A.A.A. Cercasi...

di Saeko Nogami
(/viewuser.php?uid=184607)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** ...attenzioni ***
Capitolo 2: *** ...dignità ***
Capitolo 3: *** ...uomo perfetto ***
Capitolo 4: *** ...coraggio ***



Capitolo 1
*** ...attenzioni ***


Ce la posso fare.

Mantieni la calma, Caroline. Mantieni la calma. Forza. Inspira, espira. Ripetiamo: inspira, espir...

«Allora, Caroline? Per te va bene?» La voce di quell'arpia di mia sorella s'insinua nei miei pensieri e torno bruscamente alla realtà.

Cinque persone mi osservano con aria interrogativa, aspettando che dica qualcosa.

Qual era la domanda?

Nel dubbio, sorrido e annuisco. Tanto anche se non fossi d'accordo, non importerebbe a nessuno.

Siamo alla terza riunione indetta da mia sorella di questa settimana. Ha deciso improvvisamente di rivoluzionare l'intera azienda e l'intera gamma di prodotti inerenti a essa. Lei! Che si è laureata da meno di un mese. E la cosa più ridicola sapete qual è? Che tutti le danno retta. E con “tutti”, intendo proprio tutti. Nostro padre, gli azionisti, tutti i capi degli altri reparti. Addirittura i fattorini ormai prendono ordini praticamente solo da lei. Questa bimbetta fresca di laurea è diventata da una settimana a questa parte la nuova star delle Cage Industries.

«Bene, allora se siamo tutti d'accordo, direi che la riunione può finire qui» Afferma con i suoi soliti modi affabili quell'arpia, sfoderando il suo sorriso più abbagliante.

Non la sopporto proprio.

Con un brusio sommesso, tutti i presenti cominciano a raccattare le proprie cose alzandosi. Dal canto mio, invece, resto sulla poltrona girevole ad osservare tutte queste persone con cui lavoro da ormai tre anni e che ora mi hanno apertamente voltato le spalle. Cos'è successo? Li conosco da tempo, una volta si era tutti più uniti. Quasi amici, diciamolo. Ci si raccontava le storie nella pausa pranzo, poi si riprendeva a lavorar sodo e finito il lavoro si usciva per un aperitivo. Una volta, tutti loro pendevano dalle mie, di labbra. E ora, invece?

Ad attirare la mia attenzione, è uno degli azionisti che sbatte col pancione contro la sedia, facendola roteare vorticosamente, tanto che la sedia rimane distorta anche quando lui alla fine si allontana. Certo che il signor Heizer da quando s'è sposato è davvero ingrassato. La moglie deve essere brava in cucina...

«Senti, spero non ti abbia dato fastidio» Una mano si posa sulla mia spalla.

Sento la sedia girevole voltarsi in automatico verso di lei, mentre mia sorella mi osserva con giganteschi occhioni languidi. Ma siamo sicure di essere sorelle di sangue, cresciute nella stessa famiglia? Io questo modo di fare così “cip-cip” non ce l'ho mai avuto. Perché?

«Figurati» Sorrido stancamente.

Non ce la faccio più a dover sopportare ogni giorno tutta questa falsità da parte sua. Insomma, ammettiamolo: non è vero che spera non mia fastidio, anzi! Usurparmi ogni cosa è il suo unico scopo nella vita.

Questa terribile rivalità e competizione tra di noi, nacque quando avevo sette anni. I miei genitori corsero in tutta fretta in ospedale perché, con un piccolo laghetto ai suoi piedi, mia madre aveva gridato che le si erano rotte le acque. Molto filmico, vero? Lo so, ma la famiglia è così, che posso farci? Se ogni loro gesto e frase non è assolutamente teatrale, allora non sono contenti. Comunque, dopo un travaglio durato – dal mio punto di vista – un'eternità, mio padre tornò a casa tutto emozionando esclamando: “E' nata Coraline!”

No, non avete capito male. No, non era la mia nascita. Era proprio quella di mia sorella. L'avevano chiamata esattamente come me... cambiando l'ordine di due vocali. Capirete, ora, che quando tua sorella minore porta il tuo stesso nome, ma in versione più figa ed esotica, è praticamente impossibile che non nascano delle rivalità. Specialmente se quella mocciosa riesce a fare tutto prima di te e i tuoi genitori non riescono proprio a non fartelo pesare.

“Guarda, caro, Coraline ha imparato a camminare! E ben una settimana prima di quanto ci avesse messo Caroline...”

“Guarda, cara, Coraline sa già contare fino a venti! Alla sua età Caroline riusciva a contare solo fino a dieci...”

“Coraline ha portato a casa un'altra A, quest'anno! Una in più di quanto non avesse fatto Caroline, in prima elementare...”

Mi ha sempre battuta, in ogni cosa. Io ho avuto il mio primo lavoretto estivo a quattordici anni, lei a tredici. Mi sono laureata con 110 a ventiquattro anni, lei a ventritré, con 110 e lode. Io ci ho impiegato un anno per guadagnarmi la fiducia dei colleghi, lei solo una settimana. E così via, così discorrendo.

«Allora buona giornata» Mi saluta Coraline, prima di uscire dalla sala riunioni.

L'osservo allontanarsi dalla vecchia porta in legno assieme ai nostri colleghi, mentre resto ancora seduta sulla mia poltrona, mentre cerco di capire cosa c'è che non funziona in me.

Che razza di giornata, contemplo poi, stropicciandomi il viso col palmo della mano, mentre mi accingo ad alzarmi. In quel mentre, vibra il cellulare: un messaggio. Estraggo il telefono e controllo il display: “Richard”. Ecco, una cosa su cui mia sorella non riuscirà mai a battermi: le relazioni amorose. Io e Richy stiamo assieme da sei anni ormai. Quando mai mia sorella riuscirà ad avere una relazione così profonda e duratura? Senza contare, poi, che anche se conoscesse oggi un ragazzo per bene, non potrebbe mai superarmi in tempistica. Insomma, sei anni di fidanzamento non si raggiungono mica in un mese, no? Sorridendo rincuorata, clicco su visualizza. “Pronta per 'sta sera?” Recita il display. Resto interdetta a fissare lo schermo come un'ebete. Me ne stavo quasi dimenticando. Cioè, non è che me ne stavo proprio dimenticando. E' che ho cercato in tutti i modi di eliminare questo tristissimo evento dalla mia mente. Questa sera c'è l'incubo che mi perseguita da dodici mesi: il mio ventottesimo compleanno. Dio mio, sono già così vecchia?

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** ...dignità ***


«Ci siamo innamorati con loro. Abbiamo odiato. Ci siamo arrabbiati. E ora finalmente scopriremo la verità»

Mi volto repentina verso la TV. Quale verità?

«E questa è la storia di come ho conosciuto vostra madre»

Esce la nuova serie di How I met your mother? Cavolo, ma io alle alle 21 sono appena uscita dal lavoro... Dovrò registrarmi gli episodi. Ma quanto può essere figo Barney? Certo che Robin è proprio scema. Se avessi dovuto decidere io tra Ted e Barney non avrei mica aspettato tutte quelle stagioni. Anzi, fossi stata al posto di quella culona di Robin, io già alla quarta puntata ci facevo una notte di passione col biondino. Oddio, ma cosa dico? Io sono fidanzata! Cancella il pensiero, reset. Se Richard sapesse una cosa del genere... No, aspetta, ma che c'è di male? Voglio dire: è una star. E andare con una star non è considerato tradimento, no? Vero? Devo parlarne con Richard. Scommetto che anche lui vorrebbe andare con una star... No, ferma. A me starebbe bene che Richard va con un'altra? D'accordo, magari è famosa. Ma non è carino lo stesso. Cioè, non so. Devo rifletterci bene sopra.

Oddio, mi sono distratta di nuovo. Ma questo vestito m'ingrassa? Mi volto nuovamente verso lo specchio, scettica. Oggi è la mia serata. Voglio essere al massimo della forma. Va bene, basta. Sono quaranta minuti che sto bloccata in camera a cambiarmi e ricambiarmi.

Stai bene. Carol, stai alla grande. Convincitene, forza. Non hai tempo per ricambiarti un'altra volta.

«E ora, torniamo alle questioni economiche!» Una voce femminile proviene dalla TV. «Dopo il ritorno della famiglia Gray al comando, la Demetra's Enterprise è tornata al suo antico splendore, con un picco istantaneo del +52% del prezzo delle azioni. Sembra che il giovane Gray abbia istanteamente giovato alla ditta, dopo il crollo dovuto a Gray Senior e agli amministratori delegati che l'hanno mandata in bancarotta negli ultimi dieci anni. Si prevede un anno volto alla novità e ai giovani, questo! Infatti, anche le azioni delle Cage Industries sono salite del 25%. Pare che la neo stella dell'azienda, Coraline Cage, stia portando davvero una ventata d'aria fresca all'impresa di famiglia. Abbiamo qui con noi Joseph Landgraab, il massimo esperto in materia. Dottor Landgraab, che ne pensa del rinnovato successo delle industrie Cage?»

«Be', credo proprio che la figlia minore di Sean Cage stia fruttando migliaia di dollari alla famiglia. E' incredibile come le sue idee riescano a rivoluzionare...»

Pigio sul telecomando e le immagini si riducono in un piccolo puntino bianco al centro dello schermo, per poi spegnersi definitivamente.

Al diavolo.

Ora pure quello stupido aggeggio deve ricordarmi di quanto quella cretina di mia sorella sia geniale? Oggi è la mia serata. Non voglio neppure lontamente sentir parlare di Coral. Che poi, non capisco. Sono io la primogenita. E' a me che dovrebbero andare le redini della società. Perché tutti i meriti se li prende sempre quell'arpia? Perché? Che gli ho fatto all'universo per punirmi tanto? Chi cavolo ero nella vita precedente? Hitler? Stalin?

Okay, Carol, ora basta. E' la tua serata. Pensa a te stessa. Al diavolo tua sorella, al diavolo tuo padre, al diavolo l'azienda. Pensa solo a goderti la serata.

Fisso il mio sguardo nello specchio, mentre cerco di convincermi a seguire il mio stesso consiglio.

«Ascoltami bene, Caroline Cage», mi dico, puntando il dito contro il mio riflesso, «tu non sei inferiore a nessuno. Hai capito? Nessuno. E adesso, scendi di sotto e glielo dimostri a tutti.»

Giusto. Ho ragione! Adesso scendo di sotto, scintillante nel mio abito da sera, e vado a dimostrare a tutti quanto io sia perfetta.

E continuando a ripetermelo, giungo finalmente alle scale.

