Anche contro il tuo sangue?

di _Noodle
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I Capitolo. ***
Capitolo 2: *** II Capitolo. ***
Capitolo 3: *** III Capitolo. ***
Capitolo 4: *** IV Capitolo. ***
Capitolo 5: *** V Capitolo. ***
Capitolo 6: *** VI Capitolo. ***
Capitolo 7: *** VII Capitolo. ***
Capitolo 8: *** VIII Capitolo. ***
Capitolo 9: *** IX Capitolo. ***
Capitolo 10: *** X Capitolo. ***
Capitolo 11: *** XI Capitolo. ***
Capitolo 12: *** XII Capitolo. ***
Capitolo 13: *** XIII Capitolo. ***
Capitolo 14: *** XIV Capitolo. ***
Capitolo 15: *** XV Capitolo. ***
Capitolo 16: *** XVI Capitolo. ***



Capitolo 1
*** I Capitolo. ***


Il suo Incanto Patronus assumeva la forma di una civetta, lo aveva scoperto quella stessa mattina durante la lezione di Difesa contro le Arti Oscure.
Chiunque avesse conosciuto a fondo Jehan Prouvaire avrebbe capito immediatamente il perchè di quell’animale, senza troppe supposizioni fantasiose: lui, come una civetta, era un predatore delle cose della notte: i libri, le ombre e i sogni.
Nominato prefetto di Corvonero all’inizio del suo quinto anno a Hogwarts, sfruttava questo privilegio per sorvegliare giorno e notte la biblioteca, luogo in cui, alla fine, erano gli altri a doversi prendere cura di lui: si perdeva dentro ad ogni volume e in tutti  cercava le risposte alle sue domande, che sebbene fossero migliaia e migliaia, non erano mai abbastanza. Jehan era assetato di conoscenza più di chiunque altro all’interno della scuola; si ricordava ancora le parole che il Cappello Parlante aveva pronunciato al momento del suo smistamento: “Sei ingegnoso, ragazzo mio, e molto, molto fantasioso. I tuoi pensieri tradiscono uno sfrontato desiderio di conoscenza che va oltre alla semplice curiosità di un qualunque studente. So esattamente in quale casa smistarti: CORVONERO!”
Inoltre possedeva una capacità innata che lo rendeva speciale, o almeno più sensibile rispetto ad un normale ragazzo della sua età: quella dello saper scrivere in versi. “I babbani li chiamano poeti”, aveva spiegato al suo migliore amico Joly (anche lui un Corvonero) quando era ancora un bambino e durante tutto quel tempo passato ad Hogwarts non aveva perso questa sua abilità, che, a dire il vero, nel mondo dei babbani da cui proveniva non era nemmeno un granché.
Jehan aveva i capelli di un biondo sporco tendente al rosso e occhi grigi tendenti al bianco, macchiati di neve: erano occhi dolci, sinceri e ingenui, come possono essere solo quelli di un bambino amante dei draghi e delle fate. Il suo volto scavato e pallido era cosparso di simpatiche lentiggini, mentre le sue labbra di meno simpatici tagli, a causa di quel brutto vizio che aveva di mordicchiarsi la bocca. Era timidissimo e arrossiva per un nonnulla, in particolare quando gli si faceva notare la cravatta fuori posto o la bocca sporca di cioccolata; tuttavia sotto quella fittissima nebbia di riservatezza vi era un animo intrepido e virile, come quello di un predatore, selvaggio e scaltro.
 
Era tornato nella sua sala comune appena dopo la lezione e vi aveva incontrato Joly, arrivato poco prima di lui. “Che velocità” aveva pensato.
Joly se ne stava appollaiato su un’enorme poltrona con lo sguardo perso nel nulla e le mani appoggiate sulle ginocchia: non aveva una bella cera (come sempre del resto). Questo giovane mago infatti era ipocondriaco. Da quando era venuto a conoscenza delle terribili e fulminanti malattie che affliggevano i babbani non aveva più vissuto nello stesso modo: girava sempre con in tasca uno specchietto, con il quale si guardava la lingua ogni volta che si sentiva inosservato. “Sei un mago Joly, queste malattie non possono colpirti!” gli ripetevano i suoi amici, ma lui, imperterrito, continuava ad analizzarsi la lingua come se non ci fosse un domani, pronto a rilasciare il proprio testamento a causa di un brufolo.
<< Joly! Sei già qui? Dalla faccia che hai non sembri molto soddisfatto del tuo Patronus di oggi! >> Ridacchiò Jehan ironizzando sul pallore del suo volto.
Joly non rispondeva. Sembrava che faticasse persino a sbattere le palpebre.
<< Joly? Ti senti bene? >> Chiese più seriamente il poeta questa volta, sedendosi per terra davanti a lui.
Joly inspirò furioso, spalancando ancora di più gli occhi.
<< È di nuovo con lei. >>
Jehan aggrottò le sopracciglia arricciando le labbra.
<< Chi è di nuovo con chi? >>
<< Quel ragazzo di Tassorosso dell’altro giorno, ricordi? Quello che passandoti affianco non ha per poco incendiato il tuo maglione >> aveva risposto con un’aria decisamente assassina.
<< Oh, sì! Adesso ricordo! >> ridacchiò il poeta << E con chi se la spasserebbe questo tuo acerrimo nemico? >>
Joly si alzò bruscamente in piedi guardando Jehan come se si fosse appena rimbecillito.
<< Come? Con lei Jehan! Sei diventato cieco, non li hai visti? È con il mio usignolo, con la mia Musichetta! >>
Jehan non poté fare a meno di scoppiargli a ridere in faccia, senza ritegno. Joly sapeva essere esilarante anche nei momenti meno opportuni; escludendo il suo stato di malato immaginario permanente, era il ragazzo più divertente che esistesse al mondo.
<< Grazie per gli sputi Prouvaire, adesso dovrò disinfettarmi la faccia e sperare che tu non mi abbia attaccato una delle più pericolose malattie babbane che esistano >> concluse lui serissimo.
<< Tranquillo Joly, sono sano come un pesce. Scusami non avrei dovuto ridere in questo modo; solo che mi fa strano pensare che una come Musichetta si accompagni ad uno come quello lì, non mi sembrava un gran cavaliere, ecco. >>
<< E se lo fosse? >> Gridò facendo un balzo per terra vicino all’amico.
<< Insomma non lo conosco, non lo posso sapere. La mia Musichetta! L’hai vista oggi? Quando ha evocato il suo Patronus era così bella, così leggiadra! Ne sono pazzo Jehan. >>
“Parli come uno del secolo scorso” pensò lui senza però far trasparire nulla. Prouvaire lo guardava intimorito, sentendosi letteralmente inutile dal momento che non sapeva cosa dirgli. Non aveva notato un particolare interesse da parte di Musichetta, una Corvonero anche lei, nei confronti di Joly, quindi illuderlo sarebbe stato sleale.
<< Perchè non provi a conoscere meglio questo fantomatico Tassorosso? Conoscere il tuo nemico non è mai azzardato, può essere utile >> consigliò un po’ incerto.
Joly era diventato paonazzo. “Ecco, sapevo che sarebbe finita così”.
<< E come faccio? Quando? Con che scusa? Non essere sciocco, dai. Ecco, adesso ho le palpitazioni e il battito accelerato. Non è bello sai? È più grave di quanto tu possa immaginare caro mio, dovrei farmi vedere immediatamente dalla professoressa… >>
<< Ora basta Joly, siediti e ascolta me. Ho tutte le risposte alle tue domande. >> Mentiva, ma con classe.
<< Lo saluti oggi, prima di pranzare e incominci a parlarci. La scusa? Non hai assolutamente bisogno di scuse per stringere amicizia con qualcuno, vai lì e ci parli. Dopo qualche discorso improntato sul generale, passi al discorso Musichetta. Nulla di più semplice. >> Joly sembrava essersi stranamente calmato, anche se nei suoi occhi si leggeva lo sguardo di uno che pensa “Tutto ciò è folle”.
<< Dovrei sapere con certezza se i miei sospetti sono fondati, se non fosse lui? Sono un caso disperato!>> Si era stravaccato per terra con le mani nei capelli. Sì, sembrava letteralmente un pazzo da ricoverare.
<< Adesso stai calmo, va bene? >> Gli disse Jehan toccandogli la testa. << Che cosa sai di lei? >>
<< So che ha la pelle bianchissima e che profuma d’erba appena tagliata. E che sebbene sia un po’ rotondetta le sue mani sono le più graziose di tutta Hogwarts. So che è molto colta e che ama da impazzire tutto ciò che è blu. >> Joly sembrava in preda ad un’estasi mistica. Che lei gli avesse rifilato un qualche filtro d’amore? Jehan non lo escludeva.
<< Credi che una così possa frequentare un tipo come quello sconosciuto? >>
<< Uccidimi Jehan, uccidimi ora, perchè non capisco più nulla. È stato bello finché è durato! >>
<< Oh, smettila di fare il melodrammatico Joly! Per risolvere questa tua confusione so esattamente a chi rivolgermi: Cosette >> e questa volta, l’idea era geniale.
Joly lo guardò un attimo confuso, mettendosi a sedere, poi sembrò ricordarsi di qualcosa e accennò un sorrisetto sghembo.
<< Cosette, geniale. >>
<< Non mi hanno smistato in questa casa per nulla Joly! >> Rispose Jehan arrossendo dolcemente.
 
Cosette era una ragazza bellissima: occhi azzurri, capelli biondi, mani affusolate, voce acuta e  soave, denti perfetti. Pareva una di quelle ragazze che nella vita non hanno altro scopo che ammaliare giovani uomini, catturarli e intrappolarli nella propria ragnatela: tuttavia questa giovane strega non possedeva queste doti apparenti. Infatti, nessun uomo si avvicinava a lei se non per sfruttare quella sua capacità innata e meravigliosa (se così si può definire) della Legilimanzia, propria solo di pochi maghi e streghe. Tutti accorrevano da lei per un consiglio, per far sì che lei, addentrandosi nella mente di un altro, conoscesse le sue intenzioni. Cosette, di rimando, si faceva ripagare chiedendo all’altra persona di fare qualcosa per lei. Spesso erano favori molto piccoli e semplici perchè lei non osava chiedere “troppo”. Era una di quelle ragazze che non lasciava mai trapelare niente di sé, molto intelligente e astuta (ragione della sua appartenenza a Corvonero) e soprattutto coraggiosa; a dire il vero celava nei suoi grandi occhi un velo di tristezza incolmabile, dovuta al fatto che poche persone amavano la sua vera compagnia. Cosette ascoltava ed era per questo che nessuno si affezionava a lei più di tanto: la sfruttavano per quel poco e poi la lasciavano volare via.
Quando quella mattina ricevette la visita di Joly, nel bel mezzo del corridoio che portava alla Sala Grande, rimase parecchio stupita della richiesta del ragazzo, in quanto credeva che non pensasse a nient’altro che ai libri. L’ipocondriaco le aveva posto solo due semplici domande: scoprire che cosa fosse realmente importante per Musichetta nella vita e che cosa desiderasse in un uomo. Cosette sembrava particolarmente divertita, soprattutto dall’espressione sconvolta e preoccupata di Joly, in preda al panico più nero.
<< Calmo, Joly! Posso rispondere tranquillamente anche senza utilizzare il Legilimens. >>
<< Davvero? >>
<< Lo faccio solo in occasioni particolari e decisamente più serie! E poi conosco bene Musichetta. Ecco la prima risposta: quello che per lei conta di più al mondo è la lealtà. S’intuisce dalla fiducia che ripone immediatamente negli altri. >>
Joly stava recuperando un po’ di colorito, anche se molto leggero.
<< Bene, lealtà. E alla seconda domanda puoi rispondere? >>
<< Certo che posso, in base a ciò che mi ha detto lei >> rispose Cosette con uno sguardo decisamente malizioso.
<< C-cosa ti ha detto? >> Ora aveva iniziato anche a balbettare. Bene.
<< Che di recente sta frequentando un ragazzo di Tassorosso, si chiama Bossuet. Lo conosci? >>
A Joly venne un mancamento: conoscere il nome del suo più acerrimo nemico del momento in quel modo non era l’ideale, ma provò a trattenere l’emozione e a respirare il più profondamente possibile, tentando di non farsi intossicare dal profumo di Cosette.
<< No, non lo conosco. >> Glaciale.
<< In ogni caso, a Musichetta piacciono i ragazzi che la sanno far ridere e a quanto pare questo Bossuet ci riesce particolarmente bene. >> Il ragazzo pareva profondamente sconfortato. Anche lui sapeva far ridere, diamine, che cosa aveva Bossuet in più di lui?
Cosette lo fissava: il volto di Joly, nemmeno sapeva il perchè, le ispirava fiducia e così, per la prima volta in tutta la sua vita, osò, osò chiedere qualcosa di intimo, di speciale, che col tempo sarebbe diventato fondamentale. Lo prese da una parte, portandolo lontano dalle orecchie curiose e iniziò a parlare, con una voce più flebile del solito.
<< Joly, ora quella che ti deve chiedere un favore sono io. >> Joly era ancora scosso e turbato dal nuovo amichetto di Musichetta, ma sembrava ancora rendersi conto di che cosa stesse facendo.
<< Tutto! Devo a tutti i costi ricambiare il favore, non sai quanto ne sono grato! >>
Cosette abbassò lo sguardo timidamente. Joly era così alto rispetto a lei.
<< Ho visto che frequenti spesso alcuni dei Grifondoro >> disse tutto d’un fiato. Sembrava si fosse sgonfiata, come un palloncino.
<< Si è così >> rispose serenamente lui.
<<  Ecco, non è che in qualche modo potresti far sapere ad una certa persona che ho ritrovato il suo libro di pozioni? >>
<< Ma certo. E chi sarebbe? >>
Cosette diventò scarlatta. I suoi capelli divennero bianchi in confronto al colore del viso.
<< Si chiama Marius, ho visto che ci parli spesso. >>
Joly si accese all’improvviso.
<< Ma certo, Marius! È da una settimana che mi tormenta con la storia di come ha perso il libro di pozioni, sono sicuro che sarà felicissimo di riaverlo con sé! Sarà fatto Cosette, stai certa che presto si farà vivo. >>
<< Grazie. >>
Joly corse via, dentro la sala grande, lasciando volare via Cosette.
 
Al tavolo dei Grifondoro, con il fantomatico Marius appena nominato, sedeva una combriccola di ragazzi molto diversi tra di loro, ma tutti estremamente vivaci se osservati con più attenzione.
Il primo, che chiunque avrebbe notato a causa del chiasso che era capace di fare,  era un ragazzo alto, ben piazzato, né troppo rotondo, né troppo sottile, che con un solo sorriso era capace di riaccendere ogni luce. Si chiamava Courfeyrac ed era ironico, fino al midollo. Non si lasciava sfuggire nessuna occasione per sfoderare quest’arte, né rinunciava ad assistere ad una bella discussione solo per alleviare la tensione alla fine. Era capitano della squadra di Quiddich e molto abile negli incantesimi, di qualsiasi tipo. Il suo Patronus assumeva la forma di un furetto, forse perchè era veloce e flessibile, pronto sempre per ogni occasione.
Il ragazzo seduto di fianco a Courfeyrac invece, era il più piccolo del tavolo: minuscolo, biondo, con una faccetta simpatica e sfacciata: si chiamava Gavroche ed era il nuovo arrivato. Era il suo primo anno ad Hogwarts e non aveva perso un minuto di tempo per integrarsi in “società”.  Era il fratello minore di un’altra ragazza del gruppo, una bruna, decisamente enigmatica e difficilmente raggirabile di nome Eponine. Se volessimo paragonare Eponine a qualcosa, questo qualcosa sarebbe sicuramente una lupa: era coraggiosa, nobile e indomita, non aveva paura di niente lei, nemmeno dell’incanto più oscuro. Era molto intelligente, coraggiosa oltre misura e particolarmente abile nella difesa contro le arti oscure. In quegli anni a Hogwarts aveva legato particolarmente con Courfeyrac e con un altro ragazzo della sua stessa casa, un tipo particolare, bello, tremendo nello sguardo e nel sorriso.
Il suo nome era Enjolras e chiunque, semplicemente osservando quelle movenze decise, quei capelli ribelli e quell’espressione fiera che tanto faceva dannare le fanciulle di Hogwarts, avrebbe capito che apparteneva ai Grifondoro.
Tuttavia, pretendere di descrivere Enjolras sarebbe come pretendere di descrivere la vita: non vi è e non vi sarà mai una definizione per spiegare che cos’è, la vita, e lo stesso vale per Enjolras. È una di quelle anime che si scoprono passo dopo passo, occhiata dopo occhiata, parola dopo parola, incantesimo dopo incantesimo. Un’aquila il suo Patronus, un’aquila racchiusa nei suoi occhi.
 
<< Ehi Joly! Finalmente arrivi! >> Esclamò una voce dal fondo del tavolo dei Grifondoro, raggiante come al solito. Lentiggini, eccentricità e vitalità: ecco a voi Marius Pontmercy.
<< Sì, ho fatto un po’ tardi >> ripose Joly fingendo un sorriso rassicurante, che però rassicurante non era.
<< Ti eri perso nei meandri della scuola? >> Ironizzò Courfeyrac mentre addentava una coscia di pollo.
<< No, ho incontrato Cosette, una mia amica, qualcuno la conosce? >> Biascicò guardandosi attorno.
<< Io ci ho già parlato qualche volta, pare molto amichevole, anche se è un po’ timida >> commentò Eponine sorridente.
<< Beh, carissimo Pontmercy, Cosette ha chiesto di te. Ha ritrovato il tuo dannatissimo libro di pozioni. >>
Marius saltò in piedi, facendo sì che la coscia di pollo per poco non finisse nel naso di Courfeyrac e abbracciò Joly con tutta la forza che possedeva; quest’ultimo temette di essersi rotto la clavicola.
<< Finalmente! Il professor Lumacorno non potrà più rimproverarmi adesso che l’ho ritrovato, che l’ha ritrovato! Devi portarmi da questa Cosette il più presto possibile! È della nostra età? È anche lei Corvonero? Non so come… >>
Ma una voce nuova interruppe quel momento di gioia irrefrenabile. Joly ghiacciò dalla testa ai piedi: davanti a lui sostava Musichetta con accanto un ragazzo, basso, sorridente, dai lineamenti semplici: era lui, Bossuet.
<< Buongiorno a tutti! Buongiorno Courf! Come state? Per chi non la conoscesse, ragazzi, lei è Musichetta. >>
Lei salutò con un semplice gesto della mano, sussurrando un debole “Ciao”, avvampando.
Joly avrebbe voluto rispondere con un sonoro “MALE ORA CHE SEI QUI”, ma si trattenne, concentrandosi soltanto su ciò che gli aveva detto Jehan: “Conosci il tuo nemico”.
<< Vieni Bossuet! Siediti un attimo di fianco a me, prima di raggiungere il tuo tavolo. Musichetta, perchè tu non ti siedi vicino a Eponine? >> esclamò gioioso Courfeyrac.
Joly continuava a restare in piedi, immobile, mentre osservava Musichetta sedersi al fianco della sua nuova amica.
<< Tu non ti siedi qui con noi? >> continuò Courf fissando preoccupato Joly. Infatti, tutti al tavolo conoscevano Bossuet tranne lui e questo lo metteva ancora di più a disagio. Accennò un lieve “sì” con il capo e prese posto vicino a Bossuet, che subito, prese a conversare con lui con spensieratezza.
<< Tu sei Joly quindi? È un piacere conoscerti, sono sempre felice di incontrare nuovi amici! >>
“Amici. No. Tu sei diverso, non sei un mio amico”.
<< Già, anche a me piace conoscere nuove persone. Da quanto è che frequenti tutti gli altri? >> Chiese imbarazzato.
<< Da poche settimane a dire il vero. Sono sempre stato con quelli della mia casa per tutti questi anni, ma visto che oramai siamo cresciuti ho pensato fosse doveroso conoscere anche altri studenti! >> Bossuet era disinvolto, amichevole e aveva una voce sorprendentemente rassicurante: escludendo Musichetta sarebbero potuti anche diventare amici. Ma no, non bisognava fidarsi.
<< Penso sia giusto >> rispose sorridendo goffamente; non riusciva proprio a sorridere serenamente quel giorno.
Bossuet gli si avvicinò all’orecchio, accertandosi prima che nessuno lo stesse guardando.
<< Tu conosci quella ragazza vero? Sei un Corvonero anche tu >> e indicò Musichetta. Joly avvertì un principio di conato allo stomaco, ma cercò di contenersi, o avrebbe fatto l’ennesima figura da idiota.
<< Ehm, sì, la conosco, p-perchè lo vuoi s-sapere? >>
<< Perchè l’ho conosciuta ieri ed è davvero molto affascinante! Quasi quasi, potrei pensare di… >>
<< JEHAN! >> Urlò Joly alzandosi dal tavolo, versando addosso a Bossuet dell’acqua.
<< Joly! >> Rispose Jehan spaventato.
<< Siediti qui! Non vedi, oggi abbiamo anche un nuovo arrivato! Si chiama Bossuet, è un amico di Musichetta >> continuava ad urlare il ragazzo digrignando i denti e indicando Bossuet con gli occhi.
“Gli esploderà il cervello prima o poi” aveva pensato il poeta.
<< Veramente dovremmo ritornare al nostro tavolo Joly, ma comunque c’è sempre tempo per i saluti. >>
Jehan si allontanò da Joly e andò a stringere la mano a Bossuet, che con il suo solito sguardo amichevole si era presentato calorosamente.
Entrambi se ne andarono, sedendosi nel tavolo dei Corvonero per il pranzo, già in tavola da un po’, mentre Courf si andò a sedere di fianco ad Enjolras, che pensieroso, giocava con la forchetta nel piatto.
<< Buono vero il pollo? >>
<< Buongiorno Courf. >>
<< Stai bene? >>
<< Sì e no. >>
<< Come mai? >>
<< Quello continua a fissarmi. >>
Courfeyrac si girò, e alle sue spalle, seduto nell’ultimo tavolo da sinistra, vide  un ragazzo alto, non particolarmente bello, un Serpeverde, che di verde aveva solo il riflesso degli occhi.
<< Ti disturba? >>
<< Odio la gente che mi fissa. Se ha qualche problema perchè non me lo viene a dire? >> Enjolras era così, diretto ed impulsivo; in più odiava le cose fatte di nascosto, o meglio, odiava non conoscere quello che accadeva attorno a lui.
<< Lascia che ti guardi. >>
<< Ha forse un buon motivo per farlo? >>
Courfeyrac ridacchiò tra sé e sé, poi sussurrò qualcosa che sperava Enjolras non sentisse.
<< Non per niente ti chiamano Apollo. >>
 
 
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Hi people ^^ Bene, ok, sono leggermente - molto -  agitata perchè non so che cosa aspettarmi da questa Crossover, ma un tentativo penso non guasti insomma, bisogna sbizzarrirsi ogni tanto xD
Premetto: non ho mai letto i libri di HP, quindi se trovate qualche grave incongruenza ditemelo subito e provvederò a modificare la storia ;) In ogni caso sto cercando di reperire tutti i dati possibili e immaginabili per rendere la storia il più simile al libro, certo però non sarà sempre possibile farlo!
Per esempio: ho ipotizzato che i ragazzi apprendessero il Patronus durante la lezione di Difesa contro le Arti Oscure, ma so benissimo che s’impara più in là con il tempo e quando si ha più esperienza, non certamente il quinto anno; ma passatemelo, mi serviva soprattutto per la descrizione dei personaggi xD
Per il resto, posso solo augurarvi una buona lettura e sperare che la storia vi piaccia * incrocia le dita * …Al prossimo capitolo cari, grazie per l’attenzione <3 C:
_Noodle

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Capitolo 2
*** II Capitolo. ***


Quella schiena non gli dava pace. Continuava a fissarla, ad esplorarla, ad immaginare che cosa ci potesse essere sotto quel gilet nero, consumato dal tempo. 
Lo osservava da lontano, in silenzio, credendo che nessuno avrebbe scorto la linea del suo sguardo, ma, come tutti ben sanno, gli occhi sono dei gran bugiardi. Se avesse potuto, avrebbe sprofondato le sue mani in quei bei riccioli biondi, che da lontano parevano i sottili fili dorati che utilizzavano per cucire le loro cravatte. Se avesse potuto, l’avrebbe guardato negli occhi, che, anche se gli rimanevano ignoti, era certo rispecchiassero l’immenso, l’infinito, l’abisso. Sperava fossero blu.
Perchè quest’attrazione improvvisa? Serpeverde e Grifondoro erano giurati nemici (o almeno era quello che pensavano lui e quelli della sua casa), perchè quindi si abbandonava a quella contemplazione? Perchè si perdeva ad ammirare un ragazzo come lui, un maschio? Nessuno gli aveva mai fatto quell’effetto prima d’ora, uomo o donna che fosse; eppure lui ci riusciva. Quel ragazzo senza volto, dalla schiena marmorea e dai capelli immacolati, gli aveva chiuso lo stomaco.
Pareva rigido, nelle movenze e negli atteggiamenti, ma questo stranamente lo attirava ancora di più. Ogni tanto si voltava indispettito, ma lui abbassava prontamente lo sguardo cercando di nascondersi –illuso-.
 
Fu presto interrotto nella sua contemplazione da una voce amica, profonda e imponente, che lo aveva risvegliato con la stessa violenza di una secchiata d’acqua in faccia.
<< R, devi smetterla di manomettere la tua Burrobirra, hai una faccia sconvolta! >> ridacchiò un ragazzo alto, moro, muscoloso, dai capelli lisci e scomposti.
<< Che hai detto Bahorel? >> Biascicò sgranando gli occhi.
<< Non ti sei svegliato bene questa mattina, eh Grantaire! >>
Lui si limitò a sorridere e ad annuire, nascondendo un lieve imbarazzo.
Bahorel gli si sedette davanti, pronto a sgranocchiare qualche prelibatezza. Era decisamente affamato.
<< L’hai sentita l’ultima? >> Gli chiese addentando un toast.
<< No. >>
<< Questo pomeriggio le lezioni sono sospese: i professori si sono radunati d’urgenza. >>
<< E perchè? >> Grantaire sembrava realmente interessato all’accaduto, anche se talvolta lasciava cadere lo sguardo qualche tavolo più in là.
<< Nessuno lo sa. L’ho scoperto appena adesso. >>
<< E chi te l’ha detto? >>
<< Tom. >>
A quel nome Grantaire rabbrividì. Non era mai riuscito a reggere lo sguardo di quel ragazzo, tale Tom Riddle, e sapere che era stato lui a riferire quella notizia inaspettata a Bahorel rendeva il fatto ancora più allarmante.
<< Come faceva Tom a saperlo? >>
<< Non ne ho idea, avrà le sue fonti. >> Bahorel, incurante come al solito, sembrava più preoccupato che le pietanze si freddassero che di scoprire il perchè di quell’assemblea istantanea.
<< Ehi guarda, arriva Montparnasse! Sicuramente lui ne saprà di più. >>
Montparnasse, fedele scagnozzo di Riddle e grande amico di Bahorel, aveva i capelli neri e le labbra rosse, la pelle bianca e gli occhi trasparenti, di un verde sottile, raro, inconfondibile. Faceva strage di cuori, ma quel bel visino candido nascondeva tutt’altra personalità.
<< Ehi, ‘Parnasse! >> Lui si girò di scatto appena si sentì chiamare e parve tirare un respiro di sollievo.
<< Finalmente vi ho trovati! >>
<< Muoviti, siediti di fianco a noi, devo chiederti una cosa. >>
<< Prima io >> rispose sedendosi, scivolando sulla panchina come un serpente.
<< I professori si sono radunati d’urgenza, oggi pomeriggio niente lezioni! >> Continuò soddisfatto.
Bahorel alzò le sopracciglia rassegnato. Grantaire non aveva ancora toccato cibo.
<< Questo lo sapevamo Montparnasse, ma la domanda che Bahorel voleva porti è: perchè? Da chi lo sei venuto a sapere? >> Chiese Grantaire, che aveva lo stomaco ancora più chiuso a causa della preoccupazione.
<< Ma da Tom ovviamente! Dice di aver visto il preside Dippet correre furioso verso il bagno delle ragazze insieme a Silente e a Lumacorno. Quando sono ritornati indietro, ha sentito Dippet mormorare “Le lezioni devono essere assolutamente sospese per quest’oggi”. Fine della storia. >>
Grantaire continuava a sbattere gli occhi e a storcere il naso.
<< E’ quello che ha detto anche a me quando l’ho incontrato nella sala comune. Le ragazze ne avranno combinata una delle loro! >> Ridacchiò Bahorel lanciando un’occhiatina a Montparnasse, che si era lasciato trascinare nella risata con gusto.
<< Non penso che sospenderebbero le lezioni per qualche stupido scherzo >> osservò Grantaire serissimo.
Montparnasse e Bahorel lo guardarono con stizza.
<< Hai la luna storta oggi? >> Incalzò Bahorel.
<< No, temo solo che possa essere successo qualcosa di serio. >>
<< Dovresti esserne contento: saltiamo Pozioni e Divinazione! Non lamentarti sempre, R >> concluse Montparnasse.
Grantaire aveva stretto forte il pugno, per frenare l’impulso di colpirlo dritto in un occhio, e chiese a se stesso il perchè nessuno lo ascoltasse mai. Sarà stata colpa di quel suo apparente scetticismo, che tuttavia nascondeva dei solidi e fondati principi.
<< Montparnasse, a proposito di ragazze, che mi dici di quella brunetta con cui ti ho visto passeggiare l’altro giorno in cortile? >>
Montparnasse rise mostrando le fauci, quei denti bianchi e perfetti.
<< È una povera sciocca, una mezzosangue, mi sto solo divertendo un po’. >>
Grantaire rabbrividì, di nuovo.
<< Come hai detto che si chiama? >> Chiese l’altro ragazzo mentre si ingozzava di una poltiglia non ben identificata.
<< Eponine Thénardier, è una Grifondoro. Ecco, guardala là, davanti a quel tizio con i capelli biondi. >>
Grantaire scattò sull’attenti, abbandonando quello strano torpore che gli attanagliava il corpo: l’avevano nominato, parlavano della sua testa bionda preferita.
<< Conosco quello che sta davanti a lei, fa parte come me e Tom del Lumaclub. È un damerino che prende sempre “eccezionale” in tutti gli esami; pare che suo padre sia stato un mago molto famoso, ma da quel che ho capito è morto, e nemmeno la madre era una strega qualsiasi. >>
Grantaire stava esplodendo, nei suoi occhi e nel suo cuore scoppiavano i fuochi artificiali alla sola descrizione di lui. Che cosa gli stava accadendo? Da che cosa era posseduto? Come poteva un ragazzo di cui conosceva a malapena i lineamenti stregarlo in questo modo? Era convinto (avrebbe messo la mano sul fuoco) che questa volta non si trattasse di magia.
<< Come si chiama? >> Chiese a Bahorel schiarendosi la voce.
<< Enjolras. Il buffo di quel ragazzo è che non sorride mai, il massimo che accenna è una smorfia sghemba. >>
Grantaire abbassò lo sguardo timidamente, senza proferire più parola. Mentre i due parlavano, giocava con il cibo che aveva nel piatto, ripetendo continuamente nella sua testa il nome del biondo. “Enjolras, Enjolras…”
 
Marius si era messo alla ricerca di Cosette subito dopo aver finito di mangiare. Era corso via abbandonando gli altri nella Sala Grande e, accecato dal desiderio di conoscere colei che aveva ritrovato il suo libro di pozioni, si era messo ad ispezionare la scuola da cima a fondo: di Cosette, tuttavia, nessuna traccia. Che fosse stata un fantasma? Che Joly si fosse inventato tutto solo per prendersi gioco di lui? No, non era il tipo; e poi Eponine l’aveva vista. Doveva pur essere da qualche parte.
Si era diretto in primo luogo nella Torre di Corvonero, per raggiungere il suo dormitorio, ma nessuna traccia di lei. Che poi, Cosette, come era fatta? Era bionda? Bruna? Alta? Bassa? Vivace? Cupa? Non l’avrebbe mai riconosciuta. L’ultimo luogo che gli restava da ispezionare era la Guferia (poiché aveva scartato a prescindere la Sala Comune dei Serpeverde e quella dei Tassorosso) e perciò si diresse verso la Torre Ovest.
Saliva le scale con un sorriso sottile stampato in volto, un sorriso ricco di speranza e d’incoscienza. Aprì lentamente la porta, facendo attenzione che nessun gufo scappasse (cosa che comunque non sarebbe successa, erano gufi molto intelligenti) e poi, sulla sinistra, vide una ragazza esile come una piuma. Era bionda, quasi bianca; estatica, eterea, leggera. Accarezzava il suo gufo con dolcezza, con due mani piccole e venose, con due occhi che parevano sussurrare.
Marius non seppe come reagire, che cosa dirle, se salutarla, se scappare, se correrle incontro e fissarla, senza motivo.
Proprio nel momento in cui decise che sarebbe stato meglio passare un’altra volta, lei, senza staccare gli occhi dal suo barbagianni di nome Arabella, gli parlò.
<< Mi hai trovata finalmente. >>
Marius deglutì basito.
<< Tu sei Cosette? >> Domandò pallidissimo.
<< Sono quella che deve restituirti il libro di pozioni >> Gli rispose voltandosi, piantandogli i suoi zaffiri nel cuore.
<< Come…come hai capito che ero io? Non mi hai nemmeno guardato. >>
Cosette abbassò lo sguardo sorridendo.
<< Non è importante. >>
Lei gli si avvicinò senza fare rumore, sembrava volasse, che non posasse nemmeno i piedi per terra.
<< Hai qui il libro? >> Chiese lui arrossendo, poiché avrebbe voluto dire tutt’altro che quello. Cosette si diresse poco più in là da dove stava Marius e raccolse il volume da per terra. Poi glielo porse.
<< Grazie. >>
Rimasero a fissarsi per attimi interminabili, che parevano più lunghi degli anni e dei lunedì mattina. Intrecciarono i loro sguardi con semplicità, arrossendo, sbiancando, toccandosi lì, nel petto, grazie alla potenza delle loro iridi luminose. Solo quando Marius parve voler dire qualcosa (intenzione che invece era un semplice sospiro) lei distolse lo sguardo e disse che se ne doveva andare. Lui le chiese dove, lei rispose “da un’altra parte”.
Fu così che Cosette sparì, per un po’, quel poco che servì a Marius per dimenticare il motivo per cui si era recato da lei.
 
Courfeyrac, imperterrito, continuava a mangiare: era un pozzo senza fondo quel ragazzo. Si era messo a discorrere con Enjolras come sappiamo ed eccetto quella breve parentesi per accertarsi che l’amico stesse bene, continuò a parlare del suo campionato di Quiddich, ciò che c’era di più importante per lui al mondo in quel momento.
<< Capito Enjolras? Se non battiamo i Tassorosso la prossima settimana siamo spacciati, ti dico, SPACCIATI! >>
Enjolras sbuffò. Dopo una mezz’ora di chiacchiere inutili, di cibo e di sguardi maniacali da parte di un individuo alle sue spalle era arrivato allo stremo delle forze.
<< Courf, posso essere sincero? Io non gioco a Quiddich, ne capisco meno che zero, quindi smettila, non m’importa. >>
Courfeyrac ridacchiò divertito.
<< Come vuoi tu Apollo, parliamo di quello che interessa a te allora! >> Propose lui seriamente.
<< Non ho voglia di parlare quest’oggi. >>
<< Non capisco. Quel ragazzo ti fa passare persino la voglia di aprire bocca? >>
Enjolras lo guardò serissimo e Courfeyrac ebbe per un attimo il timore che potesse infilzargli la forchetta in una coscia.
<< Forse tu non sai chi è quello. >>
Courfeyrac alzò gli occhi e le braccia rispondendo con un sonoro “No”.
<< Frequenta Riddle e sai che non mi piace quel ragazzo. Quindi se mi fissa ci sarà una ragione, una ragione che probabilmente ha a che fare con lui. >>
Courfeyrac si alzò di colpo, con l’aria decisa e la bocca ancora piena. Dovette fare il giro dei due tavoli che dividevano quello dei Serpeverde da quello dei Grifondoro e quando Enjolras capì quali erano le sue intenzioni, si sentì male, anzi peggio, si sentì terribile. Si alzò facendo tremare tutta la panca, inciampando nei suoi piedi più di una volta, sbraitando e urlando il nome di quell’altro per tutta la Sala Grande.
Grantaire, dall’altra parte del tavolo, assisteva alla scena con lo sguardo perso nelle gambe di Enjolras, che sottili e leste correvano per raggiungere Courfeyrac. Finalmente vedeva la sua faccia, il suo naso, la sua bocca e i suoi occhi dal colore ancora ignoto. Lo vedeva correre, lo sentiva parlare; sentirlo urlare lo faceva tremare di più.
<< COURFEYRAC, FERMO IDIOTA! >>
Ma Courf sembrava non curarsene: camminava con il sorriso più raggiante che possedesse stampato in faccia.
Per quanto volesse raggiungerlo, ormai Courfeyrac si era già piazzato davanti a Grantaire, con le braccia conserte e un sopracciglio alzato: non sapeva fingere di essere arrabbiato, era ridicolo.
<< Amico, hai dei problemi nei confronti di Enjolras? Se vuoi ne possiamo parlare! >>
Grantaire lo guardava allibito, con gli occhi spalancati e la bocca semi aperta. << E-Enjolras? Io non…>>
<< SEI UN IDIOTA! >>
Ecco, Apollo lo aveva raggiunto. Poi girandosi verso Grantaire, iniziò a scusarsi con lui, cercando di nascondere l’evidente imbarazzo che gli si leggeva sul volto, ma le sue parole, le prime parole che rivolgeva a Grantaire, furono stroncate da un grido acuto, spezzato da un pianto.
<< È morta, è morta! L’hanno uccisa! Hanno ucciso Mirtilla! Nel bagno delle… >> Era Cosette, svenuta a terra dal terrore.
Immediatamente tutta la Sala Grande si era alzata in piedi. Inizialmente il silenzio. Subito dopo un urlo. Musichetta era corsa immediatamente da Cosette svenuta in terra, subito dietro di lei Marius, poi Joly, poi Jehan, infine Eponine.
<< Cosette! Cosette svegliati! Cosette! >> Continuava a scuoterla Musichetta.
<< Bisogna portarla immediatamente in infermeria! >> Suggerì Pontmercy.
<< Fate passare me, levatevi! >> Joly si avvicinò alla ragazza tastandole il polso.
<< Vi pare il caso di restare qui muti ad ascoltare? Che qualcuno corra immediatamente dal preside ad avvertirlo di ciò che è successo! >> Urlò a gran voce il timidissimo Jehan Prouvaire.
Courfeyrac, sbalordito dall’accaduto, al suono di quelle parole incominciò a correre, uscendo dalla Sala Grande; tutto il resto di Hogwarts era impietrito, compresi Montparnasse e Bahorel, che non credevano che qualcosa di simile sarebbe mai potuto accadere. Non erano più molto contenti di saltare le lezioni.
Jehan guardò quel ragazzo allontanarsi, quello stesso ragazzo che poco prima gli aveva sorriso al tavolo del Grifondoro. Lo apprezzava.
Cosette piano-piano si stava risvegliando; era bianca come un cencio, con gli occhi pieni di lacrime.
<< Cosette, va tutto bene, forza. Respira, non piangere >> cercavano di tranquillizzarla Eponine e Jehan.
<< Era in un cubicolo, lì nel bagno delle ragazze, senza vita. I professori la fissavano e urlavano tra loro, non l’avevano nemmeno raccolta da per terra, l’avevano lasciata lì, senza vita! >>
Musichetta si limitò ad abbracciare la povera Cosette delirante, che piangeva la morte di una delle sue nuove piccole amiche.
 
<< Ecco perchè >> si limitò a sussurrare Grantaire ai suoi due compagni. “Perchè queste cose succedono solo quando c’è di mezzo Tom?” Pensava. Davanti a lui sostava ancora Enjolras, immobile, con lo sguardo perso nel vuoto. Sicuramente però, nella sua testa c’era qualcosa che fluttuava.
<< Non è possibile che una ragazza sia stata uccisa. Non qui. Bisogna scoprire chi è stato, renderle giustizia; questo è un gesto imperdonabile >> aveva detto meccanicamente, con la stessa voce che avrebbe avuto un automa. Non sbatteva le palpebre, non trangugiava la saliva, si limitava a stringere forte i pugni.
“Anche lui lo fa” fu il pensiero di Grantaire in quel momento, che lo portò a sorridere tra la disperazione.
All’improvviso calò silenzio, assopendo il mormorio: entrava in Sala Grande un giovane, dallo sguardo tremendo, dalle movenze animalesche. Non sorrideva, ma interiormente sembrava compiaciuto, sembrava non sapere, ma in realtà sapeva tutto. Era lui, Tom Riddle, che alla vista di tutto quel tumulto si era limitato a raggiungere i suoi compagni al tavolo.
Grantaire alla sua vista nutrì un terribile sospetto, incapace di spiegare a parole. Tutta la felicità apparente di quella mattina si era trasformata in mestizia e terrore, tutti erano diventati cupi; tutti tranne Tom, travolto da un’apatia patetica.
<< Dove ti eri cacciato? >> Aveva chiesto Montparnasse quando il brusio di voci aveva ripreso a serpeggiare tra  ragazzi.
<< Dove volevi che fossi? Ero tornato nella nostra Sala Comune. Dopo la bella notizia di oggi, avevo voglia di stare un po’ da solo. >>
<< Bella notizia? >> Sbraitò Grantaire davanti agli occhi di Enjolras << Tu questa la chiami buona notizia? Una ragazza è appena stata uccisa da chissà chi e tu mi vieni a parlare di quanto sei contento che oggi abbiano sospeso le lezioni? >>
Tom, Montparnasse, Bahorel e Enjolras lo guardavano stupiti, addirittura preoccupati. I tre Serpeverde sembravano oltraggiati, Enjolras pareva essersi ricreduto sulla personalità dello sconosciuto “amico di Riddle”.
 
La Sala Grande fu subito fatta sgomberare per ordine del preside Dippet e tutti gli studenti dovettero tornare nei loro dormitori. Cosette, ancora in stato di choc, venne accompagnata da Marius, quel gentile ragazzo che poco prima in Guferia l’aveva guardata con sentimento, il primo in tutti questi anni.
Tutti gli studenti temevano il peggio, tutti s’interrogavano su chi fosse l’assassino di Mirtilla. Molti sapevano che la ragazza non aveva tanti amici e che spesso veniva presa in giro a causa della sua bruttezza, in particolare da un giovane di nome Oliver Hornby, ma nessuno sospettava di lui, infondo non era un cattivo ragazzo e per quanto antipatico, non avrebbe mai fatto male ad una mosca. Nessun segno di lesioni sul corpo della sventurata: doveva essere stata una magia potente, oscura, malvagia. Perchè l’avevano uccisa? Che cosa poteva aver fatto di tanto sbagliato?
Questi erano i dubbi e le domande di tutti gli studenti e i professori a Hogwarts, domande e dubbi apparentemente incolmabili, ma che presto sarebbero stati svelati. Era solo questione di tempo. Nel frattempo, il sangue scorreva nelle vene.

