Il giardino delle farfalle.

di verdeparigi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** These four walls and me. ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


16 Settembre 2013
Giardino
Vorrei iniziare la lettera con qualcosa di unico, di mio, di nostro, qualcosa mai sentito prima, quelle parole da film romantico che ti rimangono impresse e che i tredicenni pubblicano su facebook sotto una loro foto inutile come le altre cento uguali che si scattano ogni giorno. Qualcosa che ti costringerebbe a tornare da me, almeno con il pensiero, almeno a rispondermi, anche se so che non lo farai, anche se questo è il mio primo e demoralizzante tentativo.
Ma mi manchi.
Non c’è nulla di più patetico, probabilmente. Non c’è nulla di speciale in queste due parole, non è nulla che è uscito dal mio cuore spontaneamente. Cos’è dire “mi manchi”? Un complemento di termine e un predicato verbale, indicativo presente, prima coniugazione, verbo “mancare”. Sono curiose le sfaccettature del verbo “mancare”, non credi? Nel “mi manchi” ci sono due parti: quella del “mi”, quella egoistica, manchi a me, mi manca qualcosa, ne ho bisogno. E quella del “manchi”: non ci sei, non ti trovo, non vuoi essere trovato, sei assente. Messe insieme formano questa cosa tanto banale del “mi manchi”. Eppure mi manchi, ogni giorno di più.
Te ne sei andato senza un perché. Te ne sei andato con un’uscita degna di un film. Abbiamo fatto l’amore quella notte, con il temporale, con il freddo di fine estate, è stata probabilmente la volta più bella. Sentivo che stavi concentrando il tuo amore su di me, su di noi, e io per la prima volta non stavo pensando al piacere, a te, stavo pensando a quello che condividiamo, al perché del nostro “noi”. Faceva così freddo che non mi bastavano le coperte, sai che ho bisogno di te quando sono sola e fredda, mi bastava un tocco per  sentire i brividi dell’amore e non quelli di gelo, e fu questa la causa per cui mi sono svegliata quella notte. A un certo punto, ho sentito freddo come non l’avevo mai provato. Perché non c’eri più. Perché ero nuda, sola e vulnerabile, perché mi hai voluto fare così male da lasciarmi accanto solo il tuo maglione, per  rendermi sempre più dipendente da te, per  torturarmi e per  non dimenticarti, anche se non l’avrei fatto comunque. Ho pianto? Forse. Ho fissato la parete troppo a lungo? Può darsi. Ho urlato? No. Nessuno mi avrebbe sentito. Urlare con tutta la voce che ho in corpo sarebbe servito a farmi sentire solo dal vicinato, ma l’urlo del mio cuore, e della mia anima, quello non l’avrebbe sentito nessuno. Lo stavi aspettando solo tu.
Sai, so che potresti essere offeso del fatto che io non ti abbia cercato per qualche mese, forse hai pensato che sono cambiata, che ho cacciato gli attributi e come ogni altra donna lasciata ho iniziato ad affogare nel “tutti maschi, tutti stronzi”, ma invece volevo cercare me stessa. Io ti amavo, tu mi facevi sentire speciale, ma quella probabilmente non ero affatto io. Una persona non dovrebbe dipendere solo ed esclusivamente da un’altra, non è mica un vegetale, è una persona in carne ed ossa, con un proprio cervello, un cuore, due occhi e così via. Ma sentivo che vicino a te non ero più un essere umano, ero una schiava ipnotizzata dal tuo profumo fresco di pulito, dai tuoi occhi nocciola, dal tuo faccino così enigmatico e dolce, dalla tua voce bassa e tranquillizzante, dalle tue braccia forti, dal tuo cuore grande, dalla tua bocca morbida… E pensavo solo a quello, davanti allo specchio non ho mai pensato “sto bene con questo maglione”, ma “questa è il suo maglione e ci sto così bene”. E non l’ho mai detto, per paura che succedesse quello che sto vivendo ora. Per paura che mi avresti lasciato per liberarmi da te stesso e trovare la vera me, quando non era questo che volevo, ma almeno in quel modo avrei avuto una spiegazione, mentre ora non so nulla. Non so perché tu non sei accanto a me ad aiutarmi. Non so chi sono. Senza di te. Mi manchi. Torna da me e lo capirò, capirò dove ho sbagliato. Capirò perché non mi trovo più, capirò perché te ne sei andato, capirò perché sono così confusa da contraddirmi da sola. Capirò?
Non ti dirò “Ti amo” per concludere, perché dopo un inizio banale ci vuole un finale che compensi questo errore, ma sappi che lo faccio, sappi che ti amo.
E voglio capire perché le farfalle non passano più in questo giardino.
Jade.
Salve! Questa è una mia nuova long, l'idea mi è venuta una mattina fredda in terrazza mentre passavano tante farfalle, ed è una delle solite storie a cui addirittura io devo ancora venire a capo. Questo è il prologo, spero sia abbastanza toccante o interessante da coinvolgervi!
 

