Life Note

di Hiroponchi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 8 ***
Capitolo 9: *** 9 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


Quando Light aprì gli occhi, si ritrovò in un luogo a lui sconosciuto. Una parte di sé sapeva dove si trovasse ma l’altra gli faceva sentire solo una terribile oppressione. Tentò di muoversi ma gli fu impossibile. Fili e fili gli ricoprivano le braccia. Un ago era infilato dolorosamente nel gomito sinistro. Aveva le gambe indolenzite, come se non si muovessero da secoli. E la testa, ah, se gli faceva male! Sentiva che gli fosse scoppiata una bomba ad orologeria nel torace, e forse, stando agli ultimi ricordi, era proprio così. Ryuk aveva scritto il suo nome in quel terribile quaderno nero; Matsuda gli aveva sparato; i sintomi dell’arresto cardiaco, ricordava, erano arrivati man mano che il tempo imposto dal quaderno scorreva. Ricordava di esser svenuto, di aver creduto di esser morto, e gli era comparsa una figura. Misteriosa, strana, inclassificabile. Non sapeva se L fosse amico o nemico, quel strano ragazzo dalla schiena incurvata in avanti. Ma, sbattè gli occhi, chi era questo L? E Ryuk, addirittura? Perché il sottoposto di suo padre avrebbe dovuto sparargli? Sarà stato un sogno, si disse, un lurido sogno. Poi si ricordò che suo padre era morto e gli venne in mente che non aveva sognato. Era stato lui stesso a uccidere quell’uomo che un tempo aveva chiamato papà senza loschi fini. Con gli occhi pieni di lacrime, sentì aprirsi una porta.
“Oh mio dio, ma sei sveglio!”, gridò una graziosa infermiera dall’aria stanca e i capelli tirati. “Chiamo il medico”.
“No, aspetta”, gridò Light, con la voce bloccata in gola. “Dove mi trovo? Chi sei tu?”.
“Sono Fumio, la tua infermiera. Ti ho assistito per due mesi, sai? Non ti svegliavi più”, girò un foglio della cartellina che teneva in mano, poi lo fissò con occhi teneri. “E’ stato un brutto infarto, Light-kun. Ma l’importante è che hai aperto gli occhi. Chiamo il dottore”.
La donna uscì e Light rimase con i suoi pensieri. Il suo nome giaceva ancora scritto nel quaderno di Ryuk. Com’era possibile che un simile medico, un comune umano, avesse potuto salvarlo? Forse, perché, lui era Kira?
L’infermiera Fumio rientrò col medico, un uomo baffuto che sembrava un agente dell’FBI. Controllò ogni cosa con aria bonaria, permettendosi di canticchiare. Se solo avesse saputo di aver curato il più potente assassino di tutti i tempi, forse gli avrebbe tagliato la gola con le sue stesse mani. “C’è silenzio”, disse Light, mentre l’uomo gli faceva un elettrocardiogramma.
“Ci siamo solo noi qui”, rispose il dottore, controllando il monitor. “E un’altra paziente. L’ospedale si trasferisce in un’altra zona, fuori dal Kanto. Siamo stufi di ricorrere le vittime di Kira che muoiono sotto i nostri occhi prima che possiamo fare alcunchè”.
Light guardò fuori dalla finestra. Non era stato un sogno. Ma, senza quaderno, lui non era più nessuno. Kira non esisteva più.
“Perché noi siamo rimasti?”.
“Siete casi troppo particolari per spostarvi. Tu eri in coma da mesi, la ragazza non ricorda nemmeno chi è. Si è affezionata alla sua camera. Abbiamo deciso di rimanere qui, io e Fumio-san”.
“Non ricorda chi è?”, chiese Light, interessato. “Non avrà i capelli biondi?”.
“Strano per una giapponese, eh? Eppure non sono tinti”.
Col cuore in gola, Light non fece più domande. Aspettò di potersi strappare i fili dal torace e si rimise la maglia del pigiama. Calò la sera e Fumio smise di venire a chiacchierare. Il medico era tornato a casa per un riposo e nell’ospedale sembrava passata l’ombra del silenzio più assurda. Sul davanzale della sua camera non c’erano fiori. Capì che sua madre e sua sorella erano state allontanate dal figlio omicida e si chiese quale fosse stata la loro reazione. Si alzò a fatica, col petto dolorante ad ogni respiro. Si appoggiò ad una stampella e uscì dalla camera. C’era buio, se non per qualche luce al neon. Fumio era al banco informazioni, rivolta di spalle a guardare una telenovela in tv. Light proseguì cercando di far piano. Misa era lì, era sicuro che fosse lei, e doveva vederla. Oh, Misa…
Da una stanza in fondo alla corsia, proveniva una luce fioca. Una dolce voce canticchiava un motivetto non conosciuto. Come le note di un pianoforte buttate a caso. Tamburellò sulla porta e la ragazza che stava cambiando l’acqua ai fiori, si voltò. Era proprio lei ma, senza la bellezza di un tempo. Misa era sciupata, magra, i capelli lisci ma sbiaditi. Senza i vestiti neri, ma con la lunga camicia da notte, sembrava il fantasma di una ragazza morta. Aveva il viso, un tempo molto truccato, tumefatto di lividi.
“Sei il ragazzo in coma?”, chiese euforica. “Ti sei svegliato o ti vedo per magia?”.
“Mi sono svegliato”, le rispose in un brusio.
“Oh, che bello”. Tornò a sistemare i fiori, poi li annusò. “Le margherite mi danno pace. E anche le rose. Tu ne hai in camera tua?”.
Light scosse il capo. “Che hai fatto al viso?”.
Misa si toccò una guancia, poi sorrise con l’aria di una ragazzina, quella sempre avuta. “Ho tentato il suicidio. Mi sono gettata da un palazzo. Ma non sono morta!”.
“E… perché ci hai provato?”.
Light si appoggiò alla porta, tremando. C’era troppo acqua sotto i ponti, troppe cose successe, e lei non ricordava nulla. Aveva dimezzato la sua vita per ben due volte, per poter fare lo scambio degli occhi, e alla fine aveva perso per la seconda volta la memoria. Le mancava pochissimo da vivere. La salute le sarebbe scivolata via di colpo, senza pronunciare sintomi evidenti. E la morte l’avrebbe accolta tra le braccia. Un destino crudele, che non ricordava di aver scelto. Non riconosceva neppure il volto che aveva dinanzi, il volto che aveva amato così tanto da rinunciare a sé stessa.
“Perché sentivo che fosse successo qualcosa ma… non sapevo cosa”, si rabbuiò, poi si sedette sul letto come una principessa sul trono. “Mi chiamo Misa Amane, te?”.
“Light Yagami”, le mormorò, col cuore a pezzi.
I grandi occhi di Misa si allargarono. “Sicuro di non esserci mai incontrati?”.
“Mai”, le sussurrò.
“Allora ci saremmo incontrati in qualche sogno”, Misa sorrise radiosa. Sorrideva perché non sapeva di dover morire, sorrideva nonostante i lividi che le rovinavano il volto. “Vorrei fare l’attrice un giorno”.
Lui la guardò in silenzio. Ricordò che lei aveva sempre avuto premure nei suoi confronti e lui, al contrario, non aveva mai ricambiato. La vide stendersi sul letto e chiudere gli occhi sopra le mani congiunte. I capelli dorati invadevano il cuscino bianco. Capì che doveva iniziare a prendersi cura di lei, a darle un ultimo pezzo di felicità. Si avvicinò zoppicando sulla stampella e le rimboccò le coperte. “Non vorrai prendere un raffreddore, eh, Misa-chan?”.
“Grazie”, rispose lei, con un sorriso e un’occhiata piena di sonno. “Buonanotte, Light”.
“Buonanotte”, disse lui, con l’amaro in bocca. “Misa….”
 

