Do it for Baltimore, do it for me

di Layla
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: Lost in stereo ***
Capitolo 2: *** 1) The rockshow. ***
Capitolo 3: *** 2)First date. ***
Capitolo 4: *** 3)I'm sorry. ***
Capitolo 5: *** 4)Not now (it's not your time to go) ***
Capitolo 6: *** 5)Hello cold world. ***
Capitolo 7: *** 6) Do you want me or do you want me dead? ***
Capitolo 8: *** 7) Walls (I don't wanna be in love) ***
Capitolo 9: *** 8)Oh, Calamity ***
Capitolo 10: *** 9) Just crash (It's our time now to make this work second time round) (*) ***
Capitolo 11: *** 10)Sunshine in a bag ***
Capitolo 12: *** 11) Smile (it's been a while) ***
Capitolo 13: *** 12) She loves you, yeah yeah yeah! ***
Capitolo 14: *** 13)Venice I ( lets's make this night lasts forever) ***
Capitolo 15: *** 14)Venice II (ghosts on the dancefloor) ***
Capitolo 16: *** 15)Under a paper moon ***
Capitolo 17: *** 16) The only proof that i need is you ***
Capitolo 18: *** 17) All the small things. ***
Capitolo 19: *** 18)Sorry, mother I don't miss you, Father no name you deserve. ***
Capitolo 20: *** 19) Address this letter to dear father ( you will remain a complete uknown) ***
Capitolo 21: *** 20) To live and let go. ***
Capitolo 22: *** 21) In a perfect world this could never happen. ***
Capitolo 23: *** 22)No rest for the wicked they say ***
Capitolo 24: *** 23)Break your little heart in two. ***
Capitolo 25: *** 24)I'll paint you wings, and I'll set you free (please don't!) ***



Capitolo 1
*** Prologo: Lost in stereo ***


Prologo: Lost in stereo

20 maggio 2005

 

Musica a volume altissimo, gente scatenata, anche stasera il magazzino non ha deluso.
Il “Magazzino” è il luogo dove si ritrovano tutti i ragazzi e le ragazze di Baltimora, Maryland,  a cui le discoteche non piacciono e a cui la dance causa effetti di diarrea indesiderati.
Io lo frequento abitualmente, mi piace come posto, mi sento casa.
Sarà per via dei miei capelli azzurri, sarà per via dei due piercing che ho al labbro e di quello che ho al naso o forse per il tatuaggio con uno sugar skull, ma non sono molto amata.
A scuola mi evitano tutti e ormai sono talmente poco abituata a presentarmi o a sentirmi chiamare che ho quasi dimenticato il mio nome: Wendy.
Wendy O’Connor di anni diciassette, con una famiglia sfasciata alle spalle. Mio padre se n’è andato con la sua amante, mio fratello maggiore con il suo amante e sono rimasta solo io con mia madre che si è data all’alcolismo e con il mio fratellino che vuole entrare nell’esercito “per non averci più fra i coglioni.”
Parole sue.
Dobbiamo proprio averlo stufato.
Una madre che beve tutto il giorno, che si porta a casa uomini senza farsi il minimo scrupolo.
Una sorella strana che si taglia e fuma erba.
Vivere in una roulotte nella zona dei poveri.          
Queste tre cose possono essere alquanto seccanti per un adolescente ambizioso come lui e così l’anno prossimo si prepara a lasciarci.
Questo è quello che dice nei momenti no, ma nei momenti sì è una bravissima persona.  Si chiama Andrew e ha una testa piena di riccioli neri e due spalle larghe e – anche se non ce lo dimostriamo spesso – siamo molto legati, io l’ho difeso un sacco di volta da mamma quando era piccolo e ora lui sta tentando di ricambiare il favore.
Quando alla nostra vecchia girano le palle o non riesce a trovare i soldi per il suo dannato alcool e le viene voglia di picchiarmi interviene lui e la fa giungere  a più miti consigli.
Così va la vita nello schifo di roulotte in cui vivo. Mamma spende quasi tutti i soldi del sussidio sociale che ci passa lo stato in birra, whisky, gin o quello che trova nei drugstore. Nessuno le dice nulla, nessuno la ferma, nessun parente si interessa a noi e così tocca a me tenere da parte una somma per il cibo e le bollette.
Inutile dire che a sedici anni nessuno mi ha pagato la patente e che quindi non ho né la macchina né la patente, anche se so guidare abbastanza bene la macchina di mia madre
Io mi sono diplomata quest’anno, precisamente due settimane fa, e non ho fatto nessun discorso, ho solo ritirato il diploma da un preside incredulo che una come me ce la facesse a finire il liceo in tempo e non fosse stata rimandata in nulla. Sono stati soprattutto i miei capelli azzurri a turbarlo, visto che quel giorno mi ero tolta i piercing e avevo coperto il tatuaggio.
Ora che il liceo è finito non so che fare della mia vita, per l’estate andrò da mio padre a New York, poi vedrò.
I miei voti non sono mai stati altissimi, quindi l’università è esclusa, ma almeno mi guarderò un po’ intorno per vedere cosa posso fare, mi piacerebbe molto lavorare in un tattoo store ed è per questo che ho preparato un portfolio con i miei disegni. Vedremo come andrà.
Domani parto e nel casino di questo posto sto finendo di ultimare la mia playlist personale da ascoltarmi in aereo, rigorosamente fatta con le vecchie cassette, dato che non abbiamo i soldi per un lettore cd.
Ah, che palle!
Messa l’ultima canzone scendo in pista anche io e mi scateno, stasera è la serata blink e stanno sfoderando tutto il repertorio, adesso è il turno di “Feeling this”.
Io mi scateno e quando mettono “Online Song” pogo come una matta, poi pogo e basta per nessuna ragione o canzone precisa.
Sono solo incazzata per la mia vita di merda e per il mio futuro che non esiste, per non parlare della famiglia!
Mi scateno e sudo come una matta.
Dopo mezz’ora mi siedo accanto a una ragazza vestita di nero che si chiama Holly, è mia cugina nonché la mia unica amica e l’unica sa del mio odio per gli omosessuali e lo appoggia.
Un fratello che sfancula la sua traballante famiglia per fare il frocio al Green village non si perdona, soprattutto se prima di andarsene ha avuto il pessimo gusto di riempirmi di botte come faceva il nostro vecchio.
“Sfogata?”
“No.”
Bevo una sorsata dalla bottiglia di birra di Holly e guardo la pista, la gente si muove come un unico corpo.
“Hai fatto colpo.”
Io seguo il suo sguardo e vedo che punta su un ragazzo dai capelli neri di media lunghezza, impegnato a tracannare una birra.
“Mmmh, hai iniziato a fumare senza di me?
Quello ama solo la birra, in ogni caso io ritorno in pista.
Adesso mettono “I miss you” se gli interesso ci proverà.”
Lei scuote la testa.
“Non lo farà, non perché non gli interessi, ma perché hai un’aura di rabbia che spaventa.”
“Ancora con questa storia?
Io vado.”
Mi addentro nella pista e comincio a muovermi lentamente al ritmo di “I miss you”, intorno a me si formano tante coppie, ma io rimango sola.
Sola come sono sempre stata e come sempre sarò.
Il ragazzo moro ora sta parlando con una biondina che si chiama Stella Dawkins, Holly si è sbagliata e io un po’ ci rimango male. In fondo era carino e non mi sarebbe dispiaciuto se lui ci avesse provato.
Esco dalla pista e mi risiedo di nuovo vicino a lei.
“Ehi, goth tutta d’un pezzo! Quando ti deciderai ad ammettere che i blink ti piacciono?”
“Quando tu ti deciderai ad ammettere l’esistenza della tua aura di odio.”
Io sbuffo e raccolgo la mia borsa militare rimasta per terra per tutto questo tempo.
“Ehi, che ne dici se ce ne andiamo?”
Il che significa: “Andiamocene nella zona del porto a fumare in santa pace.”
Lei annuisce e mi segue.
Finiamo sdraiate a guardare le stelle sulle scale di un vecchio magazzino in disuso.
“Io me ne vado, Holly.”
“Lo so, ma poi torni a settembre!”
“No, me ne vado del tutto. A Los Angeles, lontana da questa merda e tu vieni con me!”
“Ma smettila di delirare!”
Non è un delirio, nonostante le canne sono lucida, me ne andrò e non rimetterò mai più piede in questo angolo di mondo.

 

 

 

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Capitolo 2
*** 1) The rockshow. ***


1) The rockshow.

21 gennaio 2010

 

