Un giovane crepuscolo

di ArwenNymeria
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Cenere e vuoto ***
Capitolo 3: *** I sogni di drago ***
Capitolo 4: *** Una compagnia in viaggio ***
Capitolo 5: *** Mentire per vivere ***
Capitolo 6: *** Al cospetto dei Daedra ***



Capitolo 1
*** Prologo ***




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    4E 203 – Labirinthyan.


Il Dovahkiin raggiunse l'altare interno, tra le mani reggeva l'ultima maschera del Sacerdote Morokei. Alle spalle Cicero lo raggiunse mentre puliva il pugnale dal sangue di troll del gelo.
«Almeno non avremo più a che fare con quegli scorbutici Sacerdoti. Credevano di essere così potenti e invece guarda, le loro facce sono tutte in fila una dopo l'altra su una pietra.»
Il Dovahkiin si volse lentamente e guardò Cicero con aria scettica, poi attese che Serana riemergesse dalle ombre, affinché gli porgesse la Maschera di Legno.
«Fa' presto, questo posto non mi piace per niente», sibilò Serana.
Le dita del Dovahkiin si strinsero attorno alla maschera, la quale scivolò dalle mani di Serana che si ritirò di nuovo in un angolo a controllare l'esterno attraverso una stretta fessura.
Il Sangue di Drago osservò la maschera di legno, era l'unico viaggio che doveva fare solo, si era così abituato alla presenza di quei due che ormai l'idea di affrontare qualcuno da solo lo faceva sentire nudo. Scacciò quel moto di modestia dai suoi pensieri, guardò l'ultima volta Cicero e infilò la maschera.
Intorno a lui il mondo cominciò a vibrare e offuscarsi, i contorni divennero violetto, il resto sembrava sfuggente e in continuo cambiamento. Quando tutto si stabilizzò il Dovahkiin era di nuovo in quella stanza illuminata, il legno tuttavia non era marcio e bucherellato, bensì lucido e rifletteva le fiamme delle torce. Il piedistallo delle maschere non era semi distrutto come nel presente, le statue erano ancora integre e i bassorilievi ancora ben visibili. Il Sangue di Drago si mosse, ma gli sembrava di essere un ubriaco che tenta di raggiungere casa sua dopo una sbornia. Una volta giunto di fronte all'ultimo spazio vuoto vi pose Morokei, l'ultima maschera, e indietreggiò in attesa che qualcosa di orribile accadesse. La sua mano si trovò a stringere l'elsa della spada daedrica, eppure nulla si mosse. Un fascio di luce lo avvolse e lentamente tornò alla realtà.
Il dovahkiin rimase fermo, stava persino trattenendo il respiro. Fu solo con la voce di Cicero che tornò completamente in sé.
«Allora? Già fatto?», ridacchiò quel giullare assassino.
«Non capisco», mormorò improvvisamente il Sangue di Drago, «ho posto tutte le maschere e non è successo niente. Non capisco dove posso aver sbagliato.»
Serana si era avvicinata nel frattempo e aveva preso la maschera tra le mani, la aveva rigirata e infine aveva sorriso.
«Pare che la risposta fosse tra le tue mani, ma solo una come me poteva aprirti gli occhi. Guarda la maschera, è differente.»
Il Dovahkiin si soffermò più a lungo sui tratti della maschera e infine scosse la testa.
«In ogni caso questa maschera dovrà essere messa al sicuro, se davvero contiene i poteri di tutte le maschere è molto potente e in mano a un mortale chissà a quali infauste conseguenze porterebbe. Dobbiamo riportarla a Winterhold e lì lasciarcela.»
Nessuno sembrò obiettare, così la compagnia si rimise in cammino. La neve cadeva ormai da ore e un manto bianco aveva ricoperto il sentiero d'uscita, che però non era più un mistero per i tre, ormai abituati a percorrerlo.
Serana e Cicero erano qualche passo più avanti, avevano iniziato a discorrere di qualcosa che al Dovahkiin non interessava, ora la sua mente era concentrata su quella strana sensazione che lo pervadeva, molto simile al richiamo delle parole dei Thu'um quando si trovava nei pressi di un Muro del Potere.
Quella confusione sconosciuta si trasformò presto in un malessere, il guerriero cadde carponi nella neve e la maschera colpì i piedi di Serana che si volse e in un istante fu al fianco del Sangue di Drago.
«Cosa sta succedendo?»
Il Dovahkiin si sentì sempre più debole, udiva le voci dei due ovattate e lontane, fino quando tutto divenne nero.


Di fronte a sé trovò otto uomini, sembravano fluttuare e lo fissavano con aria spenta. Dopo interminabili secondi uno di loro avanzò verso di lui e sollevò il mento con aria di disprezzo.
«Degli otto gli spiriti hai deturpato, degli otto il sonno hai profanato. Tu mortale non conosci il tuo destino e sarà ben più amaro di quel che ti aspetti. Non siederai alla tavola del Sovngarde, non gioirai della tua gloria passata.»
Il Dovahkiin si scoprì in ginocchio di fronte a quelli che dovevano essere i Sacerdoti del Drago.
«Il mio destino si è compiuto, ora che Alduin è scomparso io tornerò alla mia vita, certo vi ho distrutti, ma la vostra presenza era pericolosa per il fato del Nirn.»
«E sia. Aspettaci Dovahkiin, goditi l'illusione della vittoria.»
Il Sacerdote raddrizzò la schiena e sollevò una mano, per poi creare una sfera di luce viola, con la quale lo colpì.


Il sangue di Drago riaprì gli occhi e si sedette di scatto stringendo tra le mani le lenzuola morbide dell'Accademia. Serana e Cicero si alzarono in piedi quasi facendo cadere le loro sedie e si avvicinarono al letto.
«Pensavamo che non ti saresti più risvegliato! Per Sithis, mi hai fatto passare ore di inferno», gracchiò Cicero.
Serana invece rimase in silenzio, aveva letto qualcosa nei suoi occhi, ella sapeva.
«Non si è trattato di un semplice malore, vero? La maschera...ti ha parlato?»
Il Sangue di Drago scostò le coperte di lana e si alzò sulle gambe traballanti.
«Era uno di loro, forse proprio Morokei. Ha farneticato a proposito del mio destino inglorioso, del non-sedersi alla tavola del Sovngarde...di illusione della vittoria.»
Cicero si era zittito e aveva corrugato la fronte, Serana invece si era scostata e ora il suo sguardo era perso nel bagliore di una candela.
«Forse sono solo parole astiose di chi si sente sconfitto...Non posso dire che dovremmo ignorarle, ma con Alduin sconfitto, l'Accademia ancora in piedi e i draghi scomparsi non posso che essere fiduciosa.»
«Senza contare tuo padre!», ridacchiò Cicero, che fu subito fulminato dallo sguardo severo del Dovahkiin.
Il Sangue di Drago avanzò sentendo solo allora le vesti calde toccare la sua pelle ancora fredda e sudata. Uscì dalla stanza e raggiunse il centro del dormitorio, dove un fascio di luce trapassava un finto pozzo.
«Credo che il pericolo sia passato, la maschera rimarrà qui nell'Arcanaeum e non voglio più sentir parlare né di Morokei, né di altri Sacerdoti. Le dita si strinsero attorno al bordo del pozzo, la pietra tiepida brillava di luce azzurrina. Infine il Dovahkiin si rilassò e sospirò voltandosi verso i suoi compagni di viaggio.
«Dunque, allora, qual è la prossima meta?»
Cicero e Serana si scambiarono un'occhiata sollevata e poi sorrisero.
«Pare che ad Arkngthamz ci sia qualcosa che dobbiamo controllare, ci è arrivato questo messaggio e pare proprio che dovremmo passare a dare un'occhiata», Serana aveva un ghigno delineato sul volto, Cicero rimase zitto e osservò l'espressione del Dovahkiin. Entrambi trattenevano a stento una risata.
«State scherzando vero? Sapete quanto odio le rovine, vi avevo detto che non volevo più entrarci in quei dannati posti.»
Fu allora che una risata riecheggiò nel dormitorio dell'Accademia.




5E 177 - Primo Seme


Infreddolita e nuda una ragazzina correva claudicante tra le foreste del Falkreath, il suo respiro pesante era spezzato di tanto in tanto da qualche gemito, i suoi piedi ormai sanguinanti continuavano a calpestare rocce, senza più sentire dolore. Due lupi mannari alle sue spalle sbavavano e correvano sempre più veloci, le loro falcate non potevano essere seminate da semplici gambe umane, per quanto veloci fossero.
La ragazzina scartò e si infilò tra gli alberi fitti, ma inciampò e rotolò per qualche metro giù da una collinetta. L'odore di legna bruciata improvvisamente le riempì le narici.
Sentiva le due bestie avvicinarsi sempre di più, così raccolse le ultime forze e corse in direzione del fumo. Fu allora che percepì un dolore intenso alla schiena, poi subito del liquido caldo colare lungo le gambe.
Si trovò seduta, davanti alle due belve che si erano alzate su due zampe e stavano per ucciderla.
Il sibilo di due frecce spezzò il silenzio quasi come musica e uno dei due licantropi cadde a terra con una delle frecce nell'occhio e l'altra al centro del muso.
La ragazzina percepì l'arrivo di alcune guardie, una di loro gridava ordini. Fu allora che la belva scattò in avanti, la ragazzina si alzò e gridò con tutta l'aria che aveva in corpo.
La bestia fu sbalzata in avanti e dopo qualche metro colpì una roccia con la testa, lasciando una grossa chiazza su di essa mentre il suo cadavere si afflosciava ormai privo di vita.
Le guardie abbassarono archi e spade e si avvicinarono lentamente alla ragazzina.
«Non posso crederci... Un Sangue di Drago?»
La ragazzina si volse e li guardò spaurita, prima di sentirsi mancare il terreno sotto ai piedi e cadere a terra priva di sensi.

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Capitolo 2
*** Cenere e vuoto ***




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    5E 177 – Primo Seme




Un contadino, un fabbro e due cameriere della locanda erano in piedi davanti alla bambina. Il fabbro teneva le braccia incrociate sul petto, una delle donne aveva una mano sul cuore, con un'espressione addolorata. Il fuoco scoppiettante al centro della locanda scaldava le ossa della ragazzina ancora tremante, ma non di freddo.
«Povera piccola, nessuno ti ha detto di non aggirarti da sola per i boschi?»
La piccola aveva i capelli arruffati, di un nero talmente profondo da sembrare quasi frutto di un sortilegio.
«Mi chiedo solo cosa dovremmo farne di lei. Lo Jarl non credo abbia voglia di ascoltare una delle numerose storie sugli orfani», bofonchiò il fabbro.
Una delle guardie entrò dalla porta cigolante della locanda e si avvicinò agli altri.
«Qui non si parla di un'orfana qualunque», proseguì una delle donne, quella che fino ad allora era stata in silenzio, con un'aria dura, da vera Nord, «qui si parla di una bambina spuntata dal nulla che è sopravvissuta a due mannari e ha usato la Voce per difendersi.»
Tutti gli adulti nella stanza si guardarono, il contadino scosse la testa e il fabbro guardò il soffitto con aria pensierosa.
«Dovremmo portarla dallo Jarl, il ritorno di un Sangue di Drago non porta nessuna buona nuova.»
Le parole del contadino parvero raggelare ognuno, persino il grande fuoco intorno al quale si erano stretti.
«Oh suvvia, non spaventatela, mi sembra già fin troppo esangue. Piccola,», la donna che fino ad allora la aveva guardata con fare preoccupato si chinò di fronte a lei e le pose le mani sulle ginocchia ora coperte da un paio di braghe consunte.«Potresti ripeterci il tuo nome?»
La bambina strinse i denti e guardò uno ad uno i presenti, si soffermò più a lungo sulla guardia che la fissava algida dietro alla celata dell'elmo.
«Io...Io mi ricordo che mi sono svegliata in una grotta qui vicino. No, non era una grotta, era un tumulo. C'erano draugr, draugr ovunque... Io ho dovuto gattonare senza respirare per poter fuggire. Non so chi mi abbia lasciata lì.»
Fu allora che la bambina cominciò a singhiozzare e si portò le mani annerite sul viso.
La donna si rialzò in piedi e si avvicinò all'altra, bisbigliando qualcosa, poi si diresse verso una delle stanze.
Il fabbro aprì le braccia muscolose dopo essersi lisciato i baffi, poi le lasciò cadere lungo ai fianchi.
«D'accordo avete vinto, portiamola dallo Jarl, ma vi avverto, se vi sbatte fuori a calci io non mi impunterò. Ora torno al lavoro, quelle lame non si forgeranno da sole.»
Il Fabbro si avviò scuotendo il capo e non la degnò nemmeno di uno sguardo, una volta all'esterno tirò la porta a sé facendola scricchiolare e sbattere al contempo.
«Posso scortarvi dallo Jarl, è meglio non indugiare», suggerì la guardia che era stata in silenzio fino ad allora.
Gli altri sembrarono convinti, il tempo di prendere qualche lepre appena cacciata dal sacco da porgere come dono e lasciarono la locanda.
La ragazzina si era calmata, si sentiva tuttavia oppressa da quelle presenze indecise. Sentiva che qualcosa comunque sarebbe potuto andare storto e il 'peggiore dei casi' era persino più pauroso di due licantropi. “Mi uccideranno solo perché non riesco a raccontare la mia storia, devo fuggire e infilarmi di nuovo tra i boschi”, eppure l'idea non sembrava muovere in lei l'energia necessaria per mettere in atto un piano di fuga.