 
 
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Sbam! Ecco a voi il secondo capito! :D
Innanzi tutto voglio ringraziarvi per aver recensito, preferito e seguito questa storia già dal primo capitolo, non avete idea di quanto ne sia felice ^^ …Secondariamente voglio dirvi che ho iniziato a leggere il secondo libro della saga di HP, quindi sarò bella che informata su tutto ;) …Si sta entrando nel vivo della vicenda e non immaginate quanto io abbia voglia di andare avanti, soprattutto per veder crescere queste bellissime coppie che a mano a mano si stanno formando! *^* Detto questo, posso solo augurarmi che il capitolo vi sia piaciuto e di continuare a seguire la storia :D Alla prossima :3
_Noodle

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Capitolo 3
*** III Capitolo. ***


Eponine doveva pensare, ragionare, mettere in atto le sue capacità logiche e giocare d’astuzia. Non sopportava, o meglio, non accettava il fatto che ad Hogwarts potesse essere successo un qualcosa come un omicidio, verificatosi per mano di uno studente o di un professore, nella peggiore delle ipotesi. Mirtilla era sempre stata una ragazza tranquilla, studiosa, molto riservata: tutti lo sapevano. Che cosa l’aveva incastrata? Qual era stato il movente? L’invidia e la gelosia potevano essere escluse. Che cosa aveva commesso di tanto deplorevole? Che cosa nascondeva quella povera ragazza, bambina, di soli tredici anni? Segreti oscuri? La mente di ‘Ponine era piena di dubbi, dubbi in quel momento indissolubili. Si era rifugiata nel suo dormitorio senza proferire parola, senza degnare di uno sguardo nemmeno i muri. Continuava a pensare e a tormentarsi. Tuttavia, la sua frustrazione non era unicamente dovuta alla perdita di Mirtilla: quel ragazzo che aveva assistito Cosette di fianco a lei, Jehan, era una sua vecchia fiamma di quando frequentava il terzo anno, e quella strana vicinanza l’aveva rattristata. Non un saluto, non un sorriso, niente: come al solito sembrava che lei non esistesse. Jehan ed Eponine si erano conosciuti durante una partita di Quiddich, dove entrambi tifavano per i Grifondoro. Si erano compresi fin da subito, fin dal primo sguardo, fin dal primo bacio, quando lui, una sera in biblioteca, aveva appoggiato dolcemente le sue labbra sulle sue. Tuttavia l’anno prima, qualcosa era andato storto. Jehan si comportava in modo strano con lei, sembrava che l’estate l’avesse cambiato. Nella sua infinita dolcezza non era più dolce e nella sua infinita intelligenza non era che uno stupido. L’aveva scaricata, dicendole che si era accorto di non voler più continuare: le ragioni le restavano ignote, ancora adesso. Il sapore dolce-amaro che Jehan le aveva lasciato in bocca sembrava non volesse scomparire e sicuramente quel Serpeverde che frequentava da circa una settimana, Montparnasse, non l’aiutava a dimenticarlo: non faceva altro che scostarle i capelli dagli occhi corvini, come Jehan era solito fare con lei due anni prima.
E se questo Montparnasse avesse saputo qualcosa su tutta la vicenda? Dopotutto un sospetto l’aveva: quel Tom, Tom Riddle, era arrivato tardi nella Sala Grande quella mattina e per di più con in volto un’espressione particolarmente rilassata. Dove era stato prima? ‘Parnasse lo conosceva bene, avrebbe sicuramente potuto darle spiegazioni.
 
Il giorno successivo il preside comunicò che le lezioni potevano ricominciare. Tutti gli studenti uscirono dalle loro sale comuni e dai loro dormitori e ricominciarono a brulicare nei corridoi della scuola. Anche i prefetti tornarono a fare il loro lavoro: Jehan, ad esempio, tornò in biblioteca.
Nel mondo dei babbani si stava combattendo una terribile guerra. Questo lo rattristava e lo terrorizzava allo stesso tempo, in particolare era preoccupato per i suoi genitori, infinitamente piccoli di fronte alle bombe e agli spari. Lui era al sicuro ad Hogwarts e questo gli provocava uno strano senso di colpa; tuttavia, sembrava che nuova guerra volesse scoppiare anche in quel mondo: la prima vittima era stata Mirtilla. In biblioteca si sentiva sicuro, protetto da tutti quei libri e quelle parole di miele: nulla avrebbe potuto ucciderlo. Credeva.
Perlustrava i diversi settori della biblioteca, controllando che tutti i libri fossero al loro posto. Tutto concentrato su quegli immensi manuali non aveva notato che qualcos’altro, o meglio qualcun altro, si trovava nel posto apparentemente sbagliato.
Lo vide seduto per terra, appoggiato ad uno scaffale, con le maniche della camicia tirate su e i capelli scompigliati. La cravatta gialla e rossa delineava chiaramente qual era la sua Casa. Avrebbe dovuto rimproverarlo, ma chissà perchè non aveva aperto bocca, se non per prendere fiato e non morire soffocato dall’imbarazzo. Era stranamente bello; avrebbe osato dire affascinante. L’aveva già visto quel ragazzo, il giorno prima, nella Sala Grande: era quello che alle sue parole era corso via a chiamare il preside Dippet. Vederlo lì in biblioteca, seduto a terra con un’aria concentra, era stata una sorpresa: anche lui solitamente faceva così. Dalle spalle ampie e dalle gambe muscolose si deduceva chiaramente che era un giocatore di Quiddich, dall’espressione pensosa e dubbiosa invece, si capiva che non era un assiduo lettore. Jehan rimase immobile a fissarlo e quando decise di abbassare lo sguardo sul libro che stava leggendo, scoprì che era un volume che trattava di filtri d’amore. Il cuore iniziò a battergli all’impazzata, senza che nemmeno il ragazzo si fosse accorto della sua presenza. Era vero ciò che dicevano di lui: era troppo sensibile.
Fece per tornare indietro, ma quando mosse il primo passo, una voce radiosa parlò alle sue spalle.
<< Serve a te? >>
Jehan si girò e scorse il suo sorriso, enorme, fonte incontenibile di gioia ed esuberanza. Scuoteva il libro nella sua mano destra e senza saperlo stava scuotendo il cuore di Jehan nella sinistra. Il poeta avvampò violentemente.
<< Ehm, no, no grazie. Sono prefetto, sono qui a sorvegliare la biblioteca >> cercò di dirgli vomitando una risatina soffocata.
<< Aspetta, io ti ho già visto di recente >> rifletté il ragazzo grattandosi la testa.
“Ecco, ora dirà che mi ha visto nella Sala Grande mentre sbraitavo. Se fosse così la mia esistenza verrebbe segnata per sempre dalla reputazione di isterico” pensò il rosso.
<< Ecco, sì! Sei quello che l’altro giorno aiutava la professoressa di Erbologia a trattare le Mandragole! >> Rispose lui schioccando le dita. Jehan avrebbe voluto sparire, o abbracciarlo, o ridere, o desiderare di non essersi mai recato in biblioteca quella mattina. L’aveva notato per…Erbologia?
<< Sì, ero io, ho un debole per le piante. >>
“Jehan, le piante non potranno mai essere un buon argomento di conversazione”…perchè lui voleva fare conversazione?
<< Come mi hai visto? >> Continuò.
<< Passavo di lì per andare ad allenarmi a Quiddich. >>
Il ragazzo continuava a sorridergli, senza un motivo e senza quell’intenzione malsana che avevano tutti esaminargli il fisico, magrissimo e fragile, di cui talvolta si vergognava terribilmente.
Jehan restava in silenzio, senza sapere che cosa dire. Si era oramai smarrito e questa volta non nei libri.
<< Come ti chiami? >> Aveva domandato il ragazzo riponendo il libro nello scaffale.
<< Jehan Prouvaire. >>
<< Io sono Courfeyrac, piacere. Tu però puoi chiamarmi Courf. >>
Gli aveva stretto la mano con calore. Il suo sorriso avrebbe oscurato il sole, la luna, ogni più piccola o immensa stella del cosmo.
<< Piacere Courf. >> Jehan sorrise timidamente, come suo solito.
Ardeva dalla voglia di chiedergli come mai stesse leggendo quel libro e per quale motivo gli servisse sapere qualcosa sui filtri d’amore, bruciava per quel desiderio, ma si limitò a dirgli che doveva sorvegliare un’altra ala del castello.
<< Mi ha fatto piacere conoscerti Jehan! >>
<< Anche a me ha fatto piacere. >>
E mentre lui, mettendo le mani in tasca stava fuggendo via da tutte quelle sensazioni ancora confuse e senza nome, si sentì chiamare una seconda volta: la voce era sempre la stessa.
<< Jehan! Ho apprezzato la tua cura nei confronti di quella ragazza, hai avuto un comportamento davvero esemplare. >>
Il poeta incominciò a ridacchiare e a mordersi le labbra, fino a quando, poiché era diventato rosso ed incandescente come la lava, Courfeyrac gli chiese se stava bene. Prouvaire annuì, poi scappò di corsa con le sue gambette fragili. Courfeyrac non poté fare a meno di apprezzare le sue movenze e la sua andatura: gli ricordava un airone.
 
Ma quale guerra? Ma quale angoscia? Jehan di che cosa aveva paura? Adesso tutto andava bene.
 
Nel frattempo Bossuet, come al solito, l’aveva fatta grossa. Com’era possibile che in una sola persona si concentrasse una sfortuna così spropositata? Che cosa aveva fatto di male per meritarselo? Lui rideva di tutto, come suo solito, ma quella volta le sue risate erano meno spensierate. Musichetta l’aveva piantato in asso, solo dopo pochi giorni di frequentazione; e in più davanti a tutti. Perchè? Aveva per sbaglio carbonizzato il suo rospo e sottolineiamo, per sbaglio. Lei si era infuriata, l’aveva rincorso per tutto il cortile e quando Bossuet aveva realizzato che il rospo che si era ritrovato sul letto era quello di Musichetta, avrebbe voluto poter ritornare indietro nel tempo e non scagliargli l’incantesimo Reducto: Bossuet era terrorizzato dai rospi, dai rettili e dagli anfibi in generale.
<< Sei un insensibile, un cialtrone! Pensavo di potermi fidare di te, come hai potuto farlo? >> Gli aveva urlato contro con quella sua voce da usignolo.
<< Non è stato intenzionale Musichetta, davvero! Pensavo che fosse saltato sul mio letto per sbaglio, credevo si fosse infiltrato dalle cucine! Io odio i rospi, capiscimi! >>
Musichetta rise, guardandosi attorno.
<< Smettila di inventarti scuse! Ti stava portando un messaggio, gli avevo legato un biglietto al dorso in cui ti dicevo di incontrarci questa sera nella Torre di Astronomia, ma ovviamente tu eri occupato a pensare a qualcos’altro, a qualcun'altra magari! >>
<< Musichetta, sei impazzita? Ti ho appena detto che ho una tremenda paura di quegli animali, non mi sono nemmeno avvicinato al tuo rospo, ho agito subito, d’impulso! >>
<< Grande sbaglio, Bossuet. Chi agisce d’impulso non fa mai la cosa giusta. Infatti hai sbagliato. Hai preferito carbonizzarlo e cancellare ogni prova piuttosto che dirmi la verità in faccia, comunicarmi chiaramente che non ti interesso. Sei un codardo! >>
Lei si allontanò con passo veloce e deciso, mentre lui rimase immobile, guardandola camminare.
Nascosto dietro ad un gruppo di ragazzi, Joly aveva assistito a tutta la “simpatica” scena. Dopo la risposta così secca di Musichetta nei confronti di Bossuet, non sapeva se mettersi a spargere petali di fiori in giro per la felicità o se correre da Bossuet e dirgli che gli dispiaceva per come l’aveva trattato. Indubbiamente il ragazzo non aveva tutti i torti, le paure spesso frenano anche il più forte dei sentimenti. Immobilizzato dall’indecisione, decise di non fare nulla, di ritornare nella Sala Grande in attesa di incominciare le lezioni pomeridiane.
Strada facendo tuttavia, manco volesse farlo apposta, si era proprio imbattuto in Bossuet, che tristissimo, forse davvero triste dopo tanto tempo, aveva deciso di recarsi insieme a lui nella Sala Grande.
<< Perché capitano tutte me? >> Aveva esordito.
<< Le ragazze sono complicate, lo so. >> Bossuet si fermò e lo guardò stranito, trasformando la sua faccia in una buffa smorfia.
<< Come hai fatto a capire che stavo parlando proprio di ragazze? >> Joly spostò lo sguardo altrove, e se non fosse stato particolarmente ridicolo e inutile si sarebbe messo a fischiettare allontanandosi.
<< Ehm, ho assistito al litigio tra te e Musichetta, quindi pensavo ti stessi riferendo a quello che era accaduto! >> Confessò.
<< La stavi seguendo? >> Domandò Bossuet sbigottito, con in volto un’espressione fintamente arrabbiata.
<< No no, io stavo… >>
<< Stavi seguendo me? >> Joly arrossì un poco, senza però dare troppo nell’occhio. Perchè mai avrebbe dovuto seguirlo? Perchè quell’altro lo pensava?
<< Non essere sciocco Bossuet, mi trovavo in cortile perchè stavo aspettando un mio amico, Jehan. >> A quel nome, Bossuet dimenticò per un istante tutta la vicenda accennando un sorriso malizioso.
<< Il gracilino tutto ossa e poesie? >> Joly storse il naso di fronte a quegli appellativi.
<< Come fai a conoscerlo? >> Bossuet abbassò il tono della voce: ormai aveva imparato a non raccontare i segreti altrui ad un volume esagerato.
<< Eponine mi ha parlato di lui. Sono stati insieme, lo sapevi? Poi lui si è allontanato da lei per un qualche motivo e da quel giorno non si parlano più. >> Joly era sorpreso: Jehan non gli aveva mai raccontato nulla e questo un po’ lo rattristava. Di solito tra i “migliori amici” non vi erano segreti; non era forse così nel mondo babbano? Tentò di allontanare dalla mente turpi e tristi pensieri ed andò ad analizzare le cause della loro separazione come solo lui sapeva fare.
<< Mononucleosi? >>
<< Mono…che? >> Urlò Bossuet
<< Sei un babbano poco informato. >>
Mentre Bossuet continuava a non capire a che cosa si stesse riferendo Joly, entrambi avevano proseguito in direzione della Sala Grande, con due facce sconvolte e preoccupate.
<< Dimmi Joly, come potrei fare a riconquistare Musichetta? È così bella! Se solo potessi restare un po’ con lei e capire quali sono le sue intenzioni! Te ne sarei immensamente grato. >> Joly sbarrò gli occhi, deglutì in modo forzato e dilatò le narici.
Lui. E Musichetta. Soli. A Parlare. Non poteva. O forse si. Si stava preoccupando. Per Bossuet? Per quello sconosciuto dall’aria così immensamente incompresa? No. Non lo stava facendo. Non gli importava minimamente. O forse si.
<< Va bene, cercherò di parlare e di… >> Bossuet gli saltò al collo, soffocandolo in un abbraccio virile.
<< Grazie Joly, sapevo che avrei potuto contare su di te! >> Joly si scostò.
<< Bossuet, ci conosciamo da due giorni, come puoi dire una cosa del genere? >> Il ragazzo sembrò rattristarsi ancora di più: nessuno riusciva mai ad apprezzare il suo malcelato affetto.
<< Beh, io tendo a fidarmi sempre delle persone. Probabilmente sbaglio, ma non vedo perchè dovrei ricorrere alla diffidenza. Le amicizie si stringono se si ha fiducia in chi ti sta accanto. >> Joly era confuso.
<< Io credo di potermi fidare di te. >>  Il giovane ipocondriaco ritornò a sorridere per un attimo, lasciandosi sfuggire una risata.
<< Va bene, va bene, parlerò con Musichetta al più presto, non preoccuparti. Ma tu vedi di restare lontano dai rospi e dai rettili. >>
Bossuet si rannuvolò tutto d’un colpo: il suo sguardo malinconicamente luminoso era diventato improvvisamente buio. I suoi pensieri si erano raggelati e sembrava che un ricordo oscuro e misterioso trasparisse dai suoi occhi.
<< Sono loro a venire da me >> sussurrò con lo sguardo perso nel vuoto.
<< Il rospo te l’aveva mandato Musichetta, è logico che sia venuto da te. >>
<< No, non intendo solo quello. >>
<< A che cosa ti riferisci allora? >> Si fermarono davanti alla porta della Sala Grande, assicurandosi che nessuno li stesse ascoltando.
<< Mi riferisco ad uno strano sogno che ho fatto l’altra notte. Non ho più chiuso occhio. Combeferre e Feuilly temevano che mi fossi drogato, o che fossi impazzito. >>
<< Chi? >>
<< Combeferre e Feuilly, due dei miei compagni di stanza. Sono molto legato a loro, solitamente l’intesa tra di noi è immediata, ma non riuscivano a comprendere quanto fossi realmente sconvolto. >>
<< Spiegati meglio. >> Joly era davvero preoccupato adesso: alle parole droga e pazzia la sua situazione di allarme esplose.
Bossuet lo trascinò pochi metri più in là e quando molte facce sgradite scomparvero iniziò il suo racconto.
<< Il sogno era pressappoco questo: due occhi gialli, grandi e malvagi mi fissavano da dietro la testata del letto. Io dormivo, non me ne accorgevo. Pareva che quegli occhi non facessero parte di un volto: sembrava galleggiassero nell’aria. Improvvisamente la scena cambiò il suo luogo di ambientazione e la nostra stanza si tramutò in un bagno, il bagno delle ragazze credo, dove zampillava acqua da ogni dove. Riuscivo solamente a vedere la manica della camicia di qualcuno, uguale a tutte quelle degli studenti di Hogwarts.
Poi mi sveglio. >>
A Joly si era prosciugata la bocca. Aveva paura, avvertiva uno strano presentimento nelle parole di Bossuet, come se oscuri presagi incombessero sulle loro teste. Avrebbe dovuto informare qualcuno di questo sogno strano e Bossuet doveva far sì che questo fosse possibile.
<< Andremo dopo nella Sala Grande. Ora vieni con me. >>
Si allontanarono salendo le scale.
 
Eponine, non essendo riuscita a trovare Montparnasse da nessuna parte, aveva placcato un altro ragazzo, uno di quelli che gironzolava sempre con lui. L’aveva incontrato fuori dall’aula dove si teneva la lezione di Incantesimi, al terzo piano.
<< Ehi! Tu! Aspetta! >>
Il ragazzo si girò di scatto, come se la voce della ragazza l’avesse appena risvegliato da chissà quale sogno -o incubo-.
<< Dici a me? >> Le chiese girandosi e additandosi.
<< Sì, dico a te. Hai visto Montparnasse? Ho il bisogno urgente di parlare con lui. >>
Lui scosse la testa e fece spallucce: chiunque avrebbe confuso quel gesto con un atto di menefreghismo. Eponine non ci cascò.
<< Andiamo, girate sempre insieme tu, lui e Riddle, sai sicuramente dove si trova. Tra l’altro: il tuo nome? >>
<< Bahorel. Tu sei Eponine giusto? >> Lei sorrise guardando verso l’alto, infastidita, se così possiamo classificare quell’espressione. La compagnia di Montparnasse non le dispiaceva, anzi, era divertente stare insieme a lui, ma c’era qualcosa che non la convinceva, che non le ispirava fiducia. Dallo sguardo di Montparnasse, s’intuiva che non fosse bravo a mantenere né segreti né promesse e quindi aveva paura che rivelasse a chissà chi delle confidenze che lei gli aveva fatto. Le era già sembrato strano il fatto che fosse stato così interessato alle sue umili origini…
<< Oh, ti ha parlato di me vedo >> ribatté.
<< Fremi dalla voglia di sbaciucchiartelo? >> Eponine adesso era schifata.
<< Non essere ridicolo, idiota. Ho bisogno di parlargli di qualcosa di serio. >>
<< Del tipo? >> Bahorel si era appoggiato alla parete e la guardava dall’alto al basso con un’aria interessata e compiaciuta. Trovava che Montparnasse se la fosse scelta bene: era molto bella.
<< Del tipo fatti miei. Riguarda quello che è successo ieri a Mirtilla. >>
Bahorel ora iniziava a guardarla storto.
<< Cosa pensi che possa sapere ‘Parnasse su questa faccenda? Era con me ieri, quando è successo. >>
<< Lui sì. Il suo amico no. Ti sembra normale il fatto che uno studente arrivi sereno e tranquillo nella Sala Grande e che si segga al tavolo a mangiare e a bere senza battere ciglio, dopo una notizia del genere? Ho visto come ci guardava sai: la non curanza in persona. Voglio semplicemente sapere dove si era cacciato Riddle al momento dell’uccisione, tutto qui. Se mi dite che si trovava per i fatti suoi, tranquillo, a leggere un libro, i miei dubbi si assopiranno. >>
Le parole di Eponine fecero riflettere Bahorel, che non aveva minimamente analizzato la vicenda da questo punto di vista. Tom era sempre stato un ragazzo strano, pieno di pregiudizi e di difetti, ma non riteneva che avrebbe mai potuto compiere un’azione del genere, soprattutto non ne vedeva il motivo. Tuttavia la sua assenza era sospetta e anche il fatto che avesse sentito discorrere i professori tra di loro proprio vicino al bagno delle ragazze, quando tutti erano a pranzo.
<< Lui…lui mi ha detto di aver sentito parlare Dippet e altri professori vicino al bagno delle ragazze. Questo la mattina, sarà stato sicuramente dopo le lezioni. >>
Eponine si limitò a chiudere gli occhi e ad accennare un sorriso soddisfatto.
<< Bene. Grazie Bahorel, mi sei stato di grande aiuto. >>
Lui la salutò stringendole la mano, tastando quella stretta così vigorosa e salda, rara per una ragazza. Lei si allontanò, facendo ballonzolare la gonna e i capelli, mentre lui rimase un attimo fermo a fissarla, ripetendosi in testa le parole di Montparnasse del giorno prima: “E’ una povera scioccia, una mezzosangue, mi sto solo divertendo un po’”.

 
 
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Carissime, eccomi tornata :D
Spero che questo terzo capitolo vi sia piaciuto e che l’evolversi della vicenda vi stia intrigando! Personalmente di questo capitolo amo la parte di Jehan e Courf, mi sto affezionando sempre di più a loro, sono meravigliosi *^* …E poi, povero Bossuet, alla presa coi rospi…Attenzione perchè questo sarà molto importante per il seguito della vicenda u.u Ho voluto concentrarmi di meno sulla coppia E/R, ma prometto che dal prossimo ricompariranno anche loro, ed entreranno in scena Combeferre e Feuilly, se i miei calcoli sono esatti! …Piano piano vi comunicherò anche le canzoni (tratte dalla colonna sonora di HP) che associo a ciascuna coppia, ma questo col tempo ;)
Alla prossima, grazie ancora per aver seguito <3
_Noodle

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Capitolo 4
*** IV Capitolo. ***


Era ormai passata una settimana dall’uccisione di Mirtilla ed apparentemente a Hogwarts regnava la tranquillità. Le lezioni avevano ripreso il loro corso regolare e gli studenti sembravano essersi dimenticati di quel mistero che da un momento all’altro avrebbe potuto incolpare ciascuno di loro. C’era chi era concentrato sul test di Pozioni, chi si tormentava d’amore e chi passava giorno e notte a pensare alla partita di Quidditch che avrebbe determinato il primo posto in classifica: questo era Courfeyrac.
Quella mattina si era alzato prestissimo, quasi al sorgere del sole, e non aveva fatto altro che camminare avanti e indietro per il suo dormitorio, determinando quindi il fatto che Enjolras e Marius non chiudessero occhio.
“Ok, i Tassorosso non hanno chance, siamo più forti, più preparati e più concentrati. Gli faremo mangiare la polvere” pensava.
<< Courf, ti prego, smettila! È da due ore che non fai altro che camminare o disturbare, sono le sei, torna a dormire! >> Aveva esordito Enjolras ad un certo punto scaraventandogli addosso un cuscino.
<< Enjolras sono troppo nervoso, è la partita più importante del torneo e dormire è l’ultima cosa che m’interessa. >>
Il biondo era sprofondato di nuovo tra le coperte.
<< Allora esci! >> Marius era stato più diretto.
Courfeyrac, non riuscendo a capacitarsi di quanto i due potessero essere ottusi (insomma, era la partita decisiva!), prese con sé la divisa e se uscì dal dormitorio dei Grifondoro.
Per tutta la mattinata non era riuscito a seguire una lezione; i suoi pensieri erano costantemente rivolti a quel pomeriggio.
Dopo aver pranzato, tutta la squadra si riunì vicino al campo da Quidditch e Courfeyrac prese parola per dare la carica a tutti i giocatori.
<< Ragazzi, questa è la partita decisiva. Siamo i più forti, non c’è che dire e i Tassorosso non reggeranno il confronto. Tuttavia la raccomandazione che vi voglio fare è quella di rimanere concentrati, di non farvi distrarre da niente o da nessuno: l’incontro di oggi è troppo importante. Perciò tiriamo fuori la grinta e facciamo vedere loro chi siamo! >> I ragazzi e le ragazze della squadra risposero con un urlo e poi, pochi minuti dopo, i manici di scopa e i giocatori sfrecciarono in aria a tutta velocità. Gli spalti erano stracolmi: i ragazzi di tutte le Case alzavano stendardi coloratissimi e gridavano a perdi fiato il nome della loro squadra preferita: ovviamente i Grifondoro e i Tassorosso erano i più agguerriti, i Corvonero si dividevano tra l’una e l’altra squadra, mentre i Serpeverde assistevano passivamente alla partita, in quanto convinti di essere i più forti in campo. I giocatori si disposero al centro, attendendo che la Pluffa venisse lanciata in aria.
Courfeyrac scrutò attentamente gli avversari: non aveva nulla da temere, eccetto per i due Battitori, due tipi ben piazzati e dall’espressione scaltra. Erano Combeferre e Feuilly, i due amici di Bossuet.
Non appena la partita iniziò, Courfeyrac si slanciò verso la Pluffa per metterla a segno nella porta dei Tassorosso, ma per poco non venne disarcionato da un Bolide lanciato verso di lui dai due Battitori avversari. La palla passò nelle mani di un Cacciatore dei Tassorosso e subito andarono a segno. Courf era furioso.
Mentre i Cercatori tentavano di impossessarsi del boccino d’oro per concludere la partita, le due squadre erano a dieci punti di differenza: il pubblico era più esaltato che mai. Nella tribuna dei Grifondoro, la più scatenata era certamente Eponine, che sventolava tutta convinta una bandierina rossa e gialla: aveva rischiato più volte di darla in faccia ad Enjolras, che assisteva annoiato alla partita e che cercava di convincere Marius ad andarsene.
In quella dei Tassorosso invece il tifoso numero uno era Bossuet, che gridava a gran voce i nomi degli amici e che per poco non rischiò di cadere giù nel campo.
Courfeyrac, assetato come non mai di vittoria, non era minimante interessato alla tifoseria, tuttavia, senza volerlo, ad un tratto i suoi occhi caddero sulla tribuna dei Corvonero, dove Jehan Prouvaire, il ragazzo della biblioteca, agitava sorridente una sciarpa dei Grifondoro. Quel sorriso timido e selenio lo aveva fatto rimanere di stucco, incantandolo per qualche secondo. Un’improvvisa scarica di adrenalina gli pervase il corpo e, agguerrito, aveva segnato due goal, portando in vantaggio la sua squadra. Jehan aveva esultato felice, mentre accanto a sé Joly sembrava dispiaciuto.
<< Che ti prende Joly? Stanno vincendo! >> Aveva esclamato il rosso. Joly aveva mantenuto il silenzio.
<< Non mi vorrai mica dire che tifi per i Tassorosso? >>
<< E anche se fosse? >>
<< Per quale motivo? Hai sempre tifato per i Grifondoro! Cos’è, non sopporti più i tuoi amici? >>
Joly avvampò violentemente. In cuor suo sapeva benissimo il perchè di quel repentino cambiamento, ma si sentiva profondamente ridicolo e stupido. Voltandosi verso la tribuna dei Tassorosso, aveva visto il sorriso spensierato di Bossuet e, chissà perchè, questo l’aveva rallegrato.
I Grifondoro vinsero la partita e quella sera, ai festeggiamenti, sarebbe scoppiato il delirio, per la gioia di Courf.
 
Jehan e Joly bighellonavano tranquilli per la scuola, aspettando l’ora di cena. Joly continuava a tormentarsi le pellicine delle mani, preoccupato che potessero fare infezione e renderlo infermo. Quel segno di nervosismo fece preoccupare Jehan, perchè sapeva che quando Joly diventava nervoso poteva danneggiare anche la salute degli altri.
<< Che hai Joly? >>
<< Nulla >> rispose lui con lo sguardo basso.
<< Dai, è da oggi che ti vedo strano. È successo qualcosa? >>
<< No Jehan, davvero va tutto a meraviglia. >>
Jehan si mise davanti a lui afferrandolo per le spalle. Lo sguardo fisso che in quel momento stava sfoderando su di lui, aveva in un certo qual modo intimorito Joly.
<< Ascoltami: o sputi il rospo o te lo faccio sputare io con qualche magia. Muoviti, racconta. >> Aveva tirato di poco fuori la bacchetta dalla tasca. Joly lo guardò smarrito e timoroso: stava nascondendo al suo migliore amico uno strano e deforme segreto che nemmeno lui riusciva a palesare a se stesso. Avrebbe capito? L’avrebbe ancora accettato? Avrebbe pensato che fosse matto? Joly si sentiva confuso e felice, amareggiato e anche un po’…diverso.
<< Prometti di non dirlo a nessuno? >> Mormorò.
<< E a chi dovrei dirlo? Sono il tuo migliore amico non a caso. >> Joly trasse un lungo respiro, cercando dentro la sua mente le parole più giuste per comunicare a Jehan la notizia.
<< Credo che… insomma, credo che Musichetta… >>
<< Si è fidanzata con il Tassorosso? Come hai detto che si chiama? Bossuet? >> Chiese Prouvaire con gli occhi sbarrati.
<< No, no. Lui non c’entra, beh sì, forse… >>
<< Joly! >> Lo riprese l’altro per evitasse che balbettasse tra sé e sé parole e frasi senza senso.
<< Mi è passata la cotta per Musichetta, Jehan. >> Il poeta alzò gli occhi al cielo esplodendo in un sorriso euforico.
<< Non sai quanto mi solleva questa cosa, Joly! Finalmente ti rivedrò più sorridente e sereno, anche se a dire la verità, non sembra che questo ti sollevi molto. >> Lo avrebbe dedotto chiunque.
<< Sono confuso. Sono tremendamente confuso e non capisco che cosa mi stia succedendo, se sono diventato pazzo o malato. La mia testa non capisce che cosa stia succedendo! Insomma, da quel giorno in cui ho incontrato Bossuet, qualcosa è…è cambiato… >>
<< Rassegnazione? >>
<< No Jehan, credo che sia qualcosa di diverso. >> Joly aveva gli occhi lucidi e nel pronunciare queste ultime parole si era guardato cuore. Jehan non l’avrebbe mai immaginato e Joly non gli aveva mai dato occasione di pensarlo. Non doveva vergognarsi di quella sua emozione così forte e sincera, doveva anzi accettarla ed esserne felice. Jehan lo capiva bene.
<< Tranquillo Joly, non lo verrà a sapere nessuno. >>
<< Ma è troppo presto. Non pensavo che potesse succedere… >> Jehan gli sorrise dolcemente.
<< Troppo presto per cosa? Non esiste un presto o un tardi in certi casi. Se da quando hai incontrato Bossuet provi qualcosa per lui, come credo di aver capito, allora il momento giusto era quello. >> Joly guardò verso l’alto cercando di ricacciare le lacrime dentro ai suoi occhi e di apparire il meno rammollito possibile. Tuttavia, le parole e il sorriso di Jehan l’avevano tranquillizzato: sapeva che poteva contare su di lui.
<< E poi Joly, non sei né malato, né pazzo, né qualsiasi altra cosa tu abbia pensato in quella tua testolina bacata. Sei semplicemente innamorato. >> A quella parola pronunciata con una tale semplicità da Jehan, Joly era rabbrividito.
<< Non dire quella parola, apprezzo la tua romanticheria, ma io non sono… innamorato di Bossuet. È solo un embrione di attrazione il mio… >> “Che uomo forbito” pensò il rosso lasciandosi scappare una risata.
<< Joly, non prenderti in giro. >> L’ipocondriaco rimase in silenzio fissandosi le scarpe. Non sapeva come reagire, si sentiva a terra. Ripensando a Bossuet tuttavia, non poté fare a meno di sentire un piacevole dolore allo stomaco, lo stesso che aveva provato poche ore prima nel campo da Quidditch.
<< Ma, quello è Gavroche! >> Esclamò di colpo Jehan. Anche Joly lo riconobbe. Il biondino sfrecciava velocemente con la faccia in lacrime: probabilmente scappava da qualcosa.
<< Forza seguiamolo! >> Continuò Prouvaire.
Joly e il suo amico incominciarono a correre dietro di lui il più veloce che potessero.
<< Ponine! Ponine! >> Gridò ad un tratto Gavroche. Eponine appena lo vide col volto rigato di lacrime, lo abbracciò e lo guardò sbigottita. Era insolito tutto ciò: Gavroche era come lei, non piangeva mai.
<< Gavroche, che succede? Stai bene? Sei tutto sudato, ma che hai fatto? Perchè piangi, non è da te!>> Esclamò lei mentre il fratellino tremava un poco.
<< Mi trovavo casualmente davanti al bagno delle ragazze e ho visto Riddle manomettere un lavandino. Mi sono avvicinato lentamente a lui e mi ha cacciato via insultandomi… lui mi ha… mi ha chiamato mezzosangue. Io non so perchè mi abbia spaventato così tanto, di solito so affrontare quelli come lui, eppure… >> Eponine era rossa in volto, colma d’ira, con le fauci di un lupo al posto del sorriso e il veleno di un serpente al posto del sangue. Se avesse potuto, avrebbe stritolato Riddle con le sue mani. Aveva insultato suo fratello e le sue origini: non poteva più aspettare.
<< Ora ascoltami bene >> disse rivolgendosi al fratello << vai nella nostra Sala Comune e non ti allontanare mai più da solo. Se devi andare da qualche parte, chiama me, oppure rivolgiti a Courfeyrac, Enjolras o Marius. I tuoi amici più piccoli non sono affidabili, gira con qualcuno di più grande. >> Si alzò da per terra, poiché si era accovacciata, e con passo deciso si diresse verso le scale.
<< Dove stai andando? >> Le chiese il fratello.
<< A fare due chiacchiere con Riddle. >>
Nel frattempo i due Corvonero avevano raggiunto il piccoletto ed erano quindi incappati in Eponine.
<< Che ci fate voi qui? >> Aveva chiesto perdendosi distrattamente  negli occhi di Jehan.
<< Abbiamo visto tuo fratello correre e ci siamo preoccupati.
 >> rispose ansimante Joly, che pensava di perdere un polmone da un momento all’altro.
Eponine si allontanò da loro e, furiosa, andò alla ricerca di Riddle. Non aveva paura.
 
Quello che sarebbe successo quella sera, sarebbe stato devastante sotto più punti di vista.
Potremmo iniziare a raccontare, innanzi tutto, ciò che successe all’incontro del Lumaclub.
Enjolras se ne stava seduto al tavolo di fianco a Combeferre, il Battitore dei Tassorosso, che come lui aveva voti eccellenti: tra lui e Lumacorno vi fu “amore” a prima vista. Enjolras e Combeferre parlavano spesso e si capivano istintivamente. Se non fosse stato per l’appartenenza a dormitori diversi, sarebbe sicuramente stato il suo amico più fidato. Tuttavia, nessuno, nemmeno Combeferre, era capace di farlo ridere e al contempo disperare come Courfeyrac: la sua eccentricità lo infastidiva, ma gli voleva bene, a parte tutto.
Ma torniamo a noi. La serata non si prospettava del tutto entusiasmante, anche perchè gli invitati erano sempre gli stessi, le domande del Professore anche e, ciliegina sulla torta, Riddle lanciava le solite occhiatine di odio radicato verso tutti gli altri presenti: Enjolras non poteva reggerle.
<< Il signor Bahorel si unirà a noi? >> Ridacchiò Lumacorno.
Gli altri fecero spallucce: non lo sapevano.
Erano ormai al dolce, quando ad un tratto, la porta si spalancò ed entrò, destando la meraviglia di Enjolras, il ragazzo Serpeverde che una settimana prima lo aveva fissato nella Sala Grande. Non era Bahorel.
<< Oh, Signor Grantaire, prego si segga, si segga! >>
Grantaire si sedette con disinvoltura, guardandosi intorno e salutando tutti i presenti. Quando il suo sguardo si posò su Enjolras, non si sentì in grado di reggerlo e lo abbassò subito, quasi temesse che lui potesse provare ribrezzo. Enjolras era perfetto, lui sapeva di essere deforme. Nessuno gli aveva mai fatto quell’effetto.
<< Scusi il ritardo professore >> disse Grantaire sorridente.
<< Non ti preoccupare caro, sei ancora in tempo per il dolce! >> Il professor Lumacorno non poteva biasimarlo: anche lui solitamente era un ritardatario di primo ordine; nel frattempo il ragazzo si era seduto e aveva incominciato ad assaporare il dolce.
<< Allora, che lavoro fanno i tuoi genitori Grantaire? >> Chiese il professore.
<< Lavorano al Ministero della Magia. >>
<< Tu aspiri a diventare Auror? >> Grantaire chiuse gli occhi e sorrise, rianimando la sua parte ambiziosa; era per questo che lo avevano smistato in Serpeverde.
<< Se i miei voti fossero sempre così buoni come quest’anno! >> Rispose facendo il modesto. Riddle lo guardava infastidito: oggettivamente i voti di Grantaire erano migliori dei suoi in quel momento.
<< Se continui su questa strada sono sicuro che lo saranno >> lo incoraggiò Lumacorno ingoiando un’enorme pallina di gelato.
<< Enjolras, ricordamelo, che lavoro fanno i tuoi genitori? >> Continuò.
<< Sono morti quando avevo quattro anni. >>
Enjolras era diventato glaciale e nel comunicare la notizia non aveva abbassato lo sguardo nemmeno per un attimo. In lui risplendeva l’orgoglio: abbassare lo sguardo era da persone senza spina dorsale.
<< Oh, perdonami figliolo, non era nelle mie intenzioni. >>
<< Non fa nulla >> disse accennando un flebile sorriso.
Ad un tratto, Riddle si rivolse a lui. 
<< E’ vero che in giro ti chiamano Apollo? Tuo padre era forse un dio? >> Alcuni ragazzi risero alla battuta di Riddle. Combeferre e Grantaire invece rimasero impassibili. Enjolras spalancò gli occhi e alzò un sopracciglio alla domanda di Tom: che cosa gli importava? Era un antipatico trucchetto per saperne di più sulla sua famiglia?
<< No. Non so perchè mi chiamano così >> aveva infine risposto lui gesticolando con le mani. Grantaire, anche se era appena venuto a conoscenza del soprannome di Enjolras, poteva tranquillamente dedurre il perchè. Insomma, era un marmo.
<< Saranno i ricci biondi >> sussurrò con un sorriso dolcissimo.
<< Che sciocchezza >> concluse il biondo con serietà e rifiuto.
Riddle sembrava insoddisfatto; nei suoi occhi verdi s’intravedeva lo strisciare di un dubbio oscuro.
<< Professore, che cosa ne pensa dell’uccisione di quella ragazza ritrovata morta nel bagno? >> Il silenzio calò improvvisamente nella sala: riuscivano a sentire le urla e i festeggiamenti dei Grifondoro da lì.
<< E’ orripilante, ecco >> tagliò corto il professore.
<< E ha dei sospetti? >> Continuò Riddle.
<< Sinceramente no, e non credo che possa interessarvi. >>
<< Ero semplicemente curioso. Il parere dei professori m’interessava. Che intenzioni avete? >> Enjolras era rosso di rabbia per la sfacciataggine del ragazzo.
<< Non penso siano fatti tuoi Riddle, quello che i professori si dicono rimane tra loro, a meno che non lo vogliano rendere pubblico. >> Era una sfida.
<< Sentiamo allora, chi credi sia stato tu? >> Riddle non demordeva, era bramoso d’informazioni.
<< Probabilmente qualcuno di molto subdolo e di molto scaltro. Fammi pensare? Oh, si… >> Enjolras avrebbe voluto gridargli in faccia il suo nome, ma venne frenato da Combeferre, che gli aveva messo un mano davanti alla bocca. Combeferre riusciva sempre a capire quando le situazioni degeneravano.
<< Adesso basta. La riunione può considerarsi conclusa. V’invito a ritornare nei vostri dormitori. >> Lumacorno aveva espresso il suo verdetto. I ragazzi uscirono dalla sala: Enjolras per primo, Riddle per ultimo. Le loro strade si separarono e per far sì che non gli lanciasse un terribile incantesimo, Enjolras decise che si sarebbe diretto nella loro Sala Comune, a godersi i festeggiamenti. Ad un tratto una voce lo chiamò.
<< Enjolras! >> Era Grantaire.
<< Stai andando a festeggiare il Quidditch? >>
Apollo guardò in alto assumendo un’espressione nauseata.
<< Perchè dovrebbe interessarti? >>
<< Perchè facevo il tifo per loro oggi. >> Enjolras scoppiò in una fragorosa risata.
<< Ma fammi il piacere, un Serpeverde che tifa Grifondoro! >>
<< E’ solo un’uniforme Enjolras >> rispose Grantaire serissimo. Effettivamente questa risposta lo spiazzò un po’.
<< Allora, posso unirmi a voi? >> Continuò il moro.
<< Andiamo. Ma ti avverto: se mi segui solo per poi sparlare di me con Riddle, tornatene nei sotterranei. >> Questa volta fu Grantaire a ridere.
<< Quanto sei prevenuto! Paura che qualcuno ti possa far fare brutta figura? >> Enjolras si sentiva oltraggiato nel profondo: Grantaire era stato il primo a toccare uno dei suoi punti deboli: la paura di sfigurare. Non l’aveva mai detto a nessuno, ma era così evidente? Grantaire durante quel piccolo scherno non aveva fatto altro che pensare al suo cuore, che come un orologio impazzito ticchettava più velocemente. Enjolras era bello, casto, intatto: il suo opposto. Forse era proprio vera quella teoria per cui si dice che gli opposti si attraggono.
 

