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di SheilaUnison
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Premesse poco rassicuranti ***
Capitolo 2: *** Segnali sospetti ***
Capitolo 3: *** Turbamenti ***
Capitolo 4: *** Finalmente soli ***
Capitolo 5: *** Fine? ***



Capitolo 1
*** Premesse poco rassicuranti ***


 

Non ero mai stata in quella piccola città. Certo, ne avevo sentito parlare da Mark, che vi abitava. Era pittoresca, di periferia, con molti edifici antichi. Numerosi balconi erano agghindati con vasi di fiori dai mille colori. I muri delle case non erano del classico grigio che si può incontrare in città, ma variopinti, e diverse fontane rallegravano la piazza centrale, circondata dagli alberi. Bel posto, cattiva compagnia.

Quel giorno eravamo proprio lì sotto i suoi portici a passeggiare, io, Mark ed Erik.

Non capivo molto la presenza di quest’ultimo a quell’uscita. Non che mi dispiacesse, anzi, ma era palese, quasi scritto sui muri, quasi urlato che Mark avesse organizzato l’uscita solo per rimanere con me ed Erik, evidentemente, non se n’era accorto e si era autoinvitato.

Per quanto mi riguardava, se non ci fosse stato Erik, non sarei mai andata all’uscita. Era un mio amico d’infanzia e lo persi di vista per diversi anni, quando poi me lo sono ritrovata in classe alle superiori. Mi aveva presa sotto la sua ala protettrice e, grazie al suo carattere allegro ed estroverso, ero riuscita a conoscere diversi suoi amici e, insieme, ci eravamo costruiti la nostra compagnia.

Mark, invece, lo avevo conosciuto tramite mio cugino. Ma non mi piaceva.

Era una persona gentile e simpatica, certo, ma mi seguiva come un cagnolino. Era ovunque mi voltassi, sempre, e questo mi soffocava parecchio. Al telefono, se non gli rispondevo dopo qualche minuto, andava in panico e mi chiedeva se fossi arrabbiata con lui. Ascoltava i discorsi perfino quando non erano rivolti a lui e rispondeva sempre, anche se non c’entrava nulla. Era opprimente. Certi giorni non accendevo nemmeno il cellulare, perché non volevo parlare con lui o anche solo leggere un suo messaggio. Inoltre non poteva vantare una particolare bellezza: era alto, ma cicciottello, coi capelli spesso trascurati.

Però gli volevo bene, ma come amica, e non mi osavo dirgli che tutto questo mi dava fastidio, per non offenderlo ,anche perché era da solo una settimana che ci provava con me in modo così evidente.

Ero piuttosto tesa quel giorno, perché sapevo che Mark si sarebbe fatto avanti e il solo pensiero di rifiutarlo e renderlo triste mi dispiaceva. Avevo provato con tutte le mie forse a farmelo piacere, ma era stato tutto inutile.

“Che ne dite di fermarci a questo bar?” chiese Erik all’improvviso, indicando un piccolo locale al fondo del porticato. “Ho un po’ fame.”

“Sì! Va bene!” esclamò Mark, entusiasta.

Fuori dal bar c’erano dei tavolini con delle sedie e ci sedemmo, mentre il mio volto si tingeva di tutti i colori dell’imbarazzo. Mi sentivo come un cervo in trappola. Ero convinta che il momento cruciale si stesse avvicinando. Le gambe mi tremavano dall’agitazione e il mio cuore scalpitava. Afferrai un tovagliolo di carta dal portatovaglioli e iniziai a farmi aria.

“Fa caldo eh, oggi?” dissi nervosamente, ma non ottenni risposta: era sceso un cupo silenzio e Erik mi stava lanciando sguardi interrogativi. Come faceva a non capire quell’idiota!?!

Finalmente arrivò una cameriera con un grazioso grembiule rosso e il taccuino alla mano a porre fine alla tortura.

Ordinai un caffè e un croissant caldo, nonostante la stagione e l’afa che affliggeva le vie in quelle ore, senza contare il sole che splendeva incontrastato nel cielo, mentre le nuvole chissà dov’erano finite.

Mark iniziò a parlare dell’estate, di come si stesse divertendo in quel momento, lanciandomi occhiate e complimenti appena se ne presentava l’occasione. Non riuscivo nemmeno a rispondere, se non balbettando un “grazie” ogni tanto. Non dovevo incoraggiarlo. Speravo capisse da solo ciò che non mi osavo dirgli. Con tutto il cuore.

Quando arrivò il cibo mi ci gettai sopra, sperando che così, col cioccolato del croissant sui denti, sarei apparsa meno attraente per Mark.

Risultato: mi sporcai, sì, ma la guancia, non i denti, così il mio ammiratore, in un’azione eroica per lui e tragica per me, afferrò il suo tovagliolo e si precipitò in picchiata a pulirmi il volto con una specie di carezza, le pupille che si dilatavano a vista d’occhio.

Mi si gelò il sangue. Non riuscivo più a muovermi.

“Vado in bagno.” saltò su Erik, interrompendo quel momento romantico/drammatico, a seconda dei punti di vista.

No, idiota, non adesso! pensai.

Fece per andarsene, quando colsi al volo l’occasione e dissi:

“Vengo anche io, aspetta!”

Così c’incamminammo verso l’entrata del bar, mentre i miei muscoli tesi iniziavano a rilassarsi…fin troppo: le mie gambe stavano per collassare. Una volta entrati, Erik chiese ad un uomo baffuto dietro al bancone dove si trovasse il bagno e questi glielo indicò. Ci dirigemmo verso la porta dei servizi, quando il mio amico si voltò e mi disse, con fare molto convinto:

“Secondo me tu piaci a Mark!”

BUM! I miei nervi crollarono.

“Davvero!?! Non l’avrei mai detto!” gli urlai istericamente contro e me ne corsi nel bagno delle femmine, che, per fortuna, era vuoto, sbattendo la porta.

Mi aggrappai al lavandino, aprii il rubinetto e mi sciacquai il viso. Trassi un profondo respiro e mi specchiai. Purtroppo ero nata con quello che all’inizio mi sembrava un pregio, ma ora mi si era ritorto contro: l’emotività. Qualsiasi emozione che provavo si rifletteva sempre sul mio corpo: mancanza di respiro, tremare di gambe e debolezza fisica erano all’ordine del giorno se mi accadeva qualche evento particolare. In quel momento, infatti, ero bianca come un lenzuolo.

Rimasi un po’ lì a fissarmi nello specchio, finché mi fui calmata, e decisi di uscire e chiedere scusa ad Eric.

Aprii la porta e notai qualcosa a cui non avevo fatto caso: una porta aperta davanti a quella dei servizi rivelò una saletta intima con tre tavoli e delle poltrone, su una delle quali era seduta proprio la mia vicina di casa.

La voce di Erik alla mia sinistra mi sorprese:

“Ehi, ma che ti è preso?”chiese con espressione preoccupata. Ne approfittai, mentendo:

“Scusa, ero un po’ nervosa! Mi spiace…senti, mi fermo qualche minuto a parlare con la mia vicina di casa che mi ha appena chiamata, voi fate pure un giretto se volete, tanto questa qua parla un sacco e non vorrei mai che vi annoiaste ad aspettarmi!”