La casa lunga dello Jarl non era così grande come si era immaginata, ma Falkreath non era una grossa città, per cui anche gli Jarl dovevano essere modesti nei pensieri e nei fatti.
La mano della donna dai tratti aspri si pose tra le scapole e la spinse leggermente più avanti degli altri, forse per mostrare meglio l'oggetto della disputa. Gli occhi dello Jarl erano gelidi, di un azzurro così limpido da sembrare una porzione di cielo di Skyrim, racchiusa in un essere umano. Tutti gli Jarl erano Nord, non erano accettate eccezioni, questo la ragazzina lo sapeva bene, anche se non ricordava un accidenti di tutto il resto.
«Dunque?»
La voce profonda dello Jarl echeggiò nella sala, il suo huscarlo si portò al suo fianco, mentre il sovrintendente avanzò per osservare meglio la bambina e per afferrare il sacco e ispezionarlo. Il contadino e la donna indugiarono, così fu la guardia a parlare.
«Abbiamo trovato questa bambina poco lontano da qui, sul sentiero che porta a Helgen. E' stata inseguita da due mannari e ha rimediato un bel graffio.»
«Fatemi indovinare», lo Jarl interruppe la guardia e tornò ad appoggiare il mento sul pugno chiuso, mentre si metteva in una posa scomposta sul suo scranno, «è un'orfana e al più presto bisogna mandarla a Riften, ma nessuno per ora ha abbastanza septim per sfamarla così devo incaricarmene io.»
Lo Jarl guardo il sovrintendente e con un gesto della mano sembrò voler scacciare tutti dalla stanza, ma proprio mentre il sovrintendente stava per afferrare la bambina per un braccio la guardia fece un passo avanti e si mise in mezzo.
«Questa bambina ha usato un Thu'um, mio Jarl. Lo abbiamo visto tutti.»
Lo Jarl, che si era già voltato verso la brocca di vino, pose di nuovo il boccale sul tavolino e aggrottò la fronte.
«Per le menzogne potresti perdere il lavoro e anche alcuni benefici, mentre gli altri potrebbero perdere la lingua.»
La guardia si tolse l'elmo e riaprì la bocca, ma il contadino parlò per primo.
«Posso garantire che è vero, lo giuro su Talos, questa bambina ha urlato e ha spinto via la bestia come se una mandria di buoi la avesse presa a testate. Che i daedra mi portino subito all'Oblivion se non è vero.»
Lo Jarl si sporse sempre più in avanti e alla fine si alzò in piedi, scese gli scalini che innalzavano il suo scranno e si chinò davanti alla bambina.
«E così tu sapresti usare il Thu'um?»
Il silenzio calò, ora era il suo turno, era lei a dover parlare. Le parole però le rimanevano incastrate in gola e attaccate ai denti. Alla fine si arrese e annuì.
«Resta il fatto che sei orfana e sei sbucata da una foresta.»
La guardia si schiarì la voce e riprese a parlare.
«Da quanto ho dedotto dal suo racconto pare che sia stata abbandonata e non si sa come sia finita all'interno dello Bleak Falls Barrow, da lì poi è fuggita fino a giungere nelle prossimità della città.»
Lo Jarl sembrava sempre più scettico, eppure se ora era lì chino davanti a lei era per un motivo, anche solo una pallida curiosità.
«E' dalla Quarta Era che nessuno usa più i Thu'um, solo i Barbagrigia hanno questa enorme sapienza e questo controllo, l'ultimo Dovahkiin ha vissuto quasi cinquecento anni fa.»
«Mio Jarl, ma anche l'ultima volta il Sangue di Drago è stato qui, subito dopo essere fuggito da Helgen e dei suoi trascorsi nessuno sapeva niente, nemmeno egli stesso, che per anni ha cercato risposte e non ne ha mai avute.»
Dai membri della corte, rimasta ai lati lontani della Casa Lunga e in cima alle scalinate di legno, si levò un brusio sommesso. Lo Jarl si rialzò in piedi e i muscoli della mascella guizzarono al di sotto della pelle delle guance.
«Bleak Falls Barrow? Quel luogo è infestato da draugr e probabilmente anche da vampiri. Come ti chiami? Come ha fatto una bambina a fuggire da lì?»
La ragazzina lo fissò con aria affranta, poi provò a parlare.
«Mi sono svegliata, alle mie spalle c'era un'enorme porta di metallo nero, su di essa c'erano molti disegni. C'erano uomini che brandivano lame, altri erano riversi a terra, alcuni correvano con le braccia alzate al cielo. Poi, grande come una montagna, un drago volava sopra di essi e sputava fuoco nel cielo. C'era buio e un silenzio assordante, ho pensato di seguire l'unica via. Il corridoio che ho preso mi ha portata in una grossa sala illuminata dalla luce che filtrava attraverso una piccola feritoia nel soffitto, tramite essa sono riuscita ad aumentare il passo, ma ho anche potuto vedere le tombe aperte dei draugr che attendevano con le braccia conserte. Uno di loro camminava avanti e indietro, quasi come proteggesse qualcosa. In fondo alla sala, in un angolo c'era un muro grandissimo. Mi sono abbassata e strisciando sulle ginocchia sono passata tra di loro, giuro che non ho respirato mentre lo facevo. Poi quel muro ha cominciato a cantare. Erano echi, miriadi di voci che intonavano un canto, forse di battaglia. Una luce illuminava dei segni su quel muro, così ho deciso di avvicinarmi. E' stato allora che mi è parso che un bagliore mi avvolgesse e mi scaldasse la pelle, un attimo dopo nella mente mi turbinava questa parola, la stessa che mi è sorta spontanea prima, non so spiegarmi il perché. E non ricordo il mio nome, mi ricordo solo una voce gridare 'Vokun! Vokun!', forse mia madre, ma non ricordo, lo giuro.»
Finalmente era riuscita a raccontare tutta la storia, senza che un fabbro la interrompesse o una donna mugolasse.
Lo Jarl annuiva, alla fine del suo racconto si portò una mano sul mento e grattò la pelle sotto alla barba bionda.
«Vokun? Non ho mai sentito un nome Nord del genere», lo Jarl rimase in silenzio qualche istante e poi riprese, «C'è solo una cosa da fare, scriverò al Re dei Re, un suo avo, Ulfric, usò il Thu'um per uccidere il rivale Re dei Re. La bambina è troppo piccola per muoversi da sola per Skyrim, quindi invieremo un messaggero sia a Windhelm che a Hrothgar e attenderemo notizie. Questo consiglio è tolto, lasciate la bambina al mio sovrintendente, voi potete tornare alle vostre faccende.»
Il contadino e la donna fecero un breve inchino, il primo lasciò la Casa Lunga dello Jarl senza troppi fronzoli, la donna però salutò la bambina con un cenno del capo.


Il Sovrintendente portò la ragazzina dalle donne di corte, incaricò una delle sguattere e la cameriera personale dello Jarl di tenerla d'occhio, lavarla e vestirla. Lo Jarl era stato chiaro, quella bambina sarebbe stata trattata con riguardo, fino a prova contraria.
La sua prima notte alla corte dello Jarl fu agitata, faticò a trovare il sonno. Nella sua testa c'erano lampi di immagini sconnesse, talvolta di monti, talvolta di stelle. Il mosaico che aveva visto sembrava aver preso vita, il drago si era staccato dal metallo e volava in cerchio sopra agli uomini di piombo che gli tiravano asticelle arrugginite mentre gli altri rotolavano a terra avvolti dalle fiamme. Il grido del drago era così forte da annodargli le budella nel ventre, le spazzava via ogni pensiero e la lasciava inerme davanti alla sua maestosità. Il frastuono proseguì chiaro, ora sentiva le grida e il rumore del crepitio delle fiamme.
La ragazzina spalancò gli occhi e balzò fuori dal letto, quasi come se il drago fosse nella sua stanza. Rimase immobile e ansimante, la stanza era più buia della morte, così decise di aprire la porta e vedere se qualcuno era sveglio.
Percorse a piedi nudi il corridoio di nuda pietra, poi in cima alla scala quasi inciampò. La stanchezza sembrava incatenargli le membra in una morsa solida, la ferita sulla schiena bruciava più del sole. Scese le scale una ad una, il legno scricchiolava sotto ai suoi passi. La Casa Lunga era avvolta nel silenzio.
«C'è nessuno?», pensò di aver solo bisbigliato, ma la sua voce si espanse nella sala principale come un'onda.
Tutti stavano riposando, non voleva sapere cosa le sarebbe accaduto se per sbaglio avesse svegliato lo Jarl nel cuore della notte.
L'aria si era fatta soffocante, abituata com'era al fresco delle ultime notti nella foresta, quel fuoco acceso le si era stretto attorno alla gola come un serpente.
Passo dopo passo raggiunse la porta di ingresso, voleva solo prendere una boccata d'aria e le guardie avrebbero anche potuto scortarla se proprio avessero avuto timore di una sua fuga.
Quando aprì la porta però ogni facoltà di pensiero si schiantò con un tuffo attraverso la gola e le esplose nel petto. Un senso di vuoto e poi di terrore la colse.
La città era silenziosa, fumo nero si levava dai tetti, alcune fiamme quasi spente stavano divorando ciò che rimaneva di un orto. E c'era sangue, sangue ovunque. I soldati giacevano al suolo in pose inumane, ad alcuni mancavano parti del corpo. La bambina alla vista si ritrasse e vomitò. Aveva così paura che non ebbe nemmeno il coraggio di chiamare qualcuno. La voce le si era spenta, quasi come l'aria era spirata dai suoi polmoni senza più ritornarvi. Si allontanò dalla Casa Lunga per raggiungere la locanda, i suoi passi erano incerti e il dover scavalcare i cadaveri le faceva sentire un dolore indescrivibile al centro del ventre.
Fu allora che vide lo Jarl, era seduto contro un muretto di recinzione con gli occhi sbarrati mentre tossiva e un rivolo di sangue continuava a scendere da un lato della bocca.
La bambina corse subito verso di lui e gli si inginocchiò si fianco non sapendo assolutamente cosa fare.
Lo Jarl sembrava atterrito, non riusciva a parlare, i suoi occhi spalancati forse vedevano già la morte arrivare lenta e volevano fare di tutto per fuggire.
«Cosa posso fare io...io non lo so! Dimmi qualcosa!», le sue piccole mani si spostavano lungo il corpo dello Jarl senza davvero toccarlo.
In quel momento però la bambina si soffermò sullo sguardo di ghiaccio dello Jarl, era distante miglia eppure così vicino, fissava la notte alle sue spalle, vedeva forse l'oscurità. L'orrore di un sospetto le raggelò la schiena e le punse la ferita con mille spilli: lo Jarl non stava guardando il vuoto, c'era qualcosa alle sue spalle, ma non era la notte.
La ragazzina si alzò lentamente, tremando. Tenne gli occhi fissi sullo Jarl mentre ruotava tutto il corpo, infine raccolse tutto il coraggio che non credeva di avere e guardò. Un drago, un drago grosso il doppio di una casa era in piedi poco lontano da lei e ora aveva lo sguardo fisso nel suo, gli occhi gialli della bestia sembravano averla già divorata fino nel profondo dell'anima, il petto infuocato si gonfiava e si sgonfiava a ritmo del respiro, sembrava che qualcuno stesse soffiando sulle braci prima dell'estinzione. Il drago abbassò il collo possente e portò la testa gorgogliando davanti alla bambina e poi soffiò aria bollente dal naso. Le braccia nude della ragazzina divennero rosse, ma il dolore della bruciatura sembrò lontano. L'enorme bestia spalancò le fauci, poi un ringhio profondo le fece tremare la carne attorno alle ossa che si stavano ormai sciogliendo dal terrore. Improvvisamente il drago si ritrasse, fece qualche passo indietro, e poi spiccò un balzo pesante mentre sbatteva le ali. Lo spostamento d'aria quasi la fece cadere, eppure non riuscì a staccare lo sguardo dalla bestia che si allontanava gridando contro il cielo.
Subito la ragazzina tornò china di fianco allo Jarl, l'uomo qualche ora prima così maestoso, aveva le gambe ustionate e una ferita profonda sulla testa, doveva essere caduto mentre il drago sputava fuoco attorno a lui.
Lo Jarl sollevò a fatica le braccia, anch'esse ustionate, e con le ultime forze si sfilò l'anello d'oro da Jarl e lo consegnò tra le mani della bambina. La guardò forse come un padre, o forse come qualcuno che non aveva altra persona viva al fianco.
Quando ormai la desolazione della notte sembrava aver raso al suolo ogni sua speranza e anche il suo coraggio udì il galoppare sommesso di un gruppo di cavalli, udì anche degli uomini gridare e alcune frecce scoccate verso il drago ormai lontano. La bambina si alzò troppo in fretta, inciampò è cadde, ma senza quasi accorgersene era di nuovo in piedi e muoveva le braccia per farsi vedere.
«Voi là! Aiuto!»
Vide due uomini smontare da cavallo, avevano armature differenti da quelle che aveva visto fin'ora. Riabbassò le braccia e strinse l'anello in una mano. I due uomini si guardarono intorno e una volta davanti a lei aggrottarono la fronte e strinsero i denti.
«Vi prego aiutatemi! Sono morti tutti! Lui è lo Jarl!», indicò loro lo Jarl che ora sembrava rantolare, ma aveva spostato lo sguardo su di loro con aria sconfitta.
«Un drago a Skyrim, di nuovo», prese a parlare uno quasi come se non la avesse nemmeno sentita, «Ha raso al suolo Falkreath, ma se ha un nido qui tornerà presto. Dobbiamo abbattere quella bestia», l'uomo che parlò aveva una profonda cicatrice sul viso che partiva dall'orecchio e si collegava al labbro superiore. Sembrava piuttosto anziano, eppure la forza nella sua voce gli toglieva almeno vent'anni.
«Portiamo via la ragazzina e lo Jarl, non so se potremo fare molto, ma forse qualche guaritore ci sarà d'aiuto. Non abbiamo tempo da perdere forza», rispose l'altro. La ragazzina pensò che fosse egli il capo, difatti quando fischiò una donna con un'armatura di pelle rossa e nera si avvicinò a cavallo. Aveva i capelli lunghi e neri, gli occhi erano rossi e infuocati.
«Porta via la ragazzina, noi pensiamo a lui.»
I due uomini presero la bambina come se fosse un sacco di farina e la gettarono sopra al cavallo della donna che partì al galoppo.


A ogni movimento del cavallo la bambina sembrava sentire la schiena aprirsi, il lento separarsi dei lembi delle ferite inferte dal mannaro. La cavalcata non fu lunga, ma per lei era durata un'eternità, era quasi priva di sensi dal dolore quando la donna la prese per i fianchi e la trascinò giù dal cavallo.
«Ragazzina? Stai bene?»
Quella donna era fredda come il ghiaccio, sembrava il prolungamento di una pietra o il vento stesso di Skyrim. Cercò di annuire, una lacrima le scappò lungo una guancia senza che potesse trattenerla.
La donna guerriera la ispezionò, la girò come una bambola e le esaminò le braccia nel punto dove sembravano ustionate solo leggermente. Infine le aprì le mani, solo allora la bambina si ricordò dell'anello dello Jarl. La donna guerriera lo afferrò e lo osservò contro la luce di Secunda, la luna luminosa di quella sera.
«Mi chiamo Serana, non preoccuparti figlia-dello-jarl, sei in mani sicure», la voce della donna era dura, ma non la spaventava, «Come ti chiami, ragazzina?»
«Non sono-», improvvisamente si bloccò udendo lo suqarcio della voce del drago in lontananza. Perché avrebbe dovuto dire la verità? Era vestita come una nobile, tra le mani stringeva l'anello dello Jarl, una ragazzina senza valore sarebbe stata gettata in un fiume come un peso morto... Ma la figlia dello Jarl? Nessuno avrebbe rinunciato a una pioggia di septim. Quando riprese fiato dopo che il drago fu di nuovo lontano guardò la guerriera dritta nei suoi occhi vermigli e sentì tremare il ventre e le braccia. «Mi chiamo Vokun, ma d'ora in poi chiamatemi Ros, come il sangue che è stato versato questa notte.»
Serana la fissò per qualche istante e poi raddrizzò la schiena salendo di nuovo a cavallo, poi le porse una mano tesa.
«Gli altri arriveranno, ora dobbiamo tornare al rifugio. Mi spiace per tuo padre, non credo passerà la notte.»
Ros deglutì, ma le porse la mano. Si convinse che non aveva davvero mentito, non aveva mai detto che quello fosse suo padre. Per di più era una menzogna che doveva garantirle la sopravvivenza. Sollevò gli occhi, Secunda non sembrava temere le tenebre che la circondavano.
Era strano il destino, in meno di una settimana si era arresa all'idea di una nuova vita, lasciandosi alle spalle solo cenere e vuoto.