Siamo nella casa di famiglia. Nella mia enorme, ricca e stupenda villa che ospita la famiglia Cage. Sì, questa è la Cage Mansion. Il fiore all'occhiello di tutta Niceview Valley, California. E sì. Io sono Caroline Cage, figlia primogenita di Sean Cage, proprietario delle Cage Industries. Be'. Non sono proprio ricca sfondata, ma posso dire che i soldi non mi mancano di certo. Anche se è da parecchi anni che ormai non uso più i soldi di famiglia. Insomma, lavoro, ho un mio stipendio. Certo, vivo ancora nella Mansion, ma dove la trovo un'altra casa così a Niceview Valley? Appunto.

Come prendo a scendere le scale, comincio già a sentirmi rinvigorita, beandomi di quel momento fatato quale è l'istante esatto in cui ti rendi conto che sei la star della serata. Ogni volta che, ben vestita, devo scendere una rampa di scale mi sento una principessa. Sarà a causa di tutti quei film, dove la bellissima scendeva le scale molto lentamente, il morbito guanto bianco che a malapena sfiorava il corrimano, e tutti si voltavano – incantati – a guardarla.

Va da sé, ovviamente, che a me questo non succede.

Nessuno che si volta a guardarmi, né tanto meno nessun guanto che scivola sul corrimano senza un briciolo di polvere. Qualcuno si stupisce? Be', c'è poco da fare. Questa è una festa di compleanno organizzata dalla mia famiglia. E chi c'è nella mia famiglia che si prende tutte le attenzioni? Proprio lei. Quella simpaticona di mia sorella. Che infatti in questo momento sta discorrendo amabilmente con i miei ospiti, il mio fidanzato, i miei amici e mio padre.

Sono nata nella famiglia sbagliata, non c'è dubbio.

«Guardate chi c'è! La festeggiata!» Mia sorella si volta all'improvviso verso di me, regalandomi un inutile sorriso a tremila denti.

«Non fare l'asociale, vieni a parlare con noi» Prosegue poi, sbattendo le ciglia lunghe. Perché ha le ciglia così lunghe? Non sono naturali. Si sarà messa le ciglia finte.

Sorridendo mogia, mi avvicino al gruppo. «Dov'è la mamma?» Chiedo, guardandomi attorno.

«In cucina» Risponde mio padre, sbrigativo, per poi ridere a una battuta della Iena.

Avrei dovuto ucciderla. Soffocarla quand'era ancora in fasce. Non sarebbe stato meraviglioso?

«Vado a vedere se ha bisogno di una mano...» Provo a dire, ma nessuno mi sta più dando retta.

Che noia così, però. Non ci sarebbe neppure divertimento a raccontare la storia della mia vita a qualcuno, un giorno. E se vorranno fare una biografia sulla famiglia Cage? Che gli racconto? Che sono la "seconda scelta"? Che neanche al mio compleanno non riesco ad essere la protagonista?

Pensa come si annoierebbero a morte i lettori. Ho bisogno di una fata madrina. Decisamente.

«Perché così triste, bambina? E' il tuo compleanno, sorridi!» Davanti a me, la nonna è spuntata fuori praticamente dal nulla.

La nonna è una donna minuta, che dall'alto dei suoi settantanove anni è praticamente l'unica persona al mondo che non si lascia incantare da mia sorella. Si potrebbe dire che è la mia unica fan. «Nonna! Sei riuscita a venire» Commento l'ovvio, mentre un sorriso gigantesco si fa largo sul mio viso.

Adoro la nonna. Da quando ero piccola mi viziava sempre, mi faceva tanti regali e ogni domenica mattina mi portava in riva al lago a pescare. E' la madre di mio padre, ma in comune probabilmente hanno solo il colore degli occhi.

«Certo che sono venuta!» Squittisce entusiasta. Non si direbbe che ormai è vicina agli ottanta, vero?

«Potevo mica perdermi il compleanno della mia nipote preferita?» E mi da un buffetto sulla guancia.

Sorrido, mio malgrado. «Nonna, non si dicono queste cose. Coral potrebbe restarci male» Ecco, questo è quel che dico. Quel penso, invece, somiglia più o meno a questo: "Sì, rosica brutta vipera egocentrica!", condito da una risata maligna. Ovviamente, il tutto accade solo nella mia testa.

«Oh, al diavolo Coraline» Esclama a bassa voce, sminuendo con un gesto della mano. «Non mi sembra che le manchino attenzioni» Aggiunge poi, indicandola con un gesto del capo. E in effetti, mia sorella in questo momento sta allegramente monopolizzando la conversazione. Tanto per cambiare.

«E poi, sei tu la festeggiata. E' a te che vanno tutti i complimenti, oggi» Continua la nonna, stringendomi in un portentoso abbraccio. Fin troppo portentoso, per una donna della sua età.

«Grazie, nonna» Le sorrido riconoscente, mentre mi sciolgo dalle sue braccia.

Mi sorride di rimando. «E ora» Attacca, guardandosi attorno con aria circospetta. «Dov'è quella santa donna della mia nuora?»

Ridacchio. Tra la mamma e la nonna c'è il classico astio che c'è tra ogni suocera e nuora. Solo che a un orecchio poco attento, sembrerebbe che si adorano. Infatti usano tra di loro sempre appellativi affettuosi, anche se poi ogni per ogni cosa diventa guerra aperta. Ho sempre sospettato, però, che loro due in realtà non solo si sopportano molto bene, ma si stiano anche simpatiche. Sono, diciamo, schiave di questo luogo comune che vuole rivalità tra mamma e sposa.

«Papà dice che è in cucina. Stavo giusto andando da lei» Rispondo.

Nonna unisce le mani a mo' di preghiera e lancia uno sguardo al soffitto. «Per l'amor del cielo! Non dirmi che ha intenzione di avvelenarci tutti» Esclama, gesticolando in maniera teatrale.

Anche questa ormai è diventata una sua frase cult. La ripete ogni volta che mamma cucina qualcosa e ormai abbiamo tutti imparato a non farci caso.

«Vuoi venire anche tu?» Le chiedo, indicando la cucina.

«Per forza, devo salvaguardare la vostra la salute» Annuisce con entusiasmo e mi fa cenno di farle strada.

Mentre arriviamo dalla mamma, chiacchieriamo del più e del meno. Principalmente, la nonna si lamenta delle persone presenti, perché solo poche di queste sono effettivamente miei amici.

«Visto? Ecco cosa non ho mai sopportato degli uomini d'affari. Ogni festicciola intima diventa un modo per farsi conoscere o stringere nuovi accordi. Anche tuo nonno era così. Pensa che al nostro matrimonio...» E bla, bla, bla.

Adoro la nonna, sul serio. Ma la sua memoria ogni tanto fa cilecca e finisce per ripetermi sempre le stesse cose. Per inciso, questa storia del loro matrimonio l'ho già sentita ai miei ultimi tre compleanni, agli ultimi due compleanni di mia sorella, ogni Natale da che mi ricordi, e anche all'ultimo giorno del ringraziamento. In pratica, al loro matrimonio il nonno aveva invitato due o tre parenti reali e il resto degli invitati erano altri uomini con cui lui faceva affari. E, dopo il taglio della torta, ha tirato fuori dal nulla la sua valigietta ventiquattrore e ha cominciato a stilare accordi e contratti, lasciando lei in balia delle damigelle d'onore. Ormai la storia la conosco a memoria. Tuttavia, non me la sento di dirle che l'ha già raccontato diverse volte: adoro sentire il suono della sua voce.

«...E quindi...» S'interrompe un momento, notanto l'entrata alla cucina. «To', siamo arrivate» E si volta verso di me col sorriso più luminoso che è in grado di fare.

Le sorrido di rimando e varchiamo la soglia.

Mamma sta armeggiando col forno, controllando continuamente che non le si bruci l'arrosto.

«Per l'amor di Dio, lascialo cuocere!» L'ammonisce la nonna, con il solito tono di voce mezzo alterato che tiene quand'è in compagnia della mamma.

Quest'ultima si rialza di scatto, neppure l'avessimo beccata a frugare nella scorta di dolciumi, e si volta verso di noi con un'espressione indecifrabile. «Ines» Esclama dopo qualche secondo. «Sei riuscita a venire, alla fine» E nel tono colgo un accenno di delusione.

Nonna Ines annuisce con vigore. «Tutto grazie a quel giovanotto dei Pembleton, che mi ha accompagnata con la sua nuova macchina. Mi sono sentita una scolaretta, in quella decappottabile» E ridacchia, afferrandomi il braccio. «Sai cara, ora che è cresciuto si è fatto davvero tanto-tanto carino. Dovrei presentartelo» Prosegue, rivolta a me.

Sorrido. La nonna da sempre cerca di trovarmi marito, nonostante io le abbia spiegato decine di volte che sono fidanzata. «Nonna, il figlio dei Pembleton ha finito il liceo la scorsa estate. E' troppo piccolo, per me. E poi, io ho Richard» Lancio uno sguardo a mamma, che sta roteando gli occhi annoiata.

«Richard» Ripete la nonna, condendo il nome con la simulazione di uno sputo. «Tesoro, che te ne fai di un uomo che alla sua età fa ancora il fattorino per l'azienda in cui lavora?»

Mi verrebbe d'istinto dire qualcosa per difendere Richard, ma in effetti non mi viene in mente nulla. Ha ragione. Che altro posso dirle?

«E poi non essere così antica», prosegue nonna, «ormai non ci sono più questi vincoli d'età. Gli uomini non crescono, abituatici. Diventano solo più flaccidi e più brontoloni.»

«Ha ragione, sai» S'intromette mamma. «Pensa che tuo padre ancora fa le modifiche alla macchina, come quando avevamo diciott'anni» E annuisce convinta alle sue stesse parole.

Nonna annuisce di rimando, infervorandosi. «Ecco. Anzi! Uno più giovane è e meglio è. Sicuramente resterà attivo a letto più a lungo» Conclude, ammiccando.

Oh mio Dio. Non l'ha detto. «Ma nonna!» Squittisco sconvolta, per poi arrossire violentemente fino alla punta dei capelli e, lanciando uno sguardo a mamma, noto che anche lei è parecchio imbarazzata.

Diciamolo, la mia non è una famiglia alla "Settimo Cielo". Da me i genitori non ti fanno il discorsetto sul sesso a quindic'anni, dandoti una scorta di preservativi e raccomandandoti ti stare attenta. Anzi, piuttosto la mia è una di quell famiglie in cui il padre ti si avvicina con sguardo minaccioso e, puntandoti un dito contro, ti domanda indagatorio: "Allora, tu e il Tiziochestaifrequentandoalmomento fate sesso?" e tu non puoi rispondere altro che "Certo che no, papà!", anche se in realtà ci date dentro come conigli. Ed ecco, quindi, che giungi all'età di ventotto anni con tuo padre che è ancora convinto tu sia vergine.

