Speed dating di Giulls (/viewuser.php?uid=45439)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Vale la pena dare una chance al destino? ***
Capitolo 2: *** Due di picche ***
Capitolo 3: *** La visione di Alice ***
Capitolo 4: *** The end ***
Capitolo 1 *** Vale la pena dare una chance al destino? ***
Speed
dating
1) Vale la
pena dare una chance al destino?
«Alice, è
una follia!» ribadisco per la centounesima volta mentre Alice
Brandon, la mia migliore amica sin da quando portavamo il pannolino,
parcheggia davanti al ristorante Eclipse.
«Che sarà
mai,» sbuffa e spegne il motore della sua Porsche giallo
canarino,
«è un'occasione per fare qualcosa di diverso, per
conoscere gente
nuova! Sei sempre la solita brontolona, Bells»
Alzo gli
occhi al cielo e maledico il momento in cui ho deciso che le dovevo
un favore. L'Eclipse è uno dei ristoranti più in
voga di Port
Angeles, città che dista qualche chilometro da Forks, il
buco più
piovoso d'America da dove provengo io, gestito dal mio ex compagno di
torte di fango Jacob Black. È un posto fantastico e la
cucina è
davvero ottima. Adoro andare lì ad abbuffarmi, fosse per me
mi ci
accamperei tutti i giorni, tranne il giovedì: è
da un paio di mesi
che per avere una maggiore clientela Jacob ha dato inizio alla serata
dello speed dating, nuova arte del rimorchio. Ho sempre detestato
questo suo nuovo progetto e non l'ho mai nascosto. Come puoi decidere
se una persona è il tuo potenziale nuovo amore in tre miseri
minuti?
Come so che i minuti sono solo tre? Mi sono documentata, non potevo
di certo prendere in giro il mio amico senza sapere di cosa si stesse
parlando!
Nonostante
le pressioni di Alice, sono sempre riuscita a scampare a questa
tortura fino a questa sera. “Ci divertiremo!”,
ha sempre
esclamato, “È un'occasione nuova per
incontrare nuove
persone!”, oppure , “Tu non hai
idea dei fighi che vengono
il giovedì! I tuoi occhi mi ringrazierebbero”.
Lei,
ovviamente, ci viene spesso. Dopo il suo flirt estivo con Embry ha
deciso di volere una storia seria, sta cercando l'amore…
davvero
crede che potrà trovarlo qui, in mezzo a uomini che
snocciolano
belle e false parole solo per riempire un buco?
«Non sono
brontolona, semplicemente difendo i miei ideali. Mannaggia a me
quando ti ho chiesto di aiutarmi con i cani della signora
Meyer»
Mi lancia
un sorrisetto divertito prima di uscire dall'auto ed io, sconsolata e
rassegnata, la seguo.
Il giovedì
sera il mio ristorante preferito si trasforma in qualcosa di
totalmente strano: candele accese su ogni tavolo, luci rosse soffuse
e l'aria densa di elettricità nonostante manchino
più di dieci
minuti all'inizio di tutta questa cretinata.
Mi viene da
vomitare, per la miseria!
«Non posso
crederci! Quando Alice mi ha mandato un messaggio ho temuto che fossi
stata posseduta da chissà quale strana creatura, e
invece… sei
così tu, Bells!» mi sbeffeggia Jake e i suoi occhi
non si scollano
dai miei neanche per un momento.
«Ah, ah,
ah, sei davvero spiritoso, Jacob» rispondo con una smorfia e
incrocio le braccia sotto al seno.
«Beh, è
strano vedere proprio questa sera la persona che più
disprezza
questo genere di incontri per allocchi single»
«Detto
dall'organizzatore questa cosa mi fa sorridere» lo punzecchio
e lui
mi sorride dolce.
Jacob ha
una specie di cotta per me da anni. È stata Alice a farmelo
notare,
dicendomi che con me si comportava diversamente: sempre sorridente,
sempre disponibile e infinitamente dolce. Ha addirittura cominciato a
dire che il sorriso che mi rivolge è diverso da quello che
rifila
agli altri. Quando mia madre l'ha saputo – la mia migliore
amica
quando vuole sa essere una rana dalla bocca larga – ha
cominciato a
dare di matto, diventando ancora più bislacca, e ad ogni
telefonata
mi ripete sempre che saremmo perfetti insieme. Il problema è
che non
ce lo vedo nei panni di fidanzato: Jake è…
è Jake. È l'amico che
da bambini mi faceva soffiare una finta candelina su una finta torta
di fango, il ragazzo che mi ha insegnato a fare l'alfabeto coi rutti
– sport che fortunatamente ora non pratico più
– è un gran
bravo ragazzo, si può dire il ragazzo perfetto, ma non per
me.
«Cosa ti
ha spinto a provare?» domanda.
«La nana
al mio fianco,» replico e mi becco una borsettata sulla
spalla, «ti
prego, dimmi che questa cosa non durerà troppo»
«Sono
sicura che ci divertiremo,» si intromette la piccola hobbit e
si
avvicina ad abbracciare Jake, «come va, ragazzone? Sono
secoli che
non ci vediamo»
«Tutto
bene, Alice, tu? Ti sei divertita a New York?»
«New York
durante la settimana della moda è meravigliosa. Ho fatto un
po' di
shopping e ho una cosina anche per te. Te la porterò uno di
questi
giorni»
«Grazie,»
le dice baciandole la guancia e poi torna a prestarmi attenzione,
«volete bere qualcosa
nel frattempo?»
«Beh,
un Martini io lo prendo volentieri… tu, Bella?»
«Per
me una cola, grazie»
Seth,
ultimo acquisto dell'Eclipse e nostro nuovo amico, ci raggiunge e ci
mostra i nostri posti: il tavolo di Alice sarà il 7, mentre
il mio
il 16. Non so se essere sollevata o meno per questa lontananza: mi
imbarazza sedermi attorno gente completamente sconosciuta, ma allo
stesso tempo ne sono entusiasta… la mia migliore amica mi
sembra
leggermente su di giri e mi spaventa.
«A
cosa servono?» domando a Seth non appena mi porge una busta e
una
penna.
«È
una scheda di gradimento, ma ti spiegherà tutto Jacob
più tardi,»
risponde e ridacchia, «respira, Bells»
Gli
faccio un sorriso di circostanza e non appena se ne va sposto lo
sguardo verso Alice: non riesce a stare ferma sulla sedia, dire che
è
in fibrillazione probabilmente è un eufemismo.
«Ali,
calmati!» la riprendo e lei mi fa la linguaccia,
«Ma tu sei così
tutti i giovedì?»
Pian
piano la sala si riempe e tutti i tavoli vengono occupati quasi
immediatamente: va davvero così tanto di moda lo speed
dating? Due
ragazze, nei due tavoli di fronte a me, chiacchierano tra di loro: la
prima, una morettina, racconta che è qui perché
spera di incontrare
la sua anima gemella, mentre la seconda, una rossa tutte curve, vuole
un amichetto con cui giocare stasera perché “rimorchiare
nelle
discoteche è così demodé”.
Jake
si mette in mezzo alla sala e si schiarisce la voce.
«Buonasera,
signore,» ci saluta con un sorriso smagliante e sento la
ragazza del
tavolo accanto a me sospirare, «e benvenute all'Eclipse.
Colgo
l'occasione per dare il bentornato ad alcune di voi, riconosco
diversi volti, e il benvenuto a chi non è mai venuto,
invece,» dice
guardando me e alzo gli occhi al cielo, «le regole dello
speed
dating sono semplici: davanti a voi avete una busta con dentro una
scheda di gradimento, una spilla col vostro numero identificativo e,
ovviamente, un buono per un drink al nostro bar, usufruibile in
qualsiasi momento. Il tutto si svolgerà in un'ora e mezza.
Avrete la
possibilità di parlare con venticinque dei quaranta ragazzi
che si
trovano nell'altra stanza. Siete davvero in tante e ho dovuto fare
due gruppi. Ogni incontro durerà tre minuti e a tempo
ultimato
suoneremo una campanella, gli uomini scaleranno di un posto e voi
avrete la possibilità di fare una nuova conoscenza. Tra un
incontro
e l'altro dovrete scrivere sulla vostra scheda di gradimento un
“sì”
o un “no” accanto al numero
della persona appena
conosciuta. Al termine della serata raccoglieremo le schede e
verificheremo gli incroci di gradimento. Se l'incontro
risulterà
positivo, cioè se la persona a cui avete detto di
sì ricambierà la
vostra scelta, invieremo entro 48 ore i rispettivi indirizzi e-mail,
numeri di cellulare e nomi di battesimo,» mentre spiega il
suo
sorriso non lascia le sue labbra e non appena si interrompe se le
umetta con la lingua, facendo così sospirare non solo la
ragazza di
prima, ma anche molte altre, «questo è tutto, vi
auguro una buona
serata e un buon divertimento»
Applaudiamo
tutte e prima che ci lasci si volta verso di me e mi fa l'occhiolino,
al quale rispondo con un sorriso.
Apro
la busta, tiro fuori tutto l'occorrente e attacco la spilla al bordo
della mia scollatura: sono il numero tredici.
Un
brusio alla mia destra mi fa voltare e vedo arrivare gli uomini:
dovrebbero avere dai venticinque ai trentacinque anni. Si dividono e
si siedono ognuno su una sedia diversa.
«Ciao,»
mi saluta il ragazzo che si siede al mio tavolo, «sono
Laurent»
«Bella»
rispondo accettando la mano che mi ha appena porto e la stringo: ha
una presa forte e questo lo apprezzo, detesto quelle strette molli,
mi sanno da persona con poca spina dorsale e viscida.
Il
tempo per conoscersi è relativamente poco e per questo primo
incontro ne sono altamente felice. È un bellissimo uomo, per
carità:
è alto, dalla camicia che porta noto che il suo fisico
è muscolo e
ha i capelli corti e di un nero brillante, la sua carnagione
è
olivastra e gli occhi sono azzurri. Ma è una persona
così
superficiale! È un modello e per tutto il tempo non ha fatto
altro
che raccontarmi degli ingaggi che ha avuto e delle sue origini: mamma
italiana e papà africano. Di me sono riuscita solamente a
dirgli che
sono di Forks e poi siamo tornati a parlare di lui, che mi ha
raccontato di essere a Port Angeles per un servizio fotografico.
Non
appena sento la campanella suonare tiro un sospiro di sollievo,
contenta del fatto che questa prima tortura sia finita. Peccato che
me ne rimangano altri ventiquattro. Il secondo ragazzo che si siede
mi rivolge un sorriso smagliante.
«Ciao,
io sono Peter» mi saluta allegro e anche lui mi porge la mano.
«Bella»
rispondo ricambiando il gesto.
«Di
nome e di fatto» ridacchia.
«Non
ti seguo» dico inclinando la testa e corrugo la sopracciglia.
«Bella
in italiano è un aggettivo che sta ad indicare una donna
particolarmente avvenente,» mi spiega e poi si mette a ridere
da
solo, «scusami, sono un'amante delle lingue
straniere»
«Non
scusarti,» replico sorridente, «cosa fai nella
vita?» domando e
risponde che sta completando la sua tesi di laurea in letteratura e
cultura delle lingue straniere a Boston, ma che ora è qui a
Port
Angeles a trovare la sua gemella e neo mamma Charlotte.
È
un ragazzo molto simpatico e buffo, ha i capelli biondissimi e una
chioma leonina da poter far concorrenza a Simba.
Dopo
Peter incontro Charles, Riley ed Alistair – grazie al cielo
ci sono
sempre quei tre minuti a disposizione, perché quest'ultimo
è un
tipo estremamente pessimista e dopo poco tempo passato con lui ho
seriamente pensato di gettarmi dalla scogliera di La Push –,
ma
l'incontro più bizzarro è senza dubbio avvenuto
con Jasper Hale.
«Ho
conosciuto la tua amica,» mi dice ridacchiando,
«è… come dire,
molto esuberante»
«Te
ne sei accorto subito, eh?»
«Sì,
è una persona che si fa subito notare. In trenta secondi mi
ha
elencato quaranta motivi diversi per non indossare una camicia a
righe» mi racconta e non posso fare a meno di non ridere ad
alta
voce.
«Ne
so qualcosa. Ho festeggiato i miei diciotto anni con i miei genitori,
lei e i suoi. Cena semplice, abbiamo mangiato una pizza in casa. Beh,
quando mi ha vista scendere le scale con jeans e maglietta mi ha
spedito in camera a cambiarmi»
Ghigna
e scuote la testa.
«Non
fatico a crederlo, sai?» ribatte ghignando e inizio a farmi
prendere
dal senso di colpa.