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Capitolo 3
*** I sogni di drago ***




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    5E 177 – Primo Seme


Una leggera pioggia aveva bagnato la foresta intorno a loro, i loro abiti ora erano pesanti e umidi, minacciavano di portare una brutta febbre.
Serana si era lasciata alle spalle Falkreath e aveva spinto il cavallo al galoppo fino al laghetto a nord, per poi seguire il fiume verso nord est, in direzione di Riverwood.
Ros era saldamente attaccata ai suoi fianchi, i movimenti placidi del cavallo però non le avevano fatto venire sonno, il terrore di avere un drago a poche miglia di distanza le faceva tremare le ginocchia.
«Ancora un po' di pazienza e saremo a Riverwood.»
La guerriera guardava dritto di fronte a sé, era dritta e fiera sul suo destriero scuro come la notte. Anche il cavallo aveva fiammeggianti occhi rossi e sembrava che la criniera e la coda fossero fatte di ombra.
«Tu non sei una Nord, vero?»
La voce di Ros uscì rauca, dopo aver a lungo osservato un silenzio rigido. La guerriera volse la testa come se volesse guardarla con la coda dell'occhio e poi rise.
«Non ti sfugge niente, vero ragazzina? E' meglio che tu non sappia certe cose, ora abbiamo altro a cui pensare.»
Ros fu contrariata da quella risposta, ma non obiettò dal momento che quella donna le aveva salvato la vita, se il suo gruppo di guerrieri non fosse giunto a Falkreath in quel momento sarebbe stata in qualche tronco d'albero nascosta in attesa che qualche lupo la divorasse o qualche ragno la avvelenasse.
«Dove siamo diretti?», pigolò Ros, dopo qualche minuto di silenzio.
Serana fermò il cavallo e si sollevò appena sulle staffe, controllò qualcosa, si sedette di nuovo e affondò i talloni nei fianchi del cavallo, che partì al trotto.
«Per ora a Riverwood, lì ci incontreremo con gli altri del mio gruppo e poi ripartiremo subito per Whiterun, là le mura sono alte e sono pochi i pericoli che potresti correre. E lo Jarl sarà felice di ospitare la figlia dello Jarl di Falkreath, almeno fino a quando non troverai una sistemazione migliore.»


A poco a poco la foresta si diradò e la vasta pianura attorno a Whiterun tolse ogni modo di nascondersi alle due. Serana portò il cavallo al passo quando intravide in lontananza il suo gruppo di guerrieri che sembrava attenderla nei pressi di un mulino, assieme a loro c'erano altri guerrieri alti e fieri, tutti Nord. Ros si sporse e osservò prima i Nord armati che ridevano e davano pacche sulle spalle ai due uomini che la avevano trovata per primi, poi il gruppo di Serana, era misto e alla vista molto più temibile. Alcuni Redguard osservavano i Nord e parlavano tra di loro, un paio di donne dai lunghi capelli scuri e la pelle ambrata ispezionavano la pianura e il cielo dandosi il cambio. Solo uno di loro era un Khajit, aveva un manto grigio, sporco di sangue e terra. Quando furono abbastanza vicine il gruppo formò una specie di semicerchio e attese che Serana scendesse da cavallo con la bambina.
«Vi stavamo aspettando», disse uno dei Nord guerrieri che Ros non aveva mai visto «Ed ecco la figlia dello Jarl! Dunque finalmente sentirò la verità, questi vecchi guerrieri mi hanno parlato di un drago che ha distrutto Falkreath.»
Serana la prese in vita e la pose a terra, al fianco del destriero nero.
«Sissignore, un drago ha distrutto la città e ha ucciso tutti»
Il guerriero Nord parve impallidire ancora di più della sua naturale carnagione e guardò i suoi compagni condividendo forse un pensiero comune.
Serana spezzò il silenzio rivolgendosi a quello che doveva essere il capo del suo gruppo di guerrieri misti.
«Dove sono gli altri?»
Il gruppo di Serana doveva contare già una quindicina di guerrieri, Ros non ne aveva che visti una decina vicino a Falkreath, si chiese in quanti altri potevano essere.
«Gli arcieri sono rimasti tutti a Whiterun, pattugliano le mura e attendono che qualcosa arrivi dal cielo perché credono che prima o poi arrivi anche qui», bofonchiò l'uomo con la cicatrice.
«Ora che siamo tutti qui è meglio entrare nelle mura, la ragazzina vorrà sicuramente salutare il padre.»
Uno dei Nord le mise una mano sulla testa e le scompigliò i capelli.
«Il mago di corte è riuscito a fare un vero miracolo, ora tuo padre dorme e forse dormirà a lungo, ma sta bene. Entro la fine del Secondo Seme sarà in piedi e forse riuscirà anche a combattere»
Seguirono la strada di pietre che conduceva a Whiterun e ben presto Ros si sentì più tranquilla tra le alte mura dell'ingresso della città.
Due guardie attendevano di fianco alle porte e all'arrivo del gruppo di guerrieri aprirono in fretta, la città al di là era brulicante di persone e nessuna di esse sembrava essere minimamente spaventata da ciò che era successo solo poche ore prima.
Il gruppo di guerrieri attraversò la via principale, oltrepassò il mercato e cominciò a salire i gradini del Quartiere delle Nuvole, ma a metà furono bloccati dal grido di un drago in lontananza. Una guardia in cima alla scala alzò la voce e parlò a uno dei guerrieri Nord di Whiterun.
«E' Puntaguzza, da tutta la notte provengono strani rumori da lì, qualcuno dice che si sia risvegliato un drago.»
Ros vide che le persone attorno a lei si scambiarono sguardi inquieti, ma subito ripresero a salire. Il Distretto del Vento era delizioso, una grande pianta al centro della piazza aveva i rami carichi di fiori rosa come la pelle di una vergine e molte graziose fanciulle sedevano al di sotto di esso per godere dell'ombra. Un sacerdote predicava ai piedi della grande statua di Talos.
La ragazzina sollevò lo sguardo, di fronte a lei si ergeva, su una collina, il maestoso palazzo di Dragonsreach, la sede della corte di Whiterun. Raggiungere il palazzo non fu semplice, molte persone tagliavano la strada al gruppo di guerrieri per portare grossi sacchi di provviste, altri li fermavano per implorare carità, altri chiedevano novità.
In cima alla scalinata Dragonsreach appariva ancora più grande, lo Jarl li attendeva sulla porta con al fianco l'huscarlo e due delle sue guardie vestite di giallo.
«Jarl Fargen», uno dei Nord chinò appena la testa e allungò un braccio per creare una sorta di varco nel quale la bambina passò e avanzò fino a trovarsi davanti allo Jarl.
«Allora è vero, quello che è giunto alle mie orecchie è vero. La figlia dello Jarl e lo Jarl Isen sono gli unici sopravvissuti alla strage del Falkreath. Inutile è stato mandare soldati, sono tornati tutti con cenere e sangue.»
Il guerriero Nord annuì profondamente, le guardie aprirono le porte e in pochi istanti Ros si trovò all'ombra della grande sala do Dragonsreach. Questa non era una semplice Casa Lunga, era un vero e proprio castello, con tavoli per i banchetti, giullari e guardie davanti a ogni colonna. Alcuni bambini la fissarono da lontano, alcune donne si sporsero dalle balaustre dei piani superiori e una di loro si portò la mano sulla bocca e sgranò gli occhi.
«Dovevi inviare noi Compagni, avremmo ucciso il drago e ora ci sarebbe un problema in meno!», gridò il guerriero Nord.
«Noi abbiamo provato ad abbattere il drago, ma nessuna freccia ha scalfito le sue scaglie, nemmeno i Compagni avrebbero potuto fare molto», ribatté l'uomo con la cicatrice
Solo allora notò che altri uomini e donne erano entrati dal fondo della sala, erano tutti mer e avevano tra le mani archi e le faretre sulle spalle erano colme di frecce. L'uomo con la cicatrice li indicò con il palmo rivolto verso l'alto e proseguì.
«Sai quanto i mer siano bravi con archi e frecce, uno di loro ha un arco e frecce d'ebano così potenti da lacerare la pelle di un mammuth a un miglio di distanza. Vedborn, avanti digli quante vole lo hai colpito»
Uno degli Bosmer avanzò, il suo volto tradiva un'aperta ferita nell'orgoglio.
«Almeno una ventina di frecce hanno colpito il ventre del drago, ma sono tutte tornate giù quasi come se la sua pelle fosse fatta di metallo.»
Jarl Fargen alzò le mani e tutti si zittirono visibilmente innervositi, gli animi si scaldavano in fretta quando si trattava di guerra, per i Nord combattere era come respirare.
«Silenzio! Restare qui a litigarci un osso non ci aiuterà a scoprire cosa sta succedendo.»
Lo Jarl spostò lo sguardo verso le ombre, dove Serana attendeva in silenzio.
«Qui tra noi c'è qualcuno che ha vissuto ai tempi degli ultimi draghi ed era qui forse anche da prima, ella ha conosciuto l'ultimo Sangue di Drago. Voglio udire la tua opinione, vieni avanti Serana.»
La guerriera dagli occhi vermigli avanzò passo dopo passo mentre guardava a uno a uno i suoi compagni. Ros aveva compreso da subito che non si trattava di una donna qualsiasi e ora si era tolta ogni dubbio. Tuttavia quella guerriera doveva essersi guadagnata la fiducia di tutti loro e dagli sguardi che riceveva in risposta doveva essersi meritata anche il loro profondo rispetto.
«Purtroppo non ero ancora libera quando i primi draghi si risvegliarono qui a Skyrim, conoscete già la mia storia non c'è alcun bisogno che ve la ripeta. Tuttavia l'ultimo Sangue di Drago mi salvò e con lui vissi il Crepuscolo dei Draghi e l'inizio della nuova Era. Egli si ritirò non molto tempo dopo, raggiungendo i Barbagrigia alla Gola del Mondo e di lui non ebbi più notizie. Poco tempo dopo, assieme ad altri guerrieri, fondai questa Compagnia, affinché nessuno dimenticasse e che nessun drago tornasse a vivere tra le montagne di Skyrim.»
Serana si prese una pausa e guardò di nuovo tutti loro, uno a uno.
«Ora temo che stia accadendo di nuovo ciò per cui l'ultimo Dovahkiin ha strenuamente combattuto, ma quanto tempo passerà prima che troveremo un nuovo Sangue di Drago? O, soprattutto, mai ve ne sarà uno in tutta Skyrim? Questo non possiamo saperlo. Il Divoratore di Mondi forse è lungi da questa era, oppure è stato spedito qui dall'ultimo Dovahkiin senza ch'egli lo sapesse. Se la fine è ora vicina dobbiamo sforzarci affinché ciò non avvenga, dobbiamo trovare un nuovo Sangue di Drago ed è per questo se la nostra compagnia resta attiva anche oggi dopo così tanto tempo!»
Serana come risposta ebbe molti cenni d'assenso, tutti sembravano voler dire la loro, ma nessuno parlò.
«Ora bisogniamo sia dei Compagni, che dell'esercito dei Manto della Tempesta. Dobbiamo deporre le asce di guerra e chiedere aiuto e unione se vogliamo scongiurare ogni pericolo.»
Uno dei Nord di Whiterun alzò e riabbassò il mento velocemente socchiudendo gli occhi con aria scettica.
«Tu ci hai detto che solo un vero Dovahkiin saprebbe spedire Alduin in un'altra Era, che nessuno può combattere o fuggire dal Divoratore di Mondi. Se non abbiamo un Dovahkiin di certo non saranno un pugno di mortali a fare la differenza, nemmeno se si tratta di noi figli di Ysgramor»
Alcuni abbassarono gli occhi, altri scossero il capo, gli arcieri si sistemarono gli archi sulle spalle.
«Lo so, questo lo so bene, ricordo le parole che mi sono state dette. Ma un dovahkiin arriverà poiché è destino che ci salvi. Le profezie sono chiare e lo sono anche le testimonianze antiche, Alduin è tornato molte volte e sempre è stato rispedito altrove tra le pagine del tempo. Ora che anche le pergamene sono in nostro possesso dovremo solo attendere l'arrivo di un Sangue di Drago. Prima o poi udiremo dicerie su un valoroso combattente che ha abbattuto un drago e ne ha assorbito l'anima, o di un prode contadino che con il solo uso di una forca ha salvato il destino di qualche villaggio. Skyrim è grande, ma nulla abbatte le voci di coloro che mercanteggiano.»
Serana ora era quasi al fianco dello Jarl e sembrava parlare con un fervore degno di un eroe di guerra e non di un vampiro, la cui vita eterna non è minacciata da lance o malattie.
«E noi, come Compagnia del Crepuscolo saremo là fuori alla ricerca del Dovahkiin e del nostro salvatore!»
Questa volta tutti gli uomini della compagnia gridarono e sguainarono le loro lame, puntandole contro l'alta volta del castello. I Compagni non furono da meno, prima annuirono e poi il loro capo alzò la voce unendosi al coro.
«Potrete contare sui Compagni di Jorrvaskr, di certo non ce ne staremo qui a bere mentre voi vi prendete tutto il divertimento.»
Lo Jarl parve rincuorato, ma nel suo sorriso si nascondeva una sorta di vittoria, doveva aver guidato i guerrieri proprio sul sentiero sperato.
«Allora vi nomino ufficialmente guardie del regno e difensori di Skyrim. Invierò un messaggero per ogni città di Skyrim e dovranno partire oggi stesso. Tutte le regioni e le città vi accoglieranno trionfanti e faranno a gara per consegnarvi un salvatore.»




