Scambio d'identità.

di BBecks
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Emma e Perrie. ***
Capitolo 2: *** Irish coffee. ***
Capitolo 3: *** Knowledge. ***
Capitolo 4: *** New (tragic and fantastic) lifes. ***
Capitolo 5: *** Paparazzi & boys, what else? ***
Capitolo 6: *** Hey, this is Ray. ***
Capitolo 7: *** So, you are Zayn. ***
Capitolo 8: *** Why not? ***
Capitolo 9: *** European Music Awards, really? ***
Capitolo 10: *** Just a kiss. ***
Capitolo 11: *** Worst. Date. Ever. ***
Capitolo 12: *** You and Aaron? ***
Capitolo 13: *** Oh-oh. ***
Capitolo 14: *** She knows everything, now. ***
Capitolo 15: *** ...Baby one more time. ***
Capitolo 16: *** Time for the truth. ***



Capitolo 1
*** Emma e Perrie. ***


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Scambio d’identità.
 
«Scusi.» Sbottai, mentre di fretta scendevo le lunghe scalinate diretta alla biglietteria della metropolitana. Come al solito, ero in ritardo. La metropolitana sarebbe passata tra esattamente sette minuti, e io dovevo ancora correre a prendere i biglietti andata e ritorno per Londra centro.
«Mi dispiace, non volevo infastidirla.» Dissi per l’ennesima volta ad una donna davanti a me, in tono stizzito. Mi lanciò uno sguardo di fuoco, prima di allontanarsi. Dio, ma dovevano avere tutti un diavolo per capello, oggi? Oh, e soffrono d'irritabilità premestruale, pensai.
Dopo aver comprato in fretta e furia i biglietti, mi diressi - correndo - verso la fermata della metropolitana. Riuscii a salire per un soffio, spingendo qualche persona e scusandomi, per l’ennesima volta.
Dopo aver tirato per sbaglio una gomitata ad un ragazzo, decisi di annullare le mie ricerche per trovare un posto in cui sedermi, e mi misi in un angolino, evitando accuratamente di colpire qualcun altro. Cercai poi di prendere dalla borsa il mio tascabile, con poco successo. Decisi allora di ascoltare un po’ di musica, in attesa della mia fermata.
Mentre - rapita dalla melodia - mi guardavo attorno indifferente, notai poco lontano da me un paio di ragazzine di non più di quindici anni, che mi guardavano ed indicavano stupite. Il un primo momento cercai di non farci caso, ma gli sguardi e le risatine diventarono sempre più insistenti, fastidiose, così decisi di cambiare posto.
Proprio in quel momento la metro fece la sua ennesima fermata, e almeno una trentina di persone scesero. In un movimento repentino, riuscii ad accaparrarmi un posto a sedere. Sorrisi tra me e me, soddisfatta.
Qualche minuto dopo mi accorsi che le stesse ragazzine di prima, alle quali se ne era aggiunta un’altra, mi guardavano incuriosite, di nuovo. Lentamente si avvicinarono a me.
«Scusa» iniziò a dire una delle tre. «È da un po’ che ti osserviamo...» Sul serio? Non me n’ero proprio accorta, pensai indispettita. «E volevamo chiederti se eri proprio tu.»
Sorrisi. «Be’, se intendete, Emma Davis, la sconosciuta Emma Davis, sì sono io. Se invece, pensavate fossi Perrie Edwards, mi dispiace dirvi che non è così.» Dissi, cercando di apparire il meno infastidita possibile. Le ragazzine mi guardarono per qualche secondo, perplesse, poi alzarono le spalle e tornarono alla loro occupazione.
Non era la prima volta che un gruppetto di ragazzine veniva a chiedermi se fossi Perrie Edwards, cantante facente parte di un famoso gruppo femminile. All'inizio lo trovavo divertente, ma poi iniziai a stancarmi. Era fastidioso vedere i volti dispiaciuti quando dicevo che no, non ero Perrie, né facevo parte di un gruppo di discreta fama nazionale.
In effetti, alcune delle mie amiche mi avevano fatto notare la somiglianza, ma non ne avevo dato molta importanza, finché il gruppo non aveva acquisito fama e sempre più gente mi chiedeva se fossi quella ragazza.
Quando, una delle mie più care amiche, mi aveva mostrato una foto, inizialmente ne ero rimasta colpita. Ci assomigliavamo molto, io e questa Perrie, se non per i capelli; i miei erano più sul biondo miele, e sicuramente il mio abbigliamento meno curato e particolare, mentre la voce, sicuramente quella ci rendeva meno simili. Io non ero di certo conosciuta per le mie doti canore, al contrario.
Presa com'ero nei miei pensieri, mi accorsi di essere arrivata solamente dopo che la voce metallica aveva annunciato il nome della fermata.
Velocemente presi la borsa e mi avviai verso le porte automatizzate, spingendo un’altra volta un paio di persone, e scusandomi per l’ennesima volta.
Quando salii le scale, venni accolta da uno splendido sole che quel giorno illuminava la città. Mi complimentai mentalmente per aver messo in borsa un paio di occhiali da sole e li indossai, per poi dirigermi velocemente verso la mia destinazione.
Mentre camminavo in fretta tra londinesi e turisti, guardai l’ora. Ero in ritardo di ben quindici minuti, ed ero sicura che questa volta Alison non me l’avrebbe perdonato. Non un’altra volta.
Aumentai leggermente il passo e arrivai davanti ad un grande palazzo, trafelata. Davanti all’entrata del negozio di musica in cui dovevo recarmi, notai una lunga fila di ragazzi e ragazze di tutte le età, che sorrideva, chiacchierava e sgomitava per entrare. 
Strano, pensai, di solito questo negozio di cd - dove lavorava Alison - non era così gremito di gente. Fortunatamente, poco più avanti, c’era una porta secondaria che mi avrebbe reso l’entrata molto più semplice e agevolata. Velocemente, guardandomi prima intorno sospettosa, mi diressi verso la porta secondaria, e dopo aver bussato un paio di volte, venne ad aprirmi una ragazza, collega della mia amica.
La salutai calorosamente, e mentre la seguivo per un lungo corridoio che portava direttamente in negozio, le chiesi della ressa.
«Ma come, Alison non ti ha avvertito?» Domandò. Io scossi la testa. «Be’, oggi ci sarà un famoso gruppo qui per la promozione di un nuovo album. Faranno autografi e parleranno un po’ del loro nuovo progetto.»
«Ma è fantastico!» Esclamai felice. «Chi è questo gruppo?» Chiesi, sperando in qualcuno a me noto.
«Non so se l’hai mai sentito. Mi sembra siano le Little Mix.» Quel nome mi era familiare, pensai, ma in quel momento non mi veniva in mente niente. Seguii la ragazza ancora per qualche metro, finché non mi portò dalla mia amica.
«Sei in ritardo.» Esordii lei, lanciandomi un suo famoso sguardo inceneritore. Lo riservava per i momenti più speciali.
«Lo so, e mi dispiace. C’era un sacco di gente alla metro.» Affermai, pur sapendo di aver detto solamente mezza verità. Dallo sguardo che mi lanciò capii che ne era consapevole. Cercai di cambiare subito discorso. «Allora, hai bisogno di una mano, anche oggi?»
Ogni tanto aiutavo la mia amica al negozio. Era come se lavorassi da lei part-time.
«Certo cara. Ci sono un po’ di cd da risistemare - rigorosamente in ordine alfabetico - nella selezione gruppi hard/rock. Li troverai in magazzino. Sono sicura che ti divertirai.» Scherzò, prima di allontanarsi.
«Puoi contarci.» Dissi sarcastica prima che si allontanasse. Poi mi diressi verso il magazzino.
Stavo prendendo la prima pila di cd, quando sentii dei passi sempre più vicini, una voce mi fece spaventare e cadere i cd sul pavimento. Girandomi trovai la persona che meno riuscivo a sopportare: Aaron.
«Cosa diavolo vuoi, Aaron?» Sibilai, raccogliendo i dischi sparsi per il magazzino. Se Alison avesse visto il disordine come minimo mi avrebbe sbattuto fuori, o peggio, mi avrebbe fatto pulire i bagni.
E ovviamente era colpa di Aaron, come al solito.
«Sai com’è, anche io lavoro qui.» Ribatté sarcastico, avvicinandosi e aiutandomi a raccogliere la moltitudine di cd sparsi sul pavimento. Io lo fermai con un gesto della mano.
«Non ho bisogno del tuo aiuto, puoi anche andartene.» Sibilai.
«Mi dispiace, ma Alison mi ha ordinato di venire ad aiutarti. E sai che non posso disubbidire ai suoi ordini.»
Sospirai rumorosamente e mi alzai dal pavimento, con una pila di cd tra le mani. «Perfetto. Tu sistemerai i gruppi dalla A alla F, mentre io farò il resto. Così non dovremo né parlare, né tanto meno guardarci negli occhi o altre cose tremende.» Il ragazzo rise della mia battuta - che tanto sarcastica non era -, poi prese il resto dei cd e mi seguì verso l’interno del negozio, nella selezione del genere hard/rock.
Mentre sistemavo in ordine alfabetico, sentivo lo sguardo di Aaron addosso. Non faceva altro che osservarmi, quel ragazzo.
«Si può sapere cosa diavolo vuoi da me?» Chiesi infastidita da tutte quelle opprimenti attenzioni.
«Sai cosa voglio, Emma Davis.»
Gli lanciai un’occhiataccia, perfettamente a conoscenza di ciò che stava per dirmi. «Inutile chiedere, perché la risposta è no, Aaron. Non uscirò con te nemmeno se rimanessi l’unico uomo sulla faccia della terra.» Risposi tranquilla.
«Eddai, perché no? Io sono fantastico, tu sì, sei carina. Bisogna aggiustare quella parlantina e la tua acidità. Potremmo essere una bella coppia.»
Sistemai l’ultimo cd della mia pila, poi mi avvicinai a lui, poggiandogli una mano sulla spalla e scuotendo arrendevolmente la testa. «Sei troppo narcisista ed egocentrico. Cercatene un’altra.» Poi mi alzai e andai a riprendermi la borsa, che avevo lasciato nel piccolo guardaroba. Il mio turno di lavoro era finito.
Quando vi entrai, chiusi la porta alle mie spalle e mi girai, alla ricerca dei miei effetti personali. Stavo per prendere la borsa appesa ad un gancio, quando sentii la porta aprirsi. Immaginai fosse Aaron, così mi girai e feci per aprire bocca. «Che cosa vuoi ancora Aa...»
Non finii la frase, poiché davanti a me mi trovai una ragazza, poco più alta di me, con lunghi capelli di una strana tonalità di viola e vestita in modo eccentrico. Non appena ci guardammo in faccia, lanciammo un urlo simultaneamente.
Mi trovavo faccia a faccia con una ragazza identica a me.







Minuscolo spazio autrice:
Allora, che dire? E' la prima storia che metto su EFP, e devo dire di essere parecchio nervosa (hahahaha, povera me).
Spero davvero che vi piaccia questo primo capitolo, e ovviamente più si andrà avanti meglio capirete le cose.
Fatemi sapere qualunque cosa attraverso una recensione, ve ne sarei davvero grata! A presto bellezze! :)

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Capitolo 2
*** Irish coffee. ***


Irish coffee.
 
Non poteva essere vero.
Doveva essere solamente uno strano sogno. Uno di quelli che ti sembrano reali finché non ti dai un pizzicotto e ti svegli, sorridendo e dandoti della stupida per aver creduto che fosse la realtà.
A quel punto, mi dovevo solamente svegliare.
Chiusi un attimo gli occhi e mi detti un pizzicotto sul braccio destro, che non servì proprio a nulla. Quando riaprii gli occhi, la figura femminile era ancora davanti a me, che mi guardava con lo stesso stupore con cui la guardavo io.
Nei miei pensieri vagavo domande riguardarti la ragazza che avevo davanti, che scrutavo con attenzione maniacale. Portava i capelli sciolti, in morbidi boccoli colorati, e in testa aveva una coroncina di fiori bianchi. Un rossetto bordeaux esaltava le labbra carnose. Dopo qualche secondo notai che anche lei mi stava osservando curiosa e stupita, senza proferire parola.
Rimanemmo a guardarci per un periodo di tempo che sembrava interminabile.
«Mm, credo che questo non sia il bagno.» Dichiarò lei, guardando per un attimo al di sopra delle mie spalle, per poi posare di nuovo gli occhi su di me.
Aveva un accento marcato tipico del nord Inghilterra, constatai.
Dovevo pronunciare qualche parola, mi dissi. «Be’, se vuoi ti faccio strada io verso il bagno. Lavoro qui.» Le dissi cercando - in vano - di mantenere un tono di voce professionale e distaccato; quella faccenda però era troppo surreale.
La ragazza davanti a me arricciò il naso. «No senti, il realtà avevo solamente bisogno di evadere per un attimo dalla ressa che si è creata la fuori. Credo non mi abituerò mai a tutto questo...» Ammise più a sé stessa che a me.
Qualcosa mi diceva che quella ragazza aveva bisogno di una paura caffè. Un caffè irlandese, magari.
«Senti...» iniziai a dire, cercando di non mostrarmi troppo invadente. «Io ho finito il mio turno adesso, e se ti va possiamo andare a berci un caffè, nella caffetteria del negozio. Di solito è semideserta.»
Sicuramente mi avrebbe preso per una ragazza strana. O peggio. Alzai mentalmente le spalle. Oramai la situazione era già strana. Difficile renderla ancora più strana di così.
Diversamente da ogni mia previsione, la ragazza mi sorrise grata e annuì. Quando si aprì in un sorriso grato notai il leggero accavallamento di un incisivo centrale sull’altro, che rendeva il suo sorriso molto particolare e gradevole.
«Un caffè è proprio ciò di cui ho bisogno.» Rispose.
Presi la mia borsa e il cappotto, poi le feci strada verso la piccola caffetteria, passando per una porta secondaria posta in magazzino. Sperai di non incontrare Aaron, e così fu.
Come previsto, quando arrivammo alla caffetteria era semivuota. Vi erano solamente un paio di clienti che sorseggiavano il tè e ascoltavano la musica rilassante che proveniva da una vecchia radio posta sul bancone.
Ordinammo un caffè normale per la ragazza, e un caffè irlandese per me (sentivo il bisogno di rifocillarmi con un po’ di alcool, aggiunto alla caffeina). Dopo aver preso le ordinazioni, le feci strada verso un piccolo tavolino di legno, dove ero solita sedere io durante le pause.
Mentre - in religioso silenzio - sorseggiavamo i nostri caffè, le lanciavo qualche occhiata indagatrice, corrugando leggermente la fronte. Mi somigliava davvero molto. Dopo l’ennesima occhiata, incontrai i suoi occhi azzurri, così uguali ai miei.
«È tutto così surreale.» Disse lei, come se mi avesse letto nel pensiero. «Cioè, ho davanti a me la mia copia perfetta. Non avevo mai visto una mia sosia. Comunque, piacere, io sono Perrie. Perrie Edwards.» Si presentò, porgendomi la mano.
Perrie Edwards. Riflettei su quel nome e in un secondo mi vennero in mente le ragazze sulla metropolitana di quella mattina, due ragazzi che qualche giorno  prima mi avevano fermato per chiedermi l’autografo, convinti che fossi la famosa ragazza appena uscita da X Factor UK.
Quel giorno era stato divertente perché avevo fatto finta di essere lei, facendo quegli autografi.
O ancora, ricordavo il giorno in cui un paio di ragazzine mi avevano urlato. «Salutami Kelly Rowland.»
«E chi cazzo è Kelly Rowland?» Avevo sbraitato di rimando, infastidita. In quel periodo non sapevo che era stata proprio questa Kelly Rowland a seguire l’audizione di Perrie. Non dimenticherò mai i loro sguardi stupiti, quasi spaventati.
Certo, non ero stata molto educata, né tantomeno fine, ma sinceramente non me ne importava un granché.
«Perrie Edwards, X Factor, Kelly Rowland, Little Mix...» Mormorai, dimenticandomi di stringere la mano della ragazza, che era rimasta a mezz’aria. «Oh, perdonami.» Dissi poi, ricambiando il saluto, sorridente.
«E così, conosci anche tu le Little Mix.» Disse lei, in tono neutro. «A proposito, non mi hai ancora detto come ti chiami.»
«Emma, Emma Davis. Niente a che vedere con il tuo curriculum. Non sono una cantante, non sono famosa. Sono una semplice studentessa che lavora in questo negozio di cd. Vedi, anche il mio nome lo conferma. Comune e scontato.»
Perrie bevve una lunga sorsata di caffè, poi sospirò. «In realtà, pagherei per essere normale.» Ammise. «Non che questa vita mi piaccia, anzi... cantare è ciò che ho sempre desiderato fare, solo che...»
«A volte vorresti tornare alla vita che conducevi prima di X Factor, staccare da tutto e da tutti. Anche solo per un mese.» Terminai la frase per lei. «Non sai invece quanto mi piacerebbe essere qualcun altro, fare una vita completamente differente da quella che sono abituata a fare. Anche solo per un mese, appunto.»
Era la prima volta che confessavo tutto questo, o che lo dicevo ad alta voce.
Perrie mi guardò per qualche secondo, sorridendo sorniona. «E così, noi ci assomigliamo molto, non trovi?»
Corrucciai la fronte, guardandola stranita. «Certamente. Solo che io non ho il tuo gusto nel vestire. Sono molto più sciatta e meno curata. Non so se hai notato...»
«Oh, ma a quello si può rimediare.» Le sentii dire. Sbaglio o stava tramando qualcosa?
«E non ho il tuo colore di capelli. I miei sono di un biondo spento. Guardali. I suoi al confronto sono fantastici.» Aggiunsi, prendendomi una ciocca di capelli e guardandola contrariata. Oltre al colore, i nostri capelli si differenziavano per la lunghezza. I miei arrivavano di poco sopra le spalle, ed erano ricci.
«Be’, anche a quello si può rimediare. E poi i tuoi capelli sono fantasticamente ricci.»
Dopo aver bevuto l’ultimo sorso di caffè, continuò a guardarmi e sorridere. Sembrava volesse chiedermi qualcosa. «Sputa il rospo.» Le dissi, facendole capire perfettamente che avevo inteso qualcosa.
«Non lo so,forse ti sembrerò l’ennesima folle. Stavo pensando ad una cosa... Da quanto ho capito ti piacerebbe provare ad essere qualcun altro, per un po’. Be’, a me piacerebbe tornare ad essere Perald, la ragazza normale. Vorrei fare un lavoro normale, legato comunque al campo della musica... e lavorare in un negozio di cd sarebbe perfetto. Lo so, è folle...»
«È follemente geniale!» Esclamai, esaltata. «Se fosse per me inizierei da subito la vita da celebrità. Solo che non mi sembra di poterti offrire di meglio. Guardami, sono una commessa, abito in un piccolo appartamentino che divido assieme ad una ragazza che non c’è quasi mai. Ho appena completato gli esami. Non ho un granché da offrirti.»
«Io penso sia la vita perfetta. Un mese. Per un mese io sarò Emma Davis, la commessa barra studentessa, e tu sarai Perrie Edwards, la cantante famosa. Cosa sarà mai un mese?» Le sue parole erano convincenti, e in altre occasioni avrei accettato senza riguardi. Solo che in quel momento c'era qualcosa che mi bloccava. Avevo come l’impressione che sarebbe potuto andare tutto storto. «Ti insegnerò tutto ciò che c’è da sapere. E per qualunque cosa ci terremo in contatto.»
Credevo di aver finalmente trovato l’amica perfetta. Un concentrato di simpatia, e un pizzico di follia. Perché quello che voleva fare era davvero folle.
Folle, ma maledettamente interessante.
Mentre assieme ci dirigevamo verso il bancone per pagare, Perrie continuava a lanciarmi sguardi di preghiera. Dopo aver pagato per tutte e due, tornammo a sederci al tavolo, continuando a fantasticare su ciò che avremmo potuto fare, ognuna nella vita dell’altra.
«Ho proprio bisogno di sentirmi di nuovo una ragazza normale, Emma. Una qualunque, che lavora in un negozio normale, circondata da persone normali, e fare cose normali. Tutto qui.» Ammise la ragazza.
Poi mi lanciò un altro sguardo supplichevole.
Forse era stata l’euforia derivata dall’aver bevuto quel caffè con aggiunta di alcool, fatto sta che dopo una lunga occhiata al panorama londinese, mi girai verso Perrie, sorridendo e annuendo convinta. «Sarà un mese fantastico, ne sono sicura.»
In fondo, cosa mai poteva succedere in un mese, mi chiedevo. Erano solamente trenta giorni. Trenta giorni di puro divertimento e svago. Avrei vissuto come una ragazza famosa, tra lussi, viaggi e divertimento.

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Capitolo 3
*** Knowledge. ***


Knowledge.
 
«Perrie, sei proprio sicura di ciò che stiamo per fare?» Le richiesi, per l’ennesima volta, in quel giorno.
Non ero mai stata così dubbiosa su qualcosa. Soprattutto se la cosa in questione avrebbe potuto rendere la mia vita fantastica, anche se solo per un mese. Solo un mese. Forse era quello che mi spaventava, il ritorno. Ritornare ad essere di nuovo la noiosa e normale Emma Davis.
La ragazza sbuffò per l’ennesima volta, infastidita dalle mie continue domande. «Senti Emma. Non sono mai stata così convinta su una cosa come oggi. Solitamente sono una che si tira indietro, che non affronta le sfide, che ha paura del cambiamento.» Mentre me ne parlava, si mordeva nervosamente il labbro inferiore. Era come se non avesse mai raccontato nulla a nessuno, come se fossi la prima con cui si era aperta così tanto.
«Mi hai convinta, Perrie. E comunque, non avrei potuto più tornare indietro, oramai siamo qui.»
Eravamo nel mio appartamento, ed erano passati un paio di giorni da quando avevo incontrato Perrie per la prima volta.
Quel famoso giorno, dopo aver chiacchierato per un po’ ed esserci scambiate il numero di cellulare, Perrie era purtroppo dovuta tornare dalle altre ragazze, che sicuramente stavano iniziando a chiedersi dove fosse finito il loro quarto membro.
Ancora non ci credevo, che avremmo davvero fatto questa follia. A quanto pare ero l’unica che la riteneva tale, perché la ragazza era tranquilla, e non vedeva l’ora di iniziare la sua nuova fantastica - e monotona aggiungerei io - vita.
«Ricapitoliamo.» Dissi, guardando una foto davanti a me. Perrie iniziò ad indicarmi una ragazza, a destra dell’immagine. «Quella è Leigh-Anne, ma voi tutte la chiamate Leigh.»
Perrie chiuse gli occhi e ispirò profondamente. «Risposta errata. Lei...»
Ridacchiai. Era l’ennesima volta che sbagliavo. «Aspetta, non la chiamate Leigh, ma Anne?» Provai a dire, beccandomi un’occhiataccia da Perrie.
«Jesy, lei è Jesy. La riccia è Leigh, mentre quella coi capelli dai riflessi blu è Jade. Non è difficile, davvero.»
Era da quasi un’ora che Perrie cercava di farmi entrare in mente il nome degli altri membri delle Little Mix. Il fatto che non fosse sola rendeva le cose un po’ più complicate, ma alla ragazza sembrava non importare nulla. Non voleva nemmeno dire alle altre ciò che aveva in mente. Un mese sarebbe passato senza nemmeno accorgersene, aveva detto. Non c’è bisogno che gli altri sappiano.
«Facciamo una pausa?» Le chiesi, alzandomi e dirigendomi in cucina. Presi un paio di tazze di porcellana e ci versai del caffè caldo. Poi raggiunsi di nuovo Perrie, e assieme andammo sul balcone.
Nonostante la stagione fredda, quel giorno a Londra splendeva un pallido sole, che illuminava la città, e infondeva un po’ di calore. Mi sedetti su di una sedia di plastica bianca, e iniziai a sorseggiare il caffè. Dopo un po’, cercai la mia borsa ed estrassi un pacchetto di sigarette. Non fumavo spesso, solamente quando volevo rilassarmi.
«Sei consapevole del fatto che io non fumo, di conseguenza non potrai farlo nemmeno tu, vero?» Disse Perrie, guardandomi contrariata.
Guardai la sigaretta che avevo tra le mani, poi la rimisi nel pacchetto. Forse questo mese sarebbe stato difficile, sotto un certo punto di vista. Era meglio iniziare ad abituarmi fin da subito, a certi divieti.
«Dai Ems» Perrie si girò verso di me, mostrandomi per l’ennesima volta quel sorriso particolare. «Ora tocca a me imparare, parlami di te.»
Nessuno mi aveva mai chiamato così, avevano sempre usato il mio nome per intero, pensai. Era carino però, quel soprannome.
Bevvi l’ultimo sorso di caffè, poi poggiai il bicchiere a terra. «Direi che di me non c’è molto da dire. Allora, fortunatamente ho dato tutti gli esami dell’università, quindi non dovrai  nessuna lezione. Lavoro quasi tutti i giorni al negozio di musica, assieme ad Alison, Bonnie... Oh, e Aaron. Alison è la mia migliore amica. La riconoscerai subito: alta, capelli rossi, occhi verdi. Poi c’è Bonnie, io e lei non parliamo quasi mai, a parte per motivi strettamente legati al lavoro. Infine Aaron, be’, lui è poco importante.» Dissi, alzando distrattamente una mano mentre ripensavo ad Aaron. Ecco, lui sicuramente non mi sarebbe mancato.
Valutai anche l’idea di parlare con Alison, di raccontare dello scambio tra me e Perrie, ma poi preferii non farlo. Avrebbe sicuramente tentato di farmi cambiare idea in tutti i modi possibili.
«Se vuoi, possiamo andare a dare un occhiata. Ad Alison e gli altri, intendo. Così ti mostrerò anche il modo per arrivare al negozio, da casa mia. Ovviamente dovrai usare la metro.»
«È da anni che non uso la metro. Mi mancava quasi spostarmi per Londra con quel mezzo.» Ammise lei.
Non credevo le sarebbe mancata la ressa per salire in metropolitana, trovare posto, comprare i biglietti, e riuscire a scendere alla fermata giusta. E presto se ne sarebbe accorta. Nessuno con un briciolo di normalità ama spostarsi per Londra con un metro. Soprattutto se hai la possibilità di usare una macchina con autista privato, proprio come Perrie.
Dopo aver finito i nostri caffè, indossammo i giubbotti e ci preparammo per uscire. Aprii la porta di casa, ma mi fermai sulla soglia. «Dove credi di andare così?» Chiesi a Perrie, indicandole i capelli eccentrici.
«Credo che per quando ci scambieremo, dovrò tingermeli.» Disse, leggermente dispiaciuta, prendendosi una ciocca viola tra le mani ed esaminandola.
«Altroché se lo dovrai fare. E nel frattempo» dissi mentre tornavo in camera mia. «Indosserai questo.» Le porsi un cappellino di lana. Lei lo guardò perplessa, quasi sdegnata. «Vuoi o no evitare di farti riconoscere? Gli occhiali da sole non basteranno.»
«Solitamente non metto cappelli.» Disse flebilmente. «Ma questa volta farò un’eccezione.» Aggiunse, prendendomelo dalle mani e indossandolo. Poi si mise gli occhiali, e io feci lo stesso. Non avevo nemmeno voglia di essere scambiata per lei, non stavolta. Uscimmo in fretta da casa, e in poco tempo ci trovammo alla metro, in fila davanti alla biglietteria.
In una lunghissima fila davanti alla biglietteria, rettifico.
«Quanto ci vuole per questi biglietti?» Chiese Perrie, guardandosi attorno, annoiata.
«E di solito è peggio.» Ammetto alzando le spalle. «Ti ci abituerai.»
Dopo aver preso i biglietti, camminai velocemente verso la fermata, ovviamente sgomitando, scusandomi e guardando male le persone. Ogni volta che lo faceva Perrie invece, si fermava a scusarsi con chiunque neanche avesse combinato il danno peggiore di questo mondo.
«Non c’è bisogno che ti fermi a scusarti con chiunque colpisci per errore. Soprattutto se la colpa non è tua.»
Sicuramente io e Perrie ci assomigliavamo molto di viso, ma avevamo il carattere opposto. Lei era dolce, simpatica e disponibile con chiunque. Io tutto il contrario. Non importa però mi dissi, perché in quel mese mi sarei immersa completamente nel nuovo personaggio. Avrei potuto dare prova a me stessa di essere una fantastica attrice, e perché no, anche entrare nel mondo dello spettacolo, un giorno.
Sulla metro, cercai di farmi spazio tra le persone, per raggiungere un paio di posti liberi. Intanto Perrie, dietro di me, cercava di non perdermi di vista, e nello stesso momento di evitare di colpire qualcuno.
Quasi venti minuti più tardi, scendemmo dalla metropolitana. Velocemente attraversammo il centro della città, fino ad arrivare davanti all’entrata del negozio. Quella volta non vi era alcuna lunga fila, anzi, era quasi completamente deserto.
«Bene. E adesso come fai a mostrarmi Alison, Bonnie e Aaron?»
«Di entrare non se ne parla. Alison mi rinascerebbe subito, ed inizierebbe a fare domande... aspetta un secondo.» Le dissi, avvicinandomi al vetro del negozio. All’interno vidi una ragazza, e la identificai subito come Bonnie. Feci segno a Perrie di avvicinarsi e gli indicai la riccia. «Quella è Bonnie.» Dissi, abbassando il tono della voce. «Quella invece è Alison.»
Perrie la guardò e infine annuì. «Tutto chiaro. Qualcos’altro da scoprire?»
«Non mi sembra. Tutto ciò che c’è da sapere sulla mia monotona vita, te l’ho detto.»
Dopo aver fatto un giro per il centro - fortunatamente senza che nessuno scoprisse l’identità di Perrie - tornammo al mio appartamento.
Tutto sembrava pronto. Tra poco più di ventiquattro ore, sarei ufficialmente diventata una persona completamente differente.









Spazio autrice:

Eccomi ragazze, con il terzo capitolo. Lo so, qui non succede assolutamente nulla ed è corto, ma dal prossimo capitolo si darà il via allo scambio. Ho deciso che farò un capitolo in cui ci sarà il POV di Perrie e uno di Emma. Non vedo l'ora di entrare nel vivo della storia :3 e voi? Volevo solamente dirvi una cosa: in questo mondo parallelo Perrie e Zayn non stanno assieme, si conoscono e basta (però lui sarà fondamentale nel corso dei capitoli). Al prossimo capitolo!                  

                                                           Becks

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Capitolo 4
*** New (tragic and fantastic) lifes. ***


New (tragic) life.                                                                                                                                                                                                      Perrie.

 
Aprii lentamente gli occhi, svegliata da un rumore fastidioso e incessante che sembrava provenire dall’esterno del mio appartamento. Assomigliava al suono di un campanello, o forse, qualcosa di molto simile ad una sveglia.
Appena sveglia non riuscivo a distinguere i diversi suoni.
Mi stropicciai lentamente gli occhi assonnati, poi mi stiracchiai.
Alzarmi era sempre difficile, soprattutto per me, visto che dormivo su di un meraviglioso e morbido letto a una piazza e mezza. Il meglio della comodità. Rotolai su un fianco, spostando le lenzuola, ma finii con il sedere a terra. Quello non era decisamente il mio letto. Lentamente mi alzai e iniziai a guardarmi intorno, non  riconoscendo inizialmente gli oggetti che componevano la stanza di Emma. La stanza non era molto grande, ma il compenso aveva un enorme finestra che dava direttamente sul Tamigi, e oltre a quello si potevano notare altri vecchi edifici. Sorrisi di quella vista. Certo, nel mio appartamento - che si trovava a Nottingham -, la visuale era meravigliosa, ma in questa casa era molto più personale e intima.
Quella stessa stanza che a partire da quel giorno sarebbe diventata mia per un mese.
Giusto, la mia nuova vita.
Dovevo ammettere che mi sarebbe mancato il mio morbido letto, ma in compenso avevo una vita normale, senza le preoccupazioni derivate dall’essere una star internazionale. La vita da “celebrità” - se così potevo definirmi - a volte mi metteva in ansia. Dover sempre essere perfetta agli occhi di tutti, era sfiancate. Non era nemmeno possibile passare un giorno senza vestirsi in modo decente o truccarsi, altrimenti saresti finita in una rivista di gossip da due soldi, e la gente ti avrebbe etichettato come una sciattona. Le etichette erano uno delle cose che odiavo di più della mia vita da cantante affermata.
Sarebbe stato assolutamente un mese fantastico.
Mentre ero persa nei miei pensieri, continuai a sentire quello strano ronzio che qualche minuto prima mi aveva svegliata. Mi alzai massaggiandomi una chiappa dolorante, poi mi avvicinai al comodino, alla ricerca della sveglia. Non trovai assolutamente nulla. In compenso però, quel fastidioso rumore non cessava. Improvvisamente capii: il campanello. Doveva per forza essere quello.
Attraversai a piedi nudi il lungo corridoio con il pavimento in marmo, saltellando per il freddo, poi aprii la porta. Davanti a me trovai una rossa, che mi guardava truce.
«Ma dove diavolo eri finita, Emma?» Iniziò a dire, poi entrò in casa senza tanti complimenti, dirigendosi verso la cucina. Continuava a lamentarsi, gesticolando in maniera esagerata, mentre io la guardavo, leggermente turbata.
«Che ti prende adesso, Emma? Il cane ti ha staccato la lingua a morsi e ha cenato con quella?»
Scossi la testa, ricordandomi di entrare nel personaggio. «Oh, sto bene... Bonnie. Cioè, volevo dire Alison.»
Lei era sicuramente Alison, l’amica esuberante di Emma. Me l’aveva mostrata proprio il giorno prima, quando eravamo a Londra centro.
«Allora, che ti prende, sei ammalata?» Continuò a chiedere, subito dopo estrasse un cartone di succo all’arancia dal frigorifero, prese un bicchiere - conosceva la collocazione degli oggetti meglio di me - e se ne versò un po’.
La mia voce suonò ancora leggermente titubante. «No, no. Sto benissimo. Allora, perché sei venuta a farm compagnia, Alls?»
Adoravo dare un soprannome a chiunque. Era carino. Carino e dolce.
«Primo: oggi è il giorno in cui solitamente andiamo da Ray, in macchina. Secondo: ci hai messo anni ad aprirmi alla porta, stavo per buttarla giù a calci. Terzo: come diavolo mi hai chiamato? Alls? Ti sei per caso bevuta il cervello?»
«Perché, non ti piace?» Chiesi, mentre prendevo un lungo sorso di succo. Avevo bisogno di zuccheri.
La ragazza che si mi ero trovata davanti era decisamente tutto tranne che dolce. Quel soprannome non era affatto adatto a lei.
Aspetta un secondo, cosa aveva appena detto la rossa davanti a me?
«Cosa dobbiamo fare oggi?» Le richiesi, non capendo assolutamente che cosa intendesse fare oggi.
«Connetti il cervello, Emma. Dobbiamo andare da Ray. Guidi tu?»
Guidare? Non avevo alcuna patente. Avevo fallito i test almeno tre volte, nell’ultimo anno. E da quando ero entrata nelle Little Mix, ci spostavamo sempre o in aereo, o in una macchina con un autista, quindi la patente non mi serviva. E chi era quella Ray di cui Alison mi parlava?
Rimasi qualche secondo in silenzio, per guadagnare un po’ di tempo per pensare a cosa fare. Non potevo dirle chi ero veramente, no, non era nei piani. «Dobbiamo proprio andarci da questa May?»
«Ray, non May.» Disse Alison, guardandomi truce. Assottigliò poi gli occhi, chinando leggermente il capo verso destra e guardandomi attentamente, come se stesse studiando il mio volto. Ora mi riconoscerà, pensai.
Spostai subito lo sguardo, dirigendomi verso il bagno. «Vado a farmi una doccia, poi decidiamo cosa fare.» Appena vi entrai chiusi a chiave, e mi appoggiai alla porta, sospirando profondamente. Ora cosa dovevo fare? Nascondermi in bagno aspettando che Alison se ne andasse? Oppure uscire dalla finestra, così da scampare a quella ragazza?
Alison sembrò sentire i miei pensieri a metri di distanza, infatti dopo un attimo - mentre ero ancora appoggiata alla porta - iniziai a sentire qualcuno che bussava rumorosamente. «Esci da quel maledetto bagno, Emma!»
Sul volto mi di disegnò un espressione terrorizzata. L’amica di Emma era una pazza psicopatica. Dovevo assolutamente scappare.
Fortunatamente avevo chiuso la porta a chiave. Iniziai a fare avanti e indietro per la stanza, alla ricerca di un’idea brillante per filarmela da questa gabbia di matte.
«Non ricordi che la porta del tuo bagno è rotta? La si può aprire anche dall’esterno, con o senza chiavi.» Disse Alison, entrando ed avvicinandosi pericolosamente a me. «Oggi sono incazzata come una iena, Emma. E non voglio assolutamente scherzetti da parte tua, o da chiunque. Cambiati e andiamo da Ray.»
Con rammarico la dovetti seguire. Quella ragazza mi metteva in soggezione, oltre che  spaventarmi.


