The Bus Boy.

di Swaggg
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Chapter one. ***
Capitolo 3: *** Chapter two. ***
Capitolo 4: *** Chapter three. ***
Capitolo 5: *** Chapter four. ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


 

Prologo.


 


Circondata da mura bianche, da mura che avevano visto e sentito grida e persone morire quasi tutti i giorni.
Quelle mura avevano visto me tutte le mattine, allo stesso orario prima di andare a scuola.
Ed io le osservavo con disprezzo per il loro potere di farmi sentire oppressa e senza vita.
Percorsi quei corridoi con la stessa lentezza di sempre per paura di entrare nella stanza ‘208’ e trovarci quello che ormai è il mio incubo tutte le notti. Salutai Carly, la ragazza alla reception, che ricambiò al mio saluto con un sorriso. Il suo sorriso, lo odiavo.
Era come un’illusione, che mi diceva che tutto stava andando bene. Scossi la testa, impendendo alle mie lacrime di scorrere,
prepotenti sulle mie gote ancora una volta. Dovevo essere forte, per me, per lui, per entrambi.
Stanza ‘207’, ero vicina e il mio cuore mi martellava dentro alla velocità della luce. Dentro di me ripetevo ‘sta bene, non è cambiato niente da ieri’, come una preghiera, come per darmi forza e non essere così debole come, invece ero.
Ed eccomi lì, sulla soglia della porta della sua stanza, mentre prendevo respiri profondi e bloccavo dentro di me l’impulso di voler piangere ripetendomi ‘che l’avrei fatto dopo, ma adesso devo controllarmi’. Presi un altro respiro, poggiai la mano sulla maniglia, la abbassai e spinsi la porta per poter entrare.
Eccolo, diventato minuto per i suoi anni avanzati, quel letto d’ospedale sembrava troppo grande. Il suo berretto sul capo, diceva ‘ mi fa sembrare più giovane e le donne mi guardano’ ed io risi, risi come non avevo mai fatto dal giorno del suo incidente.
Guardava alla finestra e quando si accorse di una presenza nella stanza, girò il capo lentamente verso la mia direzione, si accorse di una figura familiare e mi sorrise. Il sorriso che aveva portato luce ai miei giorni da quando ero piccola. Con quella luce che non è andata mai a sfumarsi ma è rimasta lì, anche quando era sulla barella, che l’avrebbe portato dove adesso è, mi sorrise come per dire ‘sto bene, piccola. Andrà tutto bene’. Quel giorno ci ho creduto che sarebbe andato tutto bene, e invece è svanito tutto. Il suo tumore stava crescendo finchè un giorno, non me l’avrebbe portato via.
“Vieni qui, piccolina” mi fece spazio di fianco a lui. Lasciai la borsa per la scuola ai piedi del letto, e non ci pensai due volte per stendermi insieme a lui, tra le sue braccia.
“Come stai, nonno?” gli chiesi, assaporando il suo profumo di dopobarba, mischiato al profumo acre delle coperte dell’ospedale.
“Sto una meraviglia, perché non mi vedi meglio?” mi strinse a se, così forte da farmi soffocare.
“Nonno, piano così mi uccidi” e lui allentò la presa, lasciandomi un bacio sulla fronte. Mi pizzicò con la barbetta che stava crescendo, e così gli passai una mano sulla guancia. Amavo sentire il ruvido della barba non fatta sulla mia mano.
“Dovrei farmi la barba” disse, toccandosi la guancia a sua volta.
“No, ti prego. Ti fa sembrare sexy e bello alle donne dell’ospedale”
“Dovresti vedere l’infermiera che è venuta questa mattina a cambiarmi le lenzuola. Piccola mia, non ho mai visto una donna così.” disse, guardando un punto impreciso della stanza per poter ricordare l’immagine dell’infermiera di questa mattina. Gli diedi un buffetto sul braccio “Sei un porco” dissi ridendo, e coinvolsi anche lui. Una risata roca e soave, la stessa risata che accompagnava le sue storie, che ricevevo prima di andare a dormire da piccola.
Ci riprendemmo dal momento e parlò per primo “è ora di andare, piccola” mi fece notare l’orario sull’orologio posto sul mobiletto di fianco al suo letto, e notai che era davvero tardi. Ma non mi sorpresi, tutte le mattine rimanevo con lui più a lungo per paura che il pomeriggio non l’avrei più rivisto per un attacco causato dalla sua malattia. Mi alzai di malavoglia, raccolsi la borsa e lascia un bacio leggero sulla sua guancia.
“Ti voglio bene, nonno”
“ti voglio bene anche io, piccola mia”
Uscii dalla stanza, respirando a fondo e rendendomi conto di aver trattenuto il respiro fino adesso.
Ripercorsi di nuovo i corridoi, scesi le scale e ucii fuori. Feci qualche passo ma mi fermai girandomi verso l’enorme edificio che avevo appena lasciato. Un possente edificio bianco, con finestre chiuse e alcune aperte. Odiavo quel posto.
Ripresi a camminare, dirigendomi  alla fermata dell’autobus che avrei preso per andare a scuola. Non ci mise molto ad arrivare, e quando salii mi diressi verso i posti in fondo, quelli nascosti, quelli emarginati dagli altri. Quando l’autobus partì, misi le cuffie nelle orecchie e feci partire la musica, l’unica che in quel periodo riuscisse a darmi un po’ di conforto. Nemmeno mia mamma e mio padre si erano preoccupati di chiedere come stavo, amici non ne avevo. Nessuno con cui condividere il mio dolore, il dolore che mi abbatteva tutti i giorni. Avevo, anche smesso di coprirmi le occhiaie col correttore, mi limitavo ad indossare felpe, più grandi della mia taglia, e coprire il mio viso con il cappuccio.
Non mi accorsi che l’autobus si era fermato, fino a quando un ragazzo non era salito. Testa china sulle sue scarpe, cappuccio sul capo, dal quale si intravedeva solo un ciuffo di capelli biondi. Si sedette qualche posto più in là, e per la prima volta mi capitò di non ascoltare la musica, le parole specifiche di un testo, perché ero troppo concentrata ad osservare il ragazzo dell’autobus.



