti a cavalcioni su di lui, continuando a baciarlo. Gli passai le mani tra i capelli e, in risposta al mio gesto, mi accarezzò la schiena nuda, stringendomi a sè. Lo desideravo da morire, ma, accidenti! Vivere in una casa piena di gente con l’udito finissimo non facilitava le cose, soprattutto considerando che quella era prima di tutto la casa di Emmett e farlo lì, avrebbe significato demolire definitivamente ogni forma di rispetto nei confronti di mio marito. E a dispetto di tutto non volevo farlo. Per il momento potevo farmi bastare questo.
Ero talmente immersa nel nostro bacio che non sentii nulla e quindi ciò che successe dopo, che avrei potuto facilmente prevedere, non potei evitarlo.
Improvvisamente la porta si aprì. Il rumore mi fece sobbalzare ed entrambi fummo costretti brutalmente a separare le nostre labbra. Quando mi girai per vedere chi era entrato, notai Bella sulla porta spalancata. Aveva un’espressione allibita, come se stesse assistendo a un film di fantascienza. Sia io che Jacob rimanemmo impietriti e nessuno dei due pensò di allontanarsi dall’altro, anche perché sarebbe stato inutile. Non ero sicura che ci avesse visto baciarci, ma la nostra posizione non lasciava adito a molti fraintendimenti.
“Scusate… Non volevo disturbare” disse, distogliendo lo sguardo e facendolo vagare per la camera. “Volevo solo dirti che ho chiamato Rachel e Billy e li ho tranquillizzati. Ti aspettano a casa domani mattina” e sparì, chiudendo velocemente la porta. Avvertii i suoi passi concitati allontanarsi lungo il corridoio.
Quando mi voltai verso Jake, vidi qualcosa che avrei voluto evitare, anche se durò solo un attimo. Il suo sguardo stava indugiando ancora sulla porta chiusa e appariva spento, anche se riuscivo a scorgere un velo di disappunto. Era infastidito, non dal fatto di essere stato interrotto, ma che fosse stata Bella a farlo. Fu, come già detto, solo un attimo, poi si voltò verso di me, apparentemente divertito e disse:“Bene, adesso direi che lo sanno proprio tutti. Non abbiamo più niente da nascondere a nessuno”.
Accennai un sorriso stiracchiato, volto a convincermi che per lui non ci fossero davvero problemi. Ma sapevo che non era così. Stavo ingannando me stessa.
“Ti va di continuare dove ci hanno interrotto?” mi propose malizioso. Non me lo feci ripetere due volte e tornai a baciarlo, ma non fu più come prima. Non fu un bacio tenero e dolce, ma, a tratti, quasi violento. Un respiro veloce e poi riprendeva a baciarmi, come se fosse la medicina per placare il nervosismo. Ed io ne conoscevo la causa. Per Bella, solo per lei. Forse avrebbe preferito dirglielo di persona invece di farsi beccare in maniera così plateale. Poteva essere questa la spiegazione, ma le parole di mio fratello continuavano a erodere parti consistenti della mia autostima. Amava ancora lei? Voleva lei? Se la risposta era no, perché era seccato? Perché non gli aveva detto di noi fin da principio? In fondo sapeva che Alice e Edward erano a conoscenza del nostro segreto. Bella non sarebbe certo andata a dirlo ad Emmett. Forse voleva mantenere il segreto, o forse non voleva semplicemente che lei lo sapesse. Perché? Si vergognava di me? Di noi due? La sua famiglia lo sapeva e molto probabilmente anche i membri del branco, ma lei ancora no…
Lo baciavo ma lo sentivo lontano, come se lo stesse facendo solo per distrarsi o dimostrare qualcosa. A me o a se stesso. Ebbi l’orribile sensazione che ormai non mi appartenesse più.
Forse non era mai stato mio.




Ciao,
e con questo finisce la ff raccontata dal punto di vista di Rosalie (mi ero affezionata tanto a lei, ma c'è qualcun altro che spinge per avere il suo posto...). In questa seconda parte sono successi parecchi avvenimenti rispetto alla prima raccontata da Bella, però i prossimi capitoli non saranno da meno. Forse alcuni di voi mi uccideranno, però, ahimè, non posso farci niente: i personaggi hanno preso vita e decidono loro!!!!
Un bacione e Buon Natale a tutti!

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Capitolo 50
*** Il compleanno di Jacob ***


Ciao a tutti,
come promesso, il POV è cambiato: arrivederci Rosalie e.... bentornata Bella!
Non racconterà tanti capitoli come la prima parte, ma questi pochi in cui sarà ancora protagonista saranno decisamente incisivi. Aspetto i vostri commenti!
E ancora grazie per le recensioni fin qui ricevute.
Bacioni!






Avvampai, appena chiusa la porta.
Avevo le guance in fiamme. Tirai un paio di profondi respiri e mi allontanai in fretta da quella camera, imbarazzatissima.
Quando sbucai in salotto, mi accorsi che i miei passi concitati avevano attirato l’attenzione di tutti i presenti. Edward mi fissò, incuriosito. “Che è successo, Bella?” domandò.
“Niente” mi affrettai a rispondere.
“Non si direbbe dalla tua faccia…” rincarò Alice.
“Il fatto è che sono solo sorpresa” ammisi.
“Di cosa?”.
“Che… non si stanno scannando. Tutto qui”.
“Credo che oggi nessuno abbia voglia di litigare” commentò Jasper. “Sono successi troppi avvenimenti spiacevoli per perdere tempo con queste sciocchezze”.
Le sue parole mi riportarono alla mente la morte di Esme. Abbassai lo sguardo, sentendomi quasi in colpa per non aver più pensato a lei, dopo quello che era successo a Jacob.
“E’ tardi, amore. Che ne dici di andare a dormire?” mi invitò amorevolmente Edward.
Annuii, diedi la buonanotte ad Alice e Jasper e, abbracciata al mio principe, salii in camera sua. Varcata la soglia, vedendo il letto, le gambe cedettero. L’adrenalina di quelle poche ore svanì di colpo e sarei caduta a terra se Edward non mi avesse sorretta, facendomi sdraiare l’istante successivo. “Tutto ok?” mi domandò, irrequieto.
“Solo stanchezza…” minimizzai.
“E’ stata una giornata dura” disse con voce piatta e lo sguardo assente. Stava pensando ad Esme, come Alice e Jasper al piano inferiore.
“Mi dispiace, amore. Sono stata così presa dalla salute di Jake che non ho più pensato al tuo stato d’animo. Sono mortificata…”.
“Non c’è niente di cui scusarsi, Bella”.
Si sdraiò accanto a me e i nostri sguardi si incrociarono. Era distrutto dal dolore anche se cercava di mascherarlo. Sembrava un gattino bisognoso di coccole, ma troppo orgoglioso per ammetterlo. Non c’era niente che avrei potuto fare per risollevarlo, non adesso almeno. Ed io stessa mi sentivo quasi soffocare adesso che riuscivo a mettere a fuoco ciò che era successo. Mio padre aveva rischiato di morire, Esme era stata uccisa, io stessa sarei potuta morire, così come Jake. Quella appena trascorsa era stata la serata più orrenda della mia vita. Chi avrebbe sostituito il dolce sorriso di Esme quando facevo il mio ingresso in quella casa? Era sempre stata buona e paziente nei miei confronti, come una vera mamma. Quel suo sostenermi e difendermi in continuazione, il suo amore disinteressato verso di me, la soddisfazione che provava ogni volta che cucinava: erano diventati di colpo ricordi indelebili.
Edward si lasciò abbracciare e soltanto pochi secondi più tardi le sue lacrime mi bagnarono il collo. Non lo avevo mai visto piangere e probabilmente, se avessi alzato il viso, avrebbe smesso. Non per mostrarmi un ostentato distacco, ma soltanto per evitare di farmi preoccupare. Io ero la prima. Sempre e comunque, anche davanti alla sua famiglia.
Mantenni il capo reclinato per lasciargli il lasso di tempo indispensabile a sfogare il suo dolore.
Pensai a Carlisle. Dopo il risveglio di Jacob, era sparito e non avevo la più pallida idea di cosa stesse facendo, ma intuivo che stesse passando l’inferno. Lui ed Esme erano insieme da decenni. Era stata la sua compagna di vita. Aveva scelto lei per condividere quest’esistenza e ora gliel’avevano strappata, senza un perché, né un preavviso. Quando si era offerta di andare da Charlie, non avevo minimamente pensato che potesse essere in pericolo, presa com’ero dal terrore che potesse capitare qualcosa a mio padre. E invece alla fine il dramma ci aveva colpito in maniera brutale. La vittoria sapeva di sconfitta.
Non ero ancora entrata a far parte ufficialmente della famiglia Cullen che avevo già perso la mia madre adottiva. E rischiavo di perdere altre persone. La guerra non era finita. I Volturi avevano perso una battaglia, ma era facile pensare che si sarebbero vendicati. Sarebbero arrivati in forze per distruggerci tutti quanti. La lista di morti si sarebbe allungata tragicamente e avevo paura di pensare chi avrebbe potuto farne parte.
Quando era morta Desirèe, credevo che il dolore mi avrebbe soffocata. La mia amica, una sorta di sorellina minore con cui avevo condiviso tutti i miei segreti senza alcuna remora, non c’era più e io non avevo fatto nulla per salvarla. Non ero stata di alcuna utilità. Ma quel dolore era stato una bruciatura in confronto a quello per la perdita di Seth. Adoravo quel ragazzino, così gentile, allegro e altruista. Ogni volta che pensavo a lui non potevo impedire a una lacrima di scendere. E ora Esme. Quanti ne sarebbero stati uccisi? E soprattutto chi? Chi sarebbe stato il prossimo? Alice? Jasper? O…? Non osai proseguire, ma strinsi Edward con la massima forza concessami. Se gli fosse successo qualcosa, mi sarei consegnata ai Volturi, esattamente come aveva fatto Desirèe: che razza di senso avrebbe avuto la mia vita senza di lui? Senza il piacere di vedere ogni istante della mia vita il suo pallido viso? Specchiandomi nei suoi occhi lucidi, ripensai a Jacob e al pericolo appena scampato. Dopo questa sera, sapevo che non potevo vivere nemmeno senza di lui. Forse quella parte del mio cuore dedicata esclusivamente a lui non era così piccola come avevo pensato. Non abbastanza grande e profonda per contrastare l’amore per Edward, ma abbastanza importante per diventare quasi imbarazzante. Ripensai alla mia condotta quando Carlisle aveva detto che Jake sarebbe morto, a quello che avevo detto e soprattutto a come avevo brutalmente respinto Edward che aveva avuto come unico torto il tentare di consolarmi. La rabbia e il dolore avevano ottenebrato il mio giudizio, e ora nella mia mente riaffiorava l’espressione sgomenta del mio fidanzato. L’avevo ferito nella maniera più crudele. Avevo dato di me uno spettacolo indecente. Era mai possibile che il dolore per la morte del mio migliore amico potesse indurmi a un comportamento del genere? Eppure l’avevo fatto. In quel momento non ragionavo, l’unica cosa che volevo era riavere Jacob, ma non erano giustificazioni.
“Ti chiedo perdono…” borbottai.
“Per cosa, amore mio?”.
“Per come mi sono comportata prima, nella foresta, quando Jake è svenuto… Ero terrorizzata e non capivo nulla. Non realizzavo nemmeno con chi stessi parlando. Sapevo solo che lui stava morendo e… Scusami”.
Edward distolse lo sguardo, taciturno. Lo stavo facendo soffrire anche ora. Accettava Jacob e i miei sentimenti per lui ma non poteva negarsi di mostrare il suo dolore e la sua inquietudine. Lo amavo da morire eppure una parte di me sarebbe sempre appartenuta a un altro. C’era stato un tempo in cui speravo che la mia trasformazione in vampiro avrebbe lacerato il mio legame con Jake, ma ora non lo volevo più. Non dopo stasera.
Non sapevo cos’altro dire. Temevo che ogni altra parola peggiorasse la situazione. Sperai che capisse che non l’avevo fatto con cattiveria.
“Lo so, Bella” ammise. “Non sono arrabbiato. Sono stati brutti momenti, per tutti quanti noi. Ognuno ha il suo modo di reagire e so bene che lui è importante per te”.
“Mi perdoni, allora?” sussurrai piena di speranza.
“Certo, amore” chiosò, accarezzandomi la guancia.
Gli sorrisi, pur non essendo convinta che fosse vero. Era capace di dire e fare di tutto per non farmi stare in ansia, ma stavolta a mia scusante c’era stata l’estrema situazione d’emergenza che ci eravamo trovati ad affrontare. Giurai a me stessa che non avrei mai più dato spettacoli del genere per Jacob e che avrei imparato a controllare le mie emozioni.
Edward si alzò dal letto ed estrasse dall’armadio una coperta, che utilizzò per imbottirmi e isolarmi dal gelo del suo corpo. Nonostante fosse stata una serata allucinante, mi addormentai quasi subito, anche se il sonno fu turbato da mille incubi.
Quando mi svegliai il giorno dopo, erano quasi le nove. Sbattei le ciglia più volte per abituarmi alla luce che filtrava dalle finestre. Edward era accanto a me, nella medesima posizione in cui l’avevo lasciato quando mi ero addormentata.
“Buongiorno, amore mio” sorrise, dandomi un bacio sulla fronte.
Mi stiracchiai e contraccambiai il suo saluto.
Per quanto la notte fosse stata brutta e i sogni che mi avevano tormentato terrificanti, risvegliarmi e vedere il suo viso angelico era sempre un’ottima cura.
“Dormito bene?”.
“Non molto. Non mi ricordo cosa ho sognato, ma sono stati sempre incubi” risposi, sedendomi sul letto.
“Già… Hai chiamato Jacob parecchie volte” ammise a malincuore.
Non ricordavo davvero che cosa avevo sognato e non ci voleva Freud per capire perché avessi invocato Jake, ma non volevo che Edward fraintendesse. “Senti, io…” iniziai, ma mi bloccò subito per farmi capire che non era importante.
“Hai fame? Alice ti ha preparato la colazione…” disse.
Alice? Fino a ieri ci avrebbe pensato Esme.
“Se non ti va, non sei obbligata…” chiarì Edward.
“No, un biscotto lo mangio volentieri”. Non era affatto vero: non avevo fame ma non volevo offendere Alice che si era data tanto da fare per sostituire Esme, anche se sicuramente i biscotti in scatola non avrebbero potuto rivaleggiare con le sue torte.
Mi alzai, pettinandomi i capelli alla buona e scesi mano nella mano con Edward. In sala trovai Alice che sfoderò un sorriso così forzato da far impallidire. Anche il mio sorriso fu falso nello stesso modo e fu chiaro a entrambe, ma nessuna delle due voleva ammettere che fosse solo una recita per affermare che potevamo andare avanti ugualmente. Jasper era sdraiato sul divano con lo sguardo rivolto al soffitto. Mi salutò senza guardarmi. Alice mi accompagnò al tavolo apparecchiato con biscotti, croissant, cappuccino e perfino una fetta di torta. Il dolce, appena sfornato, era ancora tiepido.
Mi sforzai di assaggiare tutto quanto. La torta, di cui Alice sembrava fiera, era abbastanza buona e fu quella che gradii di più. “L’hai cucinata tu?” domandai.
“Sì, stanotte. Non sapevo cosa fare e così ho pensato di prepararti la colazione”.
“Grazie”.
Ad Alice non piaceva cucinare. Non era difficile immaginare perché lo avesse fatto.
In quel momento rientrò Emmett che ci salutò con un mugugno. L’avevo visto uscire la sera precedente e a giudicare dal suo abbigliamento, ritornava solo adesso. Indugiò su ciascuno di noi a lungo poi guardò Edward, il quale rispose:“Se n’è andato”.
Emmett annuì, poi domandò:“Carlisle come sta?”.
“E’ all’ospedale” intervenne Jasper. “Lavorare gli è più utile che rimanere qui”.
Emmett strinse le labbra, come se comprendesse perfettamente a cosa alludeva. “Rose?”.
“E’ in giardino. Sta sistemando le piante…” spiegò Alice.
Mi sarei aspettato che corresse da lei, invece salì in camera. Erano tutti nelle medesime condizioni. Tutti cercavano qualcosa da fare per distrarsi o per avvicinarsi in una qualche maniera a Esme.
Jacob.
Mi alzai da tavola e feci per andare nel laboratorio quando Alice mi inchiodò:“Non c’è più. E’ tornato a casa”.
“Come?!” esclamai sconvolta. “Quando?”.
“Più di un’ora fa. Ha recuperato le forze e ha chiesto di tornare a casa. Carlisle ha dato il suo consenso e gli ha dato un passaggio fino al confine mentre stava andando in ospedale…”.
“Perché non mi avete svegliato?!”.
“Stava bene. Camminava sulle sue gambe” chiarì Edward. “Non abbiamo ritenuto il caso di disturbarti. E’ guarito”.
Mi passai una mano sul viso, esasperata. Lo stavo facendo di nuovo. Mi stavo preoccupando quando lui stava benissimo; stavo rinnovando per l’ennesima volta il dolore di Edward, come se non gliene avessi già procurato abbastanza. La vera minaccia alla sua felicità ero io, non i Volturi.
Mi lasciai cadere sulla sedia, pensierosa.
“Cosa c’è Bella?” mi domandò Alice.
“Forse dovrei tornare a casa anch’io. Voglio sapere come sta papà…” dichiarai titubante.
Sapevo dalla telefonata a Rachel, che Charlie era stato ospite a casa di Billy tutta la notte, sia per prudenza, sia perché non ricordava nulla di quello che era successo. Gli avevano fatto credere di essere svenuto e che Sam l’avesse portato prima a casa sua e poi da Billy. Inoltre, per giustificare la mia assenza, nonché quella di Jacob, avevano detto che quest’ultimo era stato vittima di un malore e che Carlisle l’aveva trattenuto a forza. A volte mi chiedevo come facesse mio padre a bersi tutte queste panzane! Erano così assurde che non parevano credibili nemmeno a me, che tutto sommato ero un’ingenua; ma Charlie non diceva niente. Meglio così. Era mattina e io volevo verificare come stava mio padre. L’unica cosa che mi suscitava perplessità era lasciare Edward in questo momento, dopo tutto ciò che aveva fatto per me. Avrei dovuto rimanere per consolarlo e dargli il mio sostegno, ma volevo vedere Charlie.
“Hai perfettamente ragione, Bella” mi appoggiò Alice. “Non è andato al lavoro ed è solo, in questo momento”.
La sua predizione rafforzò la mia decisione e rivolsi uno sguardo supplichevole a Edward. Non c’era alcun motivo che mi comportassi a questo modo, non mi avrebbe mai detto di no, ma volevo fargli capire quanto fossi in ansia per papà. Il mio fidanzato acconsentì e si offrì di accompagnarmi a casa.
Raccolsi velocemente le mie cose, salutai Alice e Jasper, e mi infilai in macchina.
“Bella, capisco che tu probabilmente vorrai stare da sola con Charlie ma io non posso lasciare i paraggi. Non dopo quello che è successo stanotte…” affermò Edward con tranquilla autorevolezza, durante il tragitto.
“Pensi che attaccheranno di nuovo?” domandai con ansia crescente.
“Non lo so. Lehausle è morto, così come tutto il piccolo esercito da lui allestito. Ma c’è Demetri ancora… Alice sta impegnando tutte le sue energie tuttavia non riesce a prevederne le mosse costantemente. Il punto è che non voglio che si ripeta un altro evento come quello appena accaduto. Tutto sommato, li abbiamo vinti perché eravamo uniti e nello stesso luogo, ma se fossimo stati separati, le cose non sarebbero andate così… E se il preavviso che ci attende è di pochi minuti, non possiamo approntare una difesa che regga, in così poco tempo”.
“Ma se l’esercito è stato completamente distrutto, avremo ancora tempo prima che attacchino” ribattei, decisa a non volermi dare altre preoccupazioni.
“Per attaccare te e Charlie da soli, non serve un esercito” replicò severo e purtroppo aveva ragione.
“Non ti preoccupare” continuò. “Resterò nelle vicinanze della vostra casa, ma tenterò di darvi più privacy possibile”.
“Edward… Non mi dà fastidio, se ascolti i pensieri di Charlie o le nostre conversazioni. E’ soltanto che forse la tua famiglia avrebbe bisogno di te. Non voglio privarli della tua presenza, soprattutto Carlisle…”.
Parcheggiò il pick up sotto casa mia. Strinse forte il volante tra le mani e affondò lo sguardo nel vuoto. Non avrei voluto rivangare la morte di Esme, ma volevo che capisse che c’era qualcosa di più importante che fare il badante alla sua inutile fidanzata.
“Per il momento nessuno a casa ha bisogno di me…” sussurrò, poi scese dal pick up. Lo imitai l’istante successivo, ricevetti un bacio delicato sulla guancia e si inoltrò nella boscaglia. Avrei preferito qualcosa di più ma questo era il massimo a cui potevo aspirare, dopo l’inferno in cui era crollato da stanotte.
Salii lentamente le scale e varcai la soglia di casa. I locali erano immersi nel più profondo silenzio. Alice aveva detto che papà era già ritornato: forse era a letto. Lo chiamai ad alta voce e ben presto i suoi baffi folti si affacciarono alla porta della cucina. Aveva una tazza di caffè in mano. Restai immobile, come una statua, poi buttai meccanicamente la borsa sulla sedia adiacente e lo fissai. Fu come un’apparizione. Gli occhi mi si fecero lucidi per colpa delle lacrime. Mio padre era lì e stava bene.
“Ciao Bella!” esclamò sereno, ma poi sgranò gli occhi, vedendo che io non trovavo la forza di muovermi. “Che c’è?” domandò.
Non mi trattenni più e corsi ad abbracciarlo. Fu tanta la mia irruenza che quasi lo feci cadere. Ma lui non si tirò indietro, anzi mi restituì l’abbraccio con la medesima intensità.
“Bella! Che ti prende? Sembra che non mi vedi da una vita!”.
Non poteva immaginare la paura che avevo avuto di perderlo. Dovevo ringraziare quelli del branco se lo potevo abbracciare ancora. La mia stupidità era riuscita a mettere in pericolo pure lui. Ma perché ci si accorge delle persone solo quando si sta per perderle? Nonostante in questi 19 anni avessi passato poco tempo con lui, l’affetto che era nato in questi due anni di convivenza era sconfinato.
“Allora Bella? Che succede?” ribadì incuriosito.
Mi staccai da lui solo quando fui certa che le lacrime avessero smesso di bagnarmi le guance.
“Niente” esordii con un sorrisone. “Il fatto è che mi sono preoccupata. Rachel ha telefonato dai Cullen dicendo che eri stato male. Avrei voluto venire da te, ma lei mi ha detto che stavi già meglio e per di più, anche Jacob non si è sentito bene e non volevo lasciarlo solo da loro…”.
“Già… E’ stata una serata molto intensa, direi! Neanche Jake ed io ci fossimo messi d’accordo” ridacchiò.
“Allora, cosa è successo? Come stai?” chiesi, anche se conoscevo la storia meglio di lui.
“Niente di grave. Tutto ok”.
“Non si direbbe. Che cosa hai fatto?” indicai, attirando la sua attenzione su un grosso bernoccolo violaceo che ingrossava la fronte.
Alzò gli occhi e lo accarezzò. “Questo? Oh niente. Sono solo svenuto…”.
“Cosa?!”.
“Sì, ma non ti spaventare. Non so bene come sia successo. Stavo uscendo dall’ufficio con Esme, quando ho incontrato Sam, abbiamo iniziato a parlare della cena che aveva organizzato e poi… non ricordo più nulla. So solo che mi sono svegliato a casa sua. C’era Emily che mi ha trattenuto lì fino a quando non è rientrato Sam. Lui mi ha detto che ho avuto una sincope o qualcosa del genere”.
“Non sei andato in ospedale?”.
“Ma no! Deve essere stato solo stress. Non è un bel periodo questo…”.
Lo diceva lui! Ero semplicemente distrutta ma cercavo di non darlo a vedere.
“Pensavo che Esme ti avesse raccontato. C’era anche lei quando è accaduto…” mi disse.
“No” biascicai. “Mi ha solo detto di non preoccuparmi, che era tutto sotto controllo”.
“Ah. Comunque avrei voluto tornare a casa ma Sam ha insistito che non voleva lasciarmi solo stanotte, visto che gli avevi detto che non saresti rincasata e così sono andato a dormire da Billy. Piuttosto cosa è successo a Jacob? Stamattina ci siamo incrociati, mentre stavo andando via. Aveva una faccia orribile. Era pallido come un cencio. Sembrava che faticasse perfino a camminare…”.
Accidenti! Non avevo pensato a una storiella su Jake.
“In realtà non lo so bene nemmeno io. E’ passato dai Cullen verso sera per salutarmi e mentre era lì non si è sentito bene. Ha vomitato tanto da non riuscire a stare in piedi. Ha raccontato a Carlisle che aveva mangiato del pesce in un chiosco a Port Angeles nel pomeriggio e lui ha pensato a un’intossicazione. Avrebbe voluto portarlo al pronto soccorso ma Jake si è rifiutato e così Carlisle l’ha messo di fronte a una sola alternativa: l’ospedale oppure rimanere in osservazione a casa loro. Stamattina stava meglio, altrimenti non l’avrebbe lasciato andare via”.
“Capisco, ma allora dovrebbe sporgere denuncia!” esclamò Charlie, rivestendo subito i panni di sceriffo di Forks.
“Non credo che lo farà. Non ha dato molta importanza alla cosa, anche se ha corso un bel rischio, secondo Carlisle…”.
“Lo credo! Non si gioca col pesce avariato! Comunque Rachel mi ha confermato la cena di stasera…”.
“Come?!” esclamai incredula. “Con te e Jake che non siete stati bene?! E’ assurdo…”.
“Beh, non tanto per me perché io sto benissimo, quanto piuttosto per lui che non avrà molta fame… Però ha detto che la faranno ugualmente. A te va bene, no?”.
“Ce-Certo” sillabai. In realtà non andava bene per niente perché avrei voluto stare con Edward e la sua famiglia, ma ormai avevo già confermato la mia presenza e non potevo farmi negare, né spiegare a mio padre la situazione. Anzi, riflettendoci avrei dovuto anche inventarmi una storiella per giustificare da adesso in poi la scomparsa di Esme. Cielo, com’era tutto complicato! Se avessi potuto raccontargli la verità…
La giornata trascorse tra le faccende di casa e la preparazione della torta di Jacob. Ogni tanto buttavo un occhio fuori per vedere se scorgevo Edward tra la vegetazione del bosco, ma aveva mantenuto la promessa di controllarmi da lontano. Strano a pensarsi, non ne sentii la mancanza. Mio padre aveva preso una giornata di ferie, era rimasto tutto il giorno in casa ed era particolarmente loquace. Ogni tanto interrompevo ciò che stavo facendo per andare a fare quattro chiacchiere in sala con lui, che sembrava estremamente soddisfatto ogni volta che facevo la mia apparizione. Non so se fosse perché in fondo si era spaventato anche lui oppure semplicemente perché negli ultimi tempi mi ero fatta spesso negare. All’inizio la presunta bronchite di Edward aveva giustificato le mie assenze, poi, quando gli avevo detto che era guarito, aveva continuato a non protestare, anche se mi vedeva assai di rado. E, pensandoci bene, doveva essere proprio questa la motivazione che lo spingeva a starmi incollato. Mi seguì perfino in cucina e mi tenne compagnia mentre cucinavo il dolce. Ero contenta perché la sua presenza mi distoglieva dal pensiero dei Volturi e di Esme, anche se non potei fare a meno di pensare a lei quando estrassi la torta dal forno. L’aspetto non era dei più incoraggianti e se l’avessi fatta con il suo appoggio sarebbe venuta sicuramente meglio, ma mi aggrappai all’idea che almeno il sapore fosse all’altezza delle mie aspettative.
Verso sera Edward mi telefonò per tranquillizzarmi: Demetri non era a Forks, quindi era praticamente impossibile che ci attaccasse. Potevo stare a La Push senza paura. Comunque, si raccomandò di portare con me il cellulare che mi aveva regalato qualche settimana prima e avvertirlo in caso di necessità. Sarebbe venuto ugualmente, anche a costo di violare il patto. Mi sentii più sollevata quando riagganciai.
“Allora Bells? Andiamo?” mi incalzò mio padre.
Raccolsi regalo e torta e uscii con Charlie. In poco meno di dieci minuti eravamo davanti a casa Black. Fu Rachel ad accoglierci, avvolta in un enorme grembiule, decisamente troppo più largo di lei. Ci regalò uno dei suoi sorrisoni e ci invitò a entrare. Fui stupita di sentire un gran baccano provenire dal salotto: sembrava ci fossero soldati di un esercito in libera uscita. Riponemmo i cappotti sull’attaccapanni e la seguimmo. In salotto trovammo Emily, Billy e Paul in allegra conversazione; seduti sul divano, davanti al televisore, Jacob e Sam stavano giocando con la Playstation, urlando come dannati.
“Non pensavo che ci fossero tutte queste persone” dissi, rivolta a Rachel. “Avevo capito che saremmo stati in pochi… Non credo che la torta basterà per tutti”.
“Oh non ti preoccupare, Bella. Ho preparato dei dolci anch’io. Piuttosto, non dovevi assolutamente disturbarti” mi ringraziò mentre gliela porgevo. Si diresse subito in cucina, per sistemarla nel forno ancora caldo.
“Sai, effettivamente doveva essere una festa ristretta, ma dopo quello che è successo stanotte ho pensato che era meglio una cosa più in grande” si giustificò mentre controllava la cottura dell’arrosto.
“Quindi verranno anche gli altri?” domandai.
“No. Siamo solo noi” mi liquidò e nella sua voce lessi una sottile disapprovazione.
“Erano impegnati?” insistetti.
“Già…”.
Non sembrava un argomento di cui gradisse parlare, mentre io invece lo trovavo estremamente curioso. Rachel aveva invitato tutto il branco ma Leah, Quil, Embry, Jared e Brady avevano dato forfait. Potevo immaginare le motivazioni che avevano spinto Leah, ma quelle degli altri no. Erano tutti impegnati davvero? A giudicare dall’espressione della sorella di Jacob, no. Immaginai che ci fosse sotto qualcosa, di cui però non voleva mettermi al corrente.
Mi invitò a tornare dagli altri perché tra poco sarebbe stato pronto e non aveva bisogno di una mano. Seguii il suo consiglio, anche perché mi resi conto che non avevo nemmeno fatto gli auguri al festeggiato. Quando lo raggiunsi, Sam aveva appena vinto una gara di Formula Indy e stava sbeffeggiando Jake per la sua scarsa attitudine a quel videogioco. Mi avvicinai timidamente, in attesa che fosse lui a prestarmi la sua attenzione. Non dovetti aspettare molto, probabilmente perché voleva sfuggire alle burle di Sam. Incrociò il mio sguardo.
“Buon compleanno” dissi semplicemente.
Mi sorrise e si alzò per ricevere il mio abbraccio.
“Grazie, Bells” sussurrò.
Quell’abbraccio sciolse l’abituale resistenza, che tentavo di instaurare fra noi, per rispetto nei confronti di Edward. La sera precedente avevo rischiato di perderlo per sempre e non me lo sarei mai perdonato. Esme era morta e mi sentivo in colpa nei suoi confronti e in quelli di tutti i Cullen, ma lui era con me. Ero ignobile, ma la gioia che provavo nell’averlo ancora al mio fianco era di gran lunga superiore al dolore per la morte di Esme. Le chiesi perdono mentalmente, ma non potevo trattenere la felicità.
“Ehi Jake, vuoi stritolarla?” ridacchiò Emily, che si era avvicinata a noi. Jacob mi lasciò subito andare, con mio grande disappunto, come un bambino appena richiamato all’ordine dalla maestra. Mi voltai verso di lei.
“Come stai? E’ da un pezzo che non ci vediamo…” mi disse.
Annuii. Era da tre mesi, da quel giorno al supermercato.
“Sam mi ha raccontato di ieri… Come stanno i Cullen?” sussurrò, prestando attenzione che mio padre fosse assorbito per bene dai discorsi di Billy e Paul.
“Purtroppo non molto bene… E’ dura” mi limitai a rispondere.
Constatando il mio atteggiamento restio, cambiò discorso. Non ero imbarazzata perché non volevo parlare della morte di Esme, ma perché avrei finito per paragonare il dolore dei Cullen alla perdita di Seth, e non volevo guastare una serata di festa con argomenti così lugubri. Jacob stesso parlava ma sembrava che si sforzasse, che non fosse del suo solito umore. Forse questo ritrovo non era stato una buona idea, ma era necessario. Per me non era una festa di compleanno, ma quasi un secondo giorno del ringraziamento perché il festeggiato e mio padre erano ancora vivi.
Stavamo chiacchierando amabilmente, quando Rachel ci chiamò per la cena.
Avevano allestito una tavolata proprio in mezzo al salone, l’unica camera abbastanza grande per poter contenere tutti quanti. Jacob, come prevedibile, fu fatto sedere a capotavola, anche se cercò di opporsi in tutte le maniere. Vicino a lui, da una parte c’ero io, e dall’altra, esattamente di fronte a me, Emily, che continuò a parlare e coinvolse nella conversazione Sam che le era seduto accanto.
Erano davvero una bella coppia. Non potevo fare a meno di ammirarli. Sam non mi piaceva a livello personale, però non potevo negare che fossero senza dubbio perfetti insieme. Lei era così amabile e dolce da riuscire a mettere tutti quanti a proprio agio. Non avevo mai passato molto tempo in sua compagnia, però non mi ero mai sentita in imbarazzo con lei, cosa che puntualmente avveniva con quelle che definivo, con mio padre, “amiche”, come Angela e Jessica. Per certi versi mi ricordava Desirèe, anche se difficilmente le avrei confidato i miei sentimenti più intimi, come invece era accaduto con l’adorabile figlia di Tanya. Non era una persona esuberante, tuttavia attirava l’attenzione in maniera timida per poi tenerti incollata a sé. Non annoiava mai, anche se parlava di pentole o di esami dell’ultimo anno di liceo, come stavano facendo in questo momento lei e Jacob. Sam la osservava ogni tanto e la prendeva in giro benevolmente; lei allora rispondeva con un sorriso. Adoravo come si guardavano. Non li avevo mai visti prendersi per mano o abbracciarsi davanti a me, però anche se lui fosse stato seduto dalla parte opposta del tavolo non ci sarebbero stati dubbi sul fatto che fossero una coppia. Emanavano elettricità. Mi comunicavano una singolare e irresistibile sensazione di complicità e li invidiavo. Sperai che anche Edward ed io dall’esterno dessimo quell’impressione.
La cena passò fin troppo velocemente e tutta la tavolata fu coinvolta in un’unica, gigantesca conversazione. Non pensai nemmeno un istante ai Volturi e a tutto quello che ne poteva conseguire, ma soltanto a quell’ondata di serenità che non sentivo da troppo tempo. Perfino mio padre, bevendo un po’ di vino, era diventato più loquace del solito. Si era messo a raccontare di come aveva conosciuto e corteggiato la mamma, con aneddoti che non conoscevo affatto ed alcuni estremamente divertenti.
Ben presto fu un continuo sovrapporsi di risate e sberleffi, anche da parte mia.
Era tutto strano. A parte Jacob e mio padre, conoscevo pochissimo le altre persone, eppure si era creata quella particolare atmosfera per cui ti senti parte di una famiglia. Questa sensazione l’avevo sentita solo con i Cullen, mentre ora scoprivo che esisteva anche altrove. Li fissai uno ad uno e sentii una devastante angoscia, come se avvertissi il momento di un’imminente separazione. E sapevo il perché. Prima o poi sarei stata trasformata e serate simili non ce ne sarebbero più state. Ne avrei avute di tipo diverso, ma queste, dove si stava seduti tutti intorno a un tavolo a mangiare e a scherzare non sarebbero più esistite. Anzi, se non ci fossero stati i Volturi, a quest’ora sarei già stata un vampiro e quindi non sarei nemmeno stata lì. E avrei perso qualcosa di fantastico.
Guardai Jacob, Paul e Sam che, tra una risata e una battuta, continuavano a mangiare, come se i loro stomaci non avessero un fondo. Mio padre prendeva in giro il loro appetito, mentre io li trovavo divertenti e coinvolgenti: facevano sembrare il semplice nutrirsi come qualcosa di appagante. Osservai la fetta di arrosto che avevo lasciato nel piatto e ripresi a tagliarla. Prima o poi non avrei più potuto mangiare quindi era meglio farlo adesso che potevo!
Masticai debolmente, sopraffatta da mille domande. Che cosa mi sarebbe successo una volta trasformata? Il sangue sarebbe diventato la mia unica priorità? Mamma e papà… Non avrei più potuto vederli, così come Jake. Almeno per il primo periodo da Neonata. Tutto sarebbe cambiato perché io sarei cambiata. Divenni improvvisamente terra di conquista di una paura che non avevo mai preso in considerazione e che si affacciava di prepotenza solo in quel momento, dopo mi ero realmente avvicinata alla prospettiva di perdere mio padre e il mio migliore amico.
Era assurdo che proprio adesso fossi spaventata da ciò che avevo desiderato da quando avevo conosciuto Edward. Decisamente assurdo!
Eravamo ormai alla fine del pasto, mancava soltanto il dolce, quando mio padre si voltò verso il festeggiato e, ghignando malignamente, esclamò:“Allora Jake? Qualche cambiamento a 18 anni?”.
“Nessuno, direi” rispose il mio amico scrollando le spalle. “Ma ho diciott’anni da solo un giorno. Vedremo più avanti…”.
“Ah sì?” replicò Charlie sollevando un angolo della bocca. “Ti dirò: pensavo di trovare qualcun altro, oltre a noi, seduto a questo tavolo”.
“Chi?”.
Mio padre tacque, calamitando l’attenzione di tutti quanti su di sé.
“La tua ragazza…”.
Mi cadde la forchetta per terra e non feci niente per raccoglierla.
“Di che ragazza parli?” domandò Jacob, improvvisamente serio.
“Di quella che ho visto a passeggio con te a Port Angeles tre settimane fa… Una bella biondina alta…”.
Si addensò un silenzio inquietante. Gli sguardi di tutti, compreso il mio, si diressero su Jacob, in attesa di una risposta, e lui, pulendosi la bocca col tovagliolo, ostentando un’assoluta calma, replicò:“E’ solo un’amica…”.
“Però la tenevi per mano…”.
Incollai lo sguardo su di lui in attesa che spiegasse ciò che aveva visto Charlie, ma la spiegazione non arrivò. Teneva per mano una ragazza? Chi? Sam e Emily si lanciarono una rapida occhiata d’intesa. Guardai anche gli altri commensali. Billy stava mangiando nervosamente l’ultima briciola di pane, mentre Rachel aveva abbassato lo sguardo. Paul le chiese dov’era la maionese e sparì in cucina. Avevo l’orribile presentimento che tutti, tranne me, sapessero a cosa si riferiva mio padre, ma nessuno lo volesse ammettere.
“Comunque” iniziò Charlie, rivolto a Billy. “Ti conviene stare attento, amico mio, perché i ragazzi di oggi corrono molto veloci! Guarda mia figlia: a 19 anni doveva già essere sposata e devo ringraziare una bronchite se non lo è ancora! Quindi, può darsi che il prossimo anno tocchi a Jacob!”.
“Giusto” si illuminò Emily, voltandosi verso di me, cogliendo l’occasione al balzo. “Edward è guarito da un pezzo ormai. Quando pensate di fissare una nuova data?”.
“Non ne abbiamo più parlato. Sai, Carlisle è molto impegnato sul lavoro e non riesce a prendersi nemmeno un pomeriggio libero. Per di più, adesso hanno dei problemi familiari, quindi onestamente non ce la sentiamo…”.
“Che problemi?” domandò trasecolato Charlie. “Non me ne hai mai parlato”.
“Il fatto è che sono cose loro” inventai. “E mi hanno pregato di non farne parola con nessuno, per il momento”.
“Capisco…” concluse Charlie, non trattenendosi dal tirare un sospiro di sollievo.
In altre condizioni avrei sbottato per il fatto che sembrava contento che il matrimonio fosse saltato a data da destinarsi, ma ero assorta da Jacob e dal suo masticare convulso. A passeggio a Port Angeles, mano nella mano, con una ragazza. Chi era? E perché non me ne aveva mai accennato?

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Capitolo 51
*** Rosalie e Jacob ***


Rachel iniziò a sparecchiare ed Emily ed io la aiutammo, mentre gli uomini di casa cominciarono a girare per sgranchirsi le gambe. Mentre spostavo i piatti sporchi, tenni sempre Jake sotto controllo. Era uscito con Sam. Stavano parlando sotto il portico. Sembravano tranquilli e li sentii anche ridere più volte. Poi Sam rientrò. Vidi che Rachel e Emily potevano farcela anche senza di me e ne approfittai per raggiungere Jake. Si era seduto su una delle sedie di paglia dell’ingresso e aveva appoggiato i piedi sulla ringhiera di legno, con lo sguardo fisso nel vuoto.
Quando mi avvicinai, non disse nulla. Era triste, come se le risate di qualche minuto prima non fossero mai avvenute. Seguii i lineamenti rilassati del suo volto e lo osservai muscolo per muscolo fino a che non raggiunsi il braccio. Aveva ancora il segno del morso di Rosalie. Indugiai a lungo su di esso e se ne accorse. Lo alzò e mi rassicurò:“Andrà via. Ci vuole un po’ più di tempo del solito per via del veleno. Sam mi ha detto che rovina l’epidermide, come tu ben sai… In ogni caso, appena mi sarò ripreso completamente, il braccio tornerà come prima”.
Le sue parole mi riportarono alla mente quando James mi aveva morso la mano: Edward mi aveva dovuto mordere a sua volta per impedirmi un’allora indesiderata trasformazione. Ma a me, a differenza di Jacob, la cicatrice non sarebbe più andata via. La toccai: era il mio indelebile ricordo del primo assalto da parte di un vampiro. Era fredda e la pelle in quel punto era più chiara e liscia.
“Sono contento di questa piccola festa” affermò. “Non ti nascondo che quando Rachel oggi pomeriggio mi aveva raccontato di quello che aveva organizzato, avevo nutrito seri dubbi e non ne ero affatto convinto. Ma ora sono felice di questa sua iniziativa”.
“E io sono contenta che tu lo sia” gli sorrisi. “Ti meritavi un po’ di gioia, dopo tutto quello è successo…”.
Strinse le labbra e annuì più volte.
“Mi manca molto. Seth, intendo” ammise dolorosamente.
“Lo capisco. Anche a me manca tanto. Era un ragazzo adorabile…”.
Jake abbassò lo sguardo e tacque. Era un argomento penoso e non era giusto rovinare la serata pensando a chi non c’era più, anche se mi trovai a pensare ad Edward e a tutta la sua famiglia.
Una brezza gelida soffiò nella nostra direzione. Era una serata molto fredda e non poteva essere altrimenti: tempo tre settimane e sarebbe stato Natale. Chissà se avrei avuto la possibilità di festeggiarlo… Rabbrividii per il freddo mentre Jacob, in mezze maniche, non ne era scalfito, ma si accorse che stavo tremando.
“Credo che sia meglio che torni dentro. Non puoi stare qua fuori senza cappotto…” mi disse. Il suo tono era gentile, tuttavia contribuì a togliermi completamente la sensibilità.
Fino a poco tempo prima si sarebbe alzato e mi avrebbe abbracciato per scaldarmi, ora invece sembrava che l’idea non gli fosse neanche balenata nel cervello. Era giusto così, visto che io ero fidanzata con un altro, ma da quando Jacob si faceva dei problemi nei confronti di Edward? Era ancora dolce, buono e gentile con me, ma non affettuoso. Non era il mio solito Jake. Avevo fatto o detto qualcosa che non aveva gradito? No. Nelle ultime settimane non ci eravamo praticamente mai visti, ma la nostra lontananza non era imputabile solo a me, anche lui si era fatto negare. E dopo la conversazione avuta a cena, potevo avere una spiegazione. La ragazza a cui aveva accennato mio padre: chi era? Se esisteva davvero, perché non me ne aveva mai parlato? Eravamo amici, o almeno questo credevo. Se avesse trovato una fidanzata me l’avrebbe detto.
“Mi dispiace se papà prima ti ha messo in imbarazzo… Non era sua intenzione” dissi, con sottile curiosità.
“Non è stato un problema” minimizzò, senza proseguire oltre. Non aveva proprio voglia di parlarne.
“Hai una nuova amica?” insistetti.
Non rispose e questo silenzio fu una conferma. Non era un’amica, ma qualcos’altro. Stavo per fargli una nuova domanda, quando Rachel mise la testa fuori dalla porta, invitandoci a rientrare per la torta e la consegna dei regali. Jake obbedì immediatamente, come se sua sorella l’avesse salvato da una trappola, e lo seguii.
Il resto della serata volò. Mangiammo la torta ed ebbi modo di constatare che il mio dolce era di gran lunga inferiore a quello di Esme. Tutti mi fecero i complimenti, ma, a parte Jake, nessuno poteva sapere come sarebbe venuta se ci fosse stata lei ad aiutarmi. Subito dopo il festeggiato aprì i regali e fu estremamente soddisfatto del mio: aveva urgentemente bisogno del carburatore della moto, pena restare a piedi. Dedicammo l’ultima mezz’ora ad altre chiacchiere fino a che, a mezzanotte, Charlie ed io decidemmo di rientrare. Anche gli altri ci imitarono e pian piano la casa si svuotò.
Eravamo ancora in macchina, quando ruppi il silenzio con una domanda, per Charlie, assai inaspettata:“Quando l’hai visto Jacob? Intendo dire a Port Angeles…”.
“L’ho già detto prima. Tre settimane fa”.
“Perché non me l’hai raccontato?”.
“Ma veramente io pensavo che tu lo sapessi già. Non siete così amici da raccontarvi tutto?”.
Non ne ero più così sicura.
“Comunque, era un pomeriggio durante la settimana. Ero andato alla centrale di Port Angeles per consegnare rapporti e verificare alcune segnalazioni sulla scomparsa di Seth, quando l’ho visto. Camminava mano nella mano con una ragazza bionda…”.
“Ma lui non ti ha visto?”.
“No, loro erano a piedi, io fermo al semaforo, in macchina”.
“Come fai a essere sicuro che fosse lui? In fondo la vista ti è calata parecchio in quest’ultimo periodo…” ipotizzai, ridacchiando.
“Ehi poco offendere, ragazzina! Sono ancora il tuo vecchio! Comunque, Jacob non è confondibile. Ci sono pochi ragazzi alti come lui! E prima non ha negato”.
Effettivamente Jake lo si notava lontano un miglio. Il suo metro e novanta non passava inosservato. Optai allora per un’altra strategia.
“La ragazza chi era? L’hai vista?”.
“No, Bella” disse, alzando gli occhi al cielo. “Non l’ho messa bene a fuoco. Solo bionda, capelli lunghi e molto alta”.
“Alta?”.
“Beh sì, ovviamente più bassa di Jake, ma certo non faceva la figura che fai tu vicino a lui” fu il suo turno di prendermi in giro.
“Non è colpa mia se tu e mamma mi avete fatta bassa! Potevate impegnarvi di più!” sbuffai. Poi non ero così bassa, ma circondata da gente tanto più alta di me. Sovrastavo solo Alice.
“Comunque, non era di La Push” concluse Charlie.
“Perché? Come fai a dirlo?”.
“Hai mai visto delle bionde qua?” commentò sardonico. “Siamo in una riserva indiana, Bells. Qua non ci sono bionde, né tanto meno ragazze con la pelle così bianca”.
“Come? Pelle bianca?” domandai incredula.
“Sì. E’ stata la prima cosa che ho notato perché contrastava con la carnagione di Jake…”.
“Ma hai detto che non l’hai vista in faccia. Come hai fatto a vederne la pelle? Avrà avuto un cappotto, no?”.
“Aveva una giacchetta e la mini gonna”.
Restai senza parole e mio padre continuò:“Comunque, sono contento per lui se ha trovato una ragazza che gli piace. Era ora. Tanto tu hai deciso ed è inutile stare a consumarsi dietro una che non ti vuole. Spero che le cose per quei due vadano bene. Quel ragazzo si merita un po’ di pace dopo tutto quello che ha passato, prima con l’incidente dei suoi genitori, poi con te…”.
Mio padre parlava con un velato accenno di rimprovero mentre io non lo ascoltavo più.
Bionda, alta, carnagione chiara. Non era chiaramente di La Push. Poco vestita, nonostante il freddo. I vampiri e i licantropi sono immuni a sbalzi di temperatura, ma che fosse un vampiro quello a passeggio con Jake era assurdo solo pensarlo. Eppure più mi sforzavo di cancellare quest’eventualità, più premeva sulle altre. Bionda, alta, carnagione chiara. Mi mordicchiai nervosamente l’unghia del pollice. Capelli lunghi.
Quando arrivammo davanti a casa, mio padre fu costretto a terminare la filippica su Jacob e si stava apprestando a scendere dalla macchina quando lo afferrai per un braccio. “I capelli com’erano? Dritti, mossi, ricci?” domandai freneticamente.
“Eh? Bella, ma di che stai parlando?!”.
“Della ragazza…”.
“Non lo so… Mi sembra…” e si zittì, facendo ricorso a tutte le sue facoltà di memoria. “Ricci. O forse no. Non proprio ricci…”.
“Boccoli?” lo aiutai, mimando col dito la forma del capello.
“Sì, proprio così” confermò. Poi scese dalla macchina invitandomi a fare altrettanto. Ma la conclusione che avevo così tenacemente ricercato mi aveva sbalordita e faticai ad aprire la portiera.
Bionda, alta, capelli lunghi, con i boccoli. In una parola: Rosalie.
No, era impossibile. Non poteva essere vero. Jacob non sarebbe mai andato a passeggio con lei, con quella che “avrebbe ucciso per prima dei Cullen”. Erano parole sue queste.
Quando rientrai, diedi la buonanotte a mio padre come un automa e andai a letto. Mi preparai per la notte e aspettai che andasse a dormire. Cosa che avvenne di lì a cinque minuti. L’istante successivo Edward fece la sua comparsa dalla finestra e ringraziai Dio. Senza di lui non sarei mai riuscita a dormire, soprattutto dopo quello che la mia mente aveva appena fantasticato.
Riuscii ad addormentarmi senza problema. Con Edward accanto era tutto facile. Bastava stringerlo, come un bambino col suo orsacchiotto di peluche, perché mi tranquillizzassi e riuscissi ad addormentarmi. A volte mi irritava l’eccessiva calma che riusciva a conferirmi, ma, in fondo, era meglio così.
La mattina, quando mi svegliai, era accanto a me, come al solito. Mi sorrise, premuroso: era un bellissimo sogno che non volevo nessuno infrangesse, né da cui tanto meno volevo essere distratta. Eppure, nonostante fossi consapevole della mia stupidità, durante la giornata si riaffacciò più volte la conversazione avuta con mio padre e soprattutto la reazione a tavola di Jacob. Purtroppo questo pensiero fisso mi perseguitò per una settimana suonata, anche mentre ero con Edward. Era irritante e sconcertante, ma non potevo farci niente.
Analizzai a fondo la situazione e tutti i particolari che potevano essermi sfuggiti.
Questa ragazza bionda esisteva sicuramente, per stessa ammissione di Jake che non aveva negato di fronte a mio padre. Quindi non era soltanto un’amica. Non aveva tenuto mai per mano nemmeno me, anche se avevamo spesso atteggiamenti affettuosi in pubblico.
Non era di La Push, come già affermato da Charlie, se aveva la pelle così chiara, però questo non implicava che dovesse essere per forza un vampiro. Poteva essere soltanto una ragazza molto pallida, conosciuta in un bar. Però perché non me ne aveva mai accennato? Si vergognava, forse? Se sì, perché avrebbe dovuto?
In questi ultimi due mesi non l’avevo praticamente mai visto e a questo punto tutto tornava: aveva conosciuto una ragazza e si era dedicato a lei. Logico, ma pur sempre irritante. Io pensavo che fosse sparito per stare vicino a Leah e a sua madre, non perché si fosse trovato una fidanzata. Una fidanzata che la sua famiglia non sembrava approvare, a giudicare dalle espressioni che avevo intravisto. Addirittura Paul sembrava che si fosse alterato: era sparito in cucina! Perché? Che cosa poteva avere questa ragazza che a loro non piaceva? Che cosa poteva non piacere a un branco di licantropi? Risposta scontata.
Alta, bionda, capelli inanellati in lunghi boccoli.
Sapevo cosa avevo visto quella sera, quando ero entrata nella camera di Jacob. Rosalie era seduta sulle sue gambe e lo stava abbracciando, anzi gli era letteralmente spalmata addosso. E a giudicare da come la stringeva, lui non disdegnava assolutamente.
Nei primi minuti di stordimento avevo pensato che fosse un bacio di ringraziamento o qualcosa del genere, ma ora, a mente lucida, bacio di ringraziamento un corno! Non era sulla guancia e nemmeno da amici, ammesso che possa esistere un bacio del genere. Quello che avevo visto sottintendeva ben altro.
Improvvisamente mi accorsi di essere andata in iperventilazione. Dovetti trattenere un attimo il fiato per riprendere una respirazione regolare.
Quella ragazza di Port Angeles era Rosalie, ne ero convinta, ormai, ma non riuscivo a giustificare la mia deduzione. Era in crisi con Emmett: questo me l’aveva detto Alice, già prima che ci fosse tutta questa storia di Desirèe e dei Volturi, ma come aveva fatto ad arrivare a Jacob? Si odiavano a morte, lo sapevo, sarebbe stato evidente anche a un cieco. Quel giorno a First Beach, se non mi fossi frapposta fra loro, si sarebbero ammazzati; ma allora cosa era successo dopo? C’era stato qualcosa, un evento che li aveva fatti avvicinare. Il combattimento con Lehausle, forse? Jacob l’aveva riportata a casa, ma il giorno dopo si era presentato con Leah e Sam, ben deciso a ucciderla, almeno all’apparenza. Poi lei era sparita tutta la notte con il branco. Era successo qualcosa in quell’occasione? Per quanto sfogliassi soluzioni alternative, non riuscivo a venirne a capo. Non avevo elementi sufficienti.
Se era davvero lei quella ragazza, allora significava che si frequentavano assiduamente e il branco ovviamente disapprovava. Frequentarsi assiduamente? Impossibile. Come avrebbe potuto sfuggire alle previsioni di Alice e alla telepatia di Edward? A meno che… Santo cielo, stavo sragionando. Loro due non avrebbero mai appoggiato i capricci di Rosalie, soprattutto Edward. Probabilmente erano usciti un paio di volte soltanto e mio padre li aveva beccati in una di quelle rare occasioni. Sì, era così per forza. Però non avrebbe potuto nascondere ugualmente questi eventi ad Edward ed Alice.
Senza alcun nesso logico mi venne in mente un episodio a cui avevo assistito circa due settimane prima. Ricordavo che ero seduta nel salotto di casa mia con Edward e stavamo parlottando dei Volturi e del fatto che, secondo me, una mia trasformazione anticipata al matrimonio, avrebbe potuto essere di aiuto, cosa che lui aveva ovviamente negato: voleva la cerimonia a tutti i costi, anche perché altrimenti non mi avrebbe concesso la luna di miele. Mi stava prendendo in giro per la mia ferrea decisione a non voler rinunciare alla “prima volta” da umana, quando il suo viso aveva cambiato espressione e i suoi occhi si erano fatti di un color dorato così scuro da sembrare quasi nocciola. Potevo leggergli rancore e rabbia crescenti.
“Cosa c’è, amore?” gli avevo chiesto, timorosa di aver detto qualcosa che potesse averlo infastidito.
“Niente, tesoro. Scusami. Esco un attimo. Non ti muovere” mi aveva rassicurato prima di varcare velocemente la porta di casa mia.
Inutile dire che volevo sapere che cosa lo avesse fatto infuriare in questa maniera. E per fortuna! Altrimenti chissà come sarebbe finita.
Quando sbirciai dalla porta, vidi che aveva afferrato Jacob e lo aveva sbattuto contro la corteccia di un albero. Nonostante la stazza del mio amico, Edward riusciva a tenerlo sollevato per il collo. Aprii la porta con un tonfo e corsi in giardino. Non capii perché lo avesse attaccato così violentemente, ma sapevo che Jake non aspettava altro per cominciare un combattimento. Li raggiunsi ed afferrai Edward per un braccio, pregandolo di lasciarlo andare e mi accorsi, con profondo stupore, che Jake non stava tremando e non sembrava nemmeno prossimo alla trasformazione. Appariva tranquillo, per quanto la situazione lo potesse permettere.
“Non immaginavo…” ansimò, sostenendo lo sguardo di Edward.
Jacob si stava giustificando?! Pensai di essere in un film di fantascienza.
“Lascialo!” lo implorai e il mio fidanzato ubbidì, anche se ebbi l’impressione che l’avesse fatto non per accontentare me, ma solo perché non voleva oltrepassare un certo limite. Ancora.
“Un altro scherzetto del genere e ti ammazzo. Fai in modo che non torni a casa sulle sue gambe e sei morto, mi hai capito bene, cane?!” esclamò, mostrando i canini per dimostrargli che non stava scherzando. Jake non rispose, si limitò a salutarmi e corse via. Non seppi mai perché era venuto lì ed Edward non mi spiegò mai qual era stata la causa scatenante del litigio.
Forse avevano litigato per Rosalie. Ma perché avrebbero dovuto? Edward mal sopportava Rose. E poi cosa avrebbe potuto fare Jacob di così terribile da indurlo a una reazione del genere? Forse riguardava me, anche se risultava difficile crederlo visto che in due mesi Jake ed io ci eravamo visti forse quattro volte. Quell’episodio era rimasto un buco nero, ma se la mia deduzione fosse stata giusta, ciò implicava che il mio fidanzato sapesse qualcosa che non mi aveva detto.
“… quindi questa è la scusa che Carlisle sta mettendo in giro all’ospedale. E tu dovrai sostenerla con Charlie” concluse Edward, durante una conversazione nel corso di un tranquillo pomeriggio a casa mia. Mi fissò, aspettandosi un cenno d’assenso, ma ero stata talmente assorbita da tutte le mie illazioni su Rose e Jake che non avevo capito nulla.
“Cosa?” domandai smarrita.
“Stavo parlando della scusa che Carlisle ha inventato per giustificare la sparizione di Esme…”.
“Quale?”.
“Che sono in crisi e che Esme vuole il divorzio. Per questo se ne è andata da Forks ed è tornata a New York. Bella, mi stai ascoltando?”.
“Scusami” mormorai. “Il fatto è che sono successe delle cose che mi stanno turbando e tendo a perdermi nei discorsi. Comunque, ho capito. Sosterrò questa bugia anche con papà…”.
Edward non ne sembrò convinto e io decisi di cogliere l’occasione al volo per avere risposte alle mie domande. Volevo sapere cosa c’era fra Jacob e Rose.
“Senti, Edward, vorrei parlarti di una cosa, che tu sicuramente considererai banale, soprattutto dopo gli ultimi eventi, ma ho bisogno di sapere” iniziai indecisa, giocando nervosamente con le unghie e senza il coraggio di affrontare il suo splendido sguardo.
“Dimmi, Bella. Sai, che i tuoi problemi per me non sono mai stupidi, nemmeno se non riuscissi ad allacciarti le scarpe” mi sorrise delizioso.
“Quella notte in cui Jacob ha rischiato di morire” sospirai, respirando a fatica al solo pensiero. “Quando sono tornata da lui, dopo che avevamo chiamato Rachel per avvisarla che stava bene, l’ho trovato con Rosalie e sono rimasta sconvolta perché quando sono entrata, loro…”. Fui costretta a fermarmi sia per l’imbarazzo di affrontare quella conversazione con Edward, sia perché l’immagine di quello che avevo visto mi illuminò nuovamente come il flash di una macchina fotografica e mi fece avvampare.
“Sì?” mi incoraggiò il mio fidanzato.
“Si stavano baciando” ammisi. “E non sulla guancia. Sembrava uno di quei baci che si vedono nei film” rincarai, cercando di fargli capire il perché del mio sgomento, e a giudicare dalla sua espressione ci riuscii. Prima apparve incredulo, poi fu il suo turno ad abbassare lo sguardo e questo non mi piacque per niente.
“Capisco. E la cosa ti ha turbato, vero?”.
Aggrottai la fronte, quasi infuriata. “Certo. Lui e Rosalie si sono sempre odiati. Non facevano altro che provocarsi per attaccare rissa e poi, quando li sorprendo da soli, scopro che tutto questo odio non c’è! Non credi che sia abbastanza sconvolgente?!”.
“Beh sì, effettivamente lo è” chiosò con un sorriso di circostanza e non disse altro, come se per lui il problema fosse finito lì.
“Quindi?” domandai.
“Cosa?”.
“Come cosa?! Ti sto dicendo che il mio migliore amico e tua sorella si stavano baciando appassionatamente e tu non dici niente?”.
“Non so cosa dire. In fondo, stiamo parlando della vita di Rosalie, non della mia. Non mi interessa cosa fa…”.
“Sì, d’accordo, ma non lo trovi strano? Non credo che Jacob si sentisse così grato per la sua vita da baciarla e comunque lei non si sarebbe mai fatta baciare. C’è qualcosa che non torna…”.
“Ribadisco che sono affari loro e io non ci voglio entrare…” disse quasi seccato.
Questo suo atteggiamento mi fece andare su tutte le furie e confermò i miei sospetti: lui sapeva qualcosa, qualcosa di cui mi aveva tenuto all’oscuro, anche se ne ignoravo il motivo. Mi alzai dal divano, dove eravamo accomodati, e mi diressi alla finestra, respirando profondamente. Non volevo litigare con lui, perlomeno non per Jacob e Rosalie. Mi stavo sforzando di mantenere la calma, ma più ripensavo a quel bacio, più avvertivo un sapore acidulo in gola.
“Edward” bisbigliai, una volta ritrovata un’apparente tranquillità. “Vorrei che mi dicessi la verità. Sai quanto tengo a Jake e se c’è qualcosa che dovrei sapere, vorrei che fossi tu a dirmelo e non scoprire che me lo hai tenuto volutamente nascosto”.
Sostenne il mio sguardo ma continuò nel suo imperturbabile silenzio.
“C’è qualcosa tra loro?” domandai, abbandonando ogni remora. Il mio fidanzato si passò la mano nei morbidi capelli castani e sospirò. Ennesimo brutto segnale.
“Amore, sono grandi e io non voglio davvero entrare nelle loro beghe… Possono sbrigarsela da soli, senza il nostro aiuto” si limitò a replicare.
“Certo, ma non pensi a tuo fratello? Rosalie è impegnata con Emmett e non credo proprio che avrebbe gradito quello che le ho visto fare…” ribattei stizzita.
“Probabilmente no, ma io ho deciso che starò fuori da questa storia e lo devi fare anche tu”.
“Storia? Che storia?” balbettai, avvicinandomi a piccoli e vacillanti passi.
Continuò a tacere.
“Mio padre ha visto una ragazza bionda mano nella mano con Jacob a Port Angeles tempo fa e quella ragazza, dalla pelle così chiara, non poteva che essere un vampiro. Charlie non conosce Rosalie. L’ha vista solo una volta di sfuggita e non saprebbe riconoscerla, ma era lei, ne sono sicura”.
“Come fai a dirlo? Non hai prove…” replicò gelido.
“Il bacio che ho visto è una prova! E anche le tue obiezioni!”.
“Stai costruendo un’intera città da due pietre”.
Mi bloccai. Il mio tono di voce stava diventando stridulo e non volevo che Edward fraintendesse il motivo del mio interessamento a tutta questa vicenda: volevo solo sapere se Jacob mi stava nascondendo qualcosa e soprattutto proteggerlo, se necessario.
“Rosalie è in crisi con Emmett, almeno così mi ha riferito Alice poco prima del matrimonio, e non vorrei che stesse cercando conforto nelle braccia sbagliate” gli spiegai il più pacatamente possibile.
“Sì, Rose è in crisi, ma ti posso assicurare che non farebbe mai una cosa del genere…”.
“Oh, andiamo! Sappiamo tutti e due quanto è volubile e capricciosa e, se ha deciso che vuole giocare col cuore di Jacob, lo farà, eccome. Magari vuole vendicarsi di lui per tutto il passato e ha deciso di farlo in questa maniera un po’ bizzarra. Tua sorella…”.
“Rosalie non ragiona in questa maniera” mi interruppe deciso. Nei suoi occhi lessi profondo disappunto e rancore e non ne capii il motivo. Era stato proprio lui a farmi più volte questa descrizione poco lusinghiera di sua sorella e ora la stava disattendendo completamente. Mi chiesi se il mondo si fosse capovolto senza che io me ne fossi accorta.
“Non c’è niente di cui ti debba preoccupare, Bella” si raddolcì, accarezzandomi la guancia con l’indice. “Se Rosalie volesse davvero vendicarsi di Jacob, lo farebbe in combattimento, non certo spezzandogli il cuore. E’ una ragazza diretta e non ricorrerebbe mai a questi mezzucci di quart’ordine”.
Sorrisi, affatto convinta. Lo abbracciai, pienamente consapevole del fatto che mi stava nascondendo qualcosa e che non sarei riuscita a spillargli altre informazioni. Decisi che avrei puntato su Alice.
Il giorno dopo andai a casa Cullen, ben sapendo che non avrei trovato Edward a causa di un’uscita di caccia e rimasi seduta in soggiorno in trepidante attesa. Alice aveva sicuramente previsto il motivo della mia venuta e probabilmente si stava già preparando le risposte alle mie domande. Nonostante ciò, volevo provare. Più trascorrevano i minuti e più mi convincevo che tutti mi stessero nascondendo un segreto e io l’avrei scoperto ad ogni costo.
Passai istanti infiniti seduta sul divano, in attesa di un suo cenno, poi infine disse:“Ti va di andare a fare un giro a Forks, in attesa del ritorno di Edward?”.
Ovviamente non era una proposta affatto interessante per me, ma era l’unico modo per poter parlare senza essere ascoltate, considerando che Rose era in camera sua e sicuramente ci avrebbe udite, anche parlando a bassa voce.
Salii sulla sua Porsche giallo canarino e prima che arrivassimo in prossimità del centro, si fermò a bordo strada. “Bella, sappi che non so niente di niente!” sbottò, appena spento il motore. Non mi aspettavo un commento così diretto alle mie inquietudini, ma non persi ugualmente di coraggio.
“E’ impossibile, Alice. Se Rosalie ha una relazione, o come diavolo la vuoi chiamare, alle spalle di Emmett, non puoi non saperlo”.
“Se l’avesse con un licantropo, non lo saprei perché non vedo il suo futuro”.
“Ok, però allora potresti dirmi se quelle volte in cui usciva, dicendo che andava a caccia o da altre parti, la vedevi sempre o meno. In fondo, la controllavi, visto che è obbiettivo dei Volturi, esattamente quanto me…”.
“Tengo d’occhio i Volturi, non voi…” sospirò.
“Va bene, ma sicuramente un’occhiata la dai anche a noi” insistetti petulante.
“Non capisco perché tu ne stia facendo una questione di stato, Bella! Si sono baciati, d’accordo, ma sarà stato un attimo così, dettato da troppe emozioni”.
“Due che si odiano come loro?!” esclamai, sgranando gli occhi. “Alice, puoi dirmi quello che vuoi ma sono sicura che c’è qualcosa che non quadra. Se era così sommersa da tutte queste emozioni, perché non ha baciato Emmett invece che Jacob?!”.
“Santo cielo!” alzò gli occhi al cielo. “Forse si è improvvisamente accorta che Jacob non è così male come sembra. Non lo so! Tu non dovresti preoccuparti di questo!”.
“Se Jake è in pericolo, io lo devo sapere!”.
“Pericolo?!” ridacchiò Alice. “Minacciato da chi? Da Rosalie, la tentatrice? Oh andiamo, Bella, non esagerare. E poi il tuo amico è tutt’altro che indifeso!”.
“A dispetto delle apparenze da bestione grande e grosso, Jake è molto fragile sotto questo aspetto e se Rose lo sta prendendo in giro, devo saperlo”.
“Non è colpa di Rosalie se è diventato così fragile” mi trapassò con lo sguardo.
Mi sentii tremendamente in colpa perché sapevo a cosa stava alludendo.
“Rose non lo sta prendendo in giro, Bella. Ti posso assicurare che il suo benessere sta più a cuore a lei che a te” ribadì quasi acida.
Quella frase mi sconvolse ancora di più, se possibile. Allora avevo visto giusto. C’era qualcosa e Alice ed Edward ne erano a conoscenza. Il punto era: cosa di preciso? Erano usciti un paio di volte e basta? Oppure qualcosa di più? Ripensando a tutta la situazione mi sembrava assurdo anche solo ipotizzarlo. Edward non avrebbe mai permesso a Rose di combinare qualcosa alle spalle di Emmett e se lui non aveva mosso un dito non era successo granché. Continuare a interrogare Alice era inutile: l’aveva sempre protetta e se anche fossimo state lì, in quella piazzola, tutto il giorno, non avrei scoperto di più.
“Va bene. Ti credo” sussurrai, rassegnata.
“Bene. Allora torniamo a casa” esclamò, facendo una brusca inversione a U. Quando rientrammo, Edward era appena tornato dalla caccia. Mi venne incontro, mi abbracciò a lungo e per la prima volta da una settimana potei godere a pieno del suo affetto senza perdermi in assurde congetture su Jacob Black. Gli accarezzai il braccio scoperto dalla manica che aveva sollevato fino al gomito. Stavo bene. Non potevo desiderare niente di più.
Alice e Edward avevano ragione. Non erano fatti miei e Jake era perfettamente in grado di arrangiarsi da solo, senza il mio intervento. E ragionandoci sopra, Rosalie non avrebbe mai tradito Emmett, e soprattutto non con Jacob. Sicuramente non era lei quella a passeggio con Jake quel pomeriggio. Lasciai che questa convinzione si spargesse nella mia mente, regalandomi momenti di tranquillità.
“Kate ha telefonato” disse Edward.
Alzai il viso dal suo petto. La sua affermazione non era diretta a me, ma a sua sorella Alice che annuì. Ovviamente l’aveva prevista.
“Cosa ha detto?” domandai.
“Che arriverà qui domani, insieme a Irina, Carmen ed Eleazar”.
“Come mai?”.
“Non erano venuti prima perché, come noi, erano convinti che, grazie alle previsioni di Alice, avremmo avuto a disposizione più tempo per organizzare una difesa. Ma se il preavviso è di una decina di minuti al massimo, devono essere già a Forks, con noi”.
Effettivamente il discorso non faceva una grinza. Anche perché la prossima volta i Volturi sarebbero venuti sicuramente più numerosi ora che sapevano quanti erano i componenti del branco.
“Resteranno ospiti in casa vostra, dunque?” domandai.
“Sì, fino a che non troveremo un modo per chiudere la faccenda. Spero che non ti dispiaccia…” si preoccupò.
“No, no. E’ tutto ok. Anzi, sono curiosa di conoscere Kate…” e non stavo mentendo. Tanya e Desirèe erano state due persone speciali e mi ero convinta che anche Kate lo fosse, non so per quale legge di natura, visto che non c’era nessun rapporto di parentela fra loro. Lei e Tanya erano sorelle nello stesso modo in cui lo erano Alice e Rosalie e non potevo certo definirle adorabili entrambe!
“Quando arriveranno?”.
“Domani, nel primo pomeriggio” si sovrappose Rose, scendendo le scale. Mi sporsi dalle braccia di Edward per vederla. Indossava jeans molto attillati e una maglietta rossa con una profonda scollatura a V che metteva in risalto la curva perfetta del seno. Aveva una fascia nera che le circondava il capo, raccogliendo i lunghi boccoli dietro le spalle. Aveva scarpe con tacco a spillo che la slanciavano ancora di più. Vicino a lei, Alice sembrava uno dei sette nani e io non facevo una figura migliore.
“Vado a Port Angeles a fare shopping. Vuoi venire?” domandò a sua sorella, a cui sfuggì un sorrisetto di cui non capii l’origine.
“Sì. Vado a cambiarmi le scarpe…” disse salendo le scale.
Erano vestiti semplici, anche se costavano quanto lo stipendio di una persona normale, eppure su di lei tutto appariva come un abito da gran galà. Aveva una figura davvero splendida, per non parlare del viso su cui spiccavano labbra rese luccicanti da un rossetto color fragola. Ma perché non ero bella come lei?
Sentendo il mio sguardo su di sé, mi osservò distratta e poi sorrise. Un sorriso apparentemente amichevole, ma che celava dietro di sé ben altro. Sembrava che mi stesse dicendo:“Sei invidiosa, vero?”. E sì, lo dovevo ammettere, lo ero.
Infine Alice tornò in sala e uscirono.
Quando chiusero la porta, mi tornarono alla mente le parole che Jacob aveva pronunciato su di lei, quel giorno alla spiaggia di La Push:“Un angelo sceso sulla terra”.
No, non lo era affatto. Era bella come un angelo, ma falsa come una demone. E se Jake l’avesse vista davvero in quel modo? Forse si era lasciato abbindolare dalla sua bellezza. Era stato lui a dire che Rosalie era la ragazza più bella che avesse mai visto. L’aveva baciata… Forse solo per attrazione fisica… O forse no. Jake non ragionava in quel modo. E se provasse qualcosa per lei? Rosalie era volubile e capricciosa e non doveva essere stato niente quel bacio, ma per lui?
Decisi.
Poiché gli altri erano trincerati dietro il più omertoso silenzio, sarei andata direttamente da Rosalie e l’avrei costretta a parlare.
Dovevo capire cosa c’era sotto e, se necessario, salvare Jake da quell’arpia.
Non era un angelo e io l’avrei smascherata.
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 52
*** Bella vs Rosalie ***


ATTENZIONE A TUTTI I LETTORI: I PROSSIMI CAPITOLI POTREBBERO CAUSARE ATTACCHI DI PANICO, CRISI DI ASMA E BATTICUORI INCONTROLLATI. SI PREGA DI PRESTARE LA MASSIMA ATTENZIONE E INTERROMPERE LA LETTURA NEL CASO I SINTOMI SI FACCIANO PIU’ INSISTENTI!
 

A parte gli scherzi, i prossimi capitoli potrebbero essere un fulmine al ciel sereno per molte di voi, però se rileggete attentamente i capitoli precedenti capirete che gli avvenimenti raccontati da adesso in poi non erano poi così inimmaginabili.
Un bacione a Seira73, Rebbycullen11 e Pansy Parkinson Potter per le loro recensioni nell’ultimo capitolo. Grazie per non farmi mai mancare il vostro sostegno.






Ero visibilmente emozionata quando Kate mi strinse la mano.
Edward mi aveva appena presentato a lei e agli altri membri della famiglia Denali e i miei occhi si erano fatti lucidi. Era commovente vedere con quale dignità sopportavano il loro dolore e sostenevano i nostri sguardi. Lo stesso comportamento tenuto dai Cullen. Entrambe le famiglie avevano perso un membro importante mentre io ero l’unica immune, fino ad allora, alle stragi perpetrate dai Volturi, anche se partecipe della sofferenza di tutti. Ma Charlie e Jacob erano vivi e questa era la cosa che più mi premeva.
“Sono felice di conoscerti, Bella” disse Kate amichevolmente.
Era l’ennesima avvenente vampira, anche se non quanto Tanya. Aveva sbarazzini capelli a caschetto castani, un minuscolo nasino all’insù e grandi occhi, perfettamente disegnati da ciglia lunghissime. Non avrei saputo darle un’età precisa, anche se sembrava leggermente più giovane di Tanya.
Irina, Carmen ed Eleazar mi furono presentati subito dopo, e, al contrario di Kate, dimostrarono un atteggiamento sospettoso verso di me, soprattutto la prima. Le sfiorai leggermente la mano e la ritrasse subito, soddisfatta di come aveva adempiuto a una semplice formalità burocratica. Non dovevo esserle simpatica, visto che io ero “amica” dei licantropi, di quello stesso branco che aveva fatto a pezzi il suo amico Laurent un anno fa.
Carmen ed Eleazar erano l’unica coppia della famiglia Denali. Non erano americani, a giudicare dai tratti tipicamente latini, anche se l’accento denotava un inglese pressoché perfetto. Avevano entrambi la pelle olivastra e mentre Carmen mostrava un viso tondo, dalle labbra carnose e lineamenti estremamente dolci, il suo compagno aveva un viso lungo, accentuato da una lieve accenno di barba e da folte basette sfioranti la mandibola, completamente fuori moda. A dispetto del suo aspetto molto distinto, dimostrava invece una simpatia davvero contagiosa, per quanto potesse concederlo la situazione.
Per una buona mezz’ora si limitarono a farsi le reciproche condoglianze, a parlare di come fosse successo e del vuoto che avevano lasciato. Momenti nei quali non mi intromisi, pur continuando a osservarli attentamente.
Kate era a pezzi per la perdita della sorella, nonostante cercasse di ostentare un certo distacco. Cosa che le riuscì abbastanza bene, fino a quando non si accorse del ciondolo che portavo al collo: il regalo che mi aveva fatto Desirèe per il mio compleanno, a sua volta regalatole da Tanya. Lo riconobbe e singhiozzò. Ci diede le spalle per poter dare una piccola privacy al suo dolore, ma Rosalie la abbracciò, e solo allora si sentì finalmente libera di piangere.
Era uno spettacolo così triste da spaccare il cuore in due.
Irina guardò sua sorella con disapprovazione e uscì, sbattendo la porta.
“Scusatela” si sentì subito in dovere di intervenire Carmen. “Lei reagisce in questo modo al dolore. E’ molto provata”.
“Non c’è problema” sottolineò Carlisle. “Capiamo, purtroppo, perfettamente ciò che prova”.
Rosalie fece sedere Kate vicino a sé sul divano e le parlò sottovoce, mentre Carmen ed Eleazar discutevano con il resto della famiglia. Loro, per quanto addolorati, sembravano meno sconvolti di Kate ed Irina. Questo derivava probabilmente dal fatto che si erano uniti alle tre sorelle in epoca relativamente recente e quindi erano meno affezionati a Tanya di quanto non lo fossero le altre. Scrutai Rose: da quando era emersa questa storia di Desirèe, era diventata apparentemente più umana e partecipe delle pene altrui. Aveva pianto spesso, tentato di consolare Tanya in tutti i modi possibili e assunto anche un atteggiamento più affettuoso, soprattutto verso Alice, che vedevo abbracciare spesso, cosa che prima non le avevo mai visto fare. Gli avvenimenti recenti la stavano cambiando.
Non avrei mai dimenticato quella mattina, quando sarebbe stata pronta a farsi uccidere da Leah: evidentemente il senso di colpa per la morte di Seth doveva essere stato assai logorante per convincerla a seguire questa direzione. Forse non era così male, come credevo. Anche se non andavamo d’accordo su nulla, non potevo negare che avesse un’anima e un cuore.
“Quindi adesso qual è la strategia che intendete seguire?” domandò Eleazar, riportandomi improvvisamente al presente.
“Grazie ad Alice, possiamo riuscire a prevedere le loro mosse, anche se purtroppo non con il largo anticipo che speravamo…” disse Carlisle con una punta di amarezza.
“Come mai?”.
“Temiamo che i Volturi abbiano capito come funzionano i suoi poteri e quindi riescano a sfruttarne i punti ciechi. Decisioni prese all’ultimo minuto possono metterci in difficoltà, così come piani di attacco che riguardino in una qualche maniera il branco…” chiarì il mio fidanzato.
Eleazar sgranò gli occhi ed Edward gli spiegò come la presenza dei lupi oscurasse tutte le visioni di sua sorella, esattamente com’era successo con Desirèe.
“Quindi non possiamo fare altro che aspettare?” domandò Carmen.
“Purtroppo, è così” ammise Jasper.
“Pensate che attaccheranno a breve?”.
“Crediamo che ci abbiano attaccato solo con una parte del loro esercito. Jane è in Italia ed è Demetri quello che ci spaventa di più. Non riusciamo a vederlo e questo può voler significare solo notizie negative”.
“E del branco che ci dite?” intervenne Kate, alzandosi dal divano e avvicinandosi a noi. “Sono affidabili?”.
“Assolutamente. Sono buoni alleati e ci hanno aiutato molto, in entrambi i combattimenti. Certo ci sono dei problemi a livello di razza, ma non abbiamo nessun motivo di dubitare della loro lealtà” dichiarò Carlisle con autorevolezza.
Kate annuì e lanciò un’occhiata d’intesa ai suoi familiari. “Con Irina potrebbero esserci dei problemi” ci spiegò. “Non ha digerito che abbiano ucciso Laurent, e anche se sa che stanno combattendo per vendicare Desirèe, a cui lei stessa era molto legata, temo che potrebbe mettere qualche paletto”.
“Purtroppo non possiamo permetterci di escluderli” disse Jasper. “Sono molto forti e la loro assenza si farebbe sentire. Senza di loro saremmo morti. Irina dovrà abituarsi all’idea di collaborare”.
“Certo, lo capiamo perfettamente” ammise Eleazar. “Vi chiediamo soltanto di mettervi nei suoi panni e perdonare possibili scatti di nervi”.
“Piuttosto” ammiccò Rosalie a Kate. “La tua dote è ancora intatta, vero?”.
La sorella di Tanya sorrise e allungò una mano. “Vuoi provare?” le propose.
“Prova su Emmett” ridacchiò Rose.
Kate guardò la sua nuova preda che le allungò la spina del televisore. “Prova con la TV” disse, recitando la parte dello spaventato.
Kate rise di gusto e fu la prima volta che la vidi accennare una lieve serenità. Afferrò la spina della corrente e il televisore si accese, anche se solo per pochi attimi. “Ehi, mi rovinate lo schermo!” si lamentò Jasper, che teneva particolarmente al suo acquisto fatto meno di sei mesi prima.
Ricordai cosa mi aveva raccontato Edward: Kate aveva il dono di propagare all’interno di qualsiasi corpo scariche elettriche. Era particolarmente doloroso, perfino per un vampiro, e anche se non aveva il potere di uccidere, poteva tramortire la propria vittima quei minuti necessari ad eliminarla. Era l’unica della famiglia Denali ad avere un potere; gli altri erano normalissimi vampiri, per quanto si potesse definire “normale” un vampiro.
“Potete indicarci un albergo dove dormire?” domandò Eleazar.
“No, no. Resterete qua” si affrettò Alice. “Abbiamo già sgombrato due camere per voi, dove potrete sistemare i vostri bagagli e darvi una rinfrescata. Siete nostri ospiti”.
Kate li ringraziò vivamente per la cortesia e poi, accompagnati da Alice e Rosalie, si fecero mostrare le loro camere. Poco dopo rientrò anche Irina che fu portata al piano superiore da Emmett. A giudicare da come mi guardava, la convivenza con il branco sarebbe stata molto difficile, anche se io non potevo certo provare compassione per la morte di Laurent visto che il branco l’aveva ucciso proprio perché lui stava tentando di uccidere me!
“Vuoi andare a casa?” mi domandò Edward.
“E’ presto. Posso restare qui ancora un po’…” risposi. Mi sorrise compiaciuto: si era accorto che Kate mi piaceva e che non mi sentivo a disagio. Perlomeno non con lei, Carmen ed Eleazar.
La parte restante del pomeriggio passò tranquilla. Kate non era vulcanica ed estroversa come Tanya, però era ugualmente di buona compagnia. Irina invece si immerse in un lungo silenzio per poi scomparire in giardino con Alice e Jasper: loro due, l’una con la sua vivacità e l’altro con la sua dote di controllare gli stati d’animo, erano i migliori per le situazioni non facilmente gestibili, come in questo caso. La rividi soltanto quando ci incrociammo mentre Edward mi stava riaccompagnando a casa. Mi rivolse uno sguardo pungente e io cercai, da bambina, la mano del mio fidanzato. Edward me la strinse e la ignorò deliberatamente, percependo che il suo sguardo coincideva con i suoi pensieri.
“Mi dispiace per Irina…” si scusò durante il tragitto. “Non è arrabbiata con te personalmente. E’ solo che tu sei amica del branco e quindi…”.
“Lo so, non ti preoccupare” mi affrettai a replicare.
Quando scendemmo dal pick up, mi accarezzò le labbra con le sue e si avviò nel fitto del bosco. Sarebbe rimasto nascosto fino al termine della cena con mio padre, come al solito, per poi venirmi a trovare in camera stanotte.
Mente cucinavo, mi chiesi più volte come avrei fatto adesso, con l’arrivo dei Denali, a cogliere Rosalie da sola per poterle parlare. Dalla morte di Esme, le poche volte che l’avevo vista era sempre con Emmett e non potevo certo parlarne con lui, infelice spettatore. Ed ero anche stupita del fatto che Edward oggi non mi avesse rimproverato. Alice doveva avere già previsto la mia decisione e il mio futuro marito di conseguenza lo sapeva, eppure non aveva detto nulla a proposito. Forse non voleva mettere il naso in questa storia, oppure non c’era davvero nessuna storia in cui mettere il naso e mi voleva lasciare libera di parlarne con sua sorella per poter finalmente fugare ogni dubbio.
Avrei provato il giorno dopo.
Quando mi svegliai la mattina successiva, il mio dio greco era ancora abbracciato a me. Non mi sarei mai alzata dal letto, se non mi avesse fatto presente che era tardi e durante la notte gli era venuta sete, ma non aveva voluto abbandonarmi da sola, per paura di un eventuale attacco. Lo sgridai benevolmente: non volevo che morisse di fame per me. Mi preparai velocemente in modo tale da poter andare a casa con lui. Una volta che mi avesse saputo al sicuro con il resto della sua famiglia, sarebbe potuto andare a caccia.
Quando arrivammo alla nostra meta, trovammo l’intera famiglia Cullen, con l’eccezione di Rosalie, in salotto. Stavano parlando vivacemente con Kate e Irina. Non sapevo bene a proposito di cosa, anche se potevo intuirlo, visto che quando facemmo il nostro ingresso, si zittirono. Se non ero io l’argomento principale, dovevano esserlo i lupi.
“Siamo qui” esclamò Edward, rimarcando ulteriormente la nostra presenza nel caso fossero stati così ciechi da non accorgersene.
Alice mi venne incontro, chiedendomi se volessi mangiare. Le sorrisi: aveva preso in tutto e per tutto il posto di Esme. Feci cenno di no e mi invitò ad accomodarmi vicino a lei.
“Ho fame” disse Edward. “Qualcuno vuole venire a caccia con me? Irina?”.
Mi squadrò accigliata, poi annuì. Anche Jasper si unì alla battuta, proprio mentre rientravano Carmen ed Eleazar. Si stavano ancora leccando le labbra: la colazione doveva essere stata estremamente succulenta. Mi chiesi se anche io sarei stata così appagata dal sangue, una volta trasformata.
La conversazione riprese con i due nuovi interlocutori. Mi comportai da spettatrice interessata, ma non partecipai mai attivamente alla discussione che spaziò dai Volturi a Desirèe e ai suoi primi anni di vita. Kate ne parlava entusiasta, come una vera zia, anche se non aveva esitato a mettere bene in chiaro i mille dubbi che l’avevano attanagliata all’inizio. Dubbi, che dopo i recenti avvenimenti, dimostravano di avere avuto un fondamento più che logico. Ogni tanto mi guardavo attorno, cercando Rosalie. Avevo pensato che fosse a caccia con Carmen e Eleazar, ma erano rientrati da soli. Forse era in giardino. Mi alzai con la scusa di andare a bere un bicchiere d’acqua in cucina e buttai lo sguardo, sporgendomi timidamente dalla finestra. Le mie supposizioni erano esatte. Era seduta davanti a ciò che restava del roseto di Esme, con il capo reclinato. Anche lei stava male, esattamente come il resto della famiglia e come me. Sapevo che quando si sedeva in giardino era perché cattivi pensieri le attraversavano la mente. Forse non era il momento migliore per lei, ma lo era per me. Alice era impegnata, Edward ed Emmett fuori. Potevamo discutere quasi indisturbate.
Sfuggii in veranda e da lì in giardino. Mi avvicinai a passi brevi e leggeri, come se il rumore potesse infastidirla. Quando fui a pochi metri, credetti che mi avrebbe rivolto la parola per prima, ma invece continuò a tacere. Eppure non poteva non essersi accorta della mia presenza. Forse non era davvero il momento giusto.
Stavo per tornare sui miei passi, quando esclamò:“A te piace il giardinaggio?”.
“Come?”.
“A me non molto e mi chiedevo cosa ne pensassi tu. Sai, vorrei sistemare il roseto di Esme, ma da sola non credo di farcela e agli altri non piace il giardinaggio…” mi spiegò con voce neutra.
“Beh, non lo so. Il fatto è che io non ho un giardino. Ho sempre avuto solo piante in vaso… Però mi piace occuparmene”.
“D’accordo, allora ti posso considerare arruolata come aiutante…” ridacchiò forzatamente.
Il suo tono mi rassicurò. Non appariva ostile, anzi. Ed effettivamente era dalla festa del mio compleanno, esattamente tre mesi fa, che non l’avevo più sentita muovermi accuse di alcun tipo: lo attribuivo alla consapevolezza di essersi comportata peggio di me nel trascinare l’intera famiglia in un’assurda guerra. Tuttavia non potevo dire di essermi guadagnata il suo rispetto. Mi ignorava semplicemente. La distanza fra noi era ancora incolmabile ed era questa distanza a intimidirmi.
“Cosa vuoi, Bella?” domandò, rivolgendomi uno sguardo innocente.
“Beh… ecco… c’è una cosa che non ti ho chiesto perché mi sembrava scortese parlarne…”.
“Mentre adesso non lo è più? Se lo era allora, lo è anche adesso” dichiarò ruvida.
Questa affermazione distrusse gli scrupoli che mi ero costruita nei suoi confronti. “Non te ne ho parlato prima semplicemente perché c’erano sempre troppe orecchie in ascolto” chiarii, tentando di conferire un tono aspro alla mia voce.
“Sentiamo allora” mi incalzò, appoggiando il viso sulla mano. Dai suoi occhi non traspariva alcuna emozione e mi sentii improvvisamente una stupida, ma ormai avevo cominciato e sicuramente se non lo sapeva con certezza, poteva intuire l’argomento della mia domanda.
“Quella sera in cui c’è stato l’attacco di Lehausle e Jacob stava per morire” iniziai, evitando accuratamente il nome di Esme. “Io, beh, vi ho visto nel laboratorio di Carlisle”.
“Certo che ci hai visto. Eravamo lì, stavamo parlando” replicò lievemente stizzita.
“Non stavate parlando, Rose. Stavate facendo ben altro” incrociai le braccia nervosamente. Mi infuriai con me stessa perché mi comportavo come se quella in imbarazzo fossi io, mentre invece doveva essere il contrario.
“Cosa di preciso?”.
“Lo stavi baciando, Rose” spiegai, mettendo bene in chiaro che l’iniziativa doveva essere stata sua e non di Jacob, anche se in realtà non lo sapevo affatto.
La vidi incerta per qualche istante e ciò mi lusingò. La stavo mettendo in imbarazzo per la prima volta da quando la conoscevo ed era di estrema soddisfazione per me.
“E allora?” domandò svogliata.
“Da quando baci un ragazzo che non è Emmett? E, soprattutto, da quando baci Jacob?”.
“A entrambe le domande rispondo che non sono affari tuoi” disse tranquilla.
“Avresti ragione se non fosse per il fatto che stessi baciando il mio migliore amico” replicai, cercando di mantenere la calma, anche se Rose aveva il potere di farmi innervosire.
“E’ il tuo migliore amico, non il tuo ragazzo. Quindi la risposta te la sei già data da sola”.
“Il suo benessere è una delle mie priorità e quindi voglio sapere…”.
“Ti posso assicurare che si stava rilassando un sacco, quindi puoi metterti tranquilla” mi interruppe con un sorriso malizioso che mi infiammò.
L’avrei presa volentieri a schiaffi, ma se ci avessi provato, non sarei riuscita nemmeno a sfiorarla. Cercavo anche di mettermi nei suoi panni: come avrei reagito se una che conoscevo a malapena fosse venuta a interrogarmi sulla mia vita privata e con il mio tono arrogante? Non bene. Respirai più volte a pieni polmoni e ripresi.
“Non voglio sembrarti una ficcanaso, ma sono preoccupata per Jacob…”.
“Di cosa stai parlando? Non ti seguo…”.
“Senti, se vi siete baciati soltanto per empatia del momento, io non intendo mettere il naso in questa faccenda, ma credo che ci sia dell’altro”.
“Dell’altro?” domandò, inarcando le sopracciglia.
“Sì. Il fatto è che voi due vi siete sempre odiati a morte e improvvisamente trovo che vi baciate. Io penso che nessuna condizione esterna potrebbe indurre due persone a un comportamento del genere. E quindi mi chiedo… ecco… se forse…”.
“Parla chiaro, Bella!” affermò tagliente. “Stai forse insinuando che ci sia qualcosa fra noi?”.
“Perché? Non è così?” domandai titubante. Non ero più convinta della conversazione che stavo affrontando e mi sentivo così stupida da stentare a trovare le parole giuste.
Tacque e il suo silenzio fu più denso di significato di mille parole. Mi vergognavo di me stessa e delle mie illazioni eppure la guardavo e trovavo qualcosa nel fondo delle sue iridi che non mi piaceva, qualcosa che non avrei mai voluto leggere.
“Queste tue balzane teorie ti vengono mentre dormi oppure è un dono naturale?!” esclamò, improvvisamente furibonda.
“Io non…” balbettai. Cielo! Cosa stavo dicendo?!
Si era alzata di colpo e si era avvicinata a me. Ebbi l’orribile sensazione che volesse uccidermi. Indietreggiai di qualche passo, cercando di calcolare quanti passi mi sarebbero serviti per raggiungere la scala e rientrare in casa.
“Io non provo assolutamente niente per il tuo amichetto! Per me può andare a farsi ammazzare dai Volturi, insieme a te, se è per questo…” sibilò.
“E allora perché lo stavi baciando? Se non hai niente da nascondere, puoi dirmelo!”.
“Non sono affari tuoi” urlò.
Avevo paura di quello che avrebbe potuto farmi se la rabbia fosse esplosa, ma più ribatteva con forza, più mi chiedevo perché non desse spiegazioni. Che cosa c’era sotto? Mentre il suo sguardo mi vomitava addosso tutto il suo rancore, mi sentii esclamare, senza riflettere:“Avete una relazione”.
I lineamenti del suo viso si irrigidirono. “Chi te lo ha detto?” domandò meccanicamente.
Quella domanda, che suonava come un’ammissione, frantumò ogni mia certezza e mi spinse sull’orlo di un precipizio che non avevo mai visto e di cui non immaginavo nemmeno l’esistenza. Eppure era lì, a pochi centimetri da me. Abbassai lo sguardo e sussurrai:“Alice”.
Ero talmente sconvolta che le gambe cedettero. Dovetti appoggiarmi pesantemente al salice piangente. Jake e Rose… Impossibile. Non poteva essere. Non lui e, soprattutto, non con lei. Non era la soluzione che mi aspettavo di sentire, ma era quella che avevo cercato. Se non la volevo, perché avevo perseguitato prima Edward e poi Alice? Avrei potuto lasciar ammassare in un unico cumulo tutte le mie teorie, invece che farle diventare una sorta di delirio. Ripensai a quella sera, a come l’aveva abbracciata e accarezzata.
All’improvviso Rosalie si mise a ridere rumorosamente. “Stai tirando a indovinare, vero Bella?” disse, osservando la mia faccia allibita. “Alice non ti avrebbe mai detto una cosa del genere”.
Non dissi niente. Ormai era tardi per porre rimedio ai danni che avevo provocato a me stessa.
“E se fosse vero, Isabella, dimmi, cosa faresti?” mi domandò sprezzante.
“E’ vero?”.
“Non lo so” ridacchiò. “Potrebbe essere, come no. Se sei tanto curiosa perché non lo chiedi al tuo migliore amico in persona? Lui ti dirà ogni cosa. La vostra amicizia non è al primo posto nella scala delle sue priorità?”.
“Voglio che sia tu a dirmelo…”.
“Lo stai chiedendo a me perché lui non te lo ha detto e nemmeno Edward ed Alice. Nessuno conferma o smentisce e la povera, piccola Bella va direttamente alla fonte, alla ricerca di quella verità di cui ha bisogno per dormire la notte. Non è così, mia cara?”.
La sua arroganza mi fece ribollire. Si stava facendo beffe delle mie preoccupazioni per Jacob e per i suoi sentimenti. Aveva capito, grazie alla mia pessima recitazione, che non avevo alcuna notizia certa e ora stava cercando di calpestare le mie poche sicurezze.
“Tu, brutta strega! Non credere che io sia così stupida da non capire i tuoi giochetti! Ti stai approfittando della bontà di tutti quanti per fare i tuoi porci comodi, ma non è così e io non te lo permetterò!” replicai furibonda.
Strinse la bocca, delineando una “o” perfetta, strabuzzando esageratamente gli occhi. Poi, con un ghigno, continuò:“Sei patetica, Bella. Sei qua per dimostrare cosa? La tua amicizia nei confronti di Jacob? Fammi il piacere. Tu non sai cosa vuol dire. In realtà sei solo invidiosa perché qualcun'altra si sta godendo quello che tu hai buttato nel cestino e questo ti rode da impazzire”.
“Non è affatto vero!” replicai, piccata. “Io sono solo preoccupata di quello che gli stai facendo…”.
“Credi che l’abbia ipnotizzato e costretto a baciarmi?! Se proprio ci tieni tanto a saperlo, è stato lui a chiedermelo e ho deciso di accontentarlo”. Le mani iniziarono a prudermi.
“Ed Emmett? Immagino che non sappia nulla della tua sortita…” sibilai con un sorriso astuto per tentare di metterla in imbarazzo.
“Certo che lo sa. Non ho ragione di mentirgli” rispose serena, lasciando me senza parole. Emmett sapeva tutto? Ma come faceva? Forse allora era stato davvero un episodio che lui aveva perdonato, esattamente come Edward aveva fatto con me, poco più di sei mesi fa. Non sapevo cosa pensare.
“Sai che il tuo amichetto bacia davvero bene? Dovresti provare… Anzi no, ora che ci penso, tu lo sai già…” mi canzonò.
Tacqui confusa. Come era a conoscenza del bacio che ci eravamo scambiati? Lo sapevamo solo noi due, oltre a Edward. E lui non glielo avrebbe mai detto. Era stato Jake, dunque? No, non gli avrebbe mai parlato di una cosa nostra, così intima. Però a ripensarci, Desirèe lo sapeva e anche tutto il branco, grazie alla telepatia fra i lupi. Ma chi avrebbe potuto dirglielo? Ebbi la terribile sensazione di essere nuda, come se mi avesse spogliato con violenza. Il mio bacio con Jacob era uno dei ricordi più belli e non volevo condividerlo con nessuno, soprattutto con lei.
“Ho rivalutato il tuo amichetto e molto, dopo quella sera. Può essere davvero divertente trascorrere qualche serata con lui. In fondo, ha bisogno di essere consolato, no?” continuò impudente.
“Lascialo stare, altrimenti te la farò pagare! Ed è una promessa, questa!” la minacciai con forza.
“Uh, che paura, Bella! Sto tremando!” ridacchiò.
“Beh, dovresti, perché prima o poi diventerò vampiro anch’io e allora né Edward, né Emmett ti potranno salvare!”.
Rosalie camminò parallela a me, continuando a fissarmi, apparentemente pensierosa.
“Perché ti prendi tutti questi riscaldi per un semplice amico? Dovresti pensare solo a Edward… Oppure Jacob non è un semplice amico?” borbottò. Stavolta era il suo turno tirare a indovinare, ma non sopportavo che venisse a farmi la morale dopo il suo comportamento sfrontato.
“Io tengo a lui. E’ come un fratello per me…” mi giustificai con, purtroppo devo ammetterlo, poca convinzione.
“Certo, come no? Però avresti voluto essere al mio posto, vero?” ammiccò.
Avvampai, non per l’imbarazzo ma per la rabbia. “Come ti permetti?! Non osare nemmeno pensarlo. Non mi conosci, non puoi venire a dirmi quello che avrei voluto o non voluto fare!”.
Rosalie iniziò a ridere. Provava un insano divertimento nel farmi innervosire e io non stavo arrivando a niente. Mi stavo solo inalberando senza ottenere risultati.
“Bella”: risuonò la voce del mio affascinante fidanzato. Stava scendendo con passo leggero dalle scale. Quando fu abbastanza vicino, mi cinse con il braccio e mi tirò dolcemente a sé. “Problemi?” domandò, fissando prima me, poi sua sorella.
Non dissi niente. Non volevo che Rosalie pensasse che mi nascondevo dietro Edward appena la situazione si faceva pesante e lui doveva avere sentito i pensieri di sua sorella. Non c’era bisogno di ulteriori chiarimenti. Il volto di Rosalie si contrasse, infastidito.
“Non è così” affermò serio Edward. Rosalie sbuffò e abbandonò i suoi occhi dorati verso ciò che restava del roseto.
“Non mi sto sbagliando” ribadì il mio fidanzato.
“Spero, per te, che tu abbia ragione” concluse Rose, poi ci oltrepassò e rientrò in casa.
Quando sparì all’interno dell’edificio, mi voltai preoccupata verso Edward. “Che cosa ti ha detto? Che cosa stava pensando?” domandai.
“Niente, amore. E’ tutto ok. Solo stupidaggini” minimizzò. Sapevo che quando faceva così non c’era modo di ottenere altre informazioni, mentre invece temevo che avesse potuto suggerirgli idee fuorvianti. Dall’espressione rilassata del suo volto, potevo ritenere che il pericolo fosse scampato, ma sapevo che Edward era un mago nel nascondere a me la preoccupazione.
“Torniamo in casa, Bella. Alice ha appena avuto una visione e dobbiamo parlarne tutti insieme” suggerì vagamente impensierito. Il suo annuncio dissolse tutte le mie futili curiosità su Jacob e Rosalie. Quando Alice aveva delle visioni, non era mai un buon segnale e, dopo tanti giorni di silenzio sui Volturi, non poteva che essere la previsione di un loro imminente arrivo.
Edward mi prese per mano e rientrammo in casa dove trovammo la famiglia schierata: alcuni seduti sul divano, altri in piedi. Alice era tesa e giocava febbrilmente con la sua maglietta. Edward fece cenno con la mano a sua sorella che, schiarendosi la voce, iniziò:“Ho appena visto una cosa… spiacevole. Il ritorno di Demetri”.
“Quando?” domandò Carlisle.
“Domani. E con lui un altro esercito di circa venti elementi”.
Il silenzio si addensò fra di noi come una nebbia fitta e fastidiosa.
Demetri. Stava arrivando. Voleva dire un’altra battaglia imminente e altri morti.
“Quando ci attaccheranno?” chiese Jasper.
“Non lo so, ma deve tornare dall’Italia anche Jane. Probabilmente aspetteranno lei”.
“Cosa?” gridai. “Jane? No, lei no!”.
Edward mi strinse, baciandomi le tempie. Se c’era anche lei, significava morte certa per tutti quanti.
“Fra quanto dovrebbe tornare?” chiese Carlisle.
“Non lo vedo. La decisione è stata presa, ma la data non è ancora stata decisa. Forse una settimana, oppure due…”.
“Cosa facciamo allora?” domandò pragmatico Eleazar. “Con Jane in campo la situazione diventa estremamente pericolosa. Non c’è nessuno in grado di tenerle testa. Non fra di noi, almeno”.
“Dobbiamo cominciare a elaborare delle contromosse per limitare i danni che potrebbe procurare” disse Carlisle.
“Come?” ribatté Emmett.
“Forse se la attaccassero in tanti, non riuscirebbe a tenere testa a tutti” propose Kate.
“Già, ma allora dovremmo essere veramente in tantissimi, numero che, comprendendo anche il branco, non possiamo raggiungere. Dovremmo chiamare qualcun altro” disse Jasper pensieroso.
“Potremmo contattare il clan Bruening a Stoccolma e quello degli Hanin in Siberia. Sono in dieci in totale…” suggerì Kate.
“E combatterebbero con noi?” domandò scettico Emmett.
“Beh, Thomas Bruening ha una cotta per Kate” ridacchiò Carmen, mettendo in imbarazzo la sorella acquisita. “E quindi farebbe qualsiasi cosa per compiacerla e gli Hanin ce l’hanno a morte con i Volturi da quando hanno condannato ed eliminato ingiustamente un componente della loro famiglia. Aspettano solo l’occasione buona per vendicarsi”.
“Allora proviamo a chiamarli. Non abbiamo molto tempo e ogni aiuto può risultare utile” concluse Carlisle. Si divisero i compiti e Kate ed Eleazar si diedero subito da fare per ripristinare i contatti con i loro amici. Sembravano tutti galvanizzati da questa improvvisa soluzione; io invece ero terrorizzata. Per me Jane rimaneva sempre e comunque troppo forte. Nessuno, nemmeno un esercito, avrebbe potuto tenerle testa e anche con i nuovi arrivati non avremmo concluso granché. Guardai Edward. La possibilità che gli succedesse qualcosa era tutt’altro che remota. E io non potevo fare niente.
Per la parte restante del pomeriggio non dissi più nulla e rimasi seduta, abbracciata a lui, godendo di ogni singolo istante. Dall’altra parte della stanza c’erano Rosalie ed Emmett. Rose ridacchiava e sussurrava qualcosa all’orecchio di Emmett, che rideva a sua volta mentre giochicchiava con i capelli di lei. Come poteva essere così cinica di fronte a tutto questo? Non le importava se tutta la sua famiglia e gli amici più cari avrebbero rischiato la vita a causa mia e sua? E come faceva Emmett a starle vicino senza provare rancore per quello che aveva combinato con Jake, durante la sua assenza? Aveva il perdono così facile? Forse lui sì, ma io no. Se amava farsi prendere in giro da lei, non era in mio potere interrompere il loro giochetto, ma non avrei permesso che il suo comportamento facesse del male a Jake.
Una volta a casa mia, mi occupai delle faccende domestiche in attesa che papà rientrasse dal lavoro. Edward mi aveva accompagnata poi era tornato in fretta dai Cullen, promettendomi che lo avrei rivisto subito dopo cena. Da un certo punto di vista la visione di Alice lo aveva rassicurato perché sapeva che per oggi sarei stata al sicuro anche senza di lui; dall’altra le prospettive non erano delle migliori, considerando che i Volturi stavano organizzando un attacco in grande stile. Cosa potevo fare per evitare una strage? Niente. Avevo già tentato svariate volte di convincere Edward a ritirarsi, come avevo già fatto in occasione del combattimento con i neonati di Victoria la primavera passata, ma stavolta era stato irremovibile. La sua famiglia aveva bisogno di lui e non se la sentiva di abbandonarli. Non potevo dargli torto. Neanche io lo avrei fatto al suo posto.
E il branco? E Jacob? Anche loro erano in pericolo, esattamente come i Cullen. Sapevo da papà che Jake non si era ancora ristabilito del tutto e che spesso accusava ancora senso di spossatezza, probabilmente a causa della minuscola quantità di veleno che era rimasta nel sangue.
Si era salvato per miracolo. E ora, a breve, avrebbe dovuto rischiare la vita ancora. Ricordavo perfettamente le sensazioni che mi avevano devastato nel terribile momento in cui avevo creduto che sarebbe morto. Persa, esattamente come se la bussola che avevo in mano avesse smesso di segnare il nord. A Jake avevo sempre attribuito un’importanza fondamentale, ma non credevo così radicata. Una parte di me lo amava, e non nella maniera in cui si ama un amico o un fratello. Me ne vergognavo a pensarci, ma purtroppo era così e non potevo farci niente. In questi giorni mi ero imposta di non dare dolore al mio fidanzato e avevo deliberatamente evitato Jacob. Non gli avevo telefonato, né avevo insistito per andare a La Push, solo per dimostrare a Edward che, superato il momento di terrore, era tornato tutto come prima. Come prima? Sì, effettivamente sembrava proprio così, compreso il fatto che nemmeno lui si era fatto più sentire. Aveva ripreso a frequentare la sua “misteriosa” ragazza bionda? Rosalie? Oh Dio, stavo uscendo pazza!
“Sai, Bella, stavo pensando che, con questa storia del matrimonio e della bronchite di Edward, hai saltato un anno di università” commentò mio padre, mentre stavamo cenando.
“Sì, effettivamente è vero”.
Mi fissò torvo, per un istante, e poi riprese a tagliare la carne. “Eravamo d’accordo che dopo il matrimonio e la luna di miele, ci saresti andata e invece ci ritroviamo a Natale e ormai hai perso l’intero anno…”.
“Scusami papà. E’ stato un periodo un po’ strano e io non ho più riflettuto sul mio futuro” sussurrai cercando di mantenere il tono più neutro possibile.
“Non so quando voi intendiate fissare un’altra data per la cerimonia, ma una cosa è sicura: non intendo tollerare che tu perda un altro anno. Siamo intesi, signorina? Il prossimo anno a Darthmouth, di filato” esclamò, alzando il dito, indicando la porta di casa.
“Sì, non ti preoccupare” lo tranquillizzai.
Come potevo pensare all’università quando la mia futura famiglia si accingeva ad affrontare il peggior combattimento della sua vita? E poi, ammesso che fossimo sopravvissuti, sarei stata trasformata, dopo il matrimonio, quindi non sarei certo potuta andare in un luogo colmo di potenziali vittime. Senza considerare che avrei smesso di invecchiare, quindi non avrei saputo cosa farmene di una laurea che non avrei mai potuto sfruttare. Avrei fatto e rifatto il liceo, esattamente come i Cullen finora. Ma questo Charlie non poteva saperlo.

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Capitolo 53
*** Una minuscola parte di me - I parte ***


Una volta sparecchiato, diedi frettolosamente la buonanotte a papà, come accadeva tutte le sere ed entrai in camera, sicura di trovare già l’unico dio da me riconosciuto, ma, con mio grande sgomento, non era ancora arrivato. Mi preparai per la notte e mi sistemai a letto, in sua attesa. Sdraiata, fissai il soffitto per un tempo infinito. Fra due settimane sarebbe stato Natale. Saremmo riusciti a festeggiarlo? I Volturi ce ne avrebbero dato il tempo?
“Eccomi qua” sussurrò Edward, entrando con un maestoso salto dal davanzale.
“Dov’eri finito?” borbottai, fingendo disappunto.
“Scusami amore. Sam ha chiamato Carlisle e sono stati al telefono un bel po’ per parlare delle nuove evoluzioni…”.
“Quindi?” domandai col cuore in gola.
“Niente di particolare. Sam ha detto di tenerlo aggiornato e che sarebbe meglio presentare al resto del branco i nostri nuovi acquisti, onde evitare che in combattimento scambino per nemici, i nostri alleati” mi spiegò, sdraiandosi vicino a me e cingendomi con le braccia.
Non era cambiato nulla ed ero stremata dalla discussione con Rosalie del pomeriggio, nonché da tutte le mie insensate meditazioni. Appoggiai il volto sul suo petto e mi assopii. Nonostante la stanchezza, il riposo non fu dei migliori. Sognai prima Jane, Desirèe e Seth; infine Jacob e Rosalie. Pur trattando argomenti diametralmente opposti in quanto il primo era un combattimento, e il secondo “soltanto” quello sventurato bacio, mi angosciarono entrambi, tanto che la mattina, a dispetto dello stupendo, ma pur molto freddo, ragazzo a cui ero selvaggiamente avvinghiata, ero sudata.
Mi alzai un po’ stordita. Edward se ne accorse e mi asciugò la fronte. “Tutto bene, amore? C’è qualcosa che non va?”.
Scossi la testa ma le mie “innate” capacità recitative mi fecero scoprire subito. Mi accarezzò la mano, invitandomi a confidarmi, visto che apparivo visibilmente sconvolta e impaurita. Inspirai più forte per calmare l’angoscia che mi invadeva a ondate. Erano solo sogni, niente di più, ma non mi davano pace. Se i Volturi avessero attaccato prima del previsto, Jacob non avrebbe avuto la forza per combattere e sarebbe morto. Inoltre c’era tutta questa faccenda di Rosalie, che, per quanto futile, mi faceva preoccupare in ugual modo. Lei non aveva negato alle mie accuse. Si era limitata a prendermi in giro e a deviare il discorso in maniera tale da farmi sentire in colpa. E io dovevo assolutamente capire come stavano le cose. Soltanto Jake a questo punto avrebbe potuto chiarire il mistero. Lo avrei tartassato fino allo sfinimento. Decisi in un attimo.
Voltai il viso per sfiorare quello angelico di Edward e lo baciai. Stavo per dargli un altro dolore ma doveva capire che non potevo permettere che sua sorella facesse del male a Jacob.
“Ho parlato con Rosalie ieri, riguardo a Jacob. Presumo tu lo sappia…” tergiversai.
“Sì, ne sono al corrente. Rose ti ha dato le risposte che cercavi?” domandò calmo.
“In parte” mormorai. “Non ha negato un coinvolgimento con lui e tutto sommato era quello che mi aspettavo, ma ne ha parlato come… di un giocattolo” spiegai.
Edward sospirò rumorosamente e non capii se fosse un segno di sopportazione nei miei confronti oppure di disapprovazione per il comportamento della sorella. “Rosalie è strana” iniziò. “Lo sai anche tu. Io non credo che pensasse quello che stava dicendo. Forse voleva solo irritarti e sapeva che era il metodo migliore”.
Lo guardai stupefatta. Da quando era diventato così permissivo nei suoi confronti? L’aveva sempre mal giudicata qualsiasi cosa facesse e invece negli ultimi tempi sembrava diventato quasi affettuoso. Non che la cosa mi dispiacesse, anzi, però difenderla in questo caso era assolutamente fuori luogo.
“Quello che mi interessa sapere è come stanno realmente le cose”.
“E come pensi di farlo?”.
“Voglio parlarne con Jake. Sono sicura che, se insisterò un po’, mi dirà la verità”.
“Perché me ne stai parlando Bella? Se hai già deciso, chiamalo e mettiti l’animo in pace…” sospirò.
“In primo luogo perché non voglio tenerti nascosto niente; in secondo luogo, perché voglio andare a parlarne direttamente con lui a La Push” balbettai, incerta.
Edward strabuzzò gli occhi, evidentemente scioccato.
“Bella, forse non ho capito bene. Tu vuoi andare da Jacob?” domandò confuso.
“Sì, proprio così”.
“E quando, di grazia?”.
“Oggi”.
“Oggi?! Proprio il giorno in cui arrivano Demetri e il suo esercito tu mi chiedi di lasciarti andare in un territorio dove io non posso entrare e dove saresti un facile bersaglio?! No, è fuori questione!” esclamò risoluto. Le sue iridi ambrate si fecero più scure, segno di una collera a stento trattenuta.
“Edward, debbo andare. Ti prego…”.
“No, Bella non se ne parla. Niente, e ribadisco niente, è più importante della tua vita”.
Sfoderai i miei occhioni da cerbiatto per intenerirlo e ottenere quello che volevo. Era una tattica che odiavo e che non avevo mai voluto praticare, ma avevo ben poche possibilità di spuntarla e dovevo ricorrere a tutti i mezzi disponibili.
“Non posso lasciare che tu vada” rispose con un filo di voce, commosso dalla mia espressione delusa. “Lì saresti completamente indifesa e in balia dei Volturi, se decidessero di attaccarti proprio in quel momento. E Alice non sarebbe in grado di prevederlo”.
“Ci sarebbe Jacob a difendermi…” contestai, anche se io per prima gli avrei impedito di combattere.
“Oh, andiamo Bella! Cosa vuoi che possa fare un licantropo da solo contro Demetri?!” ironizzò, ma senza che la sua voce perdesse di vigore.
Abbassai lo sguardo amareggiata. Edward era triste quanto me di non potermi accontentare: il suo viso denotava malinconia e rammarico e il suo tentare a tutti costi di sfuggire i miei occhi faceva aumentare i sensi di colpa. Non volevo che pensasse che Jacob fosse più importante di tutto, perché lui e solo lui era al primo posto nella mia gerarchia. Forse era meglio così. Forse le cose dovevano andare in questo modo. Tuttavia non sapevo rassegnarmi.
“Digli di venire qui” propose.
“No, non posso”.
“Perché?”.
“Perché lo conosco e so che farà delle resistenze alle mie domande, almeno inizialmente. Se lo facessi venire qui, se ne andrebbe dopo due minuti. Se invece fossi io sua ospite…”.
Edward si lasciò sprofondare, come se avesse appena finito di sollevare il mondo. “Bella, io non ti capisco. Tu vuoi mettere in pericolo la tua vita solo per parlare al cane di Rosalie? Mi sembra assurdo!”.
Si alzò e andò alla finestra a contemplare il cielo, come sempre nuvoloso. Appoggiò il braccio sul vetro e si perse nei suoi pensieri.
“Non si tratta solo della mia vita, ma anche della sua…” dissi.
Tacque, continuando a darmi le spalle.
“Sappiamo tutti e due che, per Rose, Jake non significa assolutamente niente, e non voglio che stia male per lei. Non lo merita, soprattutto dopo quello che ha passato a causa mia”.
“Non pensi che anche per lui, Rosalie potrebbe non significare nulla? E’ umano, Bella, e come tale soggetto a passioni passeggere…”.
“Jacob non ragiona in questo modo. Ne sono sicura” replicai, esibendo fin troppa sicurezza.
“Resta il fatto che non posso permetterti di andare a La Push. Parlerai con lui, una volta finita tutta questa storia dei Volturi”.
“Non posso” dissi decisa e fu allora che potei nuovamente ammirare il suo splendido viso. Era sorpreso che avessi preso una decisione contrapposta alla sua e che la stessi addirittura difendendo.
“Credi che per un ritardo di qualche settimana, Jacob si butterà sotto un tram?” commentò ironico.
“Non voglio parlargli solo di Rosalie… C’è anche un’altra cosa”.
“Quale?”.
“Voglio convincerlo a ritirarsi dalla guerra”.
“Sarà fiato sprecato” ribatté subito, affatto sorpreso. Probabilmente dopo tutto quello che era successo aveva messo tra le possibilità il fatto che volessi farlo desistere. D’altra parte ci avevo provato con Edward per mesi interi, quindi non poteva stupirsi che lo facessi anche con il mio migliore amico, che per giunta era già andato molto vicino alla morte.
“Voglio tentare ugualmente” ribadii.
Iniziò a camminare nervosamente avanti e indietro, combattuto da emozioni contrastanti. Non voleva procurarmi dolore, ma lasciarmi in balia dei Volturi e di un loro attacco era impensabile. E Jacob, nelle sue attuali condizioni, avrebbe difficilmente tenuto testa a un vampiro soltanto, figuriamoci ad un esercito intero. Fu proprio questo pensiero a convincermi ulteriormente a perseguire il mio scopo. Era passata poco più di una settimana da quella sera e ancora non aveva recuperato le forze. Se Demetri avesse deciso di attaccare prima dell’arrivo di Jane, Jake sarebbe morto di sicuro e io non potevo permetterlo. Ormai il suo compito era stato portato a termine: aveva vendicato Seth. Non doveva più essere coinvolto in questa faida.
“Jacob è molto forte, Bella. Il branco ha bisogno di lui” mi spiegò Edward.
“Lo so ma ha già rischiato la vita. E’ stato a un passo dalla morte. Non voglio che corra altri rischi per difendere me o altre persone…” dissi, alludendo chiaramente a Rosalie. “Non sarebbe giusto. Vorrei impedire anche a te di lottare, ma ormai ho capito che è fiato sprecato. Non impedirmi di provarci almeno con lui. Abbiamo già perso Seth ed Esme. Non voglio altri morti. Jacob è debole ora, non ce la farebbe a sostenere un attacco, anche se è coraggioso. Non voglio rivederlo di nuovo in quel letto, stavolta senza vita…”.
Non potei terminare la frase: il pianto mi stava soffocando e le lacrime appannando la vista a tal punto da non riuscire neanche a distinguere Edward. Mentre piangevo, mi resi conto che stavo venendo meno alla promessa che mi ero fatta tante volte: non farmi più vedere da lui in quello stato per Jacob. Ma non potevo farci nulla. Più tentavo di soffocare i sentimenti, più mi travolgevano.
Le braccia fredde di Edward mi avvolsero e ciò mi fece sentire anche peggio. Era troppo buono e io indegna del suo affetto. Lo facevo soffrire e basta. Mi sarei meritata che i Volturi mi uccidessero e stavo quasi sperando che lo facessero.
Edward mi passò le mani fra i capelli più volte.
“Perdonami, ti prego, sono una stupida…” singhiozzai.
“Amore, ti amo e amo anche questa parte di te” mi accarezzò con la voce. “Va bene. Vai pure da Jacob. Sono sicuro che se attaccheranno, saprà tenergli testa… Perlomeno il tempo necessario per consentire a noi di arrivare”.
Deglutii le lacrime che mi stavano bagnando le labbra. Mi sollevò la mano destra e ci appoggiò il cellulare che mi aveva regalato tempo fa, subito dopo l’avvento dei Volturi. “Tienilo sempre accesso, e se dovesse succedere qualcosa, chiamami. Basterà uno squillo e io arriverò, alla faccia del patto con i Quileute!” rimarcò con voce decisa.
Sul mio viso si stampò il sorriso appagato dei bambini che ottengono il permesso dai genitori. Strinsi il telefonino e lo infilai nella tasca dei jeans.
“Vallo a chiamare. Digli che ti porterò al confine con La Push nel pomeriggio, come facevamo tempo fa…” mi incoraggiò amabilmente.
Mi avviai verso la porta, ma mi fermai, colpita da un dubbio. “Nel caso mi accontentasse, la sua assenza creerà dei problemi? Intendo contro i Volturi…” domandai ansiosa. Questa eventualità non l’avevo ponderata, ma ripensando a tutti i colloqui a cui avevo assistito durante i quali non si parlava altro dell’indispensabilità di ogni singolo componente, mi rendevo conto di quanto stessi agendo impulsivamente, senza pensare alle conseguenze.
“Cercheremo di sopravvivere senza di lui” rispose Edward con una scrollata di spalle. “Ma credo che sia più facile che scendano i dischi volanti piuttosto che Jacob rinunci alla battaglia”.
“Beh, fino a due anni fa non credevo all’esistenza di vampiri e licantropi, quindi possono arrivare davvero gli Ufo!” risi ironica.
Anch’io ero convinta che non avrebbe rinunciato, ma non volevo lasciare niente di intentato.
Stavo per telefonargli quando realizzai che era mattino e quindi doveva essere ancora a scuola. Feci colazione e misi in ordine la casa per ingannare il tempo, mentre Edward mi accompagnava in tutti i movimenti, tentando persino di aiutarmi. Aiuto che respingevo con energia: non volevo che mi vedesse incapace perfino di compiere una piccola faccenda domestica.
Pranzai e nel primo pomeriggio chiamai Jake, che rispose prontamente.
“Jacob, ciao!” esclamai felice.
“Ehi Bells! Ciao! Come stai?” mi domandò allegro. Sembrava una vita che non sentivo la sua voce.
“Bene. Tu piuttosto? E’ dal tuo compleanno che non ci sentiamo…”.
“Tutto ok. Sono ancora un po’ stanco, ma fisicamente sto bene…”.
Sentirlo lamentarsi della sua debolezza rinvigorì le mie convinzioni.
“Ti chiamo perché vorrei parlarti. E’ una cosa importante…”.
Il suo respiro si fece irregolare. “E’ successo qualcosa, Bella? Sono già arrivati?” domandò, alludendo alle informazioni che evidentemente Sam gli aveva già comunicato.
“No, no. Non ti preoccupare, però avrei bisogno di parlare con te. Possiamo vederci ora?”.
“Ora?! Veramente avrei una riunione col branco. Possiamo fare domani pomeriggio, se non è un problema”.
“No, Jake. Ho bisogno di parlarti adesso. Ti prego!” lo supplicai.
Tacque per qualche istante, poi finalmente acconsentì:“E va bene. Lo sai che non riesco a dirti di no quando parli così. Dove sei? Dai Cullen?”.
“No, vengo io da te. Lo preferisco. Edward mi accompagnerà al confine con La Push. Mi puoi venire a prendere là?”.
“Ok. Facciamo fra un’ora. Va bene?”.
“Sì. A dopo”.
Quando riagganciai, trovai Edward, sorridente, alle mie spalle. Ricambiai il suo sguardo premuroso e lo abbracciai. Mi aveva accontentato, come sempre. A volte il mio comportamento era davvero spregevole, ma non riuscivo a oppormi con la fermezza necessaria. Jacob era troppo importante. Mi chiedevo se avrebbe continuato a rivestire questo ruolo anche dopo la mia trasformazione o se questa fastidiosa parte di me avrebbe finalmente taciuto. Non sapevo se augurarmelo o meno, essenziale per il momento era che Edward capisse quali fossero le mie motivazioni e non si sentisse insicuro. Lo strinsi più forte nel tentativo di fargli capire che niente avrebbe mai potuto sovrastare il mio amore sconfinato per lui.
Ci sedemmo sul divano in attesa e purtroppo l’ora passò troppo velocemente. Quando salimmo sulla sua Volvo nera, mi sentii strana, avvolta da un insolito mantello: il rammarico. Non ero più così convinta di voler andare a parlare con Jake, non perché avessi cambiato idea sugli argomenti, ma perché avevo semplicemente una spiacevole sensazione, come se sapessi che questa discussione avrebbe causato un’inarrestabile reazione a catena dagli esiti incontrollabili.
Quando arrivammo al confine, l’auto di Jacob era già ferma a lato strada. Edward accostò e spense il motore. Sospirò, stringendo più intensamente il volante, poi trovò la forza di sorridermi.
“Ti prego, fai in fretta. Sai che mi preoccupo quando non sei con me…” ammise, con un’espressione amara.
Vederlo in quello stato, mi fece salire le lacrime agli occhi. Riuscii a impedire che mi bagnassero le guance appena in tempo. Lo baciai a lungo, incapace di staccarmi da lui; ma l’altra, indesiderata, minuscola, parte del mio cuore si fece sentire.
“Tornerò presto, amore mio. Farò in frettissima…” lo rassicurai con un sussurro.
Scesi dall’auto e mi incamminai verso Jake, che era appoggiato al cofano della sua vecchia Volkswagen, con le mani nelle tasche dei jeans. Mentre mi avvicinavo a lui, le mie lacrime sparirono pian piano, proprio come se fosse stato il calore del mio “sole personale” ad asciugarle. Il suo sorriso ebbe il potere di abbagliarmi. Avrei voluto corrergli incontro, ma temevo che Edward avrebbe frainteso perciò mi trattenni.
Quando fui a pochi passi da Jacob, fu lui ad abbracciarmi per primo, anche se molto più freddamente del solito. Questo suo atteggiamento mi colpì perché ero abituata a ben altri tipi di manifestazioni d’affetto da parte sua, ma non mi sorprese quando gli vidi un sorrisetto sardonico camuffato da gesto di saluto a Edward che era rimasto seduto in macchina. Alzai le spalle esausta: Jake non sarebbe cambiato mai!
Feci un cenno a Edward un’ultima volta, poi saltai sulla macchina di Jacob e partimmo.
“Allora come stai? Le forze sono ritornate?” domandai.
“Beh, direi che sono praticamente al novanta per cento. Ormai posso dirmi guarito. Sono appena tornato da una visita in ospedale col dottor Canino…”.
“Dottor Canino?!” esclamai incerta.
“Intendo Carlisle…” chiarì e scoppiai a ridere. Non avevo mai sentito il mio futuro suocero definito a quel modo. Però, a differenza degli altri, questo soprannome era quasi simpatico.
“E cosa ti ha detto?”.
“Che il sangue è completamente pulito e che il veleno è ormai sparito. La stanchezza è dovuta al fatto che il mio corpo ha dovuto faticare parecchio a smaltirlo. Ancora qualche giorno e sarò come nuovo. Direi che me la sono scampata, per questa volta, e tu purtroppo dovrai rimandare il mio funerale” mi canzonò.
“Non dire idiozie!” sbottai con una punta di irritazione. “Devi metterti in quella testaccia che mi sono preoccupata da morire quella sera! Non avevo nessuna voglia di partecipare al tuo funerale”.
“Sì, sì…” cantilenò, non prendendo affatto sul serio le mie proteste.
“Piantala, Jake!” lo rimproverai e decisi di prendermi la mia rivincita. “Piuttosto dovresti mandare dei fiori a Rosalie, visto che è stata lei a salvarti!”.
“Fiori a quella strega?! Ma per piacere! Lei dovrebbe mandarli a me visto la bella cenetta che si è fatta!” ribatté prontamente. Avrei voluto replicare ma mi morsi la lingua. Non volevo iniziare una discussione in quel momento. Preferivo girare un po’ intorno all’argomento, invece che metterlo subito spalle al muro, anche se forse sarebbe stata la tattica migliore.
“Allora? Di cosa vuoi parlarmi?” chiese.
“Non qui”.
“Ok. Dove allora?”.
“Dove preferisci”.
“Va bene. Non ti dispiace se ne parliamo a casa mia, vero? Ho la moto smontata da ieri e vorrei finire di montare il carburatore che mi hai regalato”.
“Va benissimo”.
Non parlammo oltre durante il percorso e mi ritrovai persa nei ricordi. Una volta questa era la regola: Edward mi accompagnava al confine, Jacob mi portava a casa sua dove chiacchieravamo tanto a lungo da perdere la cognizione del tempo e a volte lo assistevo mentre riparava la sua moto. Erano bei momenti, anche se legati al ricordo di Victoria e dei suoi Neonati. Ma con Jacob sembrava tutto allegro.
Gettai un’occhiata fugace al suo braccio. La ferita del morso di Rosalie era sparita e la pelle era tornata intonsa. Anche l’innaturale pallore che lo aveva sbiadito era svanito. Tutto sembrava indurre a credere che il combattimento sostenuto con Lehausle fosse solo un ricordo, ma questo non fece ugualmente venir meno le mie motivazioni. Doveva ritirarsi e avrei insistito, a costo di dover restare lì tutta la notte.
Parcheggiammo davanti a casa sua e, scesi dalla macchina, lo seguii come un cagnolino fino all’ingresso. Quando entrai, una Rachel particolarmente affabile ci venne incontro e mi tartassò di domande su come stessimo Charlie ed io. Fu la medesima sensazione che mi comunicò Billy. Mi aveva sempre guardata in maniera un po’ torva, viste le mie “compagnie” e la delusione a cui avevo sottoposto suo figlio, invece ora sembrava più che felice di vedermi. Oppure ero io che vedevo cose che non esistevano: in realtà nessuno mi aveva mai detestata ed ero io ad essermi fatta assurde paranoie, dettate dai sensi di colpa verso Jacob.
Mentre Rachel si stava lamentando con me del fatto che non riusciva a trovare un lavoro in quella zona, suo fratello infilò il viso in cucina e la rimproverò:“Se hai finito di rompere le scatole a Bella, noi possiamo andare in garage a sistemare la moto”.
“Uffa!” bofonchiò Rachel e con un’alzata di spalle tornò a sfogliare il giornale di annunci, mentre Billy tornò al suo programma televisivo sullo sport. Dalla scortesia con cui Jake aveva stroncato la parlantina di sua sorella, capii che i rapporti fra i due erano ancora lontani dall’essere realmente affettuosi.
Ci recammo sul retro della casa, dove si trovava il garage, che appariva più come un magazzino o una discarica, considerando il disordine che vi regnava incontrastato. La moto giaceva smontata in mezzo ad esso. Prese una sedia pieghevole appoggiata al muro e la aprì davanti a me, facendo segno di sedermici; lui si accomodò su uno sgabello vicino alla motocicletta. Si arrotolò le maniche, lasciando scoperti i muscoli delle braccia e, afferrando una chiave inglese, iniziò a lavorare sul suo gioiellino. A giudicare dalla mia poca esperienza in quel settore, il nuovo carburatore aveva già sostituito il precedente, però ora doveva rimontare il tutto.
Per interminabili minuti non volli disturbarlo e rimasi in silenzio a osservare il suo lavoro scrupoloso. Era affascinante vedere con quanta sicurezza sapesse muoversi: dava l’impressione di essere nato in mezzo ai motori.
“Allora, Bells? Sei venuta qui solo per controllare se stavo utilizzando il tuo regalo?” mi disse, pur non distogliendo l’attenzione al suo lavoro.
“No, certo che no” replicai sorpresa.
Si alzò dallo sgabello e andò a frugare in una scatoletta di cartone su una mensola nel fondo del garage, da cui estrasse un elastico con cui si legò i capelli. Lo preferivo con i capelli sciolti, ma potevo capire che in quel momento gli dessero impaccio.
“Quindi?” mi incalzò, tornando a sedersi vicino alla moto. “Quello di cui mi volevi parlare?”.
Indugiai qualche secondo per mettere ordine nella testa. Gli argomenti erano soltanto due, ma non sapevo da quale cominciare. Forse da quello che gli avrebbe dato meno fastidio e a dire il vero non avevo idea quale fosse. Alla fine optai per quello a cui io personalmente tenevo di più.
“Ho riflettuto su tutto quello che è successo in questi giorni e ho concluso che sarebbe meglio che ti ritirassi, che non combattessi più, insomma…” affermai, ostentando una sicurezza non mia.
Fu come se non avessi nemmeno aperto bocca perché continuò ad avvitare un bullone. Quando non mi rispondeva generalmente non era un buon segno: mi preparai ad essere investita da un uragano.
“Sei venuta qua per dirmi questo?” domandò con voce neutra.
“Non ti sembra abbastanza?” replicai con un velo di nervosismo.
“Beh, potevi risparmiarti il viaggio e chiedermelo per telefono”.
“Cosa intendi dire?”.
“Che conosci già la risposta” chiosò, continuando ad ignorarmi.
Effettivamente la conoscevo già e non avevo nemmeno sperato di convincerlo al primo colpo. Sapevo che avrei dovuto fare pressione per raggiungere il mio scopo e non avevo nessuna intenzione di rassegnarmi.
“Solo una settimana fa hai rischiato seriamente di morire e ancora adesso trascini i segni di quel combattimento” gli spiegai il più pacatamente possibile. “La stessa cosa è successa poco più di due mesi fa, quando hai combattuto la prima volta contro Lehausle. Hai rischiato grosso in entrambe le occasioni: per miracolo siamo ancora qui a parlare. Dovresti capire quando è ora di ritirarsi…”.
“E cosa dovrei fare allora? Abbandonare i miei amici? Dirgli di combattere da soli? Come un codardo!” esclamò, alzandosi di scatto e dandomi la sensazione di una montagna che compare improvvisamente in una monotona pianura. Ma non mi spaventai: ero abituata ai suoi scatti di nervi e, a differenza di quello che pensava Edward, sapevo di essere perfettamente al sicuro con lui.
“Nessuno ti darà del codardo! Tu hai combattuto più dei Cullen e dei membri del branco messi insieme. Non tirare troppo la corda. Sei stato fortunato finora, ma non accadrà per sempre…” e fui costretta a bloccarmi, perché il pensiero della morte di Seth mi paralizzò la lingua.
“E agli altri non pensi, Bella? Tutti noi abbiamo lo stesso diritto alla vita! Credi che la madre di Leah sia felice di quello che fa sua figlia? Credi che Emily, mia sorella, papà e gli altri genitori siano contenti di sapere cosa facciamo e cosa rischiamo? Se tutti ragionassero come te, nessuno combatterebbe e tutta La Push sarebbe in balia dei tuoi amichetti italiani…” rincarò con disprezzo, rimarcando la parola “amichetti”.
Aveva perfettamente ragione, ma era reato voler bene a una persona più che ad altre? Non ne andavo fiera, ma non ero legata a Sam e agli altri. A parte Seth, non avevo stretto amicizia con nessuno del branco e la loro eventuale morte sarebbe stato un dolore perché li conoscevo ed erano giovani, tuttavia se avessi dovuto fare una scelta, non avrei esitato un attimo. Mi comportavo da egoista ma in questo momento non mi importava di apparire come Madre Teresa di Calcutta: volevo solo che Jake stesse bene.
“Possono farcela anche senza di te. La tua presenza non è indispensabile” dissi, ingoiando l’angoscia a fatica.
“Ogni membro del branco è indispensabile. La nostra forza sta nel gruppo” sentenziò con fermezza.
“Non voglio che tu muoia, Jake” esclamai con fin troppa sincerità. “Non voglio venire a piangere sulla tua tomba. Ti prego…”.
Iniziai a piangere e, vedendo le mie lacrime, si calmò e sospirò. Vagò con lo sguardo in giro per la stanza, mentre io tentavo vanamente di ricompormi. Mi odiavo quando mi comportavo a quel modo e ultimamente accadeva troppo spesso. Era sconcertante mostrarmi così fragile, ma quando si trattava di Jacob ed Edward, per quanto mi sforzassi, non riuscivo mai a trattenermi.
Jake buttò a terra la chiave inglese e si appoggiò sfinito al muro. Reclinò il capo e parlò con inflessione rassegnata:“Mi dispiace, Bella… Non sai quanto darei per non farti stare in pena, ma non posso ritirarmi. Loro hanno bisogno di me. Non posso venire meno alle mie responsabilità…”.
“Di che responsabilità parli?!” affermai tutt’altro che doma. “E’ Sam il capo, non tu! Nel momento in cui lui ha accettato il ruolo di Alfa, significava oneri e onori. Tu non devi più esporti!”.
“Bella, sai perfettamente che questo discorso non ha un gran valore considerando chi dovrebbe comandarli. In questo caso sono io il codardo che non si assume le sue responsabilità, non certamente Sam. E poi anche se non volessi combattere, potrebbe obbligarmi a farlo, quindi le mie decisioni personali sarebbero inutili”.
“Ma tu potresti ribellarti. Hai la forza per farlo…”.
“Ribellarmi per ottenere cosa? Per salvare la vita?! Bella, non capisci e non capirai mai. Stare in quella famiglia ti sta ottenebrando il cervello. Se ognuno di loro pensa solo a se stesso, nel branco non funziona così. Affrontiamo i problemi tutti insieme…”.
Sentire parlare in quella maniera dei Cullen mi fece ribollire. “Anche loro pensano al benessere di ogni membro. Se vuoi accusare di egoismo qualcuno, beh, allora fallo con me e basta. Non tirare dentro persone che non c’entrano. Sono io che non voglio che tu faccia la fine di Seth. Non voglio perderti e se questo mi sminuisce ai tuoi occhi, ne sono ben felice e non me ne vergogno affatto. Piuttosto tu per cosa combatti? Per dimostrare la tua fedeltà al branco? Due mesi fa hai detto che combattevi per vendicare Seth. Beh, hai ucciso Lehausle: la tua vendetta è completa. Non c’è bisogno ancora della tua presenza”.
“Io non combatto solo per vendetta. Ci sono molti fattori in campo, non ultimo il fatto che devo proteggere te che sei la mia migliore amica”.
“Io non voglio la tua protezione! Te la puoi anche tenere!” urlai, assumendo quasi il tono di un’imprecazione. Le lacrime erano completamente sparite per lasciare spazio a un rabbia incontrollabile.
“Se non vuoi la mia protezione, immagino tu non voglia neanche quella del tuo pinguino…” ridacchiò, facendomi innervosire ancora di più. “L’hai già convinto a non combattere come hai fatto la primavera scorsa? E lui si è già ritirato, vero? D’altra parte non brilla per coraggio…”.
“Come ti permetti?! Edward non è un codardo! Se proprio ci tieni tanto a saperlo, ho provato più e più volte a convincerlo ma non ne ha voluto sapere!”.
“E allora dovrei farlo io?! Credi di riuscire a manovrarmi come una marionetta, come fai con il tuo vampiro?! Non mi conosci affatto, allora. Se vuoi fare la parte della crocerossina che salva vite, tornatene dai Cullen e convinci loro. Da me non avrai mai le risposte che cerchi” concluse, tornando a sedersi alla sua moto e a riavvitare il medesimo bullone che non voleva saperne di chiudere la valvola.
Edward aveva ragione: non avrebbe mai rinunciato. Si sentiva in debito nei confronti dei suoi amici, di Seth, miei e ormai l’odio nei confronti dei Volturi era diventato troppo profondo per sperare con quattro lacrime di rimarginarlo. Se fossi stata capace anch’io di combattere, io per prima non mi sarei ritirata. La lista dei morti si stava allungando troppo per perdonare, ma d’altra parte temevo che altri nomi potessero siglarsi su essa. Se fosse stato Jacob uno di quei nomi…
“Vorrei saperti al sicuro” sussurrai.
“Non è possibile” disse, inaspettatamente affettuoso. “Ormai siamo tutti dentro e non possiamo uscirne. Possiamo solo sperare. Comunque, io combatterò fino all’ultimo respiro per consentirti di vivere”.
“Non mi importa di essere al sicuro, sapendo che tu sarai in pericolo”.
Mi sorrise con un’espressione tenera che non gli vedevo da tanto tempo e che aveva sempre il potere di commuovermi. “Io ce la farò, Bella. Non ti devi preoccupare”.
“Non voglio che ti succeda qualcosa a causa mia”.
“Non mi succederà nulla. E poi” sogghignò “potrai sempre dare la colpa a qualcun altro. In fondo, te l’ho già detto, non sei coinvolta soltanto tu”.
Tacqui mentre lui riprendeva il suo lavoro. Aveva parlato in quella maniera per attenuare la tensione e rasserenarmi a suo modo, ma invece stava accadendo l’esatto contrario. C’erano tante motivazioni in campo e fra tutte ve n’era una che detestavo prendere in considerazione: Rosalie. Non aveva parlato con malizia, non aveva detto niente di particolare, eppure ero convinta che si riferisse a lei. Combattere per Rose? Teneva dunque così tanto a lei da rischiare la vita? La amava? Nella mente ripassarono fugacemente i fotogrammi delle occasioni in cui li avevo visti insieme e tutto faceva immaginare che fossi pazza a pensare una cosa del genere. Tuttavia il bacio a cui avevo assistito era reale. E purtroppo significava più di quanto temessi. Se Rosalie lo avesse amato davvero, non avrei osato obbiettare, ma conoscevo i suoi capricci e i suoi sentimenti per Emmett. Jake non poteva essere altro che un passatempo, mentre invece per lui… Non era il classico adolescente dalla cotta facile e non sarebbe certo caduto tra le sue grinfie, considerando il suo odio per i vampiri. Se era riuscito a superare la barriera che divideva le due razze, significava che provava sentimenti molto profondi.
Strinsi forte i denti.
Avevo sempre sperato che Jake riuscisse a farsi una ragione del mio legame con Edward e mi sostituisse, ma non con Rosalie. Non lo meritava.
“Chi era la ragazza a passeggio con te, a Port Angeles, a cui ha accennato mio padre?” domandai, rompendo il silenzio con un argomento apparentemente senza alcun nesso.
“Che c’entra con i Volturi?” domandò incredulo.
“Tu rispondi e basta”.
“Non la conosci. E’ inutile che ti dica chi è…” affermò senza lasciar trapelare emozioni.
“Dove l’hai conosciuta allora?” lo interrogai risoluta.
“A Seattle”.
“Quando?”.
“Che ti importa?”.
Effettivamente non avrebbe dovuto importarmene niente ma non sapevo calmarmi e il fatto che si fosse messo sulla difensiva avvalorava la mia ipotesi che avesse qualcosa da nascondere.
“E’ Rosalie” affermai senza alcuna cautela.
La mia sicurezza fu capace di distoglierlo dalla sua moto e mi fissò, stupefatto e al contempo prossimo allo sbottare. Tuttavia non disse nulla. Per quanto si fosse affannato a negare, quella era la verità. Non avrei mai potuto fornire una spiegazione logica, ma sapevo che nessuno mi avrebbe potuto distogliere da quel pensiero.
“Che cosa provi per lei?” chiesi, incurante del suo silenzio.
Continuò a tacere, mi avvicinai e gli misi una mano sulla spalla per fargli capire che poteva confidarsi, che non lo avrei criticato, ma se la scrollò di dosso. “Stai delirando, Bella” si limitò a dire, alzandosi e andando a pulirsi le mani sporche di olio con uno straccio buttato sul tavolo di legno nell’angolo del garage e sopra il quale c’era di tutto.
“E allora cos’era il bacio che ho visto?” insistetti con una punta di acredine. “Da quando baci una ragazza che odi? Non mi risulta. Oppure sei cambiato così tanto in questi ultimi tempi?”.
“Che cosa vuoi, Bella? Che cosa ti aspetti che dica? Ormai hai deciso tutto tu. Sembra che quello che penso non importi. Se vuoi sentirti dire che era Rosalie la ragazza con cui ero fuori quel pomeriggio, d’accordo, era lei. Contenta?”.
Sbuffai e avanzai come una tempesta. “Non osare trattarmi come se fossi deficiente! Voglio che tu mi dica la verità. Cosa provi per lei?”.
“Niente di particolare” replicò alzando la voce. “Se credi di trovare chissà che storia d’amore, ti sbagli di grosso!”.
“Oh no, non ti preoccupare, non mi aspetto di trovare chissà che sentimento. Perlomeno non da parte sua” esclamai con esagerato sarcasmo. Subito dopo fui costretta a fermarmi in quanto mi stava mancando sistematicamente il fiato. Respirai profondamente un paio di volte, sia per ritrovare la calma, sia per non morire asfissiata; poi ripresi, più pacata:“Non so come siate arrivati a questo punto ma so che lei non ti merita, Jake. E’ innamorata di Emmett. Lo è sempre stata e soltanto perché adesso è in crisi, non vuol dire che intenda lasciarlo. Sei solo un passatempo. Quando si stancherà, ti scaricherà. E tu vorresti combattere per una persona del genere?!”.
“Stai parlando di cose che non sai, quindi lascia perdere, prima che mi arrabbi sul serio” sibilò, contraendo la mascella.
“E’ vero, non conosco i fatti, ma conosco Rose e so quanto sia volubile e capricciosa”.
“Tu non la conosci affatto” disse, reprimendo una risata dal profondo. “Non sai quanto sia dolce, tenera e sensibile. Nella sua famiglia non è affatto compresa e quello che mi stai dicendo è una conferma”.
Le mie forze svanirono col risultato che le gambe avrebbero potuto cedere da un momento all’altro. Quello che lui stava dicendo era una conferma: era innamorato di lei. Glielo leggevo negli occhi. La stava difendendo con troppo fervore per essere una semplice amicizia, che non sarebbe neanche dovuta esistere. Mi sentii quasi male, pensando che dovevo spezzargli il cuore ancora una volta, ma era meglio parlarne subito, prima che i sentimenti diventassero più profondi. Almeno la delusione sarebbe stata più contenuta.
“Se combatterai per lei, morirai inutilmente. Non gliene importa niente di te. Vuole soltanto…”.
“Piantala, Bella!” mi interruppe con risentimento. “Ti ho già detto che non sai niente quindi taci. E’ meglio”.
“Non ci tengo neanche a saperlo!” mentii spudoratamente. “Voglio soltanto metterti in guardia. I tuoi sentimenti sono malriposti, se li affidi a lei”.
Mi ritrovai a domandarmi che cosa potesse trovare di particolare in Rose. In fondo, a parte una prorompente bellezza, non possedeva altro. Era soltanto una sciacquetta vanitosa e superba. Niente di più.
“Adesso basta. Ne ho abbastanza” concluse, uscendo a passi concitati dal garage. Lo seguii e fui costretta a correre per tenere la sua andatura. Rasentò il perimetro della casa e entrò, sbattendo la porta alle sue spalle. Un istante più tardi feci anch’io il mio ingresso e lo trovai fermo davanti alla cucina.
“Rachel, accompagna Isabella dai Cullen: toglie il disturbo” comunicò con piglio deciso e salì le scale, diretto in camera. Sua sorella mi osservò, frastornata; poi si alzò dalla sedia e si avvicinò per avere conferma della mia effettiva decisione di andarmene. Ma sia lei che Jake si sbagliavano di grosso se credevano che avrei gettato la spugna così facilmente. Senza proferire parola, salii i gradini, stando ben attenta a non inciampare, cosa abbastanza facile considerando che erano logorati e che faticavo a non cadere perfino quando non ero agitata. Figuriamoci adesso!

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Capitolo 54
*** Una minuscola parte di me - II parte ***


Spalancai la porta della sua camera e lo trovai seduto sul letto, con il viso appoggiato su una mano.
“Vattene” disse, senza neanche prendersi il disturbo di guardarmi.
“No” e sbattei la porta alle mie spalle. “Hai detto che siamo amici e che non conosco i fatti. Bene. Voglio solo che tu mi dica se la ami o no”.
“No, non la amo”.
“E allora perché la difendi in questo modo?”.
“Perché è una mia amica”.
“E da quando? Tu la odiavi!”.
“I sentimenti cambiano e non ritengo di doverlo spiegare a te”.
Sospirai. Effettivamente aveva ragione e sull’onda di questa obiezione, reclinai il capo, sconfitta. Forse avevo esagerato e mi stavo rendendo ridicola. Mi guardai attorno. Quella camera era esattamente come la ricordavo: un porcile! Vestiti in disordine, pezzi di apparecchi elettronici smontati, gettati sia sul pavimento che sulla scrivania, qualche libro di scuola sepolto da cumuli di calzini sporchi. Notai le cornici sul comodino e mi avvicinai. Presi in mano la nostra foto. Aveva più di un anno. Era stata scattata quando avevamo messo a posto le moto, durante il periodo in cui Edward mi aveva lasciata. Sembrava trascorso un secolo, eppure provavo tenerezza a ripercorrere quei momenti, nonostante per un certo verso fossero stati tra i più dolorosi della mia vita. Scoprii, accanto ad essa, una foto di Desirèe e Seth. Semplicemente stupenda. Non l’avevo mai vista, ma non entravo in camera di Jake da parecchi mesi ormai. Le scorsi una ad una fino a quando notai, appeso sul muro, il poster dell’attrice Jessica Alba, in bikini. Mi sfuggì un risolino.
“Cosa c’è?” ringhiò Jake.
“Da quando ti piace Jessica Alba?!” ridacchiai, indicandogliela.
“Da quando tu non ti fai gli affari tuoi” ribatté stizzito.
Bella ragazza, non c’era da discutere, però tenere il poster di un personaggio famoso mi sembrava più un gesto da ragazzina innamorata del proprio idolo, che da ragazzo grande e forte come lui. La fissai un istante più a lungo e la mia attenzione fu calamitata dai capelli biondi e dallo sguardo seducente prima, e dalle labbra carnose e dal corpo perfetto poi. Riscontrai un’inquietante rassomiglianza.
“Ricorda Rosalie…” mormorai, sperando che lui smentisse le mie fantasie ma non lo fece.
Teneva la foto di un’attrice che gliela ricordasse perché non ne aveva una sua.
La amava: sarebbe stato evidente anche a un cieco. Non sarei mai riuscita a fargli capire nelle mani di chi aveva messo il suo cuore. Era troppo tardi e ne avrebbe sofferto. Forse se gli fossi stata più vicina in questo periodo, non sarebbe caduto in questo grossolano errore, anche se non avrei mai potuto prevederlo, nemmeno in mille anni di esistenza. Ripensai al bacio che aveva visto loro due protagonisti: come l’aveva stretta, come le aveva accarezzato la schiena e un sottile quanto infido fiotto di rabbia soffocò la delusione e mi fece sua. Non potevo permettere che lui soffrisse ancora dopo di me. Se volevo sdebitarmi, dopo quello che gli avevo fatto passare, questo era il modo migliore. Mi avrebbe ringraziato quando avrebbe capito da che tragedia l’avevo salvato.
“E’ troppo frivola ed egoista per te. Non ti capirebbe mai…”.
“Piantala, Bella!” esclamò, alzando gli occhi al cielo. “Ti ho già detto che non c’è niente fra noi!”.
“E allora perché ti ostini a non volermi dire da cosa è nato quel bacio?!”.
“Non ritengo di dovermi giustificare con te. E’ solo una cara amica…”.
Da amica a cara amica… Ci stavamo già avvicinando. Forse tra qualche minuto sarei riuscita a fargli ammettere la verità. Si alzò dal letto e si diresse verso di me. “Ti chiedo di andartene” esclamò duramente, ma io rimasi immobile. Se lo voleva davvero, avrebbe dovuto mettermi lui stesso alla porta.
“Mi stai mentendo” replicai nervosa.
“Come fai a dirlo?”.
“Perché ti conosco e vedo come la guardi” poi, ammorbidendo il tono, continuai:“A me lo puoi dire. Non ti giudicherò…”.
Il cambiamento di tonalità non sortì l’effetto sperato perché Jacob tirò un pugno contro il muro, che tremò. Sobbalzai per quell’inaspettata dimostrazione di forza e irascibilità. Jake si girò di scatto verso di me e mormorò, ironico:“Visto che mi conosci tanto bene, Bella, dimmi come faccio ad amare Rosalie, se sono ancora perdutamente e inguaribilmente innamorato di te!”.
Il mio cuore perse un battito e una scossa elettrica fluì lungo tutto il corpo. Che stava dicendo? Mi stava prendendo in giro. Stava solo cercando di distogliermi da Rosalie e dal mio interrogatorio. Ultimamente non mi aveva quasi degnato di uno sguardo e ora esplodeva in questo modo?! Dovevo averlo veramente esasperato, se ricorreva a questi mezzucci.
Lo fissai negli occhi e vidi emergere dal fondo di essi quell’affetto, persino esagerato, che mi aveva dimostrato fino a qualche mese fa. “Mi dispiace…” si limitò a dire.
“Di cosa?”.
“Non avrei mai dovuto dirlo. Ma non ce la faccio più a tenermelo dentro. Mi sta logorando…”.
Sgranai gli occhi. “Non stai scherzando, allora…”.
“No” ammise dolorosamente.
Si lasciò cadere stancamente sul davanzale della finestra. Nonostante esso fosse eccezionalmente in alto rispetto al pavimento, riusciva a toccare agevolmente terra con i piedi. Si guardò attorno prima di proseguire:“Ho provato Bella… Ho provato con tutte le mie forze. Per un po’ ho davvero pensato che Rosalie fosse riuscita a cancellarti ma non è così. Ho sbagliato. Non riesco a liberarmi dei sentimenti che nutro per te, per quanto mi impegni. Passa il tempo e sei sempre nel cuore. Gli altri del branco mi hanno detto che non è imprinting, ma a questo punto credo che lo sia perché non riesco a concepire un sentimento più profondo di questo e, dopo Rose, mi sono convinto che non sparirà mai”.
Non sapevo cosa dire. Stava ammettendo che avesse provato qualcosa per la mia futura cognata, ma tutto questo passava completamente in secondo piano. Mi stava sorprendendo con la dichiarazione di un amore che io credevo morto da tempo ormai. Almeno lo avevo creduto nell’ultima settimana, dopo che la storia di Rosalie mi era stata scaraventata in faccia.
“Credevo che tu amassi Rose” trovai la forza di obbiettare.
“No. Le voglio molto bene ma non è amore. Non è quello che provo per te” disse e una parte di me si risvegliò, improvvisamente galvanizzata e felice che non mi avesse dimenticato, che occupassi ancora una parte importante del suo cuore. Quando era tornato dalla sua fuga in Canada, mi aveva preannunciato che sarebbe andato a caccia di una mia sostituta: all’inizio non mi aveva disturbata, ma solo ora mi accorgevo che non volevo essere dimenticata, né accantonata. Attribuii la mia reazione all’abitudine, ormai imprescindibile da me stessa, di essere sempre al centro dei suoi pensieri e delle sue attenzioni, e non avevo idea che presto mi sarei dovuta ricredere.
“So che non ti piace parlarne e mi ero ripromesso di non assillarti più, ma è più forte di me. Neanche salvare l’amicizia è abbastanza per convincermi a tacere” si scusò, anche se sapevo che non era dispiaciuto. Si era trattenuto troppo a lungo, conoscendolo, e sfogarsi era l’unico modo per stare meglio.
Si alzò e camminò nella mia direzione. Nonostante la corporatura più che robusta e i lineamenti del viso ormai da uomo, mi apparve un bambino, fragile e indifeso. Mi stava riconsegnando il suo cuore, ben sapendo che io l’avrei stritolato ancora una volta. Cosa potevo dire, a parte le solite frasi già dette e ridette? Non potevo aiutarlo: io appartenevo a Edward. Jake era il mio migliore amico, o qualcosa di più, ma io volevo sposare un altro. Solo questo contava…
Tuttavia quando la distanza fra noi fu pari a un alito di vento, per la prima volta da quando conoscevo Jacob, ebbi paura, senza alcun motivo. Mi sollevò una mano e la posò sul petto. Il suo cuore batteva come un tamburo.
“Lo senti, Bella? Forse non sei più abituata a sentirne uno, ma questo è un cuore che batte… E batte per te, solo per te” sussurrò dolcemente.
Il tepore del suo corpo mi scaldò la mano nell’arco di un respiro e diametralmente un brivido mi attraversò la spina dorsale. Fu imbarazzante scoprire che, invece di ritirare la mano, avrei desiderato accarezzarlo. Avrei altresì dovuto allontanarmi ma l’unica parte del corpo che rispose al mio comando fu la testa che si reclinò per non fronteggiare il suo sguardo.
Jake non intuì la mia lotta interiore e continuò:“Non smetterò mai di amarti. Tu sei il sogno che mi accompagna tutte le notti e non voglio cancellarlo. E’ troppo meraviglioso per privarsene”.
La sua mano destra mi alzò il viso in modo che lo guardassi, mentre io, ostinatamente, tenni gli occhi puntati altrove. Si chinò su di me, come per baciarmi, ma si bloccò così vicino da poter sentire l’aria che usciva dai polmoni. Percorse il mio naso, sfiorandolo con le labbra. Quando ne ebbe accarezzato tutto il profilo, immaginai che sarebbe toccato alla bocca, ma sentii solo la sua dischiudersi leggermente sul mio labbro superiore, per poi spostarsi lentamente sulla guancia destra, dove indugiò a lungo. Le sue mani giocavano con i miei capelli mentre i baci della stessa consistenza della brezza primaverile mi stavano facendo ribollire il sangue. Dapprima ritrosa, mi scoprii quasi audace quando non ebbi paura di guardarlo nella profondità dei suoi occhi neri come la pece.
Dalla nuca le sue dita lambirono il lobo dell’orecchio fino a scendere lungo il collo. Mi sentii tremare e divenne visibile quando mi baciò l’angolo sinistro della bocca. Se era una tortura, l’aveva congeniata bene…
Il suo respiro caldo si sparse per tutta la guancia fino a quando udii distintamente il suo sussurro vicino all’orecchio. “Ti amo” disse, prima di abbracciarmi.
Iniziai a sentire sensazioni ed emozioni che non avevo mai provato in vita mia e che, se avessi avuto un minimo di decenza, avrei dovuto scacciare subito. Ma non potevo fare a meno di desiderarlo. In punta di piedi, alzai le braccia, fino ad allora abbandonate lungo i fianchi, per delineare le sue spalle robuste. Mi strinse più forte per sostenermi e non farmi perdere l’equilibrio. Passai la mano anche sulle clavicole che il collo slabbrato della maglietta lasciava in bella mostra. Lo immaginai senza quel fastidioso indumento. Lo avevo visto spogliato parecchie volte, ma adesso era diverso perché ero io a volere che lo togliesse.
In quel momento non realizzai che ciò che stavo immaginando era assolutamente sbagliato e stava violando regole che non mi sarei mai sognata di trasgredire. Ricordai il bacio che mi aveva dato poco prima di combattere la primavera scorsa e desiderai ritrovare quella sensazione. Non l’avevo mai dimenticato, l’avevo soltanto nascosto per bene e ora che l’avevo nuovamente così vicino a me, scoprivo che il nascondiglio non era così inaccessibile come credevo: quel tepore, quella dolcezza imprigionata in una maschera di sfacciataggine era stata liberata in uno dei momenti che io ricordavo tra i più felici della mia vita. E il contatto con il suo corpo faceva nascere in me desideri sempre più riprovevoli.
I battiti accelerarono, martellando il petto a tal punto da farmi sentire dolore.
Tutto di lui si stava impadronendo del mio cervello, persino il profumo. Appoggiai la testa su di lui ed espressi il desiderio di restare così tutta la vita. Era pace e al contempo eccitazione; era il calore di un abbraccio e il brivido di una fantasia; la tenerezza di un amicizia e l’ardore di un amore incontrollabile. Il respiro si fece irregolare quando la sua mano mi percorse tutta la schiena fino a lambirmi il bacino e la sua bocca mi baciò voluttuosa la spalla.
Mi sfuggì un respiro troppo profondo per essere frainteso e l’imbarazzo mi fece tornare alla realtà. Inattesa la voce di Edward mi rimbombò nella testa. Mi chiamava, mi implorava di tornare a casa, mentre io ero lì, fra le braccia di un altro. Se Edward lo avesse saputo, mi avrebbe odiata e lo avrei perso.
Ma io volevo andare via? Il cervello rispose subito: “Sì”. Mi divincolai dal suo abbraccio e arretrai di qualche passo. I suoi occhi mi fissarono, mortificati. “Mi dispiace Bella… Perdonami. Non dovevo…” si scusò.
Scossi la testa da una parte all’altra. Non era lui a doversi scusare. Aveva soltanto espresso ciò che provava. Ero io a essere continuamente fuori posto, a non capire quando mi dovevo fermare.
Udii lo scrosciare di mille voci. Ognuna mi diceva una cosa diversa. Mi sembrava di essere in una camera dove tutti urlavano mentre io tentavo di prestare ascolto, senza, di fatto, riuscire a comprendere il senso di alcuna frase che venisse detta.
“Non posso…” balbettai confusa. “Devo andare. Edward mi aspetta… Scusami”.
Scappai via. Scesi di corsa le scale, rischiando di inciampare un paio di volte e raggiunsi l’ingresso della casa. Ne varcai la soglia senza salutare né Rachel, né Billy. Mi fermai un attimo quando mi ritrovai in mezzo alla strada. Era il crepuscolo. Le luci dei lampioni si stavano accendendo.
Avrei dovuto chiedere a Jacob di riaccompagnarmi da Edward, ma non volevo tornare in quella casa per nessun motivo al mondo, soprattutto non volevo vedere lui. Non ero arrabbiata, né irritata. Volevo solo sparire. Feci un’ampia giravolta su me stessa per capire quale strada prendere. Ero venuta lì un sacco di volte e sapevo perfettamente quale fosse la direzione giusta per tornare a Forks, ma ero vittima di una terribile amnesia. Inoltre le cento voci contribuivano a confondermi ancora di più. Ma non sentivo più quella di Edward. Dov’era? Perché non si faceva più udire?
Fui attratta dalla luce del lampione che illuminava l’entrata della casa di Jacob e ne rimasi accecata. Quasi subito mi resi conto che non era solo quella, ma tutte le luci della strada a infastidirmi. Avevo bisogno di buio, complice un fastidioso mal di testa. Notai il bosco che si estendeva dall’altra parte della strada e che sapevo congiungersi, dopo pochi chilometri, con quello che segnava il confine tra La Push e Forks. Decisi per quella via e mi ci inoltrai.
Più mi allontanavo dal centro abitato, più le voci nella testa si zittivano. Pian piano arrivò il silenzio, o quasi. Ce n’era solo una che continuava a parlare e non era quella che cercavo e desideravo più delle altre. Edward era così infuriato da non volermi più rivolgere parola? Non avevo fatto niente di male, non lo avevo tradito. Eppure mi sentivo in colpa per un pensiero che mi aveva attraversato la mente.
“Cosa fai qua?”mi sussurrava ingannevole la voce che mi assillava. “Torna da Jake… O hai paura? Paura di te?”.
Mi portai le mani alle orecchie ma non servì a nulla. Ripresi a correre fino ad affondare nel buio più completo e, quando finalmente non la udii più, mi fermai. L’oscurità era tale da non farmi distinguere al di là di due, tre metri. Avevo perso l’orientamento e non sapevo più dove andare. Appoggiai le mani ad un albero. Il cuore batteva all’impazzata, il respiro era affannoso, la testa non mi doleva più ma girava vorticosamente. Non capivo cosa mi stesse succedendo. Forse avevo un infarto in corso o qualcosa del genere. Tentai di convincermi che fosse davvero questo il problema: sarebbe stata la soluzione migliore. Ma invece avevo paura di essermi persa non in quel bosco, ma negli occhi di qualcuno.
Mi lasciai cadere al suolo, stringendomi il petto, nel goffo tentativo di rallentare il battito del cuore. Respirai con calma e a fondo per tornare alla regolarità, ma, visto che non raggiungevo i risultati sperati, iniziai a piangere silenziosamente. Mi odiavo con tutte le forze per quello che mi stava accadendo e che non riuscivo a dominare. Una parte, quella minuscola parte di me, che fino a quel momento era stata silenziosa e quasi invisibile, si stava ribellando. E avevo scoperto che era tutt’altro che debole e non ero capace di fermarla.
Pensai a Edward. Solo lui avrebbe saputo dominarla e salvarmi, ma non era qui, con me. Lo immaginai per avere sollievo. Con calma mi figurai la sua bocca, gli occhi dorati, il sorriso carezzevole. Avevo bisogno di loro per cancellare una voce, un abbraccio, uno sguardo profondo come la notte, ma caldo come il fuoco.
Non funzionò. Non era abbastanza. Cominciò a mancarmi sistematicamente il respiro e a non distinguere le radici degli alberi attorno a me. Ero in apnea, con l’inconveniente che avrei potuto respirare ma non riuscivo, come se avessi un attacco di panico. Contemporaneamente le lacrime sgorgavano e sembravano contribuire a soffocarmi. Mi aggrappai alla corteccia dell’albero, nel tentativo di rialzarmi ma ormai ero priva di forze.
“Bella!” mi chiamò una voce roca alle mie spalle. Mi voltai verso di lui.
Era a pochi passi. Statuario, forte, uno sguardo sconcertato. Si gettò su di me. “Bella, cosa c’è? Stai male? Vuoi che ti porti dai Cullen?” mi domandò Jacob.
Non capii. La mia bocca si mosse senza che il cervello le ordinasse niente, completamente autonoma.
“Ti prego, abbracciami. Stringimi forte” lo implorai e lui obbedì.
Il mio respiro tornò regolare, il battito si chetò, pur restando lievemente accelerato e una sensazione di pace si appropriò di me. Tutto quello che mi aveva tormentato era sparito ed ero salva dalle tempeste che si agitavano nella mia mente e nel mio petto, anche se ora avrei dovuto fare i conti con le cause del mio improvviso benessere.
Mi ero sempre sentita fuori posto ovunque fossi andata, poi con la comparsa di Edward mi ero convinta di avere finalmente trovato una collocazione, che lui fosse la chiave del mio destino. Ora mi accorgevo che esisteva un’altra casa per me e si trovava lì, con Jake. Strinsi con tutte le forze rimaste le braccia intorno al suo torace. Quello che avevo cercato tutta una vita era con me, in questo momento, e non volevo perderlo per nessuna ragione al mondo. La parte che lo amava era cresciuta senza che io me ne accorgessi e ora reclamava il suo posto. Avrei dovuto fermarla, ma perché allontanare la persona che ti fa sentire in questo modo? Forse stavo sbagliando tutto, forse la mia strada non erano i Cullen e la trasformazione, forse… Alzai il viso per incrociare il suo. Ne rimasi estasiata: non era mai stato così bello ai miei occhi.
Non so perché successe, so solo che persi i sensi.
Quando mi risvegliai, ero distesa sul letto, in camera di Jacob. Lui e Rachel stavano confabulando.
Quando si accorsero che stavo aprendo gli occhi, Rachel si avvicinò, dimostrando un’eccessiva preoccupazione. “Bella, come va? Ti senti meglio?” domandò.
Non avevo ancora la forza per rispondere, e mi limitai a un veloce cenno del capo.
“Sei svenuta” mi spiegò. “Hai male da qualche parte? Vuoi andare in ospedale?”.
Stavolta non sarebbe bastato un singolo movimento. “No, grazie. E’ stato solo un giramento di testa” risposi con un filo di voce.
“Sei sicura? Guarda che possiamo accompagnarti… Non è un problema”.
Feci per tirarmi sù e dimostrarle che ero in via di guarigione, quando mi bloccò:“Non alzarti! Potrebbe essere stato un problema di pressione. E’ meglio che tu stia a riposo ancora per qualche minuto”.
Jacob era ai piedi del letto che mi guardava in ansia. Lo conoscevo quello sguardo: si sentiva in colpa. Credeva che il mio malore fosse dovuto a ciò che mi aveva detto ed effettivamente era così, ma non per il motivo che credeva lui.
“Se preferisci, ti accompagniamo dai Cullen” ipotizzò Rachel, lanciando un’occhiataccia in direzione di suo fratello.
“No, meglio di no. Non adesso” risposi con un’insolita decisione.
Fissai Jake che mi evitò. Ma il mio gesto non sfuggì a Rachel, che si alzò lentamente e risolse:“Allora io torno giù. Se dovessi avere bisogno di qualcosa, chiamami”. Trapassò suo fratello con lo sguardo, come una velata minaccia, poi uscì, chiudendo la porta.
Riteneva che avessimo qualcosa da chiarire e aveva ragione.
Jacob sembrava sui carboni ardenti. Non l’avevo mai visto in quello stato. Dov’era andato a finire il suo piglio sicuro? Nemmeno lui aveva previsto una reazione del genere da parte mia ed era pronto a farsi carico delle sue responsabilità, cosa che non volevo assolutamente accadesse.
Si sedette sul bordo del letto, a fianco a me, con le mani incrociate sulle ginocchia. Non sapeva da che parte cominciare e faceva tenerezza.
“Mi dispiace se quello che ho detto prima ti ha turbato” iniziò fra mille tentennamenti. “Non era mia intenzione. Mi ero ripromesso di non parlartene più, ma non ce l’ho fatta nemmeno stavolta. Solo ora mi sono accorto di quanto questo tasto sia penoso per entrambi. L’unica cosa che ti chiedo è di fare finta di niente, come se non avessi detto nulla. Puoi farmi questo favore? Torniamo come prima, ok?”.
“Non posso, Jake” risposi titubante. Avrei dato tutto quello che avevo per poter realizzare questo suo desiderio ma ormai era tardi. Tardi per tutti. Dentro di me qualcosa stava scavando e sapevo che non sarei riuscita a bloccarla. La trasformazione era iniziata.
“Che cosa vuoi dire?” mi domandò accigliato.
Le nuvole si stavano diradando e la luce che ne filtrava era accecante e meravigliosa.
“Non posso fare finta di niente, Jake… Mi dispiace…”.
“Capisco” esclamò rassegnato.
Si alzò dal letto e andò verso la finestra, stanco e depresso. Si affacciò ad essa e il suo sguardo naufragò nel monotono panorama, fatto di giardini e alberi, che si dominava da quella camera. “Questa volta è davvero la fine… Sono stato uno stupido. Sono riuscito a rovinare la nostra amicizia…” si rammaricò.
“La nostra non è mai stata una vera amicizia. Non da parte tua, almeno…” lo sgridai benevolmente.
Ma cosa stavo dicendo?! Non era già abbastanza la sofferenza che si stava portando dentro? Dovevo mettermici anch’io con i miei commenti fuori luogo? E poi non volevo dirgli questo. Il mio cuore stava urlando ben altro. Socchiusi le palpebre per ascoltare ciò che mi stava dicendo. Non volevo sbagliare né farmi prendere dalla foga, come al solito. Il sentimento che avevo intravisto prima, nel bosco, così intenso e profondo, non poteva essere già svanito. Esisteva ancora, da qualche parte e io volevo sondarne l’effettiva forza. Lo cercai e lo trovai.
“Hai ragione. E di questo ti chiedo scusa. Immagino che la nostra amicizia, o come la vuoi chiamare, sia finita. Sì, penso che sia la cosa migliore, altrimenti continueremmo a ferirci entrambi. E tutto sommato, anch’io sono stanco di questa storia…” sentenziò, dopo un lungo sospiro. “Quando tutto questo sarà finito, ti sposerai, e se sarò ancora vivo e tu lo vorrai ancora, ti farò da testimone, così forse riuscirò davvero a mettermi in testa che per me non c’è speranza. Dopo di ché, me ne andrò e stavolta non tornerò mai più. Farò in modo che anche gli altri del branco perdano le mie tracce, così ognuno potrà vivere la propria vita, senza interferire in quella dell’altro. Tu sarai moglie e vampiro felice e io potrò provare a ricominciare, lontano da te…”.
“Jacob, aspetta! Io non voglio che tu vada via!” esclamai atterrita. Tentai di alzarmi dal letto e mi accorsi che la paura di perderlo mi aveva fatto ritrovare le forze più velocemente di quanto mi aspettassi.
“Finché resterò qui, non ti dimenticherò mai e sono stufo di farmi del male. Non vorrei separarmi da te, ma credo di meritarmi di più che vivere di fantasie e ricordi…” constatò amaramente.
Mi avvicinai a lui a passi lenti e silenziosi e gli cinsi il busto con le braccia, appoggiandogli il viso sulla schiena. Trasalì, sorpreso dal mio inatteso gesto di affetto.
“Non voglio che tu vada via, Jake. Ti prego, non mi abbandonare…” lo implorai.
“A che pro, Bella? Per alzarmi tutti i giorni dal letto e compatirmi?” disse duramente.
“Perché… io ti amo” sussurrai, stringendolo più forte. Il petto smise di dolermi, come se finalmente avessi fatto uscire ciò che urlava a squarciagola. Jake rimase immobile per qualche istante, poi si divincolò dal mio abbraccio in maniera violenta. Quando incrociai il suo sguardo, vi lessi rancore e ira.
“Perché? Perché mi fai questo, Bella?” urlò.
“Io non…” tentai di obbiettare.
“Ti diverti a farmi soffrire? Oppure sei così egoista da volermi tutto per te senza darmi possibilità di vita altrove? Io sono stanco di questa situazione. Sono sfinito. E tu vieni a dirmi che mi ami?! Ne abbiamo già parlato, ricordi? Sì, mi ami ma non abbastanza! E allora preferirei che dicessi che mi odi. Sarebbe di maggior aiuto!” inveì con prepotenza.
Non aveva torto. Glielo avevo già detto in passato ma di fatto le cose non erano cambiate perché allora amavo infinitamente di più Edward. Mentre invece adesso sembrava tutto diverso, anche se in realtà non avvertivo alcuna sofferenza. Le trasformazioni generano dolore ed era ciò che avevo avvertito prima quando ero svenuta; ma ora non lo sentivo più e anzi mi sembrava che il naturale ordine delle cose avesse ripreso il suo scorrere, come se la Terra non girasse più intorno alla Luna, ma al suo Sole.
“Non è più come prima, Jake” ebbi solo il tempo di dire.
“E com’è adesso, Bella?” mi derise, allontanandosi dalla finestra e da me. “Non oso immaginarlo. Cosa sono diventato? Il migliore, migliore amico?! Ho guadagnato così tanti punti?! No, meglio chiuderla qui. Sul serio e per sempre”.
“Maledizione! Vuoi starmi a sentire?!” urlai in preda alla rabbia.
Non volevo essere scortese, ma servì a zittirlo.
“Ascoltami solo un attimo, poi potrai ricoprirmi di insulti, se vorrai” proseguii più pacatamente. Non sembrava disponibile a prestarmi attenzione, tuttavia non parlava e io riuscii a dare un ordine ai miei pensieri:“Ti amo e non perché sei il mio migliore amico da cui non posso separarmi. Ti amo perché senza di te non posso vivere, perché mi sei indispensabile. Ricordi quando sono venuta a trovarti dopo lo scontro con i Neonati di Victoria? Tu giacevi, ferito, in quel letto. Ti ho detto che eri come il sole per me e mi hai risposto che avresti potuto combattere contro le nuvole ma non contro un’eclisse…”.
Annuì e mi avvicinai. Quando fui prossima, allungai la mano e gli sfilai l’elastico dai capelli. Gli passai le dita fra le ciocche mentre lui mi guardava, incapace di intuire quale fosse la conclusione del mio ragionamento. “L’eclissi è finita, Jake. La luna non mi potrà mai dare ciò di cui ho bisogno. E io voglio te…” mormorai, visibilmente emozionata.
“Stai mentendo…” balbettò incerto.
Risi. Pensare che riuscissi a mentire su una cosa del genere era come affermare che gli elefanti volano: semplicemente assurdo!
“Che ragione avrei per farlo?” domandai tornando seria.
“Non lo so. Voi donne siete contorte…”.
“Forse le altre, io no di sicuro” sogghignai. Mi misi di fronte a lui e lasciai che i suoi occhi esplorassero i miei. Mi conosceva così bene da leggermi dentro senza che parlassi e il fatto che sospettasse un inganno potevo attribuirlo solo alla paura di essere ferito nuovamente. Non dissi nulla, sperando che potesse vedere ogni cosa, anche il desiderio con cui lo stavo guardando. Ero attratta da lui come mai in vita mia. Non era più il mio migliore amico, era qualcos’altro. Qualcosa di estremamente eccitante che mi fece arrossire. Passai lentamente le dita sul suo braccio e ricordai che Rosalie aveva detto che ero invidiosa di come lui l’aveva abbracciata e che avrei voluto essere al suo posto. Aveva ragione. Ero gelosa, gelosa marcia di quello che avevano condiviso, di qualsiasi cosa si trattasse. Non avevo voluto cederglielo e il motivo era che lo amavo. La sua presenza era stata sempre data per scontata e soltanto quando l’avevo visto allontanarsi avevo capito cosa nascondevo nel cuore. La gelosia aveva fatto da detonatore e ora non c’era artificiere su questa terra che avrebbe potuto fermare l’esplosione.
“E’ un capriccio. Hai paura di perdermi e lo stai dicendo solo per trattenermi” mi raggelò.
“No. Non è così”.
“E il tuo matrimonio allora? Dove lo metti?” ironizzò.
“Se tu lo vorrai, un matrimonio ci sarà, ma in esso non sarai il testimone, ma l’uomo accanto a me sull’altare” risposi dolcemente.
Alzai il viso verso di lui e vi scoprii una sincera sorpresa, che nascondeva, a sua volta, un sorriso pronto a esplodere da un momento all’altro. “Non voglio perderti, non adesso che ho capito cosa provo per te” chiosai.
Jake sospirò e, distogliendo lo sguardo dal mio, affermò:“Ti rendi conto, Bella, che quello che stai dicendo potrebbe farmi morire d’infarto, in questo momento?”.
“Spero di no” ridacchiai. “Vorrei passare una vita con te, e non pochi secondi soltanto”.
E finalmente il mio desiderio si avverò. Le sue braccia mi strinsero a sé e potei godere di tutto il suo calore. Era una sensazione diversa da quella che provavo con Edward: passione, umanità, emozione. Non che Edward non le possedesse, anzi, ma con Jake non dovevo essere diversa, non dovevo trasformarmi in qualcos’altro per sperare di essere alla sua altezza. Con lui era tutto naturale.
Gli cinsi le mani intorno al collo, fin troppo temeraria. Capì l’intrinseco significato di quel gesto e lo esaudì: mi baciò. E fu un bacio vero. Non come quelli che avevo dato e ricevuto in passato. Non dovetti trattenermi e lui non doveva avere paura di farmi del male. Potevamo andare oltre tranquillamente. Mi sollevò con lo stesso sforzo con cui si raccoglie un fiore da terra. Si rinnovò il ricordo del nostro primo bacio, ma questa volta fu completamente differente: ero consapevole dei miei sentimenti. Non mi sentivo combattuta, né confusa: avevo scelto. La minuscola parte di me aveva vinto e ora si stava godendo la vittoria, mentre io desideravo solo di non staccarmi mai più da lui.
Quando si allontanò, incontrai uno sguardo trasognato, come se avesse vinto il primo premio alla lotteria e stesse rimirando il biglietto vincente.
“Non sto sognando, vero? E’ così. Sei qui, accanto a me. Non svanirai… Non cambierai idea, giusto?”.
“No. Ho scelto te, Jacob Black” risposi con un pizzico di emozione.
Alzò gli occhi al cielo poi disse:“Ho paura che sia una delle mie ennesime allucinazioni su noi due… Credo che continuerò ad abbracciarti fino a che non me ne convincerò!”.
“Allora, spero che avvenga il più tardi possibile!” replicai.
Ero talmente leggera, per i suoi canoni, che riusciva a tenermi tranquillamente con un braccio solo mentre con l’altro mi accarezzava i capelli. “La mia Bells…” sussurrò più volte, prima di mettermi una mano dietro la nuca e spingerla contro il suo petto. Era estasiato come me.
Iniziò a ridere e ben presto lo imitai. Girò su se stesso, compiendo parecchie giravolte prima di perdere l’equilibrio e cadere, per fortuna, sul letto. Gli atterrai addosso, ma non mi feci niente. Era strano come il suo corpo fosse a volte duro come la roccia, altre volte soffice come un cuscino.
“Sei davvero bellissimo” mi sfuggì mentre lo osservavo in contemplazione.
“Sei proprio innamorata, allora!” mi sbeffeggiò, prima di baciarmi nuovamente.
Era tutto perfetto. Fino a poche ore fa non avrei mai creduto che la mia prospettiva sarebbe cambiata tanto. Ripensai che ora non avrei più dovuto trasformarmi, che lui sarebbe invecchiato con me, che avremmo avuto una “banale” vita normale, che l’imperfetta Bella sarebbe rimasta tale senza doversi sentire in qualche modo inferiore al suo compagno. Jacob apprezzava i miei difetti e riusciva a farli amare anche a me. Non mi sentivo messa a confronto con esseri semplicemente insuperabili. Potevo essere me stessa e andarne fiera. Non rinfacciavo nulla a Edward ma quella piccola sensazione di inadeguatezza non mi aveva mai abbandonata, mentre con Jacob non l’avevo mai provata.
Improvvisamente ritornai sulla terra quando sentii la sua mano avventurarsi sotto la mia maglietta fino a raggiungere terre che nessuno, a parte la sottoscritta, aveva mai visto, né tanto meno toccato. E non mi dispiacque affatto. Gioia, passione, paura. Sentivo queste sensazioni contemporaneamente  e pensai che il mio cuore non potesse sostenerle tutte.
Poi sfilò la mano e anche il bacio finì.
“Scusami, Bella” affermò sinceramente mortificato.
“Di cosa?” domandai incuriosita.
“Di averti… toccata. Mi è venuto spontaneo. Mi dispiace”.
“Ok. Tu sei perdonato: però devo punire questa mano dispettosa” e, sollevandola, ne baciai lentamente i polpastrelli.
“Ah Bella! Non è un buon modo per punirla…” sospirò.
I nostri pensieri furono gli stessi, senza bisogno di parlare. C’era una complicità infinita. Nessuno di noi due aveva poteri telepatici, ma ci capivamo ugualmente. Ogni suo gesto, ogni suo sguardo per me era un segnale. Era sempre stato così da quando ci eravamo conosciuti.
Jacob, per parte sua, mi conosceva anche meglio di me stessa. Avevamo una sorta di affinità che si era sviluppata nel tempo e che ci aveva portato lì. Ora capivo che lui aveva ragione quando mi aveva detto che eravamo anime gemelle. L’avevo sempre sospettato ma pensavo che il sovrannaturale avesse infranto ciò che il destino aveva creato. Non era così.
Si liberò della mia stretta e mi sollevò su di sé, osservando il mio viso in ogni dettaglio. “Ti voglio, Bells, ma al piano di sotto ci sono papà e Rachel e io non voglio farlo di nascosto e in fretta, come se fossimo due ladri. La nostra prima volta deve essere il massimo del romanticismo. Voglio organizzare qualcosa alla tua altezza” mi spiegò.
“Spero che tu non intenda farmi aspettare la notte di nozze, perché non ne ho alcuna intenzione!” replicai, sbuffando.
“Credi che intenda aspettare così tanto?! Anche perché, per quanto ti ami, non voglio sposarmi a diciotto anni…” ridacchiò.
L’idea che un probabile matrimonio sarebbe stato molto più avanti mi fece tirare un sospiro di sollievo. “Possiamo fare una più sconveniente convivenza, quindi?” domandai per sincerarmi delle sue reali intenzioni.
“Certo. Anzi, prima dei 25 anni, il matrimonio te lo puoi scordare!” convenne.
“Fantastico!” esclamai entusiasta e lo abbracciai.
Una vita normale, da ragazza della mia età. L’università, gli amici, papà, mamma, mangiare, dormire, respirare, i pranzi di Natale e del giorno del Ringraziamento. Non avrei più dovuto rinunciare a nulla. Grazie a Jake, tutto mi era servito su un piatto d’argento. Come avevo potuto essere così cieca da non accorgermi di quello che avrei perso?! Avremmo avuto una relazione come tutte le persone di questo mondo e alla fine… Mi soffermai su un pensiero a cui non avevo mai attribuito importanza e che invece adesso rivestiva improvvisamente un profondo valore. I figli. Una famiglia tutta nostra. Edward non me l’avrebbe potuta dare e io non ci avevo mai pensato, facendo la fine della volpe con l’uva. Ma adesso era tutto diverso. Sì, volevo essere madre e Jake sarebbe stato il padre dei miei figli.
“Cosa c’è?” mi domandò, preoccupato del mio silenzio.
“Niente” scrollai le spalle. “Sono solo tanto felice”.
“Anch’io. Oggi è il giorno più bello della mia vita”.
“Ti amo, Jake. Non mi lasciare mai, ti prego” sussurrai, timorosa.
“Non accadrà. Te lo posso giurare su tutto quello che ho di più caro… che poi saresti tu!” sorrise.
Appoggiai il viso sul suo petto e ne ascoltai i battiti. Dopo tanto silenzio, era piacevole sentirli così vicini a me. La mia vita sarebbe tornata sulle normali rotaie, ora che avevo finalmente capito, e quei battiti avrei continuato a sentirli fino a che avessi respirato.
Mi attirò a sé e mi baciò nuovamente.
I suoi baci. Le sue carezze. Tutto di lui mi faceva sentire in paradiso. E se pensavo che l’avevo perso volontariamente per un anno intero, non potevo esimermi dal darmi della stupida. Ma ora avremmo recuperato il tempo perso. Amarci, adorarci, essere l’uno parte dell’altro. In questo sarebbe consistita la mia misera e mortale esistenza.




Ok, sono pronta con elmetto, scudo e tuta mimetica per diferdermi dagli assalti e dalle critiche! Potete parlare e dirmi tutte le boiate che volete!
Ma lasciatemi dire una cosa:
le sorprese non finiscono qui!

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Capitolo 55
*** Tutto cambia, tutto resta com'è ***


In quel pomeriggio toccai la mia massima resistenza in apnea.
Non avevo mai baciato Edward tanto a lungo e quindi per me si trattava di una magnifica novità. Ogni tanto ero costretta a rifiatare, ma recuperavo il tempo perso l’istante successivo. Non mi volevo staccare da Jacob, come se temessi di vederlo svanire e di perdere il mio angolo di paradiso personale.
Sarebbe dovuto apparire tutto estremamente surreale, considerando che fino a poche ore fa la mia massima aspirazione era diventare un vampiro e membro della famiglia Cullen; ora trovavo altrettanto naturale pensare a una vita con un licantropo e addirittura a una famiglia tutta mia. Chissà che cosa avrebbe detto papà quando lo avrebbe saputo? Sarebbe sicuramente impazzito di gioia. Lui adorava Jacob e avrebbe adorato ancora di più il fatto che non mi sarei sposata prima di avere terminato l’università. Le mie fantasie mi distrassero, inducendomi ad allontanarmi dalle sue labbra.
Ne disegnai il contorno con l’indice, mentre le osservavo in ogni particolare.
Un bambino uguale a lui da prendere in braccio e da coccolare… Non adesso, ma magari verso i trent’anni…
“A cosa stai pensando, Bella?” mi domandò.
Scrollai le spalle. Non avevo alcuna intenzione di dirglielo: mi avrebbe presa in giro per l’eternità, e non volevo fornirgli altro materiale più di quello che già possedeva.
“Allora possiamo riprendere, no?” mi invogliò.
Feci cenno di sì e riprese a baciarmi. Mentre mi abbandonavo al suo abbraccio, ebbi modo di confrontare la mia assoluta mancanza di istinto materno di qualche giorno fa con quello attuale. Forse era soltanto perché non potevo avere figli che pensavo di non volerne, mentre adesso la situazione era cambiata. O forse era sempre la stessa, soltanto che vedevo un figlio come il proseguimento mio e di Jake, di qualcosa che avrebbe potuto rappresentare entrambi. Più semplicisticamente, con Edward sarei vissuta in eterno e l’avrei amato per sempre; con Jacob dovevo dare addio al concetto di eternità, pur senza alcuna remora. L’eternità per noi sarebbe esistita tramite un bambino. Lui avrebbe proseguito la nostra vita. Rosalie avrebbe venduto un braccio per diventare madre, mentre io potevo avere tutto facilmente.
Rosalie…
Sgranai gli occhi e lasciai di scatto le sue braccia. Jacob, visibilmente sorpreso, chiese preoccupato:“Che c’è? Che ti prende?”.
Addentai l’unghia del pollice per sfogarmi su qualcosa, tentando di nascondere il nervosismo crescente che mi aveva assalito a tradimento. Feci qualche passo, prima di fermarmi, titubante, e capire che avevo bisogno di sapere.
“Cosa c’è, Bells?” mi domandò nuovamente.
“Rosalie” ripetei, fissandolo negli occhi.
Il suo sguardo si incupì. Sapeva che se prima aveva potuto evitare una risposta precisa, ora non avrebbe potuto farlo e io volevo la verità.
“Dimmi…” mugugnò recalcitrante.
“Cosa c’è stato tra voi?”.
“Tutto e niente” sospirò.
“Cosa significa?” insistetti ragionevolmente spazientita. Perché non voleva parlarne? Era un argomento così fastidioso? Anch’io non amavo parlare di lei, ma era indispensabile sapere come stavano le cose. Avevo l’orribile presentimento che quello che avrei sentito non mi sarebbe piaciuto neanche un po’, tuttavia ero rosa dalla curiosità.
Abbassò il viso a terra e con poche parole mi sbatté contro una parete d’acciaio:“Abbiamo avuto una relazione”.
“Una relazione?” balbettai. Non avrebbe dovuto stupirmi, eppure stava accadendo.
Jacob annuì e una pugnalata mi colpì al cuore. Gli occhi mi si riempirono di lacrime. “Perché…?” domandai affranta.
“Volevo una ragazza che ti sostituisse, te l’avevo detto, e, per una serie di circostanze troppo lunghe da spiegare, ci siamo avvicinati molto più di quello che avrei mai osato pensare. Lei era… è diversa da come la immaginavo e mi ha fatto stare bene. Soffrivo in maniera indicibile e Rose ha colmato il vuoto creato da te. In sua compagnia non sentivo più il dolore per la tua assenza: era come un anestetico. Questo mi ha portato a cercarla in continuazione e a pensare di amarla”.
“Amarla?”.
“Sì. Non pensavo più a te, ma solo a lei, o almeno così credevo, anche se c’era qualcosa che mi tratteneva dal dirtelo, qualcosa che mi faceva male nei momenti in cui ero solo. Pensavo fosse il fatto che non la considerassi completamente mia, che dovessi dividerla con Emmett, poi quando ti ho vista entrare dalla porta, quella sera in cui c’è stato l’attacco di Lehausle, ho capito che la mia sofferenza era causata da te. Eri ancora nel mio cuore, e Rosalie non era riuscita a cancellarti”.
“Quindi? Adesso come stanno le cose?” domandai con crescente irritazione.
“Ci siamo visti il giorno dopo il mio compleanno: mi ha detto che voleva ripartire con Emmett, dare nuova vita al loro rapporto e che con me era finita. E io non mi sono opposto. Avevo già capito di essere ancora innamorato di te ed era inutile continuare a tentare. Tanto non sarebbe servito a nulla. Da quel giorno non ci siamo più né visti, né sentiti…”.
“Quindi quella bionda con cui Charlie ti ha visto a Port Angeles era effettivamente Rose…” conclusi con un’indesiderata soddisfazione.
“Sì. Ci vedevamo tutti i giorni, di nascosto”.
“Quanto tempo è durato?”
“Poco meno di due mesi”.
Deglutii con sforzo, stringendo con le dita il labbro inferiore fino a procurarmi dolore, anche se quasi non lo sentivo. “L’hai soltanto baciata?” domandai, sperando che la risposta fosse un banale “sì”.
“Ha importanza? E’ una storia finita”.
“Per me, ne ha molta”.
“No” rispose, stringendo nervosamente la coperta del letto. “C’è stato altro…”.
“Altro quanto?” insistetti, come se mi divertissi a soffrire.
“Tutto quello che puoi immaginare in un rapporto a due” disse serio con sguardo affilato. Sembrava che si stesse divertendo, che quella fosse la sua rivincita per averlo lasciato solo tutto questo tempo.
Rimasi senza fiato. Era peggio di quanto avessi immaginato.
La delusione mi imbrigliò lo stomaco a tal punto da farmi venire la nausea. Jake era stato a letto con lei… Il mio Jake… D’altra parte perché stupirsi? Lei era bella, molto più bella di me. Poteva avere tutti gli uomini che voleva con un battito di ciglia e Jacob non aveva fatto eccezione. Misi un piede davanti all’altro fino a raggiungere la finestra e capii che la delusione stava lasciando il posto a una rabbia infinita e ingiustificata. Non avevo motivazioni per fargli una predica, tuttavia avrei voluto schiaffeggiarlo. E se solo fossi stata una vampira, avrei sistemato adeguatamente quella puttanella.
“Bella?” mi richiamò teso.
Non risposi, trattenendomi a stento.
“Dì qualcosa…” mi sollecitò.
Mi voltai verso di lui allargando la bocca nel più forzato dei sorrisi ed esclamai:“Immagino che ti sarai divertito un mondo e che lei ci sappia fare, giusto?”.
Jacob alzò gli occhi al cielo e si lasciò cadere nuovamente sul letto. “Non dire stupidaggini” sospirò.
“Perché non lo dici? Non ti preoccupare, la mia autostima ne uscirà illesa. Non temo il confronto”.
“Bella, smettila, per favore. Cambiamo discorso, ok?” affermò, passandosi le mani sul viso.
“No” urlai. “Allora? Stavi bene con lei, vero? Quanto vi siete divertiti insieme, eh? Ti si sarà gettata tra le braccia e tu, da bravo idiota, hai ceduto subito. Per fortuna che dicevi di amare me, di avere nutrito dei dubbi su di voi. Però quando c’era da fare sesso tu eri subito disponibile…”.
Capii di avere esagerato quando si alzò dal letto e avanzò nella mia direzione, a passi concitati. “Come ti permetti di dire una cosa del genere?!”.
“Dico semplicemente che sei la coerenza fatta persona e che sei come tutti gli altri!”.
“Ma senti chi parla?! E allora io cosa dovrei dire? Fino a due ore fa, non facevi altro che parlare di quanto eri innamorata di quel pinguino, del vostro matrimonio e della luna di miele. Sei ancora vergine soltanto perché lui si è tirato indietro, non certo per tua volontà. E osi venire a farmi la predica?! Cosa dovevo fare mentre tu dormivi con lui? Buttare giù il muro a testate?! Ho fatto quello che avrebbe fatto ogni ragazzo normale e se ci tieni tanto a saperlo, non me ne pento. Rose è stata rigenerante e mi ha aiutato. Fine della discussione. Ah, se proprio ci tieni tanto a saperlo: sì, scopa bene. Contenta?” concluse furente.
Non replicai: non avevo alcun appiglio a cui aggrapparmi. Non potevo rimproverarlo per il suo tentativo di rifarsi una vita con un’altra e tutto sommato non ero arrabbiata perché ci aveva provato proprio con Rose, ma soltanto perché ci aveva provato. Il pensiero di saperlo con un’altra mi distruggeva, anche se io stessa ero stata prossima all’altare con un altro e non ero illibata per mia scelta. La mia scenata di gelosia era assolutamente fuori luogo e maldestra. Avrei voluto chiedergli di perdonare la mia impulsività, ma non ne ebbi bisogno. Le sue braccia mi cinsero la vita.
“Abbiamo fatto degli errori entrambi, Bella. Vorrei soltanto non pensarci più, chiudere tutto e ricominciare noi due, senza pensare al passato” sussurrò impalpabile come la neve.
“Hai ragione. Il fatto è che non ero preparata a… questo. Perdonami”.
Mi baciò la nuca mentre intrecciai le mani nelle sue. “Puoi promettermi una cosa?” domandai flebile, cercando di scatenare la sua pietà.
“Tutto quello che vuoi…”.
“Promettimi che non la vedrai mai più, nemmeno come amica”.
Jake rise di gusto. “A parte il fatto che è lei la prima a non cercarmi, te lo prometto. Rosalie è un capitolo chiuso. D’altra parte, tutti i Cullen saranno un argomento chiuso per noi due”.
Poi si sedette sul bordo del letto, trascinandomi sulle sue ginocchia. “Neanche io voglio più vedere Cullen intorno a te, siamo intesi? Anzi, quando andiamo a dirgli che deve trovarsi un’altra moglie?” esclamò fin troppo divertito.
“Non lo so” ammisi, improvvisamente di ritorno alla realtà e al mio impegno con Edward.
“Come sarebbe a dire?” disse, inarcando le sopracciglia in un misto di sbigottimento e irrequietezza.
“Sarebbe a dire che non lo so” rimarcai seccata.
“Mi stai prendendo in giro?”.
Avrei dovuto dirglielo subito e di persona e invece mi ritrovai a temporeggiare. Edward mi amava e anch’io a modo mio lo amavo ancora, anche se potevo quasi definirlo un amore normale. Tuttavia non potevo dimenticare quello che aveva fatto per me, mettendomi sempre al primo posto su tutto e tutti. E ora la mia riconoscenza dov’era? Andavo da lui a dirgli:“Spiacente, ma mi sono accorta che sono innamorata di un altro”? Era una cosa che sarebbe stata fatta prima o poi, ma farla proprio ora, durante la guerra con i Volturi, e soprattutto a pochi giorni dalla morte di Esme, sarebbe stata una mancanza di tempismo addirittura terrificante. Forse dovevo aspettare ancora un po’ prima di parlargliene. Dargli tempo di assorbire il colpo per la morte di sua madre e poi affondare la lama. Quando credeva che fossi morta, più di un anno fa, era andato a Volterra per farsi uccidere. Ora non avrebbe dovuto attraversare tutto l’oceano, perché la morte gli poteva essere servita su un piatto d’argento. E io volevo che stesse bene e che avesse una vita felice, come l’avrei avuta io da quel pomeriggio in poi.
“Bella, a cosa stai pensando?” mi domandò Jacob.
“Stavo pensando che forse questo non è il momento più appropriato per parlare con Edward…” balbettai.
“L’ora di cena è troppo tarda per lui? Tanto non cena…” lo schernì.
Lo guardai con disapprovazione. Non mi piaceva quando faceva del sarcasmo su di lui, come non mi piaceva quando Edward lo faceva su Jacob, ma per fortuna quest’ultimo era un evento assai raro.
“Che cosa stai cercando di dirmi?” investigò sospettoso.
“Che forse sarebbe il caso di aspettare qualche giorno…” ipotizzai.
“Aspettare? Perché?”.
“Perché questa cosa lo devasterà. Esme è appena morta e non voglio abbatterlo più di quanto già non sia. Se invece avremo pazienza ancora un po’, le cose potrebbero essere più facili. Per lui, intendo”.
“Stai scherzando, vero?”.
Scossi la testa e dal suo viso capii che stavamo per inerpicarci nella seconda discussione nell’arco di pochi minuti. Avvertivo il suo nervosismo, accompagnato dalla contrazione dei muscoli delle braccia. Mi sollevò dalle sue gambe e mi depose sul letto: la tempesta stava per arrivare. Avrei dovuto mettermi nei suoi panni e desistere ma ero nel giusto, anche se non lo capiva. Tuttavia potevo intuire che lui non si facesse scrupoli nei confronti del rivale e quindi trovasse la mia idea insensata.
“Sei ancora innamorata di lui, vero?” mi domandò a bruciapelo, frantumando ogni possibile difesa stessi elaborando.
“Certo che no!” balbettai poco convinta. “Mi sto solo preoccupando”.
“E perché mai dovresti? Non hai più niente a che spartire con quella sanguisuga. Hai appena detto che vuoi stare con me e adesso salti fuori con questa proposta del cazzo?! E’ fuori questione, Bella. Toglitelo dalla testa!” sentenziò deciso.
“Jake, non è il momento adeguato questo. Posso capire i tuoi sentimenti, ma…”.
“No, tu non capisci un accidente!” mi interruppe con veemenza. “Come puoi anche solo pensare che ti lascerei a lui?”.
“Non devi lasciarmi a lui! Sarò sempre e solo tua. Non cambierà niente fra noi”.
“Certo che non cambierà nulla, perché tutto resterà come prima” commentò con una smorfia di disgusto. “Che c’è? Ci hai ripensato? Hai capito che ami ancora lui e che con me è stato solo un istante?”.
“Stavolta stai davvero esagerando, Jake” sbottai. “Io amo te, voglio te, ma non posso dimenticare Edward e tutto quello che ha significato. Non posso ferirlo proprio ora. Sarei un’ingrata e non voglio dargli un altro dolore dopo la morte di Esme”.
“Ipotizziamo che te lo lasci fare: quando avresti intenzione di dirglielo?” domandò con falsa accondiscendenza.
“Magari una volta finita questa storia con i Volturi…” ipotizzai senza riflettere a fondo.
Jacob inarcò le sopracciglia e capii di avere detto una fesseria. “Ti ricordo, Bella, che fra l’attacco dove sono morti Seth e Tanya e l’ultimo sono passati due mesi: secondo te, io potrei aspettare tanto?! Ti sei bevuta il cervello?!” urlò infine.
Effettivamente altri sessanta giorni sarebbero stati troppi per mantenere il segreto, soprattutto per me, considerando le mie scarse doti recitative. Senza contare che probabilmente Alice avrebbe previsto che non volevo più diventare un vampiro e avrebbe capito.
“Facciamo qualche giorno, allora…”.
“Qualche giorno cosa cambia? Non credo che il dolore per la perdita della sua sottospecie di madre sparirà così in fretta. Cosa credi di guadagnare in questo modo?” affermò duramente.
Non seppi rispondere. Aveva ragione. Il mio era un comportamento infantile, per non dire codardo: avrei dovuto affrontarlo e chiarire subito la situazione; tuttavia, prefigurando la scena, sapevo che non sarei riuscita a reggere il suo sguardo mentre gli dicevo che fra noi era tutto finito, che il nostro sogno era andato in frantumi.
“Non voglio che ti tocchi, Bella…” chiarì Jacob. La gelosia che aveva logorato me poc’anzi al pensiero di Rosalie, si stava affacciando nei suoi occhi neri.
“Non succederà” sussurrai. “ Farò in modo che non accada”.
“E come? Quando tenterà di abbracciarti o di baciarti ti tirerai indietro? E con che scusa, di grazia?”.
“Non lo so, inventerò qualcosa…” tagliai corto. Non avevo minimamente pensato a questa eventualità e non volevo farmi vedere impacciata da Jake.
“No” ribadì, scuotendo la testa. “E’ fuori questione. Adesso andiamo dai Cullen e glielo diciamo insieme”.
“No!” gridai, alzandomi dal letto come una furia. Jacob si voltò incredulo, mentre il mio cuore batteva all’impazzata. Sembrava assurdo che pur amando Jake, avessi tante remore nei confronti di Edward. Invece era così. Tutta la mia vita era inspiegabile, e così pure i miei comportamenti.
“Ascoltami solo un attimo” iniziai tranquilla, tentando di trasmettergli serenità. “Non posso dirglielo adesso, dopo quello che è successo. Devo aspettare qualche giorno. Tutti i Cullen stanno soffrendo in maniera indicibile per Esme e non posso arrivare dicendo che una delle persone che ormai considerano parte della famiglia e per la quale stanno combattendo, ha deciso di non diventare più una di loro. Non spezzerai solo il cuore di Edward, ma anche quello di Alice. E non me la sento. Vorrei che riflettessi su questo: se mio padre fosse appena morto, tu avresti il coraggio di venirmi a dire che non mi ami più e vuoi stare con un’altra?”.
Jacob sospirò profondamente:”No, Bells. Non potrei mai…”.
“E allora?” abbozzai soddisfatta. “Non voglio fargli del male e gliene farò senz’altro quando glielo dirò. Ma farlo adesso sarebbe devastante…”.
“Lo capisco, ma mettiti anche nei miei panni: la donna che amo deve simulare di stare insieme a un altro uomo per chissà quanto tempo. Tu saresti capace di sopportarlo?”.
“No” ammisi, ripensando a lui e a Rosalie.
“E poi io non vorrei essere preso in giro. Preferirei la dura verità piuttosto che una pietosa bugia” continuò.
“Lo so, ma credo che per ora sia la cosa migliore da farsi. Ti posso assicurare che si tratterà di pochi giorni, una settimana, due al massimo, poi gliene parlerò. Ti chiedo di aspettare solo questo lasso di tempo. Non un’ora di più…” lo pregai.
Jacob si morse il labbro inferiore e sorrisi. Conoscevo quel gesto: stava per cedere.
“Per attuare il tuo piano, dovrò stare lontano da voi, altrimenti il pinguino mi leggerà nel pensiero e sarà stato tutto inutile. E ovviamente lo stesso varrà per gli altri del branco: appena mi trasformerò, sapranno di noi due e se lui si avvicinerà a uno di loro, sarà stato tutto inutile nella stessa maniera. Non funzionerà mai, Bella…” replicò molto pacatamente.
“In questi due mesi ci siamo visti forse tre o quattro volte. Non credi di poter sopportare la mia assenza per qualche giorno?”.
“Adesso che so che sei mia, no” mi sorrise, tirandomi a sé.
Gli passai le mani nei capelli, separandoli ciocca a ciocca. Li adoravo. Era una delle cose che mi era piaciuta di Jacob fin da principio.
“Ti prego, è soltanto per qualche giorno…”.
Buttò la testa all’indietro, arricciando le labbra. “E va bene, ma una settimana al massimo!” disse, minacciandomi bonariamente col dito indice alzato. Lo strinsi forte per la gioia. Sapevo che avrebbe capito, alla fine. Sperai con tutta me stessa che quei sette giorni bastassero, perché non avrei potuto sostenere l’assenza di Jake per più tempo e mentire ad Edward sarebbe stato estremamente difficoltoso.
Buttai una fugace occhiata sul display della sveglia, appoggiata sul comodino, vicino al letto e mi accorsi che era quasi ora di cena. Era tardissimo. Probabilmente Edward si stava già domandando dove fossi finita e soprattutto se mi fosse successo qualcosa. Inoltre mi ero messa d’accordo che quella sera avrei dormito dai Cullen: perfetto. Jacob avrebbe accolto la notizia con immensa gioia! E, come previsto, discutemmo per un altro quarto d’ora prima che riuscissi a calmarlo nuovamente. A giudicare da come si agitava, pensare di poter passare una settimana indenne era quasi fantascienza.
“Come faccio ad andare al confine?” domandai.
“Ti accompagnerà Rachel, d’accordo?” ringhiò, ancora infuriato. “Le dirò che abbiamo litigato e che non ti voglio più vedere o quasi…”.
Se la situazione non fosse stata tragica, mi sarebbe quasi venuto da ridere: stavamo inventando gli stratagemmi più assurdi per sfuggire la telepatia di Edward. Arrivare persino a mentire a Rachel era demenziale. Però ero quasi certa che ci avrebbe creduto. Avevamo urlato parecchie volte nel pomeriggio, prima a causa di Rosalie e poi per Edward. Ero addirittura svenuta. Sì, sicuramente ci avrebbe creduto.
Raccolsi la borsa che avevo gettato a terra con eccessiva lentezza, come se fossi stremata. Erano successe troppe cose in quel pomeriggio e l’adrenalina stava crollando di colpo. Ero affaticata e volevo solo buttarmi sul letto e dormire, anche se, una volta con Edward, sarebbe venuta la parte peggiore.
“Ricorda cosa mi hai promesso, altrimenti glielo dirò io stesso. Ok?” mi sussurrò all’orecchio.
Sentii un brivido lungo la schiena: mi piaceva quando sussurrava. Avrebbe potuto parlarmi di qualsiasi cosa che non ci avrei prestato attenzione. Ma per Jake era molto più importante che gli dessi conferma che avevo capito. Annuii e lui uscì di colpo dalla camera, scendendo di corsa le scale. Lo sentii parlare a voce concitata con Rachel: la recita era iniziata. Lo imitai un secondo più tardi, facendo bene attenzione a dove mettevo i piedi. Quando arrivai in salotto, incontrai lo sguardo sorpreso di sua sorella e di Billy. Jacob aveva una recitazione degna dell’Oscar: era persino paonazzo. Poteva davvero dare a intendere che avessimo passato ore a discutere. Iniziò ad attaccarmi e l’argomento che lui approntò come scusante fu la mia richiesta di esimersi dal combattimento con i Volturi. Praticamente ripetemmo il nostro litigio di poche ore prima. Alzai la voce per rendere tutta la scena più credibile, mentre i due spettatori ci guardavano attoniti. Infine Jake smise di rispondere alle mie finte accuse.
“Rachel, ti prego, accompagnala al confine. Non ce la faccio proprio a portarla io. Levamela di torno!” grugnì seccato.
“Ce… certo” balbettò sua sorella, visibilmente sconcertata dal nostro siparietto. Mi chiesi se fossi così credibile. No, sicuramente dipendeva da Jacob che era veramente bravo: gli scatti di nervi gli venivano particolarmente bene.
“Jake, ti prego, ascoltami. Non voglio più che rischi…” lo implorai nell’istante in cui stava risalendo le scale. Si girò a fissarmi e dal suo sguardo travalicò un amore sconfinato che aveva ben poco a che fare con l’odio che stavamo simulando.
“Adesso basta, Bella. Non ne posso più. Ti ho già detto che cosa ne penso. Ora vattene prima che faccia  cose di cui mi pentirei!” esclamò dopo un attimo di incertezza, indicando a Rachel la porta. Lo vidi scomparire in cima al pianerottolo ed ebbi un orribile presentimento.
Rachel mi appoggiò la mano sul braccio, facendomi segno di seguirla. Salutai Billy con un mugugno e uscii di casa, seguita da sua figlia. Durante il viaggio in macchina, Rachel non pronunciò una sola parola e arguii che la nostra sceneggiata aveva avuto successo. Approfittai del silenzio per contattare Edward e pregarlo di venirmi a prendere al confine.
In prossimità di Forks, Rachel si sentì in dovere di rincuorarmi:“Non ti preoccupare. Non credo che fosse arrabbiato davvero. Non ho ben capito quale fosse il motivo per cui avete litigato, ma non è capace di serbarti rancore. Lo conosco, è quasi impossibile. Dagli tempo qualche giorno e si sistemerà tutto”.
Annuii e Rachel arrestò l’autovettura nella solita piazzola, in attesa di Edward. Continuò a parlarmi e farmi coraggio, sminuendo l’atteggiamento di suo fratello, mentre io tacevo. Se le avessi risposto, avrebbe colto il bluff. Senza Jacob a spalleggiarmi era impossibile bersi una sola bugia che uscisse dalla mia bocca. Mi chiedevo che razza di senso avesse quello che avevo architettato e cominciavo a nutrire dei seri dubbi sull’utilità di questa frottola.
In quel momento la Volvo di Edward parcheggiò a pochi metri.
Ecco la parte peggiore. Mentire a lui.
Scesi dalla macchina e Rachel mi imitò. Edward ci guardò entrambe, poi avanzò a passi lunghi e decisi con la sola intenzione di abbracciarmi. Quando fui fra le sue braccia, lo vidi trapassare con lo sguardo Rachel, che era rimasta prudentemente indietro. Aveva letto nel suo pensiero ciò che era successo o, meglio, ciò che Rachel credeva fosse successo.
“Mi dispiace…” balbettò la sorella di Jake prima di tornarsene in macchina e partire.
Vigliaccamente tenni il viso nascosto fra le sue braccia, come una bambina inconsolabile, mentre in realtà volevo nascondere ben altro. Da quando lo conoscevo non avevo mai creduto che avrei sfruttato a mio favore la sua incapacità di leggere i miei pensieri. E per di più la stavo usando nella maniera più abbietta e ignobile possibile.
“Bella, tesoro, tutto ok?” sussurrò teneramente.
Non ebbi le forze di rispondere ma mi scostai, accennando un tenue sorriso che doveva rassicurarlo e che gettò me nello sconforto. Come potevo fargli questo? Un’espressione preoccupata rendeva i suoi lineamenti delicati inaspettatamente duri; i suoi occhi color miele erano diventati più scuri del solito e la sua bocca contratta in un morso di rabbia. Tuttavia si dominò, mi prese sottobraccio e mi accompagnò alla macchina. Il tragitto fino a casa fu silenzioso e ne approfittai per riordinare le idee: avrebbe voluto delle spiegazioni e dovevo essere credibile, ma sentivo già la mancanza di Jake e mi chiedevo se non avrei dovuto dirgli tutto subito e chiudere il discorso. Forse avrebbe capito. O forse no.
Inoltre c’era anche il problema paventato da Jacob che io non avevo minimamente preso in considerazione: comportarmi con lui come se non fosse successo niente. L’unica cosa che deponeva a mio favore era che lui non si era mai lasciato andare ad eccessive dimostrazioni d’affetto, data la paura di perdere il controllo e farmi del male. Un tempo l’avrei definito handicap, adesso era un fattore positivo.
Quando parcheggiò la macchina nel loro ampio garage, si lasciò andare. “Sono stato molto in ansia, Bella. E ora so che avevo ragione. Che cos’è successo?” domandò.
“Niente di particolare” deglutii a fatica.
“Come sarebbe a dire? I pensieri di Rachel erano tutt’altro che sereni. Che cosa ti ha fatto quel cane?” sibilò come una belva pronta a scattare.
Avrei dovuto rispondergli qualcosa, invece, provvidenzialmente, le lacrime mi rigarono le gote. Il volto di Edward apparve mortificato, addossandosi la colpa della mia tristezza, come era solito fare. Mi abbracciò forte prima di aiutarmi a scendere dalla macchina. Quando varcai l’ingresso di casa Cullen, Alice mi venne incontro allarmata. Quella era la prova del fuoco. Soltanto lei poteva smascherare l’intera faccenda, ma a giudicare dalla sua espressione sembrava solo impaurita. Mi abbracciò a lungo per poi rimproverarmi. “Dov’eri finita, Bella? Eravamo in ansia…”.
“Scusami” abbozzai, notando che aveva già apparecchiato. “Non importa se è fredda”.
Alice sgranò gli occhi. “Santo cielo, Bella, credi che sia preoccupata perché la cena si è raffreddata?! Non è certo questo il motivo! Edward ti ha lasciato da sola a La Push, proprio oggi che arrivava Demetri con il suo esercito. Io ero contraria ma lui ti ha accontentata ugualmente. Avevo una paura terribile che succedesse qualcosa, senza che potessi prevederlo. Ho passato tutto il pomeriggio a sorvegliare le mosse di Demetri: per fortuna non ha mai pensato niente sul branco e sono sempre riuscita a tenerlo sott’occhio, ma non devi più fare una cosa del genere, Bella! Siamo in guerra e dobbiamo stare uniti il più possibile!” mi redarguì, a tratti rassegnata, a tratti irritata.
“Mi dispiace. Non mi ero accorta che il tempo fosse volato. Sono mortificata…” sillabai a un tono di voce così basso che feci fatica io stessa a sentirmi.
Alice mi sorrise bonariamente e mi abbracciò.
“Non ti preoccupare, Bella. L’importante è che tu stia bene e sia di nuovo qui, con noi” mi consolò e il suo affetto disinteressato e sconfinato mi fece singhiozzare nuovamente. Non volevo perderla. Lei era la migliore amica che avevo sempre cercato e sapevo che una volta dato l’addio ad Edward mi avrebbe esclusa dalla sua vita.
“Sù, Alice, non è successo niente. Altrimenti piangerà fino a domani mattina” rise Emmett, seduto sul divano in salotto.
Alice si staccò e si sentì in dovere di chiarire il suo atteggiamento protettivo:“Scusami. E’ solo che dopo quello che è successo a Esme, ho paura di perdere un altro componente della famiglia. Tutto qui”. La sua affermazione mi ghiacciò.
Subito dopo mi aiutò a togliere il cappotto e mi fece sedere a tavola. Come avevo già avuto modo di capire dall’odore che proveniva dalla cucina, la cena era già pronta ed Alice entusiasta di farmi provare i suoi sfilatini di vitello. Purtroppo per lei, io non avevo appetito per niente, impegnata com’ero dai pensieri che mi turbinavano nel cervello. Incontrai un paio di volte lo sguardo del mio fidanzato che probabilmente credeva di sapere quale fosse la causa della mia inappetenza, e non poteva immaginare di essere lui stesso.
Mentre mi sforzavo di assaggiare la cena, notai il rientro in casa di Carmen, Eleazar e Irina che dovevano essere andati a caccia, mentre di Kate, Rosalie e Jasper nessuna traccia. Non avevo troppa ansia di vedere Rose, anzi. Probabilmente l’avrei uccisa se l’avessi incontrata. Più lontana stava, meglio era.
“Allora, che mi dici?” domandò con crescente curiosità Alice quando trangugiai l’ultimo boccone.
“Buona, però la carne dovevi cuocerla un po’ meno. Era molto secca…” commentai. Era inutile nascondere la verità su una cosa tanto banale e d’altra parte non sarebbe stato credibile dirle che era diventata una cuoca provetta dopo appena due settimane. Alice non sembrò affatto delusa dal mio giudizio, anzi mi prospettò una torta per l’indomani mattina a colazione. Ne aveva vista una su un libro di cucina nel pomeriggio e aveva deciso che sarei stata la cavia. Aveva anche già comprato gli ingredienti. Scrollai le spalle: fare da tester per gli esperimenti culinari di Alice era l’ultimo dei miei problemi e in un certo senso mi rendeva felice sapere di essere al centro delle sue preoccupazioni e contemporaneamente utile a superare il suo dolore.
“Credo che Bella sia un po’ stanca” si intromise Edward, fermando il fiume in piena di parole di Alice.
“Effettivamente hai una faccia veramente devastata. Che ti è successo oggi?” intervenne Carmen, dopo avermi analizzato il viso in ogni singola espressione.
“Sì, forse è meglio se vado a riposare un po’” glissai, cogliendo il velato suggerimento di Edward.
Mi alzai dal tavolo, ringraziando ancora una volta Alice per la cena e salii al piano di sopra, seguita dal mio fidanzato. Adesso non gli sarei sfuggita. Avrebbe voluto sapere per quale motivo avevamo litigato e dovevo essere convincente. Gradino dopo gradino mi persuasi che bastava ripetessi ciò che ci eravamo detti Jacob ed io nella prima parte della nostra discussione: in fondo avevamo litigato per davvero. Bastava soltanto che calcassi la mano un po’ di più e la scusa, sia per il mio stato di subbuglio, sia per giustificare il fatto che Jacob non sarebbe più passato dai Cullen, sarebbe stata servita.