La luce del tramonto lambì le pietre della scala che da Dragonsreach scendeva verso il Distretto. Ros se ne stava seduta sulla nuda roccia e guardava dall'alto la città: l'acqua che scrosciava sotto di lei in due grandi vasche, l'edificio dei compagni dove tutti si erano infilati per armarsi prima di partire e il Verdorato, l'albero dai petali rosei.
Si sentiva una bugiarda, stava forse peccando di codardia? Purtroppo non tutti avevano un animo indomito ed ella non si sentiva in grado di portare un tale peso. Aveva usato un Thu'um, ma non per questo avrebbe avuto il destino di Skyrim tra le sue mani, la Compagnia avrebbe trovato qualcuno in grado di difendere Skyrim, qualcuno di degno.
Ros si alzò in piedi e una fitta le tolse quasi il respiro, quei graffi sembravano doversi per forza infettare. Forse sarebbe morta di febbre prima ancora di pentirsi del suo silenzio. “Non sono io quello che cercano”, scese la lunga scalinata, ma ancora prima di giungere nella piazza una delle guardie la fermò mettendole una mano sulla spalla.
«E' quasi notte, una lady non dovrebbe vagare sola per la città. Vampiri e briganti potrebbero attentare alla vostra vita.»
La guardia la riportò subito a Dragonsreach dove vagò a lungo prima di trovare un luogo appartato dove sedersi.
“Chi sono io? Dov'è casa mia?”
Improvvisamente le venne un'idea, un pensiero sciocco, ma valeva la pena togliersi ogni dubbio anziché ponderare a lungo e corrodersi la mente di sole supposizioni.
Si alzò e svelta si diresse nelle stanze del mago di corte. Egli indossava una lunga veste scura, il cappuccio nero era calato davanti al viso mentre il mago leggeva qualcosa su un libro spesso e ingiallito.
«Cosa desidera una piccola lady dal mago di corte?»
«Più che una lady è un'anima in cerca di risposte...e silenzio.»
Il mago richiuse il libro e alzò gli occhi su di lei con aria interrogativa e piuttosto severa.
«C'è qualcosa che dovremmo sapere?»
Ros scosse la testa, ma poi avanzò e annuì.
«Ho bisogno per ora del vostro silenzio, è molto importante. Ne accetterò le conseguenze, ma solo se mi aiuterete.»
Il mago aggrottò la fronte e si alzò dalla poltrona dove era seduto e raggiunse il tavolo di alchemia proprio di fronte a Ros e vi si appoggiò con una mano. Egli non doveva essere poi così anziano, ma c'era qualcosa nel suo modo di fare che ricordava i saggi dai capelli candidi come la neve.
«Avanti, fammi sentire, sono curioso.»
Ros prese un lungo respiro e subito distolse lo sguardo, perdendosi tra mappe dei mondi, volumi antichi, ingredienti e gemme brillanti.
«Si tratta della mia testa, mi gioca brutti scherzi ultimamente. E' come se mi ricordassi ogni cosa insegnatami, ma particolari avvenimenti mi sono stati portati via, cancellati...Proprio come se il vento li avesse spazzati via come sabbia.»
Il Mago si portò una mano sul mento e si allontanò dal tavolo di alchemia.
«Amnesia? Potrebbe essere che vi siate spaventata alla visione del drago, dei morti e di vostro padre in agonia.»
Ros serrò le mascelle e deglutì.
«No, non è questo, sembra che accada da molto prima, ma non saprei dire quanto.»
«Fatemi capire, mia lady, questo accade da molto e mai lo avete confidato a corte? Cosa dice vostro padre in merito a ciò?»
«Una forte botta in testa, un forte colpo preso qualche settimana fa, mentre giocava con gli altri bambini a corte.»
Lo Jarl Isen di Falkreath era in piedi e si reggeva a un bastone. Aveva braccia e gambe fasciate da bende imbevute di unguenti e aveva perso tutti i capelli, ma era in piedi, sofferente, ma sulle sue stesse gambe. Al suo fianco lo Jarl Fargen teneva le braccia incrociate al petto.
Il Mago di corte annuì profondamente, come se avesse collegato finalmente ogni pezzo, Ros trasalì e si girò così in fretta da perdere quasi l'equilibrio.
«Se volete scusarmi voglio scambiare due parole con mia figlia, prima che torni a coricarmi per la notte.»
«Certamente, come desiderate», risposte il mago, lo Jarl Fargen semplicemente con un cenno ordinò a una delle sue guardie di chiudere le porte al suo passaggio.
Lo Jarl del Falkreath si avvicinò a Ros, sul suo viso si era scavata una visibile smorfia di dolore.
«Della mia corte e della mia vera famiglia non rimane che cenere e sangue. Sei rimasta solo tu, mi hai salvato la vita e ancora non so come mai quel drago se ne sia andato alla sola tua presenza. So cosa ho veduto con i miei occhi. Qualche ora prima mi farneticavano di un urlo di drago, poco dopo un dovah nella mia città rade al suolo ogni cosa, divora ogni bambino ma non proprio quella che ha così vicina, alla piena portata delle sue fauci.»
La voce dello Jarl era un soffio, tuttavia non mascherava salda autorità. Non le stava semplicemente offrendo di essere sua figlia, glielo stava ordinando.
«Tu sei mia figlia, sei nata e cresciuta nel Falkreath e ieri notte siamo sopravvissuti perché c'è qualcosa in te, qualcosa che rimarrà scritto nelle Antiche Pergamene»
Ros si prostrò in avanti e quasi si inginocchiò davanti allo Jarl.
«Promettimi che non dirai a nessuno che ho urlato, io non posso combattere, non voglio combattere!»
Nel viso dello Jarl ora c'era dubbio, poi di nuovo dolore.
«L'essere o non essere ciò che sei non dipende da te, figlia mia.»
Lo Jarl a fatica girò su se stesso, usando il bastone come perno e urlò “aprite!”, prima di ritornare a fatica a fianco dello Jarl di Whiterun.
Ros rimase da sola, per la terza volta nella sua breve vita.
«Jarl Isen! Padre!», abbandonò le spalle e assunse una posa sconfitta, tutti si volsero verso di lei, tutti quegli occhi che attendevano chissà quali parole dalla sua bocca, ma non poté che mormorare un “niente”, prima di inghiottire le lacrime e correre nella sua stanza.


La notte passò lenta, Ros fissava il mondo dalla sua finestra. Le luci di Jorrvaskr rimasero accese, i turni di guardia si succedettero uno dopo l'altro, mentre lei vigilava su tutti e annegava tra le sue paure.
Era quasi mattino quando la stanchezza prese il sopravvento, così la ragazzina decise di sdraiarsi e chiudere gli occhi.
Il suo corpo divenne leggero, come i suoi pensieri. Sognò di essere una nuvola leggera, di guardare i fiumi e i laghi scintillare dopo il suo passaggio, sognò di toccare le punte degli alberi e sfiorare gli apri pendii delle montagne di Skyrim, fino a vedere l'alta torre di Cyrodiil. Qualcosa però interruppe bruscamente il suo fluttuare, un gigantesco drago nero le passò dritto davanti e il suo corpo divenne pesante come un masso. La caduta parve infinita, ma appena prima di toccare il suolo Ros si svegliò di colpo, sudata.
Corse fuori e notò con sollievo che ogni inserviente e ogni guardia erano esattamente al loro posto, anzi alcuni di loro si stupirono di vederla lì trafelata e ridacchiarono scambiandosi delle occhiate eloquenti.
«I letti di Whiterun sono troppo scomodi, mia lady?», canzonò una delle guardie che fu subito messa a tacere da una delle cameriere.
«Non farci caso, piccola, solo perché hanno spade e scudi pensano di essere immuni da tutto, anche dal rispetto. Vieni, è meglio se bevi qualcosa.»
L'intero castello dormiva ancora, si sentiva a disagio e non sapeva nemmeno perché.
«Ho fatto un sogno orribile, c'era un drago nero, grande come questo castello...e volava nel cielo oscurando il sole e...e...»
La cameriera le pose una mano sulla testa e la zittì con un “ssssh” materno.
«Era un incubo, non molti bambini hanno passato ciò che hai vissuto tu e sono qui per raccontarlo. E' lecito essere spaventati, lo sarei anche io al tuo posto.»
Ros giunse nella grande sala del trono, alcuni soldati discutevano vicino al trono, uno di loro era ferito e si reggeva un braccio con la mano opposta. Ros rallentò il passo e si allontanò dalla cameriera, che si fermò e la chiamò a sé due volte, senza successo. La ragazzina aveva udito alcune parole che non aveva potuto ignorare.
«Un drago enorme e nero, ti dico, quasi si confondeva con il cielo! E' venuto giù del cielo come la morte e ha preso due dei nostri cavalli come se fossero stati sacchi di farina e se n'è andato spuntando fiamme. Ti dico che sembrava ridesse nelle nostre frecce.»
«Un drago...tutto nero?», Ros era ormai quasi in mezzo a loro, ma solo quando parlò gli altri sembrarono accorgersi di lei.
«Sì ragazzina, so quello che dico!»
«Grande Akatosh», esclamò una delle guardie, «Se è così vicino siamo perduti... Alduin è tornato!»
Ros fissò l'uomo ferito e poi partì in una corsa sfrenata verso l'uscita, tra le urla della cameriera e gli ammonimenti delle guardie.
Una volta all'esterno non si fermò, ma corse verso il Distretto, verso Jorrvaskr. Solo davanti all'edificio si fermò e scrutò il cielo stellato. Le parve di sentire un boato in lontananza.
«Aprite! Aprite subito!»
Come si aspettava fu Serana ad aprire la porta.
«Cosa ci fai qui, ragazzina? Dovresti essere a letto a quest'ora.»
«Devi farmi entrare! Io devo dirti una cosa!»
Serana sentì le guardie gridare, si scostò e la tirò dentro.
«Spero che valga un ammonimento dalle guardie, non dovrei nascondere la tua breve fuga.»
Ros strinse i pugni e provò a respirare normalmente.
«Io non sono la figlia dello Jarl, io non so chi sono...Io mi sono svegliata da sola, c'era buio, c'era un muro che cantava, poi ho trovato l'uscita e poi c'erano dei licantropi, volevano mangiarmi e c'era quel canto del muro nella mia testa, io ho urlato ed è successo, una delle bestie è sbalzata via lontano da me senza che io la toccassi.»
Serana aveva assunto un'espressione prima confusa, poi sorpresa.
«Mi stai dicendo che hai usato un Thu'um? E perché non me lo hai detto prima?»
«Io non lo so, avevo paura...e poi c'era il drago a Falkreath, ha ucciso tutti, io sono uscita e lui era lì...enorme. Mi ha guardata negli occhi, ho visto la fame e la cieca rabbia in lui, ma poi non so cosa è accaduto, si è allontanato, ha fatto un salto ed è tornato a solcare i cieli gridando al cielo fiamme arancioni come i suoi occhi.»
Serana restò in silenziò e poi scoppiò in una fragorosa risata.
«Credo che ora ti riporterò al castello e tornerai a dormire, questa storia deve averti confuso un po' le idee e non piacerà a tuo padre.»
Serana la prese per un braccio e riaprì la porta, ma Ros si divincolò e con uno strattone deciso corse verso il centro del salone di Jorrvaskr e chiuse gli occhi dondolando da una gamba all'altra nervosamente.
«Com'era quella parola? Com'era?»
Nel frattempo i due Compagni Nord si erano alzati dalle panche al lato del salone e si erano appoggiati con una spalla a due rispettive colonne di legno, con un sorriso divertito sulle labbra.
«Sembra che qualcuno qui abbia perso qualche rotella», bofonchiò uno di loro.
«Non scherzare, deve aver avuto un tremendo spavento dopo ciò che ha visto», Serana lo apostrofò, rimettendo subito il guerriero al suo posto.
«Com'è quella parola?»
Serana richiuse la porta e si avvicinò a lei allungando una mano verso di lei.
«Torniamo a Dragonsreach, le guardie saranno qui a momenti e non voglio svegliare tutti»
Appena prima che la mano di Serana toccasse di nuovo il braccio di Ros, la ragazzina ricordò l'esatta parola e gridò. L'onda che uscì dalla sua gola e dal suo petto non le costò alcuna fatica, traballò solo su suoi piedi. Al contrario Serana e gli altri due uomini furono spinti contro al muro e uno di loro cadde di schiena dopo che le sue gambe erano state falciate da una delle panche.
Serana in ginocchio la osservava poco più in là, era visibilmente sconvolta.
«E' incredibile, ha usato un Thu'um, ed è solo una bambina», la voce di uno dei guerrieri le giunse chiara, si era già rimesso in piedi e la stava guardando con gli occhi strabuzzati.
«N-non può essere, io non posso credere a ciò che ho visto»
Serana si alzò lentamente in piedi e ignorò il bussare via via più insistente delle guardie.
«Davvero non ricordi niente di ciò che c'era prima che ti risvegliassi in quel posto dove c'era quel muro?»
Ros scosse la testa.
«E' “F-U-S” la parola che hai appena detto?»
Ros annuì e dischiuse le labbra, ma Serana la bloccò subito con una mano.
«Se conosci la lingua dei draghi non posso lasciarti qui, devi venire via con noi.»
A Ros nacquero due lacrime solitarie ai bordi degli occhi, poi subito scivolarono lungo le sue guance.
«Non lasciarmi qui a palazzo a fare incubi di colpa, ho sognato un drago nero questa notte ed esso si è mostrato poco lontano da qui! I miei incubi sono maledetti...»
Serana era ancora a bocca aperta e scuoteva la testa incredula.
«Non sentivo parlare dei sogni di drago da molto, molto tempo ormai...»
Serana si rimise in ginocchio ed estrasse la spada dal suo fianco e la pose ai piedi di Ros, seguita a ruota dagli altri due Nord.
«Bentornato Dovahkiin, la mia lama è tua.»

