La lingua delle maschere di Trick (/viewuser.php?uid=21078)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Il bugiardo ***
Capitolo 3: *** Il traditore ***
Capitolo 4: *** La spia ***
Capitolo 5: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Note:
Questa
mini-long è stata scritta per il contest Tr/Amando
indetto
da Elos
sul forum di Pseudopolis
Yard – è un contest così
brillante e particolare che non riuscirei a spiegarvelo: vi
suggerisco di dare un'occhiata al forum.
Sì,
forse sto sottilmente spammando (e nemmeno troppo sottilmente, chiedo
scusa).
Sono
tre capitoli con l'epilogo finale incredibilmente già
conclusi, e
questo mi fa ruggire di orgoglio perché terminare le
long-fic per me
è come scalare l'Everest con un paio di pinne ai piedi...
prevedo di
pubblicarla tutta entro breve, mentre un cherubino lancerà
dardi
dorati, petali di rose e chicchi di riso, gridando:
«Bontà del
cielo, ne hai terminata almeno
una!».
Sono
felice di constatare che come al solito non sto usando le note per
dire qualcosa di utile,
quindi... dirò qualcosa di utile: i nomi dei personaggi,
degli
incantesimi e tutti gli altri sostantivi potteriani
sono
scritti secondo la prima traduzione della Salani, eccezion fatta per
i soprannomi dei quattro Malandrini e il cognome Longbottom,
perché... beh, mi piacciono di più. (:
Detto
ciò, volevo ringraziare in maniera particolare Agne,
prode compagna
di questo ardimentoso contest, che mi ha fatto da Beta e da spalla su
cui rigettare ogni isteria. C'è stata molta isteria, lo
confesso.
E
naturalmente grazie a voi che state per leggere. (:
*
La
lingua delle maschere
As
brothers we will stand
and
we'll hold your hand
(Timshel
– Mumford and Sons)
Prologo
Ogni uomo indossa una
maschera sul volto.
Nessuno può mai dirsi
sicuro della persona che gli è vicina, ma gli amici, quelli
veri,
alla fine si limitano a essere come appaiono.
Amici come quelli, nudi
da trucchi e da inganni, si bramano per tutta la vita. Qualcuno li
trova ed è felice; qualcuno li confonde e lo è un
po' meno;
qualcuno si sveglia una mattina e realizza che nulla è come
dovrebbe
essere.
Non rende solo un po'
meno felici: lacera la pelle centimetro dopo centimetro, la fa
bruciare, scottare, la fa sciogliere fino a quando lo scheletro non
brilla alla luce del giorno, ed è allora che l'amara
consapevolezza
scava a fondo, spacca le ossa, riduce un uomo in polvere. Lui
è
ancora lì, a pancia in su nel suo letto e intorpidito dalla
sonnolenza, ma da qualche altra parte è appena morto.
Remus Lupin ha mentito un
considerevole numero di volte, ma quella mattina, un istante dopo
aver aperto gli occhi nell'umida camera di Grimmauld Place che Sirius
gli ha riservato, ha capito che fra tutte le menzogne sulle quali ha
costruito la sua vita ce ne è una, e una soltanto, per la
quale
forse valesse la pena smascherarsi.
Una sola verità.
Probabilmente era la sua
ultima occasione.
|
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Capitolo 2 *** Il bugiardo ***
Note:
Ve l'avevo
detto che avrei aggiornato in fretta. (:
In questo capitolo ci sono dettagli tratti da Pottermore (in
particolare da ciò che viene raccontato sui Lupi Mannari),
ma confesso di essermi presa la libertà di ignorare qualche
punto che non mi interessava particolarmente...
*
La
lingua delle maschere
I.
Il bugiardo
Nessuno
di loro aveva ancora ben chiaro cosa rappresentasse davvero
l'amicizia. E dire che erano buoni amici, di quelli che non avevano
mai litigato e si spintonavano scherzando per i corridoi di Hogwarts.
Erano amici e ridevano, si prendevano in giro e sì,
avrebbero
giurato con entrambe le mani sul fuoco che loro erano davvero
amici
e che lo sarebbero
stati per sempre.
A dodici anni si giura su
molte cose, anche sulle bugie.
«Tua madre è di nuovo
malata?».
Remus si immobilizzò con
le dita serrate attorno al pigiama che stava infilando nello
zainetto: la nota diffidente nel tono di voce di Sirius gli aveva
fatto tremare le ginocchia. Si mordicchiò nervoso il labbro
inferiore con la sgradevole sensazione di avere gli occhi dell'amico
conficcati nella schiena come due lame roventi. E giravano, giravano,
giravano nella carne e facevano un male dannato.
«Già» mormorò
tristemente, voltandosi appena per rivolgergli un sorriso tirato.
Sirius era un ragazzino
dotato di un'invidiabile eleganza: aveva solo dodici anni, ma i suoi
lineamenti decisi ne rendevano il viso più maturo. Aveva il
naso
dritto, le labbra ben disegnate e ogni altro dettaglio della sua
piccola persona sembrava perfetto esattamente nel modo in cui era
uscito fuori.
«Che cos'ha?».
«Te l'ho già spiegato».
«Ma io non ho capito».
Remus chiuse gli occhi e
sospirò.
«È una malattia rara,
Sirius. Una malattia Babbana».
«C'è una cura?».
«No».
La risposta lasciò
Sirius piuttosto insoddisfatto. Incrociò le braccia e si
appoggiò
con naturalezza allo stipite della porta del dormitorio, senza
smettere di scrutare l'amico con espressione accigliata. E Remus non
poté fare a meno di notare che perfino in quel modo, con una
ruga
pensierosa in mezzo alla fronte e il naso storto, il volto di Sirius
era comunque perfetto.
«Mi dispiace, Remus».
«Grazie» tagliò corto
mentre richiudeva lo zainetto con un gesto frettoloso.
Lanciò
un'occhiata preoccupata alla sveglia sul comodino e si costrinse a
sorridere. «Ora devo proprio andare».
«Certo». Sirius si
spostò di qualche decina di centimetri per farlo uscire.
«James e
Peter sono in sala comune. Credo che Peter stia di nuovo stracciando
James a scacchi».
«La tenacia di James è
ammirevole».
«Tenacia?» ripeté
Sirius con un sogghigno sarcastico. «Io lo chiamo
“essere scemi”.
Non potrei proprio giocare una partita che non so vincere. E
tu?».
Remus si gettò in spalla
lo zaino e cercò di individuare i due amici fra gli studenti
che
affollavano la sala comune. Li vide seduti accanto a una delle
finestre: James aveva le mani nei capelli e Peter sghignazzava
soddisfatto.
«Non lo so» disse vago.
“Sì, invece. Lo faccio a ogni Luna Piena. Lo
faccio ogni giorno e
ogni secondo...”.
Sirius gli rivolse
un'ultima occhiata penetrante. Remus trattenne un brivido: nel suo
sguardo brillava una tacita accusa e una parte di lui temette che
fosse arrivata la fine – che Sirius avesse intuito, che
avesse
scoperto...
Si rilassò solo quando
l'altro si limitò a salutarlo con un'amichevole pacca sul
braccio.
“Se davvero lo avesse scoperto, non mi toccherebbe
nemmeno”.
«Spero che tua madre si
riprenda».
«Grazie».
Non si voltò indietro
mentre scendeva le scale, ma continuò ad avvertire su di
sé la
pungente attenzione di Sirius. Superò un gruppetto di
ragazze del
quarto anno che ridacchiavano oltre le pagine del Settimanale
delle Streghe e si avvicinò ai due compagni di
dormitorio. Gli
fu sufficiente una sola occhiata alla scacchiera incantata per capire
chi dei due amici fosse nuovamente a un passo dalla sconfitta.
«Accidenti a te, Peter!»
strepitò con sconforto James, passandosi una mano fra i
capelli
scarmigliati e lasciandosi scivolare nella poltrona. «Sono ai
ferri
corti e... ehi, Remus!».
Remus si aggiustò lo
zaino sulle spalle e sorrise.
«Vai a trovare tua
madre?».
«Sì, sono venuto a
salutarvi. Tornerò entro un paio di giorni».
James annuì con aria
mesta.
«Bel guaio, quello...».
«Starà bene».
«L-lo speriamo tutti».
«Grazie, Peter».
Rimasero qualche secondo
in silenzio, fissando l'alfiere nero di Peter fare a pezzi la torre
bianca di James. Remus inclinò pensieroso il capo e
studiò rapido
le posizioni sulla scacchiera. Aveva sempre amato gli scacchi,
sebbene avesse potuto giocare con quelli magici solo una volta
arrivato a Hogwarts. Suo padre era un mago, ma sembrava trovare la
violenza rumorosa degli scacchi incantati un po' troppo fuorviante
per la concentrazione.
“L'istinto e la ragione
non vanno mai d'accordo, Remus” gli aveva detto una sera di
molti
anni prima nel tentativo di spiegare al figlio la facilità
con cui
gli aveva dato scacco matto. “O combatti con l'una o combatti
con
l'altra; se combatti con entrambe, hai già perso”.
«Regina in E4, James»
consigliò con innocenza.
«Ehi!» protestò
piccato Peter. «Sto vincendo!».
Remus ridacchiò della
sua espressione indignata e infilò le mani nelle tasche.
«Hai già vinto».
James guardò prima lui,
poi la scacchiera e poi Peter. Poi ancora Remus, la scacchiera e
Peter, e più li guardava più il suo viso si
incupiva.
«Ho perso, eh?».
«Cercavo di salvarti un
briciolo d'onore» ammise amabilmente Remus. «Ora
devo proprio
andare...».
«Fa' buon viaggio,
Remus».
«E porta i nostri auguri
a tua madre».
«Grazie, ragazzi. Ci
vediamo presto».
James e Peter fissarono
l'amico dirigersi verso il passaggio nascosto dietro il ritratto
della Signora Grassa. Attesero che l'orlo sdrucito del suo mantello
fosse svanito oltre la parete prima di scambiarsi un'occhiata
d'intesa. Sirius li raggiunse pochi istanti dopo, si
accomodò su una
terza poltrona e allungò le gambe sul tavolino incurante
della
partita in corso. James e Peter non dissero nulla: la sconcertante
sconfitta di James sembrava già dimenticata.
Fu Sirius il primo a
prendere a parola.
«C'è la luna piena
anche questa sera».
Peter trasalì. James non
si mosse. Teneva gli occhi ancora puntati sui resti della sua torre,
ma Sirius sapeva che non stava pensando alla partita –
stavano
tutti pensando alla stessa identica cosa da mesi.
«Forse è meglio
rientrare nel dormitorio, Sirius» consigliò con
voce sepolcrale
James. Si sporse oltre la poltrona per scrutare cauto gli altri
ragazzi di Grifondoro. «Dico davvero. La sala comune non
è il posto
adatto per parlare di... questo».
Sirius annuì. I tre si
alzarono in piedi e si diressero a passi svelti verso le scale. Non
appena ebbero raggiunto il dormitorio, Sirius si richiuse la porta
alla spalle con un calcio rabbioso. Sentiva ogni nervo fremere sotto
la pelle, ogni centimetro dei propri muscoli tendersi a causa del
dispetto... si morse l'interno della guancia e guardò i due
compagni.
«È un dannato Lupo
Mannaro».
Lo aveva già detto, ma
mai come quella volta ne era stato convinto. Lo aveva pensato,
se lo era ripetuto decine di volte mentre fissava Remus chino sui
libri, Remus che faceva colazione, Remus che rideva e scherzava con
quel suo umorismo delicato che gli era sempre piaciuto tanto... Remus
che era un Lupo Mannaro, e ora che quelle parole erano davvero uscite
dalla sua bocca si sentiva in qualche modo preda dello sconforto
–
e lui detestava sentirsi sconfortato.
Peter si era
acciambellato nel suo letto e aveva nascosto metà volto nel
cuscino.
James si era avvicinato alla finestra e pareva intenzionato a non
voltarsi. Teneva lo sguardo incollato al cielo.
«Forse è vero che sua
madre è molto malata...» commentò
Peter, ma la sua voce era colma
di dubbio. «Insomma... un Lupo Mannaro a Hogwarts?
È contro le
regole, giusto?».
«È contro la legge»
sibilò Sirius. Si lasciò cadere a schiena bassa
sul proprio letto e
incrociò le braccia dietro la testa. «Sia dannato
Salazar... non
posso crederci».
«Credete che dovremmo
dirlo agli insegnanti?».
Sirius gli rivolse
un'occhiata sprezzante. Talvolta l'ingenuità di Peter gli
dava il
voltastomaco e quella sera la sua pancia era già di per
sé fin
troppo agitata.
«Credi che non lo
sappiano? Remus se ne va via una volta al mese! Come potrebbero non
saperlo?».
«Ma se lo sanno...». Il
tono della sua voce si fece ancora più timido e impacciato.
«Com'è
possibile che--».
«Non dire fesserie,
Peter» lo interruppe deciso James. Si voltò
finalmente verso di
loro. Sul suo viso c'era un'ombra di biasimo. «Ne abbiamo
già
parlato. È Remus».
“È Remus” pensò
Sirius. “Remus, Remus che studia, Remus che mangia, Remus che
ride,
Remus che è un Lupo Mannaro...”. Emise un grugnito
infastidito
mentre la parola “Lupo Mannaro” continuava a
rimbombargli nella
testa. “I Lupi Mannari sono Creature Oscure”.
«Credete che dovremmo
dirglielo?» domandò Peter.
Sirius chiuse gli occhi e
inspirò profondamente. Quella situazione assurda lo stava
facendo
impazzire e di certo Peter non era di alcun aiuto. Provò
l'impulso
di testare su di lui gli effetti dell'Incantesimo Immobilizzante di
cui il professor Vitious aveva parlato durante l'ultima lezione, ma
poi ricordò che su alcune Creature Magiche non aveva effetto
e i
suoi pensieri tornarono su Remus – Remus il Lupo Mannaro. Si
chiese
se l'Incantesimo Immobilizzante potesse funzionare anche su di lui.
“Peter però non è una Creatura Magica.
Starebbe zitto per almeno
una decina di minuti...”.
«Io dico di sì»
affermò James con sicurezza.
«E se si arrabbia?».
Questa volta la risata di
James scoppiò alta e fragorosa. Sirius si
accigliò. Come poteva
James ridere in un momento simile? Aveva riso anche diversi mesi
prima, quando Sirius aveva suggerito che Remus potesse essere
un
Lupo Mannaro. E all'epoca lo aveva detto con così poca
convinzione
che era stato il primo dei due a riderne. Ma poi le settimane si
erano succedute e non era più stato in grado di ignorare
tutti quei
dettagli che forse avrebbe potuto notare fin da subito: mano a mano
che il plenilunio si avvicinava, Remus diventava più pallido
e
debole, prestava meno attenzione durante le lezioni, si distraeva,
parlava poco... e spariva ogni sera con la luna piena – e per
quanto Sirius non capisse nulla né di Babbani né
delle loro strane
malattie, non era certo un ragazzo stupido.
Guardò James con aria
contrariata.
«Non c'è niente da
ridere, James».
James sgranò gli occhi e
fissò stupefatto l'amico con quel sorriso quasi ebete che
Sirius
aveva imparato a riconoscere. Era quel sorriso di
James,
quello che diceva: “Ehi, non posso credere che tu sia tanto
stupido, mi fai ridere a crepapelle”.
«È Remus» ribadì con
voce incredula. «Andiamo, qualcuno di voi l'ha mai visto
arrabbiato?
L'avete mai visto gettarsi sulla cena e fare a brandelli cosciotti di
pollo, l'avete mai sentito ringhiare o sputare palle di pelo o
marchiare la porta del dormitorio?».
«A volte sviene durante
le lezioni del professor Lumacorno...».
James si grattò
pensieroso il mento.
«Magari è solo colpa
della bilancia d'argento». Scrollò le spalle e
aggiunse: «Non vedo
l'ora di chiederglielo».
«James» ribatté tetro
Sirius. «Hai la più pallida idea di cosa sia un
Lupo Mannaro?
Intendo davvero».
«Mio padre ha un libro
sui Lupi Mannari...» disse Peter incerto. «Lupi
Fuorilegge:
perché i Licantropi non meritano di vivere. Ci
sono delle
fotografie orrende». Si strinse le braccia allo stomaco con
espressione nauseata.
«Mio padre invece
conosce l'autore» sostenne piccato James. «Emerett
Picardy lavora
al Ministero insieme a lui. E mio padre pensa che sia un idiota
tronfio e che quel libro sia pieno di sciocchezze».
«E se lo dice tuo padre,
deve essere così, no?». Sirius scattò a
sedere con aria truce.
Odiava quel discorso, odiava sentire frasi come “mio padre
dice
che...” o “mio padre è convinto
che...”. Anche suo padre
diceva un sacco di cose – ed erano sputi e grida e pugnalate
che
Sirius non voleva sentire. «Beh, lascia che ti dica una cosa,
James:
tuo padre non ha capito niente. I Lupi Mannari sono Creature Oscure,
non distinguono il bene dal male. Non hanno morale, non hanno
ragione, non sono... umani»
sputò l'ultima parola con
disprezzo feroce, ma mentre l'accusa gli scivolava dalle labbra una
parte di sé si chiese se davvero ci stesse credendo.
“Non sono
umani” ripeté nella sua testa. “Remus
non è umano, Remus ha
mentito”.
James non si mosse.
Rimase fermo nel cono di luce che la luna piena proiettava sul
pavimento del loro dormitorio. Non si muoveva, ma Sirius riconobbe
un'improvvisa furia agitarsi al di là delle lenti dei suoi
occhiali.
Era strano vedere quell'ombra feroce sul viso dell'amico: James era
James, era gentile e onesto e poneva l'amicizia sopra qualunque altra
cosa – ed era il suo dannato migliore amico che non voleva
capire a
quale pericolo tutti loro stessero andando incontro.
«Dimmi che non pensi sul
serio che Remus non distingua il bene dal male. Dimmi che non pensi
non abbia morale o ragione o...». James chiuse gli occhi come
se non
fosse in grado di sopportare la vista di Sirius e fece un profondo
respiro. «Dimmi che non lo pensi. E dimmelo in fretta,
Sirius, o
giuro che ti prendo a pugni».
Sirius si alzò in piedi.
«Ci ha mentito».
Quello sì, che faceva
male. E doveva far male anche a James, Sirius ne era certo –
perché
James era James, il gentile e onesto James che
poneva
l'amicizia sopra qualunque altra cosa. Non poteva non capire come si
sentisse. Non James, non il suo migliore amico. Eppure il suo viso
era ancora marmoreo, spietato, e per la prima volta Sirius
notò il
fantasma del disprezzo nei suoi occhi.
Forse il pugno non
sarebbe partito da James.
«Hai appena definito
Remus una “Creatura Oscura”»
scandì pungente l'altro. «Hai
detto che non è umano. Chissà, magari
è per questo motivo che non
ti ha detto niente».
«È un Lupo Mannaro!»
strepitò Sirius. «Con quale altra parola avrei
dovuto definirlo?».
«Non saprei» rispose
James con sarcasmo piccato. «Che te ne pare di
“amico”?».
Sirius tacque. Lanciò
un'occhiata a Peter, ma il ragazzino sembrava intenzionato a non
prendere parte nella loro accesa discussione – la prima,
realizzò
improvvisamente. “Stiamo litigando per colpa di un Lupo
Mannaro.
Bell'affare”. Si lasciò cadere con pesantezza sul
materasso,
ignorando lo sguardo accusatorio di James. Non c'era nulla di
sbagliato nella sua posizione. James poteva scegliere di giocare al
bravo samaritano fino ad avere la nausea di bontà e
misericordia –
o fino a quando la sua ingenuità lo avrebbe fatto ammazzare o
sbranare
– ma Sirius
conosceva la realtà. Sirius non viveva nel suo stesso
castello di
cioccolato e marzapane. “Amico” mormorò
una voce maligna nella
sua testa. “I miei amici non sono Lupi Mannari. I miei amici
non
mentono”.