Spiazzato, Erik annuì semplicemente e mi diede una pacca amichevole sulla spalla, poi se ne andò: mi aveva perdonata.

Dopodiché sfornai il mio migliore sorriso dirigendomi verso la mia vicina, o, meglio, il mio diversivo.

“Salve, signora Brown! Come sta?” chiesi prendendo posto davanti all’anziana signora dall’aria pacifica.

“Oh, signorina Dale! Sto molto bene! Che piacere vederti qui! Vieni, vieni, mia cara! Dimmi, vieni spesso qui?” mi chiese con tono pacato.

“A dire la verità è la prima volta che ci entro. È un posto carino.’’risposi, mentre tiravo fuori il cellulare, che stava trillando allegramente.

Mi era arrivato un messaggio da Erik. Lo lessi: “Ciao! Noi andiamo a farci un giro mentre parli con la tua vicina. Mark ti saluta(è triste). Ci sentiamo magari dopo, quando avete finito di parlare!”

Trassi un sospiro di sollievo e gli risposi “Ok, a dopo!”. Per il momento ero al sicuro. La signora Brown, intanto, continuava il suo discorso:

“Sì, è così bello qui! Ci vengo spesso…poi la proprietaria è così gentile!”

“Non so chi sia.”

“Oh, ma te la presento subito! Eccola che arriva!”

L’anziana mi indicò una persona che si stava avvicinando, ma non la riconobbi subito, poi la identificai e fui colta dalla sorpresa:

“Ciao, Dakota! Quanto tempo!” disse e mi abbracciò.

È la mamma di Daniel! realizzai in quel momento, sopraffatta dall’emozione.

Quella donna era la madre di quello che, fino a qualche mese prima, era stato il mio migliore amico.

“Salve, signora Lucas.”

Le mie mani si agitavano sotto al tavolo in cui ero seduta. Mi rispose:

“Oh, cara, quante volte ti dovrò ripetere di chiamarmi Sandra?” poi si rivolse alla mia vicina: “Signora Brown, ma anche lei conosce Dakota? È una ragazza deliziosa, vero?”

La donna si sedette al tavolino. I lunghi capelli biondi che aveva un tempo si erano leggermente schiariti, fino a sembrare quasi bianchi. Per il resto, era sempre la stessa.

“Sì, abita vicino a casa mia, è una ragazza di compagnia e a modo. Chissà quanti giovanotti le fanno la corte!”

Le due mi guardarono. Avvampai: non sapevo cosa dire, perché ero imbarazzata. Per fortuna, poi, la signora Lucas prese la parola:

“A proposito! – A proposito!?! mi chiesi. – non sei più venuta a trovare Daniel! Come mai? Sono sicura che gli farebbe piacere vederti. Anzi, sai cosa? Che ne dici di fermarti a cena da noi stasera?”

“Beh, ecco…ci devo pensare. Devo chiedere ai miei genitori il permesso.” risposi gesticolando nervosamente con le mani.

“Sono sicura che te lo accorderanno....guarda! Ecco che arriva Daniel!”

Il mio cuore saltò un battito. Lui era lì, stava arrivando, con la sua solita camicia bianca e i suoi jeans blu.

Tutto sembrava procedere al rallentatore, mentre la sua familiare silhouette si avvicinava al tavolo.

Ero così agitata che, ad un certo punto, non potei più sopportare la tensione e mi tuffai:

“Ciao.”

“Ciao, Dakota. Che ci fai qui?”

Non suonava come un'accusa, ma come una semplice curiosità. Tentai di restare sul vago. Dopotutto non erano affari suoi. Non più.

“Ero in giro con amici e siamo capitati qui...non sapevo che aveste aperto un bar.”

Intervenne sua mamma:

“Sì, era il mio sogno! L'officina di mio marito non andava più, allora l'abbiamo trasformata in un bar.”

Daniel aggiunse:

“Io dò una mano nel tempo libero.”

“Ah, giusto, perché poi vai a scuola. A proposito...”

“Ho chiesto a Dakota di cenare con noi stasera! - m'interruppe Sandra. - Ho fatto bene?”

Daniel sembrò seriamente pensarci su , poi, con mia enorme sorpresa, rispose di sì.

Sospirando, presi il cellulare e chiamai casa. Un po' stupiti, i miei mi accordarono il permesso. Durante la chiamata il mio ex migliore amico ascoltava attento la conversazione, fissandomi con i suoi occhi verdi in uno sguardo indecifrabile.

“Allora?” chiese la signora Lucas.

“Sì, posso rimanere per cena stasera, ma prima vorrei avvisare gli amici che erano con me che torno da loro e poi mi faccio ritrovare qui per mangiare.” risposi distrattamente.

Feci per digitare il numero di Erik, quando un braccio mi bloccò. I miei occhi salirono su per il profilo della mano, fino a vedere il volto di Daniel.

“Aspetta! Se ti va possiamo ancora fare un giro con loro, tanto sono le quattro e io ho finito il mio turno...”

Feci un balzo a causa della reazione inattesa del mio ex amico, poi gli risposi di sì, anche se non riuscivo a capire le sue intenzioni. Prima non mi parlava per mesi, poi voleva passare un intero pomeriggio con me?

Che diavolo stava succedendo?

 

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Capitolo 2
*** Segnali sospetti ***


Malgrado la situazione, non potei rifiutare l'offerta perché Sandra mi stava guardando speranzosa. Accettando, magari Mark, in compagnia di uno sconosciuto, mi avrebbe fatto meno avances, quindi rassicurai madre e figlio con un cenno del capo e chiesi via messaggio ai miei amici se ci avessero potuti raggiungere al bar e se Daniel avrebbe potuto aggregarsi a noi. Le risposte furono entrambe affermative.

Qualche minuto dopo, finito di rispondere alle mille domande di Sandra su come stesse andando la mia vita, Mark ed Erik si presentarono all'entrata, pronti e scattanti come soldatini che attendono di ricevere un ordine. Daniel ed io ci dirigemmo verso di loro. Le mie mani sudate stavano vistosamente tremando. Insomma, avrei potuto essere aggredita da Mark e poi il mio ex migliore amico aveva voglia di stare con me dopo mesi di silenzio e indifferenza assoluti: non ci capivo più niente.

Mark, vedendomi, s'illuminò e corse verso di me, poi spalancò le braccia e m'imprigionò in un abbraccio. Daniel mi lanciò un'occhiata torva. Dopo essermi liberata, sorrisi ad Erik che si era semplicemente limitato a sventolare la mano per salutarmi. Il mio ''corteggiatore'' mi guardava, felice.

“Sono contento che...”, ma fu interrotto:

“Perchè non mi presenti i tuoi amici?”

“Uhm, sì. Lui è Erik – e lo indicai, mentre Daniel gli stringeva vigorosamente la mano, presentandosi. - e lui è Mark.”

La mia voce dovette uscire parecchio distorta, perchè Daniel lo notò, il suo volto si contrasse in una smorfia, che mantenne anche mentre porgeva la mano a Mark.

“Quindi che facciamo?” chiesi.

