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di OurChildhood
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


REVISIONATO IL 24/11/2014
 
PoV Annabeth
Era troppo strano per essere vero. Di solito certe cose accadevano solo nei miei sogni ma, eccomi, davanti il portone principale della Goods, la mia nuova scuola, finalmente indipendente dalla mia famiglia, dai miei fratellastri e dalla mia matrigna, cattiva e spietata, un po' come quella di Cenerentola, per fare un paragone. Ma ecco: quello sembrava il vero inizio di una nuova vita a New York dove mi ero trasferita a inizio estate da San Francisco. Certo, era un po' diverso da quello che mi aspettavo: New York era una città caotica e lo smog ti faceva tossire ma l'architettura era fantastica. Quell'estate avevo visitato l'Empire State Building e ne ero rimasta affascinata. Poi avevo anche visitato il Ground Zero e lì avevo incontrato una ragazzina china su una corona d'alloro. Mi ero inginocchiata in parte a lei. Mi chiese se avevo perso qualcuno nell'attentato. Io risposi di sì, che avevo perso uno zio.
«Io ho perso mia madre. — disse asciugandosi una lacrime che le era appena scesa su una guancia — Mi chiamo Silena Beauregard» e mi tese la mano.
«Annabeth Chase».
Fu quasi per scherzo, o per casualità, che scoprimmo di essere iscritte entrambe a quella scuola "speciale", perché lei, grazie al suo grave disturbo ossessivo-compulsivo, si era ritrovata esclusa da più scuole di quante ne riuscisse a contare. E contava bene.
Le raccontai la mia storia — a tratti del tutto simile alla sua — sentendomi finalmente accettata per ciò che ero, nonostante qualche piccola difficoltà.
Inutile dire, quindi, che da quel giorno diventammo grandi amiche.
Non mi stupii quindi, la mattina di quel il primo giorno di scuola, di ritrovarmi una specie protetta di koala attaccata al collo. Era proprio bella: i capelli neri mollati sulla schiena e gli occhi azzurri con una linea di eye-liner che trapelavano euforia.
«Vieni! Ti faccio conoscere un po' di persone!» disse, trascinandomi per il cortile portandomi di fronte a un gruppetto di persone.
«Ragazzi, lei è Annabeth. Annabeth, questa è Talia Grace, colei che può vantare più espulsioni da istituti scolastici di quanti lei sia riuscita effettivamente ad iscriversi. — una ragazza mora e dagli occhi blu elettrico mi sorrise— Lei é Juniper, l'allegra fidanzata di quel martire lì, Grover. Poverino! Deve sopportare questa pettegola! — la ragazza indicata da Silena si lamentò ridendo della definizione appena ricevuta — lui é Nico e lei é la sua sorella gemella, Bianca. Dopo ci sono Clarisse -piccolo appunto per la tua incolumità: non farla arrabbiare-, poi Travis, il suo gemello Connor e Percy Jackson.»
«Ciao Annabeth» mi salutarono gli altri con un sorriso. Tutti tranne l'ultimo ragazzo che mi era stato presentato che, troppo preso dal suo cellulare, era distratto da tutto ciò che stava succedendo. Quando poi alzò lo sguardo rimase un po' pietrificato. Mi stava guardando con gli occhi sbarrati, come se fossi un fantasma. Poi con una scusa si dileguò.
«Ho qualcosa sulla faccia?» chiesi. Tutti risero, tutti tranne me, che non capivo e stavo cominciando seriamente a pensare di avere un pezzo di bacon fra i denti.
«No, tranquilla. Diciamo che Percy é poco, ecco, socievole con le persone nuove.»
"Oh miei dei", pensai.
«Che lezioni avete dopo?» chiese una ragazza dai capelli tinti di verde. "Juniper, forse?"
«Latino» risposi. 
«Anche io — rispose un ragazzo — Travis, se non dovessi ricordarlo» e mi porse la mano sorridendo.
Una ragazza, la gemella, arricciò il naso. Capii subito: doveva avere una cotta terribile per quel Travis. Era gelosa perfino di una sconosciuta.
«Senti, — cominciò Travis — se hai intenzione di andare in classe, mi tieni un posto? Sai, io e Connor — indicò il gemello — abbiamo una faccenda importante da sbrigare!»
«Hanno di sicuro intenzione di fare uno scherzo a Katie Gardner e se è come la penso io, non andrà a finire bene. Non perdere tempo con loro».
«Clarisse, non t'impicciare!»
«Cosa?! Ripetilo di nuovo Stoll e vedrai che non riuscirai a godere di una nuova alba!»
Silena mi fece segno di svignarmela e io non me lo feci ripetere due volte. Entrai nell'aula e preso un posto nell'ultima fila, aprii il libro di testo. 
«Scusami per prima, ma ero un po' fuori di me».
Alzai lo sguardo e incontrai un paio di occhi verde smeraldo. Finalmente riuscii a vederlo bene: gli occhi verdi come le alghe, i capelli neri spettinati e i denti davanti un po' più grandi di quello che sarebbero dovuti essere lo rendevano un po' bambino per la sua età.
«Ah, sono Percy». Gli strinsi la mano, presentandomi.
«Oh, tranquillo... È solo che è stato un po'...»
«...strano?»
Tacqui, anche se stavo pensando "Eh, già, amico!"
«Ah... Posso?» disse indicando il posto vicino al mio.
Annuii e spostai la borsa, che avevo appoggiato lì sopra per un motivo che non ricordavo.
Poi arrivò Travis col fiatone e ricordai:«Hei tu, non dovevi tenermi il posto?»
«Scusami Travis!» mi diedi mentalmente della stupida, come primo giorno ero partita davvero bene.
Poi lui spostò lo sguardo per vedere chi avevo in parte: un Percy decisamente imbarazzato che guardava interessato i graffi sul banco. Travis soffocò a stento una risatina e si andò a sedere da un'altra parte. 
«Tranquilla — disse ridendo — Percy sarà ben contento se vi lascio soli!»
Percy lo fulminò con lo sguardo, io inarcai un sopracciglio, poi stando al gioco dissi un "Grazie Travis" prendendo le mani di Percy tra le mie. Lui mi lanciò lo stesso sguardo che mi aveva lanciato poco prima all'entrata, arrossendo. Poi, quando sia io che Travis ci mettemmo a ridere per la sua reazione, capì di essere stato preso in giro. 
Passai il resto della lezione a fare conoscenza con Percy parlando del più e del meno, scoprendo che aveva un patrigno, una sorella e che sua mamma era incinta di un bambino. Io gli raccontai della mia vita, di come, nel momento in cui mio papà mi spedì fuori di casa, mi sentii sollevata.
Lui mi raccontò dei litigi con sua sorella, facendomi ridere.
Sebbene all'inizio fosse imbarazzato, dopo un po' si sciolse e cominciò anche a scherzare. Forse non era poi così strano come avevo pensato.
 
PoV Percy
Era diversa da tutte le altre: i capelli biondi e la pelle abbronzata facevano pensare alla classica ragazza californiana, se non fosse stato per quegli occhi grigi come il cielo poco prima di una tempesta.
«Comunque, quella mora con gli occhi marroni, la gemella... Come si chiama?» mi chiese, quasi annaspando nel tentativo di ricordarne il nome.
«Bianca».
«Sì, lei! È persa per Travis» affermò con fare di chi, nella vita! aveva capito proprio tutto.
«Tu credi?» domandai scettico. Insomma, la conoscevo bene Bianca e mi sembrava più avvezza a passare una vita da amazzone che piegarsi al volere di un ragazzo. Se solo qualcuno avesse tentato di comprimere la sua libertà serena, probabilmente avrebbe attentato alla sua vita, poiché lei, senza di essa, era come una rondine in gabbia, intrappolata.
«No, ne sono certa»
«Dubito che sia così»
«E anche Travis mi sembra un po' cotto per lei» azzardò.
«Secondo me, invece, stai solo fantasticando»
«Tu credi?» chiese, alzando un sopracciglio.
«No, ne sono certo» dissi un po' trionfante per essere riuscito a imitare la risposta che mi aveva dato poco prima.
Lei rise, una risata di quelle che riesce a strapparti un sorriso anche se non vuoi. 
La campanella suonò. 
«Cos'hai ora?»
«Matematica»
«Io storia. Ci vediamo dopo?»
«Certo Percy!» mi sorrise e si avviò all'aula di matematica.
 
~SPAZIO AUTRICE~
Eccomi! Questa è la mia prima Percabeth... Quindi scusatemi... Se vi chiedete perché... Beh, per l'italiano forse non troppo corretto e per il capitolo un po' corto... Prometto di impegnarmi di più! ;) Questo è solo l'inizio, quindi spero che continuiate a leggerla nonostante questo inizio penoso...:D Recensite in numerosi!
-A

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


AVVISO AUTRICE: Non pensavo di finire così in fretta il capitolo, perciò non prometto di essere così veloce con gli altri... Spero vi piaccia :)

PoV Nico
-Eppure...sentire...nei fiori tra l'asfalto...nei cieli di cobalto c'è...
-È da UN'ORA che canti questa canzone Percy! CHE TI PRENDE?!
-No, niente...È Elisa, lo sai? È una cantante italiana... Me l'ha fatta conoscere Annabeth...
-Ah, Annabeth...-trattenevo a stento una risata.
-Che avete tutti da ridere di lei? Che ha fatto per essere presa in giro? 
-Ma non ridiamo di lei, sciocchino...-parlai come parlo a mio cugino di 5 anni, ma con Percy era più o meno la stessa cosa.
-E perché ridi?
Appunto. È sempre stato tanto "figo" quanto tonto.
-Ma sei tardo o mangi sassi?
-Non darmi della capra!
-Allora sei tardo.
-Ahaha simpaaaaatico.
-Il tuo sarcasmo è leggermente da rivedere. 
Dopo questo cominciai a "seguire" la lezione, ma, più che altro, continuavo a guardare una chioma nera con le punte blu. 
-Niiiiiiicoooooo...
-Dimmi...-dissi un po' infastidito.
-Cos'ha Talia di tanto interessante?!
-Assolutamente niente.-dissi come se fosse stata l'ultima cosa che mi potesse passare per la mente. 
-TALIA?! Ma sei impazzito?
Sul serio, come gli era saltato in mente? Insomma, Talia era carina, ma non era il mio tipo. Per niente. Il mio tipo è un po' difficile da spiegare... È... Un tipo... 
-Non so... La stavi fissando...
-No, stavo guardando i suoi capelli...
-Non è che ti sei preso una cotta?
-PERCY, ME LO CHIEDI SEMPRE, OGNI ANNO, SE MI PIACE UNA RAGAZZA E LA RISPOSTA È SEMPRE NO!
-Va bene, tranquilla...-Disse ridendo. Solo in quel momento mi resi conto che la mia voce si era alzata di circa un'ottava. 
Era strano: non avevo mai pensato alle ragazze. Non ero mai stato tipo, non ero come gli altri ragazzi, vedevo le ragazze come amiche, non ero mai stato uno ossessionato da loro. E poi Talia, Talia Grace? Era la mia migliore amica, non avrei mai potuto. Ricordai ancora come qualche anno prima mi aveva raccontato della sua cotta per Luke, un ragazzo un anno più grande e di come lui l'aveva invitata ad uscire. L'avevo avvisata che era un poco di buono, che non si doveva fidare, ma lei non mi aveva creduto. Continuarono ad uscire per un po' finché lei non lo trovò a sbacciucchiarsi con un'altra ragazza. Poi un'altra ancora. E un'altra ancora. Il tutto mentre si "frequentavano".
-Di Angelo, mi sembra un po' assorto.
-Mi scusi prof, è che ho un po' di mal di testa.
-Vada in infermeria. E qualcuno lo accompagni!
Talia si alzò subito e mi rivolse un sorriso al quale risposi sinceramente sollevato di non dover continuare quell'assurda conversazione con Percy. Mi alzai e lei mi sussurrò un "grazie". A quanto pare non ero l'unico a trovare quella lezione di storia particolarmente noiosa. Ci dirigemmo verso la porta, io tenendomi la fronte, lei dandomi dei colpetti sulla spalla. Come attori non eravamo male.
Uscimmo da quella stanza che sapeva da chiuso e da muffa, come se non avesse potuto godere di un po' d'aria fresca dalla notte dei tempi, e dopo esserci allontanati un po' mi sedetti, sfinito, a ridosso di un armadietto.
-Di Angelo, mi sembri un po' distratto-disse Talia imitando la voce esile del professore.
-In realtà ha detto che sembravo assorto-la corressi con un sorriso da ebete stampato in faccia. Lei rise di gusto mentre io la guardavo di sottecchi. Mentre si scostava dal viso i capelli lunghi e neri con punte blu, mi accorsi che il suo sorriso era il più piacevole che avessi mai visto. Mi illuminava la giornata, forse era per quello che le volevo così tanto bene: le bastava un sorriso per farmi rinascere. Gli occhi blu erano sempre contornati da una spessa linea di eye-liner che li rendeva ancora più decisi e marcati. Erano la prima cosa che ti colpivano di lei, poi venivano quei lunghi capelli neri, infine venivano gli altri tratti del viso dolce ma marcato al tempo stesso, e il suo modo di vestire. Era un po' strana in fatto di abiti: non si curava molto di come appariva, ma riusciva sempre ad abbinare perfettamente tutto, come se passasse ore davanti allo specchio. Quel giorno aveva un paio di leggins, degli anfibi e una maglia lunga, era tutta vestita di nero. Portava delle collane, una con una croce, una con il simbolo della pace e una con un triangolo, una linea e un cerchio, tutte e tre in argento. D'un tratto si accorse del mio sguardo e iniziò a tirare le maniche della felpa, segno che era nervosa, e iniziò a mordicchiarsi il labbro. Io mi sentii andare in fiamme tutto d'un colpo, non volevo che pensasse male.
-Hei, che c'è?!-le chiesi-Non posso neanche guardare la mia amica super-figa Talia Grace?
Lei rise di nuovo, visibilmente sollevata. Le volevo bene, ma nulla di più.
-Andiamo a rimpinzarci di cibo alle macchinette?-chiese appena tornata in sé. 
-Certo!-risposi. Mi trascinò in piedi e, tenendomi per mano, mi trascinò per i corridoi.

PoV Talia
Ero sfinita, quella corsa estenuante mi aveva tolto il fiato.
-Perché...non mettono una macchinetta...in ogni corridoio?! Perché ce n'è solo una... per piano?-chiesi col fiatone.
-Perché...Talia...le macchinette costano...
-Sì...ma io devo correre dall'altra parte della scuola...per prendermi il mio... Amato... CIBO!-e detto questo abbracciai la macchinetta come se fosse la mia migliore amica.
-Perché non abbracci me così?
-Continua pure a sognare, Di Angelo!-dissi in tono ironico. Scoppiammo entrambi a ridere, poi lo abbracciai. Era da tanto che non lo vedevo, quell'estate l'avevo passata in un campo sperduto, mentre lui era andato a trovare suo padre a Los Angeles.
-Mi sei mancata...-mi confida lui.
-Anche tu... Ho un sacco di cose da dirti-e mi staccai dall'abbraccio. Già, ne avevo passate quell'estate e lui le doveva sapere tutte.
-Una sera abbiamo giocato a nascondino e io mi sono nascosta dentro un pino morto che aveva un buco... Ma avevo talmente tanto sonno che mi sono addormentata lì dentro e nessuno mi trovava più!
-Ma... Come hai fatto ad addormentarti dentro a un pino?!-mi chiese trattenendo a stento le risate.
-Beh, ho chiuso gli occhi e...TA-DAAAAA!!!!-risposi scoppiando a ridere-Ricordati, io sono Talia Grace, sono capace di tutto!
Ridemmo per un po' cercando di fare meno rumore possibile, ma, insomma, siamo Talia e Nico, per noi non fare confusione è quasi impossibile!
-E a L.A. com'è andata? I ragazzi erano fighi?
-Sinceramente, da ragazzo, non è che abbia guardato molto i ragazzi... Erano passabili, ma non erano fighi, o almeno, mai quanto me!
-Abbassa le ali!
-Sul serio. Mi sono innamorato circa dieci volte al giorno...
-Quel che si dice "fedeltà"...
-Poi mi sono ripromesso di guardarmi di meno allo specchio.
-OK, questa era pessima Nico.
Mi girai e iniziai a scegliere le mie... Quante? Cinque merende? Più o meno erano quelle.
-Nessuna ragazza?
-Anche te con questa storia?! No! Neanche una.
-Bene. Perché nessuna mi ruba il mio Nico!-lo presi in giro ridendo.
Ma lui non rise. Arrossì molto, dato che lo vidi sul riflesso del vetro ingrigito della macchinetta, ma per un secondo, poi più nulla.
-Come mai sei così serio?
-Niente...sono solo un po' stanco.
Mentiva, ne ero certa, ma non volevo ribattere. 
-Direi che ho finito!-annunciai con voce squillante.
-Guarda che ingrassi con tutta quella roba e dopo un sarai più la mia amica super-figa Talia Grace!
-Ti conviene smetterla di chiamarmi così, potrei tirarti un pugno!
-E va bene... Ma ora andiamo, o Percy potrebbe farsi strane idee!-e così dicendo mi spinse via di peso, per poco non mi caddero dalle mani i miei amati Twix.

PoV Annabeth
Pensavo che avrei passato quella lezione sola soletta, ma dovetti ricredermi. Presi posto in un banco un po' distante dalla cattedra, odiavo essere troppo visibile, finché una voce dolce mi chiamò.
-Annabeth!
Alzai la testa un po' frastornata, nessuno in quella scuola mi conosceva, a parte Silena, quei due ragazzi dell'ora precedente e...
-Luke!-lo salutai con un cenno della testa e un piccolo sorriso, non volevo farmi vedere come quelle ochette che squittivano il nome dei ragazzi se questi le salutano.
Si sedette in parte a me e mi stinse in un caldo abbraccio. Normale dire che tentai di contenermi dal non svenire lì al momento. Perché? Semplice: Luke era la perfezione. Mi è piaciuto fin dal primo istante. Premettendo aveva un fisico da far paura, era biondo, capelli indomabili, e gli occhi erano di un azzurro cielo da togliere in fiato. Il viso dai tratti elfici gli davano un'aria da angelo in terra. Basti pensare che ogni volta che lo vedevo dovevo pensare che era solo un ragazzo, forse il ragazzo più Figo del mondo, ma solo un ragazzo.
-Come stai? È da un pezzo che non ti vedo!
-B-bene...te?
-Una meraviglia...che dici, posso rimanere seduto qui?-me lo chiese con una voce talmente profonda che per poco non mi feci scappare un risolino compiaciuto, poi fece scivolare il braccio sullo schienale della sedia e mi cinse le spalle col suo braccio. "Se me lo chiedi così..." Pensai, poi mi trattenni mentre una domanda mi pulsava nel cervello.
-Ma tu non dovresti aver già finito la scuola?
-Si ma... Ecco... Due anni fa hanno deciso di... Fermarmi...-rispose un po' in imbarazzo. 
Meno 1 punto per Luke Castellan.
-Oh, scusa non lo sapevo... Comunque puoi rimanere qui...
-Grazie! Hey, che mi racconti?!-mi accarezzò un guancia e m guardò con uno sguardo dolce.
-A dire il vero niente di che...
-Hai conosciuto qualcuno?
-Sì, ho conosciuto Travis Stoll e Percy Jackson... Mi sembrano simpatici...
Si irrigidì al sentire il loro nome.
-Lasciali perdere.
-Perché?
-Perché...-tentennò. Probabilmente non sapeva che dire.
-Non sono popolari.
-Non mi interessa che qualcuno sia popolare o meno.
-Si credono chissà chi...
-A me non sembra.
-...Non è gente da frequentare.
-Questa non è una buona motivazione!-mi stavo infuriando.
-Semplicemente, Annabeth, non riporrei la mia fiducia in loro. Insomma, li conosci da poco, potrebbero essere dei menzogneri, tirarti in brutti giri...
-Primo: sembri mio padre, e non è un complimento, anzi... Secondo: non ho mai detto che sto riponendo in loro fiducia. Non sono stupida, sai?!
In quel momento entrò il professore. Fece l'appello e, arrivato al mio nome mi chiese di presentarmi.
-Mi chiamo Annabeth Chase, vengo da San Francisco, mi sono trasferita qui a New York quest'estate.
-E spero tu non abbia intenzione di restarci.
La voce era di una ragazza dai capelli rossi e ricci, gli occhi marroni e furbi. Era nella mia stessa aula l'ora prima ma non le avevo dato troppa attenzione. Ma in quel momento aveva firmato la sua condanna a morte. La odiai da subito.
-Signorina Dare, nell'ufficio del preside.
-Cosa?
-Nell'ufficio del preside.
Lei indignata si alzò e andò verso la porta, non prima di avermi minacciata dicendo "Per questo e per Percy la pagherai!".
-Per questo e per Percy la pagherai!-le feci il verso.
-Cos'è questa storia di Percy?-mi chiese Luke con sguardo accusatore.
-Si è solo seduto in parte a me a latino. Non è colpa mia se mi preferisce a quella megera!
-Non mi metterei contro di lei. Ha una cotta storica per Percy e tutte le sue concorrenti non hanno fatto una bella fine.
-Oh Zeus, sto tremando!-dissi con un tocco di ironia.
-Ti conviene stargli lontana. E non dirmi che non ti avevo avvertita.
Dopodiché passammo l'intera lezione in silenzio, mentre io rispondevo a ogni singolo quesito del professore, impressionandolo.
-A domani, Chase.
-Luke, aspetta!-si girò-Perché sei arrabbiato?
-Non sono arrabbiato, ma fa ciò che dico: stagli lontano.
-OK-risposi. Lui sorrise e mi diede un bacio all'angolo della bocca. Appoggiò la sua fronte sulla mia, i nostri nasi si scontrarono.
-Per sviare la Dare direi di uscire con un'altro ragazzo.
-Tipo?-chiesi maliziosa e mordendomi il labbro.
-Tipo con me-mi rispose, dandomi un bacio leggero sulle labbra. Mi sentivo in paradiso.
-Certo...
-Sabato sera alle otto davanti casa tua. Sii puntuale.
-A sabato allora?
-Non abbiamo altre lezioni nel frattempo?
-Ah certo!
-Allora... A dopo.
-A dopo...-e mi posò un altro bacio, stavolta più carico di emozioni. Poi se ne andò.

___________________________________________
Heyyyyy sono ancora qui! Ecco il 2 capitolo (finito prima di quanto pensassi) e ecco una cosa da precisare: so che Talia non ha i capelli lunghi, ma nel mio "immaginario" lei sta meglio così...;)
Recensite se vi piace la storia e ditemi se vi piacciono i PoV Talia e Nico (io li adoro**)
Ringrazio ancora LilyMP e Biankina1 per le recensioni :D 
A prestissimissimo
OurChildhood

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


PoV Annabeth
Mi diressi verso l'aula di fisica, materia importante per il mio sogno più grande: fare l'architetto. 
-Hey, guarda chi si rivede!
Aveva parlato un ragazzo dalla folta chioma nera e dagli occhi scuri.
-Ehm... Scusami ma... Chi sei? 
-Io sono Nico Di Angelo, piacere Annabeth!
-Oh... Ciao Nico, io sono... Beh, lo sai già.
-E io sono Bianca, Bianca Di Angelo.-disse la ragazza che, a mio parere, aveva una cotta stratosferica per Travis Stoll. Era bella: la chioma nera e liscia legata in una treccia laterale con un cerchietto d'argento a tenerle duro dei ciuffetti che, a quanto pare, non ne volevano sapere di starsene nella treccia, mentre gli occhi marroni non sfoggiavano trucco, se non un po' di mascara nero che li rendeva ancora più grandi di quando già non fossero. Le labbra sottili si aprivano in un sorriso dolce e materno, quel sorriso caldo che non ho mai avuto. Risposi al sorriso e presi posto accanto a lei.
-Uffa, e io che pensavo di passare un'ora con la ragazza di cui mi ha parlato Percy per tutta la lezione di storia!-era stato Nico a parlare e le mie guance si fecero rosse, ma non lo diedi a vedere, sebbene Nico si accorse del mio imbarazzo, al quale reagì con un sorriso malizioso.
-Ehm... Mi dispiace per stamattina...-iniziai.
-E per cosa?
-Per Travis... Insomma, so cosa vuol dire se un ragazzo che ti piace parla con un'altra...
Le in tutta risposta si mise a ridere, una risata dolce e cristallina, ma pur sempre una risata. Ero davvero stravolta. Ero convinta che le piacesse quel ragazzo.
-Hey, non avrai mica pensato che...-poi mi guardò negli occhi e, a quanto pare, vide il mio stupore -Nononono!!!! Travis è... Travis!
-Ah ok scusa...
Iniziamo bene parte 1.
La lezione iniziò mentre Bianca mi spiegava come comportarsi per non essere tagliata fuori.
Mentre parlava la guardavo un po' assorta. Era davvero sensazionale quella ragazza, aveva un sorriso perenne sul volto perfetto. O quasi. Giurai che aveva qualcosa che non andava. Sembrava malato, era bianco oltre ogni natura. E le guance erano leggermente incavate. 
"Sarà un po' influenzata" pensai mentre ascoltavo lei che elencava una serie di regole assurde imposte dalle Cheerleader.
-...in sala mensa il tavolo vicino alle finestre è loro, come il bagno all'incrocio tra questo corridoio e quello che porta in palestra. Sono territorio minato, non ti devi avvicinare, tantomeno provare a trasgredire queste regole. Vietato esporre foto di artisti musicali che non siano One Direction o Justin Bieber. Per niente tollerate sono Taylor Swift e Selena Gomez. Vietato indossare gli stessi vestiti loro, quindi ti conviene portarti dietro un cambio. Ti conviene non avvicinarti ai Nerd, potresti essere considerata una di loro... Oh, dimenticavo la cosa più importante: vietato avvicinarsi a PERCY JACKSON. Rachel Elizabeth Dare ha una cotta storica per lui ed è anche il capo delle Cheeerleader. 
-Sul serio? E tu che regole segui?
-Ovviamente nessuna. Siccome non seguo la più importante, la mia situazione non potrebbe essere peggiore.
Mi scappò una risata. Quella ragazza mi piaceva. Era tosta. Di sicuro non si faceva piegare da una come Rachel Elizabeth Dare.

PoV Talia
-Sonno. Tanto sonno. E tanta fame. Sonno e fame. Perché esiste la scuola?!
-Connor smettila di lamentarti un secondo e lasciami seguire.
In realtà non stavo nemmeno seguendo. Stavo pensando a poco prima. Avevo così tanto da dire ancora a Nico. Peccato che ogni volta mi dimentichi tutto quando mi rivolge un sorriso e lo guardo negli occhi così scuri, eppure così dolci. Gli volevo davvero tanto bene. Avevo sentito dire che gli occhi neri sono sinonimo di sicurezza, coraggio, forza, che rivelano un grande desiderio di auto affermazione a tutti i costi ed il bisogno di mettersi in mostra per timore di passare inosservato, che alcune volte è indice di durezza d’animo e di freddezza. Invece lui non aveva bisogno di mettersi al centro dell'attenzione, non ne sentiva il bisogno. Lui non era duro, a volte era un po' scontroso e altre volte cedeva al senso di vendetta, e in quei momenti ti conveniva non metterti contro di lui, ma per il resto del tempo era dolce e comprensivo. O almeno, lo era con me. Talvolta con Percy rischiava di spaccargli la faccia, ma per il resto anche il loro rapporto era ok. Oh, dimenticavo il periodo in cui Bianca e Percy si erano messi insieme. In quel momento Nico non gli aveva più parlato finché non si erano mollati. Rischiava di ammazzare Percy ogni volta che si avvicinava a sua sorella. Ma alla fine avevano capito che tra loro non poteva esserci niente e si sono mollati, pur rimanendo amici. Però ci credo che Bianca abbia avuto una cotta per lui. Percy è un figo. Peccato che io sia sua cugina.

-...Ettore dimostra quindi un grande coraggio nello sfidare Achille, come si addice a un eroe dell'epica omerica. Tra l'altro Ettore è l'unico a dimostrare affetto nei confronti...-DRIIIIIIIING-...di moglie e figlio come si vede nel brano "Ettore e Andromaca" che abbiamo preso in considerazione la volta scorsa. Potete andare.
-Che è successo?!-l'ora era finita e io non avevo ascoltato nulla, a parte quelle ultime due frasi.
-Eh...?-Connor era addormentato sul suo banco.
-SVEGLIATI LA LEZIONE È FINITA ED È ORA DI PRANZO!-dissi a un Connor altamente perso.
-CIBOOO!!!-disse correndo via.
-E non pensare a rubarlo dalle macchinette come facevi l'anno scorso! TI TENGO D'OCCHIO STOLL!!-gli urlai dietro uscendo dalla classe.
-C'è da dire che tra voi due c'è una bella chimica...-Nico mi stava obbligando ad ammettere quello che non sarebbe mai successo: io che mi innamoravo di un ragazzo.
-Primo: non c'è chimica. Abbiamo appena finito letteratura. Secondo: A TE NON DEVE INTERESSARE SE MI PIACE QUALCUNO O NO!
-Primo: rivedi le tue battute perché fanno pena. Secondo: devi trovarti qualcuno Talia!
-Anche tu se è per questo!!
-Hey, qui non stiamo parlando di me!
-Ma adesso sì!
-E adesso cambiamo discorso!
-No!
-Sì!
-No!
-Sì!
-No!
-Sì!
Poi mi accorsi che man mano che discutevamo ci eravamo fatti sempre più vicini e ora di dividevano solo due o tre centimetri e io, nascondendo l'imbarazzo, gli feci una smorfia e mi avviai verso la sala mensa, seguita a ruota da lui che mi prese a braccetto, suscitando le occhiatacce delle oche che gli correvano dietro.
Mi girai e dissi, anzi, urlai:-Lui è mio, ASINE GIULIVE!-e, con una risata fragorosa, entrammo in sala mensa. 
-Se quella era una dichiarazione d'amore mi hai messo alquanto in imbarazzo, Grace.
-Da quando in qua usi la parola alquanto?
-Da non so alquanto!
-Lo sai che in questa frase non ci sta?!
-E lo sai che tu non devi spegnermi così? Non sono bravo in grammatica!
-Ah, già... Dimenticavo...
-E comunque... Chi tace acconsente.
-Che intendi dire?-la mia faccia era ALQUANTO confusa.
-Che prima ti ho chiesto chiesto se era una dichiarazione d'amore, tu non hai risposto, quindi posso prenderlo come un sì...-e così dicendo si chinò verso di me, chiuse gli occhi e mise le labbra a pesce, come se si aspettasse un bacio. Io con le dita gli girai la faccia.
-Mi hai ferito profondamente! E io che credevo alla nostra storia!
Gli tirai una gomitata.
-Sapevo che l'amore faceva male, ma pensavo fosse più un fatto psicologico, non qualcosa di fisico...
-Da quando pensi?!
-Da quando tu mi hai riempito il cuore col tuo amore!
-Quando la smetterai di prendermi in giro?
-Quando ammetterai che nemmeno tu sai resistermi!-esclamò sbattendo le ciglia come un effeminato.
-Nei tuoi sogni!
-E allora perché prima hai fatto quella spontanea dichiarazione?
-Per difenderti da quelle cannibali: ti stavano divorando con gli occhi.
-Sei gelosaaaaaaaaaa!!!!!!!
-Certo Di Angelo, certo.
Preso per il braccio lo trascinai di peso verso il nostro tavolo, mentre lui diceva frasi del tipo "Non abbandonatemi con questa pazza!" oppure "Vi prego, AIUUUUUTO, è fuori di testa!" o ancora "Mi vuole ammazzare, vi pregoooo!!!!".

PoV Percy 
-Ciao! Com'è andata letteratura?-Connor stranamente aveva in mano un vassoio con del cibo della mensa al posto delle merendine sgraffignate alla macchinetta.
-Mi sono addormentato.
-Sul serio?!
-Sì, Mr. Hofattonuotofinoadadesso, ho dormito. Non tutti hanno allenamento nell'ora prima di pranzo.
-Senti coso, intanto ti calmi. Come mai non hai rubato niente dalle macchinette?
-A parte per le telecamere installate appositamente per me e Travis? Sono riuscito a non farmi rubare da lui i soldi per il pranzo. E di questo mi sto pentendo-disse rimescolando una poltiglia grigia che ci avevano rifilato e fissando l'hamburger di pseudo-carne.
-Benvenuto nel mio mondo.
-Mi ricordi perché devo pagare per questa schifezza...?
-Sinceramente, non lo so neanch'io.
Il tavolo era già occupato da metà dei nostri amici. Annabeth era seduta tra Bianca e Talia e, appena mi vide, si irrigidì. Mi sedetti di fronte a lei, il che la mise ancora più a disagio. Cercai di non farci caso e iniziai a parlare animatamente con Nico. Non capivo il motivo di tanta agitazione, finché poi non arrivò Luke.
-Annie, devi rimanere con questi qui o...?
-Luke!-era in imbarazzo, guardava me e poi lui, noi che ci fulminavamo con lo sguardo. 
-Ehm, Annabeth, che significa questo?-era Talia a parlare. 
-Ascolta Luke... Ehm... Puoi aspettare un secondo?
-Sì, sono da quel tavolo.-indicò un tavolo e, dopo averci fulminati tutti con lo sguardo, se ne andò.
-Che significa Annabeth?
-Percy, ascolta, lui è...
-Luke Castellan- concluse Talia-Se lo conosciamo tutti non è di certo per cose buone. Ascolta Annabeth, sta' attenta.
-STA' ATTENTA?! Sta uscendo con un puttaniere e tu le dici stai attenta?!
-Nico calmati!
-No, io non mi calmo! Sai bene che ti ha fatto, Talia! Non sai quanto sono stato male per te!
-Ascoltate, che è successo?
-Diciamo che mentre "stava" con Talia si è fatto un altro po' di ragazze. Ma niente rancori.-la freddezza con cui pronunciai queste parole mi stupì.
-Tu sei il primo di cui Luke mi ha avvertito. Non mi fido di te. Non mi fido di voi.-è detto questo se ne andò.
Mi alzai e le urlai:-Ah, ma di quello sì che ti fidi, vero?!-e, frustrato, me ne andai in giardino, sotto la pioggia fresca di settembre.

Angolo Autrice
Hey sono ancora qui a rompere! :D allora, questo è il capitolo 3...(Maddai, non dirmi?!)... Ecco volevo ringraziare tutti quelli che seguono la mia storia, l'hanno recensita o l'hanno aggiunta alle preferite e chi l'ha messa tra le ricordate... Ringrazio anche chi l'ha semplicemente letta, spero vi piaccia...
Alla prossima :D 
OurChildhood 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


PoV Percy
Mi alzai e le urlai:-Ah, ma di quello sì che ti fidi, vero?!-e, frustrato, me ne andai in giardino, sotto la pioggia fresca di settembre. Fidarsi di Luke Castellan. Sembrava una barzelletta. 

**inizio flashback**
2 anni prima
-Luke, Luke! È tutta colpa sua!-Talia stava piangendo a dirotto sotto un albero nel parco della scuola, ma la pioggia si faceva sentire comunque anche attraverso il fogliame.
Il mascara le colava sulle guance ormai nere dal pianto, dove lacrime amare e pioggia si fondevano insieme. Gli occhi e le gote erano arrossati dal pianto, il labbro martoriato dai morsi che si dava per non singhiozzare, i capelli a caschetto fradici dal continuo piovere, così come i suoi vestiti. Le mani e i pantaloni sporchi di fango, probabilmente dovuto a una scivolata sul manto erboso del prato, parole disperate e frasi strocate a metà le uscivano dalla gola. 
-Talia... Che è successo?
Fu Nico a parlarle per primo e lei, con uno slancio disperato si gettò tra le sue braccia, imbrattandolo di fango ed erba. Lui iniziò ad accarezzarle i capelli, io mi avvicinai.
-Talia che ti ha fatto quel rincoglio...Luke?
-No!-si sciolse dall'abbraccio con grande disapprovazione di Nico-Dillo pure! Luke è un coglione, deficiente, un emerito figlio di Crono! 
-Figlio di cheeee...???
-Aaah, lasciamo perdere! Luke, Luke! È tutta colpa sua!
-Questo lo abbiamo capito! Ma che ti ha fatto?
-Julie Stevenson, Emma Jane, Kristine Brown, Emily Johnson, Helen Winchester...
-Che stai blaterando?!-esclamai.
-Tutte quelle che ha baciato questa settimana... E non ho finito... 
-E non c'è bisogno che continui!-la avvertii.
-Giuro che quello è MORTO-disse Nico.
-Fermo!-gli urlai. Ma era troppo tardi.
Talia si lasciò cadere per terra, ormai svuotata dalle lacrime, forse le bruciavano ancora. Presi posto accanto a lei, sebbene il terreno fosse zuppo di pioggia.
-Che cazzata ho fatto...?!
-Scusa?
-Ho sbagliato, non dovevo fidarmi di lui, non dovevo lasciare Nico da solo, questo per lui è un periodo del cavolo... Ma lui mi ha detto di fidarmi e io l'ho lasciato solo, che deficiente che sono!-intanto le lacrime avevano ricominciato a scorrere sulle sue guance.
-Talia, non sempre si fanno le scelte giuste, soprattutto a quest'età... Ma promettimi: cercherai di evitare che questo si ripeta per qualcun'altra?
-Certo, ci...ci proverò.-la voce interrotta dai singhiozzi mi fece capire la sua situazione. Lei non aveva mai pianto così. Mi abbracciò un secondo prima di iniziare a tremare.
-Da quanto sei qui sotto alla pioggia?
-Da un pezzo... Ho... Ho freddo...
-Hai la febbre... Scotti! Avviso Nico, ti porto a casa.
La portai a casa e di quella mattinata non ne parlammo più.
**fine flashback**

Forse perdersi nel passato non fu la cosa migliore da fare. Ricordai il patto sigillato tra me e Talia, ma a quanto pare nulla è andata come doveva andare. Annabeth era caduta nella trappola e lei non aveva fatto nulla per tirarla fuori.
Il prato verde era fradicio d'acqua, il freddo innaturale mi faceva tremare. Mi incamminai verso una panchina seminascosta da un cespuglio. Pensai all'odio immenso che provavo (e che provo tutt'ora) per Luke, un odio indescrivibile. Come quando Nico mi disse che Piton avrebbe ucciso Silente. L'avrei ammazzato.
Ero completamente fradicio ma poco mi importava, i capelli mi si erano appiattiti sulla fronte e per poco un ciuffo non mi era entrato negli occhi. Era strano come tutto era diventato magico, come la debole luce del sole che filtrava dalle nuvole riuscisse a cambiare quella triste visione. Sbadigliai fragorosamente poco prima di accorgermi di essere seguito.
-Talia sei leggiadra come un carro armato.
-E tu sei simpatico come una torcia puntata negli occhi.
Si sedette in parte a me, le gambe incrociate sulla panchina. Giocò un poco con le collane, poi chiuse gli occhi e alzò il viso verso l'alto, lasciando che l'acqua le bagnasse la faccia.
-Ho sempre adorato la pioggia e i temporali. Mi calmano. Immagino che tutti i pesi e le frivolezze possano scivolare via insieme all'acqua. Invece quando ci sono temporali e tempeste, adoro urlare. Tanto con il baccano dei tuoni nessuno mi può sentire.
-Se becchi il momento giusto, altrimenti fai solo la figura della mongola. 
Ci mettemmo a ridere, ormai la pioggia leggera che era all'inizio era diventata una specie di diluvio universale.
-Ci conviene rientrare Percy.
Annuii in risposta e con passo strascicato ci avviammo verso la sala mensa, godendoci quegli ultimi attimi di silenzio turbati soltanto dallo scrosciare della pioggia.

PoV Bianca
-Bianca, ma non mangi...?-Nico mi aveva distratta dalla mia barretta ipocalorica che doveva essere il mio "pranzo". Una di quelle stupide barrette che fanno vedere nelle pubblicità con donne dai fisici invidiabili e che dicono:"Mmmm... Sono davvero appetitose, queste barrette forniscono un intero pasto giornaliero completo senza acquistare calorie inutili all'organismo e bla bla...". Certo. Peccato che facessero schifo e ogni volta che ne mangiavo una mi lasciava un buco nello stomaco più grande di quello che avevo in precedenza. Morivo letteralmente di fame.
-Non ho molto appetito oggi...-mentii.
-Non lo hai mai in questo periodo... E sei dimagrita parecchio... Dovresti mangiare, non è che stai male? Quando arriviamo a casa chiamiamo il dottore e poi ti fai visitare...
-A te non deve fregare niente se ho fame oppure no, non sono malata e non sono assolutamente dimagrita!
Nico aprì la bocca cercando di controbattere ma arrivarono Talia e Percy a interrompere la sua predica. La guardavo di sottecchi con rancore. Possibile che lei fosse sempre in forma, mentre io ero sempre quella grassottella? Lei era l'atletica, Silena la bella, Clarisse la combattiva, Juniper quella gentile. E io cos'ero? Nulla. Nulla che debba essere tenuto di conto, ovviamente. Ero anch'io atletica, combattiva, gentile se volevo e mio fratello mi diceva spesso che per lui sono sempre la più bella. Ma è ovvio che io per lui sia la più bella. Sono sua sorella. Per di più la sua gemella, la sua fotocopia, e da narcisista qual è, è ovvio che mi dica così. È una cosa logica.
In più tra i due era lui a spiccare. Era lui il simpatico, il migliore amico di Percy Jackson e Talia Grace, era lui quello popolare. Viveva di luce riflessa. Luce riflessa,io la odiavo, anche per quello avevo mollato Percy tempo prima. Ma questo è un altro discorso.
-Bianca non mi sembri tanto in forma, sai? Sei un po' palliduccia.-Percy. Possibile non si facesse mai gli affari suoi? Mi alzai di scatto dal tavolo.
-Sto benissimo, io sono in forma, non serve che voi mi controlliate, so gestirmi da sola!-sbottai, volevo urlare, ma le forze mi avevano abbandonata. Il mio sembrava più una supplica più che un avvertimento. Poi le gambe vennero meno e svenni.