 
My Space.
Salve a tutti. Non sono nuova, ho già scritto su questo sito.
Oggi mi è venuta la capata di scrivere una nuova storia basata, un pò su come mi sento in questo periodo.
Poi vabbe ho aggiunto la presenza di un ragazzo che sarebbe il nostro Giustino lol.
Con questa storia ho voglia di impegnarmi quindi vorrei davvero sapere cosa ne pensate così posso aggiornare gia il secondo capitolo.
Se clicclate sul nome dei personaggi vi uscirà il volto di come io mi immagino che siano i personaggi della storia lol.
Spero alla prossima :)

Much love
Giuls <3

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Capitolo 2
*** Chapter one. ***




 
Stalker or...?

Lara.


"Nonno, ho incontrato un ragazzo questa mattina" mi trovavo in ospedale, di fianco al nonno sul suo letto.
Dopo la scuola mi ero subito precipitata lì, ansiosa di raccontargli il mio incontro, se così si può chiamare.
"E com'era? Carino?" giocherellava con le mie dita, come se fosse il suo unico passatempo preferito da quando era arrivato in questo ospedale.
"Non l'ho visto. Cioè, non so come sia fatto. Per quanto ne so potrebbe essere un angelo"
Il nonno abbassò il capo nella mia direzione, con un'espressione di incredulità sul volto come a capire cosa realmente stessi dicendo.
"Ti senti bene , Lara?" non mi chiamava mai con il mio nome se non fosse stato perchè era preoccupato per la mia salute.
In effetti, non sapevo che dirgli. Questo ragazzo era salito sul bus e si era portato in disparte dal mondo, più o meno come facevo io.
 "Ricordo solo il suo ciuffo di capelli biondi che si intravedeva dal cappuccio" dissi, guardando un punto impreciso nella stanza.
"Non sai niente di lui, quindi" disse, tornando a giocare con le mie esili dita.
Scossi la testa, come disperata nel non sapere niente sul suo conto, da dove venisse, il suo nome e avrei voluto tanto chiedergli del perchè stesse sempre tutto solo.
"Potresti seguirlo e scoprire chi è" il nonno alzò le spalle, come a dire che non c'era niente di male nel seguire una persona e osservarlo nelle fasi più intime della sua vita.
"Tipo stalker?" chiesi divertita, anche se la proposta del nonno non sembrava tanto una brutta idea.
Mi dovevo solo esercitare nell'essere silenziosa e perfezionare la mia goffaggine e i miei passi da elefante.
Storsi il naso. C'era davvero tanto da fare.
"Dovrai solo stare attenta a non farti scoprire e quando saprai qual'è il suo nome, potrai togliere le tende" 
Annuii poco convinta. Lasciai un bacio sulla guancia del nonno, e mi alzai prendendo la borsa e uscendo dalla stanza.
Avrei dovuto attuare un piano, se volevo davvero conoscerlo. Ma tutto mi sembrava una sciocchezza,
e se mi avesse scoperto e chiamasse la polizia? Sarei finita in galera. 
Premetti il pulsante per chiamare l'ascensore, avrei evitato le scale per quella giornata.
Alzai il cappuccio sulla mia testa e allo stesso tempo le porte dell'ascensore si aprirono mostrando al suo interno una figura.
Ci feci poco caso e premetti il pulsante che mi avrebbe portato al piano terra e quando le porte si chiusero, notai le scarpe del tizio al mio fianco. 'Dove ho già visto queste scarpe?' pensai, erano bianche ed erano delle supra. E poi ricordai. Era lui, il tizio di questa mattina.
Ciuffo biondo, il ragazzo solo. Alzai di poco la testa per vedere se riuscivo ad intravedere anche una piccola parte del suo viso. Riuscii a scorgere le sue labbra, così carnose. Una forma perfetta, senza segni di imperfezione. Erano una linea dura e ad un certo punto si mossero, formando uno sbuffo, alchè distolsi lo sguardo. E se con quel gesto mi aveva fatto capire di smetterla? Mi sentivo così in colpa per averlo fatto arrabbiare e in più l'aria tra di noi si era fatta pesante e il silenzio incombeva su di noi. Riuscivo a sentire il suo respiro irregolare, come se gli desse fastidio la mia presenza o era solo claustrofobico. Optai per la prima opzione e pregai che questo ascensore fosse più veloce a scendere. Premetti con insistenza il piano terra, e quando le porte si aprirono fui la prima ad uscire da lì dentro. Camminai velocemente e invece di fermarmi alla fermata del bus, decisi di farmela a piedi anche se erano dieci isolati, ma almeno non avevo il timore di incontrarlo dinuovo.
Quando finalmente raggiunsi casa, appoggai la borsa all'entrata e mi diressi in camera mia strascicando i piedi per terra per quanto li sentivo pesanti. Raggiunsi camera mia e mi liberai degli indumenti della giornata, rimanendo solo in intimo. Mi guardai allo specchio e quasi non mi spaventai per la mia immagine riflessa. I miei capelli biondi erano spenti di luce propria, le mie occhiaie ben visibili, il mio corpo troppo magro e privo di forme, il mio seno inesistente. Dire che odiavo qualsiasi parte del mio corpo era troppo poco per quello che avevo davanti.
Scossi la testa, ormai esasperata dalla vita che a stento riuscivo a portare avanti. Andai in bagno e aprii il rubinetto della vasca, aspettando che si riempisse. Mi liberai anche dell'intimo e quando l'acqua superò i limiti della vasca, seppi che era pronta. Mi immersi e l'acqua uscì fuori finendo sul pavimento, ma poco mi importava. Mi rilassai alla tranquillità dell'acqua calda sulla mia pelle, e alla tranquillità che c'era in casa.
Da quando i miei genitori lavoravano insieme tornavano a casa tardi ed io li vedevo raramente.
Ero sola, sola contro tutto il mondo. E poi pensai a quanto successo quel pomeriggio.
Quel ragazzo, solo anche lui, o almeno quelle due volte che l'avevo visto era solo.
Emanava mistero e oggi c'era una certa elettricità tra di noi, che l'avessi sentita solo io?
'Lara, smettila fantasticare, leggi troppi libri' mi dissi, immergendo la testa nell'acqua e trattenere il respiro.
Volevo morire, sparire dalla faccia della terra. Chi avrebbe sentito la mia mancanza? Il nonno forse.
E i miei pensieri tornarono di nuovo a quel ragazzo, uscii la testa dall'acqua prendendo grandi respiri e pensai 'Dovevo seguirlo oppure no?'

