Hic et nunc.

di Frayx9
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** First of all. ***
Capitolo 2: *** Please, save me. ***
Capitolo 3: *** Hic et nunc. ***
Capitolo 4: *** What is going to happen? ***
Capitolo 5: *** I need you, tonight. ***
Capitolo 6: *** Rise and Shine, sleepy head! ***
Capitolo 7: *** 7. The butterfly effect. ***
Capitolo 8: *** 8. Admit it, Elena. ***
Capitolo 9: *** Come un oggetto. ***
Capitolo 10: *** You saved me. ***



Capitolo 1
*** First of all. ***


{Hic Et Nunc.

 

Primo capitolo.
 
Le lacrime scendono deliberatamente sulle mie guance, tracciando profonde cicatrici.
Di nuovo. Cosa ricavi, Elena, se decidi di farti condizionare dall’amore? Solo danni. Ecco cosa.
Della serie: Segui il tuo cuore, lui non sa mentirti. Oppure: Ascolta il tuo cuore e fatti guidare dall’istinto.
Ma ora il mio cuore è muto. Non pompa sangue, non ragiona.
Sono paralizzata. Tu Mi hai paralizzata.  
Ormai sono da mesi che va avanti questa storia e solo ora riesco ad affrontarla.
Una piccolissima parte di me, lo sapevo, ama anche lui. Il fratello cattivo buono come un agnello, stronzo come un gentiluomo, bello e irresistibile come l’impossibile.
L’altra parte, invece, ama anche l’altro lui. Il dolce, premuroso, altro fratello. Quello di cui mi sono innamorata ciecamente un anno prima, appena l’ho visto entrare nell’atrio della scuola. Appena l’ho visto in segreteria. Appena l’ho guardato negli occhi per pochi secondi. Lui è l’amore giusto. Sensato. Che non mi farà mai soffrire.
Ma l’altro tipo di amore, se così si può definire, è un’attrazione letale. E’ alchimia, un’intesa. E’ tutta un’altra cosa che non si può spiegare.
I miei occhi sono gonfi e rossi. Singhiozzo. Il mio corpo viene scosso da interminabili tremolii.
Tutto è cambiato da quando Katherine è ritornata in città. L’ho sempre saputo che la mia sosia cattiva sarebbe stata un guaio per tutta la popolazione di Mystic Falls. Eppure ci sta aiutando, si sta offrendo a portare a termine il nostro piano. O forse il suo piano: vuole uccidere Klaus, tutti noi lo vogliamo. Ma devo anche ringraziarla: dopotutto mi ha aperto gli occhi. Però chi mi assicura che una volta finita questa storia lei non mi ringhi contro e mi spezzi il collo per starsene con Stefan? O con Damon? O forse con entrambi, come una volta nel 1864?
Rabbrividisco. No, non glielo posso permettere.
Ritorno alla realtà, mentre mi accorgo di una frase incompleta scritta a metà della pagina aperta di oggi del mio diario. La rileggo.
 
“Caro diario,
Tutto sta cambiando. Tutto è cambiato. Tutto cambierà. Lo sento. Sento che Damon fa parte della mia vita. Sento che forse tra lui ed io non ci sia semplice amicizia. Ma questo lo so da mesi. Perché l’ho rinnegato per così tanto tempo? Avevo paura di…di…di cosa? Di dire a me stessa la realtà? Bene. La realtà è…”
Prendo la penna stilografica appoggiata sul comodino e costringo i muscoli indomabili a completare.
“…Che lo amo.”
Fisso scioccata quelle tre parole: finalmente l’avevo detto a qualcuno. Al mio amico affidabile. A colui che non lo rivelerà mai a nessuno.
Metto una penna in mezzo per tenere il segno. Avrei continuato non appena mi sarei svegliata. Pur essendo pomeriggio, avevo bisogno di riposare.
Mi stendo sotto una coperta, accanto alla finestra e appoggiando la testa al vetro chiudo gli occhi. Mille ricordi mi irrompono nella mente.
Miss Mystic Falls. Il grimorio. La Cripta. Il “perché è innamorato di te” della mia vera madre, il ciondolo di verbena che indosso tutti i giorni per non rischiare di essere soggiogata, quando mi tirò fuori dalla macchina appena prima di rimanere sbranata da un altro vampiro. Il pub in Georgia. Bree e il suo “E’ un campione a letto, non è vero?”. Quando l’ho salvato. Quando capì che Katherine non sarebbe mai tornata per lui. Quando ero lì accanto a lui in quel periodo. Quando mi guardava e capiva che si era innamorato di me.
Alla fine, la stanchezza ha la vinta su di me e il buio copre il mio spettacolo mentale, facendomi addormentare.
 
 
“Jenna, sono in ritardo!” mi lamento scendendo le scale a chiocciola di corsa.
“Non importa. Penso che fare colazione non ti rubi molto tempo.” Controbatte lei cercando di convincermi invana. Ultimamente sosteneva che fossi dimagrita troppo. Forse non sa delle mie scorte segrete di cioccolato.
“Invece mi ruba circa 2 minuti e 35 secondi! A me ogni millesimo di secondo serve per non arrivare tardi a scuola! Quindi: Ci vediamo oggi pomeriggio, zia.” Così la saluto ed esco di casa.    
Mi fermo sulla veranda appena noto una Ferrari gialla parcheggiata nel vialetto. Non ci darei molta importanza se non sapessi chi ci fosse all’interno dell’auto.
Con il cuore in gola, stringo i libri al petto, e mi dirigo verso la vettura sospirando. Indossava quei suoi soliti Rayban, uno dei suoi sghembi e maliziosi sorrisi, e ovviamente il suo immancabile abbigliamento: jeans neri, maglietta aderente bianca ‘ti-faccio-sbavare-il-mio-fisico-scolpito’ e la sua giacca nera di pelle.
LUCIDA! RESTA LUCIDA!
 
“Che cosa è successo?” Chiedo mentre mi metto una ciocca di capelli dietro l’orecchio destro.
“Hai bisogno di un passaggio?” Mi risponde con voce mielata.  
“No.” Dico con voce seria. ‘Devo rimanere lucida, devo rimanere lucida!’ Continuo a ripetermi.
“Mi pare che Bonnie oggi sia malata.”
“Con questo cosa vorresti dire? Non salirò su…queste quattro ruote costose! Preferisco molto più farmi una passeggiata.”
Ghigna. “Certo! Allora ci vediamo stasera se parti immediatamente!”
Indignata per la sua solita battutina, giro i tacchi e forse riuscirei a partire se non fosse per una mano che mi stringe il braccio.
“Sali, Elena.”
“No.”
“Sali.”
“Non so se capisci il significato della parola NO!”
“Certo che la capisco, ma non voglio lasciarti andare. Ci sono persone pericolose in giro! Tipo vampiri e licantropi!” Dice ironico.
“Damon, lasciami andare.”
“Non se non sali in macchina.”
“Per favore. Lasciami.” L’ultima cosa che volevo era andare a scuola con Damon! Stefan che faccia avrebbe fatto appena mi avrebbe vista con lui? Ah. Dimentico. Stefan è partito con Katherine.
Lentamente allenta la presa, ma dopo pochi istanti lo sento cingermi un fianco e prendermi per le ginocchia facendomi cadere i libri. Mi ha presa in braccio!
“Lasciami giù!” Dico con tono isterico alzando leggermente il tono di voce.  
“Adesso basta, non fare la bambina.” Apre la portiera e mi posa sul sedile passeggero.
“Sei odioso quando fai così!” I miei occhi diventano due fessure. “Raccogli almeno i libri.”
“I libri non ti servono oggi.” Sale anche lui sul sedile del guidatore, e mette in moto la macchina.
“Non frequentiamo le stesse lezioni.”
“Lo so.”
Faccio per scendere, ma mi blocca di nuovo.
“Tranquilla, i libri te li farai prestare da qualcuno. Siamo in ritardo.”
Continuare a ribattere con lui è solo fiato perso.
Annuendo sconfitta, mi metto comoda e accendo la radio.
 
“Damon, abbiamo superato l’uscita per Mystic Falls.”
“Uhn. Hai ragione. Ah, no. Aspetta. Noi non dobbiamo andare a Mystic Falls!”
Volto lo sguardo verso di lui, a bocca semi aperta.
“TORNA INDIETRO.” Ordino
“Sveglia! Siamo su un’autostrada! Non si può, si infrange la legge.”
“E certo. Ora Damon Salvatore rispetta la legge!”
“Bella battuta.”
Sbuffo. “Che cosa ti è saltato in mente? Rapirmi?!”
Rotea gli occhi. “Non fare la melodrammatica. Un giorno al mare non ha mai ucciso nessuno.”
Lo fisso. “…M…Mare?”
Fa un suo solito mezzo sorriso. “Già. Mare.”
“Non…ci vado da quando…” la voce si rompe.
Diventa serio. “Da quando sono i morti i tuoi genitori?”
Sospiro e muovo il capo in cenno di assenso.
 
Due ore dopo siamo vicini. Molto vicini. Mi tolgo le scarpe e per qualche minuto rimango ferma, ad affondare i miei piedi nella sabbia, a guardare le onde del mare infrangersi su degli scogli sporgenti. Non ci sono molte persone: perlopiù sono bambini piccoli, che giocano con la madre a rincorrersi. Cani che corrono.
Distolgo l’attenzione appena vedo una coppia baciarsi animatamente.
“Perché mi hai portata qui?” Chiedo immergendomi in ricordi passati.
Non risponde. Si limita solo a guardarmi. Improvvisamente mi abbraccia, e io rimango inerme.
“Cosa c’è, Damon?”
“Elena…” le sue braccia mi stringono ancor di più a lui.
“Stefan.” Continua.
Lo guardo negli occhi.
“Stefan cosa?”
Fatica a rispondermi “…Stefan…Stefan non tornerà più.”
  

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Capitolo 2
*** Please, save me. ***


Occhei. Fatemi controllare...sì. Messo il raiting arancione. No, tranquilli. Vedrete dal prossimo capitolo. Voglio farvi stare sulle spine BUAHAHAHAH.

Occhei. Basta.
Buona Lettutra e grazie per le recensioni! :D

-FRAYX.  


{Hic Et Nunc.

Secondo capitolo.
 

 Sulla prima pagina della nostra storia, il futuro sembrava così brillante. Poi questo foglio si è rivelato essere un male, e io non so ancora perché sono così sorpresa.
Forse sono una masochista.
Cerco di scappare ma non voglio neppure partire finché i muri sono eretti, nel fumo di tutti i nostri ricordi.
Persino gli angeli hanno i loro schemi malvagi e tu li porti a nuovi estremi.
Ma sarai sempre il mio eroe.
Anche se hai perso la testa.
 
 
 
 
 “…Perché non mi ha detto nulla? Perché non mi ha telefonata? Perché…?!”
“Perché l’hai fatto partire, Elena? Non dirmi che ti fidavi ciecamente di lui. E’ impossibile che tu non abbia visto l’alchimia che si è costruita nelle ultime settimane tra di loro.”
Lo osservo prendere una pietrolina liscia e rigirarsela tra le mani.
“…Non posso crederci. Non Stefan. Non con Katherine.”
“Che tu ci creda o no, Stefan ed io siamo stati innamorati di lei contemporaneamente, ma io ero di troppo. Stavano troppo bene insieme. Ero solo un cucciolo smarrito che si era preso un’infatuazione. Ma…mio fratello no. Sono sicuro che l’amava più di me, anche se non lo ha mai voluto dare a vedere.”
Prende posizione e lancia il ciottolo sul mare, facendolo rimbalzare sulla superficie dell’acqua liscia e mandarlo verso l’infinito.
Mi siedo a gambe incrociate sulla giacca, che uso come un asciugamano.
Scuoto la testa.
“Come l’hai saputo?”
“Ieri mi ha chiamato sul telefono di casa, da una cabina telefonica a Rio De Janeiro.” Sospirando, si pulisce le mani sui jeans e si accomoda accanto a me, circondando le gambe con le sue possenti braccia, guardando verso una torre costruita sul cucuzzolo di uno scoglio.
“…Cosa ti ha detto esattamente?”
“ ‘Tieni sotto controllo Elena, non voglio che si faccia del male. Non aspettarti il mio ritorno.’ ”
Mi fissa con i suoi occhi cerulei. Dio, non posso più sostenere il suo sguardo. Potrei ipnotizzarmi involontariamente. Anche con la verbena addosso. Ma in quel momento, dovevo rischiare.
Ho bisogno di sostegno.
Appoggio la tempia destra sul ginocchio, e ammiro i suoi lineamenti.
Devo ammettere che Damon in confronto a suo fratello, se lo contempli bene,  sembra un angelo. Un angelo nero. Un angelo bianco. Un angelo dei desideri.
“Come ti senti? Non sembri poi così sconvolta.” Passa una mano sulla mia schiena, accarezzandola. “Insomma, tu…Io…Non voglio che tu stia male…”
Annuisco e mi alzo. “Torniamo a casa?”
 “Elena, ti prego. Non stare male. Non voglio stare senza di te.”
Rimango per un attimo ferma dalle sue parole non sapendo cosa dire. Di nuovo. Il cuore si è bloccato. E se la partenza di Stefan fosse solo un sollievo?
“Cioè, no. Volevo dire, non voglio restare senza la vera Elena, quella che mi stuzzica sempre. Non voglio che…ti trasformi in una mezza emo depressa. Di solito mio fratello fa questo effetto.” Cerca di rimediare alzandosi anche lui e posizionandosi davanti a me.
Mi limito ad annuire.
“Ad ogni modo, non voglio andare via.” Ribatte cambiando discorso. “Potremmo fare una passeggiata alla torre, o…oppure ho un’idea migliore.” Mi guarda maliziosamente con un luccichio negli occhi.
Fulmineo si toglie la giacca e la maglietta, rimanendo a petto nudo.
Volto imbarazzata lo sguardo mentre sento avvampare le guance.
“Che cosa stai facendo?”
“Fidati di me.”
“No che non mi fido di te!” Sbotto voltando di nuovo l’attenzione verso di lui.
Mi scontro con il suo petto.
Perdo visibilmente la concezione dell’inspirare e dell’espirare. I muscoli marmorei scolpiti mi coprono la vista. Faticosamente, costringo i miei occhi ad incontrare i suoi occhi.
Mi perdo.
Una mano mi accarezza dolcemente la mia guancia destra mentre l’altra è impegnata a giocare con i miei capelli.
“Allora, ti fidi?”
Non lo capisci? E’ inutile. Non riuscirò mai a risponderti. Non in queste condizioni.
Le sue dita scendono sulla nuca, per poi proseguire sulla schiena, fino ad arrivare ai fianchi. Me li cinge debolmente stringendomi a lui.
Non riesco a capire bene le sue intenzioni, perciò rimango silenziosa in attesa di una sua mossa.
“TANTO CI RIMETTI TU!”
Scuoto la testa tornando alla realtà. “Eh?”
Come poche ore prima, scende a cingermi anche le ginocchia, prendendomi in braccio.
“DAMON COSA STAI FACENDO?” Alzo stizzita il tono di voce.
“Zitta, oppure ti tappo la bocca a modo mio.”
O mio Dio. Cosa sta succedendo?
Sento degli schizzi di acqua arrivare sul mio volto.
Oh, no.
“Damon, NO! Sei pazzo?” Mi dimeno invana cercando di farlo tornare indietro. Ma tanto è inutile. E anche se lo volessi, il mio subconscio lo impedirebbe. “Sono vestita! E SIAMO A MARZO!!”
“Allora una rinfrescata ti farà bene.”
“E…se non sapessi nuotare?”
“Bugia. Tutti sanno nuotare. E poi ti salverei io.”
“Damon, dai, non voglio!”
Rotea gli occhi. “Su, non farti tante paranoie.”
 
