Divorzio da te

di serelily
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo


***

 
Greg si passò il braccio sulla fronte madida di sudore, cercando di calmare il respiro. Di certo non era abbastanza allenato per quello.
Alzare e abbassare scatoloni carichi non era certo un lavoro per un professore.
«Stiamo battendo la fiacca?»
La voce di Alex lo raggiunse gioiosa, mentre il ragazzo entrava nella stanza trasportando uno scatolone pieno di libri come se niente fosse.
Gregory sorrise guardandolo, per poi riprendere il suo e seguirlo nel salotto della loro nuova casa.
Erano arrivati in Inghilterra solo da pochi giorni, ma la casa era già lì ad aspettarli. A quanto Gregory sapeva, faceva parte dell’eredità che Alex aveva ricevuto da una vecchia parente. Era rimasto sorpreso nello scoprire che il suo compagno possedesse un appartamento a Londra, ma non si era minimamente lamentato della cosa.
Il pensiero di non dover comprare una casa o pagare l’affitto era consolante.
In America vivevano in una cittadina di provincia, per cui non c’erano mai stati problemi di soldi, ma Alex non poteva sviluppare tutto il suo potenziale da fotografo, lì.
Così, Gregory aveva finalmente accettato l’offerta di lavoro di un college proprio a Londra, e aveva detto al suo ragazzo che poteva tornare in Inghilterra.
A Gregory non sarebbe mancata molto l’America; certo, era nato lì, ma non aveva nessuno ormai, mentre la famiglia di Alex era tutta a Londra.
L’appartamento era grande e spazioso. Gregory si era aspettato carta da parati ovunque, vecchi mobili pieni di servizi da tè e quadri della regina sparsi ovunque, invece era stato arredato con mobilia moderna, con uno stile minimal che rendeva tutto molto elegante. Niente tazze da tè, visto che Alex aveva imparato a bere solo caffè, in America. L’unica cosa colorata dell’appartamento era l’enorme libreria in salotto.
Alex l’aveva fatta installare prima che arrivassero, sapendo quanto Greg amasse i libri e quanto sentisse il bisogno di vederli, disposti con cura e in fila.
L’appartamento, da semplice scatola vuota, stava pian piano diventando qualcosa di loro.
Per quel giorno, smisero di trasportare dovunque scatole e si spostarono nella piccola cucina per mangiare qualcosa.
«Ho ordinato cinese» disse Alex con un sorrisetto, «per sentirci più a casa».
«Sei un idiota!» lo apostrofò Greg con un sorriso, ma era contento.
In America mangiavano cinese tre o quattro volte a settimana, e visti tutti i cambiamenti che stavano avvenendo nella loro vita, fu grato del fatto che Alex cercasse di farlo ambientare il più possibile.
«Non vedo l’ora di conoscere la tua famiglia» disse mentre addentava un raviolo con gusto, «ora non hai più la scusa della distanza per evitare questo passo».
«Mai pensata una cosa del genere» fece Alex con la bocca piena, «non vedo l’ora di farti conoscere mia madre, vi adorerete. Anche lei ama leggere».
Gregory sorrise deliziato, tranquillizzando il suo animo. Quando vivevano in America, per molto tempo aveva davvero temuto che la distanza fosse solo una scusa per no fargli conoscere la sua famiglia.
Aveva avuto il sospetto che il suo compagno nascondesse una sorta di segreto, qualcosa che non gli aveva detto e che riguardava la sua vita prima di andarsene dall’Inghilterra.
Eppure, davanti all’entusiasmo che stava mostrando nel fargli conoscere i propri famigliare, dovette ammettere di essersi sbagliato su tutta la linea.
Quando finirono di mangiare, pulirono insieme la cucina, canticchiando allegramente e finendo per schizzarsi l’acqua a vicenda, prima di lavare i piatti sul serio.
Forse era un cliché, ma fare l’amore per inaugurare la nuova casa sembrò una buona idea a tutti e due, tanto che subito dopo cena si concessero una lunga doccia rilassante insieme, per poi finire a letto senza aver nemmeno asciugato i capelli.
Fu solo a tarda notte, quando Gregory era caduto in un sonno profondo, che Alex si accorse di non riuscire ad addormentarsi.
Si alzò, attento a non fare rumore, camminando a piedi nudi verso il salotto. Si sedette il divano bianco e prese tra le mani il suo cellulare, lasciato sul tavolino la sera prima.
Aprì la rubrica e cominciò a scorrere i numeri, fino ad arrivare a quello che cercava.
Reginald.
Forse avrebbe dovuto chiamarlo, visto che era a Londra. In fondo non lo sentiva da cinque anni e avevano ancora un conto in sospeso.
Quando però sentì il dolce russare di Gregory, cambiò idea. Non c’era nessun motivo per chiamare Reginald, non ancora.
Se poteva evitare di parlare con lui, l’avrebbe fatto.
Il giorno dopo, però, avrebbe dovuto avvertire la sua famiglia di non farne parola con Gregory, che era ancora all’oscuro di tutto. Doveva trovare il momento giusto per dirglielo, prima che la cosa venisse fuori da sola.
Reginald faceva parte di un passato lontano e non aveva senso riportarlo nella sua vita, non senza un valido motivo.
Tornò a letto, lasciando il telefono lì dove l’aveva trovato.
 
Gregory si preparò la borsa con i libri e gli appunti delle lezioni. Quello era già il suo terzo giorno e il lavoro al Clarence College lo entusiasmava molto. Era un posto di alto livello, con studenti molto educati e ligi. Difficilmente si trovavano casi di ragazzi difficili, e tutti, usciti da lì, puntavano ad università di alto livello.
Qualcuno avrebbe detto che gli piaceva la vita facile, e Gregory non avrebbe avuto problemi ad ammettere che era così.
Perché complicarsela? Aveva un ottimo lavoro, un compagno bello e intelligente, che stava per diventare uno dei migliori fotografi di Londra.
Mancava solo una cosa per finire il quadretto famigliare creatosi nella sua testa.
Così, una volta uscito dal lavoro, si diresse alla gioielleria che aveva visto nel tragitto da casa e si decise a fare quello che progettava segretamente da settimane. Da quando aveva deciso di accettare il lavoro in Inghilterra per permettere al suo compagno di stare più vicino alla famiglia.
Entrò per comprare due anelli.

 

***


Hello, sweeties :D Dopo qualche mese di blocco mentale, rieccomi finalmente con una long. So che avevo promesso storie diverse, ma a forza di programmarle mi hanno stancato ancora prima che iniziassi a pubblicarle. Non le ho certo abbandonate, ma ho sentito il bisogno di scrivere di nuovo di getto e seguendo l'ispirazione. Così nasce Divorzio da te. Vi dico già che saranno mesi pesantissimi, per cui i tempi saranno un po' lunghi anche se sono davvero tanto ispirata.
Un bacione, e spero vi piaccia :D
Sere <3 <3

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Grazie mille a SNeptune84 per il betaggio <3 <3 

Lo avevo promesso, no? Se l'esame andava bene avrei scritto un capitolo. Ed eccomi qui :D Purtroppo sono indietrissimo con le recensioni, sia quelle che devo fare io sia per quelle a cui devo rispondere. Purtroppo fino a luglio sarò impegnatissima e la sera sono troppo stanca per entrare su efp!
Prometto però che se riesco almeno continuo ad aggiornare la storia, visto che con questo capitolo si comincia ad avere il quadro un po' più chiaro della situazione. Dal prossimo, faremo già qualche nuova conoscenza.
Intanto vi lascio con Alex, Gregory e....
Un bacio a tutti voi.
Capitolo 1
 

 
Conoscere la famiglia di Alex era stato il passo successivo. Non poteva chiedergli di sposarlo senza nemmeno aver conosciuto i suoi.
Greg teneva nascoste le piccole fedi nella giacca, il giorno che finalmente si erano decisi ad andare in campagna per conoscere tutti i Wilson al completo.
Non sapeva ancora come glielo avrebbe chiesto, ma entro sera invece che il compagno di Alex Wilson, sarebbe diventato il suo fidanzato.
Gregory sorrideva dentro di sé, soddisfatto per la situazione. Alex, ignaro di tutto, continuava a guidare tranquillamente senza prestare troppo caso all’altro.
Erano entrambi certi che sarebbe stata una giornata perfetta.
Arrivati al cottage, immerso nella campagna verde, la prima cosa che videro fu Red, il cane da caccia del padre di Alex.
Il ragazzo sorrise a quella vista, non pensando di trovare il cucciolone ancora in vita. Era già vecchio e stanco l’ultima volta che l’aveva visto, e ora era doppiamente contento di trovarlo lì.
Il cane alzò a stento la testa quando vide la macchina parcheggiare a pochi metri da lui, agitando piano la coda per far capire ad Alex di averlo riconosciuto.
Senza nemmeno dire una parola, il ragazzo scese come una furia dalla macchina per andare a dargli una grattatina dietro le orecchie pelose.
Gregory lo guardò perplesso, scendendo a sua volta e sorridendo davanti a quella vista.
«Fa sempre così, ogni volta che lo vede» disse una voce maschile dietro di lui.
Greg si girò, per trovarsi davanti quella che era decisamente una versione leggermente più vecchia del suo ragazzo.
Aveva gli stessi occhioni azzurri, anche se i capelli erano leggermente più lunghi e più castani di quelli di Alex.
«Piacere» disse lo sconosciuto allungando la mano. «Il mio nome è Andrew. Sono il fratellone di Alex».
«Immaginavo, data la somiglianza» commentò Greg stringendo la mano e sorridendogli.
«Tu devi essere Gregory. Era ora che ti conoscessimo. Abbiamo cominciato a pensare che tu fossi molto brutto e per questo Alex non voleva…»
Non fece in tempo a finire, che una figura indistinta spuntò dal nulla, caricandolo in pieno petto e cominciandogli a fare il solletico.
«Fratellone, ti trovo rallentato» furono le parole che Greg riuscì a comprendere, prima di collegare che quello era il suo ragazzo, corso incontro al fratello per salutarlo a modo suo.
Quando finalmente si furono entrambi calmati, e dopo essersi abbracciati con vigore, Andrew diede una vigorosa pacca sulla spalla a Greg e disse:
«Perché non venite in casa? Mamma sta preparando dei deliziosi biscotti e non vede l’ora di poter infagottare Gregory per bene, così sarà sicuramente uno di famiglia.»
Alex sbuffò, borbottando qualcosa che somigliava vagamente a un “è sempre la solita”, ma seguì docilmente il fratello, prendendo una mano del compagno per indicargli di seguirlo.
Il cottage, che fuori era davvero delizioso, dentro era ancora meglio.
L’atmosfera calda e accogliente lo faceva sentire veramente a casa, come poche cose erano riuscite a farlo fino a quel momento.
Ora capiva perché Alex teneva così tanto alla sua famiglia. Il tepore di quella casa si respirava a pieni polmoni.
Entrarono tutti insieme nella piccola cucina, dove Gregory poté fare la conoscenza dell’altro cucciolo della famiglia, Beard, e della madre del suo compagno.
In un angolo, appoggiata al camino, scorse un’altra figura. Una donna dai capelli corti che lo guardava in modo strano, con in braccio un bambino piccolo.
«Vieni,» lo prese Alex per mano, «ti presento mia sorella.»
Lo portò vicino alla donna, che mise giù il bambino e continuò a guardarli freddamente.
«Amy, questo è Gregory; Greg, lei è mia sorella Amy.»
Greg subito sporse la mano per stringerla, ma la donna gli lanciò prima una lunga occhiata indagatrice, poi la strinse velocemente come se fosse frettolosa di allontanarsi.
«Piacere» sussurrò, ma la parola era così carica di risentimento che Greg pensò che non era un piacere per niente, almeno da parte della donna.
«Io vado a cambiare Paul, ci vediamo più tardi» mugugnò la donna prima di sparire.
Quando ebbe lasciato la stanza, Gregory lanciò un’occhiata preoccupata ad Alex, che lo liquidò con un gesto della mano.
«Lascia perdere Amy, è sempre arrabbiata per qualcosa. Tu ignorala.»
E lo fece, visto che pochi minuti dopo venne rapito dalla mamma di Alex, che voleva sapere veramente tutto su di lui, mentre lo costringeva a prendere una fetta di cheescake appena fatta.
Intanto, Alex e Andrew erano andati a prendere i bagagli per portarli in casa.
«Sai che cosa è successo a Amy?» chiese Alex quando fu sicuro di trovarsi lontano da orecchie indiscrete.
«Sì» rispose Andrew con un sospiro, «e anche tu lo sai. Pensavi davvero che sarebbero bastati cinque anni a una testarda come lei per dimenticare?»
Alex si rabbuiò a sentire le parole del fratello.
«Non sono affari suoi, comunque» disse mordendosi un labbro, «la vita è mia, ci faccio quello che voglio. Non devo chiederle il permesso.»
«No, certo che no. Ma sai come la pensa, e credo che non te lo perdonerà mai.»
Alex scosse la testa.
«Andy, sono passati cinque anni. Non ho più rivisto nemmeno lui, come può pensare che…»
Andrew fermò il fratello con un braccio.
«Alex, lei ha perso l’uomo della sua vita, ha ripiegato su uno qualsiasi e ha perso anche lui. Non puoi darle torto se è furiosa perché hai mandato all’aria dopo soli due giorni il tuo matrimonio…»
«Shhh» gli intimò Alex, guardandosi attorno spaventato.
Poteva vedere dalla porta finestra che Gregory era ancora intento a parlare con sua madre, quindi non poteva averli sentiti.
«Ehi, non vorrai mica dirmi che non l’hai detto a Gregory?» Andrew aveva assunto il classico tono da fratello maggiore, guardandolo severamente. Alex non rispose, ma i suoi occhi colpevoli erano più che eloquenti.
«Dio, Alex, tu giochi con il fuoco.»
Rientrarono in casa, lasciando cadere l’argomento. Andrew avrebbe voluto continuare, Alex ne era perfettamente consapevole, ma non voleva certo rovinare l’atmosfera allegra.
Quando ebbero lasciato tutto in camera, tornarono nella piccola cucina.
Gregory stava mangiando un’altra fetta di cheescake.
 