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Capitolo 2
*** 2 ***


Quando fu dimesso dall’ospedale, Light decise di lasciar perdere la Todai. Voleva dedicare la sua vita a Misa e a costruirsi una vita propria, una vita vera. Misa era stata congedata dall’ospedale qualche giorno dopo, con la raccomandazione di presentarsi in psicoanalisi ogni venerdì. Ogni tanto aveva ancora qualche crisi isterica, dovuta agli stracci di ricordi che le disturbavano il sonno, ma tornò felice nella sua casetta. “Dove vivi?”, aveva chiesto a Light, mentre erano seduti nella sala attesa dell’igiene mentale.
“Non vivo”, rispose Light e sentiva che fosse una risposta sincera. Ma la cambiò frettolosamente in “Non ho una casa. Ho litigato con la mia famiglia e sono per strada”.
Lei gli strinse la mano con affetto, come faceva un tempo, e gli fece gli occhi dolci come quando aveva in mente qualcosa di carino. Poi l’infermiera chiamò “Amane” e lei sparì prima di poter parlare. Rimase seduto sulla poltrona di plastica ad attenderla per forse un’ora o di più, o di meno. Sentiva forti sentimenti per Misa. Contrastanti tra loro, anche. Rimorso, pentimento, affetto. Ne fuoriusciva un miscuglio doloroso che gli torceva le budella. Non sapeva che fare, né cosa dire. Se solo Misa ricordasse cosa avevano condiviso e cosa avevano passato. Forse lo avrebbe scacciato o preso a schiaffi. Se solo lei si fosse ribellata di fare ogni cosa lui le ordinasse, non sarebbe così vicina alla morte ora. Il mondo non era cambiato, come avevano sperato. Avevano solo distrutto vite e famiglie. E la colpa era solo di Light, che aveva spinto Misa incontro alla morte. Lei tornò nel bel mezzo dei suoi pensieri, col vestito bianco che ondeggiava al ritmo dei passi e i sandali luccicanti sotto la luce.
“Ha detto che sto meglio”, esultò, prendendolo sottobraccio. “E tu verrai a vivere da me, sei felice? Staremo bene! E poi ho bisogno di compagnia. Tu no?”.
Light la guardò negli occhi e rivide la donna dark che, col fare da bambina, gli aveva sussurrato voglio più bene a te che al mondo. Qualcosa nello stomaco gli si mosse ed ebbe la voglia di prendersi a schiaffi, ora che tutto era finito. “Si”, le rispose. “Non sai quanta voglia ho di stare con te”, le disse. “Misa!”.
*
“Venga”, disse Light con gentilezza, precedendo la donna di qualche passo. Sull’uscio di casa si tolsero le scarpe, lui con foga e rapidità, la donna con eleganza. “Misa”, chiamò ad alta voce. “Le dico che non vi deluderà”, aggiunse rivolto all’ospite.
Misa arrivò di corsa, con un mestolo tra le mani, e rimase sorpresa nel vedere che Light non fosse solo. “Chi è la signora?”, chiese.
“E’ Ishida-san. Un agente di moda”.
“Oh”, esclamò lei un po’ preoccupata, un po’ sorpresa.
“Ciao Misa”, la donna le strinse la mano con fare delicato, sembrava doversi rivolgersi ad un invalida. “Il tuo amico, Yagami-kun, mi ha chiesto di venirti a conoscere. So che vuoi sfondare nella moda, nel mondo dello spettacolo. E devo dire sei una bella ragazza”.
In silenzio, Misa precedette Ishida-san in salotto, dove ella si accomodò su una poltrona bianca. Nell’appartamento entrava la luce. Il quadro della madonna era stato spostato dalla camera da letto al posto d’onore sopra il caminetto. Parecchi fiori di ogni specie facevano capolino su mensole e tavolini, colorando l’arredamento. Molte cose erano state buttate, con la scusa di far posto a Light. Scatoloni pieni di strani peluche, strane videocassette con voce robotica che Misa non ricordava di aver registrato, e profumati vestiti gotici. Misa non voleva più essere una gothic lolita ed espresse il desiderio di non voler vedere quei vestiti.
“Hai già avuto incontri del genere?”, cominciò a chiedere Ishida, con la sua voce formale, come quelle che ti rispondono ai centralini.
“No, io…” Misa scosse il capo con aria confusa. Light capì che stava in subbuglio, così le strinse la mano. “Non lo ricordo. Soffro di amnesia”.
La donna guardò Light. “Non lo sapevo, mi spiace. È per via di un incidente?”.
“Si. Un incidente d’auto”.
Light sobbalzò. Guardò Misa sistemarsi una ciocca di capelli dietro l’orecchio, scoprendo la guancia arrossata. Si vergognava di ammettere di aver tentato il suicidio e poteva capirla ma c’era il fatto che a lui lo aveva detto così spontaneamente, quella sera in ospedale. Forse in Misa regnava ancora un’attrazione sconosciuta e infondata nei suoi riguardi. Dopotutto lo Shinigami Rem una volta aveva detto che i sentimenti d’amore per Light Yagami non sarebbero mai andati via con la perdita della memoria. Trasse un sospiro, e intrecciò le sue dita a quelle di lei che rabbrividì e ricambiò la stretta.
“E quei lividi…? Oh mio dio, non è il volto di una modella anche se con un fondotinta coprente, magari, riusciremo a metterti al meglio e…”.
“Vada via”, Misa era balzata in piedi, con il viso pieno di lacrime. “Se ne vada subito, mi lasci in pace”. Corse verso la camera da letto ma inciampò e cadde, rimanendo lì a piangere nel groviglio di veli rosa del suo vestito. Sembrava uno splendido uccello rinchiuso in gabbia. Light si alzò e strinse la mano di Ishida-san.
“Mi scusi, ha avuto una crisi”.
“No, sono stata io ad essere troppo invadente. Ho fatto troppe domande. È una bella ragazza, quindi ritenteremo più in là. Questo è il mio biglietto da visita”. La donna si sistemò la giacca e, infilatosi le scarpe, andò via. Appena fu rimasto avvolto dal silenzio, ed ebbe sentito i tacchi dell’agente allontanarsi, Light si precipitò ad abbracciare Misa. “Va tutto bene, tranquilla”, la rasserenò. “E’ andata via. Perdonami, volevo realizzare il tuo sogno”.
Misa si aggrappò a lui, e gli bagnò il collo di lacrime. “Tu non centri. Io… io ho avuto paura… mi vergogno… guardami, Light… guardami”.
Gli prese il viso e lo costrinse a guardarla. Lividi viola le coprivano il lato sinistro del viso, dalla tempia alla punta del mento. “Cosa sono? Un m…mostro”.
Il cuore di Light iniziò a battere in modo anormale. La guardò negli occhi e le pronunciò le parole che non le aveva detto mai. “Sei bellissima”. L’abbracciò prima che potesse replicare e pianse con lei. “Shh, va tutto bene”.
Quando si fu calmata, Light le preparò una calda camomilla e la convinse a farsi una dormitina. Il torace gli faceva ancora male. Sprofondò sul divano con aria assonnata e guardò il sole tramontare oltre le alte finestre. Andò a chiudere le tende e accese la tv. Il telegiornale parlava del corpo di Kyomi Takada trovato bruciato e dell’ascesa al potere di un certo N. Light seguì attentamente il telegiornale, senza accorgersi di aver il viso rigato di lacrime. Quanta gente aveva ucciso? Non solo criminali ma persino gente innocente. Suo padre. Mello. Takada. Per non parlare di L. Pianse tra le mani, maledicendo il mostro che era diventato per pura noia. La vita è ingiusta, il mondo fa schifo. La gente fa schifo. Ma non aveva realizzato il suo desiderio di ripulire il mondo, aveva solo dato il via ad una guerra persa in partenza. Come si era potuto fidare di Ryuk, un Dio della Morte? Se solo ora ci pensava, come aveva potuto anche solo tastare l’esistenza di simili creature? Noia. Tutto quanto noia. Ma era finita. E lui doveva farsi una vita. Con Misa, con sé stesso. Doveva trovarsi un lavoro. Ma cosa? Qualcosa che gli piacesse. Ma cosa poteva piacere allo studente migliore di tutto il Giappone ormai decaduto in ogni senso? Aprì la rivista che aveva dinanzi, col desiderio di mettere a tacere la propria coscienza. Uno studio fotografico cercava assistenti. Poteva essere la sua chance. Dopotutto era vicino e la paga era abbastanza per condividere l’appartamento con Misa senza che lei dovesse faticare troppo. Infilò la felpa, mise le scarpe, e uscì senza avvertire. Il tramonto aveva lasciato solo una scia in lontananza, di color arancio, e la sera era calata. Spuntavano le stelle man mano che egli camminava. Lo studio fotografico era ancora aperto ma in fase di chiusura. Sgusciò all’interno e vide una ragazza seduta su una poltrona. Era un bell’ambiente, luminoso e arredato con gusto. “Ciao”, le disse con un breve inchino. “Sono qui per l’incarico”.
“Mmm?”, la ragazza alzò il viso e sobbalzò, come se solo ora si fosse accorta della presenza di un uomo. “L’impiego sul giornale? Allora finalmente qualcuno l’ha letto!”.
“Ehm… sono Yagami. Light Yagami. Vuol dire luce”.
La ragazza si alzò e inclinò il capo di lato. Era più bassa di lui di tutta la testa. Indossava calzoncini, felpa, e scaldamuscoli sulle scarpette basse. I due codini corvini le superavano il sedere. Aveva due occhi a mandorla talmente scuri che facevano da specchio. “Sono Aiko Saitou”, e inchinò il capo. Aprì la zip della sua borsa e tirò fuori la Nikon. “Sai usare un affare del genere, vero?”.
“Mai visto prima d’ora”.
“Porca miseria”.
Light scoppiò a ridere. “Ecco, sono un principiante. Ma ho bisogno di questo lavoro, ti prego, è importante”.
Aiko lo guardò. “E’ il tuo giorno fortunato, pivellino” e gli lanciò la Nikon nelle costole. “Sei assunto! Da domani, qui, alle 17, puntuale”.
Quando tornò a casa, fu ancor più felice di sentire un profumino di cena. Misa aveva arrostito del pollo, mescolato il purè con la philadelphia, e cotto una splendida zuppa di ramen. C’era da sfamare un esercito. “Wow, si mangia!”, urlò Light, facendo volare le scarpe nell’ingresso.
“Ehi, non fare il bambino”, disse lei, togliendosi il grembiule da cuoca. “Mi sono svegliata e non c’eri. Mi sono spaventata. Devo punirti”.
Lui la guardò sorpreso. “E come?”.
“Niente dolce per te, stasera”.
“Cosa? Ma me lo devi”, le corse incontro e l’abbracciò. Lei rimase talmente scioccata che non disse nulla e riuscì a malapena a ricambiarlo. Non aveva mai abbracciato Misa. Erano stati uniti da un destino che prima era sembrato luminoso, poi tetro come l’oltretomba. Lei aveva dimezzato la sua vita, aveva perso la memoria, aveva mentito e lottato. Tutto ciò per l’unico uomo della sua vita, l’uomo che non l’aveva mai guardata. Ma ora la stava guardando. E, scoprì, era bellissima. “Ho trovato un lavoro”, le sussurrò. “Come assistente di un fotografo”.
“Light, è… stupendo”.
Lui annuì. Sciolse l’abbracciò e rimase a carezzarle le spalle nude con le mani. “Come te, sai?”. La baciò. Un bacio stavolta vero. Dolce, esitato, e appassionato. Quando si scostarono, Misa stava piangendo.
“Scusa, è che… ti conosco appena! Ma… è come se ti avessi amato da sempre”.
“Shh! Vieni a mangiare! Apparecchio io”.
C’erano molte stelle quella sera. La luna brillava del suo candore personale. La cena a lume di candela era squisita; ogni pietanza sembrava buona il doppio. Misa continuava a lanciargli occhiate dolci ma era timida e distoglieva subito lo sguardo, scusandosi con un sorriso. Mangiarono chiacchierando, poi Misa disse improvvisamente che stava ricordando qualcosa. Ricordava un nome, disse, un nome strano. Lawliet. A Light andò di traverso la zuppa e per poco non ruppe la ciotola di ceramica. “Stai bene?” gli chiese Misa, accarezzandogli il polso.
“Si, si, bene! Hai detto Lawliet?”.
“Già”, Misa si rabbuiò, gli occhi un po’ nel vuoto. “Non ricordo altro. Forse è una persona che ho conosciuto! È un nome strano, lo ammetto, ma bello. È originale e in qualche modo pieno di vita. Vorrei che…” il suo tono di voce si abbassò e il luccichio del suo sguardo fu illuminato magnificamente dal bagliore delle candele. “Mio figlio, un giorno, si chiamasse così”.
Light rimase con le bacchette a mezz’aria, poi la guardò. “Vuoi un figlio?”.
“Mi piacerebbe”.
Lui si mise soprappensiero. Era troppo per lei una gravidanza. Chissà quanto le rimaneva da vivere! Ma non voleva farsi il conto. Voleva pensare, o forse sperare, che lei rimanesse in vita per sempre. E voleva trattarla come tale, come una persona con migliaia di giorni dinanzi a sé. “Te lo darò”, le rispose con timidezza. Ma era fiero di averlo detto. Era il minimo che potesse fare per una donna che si era sacrificata per lui.
Misa gli prese la mano. “Lo voglio ora”.
Il tragitto fino alla camera da letto era breve ma a Light parve lunghissimo. Non accesero la luce e caddero sul letto. Il cuore di lui batteva troppo forte, così forte, che lei gli posò una mano sul petto. “Va tutto bene”, gli sussurrò. “Sono io”. Gli sfilò la maglietta e si slacciò il reggiseno. “Ti voglio, Light, ti voglio”.
“Tu mi hai sempre desiderato”, sussurrò Light, posandole le mani sui seni. “Ora sono io che voglio te”.
Non sapeva se fosse la cosa giusta, ma la voleva. Lei era tutto ciò che gli restava. La penetrò con dolcezza, cercando di non farle male, e le baciò la pancia, dove presto ci sarebbe stato Lawliet. La strinse forte a sé, godendosi la sua pelle morbida e rimasero in un fascio d’affetto per tutta la notte. Ogni traccia del suo corpo era incisa di serenità, passione, e per la prima volta da quando si era svegliato in ospedale, si sentì bene e felice d’esser vivo. “Sai una cosa, Light?”, sussurrò all’improvviso Misa, disegnandogli un cerchietto col dito intorno al capezzolo. “So che allo studio dove sei andato, lavora una fotografa donna. Devo essere gelosa? Non voglio fare scenate perciò dimmelo tu”.
Lui sorrise, preso alla sprovvista da quella domanda. “Sei tu la mia donna, Misa. Era destino che fosse così”.
 

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Capitolo 3
*** 3 ***


Aiko Saitou era una ragazza vivace, perennemente alla ricerca della felicità. Cercava di trarre emozioni da ogni piccola cosa e spesso tirava fuori un caratterino che più di tutto sembrava una difesa. Mentre lavoravano, lei e Light, gli parlava senza sosta di sé. A Light stava bene, purchè non gli chiedesse cosa avesse fatto negli ultimi tempi. Diceva di aver avuto due delusioni d’amore, di non credere più così tanto a questo sentimento, e di essere un soggetto, come diceva lei, facile ad essere trattato male. Faceva scorazzare Light di qua e di là, mandandolo a prendere obiettivi e paraluci in quanto non sapeva tenere ancora una macchina fotografica in mano. Nelle settimane che seguirono furono impegnati con le foto della maggiore età, festeggiata con il Seijin no Hi, e con le foto di un architetto che aveva avuto un bambino. Light tornava sempre stanco e sudato a casa ma trovava sempre un bagno caldo ad attenderlo e la cena in tavola. Spesso Misa aveva crisi durante il giorno ma evitava di dirglielo anche se lo si capiva dagli occhi cerchiati di rosso. Aveva sempre la forza di amarlo, di farlo stare bene in quella relazione, e di farsi amare a sua volta.
“Domani vengo allo studio fotografico”, disse.
Light la guardò. “Sono nudo”.
“Fa niente”. Misa sorrise e andò ad abbracciarlo mentre egli s’infilava l’accappatoio. “Posso venire?”.
“Cosa devi fare?”.
“Un book. Per Ishida-san. Oggi le ho telefonato e ci siamo accordate”.
“E’ grandioso! E poi i tuoi lividi sono quasi scomparsi”. L’abbracciò e, con quei collant rossi, desiderava tanto toccarle il sedere. Ma, nonostante i precedenti, aveva comunque la sua ferrea educazione giapponese e così non lo fece. Si era promesso di farlo solo a letto, quando lei gli diceva di voler fare l’amore.
“Ishida-san ha un collega. Un certo tipo che sembra losco. Ma è una brava persona. Si chiama Ito-san”.
“Mmm”, Light assunse un’aria birichina. “Non voglio fare scenate quindi dimmelo tu. Devo essere geloso?”.
Lei scoppiò a ridere e lo abbracciò. “L’unico uomo che possa amare sei tu, sai?”.
“Già. Lo so”.
*
“Quindi oggi arriverà Amane-chan”, disse Aiko con aria non troppo contenta, stressata dal lavoro. “Sarà l’ultimo book del mese, quindi dobbiamo darci dentro. Sei un tipo come tutti gli altri, se ti scegli una modella”.
Light la guardò raccogliere i lunghi capelli in due codini. “Che vuoi dire?”.
“Uno di quelli che guardano solo le tettone, e lasciano perdere chi sa amare davvero solo perché non si trucca o non è mai in vista”.
Light abbozzò una risatina. “Misa è speciale. E poi se parli di te, posso garantirti che sei molto carina, Aiko-chan!”. Le strizzò l’occhiolino ed andò a sistemare la digitale sul cavalletto. Aiko restò impalata a guardarlo, col cuore che batteva e le guance improvvisamente tinte di rosso. Ma non ci fu tempo per parlare perché Ishida aveva appena bussato, accompagnata da Misa e un uomo che doveva essere Ito.
“Salve”, salutò la donna, precedendo la sua modella e il collega. Ito-san, notò Light, era un uomo molto affascinante. Alto e magro, con spalle larghe e viso senza barba; ma aveva negli occhi una luce che si avvicinava alla parola ‘losco’ usata da Misa. Lei, poi, era bellissima. Timida nel suo giacchino rosa, con i capelli tirati a coda di cavallo e i tacchi alti del medesimo colore.
“Ciao”, salutò Light in un sussurro. Lui le stampò un bacio, seguito dall’occhio vigile di Aiko che teneva una conversazione con Ishida.
Misa iniziò le foto qualche istante dopo. Light si occupava più che altro di controllare la luce e il computer, dove apparivano man mano gli scatti. Aiko non sembrava entusiasta come sempre quando lavorava, ma diceva a Misa come mettersi per far risaltare i suoi lineamenti. “E quelli cosa sono?”, urlò senza contegno. Misa si coprì la guancia ancora violacea e i suoi occhi si riempirono di lacrime.
“Faccia il suo lavoro”, sbraitò Ito con voce seria.
Aiko ammutolì ma ormai Misa non era più dell’umore adatto. Le ultime foto vennero cupe, come se la modella avesse indossato un invisibile velo nero sul volto. Poi, dopo un’altra mezz’ora, Ito propose di ritornare all’agenzia di moda per proporre il book ad uno spot pubblicitario. “Andiamo, cara. Il taxi è qui fuori”, gridò in tono felice la spensierata Ishida, mentre raccoglieva cappotti e borse.
“Ti aspetto a casa, va avanti”, sussurrò dolcemente Light, ricevendo un triste sorriso in cambio.
“Potevi andare anche tu”, constatò Aiko, quando si accorse che ora era. “Devo chiudere lo studio!”.
“Ti va di fare due passi?”.
Il tramonto illuminava Tokyo di quel candore aranciastro che sfidava il nero. La città sembrava assonnata ma continuava col suo ritmo giornaliero. Tokyo non dormiva mai, neppure sotto un cielo del genere. I passi di Light erano sincronizzati a quelli di Aiko, e il silenzio pure. Arrivarono ad un parco giochi deserto e vi entrarono quasi meccanicamente. Lei aveva la Nikon appesa al collo, sembrava la sua unica amica, l’unico oggetto al quale aggrapparsi. Si arrampicarono sulla scala dello scivolo e si sedettero l’uno vicino all’altro. Lei alzò l’obiettivo e fotografò il tramonto vicino come un dipinto. “Sai perché mi piace la fotografia? Perché ferma gli attimi. Sia quelli brutti sia quelli belli, e li trasforma in ricordi”.
Light la guardò dondolare i piedi. Aveva indossato degli scaldamuscoli rosa sulle ballerine e i suoi capelli sembravano quelli di Raperonzolo, se non per il colore.
“Metti troppo te stessa in una macchina fotografica. Vivi un po’ di più”, le consigliò a fin di bene. La sua voce era calma e le faceva tingere le guance di rosso come se la oltrepassasse a ondate.
“Lei è l’unica che non mi ferisce. Te l’ho detto, no? Sono un soggetto facile ad essere trattato male”.
Lui si diede una spinta, scivolò lungo lo scivolo, e atterrò con i piedi nel terreno fangoso. “Questo è quello che vuoi credere!”, le disse, dandole le spalle. “Ma se guardi ciò che ti è vicino, e non il mondo intero che è troppo vasto, vedrai che ci sarà qualcuno disposto ad amarti”.
Sentii che anche lei si stava lanciando e gli arrivò alle spalle prima che potesse rendersene conto. Gli cinse il collo con le braccia, con le orbite piene di lacrime, e gli disse “Tu mi piaci, Light”.
Lui rimase impalato, impotente. “Perché?”.
“Perché sei l’unico essere vivente che mi dice che sono carina”.
Light abbozzò un sorriso. “Solo per questo?”.
Aiko avrebbe voluto dirgli mille parole ma non c’era la forza di parlare. Egli si alzò, liberandosi della sua morsa, e senza voltarsi si incamminò verso casa, sentendosi in qualche modo legato a quel parco giochi, come se parte della sua ombra fosse rimasta attaccata lì, incapace di seguirlo.
*
“Su”, le disse con fare triste. “E’ andata bene”.
Misa piangeva stretta a lui, con le spalle tremolanti. “Sono venuta bruttissima in quelle foto! Tutta colpa di quella tipa, che mi ha gridato in faccia che ho i lividi!”.
Light non rispose, la mente ancora inceppata, e le strofinò la spalla con affetto. “Invece eri bellissima. Aiko-chan, non l’ha detto apposta”.
Lei si scostò per guardarlo. “Aiko-chan? Vedo che avete preso confidenza”.
Light le prese la guancia e la baciò morbidamente. “E’ solo una collega di lavoro. So quanto ti è costato mettere il tuo dolore a tacere per chiamare Ishida-san. Non è facile per te, non lo è come una volta…”.
Gli occhi di Misa si fecero più grandi. Improvvisamente il divano parve troppo stretto. “Tu… mi conoscevi già?”.
“No, io…”
“Non tergiversare, ti prego”. Misa si asciugò le lacrime sulle guance. “Sento di amarti da molto più di quello che credo”.
A quel punto Light si sentì di annuire, col cuore in mano, e la coscienza a portata di voce. “Sapevo che eri una famosa modella e attrice. Ti vedevo in tv con mia sorella”.
“Davvero? E perché nessuno mi chiama, allora? Nessun produttore, nessun regista… se ero in tv, vuol dire che…”.
“Beh, io credo…”, la voce di lui si affievolì, la tristezza salì in gola come un tappo di plastica e faceva assai male. Le carezzò la guancia con le dita, innamorato. “Mentre eravamo in ospedale, i telegiornali hanno parlato di noi. Del mio quasi arresto cardiaco e del tuo tentato suicidio…”.
“Oh”, Misa guardò in basso, poi di nuovo Light. “Sono bella come quando ero in tv?”.
Lui sorrise. “Molto di più”.
 
