Do it for Baltimore, do it for me di Layla (/viewuser.php?uid=34356)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: Lost in stereo ***
Capitolo 2: *** 1) The rockshow. ***
Capitolo 3: *** 2)First date. ***
Capitolo 4: *** 3)I'm sorry. ***
Capitolo 5: *** 4)Not now (it's not your time to go) ***
Capitolo 6: *** 5)Hello cold world. ***
Capitolo 7: *** 6) Do you want me or do you want me dead? ***
Capitolo 8: *** 7) Walls (I don't wanna be in love) ***
Capitolo 9: *** 8)Oh, Calamity ***
Capitolo 10: *** 9) Just crash (It's our time now to make this work second time round) (*) ***
Capitolo 11: *** 10)Sunshine in a bag ***
Capitolo 12: *** 11) Smile (it's been a while) ***
Capitolo 13: *** 12) She loves you, yeah yeah yeah! ***
Capitolo 14: *** 13)Venice I ( lets's make this night lasts forever) ***
Capitolo 15: *** 14)Venice II (ghosts on the dancefloor) ***
Capitolo 16: *** 15)Under a paper moon ***
Capitolo 17: *** 16) The only proof that i need is you ***
Capitolo 18: *** 17) All the small things. ***
Capitolo 19: *** 18)Sorry, mother I don't miss you, Father no name you deserve. ***
Capitolo 20: *** 19) Address this letter to dear father ( you will remain a complete uknown) ***
Capitolo 21: *** 20) To live and let go. ***
Capitolo 22: *** 21) In a perfect world this could never happen. ***
Capitolo 23: *** 22)No rest for the wicked they say ***
Capitolo 24: *** 23)Break your little heart in two. ***
Capitolo 25: *** 24)I'll paint you wings, and I'll set you free (please don't!) ***
Capitolo 1 *** Prologo: Lost in stereo ***
Prologo: Lost in stereo
20
maggio 2005
Musica
a volume altissimo,
gente scatenata, anche stasera il magazzino non ha deluso.
Il “Magazzino” è il luogo
dove si ritrovano tutti i ragazzi e le ragazze di Baltimora, Maryland, a cui le discoteche non
piacciono e a cui la
dance causa effetti di diarrea indesiderati.
Io lo frequento
abitualmente, mi piace come posto, mi sento casa.
Sarà per via dei miei
capelli azzurri, sarà per via dei due piercing che ho al
labbro e di quello che
ho al naso o forse per il tatuaggio con uno sugar skull, ma non sono
molto
amata.
A scuola mi evitano tutti
e ormai sono talmente poco abituata a presentarmi o a sentirmi chiamare
che ho
quasi dimenticato il mio nome: Wendy.
Wendy O’Connor di anni
diciassette, con una famiglia sfasciata alle spalle. Mio padre se
n’è andato
con la sua amante, mio fratello maggiore con il suo amante e sono
rimasta solo
io con mia madre che si è data all’alcolismo e con
il mio fratellino che vuole
entrare nell’esercito “per non averci
più fra i coglioni.”
Parole sue.
Dobbiamo proprio averlo
stufato.
Una madre che beve tutto
il giorno, che si porta a casa uomini senza farsi il minimo scrupolo.
Una sorella strana che si
taglia e fuma erba.
Vivere in una roulotte
nella zona dei poveri.
Queste tre cose possono
essere alquanto seccanti per un adolescente ambizioso come lui e
così l’anno
prossimo si prepara a lasciarci.
Questo è quello che dice
nei momenti no, ma nei momenti sì è una
bravissima persona. Si
chiama Andrew e ha una testa piena di
riccioli neri e due spalle larghe e – anche se non ce lo
dimostriamo spesso –
siamo molto legati, io l’ho difeso un sacco di volta da mamma
quando era
piccolo e ora lui sta tentando di ricambiare il favore.
Quando alla nostra vecchia
girano le palle o non riesce a trovare i soldi per il suo dannato
alcool e le
viene voglia di picchiarmi interviene lui e la fa giungere a più miti
consigli.
Così va la vita nello
schifo di roulotte in cui vivo. Mamma spende quasi tutti i soldi del
sussidio
sociale che ci passa lo stato in birra, whisky, gin o quello che trova
nei
drugstore. Nessuno le dice nulla, nessuno la ferma, nessun parente si
interessa
a noi e così tocca a me tenere da parte una somma per il
cibo e le bollette.
Inutile dire che a sedici
anni nessuno mi ha pagato la patente e che quindi non ho né
la macchina né la
patente, anche se so guidare abbastanza bene la macchina di mia madre
Io mi sono diplomata
quest’anno, precisamente due settimane fa, e non ho fatto
nessun discorso, ho
solo ritirato il diploma da un preside incredulo che una come me ce la
facesse
a finire il liceo in tempo e non fosse stata rimandata in nulla. Sono
stati
soprattutto i miei capelli azzurri a turbarlo, visto che quel giorno mi
ero
tolta i piercing e avevo coperto il tatuaggio.
Ora che il liceo è finito non
so che fare della mia vita, per l’estate andrò da
mio padre a New York, poi
vedrò.
I miei voti non sono mai
stati altissimi, quindi l’università è
esclusa, ma almeno mi guarderò un po’
intorno per vedere cosa posso fare, mi piacerebbe molto lavorare in un
tattoo
store ed è per questo che ho preparato un portfolio con i
miei disegni. Vedremo
come andrà.
Domani parto e nel casino
di questo posto sto finendo di ultimare la mia playlist personale da
ascoltarmi
in aereo, rigorosamente fatta con le vecchie cassette, dato che non
abbiamo i
soldi per un lettore cd.
Ah, che palle!
Messa l’ultima canzone
scendo in pista anche io e mi scateno, stasera è la serata
blink e stanno
sfoderando tutto il repertorio, adesso è il turno di
“Feeling this”.
Io mi scateno e quando
mettono “Online Song” pogo come una matta, poi pogo
e basta per nessuna ragione
o canzone precisa.
Sono solo incazzata per la
mia vita di merda e per il mio futuro che non esiste, per non parlare
della
famiglia!
Mi scateno e sudo come una
matta.
Dopo mezz’ora mi siedo
accanto a una ragazza vestita di nero che si chiama Holly, è
mia cugina nonché
la mia unica amica e l’unica sa del mio odio per gli
omosessuali e lo appoggia.
Un fratello che sfancula
la sua traballante famiglia per fare il frocio al Green village non si
perdona,
soprattutto se prima di andarsene ha avuto il pessimo gusto di
riempirmi di
botte come faceva il nostro vecchio.
“Sfogata?”
“No.”
Bevo una sorsata dalla
bottiglia di birra di Holly e guardo la pista, la gente si muove come
un unico
corpo.
“Hai fatto colpo.”
Io seguo il suo sguardo e
vedo che punta su un ragazzo dai capelli neri di media lunghezza,
impegnato a
tracannare una birra.
“Mmmh, hai iniziato a
fumare senza di me?
Quello ama solo la birra,
in ogni caso io ritorno in pista.
Adesso mettono “I miss
you” se gli interesso ci proverà.”
Lei scuote la testa.
“Non lo farà, non perché
non gli interessi, ma perché hai un’aura di rabbia
che spaventa.”
“Ancora con questa storia?
Io vado.”
Mi addentro nella pista e
comincio a muovermi lentamente al ritmo di “I miss
you”, intorno a me si
formano tante coppie, ma io rimango sola.
Sola come sono sempre
stata e come sempre sarò.
Il ragazzo moro ora sta
parlando con una biondina che si chiama Stella Dawkins, Holly si
è sbagliata e
io un po’ ci rimango male. In fondo era carino e non mi
sarebbe dispiaciuto se
lui ci avesse provato.
Esco dalla pista e mi
risiedo di nuovo vicino a lei.
“Ehi, goth tutta d’un
pezzo! Quando ti deciderai ad ammettere che i blink ti
piacciono?”
“Quando tu ti deciderai ad
ammettere l’esistenza della tua aura di odio.”
Io sbuffo e raccolgo la
mia borsa militare rimasta per terra per tutto questo tempo.
“Ehi, che ne dici se ce ne
andiamo?”
Il che significa:
“Andiamocene nella zona del porto a fumare in santa
pace.”
Lei annuisce e mi segue.
Finiamo sdraiate a
guardare le stelle sulle scale di un vecchio magazzino in disuso.
“Io me ne vado, Holly.”
“Lo so, ma poi torni a settembre!”
“No, me ne vado del tutto.
A Los Angeles, lontana da questa merda e tu vieni con me!”
“Ma smettila di delirare!”
Non è un delirio,
nonostante le canne sono lucida, me ne andrò e non
rimetterò mai più piede in
questo angolo di mondo.
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Capitolo 2 *** 1) The rockshow. ***
1) The rockshow.
21
gennaio 2010
In
cinque anni possono
cambiare parecchie cose nella vita di una persona, nella mia
è cambiato tutto.
Per prima cosa non vivo
più a Baltimora, ma a Los Angeles, in una casetta bianca nei
sobborghi che ho
perso in affitto con i sudati soldi del mio lavoro.
Holly, come avevo
promesso, vive con me e al momento frequenta un tizio che si chiama
Jeremy, un
tecnico del suono che lavora alla Interscope e che spesso segue anche
le band
durante i tour.
Vanno molto d’accordo, non
mi stupirei se si sposassero.
Jeremy mi piace come
persona, dice che le band che noi idolatriamo e di cui abbiamo un sacco
di
poster appesi in camera in realtà sono composte da persone
normali e non da dei
e come tali vanno trattate.
Mi piace questa filosofia:
è pratica e sensibile allo stesso
tempo
e Holly ha bisogno di una cosa così.
Io, invece, ho solo
accumulato storie di poco conto, non sono ancora pronta per una
relazione seria
sia per via della mia famiglia, sia per via di James.
James era il figlio dei
nostri vicini di roulotte, un ragazzo magrolino, con i capelli neri e
irti che
indossava sempre un chiodo di pelle. Diceva che voleva somigliare a Sid
Vicious
e che io era la sua Nancy, ogni volta che lo diceva il mio cuore faceva
le
capriole dalla gioia.
Finalmente avevo trovato
qualcuno che mi amava e che non fuggiva davanti alla mia situazione
famigliare,
peccato che l’unica cosa in cui James abbia finito per
assomigliare al bassista
dei Pistols sia stata l’eroina.
Iniziò a farsi quasi per
gioco, ma quando arrivarono i primi sintomi della rota – gli
spasimi, il
dolore, il bisogno impellente di una nuova dose, gli occhi a spillo e
lo
sguardo spiritato – il gioco smise di
essere tale e diventò tragedia.
James cominciò a rubare la
roba di sua madre, poi quella delle altre roulotte e a ogni dose
giurava che
quella sarebbe stata l’ultima.
È morto nel cesso di un
bar di infima categoria, una morte degna de “I ragazzi dello
zoo di Berlino”,
una morte che sua madre non mi ha mai perdonato e di cui mi considera
colpevole.
Il mio unico torto era di
essere la ragazza di suo figlio, di non essermi mai drogata con quella
roba e
di essere rimasta viva.
Quella donna mi odiava
perché ero viva e non tre metri sotto terra come suo figlio,
lei e mia madre
erano accumunate dallo stesso odio verso di me.
In quanto a me eravamo
rimasti all’estate del 2005 che dovevo trascorrere con mio
padre: fu un totale
disastro.
Iniziammo a litigare la
prima sera in cui misi piedi nel suo bell’appartamento che
dava sul Central Park
e lo facemmo di continuo per un mese, ossia tutto il tempo che
trascorsi da lui.
Non sopportavo lui, non sopportavo la sua nuova moglie e le loro due
viziatissime figlie, non sopportavo di rivedere quasi ogni giorno mio
fratello
maggiore.
Ogni giorno avevo la
tentazione di rompergli qualcosa in testa, ma non potevo
perché sarebbe stato
disdicevole e politicamente scorretto visto che lui era omosessuale e
con
questa scusa se ne usciva con le peggiori battute nei confronti della
sottoscritta.
Io ero quella brutta,
stupida, una zecca della società e lui invece era perfetto.
La nuova moglie di
mio padre lo portava in palmo di mano come un esempio da seguire, dal
niente
era riuscito ad entrare in un prestigioso studio di architettura.
Peccato che il suo capo
fosse cugino della vacca e amante di mio fratello e poco contava anche
che mio
fratello sul piano umano fosse una merda.
Lì contavano solo i soldi
e mio fratello ne aveva e ne ha fin troppi ed era anche dotato di una
discreta
mancanza di memoria.
All’inizio del secondo
mese di convivenza – un luglio torrido –
ci fu l’ennesimo litigio con mio padre dopo che
lui aveva obbligato a
licenziarmi il tatuatore che mi aveva appena assunta.
Un litigio con i contro
coglioni in cui sono volati piatti e sedie e in cui mi ha riempita di
botte,
come se fossi un sacco da boxe. È sempre stato il suo modo
di risolvere le
questioni con me, ma io ero stanca e il giorno dopo ho fatto una cosa a
dir
poco scorretta, ma di cui non mi pento nemmeno ora: ho aperto la
cassaforte
dell’appartamento e ho arraffato soldi e gioielli.
A Baltimora avevo
trascorso la mia adolescenza tra avanzi di galera e di riformatorio,
quindi
avevo imparato anche cose che le normali adolescenti non sanno, tra
cui,
appunto, aprire una cassaforte senza sapere la combinazione
Con il mio bottino nella
borsa e il cuore stretto in una morsa sono scappata alla stazione degli
autobus
e ho preso il primo
per Baltimora. Prima
ancora di andare da Holly mi sono fermata da un ricettatore che
conoscevo e mi
sono fatta dare i soldi che valeva la roba che avevo rubato.
Era una bella sommetta, ha
consentito a me e a Holly di pagarci il viaggio, il primo affitto e il
mio
corso per tatautrice.
Il resto me lo sono
sudato, già mentre facevo il mio corso ho portato i miei
disegni a un tattoo
store e mi hanno assunta come apprendista, Holly invece
trovò lavoro come
commessa in un negozio di roba goth e punk.
Eravamo sistemate, la vita
aveva iniziato a girare nel modo giusto per noi.
In questi cinque anni, io
ho aperto il mio negozio e Holly mi fa da segretaria ed è
con i soldi del
negozio che abbiamo comprato la casa.
Non ho mai detto alla mia
amica da dove venissero i nostri primi soldi, ma credo che lei
l’abbia capito
lo stesso. Lei ha sempre avuto fiuto per queste cose e soprattutto sa
perfettamente quando le dico una bugia, quella volta le dissi che i
soldi erano
un regalo di mio padre.
Lei sapeva che il vecchio
non avrebbe mai sganciato, non a me almeno, le sono grata per non aver
indagato
In ogni caso ora fila
tutto o quasi liscio.
Il mio fratellino si è
arruolato e prima di lasciare la roulotte dove vivevamo ha affidato mia
madre
ai servizi sociali, tanto mi basta per stare in pace.
Non ho molta voglia di
rivederla, dentro mi è cresciuta una freddezza che
è difficile da estirpare.
Ho sempre l’impressione di
vivere e vedere il mondo dietro una finestra incrostata di ghiaccio,
che non
riesco a rompere e che mi raffredda l’anima.
Adesso non ha neppure
molta importanza perché siamo fuori al freddo in fila per un
concerto: quello
degli All Time Low.
Holly ne va matta e mi ha
contagiato, il giorno che ho ammesso che mi piacevano
lei ha ammesso candidamente di adorare i
blink da una vita.
Perfetto.
Io mi sono sentita “Nothing
personal” e a “Lost in stereo” ho sentito
un brivido serpeggiarmi lungo la
schiena, senza che ne capissi il motivo.
Holly dice che sono di
Baltimora anche loro, forse li ho incontrati prima che diventassero
famosi e
non lo so, forse in quel momento c’era una finestra aperta da
qualche parte
della casa.
“Ti rendi conto che tra
poco apriranno i cancelli e li vedremo?”
Mi fa eccitata la mia
amica, con quei lunghi capelli neri strati di bianco e gli occhi
chiarissimi
somiglia vagamente a Amy Lee degli Evanescence.
“Sì e tu stai pronta alla
battaglia o la prima fila non sarà nostra!”
Lei annuisce e guarda
decisa davanti a sé, si farebbe uccidere pur di cedere la
transenna che nella
sua testa è già sua. Ha una determinazione tutta
irlandese che però al momento
mi ricorda curiosamente quella di Hitler nel perseguire gli ebrei
dovunque essi
fossero.
Alle sei aprono i cancelli
e la folla scatta come un gigantesco leopardo, io e Holly ci prendiamo
per mano
e a forza di calci e pugni ci facciamo largo tra tutti questi corpi
estranei.
Ricevo un calcio sugli
stinchi che di sicuro mi ha incrinato una tibia e una gomitata che
domani mi
lascerà un livido blu e sembrerà che qualcuno mi
abbia picchiata.
Alla fine di tutta questa
lotta mi attacco a un pezzo di metallo – l’agognata
transenna – e quasi non ci
svengo sopra.
Solo l’acqua che Holly mi
versa sulla testa e il fatto che mi faccia ingoiare a forza una
zolletta di
zucchero mi fanno riprendere.
“Le trincee della prima
guerra mondiale devono essere state qualcosa di simile.”
Boccheggio io, non appena
mi riprendo un po’ e realizzo che sono davvero sotto al
palco: dietro di me c’è
tanta gente che spinge e prima del concerto degli All Time Low stanno
mettendo
della musica metal.
Cosa diavolo c’entri il
metal con il pop-punk non lo capisco, ma l’importante
è essere qui.
L’adrenalina inizia a
circolare anche in me e comincio a saltellare sul posto in preda
all’impazienza
e alla frenesia della battaglia vinta, poco importi che abbia perso
metà di una
gamba dei miei pantaloni militari a tre quarti e un cappellino della NY
che
amo.
Chissene.
Io e la mia amica mangiamo
e dopo mezz’ora le luci si spengono e iniziamo a urlare tutti.
Da quel momento in poi i
miei ricordi si fanno confusi, salto, urlo, canto come tutti.
Quando iniziano le prime
note di “Lost in stereo” ho l’impressione
che Jack Barakat guardi me, ma non ho
il tempo di approfondirla, da dietro mi alzano e sono costretta a un
surf
crowding in orizzontale che si conclude quando arrivo davanti al
chitarrista, a
Jack.
Di nuovo ho l’impressione
che guardi solo me durante la canzone, di nuovo mi dico che
è solo una
suggestione derivata dall’essere in mezzo a una folla che li
ama.
Io per lui non sono
niente, sono solo una fan, non sono certo una che conosce e il fatto
che
entrambi proveniamo da Baltimora non è importante.
È solo una coincidenza.
Trascorro il resto del
concerto lì, parlando ogni tanto con il body guard.
È gentile e quando i
coriandoli argentati che cadono copiosi indicano la fine del concerto,
lui mi
porta da Holly.
Io e lei ci abbracciamo e
poi corriamo ad appostarci all’ uscita posteriore: speriamo
entrambe di
riuscire ad avere un autografo.
Non riusciamo ad arrivare
in prima fila, solo in un’onorevole terza fila.
Siamo stanche e tutti i
dolori iniziano a farsi sentire.
Finalmente i quattro
escono e stranamente il body guard che li scorta si ferma davanti a me
e
costringe la folla ad aprirsi.
“Tu!”
Mi indica.
“Tu vieni con me!”
“Io non vado da nessuna
parte senza di lei!”
Lui bestemmia a bassa voce
e ci fa cenno di seguirlo.
Cosa diavolo sta
succedendo?
Perché sto seguendo un
omone grande e grosso verso il pullman di una band che mi piace?
E perché vogliono me e
proprio me e non nessun altro?
La situazione ha
dell’irreale, sembra una di quelle fiction che ogni tanto
legge Holly in cui
l’idolo del momento cade fulminato ai piedi di una fan.
Robe che nella realtà non
accadono, forse sono ancora collassata sulla transenna e sto sognando
tutto.
La portiera del bus si
apre e con poca grazia l’uomo ci fa capire che dobbiamo
salire, inizio ad
avere il batticuore e mi guardo
intorno.
Le mie gambe fremono per
poter scappare, ma Holly mi dà una spinta abbastanza forte
da farmi capire che
è tutto vero e che mi costringe a salire facendomi finire
addosso a qualcuno:
Alex Gaskarth.
Sono caduta niente di meno
che addosso al frontman della band, la gola mi si secca.
“Scusa, non volevo.”
“Tranquilla, forza
salite.”
Ci fa accomodare su un
divanetto e ci offre della coca cola, intanto gli altri chiedono le
nostre
impressioni sul concerto.
Parla solo Holly che si
profonde in elogi, io sono troppo stranita, troppo presa da una
sensazione di
irrealtà dilagante per riuscire a spiccicare parola.
“Scusate.”
Dico flebilmente a un
certo punto.
“Perché mi volete qui?”
Alex e Zach (il bassista)
si scambiano uno sguardo.
“È Jack, che adesso si sta
facendo una doccia. Appena ti ha visto è come impazzito,
continuava a urlare “È
lei, l’ho ritrovata!”.”
Io lo guardo con la bocca
spalancata, sono così scioccata che ho paura che la mascella
mi si stacchi da un
momento all’altro e se ne vada a fanculo.
Qualche minuto dopo, il
signorino che ha tanto richiesto la mia presenza fa la sua comparsa con
solo un
asciugamano addosso alla vita e mi punta un dito addosso.
“Tu! “Lost in stereo” è
stata scritta per te!”
Io mi indico sconvolta.
Lost in stereo per me.
Per me
Per.
Me.
All’improvviso tutto
intorno a me si fa grigio e poi nero e le voci diventano distorte fino
a
scomparire in brusii indistinti.
In quel momento perdo il
controllo della realtà e ho paura che non lo
riacquisterò tanto presto.
Certe notizie possono
sfociare in un infarto mortale a volte.
Contrariamente alle mie
aspettative riacquisto il controllo della realtà durante la
notte.
Per prima cosa non sono
morta di infarto e già questa è
un’ottima notizia.
Percepisco di essere
sdraiata su un letto morbido, avvolta in lenzuola che sanno di pulito,
involontariamente sorrido: amo il profumo di pulito.
Questa mi fa capire che
non sono in ospedale e non posso fare a meno di ringraziare Dio. Dove
sono?
“Ben svegliata!”
Qualcuno lo sussurra
accanto a me e io apro gli occhi di scatto: vicino a me, comodamente
seduto su
una poltroncina, c’è Jack Barakat.
Merda!
Io metto le mani nei
capelli.
“Allora è tutto vero, ho
incontrato il chitarrista degli All Time Low e gli sono svenuta davanti
e
adesso lui mi sta guardando mentre dico cazzate con le mani nei
capelli.”
Lo sento ridacchiare.
“All’incirca la situazione
è questa.”
“Una rockstar ha appena
assistito a una delle mie peggiori figure di merda, posso seppellirmi
ora.”
Lui ride di gusto.
“Che bimba minchia che
sono!”
Faccio per alzarmi, il
dolore alla tibia però me lo impedisce, ma sul mio volto non
traspare alcuna
smorfia di dolore: voglio tenermi aperta una via di fuga.
“Mannò, se fossi una di
quelle a quest’ora staresti già tentando di
violentarmi!”
“E a te non dispiacerebbe,
vero?”
“Se fossi tu a farlo, no.”
Lo guardo con gli occhi
sgranati.
“Te lo ricordi cosa ti ho
detto prima che tu svenissi?”
Io ci penso un attimo e
poi come un fulmine la verità si abbatte su di me: sono la
ragazza di “Lost in
stereo.”
Faccio per alzarmi e
scappare – seguendo il mio istinto – ma un
giramento di testa me lo impedisce e
lui mi fa sdraiare di nuovo.
“Dov’è Holly?”
Chiedo isterica.
“Dabbasso che gioca a
poker con la band, li sta stracciando.
Io adesso ti porto un
panino e poi parliamo, ok?”
“Dove siamo?”
La mia voce cresce di
un’altra ottava.
“A casa mia. È tutto ok?”
“Sì, sì. Va tutto bene.”
Non appena lui esce io mi
alzo e ispeziono la camera, la finestra è troppo in alto e
troppo lontana da un
albero. Se saltassi giù mi schianterei e basta, senza
riuscire a scappare e
condannandomi all’ospedale se non alla sedia a rotelle.
Rimango un po’ troppo in
contemplazione perché faccio giusto in tempo a saltare a
letto di nuovo che lui
torna con un vassoio di sandwich al tonno e maionese.
“Grazie.”
Ne prendo uno, sembrano davvero buoni ed effettivamente lo sono. Li
avrà fatti
lui per me?
“Buoni!”
“Grazie, posso sapere il
tuo nome?”
“Wendy, Wendy O’Connor.”
Lui sorride.
“È un bel nome, Wendy.”
“Grazie, ma i sandwich li
hai fatti tu per me?”
Lui annuisce rapidamente e
poi riprende a parlare.
“Io mi ricordo di te,
sai?”
Io impallidisco, vero, sono
quella ragazza.
“Davvero?”
“Sì. Eri sempre intenta a
creare playlist per il Magazzino o a ballare e io avrei tanto voluto
ballare
con te.
Mi ricordo anche di Holly,
sai?
L’ultima volta che ti ho
vista è stato durante una serata blink.”
Io lo guardo come
fulminata: il ricordo di un ragazzo moro che beve birra mi attraversa
la testa.
Holly aveva ragione! Era
interessato a me!
“Poi sei sparita e a me è
rimasto il rimpianto di non essermi fatto avanti quella sera, avrei
dovuto
provarci durante…”
“I miss you.”
Concludiamo insieme.
“Adesso anche io mi
ricordo di te, di quella sera. Holly diceva che avevo fatto colpo su di
te e io
non le avevo creduto.
Poi sono stata un po’a New
York da mio padre e poi mi sono trasferita qui.
Poi non pensavo di
piacerti, stavi tracannando birra come un matto e poi stavi parlando
con Stella
Dawkins, credevo fosse la tua ragazza.”
Lui scuote la testa.
“È stata la ragazza di
Alex, non la mia.”
“Com’è New York?”
Io stringo le mani a pugno
pensando a tutti i litigi con mio padre, alla mia matrigna e alle mie
sorellastre, per non parlare di mio fratello naturale.
Istintivamente mi tocco un
occhio, quello sano, l’ultima volta che ci siamo visti a New
York mio fratello
mi ha dato un altro pugno, senza che mio padre e la sua troia alzassero
un
dito.
Che famiglia amorevole!
Non è certo una cosa che
posso raccontare a un tizio che vedo la prima volta soprattutto se
è uno
famoso, non voglio suscitare pietà in lui.
“È una città.”
“Più bella rispetto a
Baltimora.”
Io scuoto le spalle.
“Preferisco Los Angeles.”
Rimaniamo un attimo in
silenzio.
“Non riesco ancora a credere
che quella canzone sia dedicata a me…”
Perché?
Sei una bella ragazza.”
Io mi stringo le gambe tra
le braccia.
{“Sei brutta,
Wendy,
brutta come il peccato.
Brutta come tuo padre,
avrei preferito che tu nascessi morta.”
Le frasi di mia madre
sono
come tante coltellate nel mio ego. Sento un dolore che non credevo
possibile
sentire.}
Mangio tutti i sandwich e
poi faccio per alzarmi.
“Non vuoi raccontarmi
nulla di te?”
“La mia vita non è
interessante, sono solo un’anonima tatuatrice.”
Questa conversazione
inizia a diventare pesante da sostenere, a ogni sguardo che gli rivolgo
ricordo
di Baltimora.
Ricordo di quella
ragazzina prima troppo grassa, poi troppo magra.
Ricordo mia madre ubriaca
che scopava.
Ricordo la tintura di
capelli azzurra in eccesso scendere nel lavandino, creando un cielo
artificiale.
Ricordo le botte e gli
insulti.
Ricordo le sere passate a
pogare per potermi sfogare.
Ricordo le sere passate
con gente che mi insegnava a rubare.
Ricordo le canne e la
gente accanto a me che si faceva di ero tranquillamente.
Ricordo quello che ho
cercato di dimenticare in questi cinque anni e li rivedo negli occhi
innocenti
di questo ragazzo che non sa nulla di tutto questo.
“Dove vivevi?”
“Scusa?”
“A Baltimora, dove
vivevi?”
“In una roulotte, in una
zona fuori città, prima in una di quelle villette belle e
con il prato davanti
regolarmente falciato.”
Lui si siede accanto a me
sul letto dopo essersi tolto le scarpe.
“Come ci sei finita lì?”
“Mio padre se n’è andato
con la sua amante e non ci ha mai pagato gli alimenti, mamma ha perso
il lavoro
e campavamo con il sussidio sociale.
Ecco come ci sono finita,
per colpa di un bastardo che prima ha scodellato tre figli con una
poveraccia e
poi ha trovato la sua gallina dalle uova d’oro e il resto ha
smesso di contare
per lui.”
La mia voce è tagliente
come l’odio che provo per quell’uomo che ci ha
rovinato la vita senza neanche
chiedersi se fosse giusto o sbagliato: l’ha semplicemente
fatto.
Ci ha gettati via, come si
getta l’immondizia quando la pattumiera è piena.
Sento Jack parlare accanto
a me, ma non lo ascolto, migliaia di ricordi dimenticati tornano a
farsi vivi e
in questo momento mi sento la Wendy debole e fragile di Baltimora e non
quella
fredda e forte di Los Angeles.
“Mi stai ascoltando?
No, non mi stai ascoltando,
mi spieghi che cos’hai?”
Io sospiro e guardo il
soffitto.
“È troppo lungo,
complicato e pesante da spiegare e io non ho intenzione di buttarti
addosso la
montagna che mi porto dietro.”
“E se io volessi? E se mi
interessasse?
Ti ho chiamata perché
volevo conoscerti.”
Io trattengo le lacrime.
“Non c’è niente di bello
da conoscere in me, vattene, finché sei in tempo.”
Lui mi guarda e fa
l’ultimo gesto sulla faccia della terra che io mi aspetto che
faccia: mi
abbraccia.
Nessuno mi aveva mai abbracciato,
forse il mio fratellino qualche volta dopo qualche lite particolarmente
violenta tra i nostri o dopo qualche sfuriata senza motivo di mia madre.
Faccio fatica a farmi
abbracciare persino da Holly che conosco da una vita. Ogni volta che
qualcuno
tenta di farlo mi vengono in mente le botte.
Rimango rigida per un
attimo, poi inaspettatamente mi lascio andare, mi sembra che le sue
braccia
siano fatte apposta per abbracciarmi.
A questo pensiero mi
stacco: lui non deve entrare nella mia vita.
Io sono un’anonima ragazza
e lui una rockstar, coppie del genere si formano solo nelle fan fiction.
Mi guarda per un attimo,
poi il suo sguardo cade sul polsino che porto sul polso sinistro:
quello pieno
di tagli recenti e non.
“Bello quel polsino.”
“Grazie.”
“Me lo fai vedere?”
“NO!”
Lui non demorde e inizia
una lotta per togliermelo, da parte sua avverto chiaramente che
è uno scherzo,
per me non lo è. Non mostro quel polso a nessuno, solo a
Holly.
Io cerco di sottrarmi più
che posso, ma lui alla fine vince e me lo sfila.
Sorride fino a che lo
sguardo gli cade sul polso in questione, quando lo vede cambia
espressione e da
felice passa a preoccupato.
Io invece mi alzo di
scatto dal letto, lasciandolo lì con il mio braccialetto in
mano, e scendo al
piano inferiore. Holly sta effettivamente giocando a poker con i
ragazzi, ma io
non la chiamo, questa villa sta diventando troppo stretta, me ne devo
andare.
Mi infilo gli anfibi,
prendo la giacca e la borsa e attraverso di corsa il giardino, in
qualche modo
apro il cancello e poi corro ancora.
Mi fermo solo quando
arrivo in una strada grande e frequentata e con la mano cerco di
bloccare un
taxi: ce la faccio.
Non appena entro nella
vettura scoppio a piangere: non avrebbe dovuto togliermi quel polsino!
Non ne aveva alcun diritto,
lui non è nessuno!
Sento il cellulare
vibrare, lo tolgo dalla borsa e mi accorgo che è Holly che
mi sta chiamando.
Spengo il cellulare con stizza o lo ributto nella borsa.
A fine corsa pago il
tassista e percorro il vialetto di casa mia con la vista ancora
appannata dalle
lacrime. Apro le porta, mi tolgo gli anfibi butto giacca, borsa e
vestiti per
terra e in intimo salgo in camera mia.
Apro l’armadio per tirare
fuori una maglia che mi faccia da pigiama, ma quando lo specchio che
c’è su un
anta mi rimanda il
mio riflesso lo
prendo a pugni.
Sospirando vado in bagno,
mi tolgo le schegge più grandi e quelle che riesco a vedere
di quelle piccole e
poi mi medico e bendo la mano alla bell’ e meglio.
Distrutta emotivamente,
stanca fisicamente e piena di lividi mi butto a letto.
Baltimora è venuta a farmi
visita e non mi ha fatto piacere.
Mi rigiro per almeno
un‘ora prima che il sonno decida di calare su di me.
Quanto mai ho accompagnato
Holly a quel concerto!
Avrei fatto meglio a
rimanere a casa!
Angolo
di Layla
Ringrazio
Shyline Sixx
e LostinStereo3
per le recenioni :).
|
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Capitolo 3 *** 2)First date. ***
2)First date.
La
mattina dopo mi sveglio
sentendo dolore dappertutto, soprattutto alla mano che pulsa in modo
inquietante.
Scendo in cucina e trovo Holly
sulla soglia che mi guarda minacciosa, le braccia incrociate sul petto.
“Si può sapere cosa ti è successo
ieri sera?
Te ne sei andata via senza
avvisarmi, non mi hai risposto al telefono e Jack è sceso
dopo di te con una
faccia da funerale.”
Io non rispondo ed entro
nel locale, lei mi prende per un polso e nota la fasciatura e
l’assenza del
polsino.
“Dov’è il polsino e cosa
ti sei fatta?”
“Il polsino ce l’ha Jack e
ho preso a pugni uno specchio.”
Lei sospira e alza gli
occhi.
“Vieni in bagno che ti
medico!”
“L’ho già fatto io ieri
sera.”
“Sì, immagino. Forza,
vieni!”
Io la seguo e lei disfa la
mia fasciatura ed estrae una miriade di piccole schegge che io non
avevo visto,
mi disinfetta come Dio comanda e poi mi rifà la fasciatura.
“Così è fatta bene. Come
pensi di tatuare oggi?”
“Con le mani.”
Lei sbuffa.
“Non capisco cosa ti sia
preso.”
Non ho voglia di spiegarle
che rivedere Jack mi ha fatta tornare a Baltimora e che odio sentirmi
così
debole, spaventata e in preda degli eventi.
Scendiamo in cucina e
facciamo colazione, io sono un disastro: zoppico, ho una mano fasciata
e un
occhio nero.
Sembra che ieri sera abbia
preso parte a un combattimento clandestino invece che a un concerto.
Con l’umore sotto terra
inizio la mia giornata lavorativa, c’è poco lavoro
per fortuna. L’unico evento
degno di nota è che verso le dieci mi arriva un messaggio
sullo smartphone.
Apro svogliata l’iconina del messaggio e quasi cado dalla
sedia per lo shock.
È un messaggio di Jack Barakat
che mi invita a cena per stasera.
Ignoro come abbia fatto ad
avere il mio numero e la richiesta mi sciocca abbastanza: cosa vuole
quel
ragazzo da me con tutte le groupie che ha?
Holly mi guarda curiosa e
io le passo il cellulare senza dire una parola.
Lei legge il messaggio,
sgrana gli occhi e comincia
a muovere le
dita sullo schermo touch, che sta facendo?
“Holly, che sta facendo?”
“Accetto l’invito,
ovviamente!”
“Io ti ammazzo!”
“Prima di ammazzarla
potresti tatuare me?”
Una vocina mi fa voltare
verso l’ingresso, un ragazzino sui quindici anni mi guarda un
po’ spaventato,
in questo momento devo avere l’aspetto e
l’espressione di una furia.
“Hai il permesso dei tuoi
genitori?”
Gli chiedo fin troppo
brusca, odio che mi becchino in questi atteggiamenti sul lavoro, li
considero poco
professionali.
Lui mi porge esitante un
foglio in cui si legge che sono autorizzata a tatuare questo ragazzino
di nome
Josh da sua madre, la firma però sembra incerta, quasi falsa.
“Portami uno dei tuoi
genitori, non mi fido molto della firma e non voglio
rischiare.”
Lui sospira, esce e dopo
un quarto d’ora torna con una donna sui
quarant’anni che gli somiglia molto,
deve essere la madre.
“Buongiorno sono Isabel
Sanchez e ti autorizzo a tatuare mio figlio, almeno la smette di
tirarmi matta
con questo benedetto tatuaggio…”
Chiedo loro le carte
d’identità e poi annuisco.
“Cosa vuoi tatuarti,
Josh?”
“Il logo dei blink sul polso.”
Il lavoro mi porterà via
circa un’ora e io ne ho due libere, quindi posso anche
tatuarlo subito.
“Bene, Josh.
Seguimi di là, oggi non ci
sono molto clienti.”
Lui esegue e si siede su
una sedia, io gli faccio appoggiare il braccio su uno dei manici e
comincio a
cambiare gli aghi e a preparare gli inchiostri.
“Mia madre talvolta è una
tale rompi cazzo.”
Esclama lui, io lo guardo
male.
“Dovresti essere grato a
tua madre, per prima cosa perché ti ha permesso di fare
questo tatuaggio
nonostante non fosse d’accordo. Poi perché si
preoccupa per te o altrimenti non
avrebbe fatto storie, l’avrei voluta io una madre
così: la mia era sempre
ubriaca, non gliene importava nulla di me e mi riempiva di botte quando
era
storta.”
Josh tace, non dice più
nulla nemmeno quando lo sto tatuando, anche se sul suo volto
c’è una smorfia di
dolore indicibile quando tocco certi punti.
Alla fine il logo con i colori
e una piccola scritta – Fate fell short –
è apparso sul suo braccio, io gli
spiego come trattarlo e poi lo mando da Holly per il pagamento.
Prima che lui esca dal mio
antro mi guarda e sussurra un flebile “Grazie” e
quando torna da sua madre e le
dice un “Ti voglio bene” a malapena udibile.
Lei lo guarda perplessa
uscire dal negozio e poi paga il tatuaggio di suo figlio.
“Posso chiederti come hai
fatto?”
Io la guardo senza capire.
“A far dire a mio figlio che mi
vuole bene.”
Un sorriso amaro fa
capolino sul mio volto.
“Gli ho solo raccontato un
po’ com’era la mia di madre.”
La donna mi guarda con
compassione e poi se ne va, io guardo Holly.
“Perché hai accettato?”
“Perché volevi rifiutare?”
Io rimango un attimo in
silenzio.
“Perché lui mi ricorda
Baltimora, mio padre che se ne va, mamma che beve e che mi picchia, il
frocio
che mi picchia, le volte che mi sono sacrificata perché Andy
non venisse
picchiato.
Le serate al magazzino
piena di lividi nel corpo e nell’anima passate a pogare per
buttare fuori la
rabbia.
Le troppe canne e le
troppe birre, James che si faceva di eroina accanto a me e diceva di
amarmi e
che avrebbe smesso. Adesso ha smesso solo perché
è al cimitero.
Le serate passate con
gente che usciva dal riformatorio, sapere come si fa a rubare e
scassinare.
Lui mi ricorda tutto
questo e io voglio dimenticarlo.”
Holly mi guarda, non mi ha
mai guardato così seria come ora.
“Tutto quello che hai
appena elencato, per quanto brutto sia, ha fatto di te la persona che
sei
adesso. La ragazza forte, quella che con una sola frase ha fatto capire
a un
ragazzino di aver trattato ingiustamente sua madre.
Se non ti fosse successo
tutto questo non saresti la persona splendida che sei e ho accettato
perché ti
meriti un po’ di felicità e accettare una cena con
un ragazzo può essere il
primo passo per averla.”
Io ho le lacrime agli
occhi.
“Grazie, Holly, grazie.”
Dopo questa predica non
posso certo sottrarmi a questo appuntamento che non è
particolarmente voluto da
parte mia o meglio è voluto e temuto allo stesso tempo: Jack
mi piace come
ragazzo, ma ho paura del mio passato e del suo essere una rockstar.
Non ho voglia di mettermi
in tiro, ma Holly non vuole sentire ragioni, fruga nel suo armadio e mi
porge un
abito che cade largo in visita, si stringe all’improvviso e
ha la gonna di
pizzo.
Io lo indosso scettica, ma
poi quando vedo cosa ha in mano impallidisco vistosamente: ha in mano
un
corpetto con dei lacci bordeaux davanti.
“Holly, no!”
“Sì!”
Ignorando le mie proteste
me lo stringe addosso, poi mi piastra i miei capelli azzurri che
sfumano in un
verde acido e mi trucca pesantemente di nero.
Mi dà il nome
dell’indirizzo e mi sbatte fuori casa.
Ti voglio bene, Holly!
Con la verve di un martire
che va all’arena mi reco in questo posto che capisco essere
un posto alla moda,
lui mi aspetta fuori con una semplice giacca di pelle, jeans scuri e
scarpe da
tennis.
La tentazione di scappare
è fortissima, cosa ci faccio io in un posto come questo?
Io che ho dovuto saltare i
pasti più di una volta lungo la mia adolescenza e che
consideravo un lusso
persino il Mac?
Non c’entro niente, ma
alla fine scendo dalla macchina e lo raggiungo, lui sorride non appena
mi vede.
“Pensavo mi tirassi
bidone.”
“Non sai quanto ci sono
andata vicino.”
Lui scuote la testa e apre
la porta facendomi entrare per prima, per poi confabulare con un
cameriere. Mi fanno
cenno di seguirli in
una sala piccola e discreta del locale da cui si vede il mare.
Ci sono i fiori, le
candele e lo champagne, io non sono abituata a tutte queste cose, per
cui mi
siedo al tavolo già rossa come un pomodoro.
Il lusso mi mette a
disagio, non sono come mio fratello che ci sguazza tranquillamente.
Ogni volta
che vedo un posto come questo mi viene spontaneo fare un confronto con
la
roulotte in cui ho vissuto e ne esco sempre perdente.
“Sei a disagio?”
“Un po’, non sono abituata
a tutto questo lusso.”
“Lo sapevo che non dovevo
dare retta a quel cazzone di Alex!”
Io lo guardo senza capire,
cosa c’entra il suo compagno di band con questo ristorante?
“Mi ha detto che quando
faccio qualcosa di grave a una ragazza mi devo far perdonare con un
ristornate
costoso. Lo sapevo che non eri il tipo da ristorantini!”
Io rido. La sua
imbranataggine scioglie un po’ della tensione che avevo
accumulato, in fondo
anche lui è una persona semplice o almeno lo spero.
“Ormai siamo qui.”
“Già. Senti, volevo
scusarmi per ieri sera. Non avevo alcun diritto di comportarmi
così. Mi
dispiace.”
“Grazie, scuse accettate.”
Ora inizio a sentirmi a
disagio, lui sa dei miei tagli e questo non mi va a genio, sono una
delle parti
di me che cerco di tenere nascoste alla gente. Ormai il danno
è fatto però e
non ci posso fare nulla, solo fingere disinvoltura.
“Cosa ti sei fatta alla
mano?”
Io arrossisco ancora di
più e
non rispondo. Perché si è accorto
anche della mano?
Quando gli dirò la verità
penserà che sono pazza e forse non ha tutti i torti, oggi
tatuare è stata una
tortura visto che non ha smesso di farmi male tutto il giorno.
“Wendy?”
Lui mi guarda incerto se
insistere o meno.
“Ho preso a pugni uno
specchio.”
Sussurro con voce a
malapena udibile, è inutile mentirgli. Potrebbe anche
pensare che qualcuno mi
abbia picchiata e non voglio che lo faccia, meglio matta come un
cavallo che
vittima.
“Perché?”
“Perché non mi piaceva la
persona che rifletteva.”
L’arrivo del cameriere lo
salva dal dover commentare o dal dire qualsiasi cosa –
insulti, domande su come
sto a livello psicologico – e probabilmente gli impedisce
anche di fuggire.
Io ordino delle lasagne,
lui della pasta al pesto e per secondo scaloppine al limone per tutti e
due.
Durante
la cena non
parliamo molto, le mie parole hanno fatto calare una cappa di imbarazzo
difficile da sciogliere.
“Forse avrei fatto meglio
a non venire, ho rovinato la serata.”
Borbotto a un certo punto,
pensando che lui non mi senta.
Pia illusione, il signor
Barakat ha orecchie lunghe.
“Io sono contento che tu
sia venuta.”
Mi dice mentre mangiamo il
dolce.
Io non so come faccia a
esserlo, sono una persona complicata e poco socievole, quella che di
solito
tutti evitano. A scuola almeno mi hanno evitato tutti per non dover
fare i
conti anche con i miei problemi, persino tra gli sfigati stavo da sola.
Quando usciamo decidiamo
di passeggiare un po’ su un viale che dà sulla
spiaggia.
Il cibo del ristorante era
buono, ma io ho ancora fame, ma io non so come dirglielo, non voglio
fare la
figura del pozzo senza fondo..
All’improvviso si sente un
borbottio che fortunatamente non proviene dal mio stomaco, ma da quello
di
Jack.
“Dio, ho una fame
allucinante , ma non volevo dirtelo.”
“Io sono nella tua stessa
situazione.”
Lui sorride, mi prende per
mano – una scossa sale fino al mio cervello – e mi
fa entrare in uno dei
chioschetti che danno sulla strada.
Lì ci mangiamo un
hamburger, un hot dog e due muffin ciascuno per sentirci pieni.
“Che bella mangiata!”
Lui si picchia poco
elegantemente una mano sulla pancia, i lacci del mio corsetto tirano un
po’,
eppure non mi interessa: in questa serata sto bene.
Quando lui va a pagare
alla cassa lo fermo, mi ha già offerto la cena al
ristorante, lui però non
sente ragioni.
Dice che è un appuntamento
e che deve offrire tutto lui, io sono di nuovo rossa come un pomodoro.
Non sono
abituata a tutta questa gentilezza.
Usciamo e lui mi prende di
nuovo per mano e passeggiamo per un po’, alla fine della
strada ci sono le
giostre e i miei occhi si illuminano involontariamente.
“Vuoi andare alle giostre?”
“No, cioè, sì… Se non ti
scoccia!”
Lui mi trascina verso
l’entrata e per prima cosa ci facciamo la casa degli orrori,
poi vengono gli
autoscontri e le montagne russe.
Sulle montagne russe urlo
come una matta, sono divertentissime!
Scesi da quelle passiamo
davanti al tiro a segno e io mi incanto davanti al peluche di una rana
dei
cartoni animati, Keroro, mi pare si chiami.
“Vuoi che provi a
vincertela?”
Mi chiede divertito.
“Solo se ti va.”
Lui ride.
“Sei la ragazza più strana
che io abbia mai incontrato, ma va bene. Adesso ci provo.”
Ci riesce al terzo
tentativo e per il resto della serata la rana rimane seduta sulle mie
spalle,
l’ultima cosa che ci manca è la ruota panoramica.
Io accetto di salire con
un po’ di esitazione, di solito è lì
che succedono le cose romantiche e io non
so se voglio che accadano.
Alla fine entro nel
cubicolo di metallo e guardo il panorama mentre si alza da terra, al
suo apice
posso osservare il mare e la costa e ne sono incantata.
A togliermi dal mio
incanto ci pensa la mano di Jack che mi accarezza delicatamente una
guancia e
poi attira il mio volto verso il suo.
Ci scambiamo un bacio
casto che poi si approfondisce per richiesta sua e con una mia scarsa
partecipazione: sono ancora scioccata dall’evento.
Lui si stacca presto –
forse un po’ deluso – ma io lo prendo per la nuca e
lo riattiro a me in un
bacio che di casto ha ben poco. È un bacio che mi fa
attorcigliare lo stomaco e
sentire euforica allo stesso tempo. Ci stacchiamo solo quando la cabina
tocca
terra e usciamo mano nella mano, come due fidanzatini.
È stata una bella serata e
ora sta volgendo al termine e la tristezza comincia a salire.
Fino ad ora ho avuto
l’impressione di vivere in una bolla, ma ora la bolla
è esplosa e l’incanto si
è rotto: non siamo più Wendy e Jack, ma Wendy e
Jack degli All Time Low.
La tatuatrice e la
Rockstar.
Incompatibile come olio e
acqua.
“Allora, ti sei
divertita?”
“Sì, ti ringrazio per la
bella serata, ora che hai ripagato il tuo debito puoi tornare alla tua
vita.”
Lui mi guarda confuso e ferito.
“Cosa stai dicendo?”
“Puoi tornare alla tua
vita fatta di concerti e groupie, sei stato sgarbato con una fan e hai
ripagato
il tuo debito.
Sono contenta che tu
l’abbia fatto, ma tra noi non c’è
futuro, lo sai.”
Lui mi fa voltare verso di
lui.
“Io so solo, cara la mia
iceberg, che prima mi hai baciato e che qualcosa deve pur
significare!”
Mentire o dire la verità?
Non faccio nemmeno in
tempo a pensare seriamente a questo dilemma che la mia linguaccia
risponde per
me.
“È stato il momento, la
ruota panoramica, le luci, essere con un ragazzo dopo tanto
tempo.”
“Ah.”
E quell’ “ah” sa di
sconfitta e di delusione, sa di coltellata inferta a un cuore pulsante,
mi fa
abbassare gli occhi come fanno i colpevoli e gli assassini.
“Mi dispiace.”
Mormoro a voce bassa e mi
rendo conto da sola che è un po’ poco.
“Risparmia i convenevoli,
hai già detto tutto poco fa!”
Mi risponde secco.
In macchina non mi dice
nulla e io mi sento all’improvviso la peggiore delle persone,
ho uno “scusami”
che brucia sulla punta
della mia lingua,
ma non esce. Rimane lì, tenuto fermo dal mio stupido
cervello, nonostante il
cuore urli che io stia sbagliando e che non posso lasciarlo andare, non
così
almeno.
Ci salutiamo freddamente e
lui parte sgommando.
Io mi siedo sul portico di
casa mia e guardo la rana che ha vinto per me, ho
l’impressione che mi guardi
per farmi sentire in colpa.
Mi sono comportata come la
regina di ghiaccio e per contrappasso tante schegge ghiacciate stanno
straziando il mio cuore.
Abbasso la testa e scoppio
a piangere silenziosamente come facevo da ragazzina dopo che mia madre
mi aveva
picchiato.
È così che mi trova Holly
e mi fa entrare senza tanti convenevoli.
“Non vorrai prenderti
qualcosa!”
Esclama pratica, poi si
siede accanto a me, pronta a raccogliere le mie confidenze come al
solito.
Questa volta ho il sospetto che non sarà dalla mia parte.
“Cosa è successo?”
Io le racconto tutto e
quando le dico cosa ho detto a Jack fuori dal parco i suoi occhi mi
fulminano
come raramente hanno fatto.
“L’hai trattato da pezza
da piedi, te ne rendi conto?
L’hai trattato come se
fosse una bambola senza sentimenti, sei stata davvero una stronza e lui
è stato
carinissimo con te.
Dovresti scusarti, il
fatto che sia una rockstar non lo rende meno umano.”
Io abbasso gli occhi e non
dico nulla, con aria triste me ne vado in camera mia e penso alle
parole di Holly
e a quanto posso essere stupida e cattiva se mi ci metto.
Sono peggio di una
tempesta certe volte, io e i sentimenti siamo in cattivi rapporti da
sempre.
Faccio fatica a dire “Ti voglio bene”,
“Grazie”, “Mi manchi.” e tutte
quelle
parole che si scambiano le persone normali.
La mia coscienza
impietosamente mi dice che questa volta non posso trincerarmi dietro
questa
incapacità e devo mettermi in gioco.
Inizio a digitare un messaggio
di scuse al numero di Jack, ma alla
fine
non ho il coraggio di mandarglielo.
Lo guardo per un po’ fino
a che la luce dello schermo non viene meno e il cellulare diventa un
oggetto
scuro e morto tra le mie mani.
Lo guardo per ore in
attesa che dal mio cervello arrivi l’ordine di spedire quel
messaggio e provare
a sistemare le cose.
Sono ore vane,
quell’ordine non arriva, io mi gelo seduta sulle coperte,
fino a che non le
sollevo e mi metto sotto addormentandomi con il cellulare in mano.
Vigliacca fino in fondo
preferisco tenerlo fuori dal mio mondo che rischiare ed essere felice.
Stupida me!
Non faccio che
ripetermelo, ma nonostante questo non cambia nulla, il messaggio rimane
nella
cartella della bozze, triste e solo esattamente come me.
Entrambi siamo incompleti,
basterebbe poco per sistemarci, ma quel poco non
c’è o non lo vogliamo vedere.
Con questi pensieri in
testa prendo sonno solo verso le quattro di mattina.
Domani prevedo sarà una
giornataccia.
Angolo di Layla.
Ringrazio LostinStereo3
e Molly182
per le recensioni, siete state davvero pazienti con me e con questa
storia.
|
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Capitolo 4 *** 3)I'm sorry. ***
3)I'm sorry.
La
mattina dopo – come
previsto – mi sento uno straccio.
Holly mi chiede se mi sono
scusata con lui, io scuoto la testa e mangio mesta i miei cereali, lei
alza gli
occhi al cielo.
“Il tuo orgoglio ti
ucciderà. Non puoi sempre cacciare tutti perché
hai paura del tuo passato,
qualcuno dovrai pur lasciarlo entrare!”
Sì, ma non certo un tizio
che è in giro per il mondo e per l’America e che
non sempre può aiutarmi se ho
bisogno di lui.
Il ragionamento non fa una
piega, ma il mio cuore rimane triste e non migliora nemmeno in una
settimana.
In quella settimana agisco
come un robot e ogni sera guardo quel messaggio e mi chiedo se non sia
il caso
di mandarglielo, poi concludo sempre che ormai è troppo
tardi e che avrebbe
avuto senso farlo la sera stessa non dopo.
È interessante come
quel minuscolo passo che potrebbe risolvere tutto io non lo faccia solo
per
vigliaccheria e paura, sono vicinissima allo stare bene eppure non mi
decido
mai a fare quel passo per paura delle conseguenze.
Un sabato entra in negozio
l’ultima persona che mi aspetti di vedere: Alex Gaskarth.
Chissà cosa vuole da me? E
perché penso che non siano affatto un buon segno vederlo
apparire qui, nella
mia realtà di tutti i giorni?
“Ciao, vuoi farti un nuovo
tatuaggio?”
Chiedo cordiale, facendo
appello a tutto il mio coraggio e alla mia professionalità.
“No, voglio parlare con
te, se hai cinque minuti.”
Io deglutisco e poi gli
dico di sì, non ho più clienti e se dovesse
arrivare qualcuno che vuole
prendere un appuntamento può pensarci Holly, che lui saluta
con un cenno
amichevole.
Usciamo dal negozio e lui
sembra decisamente arrabbiato con me, che cosa ho fatto?
Entriamo nel primo bar che
troviamo e dopo aver ordinato lui finalmente apre bocca.
“Cosa hai fatto a Jack?”
“Cosa?”
“Cosa gli hai fatto? Dal
vostro appuntamento oscilla dall’essere incazzato
all’essere un’ameba totale.”
Io abbasso gli occhi e gli
racconto succintamente quello che gli ho detto dopo essere usciti dal
parco,
lui mi guarda malissimo.
Vorrei sprofondare, vorrei
scappare, non mi sono mai sentita tanto male in vita mia.
“Ti rendi conto che gli
hai detto la peggior cosa che potessi dirgli?
Siamo esseri umani anche
noi rockstar, siamo fatti di carne e sangue e soffriamo quando qualcuno
ci
tratta male.”
“Io non pensavo di…”
“Giusto, non hai pensato,
ha solo agito da stronza.
Adesso capisco perché fa
così, non avrei mai dovuto appoggiarlo nella scelta di
uscire con te.
Se volevi scaricarlo
perché non ti piaceva, avresti dovuto essere un pochino
più sensibile,
zuccherino!”
“Ma a me lui piace.”
Mormoro timidamente,
lasciando che sia il cuore a prendere il sopravvento almeno per una
volta e poi
voglio giocare a carte scoperte a rischio di farmi male.
Lui mi guarda come se
fossi un’aliena.
“Il fatto è che avevo
paura. Ho già un sacco di problemi, non volevo assillarlo e
poi ho pensato che
se io avessi avuto bisogno di lui, lui probabilmente non ci sarebbe
stato.”
“Allora lo conosci davvero
poco.
Quando ero un ragazzino
mio fratello si suicidò e fu Jack a tirarmi fuori dalla
depressione in cui ero
finito, mi ha spronato a cantare e ad andare avanti. Se avessi un
problema lui
ci sarebbe sempre, a costo di farsi mezza America in una notte.
Credo che dovresti
scusarti.”
A questo punto lo credo
anche io e lascio Alex dopo essermi fatta dare l’indirizzo di
casa di Jack.
Quando arrivo sul posto il
portiere mi apre, si ricorda di me dalla volta precedente.
Io entro nella villa e
subito sento rumori poco ortodossi, ma mi faccio coraggio e salgo fino
al piano
superiore e poi spalanco la porta della camera da cui sono fuggita
più di una
settimana fa.
Vorrei non averlo mai
fatto, Jack si sta scopando una messicana e io l’ho
interrotto.
“Scusate!”
Farfuglio prima di
andarmene.
Corro di nuovo via da
questa casa, ma prima di arrivare alla porta qualcuno mi prende per un
polso e
mi volta verso di lui: Jack.
“Scusa, non volevo
interromperti, me ne vado subito!”
“Perché sei venuta?”
Io prendo un profondo
respiro.
“Volevo scusarmi per le
parole dell’altra volta, non te le meritavi e mi sono resa
conto che prima di
essere un personaggio famoso sei una persona e che io ti ho offeso. E
poi
volevo una seconda possibilità.
Ma forse sarebbe stato
meglio se non fossi venuta, ti ho solo disturbato.
Scusami ancora.”
Me ne vado da quella casa,
pensando che sono solo un’illusa: probabilmente si
è solo arrabbiato perché non
gliel’ho data o cose del genere.
Il mio cuore dice che non
è così, ma per oggi gli ho dato retta abbastanza
e non ci ho guadagnato molto:
solo vedere il tizio che mi piace farsi un’altra.
Quando arrivo davanti a
casa mia, fuori dalla porta trovo mia madre. Rimango paralizzata per un
attimo
e poi scappo, quell’attimo è sufficiente
affinché lei mi prenda per i capelli e
mi trascini dentro.
“Dammi i soldi, puttana!”
Mi urla contro, il fiato
sa già di alcool nonostante siano solo le dieci e mezza di
mattina.
“Io non ti do niente,
vattene da questa casa!”
“Osi cacciare tua madre?
Ma io allora non ti ho insegnato nulla!”
Si lancia su di me e
comincia a riempirmi di calci e pugni, io subisco passiva e spaventata:
ho il
cuore che batte a tremila. Potrebbe venirmi un infarto da un momento
all’altro
e forse sarebbe meglio per tutti.
Lei non si ferma fino a
che non svengo. Non è mai stata così aggressiva,
probabilmente è un po’ che è a
secco e si sfoga con me. L’ha sempre fatto, le cose che non
andavano bene nella
sua vita erano sempre colpa mia.