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Capitolo 2
*** These four walls and me. ***


These four walls and me.

Si alza. Come ogni mattina, si alza perché se non si alzasse non riuscirebbe a vedere il sole di nuovo, non riuscirebbe a vedere la luce e la speranza, anche dopo tutti quei giorni. Anche se quando si guarda allo specchio vede solo i segni del trucco che distrattamente è ancora lì, buttato giù dal pianto.
Si infila lentamente nella doccia. Come ogni giorno, con l’acqua fredda che le scorre sulla pelle delicata, che tanto, fredda o calda, a lei non fa più differenza.
Va in terrazza. Come ogni giorno, di ogni mese, di ogni stagione. La terrazza dove è cominciato tutto. No, basta pensarla così. Quella terrazza è solo incatenata da un incantesimo, che la porta lì a fare colazione ogni mattina, con 30 gradi o con 0, lei è lì a vedere le farfalle che passano mentre manda giù i bocconi a fatica. Gli unici bocconi che la saziano però sembrano essere quelli amari del piatto della sua tristezza. Ma è la routine.
E poi? La routine, di nuovo e di nuovo ancora. Si alza, si fa forza, fa colazione, sta un’ora a guardare le farfalle e poi? Ah, giusto. Sorride. Proprio così, sorride e inganna se stessa con quel sorriso innocente che nasconde tutte le sue debolezze. Sorride al vicino di casa che la saluta dal terrazzo di fronte, sorride al postino, sorride al suo riflesso nello specchio prima di uscire, sorride a tutti e a tutto. Poi però a fine giornata è di nuovo il momento di tornare a casa, di tornare lì, e realizzare che tutti quei sorrisi non sono serviti assolutamente a nulla, che riuscirà a ingannare tutti ma non se stessa per davvero, che lei non è più viva e non riesce a tornare alla vita, perché lui non è lì a spegnere la luce prima di andare a dormire. Lei è schiava dei sentimenti, della malinconia e dei suoi stessi sbagli. E’ schiava delle quattro mura della sua stanza e delle mura del suo cervello che rischiano di inghiottirla ogni giorno di più. E’ schiava del cuscino bagnato dalle lacrime, su cui il viso di Liam non si poggia da tempo ormai, è schiava dell’addio che non ha mai fatto in tempo a dire. Non ha avuto un momento per dire addio. Sarebbe stato meglio? Nemmeno lei lo sa, ma tutta quella situazione è semplicemente malsana.