«Che c'è di male? Il sesso è salutare, e poi...» Nonna cerca ancora di difendere la sua idea, ma veniamo interrotte dall'arrivo in cucina di un ragazzo, con in mano due bottiglie di vino.

«Signora Cage, queste vanno bene?» Domanda rivolto alla mamma, che ora sembra ringraziare Dio per averla salvata da quella situazione imbarazzante.

«Sì, vanno benissimo, grazie» Squittisce allegra, afferrandogli la bottiglia dalle mani. «Ah, Carol, lui è...»

«Ah, così tu sei Caroline!» L'interrompe lui, affabile, e porgendomi la mano destra, mentre mi inchioda con i suoi occhi magnetici. Incantata, prendo delicatamente la sua mano. Il contatto è breve, principalmente perché ho il terrore che prendano a sudarmi le mani per l'emozione. La ritraggo rapida.

Chi è? E' il ragazzo più carino che abbia mai visto. Da dove è spuntato fuori? Quanti anni ha? Che lavoro fa? E' etero? Mi vuole sposare?

«...è veramente un piacere conoscerti, finalmente» Conclude, con tutta l'aria di aspettarsi una mia risposta.

Cazzo. Ha detto il suo nome, vero? Mentre io mi stavo immaginando in una casa piena di bambini con lui, lui s'è presentato, vero? E allora come diavolo si chiama? Sembra aspettarsi da me una qualche risposta, quindi sorrido, inclinando la testa di lato. «Altrettanto» Dico, nel dubbio. Come diavolo si chiama?

«Bene, l'arrosto è pronto!» Si entusiasma la mamma. «Forza, filate. Tutti a tavola!» Incita, cacciandoci lettaralmente dalla cucina.

Poco dopo, siamo tutti seduti a tavola e il tipo favoloso si siede vicino a mia sorella. Anzi, non solo si siede vicino a lei, ma ho scoperto che si frequentano da tre mesi. Ecco, ti pareva che il ragazzo più figo che avessi mai incontrato, dovesse essere già preso da mia sorella. Un cliché, no?

«Sentite questa. Un masochista a un sadico: "Picchiami" e il sadico: "No!"» E Richard scoppia a ridere da solo alla sua battuta. Mi tocco la fronte imbarazzata. Richard è... Be', Richard è un bravo ragazzo. Solo che ha questo senso dell'umorismo ridicolo, dove racconta le barzellette scadenti e finisce sempre che solo lui ride alle sue battute. E quando si accorge che tutti gli altri lo guardano imbarazzati, esclama: «Non l'avete capita? Ve la spiego...»

«No, tesoro, non ce n'è bisogno. L'abbiamo capita» Sibilo a Richard interrompendolo, mentre noto il ragazzo di mia sorella che dice qualcosa all'orecchio di quest'ultima e poi ridacchiano. Scommetto che le ha detto che sto con uno sfigato. Che imbarazzo.

«Allora sentite quest'altra. Che cos'è una battuta?» Attimo di silenzio nella sala da pranzo.

Mi sembra quasi di sentire i grilli che stridono sotto al tavolo. «Non lo sapete? Ma è ovvio, dai! La tuta di Batman!» E riprende a ridere da solo.

E' in queste occasioni che mi rendo conto di cosa pensa la gente di lui: è un cretino. E io sto con un cretino, quindi sono cretina di conseguenza. E proprio oggi deve fare l'idiota, quando c'è il ragazzo figo di mia sorella. Non potrebbe almeno per oggi comportarsi normalmente? Oddio, voglio sprofondare.

Fortunatamente, la cena bene o male giunge a termine e ora siamo tutti riuniti in soggiorno a bere champagne.

«Alla nostra Caroline!» Esclama la nonna in un brindisi, e tutti ripetono in coro «A Caroline!»

Cos'è questo calore che mi sale dallo stomaco? Be', a livello obiettivo probabilmente è solo lo champagne che comincia a fare effetto, ma mi piace pensare che sia il calore di un focolare. La sensazione di benessere che deriva dall'avere tutta l'attenzione puntata su di sé, tipo per la prima volta da diverso tempo a questa parte. E' una sensazione meravigliosa. Come vorrei che durasse per sempre.

Ma, ovviamente, non dura per sempre. Anzi, non dura neppure cinque minuti. Perché quella viziata di mia sorella non riesce a stare cinque minuti senza farsi notare da tutto il mondo. E' per questo, quindi, che fa un passo avanti e si schiarisce la voce. «Un attimo di attenzione, prego, ho un annuncio da fare»

E ti pareva che non avesse qualcosa da dire su se stessa. Quando mai sono così fortunata? Finisco lo champagne tutto d'un fiato e poggio il bicchiere da qualche parte alle mie spalle. E mentre lei continua a blaterale, io mi chiudo nel mio mondo. Un mondo in cui, ascia alla mano, mi diverto a tagliarla in tanti piccoli pezzettini. Chissà se sono potenzialmente una serial killer, facendo questi pensieri. Magari mi ritrovo tra dieci anni che uccido tutte le sorelle minori che mi capitano a tiro. E quando verranno ad arrestarmi – perché prima o poi mi beccheranno – io continuerò a ripetere, tipo pazza: "Non ci posso credere, non ci posso credere", perché scommetto che anche da morta quella vipera riuscirà a manipolare tutte le attenzioni. E al mio compleanno, invece di stare qui con me a festeggiare, andranno tutti a trovare la sua tomba al cimitero. E probabilmente sulla lapide ci sarà una battuta stratosferica o una di quelle sue frasi che affascinano tutti e quindi le persone andranno lì e saranno tutte di buon umore. E avrà vinto di nuovo, perché oltre tutto io diventerò brutta e vecchia, mentre lei resterà giovane in eterno, e come se non bastasse...

«...E quindi ci sposiamo!» Esclama, a metà tra l'euforico e il titubante.

Aspetta. Cosa? Chi è che si sposa? Perché si sposa? Ma soprattutto: con chi?

Il salone scoppia in un applauso entusiasta, mentre sento Richard al mio fianco farle gli auguri più fastidiosi che siano mai stati pronunciati. «Che culo! Eh, se la piccola Coraline non fosse stata troppo giovane per me, le avrei chiesto anch'io di sposarmi!» E scoppia a ridere. E per tipo la prima volta, tutti ridono con lui.

E mentre faccio due più due, osservando famiglia e amici che l'abbracciano congratulandosi, sul mio viso passano qualcosa come trecento emozioni diverse.

Per ultima, la rabbia. Mi volto, cercando di mantenere un contegno. Farsi vedere accigliata mentre tua sorella si sta per sposare è troppo da sfigate, persino per me.

Dio, quanto vorrei strangolarla...

Quando riesco a reprimere la rabbia, mi volto di nuovo verso tutti, osservandoli mentre si congratulano con la vipera. Io davvero non ci posso credere. Non è possibile, dai!

«Ma... ma non potete sposarvi!» Esclamo, rendendomi conto troppo tardi che l'ho detto ad alta voce.

Tutti gli sguardi si puntano su di me, ostici. Alzo le mani a mo' di scuse, sentendomi totalmente stupida.

«E perché no?» Il viso di mia sorella è sereno, ma nel tono si percepisce un veleno mortale.

Perché sei mia sorella minore, per la miseria! Non puoi sposarti prima di me, non è giusto. Non puoi sposarti con uno figo, almeno in questo dovevo essere io a vincere! «Perché vi conoscete solo da tre mesi» Dico, invece.

«Ma è amore, Carol. Tu credi nell'amore? Quell'amore puro e sincero, l'anima gemella, il colpo di fulmine?» A rispondermi è il fidanzato di mia sorella. Il tipo di cui ancora non ho afferrato il nome.

«Sì...» Mormoro a bassa voce. Sì, io credo nell'amore. Ma ci credo per me. Doveva capitare a me! Non a lei.

«Dai, Carol. Prima o poi ti sposerai anche tu» Mi consola Richard, sollevando il pollice a mo' d'incoraggiamento. Poi si volta verso gli altri, con tutta l'aria di volerne sparare una delle sue. «Sempre se trova un fesso che se la piglia!» E scoppia a ridere, seguito da mio padre e mia sorella. Gli altri, invece, mi guardano con pena.

No, non è vero. Tutto questo non sta accadendo: è solo un brutto sogno. Richard non mi tratterebbe mai così, no? Lui mi ama, no? Allora come può farmi questo? Dovrebbe essere dalla mia parte, lui sa quel che ho passato con mia sorella. Perché allora si comporta così?

Perché è un idiota. Hanno ragione tutti gli altri, sto con un completo imbecille. Che fa battute ridicole e mi mette sempre in imbarazzo.

Ma ora basta.

Senza neppure accorgermene, mi ritrovo a schiarirmi sonoramente la voce, gli sguardi di tutti mi si puntano addosso. Quando apro la bocca, non sono io parlare. Non sono parole mie. Non so neppure cosa sto facendo. Sento solo dentro rabbia e rancore e pena. Pena per me stessa, perché dovrei avere abbastanza amor proprio da non lasciarmi trattare così. Specialmente da un uomo con il quale ho passato gli ultimi sei anni della mia vita.

«Sai che c'è?» Sbotto a mezza voce.

«Carol...» Sento la voce della nonna cercare di calmarmi, ma ormai non serve a nulla.

«Cosa?» Chiede, ingenuo, Richard.

Faccio un respiro profondo, sento il petto alzarsi e abbassarsi ritmico sotto il mio respiro affannato. Non posso credere che lo sto davvero dicendo. «Vai al diavolo, Richard» Concludo, a voce più alta.

«Caroline!» Mi rimbecca mamma, con tono severo, ma non serve a nulla. Le lancio uno sguardo glaciale, per poi guardare uno per uno tutti i presenti. «Andate al diavolo tutti. Tutti voi. Mi fate schifo. Tutti! Tranne tu, nonna. Ma per il resto di voi: tutti.»

E con queste parole, mi allontano dalla sala.

Con passi pesanti salgo in camera e afferro una borsa. Senza pensarci troppo, arraffo le prime cose che mi capitano sotto mano e le spingo come un automa nella valigia improvvisata.

Poi, a lavori conclusi, scendo di nuovo le scale in tutta fretta. Mi sento chiamare, mentre mi allontano, ma cerco di non badarci. Passano pochi istanti e vedo me stessa mettere la borsa sui sedili posteriori della macchina, pronta per salirci anch'io.

Dove sto andando? Cosa sto facendo? Non lo so ancora. Ma di tutto questo, non ne posso davvero più!