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Capitolo 56
*** Sensi di colpa ***


Una volta entrati, chiuse la porta mentre mi gettai sul letto, realmente esausta.
“Hai voglia di parlarne, Bella? Sei stravolta e non credo proprio che sia per la stanchezza. Che cosa è successo a casa di quel cane?” disse con voce piatta.
Il mio cuore sussultò.
Mi misi a sedere, tentando di darmi un contegno ma sempre con lo sguardo basso. “So che è una cosa tua” si giustificò. “E magari non te la senti di parlarne, ma se Jacob ti ha mancato di rispetto in qualche modo, voglio che tu me lo dica…”.
La nostra recita aveva funzionato e Rachel aveva proiettato le sue supposizioni su Edward. Solo che adesso toccava a me portarla avanti ed era tutt’altro che semplice. Non sapevo da che parte cominciare. Ma perché avevo inventato tutto questo? Che stupidaggine. La mia convinzione si stava trasformando in un dubbio. Mi mancò il fiato per qualche secondo.
Edward mi mise una mano sulla spalla: il contatto con la sua pelle fredda mi fece sussultare.
“Scusami” bisbigliò mortificato.
La sua voce, così delusa e addolorata, mi indusse ad abbracciarlo in modo quasi convulso. Non doveva sentirsi in colpa per qualcosa di cui ero l’unica responsabile. Il suo corpo freddo era così distante da quello di Jacob, il suo cuore non batteva ma ne possedeva uno anche lui. Avevo promesso centinaia di volte che non l’avrei mai più infranto e invece mi ritrovavo sempre a constatare la mia totale mancanza di autocontrollo. Per giunta stavolta anche codarda.
“Jacob ed io abbiamo litigato molto violentemente. Come mai in vita nostra…” spiegai.
Edward si irrigidì, ma mi accarezzò la testa per confortarmi.
“Come mai?” domandò, tentando di mantenere la calma.
“Ha preso molto male quello che ho detto. Sia per quanto riguarda Rosalie, che per quanto riguarda la mia proposta di ritirarsi. Ha detto che non mi devo impicciare e altre cose terribili…” bofonchiai confusa. Non sapevo da che parte puntare l’obbiettivo e quale motivazione avrebbe reso più credibile il mio stato.
“Si è arrabbiato perché ti sei preoccupata per lui?” domandò incredulo.
“Forse ho esagerato con i toni, ma lui mi ha detto che non sono affari miei e… Lasciamo perdere…” minimizzai, sperando fortemente che non ponesse altre domande.
“Maledetto bastardo…” imprecò. Si allontanò e camminò avanti e indietro nella camera, preda di sentimenti contrastanti. “Bella, credo che sia giunto il momento di sistemare questa faccenda…”.
“Non capisco…”.
“Se mi dai il permesso, vado subito a…”.
Il cuore mi saltò in gola. Il suo proposito era fin troppo evidente.
“No, Edward” balzai in piedi.
“E’ un idiota e non merita la tua compassione!”.
“Lo so”: quanto mi costò dire queste parole. “Ma non è il caso di combattere per una cosa del genere. Ormai la nostra amicizia è finita. Non voglio più sentire parlare di lui. E in fondo è meglio così, per tutti…”.
“Sì, ma stavolta deve essere finita davvero! Non voglio più vederti soffrire a questo modo. Siamo intesi?” mi invitò con ferma decisione.
“Te lo prometto” borbottai.
Ennesima promessa che non avrei mantenuto. Cielo, mi stavo comportando peggio di Rosalie!
Non mi azzardai a dire più nulla per il timore di aggravare la situazione, mentre Edward appariva ancora innervosito e pronto a scattare verso La Push. Non avevo pensato che la mia disperazione avrebbe potuto indurlo a combattere contro Jacob, con l’intento di vendicare il mio stato. Non sapevo cosa fare o dire per tranquillizzarlo. Dirottai sull’unico argomento che il mio cervello elaborò.
“Mi ha raccontato di ciò che è successo con Rosalie… Tutto quanto” dissi con un velato rimprovero perché, nonostante tutto, Edward doveva sapere ogni cosa e mi aveva tenuto all’oscuro dei fatti.
Si lasciò cadere accanto a me, col capo abbassato, e si scusò:“Mi dispiace non avertene parlato, ma erano affari di mia sorella. Non volevo davvero mettere il naso, anche se alla fine ho dovuto farlo e credo di avere fatto male”.
“Perché?” domandai, non capendo a cosa si stesse riferendo.
“Perché erano in grado di gestire la faccenda da soli e… Beh, lasciamo perdere”.
“Non so come tu possa essere entrato in questa faccenda, ma è giusto che sia finita. Tua sorella era solo in crisi con Emmett, niente di più. Adesso che l’ha capito anche lei, tutta la famiglia può essere davvero unita e felice”.
“Già” convenne. Il suo viso trasmetteva una profonda tristezza. Non era felice che sua sorella stesse con Emmett? Forse, egoisticamente, avrebbe preferito che lei tenesse impegnato Jacob, in modo da distoglierlo da me, però era un’ipotesi che non combaciava affatto con il carattere del mio fidanzato. Mi stava nascondendo qualcos’altro? Perché avevo sempre la sensazione che Edward mi dicesse le cose a metà?
“Credo che sia meglio se dormi un po’… Sei stanca. Stenditi qui” disse, sprimacciando il cuscino. La sua voce fu carezzevole come una brezza.
Lo accontentai, anche se ero ancora troppo agitata per dormire.
Mi aspettavo che si sdraiasse accanto a me, come sempre, e invece si alzò e si diresse all’uscio. “Dove stai andando?” domandai lievemente preoccupata.
“Non ti preoccupare, non vado ad ammazzare Jacob, anche se lo meriterebbe” disse, leggendo sul viso le mie paure. “Vado da Carlisle. Oggi è stato di riposo all’ospedale ed è chiuso in camera da stamattina. Controllo se ha bisogno di qualcosa. Torno subito”.
Silenzioso come un fantasma, uscì dalla camera. Il pensiero di Carlisle e del suo dolore per Esme mi distolsero, seppure solo per qualche istante, dalle mie angosce. Mi soffermai sul soffitto color panna.
Poteva sembrare contraddittorio, ma ero felice con Edward. La sua compagnia era meravigliosa e il modo stesso in cui mi amava appagante, tuttavia avevo fatto una scelta e sarebbe stata quella definitiva. Avrei amato Edward per sempre: era stato il primo amore e quello che mi aveva insegnato ad amare senza riserve, né pregiudizi, ma con Jacob era un’altra cosa. Era un sentimento ugualmente profondo, ma più completo. Era passione, complicità, rabbia, gelosia, romanticismo, desiderio di una famiglia. Tutto quanto. Alcune di queste sensazioni con Edward non le avevo mai provate e adesso che le sentivo, ne ero conquistata. Per raggiungerle, tuttavia, lo stavo ingannando. Come potevo fare una cosa del genere? Lo stavo facendo davvero per difenderlo dal dolore oppure soltanto perché temevo la sua reazione?
Quando glielo avessi detto, cosa avrebbe fatto? Avrebbe inveito contro di me? Se la sarebbe presa con Jacob? Oppure…
La porta si aprì. Pensai di vedere l’elegante figura di Edward fare capolino e invece si affacciò Rosalie. Entrò senza chiedermi il permesso e chiuse la porta delicatamente, come se non volesse far intuire a nessuno la sua incursione nella stanza. L’ultima persona che avrei voluto vedere.
Mi sedetti in posizione eretta e la fissai, fiera.
Era in piedi, senza alcuna intenzione di volermi parlare. Non capii perché fosse venuta e avrei voluto invitarla ad andarsene, ma cercai di dominarmi. Non era una visione piacevole. Nella mia fantasia si compose l’immagine, assolutamente realistica, di Rose fra le braccia di Jacob. Sentii una vaga sensazione di nausea partire dallo stomaco e la rabbia salire fino al cervello. “Calma, calma” mi ripetei più volte e con sempre minore convinzione. “Lui ama me e Rosalie è stata solo una parentesi”.
“Come stai, Bella?” domandò col tono più fintamente amabile del mondo.
Avrei voluto sputarle in faccia. Come si permetteva di venire lì a fingersi mia amica? Che cosa voleva da me questa strega? La sua visita non era certamente disinteressata. Non che mi interessasse granché scoprirne il motivo, ma decisi di tenerle testa, se non altro per farle capire che non la temevo più.
“Un po’ meglio, grazie. Edward sa come calmarmi…”.
Si sedette sul letto, passandosi ripetutamente le mani fra i capelli.
“Alice e Carmen mi hanno detto che sei molto agitata. Come mai? E’ successo qualcosa?” domandò.
“Niente che riguardi i Volturi, non ti preoccupare…”.
“Sei andata da Jake?” chiese seria.
Stavo cominciando a intuire dove volesse arrivare. Temeva che lui mi avesse detto qualcosa di troppo su di loro.
“Sì, sono stata da lui nel pomeriggio. E allora?”.
“Avete litigato, vero?”.
“Credo che sia abbastanza evidente” commentai sarcastica.
Rosalie annuì e abbassò lo sguardo, giocando con le lenzuola. Avrebbe voluto chiedermi l’argomento, ma non ne aveva il fegato. Ripensandoci, lei mi aveva detto che Emmett sapeva del loro bacio nel laboratorio, ma a questo punto, considerando che Jacob mi aveva parlato di una relazione clandestina, avevo dei profondi dubbi sul fatto che il suo aitante marito sapesse come stavano realmente le cose. Potevo prendermi una piccola rivincita. Non avevo nessuna intenzione di ricattarla, però avere per una volta il coltello dalla parte del manico e umiliarla era un’occasione troppo ghiotta, che andava colta al volo.
“Jacob mi ha raccontato alcune cose di cui non ero a conoscenza…” iniziai con tono approssimativo.
“Ah sì? Quali?”.
“Cose…”
“Del tipo?”
“Vuoi proprio parlarne? Forse non è il caso” sottolineai, quasi trionfante.
“Non ho niente di cui vergognarmi” replicò altera.
“Ma magari da nascondere sì. Ad esempio qualche incontro non proprio platonico con un certo licantropo…” sussurrai, mentre lei sussultò. Avevo colpito nel segno. Emmett sicuramente non lo sapeva e io finalmente avevo la mia rivincita su “sua altezza”.
Non la odiavo. Non l’avevo mai fatto. La nostra era semplice incompatibilità caratteriale, che non mi aveva mai turbato particolarmente. All’inizio avrei voluto essere benvoluta anche da lei, ma, visti gli inutili ramoscelli di ulivo che le avevo porto, mi ero rassegnata, pensando che, magari una volta trasformata, le cose sarebbero andate a posto naturalmente. Nonostante il suo attacco a Lehausle che aveva causato la morte di Seth, non me la ero mai presa con lei: conoscendo il giovane lupo, l’idea era stata sua e Rosalie si era semplicemente fatta trascinare da Tanya. Inoltre ero la meno indicata a fare paternali visto che io per prima non avevo rispettato i patti, ospitando Desirèe a casa mia, e ficcando tutti, di fatto, nei guai. Ero arrivata ad esserle grata quando aveva salvato Jacob, ma ora che sapevo perché l’aveva fatto, le avrei cavato volentieri gli occhi. Come si era permessa? Non credevo che sarebbe bastata una vita per detestarla, anche se il mio non era certo un comportamento di cui andare fiera.
Mi stavo divertendo un mondo, pregustando la mia vittoria quando improvvisamente si mise a ridere in una maniera fragorosa e cristallina che nulla aveva in comune con una risata isterica.
“Scusa, Bella, fammi capire una cosa: voi avete litigato per questo?” domandò a bruciapelo.
Mi spiazzò completamente. Non sapevo bene cosa risponderle e capii che avevo perso la mia supremazia.
“Beh… non solo” balbettai, senza riuscire a celare il mio imbarazzo.
Rose mi fissò con sguardo beffardo:”Mia cara, questa è gelosia. E della peggior specie!”.
Dentro di me fui costretta ad ammettere che aveva ragione, ma piuttosto che confermarlo, mi sarei tagliata la lingua. E per fortuna non era in grado di leggere nel pensiero! “Non è affatto vero!” sbottai. “Ho solo cercato di metterlo in guardia da te, ma non è servito a molto”.
“Immagino…” ridacchiò.
Mi fissò divertita, poi improvvisamente, come aveva cominciato a sbeffeggiarmi, il suo viso tornò serio. Si alzò e andò allo specchio appeso alla parete vicino alla porta del bagno a ravvivarsi i capelli. Quando ebbe finito, si voltò verso di me e le scoprii un’espressione assai diversa da quelle che di solito mi dedicava: piena di comprensione, quasi amichevole. “Non so cosa vi siate detti, ma litigare per questo motivo è da stupidi. Per Jacob sei molto importante: non pensare neanche lontanamente di interrompere l’amicizia con lui. Ne morirebbe. E credo che anche tu, nonostante il tuo orgoglio, ne soffriresti”.
“Non credo proprio…” commentai forzatamente.
“Jake è molto impulsivo e spesso dice cose che non pensa. Se adesso sei convinta del contrario, domani mattina ti renderai conto che ho ragione e che la vostra amicizia non può finire né a causa mia, né di nessun altro”.
Senza che avessi tempo di replicare, uscì, lasciandomi ammutolita.
Non avevo mai sentito Rosalie parlare in questo modo. Sembrava che ci tenesse all’amicizia fra me e Jacob.
Forse l’avevo mal giudicata. Forse voleva davvero bene a Jake e sperava che anche lui fosse felice.
Un minuto dopo ritornò Edward. Sembrava quasi che si fosse messo d’accordo con Rosalie.
“Ancora sveglia?” mi domandò, accarezzandomi la mano.
“Già. Come sta Carlisle?”.
“Non molto bene, purtroppo. In ospedale, stamattina il primario del suo reparto gli ha consigliato di prendersi un periodo di aspettativa per poter smaltire il dolore e l’ha mandato a casa a rifletterci sù. Purtroppo si sono accorti che è strano e depresso e nel suo campo, un momento di distrazione, può essere fatale a una persona…”.
“Cosa pensa di fare?”.
“Vorrebbe continuare a lavorare, anche perché restare qua lo farebbe stare peggio, però non vuole mettere in pericolo vite umane…”.
“Tu cosa gli hai consigliato?”.
“Gli ho detto di prendersi una settimana di ferie intanto. Poi, a seconda di come vanno le cose, può decidere se tornare o meno al lavoro. Non mi piace vederlo in questo stato, Bella. Non so cosa fare per aiutarlo” ammise dolorosamente.
“Mi dispiace” fu la mia scontata e irritante risposta.
“Purtroppo siamo tutti in questo stato. Oggi pomeriggio Irina è sparita e Alice non riusciva a trovarla…”.
“Come?! Perché non mi hai avvisato?” esclamai incredula.
“Non volevo disturbarti e poi non avresti potuto fare niente. L’abbiamo cercata e, per fortuna, trovata. Era anche per questo che prima Alice era così sconvolta: risentiva ancora della paura del pomeriggio. La verità è che sono passati due mesi dalla morte di Tanya ma i Denali soffrono ancora. Come accadrà a noi e a quelli del branco. Quando sono venuto a prenderti ho letto nella mente di Rachel che Leah e sua madre non riescono a rassegnarsi alla perdita di Seth. Tutti quanti abbiamo perso qualcuno di importante e io prego soltanto che la lista dei caduti non debba allungarsi ulteriormente. Non voglio dover piangere anche per Alice, Emmett o Rose… Non sono forte abbastanza”.
“Non ti preoccupare. Ce la faremo tutti e loro soccomberanno” lo rincuorai, appoggiando la testa sulla sua schiena.
“Vorrei avere la tua stessa fiducia…”.
“Allora ti presterò un po’ della mia” sorrisi. In realtà io avevo più paura di lui, ma per tanto tempo era stata la roccia sopra cui mi ero appoggiata ed era giusto che ora fosse il mio turno, anche se era facile parlare quando me ne stavo al sicuro protetta da altri che rischiavano per me.
“Ti amo” sussurrò intrecciando la mano nella mia.
“Anch’io” e a modo mio era la verità.
“Mi piace sentire il suono della tua voce. E’ rasserenante…” disse, baciandomi i polpastrelli delle dita, uno per uno. Avrei dovuto ritrarre la mano, ma avrebbe posto delle domande a cui non avrei saputo mentire.
“Sono una combinaguai…” proferii, pensando a tutto ciò che avevo fatto in passato.
Scosse la testa. “La prima volta che ti ho vista a scuola e ho sentito il tuo profumo, mi sono detto:“Questa ragazza mi rovinerà”. Pensavo che avresti turbato il mio equilibrio, che la mia vera natura sarebbe esplosa, soggiogata dai sensi e dall’istinto che avevi risvegliato. Non avevo capito che non stavi risvegliando la mia natura di predatore, ma solo l’anima. Non sentivo i tuoi pensieri ma nel silenzio è stato come se mi avessi chiamato per nome e salvato dalle tenebre. Per te potrei fare di tutto, senza fatica né rimpianti. Credo che se volessi potresti perfino ordinare al mio sangue di scorrere e lui obbedirebbe. Prima non ero niente, a parte un membro della famiglia Cullen; adesso sono tutto, grazie a te. Il mondo potrebbe cadere in rovina, i Volturi potrebbero vincere, potrei morire, ma so che finché tu mi amerai, in un modo o nell’altro, non verrò distrutto. Per questo combatterò fino alla morte”.
“No, Edward, no” replicai spaventata.
“Sono sempre in debito nei tuoi confronti, Bella, perché tu mi salvi tutti i giorni quando ti svegli, apri gli occhi e mi ricordi che esisto. Non posso lasciare che ti accada qualcosa”.
“Io non voglio che tu muoia e non permetterò che accada” dichiarai risoluta.
“Io sono già morto, Bella” sbuffò, con un sorriso. “Vivo solo per te e grazie a te. Non mi serve niente altro”.
Le sue parole stavano oscurando la felicità di cui Jacob mi aveva saturato. Non mi stava rivelando niente che già non sapessi o non immaginassi e fino a ieri sarei esplosa dalla gioia, ma ora contribuiva soltanto a farmi sentire più viscida. E quando affondò il suo viso nei miei capelli, fu anche peggio. Non potevo sentire battere il suo cuore ma ne possedeva uno ugualmente e glielo avrei infranto, fra una settimana al massimo. Ma cosa pensavo di concludere in una settimana? Avrei torturato Jacob e ingannato lui: ecco, questo sarebbe stato il risultato.
Lo strinsi forte. Mi faceva piacere abbracciarlo, anche se mi sentivo in colpa verso Jake. Era soltanto un abbraccio, però non avrei dovuto esserne partecipe. Eppure dovevo farci i conti, come avevo dovuto fare con Jacob fino a pochi giorni fa e mi spezzava il cuore dovergli dire addio. La verità era che li avrei voluti entrambi nella mia vita, ma non poteva essere così. Avevo compiuto una scelta e non ci avrei ripensato, anche se avrei sentito la mancanza di Edward per sempre.
Nonostante avessi passato un anno e mezzo abbracciata all’essere più attraente del pianeta, alla fine la vita normale aveva avuto il sopravvento, così come previsto da Rosalie.
La famiglia, l’amore, i figli, gli amici, invecchiare insieme. Che belle parole! Solo ora ne comprendevo il reale significato e mi martellavano con tenace insistenza. Non riuscivo a non pensarle. Era come se quel pomeriggio avessero improvvisamente bussato alla mia porta per farsi dare la giusta importanza. Con Jacob le avrei avute, senza nessuno sforzo, e lo amavo ancora di più per questo.
Edward accostò il suo viso al mio e mi baciò: non fu un momento difficile come avevo immaginato. Riuscivo a recitare bene la parte dell’innamorata, anche perché, in fondo, un po’ lo ero per davvero. Le parti si erano diametralmente scambiate. E così come avevo adorato Jacob per lungo tempo come un amico più che speciale, così lo era diventato Edward.
“Credo sia meglio che tu dorma un po’. Hai l’aria stanca…” mi sussurrò.
“Sì, effettivamente sono a pezzi…”.
Si alzò dal letto, aprì l’anta del gigantesco armadio di palissandro che occupava una parete intera della stanza e ne estrasse un plaid. Il solito plaid che aveva il semplice compito di isolarmi dal gelo del suo corpo per farmi dormire appoggiata a lui.
Quando me lo diede, mi ci avvolsi come un baco da seta nel suo bozzolo e mi stesi. Edward si accomodò vicino a me e per la prima volta da quando lo conoscevo non ebbi il desiderio di abbracciarlo. L’attrazione che provavo per lui era evaporata sotto il caldo sole di agosto. Avrei tanto voluto essere con Jake in quel momento. Tuttavia mi appoggiai a lui.
Non ebbi neanche il tempo di sentire i brividi che il suo corpo destava nel mio perché caddi addormentata. Ma il mio sonno non fu tranquillo. Sognai prima i Volturi, che uccidevano mio padre; poi fu la volta di vedere Jacob e Rosalie annunciarmi il loro fidanzamento; infine, il più terribile, Edward che mi accusava di averlo raggirato e ingannato. Il suo dolore traspariva da ogni movimento mentre gli occhi si coloravano di un rosso vermiglio per la rabbia. Digrignò i denti.
Mi svegliai di soprassalto. Edward era accanto a me e il mio sobbalzo inatteso lo spaventò. “Bella, che succede?” si preoccupò.
Ero sudata, nonostante la sua vicinanza. Mi sentii così in colpa, così immeritevole di ogni atto di benevolenza da parte sua. “Solo un incubo…” risposi.
“Sei sicura che vada tutto bene?” insistette.
“Sì, sì, certo. Ho sognato che i Volturi ti uccidevano e, sai com’è, mi sono spaventata a morte” mentii.
“Ecco perché non hai fatto altro che chiamarmi nel sonno…” disse senza dissimulare un certo grado di soddisfazione.
“Davvero?”.
“Sì, ma non devi preoccuparti. Sono qua, vivo e vegeto. E finché sarai al mio fianco, non mi uccideranno di sicuro!”.
Assunsi un’aria afflitta ed Edward mi chiese nuovamente che cosa avessi, ma stavolta non ebbi la forza di rispondere. Rivolsi un’occhiata alla luce che filtrava dalle tende: doveva essere l’alba. Lo abbracciai e non mi riaddormentai più.
Mi amava in una maniera che non avrei esitato a definire sovraumana. Ero tutto per lui. La vita stessa. Anche per me lui era stato lo stesso fino a ieri, fino a che l’amore non si era trasformato in qualcosa di diverso, di meno appassionato. Ma proprio questo affetto che cosa mi aveva portato a pensare? Ad avere paura della persona che avevo amato più di me stessa? Sì, perché ora sembrava che questa fosse l’unica motivazione che mi stava spingendo a mentire. Lo stavo ingannando. Il mio amore si era rivolto verso un altro, ma la lealtà, l’onesta, almeno quelle gliele dovevo. Per di più, una volta saputa la verità avrebbe potuto tirarsi fuori dalla guerra contro i Volturi: io non sarei stata più sua in ogni caso, quindi perché combattere? Avrebbe rischiato la sua vita senza ottenere niente in cambio. No. Non era giusto e non doveva andare a finire così. Non volevo che mi ricordasse come una bugiarda opportunista.
“Edward?”.
“Sì, amore mio?” mi sorrise. Nonostante l’amore per Jacob, il suo sorriso restava il più incantevole del mondo.
Il suo sguardo così dolce e protettivo mi lacerò ancora di più. Immaginai come mi avrebbe guardato dopo: come una serpe disgustosa che si era approfittata della sua buona fede e del suo amore. Per qualche secondo mi mancò il coraggio. Feci dei profondi respiri e tentai di continuare:“Ti devo dire una cosa, tesoro…”.
“Dimmi” mi incoraggiò.
Pensai un attimo a Jake per ritrovare decisione quando Edward cambiò espressione. Sembrò assorto in un mondo tutto suo: stava sentendo i pensieri di qualcun altro.
“Oh no!” esclamò seccato, rovesciandosi all’indietro sul letto, coprendosi gli occhi con una mano.
“Che c’è?” domandai allarmata. “Problemi?”.
“No” disse esausto. “Solo seccature…”.
Si alzò dal letto di malavoglia e, a passi stanchi, si diresse verso la porta. “Alice mi deve dire una cosa… Scusami. Torno fra dieci minuti” mi spiegò prima di uscire.
Mi lasciò allibita. Proprio ora che avevo trovato il coraggio. Sospirai. Beh, in fondo non era male: Alice mi aveva dato qualche minuto in più per elaborare un discorso. Mille frasi iniziarono a turbinarmi nel cervello, ma fra esse non ce n’era alcuna che potesse essermi utile per aprire la conversazione. Mi alzai dal letto e, per calmarmi, prima che mi scoppiasse la testa, optai per una doccia rapida, nella speranza che potesse aiutarmi ad articolare frasi connesse.
Entrai nel bagno comunicante con la camera di Edward e mi immersi sotto il getto freddo. Pensando e ripensando, alla fine ebbi la sensazione di avere trovato un incipit decente e alcune frasi da utilizzare a seconda della reazione e delle obiezioni che avrebbe mosso. Quando uscii dal bagno, trovai la camera ancora vuota.
Guardai l’orologio. Erano passati poco più di venti minuti. Era una cosa importante allora? Forse Alice aveva avuto delle previsioni che Edward stava tentando di nascondere per non farmi preoccupare. Tipico. Se era davvero questa la motivazione, dovevo essere presente anch’io.
In salotto, li trovai tutti, o quasi, e indaffarati in differenti passatempi. Carmen, Irina e Kate stavano guardando la televisione, mentre Eleazar leggeva un libro. La cosa che trovai più curiosa fu l’occupazione degli altri membri della famiglia Cullen. Alice, Emmett, Jasper e Carlisle erano impegnati in una partita a carte. Poker, per la precisione.
Mi avvicinai a loro, incredula. Non li avevo mai visti giocare. Ed era la prima volta che vedevo Carlisle dopo la tragedia di Esme. Aveva il viso provato però stava sorridendo. La partita sembrava divertirlo. Conoscendo Alice, sicuramente era stata una sua idea per distrarlo.
“Ciao Bella! Come va?” domandò Emmett, alzando una mano in gesto di saluto.
“Ehi, stai attento! Così ti vediamo le carte!” esclamò Jasper.
Emmett fece spallucce:”Capirai! Alice le prevede! E’ inutile giocare con lei!”.
La mia Cullen preferita rise di cuore e stavolta furono gli altri a vedere le sue carte.
“Ok. Ragazzi, stavolta la partita è mia!” esclamò Carlisle. “Scommetto cento dollari”. Prese i soldi dal portafoglio e li gettò a centro tavola. Alice buttò le carte, annunciando il suo ritiro ed Emmett fece altrettanto. L’unico che accettò di proseguire fu Jasper, che alla fine perse. Aveva soltanto un tris d’assi contro il fool di Carlisle. Il padre di Edward sorrise soddisfatto e incassò. Cento dollari per una partita di carte. Io non li vedevo in un mese di paghetta e loro se li giocavano così banalmente. Grazie al lavoro di Carlisle e soprattutto alle previsioni di Alice sugli andamenti delle borse mondiali potevano permettersi questo e altro, però, a volte, mi sembrava che non dessero il giusto valore al denaro. Nonostante ciò, questa visione mi rasserenò: sembravano una normale famigliola che aveva trovato un simpatico modo per ammazzare il tempo.
Però… Edward non era con loro. Ed Alice era lì. Mi guardai nuovamente attorno e non lo vidi. Notai invece l’assenza di Rosalie.
“Dov’è Edward?” domandai ad Alice.
“E’ uscito un attimo…” rispose Jasper, mentre stava mischiando il mazzo, dimostrando una dimestichezza degna di un croupier professionista.
“Da solo?” insistetti e nessuno rispose.
Jasper distribuì le carte mentre mi accorsi che Alice era diventata un po’ irrequieta. Mi stavano nascondendo qualcosa, ormai li conoscevo abbastanza. Doveva essere con Rosalie anche se non capii perché mi avesse detto che era Alice a volergli parlare e non Rose.
“E’ con Rosalie?” domandai, fissandoli uno ad uno, decisa ad avere una conferma alla mia intuizione.
“No. Io sono qui” mi rispose Rose, sbucando dalla veranda. Si appoggiò all’enorme porta a finestre che costeggiava il salotto, a braccia incrociate. Aveva una strana espressione. Appariva accigliata. Increspò le labbra come se fosse pronta a ricoprirmi di insulti, ma Alice la bloccò con un’occhiataccia. Avevo un’orribile sensazione. Dov’era Edward?
“Che succede?” domandai.
“E’ quello che vorremmo sapere noi!” sbottò Rosalie.
“Ah, ah Rose! Sta calma” intervenne Emmett, non distraendo lo sguardo dalle carte.
“Calma, un accidente!” si arrabbiò sua moglie.
L’angoscia tornò a macellare i miei fragili nervi.
“Cosa c’è? Dov’è Edward?” ripetei meccanicamente.
“Tu forse lo sai meglio di noi!” replicò Rose.
Feci un cenno sconsolato con la testa. “A me ha detto che doveva parlare con Alice, che lei lo aveva chiamato. Non è così?” domandai, fissandola speranzosa. Alice distolse lo sguardo, mostrando evidente imbarazzo:“No, Bella. Mi dispiace…”.
“Dov’è?” balbettai.
“Rose…” la ammonì bonariamente Emmett. “Hai promesso”.
Sua moglie sembrava recalcitrante a mantenere il segreto, tuttavia mi diede le spalle e tornò in veranda. Che diavolo stava succedendo? Di che promessa parlavano e dov’era Edward? Oddio, non era mica andato da Demetri? No, non poteva averlo fatto e poi la sua famiglia non glielo avrebbe permesso. Inoltre loro erano qui, moderatamente tranquilli, anche se Rose appariva sulle spine. Cominciai a battere nervosamente il piede a terra in attesa di chiarimenti. La famiglia Denali mi aveva dato tutta la sua attenzione ma non me la sentivo di insistere con loro, data la mia scarsa confidenza. E nonostante l’apparente disinteresse che mi stavano concedendo, ero riuscita a rovinare il clima sereno degli altri Cullen: avevano tutti le carte in mano, ma nessuno accennava a voler scartare o puntare. Erano tutti sulla graticola a causa mia.
“E’ uscito, Bella” disse Rosalie, rientrando dalla veranda. Era evidente che non ce la faceva più a mantenere il silenzio.
“Dove?” domandai.
Rose fu redarguita da Carlisle, ma continuò ugualmente:“E’ venuto Jacob. L’ha chiamato col pensiero, pregandolo di non dirti niente. Se ne sono andati verso la radura…”.
Fui percorsa da un lieve tremore. Subito dopo le mie gambe cedettero di schianto. Sarei crollata a terra se Alice non si fosse alzata e mi avesse trattenuta al volo. Mentre mi teneva stretta, feci leva con i piedi sul terreno e riuscii a recuperare una posizione stabile o quasi, anche se fui costretta a sedermi su una sedia. In breve fui accerchiata da tutti i Cullen, mentre i Denali si avvicinarono, incuriositi.
“Che succede, Bella? Non ti senti bene?” domandò Alice, visibilmente in ansia.
“Giusto” insistette Rosalie. “Che diavolo sta succedendo? E’ per ieri sera, vero? Ci vuoi spiegare, per favore?”.
“Calma, Rose” la rabbonì Carlisle.
Jacob… Non aveva resistito ed era stato più veloce di me. Era venuto qui a parlare con Edward ed era facile intuire quale fosse l’argomento. Probabilmente glielo stava dicendo in questo momento.
Jake si era opposto fin dall’inizio al mio stupido piano. Il problema era che, conoscendolo, sicuramente si stava prendendo colpe non sue. Potevo solo sperare che non ne fosse convinto e che Edward leggesse come erano andate le cose realmente.
In ogni caso, qualsiasi fosse la versione dei fatti che Jake stava fornendo, il punto era che non era una sua responsabilità. Dovevo essere io a parlare con Edward, non lui.
“Bella! Ti prego, rispondimi!” mi implorò Alice.
Improvvisamente ritornai in me. Vidi il viso spaurito di Alice. I suoi occhi chiedevano solo risposte ed era giunto il momento che ne dessi a qualcuno.
“Credo che… che Jacob sia venuto qui per parlare a Edward di… ieri sera” balbettai.
“Perché? Che cosa è successo?”.
“Abbiamo litigato… molto violentemente”.
“Non capisco” si intromise Carlisle. “E’ stata una discussione così terribile? Se Jacob ha davvero dei problemi, avrebbe dovuto parlarne direttamente con te, non con Edward…”.
I loro occhi si incollarono su di me. Era evidente a tutti che stavo nascondendo qualcosa, che mi stavo ingegnando a inventare fantasie che non potevano reggere. Non sapevo cosa controbattere e per il momento non mi sentivo nemmeno in obbligo di dovermi giustificare. Mi avrebbe fatto solo perdere tempo. C’era una cosa molto più importante da fare: correre da loro.
“E’ una storia lunga” tagliai corto. “Ve la dirò più tardi. Ora devo andare alla radura…” e feci per uscire, ma Alice mi afferrò per un braccio e mi strattonò.
“Non puoi uscire!” mi ordinò.
“Come sarebbe a dire?!”.
“Abbiamo promesso ad Edward che ti avremmo trattenuta in casa”.
“Me ne frego di quello che avete promesso. Io devo andare da loro!” dissi risoluta. Non avevo mai tenuto questo tono con la mia migliore amica, né con nessuno dei Cullen. L’agitazione stava facendo crollare la mia proverbiale timidezza.
“A parte questo, potrebbero esserci i Volturi qua in giro…”.
“Se ci fossero, avresti già previsto il loro arrivo” obbiettai prontamente.
La semplicità con cui respingevo colpo su colpo i suoi attacchi mi sorprese, ma trovai come spiegazione il fatto che avevo una maledetta paura della reazione di Edward e loro mi stavano facendo perdere tempo. “Alice, devo andare. E’ fondamentale che io sia là, ora!” alzai la voce in tono autoritario. “Voi non capite… Edward potrebbe fare qualcosa di orribile, mentre voi mi trattenete. E io sono l’unica che può impedirglielo!”.
Alice emise un profondo ed esasperato sospiro. Guardò gli altri per avere una conferma; infine affermò, cercando Jasper con lo sguardo:“Andiamo noi due con lei. Se Edward è così agitato, conviene che ci sia tu a calmare gli animi!”.
“D’accordo” rispose il suo compagno. Questa soluzione, a cui non avevo minimamente pensato, poteva essere decisiva: il potere di Jasper di controllare le emozioni avrebbe potuto essermi di enorme aiuto.
Alice si voltò verso gli innocenti spettatori della mia tragedia e disse:“Aspettateci qui. Torniamo subito”.
Uscimmo tutti e tre di fretta. Appena scesi i pochi gradini della scalinata, Jasper si fermò davanti a me e senza neanche un gesto o una frase di preavviso, mi prese in braccio. “Così faremo più in fretta” mi spiegò.
Alice gli fece un cenno e partimmo veloci come il vento, con destinazione la radura.
Ci impiegammo pochi secondi ma furono sempre troppi per il mio povero cuore, messo già a dura prova dagli ultimi eventi. La paura aveva tutta l’intenzione di farlo esplodere. Cercavo, deglutendo, di scacciarla, inutilmente.
Ma quando arrivai là, capii che neanche un’eternità avrebbe potuto prepararmi a quello che avrei affrontato.




Beh, che dire? Nel prossimo capitolo arriverà ciò che per quattro libri della Meyer non è mai accaduto e se qualcuno penserà che non è coerente con il  personaggio di Edward, io rispondo: è normale lasciare il campo senza lottare? No! E sono sicura che non lo farebbe nemmeno Edward.
Un bacione a tutti e grazie perchè continuate a seguirmi!

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Capitolo 57
*** Agonia di un sogno - I parte ***


Ciao a tutti,
ecco il momento più desiderato!!! Gustatevelo e poi sappiatemi dire, se vi va.
Dedicato a Rebbycullen11 che ha sempre sognato il combattimento fra Edward e Jacob, come me, e ad Anitablake82 che ama i combattimenti per definizione! 


 
 
 
Quando raggiungemmo la radura, Jasper mi depose a terra con cautela.
Durante il breve tragitto avevo radunato le mie poche e confuse idee per pensare a un discorso che potesse calmare Edward. Sì, perché ormai era inutile sperare che Jacob non gli avesse detto nulla. Probabilmente non lo aveva proprio fatto: aveva semplicemente lasciato che Edward gli leggesse nel pensiero. Non immaginavo quale sarebbe potuta essere la reazione del mio quasi ex-fidanzato. Forse rabbia, dolore, disperazione. Qualsiasi sentimento avesse provato, io dovevo parlargli e chiarire come erano andate le cose. Mia era la responsabilità e non volevo dividerla con nessuno, soprattutto con Jake.
Una volta nella radura, fui abbagliata da sporadici raggi di sole. Il cielo era pieno di nuvole, come sempre, ma attraverso esse filtrava quella poca luce indispensabile per rendermi faticosa la visuale, soprattutto, considerando che provenivo dalla casa dei Cullen, completamente oscurata dalla chioma degli alberi. Trascorsero alcuni secondi prima che potessi adattarmi all’illuminazione naturale. Quando finalmente accadde, mi resi conto che ci trovavamo nella radura più grande di quella zona e che Alice e Jasper si erano fermati proprio al suo limitare. L’erba, bagnata dalla brina mattutina, mi infradiciò i piedi, nonostante le scarpe da tennis.
Guardai sia a destra che a sinistra, alla ricerca di Edward e Jacob, e li trovai. Erano esattamente davanti a noi, dalla parte opposta. Uno di fronte all’altro. Edward era di spalle e, ad essere sincera, vedevo solo lui: probabilmente la sua sagoma copriva quella di Jake, anche se mi sembrava strano, considerando che era meno alto e robusto di lui.
Feci per avvicinarmi ma Jasper mi bloccò.
“Aspetta” disse, sospettoso.
“Cosa c’è?” domandai impaziente.
“Edward…” risposevago.
“Non capisco…”.
“E’ nervoso, molto nervoso… Conviene muoverci con calma” sussurrò, riprendendo ad avanzare.
Calma?! Era l’unica cosa che non potevano pretendere in quel momento. Avevo una dannata fretta di arrivare da lui e non potevo aspettare le precauzioni di Jasper. Tuttavia fui obbligata a farlo perché Alice, prevedendo le mie mosse, mi afferrò per un braccio, costringendomi a mantenere la loro andatura.
Jasper davanti ed Alice ed io dietro camminavamo come se fossimo dei ladri e dovessimo sottrarre qualcosa di nascosto. Precauzione inutile, secondo me: sia Jacob che Edward dovevano avere già avvertito la nostra presenza. L’uno tramite l’olfatto, l’altro tramite la telepatia dei pensieri dei suoi fratelli.
Passo dopo passo, il mio sguardo si incollò su Edward. Era talmente immobile da poter essere scambiato per una statua di cera. Come faceva a non muovere nemmeno un muscolo? Quella sua posizione mi diede i brividi. E non vedevo Jake… Erano davvero l’uno di fronte all’altro in maniera così perfetta?
La nostra marcia, troppo lenta e cadenzata, cominciò a innervosirmi. Aumentai l’andatura, costringendo Alice a trattenermi con vigore un paio di volte, come se fossi un cane al guinzaglio. Non ne potevo più dei loro giochetti psicologici! La mia ansia cresceva ogni secondo. Che cosa avrei potuto dire per calmarlo? Innanzitutto dovevo discolpare Jacob da qualsiasi colpa si fosse imputato, poi avrei detto la verità. Non mi avrebbe fatto del male di sicuro, anche se ne avrebbe avute tutte le ragioni. E dopo avrebbe sofferto. Avrei dato tutto quello che avevo per poterlo evitare, ma ormai era troppo tardi.
Improvvisamente mentre camminavo, notai qualcosa brillare nell’erba. Aguzzai la vista. In realtà non era un vero e proprio luccichio ma semplicemente qualcosa di colore opposto al verde sbiadito della vegetazione, reso splendente dalla brina. Jasper annusò un paio di volte, poi fermò Alice.
Cercai di divincolarmi e correre verso quel punto, di fatto solo a un paio di metri da noi, ma la mano di Alice si strinse a tenaglia intorno alla mia. Ed ebbi paura.
“Cosa succede?” domandai.
“Stai calma, Bella. Mi hai capito?” si raccomandò Alice.
Annuii ma ormai non ero in grado di dominarmi e il loro comportamento contribuiva a terrorizzarmi. Avanzammo nuovamente fino a che non fui in grado di mettere a fuoco anch’io ciò che i miei compagni avevano già notato. Non era un oggetto, ma una chiazza. Quando potei dominarla dall’alto, capii. Sangue. A giudicare dal colore e dalla viscosità non era secco, ma fresco.
Sgranai gli occhi.
Forse qualche animale ferito…
Il corpo si irrigidì automaticamente mentre il cervello elaborava la realtà. Non poteva essere di Edward perché i vampiri non hanno sangue nelle vene. E se non era suo, poteva essere solo di un’altra persona…
Cominciò a mancarmi sistematicamente il fiato. Avevo il cuore che batteva all’impazzata, eppure non riuscivo a respirare. All’apparenza poteva sembrare un attacco di asma. Le vertigini mi scossero e le gambe iniziarono a tremarmi. La vista mi si appannò. Stavo soffocando.
Alice mi abbracciò e sollecitò Jasper a fare qualcosa. Subito mi fu vicino e mi strinse la mano.
Nel giro di pochi secondi, l’ossigeno tornò finalmente a riempirmi i polmoni, il battito, pur restando accelerato, si fece più regolare e un’ondata di serenità mi sommerse. Chiusi gli occhi perché mi pervadesse completamente e non mi abbandonasse mai più. Il potere di Jasper era fenomenale e ringraziai il cielo che mi avessero accompagnato.
“Tutto a posto?” mi domandò Alice.
“Sì” balbettai.
Alice mi lasciò andare e approfittai di quel momento per scappare via. Avrebbero potuto fermarmi facilmente, ma non lo fecero. Sentivo i loro passi vellutati dietro di me, ma sembravano più quelli di una scorta che di inseguitori.
Quando fui vicina a Edward, finalmente vidi Jacob. Non era umano ma lupo. E questo non era un buon segnale. Era in piedi, leggermente sbilenco. Vidi che teneva la zampa posteriore destra sollevata e che sulla spalla aveva una vistosa chiazza di sangue. Mi bloccai di colpo, pietrificata. Come si era procurato quelle ferite? Era stato Edward?
Spostai la mia attenzione su di lui. Aveva i jeans lacerati in un paio di punti nei polpacci, la camicia sporca di terra e soprattutto la mano sinistra imbrattata di sangue. Feci un passo per avvicinarmi quando Alice mi trattenne. “Bella, devi stare attenta. Non puoi entrare in questo modo in un combattimento…” mi redarguì.
Combattimento? Era questo? Gli occhi mi si velarono di lacrime. Lo sapevo perfettamente cos’era, anche senza che me lo dicesse lei, ma non volevo rassegnarmi che stesse accadendo a causa mia. Era assurdo e stupido. Ma tutto ciò che mi riguardava lo era e se pensavo che questo disastro lo avevo provocato io, non potevo stare ferma e assistere all’omicidio di uno dei due.
“Devo andare…” mi limitai a rispondere.
Alice sembrò non volermi accontentare, ma intervenne il suo compagno, sussurrandole parole incomprensibili all’orecchio. Il risultato fu che mi lasciò e fui libera di muovermi come volevo.
“Stai attenta… Edward potrebbe non riconoscerti”.
Rimasi interdetta. Era così infuriato da non capire nemmeno con chi stesse parlando? Deglutii a fatica e mi feci forza. Non importava. Dovevo salvare Jake e niente mi avrebbe fermato.
Avanzai circospetta mentre Alice e Jasper rimasero fermi nella loro posizione. Cercai di elaborare una strategia, certa che tanto Alice l’avrebbe prevista e quindi forse mi avrebbe aiutata. Non sapevo bene da che parte cominciare, ma l’unica cosa sicura era che dovevo fare in modo che Jacob andasse via per poter poi parlare a quattr’occhi con Edward. Tuttavia non riuscivo a pensare perché ipnotizzata dalla sua ferita: mi sembrava enorme. Non sapevo se per la paura oppure lo fosse realmente, ma indipendentemente da ciò dovevo impedire che Edward ne aprisse delle altre.
“Jacob…” balbettai e solo allora si accorse della mia presenza. Gli occhioni neri dell’enorme lupo mi rivelarono una smarrita sorpresa. Non si aspettava il mio arrivo e non ne sembrò molto felice. Uggiolò, facendomi cenno con il muso di andarmene. Scossi la testa e lanciai occhiate veloci in direzione di Edward che continuava a fissare la sua preda, come se io non ci fossi. Le mascelle erano contratte, i muscoli delle spalle tesi, gli occhi tinti di un rosso vermiglio, le narici dilatate, volte a inalare voracemente l’odore del sangue che il vento gli portava. Non l’avevo mai visto così. Non era più il mio Edward. Ora sembrava davvero un vampiro e ne ebbi paura.
Tuttavia sapevo che se volevo fermare tutto ciò, dovevo fermare lui. Jacob si stava solo difendendo; era Edward che aveva cominciato, ferito da quello che aveva letto nella mente del suo rivale.
“Edward!” esclamai a voce alta.
Jake uggiolò quando capì le mie intenzioni e camminò nella sua direzione, con la palese intenzione di attirare la sua attenzione e tenerlo lontano da me. Obbiettivo raggiunto: sul viso del vampiro si dipinse un sorriso maligno e puntò verso Jake.
“Edward!” urlai stridula e terrorizzata.
Stavolta mi sentì. Si fermò e si voltò verso di me. Un’espressione illeggibile metteva in bella mostra i canini mentre il suo viso era trasfigurato dalla rabbia. Sentii un groppo in gola ed ebbi la raccapricciante consapevolezza che non avrei potuto fare nulla contro un essere del genere.
“Cosa fai qui, Bella?” mi domandò, carico d’odio. “Non è posto per te. Vattene, per favore”.
“Edward… Che cosa stai facendo?! Fermati e parliamone…” dissi tra i singhiozzi.
“Parlare di cosa? Di quello che ha fatto questo bastardo? Ormai non c’è più niente da dire, credimi”.
“Non è vero! Non so cosa ti ha detto Jake, ma lascialo stare e parliamo tu ed io, da soli”.
“Se si potesse risolvere tutto con una semplice chiacchierata, Bella, lo farei, ma ormai è troppo tardi” sospirò.
Il rosso dei suoi occhi si spense in un color amaranto: forse il potere di Jasper stava servendo a qualcosa. Tuttavia non volevo illudermi e sperare che lui potesse sistemare tutto. Era giunto il momento di mettere sul tavolo tutte le carte e assumermi le mie responsabilità, anche se avrei preferito non farlo davanti ad Alice.
“Non è sfogandoti su Jacob che avrai giustizia. Lui non c’entra niente in tutta questa faccenda” affermai risoluta.
“Mi prendi in giro?!” domandò Edward, digrignando i denti. “E’ lui il problema, Bella. E’ sempre stato lui e se ora siamo a questo punto la colpa è solo sua…”.
“No. Sono io che ho scelto, io ho preso la decisione e Jake non mi ha convinta a fare nulla…”.
“Certo, come no” ridacchiò amaramente.
In quel momento il rumore di passi, resi pesanti dalla mancanza di agilità, mi distrassero. Non ebbi né la forza, né la prontezza di fare niente. Jake gli saltò addosso, azzannandogli un braccio. Edward cadde indietro in maniera apparentemente disordinata. In realtà sollevò le gambe e scaraventò lontano il lupo che si ritrovò alle sue spalle.
“Jake, fermati!” lo sgridai. “Sei impazzito?!”.
Edward si rialzò con un balzo e si scagliò contro di lui. Senza alcun intralcio lo afferrò per la gola e lo gettò contro un albero. L’urto non sembrò causare danni e il lupo fu subito in piedi. Tentò più volte di morderlo, mentre Edward scartava abilmente ogni tentativo di attacco. Era riuscito a sorprenderlo all’inizio perché era impegnato a parlare con me, ma ora la superiorità del mio ex-fidanzato era evidente. Non perché fosse più forte, ma semplicemente perché leggeva nella mente ed era quindi in grado di prevedere le sue mosse. Questo rendeva Edward praticamente invincibile in un combattimento uno contro uno.
Ero in un incubo. Si stavano ammazzando per una stupida e indecisa umana che aveva il potere di rovinare tutto ciò che toccava. Sì, questa era la mia dote, qualcosa di cui andare fieri!
Quando vidi Edward affondare le dita come lame nella coscia di Jacob e stringere fino a diffondere nell’aria lo schianto di ossa rotte, persi definitivamente la mia lucidità e corsi da loro. Ci avrei pensato io a fermare Edward. Jasper mi afferrò per un braccio e mi bloccò. Vicino a lui l’onnipresente Alice.
“E’ troppo pericoloso, Bella!”.
“Lasciatemi, devo fermarlo altrimenti lo ucciderà!” gridai, divincolandomi.
L’ululato disperato di Jacob distrasse Jasper che allentò la presa e mi permise di correre dai due combattenti.
Jacob era a terra sotto l’albero, mentre Edward era in piedi a pochi metri da lui, in contemplazione dello spettacolo. Quando gli fui vicina, mi accorsi che anche Edward era ferito ad un braccio ma, la totale assenza di sangue, dava l’impressione che si trattasse di poco più di un graffio.
Mi chinai su Jake che alzò il muso e lo appoggiò tra le mie braccia. Non ero arrabbiata con lui per via del suo attacco ad Edward: sapevo che l’aveva fatto solo per proteggermi. Lo strinsi forte per trasmettergli calore e la certezza che da quel momento in poi ci avrei pensato io. Senza sapere come.
Si lamentò come se avesse intuito le mie intenzioni, ma stavolta nessuno mi avrebbe fermata.
“Bella, vattene” mi sollecitò Edward con un’autorevolezza che non aveva mai avuto nei miei confronti.
“Sei bravo a vincere quando leggi nel pensiero…” commentai con una punta di acredine.
“Cosa vuoi dire?”.
“Che sei un codardo. Tutto qui” risposi senza riflettere. Me ne pentii l’istante successivo perché se c’era qualcosa che non potevo rimproverare ad Edward era la lealtà, ma avrei fatto e detto qualsiasi cosa pur di tirare fuori Jacob da lì, anche mentire. Immersi la mano nel folto pelo e lo accarezzai.
“E’ quello che si merita” affermò senza scomporsi.
“Non ha fatto niente di cui vergognarsi…” replicai, rialzandomi, pronta a fronteggiarlo.
“Certo, a parte il convincerti a mentirmi, niente di niente…”.
“Non capisco. Di cosa stai parlando?” domandai sorpresa.
“Del fatto che ti ha convinta a non dirmi la verità su quello che è successo ieri sera…”.
“No!” scossi nervosamente la testa. Accidenti a Jake e alle sue manie di protezione! “L’idea è stata mia!”.
“Non cercare di proteggerlo. Tu non mi avresti mai mentito. Ti conosco troppo bene…”.
“Ti sbagli” lo interruppi con veemenza. “Jacob voleva dirti la verità fin da principio, sono stata io a volerti mentire perché avevo paura… Paura di ferirti. Temevo che mi avresti odiata e non volevo accadesse. Ti voglio bene, Edward…”.
“Non sai mentire, Bella, lo so”.
“E invece pare proprio che abbia imparato” affermai acida. “Se fosse stata un’idea sua perché ti avrebbe rivelato la verità ora? Il patto era aspettare una settimana…”.
“Non lo so, Bella! Ma questo è quello che è successo!”.
“La verità è che tu non vuoi leggere cosa si cela nella sua mente perché sai che scopriresti qualcosa su di me che non ti piacerebbe. E invece credo che quel momento sia arrivato, Edward…” dissi con gli occhi gonfi di lacrime.
Abbassò lo sguardo e tacque. Lo stavo ferendo molto più di qualsiasi morso di licantropo. Solo a parole e mostrandogli ciò che non voleva vedere.
“Perché fra una settimana?” sussurrò con un sibilo echeggiante.
“Perché non volevo causarti ulteriore dolore dopo la perdita di Esme. Volevo darti un po’ di tempo, prima di… andarmene” ultimai, deglutendo a fatica.
“E credevi che una settimana sarebbe bastata per farmi imparare a vivere senza di te?” domandò malinconico.
“No, è stata un’assurdità” convenni. “Te ne volevo parlare io per prima, ma poi è arrivato lui e non ho più avuto tempo, né modo”.
“Bella, lui non ti merita”.
“Neanche tu, se per questo. Ma ora, ti prego, fammi parlare” iniziai decisa a vuotare il sacco e a dargli finalmente la giusta versione dei fatti. “Ieri sera mi sono resa conto che quello che provo per te è un amore affettuoso e profondo, ma che la persona della quale ho bisogno non sei più tu. E mi dispiace, Edward, mi dispiace perché se me ne fossi accorta prima, avrei risparmiato tante sofferenze a tutti quanti. A te, a Jacob, alla tua famiglia, ma purtroppo le cose sono andate così. Io amo Jake e voglio stare con lui. Perciò, se vuoi prendertela con qualcuno, fallo con me perché ogni colpa è mia. Il suo solo sbaglio è quello di amarmi, ma ritengo che non debba essere punito per questo. Ti prego…”.
“Sei confusa, Bella. E’ solo questo e lui si sta approfittando del tuo momento di debolezza”.
“Perché? Perché vuoi farti del male e non vedere la realtà?”.
“Perché la mia Bella non si comporterebbe mai in questo modo”.
“Io non sono più la tua Bella. Appartengo a qualcun altro adesso…”.
Era sconcertante vedere come si affannasse a cercare di proteggermi anche ora e di scaricare tutte le colpe su Jake. Mi si stringeva il cuore a parlare in questo modo, ma Edward sarebbe stato meglio perché finalmente si sarebbe accorto che cosa guadagnava con la mia perdita: il rispetto per se stesso che io ero stata così brava a strappargli. Un’unica ferita profonda sarebbe guarita molto più velocemente che tante stilettate.
Feci un passo verso Edward quando Jake mi afferrò una mano, mordendola dolcemente. Non voleva che mi avvicinassi a lui, ma non vi era alcun pericolo: non mi avrebbe attaccato. Era solamente molto deluso e, nonostante tutto, volevo essergli vicina in questo momento.
“Non la toccare!” gli ingiunse Edward con fermezza. La risposta di Jacob fu un ringhio sommesso. Mi frapposi subito fra di loro per evitare attacchi indesiderati. Con me in mezzo nessuno dei due avrebbe osato muoversi. Almeno così credevo.
“Preferirei parlarti da sola” dissi, facendogli intuire che Alice, Jasper e Jacob erano di troppo in questo momento. Ed effettivamente era così. Non volevo fargli del male, volevo solo spiegargli che cosa mi aveva spinto a quel ripensamento e con altri spettatori, non ce l’avrei mai fatta. Per di più volevo dirgli che lo amavo ancora, ma non volevo che Jacob fraintendesse il mio discorso. Ero stanca di dovermi barcamenare fra due sponde. Ora avevo deciso da che parte stare e avrei mantenuto la mia decisione, pur cercando di far capire ad Edward che non l’avevo mai voluto prendere in giro e che sarebbe rimasto sempre e comunque una parte importante di me stessa e del mio cuore.
“Temo che non ci sia più niente altro da dire” commentò con una punta di amarezza.
Aveva abbassato il viso e, immobile, davanti a me, si stava lentamente rendendo conto che era finita davvero. Il mio cuore iniziò a battere all’impazzata e a provocarmi dolore. Una parte di esso si era spaccata e stava urlando la sua rabbia per ciò che stavo facendo; tuttavia l’altra, la più grande, guardava Jake e sorrideva, conscia che fosse la scelta giusta.
Mi distrassi da Edward per accarezzare Jake che mi si era affiancato. Appoggiai il viso sulla sua spalla e tamponai la ferita con un fazzoletto che avevo in tasca. Volevo portarlo via da lì. Mancava poco, Edward ormai si stava rassegnando e Jacob ed io avremmo potuto cominciare una nuova vita. Pensai a Charlie: sarebbe esploso dalla gioia quando gli avessi detto chi era il mio nuovo ragazzo. Avrebbe perfino dato una festa! Se non altro perché non mi sarei sposata a breve… Il lupo strusciò il muso contro la mia guancia, accarezzandomi con lo sguardo.
“Bella, allontanati!” sentenziò Edward, sovvertendo non poco le mie deduzioni.
I suoi occhi si erano riaccesi e capii l’errore. Avevo dimostrato troppo affetto verso Jacob proprio davanti a lui e l’odio aveva oscurato di nuovo la ragione. Jacob intuì il pericolo e tentò di spostarmi, ma feci resistenza e, facendogli cenno di stare fermo, mi diressi verso Edward.
“No!” dissi risoluta. “Non permetterò che vi ammazziate a causa mia!”.
“Non ti preoccupare! Io non morirò, solo lui!” ridacchiò sarcastico.
Deglutii a fatica, cercando di ritrovare la calma. I miei piedi strisciavano per terra, trascinando con sé il peso del corpo. Jacob ringhiò rumorosamente e fece alcuni passi dietro di me. Lo pregai di stare fermo, ma non sembrava volermi ascoltare. Non potevo restare in mezzo a loro per tutta la vita e la situazione pareva destinata ad esplodermi in mano. Jacob era già sanguinante e non poteva combattere ancora, non ce l’avrebbe fatta e comunque non avrei tollerato che nemmeno Edward fosse ferito in quello scontro.
“Edward, senti…” iniziai senza avere un’idea di come proseguire.
“Ti farò fare la fine di Seth…” lo minacciò, incurante del mio interloquire. Anzi, non mi vedeva proprio. Guardava oltre me e quello che rivelava il suo viso era uno sguardo assetato e che si sposava perfettamente con un sorriso reso demoniaco dalla vista dei canini. Fui sopraffatta da un pensiero fugace: sarei stata così anch’io, se mi fossi fatta trasformare? La paura svanì oscurata dalla realtà.
Non era così che doveva andare. Dovevo fermarli ad ogni costo e l’unico modo era far ragionare Edward. Si era ingelosito per il mio sventato abbraccio a Jake. Forse se avessi fatto la stessa cosa con lui, avrei ottenuto il risultato che speravo. Jacob ne avrebbe sofferto un po’, ma almeno avrebbe avuto salva la vita e più tardi avrebbe capito.
Accelerai l’andatura mentre Edward stava diametralmente venendo verso di me, anche se il suo obbiettivo era il lupo alle mie spalle. Camminai nervosamente fino a buttarmi fra le sue braccia. Fu sorpreso del mio gesto a tal punto da restare imbambolato. Ecco la mia ennesima vigliaccata: fare leva sul suo amore per me.
“Ti prego, se mi ami, fermati” lo implorai.
Guardandolo negli occhi, mi accorsi che la sua anima era combattuta. Quel mare di topazio che tanto avevo amato e che mi aveva accompagnato in tutte le notti passate, stava colorando nuovamente le sue iridi, anche se il rosso vermiglio lo punteggiava con minuscole isole.
“Ti amo, Bella” sussurrò, stringendomi forte.
“Anch’io” replicai.
“Già, ma non abbastanza…”.
Non dissi altro perché era la verità. A Jake avevo detto tante volte la medesima frase:“Ti amo, ma non abbastanza…”. Ora era successo ciò che non avevo mai preso in considerazione nei miei incubi peggiori. La mia storia con Edward era finita, e, contro ogni aspettativa, diventata un bellissimo sogno, anche se il dolore per questa rottura l’avrei portato con me per tutta la vita.
“Se tu fossi un vampiro e potessi uccidermi, lo preferirei. Potresti tagliarmi la testa oppure farmi a brandelli… L’agonia sarebbe più sopportabile” sospirò spossato.
“Ce la farai, anche senza di me…”.
“No. Ti avevo scelta, Bella. Sei l’unica ragazza che ho mai amato e l’unica a cui avrei donato la vita, se necessario. E ora dovrò fare i conti con le ferite che mi hai inferto e che non guariranno mai più. Ma, considerando il futuro che mi si prospetta, almeno questo dolore mi darà l’impressione di essere ancora vivo ”.
“Mi dispiace tanto…” balbettai angustiata. Ormai piangevo a calde lacrime: lo stavo perdendo e non volevo. Avrei voluto averlo sempre vicino a me, ma non potevo chiedergli una cosa del genere e non potevo nemmeno imporla a Jacob. Tutto era nato dalla mia incertezza. Se avessi saputo portare avanti le mie decisioni, non saremmo arrivati a questo punto. Era colpa mia se le due persone più importanti per me avevano e avrebbero patito le pene dell’inferno.
“Non ce l’ho con te, Bella. Voglio che tu ne sia convinta. Hai fatto una scelta che non include me e di questo non ti biasimo” continuò malinconico. “Ti ho dato tutto quello che di buono c’era in me e ti prego di custodirlo con cura perché saranno gli ultimi bei ricordi che avrò di me stesso”.
“Col tempo dimenticherai…”.
“Se vuoi illuderti, fai pure, ma io conosco la profondità dei miei sentimenti…” bisbigliò e solo allora vidi una lacrima rigargli una gota. Allungai la mano per asciugargliela, ma mi fermò.
“Ti amo e ti prego di perdonarmi, se puoi…” disse prima di baciarmi la fronte.
Poi indietreggiò e affermò, con tono crudele:“Ora, vattene, per favore!”.
“Cosa?! Edward, no…” esclamai sconvolta.
“Vattene” ribadì con rabbia soffocata.
“Perché?”.
“Perché l’unica cosa che voglio, se non posso avere te, è vendetta. Non ti lascerò mai a lui, Bella. Mai e poi mai”.
Feci qualche passo indietro. Il liquido dei suo occhi tornò nuovamente ad arrossarsi. Quella voce tagliente non aveva niente in comune con quella soffice di Edward. Era un vampiro quello che mi stava davanti e nessuno lo avrebbe fermato. Io non ero un ostacolo abbastanza forte per impedirgli di uccidere Jake.
Mi stavo arrovellando quando Edward con un salto mi superò e corse da Jacob. Mi voltai per rincorrerlo a mia volta, quando fui strattonata e allontanata con la forza da Alice.
“Che cosa stai facendo?!” imprecai furibonda.
“Cosa credi di concludere stando lì in mezzo?! Non c’è niente che li possa fermare. Ormai sono decisi, tutti e due. Se resti ti ammazzeranno, loro malgrado!” mi sgridò.
Un’ombra aveva oscurato i suoi begli occhi: la rabbia. Dopo tutto quello che lei e Jasper avevano sentito doveva essere abbastanza chiaro che cosa era successo ieri pomeriggio e perché Edward fosse in quello stato. Per un secondo mi trovai ad affrontare il secondo distacco che la mia decisione avrebbe comportato: Alice. La nostra amicizia si sarebbe interrotta, com’era successo quando era stato Edward a lasciarmi. Era stata la mia migliore amica, l’unica ragazza con cui avevo instaurato un rapporto di profondo affetto e reciproca stima, che riusciva a coinvolgermi in tutti i suoi assurdi divertimenti e a regalarmi sempre un sorriso. Non avrei più visto nemmeno lei. Ed era arrabbiata per come lo stavo ferendo. Forse anche per questo non era intervenuta per difendere Jacob: non potevo darle torto se lo considerava la causa della mia rottura con suo fratello. Ma quello che volevo capisse era che ogni responsabilità era da imputare a me e a nessun altro.
“Alice, ti prego, devi aiutarmi. Non possiamo permettere che si facciano del male!”.
“Bella, non capisci… Non abbiamo il potere per impedirlo” esclamò esasperata.
Fissai Jasper che capì al volo cosa volevo sapere.
“Mi dispiace, Bella. Ci ho provato, ma Edward è troppo arrabbiato. Non l’ho mai visto così. Non riesco a dominare le sue emozioni, sfuggono completamente al mio controllo” si giustificò con voce neutra.
Cominciai a singhiozzare violentemente, mentre mi rendevo conto che non potevo fare nulla, a parte sperare che Edward tornasse in sé. Alice, notando il mio stato di prostrazione, si intenerì e mi abbracciò. La consolazione che cercò di infondermi da una parte smorzò la paura di averla persa, ma dall’altra alimentò, come benzina, il fuoco della disperazione per la mia inutilità. La strinsi forte quando sentii lo schianto di un corpo contro un albero. Non ebbi la forza di controllare chi era. Di chiunque dei due si fosse trattato, avrei sofferto e basta. Non volevo sentire niente, a parte le mie lacrime convulse.
“Bella, ti prego calmati!” si intenerì Alice. “Non fare così… Forse si calmeranno e capiranno da soli che…”.
L’improvviso silenzio che ne seguì mi fece alzare repentinamente lo sguardo. Alice stava guardando fisso davanti a sé. Inizialmente non volli vedere cosa stesse osservando con espressione così sgomenta, terrorizzata alla sola prospettiva dello spettacolo che avrebbe potuto pararsi davanti agli occhi; poi quando le sue braccia crollarono lungo i fianchi, inanimate, mi voltai verso i due combattenti e scoprii che Edward era stato ferito a un braccio da Jacob, ma a parte questo non sembrava esserci altro. Erano fermi, cristallizzati nelle loro posizioni, l’uno in attesa di una mossa dell’altro. A quel punto mi rivoltai verso Alice, ancora imbambolata.
“Amore, che succede?” le domandò preoccupato Jasper.
“Non ha rispettato i patti… Non ha aspettato…” disse sommessamente.
“Di cosa stai parlando, Alice?” investigò Jasper, mettendole una mano sulla spalla e scuotendola con estrema delicatezza.
Sbatté le palpebre più volte, come se si fosse appena svegliata. Succedeva ogni volta che aveva una visione. Ci guardò entrambi e poi si voltò verso il bosco, frugando ogni angolo visibile.
“Stanno arrivando…” risolse in ansia.
“Chi?” domandai anche se temevo di sapere già la risposta.
“Demetri e i suoi. Saranno qui tra poco…”.
Fu il mio turno a restare trasecolata. I Volturi stavano arrivando. Dalla padella nella brace. Però forse avrebbero potuto interrompere l’insano combattimento tra Jacob ed Edward.
Alice corse verso suo fratello e lo afferrò proprio mentre stava per attaccare Jake. “Stanno arrivando, Edward! I Volturi saranno qui a minuti…” ripeté spaventata, scuotendogli il braccio. Per parte sua, lui non sembrò nemmeno interessato alla rivelazione della sorella. Si divincolò e le rispose freddamente:“Vattene via, Alice. Queste non sono cose che ti riguardano!”.
“Edward, non hai capito! Stanno arrivando. Saranno qui fra tre minuti! Demetri e altri venti vampiri! Lascialo stare e vieni a casa con me!” protestò, tentando di trascinarlo per un braccio. Ma lui fu più veloce e indietreggiò.
“Non ti preoccupare” ridacchiò. “Lo sistemo in due minuti e mezzo e vi raggiungo a casa. Andatevene. Ah, porta via Bella, ci intralcia!”.
“Edward!” lo richiamò carica di astio, ma suo fratello non la stava più ascoltando, già assorto nei suoi pensieri e in quelli di Jacob. Entrambi avevano sentito cosa stava per accadere ma nessuno dei due avrebbe mollato.
Alice, sconfitta e irritata, tornò da noi. “Dobbiamo andarcene. Non possiamo restare qui…” decise.
“No, non possiamo andare via…” replicai.
“Restare qui significa morire, Bella. E io devo portarti al sicuro. Dobbiamo anche avvisare gli altri. Abbiamo pochissimo tempo…”.
“No! Io non me ne vado!” protestai. Ma fu inutile.
Jasper mi prese in braccio con la forza e, caricatami sulle spalle, partì verso casa Cullen, seguito da sua moglie. Urlai con tutte le forze la mia disperazione e il mio disappunto ma non servì. Le figure di Jacob e Edward si fecero pian piano indistinte e sparirono quando entrammo nella boscaglia. Li stavo abbandonando al loro destino.
Forse Demetri avrebbe attaccato la casa, e non si sarebbe accorto di loro. La radura non era così vicina e la loro scia poteva essersi dispersa. Mi ero attaccata a questa speranza, mentre Jasper, temendo una mia nuova fuga, mi aveva tenuta stretta, abbandonandomi solo una volta in salotto.
La nostra fu un’irruzione in piena regola, tanto che gli altri ci accolsero sbigottiti. La prima a venire verso di noi fu Rosalie:“Allora, che succede?” domandò, innervosita.
“Stanno combattendo e violentemente anche…” riassunse in maniera sbrigativa Jasper.
“Perché?”
“Non è il momento per parlarne. C’è un altro problema molto più urgente…” tagliò corto Alice, cercando il volto di Carlisle. “Stanno arrivando. Demetri e altri venti vampiri. Saranno qui fra due minuti”.
Non riuscirei a descrivere le espressioni che vidi comparire sulle facce di tutti.
“C’è anche Jane?” domandò Emmett.
Alice scosse la testa, e, se da una parte fu un sospiro di sollievo, dall’altra gettò ancora più scompiglio tra le nostre file. “Non dicevi che Demetri probabilmente avrebbe aspettato il suo ritorno per attaccare? Come mai hanno cambiato piano?”.
“Non lo so. E’ stata una decisione improvvisa. So che ha parlato con Jane al telefono e le ha detto che avrebbe attaccato subito. Tempo tre minuti. Jane non sembrava affatto contenta di questo, ma sta dall’altra parte dell’oceano. Direi che non può avere molta voce in capitolo…” sorrise quasi compiaciuta dei dettagli che il suo potere le aveva fatto scorgere.
“Come ci organizziamo allora?” domandò Emmett.
“Non lo so…” disse laconica Alice. “Siamo troppo pochi. Ci massacreranno…”.
“Posso chiamare il branco…” esclamai.
“Sì” convenne Carlisle senza esitazione. “Fallo subito, per favore”.
Non mi feci troppi problemi stavolta. Jacob ed Edward erano in serio pericolo e dovevo salvarli a tutti i costi. Il problema era che l’unico numero di telefono che possedevo, a parte il suo, era quello di casa Clearwater. Leah. Respirai forte. Pur di salvarli, avrei parlato anche con il diavolo in persona.
Composi il numero talmente in fretta che mi stupii della mia abilità gestuale, considerando che la stessa cosa, spesso, la dovevo rifare più volte. Era poco più dell’alba, e per giunta di domenica. Sicuramente erano ancora a letto e avrei dovuto svegliarla. Sarebbe stata ancora più arrabbiata ma non me ne importava niente. Il telefono suonò parecchie volte prima che una Leah insonnolita rispondesse.
“Pronto?” biascicò.
“Leah?”.
“Sì, chi parla?”.
“Sono Bella”.
“Cosa vuoi?” mi domandò, ritrovando subito l’antica acredine, senza tuttavia riuscire a scoraggiarmi. Avevo ben altro a cui pensare.
“Demetri e il suo esercito stanno arrivando. Devi radunare subito Sam e gli altri e portarli qui. Da soli non ce la possiamo fare…”.
“Perché non hai chiamato Jacob?” mi domandò freddamente.
“Perché lui è già qui” risposi alterata. “E’ solo e ha bisogno di voi”.
“E da quando?”.
“Come sarebbe a dire?!” esclamai accigliata.
“Noi non abbiamo più niente a che spartire con voi. Per quanto mi riguarda possono ammazzarvi tutti, anzi mi farebbero un piacere. Seth è stato vendicato e io non c’entro più nulla in questa storia”.
“Ma…” balbettai. Ero senza parole. La prima cosa che mi venne in mente fu che uno dei motivi per cui combattevano era la mia salvezza perché difendere un essere umano dai vampiri era il loro dovere principale, ma se lo avessi rimarcato, mi avrebbe dato dell’opportunista e non avevo tempo da perdere ora. Decisi di puntare su un altro argomento: la solidarietà tra membri del branco.
“Non hai sentito quello che ti ho detto prima?! Jake è qui, da solo e morirà insieme a noi, se non venite ad aiutarlo!”.
“Non ha bisogno di noi. Non ne ha mai avuto. Lui ci ha rinnegato e ha rinnegato se stesso quindi ora non può pretendere nulla. Può andare all’inferno per quel che ci riguarda” e riappese.
Il rumore del telefono si fece sordo e ripetitivo. Non riuscivo a credere alle mie orecchie. Leah odiava a tal punto i Cullen da lasciar morire uno del branco? E da come aveva parlato, sembrava che odiasse Jacob quanto i vampiri. Che diavolo era successo? Aveva parlato per sé oppure per tutti? Ripensai al compleanno di Jake. Del branco solo Sam e Paul erano intervenuti, tutti gli altri avevano dato forfait. Perché? Jacob aveva rinnegato se stesso: cosa significava?
“Allora? Verranno?” mi domandò Jasper impaziente.
Scossi la testa lentamente, ancora sorpresa dalla reazione di Leah.
“Come sarebbe a dire?!” insistette.
“Leah ha detto che dobbiamo arrangiarci da soli…” sussurrai.
Non ebbi il coraggio di guardarli perché in una qualche maniera mi sentivo responsabile del mancato rispetto del patto da parte dei lupi.
“Fantastico!” commentò sarcastica Irina. “Per fortuna che avevate detto che erano affidabili”.
“Lo sono sempre stati…” borbottò impotente Carlisle.
“Siamo tutti morti…” ci scosse Alice, con voce vibrante. Vedeva il nostro futuro senza l’arrivo del branco.
“Cosa ti ha detto di preciso?” domandò Carlisle, incapace a rassegnarsi.
“Che non vogliono più avere a che fare con noi e che non gli importa di cosa succederà a Jacob. Può anche morire…” ripetei meccanicamente.
Non osò pormi altre domande: ero stata fin troppo chiara. E non c’era niente a cui attaccarsi. Dovevamo cavarcela da soli e, in questo caso, morire. I Cullen avevano fatto affidamento su di loro e ora si ritrovavano inermi. Mi sforzai di ricordare per avere una spiegazione logica, ma mi mancava un tassello. Non ce l’avevano solo con noi, ma anche con Jake. Cos’era successo nel branco? Ricordai che, quando Sam e Jacob erano venuti qui per accordarsi con Carlisle, subito dopo il combattimento in cui era morto Seth, Edward aveva percepito dai pensieri del capo che c’erano dei problemi, ma lui aveva negato ogni fastidio. Erano questi? Ma emergevano dopo più di due mesi e un combattimento già alle spalle? Non sapevo cosa pensare a parte il fatto che ero disperata e incredula.
“Chiama Rachel” risolse Rosalie con inaspettata lucidità.
“Come?” domandai.
“Stiamo parlando di suo fratello. Non permetterà che gli altri lo lascino morire. Ci penserà lei a convincerli”.
La sua freddezza mi colpì. Non avevo pensato a questa soluzione, soprattutto perché sarebbe stato un approfittarsi del legame di una sorella, anche se non era il momento per farsi scrupoli. Senza aspettare il parere degli altri, chiamai casa Black. Al primo tentativo non rispose nessuno: probabilmente erano ancora a letto. Al secondo, finalmente Rachel rispose.
“Sono Bella!” esclamai senza neanche darle il tempo di chiedere chi fossi.
“Ciao” mi disse vagamente preoccupata.
“Ascoltami, ti prego. Ci stanno attaccando” singhiozzai. “I Volturi stanno per arrivare e Jacob è già qui, solo. Ho chiamato Leah ma ha detto che nessuno del branco verrà ad aiutarci. Ti prego, Rachel, sono troppo numerosi per noi. Uccideranno tutti. Ti scongiuro…”.
“O Dio” esclamò impaurita. “Jacob è lì con voi? Perché non hai telefonato subito qui? Non dovevi chiamare Leah! Adesso avverto Sam… Ci penserà lui”.
“Verranno?”.
“Ci puoi scommettere! Siete a casa Cullen, vero? In quanti sono?”.
“Una ventina. Arriveranno fra due minuti. Digli di fare in fretta!”.
Quando appesi la cornetta, scoppiai in un pianto dirotto, dettato sia dalla paura che dal fatto di aver raggiunto il mio obbiettivo. Jasper mi abbracciò per darmi conforto e tranquillizzarmi. Alice sorrise. “Arriveranno” sentenziò, guardando nel futuro. “Ma arriveranno prima i Volturi”.


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Capitolo 58
*** Agonia di un sogno - II parte ***


“Cosa facciamo allora?” domandò Carmen. “Come ci organizziamo?”.
Carlisle si voltò verso Alice in attesa di delucidazioni. La mia vampira preferita chiuse gli occhi, alla ricerca di concentrazione. Abbassò il viso e appoggiò il pugno chiuso sulla fronte, spingendo lievemente, scontenta di quello che non riusciva a vedere. Non era una sua mancanza. Con l’intromissione dei licantropi sulla scena era chiaro che non riuscisse più a vedere niente o comunque solo chiazze di visioni.
“Allora?” fremette Emmett.
“Una parte qui. La maggior parte. Demetri e altri due vampiri alla radura” concluse con incontrollabile crudeltà.
“No!” urlai disperata. Non ce l’avrebbero mai fatta in due contro tre, considerando che uno dei nemici era una guardia reale.
“Perché alla radura?” domandò Eleazar.
“Hanno sentito le loro scie” spiegò Alice. “Non dimenticare che Demetri è un segugio. Può rintracciare gli odori da molto più lontano rispetto agli altri vampiri”.
“Sì, ma perché va proprio là? Rosalie e Bella sono qui” la incalzò Eleazar.
Alice scosse la testa. Trovare una risposta era troppo. Ripensandoci, questa divisione era strana. Forse ritenevano Edward il più pericoloso e Demetri voleva eliminarlo per primo. Lui ed Alice, grazie ai loro doni, erano senza dubbio i punti forti nella nostra difesa.
“Non vuole noi” sostenne Rosalie pensierosa. “Demetri sa chi ha ucciso Lehausle?”.
“Credo di sì” rispose Alice, visibilmente confusa.
Rosalie arricciò le labbra, contrariata. “Cosa stai pensando, Rose?” domandò Kate.
“Vuole Jacob” sospirò, cupa.
“Perché?”.
“Quando Tanya, Seth ed io abbiamo combattuto contro Lehausle, lui mi ha rivelato che era molto amico di Demetri. Forse nello stesso modo in cui noi abbiamo voluto vendicare loro, Demetri vuole vendicare Lehausle”.
“Può essere sensato e spiegherebbe perché non ha voluto aspettare il ritorno di Jane” ammise Carlisle. “Quindi i suoi sgherri per sistemare Edward, mentre lui pensa a Jacob…”.
Mi sentii venire meno. Era già stato ferito da Edward, non poteva reggere un combattimento contro Demetri. Sam e gli altri dov’erano? Perché non erano ancora arrivati? Rachel doveva averlo già chiamato… Se gli fosse successo qualcosa, che senso avrebbe avuto la mia vita?
“Stanno arrivando. Dobbiamo sbarrare porte e finestre” ordinò Carlisle. Vidi un’affaccendarsi febbrile, mentre io non avevo altro pensiero per la testa se non quello di salvare Jacob. Avrei voluto dirgli che dovevano correre subito alla radura ad aiutarli, ma non osai intromettermi mentre parlavano fittamente di tattiche da adottare. Ero talmente confusa che non riuscivo a mettere a fuoco quali fossero le direttive da seguire, ma era assurdo illudersi che qualcuno sarebbe andato a salvarli quando, fino all’arrivo del branco, saremmo stati in palese inferiorità numerica.
“Tu resterai in casa con Bella, come l’altra volta. Se dovesse riuscire a entrare qualcuno, la difenderai. Noi andremo fuori” disse Carlisle a Rosalie, che annuì stancamente, affatto felice di dovermi fare da guardia del corpo. Ma, a differenza dell’altra volta, non protestò.
“Edward?” domandò Carmen.
“Finché non arriverà il branco, non possiamo dividerci. Spero per lui che ce la faccia…”.
“Sono a cinquecento metri!” annunciò Alice.
Carlisle annuì e mi mise una mano sulla spalla. “Stai tranquilla, Bella. Vedrai che andrà tutto bene. Edward ce la farà, e anche Jacob…” cercò di rincuorarmi.
Stavo per scoppiare a piangere ma repressi le lacrime per non far pesare il mio stato a tutti loro che già avevano un arduo compito. Alice mi fissò compassionevole. Lei e Jasper sapevano che ormai il mio cuore era devoto a qualcun altro e che, sì, ero dannatamente in ansia per Edward, ma non era nulla rispetto a ciò che provavo per Jacob.
“Andiamo” li incitò Emmett e tutti insieme uscirono quatti quatti nella foresta. Subito dopo Rosalie si assicurò di sprangare la porta, mentre mi lasciavo cadere sulla sedia, affranta.
Un altro combattimento, altri morti. L’ultima volta era toccato ad Esme, oggi di chi sarebbe stato il turno? Mi sentii paralizzata e inutile. Non servivo a niente, solo a creare problemi. Jacob ed Edward stavano combattendo l’uno contro l’altro a causa mia, e se, da una parte, dovevo ringraziare Demetri e la loro incursione che li avrebbe separati, dall’altra, ero terribilmente spaventata perché non potevano competere con lui. Preferivo morire io, piuttosto che uno di loro. Erano le due persone più importanti della mia vita ed erano in grave pericolo mentre io giocavo a nascondino con Rosalie.
Nascosi il viso nei palmi delle mani. Cosa avevo combinato? E cosa sarebbe successo di lì a poco? Sperai soltanto che Edward non fosse riuscito a fargli ancora del male e che entrambi stessero bene. Avevano bisogno di tutta la loro energia per sopravvivere a Demetri. Pregai silenziosamente che Sam e gli altri arrivassero in fretta e che volessero realmente aiutare i Cullen e i Denali. Non riuscivo a darmi spiegazione per la rabbia di Leah. Che cosa aveva fatto Jacob da causarle una reazione così furibonda? Rinnegato se stesso… Cosa intendeva dire? Basta! Poco importava. Dovevano venire e salvarlo. Al resto ci avremmo pensato dopo.
Persa nella mia matassa di pensieri, avvertii il peso dello sguardo di Rosalie. La guardai, timorosa.
Era dinanzi a me, in piedi, con le labbra strette in un’unica linea sottile, le braccia aderenti al corpo, rigida come se si stesse trattenendo a stento, un’espressione furibonda.
Tutto faceva trasparire che stesse per formulare un’accusa nei miei confronti. E ora non avrei proprio saputo fronteggiarla. Ma niente l’avrebbe fermata. Dovevo solo capire quanti secondi mi avrebbe lasciato prima di sottopormi al suo fuoco di domande e prepararmi di conseguenza. Non avevo idea di come sostenere il suo interrogatorio, soprattutto se fosse stata particolarmente impetuosa e volta a raggiungere una risposta plausibile. Il resto della famiglia non aveva detto granché delle mie scuse patetiche perché troppo preso dall’arrivo dei Volturi, ma ad un’analisi attenta avrebbero capito che c’era sotto ben altro, invece che un banale litigio tra amici.
Purtroppo ruppe il silenzio prima del previsto.
“Allora, Bella? Credo che tu debba delle spiegazioni” sentenziò seria e irrequieta, battendo nervosamente il piede a terra.
“Non credo di dovere delle spiegazioni a nessuno, tanto meno a te” risposi piccata.
Chissà dove trovai la forza per risponderle con tanta arroganza! Innervosirla non era una mossa intelligente dato che la mia difesa era affidata a lei, tuttavia trovavo inopportuno dovermi giustificare. Se ci fosse stata Alice al suo posto, non avrei esitato un attimo a confidarle ogni cosa, anche se mi avrebbe, giustamente, insultato, ma Rose non era propriamente colei che avrei scelto come confidente.
“No, Bella. Ne devi eccome! Mio fratello e Jacob sono là fuori che si ammazzano per te ed è giunto il momento che tu dica chiaro e tondo come stanno le cose!”.
Il ricordo del loro combattimento fece evaporare la mia forza d’animo e un enorme macigno tornò a gravare sullo stomaco, facendomi sprofondare nel dubbio e nell’incertezza. Probabilmente anche lei era in ansia, come me, e voleva avere delle risposte al comportamento incomprensibile di Edward. La capivo eppure ero terrorizzata dalla sua reazione.
“Io… Non so cosa dire…” ansimai, presa dal panico.
“Oh sì che lo sai!” sbottò. “Che diavolo è successo ieri sera? E non venirmi a dire che quei due si stanno battendo per un insulso battibecco perché io non me la bevo! Non sono una stupida!”.
Non risposi e Rosalie affondò la lama ancora più in profondità.
“Se Jasper non è riuscito a fermare Edward, vuol dire che è fuori di sé e da che lo conosco, non è mai uscito di senno. Ma quando ci sei tu di mezzo, tutto può essere…”.
“Non è vero” balbettai confusa.
“Sì che è vero, perché a te non frega niente se quello che fai, fa soffrire chi ti vuole bene. Credi con la favola che tu vuoi bene a tutti di essere sempre giustificata, ma non è così. Siccome piangi e dici “mi dispiace”, è automatico che ti si perdoni ogni cosa, ma non vuol dire che sia giusto. E se gli altri sono così idioti da farlo, io non lo sono. Stai prendendo tutti per il naso, vero? In realtà ti diverti un mondo a vedere due ragazzi che combattono per te… Appaga il tuo ego”.
“Sei ingiusta!” urlai, alzandomi dalla sedia. “Io non sono felice di questa situazione e non voglio che nessuno dei due si faccia male”.
“E allora perché non li hai fermati?!”.
“Credi che non ci abbia provato?! Credi che sia stata là a ridere e a compiacermi di vederli mentre si facevano a pezzi?!”.
“Potevi parlare con Edward…”.
“Ho tentato ma non mi ha ascoltato… Era così…” e scoppiai a piangere disperatamente. Il mio raziocinio era agli sgoccioli e le accuse di Rosalie erano l’ideale per farmi crollare.
Tutto era sfuggito al mio controllo, ammesso che l’avessi mai avuto. Edward era come impazzito e Jacob probabilmente voleva solo vendicarsi di ciò che aveva patito a causa mia, oltre a doversi difendere. Non facevo una colpa a nessuno dei due, ma vedere Edward in quello stato mi aveva sconcertato ancora di più del sangue di Jake. Era sempre stato così buono e protettivo, che constatare il suo cambiamento nell’essere che quelli del branco mi avevano sempre descritto aveva distrutto tutto ciò in cui credevo. Eppure c’era del buono in lui. Lo sentivo ed era chiaro da come mi aveva risposto. Era soltanto la gelosia ad avergli ottenebrato il giudizio.
La loro rivalità aveva portato a questo. Li avevo aizzati senza rendermene conto. Se avessi parlato subito con Edward invece di lasciarmi prendere dalla paura, forse avrei evitato questo stupido duello. Ma era tardi per tornare indietro.
“Non credere che quattro lacrime mi muovano a compassione, Bella!” mi rimproverò aspramente.
“Non pensavo che sarebbe andata a finire così… Ma è stato più forte di me… Non posso ribellarmi” mi giustificai. Solo più tardi mi accorsi che stavo dicendo frasi senza senso.
“Che stai farneticando, Bella?! Ribellarsi a cosa?”.
Non continuai oltre. Rosalie mi odiava e se avesse saputo la verità, non avrebbe esitato a farmi la ramanzina e sentire ancora peggio, se possibile.
Inaspettatamente, stanca dei miei discorsi inconcludenti, mi prese il viso fra le mani e lo sollevò, costringendomi a guardarla dritto negli occhi. La severità del suo sguardo mi perforò come una freccia lanciata con precisione millimetrica nel cuore.
“Che diavolo è successo ieri sera, Bella?” domandò risoluta.
Le mie lacrime si fermarono.
Avevo paura, una paura tremenda di quello che avrebbe pensato, anche se Rose era sempre stata l’ultima persona di cui mi interessasse l’opinione.
Mi persi in quel mare di topazio e non risposi, mentre lei, al contrario, lesse ogni cosa.
“Capisco…” disse infine.
Sfilò le mani dal mio viso come un guanto e si allontanò di qualche passo.
Furono attimi lunghissimi, durante i quali non seppi come interpretare le sue parole. A causa della mia coscienza sporca e delle mie pessime doti recitative, non esitai un attimo a pensare che si riferisse a ciò che effettivamente era accaduto e sorse subito in me il desiderio di scusarmi.
“Rosalie, ascolta…” iniziai.
“Dunque, alla fine hai scelto…” sussurrò con voce neutra.
“Io non me l’aspettavo” le spiegai con voce lamentosa. “Credimi. E’ successo tutto così, all’improvviso. Ho sentito qualcosa dentro di me che urlava, che diceva…”.
Rosalie si voltò con un sorriso amichevole e mi stupì. Mi stava prendendo in giro?
“Bella, non ti devi scusare con me. Al massimo con Edward, ma certamente non con me. Per quanto mi riguarda hai fatto la scelta giusta e, comunque, quella che mi aspettavo”.
Dire frastornata non rende giustizia alle sensazioni molteplici che mi inondarono.
“Non capisco…” fu la sola cosa che i miei neuroni riuscirono a mettere insieme.
“Edward è meraviglioso ed è la persona migliore dell’intero universo ma non penso che fosse adatto a te. Jacob ha un carattere che combacia perfettamente con il tuo, vi completate a vicenda. Credo che sia questo l’equilibrio che una coppia cerca e voi l’avete naturalmente, senza bisogno di crearlo. Perché distruggere qualcosa che già esiste e non sfruttarne le potenzialità?”.
“Anche con Edward eravamo in equilibrio perfetto…”.
“No, per niente, secondo me…”.
Scossi la testa. Non sapevo se quello che mi stava dicendo mi facesse piacere visto che criticava il mio rapporto con Edward che io avevo sempre definito idilliaco.
“Vi amavate troppo e vi soffocavate a vicenda. Ciascuno deve dare la possibilità all’altro di crescere, aiutandolo, se necessario, non proteggendolo esageratamente. E invece voi facevate esattamente il contrario. Le calamite che si attraggono, finiscono poi per respingersi. Invece con Jacob le cose andranno diversamente…”.
“Come fai a dirlo?”.
“Perché lo conosco e so come ragiona. Non ti chiuderà in una campana di vetro, Bella. Ti darà il tuo spazio e sarai libera di sbagliare. Lui ti aiuterà a rialzarti. Tutto qui”.
Ero allibita. Tutto mi sarei aspettata tranne appoggio da parte sua. E stava parlando seriamente, senza toni scherzosi o sberleffi.
“Perché hai detto che te lo aspettavi?”.
Rise di cuore. “Per l’assurda scenata di gelosia che mi hai fatto! Quello che hai detto non era certo da cara amica, ma da innamorata gelosa! Avresti dovuto vedere la tua faccia, mentre mi facevi la predica: neanche un’attrice avrebbe saputo rendere meglio una scenata di quel livello! Rinfacciarmi poi che eri preoccupata del suo benessere e che lui, poverino, fosse una vittima, è stato addirittura patetico. Tutto per giustificare la tua rabbia. Nessuno si sarebbe bevuto questo tuo interesse così morboso come simbolo di una profonda amicizia. Nessuno, tranne Edward…”.
“Nemmeno io se per questo” ammisi, combattuta fra il rimpianto e il senso di colpa. “Non mi ero accorta di nutrire amore per Jacob”.
“Ma tu lo amavi già prima…”.
“Sì, ma non in questo modo…” dissi soprapensiero, poi mi resi conto improvvisamente con chi stavo parlando. “Scusa, ma tu come fai a saperlo? Te l’ha detto Jacob?”.
“No” scrollò le spalle. “E’ stato Seth”.
Seth?! Sicuramente lui lo aveva saputo dal diretto interessato o grazie alla telepatia tra lupi, ma perché ne aveva parlato con Rosalie? Erano così in confidenza? Capii che erano successe tante cose di cui non ero stata assolutamente messa al corrente e che forse Rose era più coinvolta col branco di quanto potessi immaginare. Se Seth ne aveva discusso con lei, allora voleva dire che si fidava.
Guardai la sua espressione sincera e quasi affettuosa: c’era qualcosa che mi sfuggiva in questa ragazza. Era davvero perfida come appariva oppure c’era dell’altro ben mascherato? Jake l’aveva difesa dicendo che non la conoscevo e che era dolce e sensibile. Era vero? Oppure aveva preso in giro tutti per bene?
“Credo che Jake mi debba un favore!” sorrise soddisfatta.
“Che intendi dire?”.
“Che senza di me non avresti mai capito cosa provi, quindi lui è in debito con me. Vediamo… Potrei farmi regalare una maglietta oppure quel bel paio di pantaloni che ho visto da Maren!”.
“Non credo che Edward ti sia ugualmente grato” balbettai dolorosamente.
“Non mi piace dire certe cose, ma se l’è cercata” disse, scrollando di colpo dalla faccia il suo sorriso. “L’avevo avvisato e non mi ha voluto ascoltare…”.
“Avvisato? Quando?”.
“Subito dopo la nostra discussione in giardino. Gli ho detto col pensiero che non era normale tutta la scenata che mi avevi fatto e che ero quasi sicura che tu provassi per Jacob molto più di quanto ammettevi, ma lui ha detto che mi sbagliavo. I fatti mi hanno dato ragione e non ne vado fiera…”.
Ricordai quell’episodio. Edward aveva risposto in maniera criptica ai pensieri di Rosalie. Gli avevo anche domandato chiarimenti su ciò che lei gli aveva suggerito ma lui li aveva bollati come quisquilie. E invece non lo erano affatto, anche se, ora, col senno di poi, non ce l’avevo con Rose. Aveva soltanto tentato di difendere suo fratello. Era ironico: avevo scatenato un putiferio con l’intento di proteggere Jacob da Rosalie, salvo poi calpestare Edward e il suo amore per me.
“Mi sono comportata in maniera orrenda…” pensai ad alta voce.
“No, semplicemente non capivi cosa volevi. Hai fatto degli errori che hanno fatto soffrire delle persone, ma ora puoi porvi fine. Hai scelto e devi portare avanti la tua decisione. E credo che sia stata la scelta migliore perché Edward soffriva il tuo attaccamento a Jake, anche se lo accettava per non metterti in una cattiva posizione, e, restando con lui senza tagliare con Jacob, li avresti solo fatti soffrire entrambi. Quello a cui sei arrivata ieri sera è stato un bivio fisiologico che prima o poi avresti dovuto affrontare e meglio farlo adesso che non siete ancora sposati, piuttosto che dopo, quando le cose non si sarebbero più potute cambiare…”.
Mi accasciai sulla sedia. A modo suo stava tentando di consolarmi e farmi vedere la situazione da un punto di vista più oggettivo, ma non sapevo darmi pace ugualmente: non avrei mai dovuto far soffrire Edward in questo modo, dopo quello che aveva fatto per me. Nonostante ciò, non ero pentita della mia decisione. Se avessi potuto tornare indietro, avrei gestito meglio tutta la faccenda, ma avrei sempre e comunque scelto Jake.
“Sei convinta di ciò che hai fatto, vero?” mi domandò Rosalie. “Non avrai altri ripensamenti?”.
Mi asciugai le lacrime, passando velocemente una mano sulle guance e tirai sù col naso. “Io lo amo” affermai indignata. Credeva forse che fossi una banderuola al vento? “E’ tutto ciò di cui ho bisogno, non mi serve altro se ho lui”.
Rosalie mi sorrise bonariamente:“Era quello che volevo sentirti dire. Sono molto felice per Jake e per te”.
In quell’istante accadde un altro miracolo: mi abbracciò. Non avrei mai creduto in tutta la vita che sarebbe successa una cosa simile: avere il sostegno di Rosalie. Quello che avevo cercato di raggiungere, a volte goffamente, mi era stato porto su un vassoio, proprio con l’unica azione che credevo mi avrebbe fatto odiare più di qualsiasi essere al mondo. Il rimorso fu quasi schiacciato dalla gioia e si attenuò.
“Non devi sentirti in colpa. Hai seguito il tuo cuore e Edward se ne farà una ragione” mi sussurrò, mentre mi stringeva.
“L’ho tradito…” mugugnai.
“No, Bella. Lo avresti fatto se glielo avessi tenuto nascosto, ma non è stato così”.
“Tu non sai come sono andate le cose…”.
Mi lanciò un’occhiata scettica e le raccontai sommariamente ciò che avevo fatto, puntando l’accento sulla mia vigliaccheria. Alla fine Rosalie non parve scalfita o contrariata.
“Dovevi dirglielo subito, ma, in fondo, sono passate meno di ventiquattr’ore. Non mi sembra il caso di farne una tragedia…” smorzò i toni.
“Il punto è che gli ho mentito deliberatamente e lui è arrabbiato perché non se lo aspettava…”.
“Hai detto bene. Non si aspettava il tuo cambio di prospettiva, non la tua menzogna. Credeva fortemente nel vostro rapporto e pensava che sarebbe stato eterno. Ma questa delusione l’avrebbe provata in ogni caso, non lo si poteva evitare”.
“Ma lui se la sta prendendo con Jacob che non c’entra niente…”.
“Non può prendersela con te: è più facile attaccare chi non si ama. E Jake si sta vendicando di tutto il passato”.
“Così facendo, rischiano solo di uccidersi!” inveii con voce strozzata.
“Presto torneranno in sé e capiranno che stanno perdendo tempo…”.
“Non hai visto Edward. Era fuori di sé…”.
“Allora i Volturi, tutto sommato, sono arrivati giusto in tempo” ridacchiò, poi tornando seria disse:“Andrà tutto bene…”.
In quel momento risuonò un ululato. Anzi, una serie di ululati. Il branco era arrivato. Tirai un sospiro di sollievo e Rosalie abbozzò una risata, sedendosi davanti a me.
“Vinceremo e potrai stare con Jake…” disse col chiaro intento di rincuorarmi.
Non conoscevo le evoluzioni della battaglia, ma ora che Sam e gli altri erano arrivati ero più rilassata. I Cullen avrebbero avuto il sostegno che meritavano, così come Edward e Jacob contro Demetri e i suoi due sicari. Forse le cose sarebbero davvero andate a finire bene.
Improvvisamente mi accorsi che tutto appariva più roseo soltanto perché mi stavo sfogando con qualcuno che aveva una sorta di complicità delle mie emozioni e con cui non mi vergognavo a parlare. Non sentivo il rimorso corrodermi come un acido come era successo quando avevo incrociato lo sguardo di Alice nella radura. Lei mi aveva odiata per ciò che avevo fatto ad Edward; Rosalie invece no. Riusciva a essere più distaccata della sorella, a guardare le cose per come effettivamente erano e a conferirmi un sereno compiacimento delle mie azioni.
Tuttavia mi ritrovai a piangere nuovamente e senza alcun freno. “Che ti succede?” mi chiese.
“Piango di felicità…” risi. L’avevo sempre negato perché troppo soffocata dai sensi di colpa, ma adesso ero libera di gioire del mio futuro con Jacob… Era il mio momento…
Appoggiò il viso sul dorso della mano e capì che volevo parlarne, volevo raccontarlo a qualcuno che mi potesse dire “Ben fatto”, che non mi giudicasse e che fosse semplicemente partecipe della mia felicità.
“Come hai capito?” domandò.
“Non lo so” mi sfuggì una seconda risata. “Improvvisamente. Ricordo solo che ero infuriata a morte perché credevo che fosse innamorato di te, poi ha detto che amava me e dopo… è successo tutto. All’inizio è stata solo una gran confusione, poi le cose hanno trovato un ordine e ho capito ciò che provavo. E’ stato meraviglioso e spaventoso insieme”.
“Hai fatto un po’ di ordine nel cervello allora!” mi sbeffeggiò.
“Cosa vuoi dire?” bofonchiai, mettendole il broncio.
Rosalie rise poi con le dita iniziò a giocare con i lunghi capelli. “Quindi adesso cosa provi per Edward?”.
Fui lieta di questa domanda: glielo volevo dire e volevo soprattutto ribadirlo al mio cervello che si rifiutava di capire come avessi potuto rinunciare a una tale meraviglia della natura per un’altra persona, solo all’apparenza, più insignificante.
“Lo amo ancora, ma non come prima. Ricorderò sempre con affetto i momenti passati insieme e li custodirò con gioia, ma sono passati e ora ho un futuro davanti a me che adoro ancora di più. Voglio Jake e l’amore che nutre per me…”.
“Credi che Jake ti possa dare un futuro migliore di quello che ti garantiva Edward?”.
Dovetti riflettere un attimo prima di rispondere. “Sarà diverso. Con Jacob potrò avere l’amore senza dover rinunciare a niente”.
Non mi fece altre domande e si limitò ad osservarmi, mentre leggevo nei suoi occhi una scettica curiosità che decisi di soddisfare. “In questi giorni mi sono accorta di quanto tengo a mio padre e la trasformazione in vampiro mi avrebbe inesorabilmente allontanata da lui. E invece voglio potergli stare accanto, dargli la soddisfazione di vedermi laureata e sposata a tempo debito. Con Jacob posso avere tutto questo… Posso mangiare, dormire, respirare… Continuare la mia vita”.
“Non sarà la paura del cambiamento ad averti fatto prendere questa decisione?” alzò un sopracciglio, perplessa.
“No, affatto” replicai quasi offesa. “Fino a ieri ero ben contenta di diventare un vampiro anche se cominciavo già a sentire la mancanza dei pranzi di Natale e del giorno del Ringraziamento. Non è la paura a dominare le mie decisioni. Al massimo, la gelosia…”.
Abbozzai un sorriso che lei non ricambiò.
“Pensate di sposarvi?” domandò con voce all’apparenza dura come il marmo.
“Beh, sì, ma non subito. Prima voglio fare l’università e Jake dovrà trovarsi un lavoro. Ci penseremo con calma. Nessuno dei due è molto favorevole… Al matrimonio, intendo”.
“L’idea di Edward era effettivamente troppo antiquata e fuori moda. Ormai si convive e basta…” sospirò. Non capii che cosa l’avesse fatta incupire in quella maniera. Sembrava serena e addirittura contenta fino a un attimo prima.
“Hai altri progetti?” domandò.
“Non ti sembrano già abbastanza?”.
“Mah… Non so” ribatté svogliata, scrollando le spalle. “Figli?”.
Fu allora che capii.
“No, non credo” mentii e se ne accorse.
“Non è un problema, Bella. Ne puoi parlare, anzi mi fa piacere se lo fai…” disse, accarezzandosi le unghie. Non ero affatto convinta che non fosse un problema, ma se avessi continuato a mentire se ne sarebbe accorta e l’avrebbe potuta prendere come un’offesa personale, mentre invece era soltanto un gesto di delicatezza nei suoi confronti. Scelsi di risponderle in maniera veloce, senza soffermarmi troppo.
“In realtà non ne ho ancora parlato con Jake, però sì, li vorrei. Un paio almeno…” ridacchiai, immaginandomi la scena.
“Perché non ne avete parlato? Credi che non li voglia?”.
“Oh no, non ho fatto in tempo. E poi non volevo sopraffarlo subito con l’idea della famiglia. Siamo giovani per pensare ai figli. Non ho voluto spaventarlo…”.
“Spaventarlo?! Soltanto perché vuoi due marmocchi? Non lo conosci abbastanza, Bella. Pur di farti felice, ne farebbe anche una cucciolata e comunque, penso che sia lui il primo a volerne. Con Edward non hai mai parlato di figli…”.
“No, infatti” ammisi, arrossendo come se fosse stata una mia mancanza.
“Niente più vampirismo, allora!” ridacchiò in maniera nervosa.
“Oh no, certo che no! Deve essere così bello svegliarsi la mattina e avere lui accanto. Cucinare, passeggiare insieme sotto il sole. Voglio che lui sia il padre dei miei figli. Insomma voglio una noiosissima e normale vita umana. Prima o poi moriremo, certo, ma sarà stata la scelta giusta. L’unica cosa a cui dovrò abituarmi saranno le rughe…” risi cercando la sua complicità.
Allargò le labbra ma i suoi occhi erano lucidi. Abbassai lo sguardo, consapevole di aver detto qualcosa di sbagliato. Ebbi il coraggio di guardarla soltanto quando, dopo un lungo silenzio, mi rivolse la parola.
“Ti invidio da morire, Bella” mi spiegò, non riuscendo a camuffare una voce a tratti incerta. “Tu avrai ciò che io ho sognato per cento anni”.
“Si può essere felici anche senza figli…”.
“Oh sì, lo so, ma senza di loro sei un essere a metà. Vivi senza scopo e tu invece l’avrai, come avrai le rughe, i pranzi di Natale, la laurea, la puzza di bruciato per casa, il viaggio di nozze in un posto assolato, un raffreddore. Avrai tutto, nel bene e nel male, ma l’avrai. Io non avrò più niente. Ma forse è giusto così…”.
In quel momento capii Rose e la sua malinconia per il mio matrimonio, il suo odio verso di me, difendere Desirèe a tutti i costi e il desiderio di scappare da una vita troppo stretta. Non erano solo i figli il problema ma tutto quello che le era stato negato.
“L’importante è amare ed essere amati, Rose” bisbigliai. “E tu hai entrambe le cose, oltre ad avere una famiglia che ti adora”.
“Anche tu li hai Bella”.
“No, non più…”.
“Se ti riferisci ad Alice, lei ti sarà ancora amica, se lo vorrai. Ti ha sempre voluto bene, indipendentemente dal legame con Edward. Non ti abbandonerà soltanto perché hai cambiato parere…”.
“Credi?” domandai piena di speranza e dimentica che quel discorso era nato per rincuorare lei e non me.
“Ne sono sicura”.
“Avere dei momenti di sconforto è umano, aspirare ad avere sempre qualcosa di meglio, non accorgendosi di averlo già, è umano, Rose. Emmett ti ama e lui ti sarà sempre vicino, qualsiasi cosa accada. Parti avvantaggiata rispetto a chiunque altra…”.
“Parli già come Jake” ridacchiò. “Hai ragione: Emmett mi ama, nonostante tutto, e sono molto fortunata, anche se non lo merito. Evidentemente il destino mi ha tolto una cosa e l’ha compensata con qualcos’altro. Tirando le somme, ci ho guadagnato, anche se sono convinta che Emmett ci abbia rimesso…”.
Sapevo a cosa stava alludendo e ormai era inutile nascondercelo, visto che io sapevo tutto o quasi. Non avrei dovuto chiederlo, ma volevo sapere di più, volevo che mi raccontasse com’erano andate le cose e cosa c’era stato tra lei e Jake. Avevo la versione di lui, ero sicura che mi avesse raccontato la verità, eppure desideravo una visione più completa. La Rosalie che mi stava parlando era così simile a quella descrittami da Desirèe, al ritorno da La Push, e da Jacob la sera precedente. Non aveva niente a vedere con la ragazza presuntuosa e insensibile che aveva sempre fatto mostra di sé in quella casa. Appariva così fragile e indifesa da farmi tenerezza. Possibile che avesse recitato per così tanto tempo? Che nessuno l’avesse davvero capita? Poteva essere realistico che avesse provato qualcosa per Jake? Che non fosse stato semplicemente un giocattolo? La ragazza che avevo davanti non era capace di fare una cosa del genere.
“Perché hai cercato Jake?” domandai senza pensare.
Alzò il viso di colpo, trasecolata. “Io non sono un pericolo per te, Bella” si affrettò a spiegare.
“Non intendevo questo. Volevo soltanto sapere perché vi siete avvicinati così tanto. Mi ha detto che vi siete frequentati assiduamente per parecchie settimane e che alla fine tu hai deciso di troncare, ma non riesco a immaginare come siate arrivati a questo rapporto”.
“Ci sentivamo soli, Bella, e non capiti dalle persone che amavamo. Così abbiamo scambiato per amore ciò che non era. Ho troncato ufficialmente io ma di fatto è come se fosse stato consensuale perché nessuno dei due amava l’altro. Io volevo ricominciare con Emmett e Jake era ancora innamorato di te, quindi perché continuare? Ad ogni modo è una persona fantastica e mi ha aiutato ad accettare la mia natura di vampiro e a superare la crisi. Non lo dimenticherò. Per me è e sarà sempre un buon amico. Niente di più”.
Mi sentii più sollevata: adesso che sapevo che non provava davvero niente per lui, ero sicura che la nostra relazione non avrebbe ricevuto scossoni. Ma poi perché pensarlo? Jake amava me e nessun altra. Sì, Rose era sul serio una bella persona, ma lui amava me. E soprattutto Rosalie amava Emmett. Forse avrei potuto evitare di mettere dei paletti fra di loro: mi potevo fidare di entrambi. E passati questi minuti di confidenze, cominciai a nutrire verso Rosalie una stima preziosa e un insano desiderio: che fosse mia amica. Non eravamo più così lontane, o forse non lo eravamo mai state. Semplicemente non avevamo mai comunicato e avevamo lasciato che le apparenze facessero il resto.
“Sono felice che anche Jake abbia raggiunto il traguardo che tanto desiderava, anche se lo ha fatto a scapito di Edward…” recitò mestamente.
Abbassai lo sguardo perché, anche se le sue parole non erano un’accusa, facevano ugualmente soffrire.
“Voglio molto bene ad Edward, anche se, magari, dall’esterno non si direbbe” parlò con un velato sorriso. “Gliene ho sempre voluto tanto ma ci sono voluti anni e anni perché se ne accorgesse o perché semplicemente io riuscissi a dimostrarglielo. Desidero il meglio per lui, e probabilmente tu non lo sei. O almeno lo spero, così so che non resterà solo troppo a lungo. E’ stato solo per anni. Da quando sono entrata in questa famiglia, non l’ho mai visto con una ragazza e non voglio che debba affrontare un altro periodo tanto lungo senza qualcuna accanto. Anche se per mandare giù questo boccone, ci vorranno parecchi anni… Però ci siamo noi e lo aiuteremo a farlo…”.
Trasmetteva calore e angoscia: lo amava davvero, mentre io non ero capace di dimostrare a fatti quello che lei stava facendo a parole. Avevo sempre pensato che non si sopportassero ed invece era incredibilmente affettuosa nei suoi confronti. Era stato merito di Jacob? Di Desirèe? Che cosa l’aveva resa così meravigliosa? Guardandola mi chiesi come Jake avesse potuto continuare ad amare me, dopo averla conosciuta. Era gentile e altruista, forte e fragile. Tutto quello che si poteva desiderare era in lei. Capii perché Emmett non aveva voluto rinunciare alla loro relazione e mi vergognai di averla scoperta solo adesso e in una situazione così tragica. Stavamo lì, sedute ad un tavolo, come due vecchie amiche che si confidano i rispettivi segreti mentre fuori infuriava la battaglia. La sentivo come un’amica, esattamente come Alice, anche se il nostro rapporto non era longevo come quello con sua sorella.
Il nostro angolo di paradiso però fu letteralmente squarciato da un rumore di vetri infranti provenire dal piano di sopra. Rosalie si alzò e mi afferrò per un braccio. Mi trascinò con sè ed entrambe fissammo sgomente le scale che portavano alle camere da letto.
“Cos’è stato?” domandai.
“Proveniva dalla soffitta”.
Sgranai gli occhi. Il lucernaio non poteva essere sprangato e quindi la finestra era plausibilmente andata in frantumi. Il punto però era chiarire se fosse stata rotta accidentalmente in una colluttazione oppure se un vampiro fosse penetrato col chiaro intento di aggredirci. Aguzzai le orecchie e constatata la totale assenza di rumori mi illusi che fosse tutto a posto. Rosalie mi confutò senza pietà:“E’ dentro”.
“Cosa?”.
“E’ al piano di sopra. Ne sento la scia” sussurrò, respirando profondamente.
Il mio cuore cominciò a tamburellare così forte che temetti che il nemico potesse sentirlo. Ma che dico?! Sicuramente lo sentiva, come sentiva il mio odore umano. Rosalie si inginocchiò e staccò una gamba alla sedia di legno dove era seduta. Lo fece con un’abilità tale da renderla simile a una danza. Fece un passo verso la scala ma la fermai.
“Ti prego, non andare là…” mormorai.
“Sta calma, Bella” disse scandendo le parole una ad una. “E’ tutto ok. Devo controllare”.
“No! Non lasciarmi sola” implorai.
Si portò il dito alle labbra facendomi segno di abbassare la voce. Poi alzò gli occhi verso il soffitto e allora sentii anch’io lo scricchiolio delle travi di legno. Qualcuno stava camminando. Trattenni il fiato per qualche secondo. Rosalie si specchiò nei miei occhi spaventati poi mi rassicurò:“Sta’ tranquilla. Adesso ci penso io”.
“No” replicai, stringendola per un braccio. “Vengo con te…”.
“No, Bella, è fuori questione. Mi saresti soltanto d’intralcio”.
“In caso di bisogno, voglio poterti aiutare!”.
“Mi aiuti di più se stai lontana” sottolineò seria. “Ora io salgo, tu vai in cucina e chiudi la porta. Non uscire per nessun motivo finché non ti chiamo io”.
“Torna…” la scongiurai.
“Ci puoi scommettere! Non ho nessuna intenzione di morire!” mi canzonò. Mi fece cenno di nascondermi e io, il più silenziosamente possibile, eseguii. Una volta entrata in cucina, accostai la porta. Non aveva la chiave, quindi non potevo chiudermi dentro. Non che la cosa sarebbe servita a granché, nel caso non fosse stata Rosalie a sopravvivere, ma almeno avrei guadagnato qualche minuto.
La cucina aveva due ingressi: uno portava in soggiorno, l’altro in veranda. Quello che dava su quest’ultima era stato accuratamente sprangato da Jasper poco prima di uscire. Da quella parte dunque non potevano entrare. Almeno così speravo.
Accesi la luce e mi guardai attorno, titubante. Dapprima mi sedetti su uno degli sgabelli che circondavano la penisola di legno al centro della camera, poi, incapace a stare ferma, cominciai a camminare avanti e indietro. Guardai l’orologio. Le 7,13.
Deglutii più volte, in attesa di sentire la voce di Rosalie, ma al suo posto echeggiava soltanto il silenzio. Dov’era? Se c’era qualcuno lassù avrebbe già dovuto iniziare il combattimento. Guardai nuovamente l’orologio. Le 7,15. Era stata vittima di un’imboscata? Forse il vampiro le era saltato addosso senza lasciarle il tempo di reagire. Forse era in difficoltà, forse avrei dovuto fare qualcosa invece che stare lì a pregare.
Improvvisamente un tonfo.
Poi un altro e un altro ancora. Tremarono perfino le pareti della cucina. La camera sovrastante era quella di Alice e Jasper. C’era un combattimento in corso e a giudicare dal rimbombo doveva essere particolarmente cruento. Girai su me stessa più volte e notai una serie di coltelli infilati in un porta posate di legno. Lo raggiunsi con un balzo e afferrai quello che mi sembrava avere la lama più grande. Dopodiché spensi la luce, restando avvolta dall’oscurità. Se Rosalie fosse stata sconfitta e il vampiro fosse venuto a cercarmi, avrei attirato sicuramente meno l’attenzione in una casa al buio e forse avrei potuto usare il coltello, anche se non avevo una buona visibilità.
Un altro rumore di vetri, ma più tenue del primo, mi fece sobbalzare nuovamente. Avevano rotto un’altra finestra? L’ennesimo vampiro era riuscito a entrare? Se così fosse stato, allora Rose sarebbe stata in seria difficoltà, due contro una. Strinsi l’impugnatura, ormai decisa ad andare a controllare cosa stesse accadendo, quando una serie di tonfi continuativi, uno più profondo dell’altro, mi sorpresero. Qualcuno stava rotolando dalle scale. Corsi alla porta e la socchiusi leggermente. Il soggiorno era buio, esattamente come la cucina e non potevo distinguere molto, a parte la chioma lucente di Rose. Era lei ad essere caduta. E non era sola: un’altra ombra galleggiava nell’oscurità. Richiusi la porta silenziosamente e corsi a sedermi, sgomenta, a terra, nell’angolo opposto all’entrata.
Altri boati si alternarono dal salotto mentre, per sfuggire alla paura, mi coprii le orecchie con le mani. Stavano rompendo parecchi oggetti nel corpo a corpo. Ma ciò che mi spaventava di più era che combattevano senza parlare, nel silenzio più totale. Non sapevo chi stesse vincendo, se dovessi spaventarmi o esultare. Udivo soltanto i fruscii dei loro corpi. Se fosse successo qualcosa a Rose, non me lo sarei mai perdonato. Non adesso. Impugnai il coltello e, facendo ricorso a tutto il coraggio che non avevo, mi diressi a passi umanamente felpati alla porta. La aprii e misi la testa fuori. I rumori erano cessati di colpo e strinsi gli occhi per distinguere le sagome. Ne notai una soltanto, in piedi, di spalle. Aveva la testa reclinata e le spalle troppo larghe per essere Rose. Istintivamente accesi la luce. Il vampiro si girò verso di me, con un sorriso angelico. Era questo che incuteva paura: la maggior parte di loro aveva un’espressione così dolce che mai ti saresti aspettato che facessero del male. Ma i loro occhi di un rosso incandescente non mentivano mai.


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Capitolo 59
*** Agonia di un sogno - III parte ***


“Cucù!” ghignò.
Ai suoi piedi distinsi i boccoli di Rosalie, che non si muoveva. Il suo corpo sembrava essere stato buttato lì, come uno straccio vecchio. Mi si ghiacciò il sangue. Mi portai una mano al petto per calmare il mio respiro affannoso, invano.
Il vampiro intraprese il cammino, volto a raggiungermi, con maestosa leggiadria. Indietreggiai e chiusi la porta dietro di me. Cercai lo sgabello più vicino e lo incastrai davanti ad essa, in modo tale da bloccarne la maniglia. Il vampiro cercò più volte di far scorrere la serratura ma senza risultati. Rosalie era ferita? Oppure era…? Schianti sempre più violenti ed energici rivelarono che stava cercando di buttare giù la porta e che ce l’avrebbe fatta.
Il legno vibrava sotto i suoi colpi e i cardini stavano cedendo. Sarebbe entrato. Come si uccideva un vampiro? Con i paletti di legno. Li cercai ma non c’era niente di legno in quella maledetta cucina. Afferrai il mio coltello con entrambe le mani e mi preparai a vendere cara la pelle.
I cardini si staccarono ma la porta rimase in piedi. Un’ultima spinta e sarebbe crollata. Passò un’eternità durante la quale il terrore mi inchiodò. Infine con un rombo spaventoso la porta crollò, trascinando con sé qualcos’altro che al buio non distinsi.
Ora l’ingresso era spalancato e una figura si stagliava davanti a me, a pochi metri. Due balzi e mi sarebbe stata addosso. Il mio nemico allungò la mano sull’interruttore: meglio, avrei avuto qualche possibilità in più per colpirlo. Lo premette.
Vi scoprii il viso stravolto di Rosalie.
“Tutto ok?” domandò, emettendo un lungo sospiro.
Trasalii e guardai a terra. Sopra la porta schiantata, giaceva il corpo decapitato del bellissimo vampiro; la testa penzolava dalla mano sinistra di Rosalie.
“Tutto ok?” ribadì la mia salvatrice.
Annuii, cercando le forze per alzarmi dal mio cantuccio. Rose lasciò cadere, apparentemente esausta, la testa che rotolò come una palla da bowling nella mia direzione. Vedere membra di un corpo, per quanto non umano, mi fece venire il voltastomaco.
Una volta in piedi, emisi un profondo sospiro, volto a ossigenare le gambe che si erano fatte debolissime. Mi appoggiai al piano della cucina mentre Rose spostò il corpo dall’ingresso. Ero a pezzi, come se fossi stata io a sostenere la battaglia, ed estremamente scombussolata, ora che il peggio era passato. Avevo corso un rischio e Rosalie mi aveva salvata per l’ennesima volta. Ormai la lista dei miei debiti si era fatta infinita.
Sentii dei rumori provenire dall’esterno, e corsi da Rose. Era in salotto, intenta a coprire con un lenzuolo il cadavere. A lei non dava fastidio, ma aveva notato il mio sussulto, quando mi ero trovata la testa decapitata a poco meno di un metro. Ebbi modo così di constatare che la camera era quasi distrutta. Il tavolo di vetro, teatro di tante conversazioni a proposito dei Volturi, era andato in frantumi. Parte della tappezzeria che ricopriva il divano e le poltrone era stata strappata, come se delle tigri si fossero affilate le unghie su di essa. Alcuni sopramobili di ceramica e cristallo giacevano a terra, infranti. Era strano ricordare che in quella casa sei mesi fa si era svolta la festa per il mio diploma e che per l’occasione Alice l’aveva addobbata come una reggia, con festoni, ghirlande e luci di vario colore e dimensione; ora puzzava di morte e abbandono. E il piano superiore, non doveva essere ridotto meglio. Fui sommersa da una profonda tristezza. Sembrava che i ricordi legati a ciò che amavo fossero stati spazzati via.
“Sei sicura di stare bene?” si sincerò Rose, vedendomi imbambolata.
“Sì, certo. Ho solo avuto molta paura…” spiegai, improvvisando tranquillità.
“Ok. Allora io vado sù a cercare di chiudere l’abbaino in qualche maniera…” e fece per salire al piano superiore.
Era ovvio che quella potesse essere un’entrata per nemici temerari ed era scontato che non potevamo lasciarla aperta per nessun motivo, tuttavia la prospettiva di restare sola in salotto mi raggelava. Avrei voluto accompagnarla per sentirmi al sicuro, ma non volevo esserle ulteriormente di peso. Si stava dando fin troppo da fare per me e non volevo che si vergognasse della mia paura. Trovai la forza di non obbiettare e mi misi a contare i battiti del cuore per cercare di rallentarli. Rosalie li sentiva sicuramente e non avrebbe faticato a capire.
Stava già salendo le scale quando si fermò e, nella mia direzione, disse:“Ti va di aiutarmi, Bella? C’è da fare lavoro di falegnameria e in due faremo prima…”.
Era inutile pensare che avesse davvero bisogno di me, ma la ringraziai mentalmente per non avermi umiliata sbattendomi in faccia il mio terrore.
Annuii e la stavo raggiungendo sulla scalinata, quando sentimmo bussare alla porta principale. Quel tocco lieve raggelò entrambe, poi Rose, seguita da me, avanzò, raccogliendo da terra la gamba del tavolo che aveva staccato poc’anzi. Mi fece cenno di stare indietro e io ubbidii. Raggiunto il portone, guardando dallo spioncino, tirò un sospiro di sollievo. Quando aprì, Emmett entrò così rapidamente che nei primi secondi feci quasi fatica a riconoscerlo e a non scambiarlo per un nemico. Appena varcata la soglia, sbatté la porta come una furia e altrettanto rapidamente abbracciò la sua compagna, poi la baciò in ogni angolo del viso, con un’espressione raggiante.
“Amore, stai bene, per fortuna…” esclamò, strusciando la guancia contro il suo capo.
“Sì, tesoro è tutto ok. Non ti dovevi preoccupare” lo tranquillizzò Rosalie, indicandogli il cadavere coperto sul pavimento.
Emmett mi guardò e chiese conferma che anche io stessi bene. Annuii brevemente. In realtà non sapevo cosa rispondere: fisicamente sì, ma mentalmente ero ancora stordita.
“Scusate se non sono riuscito a impedirgli di entrare, ma mi sono saltati addosso in due e il suo amichetto era davvero un osso duro…” esordì Emmett.
“Non ti preoccupare. Meglio così. Almeno mi rendo utile anch’io!” ridacchiò Rose, facendomi l’occhiolino.
“Ora devo tornare…” e fece per andarsene.
“Aspetta un attimo” lo trattenni. “Come procede la battaglia?”.
“E’ dura, Bella, ma ce la faremo. I Denali ci stanno aiutando parecchio. Il potere di Kate è davvero fenomenale…”.
“E il branco?” interloquì Rose.
“Stanno facendo il loro dovere”.
“Ci sono tutti?” domandai.
“Non ho avuto tempo di contarli ma direi di sì. Anzi ho intravisto quella che credo fosse Leah aiutare Alice ad ucciderne uno” puntualizzò, cogliendo ciò che volevo sapere.
Tirai un sospiro di sollievo. Sam li aveva convinti o costretti ad aiutare i Cullen: poco importava se stessero combattendo volontariamente o meno, l’importante era che ci fossero. “Chi è andato alla radura?” domandai con ansia crescente.
Emmett increspò le labbra e lanciò un’occhiata a Rosalie che non capì. “Nessuno” ammise infine.
“Come sarebbe a dire?!” domandai incredula.
“Sia noi che i lupi siamo tutti impegnati. Non possiamo allontanarci. Sono troppi perché qualcuno riesca ad andarsene, senza di fatto mettere in pericolo gli altri!”.
“Ma hai appena detto che riuscite a gestire bene la faccenda…” contestò sua moglie.
“Dobbiamo uccidere qualcun altro dei loro, poi uno dei nostri, lupo o vampiro che sia, potrà correre da Edward…”.
“Ma alla radura c’è Demetri. Non possiamo aspettare. Li ammazzerà entrambi!”.
Emmett non ebbe la forza di controbattere perché il vero problema alla radura, lo sapeva perfettamente, era proprio Demetri. Edward e Jacob, anche se malconci, potevano farcela contro due vampiri, che da quello che avevo capito, non erano nemmeno Neonati, quindi meno forti. Invece Demetri era come Lehausle. Jacob l’aveva vinto con l’aiuto di Esme e al massimo delle forze, non come adesso.
“Vacci tu…” lo esortò Rosalie dopo avermi visto sull’orlo del pianto.
“Non posso” protestò Emmett. “Ho abbandonato Kate per venire a controllare come state. Non posso lasciarla sola più a lungo. Non ce la farebbe. Jasper è quello che se la cava meglio di tutti. Forse lui, tra un po’…”.
Guardò sia me che Rose, poi diede un fugace bacio sulle labbra di sua moglie e uscì. Rosalie sprangò nuovamente la porta e mi affrontò con un’espressione compassionevole. “Mi dispiace, Bella” mormorò.
Sbattei più volte le palpebre per impedire alle lacrime di uscire e mi morsi il labbro inferiore.
“Vedrai che andrà tutto bene. Tra poco Jasper sistemerà la sua parte e correrà da loro. Oppure magari, Emmett ha contato male e alcuni del branco sono già là… Sicuramente Jake li avrà chiamati col pensiero e saranno andati ad aiutarlo”.
“Forse…” balbettai. “O forse sono già morti tutti e due”.
“Che stai dicendo?! Non la devi pensare nemmeno per scherzo, una cosa del genere!”.
“Jake era già stato ferito da Edward e non era sicuramente in grado di sostenere un attacco da Demetri. E se sono ancora soli…” balbettai.
Mi passai le mani sul viso per nascondere il dolore che ormai Rose aveva già intuito.
Nessuno poteva aiutarli, nessuno aveva il tempo di correre da loro: non gliene facevo una colpa, ma io non potevo rimanere lì ad aspettare che uccidessero Jake e facessero a pezzi Edward. Avevo passato buona parte degli ultimi minuti a fantasticare sulla mia vita futura e non volevo dire addio al mio sogno appena nato. Se nessuno poteva fare niente, allora l’avrei fatto io. Non sapevo cosa di preciso ma sarei andata alla radura. Poi avrei improvvisato.
Corsi in cucina alla ricerca del coltello che avevo stretto fra le mani fino a poco prima e mi precipitai al portone sotto lo sguardo allibito di Rose. Nervosamente rimossi tutti i chiavistelli e lo aprii. Una folata di vento gelido mi fece rabbrividire ma non ebbi modo di varcare l’uscio perché Rose mi afferrò per una spalla e mi scaraventò indietro, sbattendo la porta con rabbia.
“Mi dici dove diavolo stai andando?” domandò irritata.
“Puoi intuirlo benissimo” replicai con piglio deciso.
“Se esci da quella porta sarai morta in due minuti, forse anche meno…”.
“Io non posso permettere che muoia…”.
Alzò un sopracciglio e, accennando alla mia arma, esclamò sarcastica:“Cosa pensi di fare con quella? Non riusciresti a fare del male neanche a un essere umano, figuriamoci a un vampiro…”.
Mi sentii improvvisamente sminuita nel mio ruolo di salvatrice. Purtroppo sapevo anch’io di non avere le forze per sostenere uno scontro, ma non potevo restare lì, in attesa. Dovevo fare qualcosa.
“Devo andare, Rose. Ti prego, non fermarmi…”.
“Non posso, Bella. Mi dispiace…” si rammaricò, ponendosi tra me e la porta.
Non la conoscevo abbastanza per intuire cosa stesse pensando ma dal suo sguardo non traspariva empatia, né compassione. Non mi avrebbe lasciato libera: in un certo senso lei era colei che aveva il compito di proteggermi e lasciarmi uscire avrebbe significato condannarmi a morte. Io avevo bisogno di andare da Jake e se avessi dovuto combattere con Rose per farlo, non avrei esitato.
“Fammi passare…” le ordinai.
Scosse lievemente la testa.
“D’accordo” dissi, deglutendo con sforzo.
Strinsi l’impugnatura del coltello e mi buttai contro di lei, che sembrava aspettarmi svogliata. Mi lasciò avvicinare e quando le puntai il coltello contro la pancia, mi afferrò il polso con fin troppa velocità e lo girò. Il dolore fu tale da farmi cadere l’arma e costringermi a seguire il movimento della mano di Rose per impedirle di rompermi il braccio, col risultato che caddi in ginocchio.
Quando fui a terra, mi lasciò e indietreggiò di qualche passo; mi massaggiai delicatamente il polso e lo mossi per verificare che non fosse rotto. Sembrava tutto a posto, anche se molto probabilmente avevo riportato una storta. Rose raccolse il coltello e cominciò a giochicchiarci, accarezzando il filo della lama.
“In primo luogo, non devi mai attaccare un vampiro puntando all’intestino. E’ un colpo troppo prevedibile e tu non sei abbastanza forte per assestarlo in profondità. Perderesti solo tempo, oltre al braccio; in secondo luogo dovresti cambiare direzione mentre ti muovi per rendere la tua mossa meno banale, però sei troppo lenta per riuscire a farlo; in terzo luogo, se affronti una persona più alta, punta sempre alle gambe: sono il punto più fragile anche di noi vampiri, e, avendo poca forza, puoi riuscire a piantare il coltello in profondità e guadagnare il tempo necessario per decapitarlo. In ogni caso, tu non farai niente di tutto ciò perché sei solo un’umana e non uscirai da quella porta” cantilenò, ritrovando risolutezza soltanto nella parte finale.
“Lasciami andare…” la implorai.
“Direi che ho dimostrato che non resisteresti nemmeno a un attacco, o sbaglio?”.
“E se fosse Emmett ad essere in difficoltà, tu resteresti qui?”.
Si fece seria e non parlò, ignorandomi deliberatamente. Quello era il tasto giusto. Ricordavo come mi aveva piantato in asso l’ultima volta per correre ad aiutarlo: non gliene avevo fatto una colpa, tutt’altro. Al suo posto avrei fatto esattamente lo stesso, e ora non poteva pretendere che io non facessi niente, anche se non avevo la più pallida idea di come avrei potuto aiutare Jake.
Sbuffò e batté nervosamente il piede a terra. Era combattuta tra l’ubbidire alle ragioni del cuore o a quelle del cervello. Fece qualche passo lontano dalla porta: volendo avrei potuto approfittare di quella distrazione per uscire ma volevo avere il suo permesso, altrimenti la mia fuga sarebbe durata meno di due secondi.
“E va bene, Bella!” esclamò esausta, porgendomi il coltello.
La ringraziai, quasi in estasi e aprii la porta, ma la richiuse di nuovo. La guardai sospettosa: aveva già cambiato idea? “Aspetta qui, un attimo” spiegò e salì al piano di sopra. Ne ritornò dopo pochi istanti, che a me parvero ore, con una coperta. Non capii cosa mi stesse suggerendo.
“Mettila!” mi ordinò. “Coprirà per un po’ il tuo odore umano”.
Mi ci avvolsi e, tutto sommato, considerando il freddo all’esterno non era neanche una cattiva idea; però il tessuto era lungo e avrebbe rallentato molto la mia andatura. Se non avessero sentito il mio aroma, il mio passo ancora più goffo avrebbe sicuramente attirato l’attenzione. Quando la ebbi arrotolata completamente, Rosalie si mise davanti a me, piegando le ginocchia, e facendomi cenno di salirle in spalla. Tentai di obbiettare ma mi zittì subito:“Non posso lasciarti andare da sola. Edward mi ucciderebbe se lo facessi. E poi Jacob è mio amico. Neanche io voglio che gli succeda qualcosa”.
Fui sinceramente sollevata di questa decisione. Avere Rosalie accanto significava una speranza di arrivare alla radura, oltre al fatto che una volta là, magari avremmo potuto elaborare un piano con maggiori possibilità di salvezza. Sistemai il coltello nella cintura, mi aggrappai alla sua schiena e mi sollevò come se fossi uno zaino vuoto. Strinsi le braccia intorno al collo e aspettai mentre mi sistemava per essere il più agile possibile.
“Quasi certamente non riusciremo ad arrivare alla radura: ci fermeranno prima. Quando accadrà, tu dovrai scappare, capito? Più veloce che puoi!” si raccomandò.
“D’accordo” sussurrai.
Allargò le labbra per farmi coraggio, ma non avevo paura: forse perché lei era con me, o forse perché la voglia di correre da Jacob vinceva ogni esitazione. Volevo solo andare da lui e salvarlo. Sperare che tutto andasse bene e riavere la nostra vita.
Aprì la porta lentamente e infilò la testa fuori con circospezione. La casa era avvolta da una fitta nebbia. Non parevano esserci nemici nelle vicinanze; anzi, sembrava che fosse una tranquilla mattina di un giorno qualunque. Ma ovunque regnava un silenzio inquietante. La totale assenza dei canti degli uccellini indicava che qualcosa di sinistro stava avvenendo attorno a noi. Rosalie inspirò più volte per cercare un nemico che stava sfuggendo ai sensi visivi; poi quando fu sicura che fossimo sole, strinse più forte le mani sotto le mie natiche e scattò in avanti. Saltò la scalinata con un unico balzo, controllò a destra e a sinistra che i suoi sensi non l’avessero tradita e cominciò la corsa nella boscaglia.
Evitai deliberatamente di guardarmi attorno per non vedere i lupi e i Cullen che combattevano per la loro sopravvivenza e la mia. Non volevo che questa visione mi distraesse dalla mia missione. Anche al mio udito umano arrivavano rumori innaturali che mi inducevano a pensare che stesse accadendo qualcosa di spiacevole ma dovevo avere abbastanza forza per ignorare tutto e concentrarmi solo su Jake.
Con Jasper ci avevo impiegato circa un minuto ad arrivare alla radura e perciò contai con ansia i secondi che ci separavano da essa. Rose correva veloce come il vento, anche se si muoveva a scatti, scartando gli alberi all’ultimo. Forse temeva che la mia scia fosse troppo intensa e che un tracciato uniforme l’avrebbe resa ancora più evidente. Avevo utilizzato la coperta come un cappuccio e perciò la mia visione era parzialmente oscurata, ma quando intravidi la luce filtrare in lontananza, ebbi la certezza che il nostro viaggio era quasi terminato. Presto sarei stata da Jake…
Ero preda della più incontrollabile frenesia quando dall’alto qualcosa mi piombò addosso. Mi aggrappai a Rosalie che, per non lasciarmi, cadde a terra. Per fortuna la coperta attutì il colpo e riportai solo qualche graffio. Nella caduta mi scivolò il coltello che fui lesta a ritrovare. Quando lo rimisi nella cintura, Rosalie era già in piedi, accanto a me.
Alzai lo sguardo e lo scontrai con quello di una ragazza, poco più che adolescente, dai capelli rossi. Alta, esile, il fuoco negli occhi. Indossava una camicetta a mezze maniche che mostrava ferite fresche in via di guarigione: aveva già sostenuto un combattimento e non osai immaginare con chi, visto che lei era sopravvissuta. Sperai che fosse semplicemente sfuggita al suo avversario. Ci sorrise, digrignando i denti e mostrando i canini affilati.
Rose si voltò verso di me, facendomi un cenno veloce. Dovevo scappare, tuttavia non me la sentivo di abbandonarla con quel vampiro. Mi rialzai lentamente e la ragazza si avvicinò. Rose si mosse in perfetta sincronia con lei, mettendosi fra di noi. La sentii ringhiare. Il vampiro balzò verso di me e Rosalie, con un pugno, riuscì a buttarlo contro il fusto di un albero. Il rimbalzo fu tanto potente che la corteccia si incrinò.
“Vattene” mi incitò.
“Rose, ascolta…” tentai di obbiettare.
“Vattene, ho detto!” ordinò perentoria. Mi indicò la radura che scorgevo perfettamente da quella distanza. Un cinquantina di metri. Forse anche meno. Mancava poco. Indietreggiai. Non avrei dovuto lasciarla da sola, ma Jake mi aspettava. Quando la sua avversaria si rialzò, Rose le si gettò addosso. Quello era il segnale. Iniziai a correre a perdifiato.
Non ero mai stata un’abile ginnasta, tutt’altro, ma l’ansia e la tensione riuscirono a non farmi inciampare nemmeno una volta, intenta com’ero a saltare e schivare le radici che emergevano dal terreno. Ogni tanto mi guardavo intorno, sperando e pregando che non ci fossero altri vampiri in agguato, altrimenti sarei morta. Per dare maggior slancio alla mia corsa mi ero liberata della coperta, sperando che il mio odore non fosse così forte. In quel momento realizzai il mio egoismo: avevo lasciato Rose da sola, a combattere contro un vampiro per una causa che non era neanche sua. In queste ultime ore avevo compiuto dei gesti riprovevoli per la mia coscienza: non avrei avuto problemi se fossi stata solo io a pagarne le conseguenze, ma ora le persone coinvolte erano decisamente troppe. Tuttavia i miei rimorsi non erano abbastanza profondi per indurmi a tornare indietro. Pregai silenziosamente perché Rose ce la facesse.
Man mano che mi avvicinavo alla radura, la luce si faceva via via più intensa e filtrava come tante stelle filanti tra le chiome sfilacciate degli alberi. Finalmente arrivai dove i fusti scomparivano per lasciare spazio a chiazze d’erba di un verde ingiallito, cresciute senza uno schema e incolte. Questo significava che ero arrivata.
Mi appoggiai sulle ginocchia per riprendere fiato e cercai attorno, timorosa di quello che avrei potuto trovare. La prima cosa che mi colpì fu un corpo abbandonato vicino a me. Aveva sembianze umane. Avanzai lentamente, scongiurando che non si trattasse di Edward.
Era sdraiato sulla schiena, con le braccia perpendicolari al corpo, come se fosse stato crocifisso. Le mani ossute e sottili stringevano ancora ciocche di erba. La testa non era attaccata al collo e rotolata lontana. Il taglio netto con cui era stato decapitato mi faceva pensare che il lavoro fosse stato svolto da un altro vampiro: i lupi generalmente strappavano la carne, non riuscivano a fare lavori così precisi. A giudicare dalla corporatura, era poco più di un adolescente e l’unico modo che ebbi per verificare che si trattasse di un nemico, fu analizzare il suo vestito. Aveva un completo nero di velluto, strappato ormai in più punti, una maglia bordeaux e scarpe da tennis blu notte. Sorrisi a me stessa: Edward non si era vestito così quella mattina.
Ebbi la forza di alzare lo sguardo e continuare la mia ricerca. Li trovai.
Edward era a una decina di metri da me e stava affrontando un vampiro. Le maniche della camicia erano lacerate, così come i pantaloni, ma da quello che vedevo non era stato ferito in prossimità della gola. Anche il suo nemico non sembrava, però, passarsela male. Non aveva segni di battaglia, a parte un minuscolo graffio sulla guancia: probabilmente aveva lasciato combattere il suo amichetto, già cadavere, contro Edward prima di gettarsi anche lui nella mischia. Jacob era poco lontano da loro due, ancora in piedi, ma ferito. Potevo vedere distintamente il sangue scendergli dalla zampa sinistra e dal petto, mentre Demetri stava di fronte a lui, tronfio e soddisfatto. Le sue mani erano insudiciate di sangue. Da quello che potevo vedere, la guardia reale aveva soltanto una lacerazione sul braccio.
Jake ansimava e sembrava reggersi in piedi per miracolo. Zoppicava e sanguinava vistosamente ma non voleva arrendersi. Quando gli si buttò addosso, chiusi gli occhi: sentii un guaito di dolore squarciare l’aria rarefatta. Respirai più a fondo e quando riaprii le palpebre, Jake si stava rialzando stentatamente mentre Demetri gli si stava avvicinando, leccandosi la mano. Dall’altra parte, il vampiro si era gettato contro Edward, che, leggendogli nel pensiero, aveva scansato il colpo, anche se non agevolmente come avrebbe fatto in altre occasioni.
Jacob sarebbe stato ucciso a breve e Edward avrebbe fatto la stessa fine, perché una volta sistemato Jake, Demetri si sarebbe occupato anche di lui. E io? Adesso che ero lì cosa facevo? Avevo compiuto questo gesto disperato senza un piano preciso. Ero solo un’umana e cosa potevo fare per essere di aiuto? Non potevo certo riuscire ad uccidere Demetri. Se solo Rose fosse stata qui con me, avrebbe potuto aiutare Jake. Dunque io non servivo proprio a niente?
Cercai di ragionare, di trovare una soluzione ma sembravano tutte assurde e impraticabili, fondate su azioni che non avrei mai potuto compiere. Cosa potevo fare? Cosa, maledizione?
Un’improvvisa folata di vento mi scosse i capelli e mi indicò una strada.
La brezza si disperse nella radura, spargendo il mio odore in mille direzioni, soprattutto verso Edward e il suo avversario. Entrambi si bloccarono e si voltarono verso di me. Il profumo della mia pelle. Mi diedi della stupida per essermi tolta la coperta, ma ormai era tardi. Edward mi fissò, incredulo e spaventato insieme. Ricambiai il suo sguardo e potei vedere che i suoi occhi non erano più rossi come prima, ma tornati di quell’oro accecante che avevo sempre idolatrato. Il mio Edward era con me. Forse non era più arrabbiato, ma poco importava. Doveva solo uscire vivo da lì. Aggrottò la fronte, chiedendosi probabilmente che cosa stessi facendo, in pericolo, in mezzo a vampiri affamati.
Non erano Neonati e quindi non più affamati, come accadeva subito dopo la trasformazione e nei primi mesi successivi, ma erano pur sempre vampiri. Il nemico di Edward sgranò gli occhi, vedendo un’umana, una potenziale cena, ferma in mezzo alla radura, dove stava combattendo. Sorrise, lasciando in bella mostra i canini. Inspirò profondamente pregustando il banchetto. Non ebbi il tempo di indietreggiare perché abbandonò Edward per correre a lunghe e veloci falcate verso di me. Raggelai, pensando che ero spacciata. Avrei potuto tornare indietro, verso Rosalie, ma non avevo la velocità necessaria per raggiungerla, e anche se ce l’avessi fatta, lei si sarebbe trovata ad affrontare due vampiri, soltanto per difendere me. No, questo sarebbe stato davvero troppo. I rami degli alberi erano troppo alti per improvvisare un’improbabile scalata.
Portai il coltello davanti a me, in posizione di difesa: almeno sarei morta combattendo.
Quando il vampiro fu a pochi passi e pronto a colpire, stramazzò in maniera rovinosa. Edward l’aveva raggiunto e scaraventato a terra. Gli saltò addosso e, con una violenza inaudita, gli strappò la mano destra. Poi alzò il viso e disse:“Che diavolo fai qui, Bella? Sei impazzita?!”. Non parlò con tono infuriato ma soltanto sorpreso.
“Volevo aiutarvi…” balbettai.
Scosse la testa, esasperato.
“Non ti muovere e aspettami” si raccomandò, lasciando che la rabbia e il furore traboccassero come champagne contro il suo avversario, che ormai potevo definire battuto. La sua estrema difesa consistette nel rialzarsi e colpire Edward con tutta la forza che aveva, ma perdere un arto in combattimento voleva dire morte quasi sicura. E lo sapeva anche lui. Dopo un paio di tentativi di offesa non andati a buon fine, tentò la fuga, ma Edward lo rincorse, atterrandolo nuovamente.
Avrebbe vinto, ne ero sicura ormai e in quel momento pensai che quella era l’unica cosa che poteva far pendere l’ago della bilancia a nostro favore. La distrazione. Il mio odore da umana era inebriante e Jasper, il più ritroso di tutti a una dieta vegetariana, si era spesso lamentato che io emanavo una scia molto più gustosa e intensa degli altri umani. Questo aveva distratto il vampiro e consentito a Edward di vincerlo più facilmente. Forse avrebbe potuto funzionare anche con Demetri. Se fosse stato così, Jacob avrebbe vinto o comunque, avrebbe potuto mettersi in salvo, fuggendo da qualche parte. Non pensai a cosa avrei fatto io o a come avrei potuto fuggire. Corsi verso di loro, disobbedendo platealmente alle indicazioni di Edward, ancora troppo impegnato a strappare le membra una ad una al suo avversario per controllare me.
Quando fui a una trentina di metri, mi fermai. Ero fortunata, se così mi potevo definire. Il vento soffiava ancora dalle mie spalle e quindi, tempo qualche secondo, il mio odore li avrebbe raggiunti. E così accadde. Si accorsero di me. Negli occhi dell’uno lessi stupore e sconcerto, nell’altro ardore e fame. Demetri mi guardò a lungo col suo sguardo rosso sangue, ma, a dispetto di tutte le mie teorie, restò di ghiaccio.
Sorrise serafico ma non si mosse. Il mio piano non stava avendo gli effetti sperati. L’odio per l’uccisore del suo amico era dunque più forte di un potenziale banchetto davanti ai suoi occhi?
Evidentemente sì, perché tornò a ignorarmi per fissare Jacob che, nel frattempo, si stava preparando a un assalto per distoglierlo da me. Si avvicinò a Demetri il più possibile, sapendo che un salto da una grossa distanza sarebbe stato assolutamente privo di consistenza, considerando le sue ormai infime forze; ma avvicinarsi così tanto a un vampiro, significava praticamente consegnarsi ai suoi denti. No, così non ce l’avrebbe mai fatta.
Edward stava finendo il suo avversario mentre io ero in mezzo alla radura, come se dovessi dirigere la scena di un film. Non sapevo cosa fare. Tutto era inutile. Almeno la mia venuta aveva facilitato il compito di Edward e forse, una volta che avesse terminato, sarebbe andato ad aiutare Jake. Conoscendolo, lo avrebbe fatto, non per lui, ma per me. Il punto era: Jake avrebbe resistito fino a quel momento? Demetri sembrava pronto a sferrare il suo assalto finale. E mentre io stavo a lambiccarmi il cervello, lo fece. Saltò in direzione di Jake, che rimase fermo fino all’ultimo. Gridai spaventata, ma nessuno parve prestarmi attenzione. Il lupo spiccò un salto che non pensai sarebbe mai riuscito a compiere nelle sue attuali condizioni e lo superò atterrandogli alle spalle e azzannandolo al polpaccio. Demetri cadde e scalciando, tentò di allontanare da sé il grosso animale. Non ci riuscì fino a quando non disse qualcosa che non compresi ma che doveva riguardare me, perché Jake mollò la presa e si girò di scatto nella mia direzione. In quel momento Demetri ne approfittò per colpirlo con un grosso macigno che era vicino a lui. Lo ferì sulla fronte, facendolo guaire dolorosamente. Perse l’equilibrio e rotolò su un fianco. Demetri si rialzò con una prontezza tale da far apparire il morso subito un graffio, mentre io ero furibonda. Non solo la mia presenza non lo stava aiutando, ma anzi contribuiva a distrarlo dal suo combattimento e quindi a indebolirlo maggiormente.
Piacevo a Demetri, ma non abbastanza. Il mio cervello cominciò a turbinare alla ricerca di un’alternativa che facesse guadagnare tempo. Cosa potevo inventarmi? Cosa poteva distrarlo di più di un’umana pronta a immolarsi? Pensai e ripensai in pochi istanti che parvero lunghi una vita. Cosa può far scattare un vampiro? A parte l’odore, il sangue stesso è l’unico altro impulso primario. Mi ero già tagliata una volta il braccio per distrarre Victoria durante il combattimento con Edward ed era servito allo scopo. Ma qui stavamo parlando di un nemico completamente diverso: mille volte più forte, sia nel fisico che nella volontà. Non sarebbe bastato un graffio come quello per farlo allontanare da Jacob. D’altronde lui stesso era ferito e perdeva sangue ma Demetri non sembrava esserne influenzato, anche se c’era il problema della puzza che non lo invogliava certamente. Io ero più appetitosa.
Alzai gli occhi al cielo e guardai le nuvole che passeggiavano, oscurando il sole. Avevo bisogno di tanto sangue, come se piovesse, ma io ero la sola umana lì. Non c’era nessun altro che mi potesse aiutare.
Mi ritrovai a pensare a Desirèe. Chissà dov’era? Lei non aveva avuto paura quando si era consegnata. O forse ne aveva avuto, ma lo aveva fatto ugualmente. Sette anni di vita e la consapevolezza di una donna. Aveva gettato i suoi sogni per Seth e ora col senno di poi sapevamo che era stato inutile, ma non credevo che se ne sarebbe pentita. Ci aveva provato anche se non era servito. Lei non avrebbe più avuto una vita, ma almeno aveva tentato di farla avere a lui.
In quel momento tutto fu chiaro.
Il matrimonio, i figli, il primo Natale insieme, i progetti. Io non avrei più avuto niente ma l’importante era che Jake potesse ancora averli. Un improvvisa luce e mi ritrovai a pensare che io non ero il suo imprinting: avrebbe potuto essere ugualmente felice. Forse anche più di quello che saremmo stati insieme. Qualcun'altra avrebbe colmato il vuoto lasciato da me e con lei mi avrebbe dimenticata.
Guardai Edward un’ultima volta per salutarlo. Sentì il mio sguardo appoggiarsi su di lui e si distrasse per un istante. Il liquido ambrato dei suoi occhi galleggiava nelle iridi conferendogli tonalità diverse ogni secondo che passava. Mi dispiaceva tanto per quello che gli avevo fatto e non avrei più avuto modo di spiegargli e farmi perdonare, ma forse era meglio così. Non doveva avere rimpianti o rimorsi.
“Ti voglio bene” mormorai e sono sicura che mi sentì.
Abbassai lo sguardo a terra nell’istante in cui staccò la testa al suo avversario, e strinsi il coltello.
Sangue come se piovesse e sapevo dove trovarlo.
“Demetri” urlai a squarciagola. Sia lui che Jake si voltarono. Il mio lupo sembrava più spaventato nel vedermi ancora lì, non capendo quali fossero le mie intenzioni.
Non mi ero accorta che avevo cominciato un pianto silenzioso. Tirai sù col naso e deglutii le lacrime che si erano posate sulle labbra.
Tornerai sano e salvo dalla tua famiglia, Jake…
“Che cosa vuoi, mocciosa?” domandò infastidito il vampiro.
“Darti quello che vuoi” risposi serena.
Alzai il coltello, lo appoggiai nell’incavo tra la spalla sinistra e il collo, e tagliai. Fu un attimo. Riuscii a tagliare solo fino a metà della gola, prima che un dolore tremendo, mai provato prima, mi accecasse. Una fitta lancinante mi tolse le forze e il coltello cadde a terra. La lama sporcò l’erba con cui venne a contatto.
Mi toccai istintivamente il collo, nell’illusione che il dolore sparisse. Ma non servì e portai le mani davanti agli occhi: erano rosso vermiglio. Non sapevo quanto il taglio fosse andato in profondità, ma il sangue colava copioso. L’orlo della mia camicetta era già color porpora, così come parte delle maniche. Vidi caderne alcune gocce anche a terra.
Guardai il segugio, spaventata e soddisfatta insieme. Il suo sguardo si era acceso di un’improvvisa emozione. Era quello che volevo. Se non avesse funzionato nemmeno quello non avrei più potuto fare niente per Jake. Ma quella fu una delle ultime cose che riuscii a mettere a fuoco. La testa cominciò a girare e la vista si annebbiò di colpo.
Il cuore batteva all’impazzata, il respiro si fece corto e irregolare. Tentai con tutte le mie forze di incamerare ossigeno, ma un grosso peso me lo impedì. Un conato di vomito mi fece piegare su me stessa. Lo tossii. Era sangue, che mi imbrattò labbra e mento.
Ne avevo tantissimo in gola, ed era così dolce da farmi quasi comprendere perché i vampiri lo desiderassero ardentemente. Era buono. Rivolsi un’estrema occhiata davanti a me.
Ce l’avevo fatta.
Demetri aveva lasciato Jacob per correre verso di me, con le zanne sporgenti vistosamente dalle labbra. Sarei dovuta scappare ma non ne avevo né la forza né la voglia. Il mio obbiettivo era stato raggiunto. Jake poteva vincere, confidando che Edward lo avrebbe aiutato.
Chiusi gli occhi. Nel torpore che mi stava invadendo, udii il guaito disperato di Jake. Le mie forze scemarono sempre di più mentre lo scalpiccio frenetico di passi che puntavano verso di me si faceva più intenso. Tentai un ultimo respiro, senza successo, poi caddi.
Mi aspettavo il contatto con il freddo terriccio, ma invece sprofondai fra le braccia di qualcuno. Braccia esili ma forti, fredde ma amiche. Socchiusi le palpebre.
Rosalie.
Poi più nulla…
 
Una voce mi afferrò dal vuoto in cui stavo precipitando. Era dolce, tenera, terrorizzata.
“Bella, Bella mi senti?” domandò Rosalie nel tentativo di farmi rinvenire.
Mi sforzai di accontentarla.
“Demetri…” balbettai.
“Non ti preoccupare” mi rassicurò. “Sta pensando Edward a lui”.
Tentai di parlare ma mi chiuse le labbra con un dito.
“Ce l’hanno fatta” mi sorrise. “Demetri si è distratto per venire da te e Edward l’ha colto di sorpresa. Poi è arrivato anche Jasper. Ora lo stanno finendo…”. Con estrema dolcezza aggiunse:“Anche Jacob sta bene. Sam lo sta aiutando a trasformarsi. Vuole venire qui da te…”.
Ne fui sollevata.
Mi sentivo leggerissima, come se l’anima si fosse staccata dal corpo e fosse lei a parlare con Rose. Guardai il cielo, ormai annerito dal fumo di falò, che significavano una cosa sola: vittoria!
Poi una mano diversa, ma altrettanto fredda prese le mie dita fra le sue.
“Amore mio, come stai?” domandò Edward. Lo sconforto nei suoi occhi. “Perché l’hai fatto? Non ce n’era alcun bisogno. Potevamo farcela ugualmente. Comunque, adesso arriva Carlisle e vedrai che ti guarirà”.
Mi accarezzava i capelli e il viso, mentre Rosalie cercava di tamponare la ferita con un fazzoletto.
Sorrisi: non volevo che si preoccupassero oltre e pensassero che fossi spaventata. Ormai non lo ero più e non lo sarei più stata.
Li guardai entrambi. Chissà se esisteva un paradiso o comunque una vita dopo la morte, come molte religioni professavano. Non me lo ero mai chiesto e neanche ora mi interessava. Ma, chiunque, vedendo la bellezza e la grazia dei visi che mi stavano osservando, avrebbe pensato di essere già morto e volato in paradiso. Cercai di imprimere i loro lineamenti nella memoria. Volevo ricordarmene in qualsiasi posto fossi finita.
Cominciavo a far fatica a deglutire. Era sempre più difficile rimanere con gli occhi aperti. Edward tratteneva le lacrime a stento. Tentai di accarezzargli il viso ma fu uno sforzo immane. Capì cosa il fine del mio gesto: afferrò la mano e se la portò sulla guancia.
Sentii la voce di Carlisle. Era arrivato. Non capivo cosa stesse dicendo, ma aveva un tono concitato. Parlava con Rosalie, che mi aveva lasciato tra le braccia di suo fratello.
Ad un tratto sentii un’altra voce… La sua voce… Mi stava chiamando. Si inginocchiò vicino a me. Il viso sporco di sangue. Ferite in ogni parte del corpo. I capelli arruffati. Rantolante, ma vivo. Bastò solo il suo sguardo a scaldarmi.
“Portiamola a casa subito” ordinò Carlisle.
Jacob stava piangendo. L’avevo visto piangere solo in occasione della morte di Seth. Allora era davvero la fine. Immagini della mia vita mi passarono davanti e mi soffermai su quelle che riguardavano papà. Sarebbe rimasto solo e questo mi fece tanto male. Ma ormai era inutile pensare. Billy e gli altri gli sarebbero stati vicini. Io non avrei più potuto farlo.
Il mio cuore accelerò per poi affievolirsi di colpo.
Chiusi gli occhi, rattristata da ciò che avrei lasciato, ma felice per le persone che avevo contribuito a salvare.
Il mio Jake era salvo…

 
 
 
 
E con questo finisce la seconda parte della ff. Magari alcune di voi staranno festeggiando la morte della “nostra” Bella, magari altre saranno ammutolite, o altre ancora avranno versato qualche lacrima. Volevo scuotervi con un colpo di scena e spero di esserci riuscita però mi piacerebbe sapere cosa ne pensate.
Nella terza parte racconterà Jacob, come promesso nell’introduzione, e vi posso assicurare che non resterete deluse e che l’assenza di Bella non si farà sentire nello svolgersi della trama (anche se i personaggi la sentiranno eccome e sarà spesso un macigno insostenibile). E soprattutto arriverà la battaglia finale con i Volturi! Vi aspetto al prossimo capitolo.
Baci!

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Capitolo 60
*** Una scelta per Bella ***


Ciao a tutti,
scusate per il ritardo nell’aggiornamento ma il pc ha fatto i capricci…
Come promesso, da adesso in poi comincia la parte raccontata da Jacob. La storia riprende due settimane dopo il combattimento con Demetri, però di fatto questo e i prossimi due capitoli saranno flashback di spiegazione su ciò che è successo nel frattempo.
Buona lettura!

 
 
L’alba rischiarava la corsa di due lupi nella boscaglia.
Correre, correre veloce e inconsistente come il vento, diventare tutt’uno con esso. Solo questo riusciva a calmarmi un po’ e solo questo mi era rimasto dopo il combattimento con Demetri due settimane fa.
In realtà non avrei dovuto procedere così distrattamente: era una ronda e mio preciso compito sarebbe stato prestare la massima attenzione a ogni odore e rumore, ma questo avrebbe significato perdere l’effetto benefico di quella che poteva apparire una fuga. In fondo, eravamo in due e quindi certe attenzioni poteva prestarle il mio compagno. Anzi no, la mia compagna, visto che Sam mi aveva affiancato Leah. Purtroppo.
Generalmente le ronde non venivano mai fatte in compagnia: si trattava perlopiù di controlli che precludevano ogni forma di lotta. Se fosse stato avvistato qualcosa di anormale o insolito, dovere della sentinella sarebbe stato quello di avvisare gli altri senza intraprendere azioni avventate, soprattutto se si trattava dei Volturi. Ma Sam, dopo quello che era successo, non mi considerava affidabile. Riteneva che potessi commettere sciocchezze tali da mettere a repentaglio la mia vita, da una parte, e che non effettuassi il mio compito con la dovuta meticolosità dall’altro. Il secondo caso avrebbe significato un potenziale pericolo per tutta La Push. Potevo capire le motivazioni di Sam, ma perché darmi Leah come compagna? Non avevo già penato abbastanza? Anche questa tortura mi era dovuta?
Non avevo potuto leggere nella mente di Sam perché quando ci aveva comunicato a chi sarebbe spettato il turno, era in forma umana e quindi non telepaticamente raggiungibile, ma mi ero ripromesso di chiedere spiegazioni. All’inizio avevo pensato che fosse un tentativo per ricomporre lo strappo che si era creato fra me e Leah e che aveva causato non poche divisioni in seno al branco negli ultimi tempi. Divisioni che avevano portato Leah a rifiutare la richiesta di aiuto di Bella durante l’ultimo attacco. Infine mi ero convinto che si trattasse semplicemente di una punizione per i miei errori. Ma non ce n’era bisogno. Sapevo già quali erano state le conseguenze del mio comportamento e ne avrei portato le cicatrici per tutta la vita.
Rallentai quando sentii un odore diverso da quello umano o di qualcun altro del branco. Ma non mi fermai. Lo riconobbi subito come appartenente a uno degli ospiti dei Cullen. Stavamo correndo sul confine ed era logico che lo sentissi anche se non era effettivamente all’interno del nostro territorio.
Da quella mattina non avevamo più percepito scie discordanti dalle solite ormai conosciute. Dei Volturi non c’era più alcuna traccia. Quel giorno avevamo sterminato il loro esercito ed era logico non avvertirne più la presenza, ma l’idea di tutti era che prima o poi sarebbero tornati, ancora più incazzati di prima e dovevamo essere pronti. A me non importava niente. Se volevano tornare e uccidermi, che lo facessero, non mi sarei opposto. Ero stanco, sfinito. Quello che nella mia vita aveva avuto un senso era stato seppellito quel giorno.
Avvertivo la presenza di Leah a pochi metri. Mi tallonava da vicino: non riuscivo proprio a scrollarmela dai piedi! Accelerai l’andatura per seminarla, forse perché volevo stare solo, forse perché non volevo proprio lei. Chi se ne importava di tutto quanto. Che andasse al diavolo!
Annusai voracemente l’aria e il profumo di muschio di cui si stavano impregnando le zampe. Il bosco era casa mia molto più di quanto lo fossero le quattro mura a La Push: al suo interno mi trovavo a mio agio e i suoi alberi e cespugli mi avvolgevano come una guaina a protezione da ogni sensazione che potesse provenire dall’esterno. In questi ultimi giorni avevo passato molto più tempo come lupo che come umano. Erano gli unici momenti in cui riuscivo a respirare e staccarmi dal dolore. Generalmente venivo di notte quando papà e Rachel dormivano: non gradivano che mi allontanassi troppo da casa durante il giorno, preferivano tenermi sotto controllo e così l’unica via di fuga restava la notte. In quel momento mi trasformavo e l’istinto giungeva a salvarmi. Quello stesso istinto che l’estate scorsa mi aveva portato in Canada. Se non ci fossero stati i Volturi, probabilmente sarei scappato nuovamente, ma mi sentivo responsabile nei confronti della mia famiglia e non volevo abbandonarli senza avere la certezza che sarebbero stati bene.
Le mie zampe cavalcavano con innata rapidità e destrezza, potevo vedere gli altri animali fuggire dinanzi al mio cospetto e, nonostante la mia presenza, gli uccellini continuare a cantare, sicuri che sui rami non avrei mai potuto raggiungerli. Da lupo non potevo arrampicarmi, ma come umano sì, anche se non con particolare agilità. Tuttavia l’ebbrezza dell’altitudine non mi dava lo stesso compiacimento della velocità. Arrampicarsi voleva dire prestare attenzione a dove si mettevano i piedi, mentre invece correre significava annullarsi, perdere ogni contatto con la mente ed era questo ciò di cui avevo bisogno.
Jacob! Jacob, fermati! Dove diavolo stai correndo?!
La voce di Leah mi rimbombò nel cervello come una sirena stonata.
Lasciami stare, Leah! ringhiai.
Improvvisamente me la ritrovai a fianco: mi aveva raggiunto senza che me ne accorgessi. Era veloce la ragazza!
E, con i suoi consueti modi gentili ed eleganti, mi atterrò con una zampata. Ruzzolai a terra, scivolando contro il fusto di un abete.
Che diavolo ti prende?! Siamo in pattuglia, non in giro di piacere!!! mi sgridò.
Quando mi ripresi, fui sicuro di cogliere la luce di un piacere perverso scintillare nei suoi occhi. Si stava divertendo un mondo a rimproverarmi e fare la parte della saputella.
Non è una questione di arroganza, ma semplicemente del fatto che non sai fare il compito che ti è stato affidato! replicò ai miei pensieri.
Sbuffai. Una delle poche cose detestabili del nostro essere licantropi era questa dannata mancanza di privacy. Assolutamente sgradevole.
Non c’è nessuno qui sentenziai.
Certo che non c’è nessuno! Corri come un pazzo! Che indizi vuoi trovare con la tua andatura?!
Non stavo correndo come un pazzo.
Certo, eri proprio a passeggio ridacchiò.
La sua saccenza era estremamente irritante.
Siamo usciti dal nostro territorio senza che nemmeno te ne accorgessi. Siamo a Forks. Te ne rendi conto oppure sei completamente fuori di testa?! mi rimbeccò.
Mi guardai attorno, stranito, e fui costretto ad ammettere che aveva ragione. Avevamo sorpassato la quercia di almeno due chilometri. Non era di nostra competenza sorvegliare Forks. Bene, anche la figura dell’idiota mi toccava. Non risposi. Tanto lo sapeva perfettamente cosa pensavo.
Torniamo indietro ordinò. Abbassai il muso e la seguii.
Sam ieri sera ha detto che i tuoi amici Cullen pensano che i Volturi ritorneranno anche se non hanno notizie sicure. Dobbiamo prestare più attenzione durante le ronde…
Non sono amici miei!  ringhiai furibondo.
Miei, no di sicuro! E pensavo che dagli ultimi avvenimenti volessi diventare un vampiro anche tu pensò trattenendo una risata di sberleffo.
Questo era davvero troppo! Le saltai addosso alle spalle. Non ebbe il tempo di scansarsi e la graffiai sulla schiena. Non avevo intenzione di farle male davvero, ma non sopportavo quando tentava di fare la professoressa e soprattutto quando mi dava del traditore o rinnegato. In quei momenti avrei voluto tagliarle la gola.
Cadde a terra, ma colpita con troppa poca forza: in pochi istanti fu nuovamente in piedi e fu il suo turno. Mi attaccò con una zampata che non riuscii a prevedere. Volai contro l’ennesimo albero, ferendomi, seppur lievemente, ad un zampa. Tuttavia ciò che mi doleva di più era la schiena: avevo sentito diverse ossa scricchiolare. Probabilmente microfratture, niente che non sarebbe guarito nel giro di pochi minuti, ma il fatto di essere stato atterrato da Leah feriva il mio orgoglio. Quando mi rialzai, era seduta davanti a me, a pochi metri. Immobile, mi fissava, dimostrando un sentimento che non avrei mai voluto leggere nei suoi occhi. Compassione.
Credo che sia giunto il momento di affrontare il discorso pensò risoluta.
Non c’è nessun discorso da affrontare.
Ah no? Io sono stanca di sentirmi rimbombare nella testa i tuoi lamenti!
Nessuno ti obbliga a farlo!
Sai perfettamente anche tu che non è possibile! Se ci fosse un interruttore per spegnere le tue paranoie, credimi, lo userei più che volentieri!
Ecco, stava salendo in cattedra, come accadeva troppo spesso. Non avevo mai parlato praticamente con nessuno del mio stato d’animo e non avevo alcuna intenzione di farlo con lei. I nostri rapporti non erano mai stati idilliaci e dopo la morte di Seth erano anche peggiorati.
Non ti sto chiedendo niente, Leah. Ora lasciami in pace.
No! Parliamone.
Ti ho detto no!
Devi fartene una ragione! Non puoi continuare così. Da quanto tempo è che non dormi? Rispondimi!
Non avrei voluto soddisfare la sua curiosità, ma il pensiero fu più veloce della volontà. Quattro giorni…
Sei distrutto e si vede. Il vecchio Jake non si sarebbe fatto abbattere da una zampata così debole, come è successo a te poco fa.
Lo so…
E allora cosa aspetti a scuoterti?! Devi smetterla di comportarti come un bambino e tirare avanti. Sei adulto e non puoi passare il tempo a piangerti addosso!
Smettila Leah, altrimenti…
Altrimenti cosa? Mi picchi? Con la forza che hai in questo momento, saresti tu ad avere la peggio, caro mio.
Leah aveva il dono di farmi inalberare con estrema naturalezza, come il torero con il toro quando sventola la bandiera rossa. Bastava che aprisse bocca. Avrei voluto saltarle addosso e spaccarle qualche osso, giusto per ricordarle chi comandava. Ma non potevo farlo: Sam me l’avrebbe fatta pagare. Lui e i suoi assurdi sensi di colpa nei confronti di questa arpia.
Nonostante i miei pensieri fossero volontariamente indugiati sul suo ex-fidanzato, Leah continuò, non prestando attenzione a quello che mi era balenato nel cervello. Evidentemente si stava divertendo troppo a prendermi in giro per essere sminuita dalle mie illazioni sul suo rapporto con Sam.
E' ora che affronti la realtà...
Affrontala tu per tutti e due
sbuffai e feci per allontanarmi.
La tua Bella è morta e non puoi farci niente. Nessuno potrebbe riportarla in vita e passare le giornate a compatirsi non è di alcun aiuto.
Quella fu l’ultima goccia di un vaso già colmo. Sapeva che non volevo parlare di questo, che si trattava di un argomento tabù; nonostante ciò, ci aveva infilato il coltello dentro e se la stava spassando un mondo a spingervi la lama con maggior vigore. Non seppi trattenermi e le balzai addosso. La stesi, premendole la zampa sulla testa, pronto anche a ucciderla, se necessario.
Non osare mai più dire questa frase. Mai più! sibilai ferocemente.
I suoi occhi neri mi fissarono con tranquilla impudenza. Non era spaventata, non temeva che avrei potuto romperle il cranio in quel preciso istante. Questa era l’unica cosa di Leah che mi piaceva: la capacità di sostenere lo sguardo senza rivelare niente di sé. Il suo cuore aveva accelerato leggermente e avevo avvertito un lampo di sgomento nel momento in cui le ero saltato addosso, ma ora non sembrava esserne toccata. Mentre invece la mia rabbia cresceva di secondo in secondo.
Mi feci indietro e lasciai che si rialzasse.
Stai uscendo di testa, Jake. In questo modo non sei di nessun aiuto al branco, anzi diventi solo un pericolo… riprese con la consueta determinazione.
Non è stata una mia idea quella di uscire in pattuglia con te.
Bene. Allora sarai felice di sapere che la pattuglia è finita. Io me ne vado. Tu torna da Sam a fare rapporto conclusi con un brontolio sdegnato.
Ebbe il buon senso di non ribattere e io mi allontanai velocemente. Non ritornai verso La Push, ma continuai nel percorso che avevo inconsapevolmente intrapreso. Ero a Forks ormai e ci sarei rimasto. Non sapevo bene neanche io dove dirigermi, a parte il fatto che volevo scappare da me stesso e dai ricordi che le parole di Leah avevano suscitato.
Scansai parecchi alberi, oltrepassai minuscole radure, evitai ogni odore vagamente umano che si infiltrasse nel bosco. Tuttavia finii nell’unico posto in cui pensavo non sarei più tornato. La radura a un chilometro da casa Cullen. Il teatro della peggior giornata della mia vita.
Mi guardai attorno e sembrava che niente avesse mai turbato la calma di quel posto. Tutto perfetto, tutto come sempre. Ed effettivamente per la natura lo era. La vita era andata avanti, ma non la mia. A distanza di due settimane, la mia mente era ancora lì.
Mi sarei dovuto allontanare ma per un inspiegabile sentimento masochista decisi di restare. La attraversai e a un tratto sentii un odore familiare. Lo seguii, mentre diventava più intenso in un punto in mezzo all’erba, dove una chiazza opaca e secca spezzava il verde della vegetazione. Era una macchia di sangue gocciolato quel giorno dalla sua gola.
Mi fermai ad annusarlo. Era un ricordo macabro ma sentire di nuovo il suo odore era importante. Era una felicità inattesa e un dolore senza fine. Mi accasciai vicino ad essa e lì rimasi per un tempo indefinito. Quando mi resi conto che il dolore aveva di gran lunga superato la felicità di un’illusione mi rialzai e mi diressi sotto uno degli alberi che delimitavano quel luogo.
Non ce la facevo più. Ero distrutto e volevo solo piangere, ma come lupo non riuscivo a sfogarmi in quel senso. Respirai a fondo un paio di volte e mi concentrai per riprendere forma umana. Non ci misi molto. Ormai avevo il completo controllo su me stesso e sul mio corpo. Ero il più veloce del branco a passare da una dimensione all’altra. Nessuno poteva competere con me in questo, e non solo. Anche come forza, dicevano che ero il migliore, ma ormai mi sentivo svuotato. Perfino un bambino umano avrebbe potuto battermi. Forse Leah aveva ragione: ero solo un peso.
Una volta umano, indossai i pantaloni che ero solito legare stretti intorno alla gamba destra. Generalmente portavo solo bermuda perché era un po’ difficile annodare jeans e maglietta e tutto sommato, così, ero molto più comodo.
Mi sedetti sotto l’albero, dominando tutta la radura. Alzai lo sguardo per guardare la chioma spoglia da cui canticchiavano alcuni uccellini. Appoggiai il capo sul fusto e chiusi gli occhi.
Quel giorno non cantavano…
Era l’alba, come adesso, quando ero arrivato dai Cullen per parlare con la sanguisuga. Il giorno prima avevo promesso a Bella di mantenere il nostro segreto per qualche giorno, ben sapendo che non l’avrei fatto. Le avevo detto di sì solo per tranquillizzarla, per farla andare da loro più serena, ma non avrei mai permesso che lui godesse di un altro giorno in sua compagnia. Aveva scelto me e ora la decisione andava portata avanti, tanto più che concedergli qualche giorno non avrebbe giovato a nessuno, a lui per primo. Io non avrei voluto essere preso in giro, per quanto le intenzioni potessero essere meritevoli. Avevo fatto passare la notte, durante la quale mi ero preparato il discorso (o meglio i pensieri) che gli avrei sbattuto in faccia, senza alcuna remora. Avevo capito che Bella temeva la sua reazione: a me non interessava affatto cosa avrebbe pensato, ma se lei voleva lasciargli in qualche modo un piacevole ricordo di sé, l’avrei accontentata. Mi feci il lavaggio del cervello per buona parte della nottata, con il fine di fargli leggere che l’idea di mentirgli fosse stata mia e alla fine c’ero riuscito. O forse semplicemente si era voluto convincere di questo.
Ero riuscito a trattenermi dal pensare fino al nostro arrivo qua, poi gli avevo aperto la mente liberamente. Non avevo dovuto impegnarmi tanto: i miei ricordi sono sempre particolarmente coloriti. Per un istante era stato inespressivo poi aveva finalmente capito che l’aveva persa e che sarebbe stata mia. Non potei trattenermi dal provare una malata soddisfazione: avevo vinto io. La mia perseveranza era stata premiata. L’avevo battuto e questa vittoria valeva mille volte di più di quella in un normale combattimento. Gliela avevo urlata in faccia senza alcun ritegno o pietà, e poco importava se mi avrebbe attaccato. Potevo lasciargli la vana consolazione di menare un po’ le mani, tanto io avrei avuto Bella. Ma non potevo prevedere tutto quello che sarebbe successo dopo.
Mi aveva effettivamente attaccato, senza darmi tempo di reagire e mi aveva ferito subito alla gamba destra. Mi ero trasformato in un attimo, ma non avevo avuto modo di difendermi adeguatamente. Gli occhi di Edward non lasciavano spazio a fraintendimenti: mi voleva morto. E se da una parte sapevo che sarebbe stata la peggior battaglia della mia vita, dall’altra ne ero ben lieto perché finalmente mi sarei potuto vendicare di quello che mi aveva fatto patire. Soltanto pochi minuti dopo era arrivata Bella ma troppo tardi per fermarci. Anche se lui avesse desistito, io per primo non gli avrei permesso di farlo. Volevo la sua disfatta in tutti i campi. Mi dispiaceva veder piangere Bella, ma non abbastanza da lasciar correre. Se avessi saputo come sarebbe andata a finire, mi sarei fermato.
Mentre la nanerottola e il suo compagno la portavano via a forza, avevo già intuito che non sarei riuscito a sostenere l’attacco della sanguisuga: era troppo più forte di me in quel momento. Avevo il fiato corto e non sentivo le energie rinfocolarsi come sempre. Ero debole, stramaledettamente debole, probabilmente a causa del veleno di Lehausle. Per di più non riuscivo a mantenere la mente sgombra, col risultato che prevedeva sempre le mie mosse. Dovevo ammetterlo: mi ero spaventato. Temevo di morire e perdere quello che avevo tanto desiderato.
L’arrivo di Demetri con due dei suoi mi aveva all’inizio fatto tirare un sospiro di sollievo: avevo più possibilità di battere i suoi sgherri che Edward, anche se ferito. Ma avevo dovuto arrendermi al mio incubo peggiore: Demetri era venuto per me. Nell’istante in cui mi aveva attaccato, disinteressandosi completamente di Cullen, avevo capito che stavolta non ce l’avrei fatta. Non sarei sopravvissuto. Non avrei goduto della felicità che meritavo. La paura non mi fece arrendere e combattei come un leone, ma Demetri respingeva ogni attacco che portavo, ogni balzo che compivo. Ero riuscito ad azzannarlo un paio di volte, senza alcun risultato evidente. Se non altro gli avevo impedito di mordermi, tuttavia la fine era vicina. Potevo contare i minuti. Per pochi istanti sperai che Sam e gli altri potessero venire ad aiutarmi. Sentivo la loro presenza e i loro pensieri, ma stavano combattendo anche loro e illudermi che qualcuno mi salvasse era quasi utopistico. Sperare che Edward, una volta sistemati i suoi due avversari, mi aiutasse, era altrettanto fantasioso, per non dire incredibile. Anzi, se fossi stato in lui, avrei colto l’occasione al balzo e aspettato che Demetri mi facesse fuori.
Invece, al di là di ogni previsione, era arrivata l’unica persona che non avrei mai voluto vedere.
Non sapevo con quali intenzioni Bella stesse in mezzo alla radura con quel coltello in mano, ma non doveva starci. Era estremamente pericoloso per lei, e io non ero nelle condizioni di poterla salvare. Quando l’avevo vista tagliarsi la gola, le gambe avevano ceduto per un istante, facendomi quasi crollare. Che cosa aveva fatto?! Mi chiesi se fosse impazzita, poi quando Demetri mi aveva abbandonato per correre da lei, avevo capito il suo scopo. Inseguii Demetri ma ero troppo lento, l’avrebbe presa. E Bella stava svenendo.
Per fortuna, Rosalie, sbucata da non so dove, era arrivata prima di lui e l’aveva accolta fra le braccia, allontanandosi di qualche metro. Un istante dopo, Edward, ucciso il suo avversario, era addosso a Demetri. Mi fermai, ansimante ed esausto. Avrei dovuto aiutarlo ma ce la facevo a malapena a stare in piedi. Per di più non sembrava neanche cavarsela male. Demetri si era distratto e ora il telepatico poteva avere un facile gioco di lui. Guardai verso il limite della radura, dove Rosalie si era fermata con Bella distesa, a terra. La mia vista fu oscurata per un istante da un’ombra: un altro vampiro era arrivato, ma stavolta a darci man forte. Jasper.
Insieme lo vinsero, mentre io volevo solo correre da Bella. In forma umana, però. Volevo che vedesse che stavo bene e che non doveva preoccuparsi. Soltanto che l’angoscia e l’ansia vanificavano i tanti tentativi fatti per riacquistare le mie sembianze. L’agitazione era nemica giurata della nostra razza. Essere nervosi e preoccupati era la scintilla che generalmente accendeva le trasformazioni. Avevo imparato a dominarmi ormai, ma stavolta non ce la facevo. Più tentavo di tornare umano, più mi agitavo perché mi sembrava di metterci troppo tempo, col risultato che continuavo a permanere nel mio stato animale. Dovette intervenire Sam, che, sentita la situazione e abbattuto il rispettivo avversario, corse da me. Le sue parole e la sua voce furono determinanti per farmi rilassare, almeno parzialmente, ma quando raggiunsi Bella era già in una pozza di sangue. Vicino a lei, oltre a Rosalie, c’erano anche Edward e Carlisle. Mi colpì la sua espressione serena: o non si rendeva conto di quanto fosse grave la ferita oppure era soddisfatta della sua missione. Non potei trattenermi dal singhiozzare. Sapevo cosa significava e avevo una dannata paura di affrontare una realtà che a lei non appariva così terribile come lo era per me.
Carlisle la prese in braccio e delicatamente, ma in fretta, la portò in casa.
Passammo in mezzo ai falò. Gli altri Cullen e il resto del branco avevano distrutto le ultime resistenze e stavano facendo piazza pulita di tutti i cadaveri. Ma non mi interessava granché.
Entrammo in salotto, notando che era stato teatro di una battaglia. Il dottore sparì nel suo laboratorio con Bella, pregandoci di restare fuori per il momento. Troppo sangue umano per dei sudici vampiri, pensai.
Un istante più tardi la nanerottola piombò nella camera. “Dov’è Bella? Come sta?” gridò impaurita.
“Stai calma, Alice” cercò di tranquillizzarla Rosalie. “E’ con Carlisle…”.
“Ma perché? Perché ha fatto una cosa tanto stupida?!” imprecò, singhiozzando. Poi, guardò me: il suo sguardo sembrava racchiudere una cupa promessa di morte. Si diresse nella mia direzione come un vento gelido, decisa a farmela pagare. Jasper la bloccò a pochi passi, sussurrandole parole con l’intenzione di blandirla. Annuì più volte mentre le lacrime continuavano a scenderle sul viso. Infine sibilò:“Prega Dio che si salvi, altrimenti te la farò pagare…”.
Nella trepidante attesa pregai che si salvasse, ma fu tutto inutile.
A un tratto Edward si sedette su una delle poche sedie rimaste integre dallo scontro, e, appoggiando la fronte sulle mani intrecciate, diede voce a un pianto silenzioso, seguito da Alice. “Sta morendo…” singhiozzò.
“Stai mentendo” replicai con voce tremante. “Sento ancora distintamente il battito del suo cuore”.
“Carlisle non riuscirà a suturare la ferita e io non vedo più il suo futuro…” chiarì la preveggente, all’apparenza inconsolabile.
Dunque era vero: l’emorragia era inarrestabile. Nessuno avrebbe potuto salvarla. Pensai immediatamente di portarla in ospedale: là avrebbero potuto somministrarle cure migliori, ma forse non ce l’avrebbe fatta a raggiungerlo. Troppo lontano.
Bella stava morendo. Il mio amore mi stava lasciando mentre io restavo qui, impotente, con la mia inutile esistenza.
Edward era una maschera di dolore. La amava quanto me e anche se lei aveva fatto una scelta diversa, mai e poi mai avrebbe permesso che le succedesse qualcosa. Ma nemmeno lui poteva cambiare la fragilità della natura umana. Lui non avrebbe mai sanguinato e le mie ferite si sarebbero richiuse in un batter d’occhio, ma per gli uomini le cose non andavano così. Era molto facile distruggere una vita. Forse troppo.
Rosalie aveva preso a camminare nervosamente avanti e indietro attraverso la camera. Lei e Bella non erano mai andate d’accordo ma era amareggiata. Riconoscevo ormai ogni suo comportamento e sapevo quale significato attribuirgli.
Probabilmente era mortificata sia perché un essere umano stava morendo sia per il modo in cui stava accadendo. Il suo sguardo incontrò il mio e per un istante rividi la stessa espressione di quando mi aveva raccontato la sua trasformazione. Stava rivivendo tutto un’altra volta, tramite l’agonia di Bella. Anche lei era giovane, con tante speranze, quando era morta per colpa del suo fidanzato. C’erano delle tragiche assonanze in tutto questo perché in un modo completamente diverso potevo ritenermi responsabile della morte di Bella.
Rosalie sarebbe morta per un’emorragia interna se non fosse arrivato Carlisle… Anche la mia Bella aveva un’emorragia… Un’idea mi attraversò la mente: stupida, insensata ed egoista, ma non potei fare a meno di pensarla. E di convincermene.
“No!” sibilò Edward, fissandomi infuriato. Tutti gli altri si voltarono verso di lui, sgomenti.
Non mi lasciai intimidire da quegli occhi pieni di rabbia. “E’ l’unica chance per salvarla…” risposi con una tranquillità quasi inopportuna.
“E’ fuori questione! Toglitelo dalla testa!” replicò.
“Si può sapere di che diavolo state parlando?” intervenne Rosalie, guardando alternativamente me e suo fratello.
“Dovete trasformarla” dissi.
Rose cambiò espressione, e non avrei saputo dire se fosse accondiscendente o meno. Alice sembrò illuminarsi mentre Jasper non lasciò trapelare alcuna emozione. Un silenzio denso di incognite si insinuò in ognuno di noi.
“Non credo che sia una buona idea…” contestò Rose non troppo convinta.
“E’ una pessima idea! Bella deve restare umana!” affermò deciso Edward.
La sua testardaggine, dovuta a non so quale etica morale, era indecifrabile, oltre che irritante. “Così morirà” ringhiai. “Non ti importa se muore?”.
“Non è così e lo sai. Ma lei non deve diventare vampiro per le motivazioni sbagliate!”.
“Io non voglio che muoia! Deve vivere! E se non lo fai tu, allora chiederò a Carlisle oppure ad Alice. Tu lo faresti, vero?” domandai alla nanerottola, che sollevò il viso dalle braccia del suo compagno e acconsentì brevemente, pur intimorita da Edward.
“Un momento!” intervenne Rosalie. “Jacob, lei non voleva diventare vampiro. Se lo facessimo, non rispetteremmo i suoi sentimenti…”.
“Fino a poco tempo fa voleva diventarlo a tutti i costi e adesso la accontenteremo!” rimbrottai.
“Ma la sua prospettiva è cambiata” sottolineò Rose, inarcando un sopracciglio, invitandomi a cercare di leggere tra le righe. Non c’era bisogno di dire che lo sapevo perfettamente, ma piuttosto che la morte era meglio la trasformazione.
Rosalie sbirciò Edward un attimo, che, con un cenno, la invitò a proseguire.
Si voltò verso di me e continuò, dandomi l’impressione di soppesare con cura le parole:“Lei ed io abbiamo parlato prima. Voleva una vita normale, Jake: una casa, dei bambini, invecchiare. Con te. Se ora la trasformiamo, le toglieremo tutto questo e non è giusto”.
Mi mordicchiai il labbro inferiore nervosamente. Bella ed io non avevamo avuto tempo di programmare il futuro, convinti di avere una lunga vita davanti. O perlomeno questo era quello che pensavo io, mentre ora mi rendevo conto che lei aveva già fatto dei progetti e ne aveva parlato con Rose. Io avevo sempre sognato ciò che Bella le aveva confidato e sapere che anche lei lo avrebbe voluto era doppiamente straziante.
“Se non la trasformiamo, morirà e non avrà tutto questo comunque…” ribadii duro.
Rosalie non osò contestarmi, anche se sapevo che per lei non era abbastanza. Lei che sarebbe morta volentieri quella notte in cui Carlisle le aveva salvato la vita, lei che avrebbe voluto suicidarsi soltanto perché non poteva respirare. Probabilmente se la scelta fosse stata sua, avrebbe lasciato morire Bella: non per cattiveria, ma per coerenza con le sue idee. Io non potevo permetterlo.
Fissai Edward negli occhi. Devo parlare con te, da solo. Usciamo.
La sanguisuga annuì rassegnato e mi fece strada nel patio. Mentre scendevamo le scale, incrociammo Emmett e gli altri alleati dei Cullen che rientravano alla base dopo aver spento gli ultimi roghi. Il fratello trattenne Edward per un braccio e gli chiese che cosa stava succedendo. “Rose ti spiegherà…” tagliò corto.
Ci allontanammo di qualche metro da casa. Il bosco era silenzioso ora. C’era uno strano odore tutt’attorno: non di bruciato ma di morte. I membri del branco erano tornati a casa, su mia precisa richiesta. Non potevano fare niente per aiutarmi e non volevo che assistessero alla mia tragedia personale.
“Che cosa vuoi, Jacob? Ti avverto: è inutile. Non cambierò idea” annunciò risoluto.
“Bella morirà” constatai con una lucidità che sorprese anche me.
Il vampiro sussultò. Lo sapeva anche lui che questa sarebbe stata la logica conseguenza della sua decisione, ma detto così, schiettamente e senza giri di parole, non aveva potuto evitare di esserne turbato. I suoi occhi si erano svuotati, come se fossero stati inghiottiti da un velo opaco.
“Lo so” ammise angustiato. “Tu non sai cosa darei per essere al suo posto, ma non si può… E io non posso ignorare i suoi desideri…”.
Non possiamo permettere che Bella muoia.
“Non possiamo farci niente. E’ tutto nelle mani di Carlisle. Dobbiamo sperare in lui e nel fatto che Alice abbia sbagliato la sua previsione”.
“Tua sorella non ha mai sbagliato una previsione e vieni a dirmi che credi che accadrà proprio ora? Mi prendi in giro?” esclamai con rabbia. “Carlisle non può fare niente. L’hai vista anche tu la ferita. Un umano non può sopravvivere ad un taglio del genere…”.
Edward mi volse le spalle, incurante del mio furore. Non era interessato che potessi attaccarlo di soppiatto o a tradimento. Probabilmente in quel momento, se lo avessi ucciso, gli avrei solo fatto un piacere. Ma se sperava che avrei avuto pietà di lui, si sbagliava di grosso. Lo afferrai per una spalla e lo girai, senza trovare alcuna resistenza.
“Non capisco… Fino a ieri eri disposto a trasformarla e adesso diventi paladino dell’umanità?!” lo accusai.
“Io non volevo trasformarla! Era lei che lo voleva a tutti i costi. Io avrei preferito che restasse umana… Non avevo alcun bisogno di non vederla invecchiare, l’avrei amata ugualmente!” replicò con fervore.
“E allora trasformala!!!” inveii, anche se suonò come una preghiera.
Si allontanò, dirigendosi verso uno degli alberi, e appoggiò la testa alla corteccia, combattuto. Voleva che vivesse, ma per una strana e incomprensibile contorsione mentale non voleva accontentare se stesso. “Non posso” sussurrò. “Lei voleva trasformarsi per me. Se ora le facessi questo, mi odierebbe perché la priverei di tutti i suoi sogni e la condannerei a un’eternità che non vuole. Per di più essendo un vampiro, sarebbe praticamente obbligata a stare con noi e a vivere secondo le nostre regole”.
“Vi vuole bene e per lei non sarebbe una sofferenza” dissi malvolentieri.
“Forse hai ragione, ma non mi ama più, quindi la vedrebbe come una prigionia…”.
“Sì che ti ama…”.
Edward scoppiò a ridere di una risata rumorosa e quasi terrificante. “Certo che diresti di tutto pur di raggiungere il tuo obbiettivo!”. Poi tornò serio:“Sappiamo tutti e due fin troppo bene chi ama davvero…”.
“A modo suo ti ama, altrimenti non si sarebbe inventata tutto questo piano bislacco per non ferirti”.
“Non come un tempo e non con la stessa profondità con cui ama te!”.
Mi zittii perché ciò che aveva detto era incontrovertibile. Era così, per fortuna, e sapevo di non essere capace di perorare oltre la causa di un amore che io per primo avevo distrutto con gioia. Anche se, sì, aveva ragione, avrei quasi detto qualsiasi cosa pur di farla restare in vita.
“Torno dentro” risolse, incamminandosi verso il portone.
“Aspetta” dissi. “Perché non la vuoi trasformare? E’ una ragazza giovane che merita di vivere”.
“Sai quanti giovani muoiono ogni giorno? Dovrei trasformarli tutti?!” rispose sarcastico.
“Non è la stessa cosa. Bella sta morendo per colpa nostra, per una battaglia che non era la sua. Uno di noi due dovrebbe essere morto a quest’ora, e invece c’è lei, in quel letto. Soltanto perché nessuno dei due voleva cedere. Dovevamo proteggerla, non ucciderla”.
“La colpa è solo mia. Non avrei dovuto attaccarti. Dovevo lasciare che scegliesse te, invece che esplodere di rabbia e gelosia. Se non ti avessi ferito, tutto questo non sarebbe accaduto”.
Effettivamente aveva ragione. Se fossi stato al pieno delle mie energie, probabilmente avrei resistito a Demetri, anche se malconcio com’ero, già prima del combattimento con Edward, non avrei resistito molto più a lungo. Ma ora non avevo nessuna intenzione di perdere tempo a scaricargli addosso il mio odio. Però la sua tristezza, aggravata dal senso di colpa, poteva giocare a mio favore. Potevo forse convincerlo. Dovevo solo toccare i tasti giusti.
“Puoi riparare al tuo errore…” suggerii.
“Sì, ma a quale prezzo?!” urlò, cogliendomi alla sprovvista.
I suoi occhi fiammeggiavano per la rabbia: non verso di me, ma verso se stesso.
“Tutto ha un prezzo. Ma ritengo che questo sia poca cosa rispetto a quello che perderebbe…”.
“Se l’umanità e avere un’anima per te sono poca cosa…” si sforzò di ridere.
“Ritengo che sia meglio essere vivi… E ritengo, per quel poco che vi conosco, che tutti voi Cullen abbiate un’anima”.
“Forse…” abbozzò, poi si lasciò cadere sul primo gradino della scalinata. “Non voglio che faccia la fine di Rosalie. Non lo sopporterei…” ammise scoraggiato.
“E’ per questo che non vuoi?” domandai sorpreso.
“Tu lo sai che cosa ha provato…” mi fissò serio.
“Ma adesso sta meglio…” replicai.
“Già, ma dopo quanti anni, Jacob? Io non voglio che Bella passi ottant’anni a recriminare, a invocare la morte, a rimpiangere ogni respiro perso. Questa sarebbe soltanto una tortura…”.
Abbassai il viso, scoraggiato. Rosalie era arrivata addirittura a tentare il suicidio. Lo sapevo fin troppo bene come aveva vissuto. Adesso sembrava che stesse meglio, che avesse imparato ad accettarsi, ma era una stabilità duratura oppure sarebbe vacillata al primo ostacolo? E Bella? Non volevo che soffrisse la perdita dell’umanità, ma, egoisticamente, non volevo nemmeno che vivesse solo nei miei sogni. Non ce l’avrei fatta. Almeno da vampiro le sarei potuto stare vicino.
“Bella è più forte di Rosalie…” dissi convinto.
Edward scosse la testa, perplesso.
“Credi che soltanto perché Bella ha la lacrima facile sia meno forte di Rosalie che non piangeva mai?”.
“Non ho mai detto niente di tutto questo” ringhiò la sanguisuga.
“Già, eri troppo preso da proteggerla da qualsiasi cosa, come se fosse di porcellana, per capire che anche lei poteva sbagliare e sopportare il peso dei suoi errori. Soltanto perché non salta sugli alberi, non vive in eterno, e si ferisce facilmente, non vuol dire che sia meno forte di noi, anzi”.
“Non voglio farle del male, anche se so che potrebbe sopportarlo…”.
“Non le farai del male, tutt’altro” chiosai. Mi aspettavo che replicasse in una qualche maniera, ma invece rimase in silenzio. Il tempo passava: mi sembrava di essere in giardino da una vita e una decisione andava presa. In fretta.
“Edward, potrei chiederlo ad Alice o a Carlisle e sai anche tu che lo farebbero. Tuttavia vorrei che fossi tu a trasformarla…” dissi.
“Perché?”.
“Mi fido solo di te e so che anche per Bella sarebbe importante che fossi tu a farlo”.
Si passò le mani sul viso. Sapevo che era impossibile, ma sembrava che la sofferenza lo stesse facendo invecchiare di colpo. Le sue smorfie, gli occhi vuoti, la fronte aggrottata: sembrava che stesse portando su di sé il peso del mondo intero e che improvvisamente non potesse più sopportarlo. In quel momento non sembrava un diciassettenne, ma un uomo ormai stremato dalla sua lunga esistenza.
“Ti rendi conto a pieno di quello che potrebbe succedere se la trasformassi?”.
“Farò una grande scorta di sangue!” ammiccai.
“Potrebbe dimenticarsi di te, lo capisci?” continuò grave.
Sospirai. Ecco il tasto dolente. Non ebbi la forza di parlare, ma mi limitai a pensare.
Lo so. Mi ha raccontato di come tutti voi abbiate solo frammenti della vostra vita precedente. Addirittura Alice non ricorda più nulla. Però Rosalie ricorda praticamente tutto… Potrebbe andare così anche per lei. In ogni caso non mi interessa. Lei deve vivere, con o senza di me. E se sarà senza di me, potrai godertela tu, contento?
“Io non accetterei mai che vivesse al mio fianco, sapendo che se avesse potuto, non avrebbe scelto me…”.
“Permettimi di dubitarne” esclamai, inarcando un sopracciglio, indizio evidente del mio scetticismo.
Si passò una mano fra i capelli e unendo le mani in preghiera, si perse nei suoi pensieri.
“Allora? Cosa intendi fare?” domandai impaziente.
Si rialzò dal suo cantuccio, sospettoso e dubbioso. Avevo trovato una fessura: dovevo solo allargarla per costringerlo a fare ciò che desideravo. In realtà non comprendevo a pieno neanche io cosa stessi chiedendo e le sue conseguenze: l’unica cosa certa era che non volevo separarmi da lei. Vampiro o essere umano che fosse.
“Non posso” sentenziò mestamente. “E’ indipendente dalla mia e dalla tua volontà. E’ lei che deve scegliere”.
“Non è in grado di farlo in questo momento”.
“E allora non lo farò. Non ho intenzione di fare a lei ciò che Carlisle, in buona fede, ha fatto a Rosalie”.
“E se fosse lei a chiedertelo?” domandai.
“Allora la trasformerei…” sospirò.
Sentivo il cuore di Bella battere ancora: il battito era flebile e soffocato. Non avrebbe resistito a lungo e io dovevo solo convincerla, ammesso che fosse in sé per ascoltarmi. Edward percepì la mia decisione e mi fissò con disapprovazione. Non avevo alcuna intenzione di rendere conto a lui di ciò che intendevo fare e non poteva impedirmi nulla, visto che di fatto, volente o nolente, io ero la persona più vicina e più amata da Bella.
“L’hai promesso” lo minacciai.
Salii le scale, saltando i gradini a due per volta, ed entrai.


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Capitolo 61
*** Una nuova luna ***


Trovai Carlisle in piedi, circondato dai suoi figli e amici. Aveva un’espressione sorpresa e, quando ci sentì, mi guardò incredulo. Evidentemente lo avevano appena messo al corrente di come erano cambiate le cose per Bella e me. Doveva essere sconvolto per la scelta operata e per il fatto che suo figlio fosse stato scartato, ma io non avevo tempo da perdere e tutto sommato consideravo la decisione di Bella soltanto tardiva, non sconsiderata o incomprensibile. “Come sta?” domandai.
Il dottor Canino si mosse come percorso da una scossa elettrica, poi ritrovando la sua consueta lucidità, rispose:“Le ho suturato la ferita come meglio ho potuto, ma si riaprirà. Purtroppo, o per fortuna, dipende dai punti di vista, non ha avuto abbastanza forza o decisione per piantare la lama in profondità, causandosi una ferita più profonda in alcuni punti e più superficiale in altri. In parole povere, è sopravvissuta finora ma morirà dissanguata, e con una lenta agonia”.
“Portandola in ospedale?”.
“Muoverla sarebbe fatale. La ferita si riaprirebbe e probabilmente si allargherebbe. Inoltre in ospedale non potrebbero fare molto più di quello che ho fatto io…”.
Annuii più volte. Purtroppo era quello che supponevo.
“E’ sveglia? Può parlare?”.
“Sì, è cosciente, anche se molto provata…”.
“Ok, andiamo da lei allora” lo incalzai.
Senza attendere un suo invito, mi diressi al laboratorio, ma poco prima di varcarne la soglia, Rosalie mi afferrò per un braccio. Cupa e accigliata, mi manifestò tutto il suo disappunto. “Stai sbagliando…” mormorò, mentre gli altri Cullen entravano.
“Non posso fare diversamente. Non ho altra scelta…”.
“Oh sì che ce l’hai, soltanto che sei troppo egoista per portarla fino in fondo”.
“Se volere che una persona viva è egoismo, allora ne vado ben fiero!”.
“Il punto non è questo. Vuoi farle vivere una vita diversa da quella che lei sperava e voleva soltanto per compiacere te. Se la amassi veramente, la lasceresti libera. Ti stai comportando peggio di Edward…”.
“Non accetto critiche da te, bionda!” esclamai con fin troppa rabbia.
L’avevo apostrofata nella vecchia maniera e non gradì. Lo capii da come mi fissò: strinse le labbra e entrò nel laboratorio. Non volevo chiamarla così, ma era troppo tardi per scusarmi. Per di più avevo qualcosa di molto più importante da fare.
Quando entrai anch’io, ritrovai Bella sdraiata sul medesimo letto che pochi giorni fa aveva ospitato me. Il viso rivolto verso l’alto, i capelli sparsi sul cuscino, la camicetta e le spalle sporche di sangue, il collo fasciato da una garza ancora bianca. Era pallidissima, gli occhi vuoti, respirava a singhiozzo. Il battito, lento e flebile, diventò un tamburo dal rombo assordante quando vide me e la sanguisuga. Ci sorrise dolcemente e tentò di parlare ma dalla gola uscirono solo urla strozzate.
“Non sforzarti, Bella!” si raccomandò Carlisle. “La ferita può riaprirsi da un momento all’altro”.
Alice le si avvicinò, prendendole la mano, mentre noi tutti rimanemmo indietro, come intimoriti che la sola nostra presenza potesse nuocerle. Più la osservavo e più mi convincevo di essere nel giusto. Non avrei mai sopportato la sua perdita e in fondo l’assenza di umanità poteva dirsi sopportabile rispetto all’idea di una vita senza di lei.
“Bella, ascoltami un attimo” iniziò Carlisle. “La ferita non è profonda e sono riuscito a suturartela in parte. Ma questa cura è soltanto temporanea: prima o poi si riaprirà e quando accadrà non potrò fare più niente. Né io, né nessun altro medico su questa terra”.
Alice le accarezzò il viso per trasmetterle affetto e comprensione, nel timore che Bella avesse paura. Al contrario sembrava serena e consapevole del suo destino. Aveva capito cosa implicavano le parole di Carlisle, ma non ne era minimamente scalfita. Sapeva perfettamente cosa faceva quando si era tagliata la gola e ora era quasi felice degli istanti non programmati ma ben accetti che il destino le stava porgendo.
“Hai perso tante sangue, Bella. Troppo…” abbassò la voce di un tono. “E ti resta un’unica chance per restare in vita. Fino a poco tempo fa non te l’avremmo neanche chiesto, ma ora mi hanno detto che potresti aver cambiato idea. Non vogliamo forzarti”.
Il velato sorriso di Bella sparì per lasciare il posto a un’espressione smarrita e scioccata.
“Hai pochi minuti, poi sarà troppo tardi…” ammise Carlisle, guardando il pavimento.
Edward si avvicinò a lei, mentre Alice si scostò, permettendo a suo fratello di guardarla negli occhi. “Non devi farlo, se non vuoi, amore. Nessuno ti costringerà…” la rassicurò.
Bella pareva spaventata a morte e con gli occhi pieni di lacrime.
Edward le diede un bacio sulla fronte e uscì dalla camera, seguito da tutti i Cullen. Rimasi soltanto io.
La fasciatura era così stretta che non riusciva a ruotare la testa, anche se sapeva che io ero lì. Sussurrò il mio nome e mi avvicinai. Presi una sedia e mi sedetti accanto, portando il viso più vicino possibile al suo, in modo tale da non costringerla a muovere il capo o a fare fatica per guardarmi.
Trovai la forza per osservarla solo un paio di istanti, poi dovetti distogliere lo sguardo, incapace di sopportare la sua sofferenza. Dovevo fare qualcosa per salvarla, tuttavia proporle di diventare una di loro, era superiore alle mie forze. Avevo sempre osteggiato quella trasformazione. Avevo fatto di tutto per impedirla. L’avevo riempita di frasi e belle parole a effetto per convincerla dell’errore madornale che avrebbe compiuto e ora, in netta contrapposizione, avrei dovuto rimangiarmi tutto. Bel modello di coerenza, non c’è che dire! Ma che altro potevo fare? Pregai dentro di me che fosse già persuasa in modo da potermi risparmiare un lavaggio del cervello che non convinceva neanche me.
Mi accarezzò la mano. Era tiepida e, se fosse stata trasformata, sarebbe diventata gelida. Volevo davvero questo?
Le strinsi la mano tra le mie, sfiorandola più volte. Una lacrima le scese lungo la guancia. Non ebbi il coraggio di asciugargliela e la lasciai scorrere fino al collo.
“No, ti prego no” sussurrò. “Non puoi chiedermelo”.
Mi si formò un groppo in gola, subdolo e soffocante. Girai il viso dalla parte opposta alla sua per evitare che vedesse le lacrime lambirmi le ciglia. Non voleva trasformarsi. Era evidente quanto ormai non rientrasse più nei suoi desideri, quanto probabilmente le parole di Rosalie fossero veritiere e lei volesse una vita normale, ma non c’era nessun altro rimedio che ci permettesse di passare le nostre vite insieme.
Mandai giù il boccone amaro e mi volsi di nuovo verso di lei.
“Bella, non c’è altra strada. Non te lo chiederei se ci fossero alternative…”.
Con le poche forze che le rimanevano e che rapidamente la stavano abbandonando, riuscì a farmi cenno di no.
“Mi dispiace non averti saputo proteggere. Sono stato davvero un inetto ed è colpa mia se ti trovi a dover scegliere. Ma se diventerai un vampiro, sarai viva, mentre da umana saresti condannata…”.
“Preferisco morire…” mormorò con sforzo.
“Che dici?!” alzai la voce, incurante del fatto che non fosse il momento per fare una predica sul valore della vita. “Non c’è niente di buono nel morire. Soprattutto se il motivo fosse perché due idioti non avevano niente altro da fare che battersi fra loro per dimostrare chi fosse il più forte…”.
Bella deglutì con apparente calma e disse:“La colpa è stata solo mia, non vostra. Quindi è giusto così”.
Era sorprendente vederla così sicura nonostante le restassero soltanto pochi minuti. Era già decisa e convinta che la sua vita dovesse finire. Non aveva rimpianti e rimorsi, e, se fosse stato il contrario, non voleva farli pesare a nessuno. La solita Bella: altruista fino all’eccesso. Soltanto che stavolta non glielo avrei permesso. A differenza di qualsiasi cosa potesse sostenere, la colpa era mia. Piombare dai Cullen e pensare di saper gestire la situazione, convinto che quel pinguino si facesse da parte istantaneamente come un automa pronto ad ogni comando, era stato da pazzi. Dovevo intuire che sarebbe andata a finire male. L’arrivo di Demetri e i suoi era stato solo un’aggravante di una situazione già compromessa. Non avevo mai visto la sanguisuga così fuori di testa: sembrava davvero impazzito. Ed era incontrollabile. Senza i Volturi, probabilmente mi avrebbe fatto fuori, anche se non ne avevo la certezza. Avevo più che ottime motivazioni per vivere e per combattere, ma la contingenza dettata dalle mie scarse risorse fisiche mi aveva fatto partire in svantaggio. Avrei dovuto ponderare meglio le conseguenze invece di voler interpretare il cavaliere senza macchia e paura che va a salvare la fanciulla indifesa e che finisce per essere salvato da lei stessa.
Ora però dovevo convincerla.
Abbassai la voce per renderla il più tenue possibile, come se essa stessa potesse riaprire la sua ferita, e le parlai senza alcun concetto o costruzione mentale chiara. Volevo solo che capisse cosa provavo e architettare frasi a effetto non faceva per me.
“Ti amo, Bella” iniziai tremante. “E ho bisogno che tu viva. Non importa in quale forma: devi solo essere viva. Senza di te sarebbe una pallida esistenza e io non voglio vivere in questo modo. Se mi ami, e so che è così, ti prego non lasciarmi qua, solo”.
“Non sarai solo. Hai i tuoi amici, la tua famiglia e col tempo mi sostituirai, com’è giusto…”. Balbettò le ultime parole con amarezza. Non voleva essere sostituita, ma doveva convincermi che avrei avuto una vita felice ugualmente. Questo suo atteggiamento masochistico mi mandò su tutte le furie.
“Non dire cazzate, Bells!” sbottai ruvido. Il mio sfogo la fece trasalire e il suo cuore accelerò. Non avevo una laurea in medicina ma sapevo che poteva essere estremamente pericoloso per lei, in questo momento. Le presi la mano e me la strofinai contro il viso.
“Perdonami, amore. Scusami” mormorai, sgomento della mia stupidità. “Come puoi pensare che potrei trovare qualcuna che ti sostituisca? Ci ho già provato, ricordi? E non ho concluso niente. Non basterebbe un’eternità per trovarne una che valga anche solo un quarto di te e io non mi voglio accontentare. Voglio solo te. Ti prego, Bella. Se io non sono abbastanza, pensa a Charlie. Come potrei andare da lui e dirgli che sei morta?”.
Il suo viso, già mortalmente pallido, si contrasse, le labbra, arrossate dal sangue che ancora le coloriva, tremarono visibilmente, lo sguardo si fece vacuo. Anche suo padre era un tasto dolente.
“Se diventassi una di loro, non potrei più vederlo ugualmente…” ansimò, scossa da singulti soffocati.
“Potremmo tentare di spiegargli come stanno le cose. E comunque, almeno potreste sentirvi per telefono. Lui saprebbe che sei viva e che stai bene e sarebbe felice. Se tu invece ti lasci morire, vivrà col rimorso di non averti potuto salvare, esattamente come me. Vuoi che soffra per sempre?”.
Mi sentivo quasi un verme. Mi stavo arrampicando su tutto ciò che poteva essere importante per lei. Non ero particolarmente in ansia per Charlie: certo, sapevo che avrebbe sofferto e che non si sarebbe più ripreso, ma parlavo in quel modo per forzarla a fare ciò che volevo. Doveva capire che non poteva rinunciare a noi due solo perché non poteva più essere umana e se, per farlo, dovevo anche approfittare dei sentimenti per suo padre, allora ben venga. Non mi sarei fatto scrupoli.
“La nostra vita… Se io…” sussurrò. “La vita che avevo sognato per noi…”.
Le accarezzai delicatamente il viso, come si sfiora un neonato che dorme. Dovetti trattenere un singhiozzo quando lessi nei suoi occhi la disperazione per l’infrangersi dei sogni.
Rosalie non aveva mentito. Desideravamo entrambi la stessa cosa ma, stando così le cose, era impossibile ottenerla. I figli, la vecchiaia, le riunioni di famiglia, non avremmo più potuto averli, ma almeno una casa insieme, quella non avrebbero potuto togliercela. In fondo che cos’erano un paio di mocciosi urlanti, qualche ruga in più e noiosissime cene con pile e pile di piatti da lavare? Niente in confronto al dolore, se l’avessi persa.
Ora dovevo essere forte per tutti e due e convincerla che non avrebbe rinunciato a niente di fondamentale, benché io stesso fossi persuaso del contrario.
“Amore, saremo felici ugualmente. Ci sono tanti modi per esserlo e… pensa! L’eternità per noi due! Continuerò a trasformarmi ogni tanto così resterò giovane anch’io e tutto andrà benissimo. Finché staremo insieme…” dissi in tono conciliante.
Notai con soddisfazione che aveva smesso di singhiozzare: forse le mie parole stavano avendo effetto, forse potevo spuntarla. Mi guardò per un lungo, interminabile istante, travolta da mille passioni che cercavano di avere il sopravvento su di lei e sulle sue convinzioni. Voltò il viso verso l’alto, mentre io, in trepidante attesa, aspettavo solo un cenno per chiamare Edward e costringerlo a fare ciò che aveva promesso. Chiuse le palpebre e l’ultima lacrima scese sulla guancia fino a bagnare la garza attorno al collo. Quando le riaprì, gli occhi erano profondamente arrossati, anche se non sembrava il tipico sintomo da pianto prolungato. C’era qualcos’altro. Respirò profondamente più volte e a ritmo serrato: ebbi paura che il tempo a nostra disposizione fosse terminato.
“Cosa c’è, Bella? Stai male?” domandai freneticamente.
Con la voce rotta dall’emozione, mi rispose:“Non voglio. Potrei dimenticarti e non voglio. Preferisco morire. Ti prego, Jake, non chiedermelo…”.
“Bella, che dici? Non…”.
“E poi una volta trasformata, l’odore del sangue umano sarà così forte che non potrò starti vicino senza desiderare di morderti. Non riuscirò a controllarmi. Dovremo stare lontani uno, due anni prima che riesca a reprimermi. Sarebbe una tortura…” esclamò, tentando di sollevarsi. Un accesso di tosse la bloccò. Fu solo quando si tolse dalla bocca la mano che mi accorsi che aveva sputato sangue. Le labbra si erano imporporate.
“Bella, che fai? Stai giù!” le ordinai, accompagnandola nella discesa sul cuscino. Dopo di che, mi alzai, cercando con lo sguardo un fazzoletto, una benda, un tovagliolo, per pulirle la bocca. Lo trovai nel bagno a fianco. Corsi da lei e strofinai la stoffa sulla pelle, ancora morbida.
“Ascolta: cosa vuoi che siano un paio d’anni dinanzi all’immortalità? Ti aspetterò sempre, Bella. Potrò pazientare, se so che sarai la ricompensa. E poi sono sicuro che non ti dimenticherai di me. Come fai a dire che accadrà, se mi ami tanto? In ogni caso, ricordi cosa ti ho promesso quel giorno a First Beach? Che ti avrei assillato fino a che non ti fossi ricordata di me ed è quello che farò. Sai come posso essere petulante, no?” ammiccai, facendole l’occhiolino.
Mi sorrise, più per risollevare me che se stessa.
“Mi odierai… Maledirai ciò che sarò…” obbiettò flebilmente.
“Mai e poi mai, Bella. Non accadrà mai. Certo, dovrò abituarmi alla puzza, che sarà il problema maggiore, ma penso che sopravvivrò…” risi sarcastico, cercando di stimolare in lei un’altra risata che però non arrivò.
Era dannatamente malinconica. Solo dolore e niente altro traspariva dal suo viso.
“Ti amo, Bella. Qualsiasi cosa tu possa diventare” affermai serio. “Non potrei mai odiarti, neanche se mi uccidessi in questo momento. Ti prego, salvati e resta con me…”.
Non ce la facevo più. Stavo per scoppiare. Sentivo le lacrime che volevano uscire a tutti i costi e non ero in grado di fermarle. Tuttavia farmi vedere da lei in quello stato non avrebbe portato a niente, anzi l’avrei solo fatta stare in ansia. Abbassai il viso sul letto e lo immersi nelle lenzuola, in modo che non mi vedesse. Mi sforzai di mantenere il respiro più regolare possibile per non insospettirla. Fare finta di niente, mentre invece volevo solo urlare. Se mi avesse chiesto di inginocchiarmi, lo avrei fatto. Avrei fatto tutto quello che voleva pur di convincerla e invece l’unica cosa che uscì furono le lacrime, di cui impregnai le lenzuola.
Improvvisamente sentii la sua mano immergersi nei miei capelli e accarezzarmi la nuca.
Sollevai il volto senza pensare che così si sarebbe accorta di ciò che stavo faticosamente nascondendo.
“Abbracciami” implorò.
Mi alzai dalla sedia per accomodarmi sul bordo del letto. Anch’io volevo stringerla ma così facendo rischiavo un’emorragia, ancora peggiore, mentre lei mi guardava, speranzosa.
Appoggiai delicatamente il viso sul suo petto mentre con le braccia tentavo di cingerle la vita. Scavavo sotto la sua schiena per consentirle di sentire la mia stretta, senza farla inarcare. Non potevo fare di più anche se quel gesto era molto lontano dal definirsi un abbraccio. Ascoltavo il suo cuore battere e me ne beavo, perché, in un modo o nell’altro, presto non l’avrei più sentito.
“Jacob, Jacob” mi chiamò con voce flebile.
Mi alzai di scatto e la fissai, trafelato. Le mille delicatezze forse non erano state sufficienti.
“Amore, scusami…” dissi mortificato.
Bella scosse la testa.
“Voglio che mi abbracci forte…” mi supplicò.
“Ma… la ferita… non è il caso”.
“Ti prego… stringimi forte… come fai di solito… voglio che mi manchi il fiato…” ansimò mentre lacrime confuse rigavano le guance.
Non ero affatto convinto di volerla accontentare nelle sue condizioni, però anch’io avevo bisogno di un contatto più intimo con lei. Misi nuovamente le mani tra la schiena e il letto e la sollevai verso di me. La sua testa cadde all’indietro come quella di una bambola. Con la mano sinistra la riportai verso di me in modo tale che non dovesse utilizzare i muscoli del collo. Quando incrociai il suo sguardo, mi apparve così diverso da quello che mi aveva osservato fino a pochi minuti fa. Era impaurita e confusa, logorata dal dubbio se la sua decisione fosse giusta o meno, se quello che prospettavo io non fosse tutto sommato la soluzione migliore. Non mi interessava cosa sarebbe diventata, l’importante era che rimanesse accanto a me.
“Jacob, ho tanta paura” singhiozzò.
La strinsi, dimenticandomi di tutto ciò che c’era intorno. Le sue deboli braccia si appoggiarono alla mia schiena tentando di ricambiare l’abbraccio, con esiti improbabili.
Potevamo essere felici ugualmente, anche se il cuore che batteva fosse stato solo uno e non più due. Se ce l’avevo quasi fatta con Rosalie, potevo a maggior ragione superare questo piccolo inconveniente con Bella.
“Mi amerai sempre e comunque?” domandò con palpabile ansia.
“Non dovrai mai dubitarne…”.
Tacque. A lungo. Tanto a lungo che se non avessi sentito il suo cuore mi sarei spaventato.
“Non lasciarmi, ti prego…” mormorò con la stessa intensità di un bambino bisognoso di affetto.
“No, amore, sono qui. Non ti preoccupare” la rassicurai.
Ma cosa diavolo stavo facendo? A che vita la stavo condannando? La mia Bella, ciò che avevo di più caro, volevo che si trasformasse in ciò che odiavo di più al mondo. Anche se io volevo che vivesse, non avevo diritto di arrogarmi delle sue scelte. Rosalie aveva ragione: stavo sbagliando. Ma cosa potevo fare? Che cos’altro mi restava, se perdevo lei? E quando fosse stata trasformata, avrei potuto abbracciarla ancora così? Per i primi anni sicuramente no. E dopo? Si sarebbe ricordata di me? Forse la trasformazione invece di unirci, ci avrebbe separato per sempre. La nostra storia poteva morire con l’ultimo battito del suo cuore? Avevo paura di sì, e anche Bella. Probabilmente era il suo timore maggiore. Ma dovevo correre questo rischio: il rischio di doverla cedere di nuovo a Edward. Pensai a quanto l’avevo aspettata e quanto amore le avessi riservato: il destino non poteva portarmela via di nuovo, come nemmeno quell’idiota con le sue belle maniere o un banale cambiamento di cromosomi, se così si poteva chiamare. Se avesse deciso di essere trasformata, avrei dovuto rinunciare a vedere i suoi splendidi occhi color cioccolato e accontentarmi di macchie purpuree, il fresco aroma della sua pelle avrebbe lasciato il passo a un puzzo nauseabondo, le sue guance che arrossivano per un non nulla sarebbero diventate terree. Tutto in cambio della vita o di un surrogato di essa.
Le sue lacrime mi bagnarono la maglietta: lo interpretai come un’invocazione di sostegno e di affetto. La strinsi un po’ più forte. Entrambi sapevamo che quello sarebbe stato il nostro ultimo abbraccio e nessuno dei due voleva abbandonare l’altro. Volevo sentire un’ultima volta il suo respiro caldo sul collo.
“Ti amo, non c’è niente che non farei per te…” sussurrò.
Quella frase mi fece trasalire e al tempo stesso respirare: aveva deciso. Deciso per il sì.
“Oh amore mio, sarò sempre al tuo fianco. Non ti abbandonerò mai, lo giuro” borbottai fra le lacrime.
Appoggiai il viso sulla sua spalla. Avevo uno strano presentimento, come se, nonostante sapessi che sarebbe vissuta ancora, stessi dando l’addio alla mia migliore amica e al mio unico amore. Non mi sarei staccato per nessun motivo al mondo, fino a quando non annusai un odore diverso, amaro, non disprezzabile, ma quasi metallico.
Odore di sangue e proveniva da lei.
Mi scostai per verificare se i miei sensi mi avevano tratto in inganno. E purtroppo non era così.
La ferita si era riaperta. Una vivida chiazza di sangue le stava bagnando la gola e si stava creando un varco attraverso la fasciatura. Il mio petto, in corrispondenza di dove si era appoggiata Bella, era punteggiato di venature rosse scure. La deposi sul letto in fretta ma con tutta la cura dovuta e mi alzai per andare a chiamare Edward. Il gracile tocco della sua mano mi fermò.
E come al solito, ci capimmo con uno sguardo.
Mi chinai e appoggiai le mie labbra sulle sue. Erano esangui e mortalmente riarse, come se l’avessero privata di acqua per giorni e giorni.
“Mi dispiace per il dolore che ti ho causato… Ti amo e per quel che vale ti amerò anche dopo” disse con un filo di voce.
Le sorrisi e le diedi un ultimo bacio sulla fronte.
Infine mi allontanai in gran fretta, sia perché avevo paura che morisse, sia perché avevo il terribile presentimento che mi sarei pentito di ciò di cui l’avevo convinta. Prima che io stesso cambiassi idea e la implorassi di ripensarci, dovevo andare da lui e dirgli che ora sarebbe stato costretto a mantenere la parola.
Quando aprii la porta, le lanciai un’ultima occhiata: aveva il più bel sorriso che le avessi mai visto. Ed era con quello che volevo ricordarla.
“Hai promesso, ricordalo” allargò la bocca in un sorriso serafico.
“Mantengo sempre le mie promesse, lo sai”.
Le sorrisi un’ultima volta e chiusi la porta alle mie spalle, con un sospiro soffocato. Avevo ottenuto ciò che avevo cercato ma non sapevo se ne ero felice. Avanzai nel corridoio e quando mi affacciai all’ingresso del salotto, non ci fu uno solo di loro che non mi fissò.
“Edward…” esclamai risoluto.
Mi guardò, poi abbassò il viso sconfitto; diametralmente quello di Alice si allargò in un sorriso che, se non fosse appartenuto a lei, avrei quasi definito amabile. Suo fratello si alzò stancamente e si diresse verso di me. Non era contento, anzi sembrava quasi pronto a sbattermi contro un muro. Un istante più tardi mi oltrepassò: aveva accettato la decisione di Bella e stava andando ad adempiere al suo compito. Lo afferrai per un braccio. “Sai cosa fare, vero?” ringhiai.
“Certo che lo so, cane!” rispose, alzando le labbra e mostrandomi i canini in un gesto tutt’altro che amichevole.
“Non farle male…”.
“Le trasformazioni non sono mai indolori. E ora lasciami, altrimenti morirà sul serio…” mi ordinò. Controvoglia ubbidii mentre lui spariva nel corridoio. Sentii la porta aprirsi e chiudersi.
“Sei stato bravo…” mi ringraziò la nanerottola. Era contenta e come poteva essere altrimenti? La mia Bella sarebbe diventata la sua migliore amica per l’eternità, oltre a una di loro. Che cosa fantastica! Stavo quasi per mettermi a ridere. Gliel’avevo ceduta, come un animale al mercato, e poco importava per quale nobile motivazione.
“Vedrai che starà bene…” tentò di rassicurarmi Carlisle.
“Quanto tempo ci vorrà…?”.
“Un paio di giorni”.
“Resterà incosciente per tutto questo tempo?” domandai smarrito.
Carlisle annuì. Sempre meglio! Cercai con lo sguardo un orologio e ne trovai uno a cuculo appeso nell’ingresso in cucina. Erano le nove. Due giorni. A questo punto cosa restavo a fare in quella casa? Dovevo aspettare quarant’otto ore prima di avere il responso e non mi sembrava proprio il caso di farlo lì, considerando che a un piccolo salto di nervi avrei ammazzato qualcuno per ripicca. Senza contare che c’era il problema Emmett, oltre a quell’altra vampira, quella dai capelli neri e la bocca esageratamente piccola che mi fissava come se aspettasse la distrazione di qualcuno per eliminarmi. Da quello che mi avevano detto doveva essere una delle zie di Desirèe. No, non era posto per me. Inoltre la mia famiglia doveva essere in pensiero, anche se Paul sicuramente aveva già rassicurato mia sorella e papà sull’esito della battaglia.
Senza dire una parola, avanzai verso il portone di casa.
“Dove stai andando?” mi bloccò il dottor Canino.
“Vado a casa. Sono un po’ stanco. E poi saranno tutti preoccupati. Vado a rassicurarli…”.
“Capisco” si limitò a proferire.
Non aggiunse altro e io feci altrettanto.
Mentre scesi le scale, mi resi conto che in realtà avevo solo paura di sentire Bella gridare o qualcos’altro di orribile. Non avevo idea di come avvenisse il procedimento. Sicuramente doveva morderla, però non sapevo cosa sarebbe accaduto dopo. Aveva parlato di trasformazione non indolore, quindi? Nei due giorni successivi avrebbe urlato, si sarebbe lamentata? No, non ero abbastanza forte per sopportarlo. Era meglio che me ne andassi e anche alla svelta. In fondo, mi doleva ammetterlo, ma era in buone mani. Se anche quell’idiota avesse sbagliato qualcosa, c’era Carlisle e di lui mi potevo fidare ad occhi chiusi.
Ai piedi della scala mi fermai un attimo per rifiatare e allontanare i cattivi pensieri. Sarebbe andato tutto bene…Questa era l’unica frase che mi imponevo di pensare. Feci qualche passo verso la foresta, quando udii il portone d’ingresso sbattere. Subito dopo un odore. Lo riconobbi. Sapevo a chi apparteneva e sapevo che era lì per me.
“Spero che tu ti renda conto dell’errore madornale che hai fatto…” iniziò con voce aspra.
“Dipende dai punti di vista…”.
“No. E’ un errore e basta”.
La sentii scendere: i suoi passi erano leggeri come una foglia che cade e porta con sé tempesta. Quando Rosalie mi si parò davanti, nel suo sguardo c’era solo rancore.
“Lei voleva essere umana e dovevi rispettare la sua volontà, non imporle la tua”.
“Lasciandola morire? Sei pazza da legare allora…”.
“Tu non capisci e non capirai mai, perché in fondo tu sei umano. Non è cambiato quasi niente per te da quando hai scoperto la tua natura, mentre lei rimpiangerà tutto quello che ha perso e ti odierà perché sei stato tu a convincerla”.
“Non mi odierà” ribattei sicuro. “Mi ama e quando capirà che vita avremo insieme, allora sarà felice”.
“Ammesso che si ricordi di te” ridacchiò.
Avrei voluto torcerle il collo. Tuttavia ero esausto e non avevo alcuna intenzione di litigare con lei, perciò mi limitai a rispondere lo stretto indispensabile.
“Allora sarà un problema solo mio e vuol dire che passerò le giornate a rimpiangerla. Contenta?”.
“Beh, te la sarai cercata e tutto sommato ti starà anche bene”.
“Perfetto” sibilai, furibondo. “Adesso che ho avuto la lezione, altezza, me ne torno a casa. I miei ossequi”.
La oltrepassai di qualche metro, poi mi fermai. No, non potevo lasciargliela vinta. Non accettavo rimproveri da parte sua, da una che a suo tempo si era comportata come me e non mi risultava che se ne fosse mai pentita. Non persi tempo a rinfacciarglielo.
“Comunque, prima di parlare, faresti meglio a riflettere sulle tue azioni…” commentai sprezzante.
“Cosa vuol dire?”.
“Mi risulta che per salvare Emmett dall’orso, l’hai fatto trasformare in vampiro. Non sei stata troppo a pensare che lui avrebbe sofferto la perdita della mortalità, o sbaglio?”.
Tacque. Avevo colto nel segno e le avevo fatto male, esattamente come lei ne aveva fatto a me. E la cosa mi divertiva, anche se non avrebbe dovuto.
“Hai ragione. Dovrei pensare ai fatti miei, ma mi dispiace perché la sua sofferenza si riverserà su di te. In ogni caso, ormai è troppo tardi. La trasformazione è iniziata” sussurrò e la sua voce parve provenire da molto lontano, come un eco da un posto nascosto.
In quel momento sentii un groppo in gola. Ogni rimpianto era inutile, non si poteva più tornare indietro. Rimasi imbambolato mentre Rosalie indirizzò i suoi passi verso casa.
“Rose!” la chiamai.
“Ti terrò informato, stanne certo” rispose senza voltarsi.
La vidi rientrare in casa. Aguzzai l’udito: non c’era più alcuna traccia del battito di un cuore. Aveva definitivamente cessato di vivere e ora sarebbe sorta una nuova luna.
Mi voltai di scatto e mi allontanai il più velocemente possibile. Volevo solo tornare a casa e fare finta che non fosse successo niente, che la mia vita avrebbe ripreso a scorrere, che Bella il giorno dopo mi avrebbe chiamato per ricordarmi che mi amava e che saremmo stati insieme per sempre. Niente di più. Ma più ci pensavo, più presagivo che ogni mia fantasia non si sarebbe realizzata.
Quando arrivai, entrai con l’impeto di un toro e sbattei la porta. Bofonchiai un saluto incomprensibile e dal salotto sbucò Rachel, che mi fissò come fossi un fantasma. “Jake” balbettò con voce stridula.
“Sono a casa” mi sforzai di sorridere.
A quel punto comparve anche mio padre, spingendosi sulla carrozzina. Aveva una profonda ruga sulla fronte e la bocca contratta da una smorfia. Sembrava fosse invecchiato di dieci anni in poche ore. Rachel mi corse incontro e mi abbracciò, sfogandosi in un pianto liberatorio. La strinsi senza dirle niente, mentre fissavo papà: non ci eravamo mai abbracciati. Bastava uno sguardo per comunicarci affetto.
“Jake, stai bene? Tutto ok? E’ venuto Paul e ci ha raccontato che hai combattuto contro Edward Cullen, è così? Perché?” domandò mia sorella come un fiume in piena, senza darsi tempo di respirare.
“Niente, lascia perdere…”.
“I Volturi? Li avete sconfitti… Mi ha detto che stavi per morire e che Bella…” si bloccò, singhiozzando a più riprese.
Tacqui fino a che Rachel non riuscì a fermare le lacrime:“Bella è…?”.
“No” scossi la testa con decisione. “Sta bene. Ce la farà”.
“Davvero?” si illuminò e giunse le mani in preghiera, alzando gli occhi al cielo. Sapevo che quando faceva così non stava ringraziando Dio, ma la mamma. Era convinta che da lassù vegliasse su di noi e ci proteggesse. Forse non aveva tutti i torti, ma avrei preferito che avesse protetto Bella e non me.
“Come sta?” interloquì papà. “Paul ci ha detto che si è tagliata la gola. Come hanno fatto a guarirla?”.
“Il taglio non era così profondo. Tutta apparenza” mentii. Sapevo che se avessi detto a Billy come erano andate le cose non me lo avrebbe perdonato. Sia perché avevo messo in pericolo la vita della figlia del suo migliore amico, sia perché avevo causato indirettamente la trasformazione in vampiro di un essere umano.
“E adesso dov’è?” insistette Rachel.
“A casa dei Cullen” tagliai corto e mi diressi verso la scala che portava al piano superiore.
“Perché non all’ospedale?”.
“Come avremmo potuto spiegare che non si voleva suicidare? E soprattutto cosa avremmo detto a Charlie?” commentai sardonico.
“Avrà una grossa cicatrice ugualmente…”.
“Non lo so e non mi interessa. Vado a dormire. Sono esausto…” la rimbeccai.
Ero stanco e non ce la facevo più. Le mie energie, sia fisiche che mentali, erano allo stremo. Una volta in camera, mi buttai sul letto e lì rimasi. Era giovedì, avrei dovuto andare a scuola, ma ormai era tardi ed era fuori questione che vi avrei messo piede. Chiusi gli occhi e sprofondai in un sonno privo di sogni.  


