Noi ragazzi del liceo.

di JoshPaperson
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'avventura comincia. ***
Capitolo 2: *** Il mio liceo. ***
Capitolo 3: *** L'interrogazione. ***
Capitolo 4: *** La perfidia. ***



Capitolo 1
*** L'avventura comincia. ***


  1. L'avventura comincia.

     

Sono le sette del mattino e il mio telefono sta producendo una suoneria irritante. La sveglia. Protendo pigramente il mio braccio destro per prendere il telefono e farlo smettere. Il primo tentativo si rivela deludente, in quanto sbatto forte la mano contro il muro vicino al comodino ove poggia il telefono. Il secondo tentativo va meglio, riesco a prendere il telefono e a far scorrere il dito sullo schermo, disinnescando la sveglia.

Apro timidamente gli occhi, quanto basta per distinguere gli angoli dei mobili dal pavimento.

Inizio subito a pensare a che giornata è oggi. Oggi è il mio primo giorno di Liceo. Una scarica di adrenalina sta arrivando, ma continuo il mio tragitto verso il tavolo della cucina per fare colazione.

Ricordo ancora con quanta facilità avevo scelto che scuola fare. Non avevo dubbi, dove c'è meno matematica ci sono io.

Così ho scelto il Liceo Linguistico della mia città in provincia di Roma.

La matematica non era l'unico motivo che mi ha spinto a scegliere il linguistico. L'altro motivo per cui ho fatto questa scelta è che amo studiare le lingue, specialmente l'inglese.

Avevo passato tutta l'estate sperando che non mi capitasse la Prof. Verretti. La Prof. Verretti ha insegnato a mio fratello maggiore nel biennio italiano, geografia e storia.

A sentir le lamentele altrui e le considerazioni tutt'altro positive sull'elasticità del metodo di insegnamento della Verretti potevo capire che fosse una professoressa pericolosa e severa.

La frenesia mi conduce a compiere ogni gesto nella maniera più veloce possibile, così che alle sette e quarantadue minuti sono già vestito e pronto. Mio padre invece è tutt'altro che pronto. Girovaga ancora per casa in mutande, apparentemente senza una meta precisa.

Non posso fare tardi il primo giorno di Liceo. Non posso.

Dopo dieci minuti mio padre è finalmente pronto. Mia madre mi saluta con un sorriso. Non sono il primo figlio ad andare al Liceo, sono l'ultimo di sei figli, tutti studenti e ex-studenti liceali. Per lei è naturale, se non ovvio, che devo andare al Liceo.

Io e mio padre ci dirigiamo verso la macchina parcheggiata molto vicino a casa nostra.

Non riuscivo a smettere di guardare l'orologio.

Non riuscivo a smettere di farmi domande.

Come mi troverò? Mi piacerà la scuola? E la mia classe?

Ho letto l'elenco della classe circa nove giorni prima del primo giorno. Conosco la maggior parte delle persone, ma non sono veramente amico con nessuno di essi.

Non ho problemi a crearmi amici, dunque la mia preoccupazione non è questa.

In verità non ho preoccupazioni fondate, sono solo ansioso. Il che è alquanto plausibile.

Dopo alcuni minuti mi ritrovo davanti al cancello di scuola.

-Scendi- sussura mio padre.

Il mio sguardo punta alla scritta Liceo Scientifico Linguistico Silvio Tugli. Poi sposto lo sguardo sul fiume di gente che trascina un piede davanti all'altro per entrare a scuola.

Molte persone ridono, altre piangono dalla felicità di rivedere i propri amici dopo l'estate.

-Fanciullo, non vedi le macchine dietro di me? Scendi!- dice mio padre con un tono di voce calmo.

Fanciullo? Ho un nome, e lui mi ha chiamato con quel nome. Matteo. Non è lungo, non è difficile, ma sono pochissime le volte che mio padre mi ha chiamato con il mio nome.

Apro la porta dell'utilitaria nera di mio padre, che produce uno sgradevole rumore.

Non dovevo attirare l'attenzione. Profilo bassi, occhi bassi. Sono una matricola.

La struttura della scuola è imponente fin dall'esterno. Ha la forma di un rettangolo ed è arancione, ma un arancione spento, a tratti grigio.