Si rigirò testardo sulla
schiena e affondò il volto nel cuscino, nascondendosi
nell'ombra
delle tende rosse del baldacchino.
«Sirius?» lo richiamò
James con più gentilezza.
La sua risposta fu un
brontolio scocciato.
«Fa' quello che ti pare,
James. Non ho potere di farti cambiare idea e tu non hai potere di
farla cambiare a me. Fine della questione, buona notte».
Nessuno aggiunse altro e
Sirius serrò gli occhi. Non si alzò per sfilarsi
né la divisa né
la cravatta di Grifondoro – non si levò nemmeno le
scarpe. Restò
fermo in un angolo del suo letto, ascoltando il rumore dei suoi
compagni che indossavano i pigiami e si cacciavano sotto alle coperte
senza parlare. Il tempo parve trascorrere con fastidiosa lentezza.
Solo dopo diversi minuti riconobbe il respiro di Peter farsi lento e
pesante. Attese ancora e ancora e ancora... ma per la prima notte da
quando l'aveva conosciuto, James non russò.
*
La mattina dopo non era
del tutto certo di aver davvero dormito. A un certo punto aveva
semplicemente aperto gli occhi ed era stato come un battito di ciglia
poco più lungo del normale. Si sentiva a pezzi.
Peter e James si alzarono
pochi istanti più tardi – e Sirius sapeva di non
essere stato il
solo a non dormire. A differenza di Peter, che aveva iniziato a
chiacchierare nervosamente come se nulla fosse accaduto, James si era
stropicciato con lentezza gli occhi arrossati. Poi aveva fissato
Sirius con aria interrogativa. Sirius si era alzato, si era sistemato
la camicia sgualcita nei pantaloni, aveva afferrato la borsa dei
libri e si era defilato dalla stanza senza nemmeno salutare.
“Al diavolo James”
continuò a ripetersi mentre scendeva in sala comune.
“Al diavolo
Peter” pensò mentre sgusciava al di là
del buco nel ritratto
della Signora Grassa e si avviava verso la Sala Grande per la
colazione. “E al diavolo Remus” concluse mentre
prendeva posto
alla tavolata praticamente deserta di Grifondoro. Non aveva mai
mangiato da solo – e anche quello era colpa di Remus.
Quando James e Peter lo
raggiunsero, lui aveva ormai terminato di sbocconcellare la sua
colazione. Abbandonò ciò che restava del suo
succo di zucca e se li
lasciò entrambi alle spalle, intenti a scambiarsi occhiate
preoccupate. Fu solo al termine della lezione di Trasfigurazione che
James si arrischiò a parlargli. Si affrettò ad
avvicinarsi a lui
mentre l'amico infilava i libri nella tracolla.
«Puoi piantarla di
comportarti come un completo idiota per almeno dieci minuti?».
Sirius alzò il capo e
scostò un ciuffo di capelli dalla fronte. I suoi occhi erano
stretti
in un'espressione minacciosa.
«Va'
al diavolo, James» soffiò arrabbiato. Pronunciarlo
a voce alta fece
ruggire di soddisfazione il suo stomaco. «Tu e Peter e
quell'altro».
«Bene»
concluse l'amico con tono efficiente. «Volevo solo informarti
che io
e Peter abbiamo deciso di parlare a Remus non appena sarà
tornato.
Gli diremo che sappiamo cos'è
e che non ci importa perché sappiamo chi
è. Gli diremo che la
nostra amicizia vale molto di più di questo
suo...» si interruppe
per cercare le parole adatte. Guardò Peter, ma tutto
ciò che
ottenne fu una confusa scrollata di spalle. «Beh, di questo
suo
“piccolo problema peloso”, ecco. E io e Peter ci
stavamo
chiedendo se tu volessi o meno farlo con noi. Se tu fossi ancora
nostro amico». La sua voce si era fatta d'un tratto
sconfortata. «E
mi dispiace, Sirius, mi dispiace davvero tanto...
ma se ora scegli di voltare le spalle a Remus, io non credo
di...».
Si fermò ancora, si passò una mano fra i capelli
e scosse agitato
la testa. Sembrava preda della sofferenza. «Non posso essere
anche
amico tuo. Non quando so che sei disposto a mollarci tutti
perché la
situazione si fa più difficile. Non è così
che
si comporta un
amico».
Sirius aveva tenuto il
capo chino e i pugni stretti per tutto il tempo. Si era morso il
labbro inferiore e aveva cercato di controllare il respiro, ma le sue
spalle trepidavano e i suoi muscoli premevano per colpirlo, per
fargli male, per spaccare la dannata espressione di accusa che James
si era appiccicato sulla faccia. Si alzò dal banco,
afferrò la
propria borsa e rivolse al compagno una gelida occhiata di sfida.
«Non sono io quello che
sta voltando le spalle al suo migliore amico, James».
Se ne andò di nuovo,
determinato a non parlare oltre con nessuno dei due. Uscì
dall'aula
a passo svelto, si infilò nella calca di studenti che si
affaccendavano nel corridoio e si infilò nel bagno.
«C'è qualcuno qua
dentro?» domandò.
Fu
estremamente felice di non ricevere alcuna risposta. Gettò a
terra
la borsa e si aggrappò con entrambe le mani a uno dei
lavandini.
Chiuse le palpebre con decisione non appena si accorse che gli occhi
pungevano e le lacrime erano proprio lì, a un passo dallo
scappare.
Sirius detestava piangere – non lo aveva mai fatto spesso, ma
ogni
volta aveva fatto un male infernale. Ed era una cosa stupida e
ridicola e
debole,
ma
la voce di James
non smetteva di echeggiare nella sua mente, e suonava sempre
più
forte, sempre più definitiva... “Non posso essere
anche amico
tuo”. Piangere quella volta fece più male di
quanto non avesse mai
fatto – forse l'inferno non era Grimmauld Place,
pensò fra i
singhiozzi. L'inferno era lì, era in quel momento... e la
colpa era
solo di Remus.
Trascorsero
altri due giorni tremendi prima che Remus tornasse finalmente al
dormitorio. Sirius non aveva fatto che ignorare ogni tentativo con il
quale Peter aveva tentato di farlo ragionare. James si era chiuso in
un silenzio altrettanto testardo, ma Sirius sapeva che le parole di
Peter erano quelle di James – erano sempre
quelle
di James, Peter
era solo il suo grassoccio e fastidioso pappagallo.
Non appena Remus aveva
fatto la sua comparsa sulla soglia del dormitorio con il suo colorito
pallido e l'aria affranta e depressa, Sirius aveva arrangiato una
smorfia indispettita e si era defilato nella Guferia. Non voleva
nemmeno assistere a loro patetico teatrino. Gli era sufficiente
immaginarlo per farsi montare la collera. “Oh, povero Remus,
non è
colpa sua. Povero Remus, deve aver sofferto così tanto.
Povero
Remus, sempre solo, sempre abbandonato...”.
I trespoli di legno erano
quasi tutti vuoti: la maggior parte dei gufi stava probabilmente
cacciando qualche roditore lungo i confini della Foresta Proibita.
Sirius si appoggiò con i gomiti sul davanzale di pietra e
scrutò
stizzito il cielo. Nonostante fossero passati due giorni dal
plenilunio, ai suoi occhi la luna sembrava ancora piena. Se ne
restò
per parecchio tempo a fissare le stelle e a rimuginare su quanto la
situazione fosse ingiusta.
Poi sentì stridere i
cardini arrugginiti della porta e si voltò per apostrofare
qualunque
studente avesse avuto il malaugurato pensiero di mandare una lettera
proprio in quel momento, proprio da quella torre, proprio mentre lui
non vedeva l'ora di prendere a calci l'umanità intera.
Era Remus.
Sirius era convito di
avere un sacco di cose da dirgli, ma mentre lo guardava entrare nella
Guferia con passo timoroso come se temesse di venirne scacciato,
scoprì di non avere nemmeno desiderio di vederlo. Le luci
delle
torce del corridoio illuminavano il suo viso cereo e tumefatto. Sul
suo sopracciglio destro c'era un cerotto bianco e Sirius
contò
almeno sette nuovi graffi.
«Come sta tua madre?»
proruppe con rude sarcasmo. «Mi auguro bene».
Remus abbassò gli occhi
e spostò il peso da un piede all'altro con profondo disagio.
«James
e Peter me l'hanno detto» mormorò piano.
«Che sapete,
intendo. Che lo sapevate da un bel po'...».
«Oh, davvero? Ti hanno
dato una pacca sulle spalle anche da parte mia, spero».
L'altro ragazzo si
ritrasse come se Sirius gli avesse appena lanciato addosso una
pietra. Inspirò forte e richiuse la porta. Tutto
ciò che ora poteva
far luce fra di loro era il candido riverbero della luna – e
Sirius
ne colse l'ironia come un'ennesima presa in giro ai suoi danni.
«Volevo solo dirti che
sto andando da Silente per...» iniziò Remus, ma la
voce parve
spezzarglisi in gola. «...perché ho intenzione di
tornare a casa
mia. E di restarci. Non c'è bisogno che tu dica
niente...» aggiunse
con urgenza. «In realtà, Sirius, preferirei non
dicessi niente».
Sirius sbuffò.
«La verità fa paura,
eh?».
«Fa solo un po' male»
replicò l'altro con un sorriso doloroso. «Ma va
bene, non importa,
non sono certo venuto per... per accusarti. Va bene così,
dico
davvero, tu hai ragione e la colpa è solo mia. Non avrei
dovuto
mentirvi, non sarei dovuto venire a Hogwarts, non... non avrei dovuto
dire e fare un sacco di altre cose... è giusto che io me ne
vada».
Aveva parlato in un
rapido soffio agitato. E Sirius, che odiava i pianti e le lacrime e
si era preso a schiaffi solo due giorni prima per fermare i propri,
aveva riconosciuto quelli di Remus. Era un pianto diverso, il suo.
Quello di Sirius era stato uno scoppio feroce di nervi e testa, era
stato rabbia e frustrazione. Remus era solo disperato. E forse fu la
vista del compagno tanto debole e vulnerabile, forse fu la lieta
consapevolezza di sapersi ancora una volta più forte e
resistente di
lui, ma Sirius sentì scemare ogni suo desiderio di
vendicarsi. La
rudezza e il sarcasmo lasciarono spazio a un atteggiamento ben
più
serio e controllato – ma ancora indignato, ancora deciso a
non
scendere ad alcun compromesso.
«Cosa ti hanno detto
James e Peter?» domandò con improvvisa
curiosità.
Remus tentò di
arrangiare un sorriso educato, ma ciò che ottenne non fu
né più né
meno di una smorfia sconfitta.
«Ha importanza?».
«Sì».
«Potresti semplicemente
chiederlo a loro».
«Lo sto chiedendo a te».
«A loro non interessa»
mugugnò fra i denti Remus, distogliendo ancora una volta lo
sguardo.
«Non so perché. Ti prego, non chiedermi anche
questo, io... non lo
so».
«Non gli interessa che
tu sia un mostro?».
Remus serrò gli occhi.
Rimase in silenzio qualche istante, prima di bisbigliare flebile:
«Non ha importanza».
«Perché no?».
«Perché a te importa.
Credo sia sufficiente».
Sirius lo fissò a lungo.
Osservò il pallore spettrale della sua faccia, la linea
rigida della
sua bocca, gli occhi rossi e lucidi, l'espressione derelitta e vuota.
Si sentì nuovamente preda della rabbia.
«Non
cercare di farmi sentire in colpa, Remus. Non provarci nemmeno, non
funzionerebbe. Non sono io,
quello cattivo. Non sono quello a cui non importa niente della nostra
amicizia, non sono quello che volta le spalle, non sono quello che ha
finto per quasi due anni di essere una persona normale».
Remus sussultò ancora, ma restò zitto,
così Sirius aggiunse con
più decisione: «Sei tu, quello
sbagliato».
Forse
fu il tono distaccato con cui lo disse, forse fu il fatto che il suo
viso era privo di qualsiasi emozione, come se avesse cancellato tutto
ciò che avevano condiviso da quando si erano conosciuti,
ogni
scherzo e ogni risata e ogni attimo che per lui avevano significato
ogni cosa. Forse fu solo il fatto che lo disse sul
serio a
far esplodere
anche Remus.
«Smettila» sibilò
irritato. «Cos'altro vorresti sentirti dire? Vuoi che ti
ripeta che
mi dispiace? Ho mentito e mi dispiace, ma immagino che arrivati a
questo punto non abbia davvero alcuna importanza. A te non importa
sentirtelo dire e io non intendo sprecare parole al vento».
Si
bloccò per fare un respiro tremante e scosse sdegnato la
testa. «Me
ne vado e la storia finisce qui. Non posso sopportare
oltre...».
«Devi sopportare quello
che--».
«No!»
strillò isterico l'altro. «No, non devo! Non
posso! Ho già
sopportato abbastanza e fa male, Sirius, mi fa male! Ho appena
ascoltato due dei miei migliori amici raccontarmi che a loro non
interessa ciò che sono, che non importa, che non fa niente,
che
andrà tutto bene, ma non è vero.
Non c'è niente di vero perché niente
andrà bene. Credi forse che
non sappia riconoscere la paura quando la vedo? La conosco, la
paura... la conosco da quando avevo quattro anni». Il suo
incessante
gridare stava scemando in un basso singhiozzo, i suoi occhi si
facevano sempre più lucidi e arrossati mentre le lacrime
iniziavano
a scendere sulle sue guance magre. Remus se le asciugò con
aria
umiliata. «E mentre Peter parlava e balbettava e continuava a
ripetere che era tutto a posto, lei era lì, nei suoi occhi,
e mi
guardava... guardava me,
aveva paura di me.
Era terrorizzato. E James...». Tirò in su con il
naso e iniziò a
muoversi avanti e indietro come un animale in gabbia. «Oh,
James è
un ragazzo straordinario, ma non può davvero credere che io
l'abbia
bevuta. Non può non aver paura di me, nemmeno lui, nemmeno
il
coraggioso James, non quando io per primo ho paura di me stesso e di
quello che sono e di tutto quello che potrei fare... e fa male,
Sirius, ma non quanto il modo in cui tu
mi
stai guardando»
ripeté fra i denti. «Tu non hai paura di me. Provi
solo disgusto. E
questo fa ancora più male, e qualunque cosa orrenda tu possa
dirmi
non mi farà che stare peggio. Preferirei che gridassi, che
scappassi, che mi prendessi a pugni...». Il pianto incessante
rendeva ormai incomprensibili le sue parole, ma Sirius continuava a
restare fermo, con le labbra appena dischiuse dalla sorpresa di
quell'improvvisa disperazione mentre Remus non smetteva di piangere e
di biascicare sempre più velocemente. «Ma non
questo, Sirius... non
il disgusto, ti prego».
Remus
parve aver oltrepassato il limite. Affondò le dita nei
capelli
biondi e si lasciò scivolare sul pavimento sporco della
Guferia
sulle ginocchia, con il viso nascosto fra le mani. Non smetteva di
tremare, di piagnucolare senza sosta, e più Sirius lo
fissava
struggersi ai suoi piedi, più si sentiva a disagio.
“È un Lupo
Mannaro” pensò. Eppure questa volta il pensiero
era insicuro,
debole, evanescente. “È Remus, Remus che piange,
Remus che mi
aiuta nei compiti di Storia della Magia e ora sta piangendo”.
Sirius conosceva sicuramente meglio di James e Peter cosa fosse
davvero un Lupo Mannaro. I suoi genitori erano sempre stati piuttosto
eloquenti, a riguardo – e per quanto li disprezzasse, per
quanto li
odiasse, Sirius non poteva realmente scordare ciò che aveva
visto e
sentito. Davanti agli occhi gli balenavano decine di prime pagine
della Gazzetta del Profeta che dichiaravano dove e quando e con
quanta malvagità i Lupi Mannari avessero fatto a pezzi
questa e
quella rispettabile persona...
“Un'aggressione
di una violenza inconcepibile” scrivevano talvolta.
“Una furia
cieca, selvaggia, bestiale”.
Rivedeva il libro di Emerett Picardy che aveva sfogliato con
curiosità insanabile, ricco di immagini di corpi straziati e
dilaniati che non erano più corpi, che non avevano
più un braccio,
una gamba, un volto... senza l'aiuto delle didascalie non avrebbe mai
capito che quegli uomini erano stati davvero
uomini.
“Queste
Oscure Creature non meritano la vita” sosteneva l'emerito
professore. Ma in quella Guferia c'era anche Remus che non smetteva
di piangere e una parte di Sirius non riusciva ad accettare che
stesse piangendo a causa sua.
Si avvicinò a lui,
ancora incerto su come comportarsi. Gli si inginocchiò
davanti e
tese una mano, molto lentamente – come se ancora stentasse a
credere a quanto stava facendo. Gliela appoggiò sulla
spalla,
strinse appena le dita attorno al tessuto della sua divisa di seconda
mano.
«Per favore, Remus...»
lo supplicò. «Smetti di piangere».
«N-non riesco...
q-questa v-volta non riesco...».
Sirius chiuse gli occhi e
respirò una, due, tre volte... respirò fino a
sentire i polmoni
premere nello sterno come se volessero schizzargli fuori dal torace.
Respirò senza dire altro, con il pianto di Remus che gli
perforava
le orecchie, la testa e tutto ciò che stava lì
attorno, e il calore
del corpo dell'amico nel palmo della mano. “Amico”
realizzò d'un
tratto. Lo aveva pensato davvero. “Amico”.
Ricordò i volti
marmorei dei suoi genitori, l'espressione alienata di sua cugina
Bellatrix, ognuna delle raccapriccianti storie lette sul giornale, su
quel dannato libro di Picardy, e quelle ascoltate dalle voci
terrorizzate del resto del mondo... ed ebbe paura.
Non di Remus. Non del
Lupo Mannaro.
Per la prima volta fu
terrorizzato dall'idea di essere esattamente come la sua famiglia, di
non poter scappare, di essere condannato – e Remus aveva
ragione:
faceva malissimo.
«Mi dispiace» mormorò
piano. «Non voglio che te ne vada. Non andartene».
Remus alzò il volto,
incapace di parlare.
«Per favore...» lo
implorò Sirius. «Resta con noi».
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Capitolo 3 *** Il traditore ***
Note:
Anziché adoperarsi per essere utile, questa volta
il Lexicon mi ha reso le cose complicate. In primo luogo, è
convinto che lo scherzo ai danni di Piton sia avvenuto durante il sesto
anno dei Malandrini, sebbene nei Doni della Morte Lily e Severus ne
parlino quando sono ancora amici, quindi prima della fine del loro
quinto anno... buffa cosa, così ho fatto finta di niente.
*
La
lingua delle maschere
II.
Il traditore
«Borage
è davvero un
idiota».
Lily non sollevò nemmeno
gli occhi dal libro di Pozioni. Le sue labbra si piegarono appena in
una smorfia un po' divertita e un po' rassegnata. Severus
tentò
nuovamente di concentrarsi sulla spiegazione del Distillato della
Morte Vivente, ma ogni frase non faceva che accrescere il suo sdegno.
Intinse la punta della piuma nel calamaio e riprese a cancellare con
foga almeno un paio degli ingredienti consigliati.
«Sev...» lo riprese con
voce paziente Lily. «Lascia in pace quel libro».
«È stato scritto da un
idiota. L'ho detto?».
«Non negli ultimi trenta
secondi».
«“Tagliare il Fagiolo
Sopoforoso”» recitò sprezzante Severus.
Lanciò all'amica
un'occhiata eloquente e le mostrò i palmi con aria
vittoriosa. «Che
ti dicevo? È un--».
«Idiota»
concluse Lily con un sospiro. Alzò finalmente lo sguardo su
di lui e
gli rivolse un sorriso esasperato. «Un giorno scriverai il
tuo
geniale compendio di pozioni e l'intera comunità magica te
ne sarà
riconoscente, ma per il momento devi accontentarti di Borage».