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Capitolo 62
*** Mai più mia ***


Dormii ininterrottamente per dodici ore. Quando mi svegliai, Rachel e papà avevano già cenato, ma mia sorella provvide subito a servirmi la mia parte che aveva tenuto nel forno, al caldo.
“Ha chiamato Sam due ore fa” iniziò titubante. “Ha chiesto se puoi andare da lui stasera. Credo che ci sia una riunione. So che Paul ci va…”.
Sbuffai. L’ultima cosa di cui avevo voglia era andare a rifugiarmi in quelle quattro mura, circondato da persone che mi avrebbero fatto il terzo grado. Persone che un tempo avrei definito amici, ma che i fatti recenti avevano allontanato. Ormai soltanto Sam era dalla mia parte, o perlomeno, diciamo che mi sopportava, in virtù del fatto che io ero il suo vice e quindi non poteva tagliarmi fuori. Ma quando avrebbe saputo cosa avevo fatto a Bella, allora sì, mi avrebbe sbattuto definitivamente fuori dal branco. E visti i grandi risultati che ottenevo, forse era meglio così.
Finito di mangiare, mi vestii alla buona e mi incamminai senza fretta verso la casa di Sam, che comparve troppo presto all’orizzonte. Ovviamente fui l’ultimo a fare il mio ingresso trionfale. Erano più o meno tutti seduti, chi sul divano, chi sulle sedie che attorniavano il tavolo in salotto. Soltanto Emily era in piedi e stava distribuendo caffè fumanti. Quando mi vide entrare, fu l’unica a corrermi incontro e ad abbracciarmi.
“Sono stata così in pena, Jake!” esclamò emozionata. “Temevo che fosse successo qualcosa”.
“Sto bene, grazie”.
Aveva gli occhi lucidi, mentre le labbra abbozzarono un leggero sorriso che resero la cicatrice sul lato destro del suo viso molto simile a un ammasso di rughe lisce e brillanti.
Nonostante quell’indelebile sfregio, riusciva ugualmente a essere affascinante e a risplendere come un diamante grezzo. Emily era una delle persone migliori che avevo avuto la fortuna di conoscere e Sam aveva vinto la lotteria ad avere lei come suo imprinting. Altro che Leah! Già, proprio la cugina era seduta sul divano e curiosamente non mi dava le spalle, come al solito.
Notai che tutte la sedie erano già state occupate e che ci sarebbe stato posto solo fra Leah e Jared. Piuttosto che sedermi lì, era meglio stare in piedi, tanto più che non avevo alcuna intenzione di trattenermi a lungo. Mi appoggiai a una delle pareti, a braccia conserte, aspettando che Sam prendesse la parola. Era il capo a cominciare.
“Ragazzi, vi ho chiamato perché volevo congratularmi con voi per l’ennesima vittoria e soprattutto per il fatto che siamo tornati a casa sani e salvi tutti quanti. Questa è la cosa più importante, per me” sancì con lo stesso tono solenne e austero di un generale che fa il suo discorso alle truppe. “Poi volevo parlarvi di altre due questioni. La prima riguarda te” disse, fissando Leah.
Tutti si voltarono verso di lei, come se fossimo a scuola e aspettassimo di vedere l’alunno discolo messo alla gogna in pubblico. Lo sguardo di Sam non lasciava spazio a equivoci: era alterato. Ogni volta che si trattava di Leah, tentava di chiudere un occhio oppure la rimproverava da solo per non metterla in imbarazzo davanti a noi, ma ora, anche per lui, aveva passato il segno.
“Spero che tu abbia capito il grave pericolo in cui hai messo Jacob con il tuo comportamento. Non dovevi rispondere in quella maniera alla chiamata di Bella. Nostro preciso dovere era andare dai Cullen, sia perché un tuo compagno era in pericolo, sia perché un essere umano rischiava la vita. Certe cose nel branco non sono tollerate. I disaccordi personali passano in secondo piano. Se tu e Jake non andate d’accordo, non è un problema che riguarda noi, e quando si tratta di affrontare i vampiri, i vostri rancori non devono influenzare le nostre azioni. Siamo intesi?” la redarguì severamente.
“Siamo a due pesi e due misure, come al solito” sbuffò Leah. “Tante belle parole sull’unità del gruppo, però non ricordo che per Seth sia stato usato lo stesso metodo. Avete abbandonato lui e Desirèe al loro destino e sappiamo che fine hanno fatto…”.
“Seth era un’altra questione. Il suo comportamento era legato solo ed esclusivamente a Desirèe. Non potevo mettere in pericolo il branco per il suo interesse personale. Mi sembra di essere stato coerente in questo”.
“Certo, però anche Jacob l’ha fatto. Lo sappiamo bene tutti quanti…”.
“Alt!” esclamò Sam in tono perentorio. “Questa discussione è stata già affrontata e anche superata. E’ stato il gesto sconsiderato di Seth a tirarci nella mischia. E in tutto quello che ne è seguito, Jake non c’entra più di te. Senza dimenticare che c’era anche un essere umano coinvolto. Non potevamo lasciare Bella in loro balia. Il nostro compito è…”.
“Difendere gli esseri umani, certo!” cantilenò Leah, come se conoscesse il motivetto alla perfezione.
“Non ho alcuna intenzione di discuterne oltre. Hai capito o no quello che ho detto? Sappi che non tollererò più comportamenti come quello che hai tenuto stamattina. Un’altra ripicca del genere e verrai punita. Intesi?” ringhiò, visibilmente spazientito.
Leah dapprima soffiò, indispettita, poi annuì meccanicamente, come se qualcuno dall’alto le avesse spinto la testa con la forza. Non era pentita, lo sapevo, e lo sapeva anche Sam, ma questa era l’unica punizione che poteva colpire l’orgoglio di Leah più di mille sberle: l’umiliazione davanti a tutti.
“E ora affrontiamo il secondo punto che mi sta molto più a cuore” continuò, nascondendo un lieve turbamento. Stavolta si diresse a me. “Abbiamo sentito tutti quello che è successo, tramite i tuoi pensieri. Intendo dire fra te e il figlio di Carlisle. Sia perché avete litigato, sia cosa è successo dopo, e il ruolo di Bella in tutto questo. Dunque: a me non interessa sapere come siete arrivati a questo punto e le motivazioni che hanno spinto Bella a cambiare opinione sulla sua scelta, voglio soltanto sapere come sta. Abbiamo visto la ferita sul collo. E’…” e si bloccò.
Deglutii pesantemente mentre gli occhi di tutti erano posati su di me. Non sapevo cosa dire e soprattutto come dirlo.
“Sono passato da Rachel oggi pomeriggio, mentre tu dormivi” intervenne Paul. “E lei mi ha detto che Bella guarirà. Come può essere? Era ferita gravemente…”.
Sam fissò Paul, trasecolato. Non era quello che pensava di sentire, anche se appariva sollevato.
“Guarirà…” ribadii.
“Come? Aveva la gola squarciata! E poi anche se fosse, cosa racconterà a Charlie? Che stava giocando con i coltelli?”.
Abbassai le palpebre, sconfitto. Prima o poi glielo avrei dovuto dire e se non di mia volontà, una volta lupi, l’avrebbero scoperto ugualmente. Non avevo paura del loro giudizio: avevo affrontato di peggio. Desideravo soltanto non pensarci.
“L’ho fatta trasformare” mormorai.
“Cosa hai fatto?!” gridò Brady, alzandosi di scatto e facendo cadere la sedia. Embry si alzò parimenti e lo afferrò per un braccio. Brady era quello che si controllava meno fra tutti e che, insieme a Leah, odiava i vampiri più di qualsiasi cosa al mondo. Sembrava volermi uccidere e soltanto la pronta reazione di Embry parve fermarlo.
“Spiegaci” disse Sam, dopo aver lanciato uno sguardo severo a Brady.
“Non c’è molto da spiegare. Stava morendo. Ho dovuto fare una scelta e ho scelto così…”.
“Hai deciso tu per lei?” domandò incredula Emily.
“No. Era cosciente. Le ho parlato e l’ho convinta. Al resto hanno pensato i Cullen”.
“Ma adesso come sta?” insistette Emily, più preoccupata della sua salute che del nuovo essere che sarebbe diventata.
“Non ne ho idea. Mi hanno detto che il procedimento richiede circa due giorni. Mi faranno sapere appena terminato…”.
Un silenzio inquietante scese fra di noi. Tutti abbassarono lo sguardo, impietriti. Anche l’irruenza di Brady venne meno e si lasciò cadere come un macigno. A giudicare dallo sguardo di Sam, la sua mente era persa in labirinti senza fine, imprigionata da mille ragionamenti e altrettante conseguenze. Emily si avvicinò e mi abbracciò, sussurrando:“Non so se hai fatto bene, ma l’amore va al di là di questo. E se hai deciso così, hai tutto il mio appoggio”.
“Grazie, Emy…” e la strinsi. Sam non era geloso del rapporto che ciascuno aveva instaurato con lei e io mi trovavo a mio agio: anche se il suo carattere era diametralmente opposto, risvegliava in me le stesse sensazioni che avevo provato con Rebecca. Era diventata una sorta di sorella maggiore. Mi capiva senza giudicare, cosa che con Rachel era assolutamente impossibile.
“Beh, tutto a posto allora. Non ci saranno problemi, in fondo sappiamo che Jacob ha un debole per le sanguisughe!” ironizzò Leah, che dovette ringraziare che ero fra le braccia di sua cugina, perché altrimenti mi sarei trasformato e l’avrei dilaniata. Non sopportavo quando faceva così, quando tirava fuori sempre lo stesso argomento e soltanto per farmi infuriare.
“Spero che tu sappia a quali conseguenze vai incontro. Non sarà facile…” disse Sam, con profondo rammarico. Mi aspettavo che si sarebbe infuriato per ciò che avevo deciso, per aver rinnegato tutti i valori del branco con la mia scelta, invece non fu così.
“Lo so…” ammisi.
“Cosa pensate di dire a Charlie? Come potrete spiegare l’assenza prolungata di Bella?” domandò, ritrovando il solito pragmatismo.
“Non ne ho idea. Spero che i Cullen si inventino qualcosa di credibile, anche se non so cosa…”.
“Va bene” sospirò. “Intanto vediamo se la trasformazione funziona, poi penseremo al resto…”.
La conversazione proseguì su altri binari che implicavano il resoconto del combattimento con le nostre impressioni e gli eventuali piani futuri. Fondamentalmente niente di che e io non partecipai mai attivamente alla discussione. Mi limitavo a rispondere se interpellato, ma questo accadde di rado. Gli altri avevano capito che non avevo le forze per discutere quando la mia mente era persa nel pensiero di Bella e di quello che le stava accadendo. Ciò che Sam aveva velatamente fatto intendere, e cioè che qualcosa potesse andare storto, mi stava angosciando. Non sapevo se, nella storia dei vampiri, ci fossero mai state delle trasformazioni non andate a buon fine, ma volevo credere che questa non sarebbe stata in quell’elenco.
Dopo un’ora di futili chiacchiere, diedi la buonanotte e tornai a casa.
Dei due giorni che seguirono ebbi solo ricordi confusi. Andai a scuola, finii di rimontare la mia moto, mangiai e qualcos’altro a cui non feci caso. L’unica cosa che ricordo fu la lenta agonia, come se a ogni minuto che passava mi staccassero un brandello di carne. Il non sapere cosa stava accadendo era terribile: se era viva, se mi amava ancora, se sarebbe potuto tornare tutto come prima. Quelli del branco non si erano fatti più sentire. Vedevo soltanto Paul perché al mio ritorno da scuola lo ritrovavo sempre in casa ad amoreggiare con Rachel. Non sapevo se lui gliene avesse parlato. Io no. E non l’avevo detto nemmeno a papà. Loro non mi chiedevano niente. Sembrava che l’argomento Bella non dovesse essere affrontato per un tacito accordo.
Era domenica pomeriggio e stavo facendo colazione, dopo aver trascorso l’intera nottata fuori a dare sfogo alla mia rabbia, correndo per i boschi, col risultato che, una volta rientrato, mi ero svegliato soltanto alle tre. Erano passati tre giorni senza che avessi notizie.
Rachel rientrò in casa con alcune forbici da giardino: le piaceva curare le piante, esattamente come alla mamma.
“Ben sveglio! Era ora!” mi salutò quasi accigliata.
Non amava la mia vita notturna che non esitava a definire strampalata e sregolata. Ma lei, che era soltanto un essere umano, non poteva capire. Accidenti, ma perché mio padre aveva passato i geni da licantropo solo a me!!
“Ah Jake, stamattina, mentre dormivi, ha chiamato Rosalie…” commentò distrattamente, mentre puliva le lame delle tenaglie.
“Davvero?” balbettai, abbassando la tazza di caffè.
“Sì. Ha detto di riferirti che è andato tutto bene e che non ci sono stati  problemi”.
Ripresi a respirare. Allora Bella era viva.
“Non ti ha detto altro?” chiesi.
Fece cenno di no con una smorfia.
L’iniziale felicità lasciò il posto allo sconcerto più disarmante. Perché Rosalie non aveva detto altro? Quando avrei potuto vederla?
Senza riflettere, corsi al telefono e composi il numero dei Cullen.
Dopo due trilli, mi rispose una voce maschile che identificai appartenere al compagno pazzo della nanerottola, Jasper.
“Pronto, sono Jake”.
“Ah ciao! Come stai?” rispose con finta cordialità. Era irritante constatare quanto si sforzassero, senza motivo, di essere educati con noi.
“Posso parlare con Rosalie?” tagliai corto.
“Te la chiamo” rispose tranquillo, per nulla indispettito. Non sentii più niente fino a quando una voce fredda e seccata mi salutò dall’altro capo dell’apparecchio.
“Ciao” disse Rosalie.
“Ciao. Ho ricevuto il tuo messaggio”.
“Ok. E allora?”.
“Quando posso venire a trovarla?” esitai.
“Adesso non è il proprio il caso. E’ molto sensibile al cuore umano, ai battiti e soprattutto all’odore del sangue. E come tu ben sai i Neonati sono molto più forti dei vampiri normali. Se decidesse di attaccarti non so se riusciremmo a trattenerla…” mi spiegò da professorina indispettita per la domanda ovvia.
“Capisco…” dissi rassegnato.
Adesso sarebbe cominciato il secondo periodo ben più lungo e travagliato del precedente. Ma avevo un dubbio che mi aleggiava nel cervello e dovevo assolutamente appagarlo, se non volevo impazzire nell’attesa.
“Si ricorda di me?” balbettai.
“Certo” rispose senza alcuna esitazione. “Si ricorda di tutti quanti”.
Tirai un sospiro di sollievo. Con questa certezza avrei potuto affrontare qualsiasi cosa.
“Avvisami quando potrò venire” ribadii.
“Ok. Aspetta una mia chiamata. Non venire di tua iniziativa, chiaro?”.
“Va bene” e riappesi, senza prestare attenzione alle sue raccomandazioni.
Mi sedetti sulla sedia nei pressi dell’apparecchio, visibilmente turbato, tentando di fare il punto della situazione.
La mia Bella era salva e la trasformazione era avvenuta con successo, ma ora sarebbe iniziato il periodo in cui non avrei potuto vederla se non a rischio della vita. Sbuffai: come se mi importasse qualcosa… Ero sollevato ma anche combattuto. Era viva, se così si poteva definire, ma in cosa l’avevo trasformata? Non riuscire a vedermi perché accecata dalla bramosia di sangue. Se Rosalie aveva detto la verità, allora significava che la fame sopraffaceva qualsiasi sentimento di affetto o amore. Perdere completamente la ragione solo in virtù di un buon pasto. Come poteva essere? Io, pur odiando a morte i vampiri, non le avrei mai fatto del male. Mai e poi mai. Era diventata una sanguinaria. E quando anche l’avessi vista, l’avrei riconosciuta? Era rimasta, a dispetto di tutto, la Bella che amavo? Forse no. Forse Rose aveva ragione a dirmi che avevo commesso un errore.
“Jake, tutto bene?” mi domandò Rachel, appoggiandomi la mano sulla spalla.
Esitai. Non andava bene niente ma scaricare le mie tensioni su di lei sarebbe stato inutile.
“Sì” risposi infastidito.
Mi alzai e mi diressi verso le scale. Avevo bisogno di una doccia fredda. Fu allora che Rachel mi afferrò per un braccio. “Jake, sono preoccupata da morire. Che cosa succede?” balbettò tremante.
“Non ti devi preoccupare, è tutto sotto controllo” abbozzai ma non lasciò la presa.
“Paul non mi ha voluto dire niente, ma è per Bella, vero? Le è successo qualcosa… Non è guarita?”.
Soffocai un singulto e la fissai. Era mia sorella e avrei dovuto dirle come stavano le cose, ma non mi avrebbe capito. Esattamente come tutti gli altri. Se solo ci fosse stata Rebecca…
“Se ci fosse Rebecca, parleresti con lei” mi lesse nel pensiero. “So che non avremo mai il rapporto che vi lega, ma anch’io ti voglio bene e voglio che tu sia felice”.
“E’ tutto troppo complicato, Rachel…” tentennai.
“Allora rendiamolo più semplice insieme” mi sorrise.
Sospirai forte. Rebecca non era qui. Era alle Hawaii con suo marito ormai da quattro anni. Non sapeva nemmeno che ero un licantropo, era stata tenuta all’oscuro di tutto per non farla preoccupare: a distanza di così tanto tempo e così tanti accadimenti, mi avrebbe capito ugualmente? Mi sarebbe stata di aiuto? Non potevo avere risposta a questa domanda perché Becky era a migliaia di chilometri da me. Invece Rachel era qui. Il nostro rapporto non era mai stato un modello di perfezione, come nemmeno lo era stato quello fra Leah e Seth, anche se, nonostante i litigi e le ripicche, loro due si erano sempre voluti bene. Invece Rachel ed io… Non lo sapevo. Non volevo che le succedesse niente di male, ma non sapevo quanto questo affetto fosse profondo. Sapevo soltanto che perfino l’ultimo giorno prima che partisse per Denver avevamo litigato, tanto che non ero neanche andato all’aeroporto a salutarla. Ma allora avevo solo quattordici anni e per di più, ero molto arrabbiato perché anche lei mi lasciava, dopo Rebecca. Adesso era tornata, era più grande, anche io ero più grande. Forse potevamo capirci…
“Ho fatto una cosa orribile…” affermai.
“Se ti conosco bene, è impossibile…”.
Mi sedetti sui gradini della scala, imitato poco dopo da mia sorella. Le raccontai tutto ciò che le avevo tenuto nascosto e lo sfogo fu terapeutico. Mi lasciò parlare senza interrompermi mai. Il suo sguardo era attento e non tradiva alcun sentimento, né di compatimento, né di stupore o rabbia. Era semplicemente un’ascoltatrice ed era l’atteggiamento che speravo. Non volevo qualcuno che mi attaccasse oppure che lasciasse trapelare il suo disappunto. Avevo soltanto bisogno di parlare.
“Quindi lei è una di loro adesso…” affermò infine.
Annuii e in quel momento spuntò la sorella che non avevo mai conosciuto.
“E’ vero, hai fatto una cosa orribile, ma soltanto per te stesso, non per lei. Ci vuole del fegato per rinunciare a tutto come hai fatto tu… La tua è stata una grande dimostrazione di amore…”.
“Credo invece di avere peccato di egoismo. Se fossi stato più forte, l’avrei lasciata andare…” mi rammaricai.
“No, hai fatto ciò che avrebbe fatto qualsiasi innamorato al tuo posto: non lasciarla morire a qualsiasi costo…”.
“Già, peccato che l’ho trasformato nell’essere più orrendo che esista su questa terra…”.
“Non avevi scelta. L’importante è che lei si ricordi di te e che possiate ripartire da dove avete interrotto”.
“Credi che potrà andare davvero così?”.
“Certo. Dovrai solo avere pazienza. Se ti ama anche solo la metà di quanto la ami tu, ha delle ottime motivazioni per abbreviare i suoi tempi di recupero. Aspetta e vedrai che tutto si sistemerà…”.
“Avevi detto che non potevo avere una compagna vampira!!!” ridacchiai, ripensando alle sue ramanzine.
“Sì, ma per Bella potrei fare un’eccezione!” sogghignò compiaciuta. “Certo che se penso a tutta quella sceneggiata che avete messo in piedi per fregare me, e di conseguenza la sanguisuga, è a dir poco esilarante. Sei un bravo attore…”.
“Lo so…” ammisi e quella mezz’ora di chiacchiere con Rachel mi rasserenò più della telefonata di Rosalie.
“Piuttosto, mi aiuti tu a dirlo a papà?” domandai speranzoso. “Non credo che sarà così accondiscendente… Quando saprà che ho avvallato una trasformazione, mi ripudierà!”.
“Non ti preoccupare, ci penso io!” disse, illuminandosi in un bellissimo sorriso. In quel momento mi ricordò la mamma. “Prima gli preparo una buona cenetta, poi tra un bicchiere e l’altro di vino gli snoccioli la verità e vedrai che incasserà il colpo alla perfezione. Piuttosto, con Charlie? Cosa pensate di fare? Non potrà vedere nemmeno lui e come pensano di tenerlo lontano per due anni?!”.
“Non ho idee in proposito, ma credo che forse sarebbe meglio dire la verità, anche se fargli entrare in testa che licantropi e vampiri esistono veramente sarà quasi impossibile…” dissi, scrollando le spalle.
Rachel si alzò da terra e sistemandosi i calzoni che le si erano raggomitolati attorno alle gambe, sentenziò:“Non è un problema tuo. E’ Bella che deve spiegare, quindi non farti carico dei suoi problemi, capito? Altrimenti non ti aiuto più con papà!”.
Mi sfuggì una risata accondiscendente. Per una volta aveva ragione e, pur essendo parte in causa, non avevo nessuna voglia di sobbarcarmi anche questo pensiero. Avrei lasciato questa gatta da pelare ai Cullen, visto che loro erano così bravi a trovare una soluzione per tutto.
E grazie alla chiacchierata con Rachel, quel giorno trascorse più sereno di quanto avessi osato immaginare. Ma furono soltanto poche ore di tregua. Dall’alba successiva si impadronì di me un altro tipo di sensazione: il desiderio di incontrarla. Desiderio dettato sia dalla voglia di riabbracciarla, anche se non avrei potuto soddisfarla per diverso tempo, sia dalla curiosità di vedere se era cambiato qualcosa del suo aspetto fisico. Ma quello che continuavo a chiedermi era: se si ricorda di me e mi ama, come può la bramosia di sangue annullare l’amore? Non era concepibile. Quando mi ero trasformato la prima volta, gli altri avevano tentato di tenermi lontano da lei, per paura che non fossi in grado di controllarmi e le facessi accidentalmente del male, mentre invece alla fine si era trattato solo di paure. Non poteva essere così anche in questo caso?
I giorni si succedettero anonimi e malinconici, mentre la voglia di vederla mi consumava. Una sera Rachel mise in atto il suo piano e, dopo parecchi bicchieri di vino, ebbi il coraggio di confessare a papà cosa era successo a Bella. Il risultato furono alcune grida di disappunto e sconforto. Come previsto, non l’aveva presa molto bene. Rachel si intromise, tentando di fargli capire il mio punto di vista e che comunque il gioco valeva la candela; Billy non era dello stesso avviso.
“E se dovesse assalire qualcuno? Avete pensato a questo? Il branco ha il compito di difendere gli esseri umani prima di tutto, quindi se dovesse uccidere delle persone, compito tuo e di Sam sarebbe di eliminare il pericolo. Te ne rendi conto o no? Secondo te, perché non volevo che avessi una relazione con la bionda? Semplicemente per crudeltà? Loro non sono esseri normali, sono vampiri e come tali pericolosi. Se fosse per me, anche i Cullen stessi andrebbero eliminati!”.
“Papà, i Cullen sono innocui…” commentò Rachel, esasperata dalla sua testardaggine.
“E da quando? Tu sei una ragazza con la testa piena di sogni e romanzi rosa. Non sai come va la vita reale. E tu” ribadì indicando me “un tempo eri del mio stesso avviso. Invece adesso soltanto perché la tua ragazza fa parte della loro congrega, credi nel miracolo?  Beh, io no”.
Non ebbi il tempo di replicare mentre Rachel, da sempre combattiva, obbiettò al mio posto:“Bella è una brava ragazza e sono sicura che anche trasformata non farà mai del male a nessuno”.
“La trasformazione la cambierà e non soltanto fisicamente. Il desiderio del sangue prevarrà su tutto, anche sui vostri sentimenti”.
“Non è vero” gridai, ritrovando vigore. “Lei mi ama e andrà tutto per il meglio…”.
“Ti illudi, figliolo…” disse, scuotendo la testa.
Scese un silenzio denso di angoscia. Mi rifiutavo di credere che quello che dicesse fosse vero: in fondo mio padre non aveva nessuna esperienza di persone conosciute e poi trasformate in vampiro. Possedeva i geni da licantropo che mi aveva trasmesso, ma di fatto non si era mai trasformato, quindi non poteva venire a fare la predica su argomenti che lui stesso non aveva mai verificato sul campo.
“Sam cosa ne pensa?” mi domandò con gelida supponenza.
“Niente di particolare. Non si congratula ma non me ne fa neanche una colpa. Capisce cosa mi ha spinto, al contrario di te”.
“Anch’io lo capisco, ma non posso darti il mio appoggio. Voglio bene a Bella e il fatto che lei avesse deciso di stare con te sarebbe stato fonte di grande soddisfazione, ma non adesso. Finirai per soffrire perché le vostre opposte nature prima o poi vi si ritorceranno contro. In realtà, trasformandola, tu l’hai soltanto servita su un piatto d’argento a Cullen…”.
Strinsi la mandibola tanto forte da far scricchiolare i denti. Mi alzai di scatto da tavola, buttando il tovagliolo sul piatto ancora pieno e mi avviai alla porta.
“Charlie mi ha riferito che i Cullen lo hanno contattato per dirgli che Bella si è presa la scarlattina e che la tengono a casa loro per controllare il decorso della malattia. E’ una scusa che a questo punto non reggerà ancora a lungo. Come pensate di gestire la cosa? Charlie si sta innervosendo perché non vogliono che vada a trovarla…”.
“Non è un problema mio…”.
“Oh sì che lo è, visto che l’idea della trasformazione è stata tua. Come pensi di spiegare a Charlie che non potrà più vedere sua figlia per anni e che quando la rivedrà sarà profondamente diversa, pur essendo rimasta uguale?” domandò sdegnato.
“Gli diremo la verità”.
“Quale verità? Che sua figlia si ciberà di sangue per il resto della vita?”.
“Sì” sbottai, tornando verso di lui e sovrastandolo come un’ombra minacciosa. “E che i Cullen sono sanguisughe come lei e, perché no? Che il suo migliore amico e suo figlio appartengono a una stirpe di licantropi, che, se perdono il controllo, rischiano di ammazzare la gente. Forse non ci rivolgerà mai più la parola, ma almeno non ci saranno sotterfugi…”.
“Il segreto deve restare tale. Non puoi sbandierare la nostra discendenza ai quattro venti. Senza contare che rivelando l’esistenza dei vampiri metteresti in pericolo anche la sua vita…” ringhiò, furibondo.
“Me ne frego di tutti i vostri segreti del cavolo. Se lui verrà a chiederlo a me, gli dirò come stanno le cose!” conclusi, poi a passi pesanti uscii di casa.
Sapevo che avevo gestito malissimo l’intera faccenda, senza che mio padre rimarcasse l’errore. Sapevo anche che non avrebbe capito, eppure non mi pentivo della mia scelta. Bella stava bene, a pochi chilometri da me e, se avessi voluto, avrei almeno sentito la sua voce. Questo era ciò che contava. Poi perché pensare al peggio? Rosalie non era cattiva, anzi; perché Bella avrebbe dovuto diventarlo? Certo, temevo un cambiamento di carattere, ma magari, sarebbe stato soltanto marginale. E in fondo sentire battere il cuore era una sensazione estremamente sopravvalutata: non era così importante. Con Rose non era contato, e a maggior ragione con Bella. Al diavolo papà e tutte le sue idee antiquate! Nessuno ci avrebbe diviso, né le nostre nature, né i Cullen, né il branco.
I pomeriggi passarono e ormai mancava poco a Natale. Ogni giorno tornavo a casa da scuola sperando che Rosalie avesse chiamato, ma ogni volta restavo deluso. Rispondevo a ogni telefonata, ma si trattava di amiche di Rachel o di Emily che chiedeva notizie che neanche io sapevo fornire. Ero avvilito e depresso. La sognavo tutte le notti e ad ogni alba mi dicevo che quella sarebbe stata l’ultima senza di lei. Ma le mie aspettative venivano costantemente deluse. Non ce la facevo più. E un altro pensiero mi aveva ipnotizzato: stavano tentando di tenerla lontana? Magari volevano staccarla da me e farla ritornare fra le braccia di Edward. Tutta la sua famiglia avrebbe voluto Bella come componente stabile e non certo come un cagnolino da svezzare e cedere a un licantropo.
Questa convinzione fu la molla che mi spinse ad andare dai Cullen, senza avvisarli, e coglierli di sorpresa. In questo modo non avrebbero potuto proibirmi di vederla e sicuramente anche lei non aspettava altro. Volevo vederla, anche solo per un istante e pazienza se avrebbe tentato di uccidermi. Tanto in questo stato non ce l’avrei fatta ancora per molto.
Una volta davanti alla casa, respirai a pieni polmoni e fu già in quel momento che avvertii una scia diversa da quelle ormai familiari degli altri. La mia Bells era lì, a pochi passi…
Suonai il campanello, trattenendomi dal fare irruzione. La porta si aprì pochi istanti dopo e mi trovai di fronte la nanerottola. “Ciao Jacob” salutò con un sorriso forzato. Non me ne occupai e entrai in casa, senza rispondere.
“Fai pure come se fossi a casa tua…” commentò ironica, chiudendo la porta. Mi guardai attorno cercando Bella con lo sguardo, ma trovai soltanto le due sorelle di Tanya sedute sul divano intente a darsi lo smalto. Certe cose non cambiano mai! E tutto sommato non era neanche un presagio funesto.
“Cosa vuoi cane?” domandò Emmett sbucando dalla veranda.
“Sto cercando Bella” risposi seccamente.
“Non c’è. Lei ed Edward sono a caccia e non rientreranno prima di sera…”.
Cazzo! Lì per lì non reagii. E se fosse stata una scusa per non farmela vedere? Se invece l’avessero tenuta nascosta in qualche angolo della casa? No, i suoi sensi dovevano aver già avvertito la mia presenza e lei era forte adesso: non si sarebbe lasciata manovrare. Probabilmente Emmett non mentiva. Quindi? Che potevo fare? Non avevo alcuna intenzione di andarmene senza averla vista, anche solo un attimo. Potevo rimanere lì: prima o poi sarebbe ritornata, no?
“E’ meglio che tu te ne vada…” mi invitò Jasper, comparso al fianco della sua compagna, cingendole la vita con un braccio.
“E se non volessi farlo?” domandai, trattenendo una risatina perversa.
“Spero che tu non lo faccia, così sarò costretto a metterti alla porta con le cattive…” disse Emmett, avvicinandosi minaccioso. Se quello scimmione credeva di farmi paura, sbagliava di grosso.
“Emmett, calmati” disse Jasper con tono gelido, non togliendomi quei suoi inquietanti occhi di dosso. Guardandolo, mi ero spesso chiesto che cosa ci avesse trovato la nanerottola in lui. Lei aveva un viso carino, quasi dolce, al contrario del suo compagno che sembrava un serial killer. Il classico vampiro…
“Vattene, randagio, prima che la mia pazienza abbia termine” sibilò e le minacce acuivano la sensazione che volesse davvero combattere. Beh, non c’era problema per quanto mi riguardava, anzi forse mi avrebbe aiutato a sfogarmi.
“Non ci penso proprio!” sogghignai.
“Emmett, aspetta” si intromise Alice. “Non è il caso, davvero”. Ma le sue parole ebbero la stessa consistenza del vento. Gli occhi di Emmett macinavano rabbia e vendetta; i muscoli delle braccia, evidenti anche attraverso la maglietta, erano tirati come corde di un arco; le sue gambe pronte a scattare. Non sembrava essere preoccupato di combattere in casa: e se non lo era lui, dovevo esserlo io?
“Jacob? Che ci fai qui?” domandò una voce provenire dal fondo. Rosalie si era fermata a metà della scala e sembrava contrariata di vedermi. La fissai un attimo e, per quanto amassi Bella, non potei trattenermi dal constatare, anche solo per un attimo, quanto fosse meravigliosa.
Indossava un maglione grigio fumo con una profonda scollatura a V, dalla quale usciva una camicetta bianca di raso; jeans aderenti fasciavano fianchi perfetti, mentre stivali alti, di pelle nera, la slanciavano ancora di più. I capelli dorati, pur essendo sciolti, erano tirati indietro da invisibili forcine. Era, dovevo ammetterlo, sempre una visione, ma non mi sentivo in colpa nei confronti di Bella: in fondo era come guardare un’attrice del cinema.
“Che succede?” mi domandò, avvicinandosi. “Che fai qui?”.
“Sono qui per vedere Bella e tuo marito stava cercando di mettermi maleducatamente alla porta…”.
Rose lanciò un’occhiata di conferma prima a Emmett, poi ad Alice.
“Gli abbiamo detto che Bella non c’è, ma il nostro amico sembra un po’ duro d’orecchi…” intervenne Jasper.
Stavo per ribattere, quando Rosalie assunse il controllo della situazione. “Vieni fuori. Facciamo quattro chiacchiere…”.
Se la soluzione poteva andare bene a me, a suo marito per niente. La fulminò letteralmente con lo sguardo. Rosalie sfoderò un seducente sorriso e lo baciò, sussurrandogli qualcosa, che per quanto fossi vicino, non riuscii a cogliere. Però servì a tranquillizzare quella montagna di muscoli. Subito dopo uscì, facendomi cenno di seguirla.
Ci inoltrammo nel bosco, in silenzio. Camminava davanti a me con piglio deciso con l’unica intenzione di allontanarmi da quella casa. Non sapevo bene come interpretare il suo comportamento e il nostro rapporto in generale. Sicuramente era l’unica che avesse un minimo di attenzione nei miei confronti, anche se lo dimostrava in maniera sgradevole. Sembrava fredda e ostile; mi aiutava ma non troppo. Probabilmente voleva dimostrare a Emmett che fra noi fosse davvero finita e che ci fosse soltanto un fastidioso legame alimentato dalle circostanze, come due ex che si incontrano dopo tanto tempo e senza neanche averne la volontà. Avevo promesso a Bella che non l’avrei più rivista, neanche come amica, e avevo intenzione di mantenere la parola. Però dovevo ammettere che non avrei gradito un ritorno alle vecchie abitudini: Rose non era più la vecchia Rosalie, anche se si sforzava di mostrarsi nuovamente come tale. Per me non lo sarebbe più stata. L’amicizia, nel nostro caso, non sarebbe stata impossibile: entrambi eravamo innamorati di altri, quindi non c’erano problemi. Ma i rispettivi consorti avevano qualcosa da dire in merito, e se a Bella non andava bene la sua presenza, avrei fatto qualsiasi cosa, pur di accontentarla.
“Perché sei venuto?” esclamò, rompendo il silenzio. “Ti avevo detto di non farlo”.
Il suo sguardo fu così pungente da riacutizzare l’antico astio.
“In attesa di una tua chiamata, sarei diventato vecchio e storpio!” replicai seccato.
“Sei stato fortunato: stavo per uscire. Se avessi trovato Emmett da solo, a quest’ora avresti già un braccio rotto, nella migliore delle ipotesi…”.
Mi fermai di colpo. “Cosa vuol dire? Io credevo che mi volessi tenere lontano da Bella…”.
“Bella? Santo cielo, Jake, credi che ti impedirei di venire a trovarla?! Ti avevo detto di non venire perché Emmett è furibondo e se ti trova da solo, o lo istighi in qualche modo, ti ammazza e senza troppi problemi. Non ho intenzione di vedere in replica una scenetta tipo quella fra te ed Edward… Se vuoi venire qua, devi avvisarmi. La situazione è quella che è e credo che ne capisca anche tu il motivo, giusto?” mi spiegò con voce tagliente.
Abbassai il volto, desiderando farmi piccolo piccolo. Ero talmente preso dal desiderio di vedere Bella, che non avevo riflettuto su altro, ipotizzando fantasmagorici complotti ai miei danni, mentre invece la realtà era molto più facile. Era ovvio che Emmett non mi volesse più in casa loro, come era ovvio che la mia venuta avrebbe messo Rosalie in una cattiva posizione. Pensavo che Bella potesse giustificare ogni mio comportamento, ma non era così. Perlomeno non agli occhi di un uomo tradito.
“Scusami” borbottai. “Il fatto è che non ce la facevo più…”.
Rosalie sospirò e il suo viso si rilassò:“Ti capisco. Mi aspettavo che prima o poi sarebbe finita così. Ho indugiato a chiamarti soltanto perché volevo avere un ultimo parere da Carlisle, poi avrei organizzato io stessa un incontro. Per quanto mi riguarda, ritengo che ti possa vedere, da lontano, senza attaccarti…”.
“Allora non è più così affamata di sangue?” mi affrettai a domandare.
“Sta facendo dei grossi passi avanti” accennò un sorriso emozionato. “Pensa che l’altro giorno lei ed Edward erano a caccia in una zona che mio fratello non aveva perlustrato a fondo. Si sono ritrovati immersi nell’odore di due umani che stavano facendo un’escursione e Bella, invece che seguirla, è scappata dalla parte opposta. Capisci? Ha distinto ciò che è bene da ciò che è male. E’ riuscita a dominare il suo istinto! E’ straordinario…”.
“Allora potrò vederla presto!” affermai con un velo di entusiasmo. Forse le cose si potevano sistemare più velocemente di quanto pensassi.
“Con alcuni di noi a trattenerla, in caso di emergenza, credo proprio di sì…”.
I nostri sguardi si incrociarono e mi sorrise dolcemente. In quel momento rividi la mia Rose e capii che era lei la mia migliore amica, quella che Bella non era mai stata in quanto avevo sempre aspirato a più di quello che mi poteva dare; mentre con Rosalie avremmo potuto avere un rapporto schietto e sincero fondato su un affetto profondo e innocente.
“Ha chiesto di me?” insistetti.
“Certo. Ha molta voglia di vederti, ma le abbiamo spiegato e, insomma, sa anche lei i pericoli che correresti standole troppo vicino. In fondo è una Neonata…”.
“Ma cosa ricorda? Di tutti quanti?”.
“Beh sì” ammise, con una scrollata di spalle. “Ricorda, oltre te e noi, suo padre, sua madre, i compagni del liceo, quelli del branco, la tua famiglia. Tutti quanti, insomma. Anche se tanti fatti li ha dimenticati. Tipo, i Volturi non se li ricorda per niente. Cioè, li ricorda come persone, però non che siamo in guerra con loro…”.
“Quindi non sa che Seth è morto…” balbettai confuso.
Arricciò le labbra per mostrarmi il suo dispiacere. “Glielo abbiamo raccontato noi. Ricordava Desirèe ma come un flash, non sapeva darle un nome, né un ruolo. Purtroppo gli ultimi mesi sono un buco nero. Però il resto è chiaro. Direi che è andata molto bene”.
La fissai, trasecolato, e Rosalie se ne accorse, così come io mi accorsi che le stava tremando la voce. Teneva un’inflessione allegra ed entusiasta, ma ogni tanto prendeva delle pause per cercare le parole, volte a camuffare un’ansia repressa.
“Scusa, Rose, ma se non ricorda gli ultimi mesi, di noi due cosa sa?” investigai.
Scosse la testa, in imbarazzo. Abbassò il viso, rassegnata, e quel movimento lo interpretai come una sconfitta.
“Ricorda poco Jake… Per non dire nulla…”.
“Che vuol dire?” domandai con voce strozzata.
“Beh, ecco devi capire che lei adesso è stata trasformata e questo comporta una cancellazione quasi totale della vita precedente…”.
“Hai appena detto che ricorda quasi tutto!” tagliai corto spazientito.
“Fammi finire. Oltre alla cancellazione, l’istinto da vampiro porta ad amare i propri simili, così come gli umani amano altri esseri umani e non, che ne so, un gatto!”.
Arrivai alla deduzione che le parole di Rose volevano suggerire.
“Non mi ama più, vero?” ebbi il coraggio di chiedere.
“Jacob è il suo migliore amico, quello che l’ha aiutata a uscire dalla depressione quando Edward se n’è andato un anno fa. Lo stesso amico per cui nutre dei sentimenti molto profondi, per cui darebbe un braccio, se necessario… Ma non la vita. E’ un’altra la persona che ama”.
“Edward…” sibilai freddamente, trattenendo un ringhio di rabbia.
Rosalie non confermò, ma non ce n’era bisogno. La situazione era fin troppo chiara. Mi appoggiai a un albero, ripercorrendo le sue parole una ad una per tentare di farmele entrare in testa.
“Ma non è detto che le cose non possano cambiare. Potrebbe ricordare e…”.
“… maledirmi per quello che è successo fra noi” conclusi.
“No, Jake. Cosa dici? Credo che sia solo un problema di ricordi. Una volta tornata la memoria, si sistemerà tutto” disse, appoggiandomi una mano sulla spalla.
Ero stanco, stanco di belle parole, di gente che cercava di indorarmi la pillola.
“E quanto dovrei aspettare? Un giorno? Un anno? Un secolo?” domandai spazientito.
Rosalie non rispose. La conoscevo abbastanza da capire che stava mentendo e non pensava nemmeno lei quello che aveva appena detto. “Basta giochetti, per favore…” la implorai.
“D’accordo” sussurrò con un velo di malinconia. “La verità è che nessuno di noi ha mai ricordato successivamente altri particolari, oltre a quelli che possedeva al risveglio. Ama Edward perché in un certo senso non ha mai smesso di amarlo, anche se aveva scelto te, senza dubbio. La trasformazione ha distrutto ciò che c’era di umano per lasciare il posto all’essenza e ai bisogni di un vampiro, che non includono un relazione sentimentale con un licantropo. Il cuore umano di Bella è morto e con esso i sentimenti che provava per te. Se però mi chiedi se sia possibile che un giorno lei torni ad amarti, indipendentemente dalla sua natura e dai suoi ricordi, non te lo so dire. Forse sì… Purtroppo non posso darti certezze, mi dispiace…”.
Scossi la testa. Avevo chiesto la verità e me l’aveva servita, chiara e limpida.
“E’ finita…” pensai ad alta voce.
Rosalie mi accarezzò lievemente il braccio, poi, intuendo il mio stato, si incamminò per fare ritorno a casa, mentre io restai imbambolato sotto quell’abete, conscio che da quel giorno sarebbe cominciato il mio inferno personale.
La persona per cui avevo tanto lottato alla fine era morta, come aveva detto Leah.
Bella non sarebbe più stata mia.
 
 
 

E il lungo flashback ha avuto fine. Vi è piaciuto? Mi auguro di sì.
Scusate se vi ha dato ad intendere che Bella fosse morta ma volevo tenere alta l’attenzione! Non posso permettere che i miei lettori si addormentino…
Quindi adesso che Bella è stata trasformata e non ricorda più una cippa, si pone la domanda: Jacob si arrenderà? Conoscendolo non credo proprio… Non mollerà la presa tanto facilmente e forse alla fine i suoi sforzi saranno premiati. Che ne dite?
Intanto vi aspetto al prossimo capitolo dove finalmente Jake e Bella si incontreranno.

 
 
 

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Capitolo 63
*** Il mio demone immortale ***


Ciao a tutte,
eccomi di nuovo qua. Come promesso in questo capitolo Bella e Jake si incontreranno e lui potrà finalmente constatare se ciò che gli ha raccontato Rosalie corrisponde al vero.
Prima di lasciarvi alla lettura, premetto innanzitutto che il capitolo è un po’ più lungo del normale (un vero mattone quindi, direte voi!) ma d’altra parte non me la sono sentita di spaccare in due la conversazione con Bella. Sarebbe stato davvero fuori luogo.
In secondo luogo chiarisco che dopo il lunghissimo flashback di tre capitoli, il racconto riprende esattamente da dove avevamo lasciato Jacob all’inizio del capitolo 60, e cioè seduto sotto un albero, dopo aver concluso il giro di ricognizione con Leah.
Buona lettura!
Ven.

 
 
 
I ricordi a cui mi ero abbandonato mi avevano fatto perdere la cognizione del tempo. Potevo vaneggiare che fosse ancora l’alba, ma doveva essere ben più tardi, anche se la luce, come al solito flebile in quel posto, non aveva subito variazioni macroscopiche. Leah doveva essere già tornata a fare rapporto a Sam e sicuramente lo aveva deliziato con il racconto del mio stato emotivo traballante e assolutamente inaffidabile. Se non eravamo mai andati d’accordo prima, ora le cose si potevano dire anche peggiorate. La breve parentesi di Desirèe ci aveva avvicinati, ma con la sua morte prima e quella di Seth poi ogni passo avanti era stato cancellato, raso al suolo da un uragano. Adesso leggevo compassione nella sua mente ed era ciò che non volevo. Non amavo essere compatito e per farlo avrei dovuto smettere di pensare a Bella, ma era impossibile.
Quello che Rose aveva raccontato aveva distrutto le speranze di una vita insieme, tuttavia non mi volevo rassegnare che non ci fossero davvero alternative e soluzioni. In fondo, non ci eravamo mai visti dalla sua trasformazione: magari, al nostro primo incontro, BAM! sarebbe stata colpita da un fulmine, avrebbe ricordato ogni cosa e sarebbe corsa da me… Sì, come no! A chi volevo darla a intendere? Le favole non esistono, soprattutto per me. Inutile illudersi del contrario. Alla fine lui aveva vinto e io perso. Questo era quanto.
Negli ultimi giorni non mi ero più fatto sentire, né vedere dai Cullen, e Rosalie, l’unica che poteva darsi pena di farmi avere notizie, aveva fatto altrettanto. Ero rimasto nell’ombra perché non volevo innanzitutto disturbarla e darle problemi con Emmett, ma soprattutto perché non avevo così fretta di vedere Bella amoreggiare con la sanguisuga. Non avevo prove che quello che mi aveva detto Rose fosse una bugia, ma perché avrebbe dovuto esserlo? Lei non avrebbe tratto alcun vantaggio dal tenerci separati, e poi bastava guardare i fatti per capire come stavano le cose. Erano passati dieci giorni e Bella non mi aveva mai telefonato. Potevano anche averla convinta che la mia vicinanza avrebbe potuto risvegliarle istinti sanguinari, ma non attraverso il telefono! Non si era mai presa il disturbo di contattarmi, almeno per dirmi “Ti amo” e questo voleva dire una cosa sola.
Mi passai una mano fra i capelli e li tirai indietro, ma era un gesto privo di senso, perché tenendo il capo reclinato, era ovvio che mi avrebbero coperto il viso. Adesso potevo anche tagliarli. Li avevo tenuti a questa lunghezza perché a lei piacevano così, ma ora non c’era più alcun motivo. Erano soltanto un’altra forma di intralcio. Solo un’altra cosa che mi legava a lei. Ruotai gli occhi seguendo i movimenti di un passerotto volare da un albero all’altro, lontano, ma i miei sensi erano così acuti da percepire a pieno il risveglio della foresta. Questa era una delle poche cose positive della mia licantropia: immergermi nella natura e annullarmi in essa. Lo facevo sempre quando ero disperato e in questa settimana, a parte le mattine a scuola, non avevo trascorso molte ore in forma umana.
Quando ero tornato da casa Cullen, Rachel aveva capito che avevo ricevuto cattive notizie, ma aveva avuto il buon senso di non chiedere conferme. Anche mio padre non aveva fatto domande e mi aveva lasciato solo con i miei rimpianti. Il giorno successivo però c’era stata una riunione del branco in cui Sam ci aveva riassunto ciò che aveva saputo da Carlisle, a proposito dei Volturi. Jane era ancora in Italia e non si sapeva quando sarebbe ritornata, ma era certo che prima o poi lo avrebbe fatto: non dovevamo quindi abbassare la guardia a nessun costo. E fu sempre in quell’occasione che scoprii che Sam e Carlisle avevano deciso di comunicare, eludendo me, con l’intento di procurarmi meno dolore possibile. Dunque non c’era bisogno che dicessi niente. Lo sapevano e glielo lessi negli occhi, oltre che nella mente. Già perché le riunioni generalmente venivano svolte sotto forma di lupi e quindi tutti i propri più intimi pensieri erano scaraventati in pasto agli altri. Tutti quanti, perfino Leah, non ebbero mai il coraggio di guardarmi e si persero in tantissimi “Mi dispiace”, “Passerà” oppure “Te l’avevamo detto: mai aspettarsi niente dalle sanguisughe”. Lo sapevo che avevo fatto uno sbaglio, ma non potevo pentirmene perché la amavo, e anche se avrei preferito morire piuttosto che rivederla con lui, ero sollevato che fosse viva.
Una volta finita la riunione, me ne ero andato mentre gli altri si erano affrettati a tornare umani per lasciarmi un po’ di privacy. Ritornai a casa a mezzanotte e trovai Rachel, stranamente ancora sveglia. Aveva gli occhi rossi. Aveva pianto a lungo e sperai che non fosse per quel motivo, ma dovetti rassegnarmi all’evidenza quando mi venne incontro e, senza dire niente, mi abbracciò a lungo. Poi sempre in silenzio, se ne andò a letto, mentre io accesi la televisione, per nulla insonnolito. I giorni successivi né lei, né papà dissero nulla, né accennarono una volta sola a Bella, ai Cullen o a Charlie. Parlavano solo del Natale, del lavoretto part time che mia sorella era riuscita a trovare a Forks e altre stupidaggini, tipo la politica, lo sport o i gossip sul mondo del cinema. Sicuramente era stato Paul a spifferare tutto a mia sorella e a papà e avevano risolto di trasformare in tabù quegli argomenti. Non sapevo se ne ero felice:  avrei voluto parlarne con qualcuno, ma non volevo vedere tristezza negli occhi di nessuno. Ne avevo già abbastanza io per tutti quanti.
Scoprii che cos’era l’apatia: un tranquillo succedersi di ore e giorni a cui non dai un peso e da cui non ti aspetti niente. Attendi soltanto un istante per andare a quello successivo, non attribuendogli nessuna importanza. E così era diventata la mia vita: una lunga fila di istanti, slegati fra loro, che si succedevano e che non volevo ricordare. Non avevo più traguardi o medaglie da conquistare; non potevo ingannarmi oltre. Certo, un osservatore esterno avrebbe potuto dire che in fondo avevo già vissuto questa situazione visto che Bella mi aveva rifiutato per più di un anno; invece era peggio che mai sapere che se fosse stata ancora umana, avrebbe scelto me, che se non fossi andato dai Cullen quel giorno, a quest’ora staremmo addobbando l’albero insieme. Mi aveva promesso una settimana e poi glielo avrebbe detto: che bisogno c’era di andare a sventolare la vittoria davanti al naso del vampiro? Non avrei potuto sopportare? Per non aver atteso una settimana, ora avrei dovuto sopravvivere una vita intera. E se una settimana mi era sembrata un inferno, chissà cosa dovevano essere anni e anni sulle spalle!
Avevo guardato i regali accumularsi sotto l’albero con perversa accondiscendenza. Non ce n’era uno per me da parte di Bella e io non ne avevo per lei. Quel posto vuoto pesava come un macigno sullo stomaco. Avevo passato tutta la notte precedente a quella tragica alba a fantasticare sul nostro Natale e su quelli successivi, sul regalo che le avrei fatto, sul capodanno e sulla vita che avrei voluto impostare appena finita la scuola: Bella avrebbe fatto l’università e io mi sarei trovato un lavoro in un’officina, come avevo sempre desiderato. Mentre lei si sarebbe laureata, io avrei accumulato esperienza in modo tale da poterne aprire una mia in futuro, saremmo potuti andare a convivere e poi…
Tanto spreco di energie per concepire una realtà che non sarebbe mai stata la mia. Solo immaginazione. E allora piuttosto che avere un’illusione, anche se solo di poche ore, sarebbe stato meglio non averne affatto. Se quel pomeriggio mi avesse respinto come al solito, non sarei stato così male. In fondo avevo fatto l’abitudine a essere rifiutato. Invece in quel momento tutto era cambiato. Vedere nei suoi splendidi occhi color cioccolato il mio riflesso e sapere che mi accoglieva fra le sue braccia e nel suo futuro era stato sfiorare il paradiso. E quando finalmente respiri, è dura tornare ad affogare.
Ero talmente sconvolto e spossato che non mi ero neanche più preoccupato di Charlie e di come stava vivendo l’assenza di Bella, di cosa gli stavano raccontando e via dicendo. Speravo che almeno con lui si fosse fatta viva, una telefonata, giusto per dirgli che stava bene, se così si poteva dire…
Mi aveva tormentato tutte le notti: a volte con sogni, altre volte con incubi. Nel primo caso sognavo quasi sempre il momento in cui mi aveva detto che voleva sposare me e non quel pinguino imbalsamato; nel secondo caso la vedevo morta, con la gola squarciata. Mi svegliavo di soprassalto, madido di sudore, riuscivo a riaddormentarmi dopo parecchio tempo per poi riprendere sempre dallo stesso punto che seguiva, ogni volta, il medesimo percorso: per quanto la implorassi di restare e non abbandonarmi, la sua figura si faceva evanescente fino a scomparire. Ed era il vero tormento perché quando spariva, sapevo dove andava e soprattutto in compagnia di chi. E così anche il riposo era diventato impossibile. Gli ultimi quattro giorni non avevo praticamente chiuso occhio. Ero a pezzi e, oltre a essere profondamente depresso, anche irascibile. Bastava un niente per farmi saltare i nervi. Una parola storta o uno sguardo di traverso erano scintille fin troppo facili da accendere, che avevano portato una volta alla rottura del tavolo della cucina.
La verità era che volevo disperatamente vederla: forse per farmi ancora del male, forse per verificare la versione di Rosalie, forse semplicemente perché la amavo e, nonostante per lei fossi diventato meno di niente, volevo continuare a far parte della sua vita. Sei mesi fa ero scappato quando mi aveva annunciato il suo matrimonio, ora non sarebbe servito a niente, esattamente come l’altra volta. Cosa potevo fare, a parte piangere? Ma non riuscivo nemmeno a fare quello. Ero talmente arrabbiato che avrei ucciso volentieri  qualcuno, magari uno dei Cullen, ma non potevo mettere nei guai il branco più di quanto già non fosse.
Un sordo brontolio dello stomaco mi ricordò che sarebbe stata ora colazione e che tutto sommato non volevo morire di fame. Ok, ecco la decisione: sarei tornato a casa per mangiare, mi sarei buttato a letto e, a costo di prendere dei sonniferi, avrei dormito! In fondo oggi era il primo giorno delle vacanze di Natale e potevo starmene a letto, sempre sperando che Rachel non cercasse il mio aiuto per sistemare la casa in vista del giorno di Natale.
Mi sollevai, indolente, quasi aggrappandomi al tronco dell’albero e misi un piede davanti all’altro, in direzione della foresta. Camminavo a viso basso, quando avvertii un odore pungente. Dapprima vago, divenne sempre più intenso fino a bruciarmi le narici. Sapeva di carne andata a male, di sangue marcio e di acido. Era una puzza orribile che dava la nausea e la conoscevo bene: vampiro. Mi guardai attorno, guardingo. Era da qualche parte, anche se non vicino a me. La soluzione più logica sarebbe stata trasformarsi immediatamente, ma forse erano solo i Cullen. Dalle informazioni trapelate non era previsto un ritorno dei Volturi a breve, quindi non si trattava di uno di loro, anche se le previsioni della nanerottola avevano lasciato molto a desiderare ultimamente. Mi costrinsi ad inspirare ed espirare più volte per verificare il sospetto e ne ebbi la conferma: non era uno dei Cullen. Conoscevo ormai ogni loro singola scia e non corrispondeva, anche se non mi era del tutto sconosciuta. Forse uno dei Denali?
L’agitarsi dei cespugli e il contemporaneo zittirsi degli uccellini mi avvisò che era vicino e che stava venendo da me. Ripensandoci, un bel combattimento mi avrebbe aiutato a sfogarmi. Sperai con tutte le mie forze che non si trattasse di uno dei nostri pseudo alleati.
Correva. I suoi passi piccoli e veloci echeggiavano nel cervello, come trilli lontani. Non ebbi modo di pensare finché non si zittirono improvvisamente. L’odore era diventato nauseabondo, come se mi trovassi all’obitorio. Era dietro di me.
Mi voltai con calma e mi trovai di fronte una ragazza a una cinquantina di metri. Immobile. Se non avessi visto che non c’era nessuno prima, avrei detto che si trattasse di una statua abbandonata da tempi remoti. Indossava soltanto una felpa, jeans e scarpe da tennis. Troppo freddo perché un essere umano potesse indossare quei miseri abiti, considerando che eravamo sotto zero. Inoltre il suo cuore non batteva e non respirava.
La fissai in volto e la riconobbi.
I lunghi capelli castano scuro rilucevano e le ricadevano, scapigliati sulle spalle, troppo morbidi e fini per essere umani; il viso era di un pallore spettrale; le labbra, in netto contrasto con la carnagione, erano perfettamente delineate e rosso amaranto; i suoi occhi, splendenti come un rubino, apparivano sorpresi. Ma mai quanto me.
“Jake…” balbettò.
La sua voce sembrava quella di un passerotto caduto dal nido. Era stridula, molto più acuta di quanto ricordassi, tuttavia leggera e aggraziata; il viso, più magro, era diventato un ovale perfetto e privo di imperfezioni.
Non dissi nulla come se mi si fosse paralizzata la lingua. L’avevo sognata talmente tante volte che credevo che se le avessi parlato, mi sarei svegliato, come sempre. L’avevo immaginata in mille modi diversi, per poi scoprire che in fondo non era cambiata così tanto, anche se dovevo dire addio ai suoi stupendi occhi color cioccolato.
“Jake, mi riconosci?” domandò tremante.
Annuii impercettibilmente e sembrò soddisfatta della mia risposta. Ero combattuto: il suo odore era qualcosa di indescrivibilmente abominevole, però era sempre lei, la mia Bells. Avrei tanto voluto correre da lei e abbracciarla. Forse mi avrebbe morso, forse mi avrebbe attaccato, ma cosa potevo chiedere di più, anche solo per un istante?
Feci due passi verso di lei, ma mi fermò con un cenno del capo. Obbedii, senza riuscire a trattenere una smorfia di delusione.
“Non è sicuro. Potrei farti del male…” spiegò.
“Bella, se resti ancora lontana da me, mi farai impazzire e non so quale delle due alternative sia la peggiore…” balbettai.
Mi sorrise e fu sua stavolta l’iniziativa di procedere lentamente verso di me: sicura ed elegante. Che fine aveva fatto la mia Bella imbranata e incapace perfino di camminare senza incespicare? Non ebbi modo di chiedermelo più volte perché accadde tutto troppo velocemente. Di nuovo il rumore delle foglie, una scia purtroppo nota e l’istante successivo Edward era vicino a lei, sbucato precipitosamente alle sue spalle. Era arrivato di corsa, come se la stesse inseguendo. Era mai possibile che fosse più veloce di lui?
“Bella, fermati. E’ pericoloso, lo sai” la bloccò, afferrandola per un braccio.
“Non è vero” affermò contrariata. “Non ho voglia di morderlo, né tanto meno di attaccarlo. E’ tutto sotto controllo…”.
“Sì, fino a che non gli sarai troppo vicino. Allora sentirai il cuore, l’odore e tutto il resto… Preferisco non correre rischi”.
Bella si paralizzò e mi fissò sconfortata. Da questo punto di vista non era cambiata: si faceva ancora mettere i piedi in testa da lui.
“Lasciala venire da me” ringhiai.
“Non posso” rispose pacato. “E’ per la tua sicurezza, Jacob. Devi capire che è pericoloso. Non è ancora stabile”.
“E’ pericoloso per me o per te?” sibilai furibondo. Non potevo crederci, tentava di tenerci separati con questi stupidi mezzucci. Non era assetata di sangue, lo vedevo; non era come gli altri vampiri Neonati che avevamo affrontato. Era diversa, conscia e responsabile di se stessa.
“Non è assetata di sangue semplicemente perché si è appena nutrita, altrimenti vedresti ben altro…” rispose ai miei pensieri. Dio, quanto odiavo quando ficcava il naso nella mia testa!
“Te ne stai approfittando…” mi trattenni a forza.
“Edward ha ragione” interloquì Bella. “Non è prudente che ti venga troppo vicino. Non è chiaro come potrei reagire. E’ meglio se stiamo distanti, ancora per un po’…”.
“Allora vengo io da te” risolsi con voce neutra.
“No!” strillò. “Resta dove sei, altrimenti me ne andrò”.
Non mi aveva parlato impaurita o pensierosa, ma estremamente decisa. Un tono che in Bella non avevo mai sentito. Non era cambiata tanto esteticamente, anche se potevo affermare con certezza che era diventata meravigliosa, quanto di carattere. Non aveva incertezze, era ancora dolce ma meno emotiva e più risoluta.
Decisi di accontentarla per non perdere il mio sogno, ma alla prima occasione l’impiccione me l’avrebbe pagata.
“Come stai?” mi domandò, socchiudendo a malapena le labbra, forse per timore di lasciar intravedere i canini.
Che potevo dire? Raccontarle che non dormivo, che la pensavo in continuazione, che ero diventato insopportabile persino per la mia famiglia e che la mia vita andava a rotoli senza di lei?
“Bene, tutto ok” mi limitai a rispondere.
“Gli altri del branco?”.
“Tutto ok anche loro”.
“E papà?” mi domandò con un filo di emozione.
“Non l’hai chiamato?” domandai esterrefatto.
“Sì, e l’ho tranquillizzato ma lui sembrava molto agitato. Voleva venire dai Cullen e mi sono preoccupata… La mia finta scarlattina forse non è stata una buona idea”.
“Non lo so” ammisi più a me stesso che a lei. “Non l’ho più visto né sentito. So che lui e papà si sentono e che Charlie è irrequieto ma sono solo voci riportate. Non ho avuto occasione di vederlo”.
“Ti prego, potresti andare da lui e spiegargli che è tutto a posto, che sto guarendo e prima o poi ci rivedremo. Non voglio che stia in pena…”.
“Prima o poi quando Bella? Quando credi che verrà il momento? Anzi, forse non dovrei chiederlo a te, ma al tuo carceriere. Quando pensi che potrà vedere Charlie? Credi di potergliela tenere nascosta? Non siete sposati, non hai una valida motivazione. Prima o poi piomberà a casa vostra e non potrai fare niente per impedirglielo!” lo accusai con veemenza. Ufficialmente stavo difendendo Charlie, ma in realtà combattevo soltanto per me stesso. Una volta avuto il consenso per vedere suo padre, anch’io avrei potuto usufruire di questo vantaggio.
“Sta facendo passi da gigante, Jacob” rispose Edward con enfasi. “E’ questione di settimane, poi…”.
“Questione di settimane?! E, secondo te, Charlie potrà aspettare settimane? Tu sogni, caro mio!” sbottai.
“Se tu mi aiutassi, forse questo problema si potrebbe risolvere in maniera più semplice”.
“Aiutarti? A fare che? A tenere lontana Bella da suo padre?! Da me?!”.
“Il problema non è solo di Bella o mio. Il segreto va preservato anche per difendere Charlie dai Volturi. Sai perfettamente che gli umani non possono essere a conoscenza dell’esistenza dei vampiri, altrimenti vanno trasformati o eliminati. Non possiamo correre questo rischio con suo padre e se tu non fossi preso solo da te stesso, lo capiresti…”.
Anche la morale voleva farmi. Non potevo crederci! E contemporaneamente mi chiedevo come facessi a trattenermi dal sbranarlo!
“Edward ha ragione” lo appoggiò Bella. “Non posso mettere in pericolo la vita di papà. Lui dovrà aspettare…”.
“Bella, ma ti senti? Come puoi chiedergli di aspettare senza spiegargli nulla?! Non è uno stupido. Capirà che c’è qualcosa che non va”.
“Allora dovrai tranquillizzarlo” replicò seria.
“Io?! Stai scherzando, vero? Non sono d’accordo con questo vostro comportamento, quindi se ci tenete tanto al vostro stupido segreto, allora dovrete arrangiarvi da soli…”.
Bella abbassò il viso, preda del più profondo sconforto. Un tempo quell’espressione straziante mi avrebbe indotto a fare di tutto per aiutarla, ma ora, per quanto mi sforzassi e per quanto le stessi parlando solo da pochi minuti, non la vedevo più come la mia Bella.
Lei e i suoi maledetti piani per non far soffrire le persone, come se metterle sotto una campana di vetro fosse la scelta migliore! Poi improvvisamente alzò lo sguardo e disse:“Edward e Carlisle mi hanno raccontato di Seth. Mi dispiace tantissimo…”.
Sgranai gli occhi per un attimo, sforzandomi di mantenere il controllo. “E’ successo quasi tre mesi fa, Bella. Ormai è un po’ tardi per fare le condoglianze, non trovi?” grugnii sarcastico.
“Lo so, ma io non lo ricordo. Per me è come se fosse successo l’altro giorno…”.
Raggelai. Rosalie aveva raccontato la verità: non ricordava più nulla degli ultimi avvenimenti. Strinsi la mandibola così forte da farmi dolere le gengive.
“Non è stata colpa tua” dissi.
“Lo so, Edward mi ha spiegato come sono andate le cose. E mi dispiace tantissimo anche per Desirèe: era davvero una bella e simpatica ragazzina…”.
“La ricordi?” investigai.
“A tratti. La ricordo fisicamente e ricordo quando insieme siamo andati allo stagno a cercarli, anche se non rammento le circostanze e il motivo per cui eravamo là. Però so dei Volturi e di tutti i combattimenti che avete dovuto sostenere finora… E solo per colpa mia. Mi dispiace… Però adesso potrò essere utile anch’io” mi abbagliò con un sorriso accecante, prima di uccidermi, quando si voltò per fissare Edward.
Ero lo stesso sguardo che le avevo letto centinaia di volte per quasi due anni. Quello stesso sguardo che mi aveva costretto a fuggire, incapace a sopportarlo. Era tornato tutto come prima. Amore per lui e forse amicizia per me. Alla fine eravamo tornati dove avevamo cominciato.
“Amore, non so se combatterai. Ne abbiamo già parlato e per il momento non sei in grado di affrontare un combattimento…” replicò riluttante.
“Adesso che sono finalmente come te, voglio poterti aiutare. Non puoi chiedermi di restare indietro. Sono una Cullen anch’io, e combatterò con la mia famiglia…”.
Con involontario cinismo aveva stritolato il mio cuore. “Finalmente era una Cullen anche lei”… Una rabbia incontrollata crebbe dentro di me con tale velocità da farmi esplodere il petto. Avrei voluto urlarle che non voleva più diventare una schifosa sanguisuga, che era “merito mio” se lo era diventata e sbatterle in faccia la verità che sicuramente non le avevano detto. Scommetto che non aveva idea del perché fosse stata trasformata oppure avevano falsato la realtà per far apparire diverse le motivazioni che l’avevano spinta a quel gesto.
“Beh, stavolta spero che la tua partecipazione sia più efficace dell’altra volta” la presi in giro col risultato che Edward mi fulminò con lo sguardo.
“Cosa intendi dire?” mi domandò sorpresa.
“Che ti sei tagliata la gola per distrarre Demetri ed è per questo che sei stata trasformata. Devi ringraziare lui, altrimenti saresti ancora umana!” bofonchiai, cercando di assumere un atteggiamento irriverente. Cosa che mi risultava sempre abbastanza facile.
“Non potevo permettere che vi uccidesse” replicò, con una punta di disperazione nella voce.
La sua affermazione mi lasciò sbalordito. Ricordava che Edward ed io stavamo combattendo? Oppure gli avevano semplicemente allestito un allegro teatrino nel quale avevano mosso le marionette per giustificare la sua azione?
Fissai il pezzo di marmo per avere risposte ai miei dubbi e l’unica cosa che ottenni fu un sorriso reticente. Che diavolo voleva dire?!
“Comunque, alla fine il mio intervento è servito, altrimenti sareste morti, tutti e due” ribadì seccata Bella.
“Te lo ricordi o te l’hanno raccontato?” domandai.
“Me l’hanno raccontato, perché? Le cose non sono andate così?” disse, cercando conferme dal vampiro.
“Certo che sono andate così, Bella. E Jacob te lo può confermare…”.
Bella si voltò speranzosa verso di me e io non potei fare altro che annuire. Effettivamente le cose erano andate così. Senza il suo intervento, sarei morto. La realtà dei fatti era questa, ma volevo che lei mi dicesse il motivo per cui l’aveva fatto, ammesso che glielo avessero detto. Non potevo contestare gli accadimenti, ma ciò che rivelava la situazione nella sua reale ottica erano le motivazioni e ciò che aveva spinto me ed Edward in quella radura.
“Ti ricordi cosa è successo prima?” domandai, soffocato dai battiti del cuore che si erano fatti convulsi.
Bella scosse la testa, abbassando lo sguardo, come a chiedere scusa delle sue amnesie.
“Edward ed io stavamo litigando prima dell’arrivo dei Volturi. Te l’hanno raccontato, vero?”.
Bella aggrottò la fronte e rispose, laconica:“No. Perché…?”.
Lasciai correre la testa da una parte all’altra, furibondo. Non le avevano detto come stavano le cose. Era un po’ difficile sforzarsi di ricordare qualcosa che non si sapeva nemmeno fosse accaduto. Edward mi fissò cupo. “Creerai ancora più confusione. Non è il momento, ora…” bisbigliò con sufficienza. Credeva forse che anch’io avrei ubbidito a lui, come se fosse Dio in persona?!
E’ ovvio che non sia il momento… Per te non lo sarà mai! pensai. Non glielo vuoi dire perché hai paura che si allontani da te. Ti vantavi tanto della tua lealtà ma fai schifo quanto i vostri amichetti italiani.
“Se credi che questo sia il momento giusto, diglielo, ma la confonderai soltanto…” chiosò con irritante tranquillità.
“Di cosa state parlando? Non capisco!” intervenne Bella. “Perché tu e Jacob stavate litigando?”.
Questo era il momento per rivelare la verità e non mi restava altro che fare il riassunto del pomeriggio precedente. Mi avrebbe creduto, avrei instillato in lei il dubbio che non lo amasse davvero e col tempo sarebbe tornata da me.
Visto che il suo fidanzato nicchiava, si voltò verso di me per cercare quelle risposte che io non le avevo mai lesinato. Tuttavia il suo sguardo instillava terrore: era vacuo, affatto spaventato o sgomento, così lontano dal suo viso bisognoso di affetto e protezione. In quel momento mi chiesi se amavo quella creatura, se la mia Bella non fosse morta davvero due settimane fa. Forse sì e dovevo solo farmene una ragione. O forse, al contrario, stavo cercando di rassegnarmi all’inevitabile.
Non risposi, combattuto da mille emozioni. Se gliene avessi parlato io, forse avrei svilito il racconto, mentre raccontato da lui sarebbe emerso con maestosa autorevolezza in quanto avrebbe dovuto ammettere la sconfitta; oltre al fatto che volevo dimostrare a Bella quanto fosse bugiardo e la stesse prendendo in giro, pur di tenerla legata a sé. Oh, al diavolo!
“Ricordi prima dell’arrivo dei Volturi e di Desirèe?” iniziai con eccitazione. “Ricordi che dovevate sposarvi e che io ero scappato?”.
“Sì, lo ricordo”.
“E sai perché ero scappato…”.
Bella si soffermò su di me, poi abbassò il viso sulle mani, che si muovevano l’una nell’altra, frenetiche. Ecco di nuovo la Bella che amavo e che andava in confusione e in imbarazzo con estrema facilità. Vederla così mi confortò perché allora voleva dire che la trasformazione non me l’aveva strappata completamente. “Sì, Jake” sospirò. “Ma è sbagliato. Ormai sono una di loro e tu devi fartene una ragione”.
“Bella, tu avevi cambiato idea…”.
“Stai scherzando, vero?” esclamò con malcelato rancore. “Se credi di riuscire ad approfittarti dei miei vuoti di memoria per raccontarmi la favola dell’orso, ti sbagli!”.
“Non è una bugia, Bella! Dimmi, ti ho mai mentito da quando mi conosci?”.
“No, però so che saresti capace di qualsiasi cosa pur di allontanarmi da Edward. Non ti amo Jake, non ti ho mai amato. Sei soltanto un amico e solo questo sarai per me. Devi mettertelo in testa, altrimenti non credo che la nostra amicizia potrà avere un seguito…”.
“Cosa?!” esclamai incredulo. Come poteva parlarmi così? Deturpare il nostro rapporto a livello di una banale amicizia?!
“Bella, calmati” la placò Edward. “Jacob ti stava soltanto spiegando la situazione”.
“So perfettamente che cosa tentava di fare. Di dividerci, come al solito. Ma sono stanca di questa storia. Sono di Edward e di nessun altro. Qualsiasi cosa tu possa dire, non cambierò idea!”.
E così io ero quello che mentiva, degno di essere odiato e vilipeso. Un tempo veniva da me per sapere come stavano realmente le cose, mentre ora ero diventato il falso per eccellenza! Questi erano i frutti della mia amicizia… Sospirai con forza. Avrei dovuto essere arrabbiato con lei, per il tono che stava usando, per quello che stava dicendo, ma non ce la facevo. Non era colpa sua, ma di quella sanguisuga. Come avevo potuto essere così ingenuo da credere che lui l’avrebbe lasciata libera, che non avrebbe cercato di condizionarne le scelte, una volta trasformata.
“Jake” sussurrò Bella. La fissai. Aveva un’espressione così diversa da quella di poc’anzi. L’arma che sembrava avere imbracciato fino a pochi istanti prima si era trasformata in un fiore. “Mi dispiace, ho esagerato… Non volevo ferirti” si scusò addolorata.
Che cosa le prendeva? Come poteva cambiare stato d’animo così velocemente? Era irreale.
“I Neonati sono profondamente instabili nel primo periodo” rispose Edward. “Possono passare dalla gioia alla rabbia più profonda in un battito di ciglia. E’ per questo che non posso farla avvicinare. Anche se adesso ti sembra tranquilla, potrebbe bastare un niente per scatenarla e non voglio che succeda qualcosa di spiacevole…”.
“Quanto durerà?” domandai, non distogliendo lo sguardo da lei.
“Generalmente due anni, ma in questo caso potrebbe durare anche meno. Quando vedremo che non avrà più questi sbalzi, faremo in modo che si possa avvicinare sia a te che a Charlie. Dipende tutto dal suo autocontrollo…”.
Perché ogni parola che usciva dalla sua bocca era una pessima notizia, che non faceva altro che inaridire le mie speranze? Nemmeno come amica avrei potuto vederla, anche se non mi sarebbe mai bastato…
“Vedi?” mi incoraggiò Bella con una scrollata di spalle. “Sono diventata mezza pazza. Non perdi niente, mentre Edward dovrà farmi da badante per l’eternità…”. Gli sorrise amorevolmente, sfiorandogli le dita più volte.
Mi mancarono le forze di colpo. Senza fare niente, stavano tubando davanti ai miei occhi e l’unica cosa che avrei voluto era dividerli. Sembrava che potessi solo ricominciare a sopportare come avevo fatto in passato, rassegnandomi a un futuro deprimente. Avrei dovuto sperare che lei fosse cambiata a tal punto da farmela odiare, ma, a parte alcuni trascurabili dettagli, era sempre la mia Bella, colei che avevo creduto mi avrebbe accompagnato per tutta la vita.
“Ti amo” balbettai senza pensare.
Scosse la testa, esterrefatta, verso di me e, in preda al senso di colpa, lasciò la mano di Edward. “Non sono più umana, Jake. Sono diventata ciò che odi di più al mondo, sono un vampiro…”.
“Non importa… Non fa differenza per me”.
“Tu ed io abbiamo condiviso bei momenti e li ricordo tutti, uno per uno, ma il mio posto non è con te. Non lo è mai stato. E’ Edward il mio compagno. Credevo che lo avessi capito e ti fossi rassegnato, ormai…”.
“No” bisbigliai. “Non potrò mai rassegnarmi, Bella. Sei troppo importante per me e se solo tu sapessi, forse…”.
“Ti prego” mi interruppe. “Non rendere tutto ancora più penoso di quanto già non sia. Ti voglio bene e te ne vorrò qualsiasi cosa accada, ma devi lasciarmi andare. Io sono felice e se è vero che mi ami, dovresti essere felice per me e non ostacolarmi”.
Facile a dirsi. Tutte belle parole, che avrebbero dovuto farmi desistere, ma ero ben lontano dal farlo. Anzi, il dolore stava causando il fenomeno inverso: la rabbia cresceva sempre di più, quasi inestinguibile, alimentata dall’odio verso Edward e dal fatto che mi sarei fatto ammazzare piuttosto che lasciargliela. D'accordo, forse Bella non avrebbe mai ricordato nulla, ma magari avrebbe potuto amarmi ancora, come era già successo. I suoi sentimenti esistevano ancora, erano fuggiti, ma dovevano essersi rintanati in qualche anfratto nel cuore. Dovevo solo farli riemergere. Ripensai a cosa li aveva fatti scatenare. Oltre alla paura di perdermi per mano dei Volturi, la gelosia era stato il detonatore. Chissà se sapeva di Rosalie…
“No” affermò gelido il suo vampiro. “E non deve saperlo”.
E perché mai, di grazia?
“Se glielo dici, metterai in una cattiva posizione anche qualcun altro che non lo merita e che sta cercando di seppellire il passato… Non puoi mettere tutto in piazza per egoismo…”.
Rosalie non se la prenderà se racconterò a Bella come stavano le cose. In fondo, quando era umana, lo sapeva…
“Già, ma ora inizierebbe a fare domande in giro e se non ti interessa ciò che fai a te stesso o a Bella, dovresti almeno pensare a mia sorella… Certe cose non si sanno e non si devono sapere” replicò furente.
Era fin troppo chiaro che alludeva alla versione edulcorata dei fatti che era stata resa a Emmett. Se avessi raccontato a Bella ciò che c’era stato fra me e Rosalie, probabilmente avrebbe fatto una scenata, Emmett avrebbe scoperto tutto e avrei buttato definitivamente all’aria gli sforzi di Rose di ricomporre lo strappo. No, questo non potevo farlo. Non a lei. Dovevo trovare un altro modo per risvegliare Bella. Ma non avevo idea di come farlo e soprattutto farlo in fretta. Qual era l’arma più efficace per separarli?
Sei soddisfatto, vero? Alla fine sei riuscito a tenerla legata a te, ugualmente.
“Ti avevo detto che non dovevamo trasformarla… Ti avevo avvertito. Ora puoi solo compiangere te stesso!” mi fulminò con una certa dose di compiacimento.
Forse aveva ragione, la colpa era in parte mia, ma non avrei mai rimpianto di non averla lasciata morire.
“Di che cosa state parlando? Perché non volevi trasformarmi, amore?” gli domandò incuriosita.
“Niente, tesoro. Sono solo pensieri stupidi. Ora, credo che sia meglio andare…” le rispose, accarezzandole la guancia, mentre Bella lo guardava rapita. Mille chiodi di rabbia mi trafissero ovunque.
Come fai a mentirle in maniera così plateale! Come fai a guardarti allo specchio, sapendo che se fosse rimasta umana, non avrebbe scelto te? Parli del mio egoismo ma tu sei peggio di me!
Il mio attacco sfrontato lo fece sussultare e per un istante lo sconforto balenò nei suoi occhi. “Credi che io sia soddisfatto di questo? Credi che sia felice di saperlo? No! Io volevo una scelta consapevole, dettata dai sentimenti e non dalle circostanze! Non credere di essere l’unico a essere infelice qua dentro!”.
Ma non dirmi! Il povero vampiro è infelice perché ha Bella tutta per sé, ma lei non lo ama. O per lo meno non come amava me. Beh, sappi che io farei volentieri a cambio con te!
“Non ne dubito” sogghignò beffardo, anche se il suo sorriso celava la più profonda delusione. “Tu non hai mai badato ai mezzi. L’importante era raggiungere lo scopo, chissenefrega di come avveniva. Non ti faresti troppi scrupoli ad avere una donna che non ti ama e sta con te solo perché non ha avuto scelta”.
“Edward, si può sapere di cosa state parlando?!” si alterò Bella, ma né io né lui facemmo caso alle sue proteste. Ormai non potevo fermare i miei pensieri e volevo che si sfogassero. Se non ci fosse stata Bella probabilmente l’avrei attaccato, ma non qui e non con lei, come spettatrice.
Non cercare di fare il santo con me! Sappiamo perfettamente tutti e due che non le vuoi raccontare la verità soltanto perché hai paura di perderla. Anche tu sei come me, la vuoi a tutti i costi e non ti fai troppi scrupoli a trattenerla…
“Non è così…” ringhiò.
Ah no? E allora perché quel giorno mi hai attaccato? Non volevi che ti lasciasse, poco importava se avresti ucciso l’uomo che amava e l’avresti resa infelice per tutta la vita, l’importante era non restare solo!
“Quel giorno avevo perso la testa e stavo commettendo un errore. Ero accecato dalla rabbia e dalla vendetta, ma riconosco che avrei sbagliato a ucciderti. Anche se, adesso, ho la tentazione di ammettere che avrei preferito venire al tuo funerale piuttosto che stare qui a discutere con te…” replicò accigliato. Lo stavo facendo innervosire e ogni volta che accadeva non potevo fare a meno di gioirne: odiavo quel suo modo algido di agire e comportarsi, come se niente potesse scuoterlo, anche perché sapevo che era solo fumo negli occhi. Il perfetto Edward che agiva solo per il bene degli altri: che macroscopica panzana!!
Un anno fa mi avevi detto che se Bella avesse scelto me, l’avresti lasciata andare. Bene, allora mantieni la promessa e lasciala a me.
“Credi che la stia tenendo incatenata? Se vuole può tranquillamente venire da te” sbottò, facendole cenno, in maniera quasi violenta, di venire da me.
“Vai da Jacob, se vuoi…” le ordinò.
“Cosa?! Ma avevi detto che non potevo farlo…” balbettò confusa Bella.
“Ho cambiato idea. Vai da lui…” dichiarò evasivo.
Bella lo fissò sconfortata poi, senza nemmeno guardarmi o farmi capire che era vittima di un contrasto interiore, disse:“No, Edward. Hai detto che non è il momento, e non lo farò. Jacob può aspettare…”.
“Bella, solo un minuto, ti prego…” mi ritrovai a implorare.
Scosse la testa con decisione. “E’ ancora pericoloso per te venirmi vicino. Non è il caso di rischiare. E poi…”.
Il significato di quella frase lasciata a mezz’aria era fin troppo chiara, perfino a me. Non voleva contraddire Edward, non voleva causargli dolore. Non importava se il suo rifiuto uccideva me, l’importante era che lui non ne risentisse. Vedere con quanto ardore lo fissava era peggio che essere ridotto a brandelli da un vampiro. Quello stesso tipo di ardore che aveva riservato a me per poche ore. Gli prese la mano e gli sussurrò qualcosa che mi sforzai di non udire. A questo punto che cosa contava? Alla fine dopo tante tragedie, non mi restava altro che ammettere la sconfitta, convincermi che non sarebbe mai più stata con me e che non avrei più sfiorato le sue labbra. Ma ogni secondo in cui tentavo di impormelo, l’istante successivo un vento insidioso lo portava via.
“Non sono contento di questa situazione, Jacob” Edward commentò neutro. “Volevo una sfida leale e non l’ho avuta. Alla fine ho vinto io ma non nel modo in cui speravo”.
Però lei è con te, questo è solo quello che conta. Hai ragione a dire che io farei qualsiasi cosa per tenerla con me, anche essere una seconda scelta, ma so bene che per quanto possa fare, non riuscirò mai a riaverla. Ho sbagliato quel giorno. Non avrei mai dovuto lasciarla trasformare a te.
“Credi che tutto questo sia accaduto perché l’ho fatto io?! Il risultato sarebbe stato il medesimo anche se lo avesse fatto Alice, Carlisle o chiunque altro” controbatté allibito.
Certo, come no. E io ci dovrei credere? Comunque, voglio raccontarle come stavano le cose prima del nostro combattimento e poi vedremo se sarà ancora dello stesso parere…
“Genererai soltanto confusione. Adesso non è il momento adatto”.
Per te non sarà mai il momento adatto…
“Adesso basta!!!” esplose Bella. “Di cosa state parlando? Smettila di leggergli il pensiero, Edward, e parlate chiaramente!”.
Chiede la verità, la senti? Se vuoi davvero essere onesto, dille che amava me e vediamo la sua reazione.
“Non ci crederà mai! Non puoi parlare a una persona di situazioni che non ricorda. Sarebbe come raccontarle una favola. E in ogni caso le instilleresti sensazioni che non prova…”.
Perché tu che diavolo hai fatto finora?!
“Dico, volete piantarla o no?” esclamò Bella, facendo rimbombare la sua voce in tutta la radura. Non le prestai attenzione e continuai a pensare.
Se la ami e vuoi essere leale con me, allora le parlerai. Ti lascio l’opportunità di dirglielo tu…
La sanguisuga mi scrutò imperturbabile, per nulla scosso dalla mia proposta. Decisi di lasciargli qualche attimo per riflettere, mentre il sole del mattino faceva capolino tra le chiome degli alberi. Attesi ma non replicò. Restava immobile davanti a me, facendo accrescere ad ogni momento la mia foga.
“Devo dedurre che ci devo pensare io? Che lo lasci fare a me?” urlai stizzito.
Mosse impercettibilmente il volto e aggrottò la fronte. “Di cosa stai parlando, cane? Non ti seguo…”.
“Mi prendi per il culo? Ti ho appena fatto una proposta e voglio sapere cosa ne pensi…”.
“Non mi hai fatto alcuna proposta”.
Respirai a pieni polmoni per sedare la rabbia. Mi prendeva anche in giro?! Il mio braccio iniziò a tremare. Bastava un soffio, soltanto un soffio perché mi trasformassi e lo attaccassi. E al diavolo il nostro patto di reciproca tolleranza, tanto lui non si era fatto troppi scrupoli nei miei riguardi quel giorno.
“Stai pensando, Jake?” mi domandò, sinceramente stupito.
“Certo che sto pensando, razza di deficiente! E ti sto anche insultando, se proprio lo vuoi sapere!”.
“Non sto sentendo i tuoi pensieri” sussurrò, lieve come una goccia di pioggia. Abbassò lo sguardo, assorto nei suoi pensieri. La sua espressione scioccata fu una doccia fredda, che calmò il mio furore. Dunque non aveva letto nulla di quello che avevo pensato nell’ultimo minuto? Come mai? Eppure avevo pensato e molto chiaramente.
“Edward, amore, che succede?” si sincerò Bella, vedendolo corrucciato.
“Non capisco. Non riesco a leggere niente. E’ come se la sua testa fosse vuota…” spiegò incerto.
“Ma la sua testa è vuota!” ridacchiò Bella.
“Ah, ah, ah, che ridere, Bells! Dovrei piegarmi in due, vero?” la imitai senza alcun entusiasmo.
Santo cielo, ma cosa mi importava se il suo dono era andato in vacanza? Non era un problema mio, e tutto sommato cadeva a proposito, almeno avrebbe smesso di entrarmi nella testa senza essere stato invitato. Una cosa che detestavo, anche se alcune volte mi era tornato utile, dovevo ammetterlo.
“Il mio dono non è andato in vacanza…” sibilò ruvido.
Oh allora ci senti? Finalmente perché non ho intenzione di perdere tutta la mattina qui con te e le tue paranoie! Vattene e lasciami parlare con Bella.
“Scordatelo!”.
“Ehi, non ricominciate!” si spazientì Bella.
Vuoi combattere? O te ne vai con le buone o ti mando via con le cattive!
Strinse gli occhi ambrati con sottile irritazione poi pestò brutalmente una zolla di terra ai suoi piedi. “Non ci posso credere, di nuovo!” esclamò con furore traboccante.
“Non mi senti ancora?” chiesi.
“No. La testa è di nuovo vuota. E’ la stessa sensazione di quando provo a sentire i pensieri di Bella. Niente. Come se non ci fosse nessuno davanti a me”.
Ne sembrava realmente turbato mentre io stavo cominciando a chiedermi se non dipendesse in qualche modo da me. Forse la sua dote era intatta ed era la mia testa a essere cambiata. Ma perché sarebbe dovuto accadere? E poi con che fine? Negli ultimi minuti che cosa era successo che aveva potuto modificare il mio essere? Niente di particolare. Ero diventato immune come Bella? Troppe domande senza risposta.
Improvvisamente Edward guardò Bella negli occhi, come se cercasse di scorgervi qualcosa. “E’ come te, amore mio” balbettò. “Sei ancora arrabbiata perché non ti facevamo entrare nel nostro discorso?”.
“Non voglio essere esclusa, visto che era chiaro che l’oggetto della discussione ero io” mugugnò da bambina capricciosa.
Le prese il viso fra le mani e la guardò, speranzoso, irritandomi profondamente.
“Sei stata tu, amore? Tu mi hai impedito di leggere nella sua mente?” le domandò vellutato.
“Io… no! Come avrei potuto?” domandò sconvolta.
“Non lo so, ma tu c’entri qualcosa. Adesso sento di nuovo i suoi pensieri e tu sei calma”.
“Questo non vuol dire niente!”.
“Che stai cercando di fare, sanguisuga?” esclamai, inviperito.
“Non so come abbia fatto, ma Bella ha bloccato il mio potere…” esclamò in un misto di stupore e soddisfazione.
“Come fai a dirlo? Non hai prove che sia stata lei…”.
“Sono quasi sicuro che sia così. Dobbiamo scoprirlo. Andiamo da Carlisle” disse, prendendola per mano.
“Ehi, un attimo, vampiro. Tu ed io stavamo discutendo…” replicai, avvicinandomi a loro.
“Se permetti, abbiamo una cosa molto più importante da fare. Se la mia intuizione è giusta, Bella potrebbe avere un potere molto utile alla nostra causa, qualcosa che potremmo sfruttare per vincere. Dobbiamo andare”.
Si comportava peggio di suo padre quando doveva fare delle analisi o partorire nuove teorie. Ma a me non importava niente se Bella aveva un potere, io volevo solo parlarle e stare qualche altro minuto con lei. “Bells, aspetta non andare…” la implorai.
Mi guardò, smarrita. Non capiva ciò che il suo vampiro stava farfugliando o ipotizzando. Non voleva seguirlo, ma non voleva nemmeno imporsi. Lo trattenne per un braccio e disse:“Non ho salutato, Jake…”.
Edward ritirò la mano dal suo braccio e apparentemente la lasciò libera di muoversi come preferiva. Tanto sapeva che l’elastico fra loro due non si sarebbe reciso.
“Devo andare, Jake. Spero di rivederti presto” mi salutò con un velo di commozione. Feci un passo verso di lei, ma scosse la testa. Digrignò le labbra per mostrarmi i canini e rendere ancora più evidente cosa ci separava. “Io ora sono diversa da ciò che amavi e, anche se non vorrei che lo fosse, anche tu sei diverso per me. Ti voglio bene e te ne vorrò sempre, ma è giunto il momento che ognuno di noi segua la strada che ha scelto…”.
“Io non avevo scelto questa strada… Sei stata tu a imporla a entrambi” mi lamentai con voce rauca.
“Mi dispiace, credevo che le cose sarebbero andate diversamente. Avrai un posto nel mio cuore, o in quello che ne resta, e potrai sempre contare sulla mia amicizia, ma solo su quella. Ho scelto Edward, sono quello che volevo essere da quando l’ho conosciuto, ho trovato il mio posto e ti prego di accettarlo”.
“Non posso, Bells. Non puoi chiedermi questo…”.
“Hai mille qualità, Jake, e troverai la ragazza che fa per te. Quando accadrà, ne sarò estremamente felice perché forse potremo avere quell’amicizia disinteressata che non abbiamo mai avuto. E fino ad allora, se non riesci a mettere una pietra sopra di me, sarò costretta ad evitarti e non vorrei farlo, ma devi capire che Edward viene prima di tutto, ora”. Come disse quella sola, ultima parola composta da tre lettere fu una coltellata: emozionata, ma decisa a ribadire che ormai ero diventato meno di quanto fossi quando era ancora umana e innamorata di lui.
Gli tese nuovamente la mano e gli sorrise amabilmente. Fu come se mi avessero strappato il cuore e lo avessero pestato, ancora palpitante, mille e mille volte.
“Adesso torno dalla mia famiglia” continuò con sfacciata crudeltà. “Saluta gli altri del branco. Ti auguro un buon Natale e di trovare la tua serenità, come io ho trovato la mia. Addio”.
Non risposi e li vidi sparire, mano nella mano, nel fitto della vegetazione.
Era finita e io avevo perso. L’avevo persa.

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Capitolo 64
*** Alle porte dell'inferno ***


Ecco un capitolo un po’ più corto degli altri e di semplice raccordo fra il precedente e il successivo. Qui ci troveremo davanti alla disperazione di Jake per aver perso Bella, ma non vi preoccupate non resterà avvilito per molto (non è proprio il tipo!)… Buona lettura!
 

 
 
 
Nel suo sguardo, a parte il rammarico per la nostra forzata separazione, non avevo letto niente che potesse anche solo farmi fantasticare un improbabile riavvicinamento. Ero solo e sarei rimasto tale. In quell’istante realizzai che non potevo coltivare alcuna speranza e che la nostra storia era davvero finita, anche se per me non sarebbe mai morta. Caddi in ginocchio, dando libero accesso alle emozioni. La rabbia mi invitava a trasformarmi e a sfogarmi in impossibili gare contro il vento, ma se gliela avessi data vinta e qualcun altro del branco fosse stato lupo nello stesso momento, avrebbe percepito il mio dolore e questa era una cosa che volevo restasse mia il più a lungo possibile. Non perché me ne vergognassi, ma soltanto perché condividerla l’avrebbe privata della necessaria importanza. Lacrime tentarono l’arrembaggio, ma le ricacciai indietro con tutta la forza che mi era rimasta: avevo pianto poche volte nella mia vita e questa non sarebbe stata una di quelle. Mi sollevai stancamente e mi diressi verso casa, rimanendo umano per tutto il viaggio di ritorno, che non fu abbastanza lungo per permettermi di nascondere la delusione a Rachel.
Quando feci il mio ingresso nella nostra angusta dimora, era in piena pulizia da 23 dicembre. Strofinava e lavava da più di due giorni per rendere presentabile quella bicocca, neanche dovesse venire la regina d’Inghilterra. Ma Natale era sacro e tutto doveva essere perfetto, almeno questo ci aveva insegnato la mamma.
“Allora com’è andata la ronda? Niente di nuovo, ovviamente…” ridacchiò, non distogliendo l’attenzione dal pavimento, che stava spazzando con esagerato fervore.
“No, infatti” mi sforzai di rispondere. Ma proprio quello sforzo mi tradì. Non avevo aperto bocca per quasi una settimana e bastarono due brevi parole per farle alzare il viso. Un’espressione incredula lasciò il posto alla preoccupazione.
“Cos’è successo?” balbettò, stringendo il manico della scopa.
“Niente…” rimarcai, avviandomi verso le scale.
Mi seguì come un’ombra per qualche passo, infine disse:“Vuoi fare colazione? Avrai fame…”. Quello era il suo modo elegante e silenzioso per dire:“Se ne vuoi parlare, sono qui”.
“No, grazie. Non mi va” e salii i gradini.
Una volta in camera mi buttai sul letto, scorrendo con la mente ogni singolo istante del nostro incontro. Nonostante il dolore, era stato meraviglioso. Poterla vedere un’altra volta era stato ciò di cui avevo bisogno, anche se la sua indifferenza mi aveva quasi fatto pentire di averla salvata.
La trasformazione l’aveva resa ancora più splendida di quanto già non fosse. Semplicemente perfetta, pur con quella sicurezza, nel modo di fare e di parlare, che stonava con tutti i miei più intimi ricordi. Nonostante questo, non potevo evitare di amarla, anche come vampiro. Non importava se la sua puzza era semplicemente nauseante, perché pian piano sarebbe diventata un profumo. Avrei potuto calpestare qualunque pregiudizio pur di averla e invece tutto si era sfumato, trasformando le mie aspirazioni e ambizioni in sogni. Sogni di una vita che non avrei mai potuto avere e Bella sarebbero diventati l’emblema di un amore mai consumato. La ragione diceva “Cancellala”, ma il cuore non si rassegnava. Potevo sperare ancora che tornasse da me? “Edward e solo Edward”. Tutti gli altri, me compreso, nella folla retrostante lui. Il suo comportamento attuale faceva quasi dubitare che mi avesse amato, ma sapevo perché quel giorno si era tagliata la gola e sapevo che mi amava molto più di lui. Ma perché allora era successo questo? Era mai possibile che l’istinto potesse prevalere su tutto, anche sui sentimenti? Io avevo pur vinto il mio ribrezzo per i vampiri e lo poteva fare anche lei. Forse era troppo presto, forse dovevo aspettare ancora. La pazienza non era mai stata il mio forte e non me la sentivo di illudermi.
Sollevai il braccio e lo portai sopra la testata del letto, dove trovai le cornici. Afferrai quella che per due settimane avevo guardato ogni sera prima di coricarmi e durante le notti insonni. Bella ed io sulla moto. Una foto di un anno fa, quando era ancora umana, quando era soltanto la mia migliore amica, anche se, ripensandoci, non riuscivo a delineare il momento preciso in cui avevo iniziato ad amarla. Era passato poco tempo ma sembrava un’eternità. Gli ultimi avvenimenti mi avevano fatto crescere così in fretta che mi sentivo quarant’anni addosso, e ora quest’ennesima delusione non faceva altro che appesantire il fardello.
Con l’indice le sfiorai il viso. Se avessi potuto farlo anche nella realtà…
Appoggiai la foto capovolta vicino a me e ripensai a quel pomeriggio. Era una tortura gratuita e lo facevo quando la sua assenza sembrava farmi esplodere, come una droga. Se mi astenevo dal pensarci anche solo un giorno, mi sentivo male e mi rifiutavo di combattere l’assuefazione.
Quel bozzolo di serenità non sarebbe mai bastato a farmi sopravvivere senza Bella. Quelli del branco dicevano che non era imprinting, ma non poteva esistere un sentimento più forte. Non esisteva qualcos’altro che ti togliesse il fiato, che ti privasse di ogni volontà e al tempo stesso ti desse la forza di andare avanti e sperare. Ricordavo le sensazioni di Seth, e sentivo quotidianamente quelle di Sam, Jared, Quil e Paul ed erano completamente diverse dalle mie, ma erano ugualmente profonde. Nessuna avrebbe potuto prendere il suo posto. Ci avevo provato ed era andata male; ora avevo la certezza che non sarei mai riuscito a sostituirla.
Rimasi sdraiato su un fianco per ore e ore prima di rendermi conto che erano soltanto le tre. D’ora in poi avrei dovuto abituarmi anche al tempo che non passava mai.
Mi alzai come un fulmine e scesi al piano di sotto, deciso ad uscire e a liberarmi di tutto quanto. Rachel mi si parò davanti con un’espressione falsamente alterata. “Potevi rispondere. Ti ho chiamato per il pranzo… Pensavo che dormissi” mi sgridò.
“Lasciami in pace. Oggi non è giornata” la liquidai frettolosamente.
Il suo sguardo si raddolcì. Mi dispiaceva scaricare su lei e papà il mio nervosismo, ma dovevano capire che non ce la facevo.
Infilò una mano nel largo e sformato grembiule color del cielo, appartenuto alla mamma, e ne estrasse una busta. Era indirizzata a me. “L’ha mandata zia Jule dal Maine… Credo sia il tuo regalo di compleanno” mi spiegò, porgendomela.
Gliela presi dalle mani con noncuranza e la aprii. Non mi interessava granché ma qualsiasi cosa potesse distrarmi dal mio pensiero fisso era ben accetta. E effettivamente Rachel aveva ragione. Erano soldi, accompagnati da un biglietto.
“Duecento dollari?!” esclamò Rachel trasecolata, fissando i biglietti verdi fra le mie dita. “La zia ha fatto una rapina in banca?”
“No” risposi svogliato, porgendole il biglietto di auguri. “Mi fa gli auguri sia di buon Natale che di buon compleanno in ritardo”.
“Ah, ecco. Volevo ben dire!”.
La zia stava in un altro stato e non veniva quasi mai a trovarci, a causa della tarda età. Però non si dimenticava mai di mandarci i soldi per il compleanno e Natale. Generalmente erano cento dollari ogni festività e ora tutta questa abbondanza si spiegava nella riunione appunto di due avvenimenti. In altri momenti, avrei fatto festa ma ora avere quei due bigliettoni non mi faceva né caldo, né freddo. Li infilai in tasca e buttai la busta nel cestino. Mi diressi verso la porta, quando Rachel mi fermò nuovamente. “Domani sera siamo a cena da Sam ed Emily” disse.
“A cena da loro? Come mai?” domandai seccato.
“Non lo so” alzò le spalle. “Hanno detto che ci tenevano a festeggiare la vigilia da loro e ci hanno invitato. Spero che tu non abbia nulla in contrario, perché abbiamo già accettato. Per tutti e tre ovviamente…”.
Ne avrei fatto volentieri a meno, ma, anche se io ero depresso, non potevo imporre agli altri il mio stato d’animo. Era giusto che avessero il loro Natale; ci sarei andato, ma non potevano certo pretendere che dispensassi a chiunque barzellette, sorrisoni e abbracci. Girai la maniglia quando la voce di Rachel mi raggiunse:“Credo che abbiano invitato anche Charlie. Non volevano lasciarlo da solo proprio la vigilia…”.
“Io esco. Ci vediamo per cena” commentai acido.
Fantastico! Così anche se avessi voluto dimenticare Bella almeno per poche ore, mi sarebbe stato impedito dalla presenza di suo padre. Non era proprio la mia giornata. Andai nel garage e ne uscii, spingendo la moto. Non sapevo bene nemmeno io dove andare e cosa fare per tutto il pomeriggio. Quando l’accesi, mi stupii di trovare il serbatoio quasi pieno: un evento! Bene, a questo punto potevo andare quasi ovunque. Sicuramente non a Forks. Vabbé, sarei partito e basta. Avrei guidato fino a dove me la sentivo. Partii in sgommata, senza neanche indossare il casco. Intravidi lo sguardo preoccupato di Rachel affacciarsi alla finestra della cucina, ma non me ne curai. Anzi accelerai.
Uscii immediatamente da La Push e dalla sua periferia. Mi ritrovai sulla statale e spinsi sull’acceleratore, in direzione nord. Non stavo facendo calcoli precisi dove andare, sapevo soltanto che se volevo restare solo non potevo trasformarmi. In un certo senso, restare umano si poteva paragonare a una tortura che aveva il solo merito di farmi penare ancora di più perché se avessi sofferto con efferata atrocità, il dolore sarebbe passato prima. Anche se in realtà, sembrava soltanto che non avesse mai un fondo. Ogni minuto in cui mi dicevo “Adesso starai meglio”, diventava solo l’inizio di un incubo peggiore, e la moto non aveva le stesse qualità benefiche e lenitrici della trasformazione. Andare veloce senza alcuno sforzo non mi aiutava.
Ben presto mi ritrovai alle porte di Seattle e mi resi conto che forse una camminata mi avrebbe giovato. Parcheggiai la moto e mi persi nel dedalo di strade di quella città che non avevo mai amato particolarmente, ma che, proprio in virtù della sua vastità e densità abitativa, ti poteva far sentire una goccia nell’oceano. Volevo essere ignorato da tutti e lì era fin troppo facile. Camminai per più di un’ora fino a che non mi abbandonai su una panchina, guardandomi intorno, alla ricerca di possibilità per abbreviare la sofferenza. Erano poco più delle cinque del pomeriggio ed era già buio. Non sapevo cosa fare, e soprattutto come togliermela dalla testa. Avrei voluto dare delle testate contro il muro, ma non sarebbe servito. Era dentro di me mentre io volevo che ne uscisse, che mi desse respiro soltanto per qualche ora. Non chiedevo molto.
Alzai il viso e m’imbattei nell’insegna blu elettrico di un bar, proprio di fronte a me. Senza pensarci, attraversai la strada e vi entrai. Era uno di quei classici locali, con arredamento in legno, avventori rozzi e già parzialmente ubriachi e barista il cui vestiario sapeva di sudicio. Mi sedetti al bancone e, osservato l’elenco ridotto di alcolici disponibili, ordinai una tequila. Non l’avevo mai assaggiata, ma me ne avevano parlato bene. Fu una delusione: aveva la stessa consistenza dell’acqua. Tanto valeva che mi facessi una doccia. Ne bevetti un paio, ma non servì allo scopo. Ricordai che quella sera in discoteca a Port Angeles, Quil mi aveva fatto provare un cocktail a base di rhum. E non era affatto male. Lo richiesi al barista, il quale senza discutere mi servì. Uno, due, tre… Ben presto persi il conto di quanti ne avevo bevuti e mi accorsi con enorme soddisfazione che il nome di Bella non rientrava più fra le mie priorità. Stava funzionando, anche se il rhum mi aveva stufato; decisi di puntare sulla vodka.
Passavano le ore mentre io non facevo altro che deglutire liquidi di vari colori e consistenza. All’inizio fu facile, fin troppo. Il barista portava un bicchiere che il minuto successivo era già vuoto. Pian piano diventò più difficile fino a metterci parecchi minuti prima di svuotarlo completamente. Generalmente accadeva quando lo stesso alcolico mi veniva a noia. Così cambiavo ancora. Forse non avrei dovuto bere, ma mi faceva rilassare: i muscoli erano inflacciditi, la vista un po’ annebbiata e la testa paurosamente felice. Mi illudevo che la risalita fosse già cominciata mentre invece stavo solo cadendo più in basso.
Dopo un periodo di tempo indefinito e l’ennesima richiesta, stavolta di skotch, una voce femminile nasale e accompagnata da una buona dose di raucedine mi disse:“Ehi ragazzo, ma lo sai che ore sono?”.
“No” biascicai.
“Sono le nove di sera”.
“E allora? Chiudete con le galline?”.
“No, però stai bevendo da quattro ore. Credo che sia abbastanza” dichiarò impenetrabile.
Le nove? Cazzo! La cena! Rachel mi aspettava per cena. Sicuramente doveva essere furibonda. Abbassai il viso, guardando il bicchiere vuoto, in quel momento molto più appetitoso di un piatto di carne. Ma chi se ne fregava! In fondo non sarei arrivato a casa in tempo. Potevo restare lì un altro po’. Ne chiesi un altro, ma la donna, bassa e corpulenta, mi fulminò. “Forse non ci siamo capiti. Non ho più intenzione di servirti altro. E’ un miracolo che tu non sia già in coma etilico e non voglio rogne con la legge. Quindi ora paghi il conto e te ne vai. Sono 180 dollari” disse, mostrandomi lo scontrino già battuto. Non c’era dubbio che mi stavano mettendo alla porta, e nemmeno tanto elegantemente.
180 dollari?! Ma quanto avevo bevuto?! Per fortuna che avevo con me i soldi della zia Jule, altrimenti non so come avrei saldato il conto. Quando mi diede il resto, la signora parve riacquistare un’antica benevolenza:“Ti reggi in piedi? Se vuoi ti chiamo un taxi…” domandò, ponendo la massima attenzione a ogni mio gesto.
“No, no. Tutto ok” risposi, sforzandomi di costruire una frase di senso compiuto. Mi alzai e, traballando, uscii.
Nel ritrovarmi all’aperto e sentire l’aria gelida sferzarmi le guance mi resi conto che avevo veramente bevuto troppo, oltre al fatto che non riuscivo a stare in piedi e camminavo, vacillando vistosamente. La gente che mi incrociava si scostava, a volte con atteggiamento impassibile, altre volte tappandosi il naso con visibile disgusto. Impiegai quasi un’ora ad arrivare alla moto, per poi rendermi conto che non avevo la più pallida idea di come sarei riuscito a tornare a La Push, senza cadere o fare un incidente. Potevo ammazzarmi, ma non ammazzare qualcun altro. L’alternativa era chiamare Rachel, che però mi avrebbe sgridato. Decisi di tentare e partii.
Il percorso fu pieno di soste, dovute sia a conati di vomito improvvisi, sia alla vista che mi si appannava troppo spesso. Le luci delle macchine che incontravo erano flash improvvisi e accecanti che contribuivano a mandarmi in tilt. Un paio di volte finii nella corsia opposta e rischiai un frontale, ma mi andò sempre bene.
Mi ritrovavo ormai a una cinquantina di chilometri da La Push quando riconobbi la zona. Ero nei pressi del sentiero che portava alla spiaggia dove ero andato con Rose parecchie settimane prima. Chissà com’era di notte… Quando vidi lo svincolo della stradina sterrata, voltai con una sterzata improvvisa. La presi troppo larga e dovetti quasi appoggiare la mano a terra per non cadere. Cosa che però non riuscii a evitare pochi metri più avanti quando centrai in pieno una buca a tutta velocità. Il posteriore della moto mi sfuggì e caddi. Freno e acceleratore mi si piantarono nello stomaco mentre il pedale mi tagliò il polpaccio. Urlai per il dolore, ma tutto sommato non mi ero fatto così male. Rialzandomi, persi l’equilibrio più volte e rimasi in piedi per miracolo. La moto a terra era messa decisamente peggio: il cerchione si era imbarcato. Sbattei le mani sui fianchi, esasperato. Fantastico! Appena riparata, era già da buttare, o quasi. Mi stavo ancora rammaricando di quell’accidenti di buca, quando sentii lo scroscio del mare. Fu come se un’ondata di serenità mi fosse scivolata addosso.
Abbandonai la moto e mi diressi alla caletta, aggrappandomi a ogni spuntone di roccia che accompagnava il sentiero in discesa. Affondando nella rena, vidi l’oceano nero, nel quale tuttavia la luna riusciva ancora a specchiarsi. Inciampai nuovamente in un sasso e caddi a terra. Dannazione, non riuscivo proprio a stare in piedi: Bella, in confronto a me, era un’equilibrista nata! Solo in quel momento mi accorsi che si era riaffacciata, aveva trovato il modo per tormentarmi nuovamente. La terapia stava dunque finendo oppure si stava semplicemente trasformando in qualcos’altro?
Mi accasciai alla parete di roccia, raccogliendo le ginocchia contro il petto.
La testa vuota si stava riempiendo ancora di lei e sembrava voler esplodere. Sentivo dolori lancinanti, come se mi stessero piantando mille chiodi nel cervello. Troppo presto però mi accorsi che i chiodi non erano altro che ricordi. Ricordi di lei. Le guance rosa, gli occhi da cerbiatto, la sua deliziosa goffaggine. Tutto esisteva ancora per me e mi faceva soffrire. E’ straordinario come i ricordi possano essere più dolorosi della realtà, come la loro permanenza nella mente possa essere soltanto una forma diversa di supplizio. Se soltanto avessi potuto dimenticare, buttarmi tutto alle spalle! A che cosa era servito quel pomeriggio a casa mia se dovevo perderla poco dopo? Cosa avevo fatto di male per essere punito in questa maniera? Sarebbe stato meglio se avesse continuato ad amare lui, a volerlo sposare e lasciarmi nel mio infelice ruolo secondario invece che farmi illudere di essere diventato protagonista di una favola. Una favola che l’istinto, come lo aveva definito Rosalie, aveva spezzato. Eppure non cambiava nulla. La mia Bella umana continuava a esistere da qualche parte, nei miei sogni, a essere sempre e comunque l’anima nella quale mi sarei specchiato per il resto della vita. Edward poteva portarmi via lei, ma non poteva togliermi i ricordi e i sogni di una storia che sarebbe rimasta comunque incancellabile.
Affondai la mano nella sabbia. Era gelida, gelida come sarebbe stato il corpo di Bella da ora in avanti.
Oggi non avevo potuto neanche sfiorarla e forse non sarebbe mai accaduto. Era dunque tanto importante avere sogni non accompagnati dalla realtà? Potevo sognarla tutte le notti per poi risvegliarmi e fronteggiare la malinconia della mia esistenza, il fatto che apparteneva a un altro e che io non avrei mai più potuto abbracciarla? Lei era sempre stata ciò che riempiva la mia vita; ora, grazie alla sua assenza, la mia vita era diventata una casa con tantissime camere vuote, che non avrei mai avuto il coraggio di riempire. E contemporaneamente avrei avvertito il suo fantasma aggirarsi in ogni movimento, in ogni aspettativa per il futuro. Potevo continuare così? La risposta era “Certo che no! Scuotiti e vai avanti!”.
No…no…
Perché mi aveva abbandonato, quando mi aveva sempre detto che io ero la sua anima gemella e che niente ci avrebbe diviso? Niente a parte un istinto remoto di secoli, che ci aveva fatto scoprire ancora più uguali e fragili, ma proprio per questo così lontani. Picchiai un pugno a terra senza avvertire dolore.
Appoggiai la testa alla parete di roccia e fissai la luna. La pelle di Bella era più splendente e abbagliante di lei… Era ciò che poteva rendere tormento un sogno.
Non volevo rassegnarmi, questa era la verità. Avrei voluto correre da lei e stringerla per dimostrarle che eravamo destinati, che non ci potevano tenere separati, che dovevamo stare insieme… Ma cosa stavo pensando? Era stato proprio il destino a separarci. Ma forse, le cose sarebbero cambiate: l’eternità era lunga e io potevo aspettarla se avessi avuto una sola piccola speranza che un giorno si sarebbe accorta nuovamente di me.
Deglutii con forza come se, così facendo, ricacciassi indietro l’illusione. Il passato non ritorna e Bella avrebbe continuato a scavarmi nella mente infinite gallerie che solo lei sarebbe stata in grado di colmare. Infine era stato proprio il tempo a tradirci: la mia impazienza a non voler aspettare una settimana aveva rovinato tutto.
Non mi restava altro che immaginare, inventare una nostra vita che non mi avrebbe più rallegrato. Le promesse di quel pomeriggio erano state infrante e adesso erano solo parole galleggianti nel mio mare di pensieri. Non avevo più motivo per sperare.
In quel preciso istante mi accorsi che stavo piangendo e non volevo farlo. Mi asciugai le lacrime in fretta e affogai nel rumore delle onde. Respirai a fondo. Se un umano avesse bevuto quanto me, sarebbe sicuramente finito all’ospedale, mentre io ero qui a piangermi addosso; se Rachel mi avesse visto in questo momento, mi avrebbe ripudiato come fratello; se Sam e gli altri mi avessero visto, avrebbero riso di me; e Bella avrebbe detto:“Edward non l’avrebbe mai fatto!”. Cominciai a ridere sguaiatamente. A ridere tanto da essere scosso da singulti. Ebbi un conato di vomito e mi rovesciai sul fianco per dare di stomaco.
“Jake…” sussurrò una voce soave alle mie spalle.


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Capitolo 65
*** Il mio angelo custode ***


Mi voltai di colpo, sgranando gli occhi. Nel buio della notte la figura vicino a me apparve così luminosa da sembrare un angelo, intriso di un alone divino. Strinsi più volte meccanicamente le palpebre per mettere a fuoco, ma ero talmente ubriaco che non riuscivo ad abbozzarne i lineamenti.
“Stai male?” esitò quello che avevo già ribattezzato come un angelo.
Non risposi. Forse ero andato davvero in coma etilico e vedevo esseri che potevano esistere solo nei sogni o nell’aldilà. Se fosse stato così allora avrei potuto vedere Bella oppure la mamma. Se soltanto fosse stata ancora viva…
Inspirai una, due, tre volte e solo allora l’unico senso che l’alcol non aveva obnubilato fece crollare l’inganno in cui mi ero gettato. Vaniglia. Odore di vaniglia. Gli angeli non emanavano profumi di quel tipo, o perlomeno non gli angeli celesti e io l’avevo adorato per parecchio tempo in una persona vivente, se così si poteva definire. Tuttavia l’aroma fu talmente intenso da farmi tossire. Mentre gli altri sensi si erano spenti con la sbronza, questo si era acuito e mi diede fastidio.
“Jake, stai male?” si chinò su di me, posando la mano gelida sul braccio.
“I tuoi capelli profumano di vaniglia… Come sempre” ridacchiai.
“Cosa?!” esclamò Rosalie incredula. “Mi prendi in giro?”.
Continuai a ridere come un perfetto imbecille, senza riuscire a smettere. Mi piaceva l’odore dei suoi capelli. Ormai vaniglia era sinonimo di Rosalie. Non le sentivo più la puzza propria dei vampiri, ma solo, a tratti, quel magnifico profumo.
Estrasse dalla borsetta un pacchetto di fazzoletti di carta. Corse verso la riva, né inumidì uno e tornò frettolosamente da me. Lo strusciò delicatamente sulla bocca e in parte sulle guance.
“Cosa hai fatto Jake? Perché stavi vomitando?” domandò, mentre mi dimostrava fin troppo calore.
“Niente” balbettai.
“Niente un accidente!” ribatté accigliata. “Puzzi come un’osteria di quart’ordine! Quanto hai bevuto, eh?!”.
“Un po’…”.
Prese un altro fazzoletto, stavolta per asciugarmi, ma le afferrai il polso. Mi fissò smarrita. “Smettila, non ho bisogno di una badante!” ringhiai.
“Invece a me sembra proprio di sì. Lo sai che è quasi mezzanotte?! Rachel e tuo padre sono preoccupati da morire. Devi tornare a casa subito!”.
Stavolta fu il mio turno a essere sorpreso. “Che c’entra Rachel?” domandai.
“Ha chiamato a casa nostra. Era molto preoccupata perché è dalle tre del pomeriggio che sei fuori. Ha detto che gli altri del branco non sapevano dov’eri e tanto meno dove cercarti. Sperava che fossi da noi”.
“E poi visto che ovviamente non c’ero, ha spedito te a cercarmi?” sbuffai. Quando avessi avuto Rachel fra le mani le avrei torto il collo: non avevo bisogno della babysitter! Se non si fidavano, non era un problema mio.
“Devi tornare a casa” rispose, ignorando la mia provocazione. “Sono molto in ansia, tutti quanti”.
“Tutti quanti? Anche Bella?”.
“Certo”.
“E allora come mai sei venuta a cercarmi tu e non lei?!” sbottai in aria di sfida.
Rosalie arricciò le labbra, visibilmente contrariata. “Sai perfettamente che non può avvicinarsi, altrimenti sarebbe venuta al mio posto, te lo posso assicurare!”.
“Certo, certo…” balbettai senza dare importanza alla sua affermazione. Ormai indorarmi la pillola e farmi sentire più stupido di quanto già non fossi sembrava essere diventato lo sport preferito di tutti.
“Perché hai bevuto, Jake?” domandò in un sussurro che conteneva in sé un dolore così trasparente da essere quasi tangibile.
Rispondere “Bella” sarebbe stato scontato e deprecabile; dare la colpa a lei perché io non riuscivo a fare i conti con me stesso, altrettanto vigliacco, ma non conoscevo qualcosa che potesse infrangermi con la stessa forza. Rosalie tuttavia sembrava già conoscere la risposta e aveva abbassato lo sguardo. Si inginocchiò davanti a me e giocando con le unghie, come ormai avevo imparato a vederla fare ogni volta che era nervosa, sussurrò, in tono colpevole:“Edward mi ha raccontato del vostro incontro di stamattina…”.
“Bene, allora sai che Bella non mi vuole più vedere…”.
“No!” replicò con la voce improvvisamente stridula. “Non è vero. Bella ti vuole ancora vedere”.
“Se accetterò la sua relazione con tuo fratello, allora mi accoglierà nella ristretta cerchia delle sue amicizie. Che onore!”.
Mi vergognavo terribilmente a parlare di lei e a farmi vedere in quello stato da qualcun altro. L’unico modo per rendermi meno perdente di quanto non fossi era assumere un tono sarcastico. Cosa che però non sarei riuscito a mantenere a lungo proprio in virtù della sbronza che aveva abbattuto ogni barriera. Sentivo che stavo per perdere il controllo, che forse avrei dovuto mandarla via prima di dire cose di cui, a mente lucida, mi sarei pentito, o forse di dire semplicemente la verità.
“Jake, lei è appena stata trasformata. Devi capire che non è stabile ancora, anche se, dobbiamo ammettere, ha un controllo notevole sulle sue emozioni per essere una Neonata. Se ti è sembrata dura, è soltanto perché non vuole farti del male. Non vuol dire che non ti ama più…”.
“Certo che non mi ama più!” gridai e il rimbombo della mia voce si sparse nella minuscola caletta. Rosalie trasalì leggermente. “Non mi ama e basta” affermai, trattenendo a stento il furore che tentava di infrangere le mura dietro le quali l’avevo costretto. “Non mi importa essere suo amico se non posso più averla”.
“Ti stai arrendendo per caso?”.
“Perché? Non dovrei farlo? Quante possibilità ho che lei si ricordi di me e dei nostri sentimenti? L’hai detto tu stessa: nessuno di voi ha acquisito ricordi che non aveva già al momento della trasformazione, quindi perché dovrei sperare che accada il contrario? Sono stanco di credere nei miracoli. Miracoli che mi hanno sbattuto su questa spiaggia, stanotte. Se non ci fosse mai stato quel maledetto pomeriggio, forse a quest’ora me ne starei facendo una ragione e sarei a casa a finire i pacchetti di Natale. La verità è che non è destino per noi due. O forse è semplicemente destino che debba soffrire e Bella è soltanto il tramite”.
“Se credi che io ti dirò “Poverino”, ti sbagli di grosso!” replicò piccata. “Non si tratta di credere nei miracoli, né di sperare che le cose si sistemino da sole. Si tratta di combattere, cosa che mi risultava tu sapessi fare abbastanza bene oppure l’alcol ti ha così rimbambito?”.
“Combattere? Se potessi uccidere tuo fratello lo farei molto volentieri, credimi”.
“Uccidere?! Credi che il solo metodo per riconquistare Bella sia uccidere lui? Credi che lei ti amerebbe se lo facessi? Se fosse solo questo, sarebbe estremamente facile, no? Pochi minuti e… o tu o lui. Beh, credo che sia ora che cresci un po’, arrogante di un cane! Se la vuoi, non devi confidare nel fatto che si ricordi di quel pomeriggio, devi solo farle rivedere quello che ha scoperto quel giorno in te…”.
“Io non so che cazzo ha visto in me! Non lo saprò mai! Non saprò mai perché avesse deciso di rendermi l’uomo più felice della terra. Io so soltanto che ho tradito la fiducia che lei aveva riposto in me. Non l’ho saputa proteggere quando è stato il momento”.
Rosalie abbassò lo sguardo e mi accarezzò la mano che non avevo più avuto il coraggio di muovere da quando era cominciata la nostra conversazione. Si era leggermente informicolita e Rose, come se avesse percepito il mio fastidio, la massaggiò più volte.
“Ha visto la vita meravigliosa che potevate avere…” sussurrò mestamente come se il rimpianto fosse suo. “Ha visto la realtà diventare sogno. Tutto qui”.
Non potevo più dare quello che Bella cercava o che aveva amato perché ormai appartenevamo a due pianeti diversi. A me non importava, ma a lei sì. Evidentemente l’amore non era abbastanza forte da sopportare un cambiamento così radicale. Io avrei affrontato tutto per lei, ma non era vero il contrario, anche se da viva aveva dato una ben più ampia dimostrazione dei suoi sentimenti rispetto a me. Con l’ultimo battito del suo cuore era volato via, leggero e impalpabile, anche il mio sogno. L’eclissi era cominciata nuovamente.
“Non devi arrenderti, Jake” mi sorrise. “Non si molla mai, per quanto il destino possa picchiare duro. Ti ricordi? Me l’hai detto quel giorno a La Push e io ti ho ascoltato. Ora non puoi rimangiarti tutto”.
“Forse avevi ragione tu” borbottai, seppellendo la frase che mi ero ripetuto ogni giorno in tutti quegli anni.
“No che non avevo ragione!!!” esclamò, alzandosi sulle ginocchia di scatto e sovrastandomi. “Non si basa la propria vita sugli altri. Bisogna essere felici di ciò che si ha e goderne appieno. E se quello che hai non ti dovesse bastare, allora fai di tutto per ottenere ciò che vuoi. Puoi farti amare ancora se lo desideri. Devi solo ricominciare da capo. Se ti ha amato una volta, può farlo ancora. Torna a essere com’eri e vedrai che, col tempo, sceglierà ancora te”.
“No, non accadrà. Bella è una di voi ormai e non proverà mai più niente per me” mi rammaricai, stringendo con forza il ginocchio.
“Se stai semplicemente cercando una scusa per piangerti addosso e non fare niente, allora sì, non ti amerà mai più, contento? Potrai passare i prossimi dieci anni della tua vita a ubriacarti in tutti i bar da casa tua a Seattle. Ma poi cosa concluderesti? Non puoi distruggere la tua vita per un rimpianto”.
“Non voglio bere ma soltanto guarire…” sussurrai.
“Vuol dire che rinunci?” domandò incredula.
Non risposi. Era quello che avevo tentato di impormi in queste ultime ore, ma mi conoscevo e sapevo che non avrei mai retto a vedere Bella tra le braccia di Edward. Era superiore alle mie forze, oltre a essere contrario a ciò in cui credevo. Mai arrendersi, da quando era morta la mamma. Ma ora mi sembrava di avere nuotato tanto e invece di avvicinarmi all’isola, essa si allontanava sempre più. Ero esausto. Dovevo fermarmi, ma non volevo farlo. Intestardirsi in questo modo significava solo soffrire; rassegnarsi era più facile. Lasciarla andare e lasciare andare anche me stesso. Non respirare per qualche minuto e poi tutto sarebbe finito.
“Rose, posso chiederti un piacere?”.
“Dimmi”.
Alzai il braccio e glielo porsi davanti al suo viso. “Che significa?” domandò.
“Mordimi”.
“Stai scherzando, vero?”.
Scossi la testa lentamente. “No, mordimi e facciamola finita” ammisi, quasi sollevato di essere riuscito a pronunciare quelle parole. Ero sempre stato contrario al suicidio, ma forse perché non avevo sofferto abbastanza. Adesso capivo che cosa poteva spingere una persona a farlo.
“Cosa credi di concludere, eh? I problemi non si risolvono così!” mi sgridò. Tentava di mantenere un atteggiamento autoritario ma dai suoi gesti e movimenti capivo che era più scossa di me.
“Per quanto mi riguarda, sì. Ho chiuso. E’ da quando avevo quattordici anni che combatto e ora sono stanco”.
“Quando lo volevo fare io, mi hai rimproverato. Hai detto che sbagliavo, che…”.
“Anch’io sbagliavo” la interruppi tagliente. “Non sapevo quanto si potesse stare male. Ora lo so e so che questa è l’unica soluzione. Non voglio arrendermi, ma non posso più combattere”.
“Sì che puoi. Solo che hai paura…” sibilò, riducendo gli occhi a due fessure.
“Allora mi vuoi aiutare o no?” tagliai corto quasi furibondo. Ne avevo abbastanza anche delle sue prediche e dei suoi moralismi. Che andasse al diavolo, se non voleva uccidermi. Avrei trovato un vampiro più disponibile di lei.
“Se ne sei convinto…”.
“Sì, lo sono”.
“Come vuoi. Preferisco ricordarti com’eri piuttosto che con questa pallida imitazione di te stesso…” disse, alzando le spalle, svogliata.
Rise con la palese intenzione di mostrarmi i canini, e forse intimidirmi, infine mi afferrò il braccio. Passò il naso sulla pelle e ne avvertii il leggero inspirare, come quando si sta per pregustare un piatto magnificamente preparato. Le mie sofferenze stavano finalmente per avere un termine. L’istante successivo fu terribilmente veloce.
Strinse il polso con una mano e con l’altra impugnò il gomito, per affondare i denti aguzzi più velocemente e impedire resistenze che, involontariamente, avrei tentato; invece piegò l’avambraccio ad angolo retto con un movimento brusco. In quel momento sentii un dolore atroce, amplificato dalla sbronza. Gridai come un pazzo, piegandomi su me stesso. Rosalie lasciò il braccio che mi portai al petto allo scopo, del tutto irrisorio, di curarlo.
“Sei impazzita?!” sussurrai fra i denti, mentre sentivo le ossa scricchiolare e muoversi, al passaggio della mia mano.
“Non ti preoccupare. La frattura è composta. Non dovrai andare in ospedale o da mio padre per farti sistemare” commentò, compiaciuta.
“Non me ne frega niente! Ti avevo chiesto di mordermi, non di rompermi il braccio!”.
“Credevi davvero che ti avrei ucciso?! Mi credevi capace di una cosa del genere? Beh, puoi chiederlo a chiunque altro, ma non a me, hai capito? Non a me!” gridò, incapace di contenere la collera.
Non ebbi il tempo di ribattere perché si alzò e mi sollevò per una spalla, come un bambino cattivo che viene punito a scuola. Mi trascinò in riva e senza fare troppa fatica mi spinse in acqua. Ebbi tempo di contemplare la luna che si specchiava nell’oceano e che mi ricordava il colorito della pelle di Bella, prima che Rose mi premesse il capo sotto la superficie. Non ero preparato a questa sua reazione così furibonda e violenta e non ebbi modo di reagire, anche se, sia a causa del braccio rotto, sia per la sbronza, non sarei stato in grado di tenerle testa. In quel momento ero un uomo normale in balia di un vampiro dannatamente forte e incazzato.
Non dovetti resistere molto in apnea, perché un minuto dopo mi tirò fuori e mi sbatté sulla spiaggia. Rimase in piedi di fronte a me, mentre io tossivo e continuavo meccanicamente a toccarmi il braccio, insensibile, come a sincerarmi che fosse ancora attaccato. Il dolore e la paura erano state una potente scossa di adrenalina e mi avevano risvegliato. Rosalie mi fissava, inespressiva, in attesa di una mia parola, frase o grida di dolore o rabbia. E invece non me la sentivo di dire nulla, a parte, forse, “mi dispiace”. Perché adesso, con la testa zuppa, l’acqua gelida e la dignità sotto i tacchi, sapevo di averle avanzato una richiesta stupida. Non ci si suicida per un amore respinto o per troppa infelicità. Non ci si suicida e basta.
“Quando dici queste stupidaggini, non pensi alla tua famiglia? Sono a casa che ti aspettano, preoccupati da morire e tu vieni qui, a dirmi che vuoi morire? Non capisci niente Jake. Sei uno stupido, esattamente come ti ritenevo io fino a qualche tempo fa…” esalò, candida e fredda come la neve.
“Forse hai ragione. Sono solo un bambino, lo sono sempre stato…”.
Si chinò su di me e mi tolse i capelli dalla faccia, portando più volte le ciocche dispettose dietro le orecchie. “Non puoi buttare tutto all’aria per una persona soltanto, quando ce ne sono tante altre che sono felici per il semplice fatto che respiri. C’è di più, Jake, in tutto quello che facciamo, in tutti noi e non puoi distruggere la tua vita per Bella o per qualcun altra… E lo sai, benché tu sia troppo sbronzo in questo momento per ammetterlo”.
Era tornata la mia dolce e rassicurante Rose, quella che per due mesi mi aveva strappato da Bella, o almeno indotto a pensare che con lei fosse finita. Non era stato così, ma l’affetto era rimasto. Mi piaceva parlarle e, anche se sarebbe dovuta essere l’ultima persona con cui confidarmi su Bella, sapevo che non avrebbe smesso di ascoltarmi. Avrebbe dovuto stupirmi la sua presenza lì, quella sera, ma, ripensandoci, sarebbe stato inconcepibile il contrario. Mi voleva bene, come io ne volevo a lei. Puro e disinteressato affetto. Nessun secondo fine al contrario di come era stato con Bella.
“Vieni, sei bagnato come un pulcino…” sorrise e mi sostenne nel riportarmi indietro.
Mi lasciai cadere accanto alla parete rocciosa, ansimando ancora per il dolore. Tuttavia il braccio si stava ricomponendo. Ci avrebbe messo un’oretta credo, ma sarebbe tornato a posto, e senza l’aiuto di nessuno. La frattura era effettivamente composta. Non ero un medico, ma ormai mi ero rotto talmente tante ossa nei combattimenti che perfino io sapevo distinguere le lesioni.
“Sarebbe meglio che tornassi a casa. La tua famiglia è in ansia…” ribadì, smascherando la pena trattenuta fino a poco prima.
“Perché dovrebbero preoccuparsi? Io sono un licantropo. Non mi può succedere niente…” sorrisi, dissimulando un sarcasmo che invece avrei volentieri sbattuto in faccia a Rachel e a papà in quel momento.
“Cosa c’entra? Questo non vuol dire che non ti possa fare male oppure compiere gesti avventati come quello che mi hai proposto prima!”.
La testa crollò sotto il peso dell’alcol. Mi girava vorticosamente, come se fossi in giostra. Ero a pezzi, sia emotivamente che fisicamente. Le mie energie altalenavano tra picchi di minimo e di massimo. Chissà se anche gli umani stavano male come me quando bevevano. Sicuramente per stare come stavo io non avevano speso quasi duecento dollari! Questo era uno dei molti lati positivi, anche se forse loro avrebbero preferito non ammalarsi mai, come succedeva a noi licantropi. Però avrebbero potuto fare una cosa che a me sarebbe sempre stata vietata.
“Vorrei essere umano…” balbettai, dando voce ai miei pensieri.
“Tu sei umano” replicò Rosalie.
“Non completamente”.
“E’ vero, ma tu hai le parti migliori dell’essere umano, oltre al fatto che puoi scegliere se restare immortale. La tua essenza ha i lati positivi di entrambe le razze” mi spiegò allegramente, come se la questione non l’avesse lacerata fino a poche settimane prima.
“No, perché io non posso diventare uno di voi…”.
“Come?!” esclamò, allibita.
“Se fossi umano completamente, com’è, ad esempio, mia sorella, o com’era Bella, potrei diventare un vampiro, mentre invece stando così le cose, io sarò sempre e comunque diverso da voi”.
“Stai scherzando, vero?” domandò amareggiata.
“Affatto” dissi cupo, sfidandola con uno sguardo penetrante.
“Ti sei proprio bevuto il cervello, allora! Dovevo tenerti sotto più a lungo…”
“Se fossi stato un vampiro, mi avresti amato?” domandai ruvido.
“Che c’entro io adesso?” sussurrò sgomenta.
“E Bella? Io credo di sì…”.
“Si può sapere che diavolo stai blaterando?” sbottò, trattenendo a stento la rabbia. “Tu vorresti diventare uno di noi soltanto perché credi che Bella amerebbe te?! Ma ti sei rimbambito? No, non ti amerebbe lo stesso perché tu sei perfetto così come sei. Non hai bisogno di cambiare e se Bella è talmente stupida da non apprezzarti, allora il problema non è tuo ma suo! Lei non capisce cosa perde, altrimenti…” e si bloccò di colpo.
“Io invece credo che il problema sia mio. Non sono abbastanza per lei… O forse non sono abbastanza pallido per i suoi canoni!” risi. Una battuta. Forse la sbornia stava passando.
“Sicuramente sei tanto ubriaco e devi ringraziare il cielo che Bella non ti stia vedendo adesso, altrimenti ti toglierebbe il saluto” ridacchiò, poi distogliendo lo sguardo dal mio, continuò:“Davvero credi che sia solo il tuo essere licantropo che la allontana?”.
“Non lo so…”.
“Dalle tempo e datti tempo. Forse inizialmente può dipendere dalle vostre opposte nature, ma prima o poi la reazione da Neonata cesserà e, se tu sarai come prima, tornerà da te”.
“Devo illudermi ancora? Nessun vampiro ha mai amato un licantropo e non accadrà di certo adesso…”.
“Non è vero” sussurrò, accarezzando la sabbia. Osservai quel movimento quasi affettuoso verso un essere inanimato. La sabbia non poteva reagire e mostrarle affetto, eppure la stava coccolando. Un brivido mi percorse per intero il corpo quando mi resi conto che avrei voluto essere al posto di quei granelli. Era innaturale pensarlo visto che amavo Bella più di qualsiasi altra persona al mondo, però mi sentivo dannatamente solo e perfino del pulviscolo riceveva più attenzioni di quante io ne avrei potuto avere in tutta la mia vita futura.
Rosalie non aggiunse altro, persa in un’altra dimensione. Guardava per terra e sorrideva fra sé e sé, come una bambina che si diverte a fare castelli di sabbia, fantasticando mondi e favole eccitanti. Che cosa c’era di così bello lì? Cosa stava immaginando da darle tanta serenità? Avrei voluto saperlo, avrei voluto che lo condividesse con me per farmi stare meglio.
“Rose” la richiamai. Alzò il viso, tradendo un’emozione indecifrabile, quasi di spavento misto a felicità. Abbandonò il suo passatempo per qualche istante, aspettando una spiegazione al mio richiamo, poi abbassò nuovamente lo sguardo.
In quei pochi secondi in cui i nostri sguardi si incrociarono, fu lo spalancarsi della porta dei ricordi, dei nostri ricordi, di ciò che avevamo condiviso e di come, nonostante non fosse stato un periodo facile, fossi stato sereno. Non ero pentito che la nostra relazione si fosse conclusa, ma rimpiangevo i momenti tranquilli e come avesse saputo allietare le mie giornate. Adesso stavo molto peggio di quando era comparsa nella mia vita, ma volevo tentare di migliorare e lei era l’unico ricordo felice a cui ero legato negli ultimi anni, a parte Bella.
Un vento gelido, che soffiava nella mia direzione, mi portò di nuovo l’odore di vaniglia. Mi piaceva. Era l’aroma che preferivo in assoluto.
Alzò di nuovo il viso quando con il braccio ancora integro la presi per un gomito. Mi guardò trasecolata, alternando occhiate ora a me, ora alla mia stretta. “Che c’è, Jake?” domandò curiosa.
Non le risposi. Mi limitai a tirarla a me bruscamente e a baciarla. Nel solo momento in cui la sfiorai mi sentii meglio, come se fosse il rimedio a ogni malattia. Mi piacevano le sue labbra. Mi avevano sempre attratto, anche quando la conoscevo solo come la “psicopatica bionda”. Ma non ebbi tempo di pensare ad altro perché si divincolò e, sia a causa della sbronza che aveva ridotto notevolmente le mie energie, sia a causa del braccio rotto, fui costretto a lasciarla andare. Si allontanò con un balzo indietro, dopo avermi colpito con un manrovescio.
“Sei impazzito, Jake? Cosa credi di fare?” gridò imbestialita, la voce le tremava, gli occhi anneriti dall’ira.
“Mi dispiace. E’ che mi sento tanto solo… So che potrà sembrarti ripetitivo e scontato…”.
“Lo è infatti” replicò, cercando di ritrovare la calma. Tuttavia sembrava una bomba pronta a esplodere. Strinse i pugni come se me li volesse lanciare addosso.
“Se ti senti tanto solo e hai bisogno di “quel” tipo di conforto, allora vai sulla statale. Lì ci sono tante ragazze che per pochi spiccioli saranno ben felici di soddisfare ogni tuo desiderio e tenerti compagnia, anche tutta la notte. Ma non provare con me, hai capito?” urlò.
Non l’avevo mai vista così arrabbiata, nemmeno quella sera in cui l’avevo baciata a tradimento sotto la quercia. Stavolta avevo esagerato e non avevo giustificazioni.
“Non capisci niente” farfugliò, rivelandomi la sua delusione. “Sei un idiota completo e io lo sono ancora di più perché sto qua a perdere tempo con te. Vattene al diavolo e restaci, Jake!”.
Raccolse la borsetta che aveva lasciato vicino a me e si allontanò. Tentai di rincorrerla per spiegarle ma inciampai nella medesima pietra che mi aveva già fatto cadere quella sera. Non riuscivo a trovare un equilibrio e la testa, appena si alzava in posizione eretta, ondeggiava in bilico su un baratro, facendomi perdere ogni dimensione e prospettiva. Quando mi ritrovai per terra, sapevo che non sarei stato capace di raggiungerla e perciò l’unica cosa che potei fare fu urlare “Mi dispiace”.
Quando non sentii più la sua scia, capii che se n’era andata davvero. Mi trascinai fino allo sperone di roccia e mi ci appoggiai, sconsolato. Avevo allontanato l’unica persona che mi aveva dimostrato affetto e la cui presenza sortiva un effetto positivo. Non potevo lamentarmi se tutti alla fine mi abbandonavano. Forse il pinguino aveva ragione a definirmi egoista. Cercavo solo quello che soddisfava me, ciò che poteva rendere felice gli altri non era di mia competenza. Rose era venuta qua animata da buone intenzioni e io l’avevo trattata peggio di una perfetta sconosciuta. Ero diventato un imbarazzante impiccio sia per gli altri che per me. Avevo perso ogni dignità, oltre al fatto che non capivo quando dovevo fermarmi. In queste settimane non avevo fatto altro che piangermi addosso, nascondendomi dietro la convinzione che nessuno avesse mai sofferto come me. Egocentrico fino alla fine, non c’era da eccepire. Leah aveva perso suo fratello in combattimento, suo padre a causa di un infarto un anno fa e Sam l’aveva lasciata per sua cugina due anni prima, eppure non si comportava come me. Affrontava tutto con orgoglio. Era continuamente intrattabile e acida, eppure non si era mai arresa, non aveva mai ecceduto in spettacoli così miserevoli come il sottoscritto in questi giorni. Non volevo farmi compatire eppure il risultato che cercavo e ottenevo senza alcuno sforzo era quello. Mi stavo isolando ancora di più di quanto non lo fossi prima. Avevo eretto una diga impenetrabile che non permettevo a nessuno di espugnare. E adesso avevo scacciato l’unica a cui l’avrei lasciato fare.
Appoggiai la fronte sulle ginocchia. Avrei tanto voluto avere la mamma e Rebecca, qua con me. Loro mi avrebbero aiutato e mi sarebbero state vicine, al di là del mio caratteraccio. Rabbrividii. La temperatura doveva essere scesa di parecchi gradi sotto lo zero e per di più ero bagnato fradicio. Se mi fossi trasformato, avrei ovviato a questa situazione, ma non volevo uscire sconfitto dalla personale battaglia che quella sera avevo deciso di intraprendere contro la sofferenza.
Uno scalpiccio di passi sulla rena attirò la mia attenzione e mi costrinse a verificare chi fosse sceso in quel posto che credevo noto solo a me. In piedi, comprimendo una coperta piegata contro il petto, c’era Rosalie. Immobile per qualche minuto, mi fece credere di avere le traveggole. Infine si avvicinò e disse, perentoria:“Togliti la maglietta o prenderai una polmonite…”.
“Non posso ammalarmi…” rimuginai, dopo aver ingoiato lo stupore.
“Puoi ammalarti come tutti, soltanto che guarisci in pochi minuti. E una polmonite, anche se per poco, è sempre spiacevole. Inoltre hai freddo. Stai tremando… Sù, ti aiuto”.
Sollevai il braccio sinistro, mentre Rosalie con cura mi sfilava la manica della maglietta, per fortuna non aderente, da quello rotto, già in via di guarigione ma ancora dolente. Una volta spogliato mi avvolse con un plaid scozzese che sapeva di chiuso, oleoso e meccanico. A dispetto di tutto, non era un odore che io disprezzavo.
“Era nel baule della macchina da quando l’ho comprata…” spiegò. “Credo che sia la prima volta in assoluto che lo uso. Come va?”.
“Bene” risposi mentre sfregava velocemente e con premura le spalle e il torace per scaldarmi. Mi rammentò quando una volta da bambino, a fine estate, dopo aver fatto il bagno, tornai a casa bagnato fradicio alle otto di sera. La mamma prima mi aveva rimproverato, poi mi aveva fatto fare una doccia calda e scaldato come lei in quel momento. Mi sfuggì un sorriso di rimpianto che Rosalie fraintese.
“Lo so che sono un’idiota completa. Non dovevo tornare indietro e non dovrei stare qui. D’altra parte sono già bella, non si può pretendere che sia pure intelligente…” si schernì mentre si prendeva cura di me.
“Mi fa piacere che tu sia tornata…” bisbigliai, eccessivamente languido.
“Se credi che sia tornata perché non sono più arrabbiata, ti sbagli di grosso” ribadì, fermandosi di colpo e dimostrando con i fatti che non stava mentendo. “Sono tornata semplicemente perché mi fai pena e sei ubriaco. Niente di più”.
“Non importa. L’importante è che tu sia qui. Non voglio altro che affetto e pare che tu sia l’unica, che pur non provandolo, me lo dimostra”.
Sospirò, sedendosi accanto a me. “Tutti ti vogliono bene, Jake. Non piangerti addosso, per favore”.
“No, non ho più amici, soltanto compagni di combattimento”.
Scosse la testa con rassegnata disapprovazione. Era convinta che mi stessi compiangendo ancora ma l’effetto dell’alcol stava svanendo e purtroppo sapevo a cosa alludevo. “Perché credi che Leah non abbia voluto venire subito ad aiutarmi contro Demetri? Sam non li ha costretti con la forza, ma so che gli altri non sarebbero venuti di loro iniziativa” le spiegai. Rammentando l’episodio, percepì la serietà del mio discorso e mi fissò a lungo, prima di domandare:”Perché non volevano venire? Che cosa è successo fra voi?”.
Vedendo quegli occhi così sinceramente preoccupati e tesi mi vergognai di essermi confidato. I problemi del branco non la riguardavano e mi ero ripromesso che non gliene avrei mai fatto parola. Se le avessi detto che c’entrava in qualche modo, si sarebbe sentita in colpa ed era un po’ tardi per mettersi a tirare le somme di scelte sbagliate. “Non vogliono che diventi il loro capo: preferiscono Sam” mentii. Raccontare bugie mi riusciva estremamente bene, anche se detestavo farlo. Ma in questo caso la verità non sarebbe servita a granché.
“Saresti un buon capo…” ribadì con convinzione.
“Non sono abbastanza equilibrato”.
“Sei ancora un po’ immaturo ma questo non li giustifica dal lasciarti nelle mani di un vampiro!”.
“E’ una storia lunga e non ne voglio parlare. Non adesso almeno” la liquidai con stizza. Il mio cambio d’umore la fece tacere per qualche istante.
“Come hai conosciuto Bella?” domandò, cogliendomi di sorpresa.
“Perché me lo chiedi?”.
“Così… per curiosità” disse, alzando le spalle.
“Ci conosciamo da quando eravamo piccoli, soltanto che, anche se abbiamo solo un anno di differenza, lei ed io non abbiamo mai passato momenti insieme. Quando Charlie la portava a casa nostra, giocava sempre con Rachel, mentre io andavo a pesca con gli altri o con Rebecca…”.
“Tua sorella pescava?!”.
“Sì” ammisi, scavando piacevolmente nella memoria. “Lei era un vero maschiaccio, più turbolenta di me. Chissà se lo è ancora…”. Guardai l’oceano: a qualche migliaio di chilometri c’erano le Hawaii e anche mia sorella. La immaginai sdraiata a prendere il sole, a nuotare, a bere dozzine di frullati alla frutta di cui andava pazza. Adorava fare surf, come suo marito. Per questo si erano trasferiti là. Onde più alte, aspettative di vita meno monotone e clima migliore. Cosa si poteva volere di più?
“Quindi tu e Bella vi vedevate tutte le estati?”.
“Sì, ma come già detto non le prestavo molta attenzione. Poi è sparita per qualche anno, probabilmente a seguito di sua madre e del suo nuovo compagno… Quando è tornata per stabilirsi qua, è stata come se l’avessi vista per la prima volta. Forse perché io non ero più un bambino, forse perché non lo era più lei. Non saprei spiegarlo. Sta di fatto che ho sentito il cuore battere più forte…”.
Mi fermai perché ci stavo ricascando di nuovo. Mi stavo lasciando prendere dai ricordi e dai rimpianti delle occasioni buttate. Se mi fossi fatto avanti fin da principio invece di lasciare campo libero a Cullen, le cose non sarebbero arrivate a questo punto, anche se ripensandoci a mente fredda, a quell’epoca ero troppo preso da divertimenti che non includevano le ragazze. E in fondo Bella era molto carina, ma all’inizio, pur provando attrazione per lei, non credevo che sarebbe degenerata in un sentimento così intenso.
“Vi siete frequentati solo dopo la scomparsa di mio fratello dalla scena, giusto? Perché lei era depressa, se non sbaglio…”.
Annuii, ma non capii perché volesse a tutti i costi parlare di Bella. Non era un argomento che desideravo affrontare visto che mi ero sbronzato proprio per evitare la sua presenza. Tuttavia, nonostante le rimostranze interne che il mio cervello stava avanzando, ne parlai e a lungo. Le raccontai molti degli aneddoti che riguardavano entrambi e Rose mi ascoltò, interessata. Pian piano il cuore si svuotò di un peso e si fece leggero, così come il dolore apparve più sopportabile. La mamma mi aveva sempre detto che quando avevo un problema dovevo parlarne, che farlo mi avrebbe aiutato, però non era una filosofia di vita che avevo mai fatto mia, non comprendendone gli effettivi benefici. Invece forse avevo torto e Rosalie lo stava facendo apposta per farmi sfogare. E, come quel pomeriggio con Rachel, così il mio colloquio con Rose servì a riscaldarmi più di mille coperte. Quando infine le raccontai cosa avevo provato quel pomeriggio in cui Bella aveva deciso di lasciare suo fratello, non ebbe più la forza di farmi alcuna domanda. Restò in silenzio, fissando dritto davanti a sé.
“Credo di doverti dire una cosa…” affermò, riluttante.
“Cosa?”.
“Quella mattina…” iniziò, restando volutamente vaga, anche se avevo capito a che giorno si riferiva. “Bella ed io eravamo in casa ed ero stata incaricata di proteggerla da eventuali intrusi. Perlomeno questo era il piano, ma lei era agitata, terrorizzata all’idea che Demetri ti facesse del male. Voleva a tutti i costi venire da te. Ho cercato di convincerla ma era irremovibile. Alla fine ho ceduto e l’ho accompagnata…”.
“Sei stata tu?!” esclamai sconcertato.
“Jake, io non credevo che avrebbe fatto una cosa del genere!” si affrettò a chiarire. “L’ho portata da te soltanto perché pensavo davvero che Demetri ti avrebbe ucciso e al suo posto io avrei voluto vederti un’ultima volta. So che è stata una fesseria e in un certo senso è mia la colpa di tutto quello che è successo, però non immaginavo che sarebbe arrivata a tagliarsi la gola. E se non avessi tardato tanto a sbarazzarmi di quel vampiro che mi ha attaccata, probabilmente sarebbe ancora umana. Mi dispiace, Jake… Mi dispiace tanto…”.
Nonostante la spossatezza dovuta alla sbronza, i miei muscoli guizzarono involontariamente, sintomo di una rabbia incontrollata. Distolsi lo sguardo per reprimere l’impulso di ucciderla. Non mi ero mai chiesto come avesse fatto Bella a raggiungere la radura in mezzo a tutti quei vampiri, e ora mi veniva data soluzione a una domanda mai posta. Era stata Rosalie… Era come se me l’avesse uccisa, anche se l’aveva sottratta lei a Demetri. Senza il suo intervento l’avrebbe presa. No, per quanto la conoscevo, Rosalie non l’avrebbe mai fatto apposta. Poteva non averla in simpatia ma non l’avrebbe mai lasciata morire così. Tuttavia il suo errore, in buona fede ma sempre di un errore si trattava, l’aveva allontanata da me per sempre.
“Jake, ti prego… Dì qualcosa…”.
L’unica cosa che avrei voluto fare sarebbe stato soffocarla di insulti e picchiarla se il mio braccio fosse guarito più in fretta. “E’ tardi per chiedere scusa, non trovi?” scossi ostinatamente la testa.
“Hai ragione” sussurrò abbacchiata.
“Perché lo dici solo adesso?”.
“Perché non voglio che ti prendi colpe che non hai. Non volevo che le facessero del male, non l’ho mai voluto davvero, Jake. E quella mattina era cambiato tutto anche per me. Mi piaceva come persona, avevo scoperto che avrei trovato un’amica in lei, e, a differenza di altre volte, l’ho difesa volentieri. Se avessi solo lontanamente immaginato cosa avrebbe fatto, ti posso assicurare che l’avrei trattenuta con la forza…”.
“Smettila” affermai serio. Mi rigirai di nuovo verso di lei e appoggiai il capo al muro, indolente. “Ormai è inutile stare a parlarne. Le cose sono andate così e basta”.
“Per colpa mia però…”.
“E’ inutile che ci gettiamo addosso la colpa l’uno con l’altro. D’accordo tu hai sbagliato, ma se avessi rispettato il patto con Bella e non fossi piombato a casa vostra con l’ansia di sopraffare tuo fratello, avrei potuto combattere contro Demetri senza aiuti; a sua volta se Edward si fosse controllato un po’ di più e avesse ammesso la sconfitta, non mi avrebbe assalito, ferito e via di seguito. E’ inutile. Tutti noi abbiamo la nostra parte di colpa e anche se stabilissimo chi è più colpevole degli altri, io non avrei indietro Bella”.
Fui sinceramente stupito del mio autocontrollo e del mio tentativo di riconciliazione perché sfogarsi contro qualcuno sarebbe stata un’occasione troppo ghiotta per rifiutarla. Eppure me l’ero negata. Se ci fosse stato qualcun altro, membri del branco compresi, li avrei attaccati senza pensare ma lanciarmi contro Rose sarebbe stato peccato mortale. Odiavo ciò che aveva fatto, ma le volevo troppo bene per attaccarla.
Guardò le rade stelle che brillavano fra le nuvole di cui il cielo era costellato, poi disse, fingendo distacco:“Vuoi che parli con lei?”.
“Di cosa?”.
“Di noi due…” sussurrò a malincuore.
Rimasi immobile e distolsi lo sguardo dal suo profilo. Se si fosse girata e mi avesse visto, non sarei riuscito a nasconderle l’entusiasmo e la speranza che la sua frase aveva scatenato in pochi istanti.
“Era molto gelosa e si può dire che si sia accorta di amarti per invidia nei miei confronti. Forse se le raccontassi come sono andate le cose, potrebbe ingelosirsi nuovamente e tornare da te” spiegò, tentando di mantenere la voce neutra. “Anche se, dopo tutta la scena che le hai fatto stamattina, non crederebbe mai che tu possa nutrire sentimenti per me…”.
Sapevo che non avrei mai dovuto approfittarne, che era una sforzo e suo fratello me l’aveva detto chiaramente quella mattina. Eppure era la mia ultima carta. Se Bella avesse saputo della nostra relazione, forse si sarebbe ricordata oppure semplicemente ingelosita, esattamente come era già successo, e avrebbe capito con chi voleva stare. Se l’avesse saputo da me, non mi avrebbe creduto, ma se fosse stata proprio Rose a rivelarglielo, allora non avrebbe avuto motivi per dubitarne. Se avesse fatto una scenata? Se avesse riaperto una ferita, di sicuro non ancora chiusa, fra Emmett e Rosalie? Dio, non volevo causare dei problemi a lei, ma nemmeno perdere Bella. A nessun costo.
“Lo faresti?” balbettai.
Annuì impercettibilmente.
“Perché? In fondo stiamo parlando di minare la felicità di tuo fratello, strappandogli Bella per darla a me…”.
“Se credi che tenga più a te che a lui, ti sbagli” chiarì con voce tagliente. “E’ soltanto per un velato senso di giustizia. Bella, da umana, aveva scelto te e se non fosse stata trasformata, adesso sareste insieme. Voglio bene a mio fratello e vorrei che fosse felice, ma non con un inganno, per quanto non ne sia lui l’artefice. Ritengo che sia giusto che Bella abbia una visione nitida e chiara di ciò che aveva deciso e che ora ha dimenticato. Le dirò come stanno le cose e spero che serva; viceversa non ti aiuterò oltre. Intesi?”.
“Quando lo farai?” domandai, non riuscendo a trattenere l’emozione.
“Presto. Appena riuscirò a creare una condizione tale da essere sole” concluse. Vedendo il mio sorriso entusiasta, fece altrettanto. Era la mia ultima speranza. Se anche questa non fosse servita, non avrei potuto inventare altro e avrei dovuto rassegnarmi davvero. Ma questa mano tesa da Rosalie mi faceva intravedere la fine del tunnel. Forse… No, non volevo fantasticare e illudermi che sarebbe stato così facile.
“Ti va di andare a casa? E’ tardi” domandò, controllando il quadrante dell’orologio.
Nonostante mi sentissi meglio, temevo il ritorno, temevo che una volta fra le quattro mura della mia camera, tutto sarebbe tornato inaffrontabile. Invece lì, all’aperto, col rumore delle onde che mi cullava e la coperta che mi riparava, era quasi sopportabile.
“No. Resto qua… Non mi va di tornare” bofonchiai.
“D’accordo… Riferirò…” disse, alzandosi e scrollando la sabbia dai pantaloni. Lo spostamento d’aria causato dal suo movimento mi rimbalzò in faccia, scuotendomi di colpo. Delle voci, dei fantasmi ripresero a ululare nella mia testa e a gridarmi che la vittoria alla fine sarebbe stata loro. Respirai profondamente ma non era più come prima.
Mi alzai mentre Rose stava raccogliendo la borsetta e la presi per un braccio.
“Ti prego, non andare via…” la implorai, sinceramente spaventato.
Mi fissò smarrita. “Jake, lo sai che non posso restare con te… Non dovrei neanche essere qui” cercò di spiegare. Sapevo a cosa si riferiva e al sacrificio che le stavo chiedendo. Emmett si sarebbe infuriato se non fosse tornata, anzi probabilmente lo era già, ed era facile intuire che potesse immaginare che lo stesse tradendo ancora, ma, egoisticamente, non me ne importava nulla. Lei era il mio anestetico e io ne avevo bisogno.
“Non voglio niente, Rose. Voglio solo che resti seduta accanto a me, come prima. Non abbandonarmi, sei l’unica amica che ho…”.
Abbassò lo sguardo e girò la testa. Ero anche disposto a mettermi in ginocchio pur di convincerla, ma non ce ne fu bisogno. “D’accordo” acconsentì con un filo di voce. “Fammi fare una telefonata prima…”. Estrasse dalla borsa un cellulare di ultima generazione e si allontanò nel fitto della foresta, probabilmente per chiamare suo marito e avvisare che non sarebbe rientrata. Non osai immaginare quali ingiurie dovette sostenere, sta di fatto che sparì per quasi dieci minuti. Quando ritornò, sfoggiava un rassicurante sorriso. Mi si sedette di fronte e confermò che sarebbe rimasta.
“Grazie. Saprò contraccambiare…” dissi.
“Non c’è niente da contraccambiare. Siamo amici e gli amici si aiutano nel momento del bisogno…” chiosò e mi scaldò la guancia con un bacio. In quel momento nella mia testa tornò il tanto sospirato silenzio. Mi appoggiai al muro. “Ti voglio bene, Rose…” mormorai come un bambino che sta per addormentarsi dopo la ninna nanna cantata dalla mamma.
“Anch’io Jake… Non immaginerai mai quanto” mi addolcì con un innocente sorriso.
Allungai una mano verso di lei e gliela appoggiai su un fianco. Quando, con la poca forza che avevo in quel momento, le feci capire che la volevo molto più vicina di quanto non fosse, Rose mi assecondò. Strisciò verso di me, si rannicchiò e appoggiò il viso sulla mia spalla. Col braccio sinistro la strinsi più forte, mentre abbandonai quello che ormai era quasi guarito aderente al corpo.
Poteva sembrare un gesto fin troppo affettuoso, ma non lo stavo facendo con malizia. Volevo calore e affetto e Rose sembrava la sola capace di darmene. Eravamo amici. Sì, un tempo eravamo stati qualcos’altro, ma era acqua passata. Entrambi amavamo altre persone e non c’era pericolo che il comportamento di uno fosse frainteso dall’altro.
Così vicina, potei sentire di nuovo il profumo di vaniglia. Appoggiai la guancia sul suo capo. Avrei voluto continuare a parlarle ma il peso di quella giornata e dell’alcol stava cominciando a dare i suoi frutti. Le palpebre si fecero di cemento, impedendomi di tenere gli occhi aperti.
Rosalie miagolò qualcosa che non capii. Non ebbi la forza di chiederle di ripetere perché sprofondai in un sonno inerte, finalmente privo di rumori, grida, colori troppo vividi e aspettative disattese. Finalmente dopo quattro giorni di veglia.
Niente. Soltanto un delizioso profumo di vaniglia.




Questo capitolo è dedicato a chi non ha mai dimenticato la coppia da batticuore Rose-Jake...
Un bacione a tutti e spero che vi sia piaciuto...

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Capitolo 66
*** Ritorno a casa ***


Eccomi qua, dove avervi lasciato a secco per due settimane.
Sono contenta perchè dalle recensioni il capitolo è piaciuto anche se ha suscitato qualche perplessità (in particolare il comportamento un po' egoista di Jacob), però da oggi fine della depressione (forse!) e si ricomincia a combattere (in senso psicologico, per ora).
Un bacione a tutti e spero di leggere sempre vostre opinioni!
Ven.





Quando riaprii gli occhi, mi parve di svegliarmi da un lunghissimo letargo. Avevo la bocca impastata e un orribile saporaccio sulla lingua. Il cielo era plumbeo e dava l’impressione di dover scaricare, da un momento all’altro, un silenzioso temporale; l’oceano si stagliava di fronte a me immobile e nero come la pece. La poca luce mi feriva gli occhi e faticavo a tenerli aperti.
Ero confuso, molto confuso, e non connettevo bene perché stessi lì. Ricordavo di essermi ubriacato, ma avevo ricordi caotici degli avvenimenti dopo che ero uscito da quel maledetto bar dove avevo bruciato il regalo di compleanno di mia zia. Che idiota! Avrei potuto farci qualcosa di meglio invece che spenderli in bevute senza alcuna logica.
Quando tutti i sensi ricominciarono a funzionare correttamente, notai un batuffolo dorato appoggiato sulla spalla sinistra. Leggero come una farfalla, era rimasto a vegliarmi tutta la notte. In quel momento frammenti imprecisi di una serata da dimenticare riaffiorarono, insieme a un doloroso formicolio al braccio destro. Lo mossi lentamente perché se la memoria non mi aveva teso un tranello, Rosalie me l’aveva rotto. Riuscii a piegarlo senza problemi: guarito. Sentendo il movimento, il mio batuffolo si scostò e mi accarezzò col sorriso più morbido del mondo. “Come va? Stai meglio?” domandò.
“Sì” mormorai. “Il braccio è guarito”.
“Bene. Hai dormito come un sasso, sai? Hai anche russato!”.
“Sei rimasta qua tutta la notte?” domandai incredulo.
“Sì, te l’avevo promesso. Ricordi?”.
Lo ricordavo eccome, eppure mi sembrava strano che lo avesse fatto davvero. Non perché non mi fidassi di lei, ma soltanto perché ora, con la ragione dell’alba, non avrebbe dovuto farlo. Emmett doveva essere fuori di sé e tutto quello che volevo era non procurarle problemi. Però era rimasta e io avevo dormito bene. Non sapevo se le due cose fossero da mettere in relazione, tuttavia ero felice che la prima persona che avevo visto dopo quell’orribile notte fosse stata lei.
Si portò la mano al naso e con l’altra si sventolò esageratamente davanti alla bocca. “Hai un fiato che ucciderebbe un elefante!” commentò ridacchiando e aveva ragione. Mi alzai, stiracchiandomi, e camminai verso la riva. Non avevo più un osso sano dato che non mi ero mosso da quella posizione per tutta la notte. La coperta nella quale mi aveva avvolto scivolò e mi accorsi che ero senza maglietta. Nonostante l’aria gelida, non sentii freddo: la sbronza era completamente passata. Rosalie mi rincorse, porgendomi la maglia e invitandomi a indossarla. La accontentai senza fiatare soltanto perché la trovai stranamente imbarazzata.
“Credo che sia meglio tornare a casa, Jake” suggerì. “Sono quasi le undici e io non posso più restare qua…”.
Le undici?! Rachel e papà dovevano essere incazzati neri! Non ero mai stato a dormire fuori senza permesso, a parte durante la mia fuga in Canada. Ma allora papà aveva avuto modo di tenermi sotto controllo; adesso invece doveva essere preoccupato a morte. Rose lesse nei miei occhi l’inquietudine e si affrettò a stemperarla. “Non ti preoccupare. Ieri sera, quando ho chiamato casa per avvisare che stavo fuori, ho detto a Carlisle di chiamare tua sorella e tranquillizzarla. Sono sicura che l’ha fatto…” mormorò fiduciosa.
Tirai un sospiro di sollievo, anche se sapevo che non sarebbe bastato. Rachel era una furia, soprattutto quando si trattava di ritardi, mancati preavvisi e preoccupazioni che, secondo lei, potevano essere evitati con una buona dose di organizzazione e sensibilità verso gli altri. Avevo qualche scusa da opporre, che poteva però essere degna di biasimo.
Mentre Rose raccoglieva borsa e coperta, guardai l’orizzonte. Laggiù, non era così scuro come sopra di me. Dovevo solo camminare fino in fondo.
“Se vuoi ti dò un passaggio fino al confine” suggerì Rose alle mie spalle. “Ho visto la tua moto sul selciato. E’ ridotta maluccio… Non credo che ce la faresti ad arrivare a La Push”.
Accettai il passaggio. Ci incamminammo fianco a fianco fino allo spiazzo dove vidi la luccicante Mercedes. Era una gran bella macchina! Avrei tanto voluto guidarla ancora una volta, ma l’invito non arrivò e io non feci richieste in merito. Se non ci fosse stata Rose avrei dovuto farmela a piedi e affrontare cinquanta chilometri voleva dire trasformarsi, cosa che non avevo assolutamente voglia di fare.
Durante il tragitto pensai al futuro della mia moto. L’avevamo spostata e nascosta dietro un albero, ma era messa talmente male che nessuno certo l’avrebbe rubata, se anche l’avesse notata. Nei prossimi giorni sarei dovuto tornare indietro a prenderla, per poi farne cosa? Non sapevo se valeva la pena ripararla oppure trovarne un’altra usata e lasciare quella a uno sfasciacarrozze. Le ero molto legato sentimentalmente: era una delle due motociclette che avevo riparato con Bella un anno fa. Buttarla via avrebbe avuto un duplice significato che attualmente non mi sentivo di affrontare. Nonostante la dormita, ero stanco e affatto desideroso di pensare a lei, ma per quanto mi sforzassi, Bella trovava sempre un appiglio per tornare a tormentarmi. Avrei voluto che Rose mi parlasse. Di qualsiasi cosa, anche vestiti, tutto pur di tenermi la mente impegnata; invece in auto regnava un silenzio soffocante. E così rimase per quasi tutto il percorso. Un’altra cosa però mi premeva chiarire prima di scorgere il cartello La Push.
“Mi dispiace per ieri sera…” sussurrai, quasi timido. Un tipo di sensazione, per me, quasi sconosciuto.
“Beh, non hai dato uno spettacolo particolarmente edificante, però cercherò di rimuoverlo dalla mente, se ti può far stare meglio”.
“Intendevo per il bacio… Avevo davvero bevuto troppo e lo schiaffo me lo sono meritato”.
“La cosa che mi ha ferito di più, Jake, è stata la tua assoluta mancanza di volontà di reagire. Sperare che ti mordessi, piangerti addosso perché non sei un vampiro: è stato davvero deprimente. Dovresti essere felice di ciò che sei e non rimpiangere nulla”.
“Se ti può confortare, mi vergogno di quello che ho detto. Adesso che sono sobrio, vorrei andarmi a nascondere… Ero fuori di me: è la sola giustificazione che posso trovare, perché io sono contento di essere vivo e di non essere uno di voi. Non voglio rinnegare me stesso per avere Bella e non voglio nemmeno morire…”.
Rosalie ridacchiò, lanciandomi un’occhiata complice. “Sono molto contenta di sentirtelo dire: vuol dire che la sbornia è passata!”.
Arrivati alla nostra meta, si arrestò a bordo strada, sincerandosi che ce la facessi a tornare a piedi. Ero ancora un po’ traballante, ma non mi sarei abbassato a chiamare un taxi. Dovevo arrivare a casa sui miei piedi. La ringraziai ancora una volta e uscii dall’autovettura.
“Jake” mi richiamò seria. “Le parlerò subito dopo Natale. Se servirà a qualcosa, credo che te ne accorgerai…”.
Sollevai un angolo della bocca, soddisfatto. “Grazie, Rose”.
“Buon Natale” mormorò.
“Anche a te”.
Invertì la marcia e ritornò verso Forks. Mi guardai attorno per prendere le misure. Casa mia era a tre chilometri. Ce la potevo fare senza problemi. Per un lupo sarebbe stato uno scherzo; per la mia natura umana, che mi ostinavo a voler mantenere, un po’ meno. Mi incamminai claudicante nel bosco per destare meno sospetti. Se fosse passata una pattuglia e mi avesse notato sul ciglio, con passo incerto, mi avrebbe quasi sicuramente fermato. Ci mancava soltanto l’arresto e poi potevo dire di avere concluso una giornata perfetta. In una ventina di minuti, arrivai a casa: tutto sommato una più che ottima andatura per un essere umano, anche se io non lo ero completamente nemmeno quando non ero lupo.
Salii i gradini che conducevano al portoncino e fui costretto a indugiare perché non trovavo le chiavi. Una volta frugate per bene le tasche, aprii la porta. Un silenzio inquietante, che mi fece drizzare i peli sulle braccia, mi accolse. Entrai, biascicando un “Ciao, sono tornato”.
Dal salotto sbucò mio padre, seguito da Rachel. Le loro espressioni non lasciavano adito a dubbi: erano furibondi. Accanto a mia sorella l’onnipresente Paul, che non mi diede nemmeno il tempo di sentirmi in colpa: si avvicinò con due balzi veloci e mi assestò un pugno in pieno volto. L’urto contro la mia mandibola fu violento e, già provato dai postumi della nottata, persi l’equilibrio e caddi all’indietro. Sarei finito a terra se, rimbalzando contro la porta, non mi fossi aggrappato alla maniglia.
“Ti sembra l’ora di rientrare, brutto idiota che non sei altro?!” esclamò, trattenendo a stento l’ira.
Mi massaggiai la mascella mentre un lieve dolore si irradiò fino alla tempia, ancora dolente per la sbornia. Rachel e Billy erano immobili dietro di lui, come se si stessero godendo lo spettacolo.
“Dove sei stato?” furoreggiò Paul, quasi incontenibile.
“Non sono affari tuoi” ringhiai. “E non mi sembra che tu faccia già parte di questa famiglia”.
“Questa è la ricompensa se la gente si preoccupa per te?! Tuo padre e tua sorella non hanno chiuso occhio stanotte per la preoccupazione e tu torni per fare il gradasso?! Era meglio se ti buttavi giù da un ponte…”.
“Sareste stati tutti felici, tu per primo…” replicai mentre sentivo rifluire l’energia nelle braccia. Se avesse tentato di colpirmi di nuovo, stavolta avrei schivato e forse sarei anche riuscito a suonargliele a dovere.
Paul sbuffò e mi colpì nell’unico punto debole. “Sei un idiota, Jacob, e adesso capisco perché alla fine Bella ha preferito una sanguisuga. Sicuramente tra i mille difetti che può avere lui, non è deficiente come te”.
“Paul, smettila!” intervenne Rachel, notando che la mia spavalderia era venuta meno. “Credo che sia meglio che tu vada. Adesso dobbiamo parlare da soli”.
Paul annuì, da bravo cane ubbidiente alla padrona. La baciò delicatamente, salutò mio padre con la dovuta deferenza da futuro genero, poi uscì, dopo avermi fulminato con lo sguardo.
Ora veniva la parte peggiore. Era sempre meglio prendersi dieci pugni che dover sostenere una strigliata da papà. “Dove sei stato stanotte? A giudicare dalla puzza che ti ritrovi addosso, devi aver bevuto mezza cantina di un bar, o sbaglio?” domandò gelido.
“E’ così” ammisi malvolentieri.
“Dove?”.
“A Seattle”.
“Non sei mai stato lupo, vero?”.
“No”.
Papà lasciò cadere il volto sul petto, schiacciato da un peso invisibile. “Jacob, siamo stati tutti preoccupati da morire” iniziò calmo, sorprendendomi non poco. Generalmente le sue erano vere e proprie sfuriate e non candidi rimproveri. “Sei sparito da ieri pomeriggio. Gli altri del branco ti hanno cercato a Forks e Port Angeles ma non ti hanno trovato. Non sentivano i tuoi pensieri e abbiamo temuto il peggio. Abbiamo anche chiamato gli ospedali delle vicinanze”.
“Per fare cosa? Io non posso morire…”.
“Sì, che puoi! Non sei invulnerabile!” urlò e fu l’unico momento in cui alzò la voce. “Puoi vivere in eterno, ma puoi morire, esattamente come gli esseri umani. Sei molto più robusto ma questo non vuol dire che qualunque cosa faccia, avrai sempre salva la vita. Credevo di averti perso. Mi sono spaventato, Jake. Non immagini quanto…”.
Non replicai perché aveva ragione.
“Poi finalmente ha chiamato il dottor Cullen. Ha detto che stavi bene, che eri con sua figlia e che saresti rincasato stamattina. Ci siamo tranquillizzati, ma ero ugualmente preoccupato, perché per quanto si siano dimostrati gentili con noi, io non mi fiderò mai a pieno di quella gente… Ti rivolevo a casa. Adesso ci sei e ti proibisco di uscire ancora da quella porta se non mi dici dove vai, intesi?”.
“Sì, papà. Scusami”.
“Lo so, Jake, che è un brutto momento per te, ma non renderlo peggiore con atteggiamenti sconsiderati. D’accordo?”.
Era molto doloroso vederlo così demoralizzato e irritato. Dopo la morte di mamma, mi ero ripromesso che non sarei mai stato fonte di preoccupazione per lui e ora, soltanto perché ero stato respinto, l’avevo spaventato a morte. Li avevo spaventati a morte. Rachel era intervenuta per difendermi da Paul ma poi non aveva più detto niente. Sembrava volesse mettersi a piangere e contemporaneamente prendermi lei stessa a schiaffi.
“Io vado a riposarmi un po’, Rachel” commentò papà, dopo un lungo sospiro.
“Vuoi che ti aiuti?”.
“No, grazie. Faccio da solo” e, spingendo la sua carrozzella, entrò nella stanza a pian terreno che era stata adibita a camera da letto dopo il suo incidente.
Rachel mi fissò e, quasi dura, esclamò:“Immagino che avrai fame. Vuoi fare colazione?”.
Effettivamente avevo una fame da lupi; avrei anche voluto correre a farmi una doccia per scrollarmi di dosso la puzza di alcol da cui mi sentivo avviluppato, ma alla fine i bisogni fisici prevalsero.
Rachel entrò in cucina e scaldò il caffèlatte che aveva già preparato per la colazione. Mi sedetti, scialbo, su una sedia, in attesa dell’ennesima ramanzina.
“Papà non ha chiuso occhi tutta la notte, per il terrore che ti fosse successo qualcosa…” spiegò con un sussurro. La voce tremava ancora, segno che la paura aveva lasciato pesanti strascichi. “Anche Paul si è spaventato molto”.
“Paul?! Ma non mi dire, povero caro!” ironizzai.
“Ti dispiace che la gente ti voglia bene, Jake?” esclamò inviperita. “Tutto il branco è venuto a cercarti, anche Leah. Hanno battuto Forks e Port Angeles, senza risultati. Non sentivano la tua scia. Volevano venire a Seattle ma sapevo che sarebbe stato come cercare un ago in un pagliaio, così gli ho detto di rinunciare. Paul è rimasto tutta la notte. Era preoccupato per te e soprattutto per papà. Lo sai che dopo la morte della mamma è diventato molto più fragile…”.
In quel momento mi posò un toast sul tavolo. Per nulla rattristato, ci misi meno di dieci secondi a finirlo. Avevo una fame spietata, aggravata dallo schifoso alito che mi infestava la bocca. “Dove sei stato tutta la notte? Si può sapere o è un segreto?”.
“Prima in un bar a Seattle, poi in un posto che conosco solo io e tale resterà…”.
“D’accordo” rispose con noncuranza, vuotando la caraffa di caffèlatte nella tazza di Spider Man che utilizzavo tutte le mattine per fare colazione. Lo adoravo e oggi, più che mai, emanava un profumino invitante. Rachel si sedette davanti a me, dopo avermi servito anche brioches e bacon. Incrociò le braccia e mi osservò. Lo faceva sempre perché trovava divertente vedere con quanta gioia mi avventassi sul cibo. Era un genuino divertimento per lei, anche se essere guardato come un animale in gabbia, non divertiva me. Ma quello sguardo adesso racchiudeva ben altro: un terrore scampato e un’arrendevole felicità.
“Sei stata tu a chiamare Rosalie, vero?” domandai, posandole uno sguardo minaccioso.
“Sì” rispose, affatto intimorita. “Te l’ho già spiegato: non sapevamo dove cercarti. Ho pensato che potessi essere dai Cullen per incontrare Bella, ma Carlisle ha detto che non c’eri. A quel punto non sapendo più che pesci prendere ho chiesto di parlare con lei, nel caso potesse suggerirmi delle idee e invece…”.
“Invece…?” investigai.
“Quando mi ha detto che non sapeva dove avresti potuto essere, sono scoppiata a piangere. L’ho implorata di aiutarci e le ho spiegato la situazione. Mi rendo conto che ho esagerato però ero così sconvolta che non capivo più niente. Ha tentennato qualche secondo, poi mi ha detto che ci avrebbe pensato lei a riportarti a casa. E a quel punto mi sono calmata…”.
“Ti sei calmata?!” sgranai gli occhi, dinanzi alla faccia tosta di mia sorella.
“Sì, perché sapevo che lei ti avrebbe trovato e avrebbe avuto cura di te… E avevo ragione. Dopo un’ora e mezza circa, hanno chiamato per rassicurarci. A quel punto sono andata a letto e mi sono addormentata. Per me non c’era più alcun problema, a differenza di papà che non si fida dei Cullen” concluse con una brusca risata.
Ero allibito. Mia sorella, dopo aver ricoperto di insulti Rosalie quel pomeriggio in cui ci aveva scoperto in casa, aveva avuto l’ardire di telefonarle e addirittura implorarla di venire a cercarmi. Non riuscivo a crederci. “Sei un’ipocrita…” commentai, scuotendo la testa.
Rachel mi fissò gelida. Capiva a cosa mi stavo riferendo ma non si scompose. “Tu sei mio fratello e per te chiederei aiuto al diavolo in persona” si giustificò senza alcuna emozione.
“Non dovevi chiamarla. Ha dei problemi con suo marito e non bisogna disturbarla, soprattutto se ci sono io di mezzo”.
“Non glielo ha detto il medico di avere una relazione extraconiugale! Questi sono affari che non mi riguardano. Ha fatto quello che le ho chiesto e gliene sono grata…” concluse, iniziando a sparecchiare e a depositare nel lavello i piatti sporchi. Trattenni tra le mani la tazza piena. Si stava raffreddando ma ne avvertivo ancora il tepore. Era una sensazione piacevole, dopo il freddo di stanotte.
“Mi dispiace se le ho causato dei problemi, ma ho creduto che fosse la persona più indicata. In casa e con gli altri del branco non riesci a parlare, mentre con lei, nel periodo passato, sei stato bene. Non ho pensato che chiamarla potesse avere delle ripercussioni. Però se è venuta, vuol dire che ne valeva la pena, no?” mi sorrise maliziosa.
“No, è semplicemente buona. Niente di più…” stemperai il suo sarcasmo.
“Che cosa è successo ieri mattina, Jake? Perché sei sparito in quella maniera?” domandò, improvvisamente sofferente. Mi immersi nella morbida densità del caffèlatte, indeciso se risponderle o meno. Che senso avrebbe avuto tacere? Tanto l’avrebbe scoperto prima o poi, come lo avrebbero scoperto gli altri.
“Ho visto Bella…” mugugnai.
Aggrottò la fronte, sconcertata. “Come?”.
“E’ stato un incontro casuale. Era a caccia con lui…”.
Non riuscivo a formulare frasi che andassero al di là di due o tre parole. Ripensare a lei era troppo doloroso perfino per parlare. Avvertii lo sguardo di Rachel e non ebbi il coraggio di incontrarlo.
“Come sta?”.
“Bene, direi. Felice e contenta” ridacchiai sarcastico.
Rachel non domandò altro e io non aggiunsi altro. Quelli del branco sapevano perfettamente qual’era la situazione, che cosa mi aveva detto Rosalie quel maledetto pomeriggio in cui ero andato dai Cullen. E sapevo che Paul, a sua volta, ne aveva informato Rachel. Quello che avevo detto e la mia reazione al nostro incontro non era altro che una conferma che Rose non aveva mentito e che da quel momento sarei stato veramente solo. Per sempre.
Non parlammo per istanti infiniti. Infine, slacciandosi il grembiule, mia sorella si diresse in salotto.
“Credo che sia meglio che tu vada a farti una dormita. Stasera siamo a cena da Sam ed Emily, non dimenticartelo!” mi avvisò, dedicandomi uno sguardo severo. No, non potevo mancare, non dopo stanotte. Annuii stancamente e mi alzai, diretto verso la scala. Non c’era niente che avrebbe avuto il dono di risollevarmi, anche se qualcosa mi aveva medicato per qualche istante. Senza pensare troppo al significato di quello che avrei detto, chiosai:“Hai fatto bene a chiamarla. Sono stato bene con lei”.
“Lo so” mi lanciò un’occhiata di chi la sa lunga.
La sua saccenteria mi innervosì e contribuì a spedirmi in camera ancora più velocemente.


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Capitolo 67
*** Rose e basta ***


Ero a pezzi e volevo schiacciare un sonnellino di almeno un paio d’ore, ma urgeva ciò che avevo già rimandato: una doccia calda.
Mi immersi nel box e quasi dimenticai di essere sotto il getto d’acqua. La doccia fu talmente bollente da stipare la camera di fumo. Una volta uscito, mi buttai sul letto e mi ranicchiai, cercando di prendere sonno. Il calore mi aveva intontito più di quanto già non fossi, però un leggero velo di collera mi era scivolato addosso. Rachel aveva osato chiamare Rose per cercarmi, dopo il modo in cui l’aveva trattata. Certe volte mia sorella era decisamente senza criterio, oltre che incoerente. Gliene ero grato, però non avrebbe dovuto farlo. E quelli del branco? Mi avevano cercato per tutto il pomeriggio. Strano, dopo l’isolamento forzato a cui mi avevano sottoposto. Forse la storia di Bella e il mio dolore li avevano fatti avvicinare nuovamente, forse il fatto che fossi innamorato di un’umana aveva contribuito a far perdonare le mie passate e, per loro scellerate, scelte. Bella era sempre stata una parte di me, l’amavo, ma non mi pentivo del mio passato. Non mi pentivo di quei due mesi trascorsi con Rose. Erano piacevoli ricordi, anche se quelli del branco non avrebbero condiviso la mia opinione.
Rosalie si era stupita la sera precedente, quando le avevo rivelato che non avevo più amici e avevo deviato il discorso perché non volevo che sapesse la verità.
Chiusi gli occhi e mi immersi nei ricordi legati alla notte più brutta ed eccitante mai vissuta fino a quel momento. Ero arrabbiato, infuriato e disperato per la morte di Seth: aveva gettato via la sua vita e quella stupida vampira bionda non era stata in grado di difenderlo. L’avevo minacciata che l’avrei uccisa, se lo avesse trascinato nelle sue folli idee ed ero ansioso di mantenere la parola. Se fosse stata lì, l’avrei fatta a pezzi subito. Improvvisamente apparve e ringraziai Dio per aver esaudito il mio desiderio. Credevo che fosse ciò che volevo e che niente mi avrebbe fermato, eppure quando le mie dita premettero come cacciaviti sulla sua gola, il lampo del giuramento fatto a Seth mi confuse. Era stata sua l’iniziativa di assalire Lehausle e i suoi sgherri; Rosalie era stata trascinata dentro e Seth mi aveva chiamato per salvare lei. Mi aveva  mostrato tutto ciò prima di morire e sapevo che era la verità.
L’avevo lasciata andare, anche se acceso ancora dall’ira. Non avrei dovuto avere pietà di una sanguisuga ma non volevo venire meno alle ultime volontà del mio migliore amico. Gli istanti successivi apparivano come frutto del delirio: il bacio, la confessione, le sue lacrime e il mio desiderio di abbracciarla per non lasciarla andare mai più. E invece avevo deriso i suoi sentimenti soltanto per sbeffeggiare me stesso, perché non potevo provare niente per lei. Troppo frivola, stupida e vanitosa. E soprattutto un vampiro.
Era scappata via, mentre la bocca dello stomaco mi si torceva per il rimorso. Quel pomeriggio a Seattle ero stato con lei, non con una fantasia. Era esistita, era stata reale e quelle poche ore trascorse insieme non mi avevano più dato pace. Come poteva essere la stessa persona che odiavo quanto suo fratello? Perché l’avevo sognata per tante notti a fila? Perché quella sera, all’uscita dalla discoteca, l’avevo deliberatamente insultata soltanto per essere felice di consolarla? Non esisteva una spiegazione logica, come non esisteva una motivazione che giustificasse la mia rincorsa. Quando la raggiunsi, avrei dovuto essere tronfio di essere riuscito a farla soffrire e invece avrei voluto punirmi con le mie mani. Sì, meritavo una punizione perché provavo qualcosa per lei.
In lei convivevano due anime completamene diverse: l’una capricciosa, superficiale e presuntuosa e l’altra semplicemente meravigliosa. Tanto odiavo l’una, tanto amavo l’altra. Il resto della serata mi era scivolato fra le dita come una cascata di fiori. Sinceramente non immaginavo che sarei arrivato a quel punto con lei, però, dovevo ammetterlo, era troppo bella per resistere. E il pensiero di Bella non mi sfiorò mai, nemmeno un istante, come se fosse evaporato. Quando Rose mi disse “Ti amo”, pensai di essere vissuto solo in attesa di quel momento. Non ero sicuro di contraccambiare, stava avvenendo tutto troppo velocemente, però ero felice e mi bastava. Il cuore non aveva mai battuto tanto forte come quella notte.
Il giorno dopo, nonostante l’estasi, una volta a casa, avevo capito a pieno il significato di quello che avevamo fatto. Rosalie aveva tradito il suo compagno e io le ideologie del branco, perché, in fondo, il fatto che fosse obbiettivamente la ragazza più bella su questa terra, non giustificava il mio comportamento e i miei compagni non avrebbero capito. Non ero pentito, ma solo frastornato. Rosalie voleva tenere nascosta la cosa alla sua famiglia ed era opportuno che io facessi altrettanto, anche se non sarebbe stato affatto facile.
I due giorni successivi li avevo passati cercando di risollevare Leah e sua madre Sue, con scarsi risultati, visto che io per primo ero disperato. Non soltanto per la scomparsa di Seth, ma anche per l’assenza di Rosalie. Non capivo cosa provavo. A volte pensavo a lei, a volte mi perdevo nel ricordo di Bella, che era tornato a bussare, anche se si era fatto decisamente meno ingombrante e insistente. La voce di Rose, la sua pelle, le labbra mi occupavano quasi stabilmente la mente.
Un pomeriggio Sam mi contattò per annunciare una riunione in serata di tutti i membri del branco. Riunione che, come sempre, si sarebbe tenuta sotto forma di lupi. In quell’istante realizzai che non sarei riuscito a nascondere agli altri ciò che era successo con Rose. Convinsi perciò Sam a svolgerla da umani, adducendo il pretesto che Leah avrebbe preferito tenere il suo dolore per sé, invece che condividerlo con tutti noi. Dapprima riluttante, finì per acconsentire.
La sera ci ritrovammo nella foresta di La Push per discutere della nostra posizione con i Cullen. Intuivo che sicuramente gli altri avrebbero proposto di attaccarli oppure di abbandonarli al loro destino, ma io non avrei mai lasciato Rose in balia dei Volturi. Avrei dovuto schierarmi dalla parte dei Cullen, mantenendo ben nascosta una parte delle mie motivazioni. La riunione tardava ad iniziare perché Leah e Jared mancavano ancora all’appello.
“Cominciamo senza di loro” sentenziò Sam, dopo un’attesa di un quarto d’ora circa.
Avevamo appena iniziato a ipotizzare le ripercussioni della sortita di Seth su tutti noi, quando i due ritardatari fecero la loro apparizione. Entrambi con una strana espressione: Leah rubiconda e con gli occhi lucidi; Jared appariva glaciale nella sua immobilità. Ci guardarono uno ad uno, poi quest’ultimo mi si avvicinò, a passi rapidi e precisi. Senza alcuna spiegazione mi sferrò un primo pugno che riuscii ad evitare per un soffio, ma mi fece incespicare e il secondo purtroppo andò a segno. Caddi, sbattendo contro il fusto di un albero.
Quil si precipitò su Jared, trattenendolo per un braccio, visto il suo chiaro intento di continuare a picchiarmi. Mi alzai da terra, pulendo le poche gocce di sangue che erano stillate dalla bocca, mentre Sam si frappose fra noi. “Che diavolo ti prende? Sei impazzito?!” esclamò, risoluto.
Non rispose, affatto turbato dal tono perentorio del nostro capo. Leah si avvicinò, ponendosi dinanzi a me. Respirava convulsamente e stringeva i denti come per impedirsi di urlare; i suoi occhi parlavano di un’incomprensibile assurdità.
“Come hai potuto tradire Seth in questo modo?” sibilò con voce affannata. “Ti voleva bene, eri come un fratello maggiore per lui. Come hai potuto pugnalarlo alle spalle?”.
Non risposi.
“Sei un bastardo, Jake” rincarò Jared, muovendosi verso di me. Sam lo fermò, frapponendosi fra noi due, e poi fissò sia lui che Leah.
“Vi saremmo grati se voleste spiegare anche a noi ciò di cui state accusando Jacob” ribadì, spingendolo via. Li guardai entrambi, smarrito. Leah poteva riferirsi a una cosa, una cosa sola ma come potevano averlo scoperto? Ero stato ben attento a non trasformarmi in presenza di altri, non avevo destato sospetti.
“Ieri sera, quando ti sei trasformato per fare il tuo giro di ronda, io ero ancora lupo” mi spiegò Jared, come se avesse percepito la mia domanda silenziosa. “Stavo ritornando umano, ma ho avuto modo di sentire i tuoi pensieri, senza che te ne accorgessi”.
Ripensai a quell’occasione. Avevo avvertito una presenza, ma era stato solo per pochi istanti. Credevo che fosse stata una mia impressione e invece mi ero sbagliato. Qualcuno era in ascolto e aveva scoperto tutto.
“E allora?” domandò Sam. “Che cosa stava pensando di così orribile?”. L’espressione del nostro capo tradiva lo scetticismo che potessi nascondere qualcosa meritevole di una punizione.
“Jake è andato a letto con la schifosa sanguisuga che ha ucciso mio fratello” sentenziò Leah senza troppi preamboli.
Sam, seguito da tutti gli altri, sgranò gli occhi, allibito. Embry tentò subito di difendermi, adducendo come scusante il fatto che Jared aveva sicuramente frainteso; poi si voltò verso di me, aspettando una reazione furibonda all’ignobile accusa. Che non arrivò.
“Secondo te, perché ha tanto insistito che la riunione fosse tenuta sotto forma umana?” rincarò Jared. “Perché non voleva che scoprissimo la verità…”.
Sam mi guardò, in attesa di una conferma o smentita. Sostenni il suo sguardo e capì. Dinanzi all’impietoso silenzio degli altri membri del branco, Leah continuò:“Allora? Sto ancora aspettando! Perché l’hai fatto? Lei ha ucciso mio fratello e tu cosa fai? Te la scopi? E’ con questo che ti ha comprato quella puttana? Fai schifo, Jake!”.
“Smettila” urlai. “Non ti permetto di parlare di lei a quel modo e soprattutto di dire che ha ucciso Seth. Si è trovata nel bel mezzo di una battaglia, poteva lasciarci la pelle come lui. Se tu fossi un po’ più obbiettiva, lo capiresti perfettamente. Invece fa molto più comodo addossarle colpe perché tanto ha sempre torto, non è vero?”.
“Ti ha fatto un bel lavaggio del cervello, non c’è che dire. Ti ha convinto di quello che voleva. E’ così brava a letto, Jake?”.
Sentii il sangue ribollirmi nelle vene. L’espressione del suo viso era un misto di rancore e sberleffo. Probabilmente mi stava considerando un debole e un idiota, anche se la sua opinione non era di grande importanza per me. L’unica cosa che non sopportavo era che mi stesse accusando di aver tradito Seth, perché non era così. Sapevo altresì che quello che stava dicendo era sbagliato e che se suo fratello fosse stato vivo, lui per primo si sarebbe scagliato contro di lei, ma le espressioni degli altri non lasciavano dubbi: erano dalla sua parte. Disapprovavano il mio comportamento e condividevano le sue accuse. Sam l’aveva fermata dall’uccidere Rose quel pomeriggio soltanto per evitare una guerra con i Cullen, ma era d’accordo con Leah. Anche io ero stato dalla sua parte in quel momento, ma ora non più. E non soltanto perché Rose ed io avevamo condiviso qualcosa di unico, ma perché riuscivo a vedere qualcosa che loro lasciavano volutamente nascosto dall’odio per i vampiri.
“Hai rinnegato te stesso e tutto ciò in cui crediamo, oltre ad aver tradito Seth. Pensavo che fossimo tutti dalla stessa parte invece ora mi accorgo che tu stai dalla loro…” ringhiò, trattenendo a stento la rabbia. Quando diceva “loro parte” non alludeva ai Volturi, ma ai Cullen. Voleva ammazzarli tutti e sapeva che io non l’avrei appoggiata. Odiavo ancora quella dannata famiglia, ma non avrei permesso che toccasse Rose.
“Non sto dalla loro parte, voglio soltanto fare fuori il bastardo che ha ucciso Seth”.
“Io voglio morta anche la bionda”.
“Adesso sei tu che stai tradendo Seth! Lui mi ha chiamato per difendere Rosalie, non se stesso. Lo sai perché hai letto i miei ricordi e ora stai facendo passare la sua morte come scusa per vendicarti dei Cullen. La verità è che vuoi un capro espiatorio perché addossi la colpa a loro se Sam si è trasformato e ti ha lasciato per Emily, non è così?” suggerii, sardonico.
“Jacob, piantala” mi richiamò Sam. Come sempre ogni volta che tiravo in ballo quest’argomento. Ma stavolta non avrei ceduto. Ne avevo abbastanza di proteggere questa strega dalle sue paranoie. Voleva la guerra? Non le avrei risparmiato alcun colpo.
“No!” replicai fissando Sam. L’istante successivo stavo continuando a colpire Leah. “La presenza dei Cullen ha fatto risvegliare i geni di tutti noi, e li odio anch’io per questo, ma non puoi usare la morte di tuo fratello per vendicarti di loro. Vuoi farti giustizia sommaria? Benissimo, vai da loro e uccidi Rosalie se ti riesce, ma non mascherarti dietro la parola giustizia e soprattutto non dietro Seth, visto che lui per primo aveva stima di Rose…”.
“Sei proprio uno stronzo” affermò, cercando di mantenere la voce ferma. Invano. “Come puoi pensare che userei Seth per una cosa del genere?”.
“Perché è da quando ti sei trasformata che stai cercando una scusa per distruggerli. E ora ce l’hai servita su un piatto d’argento!”.
“Anche tu volevi ucciderli, o sbaglio? Soltanto perché ti fai una di loro, hai cambiato parere…”.
“Beh, meglio andare a letto con un vampiro che avere a che fare con te! E non sono l’unico ad averlo capito, viste le scelte di Sam!”.
Mi interruppi anche se avrei potuto proseguire per ore, urlando finalmente le centinaia di accuse sempre trattenute, ma Paul si frappose:“Ora basta, Jake. Non è il caso di continuare oltre…”.
Il cuore batteva tanto forte da dolermi e il sangue pulsava in maniera così nitida che avrei potuto sentirne lo scorrere. La rabbia era padrona di ogni singola parola che usciva dalla mia bocca e non trovavo alcuna motivazione per fermarla, ma gli altri del branco, nonostante non simpatizzassero per Leah, si erano radunati intorno a lei, come per difenderla, mentre io ero solo. E ne approfittò.
Mi trafisse con un’occhiata poi disse:“Vattene, non sei più uno di noi”.
Mi sarei messo a ridere se non avessi notato che nessuno di loro si oppose. Si limitarono ad abbassare lo sguardo.
“Mi state cacciando?”.
“Vattene” ribadì Leah.
In quel momento intervenne Sam. “Adesso ne ho abbastanza. La vita privata di ognuno di noi non riguarda gli altri e quindi Jacob è libero di decidere con chi vuole passare il tempo e questo è quanto. Tu rimani” disse rivolto a me, poi verso Leah “e, quanto a te, non sei il capo e non sei tu a decidere chi va e chi resta”.
“D’accordo” strinse le labbra e poi aggiunse, con una scrollata di spalle:“Allora me ne vado io. Non posso restare dove c’è lui”.
“Tu resterai nel branco e non costringermi a impartire l’ordine” rispose Sam con un brontolio sordo e furente. “La riunione è finita per oggi. Andatevene tutti quanti, devo parlare con Jacob”.
Leah, delusa e sconfitta, fu la prima a sparire, seguita dal fido Jared. Gli altri ubbidirono lentamente, non prima di avermi lanciato occhiate di fuoco. Quando rimanemmo soli, Sam si passò le mani fra i capelli, chiaramente esasperato. Mi considerava un traditore, anche se mi aveva velatamente difeso davanti agli altri, e io non avevo niente da dirgli perché non ero pentito. Forse non ero stato onesto, ma nessuno aveva il diritto di mettere il naso nei miei affari personali, e Rose non aveva fatto niente di male.
“Che cazzo ti è saltato in mente, Jake?” esclamò irritato. “Spero che ti renda conto di quello che hai fatto. Ti ho difeso ma non credere che condivida il tuo comportamento. E’ inqualificabile e assolutamente fuori luogo”.
La mia risposta fu istantanea. “Non dirmi che anche tu dai la colpa a Rose di quello che è successo?! Lo sai perfettamente come sono andate le cose ed è per questo che non hai permesso a Leah di ucciderla. Se gli altri non sono razionali, non è colpa mia, ma almeno sai che non l’ha fatto apposta”.
“Ma ti senti, Jake?! Da quando difendi a spada tratta e con tanta intensità quella strega? Su una cosa hai ragione: non è stata colpa sua e non permetterò a Leah di scatenare una guerra per questo motivo, ma devi capire anche quello che hai fatto tu! Hai tradito il branco, andando a letto con un vampiro. E soprattutto con lei. Accidenti, Jake, ma ti rendi conto del pericolo che hai corso?”.
“Pericolo? Di che parli?”.
“Del fatto che poteva morderti, poteva approfittare del momento per farti del male!”.
“Cosa?! Io potevo fare del male a lei, non certo il contrario!”.
“Jake, quella ragazza è pericolosa e tu non te ne accorgi nemmeno. Può essere bella e desiderabile quanto vuoi, ma è pur sempre un vampiro, che a quanto pare ha già raggiunto il suo obbiettivo, anche senza morderti” ammise mestamente.
Riconoscendo in me la stessa espressione allibita di poc’anzi continuò:“Ci vogliono dalla loro parte, hanno bisogno di noi per affrontare i Volturi e lei è venuta da te per muoverti a compassione. E c’è riuscita…”.
“Credi che si sarebbe venduta solo per questo?! E a che scopo? Io non sono il capo. Non ho potere decisionale”.
“Andiamo, anche loro sanno qual è la nostra gerarchia interna e avere dalla loro quello che potrebbe essere il capo, se lo volesse, è importante”.
Scossi la testa ostinatamente: mi rifiutavo di pensare che Rose mi avesse cercato con quello scopo. La conoscevo troppo bene. Non era capace di pensare una cosa del genere e soprattutto era troppo orgogliosa. “No” dissi con voce ferma. “Non la conosci. Non l’avrebbe mai fatto. Lei mi odiava, non si sarebbe mai fatta toccare senza…”.
“Senza cosa?”.
Mi pentii di aver iniziato quella frase perché se Sam aveva disapprovato il mio comportamento, ora me le avrebbe suonate. “Non dirmi che ha detto che ti ama?! E soprattutto non dirmi che le credi?” rise di una risata nervosa.
Il mio silenzio lo fece scoppiare. “Santo cielo, Jake! Ti sei fritto il cervello?! Certo che ha detto che ti ama ma lo ha fatto soltanto per comodo. Non puoi crederle davvero. Lei è una di loro e sappiamo che i vampiri sono falsi per natura: parlano e agiscono solo per il loro interesse personale, oltre al fatto che odiano i licantropi a morte. Lei è la rappresentazione vivente di tutto questo e fino a poco tempo fa la pensavi come me. Adesso vieni a dirmi che credi alla sua sincerità?! Sei veramente pazzo, allora!”.
“Non mentirebbe mai per salvarsi” replicai, duro.
“E tu che ne sai? La conosci così bene da azzardarti a scommettere? Sei ancora un ragazzino evidentemente”.
Quanto odiavo quando mi davano del bambino! Non lo sopportavo, considerando che erano tutti più o meno della mia età. Sam aveva solo cinque anni più di me.
“Ad ogni modo” parve ammorbidirsi “non voglio più sentir parlare di questa storia. Ti sei divertito con lei? Bene, sono contento, ma il discorso si chiude qui. Chiaro?”.
Mi batté una mano sulla spalla per trovare un consenso, ma mi limitai a fissarlo, senza accennare nessun riscontro. Sam aggrottò le sopracciglia, frustrato. “Spero di aver frainteso il tuo sguardo” disse malvolentieri.
“L’hai detto prima: il branco non ha diritto di mettere il naso negli affari personali dei suoi membri. E Rose è un mio affare personale…” esordii senza battere ciglio.
“Cosa vuol dire? Che intendi rivederla?” domandò inquieto.
“Non sono affari tuoi”.
“Lo sono quando il tuo comportamento mette a repentaglio l’unità del branco!”.
“Io faccio quello che voglio, e voi dovete soltanto rispettare le mie scelte… Non mi sembra di chiedere troppo. Hai rispettato le scelte di Seth a proposito di Desirèe; ora fallo anche con me”.
Sam scosse la testa e si allontanò prudentemente di qualche passo. Stava cercando di calmarsi, sforzandosi di mantenere un tono pacato. Sentivo la tensione irradiarsi dal suo corpo e pronta a esplodere. “Credi di amarla, non è vero?” domandò in un sussurro, senza guardarmi.
“Sì”.
Vidi la sua nuca piegarsi in avanti, come se stesse annuendo a se stesso. Non capivo perché fosse così ostile: lui per primo aveva tentato di convincermi a togliermi Bella dalla testa e ora che lo stavo facendo, ne sembrava amareggiato. D’accordo, Rosalie era un vampiro, ma nessuno è perfetto!
“Jake” disse lentamente. “Voi due non potrete mai condividere niente di più di quello che c’è già stato. Apparteniamo a due razze diverse. Noi siamo licantropi e loro vampiri: a causa delle nostre nature non potremo mai essere neppure amici. Siamo come il sole e la luna: non possiamo stare nel cielo nello stesso momento. E’ innaturale, oltre che impossibile. Avete condiviso anche troppo, per quanto ci è concesso. Se invece ti ostini a volere andare contro natura, allora parliamo di cose più “umane”. Lei è impegnata, ha un compagno, letteralmente da una vita, e se pensi che lo lascerà per te, ti sbagli di grosso. Può averti detto quelle parole con le migliori intenzioni di questo mondo, ma sicuramente, ora, a distanza di tre giorni, se ne è già pentita oppure le ha dimenticate. Ci sono momenti di pura passione e il vostro lo è stato, ma lo dice la parola stessa: sono momenti. E penso che valga anche per te. Fino alla settimana scorsa pensavi a Bella ogni minuto della giornata e ora improvvisamente hai cambiato parere? Tu vuoi soltanto un rimpiazzo e lo stai cercando nel posto sbagliato. Quella ragazza non è adatta a te, nemmeno caratterialmente, quindi lascia perdere. E’ meglio per tutti. Non voglio altre discussioni a causa sua e non intendo difenderti ancora. Gli altri, così come la tua famiglia, non accetterebbero mai una vostra eventuale relazione, quindi devi chiudere…”.
“E se non lo volessi?” risposi altrettanto pacatamente. “Non sto dicendo che sono innamorato alla follia di Rose, ma con lei sto bene e se è d’accordo con me, io voglio provare. Non ritengo ci sia niente di male”.
“Provare cosa?”.
“A stare insieme”.
Sam rise con un’intonazione così violenta e arrogante da essere quasi detestabile. Dovetti respirare più volte per impedirmi di assalirlo. “Sei proprio pazzo da legare, sai?” disse dopo un momento. “Forse non mi sono spiegato bene. Non hai scelte, ma solo un obbligo: chiudere e fare finta che non ci sia mai stato niente. Tornerete come prima, quando lei era la prima dei Cullen che avresti voluto uccidere e fine della storia. Non intendo discutere su questo”.
“Non mi interessa cosa pensi. Io ho già deciso” risposi e feci per andarmene. Quella discussione era durata anche troppo.
“Tu ami ancora Bella. Perché negarlo? Ti fai solo del male. Rosalie non è la soluzione. Comunque, dalle qualche giorno” sorrise con aria di sfida “e vedrai che la tua vampira per prima si dimenticherà di te. Non farai troppa fatica ad odiarla di nuovo”.
“Ti sbagli” ringhiai, allontanandomi furibondo.
Mi ero trasformato ed ero corso via, tanto ormai anche se i miei pensieri fossero diventati di dominio pubblico non sarebbe stato un cruccio. Non c’era più niente da scoprire. Vagai per un po’ nella foresta per smaltire la rabbia, poi tornai a casa dove incrociai lo sguardo colmo di disappunto di mio padre e Rachel. Non era troppo difficile immaginare che Paul avesse fatto la spia mentre ero fuori, anzi ne ebbi la conferma quasi immediatamente perché Billy cominciò una ramanzina sui miei doveri e sulla confusione che avevo in testa grazie a Bella. Rachel non disse niente, appoggiandolo in tutto e per tutto. Ascoltai per qualche minuto senza ribattere, soltanto per dargli una sorta di contentino, poi me ne andai in camera.
Non potevo ignorare ciò che aveva detto Sam: lei era impegnata e magari era stato solo un episodio. Mi era parsa molto confusa la mattina stessa, quindi poteva essersi effettivamente già pentita. E io? Sentivo dolore per il progressivo allontanarsi di Bella e la pensavo ancora, nonostante tutto, però, Rose era diventata tremendamente importante. E se anche adesso l’amore che provavo per lei era inferiore a quello per Bella, col tempo, avrebbe potuto scalzarla definitivamente. Riflettei tutta la notte e la conclusione fu che avrei aspettato un po’ di tempo per verificare la profondità dei miei sentimenti, poi ne avrei parlato con lei.
Negli otto giorni che lasciai trascorrere mi accorsi che il suo ricordo, invece che spegnersi, rinverdiva sempre di più. Avevo bisogno di lei, e lo sapevano anche gli altri del branco. In quel periodo, facemmo quattro riunioni, tutte sotto forma di lupi, come al solito, e avvertirono il mio tumulto interiore, sentirono quello che pensavo: i miei ricordi con lei a Seattle, a Port Angeles e quella notte diventarono i loro. Era sgradevole perché non volevo condividerli con nessuno da una parte; dall’altra ero felice di mostrare quanto si sbagliassero su di lei, quanto fosse dolce e sensibile, quanto la sua natura di vampiro fosse solo un dettaglio, che per me era diventato sempre più labile. Invece nessuno di loro capiva, anzi li sentivo darmi del traditore perché difendevo un vampiro e l’assassina di Seth. A questo proposito ci fu una vera e propria rivolta quando Sam decise che avremmo combattuto a fianco dei Cullen: nessuno eccepiva sul fatto che dovessimo vendicare Seth e difendere il nostro stesso segreto, ora scoperto dai Volturi, ma la sola idea di condividere il campo di battaglia, anche solo apparentemente, per Rosalie, irritava tutto il branco. Io ero l’unico che metteva come prima motivazione la difesa di Bella e Rosalie, poi veniva tutto il resto e questo fu motivo di scontro. Leah, Jared e Brady mi accusarono di tradimento e chiesero ancora una volta a Sam di buttarmi fuori. Nessuno mi difese dalle loro accuse, a parte il nostro capo che si limitò a confermare la mia presenza e la posizione gerarchica all’interno del branco. Vederli così compatti contro di me mi fece soffrire: un tempo ero io il più amato, l’amico di tutti, l’esempio da seguire. Adesso ero quello da eliminare, oltre a essere il punto debole. La mia presenza disuniva tutti quanti ed era diventato il pensiero fisso di Sam. Un membro non integrato, anzi rifiutato, può diventare un pericolo durante i combattimenti. Ma lui sperava che il tempo guarisse la mia infatuazione. Si era opposto al fatto che lo accompagnassi da Carlisle ma avevo fatto di testa mia e c’ero andato, infischiandomene.
Ricordavo ancora la rabbia quando ero entrato dai Cullen e l’avevo trovata mano nella mano con Emmett: era questa dunque la sua accoglienza? Così dimostrava il suo affetto? In quel momento avrei voluto prenderla a sberle, ma argomenti più importanti incalzavano. Non mi fu difficile risponderle a tono, e, dallo sguardo di Edward, avevo capito che sapeva tutto, soprattutto quando lesse nella mente di Sam i problemi del branco, che Rosalie fraintese completamente. La sua fuga mi fece vacillare: un tempo avrebbe tenuto testa alle mie provocazioni e invece aveva accuratamente evitato lo scontro.
Quando la incontrai sulla via del ritorno fu chiaro che contavo ancora qualcosa per lei e che Sam aveva avuto torto. Non mi preoccupai più di quello che potevano pensare gli altri, se mi avrebbero disapprovato o meno. Ero felice. Tutte le ore trascorse insieme erano un vero toccasana che mi faceva dimenticare Bella. Mentre da una parte la mia vita sembrava serena, dall’altra i rapporti con gli altri diventavano ogni giorno più tempestosi e il rifiuto di Leah di venirmi ad aiutare nel combattimento con Demetri fu solo l’apice di un problema già ampiamente conclamato. Tutti sapevano che Rose ed io ci vedevamo di nascosto e mi odiavano, ancora di più dopo quel pomeriggio in cui le avevo fatto violare il confine, portandola a casa. Papà riteneva la cosa semplicemente intollerabile e rimpiangeva i tempi in cui mi struggevo per Bella; Rachel non voleva un vampiro vicino a me, ma trovava altrettanto insopportabile che quelli del branco mi avessero isolato. Il giorno del mio compleanno aveva invitato tutti a cena, cercando di porgere un ramoscello d’ulivo ma nessuno aveva accettato, a parte Sam, che cercava di mantenere un atteggiamento distaccato, e Paul, che in quanto fidanzato di mia sorella, non voleva sminuirsi ai suoi occhi. L’unica dalla nostra parte era Emily: per lei l’amore era al di sopra di tutto e credeva davvero che Rose ed io avremmo potuto aprire un’era nuova, che gli altri alla fine avrebbero capito. Invece alla fine ero stato io a capire che amavo ancora Bella e che Rosalie era stato solo un palliativo.
Fu un fulmine in una giornata serena. Mi sembrava di aver deciso: volevo Rose e lei sembrava  volere me. Poi l’entrata di Bella in quella stanza, mentre ci stavamo baciando, aveva riaperto una finestra che credevo prossima a essere sbarrata. Quando lessi nel suo sguardo lo sconcerto e la delusione, avrei voluto rincorrerla e scusarmi dell’equivoco. Equivoco?! Scusarmi?! Mi trattenne dal farlo la parte razionale di me e capii che quei due mesi non erano serviti, perché per quanto Rose fosse speciale, io avrei scelto comunque Bella, se ne avessi avuto l’opportunità.
Il giorno dopo il mio compleanno, in cui mi ero sforzato di essere il più distaccato possibile da Bella, con l’intenzione di proseguire ugualmente il mio legame con Rosalie, la sorpresa. “Ci ho riflettuto e ho capito di essere ancora innamorata di Emmett. Voglio restare con lui” aveva detto Rosalie con una freddezza tale da farmi dubitare di essere mai stati a letto insieme. Stupefatto e stravolto. Tuttavia le permisi di abbandonarmi perché era giusto così, soprattutto per lei, anche se non potevo negare un po’ di stizza: come? Due giorni prima aveva detto che mi amava e ora cambiava diametralmente versione? Io avevo fatto lo stesso, però, e non potevo certo rimproverarla.
Con un sospiro di sollievo da parte di Sam, successivamente il branco aveva saputo della mia rottura definitiva con la vampira, anche se gli altri, Leah in primo luogo, non avevano dimostrato di voler ricucire il rapporto. Soltanto grazie alla sofferenza che stavo patendo in questi giorni per Bella, erano tornati ad avvicinarsi a me, felici che avessi capito il mio errore e allo stesso tempo partecipi del mio dolore, lecito per Bella perché era stata un’umana, trasformata soltanto per darle una chance di vita. Come se per Rose non fosse stato lo stesso… Ma loro non coglievano che anche lei era stata una persona un tempo. Troppo difficile da accettare. Era molto più comodo odiarla. Era un vampiro, quindi responsabile della nostra trasformazione e di tutte le disgrazie accadute. Ma per me non era più una Cullen, e nemmeno una Hale. Era Rose e basta.