Sono già stato in questa scuola, questa estate, per assistere all'esame di maturità di mio fratello. Sembra un carcere. Ma non perché è terribilmente triste ma perché le classi sono distribuite ai lati dell'enorme rettangolo, lasciando al centro un rettangolo più piccolo. I corridoi si susseguono attorno alle classi, adattandosi alla forma del rettangolo ai lati, con la disposizione simile alle celle di una prigione.

La scuola ha tre piani. Il piano terra dove c'è la segreteria, il bar, l'aula magna e i laboratori. Il secondo e il terzo piano sono invece completi di classi dal primo al quinto anno. Sezioni A, B, C, D per lo scientifico e AL(L sta per “linguistico”), BL, CL e DL per il linguistico.

Io sono nella Prima B Linguistico.

Mi dirigo in aula magna, come mi hanno detto di fare. Trovo tantissimi ragazzi e ragazze della mia età.

Riconosco appena Luca, un mio amico, o meglio conoscente, che stava alle medie nello mio stesso plesso. Delle persone lo circondano. Quella deve essere la Prima BL. La mia classe.

Mi dirigo verso loro, a passo lento. Credo che camminare a passo lento faccia parte del mio piano “matricola inosservata”.

La Preside sta proclamando un discorso poco interessante di benvenuto.

-Benvenuti nel Liceo Scientifico Linguistico Silvio Tugli. Comincia il suo discorso.

Dopo circa tre secondi distolgo lo sguardo per osservare le persone accanto a me, cioè la mia classe.

Sono tutte brave persone senz'altro, tra esse c'è anche Carlotta, una conoscente che abita vicino a me. Se dovessi dargli un voto di conoscente gli darei 10/10. Credo sia l'unica che io conosca meglio.

Avrò comunque molto tempo per conoscerli meglio.

La preside chiama nome per nome ognuno della classe 1 AL. Tutti si riuniscono in un gruppo e se ne vanno con la loro docente di Francese verso la loro aula.

-Ora il 1 BL- dice la preside con un sorriso talmente falso. Non vedeva l'ora di finire la presentazione. Era una tipa abbastanza strana, ma mia madre la conosce e dice che è una bravissima persona. Non ho dubbi su tutto ciò. Ma è zoppa. Non la sto discriminando, penso solo che sia diversamente abile nel camminare. Il che la rende un pizzico inquietante.

Ad accompagnarci in classe è la docente di Religione.

Usciamo dall'aula magna e ci dirigiamo in cerca della classe.

-Ciao!- esclama una ragazza dai capelli mori, fisico slanciato e viso tendente al bianco cadaverico.

-Ciao- rispondo io con un sorriso.

-Io sono Aurora!- continua la ragazza con un tono di voce stridulo.

-Io sono- faccio per replicare.

-Sei Matteo, si lo so- conclude.

Questo era il potere dei social network.

Come già stabilito il giorno prima, mi siedo accanto a Luca, ultimo banco a sinistra, verso la porta. Ottima postazione. Per due mesi sto apposto.

La prima ora è condotta dalla docente di Religione, che si limita a presentarsi, senza cominciare una lezione.

La seconda ora, invece, è condotta dall'insegnante di Latino. Giovane, sui trentacinque anni, molto bassa e secca. Aveva una voce rassicurante. Mi piaceva.

Terza ora condotta dall'insegnante di Spagnolo. Dopo circa venti minuti ho intenzione di spararmi. Ha una capacità espressiva che si potrebbe benissimo paragonare a quella di uno pterodattilo.

Quarta e ultima ora tenuta da una docente di italiano. Non sappiamo chi sia perché la docente non è ancora in classe. Poi dopo due minuti fa irruzione nella classe.

-Salve a tutti giovincelli!-

Una vecchia professoressa dai capelli lunghi e neri, molto bassa, aveva sessant'anni e una voce rovinata probabilmente dal vizio di fumare sigarette. Ha un cappotto viola che la copre fino ai polpacci, nella mano destra ha una borsetta di lavoro nera.

-Sono la professoressa Verretti-

Voglio sprofondare nell'abisso della terra. Voglio correre nella classe prima più vicina ed annunciare che mi sono appena trasferito in quella classe, causa Verretti. Ma non posso.

Deglutisco rumorosamente a causa della bocca secca. Il suo solo sguardo mi inquieta. In confronto la camminata della preside non è per niente inquietante.