***


New (fantastic) life.                                                                                                                                                                                                 Emma.
 
Nessuna rumorosa sveglia mi fece destare quella mattina.
Nessuna fastidiosa - e arrabbiata, aggiungerei - Alison mi buttò giù dal letto, quel giorno. Quando mi svegliai, colpita da flebili raggi di sole che filtravano attraverso la finestra di quell’enorme camera, mi stiracchiai, mettendomi poi seduta sul letto. Una piazza e mezza. Era la cosa più comoda sulla quale avessi mai dormito.
Lentamente mi spostai, controllando l’ora sulla sveglia posta sul comodino color legno di casa Edwards. Era fantastico, vivere in quel posto.
Erano circa le dieci del mattino. Mi misi seduta ai piedi del letto, iniziando a guardarmi attorno. I colori prevalenti della stanza in cui mi trovavo, erano bianco e grigio. Era grande quanto il mio appartamento.
Okay, non così grande, ma comunque ci andava molto vicino.
Dopo aver dato un’occhiata alla stanza, mi alzai e mi diressi verso il bagno. In un lungo corridoio vi erano delle foto. Una di esse raffigurava Perrie assieme ad altre ragazze, le altre componenti del gruppo. Presi in mano la foto, e la guardai attentamente. La ragazza a destra - quella con la cascata di riccioli scuri - doveva sicuramente essere Leigh-Anne. Poi, alla sua sinistra, c’ero io  - cioè Perrie - poi, quella alla mia sinistra era Jade, e l’ultima Jesy. Perfetto, avevo imparato i loro nomi. Battei le mani, soddisfatta, poi continuai a seguire il lungo corridoio, alla ricerca del bagno.
Non potevo credere che Perrie vivesse da sola in una casa così grande, era incredibile. Decisi che dovevo chiederle una cartina dell’abitazione il prima possibile, altrimenti mi sarei persa.
Alla fine del corridoio, vidi una porta. La aprii lentamente e fortunatamente vi trovai il bagno.
Dopo aver fatto una lunga doccia calda, uscii e indossai un accappatoio, poi mi diressi verso la mia stanza. L’accappatoio era così comodo e morbido che decisi di non cambiarmi. Avrei passato tutta la giornata chiusa in questa fantastica casa, tanto cos’altro avevo da fare? Era Perrie ora quella che doveva lavorare in negozio, accanto a quel pallone gonfiato di Aaron, alle dipendenze di quella pazza isterica di Alison, la mia migliore amica.
In camera, mi ributtai a peso morto sul letto, poi cercai qualcosa da fare. Mi guardai attorno, e notai un grande schermo al plasma. Perfetto, avrei guardato la televisione. La accessi ed iniziai a fare zapping tra i canali.
Chissà se era così che passava il tempo Perrie. Sdraiata sul morbido letto, a guardare la televisione. Era proprio semplice la vita da celebrità.
Mentre guardavo un programma poco interessante, sentii dei passi provenire dal corridoio. Spensi velocemente la televisione, poi scesi lentamente dal letto. Doveva essere per forza un ladro. Cercai un oggetti che potesse fare abbastanza male, ma che non uccidesse nessuno, e trovai un paio di scarpe col tacco. Ne presi velocemente una, poi mi misi davanti alla porta. I passi si facevano sempre più vicini e sempre più pesanti. Cessarono davanti alla mia porta. Dopo qualche secondo notai la maniglia che si stava lentamente abbassando. Era arrivato il momento di colpire.
Alzai le braccia per prendere più forza possibile, e quando la porta si aprì, mi avventai sul ladro/serial killer sconosciuto. Stavo per colpirlo alla testa, quando lui - o meglio, lei - si mise ad urlare, indietreggiando.
Stavo per uccidere un membro delle Little Mix.
«Perrie? Ma che ti prende?» Mi chiese la ragazza, guardandomi terrorizzata.
«Leigh?» No aspetta, non era riccia. «Jade? Che ci fai qui?» Le domandai, senza rispondere alla sua domanda.
«Ci abito, sai com’è.» Rispose sarcastica. «Tu, perché non sei ancora vestita?»
Perché diavolo Perrie non mi aveva accennato al fatto che abitava assieme alle altre componenti delle Little Mix?
«Be’, ho pensato che visto che non avrei fatto niente oggi, sarei rimasta in accappatoio. Non c’è niente di più comodo, non trovi?» Le sorrisi.
Jade scoppiò a ridere. «Niente da fare? Perrie, dobbiamo andare in sala di registrazione, poi nel pomeriggio abbiamo un paio di interviste. Cambiati.» Mi disse, uscendo dalla stanza.
Alzai le spalle e mi diressi nella cabina armadio della mia sosia. Poi però, mi resi conto delle parole che mi aveva appena detto Jade. Aveva parlato di sala di registrazione, no? E sala di registrazione vuol dire che dovevamo incidere qualcosa. E incidere qualcosa voleva dire cantare.
E io non sapevo cantare.
Appena la ragazza fu fuori, presi in fretta e furia il mio cellulare - o meglio, quello di Perrie, supertecnologico - e composi il mio numero. La risposta non tardò ad arrivare. La voce della ragazza sembrava distante, quasi ovattata.
«Perché cavolo non mi hai detto che abitavi assieme alle altre, Perrie?» Le chiesi appena rispose, cercando di tenere un volume basso di voce.
«Pensavo fosse sottinteso. Casa nostra è enorme, con chi credevi che vivessi, da sola?» Disse lei. «Potrei sapere chi sarebbe Ray?»
«Ray? È per caso passata Alison?»
«Direi di sì.»
Risi. Quando Alison era arrabbiata l’unica cosa che voleva fare era passare da Ray. E lui, be’... Non credo che Perrie si sarebbe divertita, quel giorno. «Buona fortuna con Alison... e Ray.» Le dissi con un velo di ironia. Anche se quella frase di ironico non aveva proprio nulla. Ora però toccava a lei risolvere il mio problema. «A proposito di problemi, io ne ho uno enorme, in questo preciso momento. E si chiama sala di registrazione... oh, e un paio di interviste.»
Sentii dire a Perrie qualcosa a bassa voce. «Non ti preoccupare Emma. In sala di registrazione dovrete solamente scrivere canzoni, tu e altre. Inventati qualcosa. Per quanto riguarda le interviste, parla il meno possibile. Di solito non fanno domande personali, le fanno in generale. Quando vedi che le altre rispondono, sorridi e annuisci consenziente, andrà tutto bene.»
Le parole della ragazza mi tranquillizzarono. «Okay, ora ti lascio, ci sentiamo presto.» Le dissi.
«Aspetta un attimo. Dimmi almeno chi è questo Ray di cui...»
Non la lasciai finire e riattaccai. Era troppo complicata la storia con Ray per parlarne. E tanto ero sicura che l’avrebbe scoperta presto. In un modo o nell’altro.








Spazio autrice:

Lo ammetto, non vedevo l'ora di mettere questo capitolo. All'inizio volevo aspettare qualche giorno, ma non stavo più nella pelle. Alllllora, questo è il primo giorno delle nuove vite delle ragazze... e arrivano i nuovi problemi. Soprattutto per Perrie, povera ragazza... chissà chi è (o forse è meglio dire, che cos'è) Ray. Alison è una pazza psicopatica, non trovate? Come credete che se la caverà Emma alias Perrie in studio di registrazione? E durante le interviste? Spero vivamente non combini guai hahaha, e come se mi stessi facendo una recensione da sola xDD. A proposito di recensioni, ma quante siete? Io sinceramente non me ne aspettavo così tante, anzi, pensavo che nessuno avrebbe letto questa FF, quindi vi ringrazio ** vi adoro tutte, anche le lettrici silenziose! Siete fantastiche :) In realtà questo capitolo non mi convince, ma vi prometto che i prossimi saranno più interessanti e belli, e entreranno in scena nuovi personaggi :D Qualcuno mi sa dire come si mettono le immagini nei capitoli? Vorrei mettere un immagine di Perrie e una di Emma, giusto per farmi capire le differenze. Se qualcuno lo sa, le sarei grata se me lo scrivesse c:
Ora meglio che me ne vada, fatemi sapere cosa ne pensate, mi farebbe mooolto piacere! A prestissimooo

Becks

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Capitolo 5
*** Paparazzi & boys, what else? ***


Paparazzi & boys, what else?                                                                                                                                                                         Emma.
 
La cabina armadio di Perrie era grande dieci volte il mio armadio, constatai guardandomi attorno stupita. I vestiti erano disposti in perfetto ordine, per colore. Era proprio una maniaca dell’ordine. La mia stanza non si avvicinava assolutamente alla perfezione della sua.
Più vestiti possedevi però, più il lavoro di scelta era ardua. Soprattutto per me che non avevo assolutamente senso del gusto, ma neanche lontanamente. Rimasi ferma per quelle che sembrarono ore. Sbuffai per la milionesima volta, passando la mano su gonne, pantaloni, vestiti e magliette, aspettando un aiuto mandatomi dal cielo. Poi mi arresi. Tornai in camera e mi buttai a peso morto sul letto.
Proprio quando stavo per chiudere gli occhi e tornare a dormire, sentii la porta della mia stanza che si riapriva. Entrò una delle altre ragazze, che si buttò sul letto accanto a me, e iniziò a guardarmi.
Chissà come la prenderebbe se scoprisse chi sono davvero. Una vera e propria sconosciuta che si spacciava per un’altra persona. Avrebbe sicuramente chiamato la polizia o robe simili.
«Perché non sei ancora pronta?» Mi chiese dopo i primi secondi passati avvolti in un completo silenzio.
«Perché Perrie... cioè volevo dire io, ho troppe cose da mettere. Non so assolutamente cosa scegliere.» Risposi pigramente.
«Va bene qualunque cosa, Perrie. Noi conosciamo il tuo senso innato per la moda, le prime cose che indosserai saranno certamente perfette.» Aggiunse, sorridendomi sincera. «Jade si sta innervosendo, ti conviene muoverti.» Mi disse la ragazza, alzandosi e lasciando la stanza. Ma come, non era lei Jade? Mi chiesi, alzando le spalle e tornando alla cabina armadio.
Se pensava davvero che indossare un paio di vestiti a caso sia la scelta giusta, le avrei accontentate eccome.
Mi misi davanti all’armadio, chiusi gli occhi e pescai un paio di vestiti a caso, lo stesso feci con le scarpe. Appena mi cambiai e mi guardai allo specchio, annuii alla mia immagine allo specchio. Ero perfetta. Forse avevo finalmente il senso della moda del quale parlavano spesso alla televisione o nelle riviste patinate.
Prima di uscire mi truccai alla bell’e meglio, poi presi la borsa e mi diressi dalle altre ragazze, che mi aspettavano all’ingresso per uscire.
Quando mi videro il sorriso che avevano sulle labbra si dissolse completamente. «Cosa c’è che non va?» Chiesi loro.
«Che cosa cavolo hai indossato?» Fu la risposta di Jade.
Guardai ciò che indossavo. A me sembrava di aver fatto un  buon lavoro, ma a quanto pare non andava affatto bene. Avevo forse sbagliato con l’accostamento dei colori? Alzai le spalle indifferente, non mi importava molto di ciò che indossavo. Alla fine dovevo solo uscire, mica avrei avuto i paparazzi addosso.
«Il tuo stile è ricercato, ma così esageri, Pezz.» Dichiarò Jesy, facendo ridere anche Leigh.
«Io mi piaccio ragazze, e non è questo l’importante? E poi, se ricordo bene voi famosi potete fare quello che vi pare, no? Non siete mica come noi comuni mortali. Tutto quello che fate voi... cioè noi, va tipo sulla bibbia della moda, no?» Dissi, precedendo le ragazze verso la porta. Con la coda dell’occhio notai che mi stavano tutte guardando in modo strano.
Okay, forse non avrei dovuto dire quelle cose.
«Allora ragazze, andiamo o no? Non vorrete mica fare tardi.» Dissi loro, mostrando un sorriso dolce e gentile.
Dovevo comportarmi meno da Emma l’acida e iniziare ad essere Perrie la dolce e gentile ragazza. Entrare nel personaggio, mi dissi.
Fuori dal nostro grande appartamento vidi appostata una grossa macchina con i vetri oscurati. Era la nostra. Velocemente entrammo. Io mi appostai accanto al finestrino, e mentre le ragazze chiacchieravano tranquillamente, guardavo fuori dalla finestra. Mi chiedevo cosa stesse facendo Perrie in quel momento.
In circa venti minuti arrivammo davanti a quello che doveva essere la sala di registrazione. Quando uscimmo dalla macchina, fummo letteralmente investite da... fotografi. Paparazzi. Spalancai gli occhi, portando lo sguardo verso il basso. La luce dei flash era accecante. Guardai verso le ragazze e notai che sorridevano a qualche fan appostata al di fuori di quell’enorme palazzo.
Poco prima di entrare sentii qualcuno fare il nome di Perrie. Automaticamente mi girai, beccandomi subito un’altra foto da un paparazzo. «Vai a farti fottere.» Dissi istintivamente, poi attraversai le porte a vetri.
«Perrie, stai bene?» Mi chiese Jesy, avvicinandosi a me.
La guardai indifferente. «Certo, perché?»
«Perché hai appena imprecato contro un paparazzo, e probabilmente domani sarà su tutti i giornali di gossip cittadini.»
«E perché dovrebbe?»
Fu la vocina nella mia testa a rispondere alla mia domanda. Perché sei Perrie, non Emma. Colpii la fronte con la mano, scuotendo la testa mestamente. Dio, me ne dimenticavo sempre. Sperai con tutto il cuore che Perrie non leggesse alcun giornale, poi seguii le ragazze in un lungo corridoio, fino ad arrivare davanti ad una porta scura. Jade la aprì, ed entrammo tutte.
La sala era davvero enorme, suddivisa in due parti, divise da un vetro. Nella saletta antecedente a quella dove vi erano i microfoni, c’era un divanetto nero di pelle, dove velocemente mi fiondai, accoccolandomi su di esso. La giornata era appena iniziata, ma io non vedevo già l’ora che finisse.
Il livello del divano si abbassò per un attimo, sotto il peso di Leigh, che si sedette accanto a me, lanciandomi un sorriso dolce. Invece Jesy e Jade si sedettero su delle poltrone girevoli, mettendosi il più comode possibile.
Chiusi un attimo gli occhi, finché non sentii la voce di Jade.
«Allora ragazze, qualche idea?» Chiese la ragazza. Nella mano teneva un quaderno con copertina nera, mentre nell’altra aveva una penna con cui picchiettava sul piccolo tavolino di vetro posto davanti a noi.
Scrivere canzoni, pensai. Non lo avevo mai fatto in vita mia. Non ero davvero portata per questo: il canto, la musica, i testi.
In quel momento se dovessi pensare ad una frase per una canzone, sarebbe qualcosa tipo “I love sleeeeeeep, aaaall dayyyyy, aaaaall nighttttttt”.
Carina, perché no.
Quasi senza nemmeno accorgermene, mi addormentai, cullata dalla voce di  Jade, che canticchiava una canzone dal ritmo dolce.
Mi svegliai dopo quelle che mi parvero ore, ma continuai a tenere gli occhi chiusi, sentendo le ragazze chiacchierare tranquillamente.
«Credi che abbia qualche problema a casa?» Chiese Jesy sussurrando. Aveva il tono di voce preoccupato.
«Secondo me è completamente andata, impazzita.» Ammise Leigh.
Che stessero parlando della sottoscritta?
«Io ho un’altra teoria. So che sembra impossibile, ma secondo me...»
Lo sapevo. Jade aveva capito qualcosa. Aveva passato tutta la mattina a guardarmi in modo strano, quasi se mi stesse studiando. Ogni volta che mi giravo verso di lei mi osservava attentamente, come per capire se fossi davvero Perrie. Certo, non lo ero. Ma era comunque davvero maleducato da parte sua fissarmi.
Certo, molte volte lo facevo anche io, quasi senza accorgermene. Non mi ero mai accorta di quanto potesse essere fastidioso.
Dovevo agire, bloccarla prima che dicesse qualcosa. Aprii gli occhi, alzandomi dal divanetto. «Ragazze! Jade!» Presi la ragazza per mano, alzandola dal divanetto. Nel frattempo le altre mi guardavano con gli occhi sbarrati. Sicuramente mi stavano chiedendo come diavolo riuscissi ad essere così attiva, essendomi appena svegliata. «Ce ne andiamo a casa? Sono stanca. E... ho fame. Molta fame.»
«Stanca?» Disse Jade. «Hai dormito fino ad ora.»
«Lo so ma, stanotte non ho dormito affatto.» Mentii, spostando poi la testa di lato, e spalancando gli occhi chiari. Faccia da cucciolo mode on, pensai.
Jesy sorrise dolcemente, seguita da Leigh. Jade mi guardò per un attimo, poi alzò gli occhi al cielo e si arrese. «E andiamo a mangiare.»
Io feci i salti di gioia, poi raccolsi la borsa caduta a terra, mentre le altre si dirigevano alla porta. Jesy uscì, ma tempo un paio di secondi e rientrò, sorridendo sorniona alla sottoscritta. Disse qualcosa alle altre, e assieme si girarono verso di me, mostrandomi quei sorrisi sornioni maledettamente inquietanti.
«Pezz, sta per arrivare una persona che conosci. Sarai molto felice di rivederla.» Disse Jesy battendo le mani, felice.
Questo voleva dire rimanere ancora qua dentro, pensai. «E chi è questa persona? Non possiamo incontrarci quando sarò fresca e riposata?»
«Affatto. E poi credo che anche tu abbia molta voglia di rivederlo...» Disse Leigh, sottolineando la parola “molta” e “rivederlo”.
«Okay ragazze, ditemi di chi state parlando.»
«Ti ricordi del gruppo musicale maschile? O meglio, ti ricordi di Zayn... il ragazzo carino che ci provava spudoratamente con te, quando l’abbiamo visto qualche settimana fa ad una premiazione? Ecco, sono tutti qui. Sicuramente lui avrà voglia di vederti.» Ancora quel sorriso furbo dipinto sulle loro labbra.
Rimasi qualche secondo a fissarle, interdetta. Chi era quello Zayn, e soprattutto, perché avrei dovuto “rivederlo”. Non lo conoscevo, e di certo non volevo rubare gli spasimanti a Perrie.
«Dobbiamo proprio vederlo, questo Zayn?» Chiesi, titubante.




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Spazio autrice:

Mi inchino a voi lettrici, implorando perdono. Sono una vergogna. Ci ho messo tantissimo, davvero troppo.
Scusate, prometto che non farò mai più un ritardo simile, giuro.
Allora, come vi sembra il capitolo? Questa volta ho messo il punto di vista di Emma, ma nel prossimo ci sarà anche quello di Perrie, giuro. :)
E' entrato in scena Zayn, o almeno, sta per entrarci. Cosa succederà? Lo scoprirete nella prossima puntata! :D Comunque vi ho messo la foto di come mi immagino Emma, cioè Perrie con i capelli ricci. Carinissima c:
Giuro che il prossimo capitolo, lo metterò a breve. Fatemi sapere cosa ne pensate di questo, a prestissimo! ❤

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Capitolo 6
*** Hey, this is Ray. ***


Hey, this is Ray.                                                                                                                                                                                              Perrie.

 
Mentre, seduta comodamente sul letto, Alison mi guardava con gli occhi assottigliati come a studiarmi in maniera maniacale, io mi stavo lentamente cambiando. Nel frattempo cercavo di escogitare un piano per scampare a quella situazione. Trovare un modo per andarmene e tornare alla mia normale vita da cantante affermata. Mi mancava più di quanto immaginassi. E mi mancavano le ragazze. Era passato solamente un giorno però, anzi, nemmeno.
Alison era fin troppo esuberante - e acida - per i miei gusti. In effetti, era molto simile ad Emma. Ecco perché loro riuscivano ad andare d’accordo.
Mentre indossavo una felpa di una strana tonalità di grigio - nell’armadio della ragazza non c’era nemmeno un abito colorato - rilanciai un’occhiata alla rossa, che sembrava non volersi muovere da quella posizione. Dopo aver indossato la felpa tornammo entrambe in cucina, dove lei mise su il caffè.
«Ne vuoi un po’?» Mi chiese, indicando con un cenno la caffettiera sul fuoco. Non amavo il caffè, ma in quel momento ne avevo un assoluto bisogno. Dovevo distendere i nervi. E prepararmi psicologicamente al peggio. Annuii stancamente, poi mi buttai su di una sedia, poggiando i gomiti sul tavolo e aspettando. In pochi minuti in tutta la cucina si diffuse l’odore forte e amaro del caffè. Alison mi allungò una tazza con la bevanda scura, e si sedette davanti a me. Rimasi per qualche secondo ferma a guardare la mia tazza, poi presi lo zucchero e vi misi uno, due, tre cucchiaini nel caffè. Odiavo il caffè amaro.
Con entrambe le mani sulla tazza, ancora a mezz’aria, Alison mi guardò sconcertata e stranita. «Cosa stai facendo?» Chiese dopo un attimo.
Come se non si capisse. «Sto zuccherando il mio caffè.» Le dissi, aggiungendo l’ennesimo cucchiaino di zucchero.
«E da quando metti lo zucchero nel caffè? Lo hai sempre odiato, Emma.» Disse, con espressione confusa. «Cosa ti succede?» Aggiunse, notando che cercavo in tutti i modi di non incrociare il suo sguardo.
Mescolai lentamente il caffè, poi poggiai il cucchiaio sul tavolo. «Stamattina ho bisogno di energie... sai, per andare da Ray.» Mi inventai, ridacchiando nervosamente e cominciando a sorseggiare il mio caffè.
Alison mi lanciò un ultimo sguardo, poi si alzò e mise la tazza nel lavabo. «Muoviti.» Disse con un tono che non ammetteva repliche. Bevvi il caffè, rischiando di bruciami la lingua, poi mi alzai e indossai di fretta il cappotto, chiudendo la porta alle mie spalle, e la seguii fino alla macchina. Quando vi arrivammo iniziai a guardarla con aria preoccupata.
Non era un caso che avessi fallito l’esame di guida un po’ di volte. L’unica cosa che sapevo fare era inserire le chiavi, oh, e indossare la cintura. Niente di più.
Mentre la ragazza cercava le chiavi nella borsa, mi guardai attorno. «Guidi tu, vero?» Le chiesi, sorridendo per incitarla ad accettare. «Oppure possiamo andare a piedi.» Aggiunsi.
Estrasse le chiavi dalla borsa poi mi lanciò uno sguardo annoiato. «Fai poco la spiritosa, Emma. Dobbiamo andare fuori Londra, e direi che se andassimo a piedi non ci arriveremmo nemmeno tra cent’anni.»
Accidenti.
«Be’, all’andata potresti guidare tu, mentre al ritorno lo farò io. No?» Sperai con tutta me stessa che accettasse questo compromesso. Per risolvere il problema che si sarebbe  venuto a creare dopo, ci avrei pensato più tardi.
Alison mi guardò per qualche secondo, come per valutare la mia proposta, poi fece un gesto di assenso è salì a destra, nel posto del guidatore. Presi un sospiro di sollievo, poi la imitai sedendomi nel posto accanto a lei e allacciandomi la cintura di sicurezza. In men che non si dica, partimmo per raggiungere questo Ray. Chiunque egli fosse.
Durante il viaggio di andata mi soffermai a guardare fuori dal finestrino, come per comprendere esattamente dove saremmo andate. Spostai poi lo sguardo su Alison, che guardava la strada davanti a sé, concentrata sulla guida. Era davvero una bella ragazza, constatai osservandola attentamente. I capelli rossi erano formati da tanti ricci ribelli, e le contornavano il viso leggermente squadrato. Gli occhi erano di una tonalità di verde particolarmente brillante, e il naso all’insù era abbellito da lentiggini che rendevano il suo viso quasi fanciullesco. Quando accennò un sorriso, notai anche che aveva le fossette.
«Che c’è Emma?» Mi chiese lei, improvvisamente, continuando a guardare la strada.
Io mi affrettai a guardare da un’altra parte. «Nulla, assolutamente nulla.»
«Sei strana, stamattina.» Aggiunse, continuando a guardare la strada davanti a sé. L’autostrada era trafficata come al solito, così ci fermavamo ogni due minuti. «Sembri diversa. Sei per caso stata dal parrucchiere?»
«Direi di no.» Non era esattamente una buona osservatrice, questa Alison. Fortunatamente.
«Allora ho capito...» Proferì, dopo ancora qualche secondo di silenzio.
Deglutii affannosamente. «Capito cosa?» Le domandai con voce leggermente strozzata.
«Questa è tipo una specie di sindrome premestruale o cose del genere. Visto che solitamente sei sempre acida, funziona al contrario e ti fa diventare dolce e tenera. Deve per forza essere questo.»
Tirai mentalmente un sospiro di sollievo, e decisi di registrarmi questa frase. L’avrei usata come scusa nel caso qualcun altro mi avesse chiesto cosa mi prendeva. L’avrei detto a Ray.
E se... Ray fosse stato il fidanzato di Emma? O un suo pretendente? Spalancai gli occhi chiari, girandomi dall’altra parte. Dovevo scoprirlo prima di arrivare. «Allora Als... cioè, Alison. Come sta Ray?» Le dissi, utilizzando un tono di voce il più possibile indifferente.
«Be’, non è cambiato molto, l’hai visto settimana scorsa. Continua a mangiare come un maiale. Praticamente non fa altro.»
Corrucciai la fronte. Non avevo scoperto molto, a parte quanto Ray amasse il cibo. Be’, in effetti, quello era un punto a mio vantaggio. Anche io amavo mangiare, quindi avevamo qualcosa in comune.
Venti minuti più tardi, Alison rallentò e sviò in una piccola viuzza sterrata, e proseguimmo il viaggio per qualche minuto. In lontananza iniziai a vedere una piccola fattoria, davvero carina, e davanti ad essa c’era un ragazzo di non più di venticinque anni. Indossava una camicia a quadri, un paio di jeans slavati davvero carini e un cappello da cowboy.
Quando arrivammo davanti al vecchia costruzione Alison frenò improvvisamente, facendomi sballottare. Fortunatamente indossavo la cintura. La sciolsi e scesi dall’auto, chiudendo la portiera alle mie spalle. Da vicino il ragazzo era ancora più carino. Alto, ben piazzato, con ciocche di capelli castani che spuntavano da sotto il cappello e occhi verdi. Decisamente il mio tipo.
Se quello era Ray, be’, ero decisamente fortunata. Anzi, lo era Emma.
Sorrisi e assieme ad Alison ci dirigemmo verso di lui. Okay, doveva sicuramente essere Ray. Per un attimo fui felice di aver fatto cambio con Emma. Non che non fossi uscita con qualche ragazzo nel corso della mia vita da celebrità, ma quelli che avevo incontrato erano superficiali e poco interessanti. Personaggi famosi, insomma. Solo uno mi aveva colpito, Zayn. Peccato che lo avevo visto solamente una volta nella mia vita, e non avevo avuto la possibilità di chiedergli il numero di cellulare. Oltre ad essere davvero molto bello, era interessante e non frivolo come la maggior parte dei ragazzi della sua età.
Ma in quel momento non m’importava di nessun’altro: avevo davanti a me l’uomo perfetto.
Alison salutò con slancio il ragazzo, che ricambiò con un bellissimo sorriso. Poi spostò lo sguardo su di me, che non riuscivo a staccargli gli occhi di dosso. Scossi mestamente la testa, cercando di tornare in me.
«Ems! Piccola e dolce Ems!» Disse il ragazzo, sorridendomi dolce.
«Ciao Ray, è un vero piacere rivederti.» Dissi, esibendo uno dei miei sorrisi migliori. Peccato indossassi un paio di stracci a caso. Dovevo assolutamente andare a fare shopping, l’armadio di Emma necessitava di un bel po’ di abiti colorati. Non era possibile che non ne abbia neanche io, mi era inconcepibile.
Il sorriso sul suo volto del ragazzo si spense, e al suo posto vi era un’espressione stranita. «Ray? Perché mi hai chiamato così?»  Mi chiese.
Accidenti, era forse May?
«Strana sindrome premestruale.» Si affrettò a rispondere Alison, gesticolando come per cambiare discorso. Assieme al ragazzo ci dirigemmo verso quella che doveva essere la scuderia.
Se quel meraviglioso ragazzo non era Ray, o May, chi doveva essere?
La risposta venne da se. Mentre mi guardavo attorno andai a sbattere contro la schiena del ragazzo, che si era fermato. Mi scusai imbarazzata, e poi alzai gli occhi. Ci eravamo fermati davanti ad una stalla. Nella porta di legno era inciso il nome Ray. Sul mio svolto comparve una smorfia impaurita, cercai di guardare chi era questo Ray. Un cavallo, era un cavallo. Un enorme cavallo nero. Spalancai gli occhi e indietreggiai di qualche passo. I cavalli mi avevano da sempre terrorizzato.
Alison prese quel... coso per le briglie ed uscì, esibendo un enorme sorriso. «Allora, inizio io a cavalcare o tu?» Mi chiese, dolcemente. Era strano sentirla parlare così, ma sembrava davvero che quel cavallo riuscisse a farla stare bene. Così sembrava. O era il ragazzo a farle quell’effetto?
«Io?» Chiesi con voce di qualche tono più alto, leggermente strozzata.
Non ci salgo nemmeno morta, pensai. «Direi che per questa volta passo.» Riuscii a dire.
«Non ci pensare nemmeno. Vado prima io poi lo fai tu.» Disse, poi facendosi aiutare dal ragazzo dagli occhi incredibili, salì sul cavallo, uscendo da quella scuderia. Il castano la seguì, e io seguii lui. Quando uscimmo di nuovo all’aria aperta Alison si era già allontanata verso i campi. Di malavoglia mi sedetti su di un enorme tronco di legno, e fui imitata dal ragazzo. Come si chiamava ancora non lo sapevo.
«Come hai detto che ti chiami?» Chiesi quasi involontariamente. Difatti lui mi lanciò uno sguardo stranito.
«Mi chiamo James. Ma che ti prende, Ems?»
«Sindrome premestruale con amnesia temporanea.» Dissi di getto, stranita dalle mie stesse parole. Non avendo trovato scusa migliore, dovevo aggrapparmi a questa. Lui annuì lentamente, poi tornò a guardare il panorama.
«Giusto, James.» Borbottai tra me e me. I primi minuti li passammo avvolti in un tranquillo e sereno silenzio. Un pallido sole si era fatto spazio tra le nuvole, e illuminava i campi incontaminati davanti a noi. Ogni tanto vedevo in lontananza Alison e quell’enorme cavallo, che facevano il giro della brughiera, al galoppo. Pensai a quanto doveva essere liberatorio cavalcare; il vento che ti scompiglia i capelli, il sedere che ti fa male per lo sballottamento...
No, non doveva essere per niente bello.
Circa venti minuti più tardi, la rossa e il cavallo stavano tornando verso di noi. Lanciai un’occhiata al ragazzo e notai che stava guardando Alison con una strana luce negli occhi, come se fosse la cosa più bella che lui abbia mai visto.
«È carina Alison, non trovi?» Dissi a James, sorridendo maliziosamente. Mi lanciò uno sguardo interrogativo, e per un attimo notai che era arrossito.
«Certo che è carina. Anche tu lo sei. Oh, e lo è anche Ray.» Disse, come per non dare peso a quelle parole. Io ridacchiai sotto i baffi, continuando a guardarlo maliziosa.
«Anche io e Ray... certo. Perché non le chiedi di uscire?» Provai a dirgli. «Ho notato che nemmeno tu le sei indifferente.»
«Tu credi?» Mi chiese, mordendosi subito dopo il labbro inferiore. Beccato.
«Lo sapevo.»
«Okay, okay, mi interessa Alison. Ma non voglio rovinare la nostra amicizia. Sarebbe tutto troppo complicato, tra di noi. Siamo troppo diversi. L’unico motivo per cui viene ancora qui è per Ray.»
«Magari è solo un pretesto il tuo.» Provai a dire, poco prima che la ragazza si avvicinasse. «Se è vero che cavalca da anni, a quanto mi sembra di vedere, perché continua a chiederti di aiutarla a salire?» Gli chiesi, sottolineando le ultime parole.
James ci pensò su per qualche secondo, poi scosse la testa. «Non lo so. Ma tu come l’hai capito, dopo così tanto tempo? Ci hai sempre visto, e solo ora te ne accorgi?»
Emma non doveva essere un asso in questioni di cuore. Alzai le spalle. «Vi ho solamente osservati più del solito.» Mi inventai, poco prima che Alison ci raggiungesse. Con ancora un sorriso radioso sul volto saltò giù dal cavallo, e fece per passarmi le redini. Scossi animatamente la testa. Col cavolo che sarei salita su quel bestione. Di morire giovane non ne avevo proprio voglia. «Credo che per oggi passerò.» Dissi, ridacchiando nervosamente. «Sono troppo stanca per salirci. Credo che finirei per addormentarmi sulla sella.» Mentii, sfoggiando un volto stanco, e sbadigliai per aumentare la mia credibilità.
«Se proprio hai sonno, possiamo tornare tra un paio di giorni.» Disse Alison dirigendosi verso la scuderia, seguita a ruota da James che mi lanciò un’occhiata. Io gli feci l’occhiolino, e mi alzai per raggiungere la macchina.
Qualche minuto più tardi - quando ero già seduta sul sedile del passeggero - fui raggiunta da Alison, che salì in macchina, pensierosa. «Ma che prende oggi a tutti?» Chiese più a se stessa che a me. «Prima tu che ti comporti in modo strano, ora James. Sembravano in imbarazzo mentre parlavamo.»
«Sarà solamente una giornata strana per tutti. Allora, guidi tu visto che sei già seduta lì?» Le chiesi, mostrandole un enorme sorriso.
La ragazza sbuffò, poi prese le chiavi della macchina. «Per stavolta hai vinto tu.» Disse prima di mettere in moto e fare retromarcia.
Il viaggio di ritorno fu molto silenzioso. Gli unici suoni che si sentivano, oltre a quello della macchina che sfrecciava lungo le strade, era quello che proveniva dalla radio. Una vecchia canzone anni ottanta, che mi rilassava molto. Chiusi gli occhi e mi lasciai trascinare dalle note della melodia. In effetti, nell’ultimo periodo, non ero riuscita a godermi nemmeno la musica. Ero costantemente occupata e sempre di fretta. Mi sbagliavo, la vita di Emma non era poi così tanto stressante. Guardai Alison e le lanciai un sorriso felice e rilassato, che lei ricambiò, poi tornò a guardare la strada davanti a sé. 
Quando arrivammo davanti a casa, poco prima che potessi aprire la portiera, Alison mi fermò. «Domattina hai il turno al negozio. Mi raccomando, ti voglio puntuale alle nove.» Disse, poi mi fece scendere e ripartì.
Sarebbe stata una giornata niente male, quella di domani, pensai prima di rientrare in casa. Stanca, ma soddisfatta.










