Who We Are

di ilrumoredeipensieri
(/viewuser.php?uid=262693)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'unica stella ***
Capitolo 2: *** Luke ***
Capitolo 3: *** Red's ***
Capitolo 4: *** Qualcuno che non sei ***
Capitolo 5: *** Che ti costa? ***
Capitolo 6: *** Rischiare ***
Capitolo 7: *** Un po' più vicini ***
Capitolo 8: *** Ci sto lavorando ***
Capitolo 9: *** Utopia ***
Capitolo 10: *** Scegliere ***



Capitolo 1
*** L'unica stella ***



Prologo



“Sei la mia unica stella”
Diana sorride, la testa incastrata dell’incavo del collo di James.
Sono nella camera di lui e le coperte che li scaldano profumano di buono, di loro.
James le bacia la testa accarezzando i lunghi capelli chiari, lei sospira appena.
Sono le 16.30 di un giorno qualunque. Oggi ha preso una F in biologia ma a casa non c’è alcun padre pronto a sgridarla. Anche questa mattina sua madre non si è alzata dal letto e Diana, come sempre, si sta chiedendo se sia merito del vino o dei nuovi calmanti o di entrambi.
Si stringe a James, quasi per aggrapparsi a lui. Lui ricambia la stretta, non le chiede spiegazioni e di questo gli è grata.
Percepisce gli occhi chiari di lui sulla propria pelle, le sembra che le irradino un tepore piacevole in tutto il corpo e si sente incredibilmente al sicuro. "Sono la sua unica stella" pensa e riprende a sorridere perchè, nonostante tutto, per lei va bene anche così.
Per James è una stella, allora forse qualcosa di buono in lei e in quello che la circonda deve pur esserci.

 
***

La villa alle sue spalle risuona di musica house e risate di adolescenti ubriachi. 
Diana sa che la casa di Ryan Watts è enorme, arredata con gusto e per quella sera piena di una quantità di alcolici e stupefacenti che, se solo suo padre non fosse un noto e rispettabile avvocato, garantirebbe al ragazzo un biglietto di andata per il carcere minorile.
Non conosce Ryan Watts, non ci ha mai parlato e farlo non è nella lista delle sue priorità. A dirla tutta, non voleva nemmeno andarci a quella festa, lei. I quartieri alti di Londra non fanno per lei e quelle case enormi che sembrano custodi di tanto amore misto ad altrettanta felicità in realtà inesistenti le hanno sempre dato il voltastomaco. Però Sunnie, che è la sua migliore amica o anche l’unica, sa essere sempre maledettamente convincente e testarda quando vuole qualcosa, e quel sabato sera voleva andare alla festa di Watts. Così Diana si era vista costretta a coprirsi - o scoprirsi? - con un vestito carino e un giubbotto in denim, aveva indossato un paio di collant e degli scomodissimi tacchi. Aveva accontentato Sunnie, in fondo è questo che fanno le amiche, giusto?
Ora sono le 00.30 e Diana è fuori dalla villa, sola. Sunnie è da qualche parte all’interno della villa con chissà chi a fare chissà cosa, però a Diana non importa. Fa un freddo cane e ha quasi voglia di piangere, ma si trattiene dal farlo un po' perché non ha il mascara waterproof, un po' - o soprattutto - perchè piangere non le piace.
E non le piace perché crede fermamente di essere forte. Probabilmente è per questo che scansa le attenzioni di Sunnie quando prova a comportarsi da amica e quelle di sua madre che le chiede scusa per essere tutto fuorchè un genitore responsabile.  E' forse per questo che sgattaiola via quando qualcuno le tende gentilmente una mano per aiutarla?
Diana è fatta così, non la cambi e probabilmente nemmeno hai le energie per farlo. In diciassette anni ha imparato a cadere e a fare i conti con le difficoltà del rimettersi in piedi con le sole proprie forze; sfoggia ogni cicatrice – visibile o meno che sia – con orgoglio e affronta le sue giornate a denti stretti ringhiando agli estranei con aria minacciosa. 
Diana si sente forte, ma è forte?
Ci sono sere buie e fredde come quella, nelle quali tutte le sue certezze vacillano, proprio come le sue gambe per via del gelo.
Perchè, in queste sere gelide, Diana vorrebbe solo poter tornare indietro per sostituire ogni cicatrice con un bacio del padre che ha preferito un’altra a sua madre, per sapere cosa si prova a svegliarsi la mattina con anche un solo motivo per sorridere al posto di diecimila per voler gridare.
In sere in cui il gelo attanaglia Londra e soprattutto lei stessa, la ragazza vorrebbe soprattutto che fra i suoi diecimila motivi per gridare non ci fosse anche James. James che la stringe fra le coperte; James che la fa sentire un po' più giusta; James che le accarezza i capelli per farla addormentare; James che però poi la ignora e finisce per baciare Brianna Klein in mezzo alla pista da ballo improvvisata nel salotto di casa Watts. James che, alla fine, si accorge di lei e la guarda appena.
James che non fa nulla per raggiungerla, per riprenderla e tentare di ricostruire quello che lui significava per lei.
James che non è lì a scaldarla mentre lei pensa che se ci fosse farebbe molto meno freddo.
“Sei la mia unica stella”
Cazzate.
Non c'è nulla di buono in me?







 
Questa storia era nata come os ma ho deciso di allungarla perchè credo che questi personaggi se lo meritino.
Non ho molto da dirvi, questo è solo il prologo. In ogni caso abbiamo Diana, la nostra protagonista, e James, che per ora mi pare abbiate capito che è lo stronzo della situa ahahah
Che dire? Ah sì! Secondo i miei piani questa storia conterà non più di dieci capitoli (prologo e epilogo inclusi), volevo solo avvisarvi.
Spero che in qualche modo vi abbia incuriosito e se vi va lasciatemi un parere con una recensione :)
A presto,
Sara

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Luke ***




Capitolo Uno - Luke


 
Diana si siede sui gradini del portico di villa Watts e si stringe le ginocchia al petto. Non sa come tornare a casa, se solo fosse un po’ più lucida e presente a sé stessa potrebbe tentare di raggiungere la fermata della metro più vicina a piedi, ma non lo è.
Valuta l’opzione di chiamare un taxi e fruga nella sua pochette alla ricerca di denaro per pagare il mezzo in questione, scoprendo di avere invece  solo il cellulare - scarico e comunque senza credito – e tre sterline abbandonate sul fondo, le quali non coprono neanche lontanamente  la somma di cui ha bisogno.
Sospira, osserva il proprio respiro condensarsi e si consola con l’idea che, se non altro, nella sua pochette c’è anche un pacchetto di Winston assieme ad un accendino. E’ una consolazione piuttosto magra, ma una delle lezioni che Diana ha appreso dalla vita è che bisogna imparare ad accontentarsi, ad ingoiare la pillola. Estrae una sigaretta e la accende con il gesto esperto di chi dipende da quelle sostanze da anni, inalando nicotina e tabacco furiosamente. Si sente leggermente più rilassata,  percepisce i sensi un po’ offuscati ed è certa che c’entrino anche gli alcolici che ha mandato giù qualche ora prima, ma non le importa.
Si accontenta del freddo che le sta intorpidendo il corpo e della nicotina che le invade i polmoni; ingoia la pillola e prova accettare il fatto che a James non è mai importato nulla di lei, che non era affatto "la sua unica stella" e che probabilmente non era sincero nemmeno nel dirle che, proprio come per lei, i Nirvana sono il suo gruppo preferito.
Ma non riesce a passarci sopra, probabilmente non lo farà mai completamente, e si morde le labbra fino a sentirle sanguinare, pur di non piangere.
E proprio mentre pensa che, in fin dei conti, nessuno dà importanza al mascara colato quando è la persona stessa a crollare e che forse le persone come lei hanno tutto il diritto di piangere, la porta alle sue spalle si apre e sente i passi di qualcuno rimbombare sul pavimento del portico.
Ricaccia indietro le lacrime, tira su con il naso e si accende una seconda sigaretta poi , senza voltarsi, ringhia un “Chiunque tu sia, sappi che se cerchi qualcuno che ti offra una sigaretta qui non lo troverai”
A risponderle sente solo una risata roca. Percepisce qualcuno sedersi accanto a lei, non abbastanza da poterla sfiorare.
“Io non fumo”
Diana non riconosce la voce del ragazzo affianco a lei, ma individua un accento che definisce australiano anche se nei suoi viaggi non si è mai spinta oltre le Highlands.
“Ho paura che mi comprometta la voce ed è l’ultima cosa di cui ho bisogno ora” continua quello.
Diana non ha intenzione di guardarlo, così punta gli occhi verso il cancello della villa e la strada scura di fronte a sé.
Aspira una boccata di fumo e dice: “Non te l’ho chiesto”
Lui ride ancora, forse la trova divertente ma lei sa benissimo di non esserlo né di non esserlo mai stata.
“Se la metti su questo piano, io non ti avevo chiesto nessuna sigaretta, ma tu mi hai comunque aggredito appena hai sentito dei passi, e non sai nemmeno come mi chiamo.”
Diana solleva un angolo della bocca, ha quasi voglia di sorridere.
Touche” risponde semplicemente.
Merci, mademoiselle
Scuote la testa, sistemando una ciocca di capelli chiari dietro un orecchio.
“Risparmiami il francese, ho una media scarsissima sin dal primo anno e non so nemmeno come abbia fatto ad arrivare al terzo.”
“In questo caso, posso anche ammettere che la mia conoscenza del francese si limita a queste tre parole, più ‘amour’ e ‘toilette’”
Diana questa volta sorride sul serio. Pensa che un ragazzo così schietto si meriti almeno un sorriso, no?
“Quando non ringhi sei molto più bella”
Ora Diana è più che convinta che lui quel sorriso se lo meriti del tutto e poi, in fin dei conti, le persone dirette le sono sempre piaciute.
Consuma la sigaretta con un solo tiro, osservando il tabacco e l’involucro bianco bruciare fino al filtro. Quella per lei è sempre la parte migliore, ma non l’ha mai detto a nessuno perché non è una cosa importante e le cose che non sono importanti spesso alla gente non interessano.
Magari, però, per il ragazzo accanto a lei le cose non importanti, i dettagli, hanno valore e Diana decide che ha voglia di scoprilo.
Si gira verso di lui e lo trova intento ad osservarsi la punta delle scarpe. Ha le gambe magre coperte da jeans neri strappati sulle ginocchia, sotto al giubbotto di pelle scura che lo ripara dal freddo di ottobre si riesce ad intravedere una t-shirt con il logo dei Nirvana e Diana, per un attimo, spera che a lui piacciano davvero.
Ha i capelli biondi, la carnagione del viso chiara con l’acne appena evidente, un piercing sotto al labbro inferiore, le mani grandi e le spalle larghe. E’ decisamente un bel ragazzo, pensa, e già le si annoda lo stomaco perché somiglia maledettamente a quel James di cui si è innamorata al secondo anno.
“Assomiglio a lui, vero?”
Lui la sta guardando e lei ha appena notato che ha gli occhi chiari, ma non sa se definirli grigi o azzurri.
“Scusa?” Finge di non aver capito la sua domanda, anche se le è arrivata forte e chiara, quasi come uno schiaffo in pieno viso, l’ ennesimo che la vita le tira e che lei vorrebbe solo che qualcuno curasse con una carezza.
“Assomiglio a quello che ti ha lasciata qua fuori, a quello che ti fa stare così”
Diana abbassa la testa, colta sul segno, abbozzando un sorriso. Questa volta, però, sulle sua labbra non c’è nulla di più della tristezza e del sapore dell’ultima sigaretta.
Pensa a James che ora è il suo motivo numero milleuno per voler gridare e trova la forza di sfogarsi.
Tuttavia non risponde a quella domanda, ma racconta di James che ha diciassette anni da poco più di un mese, odia leggere, gioca a football  e afferma di amare i Nirvana anche se non ha mai citato nemmeno una delle loro canzoni. Gli dice che a James piace il verde solo perché fa risaltare i suoi occhi e la sua carnagione, entrambi chiari, ma che la sua felpa preferita è blu.
Diana descrive anche la fossetta sulla guancia sinistra che appare quando lui ride, parla di come durante i test in classe si scompigli i capelli scuri con le mani per l’ansia, della chitarra che ha in camera ma che non  sa suonare e del pianoforte nel suo salotto che non usa nessuno.
Poi si ricorda di come tutto le sembrasse più caldo e sensato con lui accanto e di quanto con un solo bacio lui sapesse aggiustare tutto, tranne lei. Questo però non lo dice, perché è una cicatrice troppo grande, troppo recente e altrettanto dolorosa. Perché è troppo presto, fa troppo freddo, fa troppo male.
 Quando termina di raccontare, Diana si rende conto di quanto tutto fosse invece sciocco e vuoto, di quanto l’unica ad amare davvero fosse lei, e improvvisamente scoppia a ridere istericamente, forse di sé stessa o forse di James.
“Sono patetica”
“Sei innamorata”
“Sono doppiamente patetica”
“Forse”
Diana ride ma questa volta è un suono vivo e sincero. Guarda il ragazzo che ancora non le ha svelato il proprio nome e  “Sei simpatico” gli dice.
Adesso è lui a sorriderle e sembra quasi imbarazzato mentre ai lati delle guance appaiono i due solchi delle fossette.
“E tu, che conosci i Nirvana, hai dei buoni gusti musicali” risponde lui.
Diana tace, fra loro scende un silenzio religioso che però non sembra mettere a disagio nessuno dei due, forse perché entrambi sanno che in realtà è solo una maschera per il rumore dei loro pensieri.
Avvolta dal buio della notte e dal loro silenzio, Diana sta ancora pensando a James che è senza dubbio il  suo motivo numero milleuno per voler gridare – e forse anche piangere - , eppure si ritrova anche a credere che magari un giorno tutto  andrà meglio e che forse quel “meglio” può cominciare proprio lì, sui gradini di villa Watts, nel bel mezzo di un sabato sera qualunque anche grazie a quel ragazzo che non la conosce ma l’ascolta.
Così, quando qualche minuto più tardi rompe il silenzio con un “No, non gli somigli.”, si sente un po’ più leggera.