Salve! Ecco chiariti alcuni punti rimasti in sospeso: come Jacob aveva vissuto la relazione con Rosalie, la separazione fra i due e il comportamento freddo da parte di tutti i membri del branco nei confronti di Jacob (fino a che non hanno scoperto che aveva chiuso con Rosalie ed era ritornato al primo amore, Bella).
Finito il flashback, si ritorna a marciare e a scoprire come si evolverà la situazione. Continuate a leggere e se, vi va, lasciate un paio di righe. Un bacione grosso a tutte quelle che continuano a seguirmi! :)
Ven

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Capitolo 68
*** Merry Christmas ***




Improvvisamente mi sentii scuotere una spalla e solo allora mi accorsi che pensando, mi ero addormentato. Era Rachel, che sventolava davanti ai miei occhi ancora abbacinati, la sveglia. Le 18,30.
“Sveglia, dormiglione!” ridacchiò. “Devi prepararti per la festa. Non possiamo perdere tempo, né voglio arrivare in ritardo”.
Sbadigliai, svogliato. Annuii, pur continuando a rimanere sdraiato a letto. “Io vado a prepararmi e quando sono pronta devi esserlo anche tu, intesi?” minacciò, sparendo dietro la porta.
Rimasi disteso ancora un po’, poi mi alzai e andai in bagno. Guardandomi allo specchio notai occhiaie nere e profonde che incoronavano come ghirlande l’incavo degli occhi. Bene, avrei potuto essere il protagonista dell’alba dei morti viventi! Uno zombie in piena regola, altro che licantropo. Se Bella mi avesse visto… La mia testa oscillò in avanti: era mai possibile che qualsiasi scusa fosse plausibile per pensare a lei? Dovevo cercare di disperderne il ricordo e nasconderlo alla mente, almeno per qualche ora, almeno stasera, anche se sarebbe stato difficile, data la presenza di Charlie.
Tornando in camera, aprii l’armadio cercando qualcosa da indossare. Conoscendo mia sorella, sicuramente mi avrebbe voluto elegante, ma se si aspettava che avrei indossato la camicia si sbagliava di grosso. Tanto più che la casa di Emily e Sam, più somigliante a un rustico cottage che a una moderna casetta di campagna, era il massimo dell’informale. Misi una semplice maglietta e dei jeans, provocando grandissima delusione in Rachel, tirata invece come un lustrino. Per l’occasione aveva indossato persino la minigonna che non le avevo mai visto da quando l’aveva acquistata. “Potevi anche vestirti un po’ meglio” si lamentò, mani sui fianchi.
Sbuffai mentre lei fece la giravolta su se stessa, chiedendomi un parere. Fui costretto ad ammettere che stava bene. Rachel era graziosa, e soprattutto sapeva cosa indossare per nascondere i difetti e mettere in risalto i pregi. I suoi capelli lucenti mi ricordarono quelli di Bella: pur essendo rimasti castani, sembravano diventati più soffici, più docili adesso che era stata trasformata. Abbassai lo sguardo: quanto avrei voluto passare la mano fra quelle ciocche…
“Andiamo?” mi incitò Rachel.
Annuii e scendemmo da papà che mia sorella aveva già aiutato a vestire. Fin troppo elegante per i miei canoni, in camicia e pantaloni neri. Li guardai: al confronto io sembravo lo sguattero di casa. Al diavolo! Ero sicuro che gli altri fossero conciati come me e se non lo erano, pazienza! Non mi sarei certo agghindato da animale da circo per compiacerli.
Salimmo in macchina e nel giro di pochi minuti eravamo parcheggiati davanti a casa di Sam. Quando entrammo, ovviamente eravamo i primi. I padroni di casa ci accolsero con eccessivo calore ed era quello che non volevo. Quella sera avrei voluto passare il più inosservato possibile. L’effetto sbornia era svanito e i fantasmi avevano ricominciato a urlare. Non sapevo per quanto tempo sarei riuscito a fare finta di non udirli. Emily e Rachel si eclissarono in cucina per parlare dei piatti che sarebbero stati serviti, mentre Sam mi mise una mano sulla spalla, sincerandosi che stessi bene.
“Tutto ok” confermai meccanicamente.
Non insistette con altre domande e iniziò a parlare con papà della crisi economica, delle partite di baseball e di mille altri argomenti banali. Nei loro discorsi riscontrai un voler chiudere fuori, almeno per quella sera, l’argomento vampiri e godersi la vigilia come una normale famiglia. Alla spicciolata arrivarono tutti quanti e ben presto la casa fu piena di gente, tanto da costringere Emily a tirare fuori dalla soffitta nuove sedie, anche se fu chiaro che saremmo ugualmente rimasti in piedi. Considerando che tutti i membri del branco avevano portato i rispettivi genitori e fidanzate, chi le aveva, eravamo davvero un buon numero. Quil arrivò con Claire e questo mi stupì: portare una bambina di appena tre anni a una festa così chiassosa mi sembrava fuori luogo, anche se in fondo, essendo una parente di Emily, era giusto che fosse presente. Tre anni e avere già l’imprinting. Già perché Quil era il suo imprinting e da quello che raccontavano gli altri, Claire, pur essendo ancora così piccola, voleva stare in braccio solo a lui. Sicuramente non concepiva il significato della parola amore: per lei doveva essere soltanto una sorta di inseparabile fratello maggiore, però non aveva certi atteggiamenti nemmeno con sua madre. L’imprinting li stava già legando, e Quil non doveva fare altro che attendere che crescesse. Però… Aspettare almeno quindici anni prima di poterla baciare mi sembrava da pazzi. Non so se avrei avuto tutta questa pazienza, al suo posto, anche se forse sapere che un giorno si sarebbero appartenuti, poteva essere d’aiuto. Invece io questa certezza non l’avrei mai avuta. Quando avrei potuto sapere se Bella mi avrebbe ancora amato? Non potevo aspettare quindici anni. Erano troppi. Se almeno avessi avuto la speranza che sarebbe tornata da me…
Osservavo la risata argentina di Claire, tra le braccia di Quil, e mi fecero tenerezza. Forse l’imprinting era davvero un evento positivo, pur non riuscendo a convincermene.
In quel momento arrivarono Leah e sua madre Sue, accompagnate da Charlie, che era passato a prenderle. Non so perché ma il loro arrivo insieme mi stupì. Sue e Charlie erano molto amici, visto e considerato che quest’ultimo era stato amico del marito di Sue, morto l’anno scorso di infarto, però sembrava fossero fin troppo legati. Un’altra cosa che mi stupì in modo altrettanto fragoroso fu vedere Leah in gonna. Era un evento a dir poco spettacolare. Anzi a dire il vero era un vestitino aderente, di lana, legato in vita da una cintura di pelle, dello stesso colore degli stivali; i capelli raccolti in una treccia che lasciava alcune ciocche agitarsi morbide sul viso. Dovetti ammettere con me stesso che stava bene e tutto sommato fosse molto carina. Certo, se il suo obbiettivo era attirare l’attenzione di Sam, non ci riuscì, perché, dopo averla accolta, la salutò e continuò ad aggirarsi fra un gruppetto e l’altro, non perdendo di vista un solo istante Emily che sorrideva radiosa a tutti quanti. Leah incassò il colpo con stile, come sempre, e andò da Jared e dalla sua ragazza Kim, a chiacchierare.
Per parte mia non avevo molta voglia di parlare e perciò mi accodai al gruppetto di Embry e Quil, i miei storici grandi amici, e ascoltai i racconti sulle vacanze scolastiche, su una ragazza che aveva conosciuto Embry e via dicendo. Non intervenni mai e loro non fecero nulla per scuotermi. Stavo bene così e avevo paura di sentire la mia voce tremare se avessi risposto a una qualsiasi domanda. Mentre ero con loro, sentii addosso lo sguardo di Charlie: lo incontrai un paio di volte e mi accorsi subito di quanto stesse fingendo una tranquilla serenità per non guastare lo spirito natalizio di quella riunione. Gli mancava da morire e probabilmente avrebbe voluto sfogarsi con me, ma io non volevo sentire parlare di lei, non dopo che avevo raggiunto questo vacillante equilibrio.
Saltellai come un indomabile puledro da una parte all’altra della sala ascoltando il chiacchiericcio scomposto in modo tale da non perdermi mai nei miei pensieri fino a che non capitai vicino a Leah, la quale mi guardò sottecchi e ridacchiò, bevendo dalla bottiglietta di birra che teneva in mano. “Che c’è?” domandai infastidito.
“Stavo trovando divertente le tue fughe da Charlie”.
“Non lo sto evitando” grugnii.
“Oh sì, invece. Se non fossi un bambino, cosa che effettivamente sei, gli parleresti. Di cosa hai paura? Che ti mangi?”.
“Lo sai di cosa non voglio che mi parli” sottolineai sprezzante.
“Lo so, ma lui invece ne ha bisogno” disse inaspettatamente seria. “Vuole qualcuno che tenesse a sua figlia quanto lui. La mamma ed io non siamo appropriate”.
Sospirai. Ecco la solita ramanzina di Leah che voleva fare la professoressa. Me ne andai irritato e cambiai gruppo. Accidenti a lei! Si divertiva a farmi arrabbiare e guastarmi la festa; però era anche vero che Charlie meritava di più di ciò che aveva in quella sera e soprattutto che, per quanto rifiutassi di ammetterlo, io ero la causa preponderante della sua solitudine. Forse avrei potuto sbiadire il senso di colpa se avessi aiutato lui a sfogarsi. In fondo, Rosalie aveva fatto lo stesso con me questa notte ed era mio dovere adempiere al compito ora.
Sull’onda di questa decisione, mi avvicinai al gruppo composto da Billy, Sue, i genitori di Embry e Charlie, apparentemente attento ai loro discorsi. Non erano interessanti, ma sapevo che prima o poi il fatidico argomento sarebbe stato toccato per magia. Attesi una decina di minuti, ma Charlie sembrava restio a parlarne. Forse anche lui aveva paura di distruggere la barriera eretta per non rovinare la serata, perlomeno a se stesso. Stavo per tornarmene da Leah, gridando vittoria, quando Charlie mi domandò a bruciapelo:“Jacob, hai visto Bella di recente?”.
La domanda mi colse impreparato e mandò il cuore in subbuglio. “Certo che l’ho vista ed è più meravigliosa che mai” avrei voluto rispondere, ma dovetti mordermi la lingua.
“Sì, l’ho sentita ieri. Ci siamo fatti gli auguri di Buon Natale” mentii.
“Capisco. Ma tu non hai chiesto di andarla a trovare?”.
“No, mi ha detto che è ancora contagiosa e sai com’è, io non ho mai avuto la scarlattina. Preferirei evitare di ammalarmi sotto le feste… Perché?”.
“Vorrei andare da lei, ma Bella insiste che non è il caso, che non vuole che mi ammali, ma mi manca… Non vuole nemmeno che le porti il regalo di Natale. Dice che lo aprirà più avanti…”.
Una vampata di rabbia mi soffocò. Come poteva fare una cosa del genere a suo padre? Capivo la sua preoccupazione, l’ostinato tentativo di proteggerlo, ma era Natale, cazzo! Come poteva pensare che si sarebbe rassegnato serenamene alla loro separazione?!
“Charlie, lei si preoccupa solo per te. Non dovresti fargliene una colpa” intervenne mio padre con una calma sussurrata.
“Sì, lo capisco, ma vorrei soltanto vederla un attimo. Non chiedo molto. Sono passate due settimane da quando si è ammalata e ormai la malattia dovrebbe aver già fatto il suo corso… Perché non posso vederla?” si lamentò con voce rauca.
Il suo dolore era talmente tangibile che avrei potuto accarezzarlo e contemporaneamente distruggerlo. Lo stavano prendendo in giro per difendere il loro stupido segreto ed era un atteggiamento che mi mandava in bestia, oltre a farmi sentire in colpa. Se non avessi combattuto con Edward, Bella sarebbe ancora viva e Charlie non starebbe patendo le pene dell’inferno. Ero stato io a generare tutto questo dolore, ma se lui avesse saputo la verità, l’avrei messo realmente in un pasticcio? In fondo i Volturi quando mai avrebbero scoperto che un altro essere umano sapeva della loro esistenza? Forse era giunto il momento che qualcuno spalancasse gli occhi di Charlie su un mondo che finora aveva immaginato solo nelle fiabe.
In quel momento Emily e Rachel cominciarono a portare i piatti di portata ricolmi di ogni prelibatezza e ci distrassero, per fortuna. Tutti ci avvicinammo al grande tavolo, apparecchiato per l’occasione con candelabri d’argento luccicanti e tovaglia rossa sgargiante. Per la prima volta da quando mi ero trasformato, il cibo non mi invogliava; anzi, lo stomaco, al pensiero di Bella, si era chiuso. Mi limitai a spizzicare qualche bocconcino per tutto il corso della serata, giusto per dare un senso alla mia presenza. L’unica cosa che mi stuzzicava erano alcune bottiglie di champagne, riposte in cucina, probabilmente per festeggiare l’arrivo del Natale, anche se mi sembrava insolito: non era mica Capodanno!
Mi aggirai di nuovo per i gruppetti, parlando anche con Charlie, che non accennò più a Bella. Aveva capito che da parte mia non avrebbe ottenuto ragguagli in più di quelli già in suo possesso. Ma, anche se non ne parlava, era evidente che la sua mente fosse altrove.
Mi stavo intrattenendo con Paul e Brady, quando fu svelato il motivo della champagne.
Erano le undici e Sam cominciò a portare le bottiglie sul tavolo, mentre Emily disponeva bicchieri a flute tutt’intorno. Dopodiché batterono all’unisono alcuni di essi per richiamare l’attenzione generale. Emily era emozionata e Sam, inusualmente, nervoso e quasi impacciato.
“Scusate, ma vorremmo dirvi qualcosa” iniziò Sam con un sorriso teso. “Innanzitutto volevamo ringraziarvi per essere qua. E’ la prima volta che facciamo una festicciola, in casa nostra, con così tante persone e spero che sia stata di vostro gradimento”.
“Soprattutto per quanto riguarda le vivande” ridacchiò Emily, da sempre attenta a non deludere i nostri palati.
Tutti noi la imitammo e ci fu chi ad alta voce si lasciò andare a lodi per l’ottima cucina della padrona di casa. Ma Sam riprese la parola, senza dare occasioni ad altri di inserirsi nel discorso. “Con questa cena volevamo augurarvi Buon Natale. Gli ultimi mesi non sono stati particolarmente felici e volevamo confermare a Sue e Leah che vi siamo vicini e che ogni volta che avrete bisogno di aiuto noi ci saremo. Perché le persone che stanno in questa casa stasera, si aiutano nel momento del bisogno e condividono le gioie e le disperazioni di ognuno” sentenziò, fissando prima me e poi Charlie. Abbassai lo sguardo, gli occhi quasi ciechi.
“Io credo che ci sia un po’ di felicità per tutti noi in questa vita: bisogna soltanto saper attendere il proprio turno. Anche Emily ed io abbiamo avuto i nostri brutti momenti, ma, grazie a voi, li abbiamo superati. E ora” disse, abbassando la voce e stringendo dolcemente Emily a sé “vogliamo condividere con voi il nostro piccolo angolo di felicità”.
La compagna di Sam sorrise tenera, guardandolo, poi si accarezzò il ventre.
“Sono incinta” balbettò emozionata.
Seguì un silenzio sorpreso, poi mia sorella, come un botto di capodanno, fece un piccolo salto e corse a congratularsi con i due futuri genitori. Tutti quanti, dopo la confusione iniziale, la imitarono, sommergendoli di congratulazioni, abbracci e pacche sulle spalle. Mentre ogni invitato si metteva in coda come per la comunione alla messa di Natale, rimasi inerte. Emily incinta… Non riuscivo a crederci. E non sapevo se ne ero contento. Non dovevo esserne sorpreso: era già da parecchi mesi che parlavano di matrimonio, ma una gravidanza era tutto un altro discorso. Erano giovani per avere figli, estremamente giovani. Sam aveva ventitré anni e Emily ventidue, eppure sembravano orgogliosi e soddisfatti. Una gravidanza. Ora. Con i Volturi in giro. Mi chiedevo se Sam avesse fatto a pieno i conti con tutto questo. Probabilmente non era stata cercata, ma capitata e basta. Emily aveva le lacrime agli occhi mentre parlava con mia sorella e sua zia Sue. In fondo un bambino era il degno coronamento della sua storia con Sam. Era ovvio che ne fosse felice…
In quel momento alzai la testa, come se mi fossi svegliato di colpo e cercai Leah con lo sguardo. La trovai poco più indietro, irrigidita da una doccia fredda. Sembrava non respirasse nemmeno, come se un solo movimento potesse incrinare la sua corazza. Gli occhi impietriti sui due festeggiati che stavano aprendo le bottiglie di champagne e distribuendo bicchieri a tutti. Ma non stava fissando i loro movimenti, non stava fissando niente. Intuivo fin troppo bene cosa stava pensando, come improvvisamente tutti i suoi ricordi fossero stati cancellati.
Con un movimento brusco, si girò e corse fuori. Inspiegabilmente, la seguii.
Una volta in giardino mi guardai attorno, cercandola, e la trovai appoggiata ad un albero. La sentii piangere timidamente. Feci qualche passo nella sua direzione, ma, accortasi della mia presenza, mi bloccò. “Lasciami in pace, Jake” affermò, tentando di mantenere una voce risoluta.
“Mi dispiace, Leah…”.
“Vattene e lasciami sola” ribadì.
Ubbidii e ritornai alla festa. Non sapevo nemmeno io con quale intenzione l’avevo seguita. Probabilmente per consolarla, anche se Leah non era mai rientrata nella cerchia delle mie simpatie. L’avevo sempre provocata e sapevo dove affondare quando volevo avere l’ultima parola: Sam. Ma ora rivedevo me stesso nel suo dolore. Lei amava Sam e per colpa dell’imprinting l’aveva perso. Non odiava Emily, ma la gravidanza era l’ennesimo pugno nello stomaco. Non poteva sperare che ritornasse da lei ma in una qualche maniera questo bambino cambiava tutto. Di fatto ufficializzava una rottura già dichiarata ma la rendeva ancora più dolorosa, aggravata dal fatto che sua cugina stava realizzando con Sam quello che aveva desiderato Leah. La famiglia, i figli, il matrimonio. Nei suoi pensieri, in un modo o nell’altro, c’era sempre stato un posto per Sam e la nostalgia dei momenti trascorsi insieme. Erano passati più di due anni, ma lei continuava a coltivare ogni particolare. Anche per Sam era lo stesso, ma, a differenza di Leah, i suoi ricordi erano vuoti, senza alcun calore, come se stesse guardando il film della vita di qualcun altro. In lei invece erano l’unica cosa a cui aggrapparsi.
Tuttavia nei pensieri di Sam c’era qualcosa che mi stupiva quotidianamente: una Leah completamente diversa. Forte e volitiva, come adesso, ma anche dolce, sensibile, altruista. Lontana anni luce da quella che mostrava. La delusione l’aveva cambiata così tanto? Come potevano definire l’imprinting “una meravigliosa magia” quando faceva cose del genere? Sam le era stato portato via nella stessa maniera in cui mi era stata strappata Bella: anch’io dunque sarei diventato come Leah e avrei passato la vita a struggermi?
Quando entrai in salotto, Sam mi notò e mi venne incontro dandomi un bicchiere ricolmo di bollicine per festeggiare la lieta novella. Gli feci i miei complimenti e auguri e lui sorrise, soddisfatto e orgoglioso. Da come mi guardava sembrava che tenesse in braccio il bambino e anzi gli avesse già portato la pagella, piena zeppa di bei voti. Come faceva a non capire che la sua felicità era la disperazione di un’altra persona?
“Complimenti anche per la tua tempestività” dissi a denti stretti, mentre sorseggiavo lo champagne.
“Che intendi dire?” domandò, rabbuiandosi improvvisamente.
“Che prima di fare un discorso a reti unificate, potevi parlargliene in privato…”.
Non c’era bisogno che indicassi il soggetto, sapeva perfettamente a chi mi stavo riferendo. “Dov’è?” domandò preoccupato.
“E’ fuori” dissi con un cenno della testa. Fece per andare da lei, quando lo fermai:“Lasciala stare. Non è in vena di essere compatita!”.
Non attesi la sua replica e mi diressi da Emily per abbracciarla e porgerle le mie congratulazioni. Era semplicemente entusiasta e le brillavano gli occhi. Improvvisamente mi resi conto del perché Sam avesse passato tutta la sera ad aiutarla e a farle da cameriere per qualsiasi cosa. Le fissai d’istinto la pancia. Non si era ingrossata, quindi doveva essere agli inizi.
Mentre l’inattesa gravidanza era diventata l’argomento principale della serata, buttai giù tutto d’un fiato un paio di bicchieri di champagne. Il rhum era di gran lunga superiore, ma dovevo accontentarmi di questo. Mi sedetti sul divano, seguito da Jared, Kim ed Embry che cominciarono a discutere delle ripercussioni che questa maternità avrebbe portato.
“Credi che Sam lascerà il branco?” mi domandò Embry.
Scrollai le spalle, mentre Kim rispose al posto mio:”E’ naturale. Se fossi in Emily non lo lascerei ancora combattere, con un figlio in arrivo. Già digerisco malvolentieri tutto quello che fate, figuriamoci se fossi incinta. Fuori questione”.
“Forse hai ragione” ammise il suo ragazzo. “Questo però vuol dire che…”.
Jared alzò lo sguardo verso di me, seguito da Embry. Era fin troppo chiaro a cosa alludevano: io sarei diventato il nuovo capo. Ecco cos’altro si nascondeva dietro la bella notizia. Un’incoronazione che non avevo mai cercato, né voluto e che avrei fatto di tutto per evitare. Soprattutto adesso che non ero di aiuto neanche a me stesso, figuriamoci controllare persone e assumersi responsabilità. E ancora peggio era che tutti sapevano che non sarei stato in grado di ricoprire questo ruolo. Vedevo nello sguardo di Embry e Jared un misto di scetticismo e sorpresa. Entrambi si chiedevano come avrei potuto guidare un insieme di persone che fino a poco tempo fa mi aveva ferocemente contestato. Era assurdo anche solo immaginarlo. Forse sarebbe stato il caso che mi facessi silenziosamente da parte e lasciassi l’onore a qualcun altro. Risolsi di parlarne a Sam alla prima occasione utile.
Mi alzai, fingendo distacco, e mi diressi al tavolo. Controllai svogliato l’orologio: era quasi mezzanotte. Bene, tra un po’ avrei potuto togliere il disturbo senza che muovessero critiche. Avevo accontentato tutti, avevo sfoggiato un’espressione pagliaccesca e potevo tornarmene a casa.
Ricominciai a migrare da un gruppetto all’altro, ma ormai l’argomento dominante erano diventati bambini, pannolini ed esami medici. Niente che mi potesse incuriosire, oltre al fatto che li trovavo estremamente irritanti. Trovai conforto nell’ultimo gruppo in cui mi affacciai, composto da mio padre, Charlie, Paul e Brady. Stavano parlando di football. Finalmente una materia interessante! Prima sport, poi macchine. Fu rigenerante riuscire finalmente a parlare dei miei argomenti preferiti, tanto che senza che me ne accorgessi si fece l’una passata. La situazione era migliorata incredibilmente e, soprattutto, insperabilmente. Ma mentre il mio umore si era evoluto verso il sereno, quello di Charlie era progressivamente degenerato. Si limitava ad annuire, con lo sguardo spesso perso nel vuoto. Aveva bevuto parecchio champagne e addussi a questo il suo cambiamento.
Stavamo parlando dei risultati della Formula Cart, quando, soffermandosi su di me, Charlie balbettò:“Aveva una strana voce al telefono. Molto più acuta del solito…”.
Gli altri interlocutori, me compreso, si girarono verso di lui, esterrefatti. Non c’era bisogno che chiarisse a chi stava alludendo.
“Non l’hai trovata strana anche tu?” continuò.
Billy si voltò verso di me, implorandomi silenziosamente di smorzare il discorso sul nascere. “Sì, effettivamente la sua voce era diversa, ma, sai, il decorso della malattia…”.
“La scarlattina non prende i polmoni e neanche la gola” affermò sicuro Charlie.
“Magari ha avuto delle complicazioni” intervenne Paul, rendendosi conto subito dopo di aver gettato benzina sul fuoco.
“Che vuol dire? Che Bella ha qualcos’altro che non mi dicono?” replicò Charlie con violenza.
“Ma no” lo tranquillizzò mio padre. “Era solo un’ipotesi. Secondo me, la telefonata era disturbata oppure semplicemente è stata un’impressione tua”.
Charlie parve rasserenarsi, ma un minuto dopo, complice anche il nostro silenzio, si toccò freneticamente i baffi folti, sintomo di un nervosismo crescente e incontrollato. “Forse dovrei andare là…” pensò ad alta voce.
“Ma no, che dici?!” esclamò Billy, con malcelata irruenza. “Il dottor Cullen è un ottimo medico e se non l’ha fatta tornare a casa, vuol dire che non la ritiene pronta, ma sicuramente le sta dando tutte le cure necessarie. Non ti devi preoccupare…”.
“Non si tratta solo di preoccupazione. Non vogliono farmela vedere!”.
“Non è soltanto una scelta dei Cullen. E’ anche Bella che te l’ha detto, no?” suggerì Paul.
“Bella è succube di Edward e se lui dice no, allora anche per lei sarà no!” gridò, attirando l’attenzione delle altre persone presenti in salotto.
Ridacchiai dentro di me perché Charlie non sapeva quanto si fosse avvicinato alla realtà. Bella era realmente succube di quel pinguino e qualsiasi cosa lui dicesse o facesse, forse anche uccidere, non avrebbe osato contraddirlo. Adesso la stava allontanando, celandosi dietro il falso altruismo verso di noi, poveri umani, mentre in realtà voleva solo tenerla legata a sé. Pensava di averne l’autorità, ma se era così per me, non poteva esserlo per Charlie.
“Hai ragione” dissi con un sorriso mefistofelico. “Bella non capisce a pieno le cose. Forse dovresti andare da loro e portarla via con la forza. In fondo è tua figlia”.
“Che dici, Jake?” replicò con furore Billy. “Non la stanno tenendo sequestrata: è là di sua volontà”.
“Sì, ma non capisce il contesto” obbiettai tranquillo.
“Bella è maggiorenne e può stare dove vuole…” borbottò Paul, tentando di suggerire una soluzione legale.
“Credi che dovrei accertarmi che stia bene?” mi domandò Charlie, ignorando le altre opinioni.
“Secondo me sì. Non c’è niente di male se vai là. E’ pur sempre tua figlia…”.
Billy si fece nervoso e afferrò il suo amico per un braccio per scuoterlo dall’improvvisa luce che aveva visto brillare nei suoi occhi. Avvertiva il pericolo dell’idea che gli stavo inculcando. “Charlie, non dargli retta, è solo un ragazzo, respinto dalla ragazza di cui è innamorato. Non devi pensare che i Cullen le stiano facendo del male. Sono brave persone…” affermò senza indugio.
Le sue parole mi raggelarono. Stava cercando di smontare la rabbia di Charlie, umiliando me?! Non riuscivo a crederci. E la cosa buffa era che ci stava riuscendo. Charlie mi fissò dubbioso, stringendo le sopracciglia. Si stava dando dell’imbecille perché si stava facendo condizionare da un adolescente: glielo potevo leggere in faccia. Le mie mani fremettero, desiderose di colpire qualcuno. Controllai l’impulso, ma ormai avevo perso traccia della ragione.
“E tu come fai a dire che siano brave persone?” domandai sardonico. Mio padre sobbalzò sulla sedia, mentre Paul e Brady, visibilmente tesi, si guardavano intorno, implorando l’aiuto di qualcuno.
“Lo sai anche tu…” disse a denti stretti Billy, lanciandomi velate minacce con lo sguardo.
“No, io non so proprio niente. In fondo fino a poco tempo fa dicevi che non ti fidavi di loro, che erano pericolosi…” sogghignai, mentre intravidi Charlie sgranare gli occhi.
“Non ho mai detto una cosa del genere…”.
“Oh sì che l’hai detto. Svariate volte…”.
“Smettila, Jake” intervenne Sam alle mie spalle. “I Cullen sono brave persone e nessuno l’ha mai messo in dubbio”.
Lo sguardo di Charlie saltava convulso da un interlocutore all’altro, incapace di capire da che parte fosse la verità. Sam mi fissò severo, come se non capissi, come se mi divertissi a gettare zizzania. Ero furibondo. Li odiavano tutti eppure stavano lì a mentire a Charlie soltanto per difendere un assurdo segreto. Non gli importava che lui stesse soffrendo, che io stessi soffrendo, perché tanto loro erano felici.
“Ti diverti a mentire, vero Sam? A far credere a tutti ciò che ti serve. Se avete orchestrato questo gigantesco circo soltanto per farvi i vostri comodi, fate pure, io non mi presto più”.
“Che intendi?” si intromise Charlie. “Alludi a qualcosa che io non so?”.
Mi voltai verso di lui, soffocato dal desiderio di sputare la verità. Era ora che sapesse cosa era diventata sua figlia, che smettesse di cercare Seth quando in realtà giaceva sotto terra da mesi e che si rendesse conto di quanto fossero falsi i suoi amici.
“I Cullen non sono quello che credi e hanno cambiato anche Bella, trasformandola in una di loro. Ma, in fondo, non sono peggiori di altri. Le persone che ti circondano non sono quelle che sembrano e non ti sono amiche…” proferii lentamente. Sam mi prese per un braccio e lo strinse, facendomi intuire che se avessi continuato non avrebbe esitato a colpirmi.
“Taci” sussurrò tagliente.
Scossi la testa. “E’ giusto che sappia con chi ha a che fare. Chi siamo noi e soprattutto chi sono i Cullen”.
“Adesso ne ho abbastanza. Vattene” ordinò Sam.
Strinsi le labbra. Potevo trasformarmi lì e mostrare direttamente a Charlie chi eravamo, ma qualcosa mi fermò. Bella. Se avessi rivelato a suo padre la verità, che cosa ne sarebbe stato di lei? Mi avrebbe odiato perché l’avevo messo in pericolo, senza contare che forse il mio gesto sconsiderato avrebbe fatto fuggire i Cullen da Forks e io non avrei più avuto modo di vederla, nemmeno per un minuto. E per quanto mi volessi rassegnare, per quanto mi odiassi per la mia assoluta mancanza di orgoglio, avevo bisogno di lei. Non volevo perderla.
Non mi opposi quando Sam mi trascinò fuori, tra lo stupore e lo sdegno generali. Charlie avrebbe voluto fermarlo, ma era troppo frastornato per fare qualcosa a parte improvvisare una debole replica.
Una volta lontani, il mio capo sussurrò infastidito:“Sei riuscito a rovinare una serata perfetta, Jake! Complimenti! Ora vattene e prega Dio che le tue illazioni non abbiano conseguenze su Charlie, altrimenti puoi considerarti fuori dal branco. Mi hai capito?”.
Rientrò dagli invitati, sbattendo la porta, mentre io mi diressi a casa. Avevo raggiunto lo scopo: andarmene finalmente da quella festa, anche se non nel modo in cui speravo. Mi sentivo in colpa nei confronti degli altri, ma perché nessuno capiva il mio stato d’animo? Era così incomprensibile?
Camminai fino a raggiungere la mia meta, e una volta in salotto, accesi la televisione. Trasmettevano messe, canti di Natale e film natalizi anche a quell’ora. Ero spossato e disperato. Chissà cosa stava facendo Bella? Si stavano scambiando i regali di Natale, come una famiglia normale? Ero così indegno di lei? Perché mi stava capitando tutto questo? Avrei voluto andare da loro a farle gli auguri, ma non mi sarebbe stato permesso di avvicinarmi, e allora tanto valeva restarmene qui. Chissà se Rose le aveva già parlato o l’avrebbe fatto a breve: mi aveva garantito dopo Natale. Quanto dovevo aspettare?
E se non fosse servito a niente, cosa avrei fatto? Avevo sempre combattuto nella mia vita, ma questa parete mi sembrava così ripida… Forse avrei dovuto metterci una pietra sopra, ma quel vampiro non era la sua giusta metà. Ero io la sua anima gemella, per ammissione di entrambi. Così come io ero incompleto senza di lei, Bella lo era senza di me. Adesso era soltanto confusa, dovevo darle tempo. O forse ero io ad esserlo. Dovevo aspettare l’imprinting, come Leah? Mi avrebbe salvato da Bella e dal suo ricordo? E se fosse stata proprio Bella il mio imprinting e non l’avessi riconosciuto? Non avrei più avuto scampo. Condannato ad un eterno supplizio.
Queste riflessioni mi fecero sprofondare nell’irrequietezza più penosa. Avvertivo un vago mal di testa, andai in cucina e ingoiai una pillola. Mi sdraiai sul divano, guardando un assurdo e patetico film di buoni sentimenti, dove vivevano tutti felici e contenti, e mi addormentai, prima della fine.


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Capitolo 69
*** Più forte ***


Il giorno dopo mi svegliai alle dieci. Il televisore era spento e avevo una coperta di lana addosso. Era passata Rachel. Mi alzai, accesi l’albero di Natale e andai in cucina a fare colazione in attesa che anche gli altri si unissero a me. Un’ora dopo tutta la famiglia Black era sveglia e intenta a scambiarsi i regali. Mi aspettavo l’ennesima ramanzina di papà sul mio comportamento della sera precedente e invece dalle sue labbra non uscì un solo commento, nemmeno quando gli chiesi come fosse finita la serata e a che ora fossero tornati. Non ero un figlio o un fratello così ingrato, tutto sommato.
Il pranzo trascorse velocemente e constatai che, nonostante la mia ormai cronica malinconia, la fame non mi era passata. Divorai tutto quello che Rachel aveva preparato in qualche boccone, con somma gratitudine da parte sua: amava cucinare e io le davo estrema soddisfazione. Subito dopo chiamammo Rebecca per la consueta telefonata di auguri. Ogni volta lei e Rachel rimanevano per delle ore al telefono: si raccontavano i pettegolezzi sulle amiche di vecchia data e su argomenti tipicamente femminili e io non potevo raccontarle che la ragazza che amavo era stata trasformata in vampiro, come non potevo dirle di quanto a volte facessi fatica a convivere con la mia natura di licantropo. Mi limitavo a infagottarmi nei medesimi “Tutto ok”, di poco variati in “A posto” oppure “Niente di nuovo”.
Erano ormai le cinque di pomeriggio quando squillò il telefono. Sperai con tutte le mie forze che fosse Bella, tuttavia non mi mossi dal divano. Se ne occupò Rachel e da come prese in mano la conversazione capii che la telefonata non era destinata a me. Nonostante questo, restai in ascolto: il suo tono di voce era affabile e gentile, pur mascherando un lieve stato di agitazione.
“E’ stato solo un pensiero per ringraziarti. Non dovevi disturbarti a chiamare” percepii. Poi seguì un lungo silenzio, interrotto da vaghe interiezioni.
“Sì, è dura, ma è forte, lo sai anche tu. Ce la farà… Dobbiamo soltanto stargli vicino” sussurrò in un respiro. Questa frase mi mise in allarme.
In quel momento trillò il campanello e fui costretto ad andare ad aprire: trovai Paul alla porta. Notando l’arrivo del suo fidanzato, Rachel si affrettò a concludere la chiamata e a correre fra le sue braccia. Lo spinse in salotto per farlo accomodare mentre mio padre si illuminò appena lo vide. Sicuramente sarebbe stato un figlio migliore di quanto lo fossi io.
“Chi era al telefono?” domandai senza tanti preamboli.
Mia sorella apparve improvvisamente imbarazzata e il suo viso si accese di un rosso vivace.
“Rosalie” bofonchiò.
Mio padre la fissò duro e lo stesso fece Paul. “Rosalie?” ripetei incredulo.
“Ieri sono andata dal fiorista e le ho mandato una pianta di ciclamini per l’aiuto dell’altra sera e lei mi ha semplicemente richiamato per ringraziarmi. Tutto qui” minimizzò con un’alzata di spalle.
“E da quando noi ringraziamo i vampiri?” domandò papà con tono burbero.
“Da quando hanno riportato a casa mio fratello sano e salvo per ben due volte!” replicò stizzita Rachel, alludendo sia alla mia serata alcolica, sia a quando avevo rischiato di morire a causa del veleno di Lehausle. “La mamma mi ha insegnato l’educazione e visto che Rosalie ha fatto una cosa che non era tenuta a fare, mi è sembrato giusto ed educato ringraziare. Comunque, non ti preoccupare: ho firmato solo per me. Tu puoi ritenere salva la tua reputazione. Nessuno ti accuserà di tradimento!”.
Si alzò e andò in cucina con la scusa di portare un dolce. Papà non replicò, anche perché quando veniva tirata in ballo la mamma, nessuno della famiglia osava criticare. Paul, per quanto non fosse visibilmente d’accordo con il comportamento di Rachel, non ritenne opportuno rovinare il giorno di Natale con una discussione su una pianta di ciclamini. L’unico sconvolto da tutto fui io e non feci niente per nasconderlo. Rachel, da sempre ostile ai Cullen, sia in virtù della loro natura, sia in base ai racconti fatti da papà e Paul, aveva porto la mano ai nostri nemici più antichi. Odiava Rosalie quanto gli altri, eppure in quarantotto ore si erano sentite due volte. Cosa le prendeva? Mi voleva così bene da abbandonare il suo mantello di pregiudizi e rancori? Trovai ancora più inspiegabile che quello fosse diventato il più bel regalo di Natale.
Quando ritornò con il vassoio ricolmo di torte, sfoggiava nuovamente il suo più affascinante sorriso e il resto del pomeriggio trascorse sereno.
Non potei dire lo stesso della settimana successiva, consumata nell’attesa della telefonata di Rosalie. O perlomeno non di una sua telefonata, quanto di quella da parte di Bella in cui mi rimproverava la mia derelitta e inopportuna relazione con la sua ormai sorella adottiva. Rimprovero che avrebbe sottinteso qualcosa di più rinfrancante. Invece il telefono continuava nel suo rassegnato mutismo e lo scoramento si faceva largo a bracciate nel mio cuore. Possibile che Rose non avesse trovato un momento per parlarle? Forse Edward glielo aveva letto nel pensiero e la stava trattenendo in qualche modo; oppure più semplicemente a Bella non era interessato granché. Ero preda di mille ragionamenti e paure che avevano attecchito nella mia vulnerabile mente e la minavano alla radice.
Infine arrivò la notte di capodanno, senza avere alcuna nuova, nemmeno da Charlie. Evidentemente il mio discorso non aveva sortito alcun effetto e ringraziai mamma di questo. Non più Dio, perché evidentemente a lui non interessava affatto che io soffrissi o meno. La mamma invece da lassù mi vegliava e forse avrebbe fatto qualcosa per me.
Sam e gli altri avevano rimediato una festa in discoteca a Port Angeles e mi avevano invitato a partecipare, fermo restando che io non avrei bevuto una goccia d’alcol: come se fosse lui la causa del mio malumore e dei miei discorsi sconsiderati! Ma l’idea di stare ammassati in un luogo chiuso, pieno di gente urlante e apparentemente felice non era per me. Sapevo già come sarebbe finita: mi sarei innervosito e avrei abbandonato prima della fine. Optai quindi per restarmene in casa, visto che, per quella sera, avrebbero trasmesso in televisione la vecchia trilogia di Star Wars. Meglio guardare Luke Skywalker che sentire musica assordante e avere tra i piedi ragazze fin troppo disponibili e, per giunta, ubriache. Mio padre sarebbe andato a casa di Sue insieme a Charlie e ai genitori di Quil a fare baldoria, se così si poteva definire alla loro età! Quindi avrei passato da solo il capodanno. Storsi il naso. Non era proprio quello che avevo sperato, ma, accidenti, perché lamentarsi? Avevo i miei film preferiti in televisione. Non potevo chiedere di meglio, a parte… Bella.
Dove sei, amore mio? Cosa farai stanotte?
Chissà se avrei occupato i suoi pensieri almeno per un minuto; lei era nei miei stabilmente.
Erano le undici e mezzo quando il campanello suonò. Tergiversai a lungo sul divano, indeciso se alzarmi o meno. Sicuramente non era Rachel e nemmeno mio padre. L’unica altra persona per cui mi sarei alzato non poteva entrare nel territorio di La Push e non l’avrebbe fatto quella notte. Non mi aveva nemmeno telefonato il giorno di Natale, perché avrebbe dovuto prendersi il disturbo di lasciare il suo amato Edward?
E se Rosalie le avesse parlato di noi? Forse lo aveva fatto e Bella era esplosa per la rabbia, correndo qui da me e violando il confine. Poteva essere. Balzai in piedi come un lampo e mi precipitai alla porta, ma quando la aprii, rimasi deluso per l’ennesima volta.
Leah stava all’ingresso disinvolta, con gli occhi puntati nei miei, i capelli raccolti in una coda scomposta, e il corpo, un tempo esile e delicato, avvolto da una felpa stropicciata e jeans scoloriti. “Allora è vero che sei rimasto in casa…” commentò fredda.
“Mi vedi, no?” sbuffai. “E tu? Non sei alla festa con gli altri?”.
“Feste? No, grazie. Per me non c’è niente da festeggiare. Posso entrare?”.
Scrollai le spalle e le feci un esageratamente ampio cenno della mano, come un maggiordomo. Leah non rispose alla mia ironia ed entrò, diretta in salotto. Notò cosa stavo guardando alla televisione e continuò:“Ritieni che Guerre Stellari sia meglio di una festa di Capodanno?”.
“Per me, sì. E poi non ho niente da festeggiare, esattamente come te”.
Abbassò il viso e tornò a guardare lo schermo. Poi si accorse che avevo lasciato sul divano un sacchetto di pop corn e una birra. “Ne hai una anche per me?” domandò seccamente.
Annuii e mi diressi al frigorifero in cucina. L’idea di accontentarla mi irritò perché questo voleva dire che si sarebbe trattenuta e non avevo proprio voglia di avere ospiti, Leah in primo luogo. Quando ritornai, si era seduta sul bordo del divano e guardava fissa la televisione. Le porsi la bottiglietta stappata e la prese, senza neanche ringraziare. Ridacchiò per una battuta del film, poi disse:“Anche a me piacce molto questa trilogia. La stavo guardando prima di uscire di casa…”.
“Se ti piaceva tanto, perché sei uscita?” domandai tagliente.
“Perché mi ricorda Seth. Lui ed io la guardavamo spesso perché gliela avevo regalata per il compleanno di qualche anno fa. Guardarla da sola è troppo… per me” replicò, trangugiando un ampio sorso di birra.
Fu una ventata di tristezza che non meritavo e nemmeno lei. Presi il telecomando e feci per cambiare canale, ma mi fermò. “Non devi cambiare, anzi se non ti dispiace, resto a guardarla con te. Se non sono sola, è più facile…” balbettò.
“Certo” e mi sedetti sul divano, porgendole anche i pop corn.
Guardammo insieme la fine del primo film e tutto il secondo, prima di scambiare una sola parola. Io non sentivo il bisogno di parlarle e lei, altrettanto. Ruppe il silenzio soltanto per fare commenti su alcune scene, che avevano il dono di divertirci ancora, nonostante le avessimo viste centinaia di volte. Erano le due e mezzo quando nel pieno dell’azione, il film fu interrotto da una pausa pubblicitaria piuttosto lunga. Ne approfittai per andare in bagno e quando ritornai, Leah non era più dove l’avevo lasciata.
La cercai in cucina prima di accorgermi che era fuori, accoccolata su una delle sedie di vimini che mi avevano spesso accolto nelle mie serate solitarie. La raggiunsi e solo allora mi accorsi che stava nevicando. Fiocchi sottili e inconsistenti che l’indomani sarebbero stati sciolti, però contribuivano a creare un’atmosfera sfuggente. Non si sentiva rumore, nonostante in molte case si stesse ancora festeggiando. Leah guardava fisso davanti a sé, con un battito monotono delle ciglia. Sorseggiò dalla bottiglia di birra non ancora terminata e con un gemito mi spiegò il motivo del suo improvviso abbandonarsi:“Stava nevicando quando Sam mi rivelò il suo imprinting con mia cugina…”.
Non dissi niente perché sapevo che non amava essere compatita, esattamente come me. In silenzio, guardava due figure perse nell’oscurità, al di là degli alberi e delle case. Se stessa e Sam. Rivedeva con nostalgica affezione i loro momenti insieme, li cullava con tenerezza e li picchiava con decisione perché erano la causa del suo dolore, eppure non poteva separarsene: in una qualche maniera, grazie a loro, provava ancora sentimenti che la spingevano a combattere un giorno dopo l’altro.
“Ho fatto la figura da idiota alla festa di Natale, vero?” domandò, deglutendo un boccone amaro.
Mi sedetti accanto a lei e risposi con noncuranza:“No, perché? E’ stato Sam piuttosto a fare la figura dell’idiota…”.
Appoggiò la bottiglia a terra e si appoggiò rilassata allo schienale. Sorrise a se stessa e continuò:“Quando Sam mi ha detto che cosa era l’imprinting, non gli ho creduto. Pensavo che fosse uno scherzo e gli sono scoppiata a ridere in faccia. Dalla sua espressione ho capito che non scherzava, anche se mi sono ostinata a prendere sotto gamba la situazione. Nonostante passassero i mesi, continuavo a dirmi:“E’ una sbandata. Tornerà da te”. Poi quando sono diventata una di voi e ho avvertito i suoi sentimenti per Emily, ho finalmente realizzato che l’avevo perso davvero e per sempre. Mi sono sentita morire perché prima avevo avuto sempre una speranza e invece mi era stata tolta anche questa. La speranza ti fa vivere e, quando svanisce, muori con lei. Non ce l’avevo con Emily: non aveva fatto assolutamente niente per portarmelo via. Un solo sguardo era bastato a mandare il mio mondo in pezzi. Ho perso mia cugina che consideravo quasi come una sorella e ho perso lui. Nonostante tutto, ho sempre nutrito una minuscola speranza che l’imprinting si sarebbe annullato e io avrei riavuto indietro ciò che meritavo. Fino alla settimana scorsa… Lì ho capito che non c’era più niente da fare. E’ stato come se l’avessi perso un’altra volta”.
Si interruppe, forse aspettando qualcosa per alleviarle la sofferenza, ma non sapevo cosa dire, anche se conoscevo fin troppo bene la situazione, visto che la stavo vivendo sulla mia pelle. Mi guardò per un attimo poi ritornò nel silenzio più impenetrabile. Sentii che il film era ricominciato ma non avevo alcuna fretta di tornare dentro: Leah sembrava diversa dal solito. Molto, molto fragile, come se la neve stesse sciogliendo la ruggine.
“Non capisco” sbottò all’improvviso. “Che cos’ha Emily che io non ho? Perché ha scelto lei e non me? Non sono così male, anche se tutti voi mi odiate. D’accordo, lei è tanto dolce, gentile e altruista, ma anch’io lo ero. E lui non ha scelto me!”. L’ultima frase la pronunciò, balbettando, per trattenere le lacrime, ma una, piccola e indomabile, riuscì a sfuggirle e le rigò la guancia. La asciugò brutalmente mentre io feci finta di non averla vista.
“Non è una questione di che cos’ha Emily e di cosa non hai tu. Non devi vederla in questo modo…”.
“E come dovrei vederla allora?” mi interruppe, alzando la voce. “Perché è successo tutto questo proprio a me? E perché continuo a soffrire? Cos’ho che non va? L’anno scorso è morto papà; Seth tre mesi fa. Perché tutte le persone a cui voglio bene continuano a lasciarmi?! Che cos’ho fatto di male? Cos’ho fatto di male…” e scoppiò a piangere.
Rimasi di sasso perché non avevo mai visto Leah piangere e credevo che non sarebbe stato uno spettacolo a cui avrei mai assistito in vita mia. Avevo sempre tentato da quando la conoscevo di stuzzicarla a tal punto da farla piangere, ma ora che avevo raggiunto il risultato, senza muovere nemmeno un dito, non ne andavo fiero. Non era cattiva e saccente, ma solo tremendamente orgogliosa. In un istante rividi i ricordi della mente di Sam: com’erano stati insieme e quanto l’avesse amata, anche se ora quel sentimento poteva sembrare una bazzecola rispetto a quello che provava per Emily. E Leah era tanto diversa, tanto più bella di com’era adesso, prima che la solitudine le facesse a pezzi il cuore.
Mi alzai e mi chinai per passarle un fazzoletto. “C’è sempre una ragione per cui succedono le cose ed è indipendente dalla nostra volontà. Forse hai sofferto più di chiunque altro in questi anni, ma lo supererai perché sei più forte di tutti noi messi insieme. Verrà il tuo momento, Leah, e quando accadrà, ti accompagnerò a fare una gigantesca pernacchia a Sam e al suo marmocchio” le sorrisi.
Leah ridacchiò, asciugandosi le lacrime. “Credi?”.
“Vedila così: che cos’altro di peggio può succederti? Puoi soltanto risalire e avere la tua felicità. E’ Sam ad avere perso nel lasciarti, non certamente tu” dissi e mi stupii perché lo pensavo sul serio. Fantascienza nella fantascienza. Con questo non volevo sminuire Emily che era semplicemente fantastica, ma Leah lo era altrettanto, in un modo diametralmente opposto. Questo suo voler nascondere i sentimenti a tutti i costi, lo trovavo infantile e innocente, e allo stesso tempo amabile. Mi ricordò Rose, anche se non ne capii il motivo.
Si asciugò il naso e gli occhi con gesti quasi violenti, per dare poca importanza al suo sfogo e farlo ritornare nell’angolo buio da cui era riuscito a sfuggire. Allora tornai a sedermi sulla sedia, pur tirandola più vicina a lei. Afferrò la birra e ne bevette l’ultima sorsata. “E tu?” domandò. “Anche per te allora il destino ha altri piani”.
Aggrottai le sopracciglia. Ora avrei dovuto dimostrare che quello che avevo detto lo pensavo sul serio. In fondo eravamo su barche simili e lo sapeva perfettamente. Ma io non avevo ancora rinunciato, non avevo visto morire definitivamente l’ultima speranza, anche se Bella vi aveva assestato colpi molto profondi.
“Non mi sono ancora rassegnato…” ammisi a malincuore.
“Credi che quello che le dirà la tua amica bionda possa farle cambiare idea?”.
Scrollai le spalle, infastidito. Era mai possibile che ogni pensiero, ogni illusione, ogni fantasia dovesse essere patrimonio di tutti?! Quasi quasi avrei smesso di trasformarmi per un mese, almeno avrei evitato di dover condividere. “Lo spero…” mugugnai.
“Ti dirò quello che penso, se vuoi. Ma ti avviso che non è molto piacevole da sentire…” dichiarò in tono neutro.
Le feci cenno di proseguire, anche se presagivo che la conversazione sarebbe planata su opinioni che non avrei gradito. Ma forse era meglio che qualcuno finalmente mi mettesse in testa ciò di cui avevo bisogno.
“A me non è mai piaciuta Bella. Ho sempre riscontrato un comportamento falso ed estremamente capriccioso. Tutto sommato, vi voleva entrambi ed è per questo che non rinunciava a te, anche se sapeva che il suo atteggiamento ti feriva. Era una bambina, in balia di sentimenti che non controllava. D’accordo, aveva scelto te, ma questo suo repentino cambiamento di posizione mi induce a pensare che la sua scelta non sarebbe stata duratura. Capisco che a te possa infastidire prendere in considerazione un’ipotesi del genere, però io non riesco a pensare che una trasformazione possa distruggere sentimenti all’apparenza così profondi, ed è per questo che probabilmente alla fine sarebbe tornata da lui. Ed è stato meglio che sia successo adesso che più avanti…”. Effettivamente neanche io riuscivo a capacitarmene ma sapevo cosa avevo visto quel giorno nei suoi occhi: amore. E non l’avevo mai vista guardare Cullen nel modo in cui aveva guardato me.
“No” scossi la testa. “Bella aveva deciso ed era sicura”.
“Non dico che non lo fosse in quel momento, ma più avanti, chissà. Non penso che la trasformazione abbia attinto a sentimenti inesistenti. Lei provava ancora qualcosa di profondo per lui e l’ha semplicemente fatto riemergere. Forse ciò che tu chiami disastro, in realtà è una benedizione…”.
“No” ringhiai. “Io la amo e averla persa non potrà mai essere una benedizione…”.
“Pensaci bene: lei non è il tuo imprinting quindi la vostra relazione sarebbe stata comunque destinata a finire. E Bella ne avrebbe sofferto, esattamente come me. Il tuo imprinting è là fuori, da qualche parte, e quando lo troverai, non ricorderai nemmeno più chi fosse Isabella Swan”.
“Non avrei mai potuto fare del male a Bella…”.
“Neanche Sam voleva farne a me, eppure è accaduto. Se il destino l’ha ridata a Cullen, forse è perché in qualche modo ha avuto pietà di lei. Sarà felice, come lo sarai tu quando troverai chi ti è stato assegnato…”.
“Io non voglio l’imprinting. Non ci trovo niente né di meraviglioso, né di romantico e tu dovresti condividere le mie idee più di chiunque altro”.
“Io lo sto aspettando perché sarà lui a farmi uscire da questa galleria…” disse sommessamente. “Purtroppo non possiamo sottrarci e anche se tu ed io non lo capiamo e pensiamo che i nostri sentimenti per Sam e Bella siano i più puri al mondo, dobbiamo ammettere che non è così. Sono semplicemente umani, mentre l’imprinting è qualcosa che va al di là di questo. Senti la felicità degli altri, no? Come potrebbe un sentimento indotto provocare questa sensazione di estasi? Devo ammettere che sono curiosa di provarlo, almeno mi salverà da Sam e dalla mia solitudine. Così come salverà te” chiosò, fissandomi negli occhi e cercandovi complicità. Non ero d’accordo con lei e non potei soddisfare la sua pretesa.
“Comunque, anche Bella ci perde ad aver scelto lui, ma considerando quanto è stupida, direi che si meritano assolutamente” esclamò con un sorrisetto ironico, che mi strappò una risatina. Sì, io ero decisamente meglio di quella mummia. Almeno la facevo ridere, anche se per lei non era abbastanza. Esattamente come Leah non lo era stato per Sam. Sembrava che noi due fossimo destinati a soffrire per le stesse motivazioni e nello stesso momento, ma prima o poi ne saremmo usciti. Ne ebbi la certezza quando la vidi sorridere con il viso rivolto al cielo, come se la neve che era stata l’inizio della sua tragedia, stesse seppellendo il rimpianto di una poesia perduta.
Leah urtò la sua bottiglietta di birra contro la mia e disse:“Buon anno, Jake”.
“Buon anno anche a te, e speriamo che lo sia davvero” sogghignai.
“Beh, come hai detto tu: abbiamo toccato il fondo, possiamo solo risalire!”.
Risi, convinto che avesse ragione, ma ero ben lontano dall’immaginare quanto potesse essere profondo il mio abisso.



Ecco un piccolo capitolo su Leah perchè è era giusto e doveroso dedicarglielo, dopo tutto quello che ha patito nella ff e perchè è uno dei personaggi che, con la sua forza e cocciutaggine, ammiro di più. Spero che vi sia piaciuto e lasciate un piccolo messaggino, se vi va!
Baci e alla prossima settimana quando finalmente Bella riapparirà nella vita di Jacob.

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Capitolo 70
*** Charlie ***


Eccomi qua!
Dopo qualche piccolo capitolo di adattamento alla trasformazione di Bella, alla situazione interna del branco e al chiarimento di alcuni punti rimasti in sospeso, si ricomincia a marciare con il problema Volturi, affatto sanato, e soprattutto con un nuovo problema che Jacob ha, impulsivamente, creato: Charlie. Un bacione a tutte e buona lettura!




Erano passate da poco le sei del pomeriggio quando mi incamminai verso il nostro solito ritrovo, a qualche chilometro dal centro abitato, all’interno della foresta, nell’unico punto dove, a causa della fiorente vegetazione e di cespugli assai fitti, un branco di lupi, poco più piccoli di cuccioli di orso, potevano darsi appuntamento e passare inosservati. Generalmente ci si radunava sempre verso sera, sia per evitare escursionisti, sia per motivi molto più ordinari: Sam e Paul erano gli unici del branco che lavoravano, dato che erano i più grandi, e noi studenti dovevamo rispettare i loro orari di lavoro.
Zampettavo con disinvolto menefreghismo verso la mia meta, ponendomi la consueta domanda: che fine aveva fatto Bella? Era trascorsa quasi una settimana da capodanno e non avevo più avuto notizie. Rosalie sicuramente le aveva già parlato, ma quale significato dovevo attribuire a questo silenzio? Non certo positivo. Eppure doveva provare ancora qualcosa, non poteva essere stato tutto cancellato. Forse avrei potuto telefonare a Rose per chiederle conferma, ma immaginavo che non volesse mi facessi vivo. Non a breve almeno.
Nelle ultime notti la sua presenza non mi aveva mai abbandonato, rallegrandomi con sogni piacevoli, o più che altro con ricordi travestiti, che riuscivo a far scorrere davanti agli occhi senza provare una bruciante sensazione di acido nello stomaco. Gli incubi non mi torturavano semplicemente perché non l’avevo più incontrata, nemmeno per caso, e soprattutto perché continuavo a ripetere che sarebbe tornata da me. Ripensandoci avevo un cesto così pieno di ricordi di noi due accumulati in un anno soltanto che avrei quasi potuto andare avanti una vita intera.
Smettila di pensare a lei, non ne vale la pena! intervenne Leah.
Accidenti, non potevo nemmeno pensare in santa pace a Bella, senza che qualcuno venisse a farmi la ramanzina! Nonostante trovassi il suo tono ancora estremamente arrogante e supponente, il rapporto con Leah, dopo Capodanno, si era fatto quasi amichevole. Ogni tanto arrivavano i suoi rimproveri, che sopportavo con educata rassegnazione. Erano quasi diventati utili perché mi facevano sentire stupido e mi forzavano a volgere la mente altrove.
Quando arrivai al luogo deciso, notai che ero l’ultimo. Sam era sdraiato, con le zampe incrociate e sembrava seccato di aver dovuto aspettare me per cominciare. Embry e Quil si stavano divertendo a fare la lotta mentre Leah li osservava, disapprovando il loro atteggiamento infantile. Paul e Brady dialogavano di risultati di basket. Come previsto, Sam alzò il muso nero nella mia direzione e mi rimproverò per il ritardo.
Feci spallucce. Non sapevo quale fosse l’oggetto del raduno odierno ma da quando avevo perso Bella, tutto era diventato una semplice formalità burocratica, persino il ritrovarsi con amici. Sì, perché negli ultimi giorni, avevano tentato chi più chi meno di tenermi compagnia e questa era l’unica nota positiva della mia piccola tragedia. La relazione con Rosalie me li aveva strappati; essere abbandonato da Bella me li aveva restituiti. Avrei preferito mille volte avere Bella, ma erano i miei amici, gli ero molto legato e la nostra breve separazione mi aveva comunque fatto soffrire.
Embry e Quil furono richiamati da Sam e dovettero interrompere, proprio mentre il primo sembrava prevalere sul secondo. Quando Quil mi vide, mi corse incontro e mi diede una zampata amichevole sul naso. Come va, Jake?
Scossi il muso confuso. Non sapevo nemmeno io cosa rispondere. A volte ero sereno, altre volte terribilmente infelice e irascibile, tanto che persino il chiacchiericcio di alcuni corvi che avevano fatto il nido proprio sopra la mia finestra, mi irritava.
Andrà meglio, vedrai tentò di tranquillizzarmi Embry.
Se avete finito di parlare fra voi, possiamo cominciare, grazie intervenne Sam assai alterato. Nella sua mente potei leggere un litigio con il suo capo, la preoccupazione per le continue nausee di Emily e i pochi ordini arrivati in fabbrica in quel periodo, che mettevano un po’ in ansia tutti i dipendenti. Abbastanza per mettere chiunque di cattivo umore.
Allora, vi ho chiamato perché credo che dovremmo parlare di un paio di cosette iniziò Sam mentre io disinteressato mi grattavo un orecchio.
L’altro giorno mi è stata posta da Brady un’obiezione a cui non avevo pensato finora, ma che effettivamente ha ragione di esistere. Come tutti voi ben sapete, nostro scopo primario nella guerra contro i Volturi era vendicare Seth e difendere Bella, in quanto essere umano, dai vampiri. La vendetta è stata portata a termine, quando Jacob ha ucciso Lehausle e quindi da questo punto di vista abbiamo assolto al nostro impegno. Per quanto riguarda Bella, ora lei non è più un essere umano e quindi non sarebbe più nostro compito difenderla. Finora non mi ero posto il problema perché, devo ammetterlo, sono piuttosto riluttante a considerarla una di “loro”, però i fatti sono sotto gli occhi di tutti. Per questo siamo qui: voglio sapere cosa ne pensate.
Non fui sorpreso di questa riflessione perché effettivamente erano le motivazioni che ci avevano indotto all’alleanza con i Cullen e tutte e due erano venute meno, perlomeno per gli altri. Per me, che Bella fosse umana o meno, non variava nulla. Mio dovere era proteggerla e questo non sarebbe mai cambiato, anche se lei avesse deciso di stare con Edward definitivamente.
Arretrai di qualche passo, facendo intuire agli altri che non sarei intervenuto nella discussione. Mentre io tentavo di zittire le voci che mi urlavano nella testa e avrebbero voluto ribellarsi alla sola idea di abbandonare la lotta, ebbi modo di sentire il confuso fruscio delle menti degli altri: chi avrebbe voluto cogliere l’occasione al volo per ritirarsi e chi, in maniera meno roboante, riteneva che avremmo dovuto continuare a combattere.
Io credo che dovremmo lasciarli al loro destino suggerì Brady, da sempre ostile ai Cullen. Abbiamo vendicato Seth, abbiamo combattuto per quanto possibile per evitare la morte di Bella. Non c’entriamo più niente con loro e, se continuiamo in questo senso, la lista dei nostri morti potrebbe soltanto allungarsi.
Abbiamo fatto un patto con i Cullen obbiettò Quil, non troppo convinto.
Le motivazioni che ci spingevano erano ben chiare e quindi, da questo punto di vista, non potrebbero tacciarci di slealtà chiarì Sam, stranamente accondiscendente. Forse la maternità di Emily lo stava spingendo alla prudenza e quindi al ritiro da una guerra che avrebbe potuto ucciderlo.
E poi stiamo sempre parlando di vampiri… interloquì Jared. Non gli dobbiamo niente, come loro non devono niente a noi. Ci hanno cercato soltanto per avere aiuto, non certo per amicizia nei nostri confronti. Siamo liberi di comportarci come vogliamo. Poi adesso hanno gli altri quattro Denali che li aiutano. Non c'è più bisogno che mettiamo in pericolo la nostra vita.
Sì, d’accordo, ma qui non si tratta soltanto di loro, ma anche della popolazione di La Push. Dobbiamo difenderla esclamò Embry, confermando senza indugio il ruolo di difensore dell’umanità che si era incollato addosso da solo.
Fino a questo momento, ogni volta che i Volturi sono stati qui non hanno mai attaccato nessun umano. Non so di cosa si siano cibati, ma non risultano omicidi, né persone scomparse. Questo potrebbe far pensare che non intendano attaccare indigeni. In fondo, anche loro dovrebbero rispettare il fatto che questo territorio è sotto la giurisdizione dei Cullen e quindi non potrebbero cacciare senza la loro autorizzazione pensò Leah.
La fissai stupefatta: da quando era così ben informata sulle leggi dei vampiri? Per uccidere il tuo nemico, bisogna prima conoscerlo, è vero, però non pensavo che avesse preso in parola questo proverbio e non avevo la più pallida idea di dove avesse recepito queste informazioni, visto che io per primo non le sapevo.
Jacob, tu cosa ne pensi?domandò Sam con piglio autoritario.
Puoi immaginare cosa penso… Tutto quello che avete detto è vero, però io voglio difendere Bella. Ho promesso che l’avrei fatto e intendo mantenere la parola, anche se lei è un vampiro, ora.
E’ tempo sprecato intervenne Brady con occhi brucianti di rabbia. Non credere che soltanto perché la difenderai, tornerà con te!
Non lo faccio per avere qualcosa in cambio! digrignai i denti, soffocando l’istinto urlante di gettarmi su di lui. La amo e voglio che stia bene, sotto qualsiasi forma essa si trovi. Se non vi va bene, allora statene fuori, ma non chiedetemi di fare altrettanto.
Sam mi fissò freddo. Pur leggendogli il pensiero, sembrava non avesse idee. La sua mente era vuota, riempita soltanto dall’eco delle proteste dei suoi sottoposti.
Jake non fa testo. E’ ovvio che lui vorrà continuare a combattere ed è comprensibile, ma sono affari personalicommentò Paul. Per quanto mi riguarda, possiamo lasciargli piena libertà di agire, esattamente come abbiamo fatto per Seth, però questo non vuol dire costringere tutti noi a rischiare la vita per una famiglia di sanguisughe.
Non si tratta solo dei Cullen. mi lamentai. I Volturi sanno della nostra esistenza e, quando avranno ucciso loro, verranno a sistemare anche noi. Ritengo che dovremmo cogliere la palla al balzo e continuare a combattere al loro fianco per difendere la nostra razza.
Lo dici soltanto perché vuoi averci dalla tua parte protestò Jared.
Per me puoi fare ciò che vuoi Jared! Io combatterò e stop. Se vuoi tirarti fuori, fallo però quando resterete soltanto in sette a difendere il territorio dalla loro invasione, il problema non sarà più mio perché tanto sarò già morto!
Da lì si accese una discussione su quanto ci fosse di vero in ciò che i Cullen avevano preannunciato in proposito: cominciavano a dubitare che i Volturi fossero realmente interessati a sterminare un branco di licantropi che aveva ampiamente dimostrato di non essere un pericolo, almeno fino a che non eravamo stati attaccati. Pian piano le menti di tutti si stavano dirigendo verso la soluzione più appetibile e cioè che Carlisle avesse mentito per avere alleati al suo fianco. E, se a suo tempo non aveva influenzato le nostre decisioni, adesso poteva farlo. Nessuno di noi voleva morire per quella famiglia, io in primo luogo, ma volevo difendere Bella. Glielo avevo promesso quando era ancora umana e soprattutto l’avevo promesso a me stesso. Speravo solo che Sam mi lasciasse libertà di movimento, ma non sapevo interpretare il suo sguardo, attento e vigile a ogni protesta, a ogni parola pronunciata dagli altri, senza tuttavia formulare un pensiero che potesse lasciarmi intuire le sue decisioni.
Mi accucciai buon buono, come un cane bastonato, in attesa del bocconcino dal padrone. Ogni tanto buttavo un’occhiata a Leah che era altrettanto silenziosa, a tratti anche distratta, visto che era molto più attenta a passarsi la lingua sul pelo grigio fumo. Lei sicuramente era dalla parte di Jared e quindi contro i Cullen. Non potevo certo sperare in un suo sostegno in un’eventuale votazione. Lei e Jared andavano d’accordo su quasi tutto, mi stupivo vivamente che lui non fosse il suo imprinting. Tutto sommato avrebbero formato una bella coppia, ma forse Jared era troppo succube. Il mio compagno sentì i miei pensieri e si girò, fulminandomi con lo sguardo, mentre Leah continuò indifferente le pulizie di primavera.
Una folata gelida ci investì, segno che una probabile nevicata era alle porte. Dalla notte di capodanno aveva nevicato quasi tutti i giorni. Non amavo molto la neve, però la preferivo di gran lunga alla pioggia. Reclinai il muso il più possibile per nasconderlo alle secche sferzate del vento, mentre Embry aveva acceso un vero e proprio incendio con Brady. Non capivo perché, visto che Embry non aveva mai voluto difendere i Cullen, nè aveva mai avuto molto in simpatia Bella da quando mi aveva rifiutato per stare con la sanguisuga, eppure si stava prodigando con insolita decisione alla mia causa.
Adesso basta! sentenziò Sam dopo una lunga attesa. Non stiamo raggiungendo alcuna conclusione. Visto che ognuno ha le sue visioni, vi dico cosa decido io. Innanzitutto non ammetterò nessun individualismo: la decisione che verrà presa, riguarderà tutti quanti, in egual modo. Non voglio impartire “l’ordine”, ma mi aspetto spirito di gruppo. Chiaro?
Feci un passo avanti per obbiettare, ma mi bloccò con un potente Non ho finito! Ritornai alla mia posizione, quasi sommessamente, con le orecchie basse.
In secondo luogo, visto che siamo un branco e dobbiamo restare uniti, penso che ogni opinione debba essere presa in considerazione, soprattutto quando di mezzo c’è la propria vita. Adesso faremo una votazione e voglio che ognuno esprima il proprio parere in maniera chiara. Cominciamo… Brady? pensò, voltandosi verso il più giovane del branco.
Io non voglio più combattere, mi sembra evidente rispose sbuffando.
Sam annuì, poi proseguì la sua lista. Quil?
Combattere osservò fiero, lanciandomi un’occhiata complice.
Embry?
Combattere.
Jacob?
Credo che sia inutile che tu me lo chieda… ridacchiai, ancora soddisfatto che quelli che erano stati i miei migliori amici prima dell’avvento dei Volturi fossero tornati dalla mia parte. Combattere scandii lentamente.
Jared?
No, voglio tirarmene fuori.
Paul?
Il mio futuro cognato apparve molto combattuto, diviso fra la sua anima imprudente e quella più coscienziosa. No, anch’io voglio smettere.
Cielo! Questo non me l’aspettavo proprio da lui che era sempre stato il primo a lanciarsi all’attacco, anche se dovevo ammettere che da quando aveva avuto l’imprinting con Rachel si era fatto più prudente, forse perché adesso aveva realmente qualcosa da perdere. Eravamo in tre contro tre e restava soltanto Leah. E sicuramente avrebbe detto no. Sentii il sangue bruciarmi nelle vene. Sam mi avrebbe imposto di restare fuori e io non volevo farlo, non con Bella in pericolo.
Leah?
Combattere…  sentenziò con indifferenza come se quelle parole non avessero alcun valore. Scambiai sguardi stupiti con Embry e Quil, mentre Jared, sconvolto quanto noi, la attaccò verbalmente. Che diavolo stai dicendo? Sei impazzita?
L’unica donna del gruppo sbatté le ciglia più volte, con aria di superiorità, atteggiamento che avevo sempre odiato ma che adesso sapeva di rivincita. No, affatto. Penso semplicemente a proteggere ciò che resta della mia famiglia. Non mi fido dei Cullen e non mi importa niente che loro e Bella crepino, ma se dovessero avere ragione e, una volta uccisi loro, i Volturi venissero davvero a eliminare anche noi, abbiamo molte più possibilità di batterli adesso.
E se ci uccidessero? domandò sarcastico Jared.
Prima o dopo non fa differenza.
Certo che non ne fa perché tu non hai niente da perdere e non ti importa se muori adesso. Ma io ho Kim…
In quel momento Leah, rapida come il vento e improvvisa come un lampo, lo colpì con una zampata. Anch’io posso perdere qualcosa di importante  ringhiò, dopo averlo sbattuto contro un albero. Mia madre e la mia vita. E scusa se è poco, scusa se valgono meno della tua storiella d’amore con Kim!
Sam, tu cosa ne pensi? si voltò Paul, cercando nell’amico e nell’ultimo voto un’estrema ancora di salvezza. Se Sam avesse votato No, saremmo stati pari e a quel punto non sapevo come ne saremmo usciti. Ma il problema non si pose.
Ci fissò uno ad uno con sguardo lugubre, poi sentenziò Combattere.
Paul reclinò il capo, sconfitto, e non osò ribattere; le sue zampe si fecero di pasta frolla e apparve improvvisamente stremato. Leah ha ragione: non possiamo rischiare. Ciò che ha detto Carlisle potrebbe essere realmente una bugia per farci schierare con loro, ma non voglio correre rischi. Non voglio che fra qualche mese o anno, i Volturi decidano di tornare qua e fare la festa a noi e alle nostre famiglie. Non ho nessuna intenzione di vivere nel terrore che a mio figlio e a Emily possa capitare qualcosa. Perciò, combatteremo tutti insieme e ne usciremo vivi come è già successo in passato, ma è importante avere i Cullen dalla nostra parte. Loro li conoscono e insieme possiamo trovare punti deboli.
Sam non proseguì oltre. Le sue parole sapevano di amara sconfitta per alcuni di noi, mentre per me significavano ben oltre le conseguenze tangibili. Embry e Quil erano di nuovo dalla mia parte, ancora uniti, e ora avevo un’insospettabile alleata, che era stata mossa da motivi diametralmente opposti ai miei, ma il modo in cui mi guardava, pur con la mente sgombra, sembrava dire:“Sei contento adesso?”. Beh, sì, ero contento perché erano una seconda famiglia per me, e combattere con loro era un onore oltre a conferirmi molta più sicurezza. Paul, Brady e Jared se ne sarebbero fatti una ragione e se conoscevo bene il ragazzo di mia sorella, incassata la sconfitta, non avrebbe esitato, fra qualche ora, a complimentarsi per la scelta: a lui piaceva combattere, calmava la sua inquietudine, contribuiva a sfogare la rabbia molto spesso repressa. Rachel era riuscita ad ammansirlo e a soggiogare l’ebbrezza che gli dava il combattimento, però uccidere vampiri era una valvola di sfogo. A volte mi chiedevo come avrebbe fatto una volta deciso di riprendere la vita normale…
Per quanto riguardava Jared e Brady, non erano un cruccio. Eravamo diventati amici solo per via delle nostre nature simili, del destino comune, non si poteva parlare di vera e propria amicizia, ma soltanto di solidarietà. Erano abili e leali guerrieri e non avrei esitato un attimo a salvarli, se in pericolo, ma non li ritenevo persone a cui avrei confidato volontariamente i miei più intimi segreti.
Bene, la decisione è presa concluse Sam. Se non avete più altro da dire, possiamo tornarcene a casa.
No, aspetta un attimo avanzò decisa Leah. Voglio porti una domanda.
Sam la fissò con aria indolente, poi le fece cenno di proseguire.
Sappiamo tutti quale sia la tua situazione familiare attuale e il pericolo che ci troveremo prima o poi a dover affrontare. La mia domanda è: cosa pensi di fare? Intendi combattere con noi? In fondo, avrai una famiglia a cui badare… Tra poco… E non sappiamo quando i Volturi intendano tornare.
Gli occhi neri di Leah brillarono nell’oscurità e percepimmo la sua inquieta speranza che Sam se ne andasse, abbandonasse il suo ruolo e sparisse dalla nostra vita. Lo percepivo chiaramente: desiderio di libertà, di potere finalmente sottrarsi all’amore che provava per lui. Abbandonarlo e contemporaneamente seppellire i sentimenti già disperatamente espressi più volte. Per sempre. Non poteva esimersi dall’ubbidire, dal far parte del branco, però poteva sperare che Sam se ne andasse. La sua condanna era la sua salvezza: la gravidanza di Emily poteva allontanarlo e rendere la sua esistenza più sopportabile. Perderlo definitivamente e ricominciare.
Credi che dovrei ritirarmi?domandò gelido.
Sì, lo credo.
Stai dicendo che non sono più in grado di governarvi?
Non sto dicendo questo. Semplicemente la battaglia potrebbe essere molto cruenta e tu hai un figlio in arrivo, oltre a una compagna a cui pensare. Ritengo che tu debba restare fuori da tutto questo…
No rispose ruvido. Io resterò al vostro fianco e vi governerò fino alla fine, poi ne riparleremo, ma per il momento dovrete rendere conto a me. A meno che qualcun altro non abbia intenzione di sfidarmi per la successione…
Il suo sguardo carico di attesa e severità mi lacerò. Credeva che io avrei combattuto per ricoprire un ruolo che non volevo? Da una parte anch’io sarei stato più sereno se avessi saputo che Sam sarebbe stato in ogni caso vicino a suo figlio, ma non ero in grado di sostituirlo. Non adesso. La mia immaturità saltava agli occhi di tutti. Non ero pronto, non ero abbastanza lucido né obbiettivo per prendere la situazione in mano. Per giunta, secondo gli altri, continuavo a essere troppo coinvolto in questa storia e non avrei dovuto esserlo. Sam era perfetto, al di sopra delle parti.
Non risposi alla sua provocazione e Sam continuò Bene, per quanto mi riguarda la riunione è aggiornata. Intendo contattare Carlisle per avere delucidazioni sulle nostre prossime azioni e soprattutto su quelle dei Volturi. Vi terrò informati. Nel frattempo consideratevi liberi.
Il capo ci volse le spalle e se ne andò velocemente verso il margine della foresta, fin troppo desideroso di tornare da Emily. Gli altri rimasero fermi, rimuginando sulle decisioni prese, mentre Leah, avviandosi stancamente verso casa, fu seguita da Jared. Quello sferratogli dalla sua compagna di combattimenti era stato un colpo sleale. Allearsi con i Cullen: fuori da ogni logica! E parlandole sperava di convincerla a cambiare idea, anche se ormai la decisione era stata presa e ciò che era sancito dal consiglio non veniva più ripreso in esame.
Li faremo fuori quei pezzi di marmo sanguinari! esclamò Embry, dandomi una zampata di incoraggiamento.
Sì, li ammazzeremo tutti e La Push e Forks saranno libere! pensai, cercando di distogliere la mente dal vero obbiettivo. E per qualche istante ci riuscii. Bella sarebbe stata bene, si sarebbe salvata e questa sarebbe stata la mia ricompensa, nonché, in un qualche modo, l’espiazione per non averla difesa da Demetri. Embry e Quil fecero finta di non udire i miei pensieri, poi salutandomi con allegria, si diressero verso casa. Paul e Brady avevano già abbandonato il raduno, quindi ero solo. Fissai ogni singolo ramo e albero intorno a me. C’era stato un tempo in cui avevo sperato di diventare capo, anche se era durato solo per pochi giorni, prima che mi rendessi conto che non era un gioco, che uccidere vampiri poteva davvero costarci la vita. A quel punto avevo colto la mia assoluta impreparazione a tutto ciò e mi ero fatto indietro. Avevo giurato a Sam che non avrei mai fatto nulla per minare la sua autorità e mi sembrava, per ora, di aver rispettato l’accordo, anche se mi ero preso delle libertà, giocando sul ruolo gerarchico che avrei dovuto ricoprire. Gli onori insomma. Tuttavia il momento in cui avrei dovuto prendermi anche le responsabilità si stava avvicinando e non avevo nessuna necessità di affrettarne lo svolgimento. Non volevo comandare, né mandare a morte nessuno. Perfino la riunione appena svoltasi non avrei saputo gestirla. Se ci fossi stato io al posto di Sam, constatando i tre rifiuti, avrei sentenziato che ognuno si comportasse come preferiva; invece, così facendo, avrei diviso il branco e di conseguenza condannato a morte ogni suo elemento. Sam era più lungimirante, più razionale, più freddo. Io non ero in grado di guidare nessuno. Purtroppo quel momento sarebbe arrivato; sperai soltanto che, dopo tutta questa storia dei Volturi, potessimo attraversare un lungo periodo di pace, che non mi costringesse a prendere le redini e ad assumere decisioni importanti.
Mi incamminai verso casa e quando la raggiunsi, Rachel era appena tornata da Port Angeles. Laureata in Psicologia con il massimo dei voti, aveva trovato un lavoretto part time presso uno studio associato. In realtà era soltanto un lavoro di segretariato: accoglieva i clienti, fissava appuntamenti e si occupava delle ricette di medicinali per gli assistiti. Non faceva niente che non avrebbe potuto fare qualsiasi altra persona, però in attesa di un lavoro che avesse un’attinenza più specifica ai suoi studi, era sempre meglio di niente. Le avevo detto che sarebbe stato meglio trasferirsi a Seattle, dove avrebbe avuto sicuramente maggiori opportunità lavorative, ma non aveva voluto saperne di andarsene da La Push. Diceva che la famiglia aveva bisogno di lei e che era stata lontana già abbastanza, mentre, secondo me, era una semplice scusa per non separarsi da Paul. Quei due erano appiccicosi come la carta moschicida e pensare di assentarsi durante la settimana per poi ritornare nei weekend era assolutamente improponibile. E Paul d’altra parte aveva trovato lavoro a La Push e non aveva alcuna intenzione di muoversi. Chissà quando si sarebbero sposati? Ormai era soltanto questione di tempo. L’imprinting esisteva fra loro quindi perché indugiare? Una volta scatenato non si poteva annullare, anche se ogni coppia lo gestiva in maniera diversa. Effettivamente, conoscendo mia sorella, dubitavo che il matrimonio sarebbe mai rientrato fra le sue priorità; la convivenza sicuramente sì, però una cerimonia, con tutte le complicazioni e i fastidi del caso, non faceva per lei. Non era una romantica, non sognava l’abito bianco, per lei contavano i fatti e Paul di sicuro non l’avrebbe mai tradita e nemmeno lasciata.
“Allora? Com’è andata?” mi domandò, sfogliando una rivista di moda. “Decisioni importanti?”.
“Niente di particolare. Continueremo a combattere a fianco dei Cullen” replicai svogliato.
La pagina si increspò leggermente. “Ah” ammise a malincuore Rachel. “Tutti d’accordo, immagino…”.
“A parte Paul, Brady e Jared sì. Ma sono sicuro che il tuo fidanzato ti racconterà nei minimi dettagli”.
Salii in camera. Non ce l’avevo con Rachel che avrebbe voluto il nostro ritiro, né con Paul che probabilmente voleva una vita felice con mia sorella e lasciarsi tutto alle spalle, ma mi infastidivano le risatine, gli abbracci, mentre Leah ed io eravamo gli unici a contorcerci per il dolore. Non volevo che soffrissero anche loro per la nostra infelicità ma, dovevo ammetterlo, ero invidioso.
Mi feci una rapida doccia e scesi in salotto. Accesi la televisione e feci zapping parecchie volte, in attesa di cena, prima di stabilizzarmi su un canale dove stavano dando una sit com fin troppo demenziale. Suonò il telefono. Dapprima non gli diedi importanza, poi, visto che mia sorella aveva le mani sporche, fui costretto ad alzarmi e a rispondere.
“Pronto?” dissi indifferente.
Il vuoto. Sembrava non ci fosse nessuno all’altro capo del filo, eppure non avevano interrotto la comunicazione. Non sentivo nemmeno il respiro.
“Pronto?” ripetei quasi infastidito.
“Jake…” sentii un mormorio. “Jake, sei tu?”.
“Sì?”.
“Sono Bella”.
Tacqui. Non mi ero ancora abituato alla sua nuova voce e stentavo ad associarla al viso, eppure sapevo che era lei e che il suo scomodo rientrare nella mia vita, seppur tramite il filo del telefono, avrebbe dissolto il mio fragile equilibrio. Subito andai al pensiero fisso a cui mi ero aggrappato in quei giorni: Rosalie le aveva parlato e ora telefonava per avere chiarimenti. Perché era gelosa e voleva che le confermassi che l’amavo, che c’era soltanto lei nella mia vita, e, oh sì, glielo avrei detto più che volentieri! Anche se non potevo farmi vedere troppo remissivo, dovevo darle a intendere che non fossi così facile da riconquistare. Oh, al diavolo! Sarei arrivato fino a New York a piedi per la felicità!
Ero ancora dissolto nel trambusto dei miei pensieri, quando Bella continuò:“Ti disturbo?”.
“Oh no, affatto. Dimmi…”.
“E’ successa una cosa, Jake. Una cosa davvero spiacevole e assolutamente imprevista…” accennò con voce malferma.
“Cosa?” domandai trionfante.
“Charlie. Alice ha previsto che verrà qui per riportarmi a casa. E sai anche tu che non può farlo. Dobbiamo assolutamente impedirglielo” esclamò sconclusionata, tentando di imporsi tuttavia una calma apparente.
La delusione fu insopportabile: mi accasciai sulla sedia vicina. Charlie, soltanto Charlie era la motivazione per cui si era scomodata a chiamarmi. Le forze, che avevo radunato per sollevare il calice del vincitore, vennero meno e non riuscii a formulare parole. Dall’altro capo del filo regnava il più totale silenzio, in attesa di una risposta.
“Jake, mi ascolti? Jake…” disse rompendo l’inconsistente melodia.
“Sì…” balbettai poco convinto.
“Jake, devi aiutarmi, dobbiamo fermarlo!”.
“Devo?” borbottai sdegnato. “Devo fare cosa?”.
“Devi aiutarmi, Jake” ripeté meccanicamente e senza alcun imbarazzo.
“Cosa? Mi auguro che tu non abbia le idee chiare…”.
“Che intendi dire?”.
“Perché non chiedi al tuo vampiro di sistemare tutto? E’ stata sua l’idea della scarlattina e ora non sa portarla avanti?! Chiedi aiuto a me, il combinaguai per eccellenza?! L’unica cosa che ti posso dire è che non ho nessuna intenzione di aiutarti. Ne ho abbastanza di questa storia, dei vostri sordidi segreti e soprattutto del tuo invocarmi soltanto quando hai bisogno di una mano. Bene, ora sei diventata una di loro e quindi con me non hai più niente a che spartire. Sei un vampiro, l’essere supremo per eccellenza, e puoi tranquillamente sbrigartela da sola. In fondo, la resa dei conti con tuo padre sarebbe arrivata prima o poi. Arrangiati!” urlai, sbattendo infine la cornetta.
Rachel sbucò dalla cucina con le mani ancora sporche dalle polpette di carne che stava preparando, e un’espressione spossata. Aveva ascoltato la telefonata. La fissai dapprima istupidito, poi, rammaricato, abbassai il viso a terra. Avevo urlato contro Bella, in maniera brutale e senza un motivo, mentre lei voleva il mio sostegno. Sostegno che in passato non le avevo mai negato e ora invece traboccavo rabbia soltanto perché non mi aveva dato ciò che desideravo.
“Era Bella?” domandò Rachel.
Annuii stancamente.
“Che cosa voleva?”.
“Charlie sta andando dai Cullen per riportarla a casa…”.
Rachel non commentò, a parte un sorriso stiracchiato, sintomo di una tensione crescente. Mi passai le mani fra i capelli, sentendomi uno schifo. Charlie stava andando lì e avrebbe scoperto tutto o perlomeno si sarebbe fatto delle idee, probabilmente ben lontane dalla realtà, ma se fosse riuscito a portarla via, sarebbe stato lui stesso in pericolo. Un umano vicino a una vampira Neonata. Solo e senza difese, con una figlia incapace di dominare la sua fame. Era una cacciatrice ora e, senza volerlo, avrebbe trasformato suo padre in preda. Lo avrebbe ucciso e il senso di colpa l’avrebbe dilaniata per l’eternità.
Mi alzai frettolosamente e imboccai la porta. Rachel mi afferrò per un braccio:“Devi smettere di correre ogni volta che ti chiama! Non sarà colpa tua se…”.
“Io ho la responsabilità di difendere gli esseri umani e devo proteggere Charlie, anche da sua figlia, se necessario!” rimarcai con durezza e corsi in garage.
Misi in moto la macchina e partii in sgommata. Era ormai sera inoltrata e la neve rendeva le strade sdrucciolevoli, mentre io non avevo tempo da perdere. Non avevo idea da quanto Charlie fosse partito. Probabilmente aveva appena terminato il turno alla centrale e aveva deciso di andare dai Cullen. Se fosse stato effettivamente così, potevo guadagnare parecchi minuti: la stazione era dall’altra parte della città, rispetto a casa dei Cullen. Per un attimo mi pentii di non essermi trasformato: in quel modo avrei potuto tagliare per i boschi, ma bloccarlo, sotto forma di lupo, avrebbe significato quasi sicuramente beccarmi una pallottola e onestamente, per quanto amore provassi per Bella, era l’ultima cosa che desideravo.
Il mio obbiettivo era raggiungerlo e fermarlo prima che arrivasse da Bella. Se non ce l’avessi fatta, sarebbe stato praticamente impossibile impedirgli di vederla e, a quel punto, avremmo dovuto fornire troppe spiegazioni. Mentre guidavo come un pazzo, sentivo le gocce di sudore scendermi lungo gli zigomi: se fosse successo qualcosa, sarebbe stata colpa mia. Ero stato io a ficcargli in testa l’assurda convinzione di strapparla alla sua “prigionia”, al pinguino, come se potesse servire a qualcosa. La mia chiacchierata a Natale stava per causare un disastro.
Le ruote pattinarono più volte sul ghiaccio e in alcune curve feci fatica a mantenere la macchina in strada, costringendomi a controsterzare violentemente, ma l’invocazione di aiuto di Bella rimbombava così nitida nella mente da indurmi a spingere ancora più forte sull’acceleratore. L’unico fattore positivo fu che con l’approssimarsi dell’orario di cena la maggior parte delle persone era ormai a casa e quindi trovai poche autovetture in circolazione.
Quando finalmente mi inoltrai nello sterrato che conduceva dai Cullen cominciai a chiedermi che giustificazione avrei dato per portarlo via. Potevo sperare che avesse cambiato idea e fosse tornato placidamente a casa, ma quando notai la macchina della polizia parcheggiata di fronte all’ingresso, dovetti abbandonare ogni illusione e ragionare in fretta.
Frenai bruscamente sollevando un’irrespirabile polverone e saltai giù dalla macchina. In quel momento mi accorsi che Charlie era ancora seduto nell’auto e mi fissava con un’espressione incredula e confusa. Scese dalla macchina: aveva ancora indosso la divisa da sceriffo, con il distintivo in bella evidenza. Si era precipitato lì appena finito il turno; o forse voleva semplicemente sbandierare sotto il naso dei Cullen il suo ruolo di tutore della legge e il fatto che non potessero tenere sua figlia segregata senza che lui muovesse un dito.
“Jake?! Cosa fai qui?” mi domandò neutro.
“Potrei chiederti la stessa cosa…” improvvisai.
“Voglio portare a casa Bella. E’ qua da più di tre settimane e se ancora non sta bene, è giusto che vada in ospedale e sarò io a portarcela!” replicò con convinzione, sperando di trovare in me un alleato. In altre circostanze lo sarei stato, ma purtroppo non adesso.
“Io sono venuto per portarle un cd che avevo preparato per lei…” mentii, indicando il cruscotto della macchina.
Charlie annuì e fece per salire le scale. “Aspetta un attimo. Non credo che sia una buona idea…” balbettai troppo poco sicuro di me per non destare sospetti.
“Perché?”.
“Perché mi ha detto che oggi non è stata bene e l’hanno messa di nuovo sotto antibiotici. Magari puoi vederla, ma portarla via sarebbe inappropriato, oltre che sconsiderato”.
“Se è vero perché non mi hanno detto niente? E tu come fai a saperlo?!” alzò la voce, tradendo lo sforzo di una calma troppo a lungo soffocata.
“Forse per non farti preoccupare. Io stesso l’ho saputo per caso. Volevo portare il cd a Bella e ho telefonato per avvisare che arrivavo. Me l’hanno detto allora. Forse se avessi telefonato anche tu, te l’avrebbero detto”.
“Stai scherzando?!”.
I folti baffi non riuscivano a coprire la curva della bocca rivolta all’ingiù e leggermente increspata. Sapevo raccontare bene le bugie, ma non riuscivo a domare l’ira di un padre abbandonato per troppo tempo. La collera era nitida e mi ci potevo specchiare dentro perché, per motivi diversi, era la mia. Lasciati entrambi per lo stesso motivo: Edward e la sua maledetta famiglia. Avrei voluto aiutare Charlie a ucciderli, se avesse voluto, ma invece dovevo fermarlo. Nella testa ronzavano mille pensieri, mille ipotesi per vendicarsi di loro, ma Bella ne avrebbe sofferto, e tutto sommato, non era quello che volevo. Riportai la calma nel forsennato circo delle mie idee, le soffocai, rinchiudendole dietro la medesima porta che resisteva ormai da giorni ai loro assalti. Anche oggi avrebbe dovuto farlo.
“Torniamo a casa, Charlie” mormorai. “Non è ancora il momento”.
“E’ mia figlia, Jake, e non la lascerò mai andare” replicò rassegnato, alludendo a una separazione che ormai era già tracciata e che si sforzava di non affrontare.
“Lo so, nessuno ti chiede di farlo, ma lasciamo che la malattia faccia il suo corso. Lei sta bene, è tra amici, con il suo fidanzato. E’ felice così”.
Quanto mi costò dire quelle frasi, ma si trattava della verità e, sforzandomi di farla capire a Charlie, tentavo di ficcarla in testa anche a me stesso. Sembrò arrendersi per qualche istante, calmare la tormenta di sentimenti che l’avevano trascinato dai Cullen, ma qualche granello fastidioso lo riportò indietro.
“Finché non sarà sposata, sono io responsabile per lei. Deve stare a casa con suo padre, almeno fino a quel momento” disse pacato.
Sospirai: a quel punto non potevo più dire nulla. Non sapevo più dire nulla. Il chiavistello del portone di casa si aprì e dallo spiraglio comparì Alice, esageratamente sorpresa di vederci lì. Sbuffai: pessima recitazione! Uscì nel porticato e, dopo un iniziale smarrimento, ci sorrise:“Charlie cosa fai qui?! Non ti aspettavamo!”.
“Volevo fare una sorpresa a Bella” replicò tentando di mascherare una punta di disgusto e di amarezza. Alice capì perfettamente cosa intendeva dire e fece finta di ingoiare la bugia. Si voltò verso di me e continuò la recita che doveva aver sentito dall’interno dell’abitazione:“Sei venuto per il cd, vero? Bella non sta benissimo, è in camera sua che riposa. Se vuoi, puoi lasciarlo a me”.
“Certo, grazie” e frugai dentro il cruscotto, estraendo un cd a caso, mentre Charlie era paralizzato a metà della scalinata, indeciso sul comportamento da tenere. Alice si era rivolta a me, ma in realtà aveva parlato a Charlie: Bella dormiva e lui, anche se fosse entrato, non avrebbe avuto modo di vederla. Portarla via svenuta o peggio febbricitante non sarebbe stata una mossa saggia. Tuttavia la rabbia l’aveva addentato e insisteva nel non volerlo lasciare. Salì qualche altro gradino, poi disse:“Posso entrare? Vorrei parlare con Carlisle…”.
Alice gli fece un ampio cenno della mano e lo seguì, dopo avermi lanciato un’occhiata gelida. Lasciai il cd sul sedile del passeggero e li rincorsi oltre la porta.

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Capitolo 71
*** Il segreto svelato ***


Quando entrai, la sorpresa fu mia. C’erano almeno una decina di persone sedute in salotto, chi davanti alla tv, chi intento a leggere un giornale, ma nessuno di esse era un Cullen. Chi diavolo erano? La puzza vibrante che mi fece quasi svenire non lasciava dubbi: vampiri, ma sbucati da dove? Charlie sembrò sorpreso quanto me e si irrigidì, in attesa che Alice chiamasse il padrone di casa.
Erano tutti spettralmente pallidi, dalla pelle diafana e i contorni del viso così poco marcati da sembrare quasi fantasmi. Tuttavia attraenti come si sarebbe potuto dire di poche persone. Li scrutai uno ad uno e chi mi colpì maggiormente fu quello che guardava la televisione. Aveva il viso scavato, i capelli biondi raccolti in una lunga coda di cavallo e le labbra sottili scomposte da un broncio irriverente. Vestito con pantaloni in pelle così aderente da sembrare incollati addosso e una camicia di lino bianca con i polsini ricamati da feuilleton dell’800. I suoi occhi vacui, quasi annoiati, ripresero vita quando mi fissò. Potevo leggere lo stupore di vedere un licantropo in una casa piena zeppa di vampiri, da solo, insieme a un umano. “La cena è arrivata” potei leggergli in viso. Mi avvicinai a Charlie: i Cullen non gli avrebbero permesso di attaccare un essere umano in casa loro, ma da come stavano le cose, non mi fidavo per niente e non sapevo che razza di dieta seguissero, anche se, a giudicare dagli occhi ambrati, sembravano cibarsi di sangue animale.
In quel mentre una figura amica, se così la potevo definire, sbucò dalla veranda: il fidanzato biondo della nanerottola, Jasper, seguito da una ragazza intollerabilmente bella. Lunghi capelli neri, lisci come seta, occhi sfacciati e una bocca da non far dormire la notte. Per un attimo pensai che farmi uccidere da lei non sarebbe stato così male, poi quando l’odore di sangue marcio mi graffiò violentemente il naso, l’istinto mi fece ribellare.
“Ciao Jacob” esclamò Jasper con un pacatezza in netto contrasto con l’instabilità del suo sguardo.
“Ciao, disturbiamo?” domandai, spavaldo. “State dando una festa, per caso?”.
“No” disse, scrollando le spalle. “Sono solo amici che sono passati a fare un saluto”.
“Capisco” dissi, continuando a guardarmi attorno. Prima regola con i vampiri: mai distogliere l’attenzione da nessuno di loro.
“Così, tu sei Jacob! Ho sentito molto parlare di te…” ammiccò la ragazza alle spalle di Jasper. Sollevò l’angolo destro della bocca, dischiudendo leggermente le labbra, sfoggiando una sensualità sicura e poco avvezza ai fallimenti, accentuata da un accento tipicamente straniero.
“Io invece non ho sentito una parola su di te” rimbeccai. Se una vampiretta da quattro soldi sperava di farmi girare la testa, si sbagliava di grosso.
“Scusate, vi presento” interloquì Jasper. “Lei si chiama Eva e viene dalla Russia”.
“Un bel viaggio, non c’è che dire…” commentai con sufficienza.
Jasper si affrettò a presentarla anche a Charlie, che, forse a causa dell’ansia, forse della rabbia, non la degnò più di tanto, riempiendo me di gioia. Questa ragazza che si atteggiava a femme fatale, a donna cui non si resiste, mi dava sui nervi, così come tutti gli altri presenti in quella sala. Coda di cavallo in primis, che riprese a guardare la tv, senza prendersi il disturbo di presentarsi. Non che la cosa mi interessasse più di tanto, però avrei voluto sapere come si chiamava, prima di ucciderlo. La presenza di tutti quei vampiri in una sola stanza stava risvegliando il mio istinto e se fossi rimasto lì a lungo, non avrei saputo resistere. In fondo, anche se ne avessi ucciso uno, qualcuno avrebbe pianto? No, di sicuro. In quel momento apparve Carlisle, seguito dal suo adorato figlioletto, nonché mia vittima preferita.
“Buongiorno Charlie, che fai da queste parti?” domandò con glaciale cortesia il padrone di casa, porgendo la mano al suo quasi con-suocero.
“Sono venuto per vedere Bella”.
“Capisco. Sarebbe stato meglio che ci avessi avvisato però. Le ho somministrato degli antibiotici che le hanno dato una certa sonnolenza e si è appena addormentata” rispose quasi sinceramente mortificato.
“Antibiotici? Ancora? Credevo che fosse in via di guarigione!” esclamò Charlie, sbattendo più volte le palpebre.
“Sì, effettivamente lo era, ma oggi pomeriggio è tornata la febbre e così sono dovuto intervenire. Comunque, sta bene, non corre alcun pericolo”.
“E’ quasi un mese che è chiusa in questa casa. Prima mi dite che sta guarendo e ora arrivo e la trovo sotto sedativi, ancora febbricitante. Come faccio a sapere che non mi state prendendo in giro?” urlò Charlie tentando di trattenere la foga.
“E’ soltanto una ricaduta, niente di più” si intromise Edward. “Le abbiamo fatto degli esami ed è un’infezione banale, dovuta a un abbassamento delle difese immunitarie. Non c’è nulla di cui preoccuparsi”.
“E tu da quando ti intendi di medicina, signor so tutto io!” sbottai. Dal suo sguardo accigliato, capii di aver detto una fesseria. Io ero lì per sostenere la loro recita, non per abbatterla a scudisciate. Però era più forte di me: non potevo aiutarlo, mai, in nessun caso.
“Ne so più di te, bastardo” ringhiò.
“Ragazzi, calma!” allargò le braccia Carlisle, con l’intenzione di frapporre una barriera, fin troppo facile da scavalcare, per me, se avessi voluto assalirlo. E il problema era che lo volevo. “Charlie, è una cosa davvero banale. Domani sicuramente starà bene e potrai passare a trovarla. Ti farò chiamare da lei, appena sveglia. D’accordo?”.
Il padre di Bella apparve improvvisamente sconfitto nei suoi progetti di irruzione, rapimento e chissà cos’altro. Da una parte ero contento perché la situazione si stava dipanando senza problemi particolari, dall’altra ero furibondo perché ai Cullen andava sempre tutto bene, perché ogni cosa gli riusciva perfettamente e prendevano tutti per il naso senza che se ne accorgessero. Avrei voluto urlare in faccia la verità a Charlie, ma ci avrei guadagnato solo una battaglia. Per di più in una camera piena zeppa di vampiri e, se il mio odorato non mi traeva in inganno, ve ne erano anche al piano superiore. Scie non appartenenti ai Cullen ma a qualcun altro. In quanti erano lì dentro, maledizione? Avrei voluto parlare a quattr’occhi con il dottore, ma mio compito primario era portare via Charlie sano e salvo, poi avrei potuto farmi ammazzare.
“Va bene” ansimò Charlie. “Però prima vorrei passare a salutarla. Anche se dorme, non importa. Non la sveglierò, voglio soltanto vederla un attimo”.
“Non credo che sia una buona idea. Potrebbe essere ancora contagiosa. So che tu non hai mai avuto la scarlattina…”.
“Non importa. Per lei correrò il rischio…”.
Carlisle non rispose e quello fu il suo errore, anche se col senno di poi, che cosa avrebbe potuto dire? La richiesta di Charlie non era obbiettivamente contestabile e Bella avrebbe potuto sempre far finta di dormire, ma il problema era un altro: se il battito del cuore di suo padre avesse risvegliato la fame? Ragionai velocemente per supportare il dottor Canino, ma non abbastanza. Charlie aggrottò la fronte e gridò:“Allora Carlisle? Me la fai vedere o no? E’ troppo chiederti di vedere mia figlia?”.
“Non gridi altrimenti Bella si sveglierà!” cercò di ammansirlo Edward con il suo tono mieloso.
“Si sveglierà eccome se non me la fate vedere! Urlerò fino a che non scenderà lei stessa oppure vi sbatterò tutti dentro per sequestro di persona!” continuò appoggiando la mano sul distintivo per sottolineare il potere di cui era investito e che intendeva utilizzare. Bene, la frittata era fatta! E io non sapevo che pesci prendere.
“Papà…” balbettò una voce debole dalla scala.
Subito guardammo in quella direzione. Bella stava scendendo i gradini, appoggiandosi con inconsueta delicatezza al corrimano, come una regina che fa la sua comparsa al ballo. Come erano lontani i tempi in cui si aggrappava ad esso per paura di cadere! Charlie fece qualche passo in avanti, ipnotizzato, mentre Edward si avvicinò furbescamente alla sua amata, porgendole il braccio come se facesse effettivamente fatica a camminare.
“Amore, non dovevi alzarti…” le accarezzò il viso.
Bella non distolse gli occhi da suo padre e potei quasi scovarvi una lacrima di gioia in quell’iride senza fondo. Mi accorsi che aveva gli occhi castano scuro, così simili al suo caldo cioccolato, ma non uguali. Lenti a contatto per camuffare il rossore delle iridi. Ma un paio di vetrini colorati non bastavano: tutto in lei era diverso. Era un quadro a cui avessero aggiunto sfumature: lo schizzo nel complesso non cambiava ma la sensazione che comunicava allo spettatore era un’inquietudine strisciante.
Charlie la esaminò in ogni particolare, come se non la riconoscesse, persistendo in un glaciale silenzio. Mosse più volte meccanicamente il volto su e giù, come se ci fosse qualcosa che non tornava, come se si aspettasse di trovare il dettaglio nascosto nei giochi delle differenze nei cruciverba.
“Bells, come stai?” domandò palpitante.
“Meglio…” rispose Bella, cercando di simulare una voce bassa e malaticcia. “Ho un po’ di febbre ancora, ma sto bene”.
Charlie le si avvicinò lentamente e commentò, più rivolto a se stesso che a lei:“Dio, come sei pallida…”. Lo seguii passo passo perché intuivo che avrebbe voluto abbracciarla e, per quanto mi sforzassi, non riuscivo a interpretare nulla dell’espressione di Carlisle. Cosa avrei dovuto fare quando ci avrebbe provato? Bloccarlo o lasciarlo fare? Edward era prudentemente vicino a lei, recitando la parte del sostegno, mentre rivestiva il ruolo di guida, maestro o comunque, qualcuno che la soggiogava e la teneva sotto il suo dominio. Avrei voluto ucciderlo per ciò che le stava ficcando in testa, ma adesso non era il momento di riflettere sulla libertà mentale di Bella; mia priorità era pensare a Charlie e farlo uscire sano e salvo da quel covo di vampiri.
“Tesoro” cominciò Charlie e ne rimasi sorpreso, visto che non l’avevo mai sentito rivolgersi a Bella con tanto calore. “Non credi che sarebbe meglio tornare a casa oppure andare in ospedale? Sei qua da tanto tempo e se ancora non sei guarita, forse la malattia è più seria di quanto Carlisle possa credere”.
“No, papà. Ti posso assicurare che sto abbastanza bene. Oggi ho avuto una ricaduta, ma sono sicura che è solo un episodio. Domani starò meglio”.
Charlie aggrottò la fronte e rimase in silenzio, mentre io ero in attesa che la bomba scoppiasse.
“Hai una voce così acuta, Bells…” si soffermò Charlie. “Che cosa ti è successo?”.
Mi irrigidii. Prima bomba scoppiata. Poteva camuffare la voce su poche parole, non su un intero discorso, e non a un padre, per quanto sempre impegnato e apparentemente svogliato.
“E’ la stanchezza…” si intromise Edward.
Charlie lo fissò, rivelando tutto l’odio che si era tenuto dentro per mesi, da quando Edward se n’era andato spezzando il cuore di sua figlia, a quando era riapparso e con lui, la sua spregevole proposta di matrimonio e di portargliela via ancora una volta, dopo il divorzio da Renèe. Vedere quello sguardo mi fece provare la stessa ardente gioia di trovare un vecchio commilitone e compagno d’armi in mezzo a nemici giurati. Lui era dalla mia parte e io avrei potuto approfittarne, ma in quel momento incontrai le iridi di Bella che imploravano aiuto. E per quanto non volessi farlo, fui costretto a seppellire la rabbia.
“Torniamo a casa, Bella. Se stai bene, allora, meglio così, potrai tornare qua presto; altrimenti ti porterò in ospedale. Non è questo il tuo posto” rimarcò quasi lamentevole.
“Papà, loro sono la mia famiglia. E’ giusto che stia qui…”.
“Non mi risulta che sia stato celebrato alcun matrimonio, giusto Edward?” mugugnò con una punta di sarcasmo.
“No” lo prevenne sua figlia. “Ma presto sarò una Cullen a tutti gli effetti…”.
“In attesa di questo sgradevole momento, sei ancora Isabella Swan e perciò mia figlia!” sbottò Charlie. “E fino ad allora, vivrai a casa con tuo padre. Siamo intesi, ragazzina?”.
“Charlie, aspetta un attimo…” cercai di trattenerlo, con troppo ritardo.
L’aveva già afferrata per un braccio cercando di trascinarla con sé. La sua stretta, estremamente energica, non sortì gli effetti desiderati perché Bella non si mosse di un centimetro mentre Charlie sembrava affaticato dallo smuovere un macigno di tonnellate. La visione sarebbe stata quasi comica, se non avesse rivelato la verità.
“Da quando sei così forte, Bells?” sussurrò suo padre, incapace tuttavia di mollare la presa.
Bella sussultò, percorsa da una scossa elettrica e lasciò che suo padre conquistasse qualche metro con lei al seguito, mentre Carlisle obbiettava alla sua decisione con la solita ipocrita eleganza. Bells cercava sollievo nello sguardo del suo fidanzato, che invece era nel panico, per la prima volta da quando lo conoscevo. Ero compiaciuto di vederli nel terrore, loro che sembravano avere il mondo ai piedi, loro che riuscivano ad ottenere tutto ciò che volevano da qualsiasi essere umano. Ora non potevano opporsi a un padre ferito e tutto ciò era così esaltante ai miei occhi!
Tuttavia il mio vecchio e mai appagato rancore nei loro confronti fu sostituito con inaspettata irruenza da un’agitazione crudele quando intravidi un’ombra negli occhi di colei che amavo. Un’ombra scura impenetrabile, figlia di un’infezione che l’aveva corrotta dall’interno e da cui non sarebbe mai più guarita.
“Lasciami papà” sibilò, furibonda.
Visto il mancato rifiuto di Charlie, fu costretta a fare da sé. Irrigidì il braccio, tirando a sé il padre, poi con l’altro pugno lo colpì alla spalla. L’urto non fu tale da spaccargliela, ma abbastanza violento da farlo cadere all’indietro, trascinando con sé una sedia a cui aveva tentato di aggrapparsi. Mi chinai su di lui per aiutarlo a rialzarsi e notai un taglio poco profondo sul sopracciglio: qualche goccia di sangue, niente di più. Mi assicurai che stesse bene, ma lui sembrava sconvolto per ciò che sua figlia era stata capace di fare. Rivolsi uno sguardo a Bella colmo di disappunto, quando mi accorsi che lei non stava guardando me o suo padre ma solo quella maledetta e ridicola ferita. Gli occhi improvvisamente vivi, le labbra tremanti di desiderio, le narici allargate per inspirare l’odore tanto amato.
Ero davvero innamorato di quell’essere?
Arrivò trafelata Alice con un fazzoletto inumidito per tamponare la ferita di Charlie, mentre osservavo, sospettoso, gli altri ospiti, tutti improvvisamente attenti per poche gocce di sangue. “Credo che sia meglio andarcene, Charlie. Non siamo graditi…” mi affrettai a dire, appoggiandogli una mano sul braccio. Ma suo padre, ancora sgomento per la reazione della figlia, voleva soltanto delle risposte. Aveva visto anche lui il suo sguardo, come non ci fosse traccia di affetto nei suoi modi e nella voce.
“Cosa succede, Bells? Che ti hanno fatto?” balbettò confuso.
“Niente, papà. Non voglio semplicemente tornare a casa”.
Charlie scosse la testa, più contrito che rassegnato. “Non è solo questo. Sei cambiata, diversa. In tutto. Poi questa forza… Da dove l’hai tirata fuori? Non eri capace nemmeno di spostare il tavolo della cucina da sola! E anche ora: mi stai guardando come se non fossi mia figlia. La mia Bells non mi ha mai fissato così…”.
Il suo viso si addolcì e gli sorrise a labbra chiuse, per evitare di mostrare i canini. “Mi dispiace papà, tanto. Non avrei mai voluto farti questo, ma è accaduto. Devi tornare a casa e dimenticarti di avere una figlia”.
“Cosa? Sei impazzita?”.
“Ti voglio bene papà, ma non posso più vivere con te, sarebbe troppo pericoloso”.
“Pericoloso? Perché? Non capisco…”.
A quel punto lo presi per un braccio e tentai per l’ennesima volta di portarlo via, ma non ce l’avrei fatta senza le cattive maniere e rivelare una forza tutt’altro che umana. Charlie continuò a fare domande a cui Bella non dava risposta. Aveva abbassato lo sguardo, smarrita, e stretto la mano di Edward fra le sue, cercando una soluzione, ma se sperava che il suo pinguino le togliesse le castagne dal fuoco, si sbagliava di grosso. Nessuno lì dentro aveva la più pallida idea di come venirne fuori senza dire qualcosa di troppo. Per me non ci sarebbe stato alcun problema a rivelare la vera natura di Bella, ma i Volturi non amavano che umani sapessero del loro segreto. In quel momento, vedendo il dolore di Charlie, mi chiesi perché diavolo lo avessi istigato a venire qui, a portare via Bella, a prendere posizione contro i Cullen. Che cosa ci avrei guadagnato? Niente, perché ormai era una di loro. Riportarla indietro e allontanarla da loro, da lui, non avrebbe riavvolto il nastro. Non sarebbe cambiato nulla. Ormai l’avevo persa e accanirmi in questo modo, trascinando anche Charlie in questa spirale non mi avrebbe appagato. Per noi era troppo tardi.
Mentre Charlie continuava come un fiume in piena a soffocarla di domande, Bella mi guardò. Il suo antico sguardo… La mia Bella bisognosa di protezione e di affetto, quella che tanto amavo e che si mostrava ogni tanto per farmi soffrire di più, per ricordarmi che in fondo non era morta del tutto, che un alito di lei era ancora rimasto in quel corpo che non respirava più. Stavo sbagliando e me l’avrebbero fatta pagare, ma ormai non c’erano più strade per uscire da lì.
“E’ inutile che stai qui a sprecare il fiato, Charlie, tanto Bella non verrà a casa con te e non risponderà alle tue domande. Non può farlo”.
“Perché? Cosa vuol dire?” mi domandò, con la vista ancora annebbiata da lacrime trattenute a stento.
“Perché c’è la tua vita in gioco, non la sua, e lei non ti metterebbe mai in pericolo”.
“Di che parli?”.
“Del fatto che non è più quella che ricordi. E’ una creatura nuova e tu non puoi farci niente. Il processo è avvenuto ed è incontrovertibile” conclusi severamente.
Mi fissò agitato, poi si voltò verso sua figlia o quello che ne rimaneva, che era altrettanto turbata.
“Jacob, non è il caso di continuare oltre…” mi diffidò il dottor Canino.
“Perché?” risolsi con una brusca scrollata di spalle. “E’ giusto che sappia la verità. Questa assurda recita non può più andare avanti, è evidente!”. Mi rivolsi a Charlie, che si guardò attorno febbrilmente, come se improvvisamente si fosse reso conto di essere diventato il protagonista di una commedia, o, in questo caso, di una tragedia. Gli sguardi di tutti gli spettatori in sala erano rivolti su di lui e potevo percepirne chiaramente la tensione. Jasper lanciò un’occhiata a Edward per avere conferma se intervenire o meno, se tentare di chiudermi la bocca in qualche maniera. “Tutte le persone che ti stanno intorno non sono come te, non sono esseri umani, neanche tua figlia…” mormorai con sadica soddisfazione.
Charlie non capì: il suo sguardo tradiva sconcerto e incredulità, oltre a una buona dose di compatimento. Probabilmente pensava che fossi pazzo.
“I Cullen fanno parte di una comunità un po’ particolare, diciamo così, e tua figlia, in quanto futura moglie di uno dei membri di questa famiglia, ha deciso di entrare a farne parte”.
“Comunità? Di che parli?”.
“Di una comunità di…”.
“Jake, smettila!” urlò Bella. “Non osare continuare oltre!”.
Fece qualche passo verso di me, tentando di conferire un tono minaccioso ai suoi strilli, ma Edward la trattenne. Charlie notò sia l’irrequietezza di sua figlia, sia il mio atteggiamento rigido, e ne sembrò terrorizzato.
“Stavo dicendo…” sghignazzai. Stava quasi diventando divertente, anche se mantenere un aspetto più severo e controllato avrebbe sicuramente reso più credibile la storia. “…che tua figlia è stata tramutata in un licantropo!”.
Bella sgranò gli occhi, allibita, mentre Charlie, dopo un iniziale momento di meraviglia, scoppiò a ridere. Lo lasciai sfogare perché comprensibile: per una persona razionale come lui, tutto questo doveva sembrare una favoletta. Lanciai un’occhiata a Edward che annuì impercettibilmente. Deglutii per portare avanti la storia.
“Non è uno scherzo Charlie!” esclamai risoluto. La sua risata divenne una smorfia di dolore. “I Cullen sono capaci di trasformarsi in lupi, come tutti quelli che stanno in questa sala, e come me. Tua figlia è innamorata di uno di loro e ha deciso di condividere tutto, dentatura compresa. E’ per questo che te l’hanno tenuta nascosta: la mutazione è ancora in corso e, averla vicina a te, metterebbe in pericolo la tua vita. Siamo estremamente instabili i primi mesi e in grado di aggredire, senza volere, chiunque, anche persone che amiamo. Non riusciamo a controllarci e questo ci porta all’isolamento, almeno all’inizio”.
“Che stai dicendo, Jake?” balbettò, confuso.
“Guardala, Charlie!” la indicai con furia. “Non vedi che è diversa da come la ricordavi? Il pallore, la voce più acuta, anche il colore degli occhi è diverso. Hai potuto provare sulla pelle la sua forza. Cosa credi che possa provocare questo cambiamento? La scarlattina?!”.
La guardò, poi indietreggiò di qualche metro. “E’ assurdo. Mi state prendendo in giro per tenerla lontana da me”.
“Benissimo, se non mi credi, seguimi!” conclusi, afferrandolo per un braccio. Lo trascinai come un bambino disobbediente, fuori dalla casa, fino al parcheggio e lì lo lasciai. Gli altri Cullen, pedinati dai loro ospiti, visibilmente incuriositi e divertiti da quella commediola, uscirono sotto il patio e ci osservarono. Mi tolsi la maglietta perché me l’aveva regalata Rachel a Natale e non volevo distruggerla, visto che era costata parecchio e l’avevo tanto desiderata. La buttai per terra e decisi di tenere i bermuda: quelli potevano rovinarsi, senza alcun rimpianto.
Inspirai profondamente un paio di volte. La trasformazione doveva avvenire lentamente per consentire a Charlie di ficcarsi bene in testa che non stavo scherzando e che la mia storia era tutt’altro che fasulla. Chiusi gli occhi mentre gambe e braccia cominciarono a fremere, il sangue a pulsare nelle vene con una forza tale da procurarmi dolore, gli odori a farsi più intensi e feroci. Mentre la stoffa dei pantaloni si lacerava, i denti si allungarono così come il naso e le orecchie. La colonna vertebrale si sformò, guizzando in varie direzioni, ingrossandosi e diventando talmente pesante da farmi cadere in avanti, a carponi. Nonostante ci fossero parecchi gradi sotto zero, non sentii freddo, ma anzi una piacevole sensazione di calore, come se fosse arrivata una tiepida primavera. Quando spalancai gli occhi, le persone sembravano molto più vicine di quanto fossero in realtà e riuscivo a mettere perfettamente a fuoco le unghie laccate di Alice da quella distanza; la puzza che avvolgeva la casa era diventata ancora più nauseante; i sussurri pari a urla scampanellanti. Charlie mi fissava sconvolto, mentre sentivo il suo cuore pulsare come il rombo di una macchina da corsa: gli occhi erano terrorizzati e le gambe tremavano. Fece qualche passo indietro e sarebbe caduto se non avesse trovato Carlisle pronto a sorreggerlo. Ma il contatto con lui lo fece trasalire con maggior vigore e si allontanò, impaurito.
“Che cosa siete?” domandò, mentre la sua mente rotolava incontrollata in mille direzioni fino ad allora sconosciute e ora improvvisamente illuminate.
“Te l’ha detto Jacob. Siamo licantropi, esattamente come lui” disse semplicemente Carlisle.
“E’ impossibile. I licantropi non esistono…”.
“Invece Jacob ti ha appena dimostrato il contrario. Esistiamo e, a causa della nostra diversità, siamo condannati a nasconderci e a vivere isolati. Ci rifugiamo in piccole città e siamo costretti a migrare di tanto in tanto, per tenere nascosto il nostro segreto…”.
“Ma Bella lo sa…” obbiettò.
“Sì” intervenne Edward. “Mi sono innamorato di sua figlia e ho ritenuto giusto metterla al corrente della mia condizione. Lei, al contrario di qualsiasi altra persona, non si è spaventata, e anzi ha accettato me e la mia famiglia senza alcun pregiudizio”.
“Adesso anche lei è stata trasformata?”.
“Sì. Purtroppo abbiamo un inconveniente, Charlie: siamo immortali e non invecchiamo. Per continuare a stare insieme, Bella doveva diventare come me. Abbiamo organizzato il matrimonio così frettolosamente per questo motivo, ma poi la cerimonia è saltata per altri ragioni e Bella non ha voluto aspettare”.
“Anche tu puoi trasformarti come Jacob?” domandò rivolto a sua figlia.
“Sì, papà” ammise. Che cambiamento! La mia Bella non avrebbe mai potuto mentire su una cosa del genere! Pregai che Charlie non volesse una dimostrazione altrimenti saremmo stati nella merda, ma lui sembrava già abbastanza sconvolto e rimase ammutolito.
“Oltre a voi, chi altro c’è?” domandò.
“Il branco di La Push” rispose il dottor Canino.
“Branco? Chi?”.
“Sam e gli altri amici di Jake. Sono tutti licantropi e hanno il compito di proteggere la riserva da invasioni…”.
“Invasioni? Che genere di invasioni?”.
“Ci sono tante creature pericolose, Charlie, di cui tu non sei a conoscenza e che possono mettere in pericolo la vita degli esseri umani. Queste creature non possono essere combattute con le armi convenzionali. Per questo ci sono loro…”.
“E voi? Difendete Forks?”.
“No. Noi apparteniamo a branchi diversi. Itineranti, diciamo così. Mentre il branco di La Push è da secoli fermo nella stessa regione, noi ci spostiamo e non abbiamo una terra da difendere. Avrai notato che anche la carnagione è diversa, nonché la temperatura corporea. Loro sono più simili a voi umani, oltre al fatto che possono decidere di non essere immortali e invecchiare. Per questo non hanno bisogno di spostarsi mentre per noi è un obbligo”.
“Ma… di cosa vi cibate?”.
“Non facciamo male alle persone, se è questo che intendi” chiarì Carlisle dolcemente. “Mangiamo carne animale cruda”.
A quel punto la mente di Charlie aveva assimilato troppo per poter reggere ancora. Le ginocchia cedettero e si ritrovò seduto a terra. Bella fece per raggiungerlo ma fu trattenuta da Alice. Edward si inginocchiò vicino a lui e tentò di rassicurarlo. Avrei voluto farlo io, ma sotto forma di lupo non potevo parlare e i miei vestiti erano ridotti a brandelli. Tuttavia mi avvicinai. La mia presenza lo fece sobbalzare e si rialzò, atterrito e spaventato. Questo suo atteggiamento mi ferì perché sembrava preferire Edward a me. Se solo avesse immaginato a chi stava chiedendo aiuto… Ma non potevo dargli torto. Ero io ad essermi assunto il ruolo di mostro e dovevo sopportarne le conseguenze. E’ molto più facile stare vicini ad un assassino simile a noi, che a un essere innocuo che ha il solo difetto di essere completamente diverso.
“E adesso Bella starà sempre con voi?” domandò con un filo di voce.
Edward annuì. “Purtroppo, come ti ha già detto Jake, i primi momenti sono i peggiori e lasciarla tornare a casa sarebbe pericoloso per la tua incolumità. Però, appena passati alcuni mesi, ti posso assicurare che la potrai vedere tutte le volte che lo desideri”.
“Ma se vi cibate di animali, perché dovrebbe essere pericolosa?”.
“Perché all’inizio basta poco per provocare la trasformazione. Uno scatto di rabbia, un picco ormonale, un odore troppo intenso, tutto è pericoloso. Come vedi, Jacob e gli altri hanno imparato a controllarsi e possono stare tranquillamente in società, ma se Bella dovesse trasformarsi improvvisamente con te vicino, potrebbe ferirti accidentalmente. Capisci?”.
Charlie abbassò la testa, convinto e rassegnato di aver perso per sempre sua figlia. Si toccò la fronte, tentando di scacciare il fastidioso mal di testa che lo stava lacerando, persuaso che una volta sparito quello, tutto sarebbe tornato come prima. Ma quant’era lontana la realtà!
“Papà” sussurrò Bella. “Non devi essere triste. Presto ci potremo vedere come una volta. Non cambierà quasi niente”.
La sua voce dissolse per qualche istante lo sconforto, rapito da quel canto melodioso. Abbozzò un sorriso, poi si alzò.
“Papà, devi promettermi una cosa: manterrai il nostro segreto. Non dovrai parlarne con nessuno, al di fuori dei Cullen e del branco di Sam. Non deve trapelare, altrimenti saremmo in pericolo e dovremmo andarcene da qui…” affermò Bella, con voce pacata che celava un pizzico di paura.
Charlie sospirò e, osservando sua figlia come se fosse ancora la sua bambina, mormorò:“Te lo prometto, Bells. Il vostro segreto è al sicuro”.
Bella sorrise, sollevata, e si appoggiò al braccio di Edward.
Alice si avvicinò a Charlie e si offrì di accompagnarlo a casa. Lo sceriffo rifiutò ma faticava persino a stare in piedi e le mani tremavano come foglie sotto i colpi del gelido vento invernale. E così fu costretto ad accettare. Salì sulla macchina senza neanche salutarmi ed ebbi l’orribile sensazione che, se non poteva scaricare l’odio sulla sua figlia adorata, l’avrebbe fatto su di me e su tutti quelli del branco. Non aspettai che mettessero in moto per andarmene. Afferrai la maglietta con i denti e sparii nella boscaglia, con passo tedioso e recalcitrante. Mi sembrava di aver sollevato il mondo intero ed ero a pezzi. Quando Sam e papà avrebbero saputo cosa ero stato costretto a rivelare per salvare Bella, mi avrebbero ucciso. Anzi, Sam mi avrebbe buttato fuori dal gruppo, come aveva già promesso, mentre sicuramente Charlie, una volta riordinate le idee, avrebbe accusato mio padre di non avergli detto la verità e non aver impedito a Bella di frequentare i Cullen.
Adesso che riconsideravo gli eventi appena trascorsi, mi chiesi se davvero non ci fosse stato altro metodo per salvare la baracca, invece che immolargli il nostro segreto. Magari, se fossi stato più lucido, avrei trovato una soluzione più brillante e meno sconclusionata. Adesso che Charlie sapeva la verità ci avrebbe sicuramente subissato di domande e chiesto di Seth. Dovevamo dirgli dei Volturi? Sì, così gli sarebbe preso un infarto, una volta saputo che sua figlia rischiava realmente la vita. Mi sentivo annientato, sopraffatto dai mille problemi che sarebbero sorti con la mia fantastica bravata. Una cosa era sicura: avrei raccontato subito a Sam la verità in modo che non me la leggessero in testa com’era accaduto per Rosalie. Stavolta sarei stato più coraggioso e avrei affrontato la punizione. Almeno ne sarei uscito con dignità.
Alzai lo sguardo e notai una figura davanti a me, ferma a pochi passi dal confine. La sua puzza inconfondibile. Mi bloccai, digrignando i denti.
Il pezzo di marmo si avvicinò con andatura indifferente, ma non c’era alcun dubbio che stesse aspettando me. Che cosa  vuoi? pensai.
“Sono qui semplicemente per ringraziarti. Oggi hai fatto una cosa molto importante. Mantenere il segreto sulla nostra esistenza è fondamentale” commentò con voce neutra.
Non l’ho fatto per voi, ma soltanto per Bella e Charlie. Non meritavano una punizione del genere.
“Lo so e anch’io volevo evitarglielo, ma senza il tuo intervento non sarei riuscito a inventare una storia credibile… Ci avrebbe scoperto. Grazie Jacob. Da parte di tutta la famiglia e soprattutto di Bella”.
Sbuffai. Che cosa me ne facevo della gratitudine dei Cullen, quando avrei avuto il biasimo di tutto il branco?
“Se lo ritieni utile, potrei parlare con Sam e spiegargli come sono andate le cose” disse. A volte era così gentile che diventava quasi difficoltoso, persino per me, mandarlo a fan culo.
“Io se fossi in te, modererei il linguaggio. Non è elegante dire e pensare parolacce in continuazione…”.
Piantala di leggermi in testa, sanguisuga! gridai spazientito.
Stavo riprendendo il cammino, già infastidito dalle sue buone maniere da cavaliere senza macchia e senza paura, che mi fermò nuovamente:“Non ti ho rincorso soltanto per ringraziarti. C’è un’altra cosa…”.
Sputa il rospo e in fretta!
“Domani sera tu e Sam dovete venire da noi. C’è qualcosa di molto urgente di cui parlare. Anzi, forse sarebbe il caso che venissero tutti quanti, in modo tale da fare un discorso unico e chiarire una volta per tutte…”.
Chiarire cosa?
La sua espressione si fece cupa, il viso ancora più pallido, una minuscola ruga segnò la fronte perfetta. “Stanno tornando, Jake…”.
Quando?
“Presto, molto presto. E stavolta non è una pattuglia. Hanno capito che non riescono a sconfiggerci in questo modo. Verranno in tanti e sarà davvero o noi o loro. Dobbiamo organizzare una difesa solida. Mi raccomando, vi aspettiamo domani dopo cena” concluse e si incamminò verso casa.
Rimasi immobile per qualche istante poi, come fulminato da una scossa elettrica, iniziai a correre a perdifiato. Superai il confine e raggiunsi la casa di Sam, che stava, per fortuna, ai margini della foresta. Dopo qualche latrato, il mio capo comparve all’uscio. Gli feci capire che non avevo vestiti con me, a parte la maglietta, e scomparve all’interno. Ne uscì poco dopo con un paio di pantaloni, che indossai in maniera febbrile, una volta umano.
In casa non mi persi in preamboli e raccontai nei dettagli cos’era successo con Charlie. Il suo volto dapprima avvampò per la rabbia, poi le piccole venuzze che irroravano il bianco degli occhi furono sommerse da un’ondata di delusione. Quando ebbi finito, Sam rimase a lungo in silenzio; Emily apparve alle sue spalle, appoggiandogli delicatamente una mano sulla schiena.
“Non ti ha detto quando…”.
“No, ma se ha messo tutta questa fretta, vuol dire che l’attacco è imminente…”.
Sollevò la mano di Emily e la accarezzò meccanicamente. La fissava ma in realtà guardava oltre, al figlio che rischiava di non conoscere mai. “Senti Sam…” iniziai.
“Ok” disse, ritrovando l’abituale freddezza. “Domani dopo cena. Avvisa Quil, Embry e Leah. Io contatterò gli altri. E’ giusto che ci siano anche loro. Le decisioni verranno prese all’unanimità”.
“D’accordo” annuii. “E per Charlie?”.
“Non ho tempo di pensare a questa storia. Ci sono cose molto più importanti. Si arrangerà Billy, se dovesse iniziare a fare delle domande. Per quanto riguarda la tua punizione, è sospesa, almeno per il momento. Poi si vedrà”.
Strinsi le labbra. Non era vera e propria paura quella che gli leggevo nello sguardo, ma soltanto sconforto. Lo stesso che probabilmente Edward aveva letto in me poc’anzi. Mi ero talmente crogiolato nel dolore per Bella che avevo quasi dimenticato il motivo di ciò che ci aveva condotto fino a qui. Ma ora quel vento tornava a sferzarci e temevo che avrebbe richiesto un tributo per lasciarci in pace. Quando me ne andai da casa di Sam, avevo la certezza che sarebbe accaduto qualcosa che mi avrebbe travolto e adesso non avevo la forza per affrontarlo. Sentivo i nervi tirare, invocare pietà e chiedere riposo. Però, forse, tutto questo, non sarebbe giunto a sproposito perché mi avrebbe distolto dal mio eterno rimpianto. Avvisai Quil, Embry e Leah e mi sentii sollevato quando avvertii nella loro voce la mia stessa tensione.
Non chiusi occhio per tutta la notte e il giorno dopo, a scuola, ero uno zombie. Il pomeriggio rimasi in biblioteca per fare una ricerca, nel tentativo di distrarmi, anche se le gambe non smisero mai di sobbalzare per un solo secondo. Sfogliavo le pagine dei libri ed era come se fossero vuote. Parole invisibili, concetti indecifrabili, frasi senza senso: tutto mi ruotava nel cervello senza ordine. Alla fine, esausto, li riposi e me ne tornai a casa, senza poter evitare Caroline, una mia compagna di scuola che aveva la spiacevole abitudine di fare i compiti in biblioteca e quelle poche volte che mi incontrava, si appiccicava come un francobollo. Insistette per tornare a casa con me, adducendo che era già buio e aveva un po’ paura. Se avesse saputo chi ero, ne avrebbe certamente avuta il doppio, però, in fondo, era quasi divertente fare il cavaliere servente: almeno qualcuno mi apprezzava! Peccato che non fosse quella che volevo...
Quando misi piede in casa, fui letteralmente sommerso da una mareggiata di rimbrotti da parte di mio padre: Charlie lo aveva chiamato chiedendogli tutto sulla nostra licantropia, sulle sue origini e su quello che erano i Cullen. Ovviamente Billy aveva retto il giochino messo in piedi da me, ma aveva dovuto anche subire rimproveri da parte del suo amico sulla nostra mancanza di lealtà, correttezza e su come tutto questo avrebbe minato profondamente la loro amicizia. Mi stavo già sentendo una merda quando Rachel rientrò dal lavoro: Paul le aveva parlato dell’improvvisa riunione con i Cullen ed era visibilmente agitata. Vedere sua figlia così spossata, ammorbidì papà che si limitò a minimizzare l’incidente con Charlie e a dirmi che avrebbe sistemato i miei errori, in una qualche maniera. A dire il vero, adesso di Charlie non mi importava un fico secco. Che credesse pure quello che voleva e non era neanche male che lo sceriffo della contea fosse a conoscenza di realtà soprannaturali nel territorio: almeno se ci fosse stata una carneficina, spiegarla alla polizia sarebbe stato un po’ meno difficoltoso… Sospirai. Non sapevo perché avessi una dannata paura di morire, proprio ora. Mi dicevo che non avevo niente da perdere adesso che Bella non era più mia, eppure c’era qualcosa che mi scaldava, qualcosa che sussurrava che valeva la pena di vivere. Non volevo credere che fosse la speranza, anche se il dubbio che Rosalie avesse avuto modo di parlarle continuava a occupare un piccolo angolo della mente; quando ci eravamo intravisti il giorno prima non ne aveva accennato, però con Charlie e la sua scenata era un po’ difficile concedersi il lusso di pensare a qualcos’altro. Persino io l’avevo accantonato.



Come avete potuto leggere ho attinto a piene mani da Stephanie Meyer a proposito dell'idea di far trasformare jacob davanti a Charlie: per me è una delle poche idee di Breaking Dawn davvero originale! Però come al solito lei taglia le scene più divertenti (come i combattimenti, ad esempio) e così mi sono sbizzarita io a descrivere la situazione.
Però adesso il ritorno dei Volturi è imminente: chissà se Bella potrà essere davvero di aiuto stavolta?
Un abbraccio a tutte quelle che continuano a seguire!
Ven.

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Capitolo 72
*** L'ultima speranza ***


E così ci siamo: i Volturi stanno per tornare. Adesso scopriremo come i Cullen pensano di combattere quella che si prospetta essere la battaglia decisiva!
E non mancheremo di scoprire se Rosalie ha finalmente parlato con Bella e se ciò ha portato delle conseguenze.
Un saluto a tutte e buona lettura!

 
 
 
 
A sera ci ritrovammo al solito posto, poi tutti insieme marciammo verso la casa dei Cullen. Nonostante avessi avvisato Sam della presenza di numerosi vampiri, si era ostinato a presentarsi in forma umana. Voleva che fossimo in grado di obbiettare senza dover ricorrere al pinguino telepatico e forse non aveva tutti i torti. Inoltre se non avevano tentato di farmi la pelle quando ero stato da solo, perché avrebbero dovuto attaccarci proprio ora, con il branco al gran completo? Tuttavia la parola d’ordine era: cautela. Non abbassare la guardia, controllare ogni movimento insolito ed essere pronti alla difesa, se necessario.
Quando raggiungemmo la loro dimora, li trovammo tutti fuori, sotto il patio. Ed erano veramente tanti. Una trentina circa. Sam mi lanciò uno sguardo inquieto, poi proseguì fino ad arrivare ai piedi della scalinata. Il dottor Canino si fece avanti dal gruppo e disse:“E’ meglio se andiamo nel bosco. In casa non ci stiamo tutti quanti”. Il nostro capo annuì e fece segno a Carlisle di fare strada, il resto dei suoi ospiti lo seguì. Li imitammo, facendo attenzione ad essere gli ultimi. Certo, il prezzo della sicurezza era patire un olezzo rivoltante, ma sempre meglio che essere assaliti alle spalle. Il bosco, forse per effetto della luna piena, creava incredibili riflessi argentei sui rami e sui cumuli di neve, che aveva avuto modo di sciogliersi nelle ultime ore, e quella poca luce contribuì a tranquillizzarmi. Non che avessi paura, però fare una scampagnata al buio con un piccolo esercito di vampiri non rendeva la passeggiata gradevole. Nessuno dei miei compagni disse una sola parola, mentre gli altri sembravano amici in un’allegra scampagnata. A giudicare dalla loro serenità, stavo quasi cominciando a pensare che il pinguino avesse dipinto una situazione molto più tragica di quella reale.
Scavai nella folla antistante per cercare Bella e la intravidi mano nella mano con il suo vampiro. Volsi lo sguardo altrove: mi divertivo da morire a farmi del male, vero? A fianco a lei c’era Rosalie, l’unica che, a causa della sua chioma dorata, si distingueva facilmente anche nell’oscurità.
A poco meno di un chilometro, ci fermammo e, per effetto di un ordine mai impartito, noi lupi ci sparpagliammo a una ventina di metri da loro, pur restando compatti. Carlisle avanzò per rendersi visibile a tutti quanti, poi iniziò a parlare, con sottile autorevolezza. “Alice ha avuto una visione. Una visione molto chiara e nitida che ci indica il ritorno dei Volturi” esclamò, cercando di nascondere la sofferenza. “Stanno organizzando un rientro in grande stile, reclutando vampiri a loro fedeli da ogni parte del mondo. Non cercano Neonati, ma gente già abile, a cui non dover insegnare nulla, a parte l’odio per noi. Arriveranno in tanti, probabilmente un centinaio, comandati da Jane ed Alec. Ci saranno persino i sovrani in persona: Aro, Caius e Marcus. Il fatto che vengano anche loro, può avere un duplice significato: o pensano di parlamentare oppure sono sicuri di vincere. Purtroppo Alice non riesce a leggere come mai tutta la corte abbia deciso di venire, ma onestamente, visti come si sono svolti i fatti finora, siamo più portati a pensare per la seconda possibilità”.
“Chi è Alec?” domandò Leah.
“E’ il capo delle guardie reali, insieme a Jane. E’ indubbiamente il più forte e generalmente è utilizzato come guardia del corpo personale di Aro. Ha una dote anche lui, come sua sorella, ed è quella di squarciare i corpi con la forza del pensiero”.
“Cristo!” imprecò Paul sommessamente, ma non abbastanza per non farsi sentire dagli altri. Probabilmente mi stava odiando per la nostra folle decisione di seguire i Cullen.
“Il fatto che si scomodino a far muovere questo Alec può voler dire che ci temono e vogliono essere sicuri di vincere” sentenziò Sam. La sua deduzione parve un po’ forzata, ma capii solo più tardi che l’aveva detta per non impaurire i nostri compagni ancora di più.
“Può essere, ma, ad ogni modo, la sua venuta vuol dire sconfitta quasi certa per noi”.
“E allora la soluzione quale dovrebbe essere? Fuggire?” domandò ironico Sam.
“No, semplicemente allestire un esercito più forte del loro. E’ per questo motivo che altri nostri amici, oltre i Denali, sono qua. Abbiamo chiesto il loro aiuto e ce lo hanno accordato. Hanno tutti un motivo più che valido per combattere i Volturi e di loro possiamo fidarci ad occhi chiusi. Stiamo continuando a contattare altri amici di amici nella speranza di poter aggiungere preziosi alleati, ma non è facile perché schierarsi contro i Volturi significa diventare fuori legge al pari di noi e rischiare la vita in un combattimento, che sarà l’ultimo, in un modo o nell’altro”.
“Fra quanto tempo arriveranno?” intervenni.
“Quattro mesi. Il 18 maggio, all’alba” rispose Alice, compiaciuta della sua previsione.
“Quattro mesi?! Tra una vita!” esclamai, ridacchiando e quasi deluso. Ma Edward mi trapassò con lo sguardo.
“E’ poco invece. Per il momento siamo soltanto una cinquantina, voi compresi” sibilò Jasper con voce tagliente. “Siamo decisamente troppo pochi per sopravvivere e allestire un esercito richiede tempo, oltre all’addestramento”.
“Addestramento? Di che addestramento state parlando?”.
“Dobbiamo prepararci nei minimi dettagli. Non possiamo lasciare nulla al caso e soprattutto dobbiamo fare delle prove per verificare se il nostro asso nella manica funziona realmente”.
Sgranai gli occhi e osservai, dubbioso, Carlisle. “E quale sarebbe?” chiese Sam.
“Bella…” sorrise tristemente il capo dei Cullen. “Avrete capito che per quanto possiamo essere numerosi, la presenza di Alec e Jane ci renderebbe quasi sicuramente perdenti, però grazie alla presenza di Bella, forse abbiamo una possibilità. Lei ha una dote, una dote molto particolare…”.
“Annullare il potere dei vampiri…” dissi soprapensiero, ricordando la deduzione di Edward al nostro ultimo incontro.
Carlisle annuì e continuò:“L’abbiamo scoperta per caso e sembra che funzioni. Riesce ad annullare sia il potere di Edward che degli altri. L’unico problema è che per il momento non riesce a dominarlo correttamente e a volte nemmeno a farlo funzionare. L’ira è il motore principale, ma dobbiamo addestrarla in maniera tale che riesca a farlo agire a suo piacimento e a bloccare soltanto le loro doti e non le nostre”.
“Com’è possibile che Bella sappia fare questo? E’ assurdo…” esclamò Leah brutalmente.
“Non lo sappiamo nemmeno noi. Sono portato a pensare che le doti siano frutto di potenzialità latenti nella vita umana e che trovano espressione nel momento del passaggio alla natura di vampiro. Bella era immune già da umana sia ai poteri di Edward che a quelli di Jane e ora che è vampiro può riuscire ad estendere il suo potere su tutti noi”.
“Se non ricordo male, il potere di Jane era quello di procurare sofferenza senza nemmeno sfiorarti, giusto?” investigò Sam.
“Sì” convenne il dottor Canino. “E se riuscissimo a rendere inefficaci lei ed Alec, potremmo farcela”.
Sam ed io ci scambiammo uno sguardo eloquente.
“Questo piano mi sembra bislacco…” ringhiò Brady. “Stiamo puntando su una vampira Neonata che non è nemmeno in grado di controllare la sua sete di sangue e vogliamo metterle tutte le nostre vite in mano?! E’ da pazzi!”.
“Se hai qualche altra idea, cane, la accettiamo con gioia…” rispose Emmett a muso duro.
“Sfruttare il potere di Bella vuol dire esporla al combattimento e non mi sembra il caso. Lei non può sostenere uno scontro!” sbottai, rivolgendo le mie attenzioni sulla sua incolumità, ottenendo l’ennesima occhiataccia da parte di Brady. Noi rischiavamo di morire tutti e io mi preoccupavo di un vampiro: bravo, Jacob! Davvero un ottimo futuro capo!
“Purtroppo lo sappiamo ed è per questo che vogliamo organizzare delle sedute di addestramento, soprattutto per lei”.
“Ce la posso fare, Jake. Non è un problema. Anzi, così vi sarò di aiuto” assentì Bella, quasi entusiasta, mentre l’espressione di Edward mostrava le mie medesime perplessità. Non era convinto di questa strategia, ma, conoscendo i fatti, a chi potevamo affidarci se non a questa insperata manna dal cielo?
“Cosa ne pensi, Sam?” investigò Carlisle.
“Che non ci restano molte alternative” sospirò dopo un lungo minuto di silenzio. “Onestamente finché non vedo in campo i presunti poteri di Bella, non so cosa pensare. Possiamo soltanto sperare che le vostre deduzioni siano esatte, altrimenti siamo morti tutti quanti. L’unica cosa che posso garantire è che la presenza di così tanti vampiri nella zona, incrementerà il numero di licantropi e quindi le unità che combatteranno al nostro fianco saranno maggiori. Però, anche loro, come Bella, necessiteranno di un adeguato addestramento”.
Carlisle e Jasper apparvero soddisfatti delle insperate notizie di Sam. Notizie a cui io non avevo affatto pensato. Effettivamente la presenza dei Cullen nel territorio aveva fatto risvegliare i nostri geni e, ora, con l’aumento esponenziale di persone dai canini troppo sviluppati, sicuramente altri ragazzi si sarebbero uniti a noi. Ma era giusto che accadesse? Noi avevamo avuto tempo per abituarci alla nostra condizione, avevamo combattuto contro i Neonati di Victoria che erano stati una bazzecola rispetto agli avversari odierni. Mettere dei ragazzini di fronte a un tale pericolo, non era forse sinonimo di vigliaccheria? Chi eravamo per decidere di mandare a morire altri adolescenti?
“Quindi siete ancora dalla nostra parte…” ammise con sollievo Carlisle.
“Ormai ci siamo dentro ed è giusto che finiamo ciò che abbiamo iniziato. Piuttosto, come facciamo a essere sicuri che la data sia precisa? Fino a poco tempo fa le visioni di tua figlia erano incomplete e lacunose”.
“Vogliono che lo sappiamo” asserì Jasper.
“E perché dovrebbero volerlo?”.
“Probabilmente a causa della numerosità delle persone che li accompagneranno. Sarà un combattimento in grande stile e non possono correre il rischio che umani ci vedano. Hanno anche già pensato a dove farlo avvenire”.
“E sono sicuri di vincere” aggiunsi, senza troppi giri di parole.
“Già. Ma non sanno di Bella e, grazie a lei, possiamo sorprenderli”.
“D’accordo, Carlisle” sentenziò Sam. “Quando intendete cominciare?”.
“Il prima possibile. Più tempo avremo a disposizione, maggiori saranno le possibilità di riuscita”.
Sam e Carlisle iniziarono a discorrere di luoghi e ore in cui si sarebbero svolti gli addestramenti, mentre io mi scoprii completamente estraneo ai loro calcoli. Bella, la mia Bella non era assolutamente pronta per combattere e, d’accordo avrebbe avuto quattro mesi per prepararsi, ma io avevo promesso che l’avrei sempre difesa, e adesso la buttavo nella mischia per tentare di vincere. Va bene, la situazione era disperata, ma la sua presenza ci avrebbe davvero aiutato? Oppure sarebbe stato soltanto un altro nome nella lista dei caduti? Aveva già rischiato la vita nel combattimento con Demetri; se fosse successo ancora, non avrei potuto fare niente per salvarla. Non era ragionevole anteporre la sopravvivenza di Bella a quella di tutti gli altri, eppure lo stavo facendo, e non provavo vergogna. Fissai uno ad uno i miei compagni. Non avrebbero mai capito, se avessi spiegato che non volevo Bella coinvolta in tutto questo; e non era nemmeno in mio potere impedirlo, visto che i Cullen per primi la ritenevano fondamentale per la vittoria.
Aveva preso Edward per mano e gliela stava stringendo febbrilmente come se si fosse improvvisamente accorta che la vita di tutti i presenti dipendeva da lei. Il suo vampiro le sussurrò qualcosa all’orecchio e lei annuì, visibilmente sollevata. Odiavo come la toccava, come la guardava ma non ci potevo fare nulla. Avrei voluto essere al suo posto, ma ormai potevo solo rassegnarmi al ruolo di ombra in un mondo senza sole. E quindi inesistente.
Era così lontana da me, così distante: il suo sguardo freddo la rendeva quasi una di loro. Ogni tanto aveva dei movimenti, dei gesti che mi ricordavano la vecchia Bells, ma erano soltanto ricordi camuffati da illusioni?
“Jake, tu ed io ci alterneremo per gli addestramenti, d’accordo?” mi richiamò bruscamente Sam.
“Alternarci?”.
“Sì, verremo a turno a controllare le evoluzioni dei poteri di Bella e ad addestrare i nuovi venuti del branco…”.
“Sei davvero sicuro che ci saranno nuove reclute?” domandai riluttante.
“Sì, so per certo che secoli fa il nostro branco era molto più numeroso di adesso e so anche chi ne faceva parte. Tutte persone che hanno avuto discendenti. Si risveglieranno presto…” commentò e dal suo tono capii che avrebbe voluto aggiungere “purtroppo”. Nemmeno Sam voleva altre potenziali vittime, ma non si poteva fermare l’ingranaggio di una catena, già messa in moto.
“Bene” annuì Carlisle soddisfatto. “Allora direi di passare alle presentazioni. Dovete sapere chi sono i nostri alleati e conoscere le loro scie alla perfezione per non aggredirli durante il combattimento. So che abbiamo a disposizione quattro mesi, ma come si dice in questi casi “Chi ha tempo, non aspetti tempo””.
E pian piano cominciò a sciorinare un fitto elenco di nomi, di cui cinque minuti più tardi non ne rammentavo quasi nessuno, però l’importante erano le facce e soprattutto la puzza. L’unico di cui mi ricordai il nome fu quello con la coda di cavallo: Antoine, dalla Francia. Un francese, fantastico!! Tutti gli altri provenivano, chi dalla Svezia, dalla Siberia, Russia o comunque tutte zone dove il sole era un optional. Dovevo ammettere che i Cullen avevano una fitta ragnatela di amicizie se tutte quelle persone erano pronte a rischiare la pelle per loro; o forse, più semplicemente i Volturi avevano molti nemici. Alcuni di loro avevano doti che in battaglia si sarebbero potute rivelare utili: spostamento degli oggetti, velocità superiori a quelle degli altri vampiri, ferite che non si potevano rimarginare. Tutti poteri che contribuivano a rinfocolare la solita domanda: che bisogno c’era di Bella, se avevamo tutte queste armi?
“Sono tutte doti che sono utili in caso di contatto fisico con il nemico, ma Jane e Alec non hanno bisogno di toccarci per uccidere” disse Edward, rispondendo ai miei pensieri.
Feci finta di non averlo udito e tornai attento alla spiegazione di Carlisle. “… infine il potere che potrebbe esserci più utile, perlomeno all’inizio, è quello di Eva” concluse, indicandola. “Può creare illusioni. E in questo caso, potremmo utilizzarlo per far credere ai Volturi di essere più numerosi, per spaventarli. Oltre al fatto che durante il combattimento potrebbe creare opportune distrazioni”.
Ma bene! E così la femme fatale era una piccola streghetta! Non che la cosa mi interessasse granché, però almeno sapere che poteva avere un qualche genere di utilità, oltre allo sbattere le ciglia in continuazione, manco avesse un tic nervoso, era una grande consolazione! Edward mi fissò e si lasciò sfuggire un risolino: i miei pensieri lo divertivano. Soffiai, seccato.
Eva si guardava intorno come se stesse cercando una preda, ma non certo per combattere. Beh, se avesse messo gli occhi su Edward, chissà magari avrei potuto trarne un piccolo giovamento anch’io, anche se lui sembrava uscito da un convento per quanto era devoto e fedele. La ragazza aveva delle buone carte da giocare, dovevo ammetterlo, anche se…
Cercai Rosalie con lo sguardo e la trovai accanto a Emmett, attenta alle sacre parole del padre. No, non c’era storia. Eva era bella, seducente, quasi irritante nella sua prorompente sensualità, però c’era qualcosa che stonava l’insieme, a parte il fatto che fosse un vampiro. Forse troppo aggressiva, troppo desiderosa di essere al centro dell’attenzione, troppo di tutto. Invece Rose era perfetta: attraente, raffinata, sicura di sé ma senza ostentarlo, con un portamento elegante da vera principessa, probabilmente a causa dell’educazione impartita quand’era umana, però sempre di un merito si trattava. Se penso che tutto questo l’avevo definito arroganza fino a poco tempo fa, mi veniva quasi da ridere. E a giudicare da come la fissava Antoine, sembrava condividere la mia idea. Mi sfuggì una risata, pensando che Emmett avrebbe dovuto difendere sua moglie da uno dei loro alleati. Questo poteva essere divertente!
“Credo che per oggi possiamo ritenere conclusa la riunione” affermò Sam. “E’ tardi e domani per alcuni di noi c’è scuola, e per altri lavoro. Meglio tornare a casa”.
Il tono con cui aveva pronunciato quelle frasi profumava di rivincita. Della serie: “noi abbiamo una vita da mandare avanti, al contrario di voi”. E non potei essere più d’accordo. La puzza di cui ci eravamo impregnati tutti quanti mi faceva venire il voltastomaco. Inoltre non c’era altro da dire, a parte il fatto che all’inizio, sino all’arrivo delle nuove reclute, avremmo partecipato saltuariamente, più che altro per vedere i progressi di Bella; poi la nostra presenza si sarebbe fatta continuativa. Mentre Sam concludeva i convenevoli con la sua consueta rapidità, mi voltai verso Rosalie che intercettò il mio sguardo. Intuì il mio interesse più profondo e rispose: scosse il capo, rassegnata, poi, mano nella mano con il suo compagno, si unì alla lunga processione diretta a casa Cullen.
Fu una fucilata. Quella era la mia ultima carta e non era servita a niente. Rimasi impietrito, mentre frugavo l’immagine di Bella in mezzo a tutti quei vampiri che sembravano diventati migliaia. Una folla che nascondeva la verità e contemporaneamente me la rivelava in tutta la sua assurdità. Possibile che non le importasse niente davvero? Che fosse tutto dimenticato? Quella notte, le parole di Rosalie mi avevano fatto intravedere un piccolo spiraglio in cui buttarmi; ora il crepuscolo se l’era già ripreso.
“Jacob, andiamo a casa” mi incalzò Quil, premendo lievemente sul braccio.
Il fardello sarebbe diventato dunque parte di me e avrei dovuto sopportarlo per tutta la vita, esattamente come una lumaca si porta in giro la sua casa? Fin da piccolo avevo pensato che dovesse essere un movimento estremamente faticoso per loro e senza alcuna logica; ora sapevo che anch’io avrei avuto la mia piccola valigia di rimpianti e rimorsi a tenermi compagnia.
“Jake…” risuonò inaspettatamente la voce del mio passerotto.
Quando alzai meccanicamente lo sguardo, mi accorsi che aveva sorpassato il fiume di persone ed era davanti a me. Edward, onnipresente, vicino a lei.
Bella sciolse delicatamente la stretta che la legava a lui e lo osservò implorante. “Non è il caso…” mormorò pieno di perplessità.
“Ti prego, Edward. E’ una cosa a cui tengo e so che sono in grado di farla… Senza problemi”.
Il suo vampiro abbassò il volto, sconfitto e impotente, le diede un fugace bacio sulle labbra e seguì il lento svolgersi del corteo, confondendosi in esso, senza poter evitare di voltarsi più volte. Gli altri del branco mi guardarono, timorosi, poi si allontanarono. L’unica che disse qualcosa prima di lasciarmi fu Leah:“Stai attento. Potrebbe essere pericolosa…”.
Ben presto rimanemmo soltanto noi due e, per quanto la mia volontà fosse forte, si riaccese un debole lume, rischiarando l’oscurità che sarebbe dovuta rimanere tale. Ma come facevo a non sperare, visto che aveva allontanato Edward per parlare con me? Potevano esserci mille motivazioni a giustificare quel gesto, ma in quel momento contava soltanto che l’avesse fatto. Si avvicinò di qualche passo ancora e mi persi nell’ammirare la pelle candida e luminosa come la luna, il naso lungo e sottile e quella sottile aurea che le conferiva un’essenza quasi angelica. La tentazione di correre ed abbracciarla prima che potesse cambiare idea e sfuggirmi mi colse quasi di sorpresa ma non volevo rovinare tutto. Era il realizzarsi di un sogno e se non volevo svegliarmi e perderlo, dovevo sottostare alle sue regole.
“Volevo ringraziarti, Jake. Per quello che hai fatto per Charlie e per avere salvato il nostro segreto. So che ti è costato tanto e che potrebbe aver compromesso il tuo rapporto con quelli del branco: ti sono doppiamente debitrice”.
“Non l’ho fatto soltanto per te, Bella” dissi, tentando di mascherare l’emozione. “So che cosa comporta per un umano essere a conoscenza dell’esistenza dei vampiri: morire o essere trasformati. E’ stata una scelta obbligata”.
“I miei problemi con papà non erano di tua competenza, ma hai voluto fartene carico, come di tante altre cose in passato…”.
“Lo sai, che amo ficcarmi nei guai per le donzelle indifese!” replicai spavaldo. “Dio, non che ormai si possa definirti indifesa”.
“Per te lo sarò sempre, vero?” domandò, pur conoscendo la risposta.
Sembrava una farfalla a causa della sua immobilità e gracilità. Non si sarebbe detto che avesse la forza necessaria per buttarmi a terra e uccidermi. Le iridi rosse disegnavano un’aurea agghiacciante e insieme irresistibile: percepivo il male in lei eppure non potevo fare a meno di esserne attratto.
“Mi dispiace per come ti ho parlato quella mattina. Sono stata troppo irruente e insensibile. Ti chiedo perdono. Il fatto è che non riesco a dominarmi perfettamente e basta poco per farmi perdere le staffe. Ma questo non può essere una giustificazione”.
“Tutto sommato, ci sono abituato, Bells. Forse tu non lo ricordi ma litigavamo abbastanza spesso, soprattutto quando veniva tirato in ballo il tuo amato vampiro. Non è mai stato un argomento particolarmente felice…” ridacchiai, cercando di confezionare un pacchetto credibile. Non volevo umiliarmi ancora e mantenevo un tono distaccato, anche se l’unica cosa che avrei davvero desiderato in quel momento sarebbe stato abbracciarla.
“Lo ricordo invece… Nonostante tutto, sono bei ricordi e sono felice che siano ancora parte di me” sospirò e mi parve di percepire una nota di rammarico.
“Non sei contenta di essere un vampiro? Lo desideravi tanto” sbuffai.
“Sono felice, ma sento la mancanza di papà e l’idea di dover stare nascosta per parecchio tempo mi rattrista ancora di più. Ma non si può avere tutto… E per Edward ne vale la pena”.
“Certo, come no!” chiosai, incrociando le braccia. Se adesso voleva mettersi a decantare con me i vantaggi dell’essere Neonata e le lodi del suo vampiro, si sbagliava di grosso. Amarla va bene, ma non fino al punto da infliggersi una tortura!
“Qualche giorno fa ho parlato con Rosalie” iniziò neutra. Alzai il viso di scatto per specchiarmi nel suo e vi lessi un’espressione quasi impacciata, come se intuisse di muoversi in un negozio di cristalli, ma non potesse fare a meno di entrarci. In quel momento fui afferrato dalla flebile speranza, e avvinghiato ad essa, non osai dire nulla, in attesa che continuasse.
“Mi ha raccontato una cosa che… non ricordavo, ammesso che l’abbia mai saputa, perché penso che se ne fossi stata a conoscenza, me la ricorderei, dato lo shock!” borbottò, alzando le sopracciglia e fingendo un sorriso che non riusciva a mascherare un’improvvisa rigidità.
“Credo di sapere a cosa stai alludendo” affermai.
Scrollò le spalle, confusa, e scosse la testa più volte con una sottile increspatura delle labbra. Guardò a terra, impantanata nello stesso fango che lei aveva gettato. Avrei voluto parlare io per primo e spiegarle, ma non sapevo cosa le avesse detto Rosalie e soprattutto volevo una sua reazione sincera, scoprire se potevo ancora sperare. Nel frattempo mi accontentavo di restare in sua adorazione.
“Non so cosa pensare, Jake” balbettò sconfortata. “Io non credevo che la situazione fra lei ed Emmett fosse così grave e soprattutto non pensavo che tu l’avresti mai guardata… a quel modo. Capisci cosa intendo, no? Lei mi ha detto che è stata una sbandata e che fra voi è tutto finito, però, ecco… Io non credevo che tu fossi il tipo da una botta e via”.
“Non è stata una botta e via” replicai sinceramente offeso. “E’ stata una relazione vera e propria ed è accaduta soltanto perché tutti e due eravamo molto confusi. Io volevo una ragazza che ti sostituisse e pensavo di averla trovata”.
“In Rosalie?! Non voglio offenderla, ma non mi sembra il tuo tipo, e onestamente cercare una sostituta in un vampiro non mi sembra proprio da te. Vuol dire che eri parecchio confuso!”.
“Pensi solo questo?”.
“Cos’altro dovrei pensare, Jake? Credo che sia stato un errore per entrambi ma lei ed Emmett adesso stanno provando a ricostruire il loro rapporto e spero che ci riescano. Sai, Emmett mi è sempre stato molto simpatico e lei è diversa da come la ricordavo. E’ gentile, altruista, un’altra persona. Mi chiedo dove avessi gli occhi quand’ero umana…”.
La conversazione così spontanea, serena e allegra mi sbatté in faccia la sua insensibilità come uno scroscio d’acqua fredda. Non le importava. Non le importava più nulla.
“Però, se foste rimasti insieme, saresti mio cognato!” ridacchiò e la sua risata indifferente mi fece crollare. Suo cognato: era la mia massima aspirazione! Alzai gli occhi al cielo: l’oscurità della notte si mischiava all’improvviso bagliore della rabbia. Se non fosse stata Bella, le avrei tirato il collo. Optai per andarmene e lasciarla alle sue fantasie insensate.
“Jake, aspetta! Dove vai?” domandò, avvertendo lo scalpiccio sull’erba bagnata.
“Torno a casa”.
“Non volevo offenderti… E’ solo che…”.
“Cosa?”.
“Ascoltare la storia di Rosalie mi ha sconvolto, oltre a farmi diventare irrequieta perché non capivo che cosa significasse quell’uragano di sentimenti che mi sono trovata ad affrontare. Mi sento un po’ egoista a dirti questo, ma non voglio nasconderti che…” sussurrò con la voce impastata. “Mi avrebbe dato fastidio saperti con una ragazza, Rosalie o chiunque al suo posto. Sicuramente dirai che sono un’egocentrica, però mi avrebbe irritato non saperti più vicino a me. Il fatto è che sono sempre stata abituata a contare su di te in qualsiasi momento e se tu avessi avuto una ragazza, lei ti avrebbe allontanato da me. Ho paura di perderti, Jake, e anche se non è giusto, è così. In questi mesi insieme, ti ho dato troppo per scontato e mi sono compiaciuta che amassi me e me soltanto, volevo che trovassi una compagna per essere felice con lei, ma anche che continuassi a darmi tutte le tue attenzioni. Adesso capisco che sbagliavo. Essere amici non vuol dire non vedersi mai più, ma soltanto volersi bene in maniera diversa, non per questo meno profondamente. Sono stata egoista perché ho tenuto il piede in due staffe, ferendo sia te che Edward, e ora che ho finalmente capito l’errore, voglio essere una buona amica e spero che quando avrai raggiunto un equilibrio, potremmo essere davvero tutti amici, senza alcuna riserva o difficoltà. Sì, magari all’inizio sarò un po’ gelosa di lei, chiunque essa sia, però sapere che potrò contare su di te come ai bei vecchi tempi, sarà la migliore ricompensa”.
“Sei sincera o stai cercando di convincerti?”.
“Sono sincera e so che sei dispiaciuto perché avresti voluto sentire altro, ma ormai siamo su due binari diversi. Sono felice dove sono e con chi sono. In fondo, io non ero il tuo imprinting e direi che questo indicasse fin troppo bene il nostro percorso”.
“E che fine ha fatto il tuo bel discorso sulle anime gemelle? Non avevi sempre detto che noi lo eravamo?”.
“In un mondo umano sì, ma non in questo Jake. C’è qualcosa che va al di là. Io l’ho trovata e tu devi solo essere paziente. Arriverà anche per te e quel giorno saremo amici sinceri, Jake. E posso aspettarlo: ho l’eternità davanti a me!”.
Parlava come tutti gli altri del branco, mia sorella compresa:“Non è il tuo imprinting”, “Passerà”, “Non era destino” e mi stava facendo alterare. Avrei dovuto essere ormai impermeabile a tutte queste banalità eppure non riuscivo a farmele scorrere addosso. Dette da lei poi erano ancora più inopportune. E poi se ne veniva fuori dicendo che mi avrebbe aspettato: sì, avrebbe atteso che mi passasse, come se si trattasse della cotta di un adolescente.
“Tu avevi scelto me! Ora non lo ricordi, ma volevi stare con me e non con lui!” gridai, senza trattenermi.
La feci sobbalzare ma riprese la sua imperturbabilità un istante più tardi. “Smettila, Jake. Sono giochetti da bambini e pensavo che gli ultimi avvenimenti ti avessero fatto crescere” sibilò freddamente.
“Se solo ricordassi, Bells…”.
“Io ricordo tutto ciò che è importante ricordare. Non c’è altro. Puoi ripetere all’inverosimile la tua storiella ma non ci crederò mai”.
“Però a quella di Rosalie hai creduto. Perché?”.
“Perché lei non ha motivi per raccontarmi delle balle e, comunque, Edward me l’ha confermata”.
Edward, Edward, sempre Edward. Non c’era modo di liberarsi di quell’intrigante rompiscatole?!
“Capisco che sia un brutto momento e che quello che sto dicendo, ti ferisca, oltre a essere difficile da assimilare, ma col tempo mi darai ragione. Nel frattempo comportati come preferisci. Io sarò sempre tua amica e, quando vorrai, ci sarò. Sai dove trovarmi, se dovessi cambiare idea. Buonanotte” mi liquidò simulando disinteresse, mentre potevo fiutare la delusione per non aver raggiunto il suo scopo, esattamente come me. Entrambi saremmo ritornati a casa insoddisfatti, però forse avrei potuto accontentarmi. Voleva darmi amicizia, ed era sempre meglio che niente. Tagliare ogni legame non era possibile; sopportarla vicina a lui non era auspicabile; perderla sarebbe stata una tortura.
“Bells” la richiamai, mentre lei mi inchiodava con un’occhiata tutt’altro che tenera. “Non importa cosa tu creda o ricordi. Voglio solo averti vicina, come prima. Se vuoi che siamo amici, lo saremo, ma non puoi pretendere che sopporti anche lui”.
“Non ti sto chiedendo di farlo. Non adesso, almeno”.
Oh santo cielo: era rimasta la stessa ingenua di una volta! Credere che io e la sua sanguisuga saremmo mai stati amici voleva dire aver sbattuto la testa più volte da piccola, ma forse era successo davvero e lei non lo ricordava!
“Bells, mettiti in testa una cosa: ti amo e ti amerò per tutta la vita. D’accordo, sono umano e tu non sei il mio imprinting, ma questo non vuol dire che i miei sentimenti abbiano meno valore. Potrò avere mille donne, ma nessuna prenderà mai il tuo posto. Vuoi solo amicizia? Benissimo, reciterò. Reciterò la parte del bravo e altruista Jake, come ho fatto da quando ti conosco e, chissà, magari il tuo fidanzato ed io finiremo per giocare a carte. Che ne dici? Ti aggrada questo scenario? E’ di tuo gusto? A me per niente, però farò di tutto per accontentarti. Come sempre…” sibilai non riuscendo a nascondere lo sdegno.
Lei affrontò la mia rabbia con uno sguardo penetrante e apparentemente insensibile. Era talmente convinta di ciò che aveva detto che non vedeva l’insensatezza dei suoi desideri. Anche se forse non si trattava di insensatezza, ma soltanto di egoismo. Ci voleva entrambi, ecco perché si aggrappava a tutte le soluzioni più irreali. In quel momento ricordai come Leah l’avesse definita: capricciosa e falsa. E questa nostra chiacchierata mi stava facendo intuire che forse sul primo punto non avesse tutti i torti. Non amavo trovarle difetti, ma sapeva trovare le corde giuste per farmi innervosire.
“Prima o poi mi darai ragione. E’ solo questione di tempo. Ora credo che sia meglio che me ne torni a casa…”
Si allontanò di qualche passo, silenziosa come la luce e flebile come il vento. Un vento che per quanto gelido, crudele e brutale, avrei tanto voluto abbracciare. “Bella, aspetta un attimo…” la richiamai deciso.
Indugiò, scrutandomi indifferente, in attesa.
“Gli amici si abbracciano…” balbettai.
Socchiuse le labbra, stupefatta, poi scosse la testa. “Non posso avvicinarmi. E’ troppo pericoloso”.
“Non vuoi assalirmi. Te lo leggo negli occhi”.
“Hai ragione: non lo voglio. Ma ho paura che una volta vicino a te, possa scattarmi qualcosa nella testa e non voglio farti del male…” disse lamentosa.
“Credi che mi lascerei attaccare, Bells?”.
“Sono forte, molto forte e tu non avresti il tempo di trasformarti…”.
“Mi sottovaluti…” ridacchiai.
Mi sorrise. Non c’erano barricate, difese, scudi, ma soltanto paure. Non lo faceva per rispetto di Edward ma solo per timore di assalirmi.
“Proviamo…” la supplicai.
Chiuse gli occhi per lunghi interminabili istanti, poi annusò l’aria. Ne riempì i polmoni con tanta voracità da dare l’impressione di voler togliere ossigeno a tutti gli esseri viventi. E lo stava facendo: lo stava togliendo a me. Sapevo che era una specie di prova per lei, che dal suo risultato sarebbe dipesa la mia richiesta, e fu per questo che il sudore iniziò a scendermi lungo la schiena.
Infine annuì, ma mi ordinò di restare fermo dov’ero. Ubbidii mentre lei, con calma ed eccessiva premura, camminava verso di me. Soppesava i passi con tale precisione e pignoleria che mi fece quasi perdere la pazienza. Capisco che lo facesse per la mia sicurezza e per analizzare tutte le sensazioni che la presenza ravvicinata di un licantropo, nonché essere umano con tutte le implicazioni del caso, comportava ma io non ero noto per la mia pazienza. La desideravo come un bicchiere d’acqua nel deserto, come il sole dopo un mese di pioggia, semplicemente come un uomo desidera una donna.
Quando fu a un paio di metri, si bloccò e il terrore mi paralizzò. “Cosa c’è?” domandai.
“Niente” mi sorrise. “Assolutamente niente”.
Mi illuminò con uno sguardo incredulo e insieme felice. Sgranò gli occhi e scoppiò a ridere. “Non sento niente, niente!” urlò come una bambina. E prima che potessi risponderle, mi si buttò tra le braccia.
Colto alla sprovvista, ci misi parecchio prima di realizzare che non era l’ennesimo sogno, che stava accadendo davvero. Era con me, potevo abbracciarla e non desiderava mordermi. E non c’era niente di diverso dall’ultima volta, a parte una puzza veramente insopportabile. Peggio di una camera mortuaria, ma andava bene lo stesso. Potevo stare in apnea per un po’, pur di trattenerla vicino a me.
“Cielo, quanto puzzi, Jake! Dovresti farti un bagno, sai?” disse, mentre la sua risata rimbombava sul mio petto.
“Anche tu non scherzi, anzi!” ribadii.
La abbracciai più forte. Lei mi lasciò fare, anzi la sua stretta apparve più energica della mia. Era fredda, tanto fredda e il suo cuore non batteva, ma era ugualmente lei. I capelli mi accarezzarono il viso e le dita affusolate mi percorsero le braccia, come a volerne tracciare i confini. Quando volse il viso verso il mio e con l’aria più innocente del mondo, mi disse:“Ti voglio bene”, fu un sollievo e contemporaneamente una condanna. Nonostante quegli occhi inanimati e vuoti, avrei voluto baciarla, ma se lo avessi fatto avrei rovinato la recita che le avevo promesso. Mi trattenni e mi limitai a sorriderle, confondendomi in quello stato di beatitudine apparente.
Ero importante per lei, quasi fondamentale, ma soltanto un amico. Non mi avrebbe concesso oltre un abbraccio. Dovevo rassegnarmi, dunque? Rosalie aveva giocato l’ultima carta e non era servita. Cosa mi dovevo imporre? Arrendermi e lasciarla definitivamente a lui? Tutto succede per destino, mi ero ripetuto per anni per dare un senso alla morte della mamma; ora avrei dovuto fare lo stesso per giustificare la perdita di Bella? E come avrei fatto a recitare tutta la vita la parte dell’amico fidato? Conoscendomi, non ce l’avrei mai fatta. Prima o poi sarei esploso e l’avrei persa definitivamente. O forse era già successo, senza che me ne accorgessi.
Mentre la cullavo, rasserenato dal fatto che neanche le nostre opposte nature erano riuscite ad allontanarci, mi convinsi che non sarebbe più tornata da me nel modo in cui speravo. Dovevo accontentarmi e decisi che mi sarei sforzato di farlo.
Questa era la lezione da imparare: saper perdere, ammettere la sconfitta.
Chissà, magari, come il destino me l’aveva tolta, un giorno me l’avrebbe ridata.


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Capitolo 73
*** Nuove priorità - Prima parte ***


Salve a tutte,
eccomi di nuovo qua, appena tornata dalle vacanze.
Ciò che troverete postato in questa settimana è lo stesso capitolo diviso in due parti (sono parecchio prolissa quando parto, l’avrete notato!) e quindi temporalmente gli eventi sono attaccati: nella fattispecie, il capitolo viene diviso durante l’addestramento di Bella e riprende durante lo stesso addestramento.
Un bacione e buona lettura.

 
 
 
“Che ne pensi di Ellen? E’ carina…” ci interruppe Embry con un’espressione simile a quella che doveva avere avuto Newton quando aveva scoperto la gravità. Ma non riscontrò in me un entusiasmo comparabile.
Quil ed io stavamo parlando del nuovo modello della Jaguar e lui se ne usciva con un commento su una ragazza. Mi infastidiva quando si comportava così, perché la domanda era sempre rivolta a me, e per uno scopo fin troppo evidente. Sospirai, più per trattenermi che per un reale bisogno di ossigeno, poi risposi, dimostrando la mia totale indifferenza.
“Non mi sembra niente di che. E’ tozza e oltretutto si crede di essere chissà chi…”.
“Ma… non mi sembra, anzi. E’ alla mano… Tu, Quil, che ne dici?”.
Il mio amico aggrottò la fronte e mi appoggiò:“Neanche a me piace tanto…”.
Embry, messo in minoranza, rimase in silenzio, assorto nei suoi pensieri, anche se potevo tranquillamente intuirli, senza bisogno della telepatia.
Infine anche Embry aveva avuto il tanto desiderato imprinting con la sua nuova vicina di casa, appena una settimana fa, ed era così felice che voleva che tutti lo fossero, me compreso. Ormai i single “incalliti”, se così potevamo definirli, erano davvero pochi: Leah, Brady ed io. E, generalizzando, potevo eliminare anche Brady dalla mia risicata lista, visto che si frequentava con una ragazza della sua classe di Storia. Non era il suo imprinting, però non si poteva mica stare in isolamento, in attesa della “magnifica” magia! Leah ed io: gli sfigati per eccellenza!
“E Cristell?” imperversò Embry.
“Cristell è decisamente carina!” approvò Quil con vivo entusiasmo.
Embry, compiaciuto dalla sua scoperta, cominciò a decantarne le lodi, lanciandomi occhiate curiose e invadenti, coinvolgendo Quil e chiedendomi solo alla fine cosa ne pensassi. Vederli parlare così fittamente per convincermi a tentare l’arrembaggio di una ragazza mi faceva innervosire. Sì, Cristell era davvero carina, ma non avevo nessuna intenzione di mettermi in caccia. Era troppo presto per me, e non avevo del tutto abbandonato la fragile speranza che Bella sarebbe tornata, anche se ormai era passato un mese e mezzo da quando  mi aveva chiaramente fatto intendere che voleva solo essermi amica.
“Senti, Embry, capisco che tu voglia aiutarmi, ma a me Cristell non interessa. E’ carina, ma non è il mio tipo…”.
“E’ qual è il tuo tipo, Jake? Non ricordavo che avessi un “tuo tipo”, almeno fino a qualche anno fa…”.
“I tempi cambiano, e anche le persone…” esclamai sbuffando.
Quil gli fece cenno di lasciar perdere, ma Embry era uno zuccone, anche peggio di me, e quella mattina aveva deciso di darmi il tormento, o forse più altruisticamente, di accasarmi. “Non te la devi sposare, Jake” soffiò. “Devi soltanto uscirci qualche volta. Non la conosci affatto, magari ti potrebbe piacere…”.
“O magari no!”.
“Non puoi saperlo finché non provi. A me sembra simpatica e dalle occhiate che ti lancia, forse lei per prima vorrebbe fare conoscenza…”.
“Va bene, ammesso che io volessi uscirci, quando potrei farlo, secondo te? Tra la scuola, i compiti in vista del diploma, e gli addestramenti, dove lo trovo il tempo?”.
“Tutti noi abbiamo la ragazza e troviamo qualche minuto al giorno da dedicarle! Diciamo che a te non va di cercarti qualcun’altra e stop! Così facciamo prima…”.
“Esatto! Non mi va, contento?”.
Per fortuna suonò la campanella e fummo costretti ad abbandonare la discussione per andare a Fisica. Non ringraziai mai abbastanza la scuola come in quel momento.
Quando le lezioni terminarono, liquidai sia Quil che Embry con il pretesto di una ricerca di Letteratura Inglese da presentare il giorno dopo e me la svignai a casa, prima che la cantilena ricominciasse. Salii sulla scassata motocicletta che avevo cocciutamente fatto riparare dopo quella devastante nottata nel bar di Seattle e partii in sgommata. Evitai per un pelo anche quella disgrazia ambulante di Caroline che aveva tutta l’intenzione di volersi attaccare a me con una scusa qualsiasi e non mollarmi più, se non dopo un’ora di chiacchiere noiose e infernali.
Quando aprii la porta, sentii delle voci provenire dalla cucina. Una era Rachel, chiaro, ma l’altra non la riconoscevo. Apparteneva a una ragazza, probabilmente una sua amica o forse una collega, anche se dubitavo che qualcuno dallo studio di Port Angeles venisse fino a La Push solo per trovare lei. Cattivello, vero?
Indugiai sulla soglia, indeciso. Il primo istinto sarebbe stato andare in camera mia senza neanche fermarmi a salutare, però, per salire le scale, avrei dovuto per forza passare davanti alla porta della cucina. Che facevo? Maleducato fino alla fine? Ma sì, in fondo, chi la conosceva questa qui?
Mi diressi alla scala, senza fare troppa attenzione a mantenere il silenzio, tanto sicuramente Rachel doveva aver sentito la porta chiudersi e di conseguenza sapeva che ero rientrato. Sperai fortemente che decidesse di ignorarmi, ma non fu così. Quando passai, mi chiamò e la sua voce risuonò per tutto il corridoio con un tono che in sé racchiudeva qualcosa di spietato e insieme divertito. Fui costretto a fermarmi e a fare capolino dall’ingresso. La trovai seduta con una ragazza dai capelli castano chiaro, naso lungo e un neo troppo pronunciato vicino al labbro superiore.
Mia sorella mi invitò a entrare e in quel momento mi accorsi che era ancora vestita con il talleur grigio perla che indossava spesso quando andava al lavoro. Era appena rientrata e a questo punto poteva avere un fondamento la supposizione che si trattasse di una collega.
“Ti ricordi di Jacob, mio fratello?” domandò rivolta alla sua ospite.
“Tuo fratello? E’ lui? Non l’avrei mai detto… Accidenti com’è cresciuto!” esclamò quasi rapita. Anche troppo per i miei gusti. Parlava come se fossi un bambino in fasce a cui si fanno le smorfie per farlo sorridere. Bene, chiunque fosse, stava rischiando la vita!
“Lei è Elizabeth, una mia compagna di classe del liceo. La ricordi, Jake?” mi chiese Rachel, lanciandomi uno sguardo perentorio. Avrei dovuto dire:“Certo, eccome se la ricordo!”. Ma la realtà era che non avevo la più pallida idea di chi fosse e non avevo nessuna voglia di compiacere mia sorella o questa illustre sconosciuta. Perciò mi limitai alla verità, ovviamente blandita da tanti “Sono passati anni”, “Non ricordo”, “Ero piccolo”, etc., etc. Rachel tirò un sospiro di sollievo quando si rese conto che non avrei detto niente di spiacevole o offensivo, ma si avvicinò a me, appoggiandomi una mano sul braccio, come per trattenermi, mentre lei ed Elizabeth rivangavano i vecchi tempi di quando lei veniva a casa nostra a fare i compiti, delle torte di nostra madre e di tutte le loro bravate. Posto che a me non importava un accidente del loro revival scolastico, avrei desiderato vivamente andarmene, ma Rachel sembrava, con quella mano, avermi legato a sé e non capivo con quale fine.
All’inizio pensai che anche lei fosse stata colta dal raptus di Embry, ma dovetti ricredermi quando Elizabeth raccontò che era fidanzata con un tal Matthew, conosciuto ai tempi del liceo, e che a breve si sarebbero sposati. La mia paura finì seppellita sotto una coltre di macerie mentre io restavo in piedi a mo’ di stoccafisso, in attesa che mia sorella si decidesse a lasciarmi andare. Stavo cominciando ad annoiarmi profondamente quando Elizabeth, finalmente, fece cenno di doversene andare e si avviò alla porta. In quel momento il complotto di mia sorella emerse in tutta la sua roboante semplicità.
“Potremmo continuare la nostra conversazione al compleanno di mia sorella, sabato prossimo…” propose Elizabeth.
“Oh sì, mi piacerebbe tanto. Però non vorrei disturbare. In fondo, non è la mia festa”.
“Oh, non ti preoccupare. Casa nostra è grande e una o due persone in più non costituiranno un problema. Vuoi venire anche tu, Jacob? Mia sorella ha sedici anni e saranno tutti più o meno della tua età. Che ne dici? Ti va?”.
“Certo che verrà anche Jake. Tanto non hai niente da fare sabato, vero?” mi sorrise, allargando sproporzionatamente le labbra in un sorriso teso.
Tirai i muscoli del viso per impedire all’ira di sfigurarmi l’espressione. Mia sorella era un’intrigante, esattamente come Embry!
“Bene, allora vi aspetto per le nove. A sabato” rispose la sua amica senza nemmeno dare il tempo a me di replicare. Quando uscì e sentii i suoi passi insicuri sul selciato, scrutai mia sorella, tutta soddisfatta della riuscita del suo piano. Dalla sua espressione sembrava avesse scovato un tesoro.
“Se credi che verrò alla tua festa, ti sbagli di grosso” sibilai a denti stretti.
“Perché no? L’hai sentita: saranno tutti ragazzi della tua età e potrai farti delle nuove amicizie, al di fuori di licantropi e vampiri. Non ti piacerebbe?” mormorò con falsa innocenza.
“Certo, se non fosse che tu vuoi che venga perché speri che mi trovi qualcuna…”.
“Non è affatto vero” risolse, sfilandosi la giacca stancamente e appendendola all’attaccapanni. “Sei un malfidato, come al solito”.
“E allora perché vuoi che mi infili in una festa dove non conosco nessuno e soprattutto non mi va di andare?!”.
“Perché sei diventato un vero e proprio orso, ultimamente. E’ giusto che tu esca un po’ e veda come va al di fuori del branco. Prima o poi questa guerra finirà e tu dovrai tornare a una vita normale. Tutti gli altri si sono più o meno trovati una compagna e non potranno starti sempre appiccicati come prima. Se non vuoi avere una fidanzata, almeno cercati una compagnia di amici alternativa!”.
Mi ritrovai a darle ragione. Ammesso che fossimo usciti vivi da tutto questo, prima o poi gli altri, grazie all’imprinting, si sarebbero sposati e io sarei rimasto solo. L’unico su cui sapevo che avrei potuto contare per parecchio tempo era Quil: il suo imprinting era una bambina di tre anni! Aspettando che Claire fosse cresciuta, avrei potuto essere morto io! Sì, in fondo Quil ed io avevamo sempre formato una bella coppia di idioti fin dall’asilo: potevamo continuare anche per il futuro, senza cercare compagnie altrove.
“Non mi va di venire. Saranno tutti bambini. Che ci vengo a fare io?”.
“Non hai sentito Elizabeth? Avranno tutti più o meno sedici anni e non mi risulta che tu sia tanto più vecchio di loro!” borbottò spazientita.
“Sì, ma io sembro tanto più grande e ritrovarmi a fare da badante a dei mocciosi non fa proprio per me…”.
“Senti, abbiamo promesso a Elizabeth che saremmo andati e stop”.
“No, tu glielo hai promesso. Io non c’entro nulla e me ne starò a casa oppure uscirò con gli altri, ammesso che non abbia gli addestramenti” sbuffai. Li trovavo estremamente noiosi ma tutto sommato in questo momento cadevano a fagiolo! Raccolsi lo zaino da terra e mi stavo affrettando verso camera mia, quando Rachel mi bloccò:“Sono tutti umani, Jake, e di queste parti, esattamente come Elizabeth”.
“E allora?”.
“Potrebbe esserci il tuo imprinting là…” concluse con uno sguardo che sapeva da pugno nello stomaco.
Gettai lo zaino ai miei piedi e, ridacchiando, dissi:”Alla fine l’hai ammesso: vuoi trovarmi l’imprinting…”.
“Non c’è niente di male in questo”.
“Io non ti capisco e non capisco neanche gli altri” esclamai facendo vibrare i vetri della camera. “Vi siete tutti ficcati in testa che devo avere una fidanzata, ma non pensate che sono tranquillamente in grado di cercarmela da solo? Non sono un bambino! E se finora non l’ho trovata, è semplicemente perché non me ne piace nessuna”.
“Non vuoi che te ne piaccia nessuna. Pensi sempre a Bella, Bella, Bella, solo Bella, ma ormai è evidente che lei ha fatto la sua scelta e che ti devi adeguare. Hai detto che l’hai capito, beh dimostralo! La Push è piena di ragazze carine. Anche ieri ho parlato con Megan, la cugina di Paul. Stravede per te e se solo le parlassi qualche minuto magari non la troveresti così disprezzabile”.
“Megan?! Per favore! Quella scioccherella… Bleah! Mi fa venire il voltastomaco. E poi non è neanche carina”.
“Sei cattivo, Jake! E poi non la conosci: ci ho parlato qualche volta e mi sembra tutt’altro che stupida”.
Sprofondai sul divano in salotto mentre Rachel continuava il lungo elenco di ragazze disponibili e attraenti sui cui potevo mettere le mani, secondo lei. Peccato che nel suo elenco mancasse l’unica che mi interessasse, l’unica su cui non avrei avuto dubbi. Forse la mia famiglia e i miei amici avevano ragione: avrei dovuto ripulire la mente e cercare soluzioni alternative. Mi sembrava terribilmente difficile, però che senso aveva aspettare ancora? Avrei dovuto ricominciare ma era troppo presto. Il mio cuore era ancora contratto dalle palpitazioni ogni volta che la vedevo oppure da quelle rare occasioni in ci trovava il tempo per parlarmi agli addestramenti. Che risultati avrei ottenuto cercando un rimpiazzo ora? Avrei trovato una ragazza con cui passare qualche serata ma allora tanto valeva che andassi a prostitute. Almeno nessuna sarebbe stata male, ammesso che potessi instillare qualche sentimento di amore. Rachel e gli altri parlavano di file di pretendenti ma in realtà nessuna di loro mi conosceva: gli piacevo fisicamente e come modo di fare. Escludendo mia sorella, le altre ragazze con cui avevo avuto un rapporto, di amicizia o sentimentale che fosse, erano scappate a gambe levate: Leah, Rosalie e Bella. Però con Bella avevo un’attenuante, o perlomeno mi ostinavo a pensare di averla. La sua amnesia.
Dio, come mi sarebbe piaciuto avere un interruttore per spegnere i miei sentimenti! Questo sarebbe stato il più bel regalo; invece mi trastullavo a punzecchiarmi da solo, perdendomi su di lei e sui nostri ricordi, a trafiggermi nelle notti insonni, immaginando e immaginando. Che cosa avevo fatto di male per meritarmi questo? Per che cosa ero stato punito?
“Jake” mi ridestò mia sorella, chinandosi su di me. “Ti prego, fai uno sforzo. Solo per farmi un piacere. Vieni con me alla festa. Sophie è molto carina e ti piacerà, ne sono sicura…”.
“Com’è?”.
“Bionda, con gli occhi azzurri. L’ho intravista recentemente: è attraente, simpatica, è…”.
“Va bene, vengo” la interruppi seccato. “Però non ti aspettare che cada innamorato ai suoi piedi, come a quelli di nessun altra”.
“Certo” sorrise entusiasta.
Raccolsi le mie cose e andai in camera, non del tutto convinto.
Non avevo voglia di andare, l’avevo detto soltanto per far tacere Rachel, per farle credere che ci stessi provando davvero. Ma chi lo voleva? Gli altri avevano ragione a dire che non davo possibilità. Ultimamente mi ero rassegnato, ma il dolore permaneva ancora, oltre al fiorire di dubbi preoccupanti: se mi fossi innamorato di un’altra che non mi avesse voluto? E poi come era possibile provare un sentimento più profondo di questo? Se ascoltavo le sensazioni di Sam e degli altri, sì, esisteva, ma io non volevo l’imprinting con una ragazza che non conoscevo. Così, soltanto per uno sguardo. Il colpo di fulmine tra umani era decisamente più romantico.
Aprii i libri e mi sforzai di studiare: avevo realmente quella maledetta tesina da preparare e come al solito la voglia era sotto zero e dovevo farla entro sera visto che stavolta sarebbe toccato a me andare all’addestramento con gli altri. Sam aveva accettato di fare straordinari fino a sera, in considerazione del fatto che lui ed Emily, con l’arrivo del pargolo, avrebbero avuto bisogno di più soldi possibili. La conseguenza era che lui lavorava dieci ore quasi tutti i giorni e quando non c’era, toccava a me prendere in mano il branco. E questa cosa non mi piaceva per niente. La sua presenza si era fatta talmente sporadica che mi aspettavo da un momento all’altro la dichiarazione con cui avrebbe ceduto il ruolo di Alfa a me.
Incominciai svogliato a leggere ma non riuscivo a concentrarmi e non sapevo cosa scrivere. Odiavo Shakespeare. Non era proprio il mio genere, però era il genere di qualcun altro… In un lampo optai per un sottile ricatto. Scesi le scale battendo i piedi come una mandria di bufali impazziti e apparii in salotto mentre mia sorella stava sfogliando una rivista.
“Mi aiuti?” domandai col sorriso più amabile del mondo, sventolandole il libro sotto il naso come una bandierina.
Rachel sgranò gli occhi, poi tornò a leggere, svogliata:“Sei perfettamente in grado di fartela da solo”.
Strinsi le labbra e passai all’opzione secondaria. “Se non mi aiuti, non vengo con te alla festa” sibilai.
“D’accordo. Affari tuoi” replicò, senza distogliere l’attenzione dalla sua lettura.
Mi cascarono le braccia. Questo non l’avevo previsto. Credevo che avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di farmi venire a quella festa… Senza fiatare, ritornai sui miei passi, ripassando nella mente tutte le lezioni di Letteratura Inglese a cui avevo assistito e il risultato fu che non ne avevo mai ascoltata nessuna. E quest’anno avevo anche il diploma. Chissà, magari avrebbero accettato una relazione su racconti di vampiri e licantropi…
“Di che cosa si tratta?” domandò Rachel, mentre ero già fuori dal salotto. Ritornai da lei come fossi stato richiamato da Dio in persona.
“Shakespeare. Devo fare una relazione su una novella”.
“Quale?”.
“La bisbetica domata”.
Rachel guardò prima me poi il libro e il mio quaderno completamente bianco. “E va bene. Però sabato sera vieni, senza altri ricatti”.
“Certo!”.
Ci sedemmo in cucina: ufficialmente lei avrebbe dovuto aiutarmi a buttare giù le idee che avevo; ufficiosamente mi dettò la tesina e io feci soltanto una banale opera di ricopiatura. Ultimamente Rachel era diventata più accondiscendente e talvolta mi pentivo del mio continuo abusarne, però sarebbe arrivato prima o poi il giorno in cui non avrebbe più scusato la mia pigrizia: dovevo battere il ferro finché caldo e ormai mancava davvero poco alla fine del liceo. Dopo sarei andato a lavorare. Meglio quindici ore su una macchina che non ne vuole sapere di mettersi in moto, che un quarto d’ora su Shakespeare!
In poco più di due ore avevamo finito ed ebbi tempo anche di fare matematica (altra amatissima materia!) e buttarmi sul divano, in attesa di mangiare.
Per quell’ora rientrò anche papà, recatosi a trovare la mamma di Leah per scambiare quattro chiacchiere sull’argomento dominante in quelle settimane: Charlie. Sue e quest’ultimo erano diventati parecchio intimi e se mio padre voleva sapere qualcosa sul suo, un tempo, migliore amico, lei era la persona migliore. Il riassunto che fece a me e a Rachel, durante la cena, non fu dei più incoraggianti. Era passato un mese e mezzo da quando gli avevo svelato la verità sul nostro conto e Charlie faticava ancora a mettere ordine nei suoi pensieri. Non avevo più avuto modo di vederlo e anche mio padre faticava a organizzare occasioni. Sembrava volerci evitare. La cosa più assurda era che dava la colpa a noi se Bella era stata trasformata e di avergli sempre tenuto nascosta la realtà. Tutto ciò aveva portato a cementare il legame fra padre e figlia, che andava a trovare almeno una volta a settimana dai Cullen, mentre riversava su di noi il suo goffo rifiuto di accettare la verità. Eravamo diventati i cattivi. Sue gli aveva chiarito le dinamiche interne al nostro branco, tentando di spezzare parecchie lance a nostro favore, ma la macchia era rimasta indelebile.
“Non gli ha detto di Seth, vero?” domandò Rachel visibilmente in ansia.
“Certo che no!” si affrettò a chiarire Billy. “Ci mancherebbe solo questo! Se venisse a sapere che è morto, vorrebbe dire rivelare l’esistenza dei vampiri e ammettere che anche sua figlia è in pericolo. No, ufficialmente Seth ha lasciato il branco per divergenze con Sam e questa resterà la versione”.
“Mi dispiace, papà…” fui costretto ad ammettere. “Avrei dovuto inventarmi un’altra storiella. Non sono stato abbastanza lucido…”.
Billy mi lanciò un’occhiata densa di risentimento, poi abbassò lo sguardo e chiosò:“Non importa. In fondo, era scontato che prima o poi avrebbe scoperto tutto. Vedremo di convincerlo della nostra buona fede…”.
In quel momento suonò il campanello e Rachel andò alla porta. Poco dopo ritornò in cucina, seguita da un ragazzo di media statura, biondo con occhi azzurri e vivaci, labbra sottili e mascella pronunciata. Nonostante la corporatura assai robusta, il viso tradiva l’età ancora acerba.
“Ciao Joe!” lo salutò mio padre con eccessivo entusiasmo, mentre io affondavo lo sguardo nel mio piatto, purtroppo già vuoto.
“Ciao Billy, come va?” ridacchiò, battendogli un cinque sulla mano.
Rachel lo invitò a sedersi e ad assaggiare la torta che aveva preparato. Alzai gli occhi al cielo: perché in casa mia erano così ospitali anche con i mocciosi? Joe si avvicinò a me ed esclamò:“Come va capo?”.
“Non sono il capo e va come al solito. Tu che ci fai qua?” domandai di malavoglia e facendogli capire che la sua presenza non era gradita, almeno per me.
“Non avevo voglia di andare alla radura da solo”.
“Non ci saresti andato da solo. Gli altri si trovavano da Leah. Potevi andare con loro…”.
“Preferisco andarci con te…” esclamò con una risata pulita.
“Fantastico” mugugnai. Non riuscivo proprio a simulare condiscendenza.
Mi pulii la bocca col tovagliolo e salutai papà e Rachel, seguito da Joe.
Eccomi qua a fare da badante ad uno dei nuovi acquisti del branco!
Joe era un neo-licantropo. Si era trasformato da poco e faceva parte della nutrita cerchia di quelli la cui natura si era risvegliata subito dopo l’invasione in massa degli alleati dei Cullen. Le previsioni fatte da Sam si erano avverate: la presenza prolungata di così tanti vampiri nel territorio aveva fatto risvegliare le indoli ancora represse, ma affatto scomparse, di tanti altri discendenti del branco originario di Ephraim e così, adesso, oltre a noi della vecchia guardia, ci ritrovavamo poppanti da addestrare e a cui badare. Non erano, in realtà, tutti mocciosi, però la fascia d’età oscillava fra i 15 e i 17 anni. Non tanto più giovani, ma mi sentivo già vecchio rispetto a loro. E Joe era il più piccolo dell’asilo. Soltanto 14 anni. La sua muscolatura era poco sviluppata per questo e aveva il viso ancora infantile, oltre a lineamenti completamente diversi dai nostri. Sua madre infatti non era originaria di La Push, ma tedesca e lui le assomigliava in maniera impressionante. Persino i Cullen avevano faticato a credere che potesse essere un licantropo e Carlisle aveva mosso parecchie critiche sul fatto che fosse troppo giovane per affrontare un combattimento di quella portata, ma Sam era stato irremovibile. E così lo spiritoso, eccessivamente loquace e mai stanco Joe era stato accolto nel branco a braccia aperte. Tutti dicevano che somigliava a me prima che la storia di Bella mi rovinasse; io non riscontravo tutta questa rassomiglianza. Sapevo soltanto che avrei preferito non mi stesse fra i piedi, ma, colmo della sfortuna, chi era diventato il suo idolo? Il sottoscritto! E così me lo ritrovavo spesso intorno. Voleva che lo addestrassi io, mentre tentavo di sottrarmi al gravoso compito a tutti i costi: da questo punto di vista ero d’accordo con Carlisle. Joe era troppo giovane per combattere e Seth era morto ad appena 15 anni. Per quanto non riscuotesse le mie simpatie, non volevo che facesse la stessa fine, ma sembrava che la mia opinione non contasse molto.
“Oggi potrò provare a combattere contro uno dei vampiri?” mi fece la ormai consueta domanda a cui davo la consueta risposta.
“No. Devi ancora riuscire a vincere uno di noi, poi potrai provare con i Cullen…” sbuffai. Mamma mia, quanto era irritante! Sembrava che fosse un gioco e non vedesse l’ora di scontrarsi con una sanguisuga. Sì, in questo era simile a me: anch’io quando mi ero trasformato avevo scalpitato per andare in combattimento, poi, dopo la perdita di Seth, il mio errore era emerso alla luce del sole. Avevo cominciato a rendermi conto che potevamo morire e che non eravamo i protagonisti di quei fumetti della Marvel dove tutto va sempre a finire bene, l’eroe si salva e torna a casa dalla sua bella. No, potevamo davvero lasciarci la pelle. Io non avevo ancora tendenze suicide e non sopportavo la sconsideratezza dei nuovi arrivati.
Durante gli addestramenti notturni a cui ci stavamo recando proprio in quel momento, i nuovi acquisti del branco combattevano fra di loro e contemporaneamente osservavano i vampiri, visto che i Cullen e i loro amichetti si allenavano davanti a noi proprio per questo fine. Alcuni dei nostri avevano già cominciato ad esercitarsi con le sanguisughe, ma si trattava di quelli che avevano dimostrato più attitudine e prontezza per un eventuale scontro, anche se per ora prendevano delle gran batoste! Il compito di addestrarli sarebbe dovuto spettare a Sam e a me, ma erano diventati troppo numerosi perché potessimo occuparcene in due soltanto e così tutta la vecchia guardia era impegnata nell’arduo compito: stavamo parlando di 25 lupi nuovi! E, per la gioia di Leah, tutti maschi. Così lei continuava a rimanere l’unica donna del branco. Che ridere! Aveva sempre patito l’assenza di altre ragazze con cui condividere momenti di complicità e ora si ritrovava da sola con 32 maschi. Però aveva una volontà di ferro, oltre al fatto che, a forza di stare con noi, ragionava e pensava quasi come un uomo. Proprio vero che a stare con lo zoppo, si impara a zoppicare!
Per la maggior parte del tempo, io restavo nella zona della radura dove si addestrava Bella. Aveva fatto alcuni passi avanti: in posizione di attesa riusciva a bloccare i poteri di tutti i vampiri presenti; negli ultimi giorni avevano iniziato ad addestrarla a bloccarli anche durante il combattimento. Purtroppo da questo punto di vista era molto carente perché spesso si deconcentrava e il suo potere finiva per funzionare a tratti. La facevano sempre combattere contro Kate, Jasper, Alice o Eva. Il vero problema era che avrebbe dovuto fermare solo le doti dei nemici, altrimenti non sarebbe servito a niente e onestamente su questo ero molto scettico. Fra meno di tre mesi sarebbero arrivati e non vedevo traguardi importanti raggiunti, né dalla nostra parte, né da quella dei Cullen.
Nell’ultimo periodo erano arrivati altri alleati dei Cullen, di cui non ricordavo nemmeno un nome, e contando anche noi, eravamo un’ottantina, ma se non potevamo disinnescare Alec e Jane, sarebbe stato tutto dannatamente inutile. Persino un esercito da duemila persone avrebbe avuto la peggio.
Mentre io pensavo, Joe aveva ricominciato a parlare, a parlare. Di vampiri, della scuola e di quanto fosse eccitato di far parte del nostro branco. Io lo lasciavo dire: era un disco rotto e tentare di mettersi in mezzo ai suoi discorsi voleva dire aizzare la fiamma, cosa che non avevo proprio voglia di fare. Logorroico, ecco la parola giusta. Parlava così tanto che, secondo me, i suoi genitori, per toglierselo di torno, vedevano di buon occhio la sua improvvisa amicizia con noi. Già, perché non sapevano che il loro figlioletto fosse un licantropo. I geni gli erano stati trasmessi sicuramente dal padre, che era della zona. Però a sua volta, lui evidentemente non era stato messo al corrente dai suoi antenati di quello che sarebbe potuto diventare e visto che vampiri a La Push non ce n’erano mai stati negli ultimi anni prima del “gradito” ritorno dei Cullen, non si era posto il problema. Ormai era troppo vecchio perché i geni si manifestassero in lui, mentre invece in suo figlio no. Joe non aveva osato raccontarglielo per non spaventarli e viveva tutto come un’insperata avventura. Anche se spesso mi aveva confidato l’idea di dirglielo, di parlarne con loro, soprattutto in virtù del fatto che, così giovane, non poteva stare fuori tutte le sere fino a mezzanotte. Per il momento era riuscito a tenerli zitti, con la complicità di Rupert, un altro nuovo arrivato, e dei genitori di quest’ultimo, a conoscenza del comune segreto, ma questo giochetto non sarebbe potuto durare per molto. Sapevo che aveva parlato con Sam e che lui si era offerto di accompagnarlo e spiegare la situazione; manco a dirlo, Joe aveva chiesto che andassi anch’io, ma avevo, poco elegantemente, rifiutato. Sam era il capo e doveva arrangiarsi con questa patata diplomatica.
“Stasera ci sarà Alice?” domandò a bruciapelo.
“Non lo so” scrollai le spalle. “Penso di sì. C’è sempre…”.
“No, l’altra sera non c’era…” ribatté, quasi offeso del mio mancato spirito di osservazione.
Alzai gli occhi al cielo e continuai a camminare. Anche questa ci mancava! Già, perché il suddetto poppante aveva una cotta per la nanerottola preveggente. Non ci aveva mai scambiato una singola parola, ma la trovava carina, dolce, simpaticissima e adorabile. Com’era facile a quell’età… Tutti lo trovavano strano e incoerente, perché non ci si innamora mai di un vampiro, vegetariano o meno che sia. Però Joe era diverso. Non aveva dovuto vincere secoli di pregiudizi e rancori. Tutti noi, fin dalla nostra prima trasformazione, eravamo stati addestrate dalle rispettive famiglie a odiare i vampiri, a non fare differenze, a distruggerli tutti, senza porci il problema se fosse giusto o meno; Joe non aveva avuto questa educazione perché i suoi genitori non erano a conoscenza di questa realtà e quando si era trasformato era stato istruito a considerare i Cullen come nostri alleati e aveva preso alla lettera le nostre parole. Cullen alleati, quindi amici. Amici? Che parola era? Verso le sanguisughe? D’accordo, io ero innamorato di una di loro, e con un’altra, beh, lasciamo perdere, però mi sembravano situazioni differenti. Rose e Bella erano differenti. Invece l’amicizia di Joe verso di loro era sincera e spontanea, esattamente come lo era stata quella di Seth. Sì, era dannatamente uguale a lui ed era per questo che temevo gli succedesse qualcosa.
Una volta l’avevo sorpreso a parlare con Edward col pensiero e il pezzo di marmo aveva addirittura riso delle battute del mocciosetto. L’avevo richiamato all’ordine, ma Joe diceva che Edward era tanto simpatico e che aveva promesso che gli avrebbe presentato Alice, uno di quei giorni, se si fosse comportato bene.
Non riuscivo a capire come facesse a sopportarlo. Sapeva quello che mi aveva fatto, strappandomi Bella, ma non sembrava volersi schierare, come se facessimo tutti parte di una gigantesca giostra su cui girovagare senza meta, concedendo ora all’uno o all’altro i suoi favori. Con gli altri del branco questo problema non si era mai posto: erano sempre stati dalla mia parte soltanto perché Edward era un vampiro e quindi aveva torto per principio. Però, guardando prima Seth e ora Joe, mi chiedevo: con chi si sarebbero schierati se fossimo stati entrambi umani o licantropi?
Quando superammo ampiamente il confine, ci spogliammo e, nascondendo i vestiti dentro un cespuglio, ci trasformammo. Ormai l’intimità fra noi del branco era un optional obbligatorio e vederci nudi non faceva né caldo né freddo a nessuno; l’unica che si sforzava di mantenere un po’ di privacy era Leah. Generalmente arrivava alle riunioni già trasformata, oppure si allontanava di parecchio. Devo essere onesto: non ne vedevo la necessità. Non credevo che vederla nuda avrebbe provocato chissà che turbamenti. Era pari agli altri, non mi sarei sconvolto. Uhm, ripensandoci, non era un gran complimento. Non per Leah, almeno.
A me non dispiacerebbe vedere Leah nuda… Deve essere bella… puntualizzò Joe, con uno sguardo compiaciuto.
Piantala! lo redarguii. Accidenti! Mi ero dimenticato che eravamo già trasformati e i miei pensieri patrimonio di tutti.
Perché? Leah è molto carina… Non ti piace? Oppure hai cambiato sponda? iniziò a canzonarmi in maniera quasi velenosa. Gli ringhiai contro col solo risultato che i suoi sfottò aumentarono. A quel punto mi lanciai in corsa per raggiungere il più velocemente possibile la radura e liberarmi di questo scocciatore. Santo cielo! Io alla sua età pensavo solo alle macchine e al football, non alle ragazze. Ero così ritardato? A volte sembrava che la risposta fosse:“Sì”!
Quando arrivammo, eravamo gli ultimi. Leah e gli altri erano già tutti schierati, così come i Cullen e i loro amichetti. Come sempre, il mio primo sguardo fu per Bella che mi accolse con un sorriso vellutato. Quel gesto non significava niente di particolare. Lo faceva sempre ogni volta che ci incontravamo. Era il suo modo per dirmi che era contenta di vedermi. Niente di più, anche perché durante l’addestramento non avevo più modo di incrociare il suo sguardo. Lei era sempre la più impegnata e io mi limitavo a osservare i suoi movimenti. Ogni tanto c’erano delle pause durante le quali, se non ero distratto dai miei allievi, veniva a salutarmi, ma era tutto così lontano dai miei ricordi. Non vedevo più quella luce nei suoi occhi che mi aveva fatto sperare per lungo tempo nei giorni in cui era ancora umana; ora erano vacui, morti come quelli di una bambola. Li vedevo, purtroppo, riaccendersi quando Edward la prendeva per mano oppure quando la accarezzava con uno sfilacciato bacio sulla guancia. Non per me.

Se hai finito di pensare ai fatti tuoi, potresti allenare qualcuno dei nostri…
Ecco la voce della saccente, solo a volte sopportabile, Leah! D’accordo, mi distraevo facilmente con Bella, ma non mi sembrava che fosse reato. E poi stasera, a parte Sam, c’eravamo tutti, quindi gli altri più anziani potevano procedere all’addestramento dei nuovi. Diedi ordini in questo senso e Leah, sbuffando, fu costretta ad eseguire. Quando Sam non c’era, ero io il capo e spesso non era un compito così malaugurato. Almeno potevo ritagliarmi un po’ di tempo per fare ciò che volevo. Mentre i “piccoli” cominciarono a saltellare di qua e di là, per scaldarsi, alcuni degli alleati dei Cullen vennero dalla nostra parte per sostenere il ruolo degli avversari. Mi sedetti, in disparte, alla stregua di un esiliato, per verificare i progressi di ciascuno. A volte davo dei consigli con la mente su come attaccare i vampiri e spesso risultavano utili, anche se generalmente le simulazioni venivano vinte dagli avversari. Però non potevo negare che c’erano dei passi avanti. Patrick, Nick e Jeremy erano i nuovi più dotati, gli unici che avevano vinto almeno una volta. Veloci e molto robusti fisicamente. Due doti importanti. Osservai Joe combattere contro Paul: era migliorato, ma, a differenza degli altri, a lui non davo mai consigli. Volevo vedere se era bravo e quanto sapeva cavarsela da solo. Non riuscivo a nascondere che se si fosse mostrato più debole, avrei tentato di convincere Sam a lasciarlo fuori, e forse lo speravo. Era troppo giovane per morire. Purtroppo riusciva a scansare e, se non la si poteva definire dote, era una buona arma per sfuggire.
Fra i vampiri che si offrivano di lottare con noi, trovavo in molte occasioni, “coda di cavallo”, Antoine. Anche ora stava combattendo con Leah. Spesso combattevano l’uno contro l’altro perché in lei era sorta un’insaziabile rivalità, dovuta alle numerose vittorie del vampiro e al fatto che non accettasse di essere sconfitta da lui. E così si era scatenata una sorta di diatriba interna che però non portava niente di spiacevole. Anzi a volte sembravano quasi divertirsi. Certo, se avessimo combattuto Edward ed io, anche solo in addestramento, dubito che avrebbe avuto un che di scanzonato.
Alzai gli occhi per osservare i vampiri presenti e solo in quel momento mi accorsi, con colpevole ritardo, che Rose non c’era. Mi guardai attorno attentamente, ma quella sera brillava per la sua assenza. Mi chiesi dove fosse. Non era mai mancata, come quasi tutti i Cullen. Gli altri erano presenti, anche Emmett. Dov’era? Mi sentii improvvisamente solo. Non ci eravamo più visti al di fuori degli addestramenti, però, quando era il mio turno sorvegliare alla radura, sapevo che in un modo o nell’altro sarebbe venuta a salutarmi. Accadeva sempre. Restava pochissimo, anche perché io non essendo umano, non potevo parlare, però anche quei pochi minuti andavano bene lo stesso. Mi chiedeva come stavo e, a seconda di come inclinavo la testa, intavolava un piccolo monologo: spesso mi raccontava cose che non mi interessavano, tipo lo shopping o gossip puro sui litigi fra i loro amichetti, però contribuivano a distrarmi dai tanti, troppi istanti, in cui Bella non mi degnava di una sola occhiata. A volte il suo sguardo era così intenso da far sfumare il dolore e quei momenti confermavano che gli angeli custodi esistono davvero. Infine ritornava da Emmett e restava vicino a lui tutta la sera, però l’effetto benefico non veniva perso.
Stasera non c’era e sembrava ci fosse più buio del solito.
La bionda è assente dagli schermi… sghignazzò Joe, improvvisamente alle mie spalle. Trasalii e lui ne sembrò compiaciuto. Si divertiva a mettermi in imbarazzo. Anche i nuovi arrivati avevano saputo della mia storia con Rosalie e ovviamente tutti ne erano stati schifati, sia perché era un vampiro, sia perché lei, con tutti quelli del branco, aveva continuato a mantenere quell’atteggiamento snob che l’aveva fatta odiare anche da me. Si teneva lontana, non rivolgeva la parola a nessuno e non degnava di uno sguardo. Non che i lupi agognassero ad essere considerati da lei, però mi dispiaceva che i ricordi che conservavo non trovassero corrispondenza con quello che gli altri vedevano. Fingeva, anche se non ne capivo il motivo.
Hai già finito di combattere? domandai, seccato.
Sì, e ho vinto.
Come?!
Già. Posso provare con un vampiro, quindi…
Cercai Paul con lo sguardo per ottenere conferma e purtroppo accadde. Aveva vinto. Santo cielo! Le cose non andavano come volevo. Non ancora commentai. Hai vinto una volta sola, devi vincerne altre, poi ne parleremo.
Joe soffiò mentre io continuavo a guardarmi attorno, cercando Rose.
Certo che la russa è veramente notevole e mi sembra anche brava a combattere. Vorrei provare contro di lei…
L’affermazione di Joe mi fece cambiare canale improvvisamente, costringendomi a frugare tra di loro per cercarla. La trovai. Era spettatrice, insieme ad altri, del combattimento di Bella, stasera contro Kate Denali. Dovevo ammettere che una parte dell’affermazione di Joe era vera, però, volendo essere imparziali, non ce n’era una fra i vampiri che si potesse definire brutta, tutt’altro. La trasformazione le rendeva tutte estremamente attraenti, chi più, chi meno. Però io preferivo bellezze meno appariscenti. Bella, ad esempio, era stupenda: non aveva un corpo tutto curve come quello di Eva, era più naturale, più semplice. E poi non lanciava tutte quelle occhiate da “Uomini, chi mi resiste?!”. Anche adesso, Eva stava parlando con Emmett, probabilmente del combattimento, visto che indicava alcune mosse di Bella, ma da come lo fissava e muoveva la bocca, sembrava che gli stesse facendo delle proposte oscene. Invece doveva essere solo la mia fantasia perché lui, serio e severo, si limitava ad annuire.
Guardala, quant’è bella… esordì Joe.

Chi?
Alice pensò e notai che la stava osservando con occhi sognanti.
Se non fosse stato indecoroso, mi sarei buttato per terra, sganasciandomi dal ridere. Questo moccioso era davvero incredibile! Eh sì, dovevo ammetterlo, un toccasana per il mio spirito dell’umorismo un po’ in letargo ultimamente.
Vai a combattere con Patrick ordinai risoluto.
Preferirei farlo con te.
Con me?!
Sì, perché? Non stai facendo niente e visto che devo dimostrare a te che sono capace di combattere, voglio provare.
Ragazzino, ti prenderesti soltanto una batosta.
Voglio provare lo stesso.
No. Patrick! urlai nella mente. Un secondo più tardi l’interessato era vicino a me. Gli ordinai di combattere contro Joe e lui da bravo subordinato ubbidì, mentre il moccioso, con profondo disappunto, fu costretto a seguire le direttive. Tutto sommato non mi sarebbe dispiaciuto dargli una lezione ma ora avevo una cosa più impellente da fare: controllare Bella e i suoi progressi. Perciò mi avvicinai al piccolo corollario attorno a lei e mi sedetti il più lontano possibile dal mio vicino, la cui puzza faceva venire il vomito. Ma se volevo stare vicino a Bella, dovevo patire… E che patimento!
Il suo avversario era cambiato. Bella era davanti a Jasper, immobile, in posizione di attesa, pronta a difendersi. I capelli erano diventati un groviglio di nodi e i pantaloni presentavano lacerazioni in più punti, ma non sembrava ferita. Tesa e nervosa, si mordicchiava il labbro inferiore e fissava il suo avversario con rabbia, senza destare in lui segno di accondiscendenza o riluttanza. Nella sua imperturbabilità Jasper era quasi irritante.
“Non funziona” commentò il giovane cacciatore biondo.
Bella batté il piede a terra, con violenza e fece qualche passo indietro, amareggiata. Edward parve avvicinarsi a lei, ma Carlisle lo fermò. “Sei sicuro?” domandò il dottor Canino a Jasper.
“Sì” rispose Edward al suo posto. “I suoi poteri sono ancora attivi”.
“Non ce la faccio a combattere e fermarli contemporaneamente” sussurrò Bella, sconfortata.
“Calma, sei soltanto agli inizi” intervenne Alice, con tutta l’indulgenza possibile. “Devi avere pazienza. Vedrai che con l’esercizio, migliorerai”.
La situazione non si prestava a fraintendimenti: Bella non riusciva a dominare il suo potere, se coinvolta in combattimento, e la cosa poteva diventare un problema non da poco. Era improbabile che riuscissimo a difenderla dai Volturi in modo tale da circondarla da un impenetrabile recinto. Certo, avrei fatto di tutto perché non la toccassero, però ancora non avevo il dono dell’ubiquità e se fossimo stati attaccati da un centinaio di vampiri, non avrei potuto impedire a un nemico di avvicinarsi.
“Forse è meglio sospendere…” suggerì Carmen.
“No. Voglio riprovare… Coraggio, Jasper, attaccami e vediamo cosa salta fuori” lo istigò, fredda e risoluta. Edward non sembrava voler continuare, ma il suo caro fratellino evidentemente aveva voglia di sgranchirsi le mani e non si fece pregare. Ricominciarono a combattere con una violenza sfacciata, che mi fece preoccupare. Per quanto sapessi che lei non era più la fragile ragazza di una volta, non mi piaceva vederla combattere con quello che ritenevo il peggiore fra tutti i Cullen. Jasper era una macchina da guerra, come se fosse stato creato solo per quello e non stava usando i guanti di velluto con la stessa persona che fino a due mesi prima faceva fatica a non inciampare. Mi avvicinai perché le figure degli altri spettatori non mi davano una visuale completa e, per quanto fossi restio a guardare, volevo almeno fare il tifo per lei.
Ero talmente infervorato da Bella, che dimenticai completamente gli addestramenti dei miei compagni e non prestai nemmeno attenzione ai loro pensieri. Edward mi lanciava occhiate preoccupate, di tanto in tanto, forse soltanto per condividere lo sconforto. Sì, perché se c’era qualcuno che poteva capirlo ero io. Non voleva che Bella combattesse, esattamente come me, ma in base a come stavano le cose, era impossibile impedirlo.
Tifavo in maniera sfacciata e per questo fui vittima di parecchie occhiatacce da parte degli altri, che invece seguivano il combattimento in rigoroso silenzio e imparzialità. E anche i due rivali non parlavano, non si levava un solo gemito che potesse essere dissonante da quella gelida quiete. Era strano come i vampiri fossero in grado di ferirsi senza emettere un suono.
Sentivo un lieve brusio a qualche metro da me ed era l’unico rumore che mi disturbava. Mi voltai per constatare da dove provenisse e notai che Emmett stava ridacchiando a una battuta della giovane vampira russa. Anzi, dovette trattenersi per non deconcentrare il resto della comitiva. Eva lo prese sotto braccio e gli sussurrò qualcos’altro all’orecchio, evidentemente altrettanto divertente, perché continuarono a ridere. Alice alzò lo sguardo verso di loro per farli tacere, ma non erano intenzionati a seguire il consiglio. Quel comportamento mi diede sui nervi: Bella necessitava di assoluta concentrazione e loro si lasciavano andare a chiacchiere da bar? Già, perché a giudicare dallo sguardo malizioso e moderatamente perverso di Eva non stavano certo parlando dei Volturi; ed Emmett la fissava in una maniera che per un altro uomo non dava adito a fraintendimenti. Mi si torse lo stomaco per la rabbia: stavano flirtando! Non ci potevo credere. Rose non c’era per una volta e quella sgualdrina non perdeva tempo! E cosa ancora peggiore, lui non la respingeva. D’accordo, forse stavo esagerando, però non lo ritenevo ugualmente corretto. Gli avrei spaccato la faccia ma non erano affari miei e, malignamente, non avrei nemmeno potuto dire che Rose non se lo fosse cercato.