Spazio autrice:

Saaaalve a tutte, eccomi con un nuovo capitolo. E' più lungo del solito, avete notato? Ecco perché ci ho messo un po'. c: Ecco Perrie alle prese con la sua nuova vita. All'inizio sembrava in crisi, ma alla fine ha passato una mattina carina, con Alison, James e infine Ray. Avete notato che ha anche parlato di Zayn? Chissà cosa succederà tra lui e la cara Emma. Ammesso che qualcosa succederà!
Prevedo che ne succederanno delle belle al negozio dove lavorerà, hahaha :)
Ora vi lascio. Ditemi cosa ne pensate, anche se vi fa schifo, hahahaha. Mi farebbe taaanto piacere sapere cosa vi è piaciuto e cosa di no di questo capitolo. A prrresto!

xxx Becks


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Capitolo 7
*** So, you are Zayn. ***


So, you are Zayn.                                                                                                                                                                                                    Emma.
 
Dal capitolo precedente:
 
«Ti ricordi del gruppo musicale maschile? O meglio, ti ricordi di Zayn... il ragazzo carino che ci provava spudoratamente con te, quando l’abbiamo visto qualche settimana fa ad una premiazione? Ecco, sono tutti qui. Sicuramente lui avrà voglia di vederti.» Ancora quel sorriso furbo dipinto sulle loro labbra.
Rimasi qualche secondo a fissarle, interdetta. Chi era quello Zayn, e soprattutto, perché avrei dovuto “rivederlo”. Non lo conoscevo, e di certo non volevo rubare gli spasimanti a Perrie.
«Dobbiamo proprio vederlo, questo Zayn?» Chiesi, titubante.

 
Si stavano avvicinando, riuscivo a sentire i loro passi lungo il corridoio. Oltre al rumore di passi udivo voci, risate cristalline, di nuovo voci. Non ero proprio sicura di voler vedere questo Zayn. Non sapevo assolutamente chi potesse essere. Perché diavolo Perrie non mi aveva parlato di lui, mi chiedevo. Iniziai a mordermi nervosamente le unghie, mentre cercavo di trovare un modo per scappare da quella situazione.
«Certo che devi vedere Zayn, Perrie. È tremendamente carino, e se non ricordo bene fino a qualche giorno fa non facevi altro che parlare di lui, chiederti quando vi sareste di nuovo visti. Ecco, è giunto il momento.»
«Ma io ho fa...» Provai a dire, venendo bloccata dalla voce di Jade, che sembrava essere mille volte più felice ed entusiasta di me dell’arrivo di quel ragazzo.
«Abbiamo tutto il tempo per mangiare, Pezz. Salutalo, parlaci un po’ e poi inventati di avere un impegno. Fai la preziosa. Gli uomini adorano le ragazze preziose.» Quest’ultima frase sembrava essere presa direttamente dall’articolo di una stupida rivista per ragazzine.
Nel frattempo, le voci erano sempre più vicine e distinte. Riuscivo a sentire e distinguere frammenti di conversazione. Ancora una volta scossi la testa, decisa. Non avevo voglia di incontrare questo Zayn, bello o brutto che fosse. «Io non ci vado la fuori ragazze, e di certo non sarete voi ad obbligarmi. Cosa volete fare, buttarmi fuori così che debba per forza parlarci?» Chiesi, continuando a scuotere la testa contrariata, mentre prendevo la borsa. Con la coda dell’occhio notai le ragazze che si lanciavano sguardi complici. Quando mi girai, mi presero quasi di peso, spingendomi fuori dalla porta dello studio di registrazione.
«Ma che cazz...?» Esclamai adirata appena mi accorsi di ciò che avevano fatto. Per poco non caddi per terra, e come risposta ricevetti delle risatine divertite. Quelle tre me l’avrebbero fatta pagare in un modo o nell’altro. Cercai di mantenere l’equilibrio, poi iniziai a bussare convulsamente alla porta. «Giuro che se non mi aprite vi faccio fuori e...» Iniziai a strillare, parecchio arrabbiata. Era in momenti come quelli che tiravo fuori il peggio di me.
«Perrie?» Sentii dire alle mie spalle da una profonda voce maschile. Mi girai con in volto un espressione infastidita, poi il cipiglio si dissolse lasciando spazio ad un espressione piuttosto stupita.
Davanti a me avevo cinque ragazzi perfetti. Un paio di loro mi guardano divertiti, mentre il resto aveva in volto un espressione stranita.
Dovevano essere loro. Continuai ad osservarli per qualche secondo, ruotando leggermente la testa verso sinistra, come per studiarli meticolosamente. Li avevo già visti da qualche parte, mi dissi. Ma certo, Jesy qualche minuto prima mi aveva detto che facevano parte di un gruppo famoso.
Mi trovavo davanti cinque ragazzi maledettamente carini. Il dilemma era però un altro: chi conoscevo di loro? O meglio, chi era lo Zayn di cui le ragazze parlavano? Spostai lentamente lo sguardo su tutti. Avrei scelto il più carino e quello sarebbe stato ufficialmente Zayn. Il mio intuito non falliva mai, e non l’avrebbe fatto nemmeno stavolta. Uno di loro mi stava lanciando un sorriso davvero dolce. Era castano, occhi nocciola, davvero carino.
Mi passai una mano tra i capelli per sistemarli alla bell’e meglio, poi mi avvicinai a quello che ero sicura fosse Zayn. «Ciao Zayn!» Dissi cordiale. Il sorriso dalle labbra del ragazzo scomparve subito, facendo spazio ad un espressione corrucciata. Okay, forse non era lui Zayn. Ridacchiai, facendo un passo indietro, poi puntai il dito su di un altro ragazzo. Capelli biondi e luminosi occhi azzurri.
«Tu! Sei tu Zayn!» Dissi, convinta. Non potevo sbagliare un’altra volta. Lui mi sorrise e per un attimo pensai di aver azzeccato al secondo tentativo, poi scosse velocemente la testa. Avevo sbagliato, un’altra volta.
In quel preciso momento la porta dietro di me - quella dov’erano le ragazze - scricchiolò leggermente, e lanciandole un’occhiata, notai che Jade si era affacciata, e stava guardando la scena, incuriosita.
«In effetti, tu non hai una faccia da Zayn.» Constatai passandomi un dito sul mento, come se stessi riflettendo intensamente. «Quindi, questo Zayn non può che essere lui!» Affermai, indicando col dito un riccio. Sul suo volto comparve un sorriso malizioso appena accennato, e gli occhi chiari si illuminarono per un attimo. Lentamente si avvicinò a me, e fece per stringermi la mano.
Evviva, ce l’avevo fatta.
Il ragazzo moro che fino a quel momento non aveva aperto bocca, si passò una mano tra i capelli, frustrato, per poi lasciarla cadere pesantemente lungo il fianco e alzarla insieme all’altra come gesto di esasperazione, poi si fece avanti e spinse leggermente il riccio. «Sono io Zayn.» Disse irritato.
Peccato, pensavo di aver finalmente indovinato.
Alzai un sopracciglio. I modi sbrigativi e seccati di questo Zayn non mi piacevano affatto. Preferivo il biondino, o il riccio.
A salvarci tutti da quella situazione fu Jade, che uscì dalla sala di registrazione e mi circondò le spalle con un braccio, non prima di avermi tirato una gomitata. Sorrise a tutti i presenti - soffermandosi qualche secondo di troppo sul ragazzo riccio - poi mi sorrise. «Scusatela ragazzi, oggi Perrie ha tanta voglia di scherzare. Non è così?» Dichiarò per giustificarmi. Mi lanciò un’occhiata di fuoco, poi rivolse di nuovo il suo sguardo verso gli altri ragazzi.
Mentre Jade cercava di giustificare il mio “strano comportamento” - sarebbe stato considerato normale se non stessi vivendo la vita di un’altra ragazza -, con la coda dell’occhio osservavo Zayn. Il vero Zayn. Capelli color ebano, pelle abbronzata e incredibili occhi ambrati. Era sicuramente un ragazzo attraente, di una bellezza esotica, non tipicamente inglese. Ma convenni che non era il mio tipo.
Nonostante tutto non riuscivo a distogliere lo sguardo dai suoi occhi. Non avevo mai visto una tonalità simile. Improvvisamente il moro si girò verso di me, notando che lo stavo osservando. Ricambiò il mio sguardo con la stessa intensità e con lo stesso sguardo deciso.
Qualche secondo più tardi, un’altra lieve gomitata di Jade mi riportò alla realtà. Scossi leggermente la testa, poi spostai lo sguardo sulla ragazza accanto a me, sorridendo come per darle ragione. «Come potrei dimenticare come vi chiamate?» Chiesi, scuotendo la testa con il sorriso sulle labbra. «O almeno, non ho dimenticato quello di Zayn. Non è che potreste dirmi i vostri?» Aggiunsi, ricevendo un’occhiata inteneritrice da parte di Jade. In questo assomigliava in tutto per tutto ad Alison.
Il riccio sorrise, poi mi porse di nuovo la mano, che strinsi decisa. «Io sono Harry, piacere. Loro invece sono Niall, Louis e Liam. E Zayn, be’, a quanto pare lui lo hai riconosciuto subito.» Disse, sottolineando le ultime parole e lanciando uno sguardo indecifrabile al moro. Feci finta di nulla, e salutai per bene tutti i ragazzi.
Bene, adesso ce ne potevamo andare. Lanciai uno sguardo eloquente a Jade, che però non afferrò. Anzi, lo afferrò benissimo, però capì il contrario di ciò che volevo dirle. «Sentite ragazzi, perché non entrate? Ci sono le altre ragazze. Nel frattempo Zayn e Perrie possono chiacchierare tranquillamente.» Disse agli altri, indicando la porta con un cenno della testa.
Annuii, poi però colsi la frase della ragazza e scossi la testa. Non volevo assolutamente rimanere da sola, con lui. Assolutamente no. Feci per seguire i ragazzi nella sala di registrazione, ma Jade mi chiuse letteralmente la porta in faccia. Mi rigirai, esibendo un sorriso a trentadue denti. Zayn mi sorrise a sua volta, poi si avvicinò a me. Io indietreggiai, fino a finire contro il muro; fortunatamente il ragazzo non si avvicinò a me ulteriormente.
«Allora Perrie, come va?» Mi chiese cordiale.
«Una meraviglia, davvero.» Risposi ridacchiando, con la voce di qualche tono più alto. Segno che ero indubbiamente nervosa e imbarazzata. E solitamente non mi imbarazzavo mai.
Zayn ridacchiò a sua volta, poi il silenzio scese tra noi. Il corridoio di quella palazzina era completamente vuoto, se non per qualche persona che passava ogni tanto. Mi guardai attorno per qualche secondo, poi posai di nuovo il mio sguardo su Zayn. Quest’ultimo prese la parola. «Mi dispiace che il giorno in cui ci siamo dovuti salutare così. Non abbiamo fatto in tempo a scambiarci il numero di cellulare.»  Disse sorridendomi malizioso.
«Si sa come la vita di noi cantanti famosi è piena d’impegni.» Improvvisai.
«Be’, potremmo rimediare.» Aggiunse, facendomi l’occhiolino. «Potresti lasciarmi il tuo numero, e quando troverò un momento libero, be’, ti chiamerò.»
Avvampai per la sorpresa, poi però mi imposi di stare tranquilla. In fondo Zayn pensava fosse Perrie, non Emma. Magari era rimasto folgorato dai modi di fare così dolci e spontanei della bionda. Io non potevo di certo definirmi dolce e spontanea, anzi, tutto il contrario.
Lo guardai per un attimo negli occhi, perdendomi in quelle iridi ambrate. Per un attimo pensai che potevo lasciargli il mio numero di cellulare. Sarebbe stato sconsiderato, e forse anche stupido, ma quegli occhi non mi permettevano di ragionare. I nostri sguardi si intrecciarono, e per un secondo mi sentii fragile e insicura, emozioni che non avevo mai provato prima. Con una mossa veloce Zayn appoggiò una mano sul muro, poco sopra la mia spalla, diminuendo le distanze tra di noi. In una manciata di secondi tutto cambiò. Dentro di me iniziai a sentire una sensazione di fastidio. Era chiaro: Zayn era uno di quei ragazzini abituati ad avere tutte le ragazze che desideravano.
Io non volevo avere niente a che fare con i ragazzi egocentrici e presuntuosi. E Zayn, era sicuramente entrambe le cose. La vicinanza del moro iniziò ad infastidirmi. Mi allontanai da lui, distogliendo lo sguardo.
«E ora che ti succede?» Chiese con una nota infastidita nella voce. Tipico dei ragazzi che non riescono a ottenere ciò che desiderano.
«Nulla. Assolutamente nulla.» Mentii, continuando a guardare il lungo corridoio deserto.
«Okay.» Disse Zayn, poco convinto. Il sorriso malizioso che lo caratterizzava però, non accinse a sparire. «Allora, il tuo numero?»
Col cavolo che gli avrei dato il mio numero.
Mostrai il sorriso più falso che possedevo. «Ma certo.» Dissi disponibile, poi gli dettai il mio numero. O quasi. Cambiai le ultime cifre. «Chiamami il prima possibile.» Aggiunsi, per entrare bene nel personaggio. Aggiunsi un occhiolino, poi lo salutai e rientrai dalle ragazze. Le trovai comodamente sedute sul divanetto di pelle nera, che chiacchieravano con i membri del gruppo.
In un altro divanetto poco lontano invece, vidi Harry e Jade, che chiacchieravamo molto animatamente. La ragazza ogni tanto ridacchiava, e il riccio le sorrideva, non staccando gli occhi da lei. Era impossibile non accorgersi che tra di loro stava nascendo qualcosa. Ma visto e considerato che lei mi aveva incastrata poco minuti prima, decisi di ricambiare il “favore”. Mi avvicinai a loro, tossicchiando per attirare l’attenzione di entrambi. «Mi dispiace disturbarvi, ma è ora di andarsene.» Dichiarai. Senza lasciare il tempo a Jade di ribattere la strattonai poco cortesemente per un braccio, alzandola con la forza dal divanetto.
«Ma...» Provò a dire Harry, sorpreso.
«Niente ma, bello. Continuerete a flirtale poco discretamente la prossima volta. Abbiamo un sacco di impegni, oggi.» Presi la mia borsa, e assieme alle altre ci dirigemmo verso l’uscita. Mentre aprivo la porta incrociai di nuovo Zayn che stava entrando. Gli lanciai un’occhiata veloce, poi mimai un “addio”, che ovviamente lui non catturò, - poverino, ancora non sapeva che gli avevo dato un numero sbagliato - e assieme alle altre ragazze mi diressi verso l’uscita dello studio di registrazione, aspirando finalmente l’aria fresca della città di Londra.
«Perché cavolo mi hai fatto questo, Pezz? Harry è così carino...» Sussurrò la ragazza tra i denti. Io le sorrisi dolcemente, spostando la testa leggermente a sinistra.
«Chi la fa l’aspetti.» Dissi semplicemente, sorridendo e continuando la strada verso la macchina scura parcheggiata a pochi metri di distanza da noi. Jade mi lanciò uno sguardo di fuoco, che ricambiai con un sorrisetto innocente, spalancando gli occhi chiari.










Spazio autrice:

Buongiorno a tutti! :)
Eccolo qua, il capitolo in cui la nostra Emma incontra Zayn. Be', non è andata tanto bene... non trovate? Alla bionda ha dato fastidio l'atteggiamente di Zayn. Ma chi lo sa, tutto potrebbe cambiare. Oppure no. Fatto sta che quando Zayn la chiamerà, si troverà una bella sorpresa. E ho deciso per un possibile inciucio tra Jade e Harry. Voglio dare spazio anche alle altre ragazze, visto che le amo tutte

Spero che questo capitolo vi piaccia. Personalmente non mi piace molto... cioè, boh. Sta a voi dire se vi è piaciuto o no :) Fatemelo sapere se vi va, al prossimo capitolo!

xxx Becks

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Capitolo 8
*** Why not? ***


Why Not?                                                                                                                                                                                                                     Perrie.
 
La mattina del giorno dopo, fui rudemente svegliata dalla pioggia che batteva incessantemente sul vetro della finestra. La poca luce che filtrava attraverso le tende, non mi permetteva a capire che ore fossero. Infastidita dal rumore, misi la testa sotto il cuscino, cercando di prendere di nuovo sonno.
Nello stesso momento il cui il fulmine squarciò il cielo provocando un rumore assordante, il telefono di casa iniziò a squillare. Sbuffai per quell’interruzione, e decisi di non rispondere.
Qualche secondo dopo partì la segreteria automatica. Lo intuii dal “bip” inconfondibile che procedeva i messaggi. «So che sei sveglia Emma, non mi freghi. Alzati. Devi essere qui esattamente tra un’ora. E non è semplice prendere la metropolitana a quest’ora del mattino, cara mia. Soprattutto se piove. Prova ad arrivare in ritardo e non ti pagherò. Ti aspetto al bar.» Nonostante la conoscessi da meno di quarantotto ore, riconobbi immediatamente la voce di Alison. Acida e perennemente seccata.
Le sue parole mi ricordarono che quel giorno avrei cominciato il turno al negozio in un lavorava Emma. Quella sarebbe stata una delle parti migliori della mia nuova temporanea vita.
Alzai leggermente la testa. I capelli chiari erano arruffati e mi ricadevano sul volto, quasi avessero vita propria. Lentamente mi stiracchiai, mettendomi poi seduta sul letto. Indossai le pantofole poste ai piedi del letto, poi mi alzai diretta verso il bagno, dove mi feci una lunga doccia calda, accompagnata dalla musica proveniente dalla radio che Emma teneva in bagno. Avevamo sicuramente una cosa in comune io e lei - oltre all’aspetto -, amavamo ascoltare la musica in qualunque luogo ci trovavamo.
Dopo la doccia tornai in camera, dove setacciai l’armadio alla ricerca di qualcosa di carino da indossare. Non era possibile che Emma avesse solo capi scuri. Niente di colorato. Dopo aver gettato metà dei vestiti sul letto, mi arresi. Mi cambiai velocemente, dirigendomi in cucina per prepararmi una tazza di caffè. Misi su la caffettiera, poi attesi che il caffè fosse pronto.
Mentre, seduta in cucina, sorseggiavo il caffè, ripassavo mentalmente la strada verso il negozio di cd. Ci mancava solamente che mi perdessi.
Controllai l’ora sull’orologio da parete posto al di sopra della porta, e constatai di essere in ritardo. Mi alzai e rovesciai nel lavello il poco caffè che era rimasto, poi presi una borsa dall’appendiabiti, un ombrello e mi diressi verso la metropolitana.
Per tutto il tragitto a piedi verso la fermata della metro, mi guardai a destra e sinistra, con la paura di essere scoperta. Fortunatamente, nessuno sembrava darmi importanza, e in pochi minuti la mia preoccupazione svanì, lasciando spazio ad una spensieratezza che non provavo da molto. Tutto sommato, camminare per le strade della capitale senza essere fermata da nessuno o fotografata, era piacevole.
Quindici minuti più tardi, trafelata, raggiunsi la metropolitana. Scesi velocemente i gradini, poi mi diressi verso la biglietteria, dove una lunga fila sospettai mi avrebbe fatto arrivare in ritardo al negozio. Sbuffai, iniziando a guardarmi attorno.
Improvvisamente, qualcosa catturò la mia attenzione. In una piccola edicola era esposta in bella vista - assieme ad altri -, una rivista di gossip. E la foto, ritraeva me. In volto un espressione torva, un dito puntato alla telecamera e le labbra semiaperte. Non in un sorriso, però. I titoli di testata dicevano tutto: Perrie Edwards impreca contro un paparazzo.
Leggendo quelle parole spalancai le labbra assumendo un espressione scioccata e sorpresa allo stesso tempo, e non importandomene della fila, mi avvicinai all’edicola, prendendo tra le mani quella rivista. Dio, ero proprio io.
Un momento... Emma.
Era lei. Doveva essere lei. Controllai il giorno di pubblicazione della rivista, e vi lessi la data di oggi. Imprecare contro un paparazzo? Io non lo avrei mai fatto.
«Signorina, ha intenzione o no di comprare quella rivista?» Una voce maschile mi riportò alla realtà. Reggevo il giornale talmente forte che lo avevo leggermente rovinato. Spostai il mio sguardo su quell’uomo, annuii debolmente e presi qualche sterlina dalla borsa, porgendogliela. Con ancora la rivista stretta tra le mani, mi diressi di nuovo verso la fila alla biglietteria, che in quei pochi minuti era triplicata. Mi passai nervosamente una mano tra i capelli, poi controllai l’ora. Mancavano esattamente venticinque minuti alle nove, e ancora non avevo preso i biglietti.
Mentre aspettavo in coda, frenai l’istinto di aprire la rivista e leggere l’articolo che avevano scritto su di me. Avrei aspettato di essere sulla metropolitana.
Qualche minuto più tardi dopo aver comprato i biglietti, mi diressi velocemente verso la metropolitana, che riuscii a prendere pochi secondi prima che le porte si chiudessero. Passai attraverso un paio di persone, fino ad arrivare in fondo al vagone, dove trovai un piccolo posticino. Mi ci fiondai velocemente, dopodiché mi misi comoda e aprii il giornale, sfogliando le pagine fino a raggiungere quelle che riguardavano l’articolo su di me. O meglio dire, su Emma che si spacciava per me.
Dietro mio consenso, ovviamente.
L’articolo occupava un paio di pagine. A caratteri cubitali rossi. Vidi ancora una volta la foto di Emma, e chiusi un attimo gli occhi, prendendo un respiro profondo. Non poteva essere davvero successo. Doveva essere un sogno, certamente. Solamente uno strano sogno.
Quando riaprii gli occhi le foto erano ancora lì, stampate sulle pagine di quella stupida rivista patinata. Ma dovevo aspettarmelo che prima o poi sarebbero uscite foto del genere. L’avevo capito fin dall’inizio che Emma era una ragazza impulsiva, ne aveva dato prova. E quelle prove erano state lette e viste da migliaia di lettori.
Mi avrebbe sentito Emma, altroché. Decisi che appena sarei arrivata in negozio l’avrei chiamata, e gliene avrei dette quattro. E in qualche modo l’avrei convinta a sistemare quella situazione che si era creata.
Dopo aver letto quell’articolo, girai pagina, dove trovai un’altra foto che ritraeva Emma, vestita in modo assurdo. Scivolone di stile per Perrie Edwards, affermava il titolo.
Okay, a questo avrei potuto rimediare. Mi sarebbe bastato organizzare un corso accelerato di stile. Ne aveva assolutamente bisogno, quella povera ragazza.
Dopo aver letto quel piccolo articolo, chiusi la rivista, cominciando a guardarmi intorno. Nel corso delle fermate un po’ di persone erano scese, quindi la metro si presentava quasi deserta. Improvvisamente, notai poco distante da me un paio di ragazzine, che mi guardavano estasiate. Ecco, mi avevano scoperte. Spalancai gli occhi, cercando il più possibile di nascondermi. Però era troppo tardi: entrambe mi avevano visto, e in quel momento si stavano dirigendo verso di me.
Feci una smorfia infastidita, e quando furono abbastanza vicino a me, mi sorrisero, senza staccarmi gli occhi di dosso.
La ragazza riccia fu la prima ad aprire bocca. «Oh, mio, Dio.» Disse con una voce terribilmente squillante. «Sei tu, Perrie Edwards! Devi assolutamente farmi un autografo.» Aggiunse, cominciando poi a rovistare nella borsetta alla ricerca di un foglio ed una penna.
Sorrisi meccanicamente come facevo sempre quando incontravo una mia fan. Aspetta un secondo, mi dissi poi, cancellando il sorriso dalle mie labbra. In quel momento stavo impersonando Emma, non me stessa. Questo voleva dire che non dovevo per forza essere gentile e carina con chiunque mi si schermasse davanti.
Imitai il tono annoiato e distaccato di Emma. «Mi dispiace ragazzina, ma non so di cosa tu stia parlando. Mi chiamo Emma, non Perrie. Sinceramente, cosa credi che ci farebbe una ragazza famosa qui, in metropolitana? Come minimo avrebbe l’auto privata.» Proprio in quel momento una voce metallica annunciò la mia fermata. «Ora devo andare.» Annunciai alzandomi e dirigendomi velocemente verso l’uscita, sotto lo sguardo stupito delle ragazzine.
Appena fui di nuovo in superficie, buttai la rivista nel primo cestino che trovai e velocemente mi diressi verso il negozio di cd. Ero in ritardo di ben dieci minuti, e mi stavo psicologicamente preparando alla sfuriata che mi avrebbe presto fatto Alison.
Esattamente alle nove e tredici minuti attraversai l’entrata del negozio. Non vi era anima viva, ad accezione di una ragazza, Bonnie, che posta dall’altra parte del bancone sfogliava una rivista con sguardo annoiato. L’unico rumore che si udiva all’interno del negozio era il fruscio delle pagine che la ragazza girava.
«Buongiorno Bonnie, come stai?» Le domandai in tono spensierato, sorridendole dolcemente. Lei alzò gli occhi dalla rivista, mi guardò con espressione visibilmente stizzita, poi biascicò un “ciao” e tornò a leggere.
Dio, ma erano tutti così gli amici di Emma?
Cercando di non dare molto peso alla ragazza, mi diressi verso il piccolo sgabuzzino dove qualche giorno prima avevo incontrato Emma per la prima volta. Mi guardai attorno, poi mi abbandonai la borsa su di una sedia e lasciai la stanza, diretta verso la caffetteria dove Alison mi aspettava.
«Sei in ritardo, non ti pago.» Furono le prime cose che disse appena misi piede nella caffetteria. Alison si trovava poco distante da dove ero io, e mi guardava visibilmente infastidita dal mio ritardo.
Quella mattina non avevo ricevuto un sorriso da nessuno, constatai facendo una smorfia.
«Scusami tanto, è che la metropolitana era piena e... sono stata fermata da un paio di ragazzine.» Le dissi sedendomi affianco a lei. Entrambe ordinammo un tè caldo, e continuammo a chiacchierare mentre aspettavamo le nostre ordinazioni.
«Ancora con questa storia di Perrie Edwards e le Little Mix?» Mi chiese, roteando leggermente gli occhi.
«Già.»
«Sinceramente, non ci vedo alcuna somiglianza. Hai presente come si veste quella ragazza e come ti vesti te?» Disse, guardando i miei vestiti - o meglio, quelli di Emma - in modo eloquente.
A quelle parole non riuscii a trattenere una risata e un sorrisetto soddisfatto.
«Non dovresti sorridere Emma, ti ho appena insultato.» Dichiarò la rossa, con il volto accigliato. «Sul serio, ragazza mai, ma che ti prende in questi ultimi giorni? Ti sei per caso innamorata?»
«Oh, affatto. Non sono mica te.» Mi lasciai scappare, mentre sorseggiavo il mio tè caldo al limone. Fortunatamente mi stavo portando la tazza alle labbra, perché improvvisamente Alison batté violentemente il pugno sul tavolo di legno.
«Che cosa stai insinuando?» Chiese aggressiva.
Aveva sinceramente bisogno di un corso di gestione della rabbia questa Alison.
«Niente. Ho solamente notato come ti guardava James l’altro giorno.» Buttai in modo casuale, continuando a sorseggiare la bevanda calda.
«Stai forse insinuando che James prova qualcosa per me? Sei ufficialmente impazzita, Emma. Apri gli occhi, non siamo in un film di Federico Moccia. Per Dio, hai proprio uno strano sintomo premestruale.» Aggiunse, con la voce leggermente innervosita. Non riuscii a non notare le guance della ragazza, che si erano leggermente imporporate.
Okay, era ufficialmente cotta di quel James, e mi ripromisi che avrei fatto di tutto per metterli assieme. Costi quel che costi.
«Ora...» Iniziò a dire Alison, finendo il tè e alzandosi. «È il momento di tornare al lavoro. C’è una pila di cd di musica classica che ti aspetta in magazzino.» Ammise ridacchiando di gusto. Ci godeva a sfruttare le persone, quella ragazza.
«Agli ordini.» Risposi, seguendola verso il magazzino, dove mi fece vedere la pila di cd accatastati contro una parete. Erano almeno un centinaio, se non di più.
Lanciai un’occhiata ad Alison, che ricambiò con un sorriso beffardo, dopodiché lasciò la stanza. Non prima di avermi augurato buon divertimento.
Che spasso.
Mi passai una mano tra i capelli, poi li legai in una coda di cavallo e mi misi all’opera. Lentamente presi una pila di cd alla volta, portandola in negozio. Ci misi un po’ a trovare la corsia dedicata alla musica classica, mi poi ci riuscii. Dopo aver sistemato circa una cinquantina di cd, sospirai rumorosamente. Avevo decisamente bisogno di una pausa.
Mi guardai attorno alla ricerca di Alison, e appena notai i corridoi vuoti, mi alzai, diretta verso il piccolo stanzino dove all’inizio avevo lasciato la mia borsa.
Appena vi entrai, presi il cellulare e composi il numero di Emma. Doveva spiegarmi un paio di cose quella ragazza. Rispose al terzo squillo. «Pronto?»
«Cosa cavolo hai combinato?» La attaccai subito.
«Perrie?»
«Esatto, sono io. Stamattina ho letto un articolo in cui era scritto che io ho imprecato contro un paparazzo? Ne sai qualcosa?» Chiesi sarcastica.
«Quello?» La sua voce si fece leggermente più acuta e innervosita, e ridacchiò. «Non è niente, davvero. Solo che... per un secondo mi sono dimenticata di entrare nel personaggio. Ma prometto che non succederà più. Io...»
«Non succederà più? Mi sembra il minimo! Non vorrai mica rovinare la mia carriera. Se continui così le ragazze scopriranno tutto. Hanno per caso iniziato a sospettare di te?» Le chiesi. Per i primi secondi non mi rispose. «Allora?»
«Mm, niente. Non sospettano di nulla.» Dichiarò Emma. Chissà perché non mi sembrava affatto convincente.
«Noi dobbiamo vederci Emma. Ci sono un paio di cose di cui dovremo discutere...» Fui improvvisamente interrotta dalla porta che si apriva lentamente. Trattenni il respiro, e per un secondo pensai fosse Alison. Davanti a me, invece, comparve un ragazzo che non avevo mai visto prima.
Era alto, molto alto. I capelli scuri in contrapposizione agli occhi chiari, di un verde brillante. Rimanemmo fermi a guardarci per quelle che parvero ore. Dall’altro capo del telefono sentii la voce di Emma che mi domandava cos’era successo. Riattaccai bellamente, continuando a guardare quel ragazzo.
Finalmente il ragazzo aprì bocca. Sulle sue labbra comparve un sorriso malizioso appena accennato. «Cosa ci fai qua Emma?» Mi chiese.
Okay, doveva conoscermi. O meglio, conosceva Emma.
«Io... stavo... sì, insomma...» Stavo balbettando senza alcun motivo apparente.
«Se Alison ti vede qua dentro a fare nulla come minimo ti uccide. Poi ti licenzia.» La sua voce era poco profonda ma decisa, e riuscivo a percepire un accento del sud Inghilterra molto marcato.
Senza proferire parola, lasciai il cellulare su di una sedia e lo seguii, continuando a guardarlo. Chi poteva essere?
«Senti Emma, ti do una mano a finire con la musica classica, poi mi aiuti con la musica New Age, okay?» Disse lui quando arrivammo in magazzino. Non sentendo alcuna risposta da parte mia, si girò a guardarmi. «Allora?»
«Va benissimo.» Riuscii a rispondere.
Lui mi guardò sorpreso quasi quanto lo ero io. «Da quando in qua accetti qualcosa senza lamentele?» Chiese sorridendo, ma riuscii a percepire sorpresa nel tono della sua voce.
Ovviamente non gli risposi.
Assieme ci dirigemmo alla corsia di musica classica, poi in silenzio iniziai a riporre i cd in ordine alfabetico. Il ragazzo si trovava poco distante da me, e ogni tanto gli lanciavo sguardi incuriositi.
«Dio Emma, oggi sei stranissima. Non ti sei lamentata nemmeno una volta, sei stranamente silenziosa e ancora non mi hai riempito di insulti.» Certo che questo ragazzo non doveva avere vita facile con Emma. «È per caso accaduto qualcosa?»
«Nulla.» Biascicai, sistemando gli ultimi cd e alzandomi.
«Visto che sei particolarmente docile oggi, mi sembra arrivato il momento giusto per chiedertelo.» Dichiarò il ragazzo, sorridendomi malizioso.
Docile? Non ero mica un cagnolino.
Non riuscivo a capire se quel sorriso fosse intenzionalmente malizioso, oppure sorridesse sempre in quel modo. Fatto sta che mi faceva impazzire. «Allora Emma, ti va di uscire con me?» Terminò la frase.
Le sue parole mi sorpresero. Lo guardai per qualche secondo, indecisa sul da farsi. Probabilmente se non avessi accettato si sarebbe insospettito. Oppure lo avrebbe fatto se avessi accettato?
Le parole però, uscirono da sole dalle mie labbra. «Perché no?»