 
***

Un’ora e mezza dopo, precisamente alle 2:00, Diana scopre che il ragazzo si chiama Luke Robert Hemmings e che, proprio come le aveva suggerito il suo istinto, è originario di Sydney, in Australia.
Luke ha diciassette anni e ne va orgoglioso, ha anche due fratelli (lui è quello di mezzo, ha precisato) ed una strana passione per i pinguini. Come siano arrivati a parlare di pinguini, Diana non lo sa eppure la cosa le mette tanta allegria e lui l’ha fatta ridere così tanto in quell’ora e mezza che le fa male lo stomaco tanto da dover  accorciare il respiro per poter resistere. Stando a quanto ha affermato, i Nirvana gli piacciono sul serio anzi, sono uno dei suoi gruppi preferiti ed è più che convinto che “You Know You Are Right” sia un capolavoro. Quando lui, con gli occhi luminosi, le ha confessato questo suo parere, Diana non ha potuto che sorridere perché quella canzone è una delle sue preferite.
La più grande passione di Luke è la musica e infatti fa parte di una band, i 5 Seconds Of Summer, nella quale canta e suona la chitarra. Si trova a Londra assieme ai suoi amici Ashton, Calum e Micheal  per via di un possibile contratto con una casa discografica e la cosa lo entusiasma parecchio, Diana l’ha notato vedendo come gli brillano gli occhi quando ne parla.  Non ha nemmeno faticato a comprendere che il sogno di Luke è fare musica e che vuole con tutto sé stesso che questo si realizzi. Ed è per questa ragione che si tiene alla larga dalle cose che potrebbero ostacolarlo, una su tutte il fumo.
La ragazza lo ha ascoltato parlare senza interromperlo, incantata dalla gioia che permeava ogni sua storia come lo sarebbe un bambino nel vedere un giocattolo che desidera ma che non può avere. Luke ha una vita felice, piena di soddisfazioni che Diana, nonostante lo conosca appena, crede meriti totalmente ed è così palesemente diversa da quella che lei affronta tutti i giorni che ci sono stati momenti in cui avrebbe voluto chiedergli di zittirsi, di smetterla di descrivere cose e sensazioni che nessuno le ha mai fatto conoscere, di smetterla di farle desiderare qualcosa che non ha mai ricevuto.
Ovviamente lui questo non lo sa né può saperlo, Diana non gliene ha dato modo.
Si è presentata come Diana Flaming, ha detto di dover compiere diciassette anni a dicembre, di essere figlia unica e di non avere strane passioni per animali dell’artico o esotici, anche se ha ammesso che i ghepardi l’hanno sempre affascinata. Non ha aggiunto altro e Luke non ha chiesto di più. Niente particolari sulla sua famiglia, niente divertenti aneddoti sulla sua prima volta con una bici senza rotelle, niente storie sul suo primo giorno d’asilo o delle elementari che fossero. Nulla.
E un po’ gli è grata, un po’ ne è risentita. Non ha fatto domande perché non gli importa, proprio come James? Non ha  chiesto nulla perché per lui tutto ciò non è importante o perché lei non é importante?
Diana è spaventata dalla risposta che potrebbe ricevere se mai dovesse chiedergli una cosa simile, ma allo stesso tempo si sente incredibilmente stupida perché Luke resta comunque uno sconosciuto e paranoie del genere verso uno sconosciuto sono sciocche, no?
Perciò è segretamente riconoscente a Sunnie quando la vede uscire dalla porta di casa Watts aggiustandosi l’abito attillato per venirle incontro, blaterando riguardo un certo William Stone che bacia da schifo ma ha un lato b da lode.
Sunnie dà un’occhiata veloce a Luke, poi scuote appena la testa, decidendo che qualunque cosa sia successa in sua assenza non la riguarda. Sistemandosi i capelli scuri, prende Diana sotto braccio facendola alzare dai gradini del portico e con lei si avvia verso il cancello, sculettando sui suoi tacchi dodici.
Diana si lascia trascinare dall’amica, in preda ad una totale confusione della quale vuole incolpare gli alcolici che ha bevuto e le sigarette che ha fumato con foga.
Non saluta Luke né lo sente salutarla.
Eppure poi, quando la villa degli Watts è ormai lontana e la metro dondola sotto i suoi tacchi scomodi, si morde le labbra chiedendosi da chi o meglio da cosa sia fuggita a gambe levate e spera che quel mancato saluto non sia sinonimo di un addio.







 
Ciao a tutte :)
Allora, che ve ne pare? Ecco che Diana viene caratterizzata un po' meglio (anche grazie alla foto che ho usato come """banner"""), mentre finalmente appare il nostro Luke che qui, vi avviso già, corrisponderà con la mia idea di Luke, che scoprirete leggendo i capitoli. C'è anche una descrizione di James come avrete notato, fatta dal punto di vista di Diana prevalentemente. E poi Sunnie che io adoro perchè è una svampita colossale. 
In questo capitolo Luke e Diana si incontrano per caso, in un modo particolare e legano velocemente, ma lei ha appena chiuso (?????) con James e quindi è decisamente confusa riguardo ogni singola parola o gesto.
E niente, ora tocca a voi dirmi che ne pensate, le vostre opinioni in merito alla storia (positive o negative che siano), e soprattutto le supposizioni su ciò che ci sarà in seguito. Spero davvero di poter leggere qualche vostra recensione, mi piacerebbe davvero tanto.
Al prossimo capitolo,
Sara.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Red's ***


                                                   

Capitolo Due - Red's 

Il Red’s è un locale piuttosto grande, molto accogliente, pulito e giovanile. L’arredamento è moderno con lampadari, tavoli e sedie sui toni del rosso per rimanere in tema con il nome, mentre le pareti sono abbellite da svariati graffiti. A Luke quel posto piace, lo fa sentire a proprio agio.
Il palco su cui lui e le sua band si esibiranno a breve non è enorme, ma per un gruppo emergente la dimensione del palco è l’ultimo dei problemi.  Gli strumenti sono già stati messi al loro posto, la batteria di Ash con il loro logo è al centro del palco ma alle spalle delle chitarre di Luke, Mike e Calum, posizionate poco più avanti vicino ai microfoni.
Luke è emozionato, molto. Indossa i suoi jeans preferiti, ha in tasca il suo plettro portafortuna e una discreta quantità di gel ultraresistente tiene i suoi capelli biondo cenere perfettamente tirati in un ciuffo all’insù, comunque spettinato a regola d’arte.
Sono le 19.50 di un sabato sera di ottobre, a Londra piove incessantemente da due ore buone ed è proprio per questo che Ashton, seduto accanto a Luke sul parquet, è piuttosto nervoso.
“Ma è mai possibile che in questa città debba piovere sempre? E soprattutto, era proprio necessario che il diluvio universale si scatenasse oggi? Dio se mi manca l’Australia!”
Luke sbuffa e reprime l’istinto di scoppiare a ridere: ci sono momenti in cui Ash risulta più lagnoso e teatrale di una tredicenne frignona. Calum e Micheal, in piedi a chiacchierare poco più in là, ridacchiano appena.  Scene simili sono all’ordine del giorno nel loro piccolo universo.
“Ash, amico, rilassati!” – risponde Luke poco dopo – La pioggia non impedirà a Mr Taylor di venirci a sentire. E poi, lui è Londinese da cinque generazioni, stando a quanto dice, quindi è più che abituato ad un clima simile. Stai pur certo che per lui quello che tu definisci ‘diluvio universale’ è una pioggerella leggera.”
Ashton osserva Luke, soppesando le sue parole e sembra lasciarsi convincere. Poi  scuote la testa ricciuta e mormora: “Mmh… Vedremo”, prendendo poi a picchiettare sul pavimento con le bacchette da batterista.
Luke fa spallucce, ormai conosce Ashton da anni e nessuno meglio di lui è in grado tenere a bada il suo pessimismo cronico che lo contraddistingue. D’altra parte, però, lo capisce: sa quanto lui speri in questo possibile contratto e soprattutto è consapevole di quanto rimarrebbe deluso se non riuscissero ad ottenerlo.
Luke non si è posto il problema, invece. Mr Taylor, al loro colloquio, aveva l’aria di chi si ritrova fra le mani una pietra grezza dalla quale, con le giuste manipolazioni, si può ottenere un gioiello e non ha la minima intenzione di lasciarselo sfuggire. Perciò Luke è fiducioso, ottimista fino al midollo. Freme dalla voglia di uscire dalle quinte e fiondarsi sul palco, salutare il pubblico e poi suonare la sua musica, cantare le sue canzoni. Vuole sentirsi più forte che mai accarezzando le corde della sua chitarra elettrica e stringendo il microfono fra le mani. Vuole andare incontro al suo sogno più grande a testa alta, per dimostrare che c’è qualcosa in cui può brillare, brillare di luce propria, e abbagliare chiunque.
“Sono le 20.00, ragazzi.” constata l’addetto a luci e suoni.
Luke annuisce all’uomo, capendo al volo il significato di quella semplice affermazione. Sorride radioso e fa cenno agli amici di seguirlo oltre le quinte, verso palco.
Cammina a testa alta fino a quello che sa essere il suo microfono. Sente lo sgabello di Ash strisciare sul pavimento e i jack degli amplificatori di Cal e Mike stridere leggermente. Si inumidisce le labbra, si schiarisce la voce e percepisce nitidamente le gambe che ora, anche se impercettibilmente, tremano. Prende un respiro profondo, poi sorride ai clienti del locale e con lo sguardo cerca la testa calva e la barba curata di Mr Taylor, che però non riesce ad individuare. Non ha importanza.
Continua a sorridere, inebriato dalla sensazione di aspettativa che percepisce nell’aria e negli occhi del pubblico e dice: “Buonasera a tutti, siamo i 5 Seconds Of Summer. La canzone che stiamo per cantarvi si chiama Gotta Get Out. Speriamo possa piacervi”
Si va in scena.
***

“Cristo, Sun, non avevi detto che il meteo di oggi dava precipitazioni scarse?” bercia Diana tirandosi il cappuccio della felpa sulla testa per ripararsi dalla pioggia battente.
“Te lo giuro, D, l’ho letto stamattina e diceva proprio quello!” risponde Sunnie, piagnucolando per i capelli completamente bagnati.
Si trovano nei pressi di Piccadilly Circus, stanno correrendo senza una meta precisa da dieci minuti buoni sotto una pioggia che non accenna a placarsi e dalla quale non possono ripararsi perché nessuna delle due ha avuto la geniale idea di portare un ombrello. Qualche ora prima erano uscite per un giro nei negozi di Oxford Street che si è poi rivelato, con grande disappunto da parte di entrambe, un fiasco totale.
Diana sbuffa. Nonostante abiti a Londra da sedici anni e qualcosa in più, se c’è una cosa che proprio non l’è mai andata a genio della città, quella è il clima uggioso e piovoso. Impreca mentre con le sue Vans blu incappa in una pozzanghera, inzuppandosi i piedi e buona parte dei polpacci. Ha una gran voglia di prendere a schiaffi Sunnie per la sua sbadataggine perché, da che mondo è mondo, chiunque è in grado di leggere delle previsioni meteo ma si trattiene: evidentemente Samantha “Sunnie” Light è l’eccezione che conferma la regola. Che poi, volendo essere realisti, Sunnie è sempre l’eccezione che conferma la regola.
“D, che ne dici di entrare da qualche parte, tipo un bar o un pub, e aspettare che questo cazzo di diluvio si calmi per poter tornare a casa senza rischiare di prenderci una polmonite?” esclama all’improvviso Sunnie.
Diana per un attimo si chiede perché un’idea simile non sia venuta a lei, poi scuote la testa e “Andiamo ovunque, Sun, basta che ci sia un cazzo di termosifone e soprattutto un bagno” dice.
Accelerando il passo e guardandosi intorno con aria disperata, cercano un locale che faccia al caso loro. Riparandosi la testa con le borse semivuote, imboccano una via laterale ed ecco che, poco lontano, notano una grande insegna rossa che recita la scritta “Red’s” . Così, fra un sospiro di soddisfazione e un’imprecazione contro il maltempo, le due ragazze si avviano verso l’insegna e varcano la soglia del locale stringendosi nei cappotti fradici.

