Speed dating

di Giulls
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Vale la pena dare una chance al destino? ***
Capitolo 2: *** Due di picche ***
Capitolo 3: *** La visione di Alice ***
Capitolo 4: *** The end ***



Capitolo 1
*** Vale la pena dare una chance al destino? ***


Speed dating


1) Vale la pena dare una chance al destino?


«Alice, è una follia!» ribadisco per la centounesima volta mentre Alice Brandon, la mia migliore amica sin da quando portavamo il pannolino, parcheggia davanti al ristorante Eclipse.
«Che sarà mai,» sbuffa e spegne il motore della sua Porsche giallo canarino, «è un'occasione per fare qualcosa di diverso, per conoscere gente nuova! Sei sempre la solita brontolona, Bells»
Alzo gli occhi al cielo e maledico il momento in cui ho deciso che le dovevo un favore. L'Eclipse è uno dei ristoranti più in voga di Port Angeles, città che dista qualche chilometro da Forks, il buco più piovoso d'America da dove provengo io, gestito dal mio ex compagno di torte di fango Jacob Black. È un posto fantastico e la cucina è davvero ottima. Adoro andare lì ad abbuffarmi, fosse per me mi ci accamperei tutti i giorni, tranne il giovedì: è da un paio di mesi che per avere una maggiore clientela Jacob ha dato inizio alla serata dello speed dating, nuova arte del rimorchio. Ho sempre detestato questo suo nuovo progetto e non l'ho mai nascosto. Come puoi decidere se una persona è il tuo potenziale nuovo amore in tre miseri minuti? Come so che i minuti sono solo tre? Mi sono documentata, non potevo di certo prendere in giro il mio amico senza sapere di cosa si stesse parlando!
Nonostante le pressioni di Alice, sono sempre riuscita a scampare a questa tortura fino a questa sera. “Ci divertiremo!”, ha sempre esclamato, “È un'occasione nuova per incontrare nuove persone!”, oppure , “Tu non hai idea dei fighi che vengono il giovedì! I tuoi occhi mi ringrazierebbero”.
Lei, ovviamente, ci viene spesso. Dopo il suo flirt estivo con Embry ha deciso di volere una storia seria, sta cercando l'amore… davvero crede che potrà trovarlo qui, in mezzo a uomini che snocciolano belle e false parole solo per riempire un buco?
«Non sono brontolona, semplicemente difendo i miei ideali. Mannaggia a me quando ti ho chiesto di aiutarmi con i cani della signora Meyer»
Mi lancia un sorrisetto divertito prima di uscire dall'auto ed io, sconsolata e rassegnata, la seguo.
Il giovedì sera il mio ristorante preferito si trasforma in qualcosa di totalmente strano: candele accese su ogni tavolo, luci rosse soffuse e l'aria densa di elettricità nonostante manchino più di dieci minuti all'inizio di tutta questa cretinata.
Mi viene da vomitare, per la miseria!
«Non posso crederci! Quando Alice mi ha mandato un messaggio ho temuto che fossi stata posseduta da chissà quale strana creatura, e invece… sei così tu, Bells!» mi sbeffeggia Jake e i suoi occhi non si scollano dai miei neanche per un momento.
«Ah, ah, ah, sei davvero spiritoso, Jacob» rispondo con una smorfia e incrocio le braccia sotto al seno.
«Beh, è strano vedere proprio questa sera la persona che più disprezza questo genere di incontri per allocchi single»
«Detto dall'organizzatore questa cosa mi fa sorridere» lo punzecchio e lui mi sorride dolce.
Jacob ha una specie di cotta per me da anni. È stata Alice a farmelo notare, dicendomi che con me si comportava diversamente: sempre sorridente, sempre disponibile e infinitamente dolce. Ha addirittura cominciato a dire che il sorriso che mi rivolge è diverso da quello che rifila agli altri. Quando mia madre l'ha saputo – la mia migliore amica quando vuole sa essere una rana dalla bocca larga – ha cominciato a dare di matto, diventando ancora più bislacca, e ad ogni telefonata mi ripete sempre che saremmo perfetti insieme. Il problema è che non ce lo vedo nei panni di fidanzato: Jake è… è Jake. È l'amico che da bambini mi faceva soffiare una finta candelina su una finta torta di fango, il ragazzo che mi ha insegnato a fare l'alfabeto coi rutti – sport che fortunatamente ora non pratico più – è un gran bravo ragazzo, si può dire il ragazzo perfetto, ma non per me.
«Cosa ti ha spinto a provare?» domanda.
«La nana al mio fianco,» replico e mi becco una borsettata sulla spalla, «ti prego, dimmi che questa cosa non durerà troppo»
«Sono sicura che ci divertiremo,» si intromette la piccola hobbit e si avvicina ad abbracciare Jake, «come va, ragazzone? Sono secoli che non ci vediamo»
«Tutto bene, Alice, tu? Ti sei divertita a New York?»
«New York durante la settimana della moda è meravigliosa. Ho fatto un po' di shopping e ho una cosina anche per te. Te la porterò uno di questi giorni»
«Grazie,» le dice baciandole la guancia e poi torna a prestarmi attenzione, «volete bere qualcosa nel frattempo?»
«Beh, un Martini io lo prendo volentieri… tu, Bella?»
«Per me una cola, grazie»
Seth, ultimo acquisto dell'Eclipse e nostro nuovo amico, ci raggiunge e ci mostra i nostri posti: il tavolo di Alice sarà il 7, mentre il mio il 16. Non so se essere sollevata o meno per questa lontananza: mi imbarazza sedermi attorno gente completamente sconosciuta, ma allo stesso tempo ne sono entusiasta… la mia migliore amica mi sembra leggermente su di giri e mi spaventa.
«A cosa servono?» domando a Seth non appena mi porge una busta e una penna.
«È una scheda di gradimento, ma ti spiegherà tutto Jacob più tardi,» risponde e ridacchia, «respira, Bells»
Gli faccio un sorriso di circostanza e non appena se ne va sposto lo sguardo verso Alice: non riesce a stare ferma sulla sedia, dire che è in fibrillazione probabilmente è un eufemismo.
«Ali, calmati!» la riprendo e lei mi fa la linguaccia, «Ma tu sei così tutti i giovedì?»
Pian piano la sala si riempe e tutti i tavoli vengono occupati quasi immediatamente: va davvero così tanto di moda lo speed dating? Due ragazze, nei due tavoli di fronte a me, chiacchierano tra di loro: la prima, una morettina, racconta che è qui perché spera di incontrare la sua anima gemella, mentre la seconda, una rossa tutte curve, vuole un amichetto con cui giocare stasera perché “rimorchiare nelle discoteche è così demodé”.
Jake si mette in mezzo alla sala e si schiarisce la voce.
«Buonasera, signore,» ci saluta con un sorriso smagliante e sento la ragazza del tavolo accanto a me sospirare, «e benvenute all'Eclipse. Colgo l'occasione per dare il bentornato ad alcune di voi, riconosco diversi volti, e il benvenuto a chi non è mai venuto, invece,» dice guardando me e alzo gli occhi al cielo, «le regole dello speed dating sono semplici: davanti a voi avete una busta con dentro una scheda di gradimento, una spilla col vostro numero identificativo e, ovviamente, un buono per un drink al nostro bar, usufruibile in qualsiasi momento. Il tutto si svolgerà in un'ora e mezza. Avrete la possibilità di parlare con venticinque dei quaranta ragazzi che si trovano nell'altra stanza. Siete davvero in tante e ho dovuto fare due gruppi. Ogni incontro durerà tre minuti e a tempo ultimato suoneremo una campanella, gli uomini scaleranno di un posto e voi avrete la possibilità di fare una nuova conoscenza. Tra un incontro e l'altro dovrete scrivere sulla vostra scheda di gradimento un “” o un “no” accanto al numero della persona appena conosciuta. Al termine della serata raccoglieremo le schede e verificheremo gli incroci di gradimento. Se l'incontro risulterà positivo, cioè se la persona a cui avete detto di sì ricambierà la vostra scelta, invieremo entro 48 ore i rispettivi indirizzi e-mail, numeri di cellulare e nomi di battesimo,» mentre spiega il suo sorriso non lascia le sue labbra e non appena si interrompe se le umetta con la lingua, facendo così sospirare non solo la ragazza di prima, ma anche molte altre, «questo è tutto, vi auguro una buona serata e un buon divertimento»
Applaudiamo tutte e prima che ci lasci si volta verso di me e mi fa l'occhiolino, al quale rispondo con un sorriso.
Apro la busta, tiro fuori tutto l'occorrente e attacco la spilla al bordo della mia scollatura: sono il numero tredici.
Un brusio alla mia destra mi fa voltare e vedo arrivare gli uomini: dovrebbero avere dai venticinque ai trentacinque anni. Si dividono e si siedono ognuno su una sedia diversa.
«Ciao,» mi saluta il ragazzo che si siede al mio tavolo, «sono Laurent»
«Bella» rispondo accettando la mano che mi ha appena porto e la stringo: ha una presa forte e questo lo apprezzo, detesto quelle strette molli, mi sanno da persona con poca spina dorsale e viscida.
Il tempo per conoscersi è relativamente poco e per questo primo incontro ne sono altamente felice. È un bellissimo uomo, per carità: è alto, dalla camicia che porta noto che il suo fisico è muscolo e ha i capelli corti e di un nero brillante, la sua carnagione è olivastra e gli occhi sono azzurri. Ma è una persona così superficiale! È un modello e per tutto il tempo non ha fatto altro che raccontarmi degli ingaggi che ha avuto e delle sue origini: mamma italiana e papà africano. Di me sono riuscita solamente a dirgli che sono di Forks e poi siamo tornati a parlare di lui, che mi ha raccontato di essere a Port Angeles per un servizio fotografico.
Non appena sento la campanella suonare tiro un sospiro di sollievo, contenta del fatto che questa prima tortura sia finita. Peccato che me ne rimangano altri ventiquattro. Il secondo ragazzo che si siede mi rivolge un sorriso smagliante.
«Ciao, io sono Peter» mi saluta allegro e anche lui mi porge la mano.
«Bella» rispondo ricambiando il gesto.
«Di nome e di fatto» ridacchia.
«Non ti seguo» dico inclinando la testa e corrugo la sopracciglia.
«Bella in italiano è un aggettivo che sta ad indicare una donna particolarmente avvenente,» mi spiega e poi si mette a ridere da solo, «scusami, sono un'amante delle lingue straniere»
«Non scusarti,» replico sorridente, «cosa fai nella vita?» domando e risponde che sta completando la sua tesi di laurea in letteratura e cultura delle lingue straniere a Boston, ma che ora è qui a Port Angeles a trovare la sua gemella e neo mamma Charlotte.
È un ragazzo molto simpatico e buffo, ha i capelli biondissimi e una chioma leonina da poter far concorrenza a Simba.
Dopo Peter incontro Charles, Riley ed Alistair – grazie al cielo ci sono sempre quei tre minuti a disposizione, perché quest'ultimo è un tipo estremamente pessimista e dopo poco tempo passato con lui ho seriamente pensato di gettarmi dalla scogliera di La Push –, ma l'incontro più bizzarro è senza dubbio avvenuto con Jasper Hale.
«Ho conosciuto la tua amica,» mi dice ridacchiando, «è… come dire, molto esuberante»
«Te ne sei accorto subito, eh?»
«Sì, è una persona che si fa subito notare. In trenta secondi mi ha elencato quaranta motivi diversi per non indossare una camicia a righe» mi racconta e non posso fare a meno di non ridere ad alta voce.
«Ne so qualcosa. Ho festeggiato i miei diciotto anni con i miei genitori, lei e i suoi. Cena semplice, abbiamo mangiato una pizza in casa. Beh, quando mi ha vista scendere le scale con jeans e maglietta mi ha spedito in camera a cambiarmi»
Ghigna e scuote la testa.
«Non fatico a crederlo, sai?» ribatte ghignando e inizio a farmi prendere dal senso di colpa.
«Sì, beh… che ne dici di cambiare argomento? Mi sembra di fare una carognata nei suoi confronti! Non voglio parlare male di lei»
«Non preoccuparti, non è una carognata. Alice mi sembra una ragazza molto interessante» risponde e le sue guance leggermente si imporporano, mentre a me si accende una lampadina.
Vorrei chiedergli altro, ma la campanella purtroppo suona e siamo costretti a salutarci. Si alza dalla sedia e prima di scrivere il mio giudizio mi volto verso Alice e scopro che mi sta guardando a sua volta. Controlla che Jasper non sia voltato verso di noi, lo indica e poi alza entrambi i pollici. Questo mi basta per mettere un “no” convinto accanto al suo nome.
La parentesi di Jasper dura troppo poco per risollevare il mio giudizio su questa serata. Non è certamente una cosa che fa per me e giuro che questa sarà la prima e ultima volta che qualcuno mi vedrà in un posto simile.
L'uomo dopo Jasper – Alec, mi pare si chiami – è un totale disastro. È talmente tanto teso da aver parlato senza ragionare: insomma, ha trent'anni, è senza lavoro e vive ancora con i genitori… sicuramente non è una cosa da dire per far colpo su una ragazza. Anche io vivo ancora con mio padre, ma non lo vado a sbandierare in giro.
Suona la campanella e sospiro, cerco Jacob con lo sguardo e lo chiamo.
«Cosa posso fare per te, Bells?» domanda sorridendo.
«Portami qualcosa di estremamente forte. Devo incontrare altre cinque persone e sono sicura di non potercela fare senza un minimo d'alcol nel corpo»
Mi fa un cenno, sparisce dietro al bancone e torna dopo qualche minuto con un intruglio strano. Non ho la minima idea di cosa ci sia dentro, ma è forte. Decisamente quello che mi ci vuole.
La persona che si siede di fronte a me mi guarda con fare spavaldo e inarco il sopracciglio.
«Penso che tutta questa buffonata sia un'emerita stronzata» esordisce senza nemmeno presentarsi, ma ammetto di non potergli dare torto.
«Siamo in due a pensarlo» rispondo e gli sorrido.
«Sì, si vede che sei seccata. Sai, è dall'inizio che ti ho notata e non vedevo l'ora di venire a parlare con te»
«Davvero? Ma che gentile. E come mai?»
«Tu non cerchi l'amore qui dentro,» dice e appoggia i gomiti sul tavolo, «io lo so»
«E cosa cerco, allora?» gli chiedo divertita.
«Una scopata. E ti assicuro che con me saresti pienamente soddisfatta,» risponde e sgrano gli occhi, «ti ho osservata per tutto il tempo e la tua faccia era sempre la stessa. Non ti stai divertendo. Non hai trovato nessuno di interessante. Quello che ti posso offrire io è puro divertimento e sono sicuro che anche tu lo vuoi»
Appoggio anche io i gomiti sul tavolo e mi porto entrambe le mani davanti agli occhi.
«Toglimi una curiosità, ehm…»
«Jared»
«Jared. Con quante ragazze ha funzionato questo?» gli domando agitando la mano, «è vero, ritengo una cosa senza senso lo speed dating, ma allo stesso tempo non sono qui per cercare una scopata e, se anche fosse, tu saresti certamente l'ultima persona alla quale mi rivolgerei. Cerchi divertimento senza impegno? Aspetta qui»
Mi alzo dalla sedia e mi avvicino alla rossa tutta curve di prima, che sta guardando il suo attuale accompagnatore senza il minimo interesse. Nel momento in cui si rende conto che le sto accanto lo ignora definitivamente e mi rivolge la parola.
«Hai bisogno di qualcosa?»
«Sì, potresti venire con me un momento?» le chiedo e le porgo la mano, che lei accetta senza esitazione… credo accetterebbe qualunque cosa pur di non essere lì con quel povero ragazzo, «Scusaci un secondo» mi rivolgo a lui e torniamo al mio tavolo.
«Jared cerca una scopata e tu un amante, giusto? Sono sicura che farete scintille voi due. Che ne dici scambiarci i posti? Poi tu prosegui col mio gruppo ed io col tuo» propongo alla ragazza e lei sorride a Jared.
«Con immenso piacere,» risponde e si siede a quello che prima era il mio posto, «ciao, sono Victoria» si presenta ed io prendo il suo posto.
«Eccoci qui,» dico sedendomi e sorrido al ragazzo che ho di fronte, che mi guarda leggermente sollevato, «ciao, sono Bella»
«Sam Uley» risponde e ci stringiamo la mano.
«Scusate,» si intromette Jacob e mi guarda, «Bella, cosa stai facendo?»
«Faccio amicizia con Sam, non vedi?» ribatto guardando prima il mio amico e subito dopo il mio momentaneo accompagnatore.
«Non è nel regolamento cambiare gruppo» mi spiega, ma lo blocco con un cenno della mano.
«Jake, altri due secondi con quel tizio e giuro che lo avrei strangolato. Fidati, non scherzo su queste cose. Sono la figlia dello sceriffo»
Il mio amico non è molto convinto, ma non aggiunge altro e si allontana. Intavolo una breve conversazione con questo Sam e devo ammettere che è un ragazzo davvero interessante: ha trenta anni e insegna chimica all'università di Seattle. Non ho intenzione di rivederlo ancora, così come nessun altro per principio, ma è di piacevole compagnia.
Allo scadere del tempo stabilito Sam si alza dalla sedia e mi porge ancora la mano.
«È stato davvero un piacere conoscerti, Bella»
Il ragazzo dopo Sam, Eric Yorkie, è uno spasso. Appena si siede mi fissa intensamente negli occhi.
«Voglio essere onesto con te, occhi belli,» dice e congiunge le mani, «sono qui solo perché mia madre spera che rinsavisca e le porti a casa una bella ragazza, ma io sono al 100% gay»
Rimango sorpresa dalla sua sincerità, ma gli sorrido.
«Voglio essere onesta anche io, Eric,» confermo e indico la scheda di gradimento, «indipendentemente da come sei avrei scritto no accanto al tuo nome, come ho fatto con tutti gli altri»
«Sei lesbica?» mi chiede e scoppio a ridere.
«No, ma sono stata trascinata qui e questa è la mia forma di protesta»
«Una Lady Godiva del 2012,» afferma e annuisce, «mi piace. Potremmo diventare amici, se ti va. Dove abiti?»
«A Forks» rispondo divertita, ma lui storce il naso.
«A Forks ci abita un mio vecchio amante e non ho intenzione di metterci più piede»
«Posso sapere chi, se non sono troppo indiscreta?» domando curiosa e lui, dopo essersi guardato attorno, si avvicina e mi fa segno di avvicinarmi a lui.
«Mike Newton»
«No!» urlo allontanandomi e improvvisamente tutta la sala si zittisce, «uhm… scusate» mi rivolgo sorridendo imbarazzata e, con ancora tutti gli occhi puntati su di me, torno a prestare attenzione ad Eric. Non posso credere che il ragazzo con cui stavo per perdere la verginità sia in realtà omosessuale.
«È durata quattro mesi,» mi spiega con fare pettegolo, «ma poi l'ho mollato io. Mi aveva detto di non essere sicuro, perché c'era anche una ragazza che forse gli interessava. Voglio un gay convinto, non un bisessuale»
La campanella suona poco dopo, ci stringiamo la mano e se ne va. Mi volto per vedere l'orologio alle mie spalle: sono le dieci e cinquantasette: ancora poco e questa tortura finirà.
«Hai tre minuti da dedicarmi o hai fatto il pieno?» domanda una voce e mi volto non dopo aver inspirato ed espirato rumorosamente.
Ero convinta di essere pronta a tutto, ma non appena vedo la persona che mi sta davanti devo ricredermi: credo sia il ragazzo più bello che io abbia mai visto in vita mia. È alto – accidenti se lo è! – con un fisico slanciato e muscoloso, ma non massiccio. Ha un viso bellissimo, due labbra né sottili, né carnose e gli occhi verdi. I suoi capelli sono una zazzera scompigliata rossiccia. È estremamente attraente e non posso fare a meno di osservarlo sconvolta, con tatto di bocca spalancata. Dio, spero di non avere la bava che scende di lato. Non solo è bellissimo, ma quando mi sorride il mio cuore cessa pure di battere: il suo sorriso asimmetrico – sghembo – è così bello da dover essere considerato illegale.
Non so quanto tempo passa, ma quando alza un sopracciglio mi riprendo e lo invito a sedersi.
«Sono Isabella Swan, ma chiamami Bella» mi presento.
«Edward Cullen, ma chiamami Edward,» risponde divertito e ci stringiamo la mano, «cosa ti porta ad uno speed dating, Bella? Non mi sembri il tipo di ragazza che ha bisogno di frequentare questi posti»
«Potrei farti la stessa domanda, Edward» gli faccio notare e mi regala ancora quel sorriso da batticuore.
«Touche,» dice e si passa una mano tra i capelli, gesto assolutamente illegale se fatto da lui che mi rapisce, «a dire il vero sono qui per fare un piacere a mi cugino» mi spiega e indica un ragazzo dietro di me. Mi volto: Jasper.
«Jasper?» domando e lui annuisce.
«L'hai conosciuto?»
«Sì, è un ragazzo molto simpatico. Ha fatto una buona impressione alla mia amica, alias la causa della mia presenza qui» spiego e mi sorride.
«Sono contento che ti abbia convinto a venire,» dice e cado nello sconforto: anche lui, come tutti gli altri, ci vuole provare subito, «non mi sembra corretto che solo io debba essere trascinato da un pazzo. È la mia prima esperienza e sono certo sarà anche l'ultima. Non sono un amante di queste cose» aggiunge muovendo le mani per indicare la situazione e sorrido.
Forse è una tattica o forse no, ma io apprezzo lo stesso.
«Mi sento tanto una bambina capricciosa,» ammetto sorridendo, «mi sono lasciata trascinare dalla mia amica, ma per ripicca ho deciso di mettere “no” accanto al nome di tutti»
«Sul serio? Anche io!»
«Non ci credo» rispondo incrociando le braccia sotto al seno e lui prende in mano il suo foglio.
«Ah no? Controlla tu stessa» mi sfida e sbircio il suo foglio: accanto ad ogni nome femminile leggo chiaramente un “no” scritto in maniera maledettamente elegante.
«Devo chiederti scusa, allora. Ero convinta fosse una balorda tattica per rimorchiarmi»
«Sì, beh, forse anche io al tuo posto avrei pensato la stessa identica cosa»
«Sei della zona?» chiedo per non restare in silenzio per questi ultimi minuti, ma anche perché mi interessa sul serio.
«Sono di Seattle. Tu?»
«Forks. Non penso tu la conosca…»
«Forks, la città più piovosa d'America,» recita e sgrano gli occhi, «ci sono stato diverse volte da bambino. È davvero… »
«Un mortorio» termino per lui e ci mettiamo a ridere.
«Volevo dirlo in un modo più carino, ma mi hai decisamente cavato le parole di bocca» risponde e non posso fare a meno di chiedergli come mai la conosce… e di chiedermi perché non l'avessi mai notato prima, «i miei nonni ci abitavano. Quando mio nonno è morto, mamma ha voluto che la nonna si spostasse a Seattle con noi. Mia nonna si chiama Elizabeth Masen, non so se la conosci»
Forks è davvero piccola, ma purtroppo sono costretta a negare.
«Sono andata via da Forks che ero ancora una bambina e ci sono tornata quando avevo sedici anni. Non la conosco, purtroppo» ammetto.
«Se non sono troppo indiscreto posso chiederti come…» Edward non finisce la frase perché la campanella suona e Jacob si avvicina.
«Il tempo a vostra disposizione è scaduto. Vi ringrazio di essere stati qui con noi questa sera. Spero di vedervi ancora se vi siete divertiti e se non avete trovato l'anima gemella, in caso contrario siamo felici di essere diventati dei potenziali cupido. Buonanotte!»
Sposto l'attenzione da Jacob e becco Edward fissarmi intensamente.
«Beh, è stato un piacere chiacchierare con te, Bella,» mi dice stringendomi la mano e mi sorride, «grazie per avermi tenuto compagnia per questi ultimi minuti»
«Il piacere è stato tutto mio, Edward,» replico e gli sorrido, «beh, ti auguro buona fortuna, e… a mai più rivederci, giusto?»
«Giusto» afferma sicuro.
«Prima di andare via vi ricordo di riconsegnare le vostre schede e le spille» informa Jacob e torno prestare attenzione agli ultimi tre numeri senza responso. Ero troppo impegnata a deprimermi per la serata per pensare di scrivere qualcosa.
Numero 30: no
Numero 17:
no
Numero 24. L'ultimo ragazzo che ho incontrato, Edward. È stata una bella chiacchierata e con lui sono stata bene, ma entrambi abbiamo messo in chiaro le cose, no? Mi rendo conto che dovrei rimanere fedele alle mie idee, eppure non riesco a non pensare che vorrei avere un'altra occasione per parlare ancora.
«Bella, ci sei?» mi chiede Alice vicina al mio tavolo con un sorriso a trentadue denti e le sorrido di rimando.
«Sì, ho appena finito di compilare la scheda» rispondo e posando la penna e rimetto tutto nella busta.
Voglio darmi una chance, chissà.