Spazio autrice:

Buona domenica a tutte ragazze, come state?
Ecco il nuovo capitolo, l'ho postato appena ho potuto, perdonate la settimana di attesa.
Allora, in questo capitolo non succede molto, a parte il "misterioso" ragazzo che chiede a Perrie/Emma di uscire.
Se non avete capito di chi si tratta, vi consiglio di andare a rileggere il primo capitolo...
Oppure aspettare che il suo nome venga svelato, hahaha.
Prima di lasciarvi volevo ringraziare tutti coloro che leggono e recensiscono la storia.
Mi rendete felicissima, grazie mille! :)
Vi lascio con una Perrie stranita dal comportamento scorbutico di tutti gli amici di Emma, hahaha.
A prresto! xxx Becks






 

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Capitolo 9
*** European Music Awards, really? ***


European Music Awards, really?                                                                                                        Emma.
 
Erano passati sì e no tre giorni da quando avevo visto Zayn, e ogni tanto mi chiedevo se avesse già provato a chiamarmi, ma soprattutto, come l’avesse presa appena scoperto ciò che avevo fatto. Ridacchiai sotto i baffi, immaginandomi la scena esilarante.
Quel giorno ero tranquillamente sdraiata sul letto alla francese in camera di Perrie. Tra le mani reggevo il cellulare, aspettando il momento giusto per premere il tasto di chiamata.
Volevo chiamare la bionda per chiederle come stava andando, come se la cavava alle prese con la mia vita. Era dal giorno in cui aveva scoperto dell’articolo e delle foto che non ci sentivamo, anche se ero sicura che non fosse arrabbiata con me, quella ragazza era troppo dolce per rimanere arrabbiata con qualcuno.
Stavo per premere il tasto di chiamata quando qualcuno aprì la porta della stanza e si fiondò accanto a me. Mi girai leggermente sorpresa e allibita, e a fianco a me trovai Leigh con un enorme sorriso sulle labbra, che mi fissava insistentemente con quei profondi occhi a mandorla, senza proferire parola.
Per i primi secondi cercai di non farci caso, ma la cosa divenne piuttosto snervante.
«Mm, c’è qualche problema?» Le chiesi, guardandola di sottecchi. Il suo sorriso non accennò a sparire dal suo volto.
«Sai che giorno è, carissima Perrie?» Chiese dopo qualche secondo di silenzio.
La guardai corrucciando la fronte. «Dovrei saperlo?»
«Non mi dire che te lo sei dimenticata!» Esclamò alzandosi dal letto e puntandomi un dito contro. In volto un’espressione quasi sconvolta. «Non è possibile che tu sia sempre così sbadata, Perrie!» Aggiunse.
Feci per aprire bocca, esigendo una spiegazione da parte della riccia, quando una Jade sorridente fece capolino nella stanza, seguita a ruota da Jesy, altrettanto felice. Finalmente avevo imparato a distinguerle tutte, senza alcun errore, pensai seguendole con lo sguardo.
«Mancano quattro ore, ma sono super agitata.» Ammise Jade, raggiungendomi sul letto e sospirando rumorosamente.
«Ancora non capisco. Quattro ore per cosa?» Domandai, guardando tutte e soffermando poi lo sguardo su Jade.
«Come per cosa? Gli European Music Awards, tesoro. Ecco cosa ci attende!» Esclamò, agitando le braccia entusiasta. Rimasi qualche secondo in silenzio, valutando ciò che Jade aveva appena detto. Era da anni che seguivo quella importante premiazione, e ci sarei andata. Non credevo alle mie orecchie.
Mi alzai di scatto, iniziando a saltellare per tutta la stanza, seguita a ruota dalle ragazze. Improvvisamente Jade si fermò, mi strinse il polso e mi impose di stare ferma. In volto aveva un’espressione seria, e per un attimo ne fui intimidita.
«Niente imprecazioni.» Disse Jade, guardandomi eloquente, dopo i primi secondo di temuto silenzio.
Oh ma insomma, era successo una sola volta. Non è adesso devo essere etichettata come la componente che aveva imprecato contro un paparazzo, pensai.
«Niente imprecazioni.» La imitai, per rafforzare il concetto e farmelo entrare in testa. Dovevo solo entrare perfettamente nel personaggio di Perrie, tutto qui.
«Niente parolacce.» Aggiunse, scuotendo mestamente la testa.
«Niente parolacce.» La imitai di nuovo, scimmiottandola leggermente e alzando gli occhi al cielo in modo teatrale, ricevendo come risposta un’occhiataccia da parte di Jade ed una risata da parte delle altre, che ci guardavano divertite.
«E ultimo ma non meno importante... Ricordati che ti voglio bene, e che questa sarà una serata fantastica.» Dichiarò prima di abbracciarmi stretta, seguita a ruota dalle altre.
In un primo momento non ricambiai, sorpresa da quell’improvviso gesto. Non ero abituata ad abbracci, soprattutto perché Alison non era esattamente una ragazza espansiva, come me d'altronde. Mi abbracciava solamente se pregavo in ginocchio, e solo per motivi ben precisi. Per esempio quando ero distrutta per la morte del mio caro pesce, o quando avevo passato l’esame di guida. Anche in quei casi però, ci era voluto un po’ per convincerla.
Poi mi lasciai andare, abbracciando le altre di rimando. Quando sciogliemmo l’abbraccio, sentii come una stretta al cuore. Le ragazze erano così dolci e simpatiche, e io stavo mentendo loro sulla mia identità. «Vado un secondo in bagno.» Dissi loro in tono leggermente cupo.
«Certamente, ma muoviti che tra poco dobbiamo partire.» Disse Jade. Annuii e attraversai il lungo corridoio verso il bagno, dove chiusi la porta alle mie spalle e sospirai, sedendomi sul bordo della vasca immacolata. Rimasi qualche secondo ferma, riflettendo sugli avvenimenti degli ultimi giorni, mentre mi mordevo distrattamente il labbro inferiore.
Certo, c’erano stati degli alti e bassi, ma tutto sommato i giorni passati a fingere di essere Perrie erano stati fantastici; però convenni che non potevo continuare a mentire alle ragazze. Ogni volta che una di loro mi abbracciava, sentivo un piacevole calore in tutto il corpo, ma allo stesso tempo pensavo a cosa avrebbero fatto se avessero scoperto chi ero veramente.
I miei pensieri furono interrotti da qualcuno che bussava alla porta. «Perrie, tutto okay là dentro?» Riconobbi la voce dolce di Jade e il suo tono leggermente preoccupato. Fu quello a farmi prendere la decisione definitiva; quella sera dopo le premiazioni avrei raccontato loro la verità, e mi sarei preparata a subire tutte le conseguenze.
«Sto bene Jade, non ti preoccupare.» Le risposi dopo qualche secondo. «Sono solo un po’ agitata per le premiazioni.» Mentii.
«Va bene. Ti aspetto in camera, dobbiamo iniziare a prepararci.» Disse, dopodiché sentii il rumore di passi allontanarsi sempre di più. Mi alzai dal bordo della vasca, guardandomi allo specchio.
«Bene Emma. Goditi questa serata, perché probabilmente sarà l’ultima nella tua fantastica e temporanea vita da star.» Affermai al mio riflesso, poi sospirai rumorosamente storcendo leggermente il naso, e tornai dalle ragazze.
Quando rientrai in camera, qualche minuto dopo, Jesy mi fermò, sorridendomi. «Indossa qualsiasi cosa che ti capita nell’armadio, così iniziamo ad andare. Ci truccheremo e cambieremo nei camerini.» Annuii velocemente alle sue parole, dopodiché presi una borsa qualunque e ci infilai il cellulare, poi raggiunsi che altre che erano già all’ingresso, e assieme uscimmo. Parcheggiata davanti a casa c’era un’enorme auto nera coi vetri oscurati. Velocemente vi salimmo, dopodiché partì sgommando verso le affollate strade londinesi.
 
Circa mezz’ora più tardi l’auto si fermò nel retro di un’enorme palazzo. Scendemmo velocemente, poi fummo guidati verso l’entrata sul retro da una ragazza che non avevo mai visto prima d’ora. Percorremmo poi un lungo corridoio, finché non arrivammo davanti ad una porta color porpora, vi entrammo e capimmo che era quello il nostro camerino.
Mi guardai attorno curiosa, e notai che un grande specchio dominava la stanza, e oltre a quello vi erano un divano di pelle nero e qualche sedia in legno. Accanto ad una di esse, c’era una donna di non più di trent’anni, che ci sorrideva. Quella doveva essere la truccatrice. 
«Salve ragazze.» Sorrise quest’ultima. «Siete pronte per il trucco e parrucco? Prima cambiatevi velocemente, dopodiché io penso al resto.» Aggiunse. Annuimmo tutte, poi mi girai verso Leigh.
«E i nostri vestiti?» Chiesi. Proprio in quel momento qualcuno bussò alla porta ed entrò una ragazza, che tra le mani reggeva quattro copri abiti scuri. Li poggiò sul divanetto di pelle, dopodiché ci salutò e se ne andò.
«Ecco i vestiti.» Rispose Leigh, prendendo il suo e passandomi il mio. Ero proprio curiosa di sapere cosa avrei indossato questa sera. Fortunatamente non era toccato a me scegliere cosa mettere, altrimenti avrei sicuramente fatto un errore di stile.
Lentamente aprii la cerniera del copri abiti, scoprendo un vestito color rosa antico, molto carino. Sorrisi e passai un dito sull'abito, incredibilmente morbido. Non avevo sicuramente indossato cose del genere, ma ci doveva essere una prima volta per tutto. Quando lo ebbi indossato, mi guardai allo specchio, sorridendo al mio riflesso. Non ero affatto male, constatai facendo una giravolta.
«Sei fantastica Perrie.» Disse Jade, guardandomi sorridente.
«Anche tu non sei da meno.» Le risposi, aprendomi in un largo sorriso. Indossava un vestito che esaltava le gambe magre, e soprattutto la vita stretta. Aveva già acconciato i capelli, creando morbide onde non troppo accennate.
Quando fu il mio turno mi sedetti sulla sedia, chiusi gli e mi lasciai truccare. Dopo il trucco toccò ai capelli, che la donna arricciò fino a creare morbidi boccoli biondi, ben definiti. Quando mi guardai allo specchio stentai quasi a riconoscermi. Io e le ragazze eravamo una di fianco all’altra, che scrutavamo attentamente il nostro riflesso. Incrociammo lo sguardo allo specchio e ci sorridemmo, pronte per uscire.
«Tra cinque minuti si entra in scena.» Disse la ragazza che poco prima ci aveva portato i vestiti.
Il mio cuore iniziò a martellare insistentemente nella gabbia toracica, e i battiti aumentarono via via che si avvicinava l’ora di uscire. Ancora non credevo a ciò che stava per accadere. Sarei stata sul red carpet degli European Music Awards. Io, Emma Davis.
Per l’ennesima volta la ragazza bussò alla porta, entrò e ci invitò a seguirla lungo un corridoio freddo e spoglio, verso la porta che ci avrebbe portato davanti alla folla e ai fotografi.
Qualche minuto più tardi ci trovammo sul red carpet, e in pochi secondi, i flash dei fotografi iniziarono ad invaderci. Inizialmente smarrita, guardai Jade, che ricambiò il mio sguardo sorridendo e prendendomi la mano. La imitai sfoggiando un sorriso a trentadue denti e girandomi verso i fotografi, abbagliata così tanto da tutti quei flash, che per un attimo mi sembrò solamente un sogno ad occhi aperti.
 
Appena i fotografi finirono finito di scattarci foto, fummo avvicinato dalla presentatrice della serata, che aveva un volto familiare. Mi sembrava di averla vista prima, probabilmente in un programma televisivo famoso. La donna in questione iniziò a fare domande riguardanti la serata che da lì a poco si sarebbe svolta. L’unica cosa che riuscii a dire io era che fossi davvero molto eccitata per ciò che stava accadendo, e che non avrei mai pensato che un giorno mi sarei trovata lì, a Londra, davanti ad una telecamera, impaziente di sapere se avevamo vinto o no un premio.
Ed era sicuramente vero.
Mentre parlavo le ragazze mi guardavano ed annuivano, e la presentatrice faceva lo stesso, con un sorriso professionale e affabile stampato in volto.
Dopo qualche minuto di intervista, la donna si allontanò, passando al successivo gruppo musicale inglese, composto da quattro o cinque ragazzi, che in un primo momento non riuscii a riconoscere, almeno finché Jade non mi strattonò per un braccio, nel bel mezzo dell’ennesima foto.
«Cosa c’è?» Le chiesi, infastidita da quell’improvviso gesto.
«Lui è qui.» Mi rispose lei semplicemente, indicandomi con un gesto della testa i ragazzi di poco prima. Li seguii con lo sguardo, finché uno di loro non si girò a guardarmi, come se avesse percepito l’occhiata che gli stavo lanciando. Il sorriso che gli incorniciava il volto si dissolse improvvisamente, e assottigliò gli occhi.
Merda, era lui. Zayn.
Mi girai dall’altra parte di scatto, nascondendo un’espressione allarmata. Mi aveva sicuramente riconosciuta, e non c’era modo di scappare. I minuti successivi li passai pregando che non si avvicinasse a noi, e per un po’ pensai che non l’avrebbe fatto.
«C’è Harry. Credi che debba andare a parlargli?» Mi sussurrò Jade all’orecchio. Ora ci si metteva anche lei con la storia di quel riccioluto?
«Aspetta che sia lui ad avvicinarsi.» Le dissi semplicemente, pregando dentro di me che non lo facesse, soprattutto per non avere Zayn attorno. Non avrei saputo che fare se fosse venuto lì, e soprattutto se mi avesse chiesto del numero di cellulare. Sarebbe davvero imbarazzante.
 
Quasi un paio d’ore più tardi, le premiazioni finirono. Le Little Mix avevano vinto il premio come miglior gruppo femminile inglese, ed ero davvero fiera di loro. Non vedevo l’ora di dare la buona notizia a Perrie.
I tacchi alti iniziavano a provocarmi un dolore insopportabile ai piedi. Non importandomene dell’opinione pubblica, mi sedetti su di uno scalino, togliendomi le scarpe col tacco. Come diavolo facevano le ragazze a portarle la maggior parte della giornata davvero non capivo.
Improvvisamente sentii qualcuno sedersi accanto a me. Pensai subito fosse Jade. «Lo so Jade che non è questo il comportamento di una celebrità, ma davvero, questi tacchi mi stanno uccidendo.» Dissi, massaggiandomi lentamente i piedi.
«Oh, ma non importa.» Rispose Jade. Aspetta un secondo... Jade non aveva una voce così profonda e così maschile. Non poteva essere lei.
Alzai la testa di scatto, trovandomi uno Zayn che mi sorrideva - sempre quel suo sorriso malizioso -, e mi guardava incuriosito.
«Che diavolo ci fai qui?» Gli chiesi poco gentilmente, infastidita dall’intrusione, ma soprattutto per dissimulare l’imbarazzo derivato dalla sua vicinanza.
«Ero stanco, tutto qui.» Rispose semplicemente lui, alzando le spalle.
«Be’, la scalinata è lunga, quindi puoi anche trovarti un altro posto.» Sibilai, mentre sentivo le guance andarmi a fuoco. E non avrei nemmeno potuto nascondere il rossore, visto la pelle nivea che possedevo.
«Perché mi tratti sempre in questo modo?» Domandò lui, spazientito dal mio comportamento acido.
«Non credere di essere privilegiato, mi comporto così con chiunque.» Ribattei velocemente, aspettando solamente che si alzasse e raggiungesse di nuovo i suoi amici.
«Be’, io non me lo merito. A proposito...»
Ecco, era arrivato il momento.
«L’altro giorno ho provato a chiamarti, e indovina un po’? Mi ha risposto una voce maschile, completamente differente dalla tua.»
Ridacchiai alle sue parole. «Davvero?»
«Già.»
«Avrò sbagliato a dettarti il mio numero, tutto qui.» Mentii, mordendomi l’interno guancia e spostando lo sguardo verso il palco dove poco più di un’ora prima ero salita assieme alle ragazze. Se c’era qualcosa che non sapevo fare, era mentire, e Zayn sembrò accorgersene. Con la coda dell’occhio lo vidi sorridere sarcasticamente. «Okay, credo di aver capito. Non ti va proprio di uscire con me.» Disse, con una punta di sconforto nella voce.
«Non è come pensi, Zayn. Il fatto è che...» Tentai di dire. Ma come potevo dirgli che non ero io la ragazza che lo aveva inizialmente colpito? Non potevo rivelagli nulla. Mentre cercavo una scusa abbastanza convincente, arrivarono Jade, Harry e tutto il resto dei due gruppi. La ragazza mi lanciò un’occhiata eloquente, dopodiché si rivolse direttamente a Zayn. «Hey Zayn, facciamo una cosa. Ti lascio io il numero di Perrie, lei sarà entusiasta di uscire con te, ne sono sicura. Anzi, perché non organizzare subito l’appuntamento? Venerdì sera dovremmo essere libere da impegni riguardanti il gruppo. Perché non passi a prenderla a casa? Ti mando subito un messaggio con l’indirizzo di casa.» Disse, trafficando con il cellulare. Tutto questo sotto lo sguardo stupito di Zayn e il mio sconvolto.
«Non ci pensare nemmeno...» Iniziai a dire, alzandomi in piedi senza nemmeno indossare le scarpe.
«Fatto.» Dichiarò, con quel sorriso beffardo. «Allora, ci vediamo venerdì Zayn, ora dobbiamo scappare. Complimenti per la vittoria, ragazzi.» Aggiunse, soffermandosi su Harry, che le lanciò un sorriso malizioso, ammiccando e ringraziandola.
Tutte e quattro ci allontanammo e poco prima di rientrare, sentii qualcuno urlare il mio nome, o meglio quello di Perrie. Mi girai curiosa e vidi Zayn con un braccio alzato, che mi stava salutando
«Ci vediamo venerdì, Perrie!» Disse, non lasciandomi nemmeno il tempo di rispondere.
Perfetto, ora si che ero davvero nei guai. Sarei dovuta uscire con un ragazzo che probabilmente piaceva a Perrie.
Dovevo escogitare qualcosa per rimediare al casino che sarebbe presto scoppiato, mi dissi mentre stavamo tornando al nostro appartamento, stanche ma felici della serata. 












Spazio autrice:

Salve a tutte, ragazze. Sto cercando le parole giuste per farmi perdonare questo ritardo, ma non riesco a trovarle.
Mi dispiace avervi fatto aspettare tanto per un capitolo così orribile. Spero tanto che mi perdoniate.
Ovviamente la colpa è della scuola, che fortunatamente per me è finita, quindi d'ora in poi niente ritardi! Promesso :)
Come avete avuto il piacere di notare, Emma ora dovrà per forza uscire con Zayn. Cosa credete che succederà?
La nostra Emma sarà presa dal bel ragazzo, o cercherà di allontanarlo? Fatemi sapere cosa pensate succederà.
Vi lascio con una bellissima Emma/Perrie con i capelli ricci e un sorriso stupendo, e come al solito vi ringrazio!

P.S.: Se avete notato la parola "vestito" è in azzurro, be', se cliccate vi farà vedere i vestiti che ho scelto per le ragazze!
A presto! xxx Becks


 

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Capitolo 10
*** Just a kiss. ***


Just a kiss                                                                                                                                                                                                                                           Perrie.
 
«Cosa diavolo hai fatto?» Mi attaccò immediatamente Alison quando quel pomeriggio le raccontai di aver accettato la proposta di uscita che Aaron mi aveva fatto. il suo volto tradiva un’espressione sorpresa, se non addirittura sconvolta.
«Esatto, ho accettato.» Continuai io, sorseggiando un altro sorso di tè caldo, cercando di nascondere il nervosismo. «In quel momento mi era parsa la cosa più sensata da fare.» Ammisi, incrociando i suoi occhi perplessi.
«Non ci credo. Quando e dove?» Riuscì a domandarmi dopo interi secondi passati in un silenzio quasi soffocante.
«Ha detto che mi viene a prendere venerdì sera, e non mi ha rivelato nulla a proposito dell’appuntamento. Sarà una sorpresa.»
«Cosa? Gli hai anche rivelato dove abiti?» Urlò la ragazza, facendo girare verso di noi le poche persone che in quel momento si trovavano - come noi - in quella caffetteria adiacente al negozio di cd. Mi guardai attorno imbarazzata e mi scusai per la rossa, che però non fece lo stesso, ignorando le occhiate perplesse che riceveva. «Questo equivale al suicidio! Ora non potrai nemmeno nasconderti, nel caso ti stancassi di lui, o peggio, ti piacesse!»
«E perché dovrei nascondermi, nel caso mi piacesse?» Le chiesi perplessa.
«Semplice, lui è Aaron!» Esclamò, prima di finire in un lungo sorso il suo caffè espresso, categoricamente senza zucchero. «Dio, ma che diavolo le è successo?» Borbottò tra sé e sé, come se non fossi davanti a lei.
Forse, mi dissi, accettare di uscire con Aaron non era stata una buona idea. Insomma, io lo avevo fatto solamente per non destare sospetti, pensando che Emma si sarebbe comportata nello stesso modo. In quel momento però giunsi alla conclusione che no, lei non avrebbe mai accettato.
«Sei ancora in tempo per declinare l’invito.» Dichiarò Alison mentre eravamo in coda per pagare alla cassa.
«Oramai sa dove abito.» Sussurrai, spostando lo sguardo verso la vetrina che mostrava le strade trafficate della città di Londra. Okay, forse la mia era stata solamente una pessima scusa. Quando - qualche minuto dopo - riportai lo sguardo su Alison, notai che aveva assottigliato gli occhi lanciandomi il suo famoso sguardo inceneritore. Raccapricciante.
«Non so cosa ti sia preso, Emma. So solamente che in questi ultimi giorni sei cambiata moltissimo. Quasi non ti riconosco.» Ammise, mentre la seguivo verso il negozio, per la chiusura. Oramai erano le sette di sera, e dopo aver fatto i turni pomeridiani, io e Alison avevamo deciso di andare a mangiare in qualche ristorante carino, per passare una serata tranquilla. O almeno, era lei che mi aveva obbligato a falo.
Non risposi alla sua affermazione, lasciando che per l’ennesima volta l’argomento sul mio presunto cambiamento cadesse da solo.
 
I giorni passarono molto velocemente, e in poco tempo arrivò venerdì pomeriggio. Il giorno precedente avevo avuto il tempo di andare in centro e comprarmi qualcosa di carino da indossare all’appuntamento. Insomma, non mi sarei mai presentata ad un appuntamento con indosso una felpa informe e incolore, e un paio di jeans slavati.
Dopo una doccia veloce indossai il completo che avevo comprato e mi guardai allo specchio posto al di sopra del lavandino, spazzolandomi capelli e truccandomi alla bell’e meglio.
Quando ebbi finito mancavano dieci minuti alle sei, questo voleva dire che Aaron sarebbe arrivato non prima di venti minuti. Mi guardai attorno e decisi poi di sedermi sul divano ad aspettare l’arrivo del ragazzo.
Senza quasi accorgermene iniziai a torturare nervosamente la collana che indossavo, aspettando con ansia e allo stesso tempo impazienza, l’arrivo di Aaron.
Però nello stesso momento sentivo come una brutta sensazione che aleggiava nel mio stomaco.
Mi sentivo stranamente in colpa, come se avessi rubato il ragazzo ad Emma. Non mi sembrava giusto uscire con Aaron, ma soprattutto continuare a mentire a chiunque mi capitasse a tiro, spacciandomi per un’altra persona. Mi alzai di scatto dal divano, alla ricerca del cellulare.
Decisi che avrei chiamato prima il castano, avrei declinato più gentilmente possibile l’invito, dopodiché avrei chiamato Emma, e le avrei detto di voler smettere con questa farsa. Gli ultimi giorni - anche se iniziati in modo a dir poco catastrofico - era poi continuati bene, e stavo lentamente iniziando a sopportare e voler bene ad Alison, Matthew, e addirittura a Ray, ma pensare di dover mentire ogni volta non piaceva affatto.
Presi il telefono che avevo abbandonato sul tavolo e proprio mentre stavo per andare sulla rubrica alla ricerca del numero di Aaron, il campanello suonò. Dallo spaventò feci cadere il cellulare a terra.
«Accidenti a te, Aaron.» Dissi ad alta voce mentre mi dirigevo alla porta. Era chiaro fosse lui, seppur con un leggero anticipo. Anche perché Alison sapeva che sarei uscita, e non avrebbe avuto motivo di venire.
Aprii la porta, trovando di fronte ad una massa di ricci rossi e un paio di occhi che mi guardavano stupiti. «Alison, mi hai spaventata! Pensavo che fossi Aaron. Che ci fai qui?» Le chiesi, spostandomi per farla entrare. Lei non si mosse e continuò a guardarmi con un espressione sorpresa e le labbra leggermente dischiuse.
«Oddio Emma, ma sei davvero tu?» Riuscì a dirmi dopo i primi minuti avvolti in un silenzio fastidioso e imbarazzante.
Sulle prime quella domanda mi mise in difficoltà, ma mi ripresi in fretta. «Certo! Perché, chi dovrei essere?» Risposi ridacchiando nervosamente, e recandomi in soggiorno, seguita a ruota da lei.
«Non credo di averti mai vista vestita così, e quella gonna ti sta benissimo. Da dove diavolo l’hai tirato fuori ciò che indossi?»
«Be’... ho fatto un po’ di shopping ieri pomeriggio. Mi sono accorta di non avere nemmeno una gonna carina, o un paio di scarpe che non siano da ginnastica.»
«Non sapevo che sapessi persino camminare in modo normale sui tacchi! L’ultima volta che Bonnie ti ha convinto ad indossarli ti sei presa una distorsione!» Esclamò, sedendosi accanto a me sul divano. Io ridacchiai di gusto. «A quanto pare ti sei allenata nei mesi precedenti.» Aggiunse, lanciando una veloce occhiata alle scarpe che indossavo.
Restammo poi qualche secondo in silenzio, finché non sospirai rumorosamente, girandomi verso la ragazza. «Non sono più tanto sicura di volerlo fare.» Ammisi, mordendomi il labbro inferiore.
«Cosa? Uscire con Aaron?» Mi chiese preoccupata.
«Già.» Dissi, aspettandomi da parte della ragazza parole di conforto che mi avrebbero permesso di affrontare quell’appuntamento nel modo migliore.
Invece successe tutt’altro. Alison si alzò di scatto e cominciò a guardarsi attorno. «Cosa stai cercando?» Domandai stranita da quel comportamento.
«Il telefono. Chiamo Aaron prima che sia troppo tardi. Sei tornata normale Emma, finalmente ti sei accorta dell’errore madornale che stavi per compiere. Non capisci che Aaron non assomiglia affatto all’ideale di ragazzo perfetto per te? Certo, se dovessimo davvero cercarti il ragazzo perfetto moriresti sicuramente zitella, ma meglio stare soli che con uno come lui!» Esclamò, continuando a cercare il telefono, sotto i cuscini, sulla tavolo della sala da pranzo adiacente al salotto, sotto il divano.
Velocemente mi alzai e aiutai a cercarlo. Aveva ragione Emma, dovevo disdire e lasciare perdere la pazzia che fino a poco prima non vedevo l’ora di compiere.
«Eccolo!» Esclamai prendendo in mano il telefono come fosse un oggetto prezioso e che avevo abbandonato su di un ripiano della cucina. Alison mi raggiunse velocemente e prese il cellulare, ma per la seconda volta in quel giorno fummo distratte dal suono del campanello. E questa volta doveva per forza essere lui.
«Troppo tardi.» Mormorò. «Divertiti... anzi, cerca di divertirti il meno possibile.» Aggiunse mentre mi dirigevo verso la porta. Appena la aprii mi trovai faccia a faccia con Aaron, che mi sorrise dolcemente, facendomi poi l’occhiolino. Ricambiai il sorriso, e aprii la bocca per salutarlo, quando affianco a me passò Alison, che salutò entrambi ed uscì.
«Non tornate troppo tardi stasera, altrimenti domani farete tardi al lavoro! E sapete com’è intransigente il capo!» Esclamò poco prima che le porte dell’ascensore si aprissero. Io e Aaron ci guardammo per qualche secondo perplessi, dopodiché scoppiammo a ridere.
«Quella ragazza non cambierà mai.»Dichiarò il moro. Io annuii, chiudendo la porta alle spalle e seguendolo verso la macchina. Il cuore mi batteva a mille, avevo lo stomaco chiuso e non sapevo cosa aspettarmi da questo appuntamento.
«Allora, dove andiamo di bello?» Chiesi in macchina, dopo aver indossato la cintura di sicurezza, poco prima che lui mettesse in moto.
«Non sono autorizzato a dare questa informazione.» Scherzò accendendo la radio. In pochi secondi nell’auto si diffuse una melodia orecchiabile e movimentata, molto conosciuta. Iniziai a canticchiare mentre fuori dalla finestra, osservavo distrattamente il susseguirsi di auto e palazzi.
«Non avevo mai notato che tu avessi una voce così bella.» Disse improvvisamente Aaron, facendomi leggermente arrossire, nonostante oramai fossero in molti a farmi i complimenti per la voce, vista la notorietà che io e le ragazze avevamo raggiunto. Forse era il modo in cui lo aveva detto, così intimo e sincero. Con un tono di voce dolce. Credo che sarebbe stato molto diverso se me lo avesse detto conoscendo la mia vera identità. Sorrisi, ricominciando a guardare il panorama cittadino.
In effetti, questa vita da persona normale mi piaceva molto più di quanto credessi. Lo ringraziai, dopodiché abbassai il finestrino, permettendo ad una frizzante arietta di rinfrescarmi.
«In effetti però. Ti ho sempre e solo sentito urlare, quindi questo non mi stupisce.» Aggiunse dopo che l’avevo ringraziato.
«Perché hai accettato di uscire con me?» Mi chiese improvvisamente - mentre l’ennesima vecchia canzone rock passava alla radio - mettendomi ovviamente in difficoltà. Continuai a guardare fuori dal finestrino, alla ricerca di una scusa plausibile.
«Be’... mi sembrava giusto darti una possibilità, Aaron.» Dissi. Lui non mi rispose, ma non la coda dell’occhio lo notai sorridere, e automaticamente lo feci anche io. Per il momento l’appuntamento non stava andando affatto male, e magari sarebbe potuto anche migliorare.
Venti minuti più tardi finalmente Aaron parcheggiò la macchina. Aprii la portiera, scesi e mi trovai in un piccolo parcheggio poco distante dal centro Londra. Dopo qualche secondo venni raggiunta dal ragazzo, che aprì bocca - probabilmente per rivelare finalmente la nostra meta - ma si bloccò, sgranando leggermente gli occhi chiari, che per un secondo mi sembrarono ancora più belli del solito.
«Emma...» tentò di dire, mentre io lo guardavo confusa. «Io... non credo di averti mai vista vestita in quel modo. Sei fantastica, davvero.»
Il suo complimento mi costrinse ad abbassare lo sguardo imbarazzata, e ad arrossire per la seconda volta in un giorno. «Non dirmi che l’appuntamento consiste nel ritrovarci in un parcheggio. Non ti facevo così poco romantico.» Scherzai per nascondere l’imbarazzo.
«In realtà, volevo portarti al National Gallery. Il venerdì è aperto fino alle nove, e ricordo che una volta mi hai confidato di amare l’arte.» Certo, peccato che in quel dato momento non ero esattamente la stessa Emma che gli aveva rivelato di amare l’arte.
«Fantastico!» Dissi sorridendo falsamente, poi quando si girò per farmi strada verso il National Gallery, il mio sorriso si spense. Non mi ero mai interessata all’arte, quindi non sapevo come sarebbe potuto andare al museo. Sperai con tutta me stessa che non mi facesse domande sugli artisti, altrimenti non avrei saputo come rispondergli.
Salimmo le scalinate verso il museo, e appena vi entrammo fui invasa da calore e dal chiacchiericcio poco animato delle persone venute in visita. All’interno il palazzo sembrava ancora più maestoso. Mi guardai attorno, finché Aaron non mi prese per mano. «Vieni con me.» Disse, per poi condurmi in una sala poco distante dall’entrata e poco affollata. Le luci fioche illuminavano i dipinti, creando quasi un atmosfera magica.
«Monet. Il tuo preferito.» Annunciò Aaron, indicandomi la sala colma di opere dell’artista francese. Mi guardai attorno, poi spostai lo sguardo sul moro, e notai che osservava un opera davanti a noi, guardandola interessato. Si vedeva che amava l’arte da come osservava i dipinti, come a studiarli attentamente, scovare ogni piccolo particolare. Sembrava quasi si immaginasse le pennellate che l’artista aveva compiuto per portare a termine il quadro.
Fu ciò a colpirmi di più. Mentre facevamo il giro della sala, guardavo per un attimo i quadri, poi portavo il mio sguardo ad Aaron, osservando le sue reazioni che cambiavano a seconda del dipinto che si trovava davanti.
«Hai fame?» Chiese circa un’ora più tardi, dopo aver osservato un’ampia gamma di opere d’arte.
Fu il mio stomaco a rispondere per me, e borbottò sonoramente. Ridacchiai imbarazzata annuendo vigorosamente. «Forse un pochino.» Ammisi.
«Be’, allora possiamo andare a mangiare.»
 