“Bene! Lasciate che vi guidi verso il parco. È un bel posto.” propose il mio ex migliore amico. Gli altri annuirono e c'incamminammo sulla strada. Persa nei miei pensieri, non badai molto a dove stessi mettendo i piedi. Ad un tratto sentii un peso sulla mia spalla, così mi voltai: era la mano di Daniel.

“Per di qua, sciocchina. Stavi andando fuori strada.” mi disse, correggendo col braccio la mia andatura. Non mi guardava in faccia, ma avanti, meditabondo.

“Ti dà fastidio la mano?” mi chiese, continuando a fissare il vuoto. La stava tenendo lì dov'era prima. Notai con sorpresa che quel contatto era piacevole.

“No, tranquillo.”

Il suo volto si distese a quella risposta.

Una voce dietro di me mi fece sobbalzare:

“Voi due come vi siete conosciuti?” chiese il mio spasimante, spuntato dal nulla. Il suo sguardo balzava istericamente da me al mio vicino. Sembrava in preda al panico.

“I nostri genitori si conoscevano e, un bel giorno, siamo finiti in classe insieme alla scuola elementare. Da allora siamo inseparabili.” rispose, marcando l'ultima parola. Stavolta fu il mio turno di guardarlo male.

“Oh, che bello.- Mark non sembrava molto convinto – Invece a me l'ha presentata suo cugino. Ho pensato subito che fosse una persona piacevole.”

Sì, era vero, anche per me era una bella persona, ma in un modo totalmente diverso da come lo intendeva lui. I profili delle case scorrevano distrattamente davanti a me mentre tentai più volte di richiamare l'attenzione di Erik, perché volevo un po' di pace, ma lui non colse la mia muta richiesta d'aiuto.

Disperata, mi guardai intorno. Una macchia marrone e verde spiccava in lontananza nell'indistinta marmaglia di sfumature della città. Era il parco.

“Hey, tutto bene?” mi chiese Daniel, preoccupato. Erik e Mark confabulavano insieme.

“No.”Non andava un corno bene.

“Perché?”

“Perché ti ripresenti così, all'improvviso, come se tutto fosse normale.”

“Mi dispiace. Io...possiamo parlarne stasera? Adesso non mi sento a mio agio con i tuoi amici”.

“Cos'è, un'altra scusa per poi scappare?” gli chiesi con ironia.

“No. - mi prese di nuovo il polso e lo strinse con fermezza, ma senza farmi male. - Te lo prometto. Ti spiegherò ogni cosa. Non serbarmi rancore. Io ti ho sempre voluto bene, ricordalo.”

Anche se avevo ancora molti dubbi, sembrava sincero. Gli dissi di non preoccuparsi, ne avremmo parlato dopo.

Arrivati al parco, cercai una panchina e mi ci precipitai, lasciando gli altri indietro. Ripresi fiato, mentre i miei amici mi raggiungevano. Mark stava per sedersi vicino a me, così saettai verso Erik. A quel punto Daniel occupò l'altro posto al mio fianco.

Erik attaccò con l'argomento calcio, e, visto che non mi interessava particolarmente, decisi di rilassarmi e pensare ai fatti miei, anche se ogni tanto Mark mi chiamava in causa per commentare qualche partita che avevo visto anche io. Daniel partecipava attivamente al discorso, ma talvolta mi lanciava delle occhiate di sbieco.

“Da quando ti interessi di calcio?”mi chiese Daniel, beffardo.

“Da quando Mark mi ha obbligata a guardare delle partite a casa sua” risposi sorridendo.

“Non sembravi “obbligata” mentre urlavi insulti contro la squadra avversaria.” scherzò Mark.

“Passioni momentanee. - ribattei. - Le società si scambiano calciatori in continuazione. È inutile seguire la stessa squadra per più tempo. Avrà formazioni sempre diverse. Piuttosto, seguire un calciatore è più utile, se ti piace lo stile con cui gioca...”

E non solo quello. pensai. Certi calciatori erano davvero belli.

“Quindi voi due vi divertite a guardare partite da soli?” chiese ancora Daniel.

“No, non da soli – Non lo permetterei mai. - Con mio cugino ed Erik.”

“Non guardiamo mai partite da soli. Dice che è più divertente tutti in gruppo. Io sono d'accordo, ma qualche volta mi piacerebbe, non so, provare a fare qualcosa con lei.” aggiunse Mark.

“Oh, ma davvero? Questo è strano! Io e lei usciamo spesso da soli, tanto che la gente ci chiede se siamo fidanzati!” esclamò Daniel.

Arrossii violentemente. Non doveva proprio dirlo.

“Su, dai, non esagerare...”

“Eh, dai, lo sai che è vero.”

“Sì, ma...”

Mark era spaesato. Stava perdendo il controllo della situazione. Da una parte ero contenta che Daniel lo stava allontanando al posto mio, ma dall'altra avrei preferito farlo io, certamente con più delicatezza di quella che stava usando il mio amico.

“Oh, scusate, io vado in bagno! Arrivo subito, ragazzi!”saltò su Mark. L'espressione sul suo volto faceva trapelare la sua tristezza interiore. Avrei voluto inseguirlo, ma si alzò troppo in fretta e corse via. Daniel lo guardò finchè non fu entrato nei servizi pubblici che stavano a qualche metro da noi.

“Sei stato un po' brusco.”gli feci notare.

“Scusa. È che il tuo amico ti sta col fiato sul collo.”

“Sì!” intervenne Erik, tutto eccitato, come una donna che ha letto un gossip succulento su una qualche rivista. “Credo che Mark abbia una cotta per Dakota! Non è divertente?”

No.

“Davvero, Dakota?”

“Penso proprio di sì”. Il volto di Daniel si rabbuiò e si avvicinò pericolosamente al mio, tanto che riuscivo a sentire il suo respiro accarezzarmi le labbra.

Il mio corpo fu paralizzato all'istante dalla tensione. Le sue spalle si sollevarono. Che cosa aveva intenzione di fare? Timidamente mi chiese:

“E lui ti piace?”

“No.”

Semplice. Chiaro. Liberatorio. Erik spalancò la bocca dallo stupore.

Le spalle di Daniel si rilassarono e lui indietreggiò fino ad appoggiarsi allo schienale della panchina.

“Ho qualcosa per te.”

Frugò nelle tasche dei pantaloni e ne estrasse un piccolo pacchetto rosso e me lo porse.

“Avrei dovuto dartelo tanto tempo fa. Spero che questo mi aiuti a farmi perdonare.”

Lo aprii. Conteneva una graziosa collana di metallo con un ciondolo a forma di cuore. Lo osservai attentamente.

“E' d'argento...il mio...”

“...metallo preferito, sì. L'ho presa apposta. Posso aiutarti a metterla?”

“Sì, grazie.”

Prese la collana e me la mise attorno al collo. Il tocco delle sue dita delicate fece scaturire un'ondata di calore in me. Erik, intanto, ci osservava come se fossimo una razza animale sconosciuta.

Lo guardai, grata e lui ricambiò lo sguardo, felice. Stemmo in silenzio per qualche minuto, poi, ad un certo punto, puntai gli occhi verso il bagno e vidi Mark uscire e avvicinarsi a noi.