“Brutto…UMPH!!” i miei denti battono dal freddo, mentre cerco disperatamente di tenermi a galla e riscaldare la mia temperatura corporea. Mi stropiccio gli occhi, cercando anche lui.
“D…Damon?”
Mi giro, ma non lo vedo da nessuna parte.
Improvvisamente due braccia mi circondano stringendomi debolmente la pancia.
“Sono qui principessa.”
Quasi mi viene un infarto. Mi porto una mano sul cuore, controllando i respiri.
“Tranquilla, non sono uno squalo.” Preme il suo torace ancora di più contro la mia schiena, abbassando una manica della maglia, fiutandomi la spalla.
Mi salgono i brividi.
“Ti andrebbe di fare una nuotata?”
“Mi andrebbe uscire.”
Sbuffa solleticandomi la pelle.
“Ora che ci penso bene…Non faccio più un bagno qui da quando avevo cinque anni.”
Mi salgono in mente vecchi ricordi di mia madre che mi spalmava la crema solare prima di mettermi i braccioli e sguazzare in acqua con mio padre.
Una sua mano sale a spostarmi i capelli ormai fradici da una parte, appoggiandomi il mento sulla scapola.
 
 
“Vuoi fare una gara o hai…Paura di perdere?” Cambia discorso avvertendo la mia tristezza.
“Voglio andare in un posto caldo, Damon.” Ribadisco mentre mi asciugo con la sua maglietta la folta chioma di capelli.
“Ho un’idea.”
“No. Basta con le tue idee. Portami nel primo posto caldo che ti viene in mente.”
“Io…occhei. Ma poi non ti devi lamentare. Prometti?”
“Cos’è? Il nuovo giuramento di Ippocrate?”
“Seconda battuta in un giorno! Stai facendo progressi.”
“Va bene! Va bene. Promesso.”
Mi sorride soddisfatto e mi invita ad entrare in macchina.
 
 
  

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Capitolo 3
*** Hic et nunc. ***


SALVE SALVOSSAAA!!! COSA VEDONO I MIEI OCCHI?! 16 RECENSIONI PER SOLI DUE CAPITOLI?! AAAAAAH, COME MI FATE FELICEEEEEE!! *-*
Ok, bando alle ciance. Voglio chiedervi un favore. So che probabilmente vorrete leggervi questo capitolo tutto d’un fiato, ma sarei contenta se rispettaste le virgole che indicano le pause. Non tanto per correttezza, ma per il patto narrativo che sono sicura non verrà interrotto.
Capireteeeee poi perché ve lo chiedo. Non vi anticipo nulla.
Voglio vedere se arrivate fino in fondo, buahahahaha v.v
Ok, basta. Fermati mente spietata.
Che dire?
G U S T A T E V E LO.   

 
 
HIC ET NUNC
 
TERZO CAPITOLO
 
 
Le lacrime scendono deliberatamente sul mio volto, come un fiume in piena, segno del dolore ora affiorato. I miei occhi rossi gonfi affaticati, non le sentono più. Ormai hanno perso il conto di quante ne sono scese. Una dopo l’altra, ininterrottamente, hanno cominciato a sgorgare dalle mie palpebre chiuse apposta per trattenerle, l’opposto di ora che sono spalancate per lasciar loro più facilmente la possibilità di tracciarmi l’ennesime cicatrici.
L’ennesime ferite.
L’ennesime pugnalate al cuore.
Dalla morte dei miei genitori la vecchia Elena Gilbert, impavida solare perfetta adolescente, ha lasciato posto ad una nuova fragile responsabile ragazza. Ed è stato in quel periodo quando ho imparato a piangere, in silenzio. Sono bastate solo centinaia di notti per capire come fare. Come soffrire  internamente senza preoccupare gl’altri. Una mano sulla bocca, l’altra sull’addome, seduta accanto la finestra a guardare il cielo, cercando un loro vago ricordo. Non far fuoriuscire i gemiti, lasciare che il petto si alzi e si abbassi a ritmo irregolare, cercando nonostante di tenere sottocontrollo il respiro. Ecco come. Ma adesso è diventato tutto normale. Non c’è bisogno dell’aiuto dei muscoli per riuscirci.
Adesso è naturale.
Adesso, nonostante l’impulso di partire e andare a cercare Katherine per poterle infilzare un paletto nel cuore, sono qui. A piangere.
Mentre il mio istinto di sopravvivenza cerca disperatamente una possibile diga. Un fazzoletto? No, no di certo. Un fazzoletto non basterebbe mai ad interrompere questo torrente. Bonnie? No, nemmeno lei. Nonostante il bene che le voglio, lei non basterebbe a trarmi in salvo.
Ritornare a casa? Ritornare a vivere normalmente? Andare a scuola, studiare e stare con gli amici? No, non sarebbe servito a nulla. Vedere il banco vuoto accanto al mio, non avrebbe facilitato le cose. Studiare in queste condizioni è pressoché impossibile. Gli amici non riuscirebbero mai a cancellare il ricordo.
E’ una fotografia. Una fotografia di quelle che non cancellano mai i ricordi.  
Una fotografia che riemerge dagli scatoloni ormai dimenticati.
Una fotografia scattata per pensarlo intensamente, ancora di più.
La classica fotografia che, dopo tanto tempo passato, ti fa sprofondare nello sconforto più totale.
Non è facile dimenticarsi di qualcuno. Non è facile trattenersi dallo sfogo personale. Eppure, poco tempo prima in spiaggia, non sono esplosa. Le rassicurazioni, le promesse di non essere lasciata sola… sono state quelle che mi hanno dato la forza di non lasciarmi andare.
 
Dalla finestra la luna fa capolino nella camera, illuminandola dei suoi raggi argentei. La luce fioca delinea i profili dei mobili antiquati, facendo ben attenzione a colpire gli spigoli. Uno spiffero d’aria rabbrividisce  la stanza, giocando con le candide tende a rincorrersi, e riesce incredibilmente a dimenare ancor di più il mio corpo. Mi alzo, facendo attenzione a non cadere appoggiandomi ovunque fosse possibile, e mi tuffo alla ricerca del cellulare. Lo schermo bianco mi abbaglia gl’occhi, informandomi di aver perso almeno sette telefonate e ricevuto un messaggio preoccupato di Jenna, che mi chiedeva dove fossi finita. Sospirando spengo il black berry e lo riposo al fondo della borsa, coprendolo con altri oggetti personali. Tra le mani mi capita un piccolo ritaglio di stoffa di seta, con le mie iniziali ricamate sopra: il fazzoletto che mi aveva creato la mamma per le elementari, ora giace sulle mie dita tremanti. Prendo un lembo e lo porto sotto le mie orbite, sulle mie guance, cercando di togliere tutti i residui di acqua salata. Lo ripiego e lo stringo forte in un pugno, mentre dolci ricordi mi assalgono la testa. Mia madre è sempre stata una persona solare. Tutti quanti pensavano che avessi il suo tale e uguale carattere. Ma anche lei, di nascosto proprio come me, cedeva il suo stato emotivo.
 
“M…mamma?” i miei piedini scalpitavano dalla voglia di oltrepassare la soglia. “Mamma! Posso entrare?”
Passai minuti fuori dalla porta, ad aspettare una risposta.
“Mamma…!” incosciente, aprii la porta e la vidi tenersi la testa tra le mani, gemendo, afflitta dal male. Non avrei mai voluto vederla in quello stato e, non sapendo bene se tornare indietro o no, piano piano mi avvicinai a lei. Come tutti i bambini piccoli che vedono un adulto piangere, le sedetti accanto  mentre con il mio piccolo indice richiamavo l’attenzione sulla sua spalla.
Appena sentì il mio tocco, alzò lo sguardo verso di me.
Non avevo mai visto singhiozzare mia madre e non pensavo che, una donna come lei, potesse riuscirci. Eppure i suoi occhi gonfi e velati di lacrime in quel momento mi guardavano con una tristezza facile da scorgere.
“Mamma, perché piangi?”
Le sue iridi marroni mostravano un senso di vergogna nel farsi scoprire piangente proprio dalla figlioletta, ma lei sapeva mentire bene.
“Ma niente, piccola mia”
“Davvero?” le chiesi sicura che mi avrebbe risposto allo stesso modo. Ma questa volta si arrese. 
“Sai, noi donne dobbiamo sempre sopportare l’intero mondo sulle spalle e… a volte cediamo.” Accompagnò l’ultima frase con un sorriso sforzato.
“Vuol dire che soffrirò anch’io?” chiesi leggermente confusa.
“No, o almeno…lo spero piccola mia. Dai, scendi che ti tolgo il grembiule.”
 
Il povero pezzo di stoffa ormai stropicciato chiede pietà tra le mie dita, cercando invano un’uscita.     
“Sto solamente cercando qualcuno che può mostrarmi come fare. Sto solo cercando una via di fuga.” Continuo a ripetere a me stessa.
Ma la notte è troppo lunga, e infida.
Posso superare tutto, non avendo niente a che fare con i sentimenti.
Posso riuscirci.
Posso riuscire in quel che è. In quel che voglio che sia.
Ma è complicato. E così difficile. Così maledettamente contorto che non me ne sto nemmeno rendendo conto.
 
 
 
 
Damon’s pov
 
“In effetti, potevi risparmiare di farla soffrire.” Le solite parole del mio stupido senso di colpa adesso risuonano nella mia mente più forte della musica ad alto volume del bar in cui, per l’ennesima volta, sto cercando di annegare i miei pensieri. Ma tanto è inutile, loro riemergono sempre e ovunque mi possa trovare. “Klaus, Katherine, la pietra lunare. E ora dovevo infliggerle anche questo. Complimenti, sensibile come sempre.”
Sbuffando bevo le ultime gocce di bourbon depositate sul fondo del bicchiere, disfando la  circonferenza che erano riuscite a creare. L’indice della mia mano destra senza pensarci troppo fa segno al barman di avvicinarsi per poter chiedere la stessa ordinazione.
“Desidera?” chiede il ragazzo visibilmente impacciato.
“Un altro bicchiere di bourbon liscio, grazie.” Dico squadrandolo velocemente.
“Non pensa di aver già bevuto abbastanza? Questo…era il ventisettesimo alcolico!”
Rido, facendogli così credere di essere ubriaco. “Cosa si aspettava, che gli chiedessi un bicchiere d’acqua?” Ribatto ironicamente con una nota acida nella voce.
Non sapendo bene come reagire, si limita borbottare qualcosa… O meglio ad imprecare qualcosa sottovoce che, nonostante ne sia abituato, fa scattare dentro di me la prepotenza classica del mio essere “vampiro stronzo”.
“MI LASCI O CHIAMO LA POLIZIA!”
“Shht, non strillare, ho il mal di testa.” La mia presa sul suo avambraccio si fa più forte, facendo avvampare le sue guance di un rosso che ora è diventato viola. Non mi sono nemmeno accorto dei miei movimenti.
“Mi lasci, per favore! Mi fa male così!” Il povero trentenne cerca disperato di togliersi dalla mia morsa d’acciaio, senza risultati.
“Guardami bene negl’occhi:” dico richiamando la sua mente alla mia attenzione, soggiogandolo. “tu mi porterai tutti i bicchieri che ordinerò, se non vuoi che ti faccia ancora più male.”
Il diseredato ripete le parole con la voce atona sentita così tante volte da aver perso il conto. Di colpo distendo le dita, lasciandolo libero. Volto lo sguardo verso i tavoli del pub, animati da gente euforica che emana un brusio alquanto fastidioso, ma il suono tonfo del vetro posato delicatamente sul bancone mi fa girare di nuovo, portando alle labbra il liquido.
Decido che forse è meglio ritornare in camera e non ubriacarsi, anche se per un vampiro è quasi difficile poterlo fare, e magari andare anche a controllare Elena.
In pochi istanti, la mia mente malefica, è ritornata quella di un bambino docile che pensa solo a rendere felici le persone. Tutte le volte che ci penso, ogni volta che sento che lei è vicina, mi sento innocuo. Come se nessuno potesse fermarmi. Come se lei potesse immobilizzarmi con uno solo sguardo.
E quando mi guarda, vengo sopraffatto da un senso di euforia che pervade tutto il mio organismo. Che scuote ogni mia cellula, che mi fa sentire vivo.
E’ lei. E’ lei il mio angelo. L’angelo per cui darei la vita. Il mio piccolo, dolce e indifeso, angelo.
Il suo tocco che mi perfora lo strato di pelle imperforabile, il suo calore che riscalda il mio gelido corpo…il suo profumo che riuscirei a distinguere a miglia di distanza, che tutte le volte mi trafigge il cuore e che si mischia con il sangue, come un fiume che sbocca in un mare pronto ad accoglierlo mi fa sentire unico. Unico al mondo.
Come se tutto il resto non esistesse. Come se tutto, in quel arco di tempo, non avesse importanza. Come se fosse lei l’unica a cui devo rivolgere la mia attenzione.
Ed è sempre, costantemente e perennemente, così. Anche se non dovrei comportarmi così, anche se SO che NON DEVO COMPORTARMI COSI’, è inutile. E’ inutile perché ogni volta che incontro i suoi occhi mi dimentico di tutto. Di chi sono, come mi chiamo, se sono maschio o femmina. Di TUTTO.
Rimettendomi gli occhiali da sole e lasciando una piccola mancia sulla grande lastra di legno, lascio il locale dell’albergo. Rientro nella hall e salgo le scale lentamente, fino ad arrivare alla camera. Alla nostra camera. Alla camera che avrei preferito usare in modo decente ma che purtroppo, a causa del mio poco tatto, devo utilizzarla solo per dormire. C’è un letto matrimoniale, ma ovviamente Elena non mi avrebbe lasciato dormire con lei. Mi tocca restare sveglio fino a quando non si sveglia.
Sbuffando, poso la mano sulla maniglia della porta che, girandola, fa scattare la serratura e permette di entrare nella stanza. Seduta accanto alla finestra, la ragazza che mi toglie il fiato, è appoggiata con la testa al vetro e ha gl’occhi chiusi, segno di una stanchezza evidente. Senza far rumore mi avvicino a lei per osservarla da vicino e sulle sue guance riflette una scia più lucida.
Aveva pianto. E io non ero lì con lei, a consolarla, a farla smettere di soffrire. Ma infondo so che è stato meglio così. Che si sfogasse e che si convincesse da sola che piangere non porta a niente.
Sospirando, le lascio una carezza lieve che cancella la riga troppo marcata sul bellissimo ritratto e mi dirigo verso il bagno. Non è poi così male questo hotel. E’ abbastanza ben arredato ed è sicuramente molto efficiente con i servizi. Accostata la porta alle mie spalle, noto l’enorme box doccia che sembra invitarmi ad utilizzarla.
Constatando la giornata passata, una doccia non mi avrebbe fatto tanto male.        
 
 
 
 
Elena’s Pov.
 