Venti minuti più tardi ci trovavamo seduti in uno dei tavolini di legni di un piccolo pub poco affollato, non distante da Trafalgar Square. Entrambi avevamo ordinato un hamburger ed una pinta di birra, e ce li stavamo gustando mentre chiacchieravamo del più e del meno. Il ragazzo era simpatico e divertente, oltre che estremamente bello.
«Non credevo sinceramente che questa uscita sarebbe andata così bene.» Ammise Aaron, bevendo un sorse di birra e ricominciando a parlare. «Stavo per chiamarti per disdire.»
Ridacchiai per le sue parole. «Stavo per fare la stessa cosa.» Ammisi, nascondendomi dietro il bicchiere e sorridendogli.
Quando finimmo di mangiare erano quasi le undici. Ci alzammo e lui pagò per entrambi, poi tornammo alla macchina. Nel frattempo un venticello freddo si era alzato sulla città, facendomi tremare di freddo nella strada tra il pub e l’automobile. Mi strinsi nel golfino che indossavo, poi aprii velocemente la portiera ed entrai, raggiunta pochi secondi più tardi da Aaron.
Accesi la radio che trasmetteva una vecchia canzone anni Sessanta, poi indossai la cintura e mi rilassai.
Restammo nel più totale silenzio - rotto solamente dalla dolce melodia emanata dalla radio - finché il ragazzo non aprì bocca, riallacciandosi all’argomento di poco prima.
«Sinceramente non mi sarei mai e poi mai aspettato che tu potessi accettare. Mi hai sempre trattato con sufficienza, insultandomi in continuazione. Non mi sarei mai aspettata che avresti cambiato idea su di me in così poco tempo»
«Be’, vedimi come una nuova Emma.» Sussurrai, mentre guardavo fuori dal finestrino, la città illuminata.
«La preferisco di gran lunga a quella vecchia.» Affermò ridacchiando.
«Oh, ma sta’ zitto, ti prego! Anche la vecchia Emma è una persona fantastica.» Dissi cercando di tenere un tono di voce serio e difendendo il carattere della ragazza con cui avevo fatto scambio di vita.
«Perché non ci pensi tu a farmi tacere?» Replicò lui in tono sfrontato e con una punta di malizia, proprio nel momento in cui dovette frenare l’auto per la presenza di un semaforo. Mi girai verso il ragazzo e notai che mi stava osservando con lo stesso sorriso malizioso sulle labbra, come se aspettasse una mia qualunque reazione. Senza pensarci due volte mi avvicinai a lui e gli stampai un veloce bacio sulle labbra, pochi secondi prima che il semaforo tornasse verde.
«Aaron. È verde.» Affermai, notando che non si accingeva a partire, nonostante le macchine dietro di noi suonavano il clacson infastidite da quella partenza ritardata.
Il moro scosse la testa per riprendersi, e mise in moto. Nel frattempo io mi godevo la sua reazione, sorridendo e pensando che magari, avrei potuto continuare a vivere questa vita per un altro po’.







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Spazio autrice:

Buon pomeriggio, ragazze! :)
Scusate l'attesa, ma mi ci è voluto un po' per scrivere questo capitolo.
E in realtà non mi convince nemmeno molto. Cioè, adoro il fatto che si siano baciati, e li trovo carini,
ma non avevo idea di dover fare l'appuntamento, quindi da amante dell'arte ho scelto la Galleria,
e Monet è il mio artista preferito dopo Michelangelo, quindi non avrei mai potuto non citarlo.
Spero che il capitolo (almeno a voi) piaccia, e ringrazio le splendide ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo! **
Siete magnifiche, e non mi stancherò mai di ripeterlo! Grazie mille, e a presto!
P.S.: Vi ho lasciato una Perrie/Emma che sorride dopo il bacio. ;)
Cosa succederà nel prossimo episodio? Emma uscirà o no con Zayn? Andrà bene come a loro?
Lo scoprirete presto! :)

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Capitolo 11
*** Worst. Date. Ever. ***


Worst. Date. Ever.                                                                                                                                                                                                         Emma.
 
«Tu non mi obbligherai mai ad uscire con Zayn.» Dichiarai non appena entrammo nella macchina che ci avrebbe finalmente riportate a casa dopo la premiazione. «Non hai visto come mi ha salutato? L’ho notato ridacchiare sotto i baffi. È uno sbruffone, e se crede di avermi già conquistata, be’, si sbaglia di grosso.» Continuai in tono stizzito.
«Pezz, ti ha semplicemente salutato. Non farne un dramma.» Mi rispose Jade in tono lievemente annoiato, lasciandosi poi scappare uno sbadiglio. Aveva l’aria stanca, e non appena entrata in macchina si era tolta le scarpe col tacco, abbandonandole sull’unico sedile rimasto vuoto.
«Non ne faccio un dramma. È solamente colpa tua se adesso quel ragazzo crede di potermi trattare come la sua prossima probabile conquista.»
«Smettila di fare la vittima sacrificale, Perrie. Sarà solamente un appuntamento, non un contratto di matrimonio o una condanna a morte.» Mi liquidò lei, appoggiando la testa sulla mia spalla e chiudendo gli occhi. Sorrisi di quel semplice e dolce gesto, dopodiché iniziai a guardare fuori dal finestrino le strade illuminate dalle luci dei lampioni e delle auto che sfrecciavano.
Se chiudevo gli occhi potevo ancora vedere i flash delle macchine fotografiche, sentire le urla dei fan più fortunati che erano riusciti ad entrare e gli applausi della folla quando io e le ragazze eravamo salite sul palco per ritirare il premio. Era stato davvero fantastico, e mi chiedevo sinceramente come Perrie avesse potuto rinunciare ad una vita del genere, anche solamente per un mese.
Venti minuti più tardi l’autista inchiodò davanti a casa nostra. Mi girai verso le ragazze e notai che, oltre a Jade, anche Leigh si era addormentata. Io e Jesy incrociammo i nostri sguardi e sorridemmo per la situazione, poi cercai di svegliare Jade dolcemente. Lei aprì gli occhi assonnati e mi fece un sorriso altrettanto stanco.
«Siamo arrivati.» Le sussurrai.
«Direi che oggi si sono invertiti i ruoli.» Dichiarò Jesy mentre scendevamo dall’auto. La guardai aspettando il continuo. «Di solito siamo noi che dobbiamo svegliarti per farti scendere, Pezz. E svegliare te significa perdere mezz’ora di tempo. Hai il sonno pesante, ragazza mia.» Ammise ridacchiando.
 

***

 
«Allora non c’è proprio un modo per declinare, magari gentilmente, l’invito di Zayn?» Domandai alle ragazze, aspettandomi una risposta affermativa.
Era mercoledì mattina, il giorno dopo la premiazione degli European Music Awards. Quel giorno ci eravamo tutte svegliata abbastanza tardi, e, nonostante fosse quasi l’una, stavamo tranquillamente facendo colazione in cucina. I miei occhi erano contornati dai rimasugli di trucco della sera precedente e da pesanti occhiaie. Non avevo dormito molto quella notte, a causa dell’adrenalina post premiazione che mi aveva invasa mentre rientravano in casa.
«Assolutamente no.» Dichiarò Jade con la bocca piena.
Alzai gli occhi al cielo, poi mi concentrai di nuovo sulla mia colazione.
«Io non capisco davvero cosa ci sia di male.» Continuò Leigh. «L’hai visto bene, quello Zayn? Non è affatto male, e sono sicura che sia anche un ragazzo dolce.»
«Personalmente credo che sia il contrario.» Mi impuntai io.
«Be’, finché non ci uscirai non lo saprai mai. Se l’appuntamento va male, prometto che smetterò di infastidirti con la storia del “devi trovarti un ragazzo”, e non mi sentirai più parlare né di Zayn né di chiunque altro ragazzo. Promesso.»
Guardai Jade per qualche secondo, dopodiché annuii vigorosamente. «Ci sto.» Le dissi, porgendogli la mano, così che la stringesse per rendere il patto ancora più solenne. Lei la strinse. «Tanto so che sarà impossibile non farti piacere un ragazzo come Zayn.» Sussurrò poi, sorridendomi maliziosa. Decisi di ignorare ciò che aveva detto e mi alzai per andare a fare una doccia.
Bene, venerdì sarei uscita con Zayn, e dopo l’appuntamento sicuramente disastroso, non ci saremmo più sentiti né tantomeno visti, e in men che non si dica avrei risolto tutto. Sorrisi soddisfatta al mio riflesso allo specchio, dopodiché iniziai a spogliarmi per entrare in doccia.
 
Era strano come i giorni successivi passarono in una lentezza quasi straziante. Quasi come se aspettassi con ansia l’appuntamento tra me e Zayn.
Cosa ovviamente  più che falsa.
I giorni precedenti io e le ragazze avevamo avuto qualche intervista di poco conto, e un incontro con i fan in un altro negozio di cd. Quel giorno mi aveva ricordato l’incontro con Perrie, e non avevo potuto fare altro se non sorridere al ricordo. Venerdì mattina mi alzai insolitamente presto. La notte precedente avevo chiuso occhio a malapena, e tutto era dovuto alla solita agitazione che mi avevano sempre messo gli appuntamenti. Odiavo dover pianificare le giornate, ed era quello il motivo per cui l’aveva fatto Jade per me.
«Pronta per il grande giorno?» Mi chiese proprio Jade con un sorriso sornione sulle labbra, quello stesso pomeriggio.
«Certo, sono più che pronta al peggior appuntamento di sempre.» Le dissi ironica, ricambiando il suo sorriso.
«Non sarà così brutto come credi, te lo assicuro. In questo ultimo periodo ho anche notato quanto tu e Zayn siate simili, quindi probabilmente all’inizio sarà dura, ma poi sono sicura che andrete d’amore e d’accordo.»
«Sogna Jade, sogna.» Dissi scuotendo mestamente la testa, poi incrociai il suo sguardo e assottigliai gli occhi. «Una semplice domanda, Jade. Perché ti interessa così tanto che io e Zayn usciamo? Non sarà, che ne so, un modo per arrivare ad un certo ricciolino dagli occhi verdi?»
Alla mia affermazione notai Jade irrigidirsi un istante, tornando normale qualche secondo più tardi, sicuramente sperando che io non me ne accorgessi. «Di chi stai parlando, di Harry?» Mi chiese con un finto tono ingenuo.
«Conosci qualche altro riccio dagli occhi verdi che recentemente ha attirato la tua attenzione?»
«Okay, lo ammetto. Harry è molto carino e credo che potrebbe piacermi. Ma questo non vuol dire che ti stia spingendo ad uscire con Zayn per me. Be’, ora che ci penso sarebbe anche carino organizzare un appuntamento a quattro, non trovi?» Propose, con gli occhi che le si illuminarono.
«Non correre tesoro. Tanto tra me e Zayn succederà poco o nulla.» Fu così che cercai di stroncare il suo entusiasmo sul nascere.
Andai poi in camera mia per iniziare a prepararmi. Stavo pensando se vestirmi in modo ridicolo per spaventare Zayn ed indurlo alla fuga, quando qualcuno bussò alla porta ed entrò.  Era Leigh. «Jade mi ha incaricata a scegliere ciò che indosserai.»
Possibile che quella ragazza mi leggesse nella mente?
«Perché, non si fida di me?»
«A quanto pare no.»
Ridacchiai sotto i baffi, dirigendomi verso la cabina armadio alla ricerca di qualcosa di carino. «Non vorrai mica indossare quel coso.» Mi ammonì la ragazza, notando un vestito nero tra le mie mani.
«Non è male.» Provai a dire.
«Certo, se vuoi andare ad un funerale.» Scherzò lei, iniziando a rovistare tra la marea di vestiti di Perrie. «Ti ha detto dove ti porterà?»
«In un piccolo ristorante poco conosciuto fuori Londra, così che sarà più difficile incontrare qualche sua fan. Non ti sembra il discorso di uno sbruffone? Insomma, chi si crede di essere, un membro della famiglia reale?»
«A me questo Zayn sembra tutt’altro che uno sbruffone. E se ci pensi ha ragione. In questi ultimi anni i One Direction - il gruppo di cui fa parte - ha acquistato parecchia notorietà, non solamente qui in Inghilterra. Quindi penso sia carino da parte sua voler trovare un posto in cui stare tranquilli, solo tu e lui.» Disse dolcemente, passandomi poi una gonna nera.
Non risposi. Era sempre così quando si trattava di lui. Mi lasciava sempre senza parole in un modo o nell’altro; e di solito non mi accadeva mai.
Indossai i vestiti che Leigh aveva scelto per me, poi guardai il mio outfit allo specchio. Non sembravo nemmeno io. «Sei sicura che questa gonna non sia troppo corta? E il top troppo scollato? Non credi che dovrei lasciare più spazio all’immaginazione di Zayn?» Ridacchiai delle mie stesse parole, mentre la riccia scuoteva mestamente la testa in segno di resa.
«La gonna non è troppo corta, il top non troppo scollato e tu sei perfetta Perrie.» Sentenziò, incrociando il mio sguardo attraverso il riflesso dello specchio. Le sorrisi, dopodiché mi girai e l’abbracciai stretta.
Era così strano per me aver stretto un rapporto d’amicizia in così pochi giorni, ma le ragazze erano davvero fantastiche, ognuna a modo suo, ed era stato praticamente impossibile evitare di affezionarsi a loro.
«Facciamo che ti aiuto anche col trucco e il parrucco, così siamo a posto.» Aggiunse Leigh, ancora stretta nel mio abbraccio. Annuii, e assieme ci dirigemmo verso il bagno, dove la ragazza mi raccolse i capelli, componendo una bella pettinatura.
Circa dieci minuti più tardi, ero pronta. Assieme a Leigh mi diressi verso il soggiorno, dove le due ragazze stavano guardando la televisione. Appena mi videro il loro volto si illuminò. «Sei bellissima.» Disse Jesy, e Jade annuì vigorosamente.
Le ringraziai e guardai l’ora, notando che le sei erano passate già da cinque minuti. «Sì vede quanto Zayn tenga al nostro appuntamento, è in ritardo!» Esclamai seccata.
«Mica non ti interessa di lui?» Chiese Jade, come per mettermi in difficoltà.
«Ovviamente, ma questo non toglie il fatto che ad un appuntamento debba arrivare in ritardo. E credo anche che...» Le mie lamentele furono fermate dal citofono che suonò. Doveva essere lui, mi dissi, poi mi infilai di fretta una giacca e salutai le ragazze. «Comportati bene!» Fu l’ultima cosa che sentii prima di richiudere la porta alle mie spalle e prendere l’ascensore.
Appena superai il cancello, notai un enorme Land Rover coi finestrini oscurati parcheggiata di fianco al marciapiede. Doveva essere lui.
Rallentai il passo, e ripassai mentalmente il mio piano. Comportarsi male e rendersi il più possibile insopportabile. Solo così avrei garantito il peggior appuntamento di sempre. Salii in macchina e trovai il ragazzo ad aspettarmi. Le luci della macchina illuminavano parte del suo volto, e notai che mi stava sorridendo. Sì, il suo solito sorriso malizioso. Ma questo ragazzo non era proprio capace di sorridere normalmente?
«Ciao.» Mi salutò lui.
Ignorai il suo saluto. «Bel modo di passare inosservati, quello di venire con una macchina del genere.» Affermai, ma diversamente da quanto mi aspettavo lui sorrise, ignorando bellamente il tono fastidioso che avevo usato.
Accidenti a lui.
«Sei in ritardo.» Aggiunsi mentre Zayn metteva il moto l’auto.
«Hai ragione, ma delle ragazzine, fan della band, mi hanno fermato per qualche autografo e mi è sembrato giusto accontentarle.» Ammise. Io alzai gli occhi al cielo.
Ma questo ragazzo doveva avere la scusa pronta per qualunque cosa?
«Uhm, capito.» Annuii pensierosa, iniziando a guardarmi fuori dal finestrino. «Musica?» Domandai dopo un attimo, accendendo la radio.
«Perché non chiacchieriamo, invece?» Propose lui, spegnendo la radio che trasmetteva una canzone rock a me conosciuta.
«Meno chiacchiere, più musica.» Dissi accendendola nuovamente. Il ragazzo accanto a me sbuffò sonoramente, evitando però di spegnerla.
Perfetto. Sicuramente se lo avessi infastidito durante il corso della serata si sarebbe stancato presto di me, e magari l’appuntamento sarebbe durato anche meno di quanto avessi preveduto all’inizio.
Il resto del tragitto lo passammo avvolti in un silenzio rotto solamente dalla musica che si propagava dalla radio. Stranamente quello era un silenzio tranquillo e non imbarazzato. Ogni tanto lanciavo qualche sguardo a Zayn, notando quanto si concentrasse nella guida, e sperando di non essere beccata intenta a guardarlo. Osservai attentamente i dettagli del volto. Le sopracciglia folte, le labbra rossastre, la barba di qualche giorno, e soffermandomi di come il profilo del naso seguisse una linea perfettamente dritta. Era perfetto.
Ma era ovvio di quanto poco mi importasse di lui e del suo naso perfetto.
Venti minuti più tardi Zayn sterzò a destra, entrando nel piccolo parcheggio di un ristorantino che non avevo mai visto prima. Studiai attentamente il piccolo edificio, posto alla fine di una lunga gradinata, e immaginai che dall’alto si potesse godere di una meravigliosa vista della città di Londra.
«Sembra davvero un posto carino.» Ammisi mentre scendevo dall’auto. Alle mie parole notai il moro sorridere soddisfatto.
«Sapevo che ti sarebbe piaciuto.» Mi disse mentre salivamo le gradinate.
«Ho detto “sembra”.» Mi affrettai a ribattere, giusto per togliergli quel sorriso compiaciuto dal volto.
Appena varcammo l’entrata del ristorante, fummo raggiunti da una cameriera, che notando Zayn, sorrise e ci condusse verso quella che doveva essere una piccola terrazza. Nel frattempo la ragazza non distoglieva gli occhi dal moro, e la cosa iniziò ad infastidirmi. 
«Credo che tu ora... Betsy» lessi il suo nome sulla targhetta che portava sul petto. «Te ne possa anche andare.» Affermai, mostrandole il sorriso più falso che possedevo. Lei ricambiò con un sorriso altrettanto falso, poi lanciò un’ultima occhiata a Zayn e se ne andò.
Quando fu abbastanza lontana, il moro iniziò a ridacchiare di gusto. «Come mai l’hai trattata in questo modo?» Chiese.
«Così come? Mi sembrava giusto che tornasse a fare il suo lavoro.» Dissi innocentemente. «E poi come fa a chiamarsi Betsy? È un nome da mucca!» Aggiunsi, facendo ridere Zayn ancora più forte di prima. Ciò mi fece sorridere.
«È il primo sorriso sincero che ti vedo fare stasera.»
Non volevo dargli l’impressione di aver sorriso grazie a lui, così spostai lo sguardo su ciò che ci circondava. «Be’, è un posto bellissimo, questo.» Dissi, abbassando leggermente il tono della voce, continuando a guardarmi attorno. I fiori che abbellivamo quel luogo mi ricordavano i dipinti colorati di Monet, il mio artista preferito, e ciò rendeva la terrazza ancora più affascinante.
Fu quando mi sedetti che notai la terrazza completamente vuota, se non per il nostro tavolo apparecchiato per due. «Come mai non c’è nessuno?» Chiesi a Zayn.
«Volevo che questo posto fosse solo per noi, quindi l’ho affittato.»
Le sue parole mi sorpresero. Nessuno aveva mai fatto una cosa del genere per me, e dovevo ammetterlo, era davvero romantica, nonostante io non lo fossi molto.
Attraverso la vetrata che divideva l’interno del ristorante da dove eravamo noi, notai qualche cliente che ci guardava incuriosito. «Be’, non è esattamente il posto più privato che tu potessi trovare, ma diciamo che mi accontenterò.» Dichiarai.
«Faccio sempre qualcosa di sbagliato, per te.» Rispose Zayn, stizzito dal mio comportamento. La sua risposta mi fece sussultare, ma non diedi retta alla mia reazione.
In fondo, era ciò che volevo.
«Allora, volete ordinare?» Betsy si ripresentò qualche minuto più tardi, interrompendo il silenzio nervoso che si era creato tra di noi. Aveva una voce nasale e fastidiosa.
Finii di sfogliare il menù, e entrambi ordinammo gli stessi piatti, accompagnati da un vino della casa.
Quando i nostri piatti arrivarono il nervosismo era ancora palpabile tra di noi. L’unica cosa che mi tranquillizzava era l’aria frizzante che mi accarezzava dolcemente le spalle nude. In quel momento pensai che probabilmente Zayn avrebbe preferito passare il tempo con Betsy la mucca con la voce nasale piuttosto che con la sottoscritta.
Strinsi involontariamente la forchetta, poi incrociai il suo sguardo. «Mi dispiace.»
«Anche a me.» Rispose lui. «Non capisco in cosa sto sbagliando con te, Perrie. Pensavo che con questo appuntamento sarebbe andato tutto bene. Devo ammettere che inizialmente il tuo essere così restia mi faceva impazzire, ma adesso penso che tu non voglia realmente uscire con me.» Ammise.
Era giunto il momento di dirgli che non mi interessava, così lui non mi avrebbe più cercato e sarei facilmente uscita dall’assurda situazione che si era creata, evitando di coinvolgere Perrie più del dovuto.
Ma non ci riuscii. Lo guardai in silenzio, con un espressione colpevole in volto.
«Ho capito Perrie, non ti interesso. Mi dispiace, e scusami per averti obbligato ad uscire con me.» Disse, alzandosi.
«Aspetta!» Esclamai involontariamente, facendo bloccare Zayn. «Io... mi dispiace. Non so cosa mi sia preso, solitamente non tratto le persone in questo modo - o almeno non tutte - e ho esagerato. Non avrei mai dovuto comportarmi così con te, ma l’ho fatto per... paura.» Ammisi, mordendomi nervosamente il labbro inferiore.
Il ragazzo davanti a me si risedette in silenzio.
«Puoi rimanere se ti va, ma ti avverto. Non sono la stessa Perrie che hai conosciuto. Diciamo che... sono una persona diversa.»
Zayn annuì lentamente, e un sorriso si fece spazio sul suo volto. «Perché non ricominciamo da capo?» Domando, porgendomi la mano. «Io sono Zayn, piacere di conoscerti. Tu sei?» Quella situazione era ridicola, mi dissi. Poi però afferrai la sua mano, stringendola.
«Io sono Emma, piacere mio.» Mi lasciai scappare, mordendomi poi la lingua. Il ragazzo davanti a me mi guardò stranito. «Volevo dire, mi chiamo Perrie, ma gli amici più stretti mi chiamano Emma.» Mi inventai.
Ero forse stanca di essere chiamata con un nome che non mi apparteneva?
«È una cosa piuttosto strana, ma va bene. Ti chiamerò Emma.»
Sentire pronunciare il mio nome - quello vero - dopo tanto tempo, fu davvero bello. Era assurdo come un nome così scontato e comune suonasse così dolce e speciale pronunciato da lui.
Dopo esserci presentati per quella che in teoria doveva essere la seconda volta ma che in realtà era la prima, ricominciammo a mangiare e questa volta la conversazione fu tranquilla e divertente. Zayn era molto più simpatico di quanto avessi potuto immaginare.
Dopo aver ordinato e mangiato il dolce, entrambi ci alzammo e rimanemmo lì, ad ammirare il panorama della città illuminata da migliaia di luci, luci che si riflettevano sul Tamigi, rendendo tutto ancora più magico ed incantevole. «Sembra un quadro.» Sussurrai più a me stessa che a Zayn.
«Ti piace l’arte?» Chiese lui, mentre tirava fuori una sigaretta dalla tasca del giubbotto di pelle. Seguii attentamente tutti i suoi movimenti, puntando il mio sguardo sull’accendino.
Okay, ero decisamente in astinenza da fumo.
Cercai di distogliere lo sguardo portandolo di nuovo verso il panorama. «Ti da fastidio?» Chiese lui, probabilmente dopo aver notato il mio strano comportamento.
No, il contrario, non è che potresti offrirmene una? Questo fu quello che pensai. «No, affatto.» Fu quello che dissi.
Mentre Zayn fumava, non facevo altro che inspirare il più possibile. Dio, ero proprio messa male a quanto pareva.
Dopo la sua pausa sigaretta, Zayn mi avvertì che sarebbe andato a pagare. «Occhio a Betsy la mucca sanguisuga.» Gli dissi per avvertirlo di stare lontano da quella ragazza. Mi dava sui nervi il suo essere così fastidiosa e appiccicosa.
Nel frattempo, dopo aver dato un’ultima occhiata al panorama, uscii dal ristorante, ripercorrendo i gradini fino all’auto del ragazzo. Mi allacciai poi la cintura e lo aspettai. Mi raggiunse un paio di minuti più tardi. Salì in macchina e accese il motore. Tutto in silenzio.
«Non ci credo.» Esordii, notando sbucare dalla tasca del giubbotto un bigliettino. Senza tanti complimenti lo presi, leggendovi una serie di cifre che componevano un numero di telefono e un paio di x, poste al di sotto. Zayn ridacchiò notando la mia espressione sorpresa. «È una stronza quella Betsy. Sapeva che era un appuntamento il nostro, ma ti ha lasciato lo stesso il suo numero di telefono!» Esclamai indignata. Senza esitare strappai il foglietto in piccoli pezzettini, poi abbassai il finestrino e lo lanciai. Tutto sotto lo sguardo sorpreso di Zayn. «Cosa c’è, volevi quel numero?» Gli chiesi in tono tagliente e trucidandolo con lo sguardo.
«No... è che non si dovrebbero buttare le cartacce fuori dal finestrino.» Si affrettò a spiegare.
«L’ ecosistema se ne farà una ragione!» Risposi, iniziando poi a ridere, seguita a ruota da lui.
Venti minuti più tardi arrivammo davanti a casa. «Ti accompagno alla porta.» Disse Zayn spegnendo il motore dell’auto e slacciandosi la cintura.
«Mi sembra tanto una frase presa da un film.» Risposi. Anche se quello che in realtà volevo dire era completamente differente.
«Hai sempre una risposta per qualunque cosa, tu.»
«Certamente. Poche persone riescono a zittirmi.» E una di quelle era proprio lui, pensai scacciando subito quel pensiero.
Quando arrivammo davanti alla porta, cercai le chiavi che Jade mi aveva lasciato, poi aprì la porta e mi girai verso Zayn.
«Be’... come si dice in queste occasioni? Grazie della bella serata? Mi dispiace se all’inizio non è andata come avremmo voluto?»
«Non so te, ma nei film questo è il momento in cui i protagonisti si baciano per la prima volta.» Azzardò Zayn, avvicinandosi leggermente a me.
«Frena bello, noi non siamo in un film. Questa è la vita reale.»
Nonostante quello che gli avessi detto Zayn continuò ad avvicinarsi, e per un attimo desiderai che sì, io e lui fossimo stati in un film e che mi avrebbe baciata. Quando fu a pochi centimetri dal mio volto, soffiò un: «Hai ragione, non siamo in un film.» sulle labbra e si allontanò, sorridendomi compiaciuto, dopo aver notato le mie gote arrossite.
«Ci vediamo Perrie! O meglio, Emma. Va bene?» Disse percorrendo il piccolo viale che separava la strada dall'edificio, senza aspettare una risposta dalla sottoscritta.
L’aveva fatto di nuovo. Mi aveva lasciato senza parole.
Riuscii a riprendermi solamente quando sentii il rombo della Land Rover che ripartiva. Scossi brevemente la testa, poi mi girai e oltrepassai il portone per tornare a casa.
Le cose non stavano esattamente andando per il verso giusto. Stavano andando bene sì, ma non in modo giusto.
Se all’inizio pensavo che sarebbe stato uno degli appuntamenti peggiori di sempre, nell’ultima ora passata con Zayn mi dovetti ricredere.
E questo non faceva altro che peggiorare la situazione già delicata.  

 





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Spazio autrice:

Ed eccomi qui ragazze, dopo una settimana, ad aggiornare! E' stata più difficile del previsto la stesura di questo capitolo.
Avete notato che è piuttosto lungo? Io ne sono particolarmente fiera.
Allora, alzi la mano chi si aspettava che l'uscita tra i due andasse così. Qui abbiamo visto un lato più dolce di Emma, notato? ;)
Guardate la foto del profilo di Zayn. Ammettiamolo, è il naso più bello che abbiate mai visto.
Non ne ho mai visto uno così perfetto. Be', non solo il naso è perfetto, ovviamente.
Comunque, spero davvero che questo capitolo vi sia piaciuto, e da quanto mi è sembrato di capire lo aspettavate in molte.
Lo so, avrei dovuto far baciare Emma e Zayn... ma no, volevo farvi aspettare ancora! ** Ovviamente nel caso usciranno ancora assieme.
Comunque, never say never (come dice una mia amica la frase non è di Justin, bensì, quel ragazzo gliel'ha rubata).
Prima di andare volevo chiedervi un piccolo favore. C'è questa ragazza che sta scrivendo una ff originale e a mio parere molto carina.
Ce ne direste di fare un salto a leggerla? Non ve ne pentirete, ve lo assicuro. Eccola: 
Sessantanove giorni da stilista.
Ora vi ringrazio tantissimo per le splendide recensioni del capitolo precedente, e vi saluto, al prossimo Perrie-capitolo!
Much love, Becks

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Capitolo 12
*** You and Aaron? ***


You and Aaron?                                                                                                                                                                                                                        Perrie.
 