«Sì,
beh… che ne dici di cambiare argomento? Mi sembra di fare
una
carognata nei suoi confronti! Non voglio parlare male di lei»
«Non
preoccuparti, non è una carognata. Alice mi sembra una
ragazza molto
interessante» risponde e le sue guance leggermente si
imporporano,
mentre a me si accende una lampadina.
Vorrei
chiedergli altro, ma la campanella purtroppo suona e siamo costretti
a salutarci. Si alza dalla sedia e prima di scrivere il mio giudizio
mi volto verso Alice e scopro che mi sta guardando a sua volta.
Controlla che Jasper non sia voltato verso di noi, lo indica e poi
alza entrambi i pollici. Questo mi basta per mettere un
“no”
convinto accanto al suo nome.
La
parentesi di Jasper dura troppo poco per risollevare il mio giudizio
su questa serata. Non è certamente una cosa che fa per me e
giuro
che questa sarà la prima e ultima volta che qualcuno mi
vedrà in un
posto simile.
L'uomo
dopo Jasper – Alec, mi pare si chiami –
è un totale disastro. È
talmente tanto teso da aver parlato senza ragionare: insomma, ha
trent'anni, è senza lavoro e vive ancora con i
genitori…
sicuramente non è una cosa da dire per far colpo su una
ragazza.
Anche io vivo ancora con mio padre, ma non lo vado a sbandierare in
giro.
Suona
la campanella e sospiro, cerco Jacob con lo sguardo e lo chiamo.
«Cosa
posso fare per te, Bells?» domanda sorridendo.
«Portami
qualcosa di estremamente forte. Devo incontrare altre cinque persone
e sono sicura di non potercela fare senza un minimo d'alcol nel
corpo»
Mi
fa un cenno, sparisce dietro al bancone e torna dopo qualche minuto
con un intruglio strano. Non ho la minima idea di cosa ci sia dentro,
ma è forte. Decisamente quello che mi ci vuole.
La
persona che si siede di fronte a me mi guarda con fare spavaldo e
inarco il sopracciglio.
«Penso
che tutta questa buffonata sia un'emerita stronzata»
esordisce senza
nemmeno presentarsi, ma ammetto di non potergli dare torto.
«Siamo
in due a pensarlo» rispondo e gli sorrido.
«Sì,
si vede che sei seccata. Sai, è dall'inizio che ti ho notata
e non
vedevo l'ora di venire a parlare con te»
«Davvero?
Ma che gentile. E come mai?»
«Tu
non cerchi l'amore qui dentro,» dice e appoggia i gomiti sul
tavolo,
«io lo so»
«E
cosa cerco, allora?» gli chiedo divertita.
«Una
scopata. E ti assicuro che con me saresti pienamente
soddisfatta,»
risponde e sgrano gli occhi, «ti ho osservata per tutto il
tempo e
la tua faccia era sempre la stessa. Non ti stai divertendo. Non hai
trovato nessuno di interessante. Quello che ti posso offrire io
è
puro divertimento e sono sicuro che anche tu lo vuoi»
Appoggio
anche io i gomiti sul tavolo e mi porto entrambe le mani davanti agli
occhi.
«Toglimi
una curiosità, ehm…»
«Jared»
«Jared.
Con quante ragazze ha funzionato questo?» gli domando
agitando la
mano, «è vero, ritengo una cosa senza senso lo
speed dating, ma
allo stesso tempo non sono qui per cercare una scopata
e, se anche fosse, tu saresti certamente l'ultima persona alla quale
mi rivolgerei. Cerchi divertimento senza impegno? Aspetta qui»
Mi
alzo dalla sedia e mi avvicino alla rossa tutta curve di prima, che
sta guardando il suo attuale accompagnatore senza il minimo
interesse. Nel momento in cui si rende conto che le sto accanto lo
ignora definitivamente e mi rivolge la parola.
«Hai
bisogno di qualcosa?»
«Sì,
potresti venire con me un momento?» le chiedo e le porgo la
mano,
che lei accetta senza esitazione… credo accetterebbe
qualunque cosa
pur di non essere lì con quel povero ragazzo,
«Scusaci un secondo»
mi rivolgo a lui e torniamo al mio tavolo.
«Jared
cerca una scopata e tu un amante, giusto? Sono sicura che farete
scintille voi due. Che ne dici scambiarci i posti? Poi tu prosegui
col mio gruppo ed io col tuo» propongo alla ragazza e lei
sorride a
Jared.
«Con
immenso piacere,» risponde e si siede a quello che prima era
il mio
posto, «ciao, sono Victoria» si presenta ed io
prendo il suo posto.
«Eccoci
qui,» dico sedendomi e sorrido al ragazzo che ho di fronte,
che mi
guarda leggermente sollevato, «ciao, sono Bella»
«Sam
Uley» risponde e ci stringiamo la mano.
«Scusate,»
si intromette Jacob e mi guarda, «Bella, cosa stai
facendo?»
«Faccio
amicizia con Sam, non vedi?» ribatto guardando prima il mio
amico e
subito dopo il mio momentaneo accompagnatore.
«Non
è nel regolamento cambiare gruppo» mi spiega, ma
lo blocco con un
cenno della mano.
«Jake,
altri due secondi con quel tizio e giuro che lo avrei strangolato.
Fidati, non scherzo su queste cose. Sono la figlia dello
sceriffo»
Il
mio amico non è molto convinto, ma non aggiunge altro e si
allontana. Intavolo una breve conversazione con questo Sam e devo
ammettere che è un ragazzo davvero interessante: ha trenta
anni e
insegna chimica all'università di Seattle. Non ho intenzione
di
rivederlo ancora, così come nessun altro per principio, ma
è di
piacevole compagnia.
Allo
scadere del tempo stabilito Sam si alza dalla sedia e mi porge ancora
la mano.
«È
stato davvero un piacere conoscerti, Bella»
Il
ragazzo dopo Sam, Eric Yorkie, è uno spasso. Appena si siede
mi
fissa intensamente negli occhi.
«Voglio
essere onesto con te, occhi belli,» dice e congiunge le mani,
«sono
qui solo perché mia madre spera che rinsavisca e le porti a
casa una
bella ragazza, ma io sono al 100% gay»
Rimango
sorpresa dalla sua sincerità, ma gli sorrido.
«Voglio
essere onesta anche io, Eric,» confermo e indico la scheda di
gradimento, «indipendentemente da come sei avrei scritto no
accanto
al tuo nome, come ho fatto con tutti gli altri»
«Sei
lesbica?» mi chiede e scoppio a ridere.
«No,
ma sono stata trascinata qui e questa è la mia forma di
protesta»
«Una
Lady Godiva del 2012,» afferma e annuisce, «mi
piace. Potremmo
diventare amici, se ti va. Dove abiti?»
«A
Forks» rispondo divertita, ma lui storce il naso.
«A
Forks ci abita un mio vecchio amante e non ho intenzione di metterci
più piede»
«Posso
sapere chi, se non sono troppo indiscreta?» domando curiosa e
lui,
dopo essersi guardato attorno, si avvicina e mi fa segno di
avvicinarmi a lui.
«Mike
Newton»
«No!»
urlo allontanandomi e improvvisamente tutta la sala si zittisce,
«uhm… scusate» mi rivolgo sorridendo
imbarazzata e, con ancora
tutti gli occhi puntati su di me, torno a prestare attenzione ad
Eric. Non posso credere che il ragazzo con cui stavo per perdere la
verginità sia in realtà omosessuale.
«È
durata quattro mesi,» mi spiega con fare pettegolo,
«ma poi l'ho
mollato io. Mi aveva detto di non essere sicuro, perché
c'era anche
una ragazza che forse gli interessava. Voglio un gay convinto, non un
bisessuale»
La
campanella suona poco dopo, ci stringiamo la mano e se ne va. Mi
volto per vedere l'orologio alle mie spalle: sono le dieci e
cinquantasette: ancora poco e questa tortura finirà.
«Hai
tre minuti da dedicarmi o hai fatto il pieno?» domanda una
voce e mi
volto non dopo aver inspirato ed espirato rumorosamente.
Ero
convinta di essere pronta a tutto, ma non appena vedo la persona che
mi sta davanti devo ricredermi: credo sia il ragazzo più
bello che
io abbia mai visto in vita mia. È alto – accidenti
se lo è! –
con un fisico slanciato e muscoloso, ma non massiccio. Ha un viso
bellissimo, due labbra né sottili, né carnose e
gli occhi verdi. I
suoi capelli sono una zazzera scompigliata rossiccia. È
estremamente
attraente e non posso fare a meno di osservarlo sconvolta, con tatto
di bocca spalancata. Dio, spero di non avere la bava che scende di
lato. Non solo è bellissimo, ma quando mi sorride il mio
cuore cessa
pure di battere: il suo sorriso asimmetrico – sghembo
– è così
bello da dover essere considerato illegale.
Non
so quanto tempo passa, ma quando alza un sopracciglio mi riprendo e
lo invito a sedersi.
«Sono
Isabella Swan, ma chiamami Bella» mi presento.
«Edward
Cullen, ma chiamami Edward,» risponde divertito e ci
stringiamo la
mano, «cosa ti porta ad uno speed dating, Bella? Non mi
sembri il
tipo di ragazza che ha bisogno di frequentare questi posti»
«Potrei
farti la stessa domanda, Edward» gli faccio notare e mi
regala
ancora quel sorriso da batticuore.
«Touche,»
dice e si passa una mano tra i capelli, gesto assolutamente illegale
se fatto da lui che mi rapisce, «a dire il vero sono qui per
fare un
piacere a mi cugino» mi spiega e indica un ragazzo dietro di
me. Mi
volto: Jasper.
«Jasper?»
domando e lui annuisce.
«L'hai
conosciuto?»
«Sì,
è un ragazzo molto simpatico. Ha fatto una buona impressione
alla
mia amica, alias la causa della mia presenza qui» spiego e mi
sorride.
«Sono
contento che ti abbia convinto a venire,» dice e cado nello
sconforto: anche lui, come tutti gli altri, ci vuole provare subito,
«non mi sembra corretto che solo io debba essere trascinato
da un
pazzo. È la mia prima esperienza e sono certo
sarà anche l'ultima.
Non sono un amante di queste cose» aggiunge muovendo le mani
per
indicare la situazione e sorrido.
Forse
è una tattica o forse no, ma io apprezzo lo stesso.
«Mi
sento tanto una bambina capricciosa,» ammetto sorridendo,
«mi sono
lasciata trascinare dalla mia amica, ma per ripicca ho deciso di
mettere “no” accanto al nome di tutti»
«Sul
serio? Anche io!»
«Non
ci credo» rispondo incrociando le braccia sotto al seno e lui
prende
in mano il suo foglio.
«Ah
no? Controlla tu stessa» mi sfida e sbircio il suo foglio:
accanto
ad ogni nome femminile leggo chiaramente un “no”
scritto in
maniera maledettamente elegante.
«Devo
chiederti scusa, allora. Ero convinta fosse una balorda tattica per
rimorchiarmi»
«Sì,
beh, forse anche io al tuo posto avrei pensato la stessa identica
cosa»
«Sei
della zona?» chiedo per non restare in silenzio per questi
ultimi
minuti, ma anche perché mi interessa sul serio.
«Sono
di Seattle. Tu?»
«Forks.
Non penso tu la conosca…»
«Forks,
la città più piovosa d'America,» recita
e sgrano gli occhi, «ci
sono stato diverse volte da bambino. È davvero…
»
«Un
mortorio» termino per lui e ci mettiamo a ridere.
«Volevo
dirlo in un modo più carino, ma mi hai decisamente cavato le
parole
di bocca» risponde e non posso fare a meno di chiedergli come
mai la
conosce… e di chiedermi perché non l'avessi mai
notato prima, «i
miei nonni ci abitavano. Quando mio nonno è morto, mamma ha
voluto
che la nonna si spostasse a Seattle con noi. Mia nonna si chiama
Elizabeth Masen, non so se la conosci»
Forks
è davvero piccola, ma purtroppo sono costretta a negare.
«Sono
andata via da Forks che ero ancora una bambina e ci sono tornata
quando avevo sedici anni. Non la conosco, purtroppo» ammetto.
«Se
non sono troppo indiscreto posso chiederti come…»
Edward non
finisce la frase perché la campanella suona e Jacob si
avvicina.
«Il
tempo a vostra disposizione è scaduto. Vi ringrazio di
essere stati
qui con noi questa sera. Spero di vedervi ancora se vi siete
divertiti e se non avete trovato l'anima gemella, in caso contrario
siamo felici di essere diventati dei potenziali cupido.
Buonanotte!»
Sposto
l'attenzione da Jacob e becco Edward fissarmi intensamente.