Numero 24: sì





Angolo autrice

Salve a tutte!
Dopo un anno e mezzo mi sono decisa a postare questa storia. È una mini-ff, sarà composta da quattro capitoli. Ieri mi è venuto un lampo di ispirazione, quindi l'ho già scritta tutta e non vi farò penare facendomi leggere i capitoli a distanza di mesi. Questo è il mio primo tentativo di mini fan fiction, di solito o scrivo delle OS, o delle long ff estremamente long.
Mi auguro che la storia vi piaccia e di riuscire a strapparvi una risata di tanto in tanto.
Baci e al prossimo fine settimana


Giulls


I personaggi sono di proprietà di Stephanie Meyer, scrivo senza scopo di lucro e ogni riferimento a persone e situazioni è puramente casuale e frutto della mia fantasia.

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Capitolo 2
*** Due di picche ***


Speed dating

2) Due di picche

A fine serata trascino Alice al bancone del bar dell'Eclipse per chiacchierare del più e del meno, diciamo che ogni scusa è buona per bere qualcosa e mangiare gratis, e poco dopo veniamo raggiunte da Jake, che ci cinge le spalle con le sue braccia.
«Allora, mie giovani amiche, vi siete divertite?»
«Sì, come sempre!» esclama la piccola nana al mio fianco battendo le mani entusiasta, mentre io gli do una spallata.
«Senza offesa, ma sta pur certo che non mi vedrai mai più qui dentro il giovedì sera»
Jacob sghignazza e mi bacia la fronte.
«Sei una rompiballe,» replica Alice, «io mi sono divertita e anche tu! Ti ho vista farti diverse risate… e mi sei sembrata molto in sintonia anche con l'ultimo ragazzo che hai incontrato» aggiunge con malizia.
«Ma cosa dici, Alice!» esclamo diventando rossa come un peperone e scuoto la testa, «Devi aver visto male»
«Mh, mh, certo,» dice inarcando le sopracciglia e posa il bicchiere di Martini sul tavolo, «mi sono immaginata tutto. È ora di andare. Ciao, Jacob»
«Buonanotte» saluto alzando la mano.
Usciamo dal ristorante e la fredda aria autunnale si fa subito sentire. Chiudo la giacca per non prendere freddo al collo e allungo il passo per raggiungere Alice, che sta camminando spedita verso la sua Porsche. Tolto l'allarme apriamo le portiere, ci sediamo e ci immettiamo nel traffico praticamente inesistente di Port Angeles, tutto questo in rigoroso silenzio.
«Bella?»
«Sì?»
«Posso chiederti una cosa?» domanda titubante.
«Alice Brandon che si fa degli scrupoli a chiedermi le cose? Chi sei tu e che ne hai fatto della mia migliore amica?» ribatto prendendola in giro e lei alza gli occhi al cielo.
«Ti ho vista ridere molto con Jasper. Ecco, mi stavo chiedendo… di cosa avete parlato?» chiede schiarendosi la voce e la guardo con tenerezza.
«Praticamente sempre di te» rispondo e il suo sorriso si allarga.
«Dici sul serio? Credi che gli abbia fatto una buona impressione?»
«Di sicuro non sei una che si dimentica facilmente. Ma davvero gli hai elencato quaranta motivi per non indossare una camicia a righe?»
«Ma l'avrei detto a chiunque! Gli uomini dovrebbero indossare solo camicie in tinta unita, li rende più… sexy. Ma abbiamo anche parlato di altro, giuro»
«Sì, non fatico a crederci,» replico ridendo, «ad ogni modo credo che tu gli sia piaciuta… e molto, anche»
La osservo con la coda dell'occhio e la vedo sorridere entusiasta.
«Spero che anche lui abbia scritto accanto al mio numero»
«Sono certa che l'abbia fatto, solo uno sciocco non vorrebbe rivederti,» la rassicuro e decido di sganciare la bomba, «sai… anche io ho messo un »
«CHE COSA?!?!» urla inchiodando e per poco – davvero poco – non facciamo un incidente.
«Alice, resta concentrata! E che cavolo, non voglio morire!» la rimprovero e mi porto una mano al cuore.
«Mi hai fatto blaterare fino ad ora per… argh! Ti conviene parlare, Isabella Marie Swan» mi minaccia puntandomi il dito contro il mio occhio.
«Si chiama Edward Cullen ed è il cugino di Jasper. E per la cronaca… sì, sto parlando dell'ultimo ragazzo che ho incontrato»
«Non puoi capire la mia felicità in questo momento! Penso che mi metterò a piangere»
«Ma fai sul serio?» replico accigliata.
Agita la mano, poi la riporta sul volante.
«Quindi ammetti di esserti divertita»
«Neanche sotto tortura» nego scuotendo il capo.
Per qualche minuto nessuna delle due apre bocca, l'unico rumore all'interno dell'abitacolo è la radio. Ad un certo punto, quando dalla stazione radiofonica che stiamo ascoltando stanno trasmettendo le notizie di cronaca, Alice si mette a canticchiare qualcosa.
«… e tu sai perché, ragione non c'è. Io guardo all'insù il cielo grigio e blu, metto aria nei polmoni, ti guardo nei tuoi occhioni e ti dico cheeeeeeeeeee,» OH, NO. Non lo sta facendo davvero, «te l'avevo detto, te l'avevo detto, te l'avevo detto, detto sì. Alice ha ragione, su questo non puoi farmi cambiare opinione, te l'avevo detto, te l'avevo detto. Fooooooorza Alice!» canta quella stupida canzoncina che avevamo inventato a otto anni e che reciprocamente ci cantavamo – e lo facciamo tutt'ora – quando una delle due aveva ragione.
«Alice, sei assurda!» replico imbronciandomi.
Odio quando è lei a cantarla, preferisco di gran lunga farlo io. Basta scambiare i nomi e il gioco è fatto.
«Ora che ne dici di raccontarmi di questo Edward Cullen?» mi chiede
«Te lo puoi anche scordare» rispondo stizzita.
«E dai, ti prego!»
«No»
La mia reticenza dura esattamente undici secondi, dopodiché mi ritrovo a raccontarle per filo e per segno il nostro incontro. Mi sorbisco la canzoncina del “te l'avevo detto” un altro paio di volte finché non si stufa da sola, poi comincia a straparlare su una futura cena a quattro tra lei, Jasper, Edward e me ed io, da buona amica quale sono, l'assecondo. Bisogna sempre dare ragione ai matti.
Si ferma davanti al vialetto di casa mia e dopo avermi dato la buonanotte sgomma via per tornare a casa. Aspetto che la sua Porsche color canarino Tweety abbia svoltato l'angolo per togliere quei maledetti trampoli infernali che mi ha obbligato ad indossare. Infilo la chiave nella toppa ed entro in casa convinta di non trovare nessuno, ma l'audio della televisione mi fa chiaramente capire che mi sto sbagliando. Raggiunta la sala sorrido intenerita di fronte alla scena che mi trovo davanti: Charlie e Sue, la sua compagna, dormono sul divano. Li copro con la coperta di pile e mi volto per salire in camera mia.
«Bells» mi chiama Charlie prendendomi per il braccio.
«Ciao, papà»
«Sei già a casa? Ma che ore sono? Come è andata l'uscita con Alice?» domanda sussurrando per non svegliare Sue.
«Pensavo peggio,» ammetto e sorrido nel ripensare agli ultimi minuti trascorsi con Edward, «ora vado a letto, ci vediamo domani mattina»
«Certo, Bells, buonanotte» risponde e mi avvio in camera.



***



Nonostante la crisi degli ultimi mesi, trascorro gli ultimi tre giorni sommersa di lavoro: venerdì c'è stata la cerimonia di Bar mitzvah di Bradley, il figlio dei miei vicini di casa Siobhan e Liam, sabato il rinnovamento dei voti dei signori Stanley e domenica il matrimonio della mia amica Angela Weber e Ben Chaney. Oggi è lunedì e sto riguardando gli scatti di questi tre eventi. Credo sia la prima volta in cui posso ritenermi pienamente soddisfatta. Essere l'unica fotografa di Forks ha i suoi vantaggi: mi conoscono tutti e i miei prezzi non sono troppo alti, così evito la concorrenza con i professionisti di Port Angeles.
Terminato il liceo papà voleva che andassi a Yale, Princeton o Harvard, ma io ho sempre avuto un sogno preciso: diventare una fotografa. Charlie non era entusiasta per niente all'inizio, perché ha sempre considerato la fotografia come un hobby ed era restio a farmi “sprecare” così la mia vita. Per ottenere quello che volevo dovuto tirargli un colpo basso, ossia coinvolgere mia madre: Charlie si è beccato una strigliata coi fiocchi ed io ho avuto il consenso da entrambi per proseguire col mio sogno. Ho ottenuto una borsa di studio per la NESOP, la New England School of Photography, e mi sono trasferita a Boston finché non ho terminato gli studi, dopodiché sono ritornata a casa. Con la mia parte dell'eredità di nonna Marie ho aperto il mio studio fotografico qui in città. All'inizio avevo in programma di raggiungere la mia migliore amica a New York, ma quando Charlie è rimasto ferito in una sparatoria ho dovuto cambiare i miei programmi. Ora sono trascorsi degli anni e lui sta bene, ha una compagna e ha finalmente detto addio ai cibi spazzatura, mentre io sto racimolando più soldi che posso per realizzare il mio sogno. All'inizio temevo che aprire il mio studio qui fosse uno sbaglio, ma così non è stato: ho realizzato tantissimi book fotografici per ragazze di provincia aspiranti modelle e sono stata assunta per quasi tutti gli eventi di Forks, per non parlare di compleanni, matrimoni, comunioni, battesimi e via dicendo.
La mia migliore amica, invece, ha avuto più fortuna di me: dopo il liceo ha iniziato a lavorare come modella, ma ben presto ha abbandonato quel campo per poter fare la stilista. Ha conosciuto la gente giusta, ha mostrato le sue creazioni a dir poco favolose e sta avviando la sua prima linea d'abbigliamento. Vive a New York da diversi anni, ma da qualche mese è tornata a Forks perché cerca ispirazione.
Ho finalmente scelto le foto migliori per il book di Tanya Denali e mentre la mia fedele stampante fa il suo lavoro, decido di controllare la mia mail personale. È da quella stramaledetta sera che non faccio altro che guardarla, da quando mi sono messa in gioco e ho deciso che sarebbe stato carino dare una chance a Edward. Sono trascorse più di settantadue ore e ancora niente. Sono quasi sicura che nemmeno oggi sarà diverso e non dovrei rimanerci male perché in fin dei conti era stato molto chiaro sull'argomento, ma è difficile.
Accidenti se lo è!
Do le mie credenziali e quando entro dentro la mia casella di posta elettronica metto il broncio. Ci sono tre mail: due di mia madre e una di spam. Rispondo a Renée, elimino l'altra e infine spengo il computer sconsolata e allo stesso tempo arrabbiata. Mi ero data una possibilità, mi ero detta “diamo una chance al destino, mettiamo un fottuto accanto al suo numero”, e invece con cosa mi ritrovo in mano? Con un bel niente. Per di più la mia autostima ne è uscita devastata.
Maledetto speed dating!
Afferro il telefono e inizio a pigiare con forza sulla tastiera.
«Ristorante Eclipse, buongiorno» risponde Seth.
«Seth, sono Bella»
«Bells!» esclama lui pimpante, «qual buon vento ti porta a comporre questo numero? Vuoi un tavolo per stasera?»
«No,» replico. Mi mordo il labbro inferiore, sto cominciando a pensare che sia stata una pessima idea telefonare, «ecco, m-mi stavo chiedendo u-una cosa…» comincio a balbettare e le mani stanno iniziando a sudare, «riguardo lo speed dating dell'altra sera…»
«Bells, non hai idea di quanto tu abbia fatto colpo! Ho controllato tutte le schede di persona e solo per questo meriterei un aumento!» mi interrompe e si mette a ridere, «quasi tutti quelli che hai conosciuto hanno messo “sì” accanto al tuo nome. Non era mai successa una cosa del genere»
«Ecco, a proposito di questo. Dovrei chiederti una cosa, ma non quanto sia corretto,» comincio a parlare e infilo una mano tra i capelli per torturarli, «volevo sapere cosa avesse messo Edward, il ragazzo col numero 24. Io ero il 13» dico con un sussurro.
Seth, dall'altro lato del telefono, ride.
«In teoria no, non è possibile farlo, ma visto il nostro forte legame farò un'eccezione,» risponde e sospiro sollevata, «lasciami controllare un attimo,» aggiunge e per diversi minuti non dice più niente, sento solo il rumore delle dita che sbattono sulla tastiera, «mi dispiace, Bells, ma accanto al tuo nome c'è un “no”»
Cosa?!?
«Ah. O-okay, grazie. Ci vediamo, Seth»
«Ciao, Bells»
Spingo il pulsante rosso e per qualche attimo fisso il vuoto davanti a me. Okay che erano questi gli accordi, ma speravo in un qualcosa di diverso. C'era sintonia e anche attrazione tra di noi, sono davvero stata solamente io ad accorgermene?
«Questo è ridicolo!» sbotto ad alta voce e scendo dallo sgabello con poca grazia, «Era uno stupido speed dating, come posso esserci rimasta così male? Quel tizio è un estraneo ed io mi lascio sconvolgere così per averlo incontrato per tre miseri minuti? Devo essere impazzita totalmente. Svegliati, Bella! È uno sconosciuto che hai incontrato in una serata che tu reputi altamente stupida»