La luce dell'infermeria mi sembrava accecante. Quanto tempo era passato? Minuti? Ore? Non lo sapevo. Il bianco mi circondava, quasi fosse l'unico colore di cui era costituito il mondo. Poi la luce si attenuò e i colori cominciarono di nuovo a farsi strada ai miei occhi. La prima cosa che vidi fu il neon, poi l'infermiera scolastica che fasciava e medicava il ginocchio di un ragazzo seduto su un tavolino, non feci neanche caso a chi fosse tanto ero sconvolta. La cassetta del pronto soccorso era aperta, così come un flaconcino che dava alla stanza un intenso odore di disinfettante. Io mi trovavo dall'altra parte della stanza, in un angolo, su un lettino duro e che sapeva di muffa. La porta si trovava nella parete alla quale si trovava appoggiato il tavolino dove veniva medicato il ragazzo. Troppo lontana per una fuga azzardata. Addirittura il pensiero di una corsa mi stancava, tanto che mi feci uscire dalla bocca qualcosa di intelligente tipo un -Uhm...?- e fu allora che l'infermiera mi degnò di uno sguardo.
-Ben svegliata signorina Di Angelo. Come ti senti?-mi chiese con voce tutt'altro che amorevole. Il sarcasmo con il quale pronunciò quella frase era più che evidente.
-Debole, sono tutta intorpidita-dissi con voce impastata e stanca. Avrei tanto voluto dormire per qualche altra ora, forse tutto il giorno.
-Tenga-mi porse qualcosa di incartato. 
-Cos'è?-chiesi un po' turbata. Non poteva essere ciò che temevo
-Cioccolata. Mangia, si sentirà meglio-era ciò che temevo. Cibo.
Per tutta risposta, con un moto quasi istintivo, mi alzai e scagliai quella tavoletta quasi sulla fronte del ragazzino, ritrovando per un momento quelle forze che un secondo dopo mi abbandonarono e, accasciandomi sul lettino appoggiato al muro, lasciai che la stanchezza mi pervadesse. Mi addormentai un secondo dopo aver visto l'infermiera che usciva dalla stanza con uno sguardo lievemente preoccupato per chissà quale motivo.

-Bianca! Svegliati!-quelle voci mi sembravano lontane e irraggiungibili.
"Se solo provassi ad aprire gli occhi" disse una vocina sarcastica dentro di me. Li aprii con fatica e la luce dell'infermeria mi accecò di nuovo. 
-Chi è?-riuscii a sussurrare mentre con le mani mi stropicciavo debolmente gli occhi. 
-Sono io...
-Buongiorno Io...-dissi sarcastica.
-Sono Nico! Ti avevo detto che stavi male.-riuscii finalmente ad aprire gli occhi.
-Odio darti ragione, ma non sto affatto bene.
-Signorina, le vorrei porre qualche domanda...-cominciò l'infermiera guardandomi con la fronte aggrottata, quasi fossi un rompicapo da risolvere.
-No, prima volevo chiederlo qualcosa io. Da quanto sono qua, per cominciare. Oh, e anche chi mi ha portato. Dove sono tutti? Cosa mi è successo? Cosa..cosa...-stavo andando in escandescenza. Le domande mi frullavano in testa senza un ordine logico, così tante da rendere difficile scegliere quale fosse la più importante.
-Intanto è svenuta probabilmente per un calo di zuccheri, dovrebbe mangiare qualcosa di più sostanzioso, non queste barrette insignificanti. Cos'ha mangiato a colazione?
-Nulla... Che ore sono? Da quanto sono qua?
-Prima alcune domande. Vomita dopo aver mangiato? Solitamente cosa mangia? È dimagrita molto nell'ultimo periodo?
-Basta! Io non ho problemi e di sicuro non siete voi a dovermi tenere d'occhio, sono capace di farlo da sola!
Con uno sforzo immane me ne andai, gli occhi mi bruciavano, le lacrime premevano per uscire. Ero troppo orgogliosa, troppo sicura di ciò che non ero. Che mi stava succedendo?

PoV Annabeth
L'ultima ora era passata velocemente rispetto alle altre. Mi avviai verso i cancelli della scuola, contenta di poter finalmente raggiungere casa mia. Il freddo innaturale mi intorpidiva le dita. "A San Francisco sarei potuta andare ancora al mare" ma quella non era San Francisco, quella era New York...

"Concrete jungle where dreams are made of
There's nothing you can't do"

Di sicuro quella mattina mettere su una semplice maglietta con una giacca leggera non era stata una delle mie idee più brillanti.
Il rumore dei clacson mi riecheggiavano già nel cervello, quasi a ricordarmi che per tornare a casa sarei dovuta passare prima per l'inferno. E come se non bastasse pensavo di poter cadere in ipotermia da un secondo all'altro.
"Bel primo giorno. Sono arrivata e sono riuscita a far scappare un ragazzo ancora prima di potergli parlare, poi sono riuscita a parlargli facendomi una nuova nemica, tra l'altro capo delle Cheerleader. Ho incontrato Luke, nota positiva, ma per lui ho abbandonato un gruppo di persone che non mi sembravano poi così male, compresa Silena, che con me era sempre stata gentile. Per di più li ho umiliati in sala mensa davanti a tutti, oltre a rendermi ridicola facendo quell'assurda scenetta. Perfetto, sarò lo zimbello dell'intera scuola."
Uscii dal cortile della scuola per poi raggiungere una strada trafficata che avevo preso anche all'andata.
Camminai per non so quanto guardando le punte delle mie scarpe, finché non raggiunsi il condominio dove abitavo. Aprii la porta principale e salii fino all'ultimo piano a piedi, non so neanche per quale motivo dato che il palazzo disponeva di un ascensore. Arrivai al mio appartamento e appena entrata gettai lo zaino per terra e mi tolsi la giacca. Gli scatoloni erano in parte ancora da svuotare. Il divanetto aveva ancora sopra il cartone della pizza mangiata il giorno prima. Alcuni vestiti tirati fuori dai bagagli per cercarne altri erano sparpagliati per terra.

"In principio era il caos"

Andai a farmi una doccia veloce e, appena vestita con un paio di blu jeans, una felpa lunga e blu elettrico e un paio di all-star dello stesso colore, presi la giacca e la borsa e uscii nuovamente di casa.
Digitai il numero di Silena e la chiamai.
-Annabeth...?
-Sì sono io! Ascolta, lo so che non mi sono comportata per niente bene, che ne dici se ci troviamo al solito bar all'angolo?
-Va bene... Ma adesso?!
-Altrimenti quando, genia?! A dopo! Cioè, a subito!
Scesi di corsa le scale e, uscita dal condominio, mi incamminai decisa a farmi perdonare. Sapevo di non meritarmelo, ma avevo deciso di affrontarla. A sangue freddo.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


PoV Bianca
Camminavo per la casa come uno zombie, le gambe pesanti e la testa che stava esplodendo. Non avevo aspettato, mi ero defilata da scuola e me ne ero tornata a casa. Non ne potevo più di sentire domande e avevo bisogno di un po' di tempo sola per calmarmi. Dovevo una spiegazione a Nico, questo era ovvio, ma più di tutto la dovevo a me stessa. Andai in bagno a sciacquarmi la faccia e mi guardai allo specchio. Quello che vidi non fu affatto uno bello spettacolo. 
-Ma che...?!-mi toccai le guance pallide, gli occhi vacui e le occhiaie scure che davano l'impressione di vedere un fantasma più che una ragazza viva e vegeta. Ritiro. Viva e basta, anche se non ero più sicura nemmeno di quello.
Suonò il campanello. Lentamente e imprecando per non aver ancora messo insieme qualcosa di decente da dire a mio fratello. Avrei improvvisato, anche se facevo schifo nell'improvvisazione. Aprii, aspettandomi il putiferio.
-Dove ti eri cacciata?!
-Stai calmo Nico! È stata male, non dovresti aggredirla così!- Percy. Grazie a tutti gli dei dell'Olimpo c'era anche lui.
-Buongiorno anche a te-dissi con tutta la calma possibile.
-Bianca stai esagerando. Svieni due volte nel giro di un'ora e ti comporti come se nulla fosse!
-No! Sei tu che stai esagerando con questa storia. Poche vitamine-bugia numero 1-ho già chiamato il medico-bugia numero 2-e mi ha chiesto cosa mi sentissi. Gli ho spiegato tutto e lui mi ha detto di prendere delle medicine- bugie numero 3, 4 e 5.
-Ah, sul serio? E dove sono queste medicine? Dove le hai comprate che tutte le farmacie nel giro di isolati sono chiuse? Non credo che nel tuo stato tu riesca a fare più di cento metri. Oh, e cosa più importante. Come ha fatto il medico a risponderti se è in vacanza?!
-Sono così una pessima bugiarda?
-Sì, e io un ottimo attore. Le farmacie sono aperte e il medico non è in ferie. Sapevo che stavi mentendo e che non lo avresti mai ammesso.
Mi avviai verso la mia camera. Avrei riflettuto, poi avrei affrontato Nico o qualsiasi altra persona. O almeno, avevo progettato di riflettere. Mi addormentai quasi subito e sognai. Sogni tormentati. Di certo non sogni con coniglietti e roselline. Non facevo sogni del genere da un po'. Da quel giorno.

**inizio sogno, agosto di quell'estate**
Il sole brillava alto. Il caldo insopportabile mi toglieva il fiato e l'asfalto non faceva che peggiorare la situazione. Pur indossando un paio di pantaloncini e una canottiera soffrivo il caldo record di quei giorni, troppo per una città fredda come New York. I grattacieli parevano ancora più scuri e minacciosi del solito, il riflesso di quella luce accecante sulle vetrate le faceva sembrare di ceramica, tant'erano bianche. Ma, sullo sfondo, il cielo si era fatto scuro e tempestoso. Le nubi preannunciavano un temporale estivo coi fiocchi. 
Camminavo tranquilla per la strada, godendomi quegli ultimi momenti di sole nel caos cittadino, quel caos che mi faceva sentire a casa. Nulla mi turbava e pensavo che nulla mi avrebbe turbato mai. Mi fermai un secondo per constatare quanto lontano fosse il temporale. Abbastanza, avevo tempo un'oretta circa, probabilmente avrebbe aggirato la città, oppure si sarebbe potuto fermare a metà strada, senza neanche rinfrescare la Grande Mela. 
Imboccai una stradina laterale com'ero solita fare per allungare un po' la strada per arrivare a casa. Nico non era ancora tornato dalle vacanze a Los Angeles e sarei rimasta a casa da sola fino a mezzanotte, momento in cui mia madre sarebbe tornata dall'ospedale. Non era una prospettiva allettante. Non c'era nemmeno una mia amica in città. Tutte partite per il campo estivo. Avrei potuto chiamare Zoe, ma mi pareva di ricordare che quel giorno fosse in gita con sua madre. Ero sola.
Stavo andando per la mia strada, quando un ragazzo che aveva più o meno una ventina d'anni, con i capelli neri e lisci e un occhio coperto da una benda mi chiamò.
-Ciao- mi fissava da testa a piedi. Le labbra sottili si aprivano in un ghigno sprezzante e furbo. Lo conoscevo fin troppo bene. Era un tirapiedi di Castellan.
Ethan Nakamura.
-Bianca Di Angelo...?- alzò il sopracciglio dell'occhio buono quasi per accertarsi di trovarsi di fronte alla persona giusta.
-Come fai a conoscermi?- ero abbastanza confusa, la maggior parte delle persone non mi considerava granché.
-Ho le mie fonti...-disse, aprendo le labbra in un sorriso tutt'altro che rassicurante.
Pian piano si stava avvicinando a me e io, meccanicamente, mi allontanavo da lui. Mi metteva parecchio a disagio trovarmi davanti a un ragazzo che conoscevo per reputazione (neanche una delle migliori) che ti guardava come se fossi la colazione.
-Stammi lontano-dissi decisa.
-Che c'è? Hai paura?- non risposi, mi limitai ad allontanarmi finché le mie spalle non toccarono il muro di mattoni rossi e ricoperto di muschio, lui di fronte a me si ergeva statuario con il solito ghigno sul volto magro. Con un rapido scatto cercai di svoltare l'angolo ritornando sulla stradina secondaria, per poi correre verso quella principale. Stavo per riuscirci quando lui mi afferrò il polso con una stretta ferrea e mi trascinò in fondo al vicolo cieco che era costituito da una piccola intercapedine buia e che sapeva di fogne che si apriva tra due palazzine pressoché disabitate.
-Lasciami andare!-Urlai con le lacrime che mi rigavano già il volto. Lui in tutta risposta mi tirò uno schiaffo. Il dolore delle cinque dita impresse sulla mia guancia mi fece smettere di parlare e, per un secondo, anche di respirare.
Mi gettò addosso alla parete ruvida della palazzina e cominciò a baciarmi. Le sue labbra screpolate sulle mie mi fecero tremare, le sue mani che vagavano sotto la canotta mi fecero irrigidire. Non reagivo. Il mio corpo si rifiutava di compiere un qualsiasi movimento per allontanarlo, sembrava scollegato, la paura stava avendo la meglio. Le lacrime cominciarono a bruciare, ad uscire dagli occhi. Facevano male, più di quella sberla, più di un pugno in pieno viso. Cominciò a baciarmi la linea del collo, con la mano cominciò a percorrermi la spina dorsale, fino alla base della schiena e, infine, sulle coscie. Infilò la mano sotto i pantaloni e cominciò a giocherellare con il bordo degli slip, cominciai a singhiozzare e a tremare.
-E ora? Hai paura?-chiese con voce sprezzante. Io singhiozzai più forte, cercando di nascondere il viso. Avrei avuto paura a vederlo in faccia, il suo sorriso beffardo di chi stava per riscattare un premio.
-Lo so che lo vuoi...-mi sussurrò roco all'orecchio. 
-Ma ti pare?!-il sarcasmo, con tutte le situazioni più adatte, mi uscì proprio in quel momento.
Cercai di urlare, ricevendo un altro ceffone. Poi cominciò a slacciare i pantaloncini e ad abbassarli insieme agli slip. Si mollò i pantaloni e mi alzó da terra facendomi sbattere contro il muro, di nuovo. Cominciò a spingere violentemente. Le lacrime mi uscirono senza vergogna,  non bruciavano più. Era la paura che mi stava pervadendo in quel momento, non l'orgoglio. A ogni spinta le mie spalle grattavano sul muro ruvido, era come usare la carta vetrata come lenzuola. Lui spingeva e ansimava, io piangevo per il dolore e perché, con tutte le ragazze che c'erano al mondo non pensavo potesse capitare proprio a me. Il macigno che mi sentivo dentro era paragonabile a quando da bambino hai fatto qualcosa di brutto ma non vuoi dirlo alla mamma, solo che la cosa brutta mi era capitata e il mio macigno aumentava con la consapevolezza che la mia verginità era ormai andata e sepolta. Mi accorsi che aveva smesso perché le spalle non grattavano più contro il muro e i miei piedi toccarono violentemente terra. Lui corse via. Io mi tirai su tutto, poi me ne andai, anzi, scappai: meno ricordi avevo meno potevo soffrire.
**fine sogno**

Mi svegliai tra le lacrime, la porta aperta e Percy e Nico che mi fissavano preoccupati.
-Cosa c'è Bianca?-il volto di mio fratello era teso, gli occhi spalancati pieni di preoccupazione.
-Come mai siete qui?-non sapevo cosa era successo, cos'avessi fatto durante il sonno. Avrei potuto distruggere il palazzo e non accorgermene.
-Hai urlato, due volte. E stavi singhiozzando.-spiegò Percy confuso. A quanto pare non aveva mai avuto a che fare con certe situazioni. Nico ormai da quando era tornato da Los Angeles era a contatto con questi miei incubi quotidianamente. 
-Niente, era solo un brutto sogno...un incubo, terribile. Vado a farmi un giro, magari mi schiarisco un po' le idee-risposi, più sicura di quanto in realtà non fossi.
-Credo sia una buona idea.-acconsentì Nico-Ma tra un'ora a casa. Non di più.
-Dai Nico, ti comporti come un papà affettuoso!-scherzai, recuperando un po' di tranquillità. Ma lui non era per niente tranquillo. Il suo sguardo era grave.
-Bianca, non sto scherzando. E non pensare che sia finita qui. Dovrai dirmi tutto quando torni, non sei te in questo periodo.-detto questo uscì dalla stanza.
Mi avviai verso il bagno, una stanza quadrata grande appena per una persona. Mi sciacquai il viso e mi riavviai i capelli rifacendo la treccia. Tolsi il tratto che avevo messo la mattina, o quel che ne era rimasto, e mi truccai di nuovo. Dovevo coprire quelle orribili occhiaie che mi ritrovavo. 
In quel periodo, oltre che mangiare quasi nulla, dormivo poco o nulla. Gli incubi mi perseguitavano. Nessuno sapeva, nemmeno Nico o mia madre, che ormai condividevano con me quelle notti insonni. Più Nico che mia madre, alla fine lei  veniva sempre convinta da mio fratello di tornarsene a letto. Doveva lavorare. 
E intanto Nico passava le notti ad abbracciarmi e a consolarmi, mentre io piangevo e urlavo. 
Passai un po' di mascara sulle ciglia per poi prendere la giacca e la borsa e uscire.

PoV Annabeth
Ero seduta al tavolo di un piccolo bar all'incrocio di due vie. Le vetrine ai lati del bancone esponevano pietanze di ogni tipo. All'angolo uno scaffale metteva in mostra cioccolatini, confetti, caramelle, liquirizie, infusi... Qualsiasi cosa potesse metter fame alle persone che lo guardavano. I tavolini, le sedie e i mobili erano moderni, invece le pareti erano di un color oro un po' pacchiano. Due lati del locale erano costituiti da vetrate che davano direttamente in strada. Era strano, sembrava di essere fissati. Ma, in fondo, era tutto buonissimo e costava anche poco. Il posto perfetto per chi come me doveva vivere con quei pochi soldi che i genitori gli mandano per il mantenimento. 
Silena entrò di corsa e si guardò in giro per cercarmi e io la salutai con la mano per farmi vedere.
Prese posto di fronte a me e mi salutò. Mi aspettavo una qualsiasi reazione da parte sua, ma niente.
-Volete ordinare?-chiese cordiale una giovane cameriera. Sul viso aveva un sorriso sincero e i capelli scuri erano ben raccolti in una crocchia, lasciando libero il viso magro e dolce.
-Possiamo avere un altro minuto?- chiese Silena.
-Certo, intanto vi porto i listini.
Ci portò un libretto con la lista del cibo e delle bevande. Vi era scritta un'enorme quantità di cose, la scelta era sempre stata ardua.
-Allora, racconta!-dissi curiosa e un po' frastornata mentre ancora guardavo il listino. Sembrava che non avessi mai fatto una scenata in sala mensa.
-Allora, hai presente Beckendorf?-mi chiese con visibile agitazione.
-Come potrei dimenticarlo?-dissi trattenendo a stento una risata. Me ne aveva parlato tanto quell'estate, ogni volta che lo incrociavamo per strada rischiavo di perdere un braccio, tanto me lo stringeva. Quel tipo, per tutto il tempo, non si era accorto dell'enorme cotta che lei aveva per lui. E la cosa era reciproca.
-Ecco, mi ha chiesto di uscire! Sabato sera mi viene a prendere, poi non so... Tu non hai idea di quanto io sia agitata!-alzai lo sguardo dal listino per scorgere il suo viso diventato ormai di un rosso che faceva concorrenza ai capelli della Dare.
-Anche io esco sabato con Luke, potremmo fare un'uscita in quattro!-dissi prima di rendermi conto di ciò che avevo detto. Il viso di Silena si incupì e appoggiò con cautela il libretto sul tavolo.
-Ascolta, riguardo questa cosa di Luke...-fu interrotta dalla suoneria del suo cellulare.
-Ehm... Pronto?... Sì... Sì... Certo... Ma ti ha detto dove andava...? Sì, ho qualche idea... Certo... A dopo.-la sua faccia si era fatta man mano più cupa.
-Chi era?-chiesi confusa.
-Era Nico. Mi ha chiesto di andare a cercare sua sorella, ha detto che è appena uscita per fare un giro ma non è, secondo lui, nelle condizioni migliori. Ho una qualche idea sul dove sia, ma non sono sicura. Ascolta, prendo due caffè e poi andiamo a cercarla, mi sembra brutto uscire senza aver preso niente.
Annuii. Lei si allontanò con la borsa e disse qualcosa al signore dietro al bancone che gli diede i due caffè. Lei pagò e si diresse verso l'uscita. Io la seguii.
-Andiamo?-mi chiese porgendomi uno starbucks. Annuii per la seconda volta in segno di consenso e la seguii in cerca di Bianca Di Angelo.

Spazio Autrice
Eccomi tornata! Solo per voi un capitolo un po' sconvolgente ;D a parte gli scherzi, spero vi sia piaciuto e ringrazio tutti quelli che seguono la mia fanfiction, in particolare Biankina1 e LilyMP che recensiscono sempre e Hope Save Me per i consigli. Continuo a 2 recensioni... Scherzo, continuerò comunque a pubblicare capitoli anche se ce ne saranno di meno, così, per rompervi un po' le scatole :D Spero di aggiornare presto, 
OurChildhood 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


PoV Annabeth
I piedi mi facevano male per quanto avevamo camminato. Ci stavamo allontanando dal centro di Manhattan, dirette a nord. Mano a mano che ci allontanavamo dal Midtown gli edifici si facevano sempre più fatiscenti finché tutto non cominciò ad essere grigio e trasandato. Troppo.
-Benvenuta nel South Bronx, la zona più malfamata di New York.-disse Silena con un tocco di ironia nella voce. Sembrava a disagio, anzi, lo era. Anch'io, d'altronde, mi chiedevo come Bianca potesse essere finita in un posto del genere. Nemmeno i miei genitori si erano sognati di trovarmi un appartamento in quel luogo. 
Già sentivo la voce della mia matrigna che diceva:"Sebbene lì gli appartamenti costino di meno avremmo speso altrettanti soldi per l'abbonamento dell'autobus. E non ho intenzione di diventare nonna alla mia età di un bambino senza padre. Sono troppo giovane e non ho soldi da spendere per i tuoi comodi." 
Sì, probabilmente avrebbe detto esattamente questo. 
-Perché dovrebbe essere venuta qui?-chiesi spaesata. Tutto era così paradossale in quel luogo che mi era difficile comprendere come qualcuno potesse pensare di viverci. O di recarcisi per un qualsiasi motivo.
-Mi aveva detto tempo fa che quando era nervosa andava in un parco un po' trasandato. Non mi ha mai detto però il luogo preciso.-mi rispose guardandosi in giro con gli occhi socchiusi come per scorgere qualcosa in lontananza.
-Sai per certo che questo parco sia nel Bronx?
Scosse vigorosamente la testa.
Perfetto, molto rassicurante.
-Almeno lo conosci il Bronx?-il mio tono era decisamente preoccupato e ansioso. Non sono mai stata una ragazza tranquilla, forse per via dell'iperattività.
-No.-la risposta di Silena mi fece tremare da testa ai piedi. Un "no" secco non era propriamente ciò che mi aspettavo come risposta. Soprattutto in un luogo come quello e in una situazione come quella. Mi uscì un'improvvisa risatina isterica, segno che avrei avuto un crollo nervoso di lì a poco o avrei rischiato di uccidere qualcuno. 
Come Silena, per esempio.
Rincominciai a guardarmi attorno per controllare se c'era un parco o qualcosa di simile intorno a noi o se comunque riuscivo a scorgere Bianca. Nulla.
Cominciai a canticchiare una canzoncina per calmarmi, ma non facevo che peggiorare il mio stato emotivo. 
Ci addentrammo sempre di più in quelle strade asfaltate e piene di buche. 
Gli abitanti del distretto girovagavano intorno a noi, guardandoci storto. La maggior parte possedeva vestiti trasandati e portavano con sé bottiglie di birra. Le palazzine erano fatiscenti, sembravano costruite di materiali scadenti e senza nessun rispetto delle norme costruttive. In parte ad alcuni palazzi con l'intonaco scrostato erano costruite villette anch'esse fatiscenti, con i vetri rotti e piccoli giardini racchiusi in staccionate con la vernice scrostata e ricolmi di spazzatura e scatoloni.
Le intercapedini tra le varie abitazioni erano talmente anguste e buie che avrebbero potuto nasconderci un cadavere e nessuno se ne sarebbe accorto. L'acqua sporca correva ai lati della strada e dai tombini usciva un terribile odore di fogna. 
-Qui non c'è nessun parco Silena...-dissi ansiosa. I miei occhi saettavano da un lato all'altro della carreggiata, se così si poteva chiamare, e notai che i ragazzi ci fissavano.
-Mi sembra di non essere vestita.-sussurrai a Silena.
-Anche a me. Tieniti stretta la borsa, ci sono dei borseggiatori in circolo.
Come d'impulso strinsi i manici tanto da far diventare bianche le nocche delle mani. Stavamo vagando ancora senza meta quando un signore sulla sessantina si avvicinò. 
Sembrava benintenzionato ma questo non mi rassicurò, anzi, strinsi ancor di più la borsa portandomela davanti al petto. 
Lì avevo tutto: un po' di soldi, il cellulare, le chiavi di casa, documenti e sì, anche un libro. Non mi separavo mai da quel libro, in qualsiasi circostanza me lo portavo dietro a volte suscitando qualche risata dai miei "amici". Quelli di San Francisco. Quelli che non erano nemmeno venuti a salutarmi alla mia partenza.
-Andiamocene, ti prego.-le sussurrai. Era troppo orgogliosa per ammettere di aver sbagliato. Si fermò all'improvviso, i piedi puntati a terra e la testa alta.
-Mi scusi, mi saprebbe dire se ci sono parchi... In zona?
-Sì, più avanti c'è una stradina laterale sulla sinistra. Cinquecento metri e c'è un parco per bambini chiuso per pericolo. I giochi erano scassati e troppo pericolosi per dei bambini. In più dei ragazzi hanno monopolizzato quel luogo rendendolo inaccessibile. Chi cercate?
Pian piano il suo sguardo si era fatto sospettoso. Aveva inarcato un sopracciglio bianco accentuando ancor di più le rughe sulla fronte
-Una nostra amica. Si è... Persa?
-Ah, certo...-disse voltando le spalle e andandosene-Tutti questi giovani che si inventano scuse per andarsi a comprare della droga.
Gli occhi di Silena erano sbarrati, la bocca leggermente aperta e le sopracciglia che per poco non toccavano l'attaccatura dei capelli.
-Siamo sicure che sia qui?-chiesi preoccupata. Non poteva essere realmente lì.
-Non mi aveva mai parlato di spacciatori e tossicodipendenti... Ma penso che sia qui.
Si era leggermente ripresa riprendendo il cipiglio severo di poco prima. 

Zeus salvami

Mi sentivo spacciata. E no, non è un gioco di parole. Non è proprio il massimo sapere di dirigersi dritta dritta verso un luogo di ritrovo di drogati.
Silena decisa cominciò a camminare verso la stradina che ci aveva indicato l'anziano, io la seguii controvoglia. Sarei scappata.
-Giuro che se non è là ti ammazzo.
-Tranquilla, so ciò che faccio. Credo, almeno.
__________________________________________

Quel parco era decisamente pericoloso. C'erano siringhe ovunque, i giochi erano rotti e arrugginiti.
Gli alberi erano alti, probabilmente non erano stati potati da anni, e oscuravano quel po' di luce che riusciva a passare attraverso le nuvole che poche ore prima avevano donato una fredda pioggia autunnale. Il terreno era umido e ricoperto di erba secca spianata alla bell'e meglio per facilitare il passaggio. Si intravedevano le impronte di scarpe e scarponi dirigersi in tutte le direzioni ma, per ora, tutto era deserto.

Desolazione, inquietudine e trascuratezza.

Questa erano le prime parole che mi venivano in mente guardando quel posto. Vi era un forte odore di muschio, fango e acqua stagnante che mi fece correre un brivido giù per la schiena. Mi portai la mano al naso per impedire che l'odore arrivasse forte alle mie narici.
Il parco era abbastanza piccolo, più o meno cento metri di lunghezza e altrettanti di larghezza. 
Uno scivolo, rotto a metà della discesa a causa della ruggine, si trovava alla sinistra dell'entrata. Poco più avanti si trovava un quadro svedese con quasi tutti i pioli rotti o mancanti. In parte un cestino ricolmo di spazzatura che sembrava stare là da anni. 
Verso il centro del parco l'altalena con le catene spezzate e, in parte ad essa a debita distanza, un'altra altalena, una di quelle in cui vai in due. Poi delle panchine con la vernice scrostata e con dei listelli rotti e, all'estrema destra del giardino, un po' nascosti dagli alberi, i "cavallini". 
Mio papà mi ci faceva sempre salire sopra quando ero piccola e io, ingenuamente, facevo finta di essere un'amazzone. Erano la mia giostra preferita.
Lì, seduta sopra, una figura scura. Facevo fatica a mettere a fuoco, la luce era quasi inesistente.
-Bianca!-tentò Silena. La figura si girò lentamente, lunghi capelli scuri ondeggiarono nel vento. Poi il viso bianco mi fece sussultare, sembrava un fantasma.
-Si...Silena?-chiese la voce della figura in tono esitante e interrotta dai singhiozzi.
Quella era la voce di Bianca, con quel tono materno decisamente triste, disperato, che mi fece trasalire. 
Era una voce strozzata da qualcosa, qualcosa che sembrava più grande di quella piccola donna, molto più grande, ma che lei si ostinava a trasportare sulle spalle, logorandosi.
Una lacrima solitaria cominciò a scorrere sulla mia guancia leggermente abbronzata, forse capendo in parte perché Bianca sembrasse malata e fragile. 
Qualcosa la stava bruciando da dentro, qualcosa che l'avrebbe portata all'autodistruzione. In quel momento la compassione si fece strada dentro di me. In quel momento capii che lei era più simile a me di quanto non pensassi.

Un'altra lacrima.

Cominciammo a camminare verso di lei che, singhiozzante, si era portata le mani sul viso. I capelli neri erano leggermente arruffati nella treccia, come se un soffio di vento glieli avesse scompigliati tutti. Le gracili spalle erano ricurve all'interno, quasi a proteggersi da qualcosa di inesistente.

Altra lacrima.

Ormai le eravamo accanto. I gomiti erano appoggiati sulle ginocchia ossute. Lei singhiozzava disperata, noi cercavamo di confortarla, senza risultato. Dopo molte suppliche riuscimmo a farle togliere le mani magre dal viso incavato, dove il mascara che le era colato sulle guance evidenziava ancor di più gli zigomi. Le appoggiai la mano sulla spalla magra, magrissima. Troppo perfino per una ragazza piccola come lei. Poi capii quale fosse il male che la logorava, anche se la causa rimase un tabù.

E le lacrime uscirono impetuose.

~Spazio autrice~
Ed ecco a voi (con un grande ritardo) il capitolo 6! Scusatemi, ma questa settimana sono stata davvero molto impegnata, ho avuto molti compiti in classe e, come se non bastasse, la mia prof di italiano ci ha dato un libro da leggere per il primo marzo (e dovevo passarlo a una mia compagna di classe)... Un casino, insomma. 
Per questo il capitolo è un po' corto e perdonatemi gli errori grammaticali e di battitura, l'ho scritto il più velocemente possibile. 
Volevo ringraziare ancora tantissimo chi segue/preferisce/recensisce la mia storia! Siete dei tesori :D  Grazie anche ai lettori silenziosi...
Una sola cosa... Volevo sapere che ne pensate della storia... Quindi... Una piccola recensione me la lasciate? Soprattutto se avete qualche consiglio per migliorarla, ne sarei molto felice!
A presto!
OurChildhood

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Nota:
Mi scuso con tutti per avere aggiornato solo ora, ma l'ispirazione se n'è andata a crucioland e io sono rimasta ad aspettare l'illuminazione. Venerdì avevo finito il capitolo ma il computer me l'ha cancellato **maledice la stupida tecnologia Babbana**. Ok, non so che cavolo sia successo. Spero solo vi piaccia.
Per farmi perdonare ringrazio TUTTI quelli che hanno recensito e seguono/preferiscono/eccetera la mia storia. Quindi ringrazio:
Alysheart
Annabell_baxer
crazysadgyrl
giadina23
Greenheart
Hahahahaha
Hope Save Me
Konifan
Memi_
Piccola iena
Poky_kat_granger_jackson
Sarah_Abel
sofiamarzocchi
Winter96
zolletta di zucchero_21
Ale_mellark
luciaventurini
xXLarryXx
Alex11
badangel_99_
Biankina1
CremisiSlytherin
Dorov
EmilyJackson
GoldenEFP
Inkenheart
James Carstairs
LittleCobaltThings
love libri
nicki96
perchabeth
Poseidonson97
SialeTheCat_13
simpleplanvale
_ciasteenpiepah_
LilyMP
Ema_Joey
Zoe Jackson
Ramosa12
Giuly sapientona 2000

Bacioni
OurChildhood

PoV Annabeth.
Quel pomeriggio avevamo portato a casa una Bianca tutta tremante.
Di quel "ritorno a casa" ho delle immagini annebbiate e a sprazzi. Ricordo il volto colpevole di Bianca mentre Nico la abbracciava, era tremendamente preoccupato.
Ma ho un ricordo vivido nella mia mente. Due occhi verdi come le alghe del mare che mi scrutavano intensamente, forse per capire se fossi o meno sincera. Forse per capire chi sono io in realtà, ma non lo sapevo nemmeno io. Forse cercava di capire a che gioco stessi giocando. Non lo so. So solo che cercavo di non affogare nel suo sguardo.
Dopo poco però me ne andai con la scusa più banale, seguita a ruota da Silena. 
Appena uscite dal condominio dove abitava la famiglia Di Angelo quando ci fermammo ad ammirare lo spettacolo che il cielo ci stava regalando. 
Il tramonto tingeva tutto di mille sfumature, dal giallo del piccolo spicchio di sole che si intravedeva dietro ai palazzi neri, all'arancione più carico, passando poi a un rosso scarlatto e, in seguito, a un viola scuro, per poi arrivare al blu notte che, sopra la nostra testa, era così scuro da sembrare più nero del tartaro.
Proposi a Silena di mangiare da me.
«Ho delle pizze nel freezer. Posso scaldarle.»
«Va bene» rispose guardando il cielo «ma risparmiami la tortura di vedere uno dei tuoi soliti documentari.»
Ridendo, giungemmo al mio appartamento e, nel momento in cui aprii la porta assistetti all'urlo più tremendo che si possa immaginare.
«Questo disastro, Annie! Come puoi vivere in questo caos?! Tu prepara le pizze, io pulisco!»
Da maniaca dell'ordine qual era, cominciò subito a raccogliere carte e cartacce dal pavimento, cercando di creare un po' di decenza, se proprio ce ne potesse essere.
Io, invece, entrai in cucina che, a differenza del soggiorno, era in ordine. D'altra parte io non ero una grande cuoca e quell'estate la maggior parte dei pranzi e delle cene li avevo passati da Silena che, dopo quell'incontro casuale, si era subito affezionata. Così lei mi trascinava-o invitava, come diceva lei-a casa sua.
Non che mi dispiacesse, anzi.
Con il libretto di istruzioni in una mano e una pizza nell'altra scoprii la funzione "scongelamento" del microonde. Dopo dieci minuti buoni le pizze erano in forno e diffondevano un buon profumino per la stanza.
Tempo quindici minuti e la cena era in tavola. Chiamai Silena che, nel frattempo, aveva finito di mettere in ordine e si era concessa il lusso di accendere il televisore e cominciare a fare zapping per i canali, comodamente accoccolata nel divano.
«La cena è servita!» urlai.
«Alla buon'ora, stavo morendo di fame!»
Il tavolo era apparecchiato e la radio accesa dava il pezzo preferito di Silena. Una tortura. Cominciò a cantare a squarciagola, rompendomi i timpani.
«Ti prego, smettila!» la pregai.
Lei, ridendo si sedette a tavola e cominciò, come a suo solito, a parlare come se non ci fosse un domani. In cinque minuti riuscì a cambiare argomento ben cinque volte: Beckendorf, il corso di teatro, Beckendorf, la pizza che faceva schifo, gli occhi di Beckendorf, scambio culturale a metà anno.
«Cosa?!» esclamai, incredibilmente interessata.
«Non lo sapevi? Talia ne ha parlato tanto oggi a pranzo...» ma si fermò di colpo, intuendo cosa stava dicendo.
«Annie, secondo me sbagli. Dovresti rivalutare questa cosa di non frequentarci più.. Insomma, gli altri ci tenevano, avevo parlato loro molto di te... Perché dai ascolto a quell'altro?»
Come per un tacito accordo, non nominò nessuno, forse lei nemmeno voleva nominarlo.
«Insomma, tutti ci tenevano a conoscerti, erano tutti eccitati all'idea, in particolare Perc...»ma si bloccò all'improvviso per essersi fatta scappare un nome. Mi guardò un secondo, prima di scoppiare a ridere.
Mi ero irrigidita tutta, sentivo le guance andarmi a fuoco.
«In certe occasioni è davvero un peccato non avere la macchina fotografica! Annie, sei tutta rossa! Beh, dai, ti capisco. Percy non è male ma... Non stavi con Luke?...Merda.»aveva fatto ancora nomi.
Gli occhi cominciarono a riempirmisi di lacrime.
«Lascia perdere. Ti prego, piuttosto parlami dello scambio a metà anno.»
La cena proseguì in silenzio e dopo una mezz'ora, Silena disse che doveva andare. 
La accompagnai alla porta quando mi disse:«Parla con gli altri. Ci sono rimasti un po' male, ma ti prego, fallo. Soprattutto a lui, ci teneva davvero.»
Poi se ne andò.

Inutile dire che la notte non dormii.

PoV Percy
La sveglia suonò fastidiosa, l'alba del secondo giorno si era già alzata da un po'. Aprii la finestra, il sole scaldava moltissimo, quella mattina ci sarebbe stato caldo a dispetto della giornata precedente. Mi preparai e scesi in cucina, senza avere però fame.
«Fai piano, tua madre sta dormendo» disse il mio patrigno mentre cercava invano di fare un nodo decente con la cravatta. Dopo un paio di tentativi decise di cambiare tattica. Sopra i jeans scuri e la camicia non indossò giacca e cravatta, ma un semplice giubbotto in pelle.
Prese le chiavi della Prius e insieme ci dirigemmo verso il garage senza mangiare. Imboccata la strada, ci vollero solo pochi minuti per arrivare a scuola. 
Scesi dalla macchina e mi diressi verso il grande cortile scolastico. Mi fermai poi due secondi per vedere dove fossero i miei amici. Due secondi fatali.
«Buongiorno pazzo schizoide che ha cercato di uccidermi con una penna!» disse un turbinio di capelli rossi venendomi incontro.
«ancora con quella storia?! Sarà stato un sacco di tempo fa... Anni...»
«È stato l'anno scorso, genio!» disse ridendo. 
Uno a zero per Rachel.
«Ok, te la do buona per stavolta. Aggiornamenti Dare?»
«Uno! Una splendida ragazza vorrebbe uscire con te!»
In un attimo di follia mi balenò in mente una chioma bionda e un paio di occhi grigi. Poi mi diedi dello stupido. Non mi parlava neanche.
«Chi?»
«Sul serio...? Una bellissima ragazza dai capelli rossi e ribelli e due grandi occhi nocciola...»
Sbuffò, probabilmente vedendomi in difficoltà.
«Io genio!» mi canzonò ridendo. Io arrossii violentemente, poi ripresi pian piano il controllo e le dissi:«Probabilmente sono stato portato fuori strada dall'aggettivo "bellissima"... Ma usciamo insieme solo come amici, vero? Come due comunissime persone che vogliono passare una serata insieme».
«Vada per un appuntamento normale e due persone normali. Ma se ipoteticamente, se queste due persone si piacessero, che cosa ci vorrebbe per spingere lo stupido ragazzo a baciare la ragazza, eh?»
Di nuovo in fiamme, lei rise.
«Ci vediamo venerdì sera alle otto...» disse lei trattenendo una risata. Poi mi diede un bacio sulla guancia e se ne andò. 
E così sarei dovuto uscire con Rachel. Non che mi dispiacesse, era simpatica e carina, ma non era ciò che era più giusto con me.
"Hai ragione, per te è giusta una ragazza bionda con gli occhi grigi. Il suo nome inizia con la A e, per renderti più facile il compito di capire chi sia, ti dico che finisce con Nnabeth..." disse una vocina che assomigliava molto a quella di Nico dentro la mia testa.
«Perfetto, ora ho anche una voce-Nico a farmi la predica»dissi un po' troppo ad alta voce.
«Compra il pranzo a Nicoooo!» disse una "voce-approfittatrice" dietro le mie spalle.
«Hai ragione, se lo merita. Grazie voce nella mia testa.»risposi stando al gioco.
«Sul serio?! Cioè... Glielo comprerai?»disse la voce scettica.
«Certo! Se non fossi così stupido come credi che io sia in realtà.» poi mi girai.
Il suo sguardo era incomparabile. Sopracciglia aggrottate e bocca aperta a "o", confusione pura.
«Ti sembra il caso? Scopro che la mia coscienza ha la tua voce e tu ne approfitti per dirmi di comprarti il pranzo?»
Lui in tutta risposta rise.
«Dov'è Talia?»chiese. Adesso ero io a trattenermi dal ridere. Erano sempre insieme, quei due.
«Non lo so, credo che debba ancora arrivar...»
Mi incantai. Davanti a me, seduta su una panchina di pietra, Annabeth leggeva un grosso libro. "Ma non era dislessica?" Pensai. Poi notai come i suoi occhi grigi avanzassero a fatica in quelle pagine che la impegnavano in una lettura profonda.
I capelli erano legati in una coda disordinata e riflettevano una luce dorata al sole. Non si sforzava nemmeno di essere bella, ma lo era.
Le braccia scoperte e leggermente abbronzate vennero subito cinte da un braccio possente. Luke.
Subito qualcosa mi prese allo stomaco e mi trascinò giù, qualcosa che mi dilaniò dentro.
Venni poi riscosso dal suono della campanella che ci invitava ad entrare. Entrai velocemente a scuola per allontanarmi il più possibile da quella scenetta vomitevole.