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** ...uomo perfetto ***


Il viaggio in macchina è stato estenuante. Per qualche ora ho vagato per Niceview Valley senza una meta precisa, poi mi sono ricordata di avercelo, in effetti, un posto dove andare. E quindi, dopo dodici ore di viaggio, ora eccomi qui: a New York. La grande mela, la città che non dorme mai. E in effetti, spero vivamente che le mie amiche non stiano dormendo, o che almeno si sveglino presto. Non le ho ancora neppure avvertite che sarei arrivata. Come la prenderanno? Mi caccieranno a calci da casa loro? Decido che è il caso di spegnere per un po' il cervello, mentre – sulle note di Rihanna – mi appresto a passare sopra il ponte più famoso del mondo.

Siamo sedute al tavolo in salotto, con le mie due migliori amiche dai tempi delle scuole medie. Angie e Sheila. Le due veline: la bionda e la castana. Anche se, per la cronaca, l'unica che potrebbe somigliare ad una velina è Sheila. E' bellissima. Comunque, sono rispettivamente estetista e graphic designer. Si sono trasferite a New York dopo la laurea, per lavoro. Angie ora è estetista personale di diverse star di Brodway. Sheila, invece, lavora per la Pear, importante azienda leader nell'elettronica.

Per mia fortuna, Sheila era già sveglia quando l'ho chiamata, pare che stesse facendo le pulizie. Angie, invece, l'abbiamo svegliata al mio arrivo.

«O muori da eroe, o vivi abbastanza a lungo da diventare il cattivo» Spara Sheila, incrociando le gambe sul divano.

«Ma si può sapere che c'entra?» La riprende Angie, mentre io già sento la rabbia di ieri sera che svanisce lentamente. Quando sono con loro mi sento davvero a casa.

«Una bella frase c'entra sempre» Si difende la grafica, poggiando la testa sulle nocche.

«E così sei scappata» Riprende Angie, rivolta a me.

«Già.» Annuisco.

«Il tuo novello ex non è proprio una persona simpatica» Sospira Sheila, non cambiando di un millimetro posizione.

«Da omicidio. E anche tua sorella. Anzi, io a quella l'avrei già uccisa da un pezzo» Angie ancora non riesce a credere a quel che mi è successo. Quando ho raccontato loro la mia terribile festa di compleanno, non riuscivano a concepire come mia sorella e Richard potessero cadere così in basso.

«Ricordatevi che la miglior vendetta è vivere felici» Cita Sheila, scrociando le gambe e puntando il dito a mo' di maestrina.

«Oh sant'Iddio, ma la smetti con queste frasi fatte?» Sbotta la bionda, alzando gli occhi al cielo.

Sheila sembra prendersela sul personale. «Non sono frasi fatte! Sono perle di saggezza»

«Possiamo tornare a concentrare l'attenzione su di me?» Le interrompo, a metà tra il divertito e l'irritato.

«Scusa, tesoro, hai ragione. Allora adesso che hai intenzione di fare?» Angie torna a rivolgere l'attenzione su di me, seguita subito da Sheila.

Torno a prendermi la testa tra le mani, affranta. «Be', a casa non posso tornarci. E se potessi restare da voi per un po'...»

«Ma certo che puoi, ti vengono pure i dubbi?» Le mie due amiche si lanciano un'occhiata complice, mentre Sheila pronuncia la frase.

«Dovrò cercarmi un lavoro qui» Sospiro.

«Non hai dei risparmi, da parte?» Chiede Angie.

«Sì, però...»

Non faccio in tempo a finire la frase, che Sheila m'interrompe. «E allora niente lavoro. Senti, hai un'azienda da mandare avanti, Carol. Va bene il periodo di vacanza, ma prima o poi dovrai tornare»

«Ma tanto ci pensa quell'arpia a mandare avanti tutto» Mi lagno, rendendomi conto da sola che sono parecchio irritante.

«Non ha esperienza. Manderà l'azienda in bancarotta, se non ci sei tu» S'accalda Angie, lanciandomi uno sguardo eloquente.

«E allora che dovrei fare?» Domando, più a me stessa che alle altre.

Sheila prende a contare sulle dita. «Be', anzitutto devi riequilibrare i tuoi chakra e...»

«Ma sai almeno cosa sono, i chakra?» La interrompe Angie, ridacchiando.

«Una parola orientale che sta benissimo nel contesto? Non distrarmi. Dicevo: riequilibrare i chakra, ritrovare te stessa, farti fare dalla sottoscritta un biglietto da visita tutto nuovo...» La grafica mi lancia uno sguardo complice.

«E a che mi serve il biglietto da visita?» Mi stupisco, dubbiosa.

«La smettete d'interrompermi? Il biglietto da visita è un modo per dire "Sono una persona nuova!" Fidati, è un qualche tipo di filosofia orientale che ti migliora la vita» Conclude, sminuendo il tutto con un gesto della mano.

«Semplicemente sei una stakanovista» Ridacchia l'estetista.

«Ho già in mente un progetto che ti darà un'aria straprofessionale!» Esclama poi Sheila, battendo le mani eccitata.

Io ed Angie ci guardiamo in silenzio per qualche secondo, aspettando che la nostra amica esca dal suo mondo fatto di colori e font, e torni tra noi.

Ci mette ben quindici secondi a riprendersi: li ho contati. «Ah, e poi ovviamente dovremo trovarti un nuovo ragazzo. Questo si può già cominciare da 'sta sera!» Si entusiasma, di nuovo.

«Con quei capelli?» Fa dubbiosa Angie.

«Che hanno che non va i miei capelli?» Esclamo, sulla difensiva.

Sì, okay, forse non ho i capelli più splendenti e luminosi del mondo, ma ci sono affezionata ai miei capelli. Insomma, sono miei! Sono i miei capelli, è come... è come se rappresentassero me, no?

«Non darle retta, stai benissimo» Minimizza ancora Sheila.

«Ma tu non hai un lavoro dove andare?» Angie ridacchia, puntandole il dito contro.

«No, oggi è sabato. Tranquilla, Carol, non dimenticare mai: non può piovere per sempre» Conclude la castana, poggiandomi una mano sul braccio.

Certo, non può piovere per sempre. Era un tuono in lontananza, quello?

«Prima o poi ti toglierò la TV» Borbotta Angie, grattandosi la fronte.

Prevedo un nuovo dibattito, tra le due. E per quanto mi divertano i loro continui sproloqui, non posso ignorare che sono comunque circa ventidue ore che non dormo. «Ragazze? Vi spiace se vado a dormire?» Domando, a nessuna in particolare.

Sheila annuisce. «Certo. Dormi con me, 'ché Angie russa»

«Ma non è vero!» Si difende l'altra.

La nostra amica la ignora bellamente, indicandomi il mini corridoio in fondo al soggiorno «La camera è per di là»

Annuisco, anche se la sua risposta non è stata per nulla esauriente. La troverò da sola, tanto riconoscerei a chilometri la stanza di una delle due.

«Ah, Carol?» Mi chiama Angie, mentre mi allontano.

Mi volto, con la stanchezza dipinta sul volto.

Le mie due amiche mi sorridono solari. «Auguri di buon compleanno!» Esclamano all'unisono.

Sorrido di rimando, chiedendomi se se ne fossero dimenticate ieri, per poi avviarmi verso la camera di Sheila.

 

Sono passati tre mesi da quando sono arrivata a casa delle ragazze. Non è che abbia dormito per tre mesi. Insomma, non sono certo la bell'addormentata, o che so io. Anzi, a dirla tutta in questi tre mesi è come se fossi rinata. Non mi prendevo una vacanza da... Be', da quando mi sono laureata, più o meno. Sono stata chiusa in quell'azienda senza sosta per quattro anni. Capite cosa sono quattro anni? Millequattrocentosessantun giorni. Dal lunedì alla domenica, costantemente a pensare al lavoro. Uscivo il sabato sera, e cercavo intanto di inventare una nuova strategia di marketing. Pranzavamo con la famiglia la domenica e pensavo a come aumentare i profitti. Le mie amiche uscivano, si sposavano, si fidanzavano, e io cercavo un modo per tirar fuori l'azienda da cavilli legali. E-mail, telefonate, lettere. Continuamente, senza sosta, ventiquattr'ore al giorno, sette giorni su sette. Vivevo col cellulare incollato all'orecchio, rinchiusa nel mio ufficio o col portatile sempre sotto mano. Avevo trovato Richard al terzo anno dell'università. E be', non avevo mai neppure pensato di lasciarlo. Certo, a volte mi dava sui nervi, il sesso era monotono e noioso, per poi scomparire del tutto, ormai non ci scambiavamo più neppure un bacio da mesi, o altre volte semplicemente non riuscivo neppure a trovare la voglia di sentirlo. Ma ero convinta che ormai fosse tutto sistemato. Che sarei stata con lui per sempre, che ci saremmo sposati e che io avrei continuato a lavorare, lavorare, lavorare. Avrei portato l'azienda a un nuovo livello internazionale, avrei... Non ho mai neppure pensato di lasciare Richard, semplicemente perché avevo paura che altrimenti sarei rimasta sola. Quando mai avrei trovato il tempo di incontrare un nuovo ragazzo? E fin'ora, non mi ero mai neppure resa conto di tutto questo, perché semplicemente non avevo mai avuto il tempo di pensarci. Continuamente preoccupata di compiacere i miei genitori, continuamente in ansia per mia sorella che non faceva altro che superarmi per ogni cosa... e a quel che volevo io non ci avevo mai pensato. Questi tre mesi di vacanza a casa delle ragazze mi hanno davvero risollevato, mostrato un nuovo punto di vista. Mi hanno fatto capire che la vita è una sola, e che non puoi sprecarla a compiacere gli altri. Per la prima volta da non so quanto tempo, ho fatto shopping. E l'ho fatto per me. Non sono andata a cercare un vestito da indossare alla festa d'affari del momento, ma semplicemente perché avevo voglia di indossare qualcosa di nuovo. Angie mi ha portato anche dal parrucchiere, che ha ridato una qual certa dignità ai miei capelli. E mi ha insegnato a truccarmi. Mi ha mostrato il magico mondo degli ombretti, che fino a oggi non avevo mai neanche comprato, neppure per errore. Poi siamo uscite, ci siamo divertite. Ho ripreso a pulire casa, era da una vita che non lo facevo: non ne avevo mai tempo. E devo dire che lavare i piatti, spolverare, o anche passare l'aspirapolvere, con la musica a tutto volume e ballando per casa usando la scopa come microfono... Be', è un ottimo modo per scaricare la tensione: è divertente! Così come è divertente ritrovarsi tutte a cena assieme, raccontandosi le disavventure della giornata, ridendoci sopra. E' divertente andare tutte assieme il sabato a fare la spesa, per poi tornare a casa, prepararsi e uscire in fretta e furia a bere, mangiando un hot dog per strada. Mi diverto ad ascoltare gli scleri di Sheila a proposito del cliente di turno che ha il senso estetico di un clown, o quelli di Angie su qualche star, che continua a mangiare schifezze e quindi il suo viso è pieno di brufoli, e ogni volta per toglierli o nasconderli Angie passa le pene dell'inferno.