Quella notte Light fece un sogno molto strano. Sognò che Ryuk voleva riconsegnargli il quaderno e gli ordinava di fargli cambiare il mondo. Nel sogno si sentiva potente, incantato da tale inebrianza, ma al risveglio si ritrovò sudato e vuoto come un guscio abbandonato. Lasciò che Misa dormisse in pace e si alzò per bere qualcosa. La sua mente pensava ancora ad Aiko. Alla bella, ingenua Aiko che gli chiedeva di accoglierla nella sua vita. Gli aveva confessato il suo amore, anche se indirettamente, come le scolarette al liceo. Gli era capitato molte volte a quei tempi ma il Light strafottente di allora era sparito. Dopo l’esperienza del Death Note, c’era un nuovo Light, più responsabile, uno che si curava delle minime cose. La vita gli aveva dato una seconda chance. Ora poteva vivere di nuovo. Al contrario di L, al contrario di Misa. Era come rinato. Ora riusciva ad accorgersi di ogni piccolo particolare della giornata, riusciva ad amarlo o a disprezzarlo, e a curarsi di esso. Come quando era bambino. Bevve un sorso di latte, gli venne la nausea, e posò la bottiglia nel frigo. Dov’era Aiko, adesso? C’era qualcuno accanto a lei, ad osservarla dormire? O lì sul comodino c’era la solita, fredda, Nikon con la quale si confidava?
Misa arrivò assonnata dalla camera da letto, in biancheria intima. Gli si aggrappò al braccio e gli baciò il collo. “Light, voglio fare l’amore”.
Light pensò a cosa avesse risposto se fosse stata Aiko a fargli quella richiesta. Scoprì che gli sarebbe piaciuto scioglierle i codini, far scivolare le dita in quei lunghi capelli neri. “Ok”, disse. Misa si sbottonò il reggiseno e si abbassò le mutandine.
“Qui”, gli disse piano, e lo condusse verso il tavolo della cucina. Lo fecero lì, appassionati. Lui le fece male, per qualche motivo oscuro si sentiva come in trance, e voleva dar sfogo alle sue esigenze. Le succhiò i capezzoli, la penetrò circa tre volte, e le carezzò la vagina con affetto. Man mano che il sudore si raffreddava sui loro corpi, cominciarono ad aver freddo e si strinsero in un abbraccio caldo, finalmente pieni di sonno e voglia di dormire.
*
Light sentì un grido proveniente chissà da dove. Sollevò le palpebre e si guardò intorno. La camera da letto era ingombra di vestiti ma odorante del solito profumo al mango. Indossò i boxer e andò a tamburellare sulla porta del bagno. “Stai bene, Misa?”, le chiese preoccupato.
“Si, io…”. Aprì la porta e lo guardò con dolcezza. C’era qualcosa in più, come se all’amore si fosse unito il rispetto e l’ammirazione. “Sono incinta”.
Gli mostrò il test di gravidanza e lui lo studiò. Quell’affare farmaceutico diceva che in effetti Misa aspettava un bambino e la cosa lo riempì subito di gioia. Si chiese come avesse fatto, poche ore prima, a pensare ad Aiko se ora stava per diventare padre!
“Amore mio”, la strinse a sé e le pianse tra i capelli biondi.
“Light, cosa c’è?”.
“Niente. Sono… felice”.
Pochi mesi prima era Kira. Pochi mesi prima comprava mele al minimarket e passava la giornata in compagnia di uno Shinigami. Soltanto pochi mesi prima si era trasformato in un assassino. Ma non uno qualsiasi, uno che aveva il mondo ai suoi piedi. Il più potente in assoluto. Solo poco prima, pochissimo prima, aveva rischiato di morire per mano dello stesso Shinigami di cui si era fidato. E ora padre. La cosa più naturale del mondo. Si sentiva normale, un uomo comune, ed era bello.
“Si chiamerà Lawliet”, le disse, baciandola tra una sillaba e un’altra. “E poi ci sposeremo, non appena nascerà, ok?”.
Lei sorrise. “Si, Light. Tutto quello che vuoi”. 

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Capitolo 4
*** 4 ***


Ito era un uomo che si definiva autonomamente bello. Pieno di narcisismo e di talento, era fiero di essere un trentenne in carriera. Si era diplomato in moda e costumi e aveva preso un attestato importante di designer, vincendo un concorso famoso ad Osaka. Quasi subito dopo aveva conosciuto Ishida-san ad una festa, aveva bevuto insieme a lei, ci era finito a letto, e il giorno dopo si era ritrovato con un lavoro nella più importante agenzia di moda di Tokyo. Lei gli disse di dimenticare quella notte e di proseguire con il lavoro ma Ito non aveva bisogno di sentirsi dire queste cose: era abituato, da sempre nella sua vita pregiata, ad avere tutte le donne del mondo, e poi piantarne una per trovarne un’altra più bella. Era però grato a Ishida, quella donnetta dai capelli corti e gli occhi da bambina, per il lavoro datogli. E ora lo era ancora di più da quando Misa Amane era entrata a far parte del giro. Con la faccia ancora ammaccata, sfuggita ad un suicidio per miracolo, soffriva di amnesia e la cosa la rendeva ancor più sexy quando le si riempivano gli occhi di confusione e rispondeva con educazione. Aveva un bel corpo, l’aveva notato subito, ma si era ricordato di un fatto che gli altri avevano dimenticato. Lei era stata arrestata in quanto sospettata di essere il secondo Kira, i media ne avevano parlato per tantissimo tempo, ma questo solo dopo la morte di L che aveva messo tutto a tacere in precedenza. La polizia aveva un mucchio di segreti a riguardo, specie dopo la morte misteriosa di Soichiro Yagami. Ma con l’amnesia, Misa non ricordava assolutamente nulla e questo la rendeva più bella ai suoi occhi. Fumava una sigaretta appoggiato al davanzale della finestra, dalla quale si vedevano i grattacieli più alti, quando entrarono Ishida e Misa.
“Non dimenticare l’acconciatura, cara”, stava dicendo la manager tra una risata e l’altra. Misa indossava pantofole di lino e un morbido accappatoio bianco. Le due donne si stavano dirigendo verso l’ala foto, dove Aiko stava preparando l’attrezzatura, con del cellophan sulle scarpe.
“Ciao”, le disse calorosamente Misa.
“Ciao”, rispose Aiko con freddezza.
“Light?”.
“Era impegnato in altri set. Beato lui”.
Ito si avvicinò con eleganza, arrotolandosi le maniche della camicia. “Oggi si posa per lo spot della biancheria intima, vero?” chiese imitando un tono rilassato.
“Sì, Misa è perfetta”, uggiolò Ishida con un fare materno prematuro per la sua età. Guardava la sua modella come se fosse la sua primogenita. Con un sospiro, Misa si tolse le pantofole e andò a piedi nudi dove c’erano i pannelli di luce. Si tolse l’accappatoio e lo lanciò con una risatina a Ishida che lo prese al volo. ‘Perfetto’ pensò Ito, gli occhi che scivolavano sulle curve di Misa. ‘Proprio come pensavo’. I seni di Misa, calzati in un soffice reggiseno azzurro, pendevano soffici e paffuti, sulla pancia piatta. Il sedere, tondo, si allineava dolcemente con le gambe lunghe e color avorio. Per tutto il tempo, Aiko scattò foto con la sua aria imbronciata e Misa cominciò man mano ad essere meno tesa. Per fortuna che Ishida non faceva altro che complimentarsi e urlare come una mamma fiera della figlia, in modo da distrarla dalle occhiate suadenti di Ito.
“Fatto, era l’ultima” disse Aiko, più felice, guardando nel display della Nikon.
“Bene, ci vediamo dopo allo studio”, le disse la manager. “Andiamo a controllarle sul monitor di là, che ne pensi?”.
Le due donne si allontanarono e Misa rimase indietro per infilarsi l’accappatoio. Anche se l’ufficio era riscaldato, aveva un po’ di freddo. Le veniva sempre la pelle d’oca quando era un po’ nervosa. Ito le si avvicinò, strofinandole le dita sul braccio. “Congratulazioni”, le sussurrò nell’orecchio. “Un bel fisico”.
Trasalendo, Misa si allontanò, abbracciandosi il busto. “Ma che fa?”.
“Posso darti molti soldi, se collabori. Vieni via con me. Posso darti ogni cosa che vuoi”.
Ebbe paura di quello sguardo. Sembrava folle, come se stesse parlando attraverso un vetro. Non c’era nulla di vero in quegli occhi. Indietreggiò inciampando e finì contro la scrivania. Ito le andò incontro, tappandole la bocca con una mano, e le spinse il bacino contro. L’adesione dei loro corpi le fece venire la nausea. “Vieni a letto con me”, le leccò il collo, stringendole forte il palmo sulle labbra. “E non te ne pentirai”.
Con gli occhi pieni di lacrime e la nausea che le ribolliva nello stomaco, Misa lo respinse con forza e si prese la pancia con le mani. “Stia lontano dal mio bambino” e corse via, consolata dalla voce di Ishida che la chiamava. Con un nodo nel petto, lì dove c’era il cuore, decise di non dirlo mai a Light.
 