 

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Capitolo 4
*** Una compagnia in viaggio ***





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      5E 177 - Primo Seme

«Aprite la porta nel nome dello Jarl!»
Serana prese Ros per mano e la allontanò dalla vista, attraversò la stanza fino ad arrivare a una grande scalinata che scendeva verso una porta di legno intagliata.
«Dolgruf pensaci tu, per Sithis», sibilò Serana prima di spingere la ragazzina nel dormitorio di Jorrvaskr.
Serana si chiuse la porta alle spalle e rimase lì appoggiata, con un orecchio teso vero la sala, anche Ros fece lo stesso, con le braccia rigide lungo ai fianchi.
«Nel nome dello Jarl, aprite o saremo costretti a entrare con la forza!»
«Oh oh oh»,Dolgruf tossì e rise mentre apriva la porta, «Cosa vi porta qui a poche ore dall'alba?»
Ros per qualche momento non sentì niente, poi le voci sembrarono più basse.
«... bambina che si è allontanata dal castello. E' pericoloso, la notte -sebbene qui tra le mura- è sempre un rischio per i ragazzini. Vampiri e rapitori potrebbero nascondersi dietro qualsiasi muro»
Ros guardò Serana, che di rimando alzò gli occhi al soffitto scuotendo la testa.
«Mh no, nessun bambino per di qui, o lo saprei. Jorrvaskr non è un luogo adatto ai bambini. Comunque prendetevi del tempo per controllare in giro, non si sa mai che sia entrata di nascosto.»
Fu allora che Serana la prese per il polso e la trascinò con sé in una delle stanze del dormitorio, lì aprì uno degli armadi, lo svuotò e la spinse dentro, coprendola di abiti.
«Resta qui e non fare rumore.»
Le ante dell'armadio si chiusero davanti ai suoi occhi e Ros rimase al buio, con le orecchie tese verso il mondo esterno. Serana lasciò la stanza, i suoi passi echeggiarono fino a quando non si sentì una porta chiudersi.
Poco dopo un gran vociare rimbombò sin all'interno dell'armadio dove era stata nascosta. Alcune voci assonnate di guerrieri svegliati bruscamente coprirono quelle dei soldati che bussavano ed entravano a controllare.
«Dannati ragazzini, bisognerebbe crescerli con le capre e i maiali. Nei recinti, dico io, non nelle case.»
La voce di Dolgruf era vicina e anche lo sferragliare delle armi contro le armature dei soldati era molto udibile, le guardie stavano per entrare a controllare quella stanza.
Ros udì la porta che si apriva e un rumore di passi decisi. Dovevano essere un paio. Una delle guardie ispezionò bene la stanza: sotto al letto, dietro al baule, dentro al baule, dietro alla porta e infine Ros vide le ante dell'armadio aprirsi. Trattenne il fiato, poteva vedere bene il braccio della guardia, ma evidentemente questa non si era accorta di quel paio di occhi che la guardavano atterriti.
«Cos'è questo disastro?», una voce femminile irruppe improvvisamente tra il brusio degli altri.
Le ante si richiusero di colpo e la guardia lasciò la stanza.
«Ci dispiace avervi svegliato, ma è molto importante ritrovare la figlia dello Jarl la not-»
«Aye, la notte è pericolosamente pericolosissima e i bambini non dovrebbero pericolosare lì fuori sì, sì. Ora, per Talos, volete andare a cercare la principessina altrove? Qui stiamo cercando di riposarci prima della partenza.»
Ros già amava la creatura alla quale doveva appartenere quella voce autoritaria.
«Chiediamo di nuovo scusa, ma se vedete qualcosa di sospetto fatecelo sapere subito»
Interminabili momenti di silenzio dopo le ante dell'armadio furono riaperte bruscamente e i vestiti spostati come se fossero inutili rifiuti.
«E saresti tu?»
Una donna pallida con aspri tratti Nord la guardava con aria severa. Aveva i capelli castani e due occhi verdi con pagliuzze gialle che li rendevano più unici che rari. Portava l'armatura completa, come se non fosse mai stata a letto e sul viso aveva tre strisce di color verde, una pittura da guerra.
«Sì, Aela, è lei. Non possiamo lasciarla a Dragonsreach, non voglio che si sappia troppo in giro. In fondo potrebbe solo essere una coincidenza», suggerì Serana, sempre quasi invisibile nelle ombre.
La donna Nord, di nome Aela, la tirò a forza fuori dall'armadio e a Ros scappò un gemito di dolore. Aela la mollò subito ritraendosi come se la avesse morsa.
«E' ferita...Dei licantropi.»
Aela quasi fulminò Serana e ispezionò il corpo della bambina, altri due uomini che non aveva mai visto si erano sistemati ai lati, ora Ros era al centro di un semicerchio di persone che la fissavano come se fosse un raro esemplare di-qualcosa.
«Impossibile», ringhiò uno dei due nuovi arrivati.
«No, non impossibile. Probabile. Guarda.»
Aela slacciò il corsetto e tolse le bende arrotolate alla vita della bambina, fino giù ai fianchi dove i tre profondi graffi terminavano.
«Queste sono unghie di licantropo, i lupi non usano le zampe e non hanno unghie così lunghe», indicò Serana.
«Orsi. Troll.», rispose quasi astioso l'uomo di prima.
Aela rivestì la ragazzina e si alzò in piedi, silenziosa. Quando parlò gli altri due distolsero lo sguardo e si allontanarono.
«Non è il momento di discutere. Farkas? Vilkas? Prepariamo le nostre cose, partiremo prima che il sole sia alto»
Serana guardò gli altri allontanarsi, anche i membri della sua compagnia erano via via spariti e ognuno di loro aveva iniziato a sistemare le proprie armi e armature, cibo e suppellettili all'interno di sacche e bisacce. Vicino a lei rimasero Serana e Aela, sembrava correre cattivo sangue tra le due, ma anche lì un profondo rispetto le univa e ne permetteva la coabitazione.
«Partiremo a gruppi, per non dare nell'occhio. Ci incontreremo prima del tramonto alla Pietra del Rituale. Poi proseguiremo per Ivarstead nella notte»
Serana annuì e poi pose gli occhi sulla bambina che guardava le due con aria sperduta.
«Aela credo sia meglio che questa volta sia tu a portarla con te, mi hanno vista con lei. Troppo scontato.»
Aela non disse nulla, osservò Ros in silenzio e poi fece un breve cenno con la testa.
«D'accordo, partirai con me tra poco. Useremo la Forgia Terrena per uscire. Farkas!»
L'uomo di prima, alto con i capelli scuri e gli occhi altrettanto ombrosi si presentò davanti ad Aela.
«Comincia a portare fuori le tue cose e le mie, prepara due cavalli e aspettami all'uscita della Forgia, dobbiamo far allontanare la bambina da Whiterun prima che le guardie tornino qui a controllare con i cani.»
Farkas sparì e quando lo rivide passare aveva due zaini sulle spalle e una sacca tra le mani. Al di sotto degli zaini c'era uno scudo e uno spadone, la spada corta dondolava al suo fianco.
«Manderò avanti gli arcieri, noi arriveremo per ultimi con le armi pesanti. Alla Pietra del Rituale, allora»
Serana si congedò da Aela e Ros si sentì di nuovo nervosa. Aela non le dispiaceva, ma sembrava troppo brusca, temeva le avrebbe spezzato un braccio o ci sarebbe andata sicuramente vicina.
La lasciò chiusa nella stanza, quando tornò aveva degli abiti scuri tra le mani.
«Indossa questi.»
Una volta cambiata Aela tornò da lei e le prese i vestiti di mano e li gettò in un braciere.
«E' ora di andare. Testa bassa e non fiatare.»
Non appena rimise piede fuori le sembrò tutto troppo vasto: il cielo scuro sembrava infinito, la pianura attorno a Whiterun doveva essere senza fine, le guardie erano ovunque, gli occhi dei draghi erano da qualche parte sulle montagne.
Aela sembrò andare dritta verso un muro di pietra, ma al suo tocco una porta scivolò da parte e aprì un varco. La guerriera tirò dentro la bambina e richiuse la porta di pietra dietro di sé.
L'oscurità era palpabile, Ros veniva guidata da Aela che doveva conoscere a memoria ogni singolo palmo di quella grotta. Presto Ros intravide la luce e nel giro di pochi passi si trovò sospesa a mezz'aria, in attesa che Farkas la prendesse al di sotto di quella che doveva essere la brusca fine del percorso.
Dopo una breve caduta si trovò sopra un cavallo scuro davanti a Farkas. Aela scese silenziosa come un felino e partì quasi subito al galoppo, verso l'accenno dell'alba. Farkas le restò dietro. Ros vide da lontano qualche guardia pattugliare la zona al di là di un ruscello, camminavano con le torce strette in mano davanti ai mulini e alle fattorie di Whiterun. Due guardie controllavano il ponte.
Aela tirò dritto, i soldati dello Jarl guardarono in direzione dello scalpitare dei cavalli, poi tornarono a parlare. Passato il ruscello a cavallo, la strada prese a salire. Ormai la luce stava scacciando l'oscurità dal cielo di Skyrim e a Ros parve di tornare a respirare. Le cose di giorno sembravano essere meno pesanti.




Aela e Farkas avevano “ripulito” la zona della Pietra del Rituale che era stata occupata da qualche bandito poco astuto. Avevano preso il loro oro e il loro cibo e poi li avevano gettati in pasto ai granchi di fiume, poco lontano.
Ros nel frattempo era rimasta all'ombra di una delle pietre costruite nell'antichità dai Nord e aveva osservato il cielo, pregando i Nove che nessun drago arrivasse all'improvviso. Qualcuno doveva averla sentita perché lentamente giunsero la sera, gli arcieri e persino l'ultimo gruppo con Serana e di draghi nemmeno l'ombra.
Quando il gruppo fu riunito tutti ripartirono subito. Ros aveva sentito che la strada per Ivarstead non era così sicura e che un gruppo ben fornito di guerrieri non avrebbe attirato l'attenzione di briganti o altri individui in cerca di oro.
Gli altri apparivano quasi tranquilli sopra ai loro placidi e robusti cavalli. Ros invece non faceva altro che voltarsi di scatto a ogni rumore e verso di animale nei boschi. Il sentiero continuava verso l'alto, sempre di più, Serana era in testa e sembrava conoscere molto bene la strada. La neve lentamente cominciò a cadere, dapprima toccava il suolo ancora coperto d'erba, poi un manto bianco occultò la natura e presto fu tutto candido.
Una volta raggiunto il fianco della montagna Ros faticava a guardare altrove oltre che dritto di fronte a sé, i pendii scoscesi della montagna le facevano venire una strana sensazione nella pancia, temeva che il cavallo facesse un passo falso e insieme cadessero nel vuoto. Farkas però sembrava rilassato e il cavallo sotto di lui si muoveva come se facesse quella strada tutti i giorni.
Il gruppo si fermò giunti in prossimità di quella che doveva essere la cima del sentiero, Serana si scostò dal sentiero e tornò indietro, verso gli arcieri.
«Da adesso voglio due di voi avanti, due dietro e uno al centro, vicino ad Aela»
Aela si portò al centro di fianco a uno degli arcieri, quando Serana fu di nuovo davanti a tutti il gruppo ripartì. Il sentiero ora scendeva verso il basso, la neve lasciò il posto al verde scuro della flora notturna e poi si trasformò in arancione/rosso man mano che si raggiungeva quella strana regione.
«Siamo nei pressi del Rift, qui non fa mai freddo e gli alberi sono sempre di questo colore»
Farkas non le aveva ancora parlato apertamente, forse però aveva percepito il suo nervosismo e tentava di metterla a proprio agio.
Un grugnito poco lontano fu seguito da qualche sibilo di frecce e poi di nuovo dal silenzio.
«Troll...Da queste parti pullulano come vermi nella terra umida.»
Alla sola parola Ros ebbe una sorta di rigurgito di timore e ribrezzo. Quegli esseri puzzavano più di un cadavere dopo una settimana.
Farkas spinse il cavallo sul ciglio di una scarpata e guardò il fiume scorrere al di sotto. Serana e gli altri erano già quasi arrivati di sotto. Serana alzò la voce per farsi sentire da tutti.
«Ivarstead è qui vicino!»
Ros afferrò meglio i crini del cavallo intanto che l'animale scivolava di tanto in tanto sui sassi umidi del greto. Una volta al di là del fiume qualche boato richiamò l'attenzione di tutti.
«Sono i Barbagrigia, non devi spaventarti. Essi conoscono i Thu'um, ma non li usano contro altre persone.»
Ros guardò in alto, la montagna era vicina.
Ivarstead comparve quasi dal nulla, al di là di una ripida salita. Solo alcune guardie stavano camminando lungo la via principale, le altre persone stavano dormendo nelle loro case.
«Hail, Compagni. Portate delle notizie da Whiterun?»
Serana scese da cavallo e consegnò alla guardia un sacco traboccante di cibo, pelli e -dal tintinnare- anche di oro.
«Hail, si parla di draghi a Skyrim, ne sapete qualcosa?», Aela si fece avanti, portandosi al fianco di Serana.
Subito dopo smontarono anche Dulgruf, Olaf e Vilkas.
Farkas invece rimase indietro assieme a Ros, cercando di farsi notare il meno possibile.
«A dire il vero sì, abbiamo udito molte urla, ma non sappiamo dire se esse appartenessero ai Barbagrigia oppure no. Qui ci abbiamo fatto il callo.»
Aela annuì guardando il cielo stellato, poi riprese a camminare tirando con sé il cavallo.
Presto tutti fecero lo stesso, Farkas la aiutò a smontare, ma poi la nascose quasi vicino a lui, così vestita di nero sembrava essere parte del mantello.
«La locanda è vuota, nottata fortunata per voi.»
La guardia si congedò, doveva fidarsi di loro perché non fece nemmeno finta di controllare.
In pochi minuti una compagnia di guerrieri occupava la locanda, alcuni avevano steso i loro sacchi a pelo, altri stavano parlando con in mano boccali colmi di birra, altri si erano seduti davanti al fuoco in silenzio. Ros fu quasi costretta a infilarsi in una delle stanze con Serana e Aela, la cameriera e la oste ricevettero il doppio della parcella per il silenzio.
«Ora cerca di riposare, domattina dovremo percorrere tutti i settemila scalini che ci separano dai Barbagrigia. Il viaggio sembrerà infinito, anche per via del freddo.»
Serana le indicò il letto mentre si sedeva in un angolo e con una cote affilava il suo pugnale. Aela invece si sedette ai piedi del letto e si immerse nei suoi pensieri.
«Voi due non dormite?», chiese la ragazzina mentre si tirava le coperte fino al mento.
«No, piccola, io non dormo mai», Serana le rivolse un sorriso caldo, uno dei primi dopo il suo “risveglio”.
«Io non ho sonno», bofonchiò Aela, ma a Ros sembrò quasi che il suo sangue ribollisse e la costringesse in quella posizione per evitare di scoppiare.