In cinque anni possono cambiare parecchie cose nella vita di una persona, nella mia è cambiato tutto.
Per prima cosa non vivo più a Baltimora, ma a Los Angeles, in una casetta bianca nei sobborghi che ho perso in affitto con i sudati soldi del mio lavoro.
Holly, come avevo promesso, vive con me e al momento frequenta un tizio che si chiama Jeremy, un tecnico del suono che lavora alla Interscope e che spesso segue anche le band durante i tour.
Vanno molto d’accordo, non mi stupirei se si sposassero.
Jeremy mi piace come persona, dice che le band che noi idolatriamo e di cui abbiamo un sacco di poster appesi in camera in realtà sono composte da persone normali e non da dei e come tali vanno trattate.
Mi piace questa filosofia: è pratica e sensibile allo stesso  tempo e Holly ha bisogno di una cosa così.
Io, invece, ho solo accumulato storie di poco conto, non sono ancora pronta per una relazione seria sia per via della mia famiglia, sia per via di James.
James era il figlio dei nostri vicini di roulotte, un ragazzo magrolino, con i capelli neri e irti che indossava sempre un chiodo di pelle. Diceva che voleva somigliare a Sid Vicious e che io era la sua Nancy, ogni volta che lo diceva il mio cuore faceva le capriole dalla gioia.
Finalmente avevo trovato qualcuno che mi amava e che non fuggiva davanti alla mia situazione famigliare, peccato che l’unica cosa in cui James abbia finito per assomigliare al bassista dei Pistols sia stata l’eroina.
Iniziò a farsi quasi per gioco, ma quando arrivarono i primi sintomi della rota – gli spasimi, il dolore, il bisogno impellente di una nuova dose, gli occhi a spillo e lo sguardo spiritato – il gioco smise di
essere tale e diventò tragedia.
James cominciò a rubare la roba di sua madre, poi quella delle altre roulotte e a ogni dose giurava che quella sarebbe stata l’ultima.
È morto nel cesso di un bar di infima categoria, una morte degna de “I ragazzi dello zoo di Berlino”, una morte che sua madre non mi ha mai perdonato e di cui mi considera colpevole.
Il mio unico torto era di essere la ragazza di suo figlio, di non essermi mai drogata con quella roba e di essere rimasta viva.
Quella donna mi odiava perché ero viva e non tre metri sotto terra come suo figlio, lei e mia madre erano accumunate dallo stesso odio verso di me.
In quanto a me eravamo rimasti all’estate del 2005 che dovevo trascorrere con mio padre: fu un totale disastro.
Iniziammo a litigare la prima sera in cui misi piedi nel suo bell’appartamento che dava sul Central Park e lo facemmo di continuo per un mese, ossia tutto il tempo che trascorsi da lui. Non sopportavo lui, non sopportavo la sua nuova moglie e le loro due viziatissime figlie, non sopportavo di rivedere quasi ogni giorno mio fratello maggiore.
Ogni giorno avevo la tentazione di rompergli qualcosa in testa, ma non potevo perché sarebbe stato disdicevole e politicamente scorretto visto che lui era omosessuale e con questa scusa se ne usciva con le peggiori battute nei confronti della sottoscritta.
Io ero quella brutta, stupida, una zecca della società e lui invece era perfetto. La nuova moglie di mio padre lo portava in palmo di mano come un esempio da seguire, dal niente era riuscito ad entrare in un prestigioso studio di architettura.
Peccato che il suo capo fosse cugino della vacca e amante di mio fratello e poco contava anche che mio fratello sul piano umano fosse una merda.
Lì contavano solo i soldi e mio fratello ne aveva e ne ha fin troppi ed era anche dotato di una discreta mancanza di memoria.
All’inizio del secondo mese di convivenza – un luglio torrido –  ci fu l’ennesimo litigio con mio padre dopo che lui aveva obbligato a licenziarmi il tatuatore che mi aveva appena assunta.
Un litigio con i contro coglioni in cui sono volati piatti e sedie e in cui mi ha riempita di botte, come se fossi un sacco da boxe. È sempre stato il suo modo di risolvere le questioni con me, ma io ero stanca e il giorno dopo ho fatto una cosa a dir poco scorretta, ma di cui non mi pento nemmeno ora: ho aperto la cassaforte dell’appartamento e ho arraffato soldi e gioielli.
A Baltimora avevo trascorso la mia adolescenza tra avanzi di galera e di riformatorio, quindi avevo imparato anche cose che le normali adolescenti non sanno, tra cui, appunto, aprire una cassaforte senza sapere la combinazione
Con il mio bottino nella borsa e il cuore stretto in una morsa sono scappata alla stazione degli autobus e  ho preso il primo per Baltimora. Prima ancora di andare da Holly mi sono fermata da un ricettatore che conoscevo e mi sono fatta dare i soldi che valeva la roba che avevo rubato.
Era una bella sommetta, ha consentito a me e a Holly di pagarci il viaggio, il primo affitto e il mio corso per tatautrice.
Il resto me lo sono sudato, già mentre facevo il mio corso ho portato i miei disegni a un tattoo store e mi hanno assunta come apprendista, Holly invece trovò lavoro come commessa in un negozio di roba goth e punk.
Eravamo sistemate, la vita aveva iniziato a girare nel modo giusto per noi.
In questi cinque anni, io ho aperto il mio negozio e Holly mi fa da segretaria ed è con i soldi del negozio che abbiamo comprato la casa.
Non ho mai detto alla mia amica da dove venissero i nostri primi soldi, ma credo che lei l’abbia capito lo stesso. Lei ha sempre avuto fiuto per queste cose e soprattutto sa perfettamente quando le dico una bugia, quella volta le dissi che i soldi erano un regalo di mio padre.
Lei sapeva che il vecchio non avrebbe mai sganciato, non a me almeno, le sono grata per non aver indagato
In ogni caso ora fila tutto o quasi liscio.
Il mio fratellino si è arruolato e prima di lasciare la roulotte dove vivevamo ha affidato mia madre ai servizi sociali, tanto mi basta per stare in pace.
Non ho molta voglia di rivederla, dentro mi è cresciuta una freddezza che è difficile da estirpare.
Ho sempre l’impressione di vivere e vedere il mondo dietro una finestra incrostata di ghiaccio, che non riesco a rompere e che mi raffredda l’anima.
Adesso non ha neppure molta importanza perché siamo fuori al freddo in fila per un concerto: quello degli All Time Low.
Holly ne va matta e mi ha contagiato, il giorno che ho ammesso che mi piacevano  lei ha ammesso candidamente di adorare i blink da una vita.
Perfetto.
Io mi sono sentita “Nothing personal” e a “Lost in stereo” ho sentito un brivido serpeggiarmi lungo la schiena, senza che ne capissi il motivo.
Holly dice che sono di Baltimora anche loro, forse li ho incontrati prima che diventassero famosi e non lo so, forse in quel momento c’era una finestra aperta da qualche parte della casa.
“Ti rendi conto che tra poco apriranno i cancelli e li vedremo?”
Mi fa eccitata la mia amica, con quei lunghi capelli neri strati di bianco e gli occhi chiarissimi somiglia vagamente a Amy Lee degli Evanescence.
“Sì e tu stai pronta alla battaglia o la prima fila non sarà nostra!”
Lei annuisce e guarda decisa davanti a sé, si farebbe uccidere pur di cedere la transenna che nella sua testa è già sua. Ha una determinazione tutta irlandese che però al momento mi ricorda curiosamente quella di Hitler nel perseguire gli ebrei dovunque essi fossero.
Alle sei aprono i cancelli e la folla scatta come un gigantesco leopardo, io e Holly ci prendiamo per mano e a forza di calci e pugni ci facciamo largo tra tutti questi corpi estranei.
Ricevo un calcio sugli stinchi che di sicuro mi ha incrinato una tibia e una gomitata che domani mi lascerà un livido blu e sembrerà che qualcuno mi abbia picchiata.
Alla fine di tutta questa lotta mi attacco a un pezzo di metallo – l’agognata transenna – e quasi non ci svengo sopra.
Solo l’acqua che Holly mi versa sulla testa e il fatto che mi faccia ingoiare a forza una zolletta di zucchero mi fanno riprendere.
“Le trincee della prima guerra mondiale devono essere state qualcosa di simile.”
Boccheggio io, non appena mi riprendo un po’ e realizzo che sono davvero sotto al palco: dietro di me c’è tanta gente che spinge e prima del concerto degli All Time Low stanno mettendo della musica metal.
Cosa diavolo c’entri il metal con il pop-punk non lo capisco, ma l’importante è essere qui.
L’adrenalina inizia a circolare anche in me e comincio a saltellare sul posto in preda all’impazienza e alla frenesia della battaglia vinta, poco importi che abbia perso metà di una gamba dei miei pantaloni militari a tre quarti e un cappellino della NY che amo.
Chissene.
Io e la mia amica mangiamo e dopo mezz’ora le luci si spengono e iniziamo a urlare tutti.
Da quel momento in poi i miei ricordi si fanno confusi, salto, urlo, canto come tutti.
Quando iniziano le prime note di “Lost in stereo” ho l’impressione che Jack Barakat guardi me, ma non ho il tempo di approfondirla, da dietro mi alzano e sono costretta a un surf crowding in orizzontale che si conclude quando arrivo davanti al chitarrista, a Jack.
Di nuovo ho l’impressione che guardi solo me durante la canzone, di nuovo mi dico che è solo una suggestione derivata dall’essere in mezzo a una folla che li ama.
Io per lui non sono niente, sono solo una fan, non sono certo una che conosce e il fatto che entrambi proveniamo da Baltimora non è importante.
È solo una coincidenza.
Trascorro il resto del concerto lì, parlando ogni tanto con il body guard. È gentile e quando i coriandoli argentati che cadono copiosi indicano la fine del concerto, lui mi porta da Holly.
Io e lei ci abbracciamo e poi corriamo ad appostarci all’ uscita posteriore: speriamo entrambe di riuscire ad avere un autografo.
Non riusciamo ad arrivare in prima fila, solo in un’onorevole terza fila.
Siamo stanche e tutti i dolori iniziano a farsi sentire.
Finalmente i quattro escono e stranamente il body guard che li scorta si ferma davanti a me e costringe la folla ad aprirsi.
“Tu!”
Mi indica.
“Tu vieni con me!”
“Io non vado da nessuna parte senza di lei!”
Lui bestemmia a bassa voce e ci fa cenno di seguirlo.
Cosa diavolo sta succedendo?
Perché sto seguendo un omone grande e grosso verso il pullman di una band che mi piace?
E perché vogliono me e proprio me e non nessun altro?
La situazione ha dell’irreale, sembra una di quelle fiction che ogni tanto legge Holly in cui l’idolo del momento cade fulminato ai piedi di una fan.
Robe che nella realtà non accadono, forse sono ancora collassata sulla transenna e sto sognando tutto.
La portiera del bus si apre e con poca grazia l’uomo ci fa capire che dobbiamo salire,  inizio ad avere il batticuore e mi guardo intorno.
Le mie gambe fremono per poter scappare, ma Holly mi dà una spinta abbastanza forte da farmi capire che è tutto vero e che mi costringe a salire facendomi finire addosso a qualcuno: Alex Gaskarth.
Sono caduta niente di meno che addosso al frontman della band, la gola mi si secca.
“Scusa, non volevo.”
“Tranquilla, forza salite.”
Ci fa accomodare su un divanetto e ci offre della coca cola, intanto gli altri chiedono le nostre impressioni sul concerto.
Parla solo Holly che si profonde in elogi, io sono troppo stranita, troppo presa da una sensazione di irrealtà dilagante per riuscire a spiccicare parola.
“Scusate.”
Dico flebilmente a un certo punto.
“Perché mi volete qui?”
Alex e Zach (il bassista) si scambiano uno sguardo.
“È Jack, che adesso si sta facendo una doccia. Appena ti ha visto è come impazzito, continuava a urlare “È lei, l’ho ritrovata!”.”
Io lo guardo con la bocca spalancata, sono così scioccata che ho paura che la mascella mi si stacchi da un momento all’altro e se ne vada a fanculo.
Qualche minuto dopo, il signorino che ha tanto richiesto la mia presenza fa la sua comparsa con solo un asciugamano addosso alla vita e mi punta un dito addosso.
“Tu! “Lost in stereo” è stata scritta per te!”
Io mi indico sconvolta.
Lost in stereo per me.
Per me
Per.
Me.
All’improvviso tutto intorno a me si fa grigio e poi nero e le voci diventano distorte fino a scomparire in brusii indistinti.
In quel momento perdo il controllo della realtà e ho paura che non lo riacquisterò tanto presto.
Certe notizie possono sfociare in un infarto mortale a volte.
Contrariamente alle mie aspettative riacquisto il controllo della realtà durante la notte.
Per prima cosa non sono morta di infarto e già questa è un’ottima notizia.
Percepisco di essere sdraiata su un letto morbido, avvolta in lenzuola che sanno di pulito, involontariamente sorrido: amo il profumo di pulito.
Questa mi fa capire che non sono in ospedale e non posso fare a meno di ringraziare Dio. Dove sono?
“Ben svegliata!”
Qualcuno lo sussurra accanto a me e io apro gli occhi di scatto: vicino a me, comodamente seduto su una poltroncina, c’è Jack Barakat.
Merda!
Io metto le mani nei capelli.
“Allora è tutto vero, ho incontrato il chitarrista degli All Time Low e gli sono svenuta davanti e adesso lui mi sta guardando mentre dico cazzate con le mani nei capelli.”
Lo sento ridacchiare.
“All’incirca la situazione è questa.”
“Una rockstar ha appena assistito a una delle mie peggiori figure di merda, posso seppellirmi ora.”
Lui ride di gusto.
“Che bimba minchia che sono!”
Faccio per alzarmi, il dolore alla tibia però me lo impedisce, ma sul mio volto non traspare alcuna smorfia di dolore: voglio tenermi aperta una via di fuga.
“Mannò, se fossi una di quelle a quest’ora staresti già tentando di violentarmi!”
“E a te non dispiacerebbe, vero?”
“Se fossi tu a farlo, no.”
Lo guardo con gli occhi sgranati.
“Te lo ricordi cosa ti ho detto prima che tu svenissi?”
Io ci penso un attimo e poi come un fulmine la verità si abbatte su di me: sono la ragazza di “Lost in stereo.”
Faccio per alzarmi e scappare – seguendo il mio istinto – ma un giramento di testa me lo impedisce e lui mi fa sdraiare di nuovo.
“Dov’è Holly?”
Chiedo isterica.
“Dabbasso che gioca a poker con la band, li sta stracciando.
Io adesso ti porto un panino e poi parliamo, ok?”
“Dove siamo?”
La mia voce cresce di un’altra ottava.
“A casa mia. È tutto ok?”
“Sì, sì. Va tutto bene.”
Non appena lui esce io mi alzo e ispeziono la camera, la finestra è troppo in alto e troppo lontana da un albero. Se saltassi giù mi schianterei e basta, senza riuscire a scappare e condannandomi all’ospedale se non alla sedia a rotelle.
Rimango un po’ troppo in contemplazione perché faccio giusto in tempo a saltare a letto di nuovo che lui torna con un vassoio di sandwich al tonno e maionese.
“Grazie.”
Ne prendo uno, sembrano davvero buoni ed effettivamente lo sono. Li avrà fatti lui per me?
“Buoni!”
“Grazie, posso sapere il tuo nome?”
“Wendy, Wendy O’Connor.”
Lui sorride.
“È un bel nome, Wendy.”
“Grazie, ma i sandwich li hai fatti tu per me?”
Lui annuisce rapidamente e poi riprende a parlare.
“Io mi ricordo di te, sai?”
Io impallidisco, vero, sono quella ragazza.
“Davvero?”
“Sì. Eri sempre intenta a creare playlist per il Magazzino o a ballare e io avrei tanto voluto ballare con te.
Mi ricordo anche di Holly, sai?
L’ultima volta che ti ho vista è stato durante una serata blink.”
Io lo guardo come fulminata: il ricordo di un ragazzo moro che beve birra mi attraversa la testa.
Holly aveva ragione! Era interessato a me!
“Poi sei sparita e a me è rimasto il rimpianto di non essermi fatto avanti quella sera, avrei dovuto provarci durante…”
“I miss you.”
Concludiamo insieme.
“Adesso anche io mi ricordo di te, di quella sera. Holly diceva che avevo fatto colpo su di te e io non le avevo creduto.
Poi sono stata un po’a New York da mio padre e poi mi sono trasferita qui.
Poi non pensavo di piacerti, stavi tracannando birra come un matto e poi stavi parlando con Stella Dawkins, credevo fosse la tua ragazza.”
Lui scuote la testa.
“È stata la ragazza di Alex, non la mia.”
“Com’è New York?”
Io stringo le mani a pugno pensando a tutti i litigi con mio padre, alla mia matrigna e alle mie sorellastre, per non parlare di mio fratello naturale.
Istintivamente mi tocco un occhio, quello sano, l’ultima volta che ci siamo visti a New York mio fratello mi ha dato un altro pugno, senza che mio padre e la sua troia alzassero un dito.
Che famiglia amorevole!
Non è certo una cosa che posso raccontare a un tizio che vedo la prima volta soprattutto se è uno famoso, non voglio suscitare pietà in lui.
“È una città.”
“Più bella rispetto a Baltimora.”
Io scuoto le spalle.
“Preferisco Los Angeles.”
Rimaniamo un attimo in silenzio.
“Non riesco ancora a credere che quella canzone sia dedicata a me…”
Perché?
Sei una bella ragazza.”
Io mi stringo le gambe tra le braccia.
{“Sei brutta, Wendy, brutta come il peccato.
Brutta come tuo padre, avrei preferito che tu nascessi morta.”
Le frasi di mia madre sono come tante coltellate nel mio ego. Sento un dolore che non credevo possibile sentire.}
Mangio tutti i sandwich e poi faccio per alzarmi.
“Non vuoi raccontarmi nulla di te?”
“La mia vita non è interessante, sono solo un’anonima tatuatrice.”
Questa conversazione inizia a diventare pesante da sostenere, a ogni sguardo che gli rivolgo ricordo di Baltimora.
Ricordo di quella ragazzina prima troppo grassa, poi troppo magra.
Ricordo mia madre ubriaca che scopava.
Ricordo la tintura di capelli azzurra in eccesso scendere nel lavandino, creando un cielo artificiale.
Ricordo le botte e gli insulti.
Ricordo le sere passate a pogare per potermi sfogare.
Ricordo le sere passate con gente che mi insegnava a rubare.
Ricordo le canne e la gente accanto a me che si faceva di ero tranquillamente.
Ricordo quello che ho cercato di dimenticare in questi cinque anni e li rivedo negli occhi innocenti di questo ragazzo che non sa nulla di tutto questo.
“Dove vivevi?”
“Scusa?”
“A Baltimora, dove vivevi?”
“In una roulotte, in una zona fuori città, prima in una di quelle villette belle e con il prato davanti regolarmente falciato.”
Lui si siede accanto a me sul letto dopo essersi tolto le scarpe.
“Come ci sei finita lì?”
“Mio padre se n’è andato con la sua amante e non ci ha mai pagato gli alimenti, mamma ha perso il lavoro e campavamo con il sussidio sociale.
Ecco come ci sono finita, per colpa di un bastardo che prima ha scodellato tre figli con una poveraccia e poi ha trovato la sua gallina dalle uova d’oro e il resto ha smesso di contare per lui.”
La mia voce è tagliente come l’odio che provo per quell’uomo che ci ha rovinato la vita senza neanche chiedersi se fosse giusto o sbagliato: l’ha semplicemente fatto.
Ci ha gettati via, come si getta l’immondizia quando la pattumiera è piena.
Sento Jack parlare accanto a me, ma non lo ascolto, migliaia di ricordi dimenticati tornano a farsi vivi e in questo momento mi sento la Wendy debole e fragile di Baltimora e non quella fredda e forte di Los Angeles.
“Mi stai ascoltando?
No, non mi stai ascoltando, mi spieghi che cos’hai?”
Io sospiro e guardo il soffitto.
“È troppo lungo, complicato e pesante da spiegare e io non ho intenzione di buttarti addosso la montagna che mi porto dietro.”
“E se io volessi? E se mi interessasse?
Ti ho chiamata perché volevo conoscerti.”
Io trattengo le lacrime.
“Non c’è niente di bello da conoscere in me, vattene, finché sei in tempo.”
Lui mi guarda e fa l’ultimo gesto sulla faccia della terra che io mi aspetto che faccia: mi abbraccia.
Nessuno mi aveva mai abbracciato, forse il mio fratellino qualche volta dopo qualche lite particolarmente violenta tra i nostri o dopo qualche sfuriata senza motivo di mia madre.
Faccio fatica a farmi abbracciare persino da Holly che conosco da una vita. Ogni volta che qualcuno tenta di farlo mi vengono in mente le botte.
Rimango rigida per un attimo, poi inaspettatamente mi lascio andare, mi sembra che le sue braccia siano fatte apposta per abbracciarmi.
A questo pensiero mi stacco: lui non deve entrare nella mia vita.
Io sono un’anonima ragazza e lui una rockstar, coppie del genere si formano solo nelle fan fiction.
Mi guarda per un attimo, poi il suo sguardo cade sul polsino che porto sul polso sinistro: quello pieno di tagli recenti e non.
“Bello quel polsino.”
“Grazie.”
“Me lo fai vedere?”
“NO!”
Lui non demorde e inizia una lotta per togliermelo, da parte sua avverto chiaramente che è uno scherzo, per me non lo è. Non mostro quel polso a nessuno, solo a Holly.
Io cerco di sottrarmi più che posso, ma lui alla fine vince e me lo sfila.
Sorride fino a che lo sguardo gli cade sul polso in questione, quando lo vede cambia espressione  e da felice passa a preoccupato.
Io invece mi alzo di scatto dal letto, lasciandolo lì con il mio braccialetto in mano, e scendo al piano inferiore. Holly sta effettivamente giocando a poker con i ragazzi, ma io non la chiamo, questa villa sta diventando troppo stretta, me ne devo andare.
Mi infilo gli anfibi, prendo la giacca e la borsa e attraverso di corsa il giardino, in qualche modo apro il cancello e poi corro ancora.
Mi fermo solo quando arrivo in una strada grande e frequentata e con la mano cerco di bloccare un taxi: ce la faccio.
Non appena entro nella vettura scoppio a piangere: non avrebbe dovuto togliermi quel polsino!
Non ne aveva alcun diritto, lui non è nessuno!
Sento il cellulare vibrare, lo tolgo dalla borsa e mi accorgo che è Holly che mi sta chiamando. Spengo il cellulare con stizza o lo ributto nella borsa.
A fine corsa pago il tassista e percorro il vialetto di casa mia con la vista ancora appannata dalle lacrime. Apro le porta, mi tolgo gli anfibi butto giacca, borsa e vestiti per terra e in intimo salgo in camera mia.
Apro l’armadio per tirare fuori una maglia che mi faccia da pigiama, ma quando lo specchio che c’è su un anta  mi rimanda il mio riflesso lo prendo a pugni.
Sospirando vado in bagno, mi tolgo le schegge più grandi e quelle che riesco a vedere di quelle piccole e poi mi medico e bendo la mano alla bell’ e meglio.
Distrutta emotivamente, stanca fisicamente e piena di lividi mi butto a letto.
Baltimora è venuta a farmi visita e non mi ha fatto piacere.
Mi rigiro per almeno un‘ora prima che il sonno decida di calare su di me.
Quanto mai ho accompagnato Holly a quel concerto!
Avrei fatto meglio a rimanere a casa!

