Candidi Sorrisi

di TheSecondMe
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Toglimelo di dosso! ***



Capitolo 1
*** Prologo ***





Candidi Sorrisi

 




Una Honda Jazz verde targata SS746TC. 
Maurizio Genovesi sospirò, ripiegando il giornale e cercando al contempo di prendere velocemente una decisione. Pochi secondi dopo, per niente convinto, accendeva sirena e lampeggiante. 
La Honda Jazz verde, targata SS746TC, cominciò progressivamente a rallentare; infine, una decina di metri prima dell’incrocio, accostò a bordo strada. Maurizio vi si affiancò e spense il motore, già stanco di tutto quel rumore. Scese dall’auto e come prima cosa si aggiustò i pantaloni. 
“Salve!”
Ancora intento a stringere la cintura sfilacciata non si diede la pena di sollevare lo sguardo: 
“Oltre il limite di velocità.” mugugnò infastidito “Patente e libretto, prego.”
 “Correvo troppo, dice?” 
Maurizio roteò gli occhi, trattenendosi a stento dall’imprecare quando dal lato del guidatore scese una ragazzetta pallida e mortificata. Afferrò brusco la patente che gli porgeva. 
“Correva troppo, sì.”
“Sono... enormemente dispiaciuta. So che non è una scusa, ma le giuro di non essermene accorta. La strada era libera e temo di essermi distratta.”
“Il libretto di circolazione, signorina, prego.”
Lei annuì con aria spaurita e indicò l’interno della vettura accennando un sorriso imbarazzato:
“Lo sta cercando.” mormorò, riferendosi a un ragazzo con gli occhiali da sole intento a frugare fra una marea di cd “Non sono molto ordinata.” aggiunse poco dopo, mordendosi l’interno guancia. 
Maurizio prese un bel respiro e le restituì la patente. 
Fissò in silenzio la ragazza, il capo leggermente inclinato, e in un attimo comprese cosa in lei gli desse tanto sui nervi: il fatto che assomigliasse tremendamente a sua figlia. L’eta era più o meno quella, il modo di stringere le labbra e di tormentarsi le mani, l’espressione affranta. 
Dannazione. 
Chiuse gli occhi, trattenendo con un certo sforzo l’ennesimo sospiro. 
Clara. Un mese ancora e poi anche lei avrebbe avuto la patente. Un mese. Trenta giorni in cui si sarebbe ancora potuto concedere il lusso di dormire come il Signore comandava. 
A meno che non avesse chiesto un piacere a quel suo amico della motorizzazione, ecco. 
Sbuffò sonoramente e scosse la testa, puntando il dito contro la ragazza che gli stava davanti.
“Va bene così.” decise “Cerchi solo di non distrarsi più, d’accordo?”
“Naturalmente!” fece lei, gli occhi spalancati per la sorpresa “Non si preoccupi. E grazie. Grazie, sul serio! Grazie!”
Maurizio annuì, arretrando sovrappensiero. 
Meno di due minuti dopo l’auto della polizia aveva voltato l’angolo, sparendo alla vista. 
“Come fai, davvero non lo so.” 
La risatina nervosa si diffuse nell’aria mentre il ragazzo scendeva a sgranchirsi le gambe tese. 
“A fare cosa?”
“Passarla liscia.” continuò lui “Hai la faccia di chi ha combinato qualcosa, siamo sinceri. Però, al tempo stesso, viene istintivo pensare che no, è meglio non indagare oltre. Meglio lasciar correre, ecco. Decisamente meglio non sapere.”
“Non ho la faccia di chi ha combinato qualcosa.” si difese oltraggiata lei.
“Oh, sì, invece. Te lo dico io.” sorrise il ragazzo avvicinandosi pian piano al bagagliaio dell’auto.
Cercò a tentoni il pulsante di apertura, quindi sollevò il cofano mentre lei lo raggiungeva.
“Dì un po’... e se il caro poliziotto avesse deciso di ispezionare la vettura?”
“Perché mai avrebbe dovuto?” 
“Sto ipotizzando.”
“Preferisco essere concreta.”
“Se avesse, non so, deciso di controllare il contenuto del bagagliaio?”
La ragazza rise, spintonandolo senza forza; poi lanciò un’occhiata divertita al giovane legato e imbavagliato che li fissava furioso dall’interno del portabagagli e si strinse nelle spalle. 
“Non lo ha fatto, no? Inutile porsi il problema.”
Le labbra piegate in un candido sorriso, si chinò leggermente in avanti per rivolgersi dolcemente al lui immobilizzato:
“La musica non è troppo alta, vero?”
Un gesto coinciso fu la subitanea risposta. Inequivocabile quanto prevedibile. 
Annuì divertita, preparandosi a chiudere nuovamente il cofano.
“Attento, cucciolo.” mormorò infine a mo’ di saluto “Non vorrei romperti il dito.”