«Quel maledetto fagiolo
va schiacciato con il piatto di un pugnale d'argento».
«Lo so. Ero insieme a te
quando hai fatto la grande scoperta del succo del Fagiolo
Sopoforoso».
Severus la fissò in
silenzio per qualche secondo, perdendosi qualche istante di troppo
nel verde dei suoi occhi vivaci. Poi storse piccato il naso e sulle
sue guance pallide e magre comparve un vago rossore.
«Mi stai prendendo in
giro?».
Lei portò una mano alle
labbra per soffocare una blanda risatina. Severus si ritrovò
a
sorridere senza nemmeno rendersene conto. Amava la sua risata
–
amava ogni cosa di lei.
Rimase un po' spiazzato
nel vederla chiudere il proprio libro per poi riporlo con cura nella
borsa. Davanti alla sua espressione interrogativa, Lily
arrangiò un
sorriso di scuse.
«Questa sera sono di
turno con le ronde dei Prefetti. Sarebbe toccato a Remus, ma sua
madre è di nuovo malata e... non fare quella faccia».
«Quale faccia?».
«La faccia da “non
posso credere che tu ti faccia incantare dalle panzane di
Lupin”»
ribatté lei in una discreta imitazione della voce
dell'amico. «“Quel
Lupin è strano, dico davvero, e se ne va sempre in giro con
quell'espressione da criminale sulla faccia. Sono sicuro che nasconda
una gigantesca ascia con cui mozza le teste delle proprie
vittime”».
Il rossore sul volto di
Severus si era fatto all'improvviso più acceso. Il ragazzo
scosse
nervoso il capo e incrociò le braccia al petto.
«Tu sai che ho ragione».
«Sicuro. C'è un Lupo
Mannaro a Hogwarts che non fa che prendere Eccezionale in ogni tema
di Storia della Magia. Sono terrorizzata».
«Lily...».
«No, Severus» lo
interruppe lei con decisione mentre chiudeva la borsa e afferrava un
paio di libri troppo voluminosi per entrarci dentro. «Remus
è un
bravo ragazzo. Smettila di giudicare la gente solo perché
è un po'
idiota».
«Quindi ammetti che
Lupin è un idiota» esclamò Severus con
un sogghigno trionfante.
«Lo sapevo che--».
«Remus è un ragazzo»
concluse Lily con particolare enfasi. «Come potrebbe non
essere
idiota?».
La battuta lo fece
arrossire ancora di più.
«Io non sono un
idiota!».
«Certo che no, Van
Helsing».
«Van Helsing cacciava
Vampiri».
«Probabilmente perché
nessuno dei suoi compagni di scuola era un Lupo Mannaro».
«Van Helsing studiò a
Durmstrang» la corresse veemente. «È
famosa per i suoi cacciatori
di Vampiri».
Lily roteò gli occhi al
cielo e liquidò la questione con un vago movimento della
mano.
«Resti qui a
impiastricciare oltre quel povero libro?».
Severus sospirò tetro.
«Borage è un--».
«Ti prego, non ripeterlo
ancora!» lo supplicò drammatica.
Lui le rivolse un timido
sorriso. Il volto raggiante di Lily aveva il potere di lasciarlo
senza parole, senza fiato, senza alcuna ragione. E, nonostante tutto,
a lui andava più che bene di annaspare davanti ai suoi
piedi.
C'erano state un paio di occasioni in cui si era sentito talmente
audace e temerario da farsi quasi sfuggire la verità che le
nascondeva da una vita.
Solo la settimana prima,
durante la gita a Hogsmeade, Lily aveva diviso con lui la bacchetta
di liquirizia che aveva comprato a Mielandia e il suo sorriso amabile
aveva fatto precipitare una gigantesca bolla di sapone nel suo
stomaco. Lily aveva avvicinato la propria metà spezzata e
l'aveva
fatta cozzare contro la sua, mormorando divertita:
“Cin-cin”.
Severus era stato a un
passo dal rivelarle ogni cosa. “Mi piaci, mi sto innamorando
di te,
forse lo sono sempre stato”. Ripeterlo fra sé e
sé continuava a
essere più facile. Svegliarsi alla mattina con la certezza
di
poterla rivedere a colazione, durante le lezioni che Serpeverde
divideva con Grifondoro, e poi nei corridoi e in biblioteca, e nel
parco attorno alla scuola o nella Guferia... lei c'era e Severus non
voleva perderla. Fu questo, alla fine, che lo portò a tacere
ancora
una volta.
«Ci vediamo domani?».
«Certo».
Lily s'incamminò verso
l'uscita delle biblioteca ormai deserta, ma si voltò dopo
qualche
passo per guardarlo con incredibile serietà. Severus
inarcò
perplesso un sopracciglio.
«Fa' attenzione,
stanotte: sarebbe piuttosto spiacevole trovare un Vampiro nascosto
sotto il tuo letto» ridacchiò prima di andarsene.
Il ragazzo scrutò
corrucciato l'enorme libreria dietro alla quale era svanita l'amica.
“Sostituire Lupin durante le ronde”
pensò con stizza.
“Casualmente di nuovo. Casualmente con
la luna piena”.
Lily poteva anche essere abbastanza testarda da ignorare la
realtà,
ma lui non era affatto intenzionato a imitarla. Era evidente
–
così evidente, in effetti, che spesso si chiedeva come
potesse
essere il solo studente di Hogwarts a essersi reso conto che il
Prefetto Lupin era un dannato Lupo Mannaro. “Non l'unico.
Scommetto
che Potter e Black lo sanno. Minus forse ne è ignaro:
è talmente
stupido. Ma loro... loro devono saperlo”.
Riaprì in fretta il
libro e lo sfogliò rapido fino alle ultime pagine, dove
Libatius
Borage aveva elencato le principali erbe usate nella preparazione
delle pozioni. Trovò subito ciò che cercava.
“Aconito” lesse con
un ghigno eccitato. “È una pianta tipica del nord
della Scozia.
Velenosa per i Babbani ma assolutamente innocua per maghi, streghe o
Maghinò, l'aconito è indispensabile per la
corretta fermentazione
della Pozione Occhiopallato, volgarmente chiamata Pozione
Risvegliante. Questa semplice ma efficace pozione
è l'ideale per
contrastare...”.
Sbuffò irritato e saltò
di netto un paio di paragrafi per arrivare al punto che davvero gli
interessava.
“Ben nota è la sua
benefica capacità di allontanare i Lupi Mannari: queste
pericolose
Creature Oscure sembrano particolarmente vulnerabili all'essenza di
aconito. Una minima dose è l'ideale per riconoscere un Lupo
Mannaro
non trasformato, che non tarderà a mostrare segni di
fiacchezza o,
in qualche caso, lancinanti dolori al ventre e perdita di conoscenza.
Sebbene molti maghi e streghe abbiamo mostrato il loro appoggio
all'uso di questa previdente verifica, il Dipartimento per il
Controllo e la Regolazione delle Creature Magiche sembra ancora
restio a metterlo in pratica: una dose eccessiva può
condurre alla
repentina morte dell'animale”.
Il sorriso di Severus si
fece più tagliente. La dispensa del professor Lumacorno
traboccava
di fiori di aconito. E Lupin era stato assente durante la lezione
sulla pozione Occhiopallato della settimana prima – e in ogni
altra
in cui fosse necessario utilizzare l'aconito. “Come
può Lily non
accorgersene?”. Si lasciò scivolare sulla sedia e
iniziò a
grattarsi perplesso il mento mentre valutava il modo più
efficace
per far aprire gli occhi all'amica. “Potrei cercare di
avvelenare
il suo succo di zucca”. Non era un'idea da scartare:
finalmente
tutti avrebbero visto Lupin per quello che era davvero. Un impostore,
un mostro. Dove solo capire come e quando
agire.
«Accidenti, un grosso
pipistrello è riuscito a entrare in biblioteca».
Severus si irrigidì di
colpo. Avrebbe riconosciuto la voce presuntuosa di Sirius Black
ovunque. Quando si voltò il ragazzo era proprio
lì, con le gambe
fiaccamente distese sul tavolo dietro il suo e le braccia incrociate.
La mano di Severus corse sotto al mantello e si strinse salda attorno
all'impugnatura della bacchetta. Si guardò nervoso a destra
e a
sinistra, ma non c'era traccia né di Potter né di
Minus. “E
nemmeno di Lupin, ovviamente”.
«L'arguto Sirius Black
in biblioteca?» replicò con tono sdegnoso.
«Hai deciso che è
arrivato il momento di imparare a leggere e scrivere come un bambino
grande?».
Le labbra di Sirius si
piegarono in un sorriso borioso, mentre mostrava annoiato un
voluminoso libro dalla copertina porpora.
«Mille esercizi e
indovinelli per affinare magicamente la testa»
recitò vivace.
Gli lanciò il libro con
uno scatto improvviso e violento; Severus reagì estraendo la
bacchetta e bloccandolo a mezz'aria con un Incantesimo di
Levitazione. Il sogghigno di Sirius si fece più cattivo.
«L'ho scelto per te,
Mocciosus. Credo ci sia pure un intero capitolo dedicato al
lavaggio. Dovresti darci un'occhiata».
Severus agitò blando la
bacchetta e fece ricadere il libro sul tavolo. Sbirciò
ancora una
volta i pochi ragazzi rimasti a occupare gli altri tavoli, le
librerie attorno a loro e la lunga scrivania di mogano alla quale
sedeva composta Madama Pince.
«Cerchi la tua ragazza
invisibile?» lo apostrofò Sirius, iniziando a
dondolarsi sulle
gambe posteriori della sedia.
«Cerco quei deficienti
dei tuoi amici».
«Non ci sono».
Severus deglutì a fatica
e tornò a concentrarsi sul ragazzo. La cravatta slacciata di
Grifondoro gli scivolava sul petto come la pelle di un serpente.
Aveva la camicia sgualcita che usciva dalla cintura dei pantaloni, la
scarpa destra slacciata e i capelli lunghi scarmigliati attorno alle
orecchie. Se ci avesse provato lui ad allentare il nodo della
cravatta e a girare per i corridoi di Hogwarts con quell'aria
dimessa, sarebbe sembrato uno spaventapasseri. Sirius Black, al
contrario, sembrava nato per indossare la divisa come un
anticonformista. Un motivo in più per detestarlo: Severus odiava
gli anticonformisti – erano sempre i primi a
imitare qualcun
altro.
«E dove sono?» domandò
con una nota di malcelato sospetto. «Potter ti è
sempre appiccicato
come una gomma da masticare sotto la suola di una scarpa. E
quell'idiota di Minus non fa un solo respiro, se Potter non gli
assicura che non disturba. Mentre Lupin...». La sua voce si
abbassò
fino a un sussurro trepidante. «Dov'è Lupin,
Black?».
Sirius parve d'un tratto
a disagio.
«Non sono affari tuoi.
Ora che ci penso, Mocciusus... piantala di infilare il naso nei
nostri affari o te ne pentirai».
«È una minaccia?».
«È una promessa»
sentenziò franco Sirius. «Sta' alla larga da
noi».
Severus sbuffò
sprezzante, si alzò e raccolse in fretta le proprie cose,
infilandole alla rinfusa nella borsa. Se fosse rimasto in compagnia
di Black per un altro secondo, lo avrebbe probabilmente maledetto, ma
gli occhi di Madama Pince vedevano ogni cosa e lui non voleva
rischiare di far perdere punti a Serpeverde.
«Non sono io, quello che
è venuto a ficcare il naso negli affari altrui»
concluse infine con
voce apatica. «E ti dirò un'ultima cosa, Black: so
che sgattaiolate
fuori dal vostro dormitorio ogni plenilunio e so che oltrepassate i
cancelli. Non so ancora come, ma sono piuttosto
certo di aver
capito perché». Gli
sfuggì una risata maligna. «E presto
lo sapranno tutti».
Sirius scattò in piedi
come una molla, batté i palmi delle mani sul tavolo e lo
fissò con
una luce furente. Qualche studente si voltò verso di loro
con aria
infastidita, ma nessuno osò intromettersi. L'espressione di
Sirius
era talmente truce che Severus estrasse la bacchetta e la tenne
sollevata quel tanto che bastava per nasconderla dall'attenzione di
Madama Pince. Ma l'altro ragazzo parve placarsi con la stessa
repentina velocità con la quale si era alterato. Sul suo
viso era
comparso un sorriso furbesco.
«Vuoi sapere dov'è
Remus, Mocciusus?».
Severus emise un soffio
sarcastico.
«Come se tu volessi
dirmelo».
«Questa notte, quando i
tuoi simpatici compagni di dormitorio si saranno addormentati, va' al
Platano Picchiatore... se ne hai il coraggio, naturalmente, ma io
credo che tu non sappia neanche cosa sia». Gli rivolse
un'occhiata
ancora più sprezzante. «C'è un
passaggio segreto nascosto fra le
sue radici. Se non sarai così stupido da farti ammazzare dai
suoi
rami... beh, vieni a prenderci, Mocciosus. Ti aspetteremo per il
dessert».
Se ne andò senza
aggiungere altro, rispose all'occhiata inquisitoria di Madama Pince
con un sorriso sfrontato e un vago inchino e s'incamminò
lungo il
corridoio che portava alla torre di Grifondoro. La risata sfrenata
che gli risalì la gola fece voltare un gruppetto di
Corvonero del
terzo anno. Sirius continuò a ridere di gusto mentre saltava
con un
guizzo agile la scala incantata che aveva iniziato a muoversi. Si
afferrò al corrimano e si passò le dita fra i
capelli scuri, con il
capo gettato indietro e un'espressione di alienata ilarità.
“Quell'idiota se la farà nelle mutande e
avrà finalmente un
pretesto per cambiarsele”.
Raggiunse il ritratto
della Signora Grassa nello stesso istante in cui James e Peter
uscivano dalla sala comune per dirigersi a cena. James lo
fissò con
aria interrogativa.
«Dove sei stato? È
un'ora che ti cerchiamo».
«In biblioteca».
I due ragazzi si
scambiarono un'occhiata sconcertata.
«Dove?».
«C'ero finito per caso»
replicò con una smorfia. Strizzò l'occhiolino e
aggiunse: «Poi ho
incontrato Mocciosus. Ci sarà da ridere».
James si riaggiustò gli
occhiali con un largo sorriso estasiato. Sembrava trattenersi appena
dal saltellare dall'eccitazione.
«Cos'hai fatto?».
«Sorpresa».
Nonostante le suppliche
di Peter e le minacce di James, Sirius si rifiutò di
rivelare la
natura del suo scherzo. Furono fra gli ultimi studenti a raggiungere
la Sala Grande per la cena.
«Oh, che bello, c'è il
budino!» esclamò vivace Peter mentre prendeva
posto lungo la panca.
«Ehi, Evans!» gridò
James, sporgendosi con il busto in avanti per guardare la ragazza con
i capelli rossi seduta sei persone più a sinistra. Le
puntò
l'indice contro nella chiara imitazione di una pistola. «Bang,
colpita. Vieni con me a Hogsmeade, il prossimo sabato? Bang,
bang».
Un paio delle sue
compagne di dormitorio scoppiarono in una risatina agitata, ma Lily
rimase rigida e impassibile, con gli occhi verdi fissi su di lui e
l'espressione imperscrutabile. Poi le sue labbra si piegarono in un
sorriso malizioso.
«Potter, perché non
prendi il tuo cavallo a dondolo e non torni a fare lo scemo nel Far
West? Bang».
Le sopracciglia di James
schizzarono verso l'alto. Tornò a sedere composto e
incrociò
imbronciato le braccia al petto.
«Dannazione. Moony mi
aveva detto che fra i Babbani funziona così. Bang»
ripeté,
sparando a Peter.
Il ragazzino finse di
essere colpito e si afflosciò accanto al piatto di porridge.
Sirius
ridacchiò.
«Moony ha anche detto
che i Babbani duellano con quella roba, Prongs. E
non ti aveva
pure detto che era illegale sparare a una ragazza per convincerla a
uscire a Hogsmeade?».
«Sì» bofonchiò a
bocca piena Peter. «Lo aveva chiamato
“colazione”.
«“Coercizione”,
cretino» lo corresse James. Piantò la forchetta in
una patata e poi
scosse la testa come se la questione fosse già acqua
passata.
«Allora, Padfoot... parlaci di questo grandioso scherzo sul
quale
stai facendo tanto il misterioso».
Sirius ingoiò un grosso
boccone di pollo arrosto e si chinò verso gli amici con fare
cospiratorio.
«Hai usato l'Incatesimo
della Crescita dei Denti?» propose entusiasta Peter.
James lo colpì alla nuca
con uno schiaffo leggero.
«Stupido, i suoi denti
ti sembrano lunghi trenta centimetri?».
«Ho fatto di meglio».
«Gli hai appiccicato la
lingua al palato?».
«Bazzecole, in
confronto».
Sul viso di James calò
un'ombra preoccupata.
«Dimmi che non hai
provato nessuno degli Incantesimi di Memoria che ci ha insegnato
Vitious, Padfoot: alcuni dei loro risultati sono immutabili».
«Ehi, mi hai preso per
uno sprovveduto?» replicò Sirius con un cipiglio
indignato.
«Oh, meno male» squittì
Peter sollevato. «Saresti potuto finire in guai grossi,
questa
volta... molto, molto gro--».
«Gli ho detto di
raggiungere la Stamberga Strillante. Questa notte».
Il silenzio piombò fra
di loro come la lama di una ghigliottina. Peter si portò le
mani
alla bocca, terrorizzato. James rimase immobile, con gli occhi
sgranati dall'orrore e lo sconcerto e la labbra appena dischiuse,
senza parole. Davanti alle loro espressioni allibite, Sirius
gettò
indietro il capo e scoppiò in una risata feroce e dirompente.
«Quell'idiota!»
continuò a gran voce. «Scommetto che non
avrà nemmeno il coraggio
di uscire dalla scuola».
«E... e s-se lo
f-facesse?» pigolò atterrito Peter. «Se
s-scoprisse che...?».
«Beh, vorrà dire che
finalmente inizierà a farsi i propri affa--».
James scattò in piedi
come una furia, si lanciò verso l'amico, gli
afferrò con decisione
la cravatta e lo strattonò in avanti. Preso alla sprovvista,
Sirius
emise un gemito strozzato e tentò invano di liberarsi dalla
sua
presa. Negli occhi di James, solitamente tanto gentili e amichevoli,
c'erano solo ira e indignazione.
I compagni di Grifondoro
più vicini a loro avevano voltato le teste e li fissavano
scioccati.
Un litigio fra James Potter e Sirius Black era quanto di più
strano
si potesse vedere. L'improvvisa reazione di James stava attirando
sempre più attenzione – perfino lo sguardo
indagatore della
professoressa McGranitt si era posato su di loro. Sembrava piuttosto
contrariata. Peter afferrò James per una manica e lo
costrinse a
sedersi, sussurrando intimidito che ormai l'intera Sala Grande non
aveva occhi che per loro due.
James lasciò andare
Sirius con evidente riluttanza, ma ignorò le suppliche di
Peter,
scavalcò la panca e si diresse a grandi falcate verso
l'uscita.
Sirius sbatté un paio di volte le palpebre, confuso.
«Potter!» esclamò
duramente la professoressa McGranitt.
Lui non si fermò.
Sfrecciò fra i tavoli, incurante del borbottio curioso che
si levava
dagli altri ragazzi e si defilò nella Sala d'Ingresso.
«P-Padfoot...?»
balbettò incerto Peter.
Sirius esibiva
un'espressione profondamente tradita. Rimase a scrutare la porta di
quercia oltre la quale era svanito l'amico.
«Che accidenti gli è
preso?» domandò in un sussurro rancoroso.
«Da quando Prongs è
diventato il paladino di Mocciosus?».
«I-io...». Il ragazzo
scosse nervoso la testa. «E se Piton facesse del male a
Remus?».