«Beh,
è stato un piacere chiacchierare con te, Bella,»
mi dice
stringendomi la mano e mi sorride, «grazie per avermi tenuto
compagnia per questi ultimi minuti»
«Il
piacere è stato tutto mio, Edward,» replico e gli
sorrido, «beh,
ti auguro buona fortuna, e… a mai più rivederci,
giusto?»
«Giusto»
afferma sicuro.
«Prima
di andare via vi ricordo di riconsegnare le vostre schede e le
spille» informa Jacob e torno prestare attenzione agli ultimi
tre
numeri senza responso. Ero troppo impegnata a deprimermi per la
serata per pensare di scrivere qualcosa.
Numero
30: no
Numero
17: no
Numero
24. L'ultimo ragazzo che ho incontrato, Edward. È stata una
bella
chiacchierata e con lui sono stata bene, ma entrambi abbiamo messo in
chiaro le cose, no? Mi rendo conto che dovrei rimanere fedele alle
mie idee, eppure non riesco a non pensare che vorrei avere un'altra
occasione per parlare ancora.
«Bella,
ci sei?» mi chiede Alice vicina al mio tavolo con un sorriso
a
trentadue denti e le sorrido di rimando.
«Sì,
ho appena finito di compilare la scheda» rispondo e posando
la penna
e rimetto tutto nella busta.
Voglio
darmi una chance, chissà.
Numero
24: sì
Angolo
autrice
Salve
a tutte!
Dopo
un anno e mezzo mi sono decisa a postare questa storia. È
una
mini-ff, sarà composta da quattro capitoli. Ieri mi
è venuto un
lampo di ispirazione, quindi l'ho già scritta tutta e non vi
farò
penare facendomi leggere i capitoli a distanza di mesi. Questo
è il
mio primo tentativo di mini fan fiction, di solito o scrivo delle OS,
o delle long ff estremamente long.
Mi
auguro che la storia vi piaccia e di riuscire a strapparvi una risata
di tanto in tanto.
Baci
e al prossimo fine settimana
Giulls
I
personaggi sono di proprietà di Stephanie Meyer, scrivo
senza scopo
di lucro e ogni riferimento a persone e situazioni è
puramente
casuale e frutto della mia fantasia.
|
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Capitolo 2 *** Due di picche ***
Speed
dating
2)
Due di picche
A
fine serata trascino Alice al bancone del bar dell'Eclipse per
chiacchierare del più e del meno, diciamo che ogni scusa
è buona
per bere qualcosa e mangiare gratis, e poco dopo veniamo raggiunte da
Jake, che ci cinge le spalle con le sue braccia.
«Allora,
mie giovani amiche, vi siete divertite?»
«Sì,
come sempre!» esclama la piccola nana al mio fianco battendo
le mani
entusiasta, mentre io gli do una spallata.
«Senza
offesa, ma sta pur certo che non mi vedrai mai più qui
dentro il
giovedì sera»
Jacob
sghignazza e mi bacia la fronte.
«Sei
una rompiballe,» replica Alice, «io mi sono
divertita e anche tu!
Ti ho vista farti diverse risate… e mi sei sembrata molto in
sintonia anche con l'ultimo ragazzo che hai incontrato»
aggiunge con
malizia.
«Ma
cosa dici, Alice!» esclamo diventando rossa come un peperone
e
scuoto la testa, «Devi aver visto male»
«Mh,
mh, certo,» dice inarcando le sopracciglia e posa il
bicchiere di
Martini sul tavolo, «mi sono immaginata tutto. È
ora di andare.
Ciao, Jacob»
«Buonanotte»
saluto alzando la mano.
Usciamo
dal ristorante e la fredda aria autunnale si fa subito sentire.
Chiudo la giacca per non prendere freddo al collo e allungo il passo
per raggiungere Alice, che sta camminando spedita verso la sua
Porsche. Tolto l'allarme apriamo le portiere, ci sediamo e ci
immettiamo nel traffico praticamente inesistente di Port Angeles,
tutto questo in rigoroso silenzio.
«Bella?»
«Sì?»
«Posso
chiederti una cosa?» domanda titubante.
«Alice
Brandon che si fa degli scrupoli a chiedermi le cose? Chi sei tu e
che ne hai fatto della mia migliore amica?» ribatto
prendendola in
giro e lei alza gli occhi al cielo.
«Ti
ho vista ridere molto con Jasper. Ecco, mi stavo chiedendo…
di cosa
avete parlato?» chiede schiarendosi la voce e la guardo con
tenerezza.
«Praticamente
sempre di te» rispondo e il suo sorriso si allarga.
«Dici
sul serio? Credi che gli abbia fatto una buona impressione?»
«Di
sicuro non sei una che si dimentica facilmente. Ma davvero gli hai
elencato quaranta motivi per non indossare una camicia a
righe?»
«Ma
l'avrei detto a chiunque! Gli uomini dovrebbero indossare solo
camicie in tinta unita, li rende più… sexy. Ma
abbiamo anche
parlato di altro, giuro»
«Sì,
non fatico a crederci,» replico ridendo, «ad ogni
modo credo che tu
gli sia piaciuta… e molto, anche»
La
osservo con la coda dell'occhio e la vedo sorridere entusiasta.
«Spero
che anche lui abbia scritto sì accanto
al mio numero»
«Sono
certa che l'abbia fatto, solo uno sciocco non vorrebbe
rivederti,»
la rassicuro e decido di sganciare la bomba, «sai…
anche io ho
messo un sì»
«CHE
COSA?!?!» urla inchiodando e per poco – davvero
poco – non
facciamo un incidente.
«Alice,
resta concentrata! E che cavolo, non voglio morire!» la
rimprovero e
mi porto una mano al cuore.
«Mi
hai fatto blaterare fino ad ora per… argh! Ti conviene
parlare,
Isabella Marie Swan» mi minaccia puntandomi il dito contro il
mio
occhio.
«Si
chiama Edward Cullen ed è il cugino di Jasper. E per la
cronaca…
sì, sto parlando dell'ultimo ragazzo che ho
incontrato»
«Non
puoi capire la mia felicità in questo momento! Penso che mi
metterò
a piangere»
«Ma
fai sul serio?» replico accigliata.
Agita
la mano, poi la riporta sul volante.
«Quindi
ammetti di esserti divertita»
«Neanche
sotto tortura» nego scuotendo il capo.
Per
qualche minuto nessuna delle due apre bocca, l'unico rumore
all'interno dell'abitacolo è la radio. Ad un certo punto,
quando
dalla stazione radiofonica che stiamo ascoltando stanno trasmettendo
le notizie di cronaca, Alice si mette a canticchiare qualcosa.
«…
e tu sai perché, ragione non c'è. Io guardo
all'insù il cielo
grigio e blu, metto aria nei polmoni, ti guardo nei tuoi occhioni e
ti dico cheeeeeeeeeee,» OH, NO. Non lo sta facendo davvero,
«te
l'avevo detto, te l'avevo detto, te l'avevo detto, detto sì.
Alice
ha ragione, su questo non puoi farmi cambiare opinione, te l'avevo
detto, te l'avevo detto. Fooooooorza Alice!» canta quella
stupida
canzoncina che avevamo inventato a otto anni e che reciprocamente ci
cantavamo – e lo facciamo tutt'ora – quando una
delle due aveva
ragione.
«Alice,
sei assurda!» replico imbronciandomi.
Odio
quando è lei a cantarla, preferisco di gran lunga farlo io.
Basta
scambiare i nomi e il gioco è fatto.
«Ora
che ne dici di raccontarmi di questo Edward Cullen?» mi chiede
«Te
lo puoi anche scordare» rispondo stizzita.
«E
dai, ti prego!»
«No»
La
mia reticenza dura esattamente undici secondi, dopodiché mi
ritrovo
a raccontarle per filo e per segno il nostro incontro. Mi sorbisco la
canzoncina del “te l'avevo detto” un altro paio di
volte finché
non si stufa da sola, poi comincia a straparlare su una futura cena a
quattro tra lei, Jasper, Edward e me ed io, da buona amica quale
sono, l'assecondo. Bisogna sempre dare ragione ai matti.
Si
ferma davanti al vialetto di casa mia e dopo avermi dato la
buonanotte sgomma via per tornare a casa. Aspetto che la sua Porsche
color canarino Tweety abbia svoltato l'angolo per togliere quei
maledetti trampoli infernali che mi ha obbligato ad indossare. Infilo
la chiave nella toppa ed entro in casa convinta di non trovare
nessuno, ma l'audio della televisione mi fa chiaramente capire che mi
sto sbagliando. Raggiunta la sala sorrido intenerita di fronte alla
scena che mi trovo davanti: Charlie e Sue, la sua compagna, dormono
sul divano. Li copro con la coperta di pile e mi volto per salire in
camera mia.
«Bells»
mi chiama Charlie prendendomi per il braccio.
«Ciao,
papà»
«Sei
già a casa? Ma che ore sono? Come è andata
l'uscita con Alice?»
domanda sussurrando per non svegliare Sue.
«Pensavo
peggio,» ammetto e sorrido nel ripensare agli ultimi minuti
trascorsi con Edward, «ora vado a letto, ci vediamo domani
mattina»
«Certo,
Bells, buonanotte» risponde e mi avvio in camera.
***
Nonostante
la crisi degli ultimi mesi, trascorro gli ultimi tre giorni sommersa
di lavoro: venerdì c'è stata la cerimonia di Bar
mitzvah di
Bradley, il figlio dei miei vicini di casa Siobhan e Liam, sabato il
rinnovamento dei voti dei signori Stanley e domenica il matrimonio
della mia amica Angela Weber e Ben Chaney. Oggi è
lunedì e sto
riguardando gli scatti di questi tre eventi. Credo sia la prima volta
in cui posso ritenermi pienamente soddisfatta. Essere l'unica
fotografa di Forks ha i suoi vantaggi: mi conoscono tutti e i miei
prezzi non sono troppo alti, così evito la concorrenza con i
professionisti di Port Angeles.
Terminato
il liceo papà voleva che andassi a Yale, Princeton o
Harvard, ma io
ho sempre avuto un sogno preciso: diventare una fotografa. Charlie
non era entusiasta per niente all'inizio, perché ha sempre
considerato la fotografia come un hobby ed era restio a farmi
“sprecare” così la mia vita. Per
ottenere quello che volevo
dovuto tirargli un colpo basso, ossia coinvolgere mia madre: Charlie
si è beccato una strigliata coi fiocchi ed io ho avuto il
consenso
da entrambi per proseguire col mio sogno. Ho ottenuto una borsa di
studio per la NESOP, la New England School of Photography,
e
mi sono trasferita a Boston finché non ho terminato gli
studi,
dopodiché sono ritornata a casa. Con la mia parte
dell'eredità di
nonna Marie ho aperto il mio studio fotografico qui in
città.
All'inizio avevo in programma di raggiungere la mia migliore amica a
New York, ma quando Charlie è rimasto ferito in una
sparatoria ho
dovuto cambiare i miei programmi. Ora sono trascorsi degli anni e lui
sta bene, ha una compagna e ha finalmente detto addio ai cibi
spazzatura, mentre io sto racimolando più soldi che posso
per
realizzare il mio sogno. All'inizio temevo che aprire il mio studio
qui fosse uno sbaglio, ma così non è stato: ho
realizzato
tantissimi book fotografici per ragazze di provincia aspiranti
modelle e sono stata assunta per quasi tutti gli eventi di Forks, per
non parlare di compleanni, matrimoni, comunioni, battesimi e via
dicendo.
La
mia migliore amica, invece, ha avuto più fortuna di me: dopo
il
liceo ha iniziato a lavorare come modella, ma ben presto ha
abbandonato quel campo per poter fare la stilista. Ha conosciuto la
gente giusta, ha mostrato le sue creazioni a dir poco favolose e sta
avviando la sua prima linea d'abbigliamento. Vive a New York da
diversi anni, ma da qualche mese è tornata a Forks
perché cerca
ispirazione.
Ho
finalmente scelto le foto migliori per il book di Tanya Denali e
mentre la mia fedele stampante fa il suo lavoro, decido di
controllare la mia mail personale. È da quella stramaledetta
sera
che non faccio altro che guardarla, da quando mi sono messa in gioco
e ho deciso che sarebbe stato carino dare una chance a Edward. Sono
trascorse più di settantadue ore e ancora niente. Sono quasi
sicura
che nemmeno oggi sarà diverso e non dovrei rimanerci male
perché in
fin dei conti era stato molto chiaro sull'argomento, ma è
difficile.
Accidenti
se lo è!