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 Hi people! (:
Allora, da dove cominciamo? Ah si, io amo Courfeyrac. E’ la fissa della settimana, capitemi! E Jehan è sempre più amore, così deciso e allo stesso tempo così fragile! Riesce ad ascoltare Joly e soprattutto a comprenderlo, lo voglio anche io come amico T.T * Lo fa resuscitare * . E finalmente vediamo ricomparire i bei due, Enj e Taire, che di questo incontro proprio non ne sapevano niente. Dobbiamo ringraziare Lumacorno u.u Tra l’altro, la scena si ispira a quella de “Il Principe Mezzo Sangue”, come avrete capito.
Per quanto riguarda la vicenda, Enj e Ponine iniziano a spazientirsi e a volerne sapere di più. Come finirà? Che cosa si diranno Eponine e Riddle? …Questo nella prossima puntata u.u
Un bacione a tutte <3 ^^
_Noodle

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Capitolo 5
*** V Capitolo. ***


Courfeyrac si stava prendendo tutti gli applausi della serata. Marius lo portava trionfalmente sulle spalle e per questo motivo aveva attentato più volte alla sua vita, in quanto la testa del ragazzo arrivava all’altezza del lampadario della Sala Comune. Si erano già scolati litri e litri di Burrobirra, arrivata a Hogwarts chissà da dove e, sebbene il tasso alcolico di quella bevanda fosse pari a zero, sembravano tutti ubriachi fradici: forse erano le risate a renderli così brilli.
<< Chi ha vinto?! >> Urlava Courfeyrac tenendo saldamente in mano una sciarpa gialla e rossa.
<< Grifondoro! >> Rispondevano applaudendo i presenti nella sala, lanciando gridolini qua e là.
Marius, lasciato a terra Courf, che ringraziò il cielo una volta per tutte, accese la radio e le musica si diffuse irruente per tutta la stanza. Le ragazze iniziarono a ballare, alcune più goffamente, altre in modo più sciolto e non appena Marius incominciò a muovere i fianchi (spettacolo a dir poco raccapricciante per coloro che lo vedevano per la prima volta), si sentì toccare la spalla da dita leggere: lo stesso tocco con cui avrebbero accarezzato i tasti di un pianoforte. Marius si girò di scatto, con in volto un’espressione da pesce lesso, ma quando vide gli occhi enormi e splendenti di Cosette, occhi che avrebbero fatto invidia alla luna, incastrarsi nei suoi, non poté che trasformare quel grugno ridicolo in un sorriso di miele. Cosette sorrideva, mostrando i suoi trentadue denti perfetti e teneva le mani dietro la schiena con le dita intrecciate tra loro.
<< Buonasera Marius. >>
<< Cosette! Anche tu a festeggiare la vittoria dei Grifondoro? >> Le chiese Marius incrociando le mani sul petto per recuperare un po’ di credibilità, che aveva perso con la precedente smorfia.
<< Sembra proprio di sì >> confessò lei inumidendosi le labbra color fragola. A Marius scappò una risatina sbadata a causa di quel piccolo gesto.
Restava immobile ad ammirarla: era piccina Cosette, esile e candida: gli ricordava un soffione. Lui invece, così alto e sporco (di lentiggini s’intende) avrebbe sfigurato al cospetto di quella pelle di ceramica. Dal loro primo incontro in Guferia, Marius non aveva fatto altro che pensare al lei durante i due momenti fondamentali della giornata: quello che precede il sonno e quello che segue il risveglio. La sua aria eterea e i suoi lineamenti così debolmente segnati non gli permettevano di respirare: Cosette gli stava rubando l’aria. E lui, Pontmercy, che sapeva benissimo che cosa accadeva ai suoi comportamenti quando venivano plasmati dall’amore, immaginava quanto sarebbe diventato ossessivo e asfissiante parlando delle sue donne; tuttavia con Cosette era diverso, poiché non capiva ancora lucidamente che cosa fosse quel sentimento, se fosse davvero amore o un incantesimo riuscito male (o forse troppo bene). A dire il vero, non era nemmeno sicuro che lei esistesse, talmente era fuggevole.
<< Che cosa aspetti? >> Chiese lei stupita ad un tratto.
<< Io? >> Marius non riusciva a capire a che cosa si riferisse.
<< Certo. Che cosa aspetti ad invitarmi a ballare? >>
Marius sorrise di colpo, come se la miccia dei suoi sentimenti avesse appena preso fuoco e, senza aggiungere ulteriori parole, le tese la mano e la invitò a danzare. Cosette si muoveva bene; riusciva ad essere originale senza fare granché e persino Marius, che sapeva quanto poteva essere impacciato nei movimenti, non percepiva se stesso come un vero e proprio disastro. Stava ballando con una ragazza, per una ragazza. Una cosa era certa: non era in sé.
Courfeyrac, che nel frattempo si era diretto verso un gruppetto di ragazzine che si sarebbero scagliate addosso i peggiori incantesimi di questo mondo pur di stare con lui, assisteva divertito alla scenetta di Marius e Cosette; ancora più esilarante però, era ciò che si stagliò davanti al suo sguardo pochi istanti dopo: Enjolras, nero in volto, con al seguito il ragazzo con cui Courfeyrac per poco non aveva fatto a botte nella Sala Grande: Grantaire. Quest’ultimo sorrideva tranquillo; non si sentiva minimamente in imbarazzo tra tutti quei ragazzi e quelle ragazze di Grifondoro, per lui tutti erano uguali, non vi era una casa o una persona migliore dell’altra.
Quando Courfeyrac vide Enjolras precedere il nuovo arrivato, abbandonò la pletora di ragazzine urlanti che lo attorniavano e si avvicinò ai due.
<< Enjolras finalmente! >> Esclamò abbracciandolo. Grantaire intuì che al biondo non piacevano gli abbracci da come si scostò da lui.
<< Lumacorno ci ha trattenuto un po’ più del previsto >> aggiunse Grantaire rivolgendosi a Courf.
<< Anche tu fai parte del Lumaclub? Ma sono io l’unico beota qui dentro? Courfeyrac, piacere >> scherzò Courf sorridente mentre stringeva la mano a Grantaire.
<< Mi ricordo di te, sai. Non sei credibile da arrabbiato! >>
Da quel momento i due ragazzi diventarono amici. Divennero il duo più conosciuto in tutta Hogwarts, il duo che sapeva far ridere e far alleviare la tensione nei momenti peggiori. Courfeyrac e Grantaire diventarono, in chissà quanti secoli di storia della magia, il Grifondoro e il Serpeverde che per la prima volta riuscirono a collaborare. Che fosse davvero reale questa complicità? Enjolras non poteva fare a meno di pensarlo.
Ma torniamo a quella sera. I tre si accomodarono sul divano nero che presidiava una zona della sala e si sedettero a parlare: ovviamente Courfeyrac non poteva fare a meno di mangiare come un disperato.
<< Perchè Marius sta ballando? >> Chiese ad un tratto Enjolras guardando con ribrezzo l’amico, che tentava di agitare le spalle senza sembrare un tacchino con attacchi di epilessia.
<< Lo sa che potrebbe farmi sanguinare gli occhi, perchè non la smette? >> Grantaire e Courfeyrac incominciarono a ridere a crepapelle dopo l’affermazione di Enjolras, che serissimo, più serio che mai, guardava Marius agitare il di dietro. Courf quasi si strozzò con i biscotti che stava sgranocchiando.
<< Enjolras, forse non ti rendi conto di quanto puoi essere esilarante in questi momenti! >> Esclamò Courfeyrac con le lacrime agli occhi.
<< E’ sempre così? >> Chiese Grantaire a Courf indicando il biondo.
<< Non vedo che cosa ci troviate di tanto divertente, è uno spettacolo orribile! Provo pena per quella povera ragazza. >>
A Grantaire era venuto meno il fiato, un altro movimento di Marius e un’ulteriore parola di Enjolras e sarebbe collassato. Quel ragazzo scolpito nel marmo era freddo e rigido e in sé racchiudeva la capacità di far sbellicare dalle risate, senza che il suo intento fosse realmente quello; nessuno ci era mai riuscito.
<< Smettila di ridere. >>
<< Che cosa ti dà fastidio? Non stiamo mica ridendo di te. >>
Grantaire sapeva, in un certo qual modo, tenere testa ad Enjolras, ma lo guardava poco negli occhi: erano l’unico punto che riusciva a vincerlo. 
<< Perchè non fai vedere a Marius quanto sei più bravo di lui a ballare? Potresti scoprire di essere un ballerino nato! >> Lo provocò Courfeyrac. Enjolras rabbrividì alla sola idea di muovere le gambe in un modo diverso dal solito, di fare qualcosa che non fosse camminare o correre, di ballare davanti a tutti i presenti nella sala. Sarebbe stato marchiato a vita.
<< Courf, non ci pensare nemmeno. Non sono un fenomeno da baraccone, non mi pare giusto che io lo faccia se non voglio >> aveva sentenziato con gli occhi spalancati e le spalle rigide.
<< Lasciati andare Enjolras! La vita non è fatta solo di cose giuste, ma anche di cose sbagliate >> aveva aggiunto Grantaire con un sorriso simpatico, che tuttavia Enjolras interpretò in maniera diversa.
<< Che ne sai tu di che cosa è giusto o sbagliato per me? >> Gli rispose Apollo alterato, accompagnando le parole da alcuni gesti delle mani.
<< Tu lo sai? Sai che cosa è giusto per te? Ballare potrebbe esserlo in fin dei conti, non ci hai mai provato a quanto pare >> concluse Grantaire, spiazzando per l’ennesima volta il biondo.
E fu così che, spinti dalle esortazioni di Courf, Enjolras e Grantaire si ritrovarono a ballare insieme sotto gli occhi di tutti. Grantaire, poiché era stato minacciato di morte da Enjolras, si era offerto di ballare con lui: almeno si sarebbero spartiti la figuraccia. Conosceva quel Serpeverde da qualche ora ed era già riuscito rovinargli la reputazione; certo, c’era da dire che anche Courfeyrac si era messo d’impegno per renderlo possibile.
Il caso volle che in quel momento alla radio passassero un lento, uno di quelli che si ballano con la testa del compagno appoggiata sulla spalla. Enjolras restava immobile davanti a Grantaire, indeciso sul da farsi, quando ad un tratto il ragazzo gli mise le braccia attorno al collo, appoggiandole sulle spalle.
<< Che diamine stai facendo?! >> Sbraitò il biondo in preda ai tremori e rosso in volto.
<< Sto ballando forse? Avanti, devi mettere le tue mani attorno alla mia vita. >> Enjolras spalancò a tal punto gli occhi da diventare brutto e arricciò schifato le labbra. Grantaire, al contrario, pensava che fosse bello, bello di una bellezza folgorante. Altro che Apollo, Enjolras era meglio.
<< Non ci penso neanche! Non sono mica… >>
<< Finocchio? >>
Quella parola fu letale per Enjolras. I suoi pensieri si mescolarono l’uno con l’altro e qualsiasi certezza portasse con sé sembrò una pura e fragile fiammella. Come riusciva Grantaire ad essere così dannatamente schietto? E come faceva a disarmarlo ogni volta con il semplice uso delle parole?
<< Nemmeno io lo sono, ma non mi faccio di questi problemi. Avanti, prendimi i fianchi. >>
Enjolras sbuffò guardando in alto.
<< Vuoi dimostrare a Marius chi è il più bravo a ballare? >> Ribadì Grantaire afferrandogli le mani e ponendole sul suo corpo. Seduto sul divano ad assistere alla scena vi era Courfeyrac, posseduto da una risata convulsa.
<< Io non volevo dimostrare proprio un bel niente… >> Sussurrò Enjolras quando iniziarono a ballare.
Marius, che aveva stretto nel suo abbraccio Cosette, guardava la scena stupito e anche un po’ confuso, non pensando che Enjolras sarebbe mai stato capace di una cosa del genere, soprattutto con uno sconosciuto.
Ballavano, girando lentamente su loro stessi. Era buffo: Grantaire, che fino ad una settimana prima non aveva fatto altro che fissare Enjolras nella Sala Grande, in quel momento, nel quale avrebbe potuto divorarselo con una sola occhiata, teneva lo sguardo basso; si limitava ad alzare il capo ogni tanto.
Era strano: Enjolras, che fino a pochi attimi prima aveva fatto lo spavaldo, adesso si muoveva a ritmo di musica, ammorbidendo di poco i suoi lineamenti e non era nemmeno tanto male. A ballare s’intende.
Contemporaneamente a questa romanticheria, in un’altra area del castello, accadeva qualcosa non del tutto romantica.
Eponine aveva gli occhi iniettati di sangue, furenti; avrebbe potuto scatenare una guerra solo con uno sguardo. Camminava spedita alla ricerca di Riddle, a quell’ora in cui oramai la scuola era deserta: si sentiva solo il ticchettio della pioggia battente sui vetri.
Avvicinandosi però all’ufficio del preside Dippet sentì delle voci farsi sempre più chiare. Erano due voci maschili: una era quella di Dippet, l’altra era sicuramente quella profonda e fasulla di Riddle. Appoggiò l’orecchio sulla porta e si mise ad origliare, cosa che certamente non avrebbe mai fatto …o quasi.
<< Tu sei figlio di Babbani? >>
<< Sono un mezzosangue signore >> disse Riddle. << Padre Babbano e madre strega. >>
<< E i tuoi genitori sono tutti e due… >>
<< Mia madre è morta appena sono nato, signore. All’orfanotrofio mi hanno detto che visse appena quanto bastava a darmi il nome: Tom, come mio padre, e Orvoloson, come mio nonno. >>
Eponine era incredula: anche Riddle era un mezzosangue.
Dippet scosse il capo con aria comprensiva, Eponine lo scosse per il disappunto.
<< Il fatto è Tom >> sospirò, << che si sarebbe potuto anche fare uno strappo alla regola per te, ma date le attuali circostanze… Mio caro ragazzo, devi capire quanto sarebbe irragionevole da parte mia lasciarti rimanere nel castello, una volta terminato il trimestre. Specialmente alla luce della recente tragedia…la morte di quella povera ragazza…Sarai molto più al sicuro nel tuo orfanotrofio. Il Ministro della Magia sta parlando addirittura di chiudere la scuola. Non abbiamo fatto nessun progresso nell’individuare la ehm… fonte di questa antipatica… >>
Eponine non fiatava, ma i battiti del suo cuore parlavano per lei. Chiudere la scuola. La gravità dell’omicidio era più grande di quanto potesse pensare, a quanto pare.
<< Ma signore, se la persona venisse presa… se tutto finisse… >> bisbigliò il ragazzo.
<< Che cosa vuoi dire? >> Chiese Dippet con una nota stridula nella voce, raddrizzandosi sulla sedia. Gli occhi di Eponine si fecero più grandi.
<< Riddle, tu sai qualcosa di questa storia? >>
<< No, signore >> si affrettò a rispondere il ragazzo.
<< Puoi andare Tom. >>
Eponine, a quelle parole scattò in piedi come una molla e si allontanò dalla porta dello studio di Dippet, correndo verso il corridoio. Aspettò solamente che Tom le apparisse di fianco per agguantarlo e non appena lo fece lo afferrò per il colletto della camicia, tenendo saldamente la sua cravatta in mano.
<< Chiedi scusa a mio fratello e a me. >>
<< Non ne vedo il motivo… >>
<< CHIEDICI SCUSA! >> Gridò la ragazza facendo tremare le pareti del castello. Riddle non distoglieva il suo sguardo da quello di Eponine e poi, sorridendo in modo raccapricciante, sembrò essersi ricordato di qualcosa.
<< Hai gli stessi occhi sfacciati di tuo fratello, povera sporca mezzosangue… >> Eponine strinse ancora di più la presa e lo spinse contro la parete. Inaspettatamente Riddle non tentava né cercava di divincolarsi.
<< Zitto verme! Anche tu sei un mezzosangue, perciò non azzardarti a rivolgerti a me e a mio fratello in questo modo, se non vuoi fare una brutta fine. >>
Questa volta non si limitò a sorridere, ma quella che uscì dalla bocca di Riddle fu una vera e propria risata, raccapricciante, indegna di essere chiamata così. Sembrava che le fauci della lupa fossero state annientate da quelle del drago.
<< Dovrei avere paura di te? >>
<< Dovresti. >>
<< Perchè? Cosa puoi fare contro me? >> Eponine gli puntò la bacchetta al collo. Non aveva paura, mai ne avrebbe avuta. Avrebbe potuto lanciargli l’incantesimo peggiore se solo questo non avesse comportato gravi conseguenze.
<< Che cosa ci facevi nel bagno delle ragazze questa sera? >> Riddle aggrottò la fronte.
<< Ma che bravo il fratellino, fa anche lo spione! >>
<< Dimmi che cosa ci facevi lì, ora >> Strillò di nuovo la ragazza, sibilando l’ultima parola.
<< Non sono  affari che ti riguardano, cagna. >> Riddle aveva tirato fuori di poco la bacchetta dalla tasca e ad Eponine non era sfuggito questo particolare.
<< Expelliarmus! >> Pronunciò a gran voce. La bacchetta di Tom volò qualche metro più in là, rotolando ai piedi di un ragazzo che, attonito, assisteva alla scena da qualche secondo.
<< Che succede qui? >> Chiese con un misto di preoccupazione e di timore.
<< Bahorel… >> sussurrò Eponine abbassando la bacchetta dal collo di Tom.
<< Nulla, abbiamo fatto solo due chiacchiere >> concluse lei, avvicinandosi al nuovo arrivato.
<< Problemi con Eponine, Riddle? >> Eponine non si accorse nemmeno di essere arrossita alla domanda di Bahorel. L’ira l’aveva resa talmente paonazza che il debole rossore dell’imbarazzo assomigliava ad un flebile pallore.
<< Assolutamente no. Deve solo ricordarsi di non impicciarsi negli affari degli altri, se non vuole pagarne le conseguenze. >>
Riddle si allontanò lentamente. Questa sua strana e raccapricciante lentezza lo rendeva ancora più inquietante di quanto già non fosse, ma non appena girò l’angolo, svoltando in un altro corridoio, iniziò a correre, destando curiosità e terribili presentimenti nei cuori dei ragazzi.
<< Seguimi >> ordinò Eponine a Bahorel.
Lo rincorsero in silenzio, nascondendosi e prendendo strade alternative. Riddle scendeva: era sceso fino ai sotterranei, nell’aula di Pozioni.
<< Dai, tocca andare via di qui… andiamo, su, nella scatola! >>
Quella voce che proveniva dall’interno aveva un che di familiare.
Con un balzò improvviso Riddle svoltò l’angolo, mentre Eponine e Bahorel restavano accostati alla parete, cercando di respirare il meno rumorosamente possibile.
<< ‘Sera Rubeus >> lo salutò Riddle secco. Rubeus? Eponine aveva già sentito prima quel nome. Ma certo! Rubeus Hagrid, il ragazzo Grifondoro del terzo anno tanto amico di Gavroche.  Che ci faceva lì?
<< Tom, che sei venuto a fare quaggiù? >>
Riddle gli si avvicinò.
<< E’ finita. Sarò costretto a consegnarti, Rubeus. Si parla di chiudere Hogwarts. >>
<< Che diavolo… >>
<< Non penso che tu volessi uccidere nessuno, ma i mostri non possono diventare animali domestici. Suppongo che tu l’abbia fatto uscire che fargli sgranchire un po’ le zampe… >>
<< Non ha ammazzato nessuno! >> Disse il ragazzo corpulento. Un sospiro di sorpresa da parte di Eponine fu assopito da Bahorel, che le aveva messo la mano davanti alla bocca.
<< Coraggio Rubeus, i genitori della ragazza morta saranno qui domani. Il minimo che Hogwarts possa fare è di assicurarsi che la cosa che ha ucciso la loro figlia sia fatta fuori… >>
<< Ma non è stato lui! >> tuonò il ragazzo, e la sua voce rimbombò nel buio del corridoio.
<< Fatti da parte. >>
Eponine e Bahorel sentirono solo l’urlo di disperazione del ragazzo e videro filtrare da sotto la porta una forte luce, che sembrava aver stecchito il fantomatico mostro. I due ragazzi si guardarono, allibiti per tutto ciò che era accaduto in quei pochi istanti ed entrambi ebbero lo stesso pensiero: che cos’era che Riddle aveva appena ucciso? Era quella creatura ad aver ucciso Mirtilla? Avevano bisogno di parlare con una persona, una piccola grande persona: Gavroche.



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Ce l’ho fattaaaaaaaa! L’ho scritto in due giorni questo capitolo belle mie, scusate se non sarà perfetto! La scuola non mi lascia in pace T.T …Ma a parte questo, che ne dite? La scena della danza è esilarante, scritta ascoltando “Magic Words” dalla colonna di “Harry Potter e il Calice di Fuoco” e mi sono tipo sciolta. Più che altro sono morta pensando a Pontmercy ballerino X””
La seconda parte del capitolo è chiaramente ispirata, anzi, copiata ed integrata, al capitolo “Il Diario Segretissimo” del secondo libro della saga. Che dire, se non vado a dormire ora collasso, quindi ci si vede alla prossima, sperando che anche questo capitolo vi sia piaciuto (: Vi adoro! ~ <3
_Noodle 

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Capitolo 6
*** VI Capitolo. ***


La lezione di Pozioni, secondo Enjolras, non si prospettava per nulla interessante. Quel giorno avrebbero preparato qualche strano intruglio insieme ai Corvonero e già il fatto che Marius continuasse a fare il cascamorto con Cosette l’aveva fatto spazientire. Tuttavia, il peggio doveva ancora arrivare: “peggio” sempre secondo i canoni di Enjolras.
Lumacorno entrò in classe sorridente, con un librone polveroso tra le mani e addosso un soprabito che gli arrivava fino ai piedi, talmente lungo sembrava lo strascico di un vestito da sposa. Jehan, che era nascosto dietro Joly a giocherellare con le maniche della camicia, riconobbe il libro che teneva in mano il professore. Gli sembrava particolarmente familiare: non era uno dei comunissimi volumi della biblioteca, uno di quelli che controllava tutti i giorni, ma era QUEL libro, quello su cui aveva posato distrattamente lo guardo alcuni giorni prima.
Il professore sembrava essere molto fiero di quel manuale; Jehan era preoccupato sul da farsi.
<< Buongiorno ragazzi! >>
<< Buongiorno! >> Recitarono tutti in coro.
Lumacorno si tolse il soprabito, prese il libro tra le mani (in quanto l’aveva momentaneamente appoggiato sulla scrivania) e lo mostrò agli studenti. La copertina era di un blu accesso e non vi erano scritte sopra: Jehan l’aveva riconosciuto da quei particolari.
<< Qualcuno di voi, ragazzi, sa che libro è questo? >>
Dall’altra parte dell’aula di Pozioni, Courfeyrac aveva accennato un sorriso.
<< Nessuno? Signor Prouvaire, lei che è prefetto e che so essere un assiduo frequentatore della biblioteca, non sa che libro è questo? >>
Jehan arrossì leggermente, poi si schiarì la voce portando la mano davanti alla bocca.
<< E’ un volume sui filtri d’amore, credo. >>
<< Eccellente Prouvaire! >>
Filtri d’amore. Filtri d’amore? Perchè diamine Lumacorno avrebbe dovuto tenere una lezione sui filtri d’amore? Enjolras era sbigottito dalla scelta dell’argomento, si aspettava che come insegnante potesse offrire molto di più. Le ragazze dell’una e dell’altra casa invece, erano su di giri, si guardavano maliziose e ridevano con le loro vocine acute; alcune si spintonavano a vicenda additando a Courfeyrac e ad Enjolras. Jehan assisteva alla scena sconsolato, per un motivo che apparentemente poteva sembrare invidia.
<< Quello che preparerete oggi sarà il più potente dei filtri d’amore, l’Amortentia. >> I ragazzi, che non si aspettavano certamente che il professore avrebbe ordinato loro di preparare una miscela del genere, iniziarono a bisbigliare tra di loro contrariati, poi Cosette parlò a nome di tutti.
<< Professore, il Ministero ha vietato la produzione di questo filtro, ci è proibito prepararlo! >> Lumacorno scoppiò in una fragorosa risata, non curante delle parole della ragazza.
<< Mi chiedo dove mai possiate trovare le uova di Ashwinder! E poi il Ministero non lo verrà a sapere! Quando ero ragazzo io sarei stato felice di infrangere qualche regola! >>
E così i ragazzi, in men che non si dica, si ritrovarono posizionati dietro ai tavoli di lavoro pronti per preparare l’Amortentia. La particolarità di questo filtro era che odorava diversamente per ogni persona che l’annusasse, secondo le fragranze che piacevano di più a ciascuno, anche se, a volte, non ci si rendeva conto di amare un particolare profumo.
Enjolras aveva iniziato a spargere i petali di rosa e il peperoncino in polvere nell’acqua bollente, aspettandosi che improvvisamente tutta la classe si sarebbe trasformata in un branco d’innamorati rimbecilliti: era evidente che non se ne intendeva di filtri d’amore.
Joly, dal canto suo, si era toccato gli occhi dopo aver preso un pizzico di peperoncino tra le dita e, con il bulbo oculare in fiamme, aveva temuto che da un momento all’altro gliel’avrebbero dovuto cavare; Jehan osservava la scena divertito.
Era ormai giunto alla fine della preparazione: era una pozione particolarmente difficile riguardo le dosi, ma molto rapida da preparare. La sua profumava di manico di scopa consumato, di torta appena sfornata e caramello. Alzando gli occhi dal calderone incrociò lo sguardo di Courfeyrac che, proprio davanti a lui, si era perso nella sua immagine. Prouvaire diventò dello stesso colore dei petali di rosa.
L’Amortentia per Courf profumava di fiori di campo, di ferro e di carta invecchiata: perchè tutto ciò? Da che cosa era attratto? Perchè i fiori? Perchè il ferro? Perchè la carta invecchiata? Era realmente ciò da cui era attratto? Alzando gli occhi incrociò quelli del rosso e non appena si soffermò un attimo ad osservare le sue mani, così lunghe ed affusolate, credette di essere in presenza di un giglio. Scosse la testa per ricacciare quei pensieri nel cervello e si rimise al lavoro, mescolando un po’ di più la pozione. Alle sue spalle un’amica di Musichetta, una certa Millicent Bagnold, guardava Courfeyrac con interesse e parlava all’orecchio della sua amica continuando ad osservarlo. Lui ovviamente non si era accorto di nulla.
<< Pensi sia lui? >> Le sussurrò Musichetta.
<< E’ sicuramente il suo profumo! >>
Jehan cercava di non dar retta ai loro discorsi chiacchierando con Joly, che sorpreso, aveva scoperto che la sua Amortentia profumava di shampoo per capelli.
Nel frattempo Enjolras, dopo che la sostanza ebbe assunto un colore perlaceo, decise che annusarla non sarebbe stato per nulla un errore, d’altra parte non avrebbe detto a nessuno di che cosa odorava. Nel profondo non gli dispiaceva sapere che cosa lo attraeva: lui non ci aveva mai pensato e probabilmente in quel momento non ci sarebbe arrivato. Avvicinò le narici al calderone e chiuse gli occhi. I riccioli biondi gli ricaddero sul viso.
China. Vino. Legno appena tagliato.
Lumacorno si avvicinò a ciascuno degli studenti controllando le loro pozioni, poi si assicurò che tutti vuotassero il calderone, versando il liquido fino all’ultima goccia.
Uscirono dall’aula facendo rumore, parlottando tra loro e spintonandosi a vicenda, chiedendosi l’un l’altro quale fragranza bizzarra avessero respirato.
<< Shampoo, Joly? Chi è la bella che ha i capelli profumati? >> Lo stuzzicava Courfeyrac, mentre lui cercava di nascondere l’estrema vergogna che lo stava assalendo. Ironia della sorte: Bossuet era calvo.
<< Come sei spiritoso Courf! Sentiamo, la tua Amortentia di che cosa profumava? >>
<< Di fiori di campo, ferro e carta invecchiata. Sempre meglio che di shampoo! >> Jehan, che stava in silenzio alle calcagna di Joly, sobbalzò improvvisamente, non riuscendo a credere alle parole di Courf. I fiori… la carta invecchiata… erano due delle cose che amava di più a questo mondo. Svoltato l’angolo prese coraggio e si avvicinò al Grifondoro, facendo in modo di restare un po’ più indietro rispetto ad Enjolras, Marius e Joly che camminavano davanti a loro.
<< Era quello il libro che leggevi in biblioteca giorni fa, non è vero? >> Domandò curioso Jehan, anche se immaginava quella che sarebbe stata la risposta: conosceva i libri meglio di se stesso. Courfeyrac smise di camminare per qualche secondo, limitandosi a guardare stupito Prouvaire.
<< Sì, è proprio lui >> rispose sorridendo scaltramente, puntando il dito contro il poeta come se volesse dire “Sei stato furbo!”.
<< E perchè? Insomma, volevi essere pronto per l’esercitazione? >> Stava diventando invadente, lo sapeva bene, ma fremeva dalla voglia di parlargli e di scoprire il perchè di quella lettura; no, in realtà il suo vero scopo era quello di fare la conoscenza di Courfeyrac.
<< Oh, no! Non sono diligente come te, Jehan! >> Rise l’altro dandogli una pacca sulla spalla. Jehan era felice che si fosse ricordato il suo nome.
<< Perchè non fai altro che arrossire? >>
Il Corvonero, che era diventato vermiglio dopo aver sentito la mano calda di Courf sulla sua schiena, era oramai bordeaux, incapace di dargli e di darsi una risposta.
<< Allora perchè lo stavi leggendo? Non è quel che si dice una “lettura leggera” >> disse ritornando all’argomento precedente, scuotendo la testa. Courfeyrac si avvicinò al suo volto guardandosi attorno. Jehan, senza accorgersene si stava incassando nelle sue spalle per evitare il contatto.
<< Prometti di stare zitto? >>
<< Sì, certo. >>
<< Volevo rifilare un filtro ad Enjolras. >>
Il rosso spalancò la bocca e gli occhi e questa volta, invece di andare in fiamme, impallidì, diventando dello stesso colore del marmo. Prima Joly, adesso Courfeyrac: che cosa stava succedendo?
<< Enjolras? Il biondo? Insomma tu volevi… un filtro a lui? >> Gli chiese balbettando e grattandosi la testa.
<< No, no, no! Hai capito male Jehan! Non volevo darglielo per quello che pensi, ma per divertirmi un po’, insomma! >> Jehan era sempre più confuso e preoccupato.
<< Nel senso che Enjolras innamorato non si vede facilmente; non si vede per niente, anzi. Avrebbe potuto combinare di tutto, sarebbe stato uno spasso! >>
<< Ma non è bello, i filtri possono essere letali, possono cambiare le persone! >>
Courf sbuffò, riprendendo a camminare.
<< Jehan, so quello che faccio. Certo che tu e Joly la pensate proprio allo stesso modo! Spero che non ti abbia influenzato con le sue teorie da ipocondriaco: sta già facendo il lavaggio del cervello a Marius. >>
Jehan si era accorto in quel preciso istante di come Marius, ogni volta che parlava con Joly, assumesse un’espressione dir poco sconvolta. Questo lo fece ridere.
<< Siete sempre così… rigorosi e rispettosi >> concluse Courfeyrac alzando un lembo del labbro per esprimere disgusto.
Jehan rimaneva in silenzio, con lo sguardo basso e le mani nelle tasche dei pantaloni. Courfeyrac aveva ragione, le sue parole non racchiudevano che la verità: non aveva mai infranto una regola, non era mai mancato ad una lezione, non aveva mai fatto uno scherzo a qualcuno. Questo forse lo rendeva noioso? Era per questo che nessuno si divertiva a stare con lui? Nessuno eccetto Joly, che in quell’aspetto era molto simile a lui? Rialzò lo sguardo da terra facendosi coraggio.
<< Non sono un esperto di filtri d’amore, ma la Malydrangea potrebbe essere un’ottima sostituta. >>
Courfeyrac sorrise con il volto rivolto verso il soffitto. Jehan aveva paura che nemmeno quello sforzo sarebbe stato utile: avrebbe veramente rifilato la Malydrangea ad Enjolras? E solamente perchè doveva fare bella impressione su un ragazzo con il quale non aveva avuto una conversazione seria fino a quel momento?
<< Malydrangea? Illuminami Prouvaire! >>
<< E’ un’ortensia che, se immersa in un recipiente contenente vino e una foglia di tè, produce una fragranza inebriante che fa innamorare la persona che l’annusa del suo naturale opposto. >>
A quelle parole, Courfeyrac gettò le braccia al collo di Jehan saltellando sul posto, in preda all’euforia.
<< Sei un genio, ragazzo mio! Procurami questa pianta e giuro che in qualche modo cercherò di sdebitarmi! >> Jehan, con le gambe tremanti e un sorriso da ebete stampato in volto, dondolava sui suoi fianchi, imponendo a se stesso di non arrossire nuovamente.
<< Certo, domani sarà tutta tua! >>
<< Mi hai fatto cambiare idea su di te! >> E poi, scompigliandogli i capelli rossicci se ne andò, raggiungendo l’allegra combriccola di amici davanti a lui. Nel frattempo, Jehan non sapeva se stare bene o stare male. Decise che sarebbe andato in biblioteca.
 
Feuilly e Combeferre non si erano ancora visti in giro per Hogwarts quella mattina, questo perchè erano rimasti nel dormitorio ad ascoltare Bossuet, che durante la notte precedente aveva scoperto di possedere un dono inestimabile.
Non aveva chiuso occhio. Si era rigirato nelle coperte per tutto il tempo, dannandosi poiché non riuscire a dormire: era stanco, forse talmente stanco da essere insonne. Una strana voce aveva strisciato nella sua mente, addentrandosi tra il meandri del suo cervello come se fosse stata una serpe. Improvvisamente, tutto attorno a lui sembrò trasformarsi in disgrazia e con una forza rara e spaventosa aveva vomitato delle parole che a causa dell’incoscienza del momento non era riuscito a ricordare; per fortuna Combeferre e Feuilly avevano sentito tutto.
 
<< Ripetimi ancora una volta che cosa ho detto >> aveva chiesto Bossuet con smarrimento.
<< “Sangue sporco cerca altro sangue sporco, sono gli occhi a celare il buio eterno, il mondo è governato da liquidi impuri. Presto ciò che ringhia non abbaierà nemmeno più” >> Ripeté Combeferre per l’ennesima volta. Camminando per il dormitorio, si accarezzava il mento con la mano destra, annuendo lievemente col capo.
<< Bossuet, io sono d’accordo con Feuilly: hai il dono della Divinazione. >>
Bossuet respirava affannosamente, come se avesse appena corso una maratona, e sentiva un forte dolore alle tempie. Le occhiaie violacee gli incorniciavano gli occhi sporgenti.
<< Sono sempre stato un disastro in quella materia, com’è possibile? >> Aveva biascicato con voce monocorde e masticando le parole, intorpidite dalla saliva.
<< Possiedi l’occhio interiore e riesci a fare profezie, non vedo che cosa possa c’entrare con l’interpretare le foglie di tè! Il tuo dono e qualcosa di molto, molto più significativo! >> Osservò Feuilly sdraiato sul letto, ancora stremato dalla partita del giorno prima.
<< E se avessi solo parlato nel sonno? Mi capitava spesso già da bambino >> replicò Bossuet.
<< E il sogno bizzarro dell’altra notte? Come lo spieghi? E le parole di questa notte? Racchiudono un significato profondo! >> Sbottò Combeferre ad un tratto, che continuava a camminare avanti e indietro per la stanza.
<< Significato profondo? Ma se è tutta la mattinata che cerchiamo di interpretarle e non ci riusciamo! >> Osservò Bossuet alzandosi in piedi. Aveva gli occhi lucidi per il sonno.
<< Ha ragione Combeferre, non mi sembravano parole tanto insignificanti >> tirò le fila Feuilly.
Bossuet, incredulo per quanto gli era capitato, non si mosse e rimase paralizzato come se fosse una statua di sale. Aveva paura. Aveva paura che la frase enigmatica che aveva pronunciato avrebbe potuto essere la  causa di false piste riguardo l’assassinio capitato quasi due settimane prima, temeva che si sarebbe cacciato in un nuovo guaio, uno che probabilmente non avrebbe superato con una risata. Lui non era mai stato un granché, perchè doveva essere così importante in quel momento?
<< Ho bisogno di prendere una boccata d’aria >> sussurrò uscendo dal dormitorio.
 
Il pranzo portò consiglio ad Eponine e a Bahorel, che dopo essersi dati appuntamento davanti all’aula di Incantesimi, si erano diretti nella Sala Grande con passo spigliato. Seduto nel tavolo di Grifondoro, proprio nella punta estrema vicino al tavolo dei professori, vi era Gavroche, che sereno (certamente più del giorno prima), beveva della deliziosa spremuta d’arancia. Adocchiatolo, i due gli si avvicinarono e, dopo aver fatto alzare i tacchi a tre poveri bambini del primo anno, si sedettero affianco a lui. Gavroche, nascondendo la bocca dietro al bicchiere, sembrava che con gli occhi dicesse : “Che volete da me?”. Eponine rispose subito a questa domanda nascosta, senza che il fratello avesse proferito parola.
<< Gavroche, io e Bahorel abbiamo bisogno di un’informazione. >>
Il ragazzino posò il bicchiere leccandosi le labbra, poi squadrò il ragazzo più grande dalla testa ai piedi, senza lasciarsi sfuggire un dettaglio. Lo stemma di Serpeverde che portava sulla casacca lo irritava.
<< Io con lui non parlo. >>
<< Oh Gavroche! Non c’è pericolo, sta con me. >> A questa affermazione di Eponine, Gavroche e Bahorel sgranarono gli occhi; il primo perchè non riusciva ad immaginare la sorella insieme ad un essere di sesso maschile, il secondo perchè Eponine non aveva fatto nulla per dimostrargli una qualche forma d’interesse. Lei li guardò basita.
<< Ma quanto siete stupidi? Intendevo che Bahorel sta con me, per dire che è dalla mia parte! >> I ragazzi emanarono un respiro di sollievo, il più liberatorio dell’intera mattinata. Gavroche, guardando circospetto la sorella e Bahorel, alla fine acconsentì che Eponine chiedesse quello che interessava loro sapere.
<< Gavroche, tu conosci un ragazzino del terzo anno che si chiama Rubeus Hagrid, non è vero? >>
<< Sì, lo conosco, è un tipo divertente. >>
Eponine e Bahorel si fissarono per qualche secondo, impazienti di scoprire qualcosa di più.
<< Bene. Questo Rubeus ha per caso un animale domestico particolarmente aggressivo o molesto? >>
Gavroche pensava se l’aveva mai visto con qualche strana creatura, ma non riuscì a far luce nella sua mente.
<< No, proprio non mi pare. >>
Eponine picchiò sul tavolo, compiendo uno scatto della testa verso l’altro, mentre Bahorel sbuffò preoccupato. Voltandosi in dietro, senza nessun intento, scorse Montparnasse a fissare lui e la ragazza con un sorriso diabolico.
<< Grazie lo stesso Gavroche. Se noti in Hagrid qualche comportamento sospetto non esitare un minuto, vienici a cercare. >> lo esortò lei mentre scavalcava la panca per alzarsi.
<< Che cosa mi stai nascondendo Eponine? Che cosa ha fatto di male Hagrid? >>
Bahorel fece per portarla via, ma lei volle dare una risposta al fratello.
<< Non farti domande Gavroche, quando ne sapremo di più ti potrò dire qualcosa. Ora è troppo pericoloso. >>
I due si allontanarono, lasciando mangiare il giovane Grifondoro: Eponine andò a sedersi con l’allegra combriccola di Courfeyrac, mentre Bahorel tornò a sedersi al fianco di Montparnasse, che continuava a scrutarlo con quel ghigno terribile.
<< Vuoi rubarmi la spasimante, Bahorel? >>
Quest’ultimo scosse la testa chiudendo gli occhi. Come mai tutti erano così convinti che ci fosse qualcosa tra lui ed Eponine? Anche se egli stesso l’aveva pensato, a causa del fraintendimento delle parole di lei, non poteva nemmeno immaginarselo realmente.
<< Assolutamente no ‘Parnasse, è tutta tua. >>
<< Il biondino è suo fratello? >>
Bahorel aggrottò le sopracciglia e la fronte, incuriosito dal perchè di quella domanda.
<< Sì, è suo fratello. Che cosa importa a te? >>
Il moro dagli occhi di foresta rigirò le mani l’una nell’altra, schiarendosi la voce.
<< Non vedo che male ci sia nel chiederlo. >>
Nel frattempo Riddle aveva messo piede nella Sala Grande, con le solite movenze fiere e superbe. Bahorel inspirò profondamente: un po’ lo temeva. Si sedette di fianco a Bahorel, davanti a Montparnasse, e non appena Tom si fu accomodato per bene, il suo complice lo guardò fisso dicendo: << Lupa non suspicatur. >>
 

 
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Con un giorno di ritardo ma eccomi qua! :D …La scuola inizia a farsi pesante, quindi penso che da oggi in poi aggiornerò il sabato, perchè prima proprio non riesco xD
Che ne dite? Io personalmente amo la parte dei filtri d’amore, quanto diabete! :3 …Se vi state chiedendo che cosa cavolo c’entri l’odore del ferro con Jehan, beh, non fatevi troppe domante, presto lo scoprirete! …Cucciolo lui, fa di tutto per farsi apprezzare da Courfeyrac! ** Ovviamente la Malydrangea è di mia invenzione .-. …Bossuet alle prese con la Divinazione non fa tanto ridere questa volta, inizia ad essere un personaggio fondamentale per la vicenda. Eponine e Bahorel cazzutissimi che cercano di scoprire che cosa nascondeva Hagrid e quel buon figliolo di Montparnasse  che adesso si mette pure a parlare in latino. Aspettatevene delle belle, ragazze mie!
Ci rivediamo sabato, un abbraccio a tutte <3
_Noodle 

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Capitolo 7
*** VII Capitolo. ***


L’Erbologia, come abbiamo già detto in precedenza, era il cavallo di battaglia di Jehan Prouvaire. Curava le piante con la stessa attenzione che avrebbe donato ad un fratello e parlava con loro più spesso che con altri: erano le sue migliori consigliere. A volte sembrava che fosse ammattito, ma era più forte di lui: quelle piccole creature erano delle ottime ascoltatrici. Non erano capaci di negargli attenzioni, erano lì per lui, sempre pronte a consolarlo con i loro colori. Jehan ne sapeva sulle piante più di quanto un semplice mago del quinto anno avrebbe dovuto. Stare lì, ad annusare le inebrianti fragranze dei fiori, lo metteva di buon umore. Come sempre, Prouvaire stava bene nel suo mondo.
 La professoressa entrò nella serra e tutti gli studenti di tutte delle quattro le case, imbacuccati nelle fastidiosissime imbracature che dovevano indossare, scattarono sull’attenti, infilandosi i guanti di lavoro prima che l’insegnante ricordasse loro di farlo. Jehan, che si trovava davanti all’amica di Musichetta, Millicent Bagnold, notava quanto questa ragazza divorasse con gli occhi Courfeyrac, poco lontano da lui. Quelle occhiate lo demoralizzavano, denigravano, annientavano; non tanto perchè Courfeyrac sembrava ricambiarle (anche se l’attrazione particolare che si era sviluppata nei suoi confronti teneva occupata la maggior parte dei suoi pensieri), ma perchè era insolito che lui non ricevesse mai attenzioni da qualcuno. Forse doveva diventare più forte? Più muscoloso? Sviluppare un particolare savoire faire? Istintivamente Jehan non ci riusciva. Il suo animo delicato non riusciva ad infierirsi, le sue gambe magre non erano in grado in irrobustirsi, i suoi modi così goffi non si sarebbero mai potuti impreziosire di fascino. Jehan non sapeva cambiare, era intrappolato in un’anima troppo particolare perchè gli concedesse di uniformarsi a ciò che ricercava la gente. Assisteva alla scena smarrito, affetto dalla solitudine.
La professoressa quel giorno spiegò loro come estrarre l’essenza di Dittamo, quindi non fu una lezione particolarmente entusiasmante. Riddle, accanto a Grantaire, sembrava che pensasse decisamente ad altro. A fine lezione, inaspettatamente, Marius si avvicino e Jehan e con un particolare tremore nella voce presentò a Jehan una richiesta insolita.
<< Jehan! >> Sussurrò accostandosi a lui, che nel frattempo si stava togliendo i guanti.
<< Ehi Marius! …Marius giusto? >> Chiese Prouvaire, che aveva da poco conosciuto il ragazzo.
<< Sì, sono io. Posso chiederti di fare una piccola cosa per me? >>
Jehan, che non sapeva se essere contento perchè qualcuno gli aveva rivolto la parola o triste perchè questo significava essere utile solo per soddisfare qualcun altro, fece senno di sì con la testa, incapace di rifiutare.
<< Ho bisogno che tu faccia crescere un fiore per me! >>
Non chiedendosi nemmeno il perchè, aprì la mano e fece crescere in essa, rigoglioso, un piccolo fiore di gardenia. Marius lo guardava esterrefatto, come se in quel momento avesse compiuto la magia più potente e difficile a quel mondo.
<< Che bello Jehan, è perfetto! >> Esclamò lui raccogliendolo dalla mano del poeta, che lo guardava circospetto.
<< Posso farti una domanda Marius? Perchè non potevi farlo da solo? Non sei in grado di far crescere un fiore? >>
Marius iniziò a ridere compulsivamente grattandosi la testa dondolando su se stesso, mentre l’altro lo guardava impaurito.
<< Ecco, io non sono mai stato bravo negli incantesimi non verbali e quindi pensavo che tu avresti potuto far crescere questo fiore al posto mio. >> Jehan era sempre più allibito.
<< Non potevi usare un incantesimo verbale? E poi, scusa, ma a che ti serve? >> Marius, sempre con un sorrisetto tirato stampato in volto, si allontanò alla velocità della luce, ringraziandolo del piccolo favore. Strano individuo Pontmercy: qualunque cosa facesse risultava o eccessivamente stupida o meravigliosamente geniale. In quel caso, ciò che fece era meravigliosamente stupido. Jehan lo guardò mentre si allontanava, poi sbuffò, non capendo un’acca di cosa avesse appena fatto e delle intenzioni di Marius.
Bossuet, contemporaneamente, usciva dalla serra di Erbologia con lo sguardo basso e spento. Sembrava che avesse perso il suo solito brio, quella particolare scintilla che lo rendeva diverso e unico nel suo genere: ora ciò che lo animava era la preoccupazione. Cosa diamine significavano le parole che aveva detto la sera prima? Soprattutto, perchè doveva essere lui il detentore dell’enigma? Era proprio vero: la sfortuna era la sua migliore amica.
Non curante degli studenti che gli passavano accanto, procedeva ascoltando il suono dei suoi passi, così cadenzati e monotoni. Tuttavia, improvvisamente, sentì alle sue spalle il suono di una camminata che non era la sua; era più veloce e leggera: precisa. Girò la testa lentamente, aspettandosi di trovare Combeferre, ma con sorpresa, scoprì che la persona che lo stava seguendo era un ragazzo alto e pallido, con le labbra infuocate e gli occhi ambrati. Era Joly.
<< Joly… >> tossì ricacciando la sciarpa sul suo collo.
<< Avevi smarrito questo nella serra, l’ho visto cadere dalla tua tasca. >> Joly teneva la mano aperta davanti a lui: al centro di essa vi era un oggetto strano, una sottospecie di amuleto, simile ad uno scacciapensieri, di quelli che usavano i babbani (Jehan gliene aveva parlato una volta).
<< Grazie Joly per averlo ritrovato! Non so come avrei fatto senza! >> Esclamò Bossuet con un’espressione meno corrucciata e più distesa.
<< Se non sono indiscreto, posso chiedi che cos’è? >> Domandò il Corvonero inciampando tra una parola e l’altra.
<< E’ un porta fortuna. L’ho comprato quando ero piccolo nel negozio di mia zia Marie; è un oggetto che mi è molto caro: uno come me ha bisogno di fortuna. >>
In quella sua testolina scientifica, Joly si rannuvolò per un attimo.
<< T-tu… sei… >>
<< Mezzosangue, sì. >> Rispose lui sorridente, facendo sorridere anche Joly, incapace di resistergli. Non aveva più rialzato lo sguardo dopo avergli rivelato la sua vera natura: continuava a ripetere nella sua testa “Sangue sporco cerca altro sangue sporco…”.
Joly lo ammirava, semplicemente, accorgendosi solo dopo pochi secondi che Bossuet era particolarmente turbato.
<< Va tutto bene? >> Gli chiese appoggiandogli la mano grande sulla spalla. Dove aveva trovato tutto quel coraggio?
<< Certo. >>
<< Hai gli occhi lucidi. >> Joly incominciava a preoccuparsi per lui e questa volta non andando alla ricerca di particolari motivazioni scientifiche, ma chiedendosi perchè il ragazzo avesse paura di qualcosa nel profondo dell’anima.
<< Sono un po’ strano in questi giorni >> ammise con la voce rotta.
<< Io lo sono sempre >> ridacchiò Joly, diventando incredibilmente umano in quei pochi istanti, lui che a volte sembrava un automa.
Pareva che i ruoli si fossero invertiti: Bossuet insicuro e Joly impavido. Detto questo, dal momento che il Tassorosso sembrava che non volesse far trapelare più nulla di sé, Joly si allontanò da lui, trattenendo ancora per qualche attimo la mano sulla sua spalla. Ne percepiva il calore. Era già lontano quando sentì nuovamente pronunciare il suo nome.
<< Joly! >> Questo si limitò a girarsi. Vide che Bossuet si avvicinava.
<< Per quanto riguarda Musichetta… non parlarci più. Lascia perdere. >> Joly non poté fare a meno di esplodere di gioia, lì, dove giaceva un organo cavo fibromuscolare, detto più comunemente cuore. Joly lo sentiva battere e tremare, riscaldarsi, addolcirsi, sciogliersi. Joly era vivo e chissà, forse innamorato?
Nel frattempo Jehan Prouvaire era andato alla ricerca della Malydrangea. Sapeva dove poteva trovarla: nascosta tra le migliaia di piante che si affacciavano sul Lago Nero. Tuttavia, oltre le piante, trovò qualcos’altro o meglio, qualcun altro.
Seduti in riva al lago, con l’acqua che per poco non bagnava i loro vestiti, vi erano Cosette e Marius, che chissà con quale velocità, si era presentato all’appuntamento. Si limitò a guardarli da lontano, per poi procedere alla ricerca della pianta tanto desiderata da Courfeyrac.
 