Sirius spostò lo sguardo
di lui. Il suo viso era privo di espressione, ma qualcosa in lui
aveva appena iniziato a ribollire. Valutò quella
possibilità e la
trovò allo stesso tempo agghiacciante e impossibile.
Affondò con
stizza la forchetta in una patata al forno e la brandì come
una
spada davanti al volto paffuto dell'amico.
«Stupidaggini. Remus sa
badare a se stesso». Se la infilò in bocca e
inghiottì senza
nemmeno masticare. «Andiamo, Wormtail: è Moony. Ha
il suo piccolo
problema peloso dalla sua parte».
Peter non sembrava
tranquillo.
«Sì, ma... Moony non
sarebbe per niente contento. Insomma... è il suo
piccolo problema
peloso, no? Lui lo odia».
“Lo odia”.
Sirius continuò a
mangiare con apparente avidità, ma qualunque macigno fosse
precipitato nel suo stomaco gli impedì di gustare il resto
della
cena. Ingoiò rapido ogni boccone, fingendo di non sentire
nessuno
dei tentativi con cui Peter tentò di convincerlo a dire a
Piton che
era tutta una menzogna.
«Magari se ne
dimenticherà...».
«Piantala, Peter» lo
ammonì seccato, spingendo da parte il budino appena toccato.
«Al
massimo Moony se lo mangia». Ridacchiò a quel
pensiero, ma una
parte di lui si accorse di avere la nausea.
Peter impallidì, ma non
aggiunse altro.
Abbandonarono il tavolo
insieme agli altri Grifondoro e si avviarono verso la sala comune.
Nessuno dei due disse nulla per tutta la durata del tragitto. Quando
aprirono la porta del dormitorio, trovarono James chino sulla Mappa
del Malandrino. Sirius inarcò perplesso un sopracciglio.
«Ehi, Prongs, che
diavolo--?».
James piombò ancora su
di lui. Lo schiacciò contro la parete con tutte le sue
forze, con i
denti stretti in un ringhio furente, gli occhi brillanti e la punta
della bacchetta piantata nel petto dell'amico. Sirius non fu in grado
di reagire.
«Che ti è saltato in
mente!?» ruggì James. «Hai detto a
Mocciosus come trovare Moony!
Moony, capisci? In una notte di luna
piena!».
Sirius gli afferrò rude
il polso, si divincolò e lo allontanò da
sé con una spinta decisa.
«Ehi, Prongs, calmati».
«No! Non mi calmo! Sei
un idiota, Sirius!».
«Non succederà niente
di--».
«...niente di male?»
sibilò James. Scosse il capo con uno sbuffo esasperato, si
chinò
sul baule ed estrasse il Mantello dell'Invisibilità.
«Non hai
nemmeno pensato alle conseguenze della tua stupidità, vero?
“Oh,
oh, oh, io sono Sirius Black, me ne frego delle conseguenze”.
Beh,
lascia che dica una cosa, Padfoot: questo non è uno scherzo.
Quello
che hai fatto... per l'amor di Godric, hai idea di quello che
potrebbe succedere?».
Sirius trasalì. “Moony
se lo mangia” si ripeté ancora, ma non c'era
più alcun
divertimento in quell'idea. Iniziava a diventare scomoda,
pericolosa... sbagliata. La nausea non faceva che aumentare. Una
parte di lui pregò di poter tornare indietro nel tempo per
potersi
tenere lontano da quella dannata biblioteca.
«Se Piton dovesse
raggiungere la Stamberga Strillante, scoprirebbe la verità
su Remus
e lo farebbe espellere. E questa è solo la migliore
delle
ipotesi. Vuoi sapere qual è la peggiore, razza di
imbecille?».
“No”. Lo aveva già
capito, non voleva sentirlo. Non voleva più pensarci, voleva
solo
ritornare indietro e cancellare l'errore. Voleva che James la
smettesse di urlare, di farlo sentire colpevole e incapace...
“Non
succederà niente”, tentò di convincersi
ancora.
«L'Ufficio per la
Regolazione e il Controllo delle Creature Magiche del Ministero ha un
reparto riservato a quelli come Moony» spiegò
tremante James. «Hai
mai sentito parlare dell'Unità di Cattura dei Lupi Mannari?
Hanno il
compito di rintracciare chi non è iscritto al Registro dei
Lupi
Mannari e il nome di Moony non c'è su quell'elenco! La sua
licantropia è sempre stata un segreto, il nostro segreto.
E
se...». Si passò una mano fra i capelli, fuori di
sé. «Se a
Mocciosus dovesse capitare qualcosa... se accidentalmente Moony
dovesse aggredirlo... allora chiamerebbero il Comitato per
l'Eliminazione delle Creature Pericolose».
Peter cacciò uno strillo
soffocato e si coprì il volto con le mani. Sirius
deglutì a fatica.
Aveva la gola arida, le labbra secche e la nausea o qualunque
sensazione fosse in realtà lo stava mangiando secondo dopo
secondo.
«S-Silente non lo
permetterebbe» replicò piano, ma non credeva del
tutto a ciò che
stava dicendo.
«Silente finirebbe a sua
volta nei guai per aver ammesso un Lupo Mannaro a Hogwarts, e con lui
tutti gli insegnanti e Madama Chips. E noi, Padfoot? Credi che quando
il Ministero inizierà a mettere il naso in questa faccenda
non
scoprirà che siamo diventati Animagi? Devo forse ricordarti
che se
Remus non è iscritto al Registro dei Lupi Mannari, noi non
lo siamo
in quello degli Animagi? Non ci sono in ballo le regole della scuole.
È la legge, quella che abbiamo infranto, e l'abbiamo
infranta per
Remus. E lo rifarei mille volte, ma adesso...». Lo
liquidò con un
movimento secco del braccio e si infilò addosso il Mantello.
«Adesso
siamo tutti in grave pericolo. E Moony ne è
ignaro».
Ora Sirius poteva vedere
solo la sua testa, ma la rabbia e la delusione sul suo volto erano
più dolorosi di qualunque calcio o pugno che avrebbe potuto
tirargli.
«J-James?» bofonchiò
spaventato Peter. «S-Sirius?».
I due ragazzi si
voltarono verso di lui. Peter reggeva fra le mani la Mappa del
Malandrino. Nei suoi occhi c'era solo panico.
«P-Piton si sta
muovendo... va verso il parco».
James imprecò.
«Corri da Silente e
raccontagli quanto è accaduto. E non farti vedere da
nessuno» gli
ordinò. Si concesse un lungo sospiro e scompigliò
i capelli
biondicci dell'amico. «Andrà tutto bene».
Peter si torse un'ultima
volta le mani, annuì impacciato e con un'ultima occhiata
spaventata
a Sirius si trasformò in un minuscolo topolino grigio. James
gli
aprì la porta e lo guardò guizzare furtivo fra le
gambe di un paio
di ragazze che stavano attraversando il buco del ritratto.
«E tu cosa fai?» gli
chiese Sirius.
«Io vado alla Stamberga
Strillante. La luna sorgerà a breve e qualcuno deve fermare
Piton
prima che sia troppo tardi».
«Vengo con te».
«No, Padfoot».
Il suo tono lo fece
raggelare. James socchiuse gli occhi e inspirò
profondamente,
scuotendo piano il capo.
«Non ti voglio fra i
piedi ora». Lanciò uno sguardo carico di angoscia
alla Mappa del
Malandrino abbandonata sul letto di Peter: il puntino che recitava
“Severus Piton” aveva quasi raggiunto i cancelli di
Hogwarts. La
ripiegò in fretta e se la infilò in tasca.
«Dico davvero, Padfoot.
Non seguirmi. Hai già fatto abbastanza».
Sirius avrebbe preferito
un pugno in pieno viso.
*
«Ti dico che era il
solito topolino grigio, Maggie» stava dicendo una ragazza
davanti al
buco del ritratto a un'amica. «Ed è sfrecciato
fuori dal dormitorio
di Black e Potter».
«Non è l'animaletto di
Lupin?» s'informò perplessa.
«Credevo avesse un
coniglio».
In un'occasione diversa,
James avrebbe trovato quella scena particolarmente esilarante. In
quel momento, tuttavia, niente e nessuno sarebbe stato in grado di
distendere i suoi nervi. Scivolò fuori dal buco nel ritratto
e corse
a perdifiato lungo il corridoio, evitò per un pelo che la
rampa di
scale lo trascinasse verso l'ala opposta del castello e
proseguì con
tutte le proprie forze oltre la Sala Grande deserta. Saltò i
gradini
che conducevano al parco e corse sotto la luce della luna piena verso
il Platano Picchiatore. Gli dolevano la milza e i reni e le gambe, e
probabilmente tutto il resto al quale erano attaccate, ma non si
fermò.
“Andrà bene” non
smise di ripetersi per un solo istante. “Andrà
tutto bene, non
succederà nulla, Remus starà bene, Piton
starà bene”. Ma quando
arrivò a pochi metri dal gigantesco albero stregato e vide i
suoi
grossi rami fermi e tesi verso il cielo, sentì scemare quel
poco di
sicurezza con la quale si era trascinato fino a lì. Piton
doveva
essersi già introdotto nel passaggio segreto – e
forse era troppo
tardi, forse non ce l'avrebbe mai fatta e ogni cosa sarebbe stata
perduta per sempre.
Mentre si abbassava per
scivolare sotto alle radici del Platano Picchiatore, raggelò
al
disumano suono di un ululato fin troppo vicino.
“Moony”.
Tentò di ignorare la
paura che lo aveva attanagliato. Si liberò del Mantello
dell'Invisibilità e lo gettò malamente ai piedi
delle scale.
Estrasse la bacchetta dalla tasca dei pantaloni e disse:
«Lumos!».
Saltò i gradini due alla
volta, tre alla volta, quattro alla volta, per tutta la lunghezza che
le sue gambe potevano concedergli. Parve trascorrere
un'eternità
prima che scorgesse il profilo della porta sgangherata della
Stamberga.
E poi lo vide.
Severus non sembrava in
grado di muoversi. Aveva a sua volta la bacchetta tesa davanti al
viso pallido e spaventato, arretrava a scatti incurante delle scale
dietro di sé... James gli fu accanto in un lampo.
Il furioso Lupo Mannaro
si scagliò contro la porta; James fendette l'aria con la
bacchetta e
la sigillò. Ma la creatura continuò a raschiare
con i pericolosi
artigli, a ringhiare dall'altra parte, e la porta tremava e sbatteva,
e a James pareva di avere la testa immersa nell'acqua.
«Dobbiamo andarcene!»
ruggì all'altro ragazzo.
Ma Piton continuava a
fissare la porta che sbatacchiava come se non potesse credere a
quanto vedeva.
«È v-vero. L-lui è...
“Moony”»
sussurrò con improvvisa comprensione.
James lo afferrò per un
polso e lo strattonò lungo le scale.
«Via, Piton! È
pericoloso!».
Accade tutto con
incredibile rapidità. La porta si frantumò sotto
l'ultimo violento
colpo del Lupo Mannaro, che si gettò su di loro con furia
insanabile. James si lanciò su Severus e lo
trascinò sul pavimento
polveroso, coprendolo con il proprio corpo mentre l'animale li
scavalcava. Perse equilibrio lungo le scale, ma tornò
fulmineo sui
proprio passi e abbassò la testa, mostrò i denti,
gli occhi
affamati iniettati di sangue. Il cuore di James perse un battito.
«Moony, amico mio...»
biascicò piano, sollevando entrambe le mani con aria
arrendevole.
«Moony, sono io... sono Prongs. So che hai paura, ma va tutto
bene,
devi solo calmarti... hai imparato a controllarti, Moony... non
mollare adesso, Moony, non--».
La creatura balzò una
seconda volta verso di loro, ma questa volta venne intercettata da un
animale grosso almeno la metà e dal fulgido pelo scuro.
“Padfoot”.
L'enorme cane si lanciò
sul dorso del Lupo Mannaro, che si divincolò rabbioso e
iniziò a
sbattere da una parte all'altra del passaggio nel tentativo di
liberarsi. Il suo ululato rimbombò fin dentro lo stomaco di
James.
Il cane non mollò la presa nemmeno quando venne schiacciato
da tutto
il peso del Lupo Mannaro contro la parete. Uggiolò di dolore
e
scosse la testa, ma rimase lì, saldo e deciso.
Saltò davanti ai due
ragazzi con i peli della schiena ritti dalla rabbia, abbaiando e
ringhiando verso l'altro animale. Piton si era appena rimesso in
piedi.
«C-che cosa...?».
Il cane balzò ancora. I
suoi denti acuminati si conficcarono in una delle forti zampe del
Lupo Mannaro, che si agitò a destra e a sinistra con un
acuto
ululato e si piegò dolorante su se stesso.
«Non fargli male!» gli
gridò concitato James.
I due animali
continuarono a lottare con ferocia crescente, e per qualche
agghiacciante attimo nel passaggio segreto non si udì niente
che non
fosse il raspare degli artigli, i guaiti di dolore, mentre i denti
baluginavano alla luce delle bacchette magiche... James credette di
dover vomitare, ma quando vide il cane schiacciare il Lupo Mannaro
contro la parete di pietra ebbe la prontezza di acciuffare Piton per
la manica della camicia e trascinarlo via. Rischiarono di cadere
entrambi lungo le scale; i loro piedi incespicavano sui gradini e le
mani sudate tastavano alla cieca il muro.
James si chiese se quella
discesa gli fosse mai sembrata tanto ripida e infinita.
Quando infine riuscirono
a riemergere fra le radici del Platano Picchiatore, Piton cadde a
carponi nell'erba umida e James si piegò in due, con le
braccia
strette allo stomaco. Quel po' di arrosto che aveva fatto in tempo a
mangiare era in procinto di schizzargli fuori dalla bocca.
«V-voi... voi siete...
siete...».
Le parole di Piton
vennero superata da una voce dura e autoritaria.
«Qualcuno è ferito?».
James sollevò piano lo
sguardo.
Silente avanzava a grandi
passi verso di loro, con la veste viola che fluttuava lungo la sua
scia e Madama Chips e Peter poco più dietro.
In vita sua James non
aveva mai visto il Preside tanto furibondo. I suoi occhi azzurri
brillavano al di là degli occhiali e sul suo viso non c'era
nemmeno
l'ombra del suo solito sorriso gentile. Sembrava un mago che non
aveva mai sorriso – e sebbene James avesse trattenuto il
fiato
davanti a quell'apparizione impetuosa, non poté fare a meno
di
pensare che ce l'avevano fatta, era finita, Piton era salvo, non
sarebbe accaduto nulla... “Moony e Padfoot stanno
lottando”.
«È un Lupo Mannaro!»
strillò Piton. «Lupin è un maledetto
Lupo Mannaro! È là dentro,
e sta--».
«Qualcuno è ferito!?»
ruggì ancora Silente, afferrando James per una spalla e
scuotendolo
con decisione. «James, va tutto bene!?».
«S-sì...» mormorò il
ragazzo. «Sì, stiamo bene. Nessuno è
ferito, nessuno...».
“Moony. Moony è
ferito, Padfoot è ferito, stanno combattendo, si stanno
facendo
male, si stanno...”. Avrebbe voluto gridare al Preside di
fermarli,
di salvarli, ma una piccola parte della sua testa
osservò
ragionevolmente che quella notte stava già assistendo a
troppi
segreti che sarebbero dovuti rimanere tali.
Madama Chips aiutò
Severus a rialzarsi.
«È un mostro!» esclamò
il ragazzo con disprezzo. «È un--».
«Ti prego di rimandare
le tue osservazione a più tardi, Severus» lo
interruppe franco il
Preside. «Poppy, Reginald Cattermole è ancora in
infermeria a causa
di quella fattura Orcovolante?».
«No, Preside, è già
rientrato nel suo dormitorio. L'infermeria è
deserta».
«Ottimo. Ci sono molte
cose che pretendono una spiegazione immediata e poche di esse devono
giungere a orecchie indiscrete».
Severus aprì la bocca
per replicare, ma il Preside lo zittì con una sola occhiata.
Lo
strano gruppo procedette in silenzio verso il castello, voltandosi
solo di tanto in tanto per rivolgersi sguardi smarriti o astiosi.
Peter trotterellò agitato al fianco di James, ma non disse
una sola
parola fino a quando non ebbero varcato i cancelli.
«Moony sta bene?».
«Non lo so».
Silente tenne aperta la
porta dell'infermeria per fare entrare Madama Chips e Severus. James
entrò a capo chino. Peter rimase fermo sull'uscio, incerto
sul da
farsi.
«Sì, signor Minus:
anche tu» lo invitò Silente. La sua voce era
tornata calma, il viso
più rilassato, eppure c'era ancora una luce di mordente
preoccupazione nei suoi occhi azzurri.
Una volta richiusa la
porta, Madama Chips si affrettò a cercare fra le proprie
dispense
una Pozione Rilassante da somministrare ai due ragazzi. Piton si era
lasciato scivolare su una sedia accanto alla prima finestra, ma James
era rimasto immobile al centro dell'enorme camera. Aveva le unghie
conficcate nei palmi delle mani e non se ne era nemmeno accorto.
«James» lo chiamò
Silente. «Ti prego, siediti».
Il ragazzo lo ignorò.
Scosse la testa e chiuse gli occhi, disperato.
«Remus è ancora là
dentro, Preside. È ferito, è furioso, e si
farà più male di
quanto non se ne sia mai fatto e--».
«Quella cosa si farà
del male?»
strepitò
Severus. «Stava quasi per sbranarmi!».
«Stai zitto!»
urlò con improvvisa violenza James. «Tu non sai niente!
Hai
passato tutti questi anni a ficcare il naso nei nostri affari e non
hai capito niente!».
«Non sono un idiota,
Potter! Quel mostro è--».
James fu scosso da un
tremito incontrollabile prima che ogni cosa diventasse insostenibile.
Si gettò furente verso l'altro, con i pugni chiusi e
l'intenzione di
farlo a brandelli nello stesso identico modo in cui si stava facendo
a brandelli Remus – e ogni pugno sarebbe stato un pugno con
cui
ancora non poteva colpire Sirius. Silente sollevò la
bacchetta con
un gesto repentino del polso e James avvertì la sensazione
di finire
nella salda presa di un gigante. Si divincolò invano, senza
distogliere lo sguardo dal volto sudaticcio di Severus, ma non
riuscì
a muovere un solo passo.
«Non osare chiamarlo
così!» reagì, il viso deformato dalla
rabbia. «Non sei tu, la
vittima: è Remus! Remus, capisci? Remus,
e sarà una fortuna
se domani mattina riuscirà ancora a respirare!».
«Ora basta» sentenziò
lapidario Silente. Trascinò James fino al letto opposto a
Severus e
lo costrinse a sedersi. «Lo sventurato incidente di questa
notte è
stato generato dalla mancata lungimiranza di alcuni di noi e
dall'avventatezza di altri... ma, grazie al cielo, non ci saranno
conseguenze irrimediabili e vi prego di concentrarvi su questo punto
in particolare. La stoltezza che avete dimostrato non rende onore a
nessuno dei due». Severus fece per interromperlo, ma il
Preside
sollevò imperioso l'indice. «Sì,
Severus. Sebbene io sia il primo
a comprendere gli effetti che una curiosità tanto morbosa
può
suscitare in un ragazzo con la tua mente acuta, hai agito in modo del
tutto sconsiderato e incauto. Dall'altra parte...» si
voltò verso
James con una smorfia tirata, «il signor Potter non ha certo
esibito
più accortezza. Per quanto onorevoli e sincere fossero le
tue
intenzioni, James, ti sei esposto consapevolmente a un pericolo ben
più grande di quanto non potessi affrontare. Mi auguro che
entrambi
possiate fare tesoro di quest'esperienza: la ragione deve sempre
precedere ogni azione».
Silente venne fermato da
un deciso bussare alla porta. La McGranitt entrò
nell'infermeria con
un mantello malamente gettato su una vestaglia da notte azzurra e i
capelli sciolti sulle spalle. Dietro di lei, con profondo sgomento di
James, c'era Sirius. Aveva la divisa sgualcita e l'aspetto provato di
qualcuno che era appena riemerso da una rissa sanguinolenta.