“Buongiorno” riecheggiò la sua voce dolce in terrazza. Il freddo di novembre contrastava con il sole splendente di quella mattina. Allo stesso modo, la colazione preparata al meglio sul tavolino laccato di blu contrastava con quello che circondava Jade quella mattina.
Nessun buongiorno.
“Dove sei?”, i piedini scalzi zampettavano sul parquet, perlustrando ogni stanza. ‘Non può essere uscito a quest’ora, non esce mai a quest’ora’ pensò già preoccupata.
Nessuna risposta.
Controllò il cellulare, ma nessun messaggio o chiamata.
Spazientita, confusa e vagamente inquietata si fermò al centro del salotto, con le braccia a penzoloni lungo i fianchi, quasi spaventata dalla parola che stava per pronunciare.
“Liam?” una volta sola. Nessuna ripetizione. Nessun tentativo disperato.
Nessun Liam.
Nessun vestito, nessun cassetto pieno, nessun oggetto, nessuna foto, una scarpa, un profumo o uno spazzolino da denti. Niente.
Fu la prima volta che Jade non pianse per colpa di Liam. Esatto, non. Perché lei piangeva sempre, per sfogarsi o di felicità, non lo trovava nemmeno lei il senso, ma piangeva. E quella volta non pianse.
Statica. Sulla sua sedia in terrazza, a fissare il vuoto. La colazione che andava piano piano a raffreddarsi, così come l’interno del suo cuore, del suo animo e di tutto ciò che aveva dentro.
Liam l’aveva lasciata. Lasciata sola, lasciata lì, abbandonata, senza dire nulla, senza lasciare nulla se non quella stramaledetta felpa blu. Lei non aveva bisogno di quella felpa blu, lei non aveva bisogno di niente. Lei era diventata un tutt’uno con lui, e vedersela da sola non era mai stato così difficile. Le domande arrivavano sempre più numerose e sempre più dirompenti. I perché, i come e i quando si affollavano, si accavallavano per contraddirsi l’uno con l’altro e farle esplodere la testa in un gigante “non lo so!”. Ed era vero, non sapeva, non sapeva come andare avanti. Eppure le sembrava di aver trovato la felicità, le sembrava che durasse e che meritasse di durare. E invece tutte le sue preoccupazioni si erano realizzate, come si era realizzato il pensiero di non meritare tutto ciò che aveva avuto fino a quel momento. Come se tutte le mattine svegliate da un bacio, tutte le colazioni con le maripose bianche che svolazzavano di qua e di là attorno a loro, tutte le sere passate a fare l’amore, tutti gli sguardi e i piccoli gesti, tutto l’amore che le faceva sorridere il cuore, come se tutto questo non le fosse mai appartenuto nonostante le fosse entrato dentro.
E poi arrivò. La farfalla che la distolse da tutti quei dubbi e che le fece sorgere un’unica domanda. Tutte le farfalle si sentono a proprio agio una volta farfalle? E se, dopo una vita passata da bruco, non riuscissero a passare quei due giorni da farfalla come si deve? Anche loro subiscono una metamorfosi, brusca probabilmente. Non deve essere facile per loro chiudersi in un bozzolo caldo, accogliente, un posto dove rimarrebbero per l’eternità perche hanno tutto ciò di cui hanno bisogno, e uscirne sotto una nuova forma, un’identità che non gli appartiene del tutto. Ed è difficile. La metamorfosi, il cambiamento, è tutto difficile. E lei doveva solo imparare a usare le sue nuove ali, a riuscire a bucare il bozzolo in cui era imprigionata e prendere in mano la sua vita, a essere come una di quelle farfalle che pian piano tardavano sempre di più ad arrivare fino a diventare quasi rare.
‘E’ colpa sua’ pensò, ‘lui era la cosa più bella per il bruco che ero io, e anche per le farfalle che sono loro, e senza il fiore più bello, le farfalle devono trovarsi un altro giardino e un’altra destinazione.’ I suoi flussi di coscienza ricorrevano sempre più frequenti, tanto che lei era il suo stesso interlocutore preferito, perché anche se non riceveva risposte, perlomeno era in grado di capire le domande. Si sentiva un po’ stupida, a volte, forse contraddittoria, spesso, e sola, molto, quasi sempre. ‘Ma passerà, mentre imparerò a volare passerà e intanto troverò anch’io un giardino migliore, e se dovesse tornare ricominceremo, se ne sarò all’altezza’.
Intanto, però, la farfallina entrata in casa non era più riuscita a trovare la finestra aperta e ad uscire fuori.

Salve a tutti, questo capitolo mi sembra lunghissimo e cortissimo allo stesso tempo! Ci ho messo molto "di mio" diciamo, per la complessità dei pensieri e dei comportamenti di Jade, ed è stato molto complicato decidere che piega far prendere alla trama, ma diciamo che ci siamo quasi! Spero vi piaccia xx

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