Il pranzo si rivelò piacevole, nonostante il comportamento freddo e distaccato di Amy. Gregory fece come gli era stato detto e continuò a ignorarla.
Il resto della famiglia, cani compresi, lo trattavano come se fosse uno di loro da tutta la vita, per cui già al secondo piatto era venuto a conoscenza di tutti gli episodi più imbarazzanti dell’infanzia di Alex, di tutti i fidanzati che aveva portato a casa (anche se lui ne conosceva una lista ben più lunga, visto che aveva già avuto questa stessa conversazione parecchio tempo prima).
Quando il pranzo finì, mangiarono il dolce nel portico. Era una giornata particolarmente bella, e Andrew aveva proposto di fare un bel giro in bicicletta prima di cena.
«Mi sembra un’ottima idea» aveva sorriso Gregory entusiasta, mentre Alex aveva sbuffato.
«Oh, non pensateci nemmeno di incastrarmi» aveva sbraitato. «Io me ne rimango a casa.»
«Ahah, stai attento, Gregory, rischi di ritrovartelo ingrassato, se continui così.»
«Oddio, spero di no» scherzò Greg carezzando con affetto la pancia di Alex. «Almeno non prima di esserci sposati.»
Lo aveva detto senza nemmeno pensarci. Non aveva un secondo fine, visto che era risaputo che le persone tendevano a ingrassare dopo il matrimonio.
Eppure si accorse immediatamente dell’impatto che le sue parole avevano avuto. Alex si era leggermente irrigidito, Andrew gli aveva lanciato uno sguardo preoccupato e Amy si era alzata di scatto per rientrare.
I genitori di Alex parevano invece non essersi accorti di nulla.
«Allora, quella gita?» Andrew aveva interrotto il silenzio. «Che ne dici se andiamo verso le sei? Così potremo a essere a casa per cena ad un orario decente.»
«Certamente.»
Amy non era più tornata.
 
Il pomeriggio lo avevano trascorso quasi tutto a letto a coccolarsi, e Gregory aveva dimenticato quel momento imbarazzante nel portico.
Alle cinque avevano preso il tè e mangiato qualche biscotto, poi Gregory si era preparato per andare con Andrew. Aveva salutato Alex con un bacio ed erano partiti.
Dopo cinquanta metri, però, si erano già fermati.
«Forse è il caso che torni a prendere un maglioncino più pesante» aveva detto il fratello del suo compagno. «Potrebbe fare freddo quando torniamo.»
Così Gregory era tornato indietro, mentre Andrew lo aspettava proprio davanti al portone.
Di Alex non c’era traccia né in cucina né in salotto, per cui doveva essere in camera da letto.
I suoi pensieri vennero confermati da voci concitate che giungevano proprio dalla loro stanza.
Una era indubbiamente quella di Alex, e pareva ansiosa e preoccupata. L’altra era quella di una donna, ed era decisamente arrabbiata per qualcosa.
Amy, senza dubbio.
«Mi chiedo come diavolo ti sia potuto venire in mente, Alexander!» aveva urlato la donna, e Gregory aveva sentito un pallido tentativo da parte di Alex di cercare di calmarla, chiedendole almeno di non urlare così forte.
Li avrebbero sentiti tutti, se non fosse stata più attenta.
Gregory appoggiò una mano alla porta, indeciso se bussare e interromperli, oppure andarsene per la sua strada e lasciar perdere il maglioncino.
Ancora non sapeva che pesci pigliare, quando sentì la donna pronunciare il suo nome.
Lo aveva detto con un tono così velenoso e acido, che sicuramente non poteva essersi sbagliato. Stavano parlando di lui, e non era una cosa positiva, visto i toni.
Non gli piaceva origliare, ma voleva sapere. Nonostante avesse fatto fatica ad ammetterlo, il suo orgoglio era rimasto parecchio ferito dal fatto che Amy lo osteggiasse con tanto ardore. Non era normale un odio così profondo dal niente.
A quanto pareva, c’era un motivo.
«Perché sei arrabbiata?» sentì sussurrare Alex.
«Stai scherzando, vero?» rispose la sorella con tono seccato. «Lo porti qui, dopo tutto questo tempo, come niente fosse e pretendi…»
«Amy, non ho mai detto che sarei rimasto con Reginald tutta la vita.»
Reginald? Chi diavolo era questo Reginald?
Gregory ricordava bene gli ex del suo ragazzo, ne avevano parlato una volta, ma mai aveva sentito nominare questo nome.
«Eppure questa è la promessa che hai fatto, e dopo nemmeno due giorni l’avevi già infranta.» Amy pareva sputare veleno.
«Amy, era diverso. Perché non vuoi capirlo?»
«Stai per abbandonarlo di nuovo, vero?» Amy pareva non averlo nemmeno sentito. «Andrai da lui a chiedere il divorzio per poter sposare il tuo professorino del cazzo?»
Divorzio? Che diamine stava succedendo?
«Sì» rispose Alex con un sospiro. «Sì, andrò a chiedergli il divorzio. Questa storia è durata abbastanza. Reginald capirà e me lo concederà subito. Non capisco perché ti scagli contro…»
Ma Gregory non poteva più stare lì ad ascoltare senza intervenire. Aprì di scatto la porta, entrando come una furia.
«Che cosa significa che devi chiedere il divorzio a questo tizio?» chiese, le parole bloccate in gola.
Alex e Amy ci misero qualche momento a focalizzare cosa era appena successo. Erano rimasti entrambi paralizzati quando aveva aperto la porta di scatto.
Amy si riprese subito, guardandolo con odio.
«Ci stavi spiando, per caso?»
«Questa è la mia stanza» disse Greg, cercando di stare calmo. «Volevo solamente tornare a prendere un maglioncino, quando vi ho sentiti parlare attraverso la porta.»
«Amy, lasciaci soli» Alex aveva parlato con voce flebile, quasi non riuscisse a tirar fuori quelle parole.
Pareva preoccupato, e Gregory pensò che faceva bene ad esserlo. Dovevano chiarire questa storia, e  subito.
Amy lasciò la stanza con il viso ancora pieno di rabbia.
Alex, invece, si passò una mano sugli occhi e sospirò, lasciandosi cadere sul letto a peso morto.
«Ti chiedo solo una cosa» disse con tono stanco. «Di lasciarmi parlare fino alla fine, di non interrompermi e di farmi raccontare tutta la storia, prima di giudicarmi».
Gregory mugugnò un sì, mentre lo stomaco gli si contorceva per l’ansia. Alex gli fece cenno di sedersi accanto a lui, spostandosi sul bordo del letto per lasciargli un po’ di spazio. Greg si sedette e prese uno dei cuscini per stringerlo a sé, poi cambiò idea e lo buttò per terra. Si sentiva strano, mentre le mani tremolavano e lo stomaco continuava a girargli.
Poi Alex cominciò a raccontare.
«Cinque anni fa vivevo ancora qui in Inghilterra e avevo un amico. Il suo nome era Reginald e lo conoscevo fin da quando eravamo piccoli. Come ti dicevo, cinque anni fa ci trovammo in una situazione a dir poco assurda. Io avevo ricevuto in eredità parecchi soldi da una vecchia zia, ma per riscuotere sarei dovuto essere sposato. Stavo per rinunciare, quando Reginald mi ha proposto di sposarci. Non lo ha fatto perché mi amasse o cosa, ma perché anche lui aveva bisogno di quella scappatoia. Vedi, i suoi sono ricchi e attaccati alle tradizioni. Gli avevano congelato tutti gli averi se non avesse sposato chi dicevano loro. Per impedirlo, l’unico modo era che Reginald fosse impossibilitato a sposarla. Sposando me, un uomo, poteva ricattarli. Io e lui saremmo stati zitti e buoni finché i genitori avessero mantenuto aperto il conto di Reggie. Così ci sposammo. Io ricevetti la mia eredità, lui continuò con la sua vita. Con quei soldi me ne andai in America e non ho più avuto contatti con lui.
So che suo padre è morto, quindi ora non ha più molto senso che continuiamo a rimanere sposati.
Te lo giuro, Greg, è stato solo per questo che io e Reginald ci siamo sposati. Tra noi non c’è mai stato niente di niente. Non abbiamo nemmeno passato la prima notte di nozze insieme, ma ognuno a casa propria. Ai miei genitori ho raccontato che lo abbiamo fatto con la foga del momento e poi ce ne siamo pentiti. Loro hanno capito, ma Amy non ha mai gettato la spugna.»
Gregory cercava disperatamente qualcosa da dire, ma non trovava le parole. Sentiva in sottofondo Alex che continuava a giustificarsi, ma non riusciva più a cogliere il significato di quello che diceva.
«Perché  me lo hai nascosto?» riuscì a tirar fuori per interrompere la sequela di parole che ancora uscivano dalla bocca di Alex.
«Perché mi vergognavo, fondamentalmente» ammise Alex con la testa bassa. «Sposarsi per motivi così futili e così banali non è una cosa bella, e non volevo che pensassi che un giorno sarebbe capitato così anche a noi. Forse è per questo che ho lasciato che la mia amicizia con Reggie finisse, perché quello che avevamo fatto mi faceva sentire un approfittatore, uno che non dà valore alle cose. E non volevo che anche tu mi vedessi in questo modo.»
«Quindi, per tutto questo tempo, io sarei stato l’amante?» Gregory strinse i pugni, mentre un nuovo attacco di panico lo stava invadendo.
«No!» urlò Alex, prendendogli il volto tra le mani. «No, non pensarlo mai. Reginald è stato sempre e solo un amico per me, e il matrimonio con lui era finto. Ora non farei mai più lo stesso errore, non mi sposerei mai più a cuor leggero.»
«Ho bisogno di pensare» disse Greg alzandosi dal letto e dirigendosi fuori. «Vado in bicicletta con tuo fratello, ma quando torno vorrei che tornassimo a casa nostra. Ho bisogno di stare da solo con te, per i prossimi giorni.»
Alex annuì, con un magone pesante dentro al cuore, mentre vedeva il suo compagno allontanarsi senza voltarsi indietro.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Riciao! L'ispirazione si è fatta viva e ho scritto il capitolo di getto, per cui un aggiornamento abbastanza veloce, che non credo si ripeterà, purtroppo! Cercherò almeno di non far passare più di un mese tra un capitolo e l'altro, promesso!
Baci baci, Sere
PS: si ringrazia per il betaggio la mitica SNeptune84 <3