Da ormai qualche giorno la città di Londra era stata investita da un caldo torrido, quasi opprimente. Lavorare al negozio era diventata quasi una tortura, soprattutto in quei momenti in cui mi soffermavo ad osservare attraverso la grande vetrata del negozio, il normale svolgersi della giornata. Turisti e cittadini che passeggiavano per la piazza, passando il tempo chiacchierando, ridendo e sorseggiando una bibita fresca o mangiando un gelato. Mentre io ero chiusa qui dentro.
Al negozio il tempo sembrava passare molto lentamente. Con l’arrivo della bella stagione i clienti erano diminuiti, quindi non c’era molto lavoro da fare.
I miei pensieri furono improvvisamente interrotti da una voce alle mie spalle.
«Non ti pago per osservare il panorama, bensì per lavorare.» Dichiarò Alison, mentre mi passava accanto, diretta in chissà quale reparto del negozio.
Alzai gli occhi al cielo ridacchiando - oramai iniziavo ad abituarmi al suo carattere scorbutico - poi continuai il mio percorso verso il magazzino, dove dovevo dirigermi poco prima per prendere una cinquantina di dischi appartenenti a gruppi musicali teen pop, da riporre negli appositi scaffali.
«Cosa hai detto che devo prendere?» Chiesi ad Alison, poco prima di aprire la porta del magazzino.
«The Wanted, Big Time Rush e One Direction.» Affermò la ragazza. «Te l’ho detto un paio di minuti fa, non puoi essertene già dimenticata.» Aggiunse infastidita. Non le diedi retta ed entrai, lasciando che la porta si chiudesse alle mie spalle.
Mi diressi poi verso la pila di cd malamente accatastati contro una parete, alla ricerca di quelli elencati dalla ragazza. Trovai in fretta quei dei The Wanted e dei Big Time Rush e li posizionai accanto alla porta, poi tornai indietro e cominciai a cercare l’ultimo gruppo.
«Gli ultimi erano i...» Cercai di ricordarmi mentalmente cosa ancora dovevo cercare. «One Direction!» Rammentai dopo un attimo, trovando i cd dentro uno scatolone. Quando guardai la copertina dell’album, ricordai improvvisamente chi erano quei cinque ragazzi, ed ebbi un colpo al cuore. Osservai la foto per qualche secondo, soffermandomi poi sul moro, Zayn Malik. Guardando il suo volto, mi venne in mente il giorno in cui lo avevo conosciuto, quanto tempo avessi passato pensando a lui le settimane successive al nostro primo incontro, e quanto avevo pregato Jade perché mi aiutasse a trovarlo.
Più guardavo la foto e più mi rendevo conto di quanto ancora quel ragazzo mi attraesse, nonostante fossero passate settimane da quando lo avevo incontrato per la prima e ultima volta.
I miei pensieri sul moro furono improvvisamente interrotti da qualcuno che constatai si fosse abbassato alla mia altezza e che mi aveva poi coperto gli occhi con le sue mani grandi e calde. Appena capii chi fosse, sorrisi involontariamente.
Quel profumo inconfondibile - un misto di menta e vaniglia - lo avevo memorizzato quando, durante il nostro appuntamento, lo avevo aspirato per tutto il viaggio in macchina.
«Chi sono?» Chiese dopo un attimo, cercando, in vano, di far apparire la sua voce più femminile e dolce.
Ridacchiai di quello scherzo mal riuscito e feci finta di pensarci un po’ su. «Sei forse Alison?» Scherzai posando le mie mani sulle sue, spostandomele poi dagli occhi e girandomi verso di lui.
«Non sono bravo in queste cose.» Mi disse Aaron, con un sorriso appena accennato in volto. Scossi la testa vigorosamente.
«Non lo sei affatto.» Ammisi, per poi avvicinarmi a lui e donargli un innocente bacio a fior di labbra. Indietreggiai, ma Aaron fu più veloce di me mise una mano dietro il mio collo e mi avvicinò a lui, per approfondire il bacio.
«Credo proprio che dobbiamo andare a lavorare.» Tentai di dire tra un bacio e l’altro, ma lui non mi diede ascolto.
Il ragazzo mugugnò infastidito, continuando «Cosa stavi facendo qui tutta sola?» Chiese dopo aver allontanato le sue labbra dalle mie. Lanciai un ultima occhiata alla foto dell’album, dopodiché mi girai verso di lui accennando un sorriso.
«Alison mi ha ordinato di sistemare questa pila di dischi.» Dichiarai.
«Ti do volentieri una mano.» Rispose alzandosi e prendendo un po’ dei cd, per poi dirigersi di nuovo verso il negozio.
Presi quelli che rimanevano, per poi seguire il ragazzo, iniziando a riordinare i dischi in bella vista davanti alla vetrina.
Venti minuti più tardi terminai il mio lavoro e  raggiunsi Aaron che si trovava alla cassa. Seduto, la mano chiusa a pugno alla quale era poggiato il mento, e l’altra che tamburellava stancamente sul mobile in legno.
«Stare qua dentro è una vera tortura, se pensi alla meravigliosa giornata di oggi.» Dichiarò appena mi avvicinai a lui.
«E fa un caldo tremendo.» Aggiunsi.
«Che ne dici se ti offro da bere alla caffetteria qua a fianco?» Stavo per rispondere affermativamente quando fummo entrambi bloccati da Alison.
«Dove pensate di andare voi due? C’è un negozio da gestire!»
«Alison» iniziò in tono annoiato il ragazzo. «Guardati attorno, non c’è anima viva. Sono tutti troppo presi a passeggiare per Londra mentre mangiano un gelato, per venire qua.»
La rossa si guardò attorno, per poi riportare il suo sguardo su di noi. «Forse sì, avete ragione. Assentarci per qualche minuto non farà male né a noi, né tantomeno all’andamento del negozio. E poi c’è Bonnie a controllare.»
«Assentarci?» Domandò Aaron con il volto corrugato.
«Certo. L’invito valeva per tutti, no?» Chiese in un tono che non ammetteva un no come risposta.
Il ragazzo mi lanciò un occhiata tra il preoccupato e l’infastidito, alla quale mi limitai ad alzare le spalle. «Mmm, esatto.» Fu costretto a dire con un pizzico di incertezza nella voce.
Così, qualche minuto dopo ci dirigemmo tutti assieme verso la caffetteria. Alison ci guidava, mentre io e Aaron ci guardavamo perplessi. Mimai un “è sempre la solita” al moro, che annuì per confermare le mie parole.
Quando arrivammo alla caffetteria - anch’essa quasi deserta - ordinammo due limonate e un bicchiere di tè freddo alla pesca per la sottoscritta, dopodiché ci sedemmo e iniziammo a sorseggiare le nostre bevande.
Eravamo immersi nel più completo silenzio, e ogni tanto lanciavo qualche occhiata ad Aaron, che ricambiava con la stessa intensità. Nel frattempo mi chiedevo cosa eravamo diventati, io e lui. Era come se la mia mente fosse stata completamente offuscata da un paio di occhi azzurri e un sorriso che appariva dolce e malizioso allo stesso tempo. Come se mi fossi dimenticata che la vita che stavo vivendo in quel momento non fosse la mia. Come se avessi momentaneamente rimosso dalla mia mente che stessi mentendo a delle persone sulla mia vera identità.
Lanciai l’ennesimo sguardo ad Aaron, che ricambiò facendomi l’occhiolino.
Eravamo così presi uno dall’altro che a malapena facevamo caso ad Alison, seduta proprio tra di noi. «Oh, mio, Dio.» Urlò improvvisamente la rossa. In volto aveva un’espressione quasi scioccata e spostava agitatamente la testa da me ad Aaron, senza proferire parola.
«Cosa succede Alison?» Le chiesi, posandole una mano sulla spalla, cercando di tranquillizzarla il più possibile. Non mi era chiaro del perché fosse diventata così strana improvvisamente, finché lei non aveva assottigliato gli occhi, guardandomi con sguardo indagatore. «Voi due state assieme!» Sbottò improvvisamente, attirando l’attenzione delle poche persone presenti nella caffetteria.
Sgranai gli occhi, arrossendo lievemente a quelle parole. In realtà non sapevo nemmeno io se fosse così. I giorni successivi al nostro appuntamento li avevamo passati a rubarci baci e a chiacchierare con leggerezza, senza che nessuno facesse all’altro quella fatidica domanda.
Spostai poi lo sguardo su Aaron, e notai che aveva assunto la mia stessa espressione scioccata e osservava distrattamente attraverso la grande vetrata della caffetteria, le auto che sfrecciavano.
«Allora? Nessuno vuole dirmi nulla?» Chiese, spostando lo sguardo su di me, che provai a sorriderle cercando di nascondere il nervosismo. «Perché cavolo quando ti ho chiesto com’è andato l’appuntamento mi hai risposto con un vago “normale” e scrollando le spalle? Perché mi hai mentito, Emma?»
«S-se abbassi il tono della voce Alison, te lo spiego.» Balbettai, cercando in tutti i modi di attirare l’attenzione di Aaron, così che mi aiutasse. Ma in quel momento la sua unica occupazione sembrava fosse guardarsi attorno e lasciarmi nelle grinfie di Alison.
«Non mi dire quello che devo fare.» Rispose lei in tono acido, ma comunque più basso di qualche ottava. Sospirai rumorosamente, lasciando andare il respiro che avevo trattenuto nei minuti precedenti.
Stavo per aprire bocca quando Aaron mi precedette, alzandosi. «Be’ ragazze, sembra che io non vi serva più.» Dichiarò.
«Ma come...?» Tentai di dire.
«Sembra che Alison ce l’abbia con te perché non le hai detto la verità su come l’appuntamento si è svolto, quindi, io non centro nulla. Torno al lavoro!» Esclamò, sorridendomi come per infondermi coraggio. Ricambiai il suo sorriso con un’occhiataccia. Lui mimò delle scuse poi si allontanò.
«Be’, allora?»
«Insomma Alison, non so nemmeno io se stiamo assieme o meno, okay? L’appuntamento è stato perfetto» ammisi, sorridendo al ricordo. «E nei giorni successivi nessuno ha accennato a nulla. Quindi, se dovessi rispondere alla tua domanda, ti direi non lo so. Non so se stiamo insieme. Okay?»
«Tu e Aaron.» Si limitò a dirmi Alison, come se dovesse ancora assimilare del tutto la notizia. «Mi sembra impossibile. Fino a poco tempo fa vi odiavate, e adesso... Tu e Aaron.»
«Già, io e Aaron. Non lo conosco da molto, ma» alle mie parole Alison mi guardò stranita. «Non conoscevo il vero Aaron finché non ci sono uscita, qualche giorno fa.» Mi inventai. «So però che mi fa stare bene, stargli accanto. È un ragazzo dolce e divertente - al contrario di quanto aveva dimostrato in precedenza - e mi fa sentire bene, come nessuno aveva fatto prima.»
Ero completamente impazzita. Stavo dichiarando di essermi presa una sbandata per un ragazzo che tra poche settimane non avrei probabilmente più rivisto. Scossi mestamente la testa, mentre Alison mi guardava. Dal suo volto non traspariva alcuna emozione, e ciò non fece altro che spaventarmi ancora di più, se era possibile.
«Quindi, ti piace davvero?» Domandò dopo un attimo, evitando il mio sguardo. Il suo tono di voce si era fatto per la prima volta dolce comprensivo. Quasi come se capisse ciò che provavo in quel momento.
«Credo... credo di sì.» Ammisi, mordendomi il labbro inferiore. Sapevo che mi stavo cacciando in qualcosa di infinitamente più grande di me.
La riccia annuì mestamente, mentre qualche riccio ribelle si spostava davanti al volto. Li spostò distrattamente dietro l’orecchio. «Bene. Giuro che se ti fa soffrire Emma, lo uccido con le mie mani.» Aggiunse, alzandosi dalla sedia e tornando in negozio.
Il tutto avvenne così velocemente che me ne accorsi solamente dopo un attimo.
Rimasi ferma per qualche secondo. Non credevo alle mie orecchie. Era probabilmente la prima volta che Alison si comportava più da amica e meno da dittatrice psicopatica, pensai sbalordita. Ci teneva davvero a me - o meglio - ad Emma, nonostante non lo dimostrasse spesso, anzi, quasi mai.
Un sorriso comparì sul mio volto, e dopo aver terminato il tè freddo, tornai in negozio.
 
Era un tranquillo pomeriggio di qualche giorno più tardi, ed ero comodamente sdraiata sul divano col telefono in mano che facevo zapping tra i canali, alla ricerca di qualcosa di interessante da guardare.
Improvvisamente il telefono iniziò a squillare. Mi alzai svogliatamente dal divano, raggiunsi il tavolo dove avevo lasciato il telefono e risposi dopo l’ennesimo insistente squillo. «Sei ancora viva!» Fu la prima cosa che Emma mi disse.
Era da qualche giorno che non ci sentivamo, e sapevo il perché. In cuor mio sapevo che avrei dovuto dirle di ciò che stava succedendo con Aaron. Non potevo tralasciare una cosa così importante.
Ridacchiai nervosamente. «Già. Come sta andando la vita da cantante famosa?»
Per i primi secondi Emma non rispose. «Be’, niente di che.» Disse poi, in tono che sembrava volesse nascondere nervosismo.
«Non dirmi che ti sei già abituata alla tua nuova vita. Non ci sono riuscita io!»
«No... è che... non importa. Come sta Alison?»
«Sta bene. E le ragazze come stanno?» Chiesi a mia volta, cercando di spostare il discorso su di lei e su ciò che stava vivendo, e non su quella che era la mia vita attuale. Altrimenti avrei potuto lasciarmi scappare qualcosa a proposito di Aaron, e diciamo che non era il momento adatto.
Promisi a me stessa che glielo avrei detto, prima o poi.
«Sono davvero fantastiche. Ci divertiamo davvero molto durante le interviste, e mi hanno addirittura convinto a fare una cosa che non avrei mai e poi mai...» Emma si arrestò improvvisamente.
«Cosa ti hanno convinto a fare?» Chiesi curiosa.
«Mmm, niente di che. Scusa Perrie ma devo scappare. Ci sentiamo il prima possibile. Se non ho impegni da star.» Dichiarò ridacchiando. «E goditi la mia vita.» Aggiunse poco prima di riattaccare.
Altroché se me la sto godendo, mi dissi mentre pensavo ad Aaron. 







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Spazio autrice:

Saaaalve a tutte. In realtà non so proprio come iniziare questo spazio autrice.
Con delle scuse, magari? Per l'enorme ritardo con cui aggiorno, 
ma soprattutto per lo stupido capitolo di passaggio. Mi dispiace tanto tanto, davvero.
Ho avuto parecchio da fare in queste settimane, ma prometto che non succederà pù. Aggiornerò più spesso.
E per farmi perdonare del tutto, vi faccio una piccola anticipazione:
è mooolto probabile che nel prossimo capitolo qualcuno scoprirà dello scambio delle ragazze.
Chi sarà? Come la prenderà? Lo scoprirete presto, promesso!
Spero che il capitolo vi piaccia, anche se non è eccezionale. A presto! :) xxx Becks
P.S.: Questo arancione non vi fa venire voglia di ghiacciolo all'arancia? A me un sacco **

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Capitolo 13
*** Oh-oh. ***


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Oh-oh.                                                                                        Emma.

 
Quel pomeriggio, dopo essere stata a un intervista particolarmente lunga assieme alle ragazze e aver pranzato con loro, ricevetti una chiamata da Perrie, nella quale mi invitava caldamente a raggiungerla a casa sua - o meglio, mia - per passare un pomeriggio insieme, raccontandoci come avevamo trascorso le due settimane precedenti, lamentandosi del fatto che non ci fossimo sentite negli ultimi giorni.  
In effetti, la ragazza aveva ragione: c’erano un paio di cosine che avevo tralasciato quando ci eravamo sentite al telefono. Per esempio di un appuntamento con un certo ragazzo che in teoria sarebbe dovuto essere un disastro. In pratica, mi aveva quasi baciato. Ci tenevo a sottolineare il quasi.
Mentre indossavo distrattamente un golfino, promisi a me stessa che glielo avrei raccontato. In fondo, non era successo assolutamente nulla che non si potesse sistemare. Io e Zayn eravamo solamente usciti assieme; certo, ci eravamo trovati bene uno con l’altro, ma non era successo assolutamente nulla. E da quel giorno non ci eravamo nemmeno sentiti, quindi per Zayn potevo essere stato solamente un passatempo... l’ennesima ragazza a cui aveva chiesto di uscire, per poi evitarla.
Scossi la testa, cercando di pensare ad altro. Continuavo a ripetere a me stessa che non m’importava nulla di quel ragazzo. Tanto le cose non avrebbero potuto comunque evolversi. Non a caso stavo vivendo la vita di un’altra ragazza, e tra un paio di settimane sarebbe tutto finito.
Con quei pensieri per la testa uscii di casa, dove un’enorme macchina coi vetri oscurati parcheggiata proprio davanti all’ingresso del palazzo, mi aspettava. Avevo deciso che avrei usufruito di tutti i vantaggi derivati dall’essere una cantante di fama internazionale. Autista privato compreso.
Tutto pur di non prendere la metropolitana, anche se avrei potuto correre il rischio di attirare troppo l’attenzione. Non appena entrai in macchina, salutai John, l’autista. In questi ultimi giorni avevo avuto l’occasione di conoscerlo meglio, considerando gli impegni del gruppo.
«Buongiorno Perrie!» Mi salutò non appena richiusi la portiera dell’auto.
«Buongiorno John.» Ricambiai il saluto, dopodiché gli diedi l’indirizzo di casa mia, che raggiungemmo in un tempo accettabile, nonostante il traffico che insidiava la città di Londra.
Scendendo dall’auto mi guardai attorno, e non scorgendo quasi nessuno, raggiunsi velocemente il palazzo dovevo vivevo fino a due settimane prima, e citofonai. Un paio di secondi più tardi sentii la voce femminile di Perrie, riconoscendola dall’accento.
Non appena arrivai al quinto piano del palazzo, la porta di casa mia si aprì, rivelandomi una Perrie in pigiama, che mi guardava con un sorriso stanco, appena accennato. Sorrisi di quella visione, dopodiché mi avvicinai a lei, che si spostò dallo stipite della porta nel quale si era appoggiata - probabilmente per reggersi - e mi fece entrare in casa mia.
«Come mai ancora in pigiama a quest’ora?» Le chiesi, mentre curiosa mi guardavo attorno, constatando poi che l’appartamento non era cambiato affatto, era solamente più pulito.
«Cercavo di recuperare ore di sonno, soprattutto perché Alison a volte può rivelarsi peggiore di una sveglia la mattina.» Ridacchiai delle sue parole, dopodiché mi diressi verso il divano, dove mi ci buttai a peso morto, accendendo distrattamente la televisione.
Nel frattempo Perrie si diresse in cucina. «Vuoi un caffè?» Mi domandò.
«Ne ho sinceramente bisogno.» Fu la mia risposta. Mentre aspettavo il mio caffè, feci zapping tra i canali alla ricerca di qualche programma interessante, ma non ne trovai nessuno. Spensi la televisione e quando riposi il telecomando su moderno tavolino di vetro posto accanto al divano, notai un paio di giornali di gossip. Li afferrai curiosa, e dopo aver sfogliato distrattamente il primo senza aver trovato nulla di interessante, iniziai a sfogliare il secondo.
Ciò che attirò immediatamente la mia attenzione fu un articolo su Perrie, o meglio, su entrambe. L’articolo mostrava alcune foto della ragazza, quando ancora aveva i capelli viola, e appena girai pagina, vidi alcune foto poco distinte, di me e... Zayn, quel famoso venerdì, all’uscita dal ristorante. Rimasi qualche secondo a fissarle, non sapendo esattamente cosa fare. Lessi distrattamente l’articolo, che come sospettavo, parlava della mia nuova “fiamma”.
Chiusi a scatto il giornale, non appena sentii i passi di Perrie che si avvicinava. Buttai il giornale sul tavolino, premurandomi di metterlo sotto l’altra rivista, così che la bionda non lo vedesse, poco prima che lei entrasse con un paio di tazze colme di caffè. Me ne porse una dopodiché si sedette accanto a me, iniziando a sorseggiare il caffè quasi bollente.
Io la imitai, mentre preoccupata, continuavo a gettare un’occhiata alla rivista posta proprio davanti a noi. Sapevo di essermi ripromessa in precedenza che le avrei raccontato tutto - dell’uscita con Zayn, del quasi bacio, insomma, proprio tutto - ma averla davanti era tutta un’altra storia. Assistere alla sua reazione - che poteva essere arrabbiata, triste, amareggiata, o per niente interessata - mi spaventava. E di solito ero una ragazza che non si spaventava. «Allora Ems, come sta andando?» Mi chiese la ragazza, sistemandosi meglio sul divano e interrompendo il flusso dei miei pensieri.
«Bene. Anzi, benissimo.» Risposi d’un fiato, prendendo un altro sorso di caffè per nascondere l’espressione preoccupata. «Le ragazze sono splendide, e le giornate sono piene ma soddisfacenti. Ci sono tante cose da fare, sempre. Oh, e sono entrata perfettamente nel tuo personaggio, mia cara. Non ho più imprecato contro nessun paparazzo.» Dissi, con una punta di fierezza nella voce.
Perrie ridacchiò delle mie parole, dopodiché lanciò uno sguardo al tavolino, come se stesse aspettando impazientemente che qualcosa accadesse, o magari, che non accadesse.
«Tu invece? Come va al negozio? E con Alison?» Domandai, così da distogliere la sua attenzione dal tavolino e quindi da quella maledetta rivista. Dovevo trovare un modo per sbarazzarmene senza che Perrie se ne accorgesse.
«Mmm... bene.» Disse. Dal tono di voce capii che stava nascondendo qualcosa, e ben presto me ne diede la conferma. «Senti Emma, c’è una cosa che devo dirti.» Ammise, poggiando nervosamente la tazza ormai vuota sul tavolino.
Mi preoccupai. «Che succede Perrie?»
«Il fatto è che... Non so esattamente come dirtelo.» Continuò.
Le sue parole non fecero altro che rendermi più nervosa di quanto già non lo fossi. «Su Perrie, dimmi che ti prende!» Sbottai nervosa, maledicendomi subito dopo. «Insomma, cosa è successo?» Tentai di regolare il tono della mia voce.
«Io credo di... » Riuscì a dire, prima che il telefono di casa, posto su di un comodino di legno accanto alla porta d’entrata al soggiorno, iniziasse a squillare insistentemente.
«Ignoralo e dimmi cosa ti prende. Se è davvero importante ti lascerà un messaggio in segreteria.» La intimai, e grazie al mio tono di voce, riuscii ad essere convincente.
Poco prima che cominciasse a parlare di nuovo, sentimmo il “bip”, che segnalava l’inizio di un messaggio. Ci fermammo entrambe, aspettando di sapere chi era lo scocciatore. «Piccola Emma, sei lì? So che sei a casa, non fare finta di dormire e  rispondimi...» In un primo momento non riuscii a riconoscere la voce calda e profonda di Aaron. Spalancai la bocca, e proprio quando stavo per chiedere spiegazioni alla bionda, mi alzai dirigendomi verso il telefono per rispondere, ma fui preceduta da Perrie che vi si avventò con la mia stessa foga, mentre il ragazzo continuava a parlare. Data l’assurdità di quella situazione, riuscivo a malapena a distinguere ciò che diceva.
Stavo per prendere il telefono tra le mani e esultare trionfante, quando con uno scatto Perrie fu la prima a raggiungerlo, riattaccando senza tanti complimenti.
«Perché diavolo Aaron ha il mio numero di telefono?» Le chiesi, quando fummo entrambe in piedi e ci fummo riprese del tutto da quella sorta di maratona.
Perrie mi sorrise imbarazzata. «Aaron chi?» Tentò di dirmi, probabilmente per sviare il discorso, o guadagnare tempo.
«E perché diavolo quel troglodita di Aaron mi ha chiamato Piccola Emma?»
«Probabilmente lo avrà fatto per infastidirmi, cioè, infastidirti... Ho riattaccato perché non mi andava proprio che ti innervosissi per un motivo così futile e di poco conto.» Disse Perrie.
In effetti, era da lui darmi perennemente fastidio, constatai tornando a sedermi sul divano; ciò però non spiegava il motivo per cui Aaron avesse il mio numero di telefono. Avevo ripromesso a me stessa che non gli avrei dato nulla che potesse ricondurlo a me e avevo sempre mantenuto la promessa. «Perché ha il mio numero di casa, Perrie?» Chiesi, con una calma quasi surreale nella voce.
«Be’... sì, insomma, sai com’è... »
«No Perrie, non so com’è. Se me lo spiegassi senza giri di parole, sarebbe molto meglio.»
«Okay. Io... è stata Alison ad obbligarmi a dare il numero ad Aaron. Ha ben deciso che io e lui iniziassimo a collaborare al negozio, fare ordine e sì insomma, ci siamo scambiati i recapiti telefonici. Tutto qui.»
Non mi sembrava che la frase che Perrie aveva pronunciato avesse molto senso, ma non le diedi peso, soprattutto perché dopo qualche secondo di silenzio, mi propose molto semplicemente, se avevo voglia di fumare una sigaretta. «Qui nessuno ti potrebbe beccare.» Disse per indurmi ad accettare, anche se, devo ammettere che mi aveva convinto a “sigaretta”.
Mentre cercavo distrattamente nella borsa una sigaretta, Perrie andò a cambiarsi. Mi disse che un paio d’ore più tardi sarebbe andata assieme ad Alison al maneggio, per una nuova e fantastica esperienza con Ray, aveva aggiunto sarcasticamente. Annuii mentre mi dirigevo sul balcone, accendendomi la sigaretta. «Allora, cos’è che dovevi dirmi prima che Aaron ci interrompesse?» Le chiesi, con un tono di voce più rilassato, appena Perrie mi raggiunse, poggiando i gomiti sulla ringhiera fredda. Nonostante fossimo al quinto piano, il rumore del motore delle auto e il clacson, erano perfettamente udibili. Londra era sempre stata una città caotica, ed era forse questo il lato di essa che più amavo.
Mi integravo perfettamente alla sua ordinaria confusione.
«Niente di importante.» Disse, sorridendomi incerta. La guardai per qualche secondo, poi decisi che non avrei indagato oltre. Per il momento.
Approfittai di quel momento di tranquillità pere rientrare un attimo in soggiorno, prendere la rivista di gossip nella quale vi erano le foto mie e di Zayn e riporla nella mia borsa, mentre una ignara Perrie continuava ad osservare il panorama della città.
Quando la raggiunsi nuovamente notai che il cielo si era scurito, minacciando pioggia. Si era anche alzato un venticello frizzante, che ci spinse a rientrare in casa per scaldarci. «A questo punto credo che Alison non verrà e non andremo da James e Ray.»
«Si vede che non la conosci davvero.» Dichiarai, lanciandole un’occhiata furba. «Quando Alison vuole andare da Ray niente e nessuno la potrebbe fermare.»
«Più che da Ray, credo che Alison voglia andare da James.» Disse Perrie con finta indifferenza nella voce, sorridendo sorniona. Aggrottai le sopracciglia, dopodiché la guardai, stranita.
«Che cosa intendi?» Domandai ingenuamente.
«Intendo che Alison è palesemente cotta di James - ricambiata - e trova sempre la scusa perfetta per andare da lui. Insomma Emma, non so come tu non te ne sia accorta prima.» Mi ammonì la ragazza, alzando scherzosamente gli occhi al cielo.
Ci pensai per qualche secondo, ma la cosa continuava a parermi davvero assurda. Alison non aveva per James, e di certo lui non la ricambiava.
«E da cosa deriva questa certezza?»
«Dal fatto che ho chiesto conferma a James della sua presunta cotta, e si da il caso che abbia risposto affermativamente.»
Non è possibile, mi dissi sorpresa. Non che Alison non meritasse le attenzioni maschili o che non le avesse - la cascata di riccioli rossi e gli occhi verdi brillanti attiravano molti sguardi - ma James... la conosceva troppo bene per provare qualcosa per lei. Insomma, gli aveva dimostrato più di una volta quel lato insopportabile del suo carattere. Era un po’ come... come me, mi ritrovai a dire, aggrottando ancora una volta le sopracciglia. In effetti sì, il nostro carattere a volte aveva sfaccettature molto simili, altre volte invece ci dimostravano l’una il contrario dell’altra.
Presi a mordermi il labbro inferiore, pensierosa. «Cosa c’è Ems? Non mi dire che sei gelosa.» Mi prese in giro.
«Non sono affatto gelosa. James è davvero un bel ragazzo, ma non è il mio tipo.» Dichiarai, cercando di cambiare discorso, ma soprattutto di togliermi dalla testa un paio di occhi scuri e inconfondibili.
Nel frattempo, la pioggia aveva iniziato a battere, picchiettando insistentemente contro la finestra del soggiorno. In lontananza si udivano dei borbottii prodotti dai tuoni.
Improvvisamente, il campanello di casa suonò. Io e Perrie ci scambiammo uno sguardo preoccupato, dopodiché mi alzai nervosamente dal divano, seguita a ruota dalla ragazza. «Merda! Sarà sicuramente Alison!» Esclamai, cercando di tenere un volume di voce contenuto.
«Ma è in anticipo, e come avevi predetto, la pioggia non l’ha fermata!»
«Vai ad aprire!» Dissi io, guardandomi attorno alla ricerca di un nascondiglio.
«Vacci tu!» Ribatté, ansiosa.
«Perché dovrei andarci io?»
«Be’... è tua amica.» Provò a dire.
«In teoria per ancora due settimane è tua amica.»
«Ma...»
«Niente ma, Perrie!» Sostenni, in tono che non ammetteva repliche. «Apri  tu, e se ti dice di andare, non fare storie e seguila. Non farla entrare in casa per nessun motivo al mondo.»
Riluttante, la bionda si diresse alla porta, lanciandomi un’ultima occhiata preoccupata. Nel frattempo mi nascosi in camera da letto, aspettando che Alison se ne andasse. Da quella stanza udivo indistintamente entrambe le voci.
«Con chi stavi parlando?» Sentii Alison chiedere a Perrie ancora prima di salutarla, in quel suo tono perennemente autoritario e diffidente.
«Ero al telefono.» Rispose l’altra in tono sicuro.
«Con Aaron, immagino.» Borbottò la rossa. Ancora questo Aaron. Non sentendo l’altra rispondere, immaginai che avesse annuito con la testa.
«Allora, vogliamo andare da Ray?»
«Non vedi quanto piove e fa freddo Alison?» Tentò di dire Perrie. «Non potremmo andarci domani? Non credo sia facile guidare, o meglio, cavalcare quel cavallo con questo tempo. Il fango, la pioggia, il freddo... porterebbero solamente a raffreddore, influenza, o peggio...» Il continuo farneticare di Perrie avrebbe potuto convincere chiunque, persino Alison.
«E va bene, va bene.» Disse la ragazza, leggermente infastidita. Tirai un sospiro di sollievo, prima che Alison aggiunse di farla entrare. In quel momento la paura ritornò immediatamente. Trattenni il fiato, mentre Perrie cercava di persuaderla a tornare a casa, e miracolosamente, ce la fece.
Salutò un'ultima volta Alison, dopodiché chiuse la porta, e la raggiunsi. «Non so come tu abbia fatto a convincerla. Sei stata grande!» Ammisi, sorridendole.
«Sembra un sogno anche a me.» Disse ridacchiando. Anche lei aveva imparato a conoscere il carattere impaziente e l’inclinazione della mia amica a non cedere.
Tornai in salotto a prendere la mia borsa, decisa a tornarmene a casa. Nonostante la pioggia avevo voglia di farmi una passeggiata, di tutto pur di non farmi beccare da Alison.
Prima di andare decisi che avrei aspettato un attimo. Giusto in tempo che Alison si allontanasse da questa casa.
Improvvisamente - e inaspettatamente - la porta di casa si riaprì, e ne entrò una Alison con la bocca semiaperta, pronta per dire qualcosa. Alzò gli occhi verso di noi, e incontrò quelli di Perrie, per poi spostare lo sguardo su di me e guardarmi con espressione stupita, quasi scioccata.
«Oh-oh.» Fu l’unica cosa intelligente che uscì dalle mie labbra.











Spazio autrice:

Non sono sparita dalla circolazione, yeeeeeah. E non mi hanno rapito gli alieni. Solo, non riuscivo a scrivere questo capitolo.
L'ho scritto praticamente tutto stanotte. Stamattina l'ho ricontrollato e ho trovato un paio di errori.
Ero stanchissima. Comunque, quasi nessuna di voi ha indovinato chi ha scoperto delle ragazze, haha.
E' stata la nostra Alison. Come pensate che la prenderà? Cosa succederà? Convincerà Emma a tornare alla sua vita normale?
Lo scoprirete nel prossimo episodio, lol. Avete visto? Ho messo il banner! Non è bellissimo? Ovviamente non l'ho fatto io. 
Io sono negata in queste cose. 
Ringrazio mille volte le ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo, e ovviamente anche le lettrici silenziose.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, e alla prossima, che spero non sarà così tardi. A presto! :)

I crediti del banner vanno a hjsdjmples

 

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Capitolo 14
*** She knows everything, now. ***


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She knows everything, now.                                                          Perrie.