 
***

Diana si chiede come mai né lei né Sunnie sapessero dell’esistenza del Red’s. Il locale risponde esattamente a tutte le loro esigenze in fatto di estetica degli interni e cordialità nonchè bellezza dei camerieri. Appena entrate si sono dirette in bagno per asciugarsi con quelli che Sunnie definisce “piccoli phon per le mani”, con il risultato che ora i capelli della suddetta sembrano pagliericcio scuro e quelli di Diana degli orribili spaghetti biondi. Ma tutto ciò non ha importanza perché il Red’s è davvero un posto carino e entrambe sono convinte che ci torneranno di sicuro: Sunnie perché il cameriere che ha appena servito una birra a ciascuna – Brad o Brody, Diana non ha fatto caso al cartellino con il nome – è davvero ma davvero un bel ragazzo, Diana perché si è letteralmente innamorata della canzone che il gruppo live della serata sta suonando.
Dal piccolo tavolo in angolo al quale si sono posizionate non si riesce a scorgere nitidamente il palco, ma la ragazza è nettamente convinta di conoscere la voce di uno dei cantanti solisti, solo che non ricorda a chi appartenga. Così si limita a strizzare gli occhi verso il palco per distinguere qualcosa, a muovere la testa a ritmo della batteria e ad apprezzare sempre più quella band sconosciuta con la sua canzone inedita.


I feel so damn lost
And it comes with the cost of being alone
Everything is falling down
We're suffering, helpless thoughts and
Out we sing, prayers go to the sky


Mentre ascolta le si stringe il cuore perchè per un attimo, anche se è inverosimile, sembra che quei versi  siano stati scritti per lei che finge di non essersi ancora arresa, per il suo continuo perdere e sentirsi persa, per la solitudine che l’accompagna e per tutte le preghiere che invia ad un Dio in cui non crede davvero tramite canzoni in cui ripone tutta sè stessa.
Poi, fra un accordo di una chitarra elettrica perfettamente accordata e un colpo sul rullante della batteria, Diana si ricorda – come se fosse riuscita a scordarlo - della festa a casa Watts, delle lacrime per James, delle sigarette fumate con foga e di un ragazzo alto e biondo, seduto accanto a lei sui gradini del portico della villa.
“Una di queste sere, se capiti dalle parti di Piccadilly, passa al Red’s. Io e i ragazzi suoniamo lì.”  le aveva detto Luke alzando le spalle come se sapesse che lei non lo avrebbe mai fatto volontariamente, come se non fosse importante.
Ed è  solo allora che Diana riconosce la voce del solista, la voce di Luke, e ne percepisce l’accento australiano.
Ed è solo allora che le si stringe lo stomaco e ogni fibra del suo corpo le grida di fuggire.
Perché è proprio in quel momento che realizza che sì, le era mancato sentirlo. 





 
Lo so, il capitolo è esageratamente lungo e questo è un orario di merda per aggiornare ma l'ispirazione mi è venuta tipo ora quindi eccomi qua.
Pensavo di aver fatto un lavoro migliore onestamente, ma amen.
Eccoci all'inizio dell'incontro numero due, abbiamo una Diana un po' incasinata e un Luke fiducioso al 100% che pare (????) non pensare ad altro che alla carriera. 
Anyway, che ne pensate dei personaggi in generale? Ho introdotto Ashton e Sunnie (io li amo ve lo giuro, Sunnie poi è un casino che non avete idea) e niente, spero che vi siano piaciuti, soprattutto Ash in versione pessimista che è totalmente l'opposto dell'Ash reale.
Fatemi sapere che ne pensate, ci terrei tantissimo a conoscere la vostra opinione e ancora di più sentire le vostre supposizioni sul futuro dei personaggi. Non esitate a fare critiche, apprezzo anche quelle perchè mi aiutano a migliorare :)
A presto,
Sara. 
p.s. per qualsiasi contatto tipo twitter/tumblr, andate sulla mia pagina autrice e troverete tutti i link lì :)

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Qualcuno che non sei ***





Capitolo 3
Qualcuno che non sei


L’addetto alla cassa digita velocemente le bevande acquistate dalle ragazze e porge loro lo scontrino e “Sono 5 £ in totale” dice.
“Ecco a te!” risponde Sunnie, allungandogli il denaro.
“Grazie e tornate a trovarci!”
Sunnie ridacchia e gli sorride civettuola prima di allontanarsi, Diana non può fare a meno di scuotere la testa davanti a tanto.
“Non cambierai mai!” l’apostrofa, quando ormai sono di fronte all’uscita.
“Dai, era carinissimo” si scusa l’altra.
“Come era carino Matt Miller o Tyler Parks o il ragazzo fuori Top Shop, quello alla fermata della metro, quello che abita di fronte casa tua e, oh, non dimentichiamoci il cugino di Kim!” elenca Diana, trattenendo le risate mentre apre la porta.
Sente Sunnie sbuffare, si gira per farle l’occhiolino e sbadatamente, urta il cliente appena entrato e intento a levarsi il trench bagnato.
“Mi scusi tanto” esclama imbarazzata
“Oh non fa nul… Samantha?” L’uomo osserva Sunnie e le sorride.
Sunnie sembra riconoscerlo e infatti, poco dopo, lo saluta con uno scocciato “Ciao, Philip.”
Diana è piuttosto confusa, guarda l’amica con aria interrogativa in cerca di spiegazioni.  E' un uomo piuttosto attraente, forse sulla mezza età, con il capo calvo e gli occhi scuri. Indossa abiti dall'aria costosa e nel taschino della sua giacca c'è una penna che Diana crede possa costare almeno la metà del sussidio che sua madre riceve mensilmente dallo stato. Sommando il tutto, non 
ha idea di chi sia Philip, nè del perchè conosca Sunnie così bene da potersi permettere di chiamarla con il suo nome di battesimo.
“Oh già – Sunnie intercetta la domanda negli occhi dell'amica – Diana, ti presento Philip, il nuovo compagno di mia madre. Philip, lei è Diana.”
“Piacere di conoscerti, Diana.” – Philip le sorride cordiale e tende una mano che la ragazza stringe risolutamente -  “Samantha, ti ho detto che preferirei mi chiamassi Phil. Io e tua madre ci frequentiamo da ormai due mesi, ergo io e te siamo abbastanza in confidenza perché tu possa chiamarmi così.”
“Come ti pare, Phil.” sbuffa Sunnie.
Agli occhi di Diana, Philip sembra un po’ deluso dagli atteggiamenti di Sunnie, eppure non si arrende: ci tiene davvero ad allacciare un rapporto sincero con Sunnie. 
L’uomo si passa una mano sulla nuca rasata, poi con la voce dal forte accento inglese dice: “Ragazze, non è il caso che andiate a bighellonare da sole per la città a quest’ora. Siete fradice, immagino abbiate dimenticato gli ombrelli, rischiate di ammalarvi. Sarà meglio che vi fermiate qui con me, vi offro la cena e vi riaccompagno a casa. Prima devo solo sbrigare una faccenda di… uhm… lavoro.”
Sunnie spalanca gli occhi, sembra quasi offesa. “Noi ce ne stavamo andando, Philip… Phil.”
“Capisco ma, ripeto, non è il caso che usciate. Inoltre tua madre non me lo perdonerebbe se venisse a saperlo, Samantha, e sono più che certa che non la passeresti liscia nemmeno tu, conoscendola.”
Diana spera ardentemente che Sunnie trovi una scappatoia, che si intestardisca e decida di andarsene sfidando Philip e soprattutto quella donna iperprotettiva, paranoica e rigida che si ritrova come madre. Vuole andarsene ora più che mai, perché la musica live non pervade più le pareti del Red’s e lei ha capito che se la band ha terminato l’esibizione, Luke è da qualche parte fra le stesse quattro mura nella quali Diana si sente ora più che mai rinchiusa.
Perciò, quando vede la sua amica incassare la testa fra le spalle quasi avesse preso un pugno, annuire verso Philip e seguirlo al tavolo indicato dal cameriere, ha quasi voglia di urlare.
***

Diana e Sunnie sono sedute al tavolo di Philip Taylor da cinque minuti e ventisette secondi.
Ventotto.
Ventinove.
Trenta.
Il loro ospite sta raccontando aneddoti secondo lui divertentissimi sulla propria vita con Queen, la madre di Sunnie.
Nessuna delle due gli presta molta attenzione, comunque. Diana conta i minuti che sono passati da  quando ha ordinato il suo club sandwich mentre Samantha si chiede che cosa ci trovi sua madre in un tipo che usa parole come ‘ergo’ e ‘bighellonare’ in una comune conversazione con due adolescenti.
Inutile dire che entrambe vorrebbero potersene andare il prima possibile, ma Philip ha detto loro che deve prima risolvere quell’impegno di lavoro al quale ha accennato prima. Di cosa si occupi Philip, Diana non lo sa. Ad essere onesta, non sapeva nemmeno dell’esistenza di un Philip nella vita della sua migliore amica, ma non ci ha fatto troppo caso.
Si chiede chi sia il maleducato che ritarda così sfacciatamente ad un incontro di lavoro e non fa in tempo ad elaborare ipotesi che sente la sedia di Phil grattare sul pavimento mentre quello si alza per andare in contro a…
Non può essere.
Philip Taylor stringe la mano a Luke Hemmings e gli sorride con quel sorriso gentile che poco prima ha rivolto a lei. Pare che si stia scusando per qualcosa, Luke scuote la testa e sembra dire che non ha importanza. Ma Philip insiste, è rammaricato e indica il tavolo a cui sono sedute le ragazze.
Diana percepisce il sangue gelarlesi nelle vene e mentre il cameriere le posa davanti la sua ordinazione, lei è più che convinta che quello sarà il club sandwich più indigesto della sua vita.
Si ostina a fissare il panino di fronte a sé mentre Phil torna al tavolo con quattro nuovi commensali e non alza gli occhi da esso fino a quando l’uomo non annuncia che stanno per cenare con quelli che secondo lui arriveranno ad successo tale da poter competere con i celebri One Direction in quanto a fan.
Sente quelle semplici parole e non può fare a meno di guardare Luke. Sa già quello che vedrà, è certa che lo troverà a sorridere, radioso, e che i suoi occhi brilleranno di quella luce che li illuminava quella sera.
 Sa che quello è il suo sogno e Philip Taylor, che a quanto pare è il manager di una casa discografica, è il suo trampolino di lancio per raggiungerlo. Diana solleva gli occhi per osservarlo di sottecchi e il cuore le si stringe nello scoprire che Luke, Luke che viene dall’Australia e che sta inseguendo il suo sogno, non sta affatto prestando attenzione a Philip.
Luke non sta seguendo le parole del manager perché sta guardando lei con gli occhi increduli e un sorriso sghembo sulle labbra . Diana stringe i pugni nascosti sotto al tavolo e distoglie immediatamente lo sguardo.
Vuole fuggire.
“Questa sera s
ono venuto in questo locale per assistere alla loro performance, ma il maltempo unito al traffico intenso mi ha rallentato. In ogni caso, la mia presenza all'esibizione era pura formalità, la nostra etichetta ha messo gli occhi su di loro da tempo. Perciò Samantha, Diana, vi presento i 5 Seconds Of Summer, nuovo acquisto della nostra casa discografica!”  - Philip sorride entusiasta e continua – “ Suppongo che le presentazioni spettino a voi, ragazzi.”
I 5 Seconds Of Summer si guardano fra loro a metà fra l'imbarazzato e l'euforico perchè, insomma, ce l'hanno fatta!
Il più euforico sembra essere Calum, un ragazzo dai tratti asiatici che, in realtà, di asiatico non ha proprio nulla. A lui segue Ashton, occhi verdi e capelli ricci, che si presenta come il batterista e che, alla battute di Calum, risponde con risata incredibilmente acuta per essere un ragazzo. Sunnie non ha occhi che per lui e mentre lo ascolta parlare sembra una bambina di fronte alla vetrina del negozio di dolciumi ed è disgustosamente sfacciata nel fargli gli occhi dolci nonostante il suo quasipatrigno sia proprio a pochi passi da lei.
Micheal prende la parola dopo Ashton. Fa parte dei tre fondatori originari della band insieme a Luke e Calum e, fra una patatina fritta e l'altra, spiega che questo mese ha deciso di tingersi i capelli di rosa confetto, ma ha intenzione di passare al bianco entro pochi giorni. Mike ha un espressione amichevole sul viso e una sconfinata passione per i Pokémo.  A Diana sembra un ragazzo genuino e tutto sommato, pensa che lo siano tutti e quattro.
Micheal termina di parlare in favore del bicchiere di Coca Cola proprio di fronte a lui. E' il turno di Luke, Diana lo sa.
“Io mi chiamo Luke, diciassette anni, sono il chitarrista e la voce principale.” dice semplicemente. Non dice nulla di più e sembra quasi che la sua presentazione sia fatta e finita, la sua vita racchiusa in poche parole e il suo interesse per la conversazione morto con quella frase.
Ma poi si riscuote e “ Io e te ci conosciamo già.” dice, e Diana sa per certo che la sta guardando e che è a lei che si sta rivolgendo.
Stringe i pugni ancora più forte e sente le unghie conficcarsi nella carne dei palmi.
“Devi avermi scambiata per qualcun altro.” risponde e sorride gentile, come farebbe con un turista che le chiede dove si trova la fermata della metro o un anziano che le domanda l’ora. 
E Diana lo sa, lo sa che tutto ciò è meschino, sbagliato e ingiusto, ma continua la sua messa in scena. In fondo, così è più facile, scappare è più facile. Perchè non è pronta, perchè è troppo presto, perchè ha paura e perchè fa ancora troppo freddo. 
Luke aggrotta le sopracciglia, non riesce a capisce perché lui ricorda tutto, ricorda loro e ricorda lei.
Lui non capisce e Diana pensa che se non capisce ora, non capirà mai.
Voglio fuggire. Mi tieni?
Il ragazzo scrolla le spalle. Abbozza un sorriso, ma Diana ha visto i suoi occhi spegnersi.
“Hai ragione, ti ho scambiata per qualcuno che non sei.” 