 
Capitolo 2
 
 
Alex era sveglio da un’ora, ma non voleva alzarsi. Il dolce peso di Gregory stava cominciando a fargli formicolare un braccio, ma non importava.
Non dopo il mese appena passato, con tutte le paure e le ansie che aveva portato con sé.
Per Gregory non era stato per niente facile accettare tutto quello che gli aveva confessato. Ne avevano parlato a lungo e, nonostante avesse capito il perché del suo gesto, non riusciva a perdonargli il fatto di averlo tenuto nascosto.
Poi, le cose avevano cominciato a migliorare, fino alla sera prima, quando finalmente avevano fatto l’amore.
Era un mese che non si sentivano così vicini l’uno all’altro, e ora non voleva più staccarsi da lui.
Gregory continuava a dormire dolcemente sulla sua spalla, mentre Alex sorrideva di nuovo, tranquillo.
 
TRE SETTIMANE PRIMA
Gregory non rimaneva mai al college dopo il lavoro. Di solito preferiva tornare subito a casa da Alex e magari uscire un po’ con lui. Ma, dalla gita a casa Wilson, le cose erano diventante leggermente diverse. Ora rimaneva un paio d’ore a correggere i compiti e a preparare le lezioni, così, quando rientrava, aveva la scusa della stanchezza per non essere costretto a uscire con Alex.
Odiava trattarlo in quel modo, ma sentiva di aver bisogno dei suoi spazi.
La verità era che si sentiva terribilmente minacciato.
Non importavano tanto le parole di Alex: che lui e questo tizio fossero soltanto amici, che non avevano mai consumato il matrimonio.
Nella sua testa, continuavano a scorrere le immagini di Alex e uno sconosciuto che si baciavano davanti ad un funzionario, che correvano ridendo verso una camera d’albergo, che…
Non voleva continuare a immaginarli, ma gli si paravano davanti agli occhi ogni volta che la sua mente non era impegnata.
Così non andava bene. Non si era mai considerato un tipo particolarmente geloso, ma questo era diverso.
Era martedì, l’unico giorno in cui finiva prima. Anche volendo rimanere un paio d’ore, sarebbe comunque tornato a casa in tempo per la cena. Inventare troppe scuse non avrebbe fatto altro che insospettire e intristire Alex, quindi si fece coraggio, preparandosi ad una serata disastrosa.
Non aveva fatto i conti con lo studente che lo attendeva fuori dal suo ufficio.
Quando lo vide, rimase un attimo perplesso.
Conosceva bene quel ragazzo, perché era uno dei suoi studenti più attenti. Rispondeva sempre alle domande, partecipava attivamente alle lezioni e aveva dei voti a dir poco egregi.
Affrettò il passo, dirigendosi verso il ragazzo, incuriosito. Cosa poteva mai volere da lui all’orario di uscita?
Quando lo sentì avvicinarsi, il ragazzo alzò gli occhi verso di lui e parve illuminarsi.
«Professore» disse, scattando in piedi, «potrei parlarle per un momento?»
Gregory annuì confuso, ma fece cenno al ragazzo di seguirlo.
«Dimmi, Smith» gli disse, facendo cenno di accomodarsi sulla poltroncina di fronte a lui.
«Professore, non volevo disturbarla, ma ho bisogno di chiederle un favore.»
Il ragazzo se ne stava tutto sulle spine, con lo sguardo basso. I capelli castani, leggermente lunghi, gli cadevano così sugli occhi, celando quelle pietre azzurre alla vista del professore.
«Se è per il tuo ultimo test di valutazione» cominciò a dire, «è andato benissimo, quindi non devi preoccuparti.»
«Oh, non sono preoccupato» disse il ragazzo, alzando finalmente lo sguardo. «In realtà non mi spaventano molto i test. Li facevo sempre anche al liceo e non ho mai preso una sola insufficienza.»
Gregory alzò un sopracciglio. Quel ragazzo era un controsenso vivente: un attimo prima pareva timido e impacciato, quello dopo sembrava acquistare un ego gigantesco.
«Mi fa piacere che la pensi così» sorrise il professore. «Molti pensano che al college ci si debba preoccupare solo degli esami di fine anno, ma io voglio vedere l’andamento del vostro studio.»
Smith sorrise anche lui.
«Comunque, il vero motivo per cui sono qui è un altro. Ho bisogno di chiederle un favore, e non so a quale altro professore rivolgermi. Il suo predecessore, il professor Carson, era solito partecipare come giudice al concorso di poesia che si tiene tutti gli anni al liceo che ho frequentato prima di arrivare al college. Di solito ero un concorrente, ma quest’anno, non essendo più loro studente, sono uno degli organizzatori. Il professor Carson è andato in pensione e si è trasferito in Scozia, per cui non potrà nemmeno fare da giudice alla gara. Visto che lei è colui che ne ha preso il posto, volevo sapere se è interessato a occuparsi anche di questa faccenda.»
«Non so, Smith,» Gregory si morse un labbro, «sono parecchio impegnato ultimamente e…»
Il ragazzo mise le mani avanti.
«Le giuro che non ci vorrà molto. Di solito ci incontriamo tutti i martedì per decidere il tema e le modalità. Poi, quando verrà aperto il concorso, ci incontreremo per giudicare le poesie. So che il martedì lei finisce prima, e le giuro che noi le ruberemo al massimo un paio d’ore.»
Questo era un aiuto inaspettato. Forse non avrebbe dovuto sentirsi così contento per aver scoperto un modo di passare meno tempo con Alex, ma visto lo stato delle cose, non poté che approfittarsene.
«Va bene, mi sembra un’ottima cosa per integrarsi qui» disse con un sorriso, contento del sollievo che poté leggere negli occhi di Smith. «Quando cominciamo?»
«Anche oggi, se vuole. Ormai è troppo tardi per presenziare alla riunione, ma se andiamo ora al liceo, posso presentarle gli altri giudici e gli altri organizzatori.»
Gregory si alzò, andando a recuperare il suo giubbotto.
«Hai la macchina?» chiese a Smith, e quando questi fece segno di no con la testa, aggiunse: «Allora prendiamo la mia. È nel parcheggio dei professori.»
Una volta saliti in auto, Gregory si sentì strano.
In vita sua non aveva mai dato un passaggio a uno studente, nemmeno in America. E ora sapeva perché. C’era qualcosa di intimo nello stare seduti vicini mentre guidava, qualcosa che gli fece salire una scarica elettrica lungo la spina dorsale. Eppure, Smith pareva totalmente a suo agio, quindi dedusse che era tutto un suo problema mentale.
«Ah, comunque, professore, può chiamarmi anche Joshua».
 
 
DUE SETTIMANE PRIMA
Era di nuovo martedì e Gregory si era accorto di averlo aspettato con ansia per tutta la settimana. Si era già messo d’accordo con Joshua per andare insieme alla riunione, come la volta prima. Il ragazzo era così entusiasta dell’iniziativa, che era impossibile non venirne contagiati.
Il problema per Gregory era che Joshua non gli aveva trasmesso solo l’entusiasmo. Infatti, il ragazzo era chiaramente attratto da lui, e non faceva niente per nascondere questa cosa.
Se lo ritrovava spesso dietro l’angolo, mentre girava per i corridoi del College. Pareva conoscere i suoi orari a memoria e andava spesso da lui con la scusa che un giorno avrebbe preso il ramo di Letteratura Americana, proprio come lui.
Gregory avrebbe ignorato tutto, in un altro contesto. Ma, in quel periodo, la solitudine e la lontananza da Alex si cominciavano a far sentire, rendendolo più debole.
Non che volesse provarci davvero col ragazzino, ma sapere che un diciottenne aveva una cotta per lui lo lusingava.
Finché le cose rimanevano platoniche, non c’era bisogno di scoraggiare il ragazzo.
Era proprio questa sensazione di essere l’oggetto del desiderio di qualcuno che lo portava a desiderare di vederlo.
Non avrebbe dovuto farlo, ma era più forte di lui.
Sentì il cuore aumentare i battiti man mano che si avvicinava l’ora in cui Josh sarebbe arrivato nel suo studio.
Il ragazzo era bello come sempre: non indossava più la divisa del college, ma un paio di jeans e una camicia. Sorrise, entrando dalla porta senza nemmeno bussare.
«È pronto, professore?» aveva chiesto con un sorriso ammiccante.
Gregory si era alzato dalla scrivania e lo aveva seguito nel parcheggio della scuola.
Quel giorno Joshua aveva un odore particolare, un profumo quasi floreale che irradiava la macchina.
Doveva essersi preparato al meglio, per fargli buona impressione.
Gregory cercò di non dare troppo peso alla cosa, ma per il resto della serata rimase a disagio, nonostante Joshua si comportasse come sempre.
Sfortunatamente, Gregory si era preso il compito di riaccompagnare il ragazzo a casa, per cui dovettero fare insieme ancora un viaggio in macchina.
Joshua tentava di tenere viva la conversazione, facendo continue domande al suo professore, sperando di scoprire cose su di lui.
Gregory sentiva la sensazione di disagio farsi strada nel suo stomaco, soprattutto quando il ragazzo, chinandosi per prendere la sua borsa, gli aveva in qualche modo sfiorato il ginocchio.
«Grazie per il passaggio, professore.»
 
UNA SETTIMANA PRIMA
Gregory continuò a non tornare a casa per cena, Alex continuò a cucinare solo per uno.
Joshua continuò a mettere quel profumo.
Non era successo niente, tra di loro. Eppure Joshua si stava sempre di più insinuando nei suoi pensieri.
Era chiaro che il ragazzo cercava di conoscerlo meglio, di carpire quante più informazioni su di lui, eppure non aveva ancora fatto nessuna mossa di troppo, non si era comportato male in nessun modo.
La cosa peggiore era che Gregory non disdegnava la sua compagnia, sebbene sapesse quanto tutto ciò era sbagliato.
Quando rientrò quella sera, Alex gli aveva lasciato la cena pronta sul mobile della cucina. Era già a letto, cosa strana per lui.
Gregory capì così che voleva lasciargli il suo spazio per pensare. Anche se stava soffrendo come un cane, sapeva che Greg in quel momento aveva la precedenza assoluta.
Anche se aveva tutti i diritti di essere arrabbiato, non poté fare a meno di sentirsi in colpa. Mangiò tutta la cena e poi si preparò a dormire sul divano. Quella notte, aveva bisogno di pensare.
 