Do
le mie credenziali e quando entro dentro la mia casella di posta
elettronica metto il broncio. Ci sono tre mail: due di mia madre e
una di spam. Rispondo a Renée, elimino l'altra e infine
spengo il
computer sconsolata e allo stesso tempo arrabbiata. Mi ero data una
possibilità, mi ero detta “diamo una chance al
destino, mettiamo
un fottuto sì accanto al suo
numero”, e invece con cosa mi
ritrovo in mano? Con un bel niente. Per di più la mia
autostima ne è
uscita devastata.
Maledetto
speed dating!
Afferro
il telefono e inizio a pigiare con forza sulla tastiera.
«Ristorante
Eclipse, buongiorno» risponde Seth.
«Seth,
sono Bella»
«Bells!»
esclama lui pimpante, «qual buon vento ti porta a comporre
questo
numero? Vuoi un tavolo per stasera?»
«No,»
replico. Mi mordo il labbro inferiore, sto cominciando a pensare che
sia stata una pessima idea telefonare, «ecco, m-mi stavo
chiedendo
u-una cosa…» comincio a balbettare e le mani
stanno iniziando a
sudare, «riguardo lo speed dating dell'altra
sera…»
«Bells,
non hai idea di quanto tu abbia fatto colpo! Ho controllato tutte le
schede di persona e solo per questo meriterei un aumento!» mi
interrompe e si mette a ridere, «quasi tutti quelli che hai
conosciuto hanno messo “sì” accanto al
tuo nome. Non era mai
successa una cosa del genere»
«Ecco,
a proposito di questo. Dovrei chiederti una cosa, ma non quanto sia
corretto,» comincio a parlare e infilo una mano tra i capelli
per
torturarli, «volevo sapere cosa avesse messo Edward, il
ragazzo col
numero 24. Io ero il 13» dico con un sussurro.
Seth,
dall'altro lato del telefono, ride.
«In
teoria no, non è possibile farlo, ma visto il nostro forte
legame
farò un'eccezione,» risponde e sospiro sollevata,
«lasciami
controllare un attimo,» aggiunge e per diversi minuti non
dice più
niente, sento solo il rumore delle dita che sbattono sulla tastiera,
«mi dispiace, Bells, ma accanto al tuo nome c'è un
“no”»
Cosa?!?
«Ah.
O-okay, grazie. Ci vediamo, Seth»
«Ciao,
Bells»
Spingo
il pulsante rosso e per qualche attimo fisso il vuoto davanti a me.
Okay che erano questi gli accordi, ma speravo in un qualcosa di
diverso. C'era sintonia e anche attrazione tra di noi, sono davvero
stata solamente io ad accorgermene?
«Questo
è ridicolo!» sbotto ad alta voce e scendo dallo
sgabello con poca
grazia, «Era uno stupido speed dating, come posso esserci
rimasta
così male? Quel tizio è un estraneo ed io mi
lascio sconvolgere
così per averlo incontrato per tre miseri minuti? Devo
essere
impazzita totalmente. Svegliati, Bella! È uno sconosciuto
che hai
incontrato in una serata che tu reputi altamente stupida»
Mi
infilo il giubbotto, prendo la borsa e dopo aver chiuso a chiave la
porta del mio negozietto mi incammino verso la tavola calda dove ci
lavora Jessica Stanley, una mia ex compagna del liceo.
Tanto
per cambiare il tempo fa schifo, ma è talmente tanto vicino
a dove
lavoro io che è stupido andarci col pick-up. Alzo il
cappuccio e
passa la paura.
Vaffanculo
a Edward Cullen e a quello stupido speed dating, io ci sto bene nella
mia solitudine!
Angolo
autrice
Buon
sabato, ragazze!
Vi
adoro, non avrei mai creduto che questa storia potesse riscontrare un
successo del genere… e invece mi sono dovuta ricredere!
Ringrazio
tutte le lettrici che hanno commentato, quelle silenziose e chi ha
messo la storia tra le preferite/seguite/ricordate. Sembra stupido,
ma mi avete reso davvero felice!
Spero
che il capitolo vi sia piaciuto… siete rimaste deluse per la
risposta di Edward?
A
sabato prossimo. Baci,
Giulls
P.S. Chiedo scusa per eventuali errori
grammaticali. Purtroppo oggi è una gionata piena e non sono
riuscita a riguardare il capitolo!
I
personaggi sono di proprietà di Stephanie Meyer, scrivo
senza scopo
di lucro e ogni riferimento a persone e situazioni è
puramente
casuale e frutto della mia fantasia.
|
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Capitolo 3 *** La visione di Alice ***
3)
La visione di Alice
In
genere camminare sotto la pioggia è una cosa che mi rilassa,
così
come stare in mezzo alle persone. In questo momento, invece, pagherei
oro per avere un ombrello con me e quando prima il reverendo Weber mi
ha salutata gli ho praticamente abbaiato contro.
Cosa
avevo detto? Sto bene nella mia solitudine?
Balle.
Perché
diavolo non ha scritto “sì”
accanto al mio numero? Va bene che è il ragazzo
più bello
del mondo e probabilmente potrebbe trovarsi donne altrettanto belle
quanto lui, ma io non sono proprio da buttare! E l'alchimia tra noi
c'era, questo è sicuro.
Giuro,
non vedo l'ora di entrare nella tavola calda, sedermi al mio solito
posto e ingurgitare le mille calorie del mio cheeseburger e patatine.
E se qualcuno osa interrompere il mio pranzo lo uccido! E se dovesse
essere un uomo lo eviro.
Raggiungo
il locale e dalle vetrate noto con gioia che il mio tavolino
è
libero. Apro la porta e la campanella sopra di essa comincia a
suonare. Abbasso il cappuccio e non faccio in tempo a salutare
Jessica che questa mi sta guardando e indicando.
«Ecco,
è lei!» esclama ad un tizio di fronte a lei.
Lo
sconosciuto in questione si volta e mi scontro con due occhi verdi
brillanti. Occhi che ho visto una volta sola, ma che riconoscerei
dovunque. Ma che diamine…?
«Edward?»
lo chiamo estremamente sorpresa e lui mi sorride.
Per
un po' nessuno dei due dice più niente, ci limitiamo a
fissarci come
due cretini al centro della tavola calda. La risata di Jessica mi
riporta alla realtà e la saluto.
«Ciao,
Jess, come va? Quando vedi i tuoi genitori puoi dire loro di venire a
prendere le foto» le dico cercando di risultare il
più normale
possibile.
«Certo.
Solito tavolo?» domanda e annuisco prima di tornare a
guardare
Edward, che non ha fatto altro che tenere lo sguardo puntato su di
me.
«Ti
va di farmi compagnia per pranzo?» gli chiedo speranzosa.
Che
fine ha fatto la Bella incazzosa di pochi secondi fa?
«Molto
volentieri» risponde e andiamo a sederci.
Jessica
ci porge il menù e prima di andare via mi lancia uno sguardo
della
serie “prima di andare via mi devi raccontare
tutto”. Che persona
impicciona.
Siamo
soli, ma nessuno dei due è intenzionato a parlare per primo:
io ho
un sacco di cose da chiedergli, ma sono così sorpresa di
averlo qui
davanti ai miei occhi da essere quasi certa di star sognando. Mi do
un pizzicotto, ma doso male la forza e mi faccio più male
del
previsto. Faccio una piccola smorfia di dolore.
«Va
tutto bene?» mi chiede aggrottando le sopracciglia.
«S-sì,
tutto benissimo» rispondo fingendomi calma.
Fantastico,
ora penserà che sono pazza.
Il
silenzio scende di nuovo su di noi. È decisamente
imbarazzante.
Mi
schiarisco la gola e mi umetto le labbra.
«Allora…»
parliamo contemporaneamente.
«Prima
tu» lo incito e lui sorride.
«Questa
città è piccola, ma ho temuto di non riuscire a
trovarti» ammette
imbarazzato.
«Tu…
volevi rivedermi?» gli chiedo sbigottita.
«Sì,
certo. Ho passato giusto tre minuti con te che mi hanno decisamente
risollevato la serata e anche se ci eravamo salutati con l'intento di
non vederci più, ho pensato che magari se ti avessi
incontrata per
caso un caffè me lo avresti concesso. Sai come si dice: il
primo
incontro è per caso, il secondo è
destino…»
Sto
sorridendo come una scema, me ne rendo conto da sola e sono certa che
l'abbia notato sia Edward che Jessica, che è tornata per
chiedere le
nostre ordinazioni e mi sta lanciando degli sguardi divertiti.
«Io
prendo il solito, Jess» le dico dopo essermi schiarita la
voce e la
guardo senza voltarmi verso il mio accompagnatore.
«Cheeseburger
con patatine e una cola» replica lui consegnandole i
menù.
«Due
soliti, strano» commenta lei sghignazzando prima di lasciarci
soli.
Perché
deve prendermi in giro in questo modo? Prima o poi la
ucciderò.
Tra
di noi scende di nuovo il silenzio. È incredibile come
entrambi
vogliamo dire qualcosa, ma nessuno dei due ha le palle per farlo. Mi
sembra di essere tornata indietro nel tempo, all'adolescente
imbranata che ero. Ci portano l'acqua e ringrazio con un sorriso.
Edward me ne versa un po' nel bicchiere e poi fa lo stesso con il
suo.
«Perché
volevi rivedermi?» gli domando ad un certo punto.
«Perché
con te sono stato davvero bene, sei una persona simpatica e anche
molto carina»
«E
allora perché hai messo “no” accanto al
mio numero?»
«Perché
sei stata chiara fin da subito,» replica,
«perché hai detto che
non avresti mai scritto un “sì”,
perché tu stessa hai detto che
lo speed dating è una cosa stupida,» arriccia le
labbra e
assottiglia lo sguardo, «ma tu come fai a sapere che ho messo
“no”?»
mi chiede.
«Perché
io accanto al tuo numero ho scritto
“sì”»
«Che
cosa?» sussurro.
«L'altra
sera, accanto al tuo numero sulla scheda… io avevo scritto
“sì”»
ripeto alzando un po' più la voce.
Sgrana
gli occhi e serra le labbra.
Dio,
mi sento così cretina!
«Sono
un imbecille,» dice passandosi una mano tra i capelli,
«un completo
imbecille! Mi bastava solamente seguire l'istinto anziché
cercare di
ragionare e cercare di entrare nella mente di una donna come spesso
mia sorella Rosalie mi ha consigliato di fare. Mi bastava solamente
scrivere un dannato “sì” e mi sarei
risparmiato tutto questo
tempo di ricerca… sono stato uno stupido!» esclama
e sorrido
intenerita, «Di te sapevo solo il nome e che eri di Forks.
Sono
stato per tre giorni a cercarti su google, ma senza
risultato…»
«Mi
hai googlata?» lo interrompo divertita.
«Sì.
Ho aspettato di avere la giornata libera al lavoro per venirti a
cercare. Poi mi sono fermato qui per mangiare e chiedere direttamente
di te e… ti ho trovata»
«Sono
felice che tu l'abbia fatto» rispondo senza pensare e
arrossisco non
appena mi rendo conto di cosa ho detto.
Il
suo sorriso si amplia e tra un boccone e l'altro sciogliamo
completamente il ghiaccio e approfondiamo la nostra conoscenza:
è
più grande di me di tre anni, ne ha 28, e dopo essersi
laureato col
massimo dei voti alla facoltà di medicina di Yale ha
cominciato a
lavorare nello stesso ospedale dove suo padre è il primario.
È un
pediatra, condivide l'appartamento col suo migliore amico e quasi
cognato Emmett ed è allergico al pelo dei gatti. Restiamo a
chiacchierare fino alle tre del pomeriggio, orario in cui sono
costretta a tornare a lavorare.
«Edward,
devi tornare a Seattle ora?» gli domando una volta fuori
dalla
tavola calda, dopo averlo ringraziato per avermi offerto il pranzo.
«A
dire il vero speravo di restare e offrirti anche la cena»
risponde
sorridendo e lo imito.
«Non
ho impegni per questa sera, mi piacerebbe molto,» replico e
mi mordo
il labbro inferiore, «solo che io ora devo tornare a
lavorare… se
non hai niente da fare ti va di venire a farmi compagnia?»
Sorride
entusiasta e accetto il passaggio, seppur per pochi metri, fino al
mio studio.
«È
tuo quello?» domanda indicando il mio pick-up con una smorfia.
«Bada
a quello che dici!» esclamo assottigliando lo sguardo,
«Quello
lo guido da quando ho sedici anni e non mi ha mai abbandonato»
Edward
alza le mani e si mette a ridere.
«Ehi,
non volevo mica offenderlo! Sono solo preoccupato del fatto che non
sia… sicuro»
«Beh,
lo è,» replico leggermente indispettita,
«e non ho intenzione di
separarmene finché non esalerà il suo ultimo
respiro»
Apro
la porta dello studio e lo invito ad entrare.
«È
molto accogliente qui, mi piace» mi dice sorridendo.