Ovviamente, non ho cercato un nuovo lavoro, perché prima o poi tornerò all'azienda. Onestamente, sto pensando a un anno sabatico. Per fortuna in tutti questi anni di lavoro, complice il vivere a casa dei miei, sono riuscita a mettere da parte una bella somma e sopravvivo tranquillamente, riuscendo anche a pagare l'affitto alle mie nuove coinquiline. Ho spento il cellulare, non ho più toccato il PC e mi sono totalmente disconnessa dal mondo. La mia famiglia non l'ho più sentita: non mi hanno neppure cercata. Comincio seriamente a dubitare che possa essergli importato qualcosa della mia fuga. O magari si sono talmente offesi da non volermi più sentire. Ma non ha importanza, per ora. Per ora, voglio solo rilassarmi e ritrovare serenità. Tutto questo, mentre sto stirando. Sì, ho addirittura preso a stirare. E c'è di più: mi diverto! Anche se sono fortunata che a casa faccia piuttosto fresco, perché stirare col caldo è una vera tortura. Dovrebbe essere vietato dalla legge stirare in estate. Ho preso anche a far palestra. Ora devo dire tutto sommato di sentirmi più in forma, anche se non sono dimagrita di un etto. Ma va be', non è problematico: il mio fisico mi piace abbastanza così com'è. Lo ammetto, mi sento davvero una persona nuova. Ho smesso con questo stupido e inutile senso di inferiorità nei confronti di mia sorella, ho smesso con la competizione. A chi diavolo importa se ha un nome più esotico del mio? A chi diavolo importa se è stata più brava di me nello studio e nel lavoro? E poi, a chi vuoi che importi se è anche riuscita a trovare il tempo per accaparrarsi l'uomo perfetto? Appunto. A nessuno. Specialmente non importa a me. Ora passerò questo periodo della mia vita a divertirmi, a recuperare tutto quello che ho perso negli ultimi anni. A sistemarmi, a farmi bella, a trovare qualcosa di divertente da dire. Sì, perché mi sono annoiata di parlare solo ed esclusivamente del mio lavoro, con gli altri. Ho anche altri interessi, no? Poi, altro lato positivo, non lavorando sono riuscita a seguire diverse serie TV. E' bello potersi guardare i film e i telefilm in diretta, senza doverli registrare per vederli quando si torna a casa. Certo, la pubblicità a volte è lunga, ma tutto sommato è utile. Ad esempio, grazie alla pubblicità, abbiamo comprato una lavatrice nuova ultrasilenziosa. Che si è rotta dopo due settimane. Però sono state due settimane stupende, per fare il bucato.

Finisco di stirare l'ultimo paio di Jeans e porto in tutta calma i vestiti ordinati e piegati nelle rispettive camere, lasciandoli sul letto. I miei, ovviamente, finiscono dritti nell'armadio.

Mi guardo attorno, contemplando in che altro modo posso ammazzare il tempo. Il bagno l'ho pulito questa mattina. Magari ci sarà una qualche macchia di sapone? Corro a controllare, ma con mio grande disappunto mi accorgo che è tutto perfettamente in ordine e luccicante. Anzi, sembra di essere in una di quelle pubblicità di Mastroolindo, con tanto di sbrilluccichio palesemente incollato sopra con qualche simil photoshop. Sospiro rassegnata. Sono appena le undici, che altro posso fare? Le ragazze sono andate al lavoro e sono a casa tutta sola. Ma non mi annoio, eh. Non mi annoio affatto. Anzi, io adoro stare a casa da sola. Adoro non dover lavorare, svegliarmi ogni mattina, controllare ventiquattr'ore su ventiquattro l'azienda. Davvero, l'adoro. Occuparsi tutto il giorno della casa e del frigo è molto più divertente. Ah, il frigo, ecco! Sono già le undici, magari potrei preparare qualcosa di sfizioso per pranzo, per quando tornano le ragazze. D'altro canto tre ore sono poche per cucinare, no? Mentalmente, mi appunto il menù del giorno: spaghetti al pomodoro, lombata arrosto come secondo e per dessert direi che può andare la torta al lime. Be', magari è un po' troppo, considerato che le ragazze non mangiano poi così tanto, ma in caso si può sempre mettere tutto in frigo, poi, no? Nulla andrà sprecato.

Sto giusto per piazzarmi ai fornelli, quando qualcuno suona al citofono. Oddio, saranno ospiti? Ma non sono pronta per ricevere ospiti! E poi chi potrebbe mai essere? Sistemandomi rapidamente i capelli, corro a rispondere.

«Sì?» Faccio all'interfono. Okay, forse non è un modo di rispondere al citofono molto professionale, ma sono ufficialmente durante il mio anno sabatico. E poi, c'è sempre la mia nuova filosofia di vita: "A chi importa?"

«Un raccomandata per...» Già m'immagino il postino scorgere il pacchetto per cercare il nome. «Caroline Cage?»

Per me? Una raccomandata per me? E chi potrà mai essere? «Ultimo piano» L'informo, pigiando sul tastino che apre il portone. Chissà cosa può essere. Magari è arrivato il pacchetto "Photoshop per cretini" che ho ordiato settimana scorsa. Sheila vuole a tutti i costi insegnarmi a usare quel programma demoniaco, ma non ci riesco proprio. Oltre ai filtri e al contrasto, non riesco a fare di più. Poi non è che Sheila sia proprio una brava insegnante. Prima ti spiega due passaggi su cinque e poi, quando vede che tentenni, ti toglie il mouse dalle mani e prende a fare tutto lei. E guai se le fai una domanda mentre lavora! Così, ho pensato che avrei potuto imparare qualcosa usando un corso per corrispondenza. Insomma, lei sarebbe stata contenta, e l'avrei lasciata credere che è stato grazie merito suo se ho imparato qualcosa. Che poi non sarebbe del tutto falso: se non mi avesse rotto per insegnarmi a usarlo, non avrei mai pensato di ordinare un corso per corrispondenza. Ingegnoso, no?

Quando sento il suono dell'ascensore, apro in automatico la porta.

«Coraline Cage?» Domanda il postino, dopo essersi guardato un istante attorno e avermi notata.

«Sono io» Confermo con un sorriso.

«Un documento?» Fa lui, guardando in basso.

Caspita, mister simpatia, proprio, eh? «Sì» Faccio, guardandomi le mani, come se il documento potesse comparire dal nulla.
Ah, già.
«Un momento» Dico, correndo in camera e prendendo il portafogli dalla borsa. Prendo il documento e torno alla porta. «Ecco qua» Concludo, porgendoglielo. Mentre lui controlla il nome, io mi torturo le mani pensando a quanto sono venuta orribile in quella foto. Secondo me a quelle macchinette automatiche dev'esserci un programma particolare che rende appositamente brutte le foto da inserire nei documenti.

«Ecco a lei» Mi fa, porgendomi il documento e un pacchettino che ha tutta l'aria di essere un regalo.

Li prendo titubante. Non sembra il mio Photoshop per cretini.

«Una firma, per favore?» Prosegue il postino, porgendomi ora una cartellina e una penna.

Lo squadro un po' in crisi, guardando ora il pacchettino tra le mani e ora quella stupida cartellina. Alla fine, con un sospiro, poggio per terra pacchetto e documento e firmo la ricevuta.

«Grazie, buona giornata» Conclude il tipo, girando sui tacchi e tornando verso l'ascensore.

«Grazie a lei...» Cerco di dire, ma lui già si è volatilizzato.

Bene. E ora vediamo: che sarà mai?

Soppeso il pacchettino tra le mani, come facevo la sera della Vigilia da piccola, nel tentativo di indovinarne il contenuto. Sembra leggero, quindi direi che all'interno non c'è nulla di elettronico, né tanto meno un soprammobile. E sicuro non è una bomba, quindi aprendolo non dovrei esplodere. Dunque, per togliermi ogni dubbio, mi appresto ad aprirlo.

Come alzo il coperchio, una farfallina colorata esce fuori dal pacchetto, prendendo a volare per casa. Stupita, osservo il contenuto del pacchetto: due buste da lettera.

«Oddio...» Commento a bassa voce, cercando l'involucro in cui era avvolto il pacchetto per leggerci il mittente. Come scorgo il suo nome sento all'istante una fitta allo stomaco e lo stimolo a rigettare tutto quel che ho mangiato negli ultimi mesi. «Ti prego...» Mormoro a qualunque divinità sia in ascolto, mentre mi appresto ad aprire la prima delle buste nel pacchetto.
 

Non so esattamente quanto tempo sia passato. Sto accucciata a terra, schiena contro il tavolino, cercando di ritrovare la mia filosofia zen.

Okay, Carol, ascoltami con attenzione: non ti importa nulla, okay? Ma proprio assolutamente niente di niente. Continuo a ripetermi le parole d'incoraggiamento. A me non importa. Anzi, non importa proprio a nessuno. A chi vuoi che importi che mia sorella minore si sta per sposare? A chi vuoi che importi che è stata stronza come al solito nella sua lettera? A chi vuoi che importi che nell'invito di matrimonio si sono chiamati "Barbie e Ken"? Sì. Sì, avete capito bene. "Barbie e Ken sono lieti d'invitarti al loro giorno più bello". Ma chi diavolo scrive Barbie e Ken in un invito di nozze? Ma poi si rendono conto che Barbie è un'oca e Ken è uno sfigato? Insomma, d'accordo che non sopporto mia sorella, ma non mi pare un'oca proprio per niente. Ecco. Se mai una vipera, una iena, un avvoltoio, una vespa, una formica... ma un'oca proprio no! Ecco, una formica. A una formica ci somiglia: le formiche sono bastarde. Tanto piccole e innocue ma quando meno te lo aspetti ti sbranano vivo. Non per nulla le formiche erano usate come strumento di tortura dai nativi, no?

A interrompere il mio ripasso di zoologia è il suono di una chiave nella serratura. Alzo lo sguardo giusto in tempo per vedere le mie amiche che aprono la porta. E come le guardo, nonostante tutto, mi vien da ridere. La farfallina che era uscita dal pacchetto svolazza qualche istante attorno a loro per poi uscire dalla porta. Restiamo tutte in silenzio, immobili, per qualche secondo, poi Angie si guarda alle spalle e indica fuori. «Era una farfatta, quella?»

Annuisco rialzandomi, mentre Sheila si avvicina ai fogli sul tavolo.