QUEL GIORNO
Gregory aveva saltato la riunione al Liceo ed era corso immediatamente a casa. Si era spaventato un sacco quando aveva ricevuto quella telefonata, ma per fortuna non era stato un incidente grave.
Alex era andato al pronto soccorso perché si era tagliato cucinando. Gli avevano dato cinque punti.
Il senso di colpa aveva fatto subito capolino nella testa di Greg.
Alex, infatti, gli aveva chiesto se almeno quella sera sarebbe tornato per cena, visto che era una vita che non gli permetteva di cenare con lui.
Gregory aveva mugugnato un non lo so, prima di uscire di casa come una furia.
Ora si era accorto che aveva esagerato. Era stato sulle sue fin troppo. Non poteva certo continuare così per tutta la vita.
Ora che era venuto a patti con quello che era successo, avrebbe smesso di trattare Alex da estraneo. Ne avrebbero parlato, questa volta sul serio, e avrebbero deciso il da farsi.
In fondo, era una cosa successa prima di conoscersi, e per quanto bruciasse il fatto che Alex non glielo avesse confidato, poteva quasi capirlo.
Era ora di fare pace e chiudere la questione.
Quando era rientrato in casa, Alex era già tornato. Se ne stava steso sul divano con la mano fasciata poggiata sullo stomaco, mentre l’altra gli copriva gli occhi.
Continuava a sospirare sconsolato, come se un pensiero triste gli riempisse il cervello.
«Ehi» sussurrò, cercando di non spaventarlo. «Stai bene?»
Alex alzò leggermente la testa, guardandolo con gli occhi lucidi.
«Ciao» disse, la voce tremante.
Greg corse subito vicino a lui per abbracciarlo. Sapeva quanto Alex fosse suscettibile riguardo al sangue e a qualunque cosa implicasse l’andare in ospedale. Ne era letteralmente terrorizzato, e Greg si sentì in colpa. Sarebbe dovuto essere al suo fianco, in ospedale.
Si chinò su di lui per lasciargli un delicato bacio sulla fronte, prima di farlo accoccolare su di sé, carezzandogli dolcemente i capelli.
«Ti prometto che d’ora in poi rientrerò a casa in tempo per evitare che tu ti affetti le dita da solo.»
Alex rise, ancora un po’ scosso.
«Mi dispiace» cominciò a dire con un nodo in gola. «Ho cominciato a rimandare il momento in cui te lo avrei detto, dicendomi che tanto c’era tempo, che non era una cosa necessaria. Poi, quando la nostra storia è diventata seria, non sono più riuscito a confessartelo per paura che te ne andassi via per sempre. Non volevo che lo scoprissi in quel modo, sentendo me e Amy litigare…»
«Lei è convinta che tu e… quello vi amavate.»
Alex tremò un po’.
«Amy era innamorata di lui, quando eravamo piccoli» confessò. «Lo è stata per molti anni, e quando noi ci siamo sposati le è crollato il mondo addosso. Non mi avrebbe mai perdonato, se Reginald non le avesse detto che ci amavamo troppo per non sposarci. Quando la farsa è finita, lei l’ha reputata l’offesa più grande che potessi farle.»
«Ma lei ha un bambino, quindi è andata avanti» disse stupito e anche un po’ confuso Gregory.
«Sì, ma non ha mai smesso di pensare a Reggie» sospirò stancamente Alex, «ma dobbiamo proprio parlarne ora?»
«No» fece Greg carezzandogli dolcemente una guancia. «Che ne dici se andiamo un po’ a stenderci sul letto, così ti faccio dimenticare quel brutto taglio?»
 
LA MATTINA DOPO
Alex sapeva di avere ancora quel numero. Era tempo di andare a prenderlo e chiamare. Aveva rimandato troppo a lungo.
 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3
 
Il numero da lei chiamato è inesistente
Alex non aveva preventivato il fatto che Reginald avrebbe potuto cambiare numero. Non gli era passato per la testa questa possibilità, e ora si sentiva un idiota.
Non aveva idea di come contattarlo, ma ormai era deciso a chiudere una volta per tutte questa storia. L’unica soluzione era quella di presentarsi a casa sua.
Anche se dubitava fortemente che Reginald vivesse ancora con i genitori, si armò di coraggio e decise di passare, una mattina come tante.
La villa di Reggie era come la ricordava, sebbene l’ampio giardino avesse perso lo smalto di un tempo. Pareva trascurato, pieno di erbacce e un po’ selvaggio.
Ma Alex immaginò che, visto che l’unico ad amarlo era il padre di Reggie, ora non ci fosse più nessuno a prendersene cura.
Quando erano bambini, il posto era pieno di giardinieri indaffarati, con l’uomo che dava ordini a destra e a manca e che sbraitava a chiunque camminasse sull’erba.
Gli pareva quasi sbagliato vedere il giardino ridotto a quel modo, ed era sicuro che quella di Reginald fosse una vera e propria vendetta nei confronti del padre.
Si avviò per il vialetto con l’auto, parcheggiando proprio davanti al portone. Si era profondamente stupito di non aver trovato nessuno al cancello, e ancor di più quando venne ad aprire il portone una ragazzina giovane vestita da cameriera.
Per quanto ne sapeva Alex, la famiglia di Reginald era molto ricca ed aveva un maggiordomo e uomini di sicurezza al cancello.
«Salve» disse, visto che la ragazza non si decideva a parlare. «Sto cercando Reginald Ellis-Brown, è in casa?»
La ragazza lo guardò a bocca aperta per un tempo che parve infinito, prima di deglutire e mormorare un: «Davvero?»
Il tono era parecchio stupito, e Alex aggrottò la fronte. Non era per niente quello che si sarebbe aspettato.
«Sì, davvero» rispose, leggermente spazientito.
«Mi scusi» mormorò la ragazza, mordicchiandosi una guancia e spostandosi per farlo passare. «È che non viene mai nessuno a trovare Reginald. Ero così sorpresa che… ma prego, entri, si accomodi.»
Alex non aspettò che le facesse strada, ma percorse a grandi passi il salone d’ingresso per dirigersi direttamente al salottino.
La cameriera gli correva dietro, cercando di non perderlo.
«Signore, se vuol vedere Reginald, deve andare direttamente di sopra. Lui non scende mai, di solito.»
«Come?»
«Beh, vista la sua salute…»
Alex a quel punto era davvero sorpreso. Reginald aveva sempre avuto una salute di ferro; cosa poteva essergli successo, da non poter alzarsi nemmeno dal letto per scendere nel salottino ed accogliere un ospite?
Prese la cameriera per un braccio e, senza stringere, le disse: «Senta, sono un suo vecchio amico e non lo vedo da cinque anni. Vorrei essere preparato a quello che vedrò. Puoi, per favore, dirmi che diamine è successo a questo posto e alla famiglia di Reggie? Dov’è il resto della servitù?»
La ragazza sospirò sconsolata.
«Vede, non c’è più nessuno qui, tranne me e la cuoca. Da quando la signora Ellis-Brown è stata ricoverata in una casa di riposo, Reginald ha licenziato tutti e vive qui da solo. La sua salute non è delle migliori, così ogni tanto viene un’infermiera che lo controlla. Ma, a parte questo, nessun altro lavora o viene mai in questo posto.»
Alex non sapeva come ribattere a quello che aveva sentito. Un tempo avrebbe detto che era impossibile, che Reginald era un uomo attivo, un combattente. Ma la verità era che non si vedevano da cinque anni, e lui non sapeva più com’era Reginald.
Solo per un attimo balenò nella sua mente il pensiero che un po’ fosse stata colpa sua, del suo non essersi fatto più sentire, ma accantonò l’idea.
Non era pronto ad affrontarne le conseguenze, se questa fosse stata la verità.
Salì le scale con l’entusiasmo di un condannato a morte, ricordando perfettamente la strada che portava alla camera da letto di Reginald.
Lo scorse immediatamente, anche perché le porte della camera erano spalancate e lui era seduto proprio di fronte ad esse, perpendicolarmente al letto.
Reginald pareva l’ombra di se stesso. I capelli, un tempo fluenti e folti, ora erano piatti sulla testa e spenti. Era ancora più pallido e più magro di quanto lo ricordava.
Sedeva sulla sua poltrona preferita mentre leggeva un giornale, la sigaretta poggiata nel posacenere sul tavolino.
Alzò leggermente lo sguardo quando sentì i passi di Alex, e non mostrò alcuna espressione quando i loro occhi si incontrarono.
«Alex» disse solo, il tono freddo e glaciale.
«Reginald, io…» Alex si bloccò, non sapendo cosa dire.
Non poteva certo esordire con un “ehi, non ci vediamo da cinque anni, come va la vita?”
Reginald posò il giornale sul tavolino, prendendo in mano la sigaretta e portandola alla bocca.
«Non posso dire di non essere sorpreso» disse, con voce assolutamente incolore. «Non mi aspettavo certo di vederti. L’ultima volta che ho avuto tue notizie, eri fuggito in America come un coniglio spaurito.»
Alex se l’era aspettata l’acidità nella sue parole. Reginald era sempre stato così, acido e permaloso. Quello che non si era aspettato era quella reazione fredda. Pensava che a questo punto della visita sarebbe già stato buttato per terra, con il naso sanguinante per colpa di un pugno.
«Io… sono tornato» disse, mentre l’altro alzava un sopracciglio davanti all’ovvietà di quella frase.
Alex tossicchiò nervosamente, provando a rimediare.
«Intendevo dire che mi sono trasferito di nuovo in Inghilterra.»
Reginald si alzò con qualche fatica e poi si sporse per spegnere definitivamente la sigaretta nel posacenere.
«Posso offrirti qualcosa?» chiese, come se nulla fosse. «Immagino che tu sia venuto qui per una ragione precisa, quindi direi di trasferirci di sotto per parlare più comodamente.»
Fece qualche passo, ma si vedeva che era molto debole, così Alex corse per aiutarlo a sorreggersi. Quando però toccò il suo braccio, Reginald si scostò come se quel semplice contatto gli procurasse un acuto dolore fisico.
«Ce la faccio da solo» disse rabbioso, «come ho fatto in questi cinque anni in cui sei scomparso dalla mia vita.»
Così scesero le scale a distanza di sicurezza, lentamente. Arrivati nel salottino, Reginald perse del tempo a dare istruzioni ad una ancor più sorpresa cameriera, che sparì all’istante per poi tornare dieci minuti più tardi con tè e biscotti.
«Cosa ti porta qui in casa mia?» esordì Reginald, dopo aver bevuto il primo sorso. «Non sono così sciocco da pensare che dopo cinque anni di silenzio, la tua sia una semplice visita di cortesia.»
«Reginald, so che sei arrabbiato e hai tutto il diritto di esserlo. Mi dispiace per come mi sono comportato. Sul serio, io…»
«Smettiamola con queste storie e dimmi perché sei venuto» disse l’altro, poggiando senza delicatezza la tazzina sul tavolino.
«Io…»
In quel momento Alex non riusciva a trovare le parole. Sapeva che in qualsiasi modo l’avesse detto, sarebbe risultato sgradevole. Si armò di tutto il coraggio che possedeva, mordicchiandosi il labbro inferiore, prima di sputare letteralmente fuori un: «Voglio il divorzio.»
Reginald lo guardò impassibile, prima di scoppiare a ridere. Era una risata priva di allegria, glaciale.
«Davvero? Sei venuto qui per questo?» ridacchiò ancora. «Poteva bastare anche una lettera dal tuo avvocato, allora.»
Scosse la testa, come divertito da quel pensiero.
«Vedi, caro Alex, te lo dirò una volta sola e dopo questa non tornerò mai più sull’argomento. L’unica risposta che posso darti è…».
 