So già che mi aspetteranno ore di studio interminabili su argomenti noiosi.

Hello everyone! Questo è il primo capitolo di una storia che narra la vita di un liceale.
Sarà una storia piena di emozioni che vi farà ridere e piangere.
PS: Lasciate delle recensioni, possibilmente costruttive! :)

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Capitolo 2
*** Il mio liceo. ***


2. Il mio liceo.

 

Sono già passati diversi giorni dall'inizio della scuola. Mi sono ambientato e ammetto di trovarmi bene in questo nuovo posto.

I miei compagni di classe sono più che simpatici e ho già quasi stretto amicizia con ognuno di loro. Il problema però non è quanto siano simpatici i miei compagni. Al centro di una situazione preoccupante c'è la Professoressa Giovanna Verretti. Il nome può risultare delicato, ma la Verretti è la fine della mia vita sociale.

La prof.Verretti ha già iniziato a interrogare sui capitoli che ha spiegato in poco più di una settimana, il che crea in me uno stato d'animo furioso.

Il suo modo di interrogare è metodico e professionale. Ha una cartella ad anelli, e ogni alunno costituisce una pagina della sua cartellina. Le pagine vengono compilate durante l'interrogazione, per poi eseguire un calcolo(non ho idea su cosa si basi questo calcolo) per dare vita all'esito dell'interrogazione.

Non accetta volontari. Ok, questo in realtà non è un grosso problema, poiché nessuno si offrirebbe volontario per andare incontro ad un estenuante interrogatorio.

Noi alunni abbiamo diritto ad una sola giustificazione. Questo è un problema. Una sola giustificazione che ho già utilizzato quando la sentivo chiamare troppi cognomi che iniziano con F o G, lettere che si avvicinano all'iniziale del mio cognome.

Non ha un chiaro criterio per chiamare gli alunni. Prende l'elenco dei nomi e scorre, con il suo occhio di pietra, tutti i nomi dell'elenco finché il cognome non esce dalla sua bocca. L'attesa distrugge il mio corpo. Il silenzio che incombe durante la scelta è paragonabile al silenzio di un pescatore in barca. Il cuore pompa ad una velocità triplicata, l'adrenalina si scatena nel mio corpo in modo quasi euforico, la vista si appanna. Trovo ridicolo tutto ciò. Perché mai una professoressa dovrebbe trasmettermi tale ansia?

Con le altre materie va tutto molto meglio. Nessun tipo di ansia, nulla che si potrebbe vagamente avvicinare all'ansia creata dalla Verretti.

Per ognuna delle tre lingue che facciamo(francese, inglese e spagnolo) abbiamo una docente madrelingua che un giorno a settimana fa lezione.

Tutto è particolarmente interessante. Mi piace. A volte formulo pensieri piacevoli sulla scuola. Poi mi ricordo della Verretti, e mi sveglio da quella infatuazione.

La parte migliore di una giornata scolastica è inevitabilmente la ricreazione. Essa però non inizia alle dieci di mattina come sono abituato, ma inizia alle undici e termina alle undici e dieci. Il suono della campanella alle ore undici e dieci è cento volte più piacevole rispetto a quella del cambio dell'ora, ma mille volte meno piacevole rispetto alla campanella che determina l'uscita da scuola.

A ricreazione mi alzo per prendere la colazione dalla “busta”, così chiamata perché è una busta contenente tutte le colazioni precedentemente ordinate dalla rappresentante di classe durante il cambio dell'ora.

Dopo aver preso la merenda, generalmente un toast o una pizza bianca, mi dirigo verso le scale insieme ai miei compagni Luca ed Andrea. Grazie a loro sono riuscito ad allargare le mie conoscenze in quel liceo, estendendo la cerchia di amicizie ad un livello apprezzabile.

In genere andiamo fuori sul muretto all'entrata a respirare aria sana, oppure, in caso di mal tempo o forze maggiori, ci limitiamo a ciondolare nell'atrio della scuola. Spesso ci sediamo su un enorme tavolo posto un po' più sopra del centro dell'atrio. Non sono proprio sicuro che sia quella la funzione del tavolo, ma vedendo altre persone operare nel nostro stesso senso, ci sentiamo più sicuri e meno “vandali”.