«Il signor Black ci ha
finalmente onorato della sua presenza» sentenziò
aspra la
professoressa. «Non ho ancora capito dove fosse finito
nell'ultima
mezz'ora, né per quale motivo sia conciato come se fosse
appena
scampato dalla Piovra Gigante, ma sta
bene».
Silente annuì.
«Grazie, Minerva. Cos'è
successo al tuo viso, Sirius?».
Sirius distolse lo
sguardo e si umettò nervoso le labbra.
«È stata colpa mia»
mentì all'improvviso James. «Io... mi sono
arrabbiato quando ho
scoperto cos'aveva fatto e l'ho picchiato»..
«Oh, per amor di
Godric...» gemette la McGranitt.
Madama Chips ricomparve
solo in quel momento. Il vassoio rischiò di caderle dalle
mani
quando vide i lividi sul viso di Sirius.
«Santo cielo...»
singhiozzò disperata mentre allungava una tazza fumante a
James.
«Servirà qualcosa di più forte di una
Pozione Calmante».
«Servirebbe il Ministero
della Magia» puntualizzò acido Severus.
«Qualcuno dovrebbe
informarlo al più presto dell'accaduto. Quello
lì» sbottò
all'indirizzo di Sirius, «voleva uccidermi. Erano d'accordo,
lo so.
Era il loro piano».
«Idiota» sibilò James.
«Se ti avessi voluto morto, ti avrei semplicemente lasciato
là
sotto».
«Potter!» lo riprese la
McGranitt.
«Ritengo che la calma
stia nuovamente scemando» iniziò Silente con tono
tranquillo. «Ora
che siamo tutti presenti, ho la necessità di sapere cosa
esattamente
sia accaduto. La spiegazione del signor Minus è stata
piuttosto...
affrettata dalle circostanze, ecco. Signor Black, lei...?».
«È solo colpa mia»
confessò amaramente Sirius. «James e Peter non
c'entrano. E Remus
nemmeno, dico davvero» aggiunse in fretta. «Non
sapevano niente
fino a quando non gliel'ho detto. La prego, Preside... Remus non lo
sapeva. Non era un piano di tutti e quattro, noi non volevamo... io
non volevo...». Deglutì a fatica, sviando ogni
sguardo. «Pensavo
sarebbe stato divertente. Non credevo che mi avrebbe dato ascolto,
non... non pensavo... non ho pensato». I suoi occhi era
lucidi.
«Sono pronto a qualsiasi conseguenza, ma la prego... la
prego, i
miei amici non hanno fatto niente di male». Si
arrischiò a
sollevare appena la testa, e solo in quel momento James
riuscì a
vedere davvero quanto fosse tormentato. «La prego, non chiami
l'Unità di Cattura. Remus è innocente».
Silente fece un profondo
respiro e si aggiustò gli occhiali a mezzaluna.
«Credo di conoscere il
signor Lupin abbastanza bene da sapere che mai avrebbe
permesso quanto è accaduto. Ritengo pertanto che non sia
assolutamente necessario l'intervento del Ministero».
«Sta scherzando?» si
lamentò indignato Severus.
«Ma ciò che ha fatto,
signor Black, va ben oltre qualsiasi bravata lei abbia fatto da
quando è uno studente di questa scuola. Sono certo che in
quanto
Direttrice della casa di Grifondoro la professoressa McGranitt
saprà
trovare la punizione più adeguata. Cinquanta
punti» sentenziò con
fermezza, «verranno tolti a Grifondoro a causa della sua
totale
imprudenza... e della sua vergognosa mancanza di rispetto nei
confronti di un amico» aggiunse in tono più
pungente. «In quanto a
lei, signor Piton... per quanto io sia ancora stupefatto che un
ragazzo accorto come lei si sia lasciato trascinare in questo
guazzabuglio di pessime scelte, non vedo alcun motivo per punirla. La
curiosità in sé è pericolosa, ma
sarebbe sciocco da parte mia
fargliene una colpa. Ciononostante...» continuò
con più decisione,
intrecciando le dita fra loro e scrutandolo con espressione
imperturbabile, «...la prego di mantenere il più
assoluto silenzio
sugli eventi di questa notte e su quanto ha scoperto in merito al
signor Lupin».
Severus era senza parole.
«Remus Lupin è prima di
ogni altra cosa un giovane mago» riprese il Preside.
«Non mi è
concesso addossargli la colpa della licantropia così come
non mi è
concesso addossare a lei quella della curiosità. All'epoca
in cui
venne orribilmente aggredito da un Lupo Mannaro, Remus non era che un
bambino. In tutti questi dolorosi anni, non ha fatto altro che
nascondersi a ogni plenilunio, infiggendo a se stesso le ferite e le
torture che la creatura che dimora in lui non poteva sfogare in altro
modo. Ha scelto di provocarsi tremende sofferenze pur di non crearne
a chi gli stava intorno e le assicuro, signor Piton, che in pochi
Lupi Mannari riescono a farlo con la sua ammirevole tenacia. Remus ha
scelto di non diventare il mostro che tutti si aspettavano
diventasse, e io non intendo negargli il mio appoggio. Ho piena
fiducia in lui».
Severus si alzò in
piedi.
«Bene» disse, tremando
per l'offesa. «Se questo è tutto...».
Silente gli rivolse
un'ultima occhiata penetrante.
«Posso confidare nella
tua riservatezza?».
«È pazzesco...».
«Severus?».
Il ragazzo infilò le
mani nelle tasche e arricciò nauseato il naso. Parve
ragionare molto
rapidamente sul da farsi, scrutando corrucciato il profilo della luna
piena al di là del vetro della finestra. Poi
scrollò le spalle e
sbuffò.
«E va bene. Ma non mi
importa né di Lupin né di loro. Lo faccio solo
perché me l'ha
chiesto lei».
Silente sorrise con
gratitudine e si voltò verso la professoressa McGranitt.
«Minerva, posso
gentilmente chiederti di accompagnare il signor Piton nei suoi
dormitori? Sono certo che non veda l'ora di potersi infilare nel
letto».
La donna annuì. Severus
fece di tutto per ignorare James mentre usciva dall'infermeria, ma
quando arrivò accanto a Sirius i suoi occhi neri avrebbero
potuto
incenerirlo. Rimasti soli in compagnia di Silente e di Madama Chips,
i tre ragazzi si scambiarono uno sguardo confuso.
“Perché non
manda anche noi alla torre di Grifondoro?”.
Il Preside si sedette ai
piedi del letto occupato da James, intrecciò le mani in
grembo e li
guardò con un sorriso garbato.
«L'amicizia che in
questi anni avete dimostrato a Remus è straordinaria. La sua
natura
lo ha sempre reso povero di compagnie e svaghi»
sospirò triste
l'uomo. «Voi avete dimostrato una lealtà che in
pochi adulti
potrebbero vantare. Remus ha davanti a sé una vita ben
più dura di
quanto possiamo immaginare... ma spero che fino a quando vi
avrà al
suo fianco, saprà affrontare ognuna delle
difficoltà che lo
attendono».
«Noi ci saremo sempre»
replicò con slancio James.
Sollevò lo sguardo su
Sirius e sorrise appena. “Quell'idiota si è quasi
fatto sbranare”.
Sirius arrangiò un sogghigno un po' triste.
«Siamo amici» aggiunse
Peter con un cenno deciso del capo.
«Sì» continuò James.
«Ma se domani mattina Remus cercherà di
Trasfigurarti in una
biscottiera, Sirius, io non lo fermerò».
Silente ridacchiò con
sincero divertimento, si alzò e si lisciò
soddisfatto una piega
della veste.
«Ritengo che anche voi
abbiate bisogno di riposare, ora».
«Possiamo aspettare
l'alba qui?» domandò speranzoso Sirius.
«Per favore?».
L'anziano mago sorrise e
gli scompigliò i capelli scuri.
«Solo se a Poppy non
dispiace».
«Solo se faranno poco
rumore» precisò la donna con una smorfia
rassegnata. «Niente
Fuochi Forsennati, niente Caccabombe, niente di tutto quello che fate
di solito».
«Oh, io credo proprio
che per questa sera abbiano vissuto sufficienti avventure» la
confortò Silente sull'uscio. «Vi auguro una buona
notte, ragazzi».
Rimasero in silenzio
mentre Madama Chips medicava il brutto taglio sulla faccia di Sirius
e la lasciarono borbottare per tutto il tempo su quanto fossero
sprovveduti e impulsivi. Quando infine raccolse i medicamenti e si
congedò da loro, la mezzanotte era già trascorsa
da un pezzo.
«Remus stava bene?»
domandò subito James a Sirius.
«Io... credo di sì. Era
abbastanza intrattabile».
James gli rivolse uno
sguardo eloquente, ma decise di lasciar perdere.
«Grazie, Padfoot».
«È stata colpa mia».
«Puoi giurarci» replicò
franco. «Ma grazie per non avermi lasciato morire in
compagnia di
Mocciosus... sarebbe stato patetico».
Peter fece un blando
tentativo di chiacchierare, ma dopo poco minuti James si
assopì
appoggiato alla testiera del letto; Sirius e Peter lo seguirono poco
dopo, il primo sulla sedia e il secondo acciambellato come un gatto
ai piedi di James.
Quando riaprirono gli
occhi, la luce del sole filtrava già attraverso le finestre
aperte e
Remus era nel letto accanto, profondamente addormentato. Madama Chips
lo aveva già ricoperto di bendaggi purulenti.
«Come sta?» chiese
Peter.
«Respira» dichiarò
James. «È già più di quanto
non sperassi ieri notte».
«È conciato male».
«Moony è sempre
conciato male».
«Questa volta è
peggio».
«Ehi, respira. Non
dimentichiamo che respira».
«Credete
che riuscirà a rimettersi in forma prima del compito di
Storia della
Magia?».
James
e Sirius si scambiarono uno sguardo scioccato.
«Wormtail...
come, in nome di Godric, puoi pensare a Storia della Magia in questo
momento?».
«Sì,
amico, sul serio. Al momento non mi interessa molto sapere che
accidenti hanno fatto i Troll nel XV secolo».
Remus
si rigirò a disagio nel letto, borbottando qualche
incomprensibile
parola.
«Ehi,
è sveglio!» esclamò vivace Peter.
«Ehi, Moony! Moony! Moony, come
stai?».
«Vuoi
fargli venire un infarto?» lo rimproverò James.
«Ehi, Mo--».
Il
ragazzo alzò tremante un indice e fece loro segno di tacere.
Poi
farfugliò ancora qualcosa che non capirono, aprì
piano gli occhi e
sospirò dolorosamente.
«G-goblin,
Sirius...» mormorò. «Il c-compito di
Storia della Magia è s-sui
Goblin».
C'era
qualcosa di strano e forzato nella loro risata.
«C-che
è successo? P-perché questa volta mi sento come
s-se fossi stato
investito dal N-Nottetempo?».
Fu
James a raccontargli davvero quanto era accaduto. Gli
raccontò
dell'idea balorda di Sirius, della cena abbandonata a metà,
della
corsa verso il Platano e di Piton e ancora di Sirius che si
trasformava in un cane e dava loro il tempo di fuggire... e poi gli
parlò dell'infermeria, e di quell'idiota
di
Piton che strepitava, e di Silente, della McGranitt, dei cinquanta
punti tolti a Grifondoro, e di come avesse il collo tutto indolenzito
per aver dormito senza cuscino. Tentò in ogni modo di
rendere il
racconto quanto più buffo e allegro possibile, ma
l'espressione di
Remus rimase rigida e severa.
«Io
mi fidavo di te».
«Mi
dispiace» gemette Sirius. «Non volevo... non ho
pensato a quello
che... che... mi dispiace, Moony. Ti prego, perdonami».
Remus
non disse niente. Scrutò prima James e poi Peter con
espressione
indecifrabile, le labbra tirate in una smorfia serrata. Trascorsero
diversi minuti di angosciante silenzio prima che ritrovasse la voce.
«D'accordo»
mormorò infine.
Sirius
parve afflosciarsi dal sollievo. Gli gettò le braccia al
collo,
strappandogli un basso lamento e continuando a biascicare a
velocità
incredibile che non sarebbe mai più accaduto, che si sarebbe
fatto
perdonare, che gli avrebbe portato la borsa fino alla fine dell'anno
– anzi, no: fino ai M.A.G.O. - e che era dispiaciuto e
disperato e
aggiunse tantissime altre parole che si persero in tutto quel
piagnisteo.
James
continuò a fissare il volto serio dell'amico: Remus aveva
sollevato
a fatica un braccio per rispondere alla stretta di Sirius, ma la
delusione e il tradimento non smisero di brillare nei suoi occhi
nemmeno per un istante.
Temette
che qualcosa fra loro si fosse spezzato per sempre, ma poi si
ripeté
che era andato tutto bene, tutto bene...
fece una battuta ridicola su quanto Sirius fosse una prima donna da
palcoscenico e ridacchiarono alle sue spalle, prendendolo in giro.
Remus
non sorrise.
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Capitolo 4 *** La spia ***
Note:
Nessuno sa esattamente cosa sia accaduto fra la notte di
Halloween in cui muoiono i Potter e la notte del giorno dopo, quando
Hagrid atterra con la motocicletta di Sirius a Privet Drive. Pare sia
trascorsa un'intera giornata in cui i personaggi hanno semplicemente
atteso che la saga iniziasse... (:
*
La
lingua delle maschere
III.
La spia
Aveva
perso il conto dei
funerali ai quali era stato obbligato a prendere parte.
La rustica villetta del
Derbyshire dei McKinnon era stata data alle fiamme agli inizi di
gennaio. Era talmente presto che
lungo le vie della cittadina di Matlock rilucevano ancora le
decorazioni del Natale appena trascorso. Un panciuto Babbo Natale di
ceramica davanti a un ristorantino indiano aveva perso la testa a
causa dell'esplosione che aveva decimato l'intera famiglia.
A
giudicare da quanto era rimasto del cadavere carbonizzato di Marlene
McKinnon, non era stato il solo a perdere pezzi del proprio corpo.
Il
giorno del loro funerale nevicava come se sull'Inghilterra non
dovesse mai più sorgere il sole. Mentre calavano le due bare
più
piccole nella terra consacrata del cimitero di Matlock, Remus si era
ritrovato a pensare che fossero troppo piccole.
Kevin McKinnon aveva dieci anni ed era alto quanto un ragazzino di
quattordici – come erano riusciti a infilarlo in uno spazio
tanto
angusto?
“Lo
hai visto” si era risposto. “Non gli era rimasta
nemmeno una
lentiggine da contare”.
All'inizio
era parso che Bonny-Lee fosse svanita nel nulla – e gli animi
si
erano accesi di speranza all'idea che fosse riuscita a fuggire e di
terrore all'idea che una bambina di quattro anni fosse finita nelle
mani dei Mangiamorte. Ma Bonny-Lee aveva quattro anni e aveva
semplicemente deciso di nascondersi sotto il letto, lontana dai
mostri. Non avevano ritrovato che il minuscolo visetto di porcellana
della sua bambola preferita annerito dal fumo e dalla cenere.
Poco
più di due settimane dopo Pasqua, lui e Frank Longbottom
avevano
trascorso tre intere giornate a cercare il braccio perduto di Benjy
Fenwick. Erano riusciti a recuperare una mano, qualcosa che
assomigliava vagamente a un orecchio e perfino la sua pipa –
ed era
l'unica cosa di lui rimasta intatta. Avrebbero potuto infilarlo sotto
terra dentro un sacchetto, ma alla fine si era trattato solo di
scegliere una bara in più per un compagno in meno.
Quel
giorno d'ottobre Caradoc Dearborn non aveva presenziato al proprio
funerale. Avevano rivoltato ogni angolo della Gran Bretagna per
ritrovarlo, da Aberdeen a Londra e poi fino a Cork, nel sud
dell'Irlanda – e, infine, avevano preso la decisione di farlo
ricomparire una volta per tutta in una tomba vuota del cimitero di
St. Kentigern's di Glasgow.
Non
aveva smesso di piovere per un solo secondo e Remus si era
Materializzato fradicio nel suo fatiscente monolocale a Tottenham.
Aveva abbandonato il mantello sulla vecchia cassapanca di legno
appartenuta a suo padre, aveva appallottolato il resto degli abiti
nel cesto della biancheria ormai ricolmo di vestiti e si era immerso
sotto il getto bollente della doccia.
Non
si era mosso da quando aveva tirato quelle ridicole tende a fiori.
Con
il capo appoggiato alla parete e le palpebre serrate, era rimasto
dieci minuti con l'acqua che gli scorreva sul viso, sul collo, sul
petto, giù fino alle caviglie. Una parte di lui aveva
sperato che il
calore potesse fargli dimenticare gli strazi di un'altra tremenda
giornata passata a guardare un amico scendere sotto terra. E invece
no, il vapore si era fatto strada attraverso la pelle e lo aveva
risvegliato dall'intorpidimento fin quando tutto ciò che
nella sua
vita non funzionava come avrebbe dovuto non si fu dispiegato nella
sua mente come la vecchia Mappa del Malandrino.
La
sua vita traboccava di cose che non funzionavano – erano
così
tante che talvolta si chiedeva come potesse non vomitarle ogni
mattina. Come aveva potuto credere che sarebbero migliorate? Solo
qualche anno prima avrebbe detto di avere una speranza, ma aveva
compreso presto che Hogwarts non era stata che una labile e
meravigliosa illusione.
Aveva
conseguito otto M.A.G.O. non inferiori a Eccezionale. “Uno
dei
risultati più straordinari degli ultimi decenni”
aveva affermato
con orgoglio la professoressa McGranitt. Difesa contro le Arti Oscure
– con lode – Trasfigurazione, Incantesimi, Storia
della Magia –
un'altra lode – Babbanologia, Rune Antiche – ancora
una lode –
e Aritmanzia – l'ennesima lode nell'ennesima noiosa materia.
Cos'era rimasto di tutti quegli ammirati risultati? Un diploma che
non avrebbe mai potuto usare ripiegato con cura fra le pagine di un
libro.
James
l'aveva quasi convinto che davanti a otto M.A.G.O. nessuno avrebbe
mai trovato motivo di sindacalizzare sul suo “piccolo
problema
peloso”, ma si sbagliava e Remus lo sapeva. Lo sapeva anche
Sirius,
che si limitava a scrollare con amarezza le spalle senza più
incitarlo, senza più confortarlo. E Peter...
La
vocetta acuta dell'amico tornò improvvisamente a
rimbombargli in
testa.
“Sirius
mi spaventa” gli aveva confessato in un sussurro agitato
mentre si
lasciavano alle spalle il tetro cimitero di St. Kentigern's.
“Si
comporta in modo strano”.
“È
la guerra”.
“Ma
è cambiato da quando... da quando Silente ci ha detto
della... della
tu-sai-cosa”.
Remus
aveva liquidato la questione, ma pochi minuti dopo aveva realizzato
che i timori dell'amico erano fondati su dubbi logici. Sirius aveva
iniziato a ignorarlo da quando Silente aveva rivelato che fra loro si
annidava una spia. In sua presenza pareva dosare ogni parola
–
proprio Sirius, il ragazzo che parlava sempre troppo – gli
voltava
spesso le spalle e confabulava con James e Lily. Non smetteva mai di
domandargli dove fosse stato, per quale motivo non si facesse
più
vedere... e Remus ribadiva ogni volta la stessa franca risposta:
“Ordini di Silente, Padfoot. Non chiedermelo
più”.
Glielo
richiedeva in continuazione e ogni risposta sembrava soddisfarlo meno
della precedente.
“Sirius
mi spaventa. È cambiato”.