Gregory era rientrato tardi quella sera, perché sapeva che anche Alex sarebbe stato fuori a cena. Si era preso cibo cinese da asporto e si stava pregustando una bella serata davanti alla televisione, solo soletto con il suo divano.
Per questo rimase sorpreso, quando accese la luce del soggiorno, di trovare Alex seduto a gambe incrociate proprio su quel divano che tanto agognava.
Poi si rese conto che Alex era sconvolto per qualcosa. Era evidente, visto che aveva indossato i pantaloni della tuta e aveva preso a mangiucchiarsi le unghie.
Con un sospirò, posò la busta con il cibo sul tavolo prima di dirigersi verso di lui e chinarsi fino a che non furono faccia a faccia.
«Tesoro, che succede?»
Alex lo guardò negli occhi, angosciato, e si mordicchiò il labbro ancora più forte.
«Io… sono stato da Reginald prima» disse con voce rotta. «Volevo andargli a chiedere il divorzio. Mi è sembrato il caso, visto che la storia era venuta fuori, ormai. Ma lui non è per niente come me lo ricordavo. È cambiato, è diventato un’altra persona.»
Gregory alzò un a mano per andare a carezzare i capelli del suo ragazzo, cercando di calmarlo.
«Che cosa ti ha sconvolto così tanto?»
«Non vuole concedermi il divorzio.»
Questa era tosta. Gregory si rese conto dopo qualche secondo cosa significavano quelle parole.
«Cosa? Perché mai?»
«Sostiene che non ne ha alcun motivo, che non gli interessa niente se ora sono impegnato con un altro. Ha detto che se voglio il divorzio devo portarlo in tribunale.»
«E lo faremo, tesoro. Non può obbligarti a rimanere sposato con lui, se non lo vuoi.»
«Ma dimentichi una cosa fondamentale» disse Alex con tristezza. «Io l’ho lasciato il giorno dopo il matrimonio, sono scappato in America e non mi sono fatto più sentire, e torno dopo cinque anni con un nuovo compagno, esigendo il divorzio. Non serve un bravo avvocato per distruggermi in tribunale.»
Greg imprecò, arrabbiato.
«Che bastardo!»
«Ha ragione ad essere furioso» ammise Alex, «ma pensavo che mi avrebbe picchiato e avrebbe firmato le carte per non essere costretto a vedermi di nuovo. Invece ha detto una strana frase, prima che uscissi di casa sua…»
«Cioè?»
«Mi ha sfidato a fargli cambiare idea» rispose Alex. «Mi ha detto che se gli avessi dimostrato quanto ti amo, forse avrebbe ritrattato.»
«E ti fidi delle sue parole?»
Alex scosse la testa.
«Non so nemmeno più chi è quell’uomo, come posso fidarmi di lui? Un tempo avrei saputo prevedere con esattezza cosa Reginald stava pensando o facendo, ora non lo so più. Ed è solamente colpa mia.»
Una lacrima solitaria scese sulla sua guancia, e subito la mano di Greg fermò la sua corsa verso la mascella.
«Ora calmati, amore. Troveremo una soluzione, e intanto tu proverai a fargli cambiare idea. Se questo è il massimo che possiamo fare, allora lo faremo.»
Greg si allungò per baciargli le labbra morbide, continuando ad accarezzargli le guance.
«Ho fatto del male a tutti quanti, per questa storia assurda» mormorò Alex, tristemente. «E i miei non lo sanno, o spezzerei anche il loro, di cuore.»
Greg sospirò e non commentò. Non poteva mentirgli dicendo che non era vero. Purtroppo Alex aveva deluso molte persone, per colpa del suo comportamento, ma Greg era convinto che Reginald non fosse da meno. In fondo anche lui si era sposato solo per tornaconto personale, e se avesse voluto così bene ad Alex sarebbe andato a riprenderselo.
«Troveremo un modo» disse Greg, carezzando i capelli del suo compagno, cercando in qualche modo di consolarlo.
La realtà era che sarebbe stato tremendamente difficile ottenere quel dannato divorzio, senza il consenso di Reginald. Probabilmente, quell’uomo avrebbe ottenuto la sua vendetta tormentando Alex ancora per lungo tempo.
 
Reginald cercava di resistere, ma la tentazione era tanta. Nessuno si sarebbe accorto della sua assenza, tutti credevano che fosse andato a dormire.
Poteva scivolare fuori, prendere la vecchia mini e andare in centro. Sapeva esattamente dove andare, sapeva esattamente chi cercare.
Sarebbe stato facile far scivolare di nuovo l’ago sulla pelle, fino a trovare il punto giusto, la vena attraverso cui avrebbe ritrovato la felicità.
Era facilissimo.
Una vocina nella sua testa continuava a dirgli che era riuscito a uscirne, che aveva lottato con le unghie e con i denti per smettere, per liberarsi da quella prigione.
Non poteva ricominciare ora, ma la vista di Alex gli aveva procurato un dolore così potente, nel petto, che qualsiasi cosa oltre alla droga era stata inutile.
Non osava muoversi di un millimetro, perché il minimo movimento sarebbe bastato per scattare come un fulmine, per andare a comprarsi quello di cui aveva bisogno.
Alex non poteva davvero credere che gli avrebbe concesso il divorzio così come niente. Oh, no! Lo avrebbe fatto soffrire, gli avrebbe fatto capire come ci si sentiva ad essere abbandonato da tutto e da tutti, lasciato solo al suo destino.
Avrebbe fatto in modo di rendere la sua vita un inferno.
Ma aveva bisogno di rimanere pulito, o sarebbe crollato subito. La sua volontà doveva rimanere salda, forte e indistruttibile.
Fu questo, più che tutto il resto, a fermarlo.
Il continuo pensiero di vendetta.
 
Scusate per il ritardo :D Spero a presto 
Besoss <3 <3

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Salve salvino! Sono tornata e per un mese dovrei riuscire a scrivere parecchio, anche se non vi prometto nulla. Purtroppo per colpa degli esami sono rimasta molto indietro, e ora sto cercando di recuperare :) Purtroppo sono anche senza computer, indi per cui scrivo e pubblico da ipad :) comprendetemi perciò se sono più lenta del solito
Un grazie gigante a SNeptune84 che mi ha prontamente betato il capitolo!
See you soon 



