La lingua delle maschere

di Trick
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Il bugiardo ***
Capitolo 3: *** Il traditore ***
Capitolo 4: *** La spia ***
Capitolo 5: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Note: Questa mini-long è stata scritta per il contest Tr/Amando indetto da Elos sul forum di Pseudopolis Yard – è un contest così brillante e particolare che non riuscirei a spiegarvelo: vi suggerisco di dare un'occhiata al forum.
Sì, forse sto sottilmente spammando (e nemmeno troppo sottilmente, chiedo scusa).
Sono tre capitoli con l'epilogo finale incredibilmente già conclusi, e questo mi fa ruggire di orgoglio perché terminare le long-fic per me è come scalare l'Everest con un paio di pinne ai piedi... prevedo di pubblicarla tutta entro breve, mentre un cherubino lancerà dardi dorati, petali di rose e chicchi di riso, gridando: «Bontà del cielo, ne hai terminata almeno una!».
Sono felice di constatare che come al solito non sto usando le note per dire qualcosa di utile, quindi... dirò qualcosa di utile: i nomi dei personaggi, degli incantesimi e tutti gli altri sostantivi potteriani sono scritti secondo la prima traduzione della Salani, eccezion fatta per i soprannomi dei quattro Malandrini e il cognome Longbottom, perché... beh, mi piacciono di più. (:
Detto ciò, volevo ringraziare in maniera particolare Agne, prode compagna di questo ardimentoso contest, che mi ha fatto da Beta e da spalla su cui rigettare ogni isteria. C'è stata molta isteria, lo confesso.

E naturalmente grazie a voi che state per leggere. (:







*
La lingua delle maschere





As brothers we will stand
and we'll hold your hand
(Timshel – Mumford and Sons)


Prologo



Ogni uomo indossa una maschera sul volto.
Nessuno può mai dirsi sicuro della persona che gli è vicina, ma gli amici, quelli veri, alla fine si limitano a essere come appaiono.
Amici come quelli, nudi da trucchi e da inganni, si bramano per tutta la vita. Qualcuno li trova ed è felice; qualcuno li confonde e lo è un po' meno; qualcuno si sveglia una mattina e realizza che nulla è come dovrebbe essere.
Non rende solo un po' meno felici: lacera la pelle centimetro dopo centimetro, la fa bruciare, scottare, la fa sciogliere fino a quando lo scheletro non brilla alla luce del giorno, ed è allora che l'amara consapevolezza scava a fondo, spacca le ossa, riduce un uomo in polvere. Lui è ancora lì, a pancia in su nel suo letto e intorpidito dalla sonnolenza, ma da qualche altra parte è appena morto.
Remus Lupin ha mentito un considerevole numero di volte, ma quella mattina, un istante dopo aver aperto gli occhi nell'umida camera di Grimmauld Place che Sirius gli ha riservato, ha capito che fra tutte le menzogne sulle quali ha costruito la sua vita ce ne è una, e una soltanto, per la quale forse valesse la pena smascherarsi.
Una sola verità.
Probabilmente era la sua ultima occasione.







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Capitolo 2
*** Il bugiardo ***


Note: Ve l'avevo detto che avrei aggiornato in fretta. (:
In questo capitolo ci sono dettagli tratti da Pottermore (in particolare da ciò che viene raccontato sui Lupi Mannari), ma confesso di essermi presa la libertà di ignorare qualche punto che non mi interessava particolarmente...







*
La lingua delle maschere





I.
Il bugiardo




Nessuno di loro aveva ancora ben chiaro cosa rappresentasse davvero l'amicizia. E dire che erano buoni amici, di quelli che non avevano mai litigato e si spintonavano scherzando per i corridoi di Hogwarts. Erano amici e ridevano, si prendevano in giro e sì, avrebbero giurato con entrambe le mani sul fuoco che loro erano davvero amici e che lo sarebbero stati per sempre.
A dodici anni si giura su molte cose, anche sulle bugie.
«Tua madre è di nuovo malata?».
Remus si immobilizzò con le dita serrate attorno al pigiama che stava infilando nello zainetto: la nota diffidente nel tono di voce di Sirius gli aveva fatto tremare le ginocchia. Si mordicchiò nervoso il labbro inferiore con la sgradevole sensazione di avere gli occhi dell'amico conficcati nella schiena come due lame roventi. E giravano, giravano, giravano nella carne e facevano un male dannato.
«Già» mormorò tristemente, voltandosi appena per rivolgergli un sorriso tirato.
Sirius era un ragazzino dotato di un'invidiabile eleganza: aveva solo dodici anni, ma i suoi lineamenti decisi ne rendevano il viso più maturo. Aveva il naso dritto, le labbra ben disegnate e ogni altro dettaglio della sua piccola persona sembrava perfetto esattamente nel modo in cui era uscito fuori.
«Che cos'ha?».
«Te l'ho già spiegato».
«Ma io non ho capito».
Remus chiuse gli occhi e sospirò.
«È una malattia rara, Sirius. Una malattia Babbana».
«C'è una cura?».
«No».
La risposta lasciò Sirius piuttosto insoddisfatto. Incrociò le braccia e si appoggiò con naturalezza allo stipite della porta del dormitorio, senza smettere di scrutare l'amico con espressione accigliata. E Remus non poté fare a meno di notare che perfino in quel modo, con una ruga pensierosa in mezzo alla fronte e il naso storto, il volto di Sirius era comunque perfetto.
«Mi dispiace, Remus».
«Grazie» tagliò corto mentre richiudeva lo zainetto con un gesto frettoloso. Lanciò un'occhiata preoccupata alla sveglia sul comodino e si costrinse a sorridere. «Ora devo proprio andare».
«Certo». Sirius si spostò di qualche decina di centimetri per farlo uscire. «James e Peter sono in sala comune. Credo che Peter stia di nuovo stracciando James a scacchi».
«La tenacia di James è ammirevole».
«Tenacia?» ripeté Sirius con un sogghigno sarcastico. «Io lo chiamo “essere scemi”. Non potrei proprio giocare una partita che non so vincere. E tu?».
Remus si gettò in spalla lo zaino e cercò di individuare i due amici fra gli studenti che affollavano la sala comune. Li vide seduti accanto a una delle finestre: James aveva le mani nei capelli e Peter sghignazzava soddisfatto.
«Non lo so» disse vago. “Sì, invece. Lo faccio a ogni Luna Piena. Lo faccio ogni giorno e ogni secondo...”.
Sirius gli rivolse un'ultima occhiata penetrante. Remus trattenne un brivido: nel suo sguardo brillava una tacita accusa e una parte di lui temette che fosse arrivata la fine – che Sirius avesse intuito, che avesse scoperto...
Si rilassò solo quando l'altro si limitò a salutarlo con un'amichevole pacca sul braccio. “Se davvero lo avesse scoperto, non mi toccherebbe nemmeno”.
«Spero che tua madre si riprenda».
«Grazie».
Non si voltò indietro mentre scendeva le scale, ma continuò ad avvertire su di sé la pungente attenzione di Sirius. Superò un gruppetto di ragazze del quarto anno che ridacchiavano oltre le pagine del Settimanale delle Streghe e si avvicinò ai due compagni di dormitorio. Gli fu sufficiente una sola occhiata alla scacchiera incantata per capire chi dei due amici fosse nuovamente a un passo dalla sconfitta.
«Accidenti a te, Peter!» strepitò con sconforto James, passandosi una mano fra i capelli scarmigliati e lasciandosi scivolare nella poltrona. «Sono ai ferri corti e... ehi, Remus!».
Remus si aggiustò lo zaino sulle spalle e sorrise.
«Vai a trovare tua madre?».
«Sì, sono venuto a salutarvi. Tornerò entro un paio di giorni».
James annuì con aria mesta.
«Bel guaio, quello...».
«Starà bene».
«L-lo speriamo tutti».
«Grazie, Peter».
Rimasero qualche secondo in silenzio, fissando l'alfiere nero di Peter fare a pezzi la torre bianca di James. Remus inclinò pensieroso il capo e studiò rapido le posizioni sulla scacchiera. Aveva sempre amato gli scacchi, sebbene avesse potuto giocare con quelli magici solo una volta arrivato a Hogwarts. Suo padre era un mago, ma sembrava trovare la violenza rumorosa degli scacchi incantati un po' troppo fuorviante per la concentrazione.
“L'istinto e la ragione non vanno mai d'accordo, Remus” gli aveva detto una sera di molti anni prima nel tentativo di spiegare al figlio la facilità con cui gli aveva dato scacco matto. “O combatti con l'una o combatti con l'altra; se combatti con entrambe, hai già perso”.
«Regina in E4, James» consigliò con innocenza.
«Ehi!» protestò piccato Peter. «Sto vincendo!».
Remus ridacchiò della sua espressione indignata e infilò le mani nelle tasche.
«Hai già vinto».
James guardò prima lui, poi la scacchiera e poi Peter. Poi ancora Remus, la scacchiera e Peter, e più li guardava più il suo viso si incupiva.
«Ho perso, eh?».
«Cercavo di salvarti un briciolo d'onore» ammise amabilmente Remus. «Ora devo proprio andare...».
«Fa' buon viaggio, Remus».
«E porta i nostri auguri a tua madre».
«Grazie, ragazzi. Ci vediamo presto».
James e Peter fissarono l'amico dirigersi verso il passaggio nascosto dietro il ritratto della Signora Grassa. Attesero che l'orlo sdrucito del suo mantello fosse svanito oltre la parete prima di scambiarsi un'occhiata d'intesa. Sirius li raggiunse pochi istanti dopo, si accomodò su una terza poltrona e allungò le gambe sul tavolino incurante della partita in corso. James e Peter non dissero nulla: la sconcertante sconfitta di James sembrava già dimenticata.
Fu Sirius il primo a prendere a parola.
«C'è la luna piena anche questa sera».
Peter trasalì. James non si mosse. Teneva gli occhi ancora puntati sui resti della sua torre, ma Sirius sapeva che non stava pensando alla partita – stavano tutti pensando alla stessa identica cosa da mesi.
«Forse è meglio rientrare nel dormitorio, Sirius» consigliò con voce sepolcrale James. Si sporse oltre la poltrona per scrutare cauto gli altri ragazzi di Grifondoro. «Dico davvero. La sala comune non è il posto adatto per parlare di... questo».
Sirius annuì. I tre si alzarono in piedi e si diressero a passi svelti verso le scale. Non appena ebbero raggiunto il dormitorio, Sirius si richiuse la porta alla spalle con un calcio rabbioso. Sentiva ogni nervo fremere sotto la pelle, ogni centimetro dei propri muscoli tendersi a causa del dispetto... si morse l'interno della guancia e guardò i due compagni.
«È un dannato Lupo Mannaro».
Lo aveva già detto, ma mai come quella volta ne era stato convinto. Lo aveva pensato, se lo era ripetuto decine di volte mentre fissava Remus chino sui libri, Remus che faceva colazione, Remus che rideva e scherzava con quel suo umorismo delicato che gli era sempre piaciuto tanto... Remus che era un Lupo Mannaro, e ora che quelle parole erano davvero uscite dalla sua bocca si sentiva in qualche modo preda dello sconforto – e lui detestava sentirsi sconfortato.
Peter si era acciambellato nel suo letto e aveva nascosto metà volto nel cuscino. James si era avvicinato alla finestra e pareva intenzionato a non voltarsi. Teneva lo sguardo incollato al cielo.
«Forse è vero che sua madre è molto malata...» commentò Peter, ma la sua voce era colma di dubbio. «Insomma... un Lupo Mannaro a Hogwarts? È contro le regole, giusto?».
«È contro la legge» sibilò Sirius. Si lasciò cadere a schiena bassa sul proprio letto e incrociò le braccia dietro la testa. «Sia dannato Salazar... non posso crederci».
«Credete che dovremmo dirlo agli insegnanti?».
Sirius gli rivolse un'occhiata sprezzante. Talvolta l'ingenuità di Peter gli dava il voltastomaco e quella sera la sua pancia era già di per sé fin troppo agitata.
«Credi che non lo sappiano? Remus se ne va via una volta al mese! Come potrebbero non saperlo?».
«Ma se lo sanno...». Il tono della sua voce si fece ancora più timido e impacciato. «Com'è possibile che--».
«Non dire fesserie, Peter» lo interruppe deciso James. Si voltò finalmente verso di loro. Sul suo viso c'era un'ombra di biasimo. «Ne abbiamo già parlato. È Remus».
“È Remus” pensò Sirius. “Remus, Remus che studia, Remus che mangia, Remus che ride, Remus che è un Lupo Mannaro...”. Emise un grugnito infastidito mentre la parola “Lupo Mannaro” continuava a rimbombargli nella testa. “I Lupi Mannari sono Creature Oscure”.
«Credete che dovremmo dirglielo?» domandò Peter.
Sirius chiuse gli occhi e inspirò profondamente. Quella situazione assurda lo stava facendo impazzire e di certo Peter non era di alcun aiuto. Provò l'impulso di testare su di lui gli effetti dell'Incantesimo Immobilizzante di cui il professor Vitious aveva parlato durante l'ultima lezione, ma poi ricordò che su alcune Creature Magiche non aveva effetto e i suoi pensieri tornarono su Remus – Remus il Lupo Mannaro. Si chiese se l'Incantesimo Immobilizzante potesse funzionare anche su di lui. “Peter però non è una Creatura Magica. Starebbe zitto per almeno una decina di minuti...”.
«Io dico di sì» affermò James con sicurezza.
«E se si arrabbia?».
Questa volta la risata di James scoppiò alta e fragorosa. Sirius si accigliò. Come poteva James ridere in un momento simile? Aveva riso anche diversi mesi prima, quando Sirius aveva suggerito che Remus potesse essere un Lupo Mannaro. E all'epoca lo aveva detto con così poca convinzione che era stato il primo dei due a riderne. Ma poi le settimane si erano succedute e non era più stato in grado di ignorare tutti quei dettagli che forse avrebbe potuto notare fin da subito: mano a mano che il plenilunio si avvicinava, Remus diventava più pallido e debole, prestava meno attenzione durante le lezioni, si distraeva, parlava poco... e spariva ogni sera con la luna piena – e per quanto Sirius non capisse nulla né di Babbani né delle loro strane malattie, non era certo un ragazzo stupido.
Guardò James con aria contrariata.
«Non c'è niente da ridere, James».
James sgranò gli occhi e fissò stupefatto l'amico con quel sorriso quasi ebete che Sirius aveva imparato a riconoscere. Era quel sorriso di James, quello che diceva: “Ehi, non posso credere che tu sia tanto stupido, mi fai ridere a crepapelle”.
«È Remus» ribadì con voce incredula. «Andiamo, qualcuno di voi l'ha mai visto arrabbiato? L'avete mai visto gettarsi sulla cena e fare a brandelli cosciotti di pollo, l'avete mai sentito ringhiare o sputare palle di pelo o marchiare la porta del dormitorio?».
«A volte sviene durante le lezioni del professor Lumacorno...».
James si grattò pensieroso il mento.
«Magari è solo colpa della bilancia d'argento». Scrollò le spalle e aggiunse: «Non vedo l'ora di chiederglielo».
«James» ribatté tetro Sirius. «Hai la più pallida idea di cosa sia un Lupo Mannaro? Intendo davvero».
«Mio padre ha un libro sui Lupi Mannari...» disse Peter incerto. «Lupi Fuorilegge: perché i Licantropi non meritano di vivere. Ci sono delle fotografie orrende». Si strinse le braccia allo stomaco con espressione nauseata.
«Mio padre invece conosce l'autore» sostenne piccato James. «Emerett Picardy lavora al Ministero insieme a lui. E mio padre pensa che sia un idiota tronfio e che quel libro sia pieno di sciocchezze».
«E se lo dice tuo padre, deve essere così, no?». Sirius scattò a sedere con aria truce. Odiava quel discorso, odiava sentire frasi come “mio padre dice che...” o “mio padre è convinto che...”. Anche suo padre diceva un sacco di cose – ed erano sputi e grida e pugnalate che Sirius non voleva sentire. «Beh, lascia che ti dica una cosa, James: tuo padre non ha capito niente. I Lupi Mannari sono Creature Oscure, non distinguono il bene dal male. Non hanno morale, non hanno ragione, non sono... umani» sputò l'ultima parola con disprezzo feroce, ma mentre l'accusa gli scivolava dalle labbra una parte di sé si chiese se davvero ci stesse credendo. “Non sono umani” ripeté nella sua testa. “Remus non è umano, Remus ha mentito”.
James non si mosse. Rimase fermo nel cono di luce che la luna piena proiettava sul pavimento del loro dormitorio. Non si muoveva, ma Sirius riconobbe un'improvvisa furia agitarsi al di là delle lenti dei suoi occhiali. Era strano vedere quell'ombra feroce sul viso dell'amico: James era James, era gentile e onesto e poneva l'amicizia sopra qualunque altra cosa – ed era il suo dannato migliore amico che non voleva capire a quale pericolo tutti loro stessero andando incontro.
«Dimmi che non pensi sul serio che Remus non distingua il bene dal male. Dimmi che non pensi non abbia morale o ragione o...». James chiuse gli occhi come se non fosse in grado di sopportare la vista di Sirius e fece un profondo respiro. «Dimmi che non lo pensi. E dimmelo in fretta, Sirius, o giuro che ti prendo a pugni».
Sirius si alzò in piedi.
«Ci ha mentito».
Quello sì, che faceva male. E doveva far male anche a James, Sirius ne era certo – perché James era James, il gentile e onesto James che poneva l'amicizia sopra qualunque altra cosa. Non poteva non capire come si sentisse. Non James, non il suo migliore amico. Eppure il suo viso era ancora marmoreo, spietato, e per la prima volta Sirius notò il fantasma del disprezzo nei suoi occhi.
Forse il pugno non sarebbe partito da James.
«Hai appena definito Remus una “Creatura Oscura”» scandì pungente l'altro. «Hai detto che non è umano. Chissà, magari è per questo motivo che non ti ha detto niente».
«È un Lupo Mannaro!» strepitò Sirius. «Con quale altra parola avrei dovuto definirlo?».
«Non saprei» rispose James con sarcasmo piccato. «Che te ne pare di “amico”?».
Sirius tacque. Lanciò un'occhiata a Peter, ma il ragazzino sembrava intenzionato a non prendere parte nella loro accesa discussione – la prima, realizzò improvvisamente. “Stiamo litigando per colpa di un Lupo Mannaro. Bell'affare”. Si lasciò cadere con pesantezza sul materasso, ignorando lo sguardo accusatorio di James. Non c'era nulla di sbagliato nella sua posizione. James poteva scegliere di giocare al bravo samaritano fino ad avere la nausea di bontà e misericordia – o fino a quando la sua ingenuità lo avrebbe fatto ammazzare o sbranare – ma Sirius conosceva la realtà. Sirius non viveva nel suo stesso castello di cioccolato e marzapane. “Amico” mormorò una voce maligna nella sua testa. “I miei amici non sono Lupi Mannari. I miei amici non mentono”.
Si rigirò testardo sulla schiena e affondò il volto nel cuscino, nascondendosi nell'ombra delle tende rosse del baldacchino.
«Sirius?» lo richiamò James con più gentilezza.
La sua risposta fu un brontolio scocciato.
«Fa' quello che ti pare, James. Non ho potere di farti cambiare idea e tu non hai potere di farla cambiare a me. Fine della questione, buona notte».
Nessuno aggiunse altro e Sirius serrò gli occhi. Non si alzò per sfilarsi né la divisa né la cravatta di Grifondoro – non si levò nemmeno le scarpe. Restò fermo in un angolo del suo letto, ascoltando il rumore dei suoi compagni che indossavano i pigiami e si cacciavano sotto alle coperte senza parlare. Il tempo parve trascorrere con fastidiosa lentezza. Solo dopo diversi minuti riconobbe il respiro di Peter farsi lento e pesante. Attese ancora e ancora e ancora... ma per la prima notte da quando l'aveva conosciuto, James non russò.