Mi infilo il giubbotto, prendo la borsa e dopo aver chiuso a chiave la porta del mio negozietto mi incammino verso la tavola calda dove ci lavora Jessica Stanley, una mia ex compagna del liceo.
Tanto per cambiare il tempo fa schifo, ma è talmente tanto vicino a dove lavoro io che è stupido andarci col pick-up. Alzo il cappuccio e passa la paura.
Vaffanculo a Edward Cullen e a quello stupido speed dating, io ci sto bene nella mia solitudine!





Angolo autrice


Buon sabato, ragazze!
Vi adoro, non avrei mai creduto che questa storia potesse riscontrare un successo del genere… e invece mi sono dovuta ricredere! Ringrazio tutte le lettrici che hanno commentato, quelle silenziose e chi ha messo la storia tra le preferite/seguite/ricordate. Sembra stupido, ma mi avete reso davvero felice!
Spero che il capitolo vi sia piaciuto… siete rimaste deluse per la risposta di Edward?
A sabato prossimo. Baci,


Giulls

P.S. Chiedo scusa per eventuali errori grammaticali. Purtroppo oggi è una gionata piena e non sono riuscita a riguardare il capitolo!


I personaggi sono di proprietà di Stephanie Meyer, scrivo senza scopo di lucro e ogni riferimento a persone e situazioni è puramente casuale e frutto della mia fantasia.

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Capitolo 3
*** La visione di Alice ***