<< Posso chiederti perchè? >> La voce flebile di Cosette si alzò verso il cielo, aggiungendo una nube a quella coltre di nuvole.
<< Perchè di cosa? >> Rispose Marius illuminato dalla luce grigiastra del lago.
<< Perchè mi hai dato appuntamento qui, da soli io e te… >> Marius sorrise chiudendo gli occhi, pensando a quanto fosse incredibile quella ragazza.
<< Perché non avrei dovuto? >>
<< Non saprei, di solito i ragazzi fanno questo genere di cose con Musichetta, non con me. >> Marius appoggiò la testa sulla sua mano destra, inclinando la testa e guardandola così sotto un’altra visuale. Aveva un piccolo neo sotto il mento.
<< A dirla tutta non so nemmeno chi sia questa ragazza. A me piace stare con te, non penso ci sia nulla di strano. >> Lei sorrise in modo finto. Quelle parole non sapevano rincuorarla: qualcosa le girava nello stomaco.
<< Non lo dici per la Legilimanzia, vero? Dillo subito se vuoi che io… >> ma Marius la interruppe, scoppiando in una fragorosa risata.
<< Ma sei impazzita? Legilimanzia? Cos’è un nuovo metodo per… >> ma si fermò prima di poter dire qualcosa di inopportuno.
<< Hai davvero questo dono? >> Le chiese in tono più serio e interessato. Lei annuì, inespressiva. Marius, rendendosi conto di averla quasi offesa con quella risata, si schiarì la voce e poi la prese per mano. Lei era fredda e tremava, ma al tocco di Marius sembrò improvvisamente riscaldarsi. Lui era buffo, molto spesso più fuori dal mondo di lei: questo le piaceva. Inoltre Cosette l’aveva trovato sempre incredibilmente bello, da molto prima del ritrovamento del libro di Pozioni del ragazzo. Una volta aveva persino inciso il suo nome infinite volte su uno specchio, in modo che nei suoi occhi risplendesse l’essenza di Marius. Ne era sempre stata attratta e se non fosse stato per quel benedetto manuale, ora sarebbe ancora lì, nascosta tra le persone a consumargli i pensieri.
<< Io non ho bisogno di scoprire che cosa c’è nella testa degli altri, Cosette. >> Lei sospirò, tastando la morbidezza della sua pelle lentigginosa.
<< Forse però, mi piacerebbe scoprire che cosa c’è nella tua. Anche tu lo vorresti sapere, non è vero? >> Le si illuminarono gli occhi per una frazione di secondo. Marius aveva ragione. Lei non sapeva chi fosse realmente, aveva sempre vissuto condizionata dal giudizio degli altri, non distingueva la sua personalità dalla loro.
<< Tu che cosa vedi in me? >>
Marius accennò un sorriso e le si avvicinò impercettibilmente, ad una distanza necessaria per poter annusare le sue labbra di fragola.
<< Vedo una ragazza esile, bionda, con gli occhi rotondi e trasparenti. Vedo una donna timida ma coraggiosa, intraprendente; l’unica che in tutta la mia piccola vita mi abbia mai chiesto di concederle un ballo, benché vedesse che ero una frana. Vedo colei che ha ritrovato il mio libro di Pozioni e che per restituirmelo si fa cercare, cercare dove nessuna persona sana di mente si sarebbe fatta aspettare: lì la sua pelle faceva invidia al candore delle piume dei gufi. Vedo Cosette, che forse dovrebbe preoccuparsi di meno di che cosa gli altri pensano, vedano o cerchino in lei, ma di ciò che vorrebbe realmente essere, di che cos’è. So che non sei nata per confonderti, per rimanere un’ombra: lo si può intuire da come muovi le mani. Esci allo scoperto. Ci sono molte persone che amerebbero la tua compagnia. Io la amo ad esempio. Restare a parlare per tutta la notte ieri non è stato uno sbaglio. >>
Quando ebbe finito di parlare, Marius aprì la mano, che fino a quel momento aveva tenuta nascosta dietro la schiena: al suo interno vi era in fiore di gardenia. Cosette questa volta sorrise commossa, incapace di piangere, di parlare, a malapena di trangugiare la saliva. I due, soli nell’immenso, si accarezzavano dolcemente le mani, rimanendo a pochi atomi di distanza. Cupido però, questa volta, scoccando la freccia li mancò. Un urlo agghiacciante, gelido, acuto, risuonò per tutto il lago facendo eco tra gli alberi. Quello che meglio capì da dove proveniva fu Jehan Prouvaire, intento a tagliare la Malydrangea.
Scosso da quel tuono stridente nel silenzio, mise la pianta in tasca e incominciò a correre verso la sua destra: sembrava provenisse dalla Foresta Proibita, che circondava per metà il lago. Correva a perdifiato, calpestando rami e inciampando continuamente. Sentire un grido provenire dalla Foresta Proibita non presagiva nulla di buono, soprattutto in quegli ultimi tempi: temeva il peggio. Ad un tratto, oramai sfinito, si dovette fermare di colpo e nascondere dietro ad un albero. A pochi metri da lui vi era un ragazzino, sicuramente più piccolo di lui, molto alto e corpulento. Era stato quel ragazzino ad urlare, era stato quel ragazzino a sgolarsi, pronunciando a gran voce il nome di una persona che Jehan conosceva bene: Gavroche.
Chiuse gli occhi. Ricercò nelle viscere del suo corpo e della sua anima tutta l’energia e il coraggio che possedesse: era delicato, ma incredibilmente intrepido se solo voleva; in quel momento era necessario.
<< Tu! Fermo! >>
Il ragazzo davanti a Jehan sbiancò, sembrava dovesse svenire da un momento all’altro.
<< Come ti chiami? >> Gli chiese mentre tirava fuori la bacchetta dalla tasca.
<< Rubeus Hagrid… >> sussurrò quest’ultimo alzando le mani in segno di innocenza. Jehan gli si avvicinò assumendo un’espressione terribile e lo prese per il braccio, portandolo via con sé. Sotto quella maschera di autorevolezza, aveva paura. Camminarono il più velocemente che poterono, cercando Eponine in lungo e in largo per tutta la scuola. Hagrid aveva incominciato a piangere come un forsennato. Forse erano i sensi di colpa. Jehan, imperterrito, continuava a procedere. In quel momento sembrava che gli screzi con la ragazza fossero completamente svaniti nel nulla: quell’urlo agghiacciante e il nome del fratello di lei urlato ai quattro venti erano più importanti.
Trovarono la ragazza seduta nel cortile sotto il lungo porticato mentre cercava di fare pratica con uno strano incantesimo. Non appena Jehan pronunciò a voce alta il suo nome senza cedimenti nella voce e lei alzò lo sguardo dal libro che aveva davanti, iniziò a vedere nero e a respirare in modo affannato e disperato. Jehan e Hagrid insieme non potevano significare nulla di buono.
<< Cosa è successo? >> Chiese alzandosi dal muretto.
<< Chiedilo a lui >> disse Jehan accennando a Rubeus.
Il ragazzo, che non aveva smesso di piangere da quando avevano iniziato la ricerca di Eponine, accentuò ancora di più quello straziante fiume di lacrime, iniziando ad accasciarsi sulle ginocchia. Pareva non fingesse, ma che fosse realmente disperato.
<< Lo giuro sulla mia testa, io non ho fatto nulla! Lasciatemi stare, lasciatelo stare, ve ne prego! Aragog è innocente. >>
Jehan ed Eponine, dopo un’eternità, ebbero il coraggio di fissarsi di nuovo negli occhi. Entrambi debilitati da quella visione, non riuscivano a reagire. Fecero sedere Hagrid, in modo che si calmasse e poi iniziarono ad interrogarlo più lucidamente.
<< Rubeus, prima nella Foresta Proibita, ti ho sentito urlare il nome di Gavroche, il fratello di Eponine. Perchè l’hai fatto? Cosa è successo? >> Chiese Jehan cercando di non crollare. Era importante in quel momento restare forti.
<< Lui… lui mi aveva chiesto se potevo mostrargli i miei animali e quindi l’ho portato nella Foresta Proibita, dove tengo la mia Acrumantula, Aragog, quello a cui sono più affezionato. Poi, all’improvviso, è arrivato Tom, Tom Riddle, non so se avete presente il suo volto e… Lui crede che sia stato Aragog ad uccidere Mirtilla, lui l’ha accecato la sera scorsa, lui mi ha incastrato! E… >>
Eponine, deformata dall’odio e dallo stupore, si era già alzata, pronta per andare a cercare quel ragazzo dal cuore di serpe.
<< E...? >> Sussurrò maligna davanti al volto di Hagrid, come se avesse voluto sbranarlo. Hagrid, che durante il suo discorso non aveva fatto altro che singhiozzare, cercò di calmarsi, traendo un profondo respiro. Poi, guardando fisso Eponine le rivelò l’orribile verità.
<< E Riddle ha preso Gavroche, portandoselo via. Mi ha detto: “Lo porterò al sicuro, lontano da questa bestia.” Poi si è smaterializzato, credo, con tuo fratello tra le braccia. >>
Eponine, senza fiatare, incominciò a correre, irata, sconvolta, inferocita. L’annientamento interiore di quel momento la fece cadere a terra, con una mano sullo stomaco e gli occhi colmi di sangue, come se fossero stati appena infilzati dalla luce delle tenebre. Ringhiava la ragazza, un verso sommesso e flebile, afono, disgregato dalla disperazione e dalla furia che sembrava eterna. Eponine, che non aveva paura di nulla, iniziò a piangere, come un’eroina che perde il suo amore più grande. Iniziò a sussurrare il nome del fratello e le lacrime si confondevano con le parole, più dolorose che qualsiasi coltellata. Jehan, che l’aveva rincorsa, si inginocchiò di fianco a lei, cingendole le spalle con il braccio. Non ce l’aveva fatta, aveva ceduto.
<< BASTARDO!! >> E quello fu l’ultimo urlo, prima della discesa verso il buio. I corvi volavano tremendi in cielo.
 
Il preside Dippet, quella notte, convocò un’assemblea straordinaria con tutti gli studenti. Le espressioni assenti dei ragazzi confermavano quanto era stata distruttiva la notizia della sparizione di Gavroche. Courfeyrac stringeva a sé la ragazza, ancora tremante e sconvolta. Non era stata abbastanza prudente. Quelle parole, “Deve solo ricordarsi di non impicciarsi negli affari degli altri se non vuole pagarne le conseguenze” erano orribilmente vere e Riddle, in quell’attimo, si era vendicato. Eponine aveva raccontato tutto al preside, che purtroppo, non fidandosi del resoconto della vicenda, non aveva permesso che il Serpeverde venisse incolpato, anzi, aveva intenzione di procedere in modo diverso, molto, molto diverso.
<< Gli eventi stanno degenerando. Come sapete, una studentessa di Hogwarts è stata uccisa due settimane fa e oggi un altro ragazzo della scuola è stato rapito. Vi chiedo e vi prego, in quanto preside, di parlare subito nel caso sappiate chi ha rapito questo bambino del primo anno: il suo nome è Gavroche Thénardier. >> Eponine gemette, Courf strinse la presa attorno al suo corpo.
<< Ora, è necessario procedere con una accusa, poiché fonti attendibili hanno rivelato il nome dell’assassino della ragazza. Rubeus Hagrid, Grifondoro, è ufficialmente espulso dalla scuola. >>
Un bisbiglio formicolò tra tutti gli studenti. Molti si girarono a guardarlo e lui, ormai arreso e abbandonato a se stesso, non aveva aperto bocca, era rimasto lì a fissare il vuoto, come se quello fosse più interessante di ciò che stava accadendo attorno a lui. Il preside lo condusse fuori dalla Sala Grande dopo aver congedato gli studenti ed Eponine, ridotta oramai ad uno straccio, veniva accompagnata dai suoi compagni nella Sala Comune dei Grifondoro.
<< Aspettate… >> sussurrò ad un tratto. Sempre accompagnata da Courfeyrac raggiunse Jehan, che insieme a Joly (sul lastrico di una crisi di panico) stava abbandonando la sala dei banchetti.
<< Jehan… >> Lui si girò e la vide piccola, fragile, irriconoscibile.
<< Eponine. Non ho nemmeno il coraggio di chiederti come stai. >> << Volevo ringraziarti. Se non fosse stato per te, non so come saremmo potuti arrivare a tutto ciò. >>
Jehan sorrise, abbracciandola per un attimo, cercando di trasmetterle un po’ di calore umano. Tuttavia, quello che ricevette più conforto fu Jehan, avvolto da una nube di soddisfazione e di appagamento. Si sentiva qualcuno, si sentiva importante.
Tutti se ne andarono.
La Sala Comune restò vuota.
Bossuet, nella sua stanza, piangeva.
Riddle non si vedeva.
La Lupa non aveva sospettato di niente.
 

 
 
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Ok, sono una persona terribile lo so! T.T Ma tutto ciò era necessario, fidatevi, non mi ammazzate! … Che dire, spero di avervi inquietato abbastanza (io avevo paura di quello che stavo scrivendo, rendetevi conto). Ma procediamo con ordine. Il capitolo parte bene: Erbologia, Marius che non sa fare gli incantesimi, la scena dolcissima diabetosa di Joly e Bossuet, il bacio quasi mancato di Marius e Cosette (ritentate, sarete più fortunati xD) e poi il cataclisma. Dal prossimo capitolo tutto si farà un po’ più cupo e più serio (per quanto seria possa essere questa storia ovviamente X’’’’); quindi iniziate a preoccuparvi. Spero di non avervi sconvolto, sappiate che io vi voglio bene ahahahah <3
Alla prossima ragazze, siete il meglio (:
_Noodle

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Capitolo 8
*** VIII Capitolo. ***


Era stato Bahorel a dare inconsapevolmente inizio al principio della fine. Non ci aveva fatto caso, non se n’era accorto, non aveva pensato che quella piccola informazione regalata a Montparnasse avrebbe potuto far scatenare l’apocalisse. Il suo amico l’aveva tradito, aveva tradito lei, aveva permesso che si verificasse un atto abominevole come un rapimento e adesso, senza più alcun dubbio, era certo che ci fosse lo zampino suo e di Riddle anche nell’assassinio di Mirtilla. Perchè lo facevano? Qual era il loro movente? Erano fin troppo sani e Bahorel non poteva pensare che fossero vittime di un qualche incantesimo.
Sarebbe andato da loro e avrebbe cercato di estorcere il maggior numero d’informazioni possibili. Tuttavia, non lo poteva fare da solo, aveva bisogno di un complice. Chiedere ad Eponine era avventato, oltre che crudele, quindi optò per colui che tra tutti gli studenti della sua Casa sembrava essere rimasto buono, affidabile: Grantaire. L’avrebbe aiutato, n’ era sicuro, anche se conosceva Eponine solo per sentito dire.
Quella notte, Bahorel decise che non sarebbe ritornato nel suo dormitorio. Il suo intento era quello di scappare, di evadere, di trovare un luogo che fosse soltanto suo, lontano dalle voci fastidiose dei traditori. Se fosse stato possibile, avrebbe abbandonato i Serpeverde in quel preciso istante. Gironzolava per la scuola abbattuto, incurante dei fantasmi, del guardiano, di tutto ciò che non riguardasse  quella tremenda vicenda.
Era colpa sua. Sua.
Giunse al sesto piano, sfinito dallo stesso peso del suo corpo, desideroso di riposarsi in un luogo in cui nessuno avrebbe potuto raggiungerlo; tutto, tuttavia, sembrava inutile. Vagabondava, errava, si tormentava. Poi, superata una parete che in apparenza sembrava completamente spoglia, sentì che qualcosa si muoveva alle sue spalle. Non erano passi, non era il vento che batteva sulle finestre: era come se qualcuno stesse strofinando una pietra sull’altra. Si girò di scatto, al limite dello spavento, e quando lo fece scoprì con meraviglia che quello era lo sfrigolare dei mattoni che componevano il muro. A sua disposizione aveva tutta una stanza, apparsa dal nulla, per necessità. Era immensa, illuminata da fiaccole ricche di calore e sovrastata da un soffitto che propriamente un soffitto non era: era un cielo trapuntato di stelle. Fece qualche passo avanti ed entrò. La porta si chiuse alle sue spalle. Credeva di essere solo, di essersi lasciato alle spalle tutto e tutti, di non essere stato seguito da nessuno: si sbagliava.
Eponine restava addossata alla parete, con gli occhi chiusi e la testa alta in direzione del cielo. Guardava quelle stelle fasulle con speranza, desiderando ardentemente che suo fratello fosse lì con lei. Gavroche era tutto ciò che le rimaneva della propria famiglia, della propria casa; la madre e il padre di Eponine non genitori esemplari, non erano determinati come lei, più che altro erano malvagi. Eponine e Gavroche avevano avuto il coraggio di distinguersi, di crescere di diventare quello che erano ora.
Come avrebbe fatto Bahorel a rivelare la verità a quella piccola anima sperduta, in cerca anch’essa di un rifugio?
 
Bossuet non dormiva, non respirava, non capiva, non ragionava, non sentiva più nulla. Tutti i sentimenti che provava erano talmente irruenti che nemmeno più riusciva a distinguerli, a riconoscere la loro entità: tutti sembravano spaventosi, tutti raccapriccianti. Sudava, respirava affannosamente, sentiva le tempie pulsare compulsivamente. Si sentì venire meno.
<< Combeferre… >> sussurrò debolmente. Il ragazzo grugnì, rigirandosi dall’altra parte come se la voce che aveva sentito fosse stata solo la continuazione del sogno che stava facendo. Bossuet respirò: sembrava il suo ultimo respiro. Poi in mancanza di ossigeno, quando i suoi polmoni si furono completamente svuotati, urlò.
<< COMBEFERRE!! >> Quest’ultimo sussultò rischiando un colpo al cuore, e con lui Feuilly. Tutte le stoviglie della grande cucina di Hogwarts tremarono.
<< Bossuet sei impazzito? >> Rispose Ferre con le parole impastate dal sonno e il cuore maciullato dalla paura. Gli si avvicinò: non l’aveva mai visto così. Era rigido e guardava il soffitto con gli occhi spalancati, come se dovessero uscirgli dalle orbite.
<< Sei bollente… >> bisbigliò Combeferre toccandogli la fronte sudata.
<< Forza Feuilly, aiutami, portiamolo in infermeria. >>
I due lo presero in braccio: in quello stato pesava ancora più del normale. Fecero alcuni passi avanti prima di fermarsi nuovamente: Bossuet aveva detto qualcosa.
<< Joly… >> I due Tassorosso si guardarono sconcertati. Era impazzito per davvero?
<< Joly? >> Chiese Feuilly con le braccia che tremavano sotto il suo corpo.
<< Portatemi da Joly >> ripeté Bossuet con le lacrime agli occhi. Aveva paura. In quel momento di estrema debolezza si era aggrappato a Joly, a quello, all’unico, che si era accorto del suo malessere. Sapeva che l’avrebbe curato, sapeva quanto amasse la medicina (gliel’aveva riferito Courfeyrac), sapeva che sarebbe stato l’unico in grado di calmarlo. Come? Con quali mezzi non lo sapeva, ma, come aveva fatto quella stessa mattina, almeno l’avrebbe fatto sorridere.
<< Chi è questo Joly? Dove possiamo trovarlo? >> Combeferre era più nel panico di lui.
<< Corvonero… >> Gli occhi di Bossuet si svuotarono di qualsiasi sentimento. Era svenuto.
I due iniziarono a correre a perdifiato: i loro passi facevano rumore nella notte, ma il terrore di Bossuet era quello che strideva di più in tutto quel silenzio. Salirono le scale, inciamparono nei grandi tappeti ricamati che ricoprivano parti del castello e rischiarono più volte di essere sorpresi dal guardiano; tuttavia non demordevano: dovevano trovare questo fantomatico Joly e far rinvenire il proprio amico.
Bossuet aveva sempre riso nella sua vita. Di giorno, nel sonno, quando mangiava, quando studiava. Bossuet aveva sempre vissuto con leggerezza e con ironia: vederlo ridotto in quello stato era una tortura, un male.
Arrivati alla Torre di Corvonero, la torre ovest del castello, i due si ritrovarono a dover rispondere ad una domanda per poter entrare nel dormitorio. Per fortuna Combeferre era preparato su tutto, nonché molto intelligente: non ebbero difficoltà. Feuilly tirò un sospiro di sollievo. Le uniche domande a cui avrebbe potuto rispondere sarebbero state quelle sul Quidditch e sulla Guerra di Successione polacca. Per fortuna che Combeferre era esperto riguardo le abitudini delle falene.
 
Jehan non riusciva a dormire quella notte. Mille pensieri diversi stavano piovendo nella sua mente: alcuni gocciolavano insistentemente, facendo rumore, altri invece scorrevano lenti, spaventosi come l’acqua di un fiume in piena.
Il pensiero che gocciolava insistentemente, facendo rumore, era quello di Courfeyrac. Era strano, era bello, era il solito ragazzo di aspetto piacente a cui tutte cadevano ai piedi. Courfeyrac era spavaldo, determinato, impulsivo: tutte cose che Jehan non sapeva essere. Per questo gli piaceva.
L’aveva davvero pensato? Aveva davvero pronunciato dentro la sua mente la parola “piaceva”? Sì, lo aveva fatto. Perchè? Perchè aveva capito di essere geloso di Courfeyrac dalla lezione di Erbologia del giorno prima. C’è gelosia se provi interesse e lui lo provava. Voleva tenere quel ragazzo tra le sue mani come faceva con le sue penne quando scriveva (di lui, da una settimana a quella parte). Avrebbe voluto accarezzare la sua pelle o semplicemente guardarlo sorridere. Le rughe d’espressione che incorniciavano la sua bocca erano le curve che Jehan preferiva di più al mondo. Le aveva preferite a quelle di Eponine. Il sapore dolce amaro che il pensiero di Courfeyrac scaturiva in lui era doloroso; sapeva che non sarebbe mai stato suo, sapeva che quelle maledettissime rughe non si sarebbero mai formate a causa sua e lo sapeva per un semplice motivo: nessuno s’innamorava di Jehan Prouvaire. Lui era quello che amava, che ascoltava e che pativa, quello che, ispirato da una notte di luna, componeva non più di una sola frase carica di sentimento.
Ma che io muoia, se devo morire, che almeno muoia per i suoi occhi”. Questa era quella che aveva partorito quella sera, dopo essere tornato in stanza e aver ripulito la propria mente della terribile vicenda di Gavroche. Aveva pensato a qualcosa che lo facesse star bene e questo bene era Courfeyrac.
Tuttavia soffriva, stava male. Aveva bisogno di affetto Jehan, di amore vero e non semplicemente di complicità. Aveva bisogno di qualcosa di nuovo, di un uragano, di un vortice maledetto che lo scuotesse e che lo facesse sentire vivo. Non aveva problemi ad amare. Semplicemente voleva essere amato da qualcuno che non fossero i suoi fiori. Questo era il pensiero spaventoso come un fiume in piena. Una lacrima gli rigò il viso. Un’altra glielo incise. Si asciugò gli occhi con la mano tremante, poi sospirò. Doveva stupire Courfeyrac, doveva fare in modo che qualcuno lo amasse e voleva che quel qualcuno fosse lui. A tutti i costi.
I suoi pensieri furono interrotti di colpo dal suono di due voci. Si alzò di scatto dal letto e, scese le scale, vide due ragazzi che ne sorreggevano un terzo: l’unico dei tre che aveva riconosciuto era quello che i due giovani tenevano tra le braccia. Era Bossuet. Senza dire loro nulla Jehan corse verso il letto di Joly e lo svegliò.
<< Joly! Joly svegliati! >> Sussurrò Jehan al suo fianco, scuotendolo. Lui spalancò gli occhi di colpo: la sua faccia sembrava quella di uno che era sempre stato sveglio.
<< Cosa succede? Stai male? >> Si preoccupò subito, toccando la fronte a Jehan.
<< Io no. Ma qualcun altro sì. Sbrigati, Bossuet ha bisogno di te. >> I battiti del cuore di Joly iniziarono ad accelerare. Uno strano sorriso si diffuse sul suo volto, uno di quelli che celano, solitamente, la riconoscenza e la preoccupazione.
<< Bossuet? >> Fu tutto ciò che riuscì a dire. Jehan lo alzò dal letto, afferrandolo per un braccio, e lo trascinò giù per le scale dicendo: << Vuoi lasciare che la situazione peggiori? È sotto. >>
Quando giunsero in fondo alla torre e lui vide che due ragazzi sostenevano Bossuet tra le loro mani, completamente privo di forza vitale, Joly si precipitò immediatamente verso di lui, tastandogli il polso come prima cosa. Il cuore di Bossuet batteva veloce, ma mai quanto il suo dopo che gli afferrò la mano. C’era stato contatto. Se avesse perduto la sua via quella notte, probabilmente avrebbe smarrito con essa anche il senso della ragione. Lo faceva impazzire.
<< Tu sei Joly? >> Chiese ad un tratto Combeferre, mentre, dopo aver salito la rampa di scale, adagiava Bossuet sul letto di Joly.
<< Sì, sono io. Come fate a saperlo voi? >> Chiese incuriosito, ma più intento a far rinvenire il Tassorosso.
<< Prima che svenisse ci ha chiesto di portarlo da te. >> Avvampò terribilmente e con lui anche Jehan, che accanto a Joly lo fissava con occhi complici. Forse Joly ce la stava facendo. Quest’ultimo ricambiò l’occhiata sorridendo e allo stesso tempo tossendo per soffocare una risata. Quando Joly conquistava qualcosa che per lui in quel momento era di fondamentale importanza, istintivamente, si metteva a ridere. Ciò che aveva ottenuto in quel momento erano una voce e un ricordo, da parte dell’unica persona dalla quale le avrebbe desiderate.
<< Perchè è svenuto? Si sentiva male già durante la sera? Può essere un calo di zuccheri >> continuò poi, facendosi più professionale.
<< Sono giorni che è strano. Ha scoperto di avere il dono della Divinazione e questo l’ha reso pazzo >> Feuilly comunicò quella notizia a Joly e Jehan come se fosse stato l’avvenimento più scontato e naturale degli ultimi tempi.
<< La predizione che ha fatto era piuttosto seria >> aggiunse Combeferre.
<< Possiamo saperla? >> Chiese Jehan, mentre copriva Bossuet con una coperta, preoccupato.
<< Le sue parole sono state: “Sangue sporco cerca altro sangue sporco, sono gli occhi a celare il buio eterno, il mondo è governato da liquidi impuri. Presto ciò che ringhia non abbaierà nemmeno più”. >>
Jehan deglutì forzatamente, poiché dalla tensione gli si era seccata la gola. Guardò Joly per qualche istante, che più per la profezia era preoccupato per la salute del suo amico.
<< Bisogna dirlo ad Eponine >> pronunciò grave abbassando gli occhi.
<< Tornate nel vostro dormitorio ora, domani mattina a colazione glielo riferiremo, ora sarà incredibilmente stanca. Come vi chiamate? >> Chiese alla fine. Erano quelli i momenti in cui Jehan Prouvaire diventava intrepido e autoritario, erano quelli i momenti in cui nessuno avrebbe mai creduto che lui e il ragazzo che piangeva attorcigliandosi nel letto e che scriveva poesie al chiaro di luna fossero la stessa persona.
<< Combeferre >> rispose uno.
<< Feuilly >> aggiunse l’altro.
<< Bossuet questa notte resta qui con me. Ha bisogno di cure e di tranquillità, presto sono sicuro che rinverrà >> bisbigliò Joly, più che agli altri, rivolto a Bossuet, che non aveva ancora aperto gli occhi. Avrebbe sostenuto il peso della notte? Dopotutto, sappiamo che la notte porta con se il macigno degli incubi e dei timori, oltre che la magia e la romanticheria. Sarebbe riuscito a risplendere di nuovo come suo solito? Probabilmente allo sfolgorare si sarebbe sostituito il luccicare, ma questo, per lo meno, avrebbe aiutato Joly ad andare avanti, dal momento che aveva capito che nessun antidolorifico era efficace quanto la risata di Bossuet. Iniziò ad accarezzargli la fronte, con una dolcezza inaudita e una precisione nei movimenti non umana e poi si soffermò a decifrare la sua pelle, una mappa scomposta di nei. Erano queste imperfezioni che lo rendevano perfetto, erano queste piccole tenebre in quella luce infinita a renderlo unico e diverso, proprio quello che Joly aveva temuto in tutta la sua vita. Ora, tutto ciò che era diverso era perfettamente comune, e se avesse interpretato Bossuet come un errore, sarebbe stato sicuramente l’errore migliore di sempre. Avrebbe potuto avvicinare le sue labbra a quelle dell’altro se solo fosse stato meno impaurito di fargli del male (o di fare del male a se stesso).
Poi, inaspettatamente, Bossuet aprì gli occhi, sbattendo le palpebre un paio di volte. Joly sobbalzò, allontanando veloce come un fulmine la sua mano dalla fronte di Bossuet. I suoi occhi castani iniziarono a roteare nella stanza in cerca di un appiglio e quando incontrarono quelli di Joly, il Tassorosso sorrise, benché fosse oppresso dai sentimenti più cupi.
<< Ce l’hanno fatta a portami qui da te. >>
L’ipocondriaco sorrise di rimando, grattandosi la testa.
<< Perchè l’hai voluto? >>
Bossuet si sollevò un po’ dal letto, il necessario per arrivare davanti al volto di Joly. Rimasero incantati. Tutto ciò che era sbagliato era contenuto nelle sedie, nei tappeti, nelle tende, nelle stelle, nelle veglie, tutto ciò che era sbagliato era altro: loro erano giusti.
<< Perchè sapevo che tutto sarebbe passato. Tu mi dai tranquillità, Joly. >>
<< D-devi riposarti adesso. Il tuo trauma non è stato per niente insignificante. Devi cercare di rilassarti e di pensare che il tuo aiuto in questa storia sarà molto importante. >>
Bossuet storse il naso per un attimo.
<< Ti hanno rivelato la profezia? >>
<< Sì >> rispose secco Joly.
<< Io so che cosa significa, o almeno, in parte. Credo di averlo capito. >>
<< E che cosa significa? >> Sussurrò impercettibilmente il Corvonero, sempre più vicino alle labbra di Bossuet. Era per sentire meglio, forse.
<< Cos’hanno in comune l’uccisione di Mirtilla e il rapimento di Gavroche? >> Joly non lo sapeva. Scosse la testa.
<< Entrambi erano dei mezzosangue. E, secondo me, chi sta dando loro la caccia, è un mezzosangue anche lui, o lei. Ecco cosa significa che sangue sporco cerca altro sangue sporco. >>
Joly rimase basito, quasi non riusciva a credere che la ragione degli attentati fosse quella, fosse quel futile motivo. Bossuet era paralizzato.
<< Per quanto ne sappia, io potrei essere il prossimo. >>
L’istinto di avvicinarsi alle sue labbra e di baciarlo fu impellente, gigantesco, ma si contenne, come aveva sempre fatto. Joly non agì. Soffocò tutto dentro, pregando che non fosse vero, che nessuno gli facesse del male.
Sprofondarono entrambi in un sonno profondo, uno accovacciato per terra e l’altro adagiato nel letto: entrambi avevano il cuore attorcigliato, chi per un motivo, chi per un altro.
Jehan in tutto questo aveva tenuto l’orecchio teso. Ora sapeva che cosa riferire precisamente ad Eponine, che in quel momento stava parlando con Bahorel, sempre seduta nella stanza tutta per loro.
 
<< Questa è la Stanza delle Necessità; appare a chiunque ne abbia realmente bisogno. Di che cosa avevi bisogno Bahorel? >>
<< Di spazio. Di silenzio. >> Il ragazzo era gelido e pietrificato, annullato dalla paura di dirle tutta la verità.
<< Allora farò silenzio. >>
I minuti trascorsero lentamente, le stelle che si muovevano parevano più veloci del tempo.
<< Eponine sono stato io. >>
La ragazza balzò in piedi paonazza, sull’orlo di una crisi d’isteria. Le mani le erano diventate viola, le vene erano spesse e solcavano la sua pelle come le radici di un albero fanno con la terra.
<< …Tu hai fatto cosa? >> Chiese con la voce rotta dal pianto.
<< Io ho detto a Montparnasse che Gavroche era tuo fratello. Lui l’avrà riferito a Riddle. >>
Eponine, non sapendo se farsi sommergere dalla rabbia o dal sollievo, in quanto non era stato lui a rapire suo fratello, come aveva creduto, rimase impassibile, senza battere ciglio.
<< Non era mia intenzione! Insomma come potevo a saperlo? >> Aggiunse Bahorel tentando goffamente di giustificarsi e di far sì che lei lo perdonasse.
<< Domani ho intenzione di recarmi da Riddle e ‘Parnasse per parlaci e verrà con me Grantaire, un mio amico. Voglio riparare ciò che ho spezzato >> concluse.
<< Sentiamo, che cos’è che avresti spezzato? >> Replicò lei con le mani incrociate sul petto, seria in volto.
<< Ciò che aveva iniziato a legarci. Quella sorta di flebile fiducia. >>
Lei abbassò gli occhi, accentuando ancora di più l’espressione imbronciata che le deformava il volto. Non disse nulla, pensò solamente a quanto fosse stata fortunata ad incontrare Bahorel, probabilmente senza di lui sarebbe rimasta sola, come lo era sempre stata. Forse era illusione, ma con lui si sentiva stranamente al sicuro, come in un forziere.
Si sederono entrambi per terra, cercando di chiudere occhio almeno per qualche minuto, ma le loro aspettative furono ben che superate, in quanto non si risvegliarono più fino alla mattina. L’uno con la testa appoggiata sull’altra si erano persi in un mondo meraviglioso, migliore di quello che era Hogwarts: il mondo dei sogni. Bambinesco in apparenza, ma dopotutto è l’unico in cui chiunque si trova bene.
 
La mattina seguente Enjolras si svegliò stranamente di buon umore, come se tutto ciò che era successo il giorno prima si fosse dissolto. Aveva aperto gli occhi lentamente, stiracchiando le braccia verso l’alto; si grattò la testa e si stropicciò gli occhi, azzurri e gelidi come il ghiaccio, e solo a quel punto si accorse di essere rimasto solo nel dormitorio: doveva aver avuto un sonno particolarmente pesante per non accorgersi che tutti gli altri se n’erano già andati a fare colazione. Si alzò di scatto, sistemandosi il pigiama, e quando si voltò verso il comodino sul quale aveva abbandonato la cravatta la sera precedente, notò con sorpresa che quella non era l’unico oggetto presente sul tavolino. Vi era uno strano vasetto, piccolo, in terracotta, che conteneva una piantina simile ad un’ortensia che pareva galleggiare insieme ad altre foglie in un liquido rossastro, probabilmente succo di lamponi. Enjolras iniziò a domandarsi chi mai aveva potuto regalargli o consegnargli qualcosa del genere: non aveva alcuna spasimante (o almeno credeva). Poi, gli sovvenne alla mente che quello poteva essere uno dei fantomatici filtri d’amore che Lumacorno aveva insegnato loro a preparare: lo sapeva che avrebbe portato solamente guai, lo sapeva fin dall’inizio. Perciò, una cosa era certa: non bisognava berlo. Ma d'altronde, chi l’avrebbe mai bevuto? Tuttavia, desideroso di scoprire quale fosse la sostanza in cui era immersa l’ortensia, avvicinò il naso al vasetto. Quella pianta lo attraeva quasi inconsciamente, ed Enjolras non riusciva nemmeno a spiegarsi il perchè; probabilmente non voleva nemmeno farlo. Dilatò le narici ed inspirò. Chiuse gli occhi.
Poi, tutto fu un attimo.
Sembrava che la stanza attorno a lui fosse diventata colorata, psichedelica: ad Enjolras sembrava di trovarsi in un caleidoscopio. Se quella mattina si era svegliato di buon umore, ora era al settimo cielo. E perchè? Non lo sapeva, ma pensava a Grantaire. Chissà perchè tutto d’un tratto si era messo a pensare a lui, ad un ragazzo che non aveva gli suscitato nemmeno una particolare simpatia. Eppure adesso lo voleva, inspiegabilmente. Lo desiderava, voleva parlarci, stringersi a lui, perdersi dentro i suoi occhi scaltri e indefinibili, perchè infondo aveva perso tempo ad osservarli. Si sentiva più leggero e spensierato, come non si era mai sentito. Doveva raggiungerlo.
Non si cambiò, uscì dal suo dormitorio con ancora addosso il pigiama rosso e quando arrivò nella Sala Grande e al tavolo dei Serpeverde vide Grantaire intento ad addentare un muffin, non poté più contenere la sua gioia e i suoi impulsi e si mise a correre verso di lui. Taire, non appena lo vide, per poco non cadde dalla panca.
 

 
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Con un leggero ritardo ma ci siamo! -3-
Allora ragazze mie, in questo capitolo, come avete ben visto, non succede granché, più che altro è dedicato molto alle singole storie d’amore dei personaggi; il prossimo sarà sicuramente più movimentato! ;) Anche perchè da come finisce questo capitolo, non possiamo aspettarci nulla di buono: Enjolras infatuato di Grantaire a causa di un filtro d’amore non è una cosa che capita tutti i giorni insomma! XDD … Il decimo però sarà sicuramente uno dei miei capitoli preferiti e jahslajhvloja. No, non devo fare spoiler.
Con ciò, vi aspetto sabato prossimo, grazie mille sempre per tutte le meravigliose recensioni ** <3
_Noodle

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Capitolo 9
*** IX Capitolo. ***


<< GRANTAIRE! >> Strillò Enjolras, che si mise a correre all’impazzata verso il tavolo dei Serpeverde; Grantaire, dopo che il biondo pronunciò il suo nome con così tanta enfasi ed intensità, lo guardò con terrore e imbarazzo. Enjolras, il solito uomo glaciale e severo (con se stesso e con gli altri), ora galoppava verso di lui raggiante, con un sorriso deforme che quasi stonava sul suo volto marmoreo e angelico. Che cosa gli era successo?
Era uscito in pigiama, senza scarpe, con i capelli e i pensieri scomposti. Era stato sicuramente stregato: questo non era un comportamento all’Enjolras. Grantaire fece per alzarsi dalla panca per correre via da quella copia distorta del biondo, ma non ebbe nemmeno il tempo di fare due passi che si sentì afferrare le spalle da due mani possenti e forti.
<< Grantaire! >> Sussurrò Enjolras questa volta, dopo avergli gettato le braccia al collo. Aveva appoggiato il volto sulla spalla dello scettico e dolcemente lo fissava, senza il timore che qualcuno potesse giudicarlo o schernirlo. Si sentiva completamente estraneo alla realtà: vedeva solo Grantaire, che in tutta la sua bruttezza non poteva che essere equiparato ad un angelo, un angelo con il fuoco negli occhi. Timoroso di quello che sarebbe potuto accadere, Taire non osò voltarsi, né tentò di far ragionare Enjolras, poiché era certo che quel suo affetto insolito fosse dovuto ad un particolare e potente incantesimo. Tuttavia, non ebbe bisogno di muovere nemmeno un passo: Enjolras, ora, gli restava davanti, con gli occhi di cobalto incastrati nei suoi. L’aveva voltato e ora i loro nasi si sfioravano impercettibilmente.
<< Grantaire, mi sono innamorato >> sospirò il biondo.
R sentì i brividi salirgli a fior di pelle, la testa incominciò a girargli vorticosamente e nel tentativo di rimanere impassibile, il sorriso che affiorò sulle sue labbra, come un fiotto di sangue, tradì quelli che erano i suoi pensieri. Quella era l’occasione che aveva per farlo suo. Bastava avvicinarsi di qualche millimetro al volto di Enjolras, nulla di più facile. Eppure non era giusto farlo. Era vero, ma era sbagliato e non avrebbe dovuto guardarlo e respirarlo in quel modo, come se il suo corpo avesse sostituito l’ossigeno e i suoi capelli fossero le fronde di alberi verdi e rigogliosi. Erano così vicini che Grantaire poteva intravedere le lentiggini color caffé di Enjolras, così dolci, al contrario dei suoi lineamenti austeri. Avrebbe potuto abbandonarsi a lui, tastare la schiena che tanto bramosamente aveva scavato a forza di sguardi, avrebbe potuto baciarlo, imbrattando di passione la purezza delle sue labbra sanguinarie, come avrebbe fatto la tempera rossa su una tela bianca. Avrebbe potuto farlo, ma si trattenne, frenando i suoi istinti. Lo desiderava, perchè il suo corpo sentiva di avere il bisogno della sua innocenza e dei suoi polsi così diafani, lo stesso bisogno che poteva avere di bere o di dormire; lo voleva per sé, ma lo allontanò teneramente, sopprimendo la visione di quell’attimo irripetibile.
<< Finite! >> Pronunciò chiaramente Grantaire agitando la bacchetta davanti al naso di Enjolras.
Il biondo sgranò gli occhi, abbassando immediatamente lo sguardo sul proprio corpo, coperto dal pigiama rosso. Il mondo, da colorato che era, tornò a tingersi di un grigio slavato. Davanti a sé vedeva Grantaire impaurito, rammaricato.
<< TU!! >> Urlò iniziando a spintonarlo, mentre il Serpeverde cercava flebilmente di scusarsi e di spiegargli che non era stato lui a ridurlo così (almeno quella volta).
<< Enjolras, posso giurartelo su quello che vuoi: io non c’entro nulla in questa storia, non so perchè tu ti sia ridotto in questo stato. >> Enjolras scoppiò in una risata furiosa.
<< Ah no? E come mai, casualmente, la prima persona che mi si presenta davanti agli occhi sei tu? >>
Grantaire non sapeva perchè. Gli sembrava che loro due fossero destinati allo scontro perenne: erano due opposti che sempre s’incontravano ma che mai si sarebbero incontrati, capiti.
Mentre Grantaire tentava di balbettare qualcosa, una risata convulsa seguita da un applauso colse Enjolras alle spalle. Si voltò ferocemente e vide Courfeyrac con le lacrime agli occhi e le mani avvinghiate alla sua pancia. Attorno a lui alcuni studenti avevano cominciato a sghignazzare.
<< Enjolras sei uno spettacolo! >>
Il biondo afferrò Courf per il colletto della camicia, sfoderando tutti i suoi sguardi e i suoi istinti peggiori.
<< Sei stato tu? Sei stato tu a stregarmi? >>
Mentre Enjolras sputava terribilmente queste parole in faccia al suo amico, Jehan assisteva alla scena terrorizzato. Che cosa aveva fatto? Aveva fatto del male ad Enjolras, aveva fatto del male a Courfeyrac. Si alzò dal tavolo e corse verso di loro, tremante.
<< Enjolras è stato solo un piccolo scherzo! >> Tentava di giustificarsi Courfeyrac, che era diventato terribilmente più serio.
<< Dove hai trovato quella pianta? Dove? >> Continuava ad urlare Enjolras, rosso in volto e nero nell’animo.
<< Sulle rive del Lago, ma è inoffensiva, non è potente come l’Amortentia… >>
Filtro d’amore: Enjolras ne era sicuro. Non l’aveva bevuto, ma l’aveva respirato ed era bastato quello a farlo impazzire. Era stato Courfeyrac a mettere il vasetto sul suo comodino, era stato lui a tradirlo a metterlo in ridicolo davanti a tutta Hogwarts, era stato lui e quella volta non fu divertente.
<< Come hai potuto farlo? Io mi fidavo di te, mi fidavo della tua amicizia! >> Courfeyrac si liberò dalla presa stretta di Enjolras e, sbigottito, si mise ad agitare le mani e a scuotere la testa.
<< Questo può comprometterla? >>
E mentre interrogava Enjolras su ciò che realmente avrebbe potuto distruggere il loro legame, una voce sottile e delicata sorprese Courfeyrac alle spalle. Quando si voltò vide Jehan, con le mani strette l’una nell’altra e le sopracciglia aggrottate per i sensi di colpa.
<< Courfeyrac… >> disse sommesso Prouvaire. Enjolras ridacchiò sdegnato, come una iena.
<< Bravo, vai. Vattene con questo qui. Chi è? Il tuo nuovo migliore amico? >> Jehan avvampò in modo vergognoso alle parole di Enjolras, il suo volto aveva preso fuoco per una piccola scintilla.
<< No, no! Io non sono il suo migliore amico. Enjolras sono stato… >>
<< Vattene Jehan >> lo interruppe Courfeyrac con una luce oscura negli occhi. Enjolras, Grantaire e Courf si allontanarono, prendendo strade diverse e il poeta rimase solo, in mezzo agli altri ragazzi, con il cuore a pezzi.
<< Courfeyrac, aspetta… >> si limitò a sussurrare con lo sguardo assente e il cuore lacerato. Lo aveva fatto soffrire, aveva permesso che perdesse il suo migliore amico.
 