In questi giorni ho conosciuto anche i bidelli. Roberto è molto simpatico, è alto e alquanto tonificato in materia di grasso. Isirido invece è il più simpatico, ha una barba folta nera, fisico slanciato. Poi c'è un'altra signora di cui non conosco il nome, ha i capelli biondi ed è più giovane di loro due.

Stanno tutto il giorno seduti sulla cattedra posta alla “fine” del corridoio alla destra della mia classe. Il termine “fine” non è proprio adatto per quel corridoio, poiché non ha una precisa fine dal momento in cui tutti i corridoi comunicano fra loro.

Conosco la maggior parte delle persone in quella scuola. Il quasi-rappresentante d'istituto è un caro amico di famiglia, e gli altri due quasi-rappresentanti li conosco grazie a mio fratello. Credo che questo sia uno dei rari casi in cui io possa ringraziare mio fratello. Mio fratello Stefano, e seppur per una minima parte, mio fratello Marco conoscono molte persone in quel liceo, e di conseguenza loro conoscono me.

La vita di un liceale infondo non è poi così male. Sì, è vero che sei costretto ad alzarti tutte le mattine ed andare a sopportare la terribile puzza presente nella classe, ma è anche vero che è un ambiente pieno di persone fantastiche... e persone meno fantastiche.

Il mio liceo è uno dei più frequentati della mia città, dunque non posso sfuggire alle occhiate che mi lanciano molti ex-amici.

La categoria degli ex-amici è molto vasta. Abbiamo gli ex-amici buoni, ovvero coloro con cui non parlo da secoli, ma che si limitano ad un saluto breve. Poi abbiamo gli ex-amici neutri, che ogni tanto ti salutano e ogni tanto ti ignorano. Infine, ma non per innocenza, abbiamo gli ex-amici perfidi, coloro che, a colpa di storie antecedenti a quel periodo, non hanno più il dovere(o la voglia) né il diritto di parlarti. Quest'ultima categoria mi spaventa, ed è la categoria degli ex-amici più ampia. Si girano quando passo, quasi trattenendosi dallo sputarmi in faccia, ma io limito a rigare dritto ignorando i loro malocchi. Il che alimenta la loro perfidia, ma do più di tanto peso a quelle inutili creature malefiche. “Chiuso 'nportone se n'apre n'artro” no?

Ora la mia vita da liceale è iniziata, i miei cinque anni di crescita più significativa sono cominciati. So già che si tratteranno di tristezza, gioia, amori, litigi e tutto ciò che fa parte dell'adolescenza. Il punto è che non so se sono pronto. Diciamocelo, sono ancora piccolo, no?... Forse non posso più usare questa scusa.

Questo è il momento decisivo, il momento di andare avanti. Mai tirarsi indietro. Il periodo migliore della mia vita è iniziato, e io mi sto per gettare in un profondo pozzo di emozioni.

Cosa mi aspetta? 







 

Salve saaaaalvino! 
Nuovo capitolo principalmente introspettivo della mia storia! Vi ricordo di lasciare una recensione! :)
PS: Questo capitolo servirà molto per ciò che accadrà dopo... :)

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Capitolo 3
*** L'interrogazione. ***


     3. L'interrogazione.

 
Siamo ormai ad inizio ottobre e, seppur la Verretti non mi abbia ancor interrogato, conosco le sue tecniche. Mettendole su un piano didattico le sue tecniche sono costruttive ed ottime per l’insegnamento, mentre dando uno sguardo più umano della situazione si vede quanto sia terribile.
Nel corso dei giorni molte persone mi hanno chiesto se fosse “cattiva” ed io, non avendo una chiara risposta al quesito, mi sono limitato a rispondere: è molto severa e rigida.
 