«E come ci è arrivata una farfalla fin qua?» Chiede anche Angie, chiudendosi la porta alle spalle. Apro la bocca per rispondere, ma vengo interrotta da Sheila. «E queste cose sono?» Fa, indicando i fogli sul tavolo.

«Ecco...» Cerco di parlare, ma ancora m'interrompono.

«C'era una farfalla in casa. Non me la sono sognata. C'era.»

«Barbie e Ken si sposano? E' uno scherzo?»

«Come diavolo c'è entrata una farfalla in casa?»

«Mi lasciate spiegare?» Sbotto in fine.

Le ragazze si voltano all'unisono verso di me, in silenzio.

«Grazie» Mormoro dopo qualche istante. Poi prendo un bel respiro e racconto loro del postino.

«"Cara sorellina, sono tre mesi che non ci sentiamo e in questo tempo ti sei persa un sacco di novità. Prima fra tutte: MI SPOSO! Spero che torni a casa almeno per il mio matrimonio, visto che ti vorrei come damigella d'onore. Nel pacchetto anche l'invito con il +1 (porta chi vuoi, mi raccomando).

PS: Carina l'idea della farfallina, vero? L'ho visto in un film. Smile.

Ti aspetto, Coraline"» Finisco di leggere ad alta voce la lettera di mia sorella e alzo lo sguardo sulle ragazze, che annuiscono con l'aria di chi ha capito ogni cosa.

«Questo spiega molte cose. La farfalla, ad esempio» Mormora Angie, indicando ancora la porta.

«Sapevate che il battito d'ali di quella farfalla può scatenare un uragano chissàdove?»

«Sì. Ma più importante: come faceva mia sorella a sapere dove spedire il pacchetto?» Domando a Sheila, che prende a guardarsi le scarpe con aria colpevole.

«Quando sei arrivata da noi, che sei andata a dormire, ha chiamato tua nonna preoccupata, per chiedere se eri qui. Ovviamente le abbiamo detto di sì» Spiega Angie, col tono di chi si sta giustificando.

Ah. Ecco, dunque. Non era che non gliene importava niente. Non erano troppo offesi per preoccuparsi per me. Semplicemente sapevano dov'ero, sapevano che stavo bene. E devo ammettere che questa consapevolezza già mi fa sentire meglio, mi fa sentire meno abbandonata, anche se in effetti sono stata io ad abbandonare loro.

«E quindi chi dovrebbe essere questo "+1"?» La voce di Sheila s'insinua nei miei pensieri.

«Chi vuoi che sia? E' il modo presa-per-i-fondelli di quell'arpia per farle notare che è single» Spiega Angie, con una nota di risentimento.

«Be'. Ma allora Carol dovrebbe tornare a casa con un bel ragazzo, no?» Propone Sheila eccitata.

«Giusto! Aspetta, prendo l'agenda...» E subito la bionda si avvia verso la camera.

Okay, ora basta. «La smettete di parlare come se non fossi presente?» Sbotto, bloccando entrambe.

«Che c'è che non va?» Mi chiede Angie, col busto ancora rivolto a metà verso il corridoio.

Già. Che c'è che non va? «Che devi prendere a fare l'agenda?»

Si volta totalmente e fa qualche passo verso di me. «Cerco qualche amico non-palesemente-gay che possa accompagnarti» Spiega come si farebbe a un bambino.

Qualche amico non-palesemente-gay. Ma come sono ridotta? Sospirando mi lancio letteralmente sul divano. «Faccio così pena?» Domando a nessuno in particolare. Con la coda dell'occhio noto Sheila lanciare un'occhiataccia a Angie, per poi sedersi vicino a me. «Ma no che non fai pena...» Cerca di tirarmi su il morale.

«Non è questo che intendevamo, tesoro» Anche Angie fa retromarcia, spinta dai sensi di colpa. «Insomma, ti sei lasciata da appena tre mesi, nessuno si aspetta che tu abbia già un nuovo ragazzo»

«Semplicemente gliela volevamo far vedere a tua sorella» S'accoda la bruna.

«Certo», mormoro affranta, «e pensate che sono talmente disperata da aver bisogno che un vostro amico omosessuale si finga etero» Mi rendo conto da sola di essere lagnosa, ma non posso farne a meno. «Sono talmente disperata che secondo voi non potrei mai trovare normalmente qualcuno che m'accompagni. Anzi, sono talmente disperata che...»

«Tesoro, forse ti sfugge che tua sorella ti chiede di essere a casa tra tre giorni?» La voce ironica di Angie interrompe il mio piagnisteo greco.

Ah, già. Ho tre giorni di tempo soltanto. In effetti non ci avevo pensato. Mi abbatto ancora di più, coprendomi il viso con le mani. «Non ce la posso fare...»

Sento Sheila posarmi una mano sulla spalla. «Sai che c'è? Ho un'idea!» Esclama poi euforica. Sollevo lo sguardo su di lei e noto che anche Angie la guarda interrogativa. «Be'? Che fate ancora così?» Squittisce, battendo le mani. «Forza. Vestirsi e prepararsi: 'sta sera si va per locali a rimorchiare!»

«Giusto!» Insorge anche Angie. «E a te trucco io» Aggiunge, puntandomi il dito contro tutta allegra, per poi dirigersi in camera. «Magari una tonalità rosata o forse qualcosa di più scuro?» Borbotta tra sé, prima di fare retro front e dirigersi al frigo. «Non ho ancora pranzato» Risponde ai nostri sguardi perplessi.

Per fortuna negli ultimi tempi ho cucinato per un esercito e quindi il frigo è ancora ricolmo di avanzi. Alla fine tra pranzo, doccia, trucco, parrucco e discussione con l'armadio si fanno le 20 e ci apprestiamo a uscire di casa. Come saliamo in ascensore, la farfalla ci segue ed entra con noi. D'altro canto era rimasta chiusa nell'atrio tutto questo tempo, non essendoci finestre. In ascensore non proferiamo parola, mentre la farfallina ci svolazza attorno allegra. Come si aprono le porte con il "ding" dell'ascensore aspettiamo che ci preceda all'uscita e le teniamo il portone aperto finché non è di nuovo libera.

«Ha preso l'ascensore» Mormora Sheila, stupita.

«Non un commento» Scandisce la bionda col tono di chi non ammette repliche e si appresta ad uscire dal palazzo.

«Ha preso l'ascensore con noi. E' entrata, ha aspettato, è uscita» Prosegue l'altra.

«Smettila»

«Dobbiamo riacciuffiarla» Fa poi d'un tratto, guardandosi attorno per cercarla. «Non capite? E' una farfalla ammaestrata! Possiamo allestire uno spettacolo e farci i soldi» Cerca di coinvolgerci, guardandoci come se fossimo delle stupide che non riescono a capire niente.

Noto al mio fianco Angie mordersi il labbro.

Oddio, ora riprendono a discutere. «Da che locale cominciamo?» Le distraggo e subito la situazione si fa più rilassata.

Chissà che fine farà quella farfalla, comunque.

Angie e Sheila si accordano su dove portarmi e ha inizio la missione "Trovare un figo da portare al matrimonio". Sì, lo so, è un po' presto, sono appena le otto di sera; sì, lo so, è mercoledì e non è esattamente serata per le uscite; sì, lo so, sperare di incontrare qualcuno per invitarlo a conoscere la mia famiglia tra tre giorni è da pazzi. Senza contare che probabilmente lui stesso sarebbe un potenziale malato mentale accettando. Ciò nonostante, noi siamo fiduciose. E continuiamo ad essere fiduciose quando troviamo ancora chiusi tutti i locali "in"; e anche quando Angie discute con una tipa all'osteria; e anche quando al Plasma 501 becchiamo un tipo di clientela dark assai inquietante, con lenti a contatto fosferescenti e strani tatuaggi sul collo. Noi continuiamo ad essere sempre fiduciose, probabilmente complici le due birre prese all'osteria, i tre manhattan al Plasma 501, i quattro kamikaze presi in quel localino carino un po' fuori porta. E ora sto sorseggiando il terzo cocktail sconosciuto dall'invitante colore blu elettrico al bancone "vip" di un esclusivo lounge bar nel centro città. Per entrare qui abbiamo sganciato un bel centone al buttafuori, ma ne è valsa la pena. Mi volto verso una ragazza che sorseggia un drink effervescente verde lime. «Poi voglio quello!» Esclamo alle ragazze, con voce abbastanza alta da sovrastare la musica. Loro scoppiano a ridere. «Ma dovresti scegliare... scelere... scegliere. Ecco, scegliere» Biascica Angie e tutte scoppiamo a ridere. «Non ridete, sono seria!» Ride, scandendo bene le parole. «Dovresti scegliere un maschietto, non da bere!» Riesce a dire in fine e riprendiamo a ridere.

Mi guardo rapidamente attorno. «Okay, okay. Allora scelgo lui!» Esclamo allegra, indicando un tipo dai baffi improponibili.

«Pikachu, scelgo te!» Mi fa eco Sheila, lanciando un'invisibile sfera poke'. E di nuovo tutte a ridere.

«Ssh, ssh! Buone, ne arriva uno» Ci zittisce Angie, con ampio gesticolare. Immediatamente cerchiamo di trattenere la ridarella, cercando contemporaneamente di assumere una posa seducente. Ma quanto siamo allegre 'sta sera?

«Cosa posso offrirvi, belle fanciulle?» Un tipo in t-shirt verde viscido si poggia al bancone rivolto a noi.

Sento Sheila esclamare lusingata: «Ci ha chiamato belle fanciulle!»

La ignoro, rivolgendomi al tipo. «Ah, io voglio quel coso effe... effarveccen... con le bollicine color lime» M'entusiasmo, additando energicamente il suddetto cocktail.

Il tipo fa un sorrisetto di circostanza e allunga una banconota al barista. «Un "coso con le bollicine color lime" per la signorina» Poi torna a rivolgersi a noi. «Allora, baldoria 'sta sera, eh?»

«No», risponde Angie. «Siamo qui in missione» Spiega, impettendosi e noi prendiamo ad annuire con vigore, appoggiandola.

«Ma non mi dite» Fa lui, con palese noia camuffata. «E che tipo di missione?»

«Siamo in missione per conto di Dio!» Cita Sheila, levando il braccio al soffitto con fin troppo entusiasmo.

«Siamo in cerca di un uomo, ma è un segreto» Gli rispondo, avvicinandomi a lui e abbassando la voce con fare complice.

«In cerca di un uomo?» Domanda ancora, lievemente più interessato.