Remus
uscì dalla doccia e si avvolse in fretta in un ruvido
asciugamano
azzurro. In quella casa c'era sempre un freddo infernale e per quanto
l'Incantesimo Riscaldante di Remus fosse efficace, l'umidità
e il
gelo non gli davano un attimo di tregua. Indossò una tuta da
ginnastica che sua madre gli aveva comprato parecchio tempo prima,
insistendo che la smettesse di vestirsi “come suo
padre”. Da
allora aveva iniziato ad apprezzare la praticità degli
indumenti
Babbani con fervore crescente. Forse il retaggio privo di magia di
sua madre gli era rimasto addosso ben più profondamente di
quanto
non avesse mai creduto. Forse era perfino meno
mago
di quanto il mondo non credesse.
Si
trascinò fino all'angolo cucina alla ricerca di qualcosa da
mangiare, ma le dispense erano vuote quanto tutto il resto della
casa. Trovò solo un paio di gallette di riso che
sbocconcellò con
poca convinzione, poi si chinò verso il cassetto
più basso,
estrasse un pacchetto di Rothmans Babbane e una
bottiglia
ancora chiusa di economico whisky. Si lasciò cadere sul
piccolo
divano in pelle, appoggiò le gambe su una grossa pila di
voluminosi
libri e rimase a fissare il cielo rosso di Londra al di là
dei vetri
sporchi, soffiando di tanto in tanto rancide boccate di fumo.
“Sirius
mi spaventa. È cambiato”.
Svitò
il tappo della bottiglia e tentò di centrare con un lancio
preciso
il cestino ai piedi della finestra. Il tappo sbatté sul
bordo, cadde
sul pavimento e rotolò un paio di volte prima di fermarsi.
Remus
soffiò una risatina sarcastica.
Portò
alle labbra la bottiglia e buttò giù diverse
sorsate di whisky
senza gustarle realmente. Era un intruglio talmente nauseante da non
lasciare alcuna soddisfazione in gola. Bruciava in bocca, scendeva
lungo la laringe, esplodeva nello stomaco e rimbombava nel cervello.
Le
parole di Peter avevano fatto esplodere nella sua mente un turbine di
quesiti ai quali non riusciva a trovare soluzione. Peter aveva
davvero ragione? Remus non se la sentiva di dargli torto. Sirius
aveva posseduto un carattere particolare fin da ragazzino. Era
audace, era impulsivo, era rancoroso.
Non
aveva mai dimenticato del tutto quanto era accaduto durante il loro
quinto anno. Lo scherzo ai danni di Severus Piton, il tradimento,
quelle scuse posticce piagnucolate al suo capezzale... Sirius si era
già rivelato capace di compiere scelte crudeli.
“È
cambiato da quando Silente ci ha detto della profezia”.
Remus
bevve ancora, sperando che il whisky potesse bruciare più in
fretta.
Peter aveva davvero ragione, ma non riusciva a
capire perché.
James era come un fratello per Sirius, avrebbe perfino tentato di
cambiare la rotazione della Terra per lui... ma Sirius aveva
già un
fratello. Un fratello Mangiamorte, una cugina Mangiamorte, un'intera
famiglia di psicopatici criminali. Si maledisse per avere anche solo
pensato a un'ipotesi tanto malsana e si accese un'altra sigaretta.
Tre
violenti colpi alla porta lo fecero trasalire. Rovesciò
qualche
goccia di whisky mentre scattava in piedi e afferrava la bacchetta
con il respiro corto. Fu costretto a fermarsi qualche secondo con i
polpastrelli premuti sulla tempia destra. Quanto diavolo aveva
bevuto?
Si
avvicinò cauto all'ingresso, appoggiò la
bottiglia sulla cassapanca
e serrò con forza le dita attorno alla maniglia di ottone.
“I
Mangiamorte non bussano”.
«Chi
è?».
«Padfoot».
Remus
sgranò gli occhi. Erano trascorse settimane dall'ultima
volta in cui
Sirius era venuto a trovarlo. Si rigirò la bacchetta fra le
dita e
strinse le palpebre con aria diffidente.
«Davvero?».
«Sì,
idiota. Aprimi».
«Non
credo lo farò».
Dall'altra
parte si udì un borbottio soffocato.
«Sono
io, Remus. Apri questa maledetta porta».
«Ricordi
quando attaccasti quella coda di somaro al sedere di Barnaby
Burke?».
Sirius
rimase in silenzio per parecchi istanti.
«Sai
cos'altro ricordo?» ribatté infine.
«Ricordo che fu un'idea tua,
razza di imbecille».
Remus
abbassò la bacchetta con una vaga smorfia nostalgica e
aprì la
porta. Sirius era appoggiato con aria annoiata allo stipite. Le sue
labbra erano piegate in un sorriso impercettibile, ma i suoi occhi
erano freddi quanto l'inverno di quell'anno.
«Pensi
di farmi entrare?».
Remus
gli voltò le spalle senza aggiungere nulla, lo
lasciò sull'uscio di
casa e tornò nel miserevole salottino, dove ricadde
sgraziatamente
sul divano e recuperò la sigaretta rimasta a fumarsi da
sé. Sirius
lo raggiunse solo qualche secondo più tardi.
Sfilò il pesante
mantello, lo gettò su una pila di libri impolverati e
aprì la
credenza senza domandare nient'altro. Scelse uno degli ordinari
bicchieri allineati sulla prima mensola, afferrò una sedia
di legno
e si accomodò accanto all'amico.
«Grazie»
sbuffò sarcastico, mentre sollevava la bottiglia di whisky e
si
riempiva generosamente il bicchiere. «È bello
vedere che le buone
maniere non sono morte».
«Prego,
Padfoot. Accomodati, serviti da bere, fa' come se fossi a casa tua.
È
un piacere rivederti» mormorò in tono piatto
Remus. «E ora dimmi
per quale motivo sei qui».
Sirius
lo studiò a lungo senza rispondere. Remus sbuffò,
gli levò la
bottiglia dalle mani e bevve ancora. La terza sorsata si
rivelò così
abbondante da fargli storcere il naso. Iniziava ad avvertire una
leggera sensazione di intorpidimento.
«Volevo
sapere come stavi».
«Non
è vero».
«È
vero. Ti sei dileguato subito dopo il funerale».
«Mi
dispiace. Non era mia intenzione perdermi il meglio della
festa».
Sirius
sorseggiò lentamente dal bicchiere.
«So
cosa stai facendo» commentò schietto. «E
lo sai anche tu».
L'altro
inarcò perplesso un sopracciglio. Diede un'ultima boccata
alla
sigaretta e la spense con decisione nel posacenere ormai ricolmo di
mozziconi. Non se lo ricordava così pieno. Quanto tempo
aveva
trascorso seduto su quel divano ammuffito?
«Sto
bevendo con un vecchio amico».
«No,
stai perdendo la testa. James e Lily sono preoccupati».
«Tu
no?».
«Non
mi preoccupo per te: mi preoccupo per loro».
Remus
si passò una mano sul viso per nascondere un sogghigno di
scherno e
si lasciò scivolare fra i cuscini. La testa sembrava
diventare
secondo dopo secondo sempre più pesante.
«Sei
un amico esemplare, non c'è che dire».
«Non
giocare a fare il sant'uomo con me, Remus. Sappiamo entrambi cosa sta
succedendo».
Remus
non sopportò oltre e scoppiò in una fragorosa
risata derisoria. Il
calore del whisky aveva smesso di bruciargli lo stomaco e ora stava
mettendo a ferro e fuoco ogni angolo razionale della sua mente.
Sentiva di avere la lingua più sciolta e leggera del mondo,
la bocca
che si apriva e si chiudeva da sé, mentre Sirius diventava
più
simile a una figura evanescente che lo attaccava da un angolo remoto
della stanza.
«Pare
proprio che oggi io debba sapere un sacco di cose che non so»
reagì
ironico. «Erano bei tempi quelli in cui tu non conoscevi le
risposte
dei compiti di Storia della Magia e io ti facevo copiare, non
trovi?».
«Già...
bei tempi» fu costretto ad ammettere l'altro. «Ma
le cose cambiano.
Le persone cambiano. Gli amici cambiano».
A
Remus non sfuggì il tono accusatorio nella sua voce.
«Io
sono sempre stato qui». Si piegò in avanti, e quel
movimento gli
costò un improvviso giramento di testa. Chiuse con forza gli
occhi e
deglutì. Le parole gli tremarono roche fra i denti stretti.
«Ma non
posso più dire la stessa cosa di te».
Il
volto aristocratico dell'amico si aprì in un'espressione di
totale
stupore. Sbatté un paio di volte le palpebre e scosse il
capo come
se non potesse credere a quanto aveva appena udito.
«Prego?»
sibilò appena.
Remus
portò nuovamente la bottiglia alle labbra. Un sorso, due
sorsi, tre
sorsi... non credeva potesse fare più differenza.
Sfilò una
sigaretta dal pacchetto di carta e se la accese con calma. Poi si
sporse per tenderne una all'amico, ma Sirius gli strappò il
pacchetto di Rothmans dalle mani e lo
lanciò via con un gesto
rabbioso. Remus sogghignò.
«È
bello vedere che le buone maniere non sono morte».
«Va'
al diavolo» ribatté asciutto Sirius.
«Stai di nuovo cercando di
rigirare ogni cosa a tuo favore. Lo hai sempre fatto e ci sei sempre
riuscito, ma non questa volta, Remus. Questa volta è
diverso».
«Stai
cercando di gettare i tuoi troppi difetti addosso a me? Se questo ti
fa sentire la coscienza più leggera, fa' pure, ma non
credere
che--».
«Voglio
sapere dove diavolo sparisci» lo interruppe bruscamente.
«E questa
volta voglio la verità».
Remus
gettò indietro il capo e gemette.
«Buon
Dio, non di nuovo...».
«Oh,
sì, amico mio. Di nuovo fino a quando
non avrai sputato fino
all'ultima dannata parola».
Colto
da una rabbia improvvisa, Remus sbatté la bottiglia sul
tavolo di
legno.
«Te
l'ho detto un milione di volte!» ruggì.
«“Ordini di Silente”.
Non ho il permesso di parlarne con nessuno, quindi smetti di
chiedermelo».
«E
cosa mai può esserci di tanto segreto da non poterne fare
parola con
i tuoi migliori amici, eh? Non ci siamo mai nascosti
nulla...»
ribatté con durezza Sirius. «Beh, perlomeno noi
tre non
l'abbiamo mai fatto».
Remus
lo fissò a lungo, con il respiro sempre più
rapido e la mente
sempre più confusa e agitata da quel discorso di cui non
riusciva
ancora a capire il senso. Perché Sirius sembrava
così ostinato a
non voler capire? Non poteva rivelargli nulla della sua missione in
Scozia. Non a lui, non a James, non a Peter. Se Fenrir Greyback
avesse scoperto che si era infiltrato nel suo clan, non avrebbe avuto
scampo, e per quanto Remus lo negasse anche a se stesso, fra di loro
c'era una spia. Una sola parola sussurrata all'orecchio sbagliato e
lui sarebbe morto. E Remus non voleva morire. Nessuno di loro voleva
morire.
«Credo
sia meglio per entrambi se ora te ne vai» mormorò
con calma
forzata.
«Non
così in fretta, Moony. Ho il diritto di sapere».
«Il
diritto?» ripeté incredulo Remus.
«E cosa mai ti--».
Sirius
si alzò in piedi con uno scatto repentino e
calciò con foga la
sedia, che cadde a terra con uno schianto secco. Remus
appoggiò la
bottiglia e si pulì le labbra con la manica della tuta con
gli occhi
strette in due sottili linee minacciose.
«Voglio
la verità! Per una sola maledetta volta, voglio la
verità!»
strepitò Sirius.
Remus
tacque e continuò a fissarlo. L'eccesso di whisky gli dava
l'orrenda
impressione di essere imprigionato in una grossa bolla di sapone, ma
l'ira irrequieta di Sirius gli perforava le viscere e gli tremava
nella testa annebbiata. Nessuno dell'Ordine aveva mai messo in
discussione il fatto che Remus stesse compiendo qualche missione
segreta per conto di Silente – nemmeno Moody aveva mai
dubitato
della sua sincerità. James e Lily avevano capito, Peter
aveva
capito, tutti loro avevano capito che non c'era nulla su cui
indagare... tutti tranne Sirius, l'ostinato e orgoglioso Sirius, il
ragazzo convinto di non poter sbagliare.
“Sirius
mi spaventa. È cambiato”.
Remus
non lo temeva, ma le parole di Peter avevano assunto un significato
inaspettato, fino a distorcersi nel fantasma di una rivelazione, di
un pensiero, di una spiegazione decisiva... e in quel groviglio senza
senso Remus iniziò a pregare di essere totalmente in errore.
“È
il whisky” si disse. “Sei ubriaco,
smettila”. Ma quell'idea
ormai era lì, ferma fra la voce di Peter che gli faceva
notare ogni
stranezza e quella di Sirius che lo accusava di essere un bugiardo...
non riusciva a levarsela di dosso.
Sollevò
tremante il palmo di una mano e si massaggiò le palpebre.
«Perché
vuoi saperlo?» domandò con un filo di voce.
«Perché ciò che ho
spiegato agli altri a te non basta?».
«Ho
bisogno di sapere di più».
E
infine, Remus capì.
L'ondata
di disprezzo che lo pervase parve riscuoterlo dal folle tepore
generato dal whisky e accendere ogni sconsideratezza dettata
dall'alcol, ogni ragione perduta... una parte di lui continuava a
ripetersi che qualcosa ancora gli sfuggiva, che non era tutto chiaro,
ma lui si sentiva sicuro. Quella volta il ragazzo che non poteva
sbagliare era lui. Estrasse la bacchetta con un guizzo fulmineo e la
puntò dritta al petto di Sirius, con la mano tremante e il
volto
pallido teso in una maschera di rabbia. L'altro ragazzo fu talmente
stupito da non reagire.
«Moony,
cosa accidenti--?».
«Voglio
vedere la confusione nei tuoi occhi mentre ammetto di essere la
spia»
lo derise Remus. «Non arrabbiarti con me per averti soffiato
il
posto». Sbuffò incredulo e si scostò un
ciuffo di capelli dal
volto. «Non posso crederci, ma è tutto
così... chiaro. Sono
mesi che non fai altro che tentare di scoprire ciò che
Silente mi ha
ordinato. Nessun altro è così testardo... e la
domanda che ora mi
tormenta, Sirius, è
“perché?”. Mi ero risposto che ero in
errore, che dovevo essere
in errore, ma ora... ora capisco ogni cosa. Fuggi da quando Silente
ci ha detto che fra di noi c'è una spia. L'ho notato, Sirius».
Storse il naso con disgusto. «Sai cos'altro ho notato? Sei
stato
l'unico di noi a ritenerlo possibile. Quindi se ora dico di essere la
spia, non potresti credermi perché tu sai perfettamente
chi
è. Sai che non sono io, sai che non è
Peter».
Sirius
aveva continuato a guardarlo come una statua di ghiaccio, ma nei suoi
occhi imperversava una tempesta di odio e furia. Rimase per un attimo
in silenzio, poi le sue labbra si piegarono in un sorriso di macabra
soddisfazione, una luce beffarda gli illuminò il viso e in
quel
secondo, immobile fra la polvere di quell'appartamento diroccato,
ricomparve il ragazzino di quindici anni che tanto si era divertito a
spedire Severus Piton fra le fauci di un Lupo Mannaro in una notte di
luna piena.
«Lo
sapevamo» mormorò con espressione alienata.
«Lo sapevamo fin dal
primo momento. Non potevi che essere tu. Chi altri,
d'altronde? Se non noi, chi?».
Remus
trasalì, ma Sirius continuò a ridacchiare con
malignità, incurante
della sua bacchetta e della sua aria minacciosa.
«Sei
sempre stato quello intelligente, quello furbo...» riprese.
La sua
voce non era mai suonata tanto feroce e crudele. «Ma te l'ho
detto,
Remus: questa volta è diverso. Questa volta nessuno
sarà pronto a
perdonare le tue bugie».
Remus
dischiuse lievemente le labbra. Sentiva il sapore acido del whisky
risalirgli l'esofago, ma non era intenzionato a indietreggiare.
“È
lui” si ripeté. “È la spia.
Peter aveva ragione”. Eppure
c'era ancora qualcosa che non gli tornava... qualcosa che non stava
nel posto in cui avrebbe dovuto stare, qualche dettaglio che il suo
cervello intorpidito non riusciva a cogliere. Era tardi per mettersi
a sedere e prendersi un po' di tempo per pensarci. Aveva scelto di
agire in fretta e ora avrebbe reagito.
«Stai
cercando di far passare me per la
spia...» mormorò Sirius
stravolto.
«Per
quale altro motivo avresti insistito tanto per sostituire Silente
come Custode Segreto?».
Sirius
si mosse con sconcertante rapidità, estrasse la propria
bacchetta e
Disarmò Remus con un semplice movimento del polso. Remus si
era
sempre dimostrato troppo rapido e preparato per farsi Disarmare da
Sirius, ma in quel momento i suoi riflessi erano rallentati dal
whisky, gli occhi appannati, i nervi a pezzi. Sirius gli fu addosso
prima ancora che potesse difendersi, lo afferrò per il collo
e lo
scaraventò sul pavimento, piombandogli addosso come un
avvoltoio
famelico. L'urto lo fece boccheggiare, ma fu in grado di trovare la
forza per piantare le unghie nelle braccia dell'altro.
«F-figlio
di p-puttana...» ringhiò fra i denti.
«Quando
il tuo Signore ti dà dei compiti da svolgere, Prefetto
Lupin,
accertati di restare sobrio» lo derise con
malignità Sirius, prima
di sferrargli un pugno micidiale in pieno viso.
Remus
emise un grido soffocato e rotolò su un fianco, premendo il
punto in
cui le nocche di Sirius si erano schiantate contro il suo naso. La
bocca si riempì subito dell'amaro sapore del sangue e
più Remus
cercava di sputarlo fuori, più quello sembrava tornare
dentro.
Odiava il sangue più di qualunque altra cosa al mondo...
“Forse
no” si disse all'improvviso. “Forse c'è
qualcuno che odio di
più”.
Tentò
di reagire, ma Sirius era più forte e più
sveglio.
«Incarceramus!»
esclamò quello.
Le
funi che scattarono fuori dalla punta della bacchetta di Sirius si
attorcigliarono attorno ai polsi e alle caviglie di Remus in un
stretta micidiale. L'incantesimo era talmente potente da impedirgli
di sollevare le mani oltre la testa. Cercò di calciarlo, ma
fu un
tentativo vano.
«Non
ti permetterò di arrivare a James e Lily, Remus».
Si
Smaterializzò con uno schiocco e lo lasciò sul
pavimento gelido,
con il sangue che non smetteva di inondargli il viso e il collo.
Cercò di alzarsi, ma fallì. Rassegnato, rimase
fermo a fissare il
soffitto, con il fiato sempre più caldo e il dolore sempre
meno
pungente, mentre nella sua testa si illuminava finalmente una luce di
sobria ragione.
“Lo
sapevamo fin dal primo momento” aveva detto Sirius.
“Non potevi
essere che tu. Chi altri, d'altronde? Se non noi,
chi?”.
Remus cercò ancora di liberarsi dalle funi.
“Noi” continuava a
ripetersi. “Noi chi?”. Non
James, non l'onesto James che
ancora si ostinava a ripetere che non c'era alcuna spia fra i suoi
migliori amici; non Lily, non l'unica amica che avesse mai avuto; non
Silente, non l'uomo a cui doveva ogni magra soddisfazione della sua
intera vita... ma se non loro, chi?
“Sirius
mi fa paura” ricordò ancora una volta.
“È cambiato”.
Gridò
il nome di Sirius con tutto il fiato che aveva in gola nella speranza
che l'amico fosse ancora nelle vicinanze, che per qualche assurdo
motivo potesse sentirlo e fosse pronto ad ascoltarlo sotto quella
nuova ragione che ora lo stava portando alla follia... si
agitò
frenetico, rovesciò una pila di libri e continuò
a chiamarlo fino
quando le forze non lo abbandonarono e non si ritrovò a
piagnucolare
esanime sul pavimento.