Probabilmente approfitta
di quel lasso di tempo in cui io sono incosciente per arraffare tutto
l’alcool
e la roba di valore che trova in giro perché quando mi
sveglio trovo la casa in
disordine e mi fanno male tutte le ossa.
Scoppio a piangere lì dove
sono, non ho nemmeno la forza di tirarmi sul divano.
Vorrei morire.
Piango talmente forte che
non mi accorgo che la porta si apre e sento solo qualcuno urlare il mio
nome prima
con rabbia e poi con preoccupazione.
Delle mani maschili mi
sollevano e mi portano fino alla mia camera e poi mi depositano sul
letto. Le
mani appartengono a Jack che mi guarda preoccupato e ansioso.
“Che è successo?”
“Niente.”
“Come niente? La casa è un
macello e tu sei piena di lividi!”
Io scoppio di nuovo a
piangere e lui mi abbraccia senza dirmi nulla, a volte le parole non
servono.
“Sono felice che tu sia
venuta prima e mi scuso per essermi fatto trovare con una ragazza, ma
avevo
bisogno di sfogarmi.”
“È ok, io non sono la tua
ragazza, non posso vantare diritti su di te.”
Mi costa dirgli quella
frase, ma non ha senso che io faccia la gelosa visto che ho sprecato la
mia
possibilità con lui come un’idiota.
“Lo so, ma non voglio tu
fraintenda la situazione: al momento voglio solo te”
Prende un attimo il
respiro.
“E vorrei sapere chi è lo
stronzo che ti ha conciato così, almeno posso
ucciderlo.”
“Mia madre.”
Sussurro, lui sgrana gli
occhi incredulo. Credo si aspettasse un qualche ex geloso e non una
madre
manesca.
“Mia madre mi ha trovata e
voleva soldi e quando si è accorta che non ero disposta a
darleq ualcosa mi ha
picchiato come ha sempre fatto.”
Gli dico tra le lacrime
che ormai non riesco più a fermare, visto lo stato in cui
sono non ha nessuna
importanza che lui mi veda debole o forte.
Lui si stende a letto con
me e mi tiene stretta a sé mentre piango tutte le lacrime
che ho tenuto dentro
per tutti questi anni.
Sono tante lacrime
inframmezzate da brevi frasi che raccontano la mia storia, non mi sono
mai
sentita così fragile e bisognosa di protezione come oggi e
lui è qui per me.
Mi ascolta, mi coccola,
non giudica e non mi caccia.
Cerca solo di farmi stare
bene a modo suo e all’improvviso mi sento una sciocca per
aver pensato che di
lui non potessi fidarmi solo perché era una rockstar.
Ho agito in base a dei
pregiudizi e non potevo agire più stupidamente.
“Grazie.”
Gli sussurrò mentre le
palpebre mi si fanno pesanti, a causa dello shock probabilmente.
“Grazie per essere qui.”
Non sento la sua risposta per
il semplice motivo che mi addormento tra le sue braccia.
Mi sveglio sentendo
qualcuno litigare: Jack e …
Gli occhi mi si aprono di
colpo e mi tiro a sedere: la figura che torreggia con una divisa
militare sulla
porta della mia camera è mio fratello.
“ANDREW!”
Gli salto al collo, è
diventato più alto e più bello.
Ha due meravigliosi occhi
azzurri e vorrei
tanto che si rifacesse
crescere i riccioli neri che aveva da ragazzino, peccato non possa per
le
regole militari.
Jack mi guarda
meravigliato e sta per dirmi qualcosa, ma io lo precedo.
“Jack, ti presento mio
fratello Andrew.”
Lui si alza dal letto e
gli tende una mano.
“Ciao, io mi chiamo Jack.”
Mio fratello lo squadra a
lungo.
“Io ti conosco, sei quello
di quella band pop-punk che viene da Baltimora.
Mi piacciono le vostre
canzoni.”
“Grazie.”
“Prego, ma se farai
soffrire mia sorella te la dovrei vedere con me. A proposito, Wen, chi
ti ha
riempito di lividi?”
Io abbasso gli occhi.
“Mamma.
Me la sono trovata a casa
quando sono arrivata dal lavoro e quando ha visto che non le volevo
dare
nemmeno un dollaro mi ha pestata fino a farmi perdere conoscenza e ha
arraffato
quello che poteva.”
Gli occhi di mio fratello
si riducono a una fessura, era da un po’ che non lo vedevo
così arrabbiato.
Diventa così solo quando c’è lei di
mezzo,
credo la disprezzi profondamente come faccio io.
“Scendiamo di sotto, vi
devo parlare e deve essere presente anche Holly.”
Il suo tono serio mi
preoccupa, non gliel’ho mai sentito.
“Cosa è successo, Andy?”
“Ve lo dirò solo quando
c’è anche Holly.”
Arrivati di sotto gli
offro da bere e gli chiedo se ha un posto dove stare, lui mi dice che
ha preso
in affitto un appartamento per questo mese di licenza.
Holly arriva poco dopo e
anche lei lo abbraccia.
“Andy, come mai qui?”
“Mi hanno dato una licenza
di un mese prima di rispedirmi in Afganistan e sono venuto qui per
parlarvi.”
Ci sediamo al tavolo del
salotto.
“Mamma è scappata dal suo
istituto, cambiate le serrature e… Wen, quei
lividi…
La devi denunciare!”
“NO!”
Urlo io.
“Mio fratello mi guarda
dritto negli occhi.
“Lo so che hai sempre
voluto proteggerla e ti stimo e ti voglio bene per questo, ma adesso
basta.
Sta diventando pericolosa
per sé e per gli altri.
Siamo responsabili di
quello che fa e deve finire.”
Io mi porto una mano sulla
fronte, stanca di tutta questa situazione di merda.
“Ci penserò, Andy, ci
penserò.”
“Ok.”
Lui se ne va e io non ho
nemmeno fame, sono troppo stanca, preoccupata e provata. Vorrei solo
ficcarmi a
letto e non uscire per due settimane.
“Io vado a letto. Jack,
vorresti dormire con me?”
Gli chiedo rossa come un
peperone, non voglio che fraintenda anche se gli sto offrendo una
possibilità
di farlo su un piatto d’argento.
Lui mi accarezza una
guancia piano e mi guarda fisso negli occhi.
“Sì, ma prima mangiamo e
ti medichi.”
Io sospiro.
“Ok.”
Holly ordina qualcosa dal
cinese e poi sistemano i miei lividi, domani non posso andare nemmeno a
lavorare!
“Holly, disdici tutti gli
appuntamenti per questi due giorni e rifissali.
Porca puttana, non posso
nemmeno lavorare conciata così.”
Jack si siede vicino a me
e mi abbraccia.
“Su, stai tranquilla. No,
che non puoi andare al lavoro conciata così, sembri un
pugile.”
Il cinese interrompe il nostro
idillio, visto che suonano alla porta, Holly apre e riceve il fattorino.
Ha ordinato un sacco di
cose, ma incredibilmente spariscono tutte nei nostri stomaci a una
velocità
inimmaginabile e io che credevo di non avere fame!
Lo shock probabilmente si
sta sfogando così, chi può saperlo!
Ora che siamo tutti sazi
Jack acconsente a venire a dormire con me. Saliamo in camera, lui
guarda a
lungo i poster dei blink e quelli della sua band e mi pare che li
approvi.
“Il chitarrista degli All
Time Low è figo, vero?”
“Nah, è meglio il cantante
o Tom DeLonge!”
Ridacchio io.
“Effettivamente Tom non è
male, ma adesso il chitarrista degli All Time Low ti
dimostrerà come
superarlo!”
Gonfia il petto lui, io
sorrido.
Ci spogliamo, io metto una
maglia dei Pistols che uso come pigiama e lui rimane in mutande
– cosa che mi
mette leggermente a disagio – poi ci buttiamo sotto le
coperte.
Immediatamente vengo
attirata sul suo petto e inizia ad accarezzarmi i capelli: è una sensazione
meravigliosa, sento che
veramente c’è un ragazzo che tiene a me.
Puntellandomi con i gomiti
mi alzo e gli do un bacio a fior di labbra che poi diventa passionale,
le mie
mani esplorano i suoi pettorali, le sue la mia schiena e giocano con
l’elastico
del reggiseno.
Ci baciamo un po’ così poi
ci blocchiamo: è troppo presto per fare qualcosa, io non me
la sento.
“Jack, basta… io…”
“Va bene, va tutto bene. Basta
che tu rimanga qua, mi piace tenerti abbracciata, mi rilassa.”
Io gli bacio una clavicola
come scusa.
“A me piace stare qua. Mi
sento bene.
Com’è stare in una band?”
“Bello, è come stare in
una seconda famiglia e in più ti diverti in giro per gli
Stati Uniti facendo
quelli che ami fare.
Sono stato io a far
nascere la band, sai?
Volevo emulare i blink.”
“Amo i blink. Senza di
loro sarei persa, mi hanno aiutata tantissimo.”
“Lo stesso vale per me,
eri tu a creare le playlist per il magazzino, vero?”
Io annuisco contro il suo
petto.
“Beh, ti sono sempre
venute benissimo.”
“Grazie. Come ti senti ora
che il tuo sogno si è realizzato?”
Lui si gratta la testa.
“Bene, anche se ogni tanto
mi sento un pupazzo. I fan si aspettano qualcosa da me, le groupies
anche e poi
c’è continuamente
ci accusa di aver
rubato riff ai blink per farne canzonette da quattro soldi.”
“Come nei video di
“Weightless”. È geniale quel video, ho
riso per un po’ guardandolo, poi mi sono
resa conto che era la verità e non era per nulla divertente.
Immagino che per voi
questa parte non sia divertente.”
Lui scuote la testa.
“No, non lo è. Ti mette
tanta pressione addosso, ma noi ci ridiamo sopra per non
piangere.”
“Davvero “Lost in stereo”
è stata scritta per me?”
Lui ride.
“Ma perché ti suona così
strano?
Sei una ragazza
bellissima!”
“Non esageriamo!”
“Fidati!”
Fa lui ridendo.
“Già a Baltimora c’erano
un sacco di ragazzi cotti di te, ma che non si facevano
avanti.”
“Rischiavano di essere
scopati da mia madre o dall’altro mio fratello, quello che
sta a New York.
Com’è Mark Hoppus?”
“Come lo vedi nei concerti
e nelle interviste. È una persona alla mano che ama parlare
con tutti, fans compresi,
e che si diverte facendo quello che fa.
Quando l’ho visto arrivare
ho rischiato di svenire come una ragazzina isterica, non potevo credere
che una
delle persone che io stimo di più al mondo credesse nella
nostra band.
È stato meraviglioso.”
Io sorrido sognante,
immaginandomi la scena, deve essere il massimo essere approvati dal tuo
idolo.
“Sono tanto felice per
voi.”
Lui mi accarezza la
schiena.
“E tu?
Com’è avere un negozio tuo
di tatuaggi?”
“Meraviglioso, finalmente
ho qualcosa di mio che nessuno, spero, mi potrà togliere.
Finalmente vedo un senso
nella mia vita, non sono più la ragazzina spaventata di
Baltimora, ce l’ho
fatta in un certo senso.”
“Perché mi hai evitato?”
La sua domanda è come una
secchiata di acqua gelida e mi fa trasalire per un attimo.
“Perché tu mi ricordavi
Baltimora e tutto quello che ero là e che c’era
là e non volevo più sentirmi
così debole.
Però, poi mi hanno fatto
capire che non potevo buttare sempre fuori le persone dalla mia vita a
causa
del mio passato, perché se sono quello che sono ora
è grazie a tutto quello che
mi è successo.
Mi dispiace di averti
fatto soffrire, ma sono una frana con i sentimenti.”
“L’importante è che ora
siamo qui, no?”
“Sì.”
Continua a parlare e ad
accarezzarmi fino a che non mi addormento, sento che questa
sarà la miglior
dormita della mia vita.
Sono abbracciata a un
ragazzo che mi interessa e che non è scappato dopo il
racconto della mia vita,
cosa posso chiedere di più?
Penso niente, ho tutto
quello che ho sempre chiesto e ancora non so se me lo merito. Non sono
io a
decidere queste cose, a volte la vita decide per te.
A volte la vita ti dà
calci in culo a ripetizione, a volte ti mette sul tuo percorso delle
persone
meravigliose come Jack
La vita può essere uno
schifo totale, ma non sempre.
La vita a volte può essere
anche bella.
In questo momento penso
che la mia vita sia bella e non penso più a tutto quello che
mi è successo, in
questo momento per me conta solo Jack e sono felice.
Finalmente so cosa si
prova a essere del tutto felici, senza neanche una falla nella tua vita.
Spero che duri.
Angolo
di Layla
Ringrazio
Molly182,
Shyline
Sixx, bunch
of bones, Lostinstereo3
e _redsky_
|
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Capitolo 5 *** 4)Not now (it's not your time to go) ***
4)Not now (it's not your
time to go)
La
mattina dopo mi sveglio
abbracciata a lui e sento che la mia giornata inizia al meglio.
Con delicatezza mi sfilo
dal suo abbraccio e scendo a preparare la colazione, Holly sta
già bevendo il suo
caffè e mi sorride.
“Com’è andata?”
“Bene. Ci siamo baciati un
po’, poi io non me la sono sentita di continuare e lui non se
l’è presa.
Adesso gli preparo la
colazione.”
Faccio cuocere un po’ di
pancakes e poi preparo due ciotole di caffelatte, lo zucchero e lo
sciroppo
d’acero. Quando salgo in camera con il vassoio, lui sta
ancora dormendo e lo
scuoto delicatamente, la sua faccia si illumina.
“Mi hai portato la
colazione! I pancakes!”
Io arrossisco.
“Sì, te l’ho portata e
ammetto di essere andata un po’ a caso sperando che ti
piacessero.”
“Ci hai azzeccato!”
Deposito il vassoio sul
letto e poi mi siedo accanto a lui, ha gli occhi ancora un
po’ gonfi e i
capelli scompigliati.
Mangiamo insieme
chiacchierando di cose futili, stando ben alla larga dal nodo
principale: mia
madre.
Penso che anche Jack
voglia che io la denunci, ma non me la sento. Per quanto la odi, per
quanto sia
una pessima persona che mi ha rovinato l’adolescenza
è mia madre e non riesco a
fare deliberatamente qualcosa contro di lei.
“La denuncerai?”
“Non lo so, è pur sempre
mia madre.”
“Ti ha riempito di botte
senza il minimo scrupolo, non so se puoi ancora definirla madre e poi,
come ti
ha ricordato tuo fratello, è pericolosa per gli
altri.”
Io rimango in silenzio,
assimilando le sue parole. Non ha tutti i torti, ma alzare il velo di
omertà
non mi riesce ancora.
Finito di mangiare lui fa
una doccia e poi si riveste.
“Promettimi che ci
penserai.”
“Ci penserò.”
Lui mi strappa un bacio
che da tenero si fa subito passionale e poi se ne va, facendomi segno
che mi
scriverà dopo.
Io lo guardo andare via
sorridendo come una scema, lui mi fa sorridere come una scema e io sono
felice
di questo.
“Wen! Io vado a fare la
spesa!”
La voce di Holly mi
distrae dalle mie farneticazioni.
“Ok, io sistemo un po’
questo macello.”
“Sì, ci vediamo dopo!”
Prende la giacca di pelle
ed esce, io invece mi armo di scopa e paletta e do una bella ramazzata
a questo
posto.
Sto per decidere come
sistemare le cose che sono sopravvissute a ieri quando sento la canna
di una pistola
posarsi contro la mia nuca, istintivamente mi irrigidisco.
“Non muoverti e non
provare a urlare! Portami alla cassaforte, puttana.”
Mia madre è tornata a
chiedere soldi e sono sola in casa, merda!
Mi muovo con circospezione
verso il piano superiore seguita da lei che mi tiene sotto tiro, con un
gesto
dettato dalla disperazione tiro fuori il cellulare e chiamo il numero
di Jack,
poi me lo rimetto in tasca, sperando che senta tutto e che chiami la
polizia.
Arriviamo al piano
superiore, io proseguo lungo il corridoio fino ad arrivare a una
stanzetta che
usiamo come ripostiglio, è lì che
c’è la cassaforte.
Sento la voce di Jack che
risponde, spero non la senta mia madre.
“Forza aprila, troia o
questa volta ti ammazzo sul serio!”
Io deglutisco e inizio a digitare
la combinazione, Jack continua a urlare per chiedere cosa cazzo
succede.
Lo sente anche mia madre
subito dopo che è scattata la cassaforte, vede il cellulare
nelle mie mani e lo
fa saltare con un solo colpo.
Io sbianco e sento un
dolore indicibile alla mano destra, quella con cui tatuo, migliaia di
schegge si
sono conficcate lì, il proiettile invece è nella
parete poco più in là.
Prego che questo le basti,
che arraffi i soldi e che se ne vada spaventata dal possibile arrivo
della
polizia, invece spara ancora.
Vedo il proiettile venire
verso di me, a rallentatore, sento il cuore che batte a un ritmo
irregolare e
il respiro farsi roco, poi sento un dolore immane al bassoventre.
“Va all’inferno, tesoro!”
Lei prende i soldi e se ne
va, io mi tocco la pancia e la mano sente del liquido caldo che rende
appiccicosa la maglietta: sangue.
Vorrei alzarmi e prendere
qualcosa per fermare l’emorragia e magari chiamare la
polizia, ma sono troppo
debole.
In un ultimo sussulto, mi
tolgo la maglia e la stringo intorno alla mia vita, poi cado a terra
svenuta.
Spero che Jack abbia
chiamato la polizia o altrimenti questa è la volta buona che
muoio sul serio.
Il dolore sale a
ondate e lentamente
mi accompagna in un
buio caldo e confortevole a cui io mi abbandono.
Curiosamente questo
abbandonarsi si conclude con me stessa che guarda il mio corpo steso
per terra
in posizione fetale, c’è una brutta macchia di
sangue sul pavimento dello
sgabuzzino e si allarga sempre di più.
Dieci minuti dopo sento la
porta d’ingresso aprirsi e la voce di Jack che chiama il mio
nome, non è solo
perché sento anche delle voci estranee. Non trovandomi di
sotto salgono al
piano superiore e notano la porta dello sgabuzzino aperta e
successivamente il
mio corpo inerme.
Jack si lancia su di me,
mi prende tra le braccia e mi scuote, mi chiama e vedo le sue lacrime
scendere.
“Wendy, Wend! Rispondimi,
ti prego!”
Vorrei, ma non posso. Mi
dispiace.
Un gentile poliziotto lo
allontana per permettere ai paramedici di portarmi via e gli chiede di
ripetere
la dinamica della chiamata.
“Ero a casa quando è
suonato il telefono, l’avevo lasciata da poco e non mi
aspettavo che mi
chiamasse. Quando ho risposto ho sentito dei rumori indefiniti,
sembrava stesse
salendo le scale, è stato così per un
po’.
Poi ho sentito una voce
femminile che la minacciava, voleva che la cassaforte fosse aperta o
l’avrebbe
ammazzata.
Poi ho sentito altri
rumori e poi il rumore di un’esplosione e ho chiamato
voi.”
Il poliziotto annuisce,
vede a terra i resti del cellulare, la pallottola conficcata nel muro e
probabilmente come è conciata la mia mano.
“Posso andare da lei,
ora?”
“Un’ultima domanda. Di chi
pensa sia la voce femminile che la minacciava?”
“Della madre, ieri è
venuta qui e l’ha pestata per avere dei soldi. Il fratello le
ha detto di
denunciarla, ma Wen non voleva.
Ora posso andare?”
Il poliziotto fa cenno di
sì.
L’operazione
per
rattoppare le mie viscere è durata un po’, la mia
mano è stata lasciata in
disparte per ora.
Il proiettile è entrato e
poi è uscito e le schegge possono essere tolte dopo,
l’importante è che la
ferita all’addome sia ricucita, a quanto pare mia madre mi ha
fatto un bel
buchetto.
L’operazione riesce, ma
sono debole, i medici scuotono la testa e guardano il mio corpo con
pietà,
pensano che non è giusto che una ragazza così
giovane sia conciata così.
Fuori dalla sala ci sono
Jack, Alex, Holly e Andrew.
Jack è quello più provato,
Alex non fa altro che picchiargli la mano sulla spalla dicendo che ce
la farò,
che ce l’ho sempre fatta e che sono forte.
Quando passa il mio corpo
si alzano tutti e quattro e parlano con il dottore.
“Le abbiamo rimosso il
proiettile e ricucito la ferita, però ha perso molto sangue
ed è debole.
Se passerà la notte ci
sono buone possibilità che ce la faccia e poi potremo
pensare alla mano.”
Holly si porta le mani
davanti a volto per nascondere le lacrime.
“Lei con le mani ci
lavora, è una tatuatrice.”
Il medico fa un sorriso
amaro, come a dire che gli dispiace, ma che non può farci
nulla.
“È possibile vederla?”
Chiede Jack, ha gli occhi
gonfi e rossi.
“Solo uno di voi e per
poco tempo, è troppo debole.
Quando avrete deciso chi
andrà ditelo all’infermiera e vi
accompagnerà.”
Jack, Alex, Andy e Holly
si guardano negli occhi, poi tutti guardano solo mio fratello.
“Vai tu, Jack.”
Lui annuisce e si dirige
verso l’infermiera, la donna gli sorride incoraggiante e gli
fa indossare
camice, cuffia e mascherina e si raccomanda di non stare troppo.
Lui si siede su una sedie
e prende tra le sue mani una delle mie che giace inerte sul materasso
trapassata da una flebo. Non sembro nemmeno io quell’insieme
di tubi e flebo
steso sul letto.
“Ehi, Wen. È davvero poco
carino che tu decida di scaricarmi morendo, non credi?”
Rimane un attimo in
silenzio e poi si porta la mano libera sul volto.
“No, non ce la faccio a
fare il cazzone adesso, adesso ho solo voglia di vedere i tuoi occhi
azzurri
puntati nei miei. Ho voglia di sentire una delle battute acide e vedere
il tuo
mezzo sorriso triste che si illumina per me.
Ti ho persa cinque anni fa
perché ero un ragazzino troppo timido per spiccicare parola
davanti a te, avevi
uno sguardo che attirava e faceva paura, così profondo che
potevi perderti
dentro e io ammetto di essermi perso più di una volta
lì dentro.
Sapevo che vivevi in una
roulotte, ma non pensavo in questa situazione…
Quando ti ho ritrovato
stavo per perderti di nuovo perché avevi paura, ma ora che
stava passando non
mi va di perderti così.
Non mi va di andare al tuo
funerale e vestirmi di scuro, voglio portarti in spiaggia a prendere il
sole,
fare il bagno, magari impariamo anche a surfare, che ne dici?
Per favore resisti, passa
questa notte e svegliati domani.
Non darla vinta a tua
madre e torna da me.”
Mi lascia la mano e mi dà
un leggero bacio sulla fronte.
“Adesso devo andare,
piccola, ma domani torno.
Tu fatti trovare sveglia.”
Esce dalla stanza e subito
viene accerchiato dagli altri.
“Sembra che dorma, mi fa
impressione vederla lì con tutti quegli aghi che le entrano
nelle vene.”
Andy abbassa gli occhi.
“Porca puttana, non voglio
passare il mio mese di licenza a fare il funerale a mia sorella per
colpa di
mia madre! Deve vivere cazzo!
Ha solo ventitré anni e
solo da poco sta finalmente bene, non può finire
così. Mi ha sempre protetto,
si è sempre presa il peggio che c’era a casa mia,
ora non può prendersi anche
questo altrimenti Dio non esiste.
Se Dio esiste mia sorella
deve vivere.”
Holly lo abbraccia, un
ragazzo grande e grosso che cerca conforto in una ragazzina mingherlina
come
lei non sono cose che si vedono tutti i giorni.
“Se solo non fossi uscita
di casa…”
“Holly, se fossi rimasta
in casa probabilmente avrebbe sparato anche a te.”
Risponde saggiamente Alex,
poi cala il silenzio.
Nelle lunghe ore della
notte nessuno parla, Alex ogni tanto si alza a prendere del
caffè per tutti, Holly
si addormenta con la testa appoggiata sulla spalla di mio fratello,
Jack è
seduto a gambe larghe con la testa tra le mani.
I primi raggi dell’alba
arrivano grati a tutti, le mie condizioni sono stabili e forse mi
sveglierò
oggi, non si sa: i medici non si sbilanciano.
In compenso arriva un
poliziotto che annuncia a mio fratello che mia madre è morta
in uno scontro a
fuoco, nato tra lei e la pattuglia che voleva arrestarla.
Mio fratello annuisce.
“Benissimo. Una volta che
avrete finito chiamate mio padre, Philip O’Connor, dopo vi
passo il numero, e
ditegli che si occupi lui del funerale. Se non vuole occuparsene,
chiamate
qualche altro parente di mia madre, ma non me.
Io devo badare a mia
sorella e anche se potessi occuparmi del funerale sinceramente non ne
ho
voglia.”
Mio fratello porge un
biglietto da visita all’agente, che se ne va.
La mattina passa
tranquilla, poi verso il pomeriggio vengo di nuovo risucchiata dal buio
e mi
sento scaraventata nel mio corpo, solo che
all’improvviso è diventato pesante da
manovrare.
La mie palpebre sembrano
pesare quintali e i miei arti sono di pietra, ma non posso smettere di
provare
a mandare impulsi affinché i miei occhi si aprano, lo devo a
tutte le persone
che mi aspettano là fuori.
Con molta fatica apro un
occhio e mi ritrovo davanti il volto di un’infermiera,
immediatamente viene
chiamato il dottore e si grida quasi al miracolo.
Appurato che sono in via
di miglioramento uno alla volta possono entrare i miei amici e mio fratello.
La prima a entrare è
Holly, ha gli bassi e l’espressione triste.
“Mi dispiace di essere
uscita a fare la spesa, forse se fossi stata in casa non ci avrebbe
provato.”
“Non dire cavolate!”
La mia voce suona
incredibilmente sottile e flebile anche a me.
“Se fossi rimasta a casa a
quest’ora saresti stesa sul letto accanto al mio. Cosa dicono
i dottori?”
“Beh, che l’operazione per
toglierti alla pallottola è riuscita perfettamente, che non
hai organi vitali
danneggiati.”
“E della mano?”
“La sistemeranno.”
Io sospiro e tento di
alzarla, è sistemata alla bell’e meglio,
chissà se potrò di nuovo usarla come
prima.
“Forse è meglio se chiudo
il negozio e mi metto a cercare un altro lavoro.”
“Ma tatuare è sempre stato
il tuo sogno.”
“Come credi che possa
tatuare con una mano del genere?
Sarà un miracolo se potrò
ancora muoverla, quella stronza si è portata via il mio
unico sogno.”
Lei non dice nulla, guarda
la mia mano che le ha tolto le facoltà di parlare.
“In qualche modo faremo,
vedrai che la tua mano tornerà a posto.”
“Come? Come facciamo a
pagare le bollette?
Se vogliamo pagarle
dobbiamo tenere aperto il negozio e assumere qualcuno a cui pagare uno
stipendio e questo toglierà soldi. Tra dieci giorni saremo
senza casa.”
“Non preoccuparti, in
qualche modo faremo.”
Mi stringe la mano
sorridendo, vorrei vedere l’ottimismo di Holly, invece vedo
tutto nero, la mia
vita sta andando a pezzi. Allo stato attuale avrei preferito che mia
madre
mirasse al cuore e
mi ammazzasse invece
di vedere le macerie in cui è ridotta la mia vita.
Holly lascia la stanza,
subito dopo entra Andrew.
“Ciao sorellina.”
“Ciao, fratello. Hai visto
come mi ha ridotta?
E tra dieci giorni scade
l’affitto e non so come lo pagheremo.”
Lui mi accarezza la testa.
“Vedi il lato positivo,
non può più farti male. È morta questa
notte in uno scontro a fuoco con i
poliziotti che volevano arrestarla.”
“Magra consolazione. Con
questa mano non posso tatuare, niente tatuaggi, niente
affitto.”
“In questo mese potete
stare da me.”
“E dopo? Sarei al punto di
partenza.”
Lui sospira, ha lo sguardo
basso e si torce le mani.
“Avrei voluto che mi
facessi un tatuaggio piccolo prima di partire, ma la vecchia ha rotto
le
scatole di nuovo.”
“Spero che il diavolo la
infilzi con il suo forcone.”
Parliamo ancora un po’,
poi se ne va anche lui.
La terza persona che entra
da quella porta è Jack, sorrido vedendolo.
“Ciao.”
“Ciao, grazie per aver
chiamato la polizia. Sono viva grazie a te e non so se sia un
bene.”
“Certo che lo è, Holly mi
ha parlato del vostro problema, verrete a stare da me, ho molto spazio
libero e
non mi pesa ospitarvi.”
Io arrossisco, odio essere
di peso alle persone, ma in questo momento sono con le spalle al muro.
“Grazie.”
“Che c’è?”
“C’è che non mi piace
essere di peso alle persone.”
Lui sorride.
“Non mi sei di peso.”
Io non dico nulla.
“A cosa stai pensando?”
“Al fatto che mia madre
avrebbe fatto meglio a uccidermi, almeno non sarei solo fonte di
problemi e non
dovrei affrontare il fatto che il mio sogno è andato a
puttane.”
La sua faccia si fa seria.
“Non dirlo mai più. Il tuo
sogno non è andato a puttane, sistemeranno quella mano e tu
tornerai a tatuare
e per la casa, starai da me. Manca un tocco femminile in quella
casa.”
“Grazie, davvero. Di
tutto.”
Lui mi dà un bacio sulla
fronte che mi dà i brividi lungo tutto il corpo.
“Figurati, ormai sei la
mia ragazza, no?”
“Sono la tua ragazza?”
Chiedo timida.
“Vuoi essere la mia
ragazza?”
Io arrossisco, dopo James
è la prima volta che qualcuno me lo chiede.
“Sì, mi piacerebbe.”
“Allora sei la mia
ragazza, anche se pensavo a una dichiarazione in uno scenario
leggermente
diverso.”
Io non dico nulla, alzo la
mia mano ferita e la contemplo con un sospiro, lui la prende e lascia
un bacio
leggero sulla fasciatura.
“Presto la tua manina
tornerà a essere come prima.”
Io lo spero con tutto il
cuore, ma non ho la solarità e l’ottimismo che lui
e Holly hanno, come ho già
detto il mio futuro si è mutato all’improvviso in
una foresta terribilmente
insidiosa da cui rischio di non uscire mai più.
“Ora vado, piccola.
Dormo qualche ora e torno
da te stasera.”
Io lo guardo sorpresa.
“Hai trascorso la notte
qui?”
Lui sorride e dice
semplicemente di sì, poi se ne va.
Io sento qualcosa di caldo
e morbido avvolgermi: credo sia amore.
Mentre mi beo in questa
nuova sensazione qualcun altro entra e quasi non salto sul lampadario:
Alex
Gaskarth.
“Potresti non guardarmi
come se fossi un alieno?”
“Io … scusa non ci sono
abituata, mi fa piacere che tu sia rimasto comunque.”
“Io ci sono sempre per
Jack.”
Mi dice semplicemente
mentre si accomoda su una sedia.
“La vostra storia non è facile,
Wendy.”
“Somiglia più a una
tragedia che all’inizio di una storia
d’amore.”
Lui guarda la mia mano e
poi le braccia nude che sono piene di cicatrici auto inferte, lui ne
accarezza
una.
“È un brutto tunnel
questo.”
Io non dico nulla.
“Un tunnel in cui ti areni
con facilità e che inizi ad arredare come vuoi, un tunnel
che continua a
chiamarti anche quando ne sei uscita.
Stai pensando che forse
sarebbe stato meglio morire, vero?”
Io lo guardo sorpresa.
“Sì, l’ho pensato.”
“Ecco, non fare nulla di
stupido. Per quanto tu sia stata una stronza nei confronti del mio
amico,
sembri anche l’unica in grado di renderlo felice in questo
momento e non voglio
che lui soffra.”
Io sospiro.
“Giusto.”
“E poi mi stai stranamente
simpatica mi ricordi il me stesso di milioni di anni fa, per cui vedi
di
rimanere in questo mondo e non fare cazzare.”
“Non c’era bisogno di
indorarmi la pillola, so di essere una sconosciuta si cui non ti
importa
nulla.”
“Io non ho indorato la
pillola, ho detto la verità.”
Io lo guardo scettica.
“Spero che diventeremo
amici.”
“Vedremo. Puoi farmi un
favore?
Controlla che Jack dorma,
ne ha bisogno e… dormi anche tu, possibilmente non con
lui.”
Lui ride.
“No, ma chi vuole dormire
con quello? Però ok, controllerò che dorma. Tu
intanto cerca di riprenderti.”
Lo guardo andare via
chiedendomi e davvero ho guadagnato un amico con questa storia, mi
sembra una
cosa talmente impossibile da non essere vera.
Solo il tempo mi dirà se
ho ragione.
Angolo di Layla
Ringrazio _redsky_ e ohRio per le
recensioni.
|
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Capitolo 6 *** 5)Hello cold world. ***
5)Hello cold
world.
La
vita in ospedale è
lenta e tranquilla.
Me ne accorgo in queste
poche ore, un’infermiera è passata un paio di
volte per rassicurarmi e
lasciarmi delle pillole da prendere. Mi ha detto che mi salveranno la
mano e
che tornerà normale e soprattutto di ringraziare Dio di
essere ancora qui
circondata da gente che mi ama.
Non sono mai stata
particolarmente religiosa – porto un croce al collo solo
perché è stato il
primo regalo di James – ma questa volta credo che
farò una visitina alla
cappella dell’ospedale.
Non certo oggi o domani,
ma lo farò.
Alle sei viene servita la
cena – petto di pollo, insalata e una mela cotta –
e alle sette una testa
bicolore conosciuta fa capolino dalla porta.
“Jack!”
“Ciao Wen!”
Ha in mano un enorme vaso
di rose rosse; sì, proprio un
vaso, non
un mazzo.
“Grazie, che bello!”
Io le annuso e poi
appoggio il vaso al mio comodino sorridendo, poi guardo lui: mi sembra
meno
strapazzato.
“Hai dormito.”
“Beh, dopo che Alex ha
mischiato della valeriana alla mia coca cola non potevo non
farlo.”
Io sorrido.
“Come mai quel sorrisino?”
“Niente, ho solo detto ad
Alex di controllare che tu dormissi.”
“Associazione a
delinquere.”
Borbotta sottovoce.
“Ti vogliamo bene.”
Lui sorride a occhi
chiusi.
“Jack, ma io ad Alex sto
antipatica?”
Lui ride e poi scuote la
testa.
“No, è solo protettivo nei
miei confronti, come io lo sono nei suoi. Quando eravamo ragazzini suo
fratello
si è suicidato e io gli sono stato accanto e lui adesso si
sta sdebitando a suo
modo.
Non gli stai antipatica,
comunque. Dice solo che secondo lui ci vorrà tempo prima che
tu ti affezioni a
me sul serio.”
Io arrossisco, non so come
ci ha preso in pieno.
“Ci ha azzeccato, vero??
Lui prende la mia mano
sana fra le sue – grandi, calde e un po’ callose
– e me la accarezza.
“Non importa, prima o poi
ti affezionerai a me e poi un po’ mi ami già, no?
Hai accettato di diventare
la mia ragazza.”
Con i sentimenti sono
sempre stata una frana, però questa volta non posso non
tacere, il mio cuore
urla di dirglielo. Con molta fatica sposto la mano malata sopra le sue
e lo
guardo negli occhi.
“Sì, ti amo.”
Lui sorride e mi bacia
piano, con lentezza, le nostre mani sono ancora intrecciate nel mio
grembo.
“È la prima volta che me
lo dici.”
“Te l’ho detto anche
troppo presto, stando ai miei tempi, ma non ce la facevo più
a tacere.”
Lui annuisce.
“Cosa dicono i medici?”
“Che il mio buchetto alla
pancia sta bene e che presto sistemeranno la mano, la buona notizia
è che non
me la amputeranno, la cattiva è che non sanno quanto
potrò recuperare l’uso.
Proprio adesso che stavo iniziando
ad avere una clientela fissa probabilmente non potrò
più tatuare.”
Lui mi guarda per un
momento, poi apre bocca.
“Quando Travis Barker si
svegliò dal coma dopo il disastro aereo gli dissero che non
erano sicuri che il
suo braccio sarebbe tornato a posto, invece è successo.
Suona nei blink come
prima, meglio di prima, tu farai lo stesso.”
Io lo guardo un po’
scettica.
“Sei sopravvissuta alle
roulotte, a Baltimora, alla morte del tuo ragazzo e sei ancora qui,
puoi
farcela, Wen. Io, tuo fratello, Holly e Alex siamo qui per te, pronti
ad
aiutarti.”
Io lo guardo con gli occhi
leggermente lucidi, nessuno in vita mia – eccetto Holly
– mi aveva mai
incoraggiata e con lui mi sento protetta. Per quanto assurdo possa
sembrare
adesso sono davvero convinta che se io avessi un problema e io fosse
dall’altra
parte del mondo verrebbe subito da me per aiutarmi a risolverlo.
Incredibile come cercassi
di buttarlo fuori dalla mia vita fino a qualche tempo fa!
“Buonasera, ragazzi!”
Tutti e due osserviamo la
figura alta e magra che si appoggia allo stipite della porta.
“Alex!”
“L’avvelenatore folle!”
“Ma dai, era solo
valeriana! Non erano certo sonniferi, anche se ho pensato che se la
valeriana
non fosse bastata ti avrei dato un sonnifero.”
Jack lo guarda a occhi
spalancati.
“Scherzavo, Barakat!
Scherzavo!”
“Ti conviene, perché un
altro chitarrista con questo spirito di sopportazione non lo trovi
più!”
Alex ride, poi sorride
notando le nostre mani intrecciate.
“Che belli che siete. Come
vanno le tue
ferite?”
“Il buco allo stomaco è in
via di guarigione, per la mano aspetteranno i prossimi giorni, almeno
un paio
per monitorare la situazione delle mie viscere.”
“Capisco. Holly sta con
qualcuno?”
Io annuisco.
“Un tecnico del suono di
nome Jeremy.”
“Capisco.”
Rimane un altro po’, poi
se ne va un po’abbacchiato.
“Perché mi ha chiesto di
Holly?”
“Sentiti il nostro album
“So wrong it’s right” e
capirai.”
“Uhm, ok.”
Io probabilmente devo
avere una faccia assai poco convinta perché toglie da una
tasca un i-pod e
cerca qualcosa e poi me lo porge. Dalle cuffie esce una melodia molto
calma,
come lontana e poi un “When
you gonna give it
up? You’re giving me such a rush Come
on Holly, would you turn me on?” che mi fa sussultare.
Guardo
il
titolo – Holly would you turn me on – e poi guardo
Jack.
“Non può
essere per mia cugina. Se avesse avuto una storia con Alex me
l’avrebbe detto!”
“Posso
sdraiarmi accanto a te?”
Io
annuisco e lo guardo togliersi le scarpe per poi sdraiarsi accanto a me
e
attirarmi sul suo petto per quanto sia possibile.
“Giurami
che non ti arrabbi.”
Io
aggrotto la fronte.
“Credo di
aver già capito. Avevano una storia.”
“Alex era
cotto di lei, ma erano solo amici di letto perché lei non si
fidava di lui.”
“Mi
dispiace, non deve essere stato facile per lui. Non mi sembra un tipo a
cui
piacciano queste cose.”
“Era
cotto di Holly e secondo me lo è ancora, non mi aspettavo
che oggi chiedesse
notizie di tua cugina, pensavo che quella fase gli fosse
passata.”
Sta per
aggiungere qualcosa, ma un rumore di zoccoli ci fa capire che
è in arrivo
un’infermiera e che è meglio che lui se ne vada.
Scende
dal mio letto e si rimette le scarpe, poco dopo entra in effetti
un’infermiera
che lo invita cortesemente ad andarsene, visto che devo riposare.
Lui mi dà
un bacio casto che io approfondisco e poi se ne va lasciandomi
sorridente.
La
mattina dopo mi visita un dottore, constata che la mia ferita
all’addome sembra
andare meglio.
Mi fa
fare un’ecografia e anche da quello non risulta nessun
problema: a quanto pare
le mie viscere hanno deciso di stare bene e di non dare problemi.
Rincuorati
da quello visitano la mia mano e constatano che è piena di
schegge e che è da
operare al più presto, probabilmente tra un paio di giorni.
“Potrò
recuperare l’uso della mia mano?”
Gli chiedo
speranzosa.
“Probabilmente
dopo una lunga fisioterapia, sì signorina.”
Io
sospiro di sollievo, forse ce la posso fare e potrò tornare
alla vita di tutti
i giorni.
Dopo
pranzo arrivano Alex e Holly a farmi visita, alla luce di quello che mi
ha
detto ieri sera Jack mi chiedo se sia un caso o no.
“Ciao Wen!”
“Ciao Holly, Alex!”
“Come
stai?”
“Bene,
tra un paio di giorni probabilmente mi operano alla mano.”
Mia
cugina sorride.
“Perfetto!”
“Voi cosa
mi raccontate?”
“Oggi
Alex mi ha aiutato a traslocare la nostra roba nella casa di
Jack.”
“Bene. A
proposito, dov’è?”
“Sta
registrando in studio, io ho appena finito.”
“Nuovo
materiale?”
Chiedo
curiosa, lui annuisce.
“Sì,
abbiamo qualche idea e ci conviene registrarla finché ci
sono.”
“È
un’ottima politica.”
Lui sorride,
la comunicazione tra di noi è un po’incerta, forse
conoscendolo meglio andrà a
posto.
“Ragazzi,
vado a prendere qualcosa alle macchinette.”
“Uhm, va
bene.”
Holly mi
lascia da sola in compagnia di Alex.
“Trovo
ancora incredibile che una canzone sia stata scritta per me.”
“Dopo
quello che hai passato ci credo, ma rimane scritta per te. Jack si era
preso
una cotta mostruosa per te, se solo avesse saputo che eri la cugina di
Holly te
lo saresti trovato sotto casa con un mazzo di fiori più
grande di lui.”
Io rido
all’immagine di lui con un gigantesco mazzo di fiori mano,
terribilmente fuori
posto nello squallore in cui vivevo.
“Lui ti
piace, vero?”
Io
arrossisco.
“Sì, mi
piace. Anche se sono sempre stata una frana nelle questioni di cuore.
“Cosa
c’entra? Una persona o ti piace o non ti piace.”
“E se ti
piacesse e avessi paura?
E se non
ci fossi abituata e non sai cosa fare?”
Lui
scuote la testa.
“Dovresti
dare retta al tuo istinto.”
“Il mio
istinto è il responsabile del buco che ho in pancia e della
mia mano sfasciata,
quindi non credo sia affidabile.”
Lui
scuote la testa, sta per ribattere qualcosa quando arriva Holly con la
cioccolata per tutti.
“Beh, non
avrete litigato?”
“No,
figurati. Grazie per la cioccolata.”
Dico
sbrigativa.
Sì, Jack
mi piace, ma ho anche paura che se ne vada e poi mi fa strano essere al
centro di
così tante attenzioni, non ci sono abituata.
“Perché
avete litigato?”
Holly non
molla, può Alex esimersi dal rispondere?
No.
“Perché
la tua amica è restia a lasciarsi andare ai suoi
sentimenti.”
Holly non
dice nulla, forse anche lei è restia a lasciarsi andare ai
suoi sentimenti,
Jeremy ha dovuto farle una corte secolare prima di diventare il suo
ragazzo.
“Anche io
sono così, bisogna fidarsi delle persone prima di mostrare i
propri sentimenti
e la fiducia è difficile da ottenere.”
Lui alza
le mani.
“Ok,
pessimiste, mi arrendo.”
Holly lo
guarda a lungo senza profferire parola, come se volesse dirgli qualcosa
e lui
non capisse.
Chiacchieriamo
un altro po’, poi se ne vanno, lasciandomi in balia delle
infermiere e della
noia pomeridiana.
Alla sera
arriva Jack, ha un’aria stanca e perciò lo faccio
sdraiare con me alla faccia
di quello che potrebbe dire il personale ospedaliero.
“Registrazioni
difficili?”
“Sì,
abbastanza. Oggi non ne ho azzeccata una.”
“Io
invece credo che tra Holly e Alex ci sia ancora qualcosa.”
Lui mi
guarda curioso e io elenco i miei motivi per pensarlo.
“Primo:
il tuo amico ha chiesto di Holly.
Secondo:
oggi Holly ha detto che non bisogna mostrare i propri sentimenti, se non a persone che di
cui ci si fida e poi
ha guardato Alex a lungo.
Terzo: mi
sei mancato.”
“Il terzo
motivo non c’entra nulla, ma mi fa piacere sentirtelo
dire.”
Mi dice
guardandomi negli occhi fino a farmi arrossire.
“Con te
salta il mio principio di non affezionarmi alle persone e non so se sia
un bene
o un male.”
Lui non
dice nulla.
“Vorrei
poter cancellare il tuo passato per far sì che credessi un
po’ di più nel
presente, ma mi rendo conto che non posso. Sono felice di ogni piccolo
passo
che fai verso di me.”
Io
sorrido senza dire nulla, mi ha detto una cosa molto bella e non posso
che
esserne felice.
“Non vedo
l’ora di andarmene da questo posto.”
Sto per
aggiungere altro, ma l’arrivo di un’infermiera me
lo impedisce, guarda Jack
come se fosse un alieno e me come se fossi una pazza incosciente.
“Cosa ci
fa lei, lì?
Scenda!”
“È il mio
ragazzo, infermiera!”
“Beh, se
lo potrà coccolare quando sarà dimessa, ora lui
deve scendere.”
Jack
scende a malincuore e si siede su una sedia.
“Quando
verrai a casa mi devi una seduta di coccole, ricordatelo.”
“Ok, il
primo giorno che sarò fuori di qui ci mettiamo su un divano
e ti coccolo come
ti meriti, hai un’aria stanca.”
Lui
annuisce sorridente.
“È
difficile scrivere nuovo materiale quando hai alle spalle un disco come
“Nothing personal”, la gente si aspetta un certo
sound e non sempre accetta
volentieri i cambiamenti.”
Io
annuisco.
“Sono
sicura che farete un buon lavoro.”
“Grazie
per la fiducia.”
L’infermiera
di poco prima fa capolino e Jack è costretto ad andarsene.
I
due
giorni seguenti passano senza scossoni.
L’operazione
alla mano sarà domani e io ho una paura folle che qualcosa
vada storto o che la
situazione sia brutta e che quindi rimarrò con una mano
semiparalizzata.
Holly e
mio fratello mi hanno rassicurato in ogni modo, ma io continuo ad avere
paura e
guardo ansiosamente la porta. Jack – visto lo stato in cui
sono – è andato
dalle infermiere per supplicarle di poter rimanere a dormire con me.
Chissà se
glielo concederanno o mi toccherà trascorrere una lunga e
solitaria notte
insonne?
Finalmente
rientra e dal suo sorriso capisco che gli hanno concesso di rimanere,
poco dopo
un’infermiera rifà il letto accanto al mio e lo
avvicina per quanto sia
possibile.
“Buonanotte,
signorina e cerchi di dormire.”
Io annuisco,
troppo spaventata per dire qualcosa.
“Wendy,
che succede?”
“Ho
paura. E se la mia mano non potesse tornare come prima?
Come
diavolo faccio a vivere?”
Lui
allunga una mano verso la mia mano sana e la stringe..
“Tornerà normale,
stai tranquilla e cerca di dormire. Domani sarà una giornata
faticosa.”
Io
sospiro e lo guardo, ha una sua mano tra le mie, mi sorride
rassicurante eppure
una parte di me ancora non crede che tutto questo possa essere vero,
che presto
mi ritroverò da nuovo da sola.
“Ti amo,
Wen. Andrà tutto bene.
Io
sospiro e lo guardo negli occhi, cercano di trasmettermi
positività, ma la mia
paura è forte e radicata, finora non mi è andato
bene quasi nulla, perché ora
le cose dovrebbero cambiare?Questi
sono i pensieri in cui mi crogiolo prima che il sonno abbia la meglio e
mi
trascini in un luogo buio
Una
solerte infermiera mi sveglia alle sei del mattino dicendomi che
è arrivato il
momento, mi mettono su una barella sotto lo sguardo di Jack che alza il
pollice
all’insù per dirmi che tutto andrà a
posto.Io cerco
di sorridergli, ma tutto quello che mi esce è una strana
smorfia che sembra più
un ghigno che altro.
Mi
portano in una stanza asettica e mi cambiano qualcosa nella flebo,
lentamente
la mia testa si fa leggera e perdo conoscenza e contatto con la
realtà.
È
cominciata, speriamo che finisca davvero bene.
Mi
risveglio ore dopo,
intontita e con un gran mal di testa.
Grugnisco qualcosa e
l’infermiera accorre, mi dice che è normale e che
mi porterà qualcosa per la
testa e che poco dopo arriverà il medico per dirmi
com’è andata l’operazione.
La mia ansia inizia a
salire immediatamente, e se non fosse andata bene?
Poco dopo l’infermiera
ritorna con due pillole e un bicchiere d’acqua, io le prendo
e aspetto che
facciano effetto, non ce la faccio più con questo dolore
alla testa!
Lentamente mi passa e
arrivato a un livello accettabile il medici entra nella mia stanzetta,
adesso
saprò come è andata.
“Buonasera, signorina
O’Connor.”
“Buonasera, dottore.”
“Come si sente?”
“Ho ancora un leggero mal
di testa, per il resto mi sento un po’ intorpidita.”
“Sono gli effetti
dell’anestesia, passeranno, non si preoccupi. Immagino
vorrà sapere l’esito
dell’operazione.”
Io annuisco,
momentaneamente senza voce.
“Tutte le schegge sono
state estratte e sembrano non aver danneggiato eccessivamente la
struttura
della mano. Con una lunga riabilitazione riacquisterà
l’uso completo della
mano, mi hanno detto che lei tatua per lavoro.”
Io annuisco di nuovo.
“Potrà tornare a farlo, un
volta che la riabilitazione sarà conclusa.”
“Grazie, dottore.”
“Prego. Rimarrà qui in
osservazione un altro paio di giorni, l’abbiamo
già messa in lista d’attesa per
la sua riabilitazione. Le faremo sapere quando venire e cosa fare
quando
l’avremo dimessa.
Adesso, mi scusi, ma vado
a parlare con suo fratello e i suoi amici. Sono qui fuori e mi sembrano
piuttosto ansiosi di sapere come è andata
l’operazione.
È stata fortunata, nella
sua sfortuna, signorina O’Connor.”
Io non dico nulla e guardo
la sua schiena e lo svolazzante camice bianco uscire dalla mia stanza.
Riacquisterò l’uso della
mano.
Riacquisterò davvero l’uso
della mano, forse non sono finita come credevo!
Per la prima volta dopo
giorni sorrido, di là sento il dottore riferire quello che
ha detto a me agli
altri e quando ha finito entrano in massa.
Jack prende subito la mia
mano sana, gli altri sorridono.
“Ce la farai, sorellina!”
Andrew.
“Visto, potrai tatuare
ancora! Basta, assumere un sostituto per ora.”
Holly.
“Sono contento che la tua
mano tornerà come prima, magari mi tatuerai qualcosa
più avanti.”
Alex.
“Visto, piccola? La tua
manina tornerà come prima.”
Jack.
Io sorrido a tutti e
annuisco, cosa potrei chiedere di più?
Sono scampata alla morte e
a quanto pare anche al perdere l’uso della mano.
Ho al mio fianco mio
fratello, mia cugina, Alex e Jack e per la prima volta mi sento amata,
sento
che finalmente qualcuno che si interessa a me c’è
e non c’è sensazione
migliore.
Come ha detto il dottore
poco fa, sono fortunata nella mia sfortuna.
Solo grazie a questa
disgrazia so di poter contare su tutti loro.
Angolo di Layla.
Ringrazio Molly182 e LostinStereo3
per le recensioni.
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Capitolo 7 *** 6) Do you want me or do you want me dead? ***
6) Do you want me or do
you want me dead?
Due
giorni dopo vengo
dimessa.
La mano mi fa ancora male,
ma – ringraziando Dio – ho delle prescrizioni per
degli anti dolorifici,
parlando di Dio prima che Jack venga
a
prendermi è meglio che io cerchi la cappella di questo
dannato posto e vada a
ringraziarlo.
Non sono mai stata molto
credente, ma visto che lui ha operato un miracolo su di me lasciandomi
su
questa terra vorrei ringraziarlo.
La trovo dopo aver girovagato un po’, leggermente imbarazzata
mi inginocchio a
uno dei banchi e inizio a recitare il padre nostro, l’unica
preghiera che
ricordi dai giorni
in cui andavo a
catechismo.
Dopo di che vado a
braccio, lo ringrazio e gli parlo di me come farei con un vecchio amico
che
conosco da sempre e forse è così. Forse Dio
è l’unico amico che ho da
sempre, solo che
era timido e non si è
mai mostrato a me prima d’ora.
Finite le mie strambe
preghiere torno in camera e trovo Jack con una faccia preoccupata.
“Dov’eri?”
“A ringraziare un amico.”
Io alzo un indice verso
l’alto e lui capisce.
“Non sapevo fossi
credente.”
“Dopo certe cose lo
diventi e ora andiamo.”
Gli dico sorridendo, lui
prende la borsa delle mie cose e finalmente ce ne andiamo, salutiamo le
infermiere e il dottore e finalmente siamo fuori.
È una mattinata piovosa, si
sente il calore dell’asfalto che sale e l’odore
della pioggia – un misto di
bagnato e di decomposto – ma a me non dispiace:
l’importante è essere fuori di
qui.
Saliamo sulla macchina di
quello che ormai chiamo il mio ragazzo e finalmente partiamo, la
pioggia ha
cominciato a cadere di nuovo.
“Adesso andrò finalmente a
vivere nella villa di un riccone, lifestyles of rich and
famous!”
Lui ride.
“Più che altro troverai
una casa sufficiente grande da contenere il mio caos, da quando Holly
vive lì
la casa l’ha eletta a salvatrice della patria.”
Io rido.
“Holly è brava come
casalinga, io sono più caotica, ma me la cavo come
cuoca.”
“Bene, finalmente mangerò
qualcosa di diverso dalla pizza o dal cibo del cinese.”
“Puoi giurarci!”
Io alzo un po’ di più il
cappotto della mia felpa rossa dei Rancid che spunta da sotto la giacca
di
pelle. Come prima tappa andiamo in farmacia, poi gli chiedo come sta il
suo
frigo, lui mi risponde che somiglia al Sahara dopo la battaglia di
El-alamein,
pieno di ruderi inutilizzabili.
“Benissimo, allora faremo
un po’ di spesa.”
Ci fermiamo da un fornaio
e poi in un supermercato, lui salta immediatamente dentro al carrello,
come i
bambini. Entro spingendo il carrello con una sola mano e compro il
necessario:
carne, uova, latte, formaggi, acqua, birra, bibite gassate,salumi,
verdura,
frutta,biscotti, preparato per i pancakes, sciroppo d’acero
pasta, qualche sugo
e poi le cazzate che non possono mancare.
Alla fine abbiamo il
carrello pieno e Jack deve uscire a malincuore, anche perché
si è accorto che
faccio fatica a tirare il carrello. Lo prende lui in consegna e ci
dirigiamo
verso la cassa, abbiamo fatto una buona spesa.
Con la macchina piena di
roba buona arriviamo a casa e troviamo Holly e Alex ad aspettarci.
“Quanto ci avete messo?”
“Ci siamo fermati a fare
spesa.”
Alex lo guarda incredulo.
“Tu che fai spesa?”
“L’ho fatta io.”
Alex tira un plateale
sospiro di sollievo.
“Questo mi rassicura. Il
frigo ti amerà istantaneamente.”
“Sono contenta. Che ne
dite di aiutarci a scaricare e a mettere via la roba.?”
I due si fanno avanti e
dopo un quarto d’ora tutto è a posto e noi siamo
sul grande divano a
chiacchierare, un’occhiata all’orologio e il
borbottio della pance dei ragazzi
mi fanno capire che è ora di cucinare qualcosa.
“Beh, vado a preparare il
pranzo.”
“Vengo a darti una mano.”
Holly si alza e mi segue,
io metto l’acqua per la pasta sul fuoco, faccio soffriggere
un po’ di aglio e
un po’di cipolla, apro un barattolo di sugo per poi versarlo
nel pentolino del soffritto
e spegnere il gas
Quando l’acqua bolle ci
butto la pasta e riaccendo il gas, ci aggiungo dei cubetti di
prosciutto ed è
fatta.
“E così tu e Jack state
insieme.”
“Sì.”
“Come ti sembra?”
“Strano in senso positivo,
è da tanto che non ho un ragazzo e tutto mi sembra nuovo e
strano.”
“Sono felice per te, spero
che duri.”
“Anche io.”
Dico assaggiando il mio
sugo: buono.
“Che buon profumino! Te la
cavi bene in cucina.”
Alex si è affacciato alla
porta della cucinca.
“Grazie mille.”
“Io e Jack andiamo a preparare
la tavola, tuo fratello verrà a trovarti oggi
pomeriggio.”
“Bello!”
Lui sorride.
“Spero che prima o poi
riuscirai a trattarmi un po’meno freddamente.”
Io arrossisco.
“Scusa, non lo faccio
apposta. Mi viene naturale essere così con le persone che
conosco poco, ma
spero anche io che prima o poi ti tratterò più da
amico.”
Lui sorride di nuovo e se
ne va, di là lo sento urlare a Jack di togliersi dal divano
che è ora di
preparare la tavola e mangiare.
“Alex è una brava persona,
Wen.”
“Lo so.”
Dieci minuti dopo servo la
mia pasta in tavola, a Jack si illuminano gli occhi.
“Amo la cucina italiana!”
“Allora spero che questo
ti piaccia.”
Rispondo piuttosto timida,
una parte di me ancora non crede che io e lui stiamo insieme e pensa
che tutto
questo sia un delirio dell’agonia.
Magari questo è il mio
paradiso personale che Dio ha creato solo per me.
“Wen, tu non mangi?”
Io guardo un attimo Holly
poi do una forchettata alla mia pasta e devo dire che è
proprio venuta buona,
la apprezzano tutti.
“Brava, non sapevo avessi
questa dote!”
“Adesso verrai sfruttata
indiscriminatamente da Jack, sappilo.”
La voce di Alex è ironica
e mi strappa una risata.
“Va bene, spero tenga
conto del mio braccino malandato.”
“Certo, che ne terrò
conto!”
Dopo mangiato Holly
trascina Alex in cucina per rigovernare, la sua faccia grida
silenziosamente
aiuto, Jack gli sorride malignamente e tace.
“Così impara a mettere in
dubbio la mia capacità di fare la spesa.”
Io alzo un sopracciglio.
“Ne ha tutte le ragioni,
il tuo frigo sembrava la steppa russa durante la seconda guerra
mondiale,
dentro non c’era nulla.”
Lui ride e mi trascina
delicatamente sul divano.
“Mi devi delle coccole,
O’Connor.”
“Giusto, vieni qui.”
Gli faccio cenno di
accucciarsi sul mio seno e lui non se lo fa ripetere due volte, gli
accarezzo
piano i capelli, mentre lui si accomoda meglio.
Poi passo ad accarezzargli
il volto e la schiena, lui non dice nulla, sembra un gigantesco gatto.
“Mmm, mi piace stare
così.”
Dice lui a bassa voce.
“Anche a me.”
Gli lascio un bacio leggero
sui capelli e lo sento tremare leggermente.