“Scommetto che vi siete divertiti senza di me!” la buttò lì Mark, scherzando, ma la domanda tradiva una sua reale insicurezza.

“No, abbiamo solo ammirato il paesaggio.” risposi, prima che qualcun altro potesse aprir bocca.

In effetti gli alberi verdi e rigogliosi e la delicata erba avevano un effetto tranquillante su di me.

Lo scrosciare dell'acqua dal vicino laghetto artificiale e il canto delle cicale distraevano dall'intensa afa che incombeva quel giorno.

Daniel sembrava essere tornato quello di una volta, come se quei mesi di assoluto silenzio non fossero esistiti. Non riuscivo a capire a che gioco stesse giocando.

“Che ne dite, andiamo dalle altalene?” propose Mark e, senza attendere risposta, vi si diresse.

Sembra divertente. pensai e lo raggiunsi in un batter d'occhio, mentre gli altri due si trascinarono come bradipi verso di noi. Mi sedetti su una delle altalene, perchè l'altra era già occupata dal mio amico.

Iniziammo a dondolarsi e a sorridere come bambini. Era bello stare così, senza complicazioni in mezzo. Solo come amici.

Più andavamo avanti, più l'adrenalina prendeva il sopravvento.

“Erik, Daniel, spostatevi!” ordinai agli amici davanti a me, poi mi preparai. L'altalena stava per raggiungere il picco di altezza e...bum! Mollai le catene e saltai dal seggiolino. Qualche istante in volo, urlando di gioia, mentre guardavo le facce scioccate dei miei amici, ed atterrai in piedi sul prato, piegando leggermente le gambe per il peso del mio corpo.

Daniel batté le mani, impressionato, poi disse:

“Brava, davvero. Ma ora è il mio turno! Mi spingi, vero?”

“Ok.”

Daniel si sedette e attese che io mi posizionassi dietro di lui, poi si voltò e mi sorrise.

Un'improvvisa vampata di calore accompagnò l'accelerare del mio battito.

Che bel sorriso.

Turbata da quel pensiero, scossi la testa e iniziai a spingerlo, ma c'era qualcosa che non andava: le mie braccia erano diventate debolissime e tremavano, mentre l'immagine della persona davanti a me rimbombava nella testa.

“No. Questo è sbagliato. Devo smetterla. Che mi prende?”

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Capitolo 3
*** Turbamenti ***