*


La mattina dopo non era del tutto certo di aver davvero dormito. A un certo punto aveva semplicemente aperto gli occhi ed era stato come un battito di ciglia poco più lungo del normale. Si sentiva a pezzi.
Peter e James si alzarono pochi istanti più tardi – e Sirius sapeva di non essere stato il solo a non dormire. A differenza di Peter, che aveva iniziato a chiacchierare nervosamente come se nulla fosse accaduto, James si era stropicciato con lentezza gli occhi arrossati. Poi aveva fissato Sirius con aria interrogativa. Sirius si era alzato, si era sistemato la camicia sgualcita nei pantaloni, aveva afferrato la borsa dei libri e si era defilato dalla stanza senza nemmeno salutare.
“Al diavolo James” continuò a ripetersi mentre scendeva in sala comune. “Al diavolo Peter” pensò mentre sgusciava al di là del buco nel ritratto della Signora Grassa e si avviava verso la Sala Grande per la colazione. “E al diavolo Remus” concluse mentre prendeva posto alla tavolata praticamente deserta di Grifondoro. Non aveva mai mangiato da solo – e anche quello era colpa di Remus.
Quando James e Peter lo raggiunsero, lui aveva ormai terminato di sbocconcellare la sua colazione. Abbandonò ciò che restava del suo succo di zucca e se li lasciò entrambi alle spalle, intenti a scambiarsi occhiate preoccupate. Fu solo al termine della lezione di Trasfigurazione che James si arrischiò a parlargli. Si affrettò ad avvicinarsi a lui mentre l'amico infilava i libri nella tracolla.
«Puoi piantarla di comportarti come un completo idiota per almeno dieci minuti?».
Sirius alzò il capo e scostò un ciuffo di capelli dalla fronte. I suoi occhi erano stretti in un'espressione minacciosa.
«Va' al diavolo, James» soffiò arrabbiato. Pronunciarlo a voce alta fece ruggire di soddisfazione il suo stomaco. «Tu e Peter e quell'altro».
«Bene» concluse l'amico con tono efficiente. «Volevo solo informarti che io e Peter abbiamo deciso di parlare a Remus non appena sarà tornato. Gli diremo che sappiamo cos'è e che non ci importa perché sappiamo chi è. Gli diremo che la nostra amicizia vale molto di più di questo suo...» si interruppe per cercare le parole adatte. Guardò Peter, ma tutto ciò che ottenne fu una confusa scrollata di spalle. «Beh, di questo suo “piccolo problema peloso”, ecco. E io e Peter ci stavamo chiedendo se tu volessi o meno farlo con noi. Se tu fossi ancora nostro amico». La sua voce si era fatta d'un tratto sconfortata. «E mi dispiace, Sirius, mi dispiace davvero tanto... ma se ora scegli di voltare le spalle a Remus, io non credo di...». Si fermò ancora, si passò una mano fra i capelli e scosse agitato la testa. Sembrava preda della sofferenza. «Non posso essere anche amico tuo. Non quando so che sei disposto a mollarci tutti perché la situazione si fa più difficile. Non è così che si comporta un amico».
Sirius aveva tenuto il capo chino e i pugni stretti per tutto il tempo. Si era morso il labbro inferiore e aveva cercato di controllare il respiro, ma le sue spalle trepidavano e i suoi muscoli premevano per colpirlo, per fargli male, per spaccare la dannata espressione di accusa che James si era appiccicato sulla faccia. Si alzò dal banco, afferrò la propria borsa e rivolse al compagno una gelida occhiata di sfida.
«Non sono io quello che sta voltando le spalle al suo migliore amico, James».
Se ne andò di nuovo, determinato a non parlare oltre con nessuno dei due. Uscì dall'aula a passo svelto, si infilò nella calca di studenti che si affaccendavano nel corridoio e si infilò nel bagno.
«C'è qualcuno qua dentro?» domandò.
Fu estremamente felice di non ricevere alcuna risposta. Gettò a terra la borsa e si aggrappò con entrambe le mani a uno dei lavandini. Chiuse le palpebre con decisione non appena si accorse che gli occhi pungevano e le lacrime erano proprio lì, a un passo dallo scappare. Sirius detestava piangere – non lo aveva mai fatto spesso, ma ogni volta aveva fatto un male infernale. Ed era una cosa stupida e ridicola e debole, ma la voce di James non smetteva di echeggiare nella sua mente, e suonava sempre più forte, sempre più definitiva... “Non posso essere anche amico tuo”. Piangere quella volta fece più male di quanto non avesse mai fatto – forse l'inferno non era Grimmauld Place, pensò fra i singhiozzi. L'inferno era lì, era in quel momento... e la colpa era solo di Remus.
Trascorsero altri due giorni tremendi prima che Remus tornasse finalmente al dormitorio. Sirius non aveva fatto che ignorare ogni tentativo con il quale Peter aveva tentato di farlo ragionare. James si era chiuso in un silenzio altrettanto testardo, ma Sirius sapeva che le parole di Peter erano quelle di James – erano sempre quelle di James, Peter era solo il suo grassoccio e fastidioso pappagallo.
Non appena Remus aveva fatto la sua comparsa sulla soglia del dormitorio con il suo colorito pallido e l'aria affranta e depressa, Sirius aveva arrangiato una smorfia indispettita e si era defilato nella Guferia. Non voleva nemmeno assistere a loro patetico teatrino. Gli era sufficiente immaginarlo per farsi montare la collera. “Oh, povero Remus, non è colpa sua. Povero Remus, deve aver sofferto così tanto. Povero Remus, sempre solo, sempre abbandonato...”.
I trespoli di legno erano quasi tutti vuoti: la maggior parte dei gufi stava probabilmente cacciando qualche roditore lungo i confini della Foresta Proibita. Sirius si appoggiò con i gomiti sul davanzale di pietra e scrutò stizzito il cielo. Nonostante fossero passati due giorni dal plenilunio, ai suoi occhi la luna sembrava ancora piena. Se ne restò per parecchio tempo a fissare le stelle e a rimuginare su quanto la situazione fosse ingiusta.
Poi sentì stridere i cardini arrugginiti della porta e si voltò per apostrofare qualunque studente avesse avuto il malaugurato pensiero di mandare una lettera proprio in quel momento, proprio da quella torre, proprio mentre lui non vedeva l'ora di prendere a calci l'umanità intera.
Era Remus.
Sirius era convito di avere un sacco di cose da dirgli, ma mentre lo guardava entrare nella Guferia con passo timoroso come se temesse di venirne scacciato, scoprì di non avere nemmeno desiderio di vederlo. Le luci delle torce del corridoio illuminavano il suo viso cereo e tumefatto. Sul suo sopracciglio destro c'era un cerotto bianco e Sirius contò almeno sette nuovi graffi.
«Come sta tua madre?» proruppe con rude sarcasmo. «Mi auguro bene».
Remus abbassò gli occhi e spostò il peso da un piede all'altro con profondo disagio.
«James e Peter me l'hanno detto» mormorò piano. «Che sapete, intendo. Che lo sapevate da un bel po'...».
«Oh, davvero? Ti hanno dato una pacca sulle spalle anche da parte mia, spero».
L'altro ragazzo si ritrasse come se Sirius gli avesse appena lanciato addosso una pietra. Inspirò forte e richiuse la porta. Tutto ciò che ora poteva far luce fra di loro era il candido riverbero della luna – e Sirius ne colse l'ironia come un'ennesima presa in giro ai suoi danni.
«Volevo solo dirti che sto andando da Silente per...» iniziò Remus, ma la voce parve spezzarglisi in gola. «...perché ho intenzione di tornare a casa mia. E di restarci. Non c'è bisogno che tu dica niente...» aggiunse con urgenza. «In realtà, Sirius, preferirei non dicessi niente».
Sirius sbuffò.
«La verità fa paura, eh?».
«Fa solo un po' male» replicò l'altro con un sorriso doloroso. «Ma va bene, non importa, non sono certo venuto per... per accusarti. Va bene così, dico davvero, tu hai ragione e la colpa è solo mia. Non avrei dovuto mentirvi, non sarei dovuto venire a Hogwarts, non... non avrei dovuto dire e fare un sacco di altre cose... è giusto che io me ne vada».
Aveva parlato in un rapido soffio agitato. E Sirius, che odiava i pianti e le lacrime e si era preso a schiaffi solo due giorni prima per fermare i propri, aveva riconosciuto quelli di Remus. Era un pianto diverso, il suo. Quello di Sirius era stato uno scoppio feroce di nervi e testa, era stato rabbia e frustrazione. Remus era solo disperato. E forse fu la vista del compagno tanto debole e vulnerabile, forse fu la lieta consapevolezza di sapersi ancora una volta più forte e resistente di lui, ma Sirius sentì scemare ogni suo desiderio di vendicarsi. La rudezza e il sarcasmo lasciarono spazio a un atteggiamento ben più serio e controllato – ma ancora indignato, ancora deciso a non scendere ad alcun compromesso.
«Cosa ti hanno detto James e Peter?» domandò con improvvisa curiosità.
Remus tentò di arrangiare un sorriso educato, ma ciò che ottenne non fu né più né meno di una smorfia sconfitta.
«Ha importanza?».
«Sì».
«Potresti semplicemente chiederlo a loro».
«Lo sto chiedendo a te».
«A loro non interessa» mugugnò fra i denti Remus, distogliendo ancora una volta lo sguardo. «Non so perché. Ti prego, non chiedermi anche questo, io... non lo so».
«Non gli interessa che tu sia un mostro?».
Remus serrò gli occhi. Rimase in silenzio qualche istante, prima di bisbigliare flebile:
«Non ha importanza».
«Perché no?».
«Perché a te importa. Credo sia sufficiente».
Sirius lo fissò a lungo. Osservò il pallore spettrale della sua faccia, la linea rigida della sua bocca, gli occhi rossi e lucidi, l'espressione derelitta e vuota. Si sentì nuovamente preda della rabbia.
«Non cercare di farmi sentire in colpa, Remus. Non provarci nemmeno, non funzionerebbe. Non sono io, quello cattivo. Non sono quello a cui non importa niente della nostra amicizia, non sono quello che volta le spalle, non sono quello che ha finto per quasi due anni di essere una persona normale». Remus sussultò ancora, ma restò zitto, così Sirius aggiunse con più decisione: «Sei tu, quello sbagliato».
Forse fu il tono distaccato con cui lo disse, forse fu il fatto che il suo viso era privo di qualsiasi emozione, come se avesse cancellato tutto ciò che avevano condiviso da quando si erano conosciuti, ogni scherzo e ogni risata e ogni attimo che per lui avevano significato ogni cosa. Forse fu solo il fatto che lo disse sul serio a far esplodere anche Remus.
«Smettila» sibilò irritato. «Cos'altro vorresti sentirti dire? Vuoi che ti ripeta che mi dispiace? Ho mentito e mi dispiace, ma immagino che arrivati a questo punto non abbia davvero alcuna importanza. A te non importa sentirtelo dire e io non intendo sprecare parole al vento». Si bloccò per fare un respiro tremante e scosse sdegnato la testa. «Me ne vado e la storia finisce qui. Non posso sopportare oltre...».
«Devi sopportare quello che--».
«No!» strillò isterico l'altro. «No, non devo! Non posso! Ho già sopportato abbastanza e fa male, Sirius, mi fa male! Ho appena ascoltato due dei miei migliori amici raccontarmi che a loro non interessa ciò che sono, che non importa, che non fa niente, che andrà tutto bene, ma non è vero. Non c'è niente di vero perché niente andrà bene. Credi forse che non sappia riconoscere la paura quando la vedo? La conosco, la paura... la conosco da quando avevo quattro anni». Il suo incessante gridare stava scemando in un basso singhiozzo, i suoi occhi si facevano sempre più lucidi e arrossati mentre le lacrime iniziavano a scendere sulle sue guance magre. Remus se le asciugò con aria umiliata. «E mentre Peter parlava e balbettava e continuava a ripetere che era tutto a posto, lei era lì, nei suoi occhi, e mi guardava... guardava me, aveva paura di me. Era terrorizzato. E James...». Tirò in su con il naso e iniziò a muoversi avanti e indietro come un animale in gabbia. «Oh, James è un ragazzo straordinario, ma non può davvero credere che io l'abbia bevuta. Non può non aver paura di me, nemmeno lui, nemmeno il coraggioso James, non quando io per primo ho paura di me stesso e di quello che sono e di tutto quello che potrei fare... e fa male, Sirius, ma non quanto il modo in cui tu mi stai guardando» ripeté fra i denti. «Tu non hai paura di me. Provi solo disgusto. E questo fa ancora più male, e qualunque cosa orrenda tu possa dirmi non mi farà che stare peggio. Preferirei che gridassi, che scappassi, che mi prendessi a pugni...». Il pianto incessante rendeva ormai incomprensibili le sue parole, ma Sirius continuava a restare fermo, con le labbra appena dischiuse dalla sorpresa di quell'improvvisa disperazione mentre Remus non smetteva di piangere e di biascicare sempre più velocemente. «Ma non questo, Sirius... non il disgusto, ti prego».
Remus parve aver oltrepassato il limite. Affondò le dita nei capelli biondi e si lasciò scivolare sul pavimento sporco della Guferia sulle ginocchia, con il viso nascosto fra le mani. Non smetteva di tremare, di piagnucolare senza sosta, e più Sirius lo fissava struggersi ai suoi piedi, più si sentiva a disagio. “È un Lupo Mannaro” pensò. Eppure questa volta il pensiero era insicuro, debole, evanescente. “È Remus, Remus che piange, Remus che mi aiuta nei compiti di Storia della Magia e ora sta piangendo”. Sirius conosceva sicuramente meglio di James e Peter cosa fosse davvero un Lupo Mannaro. I suoi genitori erano sempre stati piuttosto eloquenti, a riguardo – e per quanto li disprezzasse, per quanto li odiasse, Sirius non poteva realmente scordare ciò che aveva visto e sentito. Davanti agli occhi gli balenavano decine di prime pagine della Gazzetta del Profeta che dichiaravano dove e quando e con quanta malvagità i Lupi Mannari avessero fatto a pezzi questa e quella rispettabile persona...
“Un'aggressione di una violenza inconcepibile” scrivevano talvolta. “Una furia cieca, selvaggia, bestiale”. Rivedeva il libro di Emerett Picardy che aveva sfogliato con curiosità insanabile, ricco di immagini di corpi straziati e dilaniati che non erano più corpi, che non avevano più un braccio, una gamba, un volto... senza l'aiuto delle didascalie non avrebbe mai capito che quegli uomini erano stati davvero uomini. “Queste Oscure Creature non meritano la vita” sosteneva l'emerito professore. Ma in quella Guferia c'era anche Remus che non smetteva di piangere e una parte di Sirius non riusciva ad accettare che stesse piangendo a causa sua.
Si avvicinò a lui, ancora incerto su come comportarsi. Gli si inginocchiò davanti e tese una mano, molto lentamente – come se ancora stentasse a credere a quanto stava facendo. Gliela appoggiò sulla spalla, strinse appena le dita attorno al tessuto della sua divisa di seconda mano.
«Per favore, Remus...» lo supplicò. «Smetti di piangere».
«N-non riesco... q-questa v-volta non riesco...».
Sirius chiuse gli occhi e respirò una, due, tre volte... respirò fino a sentire i polmoni premere nello sterno come se volessero schizzargli fuori dal torace. Respirò senza dire altro, con il pianto di Remus che gli perforava le orecchie, la testa e tutto ciò che stava lì attorno, e il calore del corpo dell'amico nel palmo della mano. “Amico” realizzò d'un tratto. Lo aveva pensato davvero. “Amico”. Ricordò i volti marmorei dei suoi genitori, l'espressione alienata di sua cugina Bellatrix, ognuna delle raccapriccianti storie lette sul giornale, su quel dannato libro di Picardy, e quelle ascoltate dalle voci terrorizzate del resto del mondo... ed ebbe paura.
Non di Remus. Non del Lupo Mannaro.
Per la prima volta fu terrorizzato dall'idea di essere esattamente come la sua famiglia, di non poter scappare, di essere condannato – e Remus aveva ragione: faceva malissimo.
«Mi dispiace» mormorò piano. «Non voglio che te ne vada. Non andartene».
Remus alzò il volto, incapace di parlare.
«Per favore...» lo implorò Sirius. «Resta con noi».
 






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Capitolo 3
*** Il traditore ***


Note: Anziché adoperarsi per essere utile, questa volta il Lexicon mi ha reso le cose complicate. In primo luogo, è convinto che lo scherzo ai danni di Piton sia avvenuto durante il sesto anno dei Malandrini, sebbene nei Doni della Morte Lily e Severus ne parlino quando sono ancora amici, quindi prima della fine del loro quinto anno... buffa cosa, così ho fatto finta di niente.