“Scusa…”
“No, non ti scusare. È
ok.”
Continuo ad accarezzarlo e
a baciare lentamente i capelli e le tempie fino a quando non suona il
campanello. Jack è costretto ad alzarsi e a controllare chi
è.
È mio fratello e sono
davvero felice di vederlo.
“Wendy, sorellina, come
stai?”
“Meglio, gli
antidolorifici sono una bomba.”
“E lui si comporta bene?”
Indica scherzosamente
jack.
“Sì, non ti preoccupare.
Vuoi qualcosa?”
“Sì, un caffè.”
“Vado a preparartelo.”
Entro in cucina e mi trovo
davanti a una scena imbarazzante: Holly e Alex si stanno baciando.
“Scusate, non volevo
interrompervi.”
Mormoro con gli occhi
fissi a terra.
“Volevo solo preparare un
caffè a mio fratello.”
“C’è Andy di là, vado a
salutarlo!”
Mi risponde leggermente
isterica Holly, io guardo Alex che evita il mio sguardo.
“Dobbiamo parlare dopo.”
“Va bene. Credo che una
chiacchierata a questo punto sia utile a tutti e due.”
Io gli picchio la mano
sulla spalla e poi preparo il caffè, Alex non esce dalla
cucina, si è seduta su
una sedia e guarda per terra con aria sconsolata.
Esce solo quando io servo
il caffè, si siede su una poltrona e cerca di intrattenere
tutti con le sue
battute, mio fratello guarda lui e poi Jack e alla fine sorride.
“Sembra che tu abbia
trovato un ottimo posto per sistemarti e sembra che ci siano parecchie
persone
che tengano a te qui.”
Io arrossisco, mi sembra
ancora così strano che qualcuno tenga a me.
“Sì, è vero. È un buon
posto e ci sono tante persone che si prendono cura di me.”
Alzo la mia mano fasciata
e la guardo.
“Spero che potrà guarire
completamente.”
“Sono sicuro di sì, Wen.
Spero mi tatuerai qualcosa con la tua manina.”
“Lo spero. È brutta la
situazione del posto dove ti mandano?”
Lui alza le spalle.
“Un po’, è la mia prima
missione e ho un po’ di paura.”
“Sono sicura che te la
caverai bene, ti impongo di tornare da me.
Mi mancano i tuoi
riccioli, Andy.”
Lui ride e si passa una
mano sui capelli corti.
“Sì, mancano un po’ anche
a me, ma sarebbe strano vedere un militare riccioluto. Spero di non
stare per
sempre nell’esercito.”
“Qual è il piano,
fratello?”
“Di riuscire a raccattare
abbastanza soldi e poi se riesco lasciare l’esercito, mettere
su un ristorante
che sia solo mio.
Io non posso rapinare papà
come hai fatto tu!”
Io quasi rischio di
sputare il caffè.
“Come fai a saperlo?”
“Non ci vuole molto, la
sua cassaforte vuota e tu che sparisci di punto in bianco.”
Jack mi guarda curioso.
“Me la spieghi?”
Io sono più rossa di un
pomodoro maturo.
“Beh, ecco… Dopo aver
passato un sacco di tempo con lui e dopo che lui aveva obbligato a
licenziarmi
il tatuatore che mi aveva assunta come apprendista ho deciso di
prendere a modo
mio i soldi che mi spettavano e che lui non mi ha mai dato.
Ho aperto la sua
cassaforte e ho arraffato tutto quello che c’era dentro,
più qualche altra roba
di valore e sono tornata a Baltimora.
Mi sono fatta pagare gli
oggetti da un ricettatore e poi sono venuta a Los Angeles con
Holly.”
“Quindi tu sai aprire una
cassaforte come nei film?”
Io annuisco con la mia
tazza in mano.
“Te l’ho detto che a
Baltimora frequentavo brutta gente e tra la brutta gente
c’era anche qualcuno
che era stato in riformatorio. Tanti amici di James erano passati di
lì e mi
avevano preso come una mascotte, così mi hanno insegnato i
trucchi del
mestiere.”
“Sei pericolosa!”
Jack ride, io sono
imbarazzata.
“A te non ruberei mai
niente.”
Lui si accorge del mio
imbarazzo e mi attira a sé, dandomi un bacio sui capelli.
“Lo so, lo so.
Cercavo di sdrammatizzare
la situazione.”
“Grazie.”
“Papà ha mai sospettato
qualcosa?”
Mio fratello scuote la
testa.
“No, o a quest’ora saresti
in carcere, stanne certa.
Spero che non mi ci voglia
molto a raccattare il denaro che mi serve, non muoio dalla voglia di
andare in
giro a stroncare vite umane o farmi ammazzare a mia volta.
Credo che per almeno
cinque anni dovrò fare questa vita.”
Io lo guardo senza dire
niente, se mi avesse anche solo accennato a questo progetto avrei
tenuto da
parte un po’ di soldi della mia razzia alla cassaforte di
papà per lui.
“Avresti potuto dirmelo,
ti avrei dato un po’ di soldi.”
Lui scuote la testa.
“Papà ti avrebbe sgamata.”
“Hai ragione. A quest’ora
sarei in carcere, probabilmente.”
La conversazione passa poi
su argomenti più leggeri e meno drammatici, niente carceri,
morti, violenza.
Jack e Alex ci raccontano com’è la vita in tour,
della gente che conoscono, dei
fan, dei blink.
Andrew si illumina sapendo
che li conosce, anche lui, come me, è fan da una vita del
trio di San Diego.
Nella nostra roulotte malandata ci siamo scatenati tantissime volte con
Enema a
tutto volume, pogando e saltando fino a che i vicini venivano a battere
sulla
nostra porta per farci smettere.
Questi sono bei ricordi.
La musica di quei tre mi
porta sempre bei ricordi.
Alle quattro mio fratello
se ne va, Holly va al negozio perché a quell’ora
ha fissato il colloquio con il
mio sostituto, Jack viene richiamato in studio e così in
casa rimaniamo solo io
e Alex.
“Penso sia arrivato il
momento della famosa chiacchierata, sempre se ti va. Non voglio essere
invadente.”
Lui scuote la testa.
“No, è ok. Ne ho bisogno
anche io, la mia testa è confusa, da quando ho rivisto Holly
mi sento ancora il
ragazzino che non sapeva come dirle che l’amava.”
Io vado a prendere un paio
di bottigliette di birra e gliene porgo una, poi mi metto comoda sul
divano.
“Non sapevo amassi Holly,
non sapevo nemmeno che aveste una storia, me l’ha detto Jack
in ospedale.”
Lui fa una smorfia.
“A volte parla troppo, ma
gli voglio bene.
Non avevamo una vera
storia, era solo sesso. Io ero un ragazzino timido e lei…
beh, è stata la
ragazza più fredda e cinica che io abbia mai conosciuto, a
parte te.”
“Grazie.”
“Scusa, è che tu e tua
cugina avete in comune una sfiducia così forte nei confronti
dell’amore che mi
chiedo se non ve l'abbiano trasmessa per via genetica.”
Io sospiro e bevo la prima
sorsata.
“Quello che ti dirò tra
poco non deve uscire da queste mura, chiaro?
Non fartelo scappare
davanti a Holly o sarò costretta a farti molto male e non mi
va di fartelo, hai
capito?”
Lui annuisce.
“Tu sai i miei motivi, ma
non sai quelli di Holly. All’apparenza la sua famiglia
è perfetta, te la
ricorderai.”
“Sì, li vedevo tutte le
domeniche nella chiesa cattolica.”
Io annuisco.
“Però, vedi sotto questa
apparente perfezione si celano dei segreti molto brutti. Mio zio, il
fratello
di mia madre e padre di Holly, è bigamo. Per lavoro va
spesso a Chicago e li ha
un’altra moglie e altri figli e nessuno sa
dell’esistenza dell’altra famiglia,
ognuno crede di essere la famiglia di mio zio.
Solo che Holly intorno ai
tredici anni ha scoperto dell’altra famiglia e per lei
è stato un trauma,
voleva molto bene a suo padre, avevano un bellissimo rapporto che si
è
distrutto quando lei ha saputo la verità.
Non è più riuscita a
fidarsi di mio zio da allora, l’ha allontanato con disprezzo
e senza dire a
nessuno perché, io sono stata spesso tirata in ballo come la
cattiva
influenza.”
Faccio una pausa.
“E quando Holly ha perso
la fiducia nel padre,l’ha persa anche nell’amore,
da allora lo considera come
una cosa di facciata, una finta.
Jeremy l’ha corteggiata molto a lungo prima di diventare il
suo ragazzo e a
volte penso che comunque non ce l’abbia fatta
perché lei ha ancora dei periodi
in cui è fredda.
Periodicamente si chiude
in sé stessa e diventa inavvicinabile, Jeremy non le
può parlare e a volte
nemmeno io.
Questo è
quanto. Adesso tocca a te.”
Lui inizia a torcere le
mani.
“Non c’è molto da
raccontare. L’ho conosciuta al liceo e sono diventato suo
amico, per quanto tu
possa essere amico della ragazza per cui hai una cotta mostruosa, e poi
lei mi
ha proposto un patto.”
“Di che tipo?”
“Sesso. Lei voleva fare
pratica, ma non voleva che tutti la considerassero una puttana, io
volevo lei e
mi sono semplicemente adattato.
La storia è durata tutto
l’ultimo anno di liceo, ci vedevamo dopo scuola e cercavamo i
posti più
nascosti per fare i cretini insieme. Se possibile mi sono affezionato
ancora di
più a lei, peccato che a un certo punto lei mi abbia detto
che era finita.
Non mi ha mai spiegato
perché, so solo che ci sono rimasto di merda e lei occupa
ancora uno spazio nel
mio cuore.”
Io lo guardo un attimo, ho
una mia ipotesi su questa faccenda e se si rivelerà vera
qualcuno ne uscirà con
le ossa rotte, Alex o Jeremy.
“Da quando ci siamo
ritrovati è tornata quella tensione tra noi,
vorrei tanto che fosse solo mia, ma non credo che le
ragazze come lei
scelgano quelli come me.
Lei è una principessa e io
sono solo un buffone.”
Io gli tiro un cuscino,
lui mi guarda spaesato, io arrossisco.
"Non deve uscire da questa
stanza, anche perché è solo una mia congettura e
non voglio creare false
speranze in nessuno.”
“Dimmi.”
“Io e sottolineo io credo
che Holly ti abbia allontanato perché iniziava a sentire
qualcosa per te,
qualcosa che andava oltre l’amicizia.
Questo l’ha spaventata e
l’ha indotta a mollarti, ma credo che, come tu non hai
dimenticato, lei non ti
abbia dimenticato e altrimenti non ti avrebbe baciato prima.”
“Dici che sia così?”
“Non lo so, è solo
un’ipotesi. Non ho certezze, Holly non mi ha mai parlato di
te come ragazzo che
ha frequentato, solo come membro degli All Time Low.”
Lui sbuffa, demoralizzato.
“Spero che un giorno
qualcuno mi consideri come Alex e basta.”
“Io ti considero come Alex
e basta.”
Lui mi fa un sorriso
debole.
“Tu sei la ragazza di
Jack, io voglio una ragazza mia che mi consideri
così.”
Io mi alzo e lo abbraccio
un po’ intimidita.
“La troverai, prima o poi.
Chissà magari sarà proprio Holly.”
Lui non dice nulla,
risponde solo al mio abbraccio.
Che brutta situazione!
Chissà perché Holly non mi ha mai detto niente di
tutto questo, forse a
quest’ora lei sarebbe la ragazza di Alex se me ne avesse
parlato.
Che gran casino.
Spero solo che nessuno ne
esca con le ossa troppo rotte, sono affezionata a Jeremy e ad Alex e mi
dispiacerebbe vederli soffrire, anche se so che sarà
inevitabile.
Che situazione.
Angolo
di Layla
Ringrazio
_redsky_
e LostinStereo3
per le recensioni.
|
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Capitolo 8 *** 7) Walls (I don't wanna be in love) ***
7) Walls (I don't wanna be in love).
Holly
P.o.w
Non
sono mai stata una
ragazza che si ficcasse nei casini, fare casino è sempre
stato più nello stile
di Wendy. Il suo comunque è sempre stato un casino limitato
alle sue storie
d’amore, non alla scuola o altro.
Questa volta però a essere
in un casino sono io e non so come risolverlo, dato che ho
già buttato fuori
dalla mia vita una volta una persona e non è servito a nulla
visto che vi
è tornata.
Sono innamorata di Alex
Gascarth da quando andavano tutti e due al liceo e la sua band non
aveva ancora
avuto così successo.
Non ho idea di come sia
successo, so solo che all’improvviso quello che per me era un
buon amico era
diventato di più.
Amavo il suo modo di
sorridere, di gesticolare, il suo sorriso, la sua faccia dolce.
Tutto.
E non va bene.
L’amore è solo una farsa e
non mi andava allora né mi va adesso di coinvolgerlo in
questa cosa, quando ero
solo una ragazzina gli proposi di diventare amici di letto.
Pensavo che fosse la cosa
più onesta da fare, ma mi sbagliavo: ero sempre
più intrappolata nella sua rete
e probabilmente per lui era lo stesso con me.
Porre fine a quella storia
è stata la cosa peggiore che potessi affrontare durante la
mia adolescenza e ad
aggravare il tutto c’era il fatto che ho dovuto affrontarla
da sola. Ero troppo
orgogliosa per confidare a Wendy questo tipo di problemi e lo sono
anche adesso
in fondo, visto che non le sto dicendo nulla nonostante ci abbia visti
baciarsi.
Sì, ci siamo baciati.
Quando l’ho rivisto ho
dimenticato di avere un ragazzo che mi ama da morire ed è
tornato a esistere
solo Alex. Sono tornata indietro nel tempo e il culmine di questa
follia è
stato il bacio che si siamo dati.
Onestamente rifarei tutto,
erano secoli che il mio cuore non vibrava per un’emozione
vera e non per una
finta come quella che c’è tra me e Jeremy.
Il bacio tra me e Alex ha
coinvolto tutte le parti di me stessa, anche quelle più
scettiche e pessimiste,
di più, sono letteralmente sparite, come se baciare lui
fosse naturale come
respirare.
La cosa mi preoccupa, io
non posso stare con lui.
Non voglio dargli solo una
finta, ma non riesco a stargli lontano, senza contare che non riesco ad
analizzare lucidamente quello che provo per lui e non mi era mai
successo.
Che sia amore quello che
provo?
Ma come posso provarlo se
non esiste?
Forse dovrei parlarne con
Wen, almeno questi pensieri smetterebbero di rimbalzare nella mia testa
come
palline da flipper impazzite e io avrei un po’ di pace.
E se fosse amore cosa
faccio con Jeremy?
Lui mi ama molto e non
vorrei spezzargli il cuore, sarebbe terribilmente ingiusto visto che
lui non se
lo merita. È un bravo ragazzo che ha saputo aspettarmi e
ascoltarmi, che mi ha
dato sicurezza e fatto sentire bene, eppure non sono sicura di amarlo
quanto
lui ama me.
Credo di essermi
semplicemente adattata al suo amore, come ci si potrebbe adattare a un
maglione
non proprio bellissimo, ma che è comodo e tiene caldo.
Mi gratto la testa
nervosamente, questi pensieri devono uscire dalla mia testa, tra poco
ho un
colloquio con chi dovrà sostituire Wen nel nostro negozio.
Ho bisogno di tutta
la mia lucidità e concentrazione, non vorrei mai scegliere
un tizio che non è
capace di tatuare o dotato di un pessimo carattere.
Sì, il nostro negozio è
molto più importante di Alex e di quello che sento o credo
di sentire per lui.
Arrivo al negozio e
l’aspirante tatuatore è già
lì: è una pertica dai disordinati capelli neri,
pieno di tatuaggi e con i piercing alle guance.
“Ciao, sono Holly la
segretaria e co-proprietaria del negozio.”
Gli tendo una mano
amichevole, lui me la stringe in una presa ferrea.
“Ryan Anderson, tanto piacere.
Qui c’è il mio portfolio se vuoi dargli
un’occhiata.”
Mi tende un volume in cui
ha rilegato a mano tantissimi schizzi in stili diversi: old school, new
school,
giapponesi, maori, qualcosa di realistico.
“Sono molto belli e si
adattano allo stile che ha la mia socia.”
“Mi piacciono molto i
disegni di Wendy O’Connor, ne ho visti alcuni sul
bancone.”
“Grazie mille. Come sai
non sarai assunto a tempo indeterminato…”
“Lo so, quando la
signorina O’Connor si ristabilirà dal bruttissimo
problema alla mano io sarò
licenziato.”
Io sospiro.
“Esatto, Ryan e , tra
parentesi, come fai a sapere del suo incidente alla mano?”
“Leggo i giornali. Hanno
dedicato un bel articoletto nella cronaca nera al tentativo di furto
avvenuto
in casa sua a opera della madre e alla successiva morte della signora
O’Connor.”
“Pessima pubblicità.”
Borbotto io.
“Comunque sei in prova per
una settimana, mi piacciono i tuoi disegni e voglio vedere come te la
cavi con
il pubblico. Ci vediamo qui domani mattina alle nove.”
Ci stringiamo ancora una
volta la mano e poi ce ne andiamo insieme, lui si avvia tranquillo
lungo il
viale, io chiudo di nuovo la saracinesca del negozio e inserisco
l’antifurto.
Arrivo alla villa di Jack
e la trovo deserta, eccetto che per Wen che guarda la tele.
“Holly, bentornata! Com’è
andata?”
Io gli descrivo in breve
il colloquio con Ryan e lei annuisce soddisfatta.
“Sembrerebbe un tipo a
posto, domani lo vedrò all’opera, ho intenzione di
fare comunque un salto al
negozio.
Non hai niente altro da
dirmi?”
Lo sguardo è eloquente, si
riferisce sicuramente ad Alex, io arrossisco come una scolaretta.
“Beh, ecco… Non so, cosa
vuoi sapere?”
Wen si accende una
sigaretta.
“Cosa hai intenzione di
fare con Alex.”
“Niente, è stato solo un
bacio. Vivi nella casa del tuo idolo e ti fai trascinare dalla
situazione.”
La mia spiegazione suona
debole e da bimbaminchia persino alle mie stesse orecchie, infatti lei non se la beve.
“Lo sai che non è così, tu
hai avuto una storia con Alex.”
Io sbianco.
“Come fai a saperlo?”
“Ci siamo parlati, lui è
confuso almeno quanto te. Penso che non abbia mai smesso di amarti e
tu?”
“Io sto con Jeremy.”
Istintivamente mi metto
sulla difensiva ed è strano visto che io e Wen siamo come
due sorelle.
“Non lo ami.”
“Cosa?”
“Ti ho detto che non lo
ami o, per meglio dire, non lo ami abbastanza o non lo ami quanto lui
ama te.
Ti sei semplicemente adattata alla vostra storia perché lui
ti dava la serenità
che ti mancava, ma non l’ha mai amato davvero.”
“Come fai a dirlo?”
Lei mi punta addosso i
suoi occhi azzurri, ora freddi come il ghiaccio.
“Quando parlavi di lui non
sei mai arrossita, non hai mai fatto lunghi discorsi senza senso su di
voi, gli
occhi non ti sono mai brillati. Me ne sono accorta solo ora
perché Jack mi ha
ricordato cosa vuol dire essere amati.”
Io abbasso gli occhi, ha
centrato perfettamente il punto, purtroppo.
“Hai ragione. Hai ragione
su tutto, non ho mai amato davvero Jeremy, nella mia testa
c’è sempre stata
un’altra persona: Alex.
Con lui le cose si sono
fatte serie e ho avuto paura, paura che legandomi a lui lo avrei reso
partecipe
di una farsa, come è stato il matrimonio dei miei.
Ho avuto paura ad affidare
il mio cuore a lui perché gli avrei dato un potere enorme,
avrebbe potuto
distruggermi.”
“Holly.”
Lei prende fiato.
“Tu mi hai detto che avevo
bisogno di qualcuno da amare e mi hai spinta verso Jack, nonostante
avessi
paura e hai fatto la miglior cosa che qualcuno abbia fatto per me.
Non finirò mai di
ringraziarti, perché se adesso sto provando a vincere le mie
paure e, seppur
con i piedi di piombo, la mia storia con Jack prosegue. Ora vorrei
aiutarti, ma
non so come.
Io credo…”
Prende di nuovo fiato, è
sempre stata a disagio nel parlare di sentimenti.
“Credo che dovresti
analizzare il tuo cuore, al di fuori di ogni paura. Lui sa
già la risposta, sa
già se vuoi Jeremy o Alex, devi solo dargli la fiducia
necessaria per potersi
esprimere.
Capisci?
L’amore non parte dalla
razionalità, parte da più a fondo, parte dal
cuore, dall’istinto, dalla pancia.
Non può essere analizzato
razionalmente.”
La guardo incredula, ma
che sta dicendo?
“Wen, non esiste niente
che non possa essere analizzato razionalmente!”
“Sì? E perché
razionalmente io dovrei stare con Jack?
Cosa ci accumuna?”
Io rimango in silenzio,
boccheggiando come un pesce in carenza d’aria.
“Io…”
“Non lo sai, vero?
Ed è perché nulla ci
accumuna se non l’amore, quindi non può essere
analizzato razionalmente!”
“Piantala con questa
storia!”
“Perché hai baciato Alex?”
“Perché è il mio idolo e
io mi sono lasciata trascinare, te l’ho già
detto!”
“Allora devo ritenermi
fortunata se tu non bacerai Jack!”
“Cosa?”
“Anche Jack è il tuo
idolo, ci proverai anche con lui?”
“Io… No, è il tuo ragazzo,
smettila con queste stronzate, l’amore non esiste!”
“E allora perché hai tanto
insistito perché ci credessi? Sei forse una bugiarda?
Non l’avrei mai detto,
Holly!”
“Vaffanculo Wendy!”
Lascio il salotto furiosa,
come si permette di darmi della bugiarda? A me? Lei che ha rubato i
soldi di
suo padre?
Mi chiudo in camera mia
sbattendo la porta e rimango per un tempo lunghissima a fissare
astiosamente il
mio armadio. È la prima volta che io e Wen litighiamo e sono
davvero
arrabbiata.
Ad un certo punto sento le
voci dei ragazzi al piano di sotto e la voce di mia cugina, immagino
stia
raccontando loro cosa sia successo.
Poco dopo la porta si apre
e Alex fa la sua comparsa, io lo fulmino con un’occhiataccia
terrificante,
quasi come se fosse colpa sua se io e Wendy abbiamo litigato.
“Vattene, non voglio
vederti!”
“Holly…”
“Vattene!”
Abbaio io, sempre più
furiosa, lui esce dalla stanza con gli occhi bassi.
Nemmeno cinque minuti dopo
la porta di nuovo.
“Vattene, ti ho detto!”
“Non sono Alex.”
Li guardo e davanti a me
c’è Jack con uno strano sguardo serio.
“Possiamo parlare?”
“No.”
“Perché?”
Io lo guardo male, sono
stanca di gente che si vuole impiccia nella mia vita.
“Perché non mi va di
parlare dei fatti miei con una rockstar che nemmeno conosco tanto
bene!”
Lui mi guarda ferito per
un attimo, poi il suo sguardo si fa duro.
“Pensavo fossimo amici,
evidentemente mi ero sbagliato.
Me ne vado.”
Dovrei fermarlo, dirgli
qualcosa – qualsiasi cosa – per riparare alla
cattiveria che ho detto, ma le
mie labbra sembrano sigillate, non esce nulla.
Mollo un pugno al muro e mi
butto a letto, non ho fame quindi non scendo nemmeno per la cena e
rimango da
sola.
Sola con i miei pensieri.
Sola con le mie bugie.
Sola con la rabbia che
provo verso Wen, colpevole solo di avermi sbattuto in faccia la
verità che io
voglio ignorare.
Sola, fino a che il sonno
non mi porta via con sé.
La mattina dopo mi sveglio
con un gigantesco mal di testa, pari solo ai miei sensi di colpa.
Ho insultato tutti – anche
chi se non lo meritava – solo perché avevo voglia
di fare del male alla gente e
non ho saputo trattenermi.
Sono un’idiota, Wendy ha
il suo caratterino, ma nemmeno il mio scherza!
Al mio arrivo la cucina
non è vuota, c’è Jack che sta mangiando
cereali, non appena mi vede l’atmosfera
si fa di ghiaccio.
Lui lascia la ciotola a
metà e se ne va dalla cucina, senza darmi la
possibilità di parlargli, merda!
Wen, dov’è?
Non voleva venire con me a
vedere il nuovo tatuatore?
Salgo al piano superiore e
vedo un post it sulla porta della camera che lei divide con Jack, nella
sua
grafia un po’ sghemba mi avvisa che oggi non ha voglia di
venire al negozio e
di non disturbarla.
Ok.
Mi faccio una doccia, mi
vesto e faccio colazione, oggi sono sicura che sarò
desolatamente da sola,
eccetto che per la compagnia di Ryan al negozio.
Esco da casa sentendomi
una merda, ho fatto un casino epico
solo
per non accettare il fatto che l’amore non è
razionale, ma una cosa che ti
colpisce, ti porta via e ti fotte a caso, senza una ragione precisa.
Potrebbe colpire il tizio
accanto a te, invece prende te così, perché gli
va.
Arrivo al negozio, Ryan mi
sta aspettando appoggiato alla saracinesca.
“Buongiorno!”
Mormoro insonnolita, poi
infilo la chiave nel buco per sbloccare la saracinesca sbadigliando e
infine mi
chino per alzare la pesante lamina di ferro.
Una mano si appoggia
gentile sulla mia spalla.
“Lasciala tirare su a me,
se non ti offendi.”
“No, va benissimo, Ryan.
Grazie mille.”
Lui la alza senza
problemi, avevo proprio bisogno di un ragazzo che facesse i lavori
pesanti al
negozio!
Entriamo, io deposito la
borsa sul banco e controllo gli appuntamenti, lui invece va di
là e lo sento
trafficare con i macchinari, poi torna da me.
“Non avevi detto che
sarebbe venuta anche la tua amica oggi?”
Io annuisco.
“Sì, ma non penso che
verrà, ieri abbiamo litigato e non credo muoia dalla voglia
di vedermi.”
“Capisco, mi auguro che
farete pace.”
“Me lo auguro anche io,
non ho mai litigato seriamente con mia cugina.
Dio, siamo sempre state
come due sorelle.”
“Anche le sorelle a volte
litigano.”
“Anche questo è vero.”
Mormoro amara io.
“Beh, non abbiamo tempo
per essere tristi, Ryan. Il primo cliente dovrebbe arrivare tra
poco.”
Come previsto lo
scacciapensieri sopra la porta suona e un ragazzo entra:
avrà al massimo
vent’anni, ma è già massicciamente
tatuato.
“Buongiorno.”
“Buongiorno, sono qui per
il tatuaggio con il nome.”
“Che è?”
“Drew, il nome di mio
figlio.”
Io sorrido.
“Complimenti per essere
padre allora.”
Gli mostro i disegni e lui
annuisce, Ryan esce dalla stanzetta, lo saluta e poi spariscono insieme
dietro
la tenda e poco dopo sento il ronzio familiare della macchinetta per
fare
tatuaggi.
Mi fa un po’strano sapere
che non c’è Wen di là, ma sono certa
che mi abituerò – litigio o no – per un
po’ di tempo non potrà tatuare.
Il primo cliente esce una
mezz’ora dopo e così gli altri della mattinata,
ben presto arriva mezzogiorno e
mezzo e l’agognata pausa pranzo.
“Ehi Holly, pranzi con
me?”
Sto per rispondergli di sì
quando il mio cellulare manda un trillo: è un messaggio di
Jeremy in cui lui mi
chiede se mi va di mangiare con lui.
Io digito un “sì” senza
nemmeno pensarci, mi sento addosso almeno una tonnellata di sensi di
colpa.
“No, mi spiace, oggi non
posso. Il mio ragazzo mi ha appena chiesto di mangiare con
lui.”
Lui annuisce.
“Allora ciao, ci vediamo
alle due e
mezza.”
“Sì, ciao. Buon pranzo!”
Me ne vado e mi dirigo al
bar dove io e Jeremy abbiamo appuntamento, lui ha un’aria
stanca: in questi
giorni lo stanno facendo lavorare troppo e ha iniziato ad avere
problemi di
insonnia.
Da brava ragazza dovrei
trovare un modo per aiutarlo, ma il mio cervello tace. Wen ha ragione,
non lo
amo quanto lui ama me, ma non riesco a staccarmi da lui.
“Ehi, stai bene?”
Gli chiedo.
“Sì, sto bene. È tutto a
posto, non ti preoccupare, piuttosto come sta Wendy?”
“Bene, cioè la mano è
ancora un disastro perché non ha ancora iniziato a fare la
riabilitazione, ma
tiene sotto controllo il dolore con gli anti dolorifici.”
“È vero che sta con Jack
Barakat?”
“Ah, come volano le
notizie! Sì, sta con lui.”
Lui si stende meglio sulla
sedia.
“Woah! Falle gli auguri da
parte mia e dille di tenere d’occhio Jack, è un
tipo ok, ma tende a guardare un
po’ troppo le ragazze.”
Io sorrido.
“Grazie, ma penso che lei
sarà perfettamente in grado di tenerlo a bada.”
Ordiniamo entrambi un
panino e chiacchieriamo tranquillamente dei nostri lavori, visti da
fuori
sembriamo due amici più che due fidanzati e ho il sospetto
anche lui l’abbia
notato.
Deve essere per questo che
appoggia la sua mano sulla mia e tenta di baciarmi, io subisco un
po’passiva,
se questo lo abbia ferito non mi è dato saperlo.
Jeremy è sempre molto
calmo e non si riesce facilmente a capire cosa pensi o se qualcosa lo
fa stare
male. Io mi sento un mostro, non riesco ad azzeccarne una.
Ho litigato con Wen, ho
insultato Alex e Jack e non so nemmeno tirare su di morale il mio
ragazzo.
Da quando la mia vita è
diventata un immenso casino in cui tutto sembra andare storto?
Io e Jeremy ci lasciamo
con un baio e io me ne torno al negozio, Ryan è
già appoggiato alla saracinesca
e sta fumando una sigaretta.
“Ehi.”
“Ehi!”
Tira su la saracinesca ed
entriamo.
“Hai una brutta faccia.”
“Sono tempi di merda per
me.”
Rimango un attimo in
silenzio.
“Ti è mai capitato di
avere nel cuore due persone diverse?”
“Sì. Stando a Johnny Depp
bisognerebbe scegliere la seconda perché se fossimo stati
veramente innamorati
della prima la seconda non ci avrebbe nemmeno sfiorato, ma io penso che
ci
siano delle eccezioni.”
Io faccio finta di
guardare la lista degli appuntamenti.
“Tipo?”
“Se tu ti sei innamorato
della prima persona, ma hai rifiutato questo amore e ti sei sfogato con
la
seconda persona, beh, è la prima che conta. Non è
carino fare chiodo scaccia
chiodo, ma si fa e si mettono innocenti in mezzo ai nostri casini,
perché non
sappiamo come affrontarli.”
Io rimango in silenzio.
“Sono in un mare di casini
e ci sto affogando, Ryan, non hai idea di quanto ci stia affogando. La
vita ha
rimesso sul mio percorso una persona che…mi suscitava
sentimenti che non ero in
grado di gestire. La prima volta l’ho cacciato, ma ora non
posso più e non so
cosa fare.
Non voglio far soffrire
nessuno, ma qualsiasi cosa io decida di fare qualcuno
soffrirà.”
Lui alza le spalle.
“La vita è anche
sofferenza, Holly. Sarebbe bello non poter mai soffrire, ma si
deve.”
Il primo cliente del
pomeriggio entra ed interrompe la nostra discussione. Ryan ha ragione,
ma
questo non risolve i miei problemi.
Cosa devo fare?
Qualcuno mi dia un segno!
Angolo di Layla.
In questo capitolo parla Holly, ma
dal prossimo torna a parlare Wen. In ogni caso ogni volta che
parlerà Holly sarà segnalato. Spero vi piaccia.
Ringrazio _redsky_ per
la recensione.
|
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Capitolo 9 *** 8)Oh, Calamity ***
8)Oh, Calamity.
Wendy’s
p.o.w
Non ho idea di come le
cose siano precipitate così.
Non ho mai litigato con
Holly, è sempre stata mia sorella, quella che mi capiva
meglio di tutti, quella
a cui voglio un bene dell’anima.
Pensavo di conoscerla, ma
forse non la conosco abbastanza o semplicemente non conosco la
questione Alex
Gaskarth abbastanza per poterne parlare con lei.
Onestamente mi ha un po’
ferita il fatto che non me ne abbia mai parlato, ma ormai è
successo e non
importa. Mi importa che lei sia felice e non lo è.
Volevo farle capire che
non andrà sempre come è andata tra i suoi e ho
fallito e ora sono qui sul
divano con il suo “vaffanculo!” che
mi
brucia addosso.
Dovrei parlarle?
Forse è meglio di no,
forse vuole stare da sola.
Io intanto combatto contro
le lacrime che tentano di scendere, ma non credo di aver fatto un buon
lavoro perché
quando i ragazzi tornano a casa si accorgono subito che qualcosa non va.
“Cosa è successo, Wen?”
Mi chiede Jack dopo avermi
salutato con un bacio a fior di labbra.
“Niente.”
I suoi occhi scuri mi
scrutano e sembrano leggermi nell’anima, anche Alex mi guarda
e sembra capire
che si tratta di Holly perché vola al piano di sopra.
Scende subito dopo.
“Mi ha detto di
andarmene.”
“Vado a parlarci io.”
Il tono di Jack ha una
strana sfumatura dura e io afferro uno dei suoi polsi.
“Lascia perdere, ti prego.
Potrebbe essere peggio.”
“So controllarmi.”
Io guardo Alex, lui scuote
la testa, non può fermarlo.
Jack sale a passi pesanti
al piano superiore e scende pochi minuti dopo furioso, senza dire
niente apre
uno degli armadietti e tira fuori del whisky, poi esce in giardino.
“Alex.”
“Wen.”
“Dimmi che non va a
ubriacarsi.”
“Vorrei poterti dire di
no, ma credo che sia questa l’intenzione di Jack. Quando non
sa come risolvere
qualcosa beve.”
“Ti prego va da lui e
tienilo d’occhio.”
Lo supplico con gli occhi
enormi per la paura, inizio anche a tremare, tanto che Alex si siede
accanto a
me e mi abbraccia.
“Cosa succede, Wendy?”
“Ho-ho ho pau- paura degli
ubriachi e non voglio che il mio ragazzo sia un ubriacone che mi usi
come pungi
ball ogni volta che è st- storto.”
Lui mi guarda negli occhi,
mi asciuga le lacrime e mi dà un bacio in fronte.
“Jack non è quel tipo di
ragazzo , ma se ti fa stare meglio lo controllerò.”
“Sì, ti prego, Alex. Ho
paura.”
Lui annuisce e segue il
suo amico in giardino, la fame mi è passata –
così non cucino nulla – in
compenso ho un senso di panico che mi attanaglia le viscere, lo stesso
di
quando mia madre era arrabbiata e ubriaca.
La mia parte razionale sa
che Jack non è come lei, ma l’istinto ormai ha
imparato a mettersi in guardia a
questi segnali e non c’è modo di fermarlo.
Continuo a tremare sul
divano e a ripetere che non ce n’è motivo, che va
tutto bene in fondo, che Jack
non mi picchierà e che l’alcool non
cambierà il ragazzo che ho imparato ad
amare.
Verso le dieci vado a
letto, Holly non è ancora tornata, deduco che è
in giro per locali o dorme da
Jeremy o forse tutti e due.
In camera mia passo quelle
che mi sembrano ore a guardare il soffitto, poi sento la porta aprirsi
e un
corpo lasciarsi cadere sull’altra parte di materasso.
È Jack e puzza di alcool,
io inizio a tremare involontariamente.
“Cosa c’è?”
Poi guarda se stesso e
annuisce, allunga una mano verso il mio viso e mi accarezza una guancia.
“Non avrei dovuto
ubriacarmi, ma io faccio sempre un sacco di cazzate quando sono agitato
o
arrabbiato, non devi paura di me, però.
Non ti farei mai del male,
vieni qui.”
Lui batte una mano sul
materasso accanto a lui, tutto il mio corpo vorrebbe raggiungerlo, ma
il
cervello lo trattiene con energia.
La paura è ormai troppo
radicata in me per riuscire a combatterla e Jack se ne accorge,
perché, piano –
lentamente per darmi modo di scappare – si avvicina a me e
poi si accuccia sul
mio petto senza fare niente.
Il mio respiro accelera e
poi si calma, con una mano tremante gli accarezzo i capelli scuri e lo
sento
fremere al mio tocco.
“Non avere paura di me, ti
prego.”
“Non ne avrò…”
Prendo fiato.
“Io ti amo, ma quando
qualcuno si ubriaca in me scatta … qualcosa. Credo sia
l’istinto di
sopravvivenza per avere abitato per anni con una madre ubriaca,
alcolista e
violenta e quindi ho paura. Risento di nuovo le botte, la cinghia e la
sua
risata o quelle di scherno di mio padre e di mio fratello.
Odio la gente ubriaca, mi
fa paura.”
“Giuro che non lo farò mai
più, ho troppa paura di perderti. Ho ventidue anni e posso
essere maturo
abbastanza da trovare un altro modo per risolvere i miei problemi che
non sia bevendoci
sopra come se non ci fosse domani.
Il domani c’è e sei tu.”
Io lo abbraccio piangendo,
solo che questa volta sono lacrime di gioia, nessuno mi aveva fatto un
discorso
così.
Ti amo, Jack.
La mattina dopo mi sveglio
alle sei, Jack dorme ancora su di me.
Sembra un bambino quando
dorme e non mi va di svegliarlo, ma devo fare una cosa. Con molta
cautela mi
sfilo da sotto il suo corpo, cerco un pezzo di carta e una penna.
Scrivo un breve messaggio
per Holly e lo appendo fuori dalla porta, così
eviterà di svegliarci.
Torno a letto e trovo Jack
sveglio sdraiato a pancia in su che guarda il soffitto.
“Come mai ti sei
svegliata?”
“Ho scritto un messaggio
per Holly.”
Gli rispondo tornando a
letto e venendo attirata sul suo petto, lui si porta le mani alle
tempie e se
le massaggia.
“Postumi?”
“Postumi. Cosa dovevi dire
a Holly?”
“Ieri, prima del litigio le
avevo detto che sarei andata in negozio con lei per vedere il nuovo
acquisto e
così le ho scritto dicendole di non disturbarci
perché non sarei venuta.”
Lui annuisce.
“Torniamo a dormire.”
“Va bene.”
Lui appoggia la testa
sulla mia e lo sento annusare.
“Non sei scomodo?”
“Nah, mi piace il profumo
dei tuoi capelli.”
Io arrossisco.
“Non devi registrare.”
“Pome.”
Mi risponde mezzo
assonnato e presto tutti e due cadiamo di nuovo tra le braccia di
Morfeo.
È un sonno tranquillo che
si interrompe verso le dieci e mezza, lui è il primo a
svegliarsi e a farsi una
doccia, io lo seguo poco dopo.
Scendiamo in cucina – lui
in pantaloncini e a petto nudo, io con una sua maglia a mo’
di vestito – e
troviamo Alex che mangia cereali con addosso una vecchia maglietta
degli
Orioles e un paio di pantaloncini.
“Non hai una casa tu?”
Gli chiedo divertita, lo
trovo molto spesso a casa di Jack e la cosa mi incuriosisce parecchio.
“Certo che ce l’ho, è che
a volte mi sento solo là dentro. È
così grande che mi opprime.”
Mi risponde senza alzare
gli occhi dalla tazza, mi pare di cogliere una sfumatura triste nella
sua voce,
così mi ricordo dei suoi problemi d’ansia.
Forse sono stata
indelicata, così gli scompiglio i capelli come primo segno
di pace.
“Vuoi dei pancakes?”
Secondo segno di pace, lui
alza il volto e mi sorride.
“Certo.”
Sono sicura che ha colto
il sottointeso nella mia offerta, visto il sorriso che mi riserva.
Io mi metto ai fornelli e
preparo una generosa quantità di pancakes, devono bastare
per me, Jack – che
alla mattina è sempre molto affamato – e per Alex.
Il mio ragazzo si è seduto
al tavolo e parla al suo amico, credo lo stia consolando per quello che
è
successo con Holly perché sento frasi come
“Lasciala perdere!”, “Ne trovi di
migliori!” e “Non ti merita.”
Holly, cosa hai fatto?
Vorrei porre rimedio, ma
non so come e non voglio incasinare ulteriormente la situazione:
è Holly che
deve fare qualcosa. Il problema è che non so se
farà qualcosa, è talmente spaventata
che potrebbe decidere di scappare e sarebbe la cosa peggiore da fare.
Servo i pancakes e del
caffelatte.
“Jack, cosa ti ha detto
Holly?”
“Che non voleva parlare
con una rockstar che non sa niente di lei, e io che pensavo fossimo
amici!”
Mi porto una mano al
volto.
Holly, cosa ti è preso
ieri sera?
“Jack, era sconvolta.
Io… io ieri credo di aver
esagerato nel toccare un tasto che per lei è dolente e sono
sicura che non
pensa quello che ti ha detto.”
“E allora che si scusi e
lasci in pace Alex.”
“Zitto, Barakat!”
Risponde secco Alex,
guadagnandosi un’occhiata incredula di Jack.
“Che ho detto di male?”
“Holly può disturbarmi
quanto vuole, lei non mi disturba affatto.”
“Ma ti fa stare male e non
il massimo vedere il tuo migliore amico stare male.”
“È quello che voglio,
prima o poi l’avrò.
Tu cosa dici, Wen?”
Il fatto di essere stata
tirata in ballo così all’improvviso mi fa sputare
un po’ di caffelatte, sotto
il loro sguardo divertito. Mi asciugo e
cerco di tornare seria, per quanto me lo consenta la
figuraccia appena
fatta.
“Allora, io credo che tu
abbia qualche possibilità, ma non sarà facile.
Lei crede che l’amore non
esista e sia solo una farsa, per questo cerca di starti lontano, per
non
affrontare questa paura e perché non vuole coinvolgerti in
quella che lei crede
sia una farsa.”
“Perché sta con quel
tecnico, allora?”
Mi chiede Jack.
“Perché lui è arrivato in un
momento in cui era debole e bisognosa di sostegno e Jeremy era
lì, con pazienza
è
riuscito ad avere un po’ di Holly.
Lei non credo lo ami come
lui ami lei, lei si è adattata all’amore di Jeremy
perché le faceva comodo.
Lo so che è brutto da
dire, ma è quello che penso.
La vita non è stata buona
nemmeno con mia cugina.”
Abbasso gli occhi.
“Chissà cosa le sarà
successo!”
Sputa acido Jack, spero
che facciano presto pace, perché non mi piace questo clima.
Io non alzo gli occhi
dalla mia tazza e la stringo un po’ di più.
“Suo padre è bigamo e lei
è l’unica a saperlo.”
Nella cucina cala il
silenzio.
Riprendiamo a mangiare,
una cappa di tristezza sembra essere calata sulla tavola, forse avrei
dovuto
stare zitta.
“Cosa volete fare adesso?”
La voce di Alex interrompe
il silenzio.
“Volevo portarla alla
spiaggia.”
“Uh, una di quelle cose
terribilmente romantiche che non prevedono terzi incomodi?”
Jack annuisce.
“Allora me ne vado. Buona
cosa terribilmente romantica.”
Alex lascia casa nostra
leggermente gobbo.
“Sei sicuro che non vuoi
stare con lui?”
“No, se la caverà e poi
voglio stare con te.”
Io sorrido e volo di sopra
a cambiarmi, lanciandogli la sua maglia.
Metto una maglia azzurra e
un paio di shorts, poi preparo una borsa per il mare, anche se dubito
faremo il
bagno data la mia mano.
Scendo di sotto e poi ce
ne andiamo, Los Angeles non sembra molto affollata stamattina,
raggiungiamo
presto la spiaggia.
È inverno, ma non fa
freddo e la spiaggia non è poi così vuota, cosa
che ci sorprende un po’ mentre
lui stende il telone.
Ci sdraiamo entrambi e
guardiamo l’oceano per un po’. Lui mi accarezza
svogliatamente i capelli e io
oso accarezzargli piano il petto.
“Continua, mi piace.”
Mi dice lui, credo abbia
capito il mio disagio.
“Scusa, è che non sono
abituata.
Bello, il tuo tatuaggio
con Jack Skeleton!”
“Mh, sì. Pensavo ancora a
Holly e Alex, non mi piace, non mi piace per niente.”
“Holly non è cattiva.”
“Ma sta facendo soffrire
Alex e non mi piace. Lui è come se fosse un fratello per me
e non mi piace la
gente che lo fa stare male.”
“Capisco.
Io spero che Holly capisca
una cosa fondamentale.”
“Cioè?”
Prendo fiato.
“Lo so che sono l’ultima
persona a poter parlare, ma… deve capire che
l’amore non è una farsa o
altrimenti noi cosa saremmo?”
Jack rimane in silenzio e
in me inizia a crescere il gelo.
“Jack?”
Domando incerta.
“Non ti preoccupare, Wen.
Noi siamo due persone che si amano, tu sei la mia ragazza.”
“Perché sei rimasto in
silenzio così a lungo?”
“Perché pensavo che non
avrei detto così presto queste parole, insomma prima di te
erano solo scopate
senza responsabilità.”
“Io.. Spero che non te ne
sia pentito.”
“Assolutamente no. Quando
ti ho vista mezza morta mi sono spaventato tantissimo e ho capito che
senza di
te non riesco a vivere.”
“Grazie!”
Mormoro con le lacrime
agli occhi.
“È la cosa più bella che
mi abbiano mai detto.”
“Stupisce anche me, non
sono un tipo da dichiarazioni romantiche.
Mi fa male una spalla.”
“Se non avessi questa mano
fuori uso ti avrei fatto un massaggio io.”
Lui mi guarda interessato.
“Non puoi provarci con una
mano sola? Oggi pomeriggio devo registrare e so già che
questo braccio sarà una
rottura di palle.”
“Ok, ci provo.”
Mi alzo e lui si stende a
pancia in giù, inizio lentamente a massaggiare la zona della
spalla e del
braccio, lui grugnisce soddisfatto.
Io sorrido e inizio a
canticchiare una vecchia canzone irlandese.
“Low lie the fields of
athenry
Where
once we watched the small free birds fly
Our
love was on the wing,we had dreams and songs
to sings
it'so
lonely, round the fields of athenry”(*)
Lui muove leggermente la
testa, curioso.
“Che canzone è?”
“Una vecchi canzone irlandese.
Jimmy la cantava sempre.”
“Chi è Jimmy?”
“Si chiamava James, ma
hanno iniziato tutti a chiamarlo Jimmy o Jim, era il figlio dei miei
vicini,
giù alle roulotte. È stato lui a presentarmi gli
avanzi di galera e
riformatorio ed è stato il mio primo ragazzo.”
“Adesso cosa fa?”
Io sospiro.
“Marcisce nella sua tomba,
ha iniziato a farsi di eroina ed è morto di
overdose.”
“Mi dispiace.”
Io scuoto le spalle.
“È successo anni fa.”
“Ma a te importa ancora.”
Io mi blocco, come ha
fatto a capire che ancora adesso – ora che so che nulla
avrebbe potuto salvare Jimmy
dal suo destino – c’è una parte che si
sente in colpa per la sua morte?
“È stato il mio primo
ragazzo, deve essere per quello che mi importa. Gliel’ho
detto tante volte di
piantarla con quella cosa e di farsi aiutare, ma lui rideva e diceva
che poteva
farcela da solo.
Se solo fossi stata più
insistente…”
La mia voce sfuma e si
confonde con le grida dei gabbiani della spiaggia.
“Probabilmente non sarebbe
cambiato nulla.”
“Sì, probabilmente hai
ragione, ma sai è come per i suicidi. Non saresti riuscito a
salvare comunque
una persona decisa al suicidio, ma ti rimane sempre un certo senso di
colpa.
Come va il massaggio?”
“Bene. Ho avuto fortuna
nello scegliermi una ragazza che li sappia fare.”
Mi risponde allegro, io
continuo per un po’, poi mi stendo di nuovo sul suo petto e
lui mi
abbraccia. Ho
freddo in un modo che non
c’entra nulla con il tempo atmosferico, è come se
mi si fosse ghiacciata
l’anima.
“Non ti piace parlare di
queste cose, vero?”
“No, non mi piace molto.
Mia madre è stata la peggiore delle madri, ho avuto un padre
e un fratello
pessimi e non sono riuscita nemmeno a salvare il ragazzo di cui ero
innamorata.
Ci sono giorni in cui
penso di essere una totale nullità.”
“Non lo sei. Tu hai
provato a salvarlo, forse sei stata l’unica per quel che ne
so e vuol dire
molto per me. Eri solo una ragazzina e ti sei accollata compiti che
nemmeno un
adulto sarebbe in grado di fare bene.”
“Grazie, Jack.”
“Figurati.”
Rimaniamo un po’ in
silenzio.
“Mi piace la spiaggia,
quando sono arrivata a Los Angeles la prima cosa che ho fatto
è stata correre
qui e godermi la pace di questo posto.
Era la prima volta che
vedevo il mare.”
“Effettivamente è molto
bella.”
Dolcemente mi alza il
mento e mi bacia piano, con amore. Non ci siamo mai baciati
così, gli sto
concedendo una parte importante del mio povero cuore a pezzi, spero di
non
pentirmene.
Continuiamo a baciarci con
dolcezza per un po’, poi ci stacchiamo, sorridiamo entrambi,
Jack mi accarezza
una guancia.
“Sembri una pixie con
questi capelli, posso chiamarti così?”
“Va bene, mi piace come
nome.”
Mi guardo i capelli
azzurri che sfumano in un verde acido e penso che non avrebbe potuto
trovare
soprannome migliore.
“È mezzogiorno, sarà
meglio andare a casa, devo mangiare e andare allo studio di
registrazione.”
“Io spero di fare pace con
Holly, mi manca mia cugina. Non abbiamo mai litigato
così.”
Lui non dice nulla, le
parole di ieri sera e il fatto che non si sia scusata, gliela stanno
facendo
rivalutare in negativo.
Merda! Non doveva
succedere!
Non voglio essere costretta
a scegliere tra il ragazzo che amo e la sorella che non ho mai avuto.
Vorrei
tanto sapere cosa diavolo è passato nella mente di Holly
ieri sera, non è da le
combinare questi casini, di solito sono io quella che fa schifo nelle
relazioni
sociali.
Arriviamo a casa e la
troviamo deserta, credo che lei abbia deciso di mangiare fuori,
piuttosto che
affrontarci.
Non è da lei scappare in
questo modo, accidenti a me che ho voluto affrontare il discorso
“Alex”, sono
stata una stupida!
Jack mi appoggia delicatamente
una mano sulla spalla.
“Non è colpa tua, se ci
tiene a chiarire lo farà da sola.”
Io annuisco, ma non sono
convinta.
Ho una paura folle di
avere perso una parte di famiglia.
Non potrei accettarlo.
Holly, ti prego torna in
te e torna qui.
Angolo
di Layla
Ringrazio
_redsky_
e Mon (
mi ha fatto piacere che tu abbia notato quelle similitidini)
per le recencioni .
|
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Capitolo 10 *** 9) Just crash (It's our time now to make this work second time round) (*) ***
9) Just
crash
(It's our time now to make this work second time round) (*)
Ormai
è passata una
settimana dal litigio, Holly non si è ancora fatta vedere,
non so nemmeno se
dorme qui.
“Credi che dovremo
mandare le sue cose a Jeremy?”
Mi chiede un giorno Jack,
stando bene attento a non farsi sentire da Alex.
In questa settimana lui
sembra diventato l’ombra di sé stesso, ride molto
poco spontaneamente, sta molto a casa sua,
non l’ho mai visto sorridere e ormai ride in automatico per
le cazzate del suo
migliore amico.
Devo fare qualcosa.
Una volta che sono sola a
casa mi decido ad andare a casa di Jeremy per parlare con mia cugina,
non si
può andare avanti così.
Il vento di febbraio mi fa
rabbrividire, ma non mi importa, devo parlare con lei; costi quello che
costi.
Arrivo all’appartamento
del suo ragazzo, le luci
sono accese quindi è in casa.
Suono il campanello e
aspetto che mi venga ad aprire, le mani strette a pugno nelle tasche
del
cappotto.
Mi apre lei e impallidisce
vistosamente e rimane bloccata come se fosse scioccata dal vedermi
lì.
“Mi vuoi far entrare o
preferisci che ci congeliamo qui sull’ingresso?”
Lei scuote leggermente la
testa – come una persona che all’improvviso ritorna
in sé – e poi annuisce.
“Entra.”
Mi fa spazio, io attacco
il cappotto ai ganci dietro la porta e poi la guardo.
“Io e te dobbiamo parlare,
non credi?
O preferisci evitarmi fino
alla fine dell’eternità e farti mandare qui le tue
cose?”
“No, parliamo.”
Ci sediamo sul divano, lei
ha un’aria strana, non sta bene. Della Holly vivace e
spigliata che conoscevo
io sono rimaste ben poche tracce, adesso sembra piccola e debole come
una
bambina.
“Mi dispiace per la storia
di Alex. Non avevo alcun diritto di intromettermi, in fondo
è la tua vita e sei
grande abbastanza da sapere cosa fare.”
Esordisco io, buttando
fuori tutto quello avevo impigliato in gola da una settimana.
“Non fa niente, sono io
che ho fatto una marea di cazzate, non tu.
Alex non mi perdonerà mai
e nemmeno Jack, non posso tornare a casa vostra come se niente
fosse.”
Io sospiro.
“Ti ricordi l’inizio della
mia storia con Jack? Avevo fatto una cosa simile e Jack mi ha
perdonato, lo
farà anche con te, basta che ci provi.”
“Ho paura, ho paura di
affrontare Alex.”
“Lo dovrai fare, anche per
rispetto verso Jeremy.”
“Lo so, ma far finire una
storia seria come questa per iniziarne una piena di incognite con una
rock star
mi impaurisce.”
“Una rock star che ami da
sempre.”
Lei sospira.
“Hai ragione. Adesso è
arrivato il momento di scusarsi.”
Ci alziamo dal divano, io
prendo il mio cappotto, lei si mette un paio di anfibi e prende il suo.
“Jack mi ammazzerà.”
“No, non ti preoccupare.
Ti ascolterà prima.”
“Lo spero.”
Usciamo da casa sua e
saliamo nella mia macchina.
“Ma hai guidato da sola
con la destra fuori uso solo per venire da me?”
“Esattamente.”
“Sei matta, ma ti voglio
bene! Adesso lascia guidare me.”
Si siede al posto di
guida e mi porta verso la villa di Jack,
non parliamo molto,
ma l’atmosfera è molto più serena
rispetto all’ultima volta in cui ci siamo
salite insieme.
Arriviamo alla villa e
noto che le luci sono accese, i ragazzi devono essere arrivati, apro il
cancello e parcheggio la macchina in garage.
Scendiamo e troviamo la
porta che conduce in cucina sbarrata da un Jack di pessimo umore.
“Ma si può sapere dove sei
stata?
Non hai neanche lasciato
un bigliettino!”
Poi vede Holly e scuote la
testa.
“Forza entrate.”
Lo seguiamo in salotto,
l’atmosfera è colma di tensione, Jack è
sulla difensiva, Holly spaventata.
“Come mai qui, Holly?”
“Sono venuta a scusarmi.
Mi dispiace, non avevo alcun motivo di trattarti così, Jack,
non è colpa tua se
sei una rock star.
Mi dispiace veramente, io
ci tengo a te come persona.”
“E ad Alex ci tieni?”
Gli chiede tagliente, è
incredibile come sia protettivo verso di lui, a volte credo persino
preferisca
Alex a me.
“Sì.”
Il sussurro di Holly è a
malapena udibile.
“Allora evita di
spezzargli il cuore se vuoi rimanere mia amica!”
Lacrime silenziose
scorrono lungo le guance pallide della mia amica.
“E se ti dicessi che non
so cosa fare?
Che ho paura di rischiare
mettendomi con Alex, ma non voglio farlo soffrire rimanendo con Jeremy.
Ho
paura di iniziare una storia seria con così tante incognite,
Jeremy mi dà più
sicurezza.”
Lo sguardo di Jack è
ancora freddo come l’Alaska.
“Devi decidere, tenere
sulla corda tutte e due non servirà a nulla. in ogni caso,
scuse accettate,
puoi smetterla di rifugiarti da Jeremy.”
“Grazie, Jack.”
Risponde mia cugina con
voce tremante.
Per farsi perdonare cucina
per noi e poi chiama il suo ragazzo per spiegargli la situazione, dopo
un po’
Jeremy arriva a casa nostra e ridà a Holly le sue cose.
È un po’ imbarazzante,
dato che Jack non smette di guardarlo in cagnesco nemmeno per un
secondo.
Senza dire nulla, Holly
sale in camera sua e lascia me e il mio ragazzo da soli.
“Mi dispiace di non averti
avvisato, ma avevo delle questioni familiare da risolvere. Io tengo
molto a
Holly.”
“Ok, ti capisco.”
C’è un attimo di silenzio.
“Jack, perché hai guardato
così male quel poveretto di Jeremy?
Lui non c’entra nulla.”
Lui mi passa un braccio
attorno alle spalle e mi attira sul suo petto.
“Perché in questo momento
lo vedo come una delle cause dell’infelicità di
Alex.”
“A volte mi chiedo se non
sia lui il tuo vero fidanzato.”
Lui sbuffa platealmente.
“Non iniziare con il Jalex
anche tu, già è una rottura fingerlo per le fan,
tu almeno credimi.
Sei la mia ragazza e ti
amo, lui è il mio migliore amico e gli voglio bene, ma non
me lo porto a letto.
Giuro.”
Io arrossisco e vorrei
sotterrarmi per la figuraccia che ho appena fatto.
“Scusa, Alex. Ho detto una
cazzata, scusa scusa scusa.”
Lui mi scompiglia i capelli
e mi bacia.
“Scusami tu, piccola. Sono
io che sono troppo nervoso, Alex sta di merda e questo significa
pessime
registrazioni e probabili chiamate nel cuore della notte per andare a
recuperarlo da qualche parte ubriaco marcio.”
Io mi intristisco, mi sono
affezionata anche a lui e mi dispiace che stia così male.
Alle volte vorrei
avere la bacchetta magica per risolvere questa situazione, ma non ce
l’ho e
devo aspettare il corso degli eventi come tutti.
Sono immersa in un sonno
profondo quando un rumore sordo e lontano si avvicina al mio cervello.Con
fatica apro gli occhi
e scopro che la fonte del fracasso è la suoneria del
cellulare di Jack, senza
nemmeno pensarci rispondo io.Dall’altro
capo della
linea c’è Alex ubriaco, continua a farfugliare
cose senza senso e con molta
difficoltà mi faccio spiegare dove è. Fatto
quello, scuoto violentemente il mio
ragazzo, che mi guarda stralunato, con gli occhi gonfi di sonno.“’osa
c’è, ‘en?”“C’è
che bisogna
recuperare Alex ubriaco in un locale di Hollywood.”
Spalanca
gli occhi e apre
la bocca – come se qualcuno gli avesse lanciato addosso una
secchiata d’acqua
fredda – poi la richiude e si alza dal letto, si mette un
paio di pantaloni e
se ne va.
“Aspettami!”