Oddio, ho appena pensato che Daniel...no, non di nuovo...
“Ehi, spingi anche me?” chiese Mark, risvegliandomi dai miei pensieri.
Non voglio. Ho paura che si faccia idee sbagliate. pensai, ma risposi “Certo!”
“Ma no, poverina! Rischia pure di sbattere contro un'altalena , oltre che a fare una fatica immensa! Ti spingo io.” si propose Erik, mettendosi in posizione.
Gli sussurrai un “grazie” e lui sorrise.
Ci divertimmo per un po' a scherzare sulle altalene, ma notai con disappunto che a Daniel Mark non andava proprio giù. Non che gli rispondesse male, ma sembrava quasi annoiato quando lo sentiva parlare.
Ma che gli ha fatto di male? Ora gliela faccio vedere!
Mi diressi verso il laghetto artificiale, mentre i ragazzi mi chiedevano cosa stessi facendo. Gli ignorai, anzi, immersi le mani nell'acqua, poi corsi verso Daniel e gli tirai gli schizzi in faccia. Ben gli stava.
“Ah, sì? Adesso te la faccio pagare!”
Erik e Mark seguirono Daniel, che stava correndo verso la sorgente e, tra le risate, iniziò una vera e propria battaglia d'acqua.
Spruzzi e getti d'acqua volavano qua e là, mentre le altre persone nel parco ci guardavano decisamente male.
Ad un tratto mi trovai circondata dai ragazzi, che mi gettavano sguardi poco rassicuranti. Avevano qualcosa in mente! Indietreggiai, cercando di intuire il loro piano. Purtroppo il loro piano era proprio che indietreggiassi: ad Erik bastò una lieve spinta per farmi cadere nel laghetto, comparso dal nulla alle mie spalle.
Lanciai un gridolino terrorizzato e caddi nell'acqua. Per fortuna il livello era abbastanza alto, così non battei da nessuna parte. Mi bagnai dalla testa ai piedi, anche se l'acqua era abbastanza calda e mi misi a sedere con la bocca spalancata, guardando sconvolta i miei amici.
“Questo è alto tradimento! Meritate la ghigliottina!” urlai, facendo la finta offesa. I tre risero.
Mark mi porse una mano e io l'afferrai, sorridendogli per ringraziarlo, ma incrociai le braccia subito dopo, mettendo il broncio.
“Tre contro uno è sleale!” mugugnai.
“Allora io mi alleo con te.” propose Mark. Lo guardai, determinata e gli risposi:
“Distruggiamoli.”
Io corsi verso Daniel e lui verso Erik e, insieme, iniziammo a spingerli verso la fontana. Per me il compito fu più difficile, perchè Daniel opponeva parecchia resistenza, mentre il mio alleato sollevò di peso il suo avversario e lo pucciò nella fontana come un biscotto. In effetti Erik aveva un fisico piuttosto scheletrico. Mark accorse in mio aiuto e riuscimmo nell'impresa di far finire Daniel nel laghetto.
“Ahahah! Ben fatto!” esclamai e battei il cinque a Mark che, però, trattenne la mia mano nella sua. Il suo sguardo si fece serio e così il mio. Ero completamente paralizzata, non sapevo cosa aspettarmi. Attesi una sua reazione.
Il pubblico composto dai miei due altri amici, intanto, assisteva ammutolito allo show.
“Puoi venire un attimo con me? Ti devo dire una cosa.”
Oh, cazzo. Ci siamo.
Crollai. Mi sentivo come se un fulmine mi fosse appena caduto in testa.
Era il momento decisivo, Mark aveva finalmente deciso di dichiararsi. Avrebbe potuto essere la fine della nostra amicizia.
No, perchè deve succedere? Io gli voglio bene, non voglio perderlo. Eppure devo rifiutarlo. Che casino.
Sempre tenendomi la mano, mi diresse qualche metro più in là, dietro ad alcuni alberi. Ero terrorizzata e pensavo a ciò che sarebbe successo di lì a poco. Mi sentivo morire. Perdere un amico così faceva davvero schifo.
Si fermò e mi guardò dritto negli occhi. Non avevo scampo. Non potevo nemmeno guardare altrove, perché sarei sembrata maleducata.
“Dimmi.”
“Ecco, oggi veramente volevo che ci fossimo solo noi due, ma Erik si è autoinvitato.”
“Oh, fa niente, tranquillo! Mi fa sempre piacere se c'è. È un mio amico dopo tutto..”
“Aspetta. - mi interruppe. - Volevo che ci fossimo solo noi per parlarti di questo. Ecco, da quando ti ho incontrata la mia vita e cambiata, sono molto più felice...mi fai ridere, sto bene quando sono con te, molto più di quando sto coi miei amici maschi.”
Oddio. Colpo al cuore.
“Beh, sono felice per questo!” risposi, anche se sapevo che il discorso non era affatto concluso. Mi strinsi alla maglietta ancora bagnata per la caduta nel laghetto, in cerca di riparo, mentre fissavo il prato per terra.
“Quindi mi chiedevo se ci fosse una possibilità che io potessi...ecco...diventare più che un amico per te.”
Stavolta mi parve che una valanga mi cadesse addosso, ma alla valanga ci sarei volentieri stata sotto, così da non poter rispondere alla domanda di Mark. Riuscii a malapena a tirare fuori le parole dalla bocca.
“Ahehm...io ti voglio bene. Per me sei un amico speciale e davvero fantastico, ma nulla di più...mi dispiace.” risposi con la morte nel cuore.
“Ah.” disse, chiaramente deluso. “Io...ho...scusa.”
“Non è colpa tua.”
“...torniamo dagli altri. Vorrei un po' di tempo per accettare la notizia e dimenticarti.”
“Se ciò succederà...se vorrai un'amica, mi troverai qui...se no, beh, ti capisco. Non è facile ricominciare.”
“Grazie.”
Ci incamminammo verso i nostri amici in un silenzio tombale.
Che cavolo, sono una deficiente.
Quell'ultima frase suonava proprio come una presa in giro. E così era finita...forse. Perchè si doveva perdere un amico senza nemmeno averci litigato...senza una ragione valida, solo perchè il destino aveva voluto che si innamorasse della persona sbagliata?
Non era affatto giusto.
Che tristezza.
Avrei voluto che quel momento non fosse mai arrivato e, invece, lo aveva fatto e gli esiti erano incerti. Come sarebbero cambiati i miei rapporti con Mark d'ora in poi?
Mentre tornavamo dai nostri amici, una muta domanda comparve sul loro volto. Contrassi le labbra e aggrottai le sopracciglia, scuotendo la testa. La situazione era davvero tesa.
“Ehi! Allora, è quasi ora di andare!” disse Erik per spezzare il silenzio che si era creato.
“Già, faremo meglio ad incamminarci. “ rispose Mark, pensieroso, fissando il vuoto. I miei amici si alzarono dalla panchina e ci dirigemmo verso il bar. Daniel si accostò a me, avvicinando la bocca al mio orecchio. Il suo fiato caldo mi carezzò in modo così piacevole che avrei voluto prolungare quell'istante.
“Allora?” sussurrò. Per qualche motivo a me sconosciuto, avvampai.
“Si è dichiarato.” gli risposi sottovoce, controllando che gli altri due davanti non udissero.
“E...?”
Sembrava davvero ansioso di conoscere la risposta.
“E l'ho rifiutato. Ho cercato di essere gentile, ma che ci posso fare?!?”
“Tu proprio niente. Ma, se posso chiederti, perchè lo hai respinto?”
“Era abbastanza...ok...era molto appiccicoso. E non mi piaceva fisicamente.”
“Mmh. - Daniel annuì. - Capisco. Rifiuti tutti i tuoi amici così, eh?” scherzò.
“No...dipende! Non è detto che io rifiuti tutti quelli che mi si pongono davanti!...manco fossero una sfilza...” risposi più a me stessa che al mio interlocutore.
“Ah, no? Ma davvero non hai un ragazzo?” chiese, stupito.
“No.”
Immagini di due bocche che si avvicinavano lentamente l'una all'altra, morbose. Un flashback che mi sconvolse. Mi mancò per un attimo il respiro. Spalancai gli occhi e tentai di riprendermi. Daniel non sembrava essersi accorto di nulla. Quanto tempo era passato da quell'evento?
“Ti piace qualcuno? Ah, ci sono, ti piace Erik! Ora si spiega tutto!”
“Shht! Idiota! Abbassa la voce! No, comunque. È solo un amico...il mio migliore amico.” risposi acidamente. Avevo colto nel segno: Daniel sembrava essersi rattristito tutto d'un colpo.
Così impari ad abbandonarmi in malo modo.
Le case riprendevano il dominio sull'orizzonte e il bar si faceva sempre più vicino. Erik e Mark stavano parlando tra loro e, ogni tanto, mi lanciavano delle occhiate. Evidentemente io ero il loro argomento di discussione.
“Mi dispiace.”
Rapido e carico di tristezza uscì dalle labbra di Daniel. Non capendo bene a cosa si riferisse gli chiesi:
“Per cosa?”
“Per non esserci stato. Probabilmente è stato il più grosso errore che abbia mai commesso.”
Più che lo stupore, mi sorprese il colpo di calore che bruciava rovente dentro di me in quel momento. Una sensazione alla gola terribilmente famigliare mi attanagliò: di solito la provavo quando mi piaceva qualcuno. Allarmata mi schiaffeggiai mentalmente.
Che idiozie.
Repressi i miei sentimenti fino a tornare ad un dignitoso contegno, poi riuscii a replicare:
“Ne parliamo dopo, ok? Non bastano le parole: devo sapere perché lo hai fatto. Puoi chiedermi scusa finché vuoi, ma io devo sapere la verità. Dopo, quando loro se ne vanno, non pensare di potermi sfuggire...ancora.”
Il tono duro e severo che usai era necessario per non uscire ferita da quella storia.
“D’accordo…allora, ti piace qualche tuo amico?”
“Per piacere, non ho voglia di parlarne ora.”
Era già abbastanza snervante quella situazione con Mark, non volevo che Daniel mi stressasse.
Presi a giocare con la collana che mi aveva regalato. La luce pura dell’argento mi ricordava la bellezza della luna piena. Mi passai il ciondolo di dito in dito, incantata da tanta meraviglia. Il sole colpiva il metallo, facendolo risplendere. Un valore che, per me, era maggiore di quello dell’oro. La stella che ci bea della sua luce, intanto, aveva fatto asciugare sufficientemente sia i miei capelli che i miei vestiti.
Due auto, una grigia e una bianca, stavano in mezzo alla strada.
In lontananza la signora Lucas ci chiamava. Sollevai la testa e mi sforzai di capire le sue parole:
“Ragazzi, sono arrivati i vostri genitori! Mi hanno chiesto dove foste!”
Si riferiva ai genitori di Mark ed Erik.
I due si precipitarono loro incontro e li salutarono, mentre stavano sulle macchine, accaldati, poi si voltarono verso me e Daniel, che li avevamo ormai raggiunti.
“Allora alla prossima!” esclamò Erik entusiasta, poi mi saltò praticamente addosso, abbracciandomi, e sussurrò:
“Ti scrivo poi. Ti faccio sapere cosa mi dice Mark.”
Lo guardai in faccia e annuì. Erik era l’amico migliore che si potesse desiderare, sempre al mio fianco, sempre pronto ad aiutarmi ed io ad aiutare lui. Un rapporto fraterno mi univa a lui, era il mio angelo custode e ci tiravamo su a vicenda nei momenti di difficoltà. Non fosse nato in una famiglia diversa, avrei detto che io e lui eravamo gemelli, perché un così sincero affetto ci univa che perfino mia mamma lo definiva come “il suo figlio adottivo”. Sempre insieme.
Lo lasciai andare, mentre Mark mi rivolgeva semplicemente un cenno della mano.
Lo salutai, triste: forse quella sarebbe stata l’ultima volta che lo avrei visto. Si voltò senza una parola.
I due montarono sulle rispettive auto e un sorriso dolce e amaro si fece largo sul mio volto.
Sfrecciarono via, veloci come il tempo, mentre Sandra ritornava alla cassa del bar.
Daniel si girò e mi fissò. Ricambiai, spaesata, poi, all’improvviso, mi accorsi di una cosa: eravamo soli.