Iniziò a correre disperato verso la biblioteca, l’unico luogo dove in quel momento si sarebbe sentito al sicuro, al riparo da ogni voce. Lui voleva fare del bene, voleva far sì che Courfeyrac si fidasse di lui, che si accorgesse di quanto potesse essere disponibile per le persone, ma a quanto pare aveva sbagliato, ancora. Avrebbe dovuto parlare con Eponine, ma non aveva nemmeno la forza di piangere. Giunto in biblioteca si accasciò al suolo, con la schiena appoggiata ad uno scaffale, lo stesso a cui si era appoggiato il Grifondoro alcuni giorni prima. Ansimava, si metteva le mani nei capelli e se li strappava, completamente in preda alla pazzia, incapace di tirare fuori le palle che avrebbe dovuto avere. Era un uomo, ma percepiva di essere più smidollato di una donna: Eponine era più forte di lui, aveva più fegato di quanto potesse immaginare. Non andava bene per quel mondo, per quel mondo fatto di coraggiosi e di intrepidi; lui, che se voleva poteva esserlo, non vedeva in sé niente di più che un fragile castello di carte, che anche tiepidi e leggeri venti come quello potevano spazzare via. Jehan non era nulla, non serviva a nessuno.
Poi un rumore lo risvegliò da quel silenzio lancinante.
In quel momento una lacrima gli rigò il viso.
Proveniva da alcuni scaffali più in là, da quegli scaffali in cui solitamente nessuno si addentrava: proveniva dal reparto proibito. Si alzò debolmente, con gli occhi iniettati di sangue, e s’incamminò verso quell’antro così scuro. Era mattina ma pareva notte fonda dentro e fuori Jehan, e quando vide ai suoi piedi un libro che trattava di magia oscura, la più nera che ci fosse, e ne lesse il contenuto, avrebbe quasi voluto farsi schiacciare da tutti gli enormi scaffali di legno che lo sovrastavano. Nessuno avrebbe sentito la sua mancanza.
<< Vattene. >>
Una voce profonda gli fece tremare i muscoli. Anche questa volta qualcuno gli diceva di andarsene e di scomparire e non era Courfeyrac.
<< Tu non puoi stare qui. Sono prefetto >> esclamò con gli occhi chiusi e la voce tutt’altro che ferma. Non sapeva con chi stava parlando, non sapeva chi avrebbe potuto minacciarlo da un momento all’altro.
<< Vattene >> ripeté la voce.
Jehan iniziò a correre. I suo passi facevano rumore, gli scaffali imponenti sembravano immense torri sopra la sua testa, tutto attorno a lui si stava chiudendo, risucchiandolo nella morsa del terrore.
Girò l’angolo.
L’uscita della biblioteca pareva vicina.
Poi, fu preso e scaraventato al muro; per poco non si ruppe le vertebre della schiena.
Davanti a sé un ragazzo: era orripilante e di una bellezza destabilizzante allo stesso tempo; lo conosceva: era Riddle. Le sue braccia sottili e fragili come rami rimanevano inchiodate alla parete e per poco ebbe paura che gliele spezzasse. Un alito demoniaco lo assalì; il ricordo del profumo dei suoi fiori fu come una lama nel cuore del poeta, che ad affrontare cose brutte, purtroppo, non era mai stato abituato.
<< Ascoltami bene. Se vai a dire in giro che sono stato qui o quale libro io abbia sfogliato, sei morto. Non ti teme nessuno. Chi mai potrebbe avere paura di uno come te? Chi mai vorrebbe parlare con uno come te? Non vali niente, non hai personalità. Io so chi sei tu Jehan Prouvaire, io so tutto di te. Mezzosangue senza un briciolo di coraggio. Vivi rispecchiandoti in quello che leggi, vivi in un mondo fatto di smidollati come quello dei libri.
Vattene Jehan. Nessuno vuole che tu rimanga qui. Se non lo fai, dovrò provvedere di persona. >>
Non riuscì a trattenere le lacrime: gli spasmi e i conati glielo impedivano.
<< Sei proprio un frocio del cazzo >> sibilò Riddle prima di andarsene con passo fermo e veloce.
 
Jehan restava fermo. Le occhiaie che gli avevano incorniciato gli occhi facevano spavento.
Iniziò ad osservarsi le mani, quelle con cui solitamente scriveva. Erano bianche, trasparenti, inutili, frangibili. Passò ad analizzarsi i polsi, ricchi di vene. A che cosa serviva il sangue che scorreva al loro interno se non a farlo vivere e quindi soffrire?
<< Accio forbici! >> E davanti lui apparvero delle sporche e vecchie forbici che solitamente si usavano in biblioteca.
Erano attraenti e spaventose come tutte le cose sbagliate. Erano sporche di ruggine e di tentazione, imbrattate di sofferenza e di panico. Le afferrò, stringendole tra le mani con quella poca forza che lo animava ancora. Le aprì. Le puntò contro il suo polso e contro le sue vene blu, come l’inchiostro con cui scriveva.
Riddle aveva ragione. Oltre all’inutilità che poteva distinguerlo da qualsiasi altro individuo, Jehan era anche un frocio del cazzo. Ecco perchè aveva lasciato Eponine, ecco perchè l’anno prima si era tagliato i lunghi capelli rossi; aveva tentato di essere più mascolino: si vergognava del suo aspetto, della sua essenza. Quelli come lui nel suo mondo venivano portati via, uccisi, eliminati, disintegrati. Erano inutili quindi, forse anche in quel mondo. Chiuse gli occhi. Perchè non usare la magia? Forse perchè voleva -doveva- distruggersi da sé.
L’odore del sangue e del ferro si liberarono nell’aria. Jehan Prouvaire, caduto nuovamente a terra, piangeva in silenzio, contento di quello che stava facendo. Non avrebbe più infastidito nessuno.
 
Courfeyrac si rese conto in quel momento di avere sbagliato. Risalendo le scale che portavano al piano superiore aveva trovato a terra un foglio sgualcito, giallastro, con due righe scritte sopra. Le aveva lette e aveva scoperto dalla firma al fondo che appartenevano a Jehan.
Ma che io muoia, se devo morire, che muoia almeno per i suoi occhi.”
Se l’era messo in tasca ed era corso a cercare il poeta. Era stato avventato, senza scrupoli, forse un po’ tremendo. Il fatto era che non aveva intenzione di trattarlo male: voleva solo difenderlo, non far ricadere la colpa su di lui, perchè alla fine era sua la colpa dello scherzo ad Enjolras.
Sapeva dove trovarlo, non era difficile. Un piccolo topo da biblioteca come Jehan non si nascondeva da nessun’altra parte.
Non appena entrò in quel luogo strabordante di cultura percepì un odore famigliare, una fragranza che lui solo aveva annusato: era uno dei tre profumi che l’Amortentia aveva emanato per lui, quello del ferro. Non vi era nessuno a quell’ora in biblioteca: tutti gli studenti si erano oramai recati a lezione. Eppure ciò che annusava non poteva appartenere a nessuno se non a Jehan, doveva essere lì per forza. Quella strana puzza, nel quale si era trasformato il profumo, non prometteva nulla di buono.
<< Jehan? >>
Un rantolo soffocato fu la risposta a quella domanda.
Courfeyrac iniziò a correre tra i corridoi delimitati dagli enormi scaffali e improvvisamente lo trovò lì, a terra, cosparso di sangue.
<< Jehan! Che diamine hai fatto? >> Si sedette accanto a lui sconvolto, afferrandogli di mano le forbici e scaraventandole dall’altra parte della biblioteca per evitare che potesse farsi ancora del male. Aveva tentato di tagliarsi anche il collo. Courfeyrac gli aveva afferrato il capo e l’aveva riposto sulle sue gambe. Era così indifeso e così maledettamente tenero. Voleva piangere.
<< Adesso ci penso io Jehan, stai tranquillo… >> sospirò tremante tirando fuori la bacchetta dalla tasca. Aveva davvero permesso che accadesse?
<< Non farlo… >> lo supplicò Prouvaire.
<< Lascia che io muoia… >> continuò.
<< Non essere stupido. >>
Puntò la bacchetta sulle ferite che si era provocato: circa quattro per polso, una per gomito e una sul collo. Vederlo ridotto in quello stato era un abominio. Doveva provare a guarirlo in qualche modo, e forse sapeva come, ma era molto rischioso. Lui non era così abile con gli incantesimi, ma il dolore che si era impossessato di lui gli permise di agire. Avrebbe fatto di tutto pur di guarirlo, pur di far sì che il suo volto candido non fosse più ricoperto di sangue.
<< Vulnera Sanetur… >>
E fu l’amore di quel momento che permise a Courfeyrac di guarirlo. In pochi attimi Jehan tornò mediamente in sé. Rimasero a fissarsi negli occhi senza parlare, entrambi provati dallo spavento.
<< Non dovevi farlo… >> biascicò dopo alcuni minuti Jehan.
<< Non volevi morire per i “suoi” occhi? L’hai scritto tu. Non so di chi siano questi occhi, ma certamente… >> Courfeyrac non sapeva come continuare.
Il poeta arrossì di colpo. Non aveva la forza di spiegare o di replicare.
<< Dove… >>
<< L’ho trovata sulle scale. >> Courf aveva tirato fuori dalla tasca il foglietto con la poesia. Jehan lo rimproverò con lo sguardo: non avrebbe dovuto leggerla.
<< Non volevo ferirti. Non era mia intenzione. Cercavo solo di proteggerti. >>
Jehan sembrava non lo stesse nemmeno a sentire. Pensava ad altro.
<< Non è colpa tua. È stato Riddle. >>
Courfeyrac gli accarezzò i capelli. Il rosso fremette sotto quell’apparente apatia.
<< Cosa ti ha fatto? >>
<< Mi ha detto che di me non importa nessuno, mi ha detto di andarmene, oppure l’avrebbe fatto lui. Io me ne stavo andando. >>
La furia s’impossessò di Courfeyrac, nel quale solitamente regnava la pace.
<< E perchè mai te l’ha detto? >>
Jehan si assicurò, tirandosi debolmente su sulle braccia, che nessuno lo stesse ascoltando.
<< Stava leggendo un libro: “Segreti dell’Arte più Oscura”. Tratta di Horcrux. >>
Courfeyrac non capiva di che cosa stava parlando.
<< Che cosa sono gli Horcrux? >> Sussurrò a pochi centimetri dal volto dall’altro. Il suo fiato era così dolce, al contrario di quello di Riddle.
<< Un mago può conservare una parte della sua anima in un oggetto qualsiasi: questo è un Horcrux. E il modo per nascondere parti della propria anima è uccidere qualcuno. >>
Courfeyrac sollevò Jehan da terra. Lo riaccompagnò nel suo dormitorio. Poi se ne andò.
<< Dove vai? >> Chiese Jehan prima che si potesse allontanare del tutto.
<< Vado a cercare Riddle. Non posso permettere che faccia ancora del male a qualcuno. Non a te. >>
Il cuore di Jehan si riscaldò improvvisamente: dopo tutto il sangue che aveva perso, ora era tornato a pompare, caldo, fluente.
 
Courfeyrac passò il resto della giornata destabilizzato. Quello che aveva fatto Jehan la mattina era stato terribile: per qualche momento credeva che sarebbe morto. Come era sciocco Prouvaire, come era fragile. Davvero credeva che a nessuno importasse di lui? Per quanto poco lo conoscesse, quel giovane poeta significava molto per lui: la sua Amortentia aveva parlato chiaro. Non poteva permettere che Riddle gli facesse del male, non dopo quell’episodio: Courfeyrac aveva iniziato ad accorgersi di quanto fosse fondamentale il suo sguardo, lo stesso che gli aveva dato la forza di affrontare e di vincere la sua ultima partita di Quidditch. Nessuna ragazza in quel momento sembrava essere più attraente di lui. Sperava che fossero i suoi gli occhi per cui Jehan avrebbe voluto morire, ma forse si riferiva ancora alla storia passata con Eponine.
Durante la cena, mentre il Corvonero se ne stava con Joly, Courf andò alla ricerca di Grantaire, poiché era l’unico che l’avrebbe aiutato a parlare con Riddle. Quando lo trovò, si accorse piacevolmente che anche un altro ragazzo, Bahorel, aveva chiesto l’aiuto di Taire per poter fare i conti con Tom. Decisero che la sera stessa, insieme a tutti gli altri loro amici, avrebbero fatto il punto della situazione per iniziare la ricerca di Gavroche: quei due giorni erano stati ricchi di scoperte fondamentali. Passandosi la parola, Jehan, Eponine, Bossuet, Joly, Combeferre, Feuilly e Enjolras si misero d’accordo sul luogo in cui trovarsi: optarono per la Sala Comune dei Tassorosso, la più tranquilla. Solo due risposero che non avrebbero potuto partecipare alla riunione e quei due ragazzi erano Marius e Cosette: loro avevano un appuntamento più importante a cui pensare, per il momento.

 
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Eccomi donneh! <3
Allora: scusatemi innanzi tutto se sto continuando a non rispondere alle recensioni o a recensire altre storie, ma la scuola non mi lascia un attimo (in questo momento dovrei star studiando Cicerone ehm ehm… X””) T.T giuro che tra domani sera e lunedì sera farò tutto <3
Per quanto riguarda il capitolo non posso non dire che questo è uno dei miei preferiti, per quanto possa essere cattivo XD …Secondo il programma doveva essere il capitolo 10, ma ho fatto alcune piccole modifiche ^^ …Ecco a voi svelato il mistero del ferro. Sono sadica lo so, ma ho avuto questa idea soprattutto perchè ispirata da una canzone: "Give me Love" di Ed Sheeran… insomma, è perfetta per Jehan <3 …Finalmente Courf inizia a sciogliersi e ad aprire gli occhi =w=
E Grantaire che si trattiene dal saltare addosso ad Enjolras? Io forse ne avrei approfittato… u.u E abbiamo anche capito che cosa sta cercando di fare Riddle: Horcrux. Nel prossimo capitolo la situazione verrà analizzata un po’ più chiaramente ;)
Ci si rivede sabato prossimo (si spera T.T), con un inizio capitolo tutto alla Marius/Cosette!
Un bacione, grazie sempre per il sostegno <3 *^*
_Noodle

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Capitolo 10
*** X Capitolo. ***


Marius and Cosette’s Theme:
~ “The Kiss”, HP and the Order of Phoenix.
 
 
 
Non era semplice decifrare la mente di Cosette: era enigmatica e intricata, un labirinto segnato ai margini da scintille e stimoli; quella sera si era smarrita tra le stelle. I suoi occhi di cielo ne cercavano altro da intrappolare in essi e le sue mani sottili accarezzavano l’aria per immetterne di più nei polmoni, in carenza di ossigeno per l’affanno. Attendeva, dondolando sui suoi fianchi.
Cosette stava aspettando Marius. Quando sarebbe arrivato? Che cosa le avrebbe detto? Poteva saperlo, avrebbe potuto conoscere le sue intenzioni, ma quella volta non volle. Desiderava che fosse una sorpresa, una di quelle che ti fanno sorridere per davvero. Tuttavia, si sentiva in colpa. Lei lì, nella Torre di Astronomia a fantasticare sull’amore e gli altri giù, nel dormitorio dei Tassorosso a fare il punto della situazione riguardo tutto ciò che era successo in quelle settimane. Sapeva che avrebbe potuto essere di aiuto, sapeva che era giusto e fondamentale cercare di capire quale strana magia oscura si fosse impossessata di Hogwarts, ma non si mosse. Sarà stato per il vento, sarà stato per la luna, sarà stato per la voce di Marius che soppresse tutti i buoni propositi.
<< Eccomi. >> Inciampò.
<< Ehi. >> Rise. 
Erano radiosi: più di una giornata di agosto, più dei tramonti che gli dei infuocavano dall’inizio dei tempi, più della lava dei vulcani, più dei sorrisi di Courfeyrac, più dei capelli di Enjolras, più del sole. Quelle due rondini senza casa erano estranee alla sofferenza, quei due cuori pellegrini avevano trovato un rifugio solo tra i propri corpi, tra le proprie lentiggini.
<< Scusa se ho fatto tardi, ho dovuto liberarmi di Pix, si diverte a farmi continuamente scherzi >> tentò di scusarsi goffamente Marius.
<< Non preoccuparti >> lo rassicurò lei scuotendo la testa e ampliando il suo sorriso.
Si appoggiarono alla ringhiera della Torre di Astronomia: dava sul vuoto.
<< Mi dispiace non poter essere con gli altri: sono molto preoccupata per tutto ciò che sta succedendo. Soprattutto mi dispiace per la povera Eponine; non deve essere una cosa da tutti i giorni perdere il proprio fratello. >>
Marius si avvicinò di più a lei, con in volto un’espressione mista al dispiacere e all’incomprensione.
<< Beh, ogni tanto bisogna allontanare i pensieri da tutte queste preoccupazioni, non credi? >>
Cosette esitò un attimo prima di rispondere.
<< Due menti in più sono sempre utili, Marius. Qui si parla di un rapimento, di un’uccisione. >>
<< Una mente in più. Insomma, io non sono granché furbo. >> Cosette lo guardò sorpresa: non aveva mai incontrato qualcuno di più modesto, o di meno presuntuoso, potremmo dire: non avrebbe mai finito di sorprenderla.
<< Sei coraggioso ad ammetterlo, Marius. >>
Rimasero a guardarsi per attimi infiniti ed infiniti attimi, percorrendo con i propri occhi le labbra, i nei e le imperfezioni dell’altro: nessuno dei due riusciva a trovarne. Lui si stava abbandonato completamente al profumo di lei, Cosette invece restava più indecisa, più fredda, più combattuta. In quel momento la sua mente astuta e strategica non riusciva ad elaborare nulla di razionale; i sentimenti erano capaci di mandarla in confusione.
<< Sai Cosette, ho sempre creduto che non ci fosse nulla di più bello del cielo notturno >> sospirò Marius con la testa appoggiata sulla mano e lo sguardo perso.
<< E’ per questo che mi hai portata qui? >> Chiese Cosette sottovoce, con gli occhi più dolci che Marius avesse mai visto. Lui le si avvicinò improvvisamente, poggiando una mano sulla guancia di porcellana della ragazza: sembrava una bambola.
<< Sì, per dimostrarti che qualcosa di più bello c’è. >> Arrossirono entrambi, in preda ai fremiti e ai brividi, con i cuori impazziti, con tutto quanto in fiamme.
<< Non dire sciocchezze… >> bisbigliò Cosette con un’intenzione nella voce che sembrava provenire da un altro mondo.
<< Non sono furbo, ma per lo meno sono sincero >> rispose Marius avvicinandosi a lei, pronto per congiungere le proprie labbra con le sue; ma lei si scostò.
<< Questo non è il momento giusto per amare >> concluse allontanandosi dal ragazzo. Loro non potevano amare mentre il mondo soffriva, era sbagliato, anche se apparentemente giusto. Lui non si mosse, rimase immobile, non smettendo un attimo di sorridere per celare il desiderio.
<< E invece lo è proprio. Solo l’amore può cacciare via la sofferenza. >> Come poteva essere così maledettamente illuminante in così poche parole? Cosette non doveva desistere, quello che stava accadendo ai suoi amici era più importante di lei.
<< Ma può farlo anche l’impegno che ci si mette per cacciarla via >> rispose gelida. Fece per andarsene dalla Torre di Astronomia. Non lo salutò nemmeno, per paura che potesse cedere nuovamente alla vista del suo volto.
<< No, no, aspetta non andartene… >> ma lei pareva non ascoltare, pareva essere diventata improvvisamente una statua di sale, senza sentimenti, senza fiato. Marius, però, sapeva come farla restare, sapeva qual era il suo punto debole, quello che nemmeno Cosette in persona sapeva di avere. Poco prima che mettesse il piede sul primo gradino che portava al fondo della Torre, Marius si schiarì la voce; poi parlò.
<< E’ strano sapete? Sono nel buio. C’è un essere che andandosene s’è portato via il cielo. >>
Lei si voltò di scatto.
<< Cosette, pensa a te stessa per una volta! Cosa importa di ciò che gli altri vedono in te? Non è il momento giusto per amare? E perchè? Se chiunque altro soffre perchè mai dovresti soffrire tu? Sii felice. Fino al momento in cui te stessa non riuscirai a capire che cosa vuoi, allora non ti capiranno nemmeno gli altri. Sii felice tu, non loro. >>
Ed era questo il punto debole di Cosette: le parole.
Marius le corse incontro, senza farsi più scrupoli: le cinse la vita, le scostò i capelli dagli occhi e la baciò, mordendole le labbra e lacerandole la lingua. Niente poteva risultare più perfetto di quel momento. Cosette non si era opposta, aveva risposto al bacio con tutta la sincerità e la passione che le scorrevano nelle vene, aveva capito che forse, Marius, aveva ragione. Era arrivato il momento di cambiare: quel bacio era stato il loro inizio. Avrebbero girato per il mondo, avrebbero condiviso lo stesso piatto, avrebbero condiviso lo stesso letto, avrebbero attaccato la banalità, avrebbero bevuto senza pentirsene, avrebbero fatto l’amore senza rendersene conto, mantenendo l’ingenuità con cui si amavano, avrebbero amato, amato e amato.  Avrebbero bombardato il cielo dando vita a nuove stelle, avrebbero fatto esplodere galassie e crescere foreste, avrebbero amato, ancora e ancora. E soprattutto sarebbero stati felici, contro tutto e tutti.
Le labbra di fragola di Cosette erano il frutto più buono che Marius avesse mai assaggiato.
 
Nel frattempo gli altri ragazzi avevano iniziato a discutere insieme. Fare il punto della situazione non era mai stato così difficile. Il primo a parlare era stato Bossuet, che con le proprie predizioni e i propri sogni aveva lasciato tutti perplessi, in particolare Eponine.
<< Quindi hai detto che, nel tuo sogno, due occhi gialli ti fissavano, e che nel bagno delle ragazze vi era un qualsiasi studente di Hogwarts: dobbiamo tenere presente questa ambientazione. Invece per quanto riguarda la predizione, qualcuno aveva le idee chiare? >> Chiese Bahorel ai presenti, camminando avanti e indietro per la stanza. Bossuet, Jehan e Joly si guardarono intimoriti, indecisi su chi avrebbe dovuto rivelare al resto dei ragazzi il sospetto che nutrivano; a parlare fu Joly.
<< Io credo di aver capito. L’unica cosa che accomuna l’uccisione di Mirtilla e il rapimento di Gavroche è che entrambi erano dei mezzosangue. Sicuramente chi li ha rapiti è un o una mezzosangue: ecco perchè “sangue sporco cerca altro sangue sporco”. Inoltre nella predizione di Bossuet si dice anche che “sono gli occhi a celare il buio eterno”, e nel sogno di Bossuet ci sono due occhi. >>
<< E che dire della frase “ciò che ringhia non abbaierà nemmeno più”? >> Chiese Feuilly confuso. Bahorel abbassò lo sguardo, sentendosi nuovamente il colpevole di tutto.
<< Montparnasse, il giorno stesso in cui venne rapito Gavroche, disse a Riddle una frase in latino: “Lupa non suspicatur”. >>
<< La lupa non sospetta… >> tradusse Jehan con un filo di voce.
<< Esatto. Ora, a prescindere dal fatto che i lupi ululano… >>
<< Il mio patronus è una lupa >> ammise Eponine guardando negli occhi Bahorel.
<< E aveva ragione. Io non sospettavo di nulla >> concluse.
<< Dobbiamo capire dove possa essere nascosto Gavroche >> aggiunse Enjolras, che fino a quel momento non aveva fatto altro che ascoltare.
<< Direi che iniziare dal bagno delle ragazze mi sembra la soluzione più logica >> disse Grantaire.
Tutti incominciarono a pianificare il momento e il modo in cui recarsi alla ricerca di Gavroche, tutti tranne Jehan, che sembrava pensieroso. Non riusciva a non ricordarsi di ciò che era successo quella mattina in biblioteca, delle parole di Riddle, dei suoi gesti sconsiderati. Sentiva di non poter contenere nel suo cuore tutti quei sentimenti e quelle paure e perciò, intrepido, come solo lui riusciva ad essere, rivelò ai compagni tutta la verità.
<< So che cosa sta cercando di fare Riddle. >>
Il silenzio calò cupo nella stanza. Courfeyrac lo guardò accennando ad un sorriso indecifrabile.
<< Spiegati meglio! >> Aggiunsero Combeferre ed Eponine all’unisono.
<< Stamattina Riddle stava leggendo un libro della sezione proibita della biblioteca, in cui si parla di una magia oscura e terribile… Avete mai sentito parlare di Horcrux? >>
I ragazzi scossero la testa. Jehan spiegò ai ragazzi in che cosa consistesse quella magia tremenda e fu così che tra quei semplici studenti calò il terrore, ma al contempo i coraggio. Erano gli unici che avrebbero potuto venirne a capo, gli unici che avrebbero potuto portare in salvo Hogwarts.
Gli occhi di ‘Ponine si colmarono di lacrime.
<< Sei davvero sicuro che l’unico modo per creare un Horcrux sia… >> chiese asciugandosi una lacrima.
<< Sì. L’omicidio è l’unico metodo con cui si può frazionare l’anima. >>
Nella mente di Eponine scorsero immagini tremende e troppe domande si impossessarono del suo cervello: dov’era Gavroche? Che cosa ne sarebbe stato di lui? Era ancora vivo? Non poteva saperlo.
In quell’istante fecero la loro comparsa nel dormitorio anche Marius e Cosette, che finalmente erano riusciti a raggiungerli (solo per merito di Cosette). Courfeyrac fece loro un breve riassunto di quello che si erano detti, poi Cosette prese la parola, cercando di mantenere la promessa che aveva fatto a Marius: essere felice. Ed era certa che se in quel momento avesse aiutato gli altri lo sarebbe stata e non per apparire bella ai loro occhi, ma ai propri.
<< Posso conoscere dove si trova Gavroche in questo momento, se solo volete darmi il tempo di concentrarmi. >>
Eponine sbarrò gli occhi e scattò sull’attenti. Un barlume di speranza illuminò i suoi occhi offuscati dalle tenebre.
<< C-come potresti fare? >> Domandò alzandosi in piedi. Le lacrime smisero di scendere lungo il suo viso: forse stava recuperando la speranza. Tutti guardavano Cosette sbigottiti e ansiosi di scoprire come avrebbe fatto, solo Marius, Jehan e Joly lo sapevano ed erano entusiasti del fatto che lei avrebbe messo a disposizione il suo dono per la ricerca di Gavroche.
<< Legilimanzia >> rispose Cosette sorridendo e di conseguenza tranquillizzando Eponine. Cosette chiuse gli occhi e inspirò profondamente. La sua faccia assumeva le smorfie più strane, dovute alla tensione e alla concentrazione. Tutti gli altri ragazzi si erano posti affianco a lei. Eponine temeva il peggio, ma cercava di sperare nel meglio. Quando la bionda aprì gli occhi sembrava particolarmente confusa.
<< Allora? Dove si trova? >>
Cosette si guardava attorno interdetta.
<< Io, io non lo so. >>
<< Come non lo sai? >> Sbottò Bahorel agitando le mani in aria.
<< Ehi, calma gli animi, amico >> lo rimproverò subito Marius stringendola a sé. Courfeyrac lo guardò sorridente: aveva capito.
<< Sta cercando di fare quello che può >> continuò.
<< Io non lo so perchè non riconosco il posto, non l’ho mai visto prima! >> Esclamò lei, delusa da se stessa. Se pensava che avrebbe fatto del bene si sbagliava.
<< Prova a descrivercelo >> aggiunse timidamente e speranzosa Eponine.
<< L’ho visto a terra, sdraiato in una stanza in penombra, debolmente illuminata. Il pavimento sembrava viscido e vi erano delle colonne formate da serpenti attorcigliati tra loro. Non ho idea di dove possa trovarsi, non so nemmeno se si trova nel castello. Però era vivo, si muoveva. >>
I ragazzi parevano delusi, ma Eponine ringraziò Cosette fino alla nausea per questa informazione. Ritornarono a discutere su come agire, quando improvvisamente si accorsero che qualcuno mancava all’appello.
<< Dov’è Bossuet? >> Chiese Combeferre ad un tratto. Tutti si voltarono, controllando che non si fosse nascosto in qualche strano angolo del dormitorio, ma non lo trovarono: Bossuet era uscito. Immediatamente Joly, Enjolras, Combeferre e Courfeyrac uscirono, iniziando a correre per tutto il castello con il cuore in gola. Joly temeva l’infarto. Perchè mai doveva cacciarsi sempre in qualche guaio? Perchè si era allontanato? Voleva fare l’eroe? Quando avrebbe imparato a non sfidare la sorte?
<< Bossuet! >> Iniziarono ad urlare tutti e quattro, non preoccupandosi di svegliare compagni e professori. Percorsero ogni piano con affanno e con timore crescente. Bossuet sembrava si fosse volatilizzato.
 
Non appena i ragazzi si erano stretti attorno a Cosette, nel momento del Legilimens, Bossuet era uscito. Si sentiva responsabile dei sospetti e delle piste: doveva accertarsi che fossero veri in qualche modo. Istintivamente, si era diretto verso il bagno delle ragazze al secondo piano, in particolare per accertarsi che fosse quello il luogo in cui era ambientata la sua predizione.
Messo piede nel bagno, tuttavia, si accorse di non essere solo.
<< Buonasera. >>
L’oscurità avvolgeva il volto che si associava a quella voce e Bossuet ebbe paura. Non era una voce né familiare, né amichevole. Era cupa, sinuosa, per niente rassicurante. Poi, allontanandosi da quell’angolo del bagno in cui la luce riusciva a nasconderlo, Riddle si manifestò agli occhi di Bossuet. Quest’ultimo, consapevole del guaio in cui si era cacciato, non si rimproverò nemmeno: era cosciente dei rischi che avrebbe corso.
<< Cosa ci fai qui? >> Balbettò, tentando di celare il panico dietro ad un’espressione seria del volto.
<< Potrei farti la stessa domanda. >> L’aveva disarmato con cinque parole, senza nemmeno usare la magia. Bossuet non seppe replicare, incominciò ad indietreggiare cautamente, facendo scivolare le dita sulla bacchetta.
<< In ogni caso, dal momento che sei qui, come potrei non approfittarne? >> Continuò Tom con un ghigno sinistro.
<< Cosa intendi? >> Domandò senza fiato Bossuet, che oramai si trovava sulla soglia del bagno. Non poteva più aspettare, da un momento all’altro Riddle gli avrebbe fatto del male, lo si poteva leggere nei suoi occhi, perciò non gli restò che fuggire. Iniziò a correre come un disperato e quando fu a metà del corridoio, senza che Riddle fosse alle sue calcagna, pensò all’unico modo in cui poteva sbarazzarsi di lui.
<< BOMBARDA! >> e parte della parete di fianco al bagno cadde rovinosamente, provocando un rumore che svegliò tutta Hogwarts. Fu in quel momento che i ragazzi che stavano cercando Bossuet, capirono dove si trovava. Raggiunsero il secondo piano il più velocemente possibile, guardandosi alle spalle, sperando che nessuno li stesse inseguendo. Riddle però, non appena Joly svoltò l’angolo ed incontrò lo sguardo di Bossuet impaurito, portò via con sé la sua nuova vittima, smaterializzandosi come aveva fatto con Gavroche. L’urlo agghiacciante di Joly fece tremare i muri, le tende, i fantasmi, fece tremare anche le statue e con esse Enjolras, che dopotutto era uno di loro. I professori accorsero con una velocità inaudita e quando videro la parete  crollata e i quattro ragazzi sull’orlo di una crisi di panico, non poterono fare a meno di preoccuparsi più che per l’episodio precedete.
<< E’ stato Riddle, ha rapito Bossuet, è stato lui! >>
Il preside lo guardò sbigottito e con lui Lumacorno, che reputava Riddle uno dei suoi allievi migliori.
<< Posso garantire per lui >> aggiunse Enjolras.
<< Anche noi >> continuò Courf.
 
La notte trascorse lenta e cupa, inondata dalle lacrime di Joly, che avrebbero in quel momento potuto colmare il mare. Jehan gli stette vicino fino all’alba, rassicurandolo del fatto che avrebbero agito in qualunque modo pur di salvare lui e Gavroche.
<< Proprio adesso che avevo accettato di amarlo… >> queste furono le sue ultime parole prima di crollare nel mondo dei sogni, che quella notte non furono meravigliosi come al solito.
 

 
 
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Buooooona sera carissime! <3
Eccoci qui, il primo capitolo in cui una coppia si forma! Come avrete potuto vedere ho messo il nome della canzone della soundrack di HP che associo alla coppia: “The Kiss” io la trovo perfetta per loro due :3 …Il resto del capitolo non è un granché piacevole però. Insomma, BOSSUEEEEEEEEEEEEET T.T … la nuova vittima di Riddle è proprio lui, ed è da qui che la situazione inizierà a precipitare vorticosamente.
I commenti a questo capitolo non sono molti (soprattutto perchè devo scappare xD) ma non vedo l’ora di sapere che cosa se pensate voi! (:
Al prossimo sabato, grazie sempre per il sostegno care *^*
_Noodle

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Capitolo 11
*** XI Capitolo. ***


Non era un granché lì dentro.
Una luce soffusa e verdastra rendeva l’ambiente alquanto sinistro.
Il silenzio assordante avrebbe fatto sanguinare le orecchie a chiunque.
Uno strano odore aleggiava nell’aria: somigliava a quello che si percepisce nelle paludi.
Bossuet si guardò attorno, appoggiandosi sui gomiti, e notò di non essere solo in quella sala sconfinata e tetra: accanto a lui, sdraiato e apparentemente privo vi vita, vi era Gavroche. Si alzò in piedi repentinamente, per accovacciarsi poi nuovamente accanto al fratello di Eponine. Lo scosse, cercando di capire se dentro il suo corpo il cuore battesse ancora e dopo essersi accorto che respirava, benché non si muovesse, tirò un profondo respiro di sollievo.
Dove si trovavano? Erano ad Hogwarts? Erano sperduti in qualche luogo abbandonato da Dio? Come avrebbe fatto Bossuet ad avvertire i suoi compagni? Che ne sarebbe stato delle sue predizioni? Non avrebbero aiutato nessuno, l’avrebbero solo più denigrato interiormente e fatto sentire impotente. Si accasciò sul corpo di Gavroche ed incominciò a singhiozzare impaurito, temendo che, forse, la sua breve e sfortunata vita avrebbe potuto finire da un momento all’altro. Strinse il bambino tra le sue braccia, per trasmettergli coraggio, o più probabilmente per acquisirlo lui stesso. Accarezzava i capelli di Gavroche come se fosse suo fratello, come se lo conoscesse da sempre: si sa, nella paura tutto ciò che ci può rendere vivi diventa casa.
<< Ne usciremo da questa storia Gavroche, te lo prometto. Dobbiamo avere pazienza e coraggio…vedrai che la fortuna ci assisterà. Tua sorella non ha mai smesso un attimo di cercarti lo sai? Tutti ne vorrebbero una come la tua; sono sicuro che riusciranno a trovarci e a salvarci e ad incastrare quello che ci tiene intrappolati qui. Sii forte Gavroche >> sussurrò Bossuet all’orecchio del ragazzino, attraversato da una forza incredibile e imprevista. Si sentiva grande, cresciuto, responsabile. Probabilmente lui non avrebbe sentito le sue parole, ma, cosa di cui Bossuet non si accorse, il cuore del piccolo Thenardier iniziò a battere all’impazzata: sotto quel gelo esteriore, vi era una supernova pronta ad esplodere.
Però, dei passi lenti e precisi fecero sobbalzare Bossuet. Quando si voltò, si accorse che colui che sostava davanti ai suoi piedi era Riddle, come aveva immaginato. Era sempre stato lui: era stato lui a rapire Gavroche, era stato lui ad uccidere Mirtilla, era lui la causa di tutti problemi.
<< E’ ancora vivo, non temere >> rispose a Bossuet senza che nemmeno avesse accennato alla domanda. Sembrava prevedere le sue intenzioni. Non ebbe il coraggio di alzarsi in piedi; restò titubante, con lo sguardo basso, timoroso di parlare, di muoversi, di respirare.
<< L’hai pietrificato? >> mormorò infine socchiudendo gli occhi.
<< Perspicace. >>
Riddle continuava a camminare avanti e indietro e questo metteva Bossuet ancora più in agitazione. Perchè pietrificare Gavroche? Perchè portarlo lì? Era stato preso anche lui perchè mezzosangue?
<< Dove mi trovo? >> La domanda in lui sorse spontanea.
<< Come? Non riconosci questo posto? >> Ridacchiò Riddle malvagio, sentendosi il detentore di un sapere inimmaginabile. Bossuet scosse la testa, ripercorrendo nella sua mente tutti i posti di cui poteva aver sentito parlare. 
<< Nessuno ti ha mai nominato la Camera dei Segreti? >> Il giovane Tassorosso spalancò gli occhi ed iniziò a tremare. Sapeva che cos’era quella camera e sapeva che cosa vi era nascosto dentro. 
<< La… la Camera d-dei Segreti? Non può essere, è una leggenda! >> sbraitò Bossuet alzandosi in piedi, accarezzandosi la nuca. Riddle si avvicinò a lui spintonandolo, facendolo per poco cadere a terra. Cominciò a sghignazzare, finendo poi per sganasciarsi dalle risate, chiedendosi come fosse possibile che i mezzosangue fossero così ingenui e creduloni.
Ciò che aveva intenzione di fare era giusto, allora.
<< Non è una leggenda, idiota. E probabilmente ci resterai qui… >> Bossuet si azzittì a quelle parole. Ogni intenzione di controbattere si assopì in lui: temette di svenire. Riddle era così terribilmente serio.
<< Che cosa vuoi… >> balbettò indietreggiando.
<< Pietrificus Totalus! >>
Bossuet cadde a terra supino, proprio al fianco di Gavroche. Il secondo della schiera dei condannati a quell’imprevedibile destino.
 
Joly non aveva fatto altro che piangere per tutta la notte. Jehan gli era stato accanto, aveva cercato di dirgli che sarebbe andato tutto bene, che alla fine tutto andava sempre bene. Joly però non ascoltava ciò che gli veniva detto: piangeva.
Gli mancava Bossuet, sebbene fossero passate circa due ore. Nel cuore della notte i sentimenti diventano dei giganti pesanti e incontrollabili, e nemmeno le menti più lucide possono abbatterli o nasconderli. Si sentiva intrappolato nella ragnatela della privazione e se avesse potuto, in quel momento sarebbe saltato al collo di Bossuet per assuefarsi del suo odore e morire d’amore. Quando Joly amava, amava per davvero. Con Musichetta era stato intenso, ma solo Bossuet lo aveva portato ad avere delle palpitazioni così forti. Solo Bossuet lo aveva portato a piangere.
Quando la mattina si svegliò, Joly fu colto da un’idea geniale. Buttò Jehan giù dal letto e lo trascinò in fretta nella Sala Grande. Quando furono lì, Joly si preoccupò di radunare anche Bahorel, Grantaire, Eponine, Cosette ed Enjolras. Nessuno aveva idea di che cosa volesse fare.
<< Perchè ci hai chiamati? >> Esordì Enjolras.
<< Ho avuto un’idea >> sussurrò Joly, serissimo in volto e gelido nello sguardo. Quando voleva, poteva essere più severo di Enjolras.
<< Sentiamo >> continuò Eponine.
<< D’accordo. Cosette, innanzi tutto, tu sei essenziale. Abbiamo due possibilità: la prima è quella di utilizzare il Legilimens con Riddle, ma credo sarà piuttosto difficile. La seconda, che secondo me invece è quella che possiamo sicuramente mettere in atto, è di catturare Montparnasse, effettuare il Legilimens su di lui e poi, alla luce di questo, farci dare spiegazioni. Che ne dite? >> Rimasero tutti e sei a bocca aperta: perchè non ci avevano pensato prima?
<< Geniale! >> Esclamò Bahorel, che promise agli altri che se il piano A non avesse funzionato li avrebbe portati immediatamente da Montparnasse. Eponine, sicura che il Serpeverde avrebbe presto vomitato le confessioni, poiché sapeva quanto Montparnasse fosse smidollato sotto tutte quelle apparenze, si congratulò con Joly per l’idea.
<< Per questo ho bisogno di aiuto da persone forti come voi: Bahorel, Grantaire, Enjolras. >> Enjolras odiava il fatto che il suo nome fosse stato posto accanto a quello di Taire. Continuava a guardarlo con odio per quello che era successo a causa di Courfeyrac, e chissà quando avrebbe capito che, alla fine, la colpa non era del povero Serpeverde.
<< Bene. Quando agiamo? >> Tirò le fila Grantaire, ansioso di incastrare Montparnasse: non gli era mai stato simpatico.
<< Dopo pranzo. Tra tre ore e cinquanta minuti, troviamoci nei sotterranei >> Concluse Bahorel. E fu così che tre ore e cinquanta minuti dopo, i sei ragazzi, poiché Jehan si era tirato fuori, si ritrovarono nei sotterranei, davanti all’entrata della Sala Comune dei Serpeverde. Prima di entrare, Cosette tentò di effettuare il Legilimens con Riddle e per  questo ebbe bisogno di una grande concentrazione. Come tutte le volte chiuse i gli occhi, strinse i pugni e inspirò profondamente. Sembrava che ce la stesse facendo, ma dopo pochi attimi spalancò gli occhi rassegnata: era accaduto quello che aveva immaginato: Riddle si era servito dell’Occlumanzia per non far penetrare Cosette nella sua mente. Quando lo comunicò agli altri, che rimasero spaventati da ciò, non persero un attimo di tempo: Grantaire pronunciò la parola d’ordine per entrare nella Sala Comune ed entrarono, inoltrandosi alla ricerca di Parnasse. Lo trovarono seduto su di un enorme divano verde che leggeva la Gazzetta del Profeta, da solo, completamente ignaro di quello che stava per accadere. 
Enjolras, dopo aver guardato i suoi compagni e fatto loro un cenno, iniziò a correre verso il divano e mise la bacchetta al collo di Montparnasse.
<< Ora stai fermo e ascolta >> sussurrò il biondo terribilmente.
<< Cosa volete? >> Esclamò Montparnasse cercando di dimenarsi mentre Grantaire e Bahorel l’avevano afferrato per le spalle e lo tenevano fermo. Joly ed Eponine avevano anche loro puntato le loro bacchette contro di lui. Cosette gli sostava davanti, colma di autorevolezza: nessuno l’aveva mai vista così, tanto convinta e tanto a contatto con la realtà.
<< Non ti farò male, te lo assicuro… >> gli sussurrò a pochi centimetri dal volto, facendolo tremare. Montparnasse la guardava sconvolto.
<< LEGILIMENS! >>
E Cosette, nella mente di Parnasse, vide lui e Riddle, un foglio con su scritti dei nomi e, cosa più importante, una porta enorme, oscura, cosparsa di serpenti in ferro. Finito l’incantesimo, Cosette raccontò tutto ai ragazzi, che iniziarono a tempestare di domande Montparnasse.
<< Voi, sudici traditori, io ero vostro amico, come avete potuto? >> Strillò, tentando nuovamente di liberarsi dalla loro morsa.
<< Amici, noi? Stupido deviato, dicci qual è la verità. Cosa vuol dire quel foglio? E quella porta? Dove si trova? >> Disse impassibile Bahorel.
<< Non vi dirò mai nulla, che cosa ve ne può importare? Solo perchè hai perso il fratellino? Forse si troverà in un posto migliore, che dici? >> sibilò nauseabondo schernendo Eponine. Lei per poco non gli trapassò la gola con la bacchetta.
<< Ascoltami bene, lurido idiota, dicci immediatamente dove si trovano e tu ne esci vivo. Sappi che non ho paura di stecchirti qui davanti o di torturarti fino a domani mattina >> bisbigliò Eponine, perfida e coincisa come sempre. I suoi occhi lanciavano fiamme: era tornata l’impavida guerriera di sempre, perchè aveva capito che piangendosi addosso non risolveva nulla.
<< Che paura! Vuoi andarlo a trovare Eponine? >>
<< Brutto stronzo, smettila! >> urlò Grantaire, sul punto di strozzarlo. Nel contempo Enjolras aveva fatto più pressione con la bacchetta sul collo del Serpeverde. Montparnasse, iniziando ad essere spaventato per ciò che poteva accadere, decise di non rivelare completamente la verità ai sei, ma di dare loro un indizio. Sperava che Riddle non lo scoprisse.
<< Posso solo dirvi, che se siete dei mezzosangue non conviene comportarvi come dei giovani ribelli. E se siete tanto curiosi di scoprire dove si trova quella porta, perchè non chiedete aiuto al vostro amico TopoDiBiblioteca? >>
I ragazzi si guardarono tra di loro, allibiti e spaventati, ma carichi, quanto mai, di adrenalina. Lasciarono andare il ragazzo e s’incamminarono verso l’uscita, mediamente soddisfatti di quello che erano riusciti ad estorcergli. Giunti davanti alla porta però, sentirono Montparnasse gridare loro qualcosa, o meglio, ad Eponine.
<< Sai Eponine, non mi sono mai piaciuti i tradimenti. Tu che ne pensi Bahorel? >>
Bahorel guardò il suo compagno di Casa in modo furioso; per poco non gli saltarono gli occhi dalle orbite e il sangue dai capillari. Lui ed Eponine si limitarono a guardarlo storto, poi continuarono ad andare avanti, tentando di reprimere la rabbia.
Erano sicuri che avrebbero trovato Gavroche e Bossuet in poco tempo, ora però avevano bisogno di Jehan.
 