 



My space.
Vi ringrazio davvero tanto per aver recensito. 
Mi fa tanto piancere che la storia vi stia piacendo e non vi deluderò con gli altri capitoli.
Allora qui abbiamo un altro incontro. Due in una sola giornata eheh. Quindi? secondo voi decide di seguirlo?
Ma non lo sapremo molto presto perchè nel prossimo capitolo avremo il punto di vista di Justin.
Vi lascio questo capitolo e vado via :) Fatemi sapere cosa ne pensate 

Alla prossima
Much love 
Giuls <3

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Capitolo 3
*** Chapter two. ***


Chapter two.



Salii le scale di casa diretto in camera mia , la musica rimbombava ancora nei miei timpani, impedendomi  di ascoltare i continui litigi tra mio padre e mia madre. Così mi emarginavo dal mondo chiudendomi in camera mia, oppure rimanevo fuori casa tutto il giorno.
I primi giorni, da cui incominciarono i litigi, andavo al parco ma c'erano troppi schiamazzi di bambini insopportabili, o di continui sbaciucchiamenti da parte di coppie perfette e a me piaceva la solitudine. Così, decisi di trovarmi un lavoro come meccanico nell'officina di mio zio. Passai lì qualche giorno ma combinavo solo casini e non mi andava di far niente, presi lo skate e me ne andai girando per la città in cerca di un qualsiasi rifugio che mi tenesse lontano da casa mia e dal mondo in generale.
Caddi dallo skate e quando alzai il capo, notai l'enorme edificio bianco, così noto come ospedale. Arrancando per il dolore al ginocchio, mi diressi all'ingresso per chiedere un lavoro qualsiasi anche senza stipendio, e da quel giorno, saltavo la scuola per poter andare lì e rallegrare la vita delle persone che c'erano all'interno. Leggevo loro il giornale, libri, oppure cantavo loro qualche canzone accompagnato dalla mia chitarra che portavo da casa. Amici non ne avevo, ribadisco che amavo stare solo.
Perchè? Non mi piace parlarne, mi abbandonereste anche voi come hanno fatto tutti.
Per le strade abbassavo il cappuccio sul mio capo per evitare di essere riconosciuto, mettevo le cuffie con la musica a tutto volume, così se qualcuno  mi riconosceva e mi chiamava io non lo sentivo mentre girovagavo con il mio solito skate, amico di tutta una vita.
E quel giorno, su quel letto, mi ricordai lo sguardo pesante di quella ragazza. Così strana, sola e...non so come definirla, non la conoscevo e assolutamente non mi andava di farlo. Sapevo chi era, me lo aveva detto lui, senza esplicitarmi il suo nome.
I miei pensieri furono interrotti da mia madre che entrò in modo brusco nella mia stanza. Tolsi le cuffie e la guardai con un'espressione interrogativa sul viso e anche un pò preoccupata. Mamma aveva gli occhi sbarrati dai quali fuoriscivano lacrime. La sua guancia era rosso fiamme. Respirava profondamente e teneva il suo peso sulla porta, come per non far entrare nessuno.
Aprii bocca per chiederle cosa stesse succedendo, ma lei sembrò riprendere fiato e mi precedette. "Scappa Justin, Scappa e ti dirò io quando tornare" disse, con fare sbrigativo.
Ingoiai il groppo di saliva che mi si era formato, presi la mia roba e mi avvicinai alla finestra per calarmi giu. Mi giraii verso mia mamma, per guardarla ancora una volta e mi sorrise come per dirmi che sarebbe andato tutto bene. Distolsi l'attenzione e scavalcai la finestra per poi guardare l'albero e saltarci su. Strinsi gli occhi dal dolore provato allo stomaco subito dopo l'impatto. Mi feci coraggio e con attenzione arrivai a terra. Guardai la mia casa, sentii degli urli e poi corsi, corsi con quanta più velocità potevo.
Stavo scappando da casa mia, o dal mondo intero?
Raggiunsi l'unico posto che mi era più familiare, l'unico posto dove le persone mi sorridevano, e accettavano la mia presenza.
Ma stavo sempre a debita distanza dai pazienti dell'ospedale, per non far loro del male. Ero un pericolo, per tutti, per me.
Quando entrai raggiunsi la persona che mi avrebbe aiutato, quella che ragionava diversamente degli altri.
Un uomo vissuto, e che la sua malattia stava portando via. Entrai nella sua stanza, respirai a fondo e mi guardò con aria preoccupata.
"Justin? E tu che ci fai qui?" chiese, facendo per alzarsi ma lo stoppai con una mano.