 
L’insistente ticchettio dell’orologio da parete era l’unico suono che interrompeva il silenzio imbarazzante che era sceso tra di noi. Abbassai lo sguardo sulla tazza colma di caffè ormai freddo, mescolando il contenuto con un cucchiaino. Davanti a me c’era Alison che sorseggiava il suo caffè, pensierosa. Lanciai un’occhiata ad Emma che ricambiò il mio sguardo preoccupato. Nessuna di noi aveva il coraggio di dire qualcosa, per paura di una possibile reazione della rossa.
Da quando, dieci minuti prima avevamo fatto entrare Alison in casa per spiegarle con calma ciò che aveva appena scoperto, l’unica parola uscita dalle sue labbra era stato il “sì” alla proposta di sedersi, magari davanti ad un caffè, e parlare. E - grazie all’esperienza delle precedenti settimane - sapevo che era piuttosto raro che la ragazza non parlasse.
Bevvi tutto d’un fiato il mio caffè, dopodiché mi rivolsi ad Alison. «Tutto bene?» Chiesi incerta. La ragazza sorseggiò per l’ennesima volta il contenuto della tazza, dopodiché la poggiò sul tavolo di legno e sospirò profondamente, pensierosa.
«Fatemi capire» esordì, guardandoci entrambe. «Il giorno in cui quel gruppo femminile...»
«Le Little Mix.» La interruppi io, beccandomi uno sguardo infastidito da parte sua, al quale risposi mimando scuse, invitandola a proseguire il suo discorso.
«Stavo dicendo... le Little Mix sono venute in negozio a promuovere l’album e a firmare autografi, vi siete conosciute, e avete ben deciso di intraprendere quella folle idea di scambiarvi le vite.»
A quelle parole alzai le sopracciglia, stranita. Detto così, quello che avevamo fatto io ed Emma sembrava una cosa assurda. Ci lanciammo uno sguardo veloce, dopodiché annuimmo entrambe, alzando le spalle.
«Ovviamente avremmo avuto un limite di tempo. Solamente per un misero mese io sarei stata Perrie, la famosa cantante mentre lei sarebbe stata me. Tutto qui.» Si affrettò a dire Emma.
«Quindi tu stai insinuando che tutto ciò sia normale?!» La sua voce si era fatta di qualche tono più alta e leggermente stridula, segno che stava per perdere la pazienza, e a quel punto nemmeno un miracolo l’avrebbe placata.
«Ciò che intendevo Alison, è che... » Nonostante Emma mantenesse un tono di voce calmo e placato, notai che si stava innervosendo. Parlava in modo meccanico, come se prestasse molta attenzione alle parole che diceva; la fronte era corrugata e le labbra serrate.
Rimasi ad osservare la scena impotente, davanti alle due ragazze che molto presto avrebbero iniziato a litigare. Mi sentivo in colpa, perché ero stata principalmente io a convincere Emma che la mia fosse una buona idea.
«Non ci credo che tu abbia fatto una cosa del genere, Emma! Ma dove diavolo hai il cervello? Non puoi decidere di cambiare vita così, senza nemmeno dirmi una parola.» La rossa era definitivamente scoppiata. «A volte mi chiedo cosa tu abbia in testa, perché davvero, non smetti mai di stupirmi con le tue idee.»
«Da quanto ricordo tu non sei mia madre, quindi perdonami se non ti vengo a raccontare qualunque cosa mi passi per la testa. Credo di essere adulta abbastanza per prendere decisioni da sola e non venire a chiedere a te il permesso.» Asserì Emma, guardando Alison con astio. Se qualcuno non avesse cercato di fermarle avrebbero potuto continuare a litigare per ore. La verità è che le due ragazze sono molto simili caratterialmente, ciò le porta a scontrarsi molto spesso. Ovviamente senza alcun vincitore.
«Non sono tua madre, ma sicuramente sono l’unica persona che può dissuaderti dal fare cose idiote o cacciarti in situazioni ingestibili.» Ribatté ancora una volta la rossa, alzando se possibile il tono di voce già alto. «Ora come ora mi domando se mi avresti mai confessato tutto questo.» Aggiunse.
Fu in quel momento che decisi di intromettermi per tentare di placare quella discussione. «Ragazze, forse è meglio se... » Provai di dire, balbettando. Forse avrei dovuto dimostrarmi più sicura di me e meno impacciata e titubante.
«Tu! Non dire nulla!» Risposero entrambe, ammutolendomi, senza lasciarmi il tempo di finire ciò che stavo per dire.
Indietreggiai di qualche centimetro, decisa a non mettermi più in mezzo. Mi alzai lentamente, dirigendomi verso il soggiorno. Quando fui lì andai verso la finestra, dove una brezza leggera mi solleticava il viso e mi tranquillizzava. Chiusi gli occhi e presi un respiro profondo, riflettendo su ciò che in quel momento stava accadendo, con in sottofondo le voci delle ragazze. Forse Alison aveva ragione, avevo convinto Emma ha intraprendere qualcosa di stupido e irrazionale.
Scostai nervosamente una coccia di capelli ribelle finitami sul volto, dopodiché sentii il telefono di casa suonare nuovamente. Immaginai fosse Aaron e decisi di riattaccare. Non era il momento adatto per parlare con lui, né tantomeno per confessare alla ragazza cosa fosse successo tra di noi. Fu proprio quando l’apparecchio smise di suonare che mi resi conto della decisione che stavo per prendere. Non avrei più  potuto stare assieme ad Aaron, né tantomeno rivederlo visto che si sarebbe sicuramente arrabbiato dopo che gli avrei rivelato la mia vera identità.
Come potevo essermi affezionata così tanto ad una persona in meno di due settimane? Mai nessuno prima di allora mi aveva fatto sentire come faceva lui.
Chiusi nuovamente gli occhi cercando di distogliere i miei pensieri dal ragazzo, dopodiché tornai dentro e mi diressi nuovamente verso le ragazze, assorbite ancora dalla loro discussione.
«Ragazze, ora smettetela!» Esclamai portando la loro attenzione su di me e zittendole. «Alison hai ragione e mi dispiace. Io ed Emma abbiamo fatto una cosa stupita, ma non prendertela solamente con lei, la colpa è anche mia. Sono io che l’ho convinta a fare lo scambio.» Dichiarai. «Non ti preoccupare, non lo continueremo. Tutto questo è durato fin troppo.» Mentre parlavo cercai di mantenere un tono di voce fermo e il più possibile credibile. Rimossi dai pensieri Aaron e tutto ciò che rischiava di spingermi a cambiare idea e continuare la mia vita attuale.
Sul volto di Emma si dipinse fin da subito un’espressione sorpresa. «Ma come Perrie? Insomma noi stavam... » Alison non le lasciò terminare la frase.
«Perrie ha perfettamente ragione, Emma. Due settimane sono state abbastanza, adesso è ora per te di tornare nella tua vita e lei di tornare nella sua.» Mentre la rossa pronunciava queste parole, guardai la bionda, mortificata. Ero dispiaciuta quanto lei che tutto stesse per concludersi, ma cercai di essere razionale.
Emma però la ignorò bellamente, mantenendo lo sguardo fisso su di me. «Perché hai cambiato idea così velocemente?» Domandò.
Restai in silenzio per qualche secondo, cercando le parole esatte per spiegarmi. «Cerca di capire Ems, tutto questo è terribilmente stupido. Insomma, per quanto altro tempo avremmo dovuto continuare?»
«Solo per altre due settimane. Mancava così poco.» Le parole le morirono sulle labbra, terminando in un sussurro. Il suo sguardo appariva sinceramente dispiaciuto e per un istante mi chiesi qual’era il motivo per cui fosse così contraria a tornare alla sua vecchia vita, pensando che probabilmente c’era molto di più di ciò che pensavo o che mi aveva raccontato in precedenza.
«Mi dispiace.» Le sussurrai nuovamente. Nel frattempo Alison si era alzata, dirigendosi verso il balcone della cucina e aprendo la finestra, permettendo ad un venticello leggero di intrufolarsi in casa. Dopodiché la ragazza si girò nuovamente verso di noi, studiando attentamente le nostre espressioni. Emma aveva lo sguardo fisso sulla tazza posta davanti a lei, e probabilmente non si era accorta dello sguardo che l’altra ci stava lanciando.
«Ancora non posso crederci.» Disse più a sé stessa che a noi altre. «Ora si spiegano molte cose. Il tuo strano comportamento per esempio. Quando quel giorno siamo andate a trovare James lo hai chiamato Ray.» Alle sue parole soffocai a stento una risatina consapevole. «Ancora non riesco a crederci. Mi stavo anche preoccupando seriamente per i tuoi strani comportamenti. Insomma, sei cambiata totalmente da un giorno all’altro, cosa avrei dovuto pensare? Il momento in cui ho iniziato seriamente a preoccuparmi per te è stato quando ho notato che tu ed Aaron avete iniziato ad andare d’accordo.»
Magari questo ancora non lo avrebbe dovuto sapere Emma, pensai fingendo un sorriso. Pregai con tutta me stessa che Alison non andasse avanti a parlare, dopodiché guardai preoccupata Emma per controllare che non si fosse incuriosita a proposito del presunto avvicinamento con Aaron. Sì insomma, quanto dovevano odiarsi quei due per far sì che il semplice fatto che io e lui andavano d’accordo preoccupasse e rendesse Alison sospettosa?
Fortunatamente la bionda sembrò non fare caso alle parole della sua amica, e continuò a mordersi le labbra, pensierosa. Mentre osservavo la ragazza notai con la coda dell’occhio che Alison aveva assunto un espressione lievemente corrucciata.  «Aspetta un secondo.» Iniziò a dire dopo qualche secondo, puntando lo sguardo verso di me. «Se tu sei Perrie e non Emma, questo vuol dire che Aaron non sta con... »
Fu quello il momento in cui credetti seriamente di morire. Era chiaro a cosa volesse arrivare Alison; stava parlando della mia relazione con Aaron, quando io avrei potuto benissimo non farne parola, accontentandomi di lasciare Aaron senza che Emma venisse a sapere di noi.
Prima che potesse terminare la frase mi fiondai su di lei e le misi una mano davanti alla bocca, così che le parole che tentava di dire assomigliassero più che altro a versi senza senso. Ridacchiai quando notai che Emma aveva alzato la testa e ci guardava con un espressione tra il confuso e il sorpreso.
«Che cavolo fai?» Mi chiese appena spostai la mano dalla sua bocca, sicura che non continuasse ciò che stava facendo.
Le lanciai un’occhiata eloquente, indicandole Emma con un cenno del capo.
Lei capì benissimo, e - decisa a sapere cosa mi prendeva - si scusò in fretta con la ragazza e mi trascinò letteralmente in salotto. «Mi vuoi dire a cosa stai giocando?» Mi chiese in tono duro. «Insomma, tu e Aaron state insieme, ma lui sa che tu sei Perrie e non Emma, vero? Glielo hai detto appena avete cominciato ad uscire, e lui non mi ha detto assolutamente niente. Non ci credo.» Aggiunse in tono più calmo cercando comunque di sottolineare l’assurdità della situazione. La guardai incerta. «Perché gli hai già detto chi sei davvero, giusto?»
Mi schiarii la voce cercando di prendere tempo. «Be’, insomma. Diciamo che non ho proprio... non gli ho proprio raccontato chi sono ma... »
«Ma?» Mi incitò a continuare.
Mi sentivo sotto pressione. «Okay, okay. Forse tra le cose di cui abbiamo parlato mi sono dimenticata di accennargli chi sono veramente. Ma è stata semplice distrazione.»
«Semplice distrazione Perrie? Non puoi mentirgli su una cosa così importante. Glielo dovrai dire, poi dovrai parlare con Emma e dirle di voi due.»
«E quando credi glielo possa dire se hai ben deciso che tutto questo doveva finire?» Le risposi lanciandole uno sguardo eloquente. Rimase in silenzio per qualche secondo, come se stesse valutando le mie parole, dopodiché sbuffò sonoramente, infastidita dalle mie parole.
«Credi che Emma ci tenga tanto a tutto questo? Tutto quello che state facendo, lo scambio insomma.» Mi chiese, ignorando la mia domanda.
«Credo ci tenga più di quanto avessi immaginato.» Risposi d’istinto, mentre dentro di me pensavo esattamente la stessa cosa. Non avrei mai potuto lasciare Aaron come se non fosse nulla per me.
«E va bene!» Esclamò Alison dopo qualche secondo passato in silenzio. «Va bene, va bene!» Continuò imperterrita, dirigendosi verso la cucina e lasciando che la seguissi incuriosita.
«Me ne vado prima che cambi idea.» Disse inghiottendo l’ultimo sorso di caffè e afferrando la borsa appesa allo schienale della sedia. Emma alzò gli occhi verso di lei poi incrociò i miei con espressione confusa. Alzai le spalle, ne sapevo meno di lei. La rossa si diresse velocemente alla porta d’ingresso e appena la superò si girò verso di noi. «Probabilmente avete messo qualcosa nel mio caffè, fatto sta che ho deciso che non farò nulla. Siete libere di continuare questa... cosa. Non so nemmeno come chiamarla. Insomma, mancano solamente due settimane, cosa potrebbe succedere?»
Prima che si girasse per dirigersi verso le scale l’abbracciai, felice della sua scelta. «Tu fai quello che ti ho detto.» Mi sussurrò. Il tono era stranamente pacato. Appena sciolsi l’abbraccio le sorrisi sinceramente, ringraziandola.
«Non fare stupidaggini.» Disse ad Emma, che le sorrise. Doveva essere un loro strano modo di fare pace, mi dissi non distogliendo lo sguardo dalle due.
Dopo aver osservato Alison scendere le scale io ed Emma rientrammo in casa, chiudendo la porta alle nostre spalle e sospirando per ciò che era accaduto nella precedente ora.
«D’ora in poi dovremo stare più attente.» Dichiarò Emma buttandosi sul divano, dove la seguii a ruota.
«Assolutamente.»  













Spazio autrice:

Sono tornata dall'aldilà. No okay, a parte gli scherzi, mi dispiace avervi fatto aspettare così tanto, ma il mio computer era andato a farsi benedire.
Ha smesso improvvisamente di funzionare, così ho perso il capitolo che avevo già scritto e non ho più potuto aggiornare. 
Me l'hanno riportato aggiustato solamente un paio di giorni fa, e ho fatto il prima possibile. Mi dispiace davvero, ma sono contenta che ci siate ancora tutte.
Spero che questo capitolo vi piaccia. Vediamo una Alison indecisa sul fatto di far continuare questa "cosa" alle ragazze, ma poi si scopre che anche lei ha un cuore.
Hahahahha. La adoro. Vi dico già che nel prossimo capitolo verrà approfondita la "relazione" tra Emma e il caro Zayn. Non vedo l'ora. **
Spero taaanto che vi piaccia, alla prossima! c: xxx Becks


 



 
 
 

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Capitolo 15
*** ...Baby one more time. ***


Eccomi qui con un nuovo capitolo. Scusate tanto se vi ho fatto aspettare e se vi rompo all'inizio, ma ci sono un paio di cose prima che leggiate. Punto primo: ho parlato del V Festival, e non conoscendolo mi sono inventate le cose di sana pianta, ma non importa. Punto secondo: questo capitolo è davvero lungo. Quindici pagine di word, e non so nemmeno come mi siano uscite. Spero abbiate voglia di leggere, e personalmente credo che ne valga la pena, soprattutto per chi ama la coppia Zemma Emayn. Uuuh, ho anche trovato chi penso impersoni perfettamente Aaron. Vi ho lasciato una sua gif alla fine. Okay, non ho altro da aggiungere. Spero che il capitolo vi piaccia!
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…Baby one more time.                                                                                                                                                                  Emma.
 

«Qui c’è Alison che non fa altro che chiedere se te la stai spassando.» Dichiarò Perrie non appena risposi alla sua chiamata. La linea era lievemente disturbata, probabilmente le ragazze si trovavano temporaneamente in magazzino, dove il segnale giungeva più debole. «   Da quando ha scoperto tutto non fa altro che lamentarsi del fatto che sei praticamente andata in ferie, e oltretutto ti stai divertendo un sacco.» In sottofondo riuscii a percepire dei borbottii sommessi che provenivano da Alison. Ridacchiai divertita dalle parole di Perrie, e tenendo il cellulare tra il collo e la spalla, cercai di arrivare alla scatola di cereali posta su un ripiano alto.
La casa era immersa in un silenzio quasi palpabile. Le ragazze erano tutte uscite per andare a fare compere, mentre io avevo ben deciso di declinare il loro invito e dormire un altro po’. Mi ero da poco alzata e dopo essermi fatta una doccia ero andata alla ricerca di qualcosa da mettere sotto i denti.
«Dille che non è proprio una passeggiata la vita da celebrità.» Replicai. «Insomma, per una come me non è semplice dove fare la carina con ogni persona che ci ferma per strada, a chiedere una foto, un autografo o quant’altro.»
Dall’altro capo del telefono non giunse risposta per il primo minuto. Nel frattempo versai i cereali in una ciotola assieme a del latte freddo, dopodiché mi diressi verso il soggiorno.
«Mi prendi in giro, vero?» Disse Alison, che probabilmente aveva preso il telefono dalle mani di Perrie dopo che quest’ultima le aveva ripetuto ciò che avevo detto.
«Oh, nient’affatto» ribattei, pronta. «I fan si aspettano davvero troppo da Perrie e le altre. Bisogna sempre rispondere con il sorriso, assecondarli e dimostrarsi gentili e disponibili. E tu sai meglio di chiunque altro che non sono esattamente una persona carina e disponibile. Esattamente come non lo sei tu. Scommetto che non sopravvivresti neanche un giorno se fossi al mio posto.»
«Non ci contare, sarei meglio di te. Perrie mi ha mostrato l’articolo di quando hai imprecato contro quel paparazzo. Non molto professionale da parte tua.» Ribatté pronta.
«Quello è stato solamente un incidente di percorso, capita a tutti di sbagliare.» Cercai di difendermi.
«Io potrei benissimo riuscirci. Senza errori.»
«Be’, allora trovati la tua sosia celebrità. E la protagonista di The Brave non conta.» Alison odiava quando sostenevo che fosse identica a lei, nonostante fosse realmente così. Prima che potesse ribattere le chiesi di ripassarmi Perrie.
«Cosa le hai detto per farla arrabbiare così tanto?» Domandò non appena riprese il telefono tra le mani. Tratteneva a stento una risata.
«Solo la dura verità.»
«A proposito di impegni di voi celebrità. Ti avverto che domani e dopodomani tu e le ragazze parteciperete al V Festival che si terrà per due giorni - come ogni anno - rispettivamente a Chelmsford e a South Staffordshire.» Mi disse Perrie, mentre Alison continuava a borbottare. Tra le lamentele della rossa potei perfettamente distinguere un “Emma va Al V Festival? Non è possibile!” detto in tono piuttosto stizzito.
«V Festival? Quel V Festival?» Le domandai, incredula.
«Virgin Festival, esattamente.»
«Non ci posso credere» ammisi più a me stessa che a Perrie. «Prima gli European Music Awards, adesso il V Festival. Mi sembra un sogno.» Dall’altra parte sentii la ragazza ridacchiare.
«Dovresti davvero crederci Emma. In fondo...» La bionda interruppe bruscamente ciò che stava dicendo. «Puoi attendere un secondo?» Domandò. Annuii pur sapendo che non poteva guardarmi, e mentre aspettavo accesi la televisione e mi sintonizzai su MTV, che in quel momento mandava in onda un programma di video musicali. Ascoltai distrattamente la musica mentre facevo colazione, e dopo qualche minuto Perrie tornò a parlare.
«Eccomi. Ho un piccolissimo favore da chiederti, Emma.» Il suo tono di voce si era fatto stranamente supplichevole, segno che molto difficilmente avrei accettato la sua richiesta, qualunque essa fosse. «Alison insiste col dire che più che una richiesta dovrebbe essere un ordine.» Aggiunse.
«Cosa intendi con ordi...» Tentai di dire, con la bocca ancora piena di cereali. Ad un tratto mi fu tutto chiaro. No, no e no. Perrie non poteva assolutamente chiedermi di farlo. Era chiaro che volesse chiedermi di portare Alison con me.
«So che non è esattamente ciò che volevi, ma...»
«Come hai fatto a farti convincere?» Le chiesi.
«Sembrava così entusiasta che tu partecipassi al V Festival, così ho deciso di proporle se le andava di andare assieme a te.»
«Lo sai che sicuramente combinerà qualcosa. È ben capace di dire alle altre chi sono veramente e rovinare tutto.»
«Non lo farà. Lo prometto.»
«Lo farà eccome.» Dichiarai. Sapevo però che Perrie avrebbe fatto di tutto per convincermi, così mi arresi, ma alle mie condizioni. «Solo al concerto. Niente pass.»
«Per me va bene.» La voce di Alison mi arrivò in lontananza.
«Dille anche che parteciperà solamente a uno dei due giorni del Festival. E niente storie.» Dissi in un tono che non ammetteva repliche.
«Okay, la informerò. Ora dobbiamo scappare, siamo qui in magazzino da davvero troppo tempo. Bonnie si starà domandando dove siamo finite. Mi raccomando Emma, divertiti al V Festival.»
«Lo farò eccome.»
«Oh, e dimenticavo, per favore fatti consigliare dalle ragazze come vestirti. Non voglio altri scivoloni di stile o robe simili. Va bene?»
Le sue parole mi misero in imbarazzo. Aveva ragione, non sono molto brava per quanto riguarda la moda, ma non c’era bisogno di sottolinearmelo in un modo così indelicato. «Lo farò Perrie, non ti preoccupare.»
«Controllerò le foto su internet. Se riesco ti chiamo domani.»
Dopo un ultimi saluto riattaccai e ricominciai a mangiare i cereali, ripensando alla conversazione appena avuta con Perrie e Alison. Ero elettrizzata per la notizia riguardante il V Festival che si sarebbe svolto il giorno successivo, e allo stesso tempo preoccupata per ciò che sarebbe potuto succedere con Alison. Non era esattamente una donna discreta, e sapevo che avrebbe potuto combinare qualcosa.
Sospirai pensierosa e finii i cereali rimasti, poco prima che le ragazze rientrassero dalla passeggiata in centro, con le braccia colme di sacchetti.
 
***
 
Il giorno del V Festival era finalmente arrivato. Seduta sul lettone, ancora in pigiama, attendevo concitatamente Leigh, posta qualche metro più avanti, nella cabina armadio. Fissava attentamente quest’ultimo, come in attesa di un improvviso miracolo. «Non c’è niente di interessante?» Le domandai, ma la ragazza sembrò non accorgersene. Lo ripetei nuovamente a voce alta, e finalmente  mi sentì.
«Ti avevo detto che avresti dovuto venire con noi a fare shopping ieri mattina, ma diciamo che non sei messa proprio male. Possiamo fare qualcosa. Insomma, al Festival puoi vestirti in modo casual e non elegante. Ho trovato!» Esclamò lanciandomi distrattamente una camicetta bianca e un paio di blue jeans corti.
Senza neanche guardarli decisi che li avrei indossati.  
Mentre allacciavo distrattamente un paio di All Star rosse, dopo aver sistemato i capelli ed essermi truccata leggermente sotto saggio consiglio di Leigh, qualcuno bussò alla porta, e senza attendere risposta entrò. Era Jade seguita da Jesy. «Tra dieci minuti arriverà l’auto che ci porterà a Chelmsford, siete pronte?» Ci informò la prima.
Io e Leigh-Anne ci guardammo sorridendo, dopodiché annuimmo entrambe. Eravamo pronte.
 
Parte della durata del viaggio la passai in silenzio. L’autista guidava imperterrito lungo le strade trafficate della città. Mano a mano che ci allontanavamo dal centro pulsante di Londra per raggiungere la periferia di Chelmsford, le strade si faceva meno trafficate.
Osservavo distrattamente le auto che sfrecciavano al nostro fianco, mentre il cielo - dove all’inizio vi era un sole appena accennato - stava iniziando a rannuvolarsi. Sperai non piovesse.
Circa un’oretta più tardi arrivammo finalmente nell’Essex, proprio dove si trovava il borgo di Chelmsford. L’auto si fermò davanti ad un enorme distesa d’erba, delimitata da una palizzata in ferro innalzata probabilmente per il festival. Scesi dalla macchina assieme alle ragazze, e in lontananza riuscimmo a scorgere un enorme palco dove da lì a poche ore si sarebbe svolto il concerto. La seconda cosa che notai furono molti tendoni colorati, dove erano riunite diverse persone. Osservai attentamente tutto ciò che mi circondava.
Prima che potessimo unirci alla folla che già aveva iniziato a riunirsi nei vari tendoni, ci consegnarono dei badge, spiegandoci che sarebbero serviti per poter passeggiare tranquillamente per il parco prima del concerto che si sarebbe svolto. Mimai le altre infilandomi il badge intorno al collo, dopodiché entrammo. Al di fuori della palizzata erano riunito un bel gruppo di persone che probabilmente erano fan in attesa di vedere i propri idoli per una foto o un autografo. Coloro che non erano muniti di badge non potevano entrare, ma solamente partecipare al concerto se avevano i biglietti.
Appena attraversato i controlli, ci immischiammo subito alla folla. Leigh-Anne prese Jesy per un braccio, salutando qualcuno in lontananza, così restammo io e Jade. Quest’ultima avvicinò a me, sorridendomi. «Non è fantastico?» Domandò entusiasta. Annuii convinta, dopodiché la presi per un braccio, trascinandola verso la folla. Sapevo che sarebbe stato un giorno meraviglioso, soprattutto se passato accanto alle ragazze.
 
Passammo l’intera giornata al V Festival, passeggiando serenamente per il parco, chiacchierando tra di noi e fermandoci a fare foto con gli altri partecipanti. Improvvisamente, mentre Jade mi stava parlando del prossimo concerto delle Little Mix, si zittì, puntando gli occhi davanti a sé.
«Jade, che ti prende?» Domandai stranita, seguendo il suo sguardo fino a fermarlo su un gruppo di ragazzi che dimostravano non più di vent’anni. «Chi hai visto?» Le chiesi, non riconoscendo nessuno di loro.
«Quello è Harry!» Esclamò improvvisamente lei. «Credi che debba andare da lui? Insomma, è da qualche giorno che non ci sentiamo. E se magari non volesse proprio parlare con me e mi stesse evitando? Magari non appena mi vede cerca di nascondersi. Oddio, e se fosse davvero così? Tu cosa suggerisci?»
«Ti prego Jade, calmati. Prendi un respiro profondo, non sei una ragazzina. Oramai sei una donna, capace di prendere le sue decisioni da sola e di essere razionale. Non è così?»
«Come fai ad essere razionale se la persona per cui provi qualcosa è a pochi metri da a te? No, che non sono razionale.» Okay, non era esattamente la risposta che mi sarei aspettata.  
«Okay Jade. Va’ da lui. Vedrai che avrà un motivo plausibile per non essersi fatto sentire. Tu sei fantastica, andrà benissimo.» La incoraggiai, sicura delle mie parole.
«Hai ragione. Harry è un bravo ragazzo, e l’ultima volta che ci siamo visti sembrava davvero interessato a me. Insomma, me lo direbbe chiaramente se così non fosse?» Dichiarò decisa. «Tu non pensi?» Sussurrò poi in tono incerto.
Ha detto Harry? «Aspetta un momento, di che Harry stai parlando?»
«Hai proprio la testa tra le nuvole in queste ultime settimane Perrie. Parlo di Harry, il ragazzo che abbiamo incontrato settimane fa mentre registravamo. One Direction. Zayn Malik. Presente?»
Oh merda.
Dovevo stare tranquilla. Insomma, era probabile che non stesse parlando dello stesso Zayn Malik che ho conosciuto. Ce ne sono così tanti qui a Londra... credo. Chissà quanti Zayn Malik fanno parte di un gruppo chiamato One Direction e guarda caso hanno un compagno con i capelli ricci di cui Jade è cotta. Miliardi, probabilmente. Mi preparai a chiederglielo, sorridendo fiduciosa, ma fui preceduta. «Chissà se c’è anche Zayn oggi. Con Harry c’è anche Niall, quindi è probabile che lui sia qua attorno. Vuoi andare a cercarlo?»
«No!» Esclamai in tono troppo rabbioso. Jade mi guardò stranita, dopodiché mi obbligò a seguirla verso il gruppo davanti a noi.
«Devo propri venire lì con te?» Le sussurrai, cercando di non farmi sentire dai ragazzi a cui ormai eravamo vicine. Jade si limitò ad annuire convinta.
«Ciao ragazzi!» Disse, attirando la loro attenzione.
Appena Harry incontrò il suo sguardo si illuminò. «Jade.» La salutò, aprendosi in un sorriso felice. Sembrava esistessero solo loro due.
«Be’, ciao anche te Harry. È davvero un piacere anche per me rivederti.» Dissi sarcastica, talmente piano che solamente il biondino - mi pareva di ricordare si chiamasse Niall - mi sentì e ridacchio.  
«Non ha occhi che per Jade.» Sussurrò lui a sua volta. «Sembra quasi che ci siano solamente loro due.»
«Che ne dici di scappare? Mi sembra inutile rimanere qui assieme a loro, che magari hanno voglia di rimanere soli.» Cercai di convincerlo, ricevendo un sì come risposta. Dopo aver salutato il resto del gruppo io e Niall iniziammo ad incamminarci per il grande parco, chiacchierando tranquillamente di argomenti poco importanti, finché inspiegabilmente finimmo a parlare dei ragazzi. Era stato lui a tirare fuori l’argomento, visto e considerato che io non avevo assolutamente voglia di parlare di loro. Soprattutto di uno Zayn in particolare.
Il motivo? Nessuno in particolare. Mica ce l’avevo con lui per non essersi fatto sentire dopo avermi quasi baciato. No. «A proposito di Zayn.» Oramai avevamo iniziato il discorso. «Lui è qua? Insomma, ci siete tu e il riccio. Anche lui verrà? Oppure è già qui? Se è qui vorrei saperlo, giusto per... esserne al corrente.» Stavo iniziando a straparlare.
Niall mi sorrise dolcemente, scoprendo una fila di denti bianchissimi. «Perrie, giusto?»
«Che?» Domandai senza capire.
«É così che ti chiami, no?» Mi chiese, poco prima che un gruppetto di ragazzi ci chiese di fare una foto assieme.
«Be’, più o meno.» Sussurrai in risposta un istante prima che uno dei ragazzi scattasse la foto. Dopodiché, prima che Niall potesse vedermi, sgattaiolai in un tendone con l’intenzione di stare un attimo da sola. Cosa impossibile, considerato che mi trovavo ad un Festival. Sospirai profondamente, incapace di muovermi da quel tendone. Ero preoccupata che Zayn vi stesse partecipando, e stando assieme a Niall sarebbe stato più probabile che ci incontrassimo, quando l’ultima cosa che desideravo era vederlo.
Quando mi resi conto che avrei dovuto nascondermi a lui, Niall e il resto dei ragazzi, capii che quella sarebbe stata una giornata davvero lunga.
Circa una decina di minuti più tardi, quando mi dissi che probabilmente il biondo non era più nei paraggi, diedi un’occhiata all’esterno del tendone e mi diressi verso il palco che, seppur mancassero ancora diverse ore al concerto, aveva già iniziato ad affollarsi. Lì non mi avrebbe trovato sicuramente nessuno.
 
Quello che si prospettava essere una delle giornate migliori della mia vita, si rivelò essere una delle peggiori. Passai tutto il pomeriggio a mischiarmi tra la folla, con il continuo terrore di vedere  ragazzo dalla pelle ambrata.
Per circa un secondo il mio cervello tentò di ragionare in modo adulto e mi dissi che avrei smesso di nascondermi. Poi però tutto il resto aveva prevalso sul buonsenso.
Nonostante i nuvoloni scuri che per tutto il giorno avevano minacciato un temporale, solamente verso le nove la pioggia aveva iniziato a picchiettare insistentemente sul prato, bagnandolo e rendendolo scivoloso. La pioggia diminuì molto rapidamente, fino a diventare solamente superficiale. In quel preciso momento un uomo salì sul palco, tamburellò contro il microfono un paio di volte, dopodiché iniziò a parlare, presentando i cantanti che quella sera si sarebbero esibite. Tra questi figuravano Beyoncé, Jessie J e altri.
«Perrie!» Poco prima che la prima cantante salisse sul palco e che tra le urla d’approvazione partisse la base musicale, sentii la voce di Jade. Mi girai e la trovai a pochi metri di distanza da me, accompagnata da Leigh-Anne e Jesy, che alzarono la mano per attirare la mia attenzione. «Dove eri finita?» Mi chiese Jade appena mi raggiunse, cercando di sovrastare il casino.   
«Sono stata qui tutto il tempo.» Ribattei con un’alzata di spalle. Le ragazze sorrisero e un istante più tardi dal palco giunsero le note di una canzone orecchiabile e la bionda, con un vestito blu brillantinato, fece il suo ingresso facendo scoppiare la folla dall’entusiasmo.
Quella fu una delle serate migliori della mia vita.
 
***
 
Non era possibile che mi fossi lasciata convincere da Perrie.
“Vedrai, vi divertirete un mondo insieme!”. Le sue ultime parole continuavano a girarmi vorticosamente nella testa mentre mi dirigevo a casa di Alison. Mi ero anche lasciata convincere ad andarci in macchina assieme a lei, al V Festival. Insomma, non solo avevo dovuto spiegare alle ragazze chi fosse la ragazza che avevo invitato - mi ero inventata che fosse una lontana cugina venuta a trovarmi a Londra - ma anche spiegare il motivo per cui non sarei andata in macchina con loro.
Avevano cercato di convincermi andare in auto con loro e portarmi dietro Alison, ma era l’ultima cosa che volevo.
Non appena arrivai nel tranquillo quartiere dove abitava Alison, mi tolsi gli occhiali da sole e mi guardai attorno, cercando di ricordare il numero civico di casa sua. Le case erano tutte uguali, dipinte di un luminoso color cremisi. Quando vidi il pick-up rosso fiammante della ragazza parcheggiato davanti ad una di esse lo riconobbi come la palazzina in cui Alison abitava e mi avvicinai, trovando il suo nome sul campanello e suonando. Qualche istante dopo la rossa rispose e mi chiese di aspettare qualche minuto il suo arrivo. Passeggiai distrattamente di fronte a casa sua, mentre mi preparavo psicologicamente alla giornata che si sarebbe svolta. Fortunatamente avevo per lo meno convinto Alison a partecipare solamente al concerto.
Qualche minuto più tardi sentii il cancelletto di casa aprirsi cigolando. Mi girai e mi trovai davanti la mia amica, che mi salutò mentre cercava le chiavi del pick-up nella borsa a tracolla che si era portata.
Quando le trovò, alzò lo sguardo su di me e sul volto si disegnò un espressione sorpresa. «Sei diversa.» Mi disse semplicemente, probabilmente notando ciò che indossavo.
«Anche tu.» Risposi a mia volta. «I capelli sono meno ribelli del solito.» Aggiunsi aprendo la portiera sinistra dell’auto e sedendomi. «Guidi tu, okay?» Le dissi dopo un attimo di silenzio.
«Certamente.» Rispose accendendo la radio che in quel momento stava trasmettendo i grandi successi degli anni Novanta, e abbassando il finestrino. Sistemò lo specchietto, dopodiché accese l’auto e il GPS che ci avrebbe indicato la strada verso lo Stafforshire, dove si sarebbe tenuto il secondo giorno del V Festival.
Mentre l’auto di Alison sfrecciava sull’autostrada, dalla radio si diffusero le note di “Baby one more time”. Spostai il mio sguardo verso la rossa sorridendole, che lei ricambiò prima di concentrarsi nuovamente sulla strada.
Io e Alison ci conosciamo da quando eravamo piccole, e quella canzone è sempre stata una delle nostre preferite, avendo segnato una parte importante della nostra quasi adolescenza.
Senza alcun imbarazzo iniziai a canticchiare distrattamente assieme a Britney Spears, mentre osservavo rapita il paesaggio che cambiava velocemente. In pochi istanti alla mia voce si aggiunse quella di Alison, e inevitabilmente la alzammo entrambi di qualche tono. Quei minuti furono i più divertenti di tutto il viaggio, con noi due che cantavamo come pazze, nonostante la voce poco intonata e stridula. Fummo talmente prese da quella Jam Session improvvisata che per un po’ non demmo retta alla voce femminile e meccanica del GPS che ci indicava la strada da percorrere per arrivare a Weston Park. Infastidita dall’insistente voce, spensi l’aggeggio con un colpo secco.
«My loneliness is killing me.» Continuai poi a cantare la strofa, mentre la voce di Alison faceva da coro.
Nell’istante esatto in cui la bionda alla radio pronunciava le ultime parole della canzone, io ed Alison ci guardammo di sfuggita e non evitammo di ridere divertite. Quando ci tranquillizzammo, notai che Alison si guardava attorno, stranita. «Emma, sai dove siamo al momento?» Mi domandò, come se avessi in testa la mappa dell’intera Inghilterra.
«E io che ne so?» Le risposi, alzando le spalle.
«Ma come che ne sai? Dove siamo finite, adesso?» Domandò indicando gli alberi che ci attorniavano come in una gabbia. Il suo tono di voce si era fatto leggermente stridulo, decisamente arrabbiato. Ciò fece arrabbiare anche a me.
«Non mi sembra di essere il tuo GPS privato, Alison.» Ribattei secca.
«Perché ‘sto coso non si accende più?» Continuò come se non avessi parlato, picchiettando insistentemente sull’oggetto che fino a poco fa funzionava perfettamente. Finché non l’avevo toccato io.
«E io cosa posso saperne?»
«Tutta colpa tua. È tutta colpa tua. Se non mi avessi distratto con la canzone a quest’ora saremmo già arrivate, probabilmente!» Sbottò irata, frenando in un piccolo campo sterrato.
«Colpa mia? Non è colpa mia. Tu eri alla guida, avresti dovuto stare attenta e non farti distrarre da nulla. Insomma, è così che si fa, no?»
In pochi secondi finimmo per litigare, che ci portò ad essere entrambe più preoccupate. Chiusi gli occhi e respirai profondamente, prendendo il GPS e iniziando a scuoterlo come se la donna dalla voce metallica potesse uscire da esso e indicarci la strada.
«Smettila Emma! Mi rendi più nervosa così.» Dichiarò Alison, lanciandomi un’occhiataccia. Mi ammutolii e smisi di scrollare l’aggeggio infernale nelle mie mani. «Okay, okay. Niente panico. Che vuoi che sia? Weston Park sarà qua attorno, da qualche parte.»
Guardando attraverso il finestrino, mentre Alison ripartiva, notai che il paesaggio era tutto inquietantemente uguale. Ogni albero o campo sembrava identico a quello precedente. Notando che mi stavo innervosendo Alison ricominciò a parlare. «Potremmo chiedere a qualcuno.» Disse in tono pratico.
«Oh certo, perché non a quella mucca laggiù?» Ribattei piccata in tono sarcastico. «Oppure a quell’albero. Sembra gentile e disponibile.» La verità era che eravamo completamente sole, ai confini del mondo. Okay, forse stavo esagerando. Solo leggermente.
«Il tuo sarcasmo pungente non ci aiuterà a trovare la strada, Emma.» Dichiarò asciutta.
«Hai ragione. Ma se questo diavolo di coso iniziasse a funzionare magari potremmo riuscire a...» Iniziai a dire, sbattendo il GPS con foga per aria e colpendo per sbaglio la portiera, producendo un rumore secco.
«Emma! Lo stai distruggendo!» Esclamò la rossa inorridita dal mio gesto brusco. «Stai distruggendo la nostra unica possibilità di salvezza.» Poi ero io quella che stava esagerando.
«Sì è acceso!» Notai improvvisamente, quando il piccolo schermo di colorò di azzurro. Dopo un po’ comparve il nome della marca del GPS, e in men che non si dica ricominciò a funzionare perfettamente, o quasi. Quando digitai la meta, notammo che la voce femminile di poco prima era stata sostituita da una leggermente più greve, come se il GPS si fosse rotto.
«Forse ho davvero esagerato.»  
«Non importa, è meglio così. La voce di quella donna iniziava a darmi sui nervi.» Dichiarò Alison prima di ripartire e facendomi inevitabilmente ridere. Un po’ per ciò che aveva detto e un po’ per il capovolgimento della situazione.
 