 

Scusatemi l'atroce ritardo, ma l'ispirazione era sottozero e non mi andava di pubblicare tanto per farlo.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto nonostante tutto. Sono stati introdotti e caratterizzati meglio nuovi personaggi come Phil, o i restanti membri dei 5SOS.
Di loro che pensate? E di Diana e Luke? Perchè queste reazioni, perchè si disconoscono a vicenda?
Spero che abbiate voglia di dirmi quello che pensate recensendo. Ci tengo tantissimo, inutile che ve lo dica.
Ringrazio comunque chiunque si sia fermato a leggere, chi ha recensito precedentemente e chi ha aggiunto la storia alle seguite/preferite. 
Grazie mille, siete dei tesori.
Alla prossima,
Sara.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Che ti costa? ***





CAPITOLO 4 - Che ti costa?

 Alle 22.00 Diana gira le proprie chiavi nella toppa del portone di casa ed espira profondamente mentre se lo chiude alle spalle.
Sente l’auto di Philip e Sunnie, che l’hanno gentilmente riaccompagnata a casa, ripartire sulla strada sgombra. Trascina le Vans logore lungo il corridoio, per le scale e poi verso camera propria. Sua madre sta già dormendo, in casa Flaming non regnano altro che il buio e il silenzio ma, a pensarci bene, è sempre stato così sin da quando Diana ha memoria.
Accende la lampada posta sul comodino, getta la borsa in un angolo della stanza e si siede sul letto. Le tremano le mani e ha freddo ma la colpa non è dell’umido della pioggia presa.
“Ti ho scambiato per qualcuno che non sei”
Che cosa si aspettava, in fondo? E’ stata lei a chiederglielo, lei a disconoscerlo per prima. Luke ha semplicemente seguito le regole di quel gioco stupido che lei ha messo in piedi per proteggersi: non può biasimarlo.
Ma quello sguardo...
Nel buio, trema, chiude gli occhi e pensa che in ogni caso è meglio così.
Per entrambi.

 
***
 
Luke si sveglia con la risata squillante di Ash a riempirgli le orecchie. Si stropiccia un occhio con una mano e allunga l’altra verso il cellulare, sul comodino. Sono le 11.30 e i restanti tre membri dei 5 Seconds Of Summer sono già svegli da un’ora abbondante, contrariamente ai loro standard.
Ancora assonnato, abbandona il letto e trascinandosi per il corridoio raggiunge la cucina.
“Buongiorno raggio di sole!” lo saluta Mike. Luke, in risposta, gli fa un cenno con la mano.
“Siamo attivi, questa mattina” esclama Calum ridendo.
Il biondo mugola quello che potrebbe essere un poco educato “Taci, idiota” e Ash, divertito, aggiunge “attivo e di poche parole, direi!”
I tre ridono ancora, Luke si chiede dove trovino tutta quell’energia di prima mattina ma li ignora e, sedendosi al tavolo della cucina, si serve un paio di pancakes e del caffè.
Ashton si siede accanto a lui, gli appoggia una mano sulla spalla. 
“Oggi pomeriggio registriamo i demo”
Luke rischia quasi di soffocarsi con un boccone di pancake.
“Cosa?” è la sua prima parola del giorno.
“Già – continua Ash – Phil ha chiamato Mike stamattina presto per avvisarci. Erano le nove, vero Mikey?”
“Le nove – conferma quello – Che poi, chi diavolo è già in piedi alle nove?”
Alle orecchie di Luke, sembra tutto uno scherzo. O un sogno.
E non si è mai sentito tanto felice.

 
***

Da: Sunnie
Hai da fare per oggi alle 18? Se no, ritieniti prenotata. Se sì, cancella i tuoi impegni.

Diana, appena sveglia e ancora fra le coperte del suo letto, osserva il cellulare con un occhio chiuso e uno semi aperto, abbagliata dalla luminosità dello schermo.
Si è appena svegliata, non ha idea di che ore siano ma la cosa non le influenza minimamente. Del resto, è domenica.

A: Sunnie
Che hai in mente?

Da: Sunnie
Sorpresa, passo da te alle 17.30

A: Sunnie
Non mi piacciono le sorprese

Da: Sunnie
Viva la vita


Diana sorride.
E sorpresa sia.
***
 
Alle 17.45, Diana e Sunnie sono stipate in un vagone sovraffollato della metro, direzione Oxford Circus. Sunnie non ha svelato assolutamente nulla della sua sorpresa e Diana non può fare a meno di essere – almeno un po’ - preoccupata.
La ragazza è un tornado, un concentrato di vitalità e ottimismo, ma è anche alquanto eccentrica e i suoi piani, molto spesso, si rivelano assurdi, opposti ai gusti di Diana che, in silenzio, prega che questa “sorpresa” possa essere l’eccezione che conferma la regola…
… E realizza che le sue richieste non sono state accettate quando, all’uscita dalla metro, i suoi occhi cadono sull’insegna della ‘UK Records’.
“No!”
Si ferma di scatto e un pendolare, dietro di lei, la urta ma prosegue il proprio tragitto come se nulla fosse.
“Sun, dimmi che non stiamo andando nello studio di Philip!” esclama, frustrata.
Sunnie, colta sul fallo, abbozza un sorriso di scuse e “Non stiamo andando nel suo ufficio, in effetti” spiega.
Diana ora è nervosa, percepisce le mani tremare e vorrebbe che le sue sigarette e la sua paghetta non fossero finite due sere prima. Guarda Sunnie puntando gli occhi chiari nei suoi, in attesa di chiarimenti.
“Ecco – la mora si morde un labbro, in cerca delle parole adatte – Philip potrebbe avermi chiesto di fare da guida turistica ai ragazzi dato che è la loro prima volta a Londra e tutto il resto e potrebbe avermi chiesto di far venire anche te perché ‘sono pur sempre quattro ragazzi e con i tempi che corrono non si sa mai’ e io potrei aver accettato senza chiederti il permesso e ora noi potremmo essere quasi in ritardo mentre i 5 Seconds of Summer ci aspettano nella hall di quell’edificio proprio alle mie spalle, dall’altra parte della strada” Segue un mormorio confuso che potrebbe essere un “midispiacechiedoscusahosbagliato” ma che alle orecchie di Diana arriva sotto forma di ‘nonsonopentitaperchèAshtonècarino’.
“Non esiste, io me ne vado” dice Diana, risoluta.
“Per favore D, non ti chiedo mai nulla! Che ti costa? Sono simpatici” implora l’altra.
Se non fosse sull’orlo di una crisi di nervi, ora Diana scoppierebbe a ridere. Di fatto, che le costa?  Dimenticare il passato e il dolore e James. 
Mettere da parte la paura e giocare. Provarci. Vederlo, vedere Luke. Parlargli. Spiegarsi. Ricominciare.
Costa.
Costa tanto
Troppo?
Stringe i pugni. E’ tutto talmente ridicolo, talmente orribile da farle girare la testa e pensare che qualcuno lassù si diverta a giocare con la sua vita ed è come se il tempo per riposarsi non potesse esserci.
Vaffanculo, vaffanculo, vaffanculo, pensa.
Guarda Sunnie che ora tace e la supplica con gli occhi nocciola.
"Che ti costa?"
"Sono forte."
Trema.
“Io con loro non parlo e tu mi devi almeno un pacchetto di sigarette”  
Sunnie emette un gridolino di gioia e sorride raggiante. Abbraccia Diana di slancio, poi fruga nella borsa ed estrae un pacchetto di Camel, appena comprato.
“Non saranno le tue preferite, ma te le meriti tutte” dice, allungando le sigarette all’amica che sorride appena.
Ma le sfugge il tremore delle mani di Diana mentre accende la prima sigaretta o il suo strisciare i piedi sull’asfalto mentre raggiungono insieme la UK Records.
Che ti costa?
Troppo.
Sono forte.










HI, IT'S ME.
Non vi chiedo di perdonare il ritardo perchè sarebbe troppo. Però vi dico che mi dispiace avervi fatto aspettare, e poi pubblicare questa roba penosa che non merita il nome di capitolo. Scusatemi, ci ho provato e questo è il mio massimo. E' comunque un capitolo di passaggio, noioso ma necessario. Vediamo tutti i personaggi, ma la cosa si incentra su Diana as usual. E... che dire? Spero che malgrado tutto vorrete lasciarmi una recensione per farmi sapere che ne pensate, cosa prevedete per il futuro della storia e dei personaggi.
Ringrazio comunque chi legge silenziosamente, chi ha inserito fra ricordati/seguite/preferite la storia e chi ha recensito i capitoli precendenti e ha intenzione di recensire questo. 
Tanti baci e a presto (che sarà un vero presto dato che è praticamente finita la scuola),
Sara.



 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Rischiare ***


  

Capitolo 5 - Rischiare
 
Sunnie spinge la porta a vetri della UK Records e fa il suo ingresso nell’edificio ancheggiando come suo solito. Nemmeno avesse un radar, individua immediatamente Ashton Irwin, seduto su uno dei divanetti in pelle della hall, semplicemente vedendone i ricci chiari e la bandana colorata annodata fra di essi. Se Diana non fosse rimasta fuori dall’edificio a terminare la sua sigaretta le avrebbe sicuramente dato della patetica, ma poco importa. Raggiunge lui – e i suoi tre amici lì accanto - con pochi passi leggeri e “Ciao ragazzi!” saluta allegramente.
I 5 Seconds Of Summer, nella loro ordinaria tenuta di jeans scuri attillati e magliette punk rock, sono impegnati nello scrutare gli schermi dei loro telefonini  e ma, al suono della sua voce, sollevano all'unisono gli sguardi per esordire con un molto educato “Ciao Samantha!” al quale lei risponde prontamente con un’occhiataccia e un “Sunnie, solo Sunnie”. 
Quando il gruppetto esce dall’edificio, Diana sta terminando la sigaretta. Sunnie le fa cenno di avvicinarsi mentre i quattro ragazzi sono distratti dal via vai dei taxi neri e dei classici autobus rossi a due piani. Getta con noncuranza quello che ormai è solo il filtro della sigaretta e li raggiunge con pochi passi forzatamente decisi.
Il primo a vederla è Calum che le rivolge un sorriso aperto e gentile. “Diana! Anche tu qui?” domanda poi.
La ragazza sfoggia un mezzo sorriso, non proprio entusiasta.
“Pare di sì, sono stata ingaggiata come guida turistica per un giorno. O meglio, qualche ora.”
 Micheal, in piedi accanto a Calum, sembra euforico all'idea di fare il turista. 

“Magnifico! Più si è meglio è, no?”
“Come no.”
Luke.
E a Diana sembra di aver appena ricevuto un pugno nello stomaco. Finge di non aver sentito, ma non può ignorare la sensazione di gelo sulla pelle e fuoco sulle guance.
Paura. Imbarazzo.
Vede Michael e Ashton scoccare uno sguardo di disapprovazione verso Luke, ma è solo un attimo. Lo sanno? Lui ha parlato di lei, della festa?
“Allora, – Ashton prende in mano la situazione, rompendo il silenzio – la prima tappa?”
“ L’ombelico del mondo. Piccadilly Circus!” risponde una più che euforica Sunnie.