Quella sera, dopo la tensione pomeridiana, Bahorel invitò Eponine a cena nella Stanza delle Necessità (anche se lei non lo sapeva). La ragazza cercava di capirne il perchè: forse lo faceva per galanteria, forse per solitudine, forse per discolparsi per la soffiata a Montparnasse. Lui, invece, sapeva benissimo quali erano le sue intenzioni: voleva che Eponine fosse felice.
Aveva un sorriso sbilenco, allungato verso destra, più timido dal lato sinistro, incostante ed esplosivo; era sincero, sfrontato, talvolta anche semplice, comune, anonimo, perchè lei di per sé non era una persona semplice, comune e anonima. Quel sorriso aveva fatto in qualche modo arrossire Bahorel, sempre così incurante di tutto e di tutti, malgrado la sua generosità. Eponine non era un essere comune e Bahorel non aveva mai incontrato nessuno di così tremendamente originale e, come lui, disposto a perdere mille e mille volte pur di raggiungere il proprio obiettivo, pur di raggiungere la cima. Il modo con cui aveva affrontato Montparnasse il pomeriggio era stato esemplare: aveva iniziato a guardarla davvero con spirito diverso. Quella cena sarebbe stata la sua occasione per far sì che rimuovesse dai suoi occhi per qualche attimo la patina di dolore che li aveva offuscati.
S’incontrarono stringendosi la mano.
<< Chiudi gli occhi >> le sussurrò Bahorel all’orecchio, ponendo le sue mani sugli occhi di lei.
<< Dove mi porti? >> Ridacchiò sfoderando quel suo magico sorriso che temeva di aver perso. Eponine chiuse gli occhi e percepì un rumore famigliare alle sue spalle. Storse il naso, in modo simpatico, poi, dopo che Bahorel ebbe tolto le sue mani dal volto della ragazza le permise di aprirli. La Stanza delle Necessità si estendeva maestosa davanti a loro ed entrambi entrarono soddisfatti: quel desiderio di felicità era sicuramente una necessità. ‘Ponine alla vista di tutto quel cibo e della splendida tavola imbandita, per magia iniziò a ridere di gusto, iniziando a volteggiare su se stessa: si guardava attorno meravigliava, scrutando ogni tanto tra la miriade di luci che incorniciavano la stanza anche il sorriso di Bahorel: la luce più brillante. Sul tavolo vi era ogni sorta di cibo: in particolare spuntavano qua e là dei biscotti alla vaniglia tempestati di gocce di cioccolato, i preferiti di Eponine. Davvero aveva fatto tutto questo per lei? Chi era mai, realmente, questo Bahorel? Che cosa celavano i suoi occhi nocciola? I muscoli così prorompenti servivano davvero per picchiare? E se Dio li avesse creati per abbracciare con veemenza?
‘Ponine sorrise distratta, incosciente, senza esserne consapevole: era un sorriso che veniva dal cuore.
<< Tu hai fatto tutto questo per me? >> Esclamò ad un tratto voltandosi verso Bahorel, che restava sulla porta con le braccia incrociate sul petto.
<< Beh, sì! >> Rispose lui camminando incontro a lei. I loro occhi scintillavano e non per il riflesso delle luci, ma perchè brillavano di luce propria. Un’improvvisa ondata di ottimismo invase la ragazza: si sentiva al sicuro lì dentro, nessuno li avrebbe trovati, nessuno avrebbe potuto mandare all’aria ciò che stavano facendo. Bahorel le aveva fatto in migliore dei regali.
<< Come… perchè? >> Chiese poi sedendosi al tavolo, senza addentare ancora niente. Bahorel piantò i propri occhi nei suoi, quegli splendidi occhi di cerbiatta trasformatasi in lupa.
<< Volevo che ti risollevassi un po’ d’animo >> le disse alzando le spalle e protendendo le mani verso l’alto.
<< Non era il caso… >> sussurro Eponine arrossendo. Non le capitava da molto tempo. Non si ricordava fosse così piacevole. Bahorel avrebbe voluto darle una risposta un po’ meno banale del solito “ma sì, farei questo e altro per te” perciò si lasciò cogliere dall’ispirazione bevendo un bicchiere di vino; si sentì molto Grantaire.
<< Se non fosse stato necessario, la stanza non sarebbe nemmeno comparsa >> rispose poi alla fine. Ed era vero, se non fosse stato così necessario nulla di ciò sarebbe apparso. Eponine cercò di controbattere, cercò di convincere Bahorel che non era indispensabile quello che stava facendo per lei. Invece, scavando un po’ di più nelle profondità del suo cuore, capì che un meraviglioso tepore la stava facendo sentire viva e che essere lì con Bahorel, in un posto tutto per loro, la rendeva euforica, furiosa e rabbiosa di energia. Avrebbe potuto ribaltare la scuola, ritrovare Gavroche e Bossuet e ridurre Riddle in poltiglia. E poi lui era lì con lei. Come mai, così, tutto d’un tratto, sentiva di aver bisogno di lui come suo pilastro? Aveva sempre fatto tutto da sola. Forse era arrivato il momento di addolcirsi un po’. 
<< Così però non vale… >> ammise guardando il ragazzo con una tenerezza inumana, la stessa con cui una mamma osserva i suoi cuccioli (ma con più malizia). Rimasero in silenzio per qualche momento, perdendosi nel tempo.
<< Allora, che cosa aspetti? Non ti va di assaggiare tutto questo ben di Dio? >> Esordì infine il ragazzo.
<< Certamente! >>
Iniziarono a cenare e per la prima volta non parlarono né di Riddle, né di Gavroche, né di Hogwarts. Parlarono di loro stessi, dei loro pregi, dei loro difetti, di ciò che avrebbero voluto fare nella vita, di come avevano scoperto di possedere la magia. Così, per ore ed ore.
<< Ho sempre voluto fare l’attrice. Poi quando avevo dieci anni ho scoperto di saper fare esplodere le cose semplicemente guardandole quando ero arrabbiata. Quindi ho pensato: chissà se i maghi fanno spettacoli >> si chiese alzando gli occhi al cielo con un’espressione stralunata. Bahorel non poteva fare a meno di trovarla così innocente e affascinante. Eponine era un candido peccato.
<< Suppongo di sì ‘Ponine; ma non avevo mai sentito nessuno che volesse fare un qualcosa del genere >> confessò lui alzando le sopracciglia e scuotendo la testa.
<< Se nessuno lo ha mai inventato, lo farò io! >> Esclamò battendo il pugno sul tavolo, sfoderando uno di quei suoi soliti sorrisi determinati.
<< E tu Bahorel? >> Continuò << Che cosa vorresti fare nella vita? >>
<< Non lo so. >> Eponine lo guardò stupita.
<< Nemmeno una piccola idea? >> Chiese nuovamente, speranzosa.
<< No. Odio pensare al futuro. È così bello vivere il momento >> rispose lui serio, bevendo l’ultimo bicchiere di vino della serata. Eponine non poté fare a meno di riconoscere che questo suo modo di pensare fosse interessante.
<< Hai ragione anche tu. Io sono un’inguaribile sognatrice, non so se puoi capirmi. >>
E con questa ultima considerazione, Eponine si alzò dalla sedia e si incamminò verso la porta: si era ormai fatto tardi. Lasciarono che la stanza delle necessità si chiudesse alle loro spalle, poi si fermarono davanti al muro, l’uno di fronte all’altra. Il silenzio li avvolgeva e questo era un silenzio piacevole.
<< Perchè stavi con Jehan? >> Domandò ad un tratto Bahorel a Eponine. Lei sbarrò gli occhi, arricciando il naso.
<< Come scusa? >> Chiese con la voce rotta.
<< Perchè ti piaceva Jehan? >> ribadì lui.
<< Perchè Jehan è dolce. Sa amare >> rispose senza esitare. Lei voleva bene a Jehan, di questo ne era certa, e allo stesso modo era sicura che fosse la persona più affettuosa e sensibile a quel mondo.    << Ma a quanto pare io non ero la persona giusta da amare. Ma la dolcezza a volte inganna, sai? Preferisco le cose inaspettate. >>
E si allontanò.
Bahorel scoppiò in una risata euforica non appena lei ebbe svoltato l’angolo. Ce l’aveva fatta, aveva reso felice ‘Ponine; inaspettatamente però, era successa un’altra cosa: aveva reso felice anche se stesso.

 
 
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Ssssssalve! :3
Come andiamo belle? Io sono stanca e con la congiuntivite, ma come potevo non aggiornare (anche se con un giorno di ritardo)? <3 Che ne dite di questo capitolo? Personalmente adoro la prima parte perchè è così tetra e angosciante, la seconda perchè Joly ha tirato fuori le palle e fa di tutto per ritrovare il suo Bossuet e la terza perchè cavolo, un’Eponine così felice e un Bahorel così tenero non si possono che non amare *^* Si stanno innnnnnamorando! -w-
E quando Enj smetterà di avercela con Taire? Ma infondo, ce l’ha veramente con lui? Il prossimo capitolo sarà molto E/R, ve lo anticipo già ** Spero vi sia piaciuto, al prossimo weekend! :3
Vi adoro,
_Noodle

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Capitolo 12
*** XII Capitolo. ***


Enjolras aveva sempre amato la solitudine. Amava restare ore ed ore seduto in mezzo al nulla, ad osservare la pioggia, pensando. Quella mattina era arrabbiato, sperso, confuso, incapace di formulare un pensiero razionale, giusto. Il cielo freddo e grigio non lo aiutava a rischiarare le sue idee: chi l’aveva asfaltato era stato sconsiderato, non si era preoccupato di lui. Le lampadine dei suoi neuroni si erano spente, qualcuna si era anche bruciata, e l’elettricità che gli scorreva per tutto il corpo non era nient’altro che un fastidioso formicolio.
I suoi pensieri assomigliavano a geroglifici sbiaditi.
Dov’erano i posti in cui si capivano le cose? Dov’era il vento che scompigliava i capelli ai dubbi? Dov’era il calore? Dov’era il caldo? Dov’erano i colori? Chi se li era portati via? Era stato lui a rapire le tavolozze di Dio?
Che strano effetto faceva dire “lui”. Per natura, avrebbe dovuto dire “lei”, o forse avrebbe dovuto tacere. Forse diventare un automa non sarebbe stato così male. A cosa pensava? A niente, a tutto, ad un sogno ad occhi aperti. Perchè arrabbiarsi? Perchè non dormire? Perchè alzarsi dal letto alle due del mattino per osservarsi i piedi, il pigiama, le mani? Perchè invidiare la propria ombra? Perchè voler fuggire? E chi lo sapeva. Lui non di certo.
Non era colpa di Riddle, di Gavroche o di Bossuet se stava così. Non era colpa delle nuvole o delle notti insonni. Non era colpa di Courfeyrac e della sua stupidità: la colpa era degli sguardi incastrati tra le costole, delle parole di miele, acerbe, della sfrenatezza di un attimo. Era colpa di quell’uomo, del bel dio greco, di quel Bacco con gli occhi di oceano. Gli altri lo chiamavano Apollo: lui si sarebbe semplicemente dato dello “stupido”.
Lasciarsi andare era doloroso.
Si guardava attorno e si chiedeva il perchè delle cose. S’interrogava su quanto il mondo che lo circondava fosse bizzarro e strano. Persino lui era riuscito a soccombere, non aveva potuto impedire che le cose accadessero, non aveva potuto guardare gli eventi scorrere con regolarità. Aveva subito e aveva pianto, in un sogno, un sogno che aveva la faccia della paura: la bocca era dipinta, ma gli occhi erano quelli di Grantaire.
Gli faceva paura e forse era per questo che non gli parlava. Non era rabbia quella che circolava nel suo corpo, era timore. Avevano ballato insieme e lui gli aveva cinto i fianchi. Talvolta gli capitava di soffermarsi su questo argomento: si chiedeva se avrebbe mai ballato, se anche lui, prima o poi, avrebbe fatto come gli altri ragazzi, si chiedeva se si sarebbe mai divertito.
E il momento si era presentato e aveva ballato, aveva fatto come gli altri ragazzi, ma non si era divertito, perchè quello che sostava davanti a lui era Grantaire, l’unico che era riuscito a disarmarlo con una parola. Aveva paura del suo corpo, dei suoi capelli così irregolari, di quel suo modo di camminare tanto diverso dal suo, più composto. Aveva il terrore della sua risata e del suo sorriso, sornione, di come riusciva a farlo fremere. Non voleva ricordarsi della parole che gli aveva detto, voleva rimuoverle. Eppure non riusciva; in tutti quei pensieri confusi, le parole “mi sono innamorato” non riuscivano a sbiadirsi. Che mondo matto.
Ironia della sorte, perchè non c’è nessuna più ironica di lei, Enjolras, che sedeva su un enorme sasso in riva al Lago Nero, sentì del calore umano affianco a lui e sapeva benissimo che non era né Courfeyrac, né Marius. Riconosceva il profumo che avevano i suoi vestiti: legno. Si voltò e lo vide, avvolto nel suo solito mistero.
<< Che ci fai qui? >> Esplose Enjolras. Si rendeva conto di quando poteva diventare incredibilmente antipatico quando si rivolgeva a Grantaire, ma non riusciva a controllarsi. Era a causa della soggezione se mutava in quel modo, se quella metamorfosi improvvisa lo trasformava in una serpe.
<< Volevo parlarti >> rispose pacatamente Grantaire con un dolce sorriso, quello che faceva sanguinare il cuore del biondo.
<< Se sei venuto a prenderti gioco di me, puoi anche togliere il disturbo >> concluse Enjolras con parole dritte e taglienti, che lasciarono Grantaire lievemente sbigottito.
<< Sei sempre così prevenuto, Enjolras >> lo rimbeccò sedendosi meglio sul sasso. Faceva più freddo del solito. Apollo aggrottò le sopracciglia contrariato.
<< Come puoi darmi del prevenuto se mi conosci da un mese circa? >> Domandò.
<< Fidati, ti conosco da molto più tempo. >>
Enjolras a quelle parole chiuse gli occhi, ricordandosi di quel momento in cui, seduto nella Sala Grande, si era accorto di qualcuno che lo fissava, ed era lui. Gli bastava essere osservato per essere capito? Era davvero così prevedibile? Grantaire gli avrebbe risposto che l’unica cosa che era riuscito a comprendere di lui era il fatto che la sua schiena avrebbe fatto invidia quelle delle statue di marmo.
<< Che cosa vuoi dirmi? >> Chiese infine risvegliandosi da quel torpore mentale. Grantaire prese un bel respiro, gonfiandosi d’aria, per poi avvicinarsi ad Enjolras e parlare un po’ più sottovoce.
<< Che mi dispiace. So che sei arrabbiato per quello che è successo, per la faccenda del filtro. Non capisco che cosa sia accaduto, non so perchè tu abbia detto quelle cose proprio a me. Ti chiedo scusa. Forse avrei dovuto… >>
<< No Grantaire. Non è colpa tua. E’ colpa di Courfeyrac. E io so che cosa ha fatto >> lo interruppe Enjolras serissimo, credendo che non avrebbe mai più potuto perdonare il suo amico: era troppo orgoglioso a volte.
<< E allora perchè sembra che tu ce l’abbia con me costantemente? >>
Questa domanda lo spiazzò, rendendolo fragile e attaccabile come aveva temuto che presto sarebbe diventato. Lo fissò negli occhi, credendo che lì dentro avrebbe trovato una risposta: quello che trovò fu soltanto l’immenso.
<< Io non ce l’ho con te. >>
<< E allora cos’hai? Perchè non ti vedo mai ridere? Sembra che tu abbia meno spirito di un cubetto di ghiaccio. >>
Non sapeva che cosa rispondere, ma sapeva che aveva ragione Grantaire. Per quanto fosse stupido e insopportabile (caratteristica per cui non aveva trovato un fondamento), quella volta era riuscito a descriverlo perfettamente. E aveva paura di dirgli che lui era così, che era gelido, e che soprattutto quando incrociava quei due iceberg sprofondava nel freddo.
<< Devo raggiungere Marius, scusami >> biascicò velocemente alzandosi. Grantaire imitò i suoi movimenti, raggiungendolo.
<< Ti accompagno >> esclamò.
<< No. Devo andarci da solo. Senza di te. >>
Era ormai lontano quando si sentì urlare dietro: << Per quanto vorrai restare ancora da solo Enjolras? >>
Non ebbe il tempo di capire, ma sperò solo che prima o poi lui e Grantaire avrebbero raggiunto insieme il posto dove si capivano le cose, perchè solo lì non avrebbe letto tutto come uno sbaglio.
 
Jehan sarebbe dovuto andare in biblioteca, quel giorno, a cercare informazioni sulla fantomatica porta descritta ai ragazzi da Montparnasse. Joly gli aveva raccontato tutto e lui non aveva fatto nient’altro che tremare, dalla prima all’ultima parola.
Non voleva tornare in biblioteca da solo, soprattutto dopo quello che era successo. Chissà se la macchie di sangue erano definitivamente scomparse da terra. L’unica persona che sapeva che cosa era accaduto e che non si vergognava di accompagnarlo in giro per Hogwarts era Courfeyrac, perciò, prima che iniziassero le lezioni mattutine, lo prese con sé e gli parlò, spiegandogli che cosa avrebbe dovuto fare la sera con lui.
Le ore pomeridiane trascorsero con lentezza e tetraggine. Grantaire e Bahorel furono costretti a vedere Riddle, cosa che non fu per nulla piacevole, Eponine pensò a dove diavolo potesse trovarsi quella porta descritta loro da Cosette dopo il Legilimens, Enjolras si tormentò come un poeta romantico e Joly tentò di non scoppiare a piangere ogni volta che sentiva pronunciare la parola “Tassorosso”. Jehan e Courfeyrac in tutto questo attendevano, attendevano che il sole calasse e che gli studenti andassero a dormire per addentarsi nelle tenebre dei libri.
A mezzanotte si trovavano davanti alla porta della biblioteca, spaventati e confusi; timidi, intrepidi. Courfeyrac osservava le braccia bianche di Jehan: erano guarite in fretta; al collo però portava ancora una sciarpa per nascondere i segni. Quanto avrebbe voluto stringerlo e non lasciarlo più andare, quanto avrebbe voluto renderlo consapevole che nulla gli avrebbe fatto del male fino a quando sarebbero stati uniti, quanto avrebbe voluto. Vedeva le sue vene tremare e ribollire: la biblioteca non rappresentava più per lui un luogo piacevole, si era trasformata in un luogo di strage.
<< Hai paura Jehan? >> Sussurrò Courf al poeta, poggiandogli una mano sulla spalla, accarezzandolo.
<< Si. >>
<< Di che cosa hai paura? >> Chiese con un’intonazione nella voce che avrebbe fatto sciogliere il ghiacciai.
<< Di morire. >> La risposta di Jehan fece rabbrividire Courfeyrac, che appoggiò anche l’altra mano sulla spalla dell’amico. Non vi era luce nei suoi occhi blu, si era spento, era un angelo mortale e morente. Temeva che Riddle avrebbe catturato anche lui, che sarebbe stato il prossimo, che avrebbe condotto anche lui verso la fine. Forse la morte che si era preparato era migliore di quella che lo aspettava.
<< Perchè volevi farlo? >> Chiese a bruciapelo l’amico. Jehan, con gli occhi lucidi, non faceva altro che respirare affannosamente. Voleva piangere, ma non riusciva.
<< La fragilità può portare a degli atti orribili >> confessò con la voce rotta e impastata. Tutto attorno a loro era silenzioso, solo lo scoppiettare del fuoco dei loro cuori faceva un lieve rumore.
<< Io voglio proteggerti. >>
Fu Courfeyrac e sparare una cannonata dritta nel petto del poeta.
<< Perchè vuoi farlo? >>
<< Perchè l’affetto può portare a degli atti inaspettatamente meravigliosi. >>
Avevano esaurito gli sguardi, ma continuavano a scrutarsi, perchè oramai era diventata un’abitudine.
<< Affetto? >> Balbettò timidamente il poeta.
<< Sì, affetto. Io ti voglio bene Jehan. >>
Avrebbe voluto piangere, ridere, rotolarsi a terra, saltare, dormire per poi sognare un’altra volta quelle parole, abbracciarlo e forse anche incantarlo, per far sì che quell’attimo non svanisse nel tempo.
<< Courfeyrac… io… >> A queste parole il poeta incominciò a sussultare e a respirare affannosamente, come se avesse dovuto morire soffocato; forse era la consistenza pesante dei propri pensieri che gli aveva portato via l’aria.
<< Dimmi Jehan, stai tranquillo >> gli disse sorridente Courfeyrac, che percepiva il lieve imbarazzo di quel momento. Quanta tenerezza emanava quando goffamente arrossiva.
<< Ti voglio… bene >> esalò, esitando su quel “voglio” volutamente. Lui lo voleva oltre a volergli bene.
Quando quell’affetto si sarebbe trasformato in amore, si sarebbe finalmente sentito completo. Annegare nei suoi occhi e nelle sue lacrime non era come affogare in mare, era come morire. Non voleva solo più assaporare quel sentimento, lo voleva vivere: Courfeyrac era la persona più giusta per farlo. La sua solita malinconia veniva compensata dal buon umore dell’altro e, come un romanzo, Jehan lo scopriva e lo leggeva giorno dopo giorno, come una penna lo usava e lo consumava, come un sogno lo sognava e ci si perdeva dentro, pregando di non svegliarsi. Nessuno l’aveva mai fatto sentire così male, così tormentato, come solo i grandi poeti erano stati, ma al contempo nessuno l’aveva mai fatto sentire così maledettamente e incredibilmente bene.
Per Courfeyrac era lo stesso: aveva bisogno di dolcezza e d’ingegno, di tempo per comprendere se stesso: Jehan era la persona giusta per ciò. Forse non ci aveva mai pensato, ma tutte le ragazze che aveva amato, o almeno da cui era stato attratto, non erano state nient’altro che fantasmi fasulli, stupide coperte e maschere; Jehan aveva permesso che la parte migliore e più nascosta di lui si rivelasse. Era sempre stato spavaldo, ma non riusciva a confessarlo, a farlo trasparire: sperava che gli eventi avrebbero portato ad una conclusione.
Jehan avrebbe voluto saltargli al collo, baciarlo, esplorarlo, ma sapeva che il moro non l’avrebbe capito. Si limitò a pensare che il fatto che gli volesse bene fosse la cosa più bella del mondo in quel momento e questo valeva più di un qualsiasi bacio. Quando l’aveva salvato dal baratro, curando le sue ferite aveva anche riparato e ricomposto il suo cuore, che era stato pugnalato benché la lama non si fosse avvicinata al suo petto.
Quella di Courfeyrac era stata una mossa giusta, era stata l’intuizione che porta ad una vittoria, era stata lo scacco matto.
Entrarono nella biblioteca senza fiatare, senza nemmeno guardarsi attorno per assicurarsi che nessuno li stesse seguendo. La destinazione era quella del libri di storia della magia, in particolare di quelli più illustrati.
<< Iniziamo da quello! >> Consigliò Jehan.
I due iniziarono a cercare in lungo e in largo, a sfogliare pagine e pagine di libri, ma non riuscivano a trovare nulla: nessuna porta sospetta. Poi, nel magico momento in cui entrambi posarono la loro mano su uno stesso volume, cosa che fece arrossire tremendamente Jehan, entrambi percepirono che quello, forse, sarebbe stato il libro giusto. Lo aprirono e nella pagina centrale il disegno di un’enorme porta costellata di serpenti attrasse la loro attenzione.
Spalancarono gli occhi e il tremore che avevano abbandonato ritornò. Si fissarono basiti e sbigottiti, più paurosi di prima perchè entrambi avevano capito quale rischio stavano correndo.
<< Questa è la porta della… >> bisbigliò Jehan atterrito.
<< Camera dei Segreti… >> concluse Courf.
<< Credevo fosse una leggenda… >> recitarono in coro, artefici dello stesso pensiero.
Un basilisco era quello che li avrebbe potuti uccidere, che avrebbe potuto uccidere tutti i mezzosangue. Ora tutto aveva senso: gli occhi che Bossuet aveva citato nella profezia erano quelli di quell’enorme serpente e il sangue era proprio quello dei mezzosangue, come avevano ipotizzato. Jehan si sentì tremare nel profondo, sperando che il domani avrebbe serbato dei giorni migliori: presto sarebbe scoppiata una guerra contro Riddle e, come nel suo mondo babbano, chissà quante sarebbero state le vittime, chissà quanti ritenuti impuri sarebbero scomparsi.
<< Tu credi che l’entrata si trovi… >>
Ed era proprio lì il nodo ed entrambi avevano avuto la stessa intenzione. Si misero a correre e anche quella notte Hogwarts non restò tranquilla e non poté dormire in pace. Salirono le scale che portavano al secondo piano e non appena entrarono nel bagno delle ragazze, avvolto da quel particolare e sospetto silenzio metafisico, che si rifletteva persino nell’acqua, videro a terra un oggetto, che Courfeyrac subito non riconobbe, ma Jehan lo associò immediatamente al suo proprietario.
<< Courf >> disse abbassandosi << questo è il cerchietto blu di Musichetta… >>
<< Come fai ad esserne certo? >> Lo interrogò l’altro, incapace di realizzare ciò che era appena successo.
<< Joly me ne parlava sempre quando era innamorato di lei. Non ci posso credere… >> Jehan aveva l’impulso di fuggire, aveva paura e si vedeva da come muoveva le gambe e le mani. Lo sguardo fin troppo fuggiasco faceva trasparire l’ansia che provava. Se solo avessero potuto, i suoi occhi gli sarebbero saltati fuori dalle orbite per non vedere più nulla di quello che stava per accadere. Anche Musichetta era scomparsa ed era una donna. Avrebbe fatto la stessa fine di Mirtilla?
<< Ha rapito anche lei? >> Chiese Courfeyrac. Jehan annuì.
<< Temo che sia così. Dobbiamo informare gli altri, immediatamente >> sentenziò incominciando a correre verso l’uscita del bagno. Ma Courfeyrac, non concependo quella fuga repentina lo fermò, affermandolo per una mano, sudata e scarna. Poteva l’amore prevalere sulla paura? Per terrore sarebbe scappato, ma per amore restò.
<< Jehan, dobbiamo capire come li porta via, qual è l’entrata della Camera! >> Courfeyrac avrebbe fatto le parti di Enjolras in quel momento, era assetato di giustizia. Ma il rosso non riuscì a dargli ragione, non era sicuro restare lì in quei momenti insicuri. Dovevano allontanarsi, prima che riddle tornasse.
<< Non voglio restare qui adesso. Non è sicuro, Courf. Ricordati che rischio anche io di… >> ma s’interruppe. Lasciò intendere. Courfeyrac capì e, reprimendo l’istinto di passargli una mano tra i capelli, si azzittì.
<< Scusami Jehan. Andiamo via. Dobbiamo dirlo almeno a Joly, hai ragione. >>
E corsero nel dormitorio dei Corvonero, dove, con grandissima sorpresa, scoprirono che il giovane ipocondriaco non era solo.
<< Joly! >> Esclamò Jehan, ansioso di comunicare la notizia.
<< Ciao ‘Ferre! Che ci fai qui? >> Aggiunse Courfeyrac, confuso dell’incontro. Combeferre non era felice e non era solo interessato, non era solo preoccupato. Era funesto, assetato di informazioni, era travolto dall’ansia. Jehan comprese che non si trattava di Musichetta, ma qualcun altro.
<< Riddle rapito Feuilly. >>
Il silenzio calò. Fu solo interrotto da un: << Cosa? >> di Courfeyrac.
<< Anche Musichetta è sparita. Abbiamo ritrovato il suo cerchietto >> commentò Jehan, spiegando ai ragazzi la faccenda della Camera dei Segreti, lasciandoli a bocca aperta. Joly scoppiò in lacrime, sbattendo i pugni contro l’armadio, pensando a quanto potesse essere in pericolo il suo Bossuet. A Jehan sembrò che sussurrasse che lo amava, ma le lacrime si interposero tra le sue labbra.
<< Avrà cercato di fermarlo… >> aggiunse Courf.
<< O più probabilmente sarà capitata lì per caso e avrà assistito al rapimento. Così Riddle ha fatto che portare via anche lei >> urlò Joly fuori di sé, esterrefatto.
<< Sono quattro. Quanti pensate che ne porterà ancora via con sé? >>
<< Non possiamo saperlo Jehan. Nessun mezzosangue si deve più avvicinare a quel bagno. Avevo cercato di convincere Feuilly, ma voleva ritrovare a tutti i costi il suo amico e credeva di poter ricominciare di lì. >>
Courfeyrac, per la prima in volta in tutta la sua vita, prese le redini della situazione e parlò, perchè la sofferenza che stava ammazzando tutti era troppa ed era cattiva.
<< Sarà da dove cominceremo noi, domani notte. Grantaire e Bahorel dovranno sorvegliare che Riddle dorma. Noi agiremo. Non c’è più tempo. >>

 
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Buona sera figliuole! (?) Sono riemersa, e mi dispiace aver pubblicato con due giorni di ritardo D: …Non sono state settimane particolarmente facili, e lo sono tutt’ora, quindi scusate se il capitolo non sarà perfetto, ma ho avuto veramente poco tempo per scrivere e per ricontrollarlo :c …Non potrò più assicurarvi il giorno di pubblicazione, ma sicuramente non supererà le due settimane a capitolo, un una settimana o poco più riuscirò sempre a scrivere (:
Che dire su questo capitolo? Enj è un tesorino assurdo e così lo sono anche Courf e Jehan, che anche nella tristezza del momento riescono ad essere incredibilmente amorevoli X””
I rapimenti continuano e adesso i mezzosangue rimangono pochi. Come andrà avanti? Il prossimo sarà un capitolo importante: il piano per entrare nella Camera verrà messo appunto e iniziato. Aspettatevi di tutto <3
Alla prossima care, vi voglio bene grazie per tutte le belle recensioni <3 

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Capitolo 13
*** XIII Capitolo. ***


Bahorel and Eponine’s  Theme:
~“When Ginny kisses Harry”, HP and The Half Blood Prince.
 
 
 
Questo era lo schieramento, questa era la composizione delle file dell’esercito: Courfeyrac, Grantaire, Jehan ed Enjolras avrebbero fatto irruzione nella Camera dei Segreti (ovviamente dopo aver trovato il modo per entrarci), Cosette, Eponine, Joly e Combeferre sarebbero rimasti nel bagno, a controllare la situazione per accertarsi che non accadesse nulla e che nessuno si facesse male ed infine Bahorel e Marius avrebbero fatto la guardia al dormitorio dei Serpeverde, per essere certi che non si verificassero spostamenti sospetti. Erano in quattordici: ora erano rimasti in dieci. Persino le statue avevano incominciato a tremare.
 
Era l’una di notte, e nulla andava bene. Grantaire era arrivato in ritardo all’appuntamento davanti al bagno delle ragazze, dal momento che Montparnasse aveva tirato fuori tutte le più subdole scuse per trattenerlo nella loro Sala Comune. Nel frattempo Jehan, preso dal panico, era svenuto. Joly era riuscito subito a rianimarlo: gli avrebbe volentieri donato la sua fiala di Fortuna Liquida per farlo sentire meglio, ma sapeva che non sarebbe stato giusto. Quando Grantaire si ritrovò davanti al simpatico quadretto, dovette persino subirsi la ramanzina di Courfeyrac, che esasperato per lo stato di salute di Jehan e dalla situazione in sé, non aveva fatto altro che parlare e non aveva così avuto modo di ascoltare le spiegazioni del Serpeverde. Tuttavia, non potevano ancora scendere nella Camera: mancava Enjolras, e Grantaire, conforme al suo solito pessimismo, aveva un bruttissimo presentimento.
<< Iniziamo a cercare l’accesso >> decretò ‘Ponine  iniziando ad ispezionare tutti i cubicoli, in particolare quello dove era stata uccisa Mirtilla: era agguerrita e aveva il terrore di non riuscire e rompere in due il cranio di Riddle.
<< Avis! >> E fece comparire dei piccoli uccelli di carta. Iniziò a tirare gli sciacquoni, gettando gli uccellini dentro ai gabinetti per verificare che non fossero delle Passaporte e scoprì che non lo erano.
Courf, che apparentemente sembrava il più consapevole, ma che in realtà era stretto nella morsa della paura, diventata oramai devastante, aveva incominciato a controllare il pavimento, assicurandosi che tutte le piastrelle fossero al loro posto. Aveva paura per la propria condizione, ma dopotutto era un purosangue, e ciò significava essere mediamente fuori pericolo. Aveva paura per Jehan, per Eponine, per Bossuet, per Gavroche, per Musichetta e persino per Feuilly, il suo rivale nel Quidditch. Immaginarsi il volto candido di Jehan macchiato di sangue, come purtroppo l’aveva già visto una volta, gli faceva accapponare la pelle. L’avrebbe protetto, fino alla fine. Lui era il suo piccolo trofeo da conquistare.
Bahorel, mentre i ragazzi perlustravano il luogo ed aspettavano che Enjolras arrivasse per poter dividersi, aveva notato un rubinetto singolare, che aveva inciso sopra un serpente. Iniziò a ruotare le manopole del rubinetto compulsivamente con tutta la forza che possedeva, ma non accadeva un bel niente.
<< Ragazzi, ho trovato qualcosa! >> esclamò e tutti accorsero al suo fianco. Guardarono quell’incisione con sospetto, colti in volto dallo stupore e dal dubbio e in tutti affiorò lo stesso pensiero.
<< Dici che si entra da qui? >> Chiese Cosette con flebile voce.
<< Ne sono certo. Ma non capisco come aprire il passaggio >> replicò Bahorel annuendo e forzando ancora di più le manopole.
<< C’era scritto nulla nel libro? >> Chiese Courfeyrac a Jehan, che stava cercando di ricordarsi che cosa avesse letto: tutto era tremendamente confuso, l’insicurezza stava annebbiando e rendendo opaco ogni ricordo.
<< Non ricordo. Mi sembrava non dicesse nulla a proposito, non nominava neppure il bagno delle ragazze! >>
Courf alzò gli occhi al cielo, sconsolato e impotente.
 << Merda… >> sussurrò Eponine, mettendo per un attimo da parte la finezza e la compostezza.
<< Facciamolo esplodere! >> suggerì Marius, sfoderando la bacchetta.
<< Sei matto! È troppo rischioso… >> lo rimbeccò Combeferre, che si stava scervellando dal momento che non aveva ancora trovato una soluzione. Il giovane Tasso, stava perdendo la pazienza, quella che solitamente era la sua virtù per eccellenza. 
<< Possiamo pur sempre riprovare a… >> incominciò Cosette, interrompendosi a metà della frase. Il silenzio aleggiò tra i ragazzi, un silenzio ricco di angoscia e di speranza, che non avrebbe portato, in ogni caso, nulla di buono.
<< Vuoi ritentare con il Legilimens? >> Balbetto Joly, terrificato.
<< Ma Cosette, non serve solamente a conoscere le intenzioni di una persona? >> Chiese Marius, che nel frattempo le aveva afferrato la mano.
<< Chi ti dice che non voglia riaprire la Camera stasera? >> Dicendo così la giovane Corvonero spiazzò tutti i presenti. Come era diventata oramai una consuetudine, chiuse gli occhi. Inspirò.
Non vedeva immagini e solo a tratti percepiva pennellate di luce verdognola, che non stavano a significare granché; Riddle se sapeva cavare con l’Occlumanzia. Poi, come un flash che esplode da una macchina fotografica, come un fulmine risucchiato dall’oceano, come un fuoco d’artificio, Cosette vide la luce.
Spalancò gli occhi sobbalzando e senza dare spiegazioni a nessuno, si piazzò davanti al lavandino schiarendosi la voce. Sussurrò qualcosa in una lingua sconosciuta che, come gli altri intuirono, aveva sicuramente sentito pronunciare da Riddle nel Legilimens. Se non avessero saputo questo, avrebbero pensato che fosse impazzita.
Tutto d’un tratto avvenne la magia e davanti a loro il rubinetto si mosse e si aprì un enorme condotto, una sconfinata tubatura, che sembrava portare verso le viscere del mondo. Tutti si guardarono, con l’aria di chi sapeva che quello poteva essere il loro ultimo sguardo.
<< Forza ragazzi. È arrivato il momento >> decretò Bahorel, che aveva capito che la lingua in cui aveva parlato Cosette era il serpentese. Tutti le furono immensamente grati, ma non c’era tempo per le congratulazioni.
<< Voglio venire anche io! >> Esclamò Eponine, che improvvisamente aveva realizzato che percorrendo quell’enorme buco nero avrebbe ritrovato il fratello; si era sporta verso la voragine. Bahorel prontamente l’aveva afferrata per i fianchi e l’aveva portata lontano, cercando di farla ragionare. Eponine si appoggiò con la schiena al muro, con gli occhi ricolmi di lacrime che ancora non scendevano e Bahorel le restava davanti, preoccupato, desideroso solamente di tranquillizzarla.
<< Eponine, è troppo pericoloso, non puoi scendere >> sussurrò passandole le mani tra i capelli.
<< Perchè? Non ho paura, io devo portare fuori di lì mio fratello, non posso abbandonarlo! >> Urlava lei, contrastando la dolcezza del ragazzo. Non si rendeva nemmeno conto della situazione in cui si trovava e della mano di Bahorel che ora era appoggiata sulla sua guancia. Il desiderio di riavere Gavroche era più infiammato di qualunque altro.
<< Andranno a prenderlo gli altri, tu non puoi rischiare >> continuò lui.
<< E perchè? Dimmelo, avanti! >> Eponine stava sbraitando e tremando, in preda alle convulsioni e ai brividi. Era impazzita e Bahorel era certo che se in quel momento qualcuno l’avesse trovata (e con quel “qualcuno” pensava a Riddle) l’avrebbe sicuramente sconfitta. La belva invincibile ora gemeva e nei suoi occhi brillava la paura. Avrebbe potuto tenerla dentro la sua mano talmente era piccola. Diceva di essere forte, ma l’amore che circolava nel sangue di ‘Ponine, quello che solitamente si trasformava in una sorta di  protezione quasi morbosa, non era nient’altro che un fragile cristallo, non era nient’altro che un braciere spento, bisognoso di calore, di fuoco. Bahorel aveva imparato a conoscerla: aveva imparato ad accettare la sua solita spavalderia e il suo orgoglio, ma non ancora il fatto che non fosse felice. Non l’aveva mai vista raggiante e il desiderio di provare con lei una tale emozione non gli dava pace. Guardava i suoi occhi ricolmi di lacrime, intensi come solo il colore del tronco di un albero secolare poteva essere,  promettendosi che li avrebbe bevuti tutti se solo fosse stato necessario per asciugarli.
<< Sai perchè non puoi rischiare ‘Ponine? Perchè sei troppo importante. >>
Lei spalancò gli occhi più di quanto già non avesse fatto per la paura e a quelle parole le mancò la forza di reagire. Lei era importante? Queste sole parole fecero crollare la maschera di durezza che aveva sempre indossato, quella corazza spessa e ruvida che portava sulle sue spalle da fin troppo tempo. Inaspettatamente, probabilmente anche incoscientemente, sorrise.
Bahorel, che non sopportava l’idea di lasciarla da sola senza nemmeno averle detto che credeva in lei, di andarsene senza giurarle che sarebbe andato tutto bene alla fine, si avvicinò a lei e la baciò impercettibilmente sulle labbra. Poi corse via ed Eponine, sconvolta e tremendamente impaurita, strinse i pugni e, sentendosi viva, piena della sua incredibile forza, ritornò nel bagno, inumidendosi le labbra per gustarsi di nuovo il sapore di Bahorel. Chissà che cosa sarebbe accaduto da quel bacio in poi.
 