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Capitolo 74
*** Nuove priorità - Seconda parte ***


Fui distratto dal lieve mugolio di Bella: Jasper l’aveva ferita ad un braccio. Alzai le orecchie, facendo un passo avanti, pronto a scattare. Edward fece il mio stesso movimento, ma si fermò, sorridendo. Che cosa succedeva? Nonostante la mossa vincente, una smorfia delusa comparve sul volto di Jasper.
Funziona? domandai al mio acerrimo nemico, che sentì il pensiero e annuì.
Allora il potere di Bella poteva funzionare anche in combattimento. Per me era sufficiente e mi potevo dire soddisfatto, ma lei non lo era affatto. Istigò Jasper a continuare: si era accorta che il suo impegno stava dando dei frutti e voleva raggiungere in fretta il traguardo, anche se a me sembrava ancora troppo azzardato. Ma era sempre stata una testarda, anche da umana, e ora, da vampiro, non si poteva tenerla a freno. La vedevo muoversi con la stessa leggiadria e inconsistenza con cui una farfalla si oppone ai duri attacchi del vento. Avrei avuto delle difficoltà a non scambiarla per tale se non fosse stato per la puzza che mi attaccava a folate. A volte dovevo quasi trattenere il respiro. Puzzava anche adesso, a due mesi dalla trasformazione. Pensavo che l’amore che nutrivo per lei prima o poi avrebbe fatto dileguare questo inconveniente, invece continuava ad assalirmi per non farmi dimenticare che era un vampiro. Con Rosalie tutto questo non accadeva. Non sentivo il suo odore, né la scia, ma emanava un odore neutro e personale, come quello di un normale essere umano. La puzza che impregnava Bella era invece uguale a quella di tutti gli altri. Perché se era successo con Rosalie, con lei non accadeva? L’unica risposta che mi davo era che forse la condizione di Neonata acuisse le differenze fra le nostre due razze e che prima o poi, quando fosse diventata come gli altri, non l’avrei più sentita. Ma non ne ero convinto completamente.
Bella saltò addosso a Jasper, afferrandolo per un braccio con la stessa irruenza di un pugile alle prime armi, e lui la lasciò fare, dandole l’illusione di averlo in pugno, poi la centrò alla spalla destra, sfruttando un tempo morto nel suo attacco. Il rumore sordo dell’impatto mi colpì come una palla di cannone. Bella fu sbalzata indietro e in quel momento mi accorsi che il braccio era staccato dall’articolazione, probabilmente lussato. Cadde a terra, mentre l’arto penzolava come quello di una marionetta. Avvertii un profondo disgusto, che aumentò in maniera esponenziale, quando mi accorsi che Jasper avrebbe continuato a combattere e che nessuno degli altri, Edward compreso, avrebbe mosso un dito per impedirlo. Decisi che allora lo avrei fatto io.
Digrignando i denti, ringhiai furibondo, attirando l’attenzione di Jasper. Lo atterrai con un balzo, senza tentare di azzannarlo. Non volevo ferirlo, ma soltanto allontanarlo da lei, darle il tempo di riprendersi. Dimostrò la sua perspicacia lasciandosi sbattere a terra senza reagire; poi arretrai lievemente per permettergli di alzarsi. Fece leva sulle gambe e in un battito di ali fu in piedi. Si scrollò la terra dalla maglietta con signorile indifferenza e mi osservò, sogghignando, come se, tutto sommato, il mio gesto fosse stato previsto.
“Jacob!” urlò Bella. “Che diavolo stai facendo! Stiamo combattendo!”.
Mi voltai verso di lei, che mi stava osservando con risentimento, e non ne capivo il motivo. L’avevo difesa, mentre tutti gli altri non avevano mosso un dito e se la prendeva con me! Edward mi rimproverò con un’occhiata muta, mentre tutti gli mi altri mi scrutavano, compassionevoli.
“E’ un addestramento, Jacob, e tu non dovevi interromperlo” intervenne Carlisle, laconico.
“Ha pensato che Bella fosse in difficoltà e ha ritenuto giusto intervenire…” mi giustificò l’odiato pinguino. Non che avessi bisogno di lui, ma, dovevo ammetterlo, quand’ero lupo, necessitavo di un traduttore.
“Capisco che cosa lo ha spinto, ma non doveva farlo. Jasper non le avrebbe fatto del male” continuò il capo famiglia. “Bella deve essere preparata a ogni genere di assalto e contingenza”.
Adesso è troppo presto! Non è ancora in grado di sostenere un combattimento così cruento! urlai, mentre la mia voce appariva un lamento.
“Dice che è troppo presto” sintetizzò Edward.
“Non abbiamo tempo da perdere” rintuzzò Carmen. “Non possiamo aspettare. Bella deve imparare in fretta a difendersi e a difenderci”.
“Se non sei capace di stare indietro, vattene” si intromise Eva. Ecco, ci mancava solo la ramanzina della sciacquetta e poi potevo definire conclusa la serata.
“I lupi sono sotto la sua responsabilità e non può andarsene, senza di loro. Inoltre è stato solo un colpo di testa. Non credo che succederà più…” puntualizzò Edward ed essere difeso proprio da lui mi fece venire voglia di staccargli la testa.
“Beh, allora che torni a controllare i suoi randagi e lasci in pace noi” mi schernì Emmett.
Il cuore accelerò e la rabbia pulsò nelle orecchie. Mancava davvero poco perché assalissi uno di loro, uno qualsiasi. Mi bastava ucciderne uno e mi sarei tranquillizzato.
“Jake, vattene. E’ meglio” mi liquidò Bella senza acrimonia. “Io devo addestrarmi e tu sei solo un peso, se non riesci a lasciarmelo fare”. E così, per l’ennesima volta, mi voltava le spalle. Mi chiedevo perché fossi così stupido: come potevo continuare ad amarla, a difenderla, quando le sue scelte erano così chiare ed escludevano me in maniera netta?
Evitando di incontrare il suo sguardo, mi allontanai di corsa, non soltanto da loro, ma dalla radura. Non mi volevano? Bene, avrei evitato ogni problema e me ne sarei andato. Avvertii la voce di Leah nella testa come un eco lontano: mi chiedeva dove stessi andando. Non le risposi e continuai nel mio cammino in mezzo agli arbusti. Non mi stavo comportando in maniera ammirevole e sicuramente Sam, quando lo avesse saputo, mi avrebbe ripreso, ma così sarebbe stato definitivamente evidente a tutti che non sarei mai stato un buon capo.
Arrivato al cespuglio dove Joe ed io avevamo lasciato i vestiti, abbandonai le mie sembianze animali per tornare umano. Indossai in fretta bermuda e maglietta e ripresi a camminare, diretto a casa, con la mente agitata da mille pensieri. Forse avrei dovuto davvero smettere di andare agli addestramenti. Bella non mi rivolgeva che uno sbiadito “ciao”, non combattevo con i miei sottoposti e allora a cosa serviva la mia presenza? D’accordo, in fondo mi prestavo perché Sam non poteva venire tutte le sere a sorvegliare, ma poteva tranquillamente delegare Leah che, con il suo piglio deciso e giudizioso, faceva una figura migliore di me. E sarebbe giovato a tutta l’immagine del branco. Decisi che l’indomani lo avrei proposto direttamente a Sam.
In quel momento avvertii un fruscio dall’alto e alcuni aghi e pigne caddero davanti a me. Non avrei dovuto stupirmi visto che camminavo in mezzo a una foresta, ma qualcosa atterrò a due metri di distanza. Leggera e splendente come un raggio di luna filtrato improvvisamente tra gli abeti, non l’avrei notata se non fosse planata nel mio campo visivo. Le tenebre sembrarono prendere vita e ricostruire la sagoma di una persona che avanzava verso di me. Non sentii un brivido lungo la schiena, come un qualsiasi essere umano spaventato, anche se arretrai inconsciamente di un passo.
Annusai l’aria. Vaniglia. E sorrisi.
“Ciao” mi salutò Rosalie cordiale. “Già di ritorno?”.
“Sì, e tu che ci fai qui? Come mai non eri all’addestramento?”.
“Non ne avevo voglia oggi” bisbigliò svogliata. “Sempre la solita storia. E poi gli addestramenti servono ai tuoi cagnolini e a Bella, non certo a me. E nemmeno a te, se per questo”. Sorrise, alludendo ai nostri trascorsi da combattenti, visto che effettivamente lei ed io eravamo, ahimè, i più esperti contro i Volturi.
Rosalie era vestita completamente di nero e mi parve strano, visto che non mi sembrava essere un colore che prediligesse particolarmente, però le donava, come il resto della tavolozza.
“Eri sull’albero?” domandai, alzando gli occhi al cielo.
“Già. Avevo voglia di godermi la luna…”.
“La luna? Oggi non è piena…”.
“Lo so, ma io preferisco quando è a falce… La trovo più romantica”.
“E per vedere la luna sei salita su un albero?! Non potevi ammirarla da una delle tante radure di queste parti?” ridacchiai.
“No” rispose, mettendo il broncio. “Il panorama è decisamente migliore. E questo è uno degli alberi più alti della foresta, oltre alla quercia. Ma su quella non ci posso salire perché è sul confine”.
“Eri in cima?” domandai incuriosito.
Annuì e il mio sguardo restò intrappolato nel groviglio oscuro di rami, ma proprio per questo inspiegabilmente affascinante. “Non sei mai salito in cima a un albero?” domandò divertita.
“No”.
“Perché?”.
“Sono capace di saltare da umano soltanto sui rami più bassi, non riesco ad arrampicarmi. Noi lupi siamo creature terrestri…” ammiccai per metterle sotto il naso una realtà che a me pareva ovvia, ma che evidentemente non lo era, perché sembrò stupita. Non aveva dunque capito che quella sera, al confine, quando l’avevo baciata, ero riuscito a prenderla soltanto perché era saltata sui rami più bassi.
“Vuoi salire?” mi domandò semplicemente. Devo essere onesto la proposta mi tentava. Non ero mai salito su un albero così alto e dominare il mondo da quell’altezza doveva essere disarmante, oltre che sbalorditivo. Lesse la tentazione nei miei occhi e si toccò la spalla, poi mi diede la schiena. “Sù, attaccati” mi esortò.
“Sono pesante…” balbettai.
“Con chi credi di avere a che fare, sacco di pulci? Potrei anche offendermi! Dai, vieni…”.
Mi avvicinai, non sapendo bene come attaccarmi perché, d’accordo mi sforzavo di vederla come un vampiro, ma il fatto che non sentissi più la sua puzza rendeva ogni sforzo dannatamente complicato. Era una ragazza e io non ero gracile. Vedendo i miei tentennamenti, mi afferrò il braccio destro e se lo passò attorno al collo, sulle spalle, poi prese il sinistro e si cinse la vita, spazientita.
“Reggiti” esclamò, appoggiando le mani alla corteccia dell’albero. “Se cadi, non sono sicura di riuscire ad afferrarti in tempo”.
“Beh, al massimo, mi romperò qualche osso. Sai, che novità…” sorrisi, stringendola più forte.
L’istante successivo non avevo più la terra sotto i piedi. I suoi movimenti furono veloci e precisi, da un ramo all’altro, evitando con cura quelli più deboli che non avrebbero sostenuto il peso di entrambi. Rose non faceva affatto fatica, sembravo avere la stessa consistenza di uno zainetto vuoto. Da come si aggrappava al legno sembrava un gatto che si affilasse le unghie. Non manifestò mai alcuna incertezza, né errore, mentre salivamo sempre più in alto. La mia testa non ebbe mai modo di ciondolare a destra e a sinistra alla ricerca di un panorama particolare, sia perché i movimenti troppo bruschi mi costringevano a mantenere il capo dritto, sia perché non vedevo niente di interessante, a parte altri abeti rossi e verdi.
“Eccoci arrivati!” esclamò, quando la sosta si fece più lunga di qualche secondo. Mi girai e notai che non c’erano più altri rami che accarezzavano il nostro, ma davanti a noi soltanto un immenso oceano di alberi che si estendevano senza fine. Il cielo, completamente sgombro da nuvole come non lo vedevo da tempo, si fondeva con l’orizzonte e si glorificava della luce della piccola falce che illuminava debolmente la vallata. Le stelle sembravano cortigiane insignificanti e monotone al cospetto di una luna che mostrava il suo sorriso più affascinante.
“Stai attento a dove metti i piedi” mi avvisò Rosalie, mentre distrattamente scioglievo l’abbraccio e mi accovacciavo sul ramo. Lei si accomodò vicino a me, in attesa di un commento. Ma se avessi parlato avrei guastato lo spartito della melodia silenziosa che sentivo levarsi da quelle fronde.
“Allora? Ti piace” non resistette a domandarmi.
“Sì, è meraviglioso” balbettai in estasi.
“Guarda” indicò, puntando il dito in direzione di alcune luci alle nostre spalle, disposte a semi cerchio. “Quella è Forks. Essendo spostata verso l’oceano, La Push, da questa posizione, non si vede bene, però quelle case laggiù, alla nostra sinistra, sono le più esterne, alla periferia…”.
“Tu vieni spesso quassù?” domandai.
“Non quanto meriterebbe il panorama…” scrollò le spalle. “Però stanotte non potevo mancare. E’ una serata troppo limpida!”.
Non proseguì oltre per farmi assaporare il malinconico contatto con la natura e la sensazione di divino che si scorgeva da lì. Sulla terra, quando correvo attraverso i boschi, mi sentivo parte di qualcosa di grande ma non ne avevo le prove; ora potevo constatare l’immensità e decidere se farne parte oppure limitarmi a osservarne la piacevole armonia. Trattenevo perfino il fiato per evitare di turbare il beato silenzio di cui tutti gli animali sembravano avere estremo bisogno, me compreso, anche se il vento che gorgogliava a folate sembrava voler parlare. Era freddo, graffiante, però capace di alleviare le mie pene più di un’opprimente brezza estiva, di portare via le angosce e ridarmi il respiro.
Non parlammo per parecchi minuti, poi mi domandò:“Come mai l’addestramento è già finito? E’ successo qualcosa?”.
“Non è finito. L’ho abbandonato io…” ammisi con voce strascicata.
Il suo sguardo, colmo di disappunto, mi costrinse a raccontare quello che era successo. Alla fine del mio racconto, arricciò le labbra con la sua consueta grazia e disse:“Non avresti dovuto andartene. E’ tuo preciso compito restare con i tuoi compagni fino alla conclusione”.
“Lo so” brontolai, già preparato all’ennesima sfuriata sui miei atti di ribellione. “Ma non avevo nessuna intenzione di fare la figura dell’idiota…”.
“E andandotene, pensi di non averla fatta?” sbottò ironica.
Non risposi perché effettivamente l’avevo fatta, ma non volevo ammetterlo.
“Bella non ti ha risposto male perché se l’è presa, ma soltanto perché ha molto a cuore la sorte della nostra famiglia e del branco. Sa perfettamente che il risultato di questo combattimento dipende quasi esclusivamente da lei e vuole arrivare preparata. Ha una grande responsabilità sulle spalle e devi capirla se ti si è rivoltata contro. L’avrebbe fatto con chiunque…”.
“Io non sono chiunque!” scalpitai con eccessiva veemenza. In quel momento mi sarei aspettato che, come nei film della Disney, uno scoiattolo uscisse dall’albero a tirarmi qualche pigna per aver disturbato il suo sonno.
“Jake, lo so che è fastidioso sentirselo dire ma lei non vuole più…” incominciò ma la zittii con un violento gesto della mano. Rosalie sussultò impercettibilmente, ma non disse nulla, chiudendosi in un gravoso silenzio. L’istante successivo mi pentii di averlo fatto.
“Sto cercando di farmene una ragione, ma non è facile. Non succede a comando” sibilai più angustiato che scoraggiato.
“Posso capirlo…”.
“Già, ma pare che tu sia l’unica… Sembra che si sia aperta la caccia “alla donna per Jake”: tutti quelli del branco, mia sorella compresa, vogliono trovarmi una compagna. Anzi a dire il vero, vogliono trovare il mio imprinting per farmi mettere tranquillo e sereno” affermai con una buona dose di disgusto.
“Il tuo imprinting?” sussurrò con un filo di voce.
“Sì, sono convinti che sia la soluzione. Vogliono farmi conoscere tutta la popolazione femminile di La Push e dintorni, come se servisse a farmi dimenticare Bella…”.
“Lo so che non vuoi, però potrebbe essere realmente utile…”.
“Certo, come no! Grazie a questa brillante trovata, sabato sera mi toccherà andare con Rachel al compleanno della sorella minore di una sua vecchia compagna di scuola. Non so neanche chi sia ma mi ha rotto talmente tanto le scatole che devo per forza andare”.
Rosalie distolse l’attenzione da me per riconsegnarla all’orizzonte, non perché lo meritasse più di me, ma soltanto perché non sapeva cosa rispondere, mentre io ero furibondo al solo pensiero di quello stramaledetto compleanno a cui avrei dovuto partecipare per forza. Andare là con tutti quei mocciosetti e gente che non conoscevo: certo, un tempo non avrebbe costituito un problema visto che io ero celebre per la mia spigliatezza, ma adesso non era proprio il momento.
“Ti fanno andare perché sperano che ci sia il tuo imprinting là in mezzo, vero?”.
“Già…”.
“Ma perché affrettare i tempi? Potresti averlo già conosciuto e magari non è il momento opportuno…”.
“Di cosa stai parlando?” domandai, aggrottando le sopracciglia.
“L’imprinting non è detto che scatti subito… Almeno così ci aveva raccontato Bella, a proposito di un tuo amico e della sua compagna di classe” rispose in fretta con la stessa solerzia con cui si tampona una falla. Mi misi a ridere senza alcuna timidezza. “Ah, la storia di Jared e Kim… Bella, per quante volte gliel’abbia spiegata, non l’ha mai capita…”.
“Che intendi dire?”.
“Ti spiego… Jared e Kim si conoscevano da parecchio tempo perché erano compagni di scuola ma l’imprinting non è scattato subito semplicemente perché non si erano ancora risvegliati i geni da licantropo in lui. Si vedevano quasi tutti i giorni, ma non si erano mai prestati molta attenzione. Il giorno dopo in cui Jared ha subito la prima trasformazione, quando si è recato a scuola e ha incontrato Kim per l’ennesima volta, ha avuto l’imprinting subito… Quindi la versione di Bella è vera solo in parte”.
Se fosse stata umana, sono sicuro che l’avrei vista arrossire per la gaffe, anche se potei notare un dondolare sul posto, come se si sentisse in imbarazzo.
“Quindi nessuna delle ragazze umane che conosci già può essere il tuo imprinting!” dedusse dopo un piccolo silenzio.
“No, nessuna. Il mio imprinting non l’ho ancora conosciuto” fui costretto ad ammettere.
“Da quanto tempo sai queste cose?” mi domandò inspiegabilmente irritata.
“Da sempre…”.
“Ma allora vuol dire che tu sapevi dall’inizio che Bella non sarebbe stata il tuo imprinting e volevi che restasse con te, per poi abbandonarla quando sarebbe accaduto!” esclamò con disprezzo.
“No, io amo Bella e ritengo che non esista un sentimento più forte di quello che provo per lei” cercai di giustificarmi.
“Se è così forte, come fai a dire che non è imprinting?”.
“Perché è diverso da quello che provano gli altri. Non so spiegarti in cosa, ma per quanto ognuno di noi ami in maniera diversa, quelli del branco sono accomunati da sensazioni simili e io non le ho mai provate, nemmeno per Bella…”.
“Allora è stato un miracolo… per Bella intendo. Avrebbe sofferto e basta… Con mio fratello invece sarà felice perché lui non la lascerà mai…” sussurrò, non riuscendo a trattenere un velato rimprovero. Credeva che io mi sarei approfittato di Bella fino a che non avessi avuto l’imprinting, ma si sbagliava di grosso. L’amavo davvero ed ero sicuro che un sentimento come il mio non potesse essere cancellabile. Nessuna avrebbe potuto sostituirla, nemmeno una magia. Non replicai a Rose perché non avevo voglia di litigare e onestamente non mi sentivo in obbligo di giustificarmi con lei, pur avvertendo un pungente desiderio di risponderle per le rime. Io amavo Bella e sì, avrei potuto avere decine di sostitute, ma nessuna come lei.
“Credi che la stessi prendendo in giro?” domandai vagamente infastidito.
“No, non di proposito” sospirò.
“Io la amo e non c’è alcun imprinting che possa essere più forte di quello che provo per lei. Non importa cosa pensano gli altri, te compresa” risposi, stupendo perfino me stesso per il mio sangue freddo ostentato. “Possono farmi conoscere tutte le donne di questo mondo, ma nessuna la uguaglierà mai…”.
“Nonostante questo, tu conoscerai il tuo imprinting, avrai dei figli con lei e, se non subito, dimenticherai Bella. Forse la amerai sempre ma non nello stesso modo in cui me la stai descrivendo adesso” replicò con gelido distacco. Non continuai perché anche Rosalie era entrata a far parte del Fan Club:“W l’imprinting” e io mi ero già ripromesso che non avrei più accennato dei miei sentimenti a nessuno dei suoi membri. In un certo modo mi dispiaceva bandire Rose, che era l’unica con cui potevo parlare senza pudore di Bella, ma non avevo intenzione di subire ulteriori prediche.
Abbassò il viso, scrutandosi le ginocchia. Le lanciai un’occhiata fugace, poi ritornai precipitosamente a scrutare l’orizzonte. La rabbia di poc’anzi era già un ricordo, obnubilata dal silenzio della notte, ma continuava a persistere un sottile velo di risentimento, che impediva di ritrovare la nostra inconfondibile complicità. Tuttavia non volevo andare via, saltare da quell’albero e sparire fra i cespugli. Se ci fosse stato qualcun altro, l’avrei fatto, ma con lei era diverso. Ogni cosa era diversa in sua compagnia. Queste mie sensazioni mi inducevano con insistenza a credere che Rose fosse realmente la mia migliore amica.
“E con la scuola come va? Il diploma si avvicina…” cambiò argomento. La scuola: altro tasto penoso, ma sempre meglio del precedente. Le raccontai delle mie sufficienze risicate, del mio desiderio di scrollarmi tutto di dosso e cominciare finalmente a lavorare. Mi chiese anche del rapporto con quelli del branco, dato che ricordava perfettamente ciò che le avevo confidato la sera della sbornia. Le raccontai che erano migliorati notevolmente e tutto sembrava essere tornato alla normalità, e lei non investigò oltre. Le raccontai anche della gravidanza di Emily e delle mie paure a proposito del probabile ritiro di Sam dal ruolo di Alfa. Ascoltò, ridacchiando e sbeffeggiandomi in prospettiva dei miei inevitabili pasticci nelle vesti di nuovo capo; non ero permaloso e non me la presi, anche perché non erano affatto improbabili.
“E tu come te la passi? Con Emmett, intendo. Si è arrabbiato molto per la notte in cui sei stata via, immagino…”.
“Diciamo che non mi ha rivolto la parola per tre giorni consecutivi, però adesso le cose stanno andando meglio di quanto immaginassi. Non mi ha perdonato ancora completamente, però non mi aspettavo che la situazione si sistemasse così velocemente…” mi guardò moderatamente soddisfatta. Le sorrisi per dimostrarle il mio compiacimento: non volevo causarle problemi ed ora potevo definirmi assolto dalle mie colpe. Tuttavia… Sapevo che cosa avevo visto quella sera… Mi mordicchiai il labbro inferiore. Cosa dovevo fare? Glielo dovevo dire? E se poi mi fossi sbagliato? Se avessi preso un granchio colossale? Dopo avrebbe pensato che mi divertivo a gettare zizzania, soltanto perché ero invidioso della sua felicità. Che prove avevo io che Emmett stesse flirtando con Eva? E poi anche se fosse, non era reato, e nemmeno tradimento ancora…
“C’è qualcosa che non va?” domandò, a causa del prolungato silenzio.
Scossi la testa e decisi di tenere i dubbi per me, però le chiesi di Eva. La mia richiesta la sorprese visto che non mi credeva interessato a lei. Ovviamente mi affrettai a confutare le sue maliziose supposizioni e Rose mi raccontò ciò che pensava:“E’ bella, simpatica, estroversa, affettuosa. Mi ricorda Tanya in tante cose… E’ una brava ragazza…”.
Sbuffai rumorosamente e Rose si mise a ridere. “Credi che sia una stronzetta, vero?” domandò.
“No, soltanto una puttanella” avrei voluto risponderle, ma riuscii a trattenere le mie educate riflessioni. Mi limitai a scrollare le spalle e a conservare immutabile la mia espressione.
“E’ buffo, sai” bisbigliò come se parlasse a se stessa. “Un tempo avrei fatto di tutto per metterla in cattiva luce, per attirare l’attenzione di tutti su di me, per dimostrare quanto fossi più bella di lei. Ora è diverso… Non sarà mai la mia migliore amica, ma non mi importa di essere giudicata inferiore a lei. Sono contenta così…”.
“Tu sei migliore di lei. In tutto e per tutto” mi sfuggì, senza pensare.
Mi fissò trasecolata, colpita da tanta serietà. “Grazie, Jake. Sei molto gentile, ma non la conosci…”.
“Conosco te ed è più che sufficiente…”.
Mi sorrise leggermente, mostrandomi una timidezza che non le avevo mai attribuito. Una folata di vento le spostò i capelli e prima che lo facesse lei, le portai una ciocca dietro l’orecchio. Seguì con la coda dell’occhio il mio movimento e mi accorsi solo in quel momento che c’era qualcosa, qualcosa che non riconoscevo in quelle iridi… Ci misi parecchi istanti prima di capire che l’improvviso ignoto in cui non mi ritrovavo era dovuto al colore. Non erano dorati, come al solito, ma di un bruciante color castagno.
“Che cosa hai fatto agli occhi, Rose?” le domandai a bruciapelo.
Si voltò subito, profondamente imbarazzata. Si passò nervosamente una mano sulle sopracciglia e si portò alcune ciocche di capelli sulla fronte, come se servisse a coprire un profondo subbuglio.
“Sono le lenti a contatto…” balbettò.
“Lenti a contatto?! E perché? Non le hai mai portate…”.
“Ho un problema agli occhi e ho dovuto prenderne colorate per camuffarlo, ma ovviamente di color dorato non esistono e così mi sono dovuta accontentare di queste marroni”.
“Problema? Che problema? Hai perso gradi di vista? Il primo vampiro ciecato della storia!” ridacchiai, incredulo.
“Non ridere” borbottò seccata. “E’ un problema sgradevole per me. E ogni tanto riappare…”.
“Di cosa si tratta?”.
“Gli occhi di vampiri che si cibano di sangue animale sono dorati, lo sai, ed è per questo che quelli di tutti noi Cullen sono uguali. Se ci si ciba di sangue umano o si è appena trasformati sono rossi, come quelli dei Volturi e dei Neonati. Questi sono gli unici cambiamenti di gradazione che sono consentiti a noi vampiri. Beh, a me capita anche che si scoloriscano…”.
“Scoloriscano?”.
“Non è proprio la parola giusta. Comunque, parte dell’iride non è più dorata ma diventa di un altro colore e così mi ritrovo ad avere gli occhi chiazzati. Non è molto umano, e nemmeno particolarmente piacevole da vedersi, così sono costretta a portare le lenti colorate per tutto il periodo in cui restano così…”.
“Periodo?! Quanto lungo?”.
“Generalmente qualche settimana. Ma una volta è durato due mesi…”.
“Hai detto che ti succede periodicamente: ogni quanto?”.
“Beh, non spesso. Da quando sono diventata vampiro sarà successo quattro-cinque volte. Non di più. E’ cominciato due settimane fa e se prima non lo si notava se non mi si veniva molto vicino, da ieri ha cominciato a vedersi parecchio e mi dà fastidio che la gente mi guardi come un’aliena…”.
“A cosa è dovuto?”.
“Non ne ho idea e nemmeno Carlisle. Ogni volta che è successo mi ha fatto un sacco di esami per controllare ma non è mai arrivato a nessuna conclusione. Per quanto ne sa lui, sono l’unico vampiro a cui succede questo…”.
“Fantastico! Ma adesso sono metà dorati e metà…?”.
“Blu” ammise con una smorfia dolorosa.
“Blu? Non sa nemmeno perché blu?”.
“I miei occhi umani erano blu…”.
Questa sua affermazione mi scombussolò senza una reale motivazione. Mi ero chiesto spesso come fossero i suoi occhi da umana e ora avevo la risposta. Non ne intuivo il perché ma fui scosso dall’inopportuna curiosità di vederli. Inopportuna perché Rose non sembrava vivere questo cambiamento serenamente, ma come un handicap, qualcosa di spiacevole da nascondere e dimenticare.
“Fammeli vedere…” dissi, quasi duro. “Togliti le lenti”. Rose mi guardò come se l’avessi ferita a morte.
“No” replicò altrettanto dura.
“Ti prego, dai, devono essere bellissimi. Fammi vedere” ribadii più morbido.
“No, Jake. Sono orribili e non voglio che qualcuno li veda…” e si girò dalla parte opposta per mettere un’ulteriore barriera fra noi.
Insistetti in tutti i modi possibili ma alla fine ricevetti sempre la medesima risposta e fui costretto ad arrendermi. Non c’era proprio verso! Mi appoggiai col fianco al fusto dell’albero, rimirandola per intero. Bionda con gli occhi azzurri. La classica bambola, non c’è che dire. Doveva essere ancora più bella, anche se difficilmente immaginabile. Eh sì, duro da ammettere persino per me, ma lei superava Bella, come superava brillantemente qualsiasi creatura di sesso femminile avessi conosciuto. Forse Desirèe, una volta cresciuta, sarebbe stata almeno bella quanto lei, ma non l’avrei mai saputo.
Perché ogni tanto le succedeva questo e soprattutto perché proprio adesso? C’era una spiegazione, soltanto che Carlisle non era riuscito a trovarla. Occhi umani. Perché occhi da umana su un vampiro? Perché la sua vecchia natura si faceva intravedere? Un tuono nella mia mente.
“Forse stai regredendo…” chiosai sommessamente.
“Regredendo?”.
“Sì… Stai tornando umana…”.
Mi fissò sconcertata, poi abbozzò un sorriso malinconico. “Non sai quanto mi piacerebbe che fosse vero, ma non è così. Anche Carlisle l’aveva pensato la prima volta ed è per questo che mi aveva fatto fare dozzine e dozzine di esami, ma purtroppo sono un vampiro e tale resterò. Elettrocardiogramma piatto, circolazione sanguigna inesistente, nessun altra funzione vitale attiva… Niente di niente. La trasformazione non è reversibile. Credo che sia semplicemente uno scherzetto che il destino mi tira per ricordarmi che non sono più ciò che ero. Un’ulteriore beffa. Tutto qui”.
Dal modo in cui appassì il suo sorriso, intuii che, nonostante il lavaggio del cervello a cui l’avevo sottoposta per mesi, la perdita dell’umanità fosse ancora un tasto dolente. Mi era sembrato che nelle ultime settimane insieme si fosse ripresa, ma forse la trasformazione di Bella aveva dischiuso nuovamente il suo labirinto di rimpianti, attingendo a un dolore che mi illudevo distrutto per sempre.
“Mi dispiace, Rose…” balbettai.
“Non c’è niente di cui scusarsi. Ormai ho perso le speranze da tempo e, guardando il complesso, sono più i vantaggi che gli svantaggi” spiegò, ostentando una risata maligna. “Resterò sempre giovane, sempre bella, non mi ammalerò mai, ho una famiglia che mi vuole bene davvero, che cosa posso volere di più? Posso fare a meno di dormire, mangiare e respirare, no?”.
“Se non ti pesa, perché fai finta di respirare?” avrei voluto chiederle, dato che avevo notato il ritmico sollevarsi del suo petto, come se fosse umana. Ma sarebbe stata una tortura gratuita.
Voleva la mortalità, ancora. Era ironico che Bella fosse così felice di essere diventata un vampiro, mentre qualcun altro avrebbe volentieri barattato la morte con la sua natura.
“Davvero, Jake. Sono contenta di ciò che ho. Ho un unico rimpianto…”.
“Quale?”.
“Di non aver avuto la speranza…”.
“La speranza di cosa?”.
Scosse la testa, affondando lo sguardo nell’orizzonte.
Alzò il polso e controllò l’ora. “E’ tardissimo. Ormai staranno per finire l’addestramento. Meglio che torni a casa” esclamò in tono vagamente allarmato, poi mi fece cenno di aggrapparmi nuovamente a lei per scendere. Lanciai un’ultima occhiata al panorama per imprimermelo bene nella memoria e la abbracciai. In un attimo, molto più velocemente che all’andata, fummo a terra. Saltò da un ramo all’altro, più simile a una scimmia che a un vampiro, e atterrò come un cigno sull’acqua.
Quando la lasciai andare, si sistemò la camicetta che le avevo stropicciato, stringendola con troppa energia, poi con piacevole noncuranza, mi salutò, augurandomi buona fortuna per la mia festa di compleanno e si incamminò verso casa.
“Rose!” la chiamai.
Si girò con un sorriso innocente come un’impiegata dell’ufficio informazioni che si guadagna lo stipendio rispondendo agli stupidi come me.
“Questo weekend c’è un’esposizione di macchine a Seattle. E’ una specie di fiera, dove vengono mostrati tutti i nuovi modelli dei maggiori marchi mondiali. Ti andrebbe di venire con me?”.
“Quando?”.
“Domenica, pensavo”.
La sua espressione si era fatta improvvisamente seria e volse lo sguardo altrove, persa in ragionamenti personali. Ero convinto che volesse rifiutare e stesse cercando le parole giuste per farlo senza offendermi. Ma, accidenti, poteva dirmelo in faccia! Non mi sembrava che lei ed io ci fossimo mai persi in noiosi convenevoli.
“Perché lo stai chiedendo a me? Gli altri del branco non vengono?” domandò fredda.
“A essere sincero, agli altri non l’ho proprio chiesto. Mi è venuto in mente adesso e lo chiedo a te perché mi farebbe piacere che fossi tu a venire, ma se non ti va, non è un problema…”.
“Va bene. Vengo” disse socchiudendo le labbra in un sorriso disteso. Era strano come potesse cambiare umore così improvvisamente, sembrava un interruttore: acceso o spento. Oppure semplicemente si divertiva a farmi stare sulla corda.
“Però” aggiunse “non posso stare fuori tutta la giornata, altrimenti Emmett mi uccide. Facciamo dalla tarda mattinata fino all’ora di cena al massimo. Credi che si possa fare?”.
“Sì, passeremo gli stand principali…”.
Fece un piccolo balzo sul posto e batté le mani come una bambina soddisfatta. “E’ fantastico! Sai, morivo dalla voglia di andarci ma ad Emmett le macchine non interessano, quindi sarei dovuta andare da sola…”.
Ecco spiegato il motivo di tanta felicità. Come diavolo faceva Emmett a non essere interessato? Cosa c’era di più entusiasmante che ammirare un’auto nuova? Ah già, ma lui era un amante del baseball… Vabbè, in questo modo eravamo soddisfatti sia io che Rose. Fissammo l’appuntamento per mezzogiorno, al confine, poi lei, volando, ritornò a casa. Altrettanto feci io, soltanto camminando come un comune mortale. Non avevo ben chiaro perché lo avessi chiesto a lei e non a Quil o Embry che sicuramente sarebbero venuti: mi faceva stare così bene? Mentre eravamo sull’albero l’avevo eletta a migliore amica, sopra tutti, quindi sì, aveva un senso che avessi invitato lei.
Quando tornai a casa, papà e Rachel erano già a letto e io ero solo. I fantasmi potevano tornare padroni della mia mente. Mi buttai davanti al televisore e feci un po’ di zapping: riusciva a mettermi sonnolenza, soprattutto se non c’era un programma di mio gradimento ed era quello che ci voleva, alla luce del vago senso di rabbia che mi stava strappando le pareti dello stomaco. Bella aveva rifiutato il mio aiuto, si era schierata per l’ennesima volta contro di me. Perché mi ostinavo a voler battere la testa contro il muro? Forse Rachel e gli altri avevano ragione: era ora che mi dessi una smossa. Che senso aveva che continuassi a struggermi? Non mi voleva più, era evidente. E forse, se lei non era il mio imprinting, non era mai stato destino per noi.
Buttai il telecomando sul tavolino di fronte al divano, dove generalmente appoggiavo i piedi, con grande disappunto di mia sorella, e decisi. Sabato sera avrei parlato con tutte le ragazze della festa e accidenti ne avrei trovato una che mi solleticasse la fantasia! Le avrei chiesto il numero di telefono e ci sarei uscito. Con un po’ di fortuna sarebbe stata la mia zattera di salvataggio. Andai a letto, quasi consolato da questa mia inattesa risolutezza.
Ma il giorno dopo arrivò, puntuale e prevista, la strigliata.
Era pomeriggio avanzato e stavo dando una veloce controllata alla moto, a causa di un cigolio strano che avvertivo di tanto in tanto, quando, nel garage, fece il suo ingresso Sam. E a giudicare dalla sua espressione, non era una visita di cortesia. Lo salutai con noncuranza (odiavo dargli più importanza di quanta ne avesse) e continuai a smontare pezzi per trovare il difetto. Sam restò in silenzio in attesa della mia dovuta deferenza, fino a quando si spazientì e mi richiamò all’ordine.
“Ti dispiacerebbe prestarmi un attimo della tua attenzione, Jake?” chiese con malcelata acrimonia.
Alzai il viso, consapevole che non avrei potuto fare il finto tonto e che avrei anche potuto scommettere su quale fosse il motivo per cui era lì.
“Ti devo parlare di ieri sera. Si può sapere perché diavolo hai abbandonato i tuoi compagni agli addestramenti?! Era tua responsabilità restare con loro e sorvegliare il tranquillo svolgersi degli eventi e tu che cazzo fai?! Te ne vai per i fatti tuoi?!” mi sgridò.
Scommessa vinta.
“Non ero gradito” tentai di obbiettare anche se come giustificazione era piuttosto debole.
“Non eri gradito da chi? Da Bella?! Paul e Jared mi hanno raccontato della tua scenetta con i Cullen… E’ stata veramente patetica. Vuoi smettere di comportarti come un bambino e ragionare?! Ci sono cose più importanti dei tuoi sentimenti. Bella si dimostra molto più matura di te in questo frangente. E’ fondamentale che riesca a controllare il suo potere e i Cullen sono i primi che non vogliono che le venga arrecato alcun danno, oltre al fatto che non ha alcun bisogno di essere tutelata da te. Tuo dovere è difendere i tuoi compagni, non un vampiro!”.
“Le stavano facendo del male…”.
“Non dire idiozie! E se anche fosse, non tanto da ucciderla. Non è più umana, devi ficcartelo in testa!”.
E lo sapevo perfettamente: la puzza che avvertivo, anche da lontano, me lo ricordava tutte le volte. Scossi la testa senza ribattere. Non ne avevo più la forza. Tutto quello che mi veniva ripetuto da giorni era perfettamente logico e coerente, ma farmene una ragione era tutto un altro discorso. Va bene, mi stavo sforzando di dimenticarla, ma non potevano impedirmi di proteggerla.
“Jake, i tuoi compagni vengono prima di tutto e devi preoccuparti di loro…”.
“Possono stare all’addestramento anche senza noi due. Sono perfettamente al sicuro. Non hanno bisogno della badante”.
“E invece voglio che uno fra me e te sia presente!” strepitò. “Lo so che i Cullen sono nostri alleati, ma non mi fido né di loro, né soprattutto dei loro amichetti. Tu dovevi stare là a sorvegliare che tutto si svolgesse come previsto”.
“C’era Leah… Erano fin troppo sorvegliati”.
Sam sbuffò e si lasciò cadere su una piccola poltroncina di vimini impolverata. Si passò una mano fra i capelli, visibilmente irritato, poi sospirò. “Jake” iniziò pacato. “Prima o poi tu sarai il capo e devi imparare come ci si comporta. Devi far sentire la tua presenza, fare in modo che si fidino di te e che avvertano che li saprai proteggere. Sanno perfettamente che da solo non ce la faresti contro un branco di vampiri ma è una questione di potere. Se lo avvertono, ti seguiranno in capo al mondo; ma se li abbandoni a se stessi, non si identificheranno mai con la tua figura. Non puoi dimostrargli che tieni più a un vampiro che a loro”.
Parlava con tono severo, ma con una punta di comprensione, da buon padre di famiglia. Sembrava che volesse addestrarmi nell’essere un buon capo, ora, in quel momento. Le tante volte che mi aveva spedito a fare da badante ai campi di addestramento stavano trovando un senso? L’addestramento non era soltanto per gli altri ma anche per me? O forse era soprattutto per me?
“Perché mi stai dicendo questo? Stai per caso pensando di ritirarti?” domandai quasi vacillante nella mia deduzione.
“Non resterò per sempre, Jake. Soprattutto ora che Emily è incinta. Lei ha bisogno di un compagno, di un marito a tempo pieno e io devo ricominciare a invecchiare come tutte le persone normali. Quando mi ritirerò voglio che gli altri siano in buone mani. Tu hai un grande potenziale, sei soltanto troppo irruente. Devi cominciare a dominare i tuoi istinti e sarai un ottimo capo”.
“Ci sarai per la battaglia con i Volturi?”.
“Sì” rispose senza esitazione. “La guerra è cominciata sotto il mio comando e la porterò a termine. Me ne andrò quando sarà tutto finito”.
“Forse dovresti farlo prima…”.
“Perché?”.
“Non sarà una battaglia facile e ci saranno molte perdite, oltre al fatto che non siamo nemmeno sicuri di vincere. Non mi perdonerei mai se tuo figlio crescesse senza un padre…”.
Improvvisamente mi resi conto che molti dei nostri sarebbero morti, che avrei dovuto dire addio ad alcuni di loro e che, fra tutti, Sam era quello che rischiava di più. Aveva una compagna, una famiglia, un figlio in arrivo. Era più giusto che fossi io a rischiare, io che non avevo niente da perdere. Forse Sam non voleva abbandonare perché preoccupato che non fossi all’altezza. Se gli fosse successo qualcosa ed Emily fosse rimasta sola, la colpa sarebbe stata esclusivamente mia. Era ora che crescessi e cominciassi a dare delle priorità reali alla mia vita.
“Se mi dimostrassi più maturo, ti ritireresti?”.
“No, Jake, non dipende da te. E’ mio dovere ultimare questa guerra e ci sarò, anche se non ti nascondo che ogni tanto ho paura. Ma siamo un branco, la nostra forza sta nel gruppo e non sarebbe giusto che mi ritirassi, perché allora dovrebbero farlo tutti. Sono sicuro che alla fine vinceremo. Certo, ci saranno dei caduti, mi auguro di non essere fra loro, anche se nostro compito è prima di tutto consentire ai più giovani di sopravvivere. Joe e gli altri sono dei bambini e pretendo che tornino dalle loro famiglie”.
Non gli avevo mai sentito fare questo tipo di discorsi, forse la prossima paternità lo rendeva più sensibile alla generazione di adolescenti che si erano uniti a noi; o forse il rimorso, mai sopito, per aver abbandonato Seth al suo destino stava tornando a tormentarlo. Comunque fosse, loro dovevano avere la priorità su tutto, Bella compresa. Erano giovani e coinvolti solo per necessità.
Sam si alzò con finto sforzo dalla sedia e si diresse verso l’ampio portone. “Stasera andrò io. Voglio vedere i progressi. Joe mi ha detto che è riuscito a sconfiggere Paul e ha messo in difficoltà Patrick. Sono curioso di vedere il mocciosetto all’opera. Tu puoi restare a casa a studiare…”.
“Ti prometto che le cose cambieranno, Sam. Sarò un buon capo e mi comporterò come tale…” giurai solennemente.
“Ne sono sicuro, Jake. Spero soltanto che ciò accada prima della battaglia finale. Le nuove reclute si identificano molto in te e un tuo comando lo accetterebbero e lo eseguirebbero con maggior fervore…”.
“Soltanto Joe…” convenni.
“Ti sbagli. Non hai ascoltato i loro pensieri a fondo, allora. Sono tutti protesi verso di te e ogni tuo gesto. D’accordo, Joe ha un’adorazione plateale, ma anche gli altri sono dalla tua parte, nonostante i problemi con Rosalie prima e Bella poi. Forse perché, come dice Emily, sono tutto istinto e passione, e per questo preferirebbero essere comandati da te”.
Accennai un sorriso quasi soddisfatto: non mi ero accorto che i ragazzi avessero una predilezione per me. Mi ero troppo perso nelle mie elucubrazioni su Bella e non avevo considerato una parte importante della vita del branco. Si aspettavano tanto e io li ricompensavo sprecando ogni mia energia nella rincorsa di un vampiro. Era davvero giunto il momento che voltassi pagina.
“Domani ho una verifica, ma da dopo domani in poi andrò sempre io agli addestramenti, così se vorrai trascorrere con Emily più tempo, potrai farlo” suggerii.
Sam annuì stancamente e se ne andò.
Rimasi imbambolato per un po’ prima di riprendere a lavorare sulla mia moto. Dovevo cambiare atteggiamento, non ero coinvolto solo io, ma anche tante altre vite. Era ora che mettessi la testa sulle spalle e che mi dessi altre priorità. Avrei sempre amato Bella ma era giunto il momento di collocarla al giusto posto. Aveva scelto un’altra famiglia della quale non facevo parte; a mia volta io avevo un’altra famiglia di cui occuparmi e che aveva bisogno di me. Se fosse tornata sui suoi passi, l’avrei ripresa con gioia, ma ora avevo cose più importanti a cui pensare.
Joe e gli altri amici.

 
 
 
E così finalmente anche Jake sta maturando e comprendendo che c’è qualcosa,
oltre ai suoi sentimenti per Bella, di altrettanto importante. Inoltre come potete vedere ho inserito un altro personaggio nuovo, Joe, che nelle mie intenzioni dovrebbe essere un epigono di Seth: qualcuno che guarda al di là del suo naso, al di là delle differenze fra licantropi e vampiri (infatti la prima cosa che lo contraddistingue dagli altri è la sua cotta per Alice, che non ha paura di nascondere e che sventola anzi ai quattro venti).
Nei prossimi capitoli succederà qualcosa di importante, quindi occhio e continuate a seguire!
Un bacio!

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Capitolo 75
*** Una piccola poesia ***


Ciao a tutte,
come va? Ultimamente siete state più parche di commenti del solito, come mai?
Con il capitolo di oggi ritroviamo Desirèe, nel caso a qualcuna di voi fosse mancata. No, non l’ho resuscitata, se l’avevate sperato per un micro secondo, ma torna grazie dapprima a un sogno, poi a un ricordo di Jacob. E compare per annunciare niente di meno che l’arrivo dell’imprinting… State attente e non perdetevi nemmeno una battuta perché tutto ciò che dirà sarà fondamentale, se ben interpretato.
Un bacio a tutte buona lettura!

 
 
 
Stavo camminando nel bosco. Era primavera e sapevo che tanti fiori stavano per sbocciare, come se sentissi le loro corolle gonfie e desiderose di esplodere in caleidoscopici colori. La natura si stava risvegliando e affondavo lo sguardo in essa, come se la vedessi per la prima volta. Il paesaggio era completamente diverso dal solito. C’erano pochissimi pini e abeti; al loro posto larici, cipressi, salici, che però, con l’incedere dei passi, cominciarono a ridursi fino a farmi ritrovare in un gigantesco e lussureggiante prato.
Non sapevo perché stessi lì e, scrutando ogni angolo, non trovavo niente di familiare in quel posto. Non era la foresta di La Push. Troppo viva, troppo colorata. Camminai lentamente e a lungo, immergendo i piedi nell’erba rigogliosa e bagnata dalla rugiada. Doveva essere l’alba da poco, eppure il sole era caldo, molto più caldo del normale.
Improvvisamente notai due figure davanti a me, entrambe sedute in mezzo all’erba, l’una adulta, l’altra bambina. Una vocina nella mente mi disse di non avvicinarmi ma non la ascoltai. Quando fui a pochi metri da loro, la ragazza alzò il viso verso di me e la riconobbi: Desirèe. Scossi la testa, sconcertato, ma lei mi sorrise, affatto sorpresa della mia comparsa. Mi guardai intorno: dove diavolo ero? In paradiso? Desirèe era…
“Ciao” mi salutò entusiasta.
“Ciao” balbettai, chiedendomi se fosse un fantasma.
“Come stai? Tutto bene?”.
“Sì, e tu? Che ci fai qui?”.
Aggrottò la fronte come se le avessi rivolto una domanda scellerata. “Adoro questo parco e ci vengo spesso…” rispose pensierosa. “Ti aspettavo, sai?”.
“Aspettavi me? Perché?”.
“Avevo voglia di vedere un amico. Lo trovi tanto strano?” ridacchiò, accarezzando i capelli della bambina che, ignara della mia presenza, stava continuando a raccogliere margherite, pur avendone già un mazzetto così grosso che le manine faticavano a contenere.
“Dov’è Seth?” domandai inquieto.
“A casa che ci aspetta. Sono venuta qua perché lei voleva raccogliere i fiori, ma ora rientriamo, vero piccola?” domandò rivolta alla piccina che si alzò e piombò fra le sue braccia, mostrandole i preziosi fiori. Pensai che fosse figlia sua e di Seth, anche se troppo diversa fisicamente da entrambi per esserlo.
Desirèe le scrollò delicatamente le foglie e i petali da dosso e mormorò:“Lui è Jake, un mio amico. Te lo presento” e la fece girare lentamente verso di me.
Doveva avere tre anni circa, i capelli corti e ricci, biondissimi, tanto lucenti da sembrare quasi bianchi; due enormi occhioni blu, un po’ spauriti e allo stesso tempo insolenti; un piccolo cuore al posto delle labbra e un colorito pallido, in netto contrasto con le guance color pesca. Indossava un vestitino rosa a mezze maniche che le copriva le ginocchia e che sfoggiava con la consapevolezza di una nobildonna.
Desirèe mi disse anche come si chiamava ma non ci feci caso. La guardavo e sapevo soltanto che non avrei smesso di farlo.
Mi chinai per osservarla meglio e lei indietreggiò, timida, tra le braccia di Desirèe. Tuttavia non mi tolse mai gli occhi di dosso e in quel momento la odiai. La odiai perché sapevo che mi avrebbe strappato a Bella, perché era colei che cercavo, perché l’avrei amata molto più di lei e della mia vita, e non volevo che accadesse. Avrei voluto picchiarla, distruggerla, nasconderla per sempre al mio sguardo, anche se non avrei mai smesso di cercarla.
Alzai un braccio con l’intenzione di colpirla e invece allungai la mano. Nonostante lo sgomento, la bambina mi sfiorò le dita con le sue. Erano calde e morbide. Mi strinse un dito usando la sua mano per intero, poi sorrise. Non volevo, eppure le restituii il sorriso.
“Le piaci…” mi disse Desirèe e io ne fui, mio malgrado, molto felice.
“E’ tua figlia?”.
“No, ma è come se lo fosse. Dovrai averne molta cura, e so che lo farai” sussurrò quasi in un gemito. Le diede un bacio sulla guancia come se si apprestasse a salutarla.
“Perché? Che succede?” domandai quasi febbrilmente.
“Lei sarà la tua piccola poesia e dovrai difenderla, se mi dovesse accadere qualcosa. Non dovrai mai lasciarla sola”.
La bambina distolse la sua attenzione da me per rivolgerla a Desirèe, come se intuisse il possibile distacco, e la abbracciò forte. Avrei voluto porre altre domande alle quali sapevo non avrebbe risposto. Quell’abbraccio non parve avere mai fine poi la bambina si allontanò, con dolore. Sapeva che doveva venire con me, e io, pur odiandola, desideravo che lo facesse.
Appoggiò la guancia sulla mia spalla e la presi in braccio. Fu una sensazione strana, mai provata. Il suo vestitino profumava di violette e gli occhi sembravano un quieto oceano, nel quale ero al riparo dalle tempeste. Il cuore accelerò con un balzo improvviso, vittima di sensazioni contrastanti: era collera e al contempo calma; sofferenza e appagamento; desiderio ingordo di vagare e restare per sempre lì, con quella bambina in braccio. Mi sfiorò il viso ed ebbi l’ingenua consapevolezza che non avrei permesso a nessuno di toccarla. Non l’avrei fatto per Desirèe o per me, ma soltanto per lei.
Spalancai gli occhi e ritrovai il soffitto color crema della mia camera. Sospirai e controllai la sveglia. Erano quasi le sette: ora di alzarsi per andare a scuola. Andai in bagno, mi sciacquai il viso e guardai allo specchio a lungo, con un senso di oppressione sul petto.
Era stato tutto un sogno: la bambina, Desirèe, il parco e quella sensazione di tranquillità, tanto simile a quella che percepivo in Sam, Paul, Quil quando pensavano al loro imprinting. Quando l’avevo tenuta in braccio, avevo trovato quel gesto estremamente naturale quasi scontato; e la bambina sembrava avere intuito i miei sentimenti, che, a modo suo, ricambiava. No, stavo esagerando. Stavo dipingendo una caricatura di tutta la situazione. Mi passai una mano fra i capelli e decisi che nonostante la vaga inquietudine, l’avrei trattato come uno degli altri sogni: accantonato e dimenticato.
Ma ignoravo che non sarebbe stato così. Quel sogno lasciò una piccola e indelebile impronta per tutta la giornata a venire. Che diavolo immaginavo? Di avere avuto l’imprinting? E anche fosse, chi era la bambina? Non la conoscevo, non l’avevo mai vista. E poi che cosa c’entrava con Desirèe? Era sabato e a scuola non c’era niente di particolare. Potevo vagare con la mente senza timore di perdere qualche lezione utile per il diploma.
Economia, Latino, Storia. Passarono tutte senza che prestassi loro attenzione. Soltanto quel sogno. Archiviata la follia di avere avuto l’imprinting con un parto della mia fantasia, mi domandavo: perché sognare Desirèe dopo tanto tempo? Sì, ogni tanto la mente virava verso di lei e soprattutto verso Seth. Mi chiedevo se sarebbero stati ancora vivi se gli fossi stato più vicino, se tutti noi gli fossimo stati più vicini. Erano domande che avevano assillato anche Sam. Cercava di non far trapelare la sua angoscia e il suo senso di colpa nei confronti di Seth, ma riuscivo ugualmente a percepirli. E li sentivo indebolire la sua autorità perché temeva che un’altra sconsideratezza potesse portare alla perdita di qualcun altro di noi e allora si chiedeva se fosse un capo altruista e corretto. Questi erano gli unici momenti in cui lo sentivo vacillare.
Per quanto riguardava me, un pensiero quotidiano a Seth lo facevo sempre e stanotte Desirèe era tornata da me per ricordarmi quanto fosse stata istintiva la nostra amicizia. Era un ragazzina simpatica, un po’ sfrontata, oltre a essere molto bella, ma realmente una perla in questo mondo di ciottoli. Ricordavo che avevamo parlato approfonditamente quando eravamo usciti da casa di Bella, dove Seth l’aveva lasciata tutta la notte. Desirèe era triste perché non avrebbe più rivisto sua madre e soprattutto per la litigata che aveva visto protagonisti me, Seth e il pinguino. Accidenti, se Bella non si fosse messa in mezzo, avrei potuto ammazzarlo! E invece, come al solito, avevamo dovuto rimandare.
Nonostante tutto quello a cui aveva assistito, Desirèe non ce l’aveva con Edward e gli altri Cullen. Capiva perché le avessero voltato le spalle e li giustificava, mentre per me era inqualificabile, anche se il resto del branco non stava facendo una figura migliore. Sam se ne era lavato le mani e aveva lasciato libero Seth di comportarsi come meglio credeva, ma di non aspettarsi aiuto da parte degli altri. All’inizio avevo appoggiato la sua decisione, poi mi ero chiesto:“Se ci fossi io al posto suo, che farei? Lui mi avrebbe aiutato a difendere Bella?”. Sì, Seth lo aveva già fatto in occasione dell’attacco di Victoria ed era giusto che facessi altrettanto. Per questo mi ero schierato con loro, e dopo quel pomeriggio in compagnia di Desirèe mi ero convinto che la mia scelta fosse stata giusta. Desirèe andava preservata ad ogni costo, come un animale in via di estinzione.
Seth le aveva trovato un posto in cui dormire in un vecchio cottage ereditato dalla sua famiglia, ai margini della foresta, esattamente dalla parte opposta a Forks. Inizialmente aveva deciso di tenermi all’oscuro per evitare che i Cullen sapessero dove si trovava: dopo la sortita di Edward a casa di Bella, temeva che avrebbe fatto di tutto per riconsegnarla a Tanya o, peggio, ai Volturi. Non mi sentivo di dargli torto e per questo non avevo insistito. Me l’aveva rivelato soltanto il giorno del compleanno di Bella. Stavo tornando dai festeggiamenti dai Cullen quando me lo ero trovato sotto casa. Voleva che Desirèe avesse qualche amico in questo momento difficile e soprattutto voleva dimostrarmi che si fidava di me. Mi accompagnò al cottage, dove trovai una Desirèe cordiale, gentile e positiva. Sembrava che non si accorgesse che stava rischiando la vita: non capivo se lo facesse per noi o per se stessa. Il risultato fu una contagiosa baldoria a tre.
Il giorno dopo ritornai da lei e la trovai sola. Seth era andato a fare la spesa per buttare qualcosa nello stomaco. Le camere erano soltanto due, se si escludeva il bagno. La stanza da letto e un bel soggiorno con angolo cottura. Era seduta sul minuscolo divano ingrigito e logorato da tanti anni sotto la polvere. Il rosso cremisi della tappezzeria era diventato un bordeaux spento e i cuscini duri e ruvidi. Desy, come avevo cominciato a chiamarla, stava sfogliando una rivista quando entrai. Fece un piccolo salto per la gioia, mi abbracciò e mi trascinò sul divano accanto a lei. Leah era appena andata via e Desy non pensava che avrebbe avuto così tanti amici in un periodo maledetto come quello. Le feci coraggio e riuscii anche a farla ridere. Parlammo di Seth, della vita che voleva, di sua madre, della paura di invecchiare troppo velocemente rispetto a lui, ma sorridendo, sussurrò:“In ogni caso, non importa. Anche se è soltanto per pochi giorni, sarà sufficiente. Quello che mi sta regalando il destino, vale un’eternità”.
Gli occhi le brillarono talmente da rendere ogni lugubre particolare, quasi allegro, oltre a pormi la domanda: l’amore vale il prezzo di una vita? Non sapevo dare una risposta precisa, Desirèe sì. Abbassai il capo perché non volevo che leggesse quella sottile vena di invidia che stavo cercando di nascondere.
“Non devi essere invidioso…” mormorò, appoggiando la mano sulla mia.
Alzai gli occhi al cielo: l’aveva fatto di nuovo? Mi aveva letto nel cuore? Già, perché mi aveva rivelato il suo piccolo segreto, ma si affrettò a smentire di averlo usato in quell’occasione e mi sentii ancora più stupido perché non riuscivo a nascondere le mie emozioni a una persona che conoscevo appena.
Il suo viso si fece serio, quasi spossato. “Bella è una ragazza magnifica e capisco che tu sia tanto innamorato di lei. Lo merita. Come tu meriteresti lei” disse, la voce come una brezza. “Però c’è Edward e anche lui è un bravo ragazzo e non si meriterebbe di soffrire”.
“Quindi è meglio che soffra io, giusto? Tanto ci sono abituato” bofonchiai sarcastico.
“No, non intendevo dire questo. Nessuno dovrebbe soffrire. Nemmeno Bella lo vorrebbe ma non è facile… Non può scegliere, Jake”.
“Lo so” la interruppi. “Non ho più intenzione di sbatterci la testa contro. Mi sto guardando intorno perché lei ha deciso di ignorare i suoi sentimenti. Non è giusto, ma non posso farci niente”.
“Forse le cose potrebbero andare diversamente, ma non dipende da noi…” mormorò quasi a se stessa.
“Che intendi dire?”.
“Tu credi nel destino?”.
Scossi la testa, scettico. “In realtà, non lo so. A volte credo di sì, altre volte no. Quando è morta mia madre, ad esempio, ho pensato che fosse destino ma ora a distanza di quattro anni, credo che si sia trattato soltanto di un caso”.
“Io invece ci credo” sussurrò con intensità. “I vampiri non possono avere figli, eppure io sono figlia di uno di loro. Mio padre era una creatura rarissima, senza dubbio. Quante possibilità c’erano che un essere umano sopravvivesse a un rapporto sessuale con un vampiro? Eppure è accaduto. Gli abitanti del mio villaggio volevano uccidermi e invece sono arrivate la mamma e zia Kate a salvarmi. Ancora: quante possibilità c’erano? Sono vissuta serena per sette anni e poi un giorno, arriva l’invito di Carlisle al matrimonio di suo figlio con un’umana. Altro evento altrettanto eccezionale. Sarei dovuta restare in albergo quel pomeriggio e invece mi annoiavo talmente tanto che sono uscita, mentre mamma era dai Cullen. E in quell’occasione ho conosciuto Seth. Tutte coincidenze? No, non credo. Il destino è stato molto buono con me e io ho percorso la strada che lui ha tracciato. Magari un giorno si riprenderà quello che mi ha concesso, ma intanto sono felice”.
“Riconosco che la tua vita è stata costellata da una serie di eventi da te non controllabili, ma questo non vuol dire che il destino esista”.
“Però tu credi che per te e Bella sia destino…” commentò, gonfiando le guance in un cauto sorriso.
“Bella ed io siamo anime gemelle. Ci apparteniamo e prima o poi lo capirà anche lei” sentenziai con convinzione.
Desirèe indugiò su ogni lineamento del mio viso come se mi stesse scrutando dentro.
“Se credi che sia destino, perché non è il tuo imprinting?” domandò sottile e letale come un coltello.
Quella fu la prima volta in cui realizzai che Bella non era il mio imprinting. Non mi ero mai posto il problema perché sapevo, come ora, che nessun sentimento avrebbe potuto essere più profondo del mio amore per lei. Eppure non era la “splendida” magia. Non importava se per gli altri, Desirèe compresa, fosse soltanto amore umano; non sarebbe mai esistito qualcosa di più forte. Avrei potuto avere altre ragazze, ma non avrei mai amato nessuna quanto lei.
Dallo sguardo scettico di Desy intuii che stava contestando le mie deduzioni, che avrebbe elevato l’imprinting al di sopra del mio scarno sentimento d’amore. La sua opposizione mi innervosì. Mi alzai dal divano e andai a guardare fuori dalla finestra. Il panorama non era dei più vari. Alberi, alberi e ancora alberi. Se mi dovevo distrarre da ciò che cercava di inculcarmi in testa, scrutare la vegetazione non era la soluzione migliore.
“L’imprinting è soltanto un accoppiamento. Non c’è niente di romantico, né di predestinato…” non riuscii a trattenermi dal commentare.
“Se è così, perché accade solo tra certe persone? Sam avrebbe potuto restare con Leah, tanto lei è perfettamente in grado di avere figli. E poi perché Seth ha scelto me?”.
“Non lo so” dovetti ammettere. Purtroppo non c’era una risposta logica, ma non volevo credere che Bella ed io non fossimo anime gemelle.
“L’imprinting va al di là di due anime gemelle” continuò Desirèe, come se mi avesse letto nel pensiero. “Non è soltanto la scelta di una buona madre per i tuoi figli. E’ molto di più. E’ un’anima sola che ritrova se stessa negli occhi di un’altra persona. Per questo Bella non è il tuo imprinting: per quanto perfetti insieme, lei non è la tua metà”.
“E tu cosa ne sai?” sbottai, quasi pronto a lasciarmi trascinare dalla rabbia. “Fai anche il gioco delle coppie ora? A quanto ne so, leggi soltanto in questo maledettissimo cuore. E dovresti sapere che anche lei…”.
“Lo so” mi interruppe gelida, poi abbassò lo sguardo e ammorbidì la voce, rendendola molto simile a una melodia. “E forse un giorno, se gli eventi lo consentiranno, potrebbe davvero scegliere te. Ma quello che mi chiedo è: sarebbe la decisione più giusta? Per te, per Bella, per Edward…”.
“Per il pinguino no di sicuro, ma se si ammazzasse, mi farebbe solo un piacere…” mugugnai.
“Edward la ama più di te e si merita la felicità. E l’avrà con Bella, esattamente come tu l’avrai con qualcun’altra” sentenziò con un’arroganza che mi suscitò l’impulso di sbranarla. Come si permetteva di dare giudizi? Di dire che io la amavo di meno? Non riuscivo a crederci. Senza dirle niente, mi diressi verso la porta.
“Jake” mi richiamò sofferente. “Anche tu avrai la tua piccola poesia. Devi solo aspettare: il destino sceglierà la ragazza migliore per te”.
Stavo per risponderle a tono quando Seth entrò in casa con due sacchetti del più grande supermercato di Forks. Desirèe abbandonò la nostra discussione per correre fra le sue braccia. Seth le mostrò cosa aveva comperato e iniziò a mettere in ordine gli acquisti nella dispensa. Rimasi in piedi indeciso, combattuto fra il desiderio di andarmene e quello di restare. Ero arrabbiato con Desirèe ma non volevo che ci separassimo con un litigio. Sapevo che si sentiva sola e non volevo che pensasse di esserlo. Tuttavia era come se mi si fosse paralizzata la lingua. Non riuscivo nemmeno a guardarla in faccia. E Seth se ne accorse.
“Cosa succede? Avete litigato?” chiese, fissando alternativamente prima lei e poi me.
“Credo di avere detto cose che avrei fatto meglio a tenere per me. In fondo non sono una preveggente e non posso sapere come si evolveranno le situazioni. Magari potrebbe capitare qualcosa che sconvolgerà le carte in tavola e allora, Jake, non esitare a fare ciò che credi meglio…” affermò rassicurante. La fissai e mi parve di intravedere un messaggio cifrato in quelle parole. Forse lei sapeva qualcosa che io ignoravo? Una falla nel rapporto Bella - Edward? Oppure ero semplicemente io che volevo illudermi per l’ennesima volta? Ad ogni modo, mi stava facendo le sue scuse e le accettai con un sorriso stiracchiato.
“A proposito di eventi incontrollabili” interloquì Seth, sistemando con noncuranza lo zucchero nel barattolo di vetro apposito. “Sai chi ho incontrato all’uscita dal supermercato? Rosalie”.
“Davvero? E come sta?” domandò entusiasta.
“Benone. Mi ha chiesto di te e voleva anche venire a trovarti. Ovviamente le ho detto di no, però sembrava preoccupata”.
“Certo che lo era. Zia Rose mi vuole bene” affermò orgogliosa, mentre io sbuffai rumorosamente.
“Quella vuole bene solo a se stessa” bofonchiai.
“Non è affatto vero! E’ solo che non la conosci. Se fosse così, cambieresti idea, sono sicura” commentò irritata.
Non sapevo perché Desirèe stravedesse per quell’arpia bionda. Secondo me, era incapace di ogni gesto di affetto, oltre a essere stupida. Avevamo già parlato di lei il pomeriggio, tornati da casa di Bella, e Desirèe mi aveva intrattenuto sulle sue doti, molto nascoste, secondo me, e avevo concluso che delirava. Non la conosceva nemmeno e fantasticava su quanto avrebbe voluto esserle vicina in questo momento. Mi aveva anche fatto riportare quella frase, quando ero andato dai Cullen per il compleanno di Bella, che pareva uno scioglilingua e che, ero sicuro, non aveva capito neanche la destinataria del messaggio. Questo a giustificazione di quanto la bionda fosse intelligente.
“Mi piacerebbe tanto rivederla, come mi piacerebbe rivedere Bella, anche se l’ho messa nei pasticci”.
“Le rivedrai, appena riusciremo a sistemare questa faccenda, amore mio” la rassicurò Seth, con un caldo abbraccio.
“La zia ha bisogno di me…” mormorò più rivolta a se stessa che a noi due.
A quel punto, sentendomi di troppo, decisi di togliere il disturbo. Li salutai entrambi con un cenno veloce e infilai la porta.
“Non tutto quello che non vuoi ricordare, lo puoi dimenticare” mi disse Desirèe, calma e serafica. “Non lasciarlo sepolto, Jake. Fai in modo che esca”.
Era un’altra filastrocca, per caso? Mi imposi di non farci troppo caso e li lasciai per tornarmene a casa.
Chissà perché questo episodio mi tornava in mente proprio ora. Forse perché nel sogno Desirèe aveva definito “piccola poesia” la bambina che stava con lei? Se fosse stato così, Desirèe stessa mi avrebbe suggerito che quella bambina era il mio imprinting. Che stupidaggine! Eppure… Non sapevo cosa pensare.
Ci rimuginai sopra l’intero pomeriggio e alla fine mi convinsi che si fosse trattato banalmente di una coincidenza. Niente altro.
Quella sera avevo l’orribile compleanno a cui avevo promesso di partecipare con Rachel. L’unica cosa che mi rinfrancava era che il giorno dopo sarei andato con Rosalie alla fiera di Seattle. Questo era di gran lunga superiore a qualsiasi strampalata festa. Lo interpretai come: prima il dovere, poi il piacere, e ci andai.
Quando misi piede in quella casa apparvi da subito un cane bastonato, mentre Rachel non faceva altro che parlottare con la sua amica Elizabeth, senza coinvolgermi. Ovviamente l’intento era proprio questo: mettermi in disparte in modo tale da farmi cercare compagnia fra gli altri partecipanti. L’unica cosa che fecero fu presentarmi Sophie.
Quando la vidi farsi largo fra gli invitati, notai i capelli a caschetto biondi e gli occhi azzurri: la fissai a lungo prima di stringerle la mano e dovette trovare il mio sguardo piuttosto indiscreto in quanto arrossì. Era carina, davvero carina e per alcuni interminabili istanti pensai che in qualche maniera fosse collegata al sogno: purtroppo dovetti ricredermi. Non aveva niente di quella bambina, assolutamente niente, nemmeno la sfrontataggine, perché a cena mi obbligarono a sedermi vicino a lei e Sophie non spiaccicò parola nei miei confronti fino a che non fui io a rompere il silenzio. Non era una cattiva interlocutrice, soltanto timida, ma non destava in me alcun tipo di sensazione ed ero sicuro che se fosse stata quella bambina, di emozioni ne avrei sentite parecchie.
Mentre pensavo questo, avrei voluto sbattere la testa contro il muro per inculcargli un po’ di sale. Stavo pensando che quella bambina esistesse davvero e che in un modo o nell’altro si trovasse, adulta, in qualche ragazza della città?! Cielo, avevo bisogno di un buon psichiatra! Avevo deciso che era stato solo un sogno e ora mi ritrovavo a cercare fra degli sconosciuti quella maledetta mocciosa, che io per primo avrei voluto uccidere. Ero decisamente sotto stress!
La serata trascorse piacevolmente perché, a parte l’esordio, una volta terminata la cena, mi ritrovai a parlare con parecchie ragazze. I maschi non mi guardavano amichevolmente, ma in virtù della mia stazza non avrebbero sicuramente attaccato rogne, mentre invece le ospiti, festeggiata compresa, sembravano pendere letteralmente dalle mie labbra. Posto che avevo capito quasi subito che non ce n’era nessuna che potesse in qualsimodo interessarmi, ero soddisfatto per il semplice fatto di non aver perso la mia esuberanza e di saper ancora chiacchierare.
A conclusione della serata, pure Rachel se ne andò molto più che soddisfatta. Racimolai ben sette numeri di telefono che buttai nel primo cassonetto disponibile, ma almeno non ero completamente rammollito. Era già una consolazione!
Quando mi gettai a letto, sperai, senza una reale motivazione, di sognare di nuovo la bambina, ma non fui accontentato. Non successe nemmeno nelle sere successive e forse fu una benedizione. Dovetti aspettare un bel po’ prima che facesse nuovamente capolino e nel frattempo la mia vita andò avanti, tra alti e bassi.
Per il giorno dopo mi ero organizzato con Rosalie per andare a Seattle. Ero di ottimo umore e lo adducevo sia all’insperato successo personale della sera precedente, sia perché lei aveva un’indubbia influenza positiva. Stavo per uscire quando Joe piombò in casa, dicendo che aveva litigato con i suoi genitori e che, dopo che lui e Sam avevano raccontato la verità sul branco e sul loro bambino, voleva sfogarsi con me. Peccato che io non avessi alcuna intenzione di stare ad ascoltare i suoi piagnistei, oltre al fatto che mi avrebbe fatto arrivare in ritardo.
Quando seppe dove andavo, ovviamente si autoinvitò, disinteressandosi che si sarebbe trovato con Rosalie. Io non ero affatto convinto di volerlo fra i piedi, ma mi ero anche ripromesso che sarei stato un buon capo da quel giorno in avanti. Essere conciliante con questo piantagrane poteva essere un buon inizio. E così me lo portai dietro. Rose non fu altrettanto contenta e non fece niente per nasconderlo.
Partimmo con la sua macchina e durante il tragitto non pronunciò una sola sillaba, limitandosi a guidare. Anche Joe, stranamente, si sentiva un po’ a disagio e parlava a monosillabi. In breve, mi chiesi come avevo fatto a rovinare una giornata perfetta.
Per fortuna, a Seattle, tutto mutò. Non so se furono le auto, l’ambiente con tanta gente, gli interessi comuni, ma Joe ritrovò la parola e, constatando che Rosalie ne sapeva più di lui e che non era la classica ragazza piombata per caso nel mondo dei motori, la coinvolse in parecchie discussioni. Dapprima riluttante, anche lei si lasciò andare. E la giornata trascorse meglio delle mie più ottimistiche aspettative. Quando tornammo a casa, Joe e Rosalie non rimasero zitti un attimo in macchina e sembravo diventato io il terzo incomodo. Pensai che il parere del piccolo del branco sarebbe cambiato da quel giorno in poi ed effettivamente non ebbi torto.
I giorni successivi non fece altro che decantarmi le doti di Rose e quanto si sarebbe divertito a fare altre gite come quella. Anch’io avrei voluto ma dubitavo che lei avrebbe potuto farne un’altra a breve: Emmett non doveva aver preso molto bene la nostra uscita. Anzi probabilmente avevano anche litigato in proposito visto che, persino durante gli addestramenti, non li vidi rivolgersi la parola. Però Rose veniva sempre a scambiare quattro chiacchiere con me, e da quel giorno, anche con Joe.
Passarono un paio di settimane e poi fu lei a chiedermi di accompagnarla in officina per scegliere lo scarico nuovo da montare sulla sua Mercedes cabrio. E da quel momento cominciò una sorta di frequentazione che non aveva nessun altro fine a parte quello di rasserenare me e staccare un po’ la mente dai Volturi. Ci vedevamo una volta a settimana quando ero fortunato e per un paio di ore al massimo: questo era il patto che aveva stretto con Emmett. Non voleva rinunciare a suo marito ma nemmeno alla nostra amicizia, anche se io avevo una brutta sensazione in merito. Non gliene avevo mai parlato ma avevo notato che Eva era perennemente attaccata a lui. Si limitavano a parlare, mai un gesto o un movimento fuori posto, ma le sue intenzioni erano molto più che plateali: conquistare Emmett. Non capivo cosa ci trovasse in lui, però aveva fatto la sua scelta, e poco importava che fosse già impegnato. Senti da che pulpito!!! Trovavo strano che Rose non si fosse accorta di niente; o forse se ne era accorta, visto che anche lei stava più spesso con le sorelle Denali ed Alice che con lui. Quando le chiedevo se andava tutto bene, mi esponeva sempre il solito affabile sorriso, condito da “Tutto ok”. Forse stavano solo giocando a chi faceva ingelosire di più l’altro, anche se la montagna di muscoli non mi sembrava proprio il tipo.
Insomma, qualsiasi cosa fosse in corso, l’importante era che Rose continuasse a parlarmi. Qualunque tipo di giochetto avessero stabilito, non mi doveva interessare, soprattutto se riusciva a farmi avere ingiustificabili vantaggi. Stavo bene. Mi sentivo leggero. Quando eravamo tutti e tre insieme, difficilmente parlavamo di argomenti seri, anzi quelli erano banditi. Parola d’ordine: fesserie. Solo quando ci ritrovavamo soli, Rosalie ed io, affrontavamo l’argomento Bella della quale Rose era ormai l’indiscussa guastatrice. Nessuno poteva riderne e contemporaneamente darle il giusto peso come lei. A volte riusciva persino a coinvolgere me nelle sue battute ed era molto di più di ciò che osassi sperare.
Oltre a questo, mi ero seriamente deciso a diventare un buon capo e perciò avevo dato la completa disponibilità ad andare agli addestramenti ogni sera. Le uniche volte in cui mi esentavo era quando il giorno dopo avevo una verifica. Sam aveva compreso le mie motivazioni e ne era soddisfatto, sia perché in questo modo poteva passare più tempo con Emily, sia perché era realmente preoccupato di lasciare i suoi compagni in mani sicure, dopo la sua abdicazione. Così veniva soltanto una volta ogni quindici giorni a constatare gli effettivi progressi, che, dovevo ammetterlo, erano stati parecchi. Patrick era davvero in gamba e così pure alcuni dei nuovi entrati. Erano riusciti perfino a battere gli amichetti dei Cullen; però non a battere me.
Avevo smesso di fare la bella statuina e spesso mi prestavo a combattere a turno contro uno di loro per insegnargli qualche piccolo trucchetto, che però nessuno aveva saputo utilizzare contro di me e quindi battermi. E ripensandoci meglio, nemmeno uno degli altri vampiri. Ogni tanto quasi mi convincevo di essere invincibile quando la voce di Sam mi richiamava alla moderazione e alla modestia. Avevo combattuto anche contro Joe, per placare il suo desiderio di rivincita ma, come gli altri, aveva perso ed ero riuscito a tenerlo alla larga dai vampiri. Sam sapeva che volevo tentare di estrometterlo, ma giudicava il piccolo molto dotato, sia per velocità di movimenti che di apprendimento. Era sicuro che con qualche altro mese sarebbe stato perfetto. Purtroppo non avevamo mesi davanti e volevo che si ritirasse. Ma era testardo come un mulo e per quanto gliele suonassi, non voleva proprio mollare. Una sera Rosalie si avvicinò a noi e rivolta a Joe, propose:“Ti va di combattere contro di me, mocciosetto?”.
Lui non aspettava altro, anche se io mi opposi. Il risultato fu che Rose mi sollevò per la collottola, a tradimento, e mi sbatté contro un albero. Non mi feci niente ma il messaggio arrivò forte e chiaro: era giunto il momento che anche Joe imparasse. Reclinai il capo, rassegnato, e assistetti al loro scontro. Anzi mi ritrovai a fare il tifo per Joe, ma alla fine, come previsto, perse. Rosalie non si trattenne, sfoggiò persino gli infidi trucchetti tipici dei vampiri e gli spezzò una gamba. La lezione fu dura, lo studente non si demotivò affatto, tutt’altro; e io capii che l’intento di Rose era stato raggiunto. Ormai mancava poco meno di un mese allo scontro e avevamo bisogno di ogni genere di aiuto, Joe compreso, e proprio lui non poteva essere il punto debole della nostra armata. Tanto valeva addestrarlo seriamente.
Gli addestramenti erano diventati, dapprima odiosi, la mia fonte primaria di gratificazione. Mi piaceva addestrare le giovani reclute e loro, come preannunciato da Sam, sembrava ne fossero entusiasti. Il loro entusiasmo si riversava anche sulla vecchia guardia che si rivolgeva a me per ogni inconveniente o consiglio banale, persino in presenza di Sam. Mi allenavo a rivestire il ruolo di capo a tutti gli effetti, anche se, non avevo dubbi, sarebbe stato Sam a guidarci in battaglia. La nostra armonia era dovuta al fatto che, nonostante Bella, la mia priorità fosse evoluta nella salvezza del branco. Sì, lo ammetto, ogni tanto la guardavo durante i combattimenti e speravo che mi rivolgesse uno sguardo, ma questo non privava i miei compagni delle necessarie attenzioni. Viceversa loro ormai si erano rassegnati al fatto che fossi innamorato di una di loro e che la mia migliore amica fosse un vampiro. Non approvavano però avevano optato per una posizione di innocua rassegnazione. Conoscevo i loro pensieri: Rose non era più un pericolo e Bella, ormai completamente devota a Edward, non sarebbe ritornata sui suoi passi. Quindi, secondo loro, i miei sentimenti erano destinati a esaurirsi.
Avevano ragione. Io per primo lo sapevo, ma, nonostante il finto disinteresse, la amavo. Quando arrivavo agli addestramenti, Bella correva sempre per prima a salutarmi poi, dopo il consueto abbraccio, tornava dal suo pezzo di marmo. Raramente si prendeva una pausa fra un combattimento e l’altro e quando accadeva, mi sorrideva, pur restando mano nella mano con lui. Ormai mi stavo abituando lentamente. L’abitudine era talmente consolidata che non sentivo quasi più dolore. Pugnalate continue alla fine ti privano delle sensazioni, anche se continui a soffrire. Non era imprinting, ma ci andava molto vicino. E una volta mi ero ritrovato a fantasticare che la bambina bionda del sogno fosse Bella. Desirèe aveva mostrato una predilezione per lei e il mio sogno era frutto di manciate di aspirazioni. O forse no. In realtà era solo un delirio.
“Come stai, Jake?” mi domandò Emily, un giorno in cui era venuta a trovare mia sorella. Rachel non era ancora rientrata dal lavoro e io ero rimasto a farle compagnia, in sua attesa. Ormai aveva una bel pancione e, nonostante fosse completamente sformata, dovevo ammettere che il suo fascino era rimasto immutato. Razionalmente non capii il perché, eppure era talmente radiosa da illuminare il salotto.
“Intendo dire per Bella…” chiarì, visto che non aveva ottenuto risposta.
“Mi sto rassegnando…” borbottai. “Le cose sono andate così”.
“Non c’è speranza che riacquisti la memoria, vero?”.
Scrollai le spalle. “Ormai sono passati quattro mesi, Emily. E’ inutile farsi illusioni. Credo che sia soltanto ora di chiudere definitivamente la porta e andare avanti”.
“Vuoi farlo davvero?”.
“Quando si tocca il fondo, si vuole solo risalire. E io con lei, l’ho fatto. Non voglio più farmi del male. Sto riprendendo a guardarmi attorno. Con calma e senza fretta” commentai poco convinto.
Emily colse la mia incertezza e non ne sembrò sbalordita. “Non devi trovare una sostituta, l’importante è che riprendi una vita da ragazzo della tua età, poi il resto verrà da sé” mi rassicurò come una premurosa sorella maggiore. “Rachel mi ha detto che studi parecchio e quelle poche volte che esci, lo fai con Rosalie e Joe”.
“Beh, ho il diploma tra poco e devo ottenerlo assolutamente, così potrò finalmente lavorare” mi affrettai a chiarire come se mi sentissi in colpa. Studiare è un peccato mortale? “Per quanto riguarda Rosalie e Joe esco con loro perché mi fanno sentire meglio. Joe è completamente matto e Rose è l’amica perfetta. So che Sam disapprova, ma per il momento mi sento di fare così. Per di più gli altri, a parte Brady, hanno tutti la ragazza, quindi il poco tempo a disposizione lo dedicano a loro”.
“E quelli nuovi? Non hanno la compagna”.
“Sono troppo giovani, per me, anche se di fatto c’è poca differenza di età” ridacchiai, ben sapendo che stavo dicendo una stupidaggine visto che Joe era il più giovane e aveva solo quattordici anni.
Emily colse la mia contraddizione ma non protestò. Strinse le labbra in un gesto di inquietudine, poi continuò:“Sam non disapprova. Non voleva un vampiro accanto a te, tutto qui. Però se l’unico modo per avere un buon capo è la tua amicizia con una di loro, ben venga!”.
“Te lo ha detto lui?”.
“Non con queste parole. Sai, lui è un po’ ermetico” sorrise, mostrando i denti bianchissimi. “Però so interpretare bene ormai. Mi ha detto che sei cambiato, sei molto migliorato in queste ultime settimane e sinceramente non lo credeva possibile. Sei più equilibrato e questo è ciò che conta. Anche Rachel me l’ha confermato”.
E così scoprii, senza sorprese, che ero tenuto sotto stretto controllo da tutti i membri della mia famiglia, biologica e acquisita. Mi fece piacere sapere che c’erano persone che mi volevano bene, anche se essere sorvegliato come un bambino era stato spesso motivo di scontro in passato.
“Senti, riguardo a Rosalie, non credi che…” iniziò ma dovette interrompersi perché mia sorella fece il suo ingresso in casa, imprecando contro il traffico di Port Angeles. Vedendo Emily, corse subito da lei, rapendola con mille domande sul nascituro. Già, perché l’ecografia aveva rivelato che sarebbe stato un maschio. Nome già scelto: Ethan Seth. Il primo era il nome del padre di Sam e il secondo, beh, l’adorato cuginetto di Emily. Mi allontanai per andare a studiare: tanto avrebbero parlato di pannolini, corredi e via dicendo. Tutti argomenti poco interessanti per me. Inoltre il giorno dopo avevo un esame orale sulla guerra di secessione. E, a parte Via col vento, non ne sapevo granché! Proprio in virtù di questo sgradevole impegno, avevo dovuto comunicare a Sam la mia indisponibilità per gli addestramenti di quella sera. Non sembrò seccato e non fece problemi in merito. Eravamo a metà aprile e il diploma incalzava.
Forse fu la paura di fare scena muta, l’argomento che tutto sommato non era particolarmente difficile oppure semplicemente l’ansia di togliermelo di torno, ma poco prima di cena avevo concluso e ricordavo tutto quasi perfettamente. Avrei quasi potuto andare all’addestramento, pur convinto che fosse giusto lasciare a Sam la ribalta. Ultimamente non si era fatto vedere molto e quando c’eravamo entrambi, i ragazzi tendevano a chiedere consiglio a me su come procedere nelle simulazioni. Sam non mostrava alcuno sdegno, però era ancora il capo e io il vice. Se fossi stato al suo posto, mi sarebbe seccato. Decisi di restare a casa. Mi spaparanzai davanti alla tv, saltellando da un canale all’altro. Purtroppo non c’era proprio niente che potesse distrarmi. Mi ritrovai a pensare a Bella. Il giorno prima non mi aveva nemmeno salutato tanto era stata presa dagli addestramenti, che stavano portando buoni frutti. A volte riusciva a vincere contro il suo avversario, altre volte no, però la cosa fondamentale era che riuscisse a dominare il suo potere e quello degli altri. Aveva sperimentato contro tutti quanti i vampiri dotati di particolarità e nessuno era riuscito a uscirne indenne. Sam e Carlisle erano molto più che soddisfatti: combattere e contemporaneamente mantenere la calma per incanalare a dovere le proprie energie psichiche era un grosso compito che ormai aveva imparato. Adesso i due capi si erano posti l’ennesimo traguardo da superare: non bloccare i poteri di tutti ma soltanto quelli di Jane e Alec. Sì, perché le doti dei nostri alleati, soprattutto quelle di Edward ed Alice, dovevano funzionare. Quindi questa era la parte più difficile da affrontare. Ero sicuro, tuttavia, che ce l’avrebbe fatta. La mia Bella era straordinaria, forse davvero nata per essere un vampiro. Questa deduzione fu una beffa, quasi a voler dar ragione a tutti quelli che dicevano che era destino che avesse scelto Edward. Beh, l’importante era che ci salvasse, poi avrei tentato di farmene una ragione!


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Capitolo 76
*** Legami ***


Erano poco più delle nove quando decisi che mi annoiavo troppo e volevo andare a vedere cosa combinavano i ragazzi. Mi sarei tenuto in disparte così Sam non avrebbe avuto niente da obbiettare e mi sarei limitato a osservare Bella, come un fortunato spettatore. Uscii di casa e mi incamminai nel bosco. Non avevo alcuna fretta di trasformarmi, anzi se fossi apparso in forma umana avrei accentuato il fatto che volevo realmente essere solo un osservatore. Optai per questa soluzione.
Visto che il percorso non era particolarmente breve e volevo impiegarlo in maniera costruttiva, decisi di ripassare mentalmente la guerra di secessione. Iniziai con le date di inizio e fine della guerra e proseguii con quelle delle singole battaglie. Quelle mi esasperavano e il professor Tyler era abbastanza fiscale. Le ripetei più volte; su alcune ci dovetti riflettere a lungo, ma mi tornarono in mente, senza esagerati sforzi. Poi passai all’ideologia di base e alle conseguenze storiche, umane e politiche. Sì, potevo dirmi soddisfatto, considerando che generalmente ricordavo a malapena la data dei compleanni della mia famiglia e degli amici del branco.
Ripassando, non mi ero nemmeno reso conto che ero arrivato molto vicino alla solita radura. Mancavano un paio di chilometri circa. Stavo cominciando a ripetere per l’ennesima volta la lezione, quando udii un bisbiglio sommesso. Mi fermai, in ascolto, poi ruotai su me stesso per capire da dove provenisse. Non riuscivo a distinguere le parole, però se mi fossi avvicinato, sicuramente sarebbero state chiare. A piccoli e silenziosi passi, seguii il sottile mormorio che da debole squittire diventò una più nitida ed esagitata conversazione. A giudicare dalle tonalità, erano un uomo e una donna. Mi bloccai: che cosa diavolo cercavo? Probabilmente si trattava di una coppia che stava discutendo degli affari suoi, anche se a quell’ora nel bosco, non era particolarmente appropriato. In ogni caso non c’entravo niente. Stavo optando per tornarmene indietro, nonché riprendere il mio ripasso, quando mi parve di riconoscerle. Non avrei potuto giurarci, ma, in compenso, sentivo distintamente le parole.
“E’ stata colpa mia, Rose, e mi dispiace da morire. Non avrei dovuto parlartene…” sussurrò Edward addolorato come se stesse trascinando un fardello molto pesante.
“Che cosa avresti concluso a non dirmelo? Assolutamente niente. Anzi, forse sarei stata peggio perché a quest’ora mi starei cullando nell’illusione che fosse tutto perfetto e duraturo e invece non è così. Hai fatto solo il tuo dovere e io devo rassegnarmi…” replicò quasi accigliata Rosalie.
Feci qualche passo avanti per sentire meglio, pur senza bisogno. Il mio udito era perfettamente in grado di udire anche se i due interlocutori si trovavano ad almeno cinquanta metri da me.
“Credi di riuscire a farcela?”.
Istanti lunghi un’eternità trascorsero prima che sua sorella gli rispondesse. “No” balbettò con voce tremante. “Non ce la faccio. Non ce la faccio più. Sono stanca, esausta e vorrei solo scappare”.
La sentii piangere distintamente. Il suo singhiozzo era così lacerante e sincero che ebbi il potere di immaginarla davanti a me e provare dolore per lei.
“Ascolta, forse non è tutto perduto. Forse puoi provare a ricominciare daccapo. Con un po’ di pazienza, le cose possono trovare la loro giusta direzione…” cercò di consolarla.
“Smettila!” urlò, liberando le sue angosce. “Perché mi dici questo? Perché vuoi darmi delle speranze, quando sappiamo tutti e due che non ce ne sono? Tu più di tutti dovresti saperlo perché leggi nella sua mente e allora non farmi più male di quanto non ne stia già patendo. In fondo è la punizione per quello che ho fatto. La giusta punizione. Credevo che, tornando indietro, tutto si sarebbe aggiustato e sarei stata serena, come una volta. Ora so che non è così. Mi sono rovinata da sola. Lui è innamorato di un’altra e credo sia giunto il momento di farmi realmente indietro, anche se è molto difficile, o addirittura impossibile…”.
“Lui è innamorato di un’altra”? Questa frase mi sbigottì. Di chi stavano parlando? Trattandosi di Rose, la ricerca era molto ristretta e portava a un’unica deduzione: Emmett era innamorato di quella vampira russa?! Impossibile! Aveva fatto il diavolo a quattro perché Rose non lo lasciasse e ora bastava un battito di ciglia esotico per fargli perdere la strada? E da quello che avevo capito, era stato Edward a rivelarlo a Rose. Per fortuna che si era sempre vantato della sua discrezione!
“Aspetta, Rose, non correre troppo. Lui potrebbe…” ma si zittì di colpo. E in quel momento intuii di avere fatto una cazzata. Inizialmente mi ero lasciato trasportare dalla conversazione senza pensare nulla; ora invece lo avevo fatto e Edward aveva avvertito la mia presenza.
Camminai risolutamente nella loro direzione: non c’era più alcun motivo perché mi nascondessi e non volevo apparire come lo spione dei fatti altrui. Mi sarei scusato con Rose per aver ascoltato involontariamente la loro conversazione e me ne sarei andato.
Quando li raggiunsi, entrambi fissavano già nella mia direzione. Rosalie doveva essersi asciugata le lacrime in fretta perché l’avevo sentita piangere, di questo ero sicuro, e invece ora mostrava una pesante tranquillità, pur scossa da un’appariscente tensione. Entrambi immobili, a pochi centimetri l’uno dall’altra. “Che ci fai qui, cane?” domandò Edward con malcelato rancore. “Oggi non dovevi essere a casa a studiare?”.
“Sì, è così” risposi placido. “Ma ho finito prima e ho deciso di venire a trovarvi. Disturbo?”.
“Effettivamente sì… Come al solito”.
Li fissai, torvo. Ero andato lì con intenzioni cordiali ma non ero più così sicuro. Non c’era traccia di amicizia nello sguardo di Rose, ma neanche di acredine. Era un bel quadro: perfetto, ma senza sentimento. Se non ci fosse stata una leggera brezza a scuoterle i capelli, avrei potuto appenderlo in camera mia.
Si voltò di scatto e si incamminò verso la radura. “Andiamo Edward” gli ordinò. Suo fratello, per la prima volta ubbidiente agli ordini di qualcun altro, la seguì. Insieme sparirono nel fitto della boscaglia mentre io ero rimasto fermo come un idiota.
Avevo interrotto una conversazione privata e di questo ero consapevole, però perché negli occhi di Rose avevo letto tante altre sfumature più simili alla rabbia, al rimprovero, al rimpianto? Era successo qualcosa con Emmett e Rosalie dava la colpa a me. Si era pentita di tutto ciò che era successo fra noi perché il passato le stava portando via suo marito. Emmett non era un vendicativo, almeno da come me l’aveva sempre descritto Bella, ma piuttosto un orso dolce e socievole. Rosalie aveva parlato di “innamorato”: di Eva? Santo cielo, una barzelletta sarebbe stata più credibile! Possibile che quella sciacquetta fosse arrivata al suo scopo?!
Ripresi a camminare nervosamente verso la radura e quando vi arrivai, Sam e gli altri furono sinceramente sorpresi di vedermi lì. Joe mi corse incontro come se fossi Babbo Natale con il calesse pieno di doni. Li salutai e spiegai a Sam il motivo per cui avevo cambiato programma, ma non se ne curò e tornarono in breve ad allenarsi. Bella mi lanciò un sorriso da lontano che io ricambiai con fin troppo trasporto, poi riprese il suo combattimento con Antoine. Mi accasciai sotto un albero, rifiutando di prendere la mia forma animale: sarei stato spettatore. Non avevo cambiato idea.
Rivolsi la mia attenzione verso i due fratelli che avevano ignorato platealmente il mio arrivo. L’uno era vicino a Bella, l’altra con Kate ed Alice. Rosalie fingeva di ignorarmi ma più lo faceva, più rivelava la verità. Tenne il capo chino per tutta la mia permanenza, ben decisa ad evitare di incontrare il mio sguardo. Cercai Emmett e lo trovai intento a scherzare con Eva, dall’altra parte della radura. In teoria avrebbero dovuto combattere, in pratica stavano solo giocando e ridendo come pazzi. Deglutii con vigore più volte mentre il braccio destro mi si informicolò. Che stava facendo? Perché faceva a Rose una cosa del genere? Avrebbe dovuto baciarsi i gomiti perché aveva lei e invece… Non capiva niente. La bile che era nello stomaco gorgogliò e non capii perché mi stavo arrabbiando così tanto per una questione che non mi riguardava. Buttai gli occhi sui vari combattimenti davanti a me, eppure ricadevo sempre su quei due deficienti. Ogni tanto mi giravo verso Rose, seduta da sola sotto un albero. Era a pezzi. Lo vedevo da come era accasciata, da come si toccava febbrilmente i capelli, dal fatto che non staccò mai il viso da terra. Mi alzai per andare a consolarla, quando Edward mi prevenne e si inginocchiò davanti a lei. Scambiarono poche battute, poi la abbracciò. L’evento non suscitò scalpore in alcuno, nemmeno in Bella, che continuò a combattere, mentre invece per me fu completamente inatteso. Non lo avevo mai visto compiere atti gentili nei confronti di qualcun altro che non fosse la sua fidanzata, e ora invece dimostrava affetto a quella sorella non biologica con cui conviveva da ottant’anni. Ripensai a quel pomeriggio, quando mi aveva assalito sotto casa di Bella, minacciando di uccidermi se l’avessi fatta mangiare ancora. Anche in quel frangente mi aveva stupito perché non credevo che fossero una vera famiglia, ma soltanto persone legate dalla stessa natura. Invece non era così. Erano davvero fratello e sorella. Quella sanguisuga aveva dei sentimenti? Si sarebbe detto di sì.
Rosalie sciolse l’abbraccio e se ne andò, diretta a casa. Non mi salutò. La mia presenza non era gradita e forse non lo sarebbe più stata. Avrei voluto seguirla e chiederle spiegazioni ma, conoscendola, non mi avrebbe risposto e non volevo peggiorare la situazione. Decisi di tornare a casa anch’io e salutai frettolosamente gli altri. Edward mi seguì con lo sguardo: lo avvertii indugiare su di me, fino a quando un ramo non ci divise. Rientrato, mi buttai a letto e capii che non sarei riuscito a prendere sonno facilmente. Ero arrabbiato per quello che Emmett stava facendo; spaventato perché pensavo che Rosalie avrebbe riversato la delusione sulla nostra amicizia, che non volevo perdere; spossato perché avevo lasciato che tutto questo mi sommergesse. Il cuore batté più velocemente per qualche minuto poi tornò a rilassarsi quando ripensai alla bambina del sogno. Erano passate settimane e non l’avevo più sognata, anche se mai dimenticata. Pace: ecco cos’era. Ciò che mi portava calma e tranquillità. Mi addormentai nel suo ricordo, tuttavia non tornò a trovarmi.
In compenso il giorno dopo presi A nella verifica di Storia: una soddisfazione, devo ammetterlo, e con questo avevo messo una grossa ipoteca sul mio diploma. Dovevo soltanto sistemare Matematica. Bleah! Avevo ancora qualche settimana per recuperare il D che troneggiava indisturbato sulla pagella e nel frattempo potevo ritornare agli addestramenti.
La sera stessa fui fin troppo felice di tornare con gli altri alla radura. La prima persona che salutai, come al solito, fu Bella, poi mi guardai attorno, alla ricerca di Rosalie. Volevo assolutamente parlarle di ciò che avevo udito precedentemente: non capivo perché non avesse voluto confidarsi con me, visto che lei aveva ascoltato buona buona tutti i miei piagnistei sul mio amore non corrisposto. Era giusto che ricambiassi il favore. Proprio per questo ero arrivato ancora umano, nonostante le insistenze degli altri a prendere le mie abituali sembianze.
La avvicinai e stavolta non mi evitò, ma anzi sorrise e si informò subito sull’esito della mia interrogazione. Poi, prima che potessi iniziare il discorso, mormorò leggera come un foglio di carta, probabilmente per non farsi udire da altri:“Quanto a quello che hai sentito ieri sera, preferirei non parlarne, se non ti dispiace…”.
“D’accordo” sussurrai, poi, lanciando un’occhiata in direzione di Emmett, aggiunsi:“Si tratta di lui, vero? Qualsiasi cosa possa averti detto tuo fratello, sono sicuro che si sbaglia e che ha letto male. Emmett non è innamorato di lei”.
“Jake, ti prego” mi implorò, con un lungo e triste sospiro. “Non voglio proprio parlarne, ok? Quando mi sentirò meglio, te lo dirò”.
“Rose, voglio solo che tu capisca che siamo amici e puoi dirmi tutto”.
“Lo so” convenne. “Più avanti, Jake. Te lo prometto…”.
Si allontanò verso Alice e Kate, e non potei fare a meno di constatare che avrei dovuto attendere. Mi inoltrai nel fitto della foresta, dove abbandonai vestiti e forma umana e ritornai lupo. Le esercitazioni non segnarono alcuna novità, se si esclude il fatto che Joe vinse per la prima volta un vampiro alleato dei Cullen, di cui non ricordavo il nome. La sua vittoria mi lasciò esterrefatto perché così le speranze di lasciarlo fuori dalla lotta finale erano definitivamente compromesse; d’altro canto, Joe fu festeggiato da tutti i nuovi adepti come il messia, con la prevedibile conseguenza che la sua spavalderia, da quel momento, traboccò come l’acqua da un bicchiere già pieno. Se ne vantò per giorni interi. Raggiunse l’apoteosi della felicità quando perfino Alice andò a complimentarsi. Credevo che si sarebbe rotolato sulla pancia e avrebbe fatto le fusa come un gattino. Quasi disgustoso! Una volta incassati i complimenti della sua amata, corse da Rose per averne anche da lei. Santo cielo, sembrava uno di quei cani che fanno le acrobazie e vanno dagli spettatori con la ciotolina in bocca a riscuotere le mance! Dovetti richiamarlo all’ordine prima che trasformasse quella vittoria in un circo.
Le serate successive incassò soltanto delle sconfitte, per fortuna, che regolarono la sua sbruffoneria. In compenso Patrick e gli altri vinsero nelle loro simulazioni. Dovevo ammettere che il branco rispondeva bene agli stimoli e che i risultati erano oltre le mie più rosee aspettative. Con un po’ di fortuna avremmo potuto vincere. Perfino Sam dovette abbandonare la sua tradizionale freddezza e manifestare un colorito ottimismo.
Passarono in questo modo altre settimane durante le quali il mio umore fu stabile. E dovevo ringraziare Joe e Rose. Erano medicine che non mi stancavo mai di prendere. L’uno pazzo da legare, l’altra dolce e delicata quasi all’eccesso. Le ore insieme non erano tante però servivano anche in quei pomeriggi in cui non li vedevo. Non sentivo più quella morsa attanagliarmi quando ero solo e riuscivo a guardare Bella senza provare dolore. In fondo al cuore, era sempre la mia Bells e quando mi fissava non riuscivo a non illudermi, anche se solo per pochi istanti, che i suoi sentimenti si stessero risvegliando, tuttavia ce la facevo. Sopravvivevo. A Natale non avrei mai detto che sarei stato meglio, invece era così. Ti amo, ma la vita va avanti.
Mancavano due settimane ormai al fatidico scontro e Carlisle e Sam stavano curando ogni singolo dettaglio ed eventualità. Da Alice, che era l’unica che poteva darci delle dritte, non arrivavano notizie: sembrava che i Volturi non avessero piani precisi, a parte venire qui e ammazzarci tutti. O ci sottovalutavano o erano completamente pazzi. Forse entrambe le cose. Io non mi azzardavo a dare consigli perché non mi ero mai considerato un grande stratega. Ero più bravo nell’improvvisare, nel togliere le castagne dal fuoco all’ultimo. Lasciavo escogitare i piani d’attacco agli intelligenti.
Infine i due capi sancirono la necessità di effettuare una simulazione reale per verificare le doti di Bella e i passi avanti dei nuovi arrivati. Perché un conto era qualche scaramuccia improvvisata, un conto era combattere nel disastro di uno scontro collettivo, senza che nessuno potesse suggerirti la mossa giusta perché troppo impegnato a salvare la propria pelle. Era una prova per Bella e i nostri piccoli allievi e proprio per questo, quella sera sia io che Sam avremmo dovuto essere presenti.
I ragazzi erano stati avvisati ed erano eccitati, affatto intimoriti dalla sfida. Tutti volevano dimostrare la loro bravura. Mi ricordavano le mie prime trasformazioni e quanto ero stato contento di combattere contro i Neonati di Victoria. Un vero idiota! Ma quando si è inesperti, sembra tutto facile.
Alle nove precise eravamo nella radura, noi del branco da una parte, i vampiri dall’altra. Carlisle si mise al centro fra le due parti, insieme a Edward e cominciò a spiegare le sue intenzioni:“Sam ed io abbiamo pensato che sia giusto provare una simulazione, il più reale possibile, per verificare i riflessi e la velocità di decisione contro un nemico in momenti concitati come quelli che ci troveremo ad affrontare. Tutti noi vampiri abbiamo affrontato almeno un combattimento nella nostra vita, i più giovani del branco no. Quindi vogliamo vedere cosa effettivamente succede, anche per predisporre le posizioni in vista dello scontro fra due settimane. Quindi ognuno di voi” disse rivolto ai suoi alleati dai canini sporgenti “sceglierà il proprio avversario fra i lupi e dovrete combattere, ovviamente non mirando ad uccidere nessuno, ma senza risparmiarvi. Ok?”.
Carlisle aspettò un cenno di assenso da parte dei suoi interlocutori, poi continuò:“Per quanto riguarda te, Bella, combatterai contro Jasper. Contemporaneamente Edward ed Alice combatteranno contro i lupi e tu dovrai annullare il potere soltanto di Edward, non quello di Alice”.
“Perché? Non capisco…” bofonchiò confusa.
“Perché il tuo potere deve essere selettivo. Non devi annullare il potere di tutti i vampiri che saranno presenti il 18 maggio, ma soltanto quelli dei Volturi. E in questo caso, faremo finta che Edward sia uno di loro, quindi combatterà senza telepatia, mentre Alice dovrà essere in grado di prevedere il futuro…”.
Bella non parve affatto contenta di questo esame. Si morse il labbro inferiore, fissando Edward che la prese sotto braccio per consolarla e rincuorarla. Conoscendola, si stava preoccupando che alla sua sanguisuga non accadesse niente, non certo che il suo potere funzionasse o meno.
“Sam” continuò Carlisle, rivolto al mio capo. “Visto che il combattimento che vedrà coinvolta Alice sarà di fatto solo una scaramuccia per verificare se il potere di Bella funziona o meno, credo che sia meglio che il suo nemico sia qualcuno che non ha bisogno di un reale addestramento”.
Sam annuì col muso, passò in rassegna la lista dei nostri compagni poi pensò Paul! Il compagno di mia sorella si avvicinò a noi, riluttante.
Combatterai tu contro Alice. D’accordo? ordinò Sam.
Paul non fu affatto soddisfatto di questa scelta in quanto amava i combattimenti e non li prendeva mai alla leggera, nemmeno gli addestramenti, e stavolta a lui sarebbe spettato solo il ruolo di comparsa.
Carlisle, aspetta pensò Sam con fare autoritario. Edward, avvertendo i suoi pensieri, richiamò l’attenzione del padre.
Tutti quelli che combatteranno contro i miei ragazzi devono avere i poteri annullati o comunque non usarli  nello scontro. Non voglio ferite profonde, intesi?
Edward riportò parola per parola, con una precisione da traduttore dell’Onu, le perplessità del mio capo e Carlisle convenne con lui che nessuno dei vampiri dotato di poteri particolari ne avrebbe fatto uso in quello scontro.
“Bene. Adesso scegliamo l’avversario per Edward…” borbottò Carlisle, rivolto quasi a se stesso.
Lo faccio io mi sentii pensare. Sam e Leah mi fissarono con disappunto.
Non credo che sia il caso suggerì Leah, cercando l’approvazione di Sam.
Scrollai le spalle. Che scarsa fiducia! Credete che lo trasformerò in un combattimento vero e proprio? Lo so che si tratta solo di un’esercitazione e nessuno deve farsi seriamente del male. Non esagererò, lo prometto pensai fin troppo ironico.
Sam parve dibattuto sul da farsi ma intervenne la sanguisuga:“A me va bene”. Poi comunicò al padre che il suo avversario sarei stato io. Anche negli occhi di Carlisle lampeggiò una lieve agitazione, subito sopita dalla determinazione del figlio. Invece in Bella vidi il terrore allo stato primordiale come quando sopraggiunge la morte: ne senti l’odore, ne percepisci la presenza e non puoi fare niente per sfuggirle. Si oppose in tutte le maniere al nostro combattimento, ma Edward fu il primo a sminuire la situazione e la abbracciò tanto a lungo da farmi alterare. D’accordo, nessuna ferita grave, però qualche graffietto glielo avrei lasciato!
Una volta tranquillizzata Bella, i vampiri scelsero il proprio avversario e ci sistemammo nella radura che colmammo fin troppo agevolmente. Anzi, lo spazio era davvero poco se consideravo che la mia coda toccava quella di Quil che avrebbe combattuto alle mie spalle contro uno degli svedesi. Sam e Carlisle si erano sistemati sotto un tiglio e avrebbero sorvegliato il tranquillo evolversi della simulazione oltre a controllare l’improbabile, ma non impossibile, arrivo di campeggiatori audaci che davanti a un combattimento tra uomini e lupi sicuramente avrebbero fatto scoppiare il finimondo in tutto lo stato ed era una cosa che volevamo evitare ad ogni costo. Eravamo tutti schierati e pronti. Bella si posizionò davanti a Jasper ma la vedevo assente. Avrebbe dovuto stare molto attenta, ma, al contrario, i suoi occhi erano fissi su me e il suo pezzo di marmo che eravamo a più di venti metri di distanza e confusi tra altri avversari. Carlisle diede il segnale e ufficialmente lo scontro iniziò.
Ovviamente mi mossi per primo, sfiorando con leggerezza il manto erboso, davanti a lui. Non avevo in mente un piano preciso ma se Bella avesse fatto il suo dovere, saremmo stati per la prima volta ad armi pari. Non avrei dovuto inventarmi difese all’ultimo minuto per evitare la sua telepatia, che lo metteva sempre al riparo da quasi tutte le contromosse. Ora potevo dimostrargli che io ero il più forte, che io avrei vinto quella mattina, se lui non avesse avuto il suo maledetto potere.
Sentii un fruscio alle mie spalle: Quil aveva iniziato il suo personale combattimento. Non avrei verificato perché sicuramente Edward ne avrebbe approfittato per attaccarmi e non volevo concedergli nulla.
Il suo sguardo ambrato si era fatto di ghiaccio, non tradiva soddisfazione, né spavento. Una statua, senza alcuna emozione. Forse il potere di Bella stava agendo e lui non voleva mostrarmi che non sarebbe riuscito a prevedere le mie mosse. Poco importava. Avrei combattuto ugualmente e con tutte le mie forze. Voleva Bella? Se la doveva guadagnare.
Gli balzai addosso, cercando di mordergli una spalla. Un attacco forse troppo diretto e un po’ ingenuo, tuttavia non privo di fascino e non mi posi troppi problemi a metterlo in atto. Il pinguino si piegò su un fianco, evitandomi con una grazia spudorata. Atterrai alle sue spalle e mentre si girava per affrontarmi a viso aperto, gli colpii la mascella con la coda. Un trucchetto da bambini e che non arrecava alcun danno, ma abbastanza fastidioso, soprattutto per l’orgoglio: ciò che cercavo. Perse l’equilibrio, arretrando indietro di un passo e ne approfittai per mordergli una gamba. Cadde e, rapidamente, gli fui sopra. Mi afferrò per la gola e mi gettò all’indietro. Stramazzai sulla schiena e qualche vertebra scricchiolò. Un attimo dopo ero di nuovo in piedi, come lui. Separati da parecchi metri, grazie a un’agile corsa, mi fu addosso in qualche centesimo di secondo e stavolta fu il mio turno a dovermi difendere.
Era veloce, concreto ed energico, un bravo combattente insomma, ma da come si comportava capivo che non riusciva a prevedere le mie mosse. Era un vampiro come gli altri ora, poteva essere mio. Forse fu il desiderio di stravincere o il fatto che ogni tanto sentivo lo sguardo di Bella su di noi e mi logorava immaginare che non fosse preoccupata per me o semplicemente perché volevo distruggerlo, come avevo sempre sognato: ben presto la simulazione diventò un duello all’ultimo sangue.
Mi ferì più volte e mi ritrovai a perdere sangue dalla zampa posteriore destra, ma per fortuna nessun osso rotto. Anche la sua aria boriosa era venuta meno e non perdeva occasione per mostrarmi i canini, minaccia plateale che se, messo in difficoltà, mi avrebbe morso. Onestamente non credevo che lo avrebbe fatto realmente; viceversa io lo avrei ucciso davvero, se ne avessi avuta l’occasione. Era la mia rivincita, la mia vittoria. Al diavolo i Volturi, Bella e il branco. Questo combattimento era mio e mio soltanto e avrei vinto.
Ogni volta che mi colpiva, ogni volta che vedevo quel sorrisetto giulivo sulla sua faccia, avrei voluto staccarglielo a morsi e la rabbia cresceva, cresceva a dismisura e godevo selvaggiamente quando lo atterravo, quando riuscivo a scansare un suo colpo. Era adrenalina ed eccitazione allo stato puro. I suoi occhi si erano fatti più scuri, segno che si stava spazientendo mentre io attingevo ad energie apparentemente eterne. Solo l’odio dà questo stato di esaltazione, nessun altro sentimento. Come se fossi in overdose, ma mille volte più potente.
Quando mi avvolse con le braccia, tentando di frantumarmi le ossa, con un colpo di reni mi buttai sulla schiena e mi rotolai con lui avvinghiato fino a urtare un albero. Non ci pensò nemmeno un attimo a staccarsi da me e allora provai. Probabilmente mi sarei fatto male, ma neanche io ci pensai due volte. Alzai il muso di scatto e usai la mia testa come una sorta di masso contro la sua. Lo colpii e si ritrovò schiacciato tra me e una radice dell’albero. Udii un rumore sordo e un leggero lamento: dovevo avergli rotto il naso, mentre io me l’ero cavata a buon mercato, probabilmente con qualche bernoccolo. E così avevo dimostrato chi fra i due avesse la testa più dura!
A causa del dolore, la sua stretta diventò meno energica e riuscii a svicolare da lui. Ma si riprese più velocemente del previsto. Mi afferrò, durante la mia fuga, per un orecchio e vi piantò le dita. Non ebbi la prontezza di fermarmi e proseguii; Edward strinse la mano come un tentacolo e ne lacerò la carne. Poi un dolore immenso. Scartai a sinistra e mi allontanai di qualche metro per constatare i danni. Avevo il cuore che pulsava a mille e sentivo un dolore martellante, espandersi dall’orecchio fin dentro il cervello. Avvertivo i latrati dei miei compagni, ma soltanto con la parte sinistra. Doveva avermi lesionato il timpano perché facevo anche fatica a stare in piedi, mi girava la testa. Non me ne preoccupai perché tanto sarebbe guarito, ma, se possibile, questo episodio mi fece incazzare ancora di più.
Mentre faticavo a mettere a fuoco i suoi passi nella mia direzione, sentii un sapore denso e metallico in bocca. Sangue. Stavo sanguinando dall’orecchio. Se voleva la guerra, non mi sarei tirato indietro e avrei vinto. Quella sanguisuga non doveva avere dubbi su chi fosse il più forte. Gli corsi incontro a passi veloci e poco stabili; Edward fece per gettarsi contro di me quando all’ultimo lo schivai e mi diressi sull’albero alle sue spalle. Usando la corteccia come trampolino, per darmi maggiore forza, gli saltai addosso. Si girò verso di me, esattamente come speravo e lo scheggiai con i miei canini sull’arco sopraccigliare, strappandogli parte della pelle, mentre lui riuscì a graffiarmi la spalla. La sputai subito perché non volevo niente di uno schifosissimo vampiro in bocca poi mi allontanai, ansimando. La sanguisuga si alzò quasi faticosamente, mentre la sua espressione gentile stava lasciando il posto a quella che meglio ricordavo: da vampiro.
Jake, calmati! E’ soltanto una simulazione mi redarguì Sam da lontano, ma non ci feci caso. Non ci avrei mai più fatto caso, perché ero ferito, stavo sanguinando ma non avrei mollato. Non era più una simulazione, non lo era mai stata. E forse neanche per lui. Se l’avessi ucciso, finalmente Bella sarebbe tornata da me? Avrei potuto stringerla di nuovo? Magari non subito, sarebbe stata un po’ arrabbiata per i primi mesi, ma dopo avrebbe capito e mi avrebbe perdonato. Io ero la sua anima gemella e non quell’essere che mi stava davanti. Un vampiro non poteva amare come me, non poteva renderla felice come avrei fatto io. Desirèe si sbagliava e io l’avrei dimostrato, togliendo di mezzo l’impiastro. Mentre la saliva mi inondava la bocca, dando libero sfogo a una rabbia da mesi repressa, Edward mi saltò addosso. Non ho idea di quale fosse il suo piano, ammesso che ne avesse uno, ma dalla colluttazione che ne seguì, durante la quale dovetti difendermi letteralmente con le unghie e con i denti per impedirgli di farmi del male, io ne feci a lui. Lo morsi al gomito e tirai. Un rumore come di carta di giornale stracciata e poi il suo braccio, innaturalmente dondolante. Lo strinse a sé come per tenerlo legato: non glielo avevo strappato completamente ma diciamo che era inutilizzabile, almeno per un po’.
Indietreggiò di qualche passo e anche se non lessi la paura nel suo viso altero, ne potei sentire l’odore. Ed era meraviglioso. Niente ti esalta di più dell’aroma che lascia intorno a sé il terrore della preda. E’ ciò che ti spinge a cacciare, ciò che per quanto possa essere primitivo e inaccettabile per un umano, è naturale per noi animali. Tendevo a considerarmi un uomo, ma quando combattevo, faccia a faccia, con un vampiro, era la bestia a prendere il sopravvento, il lupo che uccideva per sopravvivere.
Jake, hai vinto. Fermati constatò ruvido Sam. La voce era più vicina ma non contava niente. Avanzai a passi lenti, pregustando il trionfo. Avrei vinto e lo avrei ucciso. Era mio. Con un braccio fuori uso, era solo questione di minuti. Piantai le unghie per terra, pronto a saltare e porre fine alle mie sofferenze, mentre alcune voci si confondevano nella testa. Non le distinsi e non gli prestai attenzione. Saltai e basta.
In quel momento, complice il desiderio di rivalsa e di vittoria, mi tuffai contro di lui, senza ascoltare altro, a parte la mia sete di vendetta. Ero a pochi centimetri dalla sua gola, quando qualcosa della consistenza di un enorme masso mi cadde addosso e rotolò con me. Annusai la scia di un vampiro e feci ciò che il mio istinto mi suggerì: difendermi. Lo graffiai, non so dove, e poi lo morsi, probabilmente a una spalla. Soltanto quando udii il suo grido di dolore, mi fermai. Mi feci indietro e in quel momento mi parve di aprire gli occhi, di mettere a fuoco qualcosa al di fuori di Edward. Una foresta, Sam al mio fianco con uno sguardo sconcertato, alle mie spalle un fitto gruppo di lupi immobile e vampiri dall’altra rivolti verso di noi. La simulazione era stata interrotta, dunque? Quando alzai lo sguardo verso il mio avversario, fra me e lui distinsi un piccolo ammasso di vestiti e capelli castani.
Edward si precipitò verso di lei, domandandole più volte, come un disco rotto:“Come stai, Bella? Tutto ok?”.
Bella? Avevo morso Bella? Era lei il vampiro che si era frapposto fra di noi?
Ero così confuso che non capivo più niente, però lei era accasciata davanti a me. Si toccava la spalla ferita e faceva cenno di sì con la testa al suo fidanzato.
Come avevo potuto fare un errore del genere? Mordere la mia Bells. Non era una lesione mortale ma non sarebbe mai dovuto accadere. Sarebbe bastato poco, davvero poco perché la uccidessi. Abbassai il capo, travolto da un cumulo di sensazioni, molto simili ai rimorsi. Avrei voluto seppellirmi sotto di essi, ma quando la vidi sfiorargli delicatamente l’arco soppracigliare sfregiato, la rabbia eruttò come lava da un vulcano. L’avevo ferita e lei stava a preoccuparsi del suo fidanzato? Mentre Edward le controllava la ferita, lo baciò sulla guancia delicatamente. Non le importava di se stessa, ma soltanto di lui. Quello sguardo profanò gli ultimi ricordi che serbavo di lei e del legame che ci aveva unito. Non esisteva più nulla a parte il mio odio per Edward.
Jake, stai bene? mi domandò Leah.
Tra poco starò bene. Anzi benissimo ringhiai in direzione di Edward, che alzò gli occhi verso di me. Non più ambrati, ma neri come le piume di un corvo. Era arrabbiato almeno quanto lo ero io e voleva uccidermi, ma, sperare di riuscirci con quel braccio malconcio, era da pazzi. E io non avrei avuto pietà: non avrei sbagliato, né mi sarei fatto distrarre.
Alice si avvicinò a Bella e ne controllò la condizione. Edward, saputala al riparo, non le prestò più attenzione: camminò verso di me, a passi lenti e cadenzati, mentre la sua aggressività mi trafisse, corteggiandomi a più riprese. Un ringhio sordo e solitario mi uscì dalla bocca senza che me ne accorgessi.
Jake, adesso basta! intimò Sam. Avete dato abbastanza spettacolo!
“No, adesso è il mio turno” ribadì la sanguisuga. “Sù, cane, vieni. Stavolta sarai tu a prenderle e non ti lascerò in vita”.
“Edward!” fu il turno di Carlisle. “Smettila. Sei ferito e non reggeresti un altro scontro”.
“Ha ferito Bella e ora la pagherà…” mormorò, vagheggiando la mia morte.
I suoi poteri avevano ripreso a funzionare, visto che Bella aveva fatto cadere lo schermo protettivo, ma suo padre aveva ragione: avrebbe perso ugualmente. Non avrei dovuto sforzarmi più di tanto. Avanzai di tre passi prima di accorgermi che tutti i seguaci dei Cullen si erano radunati alle spalle del mio avversario. Non mi avrebbero attaccato per primi, ma se Edward se la fosse vista male, non mi avrebbero lasciato vedere l’alba del giorno dopo. Tuttavia non ero spaventato, né avevo perso la mia proverbiale baldanza. Ero vittima di un’irrefrenabile e quasi invincibile bramosia di rivincita, come se avessi vissuto solo per arrivare a questo momento. Volevo vincere e disfarmi di lui. Repressi nel covo più nascosto della mia mente gli ultimi barlumi di lucidità e decisi che avrei attaccato. Non importava se subito dopo mi avrebbero ucciso. Ne sarebbe valsa la pena.
Poi un ringhio alle mie spalle. Joe, seguito da Leah, si era approssimato e sembrava stare dalla mia parte, a giudicare da come fissava i Cullen e i loro amichetti. Sentii altri latrati sommessi e rabbiosi e solo allora mi accorsi che tutti quelli del branco, persino Brady e Jared, erano pronti a dar battaglia per sostenermi.
Non entreremo in combattimento chiarì Leah. E’ un cosa fra te e la sanguisuga. Ma se uno degli altri dovesse avvicinarsi, ci penseremo noi, Jake.
Annuii molto più che soddisfatto. Non sapevo bene ciò che era successo ma stavano dalla mia parte. I miei compagni avevano scelto me e le mie motivazioni. Con la consapevolezza di avere finalmente dei seguaci, fissai gli occhi scuri del mio nemico. Stavolta sei morto, pinguino! bisbigliai tronfio.
Adesso basta! A tutti quanti! urlò Sam. Vi siete bevuti il cervello?! Volete iniziare una guerra proprio ora? Jake, ti ordino di lasciar perdere. Hai capito?
Non sei in condizione di dettare legge, Sam rimbeccai arrogante. Gli altri sono con me. Ora fatti da parte.
Non costringermi a impartire l’ordine! ringhiò così profondamente da farmi quasi toccare la rabbia che trapelava dalle sue fauci.
Se voglio, posso sottrarmi al tuo ordine, lo sai no? Così  anche loro saranno liberi e ubbidiranno soltanto a me. Vuoi che lo faccia?
Sei uno stupido, Jake. Non puoi fare il capo solo quando ti fa comodo…
Effettivamente non avevo alcuna intenzione di diventare il nuovo capo, ma volevo che si facesse entrare in quella testa che non poteva comandarmi a bacchetta come gli altri. Io avrei dovuto essere legittimamente l’Alfa e lui il mio vice. Era ora che lo capisse e che mi lasciasse andare.
“Lascialo fare, Sam” ridacchiò Edward. “Sono pronto a smontare la sua boria”.
Sam non si mosse, ma non sembrava nemmeno volermi ostacolare. Lui e Carlisle erano gli unici a voler evitare lo scontro e da soli era un po’ difficile che riuscissero a fermarci. Lanciai un’occhiata veloce al suo braccio: si stava rinsaldando così come il mio orecchio aveva smesso di sanguinare. Dovevo approfittarne ora, altrimenti sarebbe diventato tutto molto più complicato.
Siamo dietro di te, capo mi rassicurò Rupert, uno della nuova leva. Vai tranquillo.
Capo… Sì, ero io e lo avvertivano. Come lo avvertiva Sam. Adesso capivo cosa intendeva dire con “potere”. Qualcosa che ci legava insieme, che faceva sì che le motivazioni dell’uno fossero quelle degli altri. Io ero il tramite, soltanto io potevo esercitarlo su tutti. Sam riusciva ad obbligarli ad ubbidire, io non ne avevo bisogno perché potevo convincerli senza alcuna fatica. Ma qui non si trattava solo di quello, ma anche di amicizia, coesione di spiriti e familiarità. Io ero tutto questo per loro e loro lo erano per me.
Mi sfuggì un risolino di compiacimento, mentre un’ombra oscurò per un attimo l’immobilità degli occhi della sanguisuga. Aveva paura: per la prima volta da quando lo conoscevo aveva paura. Non so se temesse me o l’unità del branco, ma in quel momento seppi di avere vinto, in qualsiasi modo fosse andata a finire.
Nell’attimo precedente al mio balzo, Rosalie uscì dalla folla alle spalle di suo fratello e si frappose fra noi. “Se vuoi attaccare lui, dovrai prima passare sul mio corpo, Jacob!” bisbigliò velenosa.
Prima, confusa insieme agli altri, non l’avevo quasi notata; compariva ora per schierarsi dalla parte di Edward. Non che mi aspettassi solidarietà, però doveva capire più di tutti le motivazioni che mi spingevano, che mi portavano a rivestire i panni del carnefice di suo fratello. Mi sarei limitato a ucciderlo perché non ero un sadico e, per quanto odiassi una persona, non lo volevo morto dopo indicibili sofferenze. La sua testa doveva solo rotolare come una boccia di bowling vicino a me. Feci un passo avanti per farle capire che non mi sarei fermato, convinto che mi stesse solo minacciando a vuoto, che non avrebbe mai osato attaccarmi. Voleva soltanto farmi desistere, scommettendo sulla nostra amicizia. Peccato… Non c’era niente di più importante che uccidere Edward.
Digrignai i denti e strisciai le zampe verso Rose, che rimase immobile nella sua posizione, quasi a mimetizzarsi con la natura circostante. La sua stabilità era talmente perfetta che avei potuto davvero confonderla, ma il fatto che mi lasciasse venire avanti confermò la mia teoria: tutto fumo e niente arrosto. Minacce e basta. Tornai a concentrarmi su Edward. Bella si era alzata ed appoggiata a lui. Ma intervenne Alice che a viva forza la trascinò via, seppur di pochi metri, dal suo amato. Presto il suo amato sarebbe ritornato alla polvere, il suo posto naturale.
Improvvisamente Rosalie si mosse e, così veloce da non riuscire a distinguerne i lineamenti, me la ritrovai a un centimetro dal muso: mi graffiò. Le sue unghie mi attraversarono da guancia a guancia. Uggiolai per il dolore mentre sangue a fiumi arrossava il pelo. Abbassai il naso, cercando conforto tra le zampe, mentre la rabbia cominciava a intonare un’antica danza. Sgranai gli occhi e mi sentii ringhiare verso di lei.
“Ti avevo avvisato, cane. Non avvicinarti!” mi raggelò.
“Rose, stai attenta…” la ammonì Carlisle.
“Attenta a chi? A questo attaccabrighe, spaccone che crede di essere il più forte del mondo?!” mi schernì con troppa enfasi per i miei gusti. Chi si credeva di essere? Pensava che soltanto perché era un’amica avrei avuto pietà di lei? Beh, c’era la prima lezione da imparare quella sera, anche per lei: i vampiri sono vampiri e vanno ammazzati, indipendentemente da tutto. Le saltai addosso mentre lei, con una roboante risata, balzò su un ramo e si fermò lassù.
“Allora, cane, come la mettiamo? Salta se riesci…” rise senza ritegno.
Maledizione!!! Per raggiungerla avrei dovuto tornare umano e se, una volta fatto, si fosse messa a salire più in alto, come l’avrei presa? Senza contare che in quelle condizioni mi avrebbe battuto, a meno di clamorosi colpi di fortuna. Girai intorno all’albero, cercando una soluzione, mentre l’ira sfarfalleggiava da un angolo all’altro della mia mente. Stavo riflettendo su come buttare giù l’albero, quando si mosse, saltando su altri rami. Senza pensarci due volte la inseguii: dovevo vendicare l’onta di quel graffio. Il futuro Alfa non poteva farsi mettere sotto da un vampiro, mai e poi mai.
Non la persi di vista e, nonostante le tenebre, rincorrerla fu fin troppo facile. Era silenziosa, vestita di nero, ma i capelli così biondi e l’odore di vaniglia erano incancellabili. Un buon cacciatore non perde mai la sua preda e lei doveva solo pregare di essere più veloce di me. Dopo un lungo tragitto, mi accorsi che dovevamo esserci allontanati di parecchi chilometri dalla radura: in quel momento fui atterrato da una cascata di dubbi. Forse non voleva combattere realmente ma solo tenermi impegnato, dare modo agli altri di organizzare una difesa oppure addirittura disperdersi. Affondai le zampe nel terreno umido per la pioggia degli ultimi giorni e optai per ritornare alla mia preda originaria.
Un lampo davanti a me e Rose prese forma. Uno sguardo serio, segnato dai solchi della rabbia, gli occhi, pur avvolti dalle lenti a contatto colorate, accesi dalla stizza. “Dove credi di andare cagnaccio? Devi affrontare me, prima. Poi potrai andare da mio fratello. Ammesso che tu sopravviva!” mi lanciò la sfida.
Se avessi potuto sputare fuoco come un drago, avrei incendiato l’intera foresta. Come osava? Credeva davvero di essere più forte di me? Sembrava che il passato non le avesse insegnato che non poteva assolutamente tenermi testa. Se cercava la derisione, il pubblico sberleffo ed essere trascinata a terra dal carro dei vincitori, l’avrei servita subito. Senza neanche dovermi sforzare. Ero ancora arrabbiato; dovevo soltanto puntare su una preda diversa. E così feci.
Le balzai addosso ed effettivamente più veloce di me, fu abile nell’evitarmi, arretrando all’indietro. Ma non poteva sfuggire in eterno. E il combattimento ebbe inizio.
La inseguii fino a raggiungerla e buttarla contro un albero. Sapevo che per loro erano soltanto graffi di poco conto ma fargli del male era estremamente divertente. Rosalie mi colpì svariate volte, prendendo di mira soprattutto la ferita sull’orecchio che si stava cicatrizzando. E ovviamente raschiare con le dita, tentando di allargare una ferita già profonda, era molto doloroso ma non le avrei mai lasciato la soddisfazione di vantarsene.
Non cercò mai rifugio sugli alberi: evidentemente voleva un combattimento ad armi pari e di questo dovevo rendergliene merito. Combatteva come una furia, in silenzio, senza mai lasciarsi andare a commenti, e questo mi comunicò una strana sensazione, come se dal nostro combattimento dipendesse davvero la vita. Ma era così? Non l’avrei uccisa davvero, una volta che avessi vinto.
Uccidere Rose? Non potevo. Non volevo farlo.
Nell’attimo in cui indugiai, ponendomi l’unica domanda che si era fatta strada nella mulattiera impraticabile dei miei pensieri, Rosalie ne approfittò per saltarmi addosso. Me la ritrovai sulla schiena e, stringendomi per il collo, mi tirò su con sé. Mi sentivo soffocare mentre le sue dita premevano sulla trachea. Mi buttai a terra, con lei avvinghiata addosso, dimenandomi per staccarla da me. Le ossa della spina dorsale scricchiolarono così rumorosamente da sembrare un ticchettio di tacchi sul pavimento. Mi fece tornare alla mente come Lehausle aveva ucciso Seth: voleva davvero uccidermi? Suo fratello era più importante anche della nostra amicizia? Bene, allora fine degli scrupoli, ammesso che ne avessi mai avuti.
Rotolando, mi ritrovai sulle zampe e mi buttai contro la corteccia di un faggio robusto e ricoperto di edera che per fortuna troneggiava vicino a me. Mi sarei fatto male, ma, speravo, anche lei. Ed effettivamente le cose andarono così. Rosalie perse l’equilibrio e mi lasciò andare. Ne approfittai per attaccare e le graffiai un fianco. Parti di corpo si lacerarono, ma era strano combattere contro i vampiri: venivano feriti e anche uccisi, ma la totale assenza di sangue rendeva la visione molto meno brutale di quanto sarebbe stata. Ad ogni colpo assestato, rispondeva e dovetti ammettere che era brava, molto brava. D’altra parte, ripensandoci, noi due non avevamo mai combattuto seriamente. Soltanto quella scaramuccia ridicola sul confine, finita poi in quel modo… Ora potevamo fare sul serio: era il combattimento che avevo sempre sognato contro di lei. In fondo, all’inizio lei era stata la prima dei Cullen che avrei voluto uccidere; a volte avevo perfino sognato come farlo, e ora ne avevo l’opportunità.
Tra spinte, morsi, graffi e ferite, più o meno gravi, avremmo potuto continuare in eterno: io avevo un repertorio molto vasto e Rosalie altrettanto. Oltretutto il fatto che riuscisse a tenermi testa mi innervosiva ancora di più. Forse non ci stavo mettendo abbastanza impegno come con suo fratello, ma le ero corso dietro per impartirle una lezione e l’avrei fatto.
Durante il combattimento avevo avuto l’impressione che non sentisse più il mio odore, esattamente come succedeva a me con lei. Non sentivo più la sua scia da vampiro, né tanto meno la puzza, ma soltanto a tratti l’odore di vaniglia e se anche a lei stava accadendo la stessa cosa, forse avrei potuto sorprenderla. Dopo averla colpita leggermente col solo scopo di farle perdere l’equilibrio e disorientarla per pochi secondi, mi acquattai nell’erba che, complice la rigogliosità della primavera, era cresciuta a dismisura. Quasi un metro di altezza e non c’era dubbio che qualcuno venisse a tagliarla! Strisciai pian piano, poi mi fermai. Rosalie era in piedi e stava controllando gli innumerevoli graffi che avevano ormai rovinato la sua felpa; poi si guardò in giro, furtiva. La sentii annusare, ma senza alcun risultato. Avevo ragione: non mi sentiva. Un po’ un combattere alla cieca, come facevano gli esseri umani. Però l’udito era finissimo quindi dovevo soltanto stare fermo. Le donne sono curiose, mi avrebbe cercato lei per prima. E io ne avrei approfittato.
Camminò a passi leggeri, ma non troppo. Sapeva di essere sotto tiro da qualche parte ed era inutile tentare di non fare rumore. Arrivò fino al centro di quella radura poi si fermò, indecisa. Non aveva nessuna intenzione di farsi ferire ancora, né di perdere. Voleva riportare il combattimento in parità e capì che doveva prima scovarmi. Corse verso uno degli alberi per salirci sopra e poter dominare dall’alto la posizione. Il mio piano primario andò in fumo, ma la rincorsi per impedirle di salire su quel maledetto ramo. La afferrai per una caviglia e tirai con tutte le forze che avevo. Probabilmente, se avesse opposto resistenza, il risultato sarebbe stato che il suo piede mi sarebbe rimasto in bocca; invece si lasciò andare. In quel mentre mi afferrò per la gola e strinse, per strangolarmi. Le sue unghie si piantarono in profondità e mi lacerarono la carne. Così avrei perso e non soltanto la battaglia. Con le ultime forze, le diedi una zampata in viso: quattro graffi profondi dall’orecchio sinistro fino al naso. Gridò per il dolore e cadde a terra. In un attimo le fui sopra e dischiusi le fauci sulla sua gola. Sentendo i canini appoggiarsi si fermò: sapeva che bastava che chiudessi la bocca e sarebbe morta. Avevo vinto, infine. Ero stato più bravo di lei, di suo fratello. Ero il più forte, ma non ne ero così soddisfatto. Perché aveva combattuto contro di me per difendere lui.



 
Eccomi qua! Volevo fare un combattimento fra Edward e Jacob come dio comanda e l’ho fatto! Mi ero sentita veramente tagliata a metà quando li avevo fatti combattere poco prima dell’arrivo di Demetri e poi ho dovuto sospendere...
In più ho aggiunto uno scontro con Rosalie e nel prossimo capitolo ne leggerete le conseguenze impensabili.
Un bacione a tutte quelle che recensiscono e anche a quelle che solo leggono.

Ven

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Capitolo 77
*** Ricordi dimenticati ***


“Bravo, Jake. Ti senti meglio ora?” la sentii sussurrare con voce stentata. Abbandonai subito la stretta come se fossi stato richiamato all’ordine e indietreggiai di due passi, pur restando sopra di lei, a rimarcare che avevo vinto e che il mio dominio era completo.
Si alzò, appoggiandosi sui gomiti e si toccò il viso che, pur sfregiato dai miei lunghissimi artigli, stava riacquistando il consueto splendore. Mi guardò cupa e amareggiata, sbattendo lentamente le palpebre; poi allungò una mano verso di me. Ringhiai rumorosamente e senza riflettere, guidato solo dall’istinto. Rosalie la ritrasse subito, ma non per lo spavento. Solo dispiacere di essere stata respinta. E io non capii il perché visto che aveva combattuto come una pantera fino a poco prima. Che cosa cercava? Voleva farsi perdonare per avermi aggredito?
“Seth mi ha raccontato che voi del branco fate così. Combattete per sfogare la rabbia e io ho pensato che combattere contro di me fosse la terapia migliore. Non potevo permettere che facessi del male a mio fratello perché avresti vinto, senza dubbio” mi spiegò.
Però avrei potuto farne a te…Abbassai lo sguardo, quasi prostrato.
Lo aveva fatto apposta, anche se non ne capivo il perché. Aveva rischiato di morire perché, sì, l’idea di ucciderla, mi era balenata parecchie volte nell’arco del nostro combattimento, e anche se sapevo che me ne sarei pentito, non potevo fare finta di non averlo pensato. Ciò che mi irritava maggiormente era che non l’avrei uccisa per la sua natura di vampiro, ma soltanto perché si era messa fra me e suo fratello. Lo odiai ancora di più perché non mi aveva portato via solo Bella, ma anche la mia migliore amica. Aveva preferito lui a me. Che diavolo aveva di così speciale? Non erano nemmeno fratelli biologici, però lo aveva difeso. Era irritante sapere che lui era così tanto amato mentre io non valevo niente. Non ero abbastanza importante.
Un brontolio roco si gonfiò dal petto, pronto a esplodere per una parola sbagliata o un’espressione ignara. Sentivo l’odio diventare sempre più forte a ogni secondo che passava, annullare ogni mia volontà, renderla inutile e calpestabile.
“Jake, calmati” sussurrò con la leggerezza di un petalo che sfiora il viso.
Non la ascoltai. Tutta la mia attenzione era volta solo alle urla velenose che mi istigavano a tornare indietro dagli altri, a uccidere quella sanguisuga, a sancire una giustizia che sembrava volermi essere negata. Gli altri erano ancora là. Sentivo le voci lontane confondersi nella mente. Potevo farcela, potevo ucciderlo e liberarmene una volta per tutte, anche se ora sarebbe stato molto più complicato.
A tradimento, la mano di Rose si appoggiò sulla mia guancia, affondandola nel pelo reso appiccicoso dal sangue. Alzai gli occhi verso di lei per scostare il muso e farle capire che doveva restarmi lontano se non voleva che cambiassi idea e mi vendicassi su di lei, ma incontrai un’espressione così dolce e lontana da tutti i miei propositi di vendetta che vacillai per qualche istante, e se ne accorse.
“Jake, capisco cosa provi, ma non puoi fargli del male e nemmeno ucciderlo. Scateneresti una guerra e non è quello che vuoi, né quello di cui abbiamo bisogno adesso. Devi rassegnarti, è inutile lottare in questo modo. Non porta da nessuna parte…”.
Scrollai la testa leggermente, affatto convinto.
“Lo so che è dura vederla tutti i giorni mano nella mano con lui, innamorata e appagata, ma non puoi farci nulla. Hai tante cose per cui essere felice. Tra poco finirai la scuola e potrai lavorare, aprire l’officina che volevi… Hai la tua famiglia, tanti amici che ti vogliono bene… Hai visto come si sono schierati dalla tua parte? Devo ammetterlo: ci avete fatto paura” ridacchiò, senza gioia. “Non puoi rovinarti la vita. Nessuna ragazza merita questo, neanche Bella. Non voglio che butti via tutto. Hai delle grandi potenzialità e puoi avere tutto ciò che desideri”.
Constatando la mia immobilità e l’azione che le sue parole stavano esercitando su di me, si mise a grattarmi la guancia. Era una sensazione piacevole e, pur essendo tipicamente canina, non me ne vergognavo, al contrario degli altri. La osservai mentre mi sorrideva. I suoi occhi ancora scuri erano sconosciuti, senza alcuna luce a me nota; eppure mi ordinavano a gran voce di smettere, di fermarmi una buona volta e la cosa buffa era che avrei obbedito. Senza volerlo realmente.
Con un passo avanti le appoggiai il muso sulla spalla, come un cagnolino devoto; Rosalie continuò ad accarezzarmi con la mano sinistra mentre appoggiava il braccio destro sulle spalle, affondandovi il viso. Il cuore che batteva all’impazzata, vittima di un invincibile desiderio di riscatto, si ritrovò impercettibilmente calmo, vuoto. Il suo fermarsi quasi di colpo mi fece male ma ben presto fu sostituito da un ospite mai attesa eppure tanto desiderata: la quiete. I nervi si rilassarono, i muscoli avrebbero ceduto se la mia forza di volontà non gli avesse imposto la rigidità, smisi persino di sentire le voci dei miei compagni. Edward, Bella, i Volturi, tutto così lontano, come se non fosse mai esistito, dileguato, seppellito in un libro che non avrei più voluto aprire. Avevo provato la stessa sensazione quella sera, quando ero talmente ubriaco da non riuscire a stare in piedi, e sempre con Rosalie. Che fosse realmente il mio angelo custode, che si materializzava per salvarmi dalle mie scempiaggini? Spostai il muso e strofinai la guancia sulla sua, naufrago in un oceano di pace. Si scostò per guardarmi, per constatare l’ennesimo miracolo che era riuscita a fare. Eppure nei suoi occhi non vidi compiacimento, ma un pizzico di incertezza. Probabilmente non credeva di essere riuscita a calmarmi davvero ma era così. La mia testardaggine era stata domata e colei che ci era riuscita era seduta davanti a me, come se non fosse nemmeno conscia della sua importanza. Il graffio sulla guancia stava guarendo, non si vedeva quasi più. Irresistibilmente le appoggiai una zampa sul viso per accarezzarle la cicatrice, ma nello stesso momento in cui lo feci mi resi conto che avrei rischiato di ferirla ancora visto che ero un lupo. Eppure lo stavo già facendo: una mano le stava sfiorando la pelle liscia e morbida. La staccai lentamente e la strinsi a pugno: era proprio la mia! Rispondeva ai miei comandi, quindi… Mi guardai l’altra zampa: un’altra mano umana. Girai la testa su ogni parte del mio corpo: ero tornato umano! Senza accorgermene… Un brivido spumeggiò dalle scapole e percorse tutta la schiena. Il cuore riprese a battere all’impazzata mentre lo stomaco si torceva per la tensione. Ero umano: come poteva essere? Non poteva accadere senza una precisa volontà da parte del licantropo in questione. Era assurdo e sconvolgente. A dispetto di tutto quello che avevo affrontato e che avrebbe spaventato qualsiasi persona, non era niente rispetto al terrore irriducibile che provai in quel momento.
Lo smarrimento traboccò dai miei occhi perché Rose mi prese il viso fremente fra le mani e bisbigliò:“Sta calmo. E’ tutto a posto, non ti agitare. Ci sono io, Jake…”. Mi abbracciò a lungo, accarezzandomi il viso sudato con la mano gelida ma non servì. Non dovevo tornare umano, non così, non adesso, non senza la mia autorizzazione. Il mio corpo si irrigidì per la paura. Cosa stava succedendo al mio potere? Ne stavo perdendo il controllo? Rosalie mi sfiorò la nuca con le dita ed una spirale di freddo mi scosse dal profondo. Ma non un freddo normale, bensì un brivido di eccitazione. Eccitazione da contatto con una donna e questo, se possibile, mi sconvolse ancora di più. La spinsi lontano, mentre indietreggiavo a carponi, cercando di nascondere di me quanto più possibile. Non che mi sentissi in imbarazzo di fronte a lei, visto che era l’unica donna ad avermi visto nudo, ma qui era tutta un’altra questione. Che cosa stava pensando del fatto che fossi tornato umano, così all’improvviso? Che il mio corpo stesse falsando ogni cosa, proiettando un desiderio che non mi apparteneva… Ma se non mi apparteneva, perché l’avevo sentito, anche se solo per un minuto? Stavo perdendo il controllo di me, dopo mesi e mesi di esercitazioni. Stavo rovinando tutto. Non volevo tornare come agli inizi, ai primi mesi di licantropia. Rosalie non distolse mai lo sguardo dai miei occhi e fu ancora più terribile. Avevo la sensazione che potesse leggermi dentro, come aveva fatto Desirèe e non volevo che accadesse. Stava leggendo la mia insicurezza, la mia paura e l’angoscia: non doveva vedermi così.
Una volta lontano da lei, senza alcuno sforzo, riuscii a tornare lupo. La abbandonai, senza il coraggio di voltarmi e corsi via. Scappai così veloce da far diventare solo puntini gli alberi che mi sfioravano. Ero spaventato a morte, angosciato, intorpidito dall’eccesso di adrenalina. Forze non più di odio e cattiveria scivolavano fuori dalla pelle e mi facevano perdere la cognizione di me e di quello che mi stava intorno. Inciampai un paio di volte, rialzandomi subito, fino a raggiungere la casa di Sam, vicino alla quale ci eravamo trasformati tutti quanti e avevo lasciato i vestiti. Trovai, nel panico più totale, il cespuglio, deposito dei miei averi. Tornai umano e, una volta rivestito, feci irruzione in casa di Sam. Emily era seduta davanti alla tv, che si dilettava con uno zapping distratto. Era quasi mezzanotte, ma lei era solita aspettare Sam alzata, ogni volta in cui si recava agli addestramenti. Voltò il viso verso di me, trasecolata, e si avvicinò, vacillante a causa della pancia ormai fin troppo ingombrante.
“Jake? Cosa c’è? Cosa fai qui?” domandò, aggrottando la fronte.
Mossi la bocca per risponderle, ma non trovai il fiato per farlo. Inutile dire che questo mio atteggiamento sventato, la spaventò a morte.
“Che succede?” ribadì, quasi tremante. “E’ successo qualcosa all’addestramento? Sam sta bene?”.
Riuscii ad annuire e per lei fu abbastanza. Si appoggiò allo schienale dell’unica poltrona che avevano in salotto, sospirando e portandosi le mani al petto, come per volerlo fermare. Ma per me non era così facile. Lo sentivo battere irriverente, invadermi il torace, rimbombarmi nel cervello. Mi lasciai cadere sulla sedia vicino al tavolo della cucina, privo di energie. Emily si avvicinò, chiedendomi se stessi bene e avessi bisogno di qualcosa.
“Mi potresti fare un caffè, per favore?” sospirai come se avessi dovuto ricorrere a tutte le mie forze. Emily annuì e si mise a preparare la macchinetta, senza dire una parola. Quando il caffè fu pronto, me lo servì. Ero restio a berlo. Non sapevo neanche io perché lo avessi chiesto, forse per colmare il silenzio fra me ed Emily; forse perché volevo qualcosa che mi distraesse; non lo so. Ma la testa scoppiava, come se una battaglia in corso la stesse divorando cellula per cellula.
In quel frangente entrò Sam che si scoprì meravigliato di vedermi lì seduto, con la testa fra le mani, aggredito da troppe sensazioni. “Che succede? Jake, che fai qui?” domandò aspro.
“Com’è andata?” balbettai.
“Com’è andata?” ripeté aggredendomi con un atteggiamento severo e furibondo. “Stavi per scatenare una guerra contro i Cullen e mi chiedi com’è andata? Se proprio ci tieni a saperlo, siamo ancora in pace, ma stavolta abbiamo veramente corso un grave rischio, e tutto per colpa della tua gelosia! Credevo che stessi maturando, che stessi cambiando, ma evidentemente mi sbagliavo. Stavi per trascinare tutto il branco nelle tue assurde vendette e se credi che stavolta la passerai liscia, te lo puoi scordare!”.
“Rosalie sta bene?” chiesi, dando voce alla mia paura più profonda.
“Certo che sta bene” urlò. “Dobbiamo ringraziare lei se non siamo in guerra con i Cullen, non è così? Razza di idiota…”.
Mi passai le mani fra i capelli e mi appoggiai sul tavolo. Il cuore batteva così forte da togliermi il fiato. Cominciai a respirare più velocemente ma aumentando la velocità, la respirazione diventò difficile. Ero in apnea. Gocce di sudore ghiacciato mi imperlarono le tempie mentre per sostenere i polmoni aprii la bocca, incamerando aria. Emily mi toccò la fronte poi si chinò:“Stai bene, Jake? Che cos’hai?”.
Sam si avvicinò e mi sollevò il volto con violenza. Mi fece spalancare gli occhi e toccandomi i capelli, li sentì bagnati. “Non ti ha morso, vero?” domandò frenetico.
Scossi la testa lentamente e a quel punto mi decisi a buttare giù d’un fiato il caffè. Deposi la tazzina sul piattino con sfinimento; Sam mi aiutò ad alzarmi e mi fece sedere sul divano. Emily ci accompagnò e si sedette accanto a me, dispensandomi un sorriso d’incoraggiamento.
“Cos’è successo, Jake?”.
Bella domanda! In realtà non sapevo nemmeno io cosa raccontare, perché ero ridotto in questo stato. Ero tornato umano e allora? C’era bisogno di farsi venire un attacco di panico? Sì, perché non potevamo tornare umani senza volerlo. Potevamo trasformarci in lupi contro la nostra volontà, però il fenomeno inverso era impossibile. Incredibile, ma vero!
Deglutii faticosamente e, a tratti e con frequenti soste per consentirmi di respirare, feci il mio racconto. Pensavo che alla fine li avrei visti scoppiare in una fragorosa e irriverente risata, invece Emily fissò il suo compagno scettica, poi Sam, dopo essersi umettato le labbra, iniziò:“Può capitare, Jake. Non è un evento impossibile. Ad esempio, se ci si addormenta da lupi, non è infrequente che ci si svegli umani. Non succede spesso, però capita…”.
“Lo so” ammisi. “Dimentichi che io sono stato due mesi solo ed esclusivamente lupo in Canada e ogni tanto mi è capitato di svegliarmi umano. Il punto non è questo. Il fatto è che non dovrebbe succedere se si è coscienti e soprattutto se si è arrabbiati come lo ero io! La rabbia impedisce il ritorno alla forma umana. E’ il deterrente più forte che ci sia, eppure io lo sono tornato ugualmente”.
“Sì, ma hai detto che ti sei sentito in pace con te stesso ad un certo punto” puntualizzò Emily. “Forse il tuo subconscio ha percepito la tranquillità interiore e ha agito senza un ordine consapevole”.
Non sapevo che dire e Sam appariva altrettanto dubbioso.
“Non credo che debba fartene un cruccio, Jake” mi esortò il capo elargendo a piene mani la sua razionalità. “Quello che ti è successo è inconsueto, d’accordo, ma non vuol dire niente. Non stai perdendo il controllo di te stesso, se è questo che temi. In fondo, la licantropia è una magia, non una scienza. Non possiamo avere risposte per tutto, ma non devi spaventarti. La tensione gioca brutti scherzi. Sono sicuro che non accadrà mai più”.
Non ne ero affatto convinto, ma non avevo neanche ipotesi che potessero confutare la teoria di Sam. Mi limitai ad annuire ed Emily mi abbracciò per quanto possibile, visto l’ingombro che la sua pancia stava cominciando ad occupare.
Sciolsi l’abbraccio e mi diressi stanco verso la porta. Avevo combattuto, mi ero terrorizzato da solo, mi ero sfogato e ora l’adrenalina si stava sciogliendo in una profonda spossatezza. Nella mente si materializzò l’immagine del letto: lo desideravo così ardentemente da rendere quel chilometro che mi separava da casa quasi un deserto.
“Jake” mi richiamò all’ordine. Mi voltai, esausto.
“Non venire agli addestramenti fino a nuovo ordine, intesi?” mi intimò.
“Perché? Non farò altri errori, lo giuro”.
“I Cullen sono inviperiti, Bella su tutti, e preferiscono non averti tra i piedi. Io la penso come loro”.
“Ma mancano due settimane” replicai, quasi in forze per sostenere una discussione. “Non posso stare fermo per tutto questo tempo. Devo essere allenato quando arriveranno…”.
“Da quello che ho visto sei già allenato più di tutti noi messi insieme, quindi non tornerai fino a che non ti darò l’autorizzazione. Il capo sono ancora io e decido ciò che è meglio per tutti”.
Scrollai le spalle con decisione e, senza salutarli, me ne tornai a casa, a quell’ora già avvolta nel silenzio, mi buttai a letto, ancora vestito e mi addormentai di botto, come se mi avessero sedato.
L’indomani, verso l’ora di cena, Rachel e papà sapevano già tutto della mia sortita, ma mentre la prima mi aveva rifilato una solenne sgridata, il secondo si era limitato a esibire un broncio piuttosto artefatto. Era intuibile che papà non mi avrebbe mai sgridato perché avevo tentato di far fuori un vampiro, anche se i patti erano diversi. Si mostrava severo perché voleva dimostrarmi che dovevo ubbidire a Sam, ma che lui fosse d’accordo con me era quasi una scommessa vinta. Mi sedetti fuori dalla porta, sulla mia adorata e ormai sfondata poltrona in vimini e lì rimasi, godendomi il crepuscolo. Non era il momento della giornata che preferivo, ma contemplare il sole che andava a dormire facendosi largo tra le nuvole che occupavano stabilmente l’orizzonte da queste parti, era uno spettacolo. Avevo finito i compiti e avrei potuto andare dopo cena agli addestramenti ma intendevo rispettare le direttive. Pianificai la serata: in televisione non c’era granché, come al solito. Potevo andare a farmi un giro in moto, a Port Angeles magari. Era venerdì sera e doveva esserci movimento. Optai per questa alternativa, anche se non particolarmente invitante.
Alzai lo sguardo e vidi Joe arrivare, camminando in maniera così scialba da farmi credere che non sarebbe arrivato in piedi, ma strisciando. La solita passeggiata verso casa mia prima degli addestramenti.
Si piantò davanti a me e mugugnò:“Allora è vero che non vieni…”.
“Sam me l’ha proibito” risposi con ostentata noncuranza.
“Fregatene. Sei tu il capo e puoi fare ciò che vuoi!”.
“Non sono io il capo, Joe, e non fare finta di non saperlo. Sono un subordinato, esattamente come te, e quando Sam dice qualcosa, devo eseguire” ammisi. Sapevo ciò che avrebbe ribattuto ma ero anche conscio che avevo promesso a Sam che non avrei mai fatto niente per minare la sua autorità e invece ieri ero venuto meno al giuramento. L’unica cosa che potevo fare per rimediare, era sminuire il mio ruolo agli occhi degli altri, Joe in primo luogo.
“Dovresti esserci tu al suo posto…” obbiettò, come previsto.
“Smettila. Le cose stanno così e basta!” soffiai. L’ultima cosa che volevo era mettermi a discutere con un pivellino.
“Ieri sera eravamo tutti dalla tua parte, lo sai, l’hai sentito…” mormorò.
“Sì, l’ho sentito e avreste sbagliato. Vi avrei fatto sbagliare. Un capo non commette certi errori”.
“Eravamo uniti, Jake, e da quando sono diventato uno di voi non ho mai sentito una sintonia del genere. E non dirmi che è stato così perché ho poca esperienza! Leah me l’ha confermato… Anche lei ha sentito qualcosa di più forte del potere di Sam. Empatia. E non soltanto perché sentiamo l’uno i pensieri dell’altro, ma perché era un cuore solo a battere, un sentimento comune a unirci. Questo tipo di legame non l’ho mai percepito fino a ieri sera e sei stato tu a permetterlo”.
Distolsi volutamente lo sguardo. Anch’io avevo sentito quello di cui parlava ma se lo avessi ammesso, avrei creato una falla nell’autorità di Sam e non volevo, non a due settimane dalla più grande battaglia della nostra vita. Avevamo bisogno di un capo solido, robusto, stabile e non di me. Non potevamo permetterci di sbagliare e Sam era la scelta migliore, la più sicura, quella che avrebbe consentito a più vite possibili di tornare a casa sane e salve.
Gli occhi di Joe, che avevano scintillato come due lampadine parlando di questa esperienza, si spensero lentamente, non constatando alcuna reazione in me e si sedette sull’altra sedia vicina. Per lungo tempo non parlò, come se stesse lì solo per far passare il tempo e arrivare all’ora in cui avrebbe dovuto andarsene. Fui io a rompere il ghiaccio, a proposito dell’argomento che mi premeva più di qualsiasi altro.
“Come stava Bella ieri? E’ guarita subito?” lo interrogai.
“Sì, più o meno. Però era davvero molto incazzata. Non l’avevo mai vista così. Credevo che si volesse mangiare Leah, che ha preso le tue difese sia con Sam che con Carlisle. Hanno dovuto tenerla in due. Era arrabbiata perché avevi quasi ucciso il suo prezioso compagno…”.
Il tono con cui disse “prezioso” mi fece sorridere. Era strano detto da lui che sembrava andare d’accordo con la sanguisuga, però non fu ironico, non nei miei confronti almeno. Mi rallegrò, anche se dovetti respirare più profondamente per seppellire la delusione. Bella era arrabbiata per il pericolo corso da Edward, non perché l’avessi ferita. Ma di cosa mi stupivo? Era già tutto calcolato. Era ovvio che la vita del pinguino fosse di gran lunga più importante della sua, ma pensare che un tempo l’aveva fatto per me, mi strinse il cuore in un convulso palpitare. Non ce l’avrei mai fatta. Era inutile.
“Non devi avvilirti, capo” interruppe il tranquillo fluire delle mie emozioni. Vidi in quegli occhi azzurri un’inestinguibile ottimismo. “Non ne vale la pena. Bella mi piace ma non è una banalità se dico che non ti merita. Non ti apprezza abbastanza e non è adatta a te”.
“C’era un tempo in cui mi apprezzava eccome…” biascicai.
“Il passato è passato e siccome di vita ne abbiamo una sola, credo che sia da stupidi perderci ancora tempo e lacrime. Le cose sono andate così e stop. Trovatene un’altra e vai avanti”.
“Non è facile come dici” lo rimbeccai. “Non si smette di amare una persona dal giorno alla notte. C’è bisogno di tempo. Ma d’altra parte sei un ragazzino, non puoi capire certe cose…”.
Alzò gli occhi al cielo e, facendomi il verso, disse:“Sono meno bambino di te, sai? Almeno io non mi ostino a inseguire una che non mi vuole. Io, se fossi al posto tuo, mi bacerei i gomiti! Con tutte le ragazze che ti vengono dietro, me le sarei già fatte tutte!”.
La sua affermazione da latin lover navigato mi fece ridere di gusto. Non aveva mai baciato nessuna e stava lì a snocciolarmi le sue perle di saggezza. Però, almeno tirava sù di morale!
“Tutte queste ragazze di cui parli, io non le vedo…” ridacchiai.
“Perché hai gli occhi e le orecchie foderati di prosciutto, ma io le vedo eccome… D’accordo, non tutte saranno degli splendori, e, considerando il tuo target precedente, puoi solo precipitare in basso. Però, magari neanche così in basso!”.
“Cioè?”.
“Beh, è un po’ difficile trovare qualcuna che regga Rosalie. Ma se la bellezza non è tutto…” rispose tranquillamente.
“Quindi la tua soluzione quale sarebbe?” ammiccai. Quella conversazione stava diventando più divertente di quanto potessi immaginare.
“Te l’ho già detto. Farti tutte quelle che ti attizzano, almeno fisicamente, così non avrai rimpianti di non essertela goduta quand’era il momento!” esclamò la voce dell’esperienza.
“E tu faresti questo al posto mio?”.
“Certo” esclamò risoluto. “Anzi, ti conviene darti una mossa perché l’imprinting potrebbe arrivare da un momento all’altro e quindi dopo la cuccagna sarebbe finita…”.
“Mettiamo che io sia te: con Alice come faresti?” lo stuzzicai diabolicamente.
“Alice è la più bella su questa terra, ma è impegnata, oltre al fatto che puzza come una fogna e ha almeno cinquant’anni più di me! Un po’ troppi per instaurare una relazione. Quindi sì, la venero come se fosse una dea, ma non posso arrivarci quindi mi guardo intorno e afferro quello che passa il convento…”.
Mi colpì come lui avesse escluso una sua relazione con Alice non per via delle loro nature, ma per problemi di età. Nessuno del branco aveva mai preso in considerazione una qualsiasi delle Cullen perché erano vampiri, non perché fossero impegnate o cos’altro. Solo un eterno e indimenticabile problema di razze. Era strano come Joe fosse diverso da noi, non ponesse limiti e fosse incredibilmente simile a Seth. Nemmeno a lui aveva mai procurato problemi la diversità fra di noi, anzi era stato il primo, e anche l’unico, ad accettare a pieno i Cullen. Non li aveva mai odiati, anzi. Erano tranquilli vicini di casa con cui scambiarsi il barattolo dello zucchero e fare amicizia. Per il resto del branco, me compreso, non era mai stato così. Odio, soltanto odio. A questo ero stato educato e il fatto che Edward mi avesse portato via Bella aveva solo cementato questa convinzione. Non lo rimpiangevo, però troppe etichette avevano condizionato la mia vita e il mio modo di pensare, fino all’arrivo di Rosalie. Lei aveva cambiato tutto il mio mondo. Se non avessi avuto una relazione con lei, probabilmente quel giorno avrei lasciato morire Bella; invece sapere che potevo farcela a convivere con un essere completamente diverso, un tempo mio mortale nemico mi aveva indotto in tentazione. E ora, col senno di poi, non sapevo se avevo fatto bene, dato che non ne avevo tratto alcun giovamento.
“Senti, ma nessuna di quelle che conosci ti piace un pochino? Tipo Cristell: è davvero carina!” mi incalzò, malizioso.
“Se dici che ti piace tanto Alice, come fai a guardarti attorno?” lo sorpresi, riprendendo un discorso che riteneva concluso.
“Andiamo, Jake, non fare il tonto! La adoro, ma non voglio farmi del male, e anche se non ce n’è nessuna come lei, posso sempre essere felice con qualcun’altra. Lei non è il mio imprinting e non potrebbe neanche esserlo, quindi non ci trovo niente di male se ci metto una pietra sopra e mi limito a guardarla da lontano. La posso considerare un po’ come la mia prima cotta, quasi, seria. Anche tu ne avrai avute, no? Prima di Bella, intendo…” disse, assumendo l’atteggiamento e il tono da professore che educa lo scolaro. E un po’ scolaretto effettivamente mi sentivo. Alla sua età non pensavo alle ragazze, ma solo alle macchine e al football. Sapevo dell’esistenza di un’altra metà del cielo, alcune le trovavo davvero carine, ma nessuna che valesse una gara di nuoto con gli amici a First Beach. Fino a quando…
Strinsi un po’ gli occhi, rivangando quell’episodio, come se lo stessi dissotterrando dalla scatola dei tesori. L’avevo quasi dimenticato e mi sorpresi a sorriderne.
“Che c’è? Ridi da solo come i matti?” domandò Joe.
“No” risposi, scuotendo la testa. “Stavo solo pensando alla mia prima cotta, come l’hai chiamata tu…”.
“Ah sì? Chi era? La conosco?”.
Scrollai le spalle. “Era una ragazza più grande di me, parecchio più grande. Era molto bella e diciamo che per due-tre mesi ho avuto in mente solo lei. Poi è passata…”.
“Si chiamava…?” insistette. La Push era una cittadina molto piccola e sicuramente si illudeva di conoscerla anche lui, per avere un bel pettegolezzo fra le mani, ma dovetti deluderlo.
“Non ho mai saputo il suo nome” replicai nostalgico, mentre sul volto di Joe si dipingeva la più insopportabile delusione.
Appoggiai i piedi sullo steccato del patio e guardai il quarto di luna sgomitare da dietro le nuvole. Era proprio una notte da licantropi e vampiri.
“Sai, mi stavo chiedendo una cosa” sussurrò Joe. “E se la ragazza destinata ad essere il mio imprinting fosse già morta?”.
“Cosa?” sgranai gli occhi allibito.
“Sì. Emily mi ha raccontato che, secondo lei, quando si nasce la nostra perfetta metà è già stabilita, perciò io mi chiedo: e se in questo momento stesse avendo un incidente? Oppure fosse malata? O addirittura vivesse dall’altra parte del mondo? Io non potrei mai conoscerla e quindi non avere mai l’imprinting!”.
Non potei trattenermi dal ridere a crepapelle, anche perché Joe sembrava realmente preoccupato.
“Questa è l’opinione di Emily ed è una visione decisamente romantica dell’imprinting. La tua metà non è morta, è viva e vegeta da qualche parte e, visto che hai tutta quest’ansia di avere cento esperienze con altre ragazze, ti conviene conoscerla il più tardi possibile!” risposi, tentando malamente di impostare un tono serio.
“Sì, però il dubbio è lecito” insistette.
“Certo, però spiegami perché tutti gli imprinting sono con ragazze di La Push e, a parte Claire, tutte della stessa età del lupo in questione. L’imprinting non è un problema di anime gemelle, ma semplicemente di affinità percepite in maniera diversa rispetto a quelle degli esseri umani. Una specie di colpo di fulmine, solo più forte…”.
“Quindi non esisterebbe un imprinting solo…”.
“L’imprinting è uno solo” sbuffai.
“Ma allora? Magari lei morirà domani e non la conoscerò mai…”.
“Il destino farà in modo di farla arrivare a te e quindi non la farà morire” tagliai corto. Odiavo quell’argomento.
“Già, come ha fatto con Desirèe e Seth. Il destino l’ha portata da lui prima che la uccidessero” ammise.
Rivangare Seth e Desirèe stonò la conversazione scanzonata che speravo di avere intrapreso.
In quel momento Rachel comparve sulla porta per chiamarmi a cena. Sorpresa di vedere Joe, lo invitò a entrare, ma lui dovette declinare per andare agli addestramenti, che già mi mancavano.
Mangiai distratto e svogliato, usando la forchetta alla stregua di un bastoncino dei cinesi, poi me ne tornai fuori. Avevo scoperto che mi rilassava stare seduto su quella sedia e ci affondai dentro, ripensando al discorso sulla prima cotta fatto con Joe. Com’era strano che rifiorisse adesso, dopo tre anni di oblio più completo! O forse non era mai stato completamente oblio. Senza che me ne accorgessi.
Avevo quindici anni. Mio padre ed io eravamo a Forks, per comprare alcuni pezzi di ricambio per il pick up che Billy aveva deciso di sistemare e regalare a Bella. Stavamo passeggiando, mentre lui mi raccontava di quanto fosse contento che la figlia del suo amico avesse deciso di trasferirsi lì dopo tanti anni e della convinzione che la sua presenza avrebbe giovato molto a Charlie e alla sua solitudine da orso. Onestamente non lo ritenevo un argomento particolarmente interessante: a me questa Bella, di cui non ricordavo nemmeno un particolare di quando eravamo piccoli, non avrebbe cambiato la vita. Sarebbe arrivata di lì a pochi mesi e io non trovavo la cosa neanche un po’ eccitante. Mi stavo limitando ad annuire al sermone di mio padre, quando alzai gli occhi e vidi la creatura più bella che potesse esistere sulla terra. Ferma, davanti a una vetrina, a pochi passi da me, con una sua amica. Chiacchieravano amabilmente e ridacchiavano. Sulle prime pensai che fosse un’attrice, poi riflettendoci: che diavolo avrebbe mai fatto a Forks? Una scampagnata in un posto dimenticato da Dio? Sicuramente paparazzi non ne avrebbe trovati, però lo ritenevo ugualmente assai improbabile. Si allontanarono dal negozio e camminarono verso di noi. Mio padre continuava a parlare facendo apparire la sua voce come un monotono e lontano chiacchiericcio, mentre io mi ero perso a contemplarla. Non avrei trovato parole per descriverla: nessuna poteva farlo con il dovuto plauso, ma soltanto sminuirla. Capelli soffici come il pelo di un pulcino, occhi ingenui e spigliati allo stesso tempo, labbra morbide che lasciavano intravedere un sorriso garbato e seducente; la mini gonna esaltava le caviglie sottili e le gambe lunghe e proporzionate. Un angelo sulla terra. Desiderai baciarla e con tanta foga che mi sarei quasi venduto l’anima al diavolo per farlo. In quel momento mi resi conto che esisteva qualcosa che mi poteva interessare più di una macchina ed era lei.
Mi passò di fianco, senza guardarmi, come se non esistessi. Come darle torto? Ero un bambino e per giunta più basso di lei. Tuttavia, non le staccai gli occhi di dosso fino a che non sparì all’angolo. Billy si accorse che non lo stavo più ascoltando e ne intuì il motivo.
“Lasciala perdere. Non è il tuo tipo ed è troppo più grande di te” osservò con voce tagliente.
“Perché? Quanti anni ha?”.
“Non ne ho idea, però deve averne almeno venti, ventidue. Tu devi guardare quelle della tua età…”.
“Quelle della mia età non sono nemmeno paragonabili” avrei voluto aggiungere, ma capii dal tono seccato che non avrebbe accettato di essere contraddetto. Tacqui, facendo finta di approvare, e ce ne tornammo a casa.
I giorni successivi non feci altro che pensare a quella ragazza. Sì, d’accordo era più grande di me, però io non sarei rimasto un ragazzino per sempre, sarei cresciuto, anche in altezza, e allora mi avrebbe guardato, ne ero sicuro. D’accordo, sarebbe sempre stata più vecchia di me, ma che cos’erano in fondo cinque anni? Avrei aspettato un pochino e poi avrei provato a parlarle, ad attirare la sua attenzione in una qualche maniera. Così le mie incursioni a Forks aumentarono in maniera esponenziale. Non sapevo se fosse realmente di quella città, se non si fosse trovata lì per caso, speravo solo di rivederla dal vivo, perché nei sogni già accadeva.
Adesso, con il senno di poi e con l’esperienza di Bella sulle spalle, non potevo altro che classificarla come la classica sbandata da adolescente, ma allora sembrava la vita e la morte. Gli amici e i divertimenti venivano sempre al primo posto, però avere un altro pensiero, così robusto e piantato saldamente nel cervello al pari degli altri, mi spaventava. Spavento che però era esile quanto un alito di vento rispetto alla gioia di incontrarla nuovamente. Ed effettivamente per cinque-sei volte accadde. La rividi da sola, in compagnia dell’altra amica e poi a braccetto con un ragazzo grande e grosso e probabilmente della sua età. Non ero geloso e non me ne facevo un cruccio. Quando sarei cresciuto, lo avrebbe lasciato: potevo fargliela godere per un altro paio di anni, poi non ci sarebbe stata storia. Era incredibile quanto fossi sicuro di me allora!
Mentre sognavo ad occhi aperti che mi rivolgesse la parola, anche soltanto per sbaglio, trascorsero parecchie settimane ed arrivò il giorno in cui dovetti accantonare, con rammarico, le mie ambizioni.
Quil, Embry ed io eravamo in giro a Forks, a bighellonare, apparentemente senza uno scopo, per loro, per il segreto desiderio di vederla, per me, quando lei effettivamente apparve. Eravamo seduti su una panchina, urlando e ridendo, e, quando la vidi camminare con alcuni sacchetti nella nostra direzione, non potei trattenermi dall’ammutolire. Quel giorno sembrava ancora più bella, con le labbra lucenti e i capelli biondi appoggiati su una spalla che ondeggiavano lievemente al suo incedere. Ci passò davanti, ignorandoci platealmente, mentre, seguendola con lo sguardo, desiderai di essere qualsiasi cosa, anche soltanto del pulviscolo, per poterla accompagnare a casa.
“Ti piace quella?” domandò Quil, ornando la sua domanda di un irritante risolino.
“Non particolarmente” mentii, scrollando le spalle.
“Ti piace invece…” rincarò Embry.
A quel punto, vistomi scoperto, non trovai particolari ragioni per continuare a nascondere la verità. Tanto entrambi passavano da una cotta all’altra e me lo raccontavano senza alcun problema; non mi sembrava sconveniente che ammettessi di averne una, per quanto superficiale potesse essere definita, visto che non conoscevo neanche l’oggetto dei miei sogni.
“Quella è di un’altra categoria…” disse Quil.
“Questo è sicuro!” affermai con sarcasmo.
“No, intendo dire che per avvicinarti dovresti possedere almeno una Porsche, che non mi risulta sia parcheggiata nel tuo garage” mi corresse quasi velenoso. Ecco, era arrivato il momento della presa in giro.
“E’ molto bella, ma se la tira come se ce l’avesse solo lei… Non fa per te, Jake. E poi te l’ha detto Quil: quella lì deve essere una che bada solo ai soldi. Guarda come va in giro vestita! E poi è anche impegnata” aggiunse Embry. “Non hai speranze. Mettitela via e guarda qualcuna alla tua portata”.
“Come fate a dire che è impegnata?” investigai. Quei due sembravano saperne molto più di me e, con un po’ di fortuna, avrei potuto scoprire qualcosa di interessante.
“Perché è spesso in giro con un ragazzo. Non è la prima volta che la vediamo e poi ho i pettegolezzi della mia vicina: frequenta una compagnia di ragazzi di Forks che la conoscono di fama…” rispose Quil.
“Ah sì? E cosa ti ha detto di lei?”.
“Niente di particolare, a parte il fatto che ha un fratello bellissimo, a suo dire” esclamò, mostrandomi la lingua in segno di disgusto. “Che frequentano il liceo di Forks, sono molto riservati e che si sono stabiliti in città da qualche mese. Non molto di più…”.
“Il liceo?! Ma quanti anni ha allora?”.
“Dovrebbe averne sedici, anche se sembra più grande…”.
Sedici anni?! Aveva solo un anno più di me! Fantastico! La situazione si stava volgendo a mio favore senza neanche essermi sbattuto. Potevo convenire con Quil che effettivamente se la tirasse un po’ troppo, però dove si trovava un’altra ragazza così bella? Ne aveva tutte le ragioni.
“E non sai come si chiama?” domandai quasi entusiasta.
“Non ne ho idea. So solo che è figlia di quel dottore nuovo che lavora all’ospedale di Forks, in Chirurgia generale. Cullen, mi sembra che si chiami…”.
“Cullen?!” ripetei senza espressione.
Quil annuì e fu una doccia fredda.
I Cullen. Mio padre mi aveva raccontato di loro e di alcune strane leggende. Pareva che fossero discendenti dei Freddi, che secoli fa avevano terrorizzato Forks e dintorni e che i nostri antenati avevano faticato a scacciare fino a sancire con uno di loro, il più leale e mite, un patto che mettesse al riparo La Push e i suoi abitanti dalla loro presenza in cambio di una pacifica convivenza. Ovviamente non davo assolutamente credito a queste stupidaggini a cui mio padre sembrava credere fermamente, però lui mi aveva proibito di venire in contatto in qualsiasi maniera con i membri di quella famiglia. Lo trovavo sciocco e infantile, ma che importava? Non li conoscevo e stavo bene a La Push. Nessun problema. E invece ora venivo a sapere che la ragazza che veneravo era una di loro.
Non sembrava cattiva e poi essere una discendente non voleva dire per forza essere un’assassina. I Freddi: un modo un po’ particolare per definire i vampiri. Mio padre credeva che i vampiri esistessero e io dovevo credere che lei fosse imparentata con loro? Addirittura una vampira, forse? Mi venne da ridere, tuttavia mi rovinò la giornata. Quando tornai a casa, non chiesi niente a papà e la notte trascorse inquieta. Anche se mi ero imposto di non farmi influenzare, accadde. Questo a dimostrazione della superficialità dei miei sentimenti. Se fosse stato amore vero, non mi sarei spaventato per leggende metropolitane, non avrei lasciato che mi travolgessero. E pian piano dimenticai.
Tre mesi dopo arrivò Bella e il mio cuore, vedendola sussultò, anche se per poco. Dovetti aspettare più di sei mesi per sentirlo scalciare e vibrare freneticamente per lei. E per scoprire che i Cullen appartenevano alla stessa razza dei Freddi, e quindi vampiri; che io ero discendente del branco di licantropi che aveva liberato la zona; che Carlisle Cullen era colui che aveva siglato il patto con il mio antenato; che la ragazza amata per così breve tempo si chiamava Rosalie.

 
 
Ciao ragazze,
che dire? Lascio a voi ogni possibile commento o deduzione, ma fatemela sapere!!! Un bacione a tutte!

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Capitolo 78
*** ... e i ricordi riaffiorarono ***


“Bella non è qui” mi rispose sorniona la nanerottola, appoggiata allo stipite del portone di legno intarsiato da fregi dorati.
“E dove la posso trovare?” insistetti, giusto per farle capire che non avrei mollato l’osso tanto facilmente.
“A casa sua, è ovvio”. Il suo sorriso si allargò.
“E non è questa casa sua ora?” chiesi spazientito. Non mi era mai piaciuta quell’acciuga e ora stava cominciando a farmi incazzare davvero.
“No. Carlisle ed Esme avevano acquistato una casa per lei ed Edward dove sarebbero andati a vivere subito dopo il matrimonio. Abitano là già da due mesi. Come potrai immaginare, qui non c’è molta privacy, oltre a troppa gente per i nostri gusti…” bisbigliò con una buona dose di veleno, sottintendendo qualcosa che non avevo mai voluto affrontare.
Rimasi sbigottito. Bella e il pinguino convivevano da due mesi e nessuno me l’aveva detto, né lei né Rosalie. Spalancai la bocca, sconvolto, e rimasi intontito per alcuni secondi, prima di domandare:“E dove si trova?”.
“A cinquecento metri da qui. Sempre dritto” mi liquidò frettolosamente, sbattendomi quasi la porta in faccia.
Scesi le scale, buttando i piedi a caso, come se stessi eretto per miracolo, dopo una sinfonia di cazzotti. Questo era l’effetto dell’incontro con Alice. Non avevo la più pallida idea che fossero andati a convivere. Mi sembrava surreale e non avevo mai preso in considerazione la cosa perché considerando quanto era antiquato Edward la ritenevo un’opzione affrontabile soltanto dopo il matrimonio. Però sapevo altrettanto bene che Bella avrebbe preferito convivere invece che sposarsi e alla fine l’aveva avuta vinta lei. Non era tanto la convivenza che mi abbatteva, ma l’implicazione diretta che ne conseguiva: lei non era più umana e lui non doveva avere paura a toccarla. Il fatto che non si abbandonassero a coccole in pubblico non voleva dire che si comportassero nella stessa maniera anche in privato. Mi fermai in mezzo al bosco. Non sapevo più se volevo realmente andare, dopo questa scoperta, se sarei riuscito a sopportare che mi fosse sventolata davanti al naso.
Poi ripensai al motivo per cui mi ero spinto fin dai Cullen e decisi di affrontare l’ennesima prova.
Camminai velocemente, scongiurando di non interrompere qualcosa, altrimenti non sarei riuscito a trattenermi, vanificando di fatto la mia missione. Erano passati tre giorni da quando avevo quasi ammazzato Edward quella sera, il giorno della battaglia finale si avvicinava e ancora non mi era stato concesso di tornare al campo ad allenarmi. Non volevo essere tagliato fuori dagli ultimi preparativi e Joe mi aveva confidato che il mio ritorno era respinto soprattutto da Bella. Mi ero deciso ad andare direttamente da lei per chiederle perdono, sempre sperando che non mi sparasse un sermone su quanto il mio comportamento avesse messo in pericolo il prezioso pezzo di marmo. Se mi avesse perdonato, i Cullen avrebbero chiuso un occhio e, alla faccia di Sam, sarei potuto tornare al campo. In realtà non ero affatto pentito di quello che avevo tentato di fare, però volevo chiedere scusa per averla aggredita. Di questo ero sinceramente dispiaciuto e se lei non dava la giusta importanza alla ferita che le avevo provocato, beh, per me era una questione di vita o di morte. Era stato un errore, certo, ma se l’avessi morsa con la stessa veemenza un po’ più a sinistra, l’avrei uccisa e a quel punto tanto valeva che mi fossi buttato giù da una scogliera.
Avanzando nella direzione indicatami dalla preveggente, ben presto apparve una casa di mattoni scuri, a vista, decisamente più piccola di quella dei Cullen, ma ugualmente più grande della mia, con un piccolo balconcino sulla sinistra, cinto da una ringhiera nera in cui si inanellavano foglie e fiori di bronzo di pura fantasia, come nei disegni dei bambini. Su ogni davanzale c’era una pianta diversa, ma tutte dalle corolle sgargianti; non c’era un giardino, da quello che potevo vedere, a meno che non fosse sul retro.
Ovviamente le tende bianche erano tutte tirate e non si sentiva nemmeno un piccolo rumore provenire dall’interno. Mi avvicinai imbarazzato e bussai. Come dai Cullen, non avvertii i passi avvicinarsi, ma di fatto la porta si aprì, e, con mia enorme sorpresa, fu Kate Denali a spalancarla. Devo ammettere che questa ipotesi non l’avevo presa in considerazione e mi riempì di gioia: non erano soli!
“Cosa vuoi, Fido?” domandò sbrigativa, passandosi con leggerezza una mano fra le ciocche. Uhm, dicevano di noi lupi, ma anche loro non erano maestri di buone maniere! La imitai, senza troppi problemi.
“Cerco Bella” risposi tranquillamente.
Kate mi indirizzò un’occhiata tutt’altro che docile poi sparì all’interno, lasciando la porta socchiusa. Non entrai però non riuscii a reprimere la curiosità di dare una sbirciatina. L’ingresso dava direttamente su un soggiorno che doveva occupare tutto il piano terra, con un camino di marmo bianco, davanti al quale un divano e poltrone dello stesso colore lo circondavano a semi cerchio. Seduti su di esso c’erano Edward, Rosalie e Carmen: lui e la spagnola si voltarono verso di me. Lo sguardo di Edward cupo, sintomo di una rabbia fredda. Rosalie mi ignorò deliberatamente, tenendo il viso reclinato. Potevo vederne il profilo e capivo che c’era qualcosa che non andava. Era malinconica, come se si sforzasse di trattenere qualcosa di intimo e doloroso.
In quel momento, da una camera adiacente sbucò Bella, che raggiunse con passo imperioso l’ingresso dove ero stato appoggiato come un ombrello. Aveva jeans e una maglietta nera, assolutamente anonima, come era solita vestirsi quando era umana. Mi si parò davanti con un malessere palese e sibilò:“Cosa vuoi?”.
Trovai la durezza più impenetrabile nel suo sguardo: le iridi non erano più rosse vermiglio ma un color ocra, segno che la dieta “vegetariana” stava dando i suoi frutti e presto sarebbero diventate dorate; la sua carnagione era più cadaverica del solito.
“Ti devo parlare di una cosa. E’ importante…”.
Si girò verso il piccolo gruppetto, a cui adesso si era unita anche Kate e il cui perno sembrava essere Rosalie, e disse:“Esco un attimo. Ci vediamo tra poco”. Non potei evitare di seguire il suo sguardo e incontrai quello di Edward che si limitò ad annuire, malvolentieri. Gli altri, Rose compresa, non risposero. Bella mi passò davanti, chiudendo la porta e si diresse nel bosco. La seguii come un bravo cane fedele ed effettivamente ogni tanto mi pareva di essere allo stesso livello. Ogni volta che aveva bisogno correvo, ogni volta che c’era un litigio fra noi, ero io a chinare la testa. Forse non era giusto ma finiva sempre in questo modo.
Camminammo in silenzio per parecchio, poi, una volta giudicato che fossimo abbastanza lontani perché nessuno sentisse i nostri discorsi, si fermò e, incrociando le braccia, mi fissò, in attesa.
“Che cosa è successo a Rose?” domandai senza capire neanche io il motivo di quella domanda, che però mi stava realmente a cuore.
“Non sono affari tuoi” mi liquidò fredda. “Sei venuto qua per questo?”.
Scossi la testa stancamente, incapace di continuare. Mi ero preparato decine di discorsi, aspettandomi di trovarla furibonda, arrabbiata, pronta a scattare a ogni mio respiro e invece fronteggiavo un muro. Non parlava, non diceva niente, si limitava a fissarmi e ad aspettare. La vecchia Bella non sarebbe riuscita a dominare la sua rabbia in questa maniera e neanche la vampira Neonata di qualche tempo fa. Questa era la nuova Bella, la Bella di ghiaccio che non trasmetteva alcuna sensazione, a parte il disagio. Al diavolo, non mi sarei certo fatto mettere in imbarazzo da una sanguisuga, anche se si trattava della mia Bells!
“Voglio parlarti di quello che è successo tre sere fa, all’addestramento…” iniziai con decisione.
I suoi occhi divennero due fessure, occludendo ogni possibile emozione potessi intravedervi o anche soltanto immaginare.
“Ti ho assalito e mi dispiace. E’ stato un errore. Ero troppo preso dalla foga, non ho fatto caso che si era inserita fra noi una scia completamente diversa, la tua, e non mi sono fermato” continuai.
“Sei qui per questo?”.
“Sì, per me è molto importante che tu capisca che non volevo farti del male e che è stato completamente accidentale”.
Bella sospirò e si appoggiò ad un albero, come se fosse esausta. “Lo so, Jake, che non l’hai fatto apposta, e tu dovresti capire che io non sono arrabbiata con te per questo. La motivazione è un’altra”.
“La immagino, però non posso chiederti scusa per avere assalito lui…” ribadii, cercando di attenuare il disgusto. “Sai cosa provo nei tuoi e suoi confronti. Mi sono lasciato prendere la mano e ho esagerato, questo lo ammetto, ma non posso dirti che sarei dispiaciuto se lo avessi ucciso”.
Bella mi lanciò un’espressione ruvida, che riconoscevo e mi dava speranza: non potevo pretendere di essere perdonato ma capiva il mio stato d’animo. Era peccato mortale avere attaccato il suo adorato, come e peggio di un omicidio, eppure sapeva, per quanto si ostinasse a volermi chiamare “amico”, che non potevo trattenere i sentimenti che altalenavano da amore nei suoi confronti a odio senza fine verso qualcun altro.
“Non sono più arrabbiata con te, se è questo che ti sta a cuore” sospirò energicamente. I suoi occhi furono improvvisamente luminosi, quasi febbrili. “So cosa ti muove, ho imparato a farci i conti e non è piacevole, te lo assicuro. Però anche tu devi capire i miei sentimenti e chi ha la priorità nella mia vita…”.
Abbassai lo sguardo, quasi lugubre. Pensavo di sapermi dominare, almeno a parole, ma ogni volta che si affrontava questo discorso, i miei nervi saltavano.
“Cosa credevi di ottenere, Jake? Credevi che ti avrei amato se avessi ucciso Edward?” domandò, nascondendo una risata amara.
“No. Volevo soltanto vendetta… Non chiedevo altro”.
“Vendetta di cosa? Perché lui mi ha strappato a te? Perché amo lui e non te?! Jake, apri gli occhi una buona volta! Sono impegnata con lui, sono felice per quanto la situazione possa essere disperata e la mia scelta è la migliore. Non ritornerò mai più sui miei passi, nemmeno se Edward morisse perché sarebbe un accontentarsi e tu meriti di meglio…”.
Alzai il viso nella sua direzione e la scrutai, cercando di assimilarne le parole. In esse c’era qualcosa che rovinava la pigra melodia. “Non ritornerò mai più sui miei passi”: perché aveva detto questo? Cosa significava? Se si fosse trattato della vecchia Bella, avrei capito a cosa alludeva ma non lei. Non… Scossi la testa turbato e fu allora che notai in lei un tramestio di sensazioni, perplessità e incertezze. Che stava accadendo? Si portò i capelli dietro le orecchie, mordicchiandosi il labbro inferiore. Per quanto la trasformazione fosse stata efficiente, sapevo riconoscere ancora l’irrequietezza per una situazione sordida. La vecchia e timorosa Bella era riapparsa e l’intuito mi suggerì che non era un bene. Scosso da un brivido, iniziai a sudare. Feci qualche passo per obbligarla a guardarmi in faccia, a smettere di nascondere la bugia che la stava impestando. A sua volta indietreggiò di qualche passo, non staccando gli occhi dal terreno. Il suo atteggiamento mi fece esplodere molto più velocemente di quanto immaginassi.
“Quando mai sei stata mia, eh? Come fai a dire che non tornerai più, se non ci sei mai stata con me?! Allora!” gridai, divorato dalla rabbia. Il mio urlo velenoso la fece trasalire come se fosse stata pugnalata.
“Jake, smettila, per favore” sussurrò e la sua voce suonò incerta e fragile.
“Che cosa stai nascondendo Bella? Perché è così… Stai nascondendo qualcosa. E’ chiaro come il sole!” la aggredii nuovamente ma ottenni soltanto un lungo silenzio. Strinse i pugni e potei distinguere le unghie affilate piantarsi nella carne; la vidi mordersi il labbro inferiore; ma ancora niente. Eppure io avevo già intuito e in fondo al cuore avvertivo la crepa di una risposta che non desideravo.
“Ti sei ricordata, vero?” domandai, non ascoltando nessun intimo consiglio.
Bella scosse la testa, socchiudendo le palpebre più volte per camuffare un tetro dolore.
“Non ho mai dimenticato”.
Non sentii più nulla, nemmeno l’allegro cantare degli usignoli o lo sfrondare dei rami. Tutto era immobile e sparito. Soltanto lei davanti a me. Quello che avevo sognato per notti intere aveva preso forma in quel momento. La mia Bella era lì, consapevole dei nostri ricordi, dei nostri sogni e di tutto quello che ci aveva legato. Un’ondata di felicità mi travolse, ma si ritirò come la schiuma dalla spiaggia l’istante successivo. Ricordava ogni cosa, peggio non l’aveva mai dimenticata. La trasformazione non le aveva cancellato nulla, ma allora perché l’aveva tenuto nascosto? Perché aveva richiuso se stessa e me in una solitudine inconciliabile? Non capivo e lo lesse nei miei occhi.
“Mi dispiace, Jake, se ti ho mentito ma era necessario. L’ho ritenuto necessario” puntualizzò, pronta ad addossarsi la colpa.
“Perché?”.
“Perché non volevo far soffrire ancora una volta né te, né Edward. Ho inventato la mia amnesia perché ho tentato di far finta che non fosse successo niente, che tutto fosse tornato come una volta, che tu capissi che la trasformazione era avvenuta e non sarei mai più stata tua. Non avevo messo in conto che proprio l’assenza di ricordi ti avrebbe spinto a tentare di farmi ricordare a tutti i costi. Ho sbagliato…”.
La forza che mi consentiva di tenere la schiena dritta e salda venne meno e avrei quasi giurato che sarei potuto cadere, ma qualcosa mi puntellò. Forse l’orgoglio, forse la collera. Mi aveva mentito per tutto questo tempo, adducendo come scusante il mio benessere. Era la balla più patetica che avessi mai sentito. Il sangue pulsava con innaturale velocità mentre l’istinto più crudele sembrava volersi impadronire del mio corpo per ucciderla per quello che mi aveva fatto passare.
“E tu mi avresti mentito tutto questo tempo soltanto per evitarmi sofferenze? Oh andiamo, Bella, non dire idiozie! Ed Edward? Lo sa?” chiesi, reprimendo la rabbia più profonda.
“Gliel’ho rivelato subito; quando è arrivata Rose a raccontarmi di voi due, ho dovuto ammetterlo anche con lei e in breve tutti i Cullen l’hanno saputo, ma volevo che tu ne restassi all’oscuro…”.
“Ma perché?! E’ questo che non capisco, Bella! Hai detto che l’hai fatto per me, ma io non riesco a trovarci nulla che potesse portarmi giovamento!”.
“Se tu avessi pensato che non ricordavo, ti saresti pian piano rassegnato, avresti capito dov’era il mio posto ed Edward non ne avrebbe sofferto. La vecchia Bella è morta quell’alba e avevo bisogno che te ne rendessi conto. Quando mi sono risvegliata, dopo la trasformazione, ho ricordato quasi tutto subito: ti avevo amato, avevo deciso di stare con te, di essere umana e avere una nostra famiglia, eppure sembravano ricordi così lontani, quasi surreali. Poi quando ho guardato Edward è stato come se mi avessero dato una coltellata. Potevo leggergli il dolore più profondo in ogni singolo movimento e questo mi ha uccisa perché ricordavo la promessa che gli avevo fatto: non farlo soffrire mai più. Ho capito che avevo fatto una sbaglio, ma che avrei passato l’eternità a farmi perdonare…”.
“Cosa?” domandai furibondo. “Mi stai dicendo che stai con lui per pietà? Che fai finta di niente per non farlo soffrire ancora? Sei deficiente, o cosa?!”.
“No, non è pietà, tutt’altro. L’ho rivisto per ciò che era: il mio primo amore, il mio unico amore. E’ successo qualcosa in quei primi minuti, come se un nuovo profumo avesse invaso la mia casa. E di colpo tutto ciò che l’aveva riempita, te, Charlie, i nostri figli, è sparito, insieme alla piccola parte di me che ti aveva amato. Se mi chiedi una spiegazione logica, non te la so dare, ma ho capito che lo amo, che lo amo ancora più di prima e non avrei mai dovuto lasciarlo, nemmeno per poche ore…”.
“Quindi quello che c’è stato fra noi, per te non vuol dire niente? Soltanto un incidente di percorso?”.
“No. Ricordi cosa ti ho detto quattro mesi fa, subito dopo la riunione tutti insieme a proposito dell’arrivo dei Volturi? Ho detto che ero gelosa e che ti volevo tutto per me. E’ stato per questo. Ti ho amato perché non volevo perderti, volevo che mi stessi sempre vicino. Temevo che Rosalie o chiunque altra ti avrebbe strappato da me. La gelosia ha attinto a un sentimento che già c’era, ma lo ha esasperato. Così come la paura. La paura che tu morissi per mano dei Volturi, la paura di diventare come Jane o forse anche peggio, una volta trasformata, di abbandonare una vita normale e la mia famiglia, mi ha fatto sragionare. Non ne sono pentita, e probabilmente se tornassi indietro rifarei lo stesso perché l’ho fatto col cuore, ma adesso sono sicura, davvero sicura che la mia strada è da un’altra parte. Ti voglio bene, Jake, e mi dispiace averti mentito per così tanto tempo ma le cose stanno così. Amo Edward, l’ho sempre amato”.
Mi appoggiai a un albero. Mesi. Mesi di attesa e speranza per poi sentirmi dire che era stato tutto un errore, che lei amava il pinguino e io non ero mai esistito. Eppure avevo visto lo sguardo che mi aveva rivolto poco prima di essere trasformata, sentito le sue preghiere perché non la lasciassi mai. Com’era possibile che fossero frutto di paure e gelosie? No, non era plausibile. Probabilmente ricordava solo a tratti e non perfettamente. Come poteva ridurre la nostra storia a un momento di incertezza? Dio, era assurdo! In preda alla sete più grande e inestinguibile, la raggiunsi a falcate e la afferrai per le spalle. Dapprima sconcertata, mi lasciò fare. Quando le fui così vicino da poter scaldare le sue guance con un soffio, fui soffocato di nuovo da quella puzza di marcio che non la abbandonava mai. Erano passati quasi cinque mesi, eppure continuava a pungermi il naso. Credevo che ci avrei fatto l’abitudine, così com’era successo con Rosalie, e invece mi perseguitava. Mi costrinsi a fare finta di niente perchè volevo baciarla e niente mi avrebbe fermato.
“Lasciami” mi intimò con voce calma, ma energica.
“Non ricordi le cose com’erano, Bells. Sei solo confusa…” borbottai, avvicinando le labbra alle sue.
“Ricordo invece come mi hai abbracciato quel pomeriggio, come mi hai consolato prima della trasformazione, come mi hai convinto tu a diventare ciò che sono” disse e mi raggelò. “E’ tutto stampato nella testa, Jake, e mi fa piacere ricordarlo, ma è il passato. Edward è il presente e il futuro. Se vuoi provare a baciarmi, fallo pure, non ti fermerò, ma non concluderai niente, perché non ti amo”.
Le pupille leggermente dilatate per l’agitazione, il corpo inerte come quello di una bambola, il petto immobilizzato da un respiro inesistente. Accarezzai le braccia nude, in parte rivestite dalla maglietta a mezze maniche, e le sentii gelide e viscide, come se avessi afferrato un pesce e, a dispetto dei miei sentimenti, provai disgusto. Inoltre quell’orribile odore dolciastro di sangue che le sentivo addosso mi faceva venire i brividi, e non di gioia. Tutto di lei mi urlava che era finita e che un vampiro non può condividere altro con un licantropo, se non il campo di battaglia. La lasciai andare e indietreggiai con sforzo. Il pensiero di baciarla non mi aveva abbandonato ma leggevo nei suoi occhi una risolutezza che non le avevo mai visto quando era stata umana. Fino a quel pomeriggio a casa mia, i suoi comportamenti, le sue espressioni mi avevano sempre indotto a pensare che ci fosse una remota speranza che potessi in una qualche maniera, per quanto contorta, farla arrivare a me. Dopo la trasformazione i suoi occhi erano diventati vacui e i suoi fragili abbracci tradivano l’unico sentimento ormai presente: l’amicizia. Non mi odiava, mi voleva bene, come a un migliore amico e anche se l’avessi baciata non avrei risolto niente, a parte l’ennesima batosta. E il mio orgoglio cominciava a essere stufo di sopportare delusioni su delusioni. Era davvero finita. Ogni speranza andava accantonata, ogni segnale che potessi fraintendere, ben interpretato e la lezione imparata.
“Dovevo aspettarmi che tu facessi a me quello che hai fatto a Edward quel pomeriggio. Mentirgli, a tuo dire per proteggerlo dalla verità, mentre in realtà volevi solo proteggere te stessa. Buffo che solo adesso riesca a leggerlo così chiaramente…” ridacchiai, smascherando tutta l’amarezza della mia constatazione.
“Non cercherò di difendermi, perché non è così. Quel giorno non gli ho voluto dire la verità perché avevo paura che mi odiasse e che dimenticasse tutti i nostri bei momenti insieme. Lo ammetto, è stata vigliaccheria e niente altro…”.
“Non volevi che ti dimenticassi, volevi restare al centro del mio mondo, per questo non mi hai detto la verità, perché così mi avresti tenuto legato a te, con la speranza che un giorno potessi amarmi ancora. Leah aveva ragione: sei un’egoista e io uno stupido che si è lasciato manipolare. Adesso, magari tra un po’ di tempo, salterà fuori che era stato calcolato dall’inizio, che hai finto di amarmi soltanto perché volevi che avvallassi la trasformazione, …”: non credevo nemmeno io a quello che stavo dicendo ma ero talmente infuriato da inventare qualsiasi cosa. Tutto pur di farla sentire indegna e spregevole.
“Credi che abbia inventato tutto?” balbettò tremante.
“Potrebbe essere…”.
“Lo sai che non sono capace di mentire, non avrei mai messo in scena una farsa del genere!”.
“Però adesso lo hai fatto, Bella, e credo che ti sia anche divertita” esclamai sgarbato. “Tu sapevi che io ci speravo, che ho passato mesi sognando che tu ricordassi, sai quali sono state le mie sofferenze perché un tempo le hai provate anche tu. E ora vieni a dirmi che hai fatto tutto per il bene mio e di quel pezzo di marmo?! Mi dispiace, Bella, ma non me la bevo più. Non sono un bambino a cui puoi rifilare ogni storiella e sono stanco, tremendamente stanco di tutto questo. Non credevo che saresti arrivata a questo punto, ma evidentemente non ti ho mai conosciuta abbastanza…”.
Bella si avvicinò con la delicatezza di un soffio di vento e mi accarezzò il braccio con la mano fredda e dura. “Non volevo farti del male. Credevo che fosse la soluzione migliore, che mi avresti dimenticato più facilmente ma ora mi accorgo che ho sbagliato. Ho cercato più volte di farti capire che non c’erano speranze ma non è servito. Dovevo dire la verità, fin da principio…”.
“Sai, credevo che fra tutte le qualità che la trasformazione poteva cancellare, rendendoti peggiore, una sola sarebbe rimasta sicuramente: l’onestà. Ma ora mi accorgo che neanche quella c’è mai stata… Ho immaginato un rapporto fondato sulla fiducia che non è mai esistito. Erano tutte illusioni. A questo punto mi chiedo se quella Bella sia mai esistita. Probabilmente no e questo fa ancora più male, perché vuol dire che ho passato anni ad amare una persona che non esiste”.
“Jake, non è vero!” alzò la voce, come a voler scacciare la mia verità. “Io ti ho amato davvero anche se è stato per pochi giorni. Non volevo ferirti, non volevo farti del male. So che ho sbagliato, ma vorrei soltanto un’altra opportunità”.
“Un’altra opportunità per fare cosa?”.
“Per essere amici” ammise con innocenza. “Per essere tutto quello che non siamo stati finora. Ti ho deluso come donna, ma come amica saprò essere migliore. Possiamo essere diversi tutti e due, possiamo venirci incontro e volerci bene, possiamo ricominciare da capo”.
Era assurdo vedere nei suoi occhi l’incolume miraggio che tutto potesse finire come lei voleva: sposata con il suo vampiro, e io amico felice della coppia. Mi sfuggì un risolino quando immaginai la scena. Non avrebbe mai capito di cosa mi aveva privato in quel momento e non avrei mai avuto un risarcimento. Scossi la testa poi dissi:“Mi dispiace, Bella, ma per come stanno le cose non possiamo nemmeno essere amici perché l’amicizia si basa anch’essa sulla fiducia e tu hai distrutto ogni cosa”.
“Ti prego… So che per salvare il mio rapporto con Edward ti ho fatto del male, ma non mollare, ti scongiuro. Siamo amici, io ho bisogno di te e tu di me. Mi avevi promesso che mi saresti stato sempre vicino…” singhiozzò. Volsi lo sguardo altrove perché stavo recitando la parte da duro e se avessi visto le sue lacrime, l’avrei abbracciata e gliela avrei data vinta ancora una volta. E non volevo più farlo.
“L’ho promesso a una ragazza diversa da quella che mi sta di fronte. Non vale per Bella, il vampiro. E poi” aggiunsi con un sorriso stanco “convivi da due mesi e non hai neanche avuto la decenza di dirmelo. L’ho dovuto scoprire io, per caso”.
Bella strinse le palpebre con strisciato rammarico.
“Se volevi chiudere, stavolta ce l’hai fatta. E’ veramente finita. Mio padre l’ha sempre detto: mai amicizia con i vampiri. Ti sfruttano finché gli servi e poi si fanno i loro comodi. Evidentemente tu eri un vampiro latente già prima di essere trasformata”.
Spostai con voluta scortesia il braccio da lei e mi incamminai verso La Push. Bella accelerò il passo e mi si parò davanti, chinando il capo e sussurrando “Mi dispiace” più volte, seguito da un “Perdonami” che mi lacerò il cuore. Ma per quanto volessi perdonarla, avevo deciso che non l’avrei fatto. Feci finta di niente e ripresi a camminare, lasciandola alle spalle. Pian piano la sua scia scomparve e io, peregrinando come un viandante spossato dai troppi chilometri, varcai il confine.
Mi sentivo a pezzi. La ragazza che tanto avevo amato mi aveva ingannato dall’inizio, e per quanto mi sforzassi di immedesimarmi in lei, non riuscivo a cogliere la sua generosità. Leggevo soltanto capricci ed egoismo, esattamente come descritto da Leah. Tuttavia la amavo ancora, anche se non sapevo più dire chi fosse l’obbiettivo dei miei sentimenti. Ad ogni modo quella persona non esisteva più. Uccisa da Demetri o creata semplicemente dalla mia fantasia, doveva sparire. Avrei voluto sfogarmi con qualcuno ma chiunque mi avrebbe rimproverato l’inevitabile:“Te l’avevo detto. Non era fatta per te” oppure “Mai fidarsi dei vampiri”.
Quando tornai a casa, mi rintanai in camera a studiare o a fare finta. Non riuscivo a concentrarmi dopo quello che era successo e mi buttai sul letto, fissando il soffitto. Hai perso, Jake. Devi passare la palla.
Avevo la testa vuota e il cuore pieno di risentimento e rabbia. Dopo questo tradimento non pensavo che avrei realmente smesso di amarla, eppure qualcosa che non avevo calcolato era accaduto. Fra tutti i sentimenti da cui ero assalito, ne mancava uno, uno solo. La disperazione per essere stato respinto. E questo mi turbava più del resto. Avevo spesso immaginato che un giorno sarebbe venuta da me, rivelandomi quanto mi amava; oggi era accaduto l’opposto. Mi aveva detto che non c’era speranza, che non ci sarebbe davvero mai stato un futuro per noi e nei miei fantascientifici scenari avevo immaginato che se mai fosse venuto questo giorno, probabilmente mi sarei buttato da una rupe oppure avrei fatto qualsiasi altra sciocchezza, figlia dell’amarezza. Invece, a dispetto di tutto, sembrava che quella rivelazione mi avesse lasciato totalmente indifferente. Certo, ero arrabbiato per essere stato preso in giro, per aver scoperto un lato di Bella che non mi piaceva affatto, ma non ero realmente triste. Seccato, infuriato, indignato, ma non triste. Perché? Mi ero preparato talmente bene a questo giorno da non esserne scalfito? Oppure mi ero rassegnato da così tanto tempo da non accorgermi che la speranza fosse già svanita? Non sapevo quale spiegazione darmi e soprattutto quale fosse la più credibile. Una luce da sempre accesa, improvvisamente si spegne e tu, inerme e al buio, non fai niente per riaccenderla, come se non ci fosse differenza. Accetti la situazione con rassegnazione e lasci che la vita vada avanti, che la luce si riaccenda da sé. Ma la domanda era: volevo che quella luce si riaccendesse? Avevo bisogno di quella luce oppure potevo cavarmela da solo?
Mi rigirai su un fianco, irritato. Chiusi gli occhi e mi addormentai per un paio di ore, fino a che Rachel non venne a chiamarmi per la cena. Quando mi sollevai, mi chiesi se fosse stato tutto un sogno, ma il vago odore di vampiro che aleggiava ancora sul braccio, confermava la realtà. Il cuore riprese a pulsare più velocemente quando pensai a lei, ma mi ribellai. Da quel momento, e per sempre, sarebbe stata fuori dalla mia vita.
Scesi al piano di sotto e prima di avventarmi sulla cena, afferrai il telefono e chiamai Sam, il quale mi rispose con indifferenza. Almeno fino a che non gli dissi il motivo della mia chiamata.
“Stasera devo studiare, ma domani tornerò agli addestramenti, che piaccia a te e ai Cullen oppure no” affermai con tranquilla autorevolezza.
“Non sei ancora stabile, Jake. Lo sento dal tono di voce”.
“Non me ne frega niente. Fra dieci giorni i Volturi saranno qui e io devo allenarmi, esattamente come gli altri. Non ho nessuna intenzione di morire perché tu e quelle sanguisughe avete delle remore… Ci vediamo domani sera, direttamente alla radura”. Buttai giù la cornetta senza attendere risposta. Tanto ci sarei andato ugualmente, con o senza la sua approvazione. E poi gli altri del branco sicuramente sarebbero stati dalla mia parte. Ci avrebbero pensato loro a convincere Sam, se necessario.
A cena non feci parola né a papà, né a Rachel della mia conversazione con Bella e loro non si accorsero di niente. Risi, feci battute, raccontai della scuola e fu una liberazione. Non mi sentivo più soffocato dal dolore, ma affrancato da una schiavitù. Come se sperare, pregare che tornasse da me fosse stata una costrizione mentre, adesso, sapendo che avevo realmente perso, potessi voltare pagina. Ero libero di sentirmi meglio, di dimostrarle che potevo farcela senza di lei e che niente mi avrebbe fermato. Se mi aveva preso in giro, non le avrei permesso di goderne i risultati, anche se la conoscevo abbastanza da poter affermare che non l’avesse fatto con cattiveria. Che mi succedeva? Stavo ricominciando a giustificarla? No, assolutamente no. La amavo ancora? Sì, assolutamente sì, ma il libro era arrivato all’ultima pagina e andava chiuso.
La sera successiva giunse con fin troppa sollecitudine, contrariamente a ciò che avveniva di solito. La normalità consisteva nell’aspettare con ingordigia gli addestramenti principalmente per sfogare la rabbia e vedere lei; adesso sembrava non esistere né l’una, né l’altra motivazione. La distruzione della speranza faceva quest’effetto? Se sì, allora era una benedizione perché avevo smesso di soffrire.