«Il "coso lime con le bollicine" per la signorina» S'intromette il barista, porgendomi il drink. Lo afferro avida, allontanando da me il bicchiere vuoto e annuisco al tipo. «Sto cercando un maschietto da presentare alla mia famiglia questo sabato» Gli rivelo, osservando l'effervescenza ipnotica del cocktail. «Tu che fai sabato?» Chiedo poi serissima, tra le risate delle ragazze, sorseggiando dalla cannuccia. Lui resta sbigottito qualche momento, poi lo vedo che comincia a indietreggiare, borbottando qualche scusa. Potrei giurare d'averlo sentito imprecare e dire qualcosa come "Tutte le matte a me?" Ma non ha importanza, noi continuiamo ad essere fiduciose. E continuiamo ad esserlo anche quando ci cacciano dal locale perché è ora di chiusura; e ancora quando vaghiamo per la città alla ricerca di altro alcol, ma troviamo tutto serrato. Siamo del tutto euforiche, invece, quando individuiamo un negozietto aperto h24 e possiamo far scorta di alcolici; e lo siamo ancora di più quando attacca a diluviare e non si vede l'ombra di un taxi, quindi ce la facciamo a piedi fino a casa, saltellando e cantando a squarciagola "It's raining man!", anche se di uomini manco a pagarli.

«Non è una cattiva idea!» Esclama d'un tratto Angie, bloccandosi sotto la pioggia.

Di che sta parlando?

«Stai scherzando.» Commenta Sheila, fermandosi anche lei.

Ma solo io noto che stiamo ferme sotto il diluvio universale? Nonostante la voglia di correre a casa, mi fermo di conseguenza a loro, cercando di capire di cosa stanno parlando.

«No che non scherzo: non è affatto una cattiva idea» Continua la bionda, sempre più sicura di sé.

«Ma di che state parlando?» M'intrometto.

«Di quello che hai detto tu» Fa sbrigativa Angie, mentre mi già di vedere il criceto nella sua testa che sfiata per la troppa corsa.

«E che ho detto?» Sono decisamente confusa, visto che non ho aperto bocca, se non per cantare.

«Massì, degli uomini che manco a pagarli» Spiega irritata, come se stesse parlando con una completa idiota.

"Degli uomini che manco a pagarli"? Ma l'ho detto ad alta voce? E pian piano si fa strada in me la consapevolezza di quel che sta proponendo. «Stai scherzando.» Commento l'ovvio, serissima.

«Non farmi eco» Si lamenta Sheila in tono infantile.

Sotto la pioggia pungente e copiosa, Angie ci fa un sorrisetto furbo e ci lancia uno sguardo complice. «Muovetevi!» Ci sprona, prendendo a correre. Che altro possiamo fare se non seguirla ridendo? Tre cretine che zompettano allegre sotto la pioggia alle quattro del mattino. Chissà cosa penserebbero le persone di noi, se solo ci vedessero.

 

Un fastidiosissimo e troppo acuto trillo mi fa scoppiare la testa. Dove sono? Apro un occhio e me ne pento all'istante quando la luce mi distrugge la cornea. Voglio morire. Un accenno di nausea mi fa girare di lato e mi rendo conto solo in questo momento che sono per terra. Dio, se è scomodo questo pavimento! Sono a pezzi. Mi fa male la testa, le ossa mi sembrano tutte rotte, la nausea non vuole saperne di lasciarmi e questo stramaledetto trillo è incessante. Alla fine capisco che deve trattarsi del campanello della porta. Mio Dio, ma che ore sono? Mi alzo lentamente, sforzandomi di aprire gli occhi e puntandoli sulla sveglia. L'orario lampeggia allegro: le 07:13. E' l'alba, cavolo. Chi diavolo si mette a suonare insistentemente all'alba?

«Fallo smettere» Biascica Angie e riesco ad individuarla sul letto. Com'è che lei ha dormito sul letto, mentre io per terra? Mi sa che ieri ci siamo prese davvero una bella sbronza. Che abbiamo fatto, poi?

L'ennesimo trillo mi trafigge dolorosamente il cervello e Sheila mugola, mentre Angie si schiaccia il cuscino sulle orecchie.

Okay, ho capito. Svogliatamente mi alzo dal pavimento e mi avvio all'ingresso. Ancora un trillo. «Arrivo, arrivo» Mormoro arrabbiata. Chiunque sia a quest'ora del mattino, giuro che lo uccido.

Dalla camera proviene il grido di Angie. «Cazzo, sono le sette!» La immagino mentre scatta subito sull'attenti e sento anche Sheila imprecare. Eh, già che è appena giovedì. Le ragazze oggi lavorano.

Mi avvicino alla porta e osservo dallo spioncino, ma tutto quel che riesco a scorgere è una chioma bionda perfettamente laccata.

«Chi è?» Chiede Sheila, giungendomi alle spalle mentre si stropiccia gli occhi. Arriva anche Angie, con la stessa domanda nello sguardo. Faccio spallucce, mentre mi rendo conto che l'unico modo per rispondere alla domanda è aprire. Un nuovo trillo mi fa sobbalzare e apro la porta un po' troppo in fretta. Resto a bocca aperta, mentre osservo il tipo di fronte a me. E' di una bellezza disarmante, altissimo e bello grosso. 

Lui mi guarda qualche istante spaesato e poi sorride. «Nick Gray. Caroline, giusto?» Chiede, affascinante.

Nick Gray? Perché questo nome non mi suona nuovo? Poi, nella mia mente, balena un flash di ieri sera. Oh, cazzo. Oh mio Dio. Mi porto la mano sul viso, osservandolo sbigottita. Poi agisco d'impulso. E gli chiudo la porta in faccia.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** ...coraggio ***


Ricordate che, giusto pochi mesi fa, ero convinta che il ragazzo di Coral fosse il tipo più carino sulla faccia della terra? Ecco, cancellate tutto. Ho appena trovato Paride. Ma andiamo con ordine.

Siamo in aereo. Rigorosamente prima classe, ovviamente. E dico "siamo", perché con me c'è Nicholas Grey, il mio Paride personale e gigolò di professione.

Tre giorni fa io e le ragazze abbiamo bevuto un po' più del dovuto e abbiamo avuto la brillante idea di affittare un uomo per due settimane. Sapete, no? Per accompagnarmi nella bocca dell'inferno. Ed ecco. Due mattine fa Nick Grey mi si presenta a casa, accettando un'ingaggio che non sono stata io a proporgli. Infatti, è stata Angie a mandargli la mail. Ma questo meglio non dirlo. O forse sì? Fatto sta che quest'uomo, ora seduto al mio fianco, mi sta costando quanto una macchina nuova. E la cosa peggiore è che non riesco a immaginare un modo migliore per spendere questi soldi. Per essere figo, lo è. Anche molto più del futuro marito di quell'arpia. Se questi dodicimila dollari riescono a farmi vincere una volta per tutte su Coral, direi che sono proprio a cavallo: i soldi meglio spesi della mia vita. Sospiro, guardandolo.

«Allora, ripassiamo ancora una volta la storia» Esordisco, con fare padronale.

Lui alza gli occhi al cielo. «Sei una maniaca del controllo, vero?»

Cosa? «No che non lo sono» Ribatto con tono offeso. Ma cosa dice, questo? E come se non bastasse, non sta ripassando come gli ho detto di fare.

«Caroline, è la quarta volta in due ore che mi stai facendo ripassare la storia che hai archittettato nei minimi particolari. Questa è mania del controllo, sai?» Mi parla come si farebbe a una bambina.

«Sei un accompagnatore o uno psichiatra? Non ho nessune manie del controllo. Oh, hai un pelucchio» Mi acciglio, togliendoglielo dalla manica della giacca.

Lui mi lascia fare, guardandomi eloquente.

Oh, piantiamola. Non sono una maniaca del controllo, okay?

«Come ci siamo conosciuti?» Gli chiedo per cambiare discorso. O meglio, per tornare all'argomento di conversazione iniziale.

Lui alza gli occhi al cielo. Certo che per essere uno che pago fior fior di quattrini, potrebbe anche comportarsi più educatamente. Attacca a parlare come se recitasse una filastrocca. «Tu eri sul ponte di Brooklyn ad osservare il fiume ed io ho pensato che ti stessi per suicidare, così ho gridato: "Se ti butti tu, mi butto anch'io!". Poi abbiamo riso dell'equivoco e ti ho invitata a bere qualcosa» Sbuffa sonoramente. «Caroline, questa storia mi sembra più ridicola ogni volta che la ripeto. Chi vuoi che ci creda?»

Come ridicola? «Ma non è affatto ridicola!» Anzi, è molto romantica, a dirla tutta. E poi, se ha funzionato per Titanic, perché mai non dovrebbe funzionare per noi?

«Come vuoi» Cede lui, alzando le mani in segno di resa.

Potrei giurare d'averlo sentito borbottare "maniaca del controllo".

Calmati, Carol. Dovrai sopportare questi suoi modi di fare solo per due settimane. Non è molto tempo, no? Oddio, speriamo non si comporti così anche davanti agli altri. Non vorrei dovermi vergognare anche di quest'ultimo. Però è davvero tanto bello. E, si sa, uno non può essere sia bello, sia intelligente, colto, educato e tutte queste belle qualità. Magari dovrei solo dirgli di stare zitto, sorridere e annuire con aria intelligente. Sì, penso proprio che questa sia un'ottima linea di condotta.

«Sai cosa?» Attacco. Aspetto che lui mi guardi, per poi riprendere a parlare. «Forse dovresti semplicemente tacere. L'uomo taciturno è sempre sexy e così evitiamo strafalcioni» Dico, annuendo convinta alle mie stesse parole.

Lui alza un sopracciglio. «Come preferisci» Mi risponde dopo un attimo di silenzio.

Ah, perfetto. Ora mi sento molto più tranquilla. Lui starà zitto, racconterò tutto io e così sono anche sicura che non mi faccia fare figuracce.

Allora, Carol, ripassiamo la storia.

Ci siamo conosciuti sul ponte di Brooklyn e fin qui ci siamo. Poi. Lui è un famoso grafico pubblicitario. Penso sia un lavoro perfetto: nel caso non sapessimo cosa dire o ci facessero qualche domanda particolare, possiamo sempre mandare in fretta un messaggio a Sheila e lei ci risolve tutti i problemi. Ha trentadue anni, e questo è vero. Ed è un figo da paura. Anche questo è vero. Non ho deciso, però, quanto guadagna all'anno. Dovrei mandare un messaggio a Sheila e chiederle quanto prende.

Promemoria: ricordarsi di farlo non appena scendiamo dall'aereo.

«Siamo quasi arrivati» Annuncia Nick, subito seguito dall'annuncio del pilota, che ci chiede di allacciare le cinture perché stiamo per atterrare.

Come ha fatto a saperlo in anticipo? Lo osservo affascinata.