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Capitolo 4
*** Finalmente soli ***


Daniel mi fissò.

“Vieni, entriamo. Sediamoci al tavolo di prima.”

Ci introducemmo nel locale. Il suo sguardo saettava irrequieto da un angolo all'altro del locale finchè giungemmo alla destinazione. Ci sedemmo. Da parte mia ero molto nervosa. Quella giornata era stata fin troppo carica di sorprese, non sapevo se sarei stata pronta per un altro colpo.

“Come ti senti?”

Tremai.

“Ho paura.”

“Per Mark?” chiese in un fiato.

“Sì...anche. Potrei averlo perso come amico.”

“Mi spiace. Beh puoi sempre chiedere alla signora Brown di trovargli una ragazza.”

“Tsk. Potrebbe trovargliela davvero.”

“E' una donna molto simpatica...eccetto quando fa la ficcanaso!” scherzò. L'atmosfera si era un po' alleggerita.

Sorrisi, ammettendo che avesse ragione. Quello era il Daniel che conoscevo. Finalmente avevamo spezzato la tensione.

“Già. A volte quando cammino per strada mi guarda da dietro le tendine del suo alloggio. È inquietante!”

“Davvero? Io chiamerei la polizia!...Ah, vuoi un gelato? Te lo offro. Dai, lo prendo anche io!”

“Grazie, sei gentile. Potrei averlo alla fragola?”

“Sicuro. Arriva subito!” rispose e volò verso il bancone dei gelati.

Sembra tutto ok...ma allora perchè non mi ha più considerata per tutto questo tempo? Devo scoprirlo.

“Eccomi. A te.” disse, comparendo improvvisamente e porgendomi un succulento cornetto rosa. Ci sedemmo al tavolo, lui con un cornetto verde oliva. Presi coraggio:

“Non ti sei più fatto vivo!”

“Neanche tu.” mi fece notare, mentre il suo sorriso si trasformava in un'espressione seria.

“L'ho fatto perchè tu non mi hai più parlato dopo...quello che è successo!”

Ecco, la questione era proprio quella, fin dall'inizio.

“Hai ragione, ma non è stato un bel periodo per me. Ma il passato è passato, no?” sorrise speranzoso.

“No. Non lo è. Ti ho scritto molte volte, hai risposto in modo vago. Non volevi più vedermi! Almeno di' le cose come stanno, visto che, se non fosse stato per oggi, non ti avrei più rivisto!”

La discussione era aperta.

“Non è vero! Io volevo chiederti scusa...solo non oggi. Pensavo che sarebbe stato tutto a posto, ti avrei chiesto scusa, poi sei arrivata oggi e...”

Lo interruppi, furiosa, alzandomi in piedi. Mi stava chiaramente prendendo in giro.

“E qui arriva il problema, vero? Tu non vuoi chiedermi scusa! Altrimenti lo avresti fatto prima! Oppure è più facile fare il vile e dirmelo quando non posso più guardarti in faccia?”

“Non dire così, ti prego...” replicò debolmente, cercando di afferrarmi le mani, che stavo agitando in aria, ma non glielo permisi. “Lascia che ti spieghi!”

Riuscì ad afferrarmi le spalle e mi spinse delicatamente giù per farmi sedere sulla poltrona, poi si mise accanto a me, cercando le parole giuste.

“Ecco, io mi trasferirò a Londra. Parto domani.”

Il mio battito subì un brusco arresto.

“No.” fu tutto quello che riuscii a dire prima che una lacrima rigasse il mio volto.

“Andrò lì a scuola...mi dispiace di averti fatta soffrire, era l'ultima cosa che avrei voluto per te, ma non avevo scelta. Ecco perchè non ti ho più parlato. Sarei stato male a vederti ancora.”

“Sei...sei un idiota. - risposi singhiozzando. - Perchè non me lo hai spiegato con calma? Perchè mi hai lasciata fuori? Eri il mio migliore amico! Avremmo potuto superarlo insieme, come sempre...e comunque avevo capito che qualcosa non andava.”

“Davvero?”

“Sì, non sono scema. I tuoi comportamenti, anche oggi, hanno sempre contraddetto le tue parole. Avevo il sospetto che ci fosse qualcosa sotto. Se no perchè- presi fiato, era la prima volta che affrontavo l'argomento. - perchè avresti tentato di baciarmi, per poi fermarti, dirmi che non volevi rovinare la nostra amicizia e, poi, sparire? Dimmi che non me lo sono sognata.”

Che stupida.

Lui si avvicinò sempre di più a me, uno sguardo disperato che mi implorava.

“Pensavo di non piacerti. Inoltre, visto che mi trasferisco a Londra volevo dimenticarti. Mi dispiace.”

Abbassò lo sguardo.

“Hai fatto tutto da solo.” replicai acida, ma poi, vedendolo star male in quel modo, lo abbracciai.

“Mi sei mancato.”

“Anche tu.” rispose, poi si tirò un po' indietro, guardandomi, si avvicinò al mio volto e appoggiò le sue labbra sulla mia guancia, con delicatezza. Dolce come il miele.

Tornò in sé e mi chiese scusa. Sembrava in attesa di qualcosa.

“No, va...va bene.” balbettai.

Ciò che avevo provato a nascondere in quei due mesi stava prepotentemente riemergendo. Quel giorno in cui aveva tentato di baciarmi mentre eravamo soli era stata la distruzione di ogni mio sogno, non perchè non lo volessi, ma perchè non lo aveva fatto e aveva chiuso la questione pentendosi di quel suo slancio di coraggio.

“Non voglio perderti, ma il tuo arrivo oggi mi ha fatto capire che non riuscirò a dimenticarti così facilmente. Perchè sì, tu mi piaci ancora.”

Fiamme degne di un lanciafiamme si agitavano nel mio corpo, bruciando ogni fibra del mio corpo. Non riuscivo ad aprir bocca, ero troppo sconvolta, ma dovevo dire qualcosa, lui si aspettava una risposta. Presi fiato e riuscii a partorire qualche parola:

“Allora non farlo. Non dimenticarmi.”

Daniel sembrò soppesare attentamente le mie parole, poi si avvicinò lento al mio volto.

Il mio battito era troppo veloce, temevo che il mio cuore non reggesse. Lui sollevò il braccio e fece scivolare lentamente le dita della sua mano sulla mia guancia. Il tocco di Mark non era nulla in confronto al suo. Mi diede i brividi.

I suoi occhi non avevano smesso di fissarmi un solo istante. Sembravano cercare una risposta nei miei.

Che caldo. È così ipnotico.

La mente era vuota, mentre il cuore scalpitava. La tensione era bella e insopportabile.

Dopo quello che mi parve un'eternità, si tese piano in avanti, fino ad appoggiarsi alla mia fronte, toccando la punta del mio naso col suo.