“Com’è andato il tuo servizio?”, chiese Aiko con fermezza, mentre lustrava una serie di obiettivi sparsi sul banco. “Misa ha posato in biancheria intima, sai?”.
Light sorrise, cadendo stanco morto sulla poltrona. “Se stai cercando di mettermi contro di lei, ti sbagli. Sapevo che avrebbe fatto quello spot”.
Lei sbuffò. “Dovrò fare lo stesso per piacerti?”.
Lui si prese il mento con due dita. “Tu mi piaci, Aiko. Sei una brava persona e una ragazza molto carina. Ma vivi la tua vita, guardati intorno. Non sono l’unico uomo. E mi conosci appena”.
Lei si sedette, esausta. “Non capisci”, mormorò. “Con te mi sento me stessa”.
Le vide spuntare le lacrime, lacrime vere, così Light si alzò e le andò incontro. Le prese il viso con le mani e le sorrise quello splendido sorriso che non usava da un tempo apparentemente secolare. “Sii più serena. Sei una splendida ragazza”.
“Light… guarda qui…”.
Si scoprì la pancia e gli mostrò delle cicatrici sotto l’ombelico. “Mio padre mi picchiava sempre. Mi tirava i capelli, e me li tagliava con le forbici quando crescevano troppo. Feci una promessa ad una giovane Miko. Che non li avrei mai più sciolti…” singhiozzò e lui saldò spontaneamente la presa sulla sua guancia. “Sei l’unica mano che mi sfiora senza farmi del male. L’unico uomo che mi sta accanto senza farmi sentire estranea a me stessa. Light… io per te… scioglierei i capelli…”.
Si guardarono in silenzio, i cuori che battevano. Ogni traccia del viso di Aiko sembrava familiare alle pupille di Light che saettavano rapidamente su ogni centimetro di lei. Era così simile a sua sorella! Sentì il bisogno di doverla proteggere, come non aveva potuto fare con lei. Se solo avesse potuto stringerla. Ma non riuscì a fare nulla mentre lei tirava giù i codini e si spettinava i lunghi capelli neri. Sembrava una bambola di porcellana, una dea. Aveva le labbra molto rosse e gli occhi grondanti di lacrime. “Baciami, Light! Baciami…”.
E lui lo fece, incantato, caduto ancora in quella specie di trance. Le mordicchiò il labbro superiore, le solleticò la lingua con la propria, poi la guardò e tornò in sé, capendo il suo errore. “Misa è incinta”, le disse, voltandosi improvvisamente. “Non voglio ferirti! Dimentica quel bacio”.
Un tuono scoppiò tra le nubi, una cascata di pioggia venne giù all’improvviso, e il blackout indesiderato si abbatté su di loro come una catastrofe non annunciata. “Ma non capisci, Light?”. Lo cinse in vita, si alzò sulle punte, gli baciò l’attaccatura dei capelli. “Non m’importa di lei, né del bambino. Solo di te voglio sapere. Ogni cosa…”.
Lui si voltò di scatto e la baciò con energia. La strinse tra le braccia, desideroso di toccare quella ragazzina pura e segnata dalla sofferenza. Voleva alleviarle il peso nel cuore. Voleva sfuggirle, anche. Ma restava intrappolato nella sua tela, come una mosca sulla ragnatela di una vedova nera. Caddero sul divano di pelle, l’uno sull’altro e lui le sbottonò la camicia. Il suo seno era più piccolo di quello di Misa ma adorno di capezzoli scuri e sodo. Sotto le sue mani calde, quella tenera pelle fredda era seducente. Succhiò con passione, ungendola di saliva, e le schiacciò l’addome con la mano mentre scendeva sempre più giù. Raggiunse quel posto segreto e una voglia di esplorare si impadronì di lui. Le infilò un dito nella vagina, poi due, sentendola ansimare. Poi si slacciò i jeans e lasciò che lei glielo toccasse, facendolo impazzire di desiderio. Ma poi la trance finì, come succedeva sempre, e lui balzò in piedi, ansimante e col petto pulsante. Pensò al bambino che stava crescendo in Misa; a Misa stessa che aveva distrutto la sua vita per lui.
“No, non posso”, si riallacciò il jeans e si rassettò la t-shirt. “Non posso, io…”.
Aiko lo raggiunse e lo baciò teneramente. “Ti aspetterò ogni notte. Torna quando vuoi. Tu… riesci a sostituire persino una Nikon. Tu sei… mio quando lo vuoi”.
Light non rispose e sparì sotto la pioggia. Era rasserenante lasciarsela scorrere sul viso, sui vestiti, e sperò che lavasse via i peccati. Non voleva più sbagliare eppure continuava a farlo. Che pezzo di merda! Con le spalle poggiate al muro sotto casa, guardò il cielo in tempesta, di un grigio pesante, e pensò che non avrebbe mai detto nulla a Misa.
In casa, lei aveva acceso delle candele e leggeva un manga all’ombra del bagliore gotico, con gli occhi arrossati per lo sforzo. “La luce è andata via”, gli disse con un sorriso quando lo vide comparire in salotto. “Oh mio dio, sei bagnato fradicio”.
“Già. Piove un pochetto fuori”, rispose egli con ironia.
“Ti preparo un bagno”, esclamò Misa con un tono premuroso, come se lui fosse un bambino distratto.
Light rimase impalato sotto l’arco della porta, a gocciolare l’acqua. Sentì che Misa aveva aperto il rubinetto e quando raggiunse il bagno vide una candela illuminata sul bordo della vasca. “Fatti un bagno caldo e rilassante ok? La cena è pronta, ti aspetto a tavola”.
Light la bloccò per un polso. “Misa… vorrei farti una domanda…”
Il cuore di lei prese a battere, e i pensieri si diressero velocemente su Ito e quello che era successo o quasi. “Dimmi”.
“Se il ragazzo che ami con tutta te stessa, fino a dimezzare la tua vita per lui, fosse stato un assassino, che faresti?”.
Misa si perse in quegli occhi color nutella e vide che sprizzavano dolore. Erano addolorati per un peso che nascondeva, eppure, mentre vi guardava, scorse un’ancora di salvezza per sé stessa. “Continuerei ad amarlo”.
Gli occhi di Light si ingrandirono. “E se continuasse a sbagliare anche dopo?”.
“Lo perdonerei. Se lo amo sul serio”.
“Misa… che vuol dire amare sul serio?”.
Lei lo abbracciò. Aveva capito ciò che lui taceva: ansia da padre. Cominciava ad aver paura ed era del tutto normale perché erano giovani e si conoscevano da poco. Era accaduto tutto così fulmineamente! “Va tutto bene, Light. Amare sul serio vuol dire farti in quattro per il bene di quella persona e ottenere la stessa cosa in cambio. Vuol dire provare rispetto l’uno per l’altro e sentirsi contemporaneamente liberi. Svolgere ognuno il proprio compito, guardando in direzioni opposte, ma essere sempre legati da quel filo invisibile che la sera ti porta a cenare insieme, e la mattina a svegliarti accanto a quella persona”.
Lui scoppiò a piangere, i pensieri contorti sotto la fronte, come un intreccio di serpenti. Le parole appena udite gli scivolavano addosso, come l’acqua che lo bagnava, ma facevano difficoltà ad entrare in quel cuore di ferro. Voleva bene a Misa. Voleva amarla, e ci stava riuscendo. Voleva renderla felice, almeno all’ultimo. Ma era sempre stato un ragazzo solitario, dal sorriso falso, e dal cuore indurito da quell’improvviso incontro col quaderno nero. Gli era tutto così difficile…
“Misa…”.
“Farò tutto quello che vuoi”.
“Non dirlo”. Strinse i pugni. “Smettila di dirlo”.
Gli baciò la guancia e lo spinse nel bagno. “L’acqua si raffredderà. Ti aspetto in cucina, tesoro”.
L’acqua calda sembrò portarlo in sé. Riuscì a pensare meglio in quell’intreccio e a sbrogliare il filo dei dubbi. Si vestì con calma, sentendosi come rinato, e raggiunse la tavola imbandita, dove Misa gli aveva fatto trovare un piatto caldo. E così si sedette a mangiare a lume di candela con la sua donna, la donna che gli avrebbe dato presto un figlio. 

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Capitolo 5
*** 5 ***


Le settimane trascorsero veloci, tra il lavoro e la convivenza, e la primavera arrivò a Tokyo come le pagine di un manga che girano, spinte dal vento. I ciliegi della città erano in fiore e ogni volta che Misa tornava a casa, aveva qualche petalo rosa nei capelli. La prima volta che tornò così, Light scoppiò a ridere e glielo tolse con delicatezza. “E’ il primo petalo della stagione, per noi. È importante” e lo mise nel cassetto. “Mi è venuta un’idea”. Anche l’appartamento era cambiato; sul frigo era comparso un bigliettino attaccato ad una calamita a forma di formaggio che citava le cose da comprare e appena uno dei due era libero, passava al supermercato. Nel cassetto del comò erano comparse delle tutine, rosa e azzurre. Il salotto si era vivacizzato, con tende lilla e nuovi libri sugli scaffali, dalle copertine sgargianti. Misa era ormai trovabile ovunque: il suo viso privo di lividi era sui magazine di moda, di gossip, di consigli sulle acconciature per Gyaru. C’erano diversi suoi spot alla tv, sulla biancheria intima e le divise sportive. E la sua pancia cominciava ad essere più sporgente, tant’è vero che ultimamente lavorava solo come parts model. Anche Light era sempre più occupato ma trovava il modo e il tempo per accompagnare Misa dalla ginecologa.
Era la seconda visita. La prima era stata una festa, la dottoressa aveva detto che era tutto regolare e aveva mostrato loro il bambino sullo schermo in bianco e nero. Ma già dalla seconda, il sorriso sul viso dell’esperta era più una stiracchiatura.
“Sicura che va tutto bene?” aveva insistito Misa, affannata.
“Ma certo” aveva risposto la donna. “Non si preoccupi, cara”.
Ma poi aveva preso Light da parte, mentre Misa chiacchierava con altre signore in attesa che attendevano il loro turno. “C’è un anomalia. Vorrei che non ne parlasse con la sua ragazza. Riguarda la placenta. Ma stia tranquillo, è roba da niente”.
‘Roba da niente’ ronzava nella testa di Light come un ronzio di api. Non lo disse a Misa, come giurato, ma voleva condividere la notizia per spezzare il dolore in due. Continuava a ronzare intorno alla ragazza, chiedendole se poteva aiutarla, se le faceva male da qualche parte o semplicemente se poteva tenerle la mano.
“E va bene” sbuffò Misa quella sera. “Prendimi pure la mano”.
Soddisfatto, Light le strinse la mano tra le sue, mentre lei era tutta impegnata a guardare un film in tv. Si sentì inspiegabilmente potente. Era come se stesse racchiudendo tra le dita qualcosa di speciale, qualcosa di estremamente raro e bello. Era dieci volte meglio che stringere il Death Note. “Sono felice che avremo un figlio”, le sussurrò, così piano che lei non sentì.
*
“E così il bambino è in pericolo?” chiese Aiko con trepidanza, mentre gli carezzava il petto con la mano. Ancora una volta erano chiusi nello studio dopo l’ora di lavoro e si erano coccolati. Lui, però, continuava a rifiutarsi di penetrarla.
“Non ha detto questo”, precisò Light con lo sguardo perso. Il seno di lei gli si schiacciava contro il braccio, dandogli un senso di morbidezza. “E’ solo che potrebbe esserlo e io ho paura. Era per questo che non volevo farlo con Misa…lei è già troppo debole”.
“Io non lo sono”, gli disse con un sorrisetto.
“Sei troppo giovane. E non voglio un figlio da te, Aiko-chan, lo sai. Non ti amo e sai anche questo. Voglio solo darti affetto e farti sorridere”.
“E… questo non è amore neanche un po’?”, gli sussurrò, mordicchiandogli il collo.
Lui chiuse gli occhi. “Non so cos’è l’amore”.
“Te lo insegno io”, si baciarono con passione, intrecciando le lingue e Light l’abbracciò forte in vita. Aveva paura. Quanto voleva che Misa avesse tanta vita quanto Aiko, che tutto ciò che era successo, fosse in realtà mai successo. Se solo avesse avuto un quaderno diverso, un Life Note, avrebbe scritto il nome Lawliet Yagami senza pensarci due volte. Voleva che quel bambino nascesse ma non aveva affatto quel potere assurdo e paradisiaco. Avrebbe scritto Amane Misa subito dopo; e anche Soichiro Yagami, Mihael Keehl e anche quello di L, se solo Misa avrebbe potuto ricordarlo. Ma era tutto inutile; nel pensarci strinse troppo forte i seni di Aiko. “Ahi”, protestò lei, dandogli un pizzico sull’addome.
“Scusa”, esclamò. “Bambina dell’amore”.
 