Urlo io, lui si ferma
sulla soglia della camera.
Io recupero rapidamente
una delle sue magliette e i miei pantaloncini, poi lo seguo.
In un attimo siamo nella
sua macchina e lui guida nervoso, ogni tanto batte una delle mani sul
cruscotto.
“Odio quando fa così.”
“Tu fai la stessa cosa.”
Dico piano.
“Lo so, odio vedere un mio
difetto in lui.”
“Capisco.”
“Fa schifo ubriacarsi per
una ragazza e lui lo fa… spesso.
Non so se si nota, ma
sotto quella scorza da cazzone c’è un ragazzo
romantico.”
“Me ne sono accorta quando
ha reagito così per Holly.”
Arriviamo fuori dal
locale, Alex è appoggiato al muro e sembra dormicchiare in
piedi, Jack lo
prende sotto la spalla e lo trascina via, questo lo sveglia.
“Jack, sei venuto. Ma come
mai?”
“Mi hai telefonato ubriaco
e hai parlato con Wen.”
“Wen!”
Si illumina.
“È così carina, me la
presti?”
“Neanche per sogno, Alex.
Non hai bisogno della mia ragazza, puoi trovarne una tu da
solo.”
“Nessuno mi vuole!”
Comincia a piangere e
singhiozzare, io lo abbraccio di slancio e rimaniamo paralizzati in
questo
strano abbraccio a tre, io tra due giganti.
“Alex, andrà tutto bene.
Adesso ti porto a casa mia
e vedrai che domani sarà tutto a posto.”
Lo carichiamo in macchina
e ripartiamo verso la villa di Jack, Alex si è addormentato:
sembra così
fragile e indifeso. Chi mai potrebbe fargli del male in questo stato?
Il viaggio di ritorno
sembra più breve rispetto all’andata, Jack
parcheggia in garage e aiuta l’amico
a tirarsi in piedi, lui barcolla e biascica cose senza senso.
Stranamente la luce della
sala è già accesa, Holly in pigiama ci guarda
portare dentro Alex, sembra
preoccupata e lo guarda con attenzione. Lui – a sua volta
– alza gli occhi e
rimangono talmente tanto a lungo a fissarsi con una tale
intensità che io e
Jack finiamo per sentirci degli estranei.
All’improvviso Alex si
stacca da Jack, percorre da solo i pochi passi che lo separano da Holly
e la
abbraccia, stringendola in una presa ferrea, lei non protesta.
“Vieni, andiamo a letto,
zucca vuota.”
“Dormi con me?
Posso dormire con te o ti
do fastidio?”
Lei stringe una delle mani
del frontman tra le sue e sorride.
“Non mi dà fastidio,
vieni.
Hai bisogno di dormire.”
Salgono lentamente le
scale sparendo dalla nostra vista.
“Ho fatto bene ad
affidarlo a lei?”
“Sì, è arrivato il momento
che si chiariscano.
Confesso che un po’ mi
dispiace per Jeremy, è un bravo ragazzo.”
Jack guarda ancora un
attimo le scale, poi un sorrisetto affiora sulle sue labbra,.
“E così credi che si
metteranno insieme. Lo spero, Alex ne sarebbe felicissimo.
In ogni caso, cosa ne dici
di andarcene a letto.”
“Con piacere.”
Saliamo le scale
abbracciati e ci ributtiamo sotto le coperte, in un attimo sono
sdraiata sul
suo petto, avvolta nel suo abbraccio.
“Buonanotte.”
Mormoro insonnolita.
“Buonanotte anche a te!”
Mi risponde lui.
Un minuto dopo dormiamo
tutti e due.
La mattina dopo troviamo
Alex e Holly a fare colazione in cucina, il clima sembra relativamente
sereno,
così io e Jack decidiamo di non dire nulla per non far
scoppiare un altro
possibile litigio.
“Che mal di testa!”
Esclama Alex
massaggiandosi le tempie.
“Con quello che hai bevuto
ieri sera ci credo, amico.”
Jack si siede al tavolo,
Alex sbuffa.
“Ci penso io a farti
passare il mal di testa.”
Holly inizia a bollire
delle erbe, questo è il suo famoso rimedio casalingo contro
le sbronze e
funziona a meraviglia.
Una volta che ha finito di
prepararlo lo porge ad Alex che fa una faccia schifata.
“No, grazie. Non penso
proprio di bere questa roba.”
“Ti farà passare il mal di
testa.”
“E mi farà andare dritto
in ospedale per una lavanda gastrica.”
Holly incrocia le braccia
sul petto.
“Non è colpa mia se tu hai
deciso di ubriacarti, potresti essere più gentile con chi
cerca di aiutarti!”
“Veramente è grazie a te
se mi sono ubriacato, ma tu non capirai mai queste cose, ha il cuore di
pietra.”
“Il cuore di pietra?”
La voce di Holly trema
leggermente.
“Sì! Mi piaci, Holly, mi
piaci e forse ti amo anche, ma a te non importa.
Te ne stai lì come la
regina di ghiaccio, senza fare nulla, a guardarmi
mentre mi copro di ridicolo pur di far sì che
tu mi noti. E questo succedeva al liceo e sta succedendo adesso.
Forse dovresti
semplicemente dirmi che io non ti piaccio e mi metterei il cuore in
pace.”
“Ma sarebbe una bugia.”
Lui la guarda senza
capire.
“Se ti dicessi che non mi
interessi sarebbe una bugia, Alex.”
Lui la guarda ancora senza
capire.
“Mi interessi Alex, mi sei
sempre interessato, ma adesso dovrei lasciare Jeremy e non voglio che
soffra. E
se ci mettessimo insieme rischieremmo di soffrire come è
successo ai miei.”
“No.”
“No, cosa?”
“Non soffriremmo come i
tuoi, non siamo tutti uguali, sei tu a dover decidere.
Vuoi vivere nella paura e
nel rimpianto, prendendo per il culo Jeremy o vuoi essere onesta e
darti una
possibilità, mettendoti in gioco?”
Lei rimane in silenzio, mi
guarda come se potessi darle una risposta, ma questa volta non posso.
Questa volta è come ha
detto Alex, è lei che deve scegliere e mettersi in gioco, io
non posso aiutarla
a decidere, posso supportare la sua storia o difenderla da Jeremy, ma
non posso
decidere per lei.
Torna a guardare Alex e
trema, di solito lo fa quando è fortemente indecisa e a
volte questo tremore
può sfociare in una crisi di panico.
Dio, fa che non sia così!
“Va bene.”
“Cosa?”Alex la guarda senza
capire, credo che per lui queste reazioni di Holly siano una
novità assoluta e
magari difficile da gestire.
“Va bene, ormai è inutile
continuare a fingere, tanto vale arrendersi e provare.
Non posso più stare con
Jeremy adesso che sei tornato tu nella mia vita, non avrebbe senso, lo
prenderei in giro.”
“Quindi?”
“Hai vinto, Alex. Se vuoi sarò la tua
ragazza.”
Lui non dice nulla e
l’abbraccia, lei scoppia improvvisamente a piangere tra le
sue braccia.
Faccio per avvicinarmi, ma
Jack mi stringe un polso e mi blocca.
“Lascia fare a loro."
“Non piangere, Holly.
Andrà tutto bene, mi credi?”
Lei
annuisce.
“Mi ami?”
“Sì.”
“E allora andrà tutto
bene, fidati di me, di noi.”
Lui le asciuga le lacrime,
lei sorride, Jack mi fa uscire dalla stanza. Immagino che adesso si
baceranno e
tutto il resto, sarebbe da guardoni assistere.
Jack si butta di peso sul
divano e io lo raggiungo poco dopo.
“Finalmente è finita.”
“Spero sia finita bene, un
po’ mi dispiace per Jeremy, è un bravo
ragazzo.”
“Anche Alex lo è.”
“Lo so.”
Rispondo sorridendo.
“Pensi che durerà?”
Mi chiede Jack.
“Non ne ho la minima idea,
non sono molto esperta in queste cose, ma forse sì. Si sono
cercati troppo a
lungo per mollarsi subito.”
“Penso lo stesso,
finalmente avremo di nuovo l’Alex di un tempo e non
l’ameba!”
“Ameba sarai tu, Barakat!”
La voce di Alex si fa
inaspettatamente sentire.
“Parla quello che è stato
intrattabile per secoli.”
Alex e Jack scoppiano a
ridere tutti e due, chi li capisce è bravo.
“Ah, e tu non hai rotto le
palle per trovare la ragazza di “Lost in
stereo.”?”
“Cosa c’entra?”
Li lascio fare i pagliacci
e vado da mia cugina, ha un sorriso timido sul volto che non le ho mai
visto.
“Come stai?”
“Come una che si è buttata
da un ponte, ma non si è rotta le ossa –come
credeva succedesse – e ha trovato
un morbido materasso.”
“Ho capito. Sei sicura di
quello che stai facendo?”
Lei annuisce.
“È l’unica strada
percorribile se voglio essere onesta, Jeremy non si merita una ragazza
che
tenga un piede in due scarpe e, in quanto ad Alex, hai ragione. Mi
piace, mi è
sempre piaciuto, forse lo amo, anche se non sono capace di
dirlo.”
“Imparerai, anche per me
non è stato facile con Jack, ma adesso vedi che stiamo
ingranando.
Non è facile, ma ci stiamo
impegnando al massimo.”
“Quello che mi sorprende è
che lui non ti chieda di fare l’amore, devi piacergli davvero
molto.”
“E non so se mi merito
questo amore, ma ho deciso che non importa.”
"Giusto.”
“Guardali, ‘sti scemi!
Alex, vieni a bere quello che Holly ha preparato per te!”
“Sennò cosa mi fai?”
Gli sbatto un cuscino in
faccia, sollevando una nuvola di piume.
“Mi pare giusto. Va bene,
mammina, vado a bere la medicina.”
“Bravo bambino.”
Lui ride e sento la risata
di Jack fargli eco, poi lui si avvicina e mi abbraccia da dietro.
“Non so cosa tu abbia
detto a Holly, ma grazie per averla riportata qui, soprattutto averla
riportata
da Alex. Ero molto preoccupato per lui.”
“Di niente, io ero
preoccupata allo stesso modo per Holly.”
Lui sorride.
“Finalmente è tornata la
pace.
Cosa ne dici di lasciare
la casa ai piccioncini e di farci un giro?”
“Va bene, a patto che un
giorno la casa rimanga solo per noi.”
Balbetto io, lui capisce i
sottointesi.
“Quando vuoi, Wen. Quando
vuoi.
Io non voglio forzarti.”
“E ti ringrazio per
questo. Ti amo, Jack.”
“Anche io e adesso
andiamocene prima che quei due mi facciano venire il diabete.”
Saliamo in camera, ci cambiamo
e usciamo di casa ridendo come due bambini.
Domani inizia la mia
riabilitazione alla mano, la vita non
potrebbe andare meglio, non ho niente di cui lamentarmi.
A volte fa bene
crogiolarsi nella felicità, visto che nella mia vita
raramente sono stata così
felice e ho paura che anche questa volta succeda qualcosa.
Speriamo di no.
Angolo di Layla.
Scusate se la formattazione fa
schifo, ma nvu ha deciso di fare quello che gli pare.
(*) "Crash" You Me At Six.
Ringrazio Mon e _redsky_ per
le recensioni.
|
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Capitolo 11 *** 10)Sunshine in a bag ***
10)Sunshine in a bag
Holly
p.ov
E
così sono tornata a casa
di Jack.
Pensavo di poter scappare per sempre, ma Wen è venuta a
riprendermi, questa
volta i ruoli si sono invertiti: prima era lei che scappava ed ero io
che la
dovevo riacchiappare.
Sono circa le tre di notte
quando sento Wen e Jack alzarsi e mezz’ora dopo rientrano con
Alex ubriaco
marcio.
È un brutto spettacolo, ma
lui si rianima quando mi vede, si stacca da Jack e percorre con
decisione i
pochi metri che ci separano e mi abbraccia. Anche se sa di alcool e
fatica a
stare in piedi e a parlare mi sento protetta nella sua stretta. Quella
parte
assurda e romantica di me dice che è il posto dove dovrei
stare.
Io la metto a tacere.
“Vieni, andiamo a letto,
zucca vuota.”
Le parole mi escono da
sole, senza nessun controllo da parte del mio cervello.
“Dormi con me?
Posso dormire con te o ti
do fastidio?”
Stringo una delle sue mani
tra le mie e sorrido, è ovvio che io voglia o non
gliel’avrei mai proposto.
“Non mi dà fastidio,
vieni.”
Saliamo le scale insieme,
lui si appoggi a me e chiude gli occhi.
“Mi gira la testa.”
Si lamenta, massaggiandosi
la testa.
“Ancora un po’ e saremo in
camera mia.”
“Ti amo, Holly.
Mi vuoi sposare?”
“Sei ubriaco, Alex.”
“Sì, ma non fa niente. Ti
amo lo stesso.”
Io rimango in silenzio e
sussurro un “anche io” a malapena udibile, tanto
domani non si ricorderà di
nulla.
Arrivati in camera lo
faccio stendere e gli tolgo scarpe, calzini e jeans e poi lo copro, poi
mi
infilo a mia volta sotto le coperte, in un attimo sono di nuovo tra le
sue
braccia.
“Questa volta non ho
intenzione di lasciarti andare.”
Biascica mezzo
addormentato.
La mattina dopo ci
svegliamo, ma stranamente non c’è traccia di
imbarazzo tra di noi, sembra quasi
normale che tra di noi le cose debbano finire così.
“Buongiorno.”
“Buongiorno, Alex.”
Rispondo io tranquilla.
Scendiamo insieme a fare
colazione ed è così che ci trovano Wen e Jack,
non dicono nulla, forse temono
che una parola di troppo guasti l’atmosfera.
I ragazzi iniziano a
scherzare sul mal di testa di Alex, così decido che
preparò per lui il mio
famoso rimedio post-sbornia, funziona sempre.
“Ci penso io a farti
passare il mal di testa.”
Dico ad Alex, ma non sono
certa che mi abbia ascoltata, visto che continua a fare lo scemo con il
suo
miglior amico, sotto lo sguardo divertito di Wen.
Una volta che ho finito di
prepararlo lo porgo ad Alex che fa una faccia schifata, lo so che
l’aspetto non
è dei migliori, però funziona.
“No, grazie. Non penso
proprio di bere questa roba.”
“Ti farà passare il mal di
testa.”
“E mi farà andare dritto
in ospedale per una lavanda gastrica.”
Io incrocia le braccia sul
petto, offesa.
“Non è colpa mia se tu hai
deciso di ubriacarti, potresti essere più gentile con chi
cerca di aiutarti!”
“Veramente è grazie a te
se mi sono ubriacato, ma tu non capirai mai queste cose, ha il cuore di
pietra.”
“Il cuore di pietra?”
La mia voce trema
leggermente. Perché mi considera in questo modo?
“Sì! Mi piaci, Holly, mi
piaci e forse ti amo anche, ma a te non importa.
Te ne stai lì come la
regina di ghiaccio, senza fare nulla a guardarmi
mentre mi copro di ridicolo pur di far sì che
tu mi noti. E questo succedeva al liceo e sta succedendo adesso.
Forse dovresti
semplicemente dirmi che io non ti piaccio e mi metterei il cuore in
pace.”
“Ma sarebbe una bugia.”
Lui mi guarda senza
capire. Perché la vita è così
difficile?
“Se ti dicessi che non mi
interessi sarebbe una bugia, Alex.”
Lui mi guarda senza
capire, perché i ragazzi non sono così svegli?
“Mi interessi Alex, mi sei
sempre interessato, ma adesso dovrei lasciare Jeremy e non voglio che
soffra. E
se ci mettessimo insieme rischieremmo di soffrire come è
successo ai miei.”
“No.”
“No, cosa?”
“Non soffriremmo come i
tuoi, non siamo tutti uguali, sei tu a dover decidere.
Vuoi vivere nella paura e
nel rimpianto, prendendo per il culo Jeremy o vuoi essere onesta e
darti una
possibilità, mettendoti in gioco.”
Io rimango in silenzio e
guardo Wen, lo so che è sbagliato, lo so che lei non
può darmi nessuna risposta
perché è della mia vita che si tratta e non della
sua.
So tutto questo eppure non
posso farne a meno, ho paura.
Sono cosi impanicata che
non mi stupirebbe avere un attacco d’ansia!
Torno a guardare Alex e
tremo, di solito lo faccio quando sono fortemente indecisa e a volte
questo
tremore può sfociare in una crisi di panico.
Non voglio che succeda.
“Va
bene.”
Mormoro alla fine,
stremata da questa continua guerra tra le due parti di me stessa. Ho
seguito la
parte razionale e ho vissuto come un automa fingendo emozioni che non
provavo,
voglio vedere cosa succede a seguire il cuore.
“Cosa?”
Alex mi guarda senza
capire, credo che lui non mai avuto a che fare con una persona come me
e non
sappia cosa fare.
“Va bene, ormai è inutile
continuare a fingere, tanto vale arrendersi e provare.
Non posso più stare con
Jeremy adesso che sei tornato tu nella mia vita, non avrebbe senso, lo
prenderei in giro.”
“Quindi?”
“Hai vinto, Alex. Se vuoi sarò la tua
ragazza.”
Lui non dice nulla e mi
abbraccia con dolcezza, io scoppio improvvisamente a piangere tra le
sue
braccia.
“Non
piangere, Holly. Andrà tutto bene, mi
credi?”
Mi dice con una voce dolce
che poche volte gli ho sentito usare e
che mi scalda il cuore, mi sembra di tornare in vita dopo
anni di
agonia. Io annuisco.
“Mi ami?”
“Sì.”
“E allora andrà tutto
bene, fidati di me, di noi.”
Lui mi asciuga le
lacrime, io sorrido, lui mi sorride
a sua volta e mi bacia.
Ci baciamo per un sacco di
tempo, tanto che quando finalmente ci stacchiamo notiamo che Jack e Wen
ci
hanno lasciati da soli.
Usciamo dalla cucina e li
becchiamo abbracciati sul divano.
“Penso lo
stesso, finalmente avremo di nuovo
l’Alex di un tempo e non l’ameba!”
Questo è Jack
“Ameba sarai tu, Barakat!”
La voce di Alex li fa
sobbalzare, pensavano che ci sarebbe voluto più tempo per
chiarire.
“Parla quello che è stato
intrattabile per secoli.”
Alex e Jack scoppiano a
ridere tutti e due, che sollievo.
“Ah, e tu non hai rotto le
palle per trovare la ragazza di “Lost in
stereo.”?”
“Cosa c’entra?”
Li lascio fare i pagliacci
e vado da mia cugina, vedo che mi guarda felicemente sorpresa,
chissà che
espressione avrò per stupirla?
“Come stai?”
“Come una che si è buttata
da un ponte, ma non si è rotta le ossa –come
credeva succedesse – e ha trovato
un morbido materasso.”
“Ho capito. Sei sicura di
quello che stai facendo?”
Annuisco.
“È l’unica strada
percorribile se voglio essere onesta, Jeremy non si merita una ragazza
che
tenga un piede in due scarpe e, in quanto ad Alex, hai ragione. Mi
piace, mi è
sempre piaciuto, forse lo amo, anche se non sono capace di
dirlo.”
“Imparerai, anche per me
non è stato facile con Jack, ma adesso vedi che stiamo
ingranando.
Non è facile, ma ci stiamo
impegnando al massimo.”
“Quello che mi sorprende è
che lui non ti chieda di fare l’amore, devi piacergli davvero
molto.”
“E non so se mi merito
questo amore, ma ho deciso che non importa.”
“Giusto.”
“Guardali, ‘sti scemi!
Alex, vieni a bere quello che Holly ha preparato per te!”
“Sennò cosa mi fai?”
Lei gli sbatte un
cuscino in faccia, sollevando
una nuvola di piume.
“Mi pare giusto. Va bene,
mammina, vado a bere la medicina.”
“Bravo bambino.”
Alex si alza finalmente e
beve quello che ho preparato con lui senza dire una parola.
“Non è una cosa che berrei
tutti i giorni, ma non è poi nemmeno così
male.”
Io sorrido, fin’ora c’è
stata la parte facile – dichiararsi, vedere la
felicità sui volti dei nostri
amici – ma tra poco arriverà quella difficile:
dire tutto a Jeremy.
Mi sento una brutta
persone, come se lo stessi pugnalando alle spalle o stessi mostrando
un’ingratitudine che lui non merita, ma mentirgli sarebbe
peggio.
“A cosa stai pensando?”
Mi chiede lui, sdraiato
sul divano con una mano sulla testa.
“A Jeremy.”
Lui si alza.
“Hai ragione, dobbiamo
parlargli e penso che prima lo faremo, meglio sarà.
Cosa ne dici?”
“Sono d’accordo, ma tu ce
la fai con la sbronza che ti sei preso?”
“Sì, non preoccuparti per
me.”
Io sospiro.
“Va bene.”
Ci laviamo e ci vestiamo,
poi usciamo, la giornata è incerta e le nuvole corrono
veloci nel cielo di Los
Angeles.
Saliamo in macchina,
vorremmo iniziare una conversazione, ma le parole scivolano via come
acqua.
Arriviamo all’Interscope e
chiediamo di Jeremy, poco dopo lui arriva. Guarda sia me che Alex e
annuisce.
“Vi siete finalmente
chiariti, vedo.”
Lo guardiamo interdetti.
“Jeremy, non capisco.”
Lui sospira.
“Holly, pensi che non mi
sia accorto che in tutti questi anni fingevi abbastanza bene, anche con
te
stessa, di stare bene?
Lo sapevo che desideravi
altro e quando ho visto per caso una foto con te e Alex abbracciati ho
capito
chi e che cosa aspettavi. Sapevo che prima o poi mi avresti
lasciato.”
Io rimango senza parole e
inizio a piangere.
“Quindi non sei
arrabbiato?”
“No, ma preferirei che non
ci vedessimo per un po’, è comunque dura da
accettare.”
I suoi occhi infatti si
sono fatti improvvisamente duri.
“Va bene. Beh, buona
fortuna, Jeremy.
Spero troverai una ragazza
che ti meriti più di me.”
Lui alza debolmente la
mano e io me ne vado, sentendomi un verme.
“Cosa c’è?”
“Non lo so, mi sento male.
Avrei preferito che mi avesse urlato contro piuttosto che questa calma,
mi fa
sentire in colpa. Mi fa sentire come se l’avessi usato per
tutti questi anni e
non è una bella sensazione.”
Lui mi prende per mano.
“Holly, a volte può
succedere di usare in modo involontario una persona,
l’importante è non farlo
con l’intenzione di farla soffrire. Quello non è
bello.
Ti sei già pentita di
stare con me?”
“NO!”
Lui sorride sollevato.
“Bene, perché non avevo
voglia di trascorrere un'altra serata in compagnia del Jack
Daniels.”
Io rido e gli do un
pugnetto scherzoso in pancia.
“Ti verrà la pancetta da
alcolizzato!”
“E tu mi aiuterai a
smaltirla.”
“Uhm, sì, potrei.
Merda, devo andare al
negozio!”
“Ti accompagno io.”
“Va bene, ma mi giuri che
una volta arrivato a casa ti metti a dormire?”
“Sissignora!”
Si mette scherzosamente
sull’attenti, io lo spingo in macchina.
“Alex?”
“Sì?”
“Volevo chiederti scusa per
tutte le volte che ti ho fatto soffrire, per quel che vale non avrei
voluto che
succedesse, tentavo di proteggerti e non mi rendevo conto che non
facevo altro
che farti male.”
“Scuse accettate, lo so
che non volevi farmi del male, ma, Holly, mi sei entrata troppo dentro
e sto
male a stare lontano da te.”
Io sorrido e mi
asciugo furtivamente le lacrime.
“Dopotutto non sei una
principessa di ghiaccio.”
“No, non lo sono, Alex.
Soffro anche io come tutti, ma sono brava a nasconderlo. Prima non
volevo che i
miei se ne accorgessero e poi che se ne accorgesse Wen. I miei non se
ne sono
mai accorti, Wen sì.”
“Lei ci tiene davvero a
te.”
“Sì, è come una sorella
per me e viceversa.”
“Anche per me e Jack è lo
stesso, ogni tanto ci rimango male per come le fan
fraintendano.”
Io non dico nulla, non ho
voglia di esprimermi su un argomento che non mi piace particolarmente.
Arrivata al negozio lo
saluto con un bacio a schiocco e trovo Ryan dietro al bancone, che mi
guarda
ironico.
“Rimasta a letto
stamattina?”
“All’incirca, grazie per
avere aperto il negozio.”
“Di niente. Dalla tua
espressione deduco che tu abbia sistemato le tue questioni
sentimentali, chi
hai scelto?”
“Alex.”
“Non avevo dubbi che
succedesse, vi auguro buona fortuna.”
“Grazie.”
Il primo cliente della
giornata e Ryan sparisce con lui, io guardo il cellulare e noto un sms
da parte
di Alex che mi augura buon lavoro, io gli rispondo augurandogli una
buona
dormita e proponendogli di vederci nella pausa pranzo.
Lui dice che può, io esulto.
La mattinata trascorre
tranquilla, prendo appuntamenti e ogni tanto chiacchiero con Ryan,
è stato un
buon acquisto. Chissà cosa staranno facendo Wen e Jack?
Probabilmente i
piccioncini da qualche parte, sono carini insieme.
Non ho mai visto mia cugina
felice come lo è ora, Jack è il suo ragazzo
ideale e spero di essere
altrettanto fortunata. La pausa pranzo arriva prestissimo, chiudo il
negozio e
saluto Ryan, Alex mi aspetta in uno dei bar del centro.
Trovo un po’ di traffico,
ma alla fine arrivo, lui è già seduto e si guarda
intorno, anche se non so cosa
veda con quegli occhiali da sole così scuri.
“Ehi, Alex!”
“Ehi, Holly!”
Mi siedo.
“Sei andato a letto,
vero?”
Lui annuisce, si toglie
gli occhiali e mi accorgo che ha un’aria più
riposata rispetto a quando l’ho
lasciato prima.
“Tu? Tutto bene sul
lavoro?”
“Sì, è stata una mattinata
tranquilla e poi Ryan è davvero bravo con i clienti, mi
dispiacerà licenziarlo
una volta che Wen si sarà ristabilita.”
“Non è che mi devo
preoccupare?”
Io rido.
“Assolutamente no, non ci
farei nulla, è solo un amico.”
Lui tira un plateale
sospiro di sollievo.
“Non volevo arrivare alla
rissa, anche perché avrei perso.”
“Non importa, mi piaci
anche del tutto privo di muscoli come sei.
Sei perfetto così.”
Lui sorride e si gratta la
testa.
“Per fortuna, non sono
molto bravo a farmi crescere muscoli, ma a ordinare cibo sì.
Due panini della casa.”
Ordina alla cameriera.
“E se non mi piacesse?”
“Ti piacerà, fidati di me,
Holly.”
Poco dopo la cameriera ci
serve due panini dall’aria appetitosa, devo dire che Alex ci
ha preso in pieno:
mi piaceranno.
“Avevi ragione, Alex. È
buono.”
“Lo sapevo.”
Rimaniamo un attimo in
silenzio.
“Possiamo considerare
questo come primo appuntamento?”
“Nah, troppo breve, Holly.
Stasera ci sarà il nostro
primo appuntamento.”
“Sì!”
Poi mi rabbuio.
“E chi cucinerà per Jack? Non voglio che Wen si
sforzi con la sua mano.”
“Beh, penso che stasera
Jack la inviterà fuori a cena.”
Lui mi fa l’occhiolino e
ride,rido anche io.
“In tal caso, va tutto
bene.”
“Ti passo a prendere alle
nove.”
“Perfetto.”
Ci sorridiamo a vicenda,
mi piace questa complicità, con Jeremy non
c’è mai stata, mi fa sentire bene.
Mi sento leggera, libera e felice ed è una sensazione
meravigliosa.
In questo momento tutte le
paure che mi opprimevano da quando ho incontrato di nuovo Alex mi
sembrano
stronzate, non sono mai stata così bene come ora e il merito
è suo.
“A cosa stai pensando?”
Mi chiede curioso.
“No, niente. Cose mie.”
“Va bene. Forza
principessa,è ancora di andarcene, io ho le registrazioni ,
tu hai il negozio.”
“Purtroppo hai ragione.”
Ci salutiamo con un bacio
e io arrivo al negozio veleggiando schifosamente su una nuvola rosa,
come una
ragazzina innamorata.
Ryan lo nota subito e
scoppia a ridere.
“Quel ragazzo ti ha
proprio rubato il cuore, dovresti vederti ora.”
Io sospiro.
“Ho una mezza idea di come
possa essere e sono felicissima di essere così.”
“Fai bene.”
Mi dice lui sorridendo.
Dicono che l’amore faccia
miracoli e cambi il cuore delle persone, io non ci avevo mai creduto,
ma forse
è così e io non ho mai permesso che succedesse
per paura.
Non vedo l’ora che sia
stasera, non vedo l’ora di andare sul serio al primo
appuntamento con un
ragazzo che amo e non fingere di amarlo.
Sono eccitatissima, spero
che il tempo voli.
Alex, aspettami!
Angolo di Layla
Ringrazio _redsky_ e Mon per le
recensioni.
|
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Capitolo 12 *** 11) Smile (it's been a while) ***
11) Smile (it's been a
while)
Wendy
p.o.v
La
riappacificazione tra
Alex e Holly mi mette di buonumore.
Sono in casa da sola –
Jack e io abbiamo mangiato fuori e poi lui è filato allo
studio di
registrazione – sdraiata sul divano a guardare il soffitto.
Non c’è molto da fare
quando hai una colf messicana che pulisce tutto e che ti sorride
sempre, a
volte mi sento quasi a disagio quando c’è lei:
sono abituata a pulire tutto io.
In fondo però con questa
mano è un bene che ci sia, non sarei in grado di fare molto,
l’ultimo regalo di
mia madre è una gran bella seccatura.
Nel bel mezzo delle mie
elucubrazioni suona il campanello e mi alzo per vedere chi è
arrivato: è
Andrew.
“Ciao,sorellina! Sono
venuto a vedere come te la passavi.”
“Vieni dentro, Andy e
siediti sul divano, cosa vuoi da bere?”
“Una coca va più che bene.
Sei sicura di farcela con quella mano?”
Annuisco e torno con una
coca e una sprite.
“Come va la mano?”
“Abbastanza bene, ci sono
gli antidolorifici, grazie a Dio. La riabilitazione è solo
all’inizio e temo
sarà una faccenda lunga e complicata.”
“Te la puoi permettere?”
Mi chiede ansioso, io
sospiro.
“Se dovessimo guardare
alla mia assicurazione, no,non potrei permettermela, ma sta pagando
tutto
Jack.”
“La cosa non ti piace.”
“Non mi piace dipendere da
qualcuno e avere debiti da saldare, lo sai come sono fatta. Voglio
essere
libera e padrona della mia vita.”
“Io trovo che il gesto del
tuo ragazzo sia molto carino, si sta prendendo cura di te, donna tutta
d’un
pezze e Dio solo sa quanto ne hai bisogno.”
Io non dico nulla, in
fondo non mi sembra di essermela cavata male da sola, ho un negozio di
tatuaggi
e posso pagarmi una casa da sola.
La mia faccia deve far
trapelare qualcosa dei miei pensieri, perché Andy inizia a
muoversi nervoso sul
divano.
“Scusa, sorellina. Forse
ho toccato un brutto tasto.
“Non fa niente, Andy. È
tutto ok.
Tu cosa mi racconti?”
“Niente di che, mi sto
arrangiando nella mia vita da scapolo, contando i giorni che mi
separano
dall’andare in giro per il mondo a rischiare di morire.
Fa schifo, ma è l’unico
modo per tirare su un po’ di grana.
Esco con una ragazza,
sembra carina, magari te la presento.”
I miei occhi si
illuminano.
“Sarebbe meraviglioso, hai
bisogno di una ragazza!”
“Non lo so, cosa potrei
darle?
Preoccupazioni? Paura che
un giorno il telefono squilli e le annunci che purtroppo il soldato
Andrew
O’Connor è deceduto?”
Io non dico nulla, questa
è anche la mia paura e – se succedesse –
dubito che perdonerei facilmente il
nostro governo.
Lo so che non ha senso, ma
tanti miei ragionamenti non ne hanno. Ci sono zone nel mio cervello in
cui la
razionalità e il buon senso se ne vanno a puttane e si
lasciano guidare dalle
paure e dalle paranoie.
“Non pensarci, Andrew! Tu…
Tu tornerai a casa sano e salvo, aprirai il tuo
ristorante, ti troverai una ragazza e te la sposerai,
magari quella che
hai conosciuto in questo periodo.
Non ci pensare nemmeno
alla tua morte!”
Lui mi guarda stupito.
“Senti, sei mio fratello e
ti voglio bene.
Non me ne frega niente se
mamma è morta, anzi sono contenta che lo sia – un
pericolo in meno – ma tu non
devi morire. Hai capito?”
Lui annuisce e io scoppio
a piangere, lui si alza e mi abbraccia. Mi è sempre piaciuta
la sua stretta, è
stata per tanti anni il mio porto sicuro, ed è la sola cosa
in gradi di calmarmi.
“Ssh! Buona, Wendy.
Ti giuro che porterò il
mio culo a casa, anche solo per fartelo prendere a calci per aver
scelto di
entrare nell’esercito.”
Io mi asciugo le ultime
lacrime e cerco di ricomporre la mia faccia in un’espressione
normale, non è da
me lasciarmi andare a questo sfoghi, ma questa volta la diga ha ceduto.
“Scusa per il brutto
spettacolo, Andy.
Immagino non ne avessi
bisogno.”
Lui scuote la testa.
“Ehi, è normale essere
preoccupata per le persone a cui vuoi bene, sei umana non un robot che
non
prova sentimenti.”
Io annuisco.
Già, sono umana, a forza
di stare da sola me l’ero quasi dimenticato, e gli umani
piangono e soffrono
per le cose brutte che possono accadere a loro o a loro familiari.
“Come va con Jack?”
“Benissimo, almeno per ora.
Sembra quasi il ragazzo
perfetto per me ed è strano, sono troppo fortunata in questo
periodo.”
“Non capisco.”
“Le cose mi stanno andando
troppo bene, dove è la fregatura?
Perché c’è una fregatura,
non puoi andarmi tutto così bene. Capisci?”
Lui ride.
“Vedo un po’ di paranoia
qui.”
Io sbuffo.
“Ho qualche buon motivo
per essere paranoica.”
Lui si accomoda meglio sul
divano.
“Sì, ce l’hai, ma pensa
che mamma è morta e non può più farti
del male e che hai la forza necessaria
per cacciare papà se si facesse vivo.”
Io sbuffo.
“Immagino, ora che sono la
fidanzata di una ricca rockstar
sarò
molto più interessante della Wen tatuatrice, si
potrà vantare con gli amici.
Mi viene da vomitare.”
“Anche a me, ma sa come è
fatto il vecchio.”
“Lo so, lo so.”
Rimaniamo a lungo a
chiacchierare tanto che quando arriva Jack mi trova ancora in compagnia
di mio
fratello.
Merda! Stasera mi aveva
invitato a cena!
“Ciao, Jack.”
“Ciao, Andrew.”
“Ragazzi, vado a
prepararmi!”
Urlo a tutti e due, mio
fratello è sorpreso, ma ci penserà il mio ragazzo
a spiegargli la situazione.
Mi faccio una doccia
veloce e poi mi metto davanti all’armadio, scartando
mentalmente quasi tutti i
vestiti, non ne ho uno che vada bene!
Alla fine – in preda alla
disperazione – metto un tubino nero che Holly mi aveva
regalato secoli fa e che
spero non mi faccia sembrare una stracciona.
Mi trucco pesantemente di
nero e metto un paio di scarpe nere dal tacco troppo alto –
un altro regalo di
Holly – e scendo dabbasso.
Mio fratello e Jack stanno
ancora parlando, ma si interrompono entrambi quando mi vedono, ricevo
due fischi
di approvazione, spero siano sinceri.
“Stai benissimo, sei uno
schianto!”
Mi dice Jack, dandomi un
lieve bacio sulla guancia.
“Ti lascio in compagnia di
tuo fratello, adesso vado a rendermi presentabile.
Spero di non sfigurare.”
“Ma non dire cazzate!”
Balbetto io, rossa come un
pomodoro.
“Stai davvero benissimo,
sorellina.
Lui ti fa stare bene, non
come James.”
“Cosa vorresti dire?”
“Nulla, semplicemente che
quando stavi con Jimmy avevi sempre un fondo di preoccupazione per la
storia
della droga, ora non ce l’hai.”
“Già.”
Io mi rabbuio per un
attimo, Jimmy rimarrà sempre una spina di ghiaccio
conficcata nel mio cuore,
che sia freddo o caldo.
“Scusa, forse non avrei
dovuto nominarlo, non è un argomento facile per te,
vero?”
“Sì e non lo sarà mai, se
mi fossi impegnata di più forse a quest’ora Jimmy
sarebbe ancora vivo, non
saremmo insieme, ma il fatto che fosse vivo mi sarebbe
bastato.”
“Ma è morto.”
“E io ho pianto tutte le
mie lacrime, esaurito le mie preghiere e bestemmie su quella tomba
fredda per
niente, non potrò mai più rivedere il sorriso di
Jimmy.
È per questo che ho paura
del fatto che Jack sia così perfetto, ho paura che qualcosa
me lo porti via.”
Lui mi appoggia una mano
sulla spalla.
“Andrà bene, non ti devi
preoccupare.”
Io sospiro, vorrei
condividere il suo pensiero positivo, ma non ci riesco.
Cinque minuti dopo Jack
scende, indossa dei jeans scuri, una camicia nera e un paio di anfibi,
secondo
me è bellissimo e probabilmente sto iniziando a sbavare
perché mio fratello mi
dà una gomitata, come per farmi riprendere.
“Jack, sei bellissimo!
Cazzo, dovrò agire peggio
di piranha per tenere le ragazze lontane da te.”
Lui ride.
“E dimmi, piranha, dove
pensi di mettere le tue armi?”
“Nella mia borsa di Mary
Poppins penso che un carro armato o due ci stiano.”
Lui scoppia a ridere.
“La mia ragazza mena!”
“Ed è anche brava, te lo
posso garantire!”
Sorride mio fratello.
“Adesso vi lascio andare,
buona cena!”
“Grazie!
Ah, Andy sai dove sia
Holly?”
“Fuori a cena con Alex,
prima ti è arrivato un messaggio e te l’ho letto,
scusami.”
“Non fa niente,
l’importante è che sappia
dov’è.”
Usciamo tutti e tre e io
salgo nella macchina di Jack, non mi sono ancora abituata a questo suv
enorme.
“Non sei ancora riuscita
ad abituarmi alla mia macchina?”
“No, Jack, no.”
Lui sorride in maniera
inesplicabile.
Il
ristorante che ha
scelto è un giapponese costoso e bellissimo.
Non ho mai visto qualcosa
di così raffinato e allo stesso tempo accogliente, si vede
che tengono in gran
considerazione i clienti, il personale è gentilissimo.
Ci accompagnano al separé
dove c’è il nostro tavolo, il separé
è fatto da carta color panna con sakura
rosa e gru azzurrine che volano via, il tavolino è basso e
coperto da una
semplice tovaglia bianca con un fiore di loto rosso e arancione al
centro.
“È meraviglioso, Jack!”
Dico con una voce spezzata
che non riconosco nemmeno più come la mia.
“Sono contento che ti
piaccia. Non è facile azzeccare le cose con te, sei una rosa
con molte spine.”
Io arrossisco e abbasso
gli occhi.
“Merda, ho parlato troppo!
Wen, non fare caso a tutto quello che esce dalla mia bocca, la maggior
parte
delle volte sono stronzate.”
“No, hai ragione, Jack.
Forse non dovresti perdere
il tuo tempo con me.”
“Perdere il mio tempo con
te è la cosa che mi piace di più dopo la musica,
non fare caso alle cazzate che
posso dire ogni tanto. A volte sono davvero stupido.”
“Grazie, Jack. Sei davvero
carino.”
Lui sorride.
“Sei la mia ragazza, devo
e voglio essere carino con te, tanto poi torno a fare lo stupido quando
c’è
Alex nelle vicinanze.”
La mia faccia si rabbuia.
“Non in quel senso,
diciamo solo troppe cazzate, niente di sessuale, mi credi?”
Io sospiro.
“Sì, ho qualche altra
scelta?”
“Beh, potresti lasciarmi e
trovarti un ragazzo meno cazzaro.”
Io non dico nulla.
“Non mi interessa trovare
un ragazzo meno cazzaro, l’importante è che
rimangano cazzate.”
L’arrivo della cameriera
con i menù interrompe questa imbarazzante conversazione,
tutti e due ci immergiamo
nella letture con troppa concentrazione.
Vorrei essere diversa,
meno rotta, più leggera e meno problematica; ma io sono
quello che sono e
purtroppo non si può cambiare, ho delle zone di cuore e di
cervello che sono
irrimediabilmente danneggiate e nulla le potrà mai riportare
all’innocenza
originaria.
Ordiniamo entrambi non
appena arriva la cameriera.
“A volte non ti capisco,
sai?
Sembri così fredda e
spaventata allo stesso tempo.”
Io alzo la mia mano
ferita.
“La vedi questa mano?
Rappresenta come sono
stata trattata per tutta la mia vita, fino a quando sono rimasta con
mia madre.
Mai una carezza, mai un “brava”, solo insulti,
pugni e sberle e il mandarmi a
calci in culo a prendere l’alcool al drugstore. Mi viene
strano pensare che
qualcuno si interessi a me o mi ami e mi voglia proteggere. Con Jimmy
ero io che
dovevo proteggere lui e il problema non si è mai posto, ora
sì e sono
spaventata, curiosa e felice allo stesso tempo.
Non so bene come
comportarmi e tante volte penso che sia solo un sogno, uno di quelli
lunghi e
particolareggiati che ti lasciano l’amaro in bocca quando ti
svegli.”
“Non è un sogno.”
“No, non lo è. Perdonami
se a volte ti sembro fredda o strana, per te è la prima
relazione importante mi
hanno detto, per me è lo stesso, ce la sto mettendo
tutta.”
“Anche io, possiamo
farcela insieme, se non molliamo.”
Io sorrido, un po’
commossa.
“Ce la faremo e adesso
pensiamo qualcosa di più allegro.
Come sono andate le
registrazioni?”
“Bene, anche se Alex era
comprensibilmente sulle nuvole. Sono felice di vederlo così,
forse con tua
cugina ha davvero trovato la pace.”
“Le nuvole hanno smesso di
inseguirlo?”
Lui sorride, cogliendo il
riferimento.
“Sì, direi di sì.”
“Sono contenta per lui e
per mia cugina.”
“Un po’ ti sei affezionata
ad Alex?”
“Un po’ sì. Mi è stato
accanto quando sono stata all’ospedale anche se non ne aveva
motivo. Mi fa
piacere quando la gente rimane, è una variazione insolita,
ma piacevole.”
Lui ride.
“Anche lui si è
affezionato a te, ma non vuole ammetterlo, dice che ti tratta
così solo perché
sei la mia ragazza. È un finto burbero della
madonna.”
Questa volta rido io.
La cameriera ci serve i
primi, io guardo con una punta di invidia il suo chimono, ho sempre
desiderato
averne uno.
“Quanto vorrei avere un
chimono.”
Sospiro sognante.
“Se e quando andremo in
Giappone te ne porterò uno o meglio ancora verrai anche tu e
sceglierai quello
che ti piace di più.”
I miei occhi si
illuminano.
“Sarebbe fantastico!”
Lui sorride e cominciamo a
mangiare.
È tutto buonissimo, anche
il secondo, non ho mai mangiato così bene.
“Complimenti per la scelta
del posto. È stato fantastico!”
“Sono contento che ti sia
piaciuto. Adesso cosa facciamo?”
“Non possiamo tornare a
casa?”
Chiedo stupita.
“No, credo ci siano Alex e
Holly impegnati a riconciliarsi.”
Io alzo un sopracciglio.
“Ma lui non ha una casa
sua?”
“A volte me lo chiedo
anche io…”
“Ti piace averlo intorno.”
Lui si gratta il mento.
“Prima, quando non c’eri
tu, sì; adesso vorrei un po’ di privacy..
Sai com’è…”
“Sì, so come è.”
Scoppio a ridere come una
deficiente, senza un motivo preciso. Forse non avrei dovuto bere il
sakè a fine
pasto, mi rende troppo euforica.
“Stai bene, Wen?”
“No, mi sa che non avrei
dovuto bere a fine pasto, mi sento … brilla.”
Lui fa una faccia strana.
“Andiamo in spiaggia, ti
va?”
“Va bene, almeno posso
togliermi i tacchi.”
Saliamo in macchina, io
inizio a canticchiare “I miss you” dei blink.
“Hai una voce carina.”
“Grazie, erano secoli che
non canticchiavo qualcosa. Non va bene, sto perdendo il
controllo.”
“Non ti piace, vero?”
Io scuoto la testa.
“No, non molto.”
Lui parcheggia vicino alla
marina e scendiamo, tira una brezza piacevole, quasi come una carezza
dal
cielo.
“Che bello stare qui!”
Imbocchiamo la prima
entrata per la spiaggia, io mi tolgo le scarpe e mi godo la sensazione
della
sabbia morbida sotto i piedi.
Che bello!
Jack mi raggiunge e – mano
nella mano – mi porta fino al limite della battigia, poi mi
fa sedere.
Guardiamo un po’ il cielo,
cullati solo dal rumore del mare e della brezza, poi lui si sdraia
sulla
sabbia.
“Come mai ci siamo fermati
qui?”
“Per non bagnarci i
vestiti.”
Io sorrido, mi alzo in
piedi e corro verso l’oceano e mi ci butto, fregandomene del
vestito elegante,
del freddo e del fatto che potrei sentirmi male.
“Wen!”
Sento la voce di Jack
chiamarmi e poco dopo anche lui entra in acqua e cerca di acchiapparmi,
io
rispondo con uno spruzzo e scivolo via dalla sua presa.
Iniziamo a schizzarci e a
giocare come bambini, quando finalmente riesce a prendermi mi godo la
stretta
delle sue braccia.
Lo guardo negli occhi e
lascio che la magia di questo moneto mi travolga, iniziamo infatti a
baciarci
con passione, io ancora saldamente i miei piedi sulla sua schiena, lui
mi
stringe ancora di più.
Bacio dopo bacio, dalla
mia posizione sento qualcosa premere all’altezza del cavallo
dei suoi
pantaloni.
“Forse è meglio uscire.”
“E non finire quello che
abbiamo iniziato?”
“Perché finirlo in mare
con il rischio di venire scoperti quando possiamo finirlo in un comodo
letto
dentro casa nostra?”
Gli faccio l’occhiolino.
Ecco, sto di nuovo perdendo
il controllo!
“Mi sembra una buona
idea.”
Usciamo in braccio
dall’acqua, lui raccoglie le mie scarpe e mi porta alla
macchina, in acqua non
avevo freddo, ora sì. Lui mi
mette
galantemente intorno alle spalle una felpa asciutta che trova in
macchina.
Durante il viaggio c’è un
po’ di tensione, ma tutto sommato sto bene.
Forse sto per fare l’amore
con lui, ce la farò?
O le mie paure me lo
impediranno?
Tra poco lo scoprirò.
Angolo
di Layla.
Ringrazio
_redsky_
e Mon
per le recensioni.
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Capitolo 13 *** 12) She loves you, yeah yeah yeah! ***
12) She loves you, yeah
yeah yeah!
Ci sono certe sere in cui
sai che la tua vita sta cambiando.
Questa è una di quelle,
sono seduta sul sedile passeggero del suv di Jack, avvolta in una felpa
che sa
tremendamente di lui a chiedermi cosa succederà stanotte.
Parcheggia in garage e mi
aiuta a scendere, stranamente la porta che dà accesso alla
casa è aperta, il
che significa che lassù Holly e Alex forse si stanno dando
da fare.
Jack ride e sale di corsa
le scale, io lo seguo tentennando a piedi nudi, cosa vuole fare questo
matto?
Mi ritrovo
davanti alla camera di Holly, lui sta battendo i pugni sulla porta.
“Ehi, io e Wen ci vogliamo
dare da fare, vedete di non disturbarci!”
“Jack!”
“Amore,
metto le cose in chiaro!”
Dall’altra
parte della porta giunge una risposta altrettanto idiota.
“Chi
vi disturba, staremo in ascolto dietro la vostra porta tutto il
tempo!”
Segue
un “Alex” imbarazzato.
La
porta si apre subito dopo e ne esce un Alex disinvoltamente in mutande,
dietro
di lui mia cugina ha messo una maglia per coprirsi.
Alex
dà un’occhiata eloquente ai nostri vestiti bagnati.
“Uh,
vedo che avete cominciato nell’oceano!
Adesso
comunque ce ne andiamo, Holly mi ha ricordato che ho una
casa.”
“Santa
donna, quella Holly!”
Risponde
ironico Jack, Alex ride.
I
due si vestono e li accompagniamo alla porta, quando Alex se la chiude
alle
spalle tira un sospiro di sollievo e mi prende in braccio. La mia testa
è
all’altezza del suo cuore, lo sento battere forte,
esattamente come il mio.
Mi
porta in camera e mi deposita sul letto, io inizio lentamente a
togliermi i
vestiti bagnati e lui fa lo stesso. Finito, io mi alzo e lo guardo
fisso in
quegli occhi scuri che amo, dentro c’è del
desiderio mischiato all’amore.
Mi
alzo sulle punte dei piedi e lo bacio, lui ricambia e mi stringe tra le
sue
braccia.
Il
bacio diventa sempre più passionale e noi arretriamo verso
il letto, respirando
sempre più velocemente.
Finiamo
per caderci sopra e rotoliamo in cerca di un posizione più
comoda, trovata lui
inizia ad accarezzarmi ovunque, soprattutto nella zona del seno, io
emetto
deboli gemiti.
Con
una mossa a sorpresa mi toglie il reggiseno e inizia a giocare con i
miei
capezzoli, per un attimo mi irrigidisco, ma poi penso al suo sguardo e
torno a
rilassarmi.
Ci
sa davvero fare perché poco dopo le mie mani – di
loro spontanea volontà –
affondano nei suoi capelli i li tirano leggermente per far
sì che non si
stacchi.
Lo
sento sorridere mentre gioca con un mio capezzolo, poi inaspettatamente
alza la
testa.
“Se
non vuoi fermami, ok?”
“Ok!”
Rantolo
io.
“Adesso
provo a fare una cosa.”
Con
una mano scende lentamente verso la mia intimità fermandosi
giusto un attimo ad
accarezzare la mia pancia e la cicatrice. Si ferma un attimo e la bacia.
“Se
non ci fosse questa non ci saresti più tu!”
La
sua mano scende ancora e sento un dito nella mia
femminilità, lo muove piano
per farmi abituare, io ansimo più forte. Vorrei che non
smettesse mai.
Alla
fine aumenta dita e velocità e io vengo travolta dal mio
primo orgasmo.
“Wow!”
Mormoro
senza fiato.
“Siamo
solo all’inizio.”
Io
guardo lui e poi il suo pene eretto.
“Vuoi?
Dopo non so se sarei in grado di fermarmi, Wen.”
“Sì.”
Entra
delicatamente in me e si muove con dolcezza.
“Sei
ancora vergine!”
Constata
sorpreso, io volto la faccia dall’altra parte e annuisco.
“È
meraviglioso, sono il primo!”
Con
un colpo un po’ più forte degli altri smetto di
esserlo, fa un po’ male, ma è
sopportabile.
Lui
continua con spinge lunghe e più forti di prima fino a che
non raggiungiamo
l’orgasmo insieme, le mie unghie sono conficcate nella sua
schiena, la sua
faccia è praticamente sepolta tra le mie tette.
Rimaniamo
attimi eterni in silenzio in questa posizione.
Alla
fine è lui a rompere il silenzio.
“Allora,
come è stato?
Sono
stato all’altezza? Ti è piaciuto?
Forse
avremmo dovuto farlo da sobri!”
Io
gli appoggio delicatamente un dito sulle labbra – pensando
che ho scoperto una
nuova cosa, quando Jack è nervoso parla a macchinetta
– e lui si calma.
“È
stato molto bello, sei stato all’altezza e ora
potrò ricordarmi una
meravigliosa prima volta con il bellissimo chitarrista degli All Time
Low.”
Lui
ride e mi dà un bacio sul naso.
“Ma
per te non sono solo questo, vero?”
“No,
per me sei semplicemente Jack, il ragazzo del Magazzino, non mi
interessa che
tu sia famoso.
Lo
giuro!”
Lui
sospira.
“Odio
quando la gente si riferisce a me come il Jack degli All Time Low,
quello
famoso.”
“Sì,capisco.
Con me non corri questo rischio.”
“Tutto
il contrario, non mi volevi perché ero famoso.”
Io
arrossisco.
“Beh,
sono un po’ strana.”
“Mi
piace il tuo essere strana.”
La
vibrazione del cellulare di Jack interrompe questo momento di
tenerezza, lui
apre il messaggio che è appena arrivato.
“Allora,
concluso?”
“Pensi
di rispondergli?”
Chiedo
io mezza divertita e mezza confusa.
“Uhm,
sì. Qualcosa come “Certo e meglio di
te.””
“Potresti
aggiungere che mi fa paura quando fa lo stalker?”
“Ai
suoi ordini”
Mentre
io mi fumo una sigaretta stretta tra le sue braccia lui risponde al suo
amico,
le sue dita volano rapidamente sulla tastiera e io ne sono incantata.
Spedito
il messaggio mi scrocca una sigaretta e fumiamo insieme in silenzio,
poco dopo
arriva la risposta di Alex.
“Sei
il solito spaccone! Buonanotte.
PS:
di’a Wen che le voglio bene <3!”
Scuotiamo
entrambi la testa e Jack digita la buonanotte al suo amico, poi
sbadiglia
vistosamente.
Finiamo
la sigaretta e lui mi stringe a sé ancora di più,
ho la testa all’altezza del
suo cuore e lo sento battere forte.
“Ti
amo.”
Sussurro
mezza addormentata.
“Ti
amo anche io, Wendy.”
Poi
il sonno ci coglie entrambi.
La
mattina dopo veniamo svegliati da misteriosi rumori provenienti dal
piano di
sotto.
“Che
succede per te?”
Chiedo
a Jack.
“Non
lo so, ma ho una mezza idea.”
Scendiamo
e troviamo Alex che traffica in cucina, sotto lo sguardo corrucciato di
mia
cugina.
“Credo
di avertelo chiesto circa un milione di volte da quando ci conosciamo,
ma tu
non hai una casa tua?”
“Sì,
certo che ce l’ho, ma mi sento solo e poi ho solo
accompagnato la mia ragazza a
casa.
Cosa
c’è di male?”
Io
sospiro.
“È
una battaglia persa con te, te la cavi sempre.”
“Ma
tu mi vuoi bene per questo,no?”
Mi
risponde, facendomi gli occhi dolci.
Io
sospiro e gli faccio segno di avvicinarsi, poi lo abbraccio.
“Sì,
nona piaga d’Egitto, sì.”
“Ehi,
Jack la tua ragazza mi ha appena detto che mi vuole bene!”
Lui
applaudisce sarcastico.
“Bene,
adesso mi vuoi dire cosa stavi tentando di fare nella mia
cucina?”
Alex
sbuffa.
“Jack,
preparavo la colazione, cosa volevi che stessi facendo in
cucina?”
“Giusto,
hai una cucina enorme
e super
accessoriata e per bere un po’ di caffè, poco
altrimenti cominci ad
arrampicarti sui muri come una scimmia, vieni da me.”
“Sì,
secondo me fila come ragionamento.”
Scuotiamo
tutti la testa e ci sediamo al tavolo. Alla fine Alex mette in tavola,
bacon e
uova, pancakes, caffelatte, caffè, biscotti; alla fine non
è poi così male.
“Hai
mai pensato di lavorare come cameriere?”
Gli
chiedo addentando una brioches.
“Sì,
ma solo se gli All Time Low avessero fallito e io non fallisco mai su
certe
cose.”
“Ma
sentitelo! Mister perfezione!”
“Amico,
in questo caso devo dare ragione alla mia ragazza!”
Alex
scuote la testa.
“Oh,
Jack! Ti ha proprio stregato!
È
così bello vederti innamorato, ti ci voleva proprio
Wen.”
Io
arrossisco.
“Cioè?”
“Jack
era un irresponsabile prima di te, cambiava spesso ragazza e poi si
lamentava
di non trovare quella giusta. Fortuna che sei arrivata tu e
l’hai cambiato,
altrimenti ben presto avrebbe messo incinta una groupie.”
Io
sorrido in modo enigmatico. Un po’ mi da fastidio questa
notizia, ma non ho
nessun diritto di lamentarmi, io non ero la ragazza di Jack allora, lui
poteva
fare quello che voleva.
Questo
è quello che dice la mia parte logica, la mia parte
più sentimentale è come
offesa da queste cose e anche un pochino spaventata.
Mi
alzo dal tavolo e vado in soggiorno a raggomitolarmi sul divano,
pensierosa. Di
là sento Holly rimproverare aspramente Alex e la sua
boccaccia.
Mi
dispiace di avere creato una specie di conflitto, ma per me
l’amore è ancora un
mistero e non so bene come comportarmi, anche se so che è
assurdo incolpare di
tradimenti che non erano tali.
Poco
dopo si siede vicino a me.
“Scusa.”
Gli
dico.
“Per
cosa?”
“Per
aver reagito da scema gelosa alle parole di Alex, dopo dovrò
scusarmi anche con
lui.”
Lui
sorride.
“Se
sei gelosa significa che ti importa di me.”
Io
lo guardo con gli occhi sbarrati.
“Avevi
qualche dubbio?”
“No,
solo che a volte è davvero difficile leggere nei tuoi
comportamenti. Non sei
come le altre ragazze, sei più chiusa, tieni bene i segreti
se necessario.”
“Sì,
lo so. È che è così stupida questa
reazione che non sembra nemmeno la mia.”
“Forse
sei davvero innamorata!”
Sorride
felice e mi prende in braccio facendomi girare tra le sue braccia.
“Jack!”
Esclamo
io, rossa come un peperone.
“Si
è innamorata, si è innamorata di me!”
“Sìììì,
ma adesso mettimi giù!”
Mi
mette giù.
“Vai
a cambiarti, oggi è il primo giorno di riabilitazione della
tua mano e ti
accompagno io.”
“Ma
così perdi un giorno di registrazioni! Avevo chiesto a Holly
di venire.”
“E
io le ho detto che sarei venuto io, non potevo mancare a un
appuntamento così
importante.”
Ormai
sono praticamente viola.
“Ma
ti annoierai a morte!”
“Non
fa niente e adesso fila a cambiarti!”
“Agli
ordini!”
Mi
porto alla fronte la mano buona e vado al piano di sopra ridendo, non
so se per
la gioia o per l’isteria, forse per un misto delle due cose.
Mi metto una
comoda tuta da ginnastica e vecchie All Star rosse, Jack mi passa una
mano
intorno alla vita e usciamo insieme.
Il
vento di gennaio è ormai un ricordo, siamo a fine febbraio e
comincia ad
esserci una piacevole temperatura mite, che fa sbocciare i fiori nel
giardino e
sugli alberi.
Ci
dirigiamo verso una struttura sulle colline della città in
cui si fa
riabilitazione, un posto magnifico, con un grande parco,
così me l’ha descritto
jack. Lui guida pigramente, rilassato e sorridente, ha una mano
appoggiata su
una mia coscia e fischietta “I miss you” dei blink.