Non poteva alzarsi, era troppo debole anche per reggersi in piedi. Non mi obbedì, e con lentezza si avvicinò a me, avvolgendomi in un abbraccio che a fatica ricambiai. Nessuno mi abbracciava mai, nessuno lo faceva da quella notte orribile, quella notte in cui la mia vita è andata a puttane. Trattenni le lacrime per non piangere, non potevo. Non piangevo da anni e non potevo non resistere proprio adesso.
L'uomo sciolse l'abbraccio pr guardarmi negli occhi "Piangi piccolo ometto, mostrami il tuo cuore" e non trattenni, piansi e mi accovacciai al suolo come quando facevo da piccolo. L'uomo si accovacciò al mio fianco e mi strinse a se ancora una volta, ripetendomi, in tono dolce "Calmati, andrà tutto bene".
Avrei voluto dirgli che niente sarebbe andato bene. Perchè ero cresciuto troppo in fretta per prendermi cura di me stesso e adesso mi odiavo. Odiavo il modo in cui ero cresciuto. Odiavo il mio corpo. Odiavo il non avere amici. Odiavo il fatto che mia madre dovesse soffrire. Odiavo il mondo e le persone che ci vivevano.
Dopo un po' mi calmai, e l'uomo mi aiutò ad alzarmi e ci sedemmo entrambi sul suo letto. 
"Che cosa è successo?" mi chiese, con quella tranquillità nella voce che nessuno aveva. Stava per morire eppure era calmo, non piangeva e sorrideva alla vita. Uomo grandioso.
E così, gli raccontai cosa era successo a casa. Mi ascoltò con attenzione, a volte annuendo e dandomi qualche buffetto leggero sulla spalla e quando terminai, si alzò, prese qualcosa all'interno del cassetto del mobiletto accanto al suo letto e ne estrasse un paio di chiavi.
Le osservò con attenzione, come per osservare che fossero quelle giuste e poi me le porse.
Non capii cosa dovevo farne. Appartenevano a una bellissima moto per poter fuggire? Sarebbe stato bello.
"Sono le chiavi di casa mia. Potresti approfittare del fatto che io sono destinato a stare qui fino alla mia morte." mi disse, rimettendosi a letto e trovando sollievo.
"E sua moglie? Non dirà niente nel trovarsi un tizio sconosciuto in casa sua?"
L'uomo rise, e scosse la testa più volte "Mia moglie è morta tre anni fa, quindi a casa al massimo puoi trovare il mio bellissimo pappagallo"
Avrei dovuto convivere con un pennuto.
"Come si chiama?" 
"Si chiama Lara" sorrire e poi mi diede tutte le informazioni per arrivare a casa sua e per curare il suo pennuto che fino ad adesso era stato preso in considerazione dalla vicina che aveva una cotta per l'uomo. 
Lo ringraziai, gli strinsi la mano con voracità e lui sorrise invogliandomi a smetterla di ringraziarlo in continuazione dicendo che ero "snervante". Raccolsi la mia roba, che avevo lasciato a sul pavimento e mi avviai alla porta.
"Ragazzo" mi richiamò, ed io mi girai verso di lui "sii forte" gli sorrisi e andai via.
Uscii dall'ospedale e a testa bassa, aspettai che l'autobus arrivasse alla fermata. Quando arrivò ci salii, presi il mio solito posto e mi rigiraii le chiavi di casa tra le mani. Inconsapevole però, che una piccola anima sola, lo stava osservando da lontano.
Scesi dall'autobus e con lo skate percorsi pochi isolati prima di arrivare alla casa, alla quale ci azzeccava permettamente alla descrizione dell'uomo; fiori sparsi qui e lì, una moto antica parcheggiata sul vialetto e un piccolo cestino di fiori posto sulla porta.
Mi diressi all'ingresso e con le chiavi aprii casa. Un'odore di pulito, l'uomo aveva anche accennato al fatto che la vicina, manteneva la casa pulita e i fiori vivi.
"Bella vita" mi dissi, entrando e poggiando la mia roba all'ingresso. Mi osservai intorno. C'erano foto di gare, l'uomo appoggiato a delle macchine da corsa. Trofei. Foto lui e sua moglie da giovani, i loro figli.
Poi, una foto colse la mia attenzione: raffigurava l'uomo e...lei.


 




My space
HAPPY NEW YEARRRRR
sono così felice che anche quello schifo di capitolo vi sia piaciuto ahahah
Qui abbiamo la visione di Justin. Quindi, chi sarà mai quest'uomo? Qualcuno si è fatto gia un'idea?
Io non lo so ahaahhah è stato sfrattato da casa sua, e adesso dovrà convivere per un pò con un pappagallo
che non è ancora entrato in scena ma rappresenterà la parte comica della storia lol.
Allora, secondo voi Lara lo seguirà? Lo vedremo nel prossimo capitolo 
Grazie immensamente alle persone che seguono la mia storia. Vi amo tanto ahah
Una recensioncina anche qui come regalo di buon anno? Yeahhh

Alla prossima
Much love
Giuls <3

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Capitolo 4
*** Chapter three. ***


 
Chapter Three.