“Che ci fa lei qui?”, ringhiò Misa a denti stretti, stringendo la maniglia della porta. Ito era dinanzi a lei, in t-shirt e jeans, e le sorrideva.
“Compagnia, mi sentivo solo”, rispose con una scrollata di spalle. “Vuoi?”.
“Se ne vada”. La voce non le tremava, ma l’anima si. “O chiamo la polizia”.
“Non ne avrai il tempo”.
Misa indietreggiò, senza abbassare lo sguardo, lui spinse la porta con la mano e l’afferrò per il braccio con l’altra. “Vieni qui, lurida puttana…”
“Lasciala in pace, pezzo di stronzo”.
Ito si voltò, faccia a faccia con Light. I suoi occhi cupi erano carichi di durezza, la frangia gli cascava sulla fronte come un simbolo di minaccia. “Leva le mani dalla madre di mio figlio, codardo”.
Ito lasciò andare il braccio di Misa, fissando il proprio riflesso negl’occhi di Light. “Non ho paura di un ragazzino”, ma se ne andò con la sua frase.
“Stai bene?”.
Misa si strinse forte a Light. “Oh, tesoro, perdonami”, gli disse. Lui chiuse la porta e la condusse in camera da letto. Si sedettero sulle poltroncine, tenendosi per mano, e lui l’ascoltò piangere per l’ennesima volta nella vita. “Non te lo volevo dire per non farti preoccupare… quel tizio… mi ha avvicinata in studio… voleva fare sesso con me… ho avuto tanta paura e sono scappata… non mi sono fatta neanche baciare, te lo giuro, Light… ma sento le sue prese sulle braccia, sul bacino, e mi sento profanata… mi dispiace, io… so che tu non hai segreti per me”.
Light non rispose. Pensò invece a quanti segreti c’erano. Il Death Note per primo, gli assassinii compiuti insieme, Aiko e tutte le effusioni che si scambiava con lei per sfogare il dolore e l’angoscia. “Sta tranquilla, Misa. Va tutto bene. Parleremo con Ishida-san e prenderemo provvedimenti riguardo a Ito. Non ti sfiorerà più, te lo prometto”. Le baciò la tempia, poi si scavò nelle tasche. “E’ per te”.
Era una collana, un ciondolo color argento. Il pendente si apriva. All’interno di esso, c’era il primo petalo di ciliegio della stagione. “Oh, Light…”.
“Ti aiuto a metterlo”, glielo allacciò dietro al collo e guardò come le stava d’incanto. “Sei molto bella, Misa. Indossalo sempre, ti proteggerà quando non ci sono”.
“Sarà il mio amuleto”, sorrise lei, con il viso bagnato.
Ora che Light sapeva di Ito, si chiese se non dovesse dire qualcosa a Misa, per ricambiarle la sincerità. Ma i suoi segreti erano troppo grossi da contenere in un solo cuore. Di certo non poteva dirle di Aiko perché si sarebbero lasciati e questo era l’ultima cosa che voleva. Magari poteva raccontarle del Death Note… ma rischiava di farle tornare la memoria, di causarle uno shock tale da mandarla in coma. Era tutto troppo pericoloso. Troppo grande per Misa.
“Sai una cosa?”, chiese lei all’improvviso, mentre si accarezzava la pancia. “Sono certa che Lawliet sarà un bambino bellissimo se somiglierà a te”.
Light trasalì. Quando si parlava di Lawliet, immaginava sempre un bambino cupo, pallido e una marea di capelli scuri; ma dopotutto era sangue del suo sangue quindi era scontato che somigliasse a lui almeno in parte. Il bambino faceva parte del suo cassetto immaginario pieno di segreti; aveva giurato al medico di non dire nulla sulla placenta.
“Già”, esclamò con un sorriso. “Ma sarà tutto sua madre”.
DLIN DLON. “Chi sarà a quest’ora?”, si chiese Misa mentre lasciava la mano di Light. Corse alla porta e si ritrovò dinanzi Ishida-san che sembrava aver corso mezza Tokyo. “Oh, cara”, esclamò abbracciandola. “Ma cos’è successo?”.
“Me lo dica lei”, sghignazzò Misa con un sorriso spaesato.
“Ito si è licenziato. Cos’è successo? Ha mormorato il tuo nome al telefono”.
“Oh, beh…”
“Quello stronzo ha messo le mani addosso alla mia donna”, rispose Light con fermezza, una mano nel fianco. “E giuro che se ricompare, gli spacco la faccia”.
Gli occhi di Ishida si addolcirono e Misa quasi pianse. Light l’aveva chiamata ‘la mia donna’ il che significava che era molto innamorato.
“Beh”, Ishida-san si tolse le scarpe con fare elegante e raggiunse il salotto a piedi nudi. “L’importante è che stai bene. Troverò un altro assistente, magari una donna. Oppure… Light che ne pensi dell’incarico? Pago bene eh?”.
Misa andò al settimo cielo. “Massì, Light, lavora con noi. Con me”.
Light cadde sul divano e accese al tv. Con un tempismo spregevole, la faccia di Near gli comparve sul primo canale. Cambiò, pigiando forte il tasto del telecomando e fece finta di guardare un anime che non aveva mai visto. “Non posso, mi spiace. Ho già un lavoro”. Lo disse senza guardare le due donne, senza guardare Misa. Sapeva quanto significava per lei averlo affianco sul lavoro, avere il suo sostegno; ma non poteva lasciare Aiko, così su due piedi.
“Ma posso darti più yen, molti di più”, protestò Ishida con fervore.
Light guardò il protagonista estrarre una spada adorna di fiamme blu. “Non insista, la prego”.
Misa ingoiò un sorso di saliva, ingoiando la rabbia, e si risolve a Ishida. Le offrì di cenare da loro e la donna accettò. Cucinarono insieme del sushi e un pò di spiedini di granchio. Durante la cena, Light non si intromise nelle conversazioni, continuava a guardare la tv, a pigiare forte sui canali, e ad ascoltare attentamente. Ma le donne parlavano solo di lavoro e di moda e lui si sentiva estraniato. Ogni tanto occhieggiava Misa, con voglia di prenderle le mani e mettersi in ginocchio per scusarsi. Ma perché Ishida non se ne andava? Era una cena così stentata! Non capiva che dovevano rimanere da soli? Ma alla fine, verso le dieci, Ishida annunciò che si era fatto tardi e andò nell’ingresso a mettersi le scarpe. Misa l’accompagnò, si salutarono con un bacio sulla guancia e la giovane restò a guardare la sua manager prendere un taxi. Poi rincasò con aria cupa, sparecchiò velocemente senza una parola e andò in camera da letto. Spegnendo finalmente il televisore, Light la raggiunse.
“Mi vuoi guardare?” le chiese, rivolto a quell’ammasso sotto le coperte. “Mi ignori da tutta la sera. So che ce l’hai con me, volevo scusarmi subito, ma Ishida non se ne andava”.
Misa rimase ferma, completamente coperta dal piumone. Non respirava neanche.
“Dai, non fare così! Lo sai che ti amo. Ehi, parlami, dai…”. Salì sul letto e le mise una mano sul fianco. Tastò. Era troppo morbida. No, quella non era Misa. Tirò forte le coperte e vide che lì sotto non c’era altro che un cuscino. “MISA”, urlò, invaghito dal terrote. Notò la finestra socchiusa e l’orlo di un lenzuolo che pendeva sotto il vetro. Aprì la finestra con furia e vide che il lenzuolo era servito da scala. Col cuore che martellava, spalancò la porta di casa e corse come un pazzo giù in strada. Una macchina lo bussò quando si buttò in mezzo alla via senza guardare. “MISA”, gridò.
Un uomo anziano era seduto sulla panchina e lo guardò incuriosito. Sconvolto, Light gli si avvicinò. “Mi scusi, ha visto passare una ragazza incinta? È bionda, indossa dei leggins rosa e un maglioncino…è alta più o meno così…”
“Sì che l’ho vista. Ti conviene affrettarti, sai? Ha proprio un bel pancino. Mi ricorda mia moglie trent’anni fa”.
“La prego, mi dica dov’è andata”.
“Verso il parco”.
“Grazie”.
Light corse, maledicendosi in tutti i modi. Cosa avesse fatto se Misa fosse caduta? Desiderava prendersi a calci, si chiese perché non fosse morto quando Ryuk l’aveva tradito. Avrebbe risparmiato altro dolore a Misa. “MISA”, gridò all’ingresso del parco. Era buio, i lampioni sembravano sfere luminose che svolazzavano tra gli alberi. “Misa, dove sei?”. Corse all’interno del parco, saltando la sbarra d’ingresso. Corse a perdifiato, senza meta, poi la vide. Si era rannicchiata sotto un albero di ciliegio in fiore. Sembrava un angelo caduto dal cielo.
“Ehi…” sussurrò, col fiato mozzo. Si prese il petto e prese fiato. “Torna a casa”.
Misa si stava rigirando la collana tra le mani. “Vattene, Light. Voglio stare da sola”.
“Per strada di notte?”. La sua voce si era alzata di tono senza che lo volesse e lei balzò a guardarlo. Uno sguardo di fuoco che non le aveva visto mai. “Vuoi cominciare ad essere responsabile? Ti cali dalla finestra, scappi! Hai un bambino in grembo, non fare la mocciosa capricciosa!”.
Lei si alzò. “E tu quando comincerai a capire che sarai padre?”.
Light scosse il capo. “Cosa dici? Io lo so…”
“No, tu non sai niente”.
Le stelle si rispecchiavano nei suoi occhi, luccicandole ogni singola lacrima che vi era rintanata. Gli venne voglia di abbracciarla ma lei indietreggiò e lo bloccò con una mano. Fu come se gli avesse rivolto contro una spada affilata. Quella mano tesa, alla stessa altezza del cuore, significava tutto. “Io l’avevo capito, sai? Quando tornavi un’ora dopo il lavoro. E poi poco fa quando hai rifiutato in quel modo la proposta di Ishida, senza degnarmi di uno sguardo. Tu non pensi al lavoro, non pensi alle professionalità, tu non vuoi lasciare Aiko-chan. So che stai con lei! Io non sono scema, Light. Non lo sono…”.
Gli occhi di Light colavano lacrime da quando aveva iniziato a parlare. Era tutto finito. E stavolta era stata Misa a deciderlo. La dolce, ingenua e sciocca Misa aveva capito tutto sin dall’inizio. E questo perché sapeva scrutare dentro di lui senza bisogno di dover parlare. “Che vuol dire?”, le chiese con la gola bruciante.
“Che non ti voglio più. Dimentica me, dimentica il bambino. Vai dove vuoi. Da Aiko-chan o ovunque tu voglia. Ma lasciami. Ti ricorda cosa ti dissi? L’amore è vero quando si sta bene l’uno con l’altro. Io non sto più bene con te, Light. Forse ci conoscevamo da poco. Abbiamo sbagliato a far arrivare Lawliet. Ma lo crescerò. Ora passerà ogni cosa. Dimentica, Light. Fai come me. Dimentica”.
“Non sono forte quanto te” le urlò dietro Light, mentre la guardava andare via. Le gambe incollate all’aiuola, la luna che gli pesava addosso come un’oppressione. “Misa! Torna indietro”.
Ma lei non si voltò. Uscì dal parco, lasciandolo solo al suo destino.

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Capitolo 6
*** 6 ***


“Avete avuto una crisi?”, disse Aiko sconvolta.
“Ci siamo lasciati”, precisò Light. “E lei porta in grembo mio figlio! Ho fatto lo stronzo!”.
“Può capitare, sai?”.
Non lo disse con cattiveria. Lo disse con comprensione. Forse persino lei, che era molto giovane, capiva la situazione più di lui. Notò che sul collo aveva una ferita aperta, appena ripulita dal disinfettante. “Cos’è?”, chiese, indicandola.
“Oh”, Aiko poggiò la Nikon sul bancone e si mise a sviluppare alcune foto che doveva consegnare l’indomani. “Mio padre mi ha picchiata”.
Light andò ad abbracciarla. “Non m’importa di Misa e di tuo figlio”, gli disse, aggrappandosi alla sua maglietta. “Ma di te, lo sai già. E se a te importa del bambino, allora automaticamente importa me. Perché non hai accettato quella stupida proposta?”.
Light trasse un respiro, osservando il bel sole mattutino dietro le finestre lucide. “Avrei fatto meglio a lasciarti, è vero. Per il tuo bene”, le sfiorò la ferita con due dita, provando dolore morale. “Hai già troppo male in te”.
“Ma che dici? Dovevi lasciarmi per il bambino che vuoi, non per il dolore. Tu lo sai che mi hai salvato la vita da quando sei comparso qui”.
Light guardò negli occhi di Aiko. Era poco più di un’adolescente, molto simile alla sorella che aveva perduto. Lo amava in qualsiasi modo lui volesse, come e se volesse, purchè si sfogasse. E desiderava trarla in salvo da ogni cosa. Aveva desiderato lo stesso per Misa e aveva fallito. Ma intenzionava lottare per lei.
“Aiko… io sono Kira”.
“Eh?”.
Aiko indietreggiò, urtò il muro e restò ferma. “Tu… sei un assassino?”.
Il suo sguardo era sfavillante. Light non riuscì a sostenerlo. Annuì, guardando il pavimento di piastrelle grigie. “Lo ero”.
“Esiste davvero quel coso… il Death Note…?”.
“E’ esistito”.
Aiko abbozzò un sorriso folle, buttato lì a caso. “Uccideresti mio padre?”.
Quella frase gli ricordò di aver ucciso il criminale che aveva tolto la vita ai genitori di Misa. E questo era il motivo per cui lei lo adorava all’inizio. Poi si erano rincontrati e lei si era avvicinata a lui solo per amore. “Non ho più il quaderno”, disse, giocherellando col piede. “Ma non lo farei comunque. Non voglio più cambiare il mondo. Ciò che devo cambiare è me stesso. Non posso essere un Dio, non posso vivere mille vite. Solo la mia”.
Aiko scivolò lungo la parete e si sedette, sconvolta. Era impallidita. “E gli Shinigami?”.
“Esistono”.
Lei lo guardò. “Non puoi essere peggio di papà, no? Tu… mi hai mostrato affetto”.
Light non si mosse, restò semplicemente a guardarla. Poi le andò accanto e le pianse tra le braccia. I suoi singhiozzi erano quelli di un bambino sgridato, incapace di trovare calore in quelle braccia. “Misa… Oh, Misa…”.
“Farò in modo che non soffrirai più”, sussurrò Aiko, mentre egli si dondolava forsennatamente nel suo abbraccio, chiamando Misa tra i singhiozzi. “Se Kira può piangere, io posso mettere fine al tuo dolore. E so come fare”.
*
Aiko aveva preso un taxi, lo aveva pagato con banconote spiegazzate, e si era fatta portare a casa. Lungo il tragitto guardò sempre fuori dal finestrino. Aveva mille pensieri per la testa. Light le piaceva molto, le piaceva sin da subito. Era bello, misterioso, e pieno di affetto da donare. Ma non lo sapeva neanche e tratteneva inconsciamente questa dote. Se solo riuscisse ad aprirsi di più… ora i pezzi collimavano. Light e Kira erano la stessa persona. Misa non ricordava nulla, soffriva di amnesia, ma si era subito innamorata di Light. Che fosse il secondo Kira? Per quanto ne sapeva, poteva benissimo esserlo. Ma lei avrebbe spezzato ogni legame che li teneva uniti e avrebbe stretto Light tra le braccia, impedendo a Misa di toccarlo, fino alla morte. Era quello che suo padre non aveva mai fatto con sua madre: dare protezione a chi si ama. E lei voleva proteggere Light. Arrivò dinanzi una casetta colorata, con le finestre sbarrate. Ringraziò il taxista e scese dalla macchina. Sebbene si trovasse sull’uscio della casa in cui era cresciuta, le sembrava tutto molto estraneo. Era molto più familiare lo studio fotografico che era riuscita ad aprire e che l’aveva portata a conoscere Light. Strinse la Nikon che portava al collo, come d’abitudine, e aprì la porta di casa con una chiavetta che teneva in tasca. Il corridoio era buio, privo di qualsivoglia raggio di sole. Le finestre erano chiuse, i piatti da lavare si erano ammucchiati nel lavabo della cucina. Salì le scale, odiando quel silenzio, e andò in camera sua. Non c’erano beni propri, solo un letto e un poster rotto appeso al muro. Aprì il cassetto del comodino, tolse la biancheria, e trovò il borsellino pieno di soldi che le aveva dato la mamma prima di morire. Quel denaro le serviva oltre al guadagno di lavoro. Per molte cose. Sorrise, pensando alla villetta in cui avrebbe presto abitato con Light e i loro futuri figli. Mise il borsellino in tasca e si raddrizzò, pronta a uscire.
“Che ci fai qui?”, brontolò una voce disgustata. Un uomo in canotta e jeans era comparso sotto l’arco della porta, con una bottiglia in mano e l’alito odorante di jin.
“Papà, sono venuta a prendere delle cose”, rispose Aiko spaventata.
“Non devi entrare in casa mia senza bussare, mocciosa”, strillò l’uomo. Lanciò la bottiglia che si fracassò sul pavimento e colpì la gamba della figlia. Una scia di sangue scendeva dal ginocchio di Aiko che non se ne curò perché abituata. “Cosa hai preso? Dammelo!”.
“Non ho preso niente, lasciami”.
Il padre le strinse un braccio e la trasse a sé per quanto ella continuava ad agitarsi. Una cosa di lei lo distrasse. Un profumo. Nei capelli. Sulla pelle. “Questo è un profumo di uomo”, disse, sorpreso. “Chi cazzo stai frequentando, sgualdrina?”.
“Sono affari miei”.
Le arrivò uno schiaffo in pieno viso. Aiko cadde e si ferì la mano sui pezzi di vetro sparsi per la camera. Suo padre si accasciò su di lei e, ignorando le sue grida e le sue scongiure, le toccò la vagina. “E’ umida”, rispose estrando la mano dai pantaloncini. “Hai appena fatto sesso, puttana”.
La riempì di botte, col solo gusto di farlo. Non gli importava cosa facesse sua figlia ma era bello picchiare quella tenera carne, quelle ossicina fragili. Con una spinta, Aiko se lo tolse di dosso, approfittano delle debolezza della sbornia. Una volta in piedi, gli sputò addosso. “Non mi vedrai più”, urlò e corse via prima che lui potesse riacchiapparla. Col dolore in corpo e nella mente, oltrepassò i vicoli del quartiere a piedi. C’erano lenzuola stese ai balconi e odore di fiori. Perdeva sangue dalle ferite dove il vetro era penetrato un po’ troppo e le bruciavano gli occhi e le spalle. Ma almeno aveva le tasche piene di yen e per fortuna la Nikon non si era rotta. L’accarezzò con dolcezza, distratta, e andò a sbattere contro qualcuno.
“Scusi” dissero due voci femminili all’unisono.
Aiko si voltò. Misa era davanti a lei, con i capelli pen pettinati e un nastro azzurro tra i capelli. Era così in gingheri che sembrava appena uscita da un set fotografico. Aiko fece un versaccio. “Togliti quei pantaloncini. Sei ridicola con la pancia! Non sono adatti ad una madre”. La sorpassò con una spallata, poi si fermò al suono della voce della rivale.
“E tu sciogliti i capelli” ringhiò Misa, il cuore che batteva. “Non sono adatti ad una puttana”.
Aiko si voltò, la fronteggiò, e le rise in faccia. Con un riflesso pronto le strappò la collana da collo. “Che bella!”.
“Che fai? Ridammela! Quella è mia”.
Aiko la spinse per allontanarsi e corse via con quanta velocità potesse. Aveva una scusa e una prova per far credere a Light che fosse davvero finita con Misa. Lo raggiunse allo studio fotografico. Lui stava salutando un cliente, poi si rivolse a lei e, vedendola così sconpigliata e ferita, le andò incontro di corsa. “Cos’è successo? Stai bene?”.
Lei annuì, chiedendogli un abbraccio caldo.
“Ma questa”, Light era stupito ma anche arrabbiato. “E’ l’amuleto che ho dato a Misa! Poco tempo fa”.
“Davvero?”, Aiko andò a sedersi sul divanetto, tenendosi il ginocchio. “L’ho incontrata per strada. Mi ha spinta e mi sono fatta male! Poi mi ha dato questa collana dicendo che non la voleva più. Non sapevo che gliel’avessi data tu, Light, perdonami”.
Lui la baciò a fior di labbra. “Va tutto bene…”, le sussurrò.
Aiko si alzò, smettendosi di tamponare il ginocchio. “Non hai più legami con lei. Te ne rendi conto, vero?”. Gli prese il viso e lo costrinse a guardarla. Entrambi reprimevano dolore nel retro delle pupille. Entrambi volevano trovare conforto l’uno nell’altro. Ancora una volta. “Lei è scappata da te. Ti ha detto di lasciarla perdere. Non vuole farti vedere il bambino quando nascerà. Lei è… il secondo Kira… vero?”.
Light sobbalzò, poi annuì, fissando una rosa quasi appassita nel suo vaso. “Forse sta rammentando qualcosa del passato, qualche annedoto… sta scappando da te perché sa che le hai fatto male!”.
“No, lei sapeva di me e te. L’aveva capito”.
“E portarsi via un bambino che è anche tuo? Light, lei non ti vuole più”.
Light fissò la rosa. Era così che si sentiva. Vivo di vita come un bocciolo, ma morto come i petali che lo circondavano. Il suo passato era troppo pieno, troppo doloroso, per far sì che quel bocciolo vivesse. Si asciugò gli occhi col polso, tremando da capo a piedi. “Cosa devo fare? Mi ammazzo?”.
Lei scosse il capo. “Penetrami, Light… penetrami…”.
Si baciarono. Ormai non c’erano più limiti. Misa era andata via. Dopo tutto il passato, per lei dimenticato, aveva guardato avanti. Lei era una rosa diversa da lui. I petali appassiti erano caduti, era rimasto solo il tenero bocciolo, che stava mettendo altri petali, nuovi e freschi. Spogliò Aiko in due secondi, caddero sul solito divano, ed entrò in lei con la trance di sempre. Lei raggiunse l’orgasmo in poco tempo, più vivido di quanto l’avesse immaginato, e Light non si dispiacque quando venne in lei e pensò alla prospettiva di un nuovo bambino in arrivo. 