 
***
Circa mezzora dopo, per brillante proposta di Sunnie e approvazione di Mike Calum e Ash, si trovano tutti sul secondo piano di un autobus per turisti, vuoto a causa del clima non esattamente mite. I sedili rossi sono disposti a coppie e, nemmeno a dirlo, Luke e Diana sono seduti l’uno accanto all’altra in un imbarazzante silenzio. Davanti a loro ci sono Mike e Calum, con gli occhi sgranati e i capelli scompigliati dall’aria fredda e ancora prima Ash e Sunnie, che ha insistito perché il ragazzo sedesse accanto a lei con una scusa così banale da non essere nemmeno rimasta impressa nella mente di Diana. 
Alla sua destra scorre il Tamigi, torbido come da tradizione e solcato dai battelli per turisti. Londra è grigia e nebbiosa come ogni inverno che meriti di venire definito tale, ma non è affatto spenta. Affascina anche gli occhi più critici con i suoi colori offuscati e i rumori che ad un orecchio affezionato giungono come suoni. 
Brulica di vita e frenesia come solo una città di quel calibro può vantarsi di fare; ogni singolo angolo merita di essere osservato, ogni singolo particolare va calcolato. Eppure Diana ha valutato mille e mille volte all’idea di partire, racimolare i suoi pochi risparmi e trascinare una valigia con lo stretto per prendere il primo aereo possibile  trasferisi in Italia o in Grecia dove il sole splende sempre e la vita non sembra scorrere poi così rapida. Ma poi ha realizzato che sarebbe un passo importante, un salto nel vuoto, un rischio che ha paura di sfidare. Ha solo diciassette anni, in fondo. E nonostante le delusioni che l'hanno temprata e le responsabilità che l'hanno più che mai sfiancata, non è pronta. Anche se vorrebbe esserlo.
Ha paura, paura di rischiare.
​Luke, sul sedile interno alla sinistra di Diana, osserva il panorama con sguardo vacuo e picchietta nervosamente l’indice destro sulla coscia. Diana non può dire di conoscerlo, ma sa che in quel momento si sta estraneando dal mondo. 
Chissà se a lui Londra piace, chissà a cosa pensa mentre tace. 
Non proferisce parola dal quel caustico "come no" pronunciato prima, si limita ad annuire o scuotere la testa quando gli si propone qualcosa e guardarsi intorno con il naso all’insù. E' presente eppure non c'è, lo sanno entrambi. 
Diana è nervosa. E’ una situazione scomoda e imbarazzante la loro, di quelle per cui scoppieresti a ridere e poi a piangere guadagnandoti occhiate stranite da parte di chi assiste. In casi simili, per Diana, la soluzione migliore è una Winston Blu. Se dovesse stilare una lista delle cose a cui non può rinunciare, le Winston Blu si guadagnerebbero il primo posto. A pari merito con le canzoni dei Nirvana, ovviamente.Apre la borsa ed estrae accendino e pacchetto, dal quale ne sfila una.
La avvicina alla bocca, pregustando il sapore del primo tiro e il momentaneo distendimento dei nervi. 
“Non puoi”
Luke la sta guardando, gli occhi chiari fissi sulle sue mani screpolate dal freddo e la sigaretta in bilico fra le dita.
Dopo tutto quel silenzio, ha deciso di parlare. Con lei.
Diana si schiarisce la voce che è certa risulterà incrinata comunque.
“Cosa scusa?” chiede.
Luke tace, continua a guardarla, sembra che non voglia risponderle. Poi, però indica il fondo del bus dove, appeso alla parete, vi è un cartello di divieto di fumo.
“Non puoi fumare, è scritto lì” dice semplicemente.
“Oh, hai ragione, scusa”
Scusa. Scusa. Scusa.
E Diana vorrebbe che quella stupida parola bastasse a sistemare le cose, a farli tornare indietro, a rimediare alla sua stupidità. A farle imparare che non c'è nulla di male nel rischiare.
Ma è troppo tardi e Luke le dà già le spalle.
Ancora ancora ed ancora.

 
***

Quella sera rientrano a casa tardi. Aprono la porta di casa e si fiondano sui divani del salotto. Mike si appropria di metà del divano nuovo in pelle, che condivide con Cal; a Luke e Ashton spetta quello restante, un po’ più vecchio e in tessuto ma molto comodo.
E' l' 01.00 e Ashton è ancora elettrizzato dall’idea di aver visitato Londra e il suo entusiasmo rasenta il limite dell’insopportabile. O almeno è quello che Luke, che ascolta quelle chiacchiere concitate da venti minuti buoni, pensa.
“Piccadilly è stata una cosa pazzesca, tutte quelle luci e la gente… Assurdo! Per non parlare del London Eye illuminato a giorno, o il Big Ben o la Tower of London. E poi Buckingham Palace? Quel posto è enorme! O Hyde Park! Ragazzi in quel parco si fanno dei concerti epici! Questa città è indescrivibile, sul serio!”
“Ash, mio Dio, sta’ un po’ zitto!” esclama Cal, tappandosi le orecchie. “Stai blaterando da venti minuti su Londra, persino sulla metro! C’eravamo anche noi quindi niente resoconto, grazie!”
Michael sghignazza divertito “Cal, sei il solito bimbo. Ad Ash di Londra è piaciuta soprattutto la nostra guida turistica.”
“Intanto il sottoscritto ha rimediato il numero di telefono di Sunnie!” ribatte  Ashton con aria vagamente orgogliosa, lanciando un cuscino addosso all’amico. Michael ha colto nel segno il batterista e non potrebbe esserne più felice.
Luke scuote la testa: alle volte si chiede perché l’età mentale dei suoi amici non possa corrispondere a quella fisica.
“Oh avanti Lukey, su con la vita! Che hai?” gli domanda Calum.
“Sono stanco Cal, nulla di più” e nel dire ciò, è quanto mai sincero.
Ha registrato parte del suo primo demo, i produttori hanno più volte fatto i complimenti a lui e ai ragazzi e ha stretto così tante mani e conosciuto così tante persone nelle tre ore trascorse alla UK Records da avere un’enorme confusione in testa. Ha visitato una delle maggiori metropoli al mondo, si è immerso in universo completamente diverso da quello da cui proviene e ha respirato l’aria di quella che è certo sarà una meravigliosa nuova vita per tutti.
Eppure ripeterebbe ogni singolo attimo di quei momenti con il sorriso sulle labbra e il corpo che freme d’energia ed eccitazione perché non è quello ciò che lo sfianca a tal punto da fargli venire voglia di urlare.
No, è lei a tormentarlo, con le sue espressioni indecifrabili e gli occhi cupi, le mani esili e le parole preziose. Lei che appare all'improvviso e sembra così simile a lui da spaventarlo. E così come è arrivata scivola via come se fosse solo una comparsa in una storia che non è la sua.  Diana finge e scappa, mentre lui vorrebbe solo imparare a capirla. Ma è stanco perché è un punto di domanda alla fine di una frase intricata, una gigantesca incognita che lui non riesce a svelare.
“Sai Lukey? – Mike interviene e lo guarda fisso negli occhi, come se lo avesse capito da sempre – Tu non sai cogliere l’attimo”
“Sul serio – continua quello mentre tutti lo ascoltano, attenti – tu pensi troppo, parli poco e reagisci tardi. Così non vivi. E’ come se aspettassi sempre il manuale d’istruzioni o qualcuno che ti dica cosa fare ma, amico, non funziona in questo modo la vita. Bisogna rischiare e per fortuna! altrimenti sai che palle?”
Luke tace e osserva Mike che lo sta fissando quasi sapesse leggergli nella mente. Sa essere terribilmente maturo quando vuole. E allora non bastano i capelli dai colori appariscenti a sminuire la sua serietà.
“Wooo Mike, che perle! Non ti facevo così profondo” Ashton ride divertito, ignaro di quanto quelle parole abbiano segnato Luke.
“Nah, saranno gli hamburger che abbiamo preso. Avevano un non so che di alieno” Michael sorride e sposta lo sguardo da quello di Luke con la stessa naturalezza con cui il suo tono passa da incredibilmente adulto a irrimediabilmente scherzoso. Tuttavia sa di aver sortito l’effetto sperato, è quello l'importante. 
Infatti, quella notte, Luke non riesce a dormire.
E solo quando il suo orologio segna le 05.30 capisce ciò che deve fare, riuscendo finalmente a chiudere gli occhi.

"Bisogna rischiare e per fortuna! altrimenti sai che palle?"











 
Okay se mi scuso per il ritardo sembro ipocrita? Lo faccio comunque. SCUSATE!
Sul serio, è più di un mese che non pubblico. Ma il capitolo non  mi convinceva (nè mi convince ora hahaha)
Che dirvi? Nel capitolo emergono altre cose su Luke e Diana, punti in comune che magari?????? un giorno?????? serviranno per legarli??????
E poi c'è Mike che personalmente in questa versione trovo meraviglioso e secondo me è realmente così quindi boh, lo adoro.
Niente, spero vogliate farmi sapere che ne pensate della storia, quali pensate che sarrano gli sviluppi, qual è l'idea di Luke secondo voi... Scrivetemi, mi fanno sempre piacere le vostre recensioni.
Un grandissimo grazie a chi legge silenziosamente, a chi recensisce e a chi ha messo questa storia fra seguite/ricordate/preferite.
A presto,
Sara

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Un po' più vicini ***




Capitolo Sei -  Un po' più vicini

L’orario del lunedì è fortunatamente il più leggero della settimana: prima ora inglese; seconda e terza educazione fisica; la quarta invece è religione, che per Diana è sinonimo di ora buca. Inoltre, è in classe con Sunnie, il che è una vera benedizione perchè Dio solo sa come farebbe Diana senza le sue chiacchiere vuote a riempirle le orecchie quando non ha voglia di ascoltare il resto del mondo e le regole della scuola le impediscono di introdurre in classe apparecchi come cellulari o iPod.
Comunque, malgrado il regolamento che sembra ispirarsi all’epoca vittoriana e la divisa scolastica che castigherebbe chiunque, il Primrose High School non le dispiace più di tanto. I professori sono tutti sulla sessantina, piuttosto competenti e decisamente elastici, ad eccezione di Miss Lorane che ha trent’anni, dovrebbe insegnare matematica ma passa le ore di lezione a sfogliare rotocalchi e sbavare sulle immagini del principe Harry immaginando la vita a Buckingham. Gli studenti sono pressoché tutti di ceto medio, figli di liberi professionisti quando si tratta dei più ricchi e popolari e di lavoratori stipendiati nel resto dei casi. Una come Diana si confonde perfettamente nello strato intermedio. Niente abiti appariscenti che denotino ricchezza, né libri di terza mano per far saltare all’occhio la carenza di risorse. E’ assolutamente ordinaria. Può permettersi la retta della scuola grazie al sussidio di sua madre, ha un rendimento altalenante e un paio di note disciplinari di poco conto sul curriculum. Eppure Sunnie, figlia di un noto commercialista e della proprietaria di un negozio d’abiti nei pressi di Baker Street, l’ha scelta come amica. Sempre che ‘amicizia’ sia il termine adatto a definire il loro rapporto. Diana ascolta i suoi gossip, la accompagna a fare shopping, le consiglia lo smalto adatto e la mette in guardia quando si spinge troppo in là con ragazzi che non ne valgono la pena, sempre troppi. Con i capelli corvini e gli occhi da cerbiatta, Sunnie è la persona più egocentrica del quartiere, parla decisamente troppo e non è in grado di ascoltare ma in fondo è una persona genuina, solare e sa sorprenderti proprio quando meno te lo aspetti. A Diana mette il buonumore, cosa di cui ha quanto mai bisogno.
Ora sono sedute una accanto all’altra nei banchi in fondo all’aula, sono le 9.08 e la lezione d’inglese è agli sgoccioli.
Sunnie guarda Diana da dietro le lenti dei suoi occhiali da riposo rigorosamente griffati e dice:“D, stamattina ho visto James…”
“Mmh”
“Mi ha chiesto di te…”
Diana sbuffa.
“Vorrebbe parlarti”
“Ah”
“Ma che è successo fra voi due?” domanda Sunnie e la sua ignoraranza è giustificabile dato che Diana non le ha mai raccontato nulla, ammesso e non concesso che ci sia qualcosa da raccontare.