 


Quella mattina, mia madre era venuta a svegliarmi con un bacio sulla guancia chiamandomi anche 'tesoro'.
Molto strano dato che Maryse Baker era estranea a qualsiasi segno di affetto verso la sua unica figlia o qualsiasi altro genere animale esistente sulla terra. E non sapevo perchè ma mi ero svegliata irritata da quel suo gesto, come per dire 'io sono qui' e non avrei aspettato altro per sputargli in un occhio. Suo padre stava male, e se ne fregava altamente di quello che stava succedendo.
Non andava mai in ospedale e in quel periodo aveva anche anticipato i suoi turni di lavoro escludendo anche me dalla sua vita.
Per non parlare di mio padre, che secondo me aveva l'amante già da un pezzo, e trascorreva la maggior parte delle giornate fuori casa usando la solita scusa 'oggi devo lavorare fino a tardi'. Poco ci credevo e ormai poco mi importava, alla fine pensavo che oltre a quello che mi stesse succedendo non ci fosse niente di peggio. Una ragazza cresciuta troppo in fretta, con disturbi alimentari, asociale e non disponibile all'affetto delle persone ma non perchè non volessi ma, per il semplice fatto, che nessuno mi aveva mai dato attenzioni se non per il nonno. Oh, il nonno. Il signor George Baker famoso pugile degli anni settanta, con grande bontà d'animo, solare e incline nel dare ai meno fortunati. Era così strano vederlo su quel letto d'ospedale, una persona così meravigliosa come lui che era stato ingiustamente colpito da una grave malattia senza rimedi. Ricordavo quando, da piccola, mi portava sempre a comprare i dolci in segreto perchè mia madre si arrabbiava se ne mangiavo troppi, diceva che diventavo iperattiva ed era difficile gestirmi. Ma il nonno odiava le regole e così divenne un nostro piccolo segreto. Ricordavo anche quando lo accompagnavo a comprare i fiori preferiti della nonna, le rose bianche. Facevamo cose fuori dal comune, cose che di solito si facevano con fratelli maggiori, tipo rubare la cioccolata in un supermercato o dire strade sbagliate a chi ci chiedeva un'indicazione, oppure giocare a pugilato e cose varie. Mi ero divertita tanto, e pensare che avevo diciotto anni e tutto era finito da un momento all'altro, senza che nemmeno che ne rendessi conto.
Tirai un lungo respiro, per impedirmi di non piangere e guardai la sveglia al lato del letto. Stavo facendo tardi per la scuola, e poi mi ricordai che quel giorno era domenica. Mi sedetti sul letto, poggiai i piedi per terra e un'ondata di brividi mi pervase a causa del contatto con il pavimento freddo. Dovevo mettere un tappeto così avrei potuto godermi la sua morbidezza e il suo calore. Mi alzai e senza curarmi del mio aspetto o di come ero vestita scesi in cucina convinta che fossero tutti fuori per le loro solite commissioni. Quando arrivai in soggiorno mi resi conto di non essere sola per le voci che rimbombavano all'interno della casa. Riconobbi la voce di mia mamma ma c'erano altre voci e il suono di dita che digitavano su un cellulare. Varcai la soglia della cucina e intravidi delle figure, in modo sfuocate perchè i miei occhi non si erano ancora abituati alla luce incombente che illuminava tutta la casa a differenza della mia stanza che era sempre buia. Mi stropicciai gli occhi, e quando misi a fuoco mi accorsi che queste persone mi stavano guardando.
"Oh, buongiorno cara" mia madre parlò, sorridendomi in un modo così finto che non la badai nemmeno.
"E loro chi sono?" la mia voce era ancora impastata dal sonno, e non immaginai nemmeno quanto il mio alito puzzasse. Dovevo salire e darmi una sistemata forse.
"Non essere scortese, sono i nostri ospiti" sorrise ancora. "Lei è Clare Adams" disse indicando una signora sulla quarantina.
Una donna apparentamente giovane che portava benissimo i suoi anni con quei capelli biondo platino e quel trucco così pesante che se non me l'avesse presentata l'avrei scambiata per una Drag Queen. "E lui è suo figlio Jamie Adams" disse, questa volta indicando un ragazzo biondo presupponendo, forse che avesse la mia età. Sembrava un ragazzaccio con quel suo piercing al naso e quel suo comportamento così buzzurro ma non posso dire che non fosse attraente. Era davvero molto bello.
"Piacere di conoscervi" sorrisi. Il sorriso finto che mi ero abituata a portare tutti i giorni.
Diedi loro le spalle e mi diressi di nuovo in camera mia per vestirmi e andare dal nonno. Era domenica questo significava che avremmo giocato a 'Indovina chi'. Odiavo quel gioco. Ma il nonno lo trovava così divertente a fare descrizioni così stupide dei personaggi che alla fine trovavo anche io quel gioco divertente. Feci una doccia calda, l'aria fuori era fredda e mi venne in mente che eravamo quasi a natale e dovevo assolutamente fare un regalo al nonno. Avrei dovuto scoprire solo cosa. 
Uscii dalla doccia, mi asciugai e indossai le prime cose che mi saltarono all'occhio all'interno dell'armadio che conteneva solo abiti scuri. L'unica cosa che c'era di colorato era il mio vestito per la comunione, che risaliva ai tempi di Giulio Cesare, quindi era inutile farlo rimanere lì dentro ma Maryse mi obbligava a non buttarlo per il semplice motivo che 'avrai un ricordo della tua infanzia felice' diceva ogni qual volta che provavo a liberarmene. Mi truccai contornando i miei occhi di una matita nera, che durante la giornata si sarebbe sciolta mostrando il panda che era in me, ma poco importava. Quando fui sicura di essere pronta, presi le cuffie, il telefono e uscii di casa senza salutare nessuno. Prima di uscire però, incontrai lo sguardo di Jamie, che nel frattempo si era spostato in soggiorno, e mi guardò con aria da presuntuoso. Ma il suo sguardo era del tutto ammaliante.