 

 

 

§

 

 

 

 

 

*spalanca porta aspirando ad un’entrata in scena degna di nota*

*viene distratta da una farfalla inesistente e inciampa nei suoi stessi piedi*

 

...

 

*si schiarisce la gola e finge, come sempre, che niente sia accaduto*

 

Salve!
Se siete arrivati fin qui posso già ritenermi onorata. 
Anche voi dovete sentirvi estremamente fieri, eh. 
Avete compiuto un’impresa non da poco. 
Leggere un prologo breve, sconclusionato e alquanto confusionario può urtare la salute mentale dei più. Sicuramente può far dubitare della mia. Su quest’ultimo punto, però, posso aiutarvi: non c’è nulla da dubitare. La salute e la mia mente si sono dette addio in tempi ormai lontani. 
E così, in periodo di esami, è venuta fuori questa cosa. 
Sarà stato il freddo, sarà stata l’ansia o il troppo studio, non saprei dirvi. 
Fatto sta che mi si è affacciata alla mente questa trama... e i personaggi, uno a uno, hanno preso forma. Così, dal giorno alla notte, sono diventati reali come solo dei personaggi immaginari possono diventare. Estremamente, dolorosamente e magnificamente veri. 
Semplicemente non potevo più ignorarli. Me lo hanno impedito. 
Se è qualcosa, prendetevela con loro. 
E ora eccoci qui. Alla fine di questo prologo che non dice proprio niente e che solleva tanti, troppi punti interrogativi. 
Come siamo arrivati a questo punto, su questa strada e non so, in quel bagagliaio?
Ottime domande.
Per le risposte, signori e signore, dovrete aspettare la prossima puntata. 
Alla prossima, 
Nausicaa

 

 

 

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Capitolo 2
*** Toglimelo di dosso! ***






Candidi Sorrisi

 

 

 

Quattro giorni, undici ore e sette minuti prima. 

 

 

 

“Ciao.”
Si era fermato lì per svariate e sensate ragioni.