Sunnie, James e Diana erano amici sin dal primo anno di superiori. Si erano conosciuti quasi per caso fuori dai cancelli del liceo, accomunati dall’aria spaurita tipica del primo giorno di scuola. Avevano legato senza difficoltà scoprendo di avere gusti simili e opinioni concordanti.
James era bello già allora nonostante fosse poco più che un bambino ed è inutile dire che riscuotesse successo fra le ragazze, ma né a Sunnie né a Diana importava: da quel punto di vista nemmeno loro passavano inosservate.
Non condividevano le materie di lezione ma si vedevano spesso nel dopo-scuola e nei fine settimana;  il “Q”, un pub poco distante da Oxford Circus era il loro punto di ritrovo e “Shut Up!” dei Simple Plan la loro canzone.
Diana allora poteva dire di sentirsi serena e, perché no?, felice. Suo padre aveva divorziato da sua madre da meno di un anno e questa, firmati i documenti, era caduta vittima della sindrome post separazione coniugale non riuscendo a superarne il terzo stadio, ossia la depressione. Possedeva e possiede tuttora un lavoro in un ufficio pubblico ma sono più i giorni che trascorre sul letto imbottita di tranquillanti che non quelli spesi dietro alla scrivania, ma il sistema statale provvede a stipendiarla comunque. Dio salvi la Regina, no?
Dei suoi primi due anni di liceo Diana si sforza di ricordare solo i momenti con Sunnie e James, le sere nel portico dell’amica a parlare di tutto e niente o i pomeriggi umidi a casa di James dedicati a videogames esageratamente cruenti.
Il terzo anno era cominciato esattamente come i precedenti, loro tre e le uscite a Piccadilly il venerdì  o la discoteca del sabato. Diana non chiedeva di meglio: sembrava che tutto non potesse far altro che migliorare, che lei fosse su una montagna russa diretta solo verso l’alto.
Purtroppo, ad ogni ascesa corrisponde un declino e declino di Diana è stato così repentino da sembrare inverosimile.
Era un venerdì qualunque e l’uscita a Piccadilly era d’obbligo, ma Sunnie aveva la febbre alta e sua madre non le permetteva di uscire. La ragazza era desolata, ma non voleva che i due stessero a casa per colpa sua così li aveva convinti ad uscire comunque. Diana e James l’ avevano assecondata, non che l’idea li rattristasse.
Avevano passato la serata al “Q”, qualche birra e della bella musica, i mozziconi delle loro sigarette stavano sparsi sul marciapiede all’entrata del pub. A mezzanotte erano di nuovo a passeggiare per Piccadilly, un po’ brilli ma non abbastanza da non essere consapevoli di ciò che li circondava.
Era novembre inoltrato e ormai la sera il freddo si faceva sentire. Diana aveva le guance rosse mentre si strofinava le mani fra loro per scaldarle. James aveva sempre pensato che fosse carina, eppure in quel momento la trovava decisamente bella. Notava come i capelli chiari non stonassero con la carnagione pallida e come le ciglia fossero lunghe e dritte. Realizzava quanto fosse cambiata rispetto alla ragazzina acerba che aveva conosciuto al primo anno.
“D, vieni qui. Fa un freddo cane” le aveva detto, facendole cenno di avvicinarsi.
Diana aveva sorriso appena e gli si era avvicinata, lasciando che lui la stringesse per scaldarla. L’ abbracciava forte, la teneva al sicuro fra le sue braccia dai muscoli delineati. Diana aveva la testa contro il suo petto e anche attraverso il montgomery pesante riusciva a sentire l’odore della sua colonia. Muschio e pino.
Voleva ringraziarlo perché era un buon amico e un ottimo compagno d’avventura. Allora aveva sollevato appena la testa per guardarlo negli occhi chiari, illuminati dalle luci della città.
“Grazie, Jamie”  gli aveva detto semplicemente e lui non le aveva risposto, lasciandosi guardare e guardandola.
Ma un attimo dopo le loro labbra si sfioravano. E nessuno dei due opponeva resistenza.
Sorridevano e si baciavano ancora e ancora e ancora senza pensare a nulla fuorchè loro stessi e il loro essere giovani.
Da Piccadilly avevano preso la linea marrone della metro fino a casa di James, vuota per un piacevole scherzo del destino. E poi erano fra le coperte. James l’accarezzava esperto e Diana non aveva nulla di meglio a cui pensare se non a quelle mani su di sè. E il mattino dopo si era risvegliato con lui al suo fianco e la sensazione del suo sguardo addosso a scaldarla. Ed era stato così anche il sabato dopo.
Di quei giorni ora ricorda gli sguardi rubati, i baci sugli spalti del campo da calcio del liceo e gli incontri segreti perché così era tutto più emozionante.
Andava tutto così schifosamente bene che Diana pensava che se l’amore era quello allora le piaceva, cazzo se le piaceva. James le aveva detto che era la sua unica stella, allora che le importava dei segreti, dei problemi? Era sicura come mai prima, non vacillava più.
E sbagliava.
Perché poi eccola alla festa di Ryan Watts a cui lei non sarebbe voluta andare, con Sunnie che sparisce di punto in bianco e James che bacia un’altra davanti ai suoi occhi allibiti e forse anche lucidi. Ed eccola sui gradini di una orribile villa da ricconi a piangere sulla propria ingenuità, un paio di sigarette e un ragazzo che appare dal nulla e sembra capirla anche se di lei sa solo il nome.
Oh, e tutto che va a rotoli.
Quindi, cosa c’è da raccontare?
“Niente, Sun, non è successo niente.”

 
***

Intervallo, per Sunnie e Diana, è sinonimo di sigarette. Fortunatamente, il retrogrado regolamento del Primrose non proibisce ai minori di approfittare del cortile interno per fumare e la cosa non può che giovare alle loro menti stressate o ai loro corpi ormai dipendenti dalla nicotina.
Il cortile è un punto di ritrovo di dimensioni abbastanza estese, abbellito da piante sempreverdi, il cui pavimento è disseminato di mozziconi più  o meno recenti. Ad ogni angolo vi sono studenti, alcuni in preda al panico per le interrogazioni ed altri presi dal discutere sulle voci di corridoio del momento, e professori frustrati dal mestiere ma legati al loro soddisfacente stipendio. Agli occhi di Diana sembra la fusione fra un’agorà greca o una giungla impazzita: lo trova irrimediabilmente divertente.
Meno divertente, invece, è James che la fissa insistentemente da due minuti buoni mentre annuisce distratto alle chiacchiere di Brianna Klein, seduta sulle sue ginocchia. Ancora meno esilarante è lui che fa alzare la ragazza interrompendone il discorso senza dubbio profondo e intelligente per dirigersi nella direzione di una infastidita Diana che, per il nervoso, getta a terra la sua sigaretta non ancora terminata.
“D che ti prende?” le chiede Sunnie, che sembra non aver notato nulla. “Mi sono rotta di stare qui, torno dentro. Finisci la cicca, ci vediamo dopo”
Sunnie resta interdetta ma annuisce e si dirige verso un gruppetto di suoi conoscenti: il suo totale disinteresse verso gli universi altrui è una manna dal cielo, in certi casi.
Nel frattempo, Diana rientra rapidamente nell’edificio percependo lo sguardo di James sulla schiena e i suoi passi poco più indietro.
Non fa caso alla direzione da prendere, cammina guidata dalla rabbia e dalla frustrazione fino a quando non si ritrova di fronte all’uscita della scuola, ovviamente chiusa.
“Finalmente ti sei fermata, D”
James l’ha raggiunta ed è esattamente alle sue spalle.
“Non chiamarmi ‘D’, James. Non ne hai il diritto” ribatte secca, fronteggiandolo.
“Oh andiamo, non fare così”
“Io non sto facendo né ho fatto niente, tu che mi dici?”
James sembra colto sul fallo, boccheggia in cerca delle parole adatte ma sembra non trovarle.
Diana sorride amaramente, “Non hai nulla da dire?”
“D, smettila di fare la stronza. Lo sai anche tu che fra noi era solo una cosa fisica, niente di più. E’ successo, è stato bello, ma ora finiamola con questo teatrino e rimettiamo a posto le cose. Funzioniamo meglio come amici.”
Solo una cosa fisica.
Finiamola con questo teatrino.
Rimettiamo a posto le cose.
Funzioniamo meglio come amici.

A Diana non sembra che le cose funzionino né che lei funzioni più, ma è solo colpa di James?
“Sai che c’è James? Sei un gran figlio di puttana e la mia vita in sé è già una merda di casino quindi rimetti a posto la tua cazzo di testa e trovati un’altra amica”
 E lo lascia lì, solo, prima che possa anche solo rispondere e un attimo dopo svanisce dalla sua vista, confondendosi con il mare di persone di rientro dall’intervallo ormai finito.

 
***

Sono le 14.30 di un lunedì qualunque quando il telefono di Luke, sveglio da poco più di due ore, comincia a squillare a ritmo di ‘American Idiot’ dei Green Day e lo schermo si illumina con un numero sconosciuto impresso a caratteri bianchi sullo sfondo nero.
Il primo pensiero va ai suoi tre amici e ad un eventuale scherzo telefonico. E’ una cosa possibile, ma loro avrebbero usato il numero privato, quindi scarta l’opzione. Nella mente gli balena l’idea che possa essere Philip o uno dei produttori, ipotesi più che plausibile. Trascina il pollice sul tasto verde nel touchscreen, aprendo la telefonata.
Ma non si tratta né di Philip, né dei produttori, né di uno scherzo telefonico pianificato male.
“Lo so che mi odi e che non vuoi avere nulla a che fare con me e davvero, ti capisco. Sono un gran casino. Ma non sono cattiva, è che non capisco. Come funzionano le cose, le persone, io. Magari è anche una cosa normale, ma io non ne posso più”
Diana ha la voce incrinata e parla confusamente, sembra sull’orlo delle lacrime.
Luke sospira e Diana, dall’altra parte della cornetta, trattiene il fiato.
“Ti… ti prego non riattaccare”
Luke aspetta, è quello che sa fare meglio. Riflette. Tace.  Ma poi capisce, perchè è quello ciò che stava aspettando, il suo salto nel vuoto, il rischio.
Chiude gli occhi e gli sembra di vederla di fronte a sé, finalmente libera dalle sue barriere e dalle sue maschere, rannicchiata al buio in un angolo della sua camera, con una mano impegnata a torturare l’orlo della maglietta o la manica di un maglione. Sono un po' più vicini.
“Non lo farò”
Silenzio, poi la sente espirare appena.
"Grazie"







 
ho aggiornato presto, visto? mi sono impegnata haha
allora, che ne dite? questo capitolo è una mega svolta per la storia, per Diana e soprattutto per Luke che finalmente si butta, daje.
e poi c'è il simil flashback per James e Diana e il loro """"passato""""" insieme. e l'immancabile Sunnie che a quanto pare piace molto a tutte voi hahaha
che altro dire? sono felice che seguite la storia nonostante i miei problemi con la puntualità e sto facendo del mio meglio per non deludervi. 
come sempre, vi ribadisco che adoro quando recensite e che vorrei tanto che mi faceste sempre sapere il vostro parere perchè è importante comunque. 
in ultimo, ringrazio chi ha recensito i capitoli precedenti, chi ha aggiunto la storia fra seguite/preferite/ricordate e anche voi, lettrici silenziose.
a presto,
Sara

 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Ci sto lavorando ***




Capitolo Sette -  "Ci sto lavorando"
 