Angolo di Layla

Ringrazio Shyline Sixx e LostinStereo3 per le recenioni :). 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** 2)First date. ***


2)First date.

La mattina dopo mi sveglio sentendo dolore dappertutto, soprattutto alla mano che pulsa in modo inquietante.
Scendo in cucina e trovo Holly sulla soglia che mi guarda minacciosa, le braccia incrociate sul petto.
“Si può sapere cosa ti è successo ieri sera?
Te ne sei andata via senza avvisarmi, non mi hai risposto al telefono e Jack è sceso dopo di te con una faccia da funerale.”
Io non rispondo ed entro nel locale, lei mi prende per un polso e nota la fasciatura e l’assenza del polsino.
“Dov’è il polsino e cosa ti sei fatta?”
“Il polsino ce l’ha Jack e ho preso a pugni uno specchio.”
Lei sospira e alza gli occhi.
“Vieni in bagno che ti medico!”
“L’ho già fatto io ieri sera.”
“Sì, immagino. Forza, vieni!”
Io la seguo e lei disfa la mia fasciatura ed estrae una miriade di piccole schegge che io non avevo visto, mi disinfetta come Dio comanda e poi mi rifà la fasciatura.
“Così è fatta bene. Come pensi di tatuare oggi?”
“Con le mani.”
Lei sbuffa.
“Non capisco cosa ti sia preso.”
Non ho voglia di spiegarle che rivedere Jack mi ha fatta tornare a Baltimora e che odio sentirmi così debole, spaventata e in preda degli eventi.
Scendiamo in cucina e facciamo colazione, io sono un disastro: zoppico, ho una mano fasciata e un occhio nero.
Sembra che ieri sera abbia preso parte a un combattimento clandestino invece che a un concerto.
Con l’umore sotto terra inizio la mia giornata lavorativa, c’è poco lavoro per fortuna. L’unico evento degno di nota è che verso le dieci mi arriva un messaggio sullo smartphone. Apro svogliata l’iconina del messaggio e quasi cado dalla sedia per lo shock.
È un messaggio di Jack Barakat che mi invita a cena per stasera.
Ignoro come abbia fatto ad avere il mio numero e la richiesta mi sciocca abbastanza: cosa vuole quel ragazzo da me con tutte le groupie che ha?
Holly mi guarda curiosa e io le passo il cellulare senza dire una parola.
Lei legge il messaggio, sgrana gli occhi e  comincia a muovere le dita sullo schermo touch, che sta facendo?
“Holly, che sta facendo?”
“Accetto l’invito, ovviamente!”
“Io ti ammazzo!”
“Prima di ammazzarla potresti tatuare me?”
Una vocina mi fa voltare verso l’ingresso, un ragazzino sui quindici anni mi guarda un po’ spaventato, in questo momento devo avere l’aspetto e l’espressione di una furia.
“Hai il permesso dei tuoi genitori?”
Gli chiedo fin troppo brusca, odio che mi becchino in questi atteggiamenti sul lavoro, li considero poco professionali.
Lui mi porge esitante un foglio in cui si legge che sono autorizzata a tatuare questo ragazzino di nome Josh da sua madre, la firma però sembra incerta, quasi falsa.
“Portami uno dei tuoi genitori, non mi fido molto della firma e non voglio rischiare.”
Lui sospira, esce e dopo un quarto d’ora torna con una donna sui quarant’anni che gli somiglia molto, deve essere la madre.
“Buongiorno sono Isabel Sanchez e ti autorizzo a tatuare mio figlio, almeno la smette di tirarmi matta con questo benedetto tatuaggio…”
Chiedo loro le carte d’identità e poi annuisco.
“Cosa vuoi tatuarti, Josh?”
“Il logo dei blink sul polso.”
Il lavoro mi porterà via circa un’ora e io ne ho due libere, quindi posso anche tatuarlo subito.
“Bene, Josh.
Seguimi di là, oggi non ci sono molto clienti.”
Lui esegue e si siede su una sedia, io gli faccio appoggiare il braccio su uno dei manici e comincio a cambiare gli aghi e a preparare gli inchiostri.
“Mia madre talvolta è una tale rompi cazzo.”
Esclama lui, io lo guardo male.
“Dovresti essere grato a tua madre, per prima cosa perché ti ha permesso di fare questo tatuaggio nonostante non fosse d’accordo. Poi perché si preoccupa per te o altrimenti non avrebbe fatto storie, l’avrei voluta io una madre così: la mia era sempre ubriaca, non gliene importava nulla di me e mi riempiva di botte quando era storta.”
Josh tace, non dice più nulla nemmeno quando lo sto tatuando, anche se sul suo volto c’è una smorfia di dolore indicibile quando tocco certi punti.
Alla fine il logo con i colori e una piccola scritta – Fate fell short – è apparso sul suo braccio, io gli spiego come trattarlo e poi lo mando da Holly per il pagamento.
Prima che lui esca dal mio antro mi guarda e sussurra un flebile “Grazie” e quando torna da sua madre e le dice un “Ti voglio bene” a malapena udibile.
Lei lo guarda perplessa uscire dal negozio e poi paga il tatuaggio di suo figlio.
“Posso chiederti come hai fatto?”
Io la guardo senza capire.
“A far dire a mio figlio che mi vuole bene.”
Un sorriso amaro fa capolino sul mio volto.
“Gli ho solo raccontato un po’ com’era la mia di madre.”
La donna mi guarda con compassione e poi se ne va, io guardo Holly.
“Perché hai accettato?”
“Perché volevi rifiutare?”
Io rimango un attimo in silenzio.
“Perché lui mi ricorda Baltimora, mio padre che se ne va, mamma che beve e che mi picchia, il frocio che mi picchia, le volte che mi sono sacrificata perché Andy non venisse picchiato.
Le serate al magazzino piena di lividi nel corpo e nell’anima passate a pogare per buttare fuori la rabbia.
Le troppe canne e le troppe birre, James che si faceva di eroina accanto a me e diceva di amarmi e che avrebbe smesso. Adesso ha smesso solo perché è al cimitero.
Le serate passate con gente che usciva dal riformatorio, sapere come si fa a rubare e scassinare.
Lui mi ricorda tutto questo e io voglio dimenticarlo.”
Holly mi guarda, non mi ha mai guardato così seria come ora.
“Tutto quello che hai appena elencato, per quanto brutto sia, ha fatto di te la persona che sei adesso. La ragazza forte, quella che con una sola frase ha fatto capire a un ragazzino di aver trattato ingiustamente sua madre.
Se non ti fosse successo tutto questo non saresti la persona splendida che sei e ho accettato perché ti meriti un po’ di felicità e accettare una cena con un ragazzo può essere il primo passo per averla.”
Io ho le lacrime agli occhi.
“Grazie, Holly,  grazie.”
Dopo questa predica non posso certo sottrarmi a questo appuntamento che non è particolarmente voluto da parte mia o meglio è voluto e temuto allo stesso tempo: Jack mi piace come ragazzo, ma ho paura del mio passato e del suo essere una rockstar.
Non ho voglia di mettermi in tiro, ma Holly non vuole sentire ragioni, fruga nel suo armadio e mi porge un abito che cade largo in visita, si stringe all’improvviso e ha la gonna di pizzo.
Io lo indosso scettica, ma poi quando vedo cosa ha in mano impallidisco vistosamente: ha in mano un corpetto con dei lacci bordeaux davanti.
“Holly, no!”
“Sì!”
Ignorando le mie proteste me lo stringe addosso, poi mi piastra i miei capelli azzurri che sfumano in un verde acido e mi trucca pesantemente di nero.
Mi dà il nome dell’indirizzo e mi sbatte fuori casa.
Ti voglio bene, Holly!
Con la verve di un martire che va all’arena mi reco in questo posto che capisco essere un posto alla moda, lui mi aspetta fuori con una semplice giacca di pelle, jeans scuri e scarpe da tennis.
La tentazione di scappare è fortissima, cosa ci faccio io in un posto come questo?
Io che ho dovuto saltare i pasti più di una volta lungo la mia adolescenza e che consideravo un lusso persino il Mac?
Non c’entro niente, ma alla fine scendo dalla macchina e lo raggiungo, lui sorride non appena mi vede.
“Pensavo mi tirassi bidone.”
“Non sai quanto ci sono andata vicino.”
Lui scuote la testa e apre la porta facendomi entrare per prima, per poi confabulare con un cameriere.  Mi fanno cenno di seguirli in una sala piccola e discreta del locale da cui si vede il mare.
Ci sono i fiori, le candele e lo champagne, io non sono abituata a tutte queste cose, per cui mi siedo al tavolo già rossa come un pomodoro.
Il lusso mi mette a disagio, non sono come mio fratello che ci sguazza tranquillamente. Ogni volta che vedo un posto come questo mi viene spontaneo fare un confronto con la roulotte in cui ho vissuto e ne esco sempre perdente.
“Sei a disagio?”
“Un po’, non sono abituata a tutto questo lusso.”
“Lo sapevo che non dovevo dare retta a quel cazzone di Alex!”
Io lo guardo senza capire, cosa c’entra il suo compagno di band con questo ristorante?
“Mi ha detto che quando faccio qualcosa di grave a una ragazza mi devo far perdonare con un ristornate costoso. Lo sapevo che non eri il tipo da ristorantini!”
Io rido. La sua imbranataggine scioglie un po’ della tensione che avevo accumulato, in fondo anche lui è una persona semplice o almeno lo spero.
“Ormai siamo qui.”
“Già. Senti, volevo scusarmi per ieri sera. Non avevo alcun diritto di comportarmi così. Mi dispiace.”
“Grazie, scuse accettate.”
Ora inizio a sentirmi a disagio, lui sa dei miei tagli e questo non mi va a genio, sono una delle parti di me che cerco di tenere nascoste alla gente. Ormai il danno è fatto però e non ci posso fare nulla, solo fingere disinvoltura.
“Cosa ti sei fatta alla mano?”
Io arrossisco ancora di più  e non rispondo. Perché si è accorto anche della mano?
Quando gli dirò la verità penserà che sono pazza e forse non ha tutti i torti, oggi tatuare è stata una tortura visto che non ha smesso di farmi male tutto il giorno.
“Wendy?”
Lui mi guarda incerto se insistere o meno.
“Ho preso a pugni uno specchio.”
Sussurro con voce a malapena udibile, è inutile mentirgli. Potrebbe anche pensare che qualcuno mi abbia picchiata e non voglio che lo faccia, meglio matta come un cavallo che vittima.
“Perché?”
“Perché non mi piaceva la persona che rifletteva.”
L’arrivo del cameriere lo salva dal dover commentare o dal dire qualsiasi cosa – insulti, domande su come sto a livello psicologico – e probabilmente gli impedisce anche di fuggire.
Io ordino delle lasagne, lui della pasta al pesto e per secondo scaloppine al limone per tutti e due.

 

Durante la cena non parliamo molto, le mie parole hanno fatto calare una cappa di imbarazzo difficile da sciogliere.
“Forse avrei fatto meglio a non venire, ho rovinato la serata.”
Borbotto a un certo punto, pensando che lui non mi senta.
Pia illusione, il signor Barakat ha orecchie lunghe.
“Io sono contento che tu sia venuta.”
Mi dice mentre mangiamo il dolce.
Io non so come faccia a esserlo, sono una persona complicata e poco socievole, quella che di solito tutti evitano. A scuola almeno mi hanno evitato tutti per non dover fare i conti anche con i miei problemi, persino tra gli sfigati stavo da sola.
Quando usciamo decidiamo di passeggiare un po’ su un viale che dà sulla spiaggia.
Il cibo del ristorante era buono, ma io ho ancora fame, ma io non so come dirglielo, non voglio fare la figura del pozzo senza fondo..
All’improvviso si sente un borbottio che fortunatamente non proviene dal mio stomaco, ma da quello di Jack.
“Dio, ho una fame allucinante , ma non volevo dirtelo.”
“Io sono nella tua stessa situazione.”
Lui sorride, mi prende per mano – una scossa sale fino al mio cervello – e mi fa entrare in uno dei chioschetti che danno sulla strada.
Lì ci mangiamo un hamburger, un hot dog e due muffin ciascuno per sentirci pieni.
“Che bella mangiata!”
Lui si picchia poco elegantemente una mano sulla pancia, i lacci del mio corsetto tirano un po’, eppure non mi interessa: in questa serata sto bene.
Quando lui va a pagare alla cassa lo fermo, mi ha già offerto la cena al ristorante, lui però non sente ragioni.
Dice che è un appuntamento e che deve offrire tutto lui, io sono di nuovo rossa come un pomodoro. Non sono abituata a tutta questa gentilezza.
Usciamo e lui mi prende di nuovo per mano e passeggiamo per un po’, alla fine della strada ci sono le giostre e i miei occhi si illuminano involontariamente.
“Vuoi andare alle giostre?”
“No, cioè, sì… Se non ti scoccia!”
Lui mi trascina verso l’entrata e per prima cosa ci facciamo la casa degli orrori, poi vengono gli autoscontri e le montagne russe.
Sulle montagne russe urlo come una matta, sono divertentissime!
Scesi da quelle passiamo davanti al tiro a segno e io mi incanto davanti al peluche di una rana dei cartoni animati, Keroro, mi pare si chiami.
“Vuoi che provi a vincertela?”
Mi chiede divertito.
“Solo se ti va.”
Lui ride.
“Sei la ragazza più strana che io abbia mai incontrato, ma va bene. Adesso ci provo.”
Ci riesce al terzo tentativo e per il resto della serata la rana rimane seduta sulle mie spalle, l’ultima cosa che ci manca è la ruota panoramica.
Io accetto di salire con un po’ di esitazione, di solito è lì che succedono le cose romantiche e io non so se voglio che accadano.
Alla fine entro nel cubicolo di metallo e guardo il panorama mentre si alza da terra, al suo apice posso osservare il mare e la costa e ne sono incantata.
A togliermi dal mio incanto ci pensa la mano di Jack che mi accarezza delicatamente una guancia e poi attira il mio volto verso il suo.
Ci scambiamo un bacio casto che poi si approfondisce per richiesta sua e con una mia scarsa partecipazione: sono ancora scioccata dall’evento.
Lui si stacca presto – forse un po’ deluso – ma io lo prendo per la nuca e lo riattiro a me in un bacio che di casto ha ben poco. È un bacio che mi fa attorcigliare lo stomaco e sentire euforica allo stesso tempo. Ci stacchiamo solo quando la cabina tocca terra e usciamo mano nella mano, come due fidanzatini.
È stata una bella serata e ora sta volgendo al termine e la tristezza comincia a salire.
Fino ad ora ho avuto l’impressione di vivere in una bolla, ma ora la bolla è esplosa e l’incanto si è rotto: non siamo più Wendy e Jack, ma Wendy e Jack degli All Time Low.
La tatuatrice e la Rockstar.
Incompatibile come olio e acqua.
“Allora, ti sei divertita?”
“Sì, ti ringrazio per la bella serata, ora che hai ripagato il tuo debito puoi tornare alla tua vita.”
Lui mi guarda confuso e ferito.
“Cosa stai dicendo?”
“Puoi tornare alla tua vita fatta di concerti e groupie, sei stato sgarbato con una fan e hai ripagato il tuo debito.
Sono contenta che tu l’abbia fatto, ma tra noi non c’è futuro, lo sai.”
Lui mi fa voltare verso di lui.
“Io so solo, cara la mia iceberg, che prima mi hai baciato e che qualcosa deve pur significare!”
Mentire o dire la verità?
Non faccio nemmeno in tempo a pensare seriamente a questo dilemma che la mia linguaccia risponde per me.
“È stato il momento, la ruota panoramica, le luci, essere con un ragazzo dopo tanto tempo.”
“Ah.”
E quell’ “ah” sa di sconfitta e di delusione, sa di coltellata inferta a un cuore pulsante, mi fa abbassare gli occhi come fanno i colpevoli e gli assassini.
“Mi dispiace.”
Mormoro a voce bassa e mi rendo conto da sola che è un po’ poco.
“Risparmia i convenevoli, hai già detto tutto poco fa!”
Mi risponde secco.
In macchina non mi dice nulla e io mi sento all’improvviso la peggiore delle persone, ho uno “scusami” che brucia sulla  punta della mia lingua, ma non esce. Rimane lì, tenuto fermo dal mio stupido cervello, nonostante il cuore urli che io stia sbagliando e che non posso lasciarlo andare, non così almeno.
Ci salutiamo freddamente e lui parte sgommando.
Io mi siedo sul portico di casa mia e guardo la rana che ha vinto per me, ho l’impressione che mi guardi per farmi sentire in colpa.
Mi sono comportata come la regina di ghiaccio e per contrappasso tante schegge ghiacciate stanno straziando il mio cuore.
Abbasso la testa e scoppio a piangere silenziosamente come facevo da ragazzina dopo che mia madre mi aveva picchiato.
È così che mi trova Holly e mi fa entrare senza tanti convenevoli.
“Non vorrai prenderti qualcosa!”
Esclama pratica, poi si siede accanto a me, pronta a raccogliere le mie confidenze come al solito. Questa volta ho il sospetto che non sarà dalla mia parte.
“Cosa è successo?”
Io le racconto tutto e quando le dico cosa ho detto a Jack fuori dal parco i suoi occhi mi fulminano come raramente hanno fatto.
“L’hai trattato da pezza da piedi, te ne rendi conto?
L’hai trattato come se fosse una bambola senza sentimenti, sei stata davvero una stronza e lui è stato carinissimo con te.
Dovresti scusarti, il fatto che sia una rockstar non lo rende meno umano.”
Io abbasso gli occhi e non dico nulla, con aria triste me ne vado in camera mia e penso alle parole di Holly e a quanto posso essere stupida e cattiva se mi ci metto.
Sono peggio di una tempesta certe volte, io e i sentimenti siamo in cattivi rapporti da sempre. Faccio fatica a dire “Ti voglio bene”, “Grazie”, “Mi manchi.” e tutte quelle parole che si scambiano le persone normali.
La mia coscienza impietosamente mi dice che questa volta non posso trincerarmi dietro questa incapacità e devo mettermi in gioco.
Inizio a digitare un messaggio di scuse al numero di Jack, ma  alla fine non ho il coraggio di mandarglielo.
Lo guardo per un po’ fino a che la luce dello schermo non viene meno e il cellulare diventa un oggetto scuro e morto tra le mie mani.
Lo guardo per ore in attesa che dal mio cervello arrivi l’ordine di spedire quel messaggio e provare a sistemare le cose.
Sono ore vane, quell’ordine non arriva, io mi gelo seduta sulle coperte, fino a che non le sollevo e mi metto sotto addormentandomi con il cellulare in mano.
Vigliacca fino in fondo preferisco tenerlo fuori dal mio mondo che rischiare ed essere felice.
Stupida me!
Non faccio che ripetermelo, ma nonostante questo non cambia nulla, il messaggio rimane nella cartella della bozze, triste e solo esattamente come me.
Entrambi siamo incompleti, basterebbe poco per sistemarci, ma quel poco non c’è o non lo vogliamo vedere.
Con questi pensieri in testa prendo sonno solo verso le quattro di mattina.
Domani prevedo sarà una giornataccia.