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Capitolo 7
*** 7 ***


Light si svegliò nel cuore della notte dopo un sonno agitato e coronato di incubi. Il lume era ancora acceso e invadeva lo studio di un sinistro bagliore. Incrociò le braccia sotto la testa, sentendosi vuoto. Aiko dormiva al suo fianco, probabilmente in sogni tranquilli. Avevano fatto sesso e aveva pensato ad un bambino con lei. Ora che la trance era finita, la cosa gli pareva tanto stupida e azzardata. Avrebbe voluto riavvolgere il tempo. Ma perché era sempre così bastardo da rendersi conto troppo tardi degli errori? Il cellulare vibrò da qualche parte, distraendolo. Fu grato a quel suono perché non aveva più voglia di pensare. Era come se campasse a stento, solo perché doveva farlo, ma senza volontà. Scavò nella tasca della felpa che era buttata sul pavimento e rispose senza fissare il monitor.
“Si?”.
“Light…”.
La voce di Misa era un sussurro, apparentemente tremante, ma lo fece balzare dal divano. “Dimmi”, le disse subito, speranzoso. Quanto desiderava che lei gli dicesse ‘torna’, quanto desiderava andare da lei in quel preciso istante. Si sentì un vero idiota al pensiero di aver progettato un futuro con Aiko se bastava la voce di Misa a fargli battere il cuore.
“L’ho saputo”, mormorò lei e stavolta lui fu certo che piangesse. “Non sapevo chi chiamare… Ishida… non credo capirebbe a pieno”.
“Cosa?”, chiese Light sottovoce, dando una sbirciatina ad Aiko.
“Lawliet! È in pericolo. La ginecologa mi ha detto che lo sapevi. Perché non me lo hai detto?”.
“Oh, Misa”, Light si vestì con una mano sola, e in due minuti era già fuori dallo studio. Non si era voltato indietro nemmeno per un secondo. Suo figlio lo stava chiamando. La sua donna aveva bisogno di lui. “Sto già arrivando, va bene?”.
“Ok”.
Attraversò le stradine a passo di corsa. Si sentiva un profumo di tè verde nell’aria, il tè tradizionale, odore della stagione. C’era anche la prima volta che aveva incrociato Misa sul viottolo della vecchia casa. Sospirò, osservando i movimenti notturni della città. Le cicale cantavano a tutta gola, dando un valore al silenzio. C’erano molte stelle. Si ritrovò all’appartamento in poco tempo e si avviò sulle scale con un unico timore: la vergogna del tradimento che ardiva in sé. Tamburellò sulla porta con il dorso della mano. Il suono del campanello sarebbe stato in qualche modo troppo rude. Lei gli aprì, con le borse sotto gli occhi, e la vestaglia di seta buttata alla rovescia sul pigiama. “Ciao”, gli disse. “Mi spiace di averti fatto venire di notte”.
“Tu puoi chiamarmi sempre”, rispose lui, osservando quanto fosse bella senza trucco. “Specie quando sei qui a piangere”, allungò un dito e le asciugò una lacrima. “Sono un mostro a dovertele asciugare! Dovrei impedire che scendano”.
Misa lo osservò, registrando a fatica quelle parole. Poi si fece da parte e lo lasciò passare. Lui si tolse le scarpe, la precedette in salotto. Le tende erano tirate e si vedeva il cielo. “Lawliet sarà qui a guardarlo con noi, questo cielo. Te lo prometto, Misa!”.
Lei abbozzò un sorriso triste. “E’ colpa mia. C’è qualcosa che non va nel mio corpo. È per questo che Lawliet soffre. Mi sento una mamma così disastrosa…”.
Esitando, Light le cinse le spalle. “Sono stato io a darti questo dolore. Semmai la colpa è mia. Sei ancora fragile, dopo la storia del suicidio. Avrei dovuto aspettare, ti ho forzata troppo”.
Lei scosse il capo ma non rispose. Si raggomitolò come un gatto al suo fianco, cingendogli la vita. “Light! Ti amo!”.
Il cuore di Light mancò un battito. Quante volte Misa glielo aveva detto? Infinite. E quante cose aveva fatto per lui? Gli aveva donato letteralmente la vita. Chissà con quanta velocità scorrevano i secondi della sua durata vitale sulle pagine del Death Note. Le prese il viso con entrambe le mani e si lasciò invadere dalla dolcezza che gli penetravano quelle guance nella pelle. Non aveva bisogno di fare l’amore con lei per sentirsi al riparo da ogni dolore, per sentirsi sicuro e felice di essere lì accanto a lei. “Ti amo anch’io, Misa, tantissimo. Ti amo tanto! Voglio dividere la mia vita con te. È vero, sono stato con Aiko ma non l’ho mai amata. La collana te l’ha portata via con la forza, ne sono sicuro”.
Misa lo lasciò parlare, guardandolo dritto negli occhi, come per coglierne la bugia. “Lei voleva solo affetto, non è cattiva. Voleva fuggire dal padre violento e amare una persona come sua madre non era mai stata amata. Agiva per il suo bene, nel modo sbagliato. Come ho fatto io tantissime volte nella vita. Ma ciò che ho fatto di buono è rivolgerti la parola e di questo vado fiero. Voglio stare con te, Misa, e con il nostro bambino. Concedimi un’ultima possibilità. Non sbaglierò mai più”.
Misa non riuscì a parlare ma lo prese per mano e lo portò in camera da letto. Si coricarono l’uno affianco all’altro, tenendosi stretti, e due minuti dopo Light si addormentò beato, senza alcun incubo a disturbarlo, perché era finalmente con la donna giusta. Ed era riuscito finalmente a capirlo davvero.
*
“Light, sono in televisione”, urlò Misa che era in salotto di prima mattina, attaccata allo schermo che trasmetteva la pubblicità di un bagnoschiuma. “Guarda, guardami”.
“Sei un tesoro”, le sorrise Light e lei si accorse che era vestito di tutto punto.
“Dove vai?”, gli chiese spaventata.
Lui le sorrise. Non le aveva mai sorriso così dolcemente, in maniera intensa.
“Al tempio! Voglio pregare per Lawliet”.
“Vengo anch’io?”.
“No, tu riposati un altro po’. Ti porto l’oracolo, ok?”.
“Sì!”.
Light s’incamminò lungo le scale e raggiunse il garage del palazzo che dava sul retro della strada. La fioraia aveva tirato su la saracinesca e le rose invadevano il vicolo; la fruttivendola stava già facendo affari. Light prese la bici e s’avviò verso il tempio. Era piacevole pedalare, con il vento caldo che gli scompigliava i capelli. Un po’ troppo forse, perché all’arrivo sembrava praticamente un super sayan. Si rassettò la frangia e prese la bici a mano, per affrontare le lunghe scale di pietra. Arrivò in cima con l’affanno, posò la bici contro un albero, e si guardò intorno. Le Miko volontarie davano l’oracolo agli ospiti; una coppia di quella che pareva freschi sposi pregava insieme. E le ragazze, probabilmente nel bel mezzo della vacanze di primavera, sghignazzavano per l’oracolo di una compagna. Quando la coppia si fu allontanata, Ligh battè le mani una volta, poi le congiunse e, inclinando il capo, pregò. ‘Ti prego fa che Misa viva per sempre. E che Lawliet nasca sano e salvo’. La Miko sorridente gli porse l’oracolo benedetto che aveva promesso a Misa e salì in groppa alla bici, ansioso di ritornare a casa. Salì sul muretto delle scale e prese la rincorsa, scivolando giù in discesa come un pazzo. Si sentiva libero, un ragazzo nuovo, un nuovo Light Yagami. Arrivò in strada e cadde, sbucciandosi entrambe le ginocchia.
“Sei il solito cretino”, disse una voce.
Light si voltò sorridendo. Poi vide chi era e i suoi occhi si ingrandirono di stupore, meraviglia, paura, affetto. Sayu Yagami era lì dinanzi a lui, in divisa scolastica, e lo fissava con un’espressione di pura rabbia. “Sayu-chan…”
“Non ti avvicinare”, la ragazza non più tanto bambina alzò gli occhi verso il tempio. “Spero che tu abbia pregato bene”.
“Sayu, non sono più quello di una volta, sono cambiato”.
“Lo so. In peggio”.
“No, sono cambiato ancora!”
“Dovrebbero prevederti al meteo, allora”.
“No, ascoltami”, Light le andò incontro e la prese per le spalle. I loro occhi identici si incrociarono seduta stante, come accalamitati. A legarli ormai, era solo la tomba del padre. “Sono un ragazzo solare, adesso, che si gode la vita. Sono pentito amaramente di ciò che ho fatto. D’ora in avanti andrò sempre al tempio e mi sposerò con Misa. Vorrei che tu ci fossi quel giorno. Io… ti vorrò sempre bene, Sayu”, tolse le mani, desideroso di non imporle la sua presenza. “Saluta la mamma da parte mia. Ciao!”.
Se ne andò con la sua bici, voltandosi a guardarla. La vide piangere. Si allontanò con l’amaro in bocca, le ginocchia che bruciavano e pedalò sempre più forte per smaltire le emozioni. A casa, diede l’oracolo a Misa.
“Wow, apriamolo insieme”.
Lo scartò e lo lesse per prima. Poi lo guardò imbronciata. “C’è scritto vita breve”.
“Cosa?”, Light le strappò il foglio di mano e lesse da sé. “Beh, la Miko che me l’avrà dato era sicuramente una stupida. Sa forse che sei sopravvissuta ad tentato suicidio?”.
Misa scoppiò a ridere, tenendosi la pancia. “E tu ad un infarto”.
“Siamo immortali noi”, la incalzò Light con ironia e rise a sua volta. “Altro che vita breve! Sai, ho incontrato pure mia sorella giù al tempio”.
“Sayu?”.
Light scattò a guardarla, perplesso. “Ti ricordi il suo nome?”.
Misa si guardò intorno sorpresa. “Come ho fatto? Mi è venuto in mente da solo”.
Lui le baciò la tempia. “E’ perché conosci tutto di me. Ti amo”.
“Me too”.
 