3) La visione di Alice


In genere camminare sotto la pioggia è una cosa che mi rilassa, così come stare in mezzo alle persone. In questo momento, invece, pagherei oro per avere un ombrello con me e quando prima il reverendo Weber mi ha salutata gli ho praticamente abbaiato contro.
Cosa avevo detto? Sto bene nella mia solitudine?
Balle.
Perché diavolo non ha scritto “sì” accanto al mio numero? Va bene che è il ragazzo più bello del mondo e probabilmente potrebbe trovarsi donne altrettanto belle quanto lui, ma io non sono proprio da buttare! E l'alchimia tra noi c'era, questo è sicuro.
Giuro, non vedo l'ora di entrare nella tavola calda, sedermi al mio solito posto e ingurgitare le mille calorie del mio cheeseburger e patatine. E se qualcuno osa interrompere il mio pranzo lo uccido! E se dovesse essere un uomo lo eviro.
Raggiungo il locale e dalle vetrate noto con gioia che il mio tavolino è libero. Apro la porta e la campanella sopra di essa comincia a suonare. Abbasso il cappuccio e non faccio in tempo a salutare Jessica che questa mi sta guardando e indicando.
«Ecco, è lei!» esclama ad un tizio di fronte a lei.
Lo sconosciuto in questione si volta e mi scontro con due occhi verdi brillanti. Occhi che ho visto una volta sola, ma che riconoscerei dovunque. Ma che diamine…?
«Edward?» lo chiamo estremamente sorpresa e lui mi sorride.
Per un po' nessuno dei due dice più niente, ci limitiamo a fissarci come due cretini al centro della tavola calda. La risata di Jessica mi riporta alla realtà e la saluto.
«Ciao, Jess, come va? Quando vedi i tuoi genitori puoi dire loro di venire a prendere le foto» le dico cercando di risultare il più normale possibile.
«Certo. Solito tavolo?» domanda e annuisco prima di tornare a guardare Edward, che non ha fatto altro che tenere lo sguardo puntato su di me.
«Ti va di farmi compagnia per pranzo?» gli chiedo speranzosa.
Che fine ha fatto la Bella incazzosa di pochi secondi fa?
«Molto volentieri» risponde e andiamo a sederci.
Jessica ci porge il menù e prima di andare via mi lancia uno sguardo della serie “prima di andare via mi devi raccontare tutto”. Che persona impicciona.
Siamo soli, ma nessuno dei due è intenzionato a parlare per primo: io ho un sacco di cose da chiedergli, ma sono così sorpresa di averlo qui davanti ai miei occhi da essere quasi certa di star sognando. Mi do un pizzicotto, ma doso male la forza e mi faccio più male del previsto. Faccio una piccola smorfia di dolore.
«Va tutto bene?» mi chiede aggrottando le sopracciglia.
«S-sì, tutto benissimo» rispondo fingendomi calma.
Fantastico, ora penserà che sono pazza.
Il silenzio scende di nuovo su di noi. È decisamente imbarazzante.
Mi schiarisco la gola e mi umetto le labbra.
«Allora…» parliamo contemporaneamente.
«Prima tu» lo incito e lui sorride.
«Questa città è piccola, ma ho temuto di non riuscire a trovarti» ammette imbarazzato.
«Tu… volevi rivedermi?» gli chiedo sbigottita.
«Sì, certo. Ho passato giusto tre minuti con te che mi hanno decisamente risollevato la serata e anche se ci eravamo salutati con l'intento di non vederci più, ho pensato che magari se ti avessi incontrata per caso un caffè me lo avresti concesso. Sai come si dice: il primo incontro è per caso, il secondo è destino…»
Sto sorridendo come una scema, me ne rendo conto da sola e sono certa che l'abbia notato sia Edward che Jessica, che è tornata per chiedere le nostre ordinazioni e mi sta lanciando degli sguardi divertiti.
«Io prendo il solito, Jess» le dico dopo essermi schiarita la voce e la guardo senza voltarmi verso il mio accompagnatore.
«Cheeseburger con patatine e una cola» replica lui consegnandole i menù.
«Due soliti, strano» commenta lei sghignazzando prima di lasciarci soli.
Perché deve prendermi in giro in questo modo? Prima o poi la ucciderò.
Tra di noi scende di nuovo il silenzio. È incredibile come entrambi vogliamo dire qualcosa, ma nessuno dei due ha le palle per farlo. Mi sembra di essere tornata indietro nel tempo, all'adolescente imbranata che ero. Ci portano l'acqua e ringrazio con un sorriso. Edward me ne versa un po' nel bicchiere e poi fa lo stesso con il suo.
«Perché volevi rivedermi?» gli domando ad un certo punto.
«Perché con te sono stato davvero bene, sei una persona simpatica e anche molto carina»
«E allora perché hai messo “no” accanto al mio numero?»
«Perché sei stata chiara fin da subito,» replica, «perché hai detto che non avresti mai scritto un “sì”, perché tu stessa hai detto che lo speed dating è una cosa stupida,» arriccia le labbra e assottiglia lo sguardo, «ma tu come fai a sapere che ho messo “no”?» mi chiede.
«Perché io accanto al tuo numero ho scritto “sì”»
«Che cosa?» sussurro.
«L'altra sera, accanto al tuo numero sulla scheda… io avevo scritto “sì”» ripeto alzando un po' più la voce.
Sgrana gli occhi e serra le labbra.
Dio, mi sento così cretina!
«Sono un imbecille,» dice passandosi una mano tra i capelli, «un completo imbecille! Mi bastava solamente seguire l'istinto anziché cercare di ragionare e cercare di entrare nella mente di una donna come spesso mia sorella Rosalie mi ha consigliato di fare. Mi bastava solamente scrivere un dannato “sì” e mi sarei risparmiato tutto questo tempo di ricerca… sono stato uno stupido!» esclama e sorrido intenerita, «Di te sapevo solo il nome e che eri di Forks. Sono stato per tre giorni a cercarti su google, ma senza risultato…»
«Mi hai googlata?» lo interrompo divertita.
«Sì. Ho aspettato di avere la giornata libera al lavoro per venirti a cercare. Poi mi sono fermato qui per mangiare e chiedere direttamente di te e… ti ho trovata»
«Sono felice che tu l'abbia fatto» rispondo senza pensare e arrossisco non appena mi rendo conto di cosa ho detto.
Il suo sorriso si amplia e tra un boccone e l'altro sciogliamo completamente il ghiaccio e approfondiamo la nostra conoscenza: è più grande di me di tre anni, ne ha 28, e dopo essersi laureato col massimo dei voti alla facoltà di medicina di Yale ha cominciato a lavorare nello stesso ospedale dove suo padre è il primario. È un pediatra, condivide l'appartamento col suo migliore amico e quasi cognato Emmett ed è allergico al pelo dei gatti. Restiamo a chiacchierare fino alle tre del pomeriggio, orario in cui sono costretta a tornare a lavorare.
«Edward, devi tornare a Seattle ora?» gli domando una volta fuori dalla tavola calda, dopo averlo ringraziato per avermi offerto il pranzo.
«A dire il vero speravo di restare e offrirti anche la cena» risponde sorridendo e lo imito.
«Non ho impegni per questa sera, mi piacerebbe molto,» replico e mi mordo il labbro inferiore, «solo che io ora devo tornare a lavorare… se non hai niente da fare ti va di venire a farmi compagnia?»
Sorride entusiasta e accetto il passaggio, seppur per pochi metri, fino al mio studio.
«È tuo quello?» domanda indicando il mio pick-up con una smorfia.
«Bada a quello che dici!» esclamo assottigliando lo sguardo, «Quello lo guido da quando ho sedici anni e non mi ha mai abbandonato»
Edward alza le mani e si mette a ridere.
«Ehi, non volevo mica offenderlo! Sono solo preoccupato del fatto che non sia… sicuro»
«Beh, lo è,» replico leggermente indispettita, «e non ho intenzione di separarmene finché non esalerà il suo ultimo respiro»
Apro la porta dello studio e lo invito ad entrare.
«È molto accogliente qui, mi piace» mi dice sorridendo.
«Grazie,» rispondo, «volevo evitare che avesse lo stesso stampo degli altri studi dei fotografi, volevo che fosse più… mio» spiego imbarazzata.
Gli faccio appoggiare il suo giubbotto – cosa che, molto galantemente, fa anche col mio – sull'appendiabiti e nota il mio muro di fotografie.
«Questi due non sono i ragazzi del ristorante?» domanda indicando la foto dove abbraccio Seth e quella dove sono accanto a Jacob.
«Sì, sono loro,» spiego, «ci conosciamo da quando siamo bambini e Seth, questo qui», dico indicandolo, «è quasi il mio fratellastro»
«Che vuol dire?»
«I nostri genitori si frequentano»
«Per questo te ne sei andata via da Forks?»
«Te ne ricordi ancora?» domando sbigottita e lui annuisce.
«Quella sera, prima che Jacob ci interrompesse, volevo chiederti dove eri stata prima di tornare qui»
«Oh. A Jacksonville, in Arizona. Mia madre si è risposata con un giocatore di baseball, Phil»
«Te ne sei andata perché non ti trovavi bene con lui?»
«No, affatto. Phil è un tipo okay. Sono tornata qui perché lui era spesso in trasferta con la squadra e anche se Renée non lo dava a vedere quando restava a casa con me stava male per la lontananza, così ho deciso di tornare qui a Forks da mio padre»
«Charlie Swan, giusto?»
«Come lo sai?» chiedo curiosa, dopotutto io non gliene ho parlato, «ti prego, non dirmi che è su Google!» esclamo e lui ride.
«A dire il vero l'ho incontrato prima. Un tipo molto simpatico»
«Che vuol dire che l'hai incontrato?»
«Sì, beh… non sapevo fosse tuo padre. È stata la signora anziana dietro al bancone della tavola calda a dirmelo. E poi Jessica ti ha indicata,» si passa una mano tra i capelli e si umetta le labbra, «ero da poco entrato a Forks e tuo padre mi ha fermato perché stavo avevo superato i limiti di velocità. Ma davvero qui non è possibile andare oltre ai trenta?»
Sgrano gli occhi. Mannaggia a te, papà!
«Evidentemente deve essere andata male la pesca»
«Scusami? Non ti seguo»
«Mio padre è un assiduo pescatore,» gli spiego, «e quando la pesca gli va male… beh, lui tende ad essere molto più… come dire…»
«Incarognito col mondo?» risponde lui interrompendomi.
«Esattamente»
«Ne conosco un altro così: mio padre. Andrebbero d'accordo»
Lo squillo del telefono ci interrompe e mi affretto a rispondere.
«Studio di fotografia, buon pomeriggio»
«Isabella, sono Siobhan»
«Signora Grey, salve»
«Cara, i miei suoceri saranno qui questa sera per cena. Posso passare oggi a ritirare le foto di mio figlio?»
«Assolutamente, per le sette sarà tutto pronto. A più tardi»
Sono nei guai fino al collo.
«Bella, va tutto bene?» mi domanda. Credo abbia notato il mio nervosismo.
«No, affatto!» esclamo e mi passo una mano tra i capelli, «alle sette verrà Siobhan a prendere i CD, l'album fotografico e il poster della comunione del figlio ed io mi ritrovo solo il poster e un CD pronto! Tutto questo perché Tanya Denali ha preteso di avere tutto subito per mandare le sue foto in una agenzia di modelle! Inoltre devo andare a casa di Angela per consegnarle il calendario che ieri mi sono dimenticata di darle quando è venuta a prendere il resto, e…»
Edward mi afferra per le spalle e mi scrolla leggermente. Un innocente tocco da sopra il mio maglione, ma io sto rabbrividendo e andando a fuoco contemporaneamente.
«Bella, fa' dei respiri profondi,» mi dice inspirando ed espirando e lo imito, «se mi dici dove abita Angela posso fare io la consegna»
«Lo faresti sul serio?» gli chiedo con gli occhi a palla e lui annuisce, «No che non puoi farlo! Non posso sfruttarti così»
«Non è sfruttamento, sono io a propormi»
«Ma tu sei venuto fin qui da Seattle, non posso chiedertelo»
«Infatti non lo stai facendo. Sul serio, se posso aiutarti lo faccio con piacere»
Mi mordo il labbro inferiore e inizio a pensare seriamente di accettare la sua offerta. Mi lascio convincere e gli scrivo su un foglietto l'indirizzo della mia amica.
«Questa sera il minimo è offrirti la cena» dico prima che cada via.
«Non ci sperare,» ribatte, «sarebbe da maleducati far pagare una donna e mia madre mi ha sempre insegnato ad essere un cavaliere»
Le mie guance sono sicuramente diventate bordeaux. Lo ringrazio e lo guardo andare via… oh cielo, ha un sedere da urlo! Sembra stia stato scolpito nel marmo da quanto è perfettamente fasciato bene da quei jeans.
Mi alzo di scatto dalla sedia e mi scolo una bottiglietta d'acqua. Devo calmarmi, non riuscirò mai a portare a termine i miei compiti se non smetto di pensare al suo posteriore. Faccio un respiro profondo, chiudo gli occhi e quando li riapro torno davanti al computer e mi rimetto al lavoro. Sono talmente concentrata in quello che sto facendo che mi accorgo a malapena del suo ritorno. Prende una sedia e la posiziona accanto alla mia, si siede e non dice una parola. Lo vedo prendere un book dove ho messo vari scatti di prova per i servizi fotografici e ogni tanto gli scappa un “wow”. Non mi rivolge la parola finché non ho finito.
Mi stiracchio, mi appoggio allo schienale e volto lo sguardo per guardarlo. È bellissimo.