Angolo di Layla.

Ringrazio LostinStereo3 e Molly182 per le recensioni, siete state davvero pazienti con me e con questa storia.

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Capitolo 4
*** 3)I'm sorry. ***


3)I'm sorry.

 

La mattina dopo – come previsto – mi sento uno straccio.
Holly mi chiede se mi sono scusata con lui, io scuoto la testa e mangio mesta i miei cereali, lei alza gli occhi al cielo.
“Il tuo orgoglio ti ucciderà. Non puoi sempre cacciare tutti perché hai paura del tuo passato, qualcuno dovrai pur lasciarlo entrare!”
Sì, ma non certo un tizio che è in giro per il mondo e per l’America e che non sempre può aiutarmi se ho bisogno di lui.
Il ragionamento non fa una piega, ma il mio cuore rimane triste e non migliora nemmeno in una settimana.
In quella settimana agisco come un robot e ogni sera guardo quel messaggio e mi chiedo se non sia il caso di mandarglielo, poi concludo sempre che ormai è troppo tardi e che avrebbe avuto senso farlo la sera stessa non dopo.
È interessante come quel minuscolo passo che potrebbe risolvere tutto io non lo faccia solo per vigliaccheria e paura, sono vicinissima allo stare bene eppure non mi decido mai a fare quel passo per paura delle conseguenze.
Un sabato entra in negozio l’ultima persona che mi aspetti di vedere: Alex Gaskarth.
Chissà cosa vuole da me? E perché penso che non siano affatto un buon segno vederlo apparire qui, nella mia realtà di tutti i giorni?
“Ciao, vuoi farti un nuovo tatuaggio?”
Chiedo cordiale, facendo appello a tutto il mio coraggio e alla mia professionalità.
“No, voglio parlare con te, se hai cinque minuti.”
Io deglutisco e poi gli dico di sì, non ho più clienti e se dovesse arrivare qualcuno che vuole prendere un appuntamento può pensarci Holly, che lui saluta con un cenno amichevole.
Usciamo dal negozio e lui sembra decisamente arrabbiato con me, che cosa ho fatto?
Entriamo nel primo bar che troviamo e dopo aver ordinato lui finalmente apre bocca.
“Cosa hai fatto a Jack?”
“Cosa?”
“Cosa gli hai fatto? Dal vostro appuntamento oscilla dall’essere incazzato all’essere un’ameba totale.”
Io abbasso gli occhi e gli racconto succintamente quello che gli ho detto dopo essere usciti dal parco, lui mi guarda malissimo.
Vorrei sprofondare, vorrei scappare, non mi sono mai sentita tanto male in vita mia.
“Ti rendi conto che gli hai detto la peggior cosa che potessi dirgli?
Siamo esseri umani anche noi rockstar, siamo fatti di carne e sangue e soffriamo quando qualcuno ci tratta male.”
“Io non pensavo di…”
“Giusto, non hai pensato, ha solo agito da stronza.
Adesso capisco perché fa così, non avrei mai dovuto appoggiarlo nella scelta di uscire con te.
Se volevi scaricarlo perché non ti piaceva, avresti dovuto essere un pochino più sensibile, zuccherino!”
“Ma a me lui piace.”
Mormoro timidamente, lasciando che sia il cuore a prendere il sopravvento almeno per una volta e poi voglio giocare a carte scoperte a rischio di farmi male.
Lui mi guarda come se fossi un’aliena.
“Il fatto è che avevo paura. Ho già un sacco di problemi, non volevo assillarlo e poi ho pensato che se io avessi avuto bisogno di lui, lui probabilmente non ci sarebbe stato.”
“Allora lo conosci davvero poco.
Quando ero un ragazzino mio fratello si suicidò e fu Jack a tirarmi fuori dalla depressione in cui ero finito, mi ha spronato a cantare e ad andare avanti. Se avessi un problema lui ci sarebbe sempre, a costo di farsi mezza America in una notte.
Credo che dovresti scusarti.”
A questo punto lo credo anche io e lascio Alex dopo essermi fatta dare l’indirizzo di casa di Jack.
Quando arrivo sul posto il portiere mi apre, si ricorda di me dalla volta precedente.
Io entro nella villa e subito sento rumori poco ortodossi, ma mi faccio coraggio e salgo fino al piano superiore e poi spalanco la porta della camera da cui sono fuggita più di una settimana fa.
Vorrei non averlo mai fatto, Jack si sta scopando una messicana e io l’ho interrotto.
“Scusate!”
Farfuglio prima di andarmene.
Corro di nuovo via da questa casa, ma prima di arrivare alla porta qualcuno mi prende per un polso e mi volta verso di lui: Jack.
“Scusa, non volevo interromperti, me ne vado subito!”
“Perché sei venuta?”
Io prendo un profondo respiro.
“Volevo scusarmi per le parole dell’altra volta, non te le meritavi e mi sono resa conto che prima di essere un personaggio famoso sei una persona e che io ti ho offeso. E poi volevo una seconda possibilità.
Ma forse sarebbe stato meglio se non fossi venuta, ti ho solo disturbato.
Scusami ancora.”
Me ne vado da quella casa, pensando che sono solo un’illusa: probabilmente si è solo arrabbiato perché non gliel’ho data o cose del genere.
Il mio cuore dice che non è così, ma per oggi gli ho dato retta abbastanza e non ci ho guadagnato molto: solo vedere il tizio che mi piace farsi un’altra.
Quando arrivo davanti a casa mia, fuori dalla porta trovo mia madre. Rimango paralizzata per un attimo e poi scappo, quell’attimo è sufficiente affinché lei mi prenda per i capelli e mi trascini dentro.
“Dammi i soldi, puttana!”
Mi urla contro, il fiato sa già di alcool nonostante siano solo le dieci e mezza di mattina.
“Io non ti do niente, vattene da questa casa!”
“Osi cacciare tua madre? Ma io allora non ti ho insegnato nulla!”
Si lancia su di me e comincia a riempirmi di calci e pugni, io subisco passiva e spaventata: ho il cuore che batte a tremila. Potrebbe venirmi un infarto da un momento all’altro e forse sarebbe meglio per tutti.
Lei non si ferma fino a che non svengo. Non è mai stata così aggressiva, probabilmente è un po’ che è a secco e si sfoga con me. L’ha sempre fatto, le cose che non andavano bene nella sua vita erano sempre colpa mia.
Probabilmente approfitta di quel lasso di tempo in cui io sono incosciente per arraffare tutto l’alcool e la roba di valore che trova in giro perché quando mi sveglio trovo la casa in disordine e mi fanno male tutte le ossa.
Scoppio a piangere lì dove sono, non ho nemmeno la forza di tirarmi sul divano.
Vorrei morire.
Piango talmente forte che non mi accorgo che la porta si apre e sento solo qualcuno urlare il mio nome prima con rabbia e poi con preoccupazione.
Delle mani maschili mi sollevano e mi portano fino alla mia camera e poi mi depositano sul letto. Le mani appartengono a Jack che mi guarda preoccupato e ansioso.
“Che è successo?”
“Niente.”
“Come niente? La casa è un macello e tu sei piena di lividi!”
Io scoppio di nuovo a piangere e lui mi abbraccia senza dirmi nulla, a volte le parole non servono.
“Sono felice che tu sia venuta prima e mi scuso per essermi fatto trovare con una ragazza, ma avevo bisogno di sfogarmi.”
“È ok, io non sono la tua ragazza, non posso vantare diritti su di te.”
Mi costa dirgli quella frase, ma non ha senso che io faccia la gelosa visto che ho sprecato la mia possibilità con lui come un’idiota.
“Lo so, ma non voglio tu fraintenda la situazione: al momento voglio solo te”
Prende un attimo il respiro.
“E vorrei sapere chi è lo stronzo che ti ha conciato così, almeno posso ucciderlo.”
“Mia madre.”
Sussurro, lui sgrana gli occhi incredulo. Credo si aspettasse un qualche ex geloso e non una madre manesca.
“Mia madre mi ha trovata e voleva soldi e quando si è accorta che non ero disposta a darleq ualcosa mi ha picchiato come ha sempre fatto.”
Gli dico tra le lacrime che ormai non riesco più a fermare, visto lo stato in cui sono non ha nessuna importanza che lui mi veda debole o forte.
Lui si stende a letto con me e mi tiene stretta a sé mentre piango tutte le lacrime che ho tenuto dentro per tutti questi anni.
Sono tante lacrime inframmezzate da brevi frasi che raccontano la mia storia, non mi sono mai sentita così fragile e bisognosa di protezione come oggi e lui è qui per me.
Mi ascolta, mi coccola, non giudica e non mi caccia.
Cerca solo di farmi stare bene a modo suo e all’improvviso mi sento una sciocca per aver pensato che di lui non potessi fidarmi solo perché era una rockstar.
Ho agito in base a dei pregiudizi e non potevo agire più stupidamente.
“Grazie.”
Gli sussurrò mentre le palpebre mi si fanno pesanti, a causa dello shock probabilmente.
“Grazie per essere qui.”
Non sento la sua risposta per il semplice motivo che mi addormento tra le sue braccia.
Mi sveglio sentendo qualcuno litigare: Jack e …
Gli occhi mi si aprono di colpo e mi tiro a sedere: la figura che torreggia con una divisa militare sulla porta della mia camera è mio fratello.
“ANDREW!”
Gli salto al collo, è diventato più alto e più bello.
Ha due meravigliosi occhi azzurri  e vorrei tanto che si rifacesse crescere i riccioli neri che aveva da ragazzino, peccato non possa per le regole militari.
Jack mi guarda meravigliato e sta per dirmi qualcosa, ma io lo precedo.
“Jack, ti presento mio fratello Andrew.”
Lui si alza dal letto e gli tende una mano.
“Ciao, io mi chiamo Jack.”
Mio fratello lo squadra a lungo.
“Io ti conosco, sei quello di quella band pop-punk che viene da Baltimora.
Mi piacciono le vostre canzoni.”
“Grazie.”
“Prego, ma se farai soffrire mia sorella te la dovrei vedere con me. A proposito, Wen, chi ti ha riempito di lividi?”
Io abbasso gli occhi.
“Mamma.
Me la sono trovata a casa quando sono arrivata dal lavoro e quando ha visto che non le volevo dare nemmeno un dollaro mi ha pestata fino a farmi perdere conoscenza e ha arraffato quello che poteva.”
Gli occhi di mio fratello si riducono a una fessura, era da un po’ che non lo vedevo così arrabbiato. Diventa così solo quando c’è lei di mezzo,  credo la disprezzi profondamente come faccio io.
“Scendiamo di sotto, vi devo parlare e deve essere presente anche Holly.”
Il suo tono serio mi preoccupa, non gliel’ho mai sentito.
“Cosa è successo, Andy?”
“Ve lo dirò solo quando c’è anche Holly.”
Arrivati di sotto gli offro da bere e gli chiedo se ha un posto dove stare, lui mi dice che ha preso in affitto un appartamento per questo mese di licenza.
Holly arriva poco dopo e anche lei lo abbraccia.
“Andy, come mai qui?”
“Mi hanno dato una licenza di un mese prima di rispedirmi in Afganistan e sono venuto qui per parlarvi.”
Ci sediamo al tavolo del salotto.
“Mamma è scappata dal suo istituto, cambiate le serrature e… Wen, quei lividi…
La devi denunciare!”
“NO!”
Urlo io.
“Mio fratello mi guarda dritto negli occhi.
“Lo so che hai sempre voluto proteggerla e ti stimo e ti voglio bene per questo, ma adesso basta.
Sta diventando pericolosa per sé e per gli altri.
Siamo responsabili di quello che fa e deve finire.”
Io mi porto una mano sulla fronte, stanca di tutta questa situazione di merda.
“Ci penserò, Andy, ci penserò.”
“Ok.”
Lui se ne va e io non ho nemmeno fame, sono troppo stanca, preoccupata e provata. Vorrei solo ficcarmi a letto e non uscire per due settimane.
“Io vado a letto. Jack, vorresti dormire con me?”
Gli chiedo rossa come un peperone, non voglio che fraintenda anche se gli sto offrendo una possibilità di farlo su un piatto d’argento.
Lui mi accarezza una guancia piano e mi guarda fisso negli occhi.
“Sì, ma prima mangiamo e ti medichi.”
Io sospiro.
“Ok.”
Holly ordina qualcosa dal cinese e poi sistemano i miei lividi, domani non posso andare nemmeno a lavorare!
“Holly, disdici tutti gli appuntamenti per questi due giorni e rifissali.
Porca puttana, non posso nemmeno lavorare conciata così.”
Jack si siede vicino a me e mi abbraccia.
“Su, stai tranquilla. No, che non puoi andare al lavoro conciata così, sembri un pugile.”
Il cinese interrompe il nostro idillio, visto che suonano alla porta, Holly apre e riceve il fattorino.
Ha ordinato un sacco di cose, ma incredibilmente spariscono tutte nei nostri stomaci a una velocità inimmaginabile e io che credevo di non avere fame!
Lo shock probabilmente si sta sfogando così, chi può saperlo!
Ora che siamo tutti sazi Jack acconsente a venire a dormire con me. Saliamo in camera, lui guarda a lungo i poster dei blink e quelli della sua band e mi pare che li approvi.
“Il chitarrista degli All Time Low è figo, vero?”
“Nah, è meglio il cantante o Tom DeLonge!”
Ridacchio io.
“Effettivamente Tom non è male, ma adesso il chitarrista degli All Time Low ti dimostrerà come superarlo!”
Gonfia il petto lui, io sorrido.
Ci spogliamo, io metto una maglia dei Pistols che uso come pigiama e lui rimane in mutande – cosa che mi mette leggermente a disagio – poi ci buttiamo sotto le coperte.
Immediatamente vengo attirata sul suo petto e inizia ad accarezzarmi i capelli: è  una sensazione meravigliosa, sento che veramente c’è un ragazzo che tiene a me.
Puntellandomi con i gomiti mi alzo e gli do un bacio a fior di labbra che poi diventa passionale, le mie mani esplorano i suoi pettorali, le sue la mia schiena e giocano con l’elastico del reggiseno.
Ci baciamo un po’ così poi ci blocchiamo: è troppo presto per fare qualcosa, io non me la sento.
“Jack, basta… io…”
“Va bene, va tutto bene. Basta che tu rimanga qua, mi piace tenerti abbracciata, mi rilassa.”
Io gli bacio una clavicola come scusa.
“A me piace stare qua. Mi sento bene.
Com’è stare in una band?”
“Bello, è come stare in una seconda famiglia e in più ti diverti in giro per gli Stati Uniti facendo quelli che ami fare.
Sono stato io a far nascere la band, sai?
Volevo emulare i blink.”
“Amo i blink. Senza di loro sarei persa, mi hanno aiutata tantissimo.”
“Lo stesso vale per me, eri tu a creare le playlist per il magazzino, vero?”
Io annuisco contro il suo petto.
“Beh, ti sono sempre venute benissimo.”
“Grazie. Come ti senti ora che il tuo sogno si è realizzato?”
Lui si gratta la testa.
“Bene, anche se ogni tanto mi sento un pupazzo. I fan si aspettano qualcosa da me, le groupies anche e poi c’è continuamente  ci accusa di aver rubato riff ai blink per farne canzonette da quattro soldi.”
“Come nei video di “Weightless”. È geniale quel video, ho riso per un po’ guardandolo, poi mi sono resa conto che era la verità e non era per nulla divertente.
Immagino che per voi questa parte non sia divertente.”
Lui scuote la testa.
“No, non lo è. Ti mette tanta pressione addosso, ma noi ci ridiamo sopra per non piangere.”
“Davvero “Lost in stereo” è stata scritta per me?”
Lui ride.
“Ma perché ti suona così strano?
Sei una ragazza bellissima!”
“Non esageriamo!”
“Fidati!”
Fa lui ridendo.
“Già a Baltimora c’erano un sacco di ragazzi cotti di te, ma che non si facevano avanti.”
“Rischiavano di essere scopati da mia madre o dall’altro mio fratello, quello che sta a New York.
Com’è Mark Hoppus?”
“Come lo vedi nei concerti e nelle interviste. È una persona alla mano che ama parlare con tutti, fans compresi, e che si diverte facendo quello che fa.
Quando l’ho visto arrivare ho rischiato di svenire come una ragazzina isterica, non potevo credere che una delle persone che io stimo di più al mondo credesse nella nostra band.
È stato meraviglioso.”
Io sorrido sognante, immaginandomi la scena, deve essere il massimo essere approvati dal tuo idolo.
“Sono tanto felice per voi.”
Lui mi accarezza la schiena.
“E tu?
Com’è avere un negozio tuo di tatuaggi?”
“Meraviglioso, finalmente ho qualcosa di mio che nessuno, spero, mi potrà togliere.
Finalmente vedo un senso nella mia vita, non sono più la ragazzina spaventata di Baltimora, ce l’ho fatta in un certo senso.”
“Perché mi hai evitato?”
La sua domanda è come una secchiata di acqua gelida e mi fa trasalire per un attimo.
“Perché tu mi ricordavi Baltimora e tutto quello che ero là e che c’era là e non volevo più sentirmi così debole.
Però, poi mi hanno fatto capire che non potevo buttare sempre fuori le persone dalla mia vita a causa del mio passato, perché se sono quello che sono ora è grazie a tutto quello che mi è successo.
Mi dispiace di averti fatto soffrire, ma sono una frana con i sentimenti.”
“L’importante è che ora siamo qui, no?”
“Sì.”
Continua a parlare e ad accarezzarmi fino a che non mi addormento, sento che questa sarà la miglior dormita della mia vita.
Sono abbracciata a un ragazzo che mi interessa e che non è scappato dopo il racconto della mia vita, cosa posso chiedere di più?
Penso niente, ho tutto quello che ho sempre chiesto e ancora non so se me lo merito. Non sono io a decidere queste cose, a volte la vita decide per te.
A volte la vita ti dà calci in culo a ripetizione, a volte ti mette sul tuo percorso delle persone meravigliose come Jack
La vita può essere uno schifo totale, ma non sempre.
La vita a volte può essere anche bella.
In questo momento penso che la mia vita sia bella e non penso più a tutto quello che mi è successo, in questo momento per me conta solo Jack e sono felice.
Finalmente so cosa si prova a essere del tutto felici, senza neanche una falla nella tua vita.
Spero che duri.