 


Era confortante svegliarsi da solo in una casa non mia. Svegliarsi una tranquillità così rilassante.
Non ero abituato a causa dei continui litigi dei miei genitori che mi svegliavano in continuazione. Ma in quel momento potei dormire fino a tardi senza nessuna interruzione. Era davvero un toccasana per me.
Mi stiracchiai, felice di aver dormito comodamente e mi uscì un sorriso naturale. Mi alzai e mi diressi in bagno per una bella dolcia calda. I brividi mi invasero non appena entrai nudo in doccia. Il freddo era così insopportabile certe volte. Strofinai bene il mio corpo, passando ripetutamente sulle mie parti basse. Mi venne in mente che non facevo sesso da tanto, troppo tempo. Da quando 'Tutto il male' successe.
E inconsapevolmente, mi ritrovai a toccarmi. Una sensazione di ecstasi pura, una sensazione che avevo smesso di provare. Non ero mai arrivato fino a quel punto, avevo sempre avuto delle ragazze a disposizione pronte a un qualsiasi servizietto. E in quel momento ero completamente solo, in una casa sconosciuta, in una doccia sconosciuta nella quale mi toccavo per puro piacere personale.
Quando raggiunsi l'apice del piacere, feci un'altra passata di bagnoschiuma e poi uscii dalla doccia prendendo il primo asciugamano che mi passò di vista, e senza curarmi che fosse pulita o meno me l'arrotolai attorno ai fianchi. Mi asciugai per bene e indossai i vestiti del giorno prima, visto che quando ero uscito da casa mia non avevo avuto nemmeno il tempo di prendere l'essenziale. Decisi, quindi, di andare a casa e controllare la situazione quindi se potevo o no tornare a casa e poi fare un salto in ospedale per poter ringraziare l'uomo che mi aveva offerto di vivere abusivamente in casa sua. Uscii di casa, preoccupandomi di aver chiuso bene a chiave la porta e mi diressi alla fermata dell'autobus. Mentre aspettavo che arrivasse, pensai che era arrivato il momento di decidere cosa fare nella vita.
Potevo lasciare la scuola, e trovarmi un lavoro oppure continuare gli studi. A quel pensiero feci una smorfia constatando che studiare non faceva per me. Sistemai sulla testa il cappuccio della felpa e salii sul bus che era arrivato. Alzai lo sguardo quel poco che bastava per trovare libero il mio posto e notai la solita ragazza. La ragazza che aveva cercato di inquadrami in quell'ascensore di ospedale.
La stessa ragazza isolata dal mondo, la ragazza che nascondeva il suo viso. E in quel momento, quando mi sedetti qualche posto più avanti al suo, mi chiesi  se fosse bella oppure no. Se avesse i capelli rossi, neri o castani. Se avesse gli occhi azzurri o verdi. Tanti pensieri che mi vorticavano nella testa e mi resi conto in tempo che era arrivata la mia fermata. Scesi e percorsi qualche passo a piedi prima di arrivare davanti casa mia. Secondo i miei calcoli, ovviamente non matematici, mio padre sarebbe dovuto essere  al solito bar ad ubricarsi.
Non feci nemmeno in tempo a suonare il campanello, che mi ritrovai mia madre ad abbracciarmi.
Pattie Mallette. Una donna minuta, con i suoi capelli castani raccolti in una cosa e i suoi occhi azzurri che mi infondevano tanta sicurezza.
"Oh Justin, mi dispiace così tanto per ieri" mi teneva ancora stretto a se. Ed io non potevo far altro che ricambiare l'abbraccio.
"Papà è in casa?" 
"No, ma non è il momento di ritornare a casa. E' molto furioso in questo periodo" disse, invitandomi ad entrare in casa. Non chiesi del perchè fosse furioso o meno. Queste cose succedevano di continuo ed io di continuo dovevo trovarmi una sistemazione per qualche giorno. Quando andavo a scuola, mi intrufolavo di notte negli spogliatoi della palestra e di mattina presto uscivo di lì senza farmi vedere, e facevo lo stesso se papà era 'furioso' per giorni.
"Che cosa è successo qui?" chiesi, notando che il soggiorno e la cucina erano messi davvero male.
C'era vetro sparso d'appertutto ed era stato lanciato anche qualche vaso.
"Niente di cui non possa occuparmi" mi sorrise "Allora, dove hai dormito questa notte? sai che ho chieso alla mia amica di poterti ospitare a casa sua. quella che ha la figlia della tua età e all'asilo siete anche stati insieme"
"Ho trovato una sistemazione" chiusi così la conversazione. Salii le scale diretto in camera mia. Era così come l'avevo lasciata.
Presi una valigia da sotto il letto e incominciai ad infilarci dentro qualsiasi cosa potesse servirmi.
Quando fui sicuro di averci messo tutto chiusi la valigia e andai al piano di sotto per salutare la mamma.
"Mi fido di te, Justin. E ti lascio qualcosa con cui puoi comprarti da mangiare" mi porse dei soldi che accettai visto che ero digiuno dal giorno precedente. Misi il danaro in tasca, diedi un bacio sulla guancia di mia madre e uscii da casa mia con lo skate sotto braccio.