Stava sondando il terreno, prudente.

Lo volevo, lo volevo così intensamente da pensare che il mio corpo fosse lì lì per esplodere. Ormai quei centimetri di distanza erano diventati insostenibili.

Daniel colse la mia richiesta di aiuto, azzerando lo spazio tra di noi, e posò le sue labbra sulle mie.

Sto andando a fuoco? pensai.

Ricambiai il bacio e ci stringemmo sempre di più, mentre il mondo circostante scompariva.

Le sue braccia si strinsero alla mia vita e le mie gli cinsero il collo.

Bruciavo, bruciavo viva così intensamente che i fumi del mio incendio interiore mi davano alla testa.

Si staccò tutt'a un tratto, lasciandomi senza fiato.

Gli sorrisi per rassicurarlo.

Mi sfiorò la mano con la sua ed io gliela strinsi.

Io ci sono, non importano gli ostacoli.

“E' tempo di andare, tra un po' chiudiamo per andare a cena.” disse, poi mi prese la testa e mi diede un tenero bacio sulla fronte e ci alzammo.

Aperta la porta della saletta privata, vidi la signora Lucas tirare giù le tapparelle e invitarci ad uscire dal locale, che provvedé a chiudere. Salutammo lo staff, compresa la gentile cameriera che mi aveva servito quel pomeriggio, e ci dirigemmo verso l'auto di famiglia.

Mi voltai verso Daniel, il cui volto era contratto.

“Ehi, tutto bene?” chiesi preoccupata.

“Te lo dico quando siamo a casa.” rispose scuro in volto. Cercai di consolarlo:

“Va tutto bene. Ci sono io qui. Non ti lascio solo.”

Mi fece un mezzo sorriso e sembrò un po' più sereno.

Bene, ha funzionato.

Mi aprì la portiera, mi accomodai sorridendogli, mentre lui prendeva posto vicino a me e Sandra si posizionava al volante.

Il viaggio in macchina fu lungo e pieno di domande imbarazzanti della mamma di Daniel, ma il mio sguardo andava sempre a lui e allo stesso modo il suo per me. Arrivammo davanti al loro appartamento, sistemato in un grigio condominio di periferia.

Parcheggiata l'auto, entrammo nell'edificio e arrivammo infine a casa.

Il signor Lucas, alto uomo baffuto dallo sguardo placido e mansueto, era in cucina e aveva già preparato parte della cena. Mi accolse con un caloroso abbraccio, chiedendomi notizie su me e sulla mia famiglia.

Sembrano passati secoli.

“Posso dare una mano?” chiesi.

“No, ci pensiamo noi. Dopotutto è molto che non vi vedete! Andate pure, vi chiamiamo noi quando è pronto.” rispose Sandra, tutta contenta, spingendoci a forza fuori dalla stanza.

Daniel mi prese la sua mano e ci dirigemmo in camera sua. Era bello sapere di appartenere a qualcuno.

Quante volte ero stata in quella stanza dalle pareti azzurre! Eppure ora tutto aveva un sapore diverso. Chiuse la porta dietro di noi e la mia mente fu invasa da mille pensieri.

Era mio e io ero sua, nonostante i miei passati tentativi di soffocare l'amore che provavo per lui, per paura di non essere ricambiata.

Ma era il passato. Me ne stavo seduta sul suo letto, avvolta dal suo confortevole abbraccio.

“Volevi dirmi qualcosa prima?”

“Sì. Io parto stanotte, ma...come faccio senza te?”

“Dai, Londra non è tanto lontana. Almeno siamo ancora nello stesso Stato. Possiamo scriverci e vederci con la webcam. Spenderò tutta la mia paghetta per i biglietti aerei, lo giuro.”

Sorrise all'idea.

“Io farò lo stesso. Non ti farò più scappare.”

Iniziò a baciarmi ancora e ancora.

Quei piccoli e fragili frammenti di vita, insignificanti per il resto del mondo, per me erano tutto.

La sua bocca, benzina che accendeva la mia passione.

I suoi occhi, pieni di un amore che aveva miracolosamente deciso di donare a me.

Le sue braccia, un castello in cui rifugiarsi e sentirsi al sicuro.

Ero ufficialmente ossessionata da lui.

Tuttavia il sogno non era destinato a durare. Infatti udii un rumore ripetuto.

Cosa succede?

Passi, passi di qualcuno che osava interrompere il nostro abbraccio, vento che minacciava di spegnere la nostra fiamma.

Chi minacciava la nostra felicità?

Daniel si allontanò rapidamente da me, rimettendosi in sesto. Si sedette su una sedia poco lontano da me, mormorandomi uno ''scusa''. Avrebbe voluto rimanermi accanto.

“Toc toc!” esclamò Sandra, mentre entrava nella stanza, aprendo la porta.

A malincuore Daniel ricevette in camera sua la madre, che annunciava la cena.

Tempo di mangiare, a dopo le questioni importanti.

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Capitolo 5
*** Fine? ***


Andammo in cucina di malumore, in silenzio.

Ci sedemmo al tavolo, la tavola già imbandita.

“Bene, cara! Sai che Daniel parte domattina presto?” mi chiese Sandra, mentre afferrava il contenitore dell’insalata.

“Sì, me lo ha detto.”

Il solo pensiero fu come una coltellata al petto. La giornata era stata confusa; l’unica certezza era stata lui e ora se ne stava per andare.

Mi morsi le labbra per trattenere le lacrime che stavano salendo.

Avrei voluto spegnere il cervello, cercare di consolare me stessa e Daniel, ma non ci riuscivo.

Devo essere felice. Sono gli ultimi attimi che passo con lui. Devo essere forte cosicché anche lui lo possa essere.

Con la forza della disperazione mi sforzai di partecipare attivamente alla cena. Sandra ci diede del pudding, preoccupandosi se fosse buono o no.

Era delizioso – magra consolazione -, le feci i complimenti.

“Oh, merito del mio caro George, vero?” disse con orgoglio, guardando con affetto il marito. Le guance del signor Lucas arrossirono lievemente. La cosa riuscii ad intenerirmi ed a rallegrarmi un po’. Questo fece sorridere Daniel. Chissà se anche io e lui saremmo riusciti mai ad arrivare fino a quel punto.

Sembra che lui stia un po’ meglio, menomale.

“Dakota, ti auguro di trovare un marito fantastico come il mio.” Disse e guardò me e Daniel. stavolta fu il nostro turno di arrossire.

“Devi sapere che la scuola di Daniel è molto prestigiosa. Ha fatto un’ottima scelta. Sono molto soddisfatta di lui.” aggiunse.

Del resto Daniel era sempre stato bravo a scuola ed aveva una vena creativa che non si poteva ignorare. La cosa non mi stupiva affatto, poiché la sua era una famiglia benestante, quindi avrebbe seguito qualsiasi sua scelta.

Non mi intrometterò. Non cercherò di fargli cambiare idea. semplicemente lo aspetterò qui, se lui lo vorrà.

Da sotto il tavolo lui mi strinse la mano. Annuii e risposi:

“Sono contenta della strada che ha deciso di intraprendere. Non potrei immaginare qualcosa di meglio

“Sì. Brava, hai detto bene. - il signor Lucas si era inserito nel discorso. - A proposito, se Sandra e Daniel sono d'accordo, ti piacerebbe fermarti a dormire qui?”