«Grazie,»
rispondo, «volevo evitare che avesse lo stesso stampo degli
altri
studi dei fotografi, volevo che fosse più…
mio» spiego
imbarazzata.
Gli
faccio appoggiare il suo giubbotto – cosa che, molto
galantemente,
fa anche col mio – sull'appendiabiti e nota il mio muro di
fotografie.
«Questi
due non sono i ragazzi del ristorante?» domanda indicando la
foto
dove abbraccio Seth e quella dove sono accanto a Jacob.
«Sì,
sono loro,» spiego, «ci conosciamo da quando siamo
bambini e Seth,
questo qui», dico indicandolo, «è quasi
il mio fratellastro»
«Che
vuol dire?»
«I
nostri genitori si frequentano»
«Per
questo te ne sei andata via da Forks?»
«Te
ne ricordi ancora?» domando sbigottita e lui annuisce.
«Quella
sera, prima che Jacob ci interrompesse, volevo chiederti dove eri
stata prima di tornare qui»
«Oh.
A Jacksonville, in Arizona. Mia madre si è risposata con un
giocatore di baseball, Phil»
«Te
ne sei andata perché non ti trovavi bene con lui?»
«No,
affatto. Phil è un tipo okay. Sono tornata qui
perché lui era
spesso in trasferta con la squadra e anche se Renée non lo
dava a
vedere quando restava a casa con me stava male per la lontananza,
così ho deciso di tornare qui a Forks da mio padre»
«Charlie
Swan, giusto?»
«Come
lo sai?» chiedo curiosa, dopotutto io non gliene ho parlato,
«ti
prego, non dirmi che è su Google!» esclamo e lui
ride.
«A
dire il vero l'ho incontrato prima. Un tipo molto simpatico»
«Che
vuol dire che l'hai incontrato?»
«Sì,
beh… non sapevo fosse tuo padre. È stata la
signora anziana dietro
al bancone della tavola calda a dirmelo. E poi Jessica ti ha
indicata,» si passa una mano tra i capelli e si umetta le
labbra,
«ero da poco entrato a Forks e tuo padre mi ha fermato
perché stavo
avevo superato i limiti di velocità. Ma davvero qui non
è possibile
andare oltre ai trenta?»
Sgrano
gli occhi. Mannaggia a te, papà!
«Evidentemente
deve essere andata male la pesca»
«Scusami?
Non ti seguo»
«Mio
padre è un assiduo pescatore,» gli spiego,
«e quando la pesca gli
va male… beh, lui tende ad essere molto
più… come dire…»
«Incarognito
col mondo?» risponde lui interrompendomi.
«Esattamente»
«Ne
conosco un altro così: mio padre. Andrebbero
d'accordo»
Lo
squillo del telefono ci interrompe e mi affretto a rispondere.
«Studio
di fotografia, buon pomeriggio»
«Isabella,
sono Siobhan»
«Signora
Grey, salve»
«Cara,
i miei suoceri saranno qui questa sera per cena. Posso passare oggi a
ritirare le foto di mio figlio?»
«Assolutamente,
per le sette sarà tutto pronto. A più
tardi»
Sono
nei guai fino al collo.
«Bella,
va tutto bene?» mi domanda. Credo abbia notato il mio
nervosismo.
«No,
affatto!» esclamo e mi passo una mano tra i capelli,
«alle sette
verrà Siobhan a prendere i CD, l'album fotografico e il
poster della
comunione del figlio ed io mi ritrovo solo il poster e un CD pronto!
Tutto questo perché Tanya Denali ha preteso di avere tutto
subito
per mandare le sue foto in una agenzia di modelle! Inoltre devo
andare a casa di Angela per consegnarle il calendario che ieri mi
sono dimenticata di darle quando è venuta a prendere il
resto, e…»
Edward
mi afferra per le spalle e mi scrolla leggermente. Un innocente tocco
da sopra il mio maglione, ma io sto rabbrividendo e andando a fuoco
contemporaneamente.
«Bella,
fa' dei respiri profondi,» mi dice inspirando ed espirando e
lo
imito, «se mi dici dove abita Angela posso fare io la
consegna»
«Lo
faresti sul serio?» gli chiedo con gli occhi a palla e lui
annuisce,
«No che non puoi farlo! Non posso sfruttarti
così»
«Non
è sfruttamento, sono io a propormi»
«Ma
tu sei venuto fin qui da Seattle, non posso chiedertelo»
«Infatti
non lo stai facendo. Sul serio, se posso aiutarti lo faccio con
piacere»
Mi
mordo il labbro inferiore e inizio a pensare seriamente di accettare
la sua offerta. Mi lascio convincere e gli scrivo su un foglietto
l'indirizzo della mia amica.
«Questa
sera il minimo è offrirti la cena» dico prima che
cada via.
«Non
ci sperare,» ribatte, «sarebbe da maleducati far
pagare una donna e
mia madre mi ha sempre insegnato ad essere un cavaliere»
Le
mie guance sono sicuramente diventate bordeaux. Lo ringrazio e lo
guardo andare via… oh cielo, ha un sedere da urlo! Sembra
stia
stato scolpito nel marmo da quanto è perfettamente fasciato
bene da
quei jeans.
Mi
alzo di scatto dalla sedia e mi scolo una bottiglietta d'acqua. Devo
calmarmi, non riuscirò mai a portare a termine i miei
compiti se non
smetto di pensare al suo posteriore. Faccio un respiro profondo,
chiudo gli occhi e quando li riapro torno davanti al computer e mi
rimetto al lavoro. Sono talmente concentrata in quello che sto
facendo che mi accorgo a malapena del suo ritorno. Prende una sedia e
la posiziona accanto alla mia, si siede e non dice una parola. Lo
vedo prendere un book dove ho messo vari scatti di prova per i
servizi fotografici e ogni tanto gli scappa un
“wow”. Non mi
rivolge la parola finché non ho finito.
Mi
stiracchio, mi appoggio allo schienale e volto lo sguardo per
guardarlo. È bellissimo.
«Ti
ringrazio per l'aiuto e mi dispiace di non essere stata di compagnia
oggi pomeriggio» gli dico dispiaciuta.
«Non
c'è problema,» risponde scuotendo la testa,
«sei… wow, i tuoi
scatti sono strepitosi. Sei davvero brava, complimenti»
Arrossisco
e lo ringrazio.
Siobhan
Grey arriva dopo neanche dieci minuti e dopo averle consegnato
ciò
che mi aveva ordinato chiudo il negozio.
«Edward…
ecco, avrei bisogno di farmi una doccia prima di uscire questa
sera…»
«Oh,
vai pure, non preoccuparti» risponde lui sorridendo.
«Stavo
pensando che se ti va potresti venire da me ed aspettare. Mio padre
non dovrebbe essere ancora tornato»
Annuisce
e gli faccio strada fino a casa mia, lo faccio accomodare sul divano,
gli offro una birra e sparisco per mezz'ora per prepararmi.
Ce
la metto davvero tutta per fare in fretta, ma quando scendo le scale
vedo Charlie sulla soglia di casa e Edward quasi pietrificato sulla
porta della cucina.
«Mh…
papà, che ci fai qui? Non avresti dovuto finire il turno
alle nove
questa sera?»
«Sono
uscito prima perché Sue mi ha invitato a cena a casa sua
nella
riserva» risponde senza smettere di fissare Edward.
«Lui
è Edward, un mio amico. Stava aspettando che finissi di
prepararmi
per andare a mangiare qualcosa assieme»
«Capo
Swan, è un piacere conoscerla in circostanze più
piacevoli. Sono
Edward Cullen» si presenta porgendogli la mano.
Papà
ricambia, ma lo guarda con un sopracciglio inarcato.
«Tu
sei il ragazzo che oggi ha infranto i limiti di velocità. E
vuoi
portare mia figlia in macchina? Puoi anche scordartelo»
«Papà!»
lo riprendo.
«Bells,
potreste fare un incidente! Io ci tengo alla tua vita»
«Capo
Swan, le assicuro che se avessi saputo dei limiti non li avrei mai
infranti. Sono sempre stato un automobilista prudente, mai fatto un
incidente o preso qualche multa… fino ad oggi»
«A
proposito della multa, papà… non ti sembra un po'
troppo
eccessivo? Nemmeno tu fai i trenta, e sei un poliziotto!»
«Tu
pensa al tuo lavoro, che io penso al mio,» borbotta
arrossendo, «e
tu, ragazzo, riportala a casa per le undici e mezza. Anche se non
passerò la notte qui ti assicuro che alle
ventitré e trenta precise
telefonerò per sapere se mia figlia è rincasata.
Sono un
poliziotto, sta' pur sicuro che lo farò»
«Ho
venticinque anni, papà, penso di poter scegliere io quando
rincasare»
«Non
finché sei sotto il mio tetto»
Alzo
gli occhi al cielo, afferro i nostri giubbotti e spingo Edward per
farlo uscire di casa.
«Sì,
papà. Certo, papà. Buona serata e salutami
Sue!»
Mi
chiudo la porta alle spalle e marcio spedita verso la macchina. Da
galantuomo Edward mi apre la portiera e mi fa accomodare. Mentre si
accinge ad entrare anche lui, Charlie apre la porta di casa.
«Undici
e mezza, ragazzo, e tieni le mani a posto! Ho una pistola e non ho
paura di usarla» lo minaccia e mi porto una mano sugli occhi.
Mette
in moto e ci allontaniamo da casa.
«Ti
chiedo scusa per la scenata di mio padre» gli dico dopo aver
emesso
un lungo sospiro.
«Non
c'è problema,» rispondo guardandomi e sorridendo,
«solo… non
credo di essergli molto simpatico»
«No,
per questo non ti preoccupare. Con il mio ex ragazzo del liceo non
appena gliel'ho presentato ha impugnato il fucile,» racconto
e lo
vedo sgranare gli occhi, «non esco molto spesso con i ragazzi
e non
glieli presento perché tende a dare un po' di
matto… e ora ne hai
la prova anche tu»
«Posso
capirlo, probabilmente reagirei anche io così con mia
figlia,»
dice, «specie se esce con il ragazzo a cui ho fatto la multa
poche
ore prima»
Sospiro.
«Mi
dispiace per la multa. Lo convincerò a non fartela
pagare»
«Non
preoccuparti, sono solo pochi dollari. E ha ragione, se c'è
un
limite deve essere rispettato, anche se è tremendamente
esagerato,»
ride e poi si umetta le labbra con la lingua, costringendomi
così a
pensare che vorrei essere io quella lingua, «il tuo ex
ragazzo è
ancora vivo?»
«Oh,
sì. Vivo e vegeto» confermo annuendo.
Edward
emette un sospiro di sollievo e io rido.
Raggiungiamo
Port Angeles e parcheggia di fronte al ristorante La Bella
Italia.
«Spero
ti piaccia la cucina italiana» mi dice mentre mi tiene aperta
la
portiera per farmi scendere.
«Da
morire» affermo sorridendogli.
Entriamo
dentro al ristorante e veniamo accolti da una cameriera di nome Lucy.
Il nostro tavolo è più appartato rispetto agli
altri, chissà se è
una cosa voluta. Il mio accompagnatore mi sposta la sedia e mi fa
accomodare, poi si siede di fronte a me.
La
cameriera ci serve un aperitivo e ci porge i menu.
«Sai,
ho sentito dire che i ravioli ai funghi qui sono ottimi» dice
Edward
mentre guardiamo cosa prendere.
«Io
li adoro!» esclamo, «Li proverò. Tu
invece cosa…?»
«Bella!»
una voce poco distante da me mi chiama e mi volto. È Alice.
«Alice,
ciao! Come mai qui?»
«Sono
uscita con Jasper» risponde lei indicando il suo
accompagnatore.
«Ciao,
di nuovo, Bella,» mi saluta lui sorridendomi, «ehi,
Ed»
«Ciao,
Jazz»
«Alice,
lui è Edward, il cugino di Jasper»
A
questa frase la mia amica mi guarda scioccata per un attimo, poi si
riprende e gli stringe la mano.
«Edward,
sono così contenta di conoscerti!» esclama
entusiasta, poi si volta
a guardarmi e i suoi occhi non promettono nulla di buono,
«Beh,
visto che siamo tutti qui, perché non ceniamo
insieme?»
Sgrano
gli occhi. È per caso impazzita? Edward mi guarda senza dire
nulla,
credo che voglia che sia io a decidere.
«Ali,
non credo sia il caso. Perché non rimandiamo a un'altra
volta?»
«Perché
no? Tanto ci siamo presentati tutti. Sarà
divertente!»
Se
c'è una cosa che ho imparato in questi anni di amicizia con
Alice
Brandon è che non è il tipo di persona che si fa
dire “no”
facilmente. Anzi, non credo nemmeno esista nel suo vocabolario.