“Sai
una cosa?”
“No.”
“Tu
prima ti sei sentita stupida perché ho avuto delle ragazze
prima di te e hai
reagito male. Io non sono da meno, io sono geloso di questo Jimmy, lui
è stato
il primo, avrei tanto voluto essere io.”
Io
lo guardo a occhi sgranati.
“Ma
tu sei stato il primo!”
Lui
scuote la testa.
“No,
non in quel senso. Avrei voluto essere il tuo primo amore, quello che
ti
ricordi per tutta la vita.”
Io
rimango un attimo in silenzio.
“Beh,
non sei il primo, ma potresti l’ultimo mio amore, quello che
ti fa compagnia e
ti sostiene per tutta la vita.”
Lui
rimane in silenzio e io mi pento immediatamente della mia uscita, ai
ragazzi
non piace essere imprigionati, parlano raramente di matrimonio o del
“per
sempre”!
“Beh,
può darsi.”
“Scusa!”
“Per
cosa?”
“Per
quello che ho detto, forse ho sbagliato la tempistica.”
“Non
ti preoccupare.”
Alla
fine di una strada tutta a curve che si snoda nel verde delle colline
della
città degli angeli troviamo un cancello, Jack suona e poi si
annuncia.
Il
cancello si apre, la strada continua nella pace di un giardino
magnifico, lui
parcheggia e io mi perdo nella contemplazione di una villa degli anni
’20
riadattata per essere un istituto di cura, è magnifica.
“Wow!”
“Bella,
vero?
Sapevo
ti sarebbe piaciuto.”
Ci
sorridiamo a vicenda e mano nella mano entriamo in quello che si rivela
un
atrio luminoso sui colori del bianco panna. Jack mi trascina
all’accettazione e
chiede alla donna presente dove si tengono le sedute di fisioterapia.
Lei
controlla l’agenda e mi chiede se sono Gwendolen
O’Connor, io annuisco.
“Perfetto,
il dottor Warren l’aspetta nell’ambulatorio 4.
Imboccate questo corridoio e poi
girate subito a sinistra, l’ambulatorio 4 è
l’ultimo.”
“Grazie
mille, signora.”
Seguiamo
le sue indicazioni e ci troviamo in una stanza molto grande, dietro a
una
scrivania siede un dottore molto bello sui quarant’anni.
“Buongiorno,
sono il dottor Warren. Siete la signorina O’Connor?”
Io
annuisco.
“E
il giovane che l’accompagna è il suo ragazzo,
deduco.”
“Deduce
bene, mi chiamo Jack Barakat e sono il suo ragazzo.”
Non
è sgarbato, ma il modo in cui ha calcato quel
“suo”mi fa capire che sta
marcando il territorio.
“Molto
bene, mi faccia vedere la mano.”
Io
gliela porgo, lui toglie la fasciatura e la tocca in vari
punti.”
“Mi
sembra che qui sia stato fatto un ottimo lavoro, adesso le
insegnerò di nuovo a
muoverla, dovrebbe recuperare a pieno le sue funzionalità.
La signorina Finch
mi ha detto che lei tatua per lavoro, con la giusta riabilitazione
potrà
lavorare di nuovo.”
Io
annuisco sollevata.
Lo
spero con tutto il cuore, non mi piace
l’immobilità forzata e poi mi manca il
mio lavoro e non voglio che quel Ryan o Bryan metta radici in un posto
che non
è il suo.
Iniziamo
gli esercizi e – per quanto il dottore sia delicato
– mi fa male.
“Lo
so che fa male, signorina, ma purtroppo le è stato inferto
un brutto colpo.”
La
serata dura un’ora, la mano
mi fa
malissimo e dobbiamo tornarci la settimana prossima appena fuori
dall’edificio
Jack comincia a ringhiare senza motivo.
“Ehi,
pensavo ti chiamassi Jack, non Jake!”
Lui
sbuffa.
“Quel
dottore fa il cascamorto con te.”
Io
scoppio a ridere.
“Ma
è impossibile, potrei essere sua figlia, non credi di
esagerare?”
Lui
mi guarda torvo.”
“Non
esagero. So riconoscere un uomo quando è a caccia di una
preda e tu o meglio la
mia reazione l’ha stuzzicato. Stacci attenta.”
“Ehm,
ok.”
Concludo
incerta. Non credo che il dottor Warren sia davvero interessato a me,
ma non mi
costa nulla seguire le indicazioni di Jack.
Va
bene, la prossima volta starò attenta.
Angolo di Layla
Ringrazio di cuore _redsky_ e Mon per le
recensioni. Grazie mille per continuare a seguire questa storia
<3!
Siamo circa a
metà e ci sarà un seguito.
|
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Capitolo 14 *** 13)Venice I ( lets's make this night lasts forever) ***
13)Venice I ( lets's make this night
lasts forever)
La
settimana trascorre
tranquilla, anche se sono sicura che ci sia qualcosa che bolle in
pentola.
Jack, Alex e Holly hanno
tutti e tre un’aria da cospiratori che mi fa temere il peggio.
Cosa diavolo hanno in
mente quei tre?
Sabato mattina noto che il
mio armadio sembra più vuoto del solito, chissà
dove saranno finiti i miei
vestiti?
È un mistero che vale la
pena di indagare, la sparizione massiccia di vestiti non è
una cosa normale.
Vorrei chiederlo a Jack,
ma Alex mi tiene impegnata tutto il pomeriggio parlando di cazzate e il
mio
ragazzo lo vedo solo di striscio.
Ma che diavolo?!
Verso le sei Jack riappare
con uno strano sorrisetto sulle labbra.
“Stasera usciamo, Wen. Vai
a prepararti.”
“Ehm, ok. Devo essere
elegante o cose del genere?”
Gli chiedo con un fondo di
pietà nella voce. Lui lo sa quanto io odi litigare con
vestiti, spacchi, tacchi
e piastra. Jack scuote la testa con enorme mio sollievo.
Volo a farmi una doccia.
Finita, vado in camera
nostra mi metto un paio di jeans stracciati, una maglietta dei blink e
un felpa
dell’Adidas gialla con le righe sulle spalle verdi, mi trucco
di nero e metto
un paio di anfibi con delle margherite disegnate sopra. Li ho decorati
io al
liceo, secoli fa, e ancora resistono.
Prendo una borsa e scendo
in salotto.
Holly e Alex sono troppo
sorridenti – quasi falsi – qui gatta ci cova.
Entriamo in macchina, non
faccio in tempo ad allacciare le cinture che Jack mi benda.
“Beh? Cosa vuol dire
questa benda?”
“Che non voglio farti
vedere dove stiamo andando.”
“E perché mai?”
“Perché voglio che sia una
sorpresa!”
Risponde lui, felice come
una pasqua, incurante delle mie imprecazioni e dei miei grugniti.
Non mi sono mai piaciute
le sorprese, di solito finiscono male.
Lui continua a guidare
fischiettando, io vorrei ucciderlo, mi sento patetica con questa cosa
sugli
occhi e con il mio abbigliamento sciatto.
E se volesse portarmi in
uno di quei ristoranti ultra lussuosi?
No, non può essere così,
mi avrebbe detto di mettermi elegante, non normale. Inizio a sudare
freddo,
magari mi presenta ai suoi.
Cristo, non sono pronta!
Iniziano a tremarmi le
gambe, non può davvero portarmi dai suoi senza un minimo di
preparazione, e se
non piacessi a sua madre?
E se suo padre mi trovasse
troppo strana o una troia?
“Jack, dimmi dove stiamo
andando o impazzirò prima. Potrei farti del male,
sai?”
“Con una mano sola e
almeno venti centimetri di altezza in meno?”
Mi chiede ironico, io
sbuffo. Odio che mi sia ricordato che sono bassa.
“Jack, cazzo!”
La macchina si ferma all’improvviso
e poi fa manovra, stiamo
parcheggiando. Finito, mi aiuta scendere
e mi dà in mano una valigia, le altre le prende lui e mi
toglie la benda.
Siamo all’aeroporto di Los
Angeles.
“Cosa ci facciamo qui?”
Chiedo con la gola secca,
guardando l’edificio come se fosse un demone spaventoso e
terribile.
“Ti porto a fare una
vacanza a Venezia.”
Io tiro un plateale
sospiro di sollievo, mollo la valigia e gli salto addosso facendoci
cadere a
terra.
“Woah! E dire che fino a
poco fa volevi uccidermi!
Come sono volubili
le donne!”
Io rido sul suo petto.
“Scemo, pensavo volessi
presentarmi ai tuoi e mi stavo cagando in mano!”
Lui ride come un matto.
“Questo te l’avrei detto,
stai tranquilla.
Adesso è meglio tirarci in
piedi o rischiamo di perdere l’aereo.”
Io annuisco, raccogliamo le valige ed entriamo
nell’aeroporto, facciamo il
check-in e poco dopo chiamano il nostro volo, diretto a Milano Malpensa.
Noi corriamo tenendoci per
mano e ridendo, gli altri ci guardano senza capire, solo noi sappiamo
perché ci
stiamo comportando così: stiamo regredendo
all’età infantile.
Saliamo sull’aereo e ci mettiamo
ai nostri posti, io sono eccitatissima.
“Non sono mai stata
all’estero e poi… Venezia! La città
dell’amore e dei misteri!
Ci sono un sacco di
isolette con leggende macabre da visitare.”
Credo che i miei occhi
siano ormai a forma di cuore.
“Con tutte le cose
romantiche che ci sono tu hai deciso di fissarti sul macabro?”
Io arrossisco
violentemente.
“Sono fatta così.”
“Lo so e va bene, non ti
preoccupare.”
Io sorrido, rassicurata.
Mi metto a leggere un
tascabile sulla città che Jack si è procurato e
in cui c’è anche una mappa.
“Ma Milano è lontana da
Venezia, come ci arriviamo?”
“Ho prenotato dei
biglietti del treno.”
“Capito. Sarà bellissimo!”
Lui si gratta la testa.
“Lo spero. Quando inizierà
il tour non potremo vederci così spesso così
cerco di fare il romantico adesso
che posso e che ti ho vicina.”
Io sospiro.
“Non pensiamoci, non
adesso. Sarebbe triste.”
“Hai ragione, adesso
dobbiamo pensare all’avventura!”
“Come la compagnia
dell’anello, che tracce senti, Ramingo?”
“Perché a me tocca
Aragorn? Legolas mi piace di più.”
“Uhm, tu non sei biondo e
poi ti chiamano il principe persiano.”
Lui ride.
“E tu chi saresti?Arwen?”
“Dovrei, ma mi piace di
più Èowyn.”
“Ah, ci avrei giurato! Tu
non sei una che aspetta, sei una cha agisce.”
“Beh, più o meno sì.
Oh, arriva la cena!”
Mangiamo il cibo triste
che ci propinano sui voli e poi io mi metto a guardare il cielo, vedo
le nuvole
e – a tratti – le luci delle città che
scorrono sotto di noi.
“Che bello!”
“Sì, molto. È sempre
bello.”
“Per te è noiosa routine, vero?”
“Sì, ma mi piace guardare
le città dall’alto.”
Io sorrido.
Le luci si spengono e ci
prepariamo per la notte, con qualche difficoltà riesco ad
abbracciare Jack, non
riuscirei a dormire da sola, sapendo che le sue braccia sono a pochi
centimetri
da me.
La luna si alza in cielo e
io, per contrappasso, cado nel mondo dei sogni.
Mi
sveglio che stiamo
sorvolando la Spagna, credo.
Jack al mattino è sempre
talmente rincoglionito che non sono certa che si ricordi come si
chiama, meglio
lasciarlo perdere.
Piano piano si sveglia, mi
sorride, guarda fuori dal finestrino e la sua espressione si fa
perplessa, poi
torna normale.
“Credo siamo sopra la
Spagna, ma non ne sono certo.
Spero che arrivi presto la
colazione, ho fame.”
“Come sempre.”
Dico divertita, stringendogli
la mano.
Il carrello con le
bevande, i biscotti e qualche panino passa poco dopo. Jack ne prende
una
porzione abbondante e con un po’ di caffè in corpo
sembra riprendersi un
pochino.
“Dio benedica il caffè!”
Esclama alzando la sua
tazza per fare un brindisi con la mia.
Beviamo e mangiamo e poi
guardiamo il film che trasmettono sulla piccola tv
dell’aereo, chissà tra
quanto arriveremo a Milano?
Magari al ritorno potremmo
farci un giro, dicono che sia la capitale della moda, potrei vestirmi
decentemente
per una volta.
“Cosa sta macchinando il
tuo cervellino diabolico Gwendolen?”
“Ti dico solo una parola,
Jack Barakat, Milano.”
“Non capisco.”
Io alzo gli occhi al
cielo.
“È la capitale della
moda.”
“Questo significa shopping
e sfacchinare, no, non voglio andarci!”
“Ti prego!!
Siamo in Italia, sarebbe
un sacrilegio non andarci! Quando posso tornarci?”
“Non credevo ti
interessasse la moda.”
“E non mi interessa, ma
per una volta voglio passeggiare tra quelle strade e guardare quelle
vetrine.”
Lo guardo implorante.
“Sembri una bambina che
prega suo padre di portarla alla sua giostra preferita.”
{“Papà,
papà!”
Lo tiro per una manica.
“Andiamo a fare un giro sulla ruota panoramica?”
Lui mi stacca scocciato e mi dà una sberla.
“Lo sai che sei troppo piccola per quella roba e poi
non ne ho voglia. Smettila di rompere, Wendy!”}
Mi rabbuio per un attimo e
lui lo nota.
“Ho detto qualcosa di
sbagliato?”
“No, non ti preoccupare. È
che ogni volta che imploravo mio padre per andare su una giostra lui
non mi ci
portava, tutto qua.”
Lui si intenerisce e
incupisce allo stesso tempo, sembra odiare anche lui la mia famiglia,
quella
che mi ha lasciato così tante cicatrici addosso e che gli
rende così difficile
avere una relazione con me.
“Per Milano vediamo al
ritorno, va bene?”
“Va bene e scusa se ti ho
pressato con questa storia.
Mi sono comportata come
una bambina stupida.”
Lui mi accarezza la testa.
“Sei una ragazza, alle
ragazze – anche a quelle più punkettone
– interessa la moda e se Milano è la
capitale della moda è ovvio che ti interessi.
Siamo noi maschietti a
essere tardi.”
Io gli do un bacio sulla
tempia.
“Ti amo.”
Il volo atterra in una
Milano nebbiosa e piovosa, l’Italia è il paese del
sole, ma oggi deve essersi
perso da qualche parte.
Lo dico a un’anziana
turista inglese seduta accanto a me sul pullman che porta
dall’aereo
all’aeroporto e mi sorride.
“Non è proprio così,
Milano è famosa per la sua nebbia in autunno e in inverno.
Non ha nulla da
invidiare alla mia Londra.”
Non lo sapevo, quante cose
che non so!
Arriviamo all’aeroporto,
prendiamo i nostri bagagli e li carichiamo su un carrello, io mi siedo
in cima
alla pila per la gioia di Jack che impreca a bassa voce.
Finalmente arriviamo fuori
e possiamo caricare tutto su un taxi, Jack gli dice di andare alla
stazione
centrale. Il mio ragazzo guarda preoccupato l’orologio.
“Speriamo di non perdere
il treno.”
“No, dai. Ce la faremo.”
Non ho calcolato il
traffico, non appena l’uomo si ferma fuori da grande
edificio, noi schizziamo
via dalla macchina con i bagagli a seguito, siamo sul filo del rasoio.
Ci affanniamo a correre su
per delle scale di marmo e poi su una successione di scale mobili, alla
fine
arriviamo ai binari, ordinatamente disposti sotto una cupola.
Ci voltiamo e guardiamo un
grande cartellone con le destinazioni e il numero del binario, il
nostro parte
al sette. Corriamo verso la direzione indicata dalla serie di numeri e
ci
infiliamo dentro al treno – noi e i nostri bagagli
– poco prima che le porte si
chiudano e il treno parta.
Sospiriamo di sollievo e
andiamo a mettere via i nostri bagagli e a sederci.
I binari della stazione
centrale scorrono pigri davanti a noi, poi il treno prende
velocità e a me
viene sonno, appoggio la testa sulla spalla di Jack e mi addormento.
Vengo svegliata da un
rumore e scopro che siamo a Padova.
“Quanto manca a Venezia,
Jack?”
“Non molto, credo. Tanto
non possiamo sbagliarci è il capolinea.”
Io rido.
“Sei incredibile. Chissà
cosa ci sarà da vedere a Padova?”
“Non lo so, però..
Ehi! Un’estate ce la
prendiamo solo per noi e veniamo a esplorare l’Italia da nord
a sud. Ti va?”
“Trovo sia un’idea
fantastica!”
I miei occhi scintillano
al solo pensiero.
“Sei fantastico, Jack!”
Gli dico guardandolo
felice.
Mi sento fortunatissima ad
averlo accanto, come ho fatto a pensare di cacciarlo una volta?
Ora la mia vita non
avrebbe senso senza di lui, riesce a farmi stare così bene
che quasi quasi i
ricordi peggiori del mio passato stanno sbiadendo.
È come con le fotografie,
se le esponi a troppa luce bruciano e diventano bianche, lui
è la mia luce.
Il resto trascorre
tranquillo, io mi illuminano quando stiamo per arrivare a Venezia, la
ferrovia
è solo una striscia di terra in mezzo alla laguna e la velocità
ridotta del treno me la fa
apprezzare ancora di più.
Venezia sembra il regno
sconosciuto di qualche divinità acquatica vista da qui.
Alla fine entriamo in una
grande stazione, quella di Venezia – che si chiama Santa
Lucia – e il treno si
ferma. Prendiamo le nostre cose e scendiamo, fuori
c’è il sole e io respiro a
pieni polmoni l’aria salmastra sulle scale della stazione.
Che bello!
Lui si ferma accanto a me
e tace.
“Ti piace?”
“Penso sia meravigliosa,
mi piace quest’aria salmastra e poi sono curiosissima di
vedere piazza San Marco e tutte le
calli. È una città così
meravigliosamente misteriosa!”
Lui sorride e mi passa un
braccio intorno alle spalle, lentamente – a causa dei bagagli
– ci avviamo
verso il centro, seguendo il flusso di gente.
Sarà una vacanza
meravigliosa!
L’hotel
che ha scelto Jack
è stato ricavato da un vecchio palazzo veneziano.
Ha una sorta di lusso
discreto che apprezzo molto, almeno non mi sent fuori posto, e poi se
chiudo
gli occhi posso immaginarmi uomini in parrucca e pantaloni corti e dame
in
crinolina che ballano, scherzano, flirtano e tessono intrighi.
La nostra camera da
sull’incrocio di due canali, mi piace molto.
Mentre Jack va a farsi una
doccia, io sistemo tutte le nostre cose. Finito, mi faccio io una doccia e trovo Jack stravaccato
sul divano con
indosso solo un paio di pantaloncini e l’aria scazzata.
“Cosa c’è?”
“Non trovo canali che
capisco! Ho trovato solo canali italiani, uno trasmetteva persino i
Simpson, ma
non ci ho capito nulla.”
Io litigo un po’ con la tv
e il telecomando e alla fine riesco a trovare il modo di mettere la
televisione
satellitare così Jack può guardarsi quello che
gli pare.
Manca poco a mezzogiorno,
non ha senso farsi un giro per la città, quindi guardo anche
io la tv con lui –
che si addormenta.
Lo sveglio alle dodici e
un quarto, lui mi guarda senza capire.
“Dobbiamo prepararci per
il pranzo, Jack.”
Lui annuisce, mezzo
addormentato.
“Ehi, sei nel paese della
pasta e della pizza, dovresti essere felice!”
Alla parola “pizza” si
rianima e si veste alla velocità della luce, invitando me a
fare lo stesso,
casomai arrivassimo e non ce ne fosse più.
Io eseguo e quando
scendiamo al ristorante siamo i primi e – ringraziando Dio
– c’è davvero anche
la pizza tra i piatti del giorno.
Jack è felice e io sono
felice con lui.
Mangiamo tranquillamente,
chiacchierando e guardandoci intorno, tutti sono più
eleganti di noi,ma con lui
accanto non mi importa.
Finito di mangiare
decidiamo di fare un giro in piazza San Marco. Dopo qualche
difficoltà la
troviamo e sfortunatamente troviamo anche un gruppetto di ragazze fan
della
band che si attaccano a Jack.
Io mi faccio da parte e
aspetto che finisca tutto, anche se sento delle occhiate maligne che mi
sfiorano. Ignoriamole – mi dico – sono solo delle
bambine.
Alla fine una di loro si
avvicina a me, ha al massimo quattordici anni e una faccia da bulla.
“Jack non è tuo, è di
Alex. Lascialo stare.”
“Quanti anni hai,
ragazzina?
Dodici?
Io alla tua età giocavo
con le bambole e
non mi permettevo di
dire a gente tanto più grande di me quello che dovevano o
non dovevano fare.
Ah.. E vaffanculo, Jack è
mio e me lo tengo.”
Lei mi guarda a metà tra
l’incazzato e lo spaventato, io giro i tacchi e cerco di
tornare al nostro
hotel, ho le mani che mi prudono.
Come diavolo si è permessa
quella nanerottola di dirmi cosa devo o non devo fare?
Come?
Ma i suoi non le hanno
insegnato l’educazione?
Ok, mia madre non me l’ha
insegnata, ma me l’ha insegnata la strada.
Non rompere il cazzo a
quelli più grandi di te o ne prendi una caterva.
Sono così arrabbiata che
non sento Jack chiamarmi e quando qualcuno mi afferra per un polso lo
sto per
insultare. Mi calmo non
appena vedo che
è il mio ragazzo.
“Dove vai?”
“In hotel. Sono stanca.”
“Wen, cosa è successo?”
“Una delle tue fan mi ha
appena informato che sei di Alex e che devo lasciarti stare!”
Con uno strattone mi
libero della sua presa e me ne vado, in questo momento ho bisogno di
stare da
sola, non è una frase facile da digerire per me quella che
mi hanno detto.
Ancora una volta la
persona sbagliata al posto sbagliato sono io e tutto quel freddo che la
presenza di Jack aveva scacciato torna nella mia anima.
Arrivata al hotel mi
sdraio sul letto e comincio a piangere lacrime amare, avrei capito la
ragazzina
se mi avesse detto che voleva Jack per sé, ma
così no. Fa male e basta.
Non so quanto tempo
trascorre so solo che quando alzo la testa dal cuscino e cerco di
mettere a
fuoco dove sono la luce è sparita.
Poco dopo la porta si apre
ed entra un Jack piuttosto triste, si siede accanto a me.
“Mi dispiace, Wen. Non
avrebbe dovuto dirti quella frase, ma lo sai anche tu che esiste questa
credenza che io e Alex stiamo insieme.
Forse non sono la persona
adatta a te.
Ti troverai spesso in
queste situazioni.”
“Non voglio perderti, sarò
la tua ragazza fantasma.”
“Non voglio obbligarti a
questa vita, non sarebbe giusto.”
Io mi asciugo le lacrime.
“E sarebbe giusto troncare
la nostra storia per ragioni come queste?”
Lui rimane in silenzio.
“No, non sarebbe giusto.
Wen, cercherò di
proteggerti in ogni modo da quello che riguarda il mio mondo e
può ferirti.”
“Mi dispiace di esserti
d’intralcio, dovrei farti forza.”
Lui mi appoggia un dito
sulle labbra.
“No, tu non te ne
accorgi,ma mi dai
la forza che mi serve.
Sei la mia piccola,
cercherò di proteggerti.”
Io sorrido tra le lacrime,
nessuno – Andrew escluso – mi aveva mai detto una
cosa del genere.
“Grazie, Jack.
Ti amo.”
“Anche lui.”
Ci baciamo così nella luce
morente del tramonto, sospesi nel tempo e nello spazio,
all’incrocio di due
canali destinati a scambiarsi per sempre acqua.
Esattamente come noi due.
In futuro potremo litigare
o trovarci insopportabili, ma non riusciremo mai a staccarci ed
è esattamente
questo che voglio.
L’ho scritto sulla pietra
del mio cuore a Venezia e così sarà a Los Angeles.
Angolo di Layla
Ringrazio _redsky_,
LostinStereo3
e Mon
per le recensioni. Se volete dare un'occhiata ho pubblicato due obne
shot, una si chiama Coma black e l'altra è Best frieds till
the end.
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Capitolo 15 *** 14)Venice II (ghosts on the dancefloor) ***
14)Venice II
(ghosts on the dancefloor)
La
sera è arrivata troppo
presto oggi per i miei gusti, oggi.
È stata una giornata piena
di tante cose, ma soprattutto di amore, la promessa di Jack mi avvolge
come uno
scudo.
Mi ama e mi proteggerà.
È un cavaliere moderno e
un po’ fuori dagli schemi, ma so che manterrà la
promessa.
Per cena indossa una
camicia nera un paio di jeans dello stesso colore, io invece indosso un
abito
con una fascia sotto il seno e che poi cade largo sui miei fianchi e
gambe, il
tessuto sul seno è di seta pieghettata.
È carino e con un paio di
scarpe a tacco alto e di gioielli scintillanti (roba di Holly) sto
benissimo.
Scendiamo rilassati, io
appoggiata al suo braccio che mi evita di fare una caduta spettacolare
davanti
a tutti.
Tiro un intimo sospiro di
sollievo alla fine di quella scala, gli uomini non hanno idea di che
razza di
torture siano le scarpe a tacco alto.
Entriamo in una sala dai
colori chiari, con un grande lampadario scintillante che questa mattina
non
avevo notato.
Il menù
che abbiamo scelto prevede pasta al sugo
per tutti e due, una cotoletta per me e del pesce per Jack.
Ci sediamo al nostro
tavolo, intimiditi.
Sembra di stare a un
ricevimento e i soldi non hanno certo reso Jack uno di quei ragazzi
eleganti e
pieni di bon ton, nati per stare qui.
Io mi alzo, impacciata, e
vado al buffet per prendere i nostri contorni, poi – una
volta tornata indietro
– aspetto che ci servano con nervosismo crescente.
“Spero che questa cena
finisca presto!”
Mi sussurra Jack.
“Così ci facciamo un bel
giro romantico dopo.”
Io annuisco.
Penso esattamente la
stessa cosa.
Il cameriere ci serve la
pasta in modo impeccabile, come se stesse servendo del caviale e non
della
banale pasta al sugo.
“Non pensavo fosse così.
Spero tu non sia a disagio.”
“Solo un po’, sono lussi
che non posso permettermi questi.
Con il mio lavoro, a meno
che tu non sia davvero affermata, non si fanno i soldi, non che mi
importi.
L’unica cosa che mi
importa è vivere del lavoro che amo in una casa dignitosa e
concedermi ogni
tanto qualche lusso.”
“Casa vostra era molto
carina.”
“Sì, ci eravamo impegnate
a fondo per trasformarla, ma
mia madre
ha rovinato tutto come al solito.”
“Ora non potrà rovinarti
più nulla.”
“Hai ragione.”
Finita la pasta arriva il
turno dei secondi, io mangio la mia cotoletta senza problemi, Jack
litiga come
un matto con il suo pesce.
“Ma perché ti accanisci
così tanto?”
“Se una lisca mi va di
traverso muoio!”
“E allora perché l’hai
ordinato?”
“Non ne ho idea.”
Risponde lui grattandosi
la testa.
“Sei strano.”
Rispondo sorridendo.
Finiti i secondi – Jack
non si è strozzato con una lisca – arriva
finalmente il dolce.
Lo mangiamo un po’ troppo
velocemente, entrambi non vediamo l’ora di uscire dalla sala
e fare un giro per
Venezia.
Prima di andare saliamo in
camera, io mi metto un paio di anfibi al posto delle scarpe a tacco
alto –
fregandomene del fatto che fanno a pugni con il vestito elegante
– e il mio
chiodo di pelle.
Jack approva il mio
abbigliamento e insieme usciamo dal hotel, pronti a scoprire la
città e a
perderci nelle calli. Arriviamo a piazza San Marco,è
bellissima nelle sue luci
scintillanti e nella grande luna bianca.
Facciamo un giro sotto i
portici, io mi incanto davanti a quelli che vendono oggetti in vetro
che
scintilla sotto la sapiente illuminazione.
Guardo anche le vetrine
dei gioiellieri, poi Jack mi trascina al hardrock caffè dove
ci prendiamo una
birra e guardiamo per un po’ la band che si esibisce live,
ovviamente compriamo
anche le magliette del locale.
Nessuno riconosce il mio
ragazzo ed è meglio così.
“Ora cosa facciamo?”
Gli chiedo.
Sono seduta su un pozzo
chiuso in uno dei tanti cortiletti della città, gli occhi di
Jack vagano veloci
nella piazzetta ed individua qualcosa. Mi porge una mano per aiutarmi a
scendere e poi mi trascina verso un punto.
“Vieni.”
Siamo davanti a un piccolo
imbarcadero e presto – quasi dal nulla – appare un
gondoliere.
Jack e l’uomo contrattano
un po’ sul prezzo, poi con gentilezza il gondoliere
– che si chiama Luigi – ci
aiuta a salire sulla piccola barca.
È bellissimo navigare tra
canali e canaletti, illuminati dalla luce della luna e da quelle delle
case,
molte hanno anche una porta che dà sul canale.
Mi piacerebbe moltissimo
vivere qui, anche se non deve essere facile quando arriva
l’acqua alta.
Luigi ci racconta mille
aneddoti sulla città, alcuni sono interessanti, altri
folcloristiche,
intanto ci godiamo il
giro. È molto
bello, anche se alcuni calli
sono
davvero inquietanti con il buio illuminate scarsamente dai lampioni e
dalla
luce di qualche altra gondola di passaggio.
Jack ascolta anche lui, un
braccio attorno alla mia spalla e ogni tanto mi bacia una tempia, lo
adoro.
Finito il giro, salutiamo
Luigi nella piazza in cui eravamo prima, stranamente però
non siamo da soli:
c’è una ragazza con un lungo vestito settecentesco
seduta sul pozzo.
Io tiro Jack per un
braccio e gliela indico con gli occhi, lui la guarda stupito.
“Forse c’è una festa in
costume.”
Dice poco convinto.
“Magari si è persa,
andiamo ad aiutarla.”
Io lo tiro per una manica
e lui mi segue poco convinta, un minuti prima che io possa parlarle lei
scende
con grazia dal pozzo e si mette a correre. Io la seguo, nonostante Jack
mi urli
di non farlo, alla fine viene anche lui e ci troviamo a correre tra le
calli
semibuie della città.
Lei si ferma in un'altra
piazzetta, dove c’è un uomo ad aspettarla.
I due si baciano sotto i
nostri occhi increduli, anche lui veste alla moda settecentesca.
“L’avete vista anche voi?”
Una voce in italiano ci fa
voltare e il cortile diventa improvvisamente deserto.
“Siete turisti?”
Noi annuiamo.
In qualche modo l’anziana
signora che ci ha interrotti ci spiega che quello è il
fantasma di una ragazza
uccisa dal padre perché frequentava un popolano. Ogni notte
lei appare seduta
sul pozzo qualche calle più in là e poi corre qui
per vederlo, si baciano e poi
spariscono.
È un fantasma buono, Jack
accanto a me è impaurito.
Io ringrazio la donna
e poi io e il mio pauroso ragazzo ci
avviamo verso il nostro hotel con l’aiuto di una cartina.
Jack mi sembra scosso, tanto
che arrivati al bar ordino del whisky per lui senza nemmeno chiedergli
se lo
vuole: glielo si legge in faccia che ne ha bisogno.
Dopo il primo sorso sembra
stare un po’ meglio.
“Stai meglio, adesso?”
Lui annuisce e
appoggia il bicchierino sul bancone.
“Non mi è mai capitato di
vedere una cosa del genere.”
“Neanche a me, ma non è
meraviglioso?”
“In un
certo senso…”
“Beh, dovevi aspettartelo
in fondo, Venezia è anche piena di fantasmi.”
Lui si mette una mano
davanti alla faccia, poi improvvisamente sorride.
“Hai ragione, siamo stati
fortunati.”
Mi prende per mano e
saliamo in camera, lì tira un sospiro di sollievo e si butta
sul letto, mentre
calcia via scarpe e pantaloni. Ecco le acrobazie di Jack Barakat!
Io mi tolgo gli anfibi, le
calze a rete e il vestito e poi gli rubo una maglietta con il disegno
di Jack
Skeleton e lo raggiungo.
“Ho sempre creduto ai
fantasmi, ma vederne uno mi ha lasciato un po’
scosso.”
“Lo immagino.”
Gli dico tracciando cerchi
sopra la sua maglia.
Lui mi accarezza i
capelli, tirandoli leggermente o facendo dei boccoli.
“Grazie per avermi portata
qui.”
“Figurati, volevo che
vivessi anche tu un attimo di felicità.
Sei sempre stata castigata
troppo duramente dalla vita, non fraintendermi non lo faccio per
pietà, solo
perché penso
sia giusto darti qualcosa
di bello, il meglio di me.
Tu ti stai impegnando a
darmi il meglio e non voglio tirarmi indietro.”
Dai miei occhi spuntano le
lacrime.
“Grazie Jack.”
Dico con voce un po’
tremante, lui mi asciuga le lacrime e sorride.
“Ehi, volevo farti
sorridere, non piangere!”
“Sono lacrime di felicità,
scemo.”
Gli tiro un pugnetto sulla
pancia e da lì iniziamo a fare la lotta, come i bambini.
Quando finisce io sono
seduta sul suo bacino e sento qualcosa che preme.
Ops, ho risvegliato il suo
amichetto!
Il mio ragazzo sorride con
aria furba e mi attira a sé per darmi un bacio passionale,
io sorrido contro le
sue labbra.
Ci stacchiamo senza fiato.
“Ah, è stata la tua
posizione a ispirarmi.”
“Immaginavo.”
Gli sorrido furba.
“Mi ci vuole qualcosa per
riprendermi dal fantasma!”
Esclama in tono
melodrammatico.
“Credo di sapere
esattamente di cosa hai bisogno.”
Lui sorride, io sorrido.
Che il tutto abbia inizio.
Ci baciamo di nuovo e lui
mi toglie con un po’ di difficoltà il reggiseno.
Sorride e scende a
baciarmi il mento e il collo, mentre con le mani massaggia i miei seni,
è una
sensazione stupenda.
Diventa paradisiaca quando
lui arriva con la bocca, potrei morire qui tra le sue braccia e morirei
felice.
Ribalto le posizioni e
comincio a baciargli il collo e il petto, lui gradisce visto che i suoi
sospiri
diventano più profondi.
Ormai sono arrivata ai
suoi boxer e noto che sono di troppo, che l’amichetto non
vede l’ora di uscire
e sfogarsi. Con le mani tremanti gliele tolgo.
“Guidami.”
Sussurro piano, lui
annuisce e sovrappone la sua mano alla mia, dettando il ritmo, una
volta capito
mi lascia fare da sola gemendo sempre più forte.
Arrivata a un certo punto,
me la toglie ansimante, si mette un preservativo e mi toglie anche il
mio
ultimo indumento.
“Fai piano.”
Lui annuisce ed entra in
me con una spinta lenta e profonda, continua così per un
po’ – per farmi
abituare – e poi continua con più forti e veloci,
ormai le mie unghie gli
staranno scavando solchi nella schiena.
Gemiamo sempre più forte
fino a che un calore al basso ventre esplode e urlo, staccandomi dalla
realtà
per qualche secondo, quando torno in me, lui è crollato
ansimante sul mio
corpo.
È pesante, ma mi sento
protetta dal suo peso e gli accarezzo dolcemente i capelli.
“Grazie.”
Gli dico sottovoce, lo
sento sorridere e mi accarezza piano i fianchi.
“Prego.”
Si alza – lasciandomi un
leggero senso di vuoto – per togliersi il preservativo e poi
torna a letto e io
sono subito attirata sul suo petto.
“Non mi scapperai,
Gwendolen!”
“Non voglio scappare. Per
la prima volta nella mia vita non voglio andarmene da nessuna
parte.”
“Questo mi rende felice,
sembri sempre una che è sul punto di scappare.”
Io ridacchio triste.
In effetti è la storia
della mia vita, purtroppo.
“Non pensiamoci. Dormiamo che
domani Venezia ci aspetta.”
“Sì, buonanotte, Jack!”
“Notte, Wen!”
Poco dopo siamo tutti e
due immersi in un sonno profondo.
La
mattina dopo ci
svegliamo al suono della sveglia e di un fastidioso raggio di sole
mattutino
che ci colpisce in faccia, la sera prima ci siamo dimenticati di tirare
le
tende.
“Che palle!”
Esclama Jack coprendosi la
faccia.
“Ci saremmo dovuti alzare
comunque, Venezia non entra nella nostra camera!”
Lui sospira e mi trascina
a fare la doccia, poi ci vestiamo, pronti per affrontare una nuova
giornata,
sperando di non incontrare altre fan degli All Time Low.
Facciamo colazione in
hotel e poi ci buttiamo nelle calli, torniamo a San Marco, ci fermiamo
un
attimo sul Ponte dei Sospiri e poi continuiamo a gironzolare per la
città.
Alle mie orecchie arriva
la leggenda di Poveglia, un’isoletta infestata dai fantasmi e
impossibile da
raggiungere. Io vorrei andarci, ma Jack è irremovibile, mi
lascerà andarci solo
scortata da dieci dei migliori marines americani.
Sono un po’ delusa, ma mi
promette che al pomeriggio mi lascerà visitare
l’isola di San Clemente, dove
aveva sede il Manicomio Centrale Femminile Veneto e San Servolo dove
c’era un
altro manicomio.
“Non capisco cosa ci trovi
di bello in un manicomio.”
“Non lo so, mi attirano le
cose strane. A Baltimora e anche a Los Angeles sono entrata in un sacco
di
edifici abbandonati per vedere se sentivo qualcosa.”
Lui rabbrividisce.
“Hai già visto un
fantasma, non ti basta?”
Io rido.
“No.”
Lui mi prende.
“Forza, pazzoide!
Torniamocene in hotel o gli altri eleganti ospiti potrebbero trovare
disdicevole
il nostro ritardo.”
Ci dirigiamo di corsa al
hotel e ci sediamo in sala da pranzo ancora con il fiatone.
Mangiamo un po’di fretta e
poi saliamo in camera a riposarci, io sono eccitatissima per le due
visite,
anche se so che a San Clemente è stato costruito un albergo
per ricconi –
sacrilegio – e il manicomio è chiuso.
Dormo meno di Jack e ne
approfitto per comprare una cassetta degli attrezzi che ci
aiuterà a forzare i
sigilli messi al manicomio. Lui ovviamente non sospetta nulla e
partiamo
spensierati verso la nostra meta.
Prendiamo un traghetto per
San Clemente e poi – invece di dirigerci verso
l’hotel come il resto degli
ospiti – sgattaioliamo via verso la chiesa e il manicomio.
“Non fare rumore, stiamo
facendo qualcosa di vietato.”
Lui annuisce, ci
allontaniamo fino a
quando non c’è
nessuno oltre a noi, ci avviamo verso la parte dell’isola,
dove ci sono la
chiesa e parte del manicomio.
La chiesa è chiusa solo da
un lucchetto e basta una forcina a farlo saltare. È un ambiente buio e polveroso,
con i banchi che
stanno marcendo o rovesciati, entra un po’ di luce solo
sull’altare su cui
passo una mano, ritrovandomi letteralmente
la polvere dei secoli addosso.
“Cosa era questo posto?”
“Nel dodicesimo secolo era
un ospedale per i pellegrini che volevano andare in Terrasanta, in
seguito fu
sede di monaci e dal 1834 fu sede del manicomio femminile che venne
spostato
qui da San Servolo.”
“Capisco.”
Ci aggiriamo un po’ per la
chiesa, io raccolgo un vecchissimo rosario fatto di perle nere e ce ne
andiamo,
adesso dobbiamo entrare al manicomio.
Giriamo un po’, ma alla
fine trovo una porta chiusa solo da un lucchetto e faccio saltare di
nuovo il
lucchetto. Ora siamo in un lungo corridoio intonacato di bianco in
origine e
pieno di crepe, foglie morte e detriti di ogni sorta.
“Cosa sai di questo
posto?”
“Che divenne manicomio nel
1834 e che ospitò un’amante del Duce, chiusa qui
per farla morire.”
“Duce?”
“Benito Mussolini, quello
che governò l’Italia dal 1922 circa fino al
’43, quando fu ucciso dai
partigiani italiani e appeso a testa in giù a piazzale
Loreto, a Milano.
Era l’alleato di Hitler e
aveva una passione per le donne, oltre alla moglie e a questa amante,
ne ebbe
un’altra – Claretta Petacci – che venne
uccisa con lui.”
“Come si chiamava questa?”
“Ida Irene Dalser, gli
diede anche un figlio. Morì qui nel 1937.
Il posto ha chiuso nel
1992, dopo che in Italia fu varata una legge che vietava i
manicomi.”
“Capito. Beh, che brutta
fine ha fatto questa donna.”
“Bruttissima, era sana di
mente e impazzì qui dentro.”
Continuiamo a camminare e
poi ci affacciamo in una delle camere, bianca, ma invasa dalla
vegetazione, con
un letto metallico e un comodino vicino. In alto
c’è un poggiatele, ma della tv
non c’è traccia. Qualcuno se la sarà
portata via.
Arriviamo anche agli
uffici e troviamo le carte dei pazienti, non ci capiamo molto, ma ci
scorre
davanti una carrellata di volti femminili con occhi vitrei ed
espressioni
spaventate che ci fanno rabbrividire.
All’improvviso una voce ci
intima di andarcene, forse è Ida Dalsen o forse
qualcun'altra paziente, noi non
ce lo facciamo ripetere due volte e usciamo da una finestra aperta
piano terra
e con aria innocente torniamo all’imbarcadero.
La prossima tappa è San
Servolo e qui – per fortuna – ci sono delle visite
guidate.
“Come mai Ida venne chiusa
qui?”
Io do un calcio a un
sassolino.
“Mussolini prima di essere
fascista era un socialista e quando cambiò posizione
politica, lei gli rimase
accanto e lo sostenne. Disse anche Mussolini la sposò, ma
non ci sono prove di
questo matrimonio e in seguito lui si sposò con la sua
legittima consorte
Rachele.
Ida venne tenuta sotto
controllo dalla polizia politica fino a che non venne internata nel
manicomio
di Pergine Valsugana e poi qui.”
“E il figlio?”
“Nacque nel 1915, fu
riconosciuto e venne chiamato Benito Albino, studiò in un
collegio di Barnabiti
e poi si arruolò in Marina, tenuto anche lui sotto controllo
dalla polizia
politica, fino a che non venne internato in un manicomio di Milano dove
morì
nell’42.”
“Interessante, quest’uomo
era davvero buono!”
“Beh, era un dittatore,
cosa ti aspettavi?
A proposito, aspettami qui
che devo nascondere una cosa prima che arrivi il vaporetto.”
Mi allontano e nascondo la
cassetta degli attrezzi dentro dei cespugli altissimi, sotto lo sguardo
sorpreso di Jack.
“Come mai te la sei
portata appresso?”
“Casomai servisse qualche
attrezzo da scasso. Oh, arriva il vaporetto.”
Ci saliamo e cerchiamo un
posto a sedere, lui sembra rassegnato.
“Avanti, raccontami un po’
la storia del posto che andremo a vedere.”
“Ok. Fino al Settecento
venne abitato alternativamente da frati e suore, poi nel 1715 divenne
un
ospedale militare e nel 1725 divenne un ospedale psichiatrico,
fondamentalmente
per nobili.
Napoleone dispose nel 1797
che lì vi dovessero ricoverare nobili e povera gente, maschi
e femmine.
Successivamente qui rimase
solo il manicomio maschile, ha lentamente chiuso a partire dal
1978.”
“Capito.”
Arriviamo all’isola di
Servolo – nota ai veneziani come l’isola dei matti
– e visitiamo il parco e la
chiesa e il nuovo museo del Manicomio.
È ovviamente molto
interessante, ma non ci sono voci che ci intimano di andarcene e Jack
sembra
più calmo.
In fondo abbiamo visto ben
due fantasmi ed è un bottino notevole!
Mentre saliamo sul
vaporetto per tornare in hotel penso che Venezia sia una
città meravigliosa e
che mi piacerebbe viverci.
Devo ringraziare Jack di
questo e così mi stringo di più a lui e mormoro
un :” Grazie, Jack” che lo fa
sorridere.
Mi piace vederlo sorridere
e poi domani dobbiamo obbligatoriamente farci il cimitero, di mattina o
pomeriggio non importa.
Venezia, here we go!
Angolo di Layla
Ringrazio _redsky_ per
la recensione.
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Capitolo 16 *** 15)Under a paper moon ***
15)Under
a paper moon
Holly p.o.v.
Il
piano per portare Wen
all’aeroporto senza che sospettasse nulla è stato
un successo.
Quando torno a casa trovo
Alex ad aspettarmi con una bottiglia di champagne in mano.
“Adesso abbiamo la casa
tutta per noi!”
Io rido.
“Ma Alex, perché ti sei
comprato una casa quando sei sempre qui?”
“Uhm, così.
È che non mi piace
sentirmi solo, dopo un po’ do di matto.”
Io rido.
“Beh, potrei trasferirmi a
casa tua.”
Lui si gratta il mento.
“L’idea mi piace e mi
spaventa allo stesso tempo.”
Io mi siedo sul divano.
“Potremmo fare una prova in
questi giorni che Jack e Wen non ci sono, se è troppo presto
o non funziona, io
torno a vivere qui.
Sempre se vuoi, non voglio
importi nulla!”
Lui mi guarda e poi
annuisce.
“Ma sì, proviamo. Ti ho
rincorsa per anni, non voglio farmi scappare questa occasione per le
mie
paure.”
Saliamo in camera mia e
infiliamo in valigia quello che mi servirà in questo fine
settimana, non molto
a dire la verità, visto che casomai qualcosa mancasse sono a
due passi da casa
mia.
Non ho mai visto la
casa di Alex, è molto più incasinata
rispetto a quella di Jack, il salotto ad esempio è pieno di
fogli con
scribacchiati testi e melodie e c’è una chitarra
messa in un angolo.
“Scusa il casino, ma io
vivo prevalentemente qui. Ormai non dormo nel mio letto da
secoli.”
Si affretta a dare un
ordine ai fogli e a buttare via la spazzatura, io invece mi avvicino
cauta alla
sua chitarra e provo a trarne qualche accordo. Avevo preso lezioni
insieme a
Wen anni fa.
“Sai suonare la chitarra?”
Mi chiede Alex tornando
dalla cucina con due bottiglie di coca.
“Qualcosa. Quando avevo
quattordici anni mia madre regalò a me e a Wen delle lezioni
di chitarra.”
“Mh, e la madre di Wen la
lasciava venire?”
“Non ne sapeva niente,
bastava che Wen le portasse l’alcool e le sigarette che
desiderava, le aspirine
e finire i compiti, poi per quel che importava lei poteva anche
prostituirsi
nel suo tempo libero.
Di solito finiva per fare
i compiti e studiare di notte e lo facevo spesso anche io.”
“Come mai?”
Io prendo la lattina che
mi porge e la apro, ne prendo un sorso e sorrido.
È freddo al punto giusto,
deliziosa.
“Perché odio la puzza di
ipocrisia e in casa mia ce n’era fin troppa. Doveva essere
tutto a posto, mamma
doveva fare la casalinga e chiacchierare con le sue amiche, mio padre
doveva
rientrare stanco dal lavoro e farsi baciare e curare dalla moglie
perfetta e
poi ovviamente doveva esserci la figlia perfetta: volti alti a scuola,
belle
amicizie, magari cheerleader.”
Lui apre la sua lattina e
ci sediamo sul divano.
“Tu non eri nulla di tutto
questo, Holly. Me lo ricordo perfettamente.”
“No, non lo ero. Non
volevo esserlo, avrei potuto avere voti più alti e amicizie
più brillanti, ma a
me bastava Wen che mi accettava così come ero.
Mia madre mormorava
sottovoce che era colpa di Wen se io ero così, ma che
d’altronde i parenti
vanno aiutati. Non era colpa di Wen, non si sarebbe mai messa nei
casini, non
voleva prendere altre botte a casa.
Tolti i piercing, i
tatuaggi e i capelli azzurri, Wendy era praticamente
un’alunna modello.”
Un sonoro borbottio interrompe
il nostro discorso, Alex ha fame. Sono le otto di sera e non abbiamo
ancora
mangiato e in fatto di cibo lo stomaco di mister Gaskarth è
piuttosto puntuale.
“Ok, ho capito.
Vado a preparare
qualcosa.”
Metto in padella due
hamburger e poi metto a scaldare il pane, una volta cotta la carne
metto i
cetrioli, il formaggio, quella cremina al formaggio tanto buona, il
bacon e il
ketchup.
Dal profumo sembrano
buoni.
Li porto in tavolo e Alex
si lancia sul primo – sono
quattro, due
per uno – come uno reduce da Auschwitz.
“ ‘ono ‘ oni, ‘ly!”
“Grazie, Alex.”
Mangiamo il resto degli
hamburger, una mela ciascuno e del gelato che trovo nel frigo.
“È la tua scorta per
quando ti senti giù di corda?”
Gli chiedo scherzando.
“Sì, hai indovinato.”
Mi risponde con gli occhi
bassi.
“Mi dispiace aver toccato
un tasto dolente.”
“Figurati, adesso non mi
servirà più. Ci sarai tu, no?”
Mi chiede con quel sorriso
da bambino che adoro.
“Esattamente, ci sarò io e
penso di essere molto meglio del gelato, almeno parlo, no?”
“Non solo, puoi anche
muovere le mani e farci un sacco di cose.”
Io scuoto la testa.
“Sempre lì andate a
parare!”
Sparecchio e metto tutto
in lavastoviglie, poi torno in sala.
“Cosa facciamo?”
“Ho gli inviti per una
festa, tecnicamente erano per me e Jack, ma dato che lui a
quest’ora è a
godersi Venezia, non credo succederà nulla di male se vieni
tu.”
Io arrossisco, ma cerco di
non darlo a vedere e metto le mani sotto il mento.
“Oh, il mio debutto in
società!”
Lui ride.
“Esatto mademoiselle,
stasera dovrete essere perfetta!”
“E allora il bagno è mio!”
“Ehi, così non vale,
però!”
Io gli faccio una
linguaccia sulle scale e rido come una bambina, stare con lui mi fa
sentire
piena di fiducia e allegria, esattamente come mi sentivo prima di
scoprire che
mio padre è un bigamo.
Mi lancio in bagno e
faccio una doccia veloce, non ho idea di cosa mettermi, probabilmente
qualcosa
di elegante perché sarà una festa e io non so se
ho cose del genere.
Forse nei vestiti che ogni
anno mia madre si ostina regalarmi c’è
qualcosa…
Cerco e cerco e alla fine
trovo in vestito di seta azzurra, senza maniche, che si stringe sotto
al seno e
sembra dividersi in due, ha uno spacco laterale e arriva appena sopra
il
ginocchio.
Non l’avrei messo se non
ci fosse stata questa occasione, mi metto dei sandali a tacco alto con
i lacci
alla schiava e quasi non riconosco la mora con le sottili meches
azzurre che mi
guarda dallo specchio.
“Holly, hai…”
Mi volto, Alex è appena
entrato in camera e mi fissa con gli occhi sbarrati.
“Che c’è? Sto così
male?”
“Al contrario! Sei uno
schianto!
Stai benissimo, sei
bellissima, sei…
Cazzo, ho esaurito le
parole!”
Io sorrido radiosa.
“Ce ne vuole per fartele
esaurire!”
Lui ride.
“In effetti hai ragione,
parlo troppo!
Dai, andiamo ad annoiarci
insieme!”
“Va bene.”
Usciamo dalla villa di
Alex, fa un po’ strano vedere la villa di Jack spenta e
deserta, e saliamo in
macchina.
“Perché hai detto
annoiarci?”
“Perché sarà una noia, ma
devo farlo per lavoro.”
Attraversiamo il traffico
della città degli angeli per arrivare davanti a un costoso
albergo del centro.
Cavolo, io posti così non posso permettermi nemmeno di
sognarmeli la notte!
“È qui che dobbiamo
andare?”
“Uhm, sì. Fa impressione,
vero?”
“In un certo senso. Non
credo di avere mai visto tanto lusso tutto insieme e non siamo ancora
entrati.”
Lascia la macchina a un
parcheggiatore e mi prende sottobraccio, la festa si terrà
al terzo piano,
quindi si dirige verso gli ascensori. L’interno è
ancora più lussuoso
dell’esterno e io devo trattenermi per non fare esclamazioni
meravigliate come
una provinciale qualunque.
È così che chiamano quelle
come me, no?
Arriviamo al terzo piano e
per un attimo mi sembra di essere tornata ad avere tredici anni, quando
mio
padre voleva che venissimo alla festa di Natale che organizzava la sua
banca.
Adesso come allora ero meravigliata ed intimidita da tutto questo
lusso, mi
sentivo un verme in mezzo ad animali bellissimi.
Alex mi dà una leggera
spinta e io entro con lui.
Immediatamente si fa
avanti il manager della band, che sorride vedendomi.
“Oh, Gaskarth! Finalmente
ti sei portato una ragazza!
Iniziavo a pensare che
fossi davvero fidanzato con Barakat!”
“Sempre spiritoso, eh?
Non mi faccia scappare
questa ragazza!”
Io sorrido falsa.
“Come ti chiami?”
“Holly Lynch!”
Rispondo trillando e pensando
a come uccidere quest’uomo e farlo passare per un suicidio.
“Irlandese, eh?
Devi avere un caratterino
tosto per tenere a bada questo ragazzo.”
“Ho un carattere
mediamente normale.”
E Alex non è un ragazzo
tosto, quando sorride sembra incapace di compiere alcun male e poi lo
amo,
punto.
“Come mai Jack non si è
fatto vivo?”
“È a Venezia con la sua
ragazza.”
Il manager beve un sorso
dal suo bicchiere di champagne.
“Ma guarda, ha trovato
anche lui la ragazza capace di fargli mettere la testa a posto.
Come si chiama?”
“Wendy O’Connor.”
“È mia cugina.”
Aggiungo io prima di Alex.
“Siete due cugine
fortunate dunque, ma adesso andate.
Non voglio trattenervi
oltre.”
L’uomo si allontana e Alex
mi porta verso il buffet.
“Spero non ti abbia dato
fastidio il nostro manager, ma è come un padre per noi: deve
sapere tutto
quello che combiniamo.
Ha una costante paura di
dover porre rimedio a qualche casino.”
“Capisco, ha manie di
controllo e io sono la cosa che deve studiare ora.”
Lui alza le spalle e mi
porge un piattino con delle tartine e un bicchiere di champagne, poi mi
porta
verso un divanetto.
Spero di poter mangiare in
pace, ma una voce femminile alta e fastidiosa mi fa alzare gli occhi
dal mio
piatto. Mi trovo davanti una ragazza siliconata dalla testa ai piedi
che mostra
delle generose tette al mio ragazzo e mulina la testa
all’indietro per
liberarsi delle studiatissime onde bionde che ha come capelli.
“Alex, che bella sorpresa!
Avevo proprio voglia di
vederti!”
Gli dice sensuale,
facendogli persino un occhiolino. Io la fulmino e do una gomitata al
mio
ragazzo costringendolo a tornare in sé e a chiarire la
situazione.
“Ehm, temo che non sia
possibile, Rose.
Ti presento Holly, la mia
ragazza!”
“Sarà per la prossima
volta, allora!
Questo scricciolo non può
durare molto accanto a te!”
Si allontana ancheggiando,
Alex mi trattiene dall’inseguirla e riempirla di botte.
“Stai calma, Holly! È solo
una vacca che lavora alla casa discografica e me la sono sbattuta un
paio di
volte prima di stare con te!
Non vale la di prendersela
e incazzarsi, sta calma!”
Io mi guardo attorno
truce, pensando che mi piacerebbe tanto esser in
qualche locale a pogare invece che qui,
studiata a vista come se fossi un animale raro.
Vorrei tanto che dalla
porta entrasse Mark Hoppus e dicesse ad Alex che la sua ragazza
è carina e che
gli ricordiamo lui e Skye da giovani, invece di questa sarabanda di
strani
soggetti che sono increduli all’idea che Alex abbia una
ragazza.
“È che sono stato
tantissimo tempo da solo e sai, quella cosa – il jalex
– aumentava la
chiacchiere, per questo sono tutti così sorpresi.”
Io stringo le labbra in
una linea dura, anzi durissima, ho voglia di spaccare qualcosa e non
credo di
riuscire qui un minuto di più. Non voglio fare qualcosa che
rovini la carriera
di Alex.
“Io me ne vado.”
Dico gelida, abbandonando
il piattino su un tavolino e senza nemmeno finire il mio champagne,
preferisco
la birra e gli ambienti informali, dove la gente non ti parla dietro o
lo fa di
meno.
“Cosa?”
“Me ne vado, Alex! Sono
stufa di essere guardata come se fossi una tigre dai denti a sciabola,
sono
stanca di questi pettegolezzi. Forse non te ne sei accorto, ma io ho
sentito
tantissimi discorsi su me e te e io sono la copertura alla tua
omosessualità.
Bene, mi sono rotta.”
A passo di marcia esco
dalla stanza incenerendo tutti quanti e augurando loro una morte lenta
e
dolorosa, Alex rimane lì.
D’altronde non potevo
certo aspettarmi che mi seguisse, la sua carriera viene prima di me e
di tutto
il resto.
Con un gesto rabbioso mi
tolgo le scarpe e le lancio contro il muro, lasciandole lì,
al loro destino. Se
il principe vorrà seguire Cenerentola avrà due
tracce chiare di dove sia andata
lei.
Finalmente esco da questo
incubo a forma di hotel e chiamo un taxi, di Alex non
c’è traccia, lo aspetto
per cinque minuti, poi dico al taxista di andare.
Mi deposita fuori dalla
villa del mio ragazzo, io entro e
salgo
subito in camera. La prima cosa che faccio è togliermi
questo merdoso vestito,
sono troppo incazzata e finisco per strapparlo in un paio di punti.
Al diavolo!
Mi metto una gonna nera,
una maglia molto scollata con un teschio, calze a rete, anfibi e chiodo
e butto
il contenuto di questa insulsa borsetta da fighetta nella mia capace
borsa a
fantasia scozzese.
Prendo le chiavi della mia
macchina e me ne vado.
Non so dove, in quale
locale sceglierò per sbronzarmi, ma me ne devo andare.
Cosa c’entro io nella vita
di Alex?
Alla
fine scelgo un locale
in una zona poco lontana dal centro, pieno di punkettoni e di gente che
non
farà domande.
Mi metto al bancone e
inizio a bere come una spugna, se ci fosse Wendy con me mi fermerebbe
prima di
diventare completamente ubriaca, ma lei non c’è.
È dall’altra parte del mondo
in una città romanticissima, a godersi la sua sudata favola.
Io invece sono qui con i
miei soliti problemi e le mie paure che si sono moltiplicate non appena
ho
mosso un solo passo nell’ambiente di Alex.
Che merda!
Bevo un altro bicchiere
quando un metallaro con la corporatura di un armadio a quattro ante si
siede
accanto a me.
Inizia a parlare, ma io
non capisco cosa diavolo stia dicendo.