Lentamente una palpebra si schiude, svegliata da uno scroscio d’acqua. Piano piano, anche l’altra la asseconda facendo lo stesso movimento, aprendomi davanti gl’occhi un cielo terso e celeste. Nessun segno di pioggia. Eppure lo scroscio d’acqua risuona nelle mie orecchie. Provo a stiracchiarmi lentamente, ma una nocca della mia mano sinistra sbatte su una superficie liscia, provocandosi probabilmente un piccolo livido. Mi lamento a bassa voce per il brutto risveglio, mentre con l’altra mano non infortunata mi scosto i capelli dalla fronte, tirandoli indietro. Con delicatezza, poso i piedi sulla moquette fresca che mi fa leggermente rabbrividire. Prendendo coraggio e pronta ad affrontare una nuova giornata, decido di alzarmi completamente portando il mio peso corporeo sulle ginocchia che, dopo tante ore di sonno, fanno un po’ fatica a reggere. Dopo pochi secondi riescono a trovare l’equilibrio, riuscendo a sostenermi. Porto una mano su un’anca, massaggiandola un po’, mentre con un mugugno mi volto verso la porta del bagno dove una sottile striscia arancione colora il tappeto. Aggrottando le sopracciglia mi avvicino e la apro di pochi centimetri, per sbirciare se la notte precedente avevo lasciato accesa la luce.
In effetti, se non piove e la luce di questa stanza è accesa, che cosa può mai accadere?
Un Damon intento a farsi una doccia. Ecco cosa. Le mie orbite ancora insonnolite si svegliano improvvisamente per non lasciar cadere i miei occhi a terra, e per farmi assaporare quel momento. Il ragazzo è girato verso il muro e mi da’ le spalle, mentre si lascia travolgere da un getto di gocce calde che percorrono i lineamenti perfetti del suo corpo. Scorrono fugaci sulla sua muscolatura perfetta, tra i suoi capelli neri corvini spettinati, e giù, giù. ANCORA PIU’ GIU’ dove la mia fantasia per un istante può pervertirsi. Me la prendo mentalmente con chi ha avuto la grandiosa idea di dipingere i vetri di plastica, da circa metà in poi, di un colore scuro permettendo di coprire la parte inferiore del corpo mentre il mio cervello ha ricominciato a funzionare. Lo capisco dato che ora riesce ad assimilare le immagini captate dalle mie pupille. Un velo rosso comincia ad impadronirsi dei miei zigomi, mentre il mio cervelletto da’ ordine ai muscoli di togliersi da quella posizione.
Ma no, lo spettacolo è troppo piacevole per allontanarsi.         
Per la prima volta dopo tanto tempo, non obbedisco alla razionalità, e mi godo quella visione paradisiaca. “Strano che non mi abbia sentita arrivare o che non percepisca i miei sospiri” penso mentre vedo una sua mano raggiungere il sapone per strofinarlo sulle sue spalle e riposarlo al suo posto. Per un po’ mi dimentico perfino di respirare, per non rompere quel incantesimo. Le dita della sua mano sinistra si tastano il collo massaggiandolo un po’ per poi scendere sull’avambraccio destro, per ritornare poi su sui pettorali e riscendere sui fianchi. Le mie labbra non possono non assumere un sorrisetto malizioso, ma rimproverando me stessa cerco di tenerle sottocontrollo, quando un pensiero si fa luce tra gl’altri.
Di cosa dovresti trattenerti? Ti vergogni?
No, certo che non mi vergogno. Chi, in questo preciso momento dovrebbe vergognarsi?
Le mie guance morbide accolgono le fossette create dalle mie labbra piegate all’insù, felici per una volta dopo tutto il dolore subito il giorno prima. Sbatto le ciglia lentamente mentre entro nella stanza e mi avvicino al lavandino, sedendomici accanto. Incrocio le braccia al petto e, dopo pochi minuti, le ante del box si aprono e un braccio esce a cercare a tentoni un asciugamano per coprirsi. Cercando di far quanto minor possibile rumore, ne prendo uno e mi avvicino. Gli blocco facilmente il polso e rivolgo il palmo verso di me, mentre gli porgo di prendere un lembo del canovaccio. O fisso per pochi istanti accarezzando con il pollice una vena distinguibile, poi la sua voce mi richiama.
“Elena?”
“Sì?” Chiedo innocentemente in risposta al suo tono di voce sorpreso.
“Potresti lasciarmi la mano?”
“Eh? Oh, sì. Scusa.” Lascio la presa che ho usato per bloccarlo e mi stringo nelle spalle, allontanandomi da lì. Ma cosa mi era saltato in mente?!
“Hai bisogno di farti una doccia?” chiese ancora questa volta USCENDO  avvolto da quella stoffa sottile che gli ho appena dato.
“N…no. Mi lavo solo la faccia e i denti e…e sono a posto.” Deglutisco due volte tenendo la mia voce più calma possibile.
“D’accordo.” Conclude lui abbassandosi a raccogliere i vestiti piegati con cura.
Aguzzando un po’ la vista, riesco a scorgere un tatuaggio inciso all’altezza circa del suo cuore.
Una frase in latino.
Hic Et Nunc.
“Qui ed ora?” Sussurrando traduco la scritta.
Visibilmente imbarazzato, Damon si alza e incrocia finalmente il mio sguardo. “Qui ed ora?”
Inconsciamente mi avvicino di nuovo a lui e poso il mio indice sinistro su quelle tre parole. “Hic et nunc, significa qui ed ora.”
Le sue sopracciglia si inarcano leggermente, mentre le sue iridi si spostano verso il basso fermandosi a fissare il mio dito. E’ la prima volta che lo noto e che lo tocco così…così dolcemente. “Lo so.” Si limita a dire con voce altrettanto mielosa.
Non sapendo bene che dire dopo quella scoperta, mi avvicino allo specchio con visibile disappunto da parte sua.
“L’ho fatto circa…un anno fa’.” Comincia a spiegare raggiungendomi velocemente. “Poco dopo l’arrivo di Katherine in città e…e…”
“E…?” Chiedo girandomi di scatto e trovandomi a pochi centimetri di distanza dal suo volto scolpito probabilmente da un angelo divertito e deciso a far morire la gente.
“E dopo essermi convinto di aver baciato te, quella sera. TE, e non LEI.” Sottolinea bene sospirando afflitto dalla spiegazione sincera che ha dovuto dare.
“Ma…non ero io quella sera.”
“L’ho scoperto dopo, quando il danno” dice indicando il soggetto in questione “era già fatto.” La sua voce si affievolisce pian piano, fino a diventare un debole sussurro.
“Questo non è un danno!” ribatto provocando sul suo volto una smorfia.
“Un tatuaggio sdolcinato inciso sulla pelle accanto al cuore di un vampiro? Oh sì, è un danno eccome. Stamattina mi hai rovinato la reputazione.” Dice ironico facendomi di nuovo spuntare un sorriso.
“A me piace.”dico inclinando la testa di lato e mordendomi il labbro inferiore. “insomma, non avrei mai detto di trovare una scritta del genere sul tuo corpo ma…mi piace.” Concludo felice della scoperta appena fatta.
“Uhm, davvero?” Chiede lui raggiungendo i miei polsi e portandoseli sul suo petto.
“Sì. Davvero.” Il suo oceano mi travolge come se fosse in burrasca e mi fa letteralmente sciogliere.
“Forse è meglio che ti lasci fare ciò che devi fare.” Dice lui dopo minuti passati ad ammirare ognuno il tesoro dell’altro.
“Sì, forse è meglio così.”
Mi accarezza una guancia fugacemente e mi lascia un bacio, scottante sulla mia fronte, per poi uscire dalla porta.
Mi rivolto immediatamente allo specchio e noto i miei occhi fuori dalle orbite increduli.
Cerco di mantenere un ghigno ma dei sospiri troppo veloci fuoriescono dalla mia bocca semiaperta.
Non riuscendoci più, mi lascio andare ad una risata e scuoto la testa mentre prendo un po’ di  dentifricio e lo spalmo sulle setole dello spazzolino spalmandolo sui denti
“TI STO SENTENDO! NON SEI MOLTO CARINA COSI’.”
Mi lego i capelli in una coda disordinata, mentre metto fine al mio riso schietto e immergo il mio volto nell’acqua, per togliermi anche i residui di stanchezza.
Ma rivolgo l’attenzione di nuovo alla mia immagine riflessa, mentre il rubinetto è aperto.
E’ la sua voce che mi tranquillizza.
E’ la sua voce che mi salva dal peggio.
Damon.
Damon è la mia possibile salvezza. 
Lasciare che le sue possenti braccia mi incatenino al suo petto…
Sì. E’ lui la mia salvezza.  
Il bisogno è irreversibile.
E ora…Qui ed ora riesco a sentirlo davvero.
“Elena, sei pronta?”
“Pronta per cosa?”
“Per aiutarmi.”
“…Aiutarti?”
“Sì, sbrigati o troveremo traffico. Non possiamo interrompere qui il viaggio.”
 
 
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Mi odiate, vero? Sì che mi odiate. Siete ancora vive? No, io no. A stento non sono morta mentre scrivevo *-* Volevo farmi perdonare per l’attesa. Il prossimo capitolo arriverà presto, promesso. **
Voglio almeno 100 recensioni ora. V.v
Ahaha, scherzo ;)
Piaciuto? :D
  

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Capitolo 4
*** What is going to happen? ***


HIC ET NUNC.
 

CAPITOLO 4: WHAT IS GOING TO HAPPEN?
 



Sbuffo, impaziente.
Appoggio la fronte sul finestrino, con un’evidente smorfia dipinta sulle labbra.
Sbuffo, di nuovo.
Ora poso anche la mia mano sinistra sul vetro, rumoreggiando con i ticchettii causati dalle mie unghie.
Sbuffo, e lo guardo per la trecentocinquantesima  volta con la coda dell’occhio.
Lascio cadere il mio braccio inerte al mio fianco, sistemandomi meglio sul sedile anteriore di pelle. Mi rannicchio intrappolando le mie gambe in una morsa d’acciaio, e poso il mento su un ginocchio.
E sbuffo.
“Damon…” lo richiamo con voce da cantilena.
Ma non una parola esce dalla sua bocca.
“Damon!” lo richiamo con voce più stizzita.
“Shht, zitta. Tanto non ti dirò dove stiamo andando…goditi il viaggio, piuttosto.”
“Godermi il viaggio?! Damon è più di tre ore che stiamo viaggiando! Ah, sì. Ti vorrei informare del fatto che la radio non funziona e, per la cronaca, fa anche FREDDO!” mi lamento alzando il tono di voce. Faccio scendere la zip della felpa e metto le mani nelle tasche, protendendo il tessuto soffice in modo disperato per coprirmi maggiormente.
Per la…cinquecento settantesima volta, mi ritrovo a sbuffare.
Un gesto rapido, alla mia sinistra, fa accendere il riscaldamento e, dopo pochi minuti, riesco a muovere le dita dei piedi.
“Allelujah!”
“Elena, finiscila. Non lamentarti: tra poche ore saremo arrivati.”
“Specifica il numero di ore.” Sibilo tra i denti.
“…Altre due, o tre. Forse anche di più.”
“Eh?!”
“Chuppa!”
“Oh no, non ti ci mettere anche tu per favore!” rispondo innervosita roteando gli occhi.
“Cos’è? Non parlate così voi…adolescenti del ventunesimo secolo?”
“Allora. Punto 1: Io non sono un’adolescente, non più. Punto 2: Io non parlo e non parlerei mai così. Credo che sia soltanto la moda del momento rispondere con esclamazioni con doppio senso di questo genere per infastidire le persone.”
“Va bene, Miss SONO-NATA-ALLA-FINE-DEL-NOVECENTO-MA-MI-COMPORTO-COME-UNA-DEL-1500.”
“Ora va meglio.”
In effetti, è vero. Preferisco mille volte il Damon sarcastico, egocentrico e presuntuoso che un Damon…moderno? Si potrebbe definire così?
Volto l’attenzione verso di lui, e lo fisso.
Fisso i suoi lineamenti, il colore del profilo delle sue iridi quasi trasparenti, i suoi capelli neri corvini. E poi scendo. Scendo sulle sue spalle possenti, percorro tutto il braccio destro, arrivando alla mano posata sul volante. Poi ritorno indietro, e scendo ancora. Scendo ancora di più. Scendo sul profilo delle sue casse toraciche, che si allargano e contraggono per i respiri. E poi lì, sul ventre. Lì mi fermo maggiormente e lo ammiro. Indossa una delle sue solite camicie scure, ADERENTI. Sempre del tipo “SI-SBAVA-PURE-E’-TUTTO-VERO” oppure “LO-SO-CHE-VUOI-STRAPPARMELA-NON-TI-PREOCCUPARE-NON-MI-DISPIACE-FALLO-PURE”. Poi scendo ancora, rimanendo a dir poco sconvolta non appena distinguo una particolare forma. Serro involontariamente le gambe, e giro il volto dall’altra parte, stritolando allo stesso momento le palpebre chiuse. Tutte le immagini di lui che la mattina, (o meglio dire, poche ore fa) si faceva la doccia ora mi lasciano a dir poco scandalizzata. Immaginarlo lì, nel box, NUDO, mi fa serrare ancor di più le mie povere gambe. Scuoto la testa più volte, cercando di togliermi quei pensieri perversi che si stanno facendo strada nella mia testa.
‘Ma cosa mi sta succedendo? Perché penso a certe cose?’
“Elena, tutto bene?” una voce mi richiama interrompendomi dalle mie…riflessioni? Potrei definirle così?
“Sì, tutto bene.” Sibilo cercando di rimanere lucida. Non voglio incontrare i suoi occhi, altrimenti non sarei più in grado di intendere e di volere.
“Sicura? Sei rossa come…una bandiera di un torero!”
“COSA? NO, IO…I…IO NON SONO ROSSA!” cerco di ribattere alla sua provocazione.
“Oh, eccome se lo sei!”
“Io…NON E’ VERO!” sbotto con voce quasi strozzata che non fa altro che divertirlo.
“Infatti, sei pallida.” Mi interrompe ridendo.
“Doh!” cerco di sferrargli un pugno sulla spalla, che purtroppo non arriverà mai.
“Vuoi che ci fermiamo da qualche parte?” continua tra una risata e l’altra.
“…Umph.” È tutto quello che riesco a dire.
 
 
“Un altro, per favore!” la mia voce euforica e stridula richiama l’attenzione del barman, che mi tira un’occhiataccia dietro il bancone dove sta pulendo dei boccali.
“Signorina, non ne ha bevuti troppi?”
“Naah. Questo è solo il secondo!” esclamo facendo vedere i due bicchierini. Il ragazzo alza un sopracciglio mentre ne prende un altro pulito, e ci versa la Vodka.
Tambureggio con le mani sul legno, totalmente ebbra.
Nel vetro posto dietro le mensole su cui sono riposte varie e varie bottiglie, posso distinguere a fatica la mia immagine. Riflessa nello specchio c’è un’Elena diversa, sempre con i suoi soliti capelli lisci e castani, ma che cadono disordinatamente sulle spalle, gli zigomi colorati di un colore scarlatto, e con occhi nocciola vispi, accesi.
Come al solito Damon si è rimorchiato una ragazza con cui esaudire il suo desiderio di fame, lasciandomi da sola qui, in questo bar.
Ma non ci do molto peso, soprattutto dopo aver visto il liquido trasparente sull’orlo del piccolo recipiente raggiungermi.
“Oh, grazie.” Dico con una risatina roca.
Porto l’alcolico al labbro inferiore quando il cellulare, posato temporaneamente sullo sgabello accanto al mio, comincia a vibrare.
Lo afferro e guardo lo schermo lampeggiante: è una chiamata, una chiamata da parte di Jenna.
“Zia!” La saluto non appena rispondo alla telefonata.
“Elena, DOVE DIAMINE SEI?!” una voce, forse fin troppo arrabbiata, esce dall’aggeggio innervosendo i miei timpani.
“Ehi, ehi! Calma! Sono a…?!”
Il barista, che sta ascoltando divertito la conversazione, mi sussurra il nome della città in cui Damon ed io ci eravamo fermati.
“Sono in G…GEORGIA!”
“Elena, che ci fai alle sette di sera in Georgia?”
“Ma come? Dieci minuti fa’ erano appena le cinque…” farfuglio in mia difesa.
“Elena, TORNA A CASA! Mettiti in viaggio, ora! Ti aspetto in piedi!” E così stacca la comunicazione.
Guardo attonita ancora una volta lo schermo, finché qualcosa non attira la mia attenzione.
Costringo i miei muscoli irrigiditi a muoversi e, barcollando, cerco di chiamare Damon.
Uno squillo, due, tre, finché, in un tavolo da biliardo non molto distinto, un ragazzo familiare cerca di mettere in buca una pallina.
Mi ci avvicino, facendo attenzione a non cadere.
 