E' un tipo particolare, credo. Quand'è venuto a casa nostra due giorni fa, era tutto moine e modi di fare da galantuomo. E' diventato così... antipatico? Strafottente. Così strafottente da questa mattina. Mi domando quale delle due sia la sua vera natura: il ragazzino antipatico che non perde occasione per rispondere male e alzare gli occhi al cielo, oppure l'uomo di altri tempi che era piombato a casa mia alle sette del mattino.

Socchiudo gli occhi durante la discesa dell'aereo. Mi è sempre piaciuta questa sensazione di vuoto che mi si crea nello stomaco. E' come se svanissero i sedili e il confortante veicolo alato che mi protegge, e fossi in caduta libera. E' un modo per scaricare la tensione. Forse dovrei darmi al paracadutismo. Però non è uno sport in cui puoi permetterti di sbagliare. Voglio dire: sbagli una volta e hai chiuso. Per sempre.

Stringo le mani sui braccioli del sedile giusto un istante prima di toccare il suolo. Ogni volta mi sembra che stiamo per schiantarci. Non ti accorgi di quanto voli veloce un aeroplano fintanto che non lo senti atterrare.

Non molto tempo dopo, siamo all'uscita dell'aeroporto, alla ricerca di un taxi. Nick sta portando tutte le valigie. Ha insistito tanto per portarle lui. E chi sono io per impedirgli di alleggerirmi la vita? Appunto.

Riusciamo a trovarne uno libero ed entro nell'abitacolo mentre i due uomini cercano di sistemare le valigie nel portabagagli.

Ero arrivata a New York con solo una borsa e torno a casa con tre valigie stracolme. Lo shopping di Angie ha certamente dato i suoi frutti.

Gli uomini hanno concluso e risalgono in macchina, Nick al mio fianco.

«Allora, dove vi porto, ragazzi?» Chi chiede il tassista, incrociando il mio sguardo nello specchietto retrovisore.

Gli indico la destinazione e partiamo dolcemente. Osservo le strade della mia amata Niceview Valley, mentre sfrecciamo di fronte varie villette di periferia. Questa città è talmente diversa da New York, talmente caotica e viva. Qui a Niceview si è più tranquilli, più pacifici.

Non faccio neppure in tempo a finire di formulare il pensiero, che il tassista imbocca una curva ad alta velocità, mandandomi a sbattere contro il finestrino.

«Allacciati la cintura» Mormora Nick al mio fianco, facendo altrettanto. Ha l'aria seria ed è sbiancato. Mi vien da ridere, ma mi trattengo.

Eseguo, proprio mentre il conducente fa un'altra curva brusca.

Ma chi gli ha insegnato a guidare a questo, Topolino? E, soprattutto, chi gli ha dato la licenza per guidare un taxi? Ci vuole uccidere tutti!

Deglutisco, domandandomi se sia il caso di chiedergli di andare più piano.

Lancio uno sguardo a Nick e scoppio a ridere.

«Ma che hai fatto ai capelli?» Gli rido in faccia, notando che la sua perfetta chioma bionda laccata è diventata tutta scompigliata. Ha letteralmente i capelli dritti dallo spavento.

Lui si acciglia un momento e mi fissa negli occhi, con l'aria di chi vorrebbe specchiarcisi. Narcisista che non è altro. Alla fine allunga la testa e si guarda nello specchietto del guidatore, per poi fare una smorfia contrariata. Tira fuori dal nulla un pettine e si pettina i capelli all'indietro. Molto in stile Grease. Quand'ha finito, nasconde nuovamente il pettine nel nulla e mi guarda. «Meglio?»

Annuisco, un po' tramortita. Mi sembra d'essere finita in un cartone animato. Sorrido tirata e torno a guardare fuori dal finestrino.

Oddio, ma che è successo? Mi porto una mano al petto, sentendo il cuore che rimbomba forte. Eppure non è successo proprio nulla.

Cuore, datti una calmata, eh. Non è successo niente di che.

Sarà stato quel "meglio" di Nick? L'ha detto con una voce talmente suadente che per un attimo lo stomaco m'è salito in gola. Mi mordicchio il labbro pensierosa, ma l'ennesima prova della capacità di guida del nostro tassista mi fa stringere i denti troppo forte e sento il sapore metallico del sangue.

Ora lo uccido.

«Può andare più piano, per favore?» Sbotto alla fine, incrociando il suo sguardo nello specchietto.

Lui fa spallucce e un sorriso. Che avrà mai da sorridere? «Come preferisce, signorina» E rallenta notevolmente. Quasi a passo d'uomo. Sì, però che esagerato. Non intendevo mica d'andare così piano, su!

Meglio di prima, comunque. Almeno non sono sbatacchiata da una parte all'altra della macchina.

Sospiro, tornando a posare lo sguardo sul paesaggio alla mia sinistra.

«Senti, stavo pensando...» Torno a dire a Nick. Non so da quanto tempo sto zitta, ma m'è venuta un'idea geniale che devo assolutamente condividere.

Lui fa un gran respiro, come per calmarsi. «Sentiamo» Dice solo, rassegnato.

Certo che, però, se fa così mi fa passar la voglia di parlare. E ora la mia idea geniale mi sembra anche un po' stupida. Dai, Carol, ormai hai parlato. Fatti coraggio ed esponi la tua idea! «Forse dovremmo chiamarci "Tesoro"» Tentenno, sentendomi immediatamente una completa idiota. Perché mi fa questo effetto?

Lui mi lancia uno sguardo scettico, inarcando un sopracciglio. Ma come diavolo fa ad inarcare un solo sopracciglio? E perché io non ci riesco? «Tesoro» Commenta, ironico.

Sì, "Tesoro". Cosa c'è di male? «E' un nomignolo affettuoso, i fidanzati lo usano e noi dobbiamo fingerci fidanzati...»

«Non se ne parla proprio» Conclude il discorso, accantonandolo con un gesto della mano.

Che vuol dire "Non se ne parla proprio"? «Guarda che io ti sto pagando» Gli sibilo, lanciando un'occhiata inceneritrice al tassista, che a quanto pare non conosce il significato della parola "Privacy". «Tecnicamente, ancora non ho visto un soldo. E poi non mi paghi abbastanza per chiamarti Tesoro. Inoltre, mi pareva di aver stabilito che non si sarebbe fatto nulla di "moralmente ripugnante"» Annuisce convinto alle sue stesse parole.

Moralmente ripugnante? Semplicemente chiamare la tua ragazza "Tesoro"? «Come fai a parlare di moralità? Fai sesso per soldi!» Sbotto, a voce un po' troppo alta e il tassista ci lancia uno sguardo dallo specchietto retrovisore.

Oddio, non l'ho detto ad alta voce. Ti prego, fa' che l'ho solo pensato. Ti prego, ti prego, ti prego...

«E nessuna di loro la chiamo "Tesoro"» Ribatte Nick senza scomporsi.

L'avevo detto ad alta voce. Dio, si può sapere cosa ti ho fatto oggi? Perché mi torturi così?

Mi volto di nuovo verso il finestrino e passiamo il resto del viaggio in silenzio. Dopo la mia gigantesca gaffe, mi stupisco che Nick non abbia fatto marcia indietro e non mi abbia mollato da sola ad affrontare questo stupido matrimonio.

Certo, in teoria non può farlo, visto che lo pago. Anche se tecnicamente ancora non l'ho fatto. Però lo pagherò. E anche profumatamente. E' anche vero che questo non significa, però, che posso trattarlo male, no? Dovrei ringraziarlo per essere rimasto ancora qui. Oppure no? Forse dovrei solo far finta di niente? Oddio, che casino!

Nessuno ha mai scritto il libro "Bon ton per i prostituti"? Quale diavolo è il codice di comportamento per una persona che stai pagando per la sua compagnia?

«221b di Baker Street, signori» Annuncia il tassista, rallentando fino a fermarsi. Siamo arrivati.

Subito vengo colta dal panico e sento come se mi mancasse l'aria.

Non vedo la mia famiglia da quando li ho mandati tutti al diavolo, tre mesi fa. Come ci accoglieranno? Faranno finta di niente? Me lo rinfacceranno? Mi diranno di cercarci un albergo?

Suvvia, Carol, non essere ridicola. T'hanno invitato loro, non possono certo mandarti in un albergo!

Già. Ho ragione. Non possono mandarmi in albergo, mi hanno invitato loro. Faccio un bel respiro profondo e mi slaccio la cintura di sicurezza.

Mi accorgo solo ora che Nick è già sceso e ha già scaricato i bagagli. Ma come fa ad essere così efficiente? Non ha paura? Eh, no che non ha paura. Lui è abituato. E' il suo lavoro. Cavolo, la vorrei anch'io tutta quella calma.

Come scendo dal Taxi, l'autista risale, mi saluta e riparte in tutta fretta. Be'? Se n'è andato senza farsi pagare?

Mi volto verso Nick, che mi sta osservando, contornato dalle mie valigie. «E i soldi non li voleva?»

«Ancora non ho conosciuto qualcuno che lavori gratis» Mi risponde, guardandomi come se fossi un'aliena.

«Ma non l'ho pagato...» Mormoro, sentendomi una stupida a sottolineare l'ovvio.

Nick si carica le valigie tra spalle e braccia e si lancia un'occhiata attorno. «Ovviamente l'ho fatto io. Che uomo sarei se lasciassi pagare la dama?» Nel suo tono non c'è alcuna traccia di umorismo o sarcasmo. In questo momento ha un'aria talmente pura da far tenerezza. «Allora» Riprende, alzando il tono di voce e impregnandola di finta euforia. «E' quella?» Mi domanda, indicandomi la villa di fronte a noi.

Sospiro e annuisco, mentre gli faccio strada verso la porta d'ingresso. «Ah, Nick?» Lo chiamo, quando sono di fronte la porta.

Lui mi raggiunge e poggia i bagagli ai nostri piedi. «Sì?»

«Sai quelle famiglie odiose e un po' fuori di testa di cui ti vergogni, ma "gli vuoi bene lo stesso perché sono la tua famiglia"?» Gli faccio, mentre sento già il cuore galoppare per l'apprensione. Lui annuisce inarcando le sopracciglia. Faccio un bel respiro profondo, socchiudendo gli occhi. Poi torno a fissare lui. «Bene. La mia non è una di quelle: sono odiosi. Sul serio» Lo metto in guardia, ma sembra non prendermi seriamente.

Infatti scoppia a ridere, mentre pigia il dito sul campanello.

Non avremmo dovuto comprarci lo zerbino con su scritto "Welcome". Piuttosto avremmo dovuto farci scrivere "Lasciate ogni speranza, voi ch'entrate". Mi avvicino quasi inconsciamente di più a Nick, mentre sento i passi avvicinarsi alla porta.

Benvenuti alla bocca dell'inferno. 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2430446