Una di queste era che aveva fame, così aveva deciso di optare per un bel panino. Poi si era lasciato tentare anche da un piatto di patatine fritte, certo, e da una coca cola, perché no? Il tutto non avrebbe dovuto richiedere più di dieci, dodici minuti: una cena veloce ed economica. 
Ottima scelta. 
Un’altra ragione era che doveva urgentemente, davvero urgentemente, svuotare la vescica. Era in viaggio da oltre cinque ore e non avrebbe resistito ancora a lungo. E fra il bordo della strada e un qualsivoglia bagno, aveva preferito il bagno. 
Ottima scelta. 
Inoltre aveva sentito il bisogno di sgranchirsi le gambe: e sia per arrivare al tavolo, che al bagno, che al bancone, aveva dovuto camminare. Un genio, ecco cos’era. Un fottutissimo genio. 
Sempre un’ottima scelta. 
Infine, ultima ma non per ultima, aveva notato la totale assenza di auto nel parcheggio. Una tavola calda e nessun segno di vita: un modo come un altro per descrivere il paradiso. E per lui che ora come ora sentiva il viscerale bisogno di solitudine e silenzio, con aggiuntivi panino, patatine, bibita e bagno, quello era molto molto meglio del paradiso. 
Sempre. Ottima. Scelta. 
O almeno, ne era stato fermamente convinto fino a quel preciso momento. 
“Ciao di nuovo.”
Gabriele sospirò e sperò con tutto se stesso che quella voce sparisse. Che quella ragazzina sparisse. 
Perché stava andando tutto bene, uffa, perché era arrivato nel suo fottutissimo paradiso. 
“Ciao? Ci sei?”
Diede un altro morso al panino dimezzato e aggrottò le sopracciglia in quella che doveva essere un’espressione minacciosa. La ragazzina per tutta risposta prese posto di fronte a lui, sporgendosi oltre il tavolo per farsi più vicina. Forse la sua faccia non era stata sufficientemente spaventosa...
“Mi stai spaventando.” mormorò lei, facendolo sperare in bene per un momento “Non è che ti stai strozzando, vero? Perché non ho la più pallida idea di come si faccia quella manovra di salvataggio. Finiresti per morirmi qui davanti, sai?”
“Sto mangiando.” grugnì Gabriele, fulminandola con il suo sguardo più duro “Non mi piace parlare durante i pasti.”
“Oh, ma allora ce l’hai la lingua!” sorrise trionfante lei, battendo le mani sul tavolo “Fantastico!”
“Quale parte di non mi piace parlare durante i pasti, non ti è chiara?”
“Abbiamo bisogno di un passaggio.” fece lei, incurante, rubandogli una patatina.
Gabriele roteò gli occhi e sbuffò sarcastico. 
“Non concedo passaggi.” 
La ragazzina continuò a sorridere mentre annuiva nella sua direzione come si fa con i bambini che vuoi fare contenti. Aveva i capelli corti, notò Gabriele. Arrivavano appena alle spalle ed erano neri che più neri non si poteva. Ondeggiavano con lei, imitandone i movimenti. 
“Andiamo nella stessa direzione, dai.” sussurrò lei “Per favore, per favore, per favore.”
“Come fai a sapere che andiamo dalla stessa parte, eh?”
“La strada è una.” cominciò sollevando un dito “Tu arrivi da nord.” e sollevò un secondo dito “E’ ovvio che procederai verso sud.” concluse mostrando tre dita. 
Gabriele assottigliò lo sguardo e diede il penultimo morso al panino.
Quella ragazzina era strana. Capelli troppo corti, occhi troppo grandi e lingua troppo lunga. 
Anche se... forse gli occhi non erano poi così grandi. Lo strano effetto probabilmente era dovuto agli occhiali che portava: la montatura rossa e spessa attirava l’attenzione e...
“Allora? Ce lo dai questo passaggio?” lo fece sobbalzare lei, strappandolo ai suoi pensieri.
“Niente passaggi.” borbottò finendo la cena. 
Solo dopo un po’ si accorse di un’altra cosa strana: aveva sentito male o quella piccoletta stava usando il plurale? 
“A chi servirebbe questo passaggio, poi?” domandò brusco guardandosi attorno senza capire.
“Per me e per Luca.” 
Gabriele finì la coca cola e fece per alzarsi, sempre più convinto di star parlando con una pazza. Il locale era vuoto, punto. O almeno lo era se non contava se stesso, il cuoco e il proprietario. Oh, e quella strana, apparentemente pazza, ragazzina sbucata fuori dal nulla. 
“Lui è Luca.” 
Il dito della ragazza indicava il fondo del bancone dove, con immenso stupore di Gabriele, vi era effettivamente seduto un giovanotto. Dopo un’occhiata appena appena più approfondita, tuttavia, cominciò a calcolare il tragitto più veloce per uscire da quel posto. 
“Quindi ci darai il passaggio?”
“No.” serrò i denti Gabriele, maledicendo la coca cola perché adesso sentiva di nuovo il bisogno di fare pipì e mai momento sarebbe stato meno adatto “No, non ho alcuna intenzione di darvi un passaggio. No, non potete venire con me. No e basta. Come altro vuoi che te lo dica?”
“Ascolta.” lo bloccò lei, poggiandogli fermamente il palmo aperto sul petto “Sono quasi le sette e sta facendo buio. Questo posto è sperduto nel nulla ed apparentemente dimenticato da Dio.” 
Aveva assunto improvvisamente un’espressione seria e, giudicò sgomento Gabriele, probabilmente più minacciosa di quanto precedente non fosse stata la sua. 
“Non abbiamo un mezzo di trasporto, non ci sono taxi né pullman. Sei il primo idiota che si ferma qui da tre ore a questa parte. Ora. Cercherò di dirtelo nel modo più chiaro possibile: abbiamo. Un. Dannato. Bisogno. Di. Questo. Passaggio.”
Gabriele arretrò di un passo. 
“Oh, in tutto ciò non mi sono neanche presentata.” eruppe in un sorriso lei porgendogli la mano “Io sono Rebecca, è un piacere.”
“Gabriele.”
“Ora che sono state fatte anche le presentazioni...”
“Devo andare in bagno.” la interruppe Gabriele, lasciandole la mano e superandola in un tutt’uno. 
Passò rapidamente accanto alla cassa, vi poggiò una banconota e sparì in direzione delle toilette. 
Si chiuse la porta alle spalle, il respiro corto. Diamine. Diavolo. Cazzo. 
Sì, cazzo. 
Cazzo, cazzo, cazzo. 
Era una pazza. Aveva a che fare con una pazza. 
Una pazza e il suo amico con ottime probabilità pazzo quanto lei. Ripensò al giovanotto: Luca, se ricordava bene. Luca vestito interamente di nero e con gli occhiali da sole. Sbuffò e si abbassò la zip dei jeans: solo gli idioti indossavano gli occhiali da sole al chiuso. 
Mentre si lavava le mani scosse la testa: non dava passaggi agli idioti. 
E mentre scuoteva la testa si accorse della finestra. Oh. Grande abbastanza per farlo passare in piena tranquillità, dava sul parcheggio... perfetta. Come evitare di dover dire ancora una volta di no  a quella ragazzina e al suo amico in lutto. Sospirò di sollievo e, cosa che non gli capitava di fare da anni, scappò dalla finestra del bagno. 