*
La lingua delle maschere





II.
Il traditore




«Borage è davvero un idiota».
Lily non sollevò nemmeno gli occhi dal libro di Pozioni. Le sue labbra si piegarono appena in una smorfia un po' divertita e un po' rassegnata. Severus tentò nuovamente di concentrarsi sulla spiegazione del Distillato della Morte Vivente, ma ogni frase non faceva che accrescere il suo sdegno. Intinse la punta della piuma nel calamaio e riprese a cancellare con foga almeno un paio degli ingredienti consigliati.
«Sev...» lo riprese con voce paziente Lily. «Lascia in pace quel libro».
«È stato scritto da un idiota. L'ho detto?».
«Non negli ultimi trenta secondi».
«“Tagliare il Fagiolo Sopoforoso”» recitò sprezzante Severus. Lanciò all'amica un'occhiata eloquente e le mostrò i palmi con aria vittoriosa. «Che ti dicevo? È un--».
«Idiota» concluse Lily con un sospiro. Alzò finalmente lo sguardo su di lui e gli rivolse un sorriso esasperato. «Un giorno scriverai il tuo geniale compendio di pozioni e l'intera comunità magica te ne sarà riconoscente, ma per il momento devi accontentarti di Borage».
«Quel maledetto fagiolo va schiacciato con il piatto di un pugnale d'argento».
«Lo so. Ero insieme a te quando hai fatto la grande scoperta del succo del Fagiolo Sopoforoso».
Severus la fissò in silenzio per qualche secondo, perdendosi qualche istante di troppo nel verde dei suoi occhi vivaci. Poi storse piccato il naso e sulle sue guance pallide e magre comparve un vago rossore.
«Mi stai prendendo in giro?».
Lei portò una mano alle labbra per soffocare una blanda risatina. Severus si ritrovò a sorridere senza nemmeno rendersene conto. Amava la sua risata – amava ogni cosa di lei.
Rimase un po' spiazzato nel vederla chiudere il proprio libro per poi riporlo con cura nella borsa. Davanti alla sua espressione interrogativa, Lily arrangiò un sorriso di scuse.
«Questa sera sono di turno con le ronde dei Prefetti. Sarebbe toccato a Remus, ma sua madre è di nuovo malata e... non fare quella faccia».
«Quale faccia?».
«La faccia da “non posso credere che tu ti faccia incantare dalle panzane di Lupin”» ribatté lei in una discreta imitazione della voce dell'amico. «“Quel Lupin è strano, dico davvero, e se ne va sempre in giro con quell'espressione da criminale sulla faccia. Sono sicuro che nasconda una gigantesca ascia con cui mozza le teste delle proprie vittime”».
Il rossore sul volto di Severus si era fatto all'improvviso più acceso. Il ragazzo scosse nervoso il capo e incrociò le braccia al petto.
«Tu sai che ho ragione».
«Sicuro. C'è un Lupo Mannaro a Hogwarts che non fa che prendere Eccezionale in ogni tema di Storia della Magia. Sono terrorizzata».
«Lily...».
«No, Severus» lo interruppe lei con decisione mentre chiudeva la borsa e afferrava un paio di libri troppo voluminosi per entrarci dentro. «Remus è un bravo ragazzo. Smettila di giudicare la gente solo perché è un po' idiota».
«Quindi ammetti che Lupin è un idiota» esclamò Severus con un sogghigno trionfante. «Lo sapevo che--».
«Remus è un ragazzo» concluse Lily con particolare enfasi. «Come potrebbe non essere idiota?».
La battuta lo fece arrossire ancora di più.
«Io non sono un idiota!».
«Certo che no, Van Helsing».
«Van Helsing cacciava Vampiri».
«Probabilmente perché nessuno dei suoi compagni di scuola era un Lupo Mannaro».
«Van Helsing studiò a Durmstrang» la corresse veemente. «È famosa per i suoi cacciatori di Vampiri».
Lily roteò gli occhi al cielo e liquidò la questione con un vago movimento della mano.
«Resti qui a impiastricciare oltre quel povero libro?».
Severus sospirò tetro.
«Borage è un--».
«Ti prego, non ripeterlo ancora!» lo supplicò drammatica.
Lui le rivolse un timido sorriso. Il volto raggiante di Lily aveva il potere di lasciarlo senza parole, senza fiato, senza alcuna ragione. E, nonostante tutto, a lui andava più che bene di annaspare davanti ai suoi piedi. C'erano state un paio di occasioni in cui si era sentito talmente audace e temerario da farsi quasi sfuggire la verità che le nascondeva da una vita.
Solo la settimana prima, durante la gita a Hogsmeade, Lily aveva diviso con lui la bacchetta di liquirizia che aveva comprato a Mielandia e il suo sorriso amabile aveva fatto precipitare una gigantesca bolla di sapone nel suo stomaco. Lily aveva avvicinato la propria metà spezzata e l'aveva fatta cozzare contro la sua, mormorando divertita: “Cin-cin”.
Severus era stato a un passo dal rivelarle ogni cosa. “Mi piaci, mi sto innamorando di te, forse lo sono sempre stato”. Ripeterlo fra sé e sé continuava a essere più facile. Svegliarsi alla mattina con la certezza di poterla rivedere a colazione, durante le lezioni che Serpeverde divideva con Grifondoro, e poi nei corridoi e in biblioteca, e nel parco attorno alla scuola o nella Guferia... lei c'era e Severus non voleva perderla. Fu questo, alla fine, che lo portò a tacere ancora una volta.
«Ci vediamo domani?».
«Certo».
Lily s'incamminò verso l'uscita delle biblioteca ormai deserta, ma si voltò dopo qualche passo per guardarlo con incredibile serietà. Severus inarcò perplesso un sopracciglio.
«Fa' attenzione, stanotte: sarebbe piuttosto spiacevole trovare un Vampiro nascosto sotto il tuo letto» ridacchiò prima di andarsene.
Il ragazzo scrutò corrucciato l'enorme libreria dietro alla quale era svanita l'amica. “Sostituire Lupin durante le ronde” pensò con stizza. “Casualmente di nuovo. Casualmente con la luna piena”. Lily poteva anche essere abbastanza testarda da ignorare la realtà, ma lui non era affatto intenzionato a imitarla. Era evidente – così evidente, in effetti, che spesso si chiedeva come potesse essere il solo studente di Hogwarts a essersi reso conto che il Prefetto Lupin era un dannato Lupo Mannaro. “Non l'unico. Scommetto che Potter e Black lo sanno. Minus forse ne è ignaro: è talmente stupido. Ma loro... loro devono saperlo”.
Riaprì in fretta il libro e lo sfogliò rapido fino alle ultime pagine, dove Libatius Borage aveva elencato le principali erbe usate nella preparazione delle pozioni. Trovò subito ciò che cercava.
“Aconito” lesse con un ghigno eccitato. “È una pianta tipica del nord della Scozia. Velenosa per i Babbani ma assolutamente innocua per maghi, streghe o Maghinò, l'aconito è indispensabile per la corretta fermentazione della Pozione Occhiopallato, volgarmente chiamata Pozione Risvegliante. Questa semplice ma efficace pozione è l'ideale per contrastare...”.
Sbuffò irritato e saltò di netto un paio di paragrafi per arrivare al punto che davvero gli interessava.
“Ben nota è la sua benefica capacità di allontanare i Lupi Mannari: queste pericolose Creature Oscure sembrano particolarmente vulnerabili all'essenza di aconito. Una minima dose è l'ideale per riconoscere un Lupo Mannaro non trasformato, che non tarderà a mostrare segni di fiacchezza o, in qualche caso, lancinanti dolori al ventre e perdita di conoscenza. Sebbene molti maghi e streghe abbiamo mostrato il loro appoggio all'uso di questa previdente verifica, il Dipartimento per il Controllo e la Regolazione delle Creature Magiche sembra ancora restio a metterlo in pratica: una dose eccessiva può condurre alla repentina morte dell'animale”.
Il sorriso di Severus si fece più tagliente. La dispensa del professor Lumacorno traboccava di fiori di aconito. E Lupin era stato assente durante la lezione sulla pozione Occhiopallato della settimana prima – e in ogni altra in cui fosse necessario utilizzare l'aconito. “Come può Lily non accorgersene?”. Si lasciò scivolare sulla sedia e iniziò a grattarsi perplesso il mento mentre valutava il modo più efficace per far aprire gli occhi all'amica. “Potrei cercare di avvelenare il suo succo di zucca”. Non era un'idea da scartare: finalmente tutti avrebbero visto Lupin per quello che era davvero. Un impostore, un mostro. Dove solo capire come e quando agire.
«Accidenti, un grosso pipistrello è riuscito a entrare in biblioteca».
Severus si irrigidì di colpo. Avrebbe riconosciuto la voce presuntuosa di Sirius Black ovunque. Quando si voltò il ragazzo era proprio lì, con le gambe fiaccamente distese sul tavolo dietro il suo e le braccia incrociate. La mano di Severus corse sotto al mantello e si strinse salda attorno all'impugnatura della bacchetta. Si guardò nervoso a destra e a sinistra, ma non c'era traccia né di Potter né di Minus. “E nemmeno di Lupin, ovviamente”.
«L'arguto Sirius Black in biblioteca?» replicò con tono sdegnoso. «Hai deciso che è arrivato il momento di imparare a leggere e scrivere come un bambino grande?».
Le labbra di Sirius si piegarono in un sorriso borioso, mentre mostrava annoiato un voluminoso libro dalla copertina porpora.
«Mille esercizi e indovinelli per affinare magicamente la testa» recitò vivace.
Gli lanciò il libro con uno scatto improvviso e violento; Severus reagì estraendo la bacchetta e bloccandolo a mezz'aria con un Incantesimo di Levitazione. Il sogghigno di Sirius si fece più cattivo.
«L'ho scelto per te, Mocciosus. Credo ci sia pure un intero capitolo dedicato al lavaggio. Dovresti darci un'occhiata».
Severus agitò blando la bacchetta e fece ricadere il libro sul tavolo. Sbirciò ancora una volta i pochi ragazzi rimasti a occupare gli altri tavoli, le librerie attorno a loro e la lunga scrivania di mogano alla quale sedeva composta Madama Pince.
«Cerchi la tua ragazza invisibile?» lo apostrofò Sirius, iniziando a dondolarsi sulle gambe posteriori della sedia.
«Cerco quei deficienti dei tuoi amici».
«Non ci sono».
Severus deglutì a fatica e tornò a concentrarsi sul ragazzo. La cravatta slacciata di Grifondoro gli scivolava sul petto come la pelle di un serpente. Aveva la camicia sgualcita che usciva dalla cintura dei pantaloni, la scarpa destra slacciata e i capelli lunghi scarmigliati attorno alle orecchie. Se ci avesse provato lui ad allentare il nodo della cravatta e a girare per i corridoi di Hogwarts con quell'aria dimessa, sarebbe sembrato uno spaventapasseri. Sirius Black, al contrario, sembrava nato per indossare la divisa come un anticonformista. Un motivo in più per detestarlo: Severus odiava gli anticonformisti – erano sempre i primi a imitare qualcun altro.
«E dove sono?» domandò con una nota di malcelato sospetto. «Potter ti è sempre appiccicato come una gomma da masticare sotto la suola di una scarpa. E quell'idiota di Minus non fa un solo respiro, se Potter non gli assicura che non disturba. Mentre Lupin...». La sua voce si abbassò fino a un sussurro trepidante. «Dov'è Lupin, Black?».
Sirius parve d'un tratto a disagio.
«Non sono affari tuoi. Ora che ci penso, Mocciusus... piantala di infilare il naso nei nostri affari o te ne pentirai».
«È una minaccia?».
«È una promessa» sentenziò franco Sirius. «Sta' alla larga da noi».
Severus sbuffò sprezzante, si alzò e raccolse in fretta le proprie cose, infilandole alla rinfusa nella borsa. Se fosse rimasto in compagnia di Black per un altro secondo, lo avrebbe probabilmente maledetto, ma gli occhi di Madama Pince vedevano ogni cosa e lui non voleva rischiare di far perdere punti a Serpeverde.
«Non sono io, quello che è venuto a ficcare il naso negli affari altrui» concluse infine con voce apatica. «E ti dirò un'ultima cosa, Black: so che sgattaiolate fuori dal vostro dormitorio ogni plenilunio e so che oltrepassate i cancelli. Non so ancora come, ma sono piuttosto certo di aver capito perché». Gli sfuggì una risata maligna. «E presto lo sapranno tutti».
Sirius scattò in piedi come una molla, batté i palmi delle mani sul tavolo e lo fissò con una luce furente. Qualche studente si voltò verso di loro con aria infastidita, ma nessuno osò intromettersi. L'espressione di Sirius era talmente truce che Severus estrasse la bacchetta e la tenne sollevata quel tanto che bastava per nasconderla dall'attenzione di Madama Pince. Ma l'altro ragazzo parve placarsi con la stessa repentina velocità con la quale si era alterato. Sul suo viso era comparso un sorriso furbesco.
«Vuoi sapere dov'è Remus, Mocciusus?».
Severus emise un soffio sarcastico.
«Come se tu volessi dirmelo».
«Questa notte, quando i tuoi simpatici compagni di dormitorio si saranno addormentati, va' al Platano Picchiatore... se ne hai il coraggio, naturalmente, ma io credo che tu non sappia neanche cosa sia». Gli rivolse un'occhiata ancora più sprezzante. «C'è un passaggio segreto nascosto fra le sue radici. Se non sarai così stupido da farti ammazzare dai suoi rami... beh, vieni a prenderci, Mocciosus. Ti aspetteremo per il dessert».