 
Come sempre, mi siedo sul sedile posteriore dell’utilitaria di mio padre che mi porta a scuola. Generalmente l’auto è un mezzo di trasporto privato, ma per quei pochi minuti diventa uno dei tanti mezzi per arrivare al carcere di tortura.
Le ruote della macchina incontrano una buca profonda che fa scuotere la macchina talmente forte da farmi svegliare per qualche secondo.
-Accidenti!- urla mio padre. A quanto pare, non sono l’unico a dormire a occhi aperti la mattina.
Svolta accuratamente,onde evitare altre buche, l’angolo della strada che divide la felicità dal carcere. In pochi secondi ho davanti al viso quel grosso edificio arancione che esplode di tristezza. Mi costringo ad uscire dalla macchina senza nemmeno salutare mio padre, che nel frattempo borbotta qualcosa al riguardo. Non appena stabilisco il mio equilibrio sul suolo, Luca si pianta di fronte a me.
-Buooooongiorno compagno!-
Sinceramente non capisco tutta questa euforia di mattina, ma mi limito a salutarlo a testa bassa evitando di alitargli in faccia. Non che io abbia l’alito puzzolente, ma non si sa mai, la mattina.
Oggi non ho voglia di sentire discorsi stupidi quanto inutili su chi si è lasciato con chi, così infilo le cuffiette nell’orecchie e inizio a ascoltare una canzone dei Maroon 5.
 
Oggi abbiamo geografia, personalmente una delle materie che odio di più. Probabilmente per la pesantezza dei paragrafi e della poca voglia di sapere quale montagne o fiumi troviamo nei continenti. Voglio dire, cosa diamine ci farò con questi dati? Li sfoggerò in una sana discussione di cultura generale che si svolgono generalmente nelle cene di Natale?
Ad ogni modo, sono già le dieci e la Verretti si è appena avviata verso la sedia. Dando una rapida occhiata alla classe riesco a vedere visi carichi di ansia e disegnati da estese occhiaie prodotte dalla notte insonne a ripassare. Io invece non ho studiato ma non credo(o forse spero in questa probabilità) che mi interroghi. Non ero teso, il che non era un buon segno.
-Qualcuno vuole giustificarsi?- chiede col suo disgustoso sorriso giallo da nicotina.
Tre mani alzate. Tre giustificazioni. Tre probabilità in più che mi chiami.
-Luca, ti ha già interrogato in storia?- chiedo a bassa voce al mio vicino di banco. Sebbene già conoscevo la risposta, volevo semplicemente non pensare a ciò che sarebbe potuto accadere.
Prima che potesse rispondere, la Verretti estrae il suo elenco di nomi sovrastante al suo schema d’interrogazione.
Respiro profondamente.
-Mi servono….- enuncia lei. “servire” un verbo che a mio parere era più che adatto alla situazione.
-Matteo e Giordana-
Diamine. Poso le mani sul banco per alzarmi ed a malapena recepisco la pacca sulla spalla di Luca, segno di incoraggiamento. Vedo visi pieni di felicità, di tranquillità dopo la tempesta d’ansia. Tutti erano tranquilli. Tranne me, e Giordana. La guardo mentre ci avviciniamo sincronizzati verso la cattedra, lei a destra, io a sinistra.
-Matteo! Parlami dell’orografia dell’Europa.- mi chiede la Verretti con sguardo neutro.
Non la so. Non so quali monti popolano quel terreno. Cerco di capire il labiale di chi prova a suggerirmi, invano. Non capisco il labiale.
Non so precisamente quanto tempo passi tra la domanda e la successiva.
-Sai parlarmi di ciò?-
Abbasso la testa. No. Non ne so parlare.
Dopo dieci minuti ci manda al posto. Scena muta.
Sono rovinato! Mio Dio, dovevo studiare quando potevo.
Per il resto della giornata assumo un atteggiamento scazzato e nervoso.
Sono una delusione.

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Capitolo 4
*** La perfidia. ***


     4. La perfidia. 

“Va bene tesoro, cercheremo di recuperare” questo è ciò che pensa mia madre sull’impreparato in geografia. Non ha tutti i torti, cercheremo di recuperare sì, ma ci riusciremo? Dipende da me. Non da lei.
 
-Onestamente non riesco a capire come hai fatto! Avevi tre pagine da studiare, tre!- urla mio fratello maggiore. Ha ragione, ma non può permettersi di sminuirmi in questo modo, così decido di rinchiudermi in camera con le cuffiette.
Ho deluso tutti, il che mi rende infelice. Infelice con me stesso perché non sono stato responsabile come avrei dovuto, e infelice verso gli altri poiché ho alzato un grande polverone verso mia madre, la quale ha sempre riposto grande fiducia in me.
Oggi pomeriggio studio storia, nel qual caso mi dovesse interrogare anche là.
 