PoV Clarisse
Mi stavo dirigendo verso l'aula della lezione quando una voce mi raggelò il sangue.
«Clarisse La Rue! Ci si rivede eh?»
Chris Rodriguez. La mia maledizione, il mio inferno ma anche il mio paradiso. Tirapiedi di Castellan, il ragazzo più arrogante che abbia mai conosciuto, ma anche l'unico che mi abbia mai fatto innamorare perdutamente.
Dall'animo dannato, un cuore che molte hanno ambito ma che lui costruisce gelosamente per sé. Forse impossibile da raggiungere. Ricoperto di un'armatura di ferro e odio, solo lui riesce a leggerci dentro anche se a volte nemmeno lui sa cosa vuole.
«Rodriguez.» Il mio saluto carico di diffidenza non lo fece demordere, anzi, lo spinse ancor di più nel suo intento. Farmi perdere le staffe.
Perché lui in un qualche modo era venuto a conoscenza delle mie più terribili ossessioni. L'orgoglio e sé stesso. Ed erano proprio le mie ossessioni a rendere il mio autocontrollo così precario.
A lui bastava solamente provocarmi.
«Perché così apatica, Clarisse? Siamo di cattivo umore?»disse arrivandomi a fianco e mettendomi un braccio attorno alla vita. 
Quel semplice tocco mi fece tremare da testa a piedi e allo stesso tempo imprecare per essere così debole.
"Solo un ragazzo. È solo un ragazzo, per di più stronzo che ti vuole far del male."
Autocontrollo, era questa la parola d'ordine. Contare fino a dieci era troppo poco, soprattutto con lui così vicino, ma dovevo smetterla di tremare come una foglia. Non era così che si comportava una vera combattente e io lo ero.
«Non toccarmi» dissi con una sicurezza che non ambivo nemmeno, tanto ero presa dalle emozioni.
Si avvicinò al mio orecchio e mi provocò con voce roca:«Come mai così indifferente nei miei confronti, eh? Hai paura che gli ormoni prendano il sopravvento qui davanti a tutti?»
Mi irrigidii. Mi stava attaccando, stava ferendo il mio orgoglio utilizzando le due carte migliori: il mio debole per lui e il mio scarso autocontrollo. Ma dovevo prendere le distanze, stargli così vicino faceva male da morire. Ma lui cercò di trattenermi e io sferrai il colpo.
La mano partì quasi automaticamente e non feci nemmeno in tempo a vederla che aveva già raggiunto la sua guancia e gli aveva lasciato l'impronta della mano sulla guancia olivastra. Lo schiocco rimbombò per il corridoio silenzioso, tutti stavano assistendo quieti alla scena con attenzione maniacale per poi iniziare a spettegolare sulla mia ennesima perdita di pazienza con risvolti violenti.

Poi il colpo.

Non era uno schiaffo o un pugno. Il colpo che subii fu qualcosa di più profondo, che mi colpì al cuore. Per un qualsiasi osservatore lo sguardo che Chris mi stava rivolgendo era un semplice sguardo indifferente, ma solo io capii i suoi veri sentimenti.
Ribrezzo, odio, cinismo, oltraggio, compiacimento, rabbia e, in parte, tristezza. 

Un miscuglio letale per un cuore già spezzato e dilaniato da un amore non corrisposto, da un amore che lottava contro l'odio, l'uno che cercava di sopraffare l'altro.
Un cuore dilaniato che doveva accontentarsi semplicemente di vedere la sua più grande pena da lontano, osservando ammirato il suo sguardo strafottente e così terribilmente misterioso che riusciva ogni volta a rapirlo.

Occhi arsi che cercavano ancora le lacrime per piangere quel cuore che stava per morire, travolto da quell'amore.

E io piangevo per tutto ciò che gli avrei potuto dare, per tutto ciò che gli avrei potuto dire, per tutte le volte che avrei potuto affogare nei suoi occhi senza temere di poter ridurre in brandelli l'orgoglio, per tutte le volte che avrei potuto passare le mani nei suoi capelli senza pentirmene il momento dopo.

E piangevo perché mi stavo innamorando del mio dolore, della mia piaga, del mio inferno. Perché tutto ciò che odiavo era soffrire e io stavo soffrendo terribilmente.
Stavo diventando ciò che ho sempre odiato: amare ciò che ti fa male. Patetico.

E ridevo perché mi stupivo di me stessa. Come facevo ad amare se non riuscivo ad essere in pace nemmeno con me stessa?

E mi odiavo. Mi odiavo per essere stata così stupida da innamorarmi di lui. Mi odiavo per dare così tanto importanza all'orgoglio, la mia trappola mortale, per esso mi facevo odiare dagli altri. Dannato orgoglio. Mi odiavo per essere così sbagliata, una combattente che non combatteva per sé stessa ma per aggredire chiunque si accanisse contro il mio cavolo di orgoglio e contro il mio inutile amore per uno stronzo.
Ero tutto ciò che avevo sempre criticato.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Capitolo 8:

AVVISO: leggete lo spazio autrice

Avevo la bocca che sapeva di bile, avevo passato la notte in bianco, vomitando, con la sensazione di avere un gonfiore al ventre che solo così riuscivo a far passare. 

Era da un po' che lo facevo, non spesso, a volte.
Mi capitava, per esempio, quando mangiavo qualcosa di troppo, o quando mi capitava di ripensare a quel giorno.
La maggior parte delle volte però il gonfiore non si presentava e tutto scorreva tranquillamente. 
Anzi, tutto era una parola grossa. Più o meno riuscivo a sopravvivere, anche se un terribile senso di angoscia e terrore mi attanagliavano lo stomaco 24 ore su 24.

Il sapore di bile e la puzza di vomito mi perseguitavano in quei giorni, anche se li sentivo solamente io. Un peso tremendo mi gravava sulle spalle. Parlarne o no?
Ormai Nico mi assillava chiedendo cosa mi succedesse. Io lo cominciai a capire solo in quel momento.

Anoressia.
Avevo sentito tante volte quella parola, avevo sempre criticato chi si faceva condizionare dal mondo tanto da ridursi ad un ammasso di ossa che cammina.
Ma io lo ero diventata. Ero diventata più magra di quanto potessi immaginare, la notte agitata mi aveva aperto gli occhi.
Camminavo per i corridoi con la terribile sensazione di sentirmi puntata addosso tutti gli occhi, tremendi indagatori.
Nel frattempo il peso sullo stomaco aumentava ad ogni singolo passo finché non mi ritrovai a fissare la tazza del gabinetto, vomitando.
Uscendo mi guardai allo specchio, ritrovandomi per l'ennesima volta davanti al mio orribile riflesso. 
"Sei orribile" mi ripetevo con stanchezza, ma costantemente.
"Guardati, assomigli ad uno scheletro, pallida, con le occhiaie, con quei capelli neri e gli occhi scuri. Sei una ragazza come tante, non sei una che spicca tra la folla, sei monotona. Ti metti in disparte, cerchi sempre di non farti aiutare, hai un orgoglio troppo grande ma un corpo troppo piccolo per sostenerlo. Osserva, chi potrebbe volere qualcuna come te? Nemmeno Talia ti vorrà bene, sono sicura, nessuno te ne vuole. Sei scontrosa e lunatica. Sei solo questo: una stupida lunatica.
In più chi vuoi che stia con te? Con il tuo carattere altalenante, i tuoi momenti di pazzia e quelli di depressione. Chi vorrebbe mai avere a che fare con una ragazza monotona, lunatica e, tra l'altro, autolesionista? Perché non ti vedi? Ti stai solo facendo del male, come se questo bastasse a cambiare ciò che sei..."

«Basta!» urlai con tutta la voce che avevo in corpo.
Poi iniziai a tossire. Una tosse secca e forte che faceva male ai polmoni e alla gola. Mi capitava spesso anche questo. Di tossire, senza nessun motivo apparente, tossire talmente tanto da farmi girare la testa e faticando a respirare subito dopo. A volte avevo momenti di disorientamento. Poi tutto tornava normale, sebbene la fatica nel respirare persistesse. Più o meno tutto il giorno era così. 
Avevo dolori atroci al petto, alla gola, dappertutto. 

Questa volta però continuai a tossire per molto. Non riuscivo a calmarmi, la mano portata davanti alla bocca, le lacrime agli occhi e dolori lancinanti al torace.
Poi qualcosa mi bagnò la mano. Qualcosa di liquido, la bocca sapeva di ferro misto a muco. Guardai titubante la mia mano, temendo di sapere già cosa fosse quella chiazza rossa che mi aveva sporcato la mano.
E continuavo a tossire e a sputare sangue. Non mi fermai nemmeno quando entrò qualcuno in bagno. La voce era distante, non avevo più il respiro, ormai. Non sentii le sue urla. Non sentii nemmeno quando chiamò aiuto.

Poi svenni.

PoV Nico
Il dottore col camice bianco uscì dalla stanza dopo aver visitato Bianca per un'oretta.
«Allora?» chiesi preoccupato, tremendamente preoccupato.
«Ho fatto una radiografia al torace, penso già di sapere di cosa si tratti. Ma prima devo porvi alcune domande.»guardò me e mia madre alternativamente.
Ci fece cenno di seguirlo. Ci disse di stare tranquilli, era di prassi per questi casi un paio di domande, che alla maggior parte aveva già risposto Bianca e che le sue risposte lo avevano indirizzato verso una patologia specifica.
Continuammo a camminargli dietro in un dedalo di corridoi tutti uguali, tutti di quel colore bianco sporco molto simile alla pelle dei malati. Lui continuava a mormorare rassicurazioni inutili, tanto io ero già caduto nel baratro.
Dopo poco ci fece entrare in una stanza quadrata con una scrivania moderna al centro. Era ordinata, dietro ad essa due archivi in metallo dove, probabilmente, erano raccolte le cartelle cliniche.
Appoggiò quella aperta di Bianca sulla scrivania altrimenti vuota, ad eccezione di alcune foto incorniciate, un computer e un portapenne.
«Signora Di Angelo-iniziò-ho sempre sperato di non vederla nel mio studio se non per questioni lavorative. Anzi, non l'avevo sperato, ne ero sicuro. Insomma, chi ha un genitore dottore raramente si ammala»
«Non è detto-negò mia madre-si ricorda quel caso di appendicite del figlio del dottor Brown?»
«Oh, quasi dimenticavo. Mi hanno detto che adesso sta seguendo le orme del padre! Chirurgia plastica...»
«Insomma, ci vuole fare queste benedette domande?!» sbottai.
Il dottore mi guardò con disprezzo, quasi fossi una brutta malattia. Di risposta lo fulminai con lo sguardo.
«Allora-cominciò passandosi una mano tra i capelli neri e brizzolati, poi prendendo una penna e un foglio pieno di appunti, probabilmente le risposte di Bianca-si lamenta spesso di affaticamento muscolare?»
«Ma che razza di domande sono?!-urlai, ricevendo un'occhiataccia da parte di mia madre. Poi mi calmai e ripresi la calma-Solitamente si trattiene dal lamentarsi, ma l'ho vista più volte da un mese a questa parte strofinarsi le articolazioni. Emette dei piccoli lamenti, ma nulla di più. Ogni tanto, quando ha un eccesso di tosse, porta le mani al petto e fatica a respirare.»
Guardò il soffitto con fare assorto, gli occhi blu puntati su un angolo del soffitto, la bocca contratta, le sopracciglia aggrottate facevano apparire più evidenti le rughe appena accennate sulla fronte e a lato degli occhi.
Con una mano poi passò a massaggiarsi la mascella pronunciata, poco prima di porci la seconda domanda.
«Ha mai fumato? O fuma tutt'ora?»
«Mia sorella non fuma.»
Portò gli occhi al foglio, poi a una cartellina che aveva lì in parte.
«Sbalzi d'umore? Disorientamento?»
«Molti sbalzi d'umore, talvolta prova un po' di disorientamento.»
«Si sente male dopo sforzi prolungati o uno sforzo improvviso?»
«Sì, ieri è svenuta a pranzo. Era scattata in piedi improvvisamente, poi si è sentita male. L'infermiera l'ha associato ad un calo di zuccheri.»
«Infermiere scolastiche. Qualcuno potrebbe morire lì tra le loro braccia e direbbero che si tratta sempre di un calo di zuccheri. Non mi serve altro. Ora vi illustrerò la situazione.»
Accese uno schermo luminoso, di quelli che servono per vedere le radiografie.
«Come potete vedere-posizionò il contenuto della cartellina di carta-vi è una zona del lobo sinistro che appare più chiara rispetto alla restante.
La ragazza mi ha spiegato che è da un mese a questa parte che accusa tosse persistente e dolore toracico acuto. Oggi ha avuto un forte tosse, che è stata descritta come roca e forte, seguita da fatica respiratoria e accompagnata con dell'espettorato emorragico. Ha anche spiegato di far fatica a respirare anche durante l'arco della giornata e i respiri sono accompagnati da sibili. Questo può portare a pensare a...»
«...carcinoma polmonare» concluse mia mamma con gli occhi bassi e pieni di triste incredulità.
«Esatto. D'altra parte presenta altri sintomi: vomito, disorientamento, sbalzi d'umore, affaticamento muscolare, dolore articolare... Tutti sintomi di una polmonite.»
«Ma non presenta febbre... Dovrebbe presentare febbre.» aggiunse lei.
«Questa può essere non presente in soggetti affetti da gravi malattie o malnutrizione. E sta di fatto che sua figlia è in sotto peso. L'unica cosa è capire se abbia iniziato a perdere peso per la malattia o per qualcos'altro e che questa perdita di peso abbia portato all'indebolimento delle difese immunitarie. Per essere sicuro devo porre un'altra domanda a tutti e tre. Poi, se non ottengo risposte soddisfacenti dovrò passare a degli esami più accurati per capire cosa sia. Potremmo provare con la tomografia computerizzata o una broncoscopia. Poi si vedrà.»
Dopo questo uscì dalla stanza, lasciandoci in uno stato peggiore di quando avevamo cominciato.

Cupio dissolvi*. Si addiceva bene alla situazione.


Dopo una decina di minuti tornò il dottore con Bianca seduta su una carrozzina.
«Non facciamola affaticare, molto probabilmente dovrà affrontare una broncoscopia.» aveva spiegato senza troppi preamboli il dottore. Mia sorella, in risposta, si agitò di più di quello che sarebbe servito. Mi chiedevo se lei sapesse già.
«Volevo porvi una domanda, in particolare a lei, signorina. Ha per caso subito qualche trauma recentemente? Di un qualsiasi tipo, anche una stupidaggine, potrebbe diventare rivelante. Dica qualsiasi cosa l'abbia turbata, lo psicologo arriverà tra poco.»
«Psicologo?! Io non ne ho assolutamente bisogno!» urlò lei di rimando.
«Signorina, si calmi. Non pensiamo affatto che ne abbia bisogno. Ne ho bisogno io per un'interpretazione più accurata di una sua possibile risposta.»
Ebbe appena il tempo di terminare la frase che qualcuno bussò alla porta.
«Avanti.» lo invitò il dottore. Dalla porta entrò il classico psicologo con la barba e capelli candidi, gli occhi vitrei e il viso magro.
«Buongiorno a tutti, mi sono perso qualcosa?» chiese con voce allegra.
«Nulla, ho solo posto la domanda alla paziente, sa tutti i sintomi e le possibili diagnosi. Ora si tratta di capire, come le ho spiegato al telefono, se ha subito un trauma e se questo può avere avuto conseguenze sul suo piano... Medico. Allora signorina, ha qualche cosa da dirci?»
Bianca strinse i braccioli della sedia a rotelle. Poi iniziò a respirare sempre più velocemente. Quando tutti la pregammo di calmarsi si portò le mani al viso e cominciò a piangere.

PoV Bianca
«Signorina, si sente bene?»
«Le sembra che io stia bene? Ho sputato sangue, vomito in continuazione, sono svenuta tre volte in due giorni, non dormo la notte, mi trovo in ospedale con un dottore e uno psicologo che mi mettono pressione e sono stata violentata da uno stronzo, le pare che io posso stare bene?!»
Era strano come, in uno stato di collera più totale, io fossi riuscita a dire più cose di quante ne abbia mai dette in un momento di serenità. Avevo detto perfino di lui.
«Continui, la prego. Mi dica quando è successo, chi era, cosa le ha fatto...»
«Ma è un pedofilo o cosa?! Adesso mi chiederà quante volte l'ho fatto e con chi o se era la mia prima volta?! Vuole sapere se ho perso peso per questo? Ebbene, se lo vuole tanto glielo dirò. È successo ad inizio agosto, è stato un ragazzo un paio di anni più grande, Ethan Nakamura. Era tardo pomeriggio, stavo tornando a casa per delle vie laterali quando l'ho incrociato e... Ed è successo.-liquidai la faccenda con un gesto stizzito della mano, poi continuai-Da lì mi sono sentita male, soffro continuamente di incubi. Non so per quale assurdo motivo, ma sento di essermelo meritato. Sono stata troppo sciocca da essermi fermata. Me lo sono meritato perché sono un'imbecille, una stupida, una racchia, è stato un modo programmato dalla natura per ricordarmi che sono solo un oggetto insignificante e che questo è l'unico modo per ottenere amore. Poi ho iniziato a pensare che tutti mi odiassero perché ero grassa. Ho iniziato a non mangiare nulla ed eccomi qua, in una sala d'ospedale a sentirmi ancora più stupida di quanto non mi sentissi già.»
Gli occhi di tutti erano puntati su di me. Poi Nico uscì dalla stanza. Non lo biasimavo. Ero solo una pazza.
«Iniziamo con la broncoscopia».

PoV Annabeth
La notizia era circolata per la scuola in tempo record: Bianca Di Angelo era svenuta in bagno dopo aver sputato sangue e ora si trovava in ospedale.

Durante l'ora di pranzo, unico momento in cui ci è concesso usare il telefono, Talia aveva ricevuto una telefonata e, dopo aver parlato con Percy e con un professore che si trovava in sala mensa, se n'era andata. Probabilmente aveva raggiunto Nico in ospedale.

«Ho intenzione di andare in ospedale a trovare perlomeno Nico per sapere come sta sua sorella.» stavo parlando con Luke mentre tornavamo a casa da scuola dopo una giornata strana e movimentata.
Avevo solo voglia di andare a dormire, ma c'era chi stava peggio di me.
«Mi pareva di essere stato chiaro a riguardo ieri.»
«A quanto pare no, Luke.-dissi con ironia-Ma ti rendi conto che si tratta di una ragazza che ieri...»mi trattenni, stavo per raccontare tutto ciò che era successo il giorno precedente.
«Che ieri, Annabeth? Che ieri cosa? Finisci la frase, o hai forse paura di me? Pensi che non sappia che ieri tu e quella puttana della Beauregard siete andati a cercare quell'altra santarellina del cazzo della Di Angelo? Che stronza che mi sono trovato. Doppiogiochista del cazzo.»
«Senti coso, intanto ti calmi. Primo: Silena non è... Una puttana. Secondo: Bianca è stata gentile con me fin da subito, quindi non offenderla. Terzo: io faccio quel che voglio, non sei tu a dirmi ciò che devo fare. In caso quello stronzo sei te, chi ti stai facendo adesso mentre stai con me?» 
Non so il perché di quella domanda, mi aspettavo che mi insultasse dicendomi che non aveva nessun'altra, che l'unica ero io.
Ma mi crollò il mondo addosso quando vidi il suo sguardo di uno colto sul fatto, come un bambino trovato con le mani nel barattolo della nutella.
«Ah, bene. Sai che ti dico? Vaffanculo Castellan. Non farti più vedere.»

Spazio autrice

*Cupio dissolvi=Desidero sparire

Scusatemi ancora una volta per il ritardo :( sul serio, ho pochissimo tempo e per questo vi avviso che d'ora in poi aggiornerò ogni due settimane (se volete il cesto con i pomodori marci è vicino alla porta).
Sul serio, mi dispiace un sacco ma la scuola mi occupa tantissimo tempo e ho un sacco di impegni che non posso disdire.
Passando alla storia, spero vi piaccia il capitolo. C'è stato un gran colpo di scena, spero di avervi svegliati un po', vedo che le recensioni sono calate nel capitolo scorso, vi chiedo di dirmi se c'è qualcosa che non va.
Oggi c'è stata la sfuriata di Annabeth, Luke è stato colto sul fatto... Ma l'appuntamento non è stato disdetto dalla nostra Annie...
**fischietta con fare innocente**
Ringrazio chi recensisce, ha aggiunto la storia tra le preferite/seguite/ricordate e tutte le 147 buone anime che hanno letto lo scorso capitolo :)
Alysheart
Annabell_baxer
crazysadgyrl
giadina23
Greenheart
Hahahahaha
Hope Save Me
Konifan
laragazzacon_unsogno
leo98
Memi_
Mr LooL
Piccola iena
Poky_kat_granger_jackson
Sarah_Abel
sofiamarzocchi
Winter96
zolletta di zucchero_21
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Alex11
badangel_99_
Biankina1
CremisiSlytherin
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EmilyJackson
GoldenEFP
Inkenheart
James Carstairs
LittleCobaltThings
love libri
nicki96
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Poseidonson97
ran1997
SialeTheCat_13
simpleplanvale
Valerinxa
_ciasteenpiepah_
LilyMP
Ema_Joey
Zoe Jackson
Ramosa12
Giuly sapientona 2000

Baci, 
la vostra triste OurChildhood :(

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Capitolo 9:
 
PoV Bianca
Erano passati un paio di giorni da quella visita, ormai era arrivato il venerdì. Mia madre mi veniva a trovare prima di ogni turno, mentre Nico non era ancora passato a trovarmi.
 
«Dov'è Nico?» chiesi con le lacrime agli occhi quando entrò in camera. Mi mancava la mia metà.
«Non è venuto.»
Sul suo volto vedevo tristezza, dispiacere. Sul mio si poteva leggere delusione. Sul mio viso si potevano vedere i segni delle lacrime che, ancora una volta mi bagnavano il viso. 
 
Sulla mia anima si potevano contare i segni della battaglia che combattevo, ogni giorno.
 
«Che aspetta a venirmi a trovare, ad abbracciarmi, a sussurrarmi parole che solo lui può dirmi?! Dove finisce in questi momenti mio fratello? In questo momento ho bisogno di lui più di quanto io abbia bisogno della mia stessa vita. Dov'è?!»
Piangevo, era terribile dover ammettere che mi mancava quel narcisista del cazzo. Era il mio gemello, la mia metà. E lui non c'era.
«È a casa con Talia, lo sai quanto lui sia sensibile. È distrutto. Intanto c'è qualcuno che ti vuole fuori.»
«Lui è distrutto?! LUI? Che dovrei dire io?»
In quel momento entrò la persona che meno tra tutte mi sarei immaginata al mio capezzale.
Per un secondo guardai raggelata e confusa i suoi occhi nocciola. Lui alzò le braccia quasi a difenersi.
«Non attaccarmi, ti supplico.»
Si avvicinò e mi abbracciò. Questo mi raggelò ancor di più. Poi mi sciolsi e gli circondai il collo con le braccia, passandogli una mano tra i capelli castani mai in ordine.
 
Stoll. Travis Stoll.
 
Mi staccai dall'abbraccio, un po' in imbarazzo per quell'improvviso slancio d'affetto.
«Che ci fai qui, Stoll? Che tipo di secondi fini nascondi?»
La mia voce nascondeva frustrazione, lasciando trapelare soltanto la mio grande, enorme, stupore.
«Non posso neanche venire a trovare la mia amica? Da quello che ho sentito avevi bisogno di un po' d'affetto e Super Travis è qui per dartelo!»
Il suo sguardo era carico di energia, gli occhi luccicavano pieni di furbizia non più del solito, ciò mi tranquillizzò.
Non riuscii a scorgere altro che un pizzico di compassione nei suoi occhi profondi. I nostri sguardi non avevano la minima intenzione di smettere di scrutarsi, impegnati nel sondare l'animo dell'altro in cerca di qualche indizio, di un segreto nascosto, di una piccola faglia nel sistema che avrebbe fatto crollare tutte le maschere che indossavamo, se solo sfiorata.
Fui io la prima a distogliere lo sguardo con un pizzico di fastidio e paura allo stesso tempo.
Fastidio per non essere minimamente riuscita a far crollare le barriere di quel ragazzo, sicura che nascondesse qualcosa dietro quel sorriso furbo e quello sguardo altrettanto scaltro.
Paura perché temevo che proprio lui riuscisse a far crollare le mie maschere. 
 
Nessuno sapeva ciò che era successo. O almeno, non per intero.
Tutti sapevano del mio svenimento, dell'esito della broncoscopia, una terribile polmonite da funghi, una delle più rare. 
Tutti sapevano che mi trovavo in ospedale per degli accertamenti e per riconquistare le forze, perché il mio caso era particolarmente delicato. 
Tutti avevano visto il mio dimagrimento eccessivo, ma nessuno aveva la forza di farmelo notare. Avevamo fatto pensare a tutti che fosse stato a causa della malattia, ma nessuno, e dico nessuno, sapeva che ero stata violentata. Non era uscito dalla bocca di Nico o di mia madre, tantomeno dalla mia.
 
Ma il terrore che quel ragazzo potesse capire che dietro la mia malattia si nascondeva una verità ben diversa era enorme.
Tanto che sussultai quando mi prese una mano e mi disse:«A me non puoi nascondere nulla, Di Angelo. Puoi nascondermi un tuo amore segreto per me-gli tirai un pugno sul braccio, facendolo ridere-puoi nascondermi un brutto voto a scuola, una litigata con tuo fratello, un terrore per le altitudini elevate, un'avversione per la verdura, ma non puoi-mi guardò negli occhi, serio per la prima volta in vita sua-non puoi nascondermi cose più serie, come quella che stai passando. Non puoi nascondermelo perché agli altri potrà anche sfuggire, ma non a me. L'ho visto, lo vedo, non c'è modo di nasconderlo. Ora dimmi, cosa ti succede?»
 
"This is a story that I’ve never told
I gotta get this off my chest to let it go"
 
Le lacrime uscirono nuovamente dai miei occhi, lacrime che lui prontamente asciugò.
«C’è una storia che non ho mai raccontato. L'ho confessato solo pochi giorni fa. A Nico e a mia madre. È come un'enorme peso che mi porto dietro da agosto e che mi ha ridotto in questo stato.
Devo togliermi questo peso dallo stomaco per andare avanti».
Mi prese le mani, per incoraggiarmi a continuare.
 
Raccontai tutto, gli occhi chiusi cercavano di fermare le lacrime che copiose scorrevano sul mio volto e che lui invano cercava di asciugare.
Parlai soprattutto delle mie emozioni, ciò che avevo provato, tutto ciò che avevo subito.
Piansi molto, ma mi calmai poco dopo. Dovevo essere forte, ad ogni costo.
 
"All the pain and the truth
I wear like a battle wound
So ashamed so confused, I was broken and bruised
Now I’m a warrior
Now I’ve got thicker skin
I’m a warrior
I’m stronger than ive ever been
And my armor, is made of steel, you can't get in
I’m a warrior"
 
Le sue braccia forti mi strinsero come nessuno aveva mai fatto. Solo allora aprii gli occhi, solo allora ebbi il coraggio di guardarlo in faccia, quasi a leggerci un rimprovero.
«Tutto il dolore, mi sentivo come se fossi stata ferita in un combattimento. Così impaurita così confusa, ero spezzata e contusa.
Ma adesso sono un guerriero, adesso ho la pelle spessa, sono più forte che mai. E la mia armatura, è fatta di acciaio, non puoi toccarmi. Nessuno può più ferirmi. Sono un guerriero.»
Lo guardai, cercando di sembrare più forte di ciò che in realtà ero, cercando di sembrare senza paura, quasi non avessi più bisogno di una spalla su cui piangere, un appoggio per tirarmi su mentre precipitavo.
«Non mi incanti con una strofa imparata a memoria da dire a qualunque bamboletta da piegare a tuo piacere. Non ti lascio qui. Non ti lascio in questo stato».
Lo guardai negli occhi, intensamente.
«Perché?»
 
PoV Travis
"You’ve never loved yourself
half as much as I love you
you’ll never treat yourself right darlin’
but I want you to
if I let you know
I’m here for you
maybe you’ll love yourself
like I love you"
 
Perché. Una semplice domanda che aveva mandato a puttane tutti i miei tentativi di resistere.
Una domanda e una semplicissima risposta, che avrebbe distrutto ogni tentativo di non innamorarmi di quella ragazza così semplicemente stupenda. 
Perché?
D'un tratto odiai quella parola più di qualsiasi altra.
La guardai negli occhi tentando di trattenendomi dal baciarla, mentre lei con quegli occhi da cucciolo mi guardava. Così piccola tra le mie braccia che la lascia subito e mi andai a sedere su una poltroncina lì in parte.
«Non chiedermi mai "Perché". Odio quella parola.»
Poi lei mi guardò come guarda tutti quanti. Con due occhi enormi e liberi da qualsiasi malizia che si poteva scorgere negli occhi delle altre ragazze. Liberi di qualsiasi pensiero, così sinceri da poterti trasmettere qualsiasi sentimento stesse provando. Potevo vederle l'animo, così orrendamente deturpato.
"Non ti sei mai amata la metà di quanto ti amo io. Non ti tratterai mai bene, lo so, non lo stai facendo anche ora tentando di convincere te stessa che quanto sto dicendo sia falso. Ma non è così. Voglio semplicemente che tu riesca a trattarti bene. Sto qui CON te perché forse ti faccio capire che sono qui PER te e magari riuscirai ad amarti come io amo te". Lo pensavo costantemente.
Non mi guardava più: le sue mani erano semi-aperte e i suoi occhi si erano persi a fissare un punto indefinito davanti a sé.
Mi lasciai andare sulla poltroncina e fissai il soffitto finché non mi addormentai.
Per poco, perché subito lei mi chiamò.
«Travis! Sei venuto qua e ti addormenti invece che farmi compagnia?» mi chiese radiosa in volto. Forse aveva perso un po' di malinconia nel frattempo, o forse le avevo tirato un po' su il morale dormendo.
«Lo sai che sbavi? E parli nel sonno. Stavo morendo dal ridere! Ma raccontami, ci sono novità a scuola?»
«Lo sai che non faccio il pettegolo!»
Lei sbuffò ridendo alla mia frase.
«Volevo sapere come stanno gli altri, genio del male!». Rise. Una bellissima risata che avrei ascoltato costantemente.
Quando poi le si calmò cominciai a dirle tutto ciò che era successo in modo da farla ridere ancora e rendermi la giornata un po' migliore.
 
PoV Nico
Ero tornato da scuola da circa un'ora quel venerdì. Travis non si era visto in giro per tutto il pomeriggio mentre Percy aveva passato tutto il tempo fissando Annabeth che, da quando aveva litigato con Luke, si sedeva sempre al nostro tavolo.
Lei e Talia avevano legato praticamente subito. All'apparenta le ragazze potevano sembrare molto diverse: una vestiva con colori chiari e maglioncini aderenti, l'altra con leggins, felpe lunghe e anfibi, tutta rigorosamente in nero. Una quasi non si truccava, l'altra portava una spessa linea di eye liner che le marcava gli occhi blu elettrico. Una non indossava accessori se non una collana con perline dipinte, una portava bracciali borchiati e anelli in metallo.
Ma avevano un carattere molto simile: testarde, tremendamente combattive, orgogliose, perspicaci, solari. Si assomigliavano molto di più di quanto pensassero.
 
Qualcuno bussò alla porta, andai ad aprire e mi ritrovai davanti una Talia a dir poco perfetta. "Ovviamente" pensai "é mia amica!"
Indossava delle converse nere con la suola alta, un paio di parigine sempre nere che le arrivavano a metà coscia e un paio di shorts in jeans a vita alta. Le gambe lunghe e magre erano scoperte per soli quindici centimetri ma questi portavano lo stesso a fare pensieri poco puri.
Portava rinsaccata all'interno degli shorts una canottiera nera con un teschio bianco e sopra una giacca da football nera e bianca. In testa portava un berretto nero. Al polso c'erano dei braccialetti borchiati.
I capelli si erano gonfiati sul fondo a causa dell'umidità, ma erano comunque stupendi.
Intorno ai suoi occhi blu la solita spessa linea di eye liner e alle labbra un rossetto scuro che faceva risaltare il pallore della sua pelle.
«Ciao Talia!» le diedi un bacio sulla guancia, poi la feci entrare. La squadrai dall'alto al basso e le dissi:«La prossima volta vestiti in modo da tentarmi meno!»
Lei in risposta mi diede un pugno e andò ad appoggiare la sua borsa, che fino ad allora non avevo nemmeno notato.
«E smettila di guardarmi le gambe!» mi rimproverò venendomi incontro e abbracciandomi. Cominciammo a dondolarci a destra e a sinistra, lei in punta di piedi e con la testa sulla mia spalla, io che le lasciavo baci leggeri sul collo.
«Come stai oggi? Sai, non ne abbiamo parlato oggi, mi ero persa a parlare con Annabeth. Mi dispiace»
«Tranquilla-dissi dal fondo del mio baratro-mi basta che tu sia qui ora»
La strinsi ancora un po' a me, facendo aderire i nostri petti. Sapevo che era la mossa sbagliata da fare, infatti i pantaloni cominciarono a farsi un po' stretti.
«Merda». Lo sussurrai, ma eravamo così vicini che lei non poté fare a meno di sentirlo. Fortunatamente non si era accorta di nulla e mi credette quando attribuii la mia esclamazione al fatto che mi mancasse Bianca.
«Cazzo, ho lasciato in bagno il cellulare. Torno in un secondo»le dissi staccandomi dall'abbraccio. Lei alzò un sopracciglio ma non sospettò nulla, dato che corsi in bagno dandole le spalle.
Appena entrato in bagno, e iniziato a fare ciò che era necessario per calmare l'erezione, cominciai a insultare mentalmente sia me, per essere stato così stupido da non riuscire a controllarmi, sia tutti gli dei dell'Olimpo chiedendo perché si fosse dovuta vestire così.
Uscii dal bagno poco dopo continuando ad insultare qualsiasi cosa mi intralciasse la strada.
«Allora il cellulare?»mi chiese lei che si era tolta le scarpe e si era distesa sul divano.
«Cos... Ah, sì! Mi sono dimenticato che l'avevo portato in cucina. Dai, alzati che mi siedo anch'io.»
«Ok, ma mi fai sedere in braccio?»mi chiese con la faccia da cucciolo.
«Sei vuoi proprio che ti salti addosso per me va bene.»
«Lo so di essere irresistibile per qualsiasi ragazzo, ma non pensavo di esserlo anche per Nico Di Angelo.»
Mi fece sedere per poi sedersi sulle mie ginocchia. Sospirai trattenendo una risata.
«Qualsiasi cosa io ti dica di non fare te ne freghi»
«YOLO!»rispose alzando i pollici e sorridendo come un ebete.
«Anche a costo della tua verginità»
La guardai, lei si stava trattenendo dal ridere, poi però scoppiò.
«Sul serio Nico?! LOL, muoio! Pensi che io sia ancora vergine?!» esclamò asciugandosi le lacrime.
Dalla mia faccia capì che non me l'aspettavo.
Le chiesi di più, lei diventò seria un attimo.
«È successo due anni fa, mentre stavo con Luke. Ero una sedicenne un po' fuori, lo sai. Eravamo usciti, mi aveva portato a casa sua e mi aveva chiesto se ci stavo. E ho risposto di sì.»
«Com'è possibile che tu abbia superato la perdita della verginità così facilmente, mentre mia sorella adesso è in ospedale?»
«È diverso. Io l'ho voluto, sebbene abbia scelto la persona sbagliata, mentre tua sorella è stata violentata. Lo sai che sono due cose diverse. Io amavo Luke, tua sorella si è semplicemente trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Poi sai che tua sorella è un po' sensibile.»
«Cade in depressione, è diverso. È depressa e si auto lesiona, so bene cos'ha mia sorella.»
Stavo cominciando a sentire le ombre intorno a me infittirsi, mentre una mano tentava di tirarmi fuori.
Talia mi asciugava le lacrime con cura materna e, appena mi ripresi, appoggiò la sua testa sulla mia spalla posizionando il viso nell'incavo del mio collo, mentre io le accarezzavo i capelli.
Così mi sentivo bene, era inutile mentire, così potevo affrontare qualsiasi tempesta, qualsiasi baratro, qualsiasi oscurità o calamità, nemmeno un titano avrebbe potuto schiacciarmi.
 
"So baby hold on to my heart
Need you to keep me from falling apart
I’ll always hold on
‘Cause you make me strong"
 
SPAZIO AUTRICE
Buongiorno stelline! Volete sapere perché sono così contenta? Ma per le 45recensioni! Sul serio, penso di amarvi, nonostante io sia incostante e riesca ad aggiornare ogni morte del papa voi recensite sempre! <3
Volevo ringraziarvi tutti, da primo all’ultimo, oggi non metto i nomi perché non ne ho il tempo, ma sappiate che vi amo tutti!
**corre saltellando dalla felicità**
Ringrazio immensamente chi ha recensito/messo tra le preferite/seguite/ricordate la mia storia.
Passando al capitolo, questo è un po’ diverso dal solito. Ha pezzi di canzoni di (non criticatemi)  One Direction (Little Things e Strong) e Demi Lovato (Warrior). Non voglio assolutamente sentire critiche nei confronti di questi o di altri artisti musicali, ho scelto queste canzoni per le parole che, a mio parere, si addicevano perfettamente al capitolo. Chi vuole può andare a vedere le traduzioni (anche se ho cercato di integrarle nel testo).
A presto!
OurChildhood <3
P. S. per chi adora Harry Potter: a breve l’altra ragazza che condivide con me il profilo pubblicherà  una fanfiction sulla nuova generazione, in particolare su una coppia che io amo e della quale non vi anticiperò nulla ;)

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


PoV Annabeth
Stavo ascoltando musica a tutto volume mentre sfogliavo le pagine del volume di storia dell'arte. Era decisamente la mia materia preferita e non mancava mai che mi portassi un po' avanti con il programma, almeno per quello che riguardava la parte di architettura.
Mi ritrovai davanti a un'immagine raffigurante la ricostruzione computerizzata del Partenone, l'immenso tempio dedicato ad Athena Parthenos, cioè Atena Vergine, di ordine dorico. 
Il mio sogno è stato, fin da piccola, quello di andarlo a visitare. Nel frattempo avevo imparato a memoria tutte le sue caratteristiche, tutte le raffigurazioni delle metope nel fregio e, cosa che mi affascinava di più, le correzioni ottiche che sono state adottate per correggere i vari difetti. 
Immaginavo costantemente che effetto mi avrebbe fatto vederlo dal vivo. Sarebbe fantastico.
 
Sfogliai ancora un po' il libro quando mi accorsi che erano quasi le sette e il mio stomaco stava cominciando a reclamare del cibo. Entrai in cucina per cimentarmi ai fornelli (e creare qualcosa di commestibile) quando all'improvviso suonò il campanello.
«Chi è?» chiesi al citofono.
«Sono Luke»
Per un momento, ogni singolo muscolo del mio corpo si irrigidì al suono della sua voce, al sentire il suo nome.
Chiusi gli occhi e con freddezza chiesi:«Che vuoi?»
«Annie, perdonami. Sono stato uno stronzo. Non dovevo comportarmi così. Ma c'è stato un grande fraintendimento: hai pensato subito che io ti abbia tradita, ma non è assolutamente vero, non mi hai dato modo di spiegare. Io... Io... Ti amo Annabeth Chase. Ti amo e tu lo sai. Non ignorarmi, per favore. Fammi entrare.»
Non so nemmeno io perché, ma quelle parole mi colpirono nel profondo, lo stomaco vuoto, probabilmente, gioca brutti scherzi.
Premetti il bottone per aprire il portone d'ingresso e apri la porta di casa. Poi attesi impotente che lui arrivasse.
Quando sentii dei passi avvicinarsi alla porta, capii che non era troppo tardi per chiudergli la porta in faccia, ma una forza dentro di me diceva di farlo entrare, di ascoltarlo, che probabilmente avrebbe detto qualcosa di importante.
Quando la porta si aprì Luke si presentò in tutto il suo splendore. Era dannatamente stupendo anche con solo una maglia bianca che gli metteva in risalto i muscoli scolpiti e un paio di jeans.
Bello, certo, ma dannato. 
 
«Cosa vuoi?» gli chiesi dopo pochi attimi di silenzio.
«Farmi perdonare. Hai presente il nostro appuntamento?»
Inarcai un sopracciglio guardandolo per la prima volta negli occhi da quando era entrato.
«Non è granché, una cena nel mio appartamento, ma è pur sempre qualcosa.»Continuò poi infilando i pugni chiusi nelle tasche dei jeans.
«Vado a cambiarmi, ci metto dieci minuti.»
Mi defilai in camera mia, combattuta tra stupore e rabbia. Perché si era fatto vivo solo allora?
Presi dall'armadio un paio di jeans chiari, una canottiera bianca della Jack Daniel's e una felpa larga nera.
Ai piedi indossai le mie fidate converse bianche.
Entrai in bagno solamente per raccogliere i capelli in una treccia. Non mi misi neanche un filo di trucco, lo odiavo.
Uscii, prendendo prima una giacca e la borsa con tutti i miei averi.
 