 
“Damon…Ha chiamato Jenna, devi riportarmi a casa.” Cerco di convincerlo per l’ennesima volta.
“Elena, te l’ho già proposto: fa una partitina a biliardo con me e, se tu vincerai, ti riporterò a Mystic Falls. Promesso.”
“Non sono capace, Damon! E poi stai cercando di ricattarmi?!”
“Non ti sto ricattando. Non ci sono problemi: ti insegno io.”
Incrocio le braccia, guardandolo di storto.
“Va bene. Va bene. Ti riporto a casa!”
“Ti aspetto fuori.”
 
A fatica riesco a raggiungere la porta sul retro del locale, e ad uscire.
Respiro un po’ di aria fresca, mentre il cellulare ricomincia a vibrare.
Apro la comunicazione.
“Pr..!”
Ma non riesco a dire ‘Pronto’ perché qualcuno, alle mie spalle, mi tappa la bocca impedendomi di parlare.
E mi trascina nell’oscurità, nella più profonda oscurità.
        

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Capitolo 5
*** I need you, tonight. ***


Capitolo 5.
 
I NEED YOU, TONIGHT.
 
La pressione del palmo della mano del mio aggressore sulla mia bocca si fa sempre più opprimente, impedendo perciò di far uscire dalle mie labbra parole angoscianti, che potrebbero far accorrere in mio soccorso qualcuno.
Capisco presto dal modo in cui cerca di mantenermi ferma che non è uno stupido gangster, umano, che vuole semplicemente far di me quel che vuole. No, no di certo!
Un umano può avere simile forza?
Nemmeno persone più palestrate, che fanno uso anche di steroidi anabolizzanti, possono averne così tanta.
Cerco di togliermi dalla mente l’unica persona che, alle otto di sera inoltrate, possa farmi questo.
Eppure chiunque, preso dalla paura e dai pensieri confusi,  si rassegna al proprio destino.
Ma è davvero questo il mio destino?
Consegnarmi a Klaus, facendo sì che egli possa effettuare il rituale di cui tanto ambisce da…secoli?
Potrei trovare dei modi per scappare da lui.
Ma ne vale la pena?
Agli occhi di tutti appaio tanto tranquilla quanto senza problemi, poiché al mio fianco c’è sempre qualcuno a salvarmi.
Ma che senso ha scappare ancora?
Una vita da latitante non è degna di essere vissuta; vivere nel terrore, con il presentimento che qualcuno sia sempre pronto ad ucciderti, non tanto meno.
Damon non mi ha  né sentita né vista uscire dal locale, dato che la folla che anima il posto può, con il suo brusio, dominare su ogni voce acuta.
E ora sono qui, nell’oscurità, da sola.
Senza aiuto.
Sola e senza aiuto: faccia a faccia con un vampiro.
Reprimo questi pensieri, cercando di tenere regolare il mio respiro.
Lascio che l’oscurità mi copra la vista, facendomi rabbrividire.
Ma sono davvero le tenebre a farmi questo effetto…o forse è una voce, alquanto strana e familiare, che risuona nel mio orecchio?
 
 
 
Elena…shht, calmati: è tutto a posto. E’ tutto finito.”
“ Ho paura, mamma. Ho paura! E se la scossa torna di nuovo?”
“ Ci accampiamo qua fuori e attendiamo che il terremoto sia finito.”
“E se crolla anche la casa?”
“Ne cerchiamo una ancora più bella, e robusta.”
“E papà? Papà sta bene?”
“Sì, sta bene bambina mia. Sta bene. Calmati ora.”
Le carezze addolciscono una bambina piccola, di appena sette anni, impaurita dopo aver sentito il suolo muoversi violentemente, in casa.
C’è stato un terremoto abbastanza violento, di magnitudo 4.9, un giorno.
Sono rimasta traumatizzata vedendo il tavolo saltare più volte dal pavimento.
“Mamma, mi prometti una cosa?”
“Certo, Elena. Che cosa?”
“Che nonostante tutto, non ci separeremo mai.” A quei tempi avevo bisogno di certezze, di affetto, e avevo bisogno di quelle promesse.
“…Te lo prometto.”
 
I presentimenti sono cose strane, come le simpatie e come i presagi, e le tre cose messe insieme costituiscono un mistero di cui l’umanità non ha ancora trovato la chiave.
Nella mia vita non ho mai riso dei presentimenti; forse perché ne ho avuti di strani.
Ho sentito una voce, calda strana ma al contempo familiare, che ha portato la mia mente ad un vecchio ricordo.
Se Klaus avesse voluto rapirmi, avrebbe potuto farlo il giorno o la notte prima quando, talmente sovrappensiero, senza alcuno sforzo mi avrebbe sollevata e portata via.
Aggrotto le sopracciglia, analizzando le situazione.
Elijah?
Può essere Elijah questo vampiro-rapitore?
No: abbiamo un accordo e non userebbe di sicuro così tanta violenza su di me.
Porto due dita sul labbro inferiore, realizzando che l’aggressore ha allentato la presa, fino a togliere del tutto la mano.
Un sussurro, roco fievole rotto, mi esce involontariamente.
“S…Stefan?”
“No, prova di nuovo.”
E’ una voce femminile, questa che mi risponde, e anche molto simile alla mia.
Rabbrividisco nuovamente.
“K…Katherine?”
 
 
 
“Che cosa ci fai qui? Dov’è Stefan?”
“Hey, quante domande! La tua sosia è appena arrivata in città e tu non la saluti nemmeno?”
Un lampione illumina a intermittenza il parcheggio in cui sono stata portata.
La ragazza mi si avvicina sorridente, a braccia aperte, come se le importasse di sentire il mio calore sulla sua pelle.
“Dov’è Stefan?” chiedo nuovamente, scansandola.
La vampira sbuffa, mi prende per il collo e con tutta la sua forza mi scaraventa dall’altra parte della strada. Perché dimentico sempre quanto quella donna sia violenta e suscettibile?
Tossisco, portando un braccio a coprire le mie labbra sanguinanti.
“Lo sai, Elena cara, che odio le persone che mi rovinano la manicure!” In un secondo è di nuovo vicino a me, che esamina con espressione teatrale le sue unghie.
“Ad ogni modo” continua distogliendo l’attenzione dallo smalto. “Sono solo venuta qui ad aprirti gl’occhi, non per ucciderti. Devo ammettere che quest’ultima idea mi affascina…ma manderei a monte il piano di Klaus. Poi quest’ultimo si incazzerebbe talmente tanto con me da porre davvero fine alla mia esistenza. E tu sai già che è meglio che moriate voi al mio posto. Quindi…”
“Cosa vuoi dirmi, Katherine?”
“Oh, hai finalmente azzeccato la domanda! Come ho detto pochi secondi fa’, voglio aprirti gl’occhi e chiarire una cosa. Vuoi sapere dov’è Stefan? E’ ancora nel nostro appartamento a Rio De Janeiro, senza il suo magico anello…” nello stesso istante in cui pronuncia la frase, tira fuori un ovale argenteo, guarnito di un grosso lapislazzuli. E’ quasi uguale a quello del fratello, e ha lo stesso scopo. “…Ad aspettarmi. Immagino che sia ancora a letto, nudo, rigirato tra le lenzuola, dopo la notte infuocata di ieri…”
“Perché vieni a dichiararmi questo?”
“Per farti capire che, dopo centoquarantanove e passa anni, ho ottenuto ufficialmente ciò che tanto volevo dalla mia vita. E soprattutto per farti capire che la persona di cui hai più bisogno, mia cara, non è Stefan.”
“Chi sei tu per dirmi di chi ho bisogno, hm?”
“Elena, APRI GL’OCCHI! Hai un vampiro al tuo fianco follemente innamorato di te, sciocca piccola umana! Per proteggerti sarebbe disposto a sacrificare la propria vita –anche se non molto preziosa-… e tu lo hai sempre rifiutato! Perché Elena? E’ il ragazzo cattivo? Ti ha fatto del male in passato? Guarda avanti, ingenua. Damon Salvatore può fingere di essere stronzo quanto vuole, ma ti sta dando l’anima e non te ne accorgi neanche! Pensaci bene…quando sono venuta a portarvi la cura per il morso di Tyler, che gli ha recato così tanto dolore, non ti ha forse dichiarato quanto per lui tu sia importante? Lui ti ama, Elena! E anche tu lo ami. Ho visto come vi siete guardati, e come vi siete baciati quella notte. Avrai potuto anche farlo per carità, ma io non ci credo. E tutto ciò non lo dico per prendermi Stefan –anche perché ormai è mio- ma solo per farti aprire gl’occhi! Per cui, ti propongo di essere felice con lui.”
Rimango zitta contemplando le sue parole. All’inizio credevo di sognare, che tutto ciò che Katherine stesse dicendo fosse solo frutto della mia immaginazione.
Eppure, pochi secondi dopo, mi rialzo e, per la brutta botta che la mia sosia mi ha dato, cado inerme di nuovo a terra.
 
 
 
Una luce abbagliante mi sveglia.
Strizzo gli occhi parecchie volte e mi guardo intorno.
Volto lo sguardo alla mia destra, e per poco non cado dal materasso.
Damon sta dormendo beato al mio fianco, MOLTO vicino al mio fianco.
Ha la testa posata sul mio cuscino, ed è voltato nella mia direzione.
Resto lì, ad ammirarlo per dei secondi.
Damon ha dei bei lineamenti marcati. I suoi capelli neri corvino sono scompigliati sulla fronte e la sua espressione, sebben dormiente, pare tranquilla e raggiante.
Mi avvicino a lui, maggiormente, ponendo la mia testa nell’incavo del suo collo, e accoccolandomi sul suo petto.
Probabilmente non dorme, poiché le sue braccia mi circondano, permettendo di sistemarmi meglio.
Inalo il suo profumo, che brucia nella mia gola.
E’ indescrivibile il senso di sicurezza che Damon mi offre.
Uno strano senso di bisogno si fa strada in me, dando in parte ragione a tutto il discorsone su Katherine.
Pian piano, il sonno vince su di me, interrompendo tutto il flusso dei pensieri positivi.   









ANGOLO AUTRICE.

Lo so, lo so. E' da più di un mese che non aggiorno. Vi prego di scusarmi ma lo studio mi sta assillando! T_T
Comunque prometto che da ora in poi aggiornerò a tempi record. *-*
E' un capitolino corto, lo so, ma volevo comunque aggiornare.
Spero che vi piaccia *-*
Baci, Frayx.

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Capitolo 6
*** Rise and Shine, sleepy head! ***


Capitolo 6.

 

Rise and shine, sleepy head!
 

Come poche ore prima, la luce diurna del sole entra per mezzo della finestra mezza aperta, non essendo filtrata dal tessuto delle tende.
Un soffio di brezza mi solletica la pelle, causandone la pelle d’oca.
Uno stormo di uccelli passa vicino alla dimora, cantando il loro idillio.
Le mie palpebre si alzano lentamente, per preparare i miei occhi al possibile ma certo accecamento. Muovo le gambe attorcigliate al lenzuolo, volgendo lo sguardo nella direzione in cui avevo trovato Damon ma, con grande dispiacere, non lo trovo accanto a me, come tanto infondo speravo.
Con l’aiuto della mia debole forza, mi metto a sedere, ammirando la stanza.
Mi sento piuttosto indolenzita e molle, quasi come una medusa. Sollevo un lembo della mia maglia, come se fossi un medico, trovando un livido violaceo sul fianco.
Aggrotto la fronte.
Provo dolore anche alla schiena, ma tuttavia è sopportabile.
Mi guardo intorno. Sono in una stanza strana, sconosciuta. Non l’ho mai vista prima. Il letto è grande quanto una pista d’atterraggio e, all’estremità del letto, si trova una coperta di seta, color avorio; un tappeto indiano è ai piedi del comodino di legno noce. Su quest’ultimo sono riposte delle bottigliette di colonia,  un telefono stile anni ’80 e una cornice contenente una foto di Marilyn Monroe.
Anche le pareti sono rivestite dello stesso modello di legno del comodino e, accanto a quel che si può definire ‘bagno di lusso’, c’è la causa del mio risveglio: finestre.
C’è anche una libreria, piuttosto piena, accanto ad un armadio. Quest’ultimo attrae la mia attenzione.
Dalla descrizione si può certamente intendere che, una camera del genere, non può appartenere ad un albergo.
E in casa mia cose di questo genere si possono a malapena sognare!
Decido di sgranchirmi le gambe così, pian piano, porto le mie dita dei piedi a sfiorare il pavimento e con tutta la mia volontà, porto il peso del mio corpo gracile sui ginocchi.
Cammino raggiungendo la finestra, con l’intento di chiuderla.
Butto anche lo sguardo fuori, capendo finalmente dove mi trovo.
“Come ti senti?”
Una voce calda e roca, parla alle mie spalle.
Chiudo gl’occhi, sentendo il respiro sulla mia scapola mezza scoperta.
“Bene.”
“Sicura? Insomma, ieri ti ho trovata per terra, mezza distrutta!”
Mi congelo.
Allora…Allora non è stato davvero un sogno!
Avevo davvero incontrato Katherine!
“Mi spieghi cos’è successo, per favore? E potresti guardarmi negl’occhi, per favore?”
Deglutisco a fatica, ubbidendo alla sua richiesta.
Cerco di trovare un pretesto, una bugia; se Damon sapesse la verità, non reagirebbe molto bene.
Insomma, lo conosco abbastanza!
“Ero ubriaca…Ho…Bevuto troppo. Mi ricordo soltanto di essere venuta a chiederti di riportarmi a casa, che poco dopo sono uscita dal locale e…” boccheggio, in cerca d’aria. “E poi mi sono allontanata dal locale…” concludo.
“E poi?”
“E poi niente, Damon. Devo essere caduta poiché non mi ricordo più niente.”
“E due semplici bicchierini alcolici possono ridurti in quello stato confusionale?”
“Sai una cosa? Credo che un bel bagno gioverebbe molto.”
 
“Quando esci dall’acqua, mettiti questa.”
Damon mi sta porgendo una camicia scura, ben piegata.
“Damon, non mi metterò la tua camicia.”
“Non puoi indossare vestiti sporchi.”
“Ah, no? Perché?”
“Perché sarebbe un controsenso.”
Guardo quel capo posto sulle mani del ragazzo. Devo ammettere che l’idea mi affascina molto, soprattutto quello di imprimere il suo profumo sulla mia pelle.
Ma…perché non mi offre anche un paio di pantaloni?
Ah, certo.
“Damon non mi metterò questa camicia solo per farti ammirare le mie gambe.” Puntualizzo, avvampando.
‘Dillo, dillo che ti piacerebbe…!’
‘Sta zitta, coscienza pervertita!’
“Ti assicuro che è abbastanza lunga da coprire le parti che ti interessano.” Conclude, buttando la camicia nel bagno, voltandosi per andarsene.
“Ah, per tua informazione” aggiunge non voltandosi. “Non dico che non mi piacerebbe ammirarti, e poi ne ho visti così tanti che…ho perso il conto. Ma il tuo…ho l’impressione che possa ricordarmelo per sempre.”
Rimango letteralmente interdetta e attonita. Avvampo di calore, cercando di ribattere.
“Mi aiuti a togliermi i vestiti?” Eh? Che ho detto? Sono io, Elena Gilbert?!
Mi copro le labbra con una mano, tappandola.
‘Girati, girati girati!’
‘….GIRATI!’
La richiesta delle mie due coscienze vengono esaudite.
“Veramente sto andando a prendere un bagnoschiuma, ho intenzione di farmi un bagno anch’io.”
‘Quant’è da stupro…’
 ‘Zitta, maniaca!’
 