Se ne andò senza aggiungere altro, rispose all'occhiata inquisitoria di Madama Pince con un sorriso sfrontato e un vago inchino e s'incamminò lungo il corridoio che portava alla torre di Grifondoro. La risata sfrenata che gli risalì la gola fece voltare un gruppetto di Corvonero del terzo anno. Sirius continuò a ridere di gusto mentre saltava con un guizzo agile la scala incantata che aveva iniziato a muoversi. Si afferrò al corrimano e si passò le dita fra i capelli scuri, con il capo gettato indietro e un'espressione di alienata ilarità. “Quell'idiota se la farà nelle mutande e avrà finalmente un pretesto per cambiarsele”.
Raggiunse il ritratto della Signora Grassa nello stesso istante in cui James e Peter uscivano dalla sala comune per dirigersi a cena. James lo fissò con aria interrogativa.
«Dove sei stato? È un'ora che ti cerchiamo».
«In biblioteca».
I due ragazzi si scambiarono un'occhiata sconcertata.
«Dove?».
«C'ero finito per caso» replicò con una smorfia. Strizzò l'occhiolino e aggiunse: «Poi ho incontrato Mocciosus. Ci sarà da ridere».
James si riaggiustò gli occhiali con un largo sorriso estasiato. Sembrava trattenersi appena dal saltellare dall'eccitazione.
«Cos'hai fatto?».
«Sorpresa».
Nonostante le suppliche di Peter e le minacce di James, Sirius si rifiutò di rivelare la natura del suo scherzo. Furono fra gli ultimi studenti a raggiungere la Sala Grande per la cena.
«Oh, che bello, c'è il budino!» esclamò vivace Peter mentre prendeva posto lungo la panca.
«Ehi, Evans!» gridò James, sporgendosi con il busto in avanti per guardare la ragazza con i capelli rossi seduta sei persone più a sinistra. Le puntò l'indice contro nella chiara imitazione di una pistola. «Bang, colpita. Vieni con me a Hogsmeade, il prossimo sabato? Bang, bang».
Un paio delle sue compagne di dormitorio scoppiarono in una risatina agitata, ma Lily rimase rigida e impassibile, con gli occhi verdi fissi su di lui e l'espressione imperscrutabile. Poi le sue labbra si piegarono in un sorriso malizioso.
«Potter, perché non prendi il tuo cavallo a dondolo e non torni a fare lo scemo nel Far West? Bang».
Le sopracciglia di James schizzarono verso l'alto. Tornò a sedere composto e incrociò imbronciato le braccia al petto.
«Dannazione. Moony mi aveva detto che fra i Babbani funziona così. Bang» ripeté, sparando a Peter.
Il ragazzino finse di essere colpito e si afflosciò accanto al piatto di porridge. Sirius ridacchiò.
«Moony ha anche detto che i Babbani duellano con quella roba, Prongs. E non ti aveva pure detto che era illegale sparare a una ragazza per convincerla a uscire a Hogsmeade?».
«Sì» bofonchiò a bocca piena Peter. «Lo aveva chiamato “colazione”.
«“Coercizione”, cretino» lo corresse James. Piantò la forchetta in una patata e poi scosse la testa come se la questione fosse già acqua passata. «Allora, Padfoot... parlaci di questo grandioso scherzo sul quale stai facendo tanto il misterioso».
Sirius ingoiò un grosso boccone di pollo arrosto e si chinò verso gli amici con fare cospiratorio.
«Hai usato l'Incatesimo della Crescita dei Denti?» propose entusiasta Peter.
James lo colpì alla nuca con uno schiaffo leggero.
«Stupido, i suoi denti ti sembrano lunghi trenta centimetri?».
«Ho fatto di meglio».
«Gli hai appiccicato la lingua al palato?».
«Bazzecole, in confronto».
Sul viso di James calò un'ombra preoccupata.
«Dimmi che non hai provato nessuno degli Incantesimi di Memoria che ci ha insegnato Vitious, Padfoot: alcuni dei loro risultati sono immutabili».
«Ehi, mi hai preso per uno sprovveduto?» replicò Sirius con un cipiglio indignato.
«Oh, meno male» squittì Peter sollevato. «Saresti potuto finire in guai grossi, questa volta... molto, molto gro--».
«Gli ho detto di raggiungere la Stamberga Strillante. Questa notte».
Il silenzio piombò fra di loro come la lama di una ghigliottina. Peter si portò le mani alla bocca, terrorizzato. James rimase immobile, con gli occhi sgranati dall'orrore e lo sconcerto e la labbra appena dischiuse, senza parole. Davanti alle loro espressioni allibite, Sirius gettò indietro il capo e scoppiò in una risata feroce e dirompente.
«Quell'idiota!» continuò a gran voce. «Scommetto che non avrà nemmeno il coraggio di uscire dalla scuola».
«E... e s-se lo f-facesse?» pigolò atterrito Peter. «Se s-scoprisse che...?».
«Beh, vorrà dire che finalmente inizierà a farsi i propri affa--».
James scattò in piedi come una furia, si lanciò verso l'amico, gli afferrò con decisione la cravatta e lo strattonò in avanti. Preso alla sprovvista, Sirius emise un gemito strozzato e tentò invano di liberarsi dalla sua presa. Negli occhi di James, solitamente tanto gentili e amichevoli, c'erano solo ira e indignazione.
I compagni di Grifondoro più vicini a loro avevano voltato le teste e li fissavano scioccati. Un litigio fra James Potter e Sirius Black era quanto di più strano si potesse vedere. L'improvvisa reazione di James stava attirando sempre più attenzione – perfino lo sguardo indagatore della professoressa McGranitt si era posato su di loro. Sembrava piuttosto contrariata. Peter afferrò James per una manica e lo costrinse a sedersi, sussurrando intimidito che ormai l'intera Sala Grande non aveva occhi che per loro due.
James lasciò andare Sirius con evidente riluttanza, ma ignorò le suppliche di Peter, scavalcò la panca e si diresse a grandi falcate verso l'uscita. Sirius sbatté un paio di volte le palpebre, confuso.
«Potter!» esclamò duramente la professoressa McGranitt.
Lui non si fermò. Sfrecciò fra i tavoli, incurante del borbottio curioso che si levava dagli altri ragazzi e si defilò nella Sala d'Ingresso.
«P-Padfoot...?» balbettò incerto Peter.
Sirius esibiva un'espressione profondamente tradita. Rimase a scrutare la porta di quercia oltre la quale era svanito l'amico.
«Che accidenti gli è preso?» domandò in un sussurro rancoroso. «Da quando Prongs è diventato il paladino di Mocciosus?».
«I-io...». Il ragazzo scosse nervoso la testa. «E se Piton facesse del male a Remus?».
Sirius spostò lo sguardo di lui. Il suo viso era privo di espressione, ma qualcosa in lui aveva appena iniziato a ribollire. Valutò quella possibilità e la trovò allo stesso tempo agghiacciante e impossibile. Affondò con stizza la forchetta in una patata al forno e la brandì come una spada davanti al volto paffuto dell'amico.
«Stupidaggini. Remus sa badare a se stesso». Se la infilò in bocca e inghiottì senza nemmeno masticare. «Andiamo, Wormtail: è Moony. Ha il suo piccolo problema peloso dalla sua parte».
Peter non sembrava tranquillo.
«Sì, ma... Moony non sarebbe per niente contento. Insomma... è il suo piccolo problema peloso, no? Lui lo odia».
“Lo odia”.
Sirius continuò a mangiare con apparente avidità, ma qualunque macigno fosse precipitato nel suo stomaco gli impedì di gustare il resto della cena. Ingoiò rapido ogni boccone, fingendo di non sentire nessuno dei tentativi con cui Peter tentò di convincerlo a dire a Piton che era tutta una menzogna.
«Magari se ne dimenticherà...».
«Piantala, Peter» lo ammonì seccato, spingendo da parte il budino appena toccato. «Al massimo Moony se lo mangia». Ridacchiò a quel pensiero, ma una parte di lui si accorse di avere la nausea.
Peter impallidì, ma non aggiunse altro.
Abbandonarono il tavolo insieme agli altri Grifondoro e si avviarono verso la sala comune. Nessuno dei due disse nulla per tutta la durata del tragitto. Quando aprirono la porta del dormitorio, trovarono James chino sulla Mappa del Malandrino. Sirius inarcò perplesso un sopracciglio.
«Ehi, Prongs, che diavolo--?».
James piombò ancora su di lui. Lo schiacciò contro la parete con tutte le sue forze, con i denti stretti in un ringhio furente, gli occhi brillanti e la punta della bacchetta piantata nel petto dell'amico. Sirius non fu in grado di reagire.
«Che ti è saltato in mente!?» ruggì James. «Hai detto a Mocciosus come trovare Moony! Moony, capisci? In una notte di luna piena!».
Sirius gli afferrò rude il polso, si divincolò e lo allontanò da sé con una spinta decisa.
«Ehi, Prongs, calmati».
«No! Non mi calmo! Sei un idiota, Sirius!».
«Non succederà niente di--».
«...niente di male?» sibilò James. Scosse il capo con uno sbuffo esasperato, si chinò sul baule ed estrasse il Mantello dell'Invisibilità. «Non hai nemmeno pensato alle conseguenze della tua stupidità, vero? “Oh, oh, oh, io sono Sirius Black, me ne frego delle conseguenze”. Beh, lascia che dica una cosa, Padfoot: questo non è uno scherzo. Quello che hai fatto... per l'amor di Godric, hai idea di quello che potrebbe succedere?».
Sirius trasalì. “Moony se lo mangia” si ripeté ancora, ma non c'era più alcun divertimento in quell'idea. Iniziava a diventare scomoda, pericolosa... sbagliata. La nausea non faceva che aumentare. Una parte di lui pregò di poter tornare indietro nel tempo per potersi tenere lontano da quella dannata biblioteca.
«Se Piton dovesse raggiungere la Stamberga Strillante, scoprirebbe la verità su Remus e lo farebbe espellere. E questa è solo la migliore delle ipotesi. Vuoi sapere qual è la peggiore, razza di imbecille?».
“No”. Lo aveva già capito, non voleva sentirlo. Non voleva più pensarci, voleva solo ritornare indietro e cancellare l'errore. Voleva che James la smettesse di urlare, di farlo sentire colpevole e incapace... “Non succederà niente”, tentò di convincersi ancora.
«L'Ufficio per la Regolazione e il Controllo delle Creature Magiche del Ministero ha un reparto riservato a quelli come Moony» spiegò tremante James. «Hai mai sentito parlare dell'Unità di Cattura dei Lupi Mannari? Hanno il compito di rintracciare chi non è iscritto al Registro dei Lupi Mannari e il nome di Moony non c'è su quell'elenco! La sua licantropia è sempre stata un segreto, il nostro segreto. E se...». Si passò una mano fra i capelli, fuori di sé. «Se a Mocciosus dovesse capitare qualcosa... se accidentalmente Moony dovesse aggredirlo... allora chiamerebbero il Comitato per l'Eliminazione delle Creature Pericolose».
Peter cacciò uno strillo soffocato e si coprì il volto con le mani. Sirius deglutì a fatica. Aveva la gola arida, le labbra secche e la nausea o qualunque sensazione fosse in realtà lo stava mangiando secondo dopo secondo.
«S-Silente non lo permetterebbe» replicò piano, ma non credeva del tutto a ciò che stava dicendo.
«Silente finirebbe a sua volta nei guai per aver ammesso un Lupo Mannaro a Hogwarts, e con lui tutti gli insegnanti e Madama Chips. E noi, Padfoot? Credi che quando il Ministero inizierà a mettere il naso in questa faccenda non scoprirà che siamo diventati Animagi? Devo forse ricordarti che se Remus non è iscritto al Registro dei Lupi Mannari, noi non lo siamo in quello degli Animagi? Non ci sono in ballo le regole della scuole. È la legge, quella che abbiamo infranto, e l'abbiamo infranta per Remus. E lo rifarei mille volte, ma adesso...». Lo liquidò con un movimento secco del braccio e si infilò addosso il Mantello. «Adesso siamo tutti in grave pericolo. E Moony ne è ignaro».
Ora Sirius poteva vedere solo la sua testa, ma la rabbia e la delusione sul suo volto erano più dolorosi di qualunque calcio o pugno che avrebbe potuto tirargli.
«J-James?» bofonchiò spaventato Peter. «S-Sirius?».
I due ragazzi si voltarono verso di lui. Peter reggeva fra le mani la Mappa del Malandrino. Nei suoi occhi c'era solo panico.
«P-Piton si sta muovendo... va verso il parco».
James imprecò.
«Corri da Silente e raccontagli quanto è accaduto. E non farti vedere da nessuno» gli ordinò. Si concesse un lungo sospiro e scompigliò i capelli biondicci dell'amico. «Andrà tutto bene».
Peter si torse un'ultima volta le mani, annuì impacciato e con un'ultima occhiata spaventata a Sirius si trasformò in un minuscolo topolino grigio. James gli aprì la porta e lo guardò guizzare furtivo fra le gambe di un paio di ragazze che stavano attraversando il buco del ritratto.
«E tu cosa fai?» gli chiese Sirius.
«Io vado alla Stamberga Strillante. La luna sorgerà a breve e qualcuno deve fermare Piton prima che sia troppo tardi».
«Vengo con te».
«No, Padfoot».
Il suo tono lo fece raggelare. James socchiuse gli occhi e inspirò profondamente, scuotendo piano il capo.
«Non ti voglio fra i piedi ora». Lanciò uno sguardo carico di angoscia alla Mappa del Malandrino abbandonata sul letto di Peter: il puntino che recitava “Severus Piton” aveva quasi raggiunto i cancelli di Hogwarts. La ripiegò in fretta e se la infilò in tasca. «Dico davvero, Padfoot. Non seguirmi. Hai già fatto abbastanza».
Sirius avrebbe preferito un pugno in pieno viso.