Vi ho fatto una piccola sorpresa! Cosa ne dite di Bella, finta smemorata per tutto questo tempo?
Aspetto vostri commenti, anche acidi se necessario...
Un abbraccio a tutte quelle che continuano a seguirmi!
Ven

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Capitolo 79
*** Uno sfortunato scivolone ***


Quando arrivai alla radura, peraltro in ritardo rispetto al consueto, erano già tutti affaccendati in varie mansioni: alcuni combattevano, altri osservavano. Tra questi ultimi spiccava Sam, che, immobile dalla sua postazione, mi aveva sentito arrivare, dato che fu il primo, insieme al pezzo di marmo telepatico, a notare il mio rientro. E se loro non mossero un muscolo, i miei compagni, contravvenendo agli ordini, interruppero i loro combattimenti e arrivarono come un nugolo di cuccioli gioiosi a scodinzolare intorno al padrone. Manco a dirlo, Joe fu il più felice di tutti. Persino Leah mostrò un cauto entusiasmo. Sam non perse tempo per richiamarli e ordinargli di tornare al lavoro.
Una volta spariti loro, furono Sam e Carlisle ad avvicinarsi con passo perentorio.
“Allora? Come va?” mi domandò il dottor Canino.
“Tutto ok” risposi sommariamente.
“Spero che sia davvero così, Jacob, perché non intendo tollerare un altro assalto come quello dell’ultima volta…” mi intimò e fu la prima volta da quando lo conoscevo che lessi nei suoi occhi una sottile minaccia.
“Io sono a posto, ma è il mio capo a decidere se posso restare, non tu. Sam?” domandai con l’aria più innocente e contemporaneamente decisa di questo mondo. Non volevo sminuire l’autorità di Sam davanti ai vampiri e soprattutto nascondere quanto potessi essere ubbidiente, se volevo. Ma quando lo volevo?
Il lupo nero annuì lentamente e, senza aspettare il parere di Carlisle, me ne andai dietro un albero a prendere le sembianze animali. Non avevo nessuna intenzione di sfidare i Cullen, soprattutto in vista di ciò che avevo scoperto il pomeriggio precedente, ma volevo solo che si ficcassero in testa che noi lupi non eravamo loro succubi. Alleati per il momento, e nulla di più. Quando sbucai dal mio nascondiglio, incrociai lo sguardo spento e addolorato di Bella. Aveva interrotto il combattimento, probabilmente per venirmi a parlare ancora, ma io ero stanco, stanco di tutte quelle parole. E soprattutto volevo dedicarmi a chi mi voleva bene davvero. La ignorai e mi avvicinai al gruppo.
Combattei un po’ con un vampiro e poi, constatata la mia superiorità, feci un giro per visionare la situazione. I miei compagni erano diventati davvero bravi e potevo leggere la soddisfazione di Sam in ogni duello vinto; mentre Bella riusciva a selezionare le doti da bloccare e quelle da lasciare attive, anche se, quanto a tecnica di combattimento lasciava un po’ a desiderare. Mancavano pochi giorni e ormai non ci si poteva illudere che le cose sarebbero migliorate ulteriormente, però non ce la cavavamo male. Forse potevamo giocarcela alla pari. Guardandomi attorno, notai che Rosalie era vicino ad Alice e Kate e stava parlando con loro. Mi avvicinai per salutarla ma quando si accorse di me, mi voltò le spalle e si allontanò. Rimasi interdetto: perché? Anche a casa di Bella mi aveva ignorato. Mi misi a rimuginare e l’unica ragione che scovai fu che fosse ancora arrabbiata per il mio assalto a suo fratello. Però da come mi aveva parlato subito dopo, sembrava che fosse l’unica ad avere capito il mio errore. Eppure faceva di tutto per evitarmi. Devo ammettere che il suo atteggiamento mi mandò in confusione, però se credeva che le avrei lasciato tenere il broncio senza darmi una spiegazione, si sbagliava di grosso. Non sopportavo le bambine capricciose e se voleva una strigliata, gliela avrei servita senza problemi o rimpianti.
Verso la fine della serata, quando ormai si poteva definire concluso l’ennesimo addestramento, non aspettai i convenevoli di rito e raggiunsi il cespuglio per recuperare le mie sembianze umane e i vestiti. Quando riapparvi in posizione eretta, Sam mi guardò con bruciante disapprovazione. Lo sapeva cosa volevo e mi aveva ribadito per tutta la sera che sarebbe stato un errore e che dovevo farmi i fatti miei, oltre a lasciare Rosalie nel suo brodo. Peccato che lei fosse l’unica vera confidente che io avessi e non intendevo perderla. Mi bastava aver perso Bella, non avrei potuto tollerare altro. Se c’erano dei problemi, glieli avrei fatti sputare. Manco a dirlo, l’unico appoggio era stato Joe.
Quando mi vide avvicinarmi, non mostrò traccia di sorpresa o irritazione, ma di indifferenza, cosa che odiavo ancora di più, perché quell’espressione gliela avevo vista per mesi sulla faccia.
“Cosa vuoi?” domandò, senza neanche salutarmi. Il suo sguardo molto immobile.
“Ti devo parlare, se non è di troppo disturbo” ribadii con accentuato sarcasmo, facendole un mezzo inchino di scherno. Alice, con un’evidente preoccupazione negli occhi e un po’ di paura, le mise una mano sul braccio per impedirle di allontanarsi, ma fece bene a ritrarla perché altrimenti mi sarei trasformato e gliela avrei staccata a morsi.
Rose non rispose ma si limitò ad incamminarsi nel bosco più profondo, mentre gli altri, miei compagni compresi, tornavano silenziosamente alle loro case.
“Allora? Cosa vuoi?” sibilò nuovamente, quando il calpestio di tutti gli altri vampiri non fu che un sottile brusio. Il suo viso era del tutto privo di qualunque emozione potessi comprendere.
“Che ti prende?” sbottai senza giri di parole. “Mi hai ignorato per tutta la sera e dal tono con cui parli si direbbe che sei arrabbiata con me. Qual è il problema?”.
“Credi che ce ne sia uno?”.
“Il tuo comportamento suggerirebbe di sì”.
“Beh, ti dovrai ricredere. Il mondo non gira attorno a te, Jacob. Se stasera non ho voglia di parlarti, non sono obbligata a farlo, quindi tu e le tue paranoie potete andare al diavolo. Contento?” rispose con durezza e riscovando da una soffitta polverosa la famigerata e tanto detestata Rosalie. Il primo impulso fu di andarmene, ma, con enorme sforzo, lo repressi.
“Sei arrabbiata per il mio combattimento con tuo fratello? Oppure perché ti ho messo in imbarazzo, quando sono tornato umano senza accorgermene?”.
“Nessuna delle due”.
“E allora?”.
Si sfiorò i capelli, portandoli indietro, poi abbassò lo sguardo, sofferente. In un istante il suo viso era cambiato così tanto da suscitare pietà. Fece schioccare le dita, indecisa, poi infine disse:“Fra dieci giorni ci sarà il combattimento, poi andrò via. Non so ancora dove, ma devo staccare”.
“Via?” domandai. “Perché?”.
“Sono stanca, Jake. Ho bisogno di un po’ di pace e qui non la trovo”.
“Beh, ti posso capire” ridacchiai. “Con tutto il trambusto che c’è stato… Effettivamente una vacanza me la farò anch’io, appena preso il diploma”.
Rose allargò la bocca in una risata stanca e continuò, privandomi del terreno sotto i piedi:“Non è una vacanza, Jake. Non tornerò mai più. Ho chiuso con Forks”.
“Come sarebbe a dire?” domandai aggrottando la fronte.
“Che non mi vedrai più. Ad ogni modo, non ti devi preoccupare. Bella non se ne andrà. Adesso che suo padre sa una verità, lei ed Edward probabilmente resteranno qui molto a lungo. Almeno una decina d’anni, poi quando il resto della città comincerà a domandarsi perché non invecchiano, andranno a stare a Seattle o, comunque, qui vicino, in modo tale da poter continuare a vedere Charlie fino alla fine. Anche tu potrai trarne giovamento” concluse da fredda insegnante “so tutto io”.
Non capivo. Cos’era successo da indurla a questa decisione? Mi tornò alla mente la conversazione che avevo udito nel bosco. Emmett. Emmett c’entrava qualcosa. Anche stasera Eva gli era stata incollata.
“E’ per Emmett, vero?” diedi voce ai miei dubbi. “Non è innamorato di quella ragazza, lo sai. Lui ama te e questa è soltanto una ripicca per punirti di quello che c’è stato fra noi”.
“Non è una ripicca, Jake”.
“E allora che cos’è? Se vuoi andare via per avere dimostrazione che ti ama, l’avrai perché ti seguirà…”.
“No, non accadrà. Ci siamo lasciati, Jake. Due mesi fa” mi interruppe seccamente.
Scivolai in una caverna buia, popolata solo da domande. Due mesi? Si erano lasciati da due mesi e me lo diceva adesso? E tutto a causa di quella cosacca?! Vagai con la memoria: da quanto tempo Emmett si intratteneva con Eva durante gli addestramenti? Non mi sembrava da così tanto, però ero stato talmente preso da Bella che onestamente non avrei saputo quantificare. Ma allora perché Rose si era tenuta tutto dentro, senza dirmi niente? Eravamo amici. Perché aveva lasciato sfogare me su Bella mentre lei…? La vedevo nitidamente ora: era a pezzi. Sembrava un fantoccio, che si reggesse in piedi solo per consapevolezza della propria esistenza e per orgoglio.
“Puoi riconquistarlo, Rose. Non è tardi. Sicuramente ti ama. E’ una sbandata, niente di più. A noi umani capita continuamente, anche a voi vampiri capiterà, no?” la rassicurai con un tono accogliente, mescolato al rammarico.
“L’ho lasciato io, Jake. Non è stato lui” disse risoluta.
Questo, se possibile, mi tolse definitivamente le parole. Non ci stavo capendo più niente.
“Hai ragione: lui mi ama ancora e non è innamorato di Eva. Lei è dolce, bella, premurosa e probabilmente gli piace un po’, è una brava ragazza ed è innamorata davvero. Possono essere felici più di quanto lo siamo stati lui ed io, insieme”.
“Perché l’hai lasciato? Se ti ama, non ce n’era alcun motivo…”.
“Emmett non ha mai digerito quello che c’è stato… fra noi” sembrò deglutire faticosamente. “Il giorno dopo la tua sbronza a Seattle, quando sono tornata a casa, era infuriato. Anzi, infuriato è un eufemismo. Credeva che fosse successo qualcosa e glielo stessi nascondendo. Ho cercato di spiegargli, ma non mi ha creduto. E’ intervenuto Edward e a quel punto gli ha rinfacciato di averlo tradito, di avergli nascosto la verità, gli ha detto cose orribili, che non credevo avrei mai sentito uscire dalla sua bocca. E tutto per colpa mia. So che non le pensava ma vederlo così fuori di sé ha fatto male sia a me che a Edward. Per fortuna Jasper e Carlisle l’hanno calmato, ma in quel momento ho avuto la nitida consapevolezza che avevo rovinato tutto e che le speranze di rimettere ogni cosa a posto erano poche, per non dire nulle. Per tre giorni non mi ha rivolto la parola, poi mi ha chiesto scusa e mi ha convinto nuovamente a ricominciare. Dovevo soltanto evitare di nominarti e non rivolgerti la parola. Facile, no?”.
Rosalie mi rivolse un sorriso forzato, aspettando la risposta alla sua domanda e in quel momento mi sentii in colpa per tutto quello che avevo fatto. Me ne ero fregato e basta. L’avevo cercata in continuazione, ad ogni addestramento, perché lei mi faceva stare bene, perché avevo bisogno di quel sorriso, che mi stava rivolgendo anche ora, per colmare il vuoto di Bella. Non avevo pensato che Emmett si sarebbe arrabbiato, che avrebbero litigato, che avrei rovinato tutto per sentirmi meno solo. Rachel e mio padre avevano ragione: ero un bambino, ancora un maledetto bambino.
“Perché non mi hai mai allontanato?” domandai, ben sapendo la risposta.
“Stavi male, Jake, e io credevo che Emmett avrebbe capito che non c’era alcun pericolo, che eri innamorato di Bella. Inoltre mi limitavo solo a salutarti. Non facevo niente di male, ma per lui non era abbastanza: non ti ignoravo come promesso. Le discussioni e i rimproveri erano diventati all’ordine del giorno fino a quando siamo andati a Seattle per l’esposizione delle auto. Quella è stata la goccia: mi ha messo di fronte a una scelta e non ho scelto lui” ammise, con uno sguardo colpevole.
Mi appoggiai a un albero, sospirando. Avevo la testa vuota, come se qualcuno ne avesse aspirato via il contenuto. Rose camminava nervosamente avanti e indietro, pestando le foglie di acero con una brutalità esagerata. Si stava sfogando.
“Mi dispiace” borbottai, quasi inutile.
“Non c’è niente di cui dispiacersi. Tu non c’entri. La scelta è stata mia. In fondo, lo sapevo che ricostruire tutto sarebbe stato molto difficile, sia per il suo carattere che per il mio. Almeno ci ho provato… Credo… Adesso bisogna soltanto ripartire e vedremo come andranno le cose…”.
“E’ per questo che vuoi andare via? Per allontanarti da lui?”.
“Emmett resterà a vivere con Alice e gli altri. Lui ha molto più bisogno di me del loro affetto e della loro compagnia” sintetizzò semplicemente.
“E tu? Dove andrai?”
“Non lo so. Forse dai Denali… Kate mi ha invitato a stare da loro. Inoltre non ho mai visto Vancouver. Magari imparerò a sciare…” aggiunse dando a quell’eventualità lo stesso spessore di un’ancora di salvezza. Come se tutta la sua vita dipendesse dall’imparare a sciare.
Annuii pacatamente poi dissi:“Allora puoi darmi il tuo numero di telefono, così potrò chiamarti ogni tanto. Quando avrò le ferie, ti verrò a trovare e faremo qualche discesa insieme. Che ne dici?”.
Rosalie si rabbuiò di colpo, poi, con voce fredda, calma, controllata, rispose:“No. Mi dispiace. Ho chiuso, Jake. Te l’ho detto. Non voglio più avere niente a che fare con qualcuno che mi ricordi Forks”.
“Ma i membri della tua famiglia continuerai a sentirli, no?” commentai infastidito.
“Loro sono un’altra cosa…”.
“Un’altra cosa? Non ti ricorderanno Forks?”.
Strinse gli occhi leggermente come per trattenere dentro di sé il dolore di una ferita ancora aperta. C’era dell’altro. Mi stava nascondendo qualcosa. Qualcosa che la faceva soffrire ancora più della rottura con Emmett e non capivo. L’unica cosa certa era che non l’avrei lasciata tornare a casa senza la verità. Voleva escludermi dalla sua vita? Benissimo, ma avrebbe dovuto darmi una spiegazione convincente.
Mi avvicinai mentre lei, esibendo un’espressione altera, mi fronteggiava. “Allora? Qual è il problema? Perché è evidente che non è con Forks, Emmett o che altro! Vuoi tagliarmi fuori e ce l’hai con me. Ti sforzi tanto di dirmi che non è colpa mia ma sei convinta che sia stato il mio egoismo a separarvi. Non è così?” esclamai, trattenendo il respiro e lasciando che le parole uscissero senza sosta.
“No, non ce l’ho con te. La colpa non è tua, ma mia e basta. Io non posso restare qui. C’è solo sofferenza e io sono stanca di stare male. Sono esausta. Devo andare avanti, esattamente come farai tu…”.
“E allora perché vuoi buttare via la nostra amicizia?! E’ una delle cose a cui tengo di più e non voglio perderla…” gridai, dando finalmente voce a ciò che pensavo da tanto e a cui non avevo mai dato un giusto peso, perso com’ero nel tunnel costruito intorno a Bella.
Fece un passo indietro, spaventata. Mi chiesi se non avessi esagerato a assalirla in quella maniera, soprattutto quando, ferita e confusa, volse il viso dalla parte opposta alla mia. Ma altro la stava turbando e lottava per uscire: un parassita che la stava divorando e urlava per emergere dall’oscurità.
Nessun vampiro ha mai amato un licantropo. L’hai detto quella sera, quando eri ubriaco. Non è vero e io lo so” mormorò con un gemito che conteneva un dolore così disperato da essere feroce come una pugnalata.
Stavolta fui io ad indietreggiare e mossi la bocca, come per parlare, ma rimasi muto. Non era quello che mi aspettavo di sentire.
Tenne il viso inchiodato a terra, incapace di guardarmi negli occhi e pregai Dio perché continuasse a farlo. Non sapevo se avrei potuto sostenere il suo sguardo. Arrivai a pentirmi di avere cercato la verità, ma ormai era troppo tardi per gettarsi da un treno in corsa.
“Credi davvero che una ragazza avrebbe messo il suo migliore amico davanti a tutto, anche a rischio di compromettere il rapporto sentimentale con il suo compagno? Sei così ingenuo, Jake? La verità è che io ho provato a ricominciare con Emmett ma ero innamorata di te e lui lo sentiva, sentiva la mia infelicità. La mia scelta è stata quasi imposta: come avrei potuto continuare a fingere?” domandò rovesciando la testa all’indietro, facendo finta di osservare il cielo nero.
Sgranai gli occhi, per un movimento completamente involontario e strinsi i pugni, furibondo con lei e con me stesso. Alcune falene danzanti e sfavillanti mi girarono intorno come a prendersi gioco di me e della mia ingenuità. Avrei dovuto intuirlo fin dall’inizio? Sì, avrei dovuto.
“Tu avevi detto che amavi Emmett e volevi stare con lui. Me l’hai detto il giorno dopo il mio compleanno, bollando tutta la nostra storia come un errore. Perché l’hai detto se non lo pensavi? Io non volevo che tu mi lasciassi!” le rinfacciai con uno strenuo tentativo di salvarmi da una condanna senza appello.
“Ho avuto paura, tanta paura” bisbigliò tremante. “Mi ero accorta di come avevi guardato Bella quando ci aveva sorpresi nel laboratorio, avevo capito che provavi ancora qualcosa per lei e non volevo essere la seconda, Jake. Non potevo sopportarlo. Ti volevo tutto per me e ogni parte del tuo cuore doveva essere mia e di nessun altra… E tu non hai fatto niente per fermarmi. Quando ti ho detto che volevo chiudere, non hai battuto ciglio, non hai opposto resistenza e questa è stata la peggior sentenza che potessi sentire… Se avessi tentato di fermarmi, se ti fossi lamentato anche solo per un minuto, non avrei avuto la forza di continuare. Ma non hai detto niente. Niente di niente. Mi hai lasciato andare mentre io volevo solo una dimostrazione del tuo amore”.
Appoggiò la fronte sulla corteccia di un acero e la accarezzò con le dita lunghe e affusolate, come se fosse il corpo di una persona. L’avevo già visto quel gesto quando aveva accarezzato la sabbia e mi diede i brividi, esattamente come allora. Rividi tutto quanto con occhi diversi. La sua improvvisa tenacia, quasi convulsa, nell’affermare il suo amore per Emmett, la voce così fredda da non poter essere reale, la silenziosa attesa di una mia risposta. Voleva un “No” e invece dalle mie labbra era uscito solo un angusto “Va bene”. Come avevo fatto a credere che non mi amasse più a distanza di 48 ore?
“Forse, avrei potuto impegnarmi di più se avessi pensato di poter arrivare al traguardo, ma Edward mi ha fatto pensare all’imprinting. Io sono un vampiro, non potrò mai essere il tuo imprinting e anche se fossi riuscita a farmi amare, un’umana qualsiasi ti avrebbe strappato da me e io non volevo soffrire ancora. Non volevo combattere una guerra già persa in partenza. Ho scelto la soluzione più semplice, sperando che le cose si aggiustassero, che fosse stata solo una sbandata e che Emmett tornasse a essere la mia priorità. Ma mi sono accorta quasi subito che era già troppo tardi. Non sono mai riuscita a cancellarti. Ti sono stata vicina perché non volevo che soffrissi, volevo che fossi felice. Volevo aiutare te e me stessa. Mi sono detta: se lo ascolterai parlare di Bella in continuazione, guarirai più velocemente; se lo vedrai stare con qualcun'altra, passerà. Ma non è successo. Non volevo lasciarti andare e preferivo ascoltare il tuo dolore per Bella piuttosto che non vederti più. Ho taciuto sulla rottura con Emmett perché non volevo rovinare la nostra amicizia: la verità ti avrebbe messo in imbarazzo e non volevo perderti…”.
“Avresti dovuto dirmelo…” trovai il coraggio di dire.
“Non mi avresti più voluto vedere e io avevo bisogno di te”.
“Ma adesso non più…”.
“No. Non ce la faccio più. Il desiderio di essere amata invece di calare è aumentato e mi sta divorando. Devo chiudere. Devo andare via…”.
“Non si risolve niente scappando…” fui costretto ad ammettere.
“A te non è servito perché sapevi che prima o poi saresti tornato e avresti dovuto fare i conti con Bella; io no. Io non tornerò più. Diventerai solo un ricordo, uno sfortunato scivolone nella mia vita…” affermò con inaspettata severità intrecciata ad entusiasmo, come se ci credesse veramente. E perché non avrebbe dovuto? Non ero niente di speciale. Ero stato cancellato da Bella; potevo esserlo anche da Rose. La osservai dalla testa ai piedi. Era drammaticamente ingiusto. La ragazza più bella della Terra era innamorata di me e io non trovavo niente altro di meglio che respingerla per un’altra che non mi guardava nemmeno. Forse avrei dovuto… No. Io amavo Bella e solo lei. Avevo provato qualcosa di molto profondo per Rose ma adesso era finito. La mia era stata realmente una sbandata. Rosalie aveva superato il confine mentre io mi ero fermato.
“Quella sera in cui ho sentito te e Edward parlare: non ti riferivi a Emmett…”.
“No” rispose semplicemente e non ci fu bisogno di aggiungere altro.
Colpii con un pugno la corteccia dell’abete rosso vicino a me fino a scheggiarla, mentre Rosalie sembrò rimanere indifferente. Distante e calma, come se le emozioni che mi aveva rivelato poc’anzi fossero state un copione teatrale. Ma lei non aveva recitato. Era bravissima con tutti ma non con me. Quello che vedevo era una maschera di orgoglio, indossata solo per coprire un cuore in rovina.
“Penso che sia meglio che torniamo a casa. Non c’è altro da dire…” affermò decisa. “Buonanotte, Jake”.
“Aspetta” la rincorsi, afferrandola per un braccio. Si divincolò con violenza fremente, quasi fossi malato e contagioso. “Non c’è niente che possa fare per convincerti a restare?”.
“Perché dovresti? Non hai più bisogno di me. Stai meglio, sei più equilibrato. Sei maturo, Jake. Ora puoi avere il tuo imprinting. Hai saputo la verità su Bella e hai capito che devi mettere una pietra sopra di lei. Puoi cominciare daccapo e avere un futuro diverso, che non comprende me…”.
“Tu sei la mia migliore amica, Rose, e questo non cambierà mai”.
“Io non voglio più esserlo. Devi rispettare la mia scelta, se mi vuoi bene…” chiosò enfatizzando il verbo rispettare. Credeva che non avessi avuto rispetto di lei finora? No, non ne avevo avuto.
“Dunque non posso fare niente per fermarti?” domandai in un roco sussurro.
Mi offrì un sorriso reticente, ma pur sempre magnifico, prima di dirmi:“C’è un’unica cosa che potrebbe fermarmi, ma sappiamo entrambi che non puoi dirla perché sarebbe una bugia…”.
Lasciai cadere le braccia lungo i fianchi come se mi avessero dato una fucilata e fui costretto ad ammettere che aveva ragione. Non potevo mentirle soltanto per la mia serenità. L’avevo già sacrificata troppo al mio egoismo.
“Buonanotte” scandì e si allontanò, confondendosi ben presto tra le tenebre, mentre io impiegai diversi minuti a capire che era andata via, lasciandomi solo e che da quel momento in poi lo sarei rimasto. In pochi giorni avevo perso prima Bella, adesso Rose. Le due persone più importanti: la vicinanza dell’una rendeva la mia vita orribile; la vicinanza dell’altra era un piccolo rifugio illuminato dalle stelle. Rosalie voleva chiudere e faceva bene. Sarebbe riuscita in ciò che io avrei dovuto fare con Bella tanti mesi prima e di cui non avevo mai avuto il coraggio. Mi incamminai verso casa, spingendo i piedi avanti come un automa, col risultato che arrivai ad aprire la porta all’una e mezza. Mi sprofondai nel divano e accesi la televisione. Premetti un pulsante a caso del telecomando, poi restai inebetito a farmi illuminare dai colori vivaci del telefilm che stavano trasmettendo. Ma che cos’era?
Le braccia e le gambe senza vita, inerti, come se non fossero nemmeno un prolungamento del corpo.
“Ci ho pensato a lungo e ho deciso che voglio stare con Emmett. Lo amo e voglio stare con lui…” mi aveva detto quel pomeriggio ed io?
Rivivendo quei momenti mi ritrovavo a scavare in una voragine fangosa dove vari sentimenti si erano mischiati, assumendo l’uno le sembianze dell’altro: sconcerto per la sua decisione e delusione per me stesso. Provavo qualcosa per lei e non avevo detto niente per fermarla. Mi ero bevuto la sua bugia senza pormi domande. Mi faceva comodo così. Come mi aveva fatto comodo in tutte le giornate successive. Amare Bella ed essere consolato da lei.
“Ti voglio bene, Jake. Non immaginerai mai quanto…”. Quella notte era rimasta con me: quale amica avrebbe fatto una cosa del genere, ben sapendo che avrebbe minacciato il proprio legame con il compagno? E io, idiota, l’avevo anche pregata di restare, ignorando platealmente la scelta che le stavo chiedendo. Solo adesso quella sera appariva limpida, i suoi contorni diventavano delineati e usciva dall’oscurità. Strinsi la mano e il telecomando scricchiolò.
Era stato il pinguino a ricordarle dell’imprinting. Se non ci fosse stato lui, non mi avrebbe lasciato e le cose come sarebbero andate? Sarei ancora innamorato di Bella? Probabilmente sì, perché il sentimento nutrito per lei proibisce un altro tipo di amore nei confronti di qualcun'altra e quindi Rose avrebbe sofferto. Forse Edward aveva fatto bene, ma il risultato era sempre il medesimo: mi portava via tutto ciò a cui tenevo. Era sempre colpa sua se le persone che amavo mi abbandonavano. Avrei dovuto ucciderlo molto tempo prima! Eppure non potevo imputare a lui la mia mancanza di trasparenza e lucidità.
Alzai il viso verso lo schermo e affondai nella tranquillità di un mare cristallino e illuminato dal sole di un documentario. Ripensai a quel pomeriggio alla nostra caletta e improvvisamente mi resi conto che non solo quello, ma nessun altro pomeriggio ci sarebbe più stato per me e Rose. Dieci giorni e non l’avrei più vista. Fui colto da una rabbia così violenta e incontrollabile che scagliai il telecomando contro il muro. Nel momento in cui si ruppe mi resi conto della mia azione ma, anche se ne coglievo l’insensatezza, non mi interessava. Spensi il televisore manualmente e salii in fretta le scale. Sul pianerottolo incontrai Rachel, coi capelli arruffati, in vestaglia, che si era alzata per il frastuono.
“Che succede, Jake? Tutto a posto?” domandò trafelata e con il viso leggermente imporporito.
“Tutto a posto. Tornatene a letto” tagliai corto, entrando nel mio piccolo e disordinato regno.
Mi girai e rigirai nel letto e presi sonno solo per un’oretta prima che suonasse la sveglia. Quando scesi in cucina dovetti affrontare il volto rubicondo per la collera di mio padre. Teneva fra le mani ciò che restava del telecomando. Rachel tentava di fare colazione con disinteresse ma la vedevo scrutarmi attraverso le curve sfumate del fumo del cappuccino.
“Se credi di passarla liscia, Jake, ti sbagli!” sbottò mio padre. “Il costo ti verrà detratto dalle tue prossime paghette”.
“Fai come vuoi. Non importa” ringhiai, raccolsi i miei libri dal tavolo e me ne andai senza nemmeno fare colazione.
Inutile dire che per tutto il giorno fui intrattabile, sia per la mancanza di sonno, sia per un’acuta insofferenza di cui non sapevo spiegare bene l’origine. Ero arrabbiato con Rose perché mi aveva mentito per tutto questo tempo? Ero arrabbiato con me stesso perché mi ero approfittato dei suoi sentimenti per avere una spalla su cui piangere? Forse entrambe. Restava il fatto che tra dieci giorni sarebbe sparita e dopo cosa sarebbe rimasto? D’accordo, avevo quelli del branco e Joe, con cui tutto sommato si era creata una bella amicizia, ma con Rose era tutta un’altra storia. Non avevamo un’affinità precisa però andavamo d’accordo. Lei era riuscita dove gli altri avevano fallito: a farmi ritrovare il sorriso. E se la mia condizione di serenità non fosse stata permanente ma dovuta solo ed esclusivamente a lei? Dovevo sprofondare nuovamente? Non sapevo cosa pensare e non c’erano molte alternative. Lasciarsi prendere dal panico non era la soluzione migliore. Avevo ancora dieci giorni. Chissà, magari sarei riuscito a farle cambiare idea… Non ci confidavo molto, in realtà. E quella sera stessa ebbi una sorpresa.
Rosalie era agli addestramenti ma mi ignorò per tutta la durata. Non capivo se era arrabbiata oppure se avesse deciso di staccarsi da me, già prima del fatidico giorno. Dopo un iniziale sconforto, fui agitato dalla rabbia più cieca e inutile. Se aveva deciso di ignorarmi, benissimo: io avrei fatto altrettanto! Non importava, tanto avrei dovuto fare i conti con la sua assenza e allora meglio che cominciassi subito! Almeno non avrei avuto contraccolpi poi. Gli altri ovviamente avevano saputo cos’era successo tra me e Rose, anche se mi ero sforzato di non pensarci. A differenza dell’altra volta, consapevoli che io non la ricambiavo, non avevano detto o fatto niente. E io, per parte mia, avevo deciso di riversare tutte le energie, che sbocciavano come margherite in un campo, nelle ultime simulazioni che ci erano rimaste prima del Gran Finale. Che andassero tutti al diavolo! Bella, Rosalie, i Cullen… Io avevo i miei compagni del branco e bastavano.
Eppure uno sguardo, del tutto inconsapevole, periodicamente cadeva verso il batuffolo biondo che combatteva a turno contro Eva, Antoine, Kate e che non rivolgeva quasi più parola ad Emmett. La guardavo quando mi dava le spalle in modo tale da non farmi sorprendere e, Dio, quanto mi sarebbe mancata! Mi mancava già il suo allegro saluto ogni volta che arrivavo alla radura… La persona con cui potevo parlare di tutto e di tutti, probabilmente quella che a dispetto di ogni telepatia possibile, mi conosceva meglio di chiunque altro. Avrei voluto fermarla, ma non mentendole. Senza contare che il suo fratellino impiccione glielo avrebbe riferito e, ovviamente considerando quanto teneva a lui, gli avrebbe creduto senza battere ciglio. Ma forse proprio lui avrebbe potuto aiutarmi.
Edward! pensai quel nome come se si trattasse di un’imprecazione.
Il vampiro mi sentì e si voltò meditabondo. Avanzai lentamente verso di lui e mi fermai a cinque metri circa. Una distanza minuscola, se avessi voluto assalirlo, ma stasera volevo ben altro. La nanerottola si accorse della mia improvvisa vicinanza e appoggiò una mano sul braccio di suo fratello con atteggiamento protettivo.
Ti devo parlare.
Mi fissò senza espressione poi si avvicinò, con profondo disappunto da parte di Alice. “Che cosa vuoi?” domandò in un tono tra la sfida e la collera, ma anche con un tocco di confusione.

Lo sai che Rosalie andrà via, una volta conclusa la guerra…
“Sì, e allora?”.
Non ti dispiace?
“Certo. E’ mia sorella e le voglio bene. Mi mancherà…”.
Allora fermala. Dille di restare…
“Perché? Per fare un piacere a te?” commentò sarcastico.
Digrignai i denti per rendere evidente persino alla sua testa bacata che non avevo alcuna voglia di scherzare.
“Se credi che laverò i panni sporchi al tuo posto, ti sbagli di grosso, sacco di pulci” ribadì con la mia stessa durezza.
Tu sai perché se ne va. Non risolverà niente, scappando…
“Credi di essere indimenticabile?!” sussurrò divertito.
Io non ho concluso niente quando sono andato via. E nemmeno tu, quando hai lasciato Forks un anno e mezzo fa pensai, sforzandomi di mantenere la calma.
“E quindi la tua soluzione quale sarebbe? Convincerla a restare qui a farti da babysitter per quando ti senti solo?”.
Il sangue pulsò dolorosamente in prossimità delle tempie. Sapeva farmi incazzare e non riuscivo a controllarmi quando si trattava di lui. Il suo era un talento naturale!
Stavo per pensare un insulto quando, con una pacatezza senza pari, si chinò su di me e bisbigliò, in modo tale che nessun altro potesse udirci:“Mi mancherà, cane, e non immagini quanto, ma a differenza tua, io le voglio bene sul serio e voglio che sia felice. Finché le starai intorno, non riuscirà mai a esserlo. Deve andarsene e anche se non lo vorrei, condivido la sua scelta, quindi non ti aspettare aiuto da parte mia. Tu distruggi tutto quello che tocchi, e non ti permetterò di rovinare anche mia sorella. Siamo intesi?”.
Raddrizzò la schiena e tornò dai suoi amichetti mentre io rimasi immobile, a dare un eccessivo peso alle sue parole. Distruggevo tutto? No! Però Bella era morta per colpa mia e Rose soffriva per me. Il suo discorso purtroppo non faceva una grinza.
Erano solo cattiverie. Lascialo perdere e torna ad allenarti, mi sorprese la sbrigativa voce di Leah. Mi voltai mostrandomi quasi smarrito, poi seguii il suo consiglio. Tornai ad allenarmi perché forse ormai ero utile solo a quello, forse perché non avevo niente altro. Ed era giusto così. I vampiri non sono amici e non lo saranno mai.
I giorni successivi trascorsero lenti e inconcludenti. Ormai i risultati raggiunti erano sotto gli occhi di tutti e non ci sarebbero stati altri miglioramenti. Tutte le nuove reclute del branco erano riuscite a battere almeno una volta un vampiro e quindi avevamo buone probabilità di sopravvivenza; Bella riusciva a usare il suo potere a piacimento, selezionando le persone su cui doveva avere effetto; e il gran giorno si avvicinava.
Forse perché improvvisamente mi stavo rendendo conto che all’alba del 18 maggio sarei potuto morire, davo molta più importanza a qualsiasi cosa facessi, anche la più stupida. Non perdevo occasione per parlare con papà, per essere conciliante con quella rompiscatole di Rachel, per essere un buon amico di Joe e degli altri. Ma riscontravo lo stesso atteggiamento anche da parte dei miei compagni. A volte li guardavo al ritorno dagli addestramenti e mi chiedevo chi avrei perso. Ero sicuro che alcuni caduti ci sarebbero stati, la sola cosa che potevo tentare di fare era limitarne il numero. E per questo orchestravo nella mia mente disposizioni nel campo di battaglia che riparassero i più deboli e obbligassero i Volturi a combattere contro i più forti, ma purtroppo ero vittima di congetture senza fine perché non avevo idea di come si sarebbero disposti i nemici e non sarei mai riuscito a elaborare un piano che salvasse tutti. A causa di questa snervante consapevolezza, dormivo poche ore per notte, ritrovandomi a fare i conti con la stanchezza a scuola. Ma che senso aveva studiare, se c’era il serio pericolo che non tornassi più a casa?
Joe non era vittima dei miei cattivi pensieri, anzi. Era convinto di essere il protagonista di uno di quei film di guerra medioevali ed era ansioso di fare a pezzi i cattivi. Non cercavo nemmeno di convincerlo del contrario perché un atteggiamento positivo avrebbe aiutato più del mio, ma era anche vero che lui e gli altri dovevano solo combattere, mentre io mi ero prefissato anche un altro compito: difenderli. Non dovevo solo uccidere sanguisughe, ma anche e soprattutto fare in modo che nessuno dei miei cadesse.
Proprio queste paure e insicurezze avevano contribuito a fiaccare i miei propositi di allontanamento da Bella. Potevo perdere qualcuno dei miei compagni, ma poteva succedere qualcosa anche a lei e, per quanto fossi infuriato per il suo inganno, rimaneva un tassello importante della mia vita e non volevo perderla per niente al mondo.
Ogni sera mi aveva accolto con un conciliante sorriso fino addirittura ad avvicinarsi per cercare di parlarmi e farsi perdonare. Voleva che tornassimo come un tempo, e, per quanto mi sforzassi di soffocare i miei sentimenti e non perdonarla, infine cedetti. Una sera mi lasciai abbracciare e quando affondò il viso nel pelo, seppi che aveva vinto ancora una volta.
Mentre Rose continuava a ignorarmi, a parlare con un’arroganza intollerabile ad Antoine, a sorridere con espressioni colme di taciturne promesse a molti dei vampiri alleati dei Cullen e a schiaffeggiarmi con occhiate disgustate ogni volta che i nostri sguardi si incrociavano. La odiavo, la stavo odiando come non mai. E mi sfogavo nei combattimenti che vincevo senza troppa fatica. Ma non era abbastanza. Purtroppo una minima parte si riversava anche sulla mia famiglia. E così, mentre da una parte mi sforzavo di essere il perfetto figlio e fratello minore, dall’altra sbottavo con imprecazioni e fughe in moto, tradendo un nervosismo selvaggio. Rachel e papà non chiedevano nulla e gliene ero grato perché non avrei saputo cosa rispondere: avevo paura di morire? Mi stavo facendo manipolare da una vampira capricciosa? Oppure ero io a fare i capricci?
Era mezzanotte del 16 maggio quando Carlisle e Sam fermarono la simulazione. Per stasera basta, ragazzi pensò il nostro capo.
Io avevo appena vinto un ragazzino dai capelli rossi, alleato svedese dei Cullen, quando avvertii il suo stop. Mi feci subito indietro, imitato dagli altri. Il dottor Canino avanzò al centro e ci osservò uno ad uno, sia noi che i vampiri e fu uno sguardo strano, come quello di un padre che osserva entusiasta i figli che hanno raggiunto il traguardo tanto desiderato, ma al contempo è addolorato perché sa che li perderà. I figli prima o poi crescono e se ne vanno dal nido, soltanto che alcuni di noi non avrebbero fatto ritorno e Carlisle sembrava partecipe della perdita che ogni elemento avrebbe costituito. Era davvero una brava persona.
“Ragazzi, avete fatto dei passi avanti notevoli e sono molto contento di quello che ho visto, di come siete cresciuti e maturati. Credo che più di così non sia possibile. Non possiamo avere di più perché la perfezione a cui potevamo ambire, l’abbiamo già raggiunta e spero che sia sufficiente. Lunedì alle 5,30 lo sapremo. Sam” disse, volgendo il volto verso il nostro capo. “Credo che possiamo definire concluso l’addestramento. Non ci sono margini di miglioramento e programmare un’ennesima seduta anche per domani sarebbe inutile, oltre che faticoso. Sei d’accordo con me se chiudiamo stasera? Così domani potremo avere tutta la giornata per riposarci e stare con le persone che amiamo…”.
Non ne aveva parlato esplicitamente, ma l’allusione era evidente: qualcuno non sarebbe sopravvissuto ed era giusto che si trascorressero le ultime ore con le rispettive famiglie. Questo discorso mi terrorizzò: i fantasmi presero vita e si espansero nella mente. Sam annuì e ci disse Ragazzi, siete liberi. Passate pure la giornata di domani come preferite. Ma ricordate che vi voglio riposati. Ci vediamo davanti a casa mia lunedì, a un quarto alle cinque.
E così il gruppo si sciolse. Pian piano noi lupi tornammo a La Push, con un pesante avvilimento nel cuore. Ci eravamo esercitati con esuberanza ed entusiasmo, con l’unico fine di eliminare più vampiri possibili, ma ora dovevamo affrontare il rovescio della medaglia: loro venivano qua con il nostro stesso scopo ed erano dannatamente forti. Noi in totale eravamo ottantadue, mentre dall’altra parte dovevano essere, secondo le previsioni di Alice, novantacinque. Questo voleva dire che alcuni di noi avrebbero dovuto farne fuori più di uno. Per la prima volta da quando avevo subito la prima trasformazione, non avevo premura di combattere.
“Che ne dici di andare a bere qualcosa da Meredith’s?” propose Embry, chiaramente agitato e con un sorriso teso. Acconsentii perché sapevo che non sarei riuscito a dormire anche se fossi andato a casa e così, un’ora dopo, Joe, Rupert, Patrick, Embry ed io eravamo seduti al tavolo del bar. Noi grandi con una birra rossa in mano, gli altri minorenni con una Coca Cola. Chiacchierammo a lungo ma tutti gli argomenti e le risate sapevano di ostentati e forzati. Non c’era niente di spontaneo, ma soltanto di costruito per rendere l’atmosfera meno pesante, sancendo invece l’effetto opposto. Carlisle e Sam avevano pensato che avremmo voluto passare l’ultima giornata con i nostri cari e non avevano torto; tuttavia questo loro atteggiamento sapeva davvero da “Ultimo giorno per un condannato a morte” e io non volevo sentirmi tale. Volevo pensare che ci sarebbe stato un giorno e un altro ancora dopo lunedì. Sarei tornato a casa. Malconcio ma ce l’avrei fatta.
Verso le due tornammo alle rispettive abitazioni e quando fui davanti a casa mi imbattei in Jerry, il cane del quartiere. Stava rovistando tra i rifiuti e, appena mi vide, mi venne subito incontro, sperando in uno spuntino notturno. Sorrisi, osservando il suo fiducioso scodinzolare e chinandomi per accarezzarlo. Ripensai a Rose e a come era stata felice di poter accarezzare un animale, come se fosse stato il suo più grande desiderio. Fra due giorni sarebbe partita e non l’avrei rivista mai più. Questa era l’unica certezza. Perché rinchiudere mesi di intimità e confidenza, sperando che smettessero di urlare e graffiare, fino a che non avrei udito soltanto il silenzio del rimpianto?
Mi sollevai di fretta e corsi nel garage retrostante la casa per tirare fuori la motocicletta. Ruotai la manopola e partii a tutta birra, come se cercassi di seminare un inseguitore. Feci tutto il tragitto con la mente improvvisamente svuotata dell’intera colonna dei miei pensieri. Non tolsi mai la mano dall’acceleratore e, entrando nel ciottolato che portava dai Cullen, sollevai un polverone da togliere il respiro per parecchi minuti. Davanti al loro portone, sfilai la chiave e salii la scalinata saltando i gradini a due per volta. Bussai e poco dopo mi ritrovai di fronte Irina Denali, che, sempre felice di vedere uno del branco, alzò gli occhi al cielo. Si appoggiò alla porta, cercando sostegno, poi con infinita supponenza, sogghignò per dirmi qualcosa che non le diedi il tempo di dire.
“C’è Rosalie?” tagliai corto.
Alzò un sopracciglio, irritata perché l’avevo preceduta e scettica perché avevo fatto crollare le sue certezze sulla mia venuta.
“No. E’ da Edward e Bella…” sentenziò. Non la salutai nemmeno, abbandonandola sull’ingresso. Presi nuovamente la moto e andai a casa di Bella, che avrei potuto tranquillamente raggiungere a piedi, ma su due ruote si faceva prima e per di più non mi fidavo a lasciarla parcheggiata davanti a casa delle sanguisughe, per quanto fosse ormai un inutile rottame.
Quando arrivai alla meta, la stessa impazienza che mi aveva spinto a correre senza criterio venne meno. Il desiderio di vederla non era passato ma un sottile schizzo di paura stava infangando la mia risolutezza. E se non avesse voluto parlarmi? Se Edward si fosse messo in mezzo? Stavo cominciando a pensare che avesse preso il ruolo di fratello fin troppo alla lettera. Sospirai. Cosa avrei fatto? Lo avrei eliminato: semplice, no?
Bussai e tutte le insicurezze svanirono quando ad aprirmi la porta fu proprio Rosalie in persona. “Che cosa vuoi?” mi domandò infastidita. “Scusa, la domanda è scontata. Vado a chiamarla…”.
“No, aspetta” esclamai, mettendo la mano sulla porta che stava per accostare. “Non voglio Bella. Voglio parlare con te”.
Mi fissò, sospettosa, aggrottando leggermente la fronte e stringendo la bocca in quella deliziosa smorfia che un tempo avevo tanto odiato.
“Perché…?”.
“Domani hai impegni?” chiesi quasi senza respirare, come se la velocità fosse l’unica arma per impedirle di reagire.
“No, ma…”.
“Ti va di uscire insieme nel pomeriggio?”.
Rose strinse le labbra in una sottile linea severa poi abbassò il volto, stringendo la maniglia della porta nervosamente.
“Dopodomani te ne andrai e io vorrei un ultimo ricordo, Rose”.
“Non stai con la tua famiglia?” protestò con un sussurro.
“Ci starò domani sera. E poi io conto di tornare a casa sano e salvo lunedì mattina. Non c’è bisogno che mi comporti come un condannato a morte. Senti, Rose” aggiunsi, percependo il suo disagio “non voglio che ci separiamo con un litigio. Vorrei avere una bella occasione da mantenere viva nella memoria. Un’ultima volta, ok? Come ai vecchi tempi…”.
“Cosa vorresti fare?”.
“Non lo so” scrollai le spalle. “Cinema, stecca, luna park, tutto quello che vuoi…”. Un lunghissimo attimo di silenzio, che generalmente prelude al colpo di grazia, alla fragorosa conclusione di un poema sinfonico.
“D’accordo” sorrise rilassata. “A che ora vuoi fare?”.
“Facciamo a mezzogiorno?”.
“Va bene. Per le sette devo tornare a casa perché la sera noi andiamo a caccia per essere più forti il giorno dopo”.
“Non c’è problema. Vengo a prenderti qua allora…”.
“No. Facciamo al confine… Come ai vecchi tempi…” disse e in quell’istante lessi nei suoi occhi tutto il rimpianto di cui non mi ero mai accorto per mesi. E mi sentii un idiota completo.
La salutai con un veloce cenno della mano e tornai in sella alla mia moto. Rientrò appena le voltai le spalle e guardai la casa dall’esterno, debolmente illuminata. Bella viveva lì, avrei potuto salutarla, però non ne sentii il bisogno. Accesi la moto e me ne tornai a casa. Erano quasi le tre di notte e se il giorno dopo dovevo essere a mezzogiorno al confine avevo bisogno di dormire, altrimenti sarei crollato, ovunque fossimo finiti. Non avevo un programma preciso, ma sapevo che Seattle era il posto ideale, anche se il tempo a nostra disposizione non era tantissimo. Decisi che saremmo andati là, poi avremmo improvvisato, come al solito quando eravamo noi due.
 
 
Che dire? Adesso è tutto chiaro, giusto? Ogni dubbio su quello che riguardava Rosalie nei capitoli precedenti è stato fugato e ora aspetto le vostre reazioni. Un bacione a tutte!

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Capitolo 80
*** Per l'ultima volta ***


Il giorno dopo la sveglia mi buttò giù dal letto alle undici. Avevo un’ora prima dell’appuntamento, potevo farcela tranquillamente ma prima volevo avvisare Rachel e, soprattutto, papà che non sarei stato a pranzo perché andavo in giro con Rosalie. Ovviamente Billy non perse l’occasione per rimproverarmi l’eccessiva confidenza con “quel vampiro”, oltre a chiedersi come mai la vigilia di un appuntamento così importante, lei stesse con me e non con suo marito. Mi limitai a spiegare che subito dopo il combattimento sarebbe partita e che si trattava di un’uscita di addio, ma mia sorella, con quel detestabile intuito femminile, sembrava avere già un altro tipo di risposta in mano.
Infatti all’uscita dalla doccia la trovai seduta sul letto in camera mia con uno sguardo rovinato da un sorrisetto snervante. La odiavo quando faceva la saputella. “Allora? Oggi è l’ultimo pomeriggio, poi ognuno per sé…” ammiccò.
“Sì, è così” mi innervosii mentre cercavo una maglietta in mezzo alla pila di vestiti gettati alla rinfusa sulla poltrona vicino al letto.
“E’ innamorata di te, vero?” disse con serietà inattesa.
“No” mentii.
“Non mentire, Jake. Non serve. E’ chiaro come il sole”.
“Pensa ciò che ti fa più piacere…” commentai acre.
“Ti è stata troppo vicina in tutti questi mesi, nonostante la situazione con suo marito non dovesse essere facile. Nessuna amica normale l’avrebbe fatto e fra voi non c’è mai stata amicizia. Si è adeguata al fatto che tu fossi innamorato di Bella, ma adesso non ce la fa più e se ne va. E scommetto che se ne va da sola, lasciando qua il suo maritino che non è più tale, giusto?”.
Mi lasciai cadere sul letto, esausto. Non ce l’avevo con mia sorella semplicemente perché era arrivata alla verità, ma soltanto con me stesso perché io per primo avrei dovuto capirlo e invece mi ero perso dietro a Bella e al mio amore impossibile e non avevo fatto caso ad altro.
Rachel non volle infierire oltre, si alzò e aprì l’armadio. “Se questa è l’ultima volta, devi lasciarla con un bel ricordo. Non ti deve dimenticare per tutta la sua eternità…” affermò pensierosa, spostando i vari attaccapanni, alla ricerca di qualcosa. Ne estrasse infine un paio di jeans neri e li buttò sul letto, insieme alla maglia aderente verde acido che mi aveva regalato a Natale. L’unica cosa firmata di tutto il mio “vasto” abbigliamento. Quando notai i pantaloni, sbottai:“Questi sono da cerimonia!”.
“Da cerimonia?” ridacchiò Rachel. “Soltanto perché non li usi mai, non vuol dire che siano da cerimonia. Coraggio, mettili e poche storie!”.
Li indossai mentre Rachel arrivava con un paio di scarpe nere, che, cazzo! Quelle sì che erano da cerimonia!
“Se credi che metterò quelle, ti sbagli di grosso!” obbiettai così rumorosamente che i nostri vicini avrebbero potuto sentire, ma mia sorella non ne fu intimidita e mi costrinse a indossarle. Cielo! I jeans scuri, la maglia firmata, le scarpe eleganti. Mi sembrava di essere pronto per una sfilata di moda e quindi catapultato in un incubo. Optai per fare finta di accontentare Rachel: mi sarei cambiato in fretta e furia alla prima svista e sarei andato vestito come al solito. Invece non ebbi tempo di farlo perché mi trascinò in bagno, facendomi sedere sul bordo della vasca. Impugnò con decisione un panciuto e praticamente intatto tubetto di gel.
“Non mi metto quella schifezza in testa! Scordatelo!” la minacciai. “Sto malissimo”.
“E’ soltanto perché non te lo sai dare. Lascia fare a me, buono a nulla” e, distribuendone una noce sulle mani, fece scivolare le dita fra i miei capelli. Mentre lei sembrava divertirsi un mondo, mi chiedevo se fosse impazzita o se si stesse illudendo di organizzare un primo appuntamento o qualcosa del genere.
“Ecco fatto” concluse, invitandomi ad alzarmi. Ebbi quasi paura di guardarmi allo specchio, ma quell’orribile e viscida crema non aveva fatto danni. I capelli erano un po’ più lucidi del normale, ma non appiccicosi. Si era limitata a sistemarli in maniera tale che non mi cadessero sugli occhi, come accadeva troppo spesso. Il rimedio usuale era portarli dietro le orecchie, ma così non ne avevo bisogno. E dovevo ammetterlo: stavo bene. Almeno, per una volta, non avrei sfigurato troppo vicino a Rosalie. Guardai l’orologio e mi accorsi che era mezzogiorno, e quindi ero in ritardissimo! Uscii dal bagno dove trovai nuovamente Rachel con in mano un giubbotto di pelle scura. E questo dove l’aveva pescato? In casa non c’erano giubbotti di pelle, di questo ero più che sicuro.
“E’ di Paul. L’ha dimenticato qua ieri pomeriggio…” mi spiegò mentre mi aiutava ad infilarlo.
“Se scopre che è stato utilizzato per un appuntamento con un vampiro, ti decapita!” esclamai, accompagnato da una risata profonda.
“Gli passerà… Stai benissimo!” disse, battendo le mani.
“Fa troppo caldo per questa roba! Siamo a metà maggio, non in dicembre!” protestai.
“Smettila di lagnarti. E comunque, puoi metterlo nel tardo pomeriggio. Non ci sono certo trenta gradi, ancora!”.
Mi guardai allo specchio. Sembravo un modello uscito da una sfilata e dubitavo che Rosalie avrebbe gradito questa pagliacciata, considerando che non avevo un portamento granché elegante. Anzi, si sarebbe messa a ridere: potevo quasi scommetterci.
“Sono sicura che le piacerai un sacco” chiosò Rachel sinceramente compiaciuta. “Ho visto come si veste e come si atteggia. Apprezzerà…”.
“Non dovrei piacerle di più, semmai di meno!” la rimbeccai. Mia sorella scrollò le spalle, augurandomi buon divertimento. A questo punto, conciato in questa maniera, la moto era impossibile e optai per la mia scassatissima Volkswagen. Ecco: il ferrovecchio rovinava tutto il quadretto da principe azzurro, ma il noleggio di una Porsche non rientrava nelle mie finanze, quindi avrebbe dovuto accontentarsi. E a pensarci bene, nel bagagliaio c’erano un paio di tennis, abbandonate lì da tempi immemori: avrei potuto togliermi le scarpe da damerino una volta fuori di casa, senza che Rachel sospettasse nulla! Fantastico!
Quando arrivai al confine, era mezzogiorno e un quarto e ovviamente Rosalie era già a bordo strada, appoggiata ad uno dei larici che costeggiava la statale. Scesi come una furia per raggiungerla e chiedere immediatamente scusa senza lasciarle il tempo di rimproverarmi, ma fu lei a non lasciarmi il tempo di respirare. Si era mossa verso di me, camminando lentamente. Era un sogno che si avvicinava con la stessa delicatezza del vento, senza toccare terra. Aveva una maglia lunga che fungeva da abito corto di velo trasparente su cui erano stampati fiori di vario colore e che lasciava scoperte le spalle. Le maniche ampie e lunghe, oltre il dorso della mano, si arricciavano ai polsi; lo stesso accadeva nel busto dove la maglia si stringeva improvvisamente sui fianchi. Sotto di essa una maglietta color panna, semplice e dalle spalline strette. Indossava calze molto pesanti e stivali scamosciati alti fino al ginocchio, dello stesso colore della borsa e del giubbotto di pelle che portava su un braccio. Capelli sciolti e vaporosi, soltanto le due ciocche, con cui generalmente bisticciava perché le ricadevano sulla fronte, erano raccolte dietro il capo. Gli occhi erano truccati di un tenue lillà mentre le guance erano leggermente imporporite. Si era truccata l’incarnato. Non l’aveva mai fatto. Generalmente era sempre uscita mostrando a tutti orgogliosamente la pelle candida come la neve, invece ora… Non contrastava, né appariva innaturale, era semplicemente una bambola di porcellana che aveva preso vita. Mi ritrovai improvvisamente ragazzino, di fronte alla bellissima ragazza che avevo sognato per tante notti e di cui mi ero posto la conquista: avevo vinto senza volerlo. Avanzava e stavolta non mi avrebbe ignorato. Non ero più un bambino. Ero cresciuto, sembravo un uomo e lei era semplicemente la donna più attraente che potessi immaginare. I miei occhi lasciarono il suo viso per scendere ad accarezzarne il corpo.
La pelle mi si accapponò sulla schiena e sulle braccia e il cuore batté più velocemente per un lunghissimo istante. Credetti di morire in quel momento e probabilmente sarebbe accaduto se Rosalie non si fosse fermata anche lei e mi avesse fissato, contraddetta. Mi avvicinai chiedendole scusa per il ritardo e che cosa fosse che non andava.
Lei mi scrutò, silenziosa, da capo a piedi e allora ricordai il mio “travestimento”. Mi sentii veramente un idiota ad aver dato retta a Rachel e alle sue manie modaiole.
“Come mai ti sei vestito così? Non è il tuo solito abbigliamento…” domandò lentamente.
“No, è vero. E’ stata un’idea di Rachel. Mi ha conciato così e… Vabbé, dai ridi pure. Non c’è problema…” sbuffai, pensando nel frattempo a qualche punizione corporale per mia sorella.
“Sei bellissimo” mi sorprese. “Però… preferisco il solito Jake. Così non sei tu, anche se…”.
“Posso rimediare” esclamai, ripensando alla soluzione alternativa nel baule. Tornai indietro alla macchina e aprii il portabagagli, dove trovai le mie vecchie scarpe da ginnastica. Un po’ impolverate e logore, ma di gran lunga più comode di quelle che mi aveva rifilato Rachel. Mi appoggiai e le cambiai in un baleno, mentre Rose mi aveva raggiunto, osservando nel dettaglio ogni mio movimento.
“Allora adesso sto meglio? Per il gel basta che troviamo una fontanella e me lo tolgo al volo” spiegai.
Rosalie allungò una mano, sfiorandomi la punta delle ciocche che mi lambivano il collo. “No, stai bene così” affermò meditabonda, come se non fosse neanche lì. Sentii i suoi polpastrelli gelidi toccarmi la nuca, mentre mi guardava con tutto l’amore che una persona potesse esprimere in uno sguardo. Il suo viso si illuminò dall’interno, come se qualcuno avesse acceso una lanterna. Quando i nostri sguardi si incrociarono, trasalì, come se fosse stata scoperta a fare o pensare qualcosa di inopportuno. Ritirò la mano subito, cercai di afferrarla ma fu più veloce di me e fu meglio così. Era una mia amica e niente più e il mio gesto avrebbe potuto essere frainteso.
Mi alzai con noncuranza e chiusi il bagagliaio mentre Rose, pensierosa, si era allontanata. “Andiamo?” la incitai. Mi sorrise e si accomodò in macchina.
Durante il tragitto verso Seattle non scambiammo una parola. Il mio cervello si era svuotato di colpo e al suo posto era rimasto solo un pesante imbarazzo. Non sapevo cosa dirle: dovevamo parlare dei Volturi e di domani? Fare finta di essere dei normali esseri umani in gita di piacere? Oppure, cosa ancora peggiore, fare finta che lei non mi avesse detto niente e considerarla solo un’amica? In quel momento compresi la situazione in cui Bella si era trovata per tanto tempo con me, perché era la stessa identica storia, a parti invertite. E Rose sembrava soffrirne molto più di me. Forse per orgoglio, forse per sensi di colpa, ma volevo solo che stesse meglio e che quella fosse realmente la nostra giornata più bella. Quella da ricordare. Non avevo fatto programmi e adesso era giunto il momento di pensare qualcosa.
“Cosa vuoi fare, una volta arrivati?” domandai.
“Non lo so” rispose, non distogliendo l’attenzione dal finestrino. “Quello che vuoi… Oggi è domenica. Cosa facevamo la domenica?”.
“Cinema?” esclamai.
“Magari… Cosa c’è di bello?” affermò come se avesse ripreso vita improvvisamente.
“Non ne ho idea. Guardiamo le locandine una volta arrivati… Poi, cosa possiamo fare?”.
“Gli stupidi” ridacchiò. “E’ la cosa che ci riesce meglio”.
Mi distrassi un attimo e mi voltai per osservare il suo sorriso innocente. Era ciò che mi sarebbe mancato più di tutto. Nessun altro avrebbe potuto sostituirlo, così come il suo broncio quando la facevo arrabbiare. “Sei meravigliosa…” balbettai senza pensare alle conseguenze.
Si irrigidì leggermente e tornò a guardare la strada. “Grazie” mormorò stringendo nervosamente la borsetta fra le dita.
Sei proprio un idiota! ribadii a me stesso. Perché cavolo glielo dici con quel tono da pesce lesso?
Ripiombammo nel silenzio più spietato fino a che Rosalie, ormai alle porte della città, lo infranse con la consueta franchezza. “Senti, Jake, oggi è una giornata particolare e voglio che lo sia per entrambi” sussurrò con eccessivo garbo, come se fosse un discorso pubblico. “Facciamo finta che tu non sappia niente di ciò che provo e della mia partenza e comportiamoci come due amici normali. Se vuoi fare battute o ironie non c’è problema, voglio che tu sia il più naturale e spontaneo possibile. D’accordo? Credi di potercela fare?”.
“Certo. Non è un problema, se non lo è per te”.
“Non lo è” affermò con sicurezza e la mia vigliaccheria non esitò a prendere per vere quelle parole.
Una volta parcheggiata la macchina, la prima tappa, per me assolutamente imprescindibile, fu un bar. Avevo una fame da lupi ed era già l’una suonata: il mio stomaco reclamava da un pezzo! Mentre mangiavo, Rose bevette un po’ della mia birra e questo servì a farci sprofondare nei vecchi ricordi, che, per fortuna, non portarono alcun dolore ma solo risate. Riscoprimmo anche l’episodio della cioccolata a casa mia, di Jerry e i rimbrotti di Rachel. Adesso ci ridevo sopra ma ricordavo, come fosse stato ieri, la paura di quel giorno.
“Posso farti una domanda? Edward mi ha detto che ti ha assalito per questo. E’ vero?” domandò mentre io sbafavo il terzo panino a fila.
Aggrottai la fronte, non perché fosse una bugia, ma soltanto perché, mio malgrado, non avevo saputo tenergli testa. “Sì” ammisi riluttante.
“Quando?”.
“Due o tre giorni dopo. Non ricordo di preciso. So che sono andato da Bella per confidarmi con lei e me lo sono ritrovato davanti. Mi ha afferrato per il collo e mi ha sbattuto contro un albero. Ero sicuro che mi avrebbe fatto la pelle, anche se non ho avuto paura. Mi ha detto che se uno di quei pomeriggi non fossi tornata a casa sulle tue gambe mi avrebbe ucciso. Poi è arrivata Bella: lui mi ha lasciato andare e io non ho osato ribattere. Ti avevo quasi ucciso e se non fosse stato per lui non credo che staremmo parlando in questo momento”.
Rose abbassò gli occhi sulle mani che teneva giunte sul tavolo, davanti a sé. Sembrò pensierosa mentre io ricordai il terrore quando mi era stramazzata tra le braccia, in salotto. Non avevo realizzato che la cioccolata potesse ucciderla perché era un essere vivente, come me, e niente di quello che nuoceva a me, poteva nuocere a lei. Perché dormiva, mangiava, respirava, amava, come me. I vampiri erano mostri, senz’anima, senza sentimenti mentre se lei era così perfetta non poteva essere una di loro e io non potevo provare qualcosa per un vampiro. Di questo ero convinto a quei tempi. Il semplice fatto che la amassi la rendeva umana.
“Hai detto che volevi raccontare a Bella di noi” iniziò con aria inquisitiva. “Perché? E poi perché non l’hai più fatto?”.
“Ero nella confusione più totale e non capivo niente” sospirai. “L’episodio della cioccolata mi aveva fatto improvvisamente aprire gli occhi sulle nostre nature così diverse e avevo cominciato a pormi mille domande. Lei amava un vampiro, un essere che avrebbe dovuto respingere con tutte le sue forze esattamente come io avrei dovuto fare con te. Pensavo che mi avrebbe capito, poi con l’incursione di Edward sono andato via senza parlarle e dopo ho pensato che non fosse più necessario. Credevo di avere trovato una risposta da solo…”.
“Invece non volevi semplicemente rivelarle la verità…”. Il suo sguardo si incupì per mascherare il dolore più intenso.
“Non mi sono mai vergognato di noi due, Rose. Mai e poi mai” affermai, lasciando cadere il panino nel piatto.
“Non importa più. E’ acqua passata”.
Aprii la bocca per dirle che avevo difeso la nostra relazione davanti a quelli del branco, che avevo rischiato l’amicizia di tutti per lei, ma che senso avrebbe avuto parlarne adesso? Il risultato non sarebbe cambiato. Richiusi la mandibola senza dire niente. Pensai di avere gettato benzina sul fuoco invece Rose sollevò il viso mostrandomi lineamenti rilassati e allegri. “Che ne dici se guardiamo sul giornale cosa c’è al cinema?” propose poi si alzò e recuperò una copia del quotidiano dal bancone. Quando tornò, si sedette e cominciò a sfogliare alla ricerca della pagina degli intrattenimenti.
Quanto sai fingere bene, Rose? Come fai a recitare un distacco che non ti appartiene?
“Allora cosa ne pensi di…” e cominciò a elencarmi i film che proiettavano nelle sale di Seattle nel pomeriggio. Quasi un’infinità e per tutti i gusti. Ovviamente scartai quelli d’amore e tenni per buoni solo quelli di azione e horror, riscontrando però che non c’era qualcosa che mi interessasse particolarmente. Fino a che non arrivò ai cinema che proiettavano film in seconda visione e che quindi costavano meno. Non che navigassi in ristrettezze economiche, anzi, però lì davano l’unico film che potesse interessarmi.
“Paranormal Activity?!” grugnì Rose, incurvando le sopracciglia. “Jake, non mi sembra una gran scelta. Ho sentito le recensioni alla tv e dicevano che alcune persone si sono sentite male durante la proiezione. Non credo che faccia per me…”.
“Oh, andiamo mica avrai paura! Un vampiro?” la derisi.
“Proprio perché so che esistono vampiri e licantropi, sono indotta a pensare che esistano anche i fantasmi!” replicò piccata.
“D’accordo fifona! Ti permetto di stringermi la mano se avrai paura…”.
“Te la spappolerò quella mano se avrò paura!” minacciò ed ero certo che lo avrebbe fatto.
Risi, poi mi assentai per andare in bagno. Lo spettacolo cominciava alle tre e mezzo. Ce la facevamo tranquillamente. Bastava prendere l’autobus che passava proprio due strade oltre la nostra e saremmo stati al cinema in tempo. Quando feci per ritornare al tavolo, trovai Rose in piedi con un paio di ragazzi accanto a lei che le stavano parlando.
Quando mi intravide, mi indicò col dito, con eccessivo esibizionismo. Capii al volo e mi avvicinai. “Problemi, Rose?” domandai, cingendole le spalle con un braccio. I due ragazzi, sui vent’anni più o meno, rimasero interdetti oltre che forse spaventati visto che io ero quasi il doppio di ognuno di loro.
“No, amore. Ti presento Robert e Matt. Gli stavo raccontando che siamo in gita qua a Seattle…” si giustificò. Alle presentazioni ovviamente io non porsi la mano e gli altri fecero altrettanto. Anzi si limitarono ad annuire poi con una scusa patetica si defilarono.
Pagai e, una volta fuori dal bar, l’allegra scenetta ebbe termine. “Non ti posso lasciare sola un attimo, amore!” affermai, soffermandomi fintamente seccato, sulla parola “amore”.
Rosalie si allontanò da me e, sorridendomi civettuola, rispose:“Lo so, tesoro, ma d’altra parte mi vedi anche tu, no?”. Si passò una mano sinuosa sui fianchi poi scoppiò a ridere. Già, era bella e come lo sapevo io, lo sapevano tutti. Era sotto gli occhi di tutti. E sembrava che me ne accorgessi solo ora. Già, perché le persone che incrociammo nel tragitto dal bar alla fermata dell’autobus si girarono più volte per guardarla. Sia uomini che donne. Non era vestita in modo particolare o vistoso, secondo i miei canoni, eppure nessuno riusciva a non far vagabondare lo sguardo nella sua direzione. Si erano improvvisamente accorti di quanto fosse bella? Sì, perché non avevo mai assistito a uno spettacolo del genere nei tempi passati. O forse ero io a non averlo notato?
“Sai mi stavo chiedendo: come fate in quaranta dentro una casa sola? Non è la reggia di Versailles, per quanto grande…” domandai. L’argomento non mi interessava affatto ma volevo a tutti i costi fare conversazione con lei, come se un giorno potessi rimpiangere i minuti persi in prolungati silenzi.
“Oh bè, sai che non dormiamo quindi in realtà le camere da letto a noi non servono a molto, a parte per una cosa… Più che altro sono le docce e il divano per la tv. Però ci alterniamo e tentiamo di non essere in casa tutti nello stesso momento. Poi alcuni di noi si sono trasferiti da Edward e Bella…”.
“A casa loro? Quindi non abitano da soli?”.
“No. La privacy in questo momento non esiste” ridacchiò. “Ma siamo in pochi, anche perché è molto più piccola dell’altra. Siamo io, i Denali e due ragazze del clan dei Bruening”.
“Ti sei trasferita per via di Emmett, vero?”.
Rose annuì debolmente. “Sì, meno stiamo sotto lo stesso tetto, meglio è. Edward mi ha chiesto di andare a vivere con loro e ho accettato molto più volentieri”.
“Sai, non mi ero accorto che tu e il pinguino foste così legati…”.
“Sei stato tu a farci avvicinare, sai?” mi sorrise allettante. “Prima ci odiavamo e non perdevamo occasione per litigare. Poi tu hai cambiato tutto: hai cambiato me”.
“Non è vero”.
“Pensa com’ero e come sono adesso. Pensa a cosa è cambiato nella mia vita e datti la risposta”.
“Desirèe…” risposi senza doverci pensare. Rosalie mi guardò sorpresa, poi abbassò il viso, quasi a toccarsi il collo col mento. “E’ stata lei a cambiare la vita di tutti” ribadii e sapevo che era così. Se non ci fosse stata lei, non sarebbe successo niente, sia nel bene che nel male. Forse soppesando i due piatti, a distanza di tempo, il bene superava il male. La risposta definitiva l’avremmo avuta soltanto l’indomani.
“Sai, Jake, volevo chiederti scusa per Bella, per non averti detto che ti stava nascondendo la verità. Avrei dovuto farlo ma mi aveva implorato di tacere e io… Non ho saputo da che parte schierarmi…” confessò grave e sinceramente amareggiata.
“Non ti devi scusare. Tu non c’entravi niente. Erano affari suoi e se lei ha preso questa decisione era giusto che ne restassi fuori. E’ andata così e basta. Piuttosto quando l’hai saputo?”.
“Quando le ho raccontato di noi due. Ho visto che non restava stupita e ho capito che mi stava nascondendo qualcosa. Messa alle strette, ha dovuto confessare. Io non ero d’accordo con il suo piano, come non lo era nemmeno Edward, ma come hai detto tu, erano affari vostri e nessuno dei due se l’è sentita di intervenire…”.
Scrollai le spalle, tentando di dare poca importanza, anche se il fastidio era sempre visibile, come un graffio profondo, ma non volevo parlare di Bella quel pomeriggio. Era Rose la protagonista e volevo che restasse tale. Con Bella avevo chiuso e dovevo solo convincere il mio cervello a smettere di ascoltare ogni singola parola la riguardasse.
Scendemmo dall’autobus ed entrammo nel cinema, giusto in tempo per fare i biglietti e sederci. Rosalie appariva sulle spine, come pronta a saltare in piedi da un momento all’altro. Accavallava le gambe nervosamente, si dondolava e stringeva i braccioli dello schienale con tanto vigore che li sentii scricchiolare. “Ehi Rose, calma. E’ soltanto un film…” la rassicurai.
“Adoro i film di fantasmi!” ribadì, sfoggiando il suo sarcasmo migliore.
“Ti autorizzo a spaccarmi la mano se hai paura. Ok?” dissi, intrecciando le dita nelle sue. Guardò silenziosa la nostra stretta poi le luci si spensero.
Alla fine del film conclusi che si era trattato di una modesta pagliacciata e non mi aveva spaventato neanche un po’. Rosalie invece era sobbalzata sulla sedia parecchie volte e in un’occasione aveva stretto la mano così forte da farmi sentire dapprima un rumore sordo, accompagnato l’istante successivo da una fitta acuta. Avevo sopportato stoicamente ma ero quasi sicuro che mi avesse rotto un dito. Avevo insistito io per questo film e non potevo lamentarmi, se si era spaventata. Tanto più che il dito, alla fine della proiezione, era già tornato come nuovo, quindi che senso aveva ribadirle che mi aveva fatto male? Uscimmo dal cinema e Rosalie soffiò:“Allora ti è piaciuto?”.
“Non particolarmente. Mi aspettavo di meglio”.
“Beh, io mi sono spaventata a morte!” strillò. “E sarà colpa tua se mi guarderò alle spalle per l’eternità!”.
“Che fifona!!!! Sei proprio una mezza cartuccia!” la schernii.
Partì senza una direzione precisa e la dovetti raggiungere di corsa. Mi divertivo un sacco a prenderla in giro, visto quanto era permalosa. Era sempre stato il mio massimo divertimento quando avevo a che fare con lei e quella sarebbe stata l’ultima volta. Incurvai il volto verso terra, mentre le camminavo a fianco, improvvisamente muto. Non l’avrei più rivista. Quel pomeriggio era l’ultimo e dopo? Improvvisamente mi resi conto che non avevo niente di suo che mi potesse tenere compagnia nei momenti di solitudine.
“Ti va di fare una foto?” le domandai elettrizzato.
“Una foto? Come ricordo?” chiese, aggrottando la fronte, perplessa.
“Sì. Ho visto una macchinetta che le fa poco lontano da qui. Ti va?”.
Rosalie fece cenno di sì e velocemente, inerpicandoci per le strade lunghe e immense, già popolate di gente per la passeggiata della domenica pomeriggio, ci ritrovammo davanti a un prefabbricato, poco più grande delle vecchie cabine del telefono, che produceva foto tessere. Antidiluviano certo, ma più che sufficiente per noi.
“Foto stupide, d’accordo?” chiarii prima di entrare.
Chiudemmo la tendina e ci contorcemmo uno sopra l’altro per stare tutti e due nell’obbiettivo.
“Potresti toglierti le lenti…” suggerii malefico. Rosalie fece finta di non avere capito e prese a sistemarsi i capelli mentre io, fastidioso come una mosca, continuavo a insistere che mi facesse vedere l’abominio di cui mi aveva accennato. Ero sicuro che non fossero così disgustosi come sosteneva lei, ma che si trattasse semplicemente di imperfezioni a cui non era abituata.
“Domani li vedrai…” scandì lentamente, passandosi il lucidalabbra.
“Per il combattimento? Perché…?”.
“Le lenti sono per occhi umani e quindi non particolarmente adeguate a quelli dei vampiri. Mi impediscono di vedere i particolari lontani e, come ben sai, domani le nostre qualità dovranno essere al massimo. Non potrò perdere tempo perché non ho una visione nitida. Contento?”.
Sorrisi in netto contrasto con la sua espressione funebre. Almeno la mia curiosità sarebbe stata placata.
Pronti per le foto, facemmo quattro scatti che riempimmo con linguacce, occhi tirati e smorfie orrende degne di Halloween. Perfino Rosalie riusciva a essere brutta, se si impegnava. Mentre le scattavamo ci guardavamo, senza riuscire a trattenere le risate. Quando uscimmo in attesa dello sviluppo, stavamo ancora ridendo. Si sentì un “toc”: le foto erano pronte. Rosalie fu più veloce di me e le afferrò per prima. “Sono orrende!” rise, saltellando da una foto all’altra, poi me le passò e dovetti darle ragione. Rappresentavano a pieno i nostri pomeriggi. O forse rappresentavano me e il mio atteggiamento. Non Rose. Lei era diversa, raffinata, anche se insieme a me diventava una mina vagante.
“Ti va di farne un’altra?” le domandai, estraendo nuovamente il portafoglio dalla tasca posteriore dei jeans.
“Ancora? Non sono abbastanza brutte per te?”.
“Facciamone una seria. Guarda” e le indicai un altro formato, poco più grande di una mano, più costoso del precedente, ma sicuramente simile a una foto da incorniciare.
“D’accordo” e si riaccomodò nella cabina. Quando ci entrai anch’io, fu indubbio che era troppo piccola per fare una foto classica, perciò abbassai al massimo il sedile. Con la mia stazza riuscivo a stare quasi al centro del display senza problemi; poi feci cenno a Rose di sedersi sulle mie gambe. Eseguì velocemente e guardammo di fronte a noi.
“Foto seria allora?” chiese conferma.
“Sorridi…” le dissi.
“Ok” poi inserì i soldi nell’apposita fessura, scelse l’opzione desiderata e sul display comparve un conto alla rovescia rosso cremisi: –5, -4, -3, -2, -1, Smile!
Mentre vedevo scorrere quei numeri, ebbi la sensazione che non fossero solo il conto alla rovescia di un banale scatto ma di qualcos’altro che io non avevo ancora capito, che mi ostinavo a non voler capire. L’indomani sarei stato solo. E non perché volessi una fidanzata, o mi mancasse Bella, o perché avrei potuto perdere uno degli amici del branco, ma perché mi sarebbe mancata lei. Adesso ero felice. Odiavo pensarlo e ancora di più dirlo perché ero sempre stato persuaso che la mia vita dipendesse in senso assoluto da Bella. Ora mi rendevo conto che non era così, pur non riuscendo a dividerne la responsabilità in percentuali limpide. La mia felicità quanto dipendeva da Rose e dalla sua presenza? Capivo che sarebbe stato egoista provare a convincerla a restare. Meritava di meglio. Eppure… Strinsi lievemente la mano appoggiata sul suo fianco e la pressione richiamò la sua attenzione. Mi fissò sorridente fino a che lo sguardo si spense e le labbra si fecero tese. La guardai in quegli occhi color delle castagne, in silenzio: c’era un mondo lì dentro. Un mondo a cui ero affezionato, a cui mi ero legato senza che me ne accorgessi.
“Ti prego, Rose” balbettai. “Non andare via… Non mi abbandonare”.
In quel momento il flash della macchinetta balenò e sorprese entrambi. Ci voltammo verso l’obbiettivo ma ormai era tardi: la foto era stata scattata e nessuno dei due era in posa. Rosalie si divincolò e uscì con decisione dalla cabina. Io mi attardai qualche secondo, giusto il tempo di darmi dell’idiota perché ero riuscito a rovinare tutto, poi la seguii. In silenzio attendemmo la foto. Rosalie la guardò per prima poi, arricciando la bocca, me la passò, genuinamente disgustata:“E’ orrenda. Puoi buttarla per quanto mi riguarda…”.
Non era orrenda. Ci aveva colto di profilo, mentre ci stavamo fissando. Non era proprio quello che mi aspettavo ma Rosalie appariva comunque bellissima. Sembrava una foto da mettere sui cioccolatini per S. Valentino e lo feci notare a Rose che non commentò. Decisi di tenerla e la infilai nel portafoglio dove stava a malapena. Le chiesi se ne voleva fare un’altra ma rifiutò decisamente e propose una partita veloce a stecca, visto che ormai erano le cinque e mezza e tra poco saremmo dovuti rientrare. La accontentai anche se non ne avevo molta voglia. Avrei preferito andare al luna park ma era tardi e si trovava dall’altra parte della città. Troppo tempo, mentre invece un bar con una sala da biliardo era disponibile a ogni angolo di strada.
Detto, fatto! Ci bastò attraversare l’incrocio per avere un locale con gli annessi e connessi a noi necessari. Quando entrammo, trovammo illuminati soltanto i tavoli da biliardo, ubicati in fondo al locale; i tavoli e il bancone erano debolmente accesi dalla luce del giorno che filtrava attraverso i vetri smerigliati delle finestre. Era identico ad altre centinaia di bar in cui ero già stato ma mi sfuggì un fischio quando, leggendo il listino, notai che le birre erano decisamente più economiche. Lo elessi a mio bar di fiducia per le prossime volte.
Affittai un tavolo e, quando lo raggiungemmo, notai che era l’unico libero. Gli altri due erano occupati, l’uno da un gruppo di ragazzini che probabilmente dovevano avere la mia età (con la piccola differenza che io sembravo dieci anni più vecchio!) e l’altro da quattro uomini decisamente maturi. Non c’erano donne e ovviamente quando Rose si tolse la giacca per essere più comoda, attirò l’attenzione di tutti. Scossi la testa, divertito e diedi inizio alla partita. Mi imposi di non andarci troppo pesante e non azzeccarne troppe: nonostante l’esercizio, era ancora inesperta, anche se in passato mi aveva battuto, vittorie frutto del caso e non di una reale bravura. Ma anche lei sembrava avere avuto la mia stessa idea e la vedevo giocare con imprecisione e divertirsi di più a prendere in giro me che a cercare di mandare in buca le palle. Col risultato che dopo più di mezz’ora erano ancora quasi tutte fuori e lei rideva come una pazza. Mentre provavo a impostare un tiro, Rose arrivava da dietro e urtava l’asta proprio nell’istante in cui stavo per sfiorare la palla bianca, col risultato, facilmente intuibile, che non riuscivo nemmeno a centrare la bianca. Ovviamente le mie ripicche non mancavano e le nostre risate rischiaravano la penombra ormai alle porte e strappavano occhiate diffidenti agli altri utenti.
Ero in attesa che Rose tirasse, o che, perlomeno, tentasse di farlo, quando notai lo sguardo di uno degli uomini a fianco a noi. La guardava in una maniera che non mi piacque affatto: non era ammirazione e nemmeno compiacimento. Era desiderio, smania di qualcosa di più che limitarsi a osservarla. Aveva una bottiglia di birra in mano, che non stava bevendo, ma che accarezzava lentamente, su e giù, non distogliendo gli occhi da Rose.
“Jake, tocca a te” mi richiamò la mia avversaria.
Tirai in fretta, senza concludere niente, e toccò nuovamente a Rose, che invece riuscì a centrare il bersaglio. Quasi non me ne accorsi perché ero tornato a fissare l’uomo, che evidentemente non giocava, visto che non si muoveva dalla sedia. Continuava a guardarla e a sogghignare. Quando Rosalie si piegò per prendere la mira, sorrise malignamente e sussurrò qualcosa all’orecchio del suo amico che approvò. E io avrei volentieri spaccato la testa a entrambi. La stecca che avevo in mano scricchiolò.
“Senti, Rose” dissi, alzandomi e fermandola prima che tirasse. “Puoi fare a meno di piegarti così…”.
“Ma mi hai insegnato tu a fare in questo modo…” protestò convinta.
“Sì, ma perché eri agli inizi. Ora sei più esperta. Non è il caso che ti stendi sul tavolo…” spiegai, mostrandole come poteva tirare restando il più eretta possibile. Non ne fu affatto convinta e infatti sbagliò.
“L’hai detto per farmi sbagliare, vero? Era un imbroglio…” commentò, storcendo il labbro superiore.
La lasciai tirare ancora e si piegò come le avevo insegnato la prima volta. Decisi che avrei tentato di finire la partita il più in fretta impossibile, ma non era così facile come avevo tramato. Le mie palle erano quasi tutte da imbucare e io non ero certo il genio del biliardo che risolve la partita con due tiri! Esasperato, mi sedetti. Anche i ragazzini la guardavano. In maniera meno brutale e più giocosa, ma la guardavano. E io non capivo. Che cosa c’era in lei quel pomeriggio di così diverso? Era come al solito: splendida. Oppure tutti quanti lo avevano sempre fatto e io non ci avevo mai fatto caso? Rosalie non sembrava essersene accorta oppure faceva semplicemente finta di niente: riflettendoci, non doveva essere una novità per lei. In cento anni di vita chissà quante migliaia di sguardi aveva attirato…
Quelli che mi irritavano di più erano gli uomini alla mia destra. Santo cielo, apparentemente avrebbe potuto essere loro figlia e la spogliavano con gli occhi! Sì, era questo che stavano fantasticando e io potevo fiutare la loro lussuria.
Gli umani emettono sostanze chimiche quando provano emozioni più o meno forti e noi lupi, come la maggior parte degli animali, le avvertiamo. Ovviamente questa dote è maggiormente spiccata quando siamo in forma animale, tuttavia la sentivo ugualmente. Era come un guanto che scivolava sulla pelle, come zucchero filato dall’odore dolciastro e stucchevole che mi fece venire il voltastomaco.
Il battito del cuore accelerò di colpo mentre la rabbia mi ottenebrò il cervello simile a una canzoncina fastidiosa. Strinsi con forza la stecca con la mano destra che, gonfia di energia, stava vibrando impercettibilmente. Abbassai il volto a terra perché se avessi guardato ancora nella loro direzione, li avrei uccisi. E senza alcun rimpianto. La camera era vuota, arredata soltanto da quell’odore spregevole e da quella risatina rauca. L’ira soffocò uno spasmo.
“Jake, stai bene? Stai tremando…” sussurrò Rose. Spalancai gli occhi e me la ritrovai inginocchiata davanti a me con la mano fredda appoggiata sulla mia, resa scivolosa dal sudore.
“Mi manca l’aria qua. Ti dispiace se usciamo?” domandai col cuore in gola, rifiutandomi di far vagare lo sguardo in giro.
“Certo. Non c’è problema…” e ripose l’asta al suo posto. La imitai l’istante successivo e, dopo aver pagato, uscimmo. Respirai a pieni polmoni mentre mi sforzavo di cancellare quello che avevo visto fino a poco prima.
“E’ successo qualcosa?” mi domandò preoccupata. “Sei diventato improvvisamente strano”.
“No. Te l’ho detto. Mi è mancata l’aria, ma adesso sto meglio…” la mia voce suonò calma, normale, sincera. “Che ne dici se andiamo a fare un giretto?”.
Rose consultò l’orologio, poi, dolorosamente, rifiutò:“Sono le 18,30. Dobbiamo tornare a casa. Ci mettiamo un’ora fino a Forks, quindi direi che siamo in ritardo sulla tabella di marcia”.
Fui costretto a darle ragione: non mi ero accorto di quanto il tempo fosse volato. E scivolò ancora più velocemente durante il viaggio di ritorno, rivangando i vecchi ricordi e parlando dei miei progetti per il futuro. Non menzionò mai i suoi, come se non esistessero o non avesse un futuro. Domani a quest’ora sarebbe stata lontana, a Vancouver o in qualsiasi posto, ma non a Forks e non vicino a me. In questi dieci giorni non avevo fatto, né detto nulla per fermarla. Mi ero limitato ad annuire come quel pomeriggio in cui aveva troncato la nostra relazione. E io non volevo commettere un altro errore. Rose era importante, era la mia pace e il mio silenzio, l’immaginazione e la realtà, comprensione e battibecchi. Tutto quello che mi serviva per vivere adesso. La mia migliore amica e non volevo perderla.
“E’ stata una bella giornata. Non bella come la prima volta che siamo andati a Seattle, ma ugualmente stupenda”. La sua bocca si allargò in un sorriso.
“Già” convenni. “Piuttosto ce l’hai ancora il cane di peluche?”.
“Certo. Lo abbraccio quando mi sento sola…” disse pensierosa.
“E il vestito rosso? L’hai mai messo? Eri davvero fantastica…”.
“No. Mai indossato. Una delle mie innumerevoli spese inutili…” ridacchiò, spingendosi in un labirinto oscuro di pensieri.
Passarono alcuni minuti di silenzio, combattuto se provare a convincerla o meno, quando iniziò:“Sai, Jake, nonostante i Volturi, la morte di Desirèe, Seth, Tanya, Esme, è stato un bel periodo. Ho capito come sono, cosa voglio essere e come comportarmi con gli altri. Ho avuto delle lezioni importanti, al di là di come andrà a finire domani. Sono un vampiro e lo resterò per sempre però ho imparato ad accettarmi. Da umana non credo che sarei mai stata soddisfatta realmente di me, invece adesso lo sono. E devo ringraziare te. Desirèe mi aveva avvertita che qualcuno mi avrebbe aiutata e il destino ha mandato te. Sono felice di essere venuta a Forks, di essere stata trasformata perché altrimenti non ti avrei mai conosciuto ed è meglio lasciarti che non averti mai incontrato. Ti ho etichettato come un sfortunato scivolone ma quanto mi è piaciuto cadere in questo modo! Sono felice… Rifarei tutto ancora una volta”.
Deglutii ripetutamente mentre mi parlava. Avrei voluto interromperla, spiegarle, ma era giusto che la lasciassi sfogare. O forse era giusto che la lasciassi andare. Bella aveva tergiversato troppo nel dirmi la verità e il risultato era stato soltanto sofferenza per me; se le avessi chiesto di restare, le avrei fatto del male ed era l’ultima cosa che volevo. Ci eravamo salvati a vicenda ma ora mi sforzavo di convincermi che dovevamo camminare con le nostre gambe.
“Allora ci vediamo domani, all’alba!” disse, una volta fermi all’entrata del ciottolato che portava dai Cullen. “Buonanotte”.
“Buona caccia” replicai a mia volta.
Strinse la borsetta tra le mani, sembrò volermi dire qualcosa invece uscì dalla macchina e si incamminò verso casa, senza mai voltarsi. Avrei dovuto mettere in moto e partire e invece non mossi un muscolo, quasi esanime. Il rumore in lontananza dei passi sul selciato modulava un ritmo chiassoso e infernale. Stava andando via. I nostri pomeriggi insieme, le risate, le litigate… Le stelle che ci sorridevano su quell’albero, i suoi bronci quando perdeva a stecca, il suo sorriso eternamente sorpreso quando mi sfiorava involontariamente una mano e ne sentiva il calore, le nostre gare a chi capiva più di macchine, quanto contavano per me?  Quanto contava lei per me? Non avrei saputo quantificarlo nemmeno adesso, però avrei fatto qualsiasi cosa per farla restare. Strinsi il volante, ripensando a quando mi aveva trascinato lontano dall’addestramento per evitare una delle mie solite scemenze. Non ero ancora pronto alla nostra separazione. Non volevo esserlo perché allora sarebbe andata via.


Et voilà! L'ho fermato proprio sul più bello! Giusto per tenere viva la tensione emotiva!
Spero che la ff continui a piacervi.
Un bacione e vi aspetto al prossimo capitolo dove la bambina del sogno farà di nuovo la sua comparsa e forse chiarirà alcune domande!
Ven.

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Capitolo 81
*** Istinto e passione ***


Scesi dalla macchina e la raggiunsi di corsa. Sentendo lo scalpiccio dei passi, si fermò e notai il suo sguardo spaesato mentre mi avvicinavo a lunghe falcate. Mi fermai a pochi metri da lei, vittima di incoerenti perifrasi mentali. Sapevo cosa volevo dirle, ma non come farlo. Non ero un oratore e l’unica cosa che sapevo fare bene era parlare chiaro.
“Cosa c’è?” mormorò, con un’espressione spaventata.
“Non voglio che vai via, Rose. Voglio che resti qui a Forks. Se vai via non risolverai niente. La tua famiglia è qui, la tua vita è qui e io ho bisogno di te…” affermai deciso senza alcuna esitazione.
“Senti, Jake…” tentò di interrompermi.
“No, Rose. Siamo amici e voglio che resti. Sei la persona a cui tengo di più e voglio che rimani perché…”.
“Smettila!!!” urlò, stridula. Aveva gli occhi lucidi. “Non dire cose che potrei fraintendere, per favore” mi supplicò e mi mancò il coraggio di andare avanti. Tutto quello che volevo dirle avrebbe potuto essere facilmente frainteso e non volevo causarle dolore. Ma come facevo a farle capire che si sarebbe rialzata dal suo scivolone, pur rimanendo qui, e che avremmo potuto avere una semplice e innocente amicizia, senza alcun secondo fine? Se fosse andata via, non avremmo avuto quest’occasione.
Un pesante e denso silenzio instaurò una coltrina invisibile fra noi, una barriera che non avevo intenzione di lasciare eretta. Ormai avevo superato le mie remore e non avevo più niente da perdere, a parte Rose. E lei sarebbe stata persa comunque, quindi tanto valeva continuare a insistere. Le avrei impedito di andarsene a costo di legarla a un albero!
“Va bene, Jake…” balbettò vacillante e improvvisa.
“Cosa?”.
“Rimango”.
“Davvero?!” quasi urlai.
Rosalie annuì e continuò:“Questa settimana senza parlarti è stata un inferno. Era un esperimento per vedere come avrei reagito e il risultato non è stato incoraggiante. Anzi, una tortura… Mentre oggi pomeriggio… Non me la sento di rinunciare a te, alla nostra amicizia. E’ importante per me… Troppo importante”.
Sorrisi automaticamente come se avesse premuto il bottone. Avevo vinto. Sarebbe rimasta. Le corsi incontro e la abbracciai forte, sollevandola da terra. Dal suo petto sgorgò una risata sincera e serena che mi invogliò a stringerla ancora di più. Quando la lasciai andare, ringraziandola più volte come se fosse stata la Madonna, mi scontrai con una flebile speranza, camuffata da un velo di disperazione.
“Promettimi una cosa…” implorò.
“Tutto quello che vuoi…”.
“Saremo sempre amici. Promettimi che un po’ del tuo tempo lo dedicherai a me, che non mi accantonerai in un angolo quando avrai la tua anima gemella. Ho bisogno della tua presenza. Ti prego, promettilo…”.
“Rose, credi che l’imprinting possa distruggere il nostro rapporto?” domandai quasi risentito della sua scarsa fiducia.
“Non lo so”.
“Te lo giuro. Sempre amici, qualsiasi cosa accada” la rassicurai prima di abbracciarla ancora una volta.
Si abbandonò tra le mia braccia, immobile. La sentivo respirare flebilmente, come a scandire il battito inesistente del suo cuore. La fronte liscia era appoggiata alla mia spalla. Aveva chiuso gli occhi, in balia del mio abbraccio. Mi stringeva con la stessa veemenza con cui una bambina stringe la bambola che teme le venga strappata. Credeva che l’imprinting mi avrebbe allontanato da lei? No, non era possibile. Le sfiorai la fronte con le labbra per instillarle l’affetto che credeva non mi appartenesse, poi feci lo stesso sulle tempie fino alla guancia. Raddrizzò il volto per osservare il mio: una ressa di sentimenti fece capolino nelle iridi castane. Stupore, desiderio, paura, gioia. Non le avevo mai visto quello sguardo. Così vivo, così umano, così affascinante da desiderare di farne parte. Le sfilai le forcine che le tenevano indietro i capelli e l’ampio ciuffo le ricadde sulla fronte e sulle spalle. Mi piaceva di più con i capelli completamente sciolti, era angelica.
Accarezzandole la guancia, Rosalie socchiuse gli occhi come per bearsi di quel tocco. Inclinò la testa di lato per venire incontro al mio palmo, poi, pentita, abbassò leggermente il volto. E qualcosa si ruppe dentro di me.
Ogni pensiero logico svanì. Non mosse un muscolo, quasi pietrificata, fino a che le mie labbra non sfiorarono le sue. In quel momento trasalì impercettibilmente prima di tornare in una glaciale immobilità.
Durò solo pochi istanti durante i quali ne avvertii la morbidezza, la dolcezza e la totale assenza di ruvidità. Quando mi allontanai, fu l’aroma dei capelli a incatenarmi. La osservai e fui sommerso da un uragano di domande: perché lei non puzzava come gli altri vampiri? Perché nonostante fosse gelida, il suo corpo non era duro e scivoloso come quello di Bella? Era solo l’abitudine a lei oppure a quegli occhi da cui non riuscivo a staccarmi? Quegli occhi da bambina, che mi guardavano con un’innocenza disarmante, mi scuotevano nel profondo, liberando un bisogno disperato e selvaggio. Rose si voltò di lato, segnale che non aveva gradito quello che avevo fatto. Anzi, si divincolò per ribadirlo ulteriormente e arretrò di un passo. Non gliene permisi altri perché la afferrai per mano e la tirai nuovamente verso di me.
“Se vuoi andartene, dovrai usare la forza…” borbottai, ben convinto che non l’avrebbe fatto.
La baciai nuovamente. Non volevo che la vedesse come un’intrusione e perciò mi limitai ad affondare le labbra nelle sue in attesa di una reazione. Non contraccambiò, fino a che, più audacemente, le mordicchiai il labbro inferiore per poi accarezzarlo con la lingua. Trascorsero pochi secondi, poi finalmente si protese verso di me e intrecciò le dita dietro la nuca. Fu molto più che un segnale: lo scatenarsi di un uragano. Sensazioni che non provavo da una vita ripresero forma e la baciai con tanto impeto da dimenticarmi quasi di respirare. Si alzò in punta di piedi e si appoggiò a me per raggiungermi meglio. Era mia. Era completamente mia. Fu un’emozione orribile e al tempo stesso inarrestabile. La sentivo tremare e, pur avvertendo il freddo, il calore esplodeva in profondità dal suo corpo. Il ghiaccio è tanto freddo che sembra che bruci e adesso provavo la stessa sensazione, con la differenza che era piacevole. Estremamente piacevole.
Giochicchiai con i suoi boccoli fino a quando mi accorsi che l’odore di vaniglia si faceva più intenso e con esso il desiderio. Lo annusavo e lo respiravo a profonde boccate per assorbirne il più possibile. Ma non avevo capito che, così facendo, non avrei più voluto dominarmi.
Le sue labbra mi assaggiavano, fuggivano e poi ritornavano languide, a volte per minuti lunghissimi, altre volte soltanto per istanti e quando accadeva, le cercavo con un’avidità insaziabile. Non sapevo se lo stesse facendo apposta, ma amavo questo inseguimento, questo concedersi senza mai abbandonarsi. Mi eccitava, mi faceva sragionare.
Mi scostai, consapevole che le labbra non mi bastassero più. Volevo la pelle fredda da scaldare al contatto con la mia e il mio desiderio divenne il suo perché inarcò la schiena, gettando la testa all’indietro e scoprendo ampie porzioni del collo. Accolsi l’invito con gioia e discesi lungo di esso, alternando il tocco delle labbra a piccoli e lievi morsi. Le mani gelide sulla pelle, il suo piacevole gemito, audaci sussurri vicino al mio orecchio mi incatenavano a lei con impazienza e ardimento. Senza pensarci due volte le sfilai la giacca che cadde a terra e ripresi il mio cammino sulle spalle, che la maglietta lasciava generosamente scoperte.
“Jake, forse non è il caso…” ansimò, cercando di opporre a parole una resistenza resa inverosimile da come le sue mani esploravano il mio petto. Le dita scivolarono lungo la sua schiena fino ai glutei, fino a stringerle il bacino contro il mio. Dio, la desideravo in un modo quasi imbarazzante! Il suo seno premeva contro di me mentre ogni centimetro del suo corpo era diventato avamposto di una terra che volevo riconquistare a tutti i costi.
La spinsi indietro delicatamente ma con fermezza, fino a bloccarla contro un albero. Le accarezzai il seno più volte mentre l’altro braccio la abbracciava con forza. Fremeva, ansimava mentre cercava le mie labbra, che ormai facevano la spola fra le sue e il collo candido. E più sentivo il suo desiderio, più volevo spogliarla, leccarla, morderla come quella volta a La Push. Volevo sentirla gridare. Tutto qui. Era solo lussuria? Sì. Non era niente di nobile, né di sentimentale, ma semplice attrazione di corpi. E il suo era ciò che di più perfetto esistesse in natura. Adoravo quei glutei rotondi, le gambe lunghe e flessuose, il seno florido e sodo. Sembrava creata per mettere in tentazione e io non ero molto resistente. Non a lei, almeno.
Infilai una mano sotto la maglietta per accarezzare la pelle nuda, quando la fermò. Risolutamente e senza fraintendimenti. Come se qualcuno avesse spento la luce, fui costretto a guardarla. Severa e recalcitrante, mi stritolò con lo sguardo mentre allontanavo le mani.
“Non possiamo, Jake… Io devo nutrirmi e tu devi dormire stanotte. Questa cosa stancherebbe entrambi e domani dobbiamo essere al massimo delle forze. Non soltanto per noi, ma anche per gli altri” disse, improvvisamente fredda. La ragione si era fatta largo a gomitate e non potevo darle torto. Per quanto fosse evidente che il suo ragionamento non facesse una grinza, la desideravo ancora e la cosa che mi faceva schifo in tutto questo era che fino a pochi minuti fa avevo sbandierato la nostra grande amicizia, senza alcun secondo fine, mentre invece il secondo fine c’era, eccome!
“Hai ragione… Ho esagerato…” bofonchiai mentre il senso di colpa mi schiacciava come una valanga.
Il caldo improvviso che avevo sentito poc’anzi si spense e il battito tornò regolare. Respirai profondamente mentre cercavo di recuperare quel poco di ragionevolezza che ancora mi apparteneva. Ero deluso da me stesso in una maniera che non pensavo sarebbe mai stata possibile e Rose la lesse, interpretandola in maniera errata.
“Jake, non ti devi preoccupare… Li vinceremo e domani festeggeremo insieme, tu ed io” sussurrò amorevole.
“Certo” ridacchiai. “Faremo un’interminabile partita a stecca”.
“Se lo desideri sì” disse, poi mi accarezzò la guancia. “Faremo tutto quello che vuoi, Jake. Tutto quanto”.
Mi premetti la sua mano contro la guancia che stava tornando a imporporarsi. Persino le sue dita così delicate e leggere mi turbavano.
“Ti amo e non c’è niente che non farei per te… Quando stiamo insieme, è come se il mio cuore riprendesse a battere e il sangue a scorrere. Sono viva, reale…” mormorò, trattenendo l’emozione.
Mi baciò e la lasciai fare, circondandole la vita. Una scarica bollente mi attraversò la spina dorsale mentre il cuore ricominciò a pulsare più velocemente e un’ondata di calore a scaldarmi. Stavo tornando a rabbrividire ma forse mi sarebbe bastato baciarla tutta la notte. Era dolce e infinitamente tenera. Appoggiò la testa sul mio petto e mi strinse. Le sue dita sulla schiena erano brividi di piacere e morbide carezze che risvegliavano ogni cellula del mio essere. Era come se fossimo una cosa sola, come se fossimo stati creati solo per questo.
Infine sgusciò leggiadramente dalle mie braccia e raccolse da terra la giacca. Indietreggiò di qualche passo, senza staccarmi gli occhi di dosso. E pur con le tenebre ormai attorno, riuscii a vederla per quello che era: radiosa, ardente, arrogante, come se considerasse la bruttezza solo per diventare ancora più bella.
“Buonanotte, Jake” mi salutò in fretta, in preda al timore di cambiare idea. Un secondo più tardi era stata inghiottita dalla notte.
Tornai alla macchina e, una volta seduto, ebbi finalmente modo di riprendere a respirare normalmente. Strinsi il volante tanto forte da sentire dolore e partii a spron battuto. Inviperito, frustrato e sconsolato. In mezzo al caos dei miei pensieri ero certo di avere bisogno di una doccia fredda, altrimenti non avrei dormito.
Quando varcai la porta di casa, Rachel mi venne incontro, avvolta nel grembiule celeste di mamma, chiedendomi come fosse andata. Papà era in salotto che guardava la tv, apparentemente disinteressato. “Vado a farmi una doccia” tagliai corto.
“Ma è già pronto, Jake. Diventerà freddo…” protestò mia sorella. Il minuto successivo ero in bagno.
L’acqua gelida ebbe il potere di raffreddarmi i bollenti spiriti, ma non completamente, perché l’aroma di vaniglia mi aveva impregnato la gola e non voleva saperne di andarsene. Mi concentrai sulle gocce gelate che mi cadevano addosso per consentire a tutte le sensazioni di uscire, ma non sortiva l’effetto voluto. Sentivo ancora le sue mani su di me, i sospiri nelle orecchie e dovetti restare parecchio sotto il getto, prima di rendermi conto che c’ero solo io in quella stanza. Asciugandomi ebbi modo di porgermi un repertorio infinito di domande a cui non trovavo una risposta sensata. A cosa era dovuta questa improvvisa reazione da parte mia? Era scaturito tutto da un abbraccio ma quante volte l’avevo abbracciata, senza perdermi in questa maniera?! Da quando ci eravamo lasciati, non mi aveva più abbracciato, a parte la sera della famigerata sbornia, e, considerando le mie precarie condizioni di allora, non contava. Fui tentato di pensare che l’astinenza mi facesse brutti scherzi! No, perché quando avevo abbracciato Bella non era successo niente. L’avevo desiderata ma non così. Non così! Eppure avrebbe dovuto essere il contrario perché io la amavo con tutto il cuore, era lei la mia anima gemella, la donna che volevo al mio fianco, ma qualcosa mi aveva bloccato. La sua puzza? La stessa che non sentivo più in Rosalie? Non avrei saputo dirlo. L’unica cosa che non potevo negare era che volevo fare l’amore con Rose. Tanto bella da scatenare un desiderio che non avrei saputo respingere se non fosse stata lei stessa così decisa.
Non avevo mai creduto alla vera amicizia fra uomini e donne. Soprattutto dopo quello che era successo con Bella. L’episodio con Rosalie di stasera lo confermava ulteriormente.
Quando scesi al piano inferiore, trovai, con sorpresa, papà e Rachel seduti in cucina, con i piatti ancora puliti. “Non dovevate aspettarmi” dissi.
Rachel scrollò le spalle e servì la cena, investigando su come fosse andato il pomeriggio. Le feci un rapido resoconto, stralciando ovviamente la parte finale, ma ponendo l’accento sul fatto che Rose sarebbe rimasta anche dopo. Ancora più sorprendentemente, ne sembrò contenta. Mia sorella stava diventando incomprensibile; al suo opposto Billy storse la bocca. Aveva accolto la notizia della partenza di Rosalie come l’inizio di un probabile e insperato esilio dei Cullen da Forks. Ora questo lo costringeva a rivedere tutti i suoi progetti.
“Sai che prima ha telefonato Elizabeth. Te la ricordi, no? Mi ha detto che sua sorella Sophie sperava che la chiamassi e che avrebbe voluto rivederti…” affermò con finta ingenuità.
Papà scoppiò a ridere e fui costretto a imitarlo. Ormai i suoi tentativi di trovarmi una fidanzata o qualcosa di simile stavano diventando comici, se non addirittura irritanti.
“Mi stai dicendo che vorresti che la invitassi fuori?” domandai con un ghigno quasi malefico.
“Se non ti piace, no”.
“Ci penserò. Era carina, se non ricordo male…”.
Cambiammo argomento e parlammo del suo pomeriggio con Paul e di quello di papà con Charlie a cui era finalmente riuscito a parlare. Quest’ultimo non era a conoscenza che il giorno dopo si sarebbe tenuto un combattimento nel quale sua figlia avrebbe potuto morire, stavolta definitivamente. Bella sperava che non ci fosse bisogno di farlo stare in ansia, ma in realtà non aveva semplicemente avuto il fegato di affrontarlo con un’altra notizia devastante. La cena fu piacevole e, appositamente, non fu mai toccato l’argomento Volturi. Quando terminammo, aiutai Rachel a sparecchiare (cosa che non avevo mai fatto) poi ci sedemmo tutti davanti alla tv. Avrei voluto chiamare Rebecca ma lei per prima avrebbe trovato strana una mia telefonata e, per giunta, mi stavo sforzando di convincere gli altri che non avevo paura di morire e che non avevano ragione di preoccuparsi. Se mi fossi comportato diversamente, avrebbero frainteso, e non volevo farli stare in ansia più di quanto già non fossero. Ma non era solo quello. Anche il pensiero di Rosalie mi tormentava, costringendomi ad alzarmi, inquieto, e a macinare metri su metri nella nostra minuscola casetta. Rachel aveva intuito il mio disagio. Ogni tanto coglievo il suo sguardo investigativo e facevo finta di niente. Non le sarebbe piaciuto quello che le avrei raccontato e non avrebbe nemmeno capito.
Verso le dieci li salutai e andai a letto, non prima di essermi raccomandato di dormire la mattina successiva e non venirmi a salutare per nessun motivo. Ci saremmo visti a pranzo. Lo sapevo. Ne ero sicuro.
Tuttavia non riuscii ad addormentarmi fino a mezzanotte. Mi girai e rigirai nel letto, arrivando a contare persino le pecore, ma non servì. L’adrenalina pulsava a mille e forse sarebbe stato meglio che avessi combattuto subito. Almeno mi sarei sfogato.
La finestra era aperta e la tenda svolazzava, mossa da un vento leggero. Eravamo in primavera e l’aria non era ancora calda, le poche folate notturne erano soltanto vagamente pungenti. Fredde, dolorose, frizzanti come il suo respiro sulla pelle. Mi coprii gli occhi, esasperato: ci stavo ricadendo di nuovo. Due ore passate a pensare a lei. Non ai Volturi, a strategie, possibilmente vincenti, ma solo a lei. La volevo in quel minuscolo letto, abbracciata a me. Se fosse stata lì, l’avrei coperta di baci. Adoravo il sapore della sua bocca e ancora di più quando ricordavo il modo in cui mi leccava ovunque.
Un ramo dell’acero davanti alla mia camera urtò la finestra, scosso dal vento. Sobbalzai, con la nuca  sudata, cercando nell’oscurità chi avesse scoperto le mie fantasie.
Mi sedetti, fissando l’angolo più buio della camera. Bella. Ero innamorato di lei e volevo portarmi a letto un’altra. Non ero disgustato solo da questo, ma dal fatto che Rose era innamorata di me e si sarebbe concessa sicuramente. Se non lo aveva fatto stasera, lo avrebbe fatto l’indomani o il giorno dopo ancora. Non era una questione di “se”, ma di “quando”, e io ne avrei approfittato. Avrei approfittato dei suoi sentimenti per farmi i miei porci comodi, col risultato che lei si sarebbe affezionata ancora di più e poi, quando avessi avuto l’imprinting, l’avrei lasciata sola. L’avevo già distrutta abbastanza. Le avevo rovinato la vita, aveva buttato all’aria il suo matrimonio e per guadagnarci cosa? Un rapporto di finta amicizia, volto soltanto a soddisfare le mie voglie. Fantastico!
Un brivido mi scese lungo la schiena ed ebbe il potere di farmi incazzare di più. Non riuscivo nemmeno a pensarla un attimo senza fantasticare. Presi a camminare avanti e indietro per la camera, nervosamente. Non sapevo cosa fare e soprattutto come calmarmi e dormire.
Tum, tum, tum… Perché il cuore batteva così forte? Un pigro sussurro, uno sguardo gonfio di tenerezza, una carezza crudele… Stavo immaginando. Cercavo Bella e invece era Rosalie quella che volevo accanto a me. Per quanto mi sforzassi, per quanto la mia mente frugasse con disumana ferocia tra i ricordi la figura di Bella in camera mia, quell’episodio non riusciva a far battere il cuore forte quanto un sorriso di Rose. Non capivo e questo mi faceva esplodere di rabbia.
Andai in bagno e mentre stavo rientrando in camera, notai un bagliore salire dalla cucina. Scesi le scale il più silenziosamente possibile e mi affacciai sulla soglia. Rachel, in vestaglia e con i capelli raccolti in una lunga treccia, era seduta con una tazza di camomilla fra le mani, lo sguardo indifferente, perso nel fumo caldo che invadeva la camera. Quando si accorse di me, alzò il volto e mi salutò tranquillamente, come se fosse la cosa più naturale di questo mondo che fossimo entrambi svegli a quell’ora.
“Ciao…” risposi dopo una breve esitazione. Nonostante un ostentato sorriso, aveva gli occhi arrossati e le palpebre pesanti per il troppo pianto. “Cosa fai alzata?”.
“Non ho sonno. Neanche tu, direi…”.
“No. Mi sono solo alzato per andare in bagno e ho visto la luce…” mentii ma Rachel non sembrò bersela. Si portò la tazza alle labbra e ne sorseggiò alcune gocce. Mi chiese se ne volevo anch’io, ma negai e mi limitai a sedermi davanti a lei. Anche se non la abbracciavo, potevo sentire il palpitare accelerato del suo cuore e sapevo il perché.
“Non devi avere paura. Domani andrà tutto bene…” la rassicurai.
“Lo dice anche Paul, ma io non ne sono convinta. Se succedesse qualcosa a voi due, non so cosa farei…” borbottò a stento.
“Non succederà proprio niente, Rachel. Domani li ammazzeremo tutti e poi tornerò a farmi una bella dormita mentre Paul verrà a sbaciucchiarti…” ridacchiai.
“Sei proprio un idiota!” esclamò, ritrovando il vecchio sarcasmo. Fu un’illusione perché tacque subito e riprese a mescolare la sua tisana mentre il fumo danzava sotto i nostri occhi, come un gruppo di ballerine.
“Devi promettermi che non farai l’eroe, Jake. Voglio che torni a casa a rompermi le scatole e a dire parolacce. Capito?” disse severa, investigando nei miei occhi.
Mi si strinse lo stomaco. “Credi che voglia fare il martire? Non ci penso proprio. Io per primo voglio tornare a casa e ci tornerò” risposi con fermezza. Non stavo mentendo. Non avevo alcuna intenzione di morire. Certo, avrei fatto di tutto per far tornare a casa ogni singolo membro del branco, ma questo non significava immolarmi per la causa. Bastava combattere. Combattere fino a che avessi avuto un alito di vita.
Rachel sembrò tranquillizzarsi e il suo cuore rallentare, mentre beveva la camomilla. Forse avrei dovuto berne una anch’io: magari mi avrebbe sedato i nervi.
“Non ti ho chiesto niente a cena perché so che papà non ama sentirne parlare e non volevo metterti in imbarazzo, ma cosa è successo oggi pomeriggio? E’ andato tutto bene? Eri agitato quando sei rientrato” affermò e più che una reale curiosità si mostrò per quello che era: un goffo tentativo di cambiare argomento e svuotare la mente da cattivi pensieri.
Avrei dovuto agire di conseguenza, invece mi irrigidii e piantai i gomiti sul tavolo per nascondere il disagio. “Non è successo niente di particolare. Te l’ho già detto prima: ci siamo divertiti e ha deciso di restare”.
“E perché?” domandò, dilatando leggermente le pupille mentre tutta la sua attenzione era volta a ogni mio singolo respiro o movimento. La odiavo quando faceva così perché sembrava volermi sbattere in faccia la sua laurea in Psicologia. Scrollai le spalle e non risposi.
“Dunque è tanto innamorata…” affermò cupa, lasciando in sospeso la frase, poi quasi in un soffio continuò:“Non credevo che i vampiri avessero sentimenti così profondi ma evidentemente mi sbagliavo”.
“Rosalie non è come gli altri”.
“Direi che l’ha ampiamente dimostrato. Però…” disse alzando un sopracciglio. “Tu non sei contento. Che c’è che non va? Non dicevi che era la tua migliore amica?”.
“Sì, lo è”.
“Quindi?” mi incalzò.
Avrei voluto nascondermi sotto il tavolo per evitare quella spinosa conversazione. Però, a pensarci bene, potevo farlo. Non ero obbligato a rispondere, né a dire la verità. Non era il mio confessore.
“Non pensare che io sia tua sorella. Fa finta che sia uno del branco…” suggerì e questo mi spazientì ancora di più perché sembrava che volesse psicanalizzarmi realmente. Spostai la sedia all’indietro per andarmene, ma mi afferrò per un braccio, risoluta. “Se non parli, non puoi risolvere il problema”.
“Non c’è nessun problema” mi affrettai a negare con eccessiva foga. E questo mi tradì: era mia sorella e mi conosceva abbastanza bene.
“D’accordo. Allora ti dirò quello che ho visto quando sei tornato a casa. Respiro affannoso, sudore, muscoli tirati e… devo aggiungere una doccia fredda? Ora, le cose sono due: o avete litigato di brutto oppure avete…”.
“Nessuna delle due” obbiettai senza alcuna delicatezza.
“Puoi parlare, sono sicura che non mi scandalizzerò. Nello studio dove lavoro ne sento di tutti i colori!” ridacchiò, giocando con il filtro della camomilla.
“Io non sono un tuo paziente!” scandii le sillabe una ad una mentre una vampata di colore mi scaldò le guance e non passò inosservata agli occhi di mia sorella. Rachel si appoggiò pigramente allo schienale della sedia, poi disse:“L’attrazione fisica tra un uomo e una donna è una cosa normale”.
“Lei non è un essere umano, è un vampiro” mi difesi senza rendermi conto che mi sarei scavato la fossa da solo.
“Per te non sembra fare differenza”.
Sospirai profondamente. Prendersela con Rachel per i miei errori di valutazione non aveva senso. Ed era altrettanto inutile tenerglielo nascosto tanto avrebbe potuto chiederlo a qualsiasi altra persona del branco l’indomani e glielo avrebbero detto.
“Ci siamo baciati e l’iniziativa è stata mia” la liquidai come se mi volessi liberare di un peso senza toccarlo.
“E il problema dov’è?” domandò tranquilla. Sgranai gli occhi perché evidentemente non aveva capito nulla.
“Come sarebbe a dire? Non dovevo farlo. Lei è vulnerabile nei miei confronti e poi… mi è sfuggita la situazione di mano. Se non mi avesse respinto, non sarei sicuramente tornato per cena” ammisi, girando intorno all’argomento.
“Volevi portartela a letto, insomma”.
Beh, mi stavo dando tanto da fare per non usare certe espressioni in sua presenza ma i miei sforzi non erano graditi. Voleva usare il mio linguaggio, benissimo, non mi sarei fatto pregare, anche se fin da piccola ricordavo che lei inorridiva davanti ai miei “turpiloqui”, come li definiva. Solo Rebecca parlava quasi peggio di me; Rachel era la signorina ben educata. E io mi divertivo un mondo a provocarla e vedere le sue espressioni disgustate. Decisi che avrei giocato anche adesso.
“Sì, volevo scoparmela. E mi sono buttato sotto la doccia per calmare i bollenti spiriti…”.
“Ti sei masturbato?”.
“Cosa?”. Avevo la strana sensazione che questa volta avrei perso e a me non piaceva perdere. Non era scandalizzata per niente, anzi sembrava divertirsi più di me: scoppiò in una risata silenziosa.
“Jake, credi che abbia ancora quindici anni?! Guarda che certe cose le so io meglio di te, quindi lasciamo perdere, ok? Piuttosto dicevi che lei ti ha respinto: perché?”.
“Perché non era la serata giusta. Dobbiamo essere in forma per domani…”.
“Giudiziosa la ragazza… Però a te non è servito perché ci stai ancora pensando, giusto?”.
“Sì” sbuffai. “E non mi va per niente”. In realtà non mi andava per niente neanche parlarne a Rachel ma chissà perché lo stavo facendo.
“Perché?”.
“Come perché? Rosalie è la mia migliore amica e io non dovrei avere certe aspettative”.
“Se non ricordo male, tu eri un fervente sostenitore del fatto che tra uomo e donna non ci potesse essere amicizia. Quindi ti stai contraddicendo da solo…”.
“Quello che intendo dire è che io sono innamorato di un’altra e quindi…”.
“Dimentichi che l’altra ha fatto chiaramente capire che non ti vuole, quindi hai intenzione di ritirarti in un monastero?”.
“Certo che no. Però non voglio neanche approfittarmi della situazione. Rosalie mi ha respinto stasera, ma in futuro non lo farà e io non voglio farle del male. Si attaccherebbe ancora di più e non voglio che accada, soprattutto quando avrò l’imprinting”.
“Ma lei lo sa che tu sei soggetto all’imprinting. E’ una sua scelta consapevole. Non avresti niente da rimproverarti…”.
“Sì, ma io le voglio bene e non voglio vederla soffrire. Non voglio fare a lei quello che Sam ha fatto a Leah, perché almeno lui lo ha fatto, ignorando le conseguenze. Io non avrei scusanti”.
Rachel intrecciò le dita e vi appoggiò il mento sopra, squadrandomi silenziosamente.
“Escludiamo Rosalie da tutto questo. Il tuo imprinting potrebbe accadere domani come fra dieci anni. Cosa pensi di fare fino ad allora? Di stare in astinenza?”.
“Ma figuriamoci” soffocai un ghigno. “No di certo. Troverò qualche ragazza che mi piaccia e stop”.
“E se questa ipotetica ragazza avesse la sfortuna di innamorarsi di te, senza essere il tuo imprinting?”.
“Beh, non posso mica stare a secco in attesa dell’imprinting! Si adeguerà… Tanto non sono insostituibile!”. In effetti non avevo la più pallida idea di cosa avrei fatto, se questa sarebbe stata effettivamente la mia etica di comportamento ma odiavo farmi trovare titubante da Rachel.
Rachel si alzò dalla sedia e ripose nel lavello la tazza sporca. La sciacquò velocemente, poi si asciugò le mani. Non mi fissò mai ma sapevo che stava rimuginando. Tra un po’ avrebbe emesso la sentenza e io dovevo solo mettermi a ridere per non darle troppa importanza, come al solito.
“Tornando a Rosalie, lei adesso ha deciso di restare, quindi tu pensi che questa cosa non si ripeterà? Intendo dire: questa attrazione fisica così forte… Perché vi siete visti per parecchie settimane e non ti era mai successo, giusto?”.
“No, ma il fatto è che stasera mi ha guardato in un modo che… Non lo so, mi ha tolto il fiato e temo che se lo farà di nuovo non riuscirò a starle lontano”.
“Quindi la tua soluzione quale sarebbe?”.
Non lo sapevo neanche io perché finora mi ero crogiolato pensando a cosa avrei fatto se fosse stata a letto con me quella sera, non mi ero posto domande sul domani. E invece era il momento di farlo.
“Forse dovrei dirle di andarsene…” sospirai profondamente.
“Andarsene da Forks?”.
“Sì. Andandosene lei avrebbe l’opportunità di rifarsi una vita, di chiudere con me ed essere mille volte più felice. Finché resterà qui, saprò di averla vicina e non resisterei alla tentazione di vederla, quindi… Forse… Sì, sarebbe la soluzione migliore” conclusi.
“Per chi? Per te o per lei?”.
“Per lei”. Avrei voluto aggiungere “perché a me mancherà da morire” ma mi imposi di tacere.
Che cosa stavo pensando? Mandare via Rose, dopo che l’avevo scongiurata di restare?! Ma questo era prima che succedesse il resto. Se lei fosse andata via, all’inizio sarebbe stata male, ma poi sarebbe guarita. Mi sentii divorato da due sensazioni opposte e contrastanti: da una parte che fosse giusto e la decisione più lodevole; dall’altra che non avrei saputo resistere. Come se decidessi da solo di privarmi del cibo. Assolutamente fuori di testa. Ma se pensavo a lei, non dovevo mettere me al primo posto nella gerarchia.
“Quindi hai già deciso?” mi domandò vagamente perplessa.
“Sì”.
Rachel annuì e, stringendo a sé la cintura della vestaglia, arricciò le labbra, poi, autorevolmente come la sacra preveggente invocata, disse:“Vuoi sentire il mio parere o preferisci che taccia?”.
“Dillo, tanto lo faresti comunque…” replicai emettendo un sospiro e sistemandomi più comodamente sulla sedia. Se la conoscevo bene, sarebbe stata una filippica.
“Stai sbagliando. Per due motivi. Il primo è che tu non puoi decidere al posto di una persona ciò che è meglio per lei. Rosalie non è una bambina e neanche un’ingenua. Se ha deciso che vuole restare qui per starti vicino, non puoi dirle di non farlo. Non sarebbe giusto. E…” alzò un dito per fermare la mia replica già pronta. “…non ho finito. Per quanto riguarda l’imprinting, è perfettamente consapevole che prima o poi accadrà e non può impedirlo in nessuna maniera. Non puoi fare paragoni con la situazione vissuta da Leah perché sia lei che Sam erano all’oscuro della licantropia e di ciò che comportasse e si sono trovati impreparati a quello che è successo dopo. Per quanto riguarda il sesso, lei è la prima che lo vuole fare, quindi anche di questo non ti dovrai sentire in colpa”.
“Questo lo so, ma non è giusto che ne approfitti…”.
“Non credo che lei lo pensi. Ad ogni modo, fai quello che vuoi” concluse, poi, sbadigliando, si incamminò verso la porta. La camomilla stava facendo effetto; oppure era quest’argomento.
“E il secondo punto qual’era? Mi hai detto solo il primo…” sorrisi spavaldo, scivolando sulla sedia.
Rachel si appoggiò allo stipite dell’ingresso e affondò le mani in tasca. “Ah già” esclamò con tono esageratamente svogliato, come se non volesse dargli importanza, ma in realtà fosse l’asse cardine del suo discorso. “E’ molto semplice. Non devi farla andare via perché sei innamorato di lei e quindi saresti infelice. Tutto qui”.
Probabilmente assunsi una smorfia alquanto bizzarra perché mia sorella mi lanciò un sorriso obliquo. “Stai scherzando?” soffocai una risata.
“Mai stata più seria” ed era vero. Il viso era una distesa perfetta senza alcun segno o piccola ruga che potesse delineare una qualche espressione ilare o di scherno. “Tu sei innamorato di lei e se non lo capisci da solo è perché sei troppo ossessionato da Bella per rendertene conto. E questo è molto triste…”.
“Stai vaneggiando…”.
“Affatto. Riflettici un attimo. Da quanto tempo è che stai meglio? Da quanto tempo è che hai cominciato a sorridere e ad avere un atteggiamento più positivo, a tornare quello che eri? Da quando hai cominciato a uscire con lei, come l’autunno passato. In questa casa non hai mai pronunciato il nome di Bella però so che la cercavi sempre agli addestramenti, che andavi là quasi esclusivamente per vederla: quando hai smesso di fare caso a lei e a cercare solo Rosalie fra tutti gli altri? Perché sei ritornato cattivo e irascibile proprio negli ultimi giorni quando ti ha detto che se ne sarebbe andata? Perché quando Bella ti ha rivelato di avere mentito, non ti sei sentito ferito più di tanto? Anzi diciamo che non te ne è fregato niente. Non c’è stata alcuna conseguenza. Come acqua. E non dirmi che eri già rassegnato. Perché ti fai tanti problemi di far soffrire Rosalie, quando non ti sei mai preoccupato che Bella non fosse il tuo imprinting e quindi avrebbe sofferto quanto Leah? Perché, nel combattimento con Cullen, hai ferito Bella e non ti saresti fermato, mentre Rosalie è riuscita addirittura a farti tornare umano? La risposta è una sola. Non so quando è accaduto, ma tu hai smesso di amare Bella. Per te è diventata un’ossessione, una forma di rivincita personale contro Edward, forse. Non lo so. Ma i fatti sono questi”.
“Chi ti ha parlato degli addestramenti, della bugia di Bella e del mio combattimento con Cullen?” domandai freddo. Rachel alzò le spalle: non c’era bisogno che rispondesse. Paul aveva spettegolato. Ma lui aveva pensato tutto questo senza che me ne accorgessi? Non capivo. Mi mostrai eccessivamente colpito dal ragionamento di mia sorella e lei ne approfittò per affondare la lama.
“Una domanda: hai mai desiderato Bella nella maniera in cui vuoi Rosalie?” chiese candida come la neve.
Incontrai, quasi timoroso, il suo sguardo,. Avevo smesso di respirare. Rimuginai pochi secondi sulla domanda e decisi che non avrei risposto. Non erano affari suoi e comunque non era colpa di Bella ma del suo maledetto odore che non sentivo sulla pelle di Rosalie. Ma neanche quando era umana… Dio, che confusione! Rachel stava mischiando le carte col risultato che non capivo più niente.
“Come immaginavo” sentenziò, seppellendo i suoi ultimi dubbi.
“Non è vero. Stai sbagliando. Io amo Bella e Rosalie è…”.
“Solo sesso?” mi prevenne arrogante. Il suo sorrisetto si spense subito. “Non ti conosci, Jake, nemmeno dopo 18 anni. Non sei il classico dongiovanni che mira a portarsi a letto tutte quelle carine e che ci stanno. Probabilmente ti piacerebbe esserlo ma non lo sei. Il tuo è il tipico caso di “amore travestito da sesso” e non il contrario. Ci sono due dimensioni in una persona: testa e istinto. E spesso queste due sono in conflitto fra di loro perché ognuna vuole predominare sull’altra, ma alla fine, Jake, quella da cui sai che puoi avere risposte sincere è proprio l’istinto. E in te che sei un lupo questa qualità è ancora più accentuata. Se l’istinto ti porta a desiderare Rosalie e non Bella, con tutto quello che comporterebbe, è lui che devi ascoltare, è lui che vede al di là di congetture contorte, sentimenti confusi e meschine diatribe. Di un’azione che fai per istinto non ti pentirai mai; di un’azione pensata, riflettuta, ponderata non sarai mai sicuro e te ne potrai pentire in ogni momento. La ragione, che ci rende superiore agli animali, è il nostro limite più grande”.
Mi lanciai in un applauso silenzioso e ironico.
“Complimenti dottoressa, davvero un ottimo discorso, peccato che non ci sia niente di riconducibile a me. Hai detto tu che è normale che un uomo provi attrazione per una donna, quindi tutto quadra. Sesso e basta. Piuttosto mi incuriosisce il tuo desiderio di trovare in me un qualche tipo di sentimento nei confronti di Rosalie. Perché, visto che la odiavi?” sottolineai astioso.
“Lei è innamorata di te e forse, a dispetto di tutto, si meriterebbe di essere ricambiata. Ha dimostrato ampiamente che non è una cotta e che vuole realmente il tuo bene altrimenti non si sarebbe sopportata mesi di discorsi su Bella. Io ti avrei mandato a quel paese molto prima. Mi dispiacerebbe se stesse male visto il tuo comportamento da bambino capriccioso…”.
“Non sono capriccioso! Credi di avere trovato la soluzione, ma ti sbagli e di grosso. Io amo Bella, la amo come prima e per Rosalie non provo niente di più che amicizia. Tutti gli scrupoli che mi faccio sono proprio in virtù di questo. Per quanto riguarda quello che ti ha raccontato Paul, sono sue opinioni personali che non hanno niente a che vedere con la realtà dei fatti. Tutti state cercando di staccarmi da Bella con le invenzioni più fantasiose, ma sbagliate. Nessuno potrà mai allontanarmi da lei. Domani dopo la battaglia, dirò a Rosalie di andarsene e non piangerò certamente quando lo farà” ringhiai, cercando di mantenere un tono basso per non svegliare papà, ma il mio discorso sapeva da bambina isterica.
“D’accordo, Jake. Hai deciso di suicidarti: fallo. Non cercherò di farti cambiare idea. Ma quando sarà andata via e ti renderai conto dell’errore, non potrai più farla tornare indietro. Buonanotte” concluse, abbandonando la cucina e salendo le scale.
Ero livido dalla rabbia. Come si era permessa di sminuire i miei sentimenti per Bella? Se c’era qualcosa di cui ero sicuro era il mio amore per lei. E anche Paul… Aveva raccontato a mia sorella ciò che succedeva agli addestramenti e anche i miei pensieri, e insieme avevano distorto tutto quanto. Non osavo immaginare che cos’altro avevano pensato gli altri. Mi alzai, bevetti un po’ d’acqua direttamente dal collo della bottiglia poi tornai in camera. Non provavo niente per Rosalie, al di là dell’affetto più innocente. D’accordo c’era anche desiderio sessuale ma chi non l’avrebbe avuto con una come lei accanto?!
Mi buttai sul letto e strinsi gli occhi, deciso a dormire.
Volevano una dimostrazione del fatto che i miei sentimenti per Bella non fossero cambiati? Li avrei accontentati! Domani pomeriggio avrei parlato con Rosalie e avrei troncato definitivamente l’amicizia. Le avrei detto di andarsene, così avrei preso due piccioni con una fava. Quelli del branco avrebbero capito come stavano le cose, Rosalie mi avrebbe dimenticato e io… Non importava più. La decisione era stata presa e non me ne sarei pentito.
Non so se fu per la rabbia che aveva scacciato il desiderio oppure per il sonno che finalmente mi aveva colto a tradimento, ma mi addormentai e quello che sognai fu peggiore di una tortura.
Mi ritrovavo nella periferia di una città che non conoscevo e tenevo in braccio la bellissima bambina bionda, dal broncio ipnotico. Eravamo soli, Desirèe non c’era. Mi guardai intorno, percependo dei rumori in lontananza. Grida alternate a tumulti di oggetti che sbattevano contro muri o per terra. Nessuno ci stava attaccando eppure sapevo che dovevamo scappare, che qualcuno sarebbe venuto a cercarci con intenzioni affatto pacifiche. Mi misi a correre, senza una direzione precisa, con la speranza di allontanarmi e seminare chiunque ci stesse inseguendo. La bimba non stava piangendo ma appariva ugualmente spaventata e mi stringeva le braccia attorno al collo, alla ricerca di protezione.
Correvo, correvo e, come capita spesso nei sogni, mi sembrava di restare fermo. Mi inoltravo in dedali di strade enormi e dagli interminabili grattacieli, eppure tornavo sempre al punto di prima mentre le voci si facevano più pressanti di minuto in minuto. Non capivo chi ci stesse inseguendo e perché, ma avevo la consapevolezza che volessero la piccola e che prima o poi avrei dovuto affrontarli. Non avrei mai lasciato che la prendessero. Avevo giurato a Desirèe che l’avrei protetta e intendevo mantenere la parola. Non soltanto per lei ma anche per me. Stringendola si era rinnovata la medesima sensazione del sogno precedente: appartenenza, tenerezza, calma. Era tutto lì, con quella bambina.
Improvvisamente mi passò davanti un’ombra, tanto veloce da sembrare un colpo di vento. Mi bloccai mentre il sudore scendeva lungo la schiena. Ruotai velocemente gli occhi a destra e a sinistra, guardingo. Era vicino a me e stava per attaccarmi. Decisi di deporre la piccola a terra, la quale, con un’espressione innocente, tentò di trattenermi ma le feci capire che doveva restare nascosta e che sarei tornato a riprenderla. Si nascose dietro un bidone dell’immondizia mentre partivo alla caccia del mio avversario.
Si fece trovare subito e lo riconobbi: Edward. Non capii che cosa ci facesse lì, ma colsi la palla al balzo per iniziare un combattimento che sembrò non avere mai fine. Non mi trasformai in lupo tuttavia potevo tenergli testa. Non lo ferivo e lui non feriva me. Non capivo che cosa volesse dalla bambina, ma non gliela avrei mai lasciata. Mai e poi mai.
Quando rimbalzando contro la facciata di un edificio, caddi a terra, rialzandomi, non lo trovai, come se fosse evaporato. Annusai: anche la sua scia era sparita. Mi alzai e corsi rapidamente a riprendere la piccola. Avevo un terribile presentimento e volevo allontanarmi da lì il più in fretta possibile.
Non era più nel posto in cui l’avevo lasciata, però una minuscola goccia di sangue aveva sporcato il cemento. Rovistando attorno, ne notai un’altra a pochi metri di distanza e un’altra ancora. Le seguii mentre il cuore batteva sempre più forte, facendomi quasi girare la testa.
Infine la sorpresa.
Era in un’altra via, distesa a terra. Il corpo abbandonato come uno straccio. Inginocchiata vicino a lei, c’era Rosalie che le stava accarezzando i capelli e la guardava, colma di compassione. Quando sentì il rumore dei miei passi, si alzò di scatto e indietreggiò, allarmata. Aveva la bocca sporca di sangue; alcuni schizzi persino sulle guance, e piccole gocce punteggiavano il mento candido. Spostai la mia attenzione sulla bambina: le braccia aperte con le mani rivolte verso l’alto come per chiedere pietà; il visetto terreo e gli occhi spalancati fissi nel vuoto, ancora terrorizzati; il vestito, sgualcito, le copriva a malapena le ginocchia. Sul collo, il segno di un morso da cui era uscita una grande quantità di sangue, ormai rappreso intorno alla ferita.
“Mi dispiace, Jake…” balbettò Rosalie.
La fissai stravolto. Non poteva essere. Rose non avrebbe mai ucciso un essere umano e non avrebbe fatto del male a una bambina, però quella macchia putrida e rivoltante sul suo viso non lasciava dubbi. Avrei voluto ucciderla ma restai paralizzato, mentre lei scappava.
L’aveva uccisa. Perché? Perché aveva fatto una cosa così mostruosa? Sentii una sensazione di vuoto improvviso come se mi avessero strappato l’anima.
In quel momento mi svegliai.
 
 
Ciao a tutte,
che ne dite? Col  prossimo capitolo comincerà finalmente la tanto attesa resa dei conti con i Volturi. Preparate i fazzoletti, mi raccomando!
Un bacione a tutte!
Ven.

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Capitolo 82
*** Al cospetto dei Volturi ***


Ed eccoci finalmente al fatidico giorno!
Arrivano i Volturi e sarà battaglia… Tenetevi forte e pronti con i fazzoletti!
Un abbraccio forte a tutte quelle che continuano a seguirmi e alle nuove che si sono aggiunte.

 
 
Il display luminoso annunciava le 4,30 in un rosso vitreo quando la sveglia suonò, emettendo quel disgustoso rimbombo che avevo sempre detestato. Oggi ancora di più.
Mi sedetti sul letto, immobile. Subito dopo il sogno mi ero addormentato nuovamente senza problemi, ma non l’avevo dimenticato. Tremavo, come se stessi congelando, ma non era freddo. Paura di quella giornata? Forse. Paura di quel sogno e di tutto quello che sottintendeva? Forse. Ma non mi sarei lasciato inghiottire da nessuna delle due.
Andai in bagno e mi sciacquai con acqua gelida per liberarmi dai granuli residui di torpore, poi di corsa a vestirmi. Pronto dopo cinque minuti, scesi le scale il più silenziosamente possibile per evitare di svegliare gli altri. Fatica sprecata. Rachel e papà erano schierati vicino all’ingresso, ancora in tenuta da notte, in mia attesa.
“Avevo detto che non dovevate svegliarvi” brontolai. Non ebbi tempo di proseguire perché Rachel mi si buttò tra le braccia. Le sue lacrime mi bagnarono la maglietta mentre il suo petto era scosso da tremiti convulsi.
“Stai attento, per favore” mi supplicò sommessamente. Le accarezzai la testa e ricambiai la sua stretta. Saccente, irritante, ma pur sempre mia sorella. E per questo amata quanto Rebecca. Forse un po’ di più.
“Voglio coniglio a pranzo, ok?” risi, sardonico.
Rachel si staccò asciugandosi gli occhi e, abbozzando un sorriso teso, replicò:“Sei uno stupido…Ti accontenterò, ma solo per questa volta!”.
Poi fu la volta di papà. Non sapevo mai bene come prenderlo, visto che si mostrava spesso duro e freddo, però avevo realmente paura di non tornare più a casa. Avrei gettato gli ultimi possibili minuti insieme in onore di un rapporto senza mai slanci plateali di affetto? Lo abbracciai forte e Billy fece altrettanto, senza dire una parola. E fu meglio così. Li salutai ed aprii la porta.
Dall’altra parte della strada, a parecchi metri di distanza, intravidi Paul. Non sembrava voler entrare e l’accordo era di trovarsi da Sam. Guardava la casa da lontano, come se le stesse dicendo addio. Troppo facile intuire perché fosse lì. “Rachel, c’è Paul…” dissi.
Rachel apparve sorpresa e le lacrime, a quel punto, sgorgarono senza freni. Uscì sulla soglia e, verificato che non stavo mentendo, si precipitò dalle scale. L’istante dopo era fra le sue braccia. Li sentii parlare ma non distinguevo le parole. Mia sorella piangeva come una fontana e Paul sembrava volerla rincuorare a tutti i costi, con scarso successo.
“Jacob, niente sciocchezze. E non fare atti di eroismo… Ok?” minacciò papà. Reclinai il capo, annuendo lievemente. Non avevo la forza di parlare perché se lo avessi fatto avrebbe sentito il tremore della voce e avrebbe capito che avevo paura. Come facevo a consolare una persona, a rassicurarla se io per primo non ero convinto della nostra vittoria?
Era ancora notte, ma non lo sarebbe stato a lungo. Tempo mezz’ora e la nebbia del primo mattino ci avrebbe avvolto in una luce grigio azzurra. Alle 5,30 circa sarebbe iniziato tutto e poco dopo avremmo scoperto l’esito. Misi le mani in tasca e mi incamminai, facendo un cenno a Paul. Salutò mia sorella con un appariscente bacio sulle labbra poi mi seguì. Non mi voltai mai indietro. Era inutile, perché sarei tornato. Oh, eccome se sarei tornato! Rachel mi avrebbe cucinato il coniglio, non potevo mancare all’evento! E poi avevo il diploma, aprire la mia officina, uscire con quell’insulsa di Sophie, prendere in giro mia sorella e poi… troppe cose per prendersi il lusso di non tornare.
Durante il tragitto Paul ed io non scambiammo una sola parola. Che cosa avrei potuto dirgli? “Se mi succedesse qualcosa, tratta bene Rachel e papà”? No, non sarebbero usciti discorsi sensati ed ero già abbastanza confuso. Odiavo questo stato. Non mi si confaceva.
Nonostante fossimo già in maggio avanzato, la mattina faceva fresco e le foglie erano ancora bagnate dall’umidità della notte. Però i prati erano verdi e pieni di margherite, non ti scordar di me, campanelle e violette. Era primavera. Decisamente una stagione poco favorevole ai combattimenti. Ma esisteva una stagione adeguata?
Alla nostra meta, trovammo già buona parte del branco, fra cui Joe, l’unico che faceva battute per tentare di rianimare il gruppo; tutte le facce circostanti mostravano la più cupa e pessimista indifferenza. Alla spicciolata arrivarono tutti e Sam, dopo aver salutato Emily, anche lei in piedi nonostante l’ora mattutina, ci raggiunse.
“Ci dobbiamo trovare nella radura dove sapete che si terrà lo scontro. Visto che siamo leggermente in ritardo, è meglio trasformarci e partire subito. Per passare il meno osservati possibile, faremo quattro gruppi che seguiranno percorsi diversi. Non ci dovrebbe essere nessuno in giro, ma un branco da 32 elementi è parecchio vistoso. I capi dei quattro gruppi saranno Leah, Paul, Jared ed io. Ah, Jacob” mi disse, indicandomi con un cenno. “Tu portati dietro i vestiti perché una volta nella radura dovremo parlare con i Cullen e non voglio interpreti che possano alterare i nostri pensieri”.
Ci spogliammo tutti quanti con la differenza che gli altri abbandonarono i vestiti dietro i cespugli mentre io mi legai i bermuda a una gamba. La maglietta potevo anche lasciarla lì, tanto non avrei avuto freddo. Una volta lupi, ci sparpagliammo dietro a una delle quattro guide indicate e io optai per Sam. Partimmo al galoppo, direzione della radura che conoscevamo, ma non quella in cui avevamo sempre svolto gli addestramenti. Il luogo designato si trovava a una ventina di chilometri da Forks, in un’ampia zona della foresta, lontana da molti sentieri turistici e di caccia. Come se i Volturi l’avessero scelta appositamente per il suo isolamento. Ma che dico? L’avevano sicuramente scelta in base a questo. Tendevo a dimenticare che Jane era stata qui per qualche settimana quindi aveva avuto modo di esplorare il territorio in ogni sua parte e tana. Un combattimento fra licantropi e vampiri doveva svolgersi il più nascosto possibile agli occhi degli umani e questo giustificava anche la scelta dell’ora.
Mentre correvo veloce ebbi anche il tempo di guardare la luna o quello che ne rimaneva visto che ormai stava andando a dormire, usando come coperte le immancabili nuvole che preludevano all’ennesima giornata senza sole. Mi sorpresi a pensare che se fossi morto mi sarebbe mancata. Era una considerazione stupida perché le menti di tutti vagavano dai genitori ai fratelli o sorelle, alle fidanzate e io ero l’unico a pensare che non avrei più visto la luna, come se fosse fondamentale nella mia vita. Eppure era importante, in una qualche maniera. Rupert avvertì i miei pensieri e mi fissò, incredulo.
Non era piena. Mi mostrava quel sorriso maligno da clown su cui potevo immaginare di tutto. Le due ultime stelle della notte vicino a lei potevano essere due occhi vivaci e incuriositi che avrebbero assistito a una battaglia per la vita. La luna sarebbe stata spettatrice per l’ennesima volta in migliaia di anni di guerre senza alcun senso. Perché noi uomini, umani, vampiri, licantropi che fossimo, non riuscivamo a vivere in pace come lei? Troppo difficile per le nostre ambizioni di supremazia?
La foresta ferveva di attività durante il nostro passaggio. Una volpe sgattaiolava nell’ombra, verso il fiume; piccoli roditori scavavano gallerie interminabili fra squittii e un frenetico zampettare; un gufo volava silenziosamente. Sì, mi sarebbe mancata anche la mia casa di rami e muschio…
Arrivammo alla radura, che era più sterminata di quanto ricordassi. Circondata da abeti, aveva due ampie vie di fuga che la tagliavano perfettamente a metà e su cui immaginavo in molti si sarebbero buttati, rincorrendo il proprio avversario. Si trovava in una conca: a destra un lieve pendio portava verso Forks; dall’altra parte una salita più impervia portava fino in cima alla montagna. In inverno, coperta di neve, per un umano quest’ultima era molto faticosa, ma ora, in fiore e ricoperta da un sottile manto di erba, sembrava un morbido tappeto. I Cullen e i loro amichetti guastavano il paesaggio, passeggiando avanti e indietro, studiando ogni possibile tattica.
Erano già pronti. E come poteva essere diversamente? Loro non dormivano! Notai subito che erano vestiti tutti quanti con abiti pesanti e alcuni già lisi. Non volevano rovinarsi il guardaroba? L’unica che si differenziava era Eva. Indossava una tutina che non lasciava molto all’immaginazione: probabilmente se avesse avuto la cellulite, avrei potuto notarla. Mi accorsi che il mio fu il commento più educato che fuoriuscì in quella ridda di pensieri maschili e fu quasi un bene. Un po’ di distrazione prima di un momento così delicato ci voleva. Sam non abbandonò mai la sua imperturbabilità e mi si avvicinò, facendomi cenno di seguirlo. Ci nascondemmo dietro un cespuglio e ritrovammo le nostre sembianze umane.
Ritornando nella radura, ebbi addosso lo sguardo di ciascun membro del branco. Potevo sentire i loro muscoli tesi come archi pronti a scattare e i cuori battere ritmicamente. La presenza dei vampiri, per quanto nostri alleati, rendeva l’incubo drammaticamente autentico e abbatteva a sciabolate tutte le mie sicurezze. Respirai a fondo e, osservando i Cullen, cercai qualcosa o qualcuno che potesse distrarmi. E qualcuno effettivamente arrivò. Bella.
Fu tanto rapido il suo movimento che respirare e ritrovarla stretta a me accadde nello stesso istante. Istintivamente, già teso per la battaglia, trasalii come se fossi stato attaccato, ma ripresi a respirare non appena mi resi conto di chi mi stava abbracciando. La strinsi con beato appagamento, come se potessi far uscire la voce e cantare. Notai il volto accigliato di Edward osservarci da lontano con grossolana irritazione e questo mi rallegrò ancora di più.
Quando Bella mi lasciò andare non disse nulla. “Andrà tutto bene” mi sentii in obbligo di rassicurarla. Annuì e indietreggiò senza staccare gli occhi da me. Il vento leggero del mattino le scosse i capelli, raccolti in una coda. La mia piccola Bella, così esile e fragile… L’amavo, a dispetto della sua nuova natura, delle sue bugie e qualsiasi cosa potesse fare contro di me. Non avrei esitato a dare un braccio per lei, anche se non me l’avesse chiesto, mentre il suo sguardo fiero ribadiva che mi voleva bene e basta. Edward non era un capriccio, ma una scelta dettata da sentimenti, dei quali io non facevo più parte. Avrei dovuto rimpiangerlo mille e mille volte ma non succedeva. Il rimpianto era soffocato, distrutto, introvabile.
Il cuore non batteva più forte, le braccia non erano tese, riuscii perfino a sorriderle. Ero sereno, nonostante tutto, ed era strano perché con lei vicino non mi era mai capitato. Una fresca brezza mi avvolse ed ebbi la sensazione di essere in pace con tutti i presenti. Un piccolo rimbombo, come se avessi sentito l’eco di una voce dal profondo, mi fece voltare verso sinistra. Sotto un salice c’erano Rosalie, Alice e Kate. Il magnifico terzetto. Kate fece un cenno con la testa per indicarmi; Rosalie si girò un istante verso di me, alzò la mano e poi tornò a conversare con le altre due, con finto disinteresse. Non era venuta a salutarmi e non l’avrebbe nemmeno fatto; eppure spostava il peso da un piede all’altro, come se fosse in difficoltà.
Vieni da me, per favore… Il cuore accelerò e mi si strinse lo stomaco. Feci un passo verso di lei ma mi bloccai, trattenuto dall’orgoglio. Il profumo di fiori si fece stranamente più intenso, dolcissimo, quasi soffocante nonostante crescessero solo margherite in quel prato.
“Jacob, andiamo” mi richiamò Sam, con piglio deciso.
Il capitano chiamava e non si poteva discutere. Lo seguii buono buono fino a che non raggiungemmo il capanello formato da Carlisle, Edward, Jasper ed Eleazar. Preparati per la battaglia, non riuscivano a scrollarsi di dosso la loro perpetua aria snob e arrogante.
“Allora, come ci disponiamo?” esordì Sam, con un’occhiata svelta e torva.
“Faremo tre file” spiegò Carlisle, mimando con le dita. “Due di vampiri e una di lupi. Voi sarete la terza. Siete imponenti e più alti di noi, quindi li metterete sicuramente in soggezione, anche se sarà soltanto per qualche minuto. Ma partire con una più che buona impressione è già un passo avanti. Inoltre, non essendo molto diversi l’uno dall’altro, Eva potrà usare il suo potere, facendogli credere che siate in numero molto superiore”.
“Pensavo che saremmo stati davanti” obbiettai.
“L’idea effettivamente era questa, poi è successa una cosa che ci ha sconvolto un po’ i piani…”.
“Quale?” investigò Sam.
“Vogliono parlamentare” esordì Edward.
Non potei evitare di aggrottare la fronte. Parlamentare? Avevano la vittoria in pugno e volevano perdere tempo in chiacchiere?
“Non sono così sicuri di avere la vittoria in pugno…” prevenne il pinguino. La sua voce era placida, quasi normale. “Le nostre precedenti vittorie li stanno facendo dubitare. Quindi dobbiamo essere davanti perché vorranno parlare con noi. Le fila saranno queste…” e iniziò a elencare i nomi dei vampiri che sarebbero stati in prima linea. Fui contento di sapere che lui sarebbe stato fra questi: maggiori possibilità di morire. Ottimo.
In seconda linea, fra gli altri, Bella al centro, Carmen, Kate, Irina, Antoine, Rosalie ed Alice.
Stavano ancora spiegando la disposizione degli elementi, quando Sam, assorto da parecchio, li bloccò. “Che cosa vogliono? Per evitare il combattimento, intendo…” domandò. Era evidente che lui avrebbe voluto chiuderla, senza arrossare la terra di questa radura, ma il fatto che i Cullen non avessero preso in considerazione la proposta mi faceva dubitare il peggio. Carlisle sospirò, poi ordinò a Jasper ed Eleazar di andare a disporre le truppe per risparmiare tempo. Ormai mancava decisamente poco mentre noi ci perdevamo in chiacchiere.
Rimasti noi quattro, Carlisle si sentì più libero di parlare, come se gli altri dovessero ignorare ciò che sarebbe stato proposto. “Vorranno una resa senza condizioni…” sentenziò grave.
“Che significa in termini vampireschi?” domandai senza ironia.
“Lo smembramento della nostra famiglia e di tutti i clan che sono qui oggi…”.
“Smembramento? Cosa vuol dire? Morti?”.
“No, semplicemente che ci disperderanno ai quattro angoli della terra per dimezzare la nostra forza. Oltre al fatto che probabilmente qualcuno di noi dovrà andare a Volterra e far parte del loro esercito…”.
Sam incrociò le braccia e si appoggiò al tronco di un abete. “Non mi sembra una richiesta inaccettabile…”.
“Noi non intendiamo separarci” replicò nervosamente Carlisle.
“Sì, ma qui stiamo parlando di 82 vite, tra umani e vampiri. Ti rendi conto, vero?” ringhiò Sam, abbandonando la sua consueta freddezza. “Chi sarebbero poi gli invitati in Italia?”.
“Sicuramente Edward, Alice ed Eva. Se poi scoprissero i poteri di Bella, vorrebbero anche lei…” rispose Carlisle con pacatezza.
Sam non disse nulla ma il suo silenzio gridava il principale dilemma. Non voleva morti fra i nostri e immolare alcuni vampiri era sicuramente plausibile, soprattutto in virtù del fatto che non sarebbero stati uccisi ma solo invitati ad un’eterna vacanza in Italia. Il desiderio di tutti, no? Separare Edward da Bella: un vero colpo di fortuna! O forse una pesante ingiustizia. Bella ne avrebbe sofferto e non avrei voluto mai più vederla piangere. Senza contare che il passaggio di quei tre al nemico avrebbe significato rafforzarlo ulteriormente, un domani che avessero voluto sterminarci definitivamente.
“Se si trattasse di consegnare solo noi tre, non mi tirerei indietro, Sam” intervenne Edward, mentre i suoi occhi brillavano come un mare di miele. “Non oserei mai mettere in pericolo le vite di tutti per evitare la separazione, ma Alice ha detto che, vincolo imprescindibile per cui l’accordo sia valido, deve essere la consegna dei traditori e non possiamo farlo”.
“Chi intendono per traditori? Tutti voi lo siete, ormai” rintuzzò il mio capo.
“No. Per gli attacchi di Demetri e Lehausle possiamo opporre che ci siamo difesi e quindi in un qualche modo essere giustificati, ma non al primo. Mi riferisco a quello in cui è morto Seth… Tanya e Desirèe sono morte, ma non Rosalie. La richiederanno per dare una punizione esemplare davanti a tutti e io non ho alcuna intenzione di cederla”.
“La uccideranno?” balbettai.
“Sì”.
In quel momento il cuore si strinse dolorosamente e mi fece finalmente tornare alla realtà: eravamo alla resa dei conti. Alzai gli occhi al cielo,  attirato da un tenue raggio di luce che stava filtrando tra le tenebre. Una vita sola contro 82. Fui scosso con tanta violenza da questa possibilità che ebbi la nausea. Qualunque persona sana di mente avrebbe accettato. Anche Sam. Soprattutto Sam. E se fossi stato lucido avrei dovuto appoggiarlo perché ne sarebbe valsa la pena. Ma non quella vita, non la sua. Edward mi fissò ed ebbi la sensazione che cercasse sostegno.
“E’ pur sempre una vita contro altre 82…” rimarcò Sam con tono calmo e spietato.
“No” alzai la voce. “E’ fuori questione. O tutti dentro o tutti fuori. Non c’è patteggiamento. Non in questi termini, almeno”.
Sam scosse la testa, insoddisfatto. “Jacob, non puoi pensare solo a te. Qui ci sono delle altre vite in ballo e se loro sono così folli da suicidarsi per una sola, questo non vale per noi”.
“Dimentichi che in tutta questa storia i lupi non sono mai stati citati. I patti che verranno stabiliti varranno solo per i vampiri; e noi? Credi che vorranno un armistizio? Ci ammazzeranno: ecco quello che faranno. Abbiamo iniziato questa guerra proprio perché volevamo liberarci di loro una volta per tutte e ci credo ancora. Per quanto mi riguarda, io li voglio ridotti in polvere. Non uno solo dei Volturi deve camminare ancora su questa terra! Ne hanno fatte troppe e io non voglio passare la vita a guardarmi le spalle. Vuoi portare via gli altri, fallo. Io resterò qua perché ne ho abbastanza delle loro stupide leggi, che riescono ad imporre anche a noi. Io li distruggerò anche da solo. Non importa come, ma lo farò!”.
Sam drizzò la schiena, abbassando lo sguardo, perplesso. Sentivo il potere scalciarmi nelle vene e cercare qualche foro per uscire, come se dovessi scrollarmi di dosso un vecchio vestito. Era pura incoscienza ma volevo la vittoria e volevo essere libero. Avevamo fatto un patto con i Cullen e io lo avrei rispettato. Avevo promesso che avrei vendicato Seth e non soltanto da Lehausle, ma da tutti quelli che, pur non essendo presenti quel pomeriggio, avevano contribuito a rompergli il collo. Traboccavo di rabbia e sapevo su chi riversarla. Tra poco sarebbero arrivati e la vendetta sarebbe stata completa. Perché avremmo vinto. Ora ne ero sicuro. Lasciai che la certezza e la mia energia travalicassero il corpo, in modo tale che Sam le sentisse e le facesse sue. In quel momento capii cosa voleva dire essere capo: una questione di potere, non fondata sull’impartizione dell’ordine ma semplicemente sulle emozioni che puoi infondere. Fare in modo che le tue motivazioni fossero le loro, che il tuo entusiasmo ravvivasse la fiamma poco viva del loro ardore. Non era un suicidio quello a cui volevo spingerli, soltanto uno spropositato bisogno di giustizia.
“D’accordo, Jake” risolse Sam dopo un ponderato silenzio. “Credo che tu abbia ragione”.
Edward mi guardò riconoscente e continuò:“Per quanto riguarda Bella, lei sarà al centro in modo tale da poter essere difesa da tutte le posizioni, però ho pensato che, durante la battaglia, qualcuno debba restarle costantemente vicino per sostenerla e aiutarla. Non dimentichiamoci che una buona percentuale dell’andamento della battaglia dipenderà da lei. Quindi, se per voi non è un problema, ho pensato a te, Jacob, e a Kate Denali”.
Sgranai gli occhi, allibito. “Io? Perché?”.
“Perché tu sei il più forte qua dentro, come ci hai già dato modo di vedere” spiegò Carlisle con un sorrisetto allusivo. “E lei deve essere al sicuro al cento per cento”.
“Può stare lui vicino a Bella…” protestai, indicando suo figlio.
“Edward legge il pensiero e deve essere libero di muoversi sul campo di battaglia. Certo, se dovessi essere in difficoltà, sicuramente verrà ad aiutarti, ma sono sicuro che non ce ne sarà bisogno…”.
Incastrato. Ecco la parola per definire quello che avevano appena fatto.
Non che disdegnassi l’incarico di difendere Bella, ma preferivo muovermi sul campo, avere piena libertà di agire. La mia idea era quella di combattere contro ogni vampiro mi capitasse a tiro, ma anche e soprattutto difendere ed aiutare i miei compagni più giovani. Se mi legavano a Bella, non avrei più avuto questa possibilità.
“Può restare Alice con Bella” non mi scoraggiai. “Lei è in grado di vedere il futuro e può prevedere gli attacchi, dote sicuramente molto più utile della mia forza bruta”.
“Alice deve restare in esterno, vicino a Rosalie” sentenziò Edward, duramente, precedendo la risposta di suo padre che sicuramente sarebbe stata meno incisiva. “Quando i Volturi si accorgeranno che i poteri di Jane e Alec sono inefficaci, non ci metteranno troppo a capire di chi sia il merito. A questo punto, andranno da Bella e tu dovrai difenderla. Sam, cosa ne pensi?”.
Il mio capo si accarezzò il mento come immaginavo avrebbe fatto un vecchio saggio, poi lo appoggiò:“Credo che Jake sia la scelta migliore. E’ importante che Bella resti incolume. Non credo che ci sia altro da discutere”.
Le spalle mi crollarono di colpo. Li guardai tutti e tre e sapevo che per quanto mi fossi arrampicato e avessi caprioleggiato, non ne sarei uscito. Volevano una guardia del corpo per Bella e non c’erano ragioni che confutassero le loro teorie. L’esito della guerra dipendeva da lei e, per quanto desiderassi proteggere i miei compagni, non potevo sottrarmi. Ero il più qualificato, eppure non ne ero soddisfatto. Se qualche giorno fa mi avessero offerto lo stesso ruolo avrei fatto i salti di gioia, ma adesso no. Era strano e inspiegabile.
“D’accordo, direi che possiamo andare a disporre gli altri…” risolse Sam, accennando ad allontanarsi dal piccolo cantuccio nel quale ci eravamo rintanati. Carlisle lo seguì mentre rimasi immobile, osservando il terreno. Difendere Bella. Jasper avrebbe potuto essere ugualmente efficace, ma la scelta era caduta su di me. Avrebbero potuto farlo anche Emmett, Alice e… Alice!
Perché Alice deve restare vicino a Rosalie? chiesi, intercettando Edward prima che seguisse suo padre e Sam. Si soffermò e guardò verso gli altri due che, senza aspettare che li seguissimo, avevano raggiunto i rispettivi compagni.
C’è qualcosa che non mi hai detto, vero? sottolineai sprezzante. Rimasi immobile, in attesa, con un braccio premuto di traverso allo stomaco.
“Rosalie è agitata e ho pensato che Alice debba restare vicino a lei” bisbigliò, così soffuso che anch’io feci quasi fatica a sentirlo.
“Perché? Ha paura?”.
“Ha paura per te, non per se stessa. Ritiene che se si consegnasse tutto potrebbe finire senza problemi. Le abbiamo spiegato che sarebbe un gesto insensato e senza alcun reale risultato, ma non sono sicuro che l’abbia recepito a pieno. Se Alice le sarà accanto, potrà prevedere colpi di testa…”.
Mi sentii raggelare da capo a piedi. “Consegnarsi sarebbe una follia” balbettai mentre, ripensando ai suoi sentimenti, mi rendevo conto che lo avrebbe fatto davvero. Deglutii e fu doloroso.
“Da quando la conosci ha mai fatto qualcosa di sensato, incluso innamorarsi di te?” sogghignò il pinguino. Avrebbe dovuto essere una battuta ma non mi fece ridere. Non potevo permettere che le succedesse qualcosa. Mi ritrovai improvvisamente prigioniero di un’ansia senza vie d’uscita. Se fosse morta, se non l’avessi più vista, se… Pensai a Bella e al mio ruolo nei suoi confronti: non era quello che volevo. Non soltanto per non restare fermo ma anche perché qualcun’altra aveva più bisogno di me.
“Ti voglio ringraziare per la tua presa di posizione di poc’anzi” mi colpì Edward con un sorriso che voleva dire molto di più di quanto volessi leggere. Lealtà. “E’ importante che stiamo tutti dalla stessa parte, che i Volturi si rendano conto che non ci sono falle nella nostra alleanza e che siamo realmente coesi. Cercheranno di metterci l’uno contro l’altro, ma dobbiamo essere concordi nel rispondere colpo su colpo, soprattutto emotivamente. Un esercito che combatte per le stesse ragioni fa molta più paura. E adesso so che non riusciranno a separarci”.
“Non sono io il capo…” bofonchiai.
“Al passaggio di consegne manca solo l’ufficialità perché ormai sei tu l’anima del branco. Anche noi vampiri avvertiamo il tuo potere ed è superiore a quello di Sam. Gli altri seguiranno le tue decisioni ed è quello che conta”.
“Bella roba…” commentai irascibile.
“Cercheremo di trattare perché non vogliamo spargimenti di sangue” continuò, ignorando le mie lamentele. “Eviteremo uno scontro se le loro offerte tuteleranno anche voi e io farò riferimento solo ai tuoi pensieri”.
“Dici sul serio?” domandai incredulo. Era surreale ma non potevo fraintendere i suoi sguardi e le sue parole.
“Siamo alleati alla pari, giusto? Ti chiedo però di lasciar parlare me e Carlisle e di non fare gesti inopportuni e stupidi. Saremo noi a dare il segnale per farvi capire che le trattative sono finite. Dovrai istruire i tuoi compagni all’immobilità e a non prendere nessuna iniziativa. Agiremo per avere le condizioni migliori per tutta la coalizione”.
“Me lo puoi promettere?” domandai perplesso.
“Te lo giuro”.
Il suo volto lasciava trasparire un’aria di ferma determinazione; tuttavia non leggevo solo questo. Sincero, amichevole, schietto. Era la prima volta che lo vedevo così. Non borioso, arrogante, irritante nella sua perfezione, ingannevole. Potevo fidarmi? A prima vista si sarebbe detto di sì. Ma in fondo che cosa aveva fatto nel passato per farmi dubitare della sua parola? Nel bene e nel male ciò che aveva detto lo aveva sempre mantenuto. Forse questa era l’ennesima pasticca da mandare giù: i vampiri non erano così male. Gli esempi non mancavano: Rosalie, Bella, Carlisle, Esme e forse anche… No! Sbattei le palpebre con decisione. Era soltanto un discorso di convenienza. Niente di più.
“Bella ci ha diviso ma forse qualcun altro ci unirà…” sentenziò con amarezza.
“Noi due non saremo mai amici” replicai disgustato.
“Meglio così, perché altrimenti, una volta finito tutto questo, non riuscirei a farti il discorsetto che mi sono preparato…” ridacchiò, sgranchendo le gambe, pronto a tornare fra i suoi fratelli.
“Che discorsetto?” domandai.
“Ieri sera Bella ha bloccato il mio potere e non sono riuscito a leggere i pensieri di Rosalie. So soltanto che ha deciso di restare e posso immaginare il perché… Ragion per cui, se sopravviverai, io e te dovremo mettere in chiaro alcune questioni…”.
“Che fai? Il fratello geloso?”. La mia voce suonò divertita.
“No, solo protettivo”.
“Le vuoi prendere ancora?”.
“Non sottovalutare mai i fratelli, soprattutto se centenari!” minacciò, alzando la punta dell’indice, poi si diresse dagli altri. Fu un’improvvisa valanga di serenità, come se fossimo persone normali e tutto questo un incubo dal quale svegliarsi di soprassalto. Così Bella aveva dato privacy a Rose? Certo, se Edward avesse letto le mie poco edificanti intenzioni della notte scorsa, mi avrebbe fatto la pelle all’istante. Lo trovai quasi divertente. Il fratellino possessivo. Quindi potevo tormentarlo anche con sua sorella? Idea stuzzicante. Come se la mia massima aspirazione fosse farlo arrabbiare… Ma non sarebbe successo perché io avrei detto a Rose di andarsene. Mi sarei sforzato anche se non volevo farlo. Dovevo soltanto convincermi che fosse per il suo bene, imprimerlo a fuoco nella mente.
La cercai senza un’intenzione reale e la trovai disposta sul fianco destro, accanto ad Alice, in seconda fila, meno distratta e più salda nei movimenti. Sicura di sé e agguerrita, riflesso di ciò che avevo sempre pensato di lei fino a quella sera a La Push. Qualità che erano sparite e riapparivano a tratti, manifestate soltanto sotto sforzo, quando voleva dare di sé un’immagine consolidata e comune a tutti quanti. Ma lei non era così, non con me. Era tenera e sensibile, profondamente insicura. Tempo fa non avrei creduto a quello che Edward mi aveva appena rivelato; ora invece sì. Non poteva essere così ingenua e non poteva consegnarsi per me. Strinsi le labbra in un moto di nervosismo. Alice tante volte aveva predetto all’ultimo, quasi troppo tardi: e se non fosse stata tempestiva nemmeno in quell’occasione? Non potevo correre rischi.
Mi nascosi dietro un albero e mi spogliai in pochi secondi. Subito dopo zampettavo nella radura, verso Joe che si stava stiracchiando, tentando di camuffare la tensione. Adesso che ero lupo come gli altri, avvertivo chiaramente i timori e le ansie a cui davano sfogo nei comportamenti più tipici: Joe si stiracchiava, Leah si stava arrotando le unghie contro un’incolpevole albero, Rupert e Brady correvano da una parte all’altra della radura e così via. Anch’io ero agitato ma volevo trasmettere sicurezza e certezza della vittoria. Rimandai i cattivi pensieri e mi diressi da Joe.
Joe, ti devo parlare di una cosa lo fermai, guadagnandomi un’occhiata furtiva e spaventata. Temeva che lo avrei mandato a casa.
Dimmi.
Devo affidarti un incarico importante.
Deglutì senza investigare, improvvisamente galvanizzato nelle sue fantasie eroiche.
Devi sorvegliare Rosalie.
Come?! protestò abbassando le orecchie, trovando l’incarico non sufficientemente importante.
Hai capito benissimo. Nello schieramento starai dietro di lei e sorveglierai che non le succeda niente, né prima, né durante la battaglia. Dovrai essere la sua ombra. Se dovesse fare delle cose strane, dovrai riferirlo a me e se dovesse essere in difficoltà dovrai sostenerla nei combattimenti. confermai, accentuando la solennità della voce. E Joe lo percepì.
Che succede, capo? Qualcosa di grave?
No, non ancora almeno, ma è fondamentale che tu esegua questo compito.
Certo, ma Rupert e Patrick sono più forti di me. Con loro sarebbe al sicuro.
Ma tu sei più veloce e inoltre voglio qualcuno di cui potermi fidare al cento per cento. Se le succederà qualcosa, ti riterrò personalmente responsabile. Intesi?
Agli ordini! esclamò, drizzando la coda come un bravo soldatino. Avevo condito la mia richiesta con sufficienti aggettivi per farla diventare molto più rilevante di quello che fosse. Forse di quello che fosse per gli altri, perché per me era realmente importante. Io avrei dovuto difendere Bella e non potevo sorvegliare che Rose stesse bene. Qualcun altro doveva farlo al posto mio e Joe era la persona migliore, l’unico che avesse stima di lei, le fosse affezionato e che si sarebbe impegnato perché uscisse incolume da quell’alba.
Incassato il suo assenso andai a prendere il posto assegnatomi, alle spalle di Bella, la quale si girò per indirizzarmi un sorriso complice. “Sono contenta che ci sia tu a difendermi. Ora sono sicura che non mi accadrà niente” mormorò. Appoggiai il muso sulla sua spalla per darle conforto ma con lo sguardo vagai oltre. Oltre lei, oltre Kate che le stava vicino, oltre cinque vampiri, infilati uno di fianco all’altro come un piccolo plotone, fino a volare su quel bellissimo pulcino che guardava fisso davanti a sé e dietro cui si era sistemato Joe. Ti riporterò a casa a costo di doverli ammazzare uno ad uno, anche da solo, ma tu vivrai. Vivrai soltanto per abbandonarmi oggi pomeriggio e avere una vita felice.
Infine eravamo tutti schierati, in tre file come progettato dai Cullen. I più forti e massicci davanti, in seconda linea quelli dotati di poteri particolari e ultimi, noi lupi. Disposti a mezza luna, ai lati avevamo sistemato i più veloci: Rupert, Leah, Jason, Nick e Simon. Io avevo al mio fianco Sam e Paul, con cui ogni tanto mi scambiavo sguardi irrequieti e concitati. Edward e Carlisle erano in prima fila, insieme a Jasper ed Emmett. Ogni tanto fissavo la schiena di Bella: i muscoli contratti e pronti a scattare, ma tutto sommato calma. La vecchia Bella non sarebbe mai stata così placida, quasi pigramente abbandonata all’agitazione. La trasformazione l’aveva cambiata in tutto, perfino nel carattere. O forse si trattava della consapevolezza di trovarsi nel suo mondo, in un mondo in cui aveva sentito di dover entrare a far parte fin dal suo primo incontro con Edward. Ciò che l’aveva fatta sentire continuamente fuori posto fra gli umani, la rendeva perfetta fra i vampiri.
Un odore acre e pungente irritò le narici mie e dei miei compagni e non era la puzza degli altri vampiri presenti, a cui ormai avevamo quasi fatto la nauseante abitudine, ma qualcosa di più intenso, quasi irrespirabile e che proveniva dal fitto della foresta. Carlisle si girò verso Sam e annuì. Stavano arrivando. Improvvisamene le menti di tutti quanti si svuotarono, accese e in un attimo incenerite dalla bramosia di attaccare, di chiudere finalmente la partita una volta per tutte. I più giovani batterono più forte le zampe anteriori, quasi pronti a caricare come tori, mentre la voce di Sam risuonò in tutti noi,  invitandoci alla calma. La puzza aumentava e portava con sé il rumore di impercettibili passi che frusciavano contro i fili d’erba. Se non ci fossero stati quelli, forse non li avrei nemmeno sentiti arrivare, ma invece li avvertivo ed erano tanti. Il silenzio che li accompagnava maturava la percezione che fossero spiriti e non persone in carne e ossa, anche se, non bisognava dimenticarlo, erano pur sempre dei cadaveri ambulanti! A contrastare i loro passi, c’erano i battiti dei nostri cuori che balzavano ritmicamente, intonando una cupa sinfonia. La paura mischiata alla rabbia parve prendere il sopravvento fino a quando la prima avanguardia esordì nella radura. Solo allora mi sentii pronto a qualsiasi cosa.
Subito alle spalle di quel minuscolo vampiro dall’aspetto poco più che fanciullesco, comparvero altri suoi compagni che si raccolsero nella parte opposta alla nostra. Alice aveva previsto giusto: la loro intenzione non era attaccare. Camminavano compatti ma senza slanci o scatti: sembravano un’armata durante una parata militare. Fra di loro ragazzini, donne, uomini, dall’età più disparata ma tutti accomunati da un particolare: gli occhi color cremisi. Tutti bevitori di sangue umano dunque. Beh, ucciderli sarebbe stato ancora più piacevole.
Pian piano l’esercito riempì il fronte avversario e Dio quanti erano! Un centinaio più o meno e maledettamente agguerriti. Cercai Eva: chissà se stava già usando il suo potere? In teoria sì. Quindi anche noi dovevamo fare una certa impressione. Tuttavia, se anche comunicavamo possenza, i nostri nemici non lo dimostrarono. Impenetrabili, ogni emozione incarcerata dietro una maschera di indifferenza.
Si erano schierati compatti e quindi apparivano come una massa di corpi ancora più imponente. Seguirono alcuni attimi di silenzio e apprensione fino a che si aprirono come le tende di un proscenio e avanzarono tre uomini, di corporatura media e non particolarmente alti, vestiti come nobiluomini delle corti francesi. Al centro camminava un uomo dalla fronte spaziosa e i capelli neri lunghi, raccolti in una coda bassa sulla nuca; ai suoi lati, altri due, molto somiglianti tra loro, entrambi biondi, con lineamenti delicati e bocche sottili. Potevano anche essere fratelli e forse lo erano. Non avrei saputo dare loro un’età precisa, ma una cinquantina d’anni potevano dimostrarli. Quello moro emanava potere e supremazia ad ogni passo. La sua andatura era composta e rigida come un vero re a passeggio fra i suoi cortigiani.
Si fermarono a pochi passi dal loro esercito e notai che erano stati seguiti da altri due vampiri, vestiti da lunghi mantelli neri, con interni rossi e cappuccio. Una era una bambina, bassa e minuta, capelli neri come le piume di un corvo e occhietti piccoli e vivaci; l’altro un ragazzo alto, con i capelli biondo cenere a caschetto, il naso piccolo ed estremamente femminile. Se non fosse stato per le loro espressioni angeliche e innocenti, avrei potuto credere che la Morte fosse venuta a prenderci tramite loro.
“Quelli con il mantello sono Alec e Jane” mi sussurrò Bella.
Così la terribile Jane era quello scricciolo? Dava l’impressione di poter essere schiacciata da chiunque, ma forse proprio in questa illusione stava la sua forza.

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Capitolo 83
*** Nelle mani di Bella ***


Carlisle uscì dal nostro esercito, seguito da Edward, e avanzò verso i tre capi. Alec e Jane rimasero fermi ai loro posti, consapevoli di poterci distruggere dalle loro posizioni. Mentre i nostri rappresentanti si avvicinavano, Bella iniziò a stringere nervosamente le mani, una dentro l’altra. Non doveva ancora usare il suo potere. Il patto era che avrebbe dovuto aspettare un cenno del suo compagno ma era visibilmente tesa, prigioniera dell’ansia che tutta quella battaglia sarebbe dipesa da lei. Le toccai la schiena con il muso per tentare di calmarla, invano. Non sarebbe stata tranquilla fino a che Edward non fosse tornato fra noi. Avrebbero lasciato comunque uno spazio di circa venti metri: avvicinarsi troppo quando si ha a che fare con vampiri non è molto prudente. Tuttavia non potevamo definirla distanza di sicurezza.
“Buongiorno Carlisle” esordì il “capo dei capi” come l’avevo già ribattezzato. Si avvicinò di pochi passi, con le ombre che luccicavano sui capelli, sul viso, sugli occhi.
“Buongiorno Aro. Buongiorno anche a voi, Caius e Marcus” rispose il dottor Canino con eccessiva deferenza. Io gli avrei staccato subito la testa con un morso ma non ero attendibile come negoziatore! Edward fece altrettanto ma conservando un dignitoso distacco, atteggiamento che riscontrò la mia approvazione.
“Così le doti di preveggenza di tua figlia non si sono smentite” continuò Aro, con un sorriso accondiscendente.
“Non era quello che desideravate?” replicò Carlisle.
“Sì, effettivamente è così. Due eserciti di natura così… inusuale non potevano incontrarsi in un luogo dove avremmo potuto trovare testimoni umani. E vedo che avete numerosi alleati. Il clan Bruening, i Denali al completo, i Florent… Che dire? Avete un’invidiabile rete di amicizie. Per non parlare del branco di licantropi alle vostre spalle” sogghignò Aro mentre uno dei suoi fratelli arricciò il naso, disgustato. Chi si credevano di essere? Tanto per cominciare la loro puzza aveva infestato tutta la radura; e per quanto mi riguardava ce n’era già abbastanza per ammazzarli.
Aro indugiò il suo sguardo su ciascuno di noi, quasi compiaciuto. Forse stava pregustando la carneficina. Infine indugiò su Bella e sorrise, mostrando i canini, soddisfatto e rapito.
“Quella splendida fanciulla è Isabella Swan, vero?” domandò a Edward, senza staccarle gli occhi di dosso.
“Sì, è lei” rispose seccato.
“Complimenti vivissimi, mia cara. Noto con piacere che la trasformazione ti ha reso ancora più splendida” esclamò rivolto a Bella, poi, verso Edward:“E complimenti anche a te per la scelta della tua sposa. Chissà se, oltre alla bellezza, ci riserva qualche altra sorpresa?” ammiccò con una gelida allusione.
Non credevo che avesse realmente intuito qualcosa; voleva soltanto irritarci e da questo punto di vista avevano già vinto.
“Aro, perché siete venuti qui? Non per verificare la trasformazione di Bella, che, come potete constatare, è stata compiuta, nel rispetto della parola data” affermò risoluto Carlisle, ponendo l’accento su quanto potevano essere devoti e mansueti.
“No, effettivamente non è per questo. Siamo qui per quella serie di scaramucce che hanno avuto protagonisti le mie guardie e la tua famiglia, Carlisle. Avvenimenti piuttosto spiacevoli che avrei preferito non si fossero mai verificati”.
“Anch’io avrei preferito che non fossero accaduti anche perché siamo stati attaccati dalle tue guardie senza alcun motivo. Ci siamo dovuti difendere e abbiamo dovuto ucciderli, ma non era nelle nostre intenzioni”.
“Andiamo Carlisle, non fare il finto tonto!” esclamò uno dei fratelli finora muti. “Vi era stato notificato un ultimatum che non avete rispettato, quindi gli attacchi erano pienamente giustificati. Senza contare che…” avrebbe voluto continuare ma Aro alzò la mano, annuendo lievemente. Indubbiamente era lui il capo e gli altri solo delle belle statuine.
“L’ultimatum si riferiva alla consegna di Desirèe che è avvenuta. I vostri attacchi sono stati posteriori e senza alcun ultimatum effettivo ricevuto. Ci avete condannati senza possibilità di appello, così come avete fatto con Desirèe. Non c’era alcun bisogno di giustiziarla. Non era una bambina incapace di domare i suoi istinti, era cresciuta e il nostro segreto sarebbe stato perfettamente al sicuro con lei, senza considerare che si trattava di un’evoluzione inimmaginabile della nostra specie. Possiamo avere figli, Aro! I nostri secoli di studi erano vivi in lei, avevano un fondamento, una dimostrazione e tu hai distrutto tutto…” commentò Carlisle con dura amarezza.
“Mio caro amico, come al solito, ti lasci andare a facili entusiasmi e non ti rendi conto dei pericoli che l’evoluzione porta con sé. Quella ragazzina era soltanto uno scherzo della natura e come tale andava rimosso. Senza contare che era senza controllo. Generare figli, come dici tu, non è una benedizione per la nostra razza, ma soltanto un inconveniente dalle nefaste conseguenze. Andava eliminata, e anch’io ho sofferto questa decisione”.
Avvertii il ringhio sommesso di Leah. Sam le parlò per cercare di calmarla, ma tutto il branco stava entrando in fermento. Come potevano essere così falsi e ipocriti? Non gliene importava, non gliene era mai importato niente. Era solo una questione di potere. Non potevano permettere che un essere più avanzato di loro sopravvivesse. Il cuore mi si gonfiò di rabbia mentre Bella aveva afferrato la mano di Kate per trattenerla a sè. La zia di Desirèe sembrava pronta a esplodere, come noi.
Beh, se volevano scatenare un attacco erano sulla buona strada, oltre al fatto che tutti questi convenevoli mi stavano dando il voltastomaco.
“Permettimi di dissentire, Aro. Non posso essere d’accordo con te” concluse Carlisle. “Ad ogni modo, ci avete attaccato, ribadisco senza motivazioni specifiche, e noi ci siamo difesi. Ritengo che non ci sia alcun motivo di essere qui oggi”.
“Dimentichi, mio caro amico, che avevamo richiesto anche la consegna di Isabella Swan, che non avete permesso, oltre al fatto, ancora più spiacevole, che ci avete portato un attacco diretto voi per primi, quindi come puoi ben vedere, la guerra è partita da voi”.
“Non è stato un attacco, ma semplicemente un incontro spiacevole” ribadì Carlisle iniziando a blandirlo come Aro stava facendo con lui. “La tua guardia Lehausle ha sorpreso Tanya che ha fatto resistenza all’arresto e dopo, beh, sai cosa è successo…”.
Aro, portandosi signorilmente la mano alla bocca, ridacchiò in maniera inaspettata e tesa. E altrettanto improvvisamente tornò serio. “La versione che ho avuto da Lehausle differisce in molti punti e credo che non ne verremmo mai a capo, anche se ne parlassimo per decenni, ragion per cui, vi dò la possibilità di chiarire definitivamente lo spiacevole equivoco, consegnando ciò che ci spetta e cioè i fuorilegge”.
“I fuorilegge sono già tutti i morti” intervenne Edward caustico. “Desirèe e Tanya sono morte, uccise da voi, quindi se volete i cadaveri dovrete andare a scavare”.
“Isabella però non è morta” sogghignò Aro.
“Isabella era ancora umana quando ha dato ospitalità a Desirèe, quindi non doveva sottostare direttamente alle vostre leggi. E in ogni caso, Lehausle ci aveva detto che se Desirèe si fosse consegnata, avreste chiuso un occhio su Bella, quindi consegna avvenuta, patto rispettato. Giusto Aro?”.
Per un istante esilarante lo vidi vacillare: un punto per noi! Da quello che ci avevano raccontato, i Volturi avevano leggi disumane ma punivano soltanto in violazione plateale di esse e quindi il fatto che avessero dato l’opportunità di lavare l’onta dell’errore commesso da Bella, consegnando Desirèe, li metteva dalla parte del torto davanti al loro esercito. Da questo punto di vista potevamo cavarcela, ma purtroppo un germe nella testa mi divorava, come un tumore, e non mi avrebbe abbandonato fino a che non avessero detto la fatidica frase, a cui niente, nemmeno la perfetta dialettica di Carlisle e Edward avrebbe saputo porre rimedio.
“Giusto Edward. Effettivamente era così” osservò gravemente Aro. “Però mi risulta che il giorno dell’esecuzione di Tanya ci fosse un membro della vostra famiglia, al suo fianco. Tua figlia, vero Carlisle?”.
Istintivamente mi voltai verso Rosalie, che, immobile, era a fianco di Alice.
“Mia figlia era amica di Tanya e si trovava casualmente con lei. Si è vista attaccata e ha dovuto difendersi. Niente di male in ciò…”.
“Non è quello che mi ha raccontato Lehausle…”.
“Lehausle può avervi ingannato perché non aveva molta simpatia per Rosalie” spiegò Edward. “Si era invaghito di lei e mia sorella lo ha rifiutato. E’ ovvio che abbia cercato di gettare fango, ma non possiamo dare credito a voci riportate”.
“Hai ragione. Non possiamo” accondiscese Aro, troppo facilmente. E vidi l’espressione di Edward dipingersi di sgomento. Stava leggendo qualcosa e non era ciò che sperava.
“Dammi modo di verificare di persona. Chiama tua sorella e permettimi di leggere nella sua mente come sono andate le cose”.
Ecco fatto! Ci avevano incastrato per bene. Bella mi aveva raccontato che questo Aro leggeva nel pensiero come Edward, ma, a differenza di lui, aveva bisogno di toccare le persone perché ciò avvenisse e Rosalie, come nessun altro, era in grado in quel momento di inventare una storia e convincersene in fretta. Avrebbe avuto conferma dei suoi sospetti e a quel punto ne avrebbe chiesto la consegna. Cazzo! Fine dell’illusione di chiudere il tutto con fulgidi paroloni.
“Non ti fidi, Aro?” si intromise Carlisle mentre il mio cuore batteva a mille.
“Non mi avete dato motivi validi per fidarmi fino ad ora, quindi capirai anche tu che se vogliamo appianare senza combattimenti, questo è il solo modo. Avete qualche problema?” domandò con un ghigno crudele.
Edward stava ancora riflettendo quando la voce di Rosalie sollevò il velo di silenzio della radura. “Se vuoi vedere come sono andate le cose, posso mostrartelo”.
I Volturi si girarono verso di lei. Alice cercò di trattenerla ma Rosalie sgusciò come un‘anguilla fra le dita e avanzò fuori dalla nostra difesa. Joe mi fissò trasecolato e sbalordito. Cosa faccio, capo? mi domandò.
Non lo so fui costretto ad ammettere, mentre Rosalie camminava sicura e sorridente verso Aro. I nervi fremettero in ogni angolo del corpo mentre deglutivo a fatica. Cosa stava facendo? E cosa potevo fare io? L’avrebbe toccata per leggerle il pensiero e questo voleva dire arrivarle tanto vicino da ucciderla con una mossa soltanto. Quanti salti ci avrei messo per raggiungerli? Quantificai velocemente la distanza. Una decina di balzi e sarei potuto arrivargli a tiro. Ma sarei stato rallentato dal sorpassare la nostra stessa muraglia. Se Aro l’avesse attaccata avrei dovuto sperare che Rosalie fosse veloce a schivare, senza ovviamente considerare Alec e Jane, che erano lontani ma non abbastanza. Aprii la bocca per evitare l’iperventilazione.
Mentre Rosalie si avvicinava, Edward si staccò dal fianco di Carlisle e la affiancò. Rose si fermò, contraddetta, poi si lasciò prendere per mano e accompagnare al cospetto del capo dei Volturi. Bella sobbalzò perché ora, a portata di tiro, erano in due; all’opposto io mi sentii meglio perché Edward l’avrebbe difesa, se attaccati.
“Lascia che ti presenti mia sorella, Aro. Rosalie Lillian Hale” disse Edward.
Aro si inchinò da gentiluomo d’altre epoche e annuì:“E’ un vero piacere. Sei davvero meravigliosa. Le voci su di te non mentivano, dunque”.
Rosalie gli porse la mano per stringerla, mentre lui, da vero nobile, ne baciò il dorso, trattenendo, a mio dire, le sue labbra troppo a lungo sul suo dorso. Lei non osò ritirarla e lo lasciò fare. Alzando il volto, Aro la guardò a lungo e, con eccessiva meraviglia, ammiccò al fratello alla sua destra:“Guarda Caius. Guarda i suoi occhi: così particolari, così diversi dai nostri…”.
Rosalie ed Edward ci davano le spalle quindi non potevo vedere le loro espressioni ma riuscivo a immaginare quella di Rose. Doveva essere un tormento. Si girò verso suo fratello, per nascondere ciò di cui si vergognava da mesi ormai. Ma la pena era appena iniziata. Aro, improvvisamente spazientito e con scarsa eleganza, in contraddizione con quei modi che aveva sbandierato fino a poc’anzi, le sollevò il mento con la forza, costringendola a fissarlo.
“Davvero insoliti” concordò Caius, mentre Marcus non sembrava interessato allo show.
Una scossa energica mi attraversò la spina dorsale e, senza che me ne rendessi conto, un ringhio sommesso uscì dalle mie fauci.
Calmati, Jake! sbottò risolutamente Sam.
Se non le toglie le mani di dosso, io attacco. Ora! replicai altrettanto deciso.
Come se avesse intuito le mie intenzioni, o forse più semplicemente per dare conforto a se stessa, Bella allungò la mano all’indietro e la appoggiò sulla mia zampa. Così fredda, così amorevole e turbata insieme. Mi calmai ma sarebbe durato solo pochi attimi. Volevo Rosalie lontana da quei maledetti e dopo avremmo attaccato. Ormai era inutile farsi illusioni.
“Dimmi, Rosalie, quanto rinneghi la tua natura di vampiro?” domandò Aro con accento carezzevole e garbato.
“Non capisco…”.
“I nostri antenati dicevano che i vampiri che riuscivano a mantenere occhi umani, anche dopo la trasformazione, erano più vicini agli esseri umani che a noi e che questo era dovuto solo ad una forza di volontà eccezionale in grado di bloccare la trasformazione, o, più verosimilmente, di nascondere agli esseri umani ogni particolare che potesse indurli a carpirne la diversità e quindi mischiarsi più facilmente a loro. E tu non vuoi essere un vampiro, non è così?”.
“Ora basta” sibilò Edward, spazientito. “Leggi quello che devi poi lasciala”.
Aro fu scosso da una risata profonda e ostentata, prima di prendere nuovamente la mano di Rose e abbandonarsi ai suoi pensieri.
Preparatevi ad attaccare ordinai.
Dobbiamo aspettare il segnale di Carlisle bofonchiò Sam.
Me ne frego! Appena avrà finito, li farà a pezzi, davanti a noi, come dimostrazione di forza. Dobbiamo combattere ora. Siete pronti?
Stavo andando contro i nostri piani, contro tutto quanto avevamo progettato, ma a questo punto non potevamo fare diversamente. Speravo solo che i miei compagni mi appoggiassero, che il potere, vagheggiato da Edward poc’anzi, esistesse davvero. E non rimasi deluso. Una fila di Sì, Agli ordini, e Siamo pronti risuonò nella mente. L’unico perplesso era Sam, ma presto mi avrebbe dato ragione. Dovevamo attaccare per uscire vivi da lì e lo sapeva anche lui. L’unico inconveniente era trovare uno stratagemma per far allontanare Edward e Rosalie.
Joe è sparito! echeggiò la voce di Patrick.
Mi voltai nella direzione dove avevo confinato il moccioso e il posto occupato fino a qualche minuto fa era vuoto. Freneticamente mi guardai attorno, così come Sam. Cominciammo a chiamarlo col pensiero ma non lo avvertivo a pieno. Soltanto una voce lontana, dispersa nella confusione. Chiusi gli occhi e respirai a pieni polmoni. Avvertivo il suo respiro silenzioso, breve e secco, quasi soffocato. Fili d’erba accarezzavano un corpo in movimento, strisciante a terra. Le gambe piegate in un sforzo innaturale segnavano il terreno mentre da una prospettiva completamente diversa, potevo vedere l’esercito dei Volturi estendersi sulla destra. Vicino a Jane, a circa dieci metri, nella boscaglia. E capii.
Che cazzo stai facendo, Joe? urlai spinto da una forza quasi demoniaca.
Eseguo gli ordini ribatté semplicemente il mocciosetto che, acquattandosi fra le alte sterpaglie e nascondendosi fra le cortecce degli alberi, era riuscito ad approssimarsi agli avversari. Era quasi al loro fianco e non sembravano essersene accorti. Era indiscutibilmente più vicino di noi, e avrebbe potuto sorprenderli o comunque creare un diversivo che permettesse a Edward e Rosalie di defilarsi, mentre noi partivamo all’attacco. Ma questo avrebbe significato mettere in pericolo la sua vita. Mi ero promesso che lo avrei tenuto al sicuro e ora avrebbe dovuto lanciarsi in un attacco solitario. Improvvisamente le mie folli idee di conquista vacillarono. Avevo sbagliato. Lo stavo condannando a morte.
“Le cose stanno così dunque…” dichiarò Aro, richiamando la nostra attenzione. Guardò Carlisle prima, poi Edward, spavaldo. “Volete aggiungere qualcosa?”.
“L’idea è stata mia” spiegò Rosalie con la voce simile a carta vetrata. “Come hai potuto vedere, la mia famiglia non c’entra niente. Io ho disubbidito, io sono la ribelle. Loro non c’entrano”.
“Perché l’hai fatto? Per amicizia nei confronti di Tanya?”.
“No, per vendetta nei vostri confronti. Voi, tu non capirai mai cosa significava Desirèe per tutti noi. Avete distrutto l’unica speranza che ci fosse qualcosa al di là di questa eternità senza fine perché, sì, hai ragione, io disprezzo me stessa e ciò in cui sono stata trasformata. E soprattutto disprezzo ciò che siete voi, ciò che rappresentate. Siete solo affamati di potere e ne volete ogni giorno di più. Ci opprimete con leggi assurde e uccidete chi non è disposto a seguire i vostri ordini. Beh, meglio morta che rispettare le vostre leggi”. Ben fatto! Questo si chiamava parlar chiaro, peccato che avesse scelto il momento meno opportuno per manifestarlo. Pensandoci bene: potevo aspettarmi qualcosa di diverso dall’unica dei Cullen che avesse il fegato di dire sempre ciò che pensava?!
“Se hai un attimo di pazienza, ti accontenteremo mia cara. Jane…”.
La ragazzina malefica si avvicinò a passi lenti. Carlisle fece per raggiungerli ma Edward lo fermò con un gesto.
“Devo fermarla ora” disse Bella tremante e in quel momento riapparve la vecchia e timorosa Bells. Per un attimo soltanto.
“Non adesso” replicò Kate. “Perderemmo l’effetto sorpresa se neutralizzi i suoi poteri”.
“Li ucciderà entrambi!” strillò, quasi isterica. Poi si voltò verso di me:“Jake, tu sei d’accordo con me, vero?”.
Annuii risolutamente e Bella, di nuovo convinta, fece un cenno ad Alice e Jasper. Entrambi furono concordi, mormorando istruzioni silenziose sull’attacco che avremmo dovuto muovere.
Tutti pronti? Ci lanceremo noi. Dovrete scavalcare i vampiri qua davanti e correre per primi. Noi abbiamo una forza d’urto maggiore rispetto alla loro e dobbiamo affrontarli subito. La cavalleria arriverà dopo.
Non era quello che avevamo deciso con Edward e Carlisle contestò Sam senza alcuna lagnosità.
I piani sono cambiati mi limitai a commentare. Edward, noi stiamo per arrivare. Allontanatevi il più possibile da loro.
“Aspetta!” esclamò risoluto Edward, con un tono di voce teso ed eccessivamente energico per parlare a una persona che stava davanti a lui. Però contribuì a bloccare l’avanzata di Jane ad alcuni metri da loro.
Stai parlando con me?
“Sì” rispose, poi, notando l’espressione perplessa di Aro, continuò meno aggressivo ma non mancando di fermezza:“Rosalie ha sbagliato, ma non c’è alcun motivo di ucciderla. E visto il suo problema ad accettarsi, le faresti un piacere”.
Aro alzò il mento, altero, e la fissò. “La traditrice va punita e se volete evitare la guerra dovete consegnarla…” risolse con prevedibile crudeltà.
“Non c’è altra maniera per risolvere la questione? Non possiamo venirci incontro in altro modo? Se la uccidete adesso, vi chiarisco subito che vi attaccheremo, con ferocia e senza alcuna onestà. Non avete la certezza di vincere, come non l’abbiamo noi. Per questo ti sto chiedendo di trattare, Aro. Non c’è nessun’altra condizione che potremmo soddisfare per evitare il combattimento?”.
Ero sinceramene stupito di come Edward avesse preso in mano la situazione al posto di Carlisle e, tutto sommato, la stesse gestendo abbastanza bene; non pensavo che, ormai, credesse di riuscire a chiudere quest’incontro senza morti e feriti. Stava prendendo tempo, mentre io riflettevo su come sfruttare la presenza di Joe e, soprattutto, come riuscire a muovermi, senza lasciare Bella da sola. Dovevo restarle accanto ma volevo anche combattere. Che ruolo di merda! Se ne fossi uscito vivo, quel pinguino mi avrebbe sentito!
“Tutte le persone qui presenti devono giurare fedeltà a noi nuovamente poi verranno ridistribuite per i vari continenti in modo tale che la vostra forza venga scemata, oltre al fatto che voglio te, Alice, Eva e Jasper tra le mie fila di combattenti. I componenti della famiglia Denali verranno deportati e incarcerati nelle nostri prigioni a Volterra e poi decideremo la loro sorte” sentenziò Aro con una goduta malvagità tale da farlo sembrare ancora più repellente.
Le condizioni che stavano ponendo non erano tanto diverse da quelle che Alice aveva previsto, anche se temevo mancasse ancora qualcosa.
“Infine c’è anche la questione dei vostri cagnolini…”.
“Loro non sono vampiri. Non cadono sotto la vostra giurisdizione” lo bloccò Edward.
“Ma sono vostri alleati in una qualche maniera, quindi non possiamo non tenere conto di questo vostro accordo, per quanto non riesca a credere che vi possa essere un patto di lealtà con loro. Comunque” sospirò rumorosamente e si rivolse a noi, pur continuando a parlare a Edward “potranno restare qui, visto che è il loro territorio ma voglio la testa del loro capo”.
Il cuore non poté trattenersi dal saltarmi nel petto. Una ridda di voci si scatenò fra i miei compagni: tutti frementi, spietati e contrari all’armistizio. Guardarono me e in quel momento mi resi conto che Edward aveva ragione: ero diventato io il capo a tutti gli effetti, anche se Sam si stava sforzando di calmare gli animi. Un capo non era facilmente rimpiazzabile ed Aro era convinto che, eliminato lui, il branco sarebbe stato allo sbando e quindi inoffensivo, almeno per un po’ di tempo. Con l’intenzione magari di ucciderli tutti qualche giorno dopo. Effettivamente questa era la logica ma lui non era a conoscenza del fatto che, anche in mia assenza, Sam avrebbe potuto svolgere la mansione che aveva rivestito egregiamente fino a poc’anzi. Forse sarebbe stata la scelta migliore, ma non ebbi modo di prenderla in seria considerazione perché quello che accadde fu troppo veloce.
“Non osare toccare i lupi” ringhiò Rosalie, compiendo un minaccioso passo verso Aro. Alec, intuendo il pericolo per il suo padrone, da buon cane fedele, si portò a una velocità inimmaginabile persino per me nei pressi di Rosalie e la afferrò per la gola. Gli occhi ridotti a una sottile linea rossa, la bocca seria, inespressiva, mentre i muscoli del braccio, pur coperti da una sottile camicia di lino, mostravano tutta la tensione. Edward altrettanto velocemente gli afferrò il braccio e sibilò:“Lasciala, altrimenti lo perderai”.
Alec lo derise con un sorriso incantevole, pronto a distruggere Edward con il solo pensiero. Ma subito dopo si trasformò in una smorfia. Guardò prima Jane poi Aro, sorpreso e sconvolto, mentre Edward gli strinse il braccio. Avvertimmo le ossa scricchiolare da quella distanza. L’espressione di Alec voleva dire una sola cosa.
Il potere di Bella funziona! esclamò Leah, la prima a riprendersi dalla meraviglia.
Sì, funzionava e quello era il momento buono.
Joe, attacca Jane! ordinai.
Il mocciosetto eseguì il comando all’istante: saltò fuori dalla sterpaglia all’improvviso e, tra lo stupore dei Volturi e del loro esercito, ancora ipnotizzati dalla mancanza di Alec, assistettero all’atterramento di Jane da parte di un lupo. Non ebbe capacità di reazione, al pari di suo fratello Alec, che allentò la stretta intorno al collo di Rosalie per verificare ciò che stava accadendo di assolutamente imprevisto vicino a lui. Edward lo colpì con un pugno, atterrandolo.
Scattate! Li voglio morti urlai e fu il momento che tutti, per quanto pericoloso e cruento, aspettavano. I compagni sui fianchi partirono e, complice la superiore velocità e l’assenza di ostacoli, furono i primi a schiantarsi contro i nemici. Le nostre sanguisughe alleate ci seguirono di corsa, pronte a lanciarsi contro i Volturi e a difendere Edward e Rosalie che, pur indietreggiando, erano ancora troppo vicini. I nostri nemici reagirono e si lanciarono come un’ondata impetuosa.
Rimasi fermo insieme a Bella e Kate mentre tutti gli altri si buttavano sugli avversari. Sentivo i pensieri di Joe: era ancora vivo e aveva perso Jane nel parapiglia generale. Leah e Patrick lo avevano raggiunto e lo stavano aiutando. Avevo visto Edward cadere a terra, attaccato da Alec, e Rosalie sparire tra il delirio di corpi, nel tentativo di aiutarlo. Ma ora non li scorgevo più, mentre Aro, Caius e Marcus erano ripiegati all’indietro in cerca di un riparo. Ovviamente quei vigliacchi non avrebbero combattuto, avrebbero lasciato che altri morissero per loro. Ma ancora non sapevano che avevo deciso che avrebbero raggiunto Lehausle e Demetri molto presto.
“Io vado” sancì Bella. “Venite con me?”. Si voltò prima verso di me, poi verso Kate. Noi eravamo le sue guardie del corpo e ufficialmente non avrebbe potuto muoversi senza di noi, ma per quanto la conoscevo io, avrebbe fatto di testa sua, come al solito. E io non aspettavo altro che gettarmi nella battaglia. La sorella di Tanya sembrava altrettanto fremente e, dopo una reciproca occhiata d’intesa, partimmo tutti e tre, pronti a combattere e a proteggerla. Ci buttammo nella mischia e tutte le paure sparirono, inghiottite dall’adrenalina. Io ero il primo, il cosiddetto ariete di sfondamento che avrebbe fatto strada, perché intuivo perfettamente dove Bella volesse andare. Anzi, chi volesse trovare e tutto sommato valeva anche per me. Ma loro dovevano essere al centro e non potevo permettere che Bella fosse attaccata per prima. Così io davanti e Kate dietro di lei.
Da lontano pareva un groviglio di corpi come nei dipinti che rappresentavano l’inferno, ma dall’interno era molto peggio. Sangue, latrati, gemiti si mescolavano in uno spettacolo impietoso e suggestivo, reso più angoscioso dalla numerosità dei nemici. Prima di venire atterrato, ebbi modo di vedere che Emmett stava combattendo con due contemporaneamente così come Jasper. Una donna dai capelli rossi si gettò su di me, cercando di mordermi. La scaraventai a terra con una zampata, mentre un ragazzino aveva osato aggredire Bella. Non ebbe nemmeno il tempo di tentare una difesa perché Kate prese il suo posto in combattimento, lasciandola vicino a me. Bella sembrò smarrita perché non riusciva a vedere Edward, ma anche spaventata, sia dal rumore di carni lacerate che dal numero di esseri viventi che si attanagliavano uno sull’altro per ottenere la vittoria.
“Edward!” urlò Bella.
Guardai nella medesima direzione e lo vidi: stava combattendo contro un vampiro nemico, né Alec, né Jane, e Rosalie era poco lontana da lui, impegnata in un altro duello. Fui sollevato e potei concentrarmi al meglio: una benedizione perché due nemici ci attaccarono con sfrenata eccitazione, speranzosi di compiere la loro prima strage. Purtroppo erano ben addestrati e non potei trattenerli entrambi a lungo. Uno dei due mi sfuggì e si gettò contro Bella. Fu allora che constatai quanto non avesse un reale bisogno di protezione. Combatté con un’indissolubile forza di volontà e metodico cinismo, utilizzando i trucchetti che le erano stati insegnati: certo, la tecnica non era delle migliori ma riusciva a respingere i suoi colpi e se non altro era un ottimo punto di partenza, mentre Kate, nonostante si trovasse di fronte un bambino, dovette penare non poco prima di eliminarlo. Esattamente come accadde a me.
L’uomo che ebbe l’ardire di sfidarmi era corpulento, maestoso e con due sopracciglia talmente folte da coprire quasi gli occhi. Questo tornò a mio favore perché vedere quello sguardo infuocato aveva il potere di rendermi insicuro, oltre che titubante. Mi si buttò addosso all’improvviso e non riuscii a reggermi sulle gambe, facendomi rotolare sopra a Rupert, poco lontano. Nessun danno ma detestavo essere atterrato. Il mio orgoglio non era abituato a incassare colpi ed era una fortuna perché questo mi costringeva a rispondere con maggiore veemenza. Mentre combattevo trovavo anche il tempo di lanciare occhiate alla situazione attorno: i miei compagni sembravano rispondere bene, ma avevo visibilità soltanto su una minima parte e nelle nostre menti si accalcavano, una sopra l’altra, miriadi di voci differenti che nel caos non riuscivo a distinguere. Non capivo se stavamo perdendo o vincendo. Era una sottile inquietudine che mi sforzavo di chiudere fuori ma che strisciava dentro di me ad ogni istante di distrazione.
Il vampiro mi sollevò e mi gettò a terra. Mi ferii a una zampa ma fu solo un graffio mentre il mio avversario si illuse che fosse il primo passo della sua impensabile vittoria. Mi rialzai per respingere la sua rincorsa furiosa e nell’impatto fui io a vincere. Lo scaraventai a terra e lo assalii, pronto a cogliere il suo attimo di incoscienza, ma in quel momento un altro vampiro mi si gettò addosso, stringendomi ciuffi di pelo, pronto a mordermi e probabilmente sarebbe accaduto se non fosse intervenuta Kate. Gli strinse il braccio intorno al collo e lo strappò via, tramortendolo l’istante successivo con una scarica elettrica. Non verificai come concluse il suo duello, ma sapevo come avrei concluso il mio. L’uomo, che ne aveva approfittato per raddrizzarsi, indietreggiò di qualche passo, raccogliendo da terra qualcosa che somigliava drammaticamente a un braccio. Non era il suo ma quello di qualcun altro che maneggiava come una mazza, tentando più volte di colpirmi e costringendomi alla larga, fino a quando la fortuna non aiutò anche me. Il rinculo di un colpo subito da un suo compagno gli fece perdere l’equilibrio e lo spinse di fatto fra le mie zampe. In un secondo la sua testa rotolava in mezzo alla calca di corpi.
Alzai lo sguardo, soddisfatto di come mi ero sbarazzato del mio primo nemico, quando mi accorsi che Joe stava affrontando niente meno che Jane. Un brivido mi bloccò, simile a quello che avevo avvertito il pomeriggio in cui avevo sentito la morte di Seth. Guardai Bella che stava ancora combattendo, supportata da Kate. Avrebbero vinto. Non avevano bisogno di me, non fino al prossimo avversario, mentre io non potevo lasciare il moccioso nella mani di quella strega. Mi allontanai a lunghi balzi, schivando gli altri avversari che cercarono di bloccarmi e che venivano subito dopo attaccati da altri miei alleati, vampiri o lupi che fossero. A pochi metri, spiccai un salto e atterrai vicino a Joe.
Capo, che ci fai qui? domandò incredulo, mentre sangue fresco dipingeva una ferita sul collo.
Ti dò una mano. Non si può? E poi questa stronzetta è mia.
Ma Bella…
Bella se la cava a meraviglia tagliai corto.
La piccola mefistofelica ragazzina, nonostante il suo potere non avesse effetto, non mostrava segni di paura o confusione. Perfettamente a suo agio in mezzo al sangue, allo sterminio. L’angelo della morte. Beh, ora avrei vendicato Desirèe finalmente. Joe senza aspettare mie precise istruzioni le si gettò contro, mentre lei con leggerezza innata lo scansò pronta ad accogliere l’assalto letale che, era certa, le sarebbe venuto da me. Non la feci attendere troppo. Mi saltò con una capriola, come se avesse le ali. Tentai di afferrarla al volo ma il tentativo andò a vuoto. Atterrò poco lontano da me, la rincorsi, ma era dannatamente veloce. Il mantello che ostinatamente continuava a indossare non la rallentava di un secondo e nemmeno le era di intralcio. Se io non riuscivo a prendere lei, nemmeno lei riusciva a prendere me. Dei pochi attacchi che mi sferrò, nessuno andò a segno e in quei momenti gioivo perché leggevo sul suo viso il disappunto di avere trovato qualcuno che riuscisse a tenerle testa, anche se di fatto la situazione era in perfetta parità. Ogni tanto cercavo Bella e Kate tra la folla, ma le avevo perse e io stavo indugiando troppo.
Improvvisamente un’ondata di calore mi investì: Jane si fermò, come me e rivolse lo sguardo verso i tre signori di Volterra. Lo sguardo di Aro le comunicò qualcosa che non avrei capito se lei non si fosse voltata nella direzione in cui avevo lasciato Bella. Fece un piccolo cenno del capo e sparì nella calca. Joe fece per rincorrerla ma lo fermai.
Che ti prende? mi domandò.
Hanno capito tutto. Hanno capito qual è la fonte del nostro potere.
Come fai a dirlo?
Non avrei saputo spiegarlo ma era così. Come non avrei saputo spiegare come avevano comunicato fra loro, ma una cosa era sicura: dovevo tornare da Bella.
Io torno da Bella, tu esegui l’ordine che ti avevo impartito lo rintuzzai. Dapprima seccato perché lo avevo interrotto nel suo combattimento più importante, Joe si rassegnò e si perse alla ricerca di Rosalie. Io ritornai alla mia base di partenza, cercando Edward con il pensiero. Gli comunicai quello che sospettavo e solo lui avrebbe potuto dirmi se ci avevo visto giusto o meno, ma non riuscivo più a vederlo. Molti dei vampiri si erano dispersi nel bosco circostante e il combattimento stava proseguendo al suo interno. La conseguenza più immediata e positiva era che avevamo una visione più nitida di chi ci stesse intorno, ma non sapevamo chi fosse ancora vivo dei nostri. Saltai alcuni cadaveri che, come carogne di animali, emergevano dall’erba folta: erano vampiri, in quanto tutti umani. Non riuscii a distinguere con accuratezza quelli che evitai, ma per alcuni dovetti arrendermi all’evidenza: erano dei nostri. Non ricordavo i nomi, tutto sommato non provavo neanche dolore per la loro scomparsa, ma erano alleati in meno al nostro fianco e questo poteva portare a spiacevoli ripercussioni.
Quando finalmente trovai Bella, stava staccando di netto la testa al suo avversario. Il corpo cadde esanime a terra mentre il capo rotolava verso di me con occhi spalancati e infossati, come se la morte l’avesse colto a tradimento. La mia Bells mi fissò, uno sguardo trasecolato misto a sgomento.
“Ce l’ho fatta! Ne ho ucciso uno!” urlò, sostituendo a un filo di voce un esclamazione entusiasta. Probabilmente si sarebbe messa a ballare se ne avesse avuto il tempo e l’occasione lo avesse permesso, come io mi sarei trasformato e l’avrei abbracciata, ma le congratulazioni sarebbero state fuori luogo. Il giro della giostra non era ancora terminato e sembrava avere in serbo per noi parecchie sorprese. Annuii vistosamente per farle intuire la mia gioia, poi fui costretto a difenderla dall’attacco di altri vampiri, che non sembravano avere scelto noi come bersagli: semplicemente la radura si era trasformata in un gigantesco rodeo. Tutti combattevano a turno contro un nemico come una girandola. Quando riuscivo ad atterrare qualcuno, il suo posto veniva subito preso da qualcun altro, mentre il mio ex-nemico diventava l’attuale nemico di qualcun altro. Bella migliorava ogni minuto che passava, galvanizzata dal suo primo omicidio. Non credevo che un giorno avrei mai partecipato a una battaglia con lei al mio fianco. Avevo sempre pensato che avrei dovuto proteggerla come un essere indifeso; invece ora era una combattiva e violenta vampira che sapeva il fatto suo e come mettere al tappeto l’avversario. Così veloce da essere quasi invisibile, così precisa da sembrare addestrata da anni, così caparbia da destare ammirazione. Era davvero nata per essere un vampiro.
In quel carosello di salti, grida strozzate e cadute rovinose, distinsi Alice combattere contro Alec. Non era quello che avrei sperato di vedere. Quel vampiro, pur privato della sua capacità distruttiva, si muoveva e danzava con leggiadria e agilità. Alice era sua pari a velocità, soltanto che lui sfoggiava una forza incredibile che non si sarebbe detta dalla corporatura. Cercavano di colpirsi a vicenda, ma Alice riusciva soltanto a graffiarlo, mentre Alec invece, aggressivo e violento, strappava brandelli di carne ogni qual volta la ghermiva come un falco predatore. Avrei voluto aiutarla ma non potevo abbandonare Bella e Kate ancora. Mi guardavo intorno continuamente perché Jane prima o poi sarebbe arrivata: non potevo avere frainteso quello sguardo d’intesa ma indugiavano troppo a portarci un attacco. Forse aspettavano il momento giusto?
Sentii nella mente la voce di Paul che esultava la vittoria sul suo terzo avversario.
Paul, aiuta Alice! ordinai e il mio subordinato ubbidì senza fiatare, sopprimendo l’entusiasmo.
Un minuto dopo lo vidi saltare addosso ad Alec e combatterlo insieme ad Alice. In due sarebbe stato più facile, mentre pregavo fortemente di non aver mandato a morte uno dei miei compagni.
Combattevo, combattevo senza sosta da un’eternità. Avevo quasi perso il senso del tempo. Non sapevo più quantificare che ore potessero essere, né se stessimo vincendo o perdendo. Ma, indipendentemente dall’esito della guerra, io, noi avremmo perso. Non potevo ignorare infatti che la percentuale delle voci che mi risuonavano nella testa fosse calata dall’inizio dell’offensiva. E questo voleva dire solo una cosa: alcuni erano morti. Fra le tanti voci che mancavano all’appello c’erano quelle di Rupert, Jason, Simon, Derek e… Non volevo pensarci, volevo concentrarmi solo sulla difesa di Bella, eppure li cercavo disperatamente. Ogni tanto chiamavo con la mente un nome a caso e quando sentivo un suono di risposta, per quanto debole e fugace, era un rintocco in più nel cuore; quando non rispondeva nessuno, una nuova ferita, anche se non elargiva sangue. Avrei tanto voluto correre a verificare le posizioni di tutti ma ero incatenato qui. Sentivo ogni tanto la voce di Joe e quella serviva a rincuorarmi perché, se lui era vivo, Rosalie stava bene.
In quel momento quattro vampiri saltarono addosso, quasi contemporaneamente, a me, Bella e Kate. Quattro. Decisi di farmi carico dei due all’apparenza più forti. Non era un gesto di cavalleria nei confronti di Kate, ma semplicemente, grazie ai suoi poteri, ritenevo che se uno dei protettori di Bella avesse dovuto morire, io sarei stato quello meno utile e quindi più sacrificabile.



Che ne dite? Il combattimento proseguirà nel prossimo capitolo dove succederà una cosa che Jacob proprio non si aspetta!
Un bacione e fatevi sentire numerose!
Ven.

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Capitolo 84
*** Finalmente qui... ***


Combattere, combattere, sempre combattere. Ma quando sarebbe finito? La mia non era una stanchezza fisica ma solamente mentale. Ero esausto di vedere cadaveri sparsi intorno a me, di inciampare non in rami o radici, ma in braccia e gambe di cui ormai la radura era disseminata. Sentire le urla silenziose nella testa e non poter fare niente per farle tacere. Alla fine chi sarebbe sopravvissuto e chi no? Non sapevo cosa fare a parte combattere, verificare che Bella stesse bene e che qualcuno dei miei compagni non morisse attorno a me. Ma la domanda era: se qualcuno fosse stato in difficoltà avrei potuto aiutarlo? Non volevo pensare alla risposta perché sapevo quale sarebbe stata.
Uno dei due vampiri mi afferrò per la coda e tentò di mordermi. Ci sarebbe riuscito se non fosse intervenuta Bella, distraendosi dal suo avversario, per aiutare me. Ecco qualcosa che non doveva accadere, perché con il suo gesto rischiò molto più della sua vita: quella di tutti noi. Lei doveva restare illesa, lei, la chiave della nostra vittoria.
Balzai su uno dei due avversari e lo scaraventai contro un albero, facendone incrinare il fusto. In quel momento mi accorsi che Emmett stava combattendo ai margini della foresta ed era ferito ad un braccio. Ebbi un minaccioso brivido lungo la schiena. I Cullen: dov’erano? Paul ed Alice erano spariti, così come Jasper, Rosalie ed Edward. Nessuno era più vicino a noi, nemmeno Jane ed Alec. Intravedevo dalla parte opposta alla nostra, i Volturi che con sorrisi crudeli e diabolici assistevano ai nostri combattimenti come se fossero al cinema. Sembrava non gli importasse nulla di tutte le vite che stavano gettando. Non pensavo certo che fossero addolorati per noi, ma non gli importava dei loro guerrieri? Di quelli che stavano combattendo soltanto per mantenere intatto il loro potere? Continuavo a saltare, mordere e strappare membra: questo era il mio lavoro ed ero felice di uccidere, ma non di uccidere vampiri come avrei detto un tempo, ma soltanto loro. Seth diceva che esistevano vampiri e vampiri, che i Cullen erano diversi e che l’avrebbero dimostrato. Avevo sempre riso delle sue affermazioni, ma ora… Stavamo tutti dalla stessa parte, come se fossimo un corpo solo. Non esistevano più incomprensioni di razze, ma soltanto la lotta per la sopravvivenza. Edward mi aveva promesso che avrebbe fatto un patto che salvaguardasse entrambi e, purtroppo dovevo ammetterlo, sapevo che non mi avrebbe tradito; Carlisle ed Esme erano sempre stati onesti e leali con noi, fin troppo comprensivi con dei vicini di città così irruenti; con i loro figli i rapporti non erano mai stati idilliaci ma che cosa potevamo pretendere quando noi per primi non avevamo dato niente? In realtà tutto questo era una lezione.
Scaraventai il vampiro a terra e gli strappai la testa, cancellando finalmente la sua esistenza. Mi avventai sul secondo che aveva tentato di impedire il massacro del suo amichetto, con scarsi risultati. Appariva meno forte dell’altro e mi illudevo che me ne sarei sbarazzato più in fretta. Anche questa illusione cadde in pochi istanti. Era dannatamente veloce e agile; riusciva a evitarmi agevolmente anche se i suoi colpi non avevano forza. Purtroppo riuscì a tenermi impegnato molto, troppo a lungo. Improvvisamente fuoriuscì dalla foresta Carlisle inseguito da un nemico. Era ferito a una gamba e zoppicava vistosamente, al contrario del suo avversario che correva, svelto e ben piantato. Lo raggiunse a una trentina di metri da noi.
Non potevo fare niente per aiutarlo, almeno finché avessi avuto il mio bamboccio fra i piedi, il quale mi scaraventò a terra, approfittando della mia distrazione e mi si gettò addosso. Lo spinsi indietro con le quattro zampe e lo feci volare dall’altra parte. Mi rialzai sferrando più attacchi possibili per sfibrarne la resistenza. Se fossi riuscito a rallentarlo, lo avrei vinto sicuramente. Lo afferrai per una caviglia e lo feci cadere mentre cercava di allontanarmi a calci come avrebbe fatto con un cane selvatico. Ma io ero un lupo e per giunta desideroso di porre fine a tutto questo e tornarmene finalmente a casa. Lo assalii con una furia che stupì perfino me e per quanti pugni o calci avessi incassato riuscii infine ad avere ragione di lui. Mentre respiravo a fatica, osservando il corpo immobile decapitato a terra, sentii l’urlo di dolore di Bella. Mi voltai verso di lei, allarmato e scioccato. Era in piedi, senza alcuna ferita, il cadavere del suo avversario a terra, inerte e lei stava guardando oltre me, paralizzata. Gli occhi lucidi e le mani tremanti. Seguii il suo sguardo e capii.
Carlisle, o quello che ne rimaneva, sdraiato con il viso immerso nella polvere. Sembrava che dormisse mentre in realtà la testa non era più attaccata al resto del corpo. Provai uno strano senso di colpa, lo stesso che mi aveva colto la sera in cui era morta Esme. Come se fosse stata colpa mia, come se non fossi stato abbastanza presente. Era strano provare dispiacere per un vampiro eppure stava accadendo.
Bella fece quattro passi meccanicamente verso di lui con l’intento di andare ad aiutarlo, ma era tutto inutile. Lo sapevo io e lo sapeva anche lei. Le sbarrai la strada e si lasciò bloccare, singhiozzando. Si coprì gli occhi con le mani, cercando di trattenere le lacrime. Strusciai il muso contro il suo ventre per consolarla ma non servì. Niente sarebbe servito. Eravamo in guerra. Che senso aveva vincere quando le persone care non sarebbero più state con noi a festeggiare?
Non avevamo nemmeno il tempo di piangere i nostri morti. Dovevamo difenderci sempre e comunque. Mentre Kate ultimava l’uccisione del suo nemico e Bella tentava di concentrarsi per mantenere attiva la barriera, feci l’appello mentale delle voci dei compagni che continuavo a sentire. Ero terrorizzato all’idea di ulteriori perdite. Alcuni rispondevano, altri no. Mi sentivo cedere mentre nello sguardo di Bella potevo leggere il cieco terrore che a Edward fosse successo qualcosa. Era sparito da tanto ormai e neanche io ero più sicuro di niente. Con la scomparsa di Carlisle, soltanto lui poteva prendere in mano la situazione e guidare gli altri. E Bella cosa avrebbe fatto? Era strano come solo ora mi rendessi conto di quanto fosse innamorata di lui, di quali fossero i ruoli assegnati nella sua gerarchia e di quanto, inaspettatamente, fossi contento così. Non volevo più il primo posto, mi bastava il secondo, avrei potuto accontentarmi. L’importante era che lei fosse felice.
Avvertii uno spasimo nella testa, qualcuno era stato ferito, qualcuno stava male. Non era una novità ma riconobbi la voce.
Joe, che succede? domandai, incapace di reprimere l’ansia. Tutto bene?
Non rispose. Non sentii più niente e ogni secondo di silenzio era un colpo di piccone nel cervello, un assalto alla fortezza della mia mente. Rividi Seth in quell’uggiolato e fui scosso da tremiti. Lo richiamai parecchie volte ma non rispose. Kate stava combattendo, avrei dovuto aiutarla, ma non riuscivo più a muovermi.
Joe, dove cazzo sei? Joe! tuonai.
Bella si accorse del mio stato e appoggiò una mano sul muso, con espressione preoccupata. Non osava chiedermi cosa stesse succedendo ma era facilmente intuibile.
Sto bene, capo sospirò Joe.
Il suo respiro era affannato e aveva pronunciato quelle poche parole come se strappate a forza dalla bocca.
Che è successo? Stai bene? domandai ancora una volta.
Sì, sto bene. Mi ha rotto la zampa anteriore sinistra, ma riesco ancora a muovermi. Posso farcela… L’ho ucciso, capo.
Lo disse, riacciuffando per i capelli l’antica spavalderia e fui obbligato a complimentarmi con lui. Ce l’aveva fatta. Era un bravo combattente, dovevo ammetterlo.
Come sta, Rosalie? Tutto ok?
Joe non rispose. Dovetti porre la domanda ancora una volta per avere una risposta. E non mi piacque per niente.
Non lo so, capo. Purtroppo non è più vicina a me. Mi ha assalito un vampiro e l’ho persa tra la boscaglia. Non ho la più pallida idea di dove sia. Però posso andare a cercarla…
No! esclamai Resta dove sei e pensa solo a difenderti, se attaccato. Con una zampa rotta non potresti essere di aiuto…
Joe borbottò un “Va bene” amareggiato e si fece da parte fra i miei pensieri. O forse fui semplicemente io a metterlo da parte perché un pensiero solo in quel momento si fece largo a spintoni. Rosalie. Dov’era? Stava bene? Stava combattendo da qualche parte? Le avevo messo Joe alle calcagna perché l’aiutasse ma era stata un’imperdonabile ingenuità credere che nel corso di una battaglia di massa qualcuno potesse essere la sua ombra. Io potevo farlo perché Bella aveva ricevuto ordini di non muoversi da dove l’avevamo sistemata ma Rose no.
Iniziò la mia ricerca mentale: chiesi a tutti quelli che mi sentivano se qualcuno avesse visto Rose, come se si trattasse di una trasmissione radiofonica, ma nessuno di quelli che mi rispose aveva la più pallida idea di dove si trovasse. Alcuni l’avevano intravista, altri nemmeno quello e io stavo scivolando in un abisso sempre più buio. Forse era ferita, forse stava combattendo lontano, forse era… Non osai continuare oltre come se il solo immaginare la soluzione peggiore potesse farla avverare.
Jake! rimbombò la voce di Leah, concitata e soffocata, probabilmente nel bel mezzo di un combattimento ma ancora viva e in forze. L’ho vista qualche minuto fa. Stava rincorrendo un nemico verso la radura nord, quella dei salici.
La radura nord? A circa un chilometro da dove mi trovavo, decisamente troppo lontano perché potessi assentarmi per qualche minuto e basta, come era successo con Joe. Non potevo lasciare Bella da sola. C’era Kate ma se fossero davvero arrivati in massa come temevo non ce l’avrebbero fatta. Eppure…
Camminai avanti e indietro, imprimendo con tenacia e forza le impronte nel terreno. Morti, sangue, corpi dilaniati tutto attorno a me. Lei poteva essere in difficoltà e io ero qui. Se le fosse successo qualcosa, se l’avessero uccisa… Io non c’ero, non sarei stato accanto a lei. Guardai in alto, oltre le cime degli alberi. Il cielo immobile e immutabile dinanzi a quello che stava accadendo, mentre dentro di me si era scatenata la tempesta. Il cuore tambureggiava nel petto e mi faceva male per l’eccessivo pulsare. Nessuno avrebbe saputo domarlo, nessuno a parte lei.
Non tutto quello che non vuoi ricordare, lo puoi dimenticare…
Non avevo dimenticato che avevo amato Rose per prima e non Bella. Avevo fatto di tutto per cancellarlo, ma infine era emerso di prepotenza. Era esistita soltanto lei per alcune settimane prima che le nostre nature ci dividessero, prima che la mia trasformazione tramutasse tutto ciò che non era umano in qualcosa di squallido e perverso.
“Jake, che succede?” mi domandò Bells, spossata e terrorizzata di poter avere cattive notizie. Mi rivolsi a lei con tanta veemenza, come se cercassi la soluzione, come se la sua sola presenza potesse catturare la mia attenzione e impedirmi di pensare a Rose. Ma non fu così. Un tempo lo sarebbe stato, ma ora non più.
Perché? Perché succede tutto questo adesso? Io non posso…
Ululati dei miei compagni distolsero l’attenzione di Bella ma non la mia. La guardai. La pelle bianca, gli occhi color rubino, le mani affusolate. Tutto meraviglioso, tutto perfetto, ma non era come Rosalie. Ecco la verità, l’unica che contava. Per quanto l’avessi amata e idolatrata, non avevo mai sentito il cuore battere tanto intensamente come fra le braccia di Rose. Bella mi capiva al volo, l’affinità era stata istantanea da principio e l’avevo amata ma ora la guardavo e non sentivo più le farfalle nello stomaco. Da quanto non sbattevano più le ali? Da quanto tempo avevo smesso di cercarla agli addestramenti? Da quanto mi importava che soltanto Rosalie mi salutasse? Da quanto tempo avevo trasformato il mio amore per Bella in un’ossessione e niente altro?
Il giorno in cui mi aveva detto che ricordava tutto mi ero infuriato per essere stato preso in giro e non perché me ne importasse qualcosa. Tutto perché ormai mi ero rassegnato, mi ero detto. No. E’ soltanto che io amavo già un’altra persona e non importava che Bella mi ricambiasse o meno. Avevo sofferto tanto ed ora mi accorgevo che non c’era niente di sbagliato perché proprio questo dolore mi aveva portato a capire di chi avessi davvero bisogno.
Io volevo crescere, diventare più alto, più forte perché quella ragazza bionda mi degnasse finalmente di uno sguardo.
Bella si girò nuovamente verso di me e stavolta vidi nel suo sguardo qualcosa che avrei dovuto vedere molto tempo prima: la mia migliore amica, la mia confidente, e niente di più.
Ti voglio bene, Bells. Te ne vorrò sempre ma il mio posto non è più con te, non è mai stato con te.
Bella socchiuse gli occhi, tenera, poi mi sorrise. Non c’era bisogno di parlare. “Vai pure, qui ce la caveremo anche senza di te…” sussurrò.
Annuii risoluto, la abbracciai con lo sguardo e corsi via.
Sam, Sam! chiamai a gran voce. Dove sei? Ho lasciato Bella con Kate. Vado a cercare Rosalie. Riesci a mollare tutto e prendere il mio posto vicino a loro?
Sam mi rispose senza esitazioni né contrasti. Sì, semino il vampiro che mi sta dando la caccia e vado da loro.
Corsi come un disperato, a perdifiato, in direzione della radura nord. Non sapevo se fosse veramente là ma era l’unico avvistamento su cui potevo fare affidamento. Non avevo altro. Dovevo solo trovarla e sperare che stesse bene, poi non l’avrei lasciata mai più. L’amavo, l’amavo a tal punto da mandare tutto al diavolo. Che perdessimo, che ci uccidessero tutti, che uccidessero me, ma l’importante era che lei stesse bene, che mi sorridesse un istante soltanto per appartenerle per tutta la vita. Non importava quanto sarebbe stata lunga ma saremmo stati insieme.
Saltavo i cadaveri che di tanto in tanto mi ostacolavano il cammino e allo stesso tempo evitavo alcuni vampiri nemici che, dispersi nel bosco, già feriti, tentavano di aggredirmi. Non avevo tempo da perdere e più la radura si avvicinava, più l’ansia insistente urlava nel petto. Avvertivo una scia diventare più intensa e potevo solo immaginare che appartenesse al vampiro che mi aveva descritto Leah. Qualcuno era andato in quella direzione e considerando che non sentivo l’odore di nessun altro dei nostri alleati, il suo inseguitore poteva essere soltanto Rose. Gli alberi sembravano scansarsi al mio passaggio per consentirmi di andare più veloce, forse spaventati dalla mia foga perché ero disposto a tutto, anche ad abbatterne qualcuno, pur di arrivare a quella maledetta radura. L’ultimo centinaio di metri prima di arrivare fu logorante. Era un tratto accidentato e in salita, costellato di sassi e macigni accuratamente sistemati soltanto per intralciarmi. Ero sicuro che fosse lì e avesse bisogno di me.
Alcuni cespugli di biancospino si impigliarono in ciocche arruffate e intrigate di pelo, costringendomi a rallentare. Lasciai che lo strappassero e proseguii.
Quando finalmente varcai il delimitare della radura fui quasi accecato dai pochi raggi di sole che ormai illuminavano, seppur debolmente, l’altopiano. Mi guardai attorno e vidi per terra a pochi metri da me un cadavere, leziosamente composto, come se fosse stato pronto a essere seppellito, la cui eleganza era però smorzata dalla testa sfigurata che troneggiava con la bocca spalancata in un silenzioso urlo, poco distante. Non era Rosalie e questo contribuì a ricomporre la mia razionalità, tuttavia non potevo che definirlo un ritratto inquietante. Oltre lui, seduta sui talloni, mi dava le spalle un’altra figura. Il fianco sinistro era appoggiato pesantemente ad un albero e la testa sembrava rimanere eretta solo grazie alla possenza di quell’abete rosso. Immobile, glaciale, statuaria, soltanto il vento muoveva lentamente alcune ciocche di capelli, facendomi giungere l’odore di vaniglia.
Rose…
Camminai lentamente e in silenzio, come se stesse dormendo e avessi il timore di svegliarla, mentre in realtà temevo soltanto di demolire la speranza a cui mi ero aggrappato. Quando uggiolando, non ebbi alcun tipo di risposta, fui sopraffatto dalle emozioni e corsi da lei. Le spinsi la spalla con il muso e, ancora muta, la aggirai per affrontare la verità, qualunque essa fosse.
Era seduta con gli occhi chiusi, le braccia intorno al ventre, a stringersi in un abbraccio senza fine. Il viso era leggermente chinato ma riuscii a controllare la gola. Era graffiata in vari punti ma non ferite che non potessero guarire in pochi minuti. Le sfiorai delicatamente la guancia con il naso umido e, solo allora, ritornò da dove la sua mente era scivolata. Buttò la testa all’indietro e poi, con gli occhi socchiusi, mi fissò con languida indolenza.
“Jake… Cosa fai qui?” domandò infine con sforzo, perdendo completamente la consueta eleganza che la distingueva perfino nella voce. Apparve infastidita dalla mia presenza.
Non potevo risponderle, non in forma animale almeno, perciò mi limitai a strusciare il muso contro di lei. Volevo che capisse perché ero lì, che cosa mi aveva spinto a un’azione tanto scriteriata nei confronti di Bella e dei miei compagni. Avrei voluto dirle cosa provavo ma avrei mancato di tempestività: non era né il luogo né il momento adatto per intraprendere questa discussione. Mi bastava che intuisse ma era così debole che perfino il mio morbido tocco le fece perdere l’equilibrio e cadere all’indietro. Si aggrappò a me e la aiutai ad appoggiarsi con la schiena al fusto dell’albero.
“Dovresti essere da Bella. E’ quello il tuo posto, non qui…” sospirò.
Il mio posto è dove sei tu.
Perché? Perché appariva così debole? Non era ferita gravemente, aveva vinto il suo avversario, che cosa c’era che non andava? Appoggiò la testa al legno pesantemente e ne avvertii il sordo rimbombo. Gli occhi faticavano a restare aperti. La osservai minuziosamente e non notai niente che potesse far presagire qualche ferita mortale, però notai che, nonostante tutto, stava continuando a tenere le braccia intorno a sé. Le diedi alcuni colpetti per indurla a spostarle, ma Rosalie replicò scrollando le spalle, infastidita. Reprimendo uno spasmo di rabbia, le morsi una mano e fu costretta a muovere il braccio. Fu allora che lo vidi. Uno squarcio, non una ferita, non un graffio, non un taglio, ma un buco che pareva trapassarla da parte a parte, in corrispondenza del costato, sulla destra. La felpa era intrisa di frammenti di ossa, pelle e legno. Spostai la testa velocemente e notai poco lontano da lì alcuni rami spezzati che non era difficile immaginare per cosa fossero stati usati. Lo sgomento mi travolse con una forza inaudita.
Rosalie si coprì con solerzia e velocità, come se fosse stata nuda, mentre io sentivo gli occhi velarsi di lacrime. Non avevo idea di dove stesse il cuore o perlomeno, sì, lo sapevo, a grandi linee, ma per uccidere un vampiro bastava colpirlo di striscio oppure si doveva centrarlo in pieno? Non mi ero mai posto il problema perché per noi era sempre stato più facile e sicuro mirare alla gola, ma adesso…
“Sto bene, guarirò… Non ti devi preoccupare… Ora torna da Bella” mi incitò.
Feci cenno di no anche se lei non mi stava guardando. Era fuori questione che la lasciassi lì. Non mi fidavo di quello che aveva detto e anche se fosse stato vero, non potevo lasciarla da sola. In quelle condizioni chiunque, persino un bambino umano, avrebbe potuto ucciderla. Mi accucciai e le appoggiai il muso sulla gamba.
“Il cuore è a posto” rispose ai miei dubbi. “Il ramo è andato molto vicino ma l’ha soltanto sfiorato. E’ per questo che sono così debole. La ferita si rimarginerà ma devi darmi tempo…”.
Sollevò la maglietta fino a scoprire completamente la penetrazione. Sgranai gli occhi per mettere a fuoco e notai che infinitesimali parti di epidermide si stavano rigenerando, ricomponendosi a quelle già esistenti. Allora sì, potevo fidarmi. Sarebbe guarita ma io non l’avrei abbandonata ugualmente.
“Sono felice che tu sia qui. Tanto felice…” sussurrò emozionata e la sua voce apparve una melodia, con la stessa consistenza del vento fra gli alberi. Suonava, cantava e mi illuminava come una notte stellata. Sorrise furtivamente e mi lanciò uno sguardo attraverso le ciglia. Non avevo difese da opporre ma nemmeno le volevo perché avevo scelto lei.
Raddrizzai la schiena e Rosalie si appoggiò per abbracciarmi. Quello fu il momento più bello della mia vita, quello in cui trovai finalmente il mio paradiso, dove dovevo stare, con chi dovevo stare. Avrei tanto voluto essere umano per dirle quello che provavo ma avremmo avuto tempo appena finito tutto ciò, avrei potuto dirle che non l’avrei lasciata mai più, che volevo lei e lei soltanto.
Rose sentì il mio cuore battere così rumorosamente da sembrare un rombo di cannone e si staccò, vagamente a disagio. Non capiva cosa mi stesse succedendo e perché il mio respiro fosse così irregolare.
Quando incrociai il suo sguardo, vidi qualcosa di insolito e mai neppure lontanamente immaginato. Iridi blu, evidenziate da un sottilissimo bordo dorato; al loro interno piccole pagliuzze violacee che ricordavano le viole del pensiero di cui i prati a La Push erano ricoperti. Un lago profondo illuminato da miriadi di riflessi che lo rendevano familiare e al contempo più inesplorato e affascinante. Erano dunque quelli i suoi occhi prima di essere trasformata? Di quel colore? Il suo viso sembrava prendere vita da essi e distribuirla a chi la guardava. Ora sembrava davvero umana.
Delicatezza, innocenza, timore… Un lampo fugace che rischiarò l’oscurità.
Indietreggiai di due passi, trattenendo il respiro.
La bambina… La bambina bionda, dai capelli ricciuti e il portamento elegante e capriccioso, così come poteva essere Rosalie da piccola. Aprii le fauci non so per fare cosa ma non uscì un fiato, mentre il cuore stava rallentando così velocemente da farmi girare la testa.
“Lei sarà la tua piccola poesia e dovrai difenderla, se mi dovesse accadere qualcosa” aveva sussurrato Desirèe.
Una piccola ferita nel mio petto si aprì e ne uscì qualche goccia di sangue invisibile.
“Sei una piccola poesia, Rose, di cui non mi stancherò mai. L’unico problema è che tu non riesci a leggerla!” l’avevo detto io, la mattina dopo la nostra nottata a La Push, e solo ora capivo che il mio cuore aveva riconosciuto qualcosa che la mente non aveva distinto. Anche l’odore. Avevo smesso di sentire la puzza non per assuefazione, come dicevano gli altri, ma perché la stavo riconoscendo come mia, come parte di me, come tassello indispensabile a completare il mio puzzle. Al contrario di Bella.
La calma, la pace, la serenità che quella bambina mi sapeva infondere nei sogni era la stessa che sentivo accanto a Rose, era la stessa che mi aveva avvinghiato a sé quel pomeriggio in cui ero tornato umano senza volerlo. Solo con lei, non sarebbe potuto succedere con nessun altro. Era lei ad essermi mancata. La bambina era stata uccisa da Rosalie perché era Rosalie stessa, era lei ad avere ucciso se stessa, lei che era cresciuta nel sogno, morta e rinata per me nella realtà.
Il destino farà in modo di farla arrivare a te e quindi non la farà morire…
Quante cose avevo detto senza che avessero un senso, in quel momento, eppure adesso anche queste poche parole scambiate con Joe apparivano ubbidienti e logiche.
Se Carlisle non ti avesse salvata, se lui non ti avesse trasformata, tu saresti morta e io non ti avrei mai conosciuta. Non saresti mai arrivata da me e io non avrei potuto amarti…
Tu sei la mia luna, quella che ho odiato dal primo istante perché così diversa, quella che ho amato dal primo istante per lo stesso motivo; quella che ha saputo darmi la pace e condannarmi per sempre; quella che ha trovato la mia anima dispersa e l’ha riunita a sé perché adesso so dove mi trovo finalmente. Ti guardo e so che la mia vita è tutta in te e che sarà sempre così, perché tu sei il mio… imprinting.
L’avevo pensato ed era realtà. Non l’avevo riconosciuta per tutto questo tempo perché le nostre avverse nature mi avevano distratto, perché la mia ossessione per Bella mi aveva distratto, perché il mio odio per i Cullen mi aveva distratto. Ora invece tutto si sfocava e soltanto i contorni intorno a lei erano netti. La potevo vedere accanto a me per tutti gli anni a venire. Solo lei era la vita in mezzo alla morte, lei con la sua fragilità, i suoi dubbi, il suo amore incondizionato, la pelle liscia e morbida come la seta… Il cuore, il corpo l’avevano riconosciuta subito mentre la mente ci aveva messo troppo, troppo tempo, istupidita da mille contraddizioni e accuse.
Mi fissava ed era come se la conoscessi da sempre, come se la amassi da sempre. Per tutto questo tempo non ci ho voluto credere, non riuscivo a vedere quello che si manifestava con tale irruenza. Eri di fronte a me, ogni istante cercavo te. La luna intorno e fuori di me.
Anime gemelle: Bella ed io ci eravamo sempre definite tali, ma mentre lei aveva capito subito che c’era qualcosa che andava al di là di questo, io mi ero perso nel suo labirinto, ben contento di non trovarne l’uscita. Adesso era come se le mura che lo delimitavano fossero crollate e ci fosse luce dappertutto.
“Jake, che ti prende?” domandò Rosalie constatando la mia immobilità.
Ti amo e non potrai mai immaginare cosa sarei disposto a fare per te… Allungò la mano e la sfiorai con il muso: la sua pelle era così delicata, levigata e candida da far apparire peccato mortale il solo toccarla. Esisteva dunque qualcosa al di sopra del mio amore per Bella, l’affetto per la mia famiglia, l’amicizia per quelli del branco. Se nel passato l’avevo detestata, nel presente l’avevo amata, avrei trascorso il futuro ad adorarla perché questa sarebbe stata la mia missione. Una casa e noi due. Non importava se gli altri e la mia famiglia non avrebbero capito, non mi avrebbero appoggiato. Non avrei esitato un solo attimo. La nota che rendeva sinfonia la mia vita stonata. Non ti lascerò mai andare via. Non sarò più così stupido.
Sballottato da troppe emozioni, ritornai bruscamente alla realtà quando un dolore lancinante mi colpì al petto. Fu come se un punteruolo mi avesse trapassato. Le gambe cedettero e mi ritrovai le zampe anteriori piegate in avanti e il muso immerso nella terra. Il dolore montò in ogni parte del corpo come un veleno che percorreva sinuoso tutte le vene, anche se il punto nevralgico, quello da cui partiva tutto, e a cui tutto tornava, era il cuore. Non riuscivo a respirare mentre sentivo la vita sgusciarmi via fra le dita. Ansimavo affannosamente ma era inutile: sembrava che non ci fosse sufficiente ossigeno su tutta la Terra per permettermi di sopravvivere.
“Jake, stai male? Jake… Jake…” urlò spaventata Rose. Mi appoggiò la mano sulla schiena e sentire il gelo provocò una scarica di adrenalina che non sarei proprio riuscito a sopportare in quel momento. Bruscamente scivolai indietro, ricorrendo a tutte le mie energie, mentre la vista si appannava. Non sapevo trovare una spiegazione al dolore, ma sapevo che sarei morto se non avessi trovato un rimedio. Il cuore batteva forte, troppo forte perché non scoppiasse. Il tempo si stava dilatando e ogni secondo era un’ora di tortura.
Consumato dalla certezza che sarei morto, pensai che non doveva accadere proprio davanti a lei: da vero idiota pensare che non volevo spaventarla mentre stavo per lasciarci la pelle! Forse mi sarei dovuto rintanare dietro qualche albero ad aspettare che il mio cuore fosse completamente bruciato, ma desideravo anche vederla fino all’ultimo. Un radicato e sviluppato istinto mi sussurrava di andarmene; il cuore, ormai lacerato e morso in più punti, urlava che dovevo restare lì. Trovai un compromesso per entrambi, indietreggiando di qualche metro e pregando che Dio non mi facesse questo proprio ora. Rosalie riuscì ad alzarsi, aggrappandosi alle parti sporgenti della corteccia, ma una volta in piedi non ebbe abbastanza forze per seguirmi. Pian piano il dolore abbandonò il mio corpo mentre il cuore riprendeva il suo abituale pulsare. La testa ciondolava avanti e indietro, senza volontà, inspirando ed espirando per facilitare il ritorno delle energie.
Quando alzai il muso, ci misi solo pochi istanti per metterla a fuoco. Mi ero allontanato parecchio: era appoggiata, spaurita all’albero. Gli occhi luccicanti per le lacrime e il sollievo di vedermi ancora vivo. Feci un passo nella sua direzione per tornare ad abbracciarla, quando un fruscio inusuale attirò la nostra attenzione. Troppo veloce per essere causato dal vento e più intenso con il suo avvicinarsi. Mi girai, pronto a combattere per difenderla, quando da dietro i cespugli di biancospino spuntarono Edward, Jasper ed Eva. Trafelati, agitati e tuttavia immobili nella loro severità. Gli abiti erano lacerati in più punti, ma indossati con aristocratica eleganza.
Abbassai la coda, rilassato ma non troppo perché sapevo che Edward avrebbe rimproverato la mia assenza vicino a Bella. Già pronto a ribattere ogni sgridata, dovetti ricredermi quando Eva li abbandonò per correre da Rose a controllare come stava.
“Sto bene…” la prevenne Rosalie, guardando i suoi fratelli, mentre la giovane russa, incurante delle sue proteste, stava verificando le sue condizioni.
Jasper annuì poi mi disse, inflessibile:“Jacob, devi venire con noi. Abbiamo bisogno di te”.
Perché?
“Bella ha ucciso Jane ed è giunto il momento di chiudere la partita una volta per tutte. Abbiamo le carte giuste per vincere e dobbiamo usarle adesso” mi spiegò Edward. Bella aveva ucciso Jane?! Ci aveva liberato di quella strega? Non potevo crederci! Mi sfuggì un latrato di approvazione ma mi scontrai con l’intransigenza dei due Cullen che non sembravano così entusiasti come lo ero io.
“Dobbiamo sistemare Aro, Caius e Marcus e tu devi venire con noi…”.
Nonostante l’opportunità di eliminare quei tre fosse dannatamente stuzzicante, non volevo abbandonare Rose in quelle condizioni. L’avrebbero uccisa e a me non importava vincere la guerra senza di lei.
“Resterà Eva… Non ti devi preoccupare” fugò i miei dubbi Edward ma io non me la sentivo di lasciarla. Mi voltai verso di lei che mi sorrise. Non poteva leggere nel pensiero ma evidentemente la paura trasudava da ogni mio gesto e movimento perché disse:“Vai pure. Sarò al sicuro con Eva. Ammazzali e torna da me… Abbiamo un festeggiamento in sospeso, ricordi?”.
Il festeggiamento… Già, l’avevo quasi dimenticato…
Mi diressi verso Edward e Jasper, pronto a intraprendere quello che sicuramente sarebbe stato l’ultimo combattimento, in un modo o nell’altro. Jasper partì per primo, seguito da me e suo fratello. Le mandai un ultimo sguardo prima di sparire tra le fronde: adesso avevo anch’io qualcosa per cui tornare.
Scendemmo la discesa, saltando fra le rocce. Avvicinandoci al campo di battaglia principale, potevo avvertire i rumori degli ultimi scontri, volutamente sopiti per evitare di attirare attenzioni. Jasper si acquattò dietro un cespuglio e si rivolse a suo fratello. “Cosa vuoi fare? Come vuoi agire?” domandò asciutto. Era sconvolgente il sangue freddo di quel vampiro. Non potevo credere che non si fosse accorto della morte di Carlisle, ma sembrava che non avesse importanza. Il fatto stesso che si stesse rivolgendo a Edward come se fosse il capo voleva dire che sapeva cosa fosse successo, eppure non mostrava alcuna sbavatura. Un vero soldato, ma non provavo invidia nei suoi confronti. Sicuramente sarebbe stato un capo migliore di me, ma io non avrei mai potuto reagire con tale indifferenza.
“La morte di Jane ha molto scosso Aro e stanno nutrendo dubbi sulla loro vittoria. Alec è impegnato con Antoine e Leah quindi possiamo arrivare ai Volturi quasi agevolmente…” spiegò Edward, guardando alternativamente me e suo fratello.
Ok, sono tre. Chi fa fuori chi? domandai impaziente.
“Non dobbiamo fare fuori nessuno” rispose con inusuale comprensione.
Come sarebbe? replicai con il mio consueto disgusto quando si trattava di parlare con quel Cullen.
“Non dobbiamo ucciderli ma solo convincerli ad arrendersi e dettare noi le condizioni…”.
Jasper annuì mentre io soffiai. Di che diavolo stavano parlando? Io non li volevo far sopravvivere. Quei tre dovevano morire e nella maniera più dolorosa possibile, altrimenti che razza di senso avrebbe avuto quella battaglia e tutti i morti che stavano ringhiando dai corpi senza vita?!
“Jacob, devi capire una cosa” iniziò Edward, parlandomi con lo stesso tono con cui ci si rivolge a un bambino. “I vampiri non sono tutti come noi. La maggior parte si nutre di sangue umano e si muove nell’ombra soltanto per timore delle reazioni dei Volturi. Se loro venissero a cadere, diventerebbe il caos perché ognuno si sentirebbe libero di agire come preferisce e Dio solo sa quanti vampiri ci sono in giro per il mondo. I Volturi sono una tirannia ma sono anche uno spauracchio per evitare che altri, molto più pericolosi, prendano il potere. Se li uccidessimo, i primi a farne le spese sarebbero gli esseri umani perché molti verrebbero uccisi, soltanto per dimostrazione d’indipendenza; senza ovviamente pensare alle guerre che si scatenerebbero per stabilire la successione. Non possiamo permetterlo e non possiamo ergerci al loro posto. Abbiamo bisogno che loro vivano e continuino a comandare…”.
E allora a cosa è servito tutto questo?! Desirèe, Tanya, Seth, Esme e tutti quelli che stanno morendo anche adesso… A che cosa è servito?! Se li lasciamo tornare a casa, come farai a guardarti allo specchio e a non dirti che non hai fatto tutto quello che potevi per vendicarli? Sono venuti qua per liberarci dalla tirannia e tu mi chiedi di fare un patto!
“Capisco cosa intendi” asserì, chiudendo faticosamente gli occhi. “Ma dobbiamo pensare anche al dopo. Se li uccidiamo sarebbe l’anarchia. Abbiamo delle responsabilità anche nei confronti degli esseri umani. Carlisle non vorrebbe che vampiri senza scrupoli distruggessero il genere umano. Lo so che è difficile da mandare giù, ma abbiamo bisogno dei Volturi…”.
Seth e Desirèe sono morti per niente allora… affermai spossato mentre la ragione tentava di prendere il posto del sentimento.
“Può sembrare così ma non lo è. E’ una battaglia per la nostra libertà, Jake, e non per vendetta. Per avere una legge migliore e per ottenerla, dobbiamo impartire una dimostrazione di forza. Non possiamo fare di più. Non è in nostro potere…”.
Non risposi. Purtroppo aveva ragione. Mi ero innamorato dell’illusione di poterli distruggere, di buttare finalmente le loro teste sotto la quercia dove erano stati sepolti Seth e Desirèe e ridere fino a morirne: tutto a pezzi. Non c’era vittoria, non c’era trionfo, ma solo uno squallido accordo. In ogni caso avremmo perso. D’accordo le guerre, insegnava la storia, si concludevano sempre con un armistizio, ma questa avrebbe gridato vendetta per l’eternità. Fui scosso brutalmente dal senso di impotenza perché alla fine avevamo bisogno dei Volturi e io non potevo fare quello che mi ero prefisso all’inizio di tutto questo. Va bene, Jane, Lehausle e Demetri erano morti, ma non sarebbe mai stato abbastanza. Loro erano delle marionette, spietate e malvagie, ma solo marionette, estensione di un potere che non avremmo mai potuto troncare.
Cosa vuoi fare? domandai rassegnato.
“Dobbiamo arrivargli alle spalle e sorprenderli” precisò, rivolgendosi anche a Jasper. “Hanno mandato avanti tutte le loro truppe e sono rimasti soltanto tre guardie a difenderli. Voi due penserete alle guardie e io tenterò di trattare con Aro. Non ha cognizione di quello che sta succedendo quindi posso fargli credere che la situazione per loro sia molto più svantaggiosa di quella che è e costringerli alla ritirata”.
“E se non ti dovessero credere? Come la mettiamo?” domandò suo fratello con voce neutra.
“Allora temo che non ci resterà altro che ucciderli” rispose dopo un lungo attimo di silenzio. Alzai le orecchie improvvisamente galvanizzato. Questa alternativa era di gran lunga la preferibile, anche se Edward mi lanciò un’occhiataccia. Scrollai le spalle: a dispetto della ragion di stato e della natura instabile dei vampiri che li avrebbe resi mine vaganti per il mondo, io li volevo morti e non mi sarei tirato indietro per dare concretezza alle nostre minacce. Almeno non mi si poteva tacciare di incoerenza!
Jasper si incamminò, piegato in avanti per camuffarsi tra la boscaglia. Guardai un attimo Edward e pensai:“Ricordati cosa mi hai promesso prima della battaglia: un armistizio che tuteli anche noi…”.
“Non dimentico mai le promesse” rispose pacato.
Annuii e partii sulle orme di suo fratello, seguito da Edward. Camminare, camuffandosi tra la vegetazione era un’azione sicuramente più congeniale ad un lupo, ma il mio pelo rossiccio, in piena primavera, non era proprio il travestimento più adeguato in questo caso. Tuttavia riuscivo ad avanzare strisciando, cosa che per gli altri due era molto più difficile e riuscivano a compiere più lentamente. La parte complicata venne quando affrontammo la salita su cui si erano abbarbicati i Volturi per godersi le fasi dello scontro. Mentre avanzavamo, osservavo i loro movimenti e se per caso si fossero accorti di noi, ma non sembrava. Aro era immobile come una quercia nella tempesta, ma i suoi lineamenti tradivano una preoccupazione volutamente nascosta. Avrei quasi detto che in quei pochi minuti fosse invecchiato di cento anni. Pur mantenendo un viso inesplorato dalle rughe, riuscivo a percepire la potenza e la dignità di una persona che doveva avere parecchi secoli alle spalle. Al suo confronto persino Carlisle doveva essere stato uno scolaretto. Mentre gli sguardi dei suoi fratelli peregrinavano da un capo all’altro della radura, il suo era fisso a terra. Mi soffermai per constatare l’oggetto delle sue attenzioni.
Era un cadavere decapitato, coperto in parte da un mantello nero, stracciato in più punti. La testa poco più in là. Jane. Non esprimeva rammarico, compassione o tristezza. Non provava dolore per la perdita di colei che l’aveva protetto per secoli e secoli. Semplicemente si stava chiedendo come il capo delle sue guardie avesse potuto farsi uccidere da una Neonata qualsiasi, come tutta quella battaglia orchestrata solo per vederci inginocchiati e sconfitti, stesse dando risultati contrari. Potere, solo potere: bene, oggi gli avremmo dimostrato che non esistevano solo loro.