«O-okay»
pigolo e lancio uno sguardo carico di scuse a Edward.
Ci
spostiamo in un tavolo più grande e pochi secondi dopo anche
la mia
migliore amica e Jasper ricevono l'aperitivo e i menu.
«Ed,
che ci fai qui a Port Angeles?» gli domanda suo cugino.
«Oggi
avevo la giornata libera, così sono venuto a trovare
Bella»
«Sei
stato a Forks?» si intromette Alice.
«Sì»
«Partendo
da Seattle?»
«Esatto»
«E
perché hai…»
«Oh
mio Dio, dovete assaggiare questo aperitivo! È la fine del
mondo»
la interrompo e mollo un calcio da sotto il tavolo alla mia amica. Fa
un salto sulla sedia e ricambia anche lei il gesto, ma
anziché
colpire me, colpisce Edward.
«Ahia!
Alice, perché mi hai dato un calcio?» le chiede.
«Uhm,
io…» la diretta interessata si guarda intorno in
cerca di una
scusa plausibile.
«Alice
soffre di spasmi muscolari,» cerco di salvarla,
«molto frequenti»
«Spasmi
muscolari?» ripete Edward.
«Sì,
sai… sono come i tic, no?» rispondo,
«Ogni tanto le prendono e fa
davvero fatica a fermarsi. È successo la prima volta da
bambina,
quando eravamo a scuola. Durante l'intervallo ad un certo punto ha
cominciato a straparlare e a fare strani tic nervosi e da quel
momento nessuno l'ha più fermata,» continuo a
propinare la mia
balla solo per salvarla e proprio quando sto finendo la mia arringa
mi molla un calcio e la mia voce esce come uno squittio,
«ahia,
Alice!» esclamo.
«Scusa,
spasmo muscolare involontario» replica facendo una smorfia.
Sia
Edward che Jasper fanno fatica a trattenere le risate. L'arrivo della
cameriera con le nostre ordinazioni ci distoglie dal nostro
battibecco.
La
serata trascorre tranquilla e devo ammettere che mi sto divertendo un
sacco. Alice e Jasper sono davvero carini insieme e mi sembrano
moltissimo in sintonia. Finito di mangiare gli uomini pagano per noi
e quando usciamo dal ristorante le nostre strade si dividono: Alice e
Jasper vanno al cinema, mentre Edward ed io optiamo per una
passeggiata lungo il molo. Ci mangiamo un gelato e parliamo. Sto
davvero bene in sua compagnia e nonostante l'imbarazzo che ho provato
oggi alla tavola calda è così naturale parlare
con lui. Una folata
di vento mi fa rabbrividire e se ne accorge, fa per togliersi la
giacca ma glielo impedisco.
«Ti
ammalerai»
«Ma
hai freddo» puntualizza.
«Sono
comunque più abituata di te a questo clima»
Alza
gli occhi al cielo e appoggia il braccio sulle mie spalle.
«Lascia
almeno che ti scaldi un po'» dice e arrossisco.
Solo
una pazza non glielo lascerebbe fare.
Lo
abbraccio a mia volta e riprendiamo a camminare. È quasi
mezzanotte
e Charlie mi ha riempita di chiamate, che ho appositamente ignorato.
Solo quando Edward si è allontanato per andare in bagno gli
ho
scritto un messaggio molto telegrafico. 'Sto bene, sono
ancora in
giro. Smettila con queste telefonate e salutami Sue. Sono grande
abbastanza per non avere più un coprifuoco…'
All'ennesimo
messaggio di Charlie alzo gli occhi al cielo.
«Va
tutto bene?» mi chiede Edward con premura.
«Sì,
è soltanto mio padre»
«Dovresti
rispondere»
Prendo
il cellulare dalla borsa e alzo gli occhi al cielo.
«Sempre
il solito» borbotto.
«C'è
qualche problema?»
«Mi
ha messo in punizione,» gli dico e scoppia a ridere,
«credo sia
ufficialmente impazzito»
«Vuoi
che ti riaccompagni a casa?»
«NO!»
esclamo con foga, «A meno che tu non sia stanco. Devi tornare
a
Forks solo per riaccompagnarmi e poi metterti in macchina fino a
Seattle»
«Resto
in giro molto volentieri» mi rassicura e sorrido.
«Sì,
anche io»
Rimette
il braccio sulle mie spalle e riprendiamo a camminare. Mi racconta
della sua vita, del suo lavoro e posso constatare che adora stare a
contatto con i bambini, quando parla di loro gli brillano gli occhi.
Ogni minuto che passiamo insieme mi piace sempre di più.
Sono
le due del mattino quando mi riaccompagna a casa.
«Eccoci
qui,» dice, «tuo padre mi
sparerà»
«Non
lo farà, è tutto fumo e niente
arrosto,» lo rassicuro, «mi
dispiace che tu ora debba andare fino a Seattle, è un
viaggio molto
lungo»
«A
me no. Ne è valsa la pena, credimi»
Esce
dalla macchina per aprirmi la portiera e mi accompagna fino alla
porta di casa.
«Grazie
per la bella serata, sono stata benissimo»
«Anche
io,» conferma, «spero in un secondo appuntamento,
prima o poi»
«Mi
piacerebbe molto,» rispondo arrossendo, «magari
questa volta potrei
venire io»
«Lo
escludo,» dice. Faccio finta di niente, ma ci resto male per
la sua
risposta. Si vergogna a girare per Seattle con me? Non è che
per
caso ha una fidanzata o una moglie ed io sono una specie di
scappatella dalla routine quotidiana? «Non ti lascerei mai
guidare
fino a Seattle. Temo che il tuo pick-up non possa reggere il
colpo,»
mi prende in giro e gli tiro una pacca sul braccio,
«però potrei
sempre venire a prenderti, portarti a Seattle e poi riportarti a
Forks»
«Sei
pazzo? Faresti un sacco di chilometri inutili»
«Non
sono tanto inutili se ho la possibilità di trascorrerli in
tua
compagnia» replica serio.
Sorrido
e mi perdo nei suoi occhi.
«Ti…
ti va di entrare?» gli propongo.
Appoggia
la mano sul mio fianco e me lo massaggia.
«Solo
se è quello che vuoi davvero»
Io
non sono quel tipo di ragazza che ha voglia di baciare un uomo solo
un minuto e mezzo dopo averlo conosciuto, che pensa a lui costantemente
per tre giorni e che lo invita ad entrare in casa sua.
Ma
è quello che voglio?
Senza
ombra di dubbio.
Afferro
i lembi del suo giubbotto e lo attiro a me. Il bacio che ci scambiamo
è dolce, inizia con un semplice sfioramento di labbra, ma
pian piano
diventa sempre più passionale. Porto le mani dietro al suo
collo per
accarezzargli i capelli e lui mi stringe a sé.
«De-devo
aprire la porta» balbetto dopo esserci separati in cerca di
fiato.
«Devo
chiudere la macchina…?»
Non
ho capito se la sua sia una domanda o un'affermazione, ma questo non
mi impedisce di attaccarmi di nuovo alla sua bocca. Apro la porta di
casa e lo trascino dentro con me. Mi prende in braccio e tra una
strusciata e l'altra e uno scontro tra un muro e l'altro gli do le
direttive per la mia camera, dove passiamo gran parte della nottata
ad amarci. Sono quasi le sei del mattino quando sento Edward alzarsi
dal letto.
«Dove
vai?» gli domando con la voce impastata.
«Ehi,
piccola,» risponde lui sorridendomi, «non volevo
svegliarti. Devo
tornare a Seattle»
«Devi
andare a lavorare?»
«Ho
il turno questa sera»
«E
allora resta»
«Tu
devi riposarti. Non devi lavorare?»
«No,
oggi è il mio giorno libero»
«Ma…»
«Ti
prego,» lo imploro, «resta»
Non
so cosa abbia letto nel mio sguardo, ma si convince e torna a
stendersi accanto a me. Mi abbraccia e da un bacio sul collo.
«Allora
dormiamo un altro po'»
Intrecciamo
le nostre mani e torniamo nel mondo dei sogni. Non so lui, ma per
quanto mi riguarda il protagonista sarà sicuramente il
bellissimo
uomo che mi sta accanto.
Angolo
autrice
Buon
sabato a tutte :)
Avete
passato una buona settimana?
Per
prima cosa, voglio spiegare il titolo del capitolo (per chi non
l'avesse capito): nel capitolo precedente Alice parla di una cena a
quattro con la sua migliore amica e i due ragazzi e siccome li ho
fatti incontrare sul serio, da qui il capitolo.
Allora,
che ne pensate del capitolo? Siete contente che Edward sia andato a
Forks per cercarla? Oppure speravate in Alice e Jasper per farli
incontrare di nuovo? E per quanto riguarda Charlie? Personalmente mi
sono divertita un sacco a scrivere di lui e lo stesso vale per la scena
al ristorante.
Comunque,
io sto straparlando quando invece dovrei studiare per l'esame di
martedì… la letteratura inglese non si studia da
sola! Auguratemi
buona fortuna ç_ç
Come
sempre ci tengo a ringraziarvi per le vostre magnifiche recensioni,
siete fantastiche!
A
sabato prossimo!
Giulls
I
personaggi sono di proprietà di Stephanie Meyer, scrivo
senza scopo
di lucro e ogni riferimento a persone e situazioni è
puramente
casuale e frutto della mia fantasia.
|
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Capitolo 4 *** The end ***
Un
grazie per essere arrivate fin qui
e
per aver intrapreso insieme a me
questa
avventura. Siete speciali!
Buona
lettura.
Disclaimer:
I
personaggi sono di proprietà di Stephanie Meyer, scrivo
senza scopo
di lucro e ogni riferimento a persone e situazioni è
puramente
casuale e frutto della mia fantasia.
Speed
dating
4) The end
Da quella
sera, dal nostro primo appuntamento, sono passati tredici mesi.
Edward ed io ci siamo frequentati per cinque mesi, poi le cose sono
cambiate: lui era sempre più impegnato col suo lavoro e io
col mio e
le occasioni per stare insieme erano diventate sempre meno. La
lontananza pesava ad entrambi e spesso finivamo col litigare. Nessuno
dei due era pronto per una convivenza, io non volevo chiudere il mio
studio a Forks e lui non voleva lasciare il suo posto a Seattle, e a
lungo andare abbiamo deciso di separarci.
È stata
una decisione presa in comune accordo, ma mentirei se dicessi che non
ho sofferto e che non soffro tutt'ora. È passato tanto
tempo, ma fa
ancora male. Edward mi manca da morire. Il nostro amore è
stato
intenso e meraviglioso, ma purtroppo le storie d'amore non sempre
hanno un lieto fine. Forse la nostra è iniziata in un
momento
sbagliato.
Qualche
settimana fa Alice mi ha detto che lei e Jasper hanno visto Edward in
compagnia di una bella donna. Quando sono andati a salutarlo lui non
ha detto niente, se non “Ragazzi, lei è
Amanda”. Ammetto di
esserci rimasta piuttosto male, ma a mente lucida – e col
cuore che
piangeva ancora di più – ho riflettuto sul fatto
che non stiamo
più insieme e che è giusto che si rifaccia una
vita. Anche a me è
capitato che mi chiedessero di uscire, ma il fatto che non abbia mai
accettato non significa niente.
Anche io ho
delle novità: il mese scorso ho finalmente lasciato Forks
per
trasferirmi a New York, dove ho aperto un altro studio di fotografia
e sono orgogliosa di dire che gli affari mi vanno piuttosto bene.
Sono già stata contattata da diverse agenzie di moda per dei
servizi
fotografici, così come mi hanno contattata delle riviste di
moda.
Credo che in tutto questo ci sia lo zampino di Alice nonostante lei
continui a dire che non ha fatto niente, se non pubblicare le foto
che ho fatto per lei sul suo sito internet e parlare bene di me a due
o tre persone.
Lei e
Jasper convivono da un paio di mesi e presto convoleranno a nozze. Il
23 marzo, per l'esattezza. Mi ha portata da Kleinfeld assieme a sua
madre e la sua futura cognata. Sarò la sua damigella d'onore
e so
che Edward sarà il testimone di Jasper. Un po' mi spaventa
sapere
che dovrò rivederlo entro breve, ma credo di dovermi fare
coraggio
per la mia migliore amica.
La sveglia
suona alle sei e cinquanta. Oggi devo scattare alcune foto ad una
cerimonia d'apertura di una clinica pediatrica per la rivista Journal
of the American Medical Association. Da quanto ho sentito
dire ci
saranno anche alcune importanti riviste d'oltremare per questo
evento. In più dovrò scattare un paio di foto al
proprietario della
clinica accompagnata dal giornalista che affianco. La segretaria
dell'AMA – una simpatica cinquantenne
dall'udito non più
infallibile come un tempo – mi ha detto che questo giovane
medico
si chiama Edwin Carter. Ho provato a googlarlo, ma l'unico Edwin
Carter che ho trovato è stato un naturalista morto nel 1900.