Scesi dal bus proprio davanti all'ospedale  con la valigia in una mano, e lo skate nell'altra. Varcai l'ngresso di quell'enorme edificio diretto verso l'ascensore. Ci salii e mentre aspettavo che arrivasse il mio piano, mi venne a mente quello che successe con quella ragazza. L'avevo spaventata perchè avevo sbuffato, ma non per il fatto che lei mi stesse osservando ma perchè odio gli ascensori ma continuo ad usarli. L'intelligenza che fa parte di me. Esco dall'ascensore, tirando sempre un sospiro di sollievo e mi dirigo verso la stanza.
Stavo per varcare la soglia quando mi accorsi di lei girata di spalle e l'uomo che mi guardava bianco in volto. Dovevo andarmene.




 
My space.
Sono tornata. Anche se in ritardo.
Ma le recensioni sono scese anche se non erano assai ma mi piaceva 
averne qualcuno in più. 
Allora Entra in scena un nuovo personaggio Jamie ( se cliccate sul nome uscirà una sua gif).
Sarà di fatale importanza in questa storia, non vi dirò il perchè. Posso solo dirvi
che rivoluzionerà il carattere della nostra Lara.
Per quanto riguarda Justin. Parla di 'tutto il male' secondo voi che cos'è?

Eheh...ok, spero recensirete questo capitolo che ho fatto che un pò più lungo lol.
Grazie a chi ha recensito :)

Alla prossima
Much love
Giuls <3

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Capitolo 5
*** Chapter four. ***


Chapter Four.



 
Osservavo le mie carte, esaminandone una ad una cercando di capire quale il nonno avesse scelto. Poggiai una mano sul mento per concentrami basandomi sulle preferenze del nonno. Arrivai alla conclusione che avesse sicuramente scelto una donna, per lui scegliere dei personaggi maschili era considerato come un oltraggio alla sua mascolinità. Quindi, questo gioco finiva sempre con la mia vittoria visto che le donne erano in minoranza rispetto ai personaggi maschili che c'erano sul tabellone di 'Indovina chi'.
"Nonno, è una donna?" alzai lo sguardo sul suo volto.
Fissava un punto impreciso al di fuori della porta alchè mi girai. Non c'era nessuno.
'Starà sicuramente pensando a come mettermi al tappeto' mi dissi tra me e me, non del tutto convinta di quella motivazione che mi ero data alla sua improvvisa assenza dal mondo reale.
Gli sventolai una mano davanti al volto, svegliandolo dal suo momento.
Ma sembrò non preoccuparsi minimamente della nipote che c'era lì al suo fianco.
"E' troppo presto" disse in un modo quasi impercettibile all'orecchio. Ma io ero proprio al suo fianco ed era impossibile non sentirlo.
'E' troppo presto per cosa?', mi domandai assumendo un'espressione corrucciata. Lo guardai in volto, le sue sopracciglie erano accigliate, le labbra messe in una linea dura, sembrava arrabbiato e pensieroso ma non riuscivo davvero a capire per cosa. Quando mi ero girata, al di fuori della stanza non c'era nessuno che gli avesse potuto creare quella reazione così insolita.
Aveva visto forse la luce per passare all'altra vita? motivazione stupida visto che stava ancora respirando.
"Nonno?" lo richiamai, posandogli una mano sulla spalla e scuotendolo leggermente.
Sembrò risvegliarsi, scosse la testa come per riprendersi da quello che era successo e mi dedicò un sorriso.
"Oh Lara, quando sei venuta?" il mio cuore perse un battito. Non ricordava cosa era successo qualche minuto prima,
non ricordava a cosa stavamo giocando e non si ricordava nemmeno che fossi lì da un'ora circa.
Le lacrime minacciavano di uscire, ma non volevo farlo preoccupare ulteriormente così gli dedicai un sorriso rassicurante. Rimisi a posto il gioco, ponendolo nel mobiletto di fronte al suo letto appena sotto la televisione appesa al muro, e gli sorrisi ancora una volta.
"Stavo giusto per andarmene, nonno" gli lasciai un bacio delicato sulla guancia e lo abbracia aspettando che lui ricambiasse, prima di separarmi e uscire da quella stanza di corsa.
Sarei voluta andare dalla mia migliore amica, in quel momento. La mia ex-migliore amica. Non ricordavo precisamente il momento in cui avessimo smesso di frequentarci. Era successo tutto così, all'improvviso. Portai la i miei ricordi a quella sera.


FlashBack.

"Sono così felice di andare a questa mega festa" ero al telefono con la mia amica Charlotte. Quella sera ci sarebbe stata la festa di fine anno scolastico e poi ci saremmo potute dedicare al sole, la spiaggia e ai bei ragazzi.
Mi ero preoccupata tantissimo per cosa mi sarei messa. I ragazzi della scuola dovevano tenere bene a mente la mia immagine di ragazza perfetta, quindi decisi di indossare un mini top che a stento mi ricopriva il seno e uno shorts che fasciava perfettamente il mio fondo schiena. Charlotte parlava tantissimo, non smetteva di raccomandarmi a chi dovevo o no avvicinarmi, era più che altro la sorella che non avevo mai avuto. Sapeva che se alzavo un po' di più il gomito con l'alcol potevo fare delle stronzate assurde per questo tutta la serata non mi mollava e solo lei poteva versarmi da bere perchè non si fidava di nessuno.
Alla festa non mi oppresse, disse che potevo essere libera e poi perchè c'era il ragazzo che le piaceva. Tra tutte quelle persone ne conoscevo si e no la metà e guardando dritto di fronte a me potei osservare la mia amica che parlava animatamente con quel ragazzo.
Vedevo come alzava la voce per sovrastare la musica troppo alta, e mi venne da ridere per tutti i movimenti che faceva. La osservai con attenzione, una bellissima ragazza in carne, una bellissima rossa ma la caratteristica che la rendeva bellissima oltre ai suoi occhi color smeraldo, erano le sue lentiggini sul viso che la facevano sembrare buffa. I miei pensieri furono interrotti da un ragazzo che mi porse un bicchiere. Lo accettai senza nemmeno guardare chi me l'avesse dato. Non l'avessi mai preso quel bicchiere.
Mandai il liquido forte giù per la mia gola secca desiderandone di più. Non ero sotto la protezione di Charlotte e potevo sentirmi libera davvero, bevvi così cinque di quei bicchieri con quel liquido forte supponendo fosse vodka. Da lì non ricordai più niente.
 La mattina seguente  chiamai Charlotte ma  lei non rispose al cellulare. Quando bussai alla porta di casa sua mi disse che avevo esagerato e che ero andata a letto con il ragazzo che le piaceva, rovinando così la nostra amicizia e la mia reputazione a scuola."