 
 
E così anche il sospirato imprinting è arrivato e ciò che alcune di voi speravano si è avverato: Rose e Jake finalmente insieme. Vi ho fatto patire tanto, lo ammetto!
Ma purtroppo non è finita qui. Un capitolo, anche se non sarà l'epilogo ancora, per sapere come si concluderà la battaglia con i Volturi e se i nostri eroi ce la faranno ad avere la vita che meritano.
Un bacione a tutte!!!

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Capitolo 85
*** L'armistizio ***


Costeggiammo passo passo il perimetro della foresta, fino ad arrivare dietro di loro. A quel punto non potevamo più parlare perché ci avrebbero sentito e dovevamo anche fare in fretta perché il vento soffiava alle nostre spalle quindi presto gli avrebbe portato il mio odore. Troppo forte per non essere così dannatamente vicino e metterli in allarme. Ci scambiammo una rapida occhiata e, col cuore in gola, balzammo fuori dalla boscaglia. Jasper ed io avremmo dovuto tenere occupate le tre guardie mentre Edward avrebbe dovuto parlamentare con gli stoccafissi reali. Non avevo dubbi che qualcosa sarebbe andato storto ed ero già preparato a un eventuale contrattacco.
Invece le cose furono molto più semplici di quanto pensassi. Le tre guardie tutto sommato non erano niente rispetto a ciò che avevamo già affrontato. Jasper ed io le combattemmo e vincemmo quasi facilmente. Non che fossero incompetenti ma, dopo mesi e mesi di addestramento, potevo quasi leggergli nel pensiero ogni trucchetto e velenoso attacco potessero lanciarci. Impiegammo alcuni minuti e non potei seguire la trattativa, o presunta tale, che Edward avesse tentato di intavolare.
Mi gettai contro la guardia che aveva avuto l’ardire di attaccarmi per prima e al primo colpo le strappai un braccio. Non era paragonabile a Lehausle e, a causa di una corporatura troppo robusta e possente, non era abbastanza veloce negli spostamenti e nei riflessi. Gli girai intorno con incredibile lentezza: volevo che avesse paura e nei suoi occhi rossi stavano lentamente fluendo brividi di tensione e incredulità. Aspettai che fosse l’istinto a chiamarmi, a dirmi quando attaccare. La tensione e la rabbia resero i muscoli pronti a scattare, stranamente ancora agili e svelti. Mi sembrava di combattere da ore tuttavia non ero ancora sazio. Ucciderne quanti più possibile, ristabilire il giusto equilibrio, capovolgere il loro mondo perfetto: ecco cosa mi rendeva quasi invincibile. Uno sguardo spaventato mi comunicò che era giunto il momento. Saltai. La stessa cosa fece l’ignaro vampiro e nell’inevitabile scontro, i suoi artigli mancarono la mia gola mentre io non mancai la sua. Il corpo affondò mentre la testa rotolò lontano, lasciando una piccola scia di pelle stracciata e logora lungo il suo cammino.
Alzai il muso: Edward era in piedi e sembrava stesse parlando con Aro anche se la posizione delle sue gambe, rigida e contratta, evidenziava apprensione. Non si fidava. Jasper invece stava riuscendo a tenere testa da solo alle altre guardie. Dovevo ammettere che quel vampiro era forte. Psicopatico, cupo, eccessivamente silenzioso ma davvero efficiente. Mi ritrovai dinanzi a un dubbio: dovevo aiutare Jasper o andare da Edward? Visto che il primo stava ancora combattendo, pensai che la mia presenza sarebbe stata più utile a lui, ma l’istante successivo seppi che la mia deduzione era sbagliata e che le parole di mio padre e Sam continuavano a essere veritiere: mai fidarsi di un vampiro!
Uno dei due Volturi, forse Caius, si avvicinò troppo e troppo velocemente per avere intenzioni pacifiche.
Mollai Jasper al suo destino e galoppai verso di loro. Quattro passi e lo investii prima che potesse assalire Edward. A quel punto, qualsiasi tipo di armistizio stesse cercando di mettere in piedi, per me era carta straccia. Mi ritrovai a lottare contro Caius mentre Edward si ritrovò dapprima attaccato da Marcus poi da Aro. Nessuno dei tre era forte quanto una delle loro fidate, e ormai defunte, guardie, però in due contro uno erano ugualmente pericolosi. Tuttavia non potevo aiutarlo perché Caius mi afferrò per una zampa e strappò brandelli di carne. Guaii dolorosamente mentre le forze scemavano, insieme al sangue che copioso gocciolava dalla ferita. Mi buttai all’indietro per prendere tempo e riorganizzare le difese. Mi rialzai, faticando non poco a sostenere il peso su quella zampa. Caius mi osservava compiaciuto mentre le sue unghie sporche di sangue sembravano implorarne dell’altro. Ansimando presi la rincorsa e mi buttai contro di lui, alla ricerca di un punto debole. Non sapevo nemmeno io se nella breve distanza che ci separava avrei avuto il tempo di trovarne uno, ma l’attesa e la pazienza non erano il mio forte. Se ci dovevo lasciare la pelle, meglio che accadesse subito. Il mio assalto fallì perché schivò la zampata e con il taglio della mano mi colpì la nuca. Caddi a terra, strisciando con il fianco per parecchi metri. Tentai con un colpo di reni di alzarmi ma Caius con un piccolo e appuntito sasso mi colpì vicino all’occhio sinistro. Il taglio fece schizzare così tanto sangue che mi accecò per qualche istante, scendendo come un velo pietoso dalla palpebra. L’istante successivo mi ritrovai scagliato contro il fusto di un albero.
Le stavo prendendo. Direi che era inconfutabile e non sapevo cosa fare per spezzare la catena. Rialzandomi a fatica, mi accorsi che Jasper era riuscito a liberarsi delle due guardie e ora stava combattendo contro Marcus: almeno le parti erano più equilibrate.
Caius buttò a terra con disgusto il sasso che teneva ancora in mano, poi si avvicinò, pomposo e arrogante. “Se credevate di avere vinto, vi siete sbagliati cagnolino” sogghignò, conferendo al suo sguardo un che di diabolico e smagliante.
Stava pregustando la vittoria, come se vincere me bastasse a battere tutti quanti. Mi guardavo intorno, ragionando velocemente e cercando una via d’uscita. L’unica soluzione che mi venne in mente fu di non restare fermo. Zoppicai, ansimante, alla mia destra mentre Caius seguiva ogni movimento. I balzi erano esclusi. Ci voleva molta più forza che, a causa della ferita nella gamba, non avrei avuto a breve; potevo contare sul corpo a corpo, sperando che non riuscisse a mordermi. Il rischio era alto ma non vedevo alternative favorevoli compatibili con il mio attuale stato. L’occhio mi doleva e così pure la schiena. Doveva essersi rotto qualcosa ma non mi sarei arreso. Le voci dei miei compagni erano calate vistosamente: dovevo averne persi ancora e non avrei potuto guardarmi allo specchio se non fossi ricorso a tutte le mie ultime forze per eliminarlo. Mi acquattai davanti a lui per invitarlo ad assalirmi. Era più forte di me ora e potevo solo coglierlo di sorpresa. I suoi occhi sanguigni vomitavano odio e rancore, come se ci fosse molto di più di quello che appariva, come se ce l’avesse con me per qualcosa di cui non ero a conoscenza. Ricordai le parole di Carlisle. Caius odiava i licantropi perché una volta era stato quasi vinto da uno di loro e da quel momento si era prefissato, come scopo nella sua immortalità, lo sterminio di ogni singolo membro di un branco di lupi. Dunque, forse fra noi due era lui ad avere più paura, quello che se messo in condizioni di inferiorità poteva perdere la testa più facilmente. Il difficile era riuscire a mettercelo.
I passi di Caius scandivano i rintocchi del tempo che mi restava e il suo inarrestabile avvicinarsi mi stava inducendo a pensare che non ce l’avrei fatta. Tutte le forze usate contro i nemici abbattuti finora sembravano collassate di colpo. Per di più così ferito non sarei andato lontano. Il bosco era a un soffio e a giudicare dai rami spezzati, i resti di vampiri uccisi e i cespugli spogliati di gran parte del loro fogliame, che facevano capolino sulla soglia della foresta, doveva essere stato teatro di una battaglia quasi epica. Se fossi riuscito ad arrivare là, avrei potuto nascondermi e guadagnare qualche minuto prezioso, almeno per riprendere fiato e ossigenare i muscoli. Quando mi fu vicino, la tentazione di assalirlo mi infuocò la bocca dello stomaco ma non mi avrebbe portato a risultati concreti; così optai per una strategia poco nobile ma non me ne sarei assolutamente vergognato. Mi alzai di scatto e, immergendo la zampa nella terra, scalciando, gliene buttai un po’ in viso.
Ebbi tempo solo pochi secondi di compiacermi della mia mossa, perché subito dopo corsi in direzione della foresta. Caius era accecato ma sapevo che queste condizioni per loro erano soltanto dei fastidi.
Furono poco meno di una decina, i balzi decisi che riuscii a compiere quando la gamba iniziò a dolermi, costringendomi a saltellare su tre zampe sole. Un odore metallico e acre mi si spandeva addosso: il sangue scorreva dalla coscia fino alla caviglia. Ero messo peggio di quanto credessi. Il bosco di abeti mi chiamava così come io invocavo a gran voce la sua protezione ma non arrivava mai mentre il rumore pressoché silenzioso dei suoi passi mi incalzava alle spalle.
Prossimo al traguardo, Caius mi afferrò per la coda, buttandomi contro un albero. Rimbalzai a terra mentre alcuni rami, già spezzati da improbabili corse su di essi operate da precedenti combattimenti, caddero per il contraccolpo su di me. Con le ultime forze mi rialzai ma fu inutile. Bramoso, assetato di vittoria e di supremazia, mi strinse gli artigli sul ventre fino a strappare pelo e carne. Saltai indietro, ma soltanto per istinto perché in quel momento seppi che le forze erano finite. Ululai per il dolore e mi accasciai a qualche metro da lui.
Non sentivo più il corpo, a parte il dolore per le ferite; le palpebre si fecero pesanti, desiderose di chiudersi per sempre; la lingua si stava intorpidendo. Ero veramente alla fine? Nessuno mi avrebbe aiutato: i miei compagni erano lontani ed Edward e Jasper a loro volta impegnati in altre battaglie per la loro vita. Scoraggiato, raschiai il muso contro la terra per guardare qualcosa che non fosse quel vampiro. Non era certo con la sua immagine negli occhi che volevo morire, ma circondato dalla foresta, che era come casa mia, dai rami, fiori, e profumo di primavera. L’erba incolta e di un verde così intenso sembrava gridare vendetta perché non poteva essere d’aiuto, non poteva difendere uno dei suoi figli.
Rose…
Un ramo, vicino a me, corto e robusto, spezzato nell’ultimo urto.
Ti amo…
Allungai una zampa ma era inutile… Non potevo afferrarlo per difendermi.
Se solo me ne fossi accorto prima… Quel pomeriggio, tornando umano, avevo già capito, ma ero così spaventato, così stupido…
Chiusi gli occhi. La puzza della sanguisuga aumentava, sintomo che era drammaticamente vicino a me, probabilmente sopra di me, pronto a darmi il colpo di grazia. Il cuore rallentò di colpo, il respiro quasi confuso dal silenzio degli altri animali, sconvolti dalla nostra battaglia, il sangue smise di pulsarmi dolorosamente nel cervello, le zampe di tremare convulse. La spina dorsale si raddrizzò, le ossa entrarono e uscirono dai muscoli come schiocchi umidi. Il mio corpo si fece improvvisamente più leggero, le dita delle zampe mobili e agili, ritrassi la lingua che aveva boccheggiato avidamente fino a poco fa. La stessa sensazione di quel pomeriggio, lo stesso senso di serenità. Aprii gli occhi lentamente, stringendo le mani a pugno, come prova di ciò che avevo tentato di fare. Le foglie erano più verdi del solito, la nitidezza di tutto ciò che ruotava accanto a me era meno evidente e… il vampiro che stava e meno di un metro da me, a dir poco atterrito. Sorrisi a me stesso e a lui.
“Sei morto” sogghignai.
L’istante successivo fu una fucilata. Afferrai il ramo vicino e glielo lanciai, dritto, teso, comparabilmente ad un coltello, nel petto. Pregai di avere avuto buona mira e le mie preghiere andarono a buon fine. Caius, incredulo e sconcertato, si annichilì davanti ai miei occhi.
Avevo vinto! Vinto!
Crollai sugli avambracci, respirando ad ampie boccate. Mi spostai i capelli dagli occhi e mi congratulai con le mie mani umane. Ridacchiai: non avrei mai creduto che tornando umano avrei potuto vincere un vampiro e soprattutto non credevo che lo spavento patito quel pomeriggio mi sarebbe stato utile. “Sono forte” esclamai soddisfatto. Anche adesso non capivo come avessi avuto l’idea di tornare umano per afferrare quel ramo e piantarglielo nel cuore, però aveva funzionato. Il fattore sorpresa aveva inciso non poco. Non aveva sicuramente preventivato che un licantropo sarebbe tornato volontariamente umano durante uno scontro.
A una settantina di metri potevo vedere Edward combattere contro Aro. Non ero ancora in forze, ma una mano gliela potevo dare. Quando sentii il mio ululato, ebbi la conferma di essere riapparso a quattro zampe e, dopo aver decapitato per sicurezza il corpo di Caius, a piccolo trotto raggiunsi i due Cullen. Il fratello maggiore (almeno così mi sembrava Jasper) aveva afferrato Marcus e, feritolo in più punti, sembrava quasi pronto a dargli il colpo di grazia. Decisi quindi di puntare ad Aro che non appariva inespugnabile ma non sembrava nemmeno versare nelle stesse condizioni di suo fratello. Beh, se non ci voleva pensare Edward, l’avrei fatto io!
Quando il mio latrare tagliente arrivò a falciare il loro scontro, Edward, senza nemmeno girarsi, domandò ad alta voce, in modo che Aro potesse sentirlo forte e chiaro:“Allora? L’hai ammazzato?”.
Sì pensai anche se non ce n’era affatto bisogno. Lo sapeva già.
Edward raddrizzò la schiena e sussurrò con la stessa sacralità del vescovo in chiesa:“Caius è morto e Marcus presto farà la sua fine. Tu cosa vuoi fare, Aro?”.
Il capo dei Volturi arricciò le labbra e guardò oltre noi due, nella stessa direzione da dove provenivo io, alla ricerca della prova che il suo nemico dicesse la verità. Probabilmente la vide perché i suoi occhi, intatti e incontaminati, si accesero di un’ira violenta. Lo avvicinai dalla parte opposta a quella di Edward per fargli capire che era nostro, potevamo fare quello che volevamo, bisognava solo decidere cosa. Se era per me, avrei rinunciato alla mia regola aurea di non far soffrire un nemico, e lo avrei dilaniato pezzo per pezzo prima di staccargli la testa.
“Che cosa vuoi, Edward?” domandò, strascicando le parole, invischiate in un vortice di dubbi.
“Voglio che tu e ciò che resta del tuo esercito ve ne torniate in Italia e ci restiate” sibilò.
Cazzo, no! Possiamo ucciderli e liberarcene per sempre! imprecai. Edward non mi ascoltò e continuò:“Ve ne andrete e tornerete a comandare da Volterra, a patto che ci lasciate in pace…”.
“Se state vincendo, perché volete la pace senza distruggerci? Potete farlo e comandare sui vampiri al nostro posto…”.
“A noi non interessa il potere. Vogliamo soltanto vivere tranquilli. Ci farete un piacere se continuerete a comandare e a tenere sotto controllo la nostra razza, ma dovrete lasciarci liberi…”.
“Potrei dirvi di sì e poi attaccarvi in un altro momento, una volta ricostituito il nostro esercito. Oppure a tradimento quando vi sarete separati… Perché tutti i tuoi amichetti torneranno nei loro paesi di origine e saranno alla nostra mercé… Lo sai questo, no?”.
Non capivo a che gioco stesse giocando: Edward gli stava proponendo un affare dove loro avevano tutto da guadagnarci e lui sembrava voler instillare facili dubbi. Questi giochetti da stratega non erano decisamente per me!
“Dimentichi che noi possiamo prevedere il futuro, Aro. Non sarebbe così facile come credi. Ad ogni modo, non credere che ti farò andare via da qua così facilmente. Voglio delle garanzie” sentenziò con inesplicabile eleganza e decisione.
“Che garanzie?”.
“Il vostro esercito non entrerà mai nei paesi da cui provengono i nostri alleati. Soltanto due o tre dei tuoi vampiri potranno girare per il mondo e appianare eventuali divergenze, ma niente di più. Una piccola violazione di quest’accordo e ricostituiremo il nostro esercito all’istante”.
Era incredibile come Aro potesse restare imperturbabile, comportamento ancora più detestabile. “Come faremo a mantenere il controllo sui vampiri, se non possiamo entrare in così tante nazioni? Non lo trovi un po’ contraddittorio, Edward?”.
“Finora non avete mai affrontato una guerra, quindi siete perfettamente in grado di continuare in questo modo. Alec è ancora vivo, potrai usare lui come deterrente per mantenere intatta la vostra politica”.
“La fai facile…” ridacchiò Aro, mostrando volutamente le zanne.
“E’ facile. Farete quello che vi pare, continuerete a fare quello che vi pare, ma tutte le persone che sono qui oggi, lupi compresi, saranno al di fuori della vostra giurisdizione. Saremo intoccabili”.
Aro aprì la bocca per parlare ma Edward lo prevenne:“Saremo un ordine a sé stante, che avrà come unica legge mantenere il segreto sull’esistenza dei vampiri. Non vi sarà dovuta né obbedienza, né rispetto. Non faremo parola con nessuno di questa battaglia nella quale avete clamorosamente perso. La vostra fama resterà intatta. Che te ne pare? Può essere accettabile?”.
Aro alzò il viso altero, e fissò prima il suo interlocutore poi me e Jasper. Stava valutando la situazione e ciò che vedeva, a giudicare dalla sua espressione, non era gradito. Non pensava che li avremmo messi in difficoltà, che avremmo potuto mettere in pericolo i loro troni, che un manipolo di disperati potesse distruggere gli osannati Volturi. Troppo per il suo orgoglio, ma abbastanza per la sua vigliaccheria.
“Volete l’inviolabilità, dunque…” disse, accompagnando le sue parole con un moto di disgusto.
“Sì. Credi di poterla garantire?”.
Aro si portò indietro con malcelata stizza una ciocca di capelli, sfuggita alla minuscola acconciatura tipicamente seicentesca che raccoglieva i capelli alle spalle.
“Sì, posso garantirlo. A patto che non ci attacchiate voi per primi…”.
“Se vi attaccassimo, non avreste neanche il tempo di rendervene conto” replicò Edward, ostentando una sicurezza quasi inquietante. Non ero così convinto che, ad un secondo combattimento, avremmo vinto, ma l’importante era che lo pensasse il capo dei Volturi.
“Il patto varrà anche per i lupi, ovviamente…”.
“Certo. Posso garantire per loro”.
Aro mosse gli occhi verso Marcus, che afferrato per la gola da Jasper, versava ancora in condizioni di immobilità, in attesa che suo fratello finisse le contrattazioni. La proposta era troppo allettante per essere rifiutata. E alla fine, la ragione prevaricò il desiderio di rivalsa.
“Va bene, Edward. Ce ne andiamo. Avete l’immunità e per quanto ci riguarda non c’è mai stata alcuna violazione della legge. Oggi siamo venuti qui soltanto per chiarire come sono andate le cose e vi possiamo definire assolti da qualsiasi accusa. Ora, per favore, dì a Jasper di lasciare Marcus”.
Edward fece un cenno verso suo fratello, il quale divaricò le dita, sbattendo a terra il vampiro, che mi fece quasi pena. Spaventato e strisciante, raggiunse suo fratello. Aro porse la mano a Edward, a sancimento dell’armistizio, anche se voleva dire molto di più: la capacità di leggere la sincerità e lealtà del patto appena siglato. Edward non si fece negare e gliela strinse. Indugiarono parecchi istanti mano nella mano; infine il nemico annuì. “Ora dì ai tuoi uomini di smettere di combattere” sancì Aro.
“No” rispose Edward. “Prima ordina il ritiro dei tuoi poi dirò ai miei di fermarsi”.
Aro alzò il braccio verso l’alto, tendendo un dito verso il cielo. Il suo movimento fu malfermo e tremulo, tradendo un indomito desiderio di rivincita, tuttavia servì allo scopo. Un minuto dopo Alec fu vicino al suo padrone. L’ultima volta che l’avevo visto stava combattendo contro Leah e Antoine. Mi chiesi che cosa fosse successo. Era sfuggito a loro oppure…
“La guerra è finita, Alec. Torniamo a casa. Ordina il ritiro delle truppe” sentenziò Aro, stringendo le mani davanti al ventre come un antico condottiero.
“Agli ordini, signore” rispose la guardia, che fece per allontanarsi da noi. Un gesto lieve di Aro lo fermò.
“Ho rispettato i patti. Ora ordina lo stesso anche ai tuoi”.
“I miei si fermeranno appena il tuo esercito smetterà di combatterli” rispose asciutto Edward, poi rivoltosi a me:“Jacob, ferma i tuoi compagni”.
Non mi fidavo per niente. Se loro si fossero fermati e gli altri non avessero rispettato l’accordo avrebbero potuto avere un vantaggio nei nostri confronti, anche se solo di pochi istanti.
“Per favore, Jacob” mi pregò Edward, con fermezza.
Nei suoi occhi lessi la certezza e l’esultanza della vittoria. Se lui che gli stava leggendo nella mente si fidava, allora avrei dovuto farlo io a maggior ragione, eppure ero scettico. Mai fidarsi dei vampiri. Ma avevo promesso a Edward che avrei seguito le sue direttive e decisi di fidarmi. Se non di Aro, di lui e della sua dote.
Ragazzi, i vostri avversari si ritireranno. Lasciateli andare pensai. L’istante successivo fui sommerso da un’ondata di proteste e richieste di chiarimenti: nessuno si fidava e per quanto avessero seguito tutti, tramite me, le fasi dell’armistizio, non volevano abbandonarsi a falsi festeggiamenti, al piacere di aver raggiunto il traguardo desiderato da mesi.
Obbedite rimarcai.
Edward annuì in direzione di Aro; contemporaneamente Alec emise un fischio lungo e acuto. Non udimmo più alcun rumore provenire dal bosco. I vampiri avversari che stavano combattendo nella radura si voltarono verso di lui, allungando il viso con fastidiosa devozione. Erano così ubbidienti ai loro infidi e malvagi padroni? Pian piano abbandonarono i rispettivi scontri e si radunarono vicino a noi, tutti eretti e impettiti. La maggior parte uscì di corsa dalla foresta dove si erano dispersi per respingere e sostenere gli attacchi.
Quando l’afflusso terminò, potei notare che la folta schiera di nemici che mi aveva così spaventato al loro arrivo, era stata notevolmente ridotta. Poco meno della metà erano davanti a noi, alcuni feriti, altri semplicemente con gli abiti stracciati, davano l’impressione di essere un’armata in ripiegamento e che il richiamo del padrone fosse stato invocato come una benedizione.
“Il patto è siglato e noi lo manterremo” concluse Aro.
“Anche noi. Ora sparite” sancì Edward, mancando dell’eleganza che aveva accompagnato le loro trattative fino a quel momento.
Alec si avvicinò al suo padrone e, collocatosi davanti a lui, fece strada; i leccapiedi, a passi lenti e stanchi, occupavano le retrovie. Li seguimmo nel loro ritirarsi fino a che non sparirono nel fitto della foresta.
“Ti fidi davvero di quello che ha promesso?” domandò Jasper, rivelando che non ero il solo a essere scettico.
“Aro aveva una gran paura. Sapeva che stavano perdendo e ha tergiversato prima di accettare soltanto per orgoglio. Non ci daranno fastidio, perlomeno non nei prossimi tre secoli!” ridacchiò poi, sollevato e avvolto in una guaina di gioia nascosta, esclamò:“E’ finita e abbiamo vinto”.
Vinto… Che strana parola, sentita in quel momento! Sembrava essere stata rubata da uno dei miei sogni: troppo desiderata, troppo sperata per poter essere reale. Abbiamo vinto pensai, come se il pensarlo io stesso la potesse rendere più tangibile. Soltanto quando sentii le urla di gioia dei miei compagni, allora le imputai il giusto significato. Il trionfo, i passi degli altri che mi rimbombavano nella testa e che sentivo avvicinarsi alla radura, gli ululati di gioia, l’allontanarsi di Jasper verso i loro alleati e infine Bella correre fra le braccia di Edward, gridando:“Abbiamo vinto, amore! Abbiamo vinto!”. Edward la sollevò e la baciò a lungo. Un gesto inusuale per lui, così controllato.
Allora non era un sogno. Avevamo vinto ed ero ancora vivo. I Volturi sarebbero stati solo un ricordo.
Bella lasciò le braccia di Edward e si buttò su di me, ancora imbambolato. Il dolore che provai quando mi toccò involontariamente la spalla ferita mi fece spalancare gli occhi. Ero sveglio, ero consapevole. Tutto poteva ricominciare a girare. Pace e… Rose. La cercai fra la folla mentre Bella non riusciva a trattenere risolini involontari e lacrime di commozione.
“Jake, sono così felice. Siamo vivi, stiamo bene e…” non riuscì a finire la frase perché le lacrime la soffocarono. Si staccò da me per tornare tra le braccia di Edward, che la baciò sulla fronte, sulle tempie e sulle guance, coccolandola come una bambina.
“Amore, è tutto merito tuo” bisbigliò. “Senza di te non ce l’avremmo mai fatta”.
Bella alzò il viso e, asciugandosi le lacrime, balbettò:“No, è stata una vittoria di tutti. Il merito non è solo mio”.
Grugnii di disapprovazione: per una volta Edward aveva ragione. Senza il potere di Bella ci avrebbero fatto a fettine e dovevamo ringraziare lei. “Anche Jacob la pensa come me” ammiccò Edward nella mia direzione.
Bella sgranò gli occhi e, allargando le labbra nel suo sorriso più infantile, disse:“Sei d’accordo con Edward? Accidenti, Jake! Ti devono aver colpito proprio forte in testa! Non sei mai stato d’accordo su niente con lui…” poi scoppiò a ridere. Edward le cinse le spalle con un braccio e la baciò nuovamente. Era strano come vederli non suscitasse in me alcun tipo di sentimento. O forse sì: tenerezza. E in passato non l’avrei mai ritenuto possibile, ma adesso era tutto diverso. Era giusto così ed ero contento per loro. Avrebbero avuto la vita che si meritavano e io avrei avuto la mia con una persona che amavo mille volte di più di quanto avessi amato Bella. Il fagotto che mi ero portato dietro per mesi e mesi era caduto e si era sciolto nel nome che non avrei mai detto all’inizio, ma l’unico che avrei pronunciato per l’eternità.
Mi girai per cercarla in mezzo alla folla di vampiri e lupi che si stava radunando a un cinquantina di metri da noi.
“Sai, Jake, credo che tu mi debba dire qualcosa…” iniziò Bella mentre io continuavo nella mia ricerca. “Mi hai abbandonato nel bel mezzo del combattimento e scommetto che sei andato da una certa ragazza bionda, vero?”.
Mi voltai e ringraziai Dio di essere ancora lupo perché altrimenti, per la prima volta in tutta la mia vita, sarei arrossito. Bella notò il mio imbarazzo e scoppiò a ridere. Edward alzò gli occhi al cielo e commentò:“Come sei curiosa, tesoro…”.
“Devo esserlo. Stiamo parlando della mia futura cognata e del mio migliore amico, o no?”.
Beh, finché ero lupo non potevo spiegarle un accidente e quindi mantenere il segreto. Non volevo che Bella fosse la prima a saperlo, doveva essere Rosalie. Mi distrassi e tornai a frugare nella folla, mentre gli altri vampiri si stavano abbracciando. La vidi arrivare tra gli ultimi, con Eva e un altro. Sembrava ancora un po’ affaticata ma nel complesso stava bene. In quel mentre arrivò Alice ad abbracciare Bella e suo fratello e a complimentarsi con me per la fantastica battaglia. Non avevo molta voglia di perdermi in chiacchiere, volevo solo andare da Rose, ma il loro brusco rattristarsi al pensiero della morte di Carlisle, mi costrinse a riprendere la mia corazza da capo.
Tutti si erano ormai radunati e, almeno nelle nostre file, notai un lungo elenco di assenze. Non li guardai uno ad uno, ma li contai velocemente. Erano ventuno, me compreso. Ne mancavano undici. Dov’erano e soprattutto chi erano? Abbandonai i Cullen e corsi dai miei compagni, che festeggiavano saltando e dandosi simpatiche zampate sul muso. L’unico immobile, seduto, con addolorato smarrimento era Sam. Mi avvicinai e chiesi Dove sono gli altri?
I festeggiamenti nel branco finirono con uno schianto, come se avessi spento l’interruttore. Sam chiuse gli occhi dolorosamente. Sono morti, Jake.
Come sarebbe? balbettai. Ne sei sicuro? La mia gola ebbe un sussulto, come se volesse deglutire.
Non avverti che tutte le voci che senti nella testa sono qui? Tu hai combattuto principalmente in questa radura e non sai cosa è successo altrove ma io ho visto anche tutto il resto e ti posso assicurare che non ci sono più.
Chi… sono?
Non ebbi risposta e febbrilmente ordinai a tutti di mettersi in fila affinché li controllassi. Li passai in rassegna uno ad uno e alla fine ebbi la mia risposta.
Jason, Patrick, Luke, Howard, Matthew, Simon, Tom, Kevin, Richard, Brady e Quil. Erano loro a mancare e non sarebbero mai più tornati per rispondere all’appello.
Quil… Il mio amico d’infanzia, quello con cui avevo fatto più cazzate in tutta la mia vita, quello con cui la risata era assicurata e la presa in giro pure… Brady si era opposto fin da principio a questo combattimento, lui voleva ritirarsi… E gli altri erano soltanto ragazzini, nuovi germogli che non sarebbero mai cresciuti…
Non ero stato abbastanza presente, non avevo fatto del mio meglio, perché se lo avessi fatto, loro non sarebbero morti.
Non è stata colpa tua, Jake si avvicinò Leah. E’ stato un combattimento duro ed era ovvio che qualcuno di noi non ce l’avrebbe fatta. Ne eravamo tutti consapevoli…
Non era una scusante. Sam ed io ci eravamo ripromessi che li avremmo riportati tutti a casa e invece eravamo venuti meno al nostro impegno. Mi accucciai sotto un albero e guardai i miei compagni che, altrettanto abbattuti, si muovevano lungo la radura. Anche i vampiri alleati avevano cominciato a fare la conta delle loro perdite e vidi le prime lacrime sulle loro guance. Edward era inginocchiato da solo vicino a quello che restava di Carlisle. Sembrava che gli stesse parlando anche se i suoi muscoli erano immobili. Gli prese una mano e si guardò attorno. Sì, gli stava raccontando l’esito della battaglia. La vittoria non era più tale ma si era involuta in una sconfitta. Potevamo definirci liberi ma questa presunta libertà implicava il sacrificio di tante vite. Niente sarebbe mai stato abbastanza per giustificare la perdita di una sola di quelle persone, persino se vampiro.
Jacob mi richiamò Sam. Cosa vuoi fare con i corpi?
Dobbiamo restituirli alle famiglie, come abbiamo fatto per Seth.
Sì, ma Seth era uno solo e abbiamo camuffato la sua morte con una denuncia di scomparsa. Qui stiamo parlando di undici persone e ridotte piuttosto male…
Non lo so Sam, poi ci penseremo. Adesso dobbiamo ritrovare i corpi. Solo questo importa tagliai corto.
Sam annuì e, seguendo i miei ordini, fece sparpagliare alcuni del branco per il bosco col compito di ritrovarli e riportarli nella radura con la massima velocità possibile; altri furono spediti a casa di Sam a recuperare i vestiti di tutti per ritornare nella forma umana. I vampiri avevano iniziato a bruciare i cadaveri. Com’era facile per loro… Nessuna spiegazione da dare, bastava far sparire il corpo. Volendo avremmo potuto fare così anche noi ma ritenevo giusto che la famiglia avesse qualcosa da seppellire. Come se potesse essere di consolazione.
Jake, ho trovato questi. Credo che siano tuoi… sussurrò Joe, comparendo come un fantasma alle mie spalle. Depose i pantaloncini che avevo nascosto dietro un cespuglio. Asserii con lo sguardo e sparì.
Il vuoto. Soltanto voci senza senso e importanza. Che cosa avrei detto alla madre di Quil? Mi dispiace…? Mi ritrovai a piangere come un bambino.
Il cuore non era abbastanza grande per contenere tutte quelle lacrime e io troppo debole per non permettergli di uscire. Mi alzai e, dietro un cespuglio, ritornai umano. Da umano potei controllare tutte le ferite che stavano guarendo con la stesse velocità con cui respiravo. Quasi affannosamente. Tuttavia tornare illeso non avrebbe cancellato il sangue di cui mi sentivo coperto.
Non solo io ero tornato umano. Rupert, Leah e James erano riapparsi con i vestiti e stavano rivestendo alla buona i corpi dei caduti. La morte ci restituiva le nostre fattezze e loro si stavano occupando di riconsegnarli alle famiglie, coprendo soprattutto le ferite di cui erano costellati i corpi. Sam stava dirigendo i lavori. Avrei dovuto farlo io, ma mi sentivo soffocato dall’ansia e disperato. Assolutamente indegno di essere capo. E oltretutto non credevo che avrei sopportato quello che gli altri, così laboriosamente, stavano facendo. Non riuscivo a mantenere il sangue freddo, come Sam, che, pur addolorato, stava facendo il suo lavoro con ammirevole solerzia. Non ero adatto, non faceva per me.
Poco lontano da lì, i Cullen stavano dando il loro ultimo saluto a Carlisle. Il suo corpo stava bruciando in un piccolo e silenzioso rogo mentre tutti i suoi figli gli erano radunati attorno. Il grande capo se ne andava in silenzio così come era stata tutta la sua vita.
Ma Edward non era con loro. Lo trovai seduto sotto un albero, con lo sguardo spento e amareggiato. Lo avvicinai soltanto per porgergli le mie condoglianze.
“Grazie… Vuoi sederti?” domandò toccando il terreno vicino a lui.
Non avrei dovuto ma c’era qualcosa, un filo invisibile a unirci: la tristezza e il dolore per la perdita. Mi sedetti ma nessuno dei due disse nulla fino a che il corpo non fu quasi completamente bruciato.
“Mi ha salvato dalla Spagnola nel 1917 e siamo stati padre e figlio per quasi cento anni. Mi ha insegnato tutto quello che sapeva; mi ha voluto veramente bene; mi ha sostenuto sempre, soprattutto nei momenti difficili. E’ stato bello. All’inizio non volevo essere vegetariano. E’ stato lui a convincermi e a insistere che fosse la strada migliore, da seguire a tutti i costi, anche se non sono mai stato al suo livello. Ho preso la laurea in medicina quattro volte ma non ho mai retto la vista del sangue umano. Per quanto gli sia stato vicino non ho imparato abbastanza…”.
Non sapevo cosa dirgli perché io non conoscevo niente della loro storia, anzi non avevo mai creduto che ne avessero una. Invece erano una famiglia al pari della mia e di altre milioni, con i loro dubbi, le discussioni, gli affetti e le sofferenze.
“Anch’io avrei voluto ucciderli tutti e tre come te” continuò. “Ma poco prima della battaglia avevo promesso a Carlisle che avremmo tentato in tutti i modi di fare un armistizio che tutelasse gli esseri umani dai vampiri, anche in sua assenza. Ho dovuto mantenere la parola e, a mente lucida, so che non me ne pentirò”.
“Gli esseri umani prima di tutto…” commentai.
“No, gli esseri viventi prima di tutto. Umani, vampiri, licantropi che siano… Questa era la filosofia di Carlisle” mi corresse, intingendo quelle parole di compassione e dolcezza. Il rogo si stava spegnendo mentre del suo corpo non restavano altro che fumo e cenere.
Sospirò poi andò avanti:“Mi dispiace per i tuoi morti. Erano ragazzini con tutta la vita davanti… Spero che tutto questo non sia stato inutile”.
“Se non lo sarà stato, ammazzerò prima te e poi andrò a Volterra a sistemare loro” affermai con sarcasmo, volto a stemperare l’intenzione di fare davvero quello che avevo minacciato se fossero tornati ad ossessionarci.
Edward accennò una risata esagerata poi tornando serio:“Non saresti l’unico a farlo” convenne. “Tutti i clan che sono qui hanno avuto perdite: Carmen Denali, Antoine Floràn e tanti altri. Abbiamo perso 22 vampiri nostri alleati e tutte le persone qui hanno il dente avvelenato con i Volturi. Per il momento sono addolorati ma sento tanta rabbia repressa. Spero che nessuno faccia stupidaggini. Non ho più voglia di combattere…”.
“Potresti fargliene una colpa?”.
“No, ma la vita va avanti. E dobbiamo imparare a lasciare i morti sepolti e a farcene una ragione…”.
“Sei troppo razionale per i miei gusti” sbuffai.
“Sì, può essere. Ma credo che dovrai imparare a conviverci… Come io dovrò imparare ad accettare te…”.
Improvvisamente mi resi conto di quanto fosse vero, di quanto stesse sottintendendo molto più di quanto volessi affrontare. Abbassai lo sguardo e strappai qualche ciuffo d’erba.
“I suoi occhi non sono mai stati così blu, come in questo periodo… Generalmente, quando cambiavano colore, conservavano ugualmente tracce d’oro. Ora invece sembra davvero umana…” commentò a voce neutra. La osservai parlare prima con Bella, poi con Kate e Irina.
“E’ imprinting, vero?” domandò.
Non risposi, mi limitai a pensare. Sì.
“Come può essere? Rosalie è un vampiro e non può avere figli…” contestò benevolmente per farmi capire che la sua era curiosità mossa da interesse scientifico e non una critica.
“Non lo so. Questo testimonia il fatto che non sappiamo molto su questa magia. Ma è così…”.
“Capisco” annuì. “Sono felice per Rose perché lo desiderava tanto e adesso ha quello che voleva. Tutte le notti trascorse a piangere nell’ultimo mese hanno un senso adesso…”.
“Piangeva?” lo interruppi quasi frenetico, colpevole del suo dolore.
“Sì. Era infelice perché non la amavi ed eri innamorato di un’altra. Ho passato intere serate a consolarla ma spesso non serviva a niente. D’altra parte hai sentito la nostra discussione quella sera… Certo, sei talmente tonto che hai pensato si riferisse a Emmett” ridacchiò e fu il primo sorriso in quel pomeriggio. “Io non mi opporrò mai e nemmeno gli altri, ma ricordati una cosa, cane: falla soffrire anche solo un giorno, per sbaglio, e te ne farò pentire. Intesi?”.
In altre occasioni avrei risposto spocchioso e arrogante, soltanto per farlo arrabbiare, ma mi sentivo così in colpa per come si era sentita Rose in quel periodo che le parole uscirono da sole:“Non potrei mai. Ti autorizzo a farmi del male…”.
Alzai lo sguardo e la trovai, abbracciata ad Emmett. Anzi, era lui ad abbracciarla perché Rose era abbandonata tra le sue braccia mentre Emmett la stringeva, come se non volesse staccarsene mai più, attratto irresistibilmente da lei. Se non la lascia subito, gli spacco le ossa. Non lo fece. Mi alzai per dare una consistenza reale alla minaccia, ma Edward fu più veloce e mi afferrò.
“Calmati” ringhiò aggressivo.
“Non è più la sua ragazza. Voglio che le tolga le mani di dosso!” replicai, dimenandomi. Ma la sua stretta si fece più decisa.
“E’ innamorato… Puoi fargliene una colpa?”.
“Lo ha lasciato e deve farsene una ragione!”.
“E lo farà…” sussurrò, comunicandomi rammarico e comprensione, in netto contrasto con il suo movimento così violento. “Voi avete l’eternità davanti, lui solo pochi minuti. Puoi sforzarti di non privarlo anche di quelli?”.
Mi calai nei suoi panni e le forze vennero meno. Si allontanò da lei e rimasero a parlare. Rosalie era di spalle ma potevo vedere gli occhi di Emmett. Lo capivo eccome perché desideravamo entrambi la stessa persona, perché se mi avessero privato di lei, sarei impazzito. Perché sì, potevo aspettare qualche minuto per poi baciarla per l’eternità.
In quel mentre arrivò Sam, anche lui su due gambe. Edward, in presenza del mio ex-capo e ormai vice, si dileguò senza dire una parola. “Li abbiamo trovati tutti. Come vuoi procedere?”.
“Io… non lo so…” risposi quasi imbarazzato perché mi ero perso in pensieri più banali, dimenticando la morte dei miei compagni. Mi sentivo quasi in colpa perché io da domani sarei stato indiscutibilmente felice mentre undici famiglie sarebbero sprofondate nel più inconfortabile dolore.
“Se vuoi dare una sepoltura ufficiale a tutti i corpi, dovremo parlarne con Charlie, in modo tale che insabbi una probabile inchiesta…”.
“E’ solo lo sceriffo di Forks. Non un procuratore…”.
“Allora apriranno un’inchiesta…”.
“Che lo facciano. Tanto non troveranno niente…” lo liquidai, infastidito. Non ne potevo più di segreti, occultamenti di cadaveri e bugie. Sam sospirò, visibilmente in disaccordo.
“D’accordo. Allora io vado dalle rispettive famiglie a comunicare la notizia” risolse, dandomi le spalle in un lampo.
“Vengo con te” lo fermai.
“Te la senti?”.
“E’ un mio compito”.
Sam annuì, stringendo le labbra in una schietta smorfia di dolore. Fissando i Cullen uno ad uno, disse esausto, ma inesorabile:“Nonostante tutto, Jake, sono contento per te perché alla fine l’hai trovata. Non posso dire che la scelta sia delle migliori, almeno secondo i miei canoni, ma sei innamorato di lei e sarebbe stupido mettere ostacoli”.
“Davvero?”.
La osservò, sollevando la bocca in un ghigno sardonico. “Emily ne sarà felice: sperava che scegliessi lei. Certo, l’imprinting va oltre le sue più rosee aspettative, però il risultato è il medesimo”.
“Emily? Perché…? Non capisco” domandai francamente sorpreso.
“Sai come sono le donne e soprattutto com’è Emily, no? Romantica fino all’eccesso… Da quando sei piombato a casa nostra, dopo il combattimento con Cullen, sventolando le tue paure, si era convinta che tu fossi tornato umano per amore nei confronti di Rosalie, anche se non consapevolmente. Io non le ho dato ascolto ma l’ho lasciata parlare. Lei vorrebbe che fossimo in accordo con i Cullen, che non ci fossero più confini da rispettare solamente perché significherebbe che la pace sarebbe reale e alla luce del sole, di non doversi preoccupare se ci si trovasse per caso faccia a faccia con uno di loro” disse, indicando i nostri amabili “vicini” di casa. “Vuole che Ethan cresca in un ambiente sereno e, visto che probabilmente Bella vorrà restare qui fino a che Charlie sarà vivo, credeva che tutto questo non sarebbe stato possibile. A meno che uno dei nostri non fosse intimamente legato a una dei loro. E ora è stata accontentata”.
“Gli altri come l’hanno presa?”.
“Non sprizzano gioia da tutti i pori, ma, conoscendoti, non si aspettavano niente di meno…” ridacchiò, poi tornando serio, disse:“Credi che siano stati gli occhi vero?”.
“Se non fossero stati umani, non l’avrei riconosciuta…”.
In quel momento Rosalie alzò il viso e sembrò accorgersi della mia esistenza, finalmente. Dio, com’era bella! Dimenticai tutti i dolori e le ferite e le feci segno di raggiungermi. Un sorriso così aperto e tenero che mi fece tremare. Abbandonò ogni remora e si diresse verso di me a lunghe falcate.
Iniziai a contare ansiosamente i passi che ci separavano. Cosa avrebbe detto dinanzi alla verità? Ne sarebbe stata felice quanto speravo? Io lo ero e volevo scoprire la sua espressione davanti a tanta generosità da parte del destino. Nessuno ci avrebbe mai più diviso, ora che anche la natura ci aveva unito.
Quando fu a una decina di metri da me, sentii bruciore al petto, come se una vecchia ferita si fosse riaperta. Con tutte quelle che avevo ancora, era quasi un rebus capire a quale appartenesse! Non me ne preoccupai fino a che non divenne una fitta lancinante come se qualcuno mi stesse trapanando il cuore. Mi portai istintivamente la mano al petto e fui costretto ad appoggiarmi pesantemente all’albero vicino.
“Che succede? Stai male?” domandò Sam, ancora accanto a me.
“Niente, tutto ok” mentii. Ma invece le fitte stavano aumentando. Non riuscivo quasi più a respirare. Vedevo la mia Rose avanzare: nonostante il dolore, ero felice perché presto sarebbe stata da me.
Poi improvvisamente Edward la afferrò per un braccio.
“Aspetta. Non davanti ad Emmett” sentii che le disse.
“Ma…” tentò di obbiettare.
“Stasera potrai stare con lui. Attendi solo qualche ora”.
Rose gli fece cenno di sì, sconsolata, poi si girò verso di me. Non disse nulla ad alta voce ma ugualmente mosse la bocca. Lessi sulle labbra:“A stasera, amore mio”. Sorrisi.
Avrei voluto uccidere Edward per averla fermata, ma razionalmente aveva fatto la scelta migliore. Non era il caso di scatenare un pandemonio, soltanto perché non avevamo saputo aspettare qualche ora. Presto avremmo avuto tutta l’eternità da condividere lei ed io. E, per fortuna, il cuore riprese a battere regolarmente e il dolore sparì. Tirai un sospiro di sollievo, mentre Sam, contrariato dal mio momentaneo malore, mi fissava preoccupato.
“Stai bene?” domandò nuovamente.
“Sì, sì. E’ passato. Solo un doloretto” sminuii l’accaduto visto che non c’era proprio niente di cui preoccuparsi. Ero un licantropo e non potevo certo morire. Adesso poi sarebbe stata una beffa. “Riportiamo a casa gli altri” lo incalzai.
Ero profondamente agitato per ciò che avrei dovuto fare e dire alle famiglie, ma, egoisticamente, sapevo che quella sera mi avrebbe atteso il paradiso, e dopo tanti mesi di inferno, desideravo solo quello.



E infine è terminato lo scontro con i Volturi!
Ma se credete che la ff sia finita qui vi sbagliate. C'è un'ultima cosetta da risolvere e che forse avrete notato in questo capitolo e nel precedente. Mi raccomando, non mi abbandonate proprio ora!
Un bacione a tutte!
Ven

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Capitolo 86
*** Verrà la morte e avrà i tuoi occhi ***


Eccomi qua! Vi ringrazio per avermi seguita con costanza e pazienza finora. La ff si sta avviando alla fine e la mia mente ha partorito un finale che forse non sarà di gradimento a tutte ma sicuramente non vi lascerà indifferenti.
Ah, il titolo del capitolo prende il nome da una raccolta di poesie di Pavese.
Un bacio e aspetto vostri commenti (anche insulti, io non me la prendo mai).
Baci!

 
 
 
 
“Santo cielo, Jacob! Sei ancora a letto! E’ tardissimo!” urlò mia sorella, entrando in camera simile a una tempesta e spalancando la finestra. La luce entrò insolente, inondando come prima cosa il mio letto, e mi ferì gli occhi. Mugugnai qualche parolaccia e mi girai dall’altra parte. Non si riusciva mai a dormire in questa casa!
“Lo sai che ore sono? Le dieci e mezzo! E tu devi ancora prepararti!” mi sgridò, mani sui fianchi.
Sollevai una palpebra, svogliato e furente, replicando:“Sono andato a letto tardi ieri sera”.
“Beh, questi sono affari tuoi! Lo sai perfettamente che giorno è oggi! Se la tua ragazza non ha bisogno di dormire, non è colpa mia e tu dovresti darti una regolata da solo!”.
Non risposi perché sarebbe costato troppa fatica e volevo continuare a dormire. Ricordavo perfettamente l’impegno delle undici. Potevo sonnecchiare un altro quarto d’ora… Questa sarebbe stata la mia risoluzione ma Rachel non aveva nessuna intenzione di lasciarmela attuare. Mi strappò il cuscino dalle braccia e me lo scagliò in testa, con violenza. Tanto sapeva che non mi avrebbe fatto male.
“Allora vuoi darti una mossa?! Vuoi fare tardi proprio oggi?”.
Sbadigliai a bocca spalancata e senza alcun decoro. Mi grattai la testa, mettendomi stancamente a sedere. “Sta’ tranquilla. Tanto non possono cominciare senza di me…”.
“Certo che possono!”.
“Bella non lo farebbe mai…”.
Rachel sbuffò e aprì l’armadio deponendo sul letto lo smoking che aveva preso a nolo una settimana fa. Appena lo vidi, fui assalito da un conato di vomito. Dio quanto odiavo queste cerimonie in pompa magna! Anche Bella le odiava ma la famiglia dello sposo aveva insistito per una cerimonia in grande stile e quindi anch’io mi ero dovuto adeguare. Il testimone della sposa non poteva presentarsi in bermuda, vero? Troppo innovativo.
“Muoviti! Papà è pronto e Paul è già arrivato” mi intimò Rachel, uscendo dalla camera, con passo da sergente.
Cazzo, anche Paul era già qui! Non potevo neanche buttare la colpa di un eventuale ritardo addosso a lui. Nonostante questo, mi ridistesi a letto, esplorando il soffitto. Era dunque arrivato anche il giorno del matrimonio di Bella ed Edward. A quattro mesi dalla vittoria contro i Volturi, avevano deciso di sposarsi e Bella aveva chiesto nuovamente a me di essere il suo testimone, con la differenza che stavolta avevo accettato senza riserve e smanie di rivincita. Anzi, in un certo modo ero contento per loro. Lo desideravano entrambi ed era giusto che fossero felici, se questo poteva aiutarli ad esserlo. Dopo tutti quei morti e ciò che ne era seguito, una delle poche notizie allegre.
Ruotai la testa verso il comodino: sempre le solite foto, a parte due. Una di Rose che aveva sostituito il poster dell’attrice che tanto me la ricordava e quella del nostro pomeriggio a Port Angeles, fatta subito dopo il cinema. L’avevo fatta ingrandire e incorniciare. La guardavo spesso perché era l’unica nostra foto insieme ed era meglio che niente.
Infine mi alzai dal letto e andai in bagno, almeno a lavarmi la faccia e i denti. Decisi di non mangiare anche perché non avrei avuto tempo e Bella mi aveva assicurato che il rinfresco sarebbe stato faraonico, visto che avrebbe dovuto soddisfare i palati dei membri del branco. Erano stati invitati tutti quanti e tutti quanti avevano accettato se non con gioia, almeno con moderato entusiasmo, simbolo del rinnovato accordo con i Cullen. Non sapevo se per merito mio, ma era accaduto.
Mentre mi pettinavo, dopo essermi vestito con grande solerzia dato che temevo che una mia possibile goffaggine potesse rompere la giacca o la camicia, ripensai alla sera precedente. Rosalie ed io avevamo litigato. Era stato il primo screzio e nemmeno particolarmente intenso ma mi aveva fatto male, perché temevo fosse il sintomo di un’ansia crescente, di qualcosa che non sarei riuscito a controllare e che ci avrebbe distrutto.
“Domani non ci sarò al matrimonio” mi aveva detto a chiusura della nostra discussione. Non era una ripicca verso di me, suo fratello o Bella, ma semplicemente un dato di fatto per evitare il problema. Il nostro problema. Quello che ci stava avvelenando la vita.
Respirai forte in virtù della paura di trasformarmi e rovinare il completo nero e lucente. Ogni volta che pensavo a quello mi sentivo avvampare e il controllo venire meno, come un vulcano pronto a esplodere.
Perché proprio a me, a noi? Che cosa abbiamo fatto di male?
Rachel irruppe, inattesa, nel bagno e mi fissò, contrariata. “Allora sei pronto? Dobbiamo andare!”.
“Puoi mettermi il gel? Sai che non riesco…” le dissi porgendole il tubetto e assumendo un atteggiamento distaccato.
“Non sarebbe ora di tagliarsi i capelli?” domandò, afferrandolo seccata.
“A Rose piacciono così” la liquidai e Rachel non replicò.
Lo premette leggermente, spalmò una noce di gel sulle dita e poi me la passò fra i capelli. Non disse una parola, troppo concentrata a sistemare suo fratello. Rachel non era competitiva, però a volte sembrava mi mostrasse come un animale pregiato. In questo caso il bel fratello di cui andare fiera, anche se io tutta questa bellezza non la vedevo proprio.
“Rose ci sarà?” domandò con noncuranza.
“No, dice che non c’è abbastanza posto per entrambi…”.
“Come?! Il giardino dei Cullen è grande. Ci stiamo tutti tranquillamente e…” si interruppe. Non osai guardarla negli occhi perché sentii un respiro strozzato e la conoscevo abbastanza bene da sapere che doveva avere gli occhi lucidi. E non avevo la forza di affrontarli adesso. Li vedevo già troppo spesso in lei, Emily e Bella.
Quando sfilò le mani dai capelli, mi alzai dal bordo della vasca dove mi ero accomodato e osservai il risultato allo specchio. Ma sì, forse ero belloccio davvero! Non potevo lamentarmi!
“Sei bellissimo. Sarai più ammirato dello sposo” commentò orgogliosa.
“Su questo nutro molti dubbi” ridacchiai.
Presi la porta, per scendere le scale, quando Rachel mi afferrò delicatamente per un braccio:“Le cose si sistemeranno, Jake. Tutto andrà a posto. Tu e Rose dovete solo avere pazienza…”.
“Lo so” dissi per tranquillizzarla nello stesso modo in cui lei lo faceva con me ma in realtà ormai le consideravo parole di circostanza. Erano passati quattro mesi e non era cambiato niente. Forse eravamo destinati ad essere torturati e allora la morte quel giorno sarebbe stata di gran lunga più desiderabile.
Scesi le scale, seguito da Rachel, e trovai mio padre e Paul in attesa, entrambi fin troppo eleganti, anche se mai quanto me. Accidenti ai Cullen e alle loro manie antidiluviane! Non era meglio un bel matrimonio a Las Vegas, tutti vestiti da surfisti? Almeno sarebbe stato originale! Forse se l’avessi proposto a Bella, avrebbe accettato…
Quando uscimmo di casa, mi diressi automaticamente alla rimessa. “Non vorrai venire in moto, spero?” aggrottò la fronte Rachel, già pronta alla battaglia.
“Perché?” domandai come se fosse la cosa più normale di questo mondo.
“Jake, ma sei pazzo?! Con lo smoking in moto? E poi se ti metti il casco, rovinerai il gel…”.
“Andrò senza casco”.
“Bravo, così i capelli si rovineranno ugualmente” rimbrottò. “No, tu vieni in macchina con noi e poche storie”.
Sbuffai. Non era passato un giorno senza che avessi utilizzato la mia nuova e fiammante Yamaha e proprio oggi mi scocciava non usarla però effettivamente, per come mi avevano bardato, la moto non era proprio opportuna. Uffa! Seguii come un cane bastonato gli altri e salimmo sulla nostra vecchia Golf, verde militare. Beh, tra una macchina scassatissima e una moto nuova faceva sicuramente più figura la seconda però la comodità reclamava le sue necessità. Mi sedetti alla guida e papà accanto a me, Rachel e Paul mano nella mano da bravi fidanzatini sui sedili posteriori.
Durante il tragitto ebbi modo di constatare che anche oggi il sole non ci avrebbe allietato: i Cullen erano davvero fortunati anche in questo! Mi sarei divertito un mondo a vedere come li avrebbe guardati il prete se i due sposi avessero iniziato a brillare durante la cerimonia. Sarebbe stato comico. E invece a giudicare dalle nuvole, sarebbe stata l’ennesima insulsa giornata, rallegrata solo da quel lieto evento.
Esattamente come quel 18 maggio. Sospirai forte ma gli altri non ci prestarono attenzione.
Sam ed io avevamo fatto il giro di tutte le famiglie che purtroppo avevano perso i loro figli e in tutte avevo dovuto affrontare la disperazione più profonda e irrefrenabile. Non sapevo come avevo retto a tanto dolore, senza versare una lacrima. La madre di Brady aveva addirittura avuto un malore.
Quando ero tornato a casa, nel primo pomeriggio, Rachel e papà mi avevano abbracciato a lungo senza dire una parola, sollevati dal mio ritorno e allo stesso tempo condividendo il dolore per la perdita dei miei amici. Ero talmente stanco e sfinito che mi ero buttato a letto senza mangiare il coniglio che mia sorella, mantenendo la parola, aveva preparato. Avevo dormito tutto il pomeriggio e per l’ora di cena mi ero svegliato con un solo pensiero: Rosalie. Raccontarle quello che era successo, ciò che provavo per lei, come il mondo si fosse capovolto in una manciata di istanti. No, non si era capovolto. Era semplicemente tornato a girare nella giusta direzione.
Avevo spazzolato via il coniglio e stavo per uscire di casa quando mi ero ritrovato Sam sulla soglia. “Dove stai andando?” domandò acre, all’apparenza infastidito.
“Dai Cullen. Problemi?” domandai con aria di sfida. Aveva già cambiato idea? Voleva impedirmi di vedere Rosalie? Doveva solo provarci e non avrei esitato a ucciderlo.
“Vengo con te. Devo parlare con Edward” rispose con un’alzata di spalle. Ma la sua voce era bassa e colma di una promessa terribile.
Aggrottai la fronte: cosa poteva volere da Edward? Forse un nuovo accordo? Di qualunque cosa si trattasse, niente avrebbe rovinato la mia serata.
Una volta davanti a casa Cullen, notai con sorpresa che Bella ci stava aspettando, seduta nel patio. Ci venne incontro e, dopo avermi abbracciato con molto, troppo, calore, come se fosse l’ultima volta che mi vedeva, ci fece strada all’interno del bosco. Contestai che io non avevo tempo da perdere con loro e che volevo vedere Rose, ma Bella mi invitò a seguirla. Prima dovevamo fare una cosa.
Mentre camminavamo, sotto una luna grande e luminosa che si era fatta largo a gomitate tra le nuvole e dipingeva un sentiero d’argento attraverso il bosco, avevo un orribile presentimento, come se mi stessero tendendo un’imboscata. Mi rincuorava la presenza di Bella perché lei non mi avrebbe mai fatto del male, tuttavia non bastava a far calare i battiti del cuore. I miei occhi si spostavano freneticamente dalla schiena di Bella a quella di Sam, controllando ogni movimento. Un brivido irriverente e quasi derisorio mi fece vergognare della mia paura.
Quando arrivammo in un piccolo spiazzo, creato dall’abbattimento di un paio di pini, mi calmai perché la vidi. Rosalie era seduta su uno dei tronchi tagliati; accanto a lei Edward, in piedi. Sam si fermò e io feci altrettanto, mentre Bella li raggiunse. Quando Rose mi vide, si alzò di scatto e fece per correre da me, ma Edward la fermò. “Lasciala” ruggii, profondo, pronto per lo scontro se avesse tentato di tenerla lontana.
“Calma, Jake” intervenne Bella. “C’è una cosa che dobbiamo fare, poi vi lasceremo soli”.
Non mi calmai, ma la sua voce mi confortò, insieme alla convinzione che Bella non si sarebbe mai opposta alla nostra relazione, anzi l’avrebbe appoggiata in pieno, quindi di qualsiasi cosa si trattasse, in lei avrei avuto un’alleata. O almeno così speravo.
Edward le lasciò il braccio, dopo averle fatto promettere che non si sarebbe mossa da lì. Perché più istanti ci scivolavano tra le mani e più avevo il presentimento che la mia serata da favola sarebbe diventata un inferno?
“Rosalie” la invitò Bella con una calma e una gentilezza troppo pronunciate perché non facessero presagire qualcosa di male. “Prova ad andare da Jake, lentamente…”.
“Che significa?” domandò con il suo solito sguardo insolente.
“E’ un esperimento. Niente di più…”.
Sospirai, esasperato. Non importava che razza di giochetto stessero facendo, ma almeno se fosse venuta da me, ce ne saremmo potuti andare via, lasciandoli ai loro folli progetti. La incalzai ad accontentare Bella e lei, vista la mia accondiscendenza, annuì. Avanzava verso di me misurando i passi come se stesse camminando su un filo in equilibrio su un burrone. Aveva preso alla lettera il suggerimento di Bella che le stava accanto come se dovesse realmente cadere nel vuoto da un momento all’altro. Vedendola procedere e aspettando che mi fosse finalmente accanto, il cuore cominciò a galoppare a briglia sciolta. Dapprima fu un lieve batticuore, poi con il suo avvicinarsi, divenne quasi ansia perché era sempre troppo lontana. Il cuore batteva con tanta forza e violenza da sembrare che urtasse contro la cassa toracica e la gioia si dissolse in sofferenza. Stavo provando dolore, come un piolo piantato nel cuore. Mi piegai sulle ginocchia respirando forte.
“Jake, che succede? Jake?” mi domandò Sam, senza alcuna sorpresa. Alzai il viso e scoprii che Bella aveva fermato Rose e anzi, la stava trascinando indietro, mentre la mia bambina mi fissava spaventata. Non sapevo cosa stesse succedendo ma volevo solo che il dolore cessasse. Non doveva preoccuparsi per qualcosa che quasi sicuramente era solo un doloretto dovuto alla battaglia della mattina. Forse mi avevano rotto una costola e si era cicatrizzata male. Questa era la spiegazione. Infatti da lì a un paio di minuti il dolore passò e mi rialzai, tranquillo, come se non fosse accaduto niente. Ma se per me era così, per gli altri non lo era. Edward si era seduto sul tronco e con le mani si portava all’indietro febbrilmente i capelli ramati; Bella lo guardava sgomenta; Sam aveva lo sguardo fisso a terra e appariva avvolto da una pungente irritazione; Rosalie saltellava da un viso all’altro cercando un spiegazione che nessuno voleva darle. E io non capivo quale fosse il problema.
Edward unì le mani in preghiera e ci si appoggiò sopra. “E’ come pensavamo…” affermò fremente.
“Può essere un caso…” replicò Sam e solo allora capii che stava parlando con lui.
“Per tre volte a fila? Mi piacerebbe crederlo ma non possiamo farci illusioni…”.
Tre volte a fila? Di che parlavano? Del mio doloretto? Forse non avevano capito quale fosse la stupida ragione per cui ero stato male.
“Jacob, credo che tu debba dire qualcosa a Rose…” affermò Edward con voce neutra.
“Non qui e non davanti a voi” risposi risoluto. Non erano affari loro: era la nostra serata e volevo dirglielo a modo mio e con i miei tempi.
“Non possiamo aspettare… Devi farlo adesso” continuò, impaziente.
“Che cosa mi devi dire?” domandò Rosalie in un coraggioso tentativo di apparire disinvolta, mentre i suoi occhi erano spalancati e fissi. Ecco, grazie alla prontezza e delicatezza di suo fratello, era spaventata da morire. Probabilmente credeva che le stessi nascondendo chissà che orribile segreto e invece si trattava solo della più bella realtà. Si erano messi d’accordo per rovinarmi la sorpresa e c’erano riusciti perché ora non potevo più esimermi dal rivelarglielo: i suoi occhi color cobalto invocavano pietà e rassicurazione. Non potevo negargliela, ma quei tre me l’avrebbero pagata alla prima occasione.
“Stamattina, durante il combattimento…” iniziai poco convinto. Mi ero studiato il discorso e ora mi era saltata ogni frase a effetto che avevo preparato. “Ho lasciato Bella per venire da te, nonostante mi fosse stato imposto di proteggerla e starle vicino. Il fatto è che ero molto, molto più preoccupato al pensiero che ti fosse successo qualcosa. Ti avevo sistemato Joe come guardia ma lui ti aveva perso nel combattimento e io non sapevo più dove fossi e se stessi bene. In quel momento ho fatto una scelta, una scelta non dettata dalla ragione ma dal cuore. Quello che intendo dire è che non ho pensato che Bella fosse al sicuro, ma semplicemente che tu dovevi esserlo e che era l’unica cosa che mi importasse…”.
“Che stai cercando di dire? Non ti seguo…” balbettò con la voce sempre più fioca e debole come quella di un uccellino. Aveva intuito dove volevo arrivare ma si rifiutava di crederlo possibile.
“Ho capito che ho perso un sacco di tempo dietro a una persona, solo per ossessione, per ripicca, per orgoglio, mentre io volevo stare da un’altra parte. Non importava quale fosse questo posto, bastava che ci fossi tu, amore mio”.
I suoi occhi si fecero improvvisamente vivi. “Mi stai dicendo che…”.
Annuii. Non mi piacevano le dichiarazioni pubbliche, anzi le odiavo, ma le parole uscirono di getto, come se fossero state liberate da una lunga prigionia:”Ti amo”.
Rose fece un passo verso di me ma Bella la trattenne, afferrandola per mano. Decisi di vuotare definitivamente il sacco. “C’è un’altra cosa… Quando sono arrivato e ti ho visto vicino all’albero, è stato strano, come se ti avessi visto per la prima volta, come se fossi una persona diversa, eppure familiare. Credo che siano stati i tuoi occhi, così poco sovrannaturali, così umani. Non riesco a esprimermi a parole perché è troppo grande per spiegarlo però so cosa ho sentito in quel momento. Imprinting…”.
Rosalie inclinò la testa, con gli occhi sgranati. Non capii se ne fosse contenta o meno. “Imprinting? Con me?” domandò.
“Sì. So che ti potrà sembrare strano ma è così. Te lo posso giurare su tutto quello che vuoi…”.
“E’ imprinting” si intromise Sam, rafforzando le mie parole. “L’abbiamo avvertito tutti durante la battaglia. Lo riconosco per esperienza e sei tu l’oggetto…”.
“Ma com’è possibile? Io non posso avere figli, sono un vampiro…”.
“Non lo so” scrollai le spalle. “E non mi interessa saperlo perché a me va bene così. Io ti avevo già scelta e adesso so che sarà per sempre, come volevo. E come volevi anche tu…”.
Mi guardò ammutolita. Lo sguardo perso, le labbra contorte in una smorfia. Non era felice, non lo sembrava. Mi si ghiacciò il sangue. Non voleva l’imprinting? Com’era possibile? Mi aveva detto a chiare lettere il giorno prima che avrebbe tanto voluto esserne l’oggetto e ora mi rifiutava? L’avevo fatta aspettare troppo? L’oggetto dell’imprinting non è obbligato a ricambiare i sentimenti ma aveva detto che mi amava. Non poteva avere già cambiato idea. Dio, no! Non poteva. Mi sentii bruciare come sui carboni ardenti e nel frattempo sudore gelato mi imperlò la nuca.
“Non è possibile… Non posso essere così fortunata” esclamò scioccata. Poi il suo sguardo incontrò il mio: gli occhi luccicavano, i tratti rilassati, un meraviglioso sorriso. E ripresi a respirare. Quello fu il momento più bello della mia vita; e il successivo fu il peggiore.
“C’è un problema però…” interloquì Sam, fissandoci entrambi.
“Di che parli? Stamattina avevi detto che eri d’accordo!” sottolineai con impeto. Volevano ostacolarci: ecco il motivo di tutto questo. Guardai Bella, cercando un appoggio e lei intuì la mia implorazione.
“Jake, nessuno di noi si vuole opporre alla vostra relazione. Il problema è diverso e, da quello che abbiamo potuto constatare poc’anzi, è solo tuo e di Rosalie” mi spiegò, con voce spezzata dalla tensione.
Scossi la testa, smarrito. Di cosa parlavano? Se volevano terrorizzarci, ci stavano riuscendo in pieno perché sia io che Rosalie eravamo ghiacciati nell’immobilità, confusi e lacerati dai loro sguardi sinceramente preoccupati.
“All’alba, durante l’imprinting, ti sei sentito male, esattamente come adesso. Lo ricordi, vero?” domandò Edward, strappando il velo di silenzio nel quale sembrava essersi volutamente nascosto finora.
“Sì, ma mi sono ripreso subito” minimizzai. “Come adesso”.
“Già. E poi sei stato male anche subito dopo la conclusione della battaglia…” continuò, alzandosi dal tronco. “Ho avvertito chiaramente il tuo dolore e non dirmi che era una cosa da poco perché non lo è, esattamente come non lo è stato il dolore di qualche minuto fa. Ne ho parlato con Sam nel pomeriggio perché ho trovato un’analogia in entrambe le situazioni. Insieme abbiamo pensato una cosa…”.
“Cosa?” domandò Rosalie, consumata dall’ansia che potessi essere malato o ferito gravemente.
“Potrebbe essere la tua vicinanza…”.
La sua affermazione concisa mi fece tremare le ginocchia, sia per l’assurdità sia per il timore che potesse essere vera in qualche modo.
“No, lei è il mio imprinting. Non può essere la causa del dolore al petto…” scossi la testa, con autorevolezza, per ostentare la poca rilevanza che stavo dando alla sua spiegazione.
“Non è un imprinting normale” lo appoggiò Sam, che si affiancò a Edward. “E’ già assurdo il fatto che l’oggetto sia un vampiro, quindi potrebbe essere che l’imprinting respinga se stesso…”.
“Respingere se stesso? Stai vaneggiando?” domandai, ruotando il dito vicino alla tempia. Stavano diventando tutti pazzi: ecco la spiegazione.
“Ascoltami, Jake” disse Sam, cerimonioso e insieme paterno. “L’imprinting è una magia, d’accordo, e non ne sappiamo granché. Non sappiamo perché accada con una ragazza piuttosto che con un’altra, perché esista, ma di una cosa siamo sicuri: è l’istinto animale che guida nella scelta della compagna e madre migliore. E’ evidente che in Rosalie, complici come pensi anche tu, gli occhi da umana, il tuo istinto abbia riconosciuto la compagna migliore, quella che ti renderebbe indubbiamente felice… Ma non la madre migliore, perché lei è un vampiro e non può avere figli. Io credo che… So che è difficile da capire e ancora di più da spiegare, ma i tuoi geni stanno cercando di bloccarti in una qualche maniera e l’unico modo per farlo, visto che l’imprinting una volta accaduto non può essere annullato, è tenervi lontani”.
“Tenerci lontani?” ripetei come un automa.
“Il dolore si manifesta soltanto quando Rose si avvicina… Prova a pensarci lucidamente. Edward ed io abbiamo pensato che sia la tua natura che si ribella a una vampira come compagna. Il cuore, il cervello ti dicono che lei è la migliore per te, ma il corpo è controllato dalle tue radici animali e temiamo che…”.
Sam non riuscì a terminare la frase, improvvisamente sommerso da un’ondata di rimpianti. Sembrava mi stesse chiedendo scusa con lo sguardo. Raramente avevo visto Sam così partecipe del dolore e quasi compassionevole e questo mi affliggeva ancora di più, perché voleva dire che non mentiva, che non lo stava dicendo con astuta cattiveria. Era ciò che pensava.
“Tutto questo è assurdo” sbottò Rosalie, allontanandosi da suo fratello e da Sam. “Se l’imprinting non è annullabile e la scelta è stata fatta, il problema non sono io, ma magari ha qualcosa di rotto di cui non vi siete accorti. Dovremmo andare in ospedale e non restare qui a parlare”.
“Ti posso assicurare che Jake non ha nulla di rotto” replicò schietto Edward. “Con la sua velocità di guarigione dovrebbe già essere guarito e se si trattasse di una costola che si è saldata male, farebbe fatica a respirare, cosa che non accade”.
“E allora? Ci deve essere un’altra spiegazione. Per forza! Vero, Jake?” si voltò verso di me alla ricerca di conforto.
Le donai un sorriso e in quel momento tutti i tasselli presero il loro posto. Non era stato un caso che le fitte si fossero verificate quando lei mi era stata vicina. Era così? La mia felicità era già finita? Le leggi di natura si stavano ribellando? “Vieni da me” la invitai, tendendole una mano.
Rosalie annuì compiaciuta e si avvicinò a passo sostenuto, ma quando fu a pochi metri sentii di nuovo quella fiammata nel petto, incontrollabile e lamentosa. Mi sembrava di sentire la sua voce, il suo urlo che mai e poi mai mi avrebbe lasciato ad un vampiro. Edward afferrò Rose per un braccio, trascinandola indietro, mentre Bella e Sam mi furono subito vicini per farmi sedere, mentre respiravo, rubando ogni alito di vita che non mi era concesso. Nessun lamento, nessun grido, solo le lacrime di Rose che rigavano il suo bel viso. “Cosa succede se gli vado troppo vicina?” domandò con frenesia. Si era arresa.
“Considerando che è un dolore che parte dal cuore, forse potrebbe avere un infarto o qualcosa del genere” rispose Edward.
“Potrei ucciderlo?”.
“Non lo so”.
“Quanto devo stargli lontana perché stia bene?”.
“Da quello che abbiamo avuto modo di verificare, una decina di metri… Più o meno”.
“Una decina di metri…” ripeté. Si mordicchiò le nocche delle dita, volgendo il viso a destra e sinistra alla ricerca di un indizio che potesse farle pensare che fosse un incubo. Mi guardò un istante e il pensiero che sfiorò entrambi fu lo stesso: mai abbracciarsi, baciarsi, prendersi per mano… Nessun contatto. Rimpiansi che Caius non mi avesse ucciso.
Rosalie se ne andò di corsa e io non ebbi la forza di inseguirla. Rimasi imbambolato, svuotato e affondato nella consapevolezza che quello che avevo provato quando ero stato respinto da Bella non fosse niente rispetto ad ora. Avrei conosciuto l’inferno reale, dove cadi e nessuno ti può aiutare a venirne fuori, dove sei condannato per l’eternità e non puoi fare altro che compiangere i tuoi errori. E io avevo un solo errore da rimpiangere: tutto quel tempo perso dietro a Bella. Mi alzai di scatto, ben deciso a correrle dietro: al diavolo tutto quanto! Non importava se sarei morto, ma almeno l’avrei abbracciata.
“Jacob, aspetta” si parò Edward davanti a me. “Lasciala stare. E’ scossa e deve riflettere”.
“Sarò io a consolarla”.
“Non è facendo sciocchezze che le cose miglioreranno… Ascolta, non siete soli e non lo sarete mai. Sam ed io studieremo la situazione e cercheremo di porvi rimedio. Intanto ti prenoterò una serie di esami in ospedale, sfruttando il nome di Carlisle. Li farai e magari con un po’ di fortuna, potrebbe essere davvero un problema slegato dall’imprinting; nel frattempo cercheremo notizie ed informazioni e se esistono precedenti fra un vampiro e un licantropo. Tu e Rose dovrete mantenere la calma e non avvicinarvi troppo quando sarete soli. Mi raccomando, Jake: conosco mia sorella e so che questa cosa la abbatterà perciò ti prego di distrarla e di non farle perdere la speranza. Io farò di tutto per sistemare le cose. Te lo giuro” disse e non furono le sue parole ma il suo sguardo a tranquillizzarmi. Lo conoscevo abbastanza da fidarmi, da pensare che avrebbe fatto di tutto per rendere felice sua sorella, anche salvare me.
“Lo so” ammisi.
Quella fu la serata più orribile della mia vita e i giorni seguenti non furono migliori.
I genitori dei ragazzi morti vollero dare degna sepoltura ai loro figli, e quindi fecero ritrovare i cadaveri dalla polizia. Ovviamente tutto questo sollevò un vespaio, date le ferite profonde e inconsuete. Ufficialmente avevano fatto una scampagnata nel bosco, erano stati assaliti e i loro corpi ritrovati in pessime condizioni due giorni dopo. La polizia ci interrogò più volte chiedendoci se avessimo qualche tipo di informazione ma le risposte sottolineavano completa ignoranza dei fatti. Grazie a Charlie, che in via confidenziale, era stato informato da Bella su cosa fosse realmente accaduto quella mattina, sapevamo che le indagini si stavano dirigendo verso la ricerca di un branco di lupi che poteva essere responsabile della strage anche se non erano stati riscontrati morsi ma solo lacerazioni: le autorità brancolavano nel buio e pensare che un essere umano avesse così tanta forza da spaccare ossa in quella maniera, per loro era inimmaginabile.
Per i Cullen invece era stato facilissimo. Carlisle aveva avuto un incidente in macchina ed era morto. Jasper ed Edward si erano presentati all’ospedale di Forks con un certificato di morte e avevano ricevuto le condoglianze di tutto il reparto. Ma come diavolo avevano fatto ad ottenere un certificato di morte? Avevo sempre sospettato che conoscessero dei falsari perché altrimenti come avrebbero fatto a procurarsi documenti che attestavano sempre la medesima età? E adesso ne avevo la certezza. Ad ogni modo, sfruttando la buona fama e gli innumerevoli favori che Carlisle aveva fatto ai vari colleghi, Edward mi fece fare dozzine e dozzine di esami che rivelarono sempre lo stesso stato: sano come un pesce! E non era un buon indizio perché ogni tanto Rosalie ed io provavamo ad avvicinarci ma non riuscivamo mai a superare quei dieci metri. Ormai i dubbi che non fosse dovuto all’imprinting si erano completamente dissipati. Tuttavia l’unica speranza per ottenere indicazioni sicure sarebbe stato fare un esame con Rosalie accanto ma come fare a spiegare al dottore che era lei la causa? Chi ci avrebbe creduto? Intanto le settimane passavano, mentre Rose ed io continuavamo a vederci tutte le sere, nel bosco, l’unico posto che potesse garantirci una certa distanza e allo stesso tempo intimità nelle conversazioni.
Le previsioni iniziali di Edward riguardo alla possibile incapacità di reagire di Rosalie erano andate completamente disattese. E ne ero ben contento perché vederla sorridere era una fonte inesauribile di soddisfazione: era così felice di essere il mio imprinting che stava facendo passare in secondo piano la totale assenza di contatto fisico. Inoltre la sicurezza che suo fratello avrebbe trovato una soluzione, come era riuscito a fare in ogni situazione, rendeva tutto ciò solo una spiacevole seccatura. Questione di settimane poi tutto sarebbe tornato a posto: ce lo ripetevamo ogni sera in cui restavamo a parlare per ore, seduti sotto la quercia. Non c’erano grosse novità da raccontarsi ma bastava sentire la sua voce. Avrebbe potuto parlarmi delle cose più stupide e non mi sarei lamentato. Adesso capivo cosa provavano Sam, Paul e gli altri. Era l’unica stella a splendere nel buio, l’unica che avrei seguito ovunque me lo avesse chiesto.
Ma intanto erano già passati due mesi e non avevamo concluso nulla. Una sera Bella ed Edward mi invitarono a passare da casa Cullen e obbedii senza chiedere spiegazioni. Una volta là, mi ritrovai nel laboratorio di Carlisle, davanti a un macchinario enorme su cui spiccava un monitor.
“E’ una macchina che può fare un’ecocardiografia tridimensionale” spiegò Edward, invitandomi a sdraiarmi sul lettino.
“E a cosa serve?” domandai.
“Con questa si può esaminare l’endocardio, il miocardio e il pericardio. Può rivelare soffi cardiaci, alterazioni del ritmo cardiaco, dolori toracici persistenti, post infarti del miocardio, sospetti tumori, dimensioni di atri e ventricoli, e…”.
“Alt, alt!” lo fermai scuotendo le mani. “Non perderti in paroloni. Può essere utile al mio caso o no?”.
“Sì, può esserlo. Anche perché voglio farla con Rosalie presente. Finora sei risultato sano come un pesce e gli esami non sono stati di nessuna utilità. Dobbiamo vedere cosa succede quando si avvicina lei perché, se abbiamo fortuna, a questo punto potrebbe essere solo un dolore di origine nervosa”.
“Ma farà male?”.
“Figuriamoci! Ti spalmerò solo un po’ di gel sull’addome e dovrai stare fermo per una ventina di minuti. Niente di più, cuor di leone!”.
Non mi piacevano gli ospedali e non mi piacevano gli esami. Per di più questo vampiro non era un medico ed ero sicuro che non sapesse nemmeno maneggiare quell’affare. Come diavolo avrebbe capito se avevo qualcosa o meno?
“Ho quattro lauree in medicina e ho spesso assistito Carlisle in passato quindi so perfettamente come funziona questa macchina” replicò esasperato dalla mia ignoranza e reticenza a riconoscere le sue abilità. E va bene: pur di abbracciare Rose, mi sarei lasciato squartare. Mi sdraiai sul lettino, come indicato, mentre Edward preparava la macchina. La osservai scrupolosamente. Le immagini erano diverse da quelle che avevo riscontrato nelle altre ecografie, molto più nitide e, proprio in virtù di questo, doveva essere costata un sacco di soldi.
“Come hai fatto ad averla? Te l’hanno prestata dall’ospedale?” domandai mentre mi spalmava il gel.
“L’ospedale di Seattle liquidava alcune macchine e noi l’abbiamo comprata”.
“Quanto è costata?”.
“Non importa. I soldi sono fatti per essere spesi e noi ne abbiamo in abbondanza grazie ad Alice. Ora sta zitto” tagliò corto. Abbassai il viso per controllare la sonda che faceva scorrere lentamente sul mio petto e che procurava un lieve solletico.
Ecco, l’ultima cosa che volevo era essere in debito nei suoi confronti. D’accordo, io non avrei mai potuto permettermi un acquisto di quel tenore e da come stavano le cose quella era la nostra ultima speranza per capire cosa succedesse effettivamente durante i miei attacchi, però avrei dovuto lavorare tutta la vita per risarcirli.
“Non voglio soldi e non lo faccio per te. Ora per favore smetti anche di pensare perché mi distrai” replicò Edward con voce neutra non distogliendo lo sguardo dal monitor.
“Agli ordini, dottore” convenni con un ghigno.
Bella rise e si avvicinò al suo fidanzato, guardando le immagini che scorrevano. Non credevo che ne capisse più di me e appariva più attratta dalla competenza e dalla gestualità di Edward che dagli effettivi risultati. Osservava tutto quello che faceva con la massima attenzione e adorazione.
In quel momento entrò Rosalie, che rimase prudentemente sulla soglia. C’erano più di dieci metri di distanza e il cuore prese a battere più velocemente, ma per un sano e generoso sentimento. “Vieni avanti lentamente…” sussurrò Edward, facendole un cenno con la mano. “Non ti preoccupare se starà male. Segui le mie istruzioni, ok?”.
“D’accordo” balbettò, a voce bassa.
Bastarono pochi passi perché cominciassi a sentire dolore e non feci niente per nasconderlo. Lo lasciai trapelare perché ormai ero convinto che non ci fosse una reale malattia ma soltanto una sorta di repulsione che si manifestava in questa bizzarra maniera. Probabilmente i miei cromosomi pensavano di riuscire a fermarmi con questi trucchetti vili ma gli avrei insegnato io ad obbedire. Serrai la mascella con fermezza perché il dolore era così forte da farmi urlare ma non volevo spaventare Rose che appariva già scossa. Si bloccò più volte, e altrettante volte Edward dovette invitarla a proseguire fino a che, a tre metri circa, dovette fermarla. Provai a guardare lo schermo ma non ci capivo niente, mi sembrava tutto come prima e se lui non mi avesse detto che era il mio cuore, avrei potuto pensare si trattasse di qualsiasi altro organo. Fece arretrare Rosalie che pian piano ritornò sulla soglia, mentre il mio respiro tornava regolare e il battito normale. Spiavo, cercavo uno sguardo di Edward, qualcosa che mi facesse capire se aveva visto qualcosa. Ed effettivamente qualcosa colsi, ma non quello che mi aspettavo.
“Cazzo!” esclamò e fu la prima volta che lo sentii dire una parolaccia. Non fu un buon segno e quello che ne seguì fu peggio.
Una volta lavato dal gel e rivestito, diede a me e a Rosalie le foto che aveva scattato con la macchina. Saltellando da uno all’altra ci fece vedere qualcosa che secondo le sue spiegazioni dovevano essere lacerazioni, ma che per me, supremo ignorante, potevano essere macchie.
“In poche parole, Jake, quando Rosalie si avvicina, si formano queste, chiamiamole ferite, sul muscolo cardiaco, le quali possono essere più o meno profonde e fino a una vicinanza di tre metri ne ho contate cinque. Queste ferite sono di fatto piccoli infarti che compromettono la circolazione sanguigna e ti fanno sentire dolore. Agli altri esami non sono stati rilevati perché la natura di licantropo fa sì che il tessuto si rimargini e quindi già adesso, se ti rifacessi l’esame, probabilmente non vedremmo più niente…”.
“Quindi?” insistette Bella.
“Sono infarti, amore, e come tali molto pericolosi. Credo che se Rose si fosse avvicinata ulteriormente, il numero e la profondità delle ferite avrebbe potuto essere più consistente…”.
“Quanto consistente?” domandai muovendo a malapena le labbra.
“Il cuore poteva spaccarsi in due e tu morire”.
Rosalie si appoggiò pesantemente al muro, lasciandosi scivolare a terra mentre io non riuscivo a muovere un muscolo, improvvisamente stanco. Ero malato dunque? La dovevo considerare una sorta di malattia? Ma no, non era possibile. “Io sono un licantropo. Non posso ammalarmi…” quasi gridai.
“Però puoi morire, Jake. Come un essere umano. E questa non è una malattia qualsiasi: è qualcosa di molto peggio e dobbiamo trovare la cura…”.
“Ecco la cura: stargli lontana, perché altrimenti lo ucciderò…” fu la voce di Rosalie, aspra, come un vetro spezzato e strozzata dalle lacrime. Non diede tempo a nessuno di replicare perché si alzò di scatto e uscì. Bella la seguì, sparendo nel corridoio. Io avrei fatto altrettanto ma Edward mi prese per il collo e mi sbatté contro il muro. “Che cosa vuoi fare?” la sua voce si alzò di un’ottava. “Puoi lasciarci la pelle se le corri dietro, lo capisci o no? Non potete lasciarvi prendere dai nervi o dal panico. Dovete stare calmi”.
“Per fare cosa? Se devo morire, allora meglio vicino a lei!” ribadii, subito in piedi.
Edward sospirò e con una calma esasperante si sedette su uno sgabello, ai piedi del lettino dove ero stato sdraiato fino a poco prima. “Adesso che sappiamo da dove partire e qual è il problema, possiamo cercare la cura” iniziò pacato. Stavo già per sbottare nuovamente quando continuò:“Carlisle conosceva molti vampiri, anche più vecchi di lui, e ha continuato nei secoli a mantenere i contatti. Penso che comincerò da loro e sentirò se hanno conoscenze di imprinting fra licantropi e vampiri; Sam mi ha detto che è riuscito a trovare un branco nel nord del Canada e sta cercando di mettersi in contatto con loro. Gli passerò i risultati di stasera e vedremo di raggiungere una soluzione. Ti ho già detto, Jake, che non siete soli e che ne verremo fuori. Però dovrete stare calmi e soprattutto non dovrai mai avvicinarti a meno di dieci metri. Promettilo”.
Lui e Sam si stavano adoperando perché fossimo felici mentre io davo in escandescenze come un bambino di due anni. Cosa mi costava promettere mentre altri facevano il lavoro sporco per me? Sam aveva una famiglia da mandare avanti, Emily era ormai prossima al parto e lui faceva ricerche di cui avrei dovuto occuparmi io; Edward non mi doveva niente eppure aveva speso una montagna di soldi e probabilmente le spese non sarebbero finite. E io non avevo il fegato di resistere ancora? “Te lo giuro” dissi, cercando di camuffare la rabbia nel dolore.
“C’è una cosa…” aggiunse, sottovoce.
Non ebbi il coraggio sufficiente per fare la domanda successiva perciò proseguì:“Rosalie aveva creduto finora che la situazione si sarebbe risolta a breve e probabilmente dopo stasera potrebbe innervosirsi più facilmente. La conosci, sai cosa intendo, no?”.
“No, non capisco”. In verità lo immaginavo, però volevo fosse lui a dirlo.
“Lei è molto… fisica” sorrise amareggiato. “Il mancato contatto con te e, soprattutto, la consapevolezza che questa situazione potrebbe prolungarsi per molto tempo la porteranno all’esasperazione. Dovrai cercare di smorzare la tensione che si creerà, distrarla e rassicurarla…”. Infine, il problema più grosso. Quello che balenava agli occhi immediatamente.
“Parli con la persona sbagliata. Io la desidero più di quanto lei voglia me e mi chiedi di nicchiare su questo argomento?!”.
Con uno sforzo evidente, Edward placò la collera che vidi fiammeggiare per un attimo nelle sue pupille e si alzò in un moto dolente, avvicinandosi. “Lo so che è difficile, Jake. Voi due vivete il sentimento in maniera diversa, ma dovrete controllarvi altrimenti diventerà ancora più insostenibile. Tu sei il più forte mentalmente e devi aiutarla. Verranno i brutti momenti, molto presto, e dovrai essere pronto. Tutti noi cercheremo di tenerla tranquilla ma quando siete soli, il compito sarà tuo. Intesi?”.
Un argomento leggero e frivolo, ma in realtà pesante come un macigno. Edward sosteneva che il desiderio inappagato ci avrebbe distrutto e aveva ragione. Avere la torta davanti, sapere che è tua e non poter allungare neanche una mano per assaggiarla era logorante e brutale. Conoscevo Rosalie, sapevo come ragionava, il suo bisogno continuo di essere abbracciata e baciata. L’avevo sperimentato in quei due mesi di relazione clandestina. Il punto era che io volevo lo stesso e dovevo promettere a Edward che avrei cercato di distrarla ma non ero per niente convinto di farcela.
Annuii ma Edward percepì i miei pensieri. Sorrise, lasciando perfettamente leggibile il suo scetticismo, come se mi sfidasse a dargli torto. Un tempo avrebbe funzionato, adesso l’abbattimento era troppo forte.
Avrei voluto vedere Rose ma Edward mi pregò di tornare a casa e lasciarla sola. Doveva elaborare la situazione e vedermi avrebbe reso tutto più difficile. Per fortuna, la sera successiva la mia luna si mostrò, sempre a dieci metri di distanza, ma se il desiderio di abbracciarla sarebbe diventato presto una tortura, la beatitudine di un suo sguardo avrebbe placato la rabbia. E così passarono altri due mesi durante i quali, forse per trovare un motivo per gioire, o forse, molto più semplicemente, per appagare un desiderio da tempo rimandato, Edward e Bella organizzarono il loro matrimonio, nel quale io, per decisione inderogabile e vincolante della sposa, avrei dovuto essere il suo testimone. Non potei rifiutare e non mi sarei sognato di farlo perché la sua felicità era un po’ anche la mia, perché l’avevo delusa per tanto tempo e ora volevo essere almeno all’altezza di questo compito.
A guastare l’entusiasmo giunse il nostro “problema”. Edward avrebbe voluto che Rosalie fosse la sua testimone, ma per quanto si fossero impegnati a sistemare le panche in modo tale da farci stare il più lontani possibili, non erano riusciti a creare una voragine di dieci metri fra i due testimoni. Sei, sette metri al massimo. Io avrei rinunciato, ma Bella puntò i piedi in maniera quasi detestabile, ed Edward dovette ripiegare su Alice che accettò, abbondantemente soddisfatta.
Durante i preparativi che videro coinvolta anche Rosalie nella scelta del menù e nella cernita degli invitati, la vidi dapprima eccitarsi e poi progressivamente spegnersi. Potevo immaginare il perché ma non glielo chiesi mai. La delusione lasciò ben presto il posto a una legittima collera che, mi aveva confidato Bella, sfogava con shopping selvaggio oppure in battute di caccia inutili visto che uccideva animali senza neanche nutrirsene. Davanti a me si mostrava dolce e allegra, positiva e speranzosa; tuttavia sapevo che prima o poi sarebbe scoppiata. E accadde la sera prima del matrimonio, quando mi disse che non avrebbe partecipato alla cerimonia, nemmeno come semplice invitata. Non potei astenermi dal rimproverarle la sua irragionevolezza visto che Bella ed Edward le volevano bene e avrebbero voluto averla vicino in quel grande momento. Dopo tutto quello che avevano fatto, sarebbe stato suo preciso dovere partecipare ma lei sbottò, senza mezze misure. “Come puoi venirmi a dire questo?! Tu non capisci, nessuno capisce quanto io stia male. Loro sono felici, saranno felici, mentre io dovrò guardarti per sempre da dieci metri, chiedermi in continuazione come sarebbe stata la nostra vita insieme senza mai avere una risposta! Io non ce la faccio…” aveva urlato, tra le lacrime. “Perché mi è successo questo? Non ho patito abbastanza in questa vita? E’ ingiusto, tremendamente ingiusto”.
“Lo so che cosa provi, ma non è un buon motivo per riversare su di loro i nostri problemi. Se ne sono fatti carico già abbastanza e tu devi…”.
“Io non devo niente a nessuno! Né a te, né a loro. Possono andarsene al diavolo! Quando mai?! Quando mai siamo venuti a stare in questa orrenda cittadina?! A quest’ora potevo essere a New York o a Boston a fare spese o seduta su un comodo divano abbracciata ad Emmett, invece di…” si bloccò come se avesse ricevuto una bacchettata. Mi fissò, soltanto angustiata, mentre io tentavo di nascondere la delusione per quelle parole uscite incontrollate e con asprezza. Ne era già pentita, ma non si sarebbe scusata. Abbassò lo sguardo a terra, ribadendo che non sarebbe venuta al matrimonio, poi scomparve fra gli arbusti.

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Capitolo 87
*** Il matrimonio ***


Non ho visto commenti di nessun tipo quindi continuiamo e vediamo se riesco a sollecitarvi qualche recensione. Un bacio!
 
 
 
Tornai al presente proprio nel momento in cui arrivammo a casa Cullen, davanti alla quale erano parcheggiate parecchie auto. Eravamo proprio gli ultimi, non c’è che dire! Rachel ed io avevamo appena aiutato papà a sistemarsi sulla sua carrozzina quando Charlie uscì dal portone principale e ci venne incontro quasi raggiante. Accanto a lui Sue, che lo teneva sotto braccio. Già, perché infine sembrava che con la mamma di Leah fosse scattata la fatidica scintilla, dopo mesi e mesi in cui l’aveva confortata prima per la morte di suo marito, poi per quella di Seth. Leah non era particolarmente entusiasta però concordava con me nel sostenere che sua madre fosse un po’ giovane per vivere di ricordi e che Charlie fosse un brav’uomo. In realtà sospettavo che il suo scetticismo fosse dovuto alla possibilità che lei e Bella diventassero sorellastre, possibilità non particolarmente gradita a nessuna delle due. Si sopportavano e si parlavano ma certo non sarebbero mai andate a fare compere insieme.
Dal giardino antistante la casa arrivarono Leah e Joe, entrambi vestiti come due figurini. Accidenti, se i Cullen erano riusciti a far mettere eleganti persino i membri del branco era davvero preoccupante.
“Ehi, pensavamo che aveste cambiato idea!” urlò Joe, accelerando il passo. Quando mi fu vicino, fischiò. “Accidenti capo, quanto sei elegante! Guarda che non sei mica tu lo sposo!” esclamò non risparmiandomi una risatina di scherno.
Ricambiai con una smorfia e avrei fatto anche di più quando il portone si aprì e ne uscì Alice, mani sui fianchi e broncio in bella vista. Mi osservò dalla testa ai piedi, compiaciuta che non avrei fatto sfigurare gli sposi, poi esclamò:“Dove diavolo eri finito? E’ la sposa che arriva in ritardo, non il testimone!”.
Scrollai le spalle, svogliato, e avrei continuato a chiacchierare con gli altri se non fosse scesa e mi avesse trascinato in casa con la sua consueta scioltezza. Mi guardai intorno. Tutto l’interno, così come il patio, era stato addobbato con fiori d’arancio dal profumo intenso e quasi fastidioso, almeno per me e i miei sensi troppo sviluppati. La carta da parati, adesso bianca con sottili disegni d’argento, oro e rame, era stata cambiata appositamente per il matrimonio e produceva un effetto vagamente orientale. Alcuni mobili erano stati spostati per guadagnare spazio: gli invitati erano parecchi visto che, oltre ai partecipanti al primo matrimonio, si erano aggiunti anche tutti i vampiri con cui avevano stretto alleanza. Sapevo che in segno di pace avevano perfino invitato Aro. Nessuno aveva lontanamente sperato che avrebbe accettato ma le apparenze andavano salvate ad ogni costo. Per parte loro i Volturi, si erano limitati a mandare l’ennesimo biglietto di felicitazioni, senza per fortuna aggiungere altro. Così come alcuni degli alleati, che, pur con molta educazione, avevano rifiutato l’invito: in realtà pochi, ma fra questi spiccava l’assenza di Emmett.
Subito dopo la vittoria, gli altri membri della famiglia gli avevano comunicato la decisione di Rosalie di rimanere a Forks e il nostro imprinting, con tutte le complicazioni del caso. La sua decisione era stata di partire, sia perché non voleva avere l’occasione di incontrarmi nemmeno per sbaglio, sia perché non avrebbe sopportato di vedere Rosalie soffrire a causa mia. Così, pur non essendone innamorato, aveva accettato, come una bottiglietta d’acqua nel deserto, l’invito di Eva ad andare a stare con lei e la sua famiglia in Russia. Invitati al matrimonio, erano stati a lungo incerti, ma poi avevano rinunciato. Emmett non se la sentiva né di affrontare me, né Rosalie. Bella mi aveva raccontato che lui ed Edward si sentivano spesso e che era ovviamente ancora innamorato di lei e non voleva guastare il suo fragile equilibrio, né rovinare il matrimonio per una rissa con me. Eva, che avrebbe potuto venire, aveva deciso di seguire la scelta di Emmett. “Si sta impegnando con tutte le sue forze per fargliela dimenticare, ma il cammino sarà lungo” mi aveva confidato Bella. E io potevo capire perfettamente il perché. Rose non si dimenticava. Mai.
Mi venne incontro Kate con un elegante abito color crema e i capelli scuri morbidamente sciolti sulle spalle. Mi salutò con il solito sorriso che mi aveva dedicato da quel giorno in cui avevamo condiviso lo stesso campo di battaglia. Accanto a lei Thomas Bruening che aveva abbandonato la Svezia per andare a vivere a Vancouver con i Denali: sembrava infatti che nel corso di quei quattro mesi di addestramento ce l’avesse fatta a fare breccia nel cuore della vampira. Quello che non avevano fatto secoli di conoscenza, lo avevano raggiunto la coesione e lo spirito di gruppo contro i Volturi!
“Ciao Jacob, come sei elegante!” commentò Kate squadrandomi con attenzione.
“Mi tocca… Questa sarà la prima e l’ultima volta che mi vedi così”.
“Peccato. Sei quasi un bel vedere…” ridacchiò. Scherzava ma non del tutto.
Stavo andando in cucina alla ricerca di qualche stuzzichino da mettere sotto i denti, quando sentii la voce di Bella provenire dalla cima delle scale. “Jake, sei arrivato!” esclamò, esageratamente felice.
Alzò un lembo della gonna e, mentre calcava i gradini come una novella Cenerentola al gran ballo, potei ammirarla. Un corpetto bianco aderente di damasco di seta, senza spalline e decorato da disegni grigio perla che mi ricordavano per dimensione e tratto i fiori di pesco; gli stessi ornamenti abbellivano il bordo dell’ampia gonna di cui sentivo il rigido frusciare contro il pavimento. I capelli erano stati raccolti in una delicata crocchia dalla quale esplodevano mille boccoli, apparentemente trattenuti soltanto da minuscole rose di carta, non più grandi di un’unghia e molto simili agli origami,.
Ruotò lentamente su se stessa, chiedendo:“Ti piaccio?”.
“Sei una favola, Bells” esclamai sinceramente compiaciuto.
“Credi che piacerò a Edward?”.
“Sei la solita! Mai sicura di te, vero?”.
Bella mi sorrise vezzosa poi corse, per quanto il vestito lo permettesse, fra le mie braccia. La strinsi forte mentre lei tentava di intrecciarmi le dita dietro la nuca. Ma, nonostante i tacchi, era troppo bassa per riuscirci. L’avrei volentieri sollevata per facilitarle il compito ma la voce stridula di Alice ci richiamò all’ordine:“Ehi, dico siete impazziti! Tu, palla di pelo, lasciala andare subito! Bella, santo cielo, così rovini l’acconciatura. Ci abbiamo messo due ore per sistemarti i capelli!”.
La mia Bells, incurante delle prediche della sua “quasi” cognata, mi guardava come se vedesse solo me. “Sono felice, Jake…” balbettò commossa.
“Si vede, e tra poco lo sarai anche di più…”.
Bella tirò sù col naso ed Alice imperversò ancora una volta, indemoniata:“Accidenti, Bella, se piangi rovini pure il trucco!”.
“Hai ragione!” sorrise stancamente mentre Alice con un fazzoletto le tamponava il viso.
“Avevo paura che mi tirassi un bidone…” disse, come a giustificare le lacrime.
“Non sarei mancato per nulla al mondo. E poi te l’avevo promesso…”. Mi staccai per ammirarla per intero ancora una volta e notai che ad adornare l’ampia scollatura c’era un ciondolo che non c’entrava nulla con il resto del vestito ma che, conoscendo Bella, non poteva mancare: la rosa che le aveva regalato Desirèe. Notò il soffermarsi del mio sguardo e lo sfiorò con le dita. “Alice dice che stona con il vestito ma non potevo sposarmi senza di lei…” disse, abbandonandosi per un attimo ai ricordi.
“Secondo me, va benissimo. Dà colore al vestito. Tutto questo bianco va ravvivato un po’…” approvai mentre Alice scrollò le spalle, esasperata. La nanerottola doveva aver penato parecchio per organizzare la cerimonia, la pettinatura e gli accessori. Sicuramente aveva lottato anche per eliminare l’”orrenda” bigiotteria ma Bella, su certe cose, era intransigente.
Era radiosa e terribilmente emozionata. A conferma di ciò, mi abbracciò ancora una volta. “Per fortuna ci sarai tu accanto a me, altrimenti credo che morirei…” ammise, sprofondando fra le mie braccia, mentre i rimproveri di Alice si facevano più frenetici.
Avrei voluto stringerla di più ma le avrei sgualcito davvero il vestito e mi trattenni.
Era così strano. Un anno fa avrei fatto di tutto per mandare a monte questo matrimonio, ora ne ero uno dei più ferventi sostenitori. Era la mia migliore amica, finalmente senza alcun doppio fine o falsità, e sapevo che la sua felicità era quel matrimonio e per questo avrei ammazzato io per primo chiunque avesse messo i bastoni fra le ruote. Bella alzò il viso, allargando le labbra in un sorriso goffo. Non dovevo rovinare il trucco però non volevo mandarla via senza nemmeno un bacio di incoraggiamento. Le sfiorai la fronte mentre sussurrava:“Ti voglio bene, Jake…”.
“Anch’io Bells…”.
In quel momento sentii un odore insolito fra i suoi capelli. Insolito perché su di lei, ma inconfondibilmente dolce e rilassante. Vaniglia.
Alice aveva usato il “noi” per indicare chi le aveva acconciato i capelli. Facile intuire che fossero state lei e Rose e che un po’ del suo profumo fosse rimasto su Bella. Socchiusi gli occhi per bearmi di quell’aroma e sognare che ci fosse Rose fra le mie braccia e non Bella, ma non potevo dimenticare nemmeno per un momento. Il corpo di Bells era così diverso e non solo per conformazione ma semplicemente perché la pelle era dura, talmente liscia da essere quasi scivolosa; e per quanto mi impegnassi, continuavo a percepire una vaga puzza, propria dei vampiri. Troppo differente da lei. Alzai lo sguardo verso le scale e non potei nascondere la sofferenza.
“Verrà, non ti preoccupare…” disse Bella mentre il suo sorriso svaniva. Mi sentii uno stupido perché avevo promesso che avrei fatto di tutto per non rivangare l’argomento in quel giorno di festa ma non mi rendevo conto di quanto fosse impossibile separarmi da una parte di me.
“L’ha promesso… Sia a me che a Edward… Sono sicura che verrà…” mi rincuorò. Annuii e la lasciai andare. L’incanto era rotto; la realtà aveva con irritante rapidità distrutto ogni cosa.
“Vado a vedere dov’è finito lo sposo…” dissi, sforzandomi di sorridere. Bella annuì mentre Alice la incalzò per indossare il velo.
Andai in cucina, arredata in legno chiaro, con linoleum bianco e dorato, pizzicai una tartina e da lì uscii in giardino, sfruttando la piccola scala a chiocciola della veranda. Il giardino, illuminato dalla tenue luce che riusciva a filtrare fra gli alberi, era già scoppiettante di invitati: vampiri, licantropi e umani. I pochi umani erano perlopiù ex compagni del liceo di Bella e i genitori della sposa e tutti elegantissimi: gli uomini in giacca e cravatta alcuni, papillon altri; le donne in abito lungo (generalmente le vampire perché noi del ventunesimo secolo non eravamo abituati a certi vestiti) o tailleur. Sembrava davvero un party d’altri tempi.
Del branco non mancava nessuno. Erano venuti tutti. Questa era una delle profonde differenze dal primo matrimonio. Allora nessuno era stato invitato e anche se lo fosse stato, non avrebbe partecipato. Adesso invece potevo fare l’appello e nessuno avrebbe brillato per l’assenza. A parte Seth, Quil, Brady… Scossi la testa per scacciare la tristezza e decisi di raggiungere lo sposo, che era vicino a Jasper, Eleazar e uno del clan dei russi. Mi avvicinai con il mio consueto atteggiamento scanzonato e, una volta vicino, gli appoggiai una mano sulla spalla, esclamando:“Ciao Eddy! Come va?”.
Si voltò e se non ci fossero stati umani testimoni penso che mi avrebbe sbranato; la mia risposta fu un ghigno frizzante. Odiava essere chiamato Eddy e, da quando lo avevo scoperto, non perdevo occasione per usare quel nomignolo. Non capivo cosa ci trovasse di sgradevole, ma lui, così rigido e severo, lo trovava quasi un insulto. E io mi divertivo un mondo!
“Speravo che non venissi…” sibilò e la sua voce mi giunse aspra.
“Oh e come avreste fatto senza testimone?!”.
“Ci sono decine di persone qua. Una si sarebbe prestata sicuramente”.
“Peccato che Bella non si sarebbe mai sposata senza di me…”.
Scosse la testa, vagamente infastidito. Ci pensarono Eleazar e Jasper a supportare il loro amichetto, prendendo in giro me sul mio abbigliamento e sul fatto che sembrassi un pinguino, subito dopo un’indigestione. Ah, che ridere! Avrei cavato gli occhi a entrambi ma avrei aspettato il momento giusto per attuare la mia vendetta! Mentre riprendevano a parlottare, mi guardai attorno. Il giardino era stato addobbato, come la casa, con fiori d’arancio, oltre a rose bianche. C’erano due dozzine di camerieri che stavano ancora sistemando i tavoli con gli ultimi piatti e bicchieri. Il pranzo era un buffet per un motivo puramente ingannevole: come avrebbero fatto a spiegare ai pochi umani che i Cullen e i loro amichetti non mangiavano? Così sarebbe passato tutto più inosservato. Al primo matrimonio avrebbe dovuto cucinare Esme; adesso i Cullen si erano rivolti a una ditta di catering. Decisamente più pratico, anche se più costoso. Ma tanto loro fabbricavano i soldi, anche senza lo stipendio di Carlisle.
All’estremità del giardino avevano allestito un gazebo sotto il quale gli orchestrali stavano regolando gli strumenti. L’altare e le panche erano state collocate oltre la siepe, ai margini della foresta. Effettivamente il giardino era grande, ma se avessero svolto la cerimonia al suo interno non ci sarebbe stato abbastanza posto, considerando lo spazio occupato dal buffet. Soluzione obbligata quindi. Sotto uno dei frassini c’era il sacerdote che stava parlottando con la madre di Bella e il suo compagno.
In quel momento arrivò Alice, simile a una giostra impazzita, pregandoci di prendere posto. Respirai profondamente e la seguii. Edward camminava lento e molle, come se stesse andando a fare una passeggiata: possibile che non fosse agitato? Forse lo ero più io di lui. Per fortuna non era il mio matrimonio.
Pian piano tutti si accomodarono nel silenzio più totale. Soltanto qualche bisbiglio, in attesa della sposa. In quel momento notai lo sposo stringere convulsamente le mani a pugno una, due, tre volte. Allora non sei di ghiaccio, eh? Sentì il mio pensiero e mi lanciò un’occhiata di rimprovero, misto a scetticismo. E’ bellissima, quindi stai attento a non svenire, altrimenti il testimone ti soffia la sposa… pensai, soffocando una risata. Edward arricciò le labbra e si voltò verso le ultime panche, in attesa di Bella. Dovevo ammettere che lo smoking gli stava bene e soprattutto sapeva indossarlo. Non era un pesce fuor d’acqua come me. Sembrava che fosse nato con quel vestito. All’inizio del novecento facevano corsi per indossare certi abiti? Proveniva da una famiglia d’elite come Rosalie oppure era un dono naturale? Anche Alice, vicino a lui, pur indossando un abito dalla gonna corta e vaporosa poco sopra il ginocchio, sembrava più che a suo agio. Soltanto io non riuscivo a darmi un tono e continuavo a ondeggiare sui piedi per cercare una posizione che mi facesse sembrare il meno impacciato possibile.
La marcia nuziale cominciò e fu la calamita di tutti gli sguardi. Bella comparve a braccetto di Charlie alla fine del tappeto rosso, visibilmente emozionata. Se fosse stata la vecchia Bells avrei scommesso che sarebbe inciampata o avrebbe traballato ma quella nuova era di gran lunga meno emotiva, anche se ugualmente sensibile. Camminava sorridente al braccio di Charlie, avvolta da uno scialle di seta con le medesime decorazioni del vestito e un bouquet di rose bianche, guardando dritto davanti a sé, ignorando gli invitati e rivolgendo il suo sguardo solo a Edward. In quel momento mi rimproverai per non aver mai capito che il loro legame andava al di là del semplice amore. Lui era la sua bussola, ciò che dava una direzione alla sua vita. Bella ed io ci saremmo sempre capiti al volo, ma entrambi avevamo bisogno di qualcosa di più. Ed entrambi l’avevamo trovato.
Nei pressi dell’altare, Charlie le diede un bacio sulla guancia, poi indietreggiò lasciandola accanto a Edward. Bella mi sorrise nervosa poi si perse nello sguardo del suo fidanzato poco prima che il sacerdote iniziasse la funzione.
La cerimonia in sé non fu niente di interessante. Un normale matrimonio. Ogni tanto mi guardavo intorno visto che essendo il testimone ero il più vicino agli sposi e quindi non potevo certo mettermi a chiacchierare con gli invitati alle mie spalle, che erano Charlie, Sue e Leah. Da quella posizione avevo un colpo d’occhio magnifico su tutti gli ospiti e potei notare come si fossero mischiati. Non c’erano le panche dei licantropi e dei vampiri. Non si sarebbe distinto chi appartenesse a quale gruppo se non fosse stato per il pallore mortale delle sanguisughe. I Volturi alla fine avevano prodotto davvero qualcosa di buono? Se me l’avessero preannunciato un anno fa, mi sarei messo a ridere; invece la solidarietà e la battaglia avevano portato dove nessuno avrebbe mai pensato.
Seth ne sarebbe stato felice, se fosse stato ancora vivo, e mi rattristava pensare che lui non ci fosse stato il giorno in cui Sam aveva ufficialmente lasciato la sua carica di capo. Quel pomeriggio, pochi giorni dopo la battaglia, aveva indotto una riunione in forma umana e aveva dichiarato ciò che ormai tutti aspettavano. Il suo ritiro e la successione. Sam aveva riso perché finalmente si sarebbe sottratto alle preoccupazioni per dedicarsi solo a Emily e a suo figlio; sospirato perché ricominciare a invecchiare implicava non trasformarsi più, e anche se saremmo rimasti sempre amici, in un modo o nell’altro avrebbe significato allontanarsi per sempre da noi.
Gli altri avevano acclamato la partenza del vecchio capo e l’arrivo del nuovo. Joe fu il primo a congratularsi con me ancora prima che Sam avesse terminato il discorso. Avevo ricevuto le congratulazioni di tutti, ma prima di accettare avevo voluto mettere bene in chiaro cosa comportava la mia incoronazione. Raccontai loro dell’imprinting (cosa già nota grazie alla telepatia durante la battaglia) e dei problemi che stava sollevando. “Io spero, anzi sono sicuro che tutto si sistemerà” avevo concluso. “Ma capirei le vostre remore perché un vampiro come compagna del capo sicuramente non succede tutti i giorni, ma io la amo e se a voi non sta bene, vorrei che lo diceste adesso. In questo caso nominerò un altro al mio posto… Non voglio obbligare nessuno a rispettare una persona che dovrebbe esservi nemica per natura”.
“Io non ho alcun problema con Rose, anzi. Sarà una buona lupa, mai quanto Emily e le sue frittate, ma andrà benissimo per altre cose…” esordì Joe con un sorriso limpido e innocente. Sapevo che lui non si sarebbe mai opposto; il problema poteva solo venire dagli altri.
Li passai in velocità senza guardarli negli occhi: non volevo che pensassero che cercavo di intimorirli. Erano liberi di decidere ciò che preferivano; l’amicizia per quanto mi riguardava non si sarebbe spezzata.
“A me sta bene. Non ho niente da obbiettare” esclamò Leah per prima dopo un silenzio pesante. E pian piano tutti emisero la stessa sentenza. Dunque io ero accettato e Rose pure. Temprai subito la loro scelta con le mie prime due decisioni da capo.
“Innanzitutto, voglio sciogliere il patto che ci lega ai Cullen, e cioè togliere il confine. Se vorranno, potranno oltrepassarlo e venire a La Push, fermo restando che se succedesse qualcosa a uno degli abitanti a loro direttamente imputabile, ne dovranno rispondere personalmente” proposi. Più o meno tutti aggrottarono la fronte, con aria sorpresa e irruvidita. Questo forse era decisamente troppo all’avanguardia. In questo caso intervenne Sam, spezzando tante lance a favore dei Cullen e del loro comportamento cristallino e integerrimo in questi anni. Senza considerare il fatto che in questo modo, dinanzi a un attacco alla popolazione di La Push da parte di altri vampiri esterni, anche loro sarebbero stati costretti a intervenire dato che sarebbe rientrata nella loro circoscrizione di competenza.
Joe disse subito “Va bene” insieme ai più giovani; ovviamente la vecchia guardia, Leah in testa, fu molto più scettica ma dovettero ammettere che Sam aveva ragione e che se di fatto una dei Cullen era la compagna ufficiale del capo, sarebbe stato incoerente non permetterle l’accesso alla riserva. Finì con un plebiscito di Sì.
Seconda e ultima questione: il branco aveva bisogno di un vice. Sam sarebbe stata la scelta perfetta ma lui non ne avrebbe più fatto parte quindi dovevo cercare altrove. Ci avevo pensato la sera precedente e non avevo impiegato più di due minuti a fugare ogni dubbio. Io ero, a detta di tutti, un impulsivo, spavaldo, arrogante e mancavo spesso di lucidità. Per un capo sicuramente dei difetti importanti. Per porvi rimedio, c’era bisogno di un vice che mi facesse ragionare oppure che smontasse la mia irruenza. Soltanto una persona aveva il dono naturale di sbattermi in faccia la realtà, per quanto disgustosa, e contemporaneamente farmi ragionare.
“Leah” proferii fermo.
Inarcò le sopracciglia poi indicò se stessa col dito. Aprì la bocca per dire qualcosa ma ne uscirono solo una fila infinita di “Ma”, “Sei sicuro…?”, “Non so se…”.
“Sei la migliore, oltre che la più saggia qua dentro” confermai con un cenno della testa.
“Leah va benissimo” urlò Joe che sembrava quasi pagato per confermare tutte le mie proposte.
Leah sembrò incerta e non aspettai altre conferme dagli altri. Questa decisione non era sindacabile. Leah sarebbe stata la vice e stop. All’inizio Jared e Paul sembrarono un po’ contraddetti, forse perché si aspettavano che scegliessi uno di loro, ma dovettero rassegnarsi e incassai pure i loro consensi.
Oggi eravamo tutti a un matrimonio di vampiri, a circondarli con il nostro calore e a ridere bonariamente della loro alterigia che contrastava in maniera netta con la puzza, che per quanto ci sforzassimo di non sentire, inondava tutti quanti. Però era quasi divertente. Mancava solo una cosa… Anzi una persona…
“Vuoi tu Isabella Marie Swan prendere come tuo legittimo sposo il qui presente, Edward Antony Masen Cullen per amarlo, onorarlo…” la formula di rito mi riportò al presente. Ma quanti nomi avevano? Santo cielo, tra doppi nomi e cognomi pre-morte e post-morte potevano aprire un orfanotrofio! Mi facevano quasi vergognare di me e del mio unico Jacob Black! A pensarci bene, anche Rose faceva parte di quella schiera. Edward l’aveva presentata ad Aro come Rosalie Lillian Hale. Lillian. No, non mi piaceva affatto. Meglio Rosalie, e Rose ancora meglio.
Alla fine della cerimonia, quando fu il momento del bacio si sfiorarono delicatamente le labbra. Ecco, io non ce l’avrei fatta sicuramente e avrei dato spettacolo. Ma già, io ero il maleducato…
Dopo aver sistemato tutta la trafila burocratica di firme e contro firme, finalmente fui libero di allontanarmi dai due sposi, letteralmente sommersi da congratulazioni e felicitazioni. In un negozio dove svendevano la merce al 20% ci sarebbe stata meno ressa. I miei auguri personali li avrei fatti a entrambi più tardi. Camminai verso la casa, dove tutti i camerieri erano già schierati dietro i tavoli, pronti a servire gli aperitivi. Non avevo molta sete e non mi ero allontanato per mangiare. Alzai gli occhi, facendo finta di ammirare l’edificio. Non ero mai salito al piano superiore ma sapevo che la camera di Rosalie era l’unica col balconcino. La porta finestra era chiusa e le tende tirate. Mi ritrovai a implorare che scendesse, o si affacciasse, anche solo un attimo. Non chiedevo molto.
“E’ stata una bella cerimonia…” commentarono Joe, Rachel e Paul alle spalle.
“Già” annuii.
“Bella era emozionata e anche Edward…” intervenne mia sorella.
“Però loro si sono contenuti, al contrario di te! Questa piagnona si è messa a piangere!” la schernì Paul. E quella fu la spiaggia sulla quale approdai per mitigare le mie tempeste. Non era molto onorevole ma prendere in giro Rachel era uno dei miei passatempi preferiti.
Successivamente gli sposi, seguiti dal resto degli invitati entrarono nel giardino e si diede ufficialmente inizio alla festa. Dapprima gli aperitivi, poi tre primi, tre secondi, torta, caffè e amari a tutto spiano. Dovetti ammettere che alla fine del pranzo ero letteralmente stra-pieno e probabilmente la sera non avrei cenato. Le tavolate erano state divise in maniera che i licantropi e gli umani stessero da una parte e i vampiri dall’altra, tutto per camuffare che una buona parte degli invitati non avrebbe ingoiato un solo pezzo di pane, e mi facevano un po’ pena: si erano persi un gran pranzo. Anche la torta a base di panna, crema chantillin e cioccolato era fatta soltanto per noi esseri inferiori… Sempre peggio per loro perché era ottima!
Seduti al mio tavolo c’erano Rachel e Paul, Sam ed Emily, Leah e Joe, Angela e Ben, Mike e Jessica: questi ultimi erano quattro amici di Bella al liceo, che conoscevo appena. Joe subito non mancò di fare lo spavaldo con Angela, tentando di farla ridere e accattivarsene le simpatie. Lei, di temperamento gaio e leggero, sembrò gradire i suoi goffi tentativi di fare amicizia, ma tutti sapevamo che era impegnata con Ben da una vita e che non lo avrebbe certo mollato per mettersi con un bambino con la faccia da adulto. Noi del branco sghignazzavamo di soqquatto per non sminuire Joe ma non potevamo non ridere del suo tentato corteggiamento. Poi l’attenzione di tutti passò su di me e soprattutto su Jessica, che sembrava essersi improvvisamente accorta della mia esistenza e non perdeva tempo per attaccare bottone su tutto quello che le saltava in mente. E così divenni io il bersaglio delle occhiate furtive dei miei compagni.
“Sai, Jacob, sei cambiato tantissimo in questo anno e mezzo. Ti ricordavo proprio come un bambino e invece sei cresciuto e in meglio…” continuava a ripetere di tanto in tanto fra un discorso e l’altro. Bella mi aveva raccontato che Jessica faceva il filo a Mike da tempi immemori e invece ora: o stava tentando di farlo ingelosire oppure aveva cambiato mira. La seconda ipotesi mi faceva dolere lo stomaco. Indipendentemente dall’imprinting, Jessica non l’avrei presa in considerazione neanche se fosse stata l’ultima donna sulla faccia della terra. Non era affatto brutta, però quelle sue lentiggini così spiccate, la bocca piccola sempre pronta a trasformarsi in una smorfia di disgusto e la sua saccenza mi davano i nervi. Ma come faceva Bella ad andare d’accordo con una del genere? O forse non erano proprio amiche, l’aveva invitata solo per il fatto che era stata una delle poche conoscenze del liceo, a parte i Cullen. Intrecciai le mani intorno al ginocchio pronto a sorbirmi le sue mille domande e considerazioni, sperando che il tempo trascorresse il più velocemente possibile.
Erano ormai le quattro e stavo disperando che Rose avrebbe fatto la sua comparsa. Anzi, ormai ne ero sicuro. Aveva preferito mantenere la minaccia fatta a me che la promessa a Edward e Bella. Non potei evitare di gonfiare il petto e far uscire un sospiro di rassegnazione. Non l’avrei vista. Mi alzai per andare a prendere il caffè. Lì incontrai la mamma di Bella che stava chiacchierando amabilmente con Sue. Sembrava che fossero amiche da una vita e invece si erano conosciute solo da qualche ora. Evidentemente Bella non aveva proprio preso da sua madre, e nemmeno Leah. Appena mi videro, subito Renèe mi subissò di domande sulla mia fuga dell’anno precedente (non sapeva niente né di vampiri né di licantropi), esclamazioni varie su quanto fossi cresciuto da quando mi aveva visto lei l’ultima volta (capirai! Erano passati dieci anni!) e sul mio lavoro.
“Billy mi ha detto che hai trovato un impiego, appena preso il diploma” domandò curiosa.
“Sì, non ho avuto neanche modo di fare le vacanze perché ho trovato posto come meccanico in un’officina a Port Angeles. E’ stata un’occasione e di questi tempi non potevo perderla…”.
“Hai fatto benissimo. Bella mi raccontava che ti piacciono molto le macchine…”.
“Sono la mia passione…” conclusi proprio nel momento in cui arrivarono Billy e Charlie. Approfittai del loro arrivo per svignarmela. I miei commensali si erano alzati anche loro e sembravano volersi sgranchire le gambe; cercai Bella per farle le mie congratulazioni, ma era sempre avvolta da ospiti in fermento. Decisi che avrei rimandato ancora una volta e sarei tornato verso i miei amici.
“Sono tutti talmente belli qua che mi sembra di essere un topo da compagnia…” stava sospirando Emily quando raggiunsi il gruppetto costituito da lei, Sam, Embry, Maggie, la sua ragazza, e Rachel.
“Tu sei molto più bella di loro…” la rincuorò Sam, dandole un bacio sulle tempie.
“Sei gentile, amore, ma gli occhi ce li ho anch’io” ridacchiò Emily. “Piuttosto che ore sono? Abbiamo la babysitter fino alle 18 poi dobbiamo tornare a casa. Anche perché Ethan avrà fame…”.
“Sono le 16. Abbiamo ancora un paio di ore e poi lo sai che Ethan prima delle 17 non si sveglia mai…” rispose Sam.
Emily fissò tutti noi a turno poi esclamò, strofinandosi le mani nervosamente:“So che mi state compatendo, ma mi manca il mio piccolo quando non è con me…”.
Rachel rise di gusto poi replicò:“Ma no, Emy. E’ piccolo ed è logico che tu stia in pena se non gli sei vicino”.
Emily si strinse a Sam e accennò un sorriso imbarazzato poi, di colpo, si ricordò:“Ah, Leah mi ha chiesto se stasera può venire dopo cena a trovare Ethan per una decina di minuti. Le ho detto di sì. Non è un problema, vero?”.
Sam alzò gli occhi al cielo ed emise un lungo e rassegnato sospiro:“No, è ok. Basta che non resti troppo. Ethan va a dormire presto. E anch’io. Domani voglio alzarmi per sistemare la rimessa…”.
Emily sorrise compiaciuta e cominciò a raccontare vari aneddoti su suo figlio.
Ethan Seth era nato, come previsto e senza alcun problema, a fine luglio. Parto naturale, mamma e figlio in salute. Sam era al settimo cielo quando mi aveva chiamato per avvisarmi della paternità. Balbettava persino. Gli avevo promesso che sarei andato il giorno dopo in ospedale e così la famiglia Black si era presentata al completo per omaggiare il piccolo erede degli Uley. Quando entrammo, ci ritrovammo davanti una scena che nessuno aveva preso in considerazione: Sam ed Emily seduti sul letto ed Ethan in braccio a Leah che camminava beata avanti e indietro per la camera. Rimasi a bocca aperta. Fino alla settimana prima mi aveva riempito la testa delle sue lagnanze sull’imminente parto e che probabilmente non sarebbe andata a fare le congratulazioni ai due genitori, a meno che sua madre non l’avesse costretta, e ora me la ritrovavo lì, letteralmente conquistata dal bambino, accarezzandolo e coccolandolo come se fosse suo. Istinto materno improvviso?
La risposta arrivò tre giorni dopo quando andai a trovare Sam ed Emily, appena dimessa dall’ospedale: Leah aveva avuto l’imprinting con Ethan. Sgranai gli occhi, allucinato. Con un bambino appena nato? Dio, anche a Quil era accaduta una cosa simile a suo tempo con Claire, una cugina alla lontana di Emily, ma già allora mi era sembrato surreale, ora diventava quasi ridicolo. E mentre io stramazzavo sulla poltrona più vicina, in evidente stato di shock, Sam ed Emily apparivano contenti e soddisfatti. Emily, che si era sempre sentita in colpa per aver diviso Leah e Sam, ora vedeva tutto questo come un segno del destino ed era estasiata all’idea che, proprio lei che aveva causato tanto dolore alla cugina, potesse renderla di nuovo felice. E, in misura minore, lo stesso valeva per Sam. Leah avrebbe dovuto bloccare l’invecchiamento e aspettare vent’anni prima di poterlo baciare però per il momento era già più che contenta di tenerlo in braccio. Quasi tutti i giorni faceva un salto dagli Uley e lo cullava prima che si addormentasse.
Era una cosa che io non capivo, però ero l’ultimo che potessi muovere qualche critica, visto il mio imprinting con un vampiro.
Ad ogni modo problema risolto. Anche Leah aveva la sua dolce metà, un po’ acerba ma lei era una persona paziente, quindi poteva attendere. Al contrario di me.
Embry mi vide pensieroso e ci propose un bicchierino di Jack Daniel’s per digerire il pranzo e ci dirigemmo nuovamente al buffet. Ci servirono in pochi minuti e facemmo un brindisi tutto nostro agli sposi e al nostro branco. Stavo ancora sorseggiando quando Alice sopraggiunse alle mie spalle, a passo sostenuto. Sembrava agitata ma dai suoi gesti traspariva entusiasmo. La seguii con lo sguardo sperando in un miracolo.
Dal fondo del giardino spuntò una figura elegante e composta. Camminava verso il gigantesco baillame di colori, persone e suoni che ondeggiavano soprattutto vicino ai due sposi. Mi tremò la mano e versai qualche goccia di whisky a terra. Alice corse ad abbracciarla come se fosse lei la vera festeggiata, poi la accompagnò dai novelli marito e moglie.
Bella, appena la vide, abbandonò subito la conversazione con sua madre e Phillip per andarle incontro. Rosalie la abbracciò, poi fu il turno di Edward. Rimase fra le sue braccia più a lungo di quanto potessi sopportare ma non ero nella posizione e nemmeno nella situazione adatta per protestare. Parlò a lungo con loro e in quel momento mi accorsi che la mia teoria che seduzione facesse rima con gonne corte o scollature profonde era completamente errata.
Indossava un vestito lungo, color cobalto, che metteva in risalto la carnagione lunare e gli occhi del medesimo colore del tessuto. Senza spalline, arricciato e aderente fino sotto ai glutei, da cui partiva la lunga gonna di seta ampia che sfiorava il terreno. Sulla schiena un gioco di incroci che dava l’illusione che il vestito si chiudesse come un bustino degli anni venti, mentre in realtà adempiva a questo compito una più moderna cerniera, cucita su un fianco. I capelli ricadevano sciolti, a onde spumeggianti sulle spalle e accarezzavano la schiena sciogliendomi in mille brividi; gli occhi luminosi e resi vibranti da ciglia così nere e folte da ricordare un pizzo. Infine un semplice girocollo e un bracciale al polso destro. Sorrisi perché non era un semplice bracciale, era il mio bracciale. Largo tre dita, in oro bianco, abbozzava foglie di acanto intrecciate fra di loro, come se fossero ancora attaccate al ramo, e le cui venature erano riempite da mille zaffiri. Quel bracciale mi era costato un patrimonio e una sfilza infinita di insulti da parte di mio padre, ma non me ne sarei pentito. Gli zaffiri mi ricordavano i suoi occhi. Era perfetto, creato quasi su misura per lei.
Indugiai su Rosalie, sul suo corpo perfetto prima di accorgermi che la gola si era seccata di colpo. Buttai giù d’un colpo il whisky e ne chiesi un altro. Meglio ubriaco che sobrio visto che l’unica cosa che mi veniva in mente era come sfilarle il vestito di dosso.
“E’ lei?” chiese conferma Emily.
“Sì” ammisi con un filo di voce senza guardarla, intento solo ad osservare il cameriere che riempiva il piccolo bicchiere.
Emily non l’aveva mai vista, come quasi nessuno dei Cullen, a parte Edward, ed era stata curiosa fin da principio di vedere questa ragazza la cui bellezza era favoleggiata da tutto il branco.
“Beh… che dire…” balbettò, e la sua voce suonò strana, vacua, come se fosse sotto shock. “E’ magnifica, Jake. Direi che l’imprinting è ampiamente giustificato”.
Già, peccato che fosse lo scherzo più orribile che il destino potesse tirarmi.
“Ti va di conoscerla?” domandò entusiasta Rachel. La odiavo quando tentava di mettersi in mostra in questo modo. “Se vuoi, te la presento. All’inizio sta un po’ sulle sue, ma dopo è simpatica. Vieni…”.
Afferrò Emily per un braccio e la trascinò vicino agli sposi, in attesa che Rosalie finisse di fare loro le congratulazioni. Anche Joe le imitò e d’improvviso colei che doveva essere solo la testimone diventò più importante degli sposi stessi.
La osservavo e non c’era altro. L’orchestra si era messa a suonare ma era come se fosse in silenzio. Tutto attutito, spento, piatto, incolore, a parte lei. Si allontanò dagli altri e si girò per poter parlare con Joe, Rachel ed Emily. Era ciò che si avvicina di più a un raggio di sole. Si toccava spesso il braccialetto ed era un contatto molto più intimo di quanto potesse apparire. Lo accarezzava in continuazione pur continuando a non distogliere lo sguardo dai suoi interlocutori. Era come se stesse toccando me e mi illudevo di poterne avvertire la carezza, mentre la mia stretta, furiosa, stava per sgretolare il bicchiere. Sam me lo sfilò gentilmente dalle mani e lo appoggiò sul tavolo. “Stai calmo…” mi sussurrò, cantilenando come se fosse una ninna nanna.
“Fai presto a parlare tu. Emily è vicino a te, ogni volta che lo desideri. Non puoi capire cosa provo” ringhiai. Nella mia voce si insinuarono collera e qualcosa di simile a un amaro divertimento.
Sam non perse la calma, ma mi appoggiò la mano sulla spalla. “Hai ragione, Jake. Non posso saperlo. Ma esplodere in questo modo non è di nessun aiuto e, soprattutto, non vorrai rovinare il matrimonio di Bella, vero?”.
“No, certo che no” sospirai. Ne avevo già combinate troppe in passato perché potessi avere una giustificazione valida anche per questa. L’alcol sembrò avere un lieve effetto: mi sentivo leggero e vuoto come un palloncino. Era pur sempre meglio di niente, anche se non sarebbe durato che pochi minuti.
In quel momento gli sposi raggiunsero il centro della pista appositamente allestita vicino all’orchestra e diedero inizio al loro primo ballo. Forse avrei dovuto osservare solo loro, forse avrei dovuto essere rapito dai loro movimenti eleganti, forse avrei dovuto commuovermi dinanzi ai loro sguardi abbandonati l’uno negli occhi dell’altro, ma non mi vergognavo di pensare che l’unica persona che mi interessasse stesse dall’altra parte della pista. Sorrideva elegantemente, senza mai mostrare i denti, come se fosse a un ricevimento dell’alta società. Non sentivo cosa le stessero dicendo Emily e Rachel, a causa della musica e non credevo che a lei interessasse granché. Stava recitando, come sempre quando era in pubblico. Poi Joe e Rachel la lasciarono con Emily e l’una si diresse verso Paul, l’altro tornò da me.
“Cazzo, ma quanto è bella oggi! Quasi ti invidio, Jake” rise Joe, una volta vicino. Soltanto quando lo trapassai con lo sguardo e fui invaso dall’orribile smania di picchiarlo, si rese conto di aver detto una stupidaggine.
Non gli prestai più attenzione e tornai sul mio soggetto preferito, il quale, dopo un’iniziale titubanza, sembrava avere iniziato una conversazione realmente interessante con Emily. Si sedettero sulle poltrone di vimini che avevano ospitato gli sposi fino a poc’anzi e chiacchierarono amichevolmente per almeno mezz’ora. Per una buona parte fu soltanto Rosalie a parlare mentre Emily ascoltava. Avrei voluto capire perché dai suoi sguardi e dal movimento lento e quasi impercettibile delle labbra intuivo che stava raccontando qualcosa di difficilmente confidabile. Agli altri, ma non a Emily. Se c’era una persona comprensiva e sensibile era lei.
Mi allontanai per lasciarle nella loro silenziosa intimità e così ripiombai nella calca, passando senza intoppi da un gruppetto all’altro del mio branco. Per quanto riguardava i vampiri, scambiavo qualche parola soltanto con i membri della famiglia Denali; degli altri ricordavo a malapena i nomi, non ci avevo mai parlato e non mi importava di cominciare a farlo adesso. Al contrario, Joe sembrava il PR di tutta la cerimonia. Si intratteneva con ciascun gruppetto, manco fosse l’invitato d’onore. Tutto sommato il miracolo era avvenuto solo per metà: tutti insieme in uno stesso posto senza scannarci, ma l’amicizia, beh, quella era tutta un’altra storia.
Emily apparve d’un tratto vicino a me e, senza che le chiedessi niente, disse:“Sta bene, Jake. E’ una bellissima ragazza, un po’ chiusa, ma molto dolce”.
Annuii, lanciando uno sguardo nella sua direzione. Era sola con un calice di champagne in mano e sembrava indecisa se berne un po’. Ne accarezzava la superficie liscia e fredda e, anche se lontano, potevo intuirne il tenue sfrigolio. O forse era la mia immaginazione. Lo appoggiò alle labbra e le inumidì leggermente. Un sorso poteva sopportarlo, non c’era da preoccuparsi. La sua bocca, leggermente lucida dallo champagne, brillava, morbida, nel momento in cui mi fissò per un istante. Baciami sembrava che implorasse. E Dio quanto avrei voluto accontentarla!
In quel momento arrivarono Alice e Jasper che la presero in disparte, dando luogo a una fitta conversazione. “Mi ha detto di darti questo…” mi sorprese Emily, allungando un biglietto stropicciato e scritto con calligrafia malferma.
Quando finisce la festa, ti aspetto al nostro solito posto. Non mancare.
“C’è bisogno di una risposta?” domandò Emily.
Scossi la testa. Era scontato che ci sarei andato, almeno per me.
Un’altra oretta trascorse con chiacchiere che ormai sapevano da litanie. Tutto quello che potevamo dirci era stato detto; molti degli invitati erano andati a scatenarsi in danze pirotecniche mentre io non avevo ancora avuto modo di salutare Bells. La sera stessa sarebbero partiti per la luna di miele e volevo parlarle ma sembrava diventato un rebus impossibile da sciogliere. Mi stavo rassegnando, mentre continuavo a non perdere di vista Rosalie, che stava spesso in disparte o in compagnia dei suoi fratelli e di Kate Denali. Sapevo che alcuni vampiri degli altri clan l’avevano corteggiata durante il periodo di addestramento, prima della battaglia con i Volturi, ma la mia presenza al party, anche se a distanza, rendeva difficile qualsiasi tipo di approccio, visto che, tutti sapevano, non mi sarei fatto troppi scrupoli a difendere ciò che era mio, anche davanti a esseri umani ignari.

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Capitolo 88
*** Una speranza per noi ***


L’orchestra suonò una serie di melodie lente e nostalgiche che pensavo gli sposi avrebbero colto al volo per ballare, invece Bella abbandonò suo marito e si diresse verso di me, mi fece un inchino esagerato e domandò:“Mi concede questo ballo?”.
“Non sono un gran ballerino” replicai accomodante.
“Neanche io. Però il testimone deve un ballo alla sposa. E’ la prassi…”.
“D’accordo” e le porsi il braccio accompagnandola a bordo pista.
Bella non era alta come Rosalie quindi per abbracciarla dovevo piegarmi in avanti, ma trovammo lo stratagemma per evitare figuracce raccapriccianti. Le appoggiai una mano dietro la schiena e l’altra la intrecciai nella sua. In questo modo riuscivamo a ballare quasi agevolmente, anche se dall’esterno poteva sembrare più un ballo ottocentesco. Ma in fondo non dovevamo ballare guancia a guancia: non era mica mia moglie, no?
“Finalmente riesco a farti le mie felicitazioni, Bells. La cerimonia è stata magnifica e anche il pranzo. Devi essere molto orgogliosa…” iniziai fin troppo complimentoso.
“Oh, Alice lo deve essere. Ha organizzato tutto lei e ha fatto una cosa magnifica, come previsto. E sono ancora più felice perché sembra che sia stata una bella giornata per tutti ed era quello di cui avevamo bisogno…” sussurrò.
“Per te finirà ancora meglio! Dove andate in luna di miele?”.
“Non lo so” rispose improvvisamente galvanizzata. “Se ne è occupato Edward e non mi ha voluto rivelare niente. Mi ha solo fatto comprare dei costumi da bagno quindi ipotizzerei qualcosa che ha a che fare col mare, anche se dovrebbe essere molto isolato per evitare il fenomeno della luminescenza”.
“Di qualunque posto si tratti, sono sicuro che vi divertirete”.
“Lo spero. Abbiamo veramente bisogno di staccare, Jake… Piuttosto, noi telefoneremo tutti i giorni per sapere come vanno le cose qua. Non fate stupidaggini, ok?”.
“Telefonare tutti i giorni?! Non siamo mica bambini! Siamo perfettamente in grado di badare a noi stessi. Queste tre settimane sono solo vostre e guai a voi se osate telefonare. Mi hai capito, Bells?!” sbottai offeso.
Bella buttò la testa all’indietro, ridendo sommessamente. Era tutto strano. Come erano cambiate le cose… Il motivo di una disputa feroce era abbracciata a me e non provavo niente altro che affetto mentre in passato ne avrei combinate di tutti i colori per starle così vicino. Sembravano passati secoli e alla fine aveva visto giusto lei. Eravamo anime gemelle e lo saremmo sempre stati, soltanto che c’era un’altra cosa più importante di due anime gemelle: l’altra parte di una stessa anima che non era con me in quel momento. Alzai lo sguardo per cercarla e la trovai dall’altra parte della pista. Stava ballando con Edward e a giudicare dalla sua espressione si stava divertendo un sacco.
Doveva avere tacchi di cinque-sei centimetri al massimo, perché era alta quasi quanto suo fratello. Proprio a causa di questo equilibrio gli aveva messo le braccia intorno al collo mentre lui la stringeva per la vita. Troppo. A guardarli erano disgustosamente belli, come se fossero usciti da un giornale di moda. Non credo che si potesse concepire una tale perfezione in natura. Rosalie, al contrario di Bella, riusciva a ballare senza tenere sollevata la gonna: nata ed educata per essere una principessa, non c’era alcun dubbio. Edward teneva la schiena dritta e la faceva ruotare con delicatezza e compostezza. Dire che mi sentii inappropriato non rendeva giustizia al mio stato d’animo. Ad un tratto Edward le sussurrò qualcosa all’orecchio, facendola ridere a crepapelle.
Da quanto tempo non la vedevo ridere in quella maniera?! Erano secoli mentre invece per lui sembrava la cosa più naturale del mondo. La delusione si sciolse ben presto in rabbia quando notai come le mani di lui fossero pericolosamente vicine al fondoschiena di Rose e lei sembrava non accorgersene neanche. Erano fratello e sorella, poteva starci… Sgranai gli occhi. No, non c’era nessun rapporto biologico, erano adottati e quindi avrebbero anche potuto…
“Jake, c’è qualcosa che non va?” investigò Bella, fissando prima me e poi l’altra coppia di ballerini che aveva calamitato su di sé gli sguardi compiaciuti di molti spettatori. Deglutendo a fatica, distolsi lo sguardo e lo rivolsi alla mia compagna, che aveva già intuito.
Scossi la testa e la osservai, deciso a perdermi in quegli occhi appariscenti, ormai, color topazio. Ruotare e ruotare su se stessi, mille e mille volte, invocando che la loro immagine sparisse dalla mente. Ma non succedeva. Una forza inarrestabile mi attirava e allora incrociavo la linea dritta della sua schiena, oppure la sua pelle levigata o il suo sorriso delicato e sensuale e mi sembrava di essere prossimo alla pazzia.
“Sono fratello e sorella…” mormorò rassicurante Bella. Come diavolo faceva a sapere quello che pensavo?
“No, non lo sono” ringhiai con un brontolio sordo e furente. Ma così facendo, la ferii. Mi osservò spossata, mentre l’allegria scomparve dal suo sguardo come il sole all’orizzonte. Non perché la realtà fosse troppo sgradevole da accettare ma perché insinuavo dubbi che non avevano motivo di esistere. Lo sapevo anch’io che non avrebbero mai fatto niente alle nostre spalle ma ero invidioso della fortuna di Edward, che io non avrei mai più potuto avere. Non sarebbe mai stata mia, non avrei mai potuto stringerla come faceva lui, non le sarei mai stato così vicino da poterle accarezzare i capelli, non avrei mai potuto amarla come volevo e questo mi spaccava in due. Mi fermai.
“Scusami, Bella. Sto rovinando tutto. Credo che sia meglio che smettiamo…” borbottai a testa bassa, sfilandole il braccio dalla schiena. Stavo per lasciarle la mano quando la strinse con fermezza.
“Jake… C’è una cosa che ti devo dire. So che non dovrei ma voglio farlo lo stesso” gemette con gli occhi lucidi. “Edward e Sam hanno trovato un branco di licantropi in Siberia. Molto, ma molto antico, decisamente più del vostro e in questo branco si tramandano varie leggende, fra cui quella di un amore fra una licantropa e un vampiro. Sam partirà per andare a parlare con uno dei discendenti al nostro ritorno dalla luna di miele. Abbiamo già il biglietto aereo. Edward non voleva che tu e Rose lo sapeste perché non vuole alimentare illusioni senza avere il rimedio sicuro, ma io non sopporto di vederti così disperato. Voglio di nuovo quella luce che ti ha illuminato gli occhi per tanto tempo e che adesso si sta spegnendo. Noi faremo di tutto per venirne fuori, Jake, e non voglio che tu…”.
Iniziò a singhiozzare silenziosamente mentre io assimilavo parola per parola quello che aveva appena detto: un branco in Siberia, Sam sarebbe partito fra tre settimane, un rimedio per noi. Il grumo che avevo nello stomaco si sciolse mentre il mio cuore riprese a battere. La abbracciai forte, forte come non avevo mai fatto prima perché quando era umana avevo sempre temuto di farle del male.
“Grazie, Bells”. La mia voce si confuse nella musica conferendole un tono quasi soffocato. Bella ricambiò il mio abbraccio, si asciugò le lacrime e, con un sorriso stiracchiato, propose:“Ti va di continuare a ballare?”.
“Certo. Però cambiamo genere. Questo va bene per i vecchi centenari come loro, ma noi siamo giovani. Che ne dici?”.
I suoi occhi brillarono per la gioia diventando color zafferano, quindi corse verso l’orchestra, istruendoli sui brani da suonare. L’istante successivo la nenia funebre con cui ci avevano deliziato era stata sostituita da un ritmo più aggressivo ed entusiasmante. Non suonavano certo come una rock band ma era sempre meglio di niente… Presi Bella sotto braccio e iniziammo le nostre danze, saltando e girando su noi stessi. Non so come facesse con il vestito così lungo ma non inciampò mai e ci divertimmo un sacco. Quello fu il nostro momento. Gli altri smisero di ballare e pian piano rimanemmo soltanto noi due a occupare la pista da ballo. Ripensandoci non avrebbe potuto essere altrimenti visto che ballavamo senza alcun ritegno, spostandoci da una parte all’altra.
Dopo quattro canzoni ci fermammo e notai lo sguardo divertito di tutti mentre Alice ci fissava con disapprovazione e il motivo fu subito evidente: i movimenti bruschi e veloci avevano fatto crollare letteralmente l’acconciatura di Bella. Alcune rose erano finite a terra mentre la mia amica si ritrovava ciocche sparpagliate sugli occhi. Tentò di ricomporsi, con scarso successo, poi mi abbracciò, disinvolta. “E’ stato meraviglioso, grazie!”.
In quel momento sopraggiunse anche lo sposo che passò una mano fra i capelli di sua moglie e, ammiccante, commentò:“E’ stato interessante. Un tipo di ballo inusuale a un matrimonio…”. Represse una risata sardonica osservando come era ridotta Bella.
“Congratulazioni, ragazzi” dissi. “Spero che siate molto felici”.
Bella si appoggiò al braccio di Edward e non ci fu bisogno di aggiungere altro. Ero sincero e nessuno poteva saperlo meglio di lui. Mi strinse la mano e mi ringraziò quasi gioioso.
“Grazie, Jacob” poi lanciando a Bella un’occhiata profumata di rimprovero, ma che divenne solo di comprensione per il segreto appena rivelato, proseguì:”Lo saremo tutti e quattro. Voi dovrete solo avere un attimo di pazienza”.
“D’accordo; intanto andate avanti voi…” scherzai.
Infine la prese per mano e si allontanò verso Charlie e Renèe. Ormai il party era agli sgoccioli e gli sposi sarebbero partiti alle dieci di sera dall’aeroporto di Seattle. La luna di miele incombeva ed era giunto il momento dei saluti. Pian piano tutti gli invitati si ammassarono, come per la comunione in chiesa, a dare e ricevere baci e abbracci alla reale coppia. Tutte queste smancerie non erano per me. Li avremmo rivisti fra tre settimane e tutto sommato la loro assenza poteva dirsi quasi propizia visto che Bella mi aveva garantito, che durante questo periodo, avrei potuto usare la sua nuova macchina. Nuova mica tanto visto che era rimasta sotto un telone bianco per un anno intero, e non si poteva certo definire ultimo modello, però era quella che il caro Edward aveva acquistato come regalo di nozze per il primo matrimonio, mai celebrato. Una Ferrari, rosso vermiglio. Il solito esibizionista! Quando si trattava di auto sembrava che in quella famiglia perdessero il senno. Riunendo tutte le macchine che possedevano e rivendendole ci sarebbero venuti due-tre appartamenti di lusso. E poi perché spendere tanti soldi per una macchina che Bella non avrebbe mai usato? A lei non piacevano le vetture costose e vistose. Preferiva correre con le sue gambe. Avevamo fatto un paio di giri insieme e Bella non sapeva proprio guidarla: la teneva al guinzaglio manco fosse un chihuahua. Però adesso che erano fuori dai piedi potevo utilizzarla io. Avevo persino il benestare della padrona! Tutto a posto, quindi!
Sam ed Emily furono i primi ad eclissarsi. La babysitter era pagata fino alle 18 ed Emily non resisteva mai troppo lontana dal suo adorato marmocchio.
Anche dopo la fuga degli sposi verso la loro terra sconosciuta, ci eravamo intrattenuti un po’ tutti in noiose ed educate chiacchierate. Io me ne sarei andato via subito per togliermi la giacca, ma sembrava che Rachel, papà e Paul non avessero tutta la mia fretta, anzi. Sopportai fino a che Rosalie non scomparve dal mio campo visivo. La cercai invano ma pensai che dovesse già essere andata al nostro appuntamento.
“Devo andare” dissi, rivolto a Paul, che stava ridendo e bevendo con Jared. “Riaccompagni tu a casa, papà e Rachel?”.
Paul mi lanciò un’occhiata di fervente disapprovazione: non per dove stessi andando ma perché ancora non mi fidavo a lasciarli nelle loro mani, ben sapendo che prima o poi lui e Rachel si sarebbero sposati e quindi, volente o nolente, saremmo diventati cognati. Non era un’opzione che gradissi particolarmente, ma non potevo ribellarmici; nello stesso modo in cui papà si doveva rassegnare ad avere una vampira come compagna di suo figlio.
Avrei voluto passare a casa a cambiarmi, ma non avevo tempo e non volevo che mi aspettasse troppo a lungo. Per fortuna non era piovuto recentemente quindi la terra era ancora secca dall’estate appena trascorsa, altrimenti i pantaloni avrebbero raccolto un quintale di fanghiglia, e Rachel mi avrebbe ucciso!
Il nostro luogo dell’appuntamento era sull’ex-confine, vicino alla quercia, sotto un abete rossastro che aveva l’unico pregio, per noi due, di essere il posto dove l’avevo baciata la prima volta. Rose teneva molto a quell’angolino, come se fosse una specie di santuario e, sapendo questo, era stato proprio lì che le avevo regalato il braccialetto.
Meno di tre mesi fa stavo passeggiando con Bella a Port Angeles, mostrandole dove lavoravo, quando, un argomento tira l’altro, le avevo chiesto quando Rosalie compisse gli anni. “Il 24 luglio. Però non lo festeggia più, come tutti i Cullen, da quando è stata trasformata. Dice che è assurdo festeggiare sempre 18 anni”.
Non potevo eccepire che avesse ragione a voler cancellare quella data dal calendario, però eravamo insieme da due mesi e volevo farle un regalino, cogliendo come pretesto il compleanno. Chiesi aiuto a Bella che, ovviamente, coinvolse anche Alice e quella fu la mia rovina! Un sabato pomeriggio mi portarono in giro, all’insaputa di Rosalie, per negozi. Mi fecero vedere tutto quello che Rosalie aveva visto negli ultimi tempi e che le piaceva, ma si trattava di soli vestiti. Un abito, considerando che il suo armadio sembrava un vulcano pronto a esplodere, non mi sembrava originale, anzi. Oltre al fatto che costavano un occhio della testa, essendo di sarti più o meno famosi. Per scherzo mi misi a guardare tra le gioiellerie mentre Alice derideva le mie scarse opportunità economiche.
Fu in una vetrina di queste che vidi un braccialetto di oro bianco, lavorato in foglie di acanto intrecciate e intarsiato di zaffiri. Fu come uno schiaffo. Il colore delle pietre era identico ai suoi occhi, l’oro così chiaro mi ricordava il contorno vagamente dorato delle sue iridi.
“Costerà una fortuna, Jake” balbettò Bella. “Non puoi permetterti un bracciale con quel tipo di lavorazione, a meno che tu non faccia una rapina”.
Entrai nel negozio e ne uscii sulle mie gambe solo per orgoglio perché il bracciale costava 4000 dollari! Dove diavolo li avevo, considerando che lavoravo da un mese appena?! Eppure lo volevo a tutti i costi.
Mi lambiccai il cervello tutta la notte e la soluzione, nemmeno troppo difficoltosa, arrivò. I miei genitori avevano messo da parte una discreta somma perché, terminato il liceo, potessi andare all’università e quindi, visto che non li avrei usati per studiare, potevo farne ciò che volevo. E optai per il braccialetto. Vi risparmio le discussioni con Billy per avere il suo benestare, ma quando lo minacciai di aprire un finanziamento, dovette cedere, dopo molti brontolii e sospiri.
Il 24 luglio eravamo sotto il nostro solito albero quando le diedi il pacchetto. Non si aspettava né il regalo, né gli auguri e questa fu la sorpresa a me più gradita. Quando aprì la confezione, non seppi definire se brillassero di più i suoi occhi o gli zaffiri, ma non disse nulla per qualche istante. Le prime parole che uscirono furono “E’ meraviglioso, ma non posso accettarlo. L’avrai pagato una fortuna”, ed effettivamente era vero, ma mi rifiutai di riprenderlo indietro e, dopo una lunga discussione, la convinsi ad accettare.
“Così quanti anni compio oggi?” mi domandò mentre ruotava il polso per ammirare lo sfavillare del gioiello da ogni angolazione.
“Non so. Quanti anni avresti?”.
“94”.
“Te li porti bene, nonnina” ridacchiai.
Rose si sfiorò il bracciale e lo strinse al petto, come se non avessi nemmeno aperto bocca. Lo accarezzò mentre diceva:“Ti va bene se ne compio 19? Io sono nata con te, mi sento umana con te ed è giusto che il numeratore riparta da dove l’avevo interrotto…”. In quelle parole ci fu qualcosa di mesto, nostalgico, d’innocenza perduta che mi strinse lo stomaco.
“Uhm, ma così saremmo coetanei, mentre tu saresti più vecchia, però farò un’eccezione. Proprio perché sei tu!” cercai di sdrammatizzare.
Rise come una bambina e da quel momento, tutte le sere in cui la incontrai, non fece mai mancare il braccialetto. Lo accarezzava quasi convulsamente, lo rimirava come se fosse l’unica cosa preziosa che avesse e io non ebbi mai modo di pentirmi del mio acquisto.
Il sole stava tramontando in un squarcio fra le nubi, colorando l’orizzonte come una ferita sanguinante. Nuvole purpuree si ammassavano a oriente e il vento forte odorava di pioggia. Probabilmente in nottata avremmo avuto un acquazzone.
Quando arrivai all’abete rosso la trovai. Era in piedi, ancora vestita come la mia principessa. Quanto potevo avvicinarmi? Quanto, prima di sentire dolore? Lo sapevo perfettamente qual era il punto dove mi fermavo durante le nostre lunghe chiacchierate notturne, ma ora mi sembrava troppo lontano per quello che avevo davanti agli occhi. Come potevo restare fermo quando le sue labbra, immobili e taciturne, dicevano soltanto “toccami”. Feci qualche passo in più del normale e Rosalie si irrigidì, arretrando a sua volta. Perché non lasci che ti sfiori, anche solo un attimo? Qualsiasi cosa succeda, ne varrebbe la pena…
Mi fermai: non avrebbe permesso che mi avvicinassi, avrebbe fatto di tutto pur di sfuggirmi e io non volevo perdere la mia visione.
“Non credevo che saresti venuto…” balbettò, confusa.
“Perché non sarei dovuto venire?”.
Rose scrollò le spalle, svogliata, tornando a giocare con il bracciale.
Nonostante fossimo ormai agli sgoccioli dell’estate, i prati erano ancora di un verde intenso e l’odore dei fiori si spargeva per tutta la foresta. Lo odiavo perché riusciva quasi a coprire il suo profumo di vaniglia e questo contribuiva ad allontanarla ancora di più.
“Mi dispiace per ieri sera… Non pensavo quello che ho detto” ruppe il silenzio con un tonfo. “Ti chiedo perdono”.
“Lo so, Rose. Altrimenti credi che sarei venuto qui?” domandai allargando il viso in un sorriso ironico. In realtà sarei andato lì ugualmente ma tentavo di mantenere un’infantile dignità.
Rosalie sorrise, a suo agio e lasciò intravedere i canini, anche se solo per qualche istante. Era sconvolgente per me pensare che amassi persino quelli, che la parte del corpo che più avrei dovuto respingere fosse affascinante quanto le altre. Non l’avrei mai conosciuta se non fosse stata un vampiro e quindi amavo ciò che più la rendeva anomala agli occhi degli altri. Per me non sarebbe mai stata diversa, solo speciale, zanne comprese.
“Stai benissimo vestito così…” mi guardò sognante. “Sembri il principe azzurro delle fiabe”.
Scossi la testa. “Non abbastanza per te…”.
“Che vai blaterando?!”.
“Dico semplicemente che hai fatto bene a venire dopo la cerimonia, a ricevimento ormai quasi concluso, altrimenti, se fossi stato in Bella, ti avrei ucciso! Hai distolto l’attenzione di tutti da lei. Uno sgarro che fra donne non si perdona, giusto?” ridacchiai mentre una brezza generosa aveva ripreso a portarmi il suo aroma.
“Non è vero. Bella era meravigliosa oggi. Semplicemente radiosa…”.
“Non regge il confronto con te. E’ un dato di fatto e lo sai anche tu”.
“Lo so, ma lei oggi era molto più attraente di me perché è felice. La felicità ti dà quell’aurea magica con cui non puoi competere e io non l’avrò mai…” ammise sconfitta. Si appoggiò all’albero, apparentemente osservando l’invisibile vita notturna sulla corteccia; in realtà schiacciata da un peso che nemmeno un vampiro con la sua immensa forza sarebbe stato capace di sostenere.
“Anche noi avremo la nostra felicità” la rincuorai.
“Quando?” balbettò mentre luci intermittenti le illuminavano lo sguardo. Stava per scoppiare a piangere. “Oggi non sono venuta alla cerimonia non perché non ci fosse abbastanza posto per entrambi. D’accordo, non sarei stata la testimone di Edward, ma potevo ugualmente mettermi negli ultimi banchi. Non sono venuta perché mi vergognavo da morire…”.
“Vergognarti? Di cosa?”.
“Di quanto li invidio. In questi giorni mi sono logorata al pensiero che loro faranno tutto quello che volevo fare io mentre noi due non avremo mai questa possibilità. Saremo condannati a guardarci per l’eternità da dieci metri, a sognare una vita che non avremo e io… Dio, Jake, sono una persona orribile perché li ho odiati tanto da desiderare la loro morte. Mi sono detestata perché io voglio bene a entrambi ma non ce la facevo a venire lì e riempire di sorrisi e abbracci tutti quanti. Vorrei tanto essere morta quel giorno invece che ridotta come adesso… Non ce la faccio più…”.
Si voltò di scatto dalla parte opposta ma potevo sentire ugualmente le lacrime scendere, mentre la schiena tremava per i singulti trattenuti. Piangeva e io avrei dovuto stare vicino a lei a consolarla invece di essere confinato, costretto a vederla consumarsi senza fare nulla. Questo era ancora più penoso che non poterla abbracciare. Mi tornò in mente papà, subito dopo l’incidente in cui era morta la mamma: lo vedevo piangere, ero vicino a lui, ma non potevo fare o dire niente che potesse consolarlo. E vedere una persona soffrire senza poter fare niente per alleviarne le sofferenze è peggio che ucciderla con le proprie mani.
“Rose, ti devo dire una cosa… Una cosa che mi ha confidato Bella oggi pomeriggio…” esordii fermo. Non avrei dovuto dirglielo, almeno secondo le intenzioni di Edward, ma che andasse al diavolo pure lui! A quest’ora era già in aeroporto pronto per la sua dannatissima luna di miele: non avrebbe potuto rimproverarmi nulla.
Rose non si voltò, ma respirò profondamente.
Le raccontai ciò che mi aveva detto Bella e infine si girò verso di me. Un po’ di mascara le si era sciolto sul viso ma non toglieva nulla alla sua bellezza, anzi la accentuava con quel tocco di fragilità che per me era paradisiaco.
“Sam non ti ha accennato niente…” balbettò, sospettosa.
“No. Te l’ho già detto come sono andate le cose. Tuo fratello non vuole darci speranze senza avere certezze, ma se hanno trovato un branco che narra queste leggende, vuol dire, Rose, che non siamo i primi e allora c’è già una speranza. Fra tre settimane, Sam partirà e andrà a trovarli. Loro ci aiuteranno, ne sono sicuro!”.
“E’ per questo che… Ho sentito una telefonata a Eva. Alice diceva che avrebbe dovuto fare da interprete, ma non avevo capito per cosa. Pensavo che fosse inerente al viaggio di nozze… Tu credi davvero che servirà? Che finalmente dopo potremo…?” non osò finire la frase, ma cercò in me la risposta.
“Si sistemerà tutto, amore. Loro avranno la cura” dissi fiducioso.
Sam ed Edward in questi quattro mesi avevano rintracciato una decina di branchi più o meno sparsi nel mondo, ma tutti avevano strabuzzato gli occhi quando avevamo parlato loro di imprinting fra un licantropo e un vampiro. Questi no, questi sapevano di cosa stavamo parlando. Era un passo avanti importante. Non volevo illudermi che avremmo avuto il rimedio servito sul piatto d’argento, ma almeno un’idea di come evolvere la nostra situazione e venirne a capo per me sarebbe già stato un miracolo. Non lo volevo ammettere per non torturare Rosalie ma anch’io spesso sentivo le forze cedere quando riflettevo sul futuro che non avevamo. Ora invece una tenue fessura aveva incrinato la roccia. Potevamo farla rovinare se ci fossimo impegnati, magari con qualche aiutino esterno.
Un guizzo di speranza fiammeggiò negli occhi di Rosalie: non mi sarei mai pentito di averglielo detto perché avevo potuto godere di questo spettacolo.
“E’ fantastico. Se loro avessero la soluzione, finalmente potremmo stare insieme, potremmo fare tutto ciò che facevamo un tempo… Potrò abbracciarti… Dio, sarebbe meraviglioso! Quante notti l’ho sognato a occhi aperti. Ho perso il conto… Tu, Jake, cosa faresti come prima cosa?”.
Non ebbi bisogno di rifletterci. “Ti sposerei…”.
Il suo sorriso si spense, lo sguardo si fece neutro e senza espressione, i lineamenti delicati si ricomposero in una glaciale alterigia. Forse sorpresa, forse contrariata. Avrei potuto attribuire qualsiasi tipo di emozione a quel viso.
“Davvero mi vorresti sposare?” mormorò in un soffio.
“Sì” affermai deciso. “Così almeno sarei sicuro che non mi sfuggiresti…”.
“Non potrei mai sfuggirti, lo sai…”.
“Ti voglio sposare ugualmente… Se non mi volevi sposare, dovevi pensarci prima di incantarmi, fata!” la derisi, ma il mio desiderio era serio.
“Non lo dici per farmi piacere, vero?”.
“Affatto. Se non ci fosse stato questo spiacevole inconveniente, ci saremmo sposati prima di Edward e Bella. Te lo posso assicurare…”.
“E’ fantastico. Dio, Jake, mi piacerebbe tanto! Non credevo che lo volessi anche tu, ma io lo desidero da così tanto tempo che mi sembra di essere nata con questo desiderio. Il mio sogno… E poi una casa tutta nostra, come hanno Edward e Bella, senza nessuno tra i piedi. La arrederemmo come vogliamo e poi… potrei imparare a cucinare, così quando torni a casa la sera, troveresti la cena già pronta. E dormire insieme, guardare la televisione insieme, annoiarsi insieme. Il sogno che diventa realtà…” sussurrò illuminata dalle ultime luci prima della notte.
“Già, però devo guastare il tuo sogno…”.
Mi fissò trasecolata. “Non voglio un solo quattrino dalla tua famiglia, ne abbiamo già approfittato troppo. E io non ho uno stipendio così imponente da mantenere te e la casa. Quindi dovresti lavorare anche tu…”.
“Lavorare?” domandò, aggrottando la fronte. La sua voce espresse una guardinga neutralità e una distaccata allegria.
“Già, altezza. Dovresti dimenticare i tuoi vestiti sfarzosi e le macchine super lusso… Credi di potercela fare?”.
“Lavorare…” ripeté, come se fosse in stato di shock. “Non ho mai lavorato in vita mia”.
“C’è sempre una prima volta…”.
“Lavorare… Come un normale essere umano…”.
Non risposi perché rise fresca e serena. “Mio Dio, lavorare… Guadagnare, avere dei soldi tutti miei senza dover chiedere ad Alice. Amministrarmi come meglio credo… Dividere le spese… Essere pagata per qualcosa di buono che faccio… Sarebbe meraviglioso! Conoscere altre persone, senza parlare solo di scuola e materie scolastiche, avere un confronto. Colleghi di lavoro… Tornare a casa, nervosa, e fare le faccende, cucinare, lavare. Jake, sarebbe più di quanto potessi mai sognare… Certo mia madre, la mia madre naturale intendo, si rivolterebbe nella tomba se lo sapesse, ma… finalmente uscirei dai 18 anni! Non importa vestire firmata e non importano le macchine. Una vita, una vita vera. Che lavoro potrei fare, secondo te?”.
“Non lo so. Dicevi che sapevi bene il francese. La traduttrice?”.
“So anche il tedesco. Traduttrice… o interprete, magari?” e si portò le mani al petto. “Un lavoro, una casa, un marito… Non credo di meritare tanta fortuna…”.
“Meriti questo e anche di più. E lo avrai, Rose. Avrai la vita che desideravi”.
Inclinò la testa e, languida, ammise:“L’avremo insieme. Vita è soltanto una parola ed è vuota senza di te. Sei tu a riempirla, a darle valore”.
“Ti amo” risposi. Non trovai altro di meglio che questo ma non avevo niente che potesse competere con la magia delle sue parole. Rose fece un giro completo su sé stessa e poi domandò, stuzzicante:“Ti piace questo vestito?”.
“Mi piace se lo indossi tu…”.
Sorrise imbarazzata. Le facevo complimenti in continuazione ma sembrava sempre la prima volta, come se non fosse abituata a riceverne.
Si appoggiò, apparentemente stanca al fusto dell’albero, poi voltò il viso verso di me. “Vorrei la cucina di legno di noce… Credi che si possa fare? Oppure costa troppo?”.
“Non ne ho idea. Non mi intendo di arredamento…” alzai le spalle. Si passò una mano fra i capelli e cominciò a fantasticare a voce alta su come avrebbe voluto che fosse la nostra casa, come arredarla, quanto grande e via dicendo. All’inizio le prestai attenzione poi la sua voce diventò soltanto il sottofondo dei miei pensieri.
Non so se fosse il vestito a renderla perfetta o lei a rendere perfetto il vestito. Sembrava che le fosse stato cucito addosso. Non era molto scollato ma disegnava la curva del seno come una sinuosa montagna. Rosalie si accarezzò il collo con movimento aggraziato e naturale. La mano scese lentamente fino alla spalla e lì rimase. Le dita erano lunghe, i polpastrelli morbidi. Era come se stesse toccando me, ne avvertivo il passaggio sulla mia pelle. In quel momento le ero vicino, abbastanza vicino da poterla scaldare col mio respiro, da disegnarle le labbra con un dito fino a toglierle quell’appiccicoso rossetto con la mia bocca. Intrecciare la mia mano nella sua, portarla dietro la schiena in modo tale da spingerla verso di me. Forse un po’ brutale ma lei non avrebbe sentito dolore. Specchiarmi in quegli occhi blu e ritrovare ogni volta la mia casa, dalla quale non sarei mai voluto fuggire. Non importava dove avremmo vissuto, purché ci fosse lei, purché mi abbracciasse, purché potessi sempre rifugiarmi fra le sue braccia.
Il suo viso appoggiato al mio, il suo profumo dolce, confuso con il mio un po’ acre, le sue gambe intrecciate alle mie… Gettai un’occhiata a terra e notai che, per fortuna, il vestito non aveva spacchi altrimenti chissà cosa avrei immaginato… Però, così facendo, seguii la linea dei fianchi e la cerniera lampo che mi separava dal mio angolo di paradiso.
“Jake, mi stai ascoltando, sì o no?”. Scrollai il volto, sorpreso. Era di nuovo a dieci metri da me e pure indignata perché non avevo ascoltato una parola delle sue fantasie sulla casa.
“Dimmi…”.
“Ti stavo chiedendo di che colore volevi la carta da parati in camera da letto…”.
“E’ uguale. Non importa…” chiosai distratto.
“Che cosa stavi pensando di così interessante?” domandò, incrociando le braccia. Non era arrabbiata, solo incuriosita.
Non pensai che avrei dovuto ponderare le parole, che avrei dovuto essere più lungimirante, che forse avrei potuto rovinare la sua serenità. Risposi e basta. “Pensavo a come spogliarti…”.
Rosalie sbatté le palpebre, sconcertata, poi lasciò cadere le braccia come se avessero reciso le fila di un burattino. In quel momento capii di avere fatto una cazzata e non ebbi nemmeno la decenza di fingermi pentito. “Non credo che sia un argomento da affrontare adesso” borbottò. “E poi non è neanche appropriato. E’ un discorso da osteria di quart’ordine”.
“Inappropriato? Da quando ti fai questi scrupoli? E poi non ci trovo niente di male se dico che vorrei fare l’amore con te…”.
“Io invece lo trovo fuori luogo”. Mi fissò fredda, come un’insegnante che sgrida l’alunno indisciplinato.
“Beh, io no. Se vuoi ti dico anche che cosa stavo pensando…” suggerii quasi velenoso. Non capii il perché ma mi stavo arrabbiando.
“Non mi interessa. Puoi tenere le tue fantasie per te”.
“Che ti prende? Per te non è mai stato un problema affrontare questi discorsi, e visto che mi hai rotto le scatole con la tua carta da parati, adesso potresti ascoltare i miei desideri. Potresti lasciar sfogare un po’ anche me oppure tutto ti è dovuto?”.
Abbassò lo sguardo come se l’avessi ferita. Ma durò solo un attimo. Troppo poco perché potessi provare rimorso.
“Non possiamo fare niente quindi perché torturarci? Non lo trovo logico…” mi spiegò, irritante nella sua saccenza.
“Torturarci?! Magari parlarne potrebbe essere di aiuto, ma a te sembra non interessare. Forse perché non hai così bisogno di me come io di te, forse perché trovi altre valvole di sfogo, chissà…”.
“Di cosa stai parlando?” alzò la voce, storcendo indelicatamente la bocca.
“Di come ti sei fatta toccare da tuo fratello… E ovviamente tu mi dirai che non c’è niente di sbagliato perché è tuo fratello. Certo, come no, peccato che non abbiate neanche un legame alla lontana a parte una convivenza di ottant’anni alle spalle…” ridacchiai sarcastico. Non capivo perché stessi dicendo tutto questo, sembrava che la maglia che teneva salde le mie nevrosi si fosse sfilacciata di colpo e stessero scappando senza possibilità di riuscire a fermarle.
“Io non mi sono fatta toccare da Edward… Era soltanto un ballo… Niente di più”. La sua voce era ferma, ma un pizzico di imbarazzo la fece vacillare.
“Certo, certo. In fondo avete soltanto attirato l’attenzione di tutti quanti come la coppia più bella della festa. Ti dirò, guardandovi mi sono chiesto perché tu non ci abbia provato con lui invece che con me. Ah già, ma c’era Emmett fra i piedi, e adesso anche Bella… Però ora che ci penso avete trascorso una decina d’anni voi due soli quindi potete avere fatto qualsiasi cosa senza che nessuno lo sappia… E potreste sempre rinverdire i vecchi tempi alla prima occasione”.
“Che stai dicendo?!” strillò con tutta la forza che aveva. “Fra me ed Edward non c’è mai stato niente. E’ solo mio fratello. Gli voglio bene, come tu ne vuoi a Bella. Non c’è altro”.
Aveva gli occhi lucidi, anche se la conoscevo abbastanza da sapere che il suo orgoglio stesse tentando di arrestare le lacrime. Le stavo facendo del male, proprio io che avrei dovuto proteggerla.
“Perché…? Perché mi stai facendo questo?” balbettò. “Lo sai che ti amo e non ti tradirei mai”.
“Non mi è piaciuto come ti ha stretta… Non mi è piaciuto…” ripetei meccanicamente. Sentii fluire lontano la selvaggia energia che mi aveva scaldato poc’anzi. Il suo decorso fu talmente improvviso da farmi sentire come un sacco vuoto. Mi sedetti per terra, incurante del fatto che avrei sporcato lo smoking e Rachel me le avrebbe suonate. Ripiegai il capo sull’avambraccio.
“Ho paura, Rose… Tanta paura” mi ritrovai a confessare. “Non riesco a starti vicino come vorrei e temo che prima o poi tu ti stancherai di aspettare. Non voglio che qualcuno ti tocchi… Credo che potrei persino uccidere, se lo scoprissi”.
“Jake, credi che ti potrei tradire?! Lo credi davvero?” si accigliò. Aveva le spalle contratte e il corpo irrigidito, come per una sorta di dolore interno.
“Non lo so” risposi con voce strascicata e lamentosa. “So che hai bisogno di un contatto fisico e io non posso dartelo. Non posso darti niente di quello di cui hai bisogno…”.
“Io non ho bisogno di un contatto fisico. Ho bisogno di te e basta. Non voglio nessun altro. Ma è evidente che non ti fidi di me…”.
Alzai lo sguardo, senza rispondere. Avrei dovuto dirle che si sbagliava, che mi fidavo perché era così, ma non uscì una parola dalle mie labbra. A quel punto la barriera si infranse e un misto di rabbia e dolore le solcò il viso. “Sei riuscito a rovinare tutto, Jake…” biascicò.
Sollevò il vestito e se ne andò. Non feci niente per fermarla. La osservai sparire all’orizzonte mentre un groppo in gola sembrava voler esplodere. L’oscurità lambiva il cielo come una marea di inchiostro. Avevo davvero rovinato tutto.
Rimasi seduto per qualche minuto, poi mi alzai, diretto a casa. Camminai attraverso il bosco, con la schiena curva e la testa insaccata nelle spalle, come un vecchio troppo stanco per sostenere i propri malanni. Capivo cosa avevo fatto, cosa avevo detto, ma non riuscivo a ragionare, a porre un freno alla rabbia. Quando varcai la soglia di casa, trovai Rachel e Paul seduti sul divano che guardavano la tv insieme a papà. Mia sorella si voltò per salutarmi o, in realtà, per controllare il completo preso a nolo. Non ci mise che un battito di ciglia per notare che i pantaloni erano sporchi in più punti. Ed esplose. “Jake” sbottò. “Come diavolo li hai ridotti?! Non sono tuoi. Li devo riportare lunedì e se li vedono così me li faranno pagare come nuovi!”.
“E’ solo fango… Lascia che si asciughi e poi sbattili” replicai laconico. Non avevo voglia di discutere e, pur essendo ora di cena, neanche fame. Il pranzo a casa dei Cullen mi aveva riempito a dovere, ma avrei potuto scommettere che, anche se fossi stato a digiuno, non avrei cenato ugualmente. Salii le scale, senza aggiungere altro. Una volta in camera buttai giacca, pantaloni e camicia sulla poltrona e indossai i miei comodissimi bermuda. Afferrai le cuffie per ascoltare la musica senza disturbare nessuno, accesi lo stereo e lo feci partire a tutto volume. Avrebbe dovuto spaccarmi i timpani invece quasi non lo sentivo.
Come avevo potuto lasciarle intendere che non mi fidavo di lei? Certo che mi fidavo, non mi avrebbe mai tradito, ma ero soffocato dalla paura di perderla. La verità era che non riuscivo più a trattenermi. Dopo quattro mesi i miei nervi stavano saltando. Potevo sperare che Sam avrebbe trovato la cura ma se non fosse stato così, che cosa avremmo fatto? Se fossi stato realmente altruista, se Rose fosse realmente venuta al primo posto, avrei dovuto lasciarla andare perché si meritava la felicità e perché lei era solo l’oggetto dell’imprinting. Non era condannata ad amarmi per sempre, poteva cambiare idea, poteva trovare qualcuno da amare più di me. Ma io ero un egoista e non volevo, non potevo pensare di perderla. Allora perché l’avevo ferita a quella maniera? Che senso aveva sfogare su di lei la mia frustrazione? Mi mancava già e ci eravamo separati da un’ora soltanto. Non poteva andare avanti così. Mi sentivo bruciare, come se fossi all’inferno, come se mi fossi ustionato e stessi staccando la carne viva: era il rimorso per come l’avevo trattata? Sì e tutto per uno sciocco desiderio.
O forse non era uno solo… Non c’era soltanto il contatto fisico, ma anche quello che lei aveva immaginato ad alta voce. La casa, una vita quasi normale, una famiglia. D’accordo non avremmo mai avuto figli ma lei sarebbe stata la mia famiglia. Invece ero destinato a vedere tutto questo realizzato nelle persone che mi stavano accanto mentre io restavo a bocca asciutta.
Mi girai e rigirai nel letto e, visto che il rumore assordante della musica non riusciva a coprire i miei pensieri, spensi lo stereo. Quando riposi le cuffie sul comodino, il brontolio di un tuono mi fece sobbalzare. Stava piovendo, e, a giudicare dal rumore concitato e frequente delle gocce di pioggia, diluviava. I classici temporali estivi anche se, essendo settembre, non erano più così frequenti come qualche settimana fa. Mi affacciai al davanzale e sentii il vento scuotere l’albero davanti alla mia finestra e sferzare contro di me, come se cercasse di schiaffeggiarmi.
Mi ributtai a letto, cercando di assopirmi, ma mi tormentava la sua espressione sconcertata. Non avrei dovuto dirglielo, non avrei dovuto sbatterle in faccia le mie paure. Mi sfregai il viso più volte, come per cercare di estirparlo con la violenza. Avrei sbattuto la testa contro il muro se fosse servito a ottenere il perdono da me stesso e da lei.
Guardai la sveglia e mi accorsi che erano le undici. Sentii mio padre andare a letto, ma il televisore rimanere ancora acceso. Rachel e Paul erano svegli e probabilmente avrebbero approfittato dell’assenza di Billy per coccolarsi un po’. Dio, come li odiavo! Come odiavo tutti quanti! Rose aveva confessato, come se si fosse trattato della colpa più grave del mondo, la sua invidia verso Edward e Bella, ma io non mi vergognavo di quello che stavo provando adesso. Se lei fosse stata qui, con me…
Mi sedetti sul letto e guardai la nostra foto. Poi tirai il cassetto del comodino e ne estrassi le foto tessera tutte linguacce che avevamo scattato nella medesima occasione. Le fissai tanto a lungo da dare l’impressione di esserne quasi incantato. Infine le riposi nel cassetto e mi incamminai verso la finestra. Scavalcai il davanzale e saltai giù. Ero al primo piano ma era quasi una bazzecola per me. Una volta atterrato, controllai che nessuno avesse notato la mia esibizione circense e mi allontanai di corsa. Avevo bisogno di vederla, di scusarmi. Mi inoltrai nella foresta e come al solito raggiunsi casa loro attraverso essa.
Quando arrivai davanti al portone, ero zuppo dalla testa ai piedi. Battei con vigore alla porta, che mi fu aperta da Alice. Mi fissò benevola e prima che potessi aprire bocca, mormorò:“Lo immaginavo che saresti venuto…”.
“Allora per favore chiamala” implorai. Mi sentivo una femminuccia, ma Rose riusciva a tirare fuori il peggio di me. Sapevo che arrabbiarsi era meglio che piangere, ma quando c’era lei di mezzo non riuscivo.
Alice scosse la testa, sconsolata. “E’ arrabbiata, Jacob. Molto arrabbiata. E non vuole vederti…”.
“Mi voglio scusare…”.
“Lo so, ma è meglio se per stasera la lasci stare. E’ stata una giornata pesante per lei: il matrimonio, la vostra discussione, non è neanche andata a caccia. Sono sicura che domani starà meglio e le sarà passata. Se adesso vi parlaste, siete entrambi nervosi e finireste per peggiorare le cose e farle diventare più grandi di quanto siano. Lasciala sbollire, ok?”.
Esitai. Avrei voluto fare irruzione nella casa, ma cosa ci avrei guadagnato? Dalla sua camera sicuramente sentiva la mia voce e se avesse voluto parlarmi sarebbe scesa di sua iniziativa. Abbassai lo sguardo. Forse Alice aveva ragione: dovevo lasciarla sbollire e l’indomani sarebbe stato tutto sistemato. Annuii stancamente e scesi le scale, mentre la porta si chiudeva alle mie spalle.
Costeggiai il retro del giardino dove erano rimasti ancora i tavoli e il gazebo. Probabilmente sarebbero venuti lunedì a smontare il tutto. Guardai le finestre illuminate al piano terra e poi un’unica luce al piano superiore, in corrispondenza della camera di Rosalie. Guardando quella casa, un tempo piena di persone, e ora solo scarnamente abitata, mi riempii di tristezza. Erano rimasti solo Alice, Jasper e Rosalie. Una villa enorme popolata da fantasmi e dolore.
Sarei dovuto rientrare ma la speranza che Rose si affacciasse per un motivo banale alla finestra fu troppo forte. Aspettai per parecchio ma non si affacciò mai. Lo sapevo che dovevo lasciarla stare, che Alice aveva ragione ma stavo combattendo una battaglia già persa contro la mia disperazione. Lei riusciva a tranquillizzarmi, a darmi una ragione per respirare e ora quella ragione non c’era. Il cuore pulsò più velocemente e la pressione più alta mi martellò le tempie. Respirai profondamente e lentamente ma non servì. L’istante successivo ero un lupo.
Quando ero trasformato, ero più debole alle emozioni, le sentivo trascinarmi via con più veemenza, ma al contempo si smarrivano con maggiore velocità. Le gocce di pioggia mi scivolavano sulle ciglia, offuscandomi la vista mentre l’umidità penetrava nelle ossa. Ululai una volta, poi una seconda e una terza. Volevo solo che uscisse sul balcone un attimo. Mi sarebbe bastato per quella notte. Ma non accadde. Ululai ancora e ancora fino a che la luce in camera sua non si spense. Mi illusi che stesse scendendo per parlarmi ma attesi invano. Non voleva vedermi ed era impossibile che non mi avesse sentito. Il mio cuore andò in pezzi e ne sentii le schegge ferirmi tutto il corpo.
Mi accucciai sotto un albero e ripresi ad ululare. Volevo che sentisse il mio dolore, il mio rimorso per quello che avevo detto. Forse sarebbe uscita, se non altro per tirarmi un libro addosso, forse mi avrebbe parlato, forse mi avrebbe rimproverato. Per qualsiasi motivazione l’avesse fatto io avrei raggiunto il mio scopo. Vederla. Tuttavia non uscì.
Ululai tutta la notte fino a che la mia voce si fece rauca, incurante del fatto che le ricerche per il misterioso branco di lupi che aveva ucciso 11 persone fossero ancora aperte. Se fossero arrivati i cacciatori e mi avessero sparato, avrei sofferto meno e sarebbe stato un bene anche per Rose. Non chiusi occhio aspettando la mia luna e la sua aurea di perfezione e solo all’alba, quando ormai aveva smesso di piovere, le palpebre si fecero pesanti e irrequiete. Ero stremato e avevo fame, ma non me ne sarei andato.
Un rumore di foglie schiacciate, un fruscio leggero e un vago odore di vaniglia, reso pesante dall’umidità della pioggia.
“Hai finito di ululare?” mi domandò Rosalie in maglietta e shorts a dieci metri da me. Uggiolai per la gioia mentre iniziavo a scodinzolare “indecorosamente”, avrebbe detto Leah. Rose infilò le mani in tasca e poi fece un cenno verso casa. “Immagino che avrai fame. Ti ho preparato la colazione. E’ nel patio…”.
Sorrise e il sole finalmente filtrò tra le nuvole.



Alla fine Bella ed Edward ce l'hanno fatta a coronare il loro sogno d'amore. Rosalie e Jake ce la faranno?
Il finale della ff si sta avvicinando. Continuate a seguirmi e lo scoprirete.
Un bacione a tutte!

Ven
 

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Capitolo 89
*** Il destino della falena ***


Ci stiamo avvicinando all'epilogo.
Nei prossimi capitoli non metterò alcun commento prima del testo perchè voglio che la ff parli per me, però sappiate che qualsiasi commento o recensione sarà sempre ben gradita.
Un bacione a tutti!!!!



 
La falena potrebbe soffocare l’impulso di avvicinarsi alla fiamma, sapendo che la distruggerà?
No, perché non ha scelta.
In essa c’è la sua vita e la sua morte.
 