Capitolo 4

Gregory e Alex avevano parlato a lungo della loro situazione ed erano arrivati alla conclusione che insieme avrebbero fatto cambiare idea a Reginald, ma non avevano idea di come farlo.
Un giorno, mentre facevano la spesa, Alex tirò fuori di nuovo il discorso.
«Devo passare più tempo con lui» disse. «Ha bisogno di fidarsi di nuovo di me.»
«Pensi che sia una questione di fiducia?» chiese Greg guardando una scatola di cereali, cercando di leggere le informazioni sul retro.
«Penso che Reginald abbia bisogno di un amico, e ora che sono tornato cerca di nuovo di legarmi a lui.»
Greg storse il naso, rimettendo la scatola al suo posto e prendendone un’altra.
«Io penso che il tuo amico Reginald voglia solamente vendicarsi con te. E non possiamo farci nulla, perché ha tutto il diritto di rifiutare di firmare i documenti del divorzio.»
Alex sospirò tristemente, mordendosi il labbro.
«E se ci provassimo?» disse. «Se in qualche modo provassimo a convincerlo che ci amiamo? Forse deciderà di lasciar perdere stupide vendette e...»
«Tentar non nuoce.»
La voce di Gregory non era molto convinta, ed Alex ebbe il terribile sospetto che cercasse solo di farlo stare meglio, ma che in realtà non ci credesse molto.
Finirono di fare la spesa senza più tornare sull'argomento, e nel medesimo silenzio teso tornarono a casa.
Sebbene cercassero di far finta di nulla, tutta questa storia non riuscivano proprio a lasciarla alle spalle, così anche la loro vita di coppia ne stava risentendo.
Se Alex pensava che bastasse il perdono di Gregory per far tornare tutto normale, si sbagliava di grosso.
Non facevano più sesso da troppi giorni perché fosse una mera coincidenza, e ultimamente Gregory si era di nuovo allontanato da lui. 
Fu però proprio Gregory a proporre una svolta. Non potevano continuare così, perché era deleterio per entrambi. Gregory propose di invitare a cena questo Reginald. L'avrebbe conosciuto, finalmente, e avrebbe potuto trovare un modo di combatterlo.
Alex non era molto sicuro della cosa, ma avrebbe fatto di tutto pur di riavere una parvenza di normalità nella sua vita di coppia.
Dirlo a Reginald era stato tremendamente imbarazzante, per cui Alex l'aveva fatto per telefono, vergognandosi ancora una volta del suo comportamento infantile.
La sera della cena, Gregory era nervoso e agitato. Lo era stato tutto il giorno, e più si avvicinava l'ora più era intrattabile.
«Speriamo che il cibo sia buono» aveva commentato Alex al telefono con il fratello, mentre era nascosto in bagno per cercare qualche minuto di tranquillità. «Con l'ansia che ha, temo che verrà tutto uno schifo.»
«Non puoi dargli torto» disse il fratello con un profondo sospiro. «Non capisco cosa diamine ti sia passato per la testa a non raccontargli di Reginald. In America devi aver sbattuto la testa da qualche parte ed esserti fatto parecchio male.»
Alex non commentò, sbuffando infastidito.
Non poteva certo spiegare al fratello che si vergognava come un cane, perché quel matrimonio non era altro che un matrimonio finto.
«Dovresti farmi sentire meglio, non peggio.»
Gli chiuse praticamente la chiamata in faccia, tornando nell'altra camera.
Gregory aveva ormai finito di preparare la cena. Aveva già apparecchiato la tavola, preparato l'insalata e cotto la carne.
Con un tempismo pressoché perfetto, il citofono trillò, segnalando l'arrivo del loro ospite.
Reginald era elegantissimo e si muoveva con una grazia che Alex non gli avrebbe mai attribuito, dopo l'incontro a casa sua.
Aveva in mano una bottiglia di vino rosso molto pregiata, che apparteneva sicuramente a quello che era rimasto nelle cantine appartenute a suo padre.
«Spero sia adatto alla cena che avete preparato» disse, mentre si toglieva elegantemente il suo lungo cappotto. «Non vorrei fare una prima brutta impressione.»
Lo aveva detto con tono altamente sarcastico, come se in realtà gli importasse veramente poco dell'impressione che poteva fare a Gregory.
«Entra» lo invitò Alex, più brusco di quanto intendesse essere. Reginald alzò un sopracciglio, ma non commentò. Piuttosto, si lasciò guidare da Alex verso il tavolo, dove Gregory li aspettava in piedi, con le mani artigliate ad uno strofinaccio.
I due uomini si scrutarono per un periodo di tempo indefinito, prima di presentarsi l'un l'altro con una stretta di mano così forte che Alex temette che uno dei due si fosse rotto una mano.
In quel momento si diede del completo idiota per aver pensato che avrebbe funzionato. Gregory era così teso e scostante che non sarebbe certo riuscito a dimostrare alcunché a Reginald. Rischiava anzi di dargli ulteriori motivi di rifiutare il divorzio.
Quando ebbero tutti preso posto, la cena cominciò in silenzio. Nessuno pareva aver voglia di iniziare una conversazione: Alex e Greg erano troppo nervosi, mentre Reginald, con un sorrisetto sarcastico dipinto sul volto magro, era occupato a studiare la situazione.
«Cosa fai nella vita, Gregory?»
La domanda giunse talmente inaspettata, che Alex rischiò di strozzarsi con un pezzettino di bistecca.
«Sono un professore. Insegno Letteratura...»
«Americana, immagino» lo interruppe. «Interessante! Anche se ho trovato questa professione sempre un po' noiosa.»
Prima che Gregory potesse rinfacciargli il fatto che lui non aveva certo bisogno di lavorare, Alex gli strinse una mano, come avvertimento.
«E, ditemi,» continuò Reggie, con un tono ancora ironico, «quando avete intenzione di sposarvi?»
«Non ne abbiamo ancora parlato» fece Alex. 
L'appetito gli era completamente scomparso, ma si aggrappava alla forchetta quasi fosse la sua unica ancora di salvezza, e continuava a mangiare per non essere costretto a sbottare.
«Oh, questo non me lo aspettavo proprio. Pensavo che l'urgenza della richiesta di divorzio avesse un motivo.»
«Non basta il fatto che ora Alex stia con un'altra persona?»
Gregory non era proprio riuscito a trattenersi.
«Oh, dipende» commentò Reginald in tutta tranquillità, continuando a mangiare come niente fosse. «Non si può certo chiedere il divorzio per il primo che capita.»
Gregory sbuffò inferocito, ma Alex scelse strategicamente quel momento per versare il vino, spezzando la tensione per pochi attimi.
«Non sta a te giudicare, comunque» disse Greg ora con voce più pacata. «La scelta è sua, potrebbe volere il divorzio a prescindere.»
Reginald non commentò, ma un sorrisetto crudele gli si dipinse sul volto.
Alex se ne accorse subito e pensò di correre ai ripari, prima che la situazione degenerasse.
«Greg, potresti venire un attimo in cucina, per favore?»
Greg lo seguì volentieri, perché si era reso conto da solo che aveva bisogno di una pausa prima che l'impulso di uccidere quel tizio snob si impossessasse definitivamente di lui.
Per un istante, era stato tentato di fare tiro al bersaglio con il coltello, puntandolo dritto sulla fronte del tizio.
«Dobbiamo cercare di calmarci» sbottò Alex, ansioso. «Non abbiamo invitato Reginald per dimostrargli quanto ci amiamo? Se continuiamo così, con tutta questa tensione, penserà che ci odiamo, invece.»
«È che non lo sopporto» sbuffò Gregory. «È come un ragazzino viziato che vuole averle tutte vinte lui. Mi infastidisce la sua presenza. Comincio a pensare che l'idea della cena sia stata una stupidaggine totale.»
«Ma è stata una tua idea!»
Gregory sospirò, prendendo la mano di Alex.
«Lo so, ma era un tentativo disperato. Non mi piace la situazione, Alex, e devo essere sincero. Era l'ultima cosa che mi sarei aspettato, quando siamo arrivati qui.»
C'era delusione nella sua voce, e Alex non poteva dargli torto.
«Ti prego, fallo per me. Cerchiamo di finire in fretta questa tremenda serata e poi torneremo alle nostre vite.»
Greg sospirò, scuotendo sconsolato la testa, prima di lasciargli un freddo bacio sulle labbra e tornare nell'altra stanza.
Alex rimase un momento a riordinare i pensieri, stringendo convulsamente la mani al ripiano della cucina.
Non credeva sarebbe stato così difficile, soprattutto visto che una volta Reginald era come un fratello per lui. Sperava che, dopo il primo momento di rabbia, cambiasse idea e gli concedesse quel benedetto divorzio.
Se il giorno del suo finto matrimonio gli avessero detto che cinque anni dopo avrebbe dovuto implorare Reggie per riavere indietro la sua libertà, avrebbe riso come un matto e non avrebbe creduto ad una sola parola.
Pensò di prendersi qualche minuto di riposo, prima di tornare, quando il rumore di un piatto che si rompeva catturò la sua attenzione.
Con il cuore palpitante, corse nell'altra stanza, solo per vedere un tranquillo Reggie che sorseggiava del vino, mentre Greg osservava il suo stesso piatto a terra, in mille pezzi.
Il suo compagno aveva gli occhi spalancati e spiritati, mentre respirava affannosamente.
«Il tuo fidanzato dovrebbe imparare a gestire la rabbia, Alex. Non prendersela con dei poveri, innocenti piatti di porcellana.»
«Che sta succedendo?» chiese Alex, perplesso e preoccupato.
«Continua a provocarmi» fece Greg a denti stretti. «Mi fa innervosire e per sbaglio ho buttato il piatto per terra.»
Reginald ridacchiò malignamente nel sentire quelle parole.
«Non pensavo di fare così tanto effetto.»
«Perdonami, Reginald» disse Alex, guadagnandosi un'occhiata scioccata da parte di Greg. «Forse l'idea della cena non era così buona. È avvenuta troppo presto; magari possiamo dimostrarti che siamo veramente innamorati in altri modi.»
Reginald lo fissò negli occhi, quasi lo stesse studiando come un difficile rompicapo.
«Oh, ma penso di aver capito molto da questa serata e dal modo in cui il tuo ragazzo non marca il territorio.»
Gregory stava per rispondere quando Reginald alzò la mano verso di lui, facendogli cenno di tacere.
«Insomma, invece che dimostrarmi che ora sei completamente suo, non ha fatto altro che innervosirsi e sbraitare come un cane rabbioso. È ovvio che è ancora arrabbiato con te, per la storia del matrimonio. Quindi, mi chiedo, se anche io ti concedessi il divorzio, quanto credi che durerebbe la vostra storia? Quanto, prima che Gregory si accorga che non si fida più di te e decida di andare a cercare l'amore da un'altra parte? Tutto quello che avete fatto stasera non è stato altro che confermare...»
«Come ti permetti di dire questo?» lo interruppe Greg. «Tu non mi conosci per niente, non sai come sono e non puoi pretendere di sapere quello che penso o non penso.»
«Però non neghi di essere furioso con Alex.» Reggie rise di nuovo. «Hai detto che non ti conosco e che non so come ragioni, eppure non mi hai detto che ami Alex e che non andresti mai con un altro. Forse ho colpito nel segno, dopotutto.»
Alex, che osservava i due uomini guardarsi in cagnesco, non sapeva come fermarli. Anche lui aveva notato che Gregory continuava ad essere freddo con lui, ma non gliene faceva una colpa. Poteva capirlo, poteva comprendere come si sentisse, e non per questo metteva in dubbio l'affetto che provava.
«Non sono affari tuoi di come gestisco il mio rapporto con Alex. Se non vuoi concedergli il divorzio, troveremo un modo di ottenerlo. Non capisco questa dannata fissa che hai per lui.»
«Era mio marito, e mi ha abbandonato.»
Gregory scoppiò a ridere nervosamente, risedendosi e passandosi una mano sul volto per darsi una calmata.
«Lo sappiamo tutti qui dentro che quel matrimonio era una farsa. Non sei nemmeno mai stato a letto con lui, cosa pretendi di sapere? Forse è questo il problema, forse hai sempre voluto farti Alex e, quando non ci sei riuscito, hai fatto in modo di sposarlo. Pensavi forse che facendo così sarebbe venuto a letto con te? Sei patetico.»
E qui, l'espressione di Reginald si fece vittoriosa, come se le parole di Gregory fossero proprio quelle che voleva sentire. Scoppiò sonoramente a ridere, tanto da avere le lacrime agli occhi, come se quelle parole fossero la miglior barzelletta mai sentita sulla faccia della terra.
Ed Alex in quel momento ebbe seriamente paura, vedendo l'espressione del suo volto.
Gregory lo fissava, anche lui perplesso.
«Ah, ma forse il tuo caro fidanzatino non ti ha detto che la prima notte di nozze moriva dalla voglia di fare sesso con me. Sono stato io ad insistere che era meglio evitare. E visto come sono andate le cose, è stato meglio così. Ma forse tu puoi raccontarmi cosa mi sono perso a rifiutarlo.»
Alex era completamente sbiancato a quelle parole, per poi diventare rosso per la vergogna.
Gregory lo conosceva fin troppo bene e capì che le parole di Reginald erano vere.
«Non è andata proprio così» tentò comunque di difendersi Alex. «Io avevo bevuto parecchio e non ragionavo lucidamente, ero u...»
«Ubriaco, certo» concluse Reginald per lui. «Ma mi hai pregato lo stesso di scop...»
«Adesso basta!» urlò Gregory furioso, sbattendo il pugno sul tavolo. «Sei veramente una delle persone più viscide che abbia mai incontrato. Vieni a casa mia, dove ti ho invitato per un'offerta di pace, e tutto quello che sai fare è insultare me e il mio compagno?»
«Offerta di pace? A ma pare una dichiarazione di guerra bella e buona. Tu non volevi rabbonirmi per cercare di ottenere il divorzio, tu volevi solo studiare il tuo nemico e capire come fare a sconfiggermi. Ma l'idea che Alex volesse farsi scopare da me ti ha fottuto il cervello, e ora non riesci nemmeno più a ragionare.»
«Brutto bastardo...»
«Tu stai insultando me, ma in realtà è l'uomo che vuoi sposare quello che mi ha abbandonato. E non c'entra il fatto che il matrimonio fosse finto. Lui era la cosa più simile ad un fratello che avessi mai avuto, era il mio migliore amico. E mi ha abbandonato.»
Gregory non disse una parola, ma buttò il tovagliolo e scappò letteralmente via. Prima di uscire dalla stanza, però, lanciò un'occhiata di rabbia e delusione verso Alex.
Qualsiasi cosa avesse provato quando aveva scoperto che il suo ragazzo era sposato, ora era stata amplificata per mille volte.
Sapere che Alex aveva desiderato Reginald era un colpo al suo orgoglio. Prima di quella sera era così sicuro che il problema fosse un interesse non corrisposto che aveva spinto Reginald alla vendetta. Ora si chiedeva se in realtà Reginald non sapesse quanto Alex era volubile e voleva dimostrarglielo nel modo più crudele, ossia minando la fiducia già labile che aveva per lui.
Prese il cappotto e, senza dire una parola, si infilò le chiavi dell'auto in tasca.
Alex non fece in tempo a seguirlo, che sentì il portone di casa sbattere sonoramente.
 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Grande ritornooo! Beh, purtroppo non troppo grande, visto che questo capitolo l'ho scritto tre volte e ancora non mi piaceva. Non mi piace nemmeno ora, ma sentivo il bisogno di andare avanti per poter passare ad un livello successivo della trama :D
Un grazie gigante a SNeptune84, che ha betato prontamente il capitolo :D
A presto, spero!
Un bacione
Serelily