 
 
Non ho mai capito perché quelle vocine nella mia testa hanno sempre da ridire; Damon è un bel ragazzo. Un gran bel ragazzo, su questo non c’è dubbio.
Mi tolgo velocemente la maglia, i jeans, le calze.
L’acqua sta scorrendo dal rubinetto e cade nella vasca, creando un vapore piacevole.
Mi raccolgo i capelli in una coda, guardandomi allo specchio.
“Eccomi qui!”
D’istinto mi giro a guardare chi ha parlato –come se non lo sapessi-, e per poco non svengo.
Damon è…è..è…
“Damon, sei nudo!”
“Certamente, il bagno si fa senza vestiti, nel caso non lo sapessi.”
“Oh…eh…certo che lo so!” ribatto voltandomi verso il lavandino, di nuovo.
‘OH PORCA MISERIA. OH MIO. OH PORCA. CHE….CHE…CHE…!’
“Vuoi fare il bagno prima tu?” chiedo, cercando di essere calma.
“Oh, sai…con i tempi che corrono è meglio risparmiare. Che ne dici di farlo insieme?”
“Eh? Cosa fare insieme?”
“…Il bagno, Elena.”
Ma Dio, perché sono così pervertita?!
“Ah, eh… hm. Certo.”
Sono davvero così malata?
Mi sto per togliere il reggiseno, quando la parte pudica di me emerge di nuovo.
“DAMON NON GUARDARE!” lo ammonisco, bloccandomi nell’impresa di completare il cubo di Rubik che c’è al posto della chiusura.
“Elena, suvvia. Non siamo dei tredicenni pervertiti.”
‘Questo lo dici tu.’
“Copriti gl’occhi, per piacere.”
“Ti vergogni così tanto?”
“Damon, per favore!”
“D’accordo, d’accordo.” afferma  con un gesto plateale, coprendosi gl’occhi.
‘Inspira, espira, inspira, espira. Corri via dal bagno, su!’
‘E lasciare questo splendore? Scordatelo.’
Un tentativo, due, tre. Sbuffo.
Dannazione a te e a chi ha inventato questo intimo. Ma una chiusura a strappo? No?
Al quarto tentativo, le mie mani vengono scansate. Con velocità sorprendente, vedo cadere ai miei piedi l’indumento.
‘Oh Dio.’
So benissimo che Damon in qualche modo sta cercando di approfittarne ma, non so perché, non mi dispiace poi così tanto.
L’ho sempre rifiutato quel ragazzo. Ogni santa volta.
In ogni circostanza in cui cercava di dirmi quanto per lui io gli piacessi, per quanto lui mi ami, lo respingevo sempre.
Perché?
Perché c’era Stefan?
Perché per quelle volte in cui l’avevo visto far del male agl’altri pensavo che ne potesse fare anche alla sottoscritta?
Ma dai.
Damon è cambiato da due anni a questa parte. E molto.
E’ più emotivo, si preoccupa di più, anche se a volte il suo istinto da stronzo viene fuori comunque; poi diciamocelo: adoro pungerlo quando cerca di fare il duro.
Sorrido, inspirando l’aria tra i denti; il ragazzo sta scendendo verso gli slip, e non ho intenzione di fermarlo.
Tanto a cosa serve ormai?
Stefan non c’è.
Katherine sta con lui.
Il sentimento che provo per il fratello è enorme, e me ne sono accorta già del tempo fa’, quando cercavo di spiegare al mio caro diario fedele, la confusione che provavo nei loro confronti.
Amore per Damon non è, son sicura.
Ma allora come posso spiegare il senso di sicurezza che mi infonde?
Un indice si insinua sotto l’elastico.
Ne segue un altro.
Ci giocano un po’, come per torturarmi, mentre sento un formicolio insinuarsi tra le mie gambe.
 
 
 
“Elena, sei affogata?”
Sbatto la testa sul marmo della vasca da bagno,gemendo per il fastidio.
“No, Damon. Tutto a posto.”
Mi porto le mani sugl’occhi, a stropicciarli leggermente.
Ma…pochi secondi fa’…
Ovviamente ho sognato ad occhi aperti.
Oddio, ho sognato di farmi togliere la biancheria da Damon?
Sto degradando sempre di più. Com’è che ora che Stefan è andato via ho il desiderio di…di…?
Esco dall’acqua. Mi asciugo velocemente. Metto la camicia di Damon.
Purtroppo ha ragione: copre le parti di cui ero interessata di nascondere alla sua vista.
La sbottono un po’ sul decolleté, tirandola un po’ su.
‘Ora basta pensare a Stefan. Ora basta a pensare a Katherine. Sono innamorata di un altro ragazzo, ammettiamocelo.
Cosa? Sto scherzando?
Mi sono detta di amare Damon?
 
 
 
 Lo scopo di modificare il capo d’abbigliamento funziona.
Il fatto di farmi guardare da Damon, dopo quel sogno ad occhi aperti, aveva insistito con la mia mente fino a diventare una piccola ossessione.
Ogni volta che mi giro sento i suoi occhi puntati su di me, e un po’ ne compiaccio.
“Ascolta…c’è una festa, domani sera, a residenza Lockwood. Ti va di andarci?”
E’ la prima volta che mi parla, da quando sono uscita dal bagno.
Interrompo la mia lettura su Jane Eyre, prestandogli attenzione.
“Che tipo di festa?”
  


Angolo autrice.
Seraaaaa! Visto che tempo record? Solo due giorni! :3
Spero che questo capitolo...HOT vi piaccia. Insomma, bisogna dare una svegliata ad Elena, no? :3
Fatemi sapere se vi piace!:D
Baci,
Frayx.

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Capitolo 7
*** 7. The butterfly effect. ***


*I think, I might have inhaled you,
I could feel you behind my eyes,
you have gotten into my bloodstream,
I can feel you flowing in me*

 

Capitolo 7- THE BUTTERFLY EFFECT.

Notte fonda. Buio.

Solo i numeri della sveglia che indicano l’ora sono illuminati sul soffitto.

Muovo le gambe attorcigliate ai lenzuoli e mi volto sull’altro fianco, cercando di addormentarmi.

E’ da due giorni che Damon mi ha riportata a casa, è da due giorni che non ho più sue notizie. Un tempo, se non si fosse fatto sentire per 48 ore, non mi sarebbe importato più di tanto; ora, se non lo sento accanto a me, se non ho la certezza che lui ci sia, sprofondo in una depressione che non ha né delta né estuari.  E’incredibile come abbia sostituito così velocemente Stefan.

 I pensieri che attraversano la mia mente, vengono sopraffatti da un profumo che violenta le mie narici; allargo una mano sul materasso, trovando qualcosa di duro accanto a me: con dolcezza questo mi avvicina a sé facendomi strusciare sul letto, e mi fa appoggiare il volto su di lui. Non apro gli occhi, ma posso ben capire che accanto a me c’è una persona. Mugugno qualcosa di incomprensibile; l’essenza mi ha frastornata fin troppo. Ma è grazie alla fragranza che riconosco anche l’uomo.

“Damon…?” bisbiglio lievemente  con la voce impastata, stringendomi ancora più a lui.

Il ragazzo posa le labbra sul mio capo, ammonendomi con voce autoritaria uno “Shht, dormi.”

“Non reso..non ci rieso…rieso…riesCo.” Cerco nuovamente di fare dei respiri profondi, ma sentendo le sue mani accarezzarmi le spalle, difficilmente riesco a riposare.

 “Vuoi che vada via?” In risposta cerca di allontanarsi, ma con la mia flebile forza riesco a trattenerlo a me.

“No…non… andare!” esclamo aprendo un po’ gli occhi, con la voce alterata di qualche ottavo; potrei sembrare una bambina capricciosa, ma in questo momento –devo ammetterlo- ho bisogno di lui più di ogni altra cosa. Non voglio stare da sola; non voglio che la notte si impossessi di me.

E mi sento così completa quando si risistema meglio sotto di me, e mi sento così leggera quando posto il mio capo tra la sua scapola e il suo collo.

“…Allora dormi.” Mi impone nuovamente ed io -con tutta la mia volontà- riesco a cadere tra le braccia di Morfeo insieme a quelle di Damon, ricevendo da quest’ultimo una tenue carezza sul mio volto.

 

 

Lui è lunatico.
Sarcastico.
Mi prende in giro.

Lui mi fa sempre ridere quando non c'è nulla di divertente.
Lui sa sempre come calmarmi.
Il suo dolore scorre in me.
Lui è coraggioso.
Egli è fedele.
E’ l'uomo più protettivo che abbia mai incontrato.
Salva sempre me, in prima priorità.
Lui non mi abbandona mai.
Lui è onesto.
Egli è pieno di speranza.
Egli sceglierà sempre me.
Lui mi ama con tutto quello che ha.

 

 

Porto i piedi uno davanti all’altro facendo attenzione a non cadere da quei tacchi vertiginosi. L’invito arrivato questa mattina diceva che sarebbe stata una festa memorabile; una festa di cui tutti il giorno seguente avrebbero parlato. In effetti, è vero: tutti i cittadini di Fells Church sono presenti questa sera -probabilmente si tiene un’assemblea del consiglio interno- e anche l’allestimento della dimora dei Lockwood, di certo, favorisce a pensare che si tratti di una festa particolare.

Non so il motivo per cui ho scelto di venire. Certo, una serata fuori casa favorisce sempre allo svago, ma adesso che ci penso avrei preferito rimanere a casa, a vedere un vecchio film di Audrey Hepburn, che a partecipare ai noiosi balli che si prospettano.

La coda davanti a me svanisce, e arrivo presto all’uscio di quella meravigliosa casa.

Dopo aver verificato il mio nome sulla lista degli invitati entro e, perdendomi tra la gente, mi fermo a vedere i volti, in disperata ricerca di uno in particolare. E finalmente lo trovo lì, in un angolo, intento a fissarmi con occhi velati.

E il mio cuore si blocca. Mi sento così leggera, così delicata, che basterebbe sfiorarmi con un dito per farmi crollare. Mi mordo dolcemente le labbra e mi avvicino a lui, sentendo qualcosa di strano nello stomaco. Una morsa di calore, il battito delle farfalle che cercano di uscire. Sento quasi gli occhi inumidirsi ad ogni passo che faccio; è così bello e così…indescrivibile.

Sorridendo senza sforzi, annullo la distanza tra noi, e mi torturo le mani guardando per terra. Dopo la scorsa notte, ho pensato a lui per tutto il giorno senza sosta. Ho pensato alle sue carezze, al suo calore, al suo profumo. E quasi mi scioglievo a quei gesti, quasi ridevo come una completa ebete, pensando alla sua dolcezza.

Ma adesso, in questo momento, non ho idea di cosa dire, di come comportarmi, di come atteggiarmi. E Damon aspetta un singolo gesto che non arriverà mai; sono immobilizzata. Il mio cuore non pompa più sangue, la mia mente è offuscata; mi sono dimenticata perfino di dove mi trovo.

Infine, dopo una veloce lotta tra sentimenti e ragione, mormoro un lieve “Ciao”, trovando la forza di rialzare la vista e puntarmi nei suoi occhi. Se c’è una cosa che amo di lui, è sicuramente il suo sguardo. A volte ti mette in soggezione talmente è profondo, altre volte ti calma subito, alla prima occhiata.

Anche Damon sorride, porgendomi un braccio. Avvolgo così il mio al suo e, facendoci spazio tra la folla, ci dirigiamo nella sala da ballo in cui già molta gente si diletta a volteggiare con il proprio compagno, rimanendone incantata.

 Ho sempre amato questi vestiti; mia madre mi ha trasmesso questa passione sin da quando avevo due anni, e mi trattava come una principessa.

Perdendomi nuovamente nei ricordi, non mi accorgo che la canzone è finita, e Damon posizionandosi davanti a me, mi offre la sua mano, facendo uno strano gesto del capo che mi incitava ad accettare.

“Sarebbe scortese non ballare questa sera, non trovi?”

Sospiro. Non ho per niente voglia di ballare. Perché sono venuta?

Ah beh, penso che la risposta sia scontata.

Annuisco e lego la mia mano alla sua e, facendomi guidare all’esatto centro della stanza, cominciamo a volteggiare e a confonderci anche noi. E di nuovo, l’effetto delle farfalle ha la vinta su di me, facendomi arrossire.

“Sei bellissima questa sera, ovviamente.”   

Non riesco a trattenermi. Arrossendo ancora di più, lascio che una lacrima solchi il mio volto, e chiudo gli occhi sentendo una mano di Damon che con esile fermezza la allontana dallo zigomo. Cerco di farmi coraggio e di ricominciare a ballare, ma oggi per me è la giornata dei ricordi: nella mia mente si ricompongono delle nuove immagini. Ricordo il nostro primo ballo insieme, ricordo che lui c’è sempre stato per me, ricordo ogni volta in cui mi ha salvato la vita, e tutti i momenti della giornata in cui cerca di proteggerla.

Il moro mi guarda, confuso. Scuoto la testa in disappunto, e poso la fronte sulla sua spalla. Dopo pochi secondi mi sento sollevare da terra, non trovando più il muscolo di Damon a sorreggermi. Sbatto le palpebre parecchie volte, prima di capire che è stato lui a sollevarmi. Adesso sento la sua presa sulla mia vita,adesso tendo le braccia sul suo collo, adesso mi accorgo di roteare per davvero in aria.

Non posso non trattenere una risata, tornando a terra, circondata da tutti. So di avere lo sguardo della gente fisso su di noi, ma in questo momento io non vedo altro che lui.

Dimenticando tutto, mi ritrovai attaccata al suo petto, con le braccia strette intorno al suo collo. Mi dimentico che in realtà non è la canzone adatta, e nemmeno i passi adatti.

Mi dimentico di tutto.

Perché ora mi sento bene.

Perdo anche la cognizione del tempo.

Non vola una parola, una frase; ci perdiamo entrambi in un momento fatto di rimpianti e di calore.

In un momento fatto di noi.

“Riportami a casa, Damon…” sussurrò al suo orecchio sinistro, ed egli –probabilmente d’accordo-  si stacca leggermente, prendendo le mie mani tra le sue.

Senza farci notare troppo, usciamo dalla stanza e ci dirigiamo all’esterno. Rabbrividisco al freddo che penetra nei tessuti del vestito e del copri spalle e, mentre Damon mi posa sulle spalle la sua giacca, noto la sua macchina non molto lontana.

Dopo pochi minuti, ci avviamo verso l’auto e, una volta saliti, partiamo verso la nuova destinazione.

 

 

  Damon parcheggia con lentezza la sua macchina nel vialetto, per poi spegnerla. Rimaniamo per degli istanti zitti, pensando alle parole opportune da dire. Damon guarda il volante, io il portico. Mi mordo le guance e non riuscendo più a stare in quell’ambiente claustrofobico di tensione esco dalla vettura, saluto il ragazzo con una mano e salgo piano gli scalini del portico, arrivando davanti alla porta.

Ma cosa sto facendo?

Dopo una serata del genere, mi rifiuto di proferire parola?

Velocemente allora mi giro, e mi scontro con il petto di Damon, trovandomi a pochi centimetri di distanza da lui.

Alzo lo sguardo e lo fisso nei suoi occhi, come poche ore prima, e mi perdo nuovamente.

“Grazie per la serata.” Ammetto alzando gli angoli della bocca.

“Non c’è di che.” Mi risponde educato; ma qualcosa mi fa capire che non abbia intenzione di andarsene.