«Ti ringrazio per l'aiuto e mi dispiace di non essere stata di compagnia oggi pomeriggio» gli dico dispiaciuta.
«Non c'è problema,» risponde scuotendo la testa, «sei… wow, i tuoi scatti sono strepitosi. Sei davvero brava, complimenti»
Arrossisco e lo ringrazio.
Siobhan Grey arriva dopo neanche dieci minuti e dopo averle consegnato ciò che mi aveva ordinato chiudo il negozio.
«Edward… ecco, avrei bisogno di farmi una doccia prima di uscire questa sera…»
«Oh, vai pure, non preoccuparti» risponde lui sorridendo.
«Stavo pensando che se ti va potresti venire da me ed aspettare. Mio padre non dovrebbe essere ancora tornato»
Annuisce e gli faccio strada fino a casa mia, lo faccio accomodare sul divano, gli offro una birra e sparisco per mezz'ora per prepararmi.
Ce la metto davvero tutta per fare in fretta, ma quando scendo le scale vedo Charlie sulla soglia di casa e Edward quasi pietrificato sulla porta della cucina.
«Mh… papà, che ci fai qui? Non avresti dovuto finire il turno alle nove questa sera?»
«Sono uscito prima perché Sue mi ha invitato a cena a casa sua nella riserva» risponde senza smettere di fissare Edward.
«Lui è Edward, un mio amico. Stava aspettando che finissi di prepararmi per andare a mangiare qualcosa assieme»
«Capo Swan, è un piacere conoscerla in circostanze più piacevoli. Sono Edward Cullen» si presenta porgendogli la mano.
Papà ricambia, ma lo guarda con un sopracciglio inarcato.
«Tu sei il ragazzo che oggi ha infranto i limiti di velocità. E vuoi portare mia figlia in macchina? Puoi anche scordartelo»
«Papà!» lo riprendo.
«Bells, potreste fare un incidente! Io ci tengo alla tua vita»
«Capo Swan, le assicuro che se avessi saputo dei limiti non li avrei mai infranti. Sono sempre stato un automobilista prudente, mai fatto un incidente o preso qualche multa… fino ad oggi»
«A proposito della multa, papà… non ti sembra un po' troppo eccessivo? Nemmeno tu fai i trenta, e sei un poliziotto!»
«Tu pensa al tuo lavoro, che io penso al mio,» borbotta arrossendo, «e tu, ragazzo, riportala a casa per le undici e mezza. Anche se non passerò la notte qui ti assicuro che alle ventitré e trenta precise telefonerò per sapere se mia figlia è rincasata. Sono un poliziotto, sta' pur sicuro che lo farò»
«Ho venticinque anni, papà, penso di poter scegliere io quando rincasare»
«Non finché sei sotto il mio tetto»
Alzo gli occhi al cielo, afferro i nostri giubbotti e spingo Edward per farlo uscire di casa.
«Sì, papà. Certo, papà. Buona serata e salutami Sue!»
Mi chiudo la porta alle spalle e marcio spedita verso la macchina. Da galantuomo Edward mi apre la portiera e mi fa accomodare. Mentre si accinge ad entrare anche lui, Charlie apre la porta di casa.
«Undici e mezza, ragazzo, e tieni le mani a posto! Ho una pistola e non ho paura di usarla» lo minaccia e mi porto una mano sugli occhi.
Mette in moto e ci allontaniamo da casa.
«Ti chiedo scusa per la scenata di mio padre» gli dico dopo aver emesso un lungo sospiro.
«Non c'è problema,» rispondo guardandomi e sorridendo, «solo… non credo di essergli molto simpatico»
«No, per questo non ti preoccupare. Con il mio ex ragazzo del liceo non appena gliel'ho presentato ha impugnato il fucile,» racconto e lo vedo sgranare gli occhi, «non esco molto spesso con i ragazzi e non glieli presento perché tende a dare un po' di matto… e ora ne hai la prova anche tu»
«Posso capirlo, probabilmente reagirei anche io così con mia figlia,» dice, «specie se esce con il ragazzo a cui ho fatto la multa poche ore prima»
Sospiro.
«Mi dispiace per la multa. Lo convincerò a non fartela pagare»
«Non preoccuparti, sono solo pochi dollari. E ha ragione, se c'è un limite deve essere rispettato, anche se è tremendamente esagerato,» ride e poi si umetta le labbra con la lingua, costringendomi così a pensare che vorrei essere io quella lingua, «il tuo ex ragazzo è ancora vivo?»
«Oh, sì. Vivo e vegeto» confermo annuendo.
Edward emette un sospiro di sollievo e io rido.
Raggiungiamo Port Angeles e parcheggia di fronte al ristorante La Bella Italia.
«Spero ti piaccia la cucina italiana» mi dice mentre mi tiene aperta la portiera per farmi scendere.
«Da morire» affermo sorridendogli.
Entriamo dentro al ristorante e veniamo accolti da una cameriera di nome Lucy. Il nostro tavolo è più appartato rispetto agli altri, chissà se è una cosa voluta. Il mio accompagnatore mi sposta la sedia e mi fa accomodare, poi si siede di fronte a me.
La cameriera ci serve un aperitivo e ci porge i menu.
«Sai, ho sentito dire che i ravioli ai funghi qui sono ottimi» dice Edward mentre guardiamo cosa prendere.
«Io li adoro!» esclamo, «Li proverò. Tu invece cosa…?»
«Bella!» una voce poco distante da me mi chiama e mi volto. È Alice.
«Alice, ciao! Come mai qui?»
«Sono uscita con Jasper» risponde lei indicando il suo accompagnatore.
«Ciao, di nuovo, Bella,» mi saluta lui sorridendomi, «ehi, Ed»
«Ciao, Jazz»
«Alice, lui è Edward, il cugino di Jasper»
A questa frase la mia amica mi guarda scioccata per un attimo, poi si riprende e gli stringe la mano.
«Edward, sono così contenta di conoscerti!» esclama entusiasta, poi si volta a guardarmi e i suoi occhi non promettono nulla di buono, «Beh, visto che siamo tutti qui, perché non ceniamo insieme?»
Sgrano gli occhi. È per caso impazzita? Edward mi guarda senza dire nulla, credo che voglia che sia io a decidere.
«Ali, non credo sia il caso. Perché non rimandiamo a un'altra volta?»
«Perché no? Tanto ci siamo presentati tutti. Sarà divertente!»
Se c'è una cosa che ho imparato in questi anni di amicizia con Alice Brandon è che non è il tipo di persona che si fa dire “no” facilmente. Anzi, non credo nemmeno esista nel suo vocabolario.
«O-okay» pigolo e lancio uno sguardo carico di scuse a Edward.
Ci spostiamo in un tavolo più grande e pochi secondi dopo anche la mia migliore amica e Jasper ricevono l'aperitivo e i menu.
«Ed, che ci fai qui a Port Angeles?» gli domanda suo cugino.
«Oggi avevo la giornata libera, così sono venuto a trovare Bella»
«Sei stato a Forks?» si intromette Alice.
«Sì»
«Partendo da Seattle?»
«Esatto»
«E perché hai…»
«Oh mio Dio, dovete assaggiare questo aperitivo! È la fine del mondo» la interrompo e mollo un calcio da sotto il tavolo alla mia amica. Fa un salto sulla sedia e ricambia anche lei il gesto, ma anziché colpire me, colpisce Edward.
«Ahia! Alice, perché mi hai dato un calcio?» le chiede.
«Uhm, io…» la diretta interessata si guarda intorno in cerca di una scusa plausibile.
«Alice soffre di spasmi muscolari,» cerco di salvarla, «molto frequenti»
«Spasmi muscolari?» ripete Edward.
«Sì, sai… sono come i tic, no?» rispondo, «Ogni tanto le prendono e fa davvero fatica a fermarsi. È successo la prima volta da bambina, quando eravamo a scuola. Durante l'intervallo ad un certo punto ha cominciato a straparlare e a fare strani tic nervosi e da quel momento nessuno l'ha più fermata,» continuo a propinare la mia balla solo per salvarla e proprio quando sto finendo la mia arringa mi molla un calcio e la mia voce esce come uno squittio, «ahia, Alice!» esclamo.
«Scusa, spasmo muscolare involontario» replica facendo una smorfia.
Sia Edward che Jasper fanno fatica a trattenere le risate. L'arrivo della cameriera con le nostre ordinazioni ci distoglie dal nostro battibecco.
La serata trascorre tranquilla e devo ammettere che mi sto divertendo un sacco. Alice e Jasper sono davvero carini insieme e mi sembrano moltissimo in sintonia. Finito di mangiare gli uomini pagano per noi e quando usciamo dal ristorante le nostre strade si dividono: Alice e Jasper vanno al cinema, mentre Edward ed io optiamo per una passeggiata lungo il molo. Ci mangiamo un gelato e parliamo. Sto davvero bene in sua compagnia e nonostante l'imbarazzo che ho provato oggi alla tavola calda è così naturale parlare con lui. Una folata di vento mi fa rabbrividire e se ne accorge, fa per togliersi la giacca ma glielo impedisco.
«Ti ammalerai»
«Ma hai freddo» puntualizza.
«Sono comunque più abituata di te a questo clima»
Alza gli occhi al cielo e appoggia il braccio sulle mie spalle.
«Lascia almeno che ti scaldi un po'» dice e arrossisco.
Solo una pazza non glielo lascerebbe fare.
Lo abbraccio a mia volta e riprendiamo a camminare. È quasi mezzanotte e Charlie mi ha riempita di chiamate, che ho appositamente ignorato. Solo quando Edward si è allontanato per andare in bagno gli ho scritto un messaggio molto telegrafico. 'Sto bene, sono ancora in giro. Smettila con queste telefonate e salutami Sue. Sono grande abbastanza per non avere più un coprifuoco…'
All'ennesimo messaggio di Charlie alzo gli occhi al cielo.
«Va tutto bene?» mi chiede Edward con premura.
«Sì, è soltanto mio padre»
«Dovresti rispondere»
Prendo il cellulare dalla borsa e alzo gli occhi al cielo.
«Sempre il solito» borbotto.
«C'è qualche problema?»
«Mi ha messo in punizione,» gli dico e scoppia a ridere, «credo sia ufficialmente impazzito»
«Vuoi che ti riaccompagni a casa?»
«NO!» esclamo con foga, «A meno che tu non sia stanco. Devi tornare a Forks solo per riaccompagnarmi e poi metterti in macchina fino a Seattle»
«Resto in giro molto volentieri» mi rassicura e sorrido.
«Sì, anche io»
Rimette il braccio sulle mie spalle e riprendiamo a camminare. Mi racconta della sua vita, del suo lavoro e posso constatare che adora stare a contatto con i bambini, quando parla di loro gli brillano gli occhi. Ogni minuto che passiamo insieme mi piace sempre di più.
Sono le due del mattino quando mi riaccompagna a casa.
«Eccoci qui,» dice, «tuo padre mi sparerà»
«Non lo farà, è tutto fumo e niente arrosto,» lo rassicuro, «mi dispiace che tu ora debba andare fino a Seattle, è un viaggio molto lungo»
«A me no. Ne è valsa la pena, credimi»
Esce dalla macchina per aprirmi la portiera e mi accompagna fino alla porta di casa.
«Grazie per la bella serata, sono stata benissimo»
«Anche io,» conferma, «spero in un secondo appuntamento, prima o poi»
«Mi piacerebbe molto,» rispondo arrossendo, «magari questa volta potrei venire io»
«Lo escludo,» dice. Faccio finta di niente, ma ci resto male per la sua risposta. Si vergogna a girare per Seattle con me? Non è che per caso ha una fidanzata o una moglie ed io sono una specie di scappatella dalla routine quotidiana? «Non ti lascerei mai guidare fino a Seattle. Temo che il tuo pick-up non possa reggere il colpo,» mi prende in giro e gli tiro una pacca sul braccio, «però potrei sempre venire a prenderti, portarti a Seattle e poi riportarti a Forks»
«Sei pazzo? Faresti un sacco di chilometri inutili»
«Non sono tanto inutili se ho la possibilità di trascorrerli in tua compagnia» replica serio.
Sorrido e mi perdo nei suoi occhi.
«Ti… ti va di entrare?» gli propongo.
Appoggia la mano sul mio fianco e me lo massaggia.
«Solo se è quello che vuoi davvero»
Io non sono quel tipo di ragazza che ha voglia di baciare un uomo solo un minuto e mezzo dopo averlo conosciuto, che pensa a lui costantemente per tre giorni e che lo invita ad entrare in casa sua.
Ma è quello che voglio?
Senza ombra di dubbio.
Afferro i lembi del suo giubbotto e lo attiro a me. Il bacio che ci scambiamo è dolce, inizia con un semplice sfioramento di labbra, ma pian piano diventa sempre più passionale. Porto le mani dietro al suo collo per accarezzargli i capelli e lui mi stringe a sé.
«De-devo aprire la porta» balbetto dopo esserci separati in cerca di fiato.
«Devo chiudere la macchina…?»
Non ho capito se la sua sia una domanda o un'affermazione, ma questo non mi impedisce di attaccarmi di nuovo alla sua bocca. Apro la porta di casa e lo trascino dentro con me. Mi prende in braccio e tra una strusciata e l'altra e uno scontro tra un muro e l'altro gli do le direttive per la mia camera, dove passiamo gran parte della nottata ad amarci. Sono quasi le sei del mattino quando sento Edward alzarsi dal letto.
«Dove vai?» gli domando con la voce impastata.
«Ehi, piccola,» risponde lui sorridendomi, «non volevo svegliarti. Devo tornare a Seattle»
«Devi andare a lavorare?»
«Ho il turno questa sera»
«E allora resta»
«Tu devi riposarti. Non devi lavorare?»
«No, oggi è il mio giorno libero»
«Ma…»
«Ti prego,» lo imploro, «resta»
Non so cosa abbia letto nel mio sguardo, ma si convince e torna a stendersi accanto a me. Mi abbraccia e da un bacio sul collo.
«Allora dormiamo un altro po'»
Intrecciamo le nostre mani e torniamo nel mondo dei sogni. Non so lui, ma per quanto mi riguarda il protagonista sarà sicuramente il bellissimo uomo che mi sta accanto.