Moglie e figlio annuirono.

“Con piacere! Chiamo i miei per chiedere loro il permesso. Scusate!” risposi ed abbandonai la tavola per dirigermi nel bagno.

Fissai per un po' le pareti rosa della stanza, digitai il numero di casa ed attesi una risposta, che mi venne data da mia mamma. Mi accordò, un po' titubante, il permesso. La ringraziai e chiusi la chiamata, poi tornai rapidamente in cucina.

“Sì. Posso fermarmi!” dissi più a Daniel che ai suoi genitori.

“Bene! Ti presto un pigiama! Oh, che bello che stai qui stanotte, non è vero Daniel?”

“Sì.” rispose lui, sorridendomi, bellissimo.

La signora Lucas batté le mani soddisfatta e corse in camera sua a prendermi un pigiama. Me lo consegnò aggiungendo:

“Ecco qua! Ora, Daniel, mostrale la camera degli ospiti!...Vi lascio soli; se vi serve qualcosa siamo in camera!”

Se ne andò saltellando in modo bizzarro.

Daniel mi prese la mano e mi condusse attraverso il corridoio dalle gialle pareti, fino in fondo, dove stava una porta in legno che conduceva alla camera degli ospiti. Quest'ultima era una deliziosa stanza a pareti lilla, con mobili bianchi, un letto matrimoniale ed uno singolo. Mi ci sedetti sopra, sospirando stanca.

Lui mi guardava, sembrava volermi porre una domanda.

“Che c'è?”gli chiesi.

“Io...so di chiedere tanto, ma...vorrei che tu mi aspettassi...”

“Spiegati meglio.”

“Vorrei che io e te avessimo una relazione a distanza.”

“Ah...certo, sì, mi sembra ovvio. È la cosa più logica da fare.”

“Già. Prometto che cercherò di venirti a trovare quanto più possibile.”

Al solo pensiero del futuro difficile che ci aspettava mi salirono le lacrime. Vedendole, Daniel fu preso dall'emozione e mi abbracciò, carezzandomi la testa.

“Non ti lascio.- mi rassicurò. - Guardami. Ce la possiamo fare. In molti sono nella nostra stessa situazione. Ci sentiremo quanto più possibile per cellulare e webcam. Verrò qui per le vacanze invernali ed estive. Ti starò così attaccato che non vedrai l'ora che io me ne vada.”

Sorrisi.

“La vedo dura. È alquanto impossibile che io mi stufi di te.”

Mi afferrò il volto con le mani e posò le sue labbra sulle mie, poi si fermò ad osservarmi. Cercavo di essere forte, cercavo di non piangere, di non disperarmi e mandare tutto all'aria.

“E' ora. Devo andare a dormire perchè domani mi sveglio presto. Non provare a svegliarti. Ci salutiamo ora.”

Lo guardai, straniata. Evidentemente non voleva prolungare la tortura, lo capivo bene.

Mi baciò intensamente la fronte e mi diede la buonanotte. Se ne andò senza guardarmi in volto. Non lo condannai. Sinceramente anche io mi sarei comportata in quel modo.

Mi misi il pigiama e chiusi in fretta la porta. Non riuscivo più a trattenermi: iniziai a singhiozzare senza sosta e presto mi trovai inginocchiata per terra col volto rigato di lacrime. Il dolore mi stava letteralmente spezzando in due. Mi sentivo senza fiato.

Perchè a me?

Lo avevo avuto per così tanto tempo senza sapere nulla, poi era sparito ed in un solo giorno mi aveva stravolto la vita.

Se solo avessi saputo prima...saremmo stati più tempo insieme. Sarebbe stato più facile, sarei stata più pronta.

Invece non ero affatto pronta. Avrei preferito ricevere una trave in pieno stomaco piuttosto che provare un sentimento così intenso e distruttivo.

È scontato dire che rimasi in quello stato per una buona mezz'ora, cercando di non farmi sentire da nessuno. Doveva essere un duro colpo anche per Sandra e George, sempre abituati ad avere intorno il loro unico figlio. Decisi che li sarei andata a trovare sovente, come mia piccola consolazione.

Mi trascinai verso il letto e mi misi sotto le coperte, inzuppando il cuscino di lacrime. Mi addormentai, esausta per il piangere, e il mio sonno fu tormentato da incubi e pensieri nefasti.

Mi risvegliai di colpo tutta sudata. Sandra era lì a vegliare su di me.

“Se n'è andato.” mi annunciò, con lo sguardo perso nel vuoto. Sembrava che tutta la gioia del giorno prima fosse stata assorbita da qualche oscura malattia.

Era l'inizio di un cammino tutto in salita, che non mi avrebbe risparmiato fatiche e sofferenze.

“Starà bene. È in gamba.” le dissi, accennando ad un sorriso.

“Sì. Voi due...state insieme?”

Una domanda del tutto inaspettata, soprattutto se posta alle nove del mattino.

“Esatto.”

La donna parve riaversi.

“Beh, allora se la caverà di sicuro. Sei quella che lo capisce meglio. Non so se dovrei dirtelo, ma ho sempre tifato per voi due!” esclamò, mentre rideva di gusto. Forse quei mesi di attesa non sarebbero stati poi così terribili se fossi rimasta accanto alla famiglia di Daniel.

“...come coppia?” chiesi, incredula.

“Sì! Ah ah beh, ora sono molto più tranquilla. Ah, ti ha lasciato un biglietto. È in cucina.”

Mi ci precipitai subito. Sul tavolo c'era un foglietto di carta. Lo presi con le mani tremanti e lessi. Una semplice parola, il più dolce degli ordini: ASPETTAMI.

*

Sei anni dopo

“Oh, guarda un po'! Sei viva! Dopo tutte queste settimane in cui sei sparita temevo ti avessero rapita!”

Erik era rimasto l'idiota di sempre. Il mio tenero idiota.

“Lascia stare! Sono sommersa di ordini in pasticceria! Dovevo finire tutte quelle torte di compleanno che mi hanno prenotato!”

“Immagino. Ah ho sentito Mark l'altro giorno!”

“Uhm, come sta?”

“Bene, sua moglie aspetta un figlio!”

“Davvero? Oh, che bello! Fagli le congratulazioni da parte mia!”

“Sicuro! E tu? Daniel?”

Il mio cuore accelerò il battito. Non potevo nascondere il segreto al mio migliore amico!

“Ecco...uhf! Diciamo che...ti piacerebbe essere il nostro testimone di nozze?”

Erik mi guardò scioccato.

“FERMAFERMAFERMA. COSA? VI SPOSATE? QUANDO? DOVE? CERTO CHE TI FACCIO DA TESTIMONE, CHE DOMANDE!”

Gli posai malamente la mano sulla bocca.

“Sst! Stai urlando! Sì, ci sposiamo a maggio ed avremo il migliore testimone di nozze” gli risposi sorridendo.

“WAAAA! VIENI QUA!” urlò e mi abbracciò teneramente.

Tutto è bene quel che finisce bene.

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