Angolo di Layla

Ringrazio Molly182,  Shyline Sixx, bunch of bones, Lostinstereo3 e _redsky_

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Capitolo 5
*** 4)Not now (it's not your time to go) ***


4)Not now (it's not your time to go)

La mattina dopo mi sveglio abbracciata a lui e sento che la mia giornata inizia al meglio.
Con delicatezza mi sfilo dal suo abbraccio e scendo a preparare la colazione, Holly sta già bevendo il suo caffè e mi sorride.
“Com’è andata?”
“Bene. Ci siamo baciati un po’, poi io non me la sono sentita di continuare e lui non se l’è presa.
Adesso gli preparo la colazione.”
Faccio cuocere un po’ di pancakes e poi preparo due ciotole di caffelatte, lo zucchero e lo sciroppo d’acero. Quando salgo in camera con il vassoio, lui sta ancora dormendo e lo scuoto delicatamente, la sua faccia si illumina.
“Mi hai portato la colazione! I pancakes!”
Io arrossisco.
“Sì, te l’ho portata e ammetto di essere andata un po’ a caso sperando che ti piacessero.”
“Ci hai azzeccato!”
Deposito il vassoio sul letto e poi mi siedo accanto a lui, ha gli occhi ancora un po’ gonfi e i capelli scompigliati.
Mangiamo insieme chiacchierando di cose futili, stando ben alla larga dal nodo principale: mia madre.
Penso che anche Jack voglia che io la denunci, ma non me la sento. Per quanto la odi, per quanto sia una pessima persona che mi ha rovinato l’adolescenza è mia madre e non riesco a fare deliberatamente qualcosa contro di lei.
“La denuncerai?”
“Non lo so, è pur sempre mia madre.”
“Ti ha riempito di botte senza il minimo scrupolo, non so se puoi ancora definirla madre e poi, come ti ha ricordato tuo fratello, è pericolosa per gli altri.”
Io rimango in silenzio, assimilando le sue parole. Non ha tutti i torti, ma alzare il velo di omertà non mi riesce ancora.
Finito di mangiare lui fa una doccia e poi si riveste.
“Promettimi che ci penserai.”
“Ci penserò.”
Lui mi strappa un bacio che da tenero si fa subito passionale e poi se ne va, facendomi segno che mi scriverà dopo.
Io lo guardo andare via sorridendo come una scema, lui mi fa sorridere come una scema e io sono felice di questo.
“Wen! Io vado a fare la spesa!”
La voce di Holly mi distrae dalle mie farneticazioni.
“Ok, io sistemo un po’ questo macello.”
“Sì, ci vediamo dopo!”
Prende la giacca di pelle ed esce, io invece mi armo di scopa e paletta e do una bella ramazzata a questo posto.
Sto per decidere come sistemare le cose che sono sopravvissute a ieri quando sento la canna di una pistola posarsi contro la mia nuca, istintivamente mi irrigidisco.
“Non muoverti e non provare a urlare! Portami alla cassaforte, puttana.”
Mia madre è tornata a chiedere soldi e sono sola in casa, merda!
Mi muovo con circospezione verso il piano superiore seguita da lei che mi tiene sotto tiro, con un gesto dettato dalla disperazione tiro fuori il cellulare e chiamo il numero di Jack, poi me lo rimetto in tasca, sperando che senta tutto e che chiami la polizia.
Arriviamo al piano superiore, io proseguo lungo il corridoio fino ad arrivare a una stanzetta che usiamo come ripostiglio, è lì che c’è la cassaforte.
Sento la voce di Jack che risponde, spero non la senta mia madre.
“Forza aprila, troia o questa volta ti ammazzo sul serio!”
Io deglutisco e inizio a digitare la combinazione, Jack continua a urlare per chiedere cosa cazzo succede.
Lo sente anche mia madre subito dopo che è scattata la cassaforte, vede il cellulare nelle mie mani e lo fa saltare con un solo colpo.
Io sbianco e sento un dolore indicibile alla mano destra, quella con cui tatuo, migliaia di schegge si sono conficcate lì, il proiettile invece è nella parete poco più in là.
Prego che questo le basti, che arraffi i soldi e che se ne vada spaventata dal possibile arrivo della polizia, invece spara ancora.
Vedo il proiettile venire verso di me, a rallentatore, sento il cuore che batte a un ritmo irregolare e il respiro farsi roco, poi sento un dolore immane al bassoventre.
“Va all’inferno, tesoro!”
Lei prende i soldi e se ne va, io mi tocco la pancia e la mano sente del liquido caldo che rende appiccicosa la maglietta: sangue.
Vorrei alzarmi e prendere qualcosa per fermare l’emorragia e magari chiamare la polizia, ma sono troppo debole.
In un ultimo sussulto, mi tolgo la maglia e la stringo intorno alla mia vita, poi cado a terra svenuta.
Spero che Jack abbia chiamato la polizia o altrimenti questa è la volta buona che muoio sul serio.
Il dolore sale a ondate  e lentamente mi accompagna in un buio caldo e confortevole a cui io mi abbandono.
Curiosamente questo abbandonarsi si conclude con me stessa che guarda il mio corpo steso per terra in posizione fetale, c’è una brutta macchia di sangue sul pavimento dello sgabuzzino e si allarga sempre di più.
Dieci minuti dopo sento la porta d’ingresso aprirsi e la voce di Jack che chiama il mio nome, non è solo perché sento anche delle voci estranee. Non trovandomi di sotto salgono al piano superiore e notano la porta dello sgabuzzino aperta e successivamente il mio corpo inerme.
Jack si lancia su di me, mi prende tra le braccia e mi scuote, mi chiama e vedo le sue lacrime scendere.
“Wendy, Wend! Rispondimi, ti prego!”
Vorrei, ma non posso. Mi dispiace.
Un gentile poliziotto lo allontana per permettere ai paramedici di portarmi via e gli chiede di ripetere la dinamica della chiamata.
“Ero a casa quando è suonato il telefono, l’avevo lasciata da poco e non mi aspettavo che mi chiamasse. Quando ho risposto ho sentito dei rumori indefiniti, sembrava stesse salendo le scale, è stato così per un po’.
Poi ho sentito una voce femminile che la minacciava, voleva che la cassaforte fosse aperta o l’avrebbe ammazzata.
Poi ho sentito altri rumori e poi il rumore di un’esplosione e ho chiamato voi.”
Il poliziotto annuisce, vede a terra i resti del cellulare, la pallottola conficcata nel muro e probabilmente come è conciata la mia mano.
“Posso andare da lei, ora?”
“Un’ultima domanda. Di chi pensa sia la voce femminile che la minacciava?”
“Della madre, ieri è venuta qui e l’ha pestata per avere dei soldi. Il fratello le ha detto di denunciarla, ma Wen non voleva.
Ora posso andare?”
Il poliziotto fa cenno di sì.
 