*



«Ti dico che era il solito topolino grigio, Maggie» stava dicendo una ragazza davanti al buco del ritratto a un'amica. «Ed è sfrecciato fuori dal dormitorio di Black e Potter».
«Non è l'animaletto di Lupin?» s'informò perplessa.
«Credevo avesse un coniglio».
In un'occasione diversa, James avrebbe trovato quella scena particolarmente esilarante. In quel momento, tuttavia, niente e nessuno sarebbe stato in grado di distendere i suoi nervi. Scivolò fuori dal buco nel ritratto e corse a perdifiato lungo il corridoio, evitò per un pelo che la rampa di scale lo trascinasse verso l'ala opposta del castello e proseguì con tutte le proprie forze oltre la Sala Grande deserta. Saltò i gradini che conducevano al parco e corse sotto la luce della luna piena verso il Platano Picchiatore. Gli dolevano la milza e i reni e le gambe, e probabilmente tutto il resto al quale erano attaccate, ma non si fermò.
“Andrà bene” non smise di ripetersi per un solo istante. “Andrà tutto bene, non succederà nulla, Remus starà bene, Piton starà bene”. Ma quando arrivò a pochi metri dal gigantesco albero stregato e vide i suoi grossi rami fermi e tesi verso il cielo, sentì scemare quel poco di sicurezza con la quale si era trascinato fino a lì. Piton doveva essersi già introdotto nel passaggio segreto – e forse era troppo tardi, forse non ce l'avrebbe mai fatta e ogni cosa sarebbe stata perduta per sempre.
Mentre si abbassava per scivolare sotto alle radici del Platano Picchiatore, raggelò al disumano suono di un ululato fin troppo vicino.
“Moony”.
Tentò di ignorare la paura che lo aveva attanagliato. Si liberò del Mantello dell'Invisibilità e lo gettò malamente ai piedi delle scale. Estrasse la bacchetta dalla tasca dei pantaloni e disse:
«Lumos!».
Saltò i gradini due alla volta, tre alla volta, quattro alla volta, per tutta la lunghezza che le sue gambe potevano concedergli. Parve trascorrere un'eternità prima che scorgesse il profilo della porta sgangherata della Stamberga.
E poi lo vide.
Severus non sembrava in grado di muoversi. Aveva a sua volta la bacchetta tesa davanti al viso pallido e spaventato, arretrava a scatti incurante delle scale dietro di sé... James gli fu accanto in un lampo.
Il furioso Lupo Mannaro si scagliò contro la porta; James fendette l'aria con la bacchetta e la sigillò. Ma la creatura continuò a raschiare con i pericolosi artigli, a ringhiare dall'altra parte, e la porta tremava e sbatteva, e a James pareva di avere la testa immersa nell'acqua.
«Dobbiamo andarcene!» ruggì all'altro ragazzo.
Ma Piton continuava a fissare la porta che sbatacchiava come se non potesse credere a quanto vedeva.
«È v-vero. L-lui è... “Moony”» sussurrò con improvvisa comprensione.
James lo afferrò per un polso e lo strattonò lungo le scale.
«Via, Piton! È pericoloso!».
Accade tutto con incredibile rapidità. La porta si frantumò sotto l'ultimo violento colpo del Lupo Mannaro, che si gettò su di loro con furia insanabile. James si lanciò su Severus e lo trascinò sul pavimento polveroso, coprendolo con il proprio corpo mentre l'animale li scavalcava. Perse equilibrio lungo le scale, ma tornò fulmineo sui proprio passi e abbassò la testa, mostrò i denti, gli occhi affamati iniettati di sangue. Il cuore di James perse un battito.
«Moony, amico mio...» biascicò piano, sollevando entrambe le mani con aria arrendevole. «Moony, sono io... sono Prongs. So che hai paura, ma va tutto bene, devi solo calmarti... hai imparato a controllarti, Moony... non mollare adesso, Moony, non--».
La creatura balzò una seconda volta verso di loro, ma questa volta venne intercettata da un animale grosso almeno la metà e dal fulgido pelo scuro.
“Padfoot”.
L'enorme cane si lanciò sul dorso del Lupo Mannaro, che si divincolò rabbioso e iniziò a sbattere da una parte all'altra del passaggio nel tentativo di liberarsi. Il suo ululato rimbombò fin dentro lo stomaco di James. Il cane non mollò la presa nemmeno quando venne schiacciato da tutto il peso del Lupo Mannaro contro la parete. Uggiolò di dolore e scosse la testa, ma rimase lì, saldo e deciso. Saltò davanti ai due ragazzi con i peli della schiena ritti dalla rabbia, abbaiando e ringhiando verso l'altro animale. Piton si era appena rimesso in piedi.
«C-che cosa...?».
Il cane balzò ancora. I suoi denti acuminati si conficcarono in una delle forti zampe del Lupo Mannaro, che si agitò a destra e a sinistra con un acuto ululato e si piegò dolorante su se stesso.
«Non fargli male!» gli gridò concitato James.
I due animali continuarono a lottare con ferocia crescente, e per qualche agghiacciante attimo nel passaggio segreto non si udì niente che non fosse il raspare degli artigli, i guaiti di dolore, mentre i denti baluginavano alla luce delle bacchette magiche... James credette di dover vomitare, ma quando vide il cane schiacciare il Lupo Mannaro contro la parete di pietra ebbe la prontezza di acciuffare Piton per la manica della camicia e trascinarlo via. Rischiarono di cadere entrambi lungo le scale; i loro piedi incespicavano sui gradini e le mani sudate tastavano alla cieca il muro.
James si chiese se quella discesa gli fosse mai sembrata tanto ripida e infinita.
Quando infine riuscirono a riemergere fra le radici del Platano Picchiatore, Piton cadde a carponi nell'erba umida e James si piegò in due, con le braccia strette allo stomaco. Quel po' di arrosto che aveva fatto in tempo a mangiare era in procinto di schizzargli fuori dalla bocca.
«V-voi... voi siete... siete...».
Le parole di Piton vennero superata da una voce dura e autoritaria.
«Qualcuno è ferito?».
James sollevò piano lo sguardo.
Silente avanzava a grandi passi verso di loro, con la veste viola che fluttuava lungo la sua scia e Madama Chips e Peter poco più dietro.
In vita sua James non aveva mai visto il Preside tanto furibondo. I suoi occhi azzurri brillavano al di là degli occhiali e sul suo viso non c'era nemmeno l'ombra del suo solito sorriso gentile. Sembrava un mago che non aveva mai sorriso – e sebbene James avesse trattenuto il fiato davanti a quell'apparizione impetuosa, non poté fare a meno di pensare che ce l'avevano fatta, era finita, Piton era salvo, non sarebbe accaduto nulla... “Moony e Padfoot stanno lottando”.
«È un Lupo Mannaro!» strillò Piton. «Lupin è un maledetto Lupo Mannaro! È là dentro, e sta--».
«Qualcuno è ferito!?» ruggì ancora Silente, afferrando James per una spalla e scuotendolo con decisione. «James, va tutto bene!?».
«S-sì...» mormorò il ragazzo. «Sì, stiamo bene. Nessuno è ferito, nessuno...».
“Moony. Moony è ferito, Padfoot è ferito, stanno combattendo, si stanno facendo male, si stanno...”. Avrebbe voluto gridare al Preside di fermarli, di salvarli, ma una piccola parte della sua testa osservò ragionevolmente che quella notte stava già assistendo a troppi segreti che sarebbero dovuti rimanere tali.
Madama Chips aiutò Severus a rialzarsi.
«È un mostro!» esclamò il ragazzo con disprezzo. «È un--».
«Ti prego di rimandare le tue osservazione a più tardi, Severus» lo interruppe franco il Preside. «Poppy, Reginald Cattermole è ancora in infermeria a causa di quella fattura Orcovolante?».
«No, Preside, è già rientrato nel suo dormitorio. L'infermeria è deserta».
«Ottimo. Ci sono molte cose che pretendono una spiegazione immediata e poche di esse devono giungere a orecchie indiscrete».
Severus aprì la bocca per replicare, ma il Preside lo zittì con una sola occhiata. Lo strano gruppo procedette in silenzio verso il castello, voltandosi solo di tanto in tanto per rivolgersi sguardi smarriti o astiosi. Peter trotterellò agitato al fianco di James, ma non disse una sola parola fino a quando non ebbero varcato i cancelli.
«Moony sta bene?».
«Non lo so».
Silente tenne aperta la porta dell'infermeria per fare entrare Madama Chips e Severus. James entrò a capo chino. Peter rimase fermo sull'uscio, incerto sul da farsi.
«Sì, signor Minus: anche tu» lo invitò Silente. La sua voce era tornata calma, il viso più rilassato, eppure c'era ancora una luce di mordente preoccupazione nei suoi occhi azzurri.
Una volta richiusa la porta, Madama Chips si affrettò a cercare fra le proprie dispense una Pozione Rilassante da somministrare ai due ragazzi. Piton si era lasciato scivolare su una sedia accanto alla prima finestra, ma James era rimasto immobile al centro dell'enorme camera. Aveva le unghie conficcate nei palmi delle mani e non se ne era nemmeno accorto.
«James» lo chiamò Silente. «Ti prego, siediti».
Il ragazzo lo ignorò. Scosse la testa e chiuse gli occhi, disperato.
«Remus è ancora là dentro, Preside. È ferito, è furioso, e si farà più male di quanto non se ne sia mai fatto e--».
«Quella cosa si farà del male?» strepitò Severus. «Stava quasi per sbranarmi!».
«Stai zitto!» urlò con improvvisa violenza James. «Tu non sai niente! Hai passato tutti questi anni a ficcare il naso nei nostri affari e non hai capito niente!».
«Non sono un idiota, Potter! Quel mostro è--».
James fu scosso da un tremito incontrollabile prima che ogni cosa diventasse insostenibile. Si gettò furente verso l'altro, con i pugni chiusi e l'intenzione di farlo a brandelli nello stesso identico modo in cui si stava facendo a brandelli Remus – e ogni pugno sarebbe stato un pugno con cui ancora non poteva colpire Sirius. Silente sollevò la bacchetta con un gesto repentino del polso e James avvertì la sensazione di finire nella salda presa di un gigante. Si divincolò invano, senza distogliere lo sguardo dal volto sudaticcio di Severus, ma non riuscì a muovere un solo passo.
«Non osare chiamarlo così!» reagì, il viso deformato dalla rabbia. «Non sei tu, la vittima: è Remus! Remus, capisci? Remus, e sarà una fortuna se domani mattina riuscirà ancora a respirare!».
«Ora basta» sentenziò lapidario Silente. Trascinò James fino al letto opposto a Severus e lo costrinse a sedersi. «Lo sventurato incidente di questa notte è stato generato dalla mancata lungimiranza di alcuni di noi e dall'avventatezza di altri... ma, grazie al cielo, non ci saranno conseguenze irrimediabili e vi prego di concentrarvi su questo punto in particolare. La stoltezza che avete dimostrato non rende onore a nessuno dei due». Severus fece per interromperlo, ma il Preside sollevò imperioso l'indice. «Sì, Severus. Sebbene io sia il primo a comprendere gli effetti che una curiosità tanto morbosa può suscitare in un ragazzo con la tua mente acuta, hai agito in modo del tutto sconsiderato e incauto. Dall'altra parte...» si voltò verso James con una smorfia tirata, «il signor Potter non ha certo esibito più accortezza. Per quanto onorevoli e sincere fossero le tue intenzioni, James, ti sei esposto consapevolmente a un pericolo ben più grande di quanto non potessi affrontare. Mi auguro che entrambi possiate fare tesoro di quest'esperienza: la ragione deve sempre precedere ogni azione».
Silente venne fermato da un deciso bussare alla porta. La McGranitt entrò nell'infermeria con un mantello malamente gettato su una vestaglia da notte azzurra e i capelli sciolti sulle spalle. Dietro di lei, con profondo sgomento di James, c'era Sirius. Aveva la divisa sgualcita e l'aspetto provato di qualcuno che era appena riemerso da una rissa sanguinolenta.
«Il signor Black ci ha finalmente onorato della sua presenza» sentenziò aspra la professoressa. «Non ho ancora capito dove fosse finito nell'ultima mezz'ora, né per quale motivo sia conciato come se fosse appena scampato dalla Piovra Gigante, ma sta bene».
Silente annuì.
«Grazie, Minerva. Cos'è successo al tuo viso, Sirius?».
Sirius distolse lo sguardo e si umettò nervoso le labbra.
«È stata colpa mia» mentì all'improvviso James. «Io... mi sono arrabbiato quando ho scoperto cos'aveva fatto e l'ho picchiato»..
«Oh, per amor di Godric...» gemette la McGranitt.
Madama Chips ricomparve solo in quel momento. Il vassoio rischiò di caderle dalle mani quando vide i lividi sul viso di Sirius.
«Santo cielo...» singhiozzò disperata mentre allungava una tazza fumante a James. «Servirà qualcosa di più forte di una Pozione Calmante».
«Servirebbe il Ministero della Magia» puntualizzò acido Severus. «Qualcuno dovrebbe informarlo al più presto dell'accaduto. Quello lì» sbottò all'indirizzo di Sirius, «voleva uccidermi. Erano d'accordo, lo so. Era il loro piano».
«Idiota» sibilò James. «Se ti avessi voluto morto, ti avrei semplicemente lasciato là sotto».
«Potter!» lo riprese la McGranitt.
«Ritengo che la calma stia nuovamente scemando» iniziò Silente con tono tranquillo. «Ora che siamo tutti presenti, ho la necessità di sapere cosa esattamente sia accaduto. La spiegazione del signor Minus è stata piuttosto... affrettata dalle circostanze, ecco. Signor Black, lei...?».
«È solo colpa mia» confessò amaramente Sirius. «James e Peter non c'entrano. E Remus nemmeno, dico davvero» aggiunse in fretta. «Non sapevano niente fino a quando non gliel'ho detto. La prego, Preside... Remus non lo sapeva. Non era un piano di tutti e quattro, noi non volevamo... io non volevo...». Deglutì a fatica, sviando ogni sguardo. «Pensavo sarebbe stato divertente. Non credevo che mi avrebbe dato ascolto, non... non pensavo... non ho pensato». I suoi occhi era lucidi. «Sono pronto a qualsiasi conseguenza, ma la prego... la prego, i miei amici non hanno fatto niente di male». Si arrischiò a sollevare appena la testa, e solo in quel momento James riuscì a vedere davvero quanto fosse tormentato. «La prego, non chiami l'Unità di Cattura. Remus è innocente».
Silente fece un profondo respiro e si aggiustò gli occhiali a mezzaluna.
«Credo di conoscere il signor Lupin abbastanza bene da sapere che mai avrebbe permesso quanto è accaduto. Ritengo pertanto che non sia assolutamente necessario l'intervento del Ministero».
«Sta scherzando?» si lamentò indignato Severus.
«Ma ciò che ha fatto, signor Black, va ben oltre qualsiasi bravata lei abbia fatto da quando è uno studente di questa scuola. Sono certo che in quanto Direttrice della casa di Grifondoro la professoressa McGranitt saprà trovare la punizione più adeguata. Cinquanta punti» sentenziò con fermezza, «verranno tolti a Grifondoro a causa della sua totale imprudenza... e della sua vergognosa mancanza di rispetto nei confronti di un amico» aggiunse in tono più pungente. «In quanto a lei, signor Piton... per quanto io sia ancora stupefatto che un ragazzo accorto come lei si sia lasciato trascinare in questo guazzabuglio di pessime scelte, non vedo alcun motivo per punirla. La curiosità in sé è pericolosa, ma sarebbe sciocco da parte mia fargliene una colpa. Ciononostante...» continuò con più decisione, intrecciando le dita fra loro e scrutandolo con espressione imperturbabile, «...la prego di mantenere il più assoluto silenzio sugli eventi di questa notte e su quanto ha scoperto in merito al signor Lupin».
Severus era senza parole.
«Remus Lupin è prima di ogni altra cosa un giovane mago» riprese il Preside. «Non mi è concesso addossargli la colpa della licantropia così come non mi è concesso addossare a lei quella della curiosità. All'epoca in cui venne orribilmente aggredito da un Lupo Mannaro, Remus non era che un bambino. In tutti questi dolorosi anni, non ha fatto altro che nascondersi a ogni plenilunio, infiggendo a se stesso le ferite e le torture che la creatura che dimora in lui non poteva sfogare in altro modo. Ha scelto di provocarsi tremende sofferenze pur di non crearne a chi gli stava intorno e le assicuro, signor Piton, che in pochi Lupi Mannari riescono a farlo con la sua ammirevole tenacia. Remus ha scelto di non diventare il mostro che tutti si aspettavano diventasse, e io non intendo negargli il mio appoggio. Ho piena fiducia in lui».
Severus si alzò in piedi.
«Bene» disse, tremando per l'offesa. «Se questo è tutto...».
Silente gli rivolse un'ultima occhiata penetrante.
«Posso confidare nella tua riservatezza?».
«È pazzesco...».
«Severus?».
Il ragazzo infilò le mani nelle tasche e arricciò nauseato il naso. Parve ragionare molto rapidamente sul da farsi, scrutando corrucciato il profilo della luna piena al di là del vetro della finestra. Poi scrollò le spalle e sbuffò.
«E va bene. Ma non mi importa né di Lupin né di loro. Lo faccio solo perché me l'ha chiesto lei».
Silente sorrise con gratitudine e si voltò verso la professoressa McGranitt.
«Minerva, posso gentilmente chiederti di accompagnare il signor Piton nei suoi dormitori? Sono certo che non veda l'ora di potersi infilare nel letto».
La donna annuì. Severus fece di tutto per ignorare James mentre usciva dall'infermeria, ma quando arrivò accanto a Sirius i suoi occhi neri avrebbero potuto incenerirlo. Rimasti soli in compagnia di Silente e di Madama Chips, i tre ragazzi si scambiarono uno sguardo confuso. “Perché non manda anche noi alla torre di Grifondoro?”.
Il Preside si sedette ai piedi del letto occupato da James, intrecciò le mani in grembo e li guardò con un sorriso garbato.
«L'amicizia che in questi anni avete dimostrato a Remus è straordinaria. La sua natura lo ha sempre reso povero di compagnie e svaghi» sospirò triste l'uomo. «Voi avete dimostrato una lealtà che in pochi adulti potrebbero vantare. Remus ha davanti a sé una vita ben più dura di quanto possiamo immaginare... ma spero che fino a quando vi avrà al suo fianco, saprà affrontare ognuna delle difficoltà che lo attendono».
«Noi ci saremo sempre» replicò con slancio James.
Sollevò lo sguardo su Sirius e sorrise appena. “Quell'idiota si è quasi fatto sbranare”. Sirius arrangiò un sogghigno un po' triste.
«Siamo amici» aggiunse Peter con un cenno deciso del capo.
«Sì» continuò James. «Ma se domani mattina Remus cercherà di Trasfigurarti in una biscottiera, Sirius, io non lo fermerò».
Silente ridacchiò con sincero divertimento, si alzò e si lisciò soddisfatto una piega della veste.
«Ritengo che anche voi abbiate bisogno di riposare, ora».
«Possiamo aspettare l'alba qui?» domandò speranzoso Sirius. «Per favore?».
L'anziano mago sorrise e gli scompigliò i capelli scuri.
«Solo se a Poppy non dispiace».
«Solo se faranno poco rumore» precisò la donna con una smorfia rassegnata. «Niente Fuochi Forsennati, niente Caccabombe, niente di tutto quello che fate di solito».
«Oh, io credo proprio che per questa sera abbiano vissuto sufficienti avventure» la confortò Silente sull'uscio. «Vi auguro una buona notte, ragazzi».
Rimasero in silenzio mentre Madama Chips medicava il brutto taglio sulla faccia di Sirius e la lasciarono borbottare per tutto il tempo su quanto fossero sprovveduti e impulsivi. Quando infine raccolse i medicamenti e si congedò da loro, la mezzanotte era già trascorsa da un pezzo.
«Remus stava bene?» domandò subito James a Sirius.
«Io... credo di sì. Era abbastanza intrattabile».
James gli rivolse uno sguardo eloquente, ma decise di lasciar perdere.
«Grazie, Padfoot».
«È stata colpa mia».
«Puoi giurarci» replicò franco. «Ma grazie per non avermi lasciato morire in compagnia di Mocciosus... sarebbe stato patetico».
Peter fece un blando tentativo di chiacchierare, ma dopo poco minuti James si assopì appoggiato alla testiera del letto; Sirius e Peter lo seguirono poco dopo, il primo sulla sedia e il secondo acciambellato come un gatto ai piedi di James.
Quando riaprirono gli occhi, la luce del sole filtrava già attraverso le finestre aperte e Remus era nel letto accanto, profondamente addormentato. Madama Chips lo aveva già ricoperto di bendaggi purulenti.
«Come sta?» chiese Peter.
«Respira» dichiarò James. «È già più di quanto non sperassi ieri notte».
«È conciato male».
«Moony è sempre conciato male».
«Questa volta è peggio».
«Ehi, respira. Non dimentichiamo che respira».
«Credete che riuscirà a rimettersi in forma prima del compito di Storia della Magia?».
James e Sirius si scambiarono uno sguardo scioccato.
«Wormtail... come, in nome di Godric, puoi pensare a Storia della Magia in questo momento?».
«Sì, amico, sul serio. Al momento non mi interessa molto sapere che accidenti hanno fatto i Troll nel XV secolo».
Remus si rigirò a disagio nel letto, borbottando qualche incomprensibile parola.
«Ehi, è sveglio!» esclamò vivace Peter. «Ehi, Moony! Moony! Moony, come stai?».
«Vuoi fargli venire un infarto?» lo rimproverò James. «Ehi, Mo--».
Il ragazzo alzò tremante un indice e fece loro segno di tacere. Poi farfugliò ancora qualcosa che non capirono, aprì piano gli occhi e sospirò dolorosamente.
«G-goblin, Sirius...» mormorò. «Il c-compito di Storia della Magia è s-sui Goblin».
C'era qualcosa di strano e forzato nella loro risata.
«C-che è successo? P-perché questa volta mi sento come s-se fossi stato investito dal N-Nottetempo?».
Fu James a raccontargli davvero quanto era accaduto. Gli raccontò dell'idea balorda di Sirius, della cena abbandonata a metà, della corsa verso il Platano e di Piton e ancora di Sirius che si trasformava in un cane e dava loro il tempo di fuggire... e poi gli parlò dell'infermeria, e di quell'idiota di Piton che strepitava, e di Silente, della McGranitt, dei cinquanta punti tolti a Grifondoro, e di come avesse il collo tutto indolenzito per aver dormito senza cuscino. Tentò in ogni modo di rendere il racconto quanto più buffo e allegro possibile, ma l'espressione di Remus rimase rigida e severa.
«Io mi fidavo di te».
«Mi dispiace» gemette Sirius. «Non volevo... non ho pensato a quello che... che... mi dispiace, Moony. Ti prego, perdonami».
Remus non disse niente. Scrutò prima James e poi Peter con espressione indecifrabile, le labbra tirate in una smorfia serrata. Trascorsero diversi minuti di angosciante silenzio prima che ritrovasse la voce.
«D'accordo» mormorò infine.
Sirius parve afflosciarsi dal sollievo. Gli gettò le braccia al collo, strappandogli un basso lamento e continuando a biascicare a velocità incredibile che non sarebbe mai più accaduto, che si sarebbe fatto perdonare, che gli avrebbe portato la borsa fino alla fine dell'anno – anzi, no: fino ai M.A.G.O. - e che era dispiaciuto e disperato e aggiunse tantissime altre parole che si persero in tutto quel piagnisteo.
James continuò a fissare il volto serio dell'amico: Remus aveva sollevato a fatica un braccio per rispondere alla stretta di Sirius, ma la delusione e il tradimento non smisero di brillare nei suoi occhi nemmeno per un istante.
Temette che qualcosa fra loro si fosse spezzato per sempre, ma poi si ripeté che era andato tutto bene, tutto bene... fece una battuta ridicola su quanto Sirius fosse una prima donna da palcoscenico e ridacchiarono alle sue spalle, prendendolo in giro.
Remus non sorrise.








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Capitolo 4
*** La spia ***


Note: Nessuno sa esattamente cosa sia accaduto fra la notte di Halloween in cui muoiono i Potter e la notte del giorno dopo, quando Hagrid atterra con la motocicletta di Sirius a Privet Drive. Pare sia trascorsa un'intera giornata in cui i personaggi hanno semplicemente atteso che la saga iniziasse... (:





*
La lingua delle maschere





III.
La spia




Aveva perso il conto dei funerali ai quali era stato obbligato a prendere parte.
La rustica villetta del Derbyshire dei McKinnon era stata data alle fiamme agli inizi di gennaio. Era talmente presto che lungo le vie della cittadina di Matlock rilucevano ancora le decorazioni del Natale appena trascorso. Un panciuto Babbo Natale di ceramica davanti a un ristorantino indiano aveva perso la testa a causa dell'esplosione che aveva decimato l'intera famiglia.
A giudicare da quanto era rimasto del cadavere carbonizzato di Marlene McKinnon, non era stato il solo a perdere pezzi del proprio corpo.
Il giorno del loro funerale nevicava come se sull'Inghilterra non dovesse mai più sorgere il sole. Mentre calavano le due bare più piccole nella terra consacrata del cimitero di Matlock, Remus si era ritrovato a pensare che fossero troppo piccole. Kevin McKinnon aveva dieci anni ed era alto quanto un ragazzino di quattordici – come erano riusciti a infilarlo in uno spazio tanto angusto?
“Lo hai visto” si era risposto. “Non gli era rimasta nemmeno una lentiggine da contare”.
All'inizio era parso che Bonny-Lee fosse svanita nel nulla – e gli animi si erano accesi di speranza all'idea che fosse riuscita a fuggire e di terrore all'idea che una bambina di quattro anni fosse finita nelle mani dei Mangiamorte. Ma Bonny-Lee aveva quattro anni e aveva semplicemente deciso di nascondersi sotto il letto, lontana dai mostri. Non avevano ritrovato che il minuscolo visetto di porcellana della sua bambola preferita annerito dal fumo e dalla cenere.
Poco più di due settimane dopo Pasqua, lui e Frank Longbottom avevano trascorso tre intere giornate a cercare il braccio perduto di Benjy Fenwick. Erano riusciti a recuperare una mano, qualcosa che assomigliava vagamente a un orecchio e perfino la sua pipa – ed era l'unica cosa di lui rimasta intatta. Avrebbero potuto infilarlo sotto terra dentro un sacchetto, ma alla fine si era trattato solo di scegliere una bara in più per un compagno in meno.
Quel giorno d'ottobre Caradoc Dearborn non aveva presenziato al proprio funerale. Avevano rivoltato ogni angolo della Gran Bretagna per ritrovarlo, da Aberdeen a Londra e poi fino a Cork, nel sud dell'Irlanda – e, infine, avevano preso la decisione di farlo ricomparire una volta per tutta in una tomba vuota del cimitero di St. Kentigern's di Glasgow.
Non aveva smesso di piovere per un solo secondo e Remus si era Materializzato fradicio nel suo fatiscente monolocale a Tottenham. Aveva abbandonato il mantello sulla vecchia cassapanca di legno appartenuta a suo padre, aveva appallottolato il resto degli abiti nel cesto della biancheria ormai ricolmo di vestiti e si era immerso sotto il getto bollente della doccia.
Non si era mosso da quando aveva tirato quelle ridicole tende a fiori.
Con il capo appoggiato alla parete e le palpebre serrate, era rimasto dieci minuti con l'acqua che gli scorreva sul viso, sul collo, sul petto, giù fino alle caviglie. Una parte di lui aveva sperato che il calore potesse fargli dimenticare gli strazi di un'altra tremenda giornata passata a guardare un amico scendere sotto terra. E invece no, il vapore si era fatto strada attraverso la pelle e lo aveva risvegliato dall'intorpidimento fin quando tutto ciò che nella sua vita non funzionava come avrebbe dovuto non si fu dispiegato nella sua mente come la vecchia Mappa del Malandrino.
La sua vita traboccava di cose che non funzionavano – erano così tante che talvolta si chiedeva come potesse non vomitarle ogni mattina. Come aveva potuto credere che sarebbero migliorate? Solo qualche anno prima avrebbe detto di avere una speranza, ma aveva compreso presto che Hogwarts non era stata che una labile e meravigliosa illusione.
Aveva conseguito otto M.A.G.O. non inferiori a Eccezionale. “Uno dei risultati più straordinari degli ultimi decenni” aveva affermato con orgoglio la professoressa McGranitt. Difesa contro le Arti Oscure – con lode – Trasfigurazione, Incantesimi, Storia della Magia – un'altra lode – Babbanologia, Rune Antiche – ancora una lode – e Aritmanzia – l'ennesima lode nell'ennesima noiosa materia. Cos'era rimasto di tutti quegli ammirati risultati? Un diploma che non avrebbe mai potuto usare ripiegato con cura fra le pagine di un libro.
James l'aveva quasi convinto che davanti a otto M.A.G.O. nessuno avrebbe mai trovato motivo di sindacalizzare sul suo “piccolo problema peloso”, ma si sbagliava e Remus lo sapeva. Lo sapeva anche Sirius, che si limitava a scrollare con amarezza le spalle senza più incitarlo, senza più confortarlo. E Peter...
La vocetta acuta dell'amico tornò improvvisamente a rimbombargli in testa.
“Sirius mi spaventa” gli aveva confessato in un sussurro agitato mentre si lasciavano alle spalle il tetro cimitero di St. Kentigern's. “Si comporta in modo strano”.
“È la guerra”.
“Ma è cambiato da quando... da quando Silente ci ha detto della... della tu-sai-cosa”.
Remus aveva liquidato la questione, ma pochi minuti dopo aveva realizzato che i timori dell'amico erano fondati su dubbi logici. Sirius aveva iniziato a ignorarlo da quando Silente aveva rivelato che fra loro si annidava una spia. In sua presenza pareva dosare ogni parola – proprio Sirius, il ragazzo che parlava sempre troppo – gli voltava spesso le spalle e confabulava con James e Lily. Non smetteva mai di domandargli dove fosse stato, per quale motivo non si facesse più vedere... e Remus ribadiva ogni volta la stessa franca risposta: “Ordini di Silente, Padfoot. Non chiedermelo più”.
Glielo richiedeva in continuazione e ogni risposta sembrava soddisfarlo meno della precedente.
“Sirius mi spaventa. È cambiato”.
Remus uscì dalla doccia e si avvolse in fretta in un ruvido asciugamano azzurro. In quella casa c'era sempre un freddo infernale e per quanto l'Incantesimo Riscaldante di Remus fosse efficace, l'umidità e il gelo non gli davano un attimo di tregua. Indossò una tuta da ginnastica che sua madre gli aveva comprato parecchio tempo prima, insistendo che la smettesse di vestirsi “come suo padre”. Da allora aveva iniziato ad apprezzare la praticità degli indumenti Babbani con fervore crescente. Forse il retaggio privo di magia di sua madre gli era rimasto addosso ben più profondamente di quanto non avesse mai creduto. Forse era perfino meno mago di quanto il mondo non credesse.
Si trascinò fino all'angolo cucina alla ricerca di qualcosa da mangiare, ma le dispense erano vuote quanto tutto il resto della casa. Trovò solo un paio di gallette di riso che sbocconcellò con poca convinzione, poi si chinò verso il cassetto più basso, estrasse un pacchetto di Rothmans Babbane e una bottiglia ancora chiusa di economico whisky. Si lasciò cadere sul piccolo divano in pelle, appoggiò le gambe su una grossa pila di voluminosi libri e rimase a fissare il cielo rosso di Londra al di là dei vetri sporchi, soffiando di tanto in tanto rancide boccate di fumo.
“Sirius mi spaventa. È cambiato”.
Svitò il tappo della bottiglia e tentò di centrare con un lancio preciso il cestino ai piedi della finestra. Il tappo sbatté sul bordo, cadde sul pavimento e rotolò un paio di volte prima di fermarsi.
Remus soffiò una risatina sarcastica.
Portò alle labbra la bottiglia e buttò giù diverse sorsate di whisky senza gustarle realmente. Era un intruglio talmente nauseante da non lasciare alcuna soddisfazione in gola. Bruciava in bocca, scendeva lungo la laringe, esplodeva nello stomaco e rimbombava nel cervello.
Le parole di Peter avevano fatto esplodere nella sua mente un turbine di quesiti ai quali non riusciva a trovare soluzione. Peter aveva davvero ragione? Remus non se la sentiva di dargli torto. Sirius aveva posseduto un carattere particolare fin da ragazzino. Era audace, era impulsivo, era rancoroso.
Non aveva mai dimenticato del tutto quanto era accaduto durante il loro quinto anno. Lo scherzo ai danni di Severus Piton, il tradimento, quelle scuse posticce piagnucolate al suo capezzale... Sirius si era già rivelato capace di compiere scelte crudeli.
“È cambiato da quando Silente ci ha detto della profezia”.
Remus bevve ancora, sperando che il whisky potesse bruciare più in fretta. Peter aveva davvero ragione, ma non riusciva a capire perché. James era come un fratello per Sirius, avrebbe perfino tentato di cambiare la rotazione della Terra per lui... ma Sirius aveva già un fratello. Un fratello Mangiamorte, una cugina Mangiamorte, un'intera famiglia di psicopatici criminali. Si maledisse per avere anche solo pensato a un'ipotesi tanto malsana e si accese un'altra sigaretta.
Tre violenti colpi alla porta lo fecero trasalire. Rovesciò qualche goccia di whisky mentre scattava in piedi e afferrava la bacchetta con il respiro corto. Fu costretto a fermarsi qualche secondo con i polpastrelli premuti sulla tempia destra. Quanto diavolo aveva bevuto?
Si avvicinò cauto all'ingresso, appoggiò la bottiglia sulla cassapanca e serrò con forza le dita attorno alla maniglia di ottone.
“I Mangiamorte non bussano”.
«Chi è?».
«Padfoot».
Remus sgranò gli occhi. Erano trascorse settimane dall'ultima volta in cui Sirius era venuto a trovarlo. Si rigirò la bacchetta fra le dita e strinse le palpebre con aria diffidente.
«Davvero?».
«Sì, idiota. Aprimi».
«Non credo lo farò».
Dall'altra parte si udì un borbottio soffocato.
«Sono io, Remus. Apri questa maledetta porta».
«Ricordi quando attaccasti quella coda di somaro al sedere di Barnaby Burke?».
Sirius rimase in silenzio per parecchi istanti.
«Sai cos'altro ricordo?» ribatté infine. «Ricordo che fu un'idea tua, razza di imbecille».
Remus abbassò la bacchetta con una vaga smorfia nostalgica e aprì la porta. Sirius era appoggiato con aria annoiata allo stipite. Le sue labbra erano piegate in un sorriso impercettibile, ma i suoi occhi erano freddi quanto l'inverno di quell'anno.
«Pensi di farmi entrare?».
Remus gli voltò le spalle senza aggiungere nulla, lo lasciò sull'uscio di casa e tornò nel miserevole salottino, dove ricadde sgraziatamente sul divano e recuperò la sigaretta rimasta a fumarsi da sé. Sirius lo raggiunse solo qualche secondo più tardi. Sfilò il pesante mantello, lo gettò su una pila di libri impolverati e aprì la credenza senza domandare nient'altro. Scelse uno degli ordinari bicchieri allineati sulla prima mensola, afferrò una sedia di legno e si accomodò accanto all'amico.
«Grazie» sbuffò sarcastico, mentre sollevava la bottiglia di whisky e si riempiva generosamente il bicchiere. «È bello vedere che le buone maniere non sono morte».
«Prego, Padfoot. Accomodati, serviti da bere, fa' come se fossi a casa tua. È un piacere rivederti» mormorò in tono piatto Remus. «E ora dimmi per quale motivo sei qui».
Sirius lo studiò a lungo senza rispondere. Remus sbuffò, gli levò la bottiglia dalle mani e bevve ancora. La terza sorsata si rivelò così abbondante da fargli storcere il naso. Iniziava ad avvertire una leggera sensazione di intorpidimento.
«Volevo sapere come stavi».
«Non è vero».
«È vero. Ti sei dileguato subito dopo il funerale».
«Mi dispiace. Non era mia intenzione perdermi il meglio della festa».
Sirius sorseggiò lentamente dal bicchiere.
«So cosa stai facendo» commentò schietto. «E lo sai anche tu».
L'altro inarcò perplesso un sopracciglio. Diede un'ultima boccata alla sigaretta e la spense con decisione nel posacenere ormai ricolmo di mozziconi. Non se lo ricordava così pieno. Quanto tempo aveva trascorso seduto su quel divano ammuffito?
«Sto bevendo con un vecchio amico».
«No, stai perdendo la testa. James e Lily sono preoccupati».
«Tu no?».
«Non mi preoccupo per te: mi preoccupo per loro».
Remus si passò una mano sul viso per nascondere un sogghigno di scherno e si lasciò scivolare fra i cuscini. La testa sembrava diventare secondo dopo secondo sempre più pesante.
«Sei un amico esemplare, non c'è che dire».
«Non giocare a fare il sant'uomo con me, Remus. Sappiamo entrambi cosa sta succedendo».
Remus non sopportò oltre e scoppiò in una fragorosa risata derisoria. Il calore del whisky aveva smesso di bruciargli lo stomaco e ora stava mettendo a ferro e fuoco ogni angolo razionale della sua mente. Sentiva di avere la lingua più sciolta e leggera del mondo, la bocca che si apriva e si chiudeva da sé, mentre Sirius diventava più simile a una figura evanescente che lo attaccava da un angolo remoto della stanza.
«Pare proprio che oggi io debba sapere un sacco di cose che non so» reagì ironico. «Erano bei tempi quelli in cui tu non conoscevi le risposte dei compiti di Storia della Magia e io ti facevo copiare, non trovi?».
«Già... bei tempi» fu costretto ad ammettere l'altro. «Ma le cose cambiano. Le persone cambiano. Gli amici cambiano».
A Remus non sfuggì il tono accusatorio nella sua voce.
«Io sono sempre stato qui». Si piegò in avanti, e quel movimento gli costò un improvviso giramento di testa. Chiuse con forza gli occhi e deglutì. Le parole gli tremarono roche fra i denti stretti. «Ma non posso più dire la stessa cosa di te».
Il volto aristocratico dell'amico si aprì in un'espressione di totale stupore. Sbatté un paio di volte le palpebre e scosse il capo come se non potesse credere a quanto aveva appena udito.
«Prego?» sibilò appena.
Remus portò nuovamente la bottiglia alle labbra. Un sorso, due sorsi, tre sorsi... non credeva potesse fare più differenza. Sfilò una sigaretta dal pacchetto di carta e se la accese con calma. Poi si sporse per tenderne una all'amico, ma Sirius gli strappò il pacchetto di Rothmans dalle mani e lo lanciò via con un gesto rabbioso. Remus sogghignò.
«È bello vedere che le buone maniere non sono morte».
«Va' al diavolo» ribatté asciutto Sirius. «Stai di nuovo cercando di rigirare ogni cosa a tuo favore. Lo hai sempre fatto e ci sei sempre riuscito, ma non questa volta, Remus. Questa volta è diverso».
«Stai cercando di gettare i tuoi troppi difetti addosso a me? Se questo ti fa sentire la coscienza più leggera, fa' pure, ma non credere che--».
«Voglio sapere dove diavolo sparisci» lo interruppe bruscamente. «E questa volta voglio la verità».
Remus gettò indietro il capo e gemette.
«Buon Dio, non di nuovo...».
«Oh, sì, amico mio. Di nuovo fino a quando non avrai sputato fino all'ultima dannata parola».
Colto da una rabbia improvvisa, Remus sbatté la bottiglia sul tavolo di legno.
«Te l'ho detto un milione di volte!» ruggì. «“Ordini di Silente”. Non ho il permesso di parlarne con nessuno, quindi smetti di chiedermelo».
«E cosa mai può esserci di tanto segreto da non poterne fare parola con i tuoi migliori amici, eh? Non ci siamo mai nascosti nulla...» ribatté con durezza Sirius. «Beh, perlomeno noi tre non l'abbiamo mai fatto».
Remus lo fissò a lungo, con il respiro sempre più rapido e la mente sempre più confusa e agitata da quel discorso di cui non riusciva ancora a capire il senso. Perché Sirius sembrava così ostinato a non voler capire? Non poteva rivelargli nulla della sua missione in Scozia. Non a lui, non a James, non a Peter. Se Fenrir Greyback avesse scoperto che si era infiltrato nel suo clan, non avrebbe avuto scampo, e per quanto Remus lo negasse anche a se stesso, fra di loro c'era una spia. Una sola parola sussurrata all'orecchio sbagliato e lui sarebbe morto. E Remus non voleva morire. Nessuno di loro voleva morire.
«Credo sia meglio per entrambi se ora te ne vai» mormorò con calma forzata.
«Non così in fretta, Moony. Ho il diritto di sapere».
«Il diritto?» ripeté incredulo Remus. «E cosa mai ti--».
Sirius si alzò in piedi con uno scatto repentino e calciò con foga la sedia, che cadde a terra con uno schianto secco. Remus appoggiò la bottiglia e si pulì le labbra con la manica della tuta con gli occhi strette in due sottili linee minacciose.
«Voglio la verità! Per una sola maledetta volta, voglio la verità!» strepitò Sirius.
Remus tacque e continuò a fissarlo. L'eccesso di whisky gli dava l'orrenda impressione di essere imprigionato in una grossa bolla di sapone, ma l'ira irrequieta di Sirius gli perforava le viscere e gli tremava nella testa annebbiata. Nessuno dell'Ordine aveva mai messo in discussione il fatto che Remus stesse compiendo qualche missione segreta per conto di Silente – nemmeno Moody aveva mai dubitato della sua sincerità. James e Lily avevano capito, Peter aveva capito, tutti loro avevano capito che non c'era nulla su cui indagare... tutti tranne Sirius, l'ostinato e orgoglioso Sirius, il ragazzo convinto di non poter sbagliare.
“Sirius mi spaventa. È cambiato”.
Remus non lo temeva, ma le parole di Peter avevano assunto un significato inaspettato, fino a distorcersi nel fantasma di una rivelazione, di un pensiero, di una spiegazione decisiva... e in quel groviglio senza senso Remus iniziò a pregare di essere totalmente in errore. “È il whisky” si disse. “Sei ubriaco, smettila”. Ma quell'idea ormai era lì, ferma fra la voce di Peter che gli faceva notare ogni stranezza e quella di Sirius che lo accusava di essere un bugiardo... non riusciva a levarsela di dosso.
Sollevò tremante il palmo di una mano e si massaggiò le palpebre.
«Perché vuoi saperlo?» domandò con un filo di voce. «Perché ciò che ho spiegato agli altri a te non basta?».
«Ho bisogno di sapere di più».
E infine, Remus capì.
L'ondata di disprezzo che lo pervase parve riscuoterlo dal folle tepore generato dal whisky e accendere ogni sconsideratezza dettata dall'alcol, ogni ragione perduta... una parte di lui continuava a ripetersi che qualcosa ancora gli sfuggiva, che non era tutto chiaro, ma lui si sentiva sicuro. Quella volta il ragazzo che non poteva sbagliare era lui. Estrasse la bacchetta con un guizzo fulmineo e la puntò dritta al petto di Sirius, con la mano tremante e il volto pallido teso in una maschera di rabbia. L'altro ragazzo fu talmente stupito da non reagire.
«Moony, cosa accidenti--?».
«Voglio vedere la confusione nei tuoi occhi mentre ammetto di essere la spia» lo derise Remus. «Non arrabbiarti con me per averti soffiato il posto». Sbuffò incredulo e si scostò un ciuffo di capelli dal volto. «Non posso crederci, ma è tutto così... chiaro. Sono mesi che non fai altro che tentare di scoprire ciò che Silente mi ha ordinato. Nessun altro è così testardo... e la domanda che ora mi tormenta, Sirius, è “perché?”. Mi ero risposto che ero in errore, che dovevo essere in errore, ma ora... ora capisco ogni cosa. Fuggi da quando Silente ci ha detto che fra di noi c'è una spia. L'ho notato, Sirius». Storse il naso con disgusto. «Sai cos'altro ho notato? Sei stato l'unico di noi a ritenerlo possibile. Quindi se ora dico di essere la spia, non potresti credermi perché tu sai perfettamente chi è. Sai che non sono io, sai che non è Peter».
Sirius aveva continuato a guardarlo come una statua di ghiaccio, ma nei suoi occhi imperversava una tempesta di odio e furia. Rimase per un attimo in silenzio, poi le sue labbra si piegarono in un sorriso di macabra soddisfazione, una luce beffarda gli illuminò il viso e in quel secondo, immobile fra la polvere di quell'appartamento diroccato, ricomparve il ragazzino di quindici anni che tanto si era divertito a spedire Severus Piton fra le fauci di un Lupo Mannaro in una notte di luna piena.
«Lo sapevamo» mormorò con espressione alienata. «Lo sapevamo fin dal primo momento. Non potevi che essere tu. Chi altri, d'altronde? Se non noi, chi?».
Remus trasalì, ma Sirius continuò a ridacchiare con malignità, incurante della sua bacchetta e della sua aria minacciosa.
«Sei sempre stato quello intelligente, quello furbo...» riprese. La sua voce non era mai suonata tanto feroce e crudele. «Ma te l'ho detto, Remus: questa volta è diverso. Questa volta nessuno sarà pronto a perdonare le tue bugie».
Remus dischiuse lievemente le labbra. Sentiva il sapore acido del whisky risalirgli l'esofago, ma non era intenzionato a indietreggiare. “È lui” si ripeté. “È la spia. Peter aveva ragione”. Eppure c'era ancora qualcosa che non gli tornava... qualcosa che non stava nel posto in cui avrebbe dovuto stare, qualche dettaglio che il suo cervello intorpidito non riusciva a cogliere. Era tardi per mettersi a sedere e prendersi un po' di tempo per pensarci. Aveva scelto di agire in fretta e ora avrebbe reagito.
«Stai cercando di far passare me per la spia...» mormorò Sirius stravolto.
«Per quale altro motivo avresti insistito tanto per sostituire Silente come Custode Segreto?».
Sirius si mosse con sconcertante rapidità, estrasse la propria bacchetta e Disarmò Remus con un semplice movimento del polso. Remus si era sempre dimostrato troppo rapido e preparato per farsi Disarmare da Sirius, ma in quel momento i suoi riflessi erano rallentati dal whisky, gli occhi appannati, i nervi a pezzi. Sirius gli fu addosso prima ancora che potesse difendersi, lo afferrò per il collo e lo scaraventò sul pavimento, piombandogli addosso come un avvoltoio famelico. L'urto lo fece boccheggiare, ma fu in grado di trovare la forza per piantare le unghie nelle braccia dell'altro.
«F-figlio di p-puttana...» ringhiò fra i denti.
«Quando il tuo Signore ti dà dei compiti da svolgere, Prefetto Lupin, accertati di restare sobrio» lo derise con malignità Sirius, prima di sferrargli un pugno micidiale in pieno viso.
Remus emise un grido soffocato e rotolò su un fianco, premendo il punto in cui le nocche di Sirius si erano schiantate contro il suo naso. La bocca si riempì subito dell'amaro sapore del sangue e più Remus cercava di sputarlo fuori, più quello sembrava tornare dentro. Odiava il sangue più di qualunque altra cosa al mondo... “Forse no” si disse all'improvviso. “Forse c'è qualcuno che odio di più”.
Tentò di reagire, ma Sirius era più forte e più sveglio.
«Incarceramus!» esclamò quello.
Le funi che scattarono fuori dalla punta della bacchetta di Sirius si attorcigliarono attorno ai polsi e alle caviglie di Remus in un stretta micidiale. L'incantesimo era talmente potente da impedirgli di sollevare le mani oltre la testa. Cercò di calciarlo, ma fu un tentativo vano.
«Non ti permetterò di arrivare a James e Lily, Remus».
Si Smaterializzò con uno schiocco e lo lasciò sul pavimento gelido, con il sangue che non smetteva di inondargli il viso e il collo. Cercò di alzarsi, ma fallì. Rassegnato, rimase fermo a fissare il soffitto, con il fiato sempre più caldo e il dolore sempre meno pungente, mentre nella sua testa si illuminava finalmente una luce di sobria ragione.
“Lo sapevamo fin dal primo momento” aveva detto Sirius. “Non potevi essere che tu. Chi altri, d'altronde? Se non noi, chi?”. Remus cercò ancora di liberarsi dalle funi. “Noi” continuava a ripetersi. “Noi chi?”. Non James, non l'onesto James che ancora si ostinava a ripetere che non c'era alcuna spia fra i suoi migliori amici; non Lily, non l'unica amica che avesse mai avuto; non Silente, non l'uomo a cui doveva ogni magra soddisfazione della sua intera vita... ma se non loro, chi?
“Sirius mi fa paura” ricordò ancora una volta. “È cambiato”.
Gridò il nome di Sirius con tutto il fiato che aveva in gola nella speranza che l'amico fosse ancora nelle vicinanze, che per qualche assurdo motivo potesse sentirlo e fosse pronto ad ascoltarlo sotto quella nuova ragione che ora lo stava portando alla follia... si agitò frenetico, rovesciò una pila di libri e continuò a chiamarlo fino quando le forze non lo abbandonarono e non si ritrovò a piagnucolare esanime sul pavimento.
“È Peter... buon Dio, è Peter”.