Tutto sommato per ora è
inoffensivo, i miei campanelli di allarme si mettono a suonare quando
allunga
troppo le mani. Tento di togliermele di dosso, ma sono troppo ubriaca e
debole
per uno come lui, cazzo.
Inizio a sudare freddo e
mi viene da vomitare.
“Va via, non voglioo!”
Esclamo a mezza voce.
“Ma voglio io e io sono
più forte di te!”
E – porca puttana – ha
ragione.
Vorrei gridare aiuto, ma
nessuno mi ascolterebbe probabilmente, sono tutti ubriachi come me se
non
peggio.
“Forza, troietta. Vieni!”
Mi afferra per un polso
per farmi scendere dalla sgabello.
“Non voglio, lasciami
stare!”
Lui sta per aggiungere
qualcosa, quando qualcuno parla al suo posto.
“Lasciala stare, non
vuole. Hai capito?”
Alex sta affrontando il
gigante, vorrei dirgli di non farlo, perché ne uscirebbe con
le ossa rotte, ma
l’unica cosa che riesco a fare è vomitare e poi
perdere conoscenza.
Mi risveglio la mattina
dopo nel letto che io e Alex dividiamo a casa sua, ho un mal di testa
allucinante e mi sento triste.
Forse la mia vita è quella
di Alex non sono destinate a intrecciarsi, ieri sera è stato
un disastro totale
e spero che lui non sia troppo pesto. Non me lo perdonerei mai se
avesse
qualche livido addosso per colpa mia.
Mi metto le mani tra i
capelli e scoppio a piangere come una bambina che vede il suo sogno
infrangersi.
Proprio in questo momento
entra Alex con la colazione e un bicchiere di aspirina. Appoggia tutto
sul
comodino, si siede sul letto e mi abbraccia sussurrandomi che
andrà tutto bene.
Io scuoto la testa, lui mi
asciuga le lacrime.
“Io e te viviamo in mondi
troppo diversi, ieri sera è stata un disastro.
Forse non sono la ragazza
giusta per te, dovresti trovarti una come Rose che sa come muoversi tra
tutti
quegli stronzi.
Io non ci riesco e non
voglio rovinarti la carriera.”
Lui mi alza il volto, noto
con sollievo che ha solo un occhio un po’ gonfio.
“Holly!”
Il tono della sua voce è
fermo.
“Tu vuoi ancora stare con
me?”
“Sì, ma se non fosse la
cosa giusta per te?”
Lui sbuffa.
“Solo io so cosa è giusto
e cosa è sbagliato per me e per me è giusto che
tu rimanga la mia ragazza.”
Lui si ferma un attimo e
poi riparte.
“Sei la prima persona che
ho visto esprimere le proprie opinioni fregandosene di quello che
potevano
pensare gli altri.
Non ti porterò più alle
feste che, tra parentesi, non piacciono nemmeno a me, ma possiamo fare
altro.
Possiamo essere come due
ragazzi normali ed è la cosa che mi piacerebbe di
più, capisci?
Con te sono me stesso,
posso essere il coglione o una persona che, come tutti, ha i suoi
problemi.
Per favore non mi
lasciare.”
Dai miei occhi cadono
ancora un paio di lacrime.
“Non lo farò, odio vederti
soffrire perché ti amo.”
“Ti amo anche io e insieme
supereremo anche questa.”
Mi lascio abbracciare di
nuovo, ma questa volta sono più serena e il futuro mi sembra
meno brutto.
“Ehi, piccola. Ti avevo
portato la colazione, meglio mangiarla o si
raffredderà.”
Ci stacchiamo e cominciamo
a mangiare quello che ha portato.
“Alex?”
“Sì?”
“Sei un tesoro.”
“Grazie. Promettimi una
cosa.”
“Cosa?”
Lui mi guarda
intensamente.
“Non ubriacarti mai più
così.”
Io annuisco.
“Te lo giuro
solennemente!”
Lui mi abbraccia e mi
bacia di nuovo come a siglare una promessa solenne tra di noi.
Forse il mondo non è poi
così brutto e per noi c’è ancora
speranza.
Angolo di Layla.
Ringrazio Mon per la
recensione, io amo la storia e i fantasmi, ma pensavo di essere stata
piutttosto noiosa nel descriverli perché nessuno ha
commentato. Amo anche Venezias.
Grazie mille per la recensione!
|
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Capitolo 17 *** 16) The only proof that i need is you ***
16) The only proof that i
need is you
Wendy
p.o.v
L’ultimo
giorno di vacanza
viene salutato dal sole brillante di Venezia.
Ci rimangono ancora due
cose da visitare: il cimitero e Murano.
Girando per i negozietti
io ho già preso qualcosa per Holly e Jack qualcosa per Alex:
un’orribile
vestaglia a fiori in un negozietto inquietante pieno di manichini
stranissimi.
Io lì dentro sono riuscita
a starci solo cinque minuti, il mio ragazzo per una mezzoretta, lui
solo sa
come. Forse io posso passare ore in cimiteri, ex manicomi, case
disabitate e lui
ore in strani negozi con i manichini di cui non si indovina il sesso,
scuro,
pieno di vestiti orribili.
Il cimitero è molto bello,
vista la giornata di sole non fa eccessivamente paura e sento che le
presenze
oggi sono solo di sottofondo, non si faranno sentire. Forse anche
perché la
nostra è una comitiva grande e rumorosa, anche troppo,
alcune persone non si
curano affatto di dove sono e continuano di parlare di cose come
l’ultimo
vestito che si sono comprate, della tal festa e altre stronzate simili.
Come se ai morti
interessasse questa roba!
Jack coglie le mie
occhiatacce e se la ride, pensando probabilmente che sono una strana
ragazza e
ha ragione, dannatamente ragione.
Finito il giro del cimitero,torniamo
in hotel e mangiamo.
Alle due abbiamo un
vaporetto che ci porterà a Murano, un’isola dove
creati prodotti magnifici in vetro da secoli, forse posso
trovare qualcosa che vada bene per
casa nostra, mi dico con lo sguardo critico dell’arredatrice
che c’è in me.
Murano mi sembra piccola e
la fornace in cui viene lavorato il vetro soffocante, ma vedere come
qualcosa
di incandescente e amorfo diventi poi qualcosa di straordinariamente
elegante
come il vaso lungo e sottile ottenuto una volta finita la lavorazione.
Ne compro uno anche io
pensando che all’ingresso non starebbe male, darebbe un tocco
più elegante, ma
non troppo lussuoso. Potremmo metterci dei fiori, ma finti sono
pacchiani e né
io né Jack abbiamo il pollice verde, ergo potrei metterci
quelle lucine che
sono fissate su supporti lunghi e sottili.
Non sarebbe male.
Sono così immersa nelle
mie riflessioni che se Jack non mi strattonasse violentemente il
braccio
probabilmente rimarrei su questo vaporetto per altri venti giri.
“A cosa stavi pensando?”
“A dove mettere il vaso e
a cosa metterci dentro.”
“Non so perché tu l’abbia
preso.”
Io sbuffo.
“Perché pensavo avrebbe
dato un tocco più elegante a casa, senza essere troppo
lussuoso.”
“Bah, se lo dici tu.”
“Non ti piace?”
“No, è che… boh….”
Io rido.
“Volevi una mano femminile
in casa?
L’hai ottenuta gratis!”
Scherzo io.
“L’importante è che tu non
mi faccia mettere le pattine, Wen.
Quegli stracci mi fanno
diventare matto.”
Nella mia mente si forma
l’immagine di Jack che tenta di pattinare sulle pattine per
mantenere
l’equilibrio sul pavimento appena lucidato con la cera e
finisce per andare a
sbattere contro un pilastro.
Inizio a ridere in maniera
convulsa, tanto che lui mi guarda senza capire, forse pensa che stia
impazzendo
e forse non ha tutti i torti.
“Cosa diavolo ho detto di
così divertente?”
“Niente. È che mi sono
immaginata tu che tentavi di pattinare sulle pattine sul pavimento di
casa
nostra appena lucidato con la cera e finivi stampato contro un
pilastro.”
Lui alza un sopracciglio.
“Non vedo cosa ci sia di
divertente.
Il mondo perderebbe un
grande chitarrista!”
Conclude in modo
melodrammatico, quindi anche lui sta ridendo sotto i baffi per quello
che gli
ho raccontato.
“Comunque, Jack non ti
preoccupare, non ti costringerò a mettere le pattine.
È solo un vaso, nulla di
più.”
Lui annuisce, sollevato.
“Dai, non avrai davvero
pensato che fossi una ragazza da pattine?”
Lui ride.
“No, non l’ho pensato e ho
il sospetto che se continuo così quel vaso finirà
sulla mia testa e non da
qualche parte a casa Barakat.”
“Sei perspicace!”
Lo prendo per mano e
andiamo insieme al hotel, chiacchierando e ridendo, la vicenda del vaso
è stata
accantonata.
Chissà se ci fermeremo
anche a Milano?
Probabilmente no, sarebbe
chiedere troppo al destino che mi ha concesso già molto
mandandomi Jack sulla
mia strada.
Arrivati in hotel, saliamo
in camera per fare la doccia e cambiarci per la cena, adesso ho
imparato a
fregarmene delle occhiate della gente presente in sala.
Per loro probabilmente non
sarò mai degna di varcare quella soglia e camminare nel
salone, ma se sono qui
significa che posso alla faccia loro.
Mentre Jack sta guardando
la tv penso a cosa mettermi, alla fine decido di indossare una
camicetta bianca
a pois rossi, una gonna rossa e i tacchi, almeno per la sala li devo
sfoggiare.
“Odio i tacchi, Cristo!”
“Perché te li metti
allora?”
“Per gli aristocratici del
piano di sotto.”
Rispondo annoiata, per poi
buttarmi sul letto – senza tacchi – accanto a Jack
che mi attira a sé.
“Gli aristocratici: bella
come definizione.
Sembrano proprio una casta
in cui devi fare una prova di iniziazione per farne parte.”
Io alzo le spalle, faccio
saltare una pallina magica che ho preso nel pomeriggio.
“Non mi interessa farne
parte, conosco il loro mondo perché è il mondo di
mio padre e di mio fratello.
Se hai i soldi conti, altrimenti no.
E poi devi essere
conformato, se non hai frequentato le scuole giuste, devi fare in modo
che ci
vadano i tuoi figli,devi vestirti con capi che valgono quanto la paga
di un
operaio.
Devi essere sempre
sorridente e sparlare alle spalle.
No, non è il mio mondo.
Mio padre – almeno per
giustificare la mia presenza a casa sua – ha provato a farmi
inserire, ma non
ce l’ha fatta. Io continuo a rimanere la ragazza delle
roulotte che sa
scassinare una cassaforte o far saltare un sistema di allarme senza che
se ne
accorga la polizia, ma che non sa distinguere la forchetta giusta per
il
pesce.”
“Capisco. Beh, nemmeno io
so qual è la forchetta giusta per il pesce e mai lo
saprò, temo.
Sono solo un povero
chitarrista.
Cosa ne dici se scendiamo
a mangiare e poi ci godiamo un’ultima notte a
Venezia?”
Io sorrido.
“Dico che è una fantastica
idea.”
Ci alziamo dal letto, è
inutile rimuginare sul passato ora, meglio godersi questi ultimi attimi
di
felicità fuori dal tempo.
La sala è affollata come
al solito e c’è qualche occhiataccia come al
solito, io e Jack le ignoriamo e
aspettiamo che ci servano la cena.
Servono una deliziosa
pasta alle vongole e un fritto misto di pesce, una cena da re per noi,
per me
almeno.
Dopo essere salita in
camera per sostituire le scarpe a tacco alto con un paio di
più pratici anfibi
e aver recuperato la mia giacca di pelle scendo da Jack, mollemente
seduto su
uno dei divani della hall.
“Sono pronta, se vuoi
andare!”
“Andiamo.”
Usciamo mano nella mano e
raggiungiamo piazza San Marco, anche se ormai è notte
è comunque animata dai
caffè, Jack propone di entrare in uno, io accetto.
Entriamo in un
meraviglioso locale settecentesco e beviamo un ottimo caffè,
è un posto
incredibile, in America non ne vedrò mai uno simile, non uno
in cui si sente
così tanto il peso del tempo e delle persone che sono
passate prima di te e
hanno discusso.
“Bello, vero?”
Mi chiede Jack sottovece
prima di andarcene.
“Meraviglioso.”
Dalla piazza ci mettiamo a
gironzolare per le varie calli mano nella mano, sotto la voce della
luna, è una
cosa semplice, ma mi emoziona. Lo trovo bello e romantico e mi lascio
felicemente sommergeredalla chiacchiere di Jack sulla sua infanzia e
sulla
band.
Lo interrompo solo quando
arriviamo in un cortile particolarmente bello per baciarlo.
“Bel modo di interrompere
la mia logorrea!”
“Uhm, qualcosa dovevo pur
fare, anche se mi piace sentirti parlare.”
Lui sorride e nota una
piccola pietra scintillante sul pozzo al centro della piazza, la
raccoglie e me
la consegna.
“Grazie.”
“Prego. Cosa ci
ricorderemo sempre di Venezia e di questa piazza.”
Io sorrido e le faccio
scivolare in tasca.
“Sì, hai ragione, grazie.”
Riprendiamo a camminare
con la luna come guida e fregandocene del fatto che potremmo perderci o
esserci
già persi, è troppo bello camminare qui, con la
calle che a volte finisce in un
canale.
La
mattina dopo è un po’
meno bello.
La passeggiata notturna è
durata a lungo e non siamo riusciti a preparare i bagagli, cosa che
facciamo
adesso di corsa, assillati dalla paura di perdere il treno e poi
l’aereo. Io
ficco le cose a caso nella valigia e lo stesso fa il mio ragazzo.
Scendiamo per fare
colazione e poi – dopo aver saldato il conto –
scendiamo con le valige e ci
avviamo a passo spedito verso la stazione.
Il treno per Milano lo
prendiamo per un soffio, con le nostre valige arranchiamo stancamente
verso i
nostri posti e poi ci buttiamo sopra senza un minimo di classe.
Sembriamo due
barboni, ma chi se ne frega.
Ci addormentiamo entrambi
e solo per un miracolo riusciamo a scendere a Milano prima che il treno
riparta, corriamo in aeroporto perché ovviamente siamo in
ritardo per il volo.
Riusciamo comunque a prendere il nostro volo per Los Angeles.
Siamo di ritorno, America!
“Madonna, credevo proprio
che non ce l’avremmo fatta!”
Esclama Jack a corto di
fiato, accasciato sul sedile.
“Nemmeno io, pensavo che
ci sarebbe toccato prendere un altro aereo.”
“Però ne è valsa la pena!”
“Se ti riferisci a ieri
sera, sì. Ne è valsa la pena per Venezia e per il
dopo!”
Lui mi prende la testa tra
le mani e passa il pugno sui capelli ridendo.
“Ma ci stiamo sciogliendo,
Wen!
Sono tanto felice.”
“Se vivi vicino al fuoco,
prima o poi ti sciogli.”
Gli rispondo sorridendo.
Lui non dice niente, ma
cerca di farmi accomodare tra le sue braccia.
Penso che non glielo direi
nemmeno sotto tortura, ma la sue braccia sono diventate casa mia ormai,
sono
l’unico posto dove mi sento davvero protetta e dove so che
nessuno mi potrà
fare male.
“Che ne dici di farci una
dormita, Wen?”
“Sì, sai che mi è appena
venuta in mente una cosa?”
“Cosa?”
“Che i Jack e Wendy più
famosi del mondo sono quelli di Shining.”
“Cristo!”
Esclama lui.
“Non ho intenzione di
rincorrerti con un ascia, stai tranquilla.
Sono troppo pigro e tu
dovresti guardare meno horror.”
“Ma Shining è bellissimo!”
“Sì, Wendy, ma adesso
dormi, ok?”
Io annuisco e poco dopo
dormo con la testa appoggiata alla sua spalla.
È stata davvero una
vacanza bellissima, gliene sono grata, senza Jack non avrei mai potuto
visitare
Venezia, gli devo davvero un sacco di cose.
Sono stata fortunata ad
averlo incontrato e che lui sia innamorato di me e viceversa,
ovviamente.
Che bella la vita.
Mi
sveglio e un’occhiata
dalla finestra mi fa capire che siamo in volo sopra l’oceano:
vedo solo nuvole
bianche e una distesa infinita di acqua azzurra.
Jack dorme ancora e io lo
lascio stare, ho il sospetto che abbia bisogno di riposare in vista di
domani,
per via delle registrazioni.
Si impegna molto per
questo cd, visto da fuori sembra un coglione in realtà
è un tizio abbastanza
responsabile e che non perde quasi mai la calma. Avere Alex sempre
intorno deve
averlo temprato.
Non importa.
Questo paesaggio mi
rilassa molto.
Bianco, azzurro, blu. Blu,
bianco, azzurro.
E mano a mano ci
avviciniamo a Los Angeles, la città degli angeli, e alle
nostre occupazioni:
registrare lui, cercare di far guarire questa mano maledetta io.
La riabilitazione sta
andando abbastanza bene, ma ci vorrà ancora un po’
prima che io possa
riprendere a tatuare e il mio negozio mi manca da morire.
Ogni tanto ci vado, ma mi
rende triste vedere qualcuno tatuare, per quanto Bryan sia bravo e non
mi possa
lamentare di nulla.
Alzo la mia mano fasciata
e sospiro.
Non vedo l’ora di vederla
libera e di muoverla a mio piacimento, mi sento così
impotente.
Jack si sveglia e nota la
direzione del mio sguardo.
“Guarirà, non ti
preoccupare, piccola.”
“Lo spero, ci sono tanti
sogni riposti su questa mano, tante cose che voglio fare.”
“Le farai tutte, quella
mano tornerà come prima.”
Me la accarezza piano.
“L’importante è che tu sia
ancora qui. Quando ti ho vista in un lago di sangue ho pensato
seriamente che
ti avevo perso senza nemmeno provare a chiarire ed è stato
orribile.”
“Mi dispiace di averti
trascinato in tutto questo. La mia famiglia non è facile, io
non sono facile e
forse meriteresti una ragazza più normale.”
Lui scuote la testa.
“Io non mi merito una
ragazza migliore, tu sei assolutamente perfetta così come
sei e non voglio fare
cambio con nessuno. Scordati di liberarti di me.”
Io sorrido.
“Non voglio liberarmi di
te.”
“Perfetto. Su questo punto
vediamo che concordiamo, adesso dai solo fiducia alla tua mano e a chi
la sta
curando.”
“Ok. Hai ragione.”
“Così ti voglio!”
Sbadiglia apertamente e si
guarda attorno.
“Cosa cerchi?”
“L’hostess che passa con
il carrello, vorrei un caffè e magari qualcosa da
mangiare.”
“Passerà.”
Poco dopo passa e ci
compriamo due caffè e due muffin, l’oceano intanto
scorre tranquillo sotto di
noi e il cielo è sereno.
“Hai voglia di tornare a
Los Angeles?”
“Non particolarmente, ma
devo registrare e poi mi mancano un po’ i miei amici, sto
cercando di non
pensare a come Alex avrà ridotto casa mia.”
Io rido.
“Io credo che la troverai
in buone condizioni.”
“Sai qualcosa che io non
so?”
Mi chiede guardandomi
negli occhi.
“Forse sì, forse no.
Dovresti pagarmi per quest’informazione.”
Lui inarca un
sopracciglio.
“Un bacio va bene?”
“Basta che sia sentito…”
Sorridendo si lancia sulle
mia labbra e fa partire una lotta senza quartiere tra le nostre lingue,
che ci
lascia ansanti e sorridenti.
“Allora?”
“Holly mi ha scritto che è
riuscita a convincere a far andare Alex a casa sua con lei.”
“Convivono?”
La sua bocca forma una O
perfetta.
“Ci stanno provando.”
“Dio santo, non me lo
sarei mai aspettato da Alex. Il piccolino sta crescendo!”
“Ma se il piccolino è più
grande di te!”
Gli dico ridendo.
“Ma rimane sempre il
piccolino per me.”
“Come sei tenero!”
Gli passo le nocche sulla testa
tenendolo fermo per il collo.
“Ahia! Adesso sono io a
reclamare un bacio!”
Io lo bacio con tutta la
passione che ho addosso, questo lo calma e poi mi fa appoggiare sul suo
petto.
“Ah, non vedo l’ora di
prenderlo in giro.”
“Pf! Come sei spietato!”
“Dai, non sono occasioni
che capitano tutti i giorni!”
“Basta che non esageri, lo
sai che ci tiene al giudizio.”
Lui rimane un attimo in
silenzio.
“Hai ragione, a volte
penso che tu sia un po’ gelosa del nostro rapporto.”
“È che certe volte mi
sento completamente tagliata fuori dai vostri discorsi che non posso
fare a
meno di chiedermi se Dio abbia deciso di mandare di nuovo sulla mia
strada uno
… uno come mio
fratello, ecco.”
Lui sorride.
“Lo sai che non è così, ne
abbiamo parlato tante volte. So che a volte possiamo dare
quell’impressione, ma
non lo siamo, siamo solo amici e spesso abbiamo condiviso cose che sono
solo
nostre. Dare soprannomi alle persone per esempio, figuracce fatte
insieme,
scherzi organizzati ai danni della band.”
“Capisco.”
“Ho il sospetto che sarai
definitivamente convinta di quello che dico solo quando uno di noi due
porterà
una fede al dito.”
Io arrossisco fino alla
radice dei capelli.
“Io… io
non volevo farti nessuna pressione in quel
senso!”
“Tranquilla, lo so.
Wen, stai bene?
Sei rossa come un
peperone.”
Io non gli rispondo e
guardo fuori dall’oblò, pensando che essere la
signora Barakat non sarebbe
male, ma che non succederà mai.
Non credo sarò io la donna
che sposerà, si merita una ragazza che non gli dia
continuamente dei problemi e
che sia abituata a muoversi ai ricevimenti della casa discografica. Io
non sono
nessuna delle due, sono solo…io.
“Wen?”
“È che ho paura di
rimanere da sola perché so che sul lungo tempo non
reggeremo.”
Lui mi prende una mano tra
le sue.
“ Ce la faremo e smettila
di pensare che non sei adatta a me. Sono un ragazzo normale, non un
principe e
non c’è bisogno di particolari requisiti per stare
con me, solo uno.
Devi amarmi, poi va tutto
bene.
Sono un tipo calmo, non
pretendo la luna, sembro anche scazzato a volte e sono pigro e ho
bisogno di
una ragazza che non mi faccia pesare questi difetti e magari mi aiuti a
coltivarli.
Io vorrei che fossi tu, mi
piace trascorrere del tempo in tua compagnia, non ci si annoia mai e mi
diverto.
Mi ami, Wen?”
Io annuisco tra le
lacrime.
“Sì, sì, sì. E scusa per
tutte le paranoie!”
“Se ti vengono, significa
che ci tieni a me.”
La sua risposta mi fa
sorridere, ora sono pronta ad affrontare di nuovo L.A. e la vita di
tutti
giorni, perché – fisicamente
o no – sarà
sempre al mio fianco.
Angolo di Layla.
Spero abbiate passato un otto
dicembre migliore del mio, perché io l'ho passato
abbracciata a un secchio per vomitare allegramente.
Ringrazio _redsky_ e Mon per le
recensioni.
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Capitolo 18 *** 17) All the small things. ***
17) All the small things.
Dopo
non so quante ore di
aereo finalmente atterriamo a Los Angeles.
Recuperiamo i nostri
bagagli e ci dirigiamo agli arrivi internazionali, speriamo che
qualcuno venga
a prenderci.
Una mano di un’alta figura
conosciuta si fa viva e muovendoci tra la folla ci troviamo davanti
Alex e
Holly, sono sorridenti e felici.
“Allora piccioncini, come
è andata la vostra vacanza a Venezia?”
“Non te lo dirò fino a che
tu non mi dirai come è andata la tua convivenza con Holly,
Alex!”
Jack lo acchiappa per il
collo e sfrega le nocche sulla testa del suo amico, esattamente come
avevo
fatto io con lui.
“Ma che pettegolo! Invece
di essere felice che non mi sono appropriato di casa sua vuole sapere i
fatti
miei, ma ti sembra giusto, Holly?”
“Per niente!”
Mia cugina cerca di
buttare per terra Jack, ma non ci riesce, lui è troppo
pesante per lei.
“Ma guarda, che forza ha
sviluppato Holly a forza di stare con te.”
“Holly, andiamocene e
lasciamoli qui loro e i loro bagagli.”
Alex prende Holly per mano
e finge di andarsene.
“No, dai! Stavamo
scherzando!”
I due tornano indietro
praticamente piegati in due dalle risate. Dopo questo siparietto,
finalmente
Alex prende le mie valige e usciamo dall’aeroporto.
Ormai è marzo e la primavera
californiana ci accoglie benevola con un sole e delle temperature
gradevoli, io
alzo le braccia al cielo.
“Che bello! Un po’ mi
mancava casa!”
“Ma se volevi trasferirti
a Venezia alla ricerca di tutti i fantasmi del luogo.”
Mi prende bonariamente in
giro il mio ragazzo.
“E ne avete visto
qualcuno?”
Gli occhi di Holly
scintillano di curiosità.
“Un paio e abbiamo sentito
una voce che ci diceva di andare via in un vecchio manicomio.”
Mia cugina batte le mani
soddisfatta.
“Come siete fortunati! Io
non ne ho mai visto uno!”
Alex rabbrividisce dietro
Holly e io le faccio cenno di tacere, forse ha detto qualcosa di
sbagliato e
l’occhiata di Jack me lo conferma.
Durante il viaggio nessuno
apre bocca e Alex ci lascia a casa nostra, aiutandoci con i bagagli
sempre in
silenzio.
“Holly ha detto qualcosa
di sbagliato, vero?”
Chiedo a Jack.
“Sì, all’incirca. Credo
che ad Alex sia venuto in mente suo fratello.”
“Mi dispiace, non volevo
farlo stare male.”
“È colpa mia. Avrei potuto
evitare la battuta sui fantasmi. Sono sicuro che gli passerà
presto.”
“Spero anche io.”
Ormai mi sono affezionata
anche a lui e non voglio che soffra.
“Va beh, non possiamo
farci nulla ormai. Quel che è stato detto è stato
detto, cosa ne dici se
iniziamo a sistemare questo casino?”
“Mmh, sì. Così sistemiamo
il famoso vaso.”
Lui impallidisce e io
rido.
“Non fare quella faccia,
ho promesso niente pattine e sarà così.”
Lui tira un plateale e
fintissimo sospiro di sollievo.
Io rido e salgo al piano
di sopra tirandomi faticosamente dietro la mia valigia, bisogna mettere
da
lavare i panni sporchi e all’aria il resto.
Inizio e in un’ora ho
finito e io e Jack ci contendiamo scherzosamente il primato della
doccia, alla
fine vince lui, io lo seguo.
Finito, l’idea sarebbe
quella di rilassarci sul divano, ma il suono del campanello ce lo
impedisce,
Jack va ad aprire e sento le voci di Alex e Holly e quella di mio
fratello.
Mi alzo ancora insonnolita
e abbraccio tutti, Alex e Holly sembrano aver archiviato la battuta
infelice di
lei e mio fratello sprizza gioia da tutti i pori.
“Allora, ragazzi, come è
andato il weekend?”
“Meraviglioso, Venezia è
una città fantastica, dovete visitarla.
Volete qualcosa da bere?”
Annuiscono e io vado in
cucina, torno con dell’acqua, coca e aranciata e i bicchieri,
ovviamente su un
vassoio.
“Allora, raccontateci
qualcosa!”
Descriviamo piazza San
marco, le calli, i canali, i vari sestieri, i cortili su cui si
affacciano le
case con un pozzo al centro.
“Holly mi ha detto che
avete visto anche un paio di fantasmi. Felice, Wen?
Così forse smetti di
violare le proprietà altrui per vederli.”
“Nah, Andy non contarci,
non rinuncerò al mio hobby.
Venezia è una città
speciale, magica, in cui senti tutto il peso dei secoli e in cui quasi
tutto è
possibile.
In ogni caso li abbiamo
visti.”
“Forza, racconta, Wen!”
Io guardo Alex, lui mi fa
cenno di proseguire.
“No, niente.
Io e Jack stavamo tornando
al hotel una sera quando ho visto una ragazza vestita alla moda
settecentesca
seduta su uno dei pozzi e l’ho inseguita. Ha corso per un
po’ di calli, con
Jack dietro di me piuttosto scettico e alla fine si è
diretta in un altro
cortile.
Lì si è baciata con un
ragazzo, anche lui fantasma.
Una vecchietta ci ha
raccontato che sono i fantasmi di due amanti, lei ricca e nobile, lui
povero.
Quando la famiglia di lei si è accorta della tresca li ha
uccisi entrambi.
E questo è il primo
fantasma.”
“Il secondo?”
“Beh, per il secondo dovrai
tapparti le orecchie per la parte sul violare le altrui
proprietà.”
Lui sbuffa.
“Jack, come fai a
sopportarla quando va in questa modalità?”
Il mio ragazzo ride.
“Non so, mi diverte vedere
cosa è in grado di combinare quando il suo amore per il
macabro raggiunge certi
picchi!”
Mio fratello scuote la
testa.
“Avanti, racconta!”
“Beh, eravamo all’isola di
San Clemente. Su una parte è stata costruita una spa per
ricconi, ma c’è anche
una parte che teoricamente non è aperta al pubblico in cui
ci sono una chiesa e
un pezzo di manicomio.
Quando siamo sbarcati dal
vaporetto ci siamo allontanati dal gruppo e ci siamo diretti
lì, siamo entrati
in chiesa e io ho rimediato questo.”
Mostro a tutti il
vecchissimo rosario di perle nere che ho trovato.
“Dopo la chiesa siamo
entrati nel manicomio, io avevo preso una cassetta per forzare qualcosa
se ce
ne fosse stato bisogno, ma fortunatamente abbiamo trovato una porta che
ha
ceduto solo con una forcina e ci siamo fatti un giro dentro.”
“Sempre la solita.”
Borbotta Andrew.
“A un certo punto abbiamo
sentito una voce che ci intimava di andarcene e alla prima finestra
rotta ce la
siamo filata, sia mai che il fantasma si arrabbiasse.”
Mio fratello ride, ma
smette subito davanti alle nostre facce serie.
“Ok, ok, non rido.
Wen, non so come tu faccia
a ficcarti sempre in queste situazioni.”
“Lo dici come se mi
ficcassi in situazioni pericolose.”
“Un po’ lo sono, un giorno
ti cadrà un tetto in testa.”
“Non esagerare.”
“Jack, tienila d’occhio.”
Il mio ragazzo annuisce
solennemente, io sbuffo.
Fortunatamente poi la
conversazione si sposta su altri argomenti e arriva l’ora di
cena.
“Raga, dobbiamo mangiare.”
“Ordiniamo pizza per
tutti?”
Chiede Jack alzandosi in
piedi.
“Ok.”
Tira fuori il suo
smartphone e compone il numero della sua pizzeria preferita, ordinando
varie
cose, poi si risiede sul divano e beve soddisfatto un sorso di coca.
“Sto per mangiare una pizza
con la mia ragazza e con i miei migliori amici. Cosa posso chiedere di
più?”
“Un paio di pattine?”
Lui sbianca e scoppio a
ridere.
“Dai, Jack, prima che
arrivi la pizza distribuisci i regali.”
Lui annuisce, estrae una
vestaglia a fiori terribile per Alex, che è indeciso se
accettarla o strozzarci
il suo amico e un braccialetto fatto con le murrine a Murano.
Io invece do a mio
fratello un ciondolo con una murrina con incisa la sua iniziale dorata
su
sfondo blu, a Holly una sciarpa sui toni del nero e del viola e una
maglia
dell’hardrock caffè ad Alex che la apprezza di
più della vestaglia.
Poco dopo suona il
campanello e il fattorino ci consegna le pizze, mettendo fine a
qualsiasi
discussione sul perché Jack abbia portato ad Alex una
vestaglia così brutta e
fondamentalmente inutile.
Verso
le dieci siamo stesi
a letto, finalmente soli.
I nostri amici e mio
fratello se ne sono andati e solo ora posso rilassarmi tranquillamente
appoggiata la petto di Jack, che mi accarezza i capelli.
“Che giornata stressante!”
“Sì.
Uhm, cerca di rilassarti
che domani hai le registrazioni.”
“Qui qualcuno è già bello
rilassato.”
“Adoro quando mi accarezzi
i capelli.”
“E se provassimo a fare il
contrario.”
Io annuisco, mi alzo e
lascio che sia Jack a stendersi su di me, la testa quasi tra i miei
seni.
Inizio lentamente ad accarezzargli i capelli soffermandomi sul
tatuaggio che ha
sul braccio.
In un attimo lo sento
rilassarsi e lo vedo sorridere felice.
“Sai, rilassa davvero!”
“Lo so.”
Gli rispondo dandogli un
bacio sulla tempia.
“Cerca di dormire, io
domani posso stare relativamente tranquilla, tu devo concentrarti per
le
registrazioni.”
“Uhm, vero. Tu cosa devi
fare domani?”
“Riabilitazione.”
“Occhio al dottore!”
Mugugna lui.
“Sì, Jack. Ma perché hai
portato un regalo così orribile ad Alex.”
Lui scoppia a ridere.
“Perché mi andava. Non so,
ero curioso di vedere che faccia avrebbe fatto.”
Io rido.
“Stai attenta al dottore,
comunque. Se ci dovesse provare cosa faresti?”
“Gli tirerei un calcio
nelle palle, probabilmente.”
“Così mi piasci.”
Biascica prima di
addormentarsi di colpo, io avvolgo il suo corpo con le mie braccia e
appoggio
la mia testa sulla sua.
“Auguri mio amore e
salvatore.”
Poco dopo dormo anche io,
non accorgendomi del sorriso che aleggia sulla bocca di Jack che ha
sentito
tutto.
Ma mattina dopo veniamo
svegliati dal rumore della sveglia, un giorno quell’oggetto
odioso farà una
bruttissima fine, giuro!
Jack si trascina in bagno,
io scendo a preparare la colazione per tutti e due, io
uscirò di casa dopo di
lui visto che sarà Andy ad accompagnarmi dal medico.
Un quarto d’ora dopo
scende con addosso solo i jeans e gli occhi gonfi di sonno, mi avvicino
furtiva
e gli do un bacetto.
“Uhm, sembra quasi che io
sia riuscito nella mirabolante impresa di ammaestrare Gwendolen
O’Connor!”
Le mie guance diventano
rossissime all’istante e mi allontano da lui come se mi
avesse dato la scossa,
lui mi prende per un polso.
“Ehi, scusa! Non volevo
metterti a disagio.”
“Il punto è che hai
ragione e la cosa mi spaventa un po’ se la vedo sulle lunghe
distanze, capisci?
Ho bisogno di viverla
giorno per giorno per accettarla e non considerarla come un sogno
meraviglioso
o una parentesi.”
Lui mi sorride e mi
accarezza una guancia.
“Fai come meglio credi.
Adesso vediamo cosa c’è
per colazione.”
Gli occhi gli si
illuminano.
“Crepes alla nutella e
pancakes allo sciroppo d’acero! Che meraviglia!
Grazie mille!”
“Prego, figurati.
Spero che ti piacciano!”
“Ne sono sicuro!”
Si mette a sedere al
tavolo della cucina e parte all’attacco delle crepes, dopo
essersi versato un
dose generosa di caffè e latte in una tazza, mugugnando
felice.
Ok, non è educato
mugugnare mentre si mangia, ma so che è il suo eccentrico
modi di dirmi che
trova quello che ho cucinato decisamente buono.
Mi siedo anche io e presto
sul tavolo non rimane più nulla.
Lui si alza, mi dà un
bacio veloce e corre a finire di prepararsi e poi mi dà un
altro bacio prima di
andare.
È una routine tranquilla
di cui mi sento davvero parte e
che mi
rende davvero felice.
Spero e prego il Signore
con tutta me stessa che duri e che lui non mi venga strappato via, come
è
successo con Jimmy, perché non
credo che
sarei in grado di sopportarlo un’altra volta.
Mi alzo pigramente dal
tavolo della cucina per sistemare la cucina e cambiarmi, alle nove
arriva mio
fratello e ci dirigiamo lentamente verso l’istituto dove
farò la
riabilitazione.
Andrew è impressionato
dalla struttura e senza Jack fa un po’ impressione anche a
me, più che altro mi
sento una formichina in un posto immenso.
L’infermiera mi accompagna
alla palestra, Andy rimane fuori e trovo solo il dottore dentro che mi
sorride
cordiale.
“Buongiorno, signorina
O’Connor.”
“Buongiorno, dottor
Warren.”
Iniziamo subito con la
terapia, sembrerebbe che tutto vada bene, se non che lui allunga un
po’ troppo
le mani in zone proibite – tette e culo – piuttosto
lontane dalla mano.
Mentre è impegnato in una
di queste manovre gli assesto un calcio ai gioielli di famiglia che lo
fa
accasciare a terra con le lacrime agli occhi.
“Non ci provi mai più o le
darò un altro calcio e lo dirò al mio ragazzo che
potrebbe anche tagliarle il
suo prezioso uccello, capito?”
L’uomo annuisce e si tira
faticosamente in piedi.
“Ah, e ho un fratello
nell’esercito che mi aspetta proprio qui fuori.”
“Va bene, signorina
O’Connor, messaggio recepito.”
Il dottore si alza e
lavora in modo ineccepibile fino alla fine dell’ora che
avevamo concordato, poi
mi accompagna e mi riconsegna sorridente a mio fratello.
Ci allontaniamo insieme,
lui sembra perplesso.
“Prima ho sentito il
rumore di qualcuno che cadeva, è successo
qualcosa?”
Io rido.
“Il dottore è inciampato
ed è caduto.”
Lui sospira di sollievo.
“Ah, pensavo che ti avesse
fatto qualcosa. Jack mi ha detto di tenerlo d’occhio.
Non mi stai mentendo,
vero?”
“Ti dirò la verità se non
la dirai a Jack.”
Lui si scurisce subito.
“Va bene, non glielo
dirò.”
“Mi toccava in punti che
con la mano non c’entravano nulla e io gli ho mollato un
calcio nelle palle.”
“Che bestia! Vorrei
tornargli indietro e rifargli la faccia.”
“Rischieresti una denuncia
per nulla, credo che non lo farà più.”
“L’hai sistemato per bene,
eh?”
Io rido.
“Penso di sì.”
Usciamo dalla struttura e
ci infiliamo in macchina.
“Dici che è una buona idea
fare un’improvvisata a Jack allo studio?”
“Perché no?”
“E se lo disturbassi?”
“Non penso.”
“Va bene, andiamo da lui.”
Dico alla fine, sperando
di non pentirmene.
Arriviamo alla Hopeless
Record, Andy parcheggia, poi partiamo alla ricerca degli All Time Low,
li
troviamo subito per fortuna.
Jack mi saluta con un
bacio, Alex mi abbraccia, Zack e Rian mi stringono la mano sorridenti.
“Loro due ti considerano
l’autrice di un miracolo.”
Io guardo Jack senza
capire.
“Che miracolo avrei
fatto?”
“Farmi mettere la testa a
posto.”
“Ah!”
Dico piuttosto
imbarazzata, grattandomi la testa.
“Non voglio sapere altro!”
Aggiungo facendo ridere il
batterista e il bassista.
“Ecco, voi due state zitti
che non voglio ritrovarmi single a causa vostra.”
Mi prende sottobraccio.
“Come è andata la
riabilitazione?”
“Bene, io e Andy possiamo
pranzare con voi?”
“Ma certo, che domande!”
Andiamo tutti in un Mac
Donald vicino alla casa discografica, siamo una comitiva rumorosa
perché Jack e
Alex continuano a lanciarsi battute che
fanno girare i clienti verso di noi, io sorrido
conciliante.
Alla fine troviamo un
tavolo abbastanza grande e iniziamo a mangiare, Jack tiene un braccio
attorno
alle mie spalle, mentre cazzeggia amabilmente con il resto del gruppo.
Pensavo
mi sarei sentita a disagio, invece sto bene, sembriamo una compagnia di
amici.
Probabilmente Alex, Jack,
Rian e Zack lo sono e hanno accettato di buon grado anche me e mio
fratello. Si
vede che sono dei bravi ragazzi espansivi.
Finito il pranzo, loro
tornano alla casa discografica e io torno a casa non prima che Jack mi abbia baciato di
nuovo. Potrei anche
abituarmi a una vita così felice, penso mentre mio fratello
mi riporta a casa.
Potrei abituarmi e non
volermene più andare, potrei persino progettare un
matrimonio nei miei sogni,
perché nella realtà è troppo presto,
ma nell’immaginazione può succedere di
tutto.
“Grazie per avermi
accompagnata.”
“Di niente. Mi fa piacere
occuparmi di te, anche se ancora per poco, tra un settimana scade la
mia
licenza.”
“Non farmici pensare o
divento triste. Mi piace che tu sia qui con me.”
“Per me è lo stesso, ma
conosci i miei progetti.”
“Vedi di non farti
uccidere.”
Lui annuisce, mi dà un
bacio sulla guancia e se ne va, io rientro in casa malinconica, non mi
va di
dare di nuovo addio a mio fratello.
Ho Jack, ma un fratello è
sempre un fratello!
Visto che mi sono
svegliata presto decido di farmi una dormita e mi butto a letto, entro
due
minuti dormo il sonno dei giusti.
Mi svegliano i rumori di
Jack che ritorna.
Cavolo! Ho dormito un
sacco di tempo! Scendo al primo piano e lo trovo comodamente sdraiato a
guardare la tv.
“Scusa! Mi sono
addormentata e no ho fatto in tempo a preparare nulla!”
Gli dico mortificata, lui
sorride e mi fa cenno di venire a sedere vicino a lui, io lo faccio
immediatamente.
“Non fa niente. Ho
ordinato dal cinese, lo facevo spesso prima.”
“Non sei arrabbiato?”
“No, mi ritengo fortunato
che ogni tanto ci sia una mano femminile in questa casa, a patto che
non mi
parli di pattine.”
Scoppio a ridere e mi
metto a guardare la tv con lui.
È un programma assolutamente perfetto-
Angolo
di Layla
Ringrazio
_redsky_
e Mon per
le loro recensioni. Mi sento spronata ad andare avanti.
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Capitolo 19 *** 18)Sorry, mother I don't miss you, Father no name you deserve. ***
18)Sorry, mother I don't
miss you, Father no name you deserve.
Ci
sono giorni che sono
pigri e noiosi, questo è uno di quelli.
Mio fratello parte tra due
giorni e io ho bisogno di qualcuno che mi accompagni a fare la spesa,
ma Jack
sta registrando e non posso – per ovvi motivi –
coinvolgere Andy, così non mi
resta che chiedere a Holly.
Lei accetta volentieri,
dice che Bryan è perfettamente in grado di gestire il
negozio, questo cade a
fagiolo perché con la mia mano non posso ancora guidare.
Alle due arriva a casa, le
chiedo se vuole qualcosa, lei prende una coca e poi si siede sul divano.
“E così tu e Alex state
resistendo.”
Lei beve un lungo sorso.
“Sì, più di quello che
avrei mai pensato, convivenza inclusa.
Quando gliel’ho proposto pensavo
solo al weekend che voi stavate trascorrendo a Venezia, al vostro
ritorno mi ha
chiesto di restare.”
“Che bello! Sono tanto
felice per voi, anche se un po’ mi mancherà non
vederlo gironzolare per casa,
guai a te se glielo dici!”
Lei si mette gli indici
crociati sulle labbra.
“Giuro che non glielo
dirò, adesso è meglio andare
però.”
Io annuisco e prendo solo
una felpa viola.
“Come va tra te e Jack?”
Mi chiede una volta salita
in macchina.
“Bene. Ogni tanto
litighiamo, ma poi facciamo pace e tutto torna normale, non
è un tipo che porta
rancori. Penso di amarlo sul serio e questo mi sembra un
miracolo.”
Lei sorride.
“Non è un miracolo, te
l’ho sempre detto che avresti trovato quello giusto per te,
eri tu a non
volermi credere.”
“Uhm, hai ragione. Cosa
posso cucinare a mio fratello?”
“Delle belle cotolette, di
quelle alte e magari della pasta come primo, sei senza idee?”
“Sì, ma anche perché con
questa mano devo cucinare delle ricette non
troppo complicate o non ce la fa.”
Lei si acciglia.
“Se usarla per cucinare ti
fa male non usarla!”
“Holly, io e Jack non
possiamo vivere solo di cinese e pizza!”
Lei sospira, immagino
voglia dire qualcosa, ma si trattiene, forse per non scatenare
un’altra lite
epica tra di noi.
“Va bene,
abbiamo chiacchierato abbastanza, è
arrivato il momento di andare.”
Io annuisco e ci alziamo
entrambe dal divano, lei prende saldamente un mano le chiavi della
macchina e
mi precede fuori dalla porta. Io la seguo e poi mi accomodo in
macchina, mentre
lei apre il cancello automatico.
“Holly, ho detto qualcosa
che non va?”
“No, non hai detto nulla
di sbagliato, penso solo che non sia giusto che ora tu sia
così limitata nei
movimenti per via di tua madre.
Non è affatto giusto.”
“Ormai è successo e non
posso farci nulla, devo solo andare avanti e pensare a far guarire
questa mano,
per il resto spero che il diavolo la stia arrostendo come un kebab con
il suo
forcone.”
“Oh! Se lo meriterebbe e
se lo meriterebbe anche mio padre, hanno il gene della
stronzaggine.”
Io annuisco e mi rendo
conto che da quando abitiamo in Cali i genitori di Holly hanno smesso
di
chiamarla, come se volessero dimenticarsi che hanno una figlia.
Arriviamo al supermercato
e fortunatamente troviamo un parcheggio relativamente vicino
all’entrata. Holly
prende diligentemente il carrello e io la seguo.
Lo riempiamo con metodo di
tutte le cose che ci servono e di quelle che non ci servono, ma che non
possono
mancare come caramelle e schifezze varie.
“Tutta questa roba non è
sana.”
“Ma è buona e tira si di
morale, serve.”
“Giusto, a volte il morale
cala anche se i nostra fidanzati sono spettacolari!”
Io sospiro.
“Che c’è?”
“No, è che mi chiedo se io
sia davvero degna di Jack, forse meriterebbe una fidanzata che sappia
stare
sotto i riflettori.”
“Non ti preoccupare per
questo, se ci saranno problemi ti proteggerà, ne sono
certa.”
“Uhm, a te è già successo,
vero?
Come sono i party?”
“Una rottura di palle,
pieni di gente ipocrita e stronza, spero che tu non debba andarci
mai.”
Abbassa la voce.
“Io l’ho abbandonato a
metà e sono corsa a ubriacarmi nel primo bar.”
“Lynch, così non va, lo
sai?”
Lei sospira.
“Lo so, ho promesso ad
Alex che non avrei mai più bevuto così.”
“Alex ogni tanto è una
persona sensata. È arrivato il nostro turno.”
Mettiamo la borsa sul
nastro e poi io corro in fondo alla cassa per metterli nelle buste.
Alla fine abbiamo fatto
una signora spesa e facciamo quasi fatica a caricarla in macchina, per
un po’
nessuno dei ragazzi si lamenterà.
In macchina l’atmosfera è
meno tesa, io e Holly finiamo per canticchiare qualche canzone dei
blink e
persino la mia mano sembra fare meno male.
La parte allegra della
giornata ha però una fine, fuori da casa mia vedo una
macchina nera
terribilmente familiare, inizio a tremare senza potermi controllare.
“Holly, accosta.”
Lei ubbidisce.
“Chi diavolo c’è in quella
macchina.”
“Mio padre.”
Sussurro queste parole con
un filo di voce.
Non può essere vero, non
può essere vero anche questo incubo!
Prima la mamma e poi lui,
perché riappaiono sempre quando la mia vita sembra
finalmente andare bene?
Io e Holly scendiamo e
subito qualcuno scende da quella macchina nera ed elegante.
“Holly, Wendy.”
Nessuna delle due
risponde.
“Nemmeno un saluto?”
Ci chiede fintamente
cordiale.
“Vieni al dunque.”
Dico gelida, almeno la
padronanza della voce l’ho ritrovata.
“Il dunque… oh, sì! Voglio
diecimila dollari da te ora che ti sei sistemata, per anni ho dovuto
pagarti
tutto, senza contare il sogg…”
Gli scoppio a ridere in
faccia.
“TU mi hai pagato tutto?
TU?
Non dire stronzate,
sciacallo! Vivevamo grazie al sussidio della previdenza sociale, tu non
hai mai
versato una volta che fosse una gli alimenti, anche se il giudice ti ha
più
volte sollecitato a farlo.”
Sul suo volto si dipinge
un ghigno maligno.
“Non puoi dimostrarlo,
Wen.”
“Sì, ho tutte le carte.
Prima di andarmene ho preso cose che ritenevo utili e le carte in cui
si
attesta che tu eri un padre inadempiente sono tra queste.
Adesso, vattene!”
“Per ora me ne vado, ma
tornerò.
Mi devi diecimila dollari,
puttanella.”
Se ne va lasciandomi
pietrificata, Holly mi guida fino in camera mia, io tolgo gli anfibi e
i jeans
e mi butto sul letto.
“Vuoi che rimanga?”
“No.”
La mia voce è roca e non
mi piace.
Holly sospira e poco dopo
la sento mettere via la spesa e sedersi in salotto a guardare la tv.
Sul mio
volto invece scorrono lacrime silenziose.
Mi rovinerà la vita di
nuovo e io non potrò farci nulla. Me l’ha rovinata
il giorno in cui se ne è
andato di casa e lo sta rifacendo adesso e come allora non prova
rimorso, odio
avere geni in comune con quell’uomo.
All’improvviso ricordo la
rabbia di mia madre ogni volta che non trovava gli alimenti non pagati,
il suo
ricorrere agli avvocati e poi la discese lenta e inesorabile verso
l’alcool e
il degrado.
Il giorno in cui andammo
via dalla villetta c’era un sole splendente e io piangevo in
silenzio, perché
non me ne volevo andare, ogni angolo di quella casa era pieno di quelle
stupide
memorie infantili in cui sei felice per niente.
Arrivare alla roulotte fu
uno shock, era sporca e buia, il sole se ne era andato per sempre dalla
mia
vita. Ho pulito
più volte da cima a
fondo quel letamaio, ma non ha mai acquistato l’aspetto di
qualcosa di pulito,
sembrava il relitto di una civiltà minore.
Ricordo le botte, James
che si faceva vicino a me e quelli che mi insegnavano a rubare e mi
chiedevano
se non volevo uno spinello. Io annuivo sempre, l’erba mi
piaceva, per qualche
momento non sentivo il peso della mia vita incerta.
Ricordo anche i momenti
trascorsi in bagno con una lametta, mi incidevo il braccio ogni giorno
più a
fondo, volevo morire perché era l’unico modo in
cui potevo andarmene da lì.
Un giorno incisi un po’
più a fondo delle altre volte e trovai la vena giusta, se
Andy non mi avesse
portata subito in ospedale sarei morta e forse sarebbe stato meglio per
tutti.
I minuti, intanto, si sono
fusi in ore.
La luce del giorno ha
raggiunto il suo apice e ora sta scendendo, dando colorazione dorate al
pulviscolo che ruota – come polvere di fata – nella
stanza.
Le mie lacrime continuano
a scorrere.
Sento la porta d’ingresso
aprirsi e Jack chiamare il mio nome, probabilmente Holly gli si fa
incontro
perché le loro voci si abbassano e non le sento
più. Sento dei passi che
salgono le scale poco dopo.
Jack si affaccia
alla porta della nostra camera e
io mi sento il suo sguardo addosso.
“Wen?”
Io non rispondo e mi
rannicchio in posizione fetale, lo sento sospirare e poi togliersi le
scarpe,
mi abbraccia da dietro.
Credevo mi sarei
divincolata e l’avrei cacciati perché questo
dolore era troppo mio per renderlo
partecipe invece lo lascio stare lì. Emette calore, mi
rassicura, mi accarezza
i capelli e le spalle.
“Piccola, cosa è
successo?”
Io non rispondo.
“Wen, rispondi, ti prego.
Sono preoccupato per te.”
Rimango un attimo in
silenzio, poi una voce sottile (che quasi non sembra la mia) inizia a
parlare.
“Oggi mio padre è venuto a
cercarmi. Ha detto che devo dargli diecimila dollari, visto che sto con
uno
ricco, per restituirgli i soldi degli alimenti e del mio soggiorno a
New York.
Lui gli alimenti non li ha
mai pagati, gliel’ho detto e gli ho detto anche che ho le
carte che lo provano,
mamma l’aveva citato in giudizio un paio di volte prima che
l’alcool le
mangiasse il cervello.
Mi ha detto: Per ora me ne
vado, ma tornerò.
Mi devi diecimila dollari,
puttanella.”
Capisci?
Gli devi diecimila dollari
solo perché sto con te!”
Scoppio di nuovo a
piangere e lui cerca di calmarmi.
“Wen, calma. Le sue
pretese non hanno senso, è solo un ricattatore, domani
andiamo dal mio avvocato
e sistemiamo le cose,non metterà mai più piede a
Los Angeles, mi credi?”
Io annuisco piano.
“Mi dispiace, non volevo
che tu dovessi farti carico di questo problema. Non sono una ragazza,
sono una
fonte ambulante di guai.”
“Non fa niente, ti amo.”
“Un giorno spero di
poterti ripagare per tutto questo.”
“Stai con me e il conto
sarà saldato.”
Io scoppio di nuovo a
piangere, non mi merito tutto questo.
Lui mi accarezza la testa,
mormorando: “Ssh!” al mio orecchio.
“Lo so che pensi di essere
un peso, ma non lo sei e quel succhia sangue se andrà
presto, nessuno può far
piangere la mia ragazza.”
“Jack, ti amo.”
“Anche io e adesso vieni
che ci aspetta la cena.”
Inaspettatamente mi prende
in braccio e scendiamo le scale come due novelli sposi al contrario,
seduto al
tavolo del salotto c’è Alex.
“Buonasera, piccioncini!
Wendy, stai bene?”
“No, non molto. Oggi mio
padre è venuto a cercare soldi, ogni volta che arriva
qualche parente che non
sia Holly inizio a preoccuparmi sul serio.”
“Hai le tue ragioni.”
“Domani andremo dall’avvocato
e la storia finirà.”
Alex annuisce.
“Vi abbiamo portato la
cena, intanto.”
Io mi rianimo per un
attimo.
“Uh, grazie! Cosa avete
portato?”
“Cinese.”
Prepariamo il tavolo e poi
disponiamo i cartoni al centro, hanno preso un po’ di tutto e
sono loro
profondamente grata per questo.
Almeno qualcuno che non
vuole i miei soldi o uccidermi c’è.
La
mattina dopo la sveglia
mia e di Jack suona presto.
Abbiamo appuntamento con
l’avvocato di Jack per la questione di mio padre, ieri sera
ho preparato e
messo in ordine tutte le carte che ho preso dalla roulotte di mamma, in
modo
che lui le possa visionare.
“Preoccupata?”
“Un po’.”
“Non ti preoccupare, il
suo è un ricatto senza fondamento, non gli devi nulla, deve
lasciarti in pace.”
“Speriamo.”bofonchio io: “
E speriamo che decida di non spararmi quando verrà a sapere
che non pagherò.”
L’espressione di Jack si
indurisce.
“Non ho intenzione di far
sì che questo si ripeta di nuovo, non ti sparerà
più nessuno.”
Io sorrido, mio malgrado.
“Grazie.”
“Ma di che cosa? Forza,
andiamo a fare colazione! Muoio di fame.”
“Come sempre.”
Ridacchio io, cercando di
alleggerire la situazione, rimango sempre preoccupata lo stesso.
Mangiamo in silenzio e poi
cerco il più elegante tra i miei vestiti, un tubino nero e
delle scarpe con il
tacco medio, non voglio dare l’impressione né
della poveraccia né della femme
fatale.
Jack non si fa problemi
invece, indossa una maglia e un paio di pantaloni e si sente a posto
così,
forse perché lo frequenta più di me e sa come
comportarsi.
“Wow, come siamo belle
stamattina!”
“Ho sbagliato
abbigliamento? Sono ancora in tempo per cambiarmi!”
Lui ride.
“No, va benissimo! Anche
io agitato la prima volta che sono andato da lui, ma Julius sa come
metterti a
tuo agio.”
“Uhm, capisco.”
Mi prende gentilmente per
un braccio e mi trascina fuori da casa sua, sorridendo tranquillo, io
impallidisco:
l’auto nera è ancora lì.
“Cosa succede?”
“La vedi quella grossa
macchina nera straniera?
È la macchina di mio
padre, ci sta tenendo d’occhio.”
Rispondo piuttosto
nervosa, la cosa non mi piace per niente e la cosa non deve piacere
nemmeno a
Jack perché la guarda malissimo.
“La smetterà presto, mi fa
girare le palle che uno stronzo avido sorvegli casa mia.”
“Se io non fossi la tua
ragazza saresti libero.”
“Non ricominciare.”
Io abbasso gli occhi, se
lo lasciassi lui starebbe meglio, ma lui non è
d’accordo e forse nemmeno io
sono d’accordo con me stessa. Forse lasciandolo scapperei
soltanto ignorando il
problema che è mio padre.
Oh, ma perché il passato
continua a tormentarmi?
Perché non posso stare un
po’ in pace?
“Wendy, niente idee di
fuga.”
Mi dice severo Jack.
“Va bene. Probabilmente se
fuggissi tornerei dopo tre giorni in disperata astinenza di
te.”
“Eccellente.”
Saliamo in macchina e
stranamente poco dopo parte anche la macchina di mio padre, senza
pudore
proprio.
Attraversiamo il traffico
di Los Angeles e arriviamo in centro, Jack parcheggia sotto un
grattacielo che
sembra fatto di vetro e usciamo.
L’interno è super
lussuoso, così – spontaneamente – prendo
la mano del mio ragazzo per farmi
coraggio e mi lascio guidare verso l’ascensore.
Jack preme tranquillo il
numero 10 e la macchina comincia lentamente a salire, insieme alla mia
ansia,
lui se ne accorge e stringe più forte la mia mano.
“Tranquilla.”
“ Va bene, ci provo.
Essere troppo agitata farà una cattiva impressione,
vero?”
“Più che altro sprechi
energia, la ragione è dalla tua parte, Wen.”
Le porte dell’ascensore si
aprono, Jack mi accompagna davanti a una porta con scritto Julius
Anderson sul
vetro in semplici caratteri dorati.
Jack bussa e si sente
un:”Avanti!”, entriamo e ci troviamo davanti una
donna curata dai capelli color
caramello perfettamente acconciati in tante onde e che indossa un
costoso
tailleur nero.
“Jack, che piacere
vederti! E lei deve essere la famosa Wendy, ci credo che hai messo la
testa a
posto, ragazzaccio!
Lei è bellissima!”
Io arrossisco fino alla
radice dei capelli, una donna dell’upper class che fa i
complimenti a una come
me!
“Vero?È un tesoro. Wendy
ti presento Sarah, la segretaria di Julius.”
“Piacere, Wendy!”
Allungo una mano e lei me
la stringe con calore.
“Julius vi sta aspettando
di là.”
“Grazie, adesso lo
raggiungiamo.”
Jack mi precede ed apre
un’altra porta a vetri con scritto a caratteri più
piccoli il nome
dell’avvocato, il cuore inizia a battermi più
forte.
Julius Anderson è un uomo
di mezza età con i capelli biondi e un sorriso affascinante,
saluta Jack con
una pacca sulla spalla e si scambiano una serie di convenevoli, poi
finalmente
l’uomo si siede dietro la sua scrivania e noi sulle comode
sedie dall’altra
parte.