Angolo autrice

Buon sabato a tutte :)
Avete passato una buona settimana?
Per prima cosa, voglio spiegare il titolo del capitolo (per chi non l'avesse capito): nel capitolo precedente Alice parla di una cena a quattro con la sua migliore amica e i due ragazzi e siccome li ho fatti incontrare sul serio, da qui il capitolo.
Allora, che ne pensate del capitolo? Siete contente che Edward sia andato a Forks per cercarla? Oppure speravate in Alice e Jasper per farli incontrare di nuovo? E per quanto riguarda Charlie? Personalmente mi sono divertita un sacco a scrivere di lui e lo stesso vale per la scena al ristorante.
Comunque, io sto straparlando quando invece dovrei studiare per l'esame di martedì… la letteratura inglese non si studia da sola! Auguratemi buona fortuna ç_ç
Come sempre ci tengo a ringraziarvi per le vostre magnifiche recensioni, siete fantastiche!
A sabato prossimo!

Giulls


I personaggi sono di proprietà di Stephanie Meyer, scrivo senza scopo di lucro e ogni riferimento a persone e situazioni è puramente casuale e frutto della mia fantasia.

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Capitolo 4
*** The end ***


Un grazie per essere arrivate fin qui
e per aver intrapreso insieme a me
questa avventura. Siete speciali!
Buona lettura.


Disclaimer: I personaggi sono di proprietà di Stephanie Meyer, scrivo senza scopo di lucro e ogni riferimento a persone e situazioni è puramente casuale e frutto della mia fantasia.