*


Sirius si Materializzò in un buio viottolo poco fuori Tottenham. Incurante della pioggia, estrasse la bacchetta e chiuse concentrato gli occhi, cercando di evocare ogni ricordo felice, ogni attimo in cui aveva riso...
«Expecto Patronum!».
Dalla punta della sua bacchetta uscì un labile sbuffo di fumo bianco. Sirius imprecò, muovendosi avanti e indietro come una belva in gabbia. “Peter aveva ragione. Era davvero Remus”. Non riusciva a spegnere il cervello. Per un secondo venne colpito dal desiderio di Materializzarsi nuovamente nel suo appartamento e fargli molto più male di quanto non gli avesse fatto, di distruggerlo pezzo dopo pezzo, di ucciderlo... era un pensiero che lo aveva attraversato anche mentre lo sovrastava con la bacchetta in mano, ma non c'era riuscito. Aveva incrociato lo sguardo di Remus e ogni momento trascorso in compagnia dell'amico – del vigliacco, del bastardo, del traditore – era sfrecciato nella sua memoria come un'infinita serie di fotografie. Remus che gli sussurrava le risposte giuste a Storia della Magia; Remus che faceva il tifo per la squadra di Grifondoro accanto a lui sugli spalti; Remus che gli aggiustava ogni mattina il nodo della cravatta; Remus che chiudeva un occhio sulle loro marachelle; Remus che beveva, che mangiava, che rideva, che gli camminava al fianco da così tanto tempo da fargli scordare la vita prima di Hogwarts. Remus a terra, con il naso e la bocca piene di sangue e le mani bloccate dietro la testa, lo sguardo ardente, bestiale, ferito... era stata una sensazione strana, come se improvvisamente fossero tornati dodicenni nella Guferia, come se Remus fosse tornato il ragazzino in lacrime all'idea che Sirius lo disprezzasse. Aveva scacciato quel ricordo con la foga con cui si scaccia una zanzara. Non era un ricordo felice.
“È Remus, è Remus, è Remus...”.
Non poteva ancora crederci, ma quella verità metteva a rischio tutto ciò che aveva, tutte le persone che amava. Non poteva fare altro che crederci e rassegnarsi alla cieca amarezza che fosse vero. Si concentrò sul volto magro di James, sugli occhiali un po' storti sul lungo naso, sulla sua risata sfrontata e i capelli scompigliati. Pensò a quella volta in cui erano scappati dalla Torre di Astronomia a cavallo della Nimbus 1000 di James, a quando si erano conosciuti sull'Hogwarts Express, a quando era scappato da Grimmauld Place e c'era solo James, solo il suo migliore amico, solo suo fratello... non poteva perderlo.
«Expecto Patronum!».
Il vapore argenteo che fuoriuscì dalla sua bacchetta assunse la forma di un grosso cane dal muso allungato e dalle lunghe orecchie a punta. Sollevò la testa verso di lui, fissandolo paziente con le orbite vuote e profonde. Sirius gli appoggiò una mano sulla sommità del capo e il calore dell'incantesimo gli passò fra le dita come se avesse tentato di accarezzare un'onda.
Aveva sempre amato i cani, ma non aveva mai avuto modo di possederne uno.
«Sai dove andare».
Il cane fece un lungo balzo in avanti, ma anziché atterrare sulle muscolose zampe anteriori spiccò il volo e svanì in pochi istanti. Sirius lo guardò allontanarsi fino a quando non ebbe perso la sua sagoma fra quelle delle nuvole. Infilò le mani nelle tasche e si Smaterializzò ancora.
La prima cosa che vide quando riaprì gli occhi fu il cassonetto Babbano di Grimmauld Place dietro il quale era solito comparire. La strada era già stata riccamente addobbata da ghirlande di carta dalle quali pendevano profili di zucche e fantasmi, le arcate delle porte erano circondate da ragnatele di cotone e piccole file di finti pipistrelli a testa in giù.
Halloween era la sua festa preferita, ma da quando si era lasciato alle spalle Hogwarts e il ricco banchetto non aveva più trovato né il tempo né l'umore adatto. Ridere dei mostri aveva smesso di essere facile da quando avevano iniziato a uccidere sul serio. I Bones erano stati sterminati proprio l'anno prima. Nel loro salotto avevano trovato una ciotola a forma di zucca ricolma di Api Frizzole che nessuno aveva mangiato.
Sirius s'incamminò a testa bassa in direzione della casa di James e Lily, con le mani sprofondate nelle tasche del cappotto e il bavero alzato per ripararsi dal vento di ottobre. Perlomeno aveva smesso di piovere. Superò il cancellino d'ottone, attraversò il cortile e bussò con decisione alla porta.
«Prongs! Prongs, aprimi. Sono Sirius».
Dovette attendere solo pochi secondi prima di vedere la faccia di James fare capolino attraverso uno spiraglio della porta. Aveva gli occhiali storti sul naso e l'espressione spaventata.
«Cos'è successo?» domandò nervoso mentre lo faceva entrare.
«È Remus» affermò lapidario. Si lasciò James alle spalle e si avvicinò al caminetto accesso per asciugarsi. «E prima che tu possa ribattere con la solita storiella su quanto Remus sia onesto e leale, è lui. Capisci, James? So che è lui».
James richiuse molto lentamente la porta e rimase immobile nell'ingresso, con il capo chino e una sottile ruga pensierosa sulla fronte.
«Sirius, ne abbiamo già parlato...».
«No, James, tu non capisci!» strepitò all'improvviso. «È lui. Sono appena stato a casa sua, lo ha ammesso! Ha cercato di attaccarmi!».
«Per l'amor di Godric, Sirius!» lo raggiunse la voce alterata di Lily dal pianerottolo del primo piano. La giovane scese a rapidi passi le scale e gli rivolse un'occhiata severa. «Non dovresti essere qui, è troppo pericoloso. Avevamo deciso che ti saresti nascosto».
«Sirius è venuto ad avvisarci che la spia è Remus» spiegò stancamente James. Si abbandonò fra i cuscini del divano e rivolse all'amico un sorriso tirato. «Di nuovo».
Sirius si sentì montare da una rabbia improvvisa.
«Devi darmi ascolto!».
«Non gridare!» lo ammonì Lily. «Harry sta dormendo».
«Harry è in grave pericolo. Siete tutti in grave pericolo, quindi vorrai scusarmi se non riesco a preoccuparmi del sonno del mio figlioccio». Fece un profondo respiro e aggiunse più pacato: «Lily, ti prego... devi credermi almeno tu. La spia è Remus».
«Remus ha davvero cercato di attaccarti? Remus?» s'informò James, calcando con particolare eloquenza sull'ultima parola.
«Cosa?» esclamò sconvolta Lily, stringendo le mani in grembo. «Remus non farebbe niente del genere».
«Oh, Lily... quanto si vede che non lo conosci realmente» commentò gelido Sirius. «Ti sei lasciata abbindolare come tutti. Remus ha sempre avuto il dono di incantare la gente – e non dire di no, James: sai che è vero. Sempre con i suoi modi educati, con quel suo fare gentile... è così che pensava di fregarci, lasciandoci credere che fosse nostro amico. E forse un tempo lo è stato, ma non oggi, non più. Non dovete pensare al bene di Remus, dovete pensare al bene di Harry».
James e Lily si scambiarono uno sguardo fugace. Fu James a parlare.
«Non posso credere che Remus sia la spia, Sirius... non posso credere che qualcuno di voi lo sia. Siete i miei migliori amici, nessuno di voi mi tradirebbe mai. Non Remus. Non Peter. E men che meno tu... ma su una cosa hai di certo ragione: dobbiamo pensare a Harry».
Si sfilò gli occhiali e si massaggiò stremato le palpebre. C'era un'ombra di incredibile tristezza sul suo viso. Lily si sedette accanto a lui con aria affranta.
«Ne sei davvero sicuro, Sirius?».
«Credi che potrei mai mettervi in pericolo? Siete la mia famiglia». Si inginocchiò ai piedi della giovane e avvolse la sua mano fra le proprie. «Lily, pensaci: c'è una spia fra di noi – e ormai nessuno può negarlo – e se non sono io, se non è Peter... chi altri resta?».
Lily serrò le palpebre. James si costrinse a fissare l'amico negli occhi con espressione imperscrutabile, poi annuì lentamente e sospirò.
«Quando questa maledetta storia sarà finita dovremmo fare i salti mortali per farci perdonare da Remus».
«James, è--».
«Solo una precauzione momentanea. E lo faccio solo per Harry» lo interruppe con decisione. «Hai in mente qualche idea?».
Sollevato dalla certezza che l'amico gli avrebbe finalmente dato ascolto, Sirius sorrise.
«Remus sa che sono il vostro Custode Segreto, quindi ne è al corrente anche Voldemort. Dobbiamo giocare d'astuzia. Sostituire il Custode senza che nessuno lo sappia».
Lily inclinò perplessa il capo.
«Silente?».
«Troppo pericoloso, Silente si ostina a non voler dubitare di Remus. Ho pensato a qualcuno ancor migliore, qualcuno a cui nessun Mangiamorte presterebbe mai attenzione. Peter».
«Peter?» ripeté incredulo James. «Sirius, Peter è...».
«Il più debole di noi, sì. Chi mai potrebbe immaginare che lo avete scelto come Custode Segreto? Ho già spedito il mio Patronus per dirgli di raggiungere Godric's Hollow, ormai starà per arrivare». Si alzò in piedi, si diresse verso la finestra e scostò la tenda floreale per sbirciare in strada. «Fidatevi di me. È probabilmente l'idea più intelligente che io abbia mai avuto».
Lily tentò di abbandonarsi a una risatina forzata.
«Oh, beh, suppongo sia tutto dire, no?».
Dovettero aspettare una decina di minuti prima di vedere l'amico passeggiare con aria sperduta lungo il marciapiede che costeggiava la casa. Sirius uscì in fretta dalla porta e lo raggiunse a grandi passi. Peter sobbalzò quando sentì la sua mano poggiarsi sulla spalla.
«Ehi, Wormtail. Calma i nervi, sono io».
«S-Sirius... mi ha spaventato» balbettò a disagio, aggiustandosi la sciarpa e il berretto. «Perché mi hai chiamato qui? James e Lily vivono qui, è qui che--».
«Ma non parlarne in strada, razza di scemo!». Lo afferrò per il bavero della giacca e lo trascinò senza troppi convenevoli davanti all'abitazione incantata dei Potter. «Riesci a vederla, vero? Sei con me, dovresti riuscire a vederla».
«La c-casa?».
«No, la Gigantessa che sta vendendo pop-corn all'angolo» ironizzò seccato Sirius. «Certo che devi vedere la casa, Peter!».
«La vedo».
«Per le mutande di Merlino, cosa aspetti a entrare?».
«M-ma... io non posso... non--».
Sirius roteò gli occhi al cielo e lo scaraventò con uno spintone secco nell'ingresso. James uscì dalla cucina con aria incoraggiante.
«Ciao, Wormtail. Lily è di sopra: Harry si è svegliato un'altra volta».
«James... non capisco, cosa sta succedendo?» pigolò in fretta.
Il giovane aprì la bocca per spiegare la situazione, ma Sirius si intromise e schioccò a mezz'aria le dita.
«Lascia stare, Prongs, sei sprovvisto del dono della sintesi e abbiamo poco tempo. Remus è la spia, Peter». Si stupì della facilità con cui riusciva a dirlo. Aveva creduto che avrebbe fatto molto più male. Ignorò la faccia spaventata dell'amico e continuò: «Avrà sicuramente rivelato a Voldemort – oh, per favore, controllati, è solo un nome – che io sono il Custode Segreto di James e Lily. Posso scommettere l'intero contenuto della mia camera blindata alla Gringott che mi staranno attaccati al sedere quanto la coda di un cane... ed è qui che ci servi tu».
«Io?».
«Tu sarai il vero Custode Segreto».
Peter impallidì.
«I-io? M-ma Sirius, io non--».
«Peter».
I tre ragazzi si voltarono in direzione delle scale mentre Lily scendeva con il figlio stretto fra le braccia. Harry sollevò la piccola manina rotonda e afferrò una ciocca dei capelli rossi della madre.
«C-ciao, Lily».
Lei lo guardò per un lungo istante con una luce di sincero affetto negli occhi e si chinò per lasciargli un bacio leggero sulla guancia. Peter arrossì di colpo e arretrò imbarazzato, facendola sorridere di cuore.
«Oh, Peter... so che ti stiamo chiedendo tanto».
«Nessuno saprà mai che sei tu» aggiunse James. «E Sirius ha promesso che si nasconderà a sua volta da qualche parte e non farà niente di avventato». Storse le labbra nel tentativo di fare un sogghigno malandrino, ma il risultato fu una smorfia agitata. «Ha perfino promesso che non farà niente di stupido, se riesci a crederci».
Sirius non diede segno di averlo sentito. Aveva preso il bambino dalle braccia di Lily e ora non vedeva nulla che non fosse il visetto roseo del proprio figlioccio. Sollevò le dita e giocherellò con quelle minuscole di Harry, facendolo ridere. La sua risata innocente lo portò a pensare a quale razza di uomo avrebbe mai desiderato far del male a una creaturina così perfetta. “Remus” si rispose in un lampo. “Remus non è mai stato un uomo”.
«Andrà benissimo, Harry. Te lo prometto» gli mormorò.
James si rivolse a Peter.
«Ci aiuterai?».
Peter non rispose subito. Spostò lo sguardo spaventato da Sirius a Harry, da Lily a James, torcendosi le mani e umettandosi nervoso le labbra. Sirius abbozzò una smorfia sarcastica e gli rivolse un occhiolino fugace.
«Avanti, Wormtail, non farti pregare. È la tua grande occasione, amico».
Poi, molto lentamente e tremando fino alla punta dei piedi, Peter acconsentì. Sirius sentì i nervi calmarsi all'improvviso. Si accomodò sul divano con Harry fra le braccia mentre osservava distratto James, Lily e Peter compiere l'Incanto Fidelius.
“È fatta” si disse.
Il bambino emise un vago borbottio scocciato.
«Hai ragione, piccolo Prongs» ridacchiò. «Oggi ho la testa da tutt'altra parte».
Dimenticare l'espressione rancorosa di Remus era impossibile. Tentò di concentrarsi su Harry, su quanto realmente fosse meraviglioso e importante, si ripeté che la sua scelta era giusta, che chiunque avrebbe fatto lo stesso... si domandò se Remus sarebbe finito ad Azkaban e venne attraversato da un brivido di terrore. “L'Inferno sarebbe una punizione migliore... ma Remus ci ha traditi, non merita altro”. Si sentiva nauseato, ma non poteva negare una certa primordiale soddisfazione. Il pensiero di quanto sarebbe potuto accadere se non avesse fermato Remus era insostenibile.
Per formulare in modo corretto un Incanto Fidelius occorreva solitamente meno di un quarto d'ora, ma lo spaventato balbettio di Peter rallentò l'operazione. Non riusciva nemmeno a tenere ferma la bacchetta. Quando riuscì a pronunciare l'ultima parte del giuramento, si era fatta sera e Godric's Hollow iniziava a riempirsi dei primi ragazzini in costume da Halloween.
Sirius riconsegnò Harry a Lily, lasciandogli un ultimo buffetto sulla guancia morbida e recuperò il mantello. Peter lo imitò rapidamente senza dire una sola parola.
«Sta' attento, Padfoot» disse James. Teneva le mani nelle tasche con fare rilassato, ma i suoi occhi brillavano inquieti. «Non fare niente di stupido».
Sirius fece un sogghigno ironico.
«Sai che non mi piace il pericolo».
James tentò di sorridere. Scosse il capo con rassegnazione e lo fissò a lungo senza aggiungere altro. Poi gli gettò un braccio attorno alle spalle e lo serrò in un disperato abbraccio fraterno. Preso in contropiede, Sirius si limitò a scompigliargli i capelli.
«Ehi, Evans, tuo marito è un po' troppo languido e appiccicoso» scherzò con affetto.
La giovane ridacchiò nervosa e si aggiustò una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Mentre varcava la soglia di quella casa per l'ultima volta – l'ultima fino a quando tutto quel caos non sarebbe finalmente terminato, si diceva – Sirius fece un sospiro di sollievo. A conti fatti valutò che aveva dimostrato un'incredibile freddezza di mente.
“Remus sarebbe fiero di sapere che non ho dato di matto”.
Si bloccò pochi passi oltre il cancellino, nello stesso istante in cui la casa dei Potter svaniva grazie all'Incanto Fidelius. Non poteva credere di averlo pensato realmente, di aver dimenticato cosa Remus avesse fatto. Era assurdo, eppure pareva proprio che il suo cervello non volesse accettare l'amara realtà.
«Sirius?».
«Va' a casa e non uscire per alcun motivo, Peter».
Si allontanò in fretta da lui, ignorando le sue insistenti richieste di sapere dove si sarebbe nascosto. Raggiunse il cassonetto e si Materializzò nel vecchio appartamento poco distante da Bristol che era appartenuto a suo zio Alphard. Si diresse in camera da letto senza levarsi nemmeno il mantello e si lasciò cadere sul materasso con un gemito spossato.
Non riposava da giorni e si sentiva a pezzi, ma si attaccò alla convinzione che il peggio era ormai passato. Doveva essere passato o non ne sarebbero più usciti. Si chiese se non sarebbe stato più saggio tornare da Remus per assicurarsi che James e Lily fossero davvero al sicuro. Avrebbe potuto trovare il coraggio di mettere fine a quella storia una volta per tutte... o avrebbe potuto trascinarlo davanti a Silente e costringerlo a confessare la verità.
“Meglio di no” decise infine. “Che faccia l'errore di venirmi a cercare... che venga, quel bastardo. Avrà ciò che si merita”.
Strinse le dita attorno alla bacchetta e aspettò.