 

 

Rebecca si sistemò meglio sul sedile, allungando le gambe il più possibile. 
Non era male la macchina, colore a parte. Per quanto riguardava il ragazzo... arricciò le labbra, non sicura di quale fosse la risposta più appropriata. Era strano, ecco, poco ma sicuro. 
“Lo vedi?” 
Le giunse la voce di Luca dai sedili posteriori e sorrise, annuendo piano. Sì, lo vedeva eccome.
“Sta uscendo ora dalla finestra del bagno.” rispose divertita “Mi sento in dovere di aggiungere che è alquanto incapace: non glielo ha insegnato nessuno che è preferibile far uscire prima i piedi?”
“Come ha detto di chiamarsi?”
“Gabriele.”
Rebecca continuò a osservare la scena, esilarata ogni momento di più: di lì a poco sarebbe caduto. 
Una piccola, minuscola parte di lei quasi ne provava pena. 
La restante parte rideva a crepapelle. 
“Si è rotto qualcosa?” tornò a chiedere Luca, la voce che giungeva più attutita mentre si sdraiava.
“No, non credo. Un cespuglio ha attutito il colpo.”
“Speriamo solo sia fortunato, allora. Se il cespuglio ha le spine la vedo nera.”
Rebecca inclinò il capo, assottigliando lo sguardo per osservare meglio nella penombra: Gabriele si era alzato in piedi con uno scatto, l’espressione tesa all’inverosimile. 
“Che succede?”
“Non ne sono sicura.” rispose lei incerta, inarcando un sopracciglio. 
Si stava ispezionando i vestiti, ecco cosa stava facendo. Continuava imperterrito a tastarsi tutto, scuotendo i jeans e la giacca, troppo occupato a controllare se stesso per guardare la strada. Rischiò di inciampare nei suoi stessi piedi tre volte e mezzo; e il mezzo era tale solo perché all’ultimo era riuscito ad appoggiarsi alla macchina. Un’ultima scrollata alla maglia, quindi aprì lo sportello e si lasciò cadere sul sedile. Oh, il tutto con un dovuto e sentitissimo sospiro. 
“Che problema hai?” s’informò gentile Rebecca. 
E il sospiro si tramutò in un grido. 
“Che succede?” saltò su Luca, sporgendo il capo fra i sedili. 
“Porca puttana!” sbraitò Gabriele, il corpo spalmato contro la portiera “Porca, maledettissima di quella miseriaccia!” 
“Mi sembri un po’ teso.”
“Perché sta urlando tanto?”
“Cosa cazzo ci fate voi due nella mia macchina?!” urlò Gabriele, guardandoli allucinato. 
“Il passaggio.” risposero loro in coro. 
“Ti abbiamo aspettato.” aggiunse Rebecca, allargando il sorriso. 
“Come... come avete fatto a entrare?” balbettò Gabriele “E mi avete... mi avete aspettato. Perché, scusa, qual era l’altra opzione? Prendere l’auto e andarvene?”
Rebecca fece per poggiargli una mano sulla gamba, ma vedendolo sussultare decise che forse non era il caso; si limitò a rispondere pacatamente alla domanda:
“Non avevi messo la sicura.” si strinse nelle spalle. 
“Il che è da idioti.” commentò Luca “Chi è che non chiude la macchina, eh? Le conosci le ultime statistiche? Sai quanti furti d’auto si sono verificati solo nell’ultimo anno?”
“Non l’ho lasciata aperta.” scosse incredulo il capo Gabriele, sbattendo ripetutamente le palpebre.
“Oh, prima che mi dimentichi: perché ti stavi agitando tanto? Che hanno i tuoi vestiti?” 
“Se a nessuno interessa delle statistiche io me ne torno a dormire.”
“L’avevo messa la sicura.” mormorò di nuovo Gabriele, fissando le chiavi che pendevano dalla sua mano “Ne sono... ne sono certo.”
Rebecca schioccò le dita davanti alla sua faccia, attirandone finalmente l’attenzione. 
“I tuoi vestiti.” sillabò “Qual è il problema?”
“Sono... sono caduto in un cespuglio.” spiegò il ragazzo, carezzandosi con dita malferme la barba appena visibile “C’era una ragnatela.”
“Non trovi anche tu che siano magnifiche?” sorrise Rebecca “Delle vere e proprie opere d’arte. Anche il ragnetto non è niente male.”