L’operazione per rattoppare le mie viscere è durata un po’, la mia mano è stata lasciata in disparte per ora.
Il proiettile è entrato e poi è uscito e le schegge possono essere tolte dopo, l’importante è che la ferita all’addome sia ricucita, a quanto pare mia madre mi ha fatto un bel buchetto.
L’operazione riesce, ma sono debole, i medici scuotono la testa e guardano il mio corpo con pietà, pensano che non è giusto che una ragazza così giovane sia conciata così.
Fuori dalla sala ci sono Jack, Alex, Holly e Andrew.
Jack è quello più provato, Alex non fa altro che picchiargli la mano sulla spalla dicendo che ce la farò, che ce l’ho sempre fatta e che sono forte.
Quando passa il mio corpo si alzano tutti e quattro e parlano con il dottore.
“Le abbiamo rimosso il proiettile e ricucito la ferita, però ha perso molto sangue ed è debole.
Se passerà la notte ci sono buone possibilità che ce la faccia e poi potremo pensare alla mano.”
Holly si porta le mani davanti a volto per nascondere le lacrime.
“Lei con le mani ci lavora, è una tatuatrice.”
Il medico fa un sorriso amaro, come a dire che gli dispiace, ma che non può farci nulla.
“È possibile vederla?”
Chiede Jack, ha gli occhi gonfi e rossi.
“Solo uno di voi e per poco tempo, è troppo debole.
Quando avrete deciso chi andrà ditelo all’infermiera e vi accompagnerà.”
Jack, Alex, Andy e Holly si guardano negli occhi, poi tutti guardano solo mio fratello.
“Vai tu, Jack.”
Lui annuisce e si dirige verso l’infermiera, la donna gli sorride incoraggiante e gli fa indossare camice, cuffia e mascherina e si raccomanda di non stare troppo.
Lui si siede su una sedie e prende tra le sue mani una delle mie che giace inerte sul materasso trapassata da una flebo. Non sembro nemmeno io quell’insieme di tubi e flebo steso sul letto.
“Ehi, Wen. È davvero poco carino che tu decida di scaricarmi morendo, non credi?”
Rimane un attimo in silenzio e poi si porta la mano libera sul volto.
“No, non ce la faccio a fare il cazzone adesso, adesso ho solo voglia di vedere i tuoi occhi azzurri puntati nei miei. Ho voglia di sentire una delle battute acide e vedere il tuo mezzo sorriso triste che si illumina per me.
Ti ho persa cinque anni fa perché ero un ragazzino troppo timido per spiccicare parola davanti a te, avevi uno sguardo che attirava e faceva paura, così profondo che potevi perderti dentro e io ammetto di essermi perso più di una volta lì dentro.
Sapevo che vivevi in una roulotte, ma non pensavo in questa situazione…
Quando ti ho ritrovato stavo per perderti di nuovo perché avevi paura, ma ora che stava passando non mi va di perderti così.
Non mi va di andare al tuo funerale e vestirmi di scuro, voglio portarti in spiaggia a prendere il sole, fare il bagno, magari impariamo anche a surfare, che ne dici?
Per favore resisti, passa questa notte e svegliati domani.
Non darla vinta a tua madre e torna da me.”
Mi lascia la mano e mi dà un leggero bacio sulla fronte.
“Adesso devo andare, piccola, ma domani torno.
Tu fatti trovare sveglia.”
Esce dalla stanza e subito viene accerchiato dagli altri.
“Sembra che dorma, mi fa impressione vederla lì con tutti quegli aghi che le entrano nelle vene.”
Andy abbassa gli occhi.
“Porca puttana, non voglio passare il mio mese di licenza a fare il funerale a mia sorella per colpa di mia madre! Deve vivere cazzo!
Ha solo ventitré anni e solo da poco sta finalmente bene, non può finire così. Mi ha sempre protetto, si è sempre presa il peggio che c’era a casa mia, ora non può prendersi anche questo altrimenti Dio non esiste.
Se Dio esiste mia sorella deve vivere.”
Holly lo abbraccia, un ragazzo grande e grosso che cerca conforto in una ragazzina mingherlina come lei non sono cose che si vedono tutti i giorni.
“Se solo non fossi uscita di casa…”
“Holly, se fossi rimasta in casa probabilmente avrebbe sparato anche a te.”
Risponde saggiamente Alex, poi cala il silenzio.
Nelle lunghe ore della notte nessuno parla, Alex ogni tanto si alza a prendere del caffè per tutti, Holly si addormenta con la testa appoggiata sulla spalla di mio fratello, Jack è seduto a gambe larghe con la testa tra le mani.
I primi raggi dell’alba arrivano grati a tutti, le mie condizioni sono stabili e forse mi sveglierò oggi, non si sa: i medici non si sbilanciano.
In compenso arriva un poliziotto che annuncia a mio fratello che mia madre è morta in uno scontro a fuoco, nato tra lei e la pattuglia che voleva arrestarla.
Mio fratello annuisce.
“Benissimo. Una volta che avrete finito chiamate mio padre, Philip O’Connor, dopo vi passo il numero, e ditegli che si occupi lui del funerale. Se non vuole occuparsene, chiamate qualche altro parente di mia madre, ma non me.
Io devo badare a mia sorella e anche se potessi occuparmi del funerale sinceramente non ne ho voglia.”
Mio fratello porge un biglietto da visita all’agente, che se ne va.
La mattina passa tranquilla, poi verso il pomeriggio vengo di nuovo risucchiata dal buio e mi sento scaraventata nel mio corpo, solo che  all’improvviso è diventato pesante da manovrare.
La mie palpebre sembrano pesare quintali e i miei arti sono di pietra, ma non posso smettere di provare a mandare impulsi affinché i miei occhi si aprano, lo devo a tutte le persone che mi aspettano là fuori.
Con molta fatica apro un occhio e mi ritrovo davanti il volto di un’infermiera, immediatamente viene chiamato il dottore e si grida quasi al miracolo.
Appurato che sono in via di miglioramento uno alla volta possono entrare i miei amici e mio  fratello.
La prima a entrare è Holly, ha gli bassi e l’espressione triste.
“Mi dispiace di essere uscita a fare la spesa, forse se fossi stata in casa non ci avrebbe provato.”
“Non dire cavolate!”
La mia voce suona incredibilmente sottile e flebile anche a me.
“Se fossi rimasta a casa a quest’ora saresti stesa sul letto accanto al mio. Cosa dicono i dottori?”
“Beh, che l’operazione per toglierti alla pallottola è riuscita perfettamente, che non hai organi vitali danneggiati.”
“E della mano?”
“La sistemeranno.”
Io sospiro e tento di alzarla, è sistemata alla bell’e meglio, chissà se potrò di nuovo usarla come prima.
“Forse è meglio se chiudo il negozio e mi metto a cercare un altro lavoro.”
“Ma tatuare è sempre stato il tuo sogno.”
“Come credi che possa tatuare con una mano del genere?
Sarà un miracolo se potrò ancora muoverla, quella stronza si è portata via il mio unico sogno.”
Lei non dice nulla, guarda la mia mano che le ha tolto le facoltà di parlare.
“In qualche modo faremo, vedrai che la tua mano tornerà a posto.”
“Come? Come facciamo a pagare le bollette?
Se vogliamo pagarle dobbiamo tenere aperto il negozio e assumere qualcuno a cui pagare uno stipendio e questo toglierà soldi. Tra dieci giorni saremo senza casa.”
“Non preoccuparti, in qualche modo faremo.”
Mi stringe la mano sorridendo, vorrei vedere l’ottimismo di Holly, invece vedo tutto nero, la mia vita sta andando a pezzi. Allo stato attuale avrei preferito che mia madre mirasse al cuore  e mi ammazzasse invece di vedere le macerie in cui è ridotta la mia vita.
Holly lascia la stanza, subito dopo entra Andrew.
“Ciao sorellina.”
“Ciao, fratello. Hai visto come mi ha ridotta?
E tra dieci giorni scade l’affitto e non so come lo pagheremo.”
Lui mi accarezza la testa.
“Vedi il lato positivo, non può più farti male. È morta questa notte in uno scontro a fuoco con i poliziotti che volevano arrestarla.”
“Magra consolazione. Con questa mano non posso tatuare, niente tatuaggi, niente affitto.”
“In questo mese potete stare da me.”
“E dopo? Sarei al punto di partenza.”
Lui sospira, ha lo sguardo basso e si torce le mani.
“Avrei voluto che mi facessi un tatuaggio piccolo prima di partire, ma la vecchia ha rotto le scatole di nuovo.”
“Spero che il diavolo la infilzi con il suo forcone.”
Parliamo ancora un po’, poi se ne va anche lui.
La terza persona che entra da quella porta è Jack, sorrido vedendolo.
“Ciao.”
“Ciao, grazie per aver chiamato la polizia. Sono viva grazie a te e non so se sia un bene.”
“Certo che lo è, Holly mi ha parlato del vostro problema, verrete a stare da me, ho molto spazio libero e non mi pesa ospitarvi.”
Io arrossisco, odio essere di peso alle persone, ma in questo momento sono con le spalle al muro.
“Grazie.”
“Che c’è?”
“C’è che non mi piace essere di peso alle persone.”
Lui sorride.
“Non mi sei di peso.”
Io non dico nulla.
“A cosa stai pensando?”
“Al fatto che mia madre avrebbe fatto meglio a uccidermi, almeno non sarei solo fonte di problemi e non dovrei affrontare il fatto che il mio sogno è andato a puttane.”
La sua faccia si fa seria.
“Non dirlo mai più. Il tuo sogno non è andato a puttane, sistemeranno quella mano e tu tornerai a tatuare e per la casa, starai da me. Manca un tocco femminile in quella casa.”
“Grazie, davvero. Di tutto.”
Lui mi dà un bacio sulla fronte che mi dà i brividi lungo tutto il corpo.
“Figurati, ormai sei la mia ragazza, no?”
“Sono la tua ragazza?”
Chiedo timida.
“Vuoi essere la mia ragazza?”
Io arrossisco, dopo James è la prima volta che qualcuno me lo chiede.
“Sì, mi piacerebbe.”
“Allora sei la mia ragazza, anche se pensavo a una dichiarazione in uno scenario leggermente diverso.”
Io non dico nulla, alzo la mia mano ferita e la contemplo con un sospiro, lui la prende e lascia un bacio leggero sulla fasciatura.
“Presto la tua manina tornerà a essere come prima.”
Io lo spero con tutto il cuore, ma non ho la solarità e l’ottimismo che lui e Holly hanno, come ho già detto il mio futuro si è mutato all’improvviso in una foresta terribilmente insidiosa da cui rischio di non uscire mai più.
“Ora vado, piccola.
Dormo qualche ora e torno da te stasera.”
Io lo guardo sorpresa.
“Hai trascorso la notte qui?”
Lui sorride e dice semplicemente di sì, poi se ne va.
Io sento qualcosa di caldo e morbido avvolgermi: credo sia amore.
Mentre mi beo in questa nuova sensazione qualcun altro entra e quasi non salto sul lampadario: Alex Gaskarth.
“Potresti non guardarmi come se fossi un alieno?”
“Io … scusa non ci sono abituata, mi fa piacere che tu sia rimasto comunque.”
“Io ci sono sempre per Jack.”
Mi dice semplicemente mentre si accomoda su una sedia.
“La vostra storia non è facile, Wendy.”
“Somiglia più a una tragedia che all’inizio di una storia d’amore.”
Lui guarda la mia mano e poi le braccia nude che sono piene di cicatrici auto inferte, lui ne accarezza una.
“È un brutto tunnel questo.”
Io non dico nulla.
“Un tunnel in cui ti areni con facilità e che inizi ad arredare come vuoi, un tunnel che continua a chiamarti anche quando ne sei uscita.
Stai pensando che forse sarebbe stato meglio morire, vero?”
Io lo guardo sorpresa.
“Sì, l’ho pensato.”
“Ecco, non fare nulla di stupido. Per quanto tu sia stata una stronza nei confronti del mio amico, sembri anche l’unica in grado di renderlo felice in questo momento e non voglio che lui soffra.”
Io sospiro.
“Giusto.”
“E poi mi stai stranamente simpatica mi ricordi il me stesso di milioni di anni fa, per cui vedi di rimanere in questo mondo e non fare cazzare.”
“Non c’era bisogno di indorarmi la pillola, so di essere una sconosciuta si cui non ti importa nulla.”
“Io non ho indorato la pillola, ho detto la verità.”
Io lo guardo scettica.
“Spero che diventeremo amici.”
“Vedremo. Puoi farmi un favore?
Controlla che Jack dorma, ne ha bisogno e… dormi anche tu, possibilmente non con lui.”
Lui ride.
“No, ma chi vuole dormire con quello? Però ok, controllerò che dorma. Tu intanto cerca di riprenderti.”
Lo guardo andare via chiedendomi e davvero ho guadagnato un amico con questa storia, mi sembra una cosa talmente impossibile da non essere vera.
Solo il tempo mi dirà se ho ragione.

Angolo di Layla

Ringrazio _redsky_ e ohRio per le recensioni.

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Capitolo 6
*** 5)Hello cold world. ***


5)Hello cold  world.