Mi faccio
una doccia veloce e mi preparo una tazza di caffè, pane
tostato con
burro e marmellata e mi vesto. Ho un po' di lavoro da sbrigare allo
studio prima di andare alla clinica, devo finire di preparare
il book
fotografico per un'aspirante modella Maria Moreno, una ragazza di
origine messicane molto carina. Sono sicura che farà strada.
Stampo le
ultime foto e completo il book. Sto per scrivere una email a Maria
quando il telefono squilla.
«Studio
fotografico, buongiorno»
«Bella,
sono Alice»
«Ehi,
ciao!» sono contenta di sentire la mia amica, in questi
giorni non
ci siamo parlate molto perché è impegnata con la
creazione degli
ultimi capi per la sua nuova linea di moda, «Tutto
bene?»
«Sì,
se non per il fatto che mi manca una modella,» sbuffa,
«e non so
dove diamine trovarne un'altra. Nettie si è beccata la
mononucleosi!
E questo è periodo di sfilate, non riuscirò mai a
trovare una
sostituta»
Abbasso
lo sguardo sul book e mi viene un lampo di genio.
«Ce
l'ho io una modella per te! Si chiama Maria Moreno, è una
ragazza
molto bella. Non è una modella vera e propria, anzi, diciamo
che non
ha mai propriamente fatto qualcosa. Ma io le ho fatto un book
fotografico»
«Bella!
Come posso prendere una alle prime armi?»
«Ha
del potenziale,» la rassicuro, «almeno contattala
per un colloquio
e poi decidi. Ti mando immediatamente una mail con i suoi scatti
migliori e il suo contatto»
«D'accordo.
Quando vai a quella inaugurazione?»
Guardo
l'orologio, sono le nove e mezza.
«Alle
dieci e mezza il giornalista mi passa a prendere da qui. Ma tu hai
idea di chi sia questo Edwin Carter? La segretaria dell'AMA
mi
ha detto che è famoso, ma su Google non esiste»
Per
un po' non apre bocca, è come se avesse riattaccato.
«Edwin
Carter? No, mai sentito nominare. Ora devo andare, mandami le foto
della ragazza… ciao!» dice d'un fiato e riattacca.
Alice
Brandon, chi la capisce è bravo.
Continuo
a lavorare ancora un po' finché un uomo affascinante non
entra nel
mio studio.
«Salve,
come posso esserle utile?» lo saluto cordialmente.
«Sono
James, il giornalista dell'American
Medical Association.
Tu sei
Isabella Swan?»
«In
persona,» rispondo con un sorriso e guardo l'orologio,
«è in
anticipo»
«Se
arriviamo prima forse riesco ad avere la mia intervista prima degli
altri,» mi spiega brevemente, «lei è
pronta?»
«Certo,
giusto il tempo di prendere la borsa con la macchina fotografica. E
chiamami Bella»
Ci
avviciniamo alla sua auto e toglie l'allarme. Non si disturba ad
aprirmi la portiera e penso che Edward al suo posto l'avrebbe fatto.
Edward… chissà come sta. Da dopo la nostra
rottura non ho avuto
più sue notizie, se non quella della sua nuova e presunta
relazione
con questa Amanda. Durante il viaggio non parliamo molto, ha sempre
fatto delle grandi telefonate a destra e manca. Diciamo che non
eccelle in fatto di educazione.
«Allora…
questo Edwin Carter è molto famoso?» gli domando
per fare
conversazione.
«Chi?»
«Edwin
Carter, il proprietario della clinica» dico con fare ovvio.
James
mi guarda come se fossi una specie di alieno strambo prima di
scendere dalla sua jeep. Decisamente un gran maleducato.
«Non
esiste nessun Edwin Carter,» mi informa posizionandosi in una
sedia
vicino al palco, «il dottore si chiama Edward
Cullen»
A
sentire quel nome sbianco.
«N-non
è possibile,» balbetto, «deve esserci un
errore. La signora Amanda
mi ha detto che il dottore si chiama Edwin Carter»
«Evidentemente
la signorina Coope deve aver capito male. Sai che
novità,» ribatte
seccato, «che ne dici di preparare le tue cose ora?»
In
questo esatto momento la mia voglia di scappare supera quella di
mettermi a lavorare, ma non posso farlo, non mi posso permettere una
cattiva pubblicità. E poi nessuno capirebbe. Mi è
capitato di
sognare qualche volta di incontrare di nuovo Edward, ma un conto
è
pensarlo nella propria mente, un altro è che accada sul
serio.
Sospiro,
metto al collo la mia macchina fotografica e aspetto. Pian piano la
gente prende posto. Ogni due minuti guardo l'orologio e quando si
avvicina il momento dell'inizio inizio a sudare. Non sono pronta,
decisamente no.
Il
brusio che si forma mi fa capire che sono arrivati. Volto lo sguardo
e vedo Edward salire sul palco con il sindaco De Biasio, Carlisle e
il primario Jenks, del Metropolitan
Hospital Center.
Jenks,
Carlisle e Edward si accomodano sulla sedia e quest'ultimo quando
guarda la folla mi riconosce. È sorpreso quanto me di
vedermi, poi
fa l'ultima cosa che mi sarei mai aspettata: mi sorride.
Ricambio
il suo sorriso da farfalle nello stomaco con uno mio scialbo e poi
comincio a lavorare.
«Miei
cari concittadini, sono lieto di vedervi qui quest'oggi,» ci
saluta
il sindaco, «per anni abbiamo sognato una clinica che fosse
specializzata nella pediatria e finalmente questo giorno è
arrivato.
Il dottor Cullen e il dottor Jenks hanno deciso di collaborare per
aiutare i bambini che hanno bisogno delle cure dei migliori dottori.
È con mio grande piacere che ora cedo la parola ad dottor
Edward
Cullen»
Abbasso
la mia macchina fotografica per guardare l'elegante camminata di
Edward, ma scatto alcune foto quando lui e il sindaco si stringono la
mano. Giunto davanti al leggio, Edward inforca un paio di occhiali da
lettura e sorride.
Quegli
occhiali non glieli avevo mai visti prima e gli stanno benissimo.
È
ancora più bello di quando ci siamo lasciati.
«Buongiorno
a tutti. Per prima cosa ringrazio il sindaco De Biasio e il dottor
Jenks per essere qui. Era da mesi che si pensava a questo progetto e
finalmente ora si è compiuto. Ci sono tantissimi bambini in
tutto il
mondo che ogni giorno contraggono malattie sconosciute alla medicina
e spesso incurabili. Quello che Jason ed io vogliamo non è
solo
curare i nostri piccoli amici da un semplice raffreddore o da una
scarlattina, è anche riuscire a trovare una cura per i
più
sfortunati, per far vivere loro una vita normale»
Il
discorso di Edward dura per altri cinque minuti ed è davvero
toccante. Ho fatto fatica diverse volte a scattare le foto per colpa
delle lacrime agli occhi. Quando ha terminato di parlare ho
applaudito più forte che ho potuto, mi ha davvero commossa.
L'ultima
foto che scatto qui fuori è il taglio del nastro rosso
attaccato
alla porta d'ingresso della clinica, dopodiché entriamo.
James è
abbastanza seccato per non essere riuscito ad avere prima la sua
intervista, io sono preoccupata al pensiero di dovermi trovare in una
stanza con lui.
Ci
accomodiamo in una sala d'attesa mentre aspettiamo il nostro turno
con altre sette persone. Poco dopo Carlisle compare nella mia
visuale.
«Bella!»
mi saluta avvicinandosi.
«Carlisle,
ciao» lo saluto a mia volta sorridendogli.
Mi
abbraccia e questo gesto fa voltare diverse persone. Impiccioni.
«Per
quale rivista lavori?» mi domanda con interesse.
«Per
oggi per la AMA. Continuo ad essere una fotografa freelance»
«E
come ti vanno gli affari?»
«Sorprendentemente
bene. Esme come sta?»
«Sta
bene, ma come sempre è indaffarata nel suo lavoro. Sai,
l'altra sera
stavamo giusto parlando di te. Sarà contenta di sapere che
sei bella
come ti ricordavamo,» mi adula e arrossisco, «Rose
è incinta»
«Le
mie congratulazioni! Siete contenti di diventare nonni?»
«Molto,
non vediamo l'ora,» dice e poi guarda l'orologio,
«ora devo andare.
Mio figlio non credo abbia più bisogno di me e io ho un
aereo da
prendere. Mi ha fatto piacere vederti e se mai dovessi capitare a
Seattle vienici a trovare, Esme sarebbe molto felice di
vederti»
«Lo
farò senz'altro. A presto, Carlisle»
«A
presto, cara»
Si
allontana e torno a sedermi.
«Conosci
Carlisle Cullen?» mi domanda James con interesse.
«Sì»
rispondo secca.
«E
come mai?» chiede ancora, ma evito di rispondergli. Mi alzo e
vado a
prendere un caffè nel bar dall'altra parte della strada. Ho
tutto il
tempo del mondo, saremo gli ultimi a intervistare Edward. Torno
indietro dopo mezz'ora e venti minuti dopo è il nostro turno
di
entrare. Spero di finire in fretta, ho una gran fame, devo andare a
lavorare e soprattutto ho il terrore di passare tanto tempo dentro
quella stanza.
«Allora,
Isabella, adesso entro io e quando ti chiamo vieni a fare le foto. Va
bene?» mi dice James e lo guardo sorpresa.
«Non
mi era stato detto che avrei dovuto aspettare qui fuori»
replico con
stizza quando in realtà vorrei solo ringraziarlo per il suo
volermi
tenere lontana da lui.
Mi
dice qualcosa che non capisco, poi entra e mi lascia sola. Ne
approfitto per ascoltare eventuali messaggi nella segreteria
telefonica del mio studio e per guardare le foto che ho scattato. Un
po' di tempo dopo vengo chiamata dentro per svolgere la seconda parte
del mio lavoro. Appena metto piede dentro la stanza, Edward si
avvicina sorridendomi. Visto da vicino è ancora
più bello.
«Ciao,
Bella,» mi saluta con la sua voce suadente, «ti
trovo bene»
«Ti
ringrazio, Edward,» rispondo, «anche tu»
Non
riusciamo ad aggiungere altro perché James subito comincia a
dettare
ordini: spiega come vuole che siano le foto, il tipo di luce che
vuole che sia usata e tutte quelle cose che competono con il mio
lavoro, come se io non ne sapessi niente. Alzo gli occhi al cielo e
becco Edward che si trattiene dal ridere.
In
una mezz'ora finisco, ma è stata davvero dura. James ha
voluto
controllare che ogni singolo scatto fosse venuto alla perfezione. Ho
visto che ha un anello al dito, mi chiedo chi sia quella santa che lo
sopporta.
«Dottor
Cullen, è stato un piacere incontrarla» lo saluta
il mio neo ex
collega.
«Anche
per me» ribatte il mio ex fidanzato con gentilezza.
«Isabella,
andiamo?»
«Sì,
un momento,» rispondo a James e mi avvicino a Edward,
«ti faccio le
congratulazioni per il discorso di oggi, è stato molto
toccante. E
anche un in bocca al lupo»
«Ti
ringrazio. Sai, ho pensato sul serio ogni singola parola che ho
detto»
«Sì,
non lo metto in dubbio,» replico, «ti
conosco»
Ci
sorridiamo e prendo il mio zainetto con dentro l'occorrente della mia
macchina fotografica. Lo saluto con un cenno della mano e gli do le
spalle. James apre la porta ed esce prima di me. Alzo gli occhi al
cielo per la sua poca conoscenza del bon ton.
«Bella,
aspetta!» mi chiama Edward uscendo anche lui dalla stanza,
«Ti
accompagno io»
«Come?
Cosa?» domando sorpresa.
«Ti
accompagno io dovunque tu debba andare»
«Ecco,
io…»
«Ti
prego,» mi implora e mi mordo il labbro inferiore. Mi volto
verso
James e sto per parlare, ma lui mi precede, «accompagno io
Isabella
a casa»
James
annuisce senza problemi e con un cenno del capo ci saluta e se ne va.
Traditore.
«Sicuramente
sarai sommerso di lavoro, non c'era bisogno di disturbarsi»
gli
dico.
Scrolla
le spalle e si infila il giubbotto.
«A
dire il vero non ho niente da fare, se non cercare la mia nuova
casa,» replica sorridendo, «allora, cosa prevede la
tua agenda
oggi?»