L'appartamento di Luke era un piccolo bilocale in un palazzo di un quartiere un po' periferico di Manhattan, quasi al confine col Bronx.
Consisteva in una cucina-salotto, una camera da letto con un letto matrimoniale e un bagno.
«Lo so, è un po' piccolo, ma è ciò che posso permettermi.»
L'arredamento era vecchio e trasandato, sembrava un vecchio appartamento hippie. Le tende alle finestre erano in plastica a fiori colorati, le mattonelle non ricoprivano solamente il pavimento, ma anche i muri.
«Ho ordinato pizza, per te va bene?»
«Perfetto!» 
Mi sedetti sul divano, prendendo il libro dalla mia borsa.
«Scherzi, spero! Sei sempre che leggi, che ci trovi di tanto interessante in delle pagine scritte? Sul serio, penso sia qualcosa di inutile.»
Chiusi il libro di scatto e lo fulminai con lo sguardo. Nessuno, ma dico nessuno, doveva tentare di insultare i miei libri, soprattutto quelli di architettura.
«Ti isolano, ti perdi la vita che c'è fuori!» continuò poi, indicando una finestra che si affacciava sulla strada.
«Quale vita? Quella fatta di smog, droga e fumo? Quella fatta di ingiustizie e orrori? Se è per quello, preferisco leggere. Se invece intendi i rapporti umani, le risate, le passeggiate nel parco, i gelati, tutte le cose stupende che puoi fare... Quelle non me le vieta nessuno, posso fare anche quello, non sono obbligata a leggere e basta.»
Si portò una mano alle tempia destra, poi continuò a parlare con voce sommessa:«Smettila di discutere, ti toglie la vita.»
Poi andò alla finestra, la aprì e prese una sigaretta.
«Quella invece no, te la allunga. Comunque, sta di fatto che non sto discutendo, sto spiegando animatamente perché ho ragione. In più, "io non ho una vita", come dici tu, semplicemente perché ho deciso di averne milioni.»
Si accese la sigarette e iniziò a fumare, inspirando lentamente ed espirando altrettanto lentamente, facendo cadere la testa all'indietro. 
"È così... Wow...", ma scacciai subito quel pensiero.
Non mi parlò finché non arrivarono le pizze. Dopodiché lo aiutai a preparare la tavola, sempre in silenzio. Ogni tanto lo guardavo con occhiate fugaci, mentre lui posizionava le pizze sul tavolo e si sedeva a tavola.
«Ti va un po' di birra?» mi chiese allora.
«Cosa?» domandai leggermente sconvolta.
«Un po' di birra! Hai mai bevuto?-feci segno di no con la testa, lui chiuse gli occhi con fare divertito-Un po' di questa non ti farà di certo ubriacare...»
Me ne versò un bicchiere, per fortuna che aveva detto un po'...
La assaggiai, il gusto era deciso e speziato, ma... Mi piaceva. Decisamente. Cominciai a mangiare la pizza, scoprendo che non era affatto male, ma che metteva una sete tremenda. Cominciai così a tragurgitare birra, intervallata da una fetta di pizza. Alla fine avevo bevuto circa sei bicchieri e, per una che non aveva mai bevuto alcolici, erano decisamente troppi. Cominciai a vedere leggermente appannato e a sentire la testa leggera.
 
Ci andammo a sedere sul divano, lui con un una bottiglia di Vodka in mano, io mi misi a cavalcioni sopra di lui, troppo inebriata dall'alcol per prendere in mano la situazione. Solo quando lui cominciò a baciarmi con foga, dopo pochi attimi di spensieratezza, ripresi coscienza di me. Ma solo leggermente. 
Quando poi lui cominciò a torturarmi il collo con baci e morsi e quando le sue mani scivolarono troppo in basso sulla schiena, ripresi il controllo della situazione.
«Fermo... Non sono pronta, io...-mi zitti con un altro bacio, mentre mi tirava a sé-fermo!»
Mi staccai con quanta forza avevo in corpo, poi gli spiegai che non ero pronta. Mi chiese se era perché ero vergine. In realtà non era per quello, non era la cosa che mi preoccupava di più. Era il fatto che lui non era quello giusto, me lo sentivo.
Ma gli dissi che era perché ero ancora vergine.
«Farò piano, ti supplico...»disse, cercando l'accesso alla mia bocca.
Lo spinsi via, mi alzai.
«Dammi quella bottiglia, Luke.»
«Non te la do, a meno che tu non ne beva un sorso.»
«Come faccio a bere se non me la dai?» chiesi scaltra, ma lui si alzò con più lucidità di quanta me ne aspettassi. Reggeva bene l'alcol.
Mi porto la bottiglia alla bocca e mi fece bere grandi sorsi di quella sostanza trasparente. La gola bruciava al passare di quella sostanza.
Ne bevvi molti sorsi, dato che stava tenendo lui la bottiglia, finché non gliela tolsi di mano.
 
Dopo poco l'alcol aveva cominciato a circolare e la testa girava, ero ubriaca fradicia, non ci capivo nulla, finché non mi trovai a letto.
 
La mattina mi svegliai tra lenzuola di un letto non mio. Le lenzuola erano macchiate di sangue. 
"Com'è possibile? Il ciclo mi è appena finito..."
Poi mi accorsi di un particolare fondamentale: i miei vestiti erano sparpagliati per la stanza. Solo allora il terrore mi riempì gli occhi.
Mi concentrai al massimo, per quanto quella nebbia mi permettesse, per quanto quel forte mal di testa mi permettesse.
 
Tra la nebbia mi assiepava il cervello riuscii a recuperare alcuni ricordi, Luke che mi dava da bere, Luke che metteva le mani dove non avrebbe dovuto, Luke che mi portava a letto, poi ciò che temevo.
Lui che mi spogliava, cominciava a baciarmi le labbra, il collo, lentamente, io che trattenevo i gemiti di piacere.
La sua mano che si era posata sul mio seno destro e lo aveva palpato con violenza, poi il dolore improvviso e inaspettato.
Il viso di lui sospeso sopra il mio, i capelli biondi scompigliati, la sua espressione carica di tenerezza, desiderio, soddisfazione.
Poi appoggiò il volto sul cuscino, vicino al mio. Sapeva di fumo, vodka e birra. Il mio viso era graffiato dalla sua barba appena accennata.
 
Sentivo ancora sulla pelle il suo odore, il suo corpo caldo e uno strano dolore giù, in basso.
Sentivo ancora lo strano e indescrivibile piacere intessuto di dolore.
Ma mi pentivo terribilmente di essermi fatta abbindolare in quel modo.
 
"Equo ne credite, Teucri.
Timeo Danaos et dona ferentes."*
 
Mi alzai e mi vestii il più rapidamente possibile, constatando che Luke era sotto la doccia.
Raccolsi tutto ciò che mi serviva, poi uscii, corsi via da quel luogo dannato.
 
From:Annabeth
To:Talia
Dove sei? Ho bisogno di parlarti.
 
From:Talia
To:Annabeth
A casa Di Angelo. Cosa c'è?
 
From:Annabeth
To:Talia
Ti spiego lì.
 
Spazio Autrice:
 
*"Equo ne credite, Teucri.
Timeo Danaos et dona ferentes."
Non credete al cavallo, o Troiani. Io temo comunque i Greci, anche se recano doni. (Eneide, libro II, versi 48-49)
 
Ehilà!
Eccomi tornata con il decimo capitolo. Che ne pensate? Sinceramente a me non piace granché, ma voglio sapere la vostra opinione ;)
Ho aperto un profilo Facebook (mi chiamo OurChildhood EFP) ;)
Volevo ringraziare TUTTI voi, chi recensisce, chi l'ha aggiunta tra le preferite, tra le seguite o le ricordate. Vi adoro <3
Volevo ringraziare anche i lettori silenziosi, tutte le 237 buone anime che hanno letto il capitolo 9 e le SETTECENTOCINQUANTACINQUE persone che hanno letto il primo capitolo.
Sul serio, è la mia prima fanfiction e vedere che vi piace mi rende felicissima :D
Ringrazio particolarmente:
Alysheart
Annabell_baxer
AveJackson
crazysadgyrl
Firnen_92
giadina23
Greenheart
Hahahahaha
Hope Save Me
Itram_elaV
Konifan
laragazzacon_unsogno
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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


PoV Talia
Mi rigirai nel letto. Non avevo la minima voglia di alzarmi ma dovevo farlo per Annabeth. Mi accorsi poi che accanto a me non stava più dormendo Nico. Probabilmente era già in cucina dato che il silenzio era assoluto.
"Chissà da quanto è sveglio..." Pensai ancora molto addormentata. 
Accesi la luce e cercai il mio materiale da toilette, ricordandomi poi di aver portato la sera prima tutta la borsa in bagno.
Imprecai sottovoce quando sbattei un mignolo contro il comodino e andai ad aprire i balconi. Per poi richiuderli, fuori pioveva a dirotto.
Mi arresi e accesi la luce, i miei occhi che urlavano per la troppa luce. Me li immaginai mentre spuntavano loro le braccia e si coprivano come dei vampiri alla luce del sole. Questa immagine mi fece ridere.
Poi, senza esitazione aprii la porta del bagno, ritrovandomi davanti agli addominali scolpiti e il fisico asciutto di Nico Di Angelo. Arrossii violentemente sia per la situazione imbarazzante, io davanti al mio migliore amico coperto a malapena da un asciugamano appena uscito dalla doccia, sia per le fantasie poco caste che mi affollarono la mente.
Boccheggiai per alcuni secondi non trovando le parole adatte. Lui, intanto, mi guardava con altrettanto imbarazzo. Ci fissavamo senza che nessuno riuscisse a muovere un passo.
"Scusami Nico, ma non hai chiuso la porta! Potrei perdonarti se mi lasciassi toccare... No Talia! No! Mmmm... Allora: scusa Nico ma sei talmente sexy che non mi dispiace affatto di aver aperto la porta ora... NO!! Nico, scusami ma voglio fare una foto da mettere come screensaver. MERDA!!!"
«Vado a sotterrarmi» riuscii solamente a dire mentre, con la bocca spalancata e in una specie di trans, chiusi la porta alle mie spalle.
La mia dea interiore intanto borbottava "Perché non hai scelto l'ultima opzione?!"
Poi pensai che poteva succedere a tutti, alla fine avevo solo sbavato davanti a degli addominali. Quale ragazza non lo farebbe?
"Poi chi pensava che fosse così...Wow...? È magro sì, ma mica male..."
Non sapevo quanto tempo fosse passato quando Nico aprì la porta alle mie spalle e io, come per riflesso, mi coprii gli occhi.
Lui mi portò le mani ai fianchi e mi sussurrò nell'orecchio, trattenendo una risatina:«Sono vestito, tranquilla».
Arrossii, questa volta per il tocco leggero delle sue mani, la pelle che bruciava attraverso la stoffa della maglia del pigiama che avevo usato per dormire, preso in prestito da Bianca.
Si allontanò e mi avvisò che andava a preparare la colazione. Io entrai in bagno e mi cambiai, indossando i vestiti della sera precedente, e mi truccai con l'eye-liner, il kajal e il mascara.
Dopo l'imbarazzante figuraccia fatta non vedevo l'ora che Annabeth arrivasse e, quasi qualcuno mi avesse ascoltato, Nico mi chiamò.
«C'è Annabeth! Ti vuole!» urlò e uscii in fretta dal bagno e dalla camera per andare dalla mia amica.
«Che c'è Bionda?» le chiesi raggiante, un grande sorriso che, improvvisamente, si spense nel vedere il suo viso sconvolto. Nel momento esatto in cui una lacrima si fece strada sul suo viso capii che non mi aveva disturbato alle otto di mattina di sabato per una sciocchezza.
«Nico, vai in camera. Vorrei rimanere da sola con lei.»
Lui, preoccupato, andò in camera sua senza lanciarci qualche occhiata interrogativa.
 
Riuscivo solo minimamente a immaginare lo stato d'animo di Annabeth in quel momento. Usata, ingannata, tradita. 
Forse solo per i primi cinque minuti non ebbi alcuni reazione, cercando di metabolizzare la cosa, forse non avevo capito bene. Ero più che convinta di aver capito male. Ne ero certa. Ogni fibra del mio corpo non poteva credere allo scempio compiuto, non poteva credere che Luke Castellan, per quanto potesse essere un sudicio e infido verme, fosse caduto così in basso.
Ingannare una ragazza, farla ubriacare e portarsela a letto. Per di più una ragazza ingenua e pura come Annabeth. 
Solo quando riuscii a metabolizzare mi accorsi delle condizioni di Annabeth. 
Fradicia era un eufemismo.
«Prima di tutto, cambiati. Penso che Bianca abbia qualcosa che ti possa andare bene e, non preoccuparti, non se la prenderà.»
La feci entrare in camera e vestire, quando uscì cercai di consolarla al meglio ma la poverina piangeva, e aveva ragione.
«Probabilmente al posto tuo avrei dato un pugno a quel Castellan del cazzo e dopo sarei corsa tra le braccia di qualcuno. Bianca, Nico, Percy... Non ne ho idea. Probabilmente sarei rimasta sola. Ma pensa ad altro, non piangere piccina.»
Io ero seduta sul divano, lei poggiava la sua testa sulle mie gambe. Le accarezzavo delicatamente i ricci scomposti e le asciugavo le lacrime versate inutilmente. Sembrava così piccola e indifesa in quel momento, mi immaginai che bambina tenera dovesse essere stata da piccola. Me la immaginai arrabbiata, con le braccia incrociate al petto, la fronte corrucciata, gli occhi più grigi del solito, i capelli lunghi e biondi.
Provai un'immensa tenerezza materna nei suoi confronti. Ma lei continuava a piangere, mi spezzava il cuore.
Poi in mia salvezza arrivò la fame. La mia pancia brontolò, provocando le nostre risate. In quel momento Nico uscì dalla sua stanza annunciando che sarebbe andato dalla sorella. Mi alzai e lo abbracciai, lasciandogli un bacio sulla guancia.
«Era ora.» sussurrai.
«Ti lascio le chiavi di casa, se andate via chiudi e lasciale sotto lo zerbino come al solito.»
Poi uscì.
 
Stavamo mangiando l'infinita colazione preparata da Nico. Era decisamente troppa anche per due.
«Notte di fuoco?»chiese Annabeth con un sorriso malizioso e sguardo furbo.
Mi andò il succo di traverso provocandomi un ascesso di tosse. Quando riuscii a domarlo tentai di non riderle in faccia, anche se mi riusciva difficile.
«Ehm... Siamo solo amici.» risposi leggermente in imbarazzo.
«Non era la sua stanza quella da dove sei uscita?» chiese circospetta.
«Sì, abbiamo dormito insieme.»
«Insieme? Sullo stesso letto intendi? - mi guardò leggermente sconvolta mentre facevo cenno di sì con la testa. Poi prese fiato - Lo sai che potrebbe essere una cosa LEGGERMENTE ambigua? E poi siete sempre insieme, sai, circolano voci...»
«Cosa?! - chiesi facendomi andare ancora il succo di traverso - Non dire stronzate del genere mentre bevo o mi strozzo!»
Dissi mentre bevevo. In effetti però, il fatto che avevamo dormito insieme era un po' ambigua. Abbastanza ambigua. Molto ambigua.
«Oh merda.»dissi poi arrossendo e trattenendomi dal ridere, ripensando alla figuraccia fatta poco prima.
«Puoi dirlo forte. - sentenziò lei, mentre spalmava la marmellata su un panino - Poi non sono stronzate. Girano sul serio voci sul vostro conto. Sembrate così intimi. Sareste così carini insieme, l'ha detto anche Silena!»
«Primo: noi non siamo intimi. Secondo: cos'è questa storia che tu e Silena parlate della mia vita privata?!»chiesi indignata, provocando le risate di una Annabeth già di per sé divertita dal mio imbarazzo.
«Dai! Non essere arrabbiata! È semplicemente la verità. Poi i vostri bambini sarebbero così carini!»
«Ma allora lo fai apposta! - le urlai in faccia non trattenendo però le risate - Ti conviene correre Chase!»
 
Sembravamo delle bambine, correvamo per l'appartamento finché, troppo stanche, non ci sdraiammo per terra in preda ad un attacco di ridarella.
Ci accorgemmo dell'ora solo quando Nico rientrò in casa, leggermente divertito e sconvolto nel vederci così spensierate. Probabilmente era anche in parte sollevato dal fatto che Annabeth stesse meglio.
«Pranzate qui?»ci chiese allora.
«No, grazie. Devo andare.» disse lei.
La abbracciai per salutarla.
«Stammi bene Bionda. - le dissi nell'orecchio. Poi lei sussurrò qualcosa come "Ringraziami, vi lascio soli" - E cerca di non farti vedere mai più!» le dissi in faccia, ridendo.
Quando uscì, salutando Nico con un cenno della mano, lui mi rivolse uno sguardo interrogatorio.
«Cos'ha detto?» 
«Quando?» chiesi vaga.
«Adesso, quando le sei saltata addosso, quando altrimenti?» rispose ridendo.
«Niente che ti possa interessare» dissi con un sorriso furbo. Poi mi gettai tra le sue braccia sussurrando un "Bentornato" sulla sua maglietta, facendo finta di non notare il rossore sulle sue guance.
 
Due giorni dopo,
PoV Annabeth
Scesi dall'autobus con il cuore che faceva male, ancora vittima dello sconforto e dell'affronto subito.
Mi avviai al cancello della scuola, decisa a ignorare un qualsiasi tentativo di abbordaggio da parte di un essere che decisi di denominare "Brutta faccia di Troll" oppure, più semplicemente, "Troll".
Purtroppo non si avvicinò, così non ebbi nemmeno l'occasione di sfoderare le mie frasi-accuse pensate il giorno prima.
Me le tenni per me, aspettando l'occasione adatta. Sapevo che sarebbe arrivata, ma non avrei mai potuto immaginare in che circostanza.
Nel frattempo calai sul mio viso la maschera che, da quel momento in poi, avrei dovuto tenere sul mio viso per nascondere il dolore che in realtà provavo. Nessuno sapeva, a parte Talia, e mi andava bene così.
 
Caddi per terra, qualcuno mi aveva spinta.
«Scusami Annie bella!» disse Percy da sopra di me. Pensai che se non fosse stato perché era così stupido gli avrei tirato una sberla. Ma, poverino, non poteva fare neanche due più due.
«Cazzo! Tirati su! Mi vuoi uccidere?!» urlai attirando l'attenzione di metà dei ragazzi all'interno del cortile.
«Scusa! Ti volevo salutare, solo che mi sono fatto un po' prendere...»si scusò lui, aiutandomi ad alzarmi e portandosi la mano dietro la testa per l'imbarazzo. Lo faceva spesso ed era un gesto abbastanza tenero.
«Tranquillo, Testa Vuota.» gli dissi dandogli un bacio sulla guancia, che si dipinse subito di rosso.
«Comunque non è carino Testa Vuota come soprannome.» disse lui, scocciato.
«Mmmm... Ho deciso! Testa d'Alghe!» esclamai, eccitata per il mio colpo di genio.
«E perché mai dovresti mai chiamarmi Testa d'Alghe?» mi domandò leggermente confuso.
«Perché i tuoi occhi sono verdi e mi ricordano le alghe.» spiegai semplicemente.
«Ho saputo che sei uscito con la Dare venerdì sera. Com'è andata? Ti piace? State insieme?» domandai forse con un po' troppa foga.
«Che c'è? Sei gelosa?!»
La sua domanda mi fece arrossire improvvisamente, facendo lavorare i miei neuroni per trovare una risposta che mi facesse uscire da quella situazione imbarazzante.
«Assolutamente no! Sono semplicemente curiosa con sovrana indifferenza!» risposi, fiera del fatto che anche quella volta i libri mi avessero aiutata.
«Non sapevo si potesse essere curiosi e indifferenti al tempo stesso - rise - Mi stupisco di te - mi guardò con un sorriso - E se ti da così tanto fastidio che sia uscito con la Dare ti avviso già che non ha funzionato e che venerdì sono libero. Oh, mia piccola Annie, devi davvero imparare a contenere la gelosia!»
Aumentò il passo, lasciandomi leggermente spiazzata. 
«Non chiamarmi "mia piccola Annie"! Non sono piccola, tantomeno tua! Voglio vedere chi non riesce a contenere la gelosia! A noi due, Jackson!» urlai, mentre se ne andava.
Nessuno aveva il diritto di chiamarmi Annie. Tantomeno lui.
Possibile che potesse essere così stupido e irritante?
 
Entrai in classe, la prima ora del lunedì era la stessa di Percy.
"Bene" pensai "Diamo il via al piano".
 
Spazio autrice
Una cosa soltanto, non mi dilungherò molto: mi sono divertita troppo a scrivere il PoV Talia!
Per il resto GRAZIE MILLE a tutti!!! 
Vi ringrazio tutti tantissimo, come al solito, e vi chiedo: una piiiiccolissima recensione me la lasciate? Piccola piccola, anche di poche parole :(
Alla prossima (spero il più presto possibile)
OurChildhood<3

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


PoV Annabeth
Presi posto accanto a Percy, inconsapevole di ciò che la mia mente e quella di Talia avevano progettato a suo scapito.
 
**flashback**
Avevo raggiunto Talia in cortile e mi ero sfogata. Quel Percy così sfacciato mi aveva dato sui nervi.
«Ti ha chiamato Annie?! Oh miei dei, dovrebbe sapere quanto odi essere chiamata così!» esclamò Talia con le lacrime agli occhi dal troppo ridere.
«SÌ, ma cosa più importante, crede che io sia gelosa! Come può insinuare una cosa del genere?! Io gelosa di Rachel Holatestainfiamme Dare?»
Ero talmente sconvolta che gesticolavo quasi ne dipendesse la mia vita. Avevo gli occhi sbarrati mentre guardavo Talia che si prendeva gioco di me ridendo come una stupida.
«Ok, aspetta che mi calmo - scoppiò di nuovo a ridere - Ok, ci sono. Sai cosa dovresti fare? Ripagarlo con la stessa moneta, fallo ingelosire!»
La fulminai con lo sguardo più esasperato del mio repertorio.
«Non. Sono. Gelosa. IO!»
«Ho capito Riccioli d'Oro, ma era per far capire il concetto: tu non eri gelosa, ma lui lo sarà, credimi.»
Alzai un sopracciglio, quasi a intendere "Dimmi tutto, baby".
«Ehi, ci devo pensare, non ho sempre questi colpi di genio!»
Dopo alcuni secondi saltò in aria, come se le avessero legato i razzi ai piedi.
«Chi è il migliore amico di Percy?» chiese con fare ovvio.
«Ehm... Il cibo? L'acqua? - guardai la faccia esasperata di Talia e capii di aver sbagliato - Domandina di riserva?» tentai infine, alzando appena l'indice, come se mi dovessi prenotare per rispondere a una domanda, il volto terrorizzato di chi si aspettava un'enorme sgridata.
«Nico! Tu devi far ingelosire Percy utilizzando Nico! È così ovvio! Lo metterò subito al corrente del piano, tu devi fare solo l'innamorata persa!»
«Nico, certo, Nic... NICO?! Cosa?! Assolutamente no! E se poi lui non accetta?!»
Talia fece un gesto noncurante con la mano.
«Accetterà di sicuro, pur di mettere in ridicolo Percy. Se non accettasse, gli farò gli occhioni da cucciolo. Non sa resistere ai miei occhioni da cucciolo.» disse con fare pensieroso mentre guardava un punto invisibile, per poi partire alla volta della scuola, lasciandomi leggermente interdetta.
**fine flashback**
 
Avevo pensato parecchio al piano, diciamo che non ero completamente d'accordo con la parte "perdutamente innamorata" e "Nico". Ma che altro potevo fare? Ormai Talia era partita per la tangente e non vi era modo di fermarla.
«Mi stai ascoltando?» mi chiese Percy, sventolandomi la mano davanti. Scossi il capo, ancora un po' persa nel mio mondo.
«Fatto qualcosa di eccitante in questi giorni?»
In un primo momento sbarrai gli occhi, ripensando a venerdì sera, e un coltello affondò nel mio stomaco.
Poi pensai al doppio senso di eccitante e arrossii violentemente. Questo era il momento di agire.
«N... Nulla di che - balbettai con un sorrisino da ebete, stupendomi delle mie doti da attrice - Sabato sono andata da Nico per... - sbarrai gli occhi, facendo finta di trovare una scusa plausibile - chiedergli di Bianca.»
Percy mi guardò con circospezione.
«Ah, e cosa ti avrebbe detto di preciso?»
Ero nella cacca. Per essere fini.
«Ciao ragazzi!» urlò Travis Stoll, salvandomi in corner.
«Ehi, Travis! Che hai fatto venerdì, sei sparito nel nulla!» chiese Percy, quasi togliendomi le parole di bocca.
Lui non rispose, ma ridacchiò un poco e si portò la mano dietro il capo, in imbarazzo.
A quanto pare non ero l'unica a nascondere segreti "piccanti".
Nel momento esatto in cui Percy stava riportando l'attenzione su di me, entrò il professore. Di nuovo salvata in corner.
Durante l'ora di lezione Percy tentò varie volte di parlarmi, sempre scoperto e zittito dal professore. Ogni volta lui faceva una faccia corrucciata che mi ricordava tanto quella di un cucciolo e all'ennesimo richiamo scoppiai a ridere silenziosamente, guadagnandomi l'attenzione di Percy che mi guardava con sguardo interrogativo. 
Col risultato di farmi ridere ancora di più.
 
Finita l'ora corsi fuori dalla classe per evitare domande, camminai molto velocemente per il corridoio quando, malauguratamente, incontrai proprio Nico.
«So tutto - disse - e ora diamo via al piano.» concluse guardando la direzione da dove stava arrivando Percy.
Mi cinse la vita con un braccio e mi tirò a sé.
«Abbracciami come se fossimo migliori amici da una vita» disse e io obbedii, vedendo Percy arrivare. Anche se non ero molto sicura che avremmo dato l'impressione di "amici".
Poi ricordai che lui è Talia avevano dormito insieme da amici. Anche se non ero più sicura che amici fosse veramente amici e che dormire fosse veramente dormire.
«Come ti ha convinto Talia a farlo?» chiesi.
«Ha i suoi mezzi.» rispose. So che probabilmente intendeva la faccia da cane bastonato, ma non potei fare niente quando mi vennero in mente altri mezzi.
Quando Percy arrivò Nico lo salutò come se nulla fosse e io mi stampai un sorriso in faccia, allargato eccessivamente dalla faccia confusa di Percy. Ero sicura risultasse più un ghigno di soddisfazione che un sorriso naturale.
«Ho interrotto qualcosa?» chiese Percy, indicandoci nascondendo un disgusto crescente.
«Assolutamente, volevo solo salutare la mia amica Annabeth»
Scrollò le spalle, mollandomi dall'abbraccio e salutandomi un bacio sulla guancia che sfiorò leggermente l'angolo delle labbra.
Questa mossa avventata da parte di Nico gli fece guadagnare un'occhiataccia da parte di un Percy sempre più confuso.
Arrossii leggermente, il che contribuì al siparietto.
Poi mi diressi verso l'aula, rivolgendo un leggero cenno di saluto a Percy, mentre Nico se la rideva sotto i baffi.
 
PoV Percy
"Non riuscivo a crederci, poteva essere solamente uno scherzo. Nico e...? Nah, troppo impensabile... Ma se invece?"
Il mio flusso di pensieri sconnessi fu interrotto da Nico che mi strattonava il braccio. Avevo superato di una ventina di metri la porta della classe e, perso com'ero, avrei continuato per la mia strada se il mio migliore amico non mi avesse fermato.
"Bel migliore amico hai, si fa la ragazza che ti piace. Sul serio, complimenti."
Ancora la mia stupida coscienza. Ok, mi sembrava un po' esagerato. Non ero mai stato "possessivo", ma con lei era diverso. Sì, mi piaceva. Non potevo negarlo. 
Sarebbe stato come negare che la terra ruota attorno al sole.
Non so per quale motivo, inizialmente era solo qualcosa di fisico, o meglio, mi piaceva perché era una bella ragazza, inutile negare anche questo, poi l'ho conosciuta meglio e ho capito che non era la solita bionda senza cervello... Anzi, era molto meglio di me in quel campo. Era profonda, intuitiva, forte, ragionevole... E forse mi ero lasciato davvero troppo andare, dato che mi stava piacendo più del dovuto ma, a quanto pare, le sue attenzioni erano rivolte a qualunque essere mortale che non fossi io. Prima Luke, poi Nico... Forse potevo solo sperare di farmi notare.
Presi posto e aspettai il professore più noioso della scuola, quello che avrebbe dovuto insegnarmi storia ma che si limitava a farfugliare con la sua vocina leggende su leggende in modo del tutto casuale. 
Probabilmente anche durante quell'ora metà della classe avrebbe usato il cellulare per tentare di ingannare il tempo. Quelle ore erano sempre le più lunghe.
Il professore cominciò a spiegare con il fare di chi non ha affatto voglia di starsene in mezzo a dei ragazzi svogliati e completamente disinteressati nei confronti della sua materia, non che lui la facesse piacere un granché.
Mi persi un attimo nei miei pensieri, giocherellando con la matita e disturbando continuamente Nico che se ne stava incantato a guardare una mosca che volava sul soffitto. Era effettivamente più interessante del mito che stava raccontando.
Mi svegliai dal mio coma profondo con un salto sulla sedia, provocando una serie di occhiatacce in mia direzione da parte di tutti i miei compagni. 
«Nico - dissi, appena l'abituale chiacchiericcio fu ripreso - Annabeth non ti pare un po'... Strana? Mi ha praticamente evitato.»
«No... Nulla di strano, anzi. Siamo diventati molto amici in questo periodo anche se, devo dirlo, ha un po' la lingua lunga quella ragazza.»
Sarà stato per il sorriso malizioso che aveva sfoderato mentre diceva quella frase o per il bacio un po' più da semplici amici di poco prima, ma quella frase suonò alle mie orecchie come un campanello d'allarme. 
«Lingua lunga eh?»
«Sì... Perché pensi ti eviti?»
«Non hai visto prima? Non mi ha quasi salutato mentre con te...»
«Non sarai mica geloso?» mi canzonò ridendo.
«Assolutamente no!» 
Ah, che balla assurda. Certo che ero geloso! Aveva bisogno di una dichiarazione scritta e firmata?!
«E allora! - esclamò liquidando la situazione con un gesto della mano - Che problemi ci possono essere se la abbraccio? Siamo o non siamo amici?»
Mi stava facendo salire il nazismo, il fascismo, l'estremismo islamico e anche una puntina di colesterolo. Amici o non amici, odiavo vederli abbracciati. Era meglio cambiare argomento oppure non sarei stato molto bravo a contenere il mio istinto omicida.
«Come sta Bianca?» chiesi allora.
Lui si rabbuiò un poco, prima di cominciare.
«Allora...»
 
PoV Bianca
From:Travis
To:Bianca
Come stai? Ci sono novità?
 
From:Bianca
To:Travis
Tutto bene, questo pomeriggio passa mia mamma e mi porta a casa prima di cominciare il turno. Finalmente! Non ce la facevo più a mangiare il cibo dell'ospedale. Anche se, devo dirlo, era comunque più mangiabile delle mie barrette ipocaloriche. Non mangerò più schifezze del genere :'D
 
From:Travis
To:Bianca
Bene, sono contento. Ma, toglimi una curiosità. Dove lavora tua madre?
 
From:Bianca
To:Travis
Reparto malati terminali. Lo so, che allegria. E mio padre lavorava in un'agenzia di pompe funebri. Viva la vida.
 
From:Travis 
To:Bianca
Think positive. Almeno domani torni a scuola, così ti posso infastidire un po'! Lo sai, è stata dura farti da babysitter l'altro giorno!
 
From:Bianca
To:Travis
Puoi anche fare a meno di farmi sentire in colpa, sai?
 
From:Travis
To:Bianca
Nah, mi fa sentire importante.
 
From:Bianca
To:Travis
Torna a lavorare, Stoll!
 
From:Travis
To:Bianca
Subito capo!
 
Appoggiai il cellulare sul comodino trattenendo una risata. Era inutile nasconderlo, ero al settimo cielo. Dopo quasi una settimana chiusa lì dentro sarei tornata dai miei amici, sarei tornata alla mia vita, sarei tornata a mangiare del cibo vero!
Dovevo dirlo, lo psicologo aveva fatto un ottimo lavoro. Probabilmente avrei potuto abbattere il mondo da sola. Ormai non avevo più paura.
Ora volevo solo andare a casa, dormire un po' e poi rincominciare la mia vita. Mi domandavo se veramente avrei ripreso la stessa vita di prima e probabilmente già sapevo che la mia vita era già cambiata radicalmente, che nulla sarebbe stato come prima.
Sapevo già che la vita cresce, muta, si incrocia con quella altrui, si marca di cicatrici che non si rimargineranno più. Sta solo a noi cercare di dimenticarle e rincominciare da capo.
Mi alzai dal letto e preparai le valigie. Stava anche a me cambiare per la vita.
 
~SPAZIO AUTRICE~
Ciao a tutti, lettori!
Come state? Spero tutti bene ;)
Ok, passo subito al capitolo: 
Ecco il piano di Annabeth che, a quanto pare, funziona a meraviglia. Lo so, magari è poco originale ma, come vedrete, sarà cruciale, non solo per la Percabeth. Se volete un piccolissimo spoiler, recensite ;)
Ora, ringrazio tutti per l'enorme supporto che mi date capitolo dopo capitolo, grazie di cuore. 
Probabilmente a breve pubblicherò alcune one-shoot (forse), ma non so di preciso quando le pubblicherò. Per ora è solo un'idea.
Fatemi sapere la vostra opinione e se volete qualche one-shoot su un momento non descritto nei capitoli, magari riesco a scriverci su qualcosa.
A presto,
OurChildhood :)

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


PoV Talia
All'ora di pranzo c'era un mucchio di gente in coda per prendere quelle schifezze. Capirla la gente! Pagare tanto per uno pseudo-pranzo non mi sembra granché.
Vidi entrare in sala mensa un Percy alquanto alterato. Molto alterato. 
Basti pensare che, al mio cenno di saluto, cominciò a gesticolare come se gli avessi rubato i suoi adorati biscotti blu.
Oh, nessuno ha idea di quanto scleri quando qualcuno si permette di toccarli senza il suo permesso.
Corse verso di me, ansimando. Uno sguardo così corrucciato da non farlo sembrare nemmeno lui.
«Ma li hai visti?! Mi domando, non eri tu con Nico? Non eravate tipo migliori amici che si dicono tutto? Perché non me l'hai detto?!»
Oh, era geloso. Eccome. Il piano stava andando a gonfie vele e la mia dea interiore stava accarezzando compiaciuta un gatto peloso, come i cattivi nei film.
«Chi, Percy?! Ma che cazzo stai blaterando?!» sbottai confusa.
Mi stupivo ogni giorno di più delle mie grandi doti di attrice. Presi il mio bicchiere e presi un sorso d'acqua.
«Nico e Annabeth! Da quando stanno insieme?!»
Sputai l'acqua che stavo bevendo, beccandomi occhiatacce da tutta la mensa. Feci una piccola pausa ad effetto, per poi urlare un “Cosa?!” Che fece girare tutti di nuovo verso di me.
«Sì, prima Annabeth ha detto di essere andata da Nico e di aver "chiesto di Bianca"» disse accentuando le virgolette.
«Magari è vero.» ipotizzai addentando un'immangiabile patatina fritta.
«Si stavano abbracciando. E le mani di Nico non erano tanto a posto.»
Ok, probabilmente era un'iperbole che aveva creato la sua mente invasata dalla gelosia e puntai proprio su quello.
«Magari sono solo scopamici.» 
Capii di aver centrato il bersaglio quando Percy impallidì, spalancò gli occhi e aprì leggermente la bocca.
Poi, la ciliegina sulla torta. Mentre stavo portando alla bocca una forchettata di (presumibilmente) insalata, Nico e Annabeth entrarono mano nella mano, scherzando e ridendo. La forchetta, per il finto stupore, mi scivolò accidentalmente dalle mani provocando un fracasso tale che i due "piccioncini" si allontanarono subito, in imbarazzo, mentre tutti gli altri mi fulminarono per la terza volta in cinque minuti.
A parte Percy che, imbambolato, era diventato rosso dalla rabbia. Era esilarante.
Uscì di fretta e furia dalla mensa mentre Annabeth e Nico prendevano posto al mio tavolo.
«Fantastici. Siamo fantastici. Direi che il piano è andato a gonfie vele. Ora, Annabeth, puoi rinfacciargli il fatto che sia lui la persona gelosa.»
«Per dirla tutta - mi rispose lei - sono intenzionata a farglielo ammettere, non voglio fermarmi qui.»
«Concordo. - continuò lui - In più mi sto divertendo un sacco a farlo ingelosire.»
Penso che se non stavo toccando terra con la mandibola in quel momento, poco ci mancava.
«Cosa? - dissi - L'hai fatto ingelosire, era quello che volevi! E tu? All'inizio non volevi nemmeno contribuire al piano!»
«Sì, ma potrebbe smentire.» rispose lei. 
Ok, forse reagii male, forse esagerai per uno scherzo del genere, ma stava di fatto che, in quel momento, continuare quello stupido giochetto contro Percy, mio cugino, mi urtò i nervi. Annabeth aveva ottenuto ciò che voleva, sì o no? Che bisogno c'era di prendere ancora in giro quella povera e ingenua anima qual era mio cugino?
«Allora sbrigatevela da soli.»
Scavalcai la panca impettita e me ne andai.
 
PoV Bianca 
Ero seduta sul letto quando sentii bussare alla porta. Erano le sei, mia mamma mi aveva avvistata che sarebbe arrivata per le sei e mezza circa. Ma era meglio così, non riuscivo più a sopportare la vista di quelle pareti spoglie e bianche, il materasso duro e le barre in metallo del letto. Non ne potevo più della brodaglia ospedaliera e della vita relegata in una camera d'ospedale senza sapere nulla del mondo all'esterno.
«Avanti!» esclamai prendendo in mano il borsone con tutte le mie cose.
Di certo non mi aspettavo che, da dietro la porta, spuntasse una massa di riccioli castani e due occhi vispi e furbi.
«Travis... Che ci fai qui?!»
Lui sorrise malandrino e mi prese dalle mani il bagaglio. Mi lasciò un bacio sulla guancia che mi face arrossire non poco.
«Allora, vuoi darmi qualche spiegazione?» urlai sconcertata dal suo assurdo comportamento. Quello non poteva essere Travis. Non era lui. Ne era più che sicura.
«Sono venuto a prenderti perché tua madre e Nico non potevano. Allora ho pensato:"Perché non farle passare una serata come si deve?"»
Sorrisi nel sentire la sua idea.
«Direi che è perfetto! Ma lasciami prima andare a casa a cambiarmi. - lo zittii con un cenno della mano prima che potesse aggiungere qualcosa - Sono in tuta e scarpe da ginnastica, non mi sembra l'outfit migliore per passare una serata fuori»
«Certo, principessa, ai suoi servigi.»
Mi posò un altro bacio sulla guancia e si incamminò fuori, mentre io prendevo la documentazione del medico.
Uscita dall'ospedale lo vidi mentre mi aspettava in sella a una moto a dir poco stupenda.
«Wow, non sapevo sapessi guidare una moto.» esordii ammirata.
«Ho molte risorse che ancora non conosci, mia cara.» 
Mi prese dalle mani la cartellina e la sistemò dentro la borsa che aveva chiuso dentro il bauletto della moto.
«Era da un sacco di tempo che volevo fare un giro in moto, davvero, sono così felice, insomma...» mi zittì porgendomi il casco che tentai di indossare, finendo col farmi aiutare da lui. 
Mi portò con movimenti dolci i capelli dietro le orecchie, poi mi infilò quell'aggeggio infernale.
Le sue mani mi accarezzavano dolcemente la pelle del collo mentre mi allacciava il cinturino sotto il mento e, dopo aver finito, mi scostò i capelli dalle spalle e li lasciò cadere dietro le spalle, il tutto in un movimento così lento e leggero che mi fece correre i brividi lungo la schiena.
Mi sistemai dietro di lui, cingendogli la vita con le braccia, stringendo il meno possibile per paura di farlo soffocare, poi lui partì.
Il vento mi sferzò il collo e la paura di cadere fece si che stringessi sempre di più la presa su Travis.
Era qualcosa di incredibile. Sembrava di poter volare tra il traffico di New York, zigzagando e superandolo facilmente.
In pochi minuti arrivammo davanti casa mia, presi il borsone e mi feci aprire dal portinaio. 
Corsi di sopra, tentando di fare il più veloce possibile, dato che Stoll mi stava aspettando fuori. 
Entrai utilizzando le chiavi sotto lo zerbino e buttai tutto alla rinfusa nell'ingresso, mentre velocemente raggiungevo camera mia e indossavo il primo paio di jeans e il primo maglione trovati nell'armadio, oltre alle mie adorate vans nere.
Mi legai i capelli in una treccia veloce e non pensai nemmeno di truccarmi: non volevo far aspettare Travis e, per di più, avevo una fame da lupi.
Presi una borsa con dentro portafoglio e cellulare e chiusi la porta nascondendo nuovamente le chiavi. Corsi letteralmente giù per le scale, rischiando un paio di volte di cadere rovinosamente a terra, per poi precipitarmi in strada.
«Che programmi abbiamo?» chiesi.
«McDonald e film, che ne dici?» domandò mentre mi faceva indossare il casco, mentre sentivo piccole scosse elettriche dove mi toccava.
«Per me va benissimo, ma il film? Domani abbiamo scuola.»
Fece un gesto noncurante con la mano e, dopo essere salita dietro di lui ed essermi aggrappata alla sua vita, ci dirigemmo verso il fastfood.
 