“Davvero grazie!” ripeto alzando le sopracciglia, annuendo per autoconvincermi ad entrare in casa.

Prego.” Da quanto tempo non sentivo pronunciare da quelle labbra un “Prego”, un “non c’è di che”?

Entra in casa –mi ripeto mentalmente- entra in casa.

Eppure c’è qualcosa questa sera che mi attrae particolarmente a lui.

Impercettibilmente lo vedo avvicinarsi, e di istinto chiudo gli occhi, sentendo il suo respiro sul mio volto.

Boccheggio lievemente in cerca di aria.

Sono consapevole di ciò che sta accadendo.

E lo desidero.

Leggere, dopo istanti di incertezza, sento la consistenza delle sue labbra che stampano un semplice bacio sulle mie.

Rimango paralizzata.

Damon mi sta baciando, e io lo desidero; e il mio corpo si scuote dalle scariche elettriche che sta ricevendo.

Un semplice, innocente bacio, ora come ora, posso permettermelo, no?

Non so per quanto tempo restiamo lì, ad assaggiare ognuno la fragranza dell’altro. Secondi, minuti.

Dopo un lasso di tempo indecifrato, staccandoci, riapro gli occhi, e quasi mi si mozza completamente il respiro. Vederlo con i capelli fuori posto, con gli occhi lucidi, mi fa perdere la coscienza di me stessa.

Rimaniamo lì, a fissarci ognuno nell’oceano dell’altro.

L’ho già detto che quando sto con lui, il tempo si ferma?

Stringendogli il colletto della camicia, lo riavvicino di nuovo a me, approfondendo il bacio interrotto.

E’ un bacio fatto di rimpianti, ricordi, di amore.

Per quanto tempo ho nascosto i miei sentimenti? Per quanto tempo ho fatto finta di nulla?

Dopo un altro lasso di tempo, il ragazzo si stacca definitivamente da me e, augurandomi una buona notte, mi bacia la fronte accaldata.

Lo vedo allontanarsi, e io rimango ancora lì, paralizzata.

Mi sfioro le labbra.

Che cosa ci sta succedendo?

 

 

  

 

 

Eccoci qui!

Prima di tutto vorrei dire che io mi sono immaginata il ballo con questa canzone, che veramente adoro: http://www.youtube.com/watch?v=xcHI2uNHrvQ

I DON’T LOOVE YOU, BUT I ALWAYS WIIIIILL.

Brividi.

Secondo: Ho deciso di continuare queta storia dopo aver visto la 3x14, e ho sentito il bisogno di cambiare il finale.

Adesso che mi sento motivata, credo che potrò finirla, e cercherò di aggiornarla una volta a settimana.

Adesso basta, non mi spingo oltre che vi annoio u.u

Spero solo che questa storia ritrovi tuuuuuuuutte quelle recensioni, ma soprattutto che ritrovi molti lettori.

Insomma, l’avete capito.

Io sono DELENA FINO AL MIDOLLO, E QUESTA COPPIA CONTINUERO’ A SHIPPARLA SEMPRE.

Bene, detto questo, buona lettura :D

_FRAYX.  

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Capitolo 8
*** 8. Admit it, Elena. ***





Capitolo 8.

ADMIT IT, ELENA!

  


“Passami la colla, Care!”

“…AL VOLO!”

Uno stick di colla vola per la stanza, andando a scontrarsi con il muro…rompendosi addirittura a metà. Caroline ed io seguiamo i movimenti dell’oggetto, e rimaniamo per un attimo zitte davanti a quella scena del delitto.

“Caroline, se continui a rompere le colle, non riusciremo mai a finire!” esclamo esasperata, guardando prima lei poi il cartellone davanti a me, alzando le spalle.

“la colpa non è mia; la devi solo prendere al volo!” replica la bionda, difendendosi.

“E io secondo te riesco a prendere una colla che viene lanciata da una vampira che non sa dosare la propria forza?” reclamo di nuovo, facendola ammutolire.

Scuoto la testa, innervosita; è la terza colla che rompe nella mattinata.

“Non la lancio tanto forte! Sì. A volte mi scappa un po’ la mano, ma potresti prenderla! Diciamo che sei tu che sei distratta, oggi!”

Stizzita mi alzo in piedi, per raggiungere il muro e raccogliere la colla solida rimasta per terra. “Non è vero!” dico agitando un indice mentre con l’altra mano modello la sostanza adesiva.

Caroline mi guarda inclinando il capo. “Sì che è vero!”

“No che non è vero!”

“Sì, è vero. Non dire che non stai pensando a niente, che non ci credo!” dice alzandosi anche lei, prendendo il suo cartellone per posarlo sulla scrivania.

Rimango zitta, fissandola. E’ vero, non posso non pensare alla sera precedente. “Sono solo un po’ansiosa; non so come finire il cartellone e…e la consegna è per domani.”

Caroline si gira, fulminandomi con lo sguardo. “Questo compito l’abbiamo fatto insieme e abbiamo finito di scrivere la ricerca circa mezz’ora fa.” Dice con semplicità, facendomi però arrossire.

“Intendevo dire che…non so come incollare le immagini.” Cerco ancora di difendermi, invana.

“Certo, come no. Ricorda solo che ti conosco quasi da tutta la mia vita, e che capisco facilmente –molto facilmente- quando c’è qualcosa che non va. E tu” dice puntandomi un dito contro “Tu oggi hai qualcosa che non va.”

Corrucciando le labbra mi siedo di nuovo per terra, posando la mia mano sulla carta ruvida, per inumidirla bene di colla.

“Avanti sputa il rospo.” Ordina la bionda dopo pochi secondi davanti a me.

“no.”

“Sì che lo farai invece.”

“No, non puoi obbligarmi.”

“Ah no?”

“No!”

“Va bene.” Per un secondo sparisce dalla mia vista, per poi ritornare subito dopo con un accendino in mano.

“Che cosa hai intenzione di fare, scusa?”

“O tu mi dici ciò che sta accadendo, o… le vedi queste?”  dice accartocciando piano le foto della mia ricerca

“NO!” strabuzzo gli occhi e, rialzandomi in piedi cerco di prenderle di nuovo, senza risultati: Caroline è più alta di me, e non ci mette tanto ad alzare le braccia in alto.

“No?”

“E VA BENE!” esclamo stizzita allargando le braccia.

Caroline abbassa il braccio che ha alzato per impedirmi di prendere il mio ricatto, con aria compunta, come se stesse aspettando con estrema attenzione una mia parola.

Fatico a parlare; vorrei dirle una menzogna, dirle qualsiasi cosa, ma in fondo sento il bisogno di dire a qualcuno cosa mi sta vorticando in testa.

Cerco di nuovo di saltarle addosso, coglierla di sorpresa; ma lei mi scansa senza fatica e rialza il braccio in alto, aspettando.

Apro la bocca parecchie volte, per poi chiuderla, cercando di trovare le parole adatte.

“Allora? Te le ricordi queste?” dice sventolando le immagini.

“LO VUOI SAPERE? DAVVERO? E VA BENE!” urlo, continuando subito dopo.

“HO BACIATO DAMON!”

 

“Stai scherzando.”

“No, non sto scherzando.”

“Hai baciato o sei stata…”

“Tutti e due.”

Caroline spalanca gli occhi, stupefatta. Si sarebbe aspettata tutto –una mia depressione, un voto indecente a scuola, Jeremy.- ma non quello.

“…Adesso lo sai.” Alzo le spalle, come se fosse una cosa da niente.

“Quando è successo?”

“Ieri sera.”

“E hai provato qualcosa?”

“..Io?” chiedo, puntandomi un dito contro.

“No, Dio.”

Scuoto la testa, guardando il copriletto improvvisamente diventato interessante.

“Non hai provato niente?” mi incita, mentre i sentimenti del bacio mi riaffiorano in testa. Il suo profumo, le sue labbra, i suoi capelli, il colore dei suoi occhi prima e dopo; il tremolio alle gambe, le farfalle nello stomaco, il cuore in gola, sentire tutte le cellule muoversi.

“…Ho provato così tanto Caroline, che non so nemmeno da dove iniziare.” Ammetto, arrossendo.

“Non è che stai cambiando fratello, vero?” mi chiede dopo minuti di silenzio.

“C-cosa? No!” aggrotto le sopracciglia, cercando di capire la domanda.

“E..allora perché l’hai baciato?” Mi zittisco nuovamente, cercando di ragionare. Perché l’ho baciato?

“Non lo so, era…la situazione. So solo che per un momento ho voluto baciarlo, ecco.”

Caroline ghigna, divertita da quella conversazione. “Ammettilo, Elena!”

Continuo a guardarla, non capendo. “Ammetti cosa?”

“Dio! Ammettilo, Elena: Damon ti è entrato dentro.” La ragazza i avvicina e punta un indice lì, dove dovrebbe stare il cuore.

 “Ti sbagli, voglio bene a Damon quanto a mio fratello.” Dico convincendo più me stessa, che lei.

“D’accordo, ti faccio una domanda come amica che si preoccupa per te tutti i giorni: cosa c’è tra te e Damon?”

“Non c’è nulla!” rispondo prima ancora di pensare, innervosita.

“Oh, avanti! Sei attratta da lui! In tutta la sua gloria da fratello maggiore!”

“No” sussurro, capacitandomi del fatto che Caroline ha pienamente ragione.

“Aspetta, il tuo ‘no’ deve essere interpretato come un no, non sei attratta da lui oppure no, non hai intenzione di ammetterlo?”

“Non posso, Caroline! Se lo ammetto, se lo penso anche solo per un secondo…io…Stefan…”

“Stefan se n’è andato, e non ha intenzione di ritornare presto.” Conclude Caroline, alzandosi dal letto e strofinando le mani sui jeans.

“…Lo so.” Annuisco, deglutendo. Non so perché mi stia facendo tanti problemi ora, quando un giorno prima non mi lasciavo distruggere da nessuno.

Quando un giorno prima, non faticavo ad ammettere i sentimenti che provo per Damon.

Serro le palpebre: non dovrei pensare a lui.

Ma pochi istanti dopo due occhi azzurri si formano nella mia testa.

“BASTA! NON CE LA FACCIO PIU’!” urlo, portandomi le mani tra i capelli, massaggiandomi la cute. “Dopo tutto ciò che è successo, dopo…dopo due anni, sono ancora qui, a piangermi addosso!”

“Elena…”

“No, Caroline hai ragione!” rialzo lo sguardo su di lei, inspirando profondamente. Sento già le lacrime formarsi, gli occhi pungere. “Stefan non c’è più, non esiste più, e-e io non ho mai capito perché in realtà non ho mai provato dolore, perché da quando Damon me ne ha informato, non ho pianto una notte. Perché quando c’era ancora Stefan al mio fianco, io mi preoccupavo del fratello; perché provavo più dolore e delusione per lui, rispetto a quando Stefan mi lasciava. Anche se tecnicamente io amo Stefan, allo stesso tempo provo qualcosa di forte per Damon, e non so dire se è amore; non so dire se…se quando ieri l’ho baciato, l’ho fatto solo perché volevo stare bene; non so se ogni volta che lo guardo sto male perché non posso averlo o non voglio averlo. Non so se amo più lui che Stefan, non so se è solo un affetto innaturale, so solo che io non vivo senza sentire il suo profumo, senza le sue braccia che mi sostengono, senza le sue parole, le sue carezze, se non lo sento accanto a me, se non so come stia. E sento una strana morsa, sento uno strano spasimo che mi lacera dall’interno, sapendo che lui è lì, davanti a me, e io non posso avvicinarmi più di tanto. Sento i battiti accelerare, la vista offuscarsi, e le gambe che stanno per cedere ogni volta che mi attrae a sé, o ogni volta che io lo attraggo a me. E non capisco. Non capisco soprattutto perché se amo così tanto anche Stefan, queste cose con lui non accadevano più da tempo! Non capisco come Damon si sia così impossessato di me!

Caroline mi guarda, gemente. A anch’io mi sono accorta di aver cominciato a piangere.

Quelle parole continuano a vorticarmi in testa, e di colpo, come la sera precedente, mi ricordo di tutte quelle volte in cui mi ha salvata, in cui abbiamo ballato, in cui mi è stato accanto; tutte le volte in cui mi ha fatto intendere ‘ti amo’ e io l’ho rifiutato. E ora, tutte queste parole liberate, non fanno altro che confondermi.  E un sentimento strano comincia a farsi strada dentro di me, sento rimorso, dolore, sollievo, liberazione.

La ragazza si avvicina a me e mi accoglie tra le sue braccia, lasciandomi bagnarle la maglia che indossa.

E anche ora, in questo momento, vorrei che queste fossero le braccia di Damon.

 

 

Non penso.

Agisco.

Non valuto le conseguenze che potrei avere, ma solo i benefici che posso trarre.

Porto i piedi uno davanti all’altro, incurante della pioggia incessante che mi scivola sui vestiti.

Corro corro e corro.

Non mi importa dell’ora, non mi importa del tempo: corro.

Corro verso un’unica destinazione.

E lo sento; sento di amarlo ogni passo che percorro, sento ogni cellula viva dentro di me, mi sento bene.

Non importa il dolore alle gambe, non importa il dolore ai piedi.

Importa solamente lui.

Damon.

E il mio cuore perde i battiti pensando al suo nome, perde i battiti pensando a lui.

E io corro, corro più veloce.

I capelli mi si incollano al collo; sento il freddo penetrare nei vestiti.

Il cuore che pompa scoordinato, le farfalle iniziano già a formarsi nello stomaco.

Ed è difficile, difficile spiegare cosa provo quando mi fermo nel vialetto della casa.

Come sento le lacrime calde mischiarsi alle gocce fredde della pioggia, come sento le orecchie fischiarmi, come sento il desiderio di averlo di nuovo tra le mie braccia.

E cammino veloce allora, dandomi la tregua di riprendere il respiro, che mi si mozza di nuovo quando energicamente busso al portone.

E quando sento i passi avvicinarsi mi appoggio al muro per la paura che ho di cadere.

E quando si apre la porta, cesso ufficialmente di vivere.

Deglutisco più e più volte, sbattendo anche le palpebre.

Entro veloce nella casa e mi stropiccio gli occhi, venendo accolta da due braccia familiari.

Ma non sono quelle di Damon; il profumo è diverso.

 Sento comunque la felicità morire quando vedo il volto del ragazzo.

“E-ELENA!” esclama lui, con voce roca.

Fatico a pensare, a collegare i neuroni. Forse sto sognando, è impossibile che lui sia lì.

E sussurro, confusa, il suo nome. “S…Stefan?”

 

 

 

 

Saaaaaaalve *-*

Visto, ho aggiornato :D

Okay, non uccidetemi. Lo so, Stefanuccio non ve lo aspettavate, vero? D:

La mia mente è malefica, lo so.

Ma non può essere tutta spianata la strada, no? J

Comunque, Elena l’ha capito, un po’ spinta da Caroline un po’ spinta da sé che a Damon ci tiene eccome.

E diciamo che se lei lo ama veramente, non si farà influenzare da Stefan, no? :D

Comunque, penso che nel prossimo capitolo ne vedremo delle belle **

Grazie ai 3 che hanno recensito comunque la storia, e anche agli altri che l’hanno letta e inserita nei preferiti.

Questa storia sta diventando di nuovo una delle storie più belle a cui abbia mai lavorato, e voi non potreste farmi più felice!

Quindi grazie di cuore.

Spero che la storia continui a piacervi! ;D

Ora vado a rispondere alle recensioni!

Alla prossima settimana :DDD

_Frayx.

  

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Capitolo 9
*** Come un oggetto. ***



Capitolo 9.

COME UN OGGETTO.