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Capitolo 5
*** Mentire per vivere ***




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    5E 177  -  Primo Seme

Ros riaprì gli occhi e scostò le pelli pesanti di orso e tigre delle nevi che la avevano tenuta al caldo. L'alba aveva già schiarito il cielo da un po', nessuno la aveva svegliata ancora, avevano preferito fare colazione e prepararsi per la nuova giornata.
Non appena mise piede nella sala principale una delle cameriere la raggiunse con una scodella di latte di capra ancora caldo e un panino dolce. Serana aveva lascito sul banco un sacco di Septim sonanti e le si era avvicinata.
«Potremo accompagnarti fino a un certo punto, poi dovrai entrare nel palazzo da sola. Ai Barbagrigia non piace la confusione, soprattutto di un gruppo di combattenti sporchi e pericolosi.»
Ros annuì e bevve un sorso di latte, poi staccò un morso di pane e si avviò all'esterno.
Alcuni guerrieri erano già davanti al ponte che da Ivarstead conduceva ai settemila scalini, due di loro erano arcieri Bosmer, come sempre sarebbero stati mandati in avanscoperta dal momento che erano leggeri, silenziosi e pressoché inafferrabili.
La scodella di latte finì forse troppo in fretta, il pane dolce lasciò comunque una sorta di vuoto nello stomaco di Ros, tuttavia quella sensazione di disagio non sembrava fame, era più come l'essere totalmente trasportati dagli eventi senza avere la minima idea di come afferrare qualcosa e salvarsi.
«Forza, è ora.»
Al di sotto del ponte l'acqua scrosciava impetuosa, Ros si sentiva in parte come un rametto trasportato dalla corrente e in parte credeva di essere la corrente stessa. “Una volta che capirò chi sono diverrò come l'acqua del fiume, inarrestabile e tumultuosa...”
Quella frase le mulinò in testa a lungo, le fu di aiuto soprattutto quando il freddo si fece via via più pungente e i crampi nelle gambe per gli scalini divenne quasi insostenibile. Di tanto in tanto si udivano lamenti di bestie più avanti, quando Ros arrivava alla carcassa di essa rimanevano solo le carni meno pregiate. “Non si spreca niente”, le avevano detto due arcieri che le erano capitati di fianco.
«Cosa farete dopo che avrò raggiunto la cima?»
Serana la aveva guardata a lungo, aveva un'espressione particolare quando era indecisa, Ros se ne era accorta, era come se volesse essere più calda, ma tutto ciò che riusciva a dire era freddo e distaccato.
«Ti ci vorrà molto tempo prima di padroneggiare la Voce. Credo che torneremo a valle e decideremo da che parte andare, i draghi si moltiplicheranno nei prossimi giorni e Skyrim è vasta.»
Ros si strinse nelle spalle e cercò di ingoiare le fitte che le arrivavano fino alla gola.
«Ci vorranno mesi? Anni?»
«Chi può dirlo. Forse meno. Il tuo viaggio tuttavia ti riporterà da noi prima di quanto creda, quando sarai di nuovo fuori da High Hrothgar ti basterà chiedere di noi e ci ritroveremo.»
Per la bambina quel discorso era fin troppo vago, forse non ricordava nulla della sua vita prima del risveglio a causa di qualche incantesimo, ma sapeva bene che gli adulti dicevano cose vaghe giusto per nascondere la verità spesso amara.
«Forse rimarrò qui dentro anni e quando uscirò sarò abbastanza adulta da viaggiare sola.»
Serana sorrise mostrando la dentatura innaturale e scosse la testa.
«Nessuno è mai abbastanza adulto per stare solo. Nemmeno il vecchio Sangue di Drago era solo, c'eravamo io e un altro compagno. Noi tre ce la siamo sempre cavata, nonostante gli sforzi.»
Ros alzò lo sguardo verso la guerriera aggrottò la fronte.
«Tu lo hai conosciuto bene l'ultimo Dovahkiin? Ne parli come se foste molto amici.»
Serana sembrò mutare subito, sia d'umore che d'aspetto.
«Forse eravamo amici, forse no, chi può dirlo? Un giorno decise di unirsi ai Barbagrigia e di lui non ebbi più notizie.»
La donna sembrava ostentare noncuranza, ma la sua voce tradiva una certa amarezza.
«E' passato molto tempo da allora, mi sembra però che il tuo cuore sia ancora colmo di tristezza.»
Serana le lanciò due brevi occhiate e sorrise di nuovo.
«Sì lo è, forse è presto per te, ma un giorno capirai... O forse no il vostro Destino vi chiama sempre e non siete in grado di udire altro.»
Ros decise di non aggiungere altro, Serana sembrava essere toccata nel profondo da quel discorso e di certo la bambina non avrebbe voluto inimicarsela o rovinare qualcosa.


Il sentiero si divise, da una parte le scale scendevano, dall'altra un sentiero di neve battuta portava verso l'alto. Due guerrieri tornarono con una testa di troll, che scaraventarono da un dirupo. Aela, Farkas e Vilkas scrutavano punti lontani. Il vento sferzava sul suo viso e scagliava sulla sua pelle minuscoli aghi di gelo, una leggera nebbiolina cancellava il sentiero dopo pochi metri. Dovevano essere piuttosto in alto, il silenzio era spezzato solo dall'ululare del vento e da qualche sporadico grugnire dei guerrieri infreddoliti.
Aela, dopo qualche minuto di stasi, indicò gli scalini che scendevano. Ros però notò che solo Serana si stava muovendo verso di essi. Gli altri guerrieri erano immobili, con le mani poggiate ora sulle else, ora sui fianchi e la guardavano.
«Il tuo viaggio inizia qui, non possiamo accompagnarti oltre.»
Serana si era fermata vicino a un altarino e le stava indicando con una mano la direzione giusta.
«Da qui avrai pochi passi da fare, il palazzo è dietro a quella salita. Noi resteremo qui ancora per poco.»
Ros strinse i pugni, le braccia rimasero dritte lungo ai fianchi.
«Buon viaggio e...grazie.»
La guerriera le passò una mano sui capelli scuri e si allontanò, tornò dai compagni senza guardarsi indietro.
Ros rimase un attimo lì ferma, la neve le cadeva addosso e aveva formato un lieve strato di ghiaccio sulla veste. Aela la fissava quasi come se dovesse leggerle la mente, gli altri avevano distolto lo sguardo e fissavano certi il cielo, altri la neve tutt'intorno.
Ros volse le spalle all'intera compagnia e si avviò trattenendo un tremore che si faceva sempre più violento. Cosa la aspettava al di là di quella salita? Forse anni di sacrifici, allenamenti e una vita che non era sua.
I suoi piedi arrancarono sulle pietre scivolose, uno dopo l'altro. I suoi occhi non vedevano che neve e nuvole basse. La sua schiena non faceva altro che far male.
Le parve di sentire delle voci poco lontano, dei boati che facevano tremare ogni cosa attorno. Tra le nuvole e la neve poi comparve, gigantesco, magnifico e grigio, il castello dei Barbagrigia.
Una torre pugnalava il cielo e si perdeva al di là delle nuvole.
Ros non riuscì a resistere alla visione, si bloccò ma dopo un istante stava correndo verso le porte gigantesche di Hrothgar.
Le pesanti porte si schiusero con un fischio sordo, l'impatto con il calore interno lasciò Ros leggermente intontita.
Avanzò in silenzio, cercando di essere più silenziosa della notte, ma quando raggiunse la sala principale i saggi Barbagrigia erano tutti lì che guardavano dalla sua parte.
«Non attendevamo ancora il tuo arrivo.»
Ros guardò tutti loro, li rispettava, ma il loro modo di porsi sembrava quasi dire “noi siamo migliori di tutti gli altri”.
«Non sembrate poi così sorpresi»
La ragazzina si tappò subito la bocca e rimase con il fiato sospeso, dopo qualche istante lasciò scivolare la mano e mosse qualche passo verso di loro.
«Non intendevo mancarvi di rispetto, ma ho fatto un viaggio lungo per arrivare e non mi aspettavo un'accoglienza così brusca»
Uno degli anziani avanzò verso di lei e la guardò arcigno, al di sotto del cappuccio sgualcito grigio-azzurro.
«Tu non sei il Sangue di Drago, non dovevi venire qui.»
Ros rimase impietrita, ogni suo pensiero era stato cancellato da quella frase così secca che non lasciava posto ad altro che alla delusione. Cosa si era aspettata? Era stata stupida.
«Io non...»
Indietreggiò e infine volse loro le spalle dirigendosi verso l'entrata. Alle sue spalle però si levò un leggero brusio.
«Aspetta, non abbiamo detto che puoi congedarti.»
L'anziano Barbagrigia le si avvicinò e le afferrò saldamente una spalla con una mano, quasi trascinandola attraverso alla sala, poi oltre, fino al cortile posteriore.
Una volta all'esterno Ros sentì i piedi e le mani pulsare dal freddo e dallo sbalzo termico. Gli altri rimasero sulla porta, mentre quell'anziano la aveva portata con sé fino a una porta formata da due colonne che reggevano una sorta di arcata, al di là c'era solo il vento.
L'uomo la lasciò solo davanti al vento che minacciava di trascinarla via se solo si fosse avvicinata.
«Lok-va koor!»
Ros si portò le mani sulle orecchie e chiuse gli occhi, quando li riaprì la via si era aperta davanti a loro, non v'era più la minima traccia di neve, vento o gelo.
L'anziano le indicò la via e poi uni le mani sul ventre e attese che le passasse vicino prima di andarsene.
La ragazzina si guardò intorno qualche volta prima di riprendere a camminare. La neve scricchiolava al contatto con le suole, da lì in poi però la strada era sgombra da ogni pericolo, come se quel vento servisse appunto per evitare che qualcosa vi si annidasse.
Le sembrò di congelare, ben presto però raggiunse un grosso spiazzo. Qualcosa le diceva di muoversi con cautela perché c'era qualcosa in agguati lì. Avanzò ma si tenne ben stretta nelle braccia, poi il cielo si oscurò: non uno ma ben due draghi oscurarono quella porzione di cielo e urlando si posarono uno da una parte e uno dall'altra, poco lontano.
«Una visita, dopo molto tempo, abbiamo l'onore di avere»
La voce del drago verde scuro si propagò nell'aria gelida attorno a lei e fece vibrare le rocce. Un paio di sassi rotolarono da un pendio poco lontano.
«Di tutte le visite la più inaspettata. Dov los alok.», fece eco l'altro drago dalle scaglie quasi blu.
La ragazzina rimase immobile e guardò i due draghi apparentemente innocui, che parlavano nella sua lingua, almeno in parte.
«Drem los dilon, i nostri nemici sono tornati. Il futuro è divenuto presente.»
Ros ora fissava il drago verde, poi subito quello blu.
«Io non comprendo, non dovrei essere qui e allora perché state pronunciando parole di astio?»
Il drago verde avanzò e rizzò il collo, mostrando tutta la sua possenza.
«Paarthurnax, l'intenzione di questa Joor è celata dai suoi falsi ricordi. Kriid los kiin, Qostiid los ahzid, fahloni.»
Il drago verde ascoltò le parole del drago blu ed emise una sorta di ringhio grutturale.
«Ho conosciuto la fine di centinaia di profezie, questa non sarà che una delle tante.»
Il drago blu gridò contro il cielo, la sua voce divenne subito fiamma.
La bambina indietreggiò e cadde, ma subito si rialzò e corse via completamente atterrita.
Alle sue spalle i due draghi gridavano parole al cielo che si trasformarono subito in ghiaccio.
Ros attraversò il cortile e cercò subito di uscire, ma temeva che quei vecchi la bloccassero lì, così scartò verso destra dove un cancello aperto la separava da alcune rocce sospese su di un precipizio.
“Se tanto devo morire preferisco farlo per mano mia”, Ros saltò sulle pietre e corse verso la direzione da cui era venuta.
Ora i draghi si erano quietati, ma la loro presenza oscurava ancora il cielo. Ros una volta superato il lato di Hrothgar si arrampicò si nuovo sul sentiero e trovò con piacere gli scalini. “Mi basterà ridiscendere in silenzio senza farmi vedere...E poi forse gli altri sono ancora qui”
Si mise a correre, i suoi muscoli faticavano a rispondere allo sforzo che Ros stava chiedendo loro, ma almeno si sentiva più calda.
Stava per raggiungere la discesa quando un braccio parve spuntare da dietro una roccia e la prese al volo.
«Calma, ragazzina non si corre sulle rocce. Potresti scivolare.»
«Chi sei?! Lasciami!»
L'uomo si caricò la bambina su una spalla e cominciò a camminare nella stessa direzione dove stava correndo, almeno si sarebbe allontanata da Hrothgar. Il problema era che si trovava assieme a uno sconosciuto con un'armatura mai vista, un pesante spadone e capelli lunghi e neri quasi quanto i suoi. Non sembrava un Nord, ma non sembrava nemmeno un uomo che veniva da Hammerfell.
«Volevi avventurarti qui tutta sola? Per fortuna che c'è qualcuno sano di mente che era qui ad aspettarti, altrimenti le tue ossicine sarebbero divenute un ottimo legnetto per i denti del troll»
Ros puntò le mani sulla schiena e cercò di guardarsi intorno.
«I miei amici hanno già ucciso tutti i troll e saranno qui intorno ad aspettarmi! Me lo hanno promesso!»
Una risata rauca vibrò al di sotto dell'armatura scura.
«Mmh no, io non ho visto nessuno. E poi perché un gruppo di combattenti dovrebbe aspettare una bambina? Per di più una finta Dovahkiin. Nay, se ne sono andati veloci come il vento che scende dalla gola del mondo.»
«Non potresti mettermi giù, stiamo andando dalla stessa parte»
«No, Whiterun è lontana e tu vali un sacco di septim sonanti. E non solo.»
Ros si lasciò cadere di nuovo e con aria infastidita puntò un gomito sulla schiena del guerriero e poggiò il mento sul palmo della mano.