Quando arrivammo - circa un’ora più tardi - Alison parcheggiò poco distante da dove avevamo posto le palizzate in ferro. Scendemmo insieme dalla macchina, e qualche minuto dopo sentii qualcuno fare il mio nome, o meglio, quello di Perrie. Mi girai e vidi Jade, Leigh-Anne e Jesy venire verso di me. Le salutai con la mano, dopodiché - prima che potessero essere troppo vicine - diedi una debole gomitata ad Alison. «Vedi di non fare o dire cose che sbagliate al momento sbagliato.» Le sussurrai. La vidi alzare gli occhi al cielo, leggermente divertita dalla mia reazione.
«Va bene mamma, sarò muta come un pesce.» Rispose sarcastica, facendomi sorridere. «Fidati di me.» Aggiunse. Come se fosse facile, pensai tra me e me.
«Perrie! Sei qui, finalmente. Pensavo non sareste mai arrivate.»
«Già. Abbiamo fatto un leggero ritardo.» Ridacchiai. «Chissà di chi è la colpa.» Aggiunsi, beccandomi un’occhiataccia da parte di Alison.
«Tu devi essere Alison.»
«Esattamente. Sono una sua...»
«Una mia lontana parente.» Mi affrettai a dire. «Venuta a trovarmi da molto lontano...»
«Oh ma è fantastico. E da dove di preciso?» Domandò Jesy mentre un uomo ci consegnava a badge come il giorno precedente.
Di dove? Ora che le avrei detto? «Scozia!» Borbottai in un improvviso lampo di genio. Le ragazze rimasero a guardarmi per qualche secondo con volto stranito, senza dire una parole. «Scozia? Praticamente l’altra parte del mondo.» Riuscì a dire Leigh in tono poco convinto.
«Già.» Ridacchiai. Fortunatamente non avrei dovuto inventarmi altre cose sulla vita di Alison, poiché avrebbe partecipato solamente al concerto che si sarebbe tenuto quella sera. O così ero convinta.
Mentre le ragazze chiacchieravano con la rossa, io mi guardavo attorno, sollevata poiché non mi sembrava di vedere Zayn o altri membri dei One Direction attorno. La mia supposizione sul fatto che non ci sarebbero stati era giusta, notai facendo comparire un sorriso sghembo sul volto. Quando mi girai nuovamente notai che Alison aveva indossato il badge sul collo. Lo guardai per qualche secondo, confusa. Improvvisamente capii. No, no, no. «Aspetta  un attimo, tu avevi detto che saresti venuta solo al concerto. Quindi questo badge non ti serve.» Sussurrai alla rossa.
«Be’, Jade mi ha chiesto se avevo voglia di passare il tempo con la mia cara cuginetta. Come potevo dirle di no?»
«Rovinerai tutto, ne sono sicura.» Dichiarai, dopodiché la presi per un braccio, salutando le altre e allontanandomi assieme a lei. Se proprio avrebbe dovuto stare assieme a me, l’avrei portata più lontano possibile dalle ragazze, o da chiunque altra persona si trovasse lì quel giorno. 
«Insomma Emma, non ti fidi di me neanche un po’. Di solito è il contrario.»
«Qui sono Perrie, per chiunque, okay?» Affermai in tono fin troppo alto.
«Emma?» Qualcuno mi chiamo. Era una voce calda e profonda - oltre che fin troppo famigliare - una voce che non mi sarei mai aspettato avrebbe fatto il mio nome. Il mio vero nome. Mi girai lentamente, trovandomi a poca distanza da me niente poco di meno che Zayn. Zayn Malik. Oh, merda.
«Lui conosce la tua vera identità?» Chiese Alison ad un volume di voce talmente basso che la sentii a malapena, mentre osservava curiosa il ragazzo che avevamo davanti. Nel frattempo io ero pietrificata. Cosa diavolo ci faceva lui, qui? E soprattutto, quando gli avevo detto come mi chiamavo veramente?
A quell’appuntamento, giusto. Ero stata una vera idiota. «Emma? Preferisco essere chiamata Perrie.» Dichiarai a Zayn in tono sbrigativo. Mi ero ripresa dall’iniziale sorpresa, e mi ero calata nel ruolo dell’indifferente. Il ragazzo mi guardò leggermente confuso, dopodiché mi sorrise dolcemente. Probabilmente pensava che le sue doti da ammaliatore avrebbero funzionato con la sottoscritta. No di certo.
«Sono contento di vederti qui.» Continuò. «Harry e Niall mi hanno detto di averti vista ieri.» Mentre mi parlava, si arrestò improvvisamente, notando che Alison lo guardava incuriosita. «E lei chi è?» Mi chiese indicando Alison con il capo.
Mi girai a guardarla. «Nessuno di importante.» Liquidai la faccenda, iniziando a incamminarmi per il parco. Alison sembrò capire di doverci lasciare da soli - anche se non era esattamente ciò che volevo - e se ne andò con una scusa.
Entrambi la guardammo allontanarsi, e fu lui a riaprire bocca dopo qualche secondo di completo silenzio. «Mi dispiace davvero tanto non averti richiamato Em... Perrie.» dichiarò lui una volta che fummo soli. Senza che me ne accorgessi si era avvicinato a me. Indietreggiai impercettibilmente e accorgendosene, aggrottò lievemente le sopracciglia per poi tornare alla sua espressione iniziale, che sembrava realmente dispiaciuta. Per qualche istante il mio comportamento restio e la mia sfiducia nei suoi confronti vacillarono, ma durò solamente qualche secondo.
Il fatto che tu abbia un naso perfettamente dritto non ti da il diritto di far passare una settimana prima di richiamare una ragazza, pensai infastidita dai suoi tentativi di scuse. Ma che dico? Non mi ha nemmeno richiamata. Se non ci fossimo incontrati casualmente qui al V Festival con ogni probabilità avrebbe fatto passare un’altra settimana.
Cercai di riportare la mia attenzione su ciò che il moro stava dicendo. «...Insomma, chi meglio di te potrebbe capire gli impegni che noi cantanti abbiamo?» Peccato che io - non essendo esattamente chi pensi che sia - non posso assolutamente capire.
Nonostante i pensieri negativi che mi vorticavano insistentemente per la mente, cercai di sorridere, e annuii convinta. «Certo che capisco, davvero. Non importa Zayn, cosa vuoi che sia?» Dissi, con un tono di voce esageratamente mellifluo e comprensivo. «Insomma, non ho mica aspettato di ricevere tue notizie per tutta la settimana.» Ridacchiai. «In realtà me n’ero proprio dimenticata de nostro appuntamento. Insomma, non è stato niente di speciale, non trovi?»
Mi ero anche dimenticata del nostro quasi primo bacio. Non ci pensavo mai. Neanche una volta da quando Zayn se n’era andato lasciandomi lì, come un’idiota ad aspettare qualcosa che non sarebbe mai arrivato. Non avevo proprio contato le nove volte in cui ci avevo pensato quel giorno. Pensato a cosa poi? Quale quasi bacio?
Dopo ulteriori scuse Zayn si zittì e sfoggiò un sorriso improvviso, guardandomi da capo a piedi. «Sei bellissima oggi.» Dichiarò, facendomi sussultare per improvviso complimento.
Cercando di non dare peso alle sue parole, annuii vigorosamente. «Sì, probabilmente hai ragione, oggi sono davvero bellissima.» Ribattei per dimostrargli che le sue parole - no -  non mi avevano affatto scalfito. «Be’, ciao Zayn.» Aggiunsi, allontanandomi.
Il moro aggrottò le sopracciglia, sorpreso dal mio comportamento. Davvero si aspettava che sarei rimasta assieme lui? E magari avremmo anche passato tutto il pomeriggio a chiacchierare, bere e divertirci.
«Aspetta un attimo, dove vai?» Domandò dopo essersi ripreso dalla sorpresa iniziale.
Mi girai verso di lui, agitando la mano in segno di saluto. «Mi dispiace ma ho altro da fare, sai, impegni da star. Ma tu mi capisci Zayn, non è così?» Ribattei sarcastica, scimmiottandolo leggermente.
Ero o non ero al V Festival? Quale migliore occasione per incontrare i migliori cantati attuali? Non avevo tempo da perdere con un ragazzo che pensa solo al lavoro. Dentro di me avevo utilizzato ancora quel tono stizzito. Questo sicuramente non significava che mi importasse di ciò che Zayn aveva - o meglio - non aveva fatto.
Il ragazzo mi guardò mentre mi allontanavo, con in volto un espressione corrucciata. Certo che devo proprio essere insopportabile, a volte.
 
Camminai per qualche metro fino a ritrovarmi quasi senza accorgermene, a parlare con un gruppetto di ragazze, tutte davvero simpatiche. Chiacchierammo per qualche minuto finché, notai Zayn avvicinarsi pericolosamente. Mi raggiunse, e salutò le altre con un sorriso, spostando poi lo sguardo su di me. Cosa vuole ancora? pensai infastidita, aspettando che aprisse bocca, però ciò non avvenne. Rimase in silenzio mentre una delle ragazze parlava del concerto del giorno precedente. Cercai di non dare peso al fatto che il moro continuasse ad osservarmi, senza però dire una parola. Risultava snervante. «Scusate ragazze, ma ora devo andare. È stato un piacere conoscervi.» Mi congedai, sperando che Zayn non continuasse a seguirmi.
Mi fermai nuovamente solamente quando vidi Jesy e Leigh-Anne mentre parlavano con quello che riconobbi come l’ennesimo membro dei One Direction. Mi avvicinai a loro, partecipando al loro discorso. In una manciata di secondi venni raggiunta nuovamente da Zayn. Sbuffai infastidita, cercando di ignorarlo. «Allora Liam» iniziai a dire, spostando lo sguardo verso il castano. «Come va la band?» Chiesi educatamente.
«Va molto bene, e ho notato con piacere che anche a voi va bene. Di recente avete vinto un premio agli Ema, non è così?»
Io, Jade e Jesy incrociammo i nostri sguardi sorridendo al ricordo della premiazione. «Esattamente.» Disse poi Jade, sorridendo fiera.
Improvvisamente, Zayn aprì bocca. «Continuerai ad ignorarmi bellamente ancora per molto?» A queste parole chiusi gli occhi per un secondo, prendendo un respiro profondo. Proprio nel momento in cui ero riuscita ad ignorare perfettamente la sua presenza.
«Esattamente. Noto con piacere che sei molto perspicace.» Gli risposi senza nemmeno guardarlo, con un tono di voce lievemente stucchevole. Avrei fatto il suo gioco, se era quello ciò che desiderava.
Mentre parlavo della premiazione, notai che Jade, Jesy e Liam continuavano a lanciarsi sguardi preoccupati, spostandoli poi verso me e Zayn.
«Ma che sta succedendo?» Domandò Jade dopo un attimo di confusione.
«Assolutamente nulla.» Ribattei prontamente.
«Ha ragione, non sta succedendo niente. È solo arrabbiata con me per chissà quale motivo.» Aggiunse Zayn, parlando con Jade e gli altri, ma continuando a guardare me. Sollevai il sopracciglio destro, scuotendo leggermente la testa, indispettita. Ma davvero non sapeva il motivo per cui ero arrabbiata?
«Oh, ma davvero?» Sbottai improvvisamente, puntando finalmente gli occhi chiari nei suoi e assottigliando lo sguardo. Forse il mio tono fu piuttosto alto, poiché Liam e le ragazze, fecero un piccolo passo indietro e in men che non si dica si allontanarono, lasciandoci soli.
Passammo i primi secondi avvolti in un silenzio imbarazzante, evitando il più possibile di incrociare i nostri sguardi. Nel momento esatto in cui alzai la testa Zayn spostò il suo sguardo su di me, e in un secondo tutto cambiò. Il mio cipiglio scomparve, e lo stesso fu per lui. Non riuscivo a smettere di guardarlo, era come se i nostri occhi fossero incatenati tra loro, legati da qualcosa di invisibile e profondo. Tutto attorno a noi appariva sfocato e il continuo vociare fastidioso, giungeva ovattato. Il mio cuore perse un battito, mentre la consapevolezza che il ragazzo che avevo di fronte fosse per me più importante di quanto avessi creduto fino a quel momento, si faceva spazio nella mia mente.
Zayn mi studiò per qualche secondo. Le labbra serrate e le sopracciglia aggrottate. «Immagino tu stia bene proprio come non sia arrabbiata con me.» Disse alla fine, in tono serio che faceva trasparire un leggero scherno.
Okay. Zayn uno, Emma zero.
«E va bene, Mr. Naso Perfetto Malik» iniziai, prima che mi fermasse.
«Come mi hai chiamato?» Domandò ridacchiando. Sì, come se non mi avesse sentito. Lo liquidai con un gesto indifferente della mano, e continuai il discorso. «Non mi interrompere. Vuoi sapere il motivo per cui sono arrabbiata? Perché mi hai praticamente snobbata per un’intera settimana! Insomma, immagino che tu non abbia avuto neanche un minuto di tempo libero, ma non credo sia così difficile prendere in mano il cellulare e scrivere un semplice messaggio. Avrei gradito, sai?» Dichiarai, sospirando pesantemente, come se avessi trattenuto il respiro per i minuti precedenti. Notando che Zayn non accennava a rispondermi, continuai. «Sembra che ti interessi a me solamente quando mi hai davanti, capisci? Quanto tempo ancora sarebbe passato se non ci fossimo incontrati casualmente oggi?»
«In realtà, io sono venuto per te, Perrie. Niall mi aveva detto di averti visto ieri, così ho deciso di venire, sperando di trovarti.» Disse semplicemente, alzando le spalle e guardandomi. «Anche se so che non è una scusa abbastanza convincente. Mi dispiace per averti fatto pensare di non essere importante. Nel senso che... be’, hai capito, no?»
In quel momento Zayn sembrò quasi... in difficoltà, imbarazzato. Gli mostrai un sorriso sornione. «No, in realtà non ho capito.» Buttai lì, spostando la testa leggermente verso di sinistra, come ad aspettare una risposta dal moro.
Lui sembrò capire il mio gioco e scosse la testa. «Non sei divertente. Hai capito benissimo ciò che intendevo.»
«Okay hai ragione, ma devo ammettere che mi piace molto lo Zayn timido e impacciato. Quasi più di quello normale.»
«E chi ti ha detto che non sia questo il vero Zayn?» Fu la sua risposta.
«Si dal caso che prima o poi lo scoprirò.»
 
Il resto del pomeriggio lo passai con Zayn. Sembrava che quel giorno, a Weston Park, ci fossimo solamente noi e non migliaia di persone. Solo io e lui. Gli raccontai molto più di quanto avessi dovuto, ma non me ne pentii.
Quel giorno scoprii che Zayn era uno di quei ragazzi che amano ascoltarti senza interromperti neanche per fare domande, che ridono alla tue battute scadenti, ma non ridono della battuta in sé, più che altro del modo in cui la dici. Uno di quei ragazzi che riescono a farti sentire sicura di te e terribilmente inadeguata nello stesso momento. Quel giorno scoprii che Zayn era il primo ragazzo che da tanto tempo a quella parte mi aveva fatto sentire scombussolata.
Quella stessa sera, invece di partecipare al concerto che si stava tenendo, io e il moro decidemmo di continuare a parlare, come avevano fatto parte delle persone. Prendemmo da bere - entrambi una birra - e ci sedemmo in un paio di sedie libere accanto ad uno dei tendoni che avevano allestito. Era ormai buio, e una brezza leggera - tipica delle giornate di fine agosto - si era alzata, facendomi rabbrividire leggermente. Mi strinsi nel maglioncino nero che avevo indossato da poco e presi l’ennesimo sorso di birra. Il silenzio era nuovamente sceso tra noi.
«Sai una cosa, Perrie?» Convenne Zayn, poggiando la bottiglia di birra ormai vuota sul prato umido. «Passando del tempo con te ho capito che a volte tu sia una vera rompipalle.» Snocciolò tutto d’un fiato, facendomi a malapena capire tutta la frase. Feci per ribattere, ma venni zittita con un gesto della mano. «Trovo anche che sia petulante e immatura, talvolta.»
«Hey» ribattei, infastidita dalle sue parole. «Io non sono affatto petulante, né tantomeno immatura.» Tra di noi scese un silenzio carico di significato, distratto dalle chiacchiere e dalla musica. «Okay, a volte - e dico a volte - potrei sembrarlo.»
«Certo, a volte.» Fu la sua risposta.
«E va bene, hai vinto tu. Lo sono spesso, anche più di quanto vorrei. Ma ti concedo il petulante, non immatura. Affare fatto?» Sostenni, sporgendomi verso di lui e allungando la mano come se dovessimo stringere un accordo.
Strinse la mano sorridendo. «Affare fatto.»
«Tu non sei da meno, però. Oggi non hai fatto altro che bloccare ogni mio tentativo di socializzare con personaggi famosi. Insomma, quando credi mi possa ricapitare un occasione del genere?»
«Credo sempre, ora che tu e le ragazze state acquistando notorietà.» Replicò in tono piuttosto ovvio.
Ah giusto, le Little Mix. Sono Perrie, non Emma pensai. Era un dettaglio che mi capitava spesso di dimenticare. Cercai immediatamente di sviare il discorso ad altro. «Comunque, io sarò quella petulante, ma almeno so ballare.» Buttai lì con finta indifferenza.
«E questa informazione da chi l’hai avuta?»
«Oh, sai com’è, in giro se ne parla davvero un sacco.» Scherzai, facendolo ridere. Smise improvvisamente di farlo e iniziò a guardarmi intensamente, come per studiarmi. «Sei diversa da come mi eri sembrata la prima volta che ci siamo incontrati, sai?» Disse poi, come traendo le sue conclusioni.
«Davvero? E ti piace questo mio essere così diversa da quel primo giorno?»
Assottigliò gli occhi e il suo sguardo su di si me si fece inevitabilmente più intenso e penetrante. «Mi fa impazzire.» Ribatté prontamente, senza esitazioni, con un tono di voce leggermente roco. Fummo entrambi automaticamente più vicini, come se avessimo capito che era arrivato il momento esatto. Se non fosse stato per me, ovviamente.
«Non credi che baciarci in questa situazione - luna piena, musica in sottofondo e quant’altro - sia come una di quelle patetiche romantiche scene da film?» Azzardai, mordendomi immediatamente la lingua, poiché baciarlo era la cosa che in quel momento desideravo di più al mondo. Ma ovviamente se non rovinavo i momenti perfetti non ero contenta.
«Oh ma ti prego, ‘sta zitta!» Sbottò Zayn, facendomi ridere di gusto.
«Come rovinare il momento perfetto. Conosci la definizione di romantici...» Scherzai, poco prima di sentire la pressione delle sue labbra calde sulle mie, in quello che se non fosse stato un bacio - un dei gesti che più simboleggiano il romanticismo - sarebbe sembrato semplice e naturale come respirare. Non potei fare a meno di sorridere nel bacio, prima che Zayn mi mettesse una mano sulla guancia, facendomi rabbrividire, e approfondisse il bacio.
Dio, se ne era valsa la pena di aspettare.
Passammo il resto della serata a fare ciò che avevamo fatto fino al momento del bacio, se non per il fatto che ogni tanto Zayn si avvicinava quietamente a me e posava le labbra sulle mie, senza quasi che me ne rendessi conto.
Avevo passato la serata avvolta in uno strano stato di euforia, e poco prima che mi avvicinassi a lui per una tacita richiesta di un bacio, una grossa goccia di pioggia mi bagnò il viso, facendomi indietreggiare per la sorpresa. Alzai lo sguardo verso l’alto, e in men che non si dica a quella goccia ne seguirono altre, più veloci e numerose. Immediatamente mi alzai, seguita da Zayn, e assieme andammo alla ricerca di un tendone libero per ripararci dall’improvviso temporale. I tendoni erano per la maggior parte occupati e troppo pieni, ma finalmente dopo una lunga ricerca ne trovammo uno che poteva ospitarci assieme.
Mentre aspettavamo impaziente che la pioggia - che batteva insistentemente sui tendoni - smettesse, o per lo meno si attenuasse, mi tastai i capelli, constatando che erano fradici e stavano iniziando ad arricciarsi per l’umidità.
Mi schioccai la lingua, mentre con le braccia cercavo di scaldarmi. L’istante successivo sentii avvolgermi da braccia calde, e girandomi notai Zayn che mi sorrideva, cercando di farmi stare al caldo. Mi irrigidii per un secondo, sorpresa da quella sua mossa inaspettata, ma quando il ragazzo spostò lo sguardo, cercando di non farmi sentire in imbarazzo, mi sentii meglio. Il mio cuore batteva all’impazzata, mentre sentivo che i muscoli iniziavano lentamente a distendersi.
Improvvisamente, sentii una voce acuta e femminile a qualche metro di distanza da dove ci trovavamo in quel momento.
«Emma! Cioè, volevo dire, Perrie!» Quando sentii il mio nome mi staccai involontariamente da Zayn, cercando di capire chi mi chiamasse. Vidi una figura femminile, con una massa di capelli ricci e rossi, che con la pioggia era diventata ancora più ribelle del solito, e capii che era Alison.
«Credo di dover andare adesso.» Dissi dispiaciuta. «Mia cugina è qui.»
«Oh, certo. Anche io devo andare, Liam è lì che mi aspetta.» Disse indicando il suo amico con un cenno veloce del capo. Annuii silenziosamente, ma entrambi rimanemmo fermi per quelle che parvero ore.
«Ti chiamo.» Disse lui, sicuro delle sue parole.
«Lo farai?» Domandai alzai lo sguardo, speranzosa.
«Lo farò.» Aggiunse, allontanandosi lentamente. Io lo imitai, girandomi verso Alison che nel frattempo mi aveva individuata e raggiunta.
«E quello chi era?» Chiese curiosa, mentre ci dirigevamo alla sua macchina.
«Ma chi, quello?» Le chiesi indicando distrattamente Zayn che si stava allontanando con Liam. «Nessuno di importante.» Dichiarai, alzando le spalle e sorridendo tra me e me.
 
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Capitolo 16
*** Time for the truth. ***


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Time for the truth.                                                                                                                                                                          Perrie.
 
Il debole e regolare ticchettio dell’orologio da parete era l’unico rumore che proveniva dall’interno del piccolo negozio in cui lavoravo, e scandiva il lento ed estenuante scorrere del tempo facendomi innervosire. Sospirai rumorosamente per l’ennesima volta in quella giornata e poggiai i gomiti sul bancone, sorreggendo la testa con la mano destra e guardandomi attorno con aria annoiata. Attraverso le grandi vetrate – che Alison mi aveva obbligato a lucidare solo poche ore prima – sembrava che il tempo trascorresse molto più velocemente. Le persone camminavano freneticamente da una parte all’altra della grande via cittadina, chiacchierando, parlando al telefono, ascoltando la musica; insomma, occupando il tempo in maniera adeguata a differenza di me, bloccata in quelle quattro mura senza alcuna possibilità di uscita.
L’unica mia distrazione era poter osservare Aaron, posto solo qualche metro a distanza da me, che sistemava meticolosamente gli album nei rispettivi scaffali. Portava un paio di occhiali da vista dalla montatura nera e spessa, che gli donavano un’aria intelligente, rendendolo terribilmente sexy ai miei occhi.
All’improvviso il ragazzo alzò lo sguardo come se si fosse accorto che lo stavo osservando, incontrò i miei occhi e si aprì in un sorriso dolce e caloroso, che ebbe l’effetto di farmi provare più caldo di quanto già non avessi. Ricambiai con un sorriso incerto e alzai la mano per salutarlo, tornando alla mia occupazione e cercando di focalizzare la mia attenzione su qualcos’altro.
Mentre osservavo con aria assorta i poster appesi alla parete che ritraevano le più grandi band mai esistite, non mi accorsi che Aaron si era avvicinato a me con passo felpato, sventolandomi l’album di una vecchia band famosa davanti agli occhi «Probabilmente ascoltare musica ti sarà d’aiuto, almeno eviterai di addormentarti.» Disse mentre inseriva il nel  vecchio lettore cd ciò che aveva deciso di farmi ascoltare.
La mia risposta fu un semplice sorriso annoiato e grato allo stesso tempo. Mentre per tutto il negozio si diffondevano le prime note di una canzone famosa, Aaron si avvicinò a me, con un gesto veloce gli alzai gli occhiali che gli erano calati sul naso e mi ringraziò rubandomi un bacio fugace, poco prima che Alison ritornasse dal magazzino e ci lanciasse un’occhiata tutt’altro che rassicurante. La rossa mi raggiunse dietro il bancone e iniziò a sfogliare distrattamente una rivista trovata lì per caso, mentre io tornavo al mio passatempo preferito, guardare Aaron al lavoro, cercando di farmi notare il meno possibile dalla ragazza che avevo accanto.
Proprio nel momento in cui spostai lo sguardo per guardare l’ora, Aaron dall’altra parte del negozio, mi rivolse la parola. «Oh, guarda. Ho trovato l’album del gruppo di quella ragazza che ti somiglia tanto, Emma.» Disse, guardando la foto incuriosito e spostando lo sguardo su di me. I suoi occhi mi scrutavano e studiavano eccessivamente, così cercai di comportarmi come avrebbe fatto Emma. «Smettila Aaron, lo sai quanto mi da sui nervi quando mi mettono a confronto con quella tipa là.» Buttai lì a casaccio, notando quanto iniziassi a somigliare alla ragazza nel modo leggermente scorbutico di pormi. Ben fatto, mi dissi fiera, annuendo solennemente.
«Hai ragione. In effetti non vi assomigliate affatto.» Disse il ragazzo, cercando probabilmente di ottenere il mio consenso e facendomi ridere sotto i baffi. Il mio sorriso divertito si spense quando spostando il mio sguardo notai Alison che mi stava fissando con un espressione tutt’altro che divertita o minimamente serena. Inizialmente mi chiesi cosa avessi fatto di male per meritarmi il suo famoso sguardo inceneritore. Ricambiai con sguardo con espressione confusa, finché lei non mi prese bruscamente per un braccio, portandomi accanto a uno dei tanti scaffali del negozio, non prima di aver detto ad alta voce e in modo eccessivamente stucchevole perché potesse essere considerato credibile un: «Vieni un attimo Emma, ho bisogno di parlarti di una cosa urgente.»
«Cosa ho fatto stavolta?» Le chiesi ancora prima di essere attaccata.
«Cosa non hai fatto vorresti dire» rispose lei prontamente. «Ti avevo esplicitamente chiesto.» Si certamente, chiesto, pensai alzando mentalmente gli occhi al cielo. «Di raccontare la verità ad Aaron, Perrie! Avresti dovuto farlo giorni fa. Ora capisco perché sembrate ancora una coppia felice e nauseante. Perché non l’hai fatto?» Domandò, puntandomi gli occhi verdissimi addosso.
Mi grattai la nuca, incerta su come rispondere. «Be’, diciamo che… diciamo che stavo aspettando il momento adatto. Non posso mica andare da lui e dirgli “senti Aaron, devi sapere che ti ho mentito spudoratamente su chi sono, niente rancori, vero?” non mi perdonerebbe mai, e tu lo sai. Devo essere un minimo preparata alla sua reazione, non trovi?»
Alison rimase qualche secondo in silenzio, come a valutare le mie parole. «Non lo so Perrie, credo che tu debba raccontare tutto ad Aaron, e smetterla di continuare a perdere tempo. Non sarà mai il momento adatto.»
Improvvisamente sentimmo una voce maschile alle nostre spalle, che mi fece rabbrividire e per un secondo mandò in panico anche la rossa davanti a me. «Raccontarmi che cosa?» Chiese Aaron, spostando lo sguardo incuriosito da una all’altra, in attesa di una risposta. Sentii Alison imprecare a bassa voce, mentre cercavo di trovare una risposta abbastanza intelligente e soprattutto credibile. Peccato che la mia capacità di pensiero sembrava essersi dissolta nei secondi precedenti.
Stavo per aprire bocca quando sentii il tipico tintinnio della porta d’ingresso del negozio che si apriva. Tutti e tre ci girammo sorpresi, sembrava che i clienti scarseggiassero nel periodo estivo. Nessuno dei tre sembrava volersi muovere dalla propria posizione e andare dal cliente, che nel frattempo aveva iniziato a guardarsi attorno, finché Alison non spinse con decisione Aaron di peso verso la ragazza, costringendolo a lasciare la nostra conversazione in sospeso.
Mi aspettai un’imminente ramanzina mentre il moro era occupato con il cliente, ma ciò che invece la rossa mi disse fu totalmente diverso e soprattutto inaspettato. «Hai ragione Perrie, non possiamo dirglielo ora, non in questo modo. Anche perché dovrai essere tu a farlo, non appena avrai messo insieme qualcosa di intelligente da dire ad Aaron. Non sarà affatto facile…» Disse più a sé stessa che a me, come se fosse realmente preoccupata di come potesse reagire il ragazzo quando gli avessi rivelato tutto. Il suo comportamento non fece altro che mandarmi ancora più in panico, facendomi desiderare di scappare da quella seconda vita così, senza preavviso. Come potevo raccontargli tutto cercando comunque di mantenere quel rapporto di fiducia che dovrebbe esserci in ogni coppia?
La fiducia sta alla base di ogni relazione, mi dissi, quindi un rapporto iniziato senza di essa non poteva che finire male.
Rimasi in silenzio per qualche secondo, mentre osservavo Aaron che con un sorriso professionale ma sincero allo stesso tempo dipinto in volto, aiutava la cliente nella scelta dell’album. Intanto mi chiedevo quale sarebbe stato il modo migliore per confessargli tutto, evitando di farlo soffrire più del necessario.
Non lo trovai.
Il resto delle ore in negozio passarono stranamente veloci, mentre nella mia mente prendeva lentamente forma il discorso che avrei fatto ad Aaron alla fine del turno di lavoro. Gli avrei detto tutto, sperando che mi perdonasse. Nel frattempo cercavo anche di evitarlo, con la paura che mi chiedesse spiegazioni. Sapevo che non era il giusto comportamento, ma avevo paura. Ero terrorizzata all’idea di parlare con lui in quel momento, o anche solo di incrociare il suo sguardo. Quando la cliente era uscita dopo l’acquisto, avevo deciso di perdermi tra gli scaffali colmi di album, sperando che Aaron non si chiedesse dov’ero finita. Nel frattempo pensavo, mi creavo un discorso che fosse il più chiaro, convincente e non lo ferisse, non troppo almeno.
Verso le cinque e mezza Alison se ne andò, lasciando me e Aaron, completamente da soli, non prima di avermi ulteriormente spinto a parlare con il ragazzo. Mentre riponevo in ordine gli album, notai Aaron che si allontanava. Tirai un sospiro di sollievo, sapevo che nascondermi non era esattamente la cosa giusta da fare, ma in quel momento ero troppo agitata per pensare a cosa era giusto e cosa sbagliato. Tornò dopo qualche minuto, ma feci finta di non essermene resa conto.
«Ho fatto qualcosa di sbagliato?» Mi domandò improvvisamente Aaron, spezzando quell’opprimente silenzio che si era creato. Alzai la testa di scatto, incontrando il suo sguardo. Gli occhi verdi brillavano nonostante la luce tenue che illuminava la stanza, oppure era solamente una mia impressione. Inizialmente non risposi, non sapevo cosa dire. «Se è così, mi dispiace tanto, qualunque cosa sia.»
Non sei tu quello che si deve scusare, ma io. Pensai, alzandomi e avvicinandomi a lui, che era posto accanto al bancone. Mi avvicinai quel tanto che bastava per poterlo toccare e gli carezzai la guancia con la mano fredda, che lo fece fremere. Quando arrivò il momento di parlare con lui cercai di infondermi tutto il coraggio possibile, dicendomi che prima o poi mi avrebbe perdonato. Almeno speravo. «Tu non hai fatto assolutamente, la colpa è mia. Io... devo parlarti. Di una cosa piuttosto importante.» Gli dissi, cercando di mantenere un tono calmo e distaccato.
Sugli occhi di Aaron passò un lampo di sorpresa, ma in pochi secondi ritornò alla sua espressione iniziale, distogliendo però lo sguardo da me. «Oh, certo. Fammi sistemare un attimo in magazzino, possiamo parlare mentre ti riaccompagno a casa.» Annuii, ma lui non poté vederlo perché si era già allontanato.
I minuti che precedevano la chiusura del negozio furono in assoluto i più lunghi della mia vita. Aaron sembrava essere scomparso da quando poco prima si era intrufolato nel magazzino. Decisi di uscire sulla strada, stranamente il rumore delle macchine che sfrecciavano e il venticello fresco che soffiava, avevano la capacità di tranquillizzarmi, almeno in parte.
«Andiamo?» Sentii dire da una voce maschile alle mie spalle. Mi girai verso il ragazzo e annuii lentamente, aspettando di incamminarmi accanto a lui.
I primi minuti li passammo avvolti in un silenzio opprimente. Le luci dei lampioni era l’unica cosa che illuminava le strade cittadine, creando un effetto allungato alle nostre ombre. Ogni tanto lanciavo quasi involontariamente un’occhiata al moro, come se aspettassi di sentirlo dire qualcosa, anche solo un incitamento ad iniziare il discorso. Così non fu. «Ti starai chiedendo cos’abbia di così importante da dirti.» Iniziai, rendendomi conto di quanto stessi tergiversando. Il motivo era semplice: non ero pronta per lanciare la bomba.
«Sì insomma, è da questo pomeriggio che ti comporti in modo strano, e non capisco cosa possa essere successo. Non lo capisco davvero.»
«In realtà questa cosa è iniziata da molto prima, solo che non ho mai trovato il momento giusto per dirt...» Il mio discorso fu improvvisamente bloccato da un telefono che suonava, il mio. Il volume della suoneria era alto e fastidioso, e si impose contro la nostra volontà. Guardai il display e vidi che era Emma. Decisi di ignorare la chiamata senza tanti complimenti. L’avrei richiamata più tardi.
Rimisi il cellulare in tasca, dopodiché tornai a guardare Aaron. «Stavo dicendo che...» Qualche secondo dopo il cellulare ricominciò a squillare insistente. Infastidita lo presi e feci per spegnerlo, ma Aaron mi bloccò.
«Deve essere importante, forse è meglio se rispondi.» Disse, annuendo lentamente.
Premetti il tasto di risposta allontanandomi di qualche metro da lui, decisa a gridare a Emma il mio fastidio per ciò che aveva appena interrotto, di nuovo. «Cosa cavolo ti prende, Emma?» Sibilai, mantenendo comunque un tono di voce basso.
«Perrie! Grazie al cielo hai risposto. C’è un enorme problema da risolvere, devi raggiungermi il prima possibile. Ti prego.» Disse, lasciandomi sorpresa dal tono affrettato con cui pronunciò quelle parole. Sembrava davvero allarmata. Cosa poteva essere successo, stavolta?
 
 
 
 
 Spazio autrice:

Non ci crederete mai, ma sono tornata. Dopo mesi e mesi, e mesi. Cavoli, chi l'avrebbe mai detto che ci avrei impiegato così tanto per un capitolo di (semi)passaggio? Sono stata assorbita talmente tanto dalla scuola che non ho avuto tempo per scrivere, anche durante le vacanze di Natale. Ma ora eccomi qui, sono ufficialmente tornata. Magari questo non è il capitolo bellissimo e interessantissimo che vi aspettavate, ma c'è un ma: dal prossimo capitolo in poi succederanno mooolte cose. Davvero poco piacevoli. Qualcuno scoprirà la vera identità delle ragazze, e... non vi dico nient'altro. Cosa succederà? Perrie dirà tutto ad Aaron? Cosa pensate che stia accadendo a Emma? Si sistemerà tutto? Lo scoprirete, presto. Becks.
 
 
 
 

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