<< Ragazzi, Enjolras non è ancora arrivato >> pronunciò Grantaire grave, nello stesso momento in cui Bahorel aveva baciato Eponine. Courfeyrac, che non riusciva a capire come mai in un’occasione del genere il biondo non si fosse ancora presentato, si rivolse a Marius, chiedendogli di andare a cercarlo nel loro dormitorio.
Nel frattempo lui, Grantaire e Jehan, si calarono nell’oscurità.
Il primo a scivolare nel condotto fu Grantaire, che non appena si sentì mancare la terra da sotto i piedi (andava così veloce che l’impressione era quella di volare) iniziò a tastare le pareti della strana tubatura e si scorticò tutte le mani. L’impatto finale non fu doloroso, in quanto la velocità di caduta era diminuita, ma il contatto con il pavimento freddo ed umidiccio in pietra non fu dei più piacevoli. Il buio avvolgeva il ragazzo con il suo manto minaccioso e nemmeno la flebile luce sua bacchetta rischiarava la via. Si alzò in piedi ed incominciò a camminare davanti a sé, cercando di capire dove si trovava. Intanto, sentiva che gli altri due ragazzi stavano scendendo. Procedeva e sentiva scricchiolare qualcosa sotto i propri piedi: sembravano rametti, ma dopo che puntò la luce a terra, dovette constatare che quelle che aveva pestato erano ossa. Grantaire deglutì terrorizzato, pensando da una parte ai suoi amici, che sperava fossero ancora vivi, e dall’altra ad Enjolras che avrebbe voluto con sé in quel momento: la sua freddezza e la sua compostezza l’avrebbero rassicurato. Si voltò, intento a tornare indietro, ma purtroppo non era stato prudente: non ritrovava più il grande condotto attraverso il quale era scivolato.
<< Courf? >> Urlò nell’oscurità, ma nessuno rispondeva.
<< Jehan? Siete già qui? >> Silenzio.
Iniziò ad ansimare, girando su se stesso, incapace di trovare una strada in quel buio senza confini, che avrebbe fatto paura persino ad un demone dell’inferno. Uno strano odore malsano circolava nell’aria: sembrava il tipico puzzo delle paludi. Grantaire non voleva, ma istintivamente scoppiò in lacrime: si sentiva impotente.
<< Expecto Patronum! >> Pronunciò con la voce rotta. Un rospo, l’animale del suo Patronus, iniziò a saltellare nell’aria, illuminando più consistentemente  il mondo attorno a lui: al fondo di un lungo corridoio, quello in cui aveva scoperto di trovarsi, scorse una luce, quella che secondo lui l’avrebbe portato alla salvezza. Iniziò a correre e si sentiva protetto avvolto dal suo incantesimo.
Nel frattempo, Jehan e Courfeyrac si erano calati nel tunnel e l’uno dopo l’altro incominciarono a percorrere l’infinita tubatura:  entrambi avevano strillato un paio di volte.
<< Lumus Maxima! >> Esclamò Jehan puntando la bacchetta verso l’alto, non appena ebbero toccato il suolo. Courfeyrac notò che nella discesa si era strappato i pantaloni a livello della coscia destra. La luce evocata da Jehan era molto più potente di quella che emanava la bacchetta di Grantaire; i due si alzarono intorpiditi e dopo essersi guardati negli occhi, afflitti dall’ansia, incominciarono a camminare percorrendo un tunnel alla loro sinistra. Restarono in silenzio per molto tempo; solo i loro respiri cantavano nell’oscurità.
Poi fu Jehan a rompere il silenzio.
<< Che cosa faremo quando troveremo gli altri? >> Sussurrò, timoroso di farsi sentire da qualcuno.
<< Li porteremo via >> replicò Courfeyrac, che teneva alta la bacchetta, sfolgorante di luce.
<< E come? Metti che Riddle li abbia addormentati per paura che scappassero: ce li carichiamo sulle spalle? Siamo solo in tre >> constatò Jehan. Il biondo non si era fatto vivo quella sera, e visto che gli amici da salvare erano quattro, loro sarebbero stati ben poco d’aiuto. Courfeyrac era infuriato con Enjolras e allo stesso tempo sbigottito: come aveva potuto tirarsi indietro proprio in quel momento, lui che di Rivoluzioni era appassionato?
<< Mi chiedo dove diamine sia finito Enjolras >> si lasciò sfuggire ad un certo punto. Anche lui sentì scricchiolare qualcosa sotto i suoi piedi, ma non volle guardare giù: sarebbe stato come sprofondare.
<< Che si sia sentito male? >> Chiese innocentemente Jehan.
<< Impossibile, Enjolras non sta mai male. >>
<< Forse era spaventato. >>
<< No, Enjolras non ha mai paura. >>
Jehan storse il naso. Courfeyrac era troppo sicuro di sé in certi casi: quando parlava di Enjolras sembrava che nessuno potesse contrariarlo, anche perchè, dopotutto, si trattava del suo migliore amico.
<< Anche lui è umano, Courf >> evidenziò Prouvaire, alzando le sopracciglia in segno di disappunto.
<< Non capisco che cosa gli stia prendendo! >> Continuò Courfeyrac agitando le braccia. Jehan, non sapendo più che cosa replicare, anche perchè Courfeyrac sembrava impossibile da contraddire, cambiò discorso.
<< Secondo te Grantaire ha già trovato la porta per accedere alla Camera? Sono stupito del fatto che non ci abbia aspettato >> disse. Il Grifondoro annuì, cambiando completamente atteggiamento e mostrandosi piuttosto fiducioso.
<< Probabilmente sarà già lì davanti. Grantaire è scaltro >> constatò accennando ad un piccolo sorriso.
I due oramai camminavano da una decina di minuti per una strada che sembrava infinita e inconsistente, ma ad un tratto, quando svoltarono una curva che credevano li avrebbe portati in un altro condotto, si ritrovarono proprio dove credevano fosse Grantaire, davanti alla porta della Camera dei Segreti. Rabbrividirono: era abbastanza simile al disegno che la raffigurava nel libro, ma in realtà, i serpenti incisi su di essa erano soltanto due e al posto degli occhi avevano dei meravigliosi smeraldi.
Grantaire non era lì, non li aveva preceduti: forse si era perso, magari era stato rapito, e non si poteva escludere che fosse stato intrappolato da qualcosa.
Jehan vide calare il gelo su Courfeyrac.
 
Nel frattempo, ai piani superiori, Marius aveva raggiunto Bahorel nei sotterranei. Di Enjolras non c’era traccia né nel dormitorio, né nella Sala Comune, né tanto meno in altre stanze del castello. Marius iniziava ad essere seriamente preoccupato per il suo amico.
Dove poteva essersi cacciato?
Nessuno si era ancora visto davanti alla porta della Sala Comune dei Serpeverde e questo era un bene, ma poteva essere anche un male: se Riddle si trovasse già fuori? Non l’avevano messo in conto, ma allontanarsi da quella postazione per andare a controllare dentro era troppo rischioso, in quel momento. Marius comunicò a Bahorel il fatto che Enjolras non si trovasse da nessuna parte e questo rese l’aria ancora più frizzante: i due incominciarono a nutrire nuovi sospetti. E questo sentimento si accrebbe quando si sentirono dei passi procedere nella loro direzione: era Montparnasse. Marius e Bahorel gli corsero incontro, lasciandolo interdetto e dopo avergli chiesto dove si era cacciato e per quale motivo fosse in giro per Hogwarts a quell’ora della notte, lo lasciarono andare: parlare con lui era come parlare ad un clown: era inquietante e soprattutto scherzava, nella maggior parte dei casi. Quella sera, aveva detto che era stato convocato dal professor Lumacorno, ma entrambi i ragazzi sapevano che si era recato al Ministero della Magia per due giorni.
<< L’hai notato anche tu? >> Esordì Marius appena il Serpeverde scomparve. Bahorel scosse la testa.
<< Non hai visto che cosa c’era sulla sua uniforme? >> Replicò scuotendo Bahorel per le spalle.
<< No! >>
<< C’era un capello. Un capello biondo. Come hai fatto a non notarlo, il contrasto tra quello e il nero dell’uniforme era evidentissimo! >>
Bahorel scoppiò in una risata isterica.
<< Quel bastardo! Marius, resta qui, devo avvertire i ragazzi nel bagno! >> Gridò Bahorel fuggendo, lasciando solo Marius.
Pregava che quel capello appartenesse ad un'altra persona, poiché c’erano un miliardo di possibilità. Tuttavia non ne era pienamente certo; aveva un che di famigliare: tutti i capelli che Enjolras perdeva sul proprio cuscino erano identici a quelli, così ricci e sottili e poi il fatto che il biondo non si trovasse da nessuna parte rendeva tutto quanto molto, molto preoccupante. Alzò gli occhi verso il soffitto, immaginandosi che le stelle fossero lì per proteggerlo.

 
 
 
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-Risorge dalle ceneri come la fenice-.
NON SONO MORTA!! Scusatemi davvero per l’assenza imperdonabile, ma tra la scuola, la danza e un po’ di problemi che ho avuto in famiglia in questo periodo non ce l’ho proprio fatta a pubblicare T.T …MA! Per farmi perdonare ho deciso che pubblicherò il quattordicesimo capitolo mercoledì, quindi fra quattro giorni (: preannuncio che, visto come si stanno mettendo le cose, sarà il capitolo decisivo e dovete assolutamente non perdervelo! Sarà anche quello più lungo (secondo i miei calcoli u.u) quindi compenserà le otto paginette scarse di questo capitolo! xD
Che dire di più? Eponine e Bahorel si sono baciati e io li amo, e aspettate di vedere che cosa succederà tra Courf e Jehan e tra Enj e Taire! Anvkjhcakuycua fremo. <3
Però, chi l’avrebbe mai detto che Marius avesse una tale vista da falco? Sei stato utile caro u.u
Ci sentiamo mercoledì quindi per il nuovo scoppiettante capitolo eheheheh <3 Love ya so much, spero mi perdoniate *^*
_Noodle

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Capitolo 14
*** XIV Capitolo. ***


Courfeyrac and Jehan’s Theme:
~A New Beginning; HP and the Deathly Hallows pt. 2.
 
 
 
 
Sostavano davanti alla porta della Camera dei Segreti e non dicevano nulla. Sarebbe stato bello capire che cosa pensavano quei due grandi giovani uomini, che più grande del cuore avevano solo i desideri. Courfeyrac guardava Jehan con occhi stralunati e con uno strano sorriso spento: nessuno l’aveva mai visto in quelle condizioni. Il terrore del fallimento e la paura della paura stessa lo avevano annichilito e senza che nemmeno proferisse parola, chiunque avrebbe capito che Courfeyrac, in quel momento, stava soffrendo e che un qualche appiglio gli sarebbe stato necessario. Jehan si avvicinò al moro senza staccargli gli occhi di dosso: aveva percepito il suo disagio, che forse in quell’attimo era paragonabile al suo. Prouvaire non era mai stato bravo con i gesti, ma con le parole sapeva esserlo più che mai: pensò che avrebbe potuto fare qualcosa. Magari nulla sarebbe cambiato, ma chi poteva saperlo?
Jehan era alto e guardava Courfeyrac con la testa leggermente abbassata. Il moro, in compenso, aveva alzato gli occhi al cielo di quel tanto per raggiungere lo sguardo dell’altro. Quanto poteva essere fragile e quanto poteva, allo stesso tempo, la sua fragilità rappresentare la sua immensa e smisurata forza. Lo percepiva vicino nell’anima: Jehan era quel porto dal quale nessuna nave si sarebbe mai allontanata.
<< Prima di entrare, sento di doverti dire una cosa >> incominciò il Corvonero chiudendo gli occhi, fingendo di stare bene.
In verità, lì solo con lui, non stava così male.
Il resto in confronto ai loro respiri pareva una fotografia sbiadita, un ricordo spiacevole da dimenticare, un particolare ininfluente. In quel momento erano altrove; persi, ma ritrovati.
Courfeyrac non rispose nulla a quelle parole, ma Jehan capì che l’avrebbe ascoltato dal semplice luccichio dei suoi occhi castani.
<< Sai qual è il mio ricordo più felice, il mio ricordo più intenso? Quello che mi permette di evocare un Patronus? >>
Courf lo guardò dispiaciuto, con lo stomaco che esplodeva in un’amara  e confusa fitta, mentre una lacrima feriva il volto del poeta. Sicuramente pensava a lei. Sicuramente in quel momento si era reso conto che salvare suo fratello sarebbe stata la mossa giusta per riconquistarla, per fare bella figura e non risultare invisibile. Perchè se no, dirglielo in quel momento cruciale?
<< Jehan… Ancora Eponine? Dopo tutto questo tempo? >>
Lui sorrise abbassando gli occhi.
<< No, Courf. Il mio ricordo non è lei: il mio ricordo sei tu. Il mio è il ricordo di quella mattina in cui ti trovai in biblioteca a leggere un libro sui filtri d’amore, di quella mattina in cui scorsi per la prima volta il tuo sorriso radioso e i tuoi denti perfetti, diamine. Tu sei il mio ricordo più felice Courfeyrac, il più potente. Sei stato molto gentile con me, quando è successa…quella cosa. Nessuno l’avrebbe fatto, probabilmente chiunque si sarebbe allontanato in preda al disgusto. Ma tu no. Tu ti sei fermato. Mi hai fatto stare bene Courf. >>
Il Grifondoro inspirò affannato, con il fiato tremolante e rotto dallo stupore, senza sorridere. Vedere Jehan davanti a lui così debole ma allo stesso tempo così coraggioso gli aveva spezzato il cuore. Era vero: quando voleva riusciva ad essere intrepido. Sentiva il rimbombo dei suoi battiti cardiaci come se fossero stati tamburi, percepiva il tremore delle sue mani e della sua anima, avvertiva il bruciore dei suoi occhi e la secchezza della sua gola. Qualcuno finalmente aveva pensato a lui più intensamente e diversamente da come avevano sempre fatto tutti gli altri.
“Courfeyrac è bello”, “Courfeyrac è il campione di Quidditch”, “Courfeyrac è divertente”. Jehan era stato il primo ad avergli detto che lo aveva fatto stare bene. Finalmente qualcuno l’aveva fatto, dopo tutto quel tempo.
<< Jehan stai…stai tremando >> sospirò osservando le gambe rigide del biondo e la coscia candida e ferita.
<< Si… >> si limitò a sussurrare il poeta sorridendo, come se fosse stata la cosa più naturale del mondo. Courf sentiva l’istinto farsi vivo in lui, sentiva di dover agire e di fare qualcosa per ringraziarlo, per fargli capire che se aveva compiuto quel gesto, quando Jehan aveva tentato il suicidio, era perchè ci teneva a lui, perchè era riuscito in poche settimane a farlo sentire diverso, a renderlo più sensibile, come non era mai stato. Si avvicinò a lui abbracciandolo, avvertendo uno strano calore pervadergli le ossa. Lo abbracciava e stava bene. Lo abbracciava e sentiva di non essere solo. Lo abbracciava e si rendeva conto che quella notte nulla avrebbe potuto fargli del male e che non avrebbe permesso a nessuno di recidere e di calpestare il suo fiore. Sì, Jehan era il suo fiore, uno di quelli puri e desiderati, che non soccombevano alla pioggia. Era così piccolo e così immenso, proprio come le stelle viste dalla terra.
Poi, avvicinò lentamente il suo viso a quello di Jehan, fissandolo per qualche istante. Avrebbe potuto nuotare in quegli occhi così trasparenti: vedeva il lavoro delle sue idee attraverso di loro. Il poeta sorrideva malinconico, come se avesse avuto paura che Courf se ne sarebbe andato così, semplicemente dopo averlo abbracciato. Sperava però che non succedesse, non poteva finire così. In quel buio, in cui loro erano l’unica luce, non poteva dissolversi tutto in un abbraccio. Jehan avrebbe lottato per l’amore. Era un poeta e i poeti lottavano per quello.
Tuttavia, Courfeyrac, pieno di imbarazzo e di orgoglio, si sporse verso le sue labbra e lo baciò, stringendogli i fianchi come per dirgli “Non ti spezzerai”.
Ecco, l’aveva fatto, senza pensarci due volte. Il contatto con il corpo di un’altra persona non era mai stato così appagante: Courfeyrac non si era mai sentito così libero di agire e così soddisfatto. Lo sentiva più vicino a sé, lo sentiva suo.
Era orgoglioso, sì, orgoglioso di amare uno come lui.
Jehan ricambiò il bacio, bagnando con le sue lacrime il volto dell’amico, che aveva impetuosamente schiuso la bocca per assaporarlo meglio. Quelle che sgorgavano dai suoi occhi di ghiaccio erano lacrime di felicità e la libertà che aveva acquistato in quel meraviglioso momento era tutto ciò che aveva sempre cercato. Finalmente l’aveva.
Il poeta percepiva quello come il suo vero primo bacio. Amava gli uomini: qual era il problema? Era stato veramente stupido a tentare il suicidio e quel bacio, attimo dopo attimo, gli stava riconsegnando tutto il coraggio e la forza che aveva smarrito nel suo cammino. Courfeyrac gli accarezzava la schiena, mentre gli Jehan aveva preso tra le mani il volto e tastava la sua pelle morbida. Sembrò un bacio infinito, uno di quelli unici e indimenticabili che solo i migliori libri erano riusciti a descrivere. Tuttavia ora, erano loro che stavano descrivendo un nuovo momento, uno di quelli che avrebbero fatto invidia alle poesie di ogni epoca. Erano due giovani maghi estranei ad ogni tipo di odio e si amavano. Tanto.
I loro volti si allontanarono contemporaneamente e restarono fronte contro fronte. Entrambi sembravano aver esaurito le parole: erano state risucchiate dalle loro bocche; poi inaspettatamente Courfeyrac bisbigliò qualcosa.
<< Se vuoi possiamo rinchiudere anche questo bacio nella Camera dei Segreti. >>
<< Perchè mai dovrei volerlo? Era quello che desideravo e tutti lo dovranno sapere. Basta nascondersi. >>
E sprofondarono nuovamente in un bacio, questa volta più impetuoso e travolgente, e prima di addentrarsi nell’imprevedibile si godettero gli ultimi attimi di felicità che rimanevano loro.
Il bacio fu interrotto da un rumore di passi alle loro spalle. Non  fecero in tempo a voltarsi che videro dietro di loro Grantaire, affannato e spaventato, che vedendoli lì non si rese nemmeno conto che si stavano tenendo per mano e corse ad abbracciarli in preda allo sconforto.
<< Meno male che vi ho trovato! Credevo che non ne sarei uscito vivo! >> Rantolò tremando, aggrappato ai due ragazzi.
<< Tranquillo Taire! >> Cercò di tranquillizzarlo Jehan.
<< Dove siamo? >> Chiese spaesato perlustrando il luogo con gli occhi.
Courf e Jehan, dopo essersi lanciati un’occhiata complice, si voltarono verso la porta. Grantaire appena la vide ebbe i brividi di freddo e non riuscì a fare nient’altro che a sussurrare “E’ questa?”. Courf annuì.
<< Enjolras? >> Aggiunse il Serpeverde sempre più sperso. Gli altri due scossero le spalle e la testa: la felicità che si era diffusa nell’aria, improvvisamente si era tramutata in preoccupazione, ritornata come una fastidiosa e debilitante nebbia. Restarono immobili. Sapevano che cosa dovevano fare, sapevano che cosa sarebbe successo quando la porta si sarebbe spalancata. Loro sapevano e il momento era arrivato: il momento della vendetta.
“Devo farlo per Jehan, perchè devo proteggerlo” pensò Courfeyrac.
“ Devo farlo per Courfeyrac, perchè devo dimostrargli di che cosa sono capace” pensò Jehan.
“ Devo farlo per Enjolras, perchè lui sarebbe fiero di me, dovunque si trovi adesso” pensò Grantaire.
<< Taire, sai che cosa devi fare >> disse serissimo Courfeyrac, appoggiandogli una mano sulla spalla. Erano diventati molto amici durante quegli ultimi mesi e, come era prevedibile, si erano macchiati di quel peccato incancellabile chiamato complicità. Ci sarebbero sempre stati l’uno per l’altro e anche se in quel momento erano spenti e sfiniti, rimanevano in ogni caso due scariche elettriche pronte a fare scintille. Erano Courfeyrac e Grantaire, che cosa ci si poteva aspettare?
Taire alle parole dell’amico annuì e deglutì rumorosamente, poi si pose davanti alla porta, tenendo la gambe larghe e ben ancorate a terra. A quel punto, sussurrò le stesse parole con cui Cosette aveva aperto il passaggio nel lavandino e, non appena l’ebbe fatto, i due serpenti scolpiti sulla porta incominciarono a strisciare su di essa, muovendo i chiavistelli. Ci fu silenzio, ma solo per pochi attimi.
Poi la porta si spalancò e la scena che si dipinse davanti ai loro occhi fu deleteria.
 
<< Eponine! >>
Non appena si sentì chiamare, la ragazza si voltò di scatto. Quello che aveva detto il suo nome era Bahorel, che stava correndo a perdifiato in direzione del gruppo situato in bagno.
<< Bahorel, cosa è successo? >> Domandò ‘Ponine sfoderando automaticamente la bacchetta. Intanto Joly, Ferre e Cosette si erano avvicinati a lei. Bahorel raccontò che cosa avevano appena visto lui e Marius nei sotterranei e questo suscitò molto stupore.
<< Non capisco, perchè mai Montparnasse avrebbe dovuto rapire Enjolras? Lui è un purosangue! >> Esclamò Joly rosso in volto per la vergogna e per la preoccupazione.
<< Già, è vero, non ce n’è motivo! >> Confermò Eponine annuendo.
<< Non so che cosa abbia potuto spingere Riddle a farlo, ma credo che l’abbia preso. Non lo troviamo da nessuna parte, dopotutto. >>
Il gelo calò sul gruppo di ragazzi. Che cosa potevano fare per ritrovare Enjolras? Forse sarebbe stato necessario scendere tutti insieme nella Camera dei Segreti? Che fosse lì, insieme alle altre vittime? Incominciarono a discutere, ma nessuno sembrava entusiasta dell’idea di calarsi nel buio, nessuno eccetto Eponine.
<< Scendo io, non ho paura. >>
<< ‘Ponine, è rischioso, ricordi? >> Sussurrò Bahorel, supplicandola, cercando di far riaffiorare nella sua mente le parole che le aveva detto poco tempo prima.
<< Avete mandato giù Jehan e anche lui è un mezzosangue >> ribatté la ragazza gesticolando.
<< L’abbiamo lasciato andare perchè insieme a Courfeyrac era l’unico a saper riconoscere l’entrata della Camera, e poi è un uomo >> commentò Joly, appoggiando Bahorel. Nel frattempo era sopraggiunto anche Marius, che ingegnosamente aveva creato una barriera davanti alla porta del dormitorio dei Serpeverde per far sì che più nessuno potesse uscire.
Eponine, di fronte alla considerazione di Joly perse il lume della ragione e divenne paonazza. Si trasformò in quella lupa terribile che davanti ad un’insinuazione non riusciva a non mostrare le fauci.
<< Un uomo? Che razza di risposta è questa, Joly? Lui è un uomo? Beh, io sono una donna e non ho paura. Laggiù c’è mio fratello e forse adesso anche Enjolras. Sono due delle persone a cui tengo di più qua dentro e non li lascerò certo marcire a causa della vostra codardia.  Una mano in più non farebbe male, che dite? >>
I ragazzi restavano immobili, silenziosi, spaventati e dubbiosi davanti a quelle parole.
<< Certo che siete proprio dei codardi. >>
Eponine senza perdere un attimo di tempo si calò nel buio, facendosi risucchiare senza dare il tempo agli altri di fermarla. Bahorel non la riconosceva più: sembrava che una forza orripilante e oscura si fosse impossessata di lei. Insomma, la prudenza non era mai stata una delle sue virtù, ma la ragazza aveva sempre riconosciuto il pericolo quando le si presentava davanti. Le parole che aveva detto non avevano significato proprio niente per lei? Erano state solo puro suono, puro fiato, puro fumo? E quel bacio, che cos’era stato? Bahorel giunse alla conclusione che lei non aveva bisogno di lui; tutto ciò di cui aveva bisogno per essere felice era lottare; avrebbe amato restare da sola con la sua libertà. L’avrebbe lasciata andare perchè l’amava e in quel momento non voleva nemmeno pensare ad un ritorno, non riusciva. Si voltò verso gli altri, che, notato il suo sconforto, gli avevano sorriso timidamente.
La situazione stava precipitando e chissà, in quel momento, che cosa stava accadendo nella Camera dei Segreti, chissà i ragazzi che cosa erano riusciti a combinare, chissà come avrebbe agito Eponine.
Vi era un lungo corridoio, viscido, illuminato da una luce flebile e verdastra. Faceva freddo. Le pareti erano ricoperte da ragnatele e ai lati del lungo corridoio vi erano statue di serpenti dalla lingua biforcuta, dall’aria per nulla rinfrancante.
Grantaire lo vide lì, sdraiato, forse morto, senza spirito.
Il suo emblematico labbro sdegnoso, ora, non aveva più alcunché di cui sdegnarsi. Era madido di sudore e avvolto dal pallore, che quella volta non stava a significare né nobiltà né purezza: era sbiancato perchè sconfitto. Le mani, semi-chiuse e rivolte verso l’alto, sembrava che non avessero mai afferrato oggetti o battuto i pugni: accarezzavano l’aria malsana di quel lugubre posto senza muoversi; anzi, sarebbe stato meglio dire che era l’aria che le accarezzava.
Il corpo di Enjolras giaceva in fondo alla stanza, alla fine del corridoio, mentre i corpi degli altri ragazzi giacevano ai lati, tra una statua e l’altra. Il più vicino alla porta, sulla destra, era Gavroche e dopo di lui vi era Musichetta. Sul lato sinistro vi erano Bossuet e Feuilly, il primo opposto a Gavroche e il secondo a Musichetta.
Non appena Grantaire mise piede nella stanza, vedendo il corpo di Enjolras accasciato sul pavimento, ebbe un mancamento e si sentì girar la testa. Come poteva essere vero? Era stato catturato anche lui, quindi. Senza nemmeno che Courfeyrac e Jehan avessero il tempo di confortarlo in qualche modo, lui si mise a correre a perdifiato verso il fondo e si gettò per terra, scoppiando in lacrime, strappandosi i pantaloni sulle ginocchia. Gli afferrò i capelli e gli baciò la fronte, colto da pietà e da amore, colto dal desiderio di vedere i suoi occhi enormi, infiniti. Era svenuto, privo di sensi, e nemmeno le lacrime che scorrevano copiose dagli occhi di Grantaire erano riuscite a destarlo. Quanto poteva essere incredibilmente bello, anche in quello stato.
<< Enjolras, va tutto bene. Ora ti risveglierai, ti rimetterai in piedi e correremo via di qui, sta’ tranquillo. Io… io volevo chiederti scusa per tutto quello che ti ho fatto, non era mia intenzione. Enjolras, nessuno mi aveva mai fatto questo effetto. Sei stato capace di farmi credere, sei stato capace di.., beh, di farmi sentire bene, e questa è una delle cose più importanti per me. Sei forte tu, forza svegliati! Spero che se mai dovessi vedermi qui davanti a te una volta sveglio, non pensi che sia stato io a ridurti in questo stato. Enjolras, io… >>
E proprio in quel momento, quando la voce graffiante di Grantaire si sfumò con l’aria, il biondo aprì gli occhi, come se si fosse appena risvegliato da un sonno incantato, come nelle fiabe. Guardò il Serpeverde in un modo diverso dal solito: sarà stato per il torpore, sarà stato per la paura, sarà stato perchè finalmente, dopo tanto tempo, lo percepiva come se fosse la sua casa, la sua famiglia. Vederlo lì, davanti a sé, non l’aveva mai colmato di speranza in tal modo.
Deliri di cobalto nei loro occhi di cielo.
<< Grantaire… >> sussurrò rantolando, colpito da un fitta lancinante alla testa. Al moro sembrò di vederlo sorridere.
<< Non sforzarti, tranquillo, adesso vi portiamo via di qui… >>
<< CRUCIO! >>
Fu tutto un attimo. Grantaire si era voltato per richiamare l’attenzione di Jehan e Courfeyrac, ma non appena aveva distolto lo sguardo da Enjolras, una delle tre maledizioni senza perdono aveva colpito il povero Grifondoro. Grantaire balzò in piedi, urlando come un forsennato, ricolmo di ira e di sangue amaro.
<< VIENI FUORI, RIDDLE, CODARDO! >> Strillò impugnando la bacchetta, mentre anche Courf e Jehan lo raggiungevano. Si guardavano attorno, ma non vedevano nulla, solo Enjolras tremare, vittima delle convulsioni. Poi, dopo pochi istanti, dall’oscurità fece capolino la figura difforme e contorta di Riddle, subdolo e crudele, ossessionato dal dolore e bramoso di delitto.
<< Lascialo andare >> scandì fermamente Grantaire, osservando con schifo la bacchetta di Tom, puntata su Enjolras. Era arrivata anche per lui l’ora di soffrire, doveva provare quello che avevano sentito tutti loro. Riddle guardava il gruppetto di ragazzi con sufficienza e disprezzo, in particolare Grantaire, che era molto provato dal dolore e dalla disperazione.
“Lanciagli un Expelliarmus…” pensava Jehan come se si stesse rivolgendo a Grantaire, ma lui non agiva, sembrava non ci pensasse nemmeno: doveva farlo lui.
Stava per pronunciare l’incantesimo, quando la voce di Riddle assopì tutte le sue buone intenzioni.
<< Grantaire… >> sibilò  Riddle, ridacchiando, prendendosi gioco di chi, in quel momento, voleva tutt’altro che scherzare << …Lo seguirai, anche se contro il tuo sangue? Ti unirai a lui profanando ciò che c'è di più sacro a questo mondo? Si vede da come lo guardi che ti attrae. Ma è sbagliato, lo sapevi? Sporcherai le tue origini e le tue labbra? Sta a te decidere: o il sangue o la morte. Pensaci. >>
Grantaire, debilitato, morto e disintegrato nell’anima, non sapeva nemmeno dove rivolgere lo sguardo, come respirare, come pensare. Tutto ciò che riusciva a chiedersi era “Perchè?”, perchè la vita fosse così crudele e ingiusta, così sbagliata, come diceva Riddle. La sua vista offuscata dalle lacrime sfocava l’immagine di Enjolras, che nella tortura, tutto ciò che era riuscito a fare era piangere.
<< Enjolras… sei un mezzosangue? >>
La risposta che arrivò a Grantaire fu una lacrima, caduta troppo in fretta sul volto del biondo.
Era così e non l’aveva mai detto a nessuno. I suoi genitori erano morti quando lui aveva sei anni, a causa miseria. Lo avevano affidato un lontano parente che viveva a Parigi: loro, ridotti a vivere sui bordi della strada, non avevano fatto altro che sperare e deperire, giorno dopo giorno. Forse era per quello che aveva sete di giustizia, forse era per quello che non era mai stato abituato a piangere, forse era per quello che quando vedeva davanti a sé il volto di Grantaire si sentiva a casa, accolto in una famiglia. Il suo calore era lo stesso che i suoi genitori gli avevano offerto quando era più piccolo; tuttavia c’era qualcosa in più: Grantaire non aveva preferito lui alla miseria, ma aveva preferito loro due alla morte. Gli si era avvicinato, mentre ancora gemeva e tremava, e dopo averlo guardato negli occhi, Grantaire appoggiò delicatamente le proprie labbra sulle sue, rotte e sporche di sangue. Come avrebbe fatto un vampiro, assaporò il suo sangue, come avrebbe fatto un innamorato assaporò la sua bocca. Enjolras non si poté opporre quella volta. Il moro si alzò da terra, camminando sfrontato in direzione di Riddle. Il blu dei suoi occhi, in quel momento, era il blu del sangue nobile che scorreva nelle vene di Enjolras, benché non fosse puro.
<< E ora che mi fai? Lo uccidi? Uccidi me? >>
Tom non rispose lì per lì, poiché rimase esterrefatto dal gesto di Grantaire. E quell’esitazione fu quello che lo vinse.
<< EXPELLIARMUS! >> La bacchetta di Riddle cadde a terra lontano ed Enjolras si liberò dall’incantesimo. Tom spostò il suo sguardo e scoprì, con sorpresa, che ad averlo disarmato non era stato né Jehan, né Courfeyrac, ma una ragazza: Eponine.
<< Sai Riddle, pensavo che ti saresti ricordato di non impicciarti negli affari degli altri, per non pagarne le conseguenze >> lo sfidò Eponine, che aveva recuperato tutta  la forza persa dopo aver visto il fratello.
<< Sai Riddle, non ti teme nessuno. Chi mai potrebbe avere paura di uno come te? Chi mai vorrebbe parlare con uno come te? Non vali niente, non hai personalità. Io so chi sei tu Tom Riddle: mezzosangue senza un briciolo di coraggio. Vivi rispecchiandoti nelle personalità degli altri, tu una tua non ce l’hai. Vivi in un mondo di smidollati, come quello dei falliti >> aveva aggiunto Jehan, utilizzando le medesime parole che Riddle aveva pronunciato contro di lui in biblioteca. Se le ricordava tutte e in quegli attimi adrenalinici, non aveva fatto altro che ripetersele in mente, convinto che sarebbero state la sua forza, la forza degna di un poeta.
<< Ora, dicci che cosa vuoi da noi. Vuoi sterminare i mezzosangue? Vuoi torturare i tuoi nemici? Che cosa vuoi? >> Concluse Courfeyrac, glaciale come nemmeno Enjolras era mai stato.
Riddle rise terribilmente, divertito da tutte quelle parole. Nel suo subconscio però, risuonavano più taglienti del vetro, più taglienti delle forbici che avevano solcato la pelle di Jehan.
<< Stupidi bambini. Non ci siete ancora arrivati? Secondo voi perchè vi ho tenuti in vita fino a questo momento? Mi servivate, mi eravate utili. Agli altri mezzosangue ci penserà qualcun altro e forse sapete persino di cosa sto parlando. Ora sono sette quelli di cui io ho bisogno. Quattro li ho già, tre sono tra di voi. >>
Tutti compresero subito le intenzioni di Riddle ed immobilizzati dalla paura nei pensieri, iniziarono ad indietreggiare con la bacchetta alla mano. Enjolras si era alzato, ma era assente, apatico, come nessuno l’aveva mai visto. 
<< Horcrux? >> Domandò Courf biascicando, grondante di sudore freddo. In quello spostamento tentò di afferrare la mano di Jehan per farsi coraggio, ma persino l’amore era troppo distante per essere  catturato. La paura regnava sovrana.
<< Ma bravo, dieci punti ai Grifondoro! Quindi, credo sappiate che cosa devo fare per creare un Horcrux. Io ne voglio sette: ambizioso eh? Proprio come un Serpeverde dovrebbe essere. Non avete più scampo oramai. >>
Le porte dietro di loro si chiusero, facendo rumore.
Erano intrappolati.
Erano spaesati.
Erano confusi.
Tuttavia, quei ragazzi avevano due assi nella manica di cui Riddle non sarebbe mai stato in possesso: l’unione e lo spirito.

 
 
 
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Eccomi bellezze! <3
Con un giorno di ritardo, ma pubblico, i miei calcoli erano sbagliati e non sono riuscita a scriverlo in tre giorni, ma comunque eccolo qui! X”” …Che ne pensate? Personalmente è il capitolo che io adoro di più, in particolare la parte di Jehan e Courf (l’ho scritta due mesi fa in un momento di trance mistica e ci sono parecchio affezionata ahaha) ispirata bellamente alla celebre frase “Dopo tutto questo tempo?” “Sempre”, tratta da “I Doni della Morte”.  E poi nella parte dopo c’è tanta roba: ‘Ponine agguerrita, Riddle aggredito da cinque mezzosangue e poi loro, ENJ e TAIRE. Bho, sono morta scrivendolo. Ma il meglio deve ancora arrivare, perchè ancora due coppie si devono formare! <3 Non vi posso dire quando posterò il prossimo capitolo, ma spero presto, perchè siamo quasi giunti alla fine! Grazie, siete dolcissime **
_Noodle

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Capitolo 15
*** XV Capitolo. ***


Non era stato Riddle a chiudere le porte della Camera dei Segreti. Quello che si era verificato non era stato un atto volontario, non era stato un incantesimo oscuro: era stato uno sbaglio e tutti sapevano che gli sbagli potevano essere frutto di una sola persona, di un solo mago, di quel povero ragazzo che nella vita aveva perso tutto a causa della sua sfortuna, persino i capelli.
Riddle, per un attimo, era diventato pallido: credeva che qualcuno l’avesse scoperto e con lui anche i suoi progetti maligni. Poi intravide una figura zoppicare al fondo della Camera e capì, assumendo una terribile smorfia. Tutti si voltarono, indirizzando il loro sguardo nel punto che Riddle osservava, colmi di terrore; quella sensazione tuttavia presto si trasformò in qualcosa di differente, una sorta di speranza difforme, filtrata dallo stupore e dall’adrenalina. Videro Bossuet in piedi, che si reggeva debolmente sulle gambe, patito, appena risorto da un sonno apparentemente eterno. Con lo sguardo smarrito nel vuoto e la mano sinistra mollemente rivolta verso il soffitto, Bossuet tentò di balbettare qualcosa: forse voleva chiedere scusa.
Ad un tratto anche Gavroche, Feuilly e Musichetta si risvegliarono, alzandosi in piedi barcollando. Courfeyrac, incredulo, si voltò verso Jehan, che con un sorriso timido ma pur sempre intrepido, come solo il suo riusciva ad essere, assisteva alla scena. Il poeta, sicuro di avere capito che cos’era successo, sussurrò debolmente tra le labbra il nome di Eponine.
Infatti, era stata proprio lei: era stata Eponine a spezzare l’incantesimo e a risvegliare tutti quanti da quel torpore maligno; era stata una benedizione e se non fosse arrivata, sicuramente avrebbero fatto una brutta fine. Ora erano lì, carichi, agguerriti: ora erano in nove e lui era uno solo.
<< E adesso, Riddle? >> Sibilò Grantaire con gli occhi iniettati di spirito di vendetta, mentre ricercava la mano di Enjolras affianco a sé. Era stato un gesto spontaneo, un movimento automatico, un cenno che pareva facesse tutti i giorni; sentiva il bisogno di averlo con sé in quel momento, sperava che glielo avrebbe permesso. Enjolras, incosciente e completamente travolto da qualsiasi tipo di passione, gli afferrò la mano. Inconsapevolmente, sorrise.
<< Che vuoi fare adesso? Tu sei uno, noi siamo tutti. Arrenditi, perchè non ce la farai. Siamo nove testimoni e non sperare che la colpa non ricada su di te >> continuò Eponine con accanto suo fratello Gavroche, che aveva potuto finalmente riabbracciare la sorella.
<< ‘Ponine ha ragione! Sei solo uno stupido! Liberando il basilisco ti condannerai da solo! >>
Alla parola “basilisco”, che Gavroche aveva pronunciato con un’enfasi imprevista, lo sguardo di tutti i ragazzi si rannuvolò improvvisamente: come potevano avvertire gli altri? Che cosa sarebbe successo? Che cosa ne sarebbe stato di tutti i mezzosangue della scuola? Sarebbero morti? Spalancare le porte equivaleva a morire. Riddle era rimasto impassibile fino a quel momento, avvolto dall’apatia, ma dopo l’insinuazione del piccolo Grifondoro, il suo comportamento cambiò radicalmente.
<< Io, stupido? E chi potrà dire loro che sono stato io a liberare il basilisco? Dopotutto, anche voi siete qui con me. La mia testimonianza vale quanto la vostra. Io sono uno studente modello e il preside Dippet e il professor Silente si fidano di me. >>
Il silenzio avvolse l’intera stanza e l’indecisione e la paura trasformarono quei ghigni di coraggio in smorfie d’angoscia. Come uscire di lì senza aprire le porte? Come avvisare il resto dei loro compagni? Come agire?
Ad un tratto, Courfeyrac, si sentì male. La testa incominciò a pulsargli e la nausea lo assalì.
Jehan lo raccolse appena prima che potesse cadere a terra.
Tutti i ragazzi abbassarono gli occhi, spaventati e debilitati da quella visone e, loro malgrado, fu proprio quello l’attimo in cui Riddle spalancò le porte bombardandole (poiché non rispondevano ad un semplice e banale incantesimo come l’Alohomora), travolto dal desiderio di uccidere.
I ragazzi ebbero appena il tempo di capire che bisognava incominciare a correre che Riddle, sussurrando sottovoce qualcosa in quella strana lingua, aveva liberato il mostro.
Era un serpente enorme, dagli occhi gialli, penetranti e maligni, che non comunicavano né gioia, né intesa, né affetto: erano occhi letali.
Tuttavia, non erano letali come gli occhi di Enjolras, che erano tali perchè immensi; non erano mortali come quelli grigi di Jehan, che potevano essere definiti così perchè salvatori; non erano annientatori come quelli di Cosette, che venivano considerati in questo modo perchè specchio del cielo: quelli del basilisco erano letali perchè uccidevano, nel vero senso della parola.
Strisciava lento, ma, a causa della paura che avevano di incontrarlo, ai ragazzi sembrava quasi che volasse. Il rumore che la sua pelle produceva a contatto con il pavimento era assordante, fastidioso fino all’isteria, come un continuo stridere di unghie su una lavagna.
<< Non guardatelo negli occhi! >> Urlò Bossuet a pieni polmoni non appena iniziarono a scappare, avvistando il mostro in un momento in cui, per un qualche favore della sorte, aveva tenuto la testa e lo sguardo rivolti verso l’alto.
 
Correvano senza sosta.
S’inciampavano, alcuni non si reggevano nemmeno bene in piedi, barcollavano, ansimavano, cercavano di non cedere a quello sguardo, non dovevano voltarsi, non dovevano mollare, dovevano solamente raggiungere l’uscita risalendo quella tubatura infinita. Nella loro testa scorrevano immagini, suoni, odori, sensazioni, tutto ciò che ciascuno di loro era riuscito a percepire fino a quel momento nella propria vita, diventata improvvisamente una pellicola.
E nelle loro teste volavano immagini di luoghi, di posti cari, di persone care, di libri, di dolci, di felicità, di paura, di amicizia, di odio, di inadeguatezza, d’imbarazzo, d’amore, di baci. Volavano i sentimenti; tutto ciò che però non doveva volare via era il coraggio. Courfeyrac nella corsa aveva afferrato Jehan per la mano, timoroso di farselo scappare. Era una delle prede più appetibili per il basilisco e non doveva permettere che il mostro s’impadronisse dei suoi occhi: quelli, erano solo suoi. Si trascinavano l’un l’altro, timorosi di perdersi. Non riuscivano più ad immettere aria nei polmoni ed un continuo senso di nausea li assaliva: inspiravano solo il tremendo tanfo della palude.
 
Cosette aveva chiuso gli occhi per l’ennesima volta. Quella ragazza si era trasformata, aveva compiuto una metamorfosi e per tutto il gruppo era diventata la più grande speranza, la più remota luce in tutto quel buio e il fatto che leggesse nella mente delle persone non era più un pregio da sfruttare, ma un’abilità da lodare e da riconoscere. Finalmente Cosette si sentiva apprezzata: sentiva  che gli altri la ricercavano, che avevano bisogno di lei e proprio lei, finalmente, aveva iniziato ad avere bisogno di loro.
Non era più sola.
Avevano deciso di comune accordo di effettuare il Legilimens con Courfeyrac, perchè era risaputo che con l’Occlumanzia se la cavava decisamente male ed era per quello che era caduto a terra nella Camera dei Segreti, colto da un intenso male di testa, che però poi era passato in pochi secondi.
<< Sono bloccati. Riddle li ha intrappolati >> esclamò Cosette dopo aver scrutato la mente di Courf. Non era riuscita a vedere di più, in quanto il Serpeverde non aveva ancora liberato la bestia al momento dell’incantesimo. 
<< Che facciamo? Avevo detto ad Eponine di non scendere! Ora potrebbe accaderle di tutto >> strillò Bahorel cercando di trattenere la rabbia. Era testarda, troppo testarda e anche determinata fino a diventare superba, ma era importante, fondamentale: non si poteva permettere di perderla.
<< Un lato positivo però c’è: erano tutti in piedi, tutti quanti. Sono tutti vivi! >> Gioì infine Cosette sorridendo, tranquillizzando gli animi di tutti i ragazzi, che fino a quel momento avevano avuto il timore che il peggio potesse essere già accaduto.
<< Anche Bossuet? E Gavroche? E Musichetta? E… >>
<< Sì, Joly, tutti quanti!>> Ridacchiò la ragazza alle parole di Joly, che alla notizia si era commosso pensando che presto avrebbe potuto riabbracciare Bossuet.
<< Solo, non possono rischiare la loro vita proprio adesso >> ringhiò Bahorel sbattendo i pugni contro il muro, diventato cattivo per la preoccupazione. Si sentiva inutile e solo.
<< Scendo io. >>
Ci fu uno strano silenzio, un silenzio amaro e disperato, seguito da un sospiro di disapprovazione.
<< Marius? Sei impazzito? >> Chiese Cosette terrificata, afferrando le mani del ragazzo. Marius non sembrava avere paura, anzi, sembrava che questa situazione di pericolo lo rendesse più determinato, più sicuro di sé e, dal momento che nessuno voleva agire, questo poteva essere un bene, anche se si trattava di Marius.
<< Ci vuole qualcuno che apra le porte, no? Vuoi che rimangano lì per sempre e che Riddle incominci a sterminarli? Sono grande e grosso, Cosette. >> Lei stette in silenzio con gli occhi bassi, condividendo, dopotutto, quello che aveva detto Marius.
<< Ma tu sei impazzito! Come puoi pensare di scendere? Credi che in nove non riescano ad aprire una porta? Magari è stregata o manomessa: la tua discesa potrebbe essere inutile e persino letale! Inoltre, non possiamo rimanere in pochi qui, non è sicuro, una bacchetta in più è fondamentale >> Si ribellò Joly, più lucido che mai, rivolgendosi al Grifondoro. La sola idea di rivedere Bossuet l’aveva svegliato, lo aveva rigenerato, illuminato.
<< Joly, non abbiamo altra scelta! Parlare è solo una perdita di tempo, ci conviene… >> ma un rumore assordante assopì le parole che fuoriuscivano dalla bocca di Marius. Proveniva dal basso, dalla Camera. 
<< Avete sentito? >> Sussurrò Combeferre con i brividi a fior di pelle.
<< E’ crollato qualcosa. Dite che era la porta? >> Domandò Marius.
<< E se fosse stata una frana? >> Aggiunse Joly.
<< Giurerei di aver sentito un rantolo… non pareva… umano >> intervenne infine Cosette, che aveva un udito particolarmente raffinato. A questo, seguì il panico. A tutti venne in mente ciò che Jehan aveva detto a Ferre e Joly la sera del rapimento di Musichetta e Feuilly. A tutti venne in mente di quell’essere raccapricciante e ignoto, che nessuno avrebbe mai voluto e dovuto vedere: il basilisco.
<< L’ha liberato? >> Bisbigliò Joly, sbiancando dalla paura.
<< Dobbiamo avvertire il preside, adesso >> concluse Bahorel con la voce tremante, benché cercasse di nasconderlo.
<< Ci vado io. Voi rimanete qui e fate attenzione. >>
Combeferre incominciò a correre.
Joly si rinchiuse in un gabinetto: stava male.
 