Capitolo 5

Alex e Reginald erano rimasti per un tempo indefinito fermi, entrambi troppo sorpresi per reagire. Reggie, che aveva studiato tutto il giorno come fare a innervosire il caro Gregory, non aveva osato sperare che il terzo incomodo sparisse così presto.
Sorridendo dentro di sé senza farlo vedere all’altro, si alzò a sua volta.
«Sarà meglio che io tolga il disturbo, non vorrei stare qui quando tornerà il tuo fidanzato.» L’aveva detto con tono provocatorio, ma Alex rimase inerme, continuando a fissare il vuoto davanti a sé.
Fu proprio mentre Reggie si stava per allontanare che si mosse, mettendogli la mano sul braccio e stringendo forte, come a volerlo pregare di non andarsene e di non lasciarlo solo.
Reggie, nonostante la tentazione, strattonò il braccio e si allontanò a grandi passi. Il tempo di rimettersi la giacca ed era già andato via sbattendo la porta.
Non voleva restare col rischio di lasciarsi di nuovo abbindolare da Alex. Non aveva mai realizzato, prima di quella serata, quanto il suo vecchio amico fosse un debole.
Alex era il tipo di persona che sapeva solo seguire la corrente, lasciarsi trasportare dagli eventi, senza mai realmente prendere una decisione totalmente sua.
Il matrimonio, la fuga e poi il fidanzamento con Gregory. Faceva esattamente quello che sapeva gli altri si aspettassero da lui, senza mai obiettare.
Per questo non voleva concedergli il divorzio.
Certo, anche per vendetta. Nessuno sarebbe passato sopra a quello che Alex gli aveva fatto, ma in cuor suo sperava anche di smuoverlo, costringerlo a reagire e venire a patti con se stesso.
La mano si mosse automatica a cercare la sigaretta nella tasca dei pantaloni, mentre Reggie rideva di sé.
Si era dannatamente ammorbidito se ancora si preoccupava per il destino di Alex. Avrebbe dovuto concedergli il divorzio e dirgli di andare al diavolo.
Non meritava niente da lui, eppure non riusciva a staccarsi.
Se almeno…
Scosse la testa. Ripensare al passato non aveva senso, oramai. Tanto valeva andare avanti con questa farsa finché sarebbe stato possibile, e poi chiudere la storia una volta per tutte. Sarebbe stato terribilmente sfiancante e deleterio, per cui aveva bisogno di sentirsi nel pieno delle sue forze. Sapeva come fare, anche se non ne andava proprio fiero.
Ma, vista la situazione, non si sentì in vena di autocritica.
Digitò un numero sul suo cellulare. Sapeva già che Vincent sarebbe stato pronto per lui. Sorrise nel sentire la voce calda dell’uomo, sebbene quella sera non fosse proprio in vena di sesso.
Lo voleva per altri motivi, ma non era detto che, una volta arrivato lì, non avrebbe cambiato idea.
La verità era che non sopportava fare sesso perché pensava solamente ad Alex, e non era certamente il modo migliore per chiudere la serata.
Vincent lo attendeva nel suo loft, ed era già alticcio quando era arrivato. Non era solo, ovviamente. C’erano almeno tre o quattro persone in quella casa, a partire dalla moglie di Vincent stesso.
Reginald sapeva che, se c’era la moglie e Vincent lo seduceva, allora la donna doveva essere talmente fatta da non accorgersene nemmeno.
Quando sentì le labbra di Vincent sul suo collo, capì che era così anche quella sera.
Sorrise, dimenticandosi tutti i problemi.
Forse l’idea del sesso non era poi così male.
 
Alex aveva sparecchiato con estrema lentezza, come se ogni movimento gli costasse una grande fatica. Sapeva che era tutta colpa sua, per cui non era nemmeno arrabbiato.
Si sentiva solamente abbattuto, stanco. Tutta quella storia lo stava facendo sentire sempre sull’orlo di un baratro, e poteva vedere come tutti fossero pronti a saltargli alla gola, a cercare di azzannarlo.
Sapeva che se davano la colpa a lui una buona ragione c’era, ma non poteva fare a meno di sentirsi sotto pressione costante.
Non vedeva l’ora che quell’incubo finisse.
Gli sfiorò il pensiero di chiamare Gregory, ma che senso aveva farlo? Conoscendolo, non avrebbe mai risposto e sarebbe stato solo un inutile spreco di tempo.
L’unica cosa che poteva fare era sparecchiare, mettersi a letto e pregare di venire risucchiato nell’oblio.
Chiamare Reggie, poi, era fuori discussione. Non poteva cercarlo, non poteva sperare nella sua compagnia. Non con la situazione che si era creata.
Si sedette sul divano, prendendosi la testa tra le mani. Gli sembrava che il mondo stesse crollando, che non ci fosse ormai via d’uscita per il caos che aveva creato.
La tentazione di lasciar perdere tutto e fuggire, di nuovo, era fortissima.
Ma né Reginald e nemmeno Greg meritavano questo. Avrebbe dovuto lottare, questa volta. 
Ma questo non voleva dire che doveva per forza farlo in quella casa. Forse andarsene e lasciar sbollire con calma il compagno era l’idea migliore che potesse avere.
Si alzò, risoluto, dirigendosi in camera e tirò fuori il trolley che teneva sotto al letto.
Sarebbe andato dai suoi per un paio di giorni, e poi avrebbe pensato al da farsi. Non aveva senso rimanere lì e costringere Gregory a subire la sua presenza.
Si diceva che sicuramente lo faceva per quel motivo, e non per la paura dello stato emotivo in cui sarebbe stato Greg una volta tornato a casa.
Non stava fuggendo, non per davvero.
E anche tornando a casa, avrebbe dovuto affrontare sua sorella, che non vedeva l’ora di poterlo insultare per il suo comportamento.
Il pensiero di Amy stava quasi per farlo desistere, ma tra Amy e Greg aveva decisamente più paura di Greg.
Mettere via le sue cose fu comunque molto triste. Gli pareva quasi che fosse una soluzione definitiva, un non tornare indietro.
Scosse la testa cacciando via questi pensieri inutili e si spostò in bagno, dove prese i suoi effetti personali.
Una volta terminata la valigia, restò in quella casa solo il tempo di scrivere un biglietto a Gregory per spiegargli la situazione.
Poi scappò via come un coniglio.
 
Quando Gregory rientrò a casa, era meno furioso, ma non meno arrabbiato. O forse la parola esatta era deluso. Non si era mai sentito così deluso da una persona in tutta la sua vita. E dire che ne aveva avuti di pessimi fidanzati, ma mai per nessuno si era sentito in questo modo.
Credeva di conoscere Alex per davvero, e invece quello che stava scoprendo lo faceva sembrare un piccolo bambino viziato e volubile, e non certo il fidanzato che conosceva. 
Nonostante l’odio verso Reginald, non poteva fare a meno di capire il suo comportamento irritante.
La casa era stranamente silenziosa, di Alex non c’era traccia. Fu solo quando andò in bagno e non trovò i rasoi che il compagno usava per la barba, che gli venne il sospetto.
Tornò in cucina, dove le pentole erano state abbandonate a loro stesse. Nel cesto della frutta, a fianco del quale Greg poggiava sempre la sua tazza di tè prima di andare a dormire, c’era un biglietto.
 
So che penserai che sono un codardo, ad essermene andato via così. Forse hai ragione, o forse no. Quello che credo è che non è giusto importi la mia presenza, ora come ora. Quindi prendo con me qualche cambio e vado qualche giorno dai miei.
Ti lascio il tempo di sbollire e intanto penserò ad un modo per convincere Reginald delle mie buone intenzioni.
So che in questo momento sei furioso, e so che odi il modo in cui mi sono comportato. Ero giovane e stupido, ma non ripeterò con te gli stessi errori che ho fatto con Reg, ti prego di credermi.
In questi giorni non ti chiamerò, non voglio importi la mia presenza. Aspetterò che sia tu a farlo, se lo vorrai e se ne sentirai il bisogno.
Non sto fuggendo, te lo giuro, ma lo faccio per salvare quello che ancora si può salvare nella mia vita, e cioè la nostra relazione. Ti prego, Greg, credimi quando ti dico che da te non scapperei mai. Voglio solamente lasciarti i tuoi spazi.
Mi dispiace per tutto questo,
Alex
 
Gregory strinse il biglietto con forza, sentendosi preso in giro.
Non era cresciuto minimamente. Era fuggito di nuovo come un bambino pauroso. Alex non era emotivamente capace di sostenere una discussione.
L’avrebbe preso a pugni, se se lo fosse ritrovato davanti.
Invece cercò di calmarsi e pensare razionalmente.
Forse era un bene che se ne fosse andato. Forse non sarebbe dovuto nemmeno tornare. Doveva cominciare a ragionare, a cercare di capire se valeva la pena sposare un uomo del genere.
Si morse un labbro e digitò un messaggio.
 
Ho trovato il tuo biglietto. Schiarisciti le idee, ne parleremo quando avrai capito meglio i tuoi errori. E stai decisamente fuggendo.
 
Ne mandò un secondo a Joshua, disdicendo il loro appuntamento settimanale. Non aveva proprio voglia di vedere gente, e quella mezza attrazione che aveva con quel ragazzo non avrebbe fatto altro che complicare le cose. Era necessario mantenersi a distanza per un po’, evitare di coinvolgersi troppo fino a che la situazione non fosse tornata alla normalità.
Lui era decisamente un adulto, molto più di Joshua e di Alex, e toccava a lui dominarsi e comportarsi come tale.
Fece una triste risata a quel pensiero. Forse essere l’adulto della situazione non portava mai dei vantaggi, ma solo pesci in faccia.
In quel momento, fare il maturo lo stava facendo soffrire davvero tanto, perché se si fosse comportato da bambino capriccioso, sarebbe andato a letto con Josh alla prima occasione. Il ragazzo non l’avrebbe mai rifiutato, glielo leggeva negli occhi.
Sarebbe stato facile, e si sarebbe vendicato del buco nel cuore che sentiva per colpa del suo fidanzato. Però non era affatto giusto, nei confronti di entrambi.
Si alzò stancamente e si diresse in camera da letto, indossando il pigiama come un automa. La sensazione di vuoto dentro di lui lo faceva sentire più stanco di quanto in realtà fosse, e il fatto che Alex non fosse lì, ma fosse fuggito di nuovo dai problemi che li attanagliavano, non aiutava certo a farlo sentire meglio.
Stava per andare a dormire, quando lo squillo del telefono di casa lo riscosse. Perplesso, si alzò e raggiunse la cornetta.
Non era certo Alex, che avrebbe chiamato al cellulare, e una telefonata a quell’ora di notte non era un buon segno.
«Pronto?» rispose con tono incerto.
«Parlo con Alex Wilson?» disse la voce di una giovane donna.
«Non è qui al momento. Chi lo cerca?»
«St. Thomas’ Hospital. Il signor Wilson dovrebbe raggiunge immediatamente l’ospedale…»

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Salve salvino, sono finalmente tornata. Purtroppo, mentre scrivevo la tesi non riuscivo mai a trovare tempo e ispirazione, ma ora che mi sono laureata spero di darmi una mossina con questa storia :D
Grazie a SNeptune84 per il betaggio

CAPITOLO 6

Greg non aveva ancora idea del perché si trovava lì. Tecnicamente non avrebbero nemmeno potuto farlo entrare, ma per fortuna il paziente era sveglio e l’avevano lasciato passare senza problemi.
Quando aveva ricevuto quella telefonata, era corso immediatamente, perché, per quanto odiasse la persona che era lì davanti a lui, non poteva certamente desiderare la sua morte.
«Come mai sei qui?» una voce interruppe il flusso dei suoi pensieri. «La mia morte sarebbe stato solamente un vantaggio per te, quindi perché sei qui?»
Reginald era in uno stato pietoso. Era pallido e sudato, gli occhi gonfi e rossi, i capelli lucidi gli ricadevano sulla fronte. Sembrava impossibile che poche ore prima quello stesso uomo era a cena a casa sua.
«Non mi è mai passato per la testa di desiderare la morte di qualcuno, non inizierò certo con te.»
Reginald rise senza allegria, leccandosi le labbra secche.
«Questo non spiega ancora la tua presenza qui.»
Greg sospirò e andò a sedersi sulla poltroncina accanto al letto.
«Quando mi hanno telefonato, hanno chiesto subito di Alex. Lui non c’era e così ho detto all’ospedale che l’avrei contattato io. Quando mi hanno detto che eri tu, ho voluto vedere con i miei occhi che diamine ti fosse successo… Non so spiegarti il perché» concluse con un sospiro.
«Alex non sarà contento di sapere che sei qui. Anzi, non sarà contento di tutta questa situazione.»
«Con questo vuoi dire che preferisci che Alex non lo sappia? Scordatelo. Se può aiutarti a uscire da questo giro, lo dirò ad Alex e…»
Reginald scoppiò a ridere nel sentire queste parole, cosa che lasciò Gregory parecchio sbalordito.
«Io non so dove Alex ti abbia trovato, ma ha fatto davvero un bel colpo. Comunque non devi preoccuparti per me; un tempo credevo di amare ancora Alex, ma non so più se è così. Vorrei tanto che capisse i suoi errori, che la smettesse di essere così terribilmente egoista da calpestare i sentimenti degli altri, ma non so se lo rivorrei nella mia vita.»
Gregory annuì, rendendosi conto ora che Reginald aveva ragione. Loro due si erano odiati dal primo momento, e tutto per colpa di Alex, che forse era l’unico a meritarsi il loro odio.
«Alex è andato via» lo informò allora Gregory, mordendosi il labbro. «È fuggito come un coniglio mentre non c’ero, e ora che sono più calmo non so se lo voglio ancora nella mia casa, nel mio letto… nella mia vita. Io non so quale sia il tuo piano per fargliela pagare, ma non funzionerà se io non voglio più sposarlo. Quindi mi dispiace se ho rovinato…»
«Ci sono molti modi per rovinare la vita di Alex, ma in questo momento non ho la forza di pensarci. Non preoccuparti, troverò un altro modo e…»
«Ho io un’idea» disse Gregory a bruciapelo, alzandosi e avvicinandosi al fianco del letto.
«Mi prenderai per pazzo, ma credo che la soluzione migliore sia che tu vieni a stare da me. Io ti aiuterò a ripulirti da questa robaccia, e poi insieme troveremo un modo per farla pagare ad Alex. E se un po’ ho imparato a conoscerlo in questi anni, penso che non sopporterà l’idea di noi due che uniamo le forze e ci alleiamo contro di lui. È una cosa che lo manderà in bestia.»
Reginald rimase zitto per qualche minuto, cercando di riordinare i pensieri. Gregory aveva continuato ad osservarlo per tutto il tempo, chiedendosi cosa passasse per la sua testa.
«Tu gli vuoi ancora bene» disse infine, e la sua non era certo una domanda.
«Avrei tanto voluto punirlo, ma dentro di me speravo che capisse i suoi errori e tornasse indietro, che si rendesse conto che le sue debolezze avevano ferito delle persone. Posso sembrare freddo e cattivo, se voglio. Spietato e senza sentimenti, con tutti. Ma Alex è sempre stato la mia debolezza, e con lui non riesco…»
«Pensaci e basta, per ora non ti chiedo altro.»
Reginald annuì, anche se in cuor suo temeva che Gregory fosse ancora meno obiettivo di lui, visto come era stato tradito e deluso dalla persona che amava.
 