Ivarstead era rimasta esattamente come la aveva lasciata, immersa nelle tenebre, tiepida e vuota. Il mondo attorno sembrava non voler influenzare minimamente la vita di quel piccolo gruppo di case con la segheria, la cui importanza era quasi alla pari del cibo messo da parte durante una tempesta di neve.
«Io non sono come gli altri, preferisco non fermarmi.»
Il guerriero fischiò e dagli alberi spuntò un possente destriero, fatto di ombre.
«Anche la mia amica ne aveva uno simile. La conosci?»
«Io conosco un po' tutti, ma il mio destriero è molto più veloce e sarebbe difficile abbatterlo.»
Il guerriero lanciò letteralmente la bambina sul cavallo e poi salì, il cavallo partì al galoppo ancora prima ch'egli fosse seduto.
Gli alberi cominciarono a sfrecciare di fianco a Ros, avrebbe giurato che quel cavallo andasse ben più forte degli altri, anche se non poteva esserne sicura appieno.
Quell'uomo aveva decido di fare l'altra strada, questa volta non aveva tagliato attraverso la neve, bensì aveva seguito il sentiero di pietre che portava da Ivarstead a Whiterun.
Le lune illuminavano ogni cosa attorno a loro e Ros si chiese se mai a Skyrim la notte fosse stata davvero buia come si raccontava per spaventare i bambini. Nessun drago solcò il cielo, nessun lupo tentò di attaccare il cavallo, nessun troll si lanciò all'inseguimento di quelle tre prede. Nemmeno i banditi di un forte si scomodarono ad attaccarlo.
«E' proprio vero che conosci un po' tutti.»
Ros fissò il bandito di guardia che ricambiò lo sguardo, la sua espressione diceva qualcosa che la bambina non riusciva a comprendere.
«E' sempre meglio stare zitti e tranquilli in mia presenza, ricordati questo.»
Dragonsreach fece capolino dalla nebbiolina che aveva invaso le pianure attorno a Whiterun, Ros si sentiva di nuovo un po' sconfortata e la sola idea di tornare a corte e dire che non era il vero Sangue di Drago le faceva tremare lo stomaco.
«Mi sbatteranno fuori, o dovrò andare all'orfanotrofio di Riften...», sussurrò in preda al panico.
Il guerriero dietro di lei rise di nuovo, questa volta più a lungo.
«No, non succederà perché nessuno a parte io e te sa la verità. Mettiti tranquilla e presto sarai testimone della vera natura delle cose. Ricorda, con la verità non si va molto lontano... Ma con la menzogna, ah, con quella si può avere tutto.»
Il guerriero si fermò in cima alla collina, Ros poteva vedere le guardie armate di torce che camminavano avanti e indietro, un contadino che si era già messo al lavoro e un paio di lupi poco lontani dal loro cavallo. La bambina si irrigidì, ma quando notò che per svariati minuti gli animali rimanevano fermi la sua paura si trasformò in dubbio.
L'uomo schiacciò i talloni nei fianchi del cavallo e ben presto entrambi si trovarono di fronte alle due guardie.
«Hail, sto riportando il Dovahkiin a corte. C'era una ricompensa vero? Ora spetta a me.»
Le due guardie rimasero in silenzio, sembravano scrutare l'uomo e il cavallo.
«Uhm...sì sì certo. Prego proseguite.»
Ros lanciò una breve occhiata alle guardie e poi osservò il guerriero, il suo ghigno nascondeva decisamente qualcosa che avrebbe voluto sapere al più presto.
Le porte di Whiterun si aprirono per la seconda volta, Ros inalò subito il profumo del pane caldo che qualcuno stava preparando nella locanda del Cacciatore Ubriaco.
Il cavallo del guerriero svanì prima di varcare la soglia, solo che il guerriero atterrò sulle gambe, mentre Ros fu presa per la collottola prima di rovinare a terra.
«Ora dovrai stare zitta, alle domande risponderò io. Ascolta bene le mie parole, da lì dovrai costruirti una nuova storia.»
Ros osservò l'uomo e lo seguì in silenzio. Qualcosa le diceva che da lì in poi sarebbe stato tutto più semplice sebbene sbagliato. Nel suo cuore però quell'enorme finzione non faceva che aumentare una strana euforia nel suo cuore.

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Capitolo 6
*** Al cospetto dei Daedra ***




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5E 177 – Primo Seme


Ros osservò i ragazzini giocare dalla finestra della sua stanza e si chiese per ancora quanto dovesse rimanere chiusa lì dentro.
Dopo ore di attesa qualcuno bussò e la porta si schiuse e lasciò entrare un po' del mondo esterno come dolce nettare degli dei.
«Abbiamo a lungo disquisito a proposito del tuo destino», esordì il mago, «e abbiamo raggiunto finalmente una decisione. Sei il Dovahkiin e sei stato rimandato qui con un valoroso guerriero per poterti allenare. Sarà egli il tuo mentore, la tua guida e il tuo maestro per gli anni a venire.»
Il guerriero che la aveva riportata a Whiterun fece la sua entrata nella stanza e subito dopo anche i due Jarl.
«Falkreath è stata distrutta e non potrà essere la nostra casa, ma presto risorgerà dalle ceneri più bella di prima», annunciò Jarl Isen.
«Whiterun appoggerà Falkreath in tutti i modi», fece eco Jarl Fargen.
Ros li guardò tutti, uno ad uno, alla ricerca di qualcosa di più dettagliato per lei.
«Purtroppo», riprese il mago di corte, «molteplici sarebbero i pericoli a cui il feudo di Whiterun verrebbe sottoposto se il dovahkiin restasse qui, specie se ancora acerbo come te. Per tale motivo partirai al più presto con il tuo maestro. Vi recherete in un luogo sperduto ai confini con la civiltà e lì vi allenerete, lì imparerai a essere l'eroe che tutta Tamriel ormai chiama a gran voce.»
Ros si chiese se mai un giorno avrebbe ritrovato i ricordi o la pace. Si domandò se il mago e i due Jarl conoscessero quell'uomo o se la avrebbero davvero mandata allo sbaraglio sotto la custodia di qualche ciarlatano o delinquente. La bambina alla fine annuì, non c'era altra scelta se non una vita da vigliacca stracciona. “Forse ero una principessa, o forse destinata a regnare e qualcuno mi ha abbandonata perché troppo scomoda? Non lo saprò mai.”


La ragazzina rimase in attesa sul bordo del letto, le coperte arancioni cadevano ai lati quasi toccando il pavimento di pietra. La luce del pomeriggio filtrava attraverso i vetri colorati della sua stanza e disegnava forme sulla parete opposta. Una sacca di pelle con all'interno qualche abito, un po' d'oro e un paio di libri giaceva al fianco della porta, contro lo stipite.
Il guerriero entrò bruscamente e quasi senza guardarla recuperò la sacca e le fece segno di seguirlo. Era ora di partire, di nuovo.
Ros chiese notizie a proposito della Compagnia del Crepuscolo, ma nessuno poteva ancora aver saputo alcunché dal momento che non era passato nemmeno un giorno. La bambina si rese conto che avrebbe dovuto smettere di cercare quell'amica che aveva visto un po' come una madre e dedicarsi alla sua nuova vita. “Sono stata principessa per poche ore, ho camminato come una dovahkiin e sono caduta come un ladro colpito da una freccia. Non mi merito tutto questo, vorrei solo riposare.”
Le porte di Whiterun si aprirono di nuovo per farla uscire, Ros si immaginò che non vi avrebbe più fatto ritorno, forse per molto tempo.
Una volta lontani dalle case e dai campi, superata la torre di guardia, il guerriero chiamò a sé il destriero e vi montò sopra, lasciando questa volta la ragazzina a piedi.
«Dovrai prestar bene attenzione a ciò che ti dirò, farò di te una combattente, poi il mondo saprà con chi ha avuto a che fare un tempo.»


5E 177 – Stella della Sera


Ros al tramonto aveva il compito di tornare alla capanna dopo essere stata lasciata sola in un punto. “Devi saperti orientare, solo guardando il cielo”, “Devi saperti difendere solo usando la tua forza”.
Le voci dei draghi turbinavano nei suoi ricordi e come spade affilate laceravano la sua sicurezza. Quelle grida la mettevano spesso in ginocchio, draghi che ormai avevano invaso i cieli e spesso planavano a pochi centimetri da lei.
Il guerriero la portava spesso a visitare quelli che un tempo erano i nidi, la lasciava lì, sola, e poi le diceva di tornare alla capanna entro il calar del sole.
I suoi capelli erano cresciuti e ora doveva tenerli intrecciati per evitare che impedissero i movimenti silenziosi; le sue vesti erano leggere e sporche, dovevano garantire velocità in più il loro odore non doveva richiamare l'olfatto di qualche predatore; la sua pelle era diventata via via più coriacea e il freddo, le intemperie, la neve o le cadute raramente provocavano abrasioni. Si sentiva più forte e nemmeno un anno era trascorso.
I suoi piedi volavano sull'erba fresca, l'aria si scontrava con il suo viso, ogni sua percezione era catalizzata alla sopravvivenza, alla caccia, al combattimento. Forse era davvero nata per affrontare questa vita e solo ora se ne rendeva conto.




5E 187 – Ultimo Seme


Passo dopo passo si era avvicinato al cervo. Poteva sentire il suo respiro pesante. Tra le mani i pugnali daedrici che scintillavano incantati dalle fiamme più ardenti. Un balzo, un solo salto lo separavano dalla cena.
Sorrise scoprendo i denti. Poco lontano un altro predatore stava puntando quel cervo. Sarebbe tornato a casa con un cervo e un lupo.
Un passo ancora.
Un altro.
E poi un sibilo veloce gli passò vicino e una freccia trafisse la bestia alla testa. Il lupo parve scappare, ma dopo qualche istante cadde a terra con un guaito.
Dai cespugli spuntò una giovane donna dai capelli scuri e lo sguardo soddisfatto.
Il guerriero si alzò in piedi imprecando.
«Ti condannerei a morte se fossi uno Jarl. Una morte lenta e dolorosa.»
«Avanti, Dag, non sei contento? Anche questa volta ti ho dimostrato quanto sei stato bravo con gli allenamenti.»
Il guerriero grugnì e si chinò sul cervo, cominciò a tagliare l'addome della bestia e a togliere le interiora.
«Visto che sei così brava prendi questo e togli la pelle a quel lupo. La venderai e ti comprerai qualcosa da mettere, tra qualche sera di devo portare al tempio.»
La ragazza sbuffò e si mise l'arco daedrico a tracolla e avanzò leggera tra i cespugli.
«Ah, Ros, vedi di darti una ripulita. Penseranno che ci sia un troll nei paraggi, invece sei tu.»
Una freccia si conficcò nell'albero a pochi centimetri dal braccio del guerriero, che rise di gusto.
Trasportarono il necessario alla capanna e lasciarono i resti ai predatori del bosco, era sempre meglio cacciare lontano così l'odore del sangue non avrebbe attirato visitatori.
Ogni notte Ros faceva i “sogni di drago” e spesso era Dag a raccontarglielo perché lei non se ne ricordava.
La mattina seguente la ragazza prese le pelli e un po' di carne e si avviò verso Riften. La strada non era poi così lunga e al mattino presto la pace regnava sovrana. In lontananza si udiva il rombo di un drago, aveva fatto del Panorama Lunga Lingua la sua dimora fissa. Una volta Ros era arrivata così vicino al drago che aveva persino potuto contare le scaglie sul suo petto. Il drago non la aveva udita, forse stava dormendo. Aveva pensato che fosse tuttavia una creatura meravigliosa. Aveva desiderato di poterli cavalcare, di volare assieme a loro, renderli docili e mai muovere una spada contro di loro. I draghi in qualche modo avevano reso la sua vita più interessante, più importante.
Ros scrutava i cieli e viaggiava, la sua capanna nel Rift era nascosta da due colline e da numerosi alberi. Riften era poco lontano, tornava utile in ogni caso essere nei pressi di una città dotata di mura.
Le guardie la riconobbero e aprirono le porte salutandola. Raggiunse in fretta il mercato e lì vendette le cose che possedeva, poi restò a lungo assorta, alla ricerca di un abito da mettere.
«Posso aiutarvi giovane cacciatrice?»
Un'anziana signora le sorrise calorosamente e le fece segno di avvicinarsi. Ros prima pensò di rifiutare e andarsene, ma alla fine cedette e si mise davanti al banchetto.
«Ho questo ricevimento importante e cerco un abito da mettere che non mi faccia sembrare troppo selvatica..come dire-»
La signora la bloccò con una mano e rise con la voce tipica di una donna vecchia, di una nonna divertita.
«So cosa intendi e mi sembri una brava ragazza, per questo ti farò un regalo: la mia veste più bella.»
Ros sorrise insicura, poi annuì entusiasta.
La signora si chinò a fatica e da sotto afferrò una scatola e la sollevò. All'interno c'era una veste meravigliosa, rossa e blu con trame dorate ed era piegata con cura.
«Questa veste non se la può permettere nessuno ed è da molto tempo che la conservo. Prima credevo che qualche famiglia ricca la avrebbe acquistata per un mucchio di Septim e con quei soldi avrei potuto andarmene da Riften per sempre. Invece non è stato così e ora sono troppo vecchia per poter viaggiare e rifarmi una vita, quindi -non offenderti- ma preferisco liberarmi di questo vestito al più presto. Mi dà brutti ricordi.»
La ragazza ascoltò le sue parole e poi si pulì le mani contro un lembo di stoffa che le pendeva da sotto l'armatura e prese delicatamente la veste per le spalle e la sollevò, osservandola per intero.
«E' la miglior stoffa di tutta Tamriel, si dice che ogni Regina delle Regine ne possegga una simile tramandata di madre in figlia fino a oggi.»
«E questa a chi appartiene?»
La vecchia sorrise e spinse la scatola verso di lei.
«Alla prossima Regina delle Regine.»
La vecchia signora si volse e se ne andò, anche quando Ros provò a chiamarla lei continuò a camminare verso il tempio di Mara al di là del ponte che separava il mercato dalle residenze dei ricchi di Riften.
La ragazza sorrise e ripiegò la veste, per poi avviarsi verso l'uscita e poi verso casa sua.


-Tre giorni dopo-


Una volta pronta stette a lungo seduta sul bordo del letto, si sentiva troppo profumata e troppo in ordine, come non era mai stata abituata. Si ricordò la sola volta in cui era stata bellissima e per un attimo solo si chiese cosa sarebbe successo se fosse rimasta al palazzo di Whiterun nei panni della figlia dello Jarl di Falkreath. Era passata qualche ora dall'alba, ma sentiva di avere già fame.
«Sei pronta?»
Dag comparve sulla porta vestito elegantemente. Quegli abiti però sembravano essere avvolti da un'aurea particolare, era sicuramente una veste incantata, a Dag non piaceva essere disarmato. Ros per molte volte gli aveva chiesto di insegnarle l'arte della magia, eppure Dag si era sempre rifiutato, liquidandola con un “troverai la magia dentro di te un giorno”.
Ros annuì e guardò fuori dalla finestrella della sua camera arredata rusticamente.
«Non ci muoveremo che dopo cena, io ora devo andare a fare una cosa, promettimi che resterai chiusa qui e non aprirai a nessuno. Non voglio che ti rovini gli abiti. Non-fare-niente.»
Dag la guardò severo e si allontanò solo dopo che Ros ebbe annuito.
“Se non posso uscire e non posso nemmeno camminare qui intorno devo trovare qualcosa da fare. Il tramonto è lontano un'eternità.”
Ros rimase in silenzio e fissò dritto davanti a sé, con il petto colmo d'ansia e la mente sgombra da qualsiasi desiderio. Udì Dag fare qualcosa nell'altra stanza e poi aprire la porta.
«Ricordi cosa ti ho detto? Hai letto quel libro che ti ho procurato?»
Ros alzò gli occhi al cielo e senza accorgersi guardò in direzione della libreria.
«Ros? Credo di essermi spiegato. Voglio che tu sappia quelle cose prima di presentarti davanti a quella persona.»
«Aye, non mi ci vorrà molto.»
«Bene. Ripeto: in-casa. A presto.»
La porta si chiuse sbattendo e Ros balzò in piedi. Si affacciò alla finestrella e guardò Dag allontanarsi sul sentiero. Quando lo perse di vista si allontanò dalla finestrella e recuperò il libro.
Lo rigirò tra le dita e lesse più volte la copertina: “Storia di Skyrim dalla sconfitta di Alduin alla Quinta Era”.
Ros sbuffò, sapeva che si sarebbe annoiata, ma doveva farlo o Dag la avrebbe punita.
Si trascinò nella sala del camino dove c'era più luce e si sedette sulla sedia davanti al calderone. Quando aprì il libro sbadigliò, una strana sensazione le faceva pesare sempre di più il petto e il respiro.