La vita in ospedale è lenta e tranquilla.
Me ne accorgo in queste poche ore, un’infermiera è passata un paio di volte per rassicurarmi e lasciarmi delle pillole da prendere. Mi ha detto che mi salveranno la mano e che tornerà normale e soprattutto di ringraziare Dio di essere ancora qui circondata da gente che mi ama.
Non sono mai stata particolarmente religiosa – porto un croce al collo solo perché è stato il primo regalo di James – ma questa volta credo che farò una visitina alla cappella dell’ospedale.
Non certo oggi o domani, ma lo farò.
Alle sei viene servita la cena – petto di pollo, insalata e una mela cotta – e alle sette una testa bicolore conosciuta fa capolino dalla porta.
“Jack!”
“Ciao Wen!”
Ha in mano un enorme vaso di rose rosse; sì, proprio un  vaso, non un mazzo.
“Grazie, che bello!”
Io le annuso e poi appoggio il vaso al mio comodino sorridendo, poi guardo lui: mi sembra meno strapazzato.
“Hai dormito.”
“Beh, dopo che Alex ha mischiato della valeriana alla mia coca cola non potevo non farlo.”
Io sorrido.
“Come mai quel sorrisino?”
“Niente, ho solo detto ad Alex di controllare che tu dormissi.”
“Associazione a delinquere.”
Borbotta sottovoce.
“Ti vogliamo bene.”
Lui sorride a occhi chiusi.
“Jack, ma io ad Alex sto antipatica?”
Lui ride e poi scuote la testa.
“No, è solo protettivo nei miei confronti, come io lo sono nei suoi. Quando eravamo ragazzini suo fratello si è suicidato e io gli sono stato accanto e lui adesso si sta sdebitando a suo modo.
Non gli stai antipatica, comunque. Dice solo che secondo lui ci vorrà tempo prima che tu ti affezioni a me sul serio.”
Io arrossisco, non so come ci ha preso in pieno.
“Ci ha azzeccato, vero??
Lui prende la mia mano sana fra le sue – grandi, calde e un po’ callose – e me la accarezza.
“Non importa, prima o poi ti affezionerai a me e poi un po’ mi ami già, no?
Hai accettato di diventare la mia ragazza.”
Con i sentimenti sono sempre stata una frana, però questa volta non posso non tacere, il mio cuore urla di dirglielo. Con molta fatica sposto la mano malata sopra le sue e lo guardo negli occhi.
“Sì, ti amo.”
Lui sorride e mi bacia piano, con lentezza, le nostre mani sono ancora intrecciate nel mio grembo.
“È la prima volta che me lo dici.”
“Te l’ho detto anche troppo presto, stando ai miei tempi, ma non ce la facevo più a tacere.”
Lui annuisce.
“Cosa dicono i medici?”
“Che il mio buchetto alla pancia sta bene e che presto sistemeranno la mano, la buona notizia è che non me la amputeranno, la cattiva è che non sanno quanto potrò recuperare l’uso.
Proprio adesso che stavo iniziando ad avere una clientela fissa probabilmente non potrò più tatuare.”
Lui mi guarda per un momento, poi apre bocca.
“Quando Travis Barker si svegliò dal coma dopo il disastro aereo gli dissero che non erano sicuri che il suo braccio sarebbe tornato a posto, invece è successo. Suona nei blink come prima, meglio di prima, tu farai lo stesso.”
Io lo guardo un po’ scettica.
“Sei sopravvissuta alle roulotte, a Baltimora, alla morte del tuo ragazzo e sei ancora qui, puoi farcela, Wen. Io, tuo fratello, Holly e Alex siamo qui per te, pronti ad aiutarti.”
Io lo guardo con gli occhi leggermente lucidi, nessuno in vita mia – eccetto Holly – mi aveva mai incoraggiata e con lui mi sento protetta. Per quanto assurdo possa sembrare adesso sono davvero convinta che se io avessi un problema e io fosse dall’altra parte del mondo verrebbe subito da me per aiutarmi a risolverlo.
Incredibile come cercassi di buttarlo fuori dalla mia vita fino a qualche tempo fa!
“Buonasera, ragazzi!”
Tutti e due osserviamo la figura alta e magra che si appoggia allo stipite della porta.
“Alex!”
“L’avvelenatore folle!”
“Ma dai, era solo valeriana! Non erano certo sonniferi, anche se ho pensato che se la valeriana non fosse bastata ti avrei dato un sonnifero.”
Jack lo guarda a occhi spalancati.
“Scherzavo, Barakat! Scherzavo!”
“Ti conviene, perché un altro chitarrista con questo spirito di sopportazione non lo trovi più!”
Alex ride, poi sorride notando le nostre mani intrecciate.
“Che belli che siete. Come vanno le  tue ferite?”
“Il buco allo stomaco è in via di guarigione, per la mano aspetteranno i prossimi giorni, almeno un paio per monitorare la situazione delle mie viscere.”
“Capisco. Holly sta con qualcuno?”
Io annuisco.
“Un tecnico del suono di nome Jeremy.”
“Capisco.”
Rimane un altro po’, poi se ne va un po’abbacchiato.
“Perché mi ha chiesto di Holly?”
“Sentiti il nostro album “So wrong it’s right” e capirai.”
“Uhm, ok.”
Io probabilmente devo avere una faccia assai poco convinta perché toglie da una tasca un i-pod e cerca qualcosa e poi me lo porge. Dalle cuffie esce una melodia molto calma, come lontana e poi un “When you gonna give it up?
You’re giving me such a rush Come on Holly, would you turn me on?” che mi fa sussultare.
Guardo il titolo – Holly would you turn me on – e poi guardo Jack.
“Non può essere per mia cugina. Se avesse avuto una storia con Alex me l’avrebbe detto!”
“Posso sdraiarmi accanto a te?”
Io annuisco e lo guardo togliersi le scarpe per poi sdraiarsi accanto a me e attirarmi sul suo petto per quanto sia possibile.
“Giurami che non ti arrabbi.”
Io aggrotto la fronte.
“Credo di aver già capito. Avevano una storia.”
“Alex era cotto di lei, ma erano solo amici di letto perché lei non si fidava di lui.”
“Mi dispiace, non deve essere stato facile per lui. Non mi sembra un tipo a cui piacciano queste cose.”
“Era cotto di Holly e secondo me lo è ancora, non mi aspettavo che oggi chiedesse notizie di tua cugina, pensavo che quella fase gli fosse passata.”
Sta per aggiungere qualcosa, ma un rumore di zoccoli ci fa capire che è in arrivo un’infermiera e che è meglio che lui se ne vada.
Scende dal mio letto e si rimette le scarpe, poco dopo entra in effetti un’infermiera che lo invita cortesemente ad andarsene, visto che devo riposare.
Lui mi dà un bacio casto che io approfondisco e poi se ne va lasciandomi sorridente.
La mattina dopo mi visita un dottore, constata che la mia ferita all’addome sembra andare meglio.
Mi fa fare un’ecografia e anche da quello non risulta nessun problema: a quanto pare le mie viscere hanno deciso di stare bene e di non dare problemi.
Rincuorati da quello visitano la mia mano e constatano che è piena di schegge e che è da operare al più presto, probabilmente tra un paio di giorni.
“Potrò recuperare l’uso della mia mano?”
Gli chiedo speranzosa.
“Probabilmente dopo una lunga fisioterapia, sì signorina.”
Io sospiro di sollievo, forse ce la posso fare e potrò tornare alla vita di tutti i giorni.
Dopo pranzo arrivano Alex e Holly a farmi visita, alla luce di quello che mi ha detto ieri sera Jack mi chiedo se sia un caso o no.
“Ciao Wen!”
“Ciao Holly, Alex!”
“Come stai?”
“Bene, tra un paio di giorni probabilmente mi operano alla mano.”
Mia cugina sorride.
“Perfetto!”
“Voi cosa mi raccontate?”
“Oggi Alex mi ha aiutato a traslocare la nostra roba nella casa di Jack.”
“Bene. A proposito, dov’è?”
“Sta registrando in studio, io ho appena finito.”
“Nuovo materiale?”
Chiedo curiosa, lui annuisce.
“Sì, abbiamo qualche idea e ci conviene registrarla finché ci sono.”
“È un’ottima politica.”
Lui sorride, la comunicazione tra di noi è un po’incerta, forse conoscendolo meglio andrà a posto.
“Ragazzi, vado a prendere qualcosa alle macchinette.”
“Uhm, va bene.”
Holly mi lascia da sola in compagnia di Alex.
“Trovo ancora incredibile che una canzone sia stata scritta per me.”
“Dopo quello che hai passato ci credo, ma rimane scritta per te. Jack si era preso una cotta mostruosa per te, se solo avesse saputo che eri la cugina di Holly te lo saresti trovato sotto casa con un mazzo di fiori più grande di lui.”
Io rido all’immagine di lui con un gigantesco mazzo di fiori mano, terribilmente fuori posto nello squallore in cui vivevo.
“Lui ti piace, vero?”
Io arrossisco.
“Sì, mi piace. Anche se sono sempre stata una frana nelle questioni di cuore.
“Cosa c’entra? Una persona o ti piace o non ti piace.”
“E se ti piacesse e avessi paura?
E se non ci fossi abituata e non sai cosa fare?”
Lui scuote la testa.
“Dovresti dare retta al tuo istinto.”
“Il mio istinto è il responsabile del buco che ho in pancia e della mia mano sfasciata, quindi non credo sia affidabile.”
Lui scuote la testa, sta per ribattere qualcosa quando arriva Holly con la cioccolata per tutti.
“Beh, non avrete litigato?”
“No, figurati. Grazie per la cioccolata.”
Dico sbrigativa.
Sì, Jack mi piace, ma ho anche paura che se ne vada e poi mi fa strano essere al centro di così tante attenzioni, non ci sono abituata.
“Perché avete litigato?”
Holly non molla, può Alex esimersi dal rispondere?
No.
“Perché la tua amica è restia a lasciarsi andare ai suoi sentimenti.”
Holly non dice nulla, forse anche lei è restia a lasciarsi andare ai suoi sentimenti, Jeremy ha dovuto farle una corte secolare prima di diventare il suo ragazzo.
“Anche io sono così, bisogna fidarsi delle persone prima di mostrare i propri sentimenti e la fiducia è difficile da ottenere.”
Lui alza le mani.
“Ok, pessimiste, mi arrendo.”
Holly lo guarda a lungo senza profferire parola, come se volesse dirgli qualcosa e lui non capisse.
Chiacchieriamo un altro po’, poi se ne vanno, lasciandomi in balia delle infermiere e della noia pomeridiana.
Alla sera arriva Jack, ha un’aria stanca e perciò lo faccio sdraiare con me alla faccia di quello che potrebbe dire il personale ospedaliero.
“Registrazioni difficili?”
“Sì, abbastanza. Oggi non ne ho azzeccata una.”
“Io invece credo che tra Holly e Alex ci sia ancora qualcosa.”
Lui mi guarda curioso e io elenco i miei motivi per pensarlo.
“Primo: il tuo amico ha chiesto di Holly.
Secondo: oggi Holly ha detto che non bisogna mostrare i propri sentimenti,  se non a persone che di cui ci si fida e poi ha guardato Alex a lungo.
Terzo: mi sei mancato.”
“Il terzo motivo non c’entra nulla, ma mi fa piacere sentirtelo dire.”
Mi dice guardandomi negli occhi fino a farmi arrossire.
“Con te salta il mio principio di non affezionarmi alle persone e non so se sia un bene o un male.”
Lui non dice nulla.
“Vorrei poter cancellare il tuo passato per far sì che credessi un po’ di più nel presente, ma mi rendo conto che non posso. Sono felice di ogni piccolo passo che fai verso di me.”
Io sorrido senza dire nulla, mi ha detto una cosa molto bella e non posso che esserne felice.
“Non vedo l’ora di andarmene da questo posto.”
Sto per aggiungere altro, ma l’arrivo di un’infermiera me lo impedisce, guarda Jack come se fosse un alieno e me come se fossi una pazza incosciente.
“Cosa ci fa lei, lì?
Scenda!”
“È il mio ragazzo, infermiera!”
“Beh, se lo potrà coccolare quando sarà dimessa, ora lui deve scendere.”
Jack scende a malincuore e si siede su una sedia.
“Quando verrai a casa mi devi una seduta di coccole, ricordatelo.”
“Ok, il primo giorno che sarò fuori di qui ci mettiamo su un divano e ti coccolo come ti meriti, hai un’aria stanca.”
Lui annuisce sorridente.
“È difficile scrivere nuovo materiale quando hai alle spalle un disco come “Nothing personal”, la gente si aspetta un certo sound e non sempre accetta volentieri i cambiamenti.”
Io annuisco.
“Sono sicura che farete un buon lavoro.”
“Grazie per la fiducia.”
L’infermiera di poco prima fa capolino e Jack è costretto ad andarsene.
 

I due giorni seguenti passano senza scossoni.
L’operazione alla mano sarà domani e io ho una paura folle che qualcosa vada storto o che la situazione sia brutta e che quindi rimarrò con una mano semiparalizzata.
Holly e mio fratello mi hanno rassicurato in ogni modo, ma io continuo ad avere paura e guardo ansiosamente la porta. Jack – visto lo stato in cui sono – è andato dalle infermiere per supplicarle di poter rimanere a dormire con me.
Chissà se glielo concederanno o mi toccherà trascorrere una lunga e solitaria notte insonne?
Finalmente rientra e dal suo sorriso capisco che gli hanno concesso di rimanere, poco dopo un’infermiera rifà il letto accanto al mio e lo avvicina per quanto sia possibile.

“Buonanotte, signorina e cerchi di dormire.”
Io annuisco, troppo spaventata per dire qualcosa.
“Wendy, che succede?”
“Ho paura. E se la mia mano non potesse tornare come prima?
Come diavolo faccio a vivere?”
Lui allunga una mano verso la mia mano sana e la stringe..
“Tornerà normale, stai tranquilla e cerca di dormire. Domani sarà una giornata faticosa.”
Io sospiro e lo guardo, ha una sua mano tra le mie, mi sorride rassicurante eppure una parte di me ancora non crede che tutto questo possa essere vero, che presto mi ritroverò da nuovo da sola.
“Ti amo, Wen. Andrà tutto bene.

Io sospiro e lo guardo negli occhi, cercano di trasmettermi positività, ma la mia paura è forte e radicata, finora non mi è andato bene quasi nulla, perché ora le cose dovrebbero cambiare?Questi sono i pensieri in cui mi crogiolo prima che il sonno abbia la meglio e mi trascini in un luogo buio
Una solerte infermiera mi sveglia alle sei del mattino dicendomi che è arrivato il momento, mi mettono su una barella sotto lo sguardo di Jack che alza il pollice all’insù per dirmi che tutto andrà a posto.Io cerco di sorridergli, ma tutto quello che mi esce è una strana smorfia che sembra più un ghigno  che altro.
Mi portano in una stanza asettica e mi cambiano qualcosa nella flebo, lentamente la mia testa si fa leggera e perdo conoscenza e contatto con la realtà.
È cominciata, speriamo che finisca davvero bene.

 

Mi risveglio ore dopo, intontita e con un gran mal di testa.
Grugnisco qualcosa e l’infermiera accorre, mi dice che è normale e che mi porterà qualcosa per la testa e che poco dopo arriverà il medico per dirmi com’è andata l’operazione.
La mia ansia inizia a salire immediatamente, e se non fosse andata bene?
Poco dopo l’infermiera ritorna con due pillole e un bicchiere d’acqua, io le prendo e aspetto che facciano effetto, non ce la faccio più con questo dolore alla testa!
Lentamente mi passa e arrivato a un livello accettabile il medici entra nella mia stanzetta, adesso saprò come è andata.
“Buonasera, signorina O’Connor.”
“Buonasera, dottore.”
“Come si sente?”
“Ho ancora un leggero mal di testa, per il resto mi sento un po’ intorpidita.”
“Sono gli effetti dell’anestesia, passeranno, non si preoccupi. Immagino vorrà sapere l’esito dell’operazione.”
Io annuisco, momentaneamente senza voce.
“Tutte le schegge sono state estratte e sembrano non aver danneggiato eccessivamente la struttura della mano. Con una lunga riabilitazione riacquisterà l’uso completo della mano, mi hanno detto che lei tatua per lavoro.”
Io annuisco di nuovo.
“Potrà tornare a farlo, un volta che la riabilitazione sarà conclusa.”
“Grazie, dottore.”
“Prego. Rimarrà qui in osservazione un altro paio di giorni, l’abbiamo già messa in lista d’attesa per la sua riabilitazione. Le faremo sapere quando venire e cosa fare quando l’avremo dimessa.
Adesso, mi scusi, ma vado a parlare con suo fratello e i suoi amici. Sono qui fuori e mi sembrano piuttosto ansiosi di sapere come è andata l’operazione.
È stata fortunata, nella sua sfortuna, signorina O’Connor.”
Io non dico nulla e guardo la sua schiena e lo svolazzante camice bianco uscire dalla  mia stanza.
Riacquisterò l’uso della mano.
Riacquisterò davvero l’uso della mano, forse non sono finita come credevo!
Per la prima volta dopo giorni sorrido, di là sento il dottore riferire quello che ha detto a me agli altri e quando ha finito entrano in massa.
Jack prende subito la mia mano sana, gli altri sorridono.
“Ce la farai, sorellina!”
Andrew.
“Visto, potrai tatuare ancora! Basta, assumere un sostituto per ora.”
Holly.
“Sono contento che la tua mano tornerà come prima, magari mi tatuerai qualcosa più avanti.”
Alex.
“Visto, piccola? La tua manina tornerà come prima.”
Jack.
Io sorrido a tutti e annuisco, cosa potrei chiedere di più?
Sono scampata alla morte e a quanto pare anche al perdere l’uso della mano.
Ho al mio fianco mio fratello, mia cugina, Alex e Jack e per la prima volta mi sento amata, sento che finalmente qualcuno che si interessa a me c’è e non c’è sensazione migliore.
Come ha detto il dottore poco fa, sono fortunata nella mia sfortuna.
Solo grazie a questa disgrazia so di poter contare su tutti loro.

Angolo di Layla.

Ringrazio Molly182 e LostinStereo3 per le recensioni.

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Capitolo 7
*** 6) Do you want me or do you want me dead? ***


6) Do you want me or do you want me dead?

 