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Capitolo 8
*** 8 ***


 
Sul set fotografico, Misa splendeva come un angelo senza ali. Era molto bella e molto più sicura di sé. Ishida continuava a rispondere al cellulare, a volte infuriandosi. Light se ne stava appoggiato al muro, a braccia conserte, e fissava sia Misa che Aiko. Loro erano impegnate nel lavoro, così diverse da loro, ma così identiche nella ricerca dell’amore vero. Aiko aveva capito tutto da sola quando si era svegliata senza Light al fianco, quella notte. Non si erano più parlati da allora, nemmeno telefonicamente. Lei era cambiata. Aveva sciolto i codini, perché ormai non ne aveva più bisogno: il taglio netto le dava un aspetto ancor più giovane. Sembrava più alta e vestiva in maniera più adeguata alla sua età ma quell’abbigliamento non le donava poi tanto: a Light piaceva chi si mostrava per chi era, non come chi volesse che fosse.
“Ok, basta così”, esclamò Ishida, esausta, e rivolse un sorriso a Misa.
“Quando ci vediamo?”, le chiese Misa, e la manger scorse l’agenda.
Mentre le due donne in carriera prendevano appunti, un fulmine saettò nel cielo e subito dopo un tuono rombò, facendo vibrare i vetri alle finestre. “Questo temporale primaverile non ci voleva propria. Sono pure rimasta a piedi”,
Light abbozzò un sorriso, per non deludere la donna gioiosa. Nel petto, sembrava racchiudere il cielo di fuori. Tenebre e nuvole si muovevano in lui, agitate e sospinte dal vento. Aiko mise tutte le attrezzature in una borsa, se la mise a tracolla e salutò.
“Aspetta”, le disse Light sulla porta.
“Non abbiamo nulla da dirci”.
Uscì dalla stanza, sola, e Light guardò automaticamente verso Misa. Ella si era distratta dall’agenda della manager e lo stava ricambiando con due occhioni innamorati. “Vai, Light, e spiegati a lei. Torna presto, c’è il ramen per cena”.
“Sarò puntualissimo”, esclamò egli e corse dietro Aiko.
Lei sembrava aver volato per le scale perché non si scorgeva neanche; l’ascensore era guasto e Light dovette lanciarsi in una corsa per sperare di raggiungerla. La città era così bloccata dalla pioggia che non c’erano taxi e anche Aiko era ferma sul marciapiede, già fradicia, intenta a litigare con un ombrello difettoso. Light glielo prese e lo aprì per lei, poi glielo porse di nuovo.
“Una fotografa non può competere con una modella”, gli disse, nascondendosi gli occhi con l’orlo dell’ombrello rosa. “Una è sempre sotto i riflettori, l’altra dietro le quinte, nell’ombra”.
“Già”, confermò Light; le gocce di pioggia gli scendevano fastidiosamente dentro il colletto della t-shirt. “Così è sul lavoro. Ma non nella vita”.
Lei s’incamminò, lui la seguì. Misa amava cenare alle venti, aveva dunque un’ora a disposizione per mettere in chiaro le cose. “Aiko, io ti voglio bene. Sei matura, sai già perché sono tornato indietro”.
“Lo so!”, rispose lei, sovrastando appena la pioggia. “Ma l’ho capito solo dopo aver cercato di sottrarti alla felicità. La nostra storia non esisteva da nessuna parte. Era stata cancellata in partenza ma ho aperto gli occhi solo dopo”.
Light la fermò per un polso e la guardò. La pioggia batteva forte sull’asfalto. “Si chiama errore. E nella vita se ne fanno tanti. È la forza che ti manca dopo. Ma tu puoi farcela. Chiunque può. Perché non tu?”.
Lei si allontanò dalla sua mano. Si stavano dirigendo automaticamente verso lo studio.
 
Misa aveva lasciato il set fotografico dieci minuti fa. La pioggia era così fastidiosa! Bloccava l’intera città, diventava se possibile più trafficata. Improvvisamente, con le scarpe bagnate fin dentro le suole, vide il taxi come se fosse un miraggio. Vi si catapultò dentro, si scollò i capelli del viso e salutò cordialmente l’autista. Gli comunicò la strada di casa e aspettò che la macchina s’infilasse nel corso trafficato. L’altra portiera si aprì e salì qualcun altro.
“Vado anch’io da quella parte”, disse una voce d’uomo. “Dividiamo una corsa, Misa-chan?”.
Misa si voltò, orripilata. Si ritrovò a fissare il volto affascinante e crudele di Ito, l’ex collega di lavoro. Senza dire una parola, aprì la portiera e scese. Ito la imitò.
“Dove vai a piedi? Non vedi che piove?”, urlò egli.
In quell’attimo Misa odiò ogni cosa di quell’uomo; persino le gocce di pioggia sulla giacca firmata; si avventurò tra macchine e veicoli e raggiunse il marciapiede. Lui la stava ancora seguendo. “Se ne vada”, urlò con i capelli in bocca.
“Ma andiamo, dai! Era solo una corsa da dividere in taxi”.
“Allora perché mi segue?”.
Lui balzò in avanti e l’abbracciò, immobilizzandola per un attimo. “Perché mi piaci. Te l’ho già detto quella volta, no? Se non fosse arrivato il tuo maritino, saresti già pazza di me”.
“Vattene”, urlò Misa, liberandosi con uno spintone. La strada principale era crollata sotto il peso della pioggia. Una pozzanghera gigantesca invadeva il cemento, i tubi rotti spruzzavano in ogni dove; tre o quattro vigili facevano circolare il traffico mentre gli addetti sbarravano la strada guasta. Bloccata da tale catastrofe Misa sviò nel primo vicolo che le capitasse a caso, con Ito alle calcagna. Si trattava di un vicolo cieco.
 
“Perché non c’è corrente?” chiese Light mentre salivano le scale dello studio fotografico. “Perché c’è un’aria trascurata?”.
“Stai facendo troppe domande”, lo riprese Aiko. Stavano salendo le scale; Light era stato ai piani superiori solo poche volte; sapeva che sopra l’ufficio di Aiko c’erano degli studi legali, in quell’edificio. I vestiti e i capelli bagnati di entrambi scorrevano sul pavimento, lasciando una scia, come grosse lumache. Passarono dinanzi una grande finestra. Affacciava su un terrazzino e Light vide la pioggia abbattersi sulle mattonelle. Un ricordo gli lancinò la mante con dolore: le senti le campane, Light?
“Dove stiamo andando?”, chiese ora con spavento.
“Ho chiuso lo studio”, rispose invece Aiko, preferendo un’altra domanda. “Non ne ho più bisogno”.
“Cosa? Dove vai? Ehi…”
Erano al quindicesimo piano. Light non si era nemmeno mai accorto che quell’edificio ne ospitasse così tanti. Erano sbucati sulla terrazza dal pavimento scivoloso e Aiko uscì fuori, sotto la pioggia. Lui la seguì. Si vedeva tutta la città. Luci e pioggia si confondevano sotto i loro piedi. Sembrava guardare il mondo dall’alto, troppo alto. “Che ci facciamo qui, Aiko?”, le chiese di nuovo, dovendo urlare. Un altro tuono rombò, il cielo si fece viola per un secondo, poi di nuovo tutto buio. L’unica fonte di luce veniva dal basso, dove si estendeva la città.
Lei gli sorrise per risposta; aprì la borsa ed estrasse Nikon e martello.
“Che cosa fai?”.
Una sola martellata servì a spaccare l’obiettivo della macchina fotografica a cui Aiko era tanto affezionata.
 
“Hai scelto un vicolo cieco, eh, Misa-chan?”.
“Ti ho detto di andartene”, disse lei, guardando in alto. C’erano delle case nelle vicinanze ma le finestre erano chiuse a causa del temporale. “AIUTO”.
Ito l’afferrò di nuovo per il braccio. “Lasciami andare”, ringhiò Misa con aria minacciosa. Un’aria che lui non gli aveva mai visto. Sembrava un’altra persona.
Rise. “Sei troppo divertente. Giochi a fare l’attrice adesso? Sei molto brava, mi avevi quasi convinto, sai? Ma non ti si addice, piccolina mia, vieni qui…”
La portò a sé con la forza e la baciò. Lei tentò di farsi indietro ma lui le schiacciò la testa contro la propria, incastrandola contro il muro, e le infilò la lingua in bocca. Le sue mani si muovevano lungo il suo corpo; tastavano ogni tratto di carne riuscissero a trovare. Misa versò un paio di lacrime, odiando quell’impotenza. Gli morse il labbro e lui indietreggiò con una spaccatura sulla bocca.
“Non fare la cattiva”, le disse in un tono amoroso che faceva paura.
Lei lo spinse via. Lui le diede un ceffone. Misa cascò atterra, dolorante e bagnata. Lo vide accasciarsi su di lei, pronto a fare chissà che cosa, quando una voce urlò “EHI”.
Dei ragazzi erano appena entrati nel vicolo, diretti a casa. Ito scappò via, scavalcando un muretto e sparì nella pioggia. “Sta bene signorina?”, chiese qualcuno. Ma mentre giaceva sull’asfalto bagnato, i capelli a coprirle il viso, Misa stava vedendo una serie di immagini che le esplodevano nella testa. L’inizio di ogni cosa. Un pazzo criminale che la inseguiva; lei che urlava e finiva contro un cancello; lo Shinigami Jealous che le salvava la vita per poi sgretolarsi; la caduta di un quaderno nero dal cielo; la comparsa di uno Shinigami bianco, scheletrico, di nome Rem. Light, Kira, Light…
 
“Perché l’hai fatto?”, urlò Light, la pioggia che gli lavava il viso. “Sei pazza?”.
Lei sorrise con un’espressione di dolore sul viso. Sembrava aver spaccato la propria anime con le proprie mani. I pezzi di plastica luccicavano sotto le nubi.
“Non ne ho più bisogno”, Aiko si voltò verso l’immenso e aprì le braccia. “Sono libera! Guardami, sono libera! Deciderò della mia vita. E voglio farlo ora”. Corse in avanti e con un salto spedito salì in piedi sulla ringhiera del terrazzo.
“AIKO”, urlò Light, pieno di terrore. Corse in avanti e la raggiunse ma lei gli protese un braccio contro.
“Stammi lontano”, gli disse. “Io voglio morire, non vedi?”.
“Per quale motivo? Perché non ti amo?”.
Lei scosse il capo. Le lunghe ciglie brillavano di gocce di pioggia. “Non solo tu. Io non sono amata da nessuno”, sussurrò.
Light le porse la mano. “Aiko, vieni qui”.
“No”.
“Aiko, non fare la scema”.
Lei si voltò, lo fissò in volto e gli sorrise. “Credo che io sia il tuo primo caso particolare, Kira. Mi ammazzo da sola mentre cerchi di salvarmi”, socchiuse gli occhi in un’espressione rilassata, che lo paralizzò: sembrava una bambola di porcellana. “Sayounara, Light”.
“AIKO”.
I piedi di Aiko indietreggiarono sulla ringhiera e lei cadde giù, con un sorriso sul volto. Come al rallentatore, Light si sporse in avanti. Lei pensò ‘è finita, me ne vado per sempre’ ma una forza calda e morbida la tratteneva a quella miserabile vita. Aprì gli occhi e vide che Light lottava per tirarla su, tenendola per mano.
“Lasciami andare”, gli urlò.
“Ma non capisci?”, gridò a sua volta Light. “Ho già ucciso troppe volte”.
Il temporale rendeva impossibile quella presa. Gli occhi enormi di Aiko erano riflessi in quelli di Light e piangevano entrambi. “Buttami via”, lo scongiurò, le dita che scivolavano sempre più via. Le loro mani erano troppo bagnate per rimanere unite. Un altro fulmine, poi un altro tuono. Il cielo era nero come l’ebano. Sotto i piedi penzoloni della ragazza, Fukuoka si intrecciava in miriadi di luci strette fra loro, che si muovevano, si contorcevano.
“Datti una spinta”, urlò Light, disperato.
Erano uniti solo per le punte. Lei sorrise. Aveva visto i suoi occhi come ultima cosa prima dello schianto. La presa si allascò. “AIKO”. Lei non urlò nemmeno mentre precipitava alla velocità della luce, nel vuoto assoluto. Ma ci fu un fulmine, una massa nera che si avvicinò, uno scatto e poi Light cadde sulle piastrelle bagnate, terrorizzato.
“Devo sempre salvarti le palle, eh, Light?”.
Ryuk era più immenso di come se lo ricordava. Tra le braccia teneva una svenuta Aiko. La poggiò delicatamente ai piedi del ragazzo e lo guardò dall’alto in basso. “Credevo che il mio quaderno determinasse il destino. Ma sembra che un medico ingenuo sia riuscito a curarti! Povera Misa. Lei non ce la farà. Lo scambio degli occhi e la vita dimezzata non possono essere curati”.
“Cosa vuoi da me?”, gli disse Light, prendendosi la testa con la mano destra. Gli occhi erano nascosti dalla frangia castana. Per un attimo, parve il Light di sempre.
“Niente, volevo vedere se eri crepato”, Ryuk scoppiò in una risata. “Non hai una mela, eh?”,
“No, non ce l’ho”. Light si mise in piedi, prese Aiko tra le braccia e voltò le spalle allo Shinigami. “Grazie”, gli mormorò. “Per lei. Non ho nient’altro da dirti”.
“Sei sempre uno spasso, eh-eh”.
 