*


Doveva essere ben più stanco di quanto non avesse creduto, perché si era addormentato senza nemmeno rendersene conto. Si sollevò dal letto e afferrò l'orologio da taschino di Alphard Black. Non lo portava mai con sé per timore di perderlo, ma lo teneva sempre sul comodino in modo da potergli rivolgere qualche occhiata nostalgica di tanto in tanto.
Erano le dieci passate.
Probabilmente Remus si era ripreso dalla sbronza, forse era già riuscito a liberarsi e stava valutando quale fosse la mossa più astuta. Sirius emise un soffio sprezzante: Remus ragionava sempre troppo. Per una volta era stato Sirius a giocare d'anticipo, eppure qualcosa non gli tornava. “Sono passate ore, ma di Remus non c'è traccia”. Non era possibile che si fosse rassegnato: aveva molti difetti, ma non era facile farlo capitolare.
Sirius venne colpito da un orrendo presentimento. E se Remus avesse intuito il suo inganno? Dopotutto era sempre stato il più intelligente del gruppo. Era quasi impossibile, ma Sirius non riuscì a levarsela dalla testa... c'era una sola cosa che avrebbe potuto fare.
Materializzarsi in piena notte con i Mangiamorte appostati ovunque era fuori discussione. Si alzò in piedi, ruotò su se stesso e si Materializzò nel garage Babbano che aveva affittato. La sua motocicletta riposava da settimane sotto a un lenzuolo bianco, ma si avviò immediatamente. Sirius accarezzò con affetto il contachilometri.
«Brava ragazza».
Il piccolo villaggio di Barrington dove Peter abitava con la madre distava a più di un'ora di viaggio da Bristol, ma a qualche centinaio di metri da terra non c'erano né traffico né semafori. Era il motivo principale per cui amava così tanto quella motocicletta incantata.
Atterrò a pochi passi dalla villetta dei Minus mentre il campanile della chiesa rintoccava le undici. Barrington contava un numero talmente modesto di abitanti da far dubitare che fosse Halloween. A quell'ora la maggior parte di loro doveva essere già rincasata.
Sirius attraversò a balzi il cortile della casa e suonò il campanello. Spostò il peso da un piede all'altro nel tentativo di diminuire l'ansia crescente. Sbuffò e suonò ancora. Dovette suonare altre due volte prima che la minuta signora Minus si affacciasse allo spioncino.
«C-chi è?» domandò con un'acuta nota di terrore.
«Sono Sirius Black, signora Minus» la tranquillizzò in fretta. «Sto cercando Peter».
La donna aprì la porta di una spanna. Non assomigliava molto al figlio. Era altrettanto bassa di statura, ma i suoi lineamenti erano più gentili e i suoi occhi scuri e brillanti. La confusione sul suo viso lasciò lo spazio a un'ombra spaventata.
«Il mio Petey? Perché non è con te?».
Sirius aggrottò perplesso le sopracciglia.
«Con me? No, signora, Peter mi ha giurato che sarebbe tornato a casa».
«È tornato. La cena era già pronta, ma non ha avuto il tempo di mangiare perché doveva raggiungerti. Cose importanti, ha detto, molto urgenti...» spiegò debolmente la signora Minus. «Petey non mentirebbe mai».
Fu come ricevere una coltellata nei reni e non essere più in grado di respirare, ma i suoi nervi scattarono ben prima della sua mente. Si lasciò alle spalle i richiami concitati della signora Minus che lo pregavano di trovare il figlio disperso, saltò a cavallo della motocicletta e partì senza più curarsi di quanti Babbani avrebbero potuto vederlo. Accelerò fino a far ringhiare il motore, puntando dritto verso Godric's Hollow.
“Non può essere vero, non può essere stato lui, non lui, non Wormtail... era Remus, maledizione, doveva essere Remus”.
Aveva la nausea, ma sapeva che non era ancora troppo tardi. Lo sapeva. Non poteva essere diversamente, James e Lily stavano bene, Peter non aveva avuto il tempo per agire. Strinse i denti. Non era vero. Peter aveva avuto fin troppo tempo, e il tempo continuava a trascorrere, secondi e minuti che non sarebbero più tornati, che non si fermavano... era il viaggio più rapido e interminabile che avesse mai affrontato.
Godric's Hollow era avvolta da una bassa nebbia. Sirius atterrò malamente davanti al cancellino dei Potter, smontando talmente in fretta da far scivolare la preziosa motocicletta sull'asfalto... e la vide.
Ciò che avvolgeva il villaggio non era nebbia, ma denso fumo grigio che si levava dal tetto esploso della casa. I vetri delle finestre al primo piano erano esplosi, le luci del soggiorno ancora accese, la porta divelta dai cardini.
Sirius non sapeva cosa significasse perdere ogni cosa. L'improvvisa consapevolezza fu talmente dolorosa da impedirgli di rendersene conto.
«No, no, no, no, no... James!».
Sfrecciò attraverso il cortile e fece irruzione nel soggiorno distrutto. Le tende a fiori di Lily avevano preso fuoco e l'aria era appesantita da un intenso odore di zolfo. Sirius boccheggiava guardandosi a destra e a sinistra, pallido e tremante.
I piedi scalzi di James spuntavano da oltre il divano.
Sirius gridò, si gettò sull'amico, si aggrappò disperato alla camicia impolverata, scuotendolo con foga, chiamandolo con voce irriconoscibile.
«Sveglia, James! Svegliati!».
Non era come morire: era come aver vissuto troppo e non aver alcuna possibilità di andarsene. Era come essere svuotati da ogni sensazione umana, da ogni pensiero... gridava, piangeva, e non riusciva a capire cosa stesse accadendo.
“Morto, morto, morto”.
Ci vollero dieci minuti prima che l'eco del vagito di Harry lo facesse riemergere da quell'oceano confuso. Risalì le scale come un ubriaco, reggendosi al corrimano, muovendosi in maniera instabile. Lily era riversa sul pavimento con i capelli avvolti come una fiamma attorno al volto cereo e una pallida mano tesa verso la porta.
Sirius la guardò attraverso le lacrime senza vederla davvero. Harry aveva un rivolo di sangue che gli scendeva dalla fronte fino a inzaccherargli il colletto del pigiamino. E Lily era a terra e non si muoveva, e Sirius iniziò a pensare per quale diavolo di motivo stesse a terra mentre Harry piangeva. James non aveva più gli occhiali, non poteva salire o avrebbe sicuramente mancato un gradino e si sarebbe ammazzato nella caduta...
“Ammazzato, ammazzato, ammazzato”.
Fu questione di un attimo, un guizzo di coscienza che non se ne andò più e gli fece davvero capire cosa fosse accaduto. Irreparabile, insanabile, reale – ed era colpa sua. Crollò in ginocchio accanto a Lily, la sollevò per le spalle e le scostò i capelli dal viso. I suoi occhi spenti sembravano ancora guardarlo, ma erano vacui, persi, morti.
Gridò ancora, ma questa volta fece più male. Questa volta sapeva perché gridava, perché soffriva – perché James era morto e Lily era morta e Harry piangeva e niente si sarebbe più sistemato. Il tempo smise di scorrere. Quando Sirius si rialzò in piedi per prendere il bambino fra le braccia avrebbero potuto essere trascorsi dieci minuti quanto dieci anni o dieci secoli.
«Va b-bene, Harry. Va t-tutto bene, ci sono io ora, andrà bene, tutto bene».
Una volta tornato in soggiorno, cercò in ogni modo di evitare di guardare il cadavere di James, ma sembrava che ovunque voltasse lo sguardo ci fosse il suo viso. Sorrideva e aveva undici anni, il faccino birbante che proclamava eterna amicizia, due mignoli che si intrecciavano e giuravano di non separarsi mai. Aveva undici anni anche lui, anche Sirius, poi sedici e dormiva con James a casa Potter, e James rideva ancora, rideva e lo chiamava “fratello”, e poi si sposava e rideva di nuovo e scherzava su quanto fosse assurdo che fosse riuscito a sposare Lily Evans.
«S-Sirius?».
Sirius sollevò il capo molto lentamente.
La gigantesca figura di Hagrid troneggiava al di là della porta d'ingresso. Era così grosso che fu costretto a piegarsi per varcare la soglia di casa. Si guardò smarrito intorno e quando vide James cacciò un urlo spaventato e si chinò su di lui.
«È morto» disse apatico Sirius.
«Ma J-James... qua bisogna portarcelo al San Mungo, Sirius, e Lily... Lily...?».
«È morta».
Hagrid rimase in silenzio mentre l'orrore si faceva largo nei suoi occhi.
«Lily e James morti... Silente mi ci aveva mandato per prendere il piccolo Harry in custodia, la vecchia Bathilda ci ha detto che era successo qualcosa, ma io mica pensavo che erano morti...». Tirò rumorosamente in su con il naso, si asciugò il volto con la manica del pastrano e si rialzò, rischiando di sbattere la testa contro il lampadario. «Erano bravi, James e Lily, tanto bravi».
«Dov'è Silente?».
«Al Ministero della Magia».
Sirius fremette di rabbia al solo pensiero che Silente non avesse raggiunto immediatamente Godric's Hollow.
«I Mangiamorte di Tu-Sai-Chi stanno ancora in giro» continuò Hagrid in tono cupo. «Silente mi ha detto che Harry deve andarci via in fretta da qua, perché è troppo pericoloso per un bambinetto così piccolo e deve andare a stare dai suoi zii...».
«Di' a Silente di andare al diavolo insieme a quei maledetti Babbani» sbottò Sirius mentre usciva una volte per tutta dalla casa. «Io sono il suo padrino, Hagrid. Harry resta con me».
L'omone lo inseguì nel cortile.
«No, no... Silente mi ha detto di portarci il bambino».
«Io sono il suo padrino!» gridò furioso Sirius, stringendosi ancora di più a Harry. «Che Silente me lo venga a strappare dalla mani, se ha il coraggio!».
Hagrid trasalì, ma non aggiunse altro. Si avvicinò con cautela e appoggiò una mano sulla spalla del giovane. Era talmente grande da coprirgli l'intero avambraccio.
«Lo so che tu e James eravate tanto amici, Sirius... ma Silente pensa che anche se Tu-Sai-Chi è andato via, Harry è ancora in pericolo».
“Il Custode Segreto doveva essere Silente. Se solo io e James gli avessimo dato ascolto, loro sarebbero ancora vivi”.
Sirius fece una smorfia afflitta.
«È colpa mia, Hagrid» mormorò.
«No... ma che dici? Non le devi mai più dire queste cose...» lo consolò. «Non è mica colpa tua, è colpa di Tu-Sai-Chi... ma adesso è finito tutto, Sirius».
“No” lo corresse mentalmente Sirius. “È colpa di Peter e io non ho ancora finito”. Lanciò uno sguardo riluttante al gigante ed estrasse la bacchetta con un profondo sospiro.
«Convalesco» recitò.
La ferita sulla fronte di Harry si asciugò magicamente. Il bambino lanciò uno strillo infastidito. Sirius sorrise triste e gli posò un bacio fugace sulla guancia prima di consegnarlo fra le immense braccia di Hagrid.
«Puoi prendere la mia motocicletta, a me non serve più... ma stai attento a Harry» lo mise in guardia prima di incamminarsi.
Hagrid annuì, dondolando impacciato il bambino.
«Certo, certo... ehi, ma dove stai andando?».
Sirius voltò appena la testa. Nei suoi occhi brillava una luce pericolosa.
«Devo fare una cosa. E poi...». Si passò una mano fra i capelli. «Va' da Remus. Digli che mi dispiace».

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Capitolo 5
*** Epilogo ***


Note: Nient'altro da aggiungere se non un sincero e gigacosmico grazie a tutti voi. (: 







*
La lingua delle maschere





Epilogo





Cercò Sirius in ogni stanza di Grimmauld Place e alla fine lo trovò nell'ultimo posto in cui avrebbe pensato di trovarlo.
Il vecchio studio di Orion Black era una stanza dagli alti soffitti, con un imponente camino di marmo scuro in un angolo e le pareti decorate con arazzi i cui disegni erano stati quasi del tutto divorati dalle tarme. Sebbene Sirius avesse ordinato a Kreacher di accendere le torce e aprire le finestre per dare una parvenza di ospitalità all'intera casa, Grimmauld Place era ancora ben lontana dall'essere definita accogliente.
Remus dubitava che all'amico importasse.
«Sei già sveglio» commentò con una punta di stupore Sirius. «E pensare che sei sempre stato il più dormiglione fra tutti».
Remus lanciò un'occhiata severa alla bottiglia di vino vuota per metà appoggiata sulla scrivania di mogano.
«Interessante colazione» commentò. «Non hai dormito?».
«A un certo punto credo di essermi appisolato».
«Qui?».
Sirius scrollò le spalle e agitò la bacchetta per Evocare un calice di vetro. Lo riempì quasi fino all'orlo di vino.
«Sai che non bevo vino di mattina» commentò Remus.
Si rese conto di aver detto una sciocchezza solo quando incrociò lo sguardo nostalgico di Sirius.
«No, Moony... non lo so».
Remus sospirò, prese comunque il calice e si accomodò con calma sul divanetto accanto alla finestra. Sirius intrecciò le gambe sulla scrivania e bevve un lungo sorso direttamente dal collo della bottiglia.
«Allora, amico mio... raccontami un po' cosa hai combinato negli ultimi dodici anni» disse. «E vorrai scusarmi se non ricambierò la cortesia. La mia vacanza ad Azkaban non è un argomento molto intrigante. I Dissennatori non sono esattamente degli albergatori cortesi. Avanti, racconta».
«Non credo di avere niente da raccontarti».
Sirius fece un sorriso di scherno.
«Remus Lupin, l'uomo che non aveva niente da raccontare».
Remus si rigirò il calice fra le mani.
«Da dove vuoi che cominci?».
«Dall'inizio».
«Non è un bell'inizio».
«Questo lo so».
Tacquero entrambi. Remus si attentò a bere un primo cauto sorso di vino. Il vino delle cantine di Orion Black era disgustosamente speziato, ma non fece alcun commento. “Dodici anni trascorsi come se fossero cento, eppure non ho niente da dire”.
«Parlami di Hogwarts» gli venne in aiuto Sirius con sincera curiosità.
«È un pittoresco castello nel nord della Scozia. Peccato non potersi fidare delle sue scale».
Sirius strinse le sopracciglia, poi chinò in avanti la testa e iniziò a ridere. Era una battuta sciocca e inappropriata, ma Remus si ritrovò a ridacchiare a sua volta senza nemmeno accorgersene. C'era qualcosa di forzato in quell'improvvisa ilarità, ma si rivelò comunque piacevole. Iniziò a raccontargli a grandi linee ciò che era accaduto durante l'anno in cui aveva insegnato a Hogwarts. Gli confessò di aver dimenticato in un primo momento il gradino ingannatore delle scale che conducevano al quarto piano e di essersi incastrato quasi fino al ginocchio, delle assurde creature addestrate da Hagrid, di come Fierobecco avesse attentato alla vita del giovane Malfoy e della costanza con cui la professoressa Cooman aveva tentato di inseguirlo con la sfera di cristallo fino a giugno. Nessuno dei due riuscì a restare serio durante il racconto della lezione sui Mollicci in cui aveva consigliato a Neville Longbottom di vestire Severus Piton con gli abiti della nonna.
«Avresti dovuto vedere quell'avvoltoio impagliato».
Sirius ululò divertito. Quando entrambi si furono calmati, l'aria fra di loro si era fatta d'un tratto respirabile.
«E prima, Moony?» insistette ancora Sirius. «Cos'hai fatto per tutto il resto del tempo?».
Remus sorrise senza allegria. Il barlume di serenità generato dalla loro risata si dissolse in un silenzio tirato.
«Ho aspettato il trascorrere del tempo» ammise con semplicità. «Giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno».
«Da solo?».
«Da solo».
Sirius si accomodò meglio sulla poltrona.
«Ad Azkaban il tempo non esiste. Dopo un po' i giorni iniziano a diventare mesi e i mesi diventano anni... nemmeno te ne accorgi, sai?». Fece una smorfia disgustata. «Succede e basta. Ti rendi conto di essere perduto solo quando ti perdi fino in fondo e allora è troppo tardi per chiederti quanto tempo possa mancare prima che tutto sia finito. Non ti accorgi di invecchiare, non ti accorgi di morire... sai solo che sei lì dentro da quando hai memoria. E infine capisci che non hai più niente per il quale valga la pena contare i giorni».
Remus abbassò il calice e fissò l'amico con espressione impenetrabile. Soppesò rapidamente ciò che aveva intenzione di dire e quando parlò la sua voce risuonò poco più alta di un soffio.
«Mi dispiace».
Sirius agitò vago la mano.
«A te non è andata tanto meglio, Remus. Non sentirti troppo infelice per me».
Per diversi minuti l'unico rumore fu quello delle unghie di Sirius che grattavano distrattamente il legno del tavolo.
«Cosa ti sta tormentando?» domandò all'improvviso. «Non sei mai stato il tipo taciturno che tutti credono».
Remus chiuse gli occhi e appoggiò la nuca al divano. Era come avere una manciata di sabbia scricchiolante fra i denti, ma doveva dirglielo. Non poteva più aspettare.
«Quella notte alla Stamberga mi hai domandato se potevo perdonarti e io ho risposto che l'avrei fatto solo se tu avessi perdonato me. Temo di averti mentito».
«Anche io» soffiò amaramente Sirius. «Forse abbiamo entrambi sottovalutato il modo in cui il tempo è passato. Le cose sono cambiate. Tu sei cambiato. Io sono cambiato».
«Non è cambiato nulla, Padfoot. Le cose fra noi sono sempre andate così» replicò aspro. «Ti ho mentito una volta e ti sei convinto che ti avrei mentito ancora; tu mi hai tradito una volta e io ero certo che lo avresti fatto di nuovo. E quando è giunto il momento di accusare qualcuno... non potevamo che essere noi due». Scrollò le spalle come se nulla di ciò che stesse dicendo avesse qualche importanza, ma la verità era ben altra. «C'è stato un lungo momento quella notte in cui ho pensato di avere torto e ho dubitato di Peter perché non avevo più la forza per dubitare di te. Ricordo di aver gridato il tuo nome per un'ora intera... ma tu non sei tornato». Lo sguardo di Sirius era diventato insopportabile, così abbassò il capo. «Quando mi hanno detto cos'era accaduto, ciò che avevi fatto... oh, dubitare di te è tornato a essere tremendamente semplice».
Sirius si scostò dal volto sciupato una ciocca di capelli sciupati e non disse nulla. Remus attese con pazienza la sua replica, ma non era del tutto certo di volerla ascoltare.
«Ti sbagli: le cose sono cambiate davvero» ribatté infine Sirius. «Oggi io mi fido di te. Capisco molte più cose di quante un tempo nemmeno vedessi. Siamo sempre stati così diversi? Io ero quello irruente che si lanciava nel vuoto e tu eri quello cauto che esitava fino all'ultimo istante... ma ti sei sempre lanciato dietro di me, Remus». Arrangiò un sorriso sfrontato e sollevò il calice in un muto brindisi. «Se puoi perdonare te stesso, allora puoi perdonare anche me».
Era assurdo, ma Remus aveva l'impressione di aver finalmente compreso per quale motivo lui e Sirius fossero diventati amici. C'era James, c'era l'amico in comune da amare ferocemente... ma c'erano anche loro due a ondeggiare ai lati di una linea fatta di estremi che si toccavano e si scontravano in continuazione. Sirius aveva ragione: erano realmente sempre stati più simili di quanto nessuno dei due avrebbe mai desiderato ammettere, ma le cose erano cambiate.
Loro erano cambiati.
Forse se la sarebbero cavata anche senza James. Forse sarebbero riusciti a onorare la promessa di rimanere per sempre amici anche a nome suo – soprattutto a nome suo.
Remus sorrise e alzò a sua volta il calice.
«Agli amici veri, quelli che sono esattamente come appaiono... sebbene nessuno possa mai dirsi sicuro che non ci siano maschere sui loro volti».
Sirius rise.
«Alla fine ogni uomo si limita a indossare la persona che gli è vicina, vecchio mio».




But I can't move the mountains for you.
(Timshel – Mumford and Sons)





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