“Allora, Barakat, come mai
qui?”
“Abbiamo un problema.”
“Quando dici “abbiamo” ti
riferisci a me e te o a te e alla tua incantevole ragazza?”
“A me e alla mia ragazza.
Mi sono dimenticato di fare le presentazioni.
Wendy, lui è Julius
Anderson. Julius, lei è Gwendolen
O’Connor.”
“Mi chiami Wendy.”
Sussurro intimidita.
“Benissimo, Wendy. Che ne
dici di espormi il problema?”
Io annuisco e comincio a
raccontare la mia vita a questa sconosciuto che annuisce comprensivo,
accetta i
documenti che gli porgo e alla fine mi guarda rassicurante.
“Sembrerebbe un caso di
ricatto, con un’ingiunzione del tribunale suo padre dovrebbe
andarsene.
Controllerò i documenti e domani alla stessa ora di oggi vi
comunicherò come
intendo procedere, se è come dite voi, in una settimana
massimo sarete liberi
da quell’uomo.”
“Va bene, grazie Julius.
Sono preoccupato, si
apposta sotto casa nostra e ci segue. La madre della mia ragazza ha
già tentato
di ucciderla, vorrei che non succedesse di nuovo.”
L’avvocato annuisce.
“Non ti preoccupare,
faremo in modo che non succeda nulla e che quell’uomo se ne
vada.”
Si alza e ci stringe le
mani, ora mi sento un pochino un pochino più sollevata, mio
padre è sempre là
fuori (e non so se abbia anche lui intenzioni omicide, ma non posso
escluderlo), ma almeno qualcuno mi aiuterà e forse questa
situazione finirà
bene.
Deve finire bene.
Ho un karma sfigato, ma
almeno per una volta deve girare bene, voglio continuare a stare con
Jack senza
dovermi preoccupare di tutta la mia famiglia!
Credo sia mio diritto
vivere una storia normale, o no?
Angolo di Layla
Ringrazio Mon e
_redsky_
per le recensioni, se non ci fossero probabilmente avrei
interrotto la storia secoli fa.
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Capitolo 20 *** 19) Address this letter to dear father ( you will remain a complete uknown) ***
19) Address
this letter to dear father ( you will remain a complete uknown)
Quando
c’è di mezzo la mia
famiglia nulla è mai sicuro o normale.
Io e Jack stiamo uscendo
dal palazzo quando mio padre si fa avanti.
“I soldi, dammi i soldi
che mi devi!”
“Wen non le deve niente,
se ne vada.”
Mio padre stringe gli
occhi.
“Il fatto che si faccia
fottere da te non ti dà il diritto di intrometterti in una
questione che non ti
riguarda. Lei mi deve dei soldi e io me li riprenderò in un
modo o nell’altro.”
Fa per scagliarsi contro
di me e Jack mi fa scivolare dietro di lui e alza i pugni.
“Se ne vada da solo finché
è in tempo. Non ho intenzione di lasciare che nessun altro
membro della sua famiglia cerchi
di portarmi via la ragazza.”
Mio padre ci lancia
un’occhiata astiosa e se ne va, senza smettere –
ovviamente – di pedinarci,
vedere la sua macchina a pochi metri dalla nostra fa venire
un’ansia terribile.
“Non molla!”
Commenta laconico Jack, io
annuisco.
“Ti lascio da tuo
fratello, lui sa vero che tuo padre è tornato?”
Io scuoto la testa, lui
sospira.
“Chissà perché me lo
immaginavo. Beh, adesso avrete la vostra occasione per
parlarne.”
“Purtroppo!”
Mi prendo la testa tra le
mani.
“Sono stanca! Sono stanca
di tutte queste tragedie e casini che succedono per colpa della mia
famiglia.
Pretendere la famiglia modello con due genitori che si amano, il
fratellone
sposato con una brava ragazza e magari un cane è troppo, ma
almeno una famiglia
decente!
Mia madre è, era,
un’alcolista violenta che si è lasciata
sconfiggere dalla vita e non ha trovato
la forza di lottare fino in fondo per noi.
Mio padre un
arrampicatore, che ha scontato il suo purgatorio sposando mia madre e
poi
mollandola non appena mio nonno è morto. Loro due si sono
sposati solo perché
mio nonno ha minacciato mio padre di rifargli la faccia a suon di pugni
se non
si fosse preso cura della sua prole.
Morto lui, fottuta la
promessa!”
Prendo un attimo fiato e
guardo il traffico di Los Angeles.
“Scusa lo sfogo, è che non
è giusto nulla di tutto quello che sta succedendo.
Nulla.
Adesso vado da Andy, buona
registrazione.”
Gli do un bacio sulla
guancia, lui all’ultimo minuto mi sposta e fa in modo che le
nostre labbra si
scontrino e che il bacio da innocuo diventi passionale.
“Wen, qualsiasi cosa
succeda ricordati che sei mia.”
“Lo stesso vale per te.”
Scendo sorridendo, suono
al campanello di mio fratello e il portone del condominio si apre, io
entro
subito e me lo richiudo alle spalle altrettanto rapidamente.
Salgo i due piani di corsa
e busso alla porta del suo appartamento, lui mi fa entrare e
– già dal modo in
cui mi guarda – intuisco che ha capito che è
successo qualcosa.
“Sputa il rospo, cosa sta
succedendo, sorellina?”
Io mi siedo sul divano.
“C’è che papà è
arrivato a
Los Angeles e vuole soldi anche lui, da quando mi sono messa con Jack
sembra
che sia tutto quello che loro vogliano da me.
Wendy rischiava ogni
giorno il suicidio, l’epatite o l’aids nella parte
sbagliata della città?
Chissenefrega!
Wendy, per una volta,
trova qualcuno che la ama?
Roviniamole la vita!”
Mio fratello mi lancia un
pacchetto di Marlboro e io ne tiro fuori una e l’accendo. Il
primo tiro è
rabbioso, uno di quelli che ti grattano la gola.
“Ah, così il vecchio
bastardo è tornato alla carica…
Ti terrò d’occhio fino
alla mia partenza, poi mi toccherà fare il fratello
protettivo e darti in
consegna a Jack Barakat.
Lui cosa dice di questa
storia?”
“Siamo stati dall’avvocato
stamattina, gli ho lasciato tutte le carte che sono riuscita a
recuperare dalla
roulotte.”
“E?”
“Dice che se è come la
racconto io, può far emettere un ordine restrittivo alla
polizia, visto che il
suo è un ricatto bello e buono.”
“Perfetto, vedrai che
questa volta se ne andrà.”
“Spero senza uccidermi.”
“Lascia fare a me.”
Io non dico nulla, la
frase sa di minaccia, ma non me ne importa granché. Dovrei
provare pietà per un
uomo che mi ha, che ci ha, distrutto la vita?
No, non ci riesco.
Provo pietà per gli
ultimi, per quelli che come me sono nati e vivranno nella parte
sbagliata della
città, per quelli che non avranno mai una
possibilità perché vivono in una
roulotte, ma non per lui.
Lui ci ha semplicemente
lasciati, disinteressandosi del nostro destino e tornando solo quando
c’erano
soldi che potevamo dargli, come ora.
“Smettila di farti il
sangue amaro per lui e cerchiamo di arrangiarci per il
pranzo.”
“Posso provare a cucinarti
qualcosa.”
“No, faccio io.”
Mi dice brusco, poco dopo
nell’aria si sente il profumo invitante del soffritto di
aglio e cipolla:
presumo farà la pasta.
Mi alzo e con calma
preparo la tavola per due, pensando che odio avere una mano che non
funziona
bene: non posso disegnare, tatuare, cucinare.
Che palle.
Finito di preparare torno
sul divano, il cellulare suona proprio in quel momento: è
Jack.
Rispondo subito, amo
sentire la sua voce.
“Pronto?”
“Ciao, piccoletta. Tutto bene?”
“Benissimo, Andy è una
buona guardia del corpo!”
Scherzo.
“Tu come stai? Come sono
andate le registrazioni?”
“Io sto bene e le
registrazioni sono andate bene, volevo solo essere sicuro che tu stessi
bene e
che lui non si fosse fatto vedere.”
“Non ti preoccupare, sono
seduta sul divano di mio fratello in attesa del pranzo. Sta cucinando
della
pasta, per ora non corro nessun pericolo.
Grazie per esserti
preoccupato.”
“Sei la mia ragazza! È il
minimo.
Questa storia finirà
presto e tuo padre rimarrà a bocca asciutta.”
“Sì. Domani lo sapremo.
Buon pranzo, Jack. Ti amo.
E salutami gli altri!”
“Buon pranzo anche a te,
piccola.
A stasera.”
Chiudo la telefonata
sorridendo come una scema.
“Lo ami, eh?”
Mi chiede mio fratello.
“Più della mia vita.”
Rispondo io, mio fratello
sorride.
Verso
le sei qualcuno
suona il campanello.
Mio fratello guarda
diffidente dalla finestra e quando vede che è solo Jack,
tira un sospiro di
sollievo, gli apre il portone e gli dice a che piano deve salire.
Poco dopo si sente bussare
alla porta e mio fratello saluta il mio ragazzo, che poi si avvicina a
me, mi
abbraccia e mi bacia.
“Adesso che ti vedo sana e
salva mi sento meglio.”
Sussurra al mio orecchio.
Io sorrido contro la sua
bocca, anche se là fuori c’è mio padre,
non posso fare a meno di sentirmi
felice, stupidamente e totalmente felice.
Ci stacchiamo e io saluto
mio fratello, tra tre giorni partirà purtroppo.
“Domani sera sei a cena da
noi, ci saranno anche Holly e Alex e – che tu voglia o no
– cucinerò io con le
mie manine.”
Lui sospira.
“Sei testarda come un
mulo!D’accordo, verrò ovviamente, tu vedi di non
esagerare.
Jack, controllala. Non
deve sforzarsi troppo con quella mano.”
Il mio ragazzo annuisce e
dopo aver salutato anche lui Andy ce ne andiamo.
“Ti va se andiamo a cena fuori
stasera?”
Mi chiede Jack.
“Uhm, perché no? Spero di
non incontrare mio padre.”
“Ci sarò io con te, non ti
devi preoccupare. Ti porto in una pizzeria piccola e carina, il
proprietario è
italiano.”
“Va bene. Ma ne sei
sicuro?
Sembri stanco.”
“Lo sono ed è per questo
che voglio uscire a mangiare, così poi ti avrò
tutta per me.”
Sorride birichino.
“Va bene.”
Rido io, divertita.
Arrivata a casa sua mi
butto sotto la doccia e poi – mentre lui è sotto
la doccia – mi vesto. Indosso
un vestitino a mezze maniche nere nero fin sotto il seno e poi con
fantasie di
teschi e rose, è il mio preferito, è un regalo di
mia cugina.
Jack fischia quando
mi vede e io divento rossa
come un pomodoro, facendolo ridere.
“Non ti abituerai mai a
sentirti dire che sei carina?”
“Temo di no.”
“Ti ci farò abituare.”
Lui indossa un paio di
jeans scuri, una delle sue amate maglie “Boner”,
una camicia a quadri e delle
scarpe da tennis.
Usciamo da casa
chiacchierando, la macchina nera è lì, come un
monito, come se ci si potesse
dimenticare di chi ci sta dentro.
Entriamo in macchina e
partiamo, Jack è rilassato, io sono un po’ sulle
spine, non faccio altro che
toccarmi la mano ferita.
“Non succederà ancora.”
Mi dice il mio ragazzo.
“Farò in modo che non
succeda ancora, goditi la serata.”
“Va bene.”
Rispondo commossa.
Nessuno parla più fino a
quando non arriviamo alla pizzeria, è nella zona vicino al
mare di Los Angeles
e pur essendo piccola,ha una grande terrazza coperta che dà
sull’oceano. Noi
prendiamo posto lì e io mi incanto un attimo a guardare il
panorama: sul mare
c’è una sottile linea verde chiaro netta e poi un
cielo che sfuma delicatamente
dall’azzurro scuro al nero della notte in cui si stanno
accendendo le prime
stelle.
“Che bello!”
Esclamo estasiata.
“Sì, molto. È un bel posto,
con un bel panorama e con una bella ragazza con cui
condividerlo.”
“Smettila, dai!”
Lui ride e lo sta ancora
facendo quando il cameriere ci porta il menù.
Ordiniamo entrambi una
margherita e della coca per tutti e due.
“Sono state così pesanti
le registrazioni oggi?”
“Abbastanza da non vedere
l’ora di farmi coccolare da te.”
“Avrai tutto a tempo
debito.”
Lui annuisce, sotto
quell’aspetto ci andiamo cauti per via del mio passato e io
– in un certo senso
– mi sento colpevole, perché lui deve adattarsi a
questa situazione.
“Vorrei essere una ragazza
migliore.”
“A me vai bene così. Se
avessi voluto una puttana avrei scelto una delle mie groupie.”
“Se lo dici tu.”
Lui mi stringe le mani.
“Credimi, va bene così. So
cosa hai passato e so che non è colpa tua,ti rispetto e ti
rispetterò sempre.”
A interrompere questo
breve momenti di romanticismo arriva il cameriere con le nostre
ordinazioni. Io e Jack sorridiamo: la pizza tira sempre su di morale!
È anche una pizza buona,
fatta come si deve e me la gusto tutta. Come dolce ci consigliano il
tiramisù e
noi non ci pentiamo di averli ascoltati perché è
un dolce molto buono. Domani
cercherò la ricetta su internet e proverò a farlo.
Bevuto il caffè e pagato
il conto usciamo, la macchina nera è sempre lì.
Io e Jack la ignoriamo e
saliamo sulla nostra macchina, chiacchierando del più e del
meno.
Arrivati a casa,
parcheggia la macchina in garage e poi mi prende per mano per entrare
nella
villa,non appena siamo dentro si volte verso di me e mi bacia.
Mi bacia con passione, il mio
volto è stretto tra le sue mani e il suo corpo mi tiene
inchiodata alla porta,
io inizio a gemere leggermente.
Questo lo fa sorridere e
si sposta dalla bocca alla mandibola e poi al collo, dove si sofferma
succhiando, le sue mani intanto corrono sotto al mio vestito e cercano
di
sganciare il mio reggiseno, le mie mani invece cercano di togliergli la
camicia
e la maglietta senza successo, solo quando lui toglie le sue mani
riesco a
togliergli la camicia.
Lui sogghigna e si toglie
anche la maglietta, poi torna di nuovo a premere contro di me, i nostri
corpi
aderiscono completamente l’uno all’altro e inizio a
sentire un rigonfiamento
che preme in basso.
Lui riprende a baciarmi
con passione e accarezzandomi, io faccio lo stesso: sotto le mie dita
sento i
muscoli, i pettorali, la pancia…
All’improvviso mi prende
in braccio e mi porta in camera nostra, mi adagia sul letto e si libera
dei
jeans, io intanto mi tolgo il vestito. Lui torna subito su di me e
finalmente
riesce a togliermi il reggiseno. Lì inizio a intravvedere il
paradiso perché
lui inizia ad accarezzarli, leccarli, morderli: i miei gemiti diventano
sempre
più forti.
Raggiungono il massimo
quando sento un dito muoversi svogliato nella mia
femminilità, mentre lui mi dà
piccoli baci sul volto.
Ben presto le dita
diventano due e io arrivo all’orgasmo, per un minuto buono
rimango senza fiato,
stesa a letto. Poi mi avvento su di lui e lo bacio con passione, scendo
lungo
il petto e gli tolgo finalmente i boxer, lui è
già bello eccitato, prendo il
suo amichetto in mano e cerco di ricordare il ritmo esatto dalla voglia
precedente.
Probabilmente ci riesco
perché lui geme e quello che ho tra le mani si irrigidisce
sempre di più.
Arrivata a un certo punto
con gentilezza mi toglie la mano, ribalta la posizioni ed entra
dolcemente in
me. Sono spinte lunghe e dolci, ha paura di farmi male.
Continuiamo così a lungo,
poi lui accelera e finalmente raggiungiamo l’orgasmo insieme.
Lui crolla su di
me e io lo stringo piano, vorrei che non se ne andasse mai
Lui rimane a riposare sul
mio seno per un po’, godendosi le carezze sui capelli e sulle
tempie, poi
ribalta di nuovo le posizioni e mi fa sdraiare sul suo petto.
Lo guardo e sul suo volto
c’è un sorriso meraviglioso.
“Non so te, ma io ora sono
in paradiso.”
“Sì, anche io.”
Gli rispondo mentre mi
accendo una sigaretta, subito imitata da lui.
“Wen?”
“Sì?”
“Grazie.”
Io arrossisco senza dire
niente.
La mattina dopo andiamo
dall’avvocato, spero che ci siano gli estremi per allontanare
mio padre dalla
villa e dalla mia vita.
Ci accoglie la solita
segretaria carina, che ci fa entrare nelle studio di Julius Anderson,
io sono
sulle spine.
“Prego, accomodatevi.
Ieri ho esaminato la
documentazione che Wendy mi ha portato, ci sono gli estremi per
emettere
un’ordinanza restrittiva nei suoi confronti. Ci
penserò io in giornata, se
quell’uomo dovesse presentarsi ancora dopo
l’ordinanza chiamate la polizia e ci
penseranno loro ad allontanarlo.”
Io sospiro di sollievo.
“Vuol dire che non ha
ragione? Che non gli devo nulla?”
“No, non gli devi nulla, è
lui che deve qualcosa a te e a tuo fratello visto che non ha pagato gli
alimenti per anni.”
“Oh, è un sollievo.”
Parliamo un altro po’, poi
lui ci congeda educatamente e la segretaria carina ci saluta, anche
questa è
fatta.
Mio padre non l’avrà
vinta, la legge è dalla mia questa volta.
“Come mai così
silenziosa?”
Mi chiede Jack.
“Sto assaporando il sapore
della vittoria, per una volta non sono in torto e posso essere protetta
dalla
legge.”
Lui sorride.
“Te l’avevo detto che
sarebbe successo, è tuo padre che sbaglia. Ora
però ce ne libereremo.
Oggi non vai da Andy,
vero?”
“No, non lasciarmi lì.
Oggi devo cucinare.”
“Mh, Alex non ha nulla da
fare oggi, te lo mando.”
“Va bene, così facciamo
anche due chiacchiere.”
Lui mi guarda curioso.
“Su cosa?”
Io alzo le spalle.
“Boh, su lui e Holly, sul
vostro cd, su qualcosa che ci verrà in mente al momento, al
massimo lo uso come
garzone e lo spedisco a comprare qualcosa in caso mancasse.”
“Non sforzare troppo la
mano.”
“Sì, Jack.”
Trattengo uno sbadiglio.
“Mi sa che Alex dovrà
vegliarti mentre dormi.”
“Beh, può essere.”
Arriviamo alla villa, lui
chiama subito il suo amico, io invece salgo in camera e mi metto a
letto, poco
dopo Jack mi raggiunge.
“Rimango con te finché non
ti addormenti.”
Io annuisco sorridendo,
lui si spoglia per poi mettersi nel posto vuoto accanto al mio e
abbracciarmi
subito dopo. Amo stare tra le sue braccia.
“Uhm, grazie mille, Jack.”
“Prego, figurati. Sei la
mia ragazza, no?”
“Sì.”
Rispondo prima di cadere
in un sonno senza sogni da cui mi risveglio un paio d’ore
dopo, infilo un paio
di pantaloni e metto le ciabatte. Alex è seduto al tavolo
della cucina intento
a scribacchiare qualcosa.
“Buongiorno e scusa per
dovermi fare da balia.”
Lui alza il volto e mi
guarda sorridente.
“Nessun problema, mi sono
organizzato.”
Oltre al suo block notes,
noto una pila di pancakes.
“Perfetto.”
“Cosa farai di bello?”
“Inizio con le lasagne.”
Tolgo una scatola dal
frigo e una teglia dall’armadio, sul fondo della teglia
stendo la pasta, poi
aggiungo del ragù e un po’ di besciamella, un
altro strato di pasta e un altro
di ragù e besciamella fino a che arrivo all’ultimo
a cui aggiungo del formaggio
per farlo gratinare.
Finito, ficco tutto in
forno e accendo il gas. Dopo aver messo un po’ di spezie e
vino in una pentola,
metto anche il pezzo di carne che farò arrosto.
“Più tardi farò delle
patate per il contorno.”
“E spero anche qualcosa da
mangiare per noi.”
“Uhm, potremmo ordinare
delle pizze. Jack non vuole che mi sforzi troppo.”
Lui sbuffa.
“Dai, hai provocato il mio
appetito per tutto questo tempo e adesso vuoi farmi mangiare solo una
misera
pizza?”
“Ok, vada per la pasta, in
cambio però voglio sapere come va tra te e Holly.”
Lui sorride e gli si
illuminano gli occhi.
“Benissimo, amo averla per
casa, non solo perché è una brava casalinga, ma
perché è speciale.
Mi fa sentire amato,
coccolato, con lei mi sento davvero a casa.
Non si lamenta di niente,
nemmeno di quando mi alzo nel cuore della notte e mi metto a suonare la
chitarra perché mi è venuto in mente qualcosa.
Sto cercando di farle
passare le sue paure e mi piace pensare di esserci in qualche modo
riuscito.”
Io sorrido.
“Beh, penso proprio di sì.
Quando parla di te le si illuminano gli occhi, non l’ho mai
vista così e penso
sia un bene e che se lo meritasse. Grazie per averla resa
così felice.”
“Forse io e lei ci
dobbiamo ringraziare a vicenda e adesso, signorina O’Connor
che ne dice di
preparare la famosa pasta?”
Io rido.
“Ok, va bene!”
Mentre mi metto ai
fornelli di nuovo penso che effettivamente vada tutto bene e che non
possa
chiedere di più alla vita. Ho un ragazzo che mi ama e degli
amici, cosa potrei
volere di più?
Nulla, credo.
Angolo
di Layla
Come
sempre ringrazio _redsky_
e Mon
per le recensioni, im spronano tantissimo a uscire dalla mia apatia da
scrittrice. Tra cinque capitoli questa storia finirà, ma
tenetevi pronte per due seguiti .
Se
vi interessa ho pubblicato una Jack Barakat/Taylor Jardine con
atmosfera natalizia, mi piacerebbe molto se ci deste un'occhiata.
Grazie
mille e alla prossima.
|
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Capitolo 21 *** 20) To live and let go. ***
20) To live and let go.
La
sera prima della partenza di mio
fratello è un’occasione triste
travestita da allegra.
L’indomani dovrà tornare
alla base a cui appartiene e poi verrà spedito in Afganistan
e la cosa non mi
piace molto. A nessuna sorella piace sapere che il proprio fratello
andrà in un
posto pericoloso, in cui rischia la vita, anche se è un
soldato.
E così stasera siamo tutti
qui: mio fratello, Jack, Alex, Holly, Zack, Rian e quella che mi viene
presentata come la ragazza di Rian, Cassadee Pope.
È una ragazza carina, ha i
capelli castani con delle meches bionde e sembra una persona alla mano,
mi
dicono che è la frontman di una band che si chiama Hey
Mondays.
“Io sono Wendy, la ragazza
di Jack.”
Le dico presentandomi con
un sorriso.
“Cassadee, sono contenta
di conoscerti. Jack parla spesso di te e poi non potevo non conoscere
la
ragazza che ha domato un donnaiolo come lui.”
Io rido un po’
imbarazzata.
“Come vedi non ho nulla
di speciale, tolti i capelli.
Comunque è pronto,
mettetevi a tavola.”
Annuiscono tutti e io vado
in cucina rossa come un pomodoro, non sapevo che Jack parlasse di me ai
suoi
amici, chissà cosa gli avrà detto.
Tolgo le lasagne dal forno
e le porto in tavola, ma lascio che sia Holly a dividere le porzioni,
la mia
mano malata ha mandato un grampo poco piacevole.
Ha ragione Jack, è meglio
che non la sforzi troppo o rischio di compromettere la mia
fisioterapia, senza
contare il fatto che Holly è molto più brava di
me con le porzioni.
Le sue porzioni sono
perfette e – dopo che tutti hanno il piatto pieno –
cominciamo a mangiare, gli
All Time Low raccontano qualche episodio divertente avvenuto in tour,
mio
fratello quelli che ha sentito raccontare o gli sono accaduti durante
l’addestramento.
C’è un’atmosfera calma e
tranquilla, quasi leggera, credo sia quello di cui mio fratello abbia
bisogno.
Nessuno nomina mio padre o mia madre infatti.
Mia madre è morta e mio
padre ieri ha dovuto mollare la presa, visto che nonostante
l’ordine
restrittivo si è presentato ancora a casa nostra e abbiamo
chiamato la polizia,
da allora la macchina nera ha smesso di essere parcheggiata
là fuori.
È come se un grosso peso
mi fosse caduto dalle spalle, ho pagato tutti i miei debiti al passato,
ora
sono libera di vivere il presente e – timidamente e con
cautela – il futuro.
“Wen?”
La voce di Jack mi riporta
alla conversazione.
“Dove ti eri persa?”
Io sorrido.
“Da nessuna parte.”
“Le tue lasagne sono
ottime.”
“Grazie mille, spero vi
piacerà anche il resto.”
“Ne sono sicuro.”
Io sorrido un po’ a
disagio, da quando vivo con lui, Jack elogia la mia cucina, nessuno
l’aveva mai
fatto quando vivevo nella roulotte, ma mi sono presto resa conto che
sono tante
le cose che nessuno ha mai fatto per me lì.
In ogni caso è inutile
deprimersi con pensieri che mi rimandano a un momento della mia vita
che è
andato, non tornerò più lì.
Mai più.
Nemmeno se questo mio
paradiso personale dovesse finire.
Holly si alza e serve il
secondo: arrosto.
Anche questa volta mi
fanno tutti i complimenti, io sorrido sempre più imbarazzata.
“Jack è fortunato ad aver
trovato una cuoca così brava come ragazza, spero di trovarne
una così anche io.
Non hai altre cugine?”
Io rimango in silenzio
pensando alla mia famiglia, Holly è l’unica cugina
da parte di mia madre, ma i
parenti dalla parte di mio padre sono un mistero, a partire dai nonni.
I nonni
paterni non hanno mai accettato il matrimonio tra mio padre e mia madre
e
quindi non hanno mai voluto vederci.
Chissà se ho delle cugine?
“Ehi, Wen! Ci sei?”
“Sì, stavo solo pensando
che non so se ho cugini o cugine dalla parte paterna, i miei nonni non
hanno
mai voluto conoscere nessuno di noi.”
“Ah, ho capito. Mi
dispiace di averti pensare a cose negative.”
Mi risponde imbarazzato
Zack.
“Tranquillo, è la mia
famiglia e so benissimo che è di merda, non hai nulla di cui
preoccuparti.”
Gli faccio un grande
sorriso e lo vedo rasserenarsi, molto bene.
Mangio anche il secondo,
il tempo scorre, presto mio fratello se ne andrà e io spero
di rivederlo ancora
vivo e vegeto.
Il dolce l’ha preparato
Holly, avrei voluto farlo io, ma lei non ha voluto sentire ragioni: il
dessert
sarebbe stato affare suo.
A giudicare dal sorrisone di Alex deve essere qualcosa di buono, molto buono,
infatti arriva con una
grande torta al cocco e cioccolato.
Ho già l’acquolina in
bocca, è la sua specialità ed è
buonissimo, non ho mai assaggiato nulla di così
buono.
Devo avere gli occhi che
brillano e la bava alla bocca perché Jack mi dà
una leggera gomitata e poi mi
guarda divertito.
“Nemmeno io ti faccio
questo effetto.”
“Scemo.”
Lui ride.
“Dovresti vedere la tua
faccia.”
Io sbuffo e prendo la mia
razione di torta e inizio a mangiarla in silenzio, Jack ne prende un
morso e
improvvisamente sorride.
“Cazzo, è buonissima!
Adesso capisco la bavetta di Wen!
Complimenti, Holly!”
Lei arrossisce e sorride.
“Grazie mille, Wen la
chiama la mia specialità. Effettivamente è
l’unica cosa veramente buona che
riesco a cucinare, per il resto sono una cuoca mediocre.”
“Questa compensa,
credimi.”
Le risponde Alex .
“Giuro, è la cosa più
buona che abbia mai mangiato.”
Holly arrossisce ancora di
più e mangia la sua fetta in silenzio.
Ben presto sarà finito
anche questo dolce e dopo cosa faremo?
Come previsto in poco
tempo finiamo la torta e beviamo il caffè e ci ritroviamo a
non sapere cosa
fare.
“Cosa ne dite se andiamo
in un posticino vicino alla spiaggia?
Ho sentito che fanno
reggae stasera, così giusto per sciallarci un po’
e non pensare a domani.”
La proposta di Zack mi
sembra sensata così io annuisco e piano piano annuiscono
tutti: proposta
accettata e reggae sia!
Usciamo chiacchierando
tutti di buon umore, la serata si prospetta bella e divertente e se mi
sforzo
posso anche dimenticare che domani mio fratello sarà
reclamato dall’esercito.
Il
locale scelto dai
ragazzi è una capanna vicino alla spiaggia, arredata con
tavoli e casse di
legno dipinte di giallo, rosso e verde al posto delle sedie.
La maggior parte della
gente ondeggia sotto il palco, altri hanno dei cocktail in mano, ne
ordiniamo
anche noi prima di ballare.
Vogliamo rilassarci e
questo sembra il posto perfetto, ho quasi l’impressione che
il fantasma di Bob
Marley aleggi su di noi.
“Che bel posto!
Complimenti per la scelta!”
Zack mi omaggia di un
sorriso e capisco che l’idea è partita da lui,
forse perché è l’unico ancora
single.
Con il nostro cocktail in
mano ci sentiamo bene, Alex e Jack continuano a lanciarsi battutine e
confesso
che quando fanno così mi sento esclusa completamente.
Temo che dovrò farci
l’abitudine.
All’improvviso una mano
invade il mio campo visivo: è quella di Jack.
“Andiamo a ballare?”
“Sì.”
Mano nella mano ci
avviamo verso la pista e cominciamo a ondeggiare,
mentre la musica prosegue lui si avvicina sempre di più a
me, mi abbraccia e
comincia a baciarmi il collo.
“Jack!”
“No, è che sei
irresistibile!”
“Non è perché quel tizio
dietro di me alla mia sinistra mi stava guardando troppo?”
“Non badare a certi
particolari!”
Io rido e lo bacio.
“Ti amo, Jack. Non li vedo
quelli che mi guardano, ma vedo quelle che guardano te.
Sono troppe.”
“Davvero?”
“Sì, ma è meglio che tu
non le veda.”
Lui ride e continuiamo a
baciarci, vicino a noi vedo Alex e Holly fare lo stesso, mentre ho
perso si
vista Cassadee, Rian, Andy e Zack.
Chissenefrega.
Dopo un po’ torniamo al
tavolo e finiamo il nostro cocktail.
“Tra poco è meglio
andarcene o tuo fratello potrebbe arrivare in ritardo domani
mattina.”
“Ok, vado in bagno e torno.”
Attraverso la calca ed
entro nelle toilette, una volta fatto tutto, fuori dalla porta dei
bagni mi
ritrovo davanti una messicana: quella che si stava facendo Jack secoli
fa.
“Ah, sei tu!”
Mi guarda con disprezzo.
“Tu pensi di avere Jack,
ma ti sbagli, gringa.
Jack è fatto per le storie
di una notte, per quelle come me e da me tornerà.
Farò di tutto per
riprendermelo e tu rimarrai da sola, puttana.”
Detto questo gira i tacchi
e se ne va, io stringo i pugni e torno al tavolo, gli altri sono
già tutti là.
“Scusate, c’era la coda in
bagno.”
Dico con il sorriso più
falso del mondo.
Jack se ne accorge e mi
guarda senza capire, gli faccio cenno che gliene parlerò
dopo, adesso devo
affrontare qualcosa di molto duro: salutare mio fratello.
Gli altri ci lasciano da
solo, Andy ha le mani in tasca e lo sguardo basso.
“E così è arrivato il
momento!”
“Sì, meglio salutarci
stasera, Wen.”
Io lo abbraccio più
stretto che posso, le lacrimi che scorrono sulle mie guance.
“Ti voglio bene, Andy.
Vedi di tornare, guardati il culo e non fare l’eroe. Voglio
te, non una bara su
cui piangere.”
“È il discorso meno
patriottico che mi abbiano mai fatto.”
“Non me ne frega niente,
io voglio te.”
“Va bene, Wen. Starò
attento.”
Mi stacca gentilmente da
lui.
“Anche tu stai attenta e
se quel ragazzo ti fa soffrire, dimmelo.
Li sistemerò io, anche se
credo di lasciarti in buone mani.”
“Ti voglio bene, Andy.”
“Anche io.”
Ci abbracciamo di nuovo,
poi lui mi dà un bacio in fronte e se ne va, io sono in
lacrime. Dietro di me
sento dei passi, Jack mi appoggia una mano sulla spalla.
“Andrà tutto bene,
tornerà, non ti preoccupare.
Vi rivedrete e potrai
tatuarlo allora.”
Io mi asciugo le lacrime.
“Sì, ma mi manca ed è mio
fratello, sono preoccupata per lui.”
“Ti capisco, ma io sono
sicuro che lui ce la farà. È uno tosto, siete
tosto voi O’Connor.”
“Grazie, ma non siamo
fatti di ferro.
Soffriamo anche noi.”
Sospira.
“Lo so. Dai, andiamo alla
macchina.”
Lo segui in macchina,
salutando il resto del gruppo con un cenno. Non appena siamo dentro
Jack mi guarda
a lungo, senza dire una parola.
“Cosa c’è, Wen?”
“Nulla, ho solo salutato
mio fratello e sono triste.
Mi mancherà.”
Lui scuote la testa.
“Non è solo questo, è da
quando sei tornata dal bagno che sei strana.”
Io sospiro. Dirglielo o
no?
Ma sì, perché no?
In fondo non c’è nulla di
cui preoccuparsi, vero?
“In bagno ho incontrato
quella tipa che ti stavi facendo il giorno in cui sono venuta a
scusarmi.
Mi ha detto che non sei
fatto per le relazioni serie, ma solo per le sveltine e che lei
tornerà con te.”
Cerco di mantenere un tono
neutro, ma l’espressione di Jack diventa dura lo stesso.
“Oh, Marisol, la
messicana.
Brutta tizia, molto… Come
posso dire? Orgogliosa, ecco.
Non darle retta, è solo
arrabbiata perché non me la scopo più, prima o
poi si troverà un’altra
celebrità da cui farsi sbattere. È nata
così.”
“Capisco, ci sono rimasta
un po’ male, anche se è stupido.
Sembra che nessuno possa
credere a me e a te insieme.”
Lui ride.
“Il giorno in cui ti ho
scelto ho infranto parecchi cuori e non me ne pento, non darle
peso.”
“Va bene.”
Guardo dal finestrino, la
città ci scorre addosso e io mi chiedo quanto ci abbia
cambiato.
Siamo gli stessi di
Baltimora?
Che pensiero stupido, lì
non ci conoscevamo nemmeno e non ha senso fare paragoni, ma per quanto
mi riguarda
mi ha cambiata o – per meglio dire – Jack mi ha
cambiata.
Forse anche io l’ho
cambiato un po’?
Mi piace pensare di sì, in
senso positivo ossia che un pochino sia maturato, non credo che
smetterà mai
del tutto di essere un coglione, ma a me piace. Se non mi piacesse la
nostra
storia non avrebbe senso.
“A cosa stai pensando?”
“Al fatto se siamo
cambiati o meno da quando stavamo a Baltimora.”
“Ci conosciamo, è già un
passo avanti. Prima ero un ragazzino che aveva troppa paura di rompere
i tuoi
muri, ora ce l’ho fatta e sono felice.”
“Hai guadagnato un’ottima
cuoca.”
Lui ride.
“Non solo, ma anche una
ragazza che pur amandomi non mi soffoca e cerca di capire il mio legame
con
Alex, invece di fuggire spaventata.”
“Un po’ ne ho paura anche
io, ma immagino faccia parte del pacchetto Barakat. Anche se Alex
adesso è
cresciuto, tu lo tratterai sempre come un fratellino, giusto?”
“Giustissimo, Alex è
fragile, anche se nessuno lo direbbe.”
“Lo so, ho imparato anche
io a volergli bene.”
Lui sorride.
“Il che è un miracolo,
perché i primi tempi sembravate cane e gatto.”
“Allora era colpa mia, ti
avevo ferito e lui giustamente si preoccupava per te.”
Jack rimane un attimo in
silenzio.
“Ti sei mai pentita di
avermi chiesto scusa quella volta?”
“No, mai. Anche quando le
tue fan o le tue groupie mi dicono che io sono sbagliata per te o
quando ti sei
ubriacato non me ne sono mai pentita.”
Prendo fiato.
“Ci sono delle volte,
nella vita, in cui certe occasioni diventano come chiavi per un posto
migliore
e quella volta è stata una di quelle. Avrei potuto lasciarti
stare e far
vincere il mio stupido orgoglio, ma grazie ad Alex ho capito che non
sarebbe
stato affatto meglio né per me né per te.
Continuo a pensarlo ogni
giorno.”
“Sono contento, so che non
sono facile da gestire.”
“Va bene così.”
Arriviamo a casa e saliamo
subito in camera da letto, lui domani deve registrare e io ho la
fisioterapia,
sono certa che il dottore non ci proverà più,
visto quando l’ho spaventato.
La
mattina dopo è una
bella mattinata.
Una di quelle californiane
in cui il sole splende, il vento proveniente dal mare mitiga
l’eccessivo caldo
e si sta benissimo.
Holly mi accompagna dal
dottore e – mentre percorriamo la strada sulle colline
– in macchina entrano i
profumi dei fiori e dei cespugli. Sorrido involontariamente, la
primavera
californiana mi è sempre piaciuta molto di più di
quella di Baltimora.
“E così il dottore è un
bell’uomo?”
“Sì, ma è anche uno con la
mano morta. Per fortuna la volta scorsa l’ho spaventato
abbastanza.”
Mia cugina fa una faccia
schifata.
“Odio i viscidi.”
“Anche io e ti giuro che
quello lo era. Brr!”
“Jack ne sa niente?”
« No o forse sarebbe
già venuto a pestarlo, quel ragazzo è
imprevedibile in senso buono.”
“Sì, lo so. Hai fatto bene
a non dirgli niente, soprattutto se non si
ripeterà.”
“So badare a me stessa.”
Rispondo in modo feroce.
“Yo! La vecchia Wendy “Se
mi rompi i coglioni ti faccio morire male!” è
tornata!”
Io scoppio a ridere.
“Ehi, non se n’è mai
andata, si è solo messa a riposo.”
“Sono felice di questo.”
Io guardo fuori dal
finestrino.
“Io non ho ancora capito
se sia una cosa positiva o negativa. Ci sono dei giorni in cui mi alzo
e mi
dico che essere meno guardinga e aggressiva è una buona cosa
perché significa
che finalmente ho trovato qualcuno di cui fidarmi e che considero mio.
Altri giorni
mi dico invece che dovrei stare comunque in guardia, che nella vita non
sa mai
cosa può succedere e che chi ami può diventare il
tuo peggior nemico.”
“La felicità è come un
vetro, presto s’infrange.” *
“Esattamente.”
Arriviamo alla casa di
cura, parcheggiamo e scendiamo, saluto con un cenno svogliato la donna
che c’è
all’accettazione e mi dirigo alla palestra.
Il dottore mi aspetta già
all’interno, sembra cordiale e un pochino freddo, ma non mi
importa. Potrebbe
essere freddo come la Siberia e non me ne fregherebbe nulla,
l’importante è che
mi metta a posto questa mano del cavolo perché mi mancano
disegnare e tatuare e
sono stufa di sentirmi un’invalida ribelle ogni volta che
tento di cucinare
qualcosa.
“Buongiorno, signorina O’Connor.”
“Buongiorno, dottor
Anderson.”
“Pronta per la
fisioterapia?”
“Sì.”
Facciamo le nostre due
brave ore di esercizi e poi lui mi fissa un altro appuntamento per la
settimana
successiva.
Quando esco trovo Holly
intenta a tubare al telefono con Alex, cerco di farmi sentire con un
discreto
“ehm, ehm.”, lei sobbalza lo stesso e chiude
frettolosamente la chiamata.
“Scusa, Wen!”
Mi dice imbarazzatissima.
“Non fa niente. È bello
sentirvi tubare, ma ho fame e voglio andare a casa.”
Non appena finisco questa frase
mi viene la nausea e la stanza comincia a girare, se non ci fosse Holly
a
tenermi in piedi finirei a terra lunga e distesa.
“Ehi, tutto bene?”
“Sì, è stato solo un
capogiro, forse un calo di pressione.”
Lei mi fa sedere su una
delle poltroncine della sala d’attesa e sparisce un attimo
per poi tornare con
un bicchiere.
“È acqua zuccherata.”
Io la bevo senza fiatare e
mi sembra di stare un po’ meglio.
Tiro un sospiro di
sollievo mentale perché mentre Holly non c’era
un’idea mi ha attraversato la
mente: la gravidanza.
E se fossi incinta?
Una volta a Venezia il
preservativo si è rotto e potrei benissimo aver concepito o
forse addirittura
prima, un mese fa era successa la stessa cosa.
Un sudore freddo mi
imperla la fronte.
E se fossi davvero incinta
come la prenderebbe Jack?
Prego con tutte le mie
forze di non esserlo, ma sarà meglio fare degli esami al
più presto.
Come diceva Holly?
La felicità è come un
vetro, presto si in infrange.
Ecco, in questa frase si
potrebbe riassumere la mia vita e non voglio che accada ancora.
Non devo essere incinta.
Non devo.
Angolo di Layla
Ringrazio _redsky_,
Mon e
piercethejuls
per le recensioni :)
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Capitolo 22 *** 21) In a perfect world this could never happen. ***
21) In a perfect world
this could never happen.
I
giorni trascorrono lenti
quando sei sulle spine, tormentato da qualche problema.
Il mio problema è che temo
di essere incinta e non ho ancora trovato il coraggio né di
accennarlo a Jack
né di aver fatto un test di gravidanza.
Nemmeno Holly ne sa nulla
e così sono da sola davanti alle mie paure. Se fossi davvero
incinta Jack
vorrebbe essere padre?
E io sono pronta per
essere madre?
Non mi sento per niente pronta
ad avere tra le mani una creatura che dipende in tutto e per tutto da
me, che
devo curare e crescere. Ogni volta che mi immagino con un neonato mi si
stringe
la gola e vado in carenza d’aria.
Sul fronte nausee
mattutine le cose non vanno meglio, sono aumentate e mi colpiscono
quando
mangio i miei cibi preferiti, il che è una gran seccatura.
Un paio di volte ho
persino vomitato, Jack per fortuna non si è accorto di nulla
perché in questo
periodo è molto impegnato con le registrazioni.
L’unica cosa che so è che
probabilmente il cd si chiamerà Dirty Work, sono molto
curiosa di sentirlo, ma
mi sono ripromessa di non stressarlo.
Se vorrà me lo farà
sentire lui, altrimenti aspetterò come tutti gli altri fans,
anche perché
queste nausee mi preoccupano molto.
Una mattina raccolgo tutto
il mio coraggio e vado in farmacia, mi vergogno come una ladra quando
chiedo un
test di gravidanza.
In macchina –sulla via del
ritorno – vengo torturata dai peggiori scenari: sono incinta
e Jack mi lascia,
sono incinta e il bambino è malformato, cose così.
Arrivo a casa sua e
parcheggio la macchina con cautela, non voglio che si accorgano che
l’ho usata,
dato che sia Jack che Holly mi hanno vietato di farlo.
Con il mio bottino entro
in casa e salgo in bagno, raccolgo il campione di urina necessario e
poi ci
inserisco il test.
Sono i dieci minuti più
lunghi della mia vita, cammino avanti e indietro fumando una sigaretta
dietro
l’altra, in barba al salutismo.
Finalmente passano, se il
test sarà rosa significherà che sono incinta, se
sarà blu che non lo sono.
Prendo in mano il sottile
cilindro di plastica e noto che è drammaticamente
rosa, complimenti Wendy
O’Connor, sei incinta!
Faccio sparire tutto con
il cuore che minaccia di uscirmi dalla cassa toracica, come
farò a dirlo a Jack?
Forse non sono davvero
incinta, esistono delle probabilità che quel coso si sbagli
e che io non lo
sia. Con una certa urgenza – nata dalla disperazione
– telefono in ospedale e
fisso un appuntamento tra due giorni.
Mi siedo sul divano e bevo
un lungo sorso di vodka direttamente dalla bottiglia, cercando di
calmarmi,
sento solo un senso di calore e un po’ di nausea.
Ok, la vodka non è la
scelta giusta, la rimetto nell’armadietto dei liquori e fumo
l’ennesima
sigaretta, ormai sono spaventata a morte.
Lo spettro della
gravidanza incombe come una spada di Damocle sulla mia vita, peggio
della
stella gialla che gli ebrei avevano addosso.
Jack mi rimarrà accanto?
Finita la sigaretta, mi
butto sul divano e scoppio a piangere, isterica.
Ormai sono fuori controllo,
emotivamente parlando, non so più cosa sento, non so se sia gioia, paura, dolore.
Non so più niente.
So solo che questa
gravidanza, adesso, non ci voleva.
Abbiamo ventidue anni e
stiamo insieme da poco.
Se sono davvero incinta
che futuro potremo offrire a questo bambino o bambina?
Non ne ho idea, prima devo
essere sicura di essere davvero incinta e di non far capire a Jack che
c’è
qualcosa che non va, sebbene detesti mentirgli.
Quando arriva a casa per
cena – stanco e di umore sottoterra – lo accolgo
con il mio solito bacio, solo
che questa cede nel mio abbraccio, se non ci fossi io cadrebbe per
terra.
“Cosa c’è?”
Gli chiedo dolcemente,
staccandolo da me.
“Non mi sento bene.”
Appoggio una mano sulla
sua fronte: scotta.
“Hai la febbre, Jack.”
“Grande, faccio la doccia
e mi metto a letto.”
“Va bene, ti porto
qualcosa da mangiare a letto.”
Preparo del riso, mentre
lui fa la doccia. Salgo poco
dopo,
sicura che abbia finito, e infatti lo trovo a letto, ha
un’aria pallida e
malaticcia, sciupata.
“Grazie, piccola.”
Mangiamo insieme il nostro
riso, poi porto le stoviglie di sotto, mi faccio una doccia, preparo
un’aspirina e gliela porto. Lui la beve senza battere ciglio.
Messa una bottiglietta di
acqua sul suo comodino, lo raggiungo a letto, lui si accuccia sul mio
petto.
“Ho freddo.”
Borbotta, eppure il suo
corpo è caldo.
Io lo stringo forte a me,
baciandogli fronte e capelli.
“Andrà tutto bene, è solo
un po’ di febbre da stress e se vuoi posso scaldarti
io.”
“Mi sento già meglio nelle
tue braccia.”
Io continuo a coccolarlo.
“Ti amo, Wen.
Voglio sposarti, avere due
figli e un cane.”
Io arrossisco.
“Stai delirando, Jack.”
“Non lo so, forse. Sei la
prima ragazza che mi fa questo effetto, cioè ritrovarti
è stato magnifico,
avrei dovuto parlarti già a Baltimora, non aspettare come un
cretino.”
“Sh! È andata come è
andata ed è andata bene.”
Lui annuisce contro la mia
spalla.
“Ti amo.”
Mi dice ancora prima di
addormentarsi, io lo cullo e coccolo anche mentre dorme, pensando che
mi
piacerebbe essere la signora Barakat, anche se non lo ammetterei
nemmeno sotto
tortura.
Lui giace calmo tra le mie
braccia, solo ogni tanto mugugna qualcosa, mi fa tanta tenerezza, sta
dando il
cento per cento di sé per questo cd e spero venga
ricompensato.
“Ti amo anche io, Jack.”
Gli sussurro in un
orecchio, poi il sonno ha la meglio anche su di me e mi addormento.
La
mattina dopo la febbre
di Jack è ancora alta.
Lui vorrebbe andare allo
studio,ma io glielo proibisco categoricamente e chiamo Alex che mi
risponde
quasi subito.
“Ehi, Wen! Cosa c’è?”
“Jack non può venire in
studio, è a letto con trentotto e mezzo di febbre, mi
sembrava giusto
avvisarti.”
“Sì, hai fatto bene.
Grazie mille.”
“Adesso chiamo il
dottore.”
“Sì, poi fammi sapere cosa
dice. Probabilmente è solo stress, non è la prima
volta che gli capita,
prenditi cura di lui.”
“Lo sai che lo farò, buona
registrazione, Alex.”
“Grazie e buona fortuna.”
Chissà perché mi ha
augurato buona fortuna?
“Wen, voglio uscire da
questo letto!”
Urla il mio ragazzo, non
appena ho chiuso la telefonata con Alex.
“Jack, sei malato! Non vai
da nessuna parte che non sia il bagno, ok?
Adesso lasciami chiamare
il dottore.”
“È solo un po’ di febbre!”
Alza le spalle lui.
“Hai trentotto e mezzo e
sono solo le otto di mattina, testardo di un libanese!
Non è affatto normale.”
Chiamo il suo dottore e mi
dice che arriverà in una mezzoretta.
“Wendy, davvero, non ti
devi preoccupare.”
Io prendo il suo volt tra
le mani e lascio che l’azzurro dei miei occhi si fonda nel
castano dei suoi.
“Jack, se avessi avuto
trentasette non mi sarei preoccupata, ma così la febbre
è troppo alta per
essere mattina, lasciati curare.”
Lui sospira.
“Va bene, mi accompagni in
bagno?
Non so se mi reggo e poi
vorrei mangiare qualcosa.”
“Una cosa alla volta e
facciamo tutto.”
Lo aiuto ad alzarsi e poi
faccio passare il mio braccio appena sotto le spalle in modo da
sostenerlo,
arriviamo al bagno camminando a passo di lumaca.
Lui entra da solo, io
aspetto e dopo un po’esce con un passo strascicato, sembra
stanco e questa
volta non protesta quando lo faccio mettere a letto con le coperte che
gli
arrivano al naso.
“Adesso scendo in cucina a
farti un the con qualche biscotto. Tu non uscire da qui,
chiaro?”
Lui annuisce.
Io scendo al piano di
sotto sperando che mi dia retta, inizio a capire perché Alex
mi ha augurato
buona fortuna, il suo amico non è un malato semplice da
curare.
In cinque minuti il the è
pronto, metto qualche biscotto sul vassoio e salgo di nuovo in camera,
Jack –
per fortuna – non si è mosso.
“Finalmente qualcosa da
mangiare!”
Io gli do il vassoio e mi
siedo accanto a lui sul letto. Mangia con appetito, penso sia un buon
segno, lo
chiederò al dottore.
Una volta finito porto via
il vassoio e torno da lui, si è addormentato di nuovo e io
scivolo sotto le
coperte per stargli accanto, mi pare di vederlo sorridere nel sonno.
Sono felice di questo
sorriso involontario in un modo che non riesco nemmeno a spiegare,
forse
finalmente ho trovato la persona che può essere considerata
casa mia.
Il dottore arriva circa
una mezz’ora dopo, Jack è sveglio, ma delira a
causa della febbre alta, così
l’uomo si rivolge a me.
“Ha un’influenza fuori
stagione, forse causata dallo stress.
Entro un paio di giorni la
febbre dovrebbe scendere se gli somministrerà tre volta al
giorno una
tachipirina.
Lo faccia bere, mi
raccomando.
Io gli ho dato la prima
pastiglia qualche minuto fa.”
“Perfetto.”
Il dottore mi saluto e io
torno da Jack che chiama disperatamente una certa Sally, dovrei
preoccuparmi?
“Sally!”
Esclama quando mi vede.
“Vieni qui, mia piccola
Sally.”
“Sono Wendy.”
Non so perché glielo
specifico.
“Sì, lo so, ma vuoi essere
la mia Sally?”
“Va bene, lo sarò. Adesso
devi riposare, Jack.
Ti sei preso
un’influenza.”
Lui sorride e batte la
mano sul materasso per invitarmi a raggiungerlo, io eseguo e mi ritrovo
stretta
nel suo abbraccio.
Farfuglia ancora qualcosa,
poi torna a dormire.
Jack è malato e io domani
devo fare le mie analisi, chi si prenderà cura di lui?
Lo chiederò ad Alex, ma mi
scoccia mentire, non penso che se lo meritino, ma non voglio nemmeno
creare scompiglio
prima del tempo.
Oh, che sfiga!
Come sempre torna il
solito pensiero, vorrei essere una ragazza migliore per Jack, vorrei
non
creargli problemi, invece da quando mi conosce non faccio che ficcarmi
nei
guai.
E lui corre sempre in mio
aiuto, senza lamentarsi, senza nemmeno farmi sentire in colpa e non
è giusto.
So che se fosse sveglio mi contraddirebbe, ma ora dorme e non
c’è nessuno che
ricaccia le mie paure da dove sono venute.
Sono un disastro e spero
di non rovinargli ulteriormente la vita con una gravidanza, anche se
–
segretamente e inconfessabilmente – l’idea di un
piccolo Jack mi piace da
matti.
Un grugnito del vero Jack
mi riporta alla realtà, è quasi mezzogiorno,
forse è meglio che io scenda a
preparargli una minestra.
Con cautela mi sfilo dal
suo abbraccio e scendo in cucina. La Sally difettosa cerca di prendersi
cura
del suo Jack preparandogli una minestra.
Sto per salire quando la
porta di casa si apre di scatto, facendomi quasi cadere di mano il
vassoio: è
Alex.
“Ciao, mi hai fatto prendere
un colpo.”
“Scusa, come sta Jack?”
“Ha l’influenza, il
dottore dice che in un paio di giorni
la
febbre dovrebbe andarsene.”
Lui tira un sospiro di
sollievo.
“Posso salire a trovarlo?”
“Certo, seguimi.”
Saliamo insieme le scale,
quando entriamo in camera troviamo Jack sveglio, ma non molto in
sé.
“Ciao, Sally!”
“Ciao, Jack, ti ho portato
la minestra e Alex!”
“Alex, amico mio!”
L’altro sorride.
“Scemo, mi hai fatto
venire un colpo!”
“Perché? Siamo a Gran
Burrone, nulla può farci del male qui!”
Alex lo guarda senza
capire.
“Assecondalo.”
Gli sussurrio.
“Credo pensi che siamo a
metà tra “Il signore degli anelli” e
“The nightmare before
Christimas.”…”
“Ok.”
Mi risponde Alex
sottovoce.
“Hai ragione, amico!”
Dice a voce più alta.
“La tua Sally ti ha
portato il pranzo!”
“Cosa?”
“Minestra.”
Sorrido, lui non sembra
deluso.
“Ottimo!”
La mangia tranquillamente,
chiacchierando con Alex e trattandolo come se fosse un hobbit, cosa che
non
manca di sconcertarlo.
“Pensavo di somigliare di
più a un elfo.”
In ogni caso – constatato
che il suo amico è in buone mani – se ne va verso
l’una, io lo fermo prima che
se ne vada.
“Alex, posso chiederti un
favore?”
“Dimmi.”
“Domani mattina potresti
stare tu con Jack?
Ho una commissione a cui
non posso rinunciare.”
Lui mi lancia un’occhiata
penetrante, che io cerco di sostenere il più possibile, poi
sorride.
“Va bene, avevo giusto
bisogno di una vacanza dalle registrazioni.”
“Grazie mille, Alex.”
“Figurati, Sally.”
Se ne va ridendo e io mi
sento in colpa.
Il
giorno dopo alle nove in
punto si presenta Alex.
“Buongiorno, Sally. Come
sta l’elfo al piano di sopra?”
“Un po’ meglio oggi,
almeno ha smesso di credere di essere a Gran Burrone.”
Alex sorride.
“Per fortuna, ero stufo di
essere preso per un hobbit.”
Io rido, chiacchieriamo
per qualche altro momento, poi me ne vado.
Arrivo all’appuntamento
puntuale ed entro nello studio di una dottoressa gentile che mi fa
stendere su
un lettino.
“Signorina, si alzi la
maglietta, devo metterle il gel. È freddo.”
Io eseguo, in effetti il
gel è gelato e rabbrividisco.
Lei inizia a passarmi il
marchingegno sulla pancia e già dalla sua faccia scura
deduco che non ci sono
buone notizie per me.
“Signorina O’Connor, lei è
incinta di sei settimane.”
Pausa di silenzio, in cui
io assorbo il primo colpo.
“Purtroppo il feto è
morto, ha avuto un aborto spontaneo e dovrà recarsi nella
nostra struttura per
un raschiamento.”
La guardo inebetita.
La mia creatura è morta?
È già morta?
Raschiamento?
“Signorina, si sente
bene?”
Per tutta risposta svengo.
Torno in me dopo un tempo
che mi sembra infinito, eppure sono nello stesso studio, con la mia
maglietta
sollevata e la pancia impiastricciata di gel.
“Signorina O’Connor?”
“Sì?”
“Lei sapeva di essere
incinta?”
Scuoto la testa, lei mi
guarda comprensiva.
“Ora capisco lo shock, mi
dispiace doverle dare una notizia così terribile.”
“Non si preoccupi… Adesso
non sono più incinta?”
“No, signorina. Mi
dispiace.
Ha avuto un aborto
spontaneo ieri sera, probabilmente e il feto è
morto.”
Le lacrime cominciano a
scorrere lente sulle mie guance, che abbia capito che non lo volevo?
Che per me era un
problema?
La donna mi porge un
fazzoletto.
“Ci vediamo tra due giorni
per un raschiamento, gliel’ho prenotato.”
Mi porge una carta.
“Non si colpevolizzi,
purtroppo è una cosa che può succedere. Non
è colpa di nessuno, lei è giovane e
può rimanere ancora incinta.”
Io annuisco come un
automa, nulla di quello che mi sta dicendo mi entra davvero in testa,
solo il
senso di colpa. Dopo qualche minuto la donna mi passa della carta e io
mi pulisco
la pancia in un gesto automatico, mi sento tanto vuota.
Parlo ancora qualche
minuto con lei, tra due giorni ogni traccia di questa creatura
sarà stata
cancellata e così le mie paure, ma non sto meglio.
Mi sento quasi
un’assassina.
Esco dall’ospedale e guido
fino al parco vicino a casa, lì parcheggio e scendo. Non me
la sento di vedere
né Jack né Alex, voglio stare ancora un attimo da
sola.
Cammino, guardandomi
attorno, non avevo mai notato come il parco fosse pieno di mamme e
bambini,
istintivamente mi tocco la pancia: il mio non lo farà mai.
Alla prima panchina
isolata scoppio a piangere, mi sento la peggiore delle bestie, non
volevo
questo figlio e lui o lei l’ha capito e se
n’è andato, solo ora che non
c’è più
capisco quanto invece lo desiderassi.
È proprio vero che bisogna
perdere le cose prima di capire il loro valore.
Piango e singhiozzo,
mentre fuori il mondo festeggia la primavera, per è inverno,
un rigido inverno
che sta colpendo il mio cuore.
Mi alzo sconsolata, con
ancora i segni delle lacrime addosso, adesso devo pensare a Jack che
non sta
bene.
Salgo di nuovo in macchina
e arrivo a casa. Alex è seduto sul divano del salotto e
legge le riviste del
mio ragazzo, non appena alza gli occhi e mi vede impallidisce. Molla la
rivista
e si dirige verso di me, appoggiandomi le mani sulle spalle.