«Lavoro,
lavoro e ancora lavoro» lo informo alzando le spalle e lui
ride.
Subito
dopo essere usciti dalla clinica mi prende la borsa della macchina
fotografica e si mette la tracolla sulle sue spalle.
«Accidenti,
ma pesa un macigno! Non ti è mai venuto male alla
schiena?»
«Sì,
ma ormai ci ho fatto l'abitudine,» rispondo con naturalezza,
«mi
piace talmente tanto il mio lavoro che lo faccio senza problemi,
incluso portare pesanti attrezzature»
Ci
mettiamo in macchina – Edward mi apre la portiera come ha
sempre
fatto – e ci immergiamo nel traffico di punta newyorkese.
«Niente
pranzo?» mi chiede.
«Pensavo
di fermarmi al cinese di fianco al mio studio e di mangiare qualcosa
mentre lavoro»
Si
umetta le labbra, poi le arriccia.
«Sono
troppo invadente se ti chiedo di farti compagnia?» propone e
sgrano
gli occhi sorpresa.
«Dici
sul serio?»
«Sì,
se per te va bene»
Annuisco
entusiasta. Per me va più che bene.
Ci
fermiamo al ristorante dei coniugi Chang, ordiniamo i nostri piatti e
poi lo invito nel mio studio. Inutile dire che non mi ha lasciato
tenere nemmeno la sporta con il nostro pranzo. Improvvisamente mi
sembra di essere tornata indietro nel tempo.
Si
guarda intorno mentre io sgombero la mia scrivania e apparecchio. Il
mio intento è di mangiare lì, ma poco dopo ci
ritroviamo a seduti
sul pavimento e in giro per la stanza per mostrargli alcune foto che
ho scattato. Non ho perso l'abitudine di attaccare le fotografie
sulle pareti. Dietro la mia scrivania c'è una parete dove ci
sono le
foto con i miei amici e tra tutte nota la nostra, dove siamo
abbracciati.
Lo
guardo imbarazzata senza sapere realmente cosa dire.
«Questa…»
«L'abbiamo
scattata quando siamo andati a Las Vegas con Emmett e
Rosalie» dice
al mio posto.
«È
la mia preferita» ammetto con un sussurro e lui annuisce.
«Non
ho mai pensato che potessi avere una nostra foto appesa»
Abbasso
lo sguardo e mi gratto il naso.
«È
stata la prima foto che ho attaccato,» confesso,
«ogni foto che c'è
qui mi ricorda un'emozione diversa»
«E
questa che emozione ti provoca?» mi chiede avvicinandosi.
«Emozioni
positive e negative. Positive perché è un ricordo
felice, ma anche
negative perché…»
«Perché
dopo non sei più riuscita a sentirti completa?» mi
interrompe e me
lo trovo troppo vicino.
Una
parte di me mi urla che dovrei allontanarlo, ma io non voglio.
Annuisco e lo guardo mentre mi sfila dalle mani il contenitore dei
miei spaghetti di soia alle verdure.
«Mi
manchi, Bella. Mi manchi tantissimo,» mi confessa afferrando
entrambe le mie mani, «in tutto questo tempo senza averti
accanto
non ho vissuto. Mi è sempre mancato qualcosa… mi
sei sempre
mancata tu. Ti amo, Bells,» sgrano gli occhi, «non
ce lo siamo
detti spesso. Abbiamo avuto non pochi problemi per la distanza, ma
ora tu sei qui a New York e ci sono anche io. Se anche tu tieni a me
come io tengo a te potremmo ricominciare»
Questo
è decisamente il tipo di conversazione che non mi sarei mai
aspettata di intavolare.
Tiro
su col naso e lo abbraccio. Mi è mancata tanto la sensazione
di
sicurezza che ha sempre saputo darmi.
«Ti
amo anche io. Ho sempre continuato ad amarti» gli dico tra le
lacrime.
I
suoi occhi brillano e si abbassa per baciarmi, lo stringo a me e
rispondo al bacio con passione. Indietreggiamo finché non mi
trovo
con le spalle al muro.
«Devi
lavorare» sussurra mentre scende a baciarmi il collo.
«Lavorerò
dopo. O domani. Non fermarti» lo prego.
Le
mie mani raggiungono la sua camicia e la tiro fuori dai pantaloni, la
sbottono e gliela sfilo. La mia maglietta la raggiunge poco dopo. La
passione ci travolge e ci ritroviamo a fare l'amore sulla mia
scrivania.
Ora
che siamo nella stessa città sono sicura che tutto
andrà per il
verso giusto.
***
Ventidue
mesi dopo
«Isabella,»
Edward entra dentro al mio studio come una furia, «che
diavolo ci
fai tu qui?»
«Ciao,
amore,» lo saluto sorridendogli, «sono venuta a
controllare una
cosa»
«Non
dovresti farlo. Non dovresti muoverti. Ti è stato ordinato
di
rimanere a letto»
«Consigliato,
non ordinato. C'è una gran bella differenza»
Se
fosse possibile farebbe uscire le saette dagli occhi.
«Te
lo ordino io!»
«Tu?
E chi diavolo ti credi di essere?» replico mettendo le mani
sui
fianchi e inarco le sopracciglia. Ora comincio ad arrabbiarmi anche
io.
«Sono
tuo marito, il tuo signore e padrone»
«Questa
è bella!» esclamo, «Non credevo di aver
firmato una qualche
clausola di sottomissione quando ci siamo sposati»
«No?
Beh, ora lo sai»
«E
allora io chiedo il divorzio»
«Non
te lo permetto»
«Non
puoi comandarmi!»
«Posso
e lo farò. Ti stai comportando come una bambina»
«E
cosa pensi di fare? Punirmi?» lo sfido.
«Decisamente
sì. Dovrei sculacciarti» replica mostrandomi il
palmo della sua
mano.
Stringo
le gambe tra di loro. Accidenti, ora sono eccitata da morire.
La
porta alle mie spalle si apre e Vanessa, la mia pupilla, entra nella
stanza.
«Bella,
Caius Volturi vuole sapere se sei sempre disponibile per quel
servizio fotografico sui bikini»
«No,
non lo è» risponde Edward al mio posto.
«Invece
sì, lo sono» dico indispettita.
«Allora
verrò anche io»
«No!»
urlo, «Tu non verrai. Non ti permetterò di andare
in un luogo dove
decine di modelle molto più magre e sexy di me possono
tentare di
sedurti. Non esiste»
Accenna
un sorriso e mi si avvicina.
«Nessuna
modella dalla taglia trentasei potrebbe essere più sexy di
te. Io ti
amo e per me sei sempre bellissima»
«Modelle
dalla taglia trentasei? Mi stai dando della grassa?» replico
sgranando gli occhi.
Intreccia
le nostre mani e mi massaggia i palmi con i pollici. Questo gesto mi
ha sempre rilassata.
«Non
dire sciocchezze, tu sei bellissima. Sei la donna più bella
del
mondo»
«Anche
se sembro una mongolfiera?»
«Porti
in grembo la mia bambina, cosa potrebbe esserci di più
sexy?» mi
chiede e senza attendere una risposta si china per baciarmi e lo fa
con tanta, tantissima lingua, «Il mese scorso ci siamo presi
un
bello spavento, ho solo paura che possa succedervi qualcosa»
«Ma
ora stiamo bene ed io ho bisogno di lavorare» piagnucolo.
«Mi
posso permettere di occuparmi di voi per il momento»
«E
quando tornerò a lavorare? Cosa accadrà se nel
frattempo dovesse
venire fuori qualche altro studio pronto a soffiarmi i miei
contratti?»
«Avresti
sempre e comunque Alice per i servizi fotografici e me per la
clinica. Anche se preferisco averti al mio fianco per quelle serate
come moglie e non come fotografa. E poi Ness è
più che pronta a
sostituirti per un po'. L'hai istruita alla grande e sono sicuro che
sarà una perfetta sostituta. Almeno per quest'ultimo mese
non
stressarti, ti scongiuro. Lascia a lei il comando e tu pensa a
sfornare il mio primogenito»
Mi
metto a ridere porto le braccia dietro al collo di mio marito.
«Nessuno
rovina un discorso meglio di te» lo prendo in giro.
«Il
mio intento era farti ridere e ci sono riuscito,» replica
sorridendo
nella maniera che a me piace tanto, «e ora sei pronta a
tornare a
casa, signora Cullen?»
«Con
te andrei anche in capo al mondo, signor Cullen»
FINE… ?
«Però
dopo aver partorito voglio
tornare subito a lavorare!» preciso.
Edward alza gli occhi al cielo e mi fa
accomodare in macchina.
«Sei così testarda!» dice esasperato.
«Non è vero, semplicemente porto avanti
i miei ideali»
«Dopo che avrai dato alla luce la nostra
bambina, Bella, dovrai aspettare qualche mese prima di tornare a
lavorare. La piccola avrà bisogno di te per
nutrirsi»
«Stai
dicendo che sarò io quella che dovrà occuparsi di
Jane mentre tu
farai la bella vita?»
«Non farò la bella vita, amore,
lavorerò per mantenere un tetto sopra le nostre
teste»
Incrocio le braccia sotto il mio enorme
seno da gravida e lo guardo male.
«Stai per caso insinuando che io non
sarei in grado di mantenervi?»
«Non ho mai detto niente di tutto
questo,» ribatte sospirando, «perché non
vuoi che mi prenda cura
di voi?»
«Perché Jane ed io siamo in grado di
badare a noi stesse»
Scuote la testa sempre più esasperato.
Forse dovrei dirgli che ha ragione e che tornerò a lavorare
solo
quando nostra figlia sarà abbastanza grande, ma mi sto
divertendo un
mondo a punzecchiarlo.
«Sei peggio di una bambina»
«Una bambina indisciplinata,» annuisco
guardandolo con malizia, «molto indisciplinata»
«Sai cosa
spetta ad una bimba disobbediente come te?» dimmi
che è una sculacciata, ti scongiuro,
«questo» dice alzando la mano e per la seconda
volta mi mostra il
palmo.
Santo cielo, sì!
Appoggio una mano sulla sua coscia e lui
si irrigidisce. In quest'ultimo periodo sono diventata una specie di
ninfomane, ma la cosa non sembra dispiacergli molto. Anzi, proprio
per niente.
Parcheggia nel primo posto libero davanti
a casa nostra, mi aiuta a scendere dalla macchina e poi mi ci fa
appoggiare.
«Sei la persona più zuccona che io
abbia mai conosciuto,» dice baciandomi la guancia,
«assolutamente
testarda,» adesso mi bacia il collo, «e ti amo
così tanto» mi
strizza una natica e mi lascio sfuggire un gemito.
Lucy, la
vecchia rompiscatole che abita di fronte a noi, passeggia col suo
cane e ci guarda disgustata. La sento borbottare qualcosa contro di
noi, qualcosa tipo “Questi
giovani screanzati non sanno più cosa sia il decoro!”.
Edward chiude l'auto e mi prende in
braccio.
«Ma cosa fai?!» urlo scoppiando a
ridere.
«Ora il tuo maritino sexy ti illustrerà
i vantaggi di rimanere a casa da ora fino a quando la nostra piccola
Jane non incomincerà ad andare all'asilo. Sono sicuro di
convincerti»
Oh sì, ne sono più che certa.
THE END
Angolo
autrice
Ciao, ragazze!
Chiedo scusa per aver risposto tardi alle
vostre recensioni e per aver postato in ritardo di un giorno, ma
questa settimana è stata a dir poco infernale.
Dunque, questo è l'ultimo capitolo.
Come ho scritto all'inizio, voglio
ringraziarmi di cuore per aver letto Speed dating e
per essere
arrivate fino alla fine. Non so se questo è il finale che
speravate,
o se immaginavate qualcos'altro (in tal caso, mi farebbe davvero
piacere saperlo), ma io sono soddisfatta. Certo, ci sono alcune
domande che non avranno mai risposta, come per esempio come
è
stato il primo incontro con Rosalie e Emmett?, oppure chi
cavolo è Amanda? All'inizio volevo inserirla, ma
poi ho
realizzato che non era così importante come personaggio.
Poteva
essere semplicemente una vecchia amica, una compagna di scuola o di
college, la mamma di un suo paziente, una donna incontrata per caso
al parco, oppure ad uno speed dating… chi può
dirlo con certezza?
Questo lo lascio immaginare a voi. ;)
Spero di tornare presto con un'altra
storia. Di idee ne ho tante, ma sono davvero impegnata con
l'università.
Nel frattempo (e ora mi faccio un po' di
pubblicità) ho gli ultimi EPOV di I
wish that I had Jamie's girl
da pubblicare, storia che fa parte della serie Hold
me, kiss me
and never let me go.
Un bacio a tutte!
Giulls
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