“È
Peter... buon Dio, è Peter”.
*
Sirius
si Materializzò in un buio viottolo poco fuori Tottenham.
Incurante
della pioggia, estrasse la bacchetta e chiuse concentrato gli occhi,
cercando di evocare ogni ricordo felice, ogni attimo in cui aveva
riso...
«Expecto
Patronum!».
Dalla
punta della sua bacchetta uscì un labile sbuffo di fumo
bianco.
Sirius imprecò, muovendosi avanti e indietro come una belva
in
gabbia. “Peter aveva ragione. Era davvero Remus”.
Non
riusciva a spegnere il cervello. Per un secondo venne colpito dal
desiderio di Materializzarsi nuovamente nel suo appartamento e fargli
molto più male di quanto non gli avesse fatto, di
distruggerlo pezzo
dopo pezzo, di ucciderlo... era un pensiero che lo
aveva
attraversato anche mentre lo sovrastava con la bacchetta in mano, ma
non c'era riuscito. Aveva incrociato lo sguardo di Remus e ogni
momento trascorso in compagnia dell'amico – del vigliacco,
del
bastardo, del traditore – era sfrecciato nella sua memoria
come
un'infinita serie di fotografie. Remus che gli sussurrava le risposte
giuste a Storia della Magia; Remus che faceva il tifo per la squadra
di Grifondoro accanto a lui sugli spalti; Remus che gli aggiustava
ogni mattina il nodo della cravatta; Remus che chiudeva un occhio
sulle loro marachelle; Remus che beveva, che mangiava, che rideva,
che gli camminava al fianco da così tanto tempo da fargli
scordare
la vita prima di Hogwarts. Remus a terra, con il naso e la bocca
piene di sangue e le mani bloccate dietro la testa, lo sguardo
ardente, bestiale, ferito... era stata una
sensazione strana,
come se improvvisamente fossero tornati dodicenni nella Guferia, come
se Remus fosse tornato il ragazzino in lacrime all'idea che Sirius lo
disprezzasse. Aveva scacciato quel ricordo con la foga con cui si
scaccia una zanzara. Non era un ricordo felice.
“È
Remus, è Remus, è Remus...”.
Non
poteva ancora crederci, ma quella verità metteva a rischio
tutto ciò
che aveva, tutte le persone che amava. Non poteva fare altro che
crederci e rassegnarsi alla cieca amarezza che fosse
vero. Si
concentrò sul volto magro di James, sugli occhiali un po'
storti sul
lungo naso, sulla sua risata sfrontata e i capelli scompigliati.
Pensò a quella volta in cui erano scappati dalla Torre di
Astronomia
a cavallo della Nimbus 1000 di James, a quando si erano conosciuti
sull'Hogwarts Express, a quando era scappato da Grimmauld Place e
c'era solo James, solo il suo migliore amico, solo suo fratello...
non poteva perderlo.
«Expecto
Patronum!».
Il
vapore argenteo che fuoriuscì dalla sua bacchetta assunse la
forma
di un grosso cane dal muso allungato e dalle lunghe orecchie a punta.
Sollevò la testa verso di lui, fissandolo paziente con le
orbite
vuote e profonde. Sirius gli appoggiò una mano sulla
sommità del
capo e il calore dell'incantesimo gli passò fra le dita come
se
avesse tentato di accarezzare un'onda.
Aveva
sempre amato i cani, ma non aveva mai avuto modo di possederne uno.
«Sai
dove andare».
Il
cane fece un lungo balzo in avanti, ma anziché atterrare
sulle
muscolose zampe anteriori spiccò il volo e svanì
in pochi istanti.
Sirius lo guardò allontanarsi fino a quando non ebbe perso
la sua
sagoma fra quelle delle nuvole. Infilò le mani nelle tasche
e si
Smaterializzò ancora.
La
prima cosa che vide quando riaprì gli occhi fu il cassonetto
Babbano
di Grimmauld Place dietro il quale era solito comparire. La strada
era già stata riccamente addobbata da ghirlande di carta
dalle quali
pendevano profili di zucche e fantasmi, le arcate delle porte erano
circondate da ragnatele di cotone e piccole file di finti pipistrelli
a testa in giù.
Halloween
era la sua festa preferita, ma da quando si era lasciato alle spalle
Hogwarts e il ricco banchetto non aveva più trovato
né il tempo né
l'umore adatto. Ridere dei mostri aveva smesso di essere facile da
quando avevano iniziato a uccidere sul serio. I Bones erano stati
sterminati proprio l'anno prima. Nel loro salotto avevano trovato una
ciotola a forma di zucca ricolma di Api Frizzole che nessuno aveva
mangiato.
Sirius
s'incamminò a testa bassa in direzione della casa di James e
Lily,
con le mani sprofondate nelle tasche del cappotto e il bavero alzato
per ripararsi dal vento di ottobre. Perlomeno aveva smesso di
piovere. Superò il cancellino d'ottone,
attraversò il cortile e
bussò con decisione alla porta.
«Prongs!
Prongs, aprimi. Sono Sirius».
Dovette
attendere solo pochi secondi prima di vedere la faccia di James fare
capolino attraverso uno spiraglio della porta. Aveva gli occhiali
storti sul naso e l'espressione spaventata.
«Cos'è
successo?» domandò nervoso mentre lo faceva
entrare.
«È
Remus» affermò lapidario. Si lasciò
James alle spalle e si
avvicinò al caminetto accesso per asciugarsi. «E
prima che tu possa
ribattere con la solita storiella su quanto Remus sia onesto e leale,
è lui. Capisci, James? So che
è lui».
James richiuse molto lentamente la porta e rimase immobile
nell'ingresso, con il capo chino e una sottile ruga pensierosa sulla
fronte.
«Sirius, ne abbiamo già parlato...».
«No, James, tu non capisci!» strepitò
all'improvviso. «È lui.
Sono appena stato a casa sua, lo ha ammesso! Ha cercato di
attaccarmi!».
«Per l'amor di Godric, Sirius!» lo raggiunse la
voce alterata di
Lily dal pianerottolo del primo piano. La giovane scese a rapidi
passi le scale e gli rivolse un'occhiata severa. «Non
dovresti
essere qui, è troppo pericoloso. Avevamo deciso che ti
saresti
nascosto».
«Sirius
è venuto ad avvisarci che la spia è
Remus» spiegò stancamente
James. Si abbandonò fra i cuscini del divano e rivolse
all'amico un
sorriso tirato. «Di
nuovo».
Sirius si sentì montare da una rabbia improvvisa.
«Devi darmi ascolto!».
«Non gridare!» lo ammonì Lily.
«Harry sta dormendo».
«Harry
è in grave pericolo. Siete tutti
in
grave pericolo,
quindi vorrai scusarmi se non riesco a preoccuparmi del sonno del mio
figlioccio». Fece un profondo respiro e aggiunse
più pacato: «Lily,
ti prego... devi credermi almeno tu. La spia è
Remus».
«Remus
ha davvero cercato di attaccarti? Remus?»
s'informò James, calcando con particolare eloquenza
sull'ultima
parola.
«Cosa?» esclamò sconvolta Lily,
stringendo le mani in grembo.
«Remus non farebbe niente del genere».
«Oh, Lily... quanto si vede che non lo conosci
realmente» commentò
gelido Sirius. «Ti sei lasciata abbindolare come tutti. Remus
ha
sempre avuto il dono di incantare la gente – e non dire di
no,
James: sai che è vero. Sempre con i suoi modi educati, con
quel suo
fare gentile... è così che pensava di fregarci,
lasciandoci credere
che fosse nostro amico. E forse un tempo lo è stato, ma non
oggi,
non più. Non dovete pensare al bene di Remus, dovete pensare
al bene
di Harry».
James e Lily si scambiarono uno sguardo fugace. Fu James a parlare.
«Non posso credere che Remus sia la spia, Sirius... non posso
credere che qualcuno di voi lo sia. Siete i miei migliori amici,
nessuno di voi mi tradirebbe mai. Non Remus. Non Peter. E men che
meno tu... ma su una cosa hai di certo ragione: dobbiamo pensare a
Harry».
Si sfilò gli occhiali e si massaggiò stremato le
palpebre. C'era
un'ombra di incredibile tristezza sul suo viso. Lily si sedette
accanto a lui con aria affranta.
«Ne sei davvero sicuro, Sirius?».
«Credi che potrei mai mettervi in pericolo? Siete la mia
famiglia».
Si inginocchiò ai piedi della giovane e avvolse la sua mano
fra le
proprie. «Lily, pensaci: c'è una spia fra di noi
– e ormai
nessuno può negarlo – e se non sono io, se non
è Peter... chi
altri resta?».
Lily serrò le palpebre. James si costrinse a fissare l'amico
negli
occhi con espressione imperscrutabile, poi annuì lentamente
e
sospirò.
«Quando questa maledetta storia sarà finita
dovremmo fare i salti
mortali per farci perdonare da Remus».
«James, è--».
«Solo una precauzione momentanea. E lo faccio solo per
Harry» lo
interruppe con decisione. «Hai in mente qualche
idea?».
Sollevato dalla certezza che l'amico gli avrebbe finalmente dato
ascolto, Sirius sorrise.
«Remus sa che sono il vostro Custode Segreto, quindi ne
è al
corrente anche Voldemort. Dobbiamo giocare d'astuzia. Sostituire il
Custode senza che nessuno lo sappia».
Lily inclinò perplessa il capo.
«Silente?».
«Troppo pericoloso, Silente si ostina a non voler dubitare di
Remus.
Ho pensato a qualcuno ancor migliore, qualcuno a cui nessun
Mangiamorte presterebbe mai attenzione. Peter».
«Peter?» ripeté incredulo James.
«Sirius, Peter è...».
«Il più debole di noi, sì. Chi mai
potrebbe immaginare che lo
avete scelto come Custode Segreto? Ho già spedito il mio
Patronus
per dirgli di raggiungere Godric's Hollow, ormai starà per
arrivare». Si alzò in piedi, si diresse verso la
finestra e scostò
la tenda floreale per sbirciare in strada. «Fidatevi di me.
È
probabilmente l'idea più intelligente che io abbia mai
avuto».
Lily tentò di abbandonarsi a una risatina forzata.
«Oh, beh, suppongo sia tutto dire, no?».
Dovettero aspettare una decina di minuti prima di vedere l'amico
passeggiare con aria sperduta lungo il marciapiede che costeggiava la
casa. Sirius uscì in fretta dalla porta e lo raggiunse a
grandi
passi. Peter sobbalzò quando sentì la sua mano
poggiarsi sulla
spalla.
«Ehi, Wormtail. Calma i nervi, sono io».
«S-Sirius... mi ha spaventato» balbettò
a disagio, aggiustandosi
la sciarpa e il berretto. «Perché mi hai chiamato
qui? James e Lily
vivono qui, è qui che--».
«Ma non parlarne in strada, razza di scemo!». Lo
afferrò per il
bavero della giacca e lo trascinò senza troppi convenevoli
davanti
all'abitazione incantata dei Potter. «Riesci a vederla, vero?
Sei
con me, dovresti riuscire a vederla».
«La c-casa?».
«No, la Gigantessa che sta vendendo pop-corn
all'angolo» ironizzò
seccato Sirius. «Certo che devi vedere la casa,
Peter!».
«La vedo».
«Per le mutande di Merlino, cosa aspetti a
entrare?».
«M-ma... io non posso... non--».
Sirius roteò gli occhi al cielo e lo scaraventò
con uno spintone
secco nell'ingresso. James uscì dalla cucina con aria
incoraggiante.
«Ciao, Wormtail. Lily è di sopra: Harry si
è svegliato un'altra
volta».
«James... non capisco, cosa sta succedendo?»
pigolò in fretta.
Il giovane aprì la bocca per spiegare la situazione, ma
Sirius si
intromise e schioccò a mezz'aria le dita.
«Lascia stare, Prongs, sei sprovvisto del dono della sintesi
e
abbiamo poco tempo. Remus è la spia, Peter». Si
stupì della
facilità con cui riusciva a dirlo. Aveva creduto che avrebbe
fatto
molto più male. Ignorò la faccia spaventata
dell'amico e continuò:
«Avrà sicuramente rivelato a Voldemort –
oh, per favore,
controllati, è solo un nome – che io sono il
Custode Segreto di
James e Lily. Posso scommettere l'intero contenuto della mia camera
blindata alla Gringott che mi staranno attaccati al sedere quanto la
coda di un cane... ed è qui che ci servi tu».
«Io?».
«Tu sarai il vero Custode Segreto».
Peter impallidì.
«I-io? M-ma Sirius, io non--».
«Peter».
I tre ragazzi si voltarono in direzione delle scale mentre Lily
scendeva con il figlio stretto fra le braccia. Harry sollevò
la
piccola manina rotonda e afferrò una ciocca dei capelli
rossi della
madre.
«C-ciao, Lily».
Lei lo guardò per un lungo istante con una luce di sincero
affetto
negli occhi e si chinò per lasciargli un bacio leggero sulla
guancia. Peter arrossì di colpo e arretrò
imbarazzato, facendola
sorridere di cuore.
«Oh, Peter... so che ti stiamo chiedendo tanto».
«Nessuno saprà mai che sei tu» aggiunse
James. «E Sirius ha
promesso che si nasconderà a sua volta da qualche parte e
non farà
niente di avventato». Storse le labbra nel tentativo di fare
un
sogghigno malandrino, ma il risultato fu una smorfia agitata.
«Ha
perfino promesso che non farà niente di stupido, se riesci a
crederci».
Sirius non diede segno di averlo sentito. Aveva preso il bambino
dalle braccia di Lily e ora non vedeva nulla che non fosse il visetto
roseo del proprio figlioccio. Sollevò le dita e
giocherellò con
quelle minuscole di Harry, facendolo ridere. La sua risata innocente
lo portò a pensare a quale razza di uomo avrebbe mai
desiderato far
del male a una creaturina così perfetta.
“Remus” si rispose in
un lampo. “Remus non è mai stato un
uomo”.
«Andrà benissimo, Harry. Te lo prometto»
gli mormorò.
James si rivolse a Peter.
«Ci aiuterai?».
Peter non rispose subito. Spostò lo sguardo spaventato da
Sirius a
Harry, da Lily a James, torcendosi le mani e umettandosi nervoso le
labbra. Sirius abbozzò una smorfia sarcastica e gli rivolse
un
occhiolino fugace.
«Avanti, Wormtail, non farti pregare. È la tua
grande occasione,
amico».
Poi, molto lentamente e tremando fino alla punta dei piedi, Peter
acconsentì. Sirius sentì i nervi calmarsi
all'improvviso. Si
accomodò sul divano con Harry fra le braccia mentre
osservava
distratto James, Lily e Peter compiere l'Incanto Fidelius.
“È fatta” si disse.
Il bambino emise un vago borbottio scocciato.
«Hai ragione, piccolo Prongs» ridacchiò.
«Oggi ho la testa da
tutt'altra parte».
Dimenticare l'espressione rancorosa di Remus era impossibile.
Tentò
di concentrarsi su Harry, su quanto realmente fosse meraviglioso e
importante, si ripeté che la sua scelta era giusta, che
chiunque
avrebbe fatto lo stesso... si domandò se Remus sarebbe
finito ad
Azkaban e venne attraversato da un brivido di terrore.
“L'Inferno
sarebbe una punizione migliore... ma Remus ci ha traditi, non merita
altro”. Si sentiva nauseato, ma non poteva negare una certa
primordiale soddisfazione. Il pensiero di quanto sarebbe potuto
accadere se non avesse fermato Remus era insostenibile.
Per formulare in modo corretto un Incanto Fidelius occorreva
solitamente meno di un quarto d'ora, ma lo spaventato balbettio di
Peter rallentò l'operazione. Non riusciva nemmeno a tenere
ferma la
bacchetta. Quando riuscì a pronunciare l'ultima parte del
giuramento, si era fatta sera e Godric's Hollow iniziava a riempirsi
dei primi ragazzini in costume da Halloween.
Sirius riconsegnò Harry a Lily, lasciandogli un ultimo
buffetto
sulla guancia morbida e recuperò il mantello. Peter lo
imitò
rapidamente senza dire una sola parola.
«Sta' attento, Padfoot» disse James. Teneva le mani
nelle tasche
con fare rilassato, ma i suoi occhi brillavano inquieti. «Non
fare
niente di stupido».
Sirius fece un sogghigno ironico.
«Sai che non mi piace il pericolo».
James tentò di sorridere. Scosse il capo con rassegnazione e
lo
fissò a lungo senza aggiungere altro. Poi gli
gettò un braccio
attorno alle spalle e lo serrò in un disperato abbraccio
fraterno.
Preso in contropiede, Sirius si limitò a scompigliargli i
capelli.
«Ehi, Evans, tuo marito è un po' troppo languido e
appiccicoso»
scherzò con affetto.
La giovane ridacchiò nervosa e si aggiustò una
ciocca di capelli
dietro l'orecchio. Mentre varcava la soglia di quella casa per
l'ultima volta – l'ultima fino a quando tutto quel caos non
sarebbe
finalmente terminato, si diceva – Sirius fece un sospiro di
sollievo. A conti fatti valutò che aveva dimostrato
un'incredibile
freddezza di mente.
“Remus sarebbe fiero di sapere che non ho dato di
matto”.
Si bloccò pochi passi oltre il cancellino, nello stesso
istante in
cui la casa dei Potter svaniva grazie all'Incanto Fidelius. Non
poteva credere di averlo pensato realmente, di aver
dimenticato cosa Remus avesse fatto. Era assurdo, eppure pareva
proprio che il suo cervello non volesse accettare l'amara
realtà.
«Sirius?».
«Va' a casa e non uscire per alcun motivo, Peter».
Si allontanò in fretta da lui, ignorando le sue insistenti
richieste
di sapere dove si sarebbe nascosto. Raggiunse il cassonetto e si
Materializzò nel vecchio appartamento poco distante da
Bristol che
era appartenuto a suo zio Alphard. Si diresse in camera da letto
senza levarsi nemmeno il mantello e si lasciò cadere sul
materasso
con un gemito spossato.
Non riposava da giorni e si sentiva a pezzi, ma si attaccò
alla
convinzione che il peggio era ormai passato. Doveva essere
passato o non ne sarebbero più usciti. Si chiese se non
sarebbe
stato più saggio tornare da Remus per assicurarsi che James
e Lily
fossero davvero al sicuro. Avrebbe potuto trovare il coraggio di
mettere fine a quella storia una volta per tutte... o avrebbe potuto
trascinarlo davanti a Silente e costringerlo a confessare la
verità.
“Meglio di no” decise infine. “Che faccia
l'errore di venirmi a
cercare... che venga, quel bastardo. Avrà ciò che
si merita”.
Strinse le dita attorno alla bacchetta e aspettò.
*
Doveva essere ben più stanco di quanto non avesse creduto,
perché
si era addormentato senza nemmeno rendersene conto. Si
sollevò dal
letto e afferrò l'orologio da taschino di Alphard Black. Non
lo
portava mai con sé per timore di perderlo, ma lo teneva
sempre sul
comodino in modo da potergli rivolgere qualche occhiata nostalgica di
tanto in tanto.
Erano le dieci passate.
Probabilmente Remus si era ripreso dalla sbronza, forse era
già
riuscito a liberarsi e stava valutando quale fosse la mossa
più
astuta. Sirius emise un soffio sprezzante: Remus ragionava sempre
troppo. Per una volta era stato Sirius a giocare d'anticipo, eppure
qualcosa non gli tornava. “Sono passate ore, ma di Remus non
c'è
traccia”. Non era possibile che si fosse rassegnato: aveva
molti
difetti, ma non era facile farlo capitolare.
Sirius venne colpito da un orrendo presentimento. E se Remus avesse
intuito il suo inganno? Dopotutto era sempre stato il più
intelligente del gruppo. Era quasi impossibile, ma Sirius non
riuscì
a levarsela dalla testa... c'era una sola cosa che avrebbe potuto
fare.