Stavamo entrando all'interno del locale discutendo animatamente, inconsciamente mano nella mano, mentre famiglie chiacchieravano, ridevano e scherzavano. 
Dei bambini correvano per il locale e per poco non mi travolsero, se non fosse stato per Travis che, con prontezza, mi attirò a sé.
Ci ritrovammo corpo contro corpo, la mia mano sinistra intrecciata con la sua destra, la mia destra appoggiata sul suo petto, il suo braccio che mi cingeva la vita, i nostri sguardi incatenati.
Arrossi violentemente e mi scostai da lui, prendendo più distanza possibile.
«Vai a sederti, io ordino.» disse leggermente deluso.
«Aspetta, ti do i soldi»risposi imbarazzata. Fece cenno di no col capo e andò al bancone.
Presi posto sull'unico tavolino libero, tentando di trattenere le lacrime. Perché faceva così male?
Quando, una decina di minuti dopo, tornò con un vassoio pieno di schifezze, sembrava aver riacquistato il buonumore. 
Si sedette davanti a me, ma io cambiai posto, posizionandomi, con suo stupore, accanto a lui.
«Allora, mangiamo?» chiesi.
Lui sorrise, uno di quei sorrisi che solo lui sapeva fare. Cominciai a mangiare, tentando di non ingozzarmi come aveva detto il medico. 
Ma come potevo non ingozzarmi dopo giorni e giorni di cibo schifoso?
Tentavo di non soffocare alle battute di Travis, sia a quelle belle che a quelle orrende perché, dopo settimane di sofferenze, avevo trovato un po' di gioia.
Poi arrivò. Arrivò lui, Ethan. Con la sua compagnia.
«Ehi moretta, ti va di appartarci un po' - rise - ho sentito che sei stata male, magari ti posso far sentire meglio.» 
Faceva gesti indecenti, soprattutto se si contava il fatto che eravamo al cospetto di bambini e bambine.
«Lasciatela stare» ringhiò Travis.
«Oh, quindi vorresti dirmi che mi stai tradendo con questo... - fece una pausa, mentre lo indicava con disgusto - essere?»
Luke si girò e puntò il suo sguardo su di me. 
«Puttana» sibilò ridendo, mentre cercavo di ignorare quel peso che avevo sullo stomaco. Tentavo di non piangere, ma una lacrima scappò lo stesso, facendo ridere quella compagnia di bruti.
Poi era tutto confuso dalle lacrime, una serie di immagini sfuocate, il viso di Travis, la strada, le luci, i grattacieli e poi... Il salotto di casa mia, lui seduto di fronte a me che mi asciugava le lacrime. Mi guardava con fare materno, qualcosa che in lui mai avevo avuto il piacere di vedere.
«Loro non meritano le tue lacrime. Lui non le merita.» sussurrò.
E poi, qualcosa che non mi sarei mai aspettata: mi baciò.
Le sue labbra calde e morbide incastonate sulle mie, come se fossero state forgiate apposta per quel momento. 
Sembrava che quel peso sullo stomaco si fosse, d'un tratto, andato, lasciando spazio a un vuoto, a un formicolio che mi faceva sentire benissimo, più forte di un dio.
Quasi senza accorgermene, affondai la mano nei suoi capelli, mentre con l'altra gli tenevo fermo il viso. Le sue mani mi tenevano la base della schiena, massaggiandola leggermente. Sentivo scosse elettriche in tutto il corpo, poi schiusi le labbra quando sentii la sua lingua chiedere leggermente il permesso.
Sentivo il bisogno di quel bacio più di ogni altra cosa e ne sentii la mancanza quando si staccò per andare a mordere piano il labbro inferiore. Mi strappò un mugolio di piacere, poi passò a torturarmi il collo con baci bollenti.
Mi accorsi solo allora di avere fame, non perché avevo lasciato lì più di metà porzione di patatine, no. Avevo fame di lui.
E non lo fermai quando mi sfilò il maglione o quando aprì il gancetto del reggiseno. Non mi sentii in imbarazzo quando rimasi con il seno nudo di fronte a lui.
E quando si staccò da me fui io a cominciare a baciargli il collo e ad accarezzargli il ventre tonico da sotto la maglietta.
«Bianca...» gemette.
«Bianca» chiamò più forte.
«Bianca!» la sua voce aveva preso un tono quasi femminile, stavo per ridere.
I contorni si fecero man mano più sfumati, ma non stavo piangendo.
«Bianca! Bianca! Svegliati, Bianca!»
Aprii gli occhi mi ritrovai davanti gli occhi mia mamma, agitata. Ero seduta sulla poltrona, dove mi ero seduta aspettando che arrivasse mia madre.
«Allora, andiamo?!» chiese lei, leggermente scocciata.
«Andiamo...» sussurrai, leggermente imbarazzata, realizzando cosa avevo appena sognato. 
Di certo non era uno di quelli che si fanno sempre.
Ma era quasi sembrato vero, il suo sapore, il suo calore, li sentivo ancora su di me, come se fosse successo davvero. E quasi quasi, mi dispiaceva.
"Non posso aver sognato sul serio... No, non posso... Oh, mio dio! Caspiterina! No, no, no! Devo stargli lontana, il più possibile!”
Così decisi: dovevo stare alla larga da Travis Stoll.
 
Spazio Autrice:
Sarò breve, anche perché non voglio sentirmi insultare per il PoV Bianca :D
A parte gli scherzi, vi devo ringraziare IMMENSAMENTE per il traguardo che mi avete fatto raggiungere: "Change" ora è tra le più popolari del fandom, e tutto grazie a voi! 
Grazie per le recensioni sempre positive, grazie per aver aggiunto la storia tra le preferite/seguite/ricordate! Grazie, grazie, GRAZIE!
Come ho detto sono stata breve, non ho commenti riguardanti il capitolo, perciò... Recensite e fatemi sapere che ne pensate ;D
A venerdì 13!
OurChildhood

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


PoV Talia
Ci eravamo trovati tutti a casa mia, il sabato sera dopo il ritorno di Bianca, nella periferia di Mahnattan. Era un appartamento abbastanza grande da contenerci tutti per festeggiare il suo ritorno. 
Poco prima sua madre era andata a portarla ad una visita e, come eravamo d'accordo, la stava portando lì con una scusa qualsiasi in modo da non farle intuire le nostre intenzioni.
Tutto era calmo e tranquillo finché non suonò il citofono e i miei amici, tranne Nico, si rintanarono nella cucina.
«Salve signora Di Angelo!» la salutai poco prima che Bianca potesse fiondarsi tra le mie braccia. Mi era mancata la famiglia Di Angelo al completo.
Mi avevano accettata da subito come una figlia e per questo ne ero molto grata.
«Volete bere qualcosa?» chiesi con un finto sorriso servizievole.
«Magari! Grazie mille, Talia!»
Mi diressi verso la cucina con in parte Nico, il quale mi cinse i fianchi con un braccio. Una mossa azzardata che mi fece tremare le gambe e che, ne ero sicura, aveva dipinto un sorriso sul viso della madre.
Poco prima di entrare dalla porta scorrevole, però, mollò la presa, memore della piano mio e di Annabeth. Il fatto che avessero deciso di continuarlo nonostante la mia scenata in sala mensa di qualche giorno prima mi provocò una leggera fitta allo stomaco.
Aprii la porta e tutti saltarono fuori dai loro nascondigli urlando "Bentornata Bianca!"
Tutti quanti corsero ad abbracciarla, perfino Annabeth che la conosceva appena, tutti tranne Travis, che se ne stava leggermente in disparte con un sorriso malandrino sulle labbra.
Cosa avesse in testa quello non lo sapevo, ma non mi piaceva di sicuro.
Nel tumulto Nico si avvicinò con cautela a me, cingendomi di nuovo i fianchi e sussurrandomi all'orecchio:«Non l'ho mai vista più felice. Grazie!»
Poi, prima di andarsene, mi poggiò un bacio leggero sulla guancia.
 
PoV Annabeth
La serata stava continuando caotica e, dopo che la madre di Nico se ne fu andata, le bottiglie di alcol cominciarono ad uscire dappertutto. 
Nico si avvicinò a me con un bicchiere in mano, ma la mia reazione fu un conato di vomito all'odore di quel liquido, così rifiutai.
«Tutto ok?» chiese con un sorriso in mano. Guardava la sorella mentre parlava serena con Selena e Clarisse, decisamente sollevata dal fardello che avevo notato in lei la prima volta.
«Sì, tutto ok» risposi quasi senza pensarci, presa com'ero dal trattenere i conati di vomito. 
Tutto quell'alcol mi stava dando alla testa senza nemmeno berlo.
Sentii un bruciore nel basso ventre e mani che mi toccavano senza il benché minimo pudore e il dolore che avevo provato la mattina a riscoprirmi nel suo letto mi colpì di nuovo.
Pensai, tentai di concentrarmi sulla festa, sulla gioia che potevano provare tutte quelle persone al ritorno di Bianca.
«Ehi, che ne dite del gioco della bottiglia?» chiese una voce che poi riconobbi come quella di Travis Stoll.
Lanciai uno sguardo supplicante a Talia, facendo intendere che no, non avevo intenzione di ritrovarmi in situazioni simili a quelle del venerdì precedente.
Talia colse subito la mia titubanza ed espresse la sua disapprovazione.
«È solo un giochetto per ragazzini con gli ormoni a palla!» urlai tentando di mantenere calma la mia voce per quanto mi era possibile.
«Dai Annabeth, non essere una guastafeste!» urlò Connor in difesa del gemello.
Tutti si posizionarono in salotto e si sedettero in cerchio. Io capitai in mezzo tra Nico e Talia. Lei mi strinse la mano per incoraggiarmi.
«Non succederà nulla, vedrai.»
Iniziammo questo gioco e quasi tutti sceglievano obbligo. Quasi sempre dovevano bere.
«Annabeth? Obbligo o verità?» chiese Percy con un tono di sfida.
«Verità» risposi, non avevo assolutamente voglia di bere.
«Da quanto tu è Nico state insieme?» 
Spalancai la bocca per lo stupore, Bianca guardò prima me, poi Nico, poi di nuovo me.
«Noi non stiamo insieme!» urlai scioccata dalla sua accusa.
Alzò le sopracciglia e si girò verso Talia.
«Tocca a te. Obbligo o verità?»
«Obbligo.»
«Bacia Nico.»
Talia si irrigidì accanto a me e io guardai Percy sconvolta. Avevo capito la sua tattica:"Se si ingelosisce vuol dire che stanno insieme, altrimenti è tutta una sceneggiata."
«Non farlo se non vuoi» dissi sorridendo a Talia. Non dovevo darla vinta a Percy. Mi sarei aspettata che lei si sarebbe rifiutata categoricamente, invece lo fece.
Prese Nico per il collo delle felpa e lo baciò.
Lo stupore iniziale si tramutò in una risata trattenuta nel vedere i volti dei due rossi come dei pomodori. Feci finta di sentirmi a disagio e lanciai qualche occhiataccia a Talia, anche se lei parve non accorgersene.
Rimase in una sorta di trance tutta la sera.
 
PoV Bianca
«Possibile che non si accorgano di niente quei due? Insomma, sembra che qualcuno li abbia bendati!» sussurrai a Silena. Lei in risposta annuì lentamente, continuando a fissare mio fratello e poi Talia.
Avevamo appena finito di giocare e si trovavano agli opposti della stanza, l'una con Percy, l'altro con Annabeth.
«Non li sopporto più quando fanno così, giuro che prima o poi scoppio e li chiudo in una stanza da soli finché non si dichiarano...»
«Chi si dovrebbe dichiarare?» chiese Travis con un sorriso malandrino.
Seguii il perimetro delle sue labbra prima di distogliere lo sguardo.
«N-nessuno» balbettai prendendo delle patatine e cominciando a mangiucchiarle a disagio. Gli davo le spalle e sentivo la pelle bruciare dove aveva focalizzato la sua attenzione.
Silena si allontanò per raggiungere Clarisse, giusto quando Travis poggiò la sua mano sul mio braccio. Sentii la pelle bruciare sotto il suo tocco e la dovetti scacciare di malo modo prima che potessi mandare all'aria tutto quello che mi ero prefissata.
«Che hai, Bianca? È tutta la sera che mi eviti.»
«Non è vero!» negai più a me stessa che a lui.
Mi girai e vidi i suoi occhi scrutarmi intensamente dall'alto in basso. Rabbrividii sotto il suo sguardo.
Feci per andarmene ma mi bloccò per il polso. Mi tirò a sé con una forza inaspettata che mi fece inciampare e, se non fosse stato per la sua prontezza, sarei caduta per terra.
Ci ritrovammo corpo contro corpo, il mio polso sinistro incatenato dalla sua mano destra, la mia destra appoggiata sul suo petto, il suo braccio che mi cingeva la vita, i nostri sguardi incatenati.
Arrossi violentemente e mi scostai da lui, prendendo più distanza possibile. Eravamo esattamente nella stessa posizione del sogno e questa coincidenza mi mise alquanto a disagio.
«Lo vedi allora? Mi eviti. Hai liquidato la situazione con un "non è vero" come se bastasse quello a mettere le cose a posto, ma non sono a posto! Bianca, lo so che questo non è modo e luogo adatto, ma devo dirtelo! Avrei dovuto dirtelo da molto, molto tempo. E forse tutto questo non sarebbe mai accaduto, tutto questo non c'è lo saremmo mai nemmeno immaginati, quindi ti prego, lasciami parlare e non scappare.»
Non sapevo per quale assurdo motivo sentivo che ciò che doveva dirmi era di vitale importanza non solo per lui, ma anche per me. Sentii un peso sollevarsi dal mio stomaco, sperando forse troppo che grazie a ciò che doveva dirmi sarebbe davvero cambiato qualcosa.
«Io...»
«Bianca!»
Mi sentii portare via per il braccio, il viso speranzoso e combattuto di Travis distruggersi davanti all'inevitabile.
"Inevitabile col cazzo, Bianca! Chi è questo deficiente che ti trascina via in questi momenti di vitale importanza?!"
La mia solita coscienza molto fine ed elegante mi fece notare che la persona che mi stava trascinando via da Travis non ne aveva il benché minimo diritto. Mi girai febbricitante dalla rabbia e urlai:«Che vuoi?!»
Mio fratello spalancò gli occhi  e leggermente la bocca nel sentirmi così arrabbiata. Probabilmente non se l'aspettava.
«Non picchiarmi!» piagnucolò proteggendosi con le braccia da una mia possibile sfuriata.
Lo lasciai perdere e tornai indietro tra la folla, ma non lo trovai. Lo cercai per un pezzo, per poi scoprire che sia lui che suo fratello se n'erano già andati.
 
Spazio Autrice:
Ciao a tutti!!
Salto la solita parte dei ringraziamenti perché, lo sapete già, vi adoro, e vado dritta al sodo.
Questo capitolo è un po' più corto degli altri e non ha neanche un po' di quel che si dice, lo so. Vi avviso che però è un capitolo di passaggio, il prossimo dovrebbe essere più "attivo" (dico dovrebbe perché devo ancora scriverlo, quindi non prometto NULLA).
Per il resto non ho nulla da dire, a parte Percy che, finalmente, tira fuori i cosiddetti e non accetta tutto passivamente, di sicuro ci sarà un suo PoV nel prossimo capitolo.
Non so cos'altro dire! :)
A venerdì 27!
OurChildhood
P. S.: Che c'è? Vi si sono stancate le dita? Recensite, su! Voglio sapere che ne pensate!

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


PoV Talia
Quel giorno il sole aveva deciso di andare a farsi benedire. Per tutta la mattinata la città fu soggetta a una pioggerellina insistente e fastidiosa.
Le nuvole scure sovrastavano la scuola ma non facevano altro che deprimere ancor di più l'ora di letteratura.
"Fate qualche fulmine" pregavo le nuvole, "solo uno o magari due".
Intanto il professore elencava le varie differenze tra poemi omerici e virgiliani. Come se me ne potesse fregar di meno.
Intanto il mio animo era in combutta con sé stesso. Probabilmente mi stavo arrovellando inutilmente ma, chi lo sapeva, allora?
Mi concentravo sulle gocce d'acqua che scivolavano sul vetro e tentavo di controllarmi, o almeno, tentavo di controllare quella parte di me che ancora non era andata al manicomio. Ma l'unica cosa che riuscivo a fare era elaborare pensieri sconnessi e a pensare a situazioni a dir poco imbarazzanti avute con il fautore dei miei problemi.
Mi ritrovai la guancia sinistra bagnata e l'asciugai con la mano tremante. 
 
Talia Grace non piange.
 
Concentrai la mia attenzione sul cortile e sullo spiazzo di cemento costeggiato da alberi che si muovevano lentamente trasportati dal leggero venticello di quella giornata. 
Magari fosse stato un vento forte e temporalesco, mi sarei concentrata su di esso e non sui problemi a dir poco insulsi che mi proponeva la mia mente.
Mi riscossi dai miei pensieri.
"Un cazzo di fulmine?! Uno solo! Non chiedo molto..."
Ma, a quanto pare, le tempeste non possono essere controllate.
«Prof, posso andare in bagno?»
«Certo Grace, vada pure. Ma sappia che sta perdendo un'importantissima lezione sull'epica omerica e virgiliana.»
Probabilmente quel rompi scatole voleva che stessi a sentire la sua interessantissima lezione. Mi alzai lo stesso suscitando le risatine ilari dei miei compagni.
"Coglioni" pensai.
Uscii nel corridoio e, invece di dirigermi a destra per raggiungere i bagni, svoltai a sinistra e, con circospezione, raggiunsi l'entrata della scuola ed uscii. Per ora nessun bidello era lì a controllare.
Mi sedetti sui gradini, pensando di non aver fatto un grande affare. Il freddo pungente penetrava nelle ossa e mi faceva tremare come una foglia.
"Forse è così che si sentono i senzatetto durante l'inverno" pensai malinconica.
Mi strinsi nella felpa che, per quanto pesante, non mi riparava abbastanza dal gelo mattutino.
Mi appoggiai al muro e allungai la mano appena fuori dal riparo che creava il porticato e lasciai che la pioggia scorresse tra le dita.
Mi solleticava e, al tempo stesso, toglieva quel poco di calore che mi era rimasto in corpo, costringendomi a rientrare.
Tornai sui miei passi asciugandomi la mano nei jeans e scaldandomi come potevo.
Ma ancora non mi ero distratta, nemmeno col freddo che mi aveva irrigidito la ossa.
Non ricordo quali pensieri mi premessero di preciso ma ricordo lo scombussolamento che provai nell'incontrare nel mio cammino due occhi neri come il carbone. 
 
Ricordo ancora lo stomaco che si attorciglia, i muscoli dell'addome che si contraggono e il gelo ancora più forte di quello che c'era in cortile.
 
L'agitazione che mi fece sentire il sapore di bile nella bocca, le guance in fiamme e il passo accelerato.
L'inutile tentativo di ignorarli, sia lui che queste dannatissime sensazioni, sebbene si fosse accorto della mia presenza e io della sua.
 
«Ehi Talia!» mi salutò.
A quanto pareva a lui non faceva né caldo né freddo tutto quello che era successo e tutti i problemi che mi stavo facendo non avevano fondamento.
Per lui non era successo nulla. Ebbene, non era successo nulla nemmeno per me.
In fondo non si è trattato solo di un bacio scambiato durante un gioco?
Alzai la mano a mo' di saluto senza alzare la testa e gli passai davanti come nulla fosse.
Peccato che non avevo calcolato il fatto che magari a lui non andasse bene che la sua migliore amica non lo calcolasse.
Mi prese per il gomito e cominciò a camminare accanto a me.
«Dormito poco stanotte?»
Alzai un sopracciglio mentre svoltavo per entrare in classe.
«Poco loquace la ragazza oggi. Dopo in sala mensa voglio vedere la mia solita Talia Grace, non questa ragazza imbronciata. Ok?»
Alzai lo sguardo annoiato sul suo sorriso, tentando di mascherare il rossore e sperando che non sentisse il battito del mio cuore, più che accelerato.
"Calmati! È stato solo un gioco! Non se lo ricorderà nemmeno..." mi ripetevo.
Si chinò lasciandomi un bacio sulla fronte e scompigliandomi un po' i capelli come faceva di solito. 
Abbassai il mento, guardandolo di sottecchi negli occhi. Si era allontanato un po' per ricambiare lo sguardo, quasi per rimproverarmi, poi fece qualcosa che non mi aspettai. 
Con una mano mi alzò il mento e poggiò le sue labbra sulle mie, indugiando quel tanto che bastava per sollevare ancora più confusione nella mia testa. Quando si allontanò vagò con gli occhi un po' sul mio viso, probabilmente più rosso dei capelli della Dare. Sbatté velocemente le palpebre, probabilmente cogliendo il mio imbarazzo.
«Che c'è, dovevo pur ritornarti quello di venerdì sera?» rise, anche lui imbarazzato.
Squadrò ancora il mio viso, mordendosi il labbro. Poi si voltò e se ne andò via impettito.
Sfiorai con la punta delle dita le mie labbra, sentendo le sue ancora a contatto.
"... O forse no" pensai poi, sorridendo come mai prima. E così entrai in classe, gli occhi di tutti puntati sul mio repentino cambio di umore. A parte quelli del prof, ovviamente, che, girato verso la lavagna, disegnava un più che inutile schema concettuale.
«Che volete?!» ringhiai sottovoce.
E tutti ritornarono a copiare gli appunti dalla lavagna.
 
PoV Percy 
Prendevo regolarmente il respiro ogni tre bracciate, lo facevo quasi meccanicamente e senza pensarci. A dire il vero non pensavo assolutamente a nulla.
Questo è l'effetto che mi fa l'acqua. Annulla ogni mio singolo pensiero, come può essere per qualcuno la musica, il ballo, la corsa...
Mi godevo la piacevole sensazione che l'acqua provoca scorrendo sulla mia pelle e aumentai la velocità delle braccia. 
Volevo rimanere senza fiato e crogiolarmi nell'acqua mentre arieggiavo di nuovo i polmoni. Tanto quelle erano le ultime vasche da fare e, secondo i miei calcoli, mi sarebbero avanzati uno o due minuti per immergermi nell'acqua.
Probabilmente i miei compagni di corso non sarebbero riusciti nemmeno a finire le vasche che ci aveva assegnato l'istruttore.
Arrivai alla fine della vasca leggermente senza fiato, ma riacquistai le energie qualche secondo dopo. Mi immersi e, da dietro gli occhialini, concentrai la visuale sulle mattonelle azzurre del fondo, sui galleggianti che dividevano le corsie e poi sulle onde che si creavano sulla mia testa grazie al movimento altrui.
Quando sentii che mi mancava l'aria uscii dall'acqua, appena in tempo per sentire il fischio che segnalava la fine della lezione.
Uscii e mi diressi verso lo spogliatoio e, dopo aver fatto la doccia ed essermi cambiato, andai verso la sala mensa.
Da dietro un angolo comparve Nico, lo vidi di sfuggita prima che scomparisse di nuovo tra la folla di persone e, allora, rimpiansi la vasca dove, fino a pochi minuti prima, stavo nuotando tranquillamente.
Mi feci forza non per entrare in sala mensa e vedere il mio migliore amico (o quello che credevo tale) flirtare spudoratamente con la ragazza che mi piace, no. 
Mi feci forza per non far sì che quel suo visetto che, a quanto pareva, piaceva tanto ad Annabeth, non diventasse una polpetta simile a quelle della mensa (che, detta tutta, oltre ad avere un saporaccio erano addirittura inguardabili).
 
Non mi sforzai nemmeno di sorridere quando raggiunsi il solito tavolo che era più vuoto del solito.
«Dove sono finiti tutti?» chiesi a Talia.
Lei non alzò il suo sguardo dal cibo e continuò a giocherellarci, mentre mi spiegava:«Gli Stoll e Clarisse sono in punizione a pulire non so cosa con i bidelli per una rissa ovviamente iniziata da lei. Grover ha seguito Juniper nella serra; a proposito, questa scuola ha una serra?! Silena si è seduta con Beckendorf e Bianca sta facendo fare il giro della scuola a delle nuove arrivate di un collegio femminile... Rimarranno qui per un po' di tempo come ospiti. Non hai sentito l'annuncio del preside, oggi?»
«Ehm... No» dissi cercando di non guardare lo stupido siparietto che stavano facendo Nico e Annabeth, che si stavano sporcando la punta del naso con la glassa di un cupcake. 
Effettivamente mangiarlo non sarebbe stata una buona idea.
«Patetici...»sputai a bassa voce, ma non abbastanza perché Talia non mi sentisse.
«Ho sentito che hai battuto nuovamente il tuo record...» tentò di distrarmi invano.
«Me ne vado» sussurrai. 
Lei mi seguì fuori dalla mensa, tenendo a fatica il mio passo.
«Aspetta Percy, dove vai?» mi urlò dietro.
«A prendere qualcosa alle macchinette, il cibo oggi è particolarmente immangiabile.»
«Cos'hai Percy?» disse con sguardo triste.
Sembrava pronta ad ascoltarmi, a immagazzinare la mia sfuriata di gelosia, sembrava comprensiva e compassionevole.
"Ma cosa dico? Comprensiva e compassionevole lei, Talia Grace? Probabilmente appena le dirò della mia gelosia mi riderà dietro dicendomi che non ho la benché minima possibilità."
Mi stampai in faccia un sorriso, il più sincero del mio repertorio, risi e, prendendola a braccetto, dissi:«Nulla, Tals, perché dovrei avere qualcosa? Tu, invece? Come sta la mia cuginetta preferita?»
 
~SPAZIO AUTRICE~
Scusatemi tantissimo per ieri, ma avevo la testa da un'altra parte!
Vi prometto che mi farò perdonare, forse so già come ;)
Allora... Grazie a che ha aggiunto la storia tra le preferite/seguite/ricordate e le cinque persone che hanno recensito lo scorso capitolo (davvero tante grazie <3).
Grazie anche alle TRECENTOVENTIDUE buone anime che hanno letto lo scorso capitolo, grazie <3
A venerdì 11!
OurChildhood

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


PoV Bianca
Il martedì mi svegliai stanca e delusa, come da un paio di giorni a quella parte.
Volevo sapere che cos'aveva da dirmi di tanto urgente Travis ma, a quanto pare, il resto del mondo non era dalla nostra. 
Era in punizione per il resto del mese, quindi non l'avrei di certo rivisto a scuola, e uscirci insieme da sola? Neanche a pensarci.
E poi magari doveva solo farmi uno dei suoi "scherzi di benvenuto", quindi non era nulla di importante. Anzi, era meglio così.
"Se è qualcosa di importante mi dovrebbe cercare lui, o no?" pensavo mentre mi spazzolavo i capelli.
Soffermai un attimo lo sguardo sul mio riflesso nello specchio: era di certo migliore di quello di alcune settimane fa. Non mi erano di certo sparite le occhiaie scure, perennemente dipinte sotto i miei occhi, e le guance erano ancora scavate, sebbene si fossero un po' riempite.
La mia carnagione era sempre bianca, ma non di quel colore quasi giallognolo e malaticcio, ma di un bianco candido come quello di mio fratello.
 
Allora mi accorsi delle grandi somiglianze tra di noi ma, soprattutto, delle piccole differenze.
 
Il viso aveva gli stessi tratti, sebbene i suoi fossero leggermente più marcati; i capelli dello stesso colore nero pece e le stesse occhiaie che io tentavo di nascondere il più possibile con il correttore; gli stessi occhi grandi e il naso all'insù; le stesse labbra fine e le ciglia folte.
 
E poi tutte le differenze, sebbene fossero talmente poche da poterle contare sulle dita di una mano.
 
Gli occhi più chiari dei suoi, le mani piccole, la bocca meno grande, i capelli, ordinati a differenza di quelli indomabili di lui, e il fisico magro, fin troppo. Ma per quello ci stavo lavorando.
 
Mi liberai il volto facendo una coda alta e poi uscii di casa. Avevo voglia di fare la strada da sola con calma e magari mangiarmi una ciambella ad un bar.
 
Liquidai in fretta il problema "Stoll" quando, arrivata a scuola, Silena mi tenne stretta a sé, quasi avesse paura di una mia possibile fuga, e mi obbligò praticamente ad andare con lei dal "mio adorato Charlie", come lo chiamava lei. Poco le mancava per avere addirittura gli occhi a cuoricino.
«Come fai a ridurti così per un ragazzo? Insomma, ho capito amore e menate varie ma c'è un limite alla decenza!» la beffeggiai mentre bevevo il caffè preso da Starbucks e lei mi tirava per un braccio verso la meta.
«Capirai quando ti innamorerai» disse fermandosi e mordendosi un labbro. Poi riprese a camminare dopo aver visto la mia faccia scettica.
«Non puoi dirmi che non ti innamorerai, mia cara Bianca. Insomma, tutti ci passano prima o poi, a meno che non siano computer o chicchessia! E no, non farmi credere che tu sei un computer perché lo so per certo che non lo sei! Perché... - si fermò nuovamente e alzò un sopracciglio, confusa - ...perché non lo sei, vero?» chiese con voce malferma. 
Io in risposta scoppiai in una più che fragorosa risata, quasi strozzandomi con il caffè.
Lei riprese a camminare impettita per l'offesa subita. Potevi dire molte cose su Silena, ma non di certo che stesse al gioco o fosse granché sveglia. Ma aveva un gran coraggio in tutti i campi: scuola, ragazzi... Tutto. Era l'unica a saper tenere a bada certe persone come Clarisse, ed era forse per questo che erano grandi amiche.
«Tu ti innamorerai. Ne sono certa. Mi immagino già te con un abito da sposa, magari non bianco, starebbe male sulla tua pelle... Magari rosa, un bel rosa confetto!»
Trattenni un conato di vomito. Già il discorso di innamorarsi e del matrimonio erano per me di per sé vomitevoli, se poi ci si aggiungeva un abito rosa confetto si chiudeva il quadretto. Anzi no, il triangolo.
«E sai chi secondo me starebbe bene con te?! Travis Stoll! Sareste perfetti!»
Sputai il sorso di caffè pensando ironicamente:"Ecco, ora il quadretto è completo!"
 
Avevo detto che il problema Stoll si era risolto facilmente quella mattina?
Ritiro tutto.
 
PoV Talia
Raggiunsi l'aula di biologia in largo anticipo, tanto che il professore non era nemmeno arrivato. 
Non avevo intenzione di assistere ad un nuovo siparietto e me ne ero andata. Avevo lasciato Percy solo, però. 
"Se la caverà, forse."
Cominciai a ripassare l'argomento poco prima che suonasse la campanella e, con essa, cominciassero ad entrare i secchioni.
Inutile dire che cominciarono a guardarmi come se avessero appena scoperto un nuovo tipo di pianta potenzialmente velenosa. Mi urtavano i nervi.
"Che c'è?! Non avete mai visto una ragazza?!" Urlai, facendoli allontanare da me.
Ringraziai il cielo quando arrivarono gli altri alunni, un po' meno quando il professore ci assegnò il compito di vivisezionare delle rane.
 
La mattina passò lenta e inesorabile tra interiora, compiti di letteratura e il corso di matematica avanzata.
 
«Sicuro che il cervello sia ancora tutto dentro? Perché io non ne sarei così sicura!» chiesi al mio compagno di banco mentre la professoressa di algebra finiva di spiegare una cosa di cui avevo scordato il nome.
«No, perché se almeno ne ho perso un po' posso denunciarli per danni alla mia fantastica persona!»
«Taci, Grace» rispose lui ridendo e prendendosi la testa tra le mani.
La mia pulsava tremendamente, faticavo a reggerla sulle spalle.
«In più - aggiunse girandosi verso di me e guardandomi con i suoi occhi marroni - da come ti reputi direi che gravi danni non ne hai subiti.»
Concluse la frase tirandomi un pugnetto sulla spalla e sorridendomi in un modo strano. Appena presa consapevolezza della situazione strinsi le labbra tanto da farle sparire in una linea sottile e voltai lentamente verso la lavagna.
"Che imbarazzo..." Pensai quando, con la coda degli occhi, vidi il mio compagno di banco arrossire per la vergogna e voltarsi anche lui verso la lavagna.
Trattenni una risata.
 
Al suono della campanella corsi verso la sala mensa, dapprima contenta di aver concluso quella estenuante (e schifosa) mattinata, poi sempre più consapevole dei vari siparietti che si sarebbero andati a creare.
Mi tirai un po' su di morale cominciando a prendere in seria considerazione una possibile stesura di un libro dal titolo:“Tutti i modi più uno di uccidere dall'imbarazzo il proprio compagno di banco”.
Probabilmente avrei raccontato l'aneddoto a... Annabeth.
"Possibile che qualsiasi cosa succeda ci siano quei due in mezzo?!" (Ok, forse non era proprio così, ma la mia mente mi portava a fare conclusioni del genere).
Presi posto al solito tavolo dove "stranamente" non c'era ancora nessuno a parte i due finti piccioncini più un testa di triglia che non si accorgeva neanche che quei due stavano recitando.
«Ancora un po' e ti esce il fumo dalle orecchie!» sussurrai all'orecchio del suddetto testa di triglia.
Lui arrossì in un primo momento, poi si riprese stringendo i pugni e facendo diventare bianche le nocche.
Intanto quei due schiamazzavano e ridevano. Mi davano all'urto.
Poi Nico si avvicinò all'orecchio di Annabeth e le sussurrò qualcosa.
«Nico smettila! Mi fai il solletico!» si lamentò ridendo.
Rise anche lui e le morse il lobo.
In quel momento, quasi senza accorgermene, scattai in piedi sbattendo i pugni sul tavolo, alimentata da un fuoco che mi lacerava lo stomaco.
Oramai gli occhi di tutti erano puntati su di me.
«Ora BASTA!» sbottai.
Mi girai e per sbaglio, feci cadere il pranzo ad un novellino. 
«Il mio pranzo...!»si lamentò lui quasi miagolando.
Mi avvicinai al suo viso colma d'ira e di un grande istinto omicida e gli urlai in faccia:«Stai zitto!»
Uscii quasi correndo dalla mensa e mi diressi verso il bagno quando mi accorsi di avere le guance rigate da lacrime di rabbia.
E fanculo anche alla frase "Talia Grace non piange", Talia Grace è un essere umano, piange come chiunque altro.
Sentii il rumore di passi dietro di me e, poco prima di entrare nel bagno, mi voltai.
Vidi una zazzera di capelli neri e due iridi altrettanto scure, così scattai:«Che vuoi?»
«Solo sapere come stai. E perché hai fatto quella scenata in sala mensa. E perché tu sia gelosa di Annabeth. Non ne vedo il motivo. Insomma, siamo sempre amici come prima, no? Allora"Cos'hai?" mi domando.»
Mi strinse un polso con la sua stretta di ferro.
«Tu proprio non capisci - sibilai guardando il pavimento - Non capisci che sono gelosa di Annabeth non perché penso che tu mi stia trascurando ma per altro?!»
Aumentò la stretta e mi sollevò il viso con l'altra mano.
Da dietro il velo di lacrime che mi offuscava la vista vidi il suo sorriso, tremendamente bello, terribilmente affascinante.
Sbattei le palpebre un paio di volte per riuscire a vedere oltre il pianto, per rendere chiara la visuale.
Ma il suo sorriso era lì, davanti ai miei occhi, per me.
Gli gettai le braccia al collo, lo baciai. 
Lo baciai perché avevo voglia di farlo, perché volevo sentire quel suo sorriso ancora più mio, volevo mi appartenesse in tutto e per tutto.
E forse fu la sua risposta al bacio a rendermi ancora più felice, furono le sue braccia che mi stringevano a mandarmi in paradiso.
Forse era anche per una serie di fattori cosmici e fatali che mi avevano portato ad avere la mattinata peggiore di tutte, che mi fecero apprezzare ancora di più quel bacio, tramortendo quella poca dose di buon senso che mi era rimasta tanto da addormentarla e lasciarmi in balia delle emozioni.
Forse erano troppo grandi solo per me, ma forse lo erano anche per lui.
E fu quando mi prese in braccio e mi strinse tra il suo corpo e il muro di armadietti che io decisi che volevo di più, volevo lui.
Ma furono forse gli stessi fattori cosmici e fatali che avevano reso quella mattina uno schifo che crearono una situazione abbastanza forte da fermarci.
Tra i miei capelli incastrati nella rotella di un armadietto e un Percy sconvolto che ci fissava riuscimmo a trovare la forza per allontanarci abbastanza da non riuscire a trovarci nemmeno allungando le mani.
Nel frattempo anche Annabeth era arrivata, probabilmente rimasta sola in sala mensa.
Percy si rivolse per primo a Nico:«Che è questa roba? Una non te ne bastava? Non ti bastava Annabeth?!»
Un primo momento di tensione fu sconfitto da un generale momento di ilarità tra me e i due diretti interessati.
La faccia sconvolta di mio cugino non aveva paragone.
«Perché, sei geloso?» lo canzonai io.
«Certo che lo sono! Possibile che ogni volta che mi piace una ragazza ci sia sempre qualcuno che si mette in mezzo?!»
«Ragazzi, penso che il piano abbia funzionato» disse Annabeth con un sorriso malandrino sulle labbra.
 
Ovviamente spiegammo del "piano" a Percy e mi godetti la scena quando scoprì che fui proprio io ad idearlo.
Nel frattempo Nico si era avvicinato e mi aveva abbracciato da dietro, facendomi venire la pelle d'oca.
E Annabeth continuò a prendere in giro Percy come se fossero stati amici da una vita e lui non avesse appena ammesso che lei gli piaceva (da morire, si potrebbe aggiungere).
 
Forse fu il nostro rientro in mensa particolarmente allegro o il fatto che io e Nico ci stavamo tenendo per mano a suscitare la curiosità di Bianca.
«Quindi ora è la tua ragazza?» chiese lei in estasi a suo fratello.
«Ehm... Dati i modi di comportarsi e il livello di cura personale direi di più che è il mio ragazzo, ma... Credo di sì» disse sorridendomi.
Io in risposta gli tirai un pugno e poi, ridendo, lo baciai.
Un bacio piccolo, a stampo quasi, ma abbastanza da rendermi felice.
E da farmi stritolare da una Bianca più che agitata.
 
~SPAZIO AUTRICE~
Ringrazio le sette persone che hanno recensito lo scorso capitolo,grazie mille anche a tutte le persone che hanno aggiunto questa storia alla lista delle preferite/ricordate/seguite e tutti i lettori silenziosi che leggono i capitoli :3
Alloooora......................
 
Che ve ne pare? :D
Io sono letteralmente impazzita scrivendo, Talia e Nico li amo troppo *.*
Ok, mettendo da parte l'anima da fangirl, ho amato scrivere questo capitolo. Spero piaccia anche a voi ;)
 
Piccolo spam: ho scritto una One-Shoot nella sezione Romantico, mi farebbe molto piacere se qualcuno passasse a lasciarmi il proprio parere, positivo, neutro o critico che sia. Ho bisogno di crescere anche nell'ambito "storie originali".
 
Altro spam per tutte le autrici: è stato indetto un concorso su questo gruppo di Facebook, secondo me molto carino. Agli amministratori piacerebbe avere molti più iscritti, quindi se c'è qualcuno di interessato vi lascio il link del gruppo
 
- "I concorsi di Marlene e Ned"---------> https://www.facebook.com/groups/629580557132423/
 
A venerdì 25
-A
 
P. S.: D'ora in poi mi firmerò con -A perché a breve l'altra ragazza che condivide il profilo con me dovrebbe pubblicare la propria Fanfiction, così si capisce chi scrive la storia :)

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Dedico questo capitolo a tutte le persone che recensiscono ogni singolo capitolo e, soprattutto, a Hope Save Me, che mi dà sempre preziosissimi consigli.
 
PoV Talia
Passarono un paio di settimane generalmente tranquille, senza eventi speciali o avvenimenti sostanziali.
Fu un venerdì sera di metà ottobre a cambiare radicalmente la visione che tutti noi avevamo della vita. 
Sapevamo tutti che era una compagna un po' difficile e che riservava delle sorprese più o meno brutte, ma nessuno poteva aspettarsi che certe notizie fossero il suo asso nella manica.
 
Ci eravamo ritrovati a casa Di Angelo alle otto io, ovviamente Nico, Percy e Annabeth. Bianca aveva declinato l'invito perché aveva già detto a Silena che sarebbe andata a dormire a casa sua.
La serata era già decisa: pizza, gelato, film, Playstation per Percy e Nico e puro gossip per noi donzelle.
Poi, quando Percy e Annabeth se ne sarebbero andati, la casa sarebbe stata tutta per me e Nico, dato che sua madre sarebbe stata tutta la notte in ospedale per fare degli straordinari: le servivano i soldi per potersi trasferire in un appartamento più grande.
Data la straordinarietà dell'evento (casa di Angelo vuota) dubitavo fortemente che il dopo serata sarebbe stato calmo e tranquillo.
Ma, l'ho già detto, quella fu una serata particolarmente sconvolgente.
 
Pochi minuti dopo l'arrivo dei due Grandi Indesiderati, così si erano auto-soprannominati, arrivarono pure le pizze, dando così inizio alla prima delle nostre serate-film, che ci avrebbero accompagnati di lì fino alla fine dell'anno.
Seppur non senza qualche difficoltà di nome Percy, riuscimmo a scegliere il film.
«Io propongo 'Colazione da Tiffany'» sentenziò Nico.
A questa proposta seguirono versi ammirati da parte di Annabeth, schifati da parte di Percy e una bocca leggermente aperta e sguardo stupito da parte mia.
«Ragazzo, ti fa male avere una ragazza: da quando sei un inguaribile romantico?!»
Inutile dire che a seguito di questa affermazione Percy, o meglio, Il Grande Disturbatore (quella sera eravamo in vena di soprannomi), si beccò un pugno di una Annabeth particolarmente infastidita diretto sullo stomaco che gli fece mancare il fiato per alcuni secondi.
 
Il silenzio e il freddo in quegli attimi regnarono sovrani.
 
E poi una grande risata si levò da noi spettatori e dall'autrice del nostro divertimento, decisamente fiera del proprio gesto.
«Sul serio Bionda, sei un portento!» esclamai tra le risate.
Lei in risposta alzò l'indice e il medio di entrambe le mani in segno di vittoria.
Percy la fulminò con lo sguardo ma, lo sapevamo tutti, lei compresa, che in realtà stava ridendo anche lui dentro di sé.
«Tranquillo amico, non sono diventato un romanticone, è che c'è Audrey Hepburn e trovo che sia la donna più bella mai esistita!»
Quella volta fui io a caricare un pugno.
«Ovviamente sempre dopo di te, Amore!» squittì poi Nico.
«Non chiamarmi Amore!!» urlai a mo' di "Questa é Spartaaaaa" e lo colpii allo stomaco.
«L'ho sempre detto che non sei una ragazza, cugina!»
Mi girai con uno sguardo fulminante verso l'origine del rumore.
Sì, rumore, perché non poteva essere altro che un rumore quel ronzio che mi era arrivato alle orecchie.
Annabeth intanto mi guardava come se fossi stata sua figlia e avessi compiuto i primi passi.
«Io propongo "American Pie"» disse Percy. Nessuno prestò attenzione alla sua proposta.
«Il Padrino» proposi semplicemente io.
«Gli faremo un'offerta che non potrà rifiutare!» disse Annabeth imitando Marlon Brando.
Nico annuì alla mia proposta.
L'unico a non essere d'accordo era ovviamente Il Grande Disturbatore anche se, dopo alcuni minuti di discussione, mi alzai e cercai il film in internet senza ascoltare le varie lamentele.
La pizza era ormai fredda, ma non facemmo caso, particolarmente presi dal film che, peraltro, io avevo già visto un centinaio di volte.
Come Annabeth, d'altronde. Lo scoprii quando entrambe cominciammo a recitare a memoria intere scene, guadagnandoci le occhiatacce dei ragazzi.
 