<< Stai bene Joly? >> domandò dolcemente Cosette, che l’aveva raggiunto nel cubicolo. Il ragazzo continuava ad ansimare e a piangere. Sulle pareti colavano gocce che contenevano ricordi e questi, a loro volta, racchiudevano segreti, che Joly non amava rivelare, come sappiamo. La giovane Corvonero tuttavia era furba, comprendeva le persone, e osservando Joly aveva capito che, oltre alla paura, tratteneva in sé un segreto più grande.
<< Io ho capito cosa ti succede… >> gli rivelò avvicinando il suo volto di porcellana a quello dell’amico, appoggiandogli una mano sulla spalla.
<< Hai capito? Come hai capito? Pensi che morirò per questo? >> Come al solito riusciva ad essere esasperato. Come aveva fatto a capirlo? Dal suo volto trapelavano emozioni oltre che sudore?
<< Muori solo se ti arrendi, Joly. Muori dentro. E tu non vuoi che accada, vero? >> Chiese ironicamente Cosette, più dolce che mai. Se l’avesse vista Marius in quell’istante, avrebbe pensato che stesse facendo la corte a Joly: per fortuna lui stava discutendo con Bahorel e lei non aveva questa intenzione: lo stava solo salvando.
<< No… >> mugolò lui, accasciandosi poi sul gabinetto, sul punto di vomitare.
<< Aguamenti! >> Disse Cosette mettendo la mano a conchiglia e raccogliendo in essa dell’acqua; dopo aver fatto ciò, bagnò la fronte di Joly.
<< Dove l’hai imparato? >> Chiese con voce roca, sorpreso del fatto che la biondina conoscesse un incantesimo del sesto anno.
<< Tanti libri Joly, sono come il tuo amico Jehan da questo punto di vista >> ridacchiò lei, rigettando sulle spalle la lunga treccia.
<< Joly, non vuoi che Bossuet muoia vero? Non è così?>>
Non appena lei pronunciò il nome del Tassorosso, la dose di lacrime che scendevano dagli occhi di Joly aumentò: come poteva un nome rovinarlo a tal punto? Gli mancava. Non lo vedeva da settimane e ciò che gli premeva di più era di conoscerlo, di sentirlo, di sapere che cosa accadeva abitualmente nel suo cuore, nella sua mente, nel suo stomaco. Voleva diventare qualcosa per lui.
<< Se tu ti arrendi, lo perderai. Non devi farti cogliere da tutto questo sconforto: tu sei forte Joly. Sei intelligente e l’intelligenza può essere la chiave di tutto. >>
Detto questo si allontanò, ritornando da Marius.
Joly, dopo essersi esaminato la lingua con lo specchio e dopo aver cercato di ricomporsi, uscì dal cubicolo. Proprio in quell’istante, si sentì un urlo, un urlo agghiacciante.
 
Le possibilità che avevano erano due: farsi uccidere dal basilisco o farsi uccidere da Riddle. In un modo o nell’altro non ne sarebbero usciti.
Tuttavia, ci speravano.
Si erano persi, anzi, più che altro si erano dispersi.
Enjolras e Grantaire si erano ritrovati al fondo di una specie di cunicolo, chiuso al fondo da una grata in metallo, ed erano riusciti a seminare il basilisco; ora non dovevano essere visti da Riddle ed il metodo più sicuro era non fare rumore.
A questo punto, a Grantaire venne l’idea.
<< Enjolras… so come uscire di qui… >> sospirò con un sorriso terrificante sulle labbra, ricco di stupore e meraviglia.
<< Che dici? >> Rispose il biondo incredulo, mediamente sconvolto da tutto ciò che gli era capitato nelle ultime ore. Era stato rapito, addormentato, sottoposto ad una delle tre maledizioni senza perdono e baciato da quello che reputava la sua peggior disgrazia. Non era stato abituato a questo genere di emozioni. Ora era Grantaire che aveva avuto un’idea.
Non era stato lui, lui che abitualmente trovava un rimedio per tutto, e ora sembrava avere la mente vuota. Forse perchè il cuore era troppo pieno.
<< Enj, è così ovvio! >> Disse il moro afferrandogli le mani. Enjolras si liberò dalla sua presa ferrea.
<< Non chiamarmi Enj… >> aggiunse sdegnato, sorpreso che qualcuno avesse osato abbreviare il suo cognome.
<< Noi abbiamo una bacchetta. Sai che cosa possiamo fare con una bacchetta? >>
Il Grifondoro rimase sorpreso e allo stesso tempo perplesso. Che cosa potevano fare con una bacchetta di così ovvio? Qualsiasi incantesimo sarebbe stato inutile, ne era certo. Che cosa gli sfuggiva? Gli occhi del moro erano così tremendamente incoraggianti e tutto il buio intorno a loro era dannatamente inquietante. In quegli occhi era riuscito a trovare un rifugio.
<< Possiamo chiamare un manico di scopa. >>
Le parole di Grantaire erano state così secche e così illuminanti che Enjolras provò paura mischiata con ovvietà. Come aveva fatto a non pensarci? Si sentì stupido e anche questo era qualcosa di nuovo per lui.
<< E’ troppo lontano da noi, non possiamo… >> replicò debolmente.
<< Hai ben presente dove si trova? >> Gli chiese Taire.
<< Si, nell’armadio vicino… >>
<< Bene, allora possiamo farlo arrivare fin qui >> lo interruppe sorridendo. Sembrava che improvvisamente fosse diventato più fiducioso: allora c’era davvero un modo possibile per uscire, anche se rischioso.
<< Forza, Enjolras. >>
Nessuno gliel’aveva mai detto, nessuno gli aveva mai comunicato di farsi forza: era sempre stato il suo di compito. Questa inversione dei ruoli lo esasperava sempre di più, ma forse incominciava ad intendere perchè stesse capitando: forse Grantaire era l’unico a capirlo davvero.
Entrambi si concentrarono, tesero il braccio destro verso l’alto e poi pronunciarono la formula.
<< Accio Tinderblast. >>
Dopo qualche secondo, due manici di scopa lucenti raggiunsero i ragazzi, piazzandosi al centro del palmo delle loro mani.
Possedevano la chiave della libertà.
<< Ora, non fare rumore >> si raccomandò Grantaire che aveva incominciato ad uscire dal cunicolo in punta di piedi. Non dovevano farsi sentire, dovevano essere silenziosi e schietti. Enjolras seguì quella che apparentemente era diventata la sua nuova guida.
<< Come facciamo ad avvisare gli altri? >> Domandò.
Tuttavia, non appena mise il piede fuori dal limite del cunicolo, sentì una voce pronunciare il suo nome. Senza avere tempo di pensare, Enjolras salì sul suo manico e Grantaire face lo stesso.
<< Lo scopriremo. >> 
Riddle li aveva scovati e loro, adesso, si ritrovavano a volare basso e con difficoltà, sperando che il soffitto si alzasse e che sopra di loro si spalancasse il cielo. Riddle intanto li inseguiva: non correva, ma era veloce.
<< Ecco Bossuet con Gavroche e Ponine! >> Gridò Enjolras, scorgendo in lontananza la luce rossa della bacchetta di Bossuet: era difettosa.
<< Muoviti!! >>
Eponine li vide da lontano, incredula e dannatamente felice di ciò che avevano fatto: quella poteva essere la loro salvezza.
<< Aggrappatevi! >> Gridò loro Taire, afferrando per un braccio lei e poi Gavroche; Enjolras caricò Bossuet.
<< Dove sono gli altri? >> Chiese il biondo.
<< Non ne ho idea, li abbiamo persi >> rispose Bossuet cercando di non cadere dal manico di scopa per la troppa velocità. I passaggi erano così stetti e bui che la direzione da prendere era, ogni volta, un enigma.
<< E il basilisco? >> continuò Enjolras assicurandosi che Riddle stesse ancora a debita distanza da loro.
<< Spero solo non stia alle loro calcagna >> sospirò l’altro.
Erano giunti ad un cunicolo familiare, che in qualche modo pareva avessero già visto, e proprio in quell’istante si accorsero che era il condotto che portava fuori, alla luce. In lontananza appariva un biancore sbiadito.
<< E’ l’uscita, Enj ce l’abbiamo fatta! Voi andate fuori, noi andiamo a cercare gli altri! >> Esclamò Grantaire, sconvolto da quella visione salvifica e positiva. Doveva salvare Enjolras, doveva portarlo via.
I due iniziarono a percorrere la tubature, impennandosi sulla scopa, ma proprio nel momento in cui sembrava che ce l’avrebbero fatta, scoprirono, maledettamente, che il passaggio si stava chiudendo: Riddle, sapeva come farli restare bloccati nel buio, per sempre. E nello stesso momento in cui i due si accorsero di ciò, un tremendo verso fece vibrare le pareti dei tubi e tutti sperarono che il basilisco non avesse fatto vittime. Bossuet quasi svenne dal terrore.
Enjolras accelerò. Non amava volare ed era sempre andato malissimo in questa materia, stano a dirsi, ma in quell’occasione tutte le difficoltà che aveva sempre avuto scomparvero: avrebbe fatto invidia a Courfeyrac mentre giocava a Quidditch.
Erano vicinissimi, vicinissimi all’uscita e non vi era nessuno alle loro calcagna, solo il tempo.
<< Tieniti forte, Bossuet! >>
Per miracolo passarono nell’ultimo spiraglio rimasto. Enjolras, sconvolto e pallido si accasciò a terra ansimante mentre Bossuet, per l’infelicità di tutti, rimase incastrato con una gamba nella fessura tra i due lavandini.
Non appena Joly lo vide, sentì un tuffo al cuore: era proprio la sensazione che sperava di provare, che sapeva avrebbe sentito e, da un lato, era la più piacevole di sempre.
<< AIUTO! AIUTATEMI VI PREGO! >>
Il Corvonero si scagliò su Bossuet, afferrandolo per una mano: non voleva aiuti, doveva essere lui a salvare Bossuet, ciò che l’aveva tenuto in vita in quel momento oscuro e offuscato. Non era forte Joly, ma, come aveva detto Cosette, era astuto, intelligente.
<< Resta fermo, aggrappati al mio braccio! Cosette, Marius, Bahorel, bloccate l’accesso, la porta deve restare aperta! >>
I tre giovani iniziarono a porsi affianco dei due paramenti dei lavandini e a trattenerli con tutta la loro forza. Enjolras, a terra, non riusciva a muoversi.
<< Diminuendo! >>
Bossuet, in un attimo, diventò minuscolo, così piccolo da poter restare nella mano di Joly, con la gamba maciullata e il cuore in fiamme.
<< Devo portarlo via, dobbiamo curare la sua gamba! >> Esclamò disperato, correndo verso l’infermeria, sperando di tornare in tempo per aiutare gli altri. Forse adesso, avrebbe coronato il suo sogno di curare le persone. Soprattutto avrebbe coronato il sogno di prendersi cura di lui. Bossuet, respirava il caldo della mano di Joly: si sentiva al sicuro oramai.
 
Jehan, Courfeyrac, Feuilly e Musichetta erano rimasti giù nella Camera e stavano scappando dal basilisco. Si erano imbattuti in esso, ma per fortuna nessuno era ancora incappato nel suo orribile sguardo. La tentazione di scrutare che cosa vi era sopra la propria testa era tanta. Volevano uscire.
Cos’era stato quel verso? Quello stridere di una voce spaventosa?
Erano stati loro: Courfeyrac e Feuilly. Avevano sfruttato le proprie abilità, avevano sfruttato il fatto di saper giocare a Quidditch, di essere dei campioni, e in un men che non si dica, raccogliendo due massi particolarmente appuntiti e taglienti, li avevano scagliati contro il mostro, ferendolo ad un fianco. Non lo avevano ucciso, ma sicuramente avevano recuperato qualche minuto di tempo.
Continuarono a vagare nel buio.
 
Era riuscito a raggiungere Eponine, Grantaire e Gavroche. Si era avventato sul più piccolo e l’aveva afferrato, messo sotto la minaccia della sua bacchetta. 
Eponine, senza nemmeno pensarci, si era avventata su di lui, questa volta mettendogli le mani al collo, permettendo così a Gavroche di correre via.
<< Ti diverti a prendertela sempre con quelli più piccoli di te? Prenditela con me questa volta, gran figlio di… >> ma Eponine cadde a terra, colpita su un occhio da un pugno di Riddle.
Grantaire, che aveva assistito alla scena a bocca aperta, capì che era rimasto solo.
Solo lui ad affrontare il suo compagno di casa.
Doveva sconfiggerlo per i suoi amici, per se stesso, per Enjolras. Se l’era sempre cavata nei combattimenti, ma non certo di questo genere: qui il prezzo da pagare era la vita. Riddle lo fissava. Teneva la bacchetta puntata contro di lui; Taire presupponeva che la prima cosa che avrebbe fatto sarebbe stata disarmarlo. Stava per batterlo sul tempo, stava per pronunciare la formula dell’incantesimo, quando la voce di Eponine irruppe come un tuono, facendo vibrare le ragnatele e fuggire i ragni.
<< IMPERIO! >>
Ce l’aveva fatta. Eponine aveva sconfitto Riddle, che ora se ne stava lì, immobile, stralunato e impotente, completamente alle dipendenze della bacchetta della ragazza.
<< Pensavi di potermi sconfiggere, non è vero Tom? Ti sbagliavi. Sai, io sono cattiva quando è necessario, soprattutto con le persone che fanno del male a coloro che mi stanno a cuore >> ringhiò tremenda, con sulle labbra quel sorriso terrificante e seducente che solo Eponine sapeva sfoderare.
<< Ti sei divertito con Enjolras? Bene. Ora ci divertiamo noi. Un po’ per uno, non credi? >> Aggiunse Grantaire con tono vendicativo, assetato di giustizia (e stranamente, non di vino).
Quella giustizia che tanto stava a cuore ad Enjolras, adesso era quella che ricercava Grantaire. L’avrebbe fatto per lui e, per la prima volta in vita sua, avrebbe creduto in qualcosa: in lui, nella possibilità che fosse fatto quello che lui avrebbe voluto.
<< Adesso, di’ al basilisco di ritornare nella sua tana e conducici fuori di qui >> sussurrò Eponine all’orecchio del Serpeverde. L’occhio rosso, iniettato di sangue, la rendeva ancora più inquietante.
Riddle invocò il mostro, dicendo qualcosa in serpentese e in men che non si dica, il suono del suo strisciare malvagio si allontanò dalle orecchie di chiunque: sembrava che si fosse volatilizzato.
<< Ponine! Ponine! >> Urlò una vocetta squillante.
La ragazza non si voltò per non perdere il controllo dell’incantesimo, ma intuì immediatamente che si trattava di Gavroche.
<< Ho ritrovato tutti gli altri! >>
I quattro ragazzi assistevano alla scena stupefatti, orgogliosi di come la loro Eponine, finalmente, avesse mostrato i denti, quelle sue fauci così coraggiose, e avesse sottomesso quel lurido verme. Jehan tremò, felice di poter ricordare di aver condiviso qualcosa con quella meravigliosa donna, ma sperò che Courfeyrac non lo sentisse. Quest’ultimo aveva ricominciato a sorridere, radioso come al solito.
Seguendo i passi cadenzati e ritmici di Riddle, i sette ragazzi riuscirono ad arrivare al condotto che li avrebbe riportati in superficie e, questa volta tramite l’incantesimo Ascendo, vennero catapultati nel bagno delle ragazze.
 
Enjolras si era ripreso.
Rimaneva addossato alla parete del bagno con un’espressione vuota, insulsa, una di quelle smorfie che, solitamente, non appartenevano a lui. Tuttavia, quando vide risalire Grantaire in superficie, con Riddle sotto braccio pronto per essere consegnato al preside Dippet, si sentì girar la testa.
Era stato lui a catturarlo? Era stato lui a risolvere tutto quel disastro? Era stato… Grantaire? Non si rese conto, ma arrossì.
La notte trascorse tranquilla. Riddle fu immediatamente espulso dalla scuola e i ragazzi furono premiati dal preside Dippet, abbastanza sconvolto e dispiaciuto per il comportamento di colui che aveva sempre reputato il suo miglior studente. Infine, si congratulò  con Eponine e le regalò il suo Avversaspecchio, per guardarsi ogni volta dai nemici e sconfiggerli brillantemente.
Finalmente questa avventura si era conclusa, ma la fine non era ancora arrivata.
Troppe questioni rimanevano sospese, troppe questioni dolorose e complicate, ma con un retrogusto dolce, quasi quanto le stelle che quella notte vegliavano su Hogwarts.
Jehan Prouvaire decise di scrivere una poesia per Courfeyrac.
Cosette riportò Marius in Guferia, dove si erano incontrati per la prima volta, e lì si addormentarono.
Grantaire cercò di bere, ma vomitò.
Enjolras cercò di ragionare, ma non ci riuscì.

 
 
 
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Bellezze mie, eccomi qui, con il capitolo più lungo della fanfiction! :D lo so, mi rendo conto che ci ho impiegato un’infinità a scriverlo, ma ho voluto farlo con molta più attenzione e soprattutto è stato molto difficile, non pensavo che fosse così complicato descrivere una battaglia D:
Spero vi sia comunque piaciuto e preparatevi perchè il prossimo sarà l’ultimo capitolo! T.T …più che altro devo prepararmi io, perchè questa storia, per quanto bizzarra, mi mancherà da far schifo jahclujayuclujh ** …ora lascio a voi i commenti, ci rivediamo al prossimo aggiornamento! <3 Vi adoro! (:
_Noodle

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Capitolo 16
*** XVI Capitolo. ***


Joly and Bossuet’s Theme:
~Dumbledor’s Army, HP and the Order of Phoenix.
 
 
Enjolras and Grantaire’s Theme:
~Ron’s Speech, HP and the Deathly Hallows pt. One.

 
 
 
 
 
 
Bossuet aprì gli occhi, lentamente. Con lo sguardo impastato dalle lacrime versate, intravide in modo offuscato la tenera luce proveniente dalle finestre dell’infermeria; sorrise.
Era vivo e l’aveva scampata.
Era salvo e il sole che si specchiava sulla sua tiepida nuca lo animava; avrebbe potuto produrre elettricità con un battito di ciglia.
Respirava aria nuova e fresca, schifandosi del putridume che l’aveva avvolto nella Camera e tutto ciò che percepiva attorno a sè era un dolce silenzio, tutt’altro che raccapricciante. Era un silenzio buono, quieto.
E poi, per caso, voltò il capo a sinistra e fu l’aurora boreale.
C’era Joly ed era tutto così semplice.
Aveva appese agli occhi due occhiaie violacee e sfumate, estremamente interessanti, come due piccoli quadri. Le iridi castane erano lucide, ma non di pianto, bensì di stanchezza. Le labbra consumate dai morsi dell’ansia gridavano aiuto, imploravano al mare di disinfettarle.
 
E quei capelli lisci così sparsi e disordinati, come i loro saltuari incontri.
 
E i rami al posto delle vene delle sue mani, così laboriose e attente, così curiose di corpi.
 
Joly non alzava lo sguardo perchè si fissava le scarpe. Bossuet poté osservarlo in tutta pace e perdersi, smarrendosi in un labirinto luminoso: quello individuato dai suoi nei.
<< Sei qui. >>
Joly sussultò, alzando la testa e appoggiando le mani scarne sulle ginocchia.
Si era svegliato.
Il ragazzo che aveva aspettato per così tanto tempo, il ragazzo che aveva atteso tutta la vita senza nemmeno saperlo, l’uomo che era stato capace di cambiarlo, finalmente, si era svegliato, e aveva parlato. Non seppe cosa rispondere lì per lì: Bossuet era stato così maledettamente invasivo con due sole parole. L’aveva demolito con un suono, e la felicità di quell’attimo era paragonabile ad una sinfonia, una di quelle leggiadre e spensierate che fanno cantare, benché non ci siano parole.
Sì, gli stava accanto. Avrebbe dovuto dirgli che era lì per lui?
<< Sei qui per me? >>
Ma Bossuet sembrava aver già capito tutto.
<< Sì, aspettavo che ti svegliassi. >>
Il Tassorosso sorrise, ancora e ancora, chiedendosi se, finalmente, avesse trovato la Fortuna.
Joly era stravolto, Bossuet lo percepiva. Tuttavia quel sorriso stirato e sincero che si stendeva come una pennellata sul suo volto lo rendeva radioso, come era sempre stato. La sua bizzarria introversa l’aveva sempre affascinato: era talmente difficile e complesso come individuo che andava semplificato. Bossuet voleva provare a farlo.
<< Non ti annoiavi, Joly? >> Chiese tirando fuori le braccia dal lenzuolo leggero.
<< Perchè mai avrei dovuto? >> Rispose Joly inarcando le sopracciglia, stupito di quella domanda. Per lui, essere rimasto lì, era stato così ovvio.
<< Non è il massimo restare seduti su una sedia scomoda per tutta la notte ad osservare un povero malaticcio >> ironizzò Bossuet, con la sua solita leggerezza. Tossì e si sentì pulsare le tempie. Solo in quel momento si ricordò delle sofferenze passate.
<< Non ti ho solo osservato >> continuò Joly stiracchiandosi, sprofondando sulla sedia.
<< Cosa intendi? >>
<< Ti ho portato qui io >> rivelò Joly sorridente abbassando lo sguardo, innalzando la fierezza del suo gesto al cielo. Bossuet rimase a bocca aperta. Come aveva fatto a non accorgersene? Perchè non se lo ricordava? Se l’era forse inventato? No, Joly era sincero.
<< Davvero? >> Sospirò interdetto.
<< Sì. Non appena ti ho portato via nella mia mano, sei svenuto. Temo per lo spavento. Forse non ti ricorderai >> concluse il giovane Corvonero, dispiaciuto che non ricordasse la sua buona azione. Per un attimo volle alzarsi.
<< E che altro hai fatto? >> Domandò ancora Bossuet, reprimendo l’istinto che aveva di saltargli al collo.
<< La gamba >> ammise Joly dopo aver tirato un lungo sospiro. Quasi si vergognava di quello che aveva fatto. O forse era un orgoglio malcelato. O forse era semplicemente imbarazzo.
<< Te ne sei occupato tu? >>
<< Sì. >>
Bossuet chinò gli occhi. La sua gamba era perfettamente fasciata, ancora dolorante e malconcia, ma qualcuno se n’era pur sempre occupato. E non si trattava di un qualcuno qualunque: era stato Joly.
<< Perchè lo hai fatto? Non potevi chiamare l’infermiera? >> Replicò, imbarazzato da tutto quello che aveva fatto per lui in così poco tempo.
Era un eroe.
Joly, inespressivo fuori e ingarbugliato dentro, decise che era arrivato il momento di fissarlo negli occhi. Forse anche di dire qualcosa, quel qualcosa.
<< No. Insomma, non sarei di certo rimasto qui ad aspettare che arrivasse e che tu soffrissi ancora. Non c’era tempo. E poi, lo sai che amo curare le persone. >>
Bossuet sembrava ammirato da quelle parole, dal coraggio che aveva avuto, dalla forza che aveva dimostrato di possedere. Quel ragazzo, sotto tutta quella emotività, era un leone e non un istrice, l’animale del suo Patronus, piena di aghi come quelli usati dai dottori.
<< Lo sai che amo te. >>
Ci fu un lungo silenzio, che gli sguardi dei due ragazzi colmarono con incredibile facilità. L’aveva detto veramente? Joly aveva ammesso di amarlo? In cinque parole aveva superato se stesso, aveva abbattuto tutte le barriere, tutte le barricate del suo cuore. Aveva anche abbattuto Bossuet, che non era riuscito a fare altro che sussurrare il suo nome.
<< Joly… >>
<< Lo so scusa. Me ne vado adesso >> balbettò il Corvonero alzandosi dalla sedia, sull’orlo di una crisi di pianto. Si sentiva un bambino.
<< Joly… >>
Bossuet afferrò il braccio di Joly con mollezza e sorrise con una semplicità inaudita, ricca di comprensione e di dolcezza, propria solamente di chi è consapevole di non essere capito da molti. Di solito infatti, sono i più schivi, i più riservati, i più particolari o i più sfortunati a restare nell’ombra e solo pochi amano addentrarsi in essa e scoprire che cosa riserba. Joly era stato il primo a scavare nell’animo di Bossuet, in quell’oscurità antica e mai narrata, con una grazia e una riservatezza anormale che quasi non avevano fatto trasparire il suo sentimento. Ora che si era lasciato andare e aveva detto la verità, aveva permesso a Bossuet di capire, per la prima volta, che qualcosa andava per il verso giusto, il verso che seguiva la linea del suo sorriso.
Come due magneti, i ragazzi si avvicinarono l’uno all’altro, attratti da una forza invisibile, ma tremendamente potente, che come nel caso della calamita, non avrebbe permesso che si dividessero, mai. E così, per la prima volta, le loro labbra insipide ed inesperte si toccarono, tastandosi, assaporando la loro morbidezza. Bossuet respirava l’odore dei capelli di Joly, che gli ricadevano sul viso, Joly accarezzava la pelle di Bossuet, profumata di shampoo. Sapeva che prima o poi quell’odore gli avrebbe invaso la mente.
Il Corvonero si sdraiò accanto a Bossuet, che si spostò a fatica a causa della gamba, ma al contempo con piacere, per poterlo abbracciare, finalmente.
“Sono un po’ strano in questi giorni”.
“Io lo sono sempre”.
E queste frasi gli ruotavano costantemente nella testa, gli strisciavano tra i neuroni, lo rendevano felice e lo facevano stare bene. La sorte, per la prima volta, gli aveva stretto la mano.
<< Joly… >> Sospirò il Tassorosso, ansimando piano.
<< Sei l’essere più strano che io abbia conosciuto. Ma ti amo anche io. >>
Joly scoppiò a ridere, liberando nell’aria una musica irruente ed estasiante. L’amore che Bossuet gli stava dando era meglio di ogni medicina.
E come l’acqua che scorre e cambia, loro scivolarono sotto le lenzuola, incuranti del sole novello, curioso, che li guardava.
 
Bahorel, nelle restanti ore di buio, non aveva fatto altro che pensare ad Eponine. Quella piccola e feroce ragazza era riuscita a placare Riddle con un solo ed astuto incantesimo e grazie al suo intervento aveva fatto sì che tutte le vittime uscissero illese dalla vicenda. Sì, era proprio vero, Eponine era una persona importante. Nella sua semplicità e magrezza riusciva a ruggire più forte del re della foresta e a proteggere i propri piccoli con la stessa tenacia di una lupa, animale oramai così caro a lei. Che stupido che era stato; perchè aveva tentato di fermarla? La cosa giusta, quando si trattava di Eponine, era di lasciarla andare. Lei possedeva quell’autonomia e quella determinazione che spesso a lui mancava. Era arrivato, forse, il momento di lasciarla andare. Magari lei ne sarebbe stata felice.
Uscì dal suo dormitorio (terribile esperienza ripercorrere quel corridoio!) per raggiungere quello della ragazza, ma non appena svoltò l’angolo che portava all’atrio principale, si trovò Eponine davanti, con le braccia incrociate sul petto e lo sguardo assonnato.
<< Credo che… >>
<< Io ti debba delle scuse. >>
<< Che hai detto? >> Chiese la ragazza, spalancando gli occhi, sorpresa.
<< Ti chiedo scusa ‘Ponine. Tu sei indomabile e nessuno può dirti che cosa devi o non devi fare. In particolare io. Se renderti felice significa lasciarti libera, allora ti lascerò libera, perchè è la tua felicità quella che ricerco, è sempre stato così, sin dal primo giorno in cui ti ho conosciuto. >>
Lei incominciò a ridere, prendendosi gioco della voce rotta e dello sguardo basso di Bahorel. Aveva detto qualcosa di sbagliato?
<< Sai Bahorel, credo di essere stanca di questa storia. >>
Lui sospirò, dispiaciuto di aver perso, forse, la ragazza migliore che avesse mai incontrato.
<< Credo di essere stanca di questa cosa del “Vivi e lascia vivere”. Perchè mai me ne dovrei andare? Io voglio stare con te. E’ una sfida Bahorel, e sai bene quanto amo le sfide. >>
Lui le si avvicinò asciugandosi gli occhi con la manica della propria camicia, poi le appoggiò la mano  destra sulla guancia. Aveva degli occhi così profondi ‘Ponine, così eterni. Che strana sensazione provocava la vittoria.
<< Ma se io amassi te? >>
<< Sei coraggioso. >>
E tra una risata e un sorriso, anche loro, sprofondarono in uno di quei baci agoniati e assonnati che rendono tutto un po’ più magico, anche se di magia ad Hogwarts ce n’era già a sufficienza. 
 
Enjolras, svegliatosi tardi, ancora stremato e tormentato da mille visioni che lo riconducevano momentaneamente nella Camera dei Segreti, aveva trovato accanto al suo letto un biglietto con accanto una fiala. Prima di riuscire a chiedersi che cosa fosse, iniziò a riflettere su se stesso, cosa che non faceva da… sempre. Non aveva rivelato a nessuno la sua condizione perchè rimpiangeva di essere un Mezzosangue, perchè in qualche modo non sentiva di essere all’altezza dei suoi compagni. Lui, che sin da piccolo era stato abituato ad essere un leader, ora, si sentiva solo un seguace. Aveva capito però, in quelle settimane, che il sangue e le origini non erano quello che contava. Grantaire dopotutto, se aveva fatto quello che aveva fatto, era perchè, del sangue, non si era preoccupato. Forse anche lui avrebbe dovuto fare lo stesso, fregarsene.
Rivolse il capo verso il suo comodino e mollemente afferrò il biglietto, dispiegandolo lentamente.
Sopra, al centro del foglio, vi era scritta una sola parola. La calligrafia era sconnessa, piccola, allungata e leggermente inclinata verso sinistra; certamente chi aveva scritto quella parola aveva dovuto provare molta emozione, perchè tremolante. Per interpretarla era necessario osservarla con attenzione.
 
“Pensatoio”.
 
Non vi era un firma.
Enjolras, improvvisamente, si sentì scosso da un fremito che gli percorse le mani e le braccia, come se avesse sentito freddo.
Tuttavia, sapeva che non era freddo.
Pensò subito a Grantaire e ai suoi atteggiamenti scettici. Questa volta, dopo essersi vestito, corse nell’ufficio del preside sperando di trovarlo vuoto, per capire che razza di ricordo avesse rinchiuso Grantaire in quella fiala. Era sicuro appartenesse a lui.
Dopo essersi accertato che nessuno lo seguisse (in particolare Courfeyrac, visto il brutto scherzo che gli aveva giocato la volta prima) iniziò a correre per i corridoi, con i lucidi capelli biondi che gli rimbalzavano sulla testa. Quando, percorsa la torre, si ritrovò davanti allo studio di Dippet, vide la porta spalancata e la stanza completamente vuota. Che fosse casuale?
Entrò a passi lenti, con le mani tremanti e il cuore in subbuglio. Non gli era mai capitato, ma questa volta sentiva di non essere vittima di un incantesimo. Era tutto reale e se da una parte si sentiva estremamente infastidito ed imbarazzato, dall’altra era radioso, adrenalinico.
Davanti al pensatoio, coperto da un telo che si preoccupò di togliere  immediatamente, aprì la fiala contenente il ricordo. Lo versò all’interno e poi, immersa la testa nella sostanza argentea che conteneva il grande bacile in pietra, si preparò ad ascoltare. Vide se stesso davanti a sé. Era sera e si trovava nel dormitorio dei Grifondoro: si ricordava bene. Quella che vedeva era la sera in cui lui e Taire avevano ballato insieme, la sera in cui, sconvolto dall’imbarazzo, lo aveva guardato davvero negli occhi, per la prima volta. Altre mille immagini iniziarono a scorrere sotto i suoi occhi, ma nessuno parlava. Ciò che lo fece restare di stucco fu che, ad un certo punto, la voce irruente e leggermente roca di Grantaire iniziò a parlare. Temette di cedere, temette di piangere, e forse piangeva. Accompagnate da queste parole, le immagini del loro primo bacio nella Camera dei Segreti.
<< Mi dispiace. Vorrei non essere sempre così invasivo, così rude. In particolare non vorrei esserlo nei tuoi confronti perchè, Enjolras, non te lo meriti.
Tu però con me puoi esserlo.
Insomma, chi mai vorrebbe essere indulgente con me? Chi mai potrebbe portare rispetto ad un povero scettico? Non lo sto dicendo per impietosirti, assolutamente. Lo dico perchè è vero, è una delle poche certezze che ho. Lo so, sono noioso, e asfissiante e terrificante. Eppure quando ti sto accanto mi sento vivo. Quando ti sto vicino sento di potermi abbandonare e credere. Io che credo in qualcosa? Enjolras, tu non ti rendi proprio conto di quello che hai fatto. Mentirei dicendoti che non avrei voluto baciarti quel giorno nella Sala Grande; non l’ho fatto perchè sapevo che tu non avresti voluto e questa era la cosa più importante. Nella Camera però non sono riuscito a frenare i miei istinti, e mi devi perdonare. Scusa se ricercavo le tue mani, scusa se abbreviavo il tuo nome; solamente, vorrei poterti parlare di più, respirarti di più, perchè sei talmente strano e intricato che mi scombussoli tutto, qui, nello stomaco. Sei talmente bello Enjolras, che non mi dai tregua. Non hai odore, eppure quando ti avvicini silenzioso, io ti sento arrivare. Il vino non è niente in confronto a te, potrei sbarazzarmene, anche adesso.
E poi volevo dirti che belli bene. E che sei coraggioso e anche decisamente stupido. Ti avrei protetto se solo avessi saputo a che cosa andavi incontro. Ma forse è meglio così. Forse se ti avessi protetto, non saremmo arrivati fino a questo punto.
E poi diciamo che ti amo Enjolras, ecco tutto. >>
Sollevò il capo respirando affannosamente, non riuscendo a distinguere la realtà dai ricordi. Era tutto così bizzarro e opprimente nella sua bellezza; la voce di Grantaire ancora gli risuonava nella testa e questo… perchè era lì.
<< Ehi >> sussurrò debolmente, imbarazzato dalla presenza di Apollo, inondato di lacrime. Il prezzo, lo sapeva, sarebbe stato il mare.
<< Cosa… cosa ne pensi? >> Balbettò R, timoroso di ferire il dio e non riuscendo a trattenersi dall’aprire bocca. Non si accontentava più di rimanere lì immobile a fissarlo, come al solito.
<< Cosa ne penso? Penso che sei insopportabile Grantaire! Sei la persona più dannatamente insopportabile di questo mondo! Vattene, ti prego, sparisci dalla mia vista! Non te ne rendi conto vero? Non ti rendi conto di quanto io stia male? Non capisci che tutte queste attenzioni sono inutili? Hai voluto ballare con me, hai voluto chiedermi scusa e hai voluto persino… baciarmi. Ma…ma, te ne rendi conto? Non ti rendi conto che non sei quello che può completarmi? Non ti rendi conto che ti renderei la vita impossibile? Io sono quello che tutti vedono sai, non sono un’altra persona. Sono testardo e orgoglioso. Possessivo. Ossessivo. Estremamente preciso. Maniacale. Troppo puntiglioso e determinato. Tu non sei così. Non lo sei! Non ti rendi conto di tutti i dispiaceri che ti darei? Non ti rendi conto di tutti i sorrisi che ti negherei perchè non ne sarei capace? Non ti rendi conto di quante volte dovresti sentirmi dire “smettila di fare l’idiota” solo perchè, magari, mi stai semplicemente chiedendo come sto? Non ti rendi conto di come mi spezzeresti il cuore, volendo al tuo fianco qualcuno che ti faccia ridere? Non ti rendi conto di quanto soffrirei io, sapendoti nelle mani di qualcun altro a ridere e a bere vino, come piace a te? Io… io sono astemio. E… non ti rendi conto di quante idee manderei in malora per il dolore, perchè non avrei più nessuno per cui esaurirle? Non te ne rendi conto? Non ti rendi conto di quanto mi mancheresti? Non ti rendi conto di quanto mi mancherebbe averti tra i piedi? Non ti rendi conto di quanto mi mancherebbe Grantaire, R, Taire?
Non ti rendi conto di quanto mi mancheresti.
Mi mancherebbe il tuo essere dannatamente insopportabile. Mi mancherebbe eccessivamente. Mi mancherebbe come a te manca il senso dell’intelletto. Io non voglio che tu smetta di assillarmi: lo apprezzo. Anzi, amo quando lo fai. Io…non voglio che accada tutto ciò. >>
Grantaire restò attonito, muto. Temette di svenire: quelle parole erano state peggio di qualsiasi sbronza.
Dalla sua bocca non uscivano nient’altro che sospiri: in quell’ufficio afoso stava nascendo una tempesta di fiati.
<< Enjolras, che… che stai dicendo? >> Furono le uniche parole che riuscì a pronunciare.
<< Cosa sto dicendo? Sto dicendo che… che… >>
Ma non riuscì a trattenersi e corse verso di lui. Senza che Grantaire potesse realizzare che cosa stava succedendo, si accorse delle mani di Enjolras incastrate tra i suoi capelli e dei respiri del ragazzo troppo vicini ai suoi. Non lo aveva sbattuto al muro per tirargli un pugno, non lo stava picchiando, no.
Lo stava baciando.
Enjolras l’aveva fatto, inspiegabilmente. Forse aveva agito così per ripagare il primo bacio ricevuto, forse per riprovare quello che già aveva percepito, forse per sentirlo un po’ più suo. Enjolras l’aveva fatto, e l’aveva capito: era innamorato e tutta quella saliva e quelle lingue intrecciate non gli facevano provare ribrezzo, ma gioia, estrema gioia, nuova gioia. Grantaire, stupito dal gesto e dal sapore delle labbra di Enjolras, che quella mattina profumavano di menta e di inesperienza, aveva tenuto gli occhi aperti per vederlo amare, mentre lui li aveva tenuti chiusi, stretti nella morsa di Eros.
Grantaire accarezzava la sua schiena, che finalmente gli apparteneva. L’aveva osservata così tanto che quasi non credeva fosse possibile toccarla: non era un’ombra, era reale.
Si allontanarono e sorrisero. Entrambi.
Quello era il sorriso di coloro che avevano lottato e che finalmente avevano vinto. La ricompensa non era stata un tesoro, e nemmeno avevano ricevuto lingotti d’oro; tutto ciò che avevano ottenuto era stato un bacio, estremamente dolce ed inspiegabilmente amaro, che avrebbe ispirato qualunque scrittore. Forse qualcuno aveva già scritto di loro, chissà in quale libro impolverato. Erano così diversi e allo stesso tempo così maledettamente complementari: d’altronde, tutto ciò che completa deve necessariamente essere diverso da ciò che viene completato, è la parte mancante, ed Enjolras lo comprese solo in quel momento, solo quando sentì che le labbra di Grantaire avevano quel sapore di vino tanto bramato da lui.
Per la prima volta in vita sua, lo vide bello.
Il naso storto e il sorriso scaltro non riuscivano ad infastidirlo: li odiava a tal punto da amarli, perchè tutto senza di loro sarebbe stato troppo triste e monotono.
Enjolras aveva sempre amato le insurrezioni, aveva sempre sperato di cambiare il mondo, di vivere come nel passato a combattere con le carabine o con le bacchette, e forse Grantaire aveva appena aderito alla sua prima rivoluzione. A pensarci bene, la parola Rivoluzione incomincia per R e finisce per E.
La felicità di quel momento non era equiparabile ad alcuna cosa: né al sole, né ad un uragano, né al vento che distrugge, né a quello che accarezza, né alla musica, né alle risate, né alle poesie lette, né al vino bevuto, né ai libri sfogliati, né ai sogni, né all’immaginazione, né al fuoco, né alla fiducia.
La felicità di quel momento li rendeva pure cariche elettriche in un universo di tenebre avvilenti, erano diversi e felici, fottumentente felici, in particolare di essersi accettati e di avercela fatta, di aver raggiunto ciò che speravano, di aver unito le loro labbra di nuovo. Enjolras non aveva mai assaporato la felicità ed ora, con le mani di Grantaire appoggiate sulle sue spalle, sentiva scorrere qualcosa nella sua pelle che non era sangue: erano brividi. L’unico essere che era riuscito a tenergli testa, ora, l’aveva completamente annientato. E non si stava ribellando: la vera rivoluzione era quella, la pace, che questa volta era una pace interiore.
<< Ora ho capito… >> Sussurrò ad un tratto il biondo, con un’intonazione nella voce che nessuno prima d’ora aveva avuto con Grantaire.
<< Cos’hai capito? >> Chiese lui, ridacchiando teneramente.
<< Perchè ti ho permesso di afferrare la mia mano nella Camera dei Segreti. >>
Un solo bacio non era bastato.
Con le dita intrecciate e i cuori sanguinanti continuarono ad assaporarsi, fino a dover fuggire in un posto tutto loro per non essere disturbati. La Stanza delle Necessità li accolse senza far rumore, perchè, dopotutto, l’amore era diventato un bisogno impellente.
 
La loro avventura si concluse in questo modo. Con amore. Tutto l’odio che avevano provato era stato annientato e ucciso, e finalmente, senza magie, era riuscito a nascere qualcosa di buono lì dentro. Cosette e Marius continuarono a trovarsi ogni sera in guferia, per rubare le stelle al cielo e i baci alle proprie bocche. Jehan scrisse circa un centinaio di poesie per Courfeyrac, che a sua volta gli dedicava ogni partita di Quidditch. Joly e Bossuet andarono avanti a sbagli e a vittorie, reputandosi con un pizzico di orgoglio la coppia più bizzarra di Hogwarts. Eponine e Bahorel istituirono un primo club interno alla scuola, il “Club dei Duellanti”, che dedicarono alla loro eterna e meravigliosa cocciutaggine. Feuilly, Musichetta e Combeferre, inspiegabilmente diedero vita ad un’amicizia senza limiti (forse Feuilly e Musichetta anche qualcosa di più) ed Enjolras e Grantaire, oramai completamente travolti dal loro amore, passavano tutto il loro tempo nel parco la notte, ad incidere ogni giorno qualcosa di diverso sugli alberi. Enjolras trovava questa cosa rivoltante, ma lo accettò. Dopotutto si trattava di Grantaire.
Ne avrebbero passate tante altre e insieme avrebbero fatto faville: quel gruppo di amici, così travagliato e rivoluzionario per i tempi che correvano, avrebbe continuato a restare unito, finché la morte non li avrebbe separati.

 
 
 
 
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E finalmente, dopo tre settimane, riesco a postare, ahimé, l’ultimo capitolo di questa Fic. Sono stata travolta dal così detto “Blocco dello scrittore causato dal ritorno a scuola”, ma finalmente ce l’ho fatta belle mie! (:
E’ finita. Non ci credo ancora, ma ce l’ho fatta! Ce l’ho fatta a scrivere questa storia che sembrava veramente impossibile e sono davvero, davvero contenta di avervi fatto provare qualche emozione <3 Grazie a tutte quelle che hanno recensito, seguito e preferito o che hanno anche semplicemente letto per caso uno o due capitoli! (: …Spero che questo finale altamente diabetico e “poetico” vi sia piaciuto, ho cercato di mettercela davvero tutta <3
Come al solito, vi saluto dicendo ho già parecchie idee per le prossime fan fiction, in particolare per una che sarà letteralmente diversa da quelle che ho scritte fino ad ora, molto più leggera e divertente (: Grazie ancora bellezze! Il meglio Fandom! <3
p.s. spero presto di rispondere alle recensioni ahahah –w-
Un bacione enorme!
_Noodle

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