Erano passati diversi giorni da quanto Gregory era stato in ospedale a trovare Reginald per l’ultima volta. Non sapeva nemmeno se e quando sarebbe uscito il ragazzo, come stava, se aveva deciso di disintossicarsi o no.
Non aveva sentito nemmeno Alex, e ancora non sapeva se la cosa gli giovava o meno. Abituarsi alla sua assenza era difficile, nonostante tutto. Aveva lasciato il suo mondo, la sua patria, e ora era rimasto con niente in mano.
Nemmeno il suo innocente flirtare con Joshua lo stimolava più, anzi, si era deciso a darci un taglio perché al momento era l’ultima cosa che desiderava.
Rimase sorpreso quando, quella mattina, giunse la telefonata dell’infermiera privata di Reginald. La donna gli aveva chiesto di raggiungere il suo capo presso la clinica privata in cui era stato ricoverato per disintossicarsi.
Gregory si era accordato con lei per recarsi lì nel suo giorno libero, impaziente di sapere cosa Reginald avesse deciso in merito alla sua proposta.
Quando finalmente giunse il momento di entrare nella camera del ragazzo, rimase fortemente stupito di scorgere un’altra visitatrice.
La sorella di Alex era lì, chiaramente in visita presso Reginald. Era seduta su una poltroncina accanto al letto del ragazzo, ed era completamente protesa verso di lui, che le era seduto davanti.
Gli stringeva forte una mano tra le proprie e lo guardava come fosse qualcosa di prezioso.
Decise di dileguarsi per un po’; non aveva una gran voglia di incontrarla. Anche se sapeva che la ragazza aveva un debole per Reginald, non era sicuro di esserle congeniale, e comunque gli ricordava troppo Alex perché non facesse male parlare con lei.
Era ancora troppo presto.
Solo dopo un’ora tornò sui suoi passi, controllando che la donna se ne fosse andata. Trovò Reginald da solo a leggere, seduto sulla poltrona.
«Sei solo in ritardo o non volevi farti vedere da Amy?» chiese il ragazzo senza alzare gli occhi dal libro.
«Non sono ancora pronto a incontrare la famiglia di Alex, quindi mi sono dileguato per un po’.»
Reginald  rise e mise via il libro, poggiandolo sul letto.
«Hai preso una decisione?» chiese Gregory guardandolo intensamente.
Reggie sospirò.
«In realtà, la situazione si è complicata. Non è la prima volta che mi riduco in questo modo, e il dottore che mi ha aiutato la prima volta mi ha detto che non lascerà che io torni a casa da solo. I domestici non sono in grado di prendersi cura di me e…»
«E il dottore vorrebbe che tu vivessi con qualcuno che può tenerti d’occhio.»
Reginald annuì, mordendosi leggermente il labbro, come fosse in imbarazzo. Forse temeva di essere stato inopportuno, che Gregory si sentisse quasi sfruttato dal suo atteggiamento.
Tuttavia, Gregory non si sentiva usato. Non importava che Reginald avrebbe approfittato della sua proposta per poter uscire dalla clinica, perché Gregory l’aveva fatta proprio per utilizzare Reginald per la sua vendetta.
Sfruttarsi a vicenda forse sarebbe servito a entrambi, per poter superare la situazione.
«Allora è deciso» sorrise Gregory, non lasciando a Reginald il tempo di commentare. «Ora devo andare a preparare dei test per i miei studenti e a sbrigare qualche commissione, prima del tuo arrivo. Fammi sapere solo quando uscirai da qui, il numero te l’ho lasciato.»
Reginald, frastornato, gli fece un segno di saluto, vedendolo sparire nel corridoio.
 
Joshua era in fibrillazione. Ormai attendeva con ansia tutti i martedì, sperando che il professor Williams tornasse a comportarsi come al solito con lui.
Si era reso conto che l’aveva allontanato, anche se con gentilezza e senza alcun atteggiamento brusco. Semplicemente, ora lo chiamava di nuovo per cognome e difficilmente si rivolgeva a lui se non per parlare del concorso di poesia o di argomenti prettamente scolastici.
Il ragazzo non conosceva nel dettaglio la vita privata del suo professore, ma era sicuro che il motivo fosse da ricercare in quell’ambito.
Lui non aveva fatto nulla per farlo allontanare, quindi di certo non poteva essere sua la colpa.
Tuttavia, il ragazzo era sicuro che sarebbe riuscito a riconquistare l’attenzione del suo professore, cercando di stargli vicino per consolarlo, qualsiasi fosse il problema che attanagliava i suoi pensieri.
Avrebbe osato di più, ma sapeva che il professor Williams era una persona seria che difficilmente avrebbe avuto una relazione con uno studente come lui. Per ora, non poteva pretendere di meglio.
Doveva procedere a piccoli passi, con lui, sperando di farlo cadere nella sua rete.
Se i suoi amici avessero saputo dell’ossessione che aveva per il suo professore, l’avrebbero di certo fatto desistere. Era troppo rischioso, e poi Joshua aveva un sacco di pretendenti tra ragazzi e ragazze, non aveva certo bisogno di corteggiare un professore.
Tuttavia, non riusciva a levarselo dalla testa, per cui si era arreso all’idea di essersi preso una bella cotta.
L’unico rimedio era avere il professore il più vicino possibile, anche solo come amico e confidente.
Del resto, Josh era abituato ad avere quello che voleva, e lottava volentieri per ottenerlo.
Quel martedì mattina era particolarmente esaltato, perché, quando aveva incontrato il professore nei corridoi, quest’ultimo gli aveva sorriso, per salutarlo.
Era un po’ che non lo vedeva sorridere, e questo era decisamente un buon segno.
Quando Joshua lo raggiunse, al termine delle lezioni, il professore stava parlando al telefono.
Il ragazzo si tenne a distanza, ma non poté fare a meno di sentire la conversazione.
«Ti ho detto quando vuoi… sì, sì non ho problemi… Dimmi solo se hai bisogno che ti venga a prendere.»
Joshua fu incuriosito, chiedendosi con chi mai parlasse il professore, sentendo una punta di gelosia diffondersi dentro di lui.
«Va bene, allora ti aspetto.»
Il professore chiuse la chiamata, riponendo il telefono dentro la sua valigetta e cominciando a prepararsi per uscire.
Fu allora che Joshua bussò delicatamente alla porta semi aperta, facendo finta che fosse arrivato proprio in quel momento.
«Ah, Smith» fece il professore alzando lo sguardo. «Ti stavo proprio aspettando. Oggi purtroppo dovrò andar via qualche minuto prima perché ho un impegno personale.»
Joshua alzò le sopracciglia, decisamente sorpreso.
«Ma certo…»
«Un mio caro amico viene a trovarmi, e vorrei essere a casa per quando arriverà» disse il professore, quasi non avesse sentito le parole di Josh. Sembrava quasi allegro, e il ragazzo si chiese se quello fosse solo un amico, o magari qualcosa di più.
I due si diressero insieme verso l’auto del professore e il più giovane, sentendo una strana audacia impadronirsi di lui, decise di osare.
«Stavo pensando di proporre un tema un po’ diverso rispetto a quello proposto lo scorso anno» affermò. «Non è mai capitato che qualcuno parlasse di amore omosessuale. Insomma, l’amore in generale viene sempre celebrato, ma non viene mai specificato…».
«Come mai un tema simile?»
«Diciamo che mi sta molto a cuore» alluse il ragazzo.
«Lo immaginavo» commentò il professore. «Spero di non risultare sgradevole dicendo che lo avevo intuito.»
Josh scosse la testa.
«Nessun problema, professore. O almeno, se per lei non lo è.»
«Non per essere brusco, Joshua, ma sarebbe il caso che tu non insultassi la mia intelligenza facendo finta di non sapere che anche io sono omosessuale.»
Josh non se la prese per le parole del suo professore. Prima di tutto, l’aveva detto con un ghigno adorabile sul viso, e poi l’aveva chiamato Joshua, e questo era decisamente un miglioramento.
Parlarono del più e del meno per il resto del viaggio, e Joshua si sentì potente quando, mentre proponeva l’argomento, il suo professore lo sostenne con decisione.
Sì, decisamente stava andando nella direzione giusta. Doveva continuare così, e presto sarebbe riuscito a capire cosa era successo al professore quando si era allontanato.
L’unico dettaglio era capire chi fosse il suo amico e se fosse o meno un intralcio da eliminare.
Di certo, averlo a casa rendeva il professore decisamente più allegro.
Forse era il momento di sfruttare i soldi della sua famiglia per cercare di capire meglio la situazione. 
 
Gregory era parecchio allegro mentre quella sera tornava verso casa. Alla fine, non era riuscito a trattenersi dal flirtare di nuovo col ragazzo, e questa volta mettendo in chiaro che non era solo confidenza ma qualcosa di più. Entrambi sapevano che l’altro era interessato alle persone dello stesso sesso, quindi ora si giocava a carte scoperte.
Reginald, poi, stava per arrivare. La cosa lo faceva sentire davvero euforico, a livelli decisamente esagerati.
Stentava a riconoscersi: non era un tipo così vendicativo, e quando Alex si era ferito al dito era convinto di averlo perdonato. Ma sapere che il suo futuro marito era un bugiardo simile non aveva fatto altro che gettare benzina sul fuoco.
Ora, dentro di sé sentiva che stava per iniziare una fase totalmente nuova della sua vita; certo, non era quello che si aspettava. Non ci sarebbe stato il suo matrimonio e la prospettiva di un futuro con Alex, ma l’inaspettato a volte sorprende e lui era contento che la verità sull’uomo che stava per sposare fosse venuta a galla.
Ora finalmente sentiva di potersi rimettere in sesto e dare una lezione all’uomo che credeva di amare.

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