Lo guardo.
Lo guardo.
Lo guardo e non capisco.
Quale diamine scherzo del destino è mai questo?!
“Stefan…” ripeto il suo nome, ancora tra le sue braccia, ancora gemente per lo sforzo della corsa.
Il ragazzo fissa i suoi occhi nei miei, e sul suo viso spunta un piccolo sorriso accennato.
Passano i secondi.
Passano i minuti.
Silenzio.
Mi è sempre piaciuto il silenzio; sin da piccola, trovavo spazio nei miei pensieri e riuscivo a calmare anche i miei gesti più malvagi e capricciosi: capivo dell’enorme sbaglio che facevo comportandomi in quel modo, e capivo che era giusto scusarsi e assumersi le proprie responsabilità –per quanto siano grandi all’età di cinque anni! Il silenzio infondo ci è amico: non giudica ma ascolta, non parla ma dà conforto, ci spinge sempre a cercare le cose aldilà di come appaiono.
Ho sempre adorato il silenzio.
Ma ora…
Ora questo silenzio è assordante.
Mi fischiano le orecchie, deglutisco faticosamente –e ormai l’acido lattico in eccesso è sparito- e la mia mente si divide in due partiti.
Come se avvenisse nel mio cranio un dibattito presidenziale.
Come se Obama mi dicesse: SCAPPA, SCAPPA, NON E’ QUI CHE DEVI STARE!
E Romney controbattesse: NO, NO! PROVACI!
Scuoto il capo pensando a quella tremenda similitudine involontaria.
“S-stai bene?” un brivido mi riporta alla realtà, causato da una dolce voce che per tanto tempo era rimasta sepolta nel buio.
Non riesco a parlare, mi sento sconvolta. Mi limito ad un semplice cenno di assenso con la testa: devo rimanere calma.
Lentamente mi sfilo dal suo abbraccio e riporto le ciocche umide dei capelli dietro le orecchie.
Il caldo della casa mi stava facendo tornare il lume della ragione: perché ho corso sotto la pioggia, con un misero vestito?
Ah, giusto.
Ero lì per…
Ero lì per…
Per DAMON.
“Dobbiamo parlare.” La mia voce esce, decisa, dalle mie labbra.
Non mi sono mai sentita tanto sicura di voler qualcosa –o meglio, qualcuno- quanto in questo momento.
Non puoi!
Oh mio caro, no!
Non puoi sconvolgere la mia decisione!
Per quanto nel profondo tu possa occupare un piccolo posto nel mio cuore, ora la maggior parte di quell’imprevedibile, inutile organo la occupa lui.
L’unico per cui vale la pena correre per prendersi una grave malattia respiratoria, l’unico ad avermi fatto aprire gli occhi.
LUI.
“Lo so, lo so! Mi odi, non vuoi parlarmi, vuoi sapere dove sono stato e…”
Lo interrompo, posandogli un indice sulla sua bocca.
Ci penso un secondo. Almeno un briciolo di giustizia me lo meritavo, no?
“Non voglio sapere DOVE sei stato, ma con CHI sei stato via!”
Quella domanda sembra spiazzarlo. L’ho ammutolito.
“Elena…”
“No, dimmi la verità, una volta per tu…” la frase mi muore in gola prima di finire: un piccolo flashback appare nella mia mente.
Katherine che mi assale fuori dal locale, che mi provoca un tremendo mal di schiena e lividi su una buona parte del busto.
Quella sera… in cui ero al bar.
“Oh no. No no no no no no no!” esclamo indietreggiando lievemente.
“Elena, aspetta, non è come pensi!”
Ah davvero?! Certo, uno dal giorno all’altro decide di cappare con la sosia malvagia e sexy della sua ragazza per un qualche scopo politico.
Senza consultare l’altra copia di cui TECNICAMENTE è innamorato perso.
Ma sì, la coerenza è una legge che va rispettata da tutti! E chi le va contro rischia la galera.
Ma mi prendi in giro?
“Ah certo. Quindi sei scappato con Katherine così, per andare a salvare il mondo!”
“Era per…”
“Basta, non voglio sentire un’altra scusa da te!”
“Ma…”
“Ho detto BASTA!”
“L’HO FATTO PER TE, ELENA!”
“Per quale motivo, hm? Sentiamo!”
“Per…per!”
Lo vedo fermarsi un attimo, e una piccola espressione di dolore compare sul suo volto.
Mi tocco una guancia per l’incredibile sforzo che sto facendo – sarei dovuta scappare subito. Avrei dovuto ascoltare Obama.
Ma le lacrime…Oh, maledette!
Esse cominciano a sorgere, offuscarmi la vista.
Esondano dagli occhi, naturalmente, come se quell’azione fosse all’ordine del giorno.
E in un certo senso era così.
Ma sono stanca, stanca, stanca di soffrire.
“Ora TU mi ascolti!” esclamo puntandogli un dito contro. Cerco di controllare il respiro, di non mostrarmi debole. Cerco in tutti i modi di interrompere e ricacciare dentro quelle lacrime e cerco, una volta almeno nella vita, di prendere una decisione.
 
 
“Non ho mai versato una lacrima per te, Stefan. Da…da quando te ne sei andato. Nemmeno una. Nemmeno mezza. Nemmeno un quarto di lacrima.” Comincio così, abbassando lo sguardo, il mio memorabile discorso. “Non sono…nemmeno stata male per te. Non volevo. Non volevo e non potevo. Non potevo dare la dimostrazione ancora una volta a me stessa di essere ciò che non avrei mai voluto essere: un oggetto. Perché è così che mi sentivo, mi sentivo come un oggetto. Non un’emozione, non un sentimento, non un  pensiero d’amore albergava in me. Non distinguevo un abbraccio da un vero abbraccio, la vicinanza di qualcuno dal starmi accanto, non distinguevo…un oggetto, un bellissimo oggetto di porcellana da me stessa. Hai mai osservato un semplice soprammobile? Sembra perfetto. Immobile e…immobile. Gli acari si posano su esso, ma lui rimane fermo. Si assorbe tutte le grida e tutte le discussioni in famiglia. Ma resta zitto. E fermo. Ma…” mi faccio forza, e punto lo sguardo sul mio destinatario. “Se una persona, sbadata o arrabbiata lo fa cadere, può rompersi. E…io sono caduta molte volte, per causa tua. Mi sono rotta in mille pezzi, sono finita sotto un tappeto, e sono ancora stata calpestata. E quando tutti i piedi sembravano essere passati, arrivavi tu, che sollevavi i cocci ancora interi. E li riattaccavi. Con lo scotch. Cercavi di darmi…calore. Cercavi di voler ricostruire il rapporto e io…perdutamente innamorata di te, ti assecondavo nel desiderio. Ma…io ero un oggetto. E potevi far di me ciò che tu volevi. Dopo un po’ di tempo, potevi nuovamente farmi cadere. E io non potevo ancora fare niente. Mi sono sempre chiesta… se un giorno avrei mai potuto trovare qualcuno che smettesse di trattarmi come un oggetto e far finta di interessarsi a me. E dopo che te ne sei andato, Damon è apparso sotto una luce diversa: mi ha raccolta per l’ennesima volta, ma solo in questa mi sono accorta delle sue mani, che con dedizione mi hanno rimessa in sesto, e mi hanno incollato saldamente con la colla.” Non potei fare a meno di ridacchiare per un attimo, pensando alla discussione avuta con Caroline. “Ma è successa in seguito una cosa diversa.” Mi fermai di nuovo, cercando le parole giuste. “Mi ha alimentato un desiderio. Un desiderio che…che non avevo mai provato prima, nemmeno con te. E quando c’è un desiderio, di solito c’è la fiamma di un fuoco. E quando c’è un fuoco qualcuno rischia di bruciarsi. E io ho corso il rischio di bruciarmi. Sono stata gettata in un forno e sono stata avvolta dalle fiamme, finché non ho capito che insieme a me c’era anche lui, Damon. Entrambi siamo bruciati, ci siamo fusi in una sostanza  liquida. Alla fine, siamo stati insieme. Insieme a me c’era una persona, anche se nel peggior dei modi. Per un oggetto. Ma quando ho scoperto, scoperto di essere una persona, e di non esser stata cremata, e di aver trovato al mio fianco Damon, io…. Ho capito di poter provare qualcosa di più forte, qualcosa di umanamente non possibile. Mi sono quasi sentita devota a lui, per avermi salvata. Sì. Perché è quello che ha fatto in un certo senso, no? Mi ha salvata. E dopo essere usciti dal forno, siamo usciti fuori, allo scoperto, per strada. Ed eravamo più forti. Più uniti. Legati da uno strano filo in spezzabile. Non potevamo dividerci. E non possiamo. E mi scuso se…se questo l’ho scoperto solo oggi, ma mi scuso con me stessa! Perché avrei dovuto aprire gli occhi molto tempo prima. Perché avrei potuto stare veramente bene. E avrei potuto essere per una volta felice, felice, felice. Ed è quello che sono ora, per il grande regalo che mi ha fatto: la vita. Sì, perché ho iniziato a vivere, da quando sono rimasta con lui, sola. E mi dispiace, dispiace dirtelo così ma….”
Esito.
Esito prima di pronunciarle.
Quelle semplici tre parole.
Quelle sette sillabe.
Ero davanti ad un bivio.
Dovevo caderci, o no?
“Lo ami.” Mi precede lui.
Lo guardo, confusa.
“E’ per questo che me ne sono andato, Elena.” Continuo a guardarlo, illuminata, con le lacrime in piena.
“Me ne sono andato per TE.” Precisa, e solo ora capisco.
“Me ne sono andato per lasciarti spazio e tempo per capire.”
“Capire che…”
“Lo…” mi incita lui, per proseguire.
“Lo Amo.” Lo dico, fiera, senza paura, spavalda.
Ed è la verità.
Guardo Stefan un’ultima volta, mi asciugo le lacrime con la manica della maglia e mi avvicino alla porta d’ingresso.
Ora che ho avuto la conferma di ciò che provo...
Ora..
…Ora lo devo solo dire a Lui.
Nulla è più bello della chiara e semplice verità.
Lo dico.
E lo ripeterò sempre.
Ti amo, Damon Salvatore.
 

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Capitolo 10
*** You saved me. ***






Mi soffermo sul portico della pensione per quel che a me sembra un’eternità. Non riesco ancora a capacitarmi di quel che è successo.
Stefan finalmente ritorna dopo mesi di lontananza, e io ci parlo come se ormai non mi importasse più molto di lui.
Dopo tutto quello che siamo stati insieme..
Dopo tutto il tempo in cui siamo stati insieme..
In tutta la durata della nostra relazione non sono mai riuscita ad esprimere i miei pensieri in questo modo. Alla base del nostro rapporto c’è sempre stato il rispetto reciproco: se fosse successo qualcosa non avremmo dovuto vergognarci di dirlo l’uno all’altra, perché nessuno dei due avrebbe giudicato l’altro; eppure ci sono cose che non ho mai detto a Stefan per paura del suo (non) giudizio, e che ho sempre rivelato a suo fratello.
…Damon…
 I due Salvatore sono così diversi. Il più giovane è tutta dolcezza, apertura di cuore e sentimenti; il mi…il moro “no”. “ Lui se ne frega degli altri”, o almeno è così che è sempre stato definito da tutti. Da tutti, certo, da tutti tranne che me. In mia presenza è sempre vulnerabile, aperto, timoroso di essere ferito, anche nei suoi più grandi momenti di baldanza; riesco a cogliere quel particolare luccichio in quei suoi meravigliosi occhi che mi fa stringere lo stomaco, quei sorrisi enigmatici che rivolge a tutti non sono niente in confronto al sorriso che mostra quando è veramente divertito. Certo, perché quello che le persone non sanno è che Damon ha sorrisi diversi: uno quando con eleganza cerca di dimostrare interesse verso un altro, anche quando quest’ultimo è la persona più irritante del mondo; un altro quando cerca di mascherare la sua sofferenza; uno che usa per avere tutte le donne ai suoi piedi e poi c’è il mio preferito, quello che riserva solo per me, che gli apre il viso in un modo che oserei definire angelico, dove il suo viso si rilassa, i denti davanti non si tramutano in canini avvelenati, e dimostra il suo lato più umano. Ma lui è l’egoista, il fratello cattivo, il senza cuore. In realtà ho sentito più cose vere con lui che con il mio ipotetico (ma ora a tutti gli effetti) ex ragazzo. Tutta la dolcezza di Stefan e il suo volermi proteggere sempre, come se ad ogni incrocio della strada spuntasse un serial killer con l intento di uccidermi, mi avevano sempre causato problemi, e suscitato molte domande. A volte mi sembrava costretto, quasi scocciato, ma ogni volta che agivo di testa mia andava in escandescenza. Non volevo sempre ricorrere a missioni kamikaze per dimostrargli che io non ero fragile. Avevo imparato a cavarmela da sola da quando i miei genitori erano morti. Lo dovevo a me e a Jeremy; se mio fratello non avesse trovato conforto in sua sorella, allora cosa sarebbe diventato? Dovevo essere forte abbastanza per entrambi, per riuscire a superare tutte le avversità a cui siamo andati incontro successivamente. Scoprire i miei genitori biologici, la morte di Jenna, la morte della mia vera madre, la morte del mio vero padre,veder cambiare i miei amici per me; non ero io a dover essere protetta. Damon questo lo aveva sempre capito, forse perché crescere all’ombra del figlio perfetto gli aveva fatto provare lo stesso sentimento di smarrimento e di inquietudine nel passato, quando ancora suo fratello non lo aveva persuaso a trasformarsi in vampiro, dopo esser stato ammaliato a nutrirsi del sangue di quella stessa malefica donna che lo aveva illuso di poter essere qualcosa per lei, più di un semplice ragazzo da compagnia diciamo, anche se lei era innamorata solo di Stefan. Altrimenti come si spiegherebbe la voglia improvvisa di partire con il mio ex ragazzo, ma nel momento in cui noi eravamo ancora “innamorati” e soprattutto insieme? Forse avrei dovuto riversare tutti questi pensieri che mi stanno vorticando in testa senza ordine, in completa confusione, sui diretti interessati. Se lo avessi fatto nei confronti del ragazzo alto, atletico, muscoloso e dagli occhi verdi, ora non sarebbe tornato, e non avrei tutti questi sensi di colpa. Se lo avessi fatto in passato, nei confronti del ragazzo moro dagli occhi blu grandi, così espressivi da potercisi perdere dentro,  forse da tempo ora starei con lui, e non lo avrei mai considerato come un piccolo, insulso sassolino nella scarpa di cui avrei potuto benissimo liberarmene. Già, avrei potuto –ma non l’ho fatto. Prima che l’altro partisse, ero già completamente in balia di lui, ma non volevo darlo a vedere agli altri, ma soprattutto a me stessa. Non che mi vergognassi, ero solo troppo indecisa. Un passo che facevo in direzione di Damon si trasformava in due passi indietro, e un passo indietro che facevo con Stefan si trasformava in un passo recuperato sulla strada del fratello.  E’ incredibile come ora non potrei vedere un futuro senza di lui, che è la mia ancora, la mia forza, la mia anima. Quante volte mi sono svegliata in piena notte pensando a quanto fossimo diversi, a quanto fosse completamente contorto e senza senso il nostro rapporto, ma a quanto avrei voluto averlo lì, nella mia stanza, nel mio letto, per potermi semplicemente stringere al suo petto, dimenticarmi di tutto e lasciare fuori il mondo mandando all’aria tutti i miei buoni propositi di lasciarlo perdere, per stare bene e senza incubi per quella sola dannatissima parte del giorno rischiarata dalle stelle. Quante volte ho pensato a noi due soli, seduti ad un tavolo, a toccarci le mani come una normale coppia a parlare di quanto fosse andato bene quel compito di trigonometria, mentre mi guardava in quel modo che solo lui riesce a usare con me. Quante volte ho pensato alle conseguenze, al rischio di buttare via una relazione stabile per camminare sul filo del rasoio per provare soltanto angoscia per il rischio di non poter esser ricambiata, a tutti i tipi di dolore che avrei potuto provare se solo ciò potesse accadere, ma il vero dolore inaccettabile è non potergli dire tutto questo, il non sapere la sua risposta; l’attesa ci ha già distrutti abbastanza. Se lui una notte partisse per non so qual motivo, non potrei mai immaginare la sofferenza che potrebbe insidiarsi dentro di me. Perché so che pur di sapermi al sicuro, rinuncerebbe ad avermi al suo fianco per potersi assicurare un mio futuro calmo e la mia felicità pacata, che non sarebbe mai completa senza di egli, non sarebbe completa già da molto tempo ormai. Con Damon è sempre così: non capisci quanto tenga a te finché non vedi tutto ciò che sarebbe disposto a fare per avere anche solo un senso di riconoscenza. Si dice che sei innamorata di una persona quando ogni canzone te la ricorda, quando ogni parola ha senso solo perché gliela attribuisci, quando ogni singola banalità ti sembra di estrema importanza per avere il pretesto di parlare con l’altro. Ha tutto senso, quando sei innamorato. Anche questa pioggia che non ha nessuna intenzione di smettere.
Guardo le gocce cadere sull’asfalto, raggiunte da altre subito dopo, annegando a volte nelle pozzanghere. Già, anche questa pioggia ha un senso. Inalo l’aria pulita rinfrescandomi la mente. So benissimo cosa devo fare ora: devo trovarlo. Sento il cuore perdere un battito per poi ripartire più veloce di prima a martellare nel petto; solo il pensiero del suo nome mi fa questo effetto. Faccio un passo avanti e un altro ancora, uno più veloce dell’altro, fino ad iniziare una corsa sotto quello sfogo di nuvole che riversano le loro lacrime sul pianeta terra. E le sue si mischiano alle mie mentre cerco di capire il posto in cui possa trovarsi il mio Damon.
 