Due giorni dopo vengo dimessa.
La mano mi fa ancora male, ma – ringraziando Dio – ho delle prescrizioni per degli anti dolorifici, parlando di Dio prima che Jack venga  a prendermi è meglio che io cerchi la cappella di questo dannato posto e vada a ringraziarlo.
Non sono mai stata molto credente, ma visto che lui ha operato un miracolo su di me lasciandomi su questa terra vorrei ringraziarlo.
La trovo dopo aver girovagato un po’, leggermente imbarazzata mi inginocchio a uno dei banchi e inizio a recitare il padre nostro, l’unica preghiera che ricordi dai  giorni in cui andavo a catechismo.
Dopo di che vado a braccio, lo ringrazio e gli parlo di me come farei con un vecchio amico che conosco da sempre e forse è così. Forse Dio è l’unico amico che ho da sempre,  solo che era timido e non si è mai mostrato a me prima d’ora.
Finite le mie strambe preghiere torno in camera e trovo Jack con una faccia preoccupata.
“Dov’eri?”
“A ringraziare un amico.”
Io alzo un indice verso l’alto e lui capisce.
“Non sapevo fossi credente.”
“Dopo certe cose lo diventi e ora andiamo.”
Gli dico sorridendo, lui prende la borsa delle mie cose e finalmente ce ne andiamo, salutiamo le infermiere e il dottore e finalmente siamo fuori.
È una mattinata piovosa, si sente il calore dell’asfalto che sale e l’odore della pioggia – un misto di bagnato e di decomposto – ma a me non dispiace: l’importante è essere fuori di qui.
Saliamo sulla macchina di quello che ormai chiamo il mio ragazzo e finalmente partiamo, la pioggia ha cominciato a cadere di nuovo.
“Adesso andrò finalmente a vivere nella villa di un riccone, lifestyles of rich and famous!”
Lui ride.
“Più che altro troverai una casa sufficiente grande da contenere il mio caos, da quando Holly vive lì la casa l’ha eletta a salvatrice della patria.”
Io rido.
“Holly è brava come casalinga, io sono più caotica, ma me la cavo come cuoca.”
“Bene, finalmente mangerò qualcosa di diverso dalla pizza o dal cibo del cinese.”
“Puoi giurarci!”
Io alzo un po’ di più il cappotto della mia felpa rossa dei Rancid che spunta da sotto la giacca di pelle. Come prima tappa andiamo in farmacia, poi gli chiedo come sta il suo frigo, lui mi risponde che somiglia al Sahara dopo la battaglia di El-alamein, pieno di ruderi inutilizzabili.
“Benissimo, allora faremo un po’ di spesa.”
Ci fermiamo da un fornaio e poi in un supermercato, lui salta immediatamente dentro al carrello, come i bambini. Entro spingendo il carrello con una sola mano e compro il necessario: carne, uova, latte, formaggi, acqua, birra, bibite gassate,salumi, verdura, frutta,biscotti, preparato per i pancakes, sciroppo d’acero pasta, qualche sugo e poi le cazzate che non possono mancare.
Alla fine abbiamo il carrello pieno e Jack deve uscire a malincuore, anche perché si è accorto che faccio fatica a tirare il carrello. Lo prende lui in consegna e ci dirigiamo verso la cassa, abbiamo fatto una buona spesa.
Con la macchina piena di roba buona arriviamo a casa e troviamo Holly e Alex ad aspettarci.
“Quanto ci avete messo?”
“Ci siamo fermati a fare spesa.”
Alex lo guarda incredulo.
“Tu che fai spesa?”
“L’ho fatta io.”
Alex tira un plateale sospiro di sollievo.
“Questo mi rassicura. Il frigo ti amerà istantaneamente.”
“Sono contenta. Che ne dite di aiutarci a scaricare e a mettere via la roba.?”
I due si fanno avanti e dopo un quarto d’ora tutto è a posto e noi siamo sul grande divano a chiacchierare, un’occhiata all’orologio e il borbottio della pance dei ragazzi mi fanno capire che è ora di cucinare qualcosa.
“Beh, vado a preparare il pranzo.”
“Vengo a darti una mano.”
Holly si alza e mi segue, io metto l’acqua per la pasta sul fuoco, faccio soffriggere un po’ di aglio e un po’di cipolla, apro un barattolo di sugo per poi versarlo nel pentolino del soffritto e spegnere il gas
Quando l’acqua bolle ci butto la pasta e riaccendo il gas, ci aggiungo dei cubetti di prosciutto ed è fatta.
“E così tu e Jack state insieme.”
“Sì.”
“Come ti sembra?”
“Strano in senso positivo, è da tanto che non ho un ragazzo e tutto mi sembra nuovo e strano.”
“Sono felice per te, spero che duri.”
“Anche io.”
Dico assaggiando il mio sugo: buono.
“Che buon profumino! Te la cavi bene in cucina.”
Alex si è affacciato alla porta della cucinca.
“Grazie mille.”
“Io e Jack andiamo a preparare la tavola, tuo fratello verrà a trovarti oggi pomeriggio.”
“Bello!”
Lui sorride.
“Spero che prima o poi riuscirai a trattarmi un po’meno freddamente.”
Io arrossisco.
“Scusa, non lo faccio apposta. Mi viene naturale essere così con le persone che conosco poco, ma spero anche io che prima o poi ti tratterò più da amico.”
Lui sorride di nuovo e se ne va, di là lo sento urlare a Jack di togliersi dal divano che è ora di preparare la tavola e mangiare.
“Alex è una brava persona, Wen.”
“Lo so.”
Dieci minuti dopo servo la mia pasta in tavola, a Jack si illuminano gli occhi.
“Amo la cucina italiana!”
“Allora spero che questo ti piaccia.”
Rispondo piuttosto timida, una parte di me ancora non crede che io e lui stiamo insieme e pensa che tutto questo sia un delirio dell’agonia.
Magari questo è il mio paradiso personale che Dio ha creato solo per me.
“Wen, tu non mangi?”
Io guardo un attimo Holly poi do una forchettata alla mia pasta e devo dire che è proprio venuta buona, la apprezzano tutti.
“Brava, non sapevo avessi questa dote!”
“Adesso verrai sfruttata indiscriminatamente da Jack, sappilo.”
La voce di Alex è ironica e mi strappa una risata.
“Va bene, spero tenga conto del mio braccino malandato.”
“Certo, che ne terrò conto!”
Dopo mangiato Holly trascina Alex in cucina per rigovernare, la sua faccia grida silenziosamente aiuto, Jack gli sorride malignamente e tace.
“Così impara a mettere in dubbio la mia capacità di fare la spesa.”
Io alzo un sopracciglio.
“Ne ha tutte le ragioni, il tuo frigo sembrava la steppa russa durante la seconda guerra mondiale, dentro non c’era nulla.”
Lui ride e mi trascina delicatamente sul divano.
“Mi devi delle coccole, O’Connor.”
“Giusto, vieni qui.”
Gli faccio cenno di accucciarsi sul mio seno e lui non se lo fa ripetere due volte, gli accarezzo piano i capelli, mentre lui si accomoda meglio.
Poi passo ad accarezzargli il volto e la schiena, lui non dice nulla, sembra un gigantesco gatto.
“Mmm, mi piace stare così.”
Dice lui a bassa voce.
“Anche a me.”
Gli lascio un bacio leggero sui capelli e lo sento tremare leggermente.
“Scusa…”
“No, non ti scusare. È ok.”
Continuo ad accarezzarlo e a baciare lentamente i capelli e le tempie fino a quando non suona il campanello. Jack è costretto ad alzarsi e a controllare chi è.
È mio fratello e sono davvero felice di vederlo.
“Wendy, sorellina, come stai?”
“Meglio, gli antidolorifici sono una bomba.”
“E lui si comporta bene?”
Indica scherzosamente jack.
“Sì, non ti preoccupare.
Vuoi qualcosa?”
“Sì, un caffè.”
“Vado a preparartelo.”
Entro in cucina e mi trovo davanti a una scena imbarazzante: Holly e Alex si stanno baciando.
“Scusate, non volevo interrompervi.”
Mormoro con gli occhi fissi a terra.
“Volevo solo preparare un caffè a mio fratello.”
“C’è Andy di là, vado a salutarlo!”
Mi risponde leggermente isterica Holly, io guardo Alex che evita il mio sguardo.
“Dobbiamo parlare dopo.”
“Va bene. Credo che una chiacchierata a questo punto sia utile a tutti e due.”
Io gli picchio la mano sulla spalla e poi preparo il caffè, Alex non esce dalla cucina, si è seduta su una sedia e guarda per terra con aria sconsolata.
Esce solo quando io servo il caffè, si siede su una poltrona e cerca di intrattenere tutti con le sue battute, mio fratello guarda lui e poi Jack e alla fine sorride.
“Sembra che tu abbia trovato un ottimo posto per sistemarti e sembra che ci siano parecchie persone che tengano a te qui.”
Io arrossisco, mi sembra ancora così strano che qualcuno tenga a me.
“Sì, è vero. È un buon posto e ci sono tante persone che si prendono cura di me.”
Alzo la mia mano fasciata e la guardo.
“Spero che potrà guarire completamente.”
“Sono sicuro di sì, Wen. Spero mi tatuerai qualcosa con la tua manina.”
“Lo spero. È brutta la situazione del posto dove ti mandano?”
Lui alza le spalle.
“Un po’, è la mia prima missione e ho un po’ di paura.”
“Sono sicura che te la caverai bene, ti impongo di tornare da me.
Mi mancano i tuoi riccioli, Andy.”
Lui ride e si passa una mano sui capelli corti.
“Sì, mancano un po’ anche a me, ma sarebbe strano vedere un militare riccioluto. Spero di non stare per sempre nell’esercito.”
“Qual è il piano, fratello?”
“Di riuscire a raccattare abbastanza soldi e poi se riesco lasciare l’esercito, mettere su un ristorante che sia solo mio.
Io non posso rapinare papà come hai fatto tu!”
Io quasi rischio di sputare il caffè.
“Come fai a saperlo?”
“Non ci vuole molto, la sua cassaforte vuota e tu che sparisci di punto in bianco.”
Jack mi guarda curioso.
“Me la spieghi?”
Io sono più rossa di un pomodoro maturo.
“Beh, ecco… Dopo aver passato un sacco di tempo con lui e dopo che lui aveva obbligato a licenziarmi il tatuatore che mi aveva assunta come apprendista ho deciso di prendere a modo mio i soldi che mi spettavano e che lui non mi ha mai dato.
Ho aperto la sua cassaforte e ho arraffato tutto quello che c’era dentro, più qualche altra roba di valore e sono tornata a Baltimora.
Mi sono fatta pagare gli oggetti da un ricettatore e poi sono venuta a Los Angeles con Holly.”
“Quindi tu sai aprire una cassaforte come nei film?”
Io annuisco con la mia tazza in mano.
“Te l’ho detto che a Baltimora frequentavo brutta gente e tra la brutta gente c’era anche qualcuno che era stato in riformatorio. Tanti amici di James erano passati di lì e mi avevano preso come una mascotte, così mi hanno insegnato i trucchi del mestiere.”
“Sei pericolosa!”
Jack ride, io sono imbarazzata.
“A te non ruberei mai niente.”
Lui si accorge del mio imbarazzo e mi attira a sé, dandomi un bacio sui capelli.
“Lo so, lo so.
Cercavo di sdrammatizzare la situazione.”
“Grazie.”
“Papà ha mai sospettato qualcosa?”
Mio fratello scuote la testa.
“No, o a quest’ora saresti in carcere, stanne certa.
Spero che non mi ci voglia molto a raccattare il denaro che mi serve, non muoio dalla voglia di andare in giro a stroncare vite umane o farmi ammazzare a mia volta.
Credo che per almeno cinque anni dovrò fare questa vita.”
Io lo guardo senza dire niente, se mi avesse anche solo accennato a questo progetto avrei tenuto da parte un po’ di soldi della mia razzia alla cassaforte di papà per lui.
“Avresti potuto dirmelo, ti avrei dato un po’ di soldi.”
Lui scuote la testa.
“Papà ti avrebbe sgamata.”
“Hai ragione. A quest’ora sarei in carcere, probabilmente.”
La conversazione passa poi su argomenti più leggeri e meno drammatici, niente carceri, morti, violenza. Jack e Alex ci raccontano com’è la vita in tour, della gente che conoscono, dei fan, dei blink.
Andrew si illumina sapendo che li conosce, anche lui, come me, è fan da una vita del trio di San Diego. Nella nostra roulotte malandata ci siamo scatenati tantissime volte con Enema a tutto volume, pogando e saltando fino a che i vicini venivano a battere sulla nostra porta per farci smettere.
Questi sono bei ricordi.
La musica di quei tre mi porta sempre bei ricordi.
Alle quattro mio fratello se ne va, Holly va al negozio perché a quell’ora ha fissato il colloquio con il mio sostituto, Jack viene richiamato in studio e così in casa rimaniamo solo io e Alex.
“Penso sia arrivato il momento della famosa chiacchierata, sempre se ti va. Non voglio essere invadente.”
Lui scuote la testa.
“No, è ok. Ne ho bisogno anche io, la mia testa è confusa, da quando ho rivisto Holly mi sento ancora il ragazzino che non sapeva come dirle che l’amava.”
Io vado a prendere un paio di bottigliette di birra e gliene porgo una, poi mi metto comoda sul divano.
“Non sapevo amassi Holly, non sapevo nemmeno che aveste una storia, me l’ha detto Jack in ospedale.”
Lui fa una smorfia.
“A volte parla troppo, ma gli voglio bene.
Non avevamo una vera storia, era solo sesso. Io ero un ragazzino timido e lei… beh, è stata la ragazza più fredda e cinica che io abbia mai conosciuto, a parte te.”
“Grazie.”
“Scusa, è che tu e tua cugina avete in comune una sfiducia così forte nei confronti dell’amore che mi chiedo se non ve l'abbiano trasmessa per via genetica.”
Io sospiro e bevo la prima sorsata.
“Quello che ti dirò tra poco non deve uscire da queste mura, chiaro?
Non fartelo scappare davanti a Holly o sarò costretta a farti molto male e non mi va di fartelo, hai capito?”
Lui annuisce.
“Tu sai i miei motivi, ma non sai quelli di Holly. All’apparenza la sua famiglia è perfetta, te la ricorderai.”
“Sì, li vedevo tutte le domeniche nella chiesa cattolica.”
Io annuisco.
“Però, vedi sotto questa apparente perfezione si celano dei segreti molto brutti. Mio zio, il fratello di mia madre e padre di Holly, è bigamo. Per lavoro va spesso a Chicago e li ha un’altra moglie e altri figli e nessuno sa dell’esistenza dell’altra famiglia, ognuno crede di essere la famiglia di mio zio.
Solo che Holly intorno ai tredici anni ha scoperto dell’altra famiglia e per lei è stato un trauma, voleva molto bene a suo padre, avevano un bellissimo rapporto che si è distrutto quando lei ha saputo la verità.
Non è più riuscita a fidarsi di mio zio da allora, l’ha allontanato con disprezzo e senza dire a nessuno perché, io sono stata spesso tirata in ballo come la cattiva influenza.”
Faccio una pausa.
“E quando Holly ha perso la fiducia nel padre,l’ha persa anche nell’amore, da allora lo considera come una cosa di facciata, una finta.
Jeremy l’ha corteggiata molto a lungo prima di diventare il suo ragazzo e a volte penso che comunque non ce l’abbia fatta perché lei ha ancora dei periodi in cui è fredda.
Periodicamente si chiude in sé stessa e diventa inavvicinabile, Jeremy non le può parlare e a volte nemmeno io.
Questo  è quanto. Adesso tocca a te.”
Lui inizia a torcere le mani.
“Non c’è molto da raccontare. L’ho conosciuta al liceo e sono diventato suo amico, per quanto tu possa essere amico della ragazza per cui hai una cotta mostruosa, e poi lei mi ha proposto un patto.”
“Di che tipo?”
“Sesso. Lei voleva fare pratica, ma non voleva che tutti la considerassero una puttana, io volevo lei e mi sono semplicemente adattato.
La storia è durata tutto l’ultimo anno di liceo, ci vedevamo dopo scuola e cercavamo i posti più nascosti per fare i cretini insieme. Se possibile mi sono affezionato ancora di più a lei, peccato che a un certo punto lei mi abbia detto che era finita.
Non mi ha mai spiegato perché, so solo che ci sono rimasto di merda e lei occupa ancora uno spazio nel mio cuore.”
Io lo guardo un attimo, ho una mia ipotesi su questa faccenda e se si rivelerà vera qualcuno ne uscirà con le ossa rotte, Alex o Jeremy.
“Da quando ci siamo ritrovati è tornata quella tensione tra noi,  vorrei tanto che fosse solo mia, ma non credo che le ragazze come lei scelgano quelli come me.
Lei è una principessa e io sono solo un buffone.”
Io gli tiro un cuscino, lui mi guarda spaesato, io arrossisco.
"Non deve uscire da questa stanza, anche perché è solo una mia congettura e non voglio creare false speranze in nessuno.”
“Dimmi.”
“Io e sottolineo io credo che Holly ti abbia allontanato perché iniziava a sentire qualcosa per te, qualcosa che andava oltre l’amicizia.
Questo l’ha spaventata e l’ha indotta a mollarti, ma credo che, come tu non hai dimenticato, lei non ti abbia dimenticato e altrimenti non ti avrebbe baciato prima.”
“Dici che sia così?”
“Non lo so, è solo un’ipotesi. Non ho certezze, Holly non mi ha mai parlato di te come ragazzo che ha frequentato, solo come membro degli All Time Low.”
Lui sbuffa, demoralizzato.
“Spero che un giorno qualcuno mi consideri come Alex e basta.”
“Io ti considero come Alex e basta.”
Lui mi fa un sorriso debole.
“Tu sei la ragazza di Jack, io voglio una ragazza mia che mi consideri così.”
Io mi alzo e lo abbraccio un po’ intimidita.
“La troverai, prima o poi. Chissà magari sarà proprio Holly.”
Lui non dice nulla, risponde solo al mio abbraccio.
Che brutta situazione! Chissà perché Holly non mi ha mai detto niente di tutto questo, forse a quest’ora lei sarebbe la ragazza di Alex se me ne avesse parlato.
Che gran casino.
Spero solo che nessuno ne esca con le ossa troppo rotte, sono affezionata a Jeremy e ad Alex e mi dispiacerebbe vederli soffrire, anche se so che sarà inevitabile.
Che situazione.

Angolo di Layla 

Ringrazio _redsky