“Wen, cosa è successo?”
Io scoppio a piangere tra
le sue braccia, lui mi stringe confuso.
“Wendy, cosa è successo?
Wendy, rispondimi, mi stai
spaventando!”
Io singhiozzo più forte e
cerco di articolare una risposta.
“Wendy, dimmi cosa ti è
successo.”
“Io… Io ero incinta, Alex
e … e …ho perso il bambino, perché non
lo volevo, lui se n’è andato.”
Lui mi stacca e mi guarda
negli occhi.
“Siediti sul divano, io
torno con un the e mi racconti cosa è successo.”
Faccio come dice e
dopo pochi minuti mi
ritrovo con una tazza di the fumante tra le mani.
“Cosa significa che eri
incinta?”
“Significa che mi sono
accorta di avere delle nausee e di avere il ciclo ancora più
sballato del
solito, così ho fatto un test ed era positivo.”
“Perché non l’hai detto a
Jack?”
“Un po’ per la malattia,
un po’ perché non ero sicura, i test possono
sbagliare, così stamattina ho
fissato una visita.”
Rimango un attimo in
silenzio.
“L’ecografia mi
ha detto che ero alla sesta settimana di gravidanza,
ma che il feto era … è …. Morto. Ho
avuto un aborto.”
Scoppio di nuovo a
piangere.
“Si è accorto che non lo
volevo, se n’è accorto ed è andato
via.”
Lui mi attira a sé e mi
abbraccia più forte che può.
“No, Wen. Non è colpa tua,
è solo successo.
Ti voglio bene, non
fartene una colpa.”
Io scoppio silenziosamente
a piangere di nuovo tra le sue braccia, a volte è bello
avere un amico.
Mi fa sentire meglio e per
un attimo dimentico il problema principale: come farò a
dirlo a Jack?
Angolo di Layla
Ringrazio Iwasblessedwithacurse,
_redsky_
e Mon
per le recensioni :)
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Capitolo 23 *** 22)No rest for the wicked they say ***
22)No
rest for the wicked they say
Ci
sono segreti che pesano
sul cuore.
Ci sono parole non dette
che uccidono.
Jack non sta ancora del
tutto bene, così io e Alex abbiamo deciso che è
meglio che non sappia della
notizia fino a quando non si sarà del tutto ripreso.
La sua influenza da stress
ha superato i due giorni, anche se ora sa di essere Jack Barakat e non
un elfo
di Gran Burrone e che Alex non è Frodo o Samvise.
Il dottore dice che in un
paio di giorni si sarà del tutto ripreso, tra due giorni
dovrò dirgli tutto e
sento il mio cuore esplodere alla sola idea.
Per ora il mio solo
conforto è Alex e devo dire che si è dimostrato
sensibile e comprensivo, sta
facendo del suo meglio per tirarmi su di morale. Io però non
ci riesco, quando
sono nella stanza di Jack devo sorridere per forza, appena esco la
maschera
cade e divento uno zombie apatico.
Holly mi ha accompagnato
al raschiamento e ha tentato anche lei di consolarmi, ma non ce
l’ha fatta, non
mi sentivo così male e così colpevole dalla morte
di Jim e so che non è un bene
per me.
Ho iniziato a tagliarmi
seriamente dopo la sua morte e sento che adesso sto camminando su un
terreno
minato che rischia di farmi cadere di nuovo in un problema che credevo
superato.
Dio, perché non posso
avere un po’ di pace?
Forse ho combinato
qualcosa nella mia vita precedente e sto scontando adesso sotto forma
di
disgrazie continue.
L’unica cosa che mi dà un
po’ di pace – e allo stesso tempo mi distrugge
dentro – è dormire con Jack, che
non sa nulla di tutto questo.
Vorrei che rimanesse malato
ancora un po’, perché non mi va che si senta
meglio per poi ricevere una
notizia come questa. Forse per lui non sarà così
terribile, ma nono credo
nemmeno che gli farebbe piacere.
E intanto in questi due
giorni la vita va avanti, Jack inizia a mangiare cibi più
solidi e a girellare
per casa, la febbre almeno alla mattina non l’ha
più.
Due giorni dopo sta
benissimo, si è ripreso completamente e tra poco
arriverà il momento in cui
dovrò distruggere questa felicità posticcia.
Sto cucinando
svogliatamente quando lui si presenta in cucina, ha una faccia seria.
“Wendy, tutto bene?
Hai un’aria strana.”
Io spengo il gas e mi
siedo davanti a lui: il momento è arrivato.
“Effettivamente ho un’aria
strana.”
Esordisco.
“E come mai ce l’hai?”
“Mentre eri malato sono
successe alcune cose.”
“Del tipo?”
Io abbasso gli occhi.
“Del tipo che ho fatto un
test di gravidanza.”
“E sei incinta?”
Mi chiede lui con gli
occhi spalancati.
“Sì e no.”
“Non capisco.”
“Dopo il test ho fatto
delle analisi di laboratorio, ero incinta, ma il feto era morto.
Ho fatto un raschiamento
due giorni fa.”
Lui mi guarda senza
parole, poi si alza e mi abbraccia, muto.
Nemmeno lui sa cosa dire,
non ha nemmeno una parola da spendere su questa cosa, non so cosa ne
pensi.
“Io, Wen… Piccola, mi
dispiace!
Io non so cosa dire, è
tutto… troppo grande per me, per noi.”
“Ti sarebbe piaciuto
essere padre?”
Gli chiedo con voce
spenta.
“Non lo so, non ci ho mai
pensato.”
“E non ci penserai ancora
per un po’, lui si è accorto che non lo volevo e
se n’è andato.
È colpa mia se è morto!”
Scoppio a piangere tra le
sue braccia, lui mi stringe forte.
“Wendy, non è colpa tua.
Sono cose brutte, ma succedono e
nessuno
ne ha colpa.
Non fare così, non voglio
vederti piangere.”
“Tu l’avresti voluto?”
“Penso di sì, alla fine.
Sarebbe stato il frutto del nostro amore, non avrei voluto
perderti.”
Io continuo a piangere per
un po’, poi mi fa sedere al tavolo e mi prepara un the. Una
volta che ho in
mano quello – forte e zuccherato – mi sento un
po’ meglio, almeno lui lo sa.
“Mi dispiace di non
esserti stato accanto.”
“Eri malato e poi c’erano
Alex e Holly a darmi una mano.”
“Alex lo sapeva prima di
me.”
“Non arrabbiarti, è stato
un caso. Quando sono arrivata a casa dopo il risultato delle analisi ha
visto
che non stavo bene e mi ha chiesto perché.
Tutto qui.
Avrei dovuto fingere un
po’ meglio.”
La sue espressione
corrucciata si distende.
“Tranquilla, hai fatto
bene. Dovevi parlarne con qualcuno e visto che io non c’ero
Alex va benissimo.”
Io sospiro di sollievo,
non volevo offenderlo con quello che ho fatto o che fargli pensare che
Alex
vale più di lui.
“Non sono stati giorni
facili per te, vero?”
“No e credo che nemmeno i
prossimi saranno facili. Mi sento vuota.”
Taccio sul mio timore per
l’autolesionismo, non voglio farlo preoccupare ancora di
più.
Non è detto che ci ricada,
anche se mi sembra difficile riuscire a mantenere il controllo sui miei
nervi e
impulsi in questa situazione.
“Domani devo tornare allo
studio, non fare cose stupide in mia
assenza.”
“Ok.”
Rimaniamo un attimo in
silenzio.
“Finisco io di preparare
il pranzo, anzi ordino qualcosa dal cinese.”
Io annuisco, senza forze,
al momento non mi
importa molto di
quello che mangerò e se non mangiassi sarebbe probabilmente
lo stesso.
Non ho molta fame.
Sono poche le cose di cui
ho voglia ultimamente, in ogni caso io e Jack mangiamo la roba del
cinese in
silenzio, poi lui torna a letto e io lo seguo.
Se mi sembra di stare bene
solo tra le sue braccia è lì che starò
finché posso.
Il
giorno dopo lui va alle
registrazioni di malavoglia.
Mi saluta con un lungo
bacio e poi bacia anche la mia mano ferita.
“Cerca di stare
tranquilla, non fare nulla di avventato, io arriverò il
più presto possibile.”
“Va bene.”
Rispondo spenta, poi me ne
torno a letto e dormo dalla parte di Jack, almeno il suo odore mi
rilasserà.
Dormo fino alle undici,
poi me ne vado in bagno e mi guardo a lungo allo specchio. La ragazza
dai
capelli azzurri che sfumano in un verde acido ha un’aria
spenta e trasandata, è
pallida e con le occhiaie, nonostante il sonno.
Sospiro e torno in
camera, in fondo a un cassetto
– nascosto da tutto e da tutti –
c’è
un pacchetto di lamette che mi sono portata da Baltimora e sono una
grande
tentazione.
Ne porto una in bagno e me
la rigiro tra le mani, ho promesso a Jack di non fare nulla di stupido,
ma io
non ce la faccio. Mi sento morta e l’unico modo per capire se
non lo sono è
vedere se sanguino come gli altri esseri umani.
Lo so che è sbagliato e
che sto infrangendo una promessa, ma non posso farne a meno. Incido un
piccolo
taglio sul polso ed esce un po’ di sangue, premo un altro
po’ e ne esce di più.
Conosco il sorrido che mi
si forma quando mi taglio, lo conosco e lo odio, ma non ne posso fare a
meno.
Me lo medico e lo bendo,
poi lo nascondo sotto il solito polsino, pulisco anche il bagno per
evitare che
rimangano tracce.
Scendo in cucina e mi
mangio una tazza di cereali, mi sento lo stesso vuota, ma il calore del
sangue
e della ferita mi consola.
Jack sarebbe furioso, ma
io non so come reagire. Mi viene da piangere e mi raggomitolo sul
divano, è
così che mi trova Jack.
Lui si precipita da me e
mi alza il volto.
“Wen!”
“Ciao, Jack!”
“Cos’hai?”
“Esisto, il che è un bel
problema.”
Lui mi guarda senza
capire.
“Una persona come me non
dovrebbe vivere.”
“Non dire cavolate.”
Io taccio, lui guarda il
polsino e lascio che me lo tolga, così nota subito il taglio
nuovo.
“Non avresti dovuto
farlo.”
Io continuo a non parlare.
“Perché Wen?”
“Perché non merito di
vivere.”
“Non è vero.”
“Ho ucciso il nostro
bambino.”
Lui mi prende le mani tra
le sue e mi guarda dritto negli occhi, vorrei evitare di farlo, ma il
loro
potere ha la meglio sulla mia debole volontà e mi perdo in
quegli occhi
castani.
“Non hai ucciso nessuno,
adesso ti cucino qualcosa e poi vieni alle prove con me.”
“A cosa ti servirei?”
Lui sospira.
“Almeno sono sicuro che
non ti taglierai. Ho paura che un giorno tornando a casa ti
troverò in un lago
di sangue nel bagno di casa nostra e non voglio, capisci?”
“Forse sarebbe meglio
perte.”
“No, non lo sarebbe.
Lascia decidere a me cosa è meglio per me e stare senza di
te non è una buona
cosa.”
Io annuisco debolmente,
lui mi lascia andare e lo sento trafficare in cucina, poco dopo torna
con un
piatto si uova strapazzate e del bacon. Meglio di niente.
Mangio in silenzio sotto
lo sguardo preoccupato del mio ragazzo.
Finito, mi costringe a
salire in camera e a vestirmi. Io indosso un paio di pantaloni scozzesi
che mi
arrivano a malapena sotto il ginocchio e una maglia nera con un teschio
e una
rosa, mi metto un paio di anfibi e sono a posto.
Non ho voglia di
truccarmi, non ho nemmeno voglia di uscire.
Jack mi prende per mano e
mi fa salire in macchina, io eseguo tutto come un automa, non mi
importa dove
sono al momento.
La macchina si muove,
fuori c’è una bella giornata, Los Angeles ci sta
regalando il suo meglio, ma
io non lo vedo. Io vedo nuvole nere, case disabitate e neve che cade
come
cenere dal cielo, mentre una vocina infantile mi dice tristemente che
non lo
volevo.
Arriviamo allo studio,
fuori c’è Alex che fuma e gli basta
un’occhiata per vedere che qualcosa non va.
Lui e Jack parlottano un attimo, poi è il frontman che
rimane con me.
“Cosa succede?”
“Niente.”
Lui mi indica il polsino.
“Fammelo vedere.”
Io alzo il braccio come se
il corpo non fosse il mio. Lui guarda il taglio e non dice nulla per un
po’.
“Non dovresti.”
“Perché?”
“Perché ti fai del male e
fai del male anche a Jack.”
“Io… Non sono così forte!
Da quando il bambino è morto mi sento come dopo la morte di
Jim: impotente,
inutile, un peso.”
“Non lo sei, non per Jack né
per nessuno di noi.
Non è colpa tua, Wendy. Ti
prego, credici.”
“Se l’avessi desiderato un
po’ di più…”
“Sarebbe morto lo stesso
perché – per quanto possa fare male –
era questo il suo destino.”
Io singhiozzo più forte, non riesco ad accettarlo, anche se
sarebbe meglio per
tutti.
“Dobbiamo entrare, forza.”
Mi prende per mano e mi
trascina dentro, io lo seguo docile come una bambola. Lui entra nel
locale
insonorizzato, io mi siedo su una delle poltroncine lì
fuori. Fisicamente sono
lì, psicologicamente sono ancora nel mondo in rovina in cui
non esiste nulla di
quello che conosco, solo dolore.
Non sento il loro chiasso
alle prove, né l’agognato nuovo album.
Nulla.
È come se non fossi lì e
forse non ci sono davvero, forse ormai ho imparato a staccare la mia
anima dal
corpo, come certi santoni indiani.
“Wendy?”
Mi ritrovo davanti il
volto preoccupato di Jack.
“Le prove sono finite,
vuoi venire a mangiare qualcosa con noi?”
Io non rispondo, si
avvicina Alex.
“Wen, vieni a mangiare con
noi, ti farà bene.”
“Ma lui?”
“Lui sarà felice di vedere
la sua mamma felice, è quello che vogliono tutti i bambini,
no?”
Davanti a questa
argomentazione mi alzo e mi butto tra le braccia di Jack, il mio porto
sicuro,
per farmi portare in macchina.
“Scusa se sono così
zombie.”
“Hai ricevuto un brutto
colpo, è normale che tu lo sia.
E tu?”
Lui rimane in silenzio.
“Io guardo i padri quando
me ne capita uno sott’occhio e mi chiedo se sarei in grado di
essere così e non
so cosa rispondermi. Se questo bambino o bambina fosse vissuto avrei
voluto
dargli un buon padre, non un ragazzino incerto e spaventato.”
Fa una piccola pausa.
“Anche se l’idea di una
piccola te mi piaceva molto, una a cui insegnare a suonare la chitarra
e a cui
nascondere i giochi di parole sconci che faccio fino ai quattordici
anni.
Forse non era ancora il
momento giusto.”
Finisce con voce
incrinata.
Anche lui, a suo modo, sta
soffrendo per questa perdita, solo che i maschi hanno un modo tutto
loro di
portare il lutto e di soffrire.
Un modo che io non posso
capire, ma sono certa della sofferenza di Jack, come sono certa della
mia.
Che schifo di vita.
“Forse hai ragione.”
Dico incerta.
“Vieni a mangiare con
noi?”
“Va bene.”
Non sono molto decisa, ma
forse è meglio stare in compagnia che da soli,
così do retta a Jack e cerco di
soffocare il mio senso di colpa.
I ragazzi hanno deciso di
andare in una pizzeria in centro, mi sento leggermente a disagio senza
trucco.
Il mio trucco nero è sempre stato qualcosa messo per
proteggermi dagli altri e
ora che non ce l’ho addosso mi sento più debole ed
esposta.
Forse in borsa ho una
matita e un ombretto, così una volta che i ragazzi si sono
accomodati al tavolo
cerco nella mia borsa e li trovo.
Cinque minuti dopo i miei
occhi sono contornati da uno spesso strato di nero e mi sento di poter
affrontare l’ambiente che c’è
là fuori.
Nessuno di loro lo
nota,ovviamente, i ragazzi non fanno mai caso ai piccoli accorgimenti
delle
ragazze, li danno quasi per scontati.
Seduta al tavolo, ordino
una margherita alla cameriera e la mia risulta la più
leggera delle pizze che
ci saranno a questo tavolo.
I ragazzi parlano
dell’album, io simulo un ascolto educato della conversazione,
non posso
intervenire molto, ma cerca di aggrapparmi a quelle parole come un
naufrago con
un pezzo di legno.
Se mi concentro su quello
che dicono il dolore non mi spinge così a fondo, anche se
non mi abbandona mai.
Temo che non mi abbandonerà, sarà
l’ennesima cicatrice nascosta, ma che
sanguina.
La cena finisce alle
dieci, sembriamo un gruppo di amici felici, nessuno immaginerebbe mai
cosa mi
sia successo.
In macchina mi lascio
andare a un sospiro tremulo, Jack mi guarda incuriosito.
“È difficile fingere che
tutto vada bene, quando dentro sei a lutto.”
Lui sospira, facendo eco
al mio di poco prima.
“Lo so, Wen, ma dobbiamo
andare avanti. Credo che nostro figlio vorrebbe che facessimo
così.”
“Nostro figlio avrebbe
meritato una madre migliore.”
Lui appoggia una mano
sulla mia coscia.
“Sono sicuro che saresti
stata una bravissima madre, questa è solo una sfortunata
coincidenza.”
Io tiro su con il naso, il
senso di colpa è tornato ad aggredirmi con una forza
sorprendente.
Non dico più una parola
fino a quando non torniamo a casa e nemmeno Jack osa interrompere
questo
silenzio.
È una cappa che ci
soffoca, ma nulla è così significativo da
riuscire a romperla.
Jack parcheggia la
macchina in garage, io scendo e lo precedo in camera a letto, lui entra
e mi
trova in intimo.
“Sei sempre bella, ma hai
bisogno di dormire.”
“Lo so, ma faccio molta fatica.
Troppi pensieri.”
Lui si spoglia, io lo
seguo attentamente con gli occhi, una parte di me vorrebbe fare
l’amore con
lui, l’altra non si sente pronta. Alla fine vince la seconda.
Lui si sdraia accanto a me
e mi abbraccia, sento il calore del suo corpo sul mio e –
malgrado tutto – non
posso fare a meno di sorridere.
Lo amo, lui è l’unico per
cui vado avanti.
Lui mi accarezza i capelli
e mi bacia le tempie, in qualche modo questo riesce a calmarmi e riesco
ad
addormentarmi.
Mi sveglio alle dieci
della mattina dopo, il letto dalla parte di Jack è freddo e
c’è un biglietto
sul cuscino. Mi dice che è alle prove e di non lasciarmi
andare.
Cosa potrei fare?
Mi chiedo mentre metto le
ciabatte, non ho voglia di fare nulla.
Scendo svogliatamente in
cucina e mangio una tazza di cereali, cercando di non pensare al dolore
e a
cosa fare.
Potrei andare al negozio
facendo visita a Holly, non sarebbe una cattiva idea visto che sono
secoli che
non ci vado.
“Va bene, Wen. Fai questo
tentativo.”
Dico a voce alta.
Mi metto gli stessi
vestiti di ieri sera e prendo un pullman che mi porta nelle vicinanze
del mio
negozio, fortunatamente ho un buon senso dell’orientamento.
Arrivo lì che sono ormai
le undici, Holly sta parlando con cliente – probabilmente gli
sta mostrando dei
caratteri sul pc o qualche soggetto – dall’altra
parte della tenda si sente il
ronzio famigliare della macchinetta.
Mi siedo sul divanetto e
aspetto pazientemente che Holly finisca e mi fa uno strano effetto, di
solito
sono io che faccio i tatuaggi.
Una volta finito con il
cliente Holly mi rivolge un sorriso smagliante.
“Sono felice di vederti
qui.”
Io le rispondo con quella
che è più una smorfia che è un sorriso.
“Beh, anche io. Sono qui
per vedere come ve la cavate senza di me e poi perché ho
bisogno di distrarmi,
anche se mi sembra una bestemmia.”
Il sorriso di Holly
svanisce.
“Non è una bestemmia. Jack
mi ha raccontato tutto, non devi sentirti in colpa. Capisco non sia
facile da
vivere, ma non puoi lasciare che ti ributti dov’eri finita
quando è morto Jim.
Non è colpa tua se il
bambino è morto, non è colpa di nessuno e
finché non lo capirai non riuscirai
ad andare avanti e tu merito di andare avanti.
So che sei una lottatrice,
Wen, tira fuori gli artigli.”
L’unica cosa che mi esce è
un sospiro.
Sì, sono una lottatrice,
ma ci sono certe cose che abbatterebbero persino la più
forte delle persone. Ci
sono serie di dolori che distruggono lentamente e poi tolgono la forza
di
rialzarsi.
“Holly mi abbraccia.”
“Forza e coraggio, io sono
qui e c’è anche la band. Non è come a
Baltimora, non sei sola, ci sono tante
persone che ti vogliono bene.”
Io annuisco e mi asciugo
una lacrima.
Niente pace per me, ancora
una volta devo lottare.
Non posso annegare i miei
demoni, sanno nuotare (*).
Angolo di Layla.
(*) traduzione esatta di "I can't
drown my demons, they know how to swim", parte del testo di "Can you
feel my heart" dei Bring Me The Horizon.
Onestamente, visto lo scarso
interesse non so se pubblicare i seguiti vari, mi sembra semplicemente
farlo. Ditemi voi.
Ringrazio Iloveyoug
per la recensione.
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Capitolo 24 *** 23)Break your little heart in two. ***
23)Break your little heart
in two.
Ci
sono periodi nella vita
che sono davvero difficili.
Ne ho avuti tanti, ma
nessuno duro come questo, l’aborto mi ha letteralmente preso
e buttato nelle
regioni più oscure di me stessa. Ho attraversato il mare del
senso di colpa,
calpestato la terra del “Perché
esisto?”, contemplato l’arcobaleno del suicidio
e la luce accecante dell’alba della monotonia.
Jack mi è stato sempre
vicino, io ho cercato ogni giorno di indossare una maschera per fargli
credere
che sto meglio, ma non credo di essere riuscita ad ingannarlo.
Intanto sul mio
braccio sono
fiorite tante cicatrici,
anche se lui ha tentato in ogni modo di nascondere oggetti che mi
potessero
fare male.
Deve amarmi davvero molto
se ha sopportato e sta ancora sopportando l’ombra della
ragazza che amava.
Ormai è arrivato giugno,
sto guardando l’alba sorgere sul mare, il sole sembra
incendiare un attimo
l’acqua e poi accende tenui colori rosati nel cielo.
Ho perso il conto di
quante albe ho visto, ma questa mi colpisce in modo particolare, forse
per
l’idea che per un attimo l’oceano sembrava davvero
avere preso fuoco. È stato
ferito, ma si è rialzato, non era colpa di nessuno, ma lui
non si è crogiolato
nei sensi di colpa.
Questo smuove qualcosa
dentro di me, forse anche io posso rialzarmi e smetterla, ho fatto
soffrire fin
troppo le persone che amo, in particolare Jack.
Lo guardo dormire e sembra
il ritratto della serenità, invece è parecchio
stressato per il cd e per me.
Non sarebbe dovuto succedere.
Mi ero giurata che non
sarei mai stata un peso per lui, da quando si è rotto questo
giuramento?
Da quando ho scoperto di
essere incinta e di aver in seguito abortito.
Sospiro.
Ormai è successo, ho
pagato il mio tributo alla sofferenza, credo sia arrivato il momento di
andare
avanti.
Visto che è domenica torno
a letto, ripromettendomi di svegliarmi prima di Jack in modo da
preparargli la
colazione. Se la merita per essermi stato accanto in un periodo
così difficile
per me, in cui ero ridotta a uno zombie senza volontà
Con questi pensieri in
testa mi addormento godendomi appieno il suo abbraccio dopo mesi.
Riesco a svegliarmi prima
di lui, scendo in cucina e comincio a preparare uova e bacon solo per
lui, io
metto sul vassoio la solita tazza di cereali.
Finito tutto, salgo in
camera nostra e lo scuoto gentilmente, lui mugugna qualcosa e poi apre
gli
occhi. Li spalanca del tutto quando vede il bacon e il resto.
Sorpresa riuscita!
“Wen, mi hai portato la
colazione a letto!”
“Sì.”
“E questi sono bacon e
uova.”
“Esattamente.”
Gli rispondo sorridente,
lui mi guarda grato e mi fa spazio sul letto.
Lui attacca subito il
cibo, io mi perdo ad ammirarlo per qualche
momento, mi sembra bellissimo e quasi troppo per me. Io
non sono sicura
di meritarmelo.
“Sono felice di vedere che
stai un po’ meglio.”
“Da cosa l’hai capito?”
“I sorrisi. Non ne hai più
fatto uno vero da quando è successa… quella cosa.
Ti ho sempre vista solo
con sorrisi di plastica.”
Io arrossisco, non pensavo
che se ne fosse accorto.
“Sorpresa, eh?”
“Un po’, non pensavo
l’avessi notato.”
“Io ti osservo più di
quanto tu creda.”
Arrossisco ancora di più.
Non me l’aspettavo, giuro.
Boccheggio qualche parola,
facendolo ridere.
“Mangia, Wen o rischi di
andare in carenza di ossigeno.”
“Beh, dovresti avvisarmi
quando tiri fuori queste perle da film romantico, almeno mi preparo psicologicamente.”
“E che senso avrebbe
dirtele se ti avviso?”
Scoppia a ridere come un
matto.
“Wen, sei proprio strana.”
Io sospiro.
“Sì, a volte immagino di
esserlo.
Sono strana, troppo sulla
difensiva, non parlo e a volte sono terribilmente esasperante per
questo lato
del mio carattere. Forse è meglio che…”
Lui mi appoggia un dito
sulle labbra.
“Non dire più nulla. A me
non importa dei tuoi difetti, non sono fastidiosi, anzi li amo e li
avrebbe
amati anche lui o lei.”
Lo guardo negli occhi,
sono innegabilmente sinceri e a me scappa un altro sorriso.
Sono fortunata che non mi
ritenga responsabile di quello che è successo, anche se ne
avrebbe tutte le
ragioni, e mi ami.
Questa è una cosa da cui
ripartire, un punto saldo della mia vita: Jack mi ama.
“È giugno, ti piacerebbe
fare un giro alla spiaggia e magari farci anche un bel bagno.”
Io annuisco, prendo il
vassoio della colazione, lo porto dabbasso e lo metto nel lavandino,
Jack intanto è sceso
in salotto, pronto.
Io salgo a mettermi il
costume e un copricostume verde, preparo una borsa veloce e scendo, lo
trovo
che guarda la tv.
Decido che può guardarla
ancora un po’ e preparo anche un pranzo al sacco fatto di
panini e bibite.
“Jack, sono pronta.
Possiamo andare.”
Lui spegne la tv e si volta
sorridendo verso di me.
“Eccomi. Uh, ma hai
preparato anche il pranzo!”
“Ho visto che stavi
guardando la tv e ho deciso di approfittare di quel momento per fare
qualche
panino.”
Lui mi passa un braccio
attorno a una spalla.
“Bene, allora possiamo andare.
Non manca nulla.”
Sì, lui c’è, io ci sono e
c’è anche il cibo.
Non manca proprio nulla.
Il
picnic sulla spiaggia
si rivela un’esperienza piacevole.
Non c’è molta gente e c’è
un delizioso venticello che ci rinfresca e increspa il nostro
ombrellone e l’oceano.
I panini sono buoni, Jack
è rilassato, ma non significa nulla: lui è sempre
rilassato.
Non so mai cosa gli passi
per la testa, a volte è impenetrabile e l’unica
persona che lo sa è Alex e
questo mi frustra parecchio perché vorrei non stressarlo.
Ma come faccio a non farlo
se lui non mi dice perché lo è?
Forse sono stata
insopportabile negli ultimi tempi, ma avevo le mie ragione e lui sembra
averlo
capito, eppure sono inquieta.
C’è qualcosa nella sua
calma che mi preoccupa profondamente.
“Vado a farmi un bagno,
tu?”
Io guardo la mia mano e
decido che posso permettermelo, ormai sono brava a rifare la fasciatura.
“Arrivo. Jack, tutto
bene?”
“Sì, perché?”
“No, niente. È solo una
sensazione.
Andiamo!”
Entriamo in acqua e lui
sparisce subito al largo, senza fare il cretino, lasciandomi da sola
vicino
alla spiaggia, ma circondata da una distesa d’acqua azzurra.
Non so perché inizio ad
avere freddo ed esco dall’acqua e me ne torno
all’ombrellone in lacrime.
Non è che a causa del mio
dolore l’ho perso e non me ne sono nemmeno accorta?
Piango per circa una
decina di minuti, poi mi asciugo le lacrime e ricompongo la mia faccia
in
un’espressione normale per non creare problemi.
Un quarto d’ora dopo esce
dall’acqua e si sdraia sul salviettone senza dire una parola,
sembra felice, ma
– ho detto – potrebbe essere una maschera.
Devo parlare con Alex,
anche se questo mi fa sentire la più scadente delle ragazze.
Finiamo la nostra giornata
al mare verso le cinque, non è stata granché. A
dispetto delle premesse
sembravamo due estranei che non sapevano di che parlare.
Dio, non togliermi anche
lui, ti prego!
Arrivati a casa lui
sparisce a farsi una doccia, quando torna mi trova sul divano.
“Jack, faccio un salto da
Holly, va bene?”
Lui annuisce.
“Divertiti.”
“Ok, ciao.”
“Ciao.”
Esco da casa mia
spaventatissima.
Percorro i pochi metri che
separano dalla casa di Alex e suono il campanello.
Esce direttamente Alex.
“Ciao, se vuoi parlare con
Holly non c’è.”
“No, a dire la verità ho
bisogno di parlare con te.”
“Va bene, entra.”
Entro e mi siedo sul
divano.
“Vuoi qualcosa?”
“Qualsiasi cosa di forte
andrà bene, ne ho bisogno.”
Lui mi guarda incredulo.
“Pensavo che non ti
piacesse l’alcool.”
“In generale no, ma certe
volte ne ho bisogno per sciogliermi.”
Lui annuisce comprensivo e
poco dopo mi porge un bicchierino di whisky che butto giù
tutto d’un fiato.
“Ecco, ora penso di
potercela fare.”
Mormoro.
“Wendy, cosa c’è?”
Mi chiede preoccupato
Alex.
“Jack, dimmi cosa ha
Jack.”
Lui mi guarda sorpreso.
“Oh, non guardami con
quella faccia!
Lo so che ha qualcosa,
solo che non vuole dirmelo, è sempre così freddo!
Apparentemente è
rilassato, gli va bene tutto, ma in realtà non è
così e so che tu sai cosa ha.
Tu lo conosci meglio e,
anche se questo mi brucia un po’, sei l’unico che
mi può aiutare.”
Lui mi guarda.
“Sei gelosa.”
“Un po’, ma non importa.
Suppongo che per avere il pacchetto Jack Barakat bisogni accettare
anche un
pezzo del pacchetto Gaskath.
L’importante è che non si
arrivi a dividere il letto.”
Lui annuisce.
“Allora, cosa ha Jack?”
I suoi occhi smettono di
essere fissi nei miei e vagano per la stanza, non mi piace questo
comportamento, è segno di una bugia di solito.
“Beh, anche lui ha passato
un periodo duro.
“Lo so.”
“Forse è il suo modo per
far passare il dolore.”
“Allontanandomi?”
Chiedo ferita.
“Non lo so, dovresti
parlarne con lui.”
“Lui dice che va tutto
bene.”
Alex tace.
“Alex, lo so che mi stai
tenendo nascosto qualcosa. Ti prego, dimmela.”
Lui si alza in piedi e
cammina per il salotto.
“Non posso, Wen.
Semplicemente non posso, mi dispiace.
E se vuoi un consiglio,
lascia perdere queste paranoie.”
Io sospiro affranta e
anche un po’ arrabbiata.
“Lo sapevo che avresti
coperto Jack, nonostante il bene che dici di volermi.
Arrivederci, Alex!”
Sibilo dura, poi me ne
vado dalla villa, incurante del fatto che Alex mi stia urlando di
fermarmi e di
non reagire così. Non capisco come dovrei reagire.
Davvero non lo so!
Il mio ragazzo mi nasconde
qualcosa esattamente nel momento in cui io sembro stare meglio e il suo
migliore amico lo copre.
Non ho voglia di tornare a
casa e non mi va di sentire altre scuse da parte di Alex
così mi dirigo il
parco del quartiere.
Stare da sola mi farà
bene.
Mi siedo su una panchina e
mi guardo attorno, ho fatto la scelta sbagliata: il parco è
pieno di giovani
mamme con prole a seguito, esattamente quello che sarei dovuta essere
io.
Merda! Perché ogni volta
che sono a due passi dalla felicità mi succede una
catastrofe?
Perché?
Cos’ha Dio contro di me?
Mia madre, mio padre, mio
fratello, la morte di Jim e il mio incidente mi sembrano una punizione
sufficiente!
Mi raggomitolo sulla
panchina in silenzio, isolandomi dal mondo e pensando che è
troppo per me.
Sento che sto perdendo
Jack e non so come fermarlo, lui mi scivola via dalle mani come acqua e
non so
a chi chiedere aiuto.
Mi sento sola esattamente
come a Baltimora, mi sento la ragazzina fragile e allo sbaraglio di
allora.
Tutto cambia per non far
cambiare niente.
Che tristezza.
Inizia ad alzarsi un vento
freddo, io guardo il cellulare: sono quasi le sette, meglio tornare a
casa.
Il
giorno dopo ci alziamo
tutti e due presto.
Lui deve andare alle
registrazioni e io vado in negozio per passare il tempo.
Lui sembra rincoglionito
come al solito al mattino, ci salutiamo con il solito bacio, ma sento
una certa
indifferenza da parte sua.
È ufficiale: sono in
paranoia.
Ma ne vado al negozio
molto preoccupata, Holly lo nota subito.
“Che succede, Wen?”
“C’è che sono preoccupata
per la mia storia con Jack, temo mi nasconda qualcosa.”
“Mannò, non penso.”
“Ieri sono stata da Alex,
è stato molto evasivo su questo argomento.”
Holly tace e io vado nella
parte vera e propria dello studio, dove Bryan sta preparando la
macchinetta.
“Ciao, Wendy.”
“Ciao, Bryan.”
“Hai qualche problema?”
Io mi siedo su uno
sgabello che di solito è destinato a chi accompagna la gente
a farsi tatuare:
genitori, amici, fidanzati/e, parenti.
“Sì, ne ho uno.
Il mio ragazzo ultimamente
è diventato strano e il suo migliore amico non mi vuole dire
perché.”
“Significa che sta facendo
qualcosa di sbagliato.”
Al pensiero che Jack mi
tradisca sento un crampo al cuore e mi accascio sulla sedia.
“Tutto bene?”
“Sì, solo un crampo,
grazie.”
“Devi tenerci a questo
ragazzo.”
“Molto. Forse tengo di più
a lui che a me stessa in questo momento.”
Lui continua a pulire la
macchinetta.
“Spero che si meriti
questo amore.”
Io rimango in silenzio,
l’idea che Jack mi stia tradendo sta germogliando dentro di
me, tutto
filerebbe: dalle sue stranezze, al silenzio colpevole di Alex, per non
parlare
della messicana che ha giurato di farmela pagare.
Ho un brivido e cerco di
trattenere le lacrime.
Non può essere davvero
così, mi rifiuto di crederlo, lui mi ama e me lo ha
dimostrato molte volte.
Perché tradirmi?
{“Beh,
anche lui ha passato un periodo duro.
“Lo so.”
“Forse è il suo modo per far passare il
dolore.”}
Jack non può
essere così
stupido, non può. Eppure – chissà
perché –
una parte di me la trova una spiegazione sensata, come se
in fondo
sapessi che con lui non avrebbe potuto durare.
Mi impongo faticosamente
di mantenere la calma, non è detto che sia così,
non ho alcuna prova, solo un
sospetto. Lo condannerò definitivamente a essere uno stronzo
il giorno in cui
lo vedrò scopare con un’altra nel nostro letto,
solo allora.
“Wendy?”
La voce di Bryan mi
richiama alla realtà.
“Scusami, forse ho detto
delle cose inappropriate.”
Io scuoto la testa.
“No, hai solo detto la tua
opinione, va bene così.
Sta arrivando il primo
cliente, smetti di pensare ai miei problemi.”
Lui annuisce poco
convinto.
Il primo cliente è un uomo
che ho già tatuato, si ferma cinque minuti a chiedermi come
sto e a dirmi che
gli dispiace per quello che mi è successo.
Io annuisco e gli dico che
presto tornerò in pista, mi manca il mio lavoro ed
è la sacrosanta verità.
Assisto a tutti gli
appuntamenti di Bryan e cerco di distrarre i clienti con qualche
cavolata
quando mi accorgo che lui tocca punti dolorosi del loro corpo.
A mezzogiorno mangio con
Holly e Bryan.
“Stai meglio adesso?”
“No, ma almeno non ci
penso. So che qualcosa succederà, me lo sento nelle
ossa.”
Lei scuote la testa.
“Stai diventando
paranoica, cosa vuoi che succeda?”
Un tradimento, ma mi
trattengo dal dirlo ad alta voce perché ho davvero paura che
sia così.
Jack è entrato troppo
profondamente nella mia vita, cosa farei senza di lui?
Non lo so e non sono
ansiosa di scoprirlo.
Holly ci porta in una
pizzeria e nemmeno la mia pizza preferita – la margherita
– riesce a tirarmi su
in qualche modo.
La sensazione della
catastrofe imminente incombe su di me come un macigno.
Alle cinque decido di
uscire prima dal negozio, non hanno bisogno di me e io voglio provare a
cucinare qualcosa di buono per quando il mio ragazzo tornerà
dalle
registrazioni.
Mi fermo a prendere le
ultime cose al supermercato e poi finalmente mi dirigo verso casa, sono
stanca
ma quasi felice.
Parcheggio la mia
macchina, porto la spesa in cucina e
mi
accorgo – con un brivido – che al piano di sopra ci
sono strani rumori.
Rumori troppo simili a
quelli che fa Jack quando fa sesso.
Salgo le scale lentamente,
come un automa, e pregando Dio che
si
stia solo vedendo un porno o qualcosa del genere.
Apro la porta della nostra
camera e il mio cuore si frantuma in mille pezzi.
Jack non sta guardando un
porno, si sta scopando quella messicana che mi ha minacciato di
riprenderselo.
Lo guardo mentre se la
gode, ansima e tocca un corpo che non è il mio a occhi
chiusi.
Dovrei scappare, urlare,
picchiarlo, fare qualcosa, ma sono pietrificata a guardare questa scena
oscena.
Il mio ragazzo apre gli
occhi solo quando viene e mi vede, il suo volto si pietrifica e la
messicana
scoppia in una risata cattiva, io trovo finalmente il coraggio di
voltarmi e
correre via.
Non mi fermo nemmeno alle
urla di Jack che urla che può spiegarmi tutto, che mi ama e
altre stronzate.
Esco dalla villa e mi
fiondo dentro la villa di Alex approfittando del fatto che il cancello
è
aperto, busso come una forsennata alla sua porta, finché non
viene ad aprirmi.
Davanti alla mia faccia
sconvolta decide di lasciar perdere qualsiasi commento e allarga le
braccia, in
un invito implicito ad abbracciarlo.
Ed è quello che faccio mi
butto tra le sue braccia piangendo.
“Per favore, chiudi la
porta e non fare entrare Jack.”
“Perché?”
Io tiro su con il naso.
“Jack mi tradisce.”
Mormoro con voce rotta,
lui annuisce comprensivo e chiude la porta, non la riapre nemmeno
quando Jack
la tempesta di pugni.
Pensa solo a consolarmi e
gliene sono grata, è davvero un bravo amico.
La mia favola invece è
andata a puttane.
Le favole per quelle come
me non esistono.
Angolo
di Layla
Ringrazio
My Chemical Green
Romance, _redsky_,
Mon, Iloveyoug e RadhaAttack
per le recensioni.
|
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Capitolo 25 *** 24)I'll paint you wings, and I'll set you free (please don't!) ***
24)I'll
paint you wings, and I'll set you free (please
don't!)
14
settembre 2012
Ci sono momenti nella vita
in cui i minuti, le ore, i giorni, le settimane e perfino gli anni
perdono di
significato.
Sono reggimenti inutili
dell’esercito del tempo che scorrono pigramente su di te,
lasciandoti sempre
più spossata.
Vivi e non vivi.
A e B coincidono creando
un cortocircuito che non trova soluzione. Ogni mattina speri di
svegliarti
fredda, ma sei sempre calda.
Sono passati due anni da
quando ho scoperto Jack con la messicana e nulla è cambiato
nella mia vita,
eccetto che la mia mano è guarita.
Con mio sommo dispiacere
Jack ha continuato a pagare la fisioterapia, io – che non
voglio avere dei
debiti con lui – sto risparmiando per restituirgli tutto fino
all’ultimo
centesimo, dovessero volerci anni.
Non vivo più da Alex e Holly
– che stanno ancora insieme – ma in una casetta
sull’oceano, l’ho trovata dopo
due settimane in cui vivevo dai miei amici.
In quelle due settimane
Jack ha tentato di vedermi in ogni modo e non ci è riuscito.
C’è riuscito in seguito un
paio di volte.
Non è bello tornare a
casa dal lavoro e trovare il tuo ex seduto
sul tuo divano che cerca di spiegarti perché lui si scopava
una zoccola, mentre
tu cercavi faticosamente di uscire dalla depressione.
Io cercavo di andare
avanti e sopravvivere al fatto che nostro figlio o figlia era morto o
morta e
lui scopava.
L’ho sempre cacciato, ma
ogni volta che siamo venuti in contatto tra noi si stabiliva una certa
elettricità, come se i nostri corpi non avessero accettato o
capito che tra noi
era finita.
Jack mi ha scritto milioni
di lettere che sono finite nella spazzatura, centinaia di messaggi che
non sono
mai stati letti e e-mail subito cestinate.
Ero e sono arrabbiata con
lui.
Si è comportato da stronzo
nel peggior modo e momento possibile, quando io avevo più
bisogno di lui mi ha
voltato le spalle.
Il mio cuore non riesce
ancora a perdonarlo per questo, nonostante sia Alex che Holly mi
abbiano detto
di parlargli almeno, per dargli la possibilità di spiegarsi,
ma il mio cuore
non sa cosa farsene di queste spiegazioni.
Il mio cuore ogni volta si
ricorda l’espressione di piacere di Jack
mentre si scopava l’altra e sanguina e sanguina.
Lo sai, Jack, di avere le
mani sporche di sangue?
No, non lo sai.
Con un sospiro mi accendo
una sigaretta, uscirei fuori a fumare se solo non fosse in corso il
diluvio
universale.
Mi è sempre piaciuto
fumare, ma ora è solo un gesto vuoto, privo di significato
come tutti quelli
che faccio da almeno due anni a questa parte.
Ogni volta che lui è
venuto a trovarmi ha lasciato un piccolo seme chiamato speranza nel mio
povero
cuore frantumato, speranza terribile che – nonostante tutto
– mi amasse ancora.
Speranza che non l’avesse
fatto per cattiveria.
Speranza.
Un seme che vorrebbe poter
far nascere una pianticella chiamata perdono.
In fondo, mi dico, ero
terribile in quel periodo. Non parlavo, mangiavo a stento, lo
respingevo a
letto e lui doveva tenermi lontani tutti gli oggetti con cui ci si
potesse
tagliare per non farmi continuare sullavia
dell’autolesionismo.
Sì, non deve essere stato
facile, posso perdonargli uno sbaglio.
Questo è quello che vuole
speranza, ma il mio cuore dice che se lui ci avesse tenuto veramente a
me non
avrebbe sbagliato, non in quel modo squallido almeno.
Cosa devo fare?
Il mio cervello dice che
non devo fare nulla, che lui va lasciato nel passato, ma ho una certa
riluttanza a lasciare che questo avvenga.
Oh, posso ignorarlo quanto
voglio, ma c’è qualcosa di sospeso tra di noi!
Temo che anche lui abbia
perso interesse, ormai non tenta più di entrare in casa, non
scrive più, solo
qualche mail e qualche messaggio.
Forse ha perso la speranza
o forse si sta rifacendo una vita, cosa che io non sto facendo.
Non sono più uscita con un
ragazzo dopo aver rotto con lui, Bryan mi ha invitato a cena un paio di
volte,
ma gli ho fatto capire che non volevo nulla più di una
semplice amicizia.
Lui se ne è fatto una
ragione e ora esce con una brava ragazza che lo rende felice.
Holly continua a dirmi che
dovrei parlare con Jack e quando le faccio presente che anche lui ha
diradato i
contatti lei mi dice che è a causa dell’album
imminente.
Bah.
Sono immersa nei miei
pensieri senza senso, quando qualcuno bussa alla porta, per abitudine
guardo
prima dallo spioncino e vedo che è solo Jeremy,
l’ex di Holly.
Lo faccio entrare
sorridendo.
“Ehi, Jem! Quale buon
vento ti porta qui?”
“Devo darti una cosa,
anche se io non ti ho dato niente, chiaro?”
Io alzo un sopracciglio.
“Cos’è? Droga?”
“ No, no!”
Appende la giacca ai ganci
dietro la porta e si guarda attorno.
“Bell’ambientino, ti sei
sistemata bene.”
“Il negozio rende, vuoi
qualcosa da bere?”
“Del whisky andrà
benissimo.”
Mi accorgo che batte i
denti per il freddo, io gli servo immediatamente un bicchierino che lui
butta
giù immediatamente.
“Ah, adesso sto meglio.”
Estrae qualcosa dalla
tasca della felpa e me lo porge: è un pacchettino che io
scarto, contiene un
cd.
“Tu sei la prima “civile”
a vedere il nuovo lavoro degli All Time Low, Don’t Panic.
Lo so che quello che è
successo tra te e Jack Barakat non sono fatti miei, ma mi sei simpatica
per cui
ti consiglio di ascoltare la traccia quattro e la undici e prendere le
tue
decisioni.”
Io annuisco leggermente
inebetita, Jeremy si alza dal divano.
“Bene, il mio compito è
finito. Mi raccomando ascoltale, Wendy.”
“Ok, grazie.”
Lo accompagno alla porta e
lo saluto. Tornata in salotto guardo il cd e mi chiedo
perché dovrei sentire
quelle due tracce, cosa hanno di importante?
Ma se a me non importa di
Jack perché dovrei sentirle?
Perché l’amara verità è
che di quel cretino mi importa ancora tanto e che mi sento sola senza
di lui.
Così, con un po’ di
riluttanza, infilo il cd nello stereo e scelgo la traccia quattro
chiedendomi a
cosa mi troverò davanti.
Il titolo è “Somewhere in
Neverland” e mi lascia pietrificata, la canzone parla di un
ragazzo che vuole
fuggire con la sua Wendy sull’isola che non
c’è.
Sembra tantissimo la
storia mia e di Jack che mi vengono i brividi, non so chi
l’abbia scritta, ma è
meravigliosa e – ancora una volta – contiene una
richiesta di perdono
Una richiesta che riga le
mie guance di lacrime, sono ancora nel cuore di Jack e se non fosse per
il mio
dannato orgoglio andrei subito da lui.
Ogni volta che ho questo
impulso lo rivedo mentre scopa con quella puttana e nel mio cuore torna
a
calare il gelo.
Finita la quattro, skippo
alla undici che si intitola “Paint you wings”, il
titolo mi mette leggermente
in allarme.
Clicco play e la musica
parte, il testo è triste, diverso dalla precedente e mi
preoccupa sempre di
più.
Quando sento una parte che recita più o meno
così: When will the princess figure it out, she ain't
worth
saving
And
when will the world get over all her
misbehaving
Will
we ever learn?
I
painted a picture of the things I wanted most
To
color in the darker side of all my brightest
hopes
But
there was a monster standing where you
should be
So
I'll paint you wings, and I'll set you free , salto dalla
sedia, come se mi avesse dato una scossa.
Sento come se Jack mi
stesse dando il suo ultimo messaggio,
sono diventata un mostro che divora la luce delle sue speranze
gloriosa, una
cosa che va lasciata libera.
Una cosa a cui vanno
dipinte le ali per farla andare via.
Io non voglio le ali, non
voglio andare via.
Solo allora capisco quanto
tenga ancora a Jack in realtà, tenere è
addirittura il verbo sbagliato: io lo
amo.
Lo amo adesso con la
stessa intensità di due anni fa, non posso permettere che
lui esca dalla mia
vita!
Incurante dello stereo che
va e della pioggia che scende copiosa, metto un paio di anfibi ed esco,
diretta
a casa sua.
Correre
non è mai stato il
mio forte, a Educazione Fisica facevo schifo, ma stasera è
diverso.
Mi faccio mezza Los
Angeles a piedi, alternando la corsa al passo veloce, sotto il diluvio
universale e non me ne frega niente: devo arrivare più
presto che posso alla
villa di Jack.
Sì, potrei chiamarlo, ma
non sarebbe lo stesso.
Dopo anni ho il bisogno
fisico di vedere Jack Barakat e i suoi occhioni castani.
Devo correre.
Correre!
Arrivo davanti a casa sua,
stremata, senza fiato e bagnata come un pulcino e ancora una volta non
importa.
Mi attacco al suo campanello
e finalmente entro, percorro il vialetto barcollando come uno zombie,
come se
tutta l’energia che mi ha portato qui stesse lentamente
scomparendo.
Gli ultimi passi sono una
tortura, mi sento i piedi pesanti per via degli anfibi e
dell’acqua che ormai è
entrata formando due piccoli laghetti.
Comincio a bussare come
una forsennata e sto quasi per dare un pugno in faccia a Jack per
errore quando
finalmente mi apre, a torso nudo e con i pantaloni di una tuta neri.
Non dico nulla e lo
abbraccio più forte che posso, lui rimane un attimo
imbambolato, poi ricambia
l’abbraccio.
Io sorrido, mentre il mio
mondo diventa nero.
Mi
risveglio in un letto
che conosco molto bene, avvolta nelle coperte e relativamente asciutta.
Mi tiro a sedere di scatto
e mi guardo attorno, Jack è seduto sulla sedia della
scrivania e mi scruta.
“Jack.”
“Wendy.”
“Jack, non voglio un paio
di ali, non sarò l’ombra nera che oscura le tue
speranze.
Non lasciarmi andare.”
Lui si alza e mi appoggia
la mano sulla fronte e fa per andarsene, ma io lo blocco.
“Wendy, hai la fe…”
“Non importa, posso avere
anche l’ebola e può aspettare.
Io… io ti devo parlare, è
urgente.
Ti, prego ascoltami.”
Lui si siede sul letto
accanto a me e mi accarezza la fronte con cautela, come se temesse
rappresaglie.
“Dimmi tutto, sono anni
che aspetto questo momento.”
“Ho sentito il vostro
nuovo cd, non chiedermi chi me l’ha procurato
perché non ti risponderò e non è
importante ai fini del discorso.
Ho sentito la quattro e la
undici, la quattro è meravigliosa, parla di noi in modo
splendido.
Voglio ancora scappare via
con te, voglio… voglio mettere da parte, ancora una volta,
il passato, anche se
fa male.
Voglio essere la tua
Wendy.
Quando però ho sentito la
undici mi sono sentita morire, io non voglio essere considerata un
mostro o una
che ha bisogno di un paio di ali per levarsi dai coglioni,
Io ti amo e, anche se mi
hai ferito tantissimo, vorrei riprovarci.
Mi vuoi?”
Lui mi guarda incredulo.
“Tu che mi chiedi se mi
vuoi? Sono io a dovertelo chiedere, tu hai tutto il diritto di
prendermi a
calci.
Davvero, mi vuoi ancora,
Wendy?”
“Sì.”
Lui si passa una mano
davanti al volto e poi sorride, quel sorriso che adoro e che gli
accende i
lineamenti di una luce speciale.
“Raccontami tutto, Jack.
Vorrei una spiegazione,
prima di tutto.”
Lui abbassa gli occhi.
“Sono stato un coglione.
Io mi accorgevo che soffrivi, ma qualsiasi cosa facessi non cambiava le
cose di
una virgola e poi mi respingevi anche a letto.
Mi sentivo piuttosto solo,
così una sera dopo le registrazioni mi sono infilato in un
bar a bere e
Marisol mi ha abbordato.
È da lì è cominciata una
serie di incontri, quello che hai visto tu era il terzo. Mi sentivo in
colpa,
volevo smettere, tu non ti meritavi di essere tradita nel momento in
cui stavi
così male, ma…
Il non fare sesso mi
pesava, non ce la facevo, mandava all’aria tutti i miei piani.
Da quando te ne sei andata
le cose sono cambiate, puoi chiedere ad Alex se non ti fidi. Non ho
più visto
Marisol né nessun altra, volevo solo te
e sapevo di averti persa per sempre perché ero
solo uno stupido
coglione.
Ho dovuto fingere con
tutti, fan soprattutto, di stare bene, ma la verità era che
mi mancavi da
morire e avrei dato tutto per riaverti e sapevo che non sarebbe stato
possibile.
Sei testarda e orgogliosa
e diventi una regina di ghiaccio, se ferita.
Mi vuoi ancora adesso?”
Io gli stringo una mano
sorridendo.
“Sì, voglio… Voglio
dimenticare quello che è successo quel giorno, io so di
avere la mia parte di
colpa.
Non ti parlavo, ti
cacciavo, era ovvio che sarebbe successo qualcosa.”
Lui sorride ancora e mi
prende il volto tra le mani, mi dà un leggero bacio a stampo
che io
approfondisco.
Tanto che lui finisce
mezzo sdraiato su di me, con una risata da parte di entrambi.
“Piccola, adesso vado a
prendere il termometro e ti
provo la
febbre, ve bene?”
Io annuisco.
Lui torna poco dopo con il
termometro, la provo ed effettivamente ho qualche linea, lui mi
dà un’aspirina
e si sdraia a letto con me, stringendosi contro la mia schiena.
“Domani sarai ancora qui?”
“Certo e dopodomani e poi
il giorno dopo e quello dopo ancora, se mi vorrai.”
Strofina il suo
naso contro il suo collo.
“Ho pregato così tanto per
questo miracolo che non ho intenzione di lasciarti andare.”
Io sorrido.
“Jack, te le ricordi le
prime notti che passavamo insieme?
Quando parlavamo di tutto
e di niente e fumavamo?
Beh, quelle sono uno dei
miei ricordi migliori di te, perché se riesci a stare tra le
braccia di un
ragazzo a cui basta questo per stare bene sei una donna
fortunata.”
“Ti giuro che allora e
anche adesso mi basta solo questo.
Non ha senso avere un po’
di sesso, quando hai l’amore accanto a te, è una
lezione che ho imparato nel
modo più duro.”
“E io sarò l’unica a
saperlo.”
Lui mi accarezza la
pancia, soffermandosi sulla cicatrice.
“Sì, ma prima o poi lo
sapranno tutti. Che ne dici?
Wendy Barakat, suona
bene?”
“Molto bene, mi piace un
sacco.”
Continuando a parlare di
tutto e di niente ci addormentiamo.
La mattina dopo mi sveglio
e mi sento benissimo, guardo il corpo di Jack disteso accanto al mio e
gli
lascio una leggera carezza sul viso, poi torno a dormire.
Non voglio più scappare.
Ora so la verità e penso
di essere in grado perdonare un errore del genere, non è
stato facile
digerirlo, ma ce l’ho fatta e sono orgogliosa di me.
La piccola Wendy spaventata
sta crescendo.
Mi sveglio di nuovo alle
dieci grazie al profumo del caffelatte, apro gli occhi e vedo Jack con
in mano
un vassoio colmo di ogni ben di Dio.
“Jack!”
Esclamo felice.
“Buongiorno, Wen!
Ho avuto paura che tu te
ne andassi, soprattutto quando mi hai accarezzato la guancia.”
“Non volevo svegliarti,
scusa!”
“Non mi hai svegliato, ero
già sveglio.
Anche se suona
terribilmente smielato, ero talmente incredulo di riaverti qui che ho
speso la
maggior parte della notte e del giorno guardandoti dormire.
Mi hai chiamato spesso nel
sonno.”
Io arrossisco e quasi
butto la faccia nella mia tazza di caffelatte, lui scoppia a ridere.
“Sono passati anni, ma ce
la faccio ancora a metterti in imbarazzo.”
“No, è che solitamente non
sei così romantico! Nessuno è mai stato
così romantico con me…
Oh, Insomma! Non me la
merito una notte insonne.”
“Questo lascialo decidere
a me.”
Rimane un attimo in
silenzio.
“E così sei davvero
tornata per restare.”
“Don’t you know i’m here to
stay?”
Gli canticchio come
risposta.
“Sì, sono qui per restare,
se mi vorrai.”
“Oh, non fare domande
stupide! Certo che ti voglio, quando andiamo a prendere i tuoi
bagagli?”
“Anche subito se vuoi.”
Finiamo di mangiare e ci
cambiamo, su Los Angeles splende un sole meraviglioso, della pioggia
torrenziale
rimane qualche pozzanghera e qualche cespuglio leggermente bagnato.
È strano salire di nuovo
nella macchina di Jack, ma è anche piacevole, è
davvero il posto dove voglio
stare.
Arriviamo a casa mia, Jack
si toglie gli occhiali e la scruta.
“Bel posticino.”
“Vero? Ma adesso basta,
bisogna iniziare a traslocare un po’ di cose.”
Spendiamo tutta la
mattinata, caricando la macchina di vestiti, coperte, lenzuola e cose
di prima
necessità, verso le due – dopo esserci mangiati un
panino sul portico di villa
Barakat – Jack chiama un’azienda di traslochi e gli
detta il mio indirizzo e
poi il suo.
Io intanto metto tutto
quello che ho portato qui al
suo posto,
sembra quasi che non me ne sia andata.
Alle quattro crollo
esausta sul divano e lui mi raggiunge.
“Stanca?”
“Stanca, ma felice.”
“Domani arriva il resto
della tua roba.”
Io sorrido.
“Va bene, andrebbe bene
anche se non arrivasse.”
Lui mi guarda senza
capire.
“Tonto, la mia casa è qui
e ce l’ho sotto gli occhi.”
Lui si guarda, la sua
bocca diventa una O perfetta e poi scoppia a ridere.
“Grazie mille.”
“Beh, è la verità.”
“Stasera usciamo a
festeggiare?”
“No, sono troppo stanca.”
C’è un attimo di silenzio,
poi una porta – quella d’ingresso – si
apre.
“Ragazzi!”
È arrivato Alex Gaskarth
con Holly.
“Adesso che state di nuovo
insieme e l’universo ha ripreso a girare per il verso giusto,
che ne dite di
uscire insieme a fare baldoria?”
Io e Jack ci guardiamo
sorridendo.
“Direi che è una buona
idea!”
Entrambi soffochiamo Alex
in un abbraccio a sorpresa e io sorrido.
Sorrido davvero, ho la mia
famiglia, il mio ragazzo, degli amici.
La mia fiaba ha avuto un
lieto fine.
Angolo di Layla
Ringrazio RadhaAttack, My Chemical Green Romance,
iloveyoug e
_redsky_
per le recensioni.
Spero che vi piaccia questo finale. Presto arriverà il
seguito e sarà incentrato più su Holly e Alex
e...su Vic Fuentes.
Non voglio dire altro. Alla
prossime e grazie per averla letta e recensita in questi mesi.
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