Speed dating


4) The end


Da quella sera, dal nostro primo appuntamento, sono passati tredici mesi. Edward ed io ci siamo frequentati per cinque mesi, poi le cose sono cambiate: lui era sempre più impegnato col suo lavoro e io col mio e le occasioni per stare insieme erano diventate sempre meno. La lontananza pesava ad entrambi e spesso finivamo col litigare. Nessuno dei due era pronto per una convivenza, io non volevo chiudere il mio studio a Forks e lui non voleva lasciare il suo posto a Seattle, e a lungo andare abbiamo deciso di separarci.
È stata una decisione presa in comune accordo, ma mentirei se dicessi che non ho sofferto e che non soffro tutt'ora. È passato tanto tempo, ma fa ancora male. Edward mi manca da morire. Il nostro amore è stato intenso e meraviglioso, ma purtroppo le storie d'amore non sempre hanno un lieto fine. Forse la nostra è iniziata in un momento sbagliato.
Qualche settimana fa Alice mi ha detto che lei e Jasper hanno visto Edward in compagnia di una bella donna. Quando sono andati a salutarlo lui non ha detto niente, se non “Ragazzi, lei è Amanda”. Ammetto di esserci rimasta piuttosto male, ma a mente lucida – e col cuore che piangeva ancora di più – ho riflettuto sul fatto che non stiamo più insieme e che è giusto che si rifaccia una vita. Anche a me è capitato che mi chiedessero di uscire, ma il fatto che non abbia mai accettato non significa niente.
Anche io ho delle novità: il mese scorso ho finalmente lasciato Forks per trasferirmi a New York, dove ho aperto un altro studio di fotografia e sono orgogliosa di dire che gli affari mi vanno piuttosto bene. Sono già stata contattata da diverse agenzie di moda per dei servizi fotografici, così come mi hanno contattata delle riviste di moda. Credo che in tutto questo ci sia lo zampino di Alice nonostante lei continui a dire che non ha fatto niente, se non pubblicare le foto che ho fatto per lei sul suo sito internet e parlare bene di me a due o tre persone.
Lei e Jasper convivono da un paio di mesi e presto convoleranno a nozze. Il 23 marzo, per l'esattezza. Mi ha portata da Kleinfeld assieme a sua madre e la sua futura cognata. Sarò la sua damigella d'onore e so che Edward sarà il testimone di Jasper. Un po' mi spaventa sapere che dovrò rivederlo entro breve, ma credo di dovermi fare coraggio per la mia migliore amica.
La sveglia suona alle sei e cinquanta. Oggi devo scattare alcune foto ad una cerimonia d'apertura di una clinica pediatrica per la rivista Journal of the American Medical Association. Da quanto ho sentito dire ci saranno anche alcune importanti riviste d'oltremare per questo evento. In più dovrò scattare un paio di foto al proprietario della clinica accompagnata dal giornalista che affianco. La segretaria dell'AMA – una simpatica cinquantenne dall'udito non più infallibile come un tempo – mi ha detto che questo giovane medico si chiama Edwin Carter. Ho provato a googlarlo, ma l'unico Edwin Carter che ho trovato è stato un naturalista morto nel 1900.
Mi faccio una doccia veloce e mi preparo una tazza di caffè, pane tostato con burro e marmellata e mi vesto. Ho un po' di lavoro da sbrigare allo studio prima di andare alla clinica, devo finire di preparare il book fotografico per un'aspirante modella Maria Moreno, una ragazza di origine messicane molto carina. Sono sicura che farà strada.
Stampo le ultime foto e completo il book. Sto per scrivere una email a Maria quando il telefono squilla.
«Studio fotografico, buongiorno»
«Bella, sono Alice»
«Ehi, ciao!» sono contenta di sentire la mia amica, in questi giorni non ci siamo parlate molto perché è impegnata con la creazione degli ultimi capi per la sua nuova linea di moda, «Tutto bene?»
«Sì, se non per il fatto che mi manca una modella,» sbuffa, «e non so dove diamine trovarne un'altra. Nettie si è beccata la mononucleosi! E questo è periodo di sfilate, non riuscirò mai a trovare una sostituta»
Abbasso lo sguardo sul book e mi viene un lampo di genio.
«Ce l'ho io una modella per te! Si chiama Maria Moreno, è una ragazza molto bella. Non è una modella vera e propria, anzi, diciamo che non ha mai propriamente fatto qualcosa. Ma io le ho fatto un book fotografico»
«Bella! Come posso prendere una alle prime armi?»
«Ha del potenziale,» la rassicuro, «almeno contattala per un colloquio e poi decidi. Ti mando immediatamente una mail con i suoi scatti migliori e il suo contatto»
«D'accordo. Quando vai a quella inaugurazione?»
Guardo l'orologio, sono le nove e mezza.
«Alle dieci e mezza il giornalista mi passa a prendere da qui. Ma tu hai idea di chi sia questo Edwin Carter? La segretaria dell'AMA mi ha detto che è famoso, ma su Google non esiste»
Per un po' non apre bocca, è come se avesse riattaccato.
«Edwin Carter? No, mai sentito nominare. Ora devo andare, mandami le foto della ragazza… ciao!» dice d'un fiato e riattacca.
Alice Brandon, chi la capisce è bravo.
Continuo a lavorare ancora un po' finché un uomo affascinante non entra nel mio studio.
«Salve, come posso esserle utile?» lo saluto cordialmente.
«Sono James, il giornalista dell'American Medical Association. Tu sei Isabella Swan?»
«In persona,» rispondo con un sorriso e guardo l'orologio, «è in anticipo»
«Se arriviamo prima forse riesco ad avere la mia intervista prima degli altri,» mi spiega brevemente, «lei è pronta?»
«Certo, giusto il tempo di prendere la borsa con la macchina fotografica. E chiamami Bella»
Ci avviciniamo alla sua auto e toglie l'allarme. Non si disturba ad aprirmi la portiera e penso che Edward al suo posto l'avrebbe fatto. Edward… chissà come sta. Da dopo la nostra rottura non ho avuto più sue notizie, se non quella della sua nuova e presunta relazione con questa Amanda. Durante il viaggio non parliamo molto, ha sempre fatto delle grandi telefonate a destra e manca. Diciamo che non eccelle in fatto di educazione.
«Allora… questo Edwin Carter è molto famoso?» gli domando per fare conversazione.
«Chi?»
«Edwin Carter, il proprietario della clinica» dico con fare ovvio.
James mi guarda come se fossi una specie di alieno strambo prima di scendere dalla sua jeep. Decisamente un gran maleducato.
«Non esiste nessun Edwin Carter,» mi informa posizionandosi in una sedia vicino al palco, «il dottore si chiama Edward Cullen»
A sentire quel nome sbianco.
«N-non è possibile,» balbetto, «deve esserci un errore. La signora Amanda mi ha detto che il dottore si chiama Edwin Carter»
«Evidentemente la signorina Coope deve aver capito male. Sai che novità,» ribatte seccato, «che ne dici di preparare le tue cose ora?»
In questo esatto momento la mia voglia di scappare supera quella di mettermi a lavorare, ma non posso farlo, non mi posso permettere una cattiva pubblicità. E poi nessuno capirebbe. Mi è capitato di sognare qualche volta di incontrare di nuovo Edward, ma un conto è pensarlo nella propria mente, un altro è che accada sul serio.
Sospiro, metto al collo la mia macchina fotografica e aspetto. Pian piano la gente prende posto. Ogni due minuti guardo l'orologio e quando si avvicina il momento dell'inizio inizio a sudare. Non sono pronta, decisamente no.
Il brusio che si forma mi fa capire che sono arrivati. Volto lo sguardo e vedo Edward salire sul palco con il sindaco De Biasio, Carlisle e il primario Jenks, del Metropolitan Hospital Center. Jenks, Carlisle e Edward si accomodano sulla sedia e quest'ultimo quando guarda la folla mi riconosce. È sorpreso quanto me di vedermi, poi fa l'ultima cosa che mi sarei mai aspettata: mi sorride.
Ricambio il suo sorriso da farfalle nello stomaco con uno mio scialbo e poi comincio a lavorare.
«Miei cari concittadini, sono lieto di vedervi qui quest'oggi,» ci saluta il sindaco, «per anni abbiamo sognato una clinica che fosse specializzata nella pediatria e finalmente questo giorno è arrivato. Il dottor Cullen e il dottor Jenks hanno deciso di collaborare per aiutare i bambini che hanno bisogno delle cure dei migliori dottori. È con mio grande piacere che ora cedo la parola ad dottor Edward Cullen»
Abbasso la mia macchina fotografica per guardare l'elegante camminata di Edward, ma scatto alcune foto quando lui e il sindaco si stringono la mano. Giunto davanti al leggio, Edward inforca un paio di occhiali da lettura e sorride.
Quegli occhiali non glieli avevo mai visti prima e gli stanno benissimo. È ancora più bello di quando ci siamo lasciati.
«Buongiorno a tutti. Per prima cosa ringrazio il sindaco De Biasio e il dottor Jenks per essere qui. Era da mesi che si pensava a questo progetto e finalmente ora si è compiuto. Ci sono tantissimi bambini in tutto il mondo che ogni giorno contraggono malattie sconosciute alla medicina e spesso incurabili. Quello che Jason ed io vogliamo non è solo curare i nostri piccoli amici da un semplice raffreddore o da una scarlattina, è anche riuscire a trovare una cura per i più sfortunati, per far vivere loro una vita normale»
Il discorso di Edward dura per altri cinque minuti ed è davvero toccante. Ho fatto fatica diverse volte a scattare le foto per colpa delle lacrime agli occhi. Quando ha terminato di parlare ho applaudito più forte che ho potuto, mi ha davvero commossa.
L'ultima foto che scatto qui fuori è il taglio del nastro rosso attaccato alla porta d'ingresso della clinica, dopodiché entriamo. James è abbastanza seccato per non essere riuscito ad avere prima la sua intervista, io sono preoccupata al pensiero di dovermi trovare in una stanza con lui.
Ci accomodiamo in una sala d'attesa mentre aspettiamo il nostro turno con altre sette persone. Poco dopo Carlisle compare nella mia visuale.
«Bella!» mi saluta avvicinandosi.
«Carlisle, ciao» lo saluto a mia volta sorridendogli.
Mi abbraccia e questo gesto fa voltare diverse persone. Impiccioni.
«Per quale rivista lavori?» mi domanda con interesse.
«Per oggi per la AMA. Continuo ad essere una fotografa freelance»
«E come ti vanno gli affari?»
«Sorprendentemente bene. Esme come sta?»
«Sta bene, ma come sempre è indaffarata nel suo lavoro. Sai, l'altra sera stavamo giusto parlando di te. Sarà contenta di sapere che sei bella come ti ricordavamo,» mi adula e arrossisco, «Rose è incinta»
«Le mie congratulazioni! Siete contenti di diventare nonni?»
«Molto, non vediamo l'ora,» dice e poi guarda l'orologio, «ora devo andare. Mio figlio non credo abbia più bisogno di me e io ho un aereo da prendere. Mi ha fatto piacere vederti e se mai dovessi capitare a Seattle vienici a trovare, Esme sarebbe molto felice di vederti»
«Lo farò senz'altro. A presto, Carlisle»
«A presto, cara»
Si allontana e torno a sedermi.
«Conosci Carlisle Cullen?» mi domanda James con interesse.
«Sì» rispondo secca.
«E come mai?» chiede ancora, ma evito di rispondergli. Mi alzo e vado a prendere un caffè nel bar dall'altra parte della strada. Ho tutto il tempo del mondo, saremo gli ultimi a intervistare Edward. Torno indietro dopo mezz'ora e venti minuti dopo è il nostro turno di entrare. Spero di finire in fretta, ho una gran fame, devo andare a lavorare e soprattutto ho il terrore di passare tanto tempo dentro quella stanza.
«Allora, Isabella, adesso entro io e quando ti chiamo vieni a fare le foto. Va bene?» mi dice James e lo guardo sorpresa.
«Non mi era stato detto che avrei dovuto aspettare qui fuori» replico con stizza quando in realtà vorrei solo ringraziarlo per il suo volermi tenere lontana da lui.
Mi dice qualcosa che non capisco, poi entra e mi lascia sola. Ne approfitto per ascoltare eventuali messaggi nella segreteria telefonica del mio studio e per guardare le foto che ho scattato. Un po' di tempo dopo vengo chiamata dentro per svolgere la seconda parte del mio lavoro. Appena metto piede dentro la stanza, Edward si avvicina sorridendomi. Visto da vicino è ancora più bello.
«Ciao, Bella,» mi saluta con la sua voce suadente, «ti trovo bene»
«Ti ringrazio, Edward,» rispondo, «anche tu»
Non riusciamo ad aggiungere altro perché James subito comincia a dettare ordini: spiega come vuole che siano le foto, il tipo di luce che vuole che sia usata e tutte quelle cose che competono con il mio lavoro, come se io non ne sapessi niente. Alzo gli occhi al cielo e becco Edward che si trattiene dal ridere.
In una mezz'ora finisco, ma è stata davvero dura. James ha voluto controllare che ogni singolo scatto fosse venuto alla perfezione. Ho visto che ha un anello al dito, mi chiedo chi sia quella santa che lo sopporta.
«Dottor Cullen, è stato un piacere incontrarla» lo saluta il mio neo ex collega.
«Anche per me» ribatte il mio ex fidanzato con gentilezza.
«Isabella, andiamo?»
«Sì, un momento,» rispondo a James e mi avvicino a Edward, «ti faccio le congratulazioni per il discorso di oggi, è stato molto toccante. E anche un in bocca al lupo»
«Ti ringrazio. Sai, ho pensato sul serio ogni singola parola che ho detto»
«Sì, non lo metto in dubbio,» replico, «ti conosco»
Ci sorridiamo e prendo il mio zainetto con dentro l'occorrente della mia macchina fotografica. Lo saluto con un cenno della mano e gli do le spalle. James apre la porta ed esce prima di me. Alzo gli occhi al cielo per la sua poca conoscenza del bon ton.
«Bella, aspetta!» mi chiama Edward uscendo anche lui dalla stanza, «Ti accompagno io»
«Come? Cosa?» domando sorpresa.
«Ti accompagno io dovunque tu debba andare»
«Ecco, io…»
«Ti prego,» mi implora e mi mordo il labbro inferiore. Mi volto verso James e sto per parlare, ma lui mi precede, «accompagno io Isabella a casa»
James annuisce senza problemi e con un cenno del capo ci saluta e se ne va.
Traditore.
«Sicuramente sarai sommerso di lavoro, non c'era bisogno di disturbarsi» gli dico.
Scrolla le spalle e si infila il giubbotto.
«A dire il vero non ho niente da fare, se non cercare la mia nuova casa,» replica sorridendo, «allora, cosa prevede la tua agenda oggi?»
«Lavoro, lavoro e ancora lavoro» lo informo alzando le spalle e lui ride.
Subito dopo essere usciti dalla clinica mi prende la borsa della macchina fotografica e si mette la tracolla sulle sue spalle.
«Accidenti, ma pesa un macigno! Non ti è mai venuto male alla schiena?»
«Sì, ma ormai ci ho fatto l'abitudine,» rispondo con naturalezza, «mi piace talmente tanto il mio lavoro che lo faccio senza problemi, incluso portare pesanti attrezzature»
Ci mettiamo in macchina – Edward mi apre la portiera come ha sempre fatto – e ci immergiamo nel traffico di punta newyorkese.
«Niente pranzo?» mi chiede.
«Pensavo di fermarmi al cinese di fianco al mio studio e di mangiare qualcosa mentre lavoro»
Si umetta le labbra, poi le arriccia.
«Sono troppo invadente se ti chiedo di farti compagnia?» propone e sgrano gli occhi sorpresa.
«Dici sul serio?»
«Sì, se per te va bene»
Annuisco entusiasta. Per me va più che bene.
Ci fermiamo al ristorante dei coniugi Chang, ordiniamo i nostri piatti e poi lo invito nel mio studio. Inutile dire che non mi ha lasciato tenere nemmeno la sporta con il nostro pranzo. Improvvisamente mi sembra di essere tornata indietro nel tempo.
Si guarda intorno mentre io sgombero la mia scrivania e apparecchio. Il mio intento è di mangiare lì, ma poco dopo ci ritroviamo a seduti sul pavimento e in giro per la stanza per mostrargli alcune foto che ho scattato. Non ho perso l'abitudine di attaccare le fotografie sulle pareti. Dietro la mia scrivania c'è una parete dove ci sono le foto con i miei amici e tra tutte nota la nostra, dove siamo abbracciati.
Lo guardo imbarazzata senza sapere realmente cosa dire.
«Questa…»
«L'abbiamo scattata quando siamo andati a Las Vegas con Emmett e Rosalie» dice al mio posto.
«È la mia preferita» ammetto con un sussurro e lui annuisce.
«Non ho mai pensato che potessi avere una nostra foto appesa»
Abbasso lo sguardo e mi gratto il naso.
«È stata la prima foto che ho attaccato,» confesso, «ogni foto che c'è qui mi ricorda un'emozione diversa»
«E questa che emozione ti provoca?» mi chiede avvicinandosi.
«Emozioni positive e negative. Positive perché è un ricordo felice, ma anche negative perché…»
«Perché dopo non sei più riuscita a sentirti completa?» mi interrompe e me lo trovo troppo vicino.
Una parte di me mi urla che dovrei allontanarlo, ma io non voglio. Annuisco e lo guardo mentre mi sfila dalle mani il contenitore dei miei spaghetti di soia alle verdure.
«Mi manchi, Bella. Mi manchi tantissimo,» mi confessa afferrando entrambe le mie mani, «in tutto questo tempo senza averti accanto non ho vissuto. Mi è sempre mancato qualcosa… mi sei sempre mancata tu. Ti amo, Bells,» sgrano gli occhi, «non ce lo siamo detti spesso. Abbiamo avuto non pochi problemi per la distanza, ma ora tu sei qui a New York e ci sono anche io. Se anche tu tieni a me come io tengo a te potremmo ricominciare»
Questo è decisamente il tipo di conversazione che non mi sarei mai aspettata di intavolare.
Tiro su col naso e lo abbraccio. Mi è mancata tanto la sensazione di sicurezza che ha sempre saputo darmi.
«Ti amo anche io. Ho sempre continuato ad amarti» gli dico tra le lacrime.
I suoi occhi brillano e si abbassa per baciarmi, lo stringo a me e rispondo al bacio con passione. Indietreggiamo finché non mi trovo con le spalle al muro.
«Devi lavorare» sussurra mentre scende a baciarmi il collo.
«Lavorerò dopo. O domani. Non fermarti» lo prego.
Le mie mani raggiungono la sua camicia e la tiro fuori dai pantaloni, la sbottono e gliela sfilo. La mia maglietta la raggiunge poco dopo. La passione ci travolge e ci ritroviamo a fare l'amore sulla mia scrivania.
Ora che siamo nella stessa città sono sicura che tutto andrà per il verso giusto.