Quando Light varcò la porta di casa, completamente bagnato, erano passate le otto. Si appoggiò alla porta, scalzo, e sospirò. Voleva svegliarsi e notare di aver fatto un incubo. Ma non poteva fuggire dalla realtà. Si spogliò per non sporcare il pavimento di casa e si affacciò in salotto. La cena non era sul tavolino dove di solito mangiavano; nemmeno in cucina c’era odore di ramen; “Misa?”, chiamò. “Sei arrabbiata con me perché ho fatto tardi? Posso spiegarti!”.
Arrivò in camera da letto, indossando solo i boxer. Misa era inginocchiata vicino la tenda, di profilo. Sembravano essere tornati i vecchi tempi. I capelli biondi erano legati per metà in due codini; le calze a rete le davana quell’aria di una volta; dal collo le pendeva una croce; il corpetto una volta perfetto su quel corpicino piatto, ora era leggermente esteso sul pancione.
“Come hai fatto a infilare la pancia lì dentro?”, le chiese, con cautela.
“L’ho fasciata”.
“Cosa? Misa…”.
Lei pianse. Lui le andò incontro ma fu respinto quando tentò di abbracciarla. “Ricordo tutto, Light. Tutto quanto! Sul Death Note”.
Light trasalì. Il silenzio era pesante, senza ossigeno. Sembrava creatosi un muro tra loro. Lui ora non si sentiva di toccarla. “Misa…”
“Misa? Ma che Misa!”, lei singhiozzò, con la bocca nel palmo. “Tu mi odi! Tu non mi hai mai amata, Light! Tu mi hai sempre disprezzato!”
Lui si sentì il cuore trafitto da una spada incandescente. Gli mancava il fiato per protestare, anche solo rispondere.
“Ma io ho fatto di tutto per te. Ho mentito. A tutti, persino a L. Ho fatto lo scambio degli occhi per ben due volte. Solo per te, perché ti amavo. Ho dimezzato la mia vita… due volte…”.
Light scattò in avanti e l’abbracciò. “Perdonami!” le disse, gli occhi pieni di lacrime. Si sentiva la gola ostruita da una tappo e la fronte andare in ebollizione. “Ero sotto l’effetto del potere, avevo perso il senno. Sono sempre stato un ragazzo che ha sempre pensato solo per sé stesso. Ma quando ho saputo che anche tu eri in quell’ospedale, sono venuto a cercarti subito. Appena ti ho vista… Misa, io ti ho amata subito! Mi sono accorto di quanto importante sei per me!”.
“Ma poi sei stato con Aiko”.
Lui sepolse il viso tra i suoi capelli. “Ti prego, libera la pancia, togliti gli abiti neri. Io sono innamorato di te, Misa. Voglio che il bambino nasca!”.
Le sue labbra tremolarono. “Morirò comunque”.
Light la fissò negli occhi, scrutando ogni movimento delle sue pupille. “Ti farò felice prima di allora e mi prenderò cura di Lawliet. Misa… vuoi sposarmi?”.
Lei lo fissò sbalordita, poi si asciugò gli occhi con le dita smaltate di nero. “Credevo che non me l’avresti mai chiesto. Sì che lo voglio, idiota!”.

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Capitolo 9
*** 9 ***


 
Passai dei bellissimi mesi con Misa. La primavera mutò nel caldo estivo e lei desiderò andare al mare. Affittai una casetta sulla riva, con una vista stupenda, e ci trasferimmo lì alcuni giorni. Lei, in abito bianco,  sandali e cappello, era splendida. Rideva sempre, tenendosi la pancia, ed era ingrassata. Spesso mi chiedeva se la trovassi brutta ma per me non esisteva donna più bella. Una notte mi alzai per prendermi da bere, con il rumore delle onde nelle orecchie, e la sentii parlare a telefono. Non volle mai dirmi con chi parlava, e mi fece riaddormentare con mille dubbi. Poi capii che mi aveva fatto una sorpresa e infatti, il giorno dopo, mentre lei era a raccogliere conchiglie, bussarono alla porta. Andai ad aprire, convinto che fossi lei, e mi ritrovai a fissare un volto più vecchio, stupendo, il volto che amavo di più al mondo. Mia madre. Lei mi disse che non c’era perdono per ciò che avevo fatto; per aver ucciso papà e tutte quelle altre persone; mi disse senza versare alcuna lacrima che non c’era assassino che meritava la pena di morte più di me. Ma poi scoppiò a piangere e mi disse che quando ero nato l’avevo resa la donna più felice al mondo. Senza dire nulla, le poggiai la testa sulle gambe, desiderando tornare bambino, e piansi sul suo grembo, finchè non mi fui assicurato il suo perdono. La mamma andò via dicendo di voler essere informata sulla gravidanza. Misa rientrò con un barattolo pieno di conchiglie che posò su una mensola. “Sei felice?”, mi disse.
“Molto”, risposi. “Ti amo”.
La baciai, carezzandole la pancia, e sperai che il tempo si fermasse. Quando l’estate finì tornammo a casa, trovando un mucchio di lavoro da sbrigare. Presi incarico presso Ishida-san, come assistente manager. Mi divertivo molto sui set e mi piaceva rispondere al telefono con la frase pre-studiata “Misa Amane è in maternità. Le farò sapere quando ritornerà a posare”.
Per quanto riguarda Aiko, veniva a trovarci spesso. Per fortuna non ricordava Ryuk e ogni volta che veniva ci chiedeva del bambino. Suo padre si era finalmente ricoverato in una clinica per alcolizzati e lei aveva ripreso gli studi. L’autunno si presentò freddino, ma soleggiato. Pioveva di rado ed era un bene perché quando il tempo era buio, Misa era di pessimo umore, tanto da picchiarmi con i cuscini del divano.
Le visite ginecologiche erano sempre più frequenti. La placenta sembrava essersi normalizzata ma le precauzioni restavano. Misa non poteva mangiare determinati cibi né bere il caffè. In quel periodo facemmo molte cose insieme. Andammo al tempio, a fare picnic sul prato, o semplicemente a passeggiare e fermarci in un pub. Poi tornavamo a casa, facevamo il bagno, e ci mettevamo sul letto a leggere. Leggevo per Misa senza mai stancarmi, di come Cenerentola perdesse la scarpetta di cristallo, o di come Splendore del Giorno* volesse essere libera. Dopo un’oretta lei si addormentava al suono della mia voce e allora mi accoccolavo accanto a lei, facendo sogni meno disastrosi.
“Light”, mi sussurrò lei una sera, quando aprii il libro.
“Si?”.
“Il mio bambino non sarà maledetto perché sono stata un’assassina, vero?”.
La guardai con affetto e vidi la paura impressa nel suo viso. “No”, le risposi. “Perché sarà amato dai suoi genitori, sarà un bambino dolcissimo, e vivrà bene. Vedrai, Misa, sarà felice”.
Lei mi prese la mano e l’accarezzò delicatamente come se fosse la zampa di un gatto. “Mi prometti che gli vorrai bene e che lo renderai sempre felice?”.
“Lo faremo insieme”.
“Light”. Misa si era messa a sedere e aveva portato la mia mano sul suo pancione. “Non so quando ancora ce la farò. Il Death Note ha in mano la mia vita. Ed è breve. Ti prego, quando accadrà, quando me ne sarò andata, non dire nulla a Lawliet. Digli che… ero debole o che avevo un brutto malore. Non dirgli mai che sua madre ha ucciso!”.
“Ma, anche io…”.
Misa mi baciò sulla guancia. “Promettimelo, Light. Non dirglielo mai”.
Con le lacrime agli occhi e il cuore in subbuglio, annuii. Poi ripresi il libro e ricominciai la storia da dove eravamo rimasti, riuscendole finalmente a leggerle la fine e desiderando che fosse tale la nostra vita insieme. “E così Cenerentola sposò il principe. E vissero per sempre felici e contenti…”.
 
Quel giorno mi svegliai all’improvviso, completamente sveglio. Allungai una mano al mio fianco ma Misa non era accanto a me. Preoccupandomi, mi alzai. Il pentolino del latte era sul fornello acceso, la luce era accesa in cucina sebbene fuori ci fosse il sole. Misa era accasciata sul pavimento, reggendosi al tavolo.
Le andai speditamente incontro e la vidi soffrire.
“Light, ho i dolori. Si sono rotte le acque”, mi sussurrò.
Chiamai l’ambulanza ma i minuti scorrevano lenti. Il tempo sembrava non trascorrere e non sentivo nessuna sirena nelle vicinanze. Ma sentivo le urla di Misa che non riusciva neanche a sollevarsi. Con la fronte imperlata di sudore e ormai il panico in ogni parte di me, bussai alla porta del vicino. Era un ragazzo dell’università, un po’ scemo ma buono. Mi consegnò le chiavi della sua Ford. Presi Misa tra le braccia, che pesava il doppio, e la sistemai sul sedile del passeggero. Salii al volante e misi in moto.
“Light, ma sai guidare?”, mi chiese Misa spaventata.
“Certo”, risposi, non troppo convinto.
“Quand’è l’ultima volta che l’hai fatto?”
“Boh”.
Pigiai sull’acceleratore e partii a tutta velocità. La mia mente pensava convulsamente alla placenta. E se qualcosa fosse andato storto? Se Lawliet, così piccolo e innocente, non ce l’avrebbe fatta? Cosa avrei dovuto dire alla mia Misa in qualità di padre fallito? La città era sveglissima nonostante l’ora. Non rispettai le strisce pedonali né i semafori. In quel momento ce n’erano troppi per i miei gusti. Misa piangeva dal dolore. Le fitte erano lancinanti. Si era spaccata il labbro inferiore a furia di morderlo.
L’ospedale mi parve una fonte di salvezza. Misa non riusciva a camminare. L’infermiera mi portò una sedia a rotelle e l’aiutò a sedersi. La seguii all’interno e vidi un medico di mezza età che sembrava stare senza far niente.
“La prego faccia qualcosa”, gli dissi. “Mia moglie sta partorendo”.
Portarono Misa oltre quelle porte verdi della sala parto e io rimasi fuori, terrorizzato e solo. Caddi carponi sul pavimento per chissà quanto tempo! Le mie orecchie non udivano altro se non quelle urla bestiali. Ricordo di aver pianto rannicchiato lì per terra. Avevo inghiottito l’intera paura in un corpo solo. Non riuscivo a immaginare un futuro. Quelle grida mi laceravano. Ma nulla fu più spaventoso e orrendo del silenzio dopo l’ultimo grido. Il cuore mi punse. ‘urla di nuovo, ti prego’, le dissi tra me e mè. ‘fammi sentire la tua voce’. Ma l’unica cosa che sentii fu il pianto di un neonato appena venuto al mondo. Ma nessuno si azzardava ad uscire da quella stanza, nessuno apriva quelle maledette porte. E il buio mi avvolse.
 
Camminavo come uno zombie, col medico accanto che aveva gli occhi umidi dietro le lenti sottili. Mi erano sbucate le occhiaie di un viola sfocato e le gambe mi dolevano ad ogni movimento. Era finito tutto. Non avevo più una ragione per cui valeva la pena di vivere. “Mi dispiace tanto”, stava borbottando il medico. “Il parto è stato normale e abbastanza veloce. Non so come sia potuto accadere. Era una donna molto fragile”.
Una lacrima, la prima da quando l’avevo saputo, scese finalmente sul mio viso e l’uomo sconosciuto mi posò una mano sulla spalla. “Si faccia forza. Mi segua”.
Non so dove mi stesse portando e non volevo saperlo. I corridoi erano così lunghi e bianchi, insensibili e insopportabili da vedere. La luce era così forte! O forse troppo fioca! Sembrava che stessi andando all’Inferno e che quella era l’unica strada prima della fine. “Ce la fa ad entrare?”, mi disse il medico. Guardai dentro. Mi chiesi quando fossimo scesi all’obitorio. Pensai che fosse ridicolo per l’ex Kira avere paura dei morti, eppure…
Avanzai pochi passi. Il medico rimase sulla soglia a guardarmi. Il corpo di Misa giaceva silenzioso e immobile, bianco e marmoreo, sul letto di ferro. Le presi la mano, piangendo, e gliela strinsi. “Perdonami”, le dissi. “Per tutto ciò che ti ho fatto! Non avrei mai dovuto uccidere quel criminale e tu non saresti mai venuta a cercarmi! Non avresti mai dovuto guardarmi, sorridermi, non avresti mai dovuto innamorarti di me. Ma l’hai fatto! E io ti ho fatto del male! È tutta colpa mia, Misa. Perdonami! Sono certo che andrai in paradiso. Non è vero che il possessore del Death Note non ha accesso né a paradiso né inferno. Non crederci, è una bugia. Tu eri già un angelo. Adesso ti hanno solo messo le ali! Vola in alto, Misa! Non ti dimenticherò mai”.
Le baciai la mano, bagnandola di lacrime amare. Guardai meglio il suo viso e trasalii. Stava sorridendo.
 
La seconda stanza in cui entrai era colorata e piena di movimenti. C’erano una ventina di cullette, ciasciuna con un numero e un nome, e c’era anche il mio bambino. Lawliet aveva un ciuffo di capelli corvini, una faccia paffuta, e dei piedini minuscoli. Era l’unico bambino sveglio nella nursery e quando mi vide smise di succhiarsi il pollice. L’infermiera arrivò a passo rapido, raccolse il piccino dalla culla e me lo ficcò praticamente tra le costole. Mi ritrovai a stringerlo prima ancora che fossi pronto a farlo e lo guardai ridere. Mi teneva il dito stretto nella sua manina. Aveva un naso così piccolo e degli occhi così grandi! Gli sorrisi.
“E così sei tornato da me, L. Hai trovato il modo per farlo, eh? Ma vedrai, stavolta sarà diverso! Ti terrò vicino a me, e ti darò tutto l’amore che posso. Non farò mai curvare la tua schiena, non sopporterai alcun peso. Sarai felice e io lo sarò quando ti vedrò crescere e farti sempre più simile alla mamma. Sei la mia unica ragione di vita, L. Questa volta, lo prometto, non ti deluderò”.
 
Angolo autrice: eh si, è finita. Piaciuta? Mi spiace per la morte di Misa ma era già stato progettato sin dall’inizio. Ammetto che all’ultimo avevo preso in considerazione di far vivere lei e far morire Light ma non avevo una scusante per farlo. E poi desideravo troppo concluderla con quella frase. Spero che tutto sommato vi sia piaciuta; scusate eventuali errori di punteggiatura o grammatica: ho sempre scritto dalle 23:30 in poi. Ringrazio tutte le persone che hanno recensito e che hanno letto la mia storia. Grazie di cuore, alla prossima! 

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