Ho cercato ovunque: al bar, per le strade della città, davanti alla scuola, nel palazzo del comune, ma niente. Sono esattamente due ore che corro avanti e indietro per tutta questa insulsa cittadina, ma non lo trovo. Cerco di non farmi sopraffare dalla stanchezza, dalla tristezza, dall’angoscia che potrei provare se scoprissi che se n’è andato per sempre.
Sto attraversando il ponte, quello da cui la macchina dei miei genitori usci fuori per riversarsi nel fiume. Se Stefan non fosse arrivato in tempo probabilmente sarei morta, e per questo gli sono eternamente riconoscente, ma non riesco in quel momento a dedicare parole di devozione, poiché la mia mente è occupata dall’immagine di due occhi blu che non riuscirò mai più a mandare via.
Ed è proprio nel momento in cui la disperazione mi sta dissolvendo che lo trovo.
E lì, seduto sulla transenna intento a guardare verso l’orizzonte, e il mio cuore trova finalmente un senso di pace. Faccio un passo avanti respirando con calma. Non mi importa del malanno che potrò avere il giorno dopo, io sono qui per lui, per farlo diventare mio e non accetterò un no come risposta. Quando sono a pochi metri da lui sembra accorgersi di me, e mi rivolge uno dei suoi sorrisi: è quello sofferente.
“…Damon…”
“Ciao Elena.”
“Ti… ti ho cercato ovunque.”
“Davvero e perché mai?”
Il suo tono è freddo, distaccato, sta sicuramente soffrendo. L’arrivo di Stefan gli ha recato quel senso di insicurezza che lo porta a chiudersi a riccio innalzando una barriera per proteggersi. Ma io so come abbatterla, dopo anni di conoscenza.
Gli sfioro la spalla con tutto il sentimento che provo, ma sembra non accorgersene. “Avresti potuto comunque risparmiartelo. Sarai contenta di sapere che…”
“Che Stefan è tornato Damon? Lo so gia.” La sua fronte si aggrotta non appena lo interrompo appoggiando un dito sulle sue labbra, ad ispirargli il silenzio. “Ci ho parlato Damon, e possiamo dire in un certo senso di… di aver chiarito.” Il cuore mi è salito in gola e ho l’impressione che stia per scoppiare da un momento all’altro. Non so da dove mi esca tutto quel coraggio, ma mi soffermo un attimo sulle mie parole per lasciargli intendere il seguito.
Sembra aver capito male in un certo istante, dopo aver buttato qualcosa nell’acqua di fronte a noi. In un primo momento non me ne curo più di tanto e cerco di girarlo verso di me, ma quando incontro il suo viso la voce mi muore in gola vedendo il suo viso trasformato, con gli occhi iniettati di sangue e le vene sotto la palpebra inferiore gonfiarsi. Cerco di controllarmi e di non impormi di scappare, d’altronde è sempre lo stesso uomo di cui sono innamorata. Gli accarezzo con delicatezza il viso, sfiorando con le nocche i suoi zigomi. Non può farmi del male. “…Damon… Stefan ed io non siamo tornati insieme. Io… Io non potrei mai più stare con lui.” Con voce titubante e passo incerto, mi avvicino ancora di più a lui, cercando uno stretto incontro tra i nostri occhi: se lui mi guardasse, capirebbe benissimo il perché. E lo fa. Specchiandosi nei miei occhi i suoi cambiano tornando normali. E’ il momento.
“Damon io… io ti…”
Non riesco a finire la frase che un urlo di dolore esce dal suo petto, forte e pauroso. Allontanandomi di pochi centimetri dal suo volto percepisco la sua pelle quasi ustionata, i suoi occhi serrati dalla sofferenza. Non me ne sono nemmeno accorta, ma ormai la pioggia è  man mano diminuita ed è uscito il sole. Senza capire il perché il suo corpo stia andando a fuoco, lo sguardo mi cade sulla sua mano sinistra che si è portato sul volto per ripararsi dai raggi.
Il suo dito medio non porta l’anello.
“D-Damon l’anello! Dov’è?!” esclamo più impaurita di lui. L’ansia si impossessa del mio corpo ma devo rimanere lucida, perché soltanto così riesco a ricordarmi del suo gesto di poco prima.
Aveva buttato l’anello nel fiume.
Senza pensarci due volte cerco di spingerlo con tutte le forze all’indietro e riuscendoci, mi aggrappo a lui e insieme cadiamo in quel fiume.
L’incontro della mia pelle con l’acqua mi riporta delle immagini che il mio subconscio rivela di non aver mai dimenticato; ma mi devo far forza: non posso morire per la seconda volta lì dentro. Apro gli occhi sperando di riuscire a vedere qualcosa sul fondale e in effetti lo vedo: il corpo di Damon sta andando a fondo, ha perso i sensi. La paura di non poter risalire in superficie mi fa tremendamente rabbrividire, creando della pelle d’oca sulle mie braccia. Mi guardo intorno, qualche vegetazione verde ci ha visti cadere e sono le uniche testimoni di quel che è accaduto. Serro di nuovo gli occhi, mentre sento l’adrenalina scorrermi nelle vene. Non avrei mai immaginato di potermi trovare in quella situazione. Non so cosa fare, sono paralizzata. Sento i polmoni sul punto di perdere il controllo e spunto per un istante fuori dall’acqua riprendendo dell’aria. Il mio respiro è accelerato, fin troppo, la mia insicurezza porta il mio corpo a non stare più a galla, o almeno è così che i miei sensi mi ingannano. Devo tornare giù. Devo riuscirci. Non posso lasciare stare tutto per la mia semplice paura e non salvare l’uomo che amo. Ormai è come se fosse diventato una parte di me. Mi è entrato dentro, si è impossessato del mio cuore, e non posso lasciare il mio cuore sul fondale di quel fiume. Cerco di resistere la corrente che non è grazie a Dio travolgente e prendendo un ultimo profondo respiro mi immergo in profondità, verso l’oscurità regna. Riesco a ritrovare Damon quasi nella stessa posizione in cui l’avevo lasciato e, agganciando il mio braccio sinistro intorno al suo petto con tutta la forza che potevo trovare dentro di me nuoto verso la superficie, con movimenti esagerati di gambe e braccia. E ci riesco; riesco ad arrivare di nuovo sul filo dell’acqua. Senza perdere altro tempo nuoto verso riva trascinandomi dietro il corpo del ragazzo, che appoggio sul terreno erboso. Lo faccio strisciare fino ad incontrare il tronco del primo albero che trovo. Stando all’ombra riuscirò a mantenerlo in vita e avrò il tempo necessario per recuperare quel dannato anello. Gli salgo in grembo e inizio a chiamarlo schiaffeggiandolo leggermente. E’ un vampiro, so che si riprenderà, ma non avrei mai immaginato quanto fosse pericoloso il sole per i vampiri.
“Damon, Damon! Svegliati dannazione!” capisco immediatamente che la posizione è scorretta e allontanando il suo busto dalla corteccia lo faccio stendere delicatamente ma allo stesso tempo velocemente senza scendere dalle sue gambe e di conseguenza, cadendo su di lui, ma non me ne curo. In quel momento mi dimentico di quale creatura soprannaturale egli sia e mi agito cercando di fargli riprendere conoscenza. Compio delle leggere e pesanti pressioni alternate sul suo sterno e poi, tappandogli il naso poso le labbra sulle sue, trasmettendogli la mia stessa aria. Ripeto l’operazione esattamente come l’avevo vista a quel corso di primo soccorso a scuola, quando annoiata guardavo quella donna eseguire alla perfezione la respirazione bocca a bocca. Ripeto e ripeto, più e più volte, senza perdere le speranze, finché non lo sento gemere e reagire alle mie azioni espellendo dalla bocca l’acqua che aveva bevuto. Mi stendo per poco tempo ancora sul suo petto rincuorata. Ma dovevo ancora fare una cosa.
Gli lascio poi un altro breve bacio sulla guancia, per rigettarmi nelle oscure acque gelide che grazie a lui sono riuscita a vincere.
 
 
  
Il sole entra caldo dalle tende e si espande per tutta la stanza, scottando le pareti e il pavimento, mentre due persone sul letto al centro della stanza sembrerebbero dormire. Ma la ragazza non sta dormendo in realtà. Si lascia aggrovigliare dalle gambe e braccia del ragazzo e guardandolo con occhi adoranti, capisce di non avere più scampo: è completamente innamorata di quel groviglio di capelli neri corvini che si ritrova sul ventre. Quelle due persone siamo Damon ed io.
Per l’ennesima volta passo le dita a sfiorare la sua colonna vertebrale, a vagare per le spalle forti del mio amato, a disegnare cerchi astratti sui suoi bicipiti. Sono ore che dorme e non si è ancora risvegliato. La posizione è scomoda ma non mi lamento. Farei di tutto pur di averlo lì, attaccato a me come se fossi l’unica cosa che veramente gli importi. Il suo respiro e le sue mani roventi sono centrate sul mio fianco sinistro, le sue gambe hanno intrappolato le mie, legandosele ai ginocchi. Siamo ancora due amanti che non si sono detti ti amo, che cercano di sfruttare ogni momento a loro concesso dal fato per stare nello stesso spazio, che cercano silenziosamente di godere della vicinanza dell’altro.
Nessuno aveva mai varcato le mie coperte, nessuno si era accucciato lì sotto con me, nemmeno Stefan.
Damon è l’unico.
Lui è l’unico in tutto. Con lui è come se vivessi tutto in prima persona.
Mi muovo leggermente sotto di lui per migliorare la posizione e finalmente si sveglia.
“Ehi.” Lo saluto passando una mano tra i suoi capelli, lisciandoli, mentre un sorriso si dipinge sulle mie labbra. Le tocco con la mano libera ricordando il contatto con le sue che purtroppo non mi ero goduta appieno.
“ehi.” Risponde strofinandosi gli occhi, ancora intorpidito dal sonno, tirandosi su leggermente ma mantenendo i nostri armi inferiori intrecciati.
“Come ti senti?” chiedo premurosa ricordando gli eventi del giorno prima.
“Mi sento… bene.” Risponde con voce incerta. Poi un lampo attraversa i suoi occhi: sta rivivendo l’accaduto.
Lo vedo guardarmi con occhi spalancati. “Tu…”
“Io…”
Mi hai salvato” esclama con voce piena di stupore, mentre riprende il contatto. Vedo i suoi occhi trasformarsi dallo stupore alla meraviglia alla devozione. Dio, quanto amo i suoi occhi. Sono un libro a perto per me.
“Io ti ho salvato…sì.”
“Perché?” chiede con un filo di speranza nella voce. E’ giunto il momento. Prendo un respiro e mi concentro mettendo i capelli dietro ad un orecchio. Sono quasi certa che le mie gote stiano andando a fuoco.
“Io semplicemente dovevo Damon.”
“Sì, ma perché? Cos’eri venuta a dirmi ieri prima del mio attacco di pazzia?” sorrido leggermente alle sue parole, poi mi faccio forza e lo guardo di nuovo. Siamo occhi negli occhi, anima nell’anima, corpo contro corpo. Devo dirgli come tutte queste cose mi fanno sentire.
E finalmente dopo due anni di sentimenti repressi, ci riesco. “L’ho fatto Damon perché tu sei me. Non siamo Damon ed Elena: siamo due anime che si sono concatenate tanto tempo fa e io sono una codarda. Dio solo sa quanto lo sia perché avrei dovuto pronunciare queste parole sin dal principio. Senza farci soffrire a vicenda. Io.. io ti amo, Damon Salvatore. Ti amo da quando le nostre mani si sono incontrate per la prima volta, da quando ho capito che tu guardi con lo sguardo che hai in questo momento soltanto me, da quando mi hai sorriso per la prima volta. Da quando mi hai salvata per la prima volta. Io ti amo.. da sempre. Non posso concepire l’idea di essere separata da te. Di non essere io la donna con cui ti sveglierai ogni mattino per tutta l’eternità. Voglio essere io, sempre. E non mi stuferò mai di te, mio caro senza autostima Damon. Perché io ti amo. Il mio cuore è tuo.” Ovviamente non ho finito, avrei così tanti sentimenti da effondere verso di lui, ma avrei quasi paura che a causa di essi possa scappare a gambe levate.
Ma il concetto più importante gliel’ho trasmesso.
 Io lo amo.
Damon mi guarda ammutolito, stupito, ma anche con quel luccichio che un bambino ha quando si trova davanti ai regali, la mattina di Natale; solo ora mi viene in mente una citazione: Non t’ ama chi amor ti dice, ma t’ama chi ti guarda e tace.
Elena…” pronuncia il mio nome con urgenza affondando le sue mani nei miei capelli, appoggiando la sua fronte alla mia, così emotivo che lo sento carico come una bomba che è in procinto di esplodere.
“…Damon…”
Non ci parliamo più, lasciamo cercare i nostri corpi, le nostre mani, quel che hanno bramato tanto. E dopo un attimo che mi sembra un’eternità le nostre labbra si uniscono, suggellando per sempre i nostri sentimenti. Appoggio una mano sulla sua, invitandolo a continuare perché in questo momento, questa è la cosa che il mio cuore approva. Lo lascio approfondire il bacio dischiudendo le labbra e lasciandolo scivolare sopra di me, senza smettere di baciarmi.
 Come un uomo avido di sete. Come un cieco che vede la luce per la prima volta. Mi sento così in questo momento. Damon interrompe il contatto per un istante e mi guarda con occhi sognanti mentre una lacrima veloce sfugge al suo controllo. “Ti amo Elena. Ti amo così tanto
E tutte le mie paure svaniscono: ora anche lui è con me.
E mi ama.
E, per la prima volta in tutta la mia vita, mi sento felice in un angolo di paradiso.  
 

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