Diana chiude gli occhi ed espira. Pensa che chiamarlo, chiamare Luke, sia stata una pessima idea. Certo, non si aspettava che rispondesse o che non riattaccasse, né che volesse ascoltarla, provare a capirla. L'idea che tutto ciò potesse succedere sul serio sembrava una prospettiva così surreale quando aveva deciso di digitare il suo numero.
Luke, dall’altra parte del telefono e di Londra, si schiarisce appena la voce e Diana, quasi sull’orlo di una crisi di pianto, sorride. Percepisce l’imbarazzo che il ragazzo sta comunque tentando di nascondere; in una situazione tanto assurda, è qualcosa di stranamente adorabile.
“Cosa…mmh…cosa è successo?” le domanda poi.
E Diana sente le lacrime pizzicarle gli occhi, lo stomaco stretto in una morsa.
Nonostante tutto, gli importa.
“Io… hai presente una macchina in procinto di rompersi ma che continua comunque a macinare chilometri? Il suo proprietario lo sa che prima o poi dovrà liberarsene, ma continua a tenerla e a spingerla fino al limite delle sue possibilità perché ci è affezionato, perché con quell’auto ha fatto il viaggio di nozze e ha portato sua figlia al primo giorno di scuola. Io mi sento così, con me stessa. Tiro avanti fino alla fine e provo a tenere le cose, le persone; io ci provo anche se so che non c’è nulla da fare. Io spero sempre. Ma all’ultimo, quando credo che la mia auto finalmente ce la farà nonostante gli stenti, ecco che lei si spegne. E non si accende più.”
Luke ascolta con attenzione ma più sente e più resta spiazzato: lui la vita non l’ha mai vista così. Gli è sempre sembrato di avere la strada spianata, un percorso in discesa. Alcune volte era una discesa libera, sì, di quelle senza freni e con la paura di schiantarsi da qualche parte, ma non c’erano la fatica, i denti stretti e i pugni chiusi. Soprattutto, c’era qualcuno con lui.
A dodici anni, al funerale di suo nonno, c’era tutta la sua famiglia a stringerlo e a ricordare che lui li avrebbe protetti tutti da lassù e che quando Luke sarebbe diventato un musicista famoso, nonno Paul avrebbe fatto il tifo per lui. A tredici anni, quando aveva scoperto di non potersi permettere la prestigiosa scuola di musica che sognava da sempre, Calum gli aveva detto che non importava, che avrebbero creato un loro gruppo e avrebbero sfondato alla faccia di tutti quei fighetti iscritti lì e a sedici, quando Tara l’aveva lasciato perché “uno che a quasi diciassette anni vuole ancora fare il cantante è un immaturo”, Mike gli aveva dato una pacca sulla spalla e la notizia che avevano finalmente un aggancio con una casa discografica londinese.
Ma Diana? Si è creata da sola e Luke lo ha capito, lo sente dalle sue parole sconnesse, dai silenzi lunghi e dagli sguardi carichi di rassegnazione eppure illuminati da una piccolissima speranza. Sa che è forte e, anche se non glielo dirà perché è troppo, la ammira. 
“Io credo che arrivi sempre il momento in cui anche la persona più tenace deve arrendersi all’evidenza. E’ normale, va bene. Le cose, belle o brutte che siano, finiscono sempre ma spesso accade perché possano lasciare il posto a qualcosa di migliore. E’ giusto che noi lasciamo che ciò avvenga, che non ci opponiamo. Non significa dimenticare quello che abbiamo vissuto, ma aprirci a ciò che deve arrivare.”
Luke chiude gli occhi e riesce quasi a rivedere l’Australia, la sua casa, e ricorda la paura di partire ma anche l’incontenibile voglia di andare incontro al suo sogno. Ha lasciato la scuola e la sua famiglia per un semplice numero di telefono ed un indirizzo, nulla di concreto. ‘O la va, o la spacca’ si è detto, mentre l’aereo decollava. Ed ora eccolo lì, al telefono con qualcuno che è poco di più di una conoscente, a parlare di quello che ha imparato grazie ai suoi cari e, perché no?, alle canzoni e a chiedersi quale sia la ragione di tutto ciò, perchè lei abbia scelto di chiamare proprio lui, quale sia il pezzo che si è finalmente rotto nell'auto di Diana.
O la va, o la spacca.
“Quindi, Diana, io credo che il proprietario dell’auto vecchia possa rimetterla in garage, coprirla con un telo per poi magari mostrarla ai nipoti un giorno, e infine prenderne una nuova, girare il mondo con quella e renderla custode di altri ricordi, altre storie.” ammette Luke e può davvero giurare di sentire Diana asciugarsi le lacrime per poi immaginarla mentre annuisce, capisce.
Diana, nel silenzio della sua camera, si ricrede e ora sa di aver fatto la cosa giusta. E’ una bella sensazione, ma le mancano le parole.  Ora è lei quella che tace mentre pensa che avrebbe trovato l’ accento australiano un po’ buffo, se le parole del agazzo non fossero state tanto profonde e la sua voce talmente bassa da far trasparire ogni singola emozione in essa celata.
“Non sono così saggio, di solito” sdrammatizza Luke, ridendo appena.
“Ma è una cosa positiva, è bello. A me piace” risponde Diana mentre a riempire la sua testa c’è solo il suono di quella breve risata.
“Davvero? Beh, allora adoreresti Mike da sbronzo. Stupisce anche da sobrio, ma sbronzo è decisamente epico”
Diana ride e si sente libera, leggera, mentre Luke è convinto che suoni come quello di una risata dopo le lacrime, di persone lacerate che provano a ricucirsi le ferite, siano i più preziosi al mondo.
“Spero di avere l’occasione di assistere ad uno dei suoi discorsi, allora” gli dice.
“Quando vuoi” sorride Luke.
“Luke?”
“Mmh”
“Grazie. Ora sto… bene”
“Oh… okay.”
Silenzio.
E non c’è bisogno di altro che i loro respiri spezzati dalla cornetta, delle mani che forse tremano, che vorrebbero cercarsi e trovarsi. In quel silenzio pendono domande che Luke non ha il coraggio di fare e risposte in cui Diana non è certa di credere davvero, ma forse è così che cominciano le cose importanti, con piccoli passi.
“E tu? – gli chiede poi – Tu come stai?”
“Io?”
Diana soffoca una risatina: “Tu, chi altrimenti?”
“Io… ci sto lavorando”
“Ci stai lavorando? Su cosa?”
“Sulla mia felicità”

 
***

Sono le sette di sera e la tv di Sunnie trasmette una replica di Gossip Girl a cui nessuno presta grande attenzione. Doveva essere un appuntamento di studio, ma i libri sono rimasti accuratamente riposti nelle borse delle rispettive proprietarie.
“Questo telefono perde colpi!” esclama Sunnie, scorrendo il pollice sullo schermo del suo smartphone.
“Ma se l’hai preso un mese fa! Qual è il problema?” domanda Diana, intenta a sfogliare distrattamente un numero di ‘Cosmopolitan’ distesa sul letto decisamente troppo fucsia di Samantha.
“Nel registro mi segnala un messaggio inviato ad Ash e uno ricevuto da lui, ma se guardo nella sezione messaggi non c’è nulla. Oltretutto, a quell’ora avevamo educazione fisica e io non avevo il telefono sotto mano. Ah, odio questo coso!”
Diana, coperta dalla sua rivista, soffoca una risata e ringrazia mentalmente la disarmante ingenuità di Sunnie.

 
***

“Luke?”
“Dimmi, Ash”
“Oggi Sunnie mi ha scritto un sms, mi ha chiesto il tuo numero e quello di Cal e Mike per conto di Phil, così gliel’ho dato. Era giusto per avvisarti, tu sei fissato con queste cose” Ashton rotea gli occhi, fingendosi infastidito.
“Ash, Phil aveva già i nostri numeri – si intromette Calum – io e Mike gli abbiamo dato i nostri due la prima volta, nello studio di registrazione! Forse non aveva quello di Luke...”
Ashton aggrotta le sopracciglia, confuso: “Oppure potrebbe averli persi tutti, che ne so io”.
Luke, alle spalle di Ash, sorride.
Geniale, Diana.




 
Ebbene sì, sono viva e ho aggiornato. Dire che sono dispiaciuta per il ritardo non renderebbe l'idea né servirebbe a molto ma credetemi, MI DISPIACE per il ritardo colossale nell'aggiornare. Il capitolo, ad essere onesta, era pronto da un bel po' ma non mi convinceva (né mi convince tuttora hahaha). Però, almeno è significativo: c'è il primo vero dialogo fra Luke e Diana... che ne pensate???? e poi ovviamente gli ultimi due mini paragrafi sono la spiegazione di come Diana ha ottenuto il numero di Luke, nel caso non fosse chiaro.
E nulla, spero vogliate farmi sapere che ne pensate con una recensione, mi va bene anche piena di insulti per questo capitolo schifo e il ritardo impareggiabile hahahaha.
Come sempre, ringrazio chi mi segue nonostante tutto, chi legge silenziosamente, chi recensisce e chi ha aggiunto o aggiungerà la storia fra ricordate/preferite/seguite. Siete dei tesori!
Un bacio e a presto,
Sara.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Utopia ***


                                                                                           





HI, IT'S ME
Riappaio ora, dopo secoli di silenzio stampa (se così lo si può definire) che poi è più un silenzio ispirazione. Non avevo idee, nè mi sentivo motivata, nè avevo il tempo materiale di scrivere ma ora il caso vuole che io sia fornita di tutti e tre e che non veda l'ora di portare a termine questa storia.
So, spero che il capitolo non sia penoso come sembra a me, e che il fatto che i Duke (Diana e Luke wohooo) siano marginali in esso non vi disturbi troppo. 
Infine, spero vogliate farmi sapere che ne pensate, non c'è incentivo migliore alla scrittura che la recensione, positiva o negativa che sia.
Un bacione, spero di sentirvi presto,
Sara



                                                                                         
 
                                                                                              Capitolo Otto - Utopia

Luke sta incidendo il suo assolo in “Good Girls” quando, riflesso sulla vetrata che separa la cabina dalla zona dei mixer, vede Ashton sorridere di quel sorriso largo che con l’esperienza ha imparato ad associare all’arrivo di qualcosa che rende il batterista decisamente felice. Senza perdere l’intonazione o confondere le parole del testo, sposta lo sguardo nella direzione in cui punta quello dell’amico.
Fuori dalla cabina di registrazione in vetro isolante, Sunnie agita la mano destra in segno di saluto verso Luke, Mike e Calum e rivolge un languido sorriso ad un ormai deconcentrato Ashton che, per l’emozione, sbaglia l’attacco del ritornello.
Tom, l’addetto ai mixer, stoppa la base musicale e “Ashton, ma che diavolo succede?!” dice, prima di comprendere la situazione e annunciare i dieci minuti di pausa che ha intenzione di impiegare nella zona dei distributori di bevande calde.  Ashton, incurante di tutto ciò, si precipita fuori dalla stanza per raggiungere Sunnie che, nel vederlo, non può fare a meno di notare quanto sia innegabilmente attraente anche se coperto da un qualunque maglione grigio e da dei comuni jeans neri.
“Ehi, come mai qui?” domanda il ragazzo con evidente sorpresa.
“Ho portato dei documenti a Phil e sono passata per un saluto” Sunnie risponde con una scrollata di spalle, quasi tutto ciò non fosse stato accuratamente studiato dal giorno prima, a partire dallo sfilare un fascicolo dall’aria importante dalla ventiquattrore del manager fino al nasconderlo e farlo riapparire il pomeriggio seguente, condannando il povero Philip ad ore di ricerche vane in ogni angolo di casa e ufficio.
Ashton sembra deluso, ma si riscuote con un sorriso e dice: “ Oh beh, è un bel pensiero. Noi stavamo incidendo alcuni brani dell’album, se ti va puoi…mmh… restare per un po’ e dirci che ne pensi?”
La ragazza reprime l’istinto di mettersi a saltare per la gioia, non può credere che un piano così patetico abbia funzionato! Assentendo, afferma che le farebbe piacere; in fondo, non ha nulla di meglio da fare.
Luke, ancora in cabina ad accordare la sua chitarra non tanto per necessità effettiva quanto per abitudine, scuote la testa esasperato mentre osserva Ashton conversare con Sunnie con la postura rigida tipica di chi prova un imbarazzo letale ed un’esagerata paura di fare o dire la cosa sbagliata.
“L’abbiamo perso!” ghigna Calum.
“Ma non lo ammetterebbe nemmeno se si mettessero insieme” aggiunge Michael
“Vada come vada, dovrebbe” afferma Luke riportando l’attenzione sulle corde della sua Gibson con noncuranza, riuscendo comunque a sentire su di sé gli occhi dei suoi due amici, spiazzati da quell’unica parola da lui pronunciata.
“Chi sei tu e che ne è stato del solito Lucas-megliotenersituttodentro-Hemmings?” domanda sarcasticamente Calum.
Luke sbuffa e fa un gesto con la mano come per allontanare la questione ma la cosa non scoraggia Mike che, con un sorriso sghembo, dice: “Il bimbo sta crescendo”

 
***

“Ripetimi come ti ha chiesto di uscire”
“Sono rimasta ad ascoltarli incidere i demo per il nuovo album. Finita la sessione,gli altri sono andati verso il guardaroba a prendersi i cappotti e lui si è fermato con me. Mi ha chiesto che cosa pensavo delle canzoni e io gli ho risposto che non sono male e che Micheal fa davvero paura per quanto è bravo. Lui ha sorriso e non ha aggiunto altro, allora io ho detto che era tardi e dovevo andare, ma lui mi ha fermato e me lo ha chiesto” Sunnie sospira e sente lo stomaco in subbuglio anche se a cena non ha mangiato che un’insalata poco condita e del pane. Insomma, chi potrebbe biasimarla?! E’ stato tutto tanto assurdo, facile e allo stesso tempo terribilmente imbarazzante da sembrare una scena di quelle fan fiction melense su Justin Timberlake che leggeva a dodici anni.
“Grande – osserva Diana, seduta sulla sedia girevole della scrivania di Sunnie – ma io con ‘come ti ha chiesto di uscire’ intendevo sapere le parole che ha usato e non tutti i particolari inutili tipo la sfumatura che sotto le luci al neon assumevano i suoi occhi”
“Ah ah, divertente! Come vuoi che me l’abbia chiesto?! ‘Ti va di venire a vederci al Red’s stasera?’ Io ho risposto di sì e lui mi ha dato appuntamento alle 20”
“Romantico, davvero” commenta ironicamente Diana.
Sunnie sbuffa, per niente toccata dal sarcasmo dell’amica e comunque intenta ad osservare la propria immagine riflessa nello specchio e a confrontare quale fra i due maglioncini che hanno superato la selezione per la serata le doni di più.
“Accompagnami” dice, qualche attimo dopo.
“Sunnie, mi pare più che ovvio che si tratti di un appuntamento. Non farò la terza incomoda.” risponde Diana, risoluta.
“Ma mentre lui suonerà io sarò da sola… ad un tavolo…e sembrerò stupida! Potresti restare per l’esibizione, la loro musica non è male, l’hai ammesso tu stessa!”
Sunnie ha ora messo da parte i suoi vestiti per implorarla letteralmente con  lo sguardo ed è palese che tenga alla sua presenza non tanto per preservare la propria immagine quanto piuttosto per avere il suo supporto fino all’ultimo. Malgrado le apparenze anche Samantha Light ha delle insicurezze e, ancor più strano, un cuore.
Diana sbuffa, l’espressione di rimprovero ma lo sguardo complice.
“Solo per l’esibizione!”
E il gridolino entusiasta e l’abbraccio dell’amica sono un segno di gratitudine fin troppo eloquente.