-Oh mattè, ma ieri quanto ti ha messo?- mi chiede Andrea nel mentre saliamo le scale. Andrea è un ragazzo poco più basso di me ed ha il viso molto gonfio, sembra quasi un pesce. Ha i capelli corti e rialzati come il novantacinque percento della popolazione tra i dodici e i diciotto anni. Lui è il classico ragazzo che cerca di imitare e seguire il normale flusso di gente per passare inosservato. Il contrario esatto di me. Ad ogni modo, non riesce molto bene nel suo intento.
-Due- sussurro.
-Oddio che stronza, cioè te lo poteva mette almeno quattro eh-
Certamente, come se la situazione cambiasse. Due o quattro sarebbe stato comunque un impreparato e, a mio malgrado, preferisco un voto sincero.
-Vabbè dai, scialla, vedrai che recuperi- mi incoraggia Andrea. Sì, staremo a vedere.
Mancano due gradini alla fine della scala principale quando intravedo una persona che mi sta fissando. Mi auguro con tutto il cuore che non sia quella persona che penso.
-Mattè…. C’è Alessia che vuole parlarti- enuncia Andrea. Cazzo, no! Non voglio più saper nulla di quella persona malefica e falsa! Credo di averglielo anche espressamente detto un mese fa quando abbiamo litigato nel bel mezzo della ricreazione. Forse avrei fatto meglio a scriverglielo sulla mano, in tal modo che si ricordasse per sempre che non avevo intenzione di parlargli.
Alessia è il massimo esponente della categoria degli ex-amici perfidi. Dopo che abbiamo litigato per motivi personali validi, ha messo in giro voci su di me tutt’altro che positive. Molto spesso ho avuto l’impulso di giocare sporco come faceva lei, ma mi non mi sono mai abbassato ai suoi livelli.
Alessia è alta per essere una femmina ed ha l’aspetto di tutte le ragazze d’oggi; capelli lisci ben curati, fisico slanciato e un filo di trucco. In faccia aveva però una vena esposta appena sotto l’occhio, il che mi permetteva di riconoscerla in mezzo a tante ragazze “copia e incolla”.
Mi avvicino lentamente verso di lei.
-Che cosa diamine vuoi?- il mio tono di voce risulta amaro e innervosito, spero capisca che non è la benvenuta.
-Volevo solo dirti che ci manchi a tutti… Ti prego, torna ad uscire con la tua vecchia comitiva…-
Credo che questa sia la battuta più simpatica che abbia mai sentito in vita mia. Dopo giorni interi in cui si è divertita a parlare male di me vuole che io torni con quella comitiva? Quella comitiva in cui non si fa altro che fumare e bestemmiare? Mi dispiace ma io non sono come loro. Non sono un ragazzo così poco intelligente e immaturo da permettermi di fare cose del genere. Ringrazio il mio cervello per aver funzionato e avermi fatto capire chi erano realmente.
-Rifiuto l’offerta, ringrazio il Dottore e vado avanti.- Dico con tono scherzoso per farla innervosire. Ho sempre battute a portata di mano per ogni situazione.
Dopo aver detto questo, mi dirigo verso la mia classe con Andrea che nel frattempo ha iniziato a ridere senza fermarsi.
Per ora nessuna interrogazione. La Verretti interroga due ragazze di nome Martina e Viola.
 
Al suono della campanella mi precipito verso la busta e prendo la mia pizza bianca, poi mi accodo dietro Luca e Andrea ed insieme andiamo fuori dalla classe, verso altri amici.
-Mattè oggi sei circondato- sussurra Luca.
Una frazione di secondo dopo spunta davanti ai miei occhi Gaia, anch’essa ex amica perfida, che meglio di tutte incarna la monotonia dell’adolescenza.
-Ti prego… Mattè….- inizia.
-No, basta, stai zitta, evapora, smolecolati, non voglio più vedervi, vi è chiaro o avete bisogno di un disegnino?- urlo quanto basta per farmi sentire anche da Alessia, a tre metri di distanza.
Con nonchalance evado rapidamente dal triangolo della tortura e raggiungo Luca ed Andrea.
-Te la faremo pagare, brutto stronzo!- urla Gaia.
Me la faranno pagare? Quale altra voce metteranno in giro adesso? O peggio, come agiranno? Ho forse alzato troppo i toni con quelle arme a doppio taglio?
Merda.

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