 
Ero uscita dall'ospedale e senza rendermene conto ero davanti casa di Charlotte. Volevo bussare ma non potevo. Avrei soltanto peggiorato la situazione. 'Le mancavo come lei mancava a me?' mi chiesi sulla strada verso casa mia. I ricordi erano tanti e anche molto dolorsi.
Tutte le notti mi si ripresentavano le scene di me con quel ragazzo in un letto sconosciuto donandogli così la mia verginità.
Mi ero procurata la solitudine da sola, non c'era via di scampo.
"Ei Lara!" non riconobbi quella voce, pensavo fosse un qualcuno che mi avesse scambiata per un'altra Lara, col cappuccio sulla testa che mi nascondeva metà faccia era quasi impossibile riconoscermi. Ma ciò non permise alla mia curiosità di non voltarmi e di notare il ragazzo dai capelli lunghi e biondi, con la sua aria da prepotende che mi sorrideva in modo malizioso. Roteai gli occhi al cielo, sbuffai e finsi un sorriso.


 
La vidi correre per i corridoi, senza nemmeno accorgersi di star spintonando delle persone per poter passare.
Era successo qualcosa che l'aveva resa triste, era successo qualcosa per farla uscire dalla stanza, per piangere a singhiozzi trattenuti.
Scossi la testa, lasciai le valigie fuori la porta ed entrai. L'uomo era seduto, con le braccia sulle ginocchia e con le mani sorreggeva la testa.
Si accorse di me, alzò la testa e sforzò un sorriso.
"Oh, ciao Justin" poggiò la testa sul cuscino dietro di lui e, con una mano, mi intimò di sedersi sulla sedia al fianco del suo letto.
"Cosa è successo a vostra nipote?" chiesi rompendo il silenzio che si era creato tra di noi. Un silenzio cupo che avrebbe fatto piacere ad entrambi, ma ero davvero interessato al perchè Lara fosse uscita fuori in quel modo.
L'uomo respirò a fondo come distrutto da quello che era successo "Eri fuori la porta, ho dovuto inventarmi una cosa sul momento. Le ho mentito, le ho fatto capire che non mi ricordavo che fosse venuta. Se ti avesse visto...era troppo presto. Devi stare più attento" non capivo del perchè non potessi incontrare sua nipote. Non che io lo volessi.
"Perchè?" mi ritrovai a chiedergli, dando voce ai miei pensieri.
Mi guardò per un attimo e poi rispose "Non è il momento per lei avere altre delusioni" si fermò, prese di nuovo un grosso respiro e parlò di nuovo "forse è meglio se te ne vai"
Anuii senza ribattere anche se il suo comportamento era davvero molto strano. Stavo per uscire dalla porta ma poi mi bloccai pensando al fatto che io non sapessi il suo nome, mi voltai e lui mi dedicò ancora una volta la sua attenzione.
"Io non so il vostro nome"
"Sono George Baker"

Uscii dall'ospedale e l'unica cosa che mi rimaneva da fare era tornare a casa, sistemare le valige e rilassarmi sotto il getto dell'acqua calda. Aspettai che l'autobus arrivasse, farsela a piedi con le valigie era fuori questione.
Ci avrei messo tutto l'inverno per arrivare alla mia nuova abitazione.
Quando l'autobus arrivò, mi apprestai a salirci su e inconsapevolmente puntai lo sguardo agli ultimi posti: erano vuoti. Mi diressi fino agli ultimi posti e mi sedetti sul sedile vicino al grande finestrone. Lì dietro i seggiolini erano più comodi e c'era molto più spazio tra una fila e un'altra. Mentre tastavo la morbidezza del cuscino ricamato in pelle sotto di me, notai una scritta sul dietro del seggiolino di fronte a me. Recava la scritta "Sono sola", e chissà per quale motivo i miei pensieri andarono subito a Lara, ma viste quante persone salivano su quell'autobus poteva essere stato chiunque a scrivere.
Scossi la testa e guardai fuori, notando un ragazzo biondo e una ragazza col cappuccio parlare animatamente. Scossi la testa e sorrisi.


 
My space.

Perdonatemi per l'immenso ritardo, ma con la scuola e lo sport di mezzo
le idee erano fiacche, mica potev mettermi a scrivere di Lubecca e Ambrugo ahah
Allora in questo capitolo ho deciso di metter un Falsh Back che ci fa capire quanto
la nostra Lara sia cambiata a causa del suo 'piccolissimo errore'.
Il nonnino si comporta in maniera strana. Avrà forse un piano per questi due tizi?
Bhe, non lo so nemmeno io ma giuro che ci sto lavorando ahaha
Spero vi sia piaicuto e spero di aggiornare entro domenica prossima 
Grazie per le recensioni, vi ame tanto :)

Alla prossima
Much Love
Giuls



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