 
                                                    ***
 
“Quindi le hai chiesto di uscire ma prima l’hai invitata a sentirci suonare qui e ora e ce lo stai dicendo in questo preciso istante?”
Quella di Calum è una mera domanda retorica, ma nessuno si sente in dovere di farglielo notare. Ashton ha appena esposto la situazione, la voce insolitamente ferma e gli occhi decisi, e sembrerebbe un punk rocker di prim’ordine, duro e sicuro di sé fino al midollo, se non fosse per il continuo ticchettare ritmico delle sue dita sulla coscia destra che denotano il suo essere teso.
“Precisamente!” ammette Ashton, incurante della preoccupazione evidente di Calum per la buona riuscita dello show, ora minacciata dalle sue questioni di cuore.
“Che classe, amico! E’ ufficialmente la tua groupie?” domanda Michael, sorridendo maliziosamente ad un Ashton che, in risposta, si limita a dargli un pugno non troppo affettuoso sul braccio.
Calum, esasperato, borbotta qualcosa che sembra tanto un “Che Dio ce la mandi buona”, al quale nessuno fa caso.
Luke, interessato alle vicende amorose di Ash quanto potrebbe esserlo per un complesso teorema matematico, controlla un’ultima volta che la sua chitarra sia accordata poi, osservando l’orologio, constata:”E’ ora ragazzi.”

 
***

I 5 Seconds Of Summer sono effettivamente bravi e la loro scaletta, che Diana ha definito decente per non dare troppa soddisfazione a Sunnie, è in realtà davvero coinvolgente e piacevole all’ascolto.
Sono arrivate in orario, alle 19.55, hanno preso un tavolo non troppo lontano dal palco e Diana si è seduta nel posto meno visibile. Sunnie è davvero molto bella, sembra serena e affatto nervosa, muove la testa a ritmo della batteria di Ashton, che ogni tanto le lancia occhiate esplicite.
E' la prima volta che Diana vede Luke dopo la telefonata; non si sono più parlati da allora. Non crede che lui l’abbia vista arrivare, comunque: lei era già seduta e prudentemente nascosta quando la band aveva fatto il proprio ingresso. Dal suo posticino, si concede di ascoltarlo cantare, apprezzare come la sua voce si faccia più calda nelle note basse e osservare come in quelle più alte, per lo sforzo, sul suo collo appaia il profilo delle vene.
Soprattutto, percepisce quanto lui senta i testi ed è qualcosa di bello, genuino perché le sembra di condividere con lui qualcosa che a parole non può essere espresso, anche se le strofe che lui canta e gli accordi che suona raccontano momenti che lei non ha vissuto.
E’ quello il pregio della musica, pensa. Unisce perfetti estranei con un legame invisibile persino agli stessi e crea una sintonia che, anche se solo per degli attimi, conferisce al mondo un aspetto più bello, lo rende l’immagine di quell’utopia che ognuno crea nella propria mente.
Utopia è il termine più adatto e Diana lo capisce qualche minuto dopo quando, girando la testa, al tavolo accanto vede James che, invece, deve averla notata da un pezzo dato che non perde tempo e la saluta, o meglio, le saluta. Già, perché ora Sunnie ha notato lui e gli fa un chiaro cenno con la mano, per invitarlo a sedersi con loro.
Non si cura di chiedere il consenso di Diana perché per lei non è cambiato nulla, sono sempre loro tre e quella può essere una delle loro solite uscite.
Ma non lo è per Diana che, vedendo James alzarsi e raggiungerle, vorrebbe solo sprofondare nella sua sedia fino a sparire ed andarsene da lì.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Scegliere ***


                                                                                             
 
CAPITOLO NOVE - SCEGLIERE

 
Sono le 20.45 quando i 5sos salutano il pubblico con un esuberante “Siamo i 5 Seconds Of Summer, grazie per averci ascoltati!” che è seguito immediatamente da applausi sentiti e fischi di apprezzamento.
James, nella mezzora trascorsa al tavolo di Sunnie e Diana, ha chiacchierato piacevolmente con la prima, raccontandole di come abbia conosciuto Calum tramite amici di amici e di quanto trovi figa la musica della band e il solo fatto che quattro adolescenti siano una effettiva band con addirittura un contratto discografico e un disco in uscita.
Diana si è mostrata indifferente alla sua presenza, ha finto interesse verso i suoi discorsi annuendo più volte, ma di tanto in tanto spostando l’attenzione sullo schermo del proprio telefono per tenere d’occhio l’ora e i minuti mancanti alla fine dell’esibizione.
Quando la band sparisce dietro le quinte, Sunnie non perde tempo per estrarre dalla borsetta uno specchietto e controllare di non avere nulla fra i denti o il trucco sbavato.
“Sunnie, non dirmi che hai un appuntamento con un di loro e non me l’hai detto!” esclama James, che sembra davvero divertito nel vedere le guance dell’amica tingersi di un lieve rossore.
“Sei il solito cretino, Jamie – risponde l’interessata, con una punta di sarcasmo nella voce - Non mi stupisce che tu sia ancora single!”
James non sembra particolarmente punto sul vivo da tale affermazione anzi, ne sorride, ma del resto è sempre stato un asso nel mascherare emozioni, intenzioni o sentimenti e questo Diana l’ha imparato a proprie spese. Eppure, non le sfugge la veloce occhiata che il ragazzo manda nella sua direzione, come se volesse aggiungere qualcosa, spiegare ciò che Sunnie non sa, ma è un proposito che sembra abbandonare nello stesso istante in cui distoglie lo sguardo da lei.
“Sapete, dovevo venire con alcuni amici, ma mi hanno dato buca all’ultimo minuto, i bastardi, ed ero già arrivato qui…” spiega James, ma Sunnie non lo sta ascoltando e Diana, ovviamente, non ha alcuna intenzione di farlo.
La prima, infatti, ha notato Ashton nella platea e gli sta facendo cenno con la mano per salutarlo, sorridendogli radiosa. In ultimo, realizza che l’amico le  deve aver detto qualcosa perché domanda: “Scusa Jamie, dicevi?”
“Che i miei amici mi hanno tirato pacco, Sun” risponde quello, sbrigativo.
“Oh be’, non è un problema: puoi stare con D, potreste andare a farvi un giro da qualche parte!” esclama Sunnie, con aria ovvia liquidando l’argomento con un gesto della mano, visto l’avvicinarsi di Ashton.
Diana non risponde: prova una sensazione di disagio alla semplice idea di stare da sola con James. Si limita ad emettere un “Mmh” poco convinto che comunque Sunnie non calcola. Diana allora lascia i soldi della sua birra sul tavolo, afferra la borsa e infila il giubbotto, saluta l’amica con un bacio sulla guancia e Ashton con un cenno e un mezzo sorriso,  quindi raggiunge in fretta l’uscita.
James è immediatamente dietro di lei, proprio come quella mattina a scuola, una presenza fastidiosa e scomoda; è chiaro che vuole parlarle, come se la questione fra loro per lui non fosse ancora chiusa.
Quando sono fuori dal locale, Diana si accende una sigaretta e lui la imita, stando poi in silenzio.
“Sei cambiata” le dice esalando il fumo della sua Lucky Strike quando ormai le loro sigarette sono integre solo per metà. “Eri più fragile, prima, e ciò rendeva più semplice lo stare insieme. Eri malleabile, ti adattavi a me senza che mi sforzassi, senza che te lo chiedessi. Volevi poco in cambio, solo la mia presenza. Ora sei più forte, è palese. Non mi avresti mai trattato così, in passato, né saresti stata capace di non rivolgermi la parola per così tanto tempo” James le fa un sorriso storto, forse addirittura colpevole. Ha parlato lentamente, intervallando il discorso con piccole pause, quasi confidarsi gli costasse fatica. Ma ora si aspetta una risposta.
“Dove vuoi andare a parare, James, con la storiella del ‘sei cambiata’? Cosa dovrei capire da tutto ciò? Che era più facile quando tu eri il mio unico appiglio e non c’eri che tu e solo tu, anche se tu non sentivi lo stesso nei miei confronti?  Vuoi dirmi questo? Che ti piacevo di più quando non avevo rispetto per me stessa, al punto tale da tenere nascosta una relazione che ritenevo vera solo perché era quello che volevi tu?” gli domanda Diana. Sente il cuore batterle due volte più veloce e sa che è per la rabbia che prova per sé stessa, per aver dipeso da qualcuno ed essersene resa conto solo quando quello aveva tagliato i fili che la tenevano in piedi. E’ una rabbia che sta scaricando su di lui perché la colpa, come la verità, sta nel mezzo e lei crede di aver già scontato la propria parte di punizione. I segreti con Sunnie, il rifiuto verso sé stessa, il vuoto sotto ai piedi quando ciò che ti sembra vero si dimostra il suo esatto contrario sono abbastanza.
“No Diana, non capisci. Sei cambiata, ma in meglio. E ti preferisco così. Più forte, in grado di tenermi testa. So che tu sei questa, brusca schiva e caustica, ma io voglio stare con te. Sul serio.”
Si guardano negli occhi e sa che James è sincero, conosce le sue iridi verdi troppo bene, le ha odiate e forse le ha anche amate, ma questa può –deve?- essere un’altra storia.
 E’ buio, solo i lampioni illuminano le strade, fa freddo ed è tutto terribilmente simile alla sera del primo bacio, della prima volta.
Simile, ma non uguale.
Perché lei non è più la stessa, né lo è James. Non sono più gli stessi e non esiste più nemmeno un “loro”, qualcosa di intimo, perché Diana deve ammettere che per lei c’è anche Luke.
E le sembra immensamente arduo dover scegliere fra il dare una seconda possibilità a qualcosa che è stato sbagliato sin dal principio ma che si conosce a fondo o il rifiutarla in favore di ciò che è sempre stato semplice, naturale come respirare anche se completamente nuovo e ignoto.

 
***

Quando Luke esce dal locale per una boccata d’aria che raffreddi il suo corpo ancora percorso dalle scariche dall’adrenalina, il marciapiede è completamente sgombro. C’è un silenzio assordante e per un attimo si chiede come sia possibile, in una città grande come Londra. Sydney è diversa, è calda e soleggiata, attiva e rumorosa e moderna come i suoi abitanti. Ma la conosce così bene che non potrebbe perdercisi nemmeno se ci si impegnasse.
Quella metropoli inglese, invece, non finirà mai di stupirlo, pensa. Londra è passato, presente e futuro in perfetta sintonia fra loro; è luci, musica, pioggia, negozi, musei, cafè, graffiti, traffico, gente eterogenea. E’ il nuovo e l’ignoto. E’ Diana.
Era lì, l’ha vista, nascosta in un angolo e convinta di essere invisibile fra le mura del Red’s. E se fosse completamente sincero con sé stesso, ammetterebbe anche di trovarsi là fuori non per l’ossigeno, ma per lei.
L’ha vista fuggire, ancora una volta, ma in questa ha voluto seguirla.
Solo che Diana non è lì.
E poi una risata cristallina e liberatoria spezza il silenzio circostante.
“Jamie, smettila! Mi fai il solletico!”
A Luke basta poco per capire e ora l’aria fredda sembra soffocarlo. Rientrando e chiudendosi la porta alle spalle, per la prima volta sente nostalgia di casa. 


 
FINE PRIMA PARTE

 
Ciao a tutte! Dopo secoli, porto a termine la prima parte di questa ff! Ci sarà un sequel, molto probabilmente, ma molto dipenderà da voi.
Se state leggendo, significa che siete rimaste con me until the very end come direbbe qualcuno, e di questo vi sono immensamente grata.
Spero il capitolo possa piacervi, fatemi sapere che ne pensate!
Un bacione, 

Sara 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2433780