***


Ventidue mesi dopo


«Isabella,» Edward entra dentro al mio studio come una furia, «che diavolo ci fai tu qui?»
«Ciao, amore,» lo saluto sorridendogli, «sono venuta a controllare una cosa»
«Non dovresti farlo. Non dovresti muoverti. Ti è stato ordinato di rimanere a letto»
«Consigliato, non ordinato. C'è una gran bella differenza»
Se fosse possibile farebbe uscire le saette dagli occhi.
«Te lo ordino io!»
«Tu? E chi diavolo ti credi di essere?» replico mettendo le mani sui fianchi e inarco le sopracciglia. Ora comincio ad arrabbiarmi anche io.
«Sono tuo marito, il tuo signore e padrone»
«Questa è bella!» esclamo, «Non credevo di aver firmato una qualche clausola di sottomissione quando ci siamo sposati»
«No? Beh, ora lo sai»
«E allora io chiedo il divorzio»
«Non te lo permetto»
«Non puoi comandarmi!»
«Posso e lo farò. Ti stai comportando come una bambina»
«E cosa pensi di fare? Punirmi?» lo sfido.
«Decisamente sì. Dovrei sculacciarti» replica mostrandomi il palmo della sua mano.
Stringo le gambe tra di loro. Accidenti, ora sono eccitata da morire.
La porta alle mie spalle si apre e Vanessa, la mia pupilla, entra nella stanza.
«Bella, Caius Volturi vuole sapere se sei sempre disponibile per quel servizio fotografico sui bikini»
«No, non lo è» risponde Edward al mio posto.
«Invece sì, lo sono» dico indispettita.
«Allora verrò anche io»
«No!» urlo, «Tu non verrai. Non ti permetterò di andare in un luogo dove decine di modelle molto più magre e sexy di me possono tentare di sedurti. Non esiste»
Accenna un sorriso e mi si avvicina.
«Nessuna modella dalla taglia trentasei potrebbe essere più sexy di te. Io ti amo e per me sei sempre bellissima»
«Modelle dalla taglia trentasei? Mi stai dando della grassa?» replico sgranando gli occhi.
Intreccia le nostre mani e mi massaggia i palmi con i pollici. Questo gesto mi ha sempre rilassata.
«Non dire sciocchezze, tu sei bellissima. Sei la donna più bella del mondo»

«Anche se sembro una mongolfiera?»
«Porti in grembo la mia bambina, cosa potrebbe esserci di più sexy?» mi chiede e senza attendere una risposta si china per baciarmi e lo fa con tanta, tantissima lingua, «Il mese scorso ci siamo presi un bello spavento, ho solo paura che possa succedervi qualcosa»
«Ma ora stiamo bene ed io ho bisogno di lavorare» piagnucolo.
«Mi posso permettere di occuparmi di voi per il momento»
«E quando tornerò a lavorare? Cosa accadrà se nel frattempo dovesse venire fuori qualche altro studio pronto a soffiarmi i miei contratti?»
«Avresti sempre e comunque Alice per i servizi fotografici e me per la clinica. Anche se preferisco averti al mio fianco per quelle serate come moglie e non come fotografa. E poi Ness è più che pronta a sostituirti per un po'. L'hai istruita alla grande e sono sicuro che sarà una perfetta sostituta. Almeno per quest'ultimo mese non stressarti, ti scongiuro. Lascia a lei il comando e tu pensa a sfornare il mio primogenito»
Mi metto a ridere porto le braccia dietro al collo di mio marito.
«Nessuno rovina un discorso meglio di te» lo prendo in giro.
«Il mio intento era farti ridere e ci sono riuscito,» replica sorridendo nella maniera che a me piace tanto, «e ora sei pronta a tornare a casa, signora Cullen?»
«Con te andrei anche in capo al mondo, signor Cullen»



FINE… ?







«Però dopo aver partorito voglio tornare subito a lavorare!» preciso.
Edward alza gli occhi al cielo e mi fa accomodare in macchina.
«Sei così testarda!» dice esasperato.
«Non è vero, semplicemente porto avanti i miei ideali»
«Dopo che avrai dato alla luce la nostra bambina, Bella, dovrai aspettare qualche mese prima di tornare a lavorare. La piccola avrà bisogno di te per nutrirsi»
«Stai dicendo che sarò io quella che dovrà occuparsi di Jane mentre tu farai la bella vita?»
«Non farò la bella vita, amore, lavorerò per mantenere un tetto sopra le nostre teste»
Incrocio le braccia sotto il mio enorme seno da gravida e lo guardo male.
«Stai per caso insinuando che io non sarei in grado di mantenervi?»
«Non ho mai detto niente di tutto questo,» ribatte sospirando, «perché non vuoi che mi prenda cura di voi?»
«Perché Jane ed io siamo in grado di badare a noi stesse»
Scuote la testa sempre più esasperato. Forse dovrei dirgli che ha ragione e che tornerò a lavorare solo quando nostra figlia sarà abbastanza grande, ma mi sto divertendo un mondo a punzecchiarlo.
«Sei peggio di una bambina»
«Una bambina indisciplinata,» annuisco guardandolo con malizia, «molto indisciplinata»
«Sai cosa spetta ad una bimba disobbediente come te?» dimmi che è una sculacciata, ti scongiuro, «questo» dice alzando la mano e per la seconda volta mi mostra il palmo.
Santo cielo, sì!
Appoggio una mano sulla sua coscia e lui si irrigidisce. In quest'ultimo periodo sono diventata una specie di ninfomane, ma la cosa non sembra dispiacergli molto. Anzi, proprio per niente.
Parcheggia nel primo posto libero davanti a casa nostra, mi aiuta a scendere dalla macchina e poi mi ci fa appoggiare.
«Sei la persona più zuccona che io abbia mai conosciuto,» dice baciandomi la guancia, «assolutamente testarda,» adesso mi bacia il collo, «e ti amo così tanto» mi strizza una natica e mi lascio sfuggire un gemito.
Lucy, la vecchia rompiscatole che abita di fronte a noi, passeggia col suo cane e ci guarda disgustata. La sento borbottare qualcosa contro di noi, qualcosa tipo “Questi giovani screanzati non sanno più cosa sia il decoro!”.
Edward chiude l'auto e mi prende in braccio.
«Ma cosa fai?!» urlo scoppiando a ridere.
«Ora il tuo maritino sexy ti illustrerà i vantaggi di rimanere a casa da ora fino a quando la nostra piccola Jane non incomincerà ad andare all'asilo. Sono sicuro di convincerti»
Oh sì, ne sono più che certa.


THE END



Angolo autrice

Ciao, ragazze!
Chiedo scusa per aver risposto tardi alle vostre recensioni e per aver postato in ritardo di un giorno, ma questa settimana è stata a dir poco infernale.
Dunque, questo è l'ultimo capitolo.
Come ho scritto all'inizio, voglio ringraziarmi di cuore per aver letto Speed dating e per essere arrivate fino alla fine. Non so se questo è il finale che speravate, o se immaginavate qualcos'altro (in tal caso, mi farebbe davvero piacere saperlo), ma io sono soddisfatta. Certo, ci sono alcune domande che non avranno mai risposta, come per esempio come è stato il primo incontro con Rosalie e Emmett?, oppure chi cavolo è Amanda? All'inizio volevo inserirla, ma poi ho realizzato che non era così importante come personaggio. Poteva essere semplicemente una vecchia amica, una compagna di scuola o di college, la mamma di un suo paziente, una donna incontrata per caso al parco, oppure ad uno speed dating… chi può dirlo con certezza? Questo lo lascio immaginare a voi. ;)
Spero di tornare presto con un'altra storia. Di idee ne ho tante, ma sono davvero impegnata con l'università.
Nel frattempo (e ora mi faccio un po' di pubblicità) ho gli ultimi EPOV di I wish that I had Jamie's girl da pubblicare, storia che fa parte della serie Hold me, kiss me and never let me go.
Un bacio a tutte!

Giulls

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