Finita la prima parte del film decidemmo di fare qualche attimo di pausa, dato che nessuno di noi, in realtà, era stato granché fermo durante tutta la durata del film.
Colpa dell'iperattività, ovviamente.
Nico continuava a battere il piede sul tappeto, Percy, il più agitato, continuava ad alzarsi e fare avanti e indietro dietro il divano un paio di volte prima di risedersi. E questo capitava più o meno ogni dieci minuti.
Anche se ci fu un momento di particolare calma da parte sua.
Ero abbracciata a Nico e mi curavo poco di tutto il resto quando lui, battendomi la mano su una spalla mi fece notare una scena che mi fece sorridere.
Annabeth aveva piegato le gambe sul divano e aveva appoggiato la testa sulla spalla di Percy, mentre lui le cingeva le spalle con un braccio e la teneva stretta a sé.
Incontrai lo sguardo di Nico, particolarmente divertito e forse un po' sghignazzante. Non mi stupirei di trovare una foto di quella scenetta scattata a tradimento.
 
Nessuno aveva più la forza d'animo di continuare a guardare il film, decidemmo così di proseguirlo la settimana seguente.
«Chi vuole gelato?» chiese Nico.
«Io passo» rispondemmo tutti immediatamente.
Lui alzò le spalle e accese la Playstation.
«Ho voglia di the. Talia, lo bevi con me?»
Feci cenno di sì a Annabeth che mi guardava con il sorriso tirato, uno di quelli che non raggiungono gli occhi.
In salotto i ragazzi si concentrarono su un'importantissima partita di FIFA, mentre io e Annabeth, in cucina, ci preparavano un the caldo.
Lei stringeva convulsamente le dita intorno alla tazza intanto che aspettava il tempo necessario perché l'infuso fosse pronto.
Il suo sguardo tradiva agitazione e una leggera punta di tristezza. Non capivo perché, fino a poco fa ci eravamo divertite.
Appoggiò la tazza sul tavolino in parte a lei e cominciò a giocherellare con il bordo del suo maglione, evidentemente a disagio.
Aveva qualcosa, lo avevano capito anche i ragazzi che in sala, non sentendo risate e mormorii dalla cucina, avevano messo in pausa il gioco e ci stavano fissando perplessi.
«Mangiato troppo?» chiesi, tentando di distogliere l'attenzione del due da lei. 
Se aveva qualcosa me l'avrebbe detta, lo sapevo, ma non lo avrebbe detto davanti a tutti.
Alla risata di lei, leggermente sforzata, e alla sua risposta di assenso rincominciarono a giocare.
«Lo sai che una ragazza di quelle del college femminile ha rifiutato categoricamente l'invito di Lucas Johnson alla festa organizzata da quelli della Omega&Co?! Pare che quelle debbano rinunciare completamente ai ragazzi se non vogliono essere espulse. Incredibile!» cominciai subito.
«Dicono che sia un'ottima scuola, però... E che all'università si aprano molte porte per le studentesse che l'hanno frequentata. A proposito, come si chiama?»
«Artemis' High School. Sarà anche un'ottima scuola, ma devono starsene completamente alla larga dai ragazzi.»
Lei rise.
«Dici che si chiami così per questo? - si picchiò la fronte con una mano e rise ancora - Che domanda stupida, certo che è così! E dici che ammettano solo ragazze vergini?»
Scrollai le spalle.
«Se è veramente così metà delle Cheerleader della nostra scuola non sarebbero state ammesse nemmeno al primo anno!»
Lei alzò le sopracciglia talmente tanto che diventarono quasi un tutt'uno con i capelli.
«E anche se venissero ammesse, come fanno gli insegnanti a sapere che le allieve non hanno rapporti con l'altro sesso?»
Presi la mia tazza e feci aleggiare il fumo del the davanti al mio viso, quasi a creare un'atmosfera misteriosa.
«Loro vedono tutto!»
Scoppiammo a ridere entrambe per la mia deficienza.
«Sarà, anche se trovo difficile che riescano a mantenere fedeltà a questo modo di pensare in una scuola frequentata per la maggior parte da ragazzi. Insomma, hanno degli ormoni anche loro!»
«Non so, Annabeth... Ha detto di no a Lucas Johnson, deve avere una volontà di ferro!»
Ci lasciammo andare ad un sospiro pensando al suddetto ragazzo.
Insomma, ok, ero innamoratissima di Nico eccetera eccetera, ma una cotta per Lucas Johnson era d'obbligo!
Insomma, era come non avere un amore platonico per Johnny Depp: praticamente impossibile.
Tutto d'un tratto lei si rabbuiò completamente. Bevve un lungo sorso di the e inspirò a fondo.
«Talia, aprì bene le orecchie, ora si parla di una cosa seria.»
«Cosa c'è? La Dare si è spezzata un'unghia?»
Lei mi lanciò un'occhiataccia e capii che doveva parlare di quella cosa che prima non aveva il coraggio di dire. 
Fortunatamente i ragazzi erano talmente presi dalla partita da non accorgersi nemmeno del gelo che era calato nell'appartamento. 
 
O forse lo sentivo solo io.
 
«Talia, hai presente quel sabato mattina in cui sono venuta qui, all'inizio dell'anno?»
Ripensai a quella mattina e alla scena del bagno. Oh sì che me la ricordavo.
Probabilmente si accorse del mio sguardo fantasticante, perché mi schioccò le dita davanti agli occhi.
«Sì, sì, me la ricordo.»
«Ricordi anche di cosa abbiamo parlato?»
Riflettei un attimo, poi ricordai.
«Certo, ma Annabeth, devi tagliare quel coglione fuori della tua vita. Insomma, ti ha fatto del male e tanto basta.»
«No, non è di questo che volevo parlare di questo. C'è dell'altro.»
Per un paio di minuti scese il silenzio tra di noi, un silenzio pesante, quasi come portare sulle spalle un elefante.
«Sono in ritardo con il ciclo...»
«Bionda, può capitare, è normale.»
«...di tre settimane» terminò la frase.
«Ok, forse questo è un po' tantino. Ti sei fatta vedere da un medico?»
Non potevo immaginare, non potevo pensare o arrivare a una conclusione del genere, in fondo chi ci sarebbe arrivato così, su due piedi, dopo una serata come quella?
«Talia, tu non capisci proprio, allora!»
Una sensazione di gelo si insinuò tra noi e tutt'intorno nella stanza. Guardando Percy e Nico giurai di averli visti rabbrividire, uno dopo l'altro, a qualche secondo di differenza.
 
«Talia, sono incinta.»
 
Crash!
 
«Che è successo?!»
Avevo occhi e bocca spalancati e, quasi in preda a una paralisi, mi voltai piano verso Nico, che aveva posto preoccupato la domanda, e Percy, che mi guardava come se avessi urlato di essere veramente un maschio, cosa a cui, peraltro, avrebbe creduto.
Posai lo sguardo per terra, dove giaceva il relitto della tazza che avevo tra le mani e il the che era ancora rimasto dentro.
Tornando a guardare Annabeth, dissi con finto tono stupito:«Oh, che sbadata! Ora pulisco subito!»
E mi precipitai a chiudere la porta scorrevole a doppia anta della cucina.
«Com'è successo?!» chiesi mentre raccoglievo i cocci.
«Ci stavamo guardando negli occhi, ci volevamo tanto bene e una cicogna ha preso un bambino da sotto un cavolo e ce l'ha dato!» disse traboccante sarcasmo.
«Annabeth! Lo sanno tutti che i bambini non nascono sotto i cavoli e che non li porta la cicogna! Lo sa perfino... Un bambino!»
«Secondo te, allora?!»
«Senti, con me non giochi a Capitan Ovvio! Ma non aveva la protezione? L'ha bucata?»
«Talia, ero ubriaca!»sbottò, trattenendosi dall'urlare per non essere sentita.
«Dimentico sempre questo piccolo particolare...» sussurrai.
«Piccolo particolare, dici?» sibilò tra i denti.
Scattai in piedi e le presi i polsi fino con forza, tanto che lei mi guardò sorpresa.
«Domani andiamo da Luke.»
Lei scosse energicamente la testa.
«E non si discute!»
La lasciai andare e finii di pulire il macello che avevo combinato.
Entrò poi Percy.
«Ehm... Annabeth? Andiamo? Ti accompagno a casa io.»
Lei annuì e mi abbracciò stretta stretta.
«Alle undici da Sturbucks. A quel l'ora la sua ennesima ragazza se ne sarà andata. Non incinta, si spera» sussurrai al suo orecchio, poi se ne andarono.
 
Le sue mani mi scorrevano sotto la maglia, fredde. 
I baci che mi depositava sulle labbra erano ricambiati a fatica, avevo la testa da un'altra parte.
A quanto pare se ne accorse anche lui.
«Che c'è Talia?»
Scossi la testa.
«È che... Sono preoccupata...»
«Per Annabeth?»
Lo guardai stupita.
«Smettila di leggermi nel pensiero!» dissi, portandomi le mani alle orecchie.
«Non ti leggo nel pensiero! Avevo capito che c'era qualcosa che non andava... Vuoi parlarne?»
«No...» sussurrai e distolsi lo sguardo.
«Domani?»
Acconsentii.
Riprese a baciarmi, continuando da dove si era fermato prima, ma ero ancora meno partecipe.
Lui, deluso, si fermò di nuovo, si limitò a un bacio e mi augurò la buona notte.
 
La mattina dopo riuscimmo a parlare ben poco, facendo quello che la sera precedente non eravamo riusciti a fare.
 
~SPAZIO AUTRICE~
Sarò molto breve.
Come avevo già anticipato a qualcuno nelle risposte alle recensioni, questo capitolo contiene grandi novità, come avete ben notato ;)
Nel prossimo capitolo ci sarà il ritorno di Luke in pompa magna, quindi aspettatevi di tutto!
A venerdì 8,
-A
 
P. S.: L'altra ragazza che condivide con me il profilo ha pubblicato la sua storia appartenente al fandom di Harry Potter. Se siete interessati questo è il link: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2716872

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


PoV Talia
Era presto, il sole non era nemmeno sorto.
La madre di Nico non era ancora rientrata. 
Stavo aspettando intrepida le undici di quella mattina, immaginando e progettando ciò che avrei potuto fare a quel coglione. Spaccargli la faccia sarebbe stato poco, tremendamente poco.
Rendere la sua esistenza solo un ricordo? Potrebbe essere, ma non mi pareva così crudele.
D'altro canto, chi avrebbe odiato qualcuno di cui non ricordava neppure l'esistenza?

«Ehi, già sveglia?» chiese Nico con la voce impiastrata dal sonno.
Un suo braccio mi circondò forte e deciso.
«Potrei farti la stessa domanda, Di Angelo.» risposi girandomi e salutandolo con un leggero bacio.
«Non stavi ferma un secondo, come potevo dormire?»
Ridemmo entrambi, guardando i contorni appena accennati dei nostri occhi.

Il nero dei suoi occhi splendeva in quell'oscurità e sembrava ancora più profondo e tetro del solito.
Ero talmente presa da quella oscurità che quasi non mi accorsi quando si avvicinò per baciarmi.
Le sue labbra morbide mi colsero di sorpresa e mi provocarono brividi caldi lungo tutta la schiena.
Le sue mani mi strinsero i fianchi mentre, lentamente, si posizionava sopra di me.
Poi, con tocco leggero, prese a risalire lungo i fianchi, tirandomi su contemporaneamente la maglia nera.
Intanto, i nostri baci si facevano man mano più approfonditi e il momento in cui si separò da me per togliermi la t-shirt mi mancarono terribilmente le sue labbra sulle mie.
Dopo, mi schiacciò tra il materasso e il suo corpo mentre le sue labbra continuavano a baciare ogni centimetro delle mie.
Da lì persi la cognizione di me stessa, non sapevo cosa volesse dire io o lui, ma sapevo solamente il significato di noi e che quel noi era l'unica cosa che volevo davvero.
Volevo i suoi baci, le sue mani fredde su di me, volevo che lui completasse quel vuoto che avevo dentro e volevo avere su di lui lo stesso effetto.

Dopo una doccia e una sostanziosa colazione preparata dalla signora Di Angelo che era rientrata dopo poco, mi preparai ad uscire e a tirare qualche cazzotto.
Nico mi accompagnò all'uscio dell'appartamento, mentre sua mamma si era recata in cucina con un sorriso nascosto a fatica in volto.
«Allora ci vediamo?» mi chiese con le mani in tasca e guardandosi intorno.
Imbarazzo? Sul serio?
Gli presi il mento tra due dita in modo che ci guardassimo negli occhi.
«Ci vediamo» risposi ridendo.
Lui sorrise e mi baciò.
Probabilmente sarebbe stato un bacio abbastanza spinto se un urletto strozzato non ci avesse fermato, facendoci riprendere fiato.
La mamma di Nico si stava osservando con la testa che spuntava dall'entrata della cucina con la stessa faccia che fa un bambino che è stato scoperto con le mani nella marmellata. O nella nutella, dipende dalle preferenze del bambino.
Scoppiai a ridere, mentre Nico con fare disperato esclamò senza molti preamboli:«Che imbarazzo! Datemi uno spigolo!».
Nell'ilarità generale salutai di nuovo la madre di Nico, leggermente arrossita e Nico, decisamente esasperato.

Quasi mi dimenticai il motivo per cui io e Annabeth dovevamo trovarci da Starbucks.
Fu il suo sguardo assorto e velato di una tristezza inconfondibile a riportarmi alla dura realtà e a farmi dimenticare quella felicità vissuta quella mattina.
Vedere Annabeth così proprio non mi andava giù.
La conoscevo da poco, ma navigavamo sulla stessa lunghezza d'onda, perciò era come una sorella per me e sapevo che la cosa era reciproca.
Sentivo il rumore dei miei passi amplificato mentre pensavo a cosa dire, ma ad ogni tentativo di concentrarmi il rumore delle suole delle Converse sul cemento mi distraeva e mandava in fumo anche l'albore del discorso perfetto.
Il mio stomaco si attorcigliava per l'ansia e non facevo altro che immaginarmi come sarebbe andato l'incontro. 

Lui che avrebbe detto? Cos'avrebbe fatto? Come si sarebbe comportato? Da strafottente? La avrebbe derisa lasciandola in balìa della sua sventura? La avrebbe guardata con sguardo di sufficienza?

Tanti possibili scenari mi si presentavano davanti agli occhi e ognuno sembrava più assurdo e impensabile dell'altro. 
Riuscii a stupire me stessa quando, d'un tratto, mi immaginai lui che, con le lacrime agli occhi, toccava con fare paterno la pancia di Annabeth.
E, due secondi dopo aver scartato l'idea, - si parla di Luke Castellan, diamine! - mi immagina il contrario.

Lei, sola.

Solo il fatto di aver immaginato una scena del genere mi destabilizzò completamente, facendo crollare quelle poche certezze che avevo, perfino quella della mia umanità.

Come potevo immaginare una sorte del genere proprio per Annabeth e il suo bambino?

Per un momento una parte di me pensò davvero di essersi tramutata in un mostro, un terribile mostro. Pensò sul serio di non essere abbastanza buona, di essere addirittura nociva per la dolce Annabeth e quella creaturina che portava in grembo.
E, un'altra parte di me, pensò che non le stavo augurando il male, stavo solo valutando le ipotesi e che, in ogni caso, ci saremmo stati noi - io, Percy, Nico, Bianca e tutti gli altri - o, in ogni caso, ci sarei stata io lì per lei.

Quando raggiunsi Annabeth, che si era presa qualcosa di caldo da Starbucks mentre mi aspettava, ero riuscita a far prevalere la seconda parte di me, anche se sentivo ancora i demoni della prima che mi divoravano le budella per i senso di colpa.

«Pronta?» le sussurrai quasi impercettibilmente mentre la stingevo tra le mie braccia.
Sentii la sua testa, appoggiata tra l'incavo del collo e la spalla, che annuiva, anche se i capelli bagnati dalle lacrime dicevano il contrario.
Lei non era pronta, lo sapevo, si notava, era inutile negarlo.
Ma era anche inutile aspettare che lo fosse, non lo sarebbe mai stata.
Quindi, con un sorriso, rivolsi un sorriso raggiante al suo bel viso, guardandola attentamente nei suoi occhioni grigi, la presi per mano e esclamai vittoriosa:«La faremo vedere noi a quel Castellan!»

Ci trovavamo davanti alla porta del suo appartamento quando Annabeth mi prese per il polso, tentando di trascinarmi via.
«Che c'è?» le chiesi.
«Non posso, non me la sento. Non sono pronta, ho mentito.»
Si portò una mano a coprire gli occhi e una alla pancia. Sarebbe scoppiata in lacrime, e io non sopportavo i piagnistei, nemmeno se a farli è la mia migliore amica in un momento delicato come questo.
«Se non hai intenzione di andare a parlarci, ci andrò io! Non sono venuta fin qua per nulla e ora voglio che una di noi due vada a parlare con lui, volente o nolente!»
Mi avvicinai alla porta e suonai al campanello.
Lei, allo squillo, si allontanò nella semi-oscurità del corridoio.
Mi aveva lasciata sola.

E, dopo due anni, ero di nuovo da sola davanti a Luke Castellan, autore del mio dolore e della mia diffidenza verso i biondi, naturali o tinti che siano.

Aprì la porta e per un lieve secondo mi sentii intimorita da lui, timore che evaporò completamente quando vidi la sua faccia stupita.
«Dobbiamo parlare» dissi, portando le mani ai fianchi per darmi un finto tono autoritario.
Un leggero ghigno si dipinse sul suo viso, cosa che mi fece cedere lievemente sotto il suo sguardo. Avevo completamente dimenticato le sue doti innate da seduttore e il suo grande fascino.
E per un attimo mi sentii intrappolata dalle sue iridi azzurre.

Ero in piedi all'interno dell'appartamento.
Era rimasto esattamente come due anni prima, solo che ora odorava di fumo e alcol, segni plausibili di un'altra notte brava a spese dell'ennesima verginella capitata tra le spire della serpe.
«Allora, Castellan, mettiamo subito le cose in chia...»
«Non così in fretta, Grace.»
Il suo tono era solenne e autoritario, mi lasciò interdetta.
«Prima devo dire due cosette io. - Si voltò a guardarmi - Da quanti anni è che non ci parliamo più? Due, se non ricordo male. Certo, in due anni capitano molte cose, si cambia, si cresce, si capiscono molte cose, Grace, molte cose.»
Dove voleva arrivare? Cosa intendeva con quelle parole?
Mi squadrò con sguardo languido e si avvicinò pericolosamente. 
Indietreggiai, ma dopo un po' i miei fianchi vennero bloccati dal ripiano della cucina.
Lui si fermò ad un metro circa da me.
«Grace, che hai? Non avrai mica paura di me?»
«Senza troppi preamboli Castellan. Cosa vuoi da me?»
Rise.
«Era esattamente questo il punto che volevo centrare. Stavo dicendo che ci si sbaglia, spesso ci si pente delle proprie decisioni. Ed è questo quello che ho fatto. Mi sono pentito. Capisci? Mi pento.»
«Penso di non essere sorda, Castellan. Ho capito - sibilai a suo indirizzo - ma dove vuoi arrivare? Pentito di cosa?»
«La gattina ha fretta, eh? La accontento subito. - si avvicinò di un altro passo, mentre la curiosità di sapere cosa voleva mi inchiodava al mio posto - Mi sono pentito, in questi due anni, di tutto ciò che è successo. Grace, non doveva finire così, non doveva proprio finire.»
Si avvicinò ancora, troppo per i miei gusti, così sfoderai le unghie. Mi aveva o non mi aveva chiamata gattina?
Bene, allora doveva stare attento a non graffiarsi.
«Vorrei solo ricordarti che è solo colpa tua e della tua testa di cazzo se è finita.»
Alzò le mani in segno di resa.
«Perdono i francesismi - cominciò lui - e mi difendo dicendo che ero un ragazzo un poco serio. Ora sono cresciuto. Mi prendo ogni responsabilità di ciò che è successo, ogni cosa, ma a te ne chiedo una sola: dammi una seconda occasione, insieme potremmo diventare grandi. Basta solo che tu dica che per te va bene e potremo rincominciare da capo. Insieme e senza segreti.
Lo so che è chiedere la luna, ma per me sei la più importante, le altre non valgono niente. Io voglio te.»
Mi prese il viso tra le mani e mi baciò. Un bacio lento e ben fatto, sistemato in un discorso che avrebbe fatto cadere chiunque ai suoi piedi per una seconda, terza, forse anche una quarta volta ancora.
Ma non me.

Appena si allontanò la mia mano partì e colpì la sua guancia con un fragoroso schiaffo.
«Mi dispiace, sono impegnata» risposi con un sorrisino beffardo.
Mi guardò allibito.
«Chi..?»
Fu interrotto dallo squillo del campanello e, dopo che Luke aprì la porta, fece il suo ingresso trionfante Annabeth.
La abbracciai. Sapevo che non poteva essere e andata sul serio.
Luke era stranito.
«Che programma è questo? Il ritorno delle ex?!»
Si beccò un altro ceffone, sta volta da parte di Annabeth.
Il suo sguardo si caricò d'odio. 
E lei era sulla sua traiettoria.

Una spinta e Annabeth finì rovinosamente a terra, poi lui mi sollevò per il collo.
Stavo soffocando.
Assestai un calcio al suo stomaco e franai a terra quando mollò la presa.
Mi avvicinai ad velocemente ad Annabeth, nonostante il dolore.
«Tutto bene?» chiesi preoccupata.
«Che vuoi che si sia fatta quella stronzetta!»
La rabbia mi accecò. Non potevo credere che la stesse davvero trattando così.
Nemmeno nelle ipotesi peggiori avrei immaginato tutto ciò.
«Brutto bastardo, è incinta! Ed è inutile che fai la faccia stupita, il merito è tutto tuo! - mi voltai verso una Annabeth singhiozzante e continuai, senza voce e senza guardarlo - E non farti più vedere.»

Non mi voltai nemmeno a vedere il suo volto, a guardare se aveva la faccia stranita, stupita, felice, ghignante o una delle mille possibilità che avevo immaginato.
Me ne andai con Annabeth, piena di rabbia e vergogna.

Accantonai tutto ciò che di male mi aveva fatto, ma non solo: cancellai per sempre il nome Luke Castellan dalla mia vita.
Gli avevo chiesto una sola cosa prima di andarmene.
"Non farti più vedere".
Lo fece. Se ne andò da New York e l'unica cosa che mi rimane di lui è uno stralcio di lettera che ritrovai nella buca delle lettere qualche giorno dopo:
Me ne vado. Da qui, dal bambino, dal mio passato, da te. Non potrei fare il padre, questo tu lo sai.
Non mi farò più vedere. Farò l'ultima cosa che mi hai chiesto di fare per te.
Ma sappi che, mio malgrado, non ti dimenticherò mai.
-Luke

 
~SPAZIO AUTRICE~
Buonasera semidei!
Come state? Io bene!
Sarò breve: a me questo capitolo non fa impazzire, voi che ne pensate?
Spero lasciate una piiiiccolissima opinione ;)
A venerdì 22 agosto,
-A

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


PoV Bianca
Il lunedì mattina il tempo era particolarmente asciutto e caldo, stranamente differente da quello della settimana precedente.
Rimasi quasi accecata quando, aprendo le finestre, il sole penetrò nella stanza, quasi ardendo.
Sotto, il traffico newyorkese si faceva sentire come al solito, mentre la vernice delle macchine brillava alla luce calda dell'alba.
Era quasi improbabile un caldo del genere durante una mattina di metà ottobre, tanto che mi immaginai che si trattasse uno di quei giorni estivi caldo, ma leggermente ventilati.
L'aria appesantita dal fumo dei gas di scarico stava entrando nella stanza, perciò mi vidi costretta a chiudere la finestra.

Mi diressi verso il bagno, dove lo specchio rimandava un'immagine di me del tutto diversa da quella del mese precedente. Ormai stavo davvero meglio, tutto era diventato più semplice da affrontare, ora che avevo trovato una certa confidenza con Silena e Clarisse. 
Parlare con loro era diventato fondamentale per non avere un altro attacco di depressione. Anche se ormai tutto quello che era successo sembrava lontano e quasi inesistente. Un terribile capitolo chiuso della mia vita.
Mi preparai per andare a scuola e poi, presa una mela e lo zaino, mi diressi verso la scuola.

Nel cortile gli studenti erano febbricitanti, agitati, e non riuscivo a spiegarmi motivo di tanti movimento.

Era pur sempre lunedì mattina ed eravamo pur sempre a scuola!

I miei dubbi su una possibile insanità mentale dei miei compagni venne immediatamente confutata quando sentii le parole "festa" e "vestiti".
Mi ero completamente dimenticata della festa organizzata dagli Omega&Co per il sabato seguente. 
Ovviamente tutti erano particolarmente sulle spine, nessuno conosceva particolarmente quella compagnia proveniente dalla "Camp Jupiter School", un'altra scuola ospite, e tutti volevano sapere se le loro feste erano davvero così incredibili come dicevano loro.
In più i vari gruppi di ragazzi e ragazze mormoravano tra di loro: alcuni vittoriosi perché la ragazza che avevano invitato aveva accettato oppure perché il ragazzo per cui palpitavano si era accorto di loro; altri, con la testa bassa, dicevano di essere stati rifiutati, oppure non avevano ricevuto l'invito sperato.
Silena, ovviamente era stata invitata da Beckendorf, mentre io e Clarisse avevamo progettato una serata film. Data la mancanza di inviti e la poca voglia di stare in mezzo a un'enorme folla danzante e sudaticcia, avevamo preferito organizzare un incontro a base di cibi poco salutari a casa mia.

«Ehi, Di Angelo!»
Mi girai verso l'origine del saluto, riconoscendo istantaneamente l'origine del suono.
I capelli svolazzavano leggermente nella brezza, ma il caldo opprimente non dava tregua, a parte per quell'attimo di gelo che mi aveva fatto scorrere un brivido lungo la schiena. O non era stato il tempo?
Alzai una mano in segno di saluto al ragazzo ricciuto che mi stava salutando, per poi voltarmi di nuovo. Silena mi stava raggiungendo con un sorriso raggiante.
Lui mi rincorse e mi afferrò per un gomito, facendomi sussultare.
Un sorriso si dipinse sul suo viso furbo e affilato. Aveva chiaramente qualcosa in mente.

«Bianca, mia adorata! — sollevai un sopracciglio, confusa — Come stai? Hai sentito della festa? Hai già qualcuno con cui andar-
«Veramente io...-
«E non dirmi che non hai voglia di andarci perché non hai ricevuto inviti ed avevi altri impegni! Ci devi venire! Vuoi un consiglio da amico? — pronunciò quell'ultima parola con un po' di immotivata incertezza. Era mio amico, dopotutto, o no? — Vieni, giusto per distrarti. Un po' di musica e qualche strana danza non potranno certo guastare, no? È l'ultimo anno questo, dobbiamo viverlo il più possibile perché poi... — un ombra gli passò per il volto — ...chissà quando ci rivedremo.»
Sorrise, ritrovando il suo solito buonumore. Mi ero immaginata tutto, o quello che era passato sul suo viso era dolore? Era davvero capace di provare stati d'animo negativi?!
«Ma non ho intenzione di venirci sola come un ca-
«Ti accompagno io! — arrossì per la velocità con cui me lo propose — Sempre se ti va...» aggiunse poi.
Rimasi un momento un po' spiazzata. Era un...invito, quello? Arrossii immediatamente.
"Ma certo, Bianca! È tuo amico, vuole farti staccare un po' dallo studio e pur di riuscire nel suo intento ti sta proponendo di andare con lui alla festa. Un amico non farebbe questo per te?"
"Ma certo che lo farebbe!" pensai.

Non feci nemmeno in tempo a formulare una risposta quando Silena, raggiante come il sole, spuntò da dietro alla mia spalla.
«Ma certo che le va!»
«Silena...»
«Giusto! E vuole dirti anche di venirla a prendere a casa sua alle otto in punto, magari in smoking e senza tuo fratello alle calcagna! Oh, e non dimenticarti un bouquet di fiori! Rose rosse, simbolo dell'amo-
«SILENA!» urlai.
«Alle otto in punto, ricordati!» concluse prendendomi per un polso e trascinandomi via.

Avvisai Clarisse dell'importante decisione presa da Silena in mia vece e dell'impossibilità di fare quella serata tanto organizzata.
Fu solamente il bene che Clarisse provava per Silena a fermarla da tirarle un cazzotto ben assestato in mezzo al viso.
«Oh, ma non preoccuparti mia dolce Clarisse! Verrai anche tu, Connor Stoll si è offerto di accompagnarti!»

Non avevo idea di cosa avesse proposto Silena a Connor per convincerlo a fare tanto, invitare la sua peggior rivale alla festa.
Forse gli aveva ceduto il proprio pranzo per il resto dell'anno? Gli aveva promesso di fargli i compiti per il resto del trimestre? Gli aveva permesso un soggiorno di una settimana nel sul cottage in campagna?
Qualunque cosa avesse fatto, l'aveva fatto bene.
E Clarisse fu obbligata a lasciare pigiami a coniglietti e gelato a casa e accettare l'invito di Connor pur di non restare da sola.

Arrivò l'ora di pranzo e, finalmente, la nostra tavolata era di nuovo al completo.
I posti sul fondo erano occupati da Juniper e Grover che si guardavano negli occhi come si guarda di solito un bignè, tralasciando completamente il cibo che avevano sul piatto. Sembrava potessero saziarsi solo dei propri sguardi.
Percy e Nico, seduti su lati opposti, che parlavano dell'ultimo gioco uscito per la play.
Poi Connor e Travis che, seduti davanti a Clarisse, giocavano alla guerra del cibo. Poi, in parte ai due gemelli, Annabeth e Talia che discutevano animatamente su qualcosa che aveva reso la prima non poco agitata, e non in senso positivo.
Di fronte a loro e in parte a Clarisse, sedavamo io e Silena. 
Ci sentivamo leggermente escluse da tutte le conversazioni, così lei, stanca, urlò:«Allora, ragazze! — tutto si acquieto per un secondo nella tavolata, perfino Grover e Juniper ruppero il loro contatto visivo per girarsi verso di lei — Cosa mi dite riguardo la festa?»
Juniper si spostò, presagendo che lì la cosa si stava facendo interessante.
«Ovviamente io ci andrò con il mio Grover!» disse mentre si sistemava accanto a Silena.
«Io con il mio Charlie! Bianca con Travis e Clarisse con-
«Per favore, non dirlo, è già abbastanza umiliante così!» la fermò la diretta interessata, beccandosi il resto di una polpetta in piena faccia da il suo "amorevole" accompagnatore.
Lei inspirò ed espirò, probabilmente più per paura di beccarsi un'espulsione che per vera umana sopportazione nei confronti di Connor.
«Voi?» continuò Silena, rivolta alle ultime due.
«Io ci andrò con Nico, mi pare ovvio!» disse Talia, quasi fosse stato un sacrilegio chiederlo.
Dopodiché tutta l'attenzione fu rivolta ad Annabeth.
«Beh...» cominciò lei.
«Suvvia, non fare la preziosa! E anche se non ti ha invitato nessuno, a noi puoi sempre dirlo!» la esortò Juniper.
«A dire il vero, qualcuno me l'ha chiesto... — fece un attimo di pausa, durante il quale la tensione era palpabile — ...Lucas Johnson» concluse.
Un coro di ovazione si levò dal gruppo, anche se io non ero per niente stupita: Annabeth era sì una secchiona, ma aveva una bellezza non irrilevante.
«E non mi ha detto nulla?! Per quanto sia contenta per te, io sono sempre stata convinta che ci saresti andata con Percy!» esclamò Talia.
Si levò un "Anch'io" generale, anche da parte dei due gemelli che avevano smesso per un istante di lanciarsi polpette per ascoltare la conversazione.
Annabeth arrossì vistosamente prima di girarsi verso il diretto interessato, quasi sperando non avesse sentito.
Questo, quasi richiamato dallo sguardo di lei, si voltò e le sorrise, guardandola negli occhi.
«Uno... Due... Tre... Quattro... Cinque... Sei... Sette... Otto... Otto secondi!» sussurrò Silena battendo le mani. I due avevano distolto lo sguardo imbarazzati.
«Che dici?» le sussurrai di rimando.
«Si dice che se due persone si guardano casualmente negli occhi e riescono a mantenere il contatto visivo per più di sei secondi senza battere le palpebre, c'è della tensione sessuale, e si dà il caso che Annabeth e Percy si siano guardati negli occhi per otto secondi. OTTO! Capisci?! O quei due sono già andati a letto insieme o sono sul punto di farlo! Oh Santi Numi! Quanto li shippo!» batté le mani furiosamente.
«Li che?!» chiesi confusa.
«Che avete voi due da confabulare?» chiese Talia divertita.
«Oh... Nulla! Stavamo solo dicendo che Percy ripiegherà di sicuro sulla Dare! Non gli dirà mai di no!» si tirò fuori Silena.
«Chi ripiegherà su chi?» chiese la Dare, spuntata da chissà dove.
«Stai ancora aspettando l'invito di Percy per il ballo, Dare?» chiese Talia in aria di sfida.
Lei scoppiò in una risata che ci lasciò lievemente di stucco.
«Siete completamente fuori strada, stavolta! Diciamo che dopo l'appuntamento che abbiamo avuto all'inizio dell'anno mi è passata la cotta per Percy. Ho capito che non è per niente il mio tipo. Gli ho detto finalmente che non mi importava più diventare la sua ragazza e che col tempo la cotta mi sarebbe passata e... Beh, è passata, ecco tutto.»
«Non ci credo! — disse Juniper sorridendo leggermente per il nuovo possibile scoop che, ovviamente, avrebbe dilagato per tutta la scuola pochi secondi dopo — E con chi ci vai? Al ballo intendo.»
«Ottaviano, "Camp Jupiter School", capo della Omega&Co, biondo, occhi azzurri, viziato figlio di papà, leggermente schizofrenico, irascibile, odioso, impertinente e un figo da paura. Vi basta come descrizione?» chiese compiaciuta, andandosene.
Jupiter non perse un secondo e corse via, i capelli tinti di verde che sbatacchiavano qua e là.
«Juniper!» urlò Grover, alzandosi.
Silena lo fermò un istante.
«Oggi pomeriggio siete libere? — chiese e tutte annuirono. Poi si rivolse a Grover —Oggi pomeriggio, fuori dalla scuola, andiamo tutte a prendere il vestito fuori dalla scuola. Diglielo.»
Grover annuì e Silena lo lasciò correre dietro a Juniper.
Riportò poi lo sguardo su di noi, alzando un sopracciglio e con un sorriso malizioso.
«Allora, altre novità?»

~SPAZIO AUTRICE~
Buongiorno semidei!
Come state? Passate buone vacanze?
Io più o meno... La settimana trascorsa al mare è stata piuttosto piovosa e non ho preso molto sole :( 
Passando al capitolo, volevo solo dirvi che questo è di passaggio, il prossimo sarà probabilmente Comico e Fluff perché, come potete capire dalla fine, andranno tutti a prendere i vestiti per la festa :D
Ok. Sto delirando.
Maaaaa... Va bene, vi lascio, prima che inizi a blaterare.
Fatemi sapere che ne pensate ;)
A presto,
-A (che non so voi, ma con questa firma mi sembra di stare in Pretty Little Liars :') )
P. S.: Mi dispiace per chi spera nella comparsa dei personaggi della seconda serie, ma ho introdotto Ottaviano solo perché mi piace un sacco la RachelXOctavian e perché volevo "togliere" il problema Rachel, magari facendo nascere un piccolo rapporto di amicizia tra lei e i nostri personaggi, quindi non nominerò Leo, Piper, Hazel, Frank e Jason.

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


"Di cappuccini e pettegolezzi"

PoV Bianca

Uscite da scuola ci eravamo radunate tutte all'ombra del grande pino che c'era in cortile.
Silena stava proponendo vari negozi dove si potevano affittare abiti, suscitando le polemiche di chi, come Talia e Clarisse, sarebbero andate alla festa indossando volentieri un pigiama. 

«Come potete preferire un pigiama?!» esclamò indignata lei.
«I pigiami sono carini, sono belli, ma soprattutto, sono comodi!» avevano risposto le due.
«Ma sono anche l'anti-sesso!» aveva esclamato Silena ancora più indignata.
«Con l'accompagnatore che mi ritrovo — aveva ribattuto Clarisse — non mi interessa proprio se il vestito che indosso è l'anti-sesso. Anzi, se il mio pigiama con gli orsacchiotti abbinato alle ciabatte con le pecorelle lo allontana da me o lo porta a decidere di andare alla festa da solo, ben venga!»
Silena aveva sbuffato infastidita. Ma effettivamente, come dare torto a Clarisse? Connor e Clarisse avevano un odio reciproco che rasentava i limiti dell'assurdo per quanto riguardava frecciatine, battute e scherzi di pessimo gusto.
Per di più Silena li aveva praticamente obbligati ad andare insieme a quel party.
Se fossi stata nei loro panni, non so cos'avrei fatto.
Probabilmente erano stati ricattati per bene.

Alla fine optammo per un normalissimo negozio di vestiti.
Silena, ovviamente arrabbiata, tentò di far l'offesa, senza però riuscire ad essere convincente.
Anche perché era completamente impossibile che lei rimanesse seria in mezzo a dei vestiti. Le si illuminavano gli occhi solo al sentirne parlare.

All'interno il negozio era composto da tre enormi sale tutte piene di relle traboccanti vestiti di tutti i tipi.
Silena puntò immediatamente gli abiti eleganti, mentre noialtre ragazzacce, come ci additò poco dopo, guardavamo con maggiore interesse i jeans e i maglioni o addirittura, come nel caso di Talia, gli enormi felponi che c'erano nel reparto uomini.
«Guardate questa camicia che figa! E questa felpa con la 'S' di 'Superman'?! La voglio assolutamente!»
«Sei qui per cercare un vestito femminile, non per sembrare ancor di più un maschio!» esclamò Silena.
Talia fece una faccia offesa sporgendo in fuori il labbro inferiore e stringendosi al petto i due indumenti.
«E tu, Clarisse! Smettila di prendertela con il manichino!»
«Non me la sto prendendo col manichino! È solo che è umanamente impossibile essere così magre!»
«Mangia meno ciambelle e taci!»
«Qui qualcuno ha mangiato pane e acidità a colazione..» sussurrò Clarisse al suddetto manichino.
«Juniper! Smettila di infastidire il commesso ricordandogli di quanto sia importante la raccolta differenziata per il nostro pianeta!»
Juniper guardò spaesata Silena.
«Ma allora dite che lo fate apposta per infastidirmi!» disse esasperata, portandosi le mani tra i capelli.
Tutte ci guardammo e scoppiammo a ridere.
«Per caso non hai bevuto i tuoi due cappuccini giornalieri, Silena?» chiesi.
Lei mi guardò spaesata, come se non conoscessi le sue crisi di astinenza da caffeina.
«Che ne dite se prima andiamo prima a berci un cappuccino al bar qui all'angolo?» propose Annabeth.
Acconsentimmo tutte, soprattutto Silena, la quale, non appena ricevette il proprio caffè, fece un versetto strozzato gioioso e cominciò a bere, rilassandosi.
«È strano come a te il caffè faccia l'effetto inverso rispetto a ciò che fa alle persone normali» disse Talia, vedendo che alla diretta interessata si stavano man mano sciogliendo i nervi col torpore della bevanda.
«Non è mai stata normale, lei» disse Clarisse.
Silena la guardò leggermente infastidita, poi chiuse gli occhi, inspirando forte.
«Non ti rispondo solo perché ho appena cominciato a rilassarmi.»
Passarono alcuni momenti in cui il silenzio regnò sovrano, a parte per lo sbatacchiare dei cucchiaini sulle tazze e il lieve chiacchiericcio degli altri clienti.
«Sapete l'ultima?» cominciò allora Juniper, la quale, ovviamente, non poteva starsene senza raccontare gossip freschi freschi.
Tutte scossero la testa in segno di negazione. Io, invece, stavo con la testa da un'altra parte.
Tanto che quasi non sentii ciò che fu detto poco dopo.
«Lo sapete che Percy ha chiesto a Zoe Nightshade di andare con lui al ballo? Sapete, quella che ha detto di no a Lucas!»
Per poco Talia non sputò il tè, ma, in compenso, le andò di traverso.
«Dicci i particolari» disse Silena decisa, con gli occhi socchiusi puntati su Juniper.
Quest'ultima, invece, restò sul vago dicendo che era "casualmente" capitata vicino ai due quando Percy aveva fatto la domanda a Zoe.
«Lei ha accettato ed è finita lì.»
Silena alzò le sopracciglia, poco convinta.
Anche io, come tutte le altre d'altronde, ero un po' scettica che 'fosse finita lì'.
Di solito Juniper quando raccontava qualcosa, condiva tutto con una certa dose di particolari irrilevanti o talmente irreali da far sembrare il tutto inventato di sana pianta.
E, probabilmente per la maggior parte delle storie da lei raccontate succedeva che fossero un pochino false.

«Sputa il rospo» ordinò Silena a Juniper appena fummo tornate al negozio.
Quest'ultima sfoggiò un'espressione interrogativa che però non convinse la prima e fu perciò costretta a "cantare".
«Zoe è cotta ma è praticamente impossibile che Percy l'abbia scoperto. Per me l'ha invitata seguendo un ragionamento ben più complesso, anche se mi stupisco che sia uscito dalla sua testolina bacata. — Si girò verso me e Silena, le uniche presenti, sorridendo compiaciuta della nostra curiosità — Mi pare ovvio che Zoe sia la ragazza che desiderava Lucas, non Annabeth. La nostra Annie è stata una sorta di "rimpiazzo", senza offesa per lei, ovvio. Ma c'è qualcun altro che voleva andarci con la nostra cara Annie ma non gliel'ha chiesto in tempo. Percy. Quindi, seguendo quello che può essere il suo ragionamento, lui ha chiesto a Zoe di andarci con lui solo per poi fare uno scambio tattico con Lucas, così potrà ballare con la sua adorata.»
«Che cosa meschina! Le sta trattando come se fossero oggetti!» sbottò Silena.
«Già. Non vedo l'ora di vedere la sfuriata di quelle due quando lo sapranno. Oh, guarda come è bello! Ti starebbe bene!» dissi porgendo un abito in pizzo a Juniper.
Lei lo prese e, titubante, lo andò a provare.
Approfittando dell'occasione parlai con Silena.
«Come hai fatto a convincere Connor a uscire con Clarisse?»
Lei sollevò un sopracciglio e mi sorrise.
«A dire il vero, Connor si è offerto di accompagnarla, non di uscirci insieme. — riportò lo sguardo sugli abiti, ma vi prestò attenzione per poco poiché il mio sguardo fulminante la fece risvegliare — Uscirà con una certa Alice. Non so chi sia. E poi, Clarisse rimarrà sola per poco. C'è un ragazzo che mi ha parlato di lei e di come le piaccia da un po'. Ma, dopo tutto quello che le ha fatto, non poteva presentarsi lì dal nulla e chiederle:"Ehi tu, lo so che il nostro rapporto non è proprio rose e fiori, ma vorresti uscire con me?"»
Inarcai le sopracciglia quando un nome mi balenò alla mente.
Guardai Silena, sillabando il nome con la bocca per non farmi sentire da Clarisse, che si stava avvicinando.
Lei sorrise e annuì.
Quella dell'Omega&Co non sarebbe stata una grande festa, non con la vena omicida di Clarisse.

~SPAZIO AUTRICE~
Buongiorno! Mi scuso enormemente per il ritardo, ma la settimana scorsa, tra gli ultimi compiti da finire e tra un matrimonio al quale ero invitata, è stata un po' piena. Mi sono ritrovata il giovedì sera a mezzanotte a scrivere il capitolo, ma, come si potrebbe facilmente immaginare, oltre a far schifo era anche pieno di ORRORI grammaticali.
Perciò l'ho dovuto riscrivere completamente.
Trenitalia si scusa per il disagio.
Questo è un altro capitolo di passaggio ma, il prossimo, riguarderà completamente la festa e ci saranno più PoV.
Presto, inoltre, *PICCOLO SPOILER* Percy scoprirà della gravidanza di Annabeth.
Scusatemi anche per non aver risposto alle recensioni, tra poco lo farò.
Cercherò comunque di aggiornare venerdì 26, ma non prometto nulla.
Come avete iniziato la scuola?
A presto, 
-A

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


Di feste e festoni (PT. 1)
 
PoV Annabeth
La sera della festa mi ero recata a casa Grace per prepararmi.
Talia aveva una grande scorta di trucchi e, a differenza mia, era abbastanza abile nell'acconciare i capelli.
Al pomeriggio non ci eravamo incontrate, perciò, quando la vidi all'ingresso di casa sua, rimasi stupita dai capelli tagliati di netto appena sopra le spalle.
Ma così, effettivamente, stava meglio. Le incorniciavano in modo meno scomposto il viso e le punte blu, che sembravano quasi rovinate, erano totalmente sparite.
Prese a correre verso il bagno per cominciare a preparare la stanza per la mia seduta.
Lei, a differenza mia, era già truccata e quasi completamente preparata.
Gli occhi non erano contornati dalla solita spessa linea di eye liner, ma erano sfumati con degli ombretti chiari, che facevano contrasto con il rossetto rosso scuro che risaltava le labbra non troppo carnose.
Il vestito, un tubino nero, le fasciava il corpo in maniera perfetta, mentre le maniche larghe le arrivavano appena qualche millimetro più sotto dei polsi.
In confronto, il mio abito scampanato mi faceva quasi sembrare una bambina.
Avendo, tra l'altro, rinunciato ai tacchi abbonandomi alle mie comodissime ballerine, ero ben più bassa di Talia, la quale mi superava dell'intera testa.
«Come stai?» mi chiese appena mi sedetti su una sedia nel bagno.
«Bene, un po' di nausea alla mattina, ma per il resto tutto bene.»
Mi guardò di sottecchi e arricciò il naso.
Ok, forse tutto bene non andava. Ero una futura ragazza madre, che doveva ancora finire il college e che doveva ancora parlarne ai suoi e non sarebbe stato per nulla semplice.
E poi, fino a quando sarei stata in grado di nascondere la gravidanza?
«Ehi — disse Talia, quasi leggendomi nel pensiero — non pensarci, al resto ci penseremo più avanti.»
«Penseremo?»
«Certo. Pensi che me ne andrei?»
Risi.
«Non lo metto in dubbio» risposi. Poi nessuno fiatò.
«L'ho detto a Nico. E non ha reagito bene.»
Mi si formò un nodo nello stomaco. Non poteva prima chiedermi se poteva dirglielo?
«Ok.»
Inghiottii il rospo.
«Penso che dovresti parlarne con Percy. Insomma, è tuo amico, merita di sapere tutto. Non credi?»
«Io penso — cominciai in preda alla rabbia — che tu avresti dovuto chiedere prima di dire tutto questo a Nico. Ma a quanto pare, a nessuno conta più della mia opinione, perciò a me non conta più di quella altrui.»
Mi pentii subito di ciò che avevo detto, ma ormai il danno era fatto.
Ci preparammo in un silenzio un po' irreale. Non riuscivo a capire se fosse la tensione per l'argomento che avevamo toccato o, più semplicemente, per la tensione del pre-festa.
Quando uscimmo da casa sua, ovvero all'arrivo dei ragazzi le sussurrai un leggero "Scusa".
«Ok, forse mi è dispiaciuto un po' il fatto che prima di dirglielo tu non me l'avessi chiesto, ma non importa. Lo avrebbe scoperto comunque. Solo che voglio che a scoprirlo prima siano i miei genitori, o meglio, mio padre e la strega. Perciò terrò Percy all'oscuro di tutto.»
«Tranquilla — sorrise — sono gli ormoni che ti fanno reagire così. Altrimenti non pensare che me ne sarei stata con le mani in mano.»
Ridemmo e, nel frattempo, uscimmo dal portone d'ingresso.
Non mi aspettavo di certo di suscitare chissà quali reazioni, ma non pensavo nemmeno che il mio "cavaliere" rimanesse così impassibile di fronte a me.
«Ciao Annabeth, ciao Grace» salutò.
«Che belle le mie ragazze!» disse Nico abbracciandoci forte e poi squadrando Talia da capo a piedi.
«Non ti pare di attirare un po' troppo la attenzione, signorinella?»
Ridemmo per la sua gelosia e per il modo in cui si era rivolta alla mia amica.
«La tua di sicuro sì» rispose, e lo baciò.
Mi venne da sorridere a vederli abbracciati, ma, al tempo stesso, mi rattristò in parte. Il perché bene non lo sapevo, ma sentivo che mi mancava qualcosa, o meglio, qualcuno.
Talia bisbigliò qualcosa all'orecchio di Nico, che spalancò gli occhi e salì nel taxi.
«Forza carovana! Il tachimetro scorre!»
Dubitai che la sua improvvisa impazienza fosse dovuta principalmente all'andare del tachimetro e l'alzata di spalle e il sorriso leggermente accennato di Talia me lo confermarono.
 
Salimmo a bordo e partimmo, le luci di Mahnattan che ci sfrecciavano in parte a velocità stratosferica.
I palazzi si succedevano altrettanto velocemente e sembrava quasi di far scorrere il tempo in pochi secondi, vedendo l'evolversi degli stili architettonici in maniera immediata quanto un battito di ciglia.
Talvolta dietro palazzi ottocenteschi si innalzavano palazzi di vetro che ti proiettavano nel futuro di vent'anni, talmente ravvicinati tra loro da far sembrare che l'uno uscisse dall'altro.
Forse era per questo che amavo particolarmente New York: l'architettura, così come l'arte e i monumenti, si fondevano in un'unica città, formando un'accozzaglia di stili che poteva essere uguagliata o addirittura superata dalle vecchie città del cosiddetto "Vecchio Continente".
 
Superammo vari stabili e passammo sopra l'East River, attraverso il ponte di Brooklyn, illuminato a giorno dalle luci a neon e dai lampioni.
I cavi che reggevano il ponte formavano un'intricato gioco che partiva dall'alto e arrivavano fino accanto al taxi.
Dietro di noi lo skyline di Mahnattan si stava allontanando a mano a mano che procedevamo e, sempre pian piano, si stava fondendo con il cielo nero. Si distinguevano un poco i contorni grazie alle grandi luci delle finestre dei grattacieli.
I riflessi argentati illuminavano le increspature dell'acqua, facendola sembrare ferro denso e pesante.
Su di esso, barche delle più varie dimensioni e dalla bandiera a stelle e strisce increspavano ancor di più il fiume già mosso di suo.
«Dove siamo diretti?» chiese Talia all'improvviso.
«Un locale di Brooklyn. Ci sono stato un paio di volte, è il prototipo di locale per dare feste movimentate con tanta musica e molto alcol. E pare si siano attrezzati bene per entrambi.»
«Si prospetta una lunga serata» disse Lucas.
«Molto lunga» aggiunsi.
Mai dir fu più azzeccato.
 
Quando arrivammo al locale ed entrammo, mi aspettai di vedere un affollatissimo bar leggermente trasandato e decisamente sporco, pieno di ragazzi che ballavano in modo imbarazzante e assurdissimi cocktail dai colori altrettanto assurdi.
Ne avevo fatte giuste due su cinque: il locale era affollatissimo e serviva quei bicchierini di superalcolici che dovevo assolutamente evitare, ma non era per niente sporco o trasandato, anzi, e i ragazzi non ballavano in modo imbarazzante.
Possibile che nessuno di loro sembrasse un elefante in una cristalleria?
Sentii qualcuno battermi sulla spalla destra e mi girai, ritrovandomi di fronte Percy.
Lo abbracciai di slancio e lui ricambiò con una stretta ancora più vigorosa.
A vedere i suoi occhi verdi e sinceri mi si strinse lo stomaco e si svuotò al tempo stesso. Era una sensazione strana da provare, ma mi sentivo quasi una profanatrice, una cattiva persona a nascondere qualcosa a quei suoi occhi così dolci, quasi stessi sporcando di terra un lenzuolo bianco.
«Andiamo, Annabeth?» mi chiese Lucas.
«Ok» dissi un po' presa alla sprovvista e, subito dopo, presa per una mano e trascinata verso la pista da ballo molto affollata.
Man mano che ci addentravamo tra la folla, vidi sparire quegli occhi improvvisamente tristi che, in cinque secondi, erano diventati come una piccola ancora di salvezza in un mondo di menzogne.
 
PoV Clarisse
Avrei di certo ammazzato Silena. 
Ma forse avrei prima aspettato la fine della serata perché farlo così, durante una festa, non sta bene.
Probabilmente avrei potuto farlo la mattina dopo, altrimenti avrei dovuto aspettare fino alla fine della serata, guardando coppiette felici che ballavano lenti sbaciucchiandosi.
Addirittura Bianca pareva divertirsi mentre volteggiava tra le braccia di Travis.
L'unico nella mia stessa situazione di disagio sembrava Percy che continuava a fissare Annabeth che ballava poco convinta con Lucas.
Mi ero appena alzata dalla sedia sulla quale ero seduta quando sentii una mano appoggiarsi sulla mia spalla.
Mi voltai lentamente, come quando in una scena di suspense in un libro, tenti di prolungare l'effetto girando piano piano le pagine.
Mi ritrovai davanti al mio peggior incubo, la vedova nera della Goods, il cervello del male che mi aveva rovinato la vita dal primo giorno d'asilo, nonché ragazzo che, mio malgrado, amavo.
 
Chris Rodriguez.
 
«Che vuoi?»
«Qualcuno qui ha mangiato pane e acidità a colazione?»
«Sì, tu»
«Non mi pare, sai, piuttosto credo sia tu quella acida» disse sorridendo malandrino.
«Ognuno crede a ciò che vuole, perché ognuno crede di sapere la verità. Pirandello diceva che, dato che ognuno conosceva una verità diversa ogni volta da quella degli altri, non esiste un'unica verità. Ma dato che la verità non può essere molteplice, non esiste e basta.»
Questa non era decisamente una delle mie migliori uscite, ma era l'unica cosa che mi fosse venuta in mente e, miracolo dei miracoli, riuscii a zittirlo.
Le lezioni di letteratura erano dunque servite a qualcosa.
«Perciò siamo uno a uno?»
«Io direi più uno a zero per me, dato che non mi hai zittita in nessun modo, anzi, ti ho zittito io» dissi compiaciuta.
Mi voltai e mi diressi verso l'ingresso ma, arrivata appena sotto un festone probabilmente dimenticato che recitava 'Buon Compleanno Manny', venni strattonata per un braccio.
Mi voltai velocemente e mi ritrovai di nuovo Chris di fronte.
«Che vuoi ancora? Vedi perlomeno di essere veloce, non ho tempo da perdere con te.»
«Scommetti che riesco a farti tacere in più o meno... — guardò il soffitto pensieroso — cinque secondi?»
«E come potresti mai...?»
Non feci nemmeno in tempo a finire la frase che mi aveva zittita, ma zittita veramente.
Quasi un incantesimo, dalle labbra non usciva più un briciolo di voce.
E la mia mente non pensava nemmeno più a parlare.
 
Baciare Chris Rodriguez sotto quel festone era l'unica cosa che volevo fare.
 
PoV Travis
Era incantevole quella sera. Insomma, lo era sempre, ma in quel momento poteva comparire anche miss mondo e, ai miei occhi, avrebbe comunque sfigurato difronte al suo sorriso.
«Dei, mi sto divertendo un sacco!»
Rise. Avrei potuto ascoltare ore intere, forse giorni, o addirittura mesi, quella risata, non me ne sarei mai stancato.
Ero completamente invaghito di Bianca Di Angelo.
Era una delle poche cose di cui ero certo al mondo.
Della stupidità di mio fratello, della cocciutaggine di Clarisse, dell'esistenza degli unicorni che vomitano arcobaleni ero certo fin da tempo, ma questo l'avevo scoperto man mano che la conoscevo.
E non mi ero innamorato di lei perché fosse la più bella, la più forte, perché mi facesse tenerezza o una qualsiasi cosa che, nel tempo, sarebbe potuta svanire e, con essa, il mio amore.
No, assolutamente no.
Ero innamorato semplicemente perché era lei, in tutto e per tutto, a catturare ogni goccia della mia attenzione con ogni suo gesto per non so quale assurdo motivo.
Amavo lei, e il motivo era semplice e indissolubile: l'amavo perché l'amavo.
Mi ero perso nei miei pensieri quando lei, guardandomi negli occhi, mi chiese:«Ti stai divertendo?»
«Come non potrei? Insomma, qui si sta benissimo e le tartine sono favolose!»
Sorrise in quel modo adorabile, arricciando il naso.
«E tu? Ti stai divertendo?»
«A dire il vero, no — mi si rabbuiò improvvisamente il cuore. Cosa credevo di fare? — Cioè, con te sì, ma il contesto non mi entusiasma molto. Preferirei essere a casa con dei pop corn a guardare un film. Non a questa festa esagerata che serve solo ad aumentare l'egocentrismo degli organizzatori con le nostre lodi riguardanti la grandiosità di un evento che, di grandioso, non ha proprio nulla.»
Sorrisi dolcemente.
Volevo ascoltare quei pensieri sempre.
Volevo essere parte di quei pensieri, continuamente.
Volevo quella ragazza per me con ogni fibra del mio corpo.
Per molto tempo sono stato il burlone del gruppo, quello "divertente", e mai nulla di più.
Lei mi stava facendo sentire finalmente un uomo, un uomo adulto ed innamorato.
E non avevo bisogno di sentire altro.
 
~ANGOLO AUTRICE~
Scusatemi, scusatemi, SCUSATEMI.
Sono stata assente più di un mese e merito del biasimo.
Ma dovete sapere che la scuola mi sta prosciugando tutte le energie, non sto esagerando.
L'ann o scorso mi lamentavo di essere troppo occupata? Ecco, quest'anno è molto peggio. Scommetto che chiunque abbia già fatto o stia facendo il passaggio dalla prima alla seconda superiore capirà di che cosa sto parlando.
Ora, due avvisi molto importanti:
1) Non aggiornerò più regolarmente per ovvi motivi
2) A breve ci sarà una revisione dei capitoli precedentemente postati (quando verrà fatta la revisione apparirà la scritta a inizio capitolo "REVISIONATO IL GG/MM/ANNO").
3) Potrebbero cambiare titolo o introduzione alla storia. Nel primo caso verrete avvisati nello spazio autrice per evitare disguidi.
 
A presto,
-A

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


Di feste e festoni (PT. 2)
 
PoV Annabeth
Stavo ballando incessantemente da quelle che potevano essere due ore o dieci minuti -anche se le mie gambe protendevano più per la prima opzione-, non lo sapevo. Ormai avevo perso la cognizione del tempo, non avrei saputo dire nemmeno se avevo ballato cinque o venti canzoni. Ero completamente indifferente a tutto ciò che mi circondava.
Più che altro lo ero perché i miei pensieri tendevano a portarmi in un mondo completamente diverso da quello in cui stavo vivendo in quel momento.
Un mondo in cui Luke non era mai esistito, un mondo in cui bevevo tequila con Talia, studiavo Ovidio e Percy e Nico indossavano lo smoking. Non so nemmeno il perché di questi pensieri. Forse perché avevo voglia di bere anch'io tequila come tutte le altre ragazze presenti alla festa e perché Nico e Percy indossavano davvero lo smoking.
Poi, effettivamente, Luke e Ovidio avevano senso.
Sta di fatto che, poco tempo dopo aver realizzato il dolore atroce ai piedi, chiesi a Lucas una piccola pausa.
«Okay, io vado a prendere da bere. Tu vuoi qualcosa?»
La sua domanda era di convenzione, come quando compri del cibo e chiedi a quello che ti sta guardando mangiare con la bavetta alla bocca se vuole favorire sperando che questo abbia la decenza di dire di no, speranza ovviamente vana.
Ma si dice che sia l'ultima a morire, perciò...
Ad ogni caso, sebbene sapessi che se fosse stato per lui mi avrebbe mollata lì seduta su quella sedia senza nemmeno una scusante, non me ne sentii offesa. Difatti, mi stavo annoiando abbastanza con lui. 
A quanto pare la sua immane bellezza era compensata da una carenza di simpatia che, a mio parere, è peggio di essere brutti ma con un formidabile senso dello humor.
Poi c'è chi ha entrambi e... Beh, non serve finire la frase.
«Non serve nulla, grazie lo stesso».
Appena fu un po' più lontano e fuori dalla visuale, mi alzai un po' zoppicante dalla sedia e mi diressi verso il retro del locale, dove vi era un piccolo giardino, anch'esso addobbato ma completamente deserto.
Probabilmente l'aria di metà novembre aveva sconfitto anche i più temerari, che erano rientrati per il gran freddo. Ma io avevo bisogno di schiarirmi un po' le idee, sia perché la musica a tutto volume aveva atrofizzato le mie povere orecchie, sia perché l'odore del fumo e del sudore dei vari ragazzi presenti non mi facevano respirare.
"Però — pensai — il cappotto per uscire potevo mettermelo".
Mi persi a guardare le stelle, sentendo un po' meno il freddo, finché non sentii qualcosa di caldo appoggiarsi sulle mie spalle e mi stupii nel notare una giacca da uomo.
Mi voltai e vidi i suoi occhi verdi brillanti come fari addolcirsi.
Ero evidentemente più bassa di lui - effettivamente era parecchio alto - e dovevo alzare di molto il viso per guardarlo in faccia.
Lui non disse niente, nemmeno un saluto, ma sorrise calorosamente e si mise a guardare le stelle come poco prima stavo facendo anch'io, completamente assorto nell'osservare quegli astri luminosi.
Mi sistemai in parte a lui e appoggiai la mia testa sulla sua spalla, stingendomi nel suo cappotto.
Le mie narici venivano pizzicate dal suo odore, lo stesso che ha la spiaggia dopo la pioggia, salato ma piacevole al tempo stesso, intenso ma rilassante.
Mi riempiva completamente i polmoni con quella forza che solo il mare in tempesta ha, la forza delle onde che si infrangono sugli scogli sotto il cielo grigio come i miei occhi.
E quel profumo era inebriante, mi riportava ai tranquilli anni d'infanzia, quanto Malefica (aka la mia matrigna) non era ancora entrata nella vita di mio padre.
L'infanzia, quando ancora associavo il mare della Costa ovest alla sicurezza e non a qualcosa da cui scappare.
E forse lui, con le sue braccia che in quel momento mi circondarono, poteva ridarmi quella sicurezza perduta.
Ero così indifesa che, senza nemmeno accorgermene, stavo singhiozzando, inzuppandogli la camicia. E l'odore salato delle lacrime si mescolava al suo, il loro sapore mi impregnava le labbra come succede solo con l'acqua dell'oceano.
Lui non parlava, mi arrabbiai. 
Mi arrabbiai perché mi domandavo per quale assurdo motivo continuasse ad accarezzarmi i capelli e non mi chiedeva il motivo di quella crisi. 
Mi arrabbiai perché mi sembrava di essere tornata a San Francisco solo sentendo il suo odore e, se in parte era come essere tornata a casa, dall'altra ne avevo paura.
Mi arrabbiai perché tra le sue braccia riuscii pian piano a calmarmi, e nessuno era mai riuscito ad avere un controllo così ampio sulla mia sfera emotiva.
E mi sentivo debole, indifesa, debitrice, sconfitta, delusa, tradita, ma soprattutto distrutta. Da quello che stava accadendo, da quello che era accaduto e che sarebbe accaduto sette mesi dopo.
«Ti devo dire una cosa» annunciai dopo essermi calmata, stringendo la sua camicia tra le dita.
Avevo la fronte sul suo petto, sentivo il battito accelerato del suo cuore, ma il respiro profondo e regolare mi cullava ancora.
«Dimmi».
Mi accorsi solamente in quel momento di quanto fosse diverso quel Percy da quello che avevo conosciuto pochi mesi prima. Non era più quel ragazzo timido e un po' strano, era diventato, anzi, un pilastro fondamentale per me.
«Mi prometti, però, di non lasciarmi?» domandai.
Stavo quasi per cominciare di nuovo a singhiozzare ma, prima che accadesse, mi strinse a sé. Il suo battito non accennava a decelerare e il suo respiro non era più calmo come prima.
Respirai a fondo. Stavo facendo la cosa giusta?
«Io... Io... Sono incinta, Percy».
 
PoV Bianca
Mio malgrado, durante le prime ore della serata mi divertii più di quanto volessi. E bevvi più di quanto mi sarei mai concessa in qualsiasi altra occasione.
Diciamo che Travis ebbe un effetto enorme sul mio libero arbitrio. Per un non so quale motivo mi sentivo pendere dalle sue labbra e, qualsiasi parola dicesse, era per me come sentire lo stomaco fare una capriola.
Erano forse i suoi capelli più disordinati del solito a farmi questo effetto? O era forse l'eleganza degli abiti che indossava quella sera a renderlo più affascinante?
Non lo so, non lo seppi e non lo saprò mai.
Sta di fatto che, dopo solo il primo ballo, mi sentii completamente ebbra di un non so che di destabilizzante, come essere sotto l'effetto di stupefacenti.
Per molto tempo ballammo ma, a poco a poco -e dopo molte tequila-, la calca cominciò a farsi sentire e i nostri corpi erano più vicini di quanto desiderassi.
«Fa caldo...» dissi, quasi una muta richiesta di uscire da lì il più presto possibile.
Ma Travis non captò il messaggio e, invece di tentare di lasciarmi più aria, mi mise le mani sui fianchi tirandomi più verso di sé.
La vicinanza mi imbarazzava, tanto che sentii le guance andare in fiamme. Malgrado tutto l'alcol bevuto, avevo ancora abbastanza pudore.
Lui mi alzò il viso togliendo una mano dal mio fianco, cosa che mi diede abbastanza mobilità da allontanarmi di qualche altro centimetro.
Lui si irrigidì un momento.
«Che stupido — si allontanò da me guardando in basso — dovevo capirlo...»
Il suo sguardo era offeso, ferito. Non potevo vederlo così.
«Cosa, Travis? Cosa dovevi capire?» chiesi avvicinandomi.
Lui arretrò andando a sbattere contro qualche altra persona. Scosse la testa e si allontanò dalla folla.
Lo seguii, le lacrime che mi pungevano gli occhi. Sentivo le orbite andare a fuoco.
Lo seguivo, cercando di non perderlo tra la folla. Un dolore atroce mi stava corrodendo lo stomaco.
Quando si fermò quasi gli sbattei addosso. Lo presi per un braccio e lui si voltò, guardandomi stupito.
«Lascia stare Bianca, capisco, posso capire, non voglio la tua compassione.»
«Cosa? Non so nemmeno di cosa tu stia parlando! Se solo tu mi spiegassi...»
«Come, non si capisce? Non è ovvio?» chiese allargando le braccia.
Silenzio. Tentavo di capire, ma era come se il benessere che provavo poco prima, l'alcol e il dolore che mi provocava la sua reazione mi anestetizzassero il cervello.
Mi portai le mani alla testa tentando di ragionare, ma senza successo. La musica pompava troppo forte e il mondo vorticava tutto intorno a me.
«Non... Non capisco...» dissi flebilmente.
«Come, Bianca? Come fai a non capire?»
Lo guardai supplicante, lui alzò gli occhi come un maestro impaziente.
«Bianca, io ti amo. E l'ho già capito da molto, molto tempo. Pensavo di avere una benché minima possibilità, anche solo insignificante. Ma capisco, da come tu ti sei allontanata da me, che anche questa speranza era vana. Era tutto un castello campato per aria senza vere e proprie fondamenta. Ma capisco che non può essere colpa tua se non ricambi, dovevo capirlo da solo.»
Sentii un brivido corrermi su e giù per la schiena, un brivido quasi perverso che provoca un regalo tanto atteso quanto inaspettato. Ed era tutto un crescendo di emozioni che mi pervadeva il corpo. Sorpresa, sgomento, terrore, eccitazione. Un climax tanto terribile quanto fantastico.
«Travis, io...»
«Non interrompermi. Lasciami finire. Ecco, era da molto che progettavo come dirtelo, avevo scritto anche questo... — tirò fuori un pezzo di carta piegato dalla tasca — Recita più o meno così:"Bianca, prima che tu possa dire qualcosa, voglio prima dirti che tutto ciò che sto per scrivere non è propriamente nelle mie corde, perciò non so quale orrendo risultato ne verrà fuori. Volevo dirti che, da un po' ho cominciato a conoscerti per ciò che sei realmente. Perché tu sei come l'atmosfera di Venere: un insieme di gas acidi e corrosivi all'esterno che nascondono però uno dei pianeti più misteriosi e attrattivi di tutto il Sistema Solare..."»
«Per caso stavi studiando astronomia quando l'hai scritto?» dissi, trattenendo un risolino.
Lui restò un attimo a fissare il foglio prima di chiedere:«Come l'hai capito?»
Sorrisi accarezzandogli una guancia; lui sospirò.
«Al diavolo le scartoffie» disse, mettendo via il foglio.
Poi si avvicinò lentamente. Sapevo ciò che stava per fare, ma sussultai lo stesso quando sentii le sue labbra sulle mie.
Sorrisi, mentre infilavo la mia mano libera tra i suoi capelli e il bacio, prima timido, divenne poi approfondito. Le sue mani mi tirarono verso di lui, ma stavolta non tentai di divincolarmi, scoprendo che le sue braccia non erano pericolose come credevo, come lo erano state quelle di Ethan.
Quando interruppe il bacio domandai:«Ti basta come risposta, Stoll?»
«A quale domanda?» rise.
Mi morsi il labbro, poi gli diedi un piccolo bacio.
«Ti amo anch'io, Stoll.»
I suoi occhi brillarono di euforia, io arrossii immediatamente. Sorrise, vedendomi. 
«Smettila!» dissi.
«Cosa?» rise lui.
«Quel sorrisetto mi fa impazzire! Sembra che tu abbia in mente qualcosa!»
«Credimi, Di Angelo, ho in mente molte cose» disse guardandomi.
Lo baciai, le sue braccia mi stringevano al suo corpo, l'unico posto in cui volevo stare.
 
PoV Percy
Era come aver ricevuto un pugno in pieno stomaco, sentire quelle parole pronunciate da Annabeth. Dall'ultima persona da cui mi sarei aspettato di sentirle.
Mi irrigidii, non respirai per alcuni secondi e anche lei lo notò. Si allontanò immediatamente, guardandomi con fare colpevole.
Vedevo già altre lacrime affacciarsi ai suoi occhi. E non volevo vederle scendere.
«Stavo pensando:"Ma come? Mi pareva di essere stato attento!"» dissi.
Lei diventò rossa come un pomodoro e pensai di aver solo peggiorato la situazione.
Poi scoppiò a ridere, avvicinandosi per tirarmi un pugno in pieno petto e poi gettarsi di nuovo tra le mie braccia.
«Mi domando come tu possa essere così poco serio in questo momento così poco rassicurante.»
«Dimentichi che sono Percy Jackson, se cercavi qualcuno di serio dovevi andare da Nico.»
«No, tu mi tranquillizzi di più» e, detto questo, mi abbracciò tanto forte che quasi non riuscii a respirare.
Le accarezzai i capelli per un po' con una domanda che mi frullava in testa, ma così poco consona che la tenni per me.
«Chi...?» iniziai.
«Luke. Luke Castellan.»
Sentii un'altra fitta allo stomaco. Questa volta più forte, tanto che mi bruciarono gli occhi e la bile aveva minacciato di salire.
«A dire il vero volevo chiederti chi lo sa.»
Lei si irrigidì un secondo, poi rispose:«Tu, Talia, Nico -Tals non sa tenere la bocca chiusa- e poi... Luke. Ovviamente.»
Le baciai la fronte, poco prima di notare che le sue lacrime cominciavano a bagnarmi di nuovo la camicia. Tremava.
«Rientriamo. Qui comincia a far freddo» sussurrai.
«Possiamo rimanere un altro po' qui fuori, per favore? Non me la sento di rientrare proprio ora.» Mi guardò negli occhi supplicante. 
«Certo.» 
Le baciai una guancia salata, poi le asciugai le lacrime.
Giurai di averla sentita trattenere il respiro nel momento in cui mi avvicinai per baciarla, ma non ci feci troppo caso.
Ero più preso a togliermi dalla testa il pensiero di come sarebbe stato se, al posto di baciarle la guancia, l'avessi baciata sulle labbra.
 
~SPAZIO AUTRICE~
Ed eccomi qua!
Dopo quasi un mese e mezzo, ma spero di essermi fatta perdonare :)
Ed ecco a voi *rullo di tamburi* LA TRAVIANCA! Non so voi, ma io li trovo bellissimi!
Bene, ringrazio chiunque abbia recensito finora (non immaginavo che questa storia potesse avere un così grande seguito). Insomma, 129 recensioni!
In più la storia è tra le più popolari del fandom e tutto grazie a voi che la seguite nonostante la mia incostanza...
Un grande bacione!
-A

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


All my friends ask me why I stay strong
Tell ‘em when you find true love it lives on
Ah, that’s why I stay here

And there’s no remedy for memory of faces
Like a melody, it won’t leave my head
Our soul is haunting me and telling me
That everything is fine

But I wish I was dead
Lana Del Rey,
Dark Paradise


PoV Talia
Quella mattina il cortile della scuola era particolarmente sgombro. Forse era perché, date le temperature, i bidelli, mossi da pietà per noi, avevano deciso di aprire le porte della scuola prima di quando avrebbe stabilito il regolamento.
Ma io, ovviamente, ero ancora fuori ad aspettare Nico e Annabeth — i soliti ritardatari.
Fu quindi parecchio sconvolgente per me vedere la testa rossa di Rachel Elizabeth Dare avvicinarsi tutta trafelata, con una sacca per i libri tutta ricoperta di spillette che sbattacchiava sulla sua gamba destra.
«Che Zeus maledica i biondi platinati!» disse urlando. Metà dei ragazzi che si trovavano in cortile si voltarono a guardarci.
«Abbassa la voce Dare! E poi, sì, che Zeus maledica i biondi platinati! Come mai tutto questo fervore?»
Lei, quasi non ascoltandomi continuò a camminare su e giù di fronte a me, facendomi venire il mal di mare.
Mi chiesi come mai non aveva la sua compagnia di Cheerleader al seguito, perché era lì davanti a me e perché si ostinasse a maledire i biondini. Okay, magari anche a me non piacevano chissà che, però non riuscivo a capire perché lei si ostinasse così tanto.
«Dare! Dare! Calmati! — dissi prendendola per le spalle — Cos'é successo? Vuoi essere più chiara una buona volta?!»
«Sto parlando di Octavian! Non mi ha salutata, non mi ha chiamata, solo uno stupidissimo messaggio! — disse quasi alle lacrime — "Ciao amore, sono partito"! Nemmeno un cuore! Non mi ha svegliata! Perché non mi ha svegliata? Gli avevo detto di svegliarmi quando stava per andarsene!»
«E tu? Che hai risposto?» chiesi confusa.
Il silenzio si impossessò di lei, che non é mai silenziosa.
«Non ho risposto. É per quello che sono venuta da te, capisci? Per chiederti un consiglio. So che abbiamo avuto le nostre divergenze, non siamo mai state vere amiche ma... Ne ho davvero bisogno. Mi sono accorta in questi giorni, conoscendo Oct, che mi sono sempre circondata di stronze senza cervello che mi adulavano solo perché volevano essere loro le cocche del capo. Mi sono stancata di quella vita».
Mi accorsi solo in quel momento che non portava con sé il consueto borsone da Cheerleader, non aveva i capelli raccolti da nastri colorati e non girava con abiti da urlo all'ultima moda.
Indossava un paio di normalissimi jeans usurati e tutti colorati con i pennarelli e una normalissima maglietta bianca. Era strano vederla così normale;.
«Allora? Mi puoi aiutare?» chiese speranzosa. Mi fece tenerezza, con quegli occhi spalancati. Sorrisi.
«Certo, dammi il cellulare che lo faccio tornare qui a baciarti i piedi correndo!»
Lei, presa da una gioia irrefrenabile, mi abbracciò. Ero un po' in imbarazzo, ma lei parve non accorgersene.
«Potremmo diventare amiche? Sai, mi sento così stupida per avervi trattato così tutti questi anni...»
«Credo proprio di sì, — le dissi sorridendo —  infondo, hai maledetto i biondi platinati ».


Dopo aver scritto il messaggio per Rachel, aspettai ancora accendendomi una sigaretta. Nico e Annabeth odiavano quel mio piccolo vizio, ma io non ne potevo fare a meno. Così, piuttosto che fumarne una mentre loro erano presenti, preferivo risparmiare loro – e risparmiarmi – i commentini sulla puzza e sui danni del fumo passivo fumandone una prima del loro arrivo. Mi sedetti sul muretto che affiancava le scale, per essere un po' sopraelevata rispetto alle teste degli altri ragazzi e vedere se i due arrivavano, così da poter spegnere in tempo la sigaretta.
Quando Annabeth arrivò, a fianco di Nico, sembrava che fosse apoena stata investita da un camion. Potevi vedere da lontano un miglio che le smorfie di dolore che faceva.
Mi avvicinai quasi correndo a loro, mentre mi accorgevo, man mano che mi avvicinavo, delle occhiaie scure sotto gli occhi della mia migliore amica, della sua pelle pallida e di un graffio che le attraversava la guancia sinistra.
«Che ti é successo?» urlai con le lacrime agli occhi.
«Ha detto di non aver dormito — rispose al posto suo Nico mentre la reggeva — e di sentirsi parecchio male. Sono sceso dall'autobus e l'ho vista cadere addosso al muretto – dove si é fatta il graffio – e lì ha iniziato a vomitare. Le avevo detto di tornarsene a casa, ma lei si é fermamente rifiutata. Non so cosa le prenda».
«Solo un po' di nausea per la gravidanza; — disse, prendendo quasi paura di questa parola — va tutto bene, un po' di tempo e starò meglio».
Annabeth Chase é brava a mantenere le promesse, mi rassicurai.
La abbracciai; il corpo delicato l'aveva sempre fatta sembrare una ragazza da difendere, sebbene avesse un animo di ferro.
Entrammo a scuola sorreggendo Annabeth. Faceva fatica a tenere la testa alta mentre passava tra i ragazzi. Quella non era Annabeth. Non era assolutamente lei. Dov'era finita la mia migliore amica? Me lo stavo chiedendo, ma non trovavo risposta.
Arrivata all'armadietto, lei si appoggiò di schiena all'anta, per poi scivolare giù e prendersi la testa tra le mani. Stava visibilmente tremando, ma lei si ostinava a dire di stare bene. Nessuno le credeva. Nemmeno io.
Aveva gli occhi rossi di pianto, i capelli scompigliati, la bocca imbronciata e l'alito che sapeva da bile. Ma non voleva altro aiuto.
Mentre mi dirigevo in classe mi chiesi perché proprio quel giorno Percy doveva avere la partita di pallanuoto. Magari sarebbe riuscito a convincerla a tornare a casa perché era evidente come il sole che anche solo fare un passo le provocava un dolore immenso. Magari se l'avesse convinta a tornare a casa sarei stata più tranquilla durante l'ora di Economia.
Forse non mi sarei sentita in colpa quando Clarisse mi avvisò che Annabeth era andata a casa perché era svenuta durante la lezione di ginnastica.


PoV Bianca
Quella mattina non avevo preso l'autobus con mio fratello, dicendo che sarei arrivata con Silena.
Ma quella mattina non mi ero affatto trovata con Silena. Avevo aspettato alla fermata finché, nella nebbiolina profusa di quella mattina, non scorsi una chioma ricciuta. Mi avvicinai sorridente a Travis che mi salutò con un bacio degno de "Il tempo delle mele".
Ero così contenta di sentire le sue braccia intorno alla vita da non sentire neppure il freddo pungente di quella mattina. Mi sembrava di volare.
"Quindi é così che ci si sente quando si é innamorati" pensavo.
Pensavo anche che fosse la più bella sensazione al mondo. Pensavo che gli uccelli avrebbero cinguettato e il mondo sarebbe stato un posto accogliente da quel momento in poi.
E nel momento in cui mettemmo piede a scuola volevo baciare nuovamente Travis. Davanti a tutti, tanto per far capire che ormai non ce n'era più per nessuno.
Ma mi ricordai del patto che io stessa avevo imposto: nascondersi finché mio fratello non avesse digerito la questione Ethan Nakamura.
Me ne stavo pentendo in parte, ma dall'altra trovavo che la "relazione segreta" aveva quel non so che di eccitante che bastava per sopportare quelle poche ore divisi.
Poi i baci rubati durante la ricreazione in un corridoio vuoto mi resero particolarmente felice, tanto da pensare che per tutti dovesse essere così.
Fu quando scoprii da Clarisse di Annabeth a sentirmi in colpa. Penso che tutti si sentissero in colpa, almeno in parte. In particolare mio fratello e Talia sembravano nascondere qualcosa.
Quando Percy arrivò a pranzo si trovò vittima degli eventi: Annabeth che stava male, lo svenimento, la crisi avuta quella mattina, Rachel Elizabeth Dare seduta al nostro tavolo.
Impallidì ad uno sguardo di Talia, che sembrava confessargli quella cosa che solo lei e Nico sapevano. Volevo sapere anch'io cosa passasse per le loro teste, ma sapevo che se mio fratello non mi accennava niente, forse era meglio non chiedere.
Quando uscimmo dalla sala mensa, nessuno parlò più della faccenda, ma era unico il pensiero di tutti: andare da Annabeth. Spiegazioni o meno, tutti volevamo vederla.
Anche Rachel sembrava particolarmente interessata, nonostante la gelosia che scorreva tra loro due, ma quel giorno sembrava diversa: più stanca, matura, umana.
Ad un certo punto si allontanò per rispondere al telefono portando con sé Talia. Entrambe tornarono con un sorriso beffardo dipinto sul viso.


PoV Percy
Quella terribile mattina – ma mai la più terribile – mi trovavo ad una gara di pallanuoto, una stupida gara di pallanuoto. Se solo fossi stato presente!
L'avevo promesso ad Annabeth, di starle vicina, di supportarla. Non l'avevo fatto. Stava male, io non le avevo nemmeno mandato un messaggio quella mattina per chiederle come stava. Nulla di nulla.
Appena uscito di scuola aspettai tutti quanti per raggiungere casa di Annabeth. Eravamo tutti parecchio impazienti di vederla.


Entrati nell'appartamento – eravamo un po' strettini tutti lì – trovammo Annabeth particolarmente stanca e distesa languidamente sul divano. Talia sapeva delle chiavi sotto lo zerbino, perciò eravamo entrati senza disturbarla.
Lei, appena ci vide all'ingresso del salotto, tentò invano di alzarsi, subito fermata da tutte le ragazze, in particolare Talia, che si prodigarono a prepararle il the e a fare da "sostegno morale". In particolare Rachel si mostrò disponibile e socievole intavolando un'animata discussione con la malata.
Tutti quanti tentavano di metterla a proprio agio ma era palese che in mezzo a tutta quella folla non si sentisse per niente a proprio agio.
Quando Talia intuì la situazione, fece di tutto per far sgomberare, riuscendo perfettamente nel proprio intento. Mentre tutti stavano per uscire, io tentennai, sentendo per la prima volta del senso di colpa. Le avevo promesso di starle vicino, ma non lo stavo facendo a dovere. Non la stavo aiutando, né stavo facendo qualcosa per alleggerirla dal carico che si stava portando dietro.
Mi arrestai e salutai tutti, poi chiusi la porta.
«Ehi, non dovresti andare a casa?» chiese lei sbadigliando.
«E tu non dovresti mangiare qualcosa di diverso da nutella e patatine? A parte il miscuglio immangiabile – ho capito voglie strane, ma qui si esagera – non fanno bene al bambino» dissi, posandole una mano sul grembo.


Lei sorrise posando la sua mano sulla mia. Il suo ventre era ancora piatto, dopotutto era solo alla decima settimana, ma mi pareva comunque di sentire il piccolo crescere a dismisura. Non ero mai stato così felice. Nonostante il bambino fosse di un altro, lo amavo già come se fosse stato mio. Ma probabilmente ad Annabeth questa cosa sarebbe parsa parecchio strana, quindi tenni questa confidenza per me.


«Perché, avresti intenzione di cucinarmi qualcosa o andarmi a prendere del cibo salutare qui all'angolo?» mi canzonò.
«Perché no?» dissi alzandomi immediatamente dal divano e andando a prendere il giubotto.
«Perché non serve, Percy. Sul serio».
Aprii la porta. «Invece serve. Cosa vuoi?»
Lei affondò la faccia nel cuscino per non rispondermi, convinta che mi sarei arreso.
«Bene, allora sceglierò io! Prendo le chiavi, tornerò presto!»
Poi chiusi la porta, dirigendomi al negozio di alimentari più vicino.


PoV Annabeth
Quando Percy tornò con della verdura – sul serio? Verdura? – si sedette nel posto accanto al mio e mi appoggiai al suo petto.
Mi porse un pezzo di sedano che iniziai a sgranocchiare come un coniglio. Mi sembrava sul serio di essere una morta di fame.
«Devo dire che la gravidanza mi fa strani effetti. — confessai — Mi piace anche questa roba. Ma sul serio, devi aver speso un patrimonio. Lascia almeno che ti restituisca i soldi».
Lui continuò ad accarezzarmi dolcemente i capelli. «Non se ne parla» disse.
«Non puoi obbligarmi a non restituirti i soldi!» dissi girandomi di scatto verso di lui. 
Lui sorrise. Non capii cosa stava facendo finché non sentii le sue mani sui fianchi che scattarono per farmi il solletico.
Saltai e, dopo alcuni attimi di confusione totale, ci ritrovammo a terra, io a cavalcioni di lui mentre gli tenevo le mani ferme sopra la testa e i nostri visi a poca distanza tra di loro.
Ci furono attimi interminabili di silenzio, durante i quali ci scrutavamo soltanto.
Notai le lunghe ciglia che gli contornavano gli occhi luminosi, stranamente luminosi. Notai il contorno più scuro delle iridi verdi. Notai la forma perfetta del naso, il contorno frastagliato delle labbra, l'incisivo leggermente storto che lo rendeva solo più perfetto ai miei occhi – l'avevo pensato davvero? – e gli zigomi appena accennati.
«Vuoi... Vuoi ancora restituirmi quei soldi?» disse balbettando.
Non riuscii a rispondere per i primi cinque secondi. Sembravo di sicuro una stupida oca bionda.
«N-No, mi arrendo. D'ora in poi farò tutto quello che vuoi».
Dissi la frase più sbagliata da dire in quella situazione, in quella posizione; infatti lui fece scorrere lo sguardo sulle mie labbra, facendomi infiammare le guance.
Poi sentii qualcosa salirmi dal basso ventre, una strana sensazione, fortissima. 
Corsi in bagno, ma non vomitai.


Nei giorni seguenti non mi sentii per niente meglio. Rimasi ancora a casa, ma Talia, Nico e Percy vennero a trovarmi tutti i giorni.
Percy rimaneva sempre qualche ora in più per tenermi compagnia, per aiutarmi a mettere a posto la casa, andava a comprarmi qualcosa da mangiare. Era così premuroso e dolce che mi sentii un gran peso per lui.
«Non ti sono di peso?» gli chiesi un giorno. Lui mi baciò una guancia, dove avevo un leggero formincolìo. O forse comparve solo dopo che sollevò le labbra dalla pelle.
«Certo che no, piccola Annie».
Non mi lamentai di quel soprannome. Era da un paio di giorni che non mi lamentavo di quel soprannome. Era anche un paio di giorni che sentivo, quando lui era lì con me, la stessa sensazione del primo giorno. Sempre, costantemente. Ma non vomitavo, non ne sentivo realmente il bisogno.
Dopo le prime giornate riconobbi la sensazione allo stomaco, quelle piccole fitte, come la stessa che avevo quell'estate ogni volta che vedevo Luke, ma moltiplicata per dieci, venti, cento volte.
Sapevo che no, non dovevo farmi prendere troppo, ma la sua vicinanza, i suoi abbracci, i suoi baci, le sue carezze, il suo odore, non facevano altro che aumentare queste fitte.
Lo vedevo così perfetto, così gentile con me, che non riuscii a fare a meno di vederlo con un piccolo fagottino in braccio. Quella visione mi piacque così tanto che un giorno dissi inconsciamente che desideravo tanto che il bambino fosse stato suo. Balbettai qualcosa per salvarmi in corner, dicendo che lo vedevo così gentile che mi sarebbe piaciuto che il vero padre fosse come lui.
Lui mi accarezzò la pancia.
«Anche a me piacerebbe» disse con sorriso malinconico. Solo dopo scoprii a quale delle due affermazioni si fosse realmente riferito.


Tutti i miei amici mi chiedono perchè rimango forte
Dico loro che quando trovi il vero amore rimane per sempre
Ah, ecco perchè rimango qui
E non c’è rimedio per la memoria delle facce
Come una melodia, non abbandonerà la mia testa
La tua anima mi sta ossessionando e mi dice
Che tutto va bene

Ma disidero essere morta
Traduzione di
Dark Paradise


~SPAZIO AUTRICE~
Buongiorno stelle del cielo! La terra vi saluta!
A parte gli scherzi, come va? A me potrebbe andare meglio, ma non ci si lamenta.
Sarò molto breve perché sto parecchio male, quindi mi fermo soltanto per ringraziare le persone che hanno aggiunto la storia alle preferite, alle seguite e alle ricordate – ve se ama – e mandare un grande bacio a coloro che hanno recensito – ve se ama ancora di più.
Volevo dirvi che vi ringrazio specialmente per il fatto che questa storia sta diventando tra le più popolari ed é solo grazie alle vostre dolci parole che vado avanti con questa storia.
Quindi recensite in numerosi, ho bisogno delle vostre parole per tirarmi un po' su di morale ;)
Tanti unicorni rosa a tutti,
- A
 

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Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***


I feel like if I’m too kind
Then you will only change your mind
Take advantage of my heart
And I’ll go back into the dark
Love will never be forever
Feelings are just like the weather
January to December
Do you want to be a member?
Lonely Hearts Club
Do you want to be with somebody like me?
Lonely Hearts Club
Do you want to be with somebody like me? 

Marina and The Diamonds, Lonely Hearts Club



PoV Annabeth
Passarono diversi giorni dopo quello in cui mi sentii male. La situazione non era per niente migliorata, anzi, sentivo delle forti fitte addominali che non mi lasciavano dormire la notte.
Tuttavia, dopo circa cinque giorni durante i quali avevo tentato di recuperare un po' di salute, fui costretta a tornare a scuola, non tanto perché mi sentivo meglio per poter sostenere una giornata a scuola, ma perché se solo avessi fatto qualche altro giorno di assenza avrebbero molto probabilmente allertato i miei genitori.
Tornai a scuola, quindi, il martedì della settimana dopo. La notte ero riuscita a dormire un paio di orette scarse – era quindi un notevole miglioramento – ma i dolori continuavano a presentarsi persistenti.
Quel bambino mi stava quasi uccidendo.
Quel martedì mattina, però, fu abbastanza tranquillo. Certo, stavo morendo dentro, ma non svenni, né cedetti all'impulso di tornarmene a casa a cullarmi beatamente nel mio dolore. Effettivamente, avere delle persone pronte a distrarti era un enorme vantaggio.
Al cambio dell'ora trovavo Percy pronto ad aiutarmi a passare da una classe all'altra, anche se io tentavo di rifiutare il suo aiuto. Ovviamente, era una cosa vana.
 
«Credo sul serio che tu in realtà stia facendo tutto questo per avere le mie attenzioni» affermò durante un tragitto, mentre mi sorreggevo al suo braccio.
«Sarebbe bastato poco, dovresti saperlo mia cara».
«E io sospetto fermamente che tu mi stia aiutando così tanto solo per dei secondi fini. Ma ti devi rassegnare, mio caro, il mio cuore é già sposato con l'architettura».
Lui rise, prendendomi in braccio. Trattenni un urlo per non avere l'attenzione di tutto il corridoio su di noi, ma fu abbastanza inutile, dato il fatto che l'improvvisa azione di Percy aveva spaventato metà dei ragazzi e incuriosito i restanti.
«Ti pentirai di averlo detto, Annabeth Chase!»
«Mettimi giù! — sussurrai — Non vedi che ci stanno fissando tutti?»
Lui fece un sorriso sghembo. Il solito vuoto riempì il posto del dolore perpetuo che, tutto d'un tratto, s'era fatto timido pure lui sotto lo sguardo furbo del ragazzo.
Di quel ragazzo che mi stava facendo davvero impazzire. In un modo indefinibilmente bello.
Ma non ero pronta. Per lui ero un'amica. Per lui non potevo essere più di quello.
Per lui ero la ragazza troppo ingenua che si era fatta fregare da Luke Castellan.
Mi sentivo male. Usata. Non volevo che il mio cuore si spezzasse di nuovo, proprio ora, che era appena stato ricostruito pezzo per pezzo.
Fu quando mi posò di nuovo a terra che trovai fine a questi pensieri.
«Tutto bene? Sembri preoccupata».
«Certo — dissi, sforzandomi di sorridere — Certo, sto bene».
 
Uscita da scuola pensavo che forse se mi fossi accoltellata lì, aspettando una morte lenta e dolorosa, beh, forse sarebbe stata meno dolorosa che tutto quello che stavo passando.
Non riuscivo assolutamente a camminare e, nonostante non avessi voluto, fui costretta ad accettare un passaggio da parte di Rachel.
Era incredibilmente strano il modo in cui era cambiata, in quei pochi giorni, quasi incredibile. E, devo dirlo, non mi dispiacque affatto.
Era, in un certo modo, quel tipo di ragazza smaliziata e fintamente ingenua che, appena ne ha l'occasione, ti stupisce con quell'ingegno che é più accecante di uno spettacolo pirotecnico.
Ero stata molto stupida a giudicarla male, ma quella piccola dimostrazione di comprensione da parte sua mi fece capire che lei era davvero cambiata e voleva dimostrarlo.
Quando alla radio partì Lonely Hearts Club sospirai al pensare quanto mi descrivesse in quel momento. Spezzata, usata, buttata in un angolo e caduta nel buio.
«La vita fa schifo» sbottò lei.
Non ebbi niente da ridire.
 
PoV Clarisse
Era da una settimana che scappavo, mi nascondevo, tremavo. Quella non ero più io. Era un involucro dalle mie sembianze, ma vuoto. Completamente.
Sfuggivo da una settimana o più da Chris, tremavo al solo pensiero di vederlo.
Ma non riuscii a sfuggirgli per sempre e, quel martedì, lo incontrai nel mezzo di un corridoio, intento a parlare con un ragazzo che non avevo mai visto prima.
Mi pentii di aver imboccato quella strada non appena incrociai il suo sguardo: tentai di filarmela, invano. Mi raggiunse dopo pochi secondi, prendendomi per il braccio.
«Perché scappi? É da una settimana che tento di parlarti, sembra quasi tu ti sia dimenticata di quello che é successo!»
«Non me ne sono dimenticata — dissi, strappando il mio braccio dalla sua morsa — ma non vedo perché questo possa cambiare quello che é stato, né ora né mai».
Lui si ritrasse leggermente, colpito.
«Che intendi?»
«Credi sul serio che dopo anni di maltrattamenti e prese per il culo un bacio possa farmi cambiare davvero idea?»
«Ma tu... Ma io... Io ti piaccio, o sbaglio?»
Rimasi interdetta un momento. Certo, mi piaceva parecchio: potevo negarlo? Decisamente no, non ci sarei mai riuscita. Lui sapeva fin troppo bene ciò che provavo – almeno, così credevo – ed ero sicura che se solo avessi mentito mi avrebbe scoperta.
«Sì — ammisi — ma ciò non cambia il fatto che tu mi abbia distrutta».
Me ne andai, lasciandolo imbambolato a guardare il punto in cui prima mi aveva fermata.
 
PoV Talia
Sulla porta di casa, non me la sentii di salutare Nico.
«Puoi entrare?» chiesi.
Lui annuì, entrando in casa. Avevo le occhiaie, ma forse lui le aveva addirittura più marcate delle mie, in parte perché per lui era la normalità averle, in parte perché se ne stava notti intere al telefono con me per consolarmi. Gli occhi stanchi bruciavano, ma avevo bisogno di piangere. Non sapevo nemmeno bene il perché.
Sentivo il cuore pesante, le palpebre cadere e ogni parte del mio corpo crollare. Il corso degli eventi mi opprimeva, come se il destino si divertisse a ridere di me, mentre esalavo gli ultimi respiri, schiacciata dal suo peso.
Mi mancavano quei dolci periodi di quiete che si vivono durante l'infanzia, la spensieratezza, la schiettezza quasi innocente che hai, capace di essere sempre perdonata perché, alla fine dei conti, eri semplicemente un bambino.
Mi mancava la semplice purezza dell'essere bambina, quell'inesperienza nei confronti del mondo e quell'ingenuità che ti fa credere che la cosa più brutta che possa capitare é perdersi una puntata del proprio cartone preferito.
Mi mancava l'essenza della purezza dei bambini, come se, d'improvviso, mi fosse stata aspirata via da un mondo troppo grande. Ma, in effetti, é quello che succede realmente: un bel giorno ti svegli consapevole e consenziente, lasciato allo sbaraglio di una verità che non é più tua, che non esiste, che semplicemente verrà spazzata anche dai tuoi più remoti ricordi. E questa verità uccide, ti comprime e ti soffoca, ma non puoi nulla, puoi solo rinforzare le ossa delle tue spalle e continuare ad andare avanti.
Ma, in quel momento, sembrava sul serio che tutto andasse a quel paese, tutti gli sforzi fatti e tutte quelle piccole ferite finalmente rimarginate sembravano riaprirsi aprirsi in voragini.
Avevo bisogno di Nico, delle sue parole dolci, della sua presenza.
«Come stai?» mi chiese.
Scossi la testa, trattenendo a stento un singhiozzo e lacrime di sale, che mi arrossarono gli occhi.
«E tu? Come stai?»
Scosse la testa.
«Sembra che tutto quello che le sta succedendo — disse, senza nominare Annabeth — stia letteralmente distruggendo anche tutti noi. Non so te, ma io non credo che potrà andarle tanto meglio».
«Come puoi dirlo?! — urlai — Come puoi sul serio pensare qualcosa del genere?! É nostra amica, Nico, le staremo vicino! Certo che andrà meglio».
E sapevo sul serio, dentro di me, che sarebbe andata meglio, che tutto si sarebbe sistemato, pezzo per pezzo.
Bastava solo trovare il pezzo di puzzle mancante, poi si sarebbe composto da solo.
«Sono pessimista, lo so» disse lui, guardandosi le mani.
Gli sollevai il volto. Era teso, imbronciato, ma negli occhi conservava quel briciolo di speranza che mi confortava sempre, quel guizzo di energia che sembrava urlare che esisteva anche lui.
Lo baciai, perché forse era l'unica ancora di salvezza che mi rimaneva.
Lo baciai, perché mi mancavano le sue labbra.
Lo baciai e non ebbi bisogno di nient'altro.
Dopo pochi secondi sentii il bisogno fisico di approfondire quel bacio, di approfondirne il contatto, il sapore, la passione.
Si sedette sul divano, invitandomi a sedermi sulle sue gambe, mentre le mie mani fredde scorrevano su e giù sulla sua spina dorsale. Le sue, nel frattempo, mi accarezzavano la pelle accaldata della schiena.
Senza che nemmeno me ne accorgessi, mi sfilò la maglietta, cominciando a lasciare una scia di baci bollenti sul collo.
Fece scendere la spallina del reggiseno, lasciando un seno scoperto. Sentii le sue labbra calde posarsi su esso e un grande piacere crescere dal basso ventre per poi estendersi in ogni angolo del mio corpo, in ogni capillare e ogni terminazione nervosa.
Inclinai il capo sospirando e lasciando che Nico indugiasse tutto il tempo che riteneva necessario. Non avevamo fretta, volevamo goderci ogni istante come se fosse stato l'ultimo.
E poi arrivò, l'ultimo momento, perché dalla porta entrò all'improvviso l'ultima persona che sarebbe dovuta entrare da quella porta.
Mio padre.
Feci appena in tempo a mettere a posto la coppa del reggiseno, ma non ebbi il tempo di rendere la situazione meno esplicita: dalla sua faccia sconvolta capii che aveva intuito tutto.
«Ehm... Ciao papi» salutai, rossa in viso.
«Buo- buongiorno signor Grace» sussurrò Nico, bianco in volto.
Mio padre guardò prima la mia maglia sul pavimento, poi me, poi Nico, per poi riportare lo sguardo alternamente da me alla mia maglia.
«Buongiorno un cazzo. Se non te ne vai subito giuro che saranno le tue ultime parole».
Nico mi guardò sconvolto, ma non potevo far altro che guardarlo terrorizzata.
«ORA» urlò mio padre.
Fui spinta via e, sedutami a terra, raccattai la maglietta per poi infilarmela alla velocità della luce.
«Che ci faceva Di Angelo qui? Soprattutto a fare certe cose?!» sbraitò.
Non riuscii a rispondere, tanta era la paura che mi cresceva dentro.
«Io...» tentai.
«Tu un corno, Talia! Ti rendi conto di quanti anni hai? Lo sai cosa comporta fare certe cose?!»
Non risposi. Mi arrivò un ceffone.
«Sei in punizione — sibilò — e ringrazia che ritenga degradante comprare una cintura di castità».
 
PoV Annabeth
Erano passate meno di due ore dall'ultimo conato di vomito. Erano passate meno di due ore – ed erano comunque abbastanza per gli standard – quando dovetti rialzarmi per la quinta volta quella maledetta notte tra il martedì e il mercoledì. Era la quinta volta ed erano solamente le due.
Quel pomeriggio era stato il peggiore, il peggiore su ogni fronte.
La cosa peggiore era che non avevo avuto nemmeno Percy accanto a me. E la cosa peggiore, durante quella notte, era rendermi conto, minuto dopo minuto, che ero irrimediabilmente e completamente innamorata di lui. Ma non del ragazzo dagli affascinanti occhi verdi e dal fantastico fisico da nuotatore. Ero irrimediabilmente innamorata del ragazzo dolce e sensibile che si era preso cura di me in quei giorni facendomi pesare meno il dolore e condividendo con me il mio fardello.
Purtroppo, non ne ero felice. Non potevo assolutamente dirlo o farlo trasparire. Non volevo essere un peso e, tantomeno, non volevo che lui si sentisse obbligato a ricambiare perché ero una ragazza incinta e dovevo essere aiutata con il bambino.
Era sbagliato. Tutto sbagliato. Io, lui, noi, il bambino, tutto quello che stava accadendo, il mondo.
Non ero pronta, poi, per sopportare e crescere un figlio mio. Ero troppo giovane – alla mia età le ragazze pensano a che vestiti indossare il giorno dopo o a chi le inviterà al ballo di fine anno, non di certo a crescere un bambino, a mettere su famiglia.
E, man mano che la notte avanzava, mi resi conto di quanto realmente volesse dire essere incinta. Non solo dopo la gravidanza, ma anche durante. Che avrei fatto a marzo, quando la pancia non sarebbe più scomparsa sotto un maglione largo? E a maggio, quando sarebbero arrivate le doglie? Come avrei fatto a camminare per la scuola con il pancione, sotto gli occhi di tutti? Come avrei fatto a sopportare i commenti e i pettegolezzi? Sarei riuscita a dare gli esami? E poi, a cosa sarebbe servito?
Sarei riuscita a frequentare l'università? Come mi sarei procurata i soldi necessari?
O ancora: avrebbe fatto male partorire?
Non sapevo rispondermi e, con tali domande e poche ore di sonno, arrivai al mattino seguente a scuola.
Più dolorante del solito e con le caviglie gonfie, mi trascinai in classe senza salutare nessuno. Nemmeno Talia o Percy o Nico. Non volevo vedere nessuno.
Le fitte forti al basso ventre mi diedero filo da torcere per tutta la prima ora finché il professore, accortosi della mia sofferenza, mi mandò in bagno.
Non ho idea di come ci arrivai, con la vista offuscata e le gambe tremanti. Entrai nella prima cabina e vomitai tutto quello che potevo e forse qualcosa di più, data la scarsa colazione fatta.
Feci per sedermi a fare la pipì quando la vidi, una striscia rossa in mezzo agli slip.
Mi alzai e, con le poche forze che avevo e la testa che girava, urlai. Il fiato era poco, se non completamente assente.
Ma riuscii a farmi sentire: alcuni professori e molti alunni uscirono dalle classi.
Con l'ultima forza rimastami dissi: «Chiamate un'ambulanza».
Poi caddi nel buio.
 
Quando mi ridestai, la luce gialla di una lampadina e le fredde pareti di una camera ospedaliera riempirono il mio campo visivo.
Quando, pian piano, riacquistai la vista, toltami dal bagliore della luce, riuscii a distinguere altri particolari attorno a me: una flebo, un letto accanto al mio, una finestra che dava sul blu e una tristissima copia di un dipinto di Van Gogh. Dico tristissima perché, con tutti i dipinti che potevano starci in un ospedale, "Campo di grano con corvi" era forse il più sconsigliabile.
Voltandomi leggermente potei notare altri lettini come il mio, dove altre donne con il pancione se ne stavano distese a fissare rilassate e forse un po' febbricitanti il vuoto, con una mano sul grembo.
Girando ancora la testa, notai due grandi occhi verdi che mi scrutavano scuri. Sorrisi.
«Annabeth» disse una voce che non era quella di Percy, ma una molto più matura e conosciuta, forse anche odiata, in parte.
«Perché non hai detto nulla?»
Voltai la testa di scatto e, tenuto fermo da Nico Di Angelo, c'era mio padre, affiancato dalla mia matrigna, che aveva una ruga di apprensione giusto nel mezzo della fronte.
Lei, una delle donne più intelligenti – e stronze – che avessi mai conosciuto, se ne stava lì a guardarmi, quasi preoccupata.
«Non volevo farvi arrabbiare — sussurrai — e poi Luke... Non pensavo che fosse capace di tanto».
«Luke? — chiese mio padre stupito — Allora non stava mentendo il ragazzo, non l'hai messa incinta tu».
«Grazie mille per la fiducia» rispose Percy sarcastico. Solo allora notai il suo occhi nero.
«Ma che é successo?» sbottai, tentando di non disturbare nessun'altra donna presente.
«Tuo padre — disse una di loro, particolarmente impicciona, a quanto pare — ha tentato di ammazzare il tuo fidanzatino a mani nude perché credeva fosse stato lui a metterti incinta, dato che era stato lui ad accompagnarti in ospedale».
Percy arrossì alla parola fidanzatino – come me, d'altra parte. Poi guardai sconvolta mio padre, perché l'idea che mi era venuta immediatamente di dare un enorme bacio a Percy per essersi preoccupato tanto non era effettivamente la scelta più saggia, data la situazione.
Mio padre tentò di parlare, ma venne interrotto dall'arrivo di un dottore.
«Signor Chase? Signorina Chase? Abbiamo una notizia per voi».


Mi sento come se fossi troppo gentile
Allora dovrai solo cambiare idea
Approfitta del mio cuore
E io andrò di nuovo nel buio
L'amore non sarà mai per sempre
I sentimenti sono proprio come il tempo
Gennaio-dicembre
Vuoi essere socio?
Lonely Hearts Club
Vuoi stare con uno come me?
Lonely Hearts Club
Vuoi stare con uno come me?

Traduzione di Lonely Heart Club

~SPAZIO AUTRICE~
Buongiorno!
Come state? Ah, io me la cavo, dai!
Ma non merito un applauso? Ho aggiornato in tempi relativamente decenti!
Comunque, sono sempre più contenta per le vostre recensioni, spero davvero che continuiate così <3
Per eventuali aggiornamenti, piccoli spoiler o solamente per stolkerarmi (?) un po', ho creato un blog su Tumblr. Lì scrivo ciò che mi passa per la mente e (ogni tanto) qualche pezzo da un nuovo capitolo. Mi chiamo Dramasound <3 lì potete, se vorrete, anche farmi qualche domanda sulla fanfiction o chiedermi qualsiasi cosa (a meno che non siano cose troppo personali, OBV)
A presto per il 25º capitolo!
-A

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Capitolo 25
*** Capitolo 25 ***


Adele - Make You Feel My Love
When the rain is blowing in your face, 
and the whole world is on your case, 
I could offer you a warm embrace 
to make you feel my love. 
When the evening shadows and the stars appear, 
and there is no one there to dry your tears, 
I could hold you for a million years 
to make you feel my love. 
I know you haven't made your mind up yet, 
but I would never do you wrong. 
I've known it from the moment that we met, 
no doubt in my mind where you belong. 
I'd go hungry; I'd go black and blue, 
I'd go crawling down the avenue. 
No, there's nothing that I wouldn't do 
to make you feel my love. 
The storms are raging on the rolling sea 
and on the highway of regret. 
Though winds of change are throwing wild and free, 
you ain't seen nothing like me yet. 
I could make you happy, make your dreams come true. 
Nothing that I wouldn't do. 
Go to the ends of the Earth for you, 
to make you feel my love.
 
PoV Annabeth
Mio padre tentò di parlare, ma venne interrotto dall'arrivo di un dottore.
«Signor Chase? Signorina Chase? Abbiamo una notizia per voi».
 
Non mi sentii affatto bene. La mia testa vorticava per la marea di domande che mi stavo ponendo.
Lo seguimmo attraverso un corridoio che mi sembrava non avesse fine. Le pareti bianche e asettiche ricordavano il colorito dei malati, mentre le luci gialle non facevano altro che dare a tutto un aspetto tetro e un po' malaticcio.
Le porte delle stanze erano aperte quel tanto da permettere ai sussurri di uscire dalle stanze e sembrare ai passanti dei leggeri sibilii un po' sinistri.
Gli infermieri e i dottori che mi passavano accanto sembravano non accorgersi di me. Tutti erano di corsa, con i camici bianchi svolazzanti, e sfogliavano cartelle mediche di qualche paziente.
Mi strinsi nel mio cardigan di lana quando una folata di vento mi sferzò il viso.
Il gelo era aumentato e sembrava più intenso a causa dell'ambiente che mi circondava.
 
D'un tratto il dottore si fermò per poi farci segno di entrare in una stanza.
Questa, a differenza di altre stanze dell'ospedale, era colorata di verde ed era piena di quadretti con le foto di tre bambini, probabilmente i suoi figli.
Alla mia sinistra si trovava la scrivania. Andai a sedermi su una delle sedie di stoffa rossa poste davanti, mentre il medico si stava sedendo su una sedia di pelle sulla parte opposta della scrivania.
Mi padre non si sedette, anzi, rimase in piedi dietro di me e mi appoggiò le mani sulle spalle. Mi scansai e, voltandomi, notai il suo sguardo preoccupato.
«Perché ci ha chiamati?» chiesi.
L'uomo sospirò, soppesando le parole per alcuni secondi.
«Lei sa cos'è la gravidanza extra uterina tubarica, signorina?»
Pensai un attimo alle lezioni di scienze fatte prima di smettere di seguire questa materia, oltre a quelle di educazione sessuale.
Sì, mi ricordavo di quella complicazione della gravidanza. L'embrione cominciava a svilupparsi prima di essere completamente uscito dalle tube per varie cause che non ricordavo, quindi cominciava lo sviluppo al di fuori dell'utero.
«Sì — dissi atona — la conosco»
«E conosce anche le possibili conseguenze?»
Tacqui alcuni secondi. Certo, conoscevo anche quelle. E, in quel momento, conoscevo anche ciò che mi era successo.
«Aborto» sussurrai.
Non potevo crederci. Era sempre stato tutto così lontano per me, mentre ora era tutto così vicino.
Mio padre tentò nuovamente di consolarmi, senza però avere successo.
Mi alzai e chiesi:«Quando mi dimette dall'ospedale?»
«Non prima di dodici ore. Ha pur sempre subito un aborto, vogliamo tenerla in osservazione per un po'».
«C'è altro di cui discutere?» sibilai.
Il medico scosse la testa. Dopo essermi congedata, uscii dalla stanza, diretta il più velocemente possibile verso la camera dove avevo lasciato gli altri.
 
Il tragitto di ritorno fu più lungo dell'andata. Ragionavo, tentando di pensare che forse sarebbe stato un bene. Ma il fatto era che in parte mi ero affezionata e l'idea di poter stringere una piccola creatura tra le mie braccia si era insinuata nel mio cuore e nella mia mente.
È forse vero, però, che i cambiamenti accadono così, di punto in bianco, senza poterci far niente. 
Certi ti segnano, altri trafiggono, alcuni ti fanno rialzare, altri ti fanno volare, anche se per poco.
 
Aprii la porta della stanza, gli occhi di tutti si fissarono su quello che era la mia sofferenza: la sondavano, la manipolavano, captavano i segnali, cercavano informazioni, graffiavano la corazza per vedere altro.
Fu come vedere la scena dall'esterno, io, ferma alla soglia, e loro, a intercettare i più piccoli movimenti del corpo.
Probabilmente capirono; anzi, capirono sicuramente.
Una sola persona, però, non mi strinse tra le sue grinfie, non mi denudò della mia dignità lasciando solo una carcassa vuoto.
Percy aveva gli occhi fissi nei miei, ma vi lessi dolcezza e forse un po' di dolore. Forse  quello era solo un riflesso del mio. 
In quei pochi secondi di silenzio assoluto capii che forse era meglio così, per quanto fosse dura. Non avrei potuto amare un figlio. Come avrei potuto, se non sapevo nemmeno cosa fosse il vero amore di madre?
Non sarei mai riuscita a crescerlo. Non senza un padre, senza qualcuno che mi avrebbe aiutato non solo nei primi mesi, ma per tutta la vita.
Ma forse sarei riuscita ad amare qualcuno. Forse lo amavo già, qualcuno.
Forse sarei riuscita ad amare un bambino: se già conoscevo l'amore per un'altra persona, forse avrei potuto conoscere l'amore di una madre.
Forse sarei riuscita a farmi una nuova vita, forse sarei riuscita a farmi aiutare da mio padre.
Era un susseguirsi di pensieri e silenzi asfissianti che mi facevano sentire come se avessi corso la maratona di New York in poco più di dieci minuti.
Non mi accorsi nemmeno delle braccia che mi stringevano e delle lacrime che mi annebbiavano la vista, almeno non fino a quando non vidi il viso di Percy davanti al mio.
«Ti va di uscire un po'?» mi chiese.
Annuii, asciugandomi le lacrime. Il suo braccio mi stringeva, dandomi i brividi.
Riuscii a malapena a sentire Nico che, parlando al telefono, pronunciava il verdetto finale.
 
PoV Bianca
Riattaccai con ancora il cuore a mille. Non riuscivo a credere alla mole di informazioni che mi erano cadute addosso dopo quella telefonata.
Dopo un paio di secondi, nei quali ricacciai indietro una decina di volte le lacrime, guardai tutti i miei amici dall'alto della gradinata esterna alla scuola, che mi avevano guardata col fiato sospeso durante tutto il corso della telefonata.
«E allora?» chiese Clarisse.
«Annabeth — presi fiato — ha abortito. Era incinta. É stato un aborto spontaneo».
Si levarono cori di empatia, ma anche di disappunto. Noi non sapevamo nulla e ricevere quella doccia fredda fu dura soprattutto perché non ci aveva confidato quel fardello che avremmo potuto condividere. Ma é pur vero che, certe notizie, non si vanno certo a sbandierare ai quattro venti, soprattutto in una scuola come quella, dove anche i muri hanno orecchie.
«Zitti! — urlò Silena — Non credete che sia meglio per Annabeth se andiamo a trovarla per consolarla? Insomma, dev'essere stata molto dura per lei tenere nascosto tutto e dev'essere tutt'ora dura affrontare tutto questo da sola».
«No, Silena. Nico mi ha detto che é molto scossa e che sarebbe meglio lasciarla in pace per un po'. Solo che... — mi zittii —  i suoi genitori. Hanno parlato dell'accaduto in privato, ma Percy li ha sentiti. Ha detto che hanno intenzione di riportarla a San Francisco. Sapete, per aiutarla».
«Non possono!» sbraitarono Travis e Connor in coro.
«Lo so, lo sappiamo tutti. Ma sono loro i suoi genitori, non noi».
Il silenzio calò tra noi per la prima volta da quando avevo annunciato la terribile notizia.
Il bello di quella giornata – se proprio si possa considerare un lato positivo – era la pioggiarellina leggera che aveva costretto tutti gli studenti a pranzare in sala mensa, dall'altra parte della struttura, così da permetterci di parlare indisturbati.
Scesi i gradini, mentre tutti avevano rincominciato a parlare tra loro.
Rachel era l'unica appartata in silenzio, stretta in un giubbino di jeans troppo leggero per la stagione. Era mortificata. Per cosa non lo sapevo, non era di certo colpa sua.
Mi allontanai, non tanto perché fosse Rachel Elizabeth Dare, ma perché avevo l'impellente bisogno di parlare con Travis.
«Stoll! — lo chiamai — Porta quella tua testaccia vuota qui!»
Lui sbuffò sorridendo nascostamente. Ancora una volta la mantra si ripeteva. Eravamo dei bravi attori, ma sospettavo che Silena sapesse. Aveva fatto un improvviso gridolino quando lo avevo chiamato.
«Che vuoi, Di Angelo?» rise.
«Parlarti».
Improvvisamente si fece serio.
«Non credo che questa cosa della relazione segreta debba andare avanti» sussurrai.
Il suo viso si fece pallido, gli occhi si spalancarono.
Poi lo baciai.
Inutile dire che le esultanze soddisfatte di Silena fecero girare tutti nella nostra direzione, mentre Travis mi stringeva la vita con le braccia.
«L'allieva che supera il maestro! — sussurrò staccandosi da me — Ma, per favore, la prossima volta dimostrami la tua bravura in altri modi, altrimenti mi fai morire direttamente sul colpo».
Mi voltai e vidi Juniper con il cellulare voltato verso di noi.
«Stai avvisando mio fratello?» le chiesi.
Le in tutta risposta si aprì in un sorriso a trentadue denti.
«Grazie, così mi risparmi una fatica».
 
Il messaggio che ricevetti durante l'ora seguente era l'emblema della perfezione.
 
From: Nico
To: Bianca
Cosa significa tutto questo?!
 
From: Bianca
To: Nico
Ahahaha :'D Ti é arrivata la foto?
 
From: Nico
To: Bianca
CERTO che l'ho ricevuta, cosa credi? E mi chiedo ancora perché io non sappia NIENTE di tutto questo
 
From: Bianca
To: Nico
Appunto per questo. Adesso mi chiederai tutto di Travis anche se lo conosci da ANNI. Per non parlare del quarto grado e delle occhiate e a pranzo.
 
From: Nico
To: Bianca
Che male c'è ad avere un fratello protettivo? D: E va bene, penso di poterlo accettare. Ma bada bene che Travis non pensi di scappare alle occhiatacce. Comunque, io sono a casa, Annabeth sta meglio. C'è Percy lì con lei (chissà che fanno... Probabilmente nulla, dato che la mente retrograda di Percy non potrebbe arrivare a pensare a certe cose). Quando torni a casa passa al cinese e prendi tutto ciò che puoi. Ho fame e non ho voglia di cucinare. A dopo!
 
«Signorina Di Angelo, cos'ha da ridere? Platone non é assolutamente uno scherzo!»
«Nulla, professore, mi scusi».
Nascondevo un sorriso. In fondo Nico mi voleva bene.
 
PoV Annabeth
Alle nove di sera uscii finalmente dall'ospedale. I miei insistevano per accompagnarmi a casa, ma mi rifiutai. 
Volevo andare a casa e mangiare quanto più cibo spazzatura fosse concesso ad un essere umano – il cibo dell'ospedale era veramente immangiabile – e magari bere qualcosa. Bere molto. Non tanto da rasentare il coma etilico, ma abbastanza da perdermi un po' tra i fumi dell'alcol.
Mi stupii quando, all'ingresso, trovai Percy che sfogliava una rivista di macchine. L'avevo mandato via con l'aiuto dell'infermiera perché andasse a riposare. A quel punto non sapevo se avesse veramente dormito come mi aveva invece promesso.
«La tua perseveranza rasenta il limite dell'idiozia» lo canzonai.
Sussultò, per poi sorridermi.
«Ti aspettavo».
Speravo di non essere arrossita nel mentre. Non volevo rendere la situazione più imbarazzante di quanto già non fosse.
«Questo lo vedo» risi.
Lui si alzò e mi prese per mano, io sussultai. Mi lasciò la mano di scatto, io intrecciai le mie dita alle sue.
Nascosi il viso bollente abbassando la testa, dato che il suo sguardo si era alzato su di me.
«Andiamo, ti devo mostrare una cosa» mi disse; poi, mi portò via nella pioggia.
 
Salimmo in metro e camminammo in totale per mezz'ora.
Non capivo che stesse facendo fino a quando non raggiungemmo il parco dove si era nascosta Bianca tanto tempo prima. Ne erano successe di cose.
Era paradossalmente più bello in quel momento, illuminato dalla luce abbagliante dei lampioni che proiettava lunghe ombre tutt'attorno. 
I giochi sembravano forse più sinistri, così desolati e illuminati, ma acquistavano una bellezza tutta loro che non avrei trovato in nient'altro se non lì.
L'aria frizzante della sera mi faceva rabbrividire, come la carezza di un fantasma.
Cercai conforto e lo trovai, inaspettatamente, in Percy. Mi stupii a sentire le mie guance bagnate per la seconda volta in una giornata e mi stupii ancora di più ad accorgermi che non riuscivo, in quel preciso momento, a capire che cosa stava succedendo alla mia vita.
Mai, in tutto quel tempo, avevo pensato attentamente a ciò che stavo facendo, al mio cammino, compiuto o da compiere che fosse. O, almeno, non in maniera così completa e attenta.
Tentai di fermare il corso che avevano preso i miei pensieri – e gli eventi – chiamando Percy.
Lui, che inaspettatamente mi aveva confortato nella difficoltà. Lui, che era cambiato. Lui, che mi aveva cambiata nel profondo.
Lui, di cui mi ero profondamente innamorata senza speranza di vera riuscita.
E pensare che mi consideravo una persona di grande intuito.
 
«Allora?» chiesi tra le lacrime.
Lui si allontanò un secondo per rovistare nella tasca. Ne tirò fuori una macchinina di pezza.
«Ecco... Pensavo... Questa era mia, gliel'avrei voluta regalare. Mi sarebbe piaciuto vederlo giocare con questa. Potremmo seppellirla, come simbolo».
«E se fosse stata femmina?»
«Sarebbe stato di sicuro un maschio».
Risi.
La sua proposta, però, mi aveva colpita nel profondo.
Rovistai nella borsa e trovai una piccola matita rovinata, l'unica cosa che aveva della mia vera madre, quella con cui disegnava i suoi progetti.
«Io voglio seppellire questa».
Lui annuì.
 
Decidemmo di seppellire tutto sotto un albero.
La pioggia leggera aveva ammorbidito la terra, tanto da renderla abbastanza morbida da poterla scavare con le mani.
Riponemmo il pupazzo e la matita dentro la cavità e la ricoprimmo.
Poi presi la forbice dall'astuccio e incisi una scritta sull'albero.
Le lacrime rigavano il volto mio e di Percy.
«Non piangere» lo supplicai, tenendogli il volto tra le mani.
Lui sorrise, poi si fece nuovamente serio.
«Annabeth, ho sentito i tuoi che parlavano di riportarti a San Francisco, quindi non m'importa di rovinare tutto. Io ti amo».
Rimasi in silenzio, stupita. Mi sentivo la persona più stupida e più felice di questo mondo, non riuscivo nemmeno a formulare una risposta.
Per questo lo baciai, e forse fu la risposta migliore.
«Non partirò, costi quel che costi».
E rimanemmo lì, sotto una leggera pioggia autunnale, a baciarci per quelle che sembrarono ore. Non ero mai stata più felice.
 
Cambiare serve, forse fa male, ma è ciò a cui siamo destinati.
Ma alla fine, si può sempre arrivare a qualcosa di migliore. Sempre.
 
~SPAZIO AUTRICE~
E così siamo alla fine. Devo veramente felice di aver scritto questa storia, perché grazie ad essa e grazie a voi, alle vostre parole, ai vostri consigli, al vostro supporto, sono cresciuta un po' anch'io.
Devo ammettere che avevo iniziato a scrivere questa fanfiction senza avere la reale intenzione di pubblicarla, - anzi, non avevo nemmeno previsto di finirla - ma grazie a voi sono qua, con 70 persone che l'hanno aggiunta alle storie preferite, 81 alle seguite e 20 alle ricordate, 142 recensioni e un posto tra le più popolari del fandom.
Quindi é tutto grazie a voi se sono qui ora. Grazie mille per tutto!
Per il resto non ho molto da dire, mi prenderò qualche tempo per staccare, ma sono sicura che prima o poi pubblicherò una nuova fanfiction, quindi non sparirò del tutto - non si sa però se per vostra fortuna o sfortuna!
Ho in mente circa un milione di idee che prima o poi butterò giù.
 
Ah, voglio ringraziarvi anche per il fatto che anche dopo aggiornamenti in ritardo e capitoli deludenti, c'è sempre stato qualcuno a supportarmi. Siete davvero fantastici!
 
Ricordo che, per chiunque volesse contattarmi, può scrivermi qui su EFP, oppure su Tumblr (dramasound), o su Facebook (Arya Turner - per motivi che non sto qui a spiegarvi ho dovuto cambiare nome, sigh).
 
Spero di risentirvi!
-A

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