“Ci ho pensato a lungo e sono arrivato a una conclusione” esordì Sam, senza alcuna enfasi nella voce. Questo non era di buon auspicio: la sua soluzione non era quella che avrei sperato di sentire.
Emily si era assentata per mettere a dormire Ethan mentre Sam aveva fatto gli onori di casa a Edward e Bella che non erano mai stati ospiti in casa Uley. Io mi ero seduto sul davanzale di una delle finestre a piano terra, spalancate per via dell’opprimente calura estiva.
Era soltanto giugno, eppure faceva già un gran caldo, sembrava piena estate. Le previsioni meteorologiche avevano preannunciato un breve periodo di afa, interrotto dall’arrivo di piogge che avrebbero riportato le temperature nella norma. Nella loro attesa mi ritrovavo a boccheggiare vicino a ogni finestra. Edward e Bella invece erano freschi come due rose appena sbocciate. Per loro le temperature non erano che una notizia di poco conto nelle ultime pagine dei giornali.
Era passato poco più di un anno dal mio imprinting e Rosalie ed io eravamo nelle stesse condizioni: ci separavano sempre quei 10 metri. Sam aveva fatto il famigerato viaggio in Siberia ma si era concluso con un buco nell’acqua: il legame fra una licantropa e un vampiro era realmente esistito, ma l’amore era morto appena lei aveva avuto il suo imprinting con un umano. Di fatto niente che ci potesse aiutare. Aveva compiuto altri due viaggi, uno in Canada e uno in Germania, ma anche in quei frangenti non avevamo conseguito niente che potesse sostenere la nostra causa.
A pensarci, non so come avessimo fatto Rose ed io a resistere tutto questo tempo. Sembrava un’eternità e in un certo senso lo era. Da alcune settimane a questa parte sentivo un peso enorme addensarsi sopra di noi: Rose era diventata irrequieta e a volte sembrava voler cercare il diverbio a tutti i costi; io non riuscivo a dormire e nel tentativo di calmare lei, mi dovevo trasformare subito dopo per sfogarmi contro qualsiasi cosa mi capitasse a tiro: alberi, macchine, compagni di branco. Proprio questi ultimi fronteggiavano i miei colpi di testa con rassegnazione: Joe, Embry e Leah erano quelli che mi stavano più vicino e che non si tiravano mai indietro da combattimenti improvvisati come valvola di sfogo e gliene ero grato. Senza di loro sarei esploso.
Quella sera Sam aveva indetto questa sorta di riunione con Edward e Bella, escludendo esplicitamente Rosalie. E anche questo non era un buon segno.
Così ora ci ritrovavamo lì seduti, in attesa che Emily rientrasse visto che, aveva precisato, voleva essere presente anche lei. Emy si era presa molto a cuore la nostra situazione e sapevo che svariate volte era andata a trovare Rose per parlarle e tirarla sù di morale. Avrebbe voluto portarle anche Ethan, ma sia Sam che Leah si erano opposti: non era il caso che venisse in contatto con vampiri e nessuno dei due voleva accelerare il risveglio dei geni da licantropo.
“Scusate” mormorò Emily, accostando silenziosamente la porta del salotto. “Ethan non era per niente stanco”.
“Non c’è problema…” aveva sorriso Edward, stringendo la mano di Bella.
Sam spense la televisione, accesa per intrattenere gli ospiti: nonostante l’ormai fitto legame instaurato con i Cullen a causa mia, lui ed Edward non avevano mai parlato di qualcos’altro al di fuori di me e non avevano argomenti in comune. Anche con Bella il rapporto era di sola cortesia. Al contrario di Emily che conversava affettuosamente con entrambi, non per gentilezza ma per amicizia pura e sincera.
Il lampione vicino alla casa di Sam era più basso di quello sulla strada e la luce illuminava direttamente il davanzale, come un ampio faro teatrale. Ero stanco morto per il lavoro e il poco sonno, quella sera avrei dovuto essere con Rose e invece mi ero ritrovato a mentirle, dicendo che sarei uscito con gli amici del branco. Ogni tanto accadeva e perciò non si poteva definirla una bugia macroscopica ma non mi piaceva ingannarla. Magari in una situazione normale non ci avrei nemmeno fatto caso, ma non adesso, non così.
Le falene svolazzavano confusamente intorno alla lampada alla ricerca della luce, in balia di un bisogno superiore e incontrollabile. Cosa cercavano? Perché si accalcavano una sull’altra? La luce era così irresistibile? La luna splendeva all’orizzonte, facendosi beffe di tutti i lampioni del mondo. Era una serata serena e avrei preferito godermela con Rose invece che stare qui…
“Jake” mi chiamò Sam con tono perentorio. “Potresti venire? La riunione è  per te…”.
Emily gli appoggiò una mano sul ginocchio per rimproverargli la sua eccessiva durezza ma annuii ed eseguii l’ordine. Mi sedetti sulla sedia di fronte a Bella ed Edward che, attenti, sembravano ascoltare le parole di un profeta. Edward sicuramente già sapeva di cosa volesse parlare; forse Bella ne era ancora all’oscuro.
“Ho fatto tre viaggi di cui sapete tutti quanti gli esiti” introdusse. La sua voce giunse forzata, profonda e roca. “Sia io che Edward siamo diventati letteralmente pazzi a cercare altri branchi che potessero darci una mano, ma per ognuno di loro quello che racconto sembra una favoletta. Nessuno ci crede e nessuno ha soluzioni. Per questo ho pensato che continuare oltre sia inutile: è evidente che voi due siete i primi e dobbiamo arrangiarci da soli. A questo punto, ho ragionato io stesso su quale fosse il problema e, spremendomi le meningi, sono arrivato alla già conclamata conclusione: i figli. Però credo che proprio loro potrebbero diventare la soluzione…”.
“Cosa intendi dire?” domandò Emily, inclinando la testa. Non aspettai la risposta ma guardai direttamente Edward. Era appoggiato elegantemente sullo schienale del divano con due dita della mano che sostenevano superflue il mento. Le sue pupille si dilatarono eccessivamente e allora mi fu definitivamente chiaro che la soluzione di Sam non mi sarebbe stata gradita.
“Che se Jacob avesse dei figli il problema sarebbe risolto e lui e Rosalie potrebbero stare insieme…” spiegò, intrecciando le dita intorno al ginocchio.
“Beh, certo” convenne Emily. “Il punto è sempre stato questo, lo sapevamo, però è altrettanto chiaro che Rose non può avere figli quindi il problema non si risolve… E’ un serpente che si morde la coda”.
“Certo, però quello che intendo dire è che i geni vogliono figli per proseguire la specie. A loro non importa chi sia la madre, l’importante è averli…”.
Emily raddrizzò la schiena, aggrottando la fronte. Guardò prima suo marito poi ciascuno di noi. Non disse niente perché non ne ebbe il tempo. Bella sbottò per prima e quasi istantaneamente:“Stai suggerendo a Jacob di avere un figlio con un'altra? Dico, ti sei bevuto il cervello?”.
“Amore, calmati” suggerì pacato Edward, ma Bella non lo ascoltò. Anzi, da come si infiammò, sembrava che la proposta fosse stata fatta a lei.
“Non puoi parlare sul serio! Tradire Rose? Ma sei impazzito?” strillò, incurante che Ethan dormisse due camere più in là.
“Hai una soluzione migliore? E poi non si tratterebbe di tradirla. Niente verrebbe fatto alle sue spalle. Le racconteremmo come intendiamo procedere e alla fine sono sicuro che avremmo il suo assenso…”.
Se Sam non fosse stato un padre di famiglia e, soprattutto, il marito di Emily credo che Bella lo avrebbe ucciso senza pensarci due volte. “Ma come fai a dire una cosa del genere?! Andare a letto con un’altra? E come credi che starebbe Rose? Certo, lei è talmente innamorata che sarebbe anche capace di dire di sì, ma non capisci quale sarebbe il prezzo? Finirebbero per distruggersi! Oddio, non posso crederci che tu stia proponendo veramente tutto questo…”.
“Bella ha ragione” intervenne Emily. “Non sono d’accordo neanche io. E’ assurdo e la loro relazione finirebbe per andare a rotoli. Oltre al fatto che come penseresti di fare? Vorresti fermare una ragazza in mezzo alla strada e chiederle se vuole diventare madre?”.
“Ci sono parecchie ragazze a cui piace Jake. Lo so per certo. E in fondo un incidente di percorso può sempre capitare…”.
“Un incidente di percorso?! Così Jacob dovrebbe prendere in giro una poveretta, promettendole amore eterno e poi mollarla una volta avuto il bambino? E poi Jake cosa dovrebbe fare? Disinteressarsi del bambino e farlo crescere alla madre? Oppure spaccarsi fra lui e Rosalie? Senza contare che non sappiamo neanche se questa geniale teoria possa essere la soluzione” ridacchiò Bella caustica, gesticolando. Si era alzata dal divano e passeggiava avanti e indietro tra il televisore e noi, con le braccia quasi tremanti per la collera. Era un fiume in piena, pronto a rompere gli argini da un momento all’altro.
“Sentite” continuò Sam, e la sua voce suonò sconcertata, quasi offesa. “Non fa piacere nemmeno a me proporre una cosa del genere, ma è passato un anno e non abbiamo raggiunto uno straccio di risultato. Siamo impantanati e rischiamo di restarci. Questa è una soluzione che può aggirare l’ostacolo. So che non è bella da sentire e nemmeno da attuare ma io non vedo altre possibilità. Tu, Edward, cosa ne pensi?”.
Il marito di Bella sospirò profondamente, affondando nello schienale del divano. Nonostante la morbidezza dei cuscini, sembrava scomodo, come se fosse su un tappeto di chiodi. E quei chiodi erano rappresentati dallo sguardo di sua moglie che lo fissava, a braccia incrociate, in attesa di supporto.
“In verità, anch’io avevo pensato alla soluzione di Sam… Già qualche mese fa…” spiegò con viso impenetrabile ma con la voce più bassa del solito, visibilmente a disagio.
“Edward, ma sei impazzito?!” imprecò Bella, sorpresa.
“Amore, ragiona un attimo. E’ un problema di figli, esattamente come ha detto Sam. Abbiamo cercato dappertutto e lo sai bene. Non c’è qualcos’altro che possiamo tentare, a parte questo”.
Sul volto di Sam comparve un sorriso stiracchiato e compiaciuto: finalmente non era solo a combattere la sua battaglia e osservò sornione sia Bella che Emily.
“Sì, ma non pensi quanto tua sorella ne sarebbe ferita? Tu accetteresti che Bella andasse a letto con qualcun altro? Io non credo…” lo sfidò Emily.
“Hai perfettamente ragione e in realtà volevo ricorrere alle moderne tecnologie” disse, incrociando le mani.
“Cosa intendi dire?” investigò Sam, realmente incuriosito.
“Sto alludendo alla fecondazione artificiale”.
“Fecondazione artificiale? Ma Rosalie è sterile, non possiamo ricorrere a questa tecnica” replicò Emily.
“E’ vero, ma potremmo ricorrere all’ovulo di una donatrice anonima e poi procedere con l’impianto nell’utero di un’altra donna. Tu che ne dici, Sam? Potrebbe funzionare oppure i geni vorrebbero un metodo tradizionale?” investigò Edward con un tono tra il serio e il divertito.
Sam al contrario tacque per qualche minuto, meditabondo, poi concluse:“Non credo che ci sarebbero problemi. L’importante è avere il bambino, come è un dettaglio. Piuttosto, quello di cui parli è molto costoso. Non credo che…”.
“I soldi non sono un problema. Ci penseremmo noi. Allora? Che ne dite?” domandò guardando me, Emily e Bella.
“Beh, stando così le cose, si potrebbe tentare…” azzardò Emily. Lanciò un’occhiata a Bella per cercare conferme ma la mia migliore amica scosse la testa.
“No, è tutto sbagliato” rispose Bella con voce tagliente. “Non possiamo farlo. Edward, tu leggi nel pensiero, sei suo fratello da ottant’anni, la conosci. Tu più di tutti sai quanto vorrebbe un figlio e ora proponi di metterle fra le braccia il bambino di una sconosciuta e di Jake? Questa cosa la devasterebbe, e invece di avvicinarli, li allontanerebbe…”.
“Ma se lei desidera così tanto un figlio, in questo modo potrebbero averlo. In fondo, la vostra amica Tanya ha salvato una bambina e l’ha allevata come fosse sua figlia. Rosalie non potrebbe fare altrettanto?” obbiettò Sam, disgustato dai capricci che Bella stava sollevando.
“Tu sei un uomo e non capisci proprio niente e non conosci Rose. Io le parlo tutti i giorni e so cosa prova, so cosa vuole e sì, probabilmente accetterebbe di crescere un figlio non suo, ma il punto è la motivazione. Ha sempre desiderato essere madre ma dovrebbe convivere con l’idea di non essere riuscita a dare un figlio a Jacob per via della sua natura. Sarebbe anche peggio di com’è adesso. Jake” si voltò verso di me, supplichevole. “Ti prego, non farle una cosa del genere. La uccideresti. Possiamo trovare un’altra soluzione, ma non questa. Per favore…”.
Era buffo come finora avessero parlato fra di loro senza mai coinvolgermi, come se io non fossi il diretto interessato. E io avevo assistito alla discussione come se fossi realmente uno spettatore e stessi ascoltando una recita. Ma ora Bella aveva chiuso il sipario e stava chiedendo il parere del pubblico. Rabbrividii per un istante, ma non ebbi bisogno di pensare. Sapevo la risposta fin dall’inizio. Il dubbio non mi aveva mai sfiorato.
“No, Bella, io non avrò nessun figlio se Rosalie non sarà la madre naturale…” sorrisi.
“Rosalie non può avere figli” sentenziò velenoso Sam.
“Allora non ci saranno figli” conclusi neutro ma con un tono che non ammetteva repliche. Bella mi abbracciò come se avessi fatto un piacere a lei personalmente, mentre Sam ed Emily si lasciarono scivolare sui rispettivi cuscini. Al contrario, sul volto di Edward intravidi emozioni paritetiche: deluso per non aver trovato una soluzione e rassicurato che avessi posto il benessere di sua sorella al di sopra di tutto, anche di noi due.
“Fai come vuoi, ma allora ti conviene rassegnarti a vederla da lontano per i prossimi mille anni. Per quanto mi riguarda il problema, a questo punto, può essere risolto solo da un miracolo e nessuno di noi è in grado di farlo” mi raggelò Sam, sprezzante. Ecco la conseguenza della mia scelta: continuare a vederla, senza avere niente di più. Un anno di disperazione sembrava una vita; come sarebbe stata l’eternità? Non volevo scoprirlo ma ero condannato. E lei con me.
“Aspettate un attimo” intervenne Bella come una spruzzata d’acqua nel deserto. “Io ho un’idea”.
“Quale?” domandò Edward con voce bassa e ferma.
“Le streghe” rispose convincente. Suo marito la osservò, improvvisamente attento, e le fece cenno con la mano di proseguire.
“Ti ricordi che, qualche tempo fa, mi hai raccontato dell’esistenza delle streghe e del fatto che Carlisle nel corso dei suoi quattrocento anni di vita, ne avesse conosciute un paio? Loro possono aiutarci”.
“Le streghe?” domandò Emily, con un acuto tipicamente fanciullesco. “Esistono davvero?”.
“Sì, esistono e sono molto forti, più forti di vampiri e licantropi. Sono capaci di annientare sia noi che voi ed è per questo che Carlisle si è sempre raccomandato, nel caso ne incontrassi qualcuna, di non provocarle: sono letali, ma per fortuna anche numericamente inferiori, rispetto a noi. Il loro potere si tramanda di generazione in generazione, esattamente come la licantropia. Non si può essere streghe, se non se ne ha una come antenata. Hanno poteri per ogni cosa: possono dominare gli agenti naturali, impedire l’uso dei nostri poteri da vampiri e controllare le menti, se necessario. E tu, Bella, cosa vorresti chiedere?” domandò Edward.
“Di annullare l’imprinting. Se sono capaci di soggiogare sia noi che loro, sono sicuramente in grado di distruggere l’imprinting e una volta eliminato quello, Jacob e Rosalie potrebbero avere una umanissima relazione”.
“Le streghe sono pochissime nel mondo e molto sospettose. Sarà difficile trovarle. Molto più che trovare vampiri e licantropi. Senza contare tutte quelle che si spacciano per tali come le componenti delle sette sataniche e robe simili”.
“Beh, io ho tempo da perdere. Non so cosa fare tutto il giorno, quindi posso cominciare a cercare” scrollò le spalle Bella. “Alice mi ha detto che ci sono domande in particolare a cui sanno rispondere solo le streghe vere quindi andrò su tutti i forum in Internet e le cercherò. Qualcuna verrà fuori, ne sono sicura”.
“Io lavorerò part-time per un altro anno ancora, per via di Ethan. Posso aiutarti, se mi dici come” suggerì Emily. Bella accolse il suo invito con gioia e iniziò a spiegarle come intendeva procedere; viceversa Sam tentò di convincerle a desistere. Era obbiettivamente un ago in un pagliaio, ma nessuna delle due voleva darsi per vinta e non potei non ringraziarle. Rosalie ed io non avevamo mosso un dito dall’inizio di tutta questa faccenda; Sam ed Edward si erano occupati di tutto, ora la palla passava a Bella ed Emily e, in qualunque modo fosse andata a finire, avevo avuto uno straordinario esempio di amicizia da tutti e quattro. Infine decisero che avrebbero cominciato l’indomani. Bella aveva già un paio di siti da cui partire e sembrava ansiosa di mettersi alla ricerca di quella strega che, con un po’ di fortuna, avrebbe salvato me e Rosalie. Io non sapevo della loro esistenza: papà non me ne aveva mai parlato, però, se erano nemiche di vampiri e licantropi, perché avrebbero dovuto aiutarci? Non scavai ulteriormente per avere una risposta perché quella sera non avrei sopportato altre cattive notizie. Tutto sommato la partita si era risolta in parità e non avevo nessuna intenzione di cadere vittima di un colpo di coda della ragione. Verso le undici e mezza salutai tutti e me ne tornai a casa. Ero stanco morto e avevo bisogno di dormire. Speravo solo di farcela, dato che ultimamente riuscivo a stento a chiudere gli occhi per tre-quattro ore. E spesso quelle tre-quattro ore erano meravigliose perché la sognavo, ma proprio quando le stringevo la mano o la abbracciavo capivo che non si trattava della realtà. Continuavo a sognare ma vivevo ogni singolo attimo nel terrore di svegliarmi e ritrovarmi ancora avvolto nel dolore per la sua assenza.
A casa trovai mio padre in attesa del mio rientro. Mi venne incontro chiedendomi i risultati della riunione ma preferii non parlarne, non ne avevo la forza. La sua voce suonò strana, distante, eppure i suoi occhi brillavano di inquietudine e vitalità. E scoprii il motivo quando sollevò dalla sedia vicino all’ingresso la mia maglietta rosso magenta. “E’ passata qua. Ti ha riportato questa e una torta per la colazione di domani mattina. L’ho messa in forno perché si mantenga calda” mi indicò la cucina. Il mondo ondeggiò e il mio cervello sembrò affondare. Dunque, per questo mi aveva aspettato. Aprii il forno e vidi la torta al cioccolato che, morbida e florida, occupava la teglia per intero. Annusai profondamente e la tirai fuori. Era ancora tiepida e il cioccolato fuso emanava un odore invitante, quasi eccitante.
Estrassi un coltello dal cassetto e senza aspettare la colazione ne tagliai una fetta. Chiesi a Billy se ne volesse anche lui. Guardò la torta, decorata con il mio nome inciso in corsivo con la cioccolata e poi sorrise, senza umorismo:“Ma sì… In fondo, un dolce preparato da un vampiro non l’ho mai mangiato”. Mi lasciai cadere sulla sedia mentre affondavo la forchetta nel ripieno alla crema. Era la stessa torta che Esme aveva preparato per il compleanno di Bella e che Bella aveva a sua volta preparato per i miei 18 anni. Era diventata la mia preferita ed in un certo senso scandiva le fasi importanti della mia vita, come un orologio lento e silenzioso.
“E’ buona” disse mio padre, deglutendo lentamente. “Certo, ci sono ampi margini di miglioramento ma considerando che fino a qualche mese fa non sapeva nemmeno come si accendesse un fornello, è un inizio più che ottimo”.
“Grazie” sorrisi mentre lo osservavo mangiare. Lo aveva detto senza guardarmi negli occhi non perché fosse una bugia, ma semplicemente perché non voleva ammettere che un vampiro non fosse così male. Ormai si era rassegnato che il mio futuro, per quanto sfortunato e disgraziato, sarebbe stato con Rose e tentava di farsene una ragione. Dopo i primi difficili mesi di convivenza con quest’idea, la corazza aveva iniziato a creparsi impercettibilmente: forse perché Rachel non faceva altro che parlargli bene di Rose, forse perché vedeva la mia sofferenza, o forse perché un pomeriggio se l’era ritrovata davanti al portone di casa, senza alcun preavviso. Billy era da solo e Rosalie era venuta apposta per parlare con lui. Era una caparbia e voleva a tutti costi essere benvoluta anche da mio padre. Dalle poche parole che mi furono raccontate da entrambi, non credevo che fosse servito a qualcosa e invece col tempo scoprii che riuscivano a scambiare qualche parola, quando si incrociavano per caso a Forks oppure quando Rosalie passava da casa mia a portarmi qualche piatto che aveva cucinato apposta per me. Niente per cui esaltarsi ma, considerando papà e il suo odio per i vampiri, era molto più che un passo avanti. Semplicemente un balzo.
Peccato che non sarebbe servito a niente, perché non avrei mai potuto stringerle la mano o andare in moto insieme o presentarla orgoglioso ai miei colleghi. Non mi sarei mai svegliato con lei accanto. Appoggiai la mano sulla fronte, lacerato dalle mie illusioni disattese. La cioccolata fusa si stava sciogliendo diventando una sorta di gelatina. Quanto tempo perso… Se non avessi perso tutto quel tempo dietro a Bella, avremmo avuto qualche mese insieme, invece… Nessun incantesimo, nessuna strega avrebbe potuto ridarmi ciò avevo lasciato cadere. Avevo continuato a ripetermi che sarebbe arrivato il nostro momento ma invece si allontanava sempre più e io non avevo forze per rincorrerlo. Ero così stanco, spossato e senza alcuna via d’uscita.
La mano di papà mi strinse il polso e solo allora mi accorsi che, senza rendermene conto, avevo iniziato a singhiozzare. Incontrai le sue iridi nere, generalmente così ferme e decise, ora benevole e preoccupate. “Jake, non devi avvilirti. Tutto si sistemerà, vedrai…” sussurrò persuasivo.
Annuii, passandomi velocemente la mano sugli occhi. Non amavo farmi vedere in quello stato da nessuno, papà compreso. Terminai la torta, sciacquai velocemente i piatti, raccolsi la maglietta che Rose mi aveva riportato e andai a letto.
La indossai anche se faceva caldo. Era il nostro feticcio. L’avevo inventato io una sera per alleviare la solitudine. Durante uno dei nostri innumerevoli incontri me l’ero sfilata e gliel’avevo lanciata, raccomandandomi di indossarla tutto il giorno e ridarmela la sera successiva in modo tale da farla impregnare del suo profumo. Anche Rosalie era stata entusiasta perché così poteva a sua volta sentire il mio odore addosso e sconfiggere la nostalgia. Era finito che tutti i giorni ce la scambiavamo e visto che quella sera ero mancato al nostro appuntamento era passata a portarmela. Ultimamente però cominciava a non sortire più alcun effetto: d’accordo, mi faceva sentire meno solo però non riuscivo a dormire ugualmente. Il pessimismo e l’irrequietezza stavano avendo la meglio. Non riuscivo più a dominarle.
Tuttavia quella sera fu diverso. Forse perché ero veramente a pezzi, forse perché la torta mi aveva tranquillizzato, forse perché l’odore di vaniglia sulla maglietta era più forte del solito, crollai e mi svegliai il giorno dopo riposato e sereno, rallegrato da quel minuscolo raggio di luce che penetrava furtivo dalla finestra. Mi stiracchiai, mi tolsi la maglietta e andai a lavarmi frettolosamente i denti. Quando tornai, fui assalito di prepotenza dall’odore di vaniglia, come se avessero stappato una bottiglietta di essenza e ne avessero cosparso la camera. La maglietta giaceva immobile nella stessa posizione in cui l’avevo lasciata. La sollevai e l’annusai. Il profumo era molto più forte nella camera che sul tessuto stesso, quindi non veniva da lì. Inspirai convulsamente e finalmente ne captai l’origine dalla finestra. Mi appoggiai sul davanzale e notai un’ombra sul pino di fronte alla mia camera. Non avrei mai potuto sbagliare nel riconoscere quella cascata di boccoli biondi. “Ciao” mi salutò raggiante, muovendo la mano come una bambina.
“Che fai lì?” domandai, allargando le labbra, in estasi.
“Niente. Avevo voglia di vedere un bel ragazzo di prima mattina e sono venuta qua. Ho sbagliato indirizzo?” replicò voluttuosamente svogliata. Era seduta su un ramo con le gambe accavallate e la testa inclinata. Faceva la civetta ma adoravo quando lo faceva con me. Preferivo ignorare l’ipotesi che potesse farlo con qualcun altro.
“La torta era buonissima”.
“L’hai già mangiata? E quando?” inarcò le sopracciglia.
“Ieri sera, quando sono rientrato”.
Arricciò le labbra, persa nei suoi ragionamenti, poi ammise:“Ecco perché non salivi mai in camera…”.
“Cosa? Ma tu dov’eri?” domandai, sgranando gli occhi, già pronto a farle una scenata.
“Ero qua, esattamente dove mi vedi adesso… Sono rimasta tutta la notte”.
“E perché non mi hai chiamato, accidenti! Avevo voglia di vederti!”.
“Non volevo disturbarti. Sembravi stanco morto da come sei tornato a casa. Strascinavi i piedi e non ho voluto disturbarti. E poi a me basta vederti dormire… Da questo ramo c’è un panorama stupendo sul tuo letto! Piuttosto com’è andata la serata con Joe e gli altri? Ti sei divertito?”.
“Sì, niente di che. Preferisco stare con te però e quindi la prossima volta che avranno l’onore di vedermi sarà fra dieci anni!”. Odiavo mentire a Rose ma cosa le potevo dire? “Non sappiamo più da che parte cercare”? “Siamo talmente disperati che ricorreremo persino alle streghe”? Probabilmente lo sospettava anche lei, ma non volevo sbatterle in faccia la verità. Dovevo proteggerla a tutti i costi e il più a lungo possibile.
Peccato che nessuno proteggesse me da lei…
Indossava shorts di jeans fin troppo succinti, per non parlare della canottiera nera. Presentarsi di prima mattina in casa di un ragazzo così svestita non era una gran trovata ma lei non sembrava accorgersene. Davvero non si rendeva conto dell’effetto che aveva su di me?
“So che penserai che sono una stupida, visto che ci vediamo tutti i giorni, però ieri mi sei mancato. Mi sono messa a cucinare per distrarmi…”. La sua voce fu meravigliosa, scintillante e luminosa come la mattina di Natale.
“Anche tu mi sei mancata, amore. Mi manchi ogni minuto della giornata”.
Rosalie si portò i capelli dietro le spalle e sorrise, compiaciuta. “Credi che sia normale? Intendo dire: anche gli altri tuoi amici provano lo stesso oppure è la nostra situazione che acuisce la sensazione di lontananza?”. La domanda non fu penosa, ma quasi rilassata.
“Non ti so rispondere, non ne ho idea, anche se io credo che mi mancheresti ugualmente, anche se fossimo sposati…”.
Rosalie tacque e si appoggiò all’albero, fissandomi. L’improvvisa vitalità si spense mentre le iridi cobalto si raffreddarono per colpa di fantasie maledette, che però non potevamo fare a meno di pensare. Una folata di vento mi scapigliò i capelli. Mi raddrizzai per scostarli dalla faccia. Il suo sguardo scese dal mio viso sulle spalle fino al torace e si fermò dove iniziava il davanzale: lo sentii accarezzarmi come un guanto di seta e la pelle mi si accapponò lungo la schiena. Improvvisamente gli occhi vuoti e morti come il cielo d’inverno. Il suo viso divenne assolutamente privo di espressione, bello e irreale come un ritratto a colori. “Sei bellissimo” sussurrò vellutata. “E io vorrei tanto…”.
Non aggiunse altro perché la conclusione della frase era immaginabile. Ci eravamo risolti di non parlarne mai non perché fosse sconveniente ma perché tentavamo di tenerlo fuori dalle nostre teste il più a lungo possibile ma erano scommesse perse. In quel momento realizzai che ero senza maglietta e quindi a Rose facevo lo stesso effetto che lei faceva a me con quella dannata canottiera. Si appoggiò al tronco e lasciò che spruzzi di ciocche bionde le ricadessero addosso, coprendo la scollatura. Da una parte quasi imprecai, dall’altra ringraziai Dio, mentre il cuore martellava contro le costole.
“Sono felice che nella tua officina siate tutti uomini. Così almeno non posso essere gelosa…” tentò di ingannarmi con un sorriso allegro e falso.
“Non ti tradirei mai” ribadii convinto e compiaciuto. Non mi piaceva che lei pensasse questo però dall’altra parte mi faceva piacere perché voleva dire che mi amava ancora. Avevo bisogno di essere rassicurato? Da una come lei, sì.
“Perché no? In fondo io non posso darti niente, mentre chiunque altra può darti tutto…” mi colpì con una violenza inaspettata nella voce.
“Rose, ne abbiamo già parlato e lo sai che non voglio nessun’altra. Aspetto te”.
“Per l’eternità?”.
“Se necessario, sì”.
Aggrottò la fronte, scettica. Ci stavamo ricadendo. Periodicamente c’era una scenata di gelosia, da parte mia o sua: una volta per un’amica di Embry che mi aveva fatto la corte, un’altra volta perché mi aveva raccontato che uno dei vampiri tedeschi l’aveva invitata in vacanza a Monaco, un’altra volta ancora perché Joe l’aveva abbracciata troppo a lungo davanti a me, e via dicendo. Tutte stupidaggini ma contribuivano a minare il nostro malandato equilibrio. In realtà il più idiota dei due ero io perché le rimproveravo persino l’eccessiva vicinanza con i suoi fratelli. Edward in primo luogo. Non che pensassi che lui avrebbe mai tradito Bella o che Rose avrebbe tradito me, ma mi risultava difficile immaginare che lei non destasse fantasie in nessuno, fratelli non biologici compresi.
E come lei, pensavo che prima o poi il bisogno fisico avrebbe prevalso su tutto e non solo mi avrebbe tradito, ma anche lasciato, perché, mentre noi lupi, neanche volendo (e io non lo volevo) avremmo potuto allontanarci dal nostro imprinting, l’oggetto stesso poteva decidere di non ricambiare e farsi una vita ugualmente felice con qualcun altro. Erano stati casi rari, ma erano accaduti. E noi eravamo un caso raro, anzi rarissimo. Per di più Rosalie non era neanche umana quindi chissà come poteva reagire un vampiro all’imprinting! Magari fra due, tre anni avrebbe smesso di amarmi e allora… Appoggiai con violenza le mani sul davanzale e lasciai cadere, sconfitto, il mento sul petto. Non volevo nemmeno pensarci!
“Jake, stai male?” mi domandò inquieta.
“No, è tutto ok”.
Mi feci forza per sorriderle ma stava diventando dannatamente difficile. Non riuscivo più a fingere che avremmo avuto il nostro lieto fine.
“A volte mi sento così spossata, quasi senza forze” e la sua voce, così colma di nostalgia e rimorsi mi afferrò, riportandomi vicino ad essa. “Certe volte passo la giornata a chiedermi come facciamo a sopportare tutto questo e se mai finirà, se mai avremo una vita nostra. E la risposta non è mai quella che vorrei sentire. Che senso ha continuare così? Si vive sperando in un futuro migliore, non per rimanere in un limbo. E noi, probabilmente, non avremo niente di tutto questo, ma non ne avremo mai la certezza. La speranza ci spingerà a vivere in eterno fino a che i nostri nervi salteranno. A volte invidio la tua forza: niente ti può abbattere, riesci sempre a superare i momenti difficili, ma io non sono così forte. La torta che ti ho preparato ieri sera era così invitante e sono stata tentata di assaggiarla… Meglio morire mangiando la cioccolata che uccisa dalla disperazione, no?”.
Distolse lo sguardo dall’infinità e si voltò verso di me, incerta, soffusa, quasi ignara. La sua voce, così morbida e densa come la panna del caffè, mi avrebbe suscitato ben altro tipo di emozioni se non avessi ascoltato attentamente e non mi fossi spaventato per ogni singola parola.
“Non hai mangiato, vero?” balbettai, soffocando un respiro improvvisamente affannoso.
Scosse la testa lentamente e si appoggiò nuovamente all’albero. “In pochi minuti tutto sarebbe finito e sarebbe stata la cosa migliore”.
“Rose, ora ascoltami bene. Mi devi promettere che non farai mai una cosa così stupida, hai capito? Se ti succedesse qualcosa, quale sarebbe la mia motivazione per vivere? Se tu morissi, io non avrei più motivo di esistere”.
“Se ti dicessi che sono stanca, che non ce la faccio più…? Non perdoneresti la mia vigliaccheria?”.
“No, Rose. Perché non ci si suicida mai, per nessun motivo. La vita è un dono e non va sprecata. E poi, pensa, se fra due mesi Edward e Sam trovassero il rimedio per noi, non sarebbe un’ironia, pensare che avremmo potuto essere felici mentre tu hai buttato via tutto?”.
“Sì, ed è questo che mi ha fermato. La speranza”.
“E allora promettimi che non la dimenticherai mai. Noi staremo insieme prima o poi e avrai la tua vita umana. Ne sono sicuro”.
Rosalie allargò le labbra in un sorriso solare e sincero nel quale avrei voluto tuffarmi. “Ti amo”.
“Anch’io”.
In quel momento sentii la voce di mio padre dal piano inferiore richiamarmi all’ordine. Erano quasi le otto e sarei arrivato tardi al lavoro, cazzo! “Devo andare! Ci vediamo stasera alla solita ora. Ok?” mi assicurai. “E copriti un po’ di più, altrimenti non riuscirò a dormire tutta la notte”.
“E tu invece vieni così. Mi piaci molto di più a petto nudo” ridacchiò maliziosa. Mi lanciò un bacio e, controllando che non ci fosse nessuno nei paraggi che potesse notarla, saltò dall’albero. Un umano che potesse ammirare la grazia con cui atterrava solitamente si sarebbe posto molte domande e non volevamo attirare l’attenzione più del necessario. Stavolta però il suo salto non fu composto ed elegante.
Generalmente atterrava in piedi, silenziosamente e sfiorando il terreno, come una libellula che plana su uno stagno; invece fu costretta a piegare le ginocchia e a toccare la terra con il palmo della mano. Considerando l’altezza da cui si era buttata, un’esibizione degna del migliore saltatore umano ma non da lei. Mi sporsi dal davanzale e, a voce contenuta, domandai:“Ti sei fatta male?”.
“No, tutto ok. Ho solo preso male le distanze” si rialzò senza esitazione. Si legò un foulard sulla testa e si allontanò, passando sotto gli alberi. Il cielo era sereno e il sole stava già illuminando la strada. La mia camera dava sul lato nord della casa e quindi Rosalie non aveva avuto problemi finché era rimasta lì. Ma ora avrebbe dovuto fare un centinaio di metri al sole prima di potersi inoltrare nella foresta che punteggiava La Push e che costituiva il vero nodo di collegamento con Forks. Sperai che non incontrasse anima viva durante il tragitto e contemporaneamente maledii il sole.
Mio padre mi richiamò con forza. Infilai la maglietta rossa e scesi in cucina, quasi saltando la scala con un unico balzo. Ingurgitai, senza gustarmela in alcun modo un’altra fetta di torta mentre Billy mi chiese come mai fossi così in ritardo. Non aveva sentito me e Rose parlare dal piano superiore. Questo era confortante: nessun umano aveva potuto sentirci. Bene, molto bene.
Ovviamente arrivai al lavoro in ritardo, il capo mi sgridò ma recuperai stima e lodi quando sistemai due macchine in un’ora soltanto. All’apparenza sembrava una giornata strepitosa: sole a picco, ambiente caldo, ma ventilato, riuscivo a capire ogni problema meccanico, e quindi a risolverlo, in un batter di ciglia, e perfino a ridere più del normale con i miei colleghi. Rosalie la mattina mi faceva questo effetto? Sì. Santo cielo, se fossimo stati sposati le mie giornate sarebbero migliorate esponenzialmente! E non solo quelle, ma anche e soprattutto le notti. Mi ritrovai a pensare che le avevo mentito: non ci si suicida mai. Questo era sempre stato il mio motto, però mi rendevo conto che se lei non ci fosse stata, io per primo mi sarei suicidato. Mi innervosì confutare una delle mie tesi più consolidate, ma per lei lo avrei fatto. E non me ne sarei pentito. L’imprinting provocava questi effetti? Forse a tutti no, ma a me sì e, a pensarci bene, anche a Seth.
Bella non era stata abbastanza importante mentre Rose era semplicemente tutto.


 

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Capitolo 90
*** Per amore di Rosalie ***




Verso le quattro del pomeriggio il sole fu oscurato di colpo da nuvole nere e messaggere di un tipico temporale estivo. Un vento impetuoso e sibilante sollevò nugoli di polvere fino a far sbattere sia le porte che le finestre dell’officina. Sbirciai da un vetro prima di chiuderlo: ero venuto in moto, come tutti i giorni e stavolta mi sarei lavato in pieno, se avesse piovuto fino alle 18. Sperai che si scaricasse prima, ma una giornata all’apparenza così fortunata poteva concludersi altrettanto bene? Ovviamente no! E così quando ultimai il mio turno alle 18, pioveva a catinelle. Un mio collega, di La Push come me, si offrì di darmi uno strappo a casa, lasciando la moto nel garage dell’officina, ma non mi sarei separato dal mio gioiellino per nessun motivo. Meglio bagnato fradicio che a casa senza di lei. Ero un po’ fanatico? Forse sì, ma adoravo la mia Yamaha e non l’avrei abbandonata per nessun motivo al mondo. Declinai l’invito e me ne uscii dall’ampio cortile antistante dove tenevamo tutte le macchine in attesa di riparazione, spingendo la moto spenta e lì ebbi la mia sorpresa.
Dall’altra parte, parcheggiata a bordo strada, c’era una Volvo grigio cenere, con i lampeggianti accesi, per farsi notare in mezzo allo scroscio d’acqua. La conoscevo molto bene quell’auto, come conoscevo altrettanto bene il conducente…
Edward era in piedi, sotto un anonimo ombrello nero, che guardava nella mia direzione, per nulla infastidito dalla pioggia. Mi fece un gesto con la mano per sincerarsi che mi fossi accorto di lui, ma come potevo evitarlo? Era l’unico essere vivente, a parte me, sotto il diluvio e, nonostante ormai mi fossi quasi abituato, continuavo a sentire la sua puzza come campanello d’allarme.
Pensare che fosse lì per un caso sarebbe stato stupido; altrettanto stupido sarebbe stato credere che fosse lì solo di passaggio e si fosse fermato a fare un salutino. Non lo aveva mai fatto da quando lavoravo lì e per di più, il nostro rapporto era migliorato, complice la disgrazia di cui ero vittima, tuttavia non l’avrei annoverato fra la schiera dei miei amici. Cognato sì, amico no. Ma allora il punto successivo era: perché? Era accaduto qualcosa a Rosalie? Temetti la risposta.
Lasciai la moto vicino al cancello ormai chiuso della mia azienda e attraversai la strada in quattro balzi. Una volta vicino, senza salutarlo né stringergli la mano, domandai trafelato:“E’ successo qualcosa?”.
Edward accennò un accomodante sorriso poi rispose, pacato come sempre:“Sono passato perché ti devo parlare di una questione. Ti va di sederti in macchina? Qua fuori è un po’ umido”.
Spesso mi ricordava Carlisle. Una calma tranquilla, mai ostentata o forzata, esibita per mettere a proprio agio l’interlocutore. Sembravano davvero padre e figlio, anche senza alcuna somiglianza fisica. “E’ un onore somigliargli almeno un po’…” ammise nostalgico.
Strinsi le labbra e costeggiai la macchina, accomodandomi sul sedile del passeggero. Da dentro il panorama sembrava meno terrificante che all’esterno, più affrontabile, meno soverchiante ma a questo punto non sapevo se temevo di più Edward o le condizioni atmosferiche.
“Allora? Come mai sei qui? Non credo che Bella abbia già trovato la strega, vero?”  dissi incerto, raccogliendo i capelli con l’elastico per evitare che sgocciolassero sulla tappezzeria, anche se era una cortesia inutile, visto che i jeans e la maglietta avevano assorbito più acqua in quei due minuti sotto la pioggia che una pozzanghera. Ormai il mio comodo sedile era già abbondantemente bagnato.
“No, effettivamente non siamo stati così fortunati, anche se Bella ci lavora senza sosta da stamattina. Confida molto in questa sua idea…”.
“Mentre tu no, mi sembra di capire” lo squadrai di sbieco.
“In realtà è un’ottima idea e mi dispiace che non mi sia venuta in mente prima, avremmo evitato di perdere tempo alla ricerca di altri branchi, che si sono rivelati soltanto un buco nell’acqua. L’unico inconveniente è che può diventare una ricerca molto, molto lunga…”.
“Beh, non c’è problema. Tanto abbiamo l’eternità davanti, possiamo attendere!” sorrisi senza gioia. In realtà la sola prospettiva mi faceva impazzire ma Bella ed Edward si stavano facendo in quattro per aiutarci e non volevo sembrare un irriconoscente.
Edward impugnò il volante con entrambe le mani, come se fosse pronto a mettere in moto e partire; invece lo strinse con tanta forza da poter sentire la pelle cigolare. Pessimo segnale come inizio di conversazione.
“Non abbiamo l’eternità purtroppo…” sussurrò e la sua voce fu molto seria. E inquieta.
“Che vuoi dire?” aggrottai la fronte.
Un momentaneo e pesante silenzio si addensò, reso ancor più evidente dal continuo e rumoroso picchiettare delle gocce sul parabrezza. Edward si spostò violentemente una ciocca di capelli dalla fronte. “Rosalie sta male… Non credo possa reggere oltre le prossime tre settimane”.
“Sta male? Come sarebbe a dire? E’ malata?” domandai istintivamente, ben sapendo quanto fosse stupida la mia richiesta: i vampiri non si possono ammalare. O sì?
“Non è malata, non nel senso fisico e umano del termine almeno”.
“Spiegati, prima che mi venga un attacco di cuore!” alzai la voce, minaccioso.
“Non so neanche io di cosa si tratti, Jake. Sono portato a pensare che si tratti di una forma di depressione dovuta alla lontananza a cui siete costretti. Ne sta soffrendo molto, anche se a te si sforza di non farla vedere, ma a casa non è la stessa Rose che vedo, anche adesso, nei tuoi ricordi. E’ molto diversa. Non esce quasi più, nemmeno per fare shopping. E’ sempre sdraiata a letto, abbracciata al vostro peluche, non sento altri pensieri che non siano rivolti a te e al suo senso di colpa perché ti sta privando di una vita normale. Al contempo è consumata dalla gelosia perché crede che prima o poi la tradirai e non lo sopporterebbe…”.
“Le ho ribadito anche stamattina che non farei mai niente del genere. Lo sa, glielo dico in continuazione!” urlai, inutilmente. Lo sapevo anch’io che il tarlo era più forte di qualsiasi altra rassicurazione potessi inculcarle.
“Non basta, Jake” confermò Edward, lanciandomi una fuggevole occhiata di rimprovero. “Bella ed Alice cercano in continuazione di scuoterla e farla uscire, ma se all’inizio i loro sforzi erano stati premiati, adesso non lo sono più”.
“E Jasper? Può controllare l’umore. Che lo faccia!” lo rimproverai.
“Non riesce, non ce la fa. Ed è per questo che sono preoccupato. Rosalie sta sfuggendo completamente al nostro controllo e temiamo che un qualsiasi scossone possa farla cadere. E’ per questa apatia che Bella si è opposta così fermamente all’idea di Sam e sono contento che l’abbia fatto, facendo rinsavire anche me. Volevo risolvere a tutti i costi il problema, pensando che la gioia di un abbraccio avrebbe superato le conseguenze della soluzione, ma avrei sbagliato. Tempo fa Rose avrebbe retto, ma adesso non credo. Si colpevolizza in continuazione di non essere umana, è convinta di essere la fonte del problema e se effettivamente avessimo dato un seguito alla proposta di Sam avrebbe significato confermare questa sua ipotesi. Lo sai quanto lei abbia odiato la sua condizione di vampiro e l’imprinting gliela sta sbattendo in faccia di continuo. Rose non è così forte come sembra, lo sai. E’ un’ottima attrice ma niente di più”.
Sospirò profondamente, perdendosi nel monotono grigiore dell’orizzonte. Il mare di topazio dei suoi occhi brillava di un triste luccichio, mentre la mandibola contratta sembrava dover rivelare ben altro. Il peggio doveva ancora investirmi.
“Cosa intendi dire, dicendo che non abbiamo tre settimane?”.
“Rose ha smesso di nutrirsi” sentenziò duramente.
“Nutrirsi? Non beve più sangue?”.
Scosse la testa lentamente. “Non esce più, te l’ho già detto, e per giunta non avverte la fame. Anzi, quando le racconto delle nostre cacce per invogliarla a venire con noi, dice che non se la sente, che il solo pensiero di uccidere un essere vivente e dissanguarlo le dà il voltastomaco. E’ una cosa che non mi sono mai trovato ad affrontare in un vampiro. Non so perché faccia così, ma sono molto preoccupato. Questo suo atteggiamento la sta indebolendo”.
“Indebolendo?” ripetei meccanicamente.
“Sì. Non è più in grado di correre e saltare alla velocità propria di un vampiro. E’ ancora agile ma sta progressivamente perdendo le sue doti”.
Ripensai alla mattina: era salita sull’albero, quindi non stava così male. Non mi sembrava deperita o malata, se così potevo definirla. Forse Edward stava dipingendo un quadro più fosco di quanto non fosse. Era depressa, ma quanti umani superano la depressione, senza morire? Un fotogramma veloce mi scorse nella testa: era caduta goffamente dall’albero. “Ho preso male le misure”: non ci avevo dato peso ma ora, alla luce di ciò che mi stava raccontando Edward, tutto cambiava aspetto.
“E’ per questo che non ha saltato come al solito” spiegò prendendo spunto dai miei pensieri. “Se vuoi delle conferme, stasera prova a chiederle di fare una gara di velocità. Farà di tutto per evitarla oppure la perderà, e non di poco”.
Abbassai lo sguardo sul cruscotto e strinsi il freno a mano, come sfogo all’irrequietezza che mi stava pervadendo ogni cellula.
“Può morire di fame se non mangia?” domandai febbrilmente.
“No. Noi vampiri non siamo come gli esseri umani. Esistono pochissimi modi per ucciderci e l’inedia non è fra questi, però può portare ad altre conseguenze ugualmente terribili”.
“Del tipo?”.
“Può perdere le forze a tal punto da non riuscire più ad alzarsi dal letto, né a parlare. Diventerebbe molto simile al vostro coma vegetativo, con la differenza che il cervello sarebbe perfettamente cosciente e quindi percepirebbe ciò che accade attorno a lei ma non sarebbe in grado di muovere un muscolo. Sarebbe irreversibile e a quel punto tanto varrebbe ucciderla. Tuttavia c’è un’altra conseguenza molto più preoccupante. La luce del sole ci fa risplendere e niente di più. Come ben sai, il cinema rintrona gli spettatori con vampiri allergici alla luce del sole e probabilmente tu pensi che sia una gran fesseria, e lo è, ma non del tutto. Nessun vampiro ben nutrito e in forze può morire a causa della luce; ma un vampiro debole e mal nutrito può subire danni dall’esposizione diretta”.
“Che tipo di danni?”.
“Dipende da quanto è debole e da quanto è forte il sole in quel momento. Diciamo che si possono avere tipi di ustioni più o meno profonde, che restano indelebilmente sulla pelle, cecità, fino ad arrivare, nei casi più estremi, all’autocombustione spontanea. Sono fatti di cui io non sono mai stato spettatore ma Carlisle sì, nei suoi quattrocento anni di vita. L’inedia era una forma di tortura che praticavano i Volturi e a cui lui ha avuto la sfortuna di assistere”.
“Quanto tempo ha Rosalie prima che le succeda qualcosa del genere?” balbettai mentre il cuore tambureggiava con colpi assordanti.
“Due settimane, credo, per le prime reazioni al sole, e tre… per il resto”.
Tre settimane. Tre settimane e poi…
“Non c’è modo di costringerla a mangiare? Potete tenerla stretta e buttarglielo in gola a forza! Tu e Jasper siete molto più forti di lei. Non avreste problema a farlo” obbiettai rapido. La mia voce suonava convulsa, agitata, quasi senza fiato mentre lo stomaco si torceva.
“Non possiamo farlo, Jake. Non vuole bere e non vuole andare a caccia. Non possiamo costringerla ad uccidere un animale e a berne il sangue”.
“Dategli sangue umano!” alzai la voce. Era assurdo che proprio io stessi ipotizzando un’eventualità del genere. Io che avrei dovuto avere come priorità proteggere gli esseri umani dai vampiri, stavo suggerendo di ucciderne uno per far sopravvivere una sanguisuga. I miei antenati si stavano rivoltando nella tomba di sicuro.
“Cosa stai dicendo? Rose non ucciderebbe mai una persona! Lo sai!”.
“Sì, ma il sangue umano le piace” sbottai, poi, illuminato da un’idea perversa, continuai:“Puoi darle il mio. A lei piaceva molto. Sono sicuro che non si tirerà indietro”.
“Stai scherzando! A lei che teme di essere la causa della tua morte, vuoi dirle di bere il tuo sangue? Non hai proprio capito niente, allora!”. Sogghignò incredulo della mia stupidità. Ed effettivamente anch’io non credevo alle mie orecchie, ma questa notizia mi aveva fatto uscire completamente di testa. Non avevo un rimedio, ma solo deboli contestazioni.
“Ma lei non vuole morire, me l’ha detto stamattina”.
“Sì, ma non vuole nemmeno essere un vampiro. E’ qualcosa di inconscio che non riesco a spiegarmi, come tante altre cose. Ad esempio il fatto che i suoi occhi non siano più tornati dorati ma persistano a rimanere blu. Rosalie è diversa da noi ed è proprio su questa diversità che si basa il vostro imprinting. L’unica certezza è che perderò mia sorella se non farò qualcosa…” concluse gelido, guardandomi con fermezza. Stava dando la colpa a me, perché era colpa mia se Rose stava rischiando di morire. Perché coma cosciente o meno, non era altro che un’altra forma di morte. Mi si strinse la gola e lacrime calde mi colmarono gli occhi.
“Tu non credi che tutto ciò stia accadendo per una forma di depressione…”.
Si mordicchiò le labbra. “Non lo so ma devo ammettere che ho ritenuto fondata l’ipotesi che l’imprinting stesso possa distruggere lei, oltre che te. Anzi, pensando su cosa si basa, e cioè sul proseguimento della tua specie, è più verosimile che faccia del male a lei che a te”.
“L’imprinting non ha mai fatto del male a Emily, Rachel, o…” ribattei prontamente, ma Edward fece altrettanto.
“Loro non sono vampiri. E ad ogni modo non puoi negare che abbia influenzato una buona parte delle loro scelte. Rosalie non sta scegliendo volontariamente di morire di fame, è un impulso che le è scattato nel cervello, e se glielo facessi notare non gli darebbe nemmeno peso. Non ti ama per imprinting, ma l’imprinting può ucciderla” affermò crudelmente.
“Quale sarebbe la tua soluzione allora?” mormorai.
“Portarla via di qui… Per qualche anno. La lontananza potrebbe giovarle, e forse gioverebbe anche a te. Abbiamo preso questa storia troppo di petto. Con un po’ di calma in più…”. Quelle parole suonarono stridule come un’unghia su una lavagna.
“Come, come? Portarla via? Qualche anno? Sei ammattito?! Toglitelo dalla testa, non te lo permetterò mai!” urlai. Una vampata di calore e rabbia mi bruciò il petto. Gli lanciai un’occhiataccia ma continuò a ignorarmi.
“Jacob, ragiona un attimo, per favore. Lei è infelice. Ti ama ma è infelice. Avete un problema che non è facilmente risolvibile e Rosalie non riesce a sopportarlo. Sta cedendo. Io non ce l’ho con te, ma voglio proteggerla e questa dovrebbe essere la tua stessa priorità…”. La sua voce non suonava falsa: voleva realmente il bene di sua sorella. Peccato che esso coincidesse con la mia rovina!
“Non puoi portarmela via. L’hai detto tu stesso: non è una bambina! Non puoi legarla e impacchettarla. Non accetterà mai una nostra separazione”.
“E’ per questo che te ne sto parlando. Devi essere tu a convincerla a venire via”.
“Io? Ma sei proprio pazzo da legare!” replicai, alterato. Mi stavo trattenendo dall’insultarlo ma ogni sua parola contribuiva ad alimentare la mia brama selvaggia di inveire o addirittura colpirlo. Edward tacque per qualche minuto, in attesa che smaltissi la rabbia. Avrei voluto alzarmi e uscire da quell’auto, lasciarlo alle sue macchinazioni, ma non potevo fare finta che quella conversazione non stesse avendo luogo. Avevo visto la caduta di Rosalie stamattina e per quanto mi sforzassi di pensare che si fosse trattato solo di una coincidenza, non potevo correre il rischio che anche solo una piccolissima parte delle parole di Edward fosse vera.
“Posso apparirti duro e spietato ma so bene che la ami e faresti qualsiasi cosa per lei. Ora io ti chiedo di fare questo, di lasciarla andare. L’oggetto dell’imprinting non è costretto a ricambiare i sentimenti del licantropo…”.
“Ma lei contraccambia e, anche se tu la portassi lontana mille miglia da me, continuerebbe ad amarmi…”.
“Probabilmente è così, ma questo non vorrebbe dire non avere una vita serena”.
Respirai profondamente, appoggiando la mano sul cruscotto e girando tutto il corpo nella sua direzione. “Non vuoi soltanto che lei si stacchi da tutto questo, tu vuoi che mi dimentichi. La vuoi portare da Emmett, non è così?” dedussi con voce malferma.
“No, Emmett è un argomento chiuso. Non ti dimenticherebbe nemmeno se le facessi il lavaggio del cervello e non voglio che accada. Il punto è che io credo che lei possa avere una vita migliore di questa, qualcosa, anche infima, che la possa tirare giù dal letto la mattina e farla sentire felice di essere viva. In questo momento ha soltanto vuoto, intorno e dentro, e dobbiamo fare in modo che trovi una motivazione per andare avanti…”.
“Io non sono abbastanza…” esclamai senza rabbia. Non ero alla ricerca di compassione, ma era purtroppo un dato di fatto.
“No, Jacob, tu sei la motivazione ma anche la condanna. Sei tutto quello che ama e che al tempo stesso le fa odiare se stessa. Io non voglio separarvi, non per l’eternità almeno. Ti prometto che Bella ed io continueremo a cercare una strega in grado di aiutarvi ma tu ora devi aiutare me”. Per l’ultima frase incrociò il suo sguardo col mio. Occhi decisi, infelici, immobili.
Socchiusi le palpebre per un istante poi tornai a osservare il temporale. Rosalie poteva morire e io non potevo permetterlo. Avrei fatto qualsiasi cosa per impedirlo, anche uccidere me stesso, se fosse servito. Edward mi stava chiedendo di aiutarlo e questo comportava strapparmela dalle mani.
“Se anche ti permettessi di portarla via, non saresti sicuro che la sua vita riprenderebbe come prima. Potrebbe peggiorare ugualmente…” ipotizzai, pur non volendo avere ragione.
“Almeno sarebbe un tentativo…” sospirò Edward.
Come potevo resistere senza di lei? Senza un pensiero, senza una voce, senza un’anima? Lei era tutto questo per me e, forse, io non lo ero per lei. Non volevo che morisse, ma non volevo nemmeno vivere senza di lei. Se il sole l’avesse ustionata o, peggio, fosse finita in quella specie di coma paventato da Edward? Sarebbe stata mia la colpa. Tenerla qui, per ottenere cosa, visto che non potevo toccarla? Rosalie necessitava di contatto fisico, ne aveva sempre avuto un bisogno disperato e lo sapevo perfettamente. Io non ero in grado di darle nulla, mentre invece un altro essere, umano o vampiro che fosse, avrebbe potuto… Ma la domanda successiva era: avrei avuto la forza di lasciarla a un altro? Bastarono pochi secondi per avere una risposta, per me, incredibile. Sì, se fosse stata bene. Meglio felice con un altro, che infelice con me. E magari Bella avrebbe trovato la strega prima che mi dimenticasse e allora… Sì, fra quanti anni, decenni, secoli?
“Vivevamo a Boston già da parecchi anni, in una casa in periferia. Eravamo Carlisle, Esme ed io. Esme era entrata a far parte della nostra famiglia da sei anni e con lei la casa era diventata più vitale, più gioiosa. Carlisle era felice, molto più di quando eravamo stati soltanto noi due ed io ero contento per loro. Era una fredda sera invernale, aveva nevicato tutto il giorno e ormai erano le nove. Presto sarebbe ghiacciato ed Esme ed io stavamo aspettando il ritorno di Carlisle dall’ospedale”. La voce di Edward era monotona, neutra, come se stesse leggendo un libro. “Era in ritardo ma non era una novità. Indugiava sempre più dei suoi colleghi per ogni turno gli venisse assegnato. Amava il suo lavoro e amava salvare vite, per questo aveva un’ottima fama nell’ospedale.
Stavo sfogliando un libro quando ho sentito una ridda confusa di pensieri avvicinarsi e farsi sempre più pressante: sangue, ferite, neve, dolore. Tutto questo si alternava nella mente di qualcuno e l’immagine era così tridimensionale da massacrarmi il cervello. Uscii in strada, cercando il proprietario di quei pensieri. Qualche secondo più tardi comparì Carlisle all’orizzonte. Camminava frettolosamente, con la camicia bianca in bella vista e qualcosa tra le braccia, avvolto nel suo cappotto. Quando mi fu vicino, l’unica cosa che mi colpì fu l’odore invitante e dolce del sangue. Sangue umano e Carlisle ne aveva sia sulla camicia che sulle mani. Sembrava ne fosse stato spruzzato da qualcuno, mentre un cuore batteva molto lentamente e un braccio penzolava da quel fagotto che portava come un peso leggero. Non mi salutò nemmeno ed entrò in casa. “Esme, presto scalda dell’acqua e tu, Edward, vai a prendere la legna nella cantina e accendi la stufa in camera da letto!”. Fu un ordine perentorio ed Esme ed io scattammo sull’attenti da bravi soldatini. Non riuscii a leggere la spiegazione nella sua mente, ma eseguii il comando. Quando tornai con la legna nella camera, vidi la spiegazione. Una ragazza giaceva sul letto, bianca come un cadavere, pur non essendo ancora morta, le labbra violacee e vestita soltanto da una sottoveste di pizzo lacerata in più punti. “E’ in ipotermia. Muoviti Edward!” mi richiamò duramente Carlisle. Trasalii perché non mi ero accorto di aver indugiato così a lungo a guardarla ma accesi la stufa e vi inserii più legna possibile. Purtroppo non scaldavamo mai la casa, visto che non ne sentivamo la necessità, e per quanto potessi far bruciare ceppi, ci avremmo messo comunque troppo tempo a intiepidire le pareti. In quel momento arrivò Esme con l’acqua bollente. Carlisle spostò i capelli della ragazza per bagnarle il viso. Aveva due grossi ematomi sulla guancia e sul naso, gli occhi erano cerchiati di nero e il labbro inferiore era innaturalmente gonfio, come se l’avessero morsa. Aveva piccole ferite ovunque, oltre a sangue su braccia e gambe. L’odore era intenso e l’aroma ammaliante, amplificato dal lieve pulsare della vena sul collo che potevo sentire nitidamente. “C’è troppo sangue per voi. E’ meglio che ve ne andiate” suggerì Carlisle. Non me lo feci ripetere due volte e uscii non solo dalla camera, ma anche dalla casa. A quel tempo mi cibavo ancora di sangue umano, perlopiù di delinquenti, e il ticchettio del conto alla rovescia per me era iniziato nel momento in cui avevo visto Carlisle con quella ragazza in braccio. Non avrei resistito a completare l’opera, intrapresa da non so chi. Vagai per la città tutta la notte, cercando di trovare pace. Mi sedetti su una panchina e aspettai l’alba, cercando di annullare il desiderio del sangue. Quella ragazza, chiunque essa fosse, non sarebbe sopravvissuta: doveva avere un’emorragia, oltre ad essere quasi assiderata. Mi chiesi come si fosse procurata tutte quelle ferite e se fosse stata vittima di un incidente stradale. Magari investita da qualche pirata e lasciata sul bordo della strada. Però da quello che avevo visto indossava solo una sottoveste. Perché girare in quella maniera, in pieno inverno? Più facile che fosse stata aggredita. Ma, in questo caso, chi poteva essere stato così crudele da ridurla a quel modo? Al di là degli ematomi e delle ferite, doveva essere molto bella, ma questa non era una scusante per nessuno.
La mattina feci una piccola colazione con un corvo poi decisi di tornare a casa. Passando per le strade principali, notai un gran fermento di polizia e passanti. Tutti parlavano e si agitavano come se ci fosse appena stato un terremoto. Uno dei ragazzi che distribuiva giornali mi fermò e fui costretto a comprarne una copia. In prima pagina troneggiava la foto di una ragazza scomparsa la sera precedente e che tutti quanti stavano già cercando con solerzia, e non c’era bisogno di aggiungere il perché, né un nome alla scomparsa. Quella foto la conoscevo a memoria perché mi aveva tormentato quasi ogni giorno su tutte le prime pagine dei giornali: Rosalie Hale, unica erede della casata degli Hale, promessa sposa di Royce King. Il matrimonio dell’anno, a sentire tutti quanti. Secondo me, soltanto un metodo per arraffare più soldi possibili e far salire gli Hale nell’elenco delle dinastie più ricche e importanti della costa orientale degli Stati Uniti. Guardai di sfuggita la foto e mi diedi dello sciocco per non avere riconosciuto la ragazza che stava nel nostro letto. Corsi a casa perché se Carlisle non si era accorto chi aveva cercato di salvare, adesso dovevo dirglielo e aiutarlo a disfarsi del cadavere perché sicuramente ormai di cadavere si trattava.
E invece quando rientrai, trovai Esme tranquillamente seduta sul divano che ricamava all’uncinetto mentre il silenzio più denso si era infiltrato in tutta la casa. Non sentivo più il cuore battere, quindi, pensai, la ragazza doveva essere morta. Ma l’illusione durò solo un malandato secondo perché lo sguardo sereno di Esme prima e i suoi pensieri poi mi indicarono la strada. Salii di corsa al piano superiore e trovai Carlisle dove l’avevo lasciato la notte precedente: seduto, accanto al letto, dove giaceva ancora la ragazza, che si muoveva a scatti, piegandosi su se stessa e stirando le gambe l’istante successivo. A tratti si lamentava, a tratti apriva la bocca senza emettere suono, con gli occhi stretti. Carlisle l’aveva trasformata. Fuori di me per la rabbia, lo rimproverai per ciò che aveva fatto, per il pasticcio in cui ci aveva messo, sbattendogli in faccia il giornale che portavo con me. Non sembrò curarsene, anzi minimizzò l’accaduto. Mi trascinò fuori dalla camera mentre io continuavo a sbraitare. Un comportamento molto maturo, non c’è che dire…” ridacchiò amaramente.
“Perché non la volevi?” domandai.
“Perché la polizia e la sua famiglia avrebbero fatto il diavolo a quattro per ritrovarla e un vampiro Neonato, come tu ben sai, è molto instabile all’inizio. Mi chiedevo come avremmo fatto a dominarla, come saremmo riusciti a convincerla a non andare a sventolare il nostro segreto ai quattro venti… Ero doppiamente infuriato perché Carlisle, e persino Esme, sembravano non capire il pericolo. Tutti e due sorridenti, come se non fosse successo niente, ma anzi avessero compiuto l’azione più meritevole del mondo. I pensieri all’unisono di entrambi spiegarono tutto: l’avevano trasformata per me, perché anch’io avessi una compagna”.
Sgranai gli occhi mentre Edward continuava a sorridere ripercorrendo i vecchi ricordi. “Carlisle l’aveva salvata per questo?” balbettai a denti stretti.
“Già. All’inizio l’aveva portata a casa col fine sincero di salvarla ma quando si era accorto che non c’erano possibilità, aveva deciso di trasformarla. Era bella, molto bella e lui credeva che sarebbe stata la compagna ideale per me, come Esme lo era diventata per lui. Era stanco di vedermi solo. Da quando ero stato trasformato, 16 anni prima, non avevo mai avuto una ragazza e lui credeva che Rose mi avrebbe guarito dalla solitudine. Non riesco a spiegarmi il perché ma ho odiato quella ragazza ancora di più. Ho capito le motivazioni di Carlisle ma non mi andava a genio che avesse scelto per me. E per giunta che avesse scelto una Hale. Così mi rifiutai di conoscerla. Passati due giorni dalla trasformazione, Carlisle me la presentò, praticamente a forza, e fu esattamente come me l’ero immaginata. Viziata, capricciosa, orgogliosa e vanitosa. Tanto bella quanto stupida. E per giunta, abituata a essere corteggiata da tutti, non sopportava che io non le dessi importanza. Voleva a tutti a costi che cadessi ai suoi piedi, solo per dirsi:“Ho vinto” ma mi impuntai che non le avrei mai dato soddisfazione. L’unica cosa che mi impietosì fu che ricordava perfettamente perché fosse morta e chi le avesse fatto questo. Non l’avevo in simpatia ma nessuna ragazza si merita una punizione del genere. Decisi che se non l’avesse fatto lei, avrei pensato io a Royce… Una notte, mentre Carlisle ed Esme erano fuori a caccia, rientrò vestita da sposa. Dovetti ammettere che si trattò di una meravigliosa visione, anche con i capelli scapigliati e gli occhi rosso rubino smaniosi e spaventati insieme. Una chiazza di sangue fresco infradiciava la gonna. Mi guardò un attimo poi disse:“Non dirlo a Carlisle ed Esme, per favore”. Scossi la testa e ripresi a leggere, mentre lei corse a cambiarsi”.
“Non hanno mai saputo che lei ha ucciso Royce e gli altri quattro?” domandai.
“Hanno avuto molti dubbi anche se non hanno mai chiesto niente. Sapevano che era stata vittima di uno stupro, ma non immaginavano chi ne fosse stato l’artefice. E io non gliel’ho mai detto” rispose amareggiato.
Oscillai sulla poltrona, teso e nervoso. Lei era stata scelta per lui, perché fossero la coppia perfetta e insieme suscitassero le invidie di chiunque altro. Non mi piacque affatto, esattamente come non avevo gradito il loro ballo al matrimonio. Erano stati loro due per dieci anni prima di Emmett e con lui aveva condiviso quello che io avevo avuto solo ottant’anni dopo. Rosalie mi aveva raccontato che non era mai andata d’accordo con Edward e che il loro riavvicinamento era stato solo recente, ma forse aveva mentito per non farmi sospettare. Come poteva essere rimasto immune al suo fascino? Io non ce l’avrei fatta.
“Rosalie è sempre stata una brava attrice” mi fissò, appesantito da una dolorosa consapevolezza. “Ed è riuscita a ingannare perfino me per tanto tempo. Ci ho messo un anno, pur leggendo nella mente, prima di capire che la sua freddezza e aggressività erano tutte costruite. In realtà era insicura, fragile, eternamente bisognosa di affetto e conferme, anche se lei non ne dava a nessuno. L’ho tenuta a distanza per puro divertimento, ma quando mi sono accorto dell’errore e ho cercato di avvicinarmi, era troppo tardi. Ero riuscito a farmi odiare. Abbiamo convissuto dieci anni nella stessa casa, eppure non ci siamo mai guardati una sola volta con affetto. Carlisle ed Esme erano dispiaciuti perché non solo non eravamo una coppia ma non avevamo neppure atteggiamenti da fratello e sorella. Eppure io le volevo bene. Non gliel’ho mai detto perché sentivo solo odio nei miei confronti e pensavo che avrebbe riso di me, se gliel’avessi confessato. In quegli anni mi sono ripromesso che l’avrei difesa ugualmente da tutti quelli che avessero voluto farle del male. Poi sono arrivati prima Emmett, poi Alice e Jasper e infine Tanya. Era felice e al sicuro e la mia presenza sembrava essere diventata superflua…”.
“Perché mi stai raccontando tutto questo?” domandai con ansia crescente.
“Perché la mia promessa vale ancora” sibilò, guardandomi di traverso. “Lei non è felice e tu, anche se non lo fai volontariamente, la stai facendo soffrire, molto più di quanto abbia fatto Royce quella sera. Ricordi cosa ti avevo detto subito dopo la battaglia con i Volturi?”.
“Sì, lo ricordo perfettamente” ammisi con un sospiro lugubre.
“Allora se la ami, lasciala andare”.
“Non è così facile…” mormorai, stringendo le labbra. Appoggiai il mento sul petto e nascosi le mani sotto le gambe, facendo leva sulle braccia per tentare di stare dritto. Stava male e io non ero di nessun aiuto. Conoscevo perfettamente Rose e i suoi problemi. Ero stato io a seppellirli ma si erano riformati: l’ondata che li aveva sommersi non era stata abbastanza forte.
“Jake, io ti sono profondamente grato perché, grazie a te, ho finalmente capito mia sorella ma ora devi essere capace di fare i conti con quello che hai trovato. Non è forte come credevi e il problema è che ti ama molto più di quanto possa amare se stessa e la vita. Questo può diventare un inferno e tu devi essere abbastanza deciso per entrambi…”.
“Non credo di esserlo”. Non riuscivo a pronunciare che poche parole: mi si strozzavano in gola e faticavo a tenere la voce ferma. Mi sembrava di cadere dentro un crepaccio senza fine e la velocità era tale da impedirmi di respirare.
Edward tacque e appoggiò la fronte sul pugno. Non riuscii a interpretare questo gesto: si stava rassegnando oppure stava semplicemente valutando se uccidermi per salvare Rose?
Era difficile e io mi sentivo infinitamente debole, come se mi avessero prosciugato le energie. Il giorno prima dello scontro con i Volturi avevo deciso che l’avrei convinta ad andarsene per salvarla dalla sofferenza che il mio futuro imprinting le avrebbe causato, senza immaginare che lei stessa fosse il mio imprinting. Avevo deciso su due piedi ma sapevo che non sarei stato capace di portare avanti il mio piano. Non volevo separarmi da lei. Ci avevo messo così tanto a farmi amare e soprattutto a capire di amarla. Non avrei permesso a nessuno di portarmela via. “Amore travestito da sesso”: così l’aveva definito Rachel e aveva ragione, come su altre mille questioni. Eppure il pericolo era reale adesso. Non potevo permettere che il mio egoismo la uccidesse.
Nel sogno Edward cercava di portarmi via la bambina. Combattevo contro di lui e perdevo tempo prezioso mentre in realtà era Rosalie a finire uccisa da se stessa. Questa era la vera interpretazione. Rose sarebbe morta e per colpa mia.
“Avevi sognato Rose da piccola?” domandò Edward, rovistando incredulo nei miei pensieri.
“Sì” ammisi senza staccare gli occhi dalle ginocchia. “Non sapevo chi fosse. Sapevo solo che era il mio imprinting e quando ho visto che i suoi occhi erano uguali a quelli della bambina del mio sogno ho capito. Era sempre stata lei, fin da quando l’avevo incontrata a Forks con mio padre, da quando l’avevo baciata sotto la quercia, da quando mi aveva preso a sberle quel giorno a First beach quand’era venuta con Bella…”. Probabilmente non capiva di cosa stessi parlando, a quali ricordi stessi alludendo, ma non stavo conversando con lui, solo con la mia coscienza e il mio cuore. Era tutto ciò per cui avevo lottato fin da principio e ora dovevo essere coerente.
“Cosa vuoi che faccia?” domandai e le parole uscirono deboli e incerte.
Edward mi appoggiò amichevolmente la mano sulla spalla e borbottò:“Potresti dirle che vuoi una vita normale”.
“Cosa?” alzai gli occhi, digrignando istintivamente i denti. La spina dorsale improvvisamente fremette e le dita si piantarono nel soffice cuscino dell’auto. “Sei impazzito?”.
“E’ l’unica cosa che potrebbe convincerla a venire via e a conservare una strada aperta, nel caso Bella ed io riuscissimo a trovare una cura”.
“Non credi neanche tu che riusciremo a sistemare le cose, altrimenti non me la porteresti via. Qual è la verità?”.
Edward batté le palpebre, aprì la bocca, la richiuse meditabondo, infine rispose:“Voglio che le resti un bel ricordo di te. Potresti dirle che l’hai tradita ma così potrebbe odiarti e non voglio che accada. Non te lo meriteresti”.
“Oh sì che me lo meriterei… Mi merito tutto l’odio del mondo perché la sto facendo soffrire”. Chiusi gli occhi mentre gli angoli delle palpebre si inumidirono. Edward aveva torto: dovevo farmi odiare perché ero venuto meno alla promessa, perché l’avevo resa infelice, perché le avevo giurato che avrei colorato la sua vita e invece stava diventando un quadro sbiadito in bianco e nero. Dovevo lasciarla a una vita più sicura e gentile perché non saremmo mai arrivati a una cura. Gli ostacoli che le nostre razze ci avevano buttato addosso ci stavano schiacciando e, se non avessi fatto qualcosa, non ne saremmo usciti. Io non potevo salvarmi ma lei sì, e magari fra tre o quattro anni mi avrebbe messo nell’interminabile lista dei bei ricordi. Io avrei aspettato semplicemente la fine perché che senso aveva continuare a essere immortale senza di lei? E una vita senza di lei, per quanto breve, era comunque già un’eternità.
“La porterai lontano da qui, vero?” domandai.
“Pensavo in Europa o in Asia…”.
“L’Europa deve essere bella. Mi ha detto che desiderava tanto vederla…” vacillai, soffocando lo sforzo di piangere. Avrei voluto portarla io in Europa. “Ne sarà felice”.
“Senti, Jacob, ti posso giurare su tutto quello che vuoi, anche su Bella e sulla mia vita, che noi continueremo a cercare. Non ci arrenderemo mai” disse concitato, per darmi conforto.
“Non si può combattere in eterno…” commentai, abbozzando un sorriso. Era buffo come fossi consapevole che mi stessi scavando la fossa da solo eppure fossi felice di buttarmici dentro, soltanto perché sapevo che sarei stato solo e non avrei trascinato qualcun altro con me. “Promettimi che avrai cura di lei”.
“Te lo giuro”.
Annuii più volte. Ripetutamente. Stancamente.
“Non crederà mai che voglio una vita senza di lei e comunque anche se ci credesse sarebbe capace di voler restare qui ugualmente. Prima della battaglia aveva deciso di rimanere: perché non dovrebbe farlo adesso? Sai quant’è cocciuta quando si mette in testa una cosa…”.
“Lo so” ammise e il fascino che, nonostante tutto, gli avevo sempre riconosciuto venne meno. Sembrò soltanto tanto, tanto stanco e, a dispetto del suo aspetto, vecchio e provato.
“Ti aiuterò, ma tu devi aiutare me…”.
“Come?”.
“Farò in modo che venga via con te ma voglio abbracciarla un’ultima volta”.
Nei suoi occhi lampeggiò un guizzo di stupore misto a sospetto. “Jake, non puoi abbracciarla, altrimenti non staremmo facendo tutto questo…”. Lo guardai a lungo e mentre sentivo i miei occhi indolenziti per le lacrime troppo a lungo trattenute, la sua bocca si arricciò, poi la sua mandibola si contrasse in un movimento selvaggio. “Stai scherzando…” sibilò e non era una domanda.
“Sai perfettamente anche tu che non ci sono scuse che la farebbero andare via e non sei sicuro che tutto questo non dipenda dall’imprinting. Se lo spezziamo, sarà davvero libera…”.
“Ti amerebbe ugualmente…”.
“Non sto dicendo che non mi amerebbe, ma tu hai le prove che la sua mancanza di appetito non sia imputabile all’imprinting? Perché è così disgustata dal sangue? Quando mai è successo?”.
“E’ depressa e si sente in colpa: questa è la spiegazione”.
“Non lo sai. E se vuoi essere sicuro che ricominci a mangiare devi eliminare il problema. Alla radice” insinuai neutro. “In questo modo si riprenderà”.
“E credi che si riprenderà, se morirai? Il dolore ti ha rimbambito?”.
“Non sarà sola. Avrà te, Bella, Alice e Jasper. La sua famiglia. Anche senza di me se la caverà egregiamente. Finché saprà di avere una speranza, non la lascerà mai andare. E la speranza uccide più di mille coltellate. Ti fa sanguinare in eterno e allora è meglio un colpo netto”.
Edward scosse la testa, poi sorrise con un velo di sarcasmo. “Non puoi chiedermi questo. Potevi propormelo due anni fa e ti avrei accontentato molto volentieri, ma non adesso e non così”. La sua voce si spense lentamente come una candela quando termina lo stoppino. “Sei un bravo ragazzo, Jake, il migliore amico di mia moglie, il ragazzo di mia sorella e chissà, magari, fra qualche anno un buon amico per me. Troppe cose che mi impediscono di aiutarti”.
“E di tua sorella cosa mi dici? Preferisci salvare me invece di lei?”.
“Nessuno morirà, Jake! Nessuno!” urlò, coprendo con irruenza il rumore della pioggia e del vento. “Rosalie starà via per un po’. Nel frattempo troveremo la soluzione e…”.
“Piantala, cazzo!!” strillai con una collera così ardente, da farmi tremare la voce. “Smettila di dire che troveremo una soluzione. Non ce ne sono e siamo stati degli idioti a credere che le cose si sarebbero sistemate. Sam, mio padre, tutti dicevano che una relazione vampiro – licantropo non è possibile e io non ci ho voluto credere. Bene, le prove sono sotto il naso di tutti! Anch’io sono stanco di questa storia, esattamente come Rose, ma vado avanti per vederla tutte le sere. Se mi togli anche questo, mi spieghi cosa resta? Se lei dovesse morire, mi dici come potrei sopportarlo? Viene prima di tutto per me e tu dovresti capire perfettamente cosa provo. Voglio che stia bene, anche con qualcun altro, ma non puoi obbligarmi a vivere senza di lei. Devi fare una scelta: se Rose dovesse morire, io mi suiciderei l’istante successivo. In ogni caso, sono morto, quindi non devi farti scrupoli…”.
“Non voglio che tu ti arrenda…”.
“L’ho già fatto” sospirai. “Pensaci sù, poi fammi sapere”.
Uscii dalla macchina, senza salutarlo, e raggiunsi la mia moto. Quando partii la Volvo era ancora parcheggiata con le quattro frecce e i finestrini appannati. Non si mosse fino a che non fui io a sparire all’orizzonte.
Quando arrivai a casa, ovviamente ero bagnato fradicio. Rachel subito sbottò, rimproverandomi l’eccessivo attaccamento alla moto. Sapeva che un mio collega era di La Push e che quindi avrebbe potuto darmi un passaggio fino a casa, ma sapeva altrettanto bene che non mi sarei mai separato dalla mia Yamaha. Salii in camera per farmi una doccia calda. Quello che aveva detto Edward sembrava uscito da un incubo e adesso, a mente lucida, appariva quasi assurdo ma inevitabile. Rose stava male e io non me ne ero accorto. Ridacchiai pensando che, se fosse stato un film, saremmo stati tutti degli ottimi attori. Tutti tranne Bella, che, nonostante la trasformazione, per me continuava a essere limpida come una cascata di montagna. E lei non doveva sicuramente essere a conoscenza dell’inappetenza di Rose, altrimenti me l’avrebbe detto. Non riusciva a nascondere realtà così importanti e non avrebbe perso tempo con una ricerca sulle streghe se avesse saputo che sua cognata forse sarebbe… Deglutii, impedendomi con tutte le forze di concludere la frase. Non sarebbe morta, ci avrei pensato io. Niente e nessuno le avrebbe fatto del male. Anche io, come Edward, non ero convinto che tutto questo fosse dovuto all’imprinting. Anzi, più verosimilmente, era depressione e senso di colpa, ma ormai non importava più. Avrei dovuto trovare un pretesto che l’avrebbe allontanata da qui, che avrebbe spento definitivamente la nostra candela e io, vigliaccamente, non volevo trascorrere cinquant’anni in attesa della morte. Vivere una vita svuotata non aveva senso. Era buffo che proprio io facessi questi pensieri, visto che quella con tendenze suicide era sempre stata Rose ed io quello che esaltava l’esistenza e il coraggio di affrontare il destino. Se fosse dipeso solo da me, sarei andato avanti, ma Rose mi amava troppo e proprio questo amore la stava privando delle forze. Se volevo sperare che sopravvivesse, dovevo dare una dimostrazione più che tangibile che la nostra storia fosse definitivamente chiusa.
Quando uscii dal bagno, il temporale era concluso. Mi affacciai per guardare fuori: qualche ramo spezzato e una sensazione di acqua nell’aria, che rinfrescava e ripuliva ogni respiro. Cenai e andai al nostro solito appuntamento, durante il quale analizzai, scrutai, investigai ogni singolo movimento o gesto che potesse avvalorare le teorie di Edward, eppure, a parte il sorriso che non vedevo più da tanto tempo, non c’era niente di insolito. Stavo già cominciando a pensare che avesse esasperato la situazione, quando le proposi una corsa per i boschi.
“Una corsa? Perché?” domandò reticente.
“Ho voglia di sgranchirmi le gambe e tu sei veloce. Facciamo una corsetta per una decina di chilometri. Ti va?”.
“Ma… veramente non ne ho molta voglia” rispose e quello fu il primo campanello d’allarme. “Un’altra volta magari”.
Insistetti, petulante come una mosca, fino a che non le strappai un sì a malincuore. Mi trasformai e la maratona partì. Avevo appena superato il confine di Forks, quando mi dovetti fermare perché Rose non era dietro di me. La cercai per qualche centinaio di metri in tutte le direzioni, poi finalmente apparve. Aveva un mazzo di campanelle in mano. “Scusami, ma le ho viste lungo la strada e mi sono fermata a raccoglierle”.
Guardai i fiori e il suo viso. Solo mettendola a confronto con il candido colore delle corolle mi accorsi che la sua carnagione era più sbattuta e meno uniforme del solito; sotto i riflessi della luna i suoi capelli, da sempre luccicanti anche di notte, sembravano smorti e opachi. Annusò i fiori profondamente mentre la mia attenzione cadde su una piccola ferita, poco più di un graffio, che un ramo doveva averle procurato durante la corsa. Ci mise un minuto a rimarginarsi e non era neanche profonda. In altri tempi, sarebbero bastati pochi secondi.
I fiori erano stati solo la scusa per giustificare il ritardo perché altrimenti avrebbe dovuto essere veloce quanto me.
Stai male, vero amore mio?
Trascorsero 3 giorni durante i quali analizzai ogni piccolo movimento e possibile cambiamento nei suoi modi di fare. Non notai nulla che potesse far temere il peggio, a parte una cronica vacuità nello sguardo. Sorrideva a tratti ma non le brillavano più gli occhi.
Durante uno di questi giorni, incontrai Emily. Era passata da casa mia per far vedere Ethan a mio padre e se ne stava andando quando la incrociai con il suo fagottino fra le braccia. La accompagnai fino alla macchina, parcheggiata dall’altra parte della strada. Lo stava sistemando sul seggiolino quando le chiesi a bruciapelo e senza nessun preavviso:“Come sta Claire?”.
Emily si distrasse un attimo per osservarmi, incuriosita, poi rispose tranquillamente:“Sta bene, perché?”.
“Sente la mancanza di Quil?”.
Emily sistemò le cinture di sicurezza del seggiolino poi si raddrizzò verso di me. “E’ una bambina, Jake. Ha soltanto quattro anni e mezzo…” osservò cupa.
“Sì, lo so, ma Quil era il suo imprinting e voi avete detto che lo sentiva. Voleva sempre stare in braccio a lui… Ne sentirà la mancanza ora che non c’è più” deglutii.
“All’inizio non è stato semplice. Lo sai anche tu che ha continuato a cercarlo per settimane, ma adesso sta bene. I bambini dimenticano in fretta, soprattutto a quell’età…”.
“Quando sarà grande, non lo ricorderà quindi…” esclamai e la mia voce suonò fin troppo nostalgica. Pensare che Quil non sarebbe stato ricordato negli anni a venire dal suo grande amore era molto triste.
“Non credo, no” convenne Emily con la mia stessa nostalgia.
“Ma sarà felice ugualmente?”.
“Beh, sì, penso di sì. Non sarà la felicità che avrebbe avuto con lui, ma pur sempre di serenità si tratterà. E la serenità è molto sottovalutata di questi tempi…”.
Annuii, feci un cenno con la mano a Ethan e indietreggiai lentamente. Era diventato carino, con quegli occhioni enormi e il visetto perennemente acceso da un sorriso entusiasta: somigliava tantissimo a Emily.
“Cosa c’è, Jake? Perché mi hai chiesto di Claire?” sussurrò scettica.
“Una curiosità” scrollai le spalle.
“Non stai pensando di lasciarla, vero?”. I suoi occhi brillarono di rabbia e una sottile, ma acuta minaccia, guizzò nelle pupille. “Claire starà bene perché è piccola e non avrà ricordi coscienti, ma Rose…”.
“No, non potrei mai” la prevenni ed in un certo senso era la verità. “Ero soltanto preoccupato per quella bambina. Tutto qui”.
Emily tirò un lungo sospiro poi andò a sedersi al posto di guida, mi salutò affabile e se ne andò.
Quella notte non chiusi occhio. Se Edward non mi avesse aiutato, non avrei potuto rompere l’imprinting da solo e quindi aiutare Rosalie. Forse avrei potuto parlargliene direttamente ma la conoscevo abbastanza bene per prevedere che avrebbe negato anche l’evidenza. Sia per orgoglio, sia per non farmi preoccupare. Avrei potuto chiedere aiuto a Bella: no, non l’avrebbe mai fatto. Una mandria scomposta e fitta di pensieri mi tenne sveglio fino alle prime luci dell’alba. Solo allora riuscii ad addormentarmi per un paio d’ore.
Quel giorno non passò istante in cui non mi chiesi se Edward fosse riuscito a farla mangiare, se dipendesse da me, se una volta rotto l’imprinting sarebbe tornato tutto come prima.
Erano le quattro del pomeriggio ed ero esausto per la notte insonne, con una macchina che non voleva saperne di reggere il minimo, quando il capo mi chiamò. “C’è un ragazzo all’ingresso che chiede di te. Ha detto che è un tuo amico…” borbottò.
Mi approssimai arrendevole, credendo di trovarmi davanti Joe o Embry, che ogni tanto passavano a salutarmi. Invece trovai Edward, mani in tasca e volto teso. Non mi salutò neanche; fece cenno di uscire un attimo con lui. Curvò le spalle, sguardo fisso in avanti. “D’accordo” disse sconfitto. “Ti aiuterò”.
Guardai lontano e invece di essere triste, mi sentii sollevato, come se mi avessero tolto un peso e potessi respirare. “Perché hai cambiato idea?”.
“Oggi è inciampata sulle scale. Non si è fatta male” si affrettò a chiarire vedendomi già agitato. “Abbiamo litigato perché le ho rinfacciato che non mangia. Lei ha negato e ne è scaturita una discussione quasi isterica. Adesso che lo sa, anche Bella è molto preoccupata, e io non ce la faccio più a vedere mia sorella così. Non si rende conto di non mangiare più da giorni interi e forse a questo punto è davvero colpa dell’imprinting. In questo caso, dobbiamo spezzarlo in fretta, e se questo è l’unico modo… Non posso esitare”.
“Quando vuoi farlo?” domandai, più che mai risoluto.
“Dimmelo tu…”.
“Facciamo sabato pomeriggio, alle sei”.
“Ma è fra due giorni, Jake. E’ troppo presto…” protestò vivacemente, picchiandomi con lo sguardo.
“Hai detto tre settimane al massimo e una l’abbiamo già persa con i tuoi tentennamenti. Non ho intenzione di perderne altre” sbottai furente.
“Va bene” sospirò, sommergendo i suoi scrupoli sotto l’ansia per sua sorella. “Dove?”.
“Sotto la quercia, dove c’era il confine. Devi trovare un modo di portarla lì poi al resto penserò io. Tu dovrai aiutarmi se le cose non dovessero andare come spero…”.
“Bella mi ucciderà quando lo verrà a sapere, e anche Rose, quando sarà tutto finito…” commentò angustiato.
“Bella ti perdonerà e anche Rose, dopo un po’. Visto lo scotto che pago io, è giusto che ne paghi uno anche tu, o no?” risi. Riuscivo a fare lo spiritoso sulla mia prossima morte: mi ero rimbecillito davvero? Sì, rimbecillito d’amore per lei. Ribadii l’appuntamento e me ne tornai al lavoro. Edward rimase a lungo davanti all’ingresso. Stava cambiando idea? Lo conoscevo abbastanza bene da intuire il suo dilemma interiore ma il calore con cui aveva raccontato quanto teneva a quella sorella era di gran lunga superiore a qualsiasi senso di colpa nei miei confronti. Non l’avrebbe abbandonata.
Infine ripartì a bordo della sua macchina mentre io contavo due giorni a mia disposizione. Non ne avrei parlato con nessuno, altrimenti avrebbero fatto di tutto per impedirmelo e non volevo perdere tempo in inutili discussioni. Volevo godermi le ultime ore.
Quella notte la incontrai come sempre. Non ci fu niente di diverso dal solito se non fosse stato che io ero diverso e che sarebbe stata la nostra penultima sera insieme. Ascoltai con più attenzione del normale le sue fantasie, la sua voce dolce e la tristezza ben camuffata da interruzioni e respiri prolungati. Starai bene, amore mio. Fra due giorni.
Era strano come pur volendo stare con lei, non vedessi l’ora che venisse sabato pomeriggio. Soltanto perché avrei potuto finalmente abbracciarla, vederla felice per qualche istante, e saperla al sicuro per l’eternità perché ogni minuto che passavo mi convincevo che la sua inappetenza fosse dovuta all’imprinting. Ne ero certo.



 

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Capitolo 91
*** Mai con te, mai senza di te ***



I due giorni successivi passarono veloci, quasi divorati dal lavoro, dal godimento di assaporare ogni minuto con papà e Rachel. Riuscii perfino a trovare un’ora per radunare gli altri del branco e chiacchierare con loro. Ovviamente la riunione fu tenuta in forma umana e nessuno sospettò niente, visto che sapevano quanto io preferissi parlare come normali esseri umani e non tramite la telepatia. Si parlò del più e del meno e alla fine nessuno capì perché avevo indetto una riunione, tranne me. Volevo salutarli, a modo mio. Leah sarebbe stata un buon capo. Dopo l’imprinting con Ethan era diventata la più equilibrata, la più ragionevole e quella che raccoglieva gli umori di tutti i membri. Era bello che si fidassero di lei. Joe ovviamente continuava a far riferimento a me e quando mi vedeva non perdeva occasione per raccontarmi tutti i suoi tentativi andati a vuoto con una ragazza per cui si era preso, manco a dirlo, l’ennesima cotta. Mi faceva ridere e mi sarebbe mancato. Mentre io speravo di non mancare a lui.
Venerdì sera, subito dopo cena, telefonai a Rebecca. Restammo al telefono più di mezz’ora, soltanto io e lei, e non si insospettì della mia inusuale loquacità. Era sempre mia sorella ma l’eccessiva distanza ci aveva allontanato. Non coglieva più la mia rabbia, la fiacchezza o l’irrequietezza. Mentre invece per Rachel era tutto alla luce del sole. Fin troppo. Quando agganciai la cornetta, comparve dal salotto, avanzando taciturna, infine sussurrò, per non farsi udire da papà:“E’ successo qualcosa, Jake? Non ti senti bene?”.
“Tutto ok, perché?” scrollai le spalle.
“Ma… Non so… Non sei mai stato al telefono così a lungo con Becky e… Scusami, forse sono un po’ paranoica”. Le sorrisi e avrei voluto abbracciarla, ma così l’avrei fatta impensierire il doppio. Inoltre volevo lasciarle il ricordo del solito Jake, non del fifone, mollaccione e sentimentale. Niente doveva cambiare per nessuno.
“Prenditi una camomilla, va’!” ridacchiai, battendole una mano sulla spalla. “Vado all’incontro con Rose. Ci vediamo domani mattina”.
Uscii per incontrarmi con lei e riuscii a dare il meglio di me stesso, facendola ridere come ai vecchi tempi. Una risata contagiosa, innocente e spontanea. Avvolgente come l’acqua dell’oceano a First Beach. E fu tutto.
Quando tornai a casa, verso mezzanotte, mi diressi automaticamente in garage. All’interno avvertii subito l’odore di benzina, muschio e umidità che mi intorpidì leggermente le ossa. Accesi la lampadina che pendeva dal soffitto e osservai in estasi la mia moto. Datemi dell’idiota ma io la amavo come se fosse mia figlia, come una parte di me e in un modo perverso lo era. Mi avvicinai e la accarezzai con delicatezza.
Era il giorno del mio diploma e Billy e Rachel erano più eccitati di me che dovevo ricevere il famigerato attestato che mi avrebbe consegnato alla realtà degli adulti, anche se mi sentivo di farne parte già da un pezzo. Forse, a torto. Perfino Rebecca era arrivata dalle Hawaii per la grande occasione. Si era presa una settimana di ferie, mollato il marito a casa e tornata da noi. Quando l’avevo vista, pensai che non fosse cambiata affatto e che avremmo potuto riprendere il nostro rapporto da dove l’avevamo lasciato. Ma mi ero sbagliato. Perché se lei era uguale, a parte i folti capelli neri che si era tagliata, io ero completamente diverso e fu lei a stentare a riconoscermi. Ma non fu solo una questione di estetica. Non c’era più la sintonia di un tempo anche se era rimasta la solita scatenata Rebecca, mentre io mi trovai a ringraziare Dio che ci fosse stata Rachel con me in tutto il periodo passato. Rebecca era troppo uguale a me e se da piccoli questo particolare aveva fatto la differenza in senso positivo, ora la faceva in maniera opposta. Avevo bisogno di una persona più responsabile, sensibile e sicura, come la mamma. Come stava diventando Rachel, che ogni giorno le assomigliava sempre più.
Decidemmo di raccontare a Becky della mia licantropia e lei non si smentì quando, concluso il discorso di papà, si mise a ridere come se le avesse raccontato una barzelletta. Ma invece ci credeva eccome e mi chiese di trasformarmi. Era entusiasta come una bambina davanti a un giocattolo; viceversa il suo entusiasmo si tramutò in sconcerto e ansia quando gli raccontammo dei Cullen e soprattutto dei Volturi, di Seth, Quil e degli altri, morti quel giorno. In quel momento si rese conto che non era un gioco e che io avevo corso veramente il rischio di rimetterci la pelle. Si arrabbiò come poche volte l’avevo vista fare, sia perché l’avevamo deliberatamente tenuta all’oscuro, sia perché papà mi aveva lasciato combattere contro dei vampiri. Inoltre la preoccupava all’eccesso la presenza dei Cullen come “vicini di casa”. Rachel prese in mano la situazione e, senza che potessi protestare, la trascinò dai Cullen per dimostrarle che non c’era alcun pericolo. Non andai con loro, ma quando tornò, appariva più tranquilla. Aveva parlato con Edward e rivisto Bella, stentando quasi a riconoscerla da quanto era cresciuta dall’ultima volta che l’aveva vista, cioè quando erano poco più che bambine, e si era convinta che non fossero una minaccia. Un’ondata di rammarico la turbava e potevo immaginare perché. Quando rimanemmo da soli in cucina, disse, con gli occhi sgomenti:“Ho visto Rosalie… Mi dispiace”. Mi appoggiai al lavello, come un giocattolo rotto.
Mi strinse il braccio in un’invocazione:“Devi starle lontano, Jake. Fino a quando non si sarà risolto tutto. Non devi oltrepassare quei dieci metri, ti scongiuro”.
Appoggiai la mano sulla sua, continuando a fissare il vuoto. “Non ti devi preoccupare. Non farò niente di stupido. E poi Rosalie si preoccupa più di me di non avvicinarsi troppo”. Becky deglutì e mi abbracciò.
Così alla consegna dei diplomi c’era tutta la famiglia al completo. Oltre a loro, anche Emily, Sam, Leah e Bella. Tutti i diciottenni del branco si diplomavano alla stessa scuola così i più grandi avevano colto la palla al balzo per fare un festeggiamento unico. Bella era venuta perché ci teneva davvero e avrei voluto che anche Rose fosse stata lì, ma aveva deciso che era il mio giorno e non voleva rovinarlo con la sua presenza a distanza. Questa decisione mi fece soffrire ma si rivelò la più azzeccata: scherzai con Embry e Jared; fui preso in giro dalle mie sorelle; pregustai con Bella il mio roseo futuro da meccanico, e lei fu magnifica. Mi trovavo così bene con Bells da dimenticare la mia situazione. Era un toccasana, una vera medicina, e senza controindicazioni.
Quando la festa a scuola fu conclusa, tutti se ne andarono e papà, Rachel, Rebecca ed io ce ne tornammo a casa. Ero seduto vicino al guidatore con il mio diploma sulle gambe, quando Rachel tirò fuori un pacchetto dalla sua borsa e me lo allungò. Una scatolina poco più grande di una mano con un fiocco color pervinca sommerso da un’infinità di riccioli. “Che cos’è?” domandai a muso duro. Avevo detto a tutti che non volevo regali.
“E’ da parte di Rosalie… Sù, aprilo”.
Rosalie? La parola magica per placare la rabbia. Non ci misi molto a ritrovarmi in mano una chiave legata ad un portachiavi in gomma a forma di Y. Rebecca si sporse verso di me dal sedile posteriore, appoggiò il mento a un braccio e la guardò:“Cos’è? La chiave di casa sua?”.
Rachel scoppiò a ridere, lasciando trapelare che lei ne sapesse molto più di quello che diceva. Onestamente io ero confuso. Non avevo la più pallida idea di cosa fosse e soprattutto cosa aprisse, però su una cosa avrei potuto scommettere: non era la chiave di una porta. Quando Rachel arrivò a destinazione, non parcheggiò davanti, come al solito, ma dall’altra parte della strada. Stavo ancora contemplando la chiave quando mi accorsi che davanti a casa nostra c’era una moto che avrei riconosciuto fra mille: una Yamaha YZF – R1, nuova, appena uscita dalla concessionaria, con le carene blu e un gigantesco fiocco sul vetro anteriore. Mi paralizzai, osservando il nastro, dello stesso colore di quello che stava sulla scatola che tenevo ancora in mano. “Di chi è quella moto?” domandò ingenuamente Rebecca.
Rachel mi sfiorò il braccio e fu una scossa elettrica. “Allora?” chiese. “Non è la moto che ti piaceva tanto?”.
Solo in quel momento Becky capì mentre io l’avevo intuito da un pezzo ma mi rifiutavo di crederlo possibile. Rose mi aveva comprato la moto nuova. Aveva speso un sacco di soldi perché quella moto costava quasi ventimila dollari. Il primo impulso fu di restituire il regalo ma luccicava perfino senza sole. Corsi da lei e strappai il fiocco, ammirandola e rimirandola in tutto il suo splendore. Dio, era meravigliosa! L’avevo desiderata così tanto che mi ero convinto che non l’avrei mai potuta avere. Perché i sogni non si avverano mai, almeno i miei. Invece era lì, reale, potevo toccarla. Girai la chiave e la accesi mentre Rebecca e mio padre la osservavano in ogni particolare. Incontrai Rachel, che, sollevando un angolo della bocca, da birbante, disse:“Ti terrò in caldo il pranzo”. Annuii e partii a tutta birra, senza preoccuparmi del casco.
Arrivai alla nota stradina selciata che portava dai Cullen e lì rallentai. Generalmente andavo più veloce per sollevare un polverone irrespirabile ma avevo troppa paura che un sasso potesse scheggiare la carrozzeria, perciò andai quasi a passo d’uomo. Quando fui davanti alla villa bianca, mi accolse l’intera famiglia Cullen sotto il patio. Jasper e Bella scesero per ammirare il regalo, seguiti poco dopo da Edward ed Alice, più pacati e serafici. Non prestai attenzione a nessuno di loro, mi avvicinai, per quanto concesso, a Rose. “Sei contento, Jake? E’ lei, vero?”. La sua voce era morbida, vicina.
“Sì” annuii. “Ma sei tu a farmi felice, non la moto, amore mio”.
Si appoggiò a una delle colonne, dolce e soddisfatta. “A quanto va questo catorcio?” si intromise Alice, distraendomi dal mio stato di contemplata beatitudine. Catorcio a chi?! Ne scaturì una discussione che portò a una gara tra me, in sella alla nuova moto, e la nanerottola con la sua Porsche. Finimmo a sfidarci sulla statale, incuranti di polizia e velox. Dapprima distaccati e cerimoniosi spettatori, gli altri sembravano compatirci, poi anche loro vollero partecipare. Io vinsi quasi sempre: in curva ero decisamente più veloce. Non c’era storia. Però purtroppo dovetti chinare la testa quando Bella, per dare una lezione alla mia boria, estrasse dal cilindro la sua macchinina. La sfida si tenne sul rettilineo della superstrada e la sua Ferrari venne guidata da Edward. E purtroppo persi. Per pochi secondi, ma persi.
Quel giorno mi divertii come un pazzo e fu strano visto che avevo trascorso la giornata solo con dei vampiri ma fu ugualmente follia pura. L’unico momento in cui mi si strinse lo stomaco fu quando decisi di andare a fare un giro con la moto e li lasciai. Avrei voluto Rose con me, ma dovevo aspettare. Prima o poi quel momento sarebbe venuto, mi ero detto. Ora ero certo che non sarebbe mai arrivato.
Mi sedetti su un piccolo e sbilenco sgabello di legno, poco lontano dalla moto, così da ammirarla in tutto il suo splendore. Robusta, agile, potente. In mezzo alla rimessa osservava il suo lugubre dominio fatto di polvere e ricordi. Mi guardai attorno. Quante cose fatte lì, in quella tana, nella mia tana. I pomeriggi con Bella, quando era ancora umana, a riparare le moto e a fare i compiti, le barzellette con Quil ed Embry, le litigate con Rachel quando eravamo piccoli. Eh sì, quella rimessa aveva visto una parte della mia vita. Non le tappe fondamentali, certo, ma le più innocenti e ingenue.
L’ordine non era mai stato il mio forte! I ferri del mestiere stavano ammonticchiati su un bancone, su cui avevo proibito a Rachel di mettere le mani. Nel mio disordine trovavo sempre tutto e nessuno doveva spostare nulla. Reclinai il capo su un braccio, prima di osservare nuovamente la moto che sembrava dormisse.
Chiusi gli occhi con violenza mentre rivedevo quella ragazza bionda camminare nella mia direzione, sofisticata e sicura di sé, perché tanto sapeva che nessuna avrebbe potuto batterla, che non sarebbe mai esistita competizione. Un ragazzino era rimasto abbagliato da tanta bellezza e non l’avrebbe dimenticata. Per quanto potesse essere spregevole, irraggiungibile e arrogante non sarebbe mai stato soddisfatto fino a quando non l’avesse fatta sua. Il mio angelo sulla terra.
In rapida successione uno sguardo pieno di rancore e inasprito dalla rabbia troppo a lungo controllata. Un polso stretto nella mia mano per ribadire chi comandava e per ficcarle in testa che non poteva nemmeno sognarsi di trattarmi come una pezza da piedi.
“Non ci provare più, principessa. Io non sono come Emmett!” le avevo detto con un sorriso a dir poco irritante.
“Ti piacerebbe…”.
“No, però piacerebbe a te che io fossi al posto suo!”.
Mi accarezzai la guancia come se lo schiaffo di quel giorno a First Beach fosse appena stato dato. Mi aveva fatto male, avevo sentito lo zigomo scricchiolare ma piuttosto che darle soddisfazione mi sarei ucciso. Mi piaceva farla arrabbiare, trovavo un delirante appagamento in questo e ora capivo che l’avevo fatto soltanto per attirare la sua attenzione. Non mi avrebbe mai degnato di uno sguardo, se non per manifestarmi il suo disgusto.
Sentivo gli occhi inumidirsi e qualcosa annodarsi in gola mentre vedevo un’altra immagine davanti a me. La stessa ragazza che in quella grotta mi urlava disperata i suoi sentimenti mentre io non facevo altro che riderle in faccia per farla sentire inutile e indegna, esattamente come lei aveva fatto sentire me per tanto tempo. Soltanto ripicche, niente di più. Sento ancora la sua mano che mi accarezza il viso quando mi sussurra “Ti amo”, le gambe strette attorno alla mia schiena, quando grida il mio nome, quando mi illudo che finalmente sia mia mentre in realtà sono io a essere suo. Sono io a perdermi dietro una ragazza che non mi vuole e che non amo quanto lei, ma non lo capisco. Incatenato per mesi a una roccia da cui non voglio staccarmi e soltanto quando sarà essa stessa a scacciarmi, capirò che non era il mio rifugio.
Altre immagini si susseguirono nella mia mente: la scalata sull’albero, lei vicino a me quella notte in cui avevo bevuto fino a vomitare, i nostri pomeriggi ridicoli a giocare e passeggiare come se fosse la cosa più divertente di questo mondo.
Mi meritavo ciò che stava succedendo perché io non meritavo lei. Era questa la soluzione, l’interpretazione della mia vita. Sentivo il dolore per ciò che avevo provocato, ma forse non avevo mai avuto una scelta, forse doveva andare così. Tuttavia appellarsi al destino non è una giustificazione e adesso mi ritrovo a chiedere perdono per i miei errori.
La sto facendo soffrire e basta. Anche dopo aver giurato che il suo benessere sarebbe venuto prima di qualunque altra cosa, continuo a colpirla e a privarla di ogni difesa. Non potrò mai avere l’assoluzione, non potrò mai avere pace, pensando alle lacrime che ha versato per me. Non le merito. Ed è giusto che finisca tutto, che io ti renda alla vita così come tu mi hai reso alla mia. Soltanto che io non esisterò senza di te mentre tu solleverai il mantello che ti tiene nascosta alla vita e finalmente vedrai la luce di cui ti ho privato per mesi. Strapperò io la catena se non sei in grado di farlo e ti libererò da noi, da me.
La mia bambina crescerà e diventerà grande, la lascerò fuggire e svanire lontano.
Mi alzai e andai al bancone dove rovistando distrattamente, trovai dei ceppi di legno e il mio vecchio coltellino a serramanico. L’avevo utilizzato per fare un braccialetto per Bella come regalo per il suo diploma, una vita fa. Da allora non l’avevo più preso in mano. Sorrisi stanco e, afferrando il legno, iniziai a incidere. Ci avrei messo tutta la notte, ma tanto dal pomeriggio seguente avrei avuto l’eternità per riposarmi, quindi potevo perdere qualche ora di sonno.
All’alba di sabato avevo finito la mia scultura: la mia piccola bambina, con un mazzo di fiori in mano. Certo, non era venuta proprio come la vedevo nei miei sogni ma non ero neppure Michelangelo. Dovevo accontentarmi e sarebbe servito allo scopo. Lei mi avrebbe convinto ad andare avanti ad ogni costo. La misi in tasca e rientrai in casa. Erano le otto del mattino e papà era già sveglio. “Jake, non sei andato a dormire?” domandò guardingo.
“No, non avevo sonno. Sono rimasto nel garage a fare qualche lavoretto…”.
“Sì, ma adesso sarai stanco. Vai a dormire…”.
Scrollai le spalle e salii le scale mentre Billy spingeva la sua carrozzella verso il ripostiglio. “Ah Jake, io sto per uscire. Charlie ed io andiamo a fare uno dei nostri soliti weekend di pesca. Ci vediamo domenica sera”.
Mi bloccai sull’ultimo gradino. Domenica sera. Mi voltai verso di lui, che non mi prestò attenzione, tutto preso dal sistemare canne da pesca, lenze ed esche. Lo guardai dall’alto. Avrei voluto abbracciarlo ma avrebbe sospettato qualcosa. “Certo. Divertiti, allora” risposi, camuffando il tremore della voce.
Entrai in camera e mi sedetti sul davanzale fino a che non vidi arrivare Charlie con il vecchio pick up di Bella, che ora utilizzava lui, caricare mio padre e andarsene ridacchiando tutti e due insieme. Osservai papà in ogni piccolo movimento e fui felice che la sua amicizia con Charlie fosse infine tornata come un tempo. La mia impulsività non aveva fatto danni irreparabili e da oggi pomeriggio ne avrebbe avuto molto bisogno.
Forse era una montatura. Forse una volta che Rose fosse stata davvero vicina a me tutto si sarebbe risolto in una bolla di sapone e io sarei guarito, lei sarebbe stata bene e avremmo avuto la nostra vita. Sbuffai. Ma chi volevo prendere in giro?
Mi feci una rapida doccia e andai a farmi l’ultimo giro in moto. Sparii per l’intera mattinata, arrivando fino a Seattle e percorrendo le stradine impervie che si inerpicavano sulle Montagne Rocciose. Per un motociclista tutte quelle curve erano un toccasana e io non facevo eccezione. Mentre sfrecciavo ai centocinquanta all’ora in curva mi chiedevo se Rose avrebbe capito che non volevo lasciarla e che tutto quello che stavo facendo sarebbe stato solo per lei. E se da una parte speravo che accadesse proprio questo, dall’altra speravo di no perché così mi avrebbe odiato per averla abbandonata e tutto sarebbe stato più facile. Eppure… io non volevo che mi odiasse. Una lacrima mi inumidì gli occhi. E poi un’altra e un’altra ancora. Non mi fermai per asciugarle perché avevo il casco e fino a che questo mi avesse difeso potevo illudermi che andasse tutto bene, che non stessi piangendo e che fossi abbastanza forte per entrambi. Lo sguardo del mondo non mi avrebbe ferito e io avrei potuto continuare a credermi Jacob, l’invincibile.
Ritornai a casa per pranzo e trovai Paul, invitato da Rachel a mangiare da noi. Così non potevo avere nemmeno mia sorella tutta per me. Sorrisi alla sfortuna e decisi di approfittare dell’occasione per stare un po’ anche con lui.
Conversammo amabilmente per tutta la durata del pasto e anche dopo li impegnai in discussioni senza fine. Paul mi osservava a tratti indispettito perché probabilmente avrebbe voluto che mi togliessi di torno e approfittare della casa svuotata dalla presenza di papà, ma per quanto mi riguardava poteva attendere. Lui e Rachel avrebbero avuto tutta la vita, mentre io solo poche ore e mia sorella sembrava divertirsi un sacco con me tra i piedi. Parlammo, giocammo a carte, scherzammo fino a che vennero le cinque e mezzo.
“Beh, vado a farmi un giretto” esclamai alzandomi stancamente.
“Puoi rimanere, Jake…” replicò mia sorella. “Per noi non è un problema. Chissà quante volte papà andrà a pesca adesso che è estate…”.
“No, ho voglia di sgranchirmi le gambe. Ci vediamo stasera”.
Mi avvicinai alla porta. Le gambe pesanti, le spalle ricurve e lo stomaco chiuso. Ruotai la maniglia e vidi Rachel, già seduta in braccio a Paul, sussurrargli qualcosa all’orecchio. Speravo di avere anch’io il tempo di abbracciare Rose in quella maniera. Qualche minuto, non di più. Lanciai un’ultima occhiata al corridoio, al gradino rotto quando ero ruzzolato giù dalle scale a otto anni, al telefono, quasi consumato dalle telefonate a Rebecca degli ultimi anni, alle chiavi della moto appoggiate sul ripiano costruito da papà, prima dell’incidente. Uscii, sbattendo la porta e mi incamminai verso la foresta, senza voltarmi indietro.
Mentre appoggiavo un piede davanti all’altro, la testa si era svuotata. Non avevo paura, né rimpianti per quello che avrei lasciato mentre ero investito dalla frenesia di poterla abbracciare, ammesso che il cuore mi avrebbe concesso questa possibilità. Oh sì, non poteva essere così crudele anche alla fine! Era paradossale a rifletterci bene. Ero sempre stato ostile al suicidio e invece mi ritrovavo proprio io a compierlo. Mi scappò una risata dal profondo. Poco convincente e molto ironica. Il suicidio per amore era la cosa più stupida che avessi mai contemplato, ma evidentemente non ero coerente come credevo. O forse non avevo mai amato nessuna come Rose.
Quando arrivai sotto la quercia, mancavano pochi minuti alle sei. Il sole litigava con le nuvole per liberarsi dalla loro prigionia, ma anche se avesse vinto non avrei potuto goderne a pieno visto che le chiome degli alberi erano così folte da avvolgere in larga parte il sottobosco, che anche in piena estate continuava a conservare un tenace odore di muschio. Mi sedetti, portando le ginocchia al petto e guardai fisso davanti a me, in attesa.
L’avevo baciata lì, la prima volta, e l’avevo fatto solo per umiliarla. Mamma mia, ero proprio un bamboccio! Salvo che poi la situazione mi era sfuggita di mano, come al solito quando si trattava di me. Non avrei dovuto indugiare così a lungo. Il piano era “bacia leggermente e squagliatela”. E invece… Mi mordicchiai il labbro. Non avevo pensato che mi sarebbe piaciuto, che non mi sarei trovato di fronte a un pezzo di marmo ma a un essere vivente in carne e ossa, certo un po’ più freddo del normale, ma la sua bellezza stava forse in questo.
Quanto mi ero divertito a farla arrabbiare! Santo cielo, mai baciato labbra così ma non potevo smentirmi non prendendola in giro, come tutte le altre volte. Ridacchiai, rivivendo tutti i nostri momenti insieme e sì, per l’ennesima volta, mi pentii del tempo perso dietro a Bella. Avremmo potuto impiegarlo meglio. Deglutii faticosamente. Speravo solo che non mi sfuggissero lacrime mentre ero con lei, perché erano già pronte ad uscire. Gli occhi bruciavano come se avessi pianto tutta la notte e li sentivo gonfi e appannati.
Avvertii uno scalpiccio lontano. Passi leggeri e veloci nella mia direzione. Inspirai rapidamente: puzza di vampiro. Mi alzai in fretta, appoggiandomi indolente all’albero. Se mi fossi sentito male, il suo sostegno avrebbe potuto camuffare la sofferenza.
“Si può sapere dove stiamo andando, Edward? Ti ho già detto che non ho fame!”. La voce di Rose suonò indispettita e seccata.
“E io ti ho già detto che non ti sto portando qui per la caccia. C’è una piccola sorpresa per te” replicò Edward confortevole e persuasivo.
“Spero che sia bella davvero perché voglio tornarmene a casa!”.
Dopo poco meno di un minuto sbucarono da dietro un abete. Rosalie aveva sentito il mio profumo perché, quando la vidi, stava correndo con sicurezza verso di me, scansando gli altri alberi. A una ventina di metri si fermò, piacevolmente sorpresa e divertita. “E’ questa la sorpresa?” domandò leggera come una farfalla. Edward, che l’aveva raggiunta nel frattempo, non rispose ma si limitò ad annuire. Il mio complice mi fissò e dal suo sguardo trapelò una serie ininterrotta di domande silenziose a cui potevo dare un’interpretazione più o meno realistica e anche una risposta. Sì, sono sicuro. Scosse la testa, disapprovando in pieno il mio piano, ma non avrebbe fatto niente per mandarlo a monte. Ormai avevo imparato quanto tenesse a quella sorella.
“Non dovevamo vederci stasera?” domandò maliziosa.
“Ho deciso per un piccolo fuori programma…” ammisi sornione.
“Mi piacciono questi fuori programma!”.
Fece una decina di passi verso di me poi si fermò nuovamente, mentre Edward era rimasto immobile alle sue spalle. Silenziosa e radiosa, mi abbracciava con lo sguardo, in attesa che dicessi qualcosa. Ed effettivamente toccava a me dare inizio alla recita, ma, dovetti ammetterlo, mi persi nell’oceano profondo dei suoi occhi.
Fu l’avanzare di Edward a riportarmi sulla terra.
“Non ho chiesto a tuo fratello di portarti qua solo perché avevo voglia di vederti, ma anche per un altro motivo” esordii teso.
Il sorriso scomparve come una luce spenta all’improvviso, presagio di cattive notizie. “Quale motivo?”.
Mi sforzai di ridere per risultare convincente ma ne uscì una risata sguaiata. “Edward ed io abbiamo trovato il rimedio”.
Rosalie spalancò gli occhi. “Il rimedio? E come?”.
“Abbiamo annullato l’imprinting”. Il suo viso divenne una maschera impenetrabile come quella di un gatto.
“Non capisco”.
“Abbiamo trovato una strega che ha fatto un incantesimo e ha annullato l’imprinting”.
“Come sarebbe? Bella mi aveva detto che la ricerca avrebbe richiesto mesi e ora salta fuori che l’avete già trovata e non mi avete detto niente?” si voltò verso suo fratello. Adesso era il suo turno sostenere la bugia. Senza di lui, il mio castello di carte sarebbe crollato.
“Jacob ha ragione”. Edward non indugiò nemmeno un istante. Pacato e controllato. Davvero un ottimo commediante. “Bella non te lo ha detto perché di fatto è accaduto stamattina all’alba…”.
“Ma come…? Dove…?”.
“Una strega in Canada. Ha fatto l’incantesimo e ora Jacob è libero…”.
Rosalie abbassò il viso: non era affatto contenta di ciò che suo fratello le stava confermando e io potevo immaginare il perché. “Ti amo ancora. E’ soltanto l’imprinting che è venuto a cadere, ma io ti amo lo stesso” la rassicurai.
“Se mi ami come prima, come fai a dire che l’imprinting non c’è più?”.
“Perché noi lupi avvertiamo la differenza, ma ti posso assicurare che i miei sentimenti sono rimasti gli stessi. Certo, saranno un po’ meno profondi, ma ti amo e ti amerò sempre”.
“Quindi ora posso abbracciarti?” balbettò.
“Certo. Vieni da me, amore” la pregai, invitandola con un cenno della mano.
Mi fissò come un miraggio nel deserto: hai paura che non sia vero, tuttavia non puoi non sperare che l’acqua sia lì, che ti possa abbeverare dopo tanta siccità. La sua espressione mi strinse la gola.
“Allora vieni qui o devo venire a prenderti io?” scherzai. In realtà non volevo muovermi da dove mi trovavo ma se fosse stata troppo sconcertata non avrei potuto fare altro. Raddrizzai la schiena per incamminarmi, quando Rosalie iniziò un lento percorso. Avevo sperato che arrivasse di corsa ma non si fidava. Voleva essere sicura che tutto andasse come avevo detto e perciò calcolava, procedeva con cautela, osservava ogni passo, la distanza e, soprattutto, le mie reazioni. Alla minima smorfia si sarebbe fermata e io dovevo solo sforzarmi di recitare al meglio, di sostenere il dolore delle fitte che sicuramente sarebbero arrivate implacabili. Speravo di non cadere stecchito prima che lei arrivasse, speravo che Edward mi avrebbe aiutato, sognavo che la tortura avesse fine.
Il cuore iniziò a battere più velocemente, a rimbombare nel petto come uno scoppio di cannone, e per questo a farmi male, ma per il momento era sopportabile e avrei fatto di tutto per tenere incollato sul viso questo stupido sorriso. Strinsi la statuina di legno che avevo conservato in tasca, come un amuleto che potesse darmi forza. La distanza diminuiva mentre il braccio destro si informicolava e la bocca dello stomaco si torceva fino a impedirmi quasi di deglutire. Strinsi il pugno più volte mentre un vago bruciore esplodeva nel petto come un incendio senza fine. Ma tutto era confuso e pallido rispetto alla felicità di averla di nuovo vicina. Sentivo il suo odore intenso come mai negli ultimi mesi. Mancavano pochi metri quando una coltellata mi trafisse il cuore; dapprima superficiale, la sentii affondare e scavare nella carne come se ne volesse estrarre qualcosa. L’istante successivo una seconda, leggermente più debole della prima. Strinsi i denti per un istante, soltanto per deglutire l’urlo che voleva librarsi in volo, e accennare il sorriso più luminoso. Mi stavo già illudendo di essere il più grande attore della storia quando arrivò la terza fitta e non potei più fingere. Respirai profondamente per artigliare l’aria, per tamponare le ferite con ondate di ossigeno ma non servì. Il sorriso che mi ero incollato addosso si sciolse, sostituito da una smorfia grottesca. Il mio corpo aderì completamente all’albero alla ricerca di sostegno. Cercando qualcosa su cui sfogare la pena, non trovai niente altro di meglio che affondare le dita nella corteccia, facendola a brandelli.
Rosalie si accorse che c’era qualcosa che non andava e si fermò. Scosse la testa meccanicamente, la bocca si mosse a vuoto, le lacrime inondarono gli occhi. “Jake…” gemette.
Era a meno di cinque metri e io non potevo più nasconderlo. Mi portai la mano al petto, respirando profondamente, prima di lasciarmi scivolare lungo il tronco dell’albero, fino a ritrovarmi seduto a terra. La fissavo e sotto quel minuscolo raggio di sole che filtrava proprio in quel punto, era ancora più bella che sotto la luce della luna.
“Ti prego, vieni da me” la implorai con un filo di voce.
Fece cenno di no con la testa, crudelmente. Anzi, fece un passo indietro, ma trovò Edward e si voltò verso di lui.
“Sta male” stentò a proferire.
Le parole si erano bloccate in gola e non volevano più saperne di uscire.
Edward la guardò e si voltò verso di me, con una preghiera. Quello che gli chiedevo l’avrebbe condannato per l’eternità e non avrebbe voluto farlo. Lo credeva disumano e sapeva che Rosalie l’avrebbe odiato per l’eternità. Lo vidi vacillare, combattuto. No, non adesso. Arretrò di un passo mentre Rose sembrava solo chiedere aiuto.
Ti prego Edward, non mi abbandonare. L’hai promesso… Sarà lei a morire se non mi aiuterai adesso. Fra noi due, l’unica che può rifarsi una vita è lei. Per favore!
Una scossa elettrica e la pena si trasformò in convinzione. La prese per mano e la tirò verso di me. Rosalie non capì cosa stesse tentando di fare: lo guardò incredula, ma fece ugualmente resistenza. Piantò i piedi per terra, irrigidendo le gambe il più possibile, ma, complice il suo indebolimento, Edward riuscì a spostarla.
“No, no! Lasciami!” iniziò a dimenarsi con tutte le sue forze. “Lo ucciderò se mi avvicino troppo”. Urlò più volte contro suo fratello, ma lui era decisamente troppo più forte e la trascinò fino a me. Mentre si avvicinava le urla si mischiavano alle lacrime. I suoi occhi erano bagnati e magari avrei avuto un po’ di tempo per asciugarli. Acqua che brillava sotto le ciglia chiuse. Sei maledettamente bella, e mi uccide sapere che non potrò più guardarti.
Alzai faticosamente il viso su di lei e dissi:“Amore mio, sei arrivata finalmente”. Avrei voluto scherzare, prenderla in giro come al solito, ma la parte del buontempone non si confaceva alla situazione. Non ce l’avrei nemmeno fatta. Mi sembrava di generare solo dolore, ma volevo che mi ricordasse per come ero, almeno vagamente.
Edward le lasciò il braccio mentre lei immobile, mi fissava, soffocando le lacrime. Non eravamo mai stati così vicini in questo anno appena trascorso. Avrei voluto alzare una mano per sfiorare la sua ma mi sentivo strangolato. Tutte le forze erano occupate a nascondere il dolore, o, perlomeno, a farlo apparire meno penoso di quanto fosse.
Rose si chinò su di me, singhiozzando. Mi prese la mano e se la portò sul viso per sentire il calore e io potei asciugarle le lacrime come avevo desiderato.
“Perché stai piangendo, amore?” domandai, ansimando.
“Io devo andarmene”.
“Perché? Non sei felice qua, con me?”.
“Darei tutto per restare con te, ma ti sto uccidendo. L’imprinting non ha smesso di funzionare e io devo andarmene, altrimenti tu…”. Fu costretta a interrompersi perché la voce si fece velata, quasi soffusa. Con l’altra mano le accarezzai i capelli. Erano ancora morbidi come li ricordavo, soffici come un gomitolo di lana.
Mi scappò un risolino. “Non sei mai riuscita a uccidermi quando ne avevi tutte le ragioni, figurati adesso. Sono un duro, sai?”. Non riuscivo proprio a smettere di fare lo stupido.
La guardai in attesa di un sorriso sollevato o di una battuta banale che non arrivò. Piangeva e basta, continuando a stringere la mia mano sulla guancia. Come potevo farle capire quello che stavo provando? La vita mi stava sfuggendo dalle mani e tutto ciò di cui mi importava era lì, davanti ai miei occhi. Non l’avrei più vista ridere, né giocare, non avremmo mai più discusso per ogni sciocchezza. Avrei dovuto dare l’addio a tutto, anche a quel viso che mi stava guardando bisognoso di una conferma che non tutto era perduto, che si poteva fare qualcosa. La mia candela si stava spegnendo, e morire abbracciando Rosalie era tutto ciò che mi bastava per andarmene. Tutto ciò che fomentava il rimpianto, tutto ciò che mi consolava.
Ti sentirai bene domani. Dopo quello che è successo avrò il tuo disprezzo per averti abbandonata e sarà facile per te pensare che non hai perso niente. Ti guardo, intaglio nella memoria ogni curva del viso e del tuo corpo perché voglio essere sicuro che continuerò a vederti quando chiuderò gli occhi. Ancora un minuto e tutto sarà finito.
“Mi puoi baciare ancora una volta prima di andare via?” la implorai, spossato.
Non dovetti aspettare, non dovetti combattere perché mi accontentò subito.
Si avvicinò e mi sfiorò delicatamente le labbra, come se avesse paura di farmi male. La strinsi decisamente a me per sentire ancora il suo corpo aderire al mio. Tutto era come lo ricordavo, niente era cambiato a parte la sensazione di unione perfetta. Non mi feci troppi problemi al pensiero che Edward fosse a pochi passi e lo stesso fece Rose. Socchiusi le labbra, in attesa di ciò che mi era tanto mancato in quell’anno: la passione. Mi sentii scorrere da un fiume di calore che mi tolse il fiato. Respiravo il suo profumo mentre, persa ogni esitazione, ci scambiavamo baci affannati, come se avessimo fame l’uno dell’altra. Non avevamo bisogno di niente, tutto era racchiuso nell’altro. Non esisteva un mondo in cui vivere. Eravamo soltanto noi due. Presto sarebbe finito tutto, ma mi sforzavo di resistere ancora e ancora, di non lasciarmi andare. Perché sei comparsa nella mia vita? Ci siamo fatti a pezzi, soltanto per risollevarci insieme poco dopo. Ma stavolta andrà diversamente. E’ finita davvero, ma è il finale che ho scelto io perché la nostra storia farà parte di te e continuerà per la tua eternità.
Infine decise che era giunto il momento e le sue labbra si allontanarono lievemente da me. Mi sorrise per non affondare nel pianto, per non dimenticare che per qualche mese eravamo stati felici. Questo era quello che volevo sapere: averle regalato almeno un attimo di felicità. Ricambiai il sorriso. E stranamente il dolore al petto sparì. Spento come una fiamma da un soffio di vento, come se non fosse mai esistito, come se potessi avere un’altra possibilità.
Che fosse così davvero? Che qualcuno lassù avesse avuto pietà di noi? Eppure stavo bene, riuscivo a respirare, il cuore era tornato a battere più lentamente, quasi normale, e tutto era pace. Anche Rose sentì il battito tornare a regimi normali e aprì la bocca per dire qualcosa, poi la richiuse, incapace di fantasticare.
Ma non ce ne fu il tempo perché l’illusione durò un attimo. Me ne accorsi quando provai ad abbracciarla più forte. Non avevo energie, mi sentivo svuotato, come un burattino i cui fili erano state recisi e che nessuno avrebbe potuto riannodare. Il cuore rallentò mentre la testa si fece leggera, inconsistente. Gli arti si stavano intorpidendo e qualunque movimento divenne straordinariamente pesante e greve. Stavo morendo.
Perché mi ero illuso? La legge era molto chiara. Un licantropo non può amare un vampiro; il sole e la luna non possono illuminare il cielo nel medesimo istante. E noi non facevamo eccezione. Ma non potevo spezzare l’illusione di Rose e non volevo che se ne andasse perché ormai sarebbe stato troppo tardi e non volevo morire lontano da lei.
“Sai che è sparito il dolore, amore?” le dissi, con un sorriso contagioso.
“Davvero?” domandò sospettosa. Si fece silenziosa e ascoltò il battito del cuore. Era regolare, calmo. Fin troppo debole, ma questo lo percepivo soltanto io. I lineamenti del mio viso, rilassati e sollevati, contribuirono a gettare al vento ogni paura.
“Già. Sei proprio miracolosa”.
“Come il bacio della bella addormentata nel bosco!” e iniziò a ridere raggiante di gioia. “Allora l’imprinting si è annullato?!”.
“Pare proprio di sì!”.
“E’ meraviglioso!” urlò. Poi si rivolse a Edward per ricevere le sue congratulazioni e lui, intenerito, non fece altro che dirle ciò che voleva sentire:”Hai visto che tutto si è risolto?”.
Rose annuì e si gettò fra le mie braccia, strusciandosi come un gattino. Mi abbracciava, affondando il viso sul mio petto, poi alzava il viso per sorridermi e l’istante successivo tornava a nascondersi fra le mie braccia. Rideva e singhiozzava contemporaneamente. Felice.
Ti prego, Edward, lasciaci soli. pensai senza incrociare il suo sguardo.
Non disse niente ma lo sentii allontanarsi mentre io approfittavo dei nostri ultimi momenti insieme per giocare con i suoi capelli. Quando alzai lo sguardo e vidi la figura del mio odiato vampiro camminare verso il fitto della foresta, continuai: Abbi cura di lei, sempre. Promettimelo. E abbraccia Bella da parte mia. Dille che le ho voluto tanto bene.
Il ragazzo dai capelli ramati si fermò e si girò verso di me, annuendo. Quello fu un altro rimpianto, ma non avevo tempo di recriminare. La mia vita era stata costellata di soddisfazioni dalla durata molto limitata ed avevo imparato ad apprezzarle. Edward era una di queste. Grazie, amico.
Non ne sarei mai stato sicuro ma mi parve di vedere una lacrima, per quanto piccola e rapida, solcare quel viso perfetto. Poi riprese a camminare e ben presto sparì nella foresta. Continuai ad accarezzarle i capelli mentre tentavo di abbracciarla, ma le braccia stavano perdendo energia. Mi stavo svuotando e la testa cominciava a girare.
“Dov’è andato Edward?” domandò improvvisamente, rendendosi conto che suo fratello era svanito come un fantasma alla luce del sole.
“Gli ho detto di andarsene e lasciarci un po’ soli. Ho fatto male?”.
“No, per niente” replicò, scrollandosi le ultime lacrime con il dorso della mano. “Sono così felice Jake. Finalmente il nostro sogno sarà realtà e potremo avere ciò che desideravo… Ci sposeremo e avremo una casa nostra. Meraviglioso”. Mi baciò di nuovo: dolce, insistente, ammaliante. Poi tornò ad abbracciarmi, mai sazia.
“Ti amo” balbettai. “Lo sai, vero?”.
“Certo, amore. E’ l’unica cosa di cui sono sicura a questo mondo. Insieme al fatto che nessuno ci dividerà mai” rispose distrattamente, passandomi le mani sulle braccia. Avrei voluto lasciarmi andare a quel momento ma stavolta me ne sarei pentito.
“Hai il mio cuore, da ora in avanti sarà sempre tuo. Tutto quello di buono che c’è in me ti appartiene, perché l’hai creato tu. Non sarò mai lontano da te. Non dimenticarlo mai. Anche se magari non saremo insieme fisicamente”.
“Beh, certo anche perché lo shopping lo farò con Bella ed Alice e sicuramente non ci sarai. Come a caccia, andrò con loro ed Edward. Non credo che a te possano interessare gli animali sgozzati” ridacchiò.
“No, effettivamente no” contraccambiai.
“Però a parte questo, ti voglio sempre vicino a me”.
“Sarò sempre con te, in qualunque momento. Però se dovesse capitare che io per qualche motivo non ci sia, rivolgiti a Edward, lui ti vuole bene e sceglierà sempre il meglio per te. Anche Bella ti sarà vicina perché ti considera come una sorella”.
“Non ne avrò bisogno perché ci sarai tu accanto a me” disse appoggiandomi il viso su una spalla.
“Mi hai aiutato a superare tutti i momenti più tristi della mia vita. Sei stata la mia forza, quella che mi ha fatto andare avanti. Devo tutto a te e te ne sono grato. Spero di averti sempre vicina, ma se così non fosse sappi che non ti abbandonerò mai. Finché tu vivrai, io sarò con te. Hai capito?”.
In quel momento scrollò il viso e mi fissò incredula. “Perché parli così? Noi staremo insieme…” si soffermò incerta. “E ci sposeremo, vero? Non hai cambiato idea…”.
“Non potrei mai, amore. Ti sposerò ogni volta che sorge il sole”.
Mi accarezzò il viso, con un sorriso appena accennato, ma la sua mano tremò. “Non sei caldo come al solito… Poi sei diventato così pallido, quasi esangue”. L’istante successivo aveva capito. Ritrasse la mano spaventata prima di alzarsi di scatto. Provai ad afferrarla ma fu troppo veloce e anche se fossi riuscito a prenderla avrebbe avuto abbastanza forze per liberarsi. Indietreggiò di un passo, scuotendo la testa mentre il petto si sollevava convulsamente come se stesse respirando a fatica.
“Vado a chiamare Edward” sussultò.
“Non servirebbe, Rose” replicai con un filo di voce. “Resta con me, per favore”.
Si strinse nelle spalle e potei vedere distintamente le mani stringere le braccia come tenaglie e le unghie piantarsi in profondità nella pelle. I solchi così profondi da sembrare incisioni. Si morse le labbra freneticamente più volte mentre le lacrime ingabbiate si erano liberate e fuggivano sulle guance.
“Non sei guarito, vero? E’ tutta una finta…” mugugnò confusa.
Vorrei dirti che hai torto: nessuno ci dividerà mai. Eppure le nostre opposte nature si sono messe fra noi ed è stata mia la colpa. Non sono stato capace di combattere...
“Perché mi stai facendo questo? Avevi promesso che saremmo stati sempre insieme…”. Gli occhi che mi guardavano erano afflitti, immensamente tristi e vulnerabili.
“Lo saremo Rose, anche se io non ci sarò. Ma tu sarai felice per entrambi…”.
“Come?!” urlò a squarciagola. “Senza di te non posso… Non posso”.
Si lasciò cadere davanti a me, piangendo sempre più forte. La sua voce suonava orribilmente straziata e contemporaneamente carica di rabbia. Ero esausto, tuttavia radunai le forze e strisciai vicino a lei per abbracciarla. Non l’avevo mai vista così disperata. Dapprima si scostò brutalmente, poi mi lasciò fare.
Ti ho amato troppo? No, l’amore non è mai troppo. Hai avuto cura di me, sei tu che mi hai salvato, non io. Abbiamo risolto il puzzle che ci legava dall’inizio e ora siamo una cosa sola. Ho incastonato tutti i pezzi e tu potrai godere della mia vittoria.
“L’imprinting ti stava distruggendo e l’unico modo che mi è venuto in mente per liberarti era questo” le spiegai. Lei alzò la testa, scioccata. “Lo so che avevi smesso di mangiare e so anche che non avevi più istinto a farlo. Non potevo lasciare che te ne andassi”.
Attraverso i suoi occhi potei vedere la nostra casa di sogni andare in pezzi. Avrei voluto sostenerla ed evitarne il crollo ma non ne ero più capace. Soltanto Rose poteva farlo.
“Così sarai tu ad andartene…” singhiozzò sommessamente.
“Amore” le accarezzai il viso. “Sei forte e ce la farai anche senza di me”.
“E’ colpa mia. E’ tutta colpa mia, ti sto uccidendo io. Dovrei morire al posto tuo e sì… Io non voglio restare sola senza di te… Mai”. Aveva piantato le unghie nelle braccia e si stava ferendo da sola.
“No, no tesoro” le afferrai i polsi con tutte le energie che mi restavano. “Tu vivrai. Avrai una vita normale, umana e la porterai avanti. Farai tutto ciò che avevi desiderato: lavorerai, come interprete se vuoi, guadagnerai, avrai la tua indipendenza economica e… sì, mi piacerebbe che prima o poi andassi in Europa. Avevi detto che volevi tanto andarci e…”.
“Non senza di te”. La voce si spezzò.
“Ci sarò, amore. In un modo o nell’altro ci sarò. Quando correrai nelle foreste, quando la pioggia ti sfiorerà, quando salterai da un albero all’altro, io ci sarò. Ogni volta che mi cercherai, mi troverai vicino a te”.
Lasciai le sue mani e le cinsi le spalle con un braccio, tirandola a me. Singhiozzava e avrei voluto imitarla ma volevo lasciarle un ricordo sereno.
“Ci saranno dei giorni bui, in cui ti sembrerà di impazzire e piangerai. Ma poi ce la farai, ne uscirai. Ne sono sicuro, sei forte. Ti scalderò tutte le volte che vedrai un raggio di sole fino a che” deglutii, cercando di mascherare il dolore “non ci sarà qualcuno di reale a farlo. E io spero che quel giorno venga presto perché non voglio saperti sola”.
“Io non posso amare nessun altro. Sei tu quello che voglio. Non mi importa degli altri” replicò stizzita, senza avere il coraggio di lasciare le mie braccia.
“Gli esseri umani non sono fatti per restare soli, e tu non farai eccezione. Non voglio che tu faccia eccezione”.
Per un breve attimo non sentii più il cuore. Riprese a battere l’istante successivo, ma la clessidra era alla fine e gli ultimi granelli stavano cadendo, insieme alle sue lacrime.
Vorrei credere che tutto questo sia stato utile, in qualche modo, e che da domani non soffrirai più. Ma la verità è che non lo so e che la crudeltà sta proprio in questo. Voglio continuare a illudermi che per te tornerà tutto come prima: che ti dedicherai alla caccia, allo shopping, alla tua famiglia come se io non fossi mai esistito. Da una parte rifiuto quest’idea ma dall’altra so che sarebbe la migliore. L’imprinting non è eterno, nel momento in cui il lupo chiude gli occhi per sempre, esso si spezza e tu riavrai la tua vita. Vorrei essere accanto a te per consolarti ogni minuto, ogni istante, perché ogni tuo minuto di dolore sarà la mia dannazione eterna e ogni minuto di felicità sarà una goccia nel mio oceano di rimpianti.
Sarà vero che con il tempo farà meno male? Non posso più resistere, adesso sento  solo dolore. Ti stringo e non posso fare a meno di sognare la nostra vita e ricordare papà, Rachel, Rebecca, Joe e gli altri amici, la spiaggia, la mia casa. E le nostre partite a biliardo, le tue vertigini, la paura dei film horror, il tuo incantevole broncio per ogni mia frecciatina. La mia vita è agli sgoccioli; la tua riprenderà a scorrere da adesso.
I ricordi erano così tanti e non riuscivo ad afferrarli tutti per portarli con me. Era meglio che li lasciassi a te: ti avrebbero tenuto al caldo nelle giornate solitarie.
“Ti prego, non abbandonarmi. Resta con me” mi sussurrò e fu un macigno che non riuscii più a sollevare.
Troppo pesante e doloroso.
“Non rimpiangere mai la tua umanità perché ce l’hai ancora, è dentro di te. E’ la passione a renderci umani, non nasconderla. Lasciala uscire e vivi intensamente. Non restare mai più all’ombra delle nuvole” la implorai. Le sorrido ancora e Rose ricambia con un sorriso innocente che mi ricorda quello ampio e tenero della mia bambina, nascosta nella tasca e che non mi abbandonerà mai. Mi sfiora le labbra ed è una tortura perché non mi apparterranno più.
“Ti amo” trovai la forza di dire.
“Anch’io”.
Il sole tramonta e la luna sorge: ecco il nostro destino. Ma è proprio in questi attimi in cui si incrociano che il sole capisce di amare la luna più di ogni altra cosa al mondo.
Stringendola, infine mi lasciai cadere.
 
 
 
 
Avevo promesso che non mi sarei più fatta viva fino alla fine ma non ho resistito…
Cosa ne pensate? Un commentino? Confesso che io ho pianto come una bambina mentre lo scrivevo…
Due capitoli e poi questa ff avrà il suo epilogo. Un bacione a tutte!

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Capitolo 92
*** La mia vita senza sole ***


Ciao,
ringrazio prima di tutto Rosalie and Jacob 4ever, Seira73 e Mari_Black61 per le recensioni all’ultimo capitolo: temevo che non avesse riscosso alcuna sensazione. Grazie mille ragazze!
Dopodiché vi annuncio che, come potrete immaginare, gli ultimi due capitoli saranno scritti con il POV di Rosalie.
Un bacio a tutte e buona lettura!
 
 
La luna pascolava immobile fra le chiazze cineree che punteggiavano l’orizzonte: come al solito; l’aria era soffocante, afosa e sembrava implorare di buttarti in acqua, per trovare ristoro alla calura; le cicale intonavano il loro consueto e sgradevole canto. I lampioni della città e dei giardini gettavano ombre iridescenti sulla strada e la mia ombra era l’unica cosa che mi tenesse compagnia quella notte. In realtà era l’unica cosa che mi tenesse compagnia sempre.
Mi guardavo attorno e sembrava che non fosse cambiato nulla dalla mia ultima passeggiata a La Push. La città era diventata più grande ma non c’era alcun segno del progresso tecnologico di cui tutto il mondo era stato oggetto, a parte le auto. Quelle poche che passavano erano a idrogeno, come quelle di tutti i posti da cui provenivo: silenziose, economiche ed ecologiche, come richiedevano obbligatoriamente le leggi internazionali. D’altra parte le condizioni del nostro povero pianeta non erano delle migliori ormai…
Erano le due di notte e La Push continuava a essere silenziosa. La vita notturna appariva inesistente. Tutto intatto, come l’avevo lasciato. Forks invece era diametralmente cambiata: alcuni palazzoni alti e privi di armonici accordi con il paesaggio, la foresta notevolmente ridimensionata da efferati disboscamenti e uno sgradevole fracasso in piena notte che qualche decennio fa sarebbe stato impensabile. Insomma, era diventata più simile a una disomogenea città di provincia, dove natura e progresso combattevano una guerra che la prima avrebbe sicuramente perso. Viceversa La Push era rimasta incontaminata, forse in virtù della sua condizione di riserva naturalistica. Un luogo quasi fiabesco rispetto alla modernità di tutte le altre nazioni: il classico habitat dove essere a contatto con la natura e far crescere i figli. Io, se ne avessi avuti, avrei sicuramente scelto questa città. E non soltanto per la sua inviolabilità.
Camminavo come se non avessi una meta ma in realtà ce l’avevo eccome. Non avevo semplicemente fretta di arrivare. Avevo smesso di avere fretta nella mia vita già da tanto tempo. Dovevo solo seguire le indicazioni e sarei arrivata dritta dritta alla mia destinazione.
Infatti dopo una mezz’oretta mi ritrovai dinanzi a una cancellata di ferro battuto, arrugginita nei cardini, con punte affilate che si ergevano a guardiane della porta. La sfiorai per poi spingerla con forza. Era chiusa con un lucchetto. Perché? Credevano che qualcuno volesse entrare in quel posto di notte? Oppure che qualcuno ne uscisse? Mi sfuggì un risolino sarcastico. Suonava buffo ed estremamente triste. Lasciai l’ingresso, quindi il fascio di luce che lo illuminava e mi rendeva troppo visibile, e mi inoltrai nell’ombra densa e inquietante attorno alle mura di cinta di cui quella cancellata appariva essere l’unico entrata. Quando mi trovai di fronte ad un albero abbastanza alto e imponente da coprire ogni mio movimento, spiccai un salto e raggiunsi la sommità del muro. L’istante successivo stavo violando una proprietà.
Beh, se non altro non era privata. E comunque non ero lì per rubare niente.
Camminai lentamente sullo sterrato che si diramava in vari sentieri che portavano ad ampi prati costellati di tigli. Ad un bivio mi resi conto che non avevo la più pallida idea di dove andare. I cimiteri non erano mie frequentazioni abituali e per di più La Push non era il mio territorio. In quel momento mi resi conto che avrei potuto metterci molto più tempo del previsto. D’accordo, non c’era fretta.
Esplorai parecchie aree del cimitero, scrutando alcune tombe ma in nessuna di esse avevo trovato quello che cercavo. Pressoché tutte sepolture recenti che non mi erano di alcuna utilità. Cominciai a correre perché se ci avessi impiegato troppo sarebbe arrivata l’alba e non potevo correre il rischio che qualche custode mi sorprendesse. Mi stavo quasi persuadendo che i morti più vecchi fossero stati disseppelliti e cremati quando mi ritrovai dinanzi alla statua di un angelo. Di pietra ingiallita dal tempo, e coperto dall’edera, sembrava essere il guardiano di un’altra zona. Suonava un’arpa e le ali si erano in parte scheggiate e sbriciolate. Uno sguardo sereno e nostalgico. La morte faceva quell’effetto? Beh, prima o poi l’avrei saputo anch’io.
Il prato era curato e l’erba tagliata profumava, rendendo piacevole una passeggiata che in sé non aveva nulla di piacevole. Le lapidi erano generalmente di pietra, raramente in marmo, molte estremamente semplici e disadorne: soltanto nome e cognome con data di nascita e di morte. Osservando le prime date mi accorsi di essere finalmente arrivata a destinazione. Le passai una ad una, molto lentamente. Non perché avessi bisogno di più tempo per leggere le iscrizioni ma solo perché una prevedibile ansia mi aveva attanagliato. Non ero più così sicura di volerla trovare. Ero abbastanza forte per sopportarne la vista? Il tremore della mano mi diceva di no, ma ormai avevo preso una decisione e volevo imporla a me stessa. Volevo combattere per una volta nella mia vita.
Infine la trovai.
Identica a tutte le altre, davanti ad essa una pianta di ortensie appena fiorite, un vaso di margherite e girasoli e un cerino il cui stoppino doveva essersi spento da poco visto che potevo ancora sentirne il vago odore di bruciato. La scritta dorata a grandi lettere riportava Jacob Black; sotto, a caratteri di dimensioni ridotte, 1 dicembre 1990 – 19 giugno 2010. Nessuna frase, nessuna dedica. Conoscendolo, non le avrebbe gradite.
Mi inginocchiai davanti ad essa e spostai i fiori, contemplando il nome, per me luminoso come un arcobaleno. Erano passati 52 anni da quel 19 giugno ed io non ero mai venuta a trovarlo. Mai, neanche per un istante. Non avrei retto e vedere quella lapide avrebbe soltanto significato consegnare quel pomeriggio alla realtà e io non avevo voluto farlo. Per 52 lunghissimi anni. Anche se solo adesso, voltandomi indietro, mi accorgevo che l’avevo già fatto: il dolore mi aveva aiutato a rendere ogni giorno molto più reale di quanto non fosse.
Sfiorai i petali del girasole, la cui corolla era rivolta in basso. Un girasole in un posto dove pioveva quasi sempre. Ironico però sensato.
Il sole si era affacciato quel pomeriggio, e l’avevo sentito. Era caldo, dolce, avvolgente e penetrante. Lo sapevo che stava morendo, sentivo il cuore spegnersi eppure non ero riuscita ad alzarmi e andarmene. Mi parlava, mi abbracciava e io non volevo rovinare il nostro unico momento insieme. Mi sono illusa fino all’ultimo che sarebbe guarito, che alla fine avremmo vinto noi perché il mondo poteva crollare a pezzi ma nessuno ci avrebbe separato. Alla fine il castello è crollato e io con esso.
Mi stava stringendo e ascoltavo la sua voce. Non volevo che mi lasciasse ma non avevo la forza di lasciarlo. Riuscivo solo a singhiozzare fino a quando le sue mani non sono scivolate lungo la mia schiena. Non è stato un movimento deciso, ma una foglia che cade a terra, sospesa da correnti alterne e avvolta nel silenzio. Non sentii più il battito del cuore. Il silenzio era così fragoroso da renderlo assordante. Aprii gli occhi lentamente, accarezzandogli un braccio. “Jake…” sussurrai. Non ebbi risposta.
Mi allontanai di scatto. La sua testa era reclinata, gli occhi chiusi.
“Jacob… Jacob” lo chiamai affettuosamente.
Lo scossi leggermente mentre il mio richiamo si faceva più intenso, ma il risultato fu lo stesso.
Non si muoveva, non respirava e la mia bocca tremava così tanto da non riuscire a dire altro che il suo nome. Non volevo dire altro.
“Jacob, Jacob” lo scossi con violenza, ma non servì. Fu allora che mi resi conto di quello che avevo fatto. Gli occhi mi si inondarono di lacrime mentre singhiozzavo così brutalmente da sentire dolore in gola. Gli strinsi la mano e me la portai al viso perché mi asciugasse le lacrime. Era calda ma inerte. La lasciai cadere e il rumore fu un tonfo spaventoso. Quello che successe dopo fu terribilmente confuso. Lo picchiai, lo presi a sberle, cercando di rianimarlo o forse solo per sfogare la rabbia che mi colpiva con tante stilettate. Continuava a restare abbandonato sotto quell’albero.
Era un incubo. Un incubo a occhi aperti. Presto mi sarei svegliata e tutto sarebbe stato come prima. Dieci metri? Benissimo. Lontananza forzata? Ok, perfetto. Tutto andava bene, bastava che quegli occhi ardenti bruciassero ancora per me.
Alzai lo sguardo. La quercia ci sovrastava compassionevole e da lì potevo vedere le tombe di Desirèe e Seth. Le scritte intagliate nel legno furono una scarica elettrica e ripensando a loro ebbi la conferma: Jake non c’era più ed era mia la colpa. Della mia inerzia e della mia natura. Nessun incubo, nessun sogno, solo un lento affondare.
Nascosi la mano tremante sotto la sua maglietta per sentire il calore che via via si affievoliva e mi appoggiai su di lui, rannicchiandomi come una bambina impaurita. Singhiozzai a lungo fino a che le lacrime finirono, almeno per quel giorno. Rimasi fino a che, a notte inoltrata, un fruscio intimidito non richiamò la mia attenzione. Mi ritrovai Sam e Leah in piedi, a pochi passi, alle mie spalle. Affrontai i loro sguardi: non c’era odio e nemmeno rancore, ma solo una sconfinata tristezza. Strinsi la mano di Jake: lo sapevo perché erano lì e non volevo che me lo portassero via. Scossi la testa, più volte e spasmodicamente. Leah si inginocchiò vicino a me. “Mi dispiace” sussurrò con la voce rotta dall’emozione. Gli occhi erano arrossati e velati dalle lacrime. “Ma dobbiamo riportarlo a casa. E’ giusto che torni dalla sua famiglia…”.
Rachel e Billy? Erano loro la sua famiglia e non io. Non lo sarei mai stata.
“Certo. Hai ragione. Scusami…”.
Lo baciai un’ultima volta poi mi alzai. Non aspettai che lo sollevassero per scappare via.
Passai, correndo incurante tra i cespugli di rovi e falciando i rami più bassi degli abeti mentre la disperazione e la repulsione per tutto ciò che era successo mi urlavano dentro e mi spezzavano la vita o ciò che ne restava. Non avevo una direzione precisa. Correvo e basta mentre ferite e graffi mi sfregiavano e io invocavo che lo facessero soltanto con più forza.
Senza volere mi ritrovai a contemplare da lontano la nostra grande casa bianca. Potevo ammirarne il tetto spiovente e parte del giardino retrostante. Le rose erano fiorite e il loro profumo mi nauseava, nonostante non gli fossi vicina. Anche il glicine abbarbicato sulla scaletta che scendeva dalla veranda mi comunicava la stessa sensazione. Osservai la costruzione da ogni angolo e mi dava il voltastomaco.
Perché l’hai fatto? Mi hai strappato l’unica cosa che avesse un valore…
Strinsi le mani rabbiosa e furente. Era lì e poteva sentirmi, come io sentivo la sua scia perdersi all’interno della casa. Dopo il dolore e la disperazione, la rabbia. Mi ero fidata di lui e delle sue belle parole quando Esme era morta e invece le aveva usate solo per ingannarmi e colpirmi più profondamente. Vieni fuori, se hai fegato… Digrignai i denti mentre la sottile bramosia di vendetta si era fatta un fiume in piena. Ed Alice? Lei prevedeva il futuro. Era impossibile che non fosse al corrente del piano di Edward. Lo sapeva ed ero stata ingannata anche da lei. Mi aveva tradita. Bella non avrebbe mai fatto del male a Jacob ma sicuramente sarebbe stata dalla parte di Edward. Jasper sentiva le emozioni di tutti e anche se non era stato direttamente a conoscenza di ogni movimento, doveva averlo intuito in qualche maniera. Dunque… La mia famiglia per intero mi aveva tradita. Ogni componente mi aveva preso in giro. Tutti sapevano e nessuno aveva fatto niente.
La porta della veranda si aprì ed Edward fece la sua comparsa sul pianerottolo. Scese le scale e camminò verso di me. Mi fronteggiò in silenzio. Ogni passo mi schiaffeggiava con pugni decisi perché ero sola. Tremendamente sola. Avrei voluto ucciderlo, ma il dolore per la perdita diventava sempre più forte e lancinante, svuotandomi di ogni energia. E non era solo dovuto alla morte di Jacob, ma anche alla consapevolezza che avevo passato la vita accanto a persone che non mi avevano mai amato, che non avevano esitato a colpirmi alle spalle al primo momento di difficoltà. Una lacrima di rabbia mi scese sulla guancia. Se pensavo che avevo spesso sperato di essere accettata da quel fratello, tutto diventava estremamente comico, quasi ironico. Mi fissò e nella confusa oscurità di cui erano colmi i suoi occhi, lessi dolore e rimorso. “Mi dispiace” sussurrò incerto e sconfitto. Il suo viso era strano, lontanissimo dall’Edward lucido che conoscevo. Sembrava che non stesse gioendo della sua vittoria su di noi, su di me. “Non dovevo farlo ma ho avuto paura per te”.
“Paura di cosa?!” rintuzzai esterrefatta.
“Che morissi! Non mangiavi più e…”.
“Piantala con questa storia del mangiare! Non avevo fame. Tutto qui! La verità è che tu lo odiavi. Era riuscito a portarti via Bella, seppur per pochi minuti e hai voluto vendicarti. E non ti è importato se avresti distrutto me. Forse non ti è mai importato neanche di me. Ci odiavi entrambi e ora hai il tuo trionfo…”.
“Sbagli, Rose. Ho fatto tutto questo per te. Non mi perdonerai mai e so di avere sbagliato. Gli altri non c’entrano niente: ho fatto tutto di mia iniziativa, devi prendertela solo con me”.
Sorrisi caustica e il calore della rabbia mi scaldò come un incendio. “Ti odio” affermai tagliente. “E odio anche tutti gli altri. Non importa quali scuse possiate apporre. Non siete più la mia famiglia. Vorrei ucciderti ma so di non averne la forza adesso. Chissà, magari un giorno sarò più forte, ti coglierò alla sprovvista e potrò vendicarmi. Spero che quel giorno venga presto. Nel frattempo vi auguro tutto il male di questo mondo e spero che possiate soffrire anche solo un decimo di quello che sto patendo io adesso. Per voi sarebbe già sufficiente…”.
Indietreggiai di qualche passo, osservando il davanzale della mia camera. Tante immagini mi passarono davanti agli occhi: le gare con Alice a chi si vestiva meglio, il giardinaggio di Esme, la pazienza di Carlisle, gli abbracci di Emmett, le sfide in macchina con Jasper, i litigi con Edward. Tutto finito in un modo o nell’altro. Chiusi gli occhi un attimo per sbatterli in faccia a lui e rendere ancora più crudele la delusione. Niente doveva venire con me perché da quel momento loro non sarebbero più esistiti. I suoi occhi si fecero lucidi e per un attimo pensai che fosse realmente dispiaciuto.
Il nostro ballo al tuo matrimonio. Serenità. Mi abbracciavi e mi facevi ridere. Non avevamo mai ballato insieme. Mi sono sentita veramente tua sorella. Ora so che era tutta una bugia e che avrei sanguinato in eterno.
“Addio” mi allontanai nella direzione opposta.
Corsi alla velocità massima consentita dalle mie forze, allontanandomi da ogni cosa mi potesse riportare indietro. Ma più correvo e più mi accorgevo che niente aveva questo potere. Potevo rifiutare qualsiasi proposta il mio cervello cercasse per alleviare il dolore; volevo soffrire ed era giusto che accadesse. Questa sarebbe stata la mia condanna, la tortura che mi sarei inflitta ogni giorno.
Attraversai radure, boscaglie, cespugli, balzai su speroni di roccia, mi arrampicai sugli alberi fino a che non avvertii un pungente dolore in gola e la bocca si fece secca, riarsa. Fame. Una sensazione che mi pareva di non sentire da una vita ma così forte da farmi inciampare più volte. Sentivo il fuoco dappertutto e la gola arida. Dovevo mangiare. Qualcosa e assolutamente. Da quanto tempo non cacciavo? Mi sembravano settimane. Dovevo averlo fatto recentemente, ma, per quanto mi sforzassi, non riuscivo a ricordare quando. Mi acquattai sul ramo di un albero e aspettai silenziosa l’arrivo di una preda. Un fruscio in mezzo all’erba alta: un coniglio che aveva come unico difetto essere marrone in mezzo a un campo verde intenso. Il problema dell’uno è la sopravvivenza dell’altro. Saltai dall’albero e senza troppa fatica lo afferrai. Nel momento in cui piantai i denti e sentii il caldo e dolce sapore del sangue mi resi conto da quanto tempo non mangiavo. Sangue che sgorgava a contatto con la lingua. Il cuore del coniglio cessò di battermi fra le labbra e mi ritrovai il suo corpo esangue tra le mani. Lo buttai per terra e, osservandone il cadavere, ancora divorata dai morsi della fame, contai i giorni in cui non ero andata a caccia e, con sorpresa, quantificai almeno due settimane. Perché non avevo sentito la fame per tutto questo tempo? E perché la sentivo adesso? Mi distrassi quando vidi una volpe passare veloce tra le radici degli alberi.
Non avevo tempo di pensare al perché non avessi mai avuto fame, perché ora ne avevo e tanta. Dovevo mangiare. Mi lanciai all’inseguimento della volpe. Quel pomeriggio e la notte successiva li passai a caccia come se dovessi recuperare le energie dopo un lungo digiuno. Una volta sazia, ripresi il mio cammino. Non volevo restare a Forks e neanche nei suoi pressi. Non volevo più incontrare nessuno di loro, nemmeno per sbaglio. La mia famiglia era morta. Vagabondando fino al confine col Canada, maturai la decisione di andare a Vancouver, dalla famiglia Denali. Kate… Mi restava solo lei.
Quando arrivai a casa loro e bussai alla porta, fu proprio Kate ad aprirmi. Non si mostrò stupita di vedermi lì, ma soltanto disorientata dal mio stato. La maglietta si era strappata in più punti, così pure i pantaloni, infangati a causa di uno scroscio di pioggia; i capelli erano opachi e annodati; le unghie e le mani sporche di sangue e terra. Mi fece entrare senza domande e mi ritrovai davanti Eleazar, Irina e Thomas che mi salutarono sgomenti. Irina tentò di abbracciarmi ma mi ritrassi, rapida: non volevo la compassione di nessuno. Kate mi invitò a farmi una doccia e a cambiarmi d’abito; consiglio che seguii immediatamente. Quando uscii dal bagno, con l’accappatoio ancora addosso, la trovai seduta sul letto. Vicino, alcune magliette e pantaloni accuratamente stesi come se dovesse vendermeli. Le riconobbi subito come parte del guardaroba di Tanya. Due di esse erano state le sue preferite. Sfiorai le maniche di velo, malinconica, poi mi sedetti, indossando nuovamente il bracciale, che mi sfilavo solo in rare occasioni. La doccia era una di quelle.
“Alice ha telefonato per avvisarmi che saresti venuta qui e mi ha raccontato… Mi dispiace, Rose… Immensamente…”.
Abbassai lo sguardo e accarezzai le foglie di acanto. Gli zaffiri brillavano come piccole stelle. Sentii lo sguardo di Kate seguire ogni mio movimento, probabilmente compatirmi mentre il cuore si spaccava nuovamente. La sua mano si appoggiò sulla mia per fermare la carezza che sfiorava il bracciale e che era diventata frenetica senza che me ne accorgessi. “Me l’hanno ammazzato… O forse l’ho ucciso io… Ma lui non c’è più…” dissi con un filo di voce. Paura e un amaro senso di impotenza mi serrarono la gola impedendomi di continuare. Kate mi abbracciò mentre io non trovavo altro rifugio che piangere e piangere e confidare che un giorno le lacrime avrebbero avuto fine.
Piansi tutto il giorno, dapprima avvinghiata a Kate che tentò di consolarmi con tenere sciocchezze, poi da sola. Le giornate seguenti non furono migliori. Non parlavo con nessuno. Mi limitavo a salutarli la mattina quando uscivo dalla camera di Tanya che avevano adibito a mio ricovero personale, e a scambiare qualche parola ogni tanto, se interrogata. Ma spesso non rispondevo neppure. Mi aggiravo come un fantasma per la casa mentre ogni ricordo era una frana pronta a travolgermi in qualsiasi istante. Kate era così buona da farmi sentire tremendamente in colpa perché io non ero in grado di ricambiare il suo affetto, perché mi sembrava che non ci fosse rimasto più nessuno a cui essere legati. Ogni atto diventava stupido e banale, qualcosa che mi spingesse giù dal precipizio invece di salvarmi. E in più, loro mi ricordavano Alice e gli altri, e Tanya, e Desirèe e Seth, e… Non sapevo più cosa farmene di questa vita. Volevo morire e basta. L’avrei trovato lassù, da qualche parte? O forse sarebbe stato troppo comodo? Troppo vigliacco, troppo da Rosalie… Non sapevo neanche io cosa volessi dimostrare quando chiesi a Kate di prestarmi dei soldi.
“Certo” rispose fiduciosa che mi interessassi di nuovo a qualcosa dopo settimane di apatia. “Quanti ne vuoi?”.
“Diecimila dollari. E poi ho anche bisogno del vostro falsario”.
Aggrottò la fronte. “Perché? Cosa vuoi fare?”.
“Ho bisogno di documenti nuovi e di un passaporto”.
“Passaporto? Per andare dove?”.
“Non lo so… Ad ogni modo via dall’America… Questo non è più il mio posto”.
Kate tentò di convincermi a restare con loro e a prendere il posto di Tanya nella famiglia, ma rifiutai decisa ad ogni tentativo. Volevo andare via, avevo bisogno di una terra nuova, di aria nuova, di una vita nuova e non volevo nessuno che mi ricordasse il passato o che mi inducesse, suo malgrado, a continuare nella penosa vita di prima. Fu con questa idea che presi un biglietto di sola andata per Stoccolma.
Quando lo ebbi fra le mani, insieme al passaporto che recava il semplice nome Rosalie Hale, nata a Liverpool nel 1991, gli occhi mi si fecero lucidi. In Europa. Come avevo sempre desiderato, anche se da sola. Ma non completamente sola, vero? Sfiorai le venature cobalto delle foglie dorate. Tu sarai con me…
Avevo fatto eliminare sia il mio secondo nome, Lillian, che il cognome Cullen. Niente doveva richiamare il passato. Tutto doveva essere cancellato.
Un mese più tardi partii senza voltarmi più indietro. Ed ecco dove sono stata per questi 52 anni. A zonzo per l’Europa settentrionale, cambiando città come una nomade ogni qualvolta il mio mancato invecchiamento provocasse domande e ricorrendo a falsari che modificassero i miei documenti di volta in volta per farmi apparire sulla carta, giovane come ero nella realtà. Apparentemente nessun cambiamento dalla mia vita precedente; in realtà tutto.
Non c’erano più Alice e le sue previsioni sull’andamento delle borse a farci guadagnare valanghe di soldi senza muovere un dito. Dovevo arrangiarmi da sola e così mi trovai un lavoro. All’inizio, mi parve tremendamente snervante e soprattutto non adatto a me: obbedire a ordini bislacchi di qualcun altro, quasi sempre più stupido, lavorare per quattro soldi e rispettare e convivere con colleghi che, a pensarci bene, erano una sorta di famiglia, vista la quantità di ore che ero costretta a passare in loro compagnia. Però dopo qualche mese iniziai ad abituarmi e ad amare ciò che facevo, soprattutto quando ricevetti la mia prima busta paga. Risi pensando che non avevo mai avuto un soldo per merito mio. Non potevo compiere lavori particolarmente impegnativi a livello intellettuale, per via delle ore giornaliere in cui non potevo uscire di casa. E così nei sei mesi di luce mi accontentavo di fare la cameriera nei fast food, la custode di notte, lavorare in fabbrica. Poi quando arrivavano i sei mesi di buio allora mi licenziavo e trovavo spesso lavoro come segretaria, così da poter lavorare anche di giorno. Mi piaceva molto più che andare al liceo, e qualsiasi mansione ricoprissi la compivo con zelo e passione, restando spesso molto più dell’orario normale. A casa non c’era nessuno che mi aspettava, perché allora affrettarsi? Gli stipendi spesso non erano molto alti, ma riuscivo a vivere tranquillamente, anche perché io non avevo bisogno né della macchina, né del cibo umano. Anzi, sceglievo le città sulla base dei boschi e delle foreste circostanti, in modo tale che la selvaggina non mancasse mai. Potevo comprarmi qualche vestito carino e civettuolo, ma lontano anni luce dalle grandi firme a cui ero abituata; tuttavia non ne sentivo la mancanza. Come non sentivo la mancanza della mia Mercedes cabrio. Era una vita più semplice, meno costosa, normale.
Erano passati nove mesi dal mio arrivo, quando un pomeriggio il campanello di casa suonò. Non ero abituata a sentirlo e mi fece trasalire. Subito dopo l’irrequietezza pervase ogni cellula del mio essere: chi poteva essere? Non conoscevo nessuno lì, a parte i miei colleghi che non sapevano neanche dove abitassi. Aprii la porta e mi trovai dinanzi un ragazzo di circa vent’anni, con camicia aperta e sgualcita a righe blu e un cappellino con visiera dello stesso colore. “Sì?” domandai innocente.
Il ragazzo spalancò la bocca senza dire niente. “Sì?” ripetei.
Deglutì nervoso e finalmente rispose:“Rosalie Hale? Sono della Dhl Trasport e devo consegnarle un pacco”. Gettai istintivamente lo sguardo a terra e trovai ai piedi del fattorino una scatola ingombrante di cartone, avvolta nel cellophane. Aggrottai le sopracciglia: ecco il brutto presentimento. “Da dove viene?” domandai a denti stretti.
Il ragazzo consultò la lettera di vettura. “Dagli Stati Uniti”.
Avvertii una fiammata di rabbia. Incrociai le braccia, combattuta dal desiderio di respingere il pacco. Doveva essere Alice. Era l’unica che poteva sapere dove mi trovassi e darmi il tormento, almeno finché fossi stata viva. Ma non potevo negare a me stessa di essere curiosa di sapere che cosa mi avesse mandato, perciò firmai e ritirai la consegna.
Aprii la scatola sul tavolo con lentezza snervante, come se dovessi trattenere le cose al suo interno che sicuramente sarebbero volate via una volta alla luce. Trovai una lettera non indirizzata sopra tutto. La aprii e riconobbi la calligrafia di Alice. Un foglio bianco e poche righe.
Ciao, so che non vuoi più avere a che fare con noi e non posso biasimarti. Rispetto la tua volontà di restare lontana e spero che tu possa essere felice un giorno, però non puoi impedirmi di dare una sbirciatina ogni tanto per sapere come te la passi.
Queste sono cose che ci ha portato Rachel e che avrebbe voluto consegnarti personalmente. Purtroppo, sapendo le tue intenzioni, ho dovuto ricorrere a un corriere espresso e spero che possano farti piacere. Aggiunte a queste, ce ne sono altre che, credo, possano alleviare un po’ la tua solitudine. Almeno all’inizio…
Spero di riabbracciarti un giorno.
Alice.
La ripiegai e la appoggiai sul tavolo, cominciando a frugare. La prima cosa che ne estrassi fu la maglia rossa di Jake, quella che ci passavamo tutte le sere per poter sentire l’odore l’uno dell’altra. Istintivamente la annusai, ma, dopo nove mesi non potevo sperare, al massimo illudermi, ma niente di più. Poi un paio di bermuda e una bambolina di legno scolpita con un coltellino da tavolo. Non la riconobbi come niente di particolare, ma doveva averla fatta lui. La osservai nei dettagli: una bambina con dei fiori in mano. Non era un capolavoro ma era carina. Poi la foto incorniciata fatta a Port Angeles il giorno prima della battaglia con i Volturi, le foto tessera con le nostre boccacce, quella di Desirèe e Seth. Sorrisi mentre alcune lacrime avevano iniziato il loro prevedibile percorso sul mio viso. E ancora il peluche che avevo lasciato a casa e che mi era tanto mancato in quei mesi, il vestito rosso acquistato a Seattle, i biglietti del cinema che avevo custodito gelosamente nel comodino della mia camera, e infine un libro rilegato in rosso cremisi. Un album di foto. Lo sfogliai. Vi erano foto di Jake da piccolo, con Rachel e Rebecca, poi altre con Bella, Seth, Quil ed Embry. Infine alcune foto del matrimonio. La sposa con il suo testimone, il testimone fra i suoi amici, una foto mia con Alice e una mia con i due sposi. Chiusi il raccoglitore e lo deposi mentre stringevo a me il peluche. Lo accarezzai, lo abbandonai un attimo solo per indossare la maglietta e i bermuda di Jake, che a me stavano larghissimi, e mi sdraiai a letto con tutte le mie cose vicino. La foto con Bella ed Edward non avrebbe dovuto provocarmi nessuna sensazione eppure mi sentii bruciare. Non di rabbia, solo di rimpianto.
Passai la giornata così poi sistemai tutto quello che mi era stato dato in modo che fosse in bella mostra in ogni angolo del mio minuscolo appartamento. Ero grata ad Alice e a Rachel per avermi mandato quelle cose, anche se ora mi sentivo ancora più sola. Non ci si sente mai soli fino a che non senti l’assenza delle persone che amavi e che non possono più essere con te. Non volevo tornare da loro ma non potevo fare finta di non averle mai amate.
E così trascorse la mia vita. Lavoro, caccia, sdraiata a letto, abbandonata a quelle giornate che non passavano mai. Affittavo sempre appartamenti all’ultimo piano perché, quando c’era il sole potevo sedermi sul davanzale e aspettare che venisse a scaldarmi e a farmi brillare senza che nessuno se ne accorgesse. Ti sposerò ogni volta che sorge il sole… E ogni giorno aspettavo l’alba per poter assaporare le prime luci, raggomitolarmi ed essere di nuovo scaldata da te. Erano i momenti dove potevo abbandonarmi ai miei sogni o a quel che ne restava. Mi sedevo, chiudevo gli occhi e immaginavo. Ogni giorno una situazione diversa. Vincevo una partita a biliardo all’ultimo; preparavo da mangiare per il nostro cagnolino; ti correvo incontro quando tornavi a casa dal lavoro; guardavamo un film in DVD; una presa in giro qualsiasi sul mio attuale e mentecatto modo di vestire; una gita in motocicletta. Non erano storie fantascientifiche, non erano favole, era semplicemente la vita che avrei voluto avere. La pelle luccicava di vividi brillanti. La accarezzavo per farla tornare opaca come avevi fatto tu quel giorno, alla caletta, ma non era la stessa sensazione. Le mie mani erano fredde, rivestite di una sottile lamina di acciaio. Come facevi a dire che fossero morbide?
Guardavo il panorama sulla città in movimento. Un sottile brulicare di vite, come la mia, o forse peggio. Laggiù avrei mai potuto trovare un amico o un’amica che condividesse le mie angosce, senza chiedere nulla? Io ero un vampiro e già la parola stessa spiegava quale sarebbe stata la mia eterna compagna. Non ero mai stata una persona socievole, non riuscivo a fare amicizia facilmente e la morte di Jake mi aveva isolato ancora di più. Non sentivo il bisogno di parlare con nessuno. Quando ero in casa, circondata dai miei ricordi, era come se lui fosse con me e allora non sentivo più niente; quando uscivo e vedevo le persone chiacchierare amabilmente in mezzo alla strada, nei bar o sul lavoro, allora mi sentivo sola e vulnerabile e mi chiedevo perché non avessi la forza di fare lo stesso, perché respingessi chiunque mi si avvicinasse. Avevo tanta paura di rimanere sola ma godevo della mia condizione perché non potevo essere felice senza di te, non volevo. I nostri ricordi erano la mia compagnia, il mio ristoro, il mio mondo. A volte ero così felice dei risultati raggiunti al lavoro che correvo a casa, illudendomi davvero che, aprendo la porta, ti avrei trovato spaparanzato sul divano. E invece non era mai così. Ed erano i momenti peggiori: quelli dove capivo che vivevo in due mondi paralleli che non si sarebbero mai incrociati, quelli dove avrei voluto urlare a squarciagola e… mangiare. Quante volte, in preda allo sconforto, avevo cucinato un succulento pranzetto e poi l’avevo gettato, cercando di convincermi che non potevo essere così vile, non dopo quello che avevi fatto per me. Quel senso di desolazione e isolamento era parte di me e doveva continuare a esserlo altrimenti non avrei sentito dolore e non mi sarei sentita viva.
Il posto che avevi occupato era vuoto e al contempo pieno di te.
Il periodo più sereno per me fu a cavallo tra il 2032 e 2045. In quegli anni mi ero trasferita a Goteborg, una cittadina non troppo grande, spesso nuvolosa anche nei sei mesi di luce, quindi adeguata alle mie necessità, a due passi, volendo, da Stoccolma. Mi ero trovata un lavoro come segretaria presso una grande azienda produttrice di pannelli solari (con la fame di energia che si era venuta a creare, facevano affari d’oro e avevano assunto persino gente affatto qualificata, come me). Una delle mie colleghe dell’ufficio marketing, Cecily, era davvero vulcanica e si era messa in testa di voler fare amicizia con me a tutti i costi. Generalmente tenevo tutti a distanza, non mi concedevo mai troppo e, grazie al mio formidabile udito, sapevo che mi davano della snob altezzosa. La cosa non mi aveva mai seccato, neanche in questo nuovo lavoro, ma Cecily si era intestardita a volermi conoscere. All’inizio fu un continuo negarsi ai suoi inviti in pausa pranzo o a uscire la sera a fare quattro passi. Ma era caparbia almeno quanto un’altra persona e alla fine dovetti cedere, illudendomi che a fine serata mi avrebbe trovata talmente detestabile da non volermi più rivolgere la parola nemmeno in ufficio. Invece la sorpresa fu per me perché la serata trascorse serena, a tratti quasi divertente. Era solare, simpatica, un’allegra guascona e tutto sommato per me poteva essere una buona cura, un’occasione se non per guarire, almeno per sopportare la malattia con più dignità. In breve diventammo realmente amiche e fu a causa sua che decisi di rimanere a Gotenborg per dieci anni. Normalmente mi spostavo ogni quattro, cinque anni, prima che la gente cominciasse a chiedersi perché non avevo nemmeno una ruga d’espressione; invece lei era speciale. Mi ricordava Alice e io avevo tanto bisogno di un’amica sincera. Evitavo come la peste i pranzi e le cene per evitare domande incresciose sul perché non mangiassi ma per il resto se c’era anche Cecily, non mancavo mai. Mi fece conoscere la sua compagnia di amici nella quale riuscii ad inserirmi, anche se rimaneva lei l’unico perno attorno a cui girava il mio mondo. Ben presto mi accorsi di volerle bene.
Ovviamente non le svelai mai il mio segreto, né le raccontai il mio passato. Ufficialmente venivo dall’Inghilterra e la mia famiglia era morta in un incidente d’auto. Nessun amico, nessun fidanzato. Quest’ultima parte avrei dovuto ometterla perché Cecily sembrava avere fatto diventare sua unica vocazione il trovarmi un compagno. Le spiegai più volte che ero uscita da una relazione disastrosa e non ne volevo sapere, tuttavia era divertente rimandare al mittente tutti gli amici che mi presentava. Sì, quei dieci anni furono i migliori. Ero in mezzo agli umani, mi sentivo umana, lavoravo e respiravo, facevo cose umane.
Cecily mi convinse anche a fare aerobica e in breve diventò la mia droga. Mi ero scoperta ad adorare il ballo e così tutti i giorni mi rilassavo scatenandomi in palestra e nei weekend in discoteca. Cecily praticava equitazione e tentò di coinvolgermi, ma purtroppo fu molto difficile spiegarle che gli animali non volevano avere niente a che fare con me. Ovviamente non volle mollare. I cavalli si imbizzarrivano sempre quando comparivo all’ippodromo e questo mi feriva perché contribuiva a ricordarmi chi ero e cosa mi sforzavo di nascondere. Fino a che dopo parecchi mesi, un cavallo difficile, nero e incontrollabile, si lasciò toccare proprio da me. Mi fissò tanto a lungo e senza distogliere lo sguardo che non potei trattenere le lacrime. Gli occhi così scuri e irrequieti erano i tuoi? Nitrì più volte e si fece montare. Fu l’unico cavallo che riuscii a cavalcare, l’unico abbastanza pazzo da accettare un vampiro come cavallerizza. Nonostante avesse un suo nome, io lo ribattezzai Jerry, come il cane di La Push. Non sapevo se fosse interessato a quanti nomi gli fossero stati rifilati, però quando lo chiamavo, veniva sempre. E lo amavo. Lo amavo tanto da singhiozzare ogni volta che lo lasciavo. La sera, a volte, di nascosto andavo a trovarlo nella stalla. Restavo con lui pochi minuti necessari a colmare il vuoto. Mi guardava come se non capisse perché tenessi tanto a lui, e in fondo non lo capivo nemmeno io, ma accadeva e basta.
La mia vita continuò così. I divertimenti non erano tanto diversi da quelli che avevo con i Cullen ma ero io a dargli un altro significato, forse perché io ero diversa. Vedevo il mondo con un’altra lente. Nei sei mesi di luce dovevo uscire meno ma mi rifacevo ampiamente nel resto dell’anno. Alcune cose continuavano a essermi vietate ma me ne facevo una ragione. Non ero mai stata in una compagnia completamente umana; adesso invece lo erano tutti. Li guardavo cambiare, crescere, tagliarsi i capelli e fare indigestione ed era come se provassi anch’io quelle sensazioni, nel bene e nel male. In quel periodo non mi sono sentita sola. Ma purtroppo, per quanto tenessi a tutto questo, sapevo che prima o poi il tempo sarebbe scaduto.
Quando accadde, a Cecily dissi che mi avevano offerto un posto in una ditta più grossa in Norvegia e che non potevo perdere l’occasione. Singhiozzava quando la salutai, l’ultima sera. “Teniamoci in contatto, mi raccomando” mi pregò. Annuii ma sapevo che non avrei potuto. Avrebbe dovuto perdere le mie tracce onde evitare problemi in futuro. Poi fu la volta di Jerry e stavolta fui io a piangere tanto da sentire gli occhi bruciare come se ti stessi perdendo un’altra volta.
Arrivata a Tonsberg, fui di nuovo sola. All’inizio Cecily cercò di tenere i contatti quasi giornalmente ma quando si accorse che soltanto lei si sforzava di mantenere viva l’amicizia, pian piano le telefonate svanirono. E apparve Daniel.
I colleghi dell’impresa navale in cui avevo trovato occupazione non erano particolarmente socievoli e non dovetti faticare per passare quasi inosservata. Se non fosse stato per la mia bellezza, probabilmente ce l’avrei fatta tranquillamente. Una sera ero a caccia e nella foresta incontrai un ragazzo ricciuto, coi capelli neri e gli occhi dorati, come i miei non erano più da tempo. Mi guardò a lungo e probabilmente avrebbe scommesso sul fatto che fossi un essere umano se non fosse stato per l’inesistente battito del mio cuore. Io lo ignorai, ma lo ritrovai la sera successiva nello stesso punto, già deciso a parlarmi. Non era nemmeno lui un chiacchierone ma, per sua stessa ammissione, era rimasto colpito dal mio eccentrico modo di muovermi (per nulla vampiresco e molto umano) e dai miei occhi blu. Ovviamente non gli raccontai niente del mio passato ma non potei negare ciò che ero. All’inizio fui seccata dalla sua intromissione nella mia solitudine, però sentivo la mancanza di Cecily e mi imposi di tentare di essere sua amica. Mi introdusse in un gruppo di vampiri, anch’essi vegetariani, in cui però non mi trovai mai a mio agio. Forse perché mi guardavano come un’aliena o forse perché io stessa mi sentivo diversa e preferivo stare con gli umani. Pian piano le mie presenze ai loro raduni si fecero sempre più sporadiche fino a che non sparii del tutto ma Danny continuò ugualmente a volersi intrattenere con me. Non era pazzo come Cecily e quindi mi chiedevo come facessimo ad andare d’accordo, però accadeva. Ci circondavano strani silenzi che non dovevano essere infranti: alcune sere parlavamo uno sull’altro, altre nessuno aveva niente da dire, però restavamo a farci compagnia. Pensavo che avesse capito che nascondevo molto più di quanto raccontassi ma avesse la cortesia di non fare domande e io ne ero ben lieta. In quei tre anni ci furono momenti di grande complicità che mi fecero ricordare Emmett e una parte della nostra vita insieme. Non la rinnegavo e se fossi tornata indietro l’avrei rivissuta volentieri, però l’intensità, la passione vera, e non quella di fare sesso come animali, era ben altro. Con Danny mi divertivo in maniera genuina, e per fortuna non c’erano coinvolgimenti sentimentali a guastare tutto. O almeno così credevo. Col tempo si era sciolto anche lui e passavamo le serate al cinema, a guardare film a casa oppure andando a zonzo per i boschi. Andavamo a caccia, a passeggio per la città, ci raccontavamo dei rispettivi lavori (lavorava anche lui: cosa rara per un vampiro!), andavamo a fare gite notturne in posti strani, mi aveva anche portato a vedere l’aurora boreale un paio di volte. Tutto magnifico, ma sarebbe finita prima o poi, no? Non bisogna mai assuefarsi a una medicina perché finisce per perdere il suo benefico potere.
“Ti amo” mi aveva sussurrato mentre stavamo guardando la televisione a casa sua. Credevo che mi stesse prendendo in giro e invece era così serio da sembrare quasi costretto. Quando ribadì più ampiamente cosa provava per me, capii che la mia oasi era stata distrutta. Me ne andai e non ci vedemmo per una settimana intera. Ero infuriata, arrabbiata perché aveva tradito la mia fiducia, perché credevo di avere un amico e invece lui voleva altro. Nessuno capiva che volevo stare sola? Che non avevo bisogno di compagni? Rischiarando la mente dalla foga, mi resi conto che non era colpa sua se provava qualcosa ma dovevo semplicemente convincerlo che fosse tempo perso e che non fossi adatta a lui. Volevo uscirne senza ferirlo e mantenere egoisticamente l’amicizia. Stavo ponderando mille soluzioni che non ritenevo possibili fino a quando piombò a casa mia, senza invito. Dapprima fui irascibile per la violazione della mia privacy, poi lui trovò le parole per rabbonirmi e iniziò a raccontarmi cosa provava e soprattutto a chiedermi cosa pensassi io. La mia fuga non gli faceva presupporre niente di buono ma voleva che glielo dicessi in faccia.
Mentre parlava, non lo ascoltavo.
Facevo paragoni. Il sensibile Danny aveva perso ogni lontana connotazione di Emmett per diventare l’avversario di qualcun altro. Era buono e probabilmente mi amava davvero, ma nel momento in cui avevo affrontato questo dedalo di pensieri sapevo che volevo disperatamente che perdesse. Nessuno poteva reggere il confronto con te. Gli volevo bene dal profondo ma non era amore e io non volevo stare con una persona soltanto perché mi ci trovavo bene insieme. Non sarebbe stata la stessa cosa. Come fai ad accontentarti di un cioccolatino quando hai gustato la torta? Però quella torta non l’avrei più riassaporata. Forse avrei potuto… Chissà…
E in quel momento, percependo la mia incertezza, fece il suo errore. Mi baciò, mentre ero ancora persa nelle mie riflessioni. Ne rimasi talmente frastornata che dapprima non feci niente, poi una voce nel cervello mi urlò:“Prova! Che cos’hai da perdere?”. Risposi al bacio e forse per qualche minuto Daniel si illuse di avere fatto la mossa migliore; invece io sentivo labbra fredde, così diverse dalle tue e così uguali alle mie, la mani scivolose, il cuore fermo… Non riuscii ad immaginarci insieme, nemmeno per un secondo. Non accadeva come con te,  quando sognavo, quando guardavo oltre quei pochi istanti. L’unica immagine che mi balenò nella mente fu Emmett: volevo fare a Danny quello che avevo fatto a lui? Volevo fargli credere che lo amassi quando pensavo a un altro, vivo o morto che fosse?
Mi divincolai e corsi in camera. Non ragionavo, non capivo più niente. Afferrai il peluche e lo strinsi forte, chiedendo perdono col pensiero. Avevo sbagliato, avevo provato e non avrei dovuto farlo, non sarebbe mai più accaduto perché, ero sicura al di là di ogni dubbio, che io appartenevo a te soltanto. Danny mi raggiunse e avvertii il suo silenzio scoraggiato opprimermi il petto. Si sedette accanto a me e il suo sguardo fu calamitato dalla foto sul comodino. Tacque a lungo, poi lento, addolorato più per se stesso che per me, mugugnò:“Mi dispiace… Non avevo capito”.
Scossi la testa. “La colpa non è tua… Sono io a non essere stata chiara fin da principio”.
“Se dovessi cambiare idea, io ci sarò” e fu l’ultima cosa che gli sentii dire.
Quando se ne andò piansi tutta la notte, per quello che era accaduto, per quello che avevo perso, per la solitudine, la paura e il dolore. Il giorno dopo diedi le dimissioni, feci le valigie e mi trasferii nella Germania settentrionale. Negli anni a seguire vagabondai in Svezia, Finlandia, Russia orientale fino al 2062. Fino al giorno in cui ho deciso che non ce la faccio più senza di te e che ho adempiuto alla mia promessa. Ho trascorso gran parte della mia vita nel tuo ricordo. Non l’ho fatto come una forma di condanna, ma semplicemente perché avevo bisogno di te per continuare a vivere. Volevo che in una qualche maniera fossi orgoglioso di me e di ciò che avevo saputo creare da sola. Non rimpiangevo la solitudine anche se i migliori anni erano stati quelli con Cecily e Daniel, però non volevo circondarmi di persone che non mi capissero e io ormai ero troppo cambiata per potermi adattare. A mio modo avevo vissuto come desideravo: da umana. Non era stata la vita felice che speravo ma senza di te non era destinata a essere niente altro che una casa vuota riempita da mobili che vengono comprati solo per questo fine: colmare il vuoto. Non perché ti piacciano o ti comunichino emozioni. La mia vera casa, il mio rifugio, il mio nido era già arredato da quei due mesi quando ci vedevamo di nascosto, lontano da tutto e da tutti, nella foresta di La Push o avanti e indietro per Port Angeles. Per questo ho deciso, un giorno caratterizzato da un’afa soffocante, che sarei tornata a La Push.
Finalmente dopo 52 anni avevo trovato il coraggio di affrontare la tua lapide.

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Capitolo 93
*** Il sole e la luna ***


 
“Ha bisogno di aiuto?” mi sentii domandare. Alzai il viso, sorpresa e impacciata, e mi ritrovai davanti una signora anziana, dai capelli corti e grigi, lievemente ricurva, la cui magrezza era accentuata dai vestiti leggeri che indossava a causa della calura. Mi guardai intorno: era giorno. L’altezza del sole, nascosto dalle nuvole, mi faceva indovinare che doveva essere sorto da un pezzo e io non me ne ero neanche accorta. Avevo il viso appoggiato sulle ginocchia e questa signora doveva pensare che fossi un’accattona o qualcosa del genere.
Mi alzai, scrollandomi la polvere. “No, no. E’ tutto a posto. Mi sono solo fermata un attimo…”.
La vecchietta indugiò, nonostante le mie rassicurazioni, probabilmente indecisa se credermi o meno. Così, per fugarle ogni dubbio, raccolsi la borsa da terra e feci per andarmene.
“Rosalie…?” domandò e la sua voce suonò prudente, indecisa e allo stesso tempo emozionata.
La fissai negli occhi. Chi era e come faceva a conoscermi? Il viso era magro, leggermente appuntito, segnato dagli anni, con la carnagione olivastra. Le labbra si allargarono dolcemente e il suo sguardo, così scuro e garbato, odorava di casa. Nonostante questo, la mia espressione rimase circospetta e vigile.
“Finalmente sei tornata. Disperavo che ti avrei mai più rivista…” continuò. Strinsi con durezza il manico della borsa e abbassai il volto, come per proteggermi. “Non ti ricordi più di me? Effettivamente sono passati tanti anni e io, beh… sono invecchiata parecchio, mentre tu sei bellissima, come al solito. Io sono…”.
“Rachel” la precedetti. Il tono con cui proferii quel nome apparve seccato, infastidito e anche lei se ne accorse. Le labbra si serrarono deluse per un istante, ma quello successivo riprese la sua espressione luminosa e trasparente. Doveva avere più o meno 75 anni però se li portava bene. Forse dipendeva dallo sguardo, ancora vivido e allegro, come lo ricordavo.
Si chinò sulla tomba, con un movimento malfermo, per sostituire il lumino spento con uno nuovo. Doveva avere problemi alla schiena perché lo fece quasi a rallentatore. Se la mente non l’aveva abbandonata, il corpo purtroppo pagava il suo tributo alla vecchiaia. Le sfilai delicatamente il cerino e mi chinai al posto suo, accendendolo con un fiammifero che mi allungò. Quando vidi la piccola fiamma divampare davanti a me, avrei voluto allungarvi sopra il dito e assaporarne il calore. Qualcosa che non sentivo più da anni, nonostante le estati calde.
“Come stai? Subito dopo quel pomeriggio, Bella mi ha raccontato che eri andata via e che non saresti più tornata. Perché?” domandò sinceramente incuriosita.
“Non volevo più stare qui… Senza di lui… Sono scappata, ecco tutto” ammisi trattenendo un moto di ribellione.
“Capisco… Hai ricevuto il mio pacco? L’ho dato a Bella e lei mi ha assicurato che te l’avrebbe fatto avere”.
“Sì, l’ho avuto. Grazie. Mi ha fatto sentire meno sola…”.
Accarezzai le ortensie con un dito. I petali erano morbidi, rigogliosi e sfumati, come se un pittore li avesse dipinti con gli acquerelli. “Sono così felice che tu sia qui” si commosse Rachel.
“Perché?” domandai dura. “In fondo io sono quella che ha ucciso tuo fratello. Dovresti avercela a morte con me e con tutta la mia famiglia. Io non merito niente, neanche la compassione…”.
“Non è stata colpa tua. Ho parlato con Bella ed Alice e loro mi hanno raccontato come sono andate le cose…”.
“E ti fidi di quello che hanno raccontato? Cosa ne sai che non l’hanno detto solo per proteggersi, per evitare la guerra con il branco?!” sbottai, alzandomi di scatto. Facendolo digrignai i denti e solo allora mi accorsi che mostrando i canini dovevo averla spaventata perché indietreggiò di qualche passo. Poi la giovane e arrogante Rachel, quella che aveva avuto modo di tenermi testa, di notte, da sola, riapparve come un’ombra in quello sguardo fiero.
“Conosco Bella, so che non mi mentirebbe mai, soprattutto a proposito di Jake. E so che lui aveva paura per te e che avrebbe preferito morire piuttosto che metterti in pericolo. All’inizio ero arrabbiata certo, ma con lui perché non si era sfogato con me e mi aveva tagliato fuori. Poi ho capito che niente e nessuno l’avrebbe dissuaso. E in fondo, sapevamo che saremmo arrivati a questo punto, fin dal principio. Non potevate andare avanti così in eterno. Era inevitabile, soltanto speravo che non sarebbe accaduto così presto”.
“Come puoi parlare in questo modo? Era tuo fratello” inveii alterata. Avrei dovuto mantenere un tono deciso ma la voce tremava. “E’ stata colpa di Edward, non doveva aiutarlo ed è stata colpa mia che mi sono lasciata trascinare. Avrei dovuto uccidermi prima di arrivare a tutto questo…”.
“E’ stata una decisione di Jake e sarebbe riuscito a metterla in atto ugualmente, anche senza l’aiuto di tuo fratello. Era troppo spaventato per te… E io posso capirlo”.
Mi asciugai una lacrima con un movimento rapido, quasi me ne vergognassi. Rachel si guardò intorno e si perse nei ricordi. Allungò un braccio e indicò un albero a un trentina di metri da noi. “C’era un sacco di gente quel giorno… Arrivavano fino lì. Gli amici della scuola, quelli del branco e la tua famiglia. E’ stata una cerimonia semplice, come avrebbe voluto lui. Mancavi solo tu. Ma credo che sia stato meglio così. Non avrebbe gradito vederti piangere. Tutti gli altri sì, ma non tu”.
“Avete permesso alla mia famiglia di assistere al funerale?” chiesi livida dalla collera. Non capivo. Io al posto di Rachel avrei ucciso tutti i Cullen, me per prima, e invece lei faceva apparire il mio stupore come una barzelletta di cui ridere. “Sam e alcuni altri non li volevano, ma io mi sono detta:“Sono suoi amici, e magari cambierà idea e verrà anche Rose” e non me la sono sentita di escluderli. Alla fine della cerimonia ho parlato con Bella e ho capito che ho fatto bene”.
“No” ringhiai. “Io glielo avrei impedito”.
“La vedi quell’ortensia? E’ della tua famiglia” mi spiegò, impercettibilmente tenera. La sua voce stava cominciando a diventare stentorea, inconsistente. I ricordi dolorosi la stavano facendo a pezzi, nonostante fossero passati più di cinquant’anni. “Ogni settimana loro portano una pianta per Jake. Generalmente con colori sgargianti oppure blu. A lui piaceva il blu, no?” mi guardò negli occhi come se cercasse la risposta ovvia. Distolsi vigliaccamente lo sguardo. “Quel giorno non lo dimenticherò, sia per la mia tristezza che per quella degli altri, anche della tua famiglia. Bella sembrava inconsolabile ed Edward è sempre rimasto lontano da noi, in disparte. Probabilmente si vergognava, esattamente come dici tu. Ma che senso aveva tutto questo? Che cosa ne avrei ricavato a portargli rancore? Jake ha scelto con la sua testa, non con quella di qualcun altro e io ho accettato le sue decisioni. Ogni tanto incontravo Bella al cimitero, poi pian piano sono spariti, anche se le piante nuove che trovo tutte le settimane testimoniano che non l’hanno dimenticato e questo è l’unica cosa che mi consola”.
“Non abitano più a Forks?”.
“No. Se ne sono andati quarant’anni fa, quando la gente ha cominciato a chiedersi perché non invecchiassero. Sapevo che si erano trasferiti a Port Angeles perché Bella voleva continuare a vedere suo padre, di nascosto. Poi vent’anni fa, Charlie è morto e da allora non ho più saputo niente”.
“E gli altri? Joe, Leah…?”.
“Beh, Joe ha 66 anni adesso ed è un arzillo signore, sposato con due figli e un nipotino in arrivo. Leah è diventata il capo ma per fortuna non c’è più stato bisogno di combattimenti e pian piano il branco si è sciolto. Ha aspettato che Ethan crescesse e quando anche lui ha avuto vent’anni ha iniziato a invecchiare. E’ la più giovane fra noi. Non si direbbe che eravamo coetanee. Lei e Ethan sono molto felici, hanno due figli e se la cavano egregiamente. Sam ed Emily vivono ancora nella vecchia casa rustica e hanno avuto entrambi parecchi guai di salute, ma adesso sembra tutto sistemato”.
“E tu?” domandai con un filo di voce.
“Mi vedi, no? Papà è morto dieci anni dopo Jake. Non aveva neanche 60 anni. Un infarto. In realtà non si è mai ripreso del tutto dalla sua morte e ogni giorno in quei dieci anni mi aspettavo di non vederlo alzarsi la mattina. Un giorno è accaduto davvero. I genitori non dovrebbero mai sopravvivere ai figli” deglutì faticosamente, poi continuò:“Paul ed io ci siamo sposati, abbiamo avuto i nostri figli e nipotini. Paul è morto 3 anni fa per una malattia incurabile. Da allora vengo ogni giorno. In fondo sono tutti qui: mamma, papà, Paul, Jake… Per fortuna ho ancora i miei figli a darmi qualche attimo di gioia”.
“E Rebecca? Vive ancora alle Hawaii?”.
“Ha divorziato da suo marito ed è tornata a stare qui per un po’. Poi ha trovato lavoro a San Francisco e si è trasferita là. Ci vediamo raramente, solamente in occasione delle feste”.
Incrociai le braccia: erano successe tante cose durante la mia assenza, non tutte belle, non tutte positive, ma in fondo è la vita.
“E tu? Cosa hai fatto in questo tempo?”.
Scrollai le spalle. Non avevo voglia di rispondere a un interrogatorio sulla mia vita personale, né di subire rimproveri perciò decisi di liquidare l’argomento in poche parole. “Niente di che. Sono stata in Europa. Europa del nord, per la precisione. Ho lavorato, coltivato alcuni hobby, niente di particolare”.
“Hai trovato qualcuno?”.
“No” risposi decisa e feroce.
“Perché? Lo fai sembrare un peccato mortale…”.
“Nessuno è al pari di Jake”.
Sorrise amara. “Credimi, nessuno lo sa meglio di me, però non è quello che avrebbe voluto lui”.
“Non mi importa cosa voleva lui” reagii con forza e infilando a tracolla la borsa, già pronta ad andarmene. “Ha preso delle decisioni senza consultarmi quindi non può pretendere niente!”.
“Continui a non capire…”.
“No, sei tu che continui a non capire! Comunque, è tardi ed è meglio che vada…”.
“Perché sei tornata qui?” mi domandò a bruciapelo. “Perché proprio ora?”.
Osservai la tomba in ogni dettaglio, immersa nell’erba che la lambiva e di cui la lapide sembrava un cuscino che emergesse da una gigantesca coperta.
“Perché era giunto il momento che me ne facessi una ragione, che capissi finalmente che è morto. Tutto qui. Ora so cosa devo fare…” balbettai. Le indirizzai un sorriso di saluto e mi allontanai di qualche metro prima che la sua voce, ormai stridula, mi bloccasse. “Pensi di restare nei paraggi per qualche tempo?” domandò.
“Non lo so. Non devo tornare per forza in Europa”.
“Sai, io sono sola e ho la soffitta piena di cose di Jake e mi chiedevo se a te facesse piacere averle. Quando morirò, sicuramente i miei figli le butteranno via”.
“Forse sì” stiracchiai un sorriso.
“Allora vienimi a trovare…”.
Annuii più volte. Forse mi sarebbe piaciuto ma non ne avrei avuto il tempo. Alzai la mano per salutarla e lei fece altrettanto; infine la osservai chinarsi sulla tomba, in preghiera. Mi allontanai con una stretta al cuore.
Tornai all’albergo a Forks, dove alloggiavo dalla sera precedente. Mi ero portata via tutte le mie cose: i vestiti, il peluche, le foto. La verità era che non pensavo di tornare a vivere in Europa. Non pensavo proprio di vivere.
Mi sdraiai a letto, in attesa del pomeriggio. Volevo fare un’ultima cosa quel giorno. L’ultimo traguardo che mi ero posta per quel viaggio nei ricordi.
Subito dopo pranzo, un sole accecante uscì dalle nuvole e infiammò la foresta. Non potevo desiderare di meglio. Mi vestii, non lasciando scoperta nemmeno una minuscola parte del corpo, scesi nella hall, destando scalpore per il mio abbigliamento così invernale in piena estate e presi l’auto a noleggio che avevo prenotato dalla mattina.
Quando arrivai alla meta, notai con rammarico che i cambiamenti climatici degli ultimi anni non avevano risparmiato nemmeno quel posto. La caletta dove mi aveva portato Jacob era sparita, inghiottita dall’oceano che in cinquant’anni era salito di quasi due metri, sommergendo buona parte dei Paesi Bassi e la spiaggia che aveva più ricordi della mia vita. Camminai sulla rupe che di fatto era diventata una scogliera a picco. Guardai lo strapiombo e vidi l’azzurro luccicare, come una pietra preziosa, sotto i miei occhi. Mi sedetti sulle rocce e guardai l’orizzonte. Da quel punto niente sembrava cambiato. Niente e tutto.
Quante cose erano cambiate dalla prima volta in cui ero andata lì. A quel tempo avevo una famiglia, una vita opaca e… te; ora era cambiato tutto ma in un modo che non avrei mai creduto. Avevo perso tutti quanti, però in cambio avevo avuto la vita che avevo in parte desiderato.
Mi sfilai il foulard e gli occhiali da sole, riponendo il tutto nella borsa a tracolla. Mi tolsi anche l’impermeabile, scoprendo le braccia e il decolleté. Brillai quanto il mio bracciale. Chiusi gli occhi e mi sdraiai sulle rocce appuntite, come per prendere il sole. Non importava se qualche umano mi avrebbe vista, se si sarebbe chiesto che razza di essere poteva splendere in quella maniera, se avrebbe scoperto l’esistenza dei vampiri. Da quel giorno non sarebbe più stata una mia preoccupazione.
Quel giorno era novembre e mi avevi scaldato tu… Non avevo dimenticato nulla di quegli anni, come non avevo dimenticato nessun particolare del periodo prima della trasformazione. Soltanto che le stelle spente della mia vita da vampiro causavano molti più rimpianti.
Il caldo brucia, sembra consumarmi la pelle e io sorrido. Il vento rovente mi accarezza come il tuo respiro; il rumore della risacca, profondo e roco, mi ricorda la tua voce; il riflesso del sole è una scintilla che accende l’ambra del tuo viso; il profumo di salsedine è l’odore della tua pelle. E io devo continuare a tenere gli occhi chiusi perché se li aprissi e scoprissi che non sei con me, che non mi stai abbracciando e che è tutto frutto della mia immaginazione, il mio mondo andrebbe in frantumi. Il nostro mondo nel quale siamo insieme e felici non esisterebbe e ciò che mi sono costruita per rendere la mia vita un po’ più sopportabile precipiterebbe.
“Oggi shopping a Seattle. Ti va?”. La vocina di Alice si riaffacciava ogni tanto, quando tentavo di dimenticare quanto dolore mi avesse procurato la sua indifferenza. I nostri pomeriggi si erano dissolti in una spirale di fumo e al suo posto era rimasto solo un fastidioso aroma di bruciato che mi avrebbe sempre ricordato la sua esistenza.
“Per te avrei fatto di più, lo capisci?!”. No, non avresti fatto di più perché hai lasciato che lo uccidesse, non hai fatto niente, non ti sei schierata con me. Strinsi nervosamente una pietra fino a sentirla penetrare nella carne. Una lacrima riuscì a vincere la mia fiera opposizione e a solcarmi la guancia, ma la asciugai con un gesto nervoso.
Cecily non si sarebbe mai comportata così. Lei mi aveva voluto bene senza che le raccontassi niente della mia vita passata, lei era migliore, diversa. Era allegra, vivace, leale, affettuosa. Non come Alice. Non le somigliava neanche un po’. Se Cecily fosse stata un vampiro, avrei scelto lei mille volte e non Alice. Alice non voleva dire niente. Un’illusione, esattamente come Edward. Non ero mai stata amata in quella famiglia, anche se avevano recitato tutti dannatamente bene. Solamente tu mi hai amata come non ho mai meritato di esserlo.
Accarezzai il bracciale una, due, tre volte. Febbrilmente finché non sentii il cervello farsi più leggero. Era il mio metodo, la mia formula magica per entrare nel tuo mondo, nel nostro mondo, dove tu esisti ancora e mi abbracci ogni volta che mi sento sola.
Un dito sulle labbra, poco prima della partenza dei trenini sulle montagne russe, poi“Vinci la paura, Rose. Non è difficile, vedrai”. Sì, l’ho vinta, ma solo perché c’eri tu con me. Quel pomeriggio a Seattle avevo sentito un’emozione nuova, inaspettata, come se mi fossi svegliata improvvisamente da un incubo e non avessi provato niente di strano nel trovarti accanto a me.
Anche i litigi, le prese in giro e le discussioni, quel tuo umiliarmi in continuazione contribuivano a fare in modo che ti sentissi diverso. Nessuno riusciva a ferirmi in profondità come te, e l’istante successivo a farmi sentire così piacevolmente speciale.
“Anche gli angeli non respirano, non mangiano, non muoiono, non hanno un cuore che batte, eppure tutti li vorrebbero al loro fianco. Io ho la fortuna di averne uno vicino a me in questo momento…”. Non mi ero mai sentita paragonata ad un angelo, forse perché i vampiri rappresentano ciò che c’è di più lontano, ma non dimenticherò mai quelle parole. Credo che tu mi abbia conquistata quell’alba, ma ero troppo spaventata dal cambiamento per ammetterlo. I vampiri non cambiano mai eppure tu mi avevi cambiata.
La passione, i baci, i litigi e le lacrime. Jacob mi aveva insegnato a piangere; lui me le aveva strappate fuori. Ogni visione amplificava i miei sentimenti e mi convinceva ancora più della mia decisione. Mi abbandonai a lui e ai nostri ricordi come se fossi circondata solo da loro. La sinfonia che mi aveva riempito il cuore e la mente per anni.
Respirai. Uno degli ultimi della mia vita.
Poi sentii odore di fiordaliso, intenso, vibrante, sfuggente. Erano anni che non lo sentivo più. Un fruscio alle mie spalle, poco lontano da me. Alice. Non mi mossi, sperando che forse se ne sarebbe andata se avesse visto che la ignoravo. Ma un’onda di calore crebbe dal profondo fino ad avvolgermi completamente. Mi stiracchiai e mi voltai verso di lei. Era a una decina di metri, piccola, flessuosa, esile, avvolta in un impermeabile lungo, ampiamente fuori moda e un foulard color albicocca dal quale spuntavano i corti capelli castani.
“Era troppo sperare che mi lasciassi in pace, vero?” domandai indolente, lanciando occhiate fugaci. C’era solo lei.
Alice si sfilò gli occhiali dalle lenti enormi e, altrettanto seria, replicò:“Sì, era troppo, considerando che non ti ho mai persa di vista un attimo in questi anni”.
“Che cosa vuoi?”.
“Sei tornata” e i suoi occhi brillarono di una sottile emozione. “Non hai idea per quanto tempo l’abbia sperato…”.
“Non sono qua per te. Anzi, a dire il vero speravo che ve ne foste andati. Rachel mi ha detto che ha perso le vostre tracce da parecchi anni…”.
“Viviamo a Portland. Da quando Charlie è morto non c’era più alcun motivo per restare nei paraggi e così ce ne siamo andati…”.
“Però oggi sei qui…” dissi con aria di leggero rimprovero.
“Sono qui per te!” replicò senza darmi il tempo di proseguire. “Rose, sapessi quanto mi sei mancata. Ho sperato tanto che tornassi negli Stati Uniti e, quando ho visto la tua decisione, sono quasi impazzita dalla gioia!”.
“Bene, mi hai visto. Ora puoi tornartene a casa” conclusi bruscamente .
Alice inserì gli occhiali nella borsa a bauletto che portava al braccio e avanzò con cautela per qualche metro. Non appariva per nulla scoraggiata dai miei modi, ma anzi determinata e decisa, anche se non capivo quale fosse il suo obbiettivo.
“Come è stato in questi anni?” investigò.
“Lo sai meglio di me, no? Hai appena ammesso che mi spiavi tutti i giorni quindi sei aggiornata sui fatti più di chiunque altro!”.
“Ho visto che hai lavorato” annuì. “E che ti è piaciuto molto. Ho visto le tue case, i tuoi vestiti, i tuoi hobby. Anche Cecily. Era simpatica quella ragazza. Una vera mina vagante. Peccato che non fosse un vampiro”.
“Non sono affari tuoi…” ringhiai.
Il suo viso tornò serio e teso. “Ho visto anche Daniel: un bel ragazzo. Perché sei fuggita da lui?”.
Sollevai l’angolo destro della bocca. “Lo sai perché” ribattei spazientita.
“Dimmelo tu”.
“Non era Jake. Tutto qui”.
“Nessuno può essere come Jake. Ogni persona è unica nel suo genere. Ma questo non vuol dire che non si può essere felici con qualcun altro. A lui non sarebbe piaciuto questo tuo atteggiamento arrendevole”.
“Come ti permetti di parlarmi in questo modo? Come ti permetti di parlare per Jake?” esplosi. Sembrava avessi aspettato per anni quel momento e che la violenza delle mie parole fosse solo paragonabile a quella di un vulcano. “Lui non mi avrebbe mai ceduta a nessun altro! E anche se fosse, non puoi venirmi a dire quello che devo o non devo fare. Tu non c’eri quando ho avuto bisogno di te, non mi hai appoggiata, hai lasciato che Edward lo uccidesse. Te ne sei fregata, di lui e del mio dolore. Non te n’è importato niente perché, diciamolo, io sono sempre stata la bambolina con cui fare shopping e giocare. Se alla Barbie si rompeva il Ken, si poteva comprargliene un altro. Tanto per lei non avrebbe fatto differenza, vero? Alice… Sei stata la mia delusione più grande”.
Sospirò dolorosamente. Rumorosamente. Ma non distolse lo sguardo dal mio, mentre io la vedevo indistinta e dai contorni poco marcati. Quel velo davanti agli occhi era colpa delle lacrime?
“Ti è di consolazione buttare la colpa addosso alle persone che ti vogliono bene?” replicò con amarezza appena accennata. “Lo sai che non potevo prevedere ciò che avrebbe fatto Edward. Non se la sua decisione riguardava un licantropo. Ho visto il buio nei giorni precedenti a quel pomeriggio e non me ne sono preoccupata perché da quando Edward si era preso a cuore il vostro problema non riuscivo più a vedere né il tuo, né il suo futuro”.
“Sì, ma io ero tornata a casa per affrontarlo e tu non ti sei schierata dalla mia parte. Mi hai abbandonata!” gridai in un solo fiato.
“Non sono intervenuta perché era una questione fra voi due. Se volevi vendicarti, era giusto che lo facessi da sola. Non avevo capito che volevi semplicemente una dimostrazione di comprensione e affetto. Quando l’ho capito, sono uscita, ma tu eri già andata via”.
La sua voce suonò rotta dal rimpianto.
“Ormai non importa più” ammisi. “Non mi importa più. Ora, vattene. Voglio stare da sola”.
“Non ci sei stata abbastanza in questi anni?!” sbottò improvvisamente furente.
Avevo deciso che non le avrei più prestato attenzione e le diedi le spalle per farle capire che la sua presenza non era più gradita. Che tornasse a casa o ovunque volesse, bastava che non mi stesse più intorno. In quegli ultimi minuti avevo sentito una vecchia ferita riaprirsi: i litigi con Alice mi erano mancati e non volevo che tornassero a bussare. Avevo chiuso con lei e con tutta quella maledetta famiglia.
“Avevi smesso di mangiare, lo ricordi, nei sei consapevole, vero?” continuò tesa. Abbassai la testa, infossandola nelle spalle. “Edward era preoccupato per te, e anche io. Poi lui ha deciso di parlarne con Jake e insieme sono arrivati alla soluzione che fosse a causa dell’imprinting e che andasse infranto in una qualche maniera. L’unico modo che Jacob conosceva era questo. Non condivido la scelta di Edward, ma non avrei saputo trovare una soluzione alternativa. Edward ha patito e sta continuando a patire le conseguenze di quello che ha fatto… Come tutti noi…”.
“Non mi dire?!” sghignazzai forzatamente. “Che cosa state patendo di così terribile?”.
“Santo cielo, Rose, io ho perso mia sorella e Edward la sua coscienza, oltre a Bella!” e il suo tono divenne quasi stridulo. Una brezza leggera mi colpì in viso quando mi voltai verso di lei, sconcertata. “Perso Bella?” domandai.
“Bella non ha capito, esattamente come te, e il loro rapporto è entrato in crisi. Edward si sentiva in colpa e leggeva continue condanne negli occhi di Bella, anche se lei si sforzava di non respingerlo, pur soffrendo l’assenza di Jacob. E dopo poco si sono lasciati. Bella ha vissuto con me e Jasper mentre Edward ha vagabondato per gli Stati Uniti. Sono stati divisi per quattro anni, poi, per fortuna, il sentimento che li legava ha ripreso il sopravvento. Adesso sono di nuovo insieme, ma è stato un periodo orrendo per entrambi”.
“Beh, una piccola tortura se la meritava anche lui, dopo quello che mi ha fatto. Ma è niente rispetto a quello che ho patito io” risposi, mentre la voce scendeva implacabile a livelli quasi impercettibili. Da una parte ero felice che si fossero lasciati; dall’altra sentivo un groppo in gola, come se fosse stata colpa mia, come se mi dovessi sentire in qualche modo responsabile della loro infelicità.
Oh al diavolo! Lui aveva distrutto me quindi era giusto che soffrisse. Se non ero riuscita a ucciderlo, almeno una sorta di vendetta divina l’avevo avuta, colpendolo nella persona a cui teneva di più.
“Dio, Rose, ma non hai nemmeno un po’ di pietà? Si è tormentato per anni e anche adesso non è più come un tempo. Certo, l’amore per Bella lo rasserena ma non si dà pace per aver ucciso una persona e fatto soffrire te!”. Questo pensiero mi rese felice mentre qualcosa dentro di me stava piangendo.
“Beh, doveva pensarci prima allora! E comunque, non mi interessa. Adesso che mi hai raccontato le vostre peripezie puoi togliere il disturbo!” le intimai, accigliata.
“Non sono venuta per raccontarti le nostre peripezie, ma per un’altra cosa”. La voce si inasprì.
“Cosa?”.
“Il motivo per cui sei tornata…”.
“Non puoi impedirmelo” risposi brevemente. Mi aveva tenuta d’occhio: era scontato che sapesse anche cosa volevo fare adesso. Tentare di mistificare non avrebbe portato a niente, anzi mi avrebbe solo fatto perdere tempo.
“Non voglio impedirtelo” mi sorprese. “Voglio soltanto che tu faccia una cosa prima”.
La guardai con un sorriso interessato, in attesa dell’ostacolo che avrebbe messo sulla mia strada. La conoscevo abbastanza da sapere che quando faceva così il favore era molto grosso.
“Voglio che mi concedi ancora qualche anno per stare insieme, per essere di nuovo sorelle come un tempo, poi ti lascerò andare da lui, se lo vorrai ancora. Non farò niente per trattenerti”.
“Stai scherzando?!” le lanciai un’occhiata furibonda. “Credi davvero che io voglia tornare con voi, dopo tutto questo tempo e dopo quello che mi avete fatto? Evidentemente non mi sono spiegata bene”.
“Invece ho capito perfettamente, ma voglio che metti tutto da parte. So che ci siamo comportati male con te, ma voglio, pretendo un’altra chance. Me lo devi. Siamo sorelle”.
“Io non devo niente a nessuno, tanto meno a te”. In quel momento una nuvola passeggera oscurò il sole e il mio corpo smise di splendere. Per tutta la durata della sua permanenza davanti ad esso, sentii freddo, come se il cuore immaginario che aveva battuto finora fosse tornato muto.
Alice approfittò della mia momentanea distrazione per guadagnare terreno e d’improvviso la ritrovai a pochi metri. “Rose” sussurrò e l’astio, il rancore sembrarono sciolti. “Ti voglio bene. Mi sei mancata tanto. So di essermi comportata male e non ho scusanti, però vorrei essere perdonata. Sono passati 52 anni da quel pomeriggio e non mi dò pace per quello che ti abbiamo fatto. Non ti chiedo di dimenticare, voglio soltanto provare a ricominciare. Torniamo sorelle, torniamo a confidarci, per favore”.
Avrei voluto guardarla negli occhi e dirle che non c’era niente di vero in quello che stava dicendo, che non avevo bisogno di lei e che non mi era mai mancata. Ma era impossibile. Per 50 anni era stata la mia migliore amica, oltre che mia sorella; e per altrettanti l’avevo odiata. In un modo o nell’altro sempre al centro dei miei pensieri. Il solco che avevo tracciato era profondo e volevo che restasse tale eppure sentivo che avrei perso.
“Voglio bene a Bella, ma lei è diversa, lei non è te… Tu sei davvero mia sorella” biascicò.
“Anche se tornassi indietro, niente sarebbe più come prima. Mi avete distrutta dentro. Non posso più…” replicai altera. Volevo che si sentisse in colpa, volevo gridarle in faccia il mio dolore, che si sentisse responsabile. Non era stata colpa di Jacob, ma solo loro se ero andata via. Loro mi avevano abbandonata e non il contrario.
Allungò una mano per prendere la mia, improvvisamente vicina. Indietreggiai con un balzo come se mi avesse dato la scossa elettrica. “Non mi toccare” sibilai.
“Rose” continuò, per nulla scoraggiata. “Il nostro rapporto non è perduto, non del tutto almeno. Un’altra possibilità, per favore. Qualche anno ancora. Tutte e due insieme, come un tempo. Se non vuoi vedere Edward, non c’è problema. Lui e Bella non vivono con me e Jasper. Stanno in una casa dall’altra parte della città e posso dirgli che non passino più a trovarci”.
“Non ho problemi con Bella…” risposi incontrollata, pentendomi subito di quello che avevo appena pronunciato. Sembrava che stessi dettando delle condizioni. Io non volevo tornare a casa. Io non avevo più una casa. Era crollata 52 anni prima, tra le mie braccia.
“D’accordo” aguzzò gli occhi Alice, cogliendo ciò che avevo suggerito come un probabile “Sì”. “Vuol dire che permetteremo a Bella di venire a trovarci. Anche a lei sei mancata tanto e sarebbe felice di rivederti”.
“Non posso, Alice” dissi.
“Perché?”.
“Non sono più quella di un tempo. Tu per prima resteresti delusa…”.
“Non sei cambiata. E’ solo la solitudine che ti fa sentire diversa, ma sei come sempre. E’ uno stato d’animo da cui puoi guarire, se vuoi…”.
“Tu sai perché sono qui. Voglio andare da lui e sono venuta a salutare gli unici posti dove sono stata felice in tutta la mia vita. Non puoi chiedermi di posticipare. Non ce la faccio più. Gli avevo promesso una vita da umana e ho mantenuto la parola, sia per me che per lui. Ora basta. Mi manca da troppo tempo e lo voglio. Indipendentemente dai sentimenti che posso provare per te…” ammisi e fu come se avessi tolto il tappo che mi aveva imprigionato per troppo tempo. Sentii un’energia calda fluire inaspettatamente in me, l’insano desiderio di confessare tutto quello che mi ero tenuta dentro in questo periodo. Non volevo parlarne proprio a lei, eppure sentivo il dolore martellarmi nel petto, desideroso di uscire.
Il volto di Alice si trasfigurò di un sottile sgomento, poi mi prese la mano. Glielo lasciai fare senza chiedermi il perché. “52  anni fa la nostra famiglia è andata in pezzi e abbiamo perso persone care, ma tu, a differenza delle altre, sei ancora viva e posso parlarti, posso abbracciarti ancora, se lo desidero. Ti ho lasciata sola in tutti questi anni perché avevi bisogno del tuo spazio, di crescere e lo hai fatto. Ma ora sono io ad avere bisogno di te. Non voglio fermarti, se intendi veramente suicidarti, ma ti chiedo solo qualche anno. Tu, Jasper ed io possiamo essere di nuovo una famiglia, ma devi darmene l’opportunità. Per favore, solo qualche anno poi ti aiuterò…”.
“Se dovessi vedere Edward, anche solo per caso, non so quale potrebbe essere la mia reazione…” misurai le parole.
“Ti ho già detto che non lo vedrai. Farò in modo che non passi mai da casa nostra… Ti prego”.
La sua voce era un sussurro ovattato da cui traspariva la disperazione e la speranza, l’illogica attesa e l’assurdo arrabattarsi per cercare di riportarmi a sé. Dal suo sguardo mi sommerse la malinconia di cui era stata preda in questi anni e fui io stavolta a sentirmi in colpa. Lo sapevo che lei non avrebbe potuto prevedere la decisione di Jake, né quella di Edward; lo sapevo che in un modo o nell’altro lei mi aveva voluto bene e che non sarebbe stato giusto chiederle di schierarsi contro suo fratello, anche se lui era palesemente in torto. E sapevo anche che Cecily me l’aveva ricordata per tanti anni, per ogni risata assordante e cristallina che era uscita dalle sue labbra. Era strano come solo adesso fosse tutto dannatamente chiaro.
“D’accordo” convenni sommessamente. I miei occhi blu incontrarono i suoi con un’espressione di inevitabile impotenza. “Però devi promettermi che quando vorrò andare, me lo lascerai fare”.
I suoi occhi si spalancarono come un fiore al mattino e mi mostrarono tutto l’immenso topazio a cui non ero più abituata.
Ma prima che lei potesse gioire esageratamente alzai il dito e dissi:“Un’altra cosa. Io lavorerò e non voglio un quattrino da te. Ok?”.
Arricciò le labbra, come una bambina viziata. “Ma così non potremo più fare lo shopping di una volta!”.
Scrollai le spalle.
“Uffa! Però ogni tanto mi accompagnerai a fare un giro per negozi e mi consiglierai, vero?”.
“Non sarà un problema” precisai. Alice mi fissò con un’espressione maligna e intravidi le sue malefiche intenzioni. Fare shopping anche per me con la sua preziosa Mastercard Oro; ma lei non immaginava che glielo avrei impedito ad ogni costo.
“E’ fantastico! Che bello, finalmente torni a casa! Jasper ne sarà felicissimo!” dondolò sui piedi, battendo le mani. Poi con un balzo velocissimo mi si buttò addosso, stringendomi forte.
Era da così tanto tempo che non venivo abbracciata che ne fui smarrita. Alice aveva sempre mostrato atteggiamenti affettuosi e ora non sapevo cosa fare. Ero in confusione: non sapevo se volessi abbracciarla o meno, se avessi davvero perdonato. Alzai meccanicamente le braccia ma mi bloccai quando le sfiorai la schiena. L’ultima persona che avevo abbracciato eri stato tu… Le braccia tornarono al loro posto. Avevo impiegato decenni ad imparare a dimostrare affetto al di fuori di un rapporto sessuale e quello che avevo imparato l’avevo distrutto in pochi anni. Alice alzò il viso, per nulla scoraggiata.
“Non importa. So che è troppo presto ma sono sicura che fra qualche mese tornerà tutto come prima”.
Le sorrisi per non rovinare il suo sogno, ma niente sarebbe più stato come prima.
“Andiamo a casa. Jasper sta aspettando il mio rientro…” reclamò con frenesia. Mi afferrò la mano che sgusciò, scivolosa, fra le sue dita.
“Ho bisogno di un altro po’ di tempo. Vorrei restare qui fino al tramonto…” spiegai con espressione pigra.
“Ok, non c’è problema”.
“Da sola” precisai.
“Certo” sospirò pazientemente la solita Alice, già desiderosa di viziarmi come un tempo. Tutti lo avevano sempre fatto, a parte Edward e Jacob. I miei capricci adesso non avevano più la priorità e presto anche lei se ne sarebbe accorta. Non ero più la stessa e il nostro rapporto ne avrebbe risentito ma volevo che le restasse un ultimo ricordo piacevole di noi due.
“Ok, allora vado a fare un giro a Port Angeles per negozi, poi verso sera torno. Non fare scherzi perché tanto ti controllo e…” allungò una mano verso la mia borsa. “Dammi la cioccolata, per favore”.
“Non ti fidi proprio, eh?”.
Alice scosse la testa, reticente, e rimase con la mano a mezz’aria in attesa. Aprii la borsa e le allungai la stecca di cioccolata. Alice me la strappò di mano, con un’occhiata furente mista a scetticismo. “Ci vediamo tra qualche ora” chiarì e la vidi sparire tra le ombre, stringendo ciò che mi avrebbe aiutato a raggiungerti.
Mi sedetti in attesa del crepuscolo. Alice era sparita e sarebbe tornata di lì a due-tre ore. Avevamo ancora un po’ di tempo per noi, per stare insieme. Avevo promesso che saremmo stati una cosa sola stasera ma il caso, se così si poteva definirlo, aveva mischiato le carte. Non mi aspettavo di rivedere Alice e non potevo negare che quest’incontro mi avesse riempito di un’illeggibile serenità. Perché, sì lei…
Non volevo dirlo né tanto meno pensarlo, ma per quanto tentassi di non formulare la parola e il concetto, le sillabe mi sfuggivano come piume leggere… mi era mancata… L’avevo pensato e non mi sentivo colpevole. Alice era mia sorella e non mi avrebbe mai fatto del male, né volontariamente, né involontariamente. In questi 50 anni avevo riversato su di lei parte del mio rancore, soltanto perché dovevo odiare qualcuno, non potevano non esserci colpevoli di quello che era successo. Qualcuno aveva sbagliato e qualcuno avrebbe pagato. Ma non Alice. Osservai il sole scendere gradualmente verso l’oceano.
Ho ceduto e solo adesso mi rendo conto che avevi ragione anche su questo: gli esseri umani non sono fatti per stare soli e ho bisogno anch’io di una casa. Una casa dove tornare e trovare una persona a cui voglio bene. Mia sorella.
E Jasper… con le sue espressioni allibite e po’ folli. Così taciturno e razionale. Anche i suoi delicati silenzi mi erano mancati. Uno sguardo capace di sedare ogni malumore. O quasi…
Accarezzai il braccialetto. Bella… Eri mancato anche a lei e questo mi aveva convinto ulteriormente. Qualcuno mi avrebbe capita, avrebbe intuito perché non ti avevo mai sostituito. Sospirai, ricordando i pomeriggi trascorsi subito dopo l’imprinting a parlare con lei di te e di tutti gli aneddoti che io non conoscevo e che ti rendevano più vicino. Loro avevano reso la nostra lontananza forzata un po’ più sopportabile. Con Bella avrei potuto parlare di nuovo di te e, anche se non le avrei mai raccontato che cosa avevo provato in questo periodo, ricordare episodi della tua vita mi avrebbe donato altra compagnia. Sì, il ritorno all’interno di quella che per quasi un secolo avevo definito “famiglia” forse non sarebbe stato male. Restava un unico problema.
“Se lo ami tanto, allora stai con lui e sappi che il giorno in cui avrà l’imprinting io sarò al tuo fianco per aiutarti. Non sarai sola. Alice ed io ci saremo sempre…”: questo mi aveva detto quella sera, subito dopo la morte di Esme. Non potevo negare che avesse cercato di aiutarmi, che non avesse fatto di tutto per farci stare insieme, ma alla fine aveva ceduto. Secondo Alice, per eccesso di affetto nei miei confronti, ma io non potevo perdonarlo. Lo avevo già fatto una volta ed ecco il risultato. Non dovevo più permettergli di ferirmi, ma avrebbe potuto farmi più male di ciò che aveva già fatto? No, non più. Piantai le unghie nella roccia e socchiusi gli occhi mentre cercavo di imprigionare gli ultimi raggi di un sole, quasi soffocato dall’orizzonte. Non avevo la più pallida idea di come avrei reagito se me lo fossi trovato davanti. Forse avrei tentato di ucciderlo, forse gli avrei semplicemente voltato le spalle e lo avrei ignorato, o forse avrei pianto. Quest’ultima ipotesi era quella che mi spaventava maggiormente perché avrebbe significato essere ancora schiava del suo tradimento e non volevo che lui esercitasse alcun tipo di influenza su di me. In alcuni pomeriggi, avevo sentito un gonfiore al petto e sapevo che non era a causa di Jake, ma per qualcuno, amato in maniera meno assoluta, ma ugualmente profonda, che non era vicino a me e mi aveva ingannato. Non avevo mai pensato chi potesse essere, anzi mi ero rifiutata di pormi la domanda, ma ero giunta al capolinea.
No! Alice mi aveva promesso che avrebbe fatto di tutto per non farlo avvicinare a me e di lei potevo fidarmi. Non mi avrebbe più tradita, ma forse sarei stata io a tradire me stessa e il mio desiderio di vendetta.
L’oceano brillava come se dall’acqua emergessero mille diamanti; i gabbiani appoggiati sugli scogli sottostanti aspettavano di intravedere qualche pesce a pelo dell’acqua; il rumore dell’infrangersi delle onde sulla parete rocciosa mitigava la caotica danza dei miei sentimenti e pian piano li sentivo spegnersi. Tutte le nazioni in cui ero stata e i paesaggi, per quanto mille volte più affascinanti e seducenti, non potevano competere con la pace di quel posto. Se non avessi sentito dolore per la tua mancanza, avrei quasi potuto affondare nel torpore ma quella piccola ferita che bruciava sempre non mi aveva mai abbandonata. Perché rimpiangerla? Perché soffocarla quando era lei a farmi sentire viva?
Inspiegabilmente sorrisi.
Non ho mai parlato di te con nessuno, perché se lo avessi fatto saresti stato meno mio e non volevo perderti un’altra volta, altrimenti sarei impazzita. E a volte mi domandavo se non lo fossi davvero, se l’orologio che regolava la mia esistenza non si fosse definitivamente inceppato quella notte con Royce. Ma quando toccavo il bracciale, mi rispondevo di no, che tu eri esistito davvero e che era questo dolore a tenermi in vita, a rinnovare l’istinto di continuare a vivere.
A volte mi sento soffocata dai sensi di colpa. Perché se quel giorno mi fossi fermata, se fossi tornata indietro, se avessi represso il sentimento che mi comandava di stare con te, forse adesso saremmo insieme su questa rupe. Che però non è larga dieci metri e quindi in un modo o nell’altro sarei stata ugualmente sola.
Forse avrei dovuto suicidarmi quel giorno ma non l’ho fatto. Mi ha fermata la tua promessa e la voglia di realizzare il mio desiderio di essere umano per dimostrarti che potevo farcela, che volevo farcela. E a modo mio ce l’ho fatta. Ho lavorato, faticato, viaggiato, avuto un animale, sono stata sotto il sole, mi sono liberata di tutte le comode verità di cui mi ero circondata e sono stata, finalmente posso dirlo, umana. Non ce l’avrei mai fatta senza di te. E ora il mio unico sogno sarebbe che il libro si chiuda. Voglio credere che l’ultima pagina sia fra le tue braccia. Ma devo posticiparlo di qualche mese per accontentare Alice.
Mi alzai a sedere di scatto, come se avessi sentito un movimento. Girandomi, notai l’immobile desolazione di quel posto e rincuorai me stessa: nessuno avrebbe scoperto l’esistenza dei vampiri, nemmeno oggi. Mi abbracciai le ginocchia e guardai laggiù, oltre l’orizzonte, oltre tutto quello che c’era rimasto di me. Ed eri tu.
La verità è che sono stanca, terribilmente stanca. E impaurita. Non ne posso più di questa condizione. Non di quella che mi ha spinto lontano da tutti, ma di quella che mi ha imposto il mio cuore.
I nostri ricordi, come piccoli microbi, mi infettavano la testa e, quando li lasciavo liberi di uscire, a volte fantasticavo che le cose fossero andate diversamente, che fossimo insieme e allora mi guardavo intorno ridendo e urlando la mia gioia; a volte invece c’erano giorni in cui il mio mondo diventava un semplice prolungamento di quello che eravamo. Dieci metri di distanza e sguardi inquieti. Senza toccarti, senza più guardarti, lasciandomi desiderare solo la tua mano calda sulla guancia, che non arrivava mai. Questo era il mio incubo peggiore.
A volte mi sento così marcia, inutile e patetica che mi chiedo che cosa tu abbia visto di bello in me. E a volte penso che ti avrei perso comunque, in una lunga eternità. Sì, l’imprinting era eterno ma in noi due era tutto così folle che non si poteva credere durasse in eterno. E proprio perché era folle ci credevo. Anche tu credevi che fosse eterno, vero?
Alzai lo sguardo perché se da una parte l’orizzonte bruciava, dall’altra macchie di inchiostro versato si apprestavano a inondare il cielo. Un piccolo quarto di luna era già sorto, accomodandosi alle mie spalle, come per prendermi in giro. Sole e luna contemporaneamente, ecco l’unico momento della giornata, insieme alle prime luci dell’alba, in cui potevano stare insieme. In cui potevamo stare insieme.
Chiusi gli occhi, accarezzando il braccialetto.
Quell’anno trascorso a guardarti da 10 metri è stato orribile e contemporaneamente il più bello della mia vita. Anche il dolore è servito a esplorare la parte di me che non conoscevo. La sofferenza è una parte dell’umanità e grazie a questo so di avere vissuto intensamente. Non voglio illudermi che una vita di serenità valga quanto un attimo di felicità perché non è ciò che credo. Quei pochi mesi in cui siamo stati insieme valgono mille volte più di un’eterna giovinezza e mi sei mancato. Ogni istante. Anche con Emmett sono stata felice ma mai così completa come con te. Mi hai fatto provare tutti i sentimenti che possa descrivere: un’infinita tavolozza in cui sapevo dare un nome ad ogni sfumatura differente. Paura, rabbia, delusione, insicurezza, fragilità, tenerezza, dolcezza, passione. Questi e tanti altri. Sono loro che mi hanno accompagnato insieme alla consapevolezza che tu avessi scoperto una parte di me che mi piaceva molto di più di quella insulsa e viziata ragazzina dell’alta borghesia.
Mi potrai perdonare, se ritarderò di qualche mese? Non so quanto resisterò lontana da te, ma voglio recuperare un po’ di tempo perso. Usando il contatore immaginario e partendo dai 19 anni che avevamo festeggiato insieme, oggi avrei 71 anni. Quanto vive un umano di questi tempi? Non importa. Non starò via per molto. Presto la tua pelle accarezzerà ancora la mia e la tua voce, quella che non ha mai smesso di sussurrarmi all’orecchio, tornerà a scivolare sul mio viso. Mi piace pensare che nonostante tutto, noi abbiamo vinto, che un vampiro e un licantropo hanno vinto, che pallide leggi di natura non sono riuscite a piegarci. Che fossimo più forti noi. Sì, perché non ci siamo mai separati.
Sorrisi malinconica. Stavo per scoppiare a piangere, come accadeva ogni volta che pensavo a lui. Stavo cambiando idea. La deliziosa fantasia di una cena a base di carne, difficilmente digeribile per noi vampiri, stava combattendo con il desiderio di tornare a vivere con Alice e Jasper. Non potevo aspettare perché sapevo che quest’ultimo avrebbe perso.
“Vienimi a prendere, Alice!” decisi, prima ancora di sentire il cuore lamentarsi della tua assenza e di quello che mi ero ripromessa di fare tornando a La Push. Ecco fatto, Alice doveva aver avvertito la mia decisione e sarebbe tornata a prendermi. Port Angeles non era lontana. Potevo attendere e godermi il tramonto.
Immobile, mi sforzai di non pensare più a niente che non fossero mia sorella e Jasper. Chissà se sarei mai riuscita ad abbracciarla come avevo fatto per alcuni mesi. Speravo di sì. All’inizio sarebbe stato difficile, ma non potevo aver disimparato ciò che mi avevi insegnato. L’avevo soltanto sepolto con cura e avrei cercato con tutte le mie forze di ritrovarlo.
Quando alcuni passi delicati scivolarono dietro di me come un tappeto, seppi che Alice era arrivata. Mi alzai e incrociai il suo sorriso raggiante. Mi fece cenno di raggiungerla. Guardai l’oceano ancora una volta poi mi incamminai verso di lei.
Il sole e la luna sono separati da un destino crudele ma un giorno sarà l’alba per sempre.

 
 
 
“Per quelli che credono nell’amore eterno, nessuna spiegazione è necessaria;
per quelli che non ci credono, nessuna spiegazione è plausibile”
dal film “Al di là dei sogni” di Vincent Ward


 
 
La fanfiction è finita. Il finale l'ho lasciato volutamente un po' aperto: Rosalie riuscirà a perdonare Edward (io spero di sì)? Rimanderà il suo riavvicinamento a Jacob (su questo non mi esprimo)? Al cuore delle lettrici la decisione.
Innanzitutto ringrazio quelle che hanno messo la storia tra le preferite, le ricordate e le seguite. E soprattutto ringrazio Rosalie and Jacob 4ever, seira73anitablake82, sirIrving, Rebyseby, Ofelia_Elsinore, Saratze, LauGelso, Bells85, Giulia99FlorFedeCullen, Mari_Black61, LaylaLaRed, SteffyBlack, Ros_ per le recensioni: grazie ragazze!!!
Ho cercato di infondere tutta me stessa in questa fanfiction, che spero, nonostante il finale un pochino deprimente (passatemi l’eufemismo), sia piaciuta e nel caso qualcuna di voi volesse darle un suo finale alternativo, beh, può farlo ma soprattutto avvertitemi perché sarei molto curiosa di sapere come l’avreste terminata voi.
Un ultimo saluto a Rosalie, Jacob, Bella ed Edward: mi avete tenuto tanta compagnia e non potrò mai sdebitarmi degnamente. Ma adesso si volta pagina. Sto scrivendo un originale e chissà che fra qualche settimana non decida di postarla su EFP.
Un ultimo bacione affettuoso a tutte le mie lettrici.
Ven.

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