[Nota dell'autore: questa parte è la storia di Skyrim dalla sconfitta di Alduin al presente in cui è ambientata la storia. E' stata scritta di mio pugno, quindi è frutto di fantasia. Mi scuso per le eventuali discrepanze, è nata come una sorta di infarinatura e comunque se volete potete non leggere se qualche data e un po' di storia rischia di annoiarvi.]


4E – 201, dopo la sconfitta di Alduin e la vittoria dei Manto della Tempesta guidati da Ulfric, la Regina delle Regine si ritirò a Solitude commemorando la morte del defunto Re dei Re Torygg.
Ulfric prese il comando di Skyrim, rendendo ufficiale l'esercito dei Manto della Tempesta come soldati protettori dei Nord. Dopo qualche mese di transizione Ulfric prese in sposa la combattente Nord Ylvig l'Impavida, eroina di guerra e grande amica di Ulfric.
Da Ylvig Ulfric ebbe un figlio, Joreh il Rosso (4E – 203), così chiamato per il colore dei suoi capelli ereditati dalla madre Ylvig. Questo nome però sembrò descrivere anche la sua condotta da adulto, infatti Joreh guidò l'esercito dei Manto della Tempesta contro gli ultimi fortini Imperiali nelle regioni di Skyrim, perpetrando un vero e proprio massacro.
[...]


4E – 241, data della morte di Ulfric Manto della Tempesta segnò anche un altro importante avvenimento. Il Dovahkiin, dopo aver servito Skyrim per più di quarant'anni, si ritirò a High Hrothgar assieme ai Barbagrigia. Del Dovahkiin non si ebbero più notizie. Lo stesso anno i due compagni più fedeli del Dovahkiin fondarono “La compagnia del Crepuscolo”, ma solo Serana la Vampira riuscì a portarlo avanti poiché Cicero morì di vecchiaia pochi mesi dopo.
La Compagnia del Crepuscolo giurò di difendere Skyrim da ogni nemico, di rimanere comunque neutrale agli affari politici se non in caso di alta priorità e preservare i resti dei draghi affinché nessuno di essi potesse tornare in vita.
[...]
Joreh il Rosso ebbe due figli gemelli solo dopo la morte di Ulfric. Dei due gemelli la femmina uscita per prima dal grembo materno sembrava essere più in salute del fratello. […]


4E – 257
Joreh, forse maledetto da qualche stregone dell'Impero, morì giovane nel sonno passando il trono al giovane figlio cagionevole Vil detto l'Ombra a causa della sua scarsa attenzione, catalizzata dalla florida sorella che all'età di dodici anni fu data in sposa allo Jarl di Markarth, Vari II.
La madre di Vil funse da reggente fino alla maggiore età del figlio, dopo di che scelse per lui una ragazza di corte e costrinse il figlio a sposarsi nonostante egli sembrava prediligere i fanciulli.
Il popolo sembrava non apprezzare la debolezza di Vil l'Ombra, crebbe una sorta di malcontento che durò per anni, taluni cominciarono a chiedere che fosse Markarth la nuova città capitale. [...]


4E – 260
Vari II e Giuditta la Rossa diedero alla luce il loro primo figlio, Vaghnar il quale fu acclamato dal popolo come leggittimo successore di Vil l'Ombra.
La madre di Vil e Giuditta diede i primi segni di follia, trascurò il popolo e la corte, lasciando che Windhelm divenisse una sorta di città fantasma.


4E – 261 Rivolta dei Rinnegati [… ]


4E – 265
Vil raggiunse la maggiore età e si sposò con una dama ricca di Windhelm, dopo qualche mese la moglie diede alla luce una figlia, forse non figlia di suo padre.
La vergogna ricoprì Vil l'Ombra che fu costretto ad abdicare in favore di Vaghnar (di anni 5) e della sorella Giuditta. Vil divenne prima un servitore di Talos, poi morì qualche anno dopo di febbre.
[...]


4E – 278
Il trono di Windhelm non vide sedersi uno Jarl fino alla maggiore età di Vaghnar, la sua saggia madre Giuditta gli aveva dato ottimi insegnamenti su come governare e restò a Windhelm solo pochi mesi e poi tornò a Markarth dove ebbe un secondo figlio, il futuro erede di Markarth.
[…]


4E – 300
Vaghnar il Giusto dichiarò la fine della IV Era e l'inizio della V E di Skyrim.
Il resto di Tamriel d'accordo con il saggio Re dei Re si adeguò e così Tamriel entrò ufficialmente nella 5E.
Il figlio maggiore di Vaghnar, Ulfric II, ereditò il trono del padre Vaghnar alla maggiore età. Il padre preferì lasciargli il trono, ma in un certo senso continuò a governare al fianco degli figlio fino alla sua morte.
La moglie di Vaghnar, Sanna, diede dodici figli a Vaghnar nel corso del tempo, i quali dedicarono la giovinezza agli studi. Tre di loro divennero avventurieri (Olfrid, Torlig, Dewan) e trascorsero la vita ad aiutare il popolo di Skyrim. Di cinque figli si sono perse le testimonianze, alcune pergamene parlano di sposalizi con figlie di altre corti, uno di loro divenne forse un famoso bardo.


5E – 01
Grande festa della Quinta Era, gli Jarl si incontrano a Solitude e festeggiano per quasi un mese. […]


5E – 25
La moglie di Ulfric II muore di parto dando alla luce Mjvn.
[…]


5E – 40
Morte di Vaghnar il Giusto.
Il figlio Ulfric II stipula una sorta di accordo con l'Impero a seguito di una crisi economica. Si riaprono i commerci con il resto di Tamriel. Molti abitanti di Cyrodill si trasferiscono in tutta Skyrim per aiutare meglio il commercio.
L'unica figlia di Ulfric II, Mjvn all'età di quindici anni suggerisce al padre di lasciarle il trono e continuare a governare come consigliere.


5E – 43
Morte di Ulfric II a seguito di un morso di ragno, entrato di notte all'interno di Windhelm.
La figlia Mjvn accusa delle spie imperiali di attentato e chiude di nuovo le frontiere di Skyrim.
I contrabbandieri diventano sempre più numerosi, ma gli occhi degli Jarl fingono di non vedere.


5E – 51
Mjvn dà alla luce il secondo figlio maschio, il primo fu affidato alle cure di una sacerdotessa di Kynareth poiché deforme e “maledetto da un sortilegio imperiale”.
[...]


5E – 81
Morte di Mjvn, il figlio Mjorn sale la trono di Windhelm.
Ai figli avuti prima di salire al trono, Brina e Volkigg (5E 76 / 5E 79), viene impartita una rigida educazione militare, poiché il padre Mjorn teme che presto Skyrim ricadrà in guerra contro l'Impero traditore e subdolo.


5E – 95
Brina divenne capo dell'esercito dei Manto qualche anno dopo, il fratello invece prese il trono del padre appena giunta la maggiore età (5E – 97).
[…]


5E – 120
Il figlio di Volkigg, Raghnar II, succede il padre ferito durante un combattimento per difendere Windhelm da alcuni banditi.
Raghnar II prende in sposa la figlia dello Jarl di Solitude Ilda per screditare le voci sulla sua inguaribile misoginia. Raghnar II fu uno Jarl brusco e poco tollerante, cacciò gli elfi da Windhelm e dichiarò ogni mer Piaga dei Nord, abolendo la loro presenza in città fino alla sua morte.
[…]


5E – 174
Morte di Raghnar II, sale al trono il figlio Ulfric III, attuale Jarl di Windhelm.”






Ros chiuse il libro, nella sua testa si delinearono una serie di discendenze, di fatti e di date. Aveva saltato di proposito molte pagine, non le serviva sapere tutto, questo glielo aveva detto anche Dag. “Il sapere verrà a suo tempo”, come tutto ormai si diceva Ros.
Lasciò il libro sul tavolo. Erano passate molte ore, il cielo si era colorato di arancione, il tramonto nel Rift era meraviglioso e ogni volta Ros rimaneva senza fiato. C'era qualche minuto durante il quale tutta la natura sembrava unirsi al cielo, i colori caldi regnavano sovrani e spazzavano via il freddo dell'aria pungente di Skyrim.
«E' ora»
La voce di Dag la fece trasalire, era apparso alle sue spalle dal nulla. Ros rimase immobile e lo fissò con una tale veemenza colma di domande che le sembrò che gli occhi le cadessero dalla testa.
Ros avanzò verso di lui non sapendo bene cosa fare e strinse le mani a pugno lungo ai fianchi.
«E' il momento che tu sappia»
Dag le porse una mano e Ros titubante la afferrò.
Il mondo attorno a lei cominciò a svanire lentamente, sentiva una sensazione strana nelle viscere, poi la terra le mancò da sotto ai piedi. Tutto divenne di un blu-violetto così lucente che per poco non le diede la nausea. Eppure non ebbe il tempo per soffrire perché in pochi istanti si trovò in una dimensione lontana, dove tutto era differente, spento.
Lasciò la mano di Dag e fece un giro su se stessa. Il cielo era plumbeo, la terra era arida e spaccata, nessun albero cresceva in quella sterminata pianura di morte. I suoi occhi poi furono catturati dall'enorme palazzo alle loro spalle che proiettava un'ombra lunga, quasi infinita.
«Ci stanno aspettando all'interno. Vieni.»
Dag la precedette e le fece strada all'interno di quel luogo immenso. L'edificio più grande che aveva visto era stato High Hrothgar, ma ora quello dei Barbagrigia sembrava solo un piccolo mulino.
I suoi passi all'interno dell'atrio non risuonavano come avrebbero fatto normalmente, le luci dei candelabri erano lilla.
Dag aprì due grandi porte ed entrò in un'immensa sala con un tavolo di pietra altrettanto immenso. Ai lati delle porte c'erano due creature mai viste, due donne alte almeno tre metri con zampe da rettile e dal ventre in giù una lunga coda da serpente. Respiravano rumorosamente, a Ros sembrava che ringhiassero in continuazione.
All'interno invece degli atronach facevano da spola da un capo all'altro, come valorosi soldati di guardia.
«Ecco il nostro ospite più atteso! Da quanto tempo!»
Ros seguì Dag fino a un certo punto, ma poi si fermò a osservare le persone che sedevano tutte al lato opposto del tavolo, ponendola quasi in una situazione imbarazzante.
Fu un uomo a parlare per primo, un signore dai capelli quasi grigi, scompigliati e le vesti colorate, pacchiane.
Una donna quasi subito si alzò in piedi e le fece segno di prendere un posto a sedere di fronte a tutti loro.
«Perdonalo, a volte confonde le parole. Lascia che ti dia il benvenuto. Mehrunes Dagon si è preso ottima cura di te fino a oggi, devi a lui la tua vita sai?»
Ros si volse di scatto verso Dag e assunse un'espressione confusa e in parte spaventata.
«Credo che mi stia sfug-»
«Non agitarti, ben presto scoprirai tutto. Ora però devi accettare il nostro piccolo accordo, una cosa che porterà grandi profitti a tutti.»
Ros osservò la donna e poi guardò Dag, il quale annuì solennemente.
«D'accordo, di cosa si tratta?»
La donna sorrise e si sedette di nuovo.
«Ti trovi di fronte a Boethiah, e loro sono gli altri Daedra che vivono nell'Oblivion. Ti trovi proprio nell'Oblivion ora, lontano da casa tua, ma non lontano da dove sei stata fino al tuo risveglio.»
Ros aggrottò la fronte e strinse le mani attorno alla veste sul ventre.
«Daedra? Boethiah?»
Improvvisamente la ragazza comprese e spalancò gli occhi, il cuore cominciò a martellarle nel petto come se dovesse scoppiare.
«Dunque ti trovi qui dopo un lungo addestramento per adempiere al tuo destino, sei molto importante per noi e perdonami se appaio divertita, ma questa situazione mi mette addosso una certa ilarità.»
Ros deglutì e guardò di nuovo Dag, Mehrunes Dagon, e scosse la testa.
«Perché non me lo avete detto subito? Io per anni ho creduto che fosse solo un guerriero, un mercenario, non ho nemmeno portato rispetto»
Mehrunes scosse la testa e sorrise di sbieco.
«Mi hai dato il rispetto che meritavo come guerriero, se avessi voluto farmi trattare diversamente te lo avrei imposto.»
La ragazza si sentì improvvisamente soffocare, come se qualcosa le si stringesse attorno al collo. Il petto si era fatto di nuovo pesante.
Guardò ognuno dei presenti e cominciò a collegare il loro viso, le loro forme, ai nomi di Daedra che aveva studiato.
La donna, Boethiah, ricominciò a parlare.
«Sei qui per prepararti alla tua nuova vita, quando tornerai a Skyrim sarai una nostra alleata, un nostro campione. Tuttavia il tuo destino non sarà limitato a ciò che ti chiederemo di fare, un giorno non molto lontano ritroverai la verità e finalmente anche il tuo vero Io. Fino ad allora dovrai assicurarti di compiere il tuo piano e non sgarrare, o finirai per fallire prima di trovare la verità.»
Ros annuì prima lentamente, poi più convinta. Sapeva che ciò che le stavano per chiedere sarebbe stato difficile, eppure sapeva che non c'era scelta. Probabilmente le avrebbero chiesto di spiare gli umani, di guidarli attraverso un sentiero, però l'idea di ingannare i suoi simili non le sarebbe pesato poi così tanto, non se avesse evitato che del sangue innocente scorresse sulle sue mani.
«Dunque, Ros, ora rilassati e ascolta bene cosa devo dirti.»

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