Materializzarsi in piena notte con i Mangiamorte appostati ovunque
era fuori discussione. Si alzò in piedi, ruotò su
se stesso e si
Materializzò nel garage Babbano che aveva affittato. La sua
motocicletta riposava da settimane sotto a un lenzuolo bianco, ma si
avviò immediatamente. Sirius accarezzò con
affetto il
contachilometri.
«Brava ragazza».
Il piccolo villaggio di Barrington dove Peter abitava con la madre
distava a più di un'ora di viaggio da Bristol, ma a qualche
centinaio di metri da terra non c'erano né traffico
né semafori.
Era il motivo principale per cui amava così tanto quella
motocicletta incantata.
Atterrò a pochi passi dalla villetta dei Minus mentre il
campanile
della chiesa rintoccava le undici. Barrington contava un numero
talmente modesto di abitanti da far dubitare che fosse Halloween. A
quell'ora la maggior parte di loro doveva essere già
rincasata.
Sirius attraversò a balzi il cortile della casa e
suonò il
campanello. Spostò il peso da un piede all'altro nel
tentativo di
diminuire l'ansia crescente. Sbuffò e suonò
ancora. Dovette suonare
altre due volte prima che la minuta signora Minus si affacciasse allo
spioncino.
«C-chi è?» domandò con
un'acuta nota di terrore.
«Sono Sirius Black, signora Minus» la
tranquillizzò in fretta.
«Sto cercando Peter».
La donna aprì la porta di una spanna. Non assomigliava molto
al
figlio. Era altrettanto bassa di statura, ma i suoi lineamenti erano
più gentili e i suoi occhi scuri e brillanti. La confusione
sul suo
viso lasciò lo spazio a un'ombra spaventata.
«Il mio Petey? Perché non è con
te?».
Sirius aggrottò perplesso le sopracciglia.
«Con me? No, signora, Peter mi ha giurato
che sarebbe tornato
a casa».
«È tornato. La cena era già pronta, ma
non ha avuto il tempo di
mangiare perché doveva raggiungerti. Cose importanti, ha
detto,
molto urgenti...» spiegò debolmente la signora
Minus. «Petey non
mentirebbe mai».
Fu come ricevere una coltellata nei reni e non essere più in
grado
di respirare, ma i suoi nervi scattarono ben prima della sua mente.
Si lasciò alle spalle i richiami concitati della signora
Minus che
lo pregavano di trovare il figlio disperso, saltò a cavallo
della
motocicletta e partì senza più curarsi di quanti
Babbani avrebbero
potuto vederlo. Accelerò fino a far ringhiare il motore,
puntando
dritto verso Godric's Hollow.
“Non può essere vero, non può essere
stato lui, non lui, non
Wormtail... era Remus, maledizione, doveva essere
Remus”.
Aveva la nausea, ma sapeva che non era ancora troppo tardi. Lo
sapeva. Non poteva essere diversamente, James e Lily stavano
bene, Peter non aveva avuto il tempo per agire. Strinse i denti. Non
era vero. Peter aveva avuto fin troppo tempo, e il tempo continuava a
trascorrere, secondi e minuti che non sarebbero più tornati,
che non
si fermavano... era il viaggio più rapido e interminabile
che avesse
mai affrontato.
Godric's Hollow era avvolta da una bassa nebbia. Sirius
atterrò
malamente davanti al cancellino dei Potter, smontando talmente in
fretta da far scivolare la preziosa motocicletta sull'asfalto... e la
vide.
Ciò che avvolgeva il villaggio non era nebbia, ma denso fumo
grigio
che si levava dal tetto esploso della casa. I vetri delle finestre al
primo piano erano esplosi, le luci del soggiorno ancora accese, la
porta divelta dai cardini.
Sirius non sapeva cosa significasse perdere ogni cosa. L'improvvisa
consapevolezza fu talmente dolorosa da impedirgli di rendersene
conto.
«No, no, no, no, no... James!».
Sfrecciò attraverso il cortile e fece irruzione nel
soggiorno
distrutto. Le tende a fiori di Lily avevano preso fuoco e l'aria era
appesantita da un intenso odore di zolfo. Sirius boccheggiava
guardandosi a destra e a sinistra, pallido e tremante.
I piedi scalzi di James spuntavano da oltre il divano.
Sirius gridò, si gettò sull'amico, si
aggrappò disperato alla
camicia impolverata, scuotendolo con foga, chiamandolo con voce
irriconoscibile.
«Sveglia, James! Svegliati!».
Non era come morire: era come aver vissuto troppo e non aver alcuna
possibilità di andarsene. Era come essere svuotati da ogni
sensazione umana, da ogni pensiero... gridava, piangeva, e non
riusciva a capire cosa stesse accadendo.
“Morto, morto, morto”.
Ci vollero dieci minuti prima che l'eco del vagito di Harry lo
facesse riemergere da quell'oceano confuso. Risalì le scale
come un
ubriaco, reggendosi al corrimano, muovendosi in maniera instabile.
Lily era riversa sul pavimento con i capelli avvolti come una fiamma
attorno al volto cereo e una pallida mano tesa verso la porta.
Sirius la guardò attraverso le lacrime senza vederla
davvero. Harry
aveva un rivolo di sangue che gli scendeva dalla fronte fino a
inzaccherargli il colletto del pigiamino. E Lily era a terra e non si
muoveva, e Sirius iniziò a pensare per quale diavolo di
motivo
stesse a terra mentre Harry piangeva. James non aveva più
gli
occhiali, non poteva salire o avrebbe sicuramente mancato un gradino
e si sarebbe ammazzato nella caduta...
“Ammazzato, ammazzato, ammazzato”.
Fu questione di un attimo, un guizzo di coscienza che non se ne
andò
più e gli fece davvero capire cosa fosse accaduto.
Irreparabile,
insanabile, reale – ed era colpa sua.
Crollò in ginocchio
accanto a Lily, la sollevò per le spalle e le
scostò i capelli dal
viso. I suoi occhi spenti sembravano ancora guardarlo, ma erano
vacui, persi, morti.
Gridò ancora, ma questa volta fece più male.
Questa volta sapeva
perché gridava, perché soffriva
– perché James era morto e
Lily era morta e Harry piangeva e niente si sarebbe più
sistemato.
Il tempo smise di scorrere. Quando Sirius si rialzò in piedi
per
prendere il bambino fra le braccia avrebbero potuto essere trascorsi
dieci minuti quanto dieci anni o dieci secoli.
«Va b-bene, Harry. Va t-tutto bene, ci sono io ora,
andrà bene,
tutto bene».
Una volta tornato in soggiorno, cercò in ogni modo di
evitare di
guardare il cadavere di James, ma sembrava che ovunque voltasse lo
sguardo ci fosse il suo viso. Sorrideva e aveva undici anni, il
faccino birbante che proclamava eterna amicizia, due mignoli che si
intrecciavano e giuravano di non separarsi mai. Aveva undici anni
anche lui, anche Sirius, poi sedici e dormiva con James a casa
Potter, e James rideva ancora, rideva e lo chiamava
“fratello”, e
poi si sposava e rideva di nuovo e scherzava su quanto fosse assurdo
che fosse riuscito a sposare Lily Evans.
«S-Sirius?».
Sirius sollevò il capo molto lentamente.
La gigantesca figura di Hagrid troneggiava al di là della
porta
d'ingresso. Era così grosso che fu costretto a piegarsi per
varcare
la soglia di casa. Si guardò smarrito intorno e quando vide
James
cacciò un urlo spaventato e si chinò su di lui.
«È morto» disse apatico Sirius.
«Ma J-James... qua bisogna portarcelo al San Mungo, Sirius, e
Lily... Lily...?».
«È morta».
Hagrid rimase in silenzio mentre l'orrore si faceva largo nei suoi
occhi.
«Lily e James morti... Silente mi ci
aveva mandato per
prendere il piccolo Harry in custodia, la vecchia Bathilda ci ha
detto che era successo qualcosa, ma io mica pensavo che erano
morti...». Tirò rumorosamente in su con il naso,
si asciugò il
volto con la manica del pastrano e si rialzò, rischiando di
sbattere
la testa contro il lampadario. «Erano bravi, James e Lily,
tanto
bravi».
«Dov'è Silente?».
«Al Ministero della Magia».
Sirius fremette di rabbia al solo pensiero che Silente non avesse
raggiunto immediatamente Godric's Hollow.
«I Mangiamorte di Tu-Sai-Chi stanno ancora in giro»
continuò
Hagrid in tono cupo. «Silente mi ha detto che Harry deve
andarci via
in fretta da qua, perché è troppo pericoloso per
un bambinetto così
piccolo e deve andare a stare dai suoi zii...».
«Di' a Silente di andare al diavolo insieme a quei maledetti
Babbani» sbottò Sirius mentre usciva una volte per
tutta dalla
casa. «Io sono il suo padrino, Hagrid. Harry resta con
me».
L'omone lo inseguì nel cortile.
«No, no... Silente mi ha detto di portarci il
bambino».
«Io sono il suo padrino!» gridò furioso
Sirius, stringendosi
ancora di più a Harry. «Che Silente me lo venga a
strappare dalla
mani, se ha il coraggio!».
Hagrid trasalì, ma non aggiunse altro. Si
avvicinò con cautela e
appoggiò una mano sulla spalla del giovane. Era talmente
grande da
coprirgli l'intero avambraccio.
«Lo so che tu e James eravate tanto amici, Sirius... ma
Silente
pensa che anche se Tu-Sai-Chi è andato via, Harry
è ancora in
pericolo».
“Il Custode Segreto doveva essere Silente. Se solo io e James
gli
avessimo dato ascolto, loro sarebbero ancora vivi”.
Sirius fece una smorfia afflitta.
«È colpa mia, Hagrid»
mormorò.
«No... ma che dici? Non le devi mai più dire
queste cose...» lo
consolò. «Non è mica colpa tua,
è colpa di Tu-Sai-Chi... ma
adesso è finito tutto, Sirius».
“No” lo corresse mentalmente Sirius.
“È colpa di Peter e io
non ho ancora finito”. Lanciò uno sguardo
riluttante al gigante ed
estrasse la bacchetta con un profondo sospiro.
«Convalesco» recitò.
La ferita sulla fronte di Harry si asciugò magicamente. Il
bambino
lanciò uno strillo infastidito. Sirius sorrise triste e gli
posò un
bacio fugace sulla guancia prima di consegnarlo fra le immense
braccia di Hagrid.
«Puoi prendere la mia motocicletta, a me non serve
più... ma stai
attento a Harry» lo mise in guardia prima di incamminarsi.
Hagrid annuì, dondolando impacciato il bambino.
«Certo, certo... ehi, ma dove stai andando?».
Sirius voltò appena la testa. Nei suoi occhi brillava una
luce
pericolosa.
«Devo fare una cosa. E poi...». Si passò
una mano fra i capelli.
«Va' da Remus. Digli che mi dispiace».
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Capitolo 5 *** Epilogo ***
Note:
Nient'altro
da aggiungere se non un sincero e gigacosmico grazie a tutti voi.
(:
*
La
lingua delle maschere
Epilogo
Cercò
Sirius in ogni stanza di Grimmauld Place e alla fine lo
trovò
nell'ultimo posto in cui avrebbe pensato di trovarlo.
Il vecchio studio di Orion Black era una stanza dagli alti soffitti,
con un imponente camino di marmo scuro in un angolo e le pareti
decorate con arazzi i cui disegni erano stati quasi del tutto
divorati dalle tarme. Sebbene Sirius avesse ordinato a Kreacher di
accendere le torce e aprire le finestre per dare una parvenza di
ospitalità all'intera casa, Grimmauld Place era ancora ben
lontana
dall'essere definita accogliente.
Remus dubitava che all'amico importasse.
«Sei già sveglio» commentò
con una punta di stupore Sirius. «E
pensare che sei sempre stato il più dormiglione fra
tutti».
Remus lanciò un'occhiata severa alla bottiglia di vino vuota
per
metà appoggiata sulla scrivania di mogano.
«Interessante colazione» commentò.
«Non hai dormito?».
«A un certo punto credo di essermi appisolato».
«Qui?».
Sirius scrollò le spalle e agitò la bacchetta per
Evocare un calice
di vetro. Lo riempì quasi fino all'orlo di vino.
«Sai che non bevo vino di mattina»
commentò Remus.
Si rese conto di aver detto una sciocchezza solo quando
incrociò lo
sguardo nostalgico di Sirius.
«No, Moony... non lo so».
Remus sospirò, prese comunque il calice e si
accomodò con calma sul
divanetto accanto alla finestra. Sirius intrecciò le gambe
sulla
scrivania e bevve un lungo sorso direttamente dal collo della
bottiglia.
«Allora, amico mio... raccontami un po' cosa hai combinato
negli
ultimi dodici anni» disse. «E vorrai scusarmi se
non ricambierò la
cortesia. La mia vacanza ad Azkaban non è un argomento molto
intrigante. I Dissennatori non sono esattamente degli albergatori
cortesi. Avanti, racconta».
«Non credo di avere niente da raccontarti».
Sirius fece un sorriso di scherno.
«Remus Lupin, l'uomo che non aveva niente da
raccontare».
Remus si rigirò il calice fra le mani.
«Da dove vuoi che cominci?».
«Dall'inizio».
«Non è un bell'inizio».
«Questo lo so».
Tacquero entrambi. Remus si attentò a bere un primo cauto
sorso di
vino. Il vino delle cantine di Orion Black era disgustosamente
speziato, ma non fece alcun commento. “Dodici anni trascorsi
come
se fossero cento, eppure non ho niente da dire”.
«Parlami di Hogwarts» gli venne in aiuto Sirius con
sincera
curiosità.
«È un pittoresco castello nel nord della Scozia.
Peccato non
potersi fidare delle sue scale».
Sirius strinse le sopracciglia, poi chinò in avanti la testa
e
iniziò a ridere. Era una battuta sciocca e inappropriata, ma
Remus
si ritrovò a ridacchiare a sua volta senza nemmeno
accorgersene.
C'era qualcosa di forzato in quell'improvvisa ilarità, ma si
rivelò
comunque piacevole. Iniziò a raccontargli a grandi linee
ciò che
era accaduto durante l'anno in cui aveva insegnato a Hogwarts. Gli
confessò di aver dimenticato in un primo momento il gradino
ingannatore delle scale che conducevano al quarto piano e di essersi
incastrato quasi fino al ginocchio, delle assurde creature addestrate
da Hagrid, di come Fierobecco avesse attentato alla vita del giovane
Malfoy e della costanza con cui la professoressa Cooman aveva tentato
di inseguirlo con la sfera di cristallo fino a giugno. Nessuno dei
due riuscì a restare serio durante il racconto della lezione
sui
Mollicci in cui aveva consigliato a Neville Longbottom di vestire
Severus Piton con gli abiti della nonna.
«Avresti dovuto vedere quell'avvoltoio impagliato».
Sirius ululò divertito. Quando entrambi si furono calmati,
l'aria
fra di loro si era fatta d'un tratto respirabile.
«E prima, Moony?» insistette ancora Sirius.
«Cos'hai fatto per
tutto il resto del tempo?».
Remus sorrise senza allegria. Il barlume di serenità
generato dalla
loro risata si dissolse in un silenzio tirato.
«Ho aspettato il trascorrere del tempo» ammise con
semplicità.
«Giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo
anno».
«Da solo?».
«Da solo».
Sirius si accomodò meglio sulla poltrona.
«Ad Azkaban il tempo non esiste. Dopo un po' i giorni
iniziano a
diventare mesi e i mesi diventano anni... nemmeno te ne accorgi,
sai?». Fece una smorfia disgustata. «Succede e
basta. Ti rendi
conto di essere perduto solo quando ti perdi fino in fondo e allora
è
troppo tardi per chiederti quanto tempo possa mancare prima che tutto
sia finito. Non ti accorgi di invecchiare, non ti accorgi di
morire... sai solo che sei lì dentro da quando hai memoria.
E infine
capisci che non hai più niente per il quale valga la pena
contare i
giorni».
Remus abbassò il calice e fissò l'amico con
espressione
impenetrabile. Soppesò rapidamente ciò che aveva
intenzione di dire
e quando parlò la sua voce risuonò poco
più alta di un soffio.
«Mi dispiace».
Sirius agitò vago la mano.
«A te non è andata tanto meglio, Remus. Non
sentirti troppo
infelice per me».
Per diversi minuti l'unico rumore fu quello delle unghie di Sirius
che grattavano distrattamente il legno del tavolo.
«Cosa ti sta tormentando?» domandò
all'improvviso. «Non sei mai
stato il tipo taciturno che tutti credono».
Remus chiuse gli occhi e appoggiò la nuca al divano. Era
come avere
una manciata di sabbia scricchiolante fra i denti, ma doveva
dirglielo. Non poteva più aspettare.
«Quella notte alla Stamberga mi hai domandato se potevo
perdonarti e
io ho risposto che l'avrei fatto solo se tu avessi perdonato me. Temo
di averti mentito».
«Anche io» soffiò amaramente Sirius.
«Forse abbiamo entrambi
sottovalutato il modo in cui il tempo è passato. Le cose
sono
cambiate. Tu sei cambiato. Io sono cambiato».
«Non è cambiato nulla, Padfoot. Le cose fra noi
sono sempre andate
così» replicò aspro. «Ti ho
mentito una volta e ti sei convinto
che ti avrei mentito ancora; tu mi hai tradito una volta e io ero
certo che lo avresti fatto di nuovo. E quando è giunto il
momento di
accusare qualcuno... non potevamo che essere noi due».
Scrollò le
spalle come se nulla di ciò che stesse dicendo avesse
qualche
importanza, ma la verità era ben altra.
«C'è stato un lungo
momento quella notte in cui ho pensato di avere torto e ho dubitato
di Peter perché non avevo più la forza per
dubitare di te. Ricordo
di aver gridato il tuo nome per un'ora intera... ma tu non sei
tornato». Lo sguardo di Sirius era diventato insopportabile,
così
abbassò il capo. «Quando mi hanno detto cos'era
accaduto, ciò che
avevi fatto... oh, dubitare di te è tornato a essere
tremendamente
semplice».
Sirius si scostò dal volto sciupato una ciocca di capelli
sciupati e
non disse nulla. Remus attese con pazienza la sua replica, ma non era
del tutto certo di volerla ascoltare.
«Ti sbagli: le cose sono cambiate davvero»
ribatté infine
Sirius. «Oggi io mi fido di te. Capisco molte più
cose di quante un
tempo nemmeno vedessi. Siamo sempre stati così diversi? Io
ero
quello irruente che si lanciava nel vuoto e tu eri quello cauto che
esitava fino all'ultimo istante... ma ti sei sempre lanciato dietro
di me, Remus». Arrangiò un sorriso sfrontato e
sollevò il calice
in un muto brindisi. «Se puoi perdonare te stesso, allora
puoi
perdonare anche me».
Era assurdo, ma Remus aveva l'impressione di aver finalmente compreso
per quale motivo lui e Sirius fossero diventati amici. C'era James,
c'era l'amico in comune da amare ferocemente... ma c'erano anche loro
due a ondeggiare ai lati di una linea fatta di estremi che si
toccavano e si scontravano in continuazione. Sirius aveva ragione:
erano realmente sempre stati più simili di quanto nessuno
dei due
avrebbe mai desiderato ammettere, ma le cose erano cambiate.
Loro erano cambiati.
Forse se la sarebbero cavata anche senza James. Forse sarebbero
riusciti a onorare la promessa di rimanere per sempre amici anche a
nome suo – soprattutto a nome suo.
Remus sorrise e alzò a sua volta il calice.
«Agli amici veri, quelli che sono esattamente come
appaiono...
sebbene nessuno possa mai dirsi sicuro che non ci siano maschere sui
loro volti».
Sirius rise.
«Alla fine ogni uomo si limita a indossare la persona che gli
è
vicina, vecchio mio».
But
I can't move the mountains for you.
(Timshel
– Mumford and Sons)
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