“Come?”
“Il ragno.” fece lei, indicando un punto nero che si muoveva sul ginocchio di Gabriele. 
L’urlo che cacciò questa volta, però, se lo aspettava. 
“Oh, per l’amor del cielo.” giunse il lamento di Luca “Fallo smettere, ti prego, è insopportabile.”
“Un giovane grande e grosso come te che ha paura dei ragni.” scosse il capo Rebecca, l’aria sconsolata “Non ti vergogni? Sei più alto di me di una testa eppure sei tu che urli come una...”
“Toglilo! Cazzo, toglimelo di dosso!”
“Quindi il passaggio ce lo dai, giusto?”
“Ti sembra il momento di ricattare, ragazzina? Toglimi quel fottuto aracnide di dosso!”
“Ormai è buio, devi essere comprensivo. Potremmo incontrare dei malintenzionati e...”
“Siete voi i malintenzionati!” sbottò Gabriele “Tu che non la smetti mai di parlare e che ricatti così di punto in bianco e quell’altro lì dietro che sembra la morte fatta a persona e...”
Rebecca si sporse oltre il freno a mano e con un gentile colpo delle dita fece cadere il ragno dalla sua parte; pochi istanti dopo, un movimento elegante del tacco dello stivale, e tutto era finito. 
“Quella povera bestiola non ti aveva fatto nulla, lo sai? Sei stato tu a dargli fastidio.”
Gabriele reclinò il capo contro il sedile.
“Grazie.” sussurrò a occhi chiusi “Non mi piacciono i ragni.”
“Chi lo avrebbe mai detto.” giunse il commento sarcastico di Luca. 
“Troppe zampe. Lunghe. Nere.” rabbrividì e riaprì gli occhi, fissandoli in quelli di lei “Non posso darvi un passaggio, sul serio. Devo fare una consegna: ho una tabella di marcia da seguire. Non è che non voglio.” nicchiò incerto “Non è solo quello, quantomeno.”
“Posso aiutarti.”
“Cosa?”
“Possiamo fare i turni. Così anche tu avresti modo di riposarti di tanto in tanto.”
“Io non...”
“Tu non puoi lasciarci qui.”
Gabriele sospirò, gli occhi che tornavano a guardare il ginocchio dove poco prima c’era il ragno. Vi passò sopra la mano più volte, scuotendo impercettibilmente il capo. 
“Non lascerò guidare te, però.” mugugnò alla fine “Al massimo, ed è tutto da vedere, potrebbe darmi il cambio il necroforo qui dietro.” 
“Oh, ma lui non può.” ridacchiò lei mentre si allacciava la cintura di sicurezza. 
“Perché?” domandò Gabriele, accendendo il motore.
Rebecca si limitò a scuotere la testa, un’eco della sua risata divertita che ancora aleggiava lieve nell’abitacolo.
La risposta gli giunse quando ormai era già fuori dal parcheggio, il piede sul pedale della frizione, pronto a inserire la terza. 
“Perché sono cieco, brutto idiota.”
Fu un miracolo se non gli si spense la macchina. 

 

 

 

§

 

 

 

 

 

 

*offre cioccolata calda*
Ho freddo. Quel tipo di freddo che ti senti nelle ossa e che non riesci proprio a mandare via, avete presente? Forse è anche colpa del tempo orribile: non so da voi, ma qui piove ininterrottamente e praticamente mi sembra di vivere in una nuvola. ... Ecco il perché della cioccolata calda. 
Di tutto ciò, però, non ve ne frega una cippa. 
Tornando a noi. 
Questo è il secondo capitolo; anche se, contando il primo come prologo, forse è il primo. 
*offre anche cioccolatini*
Abbiamo conosciuto i tre, principali, folli protagonisti.
Gabriele, Rebecca e Luca. 
In realtà li avevate già incontrati nel prologo, ma lì non avevano nome. 
Così va meglio?
Detto ciò (ovvero dopo non aver detto nulla) vi abbandono. Sì, perché ho le dita gelate e c’è una coperta immensa sul letto (con su scritto “I don’t understand”) che mi sta chiamando. 
Alla prossima, 
Nausicaa

 

P.s. un cioccolatino in più a chi indovina cosa c’è scritto sul retro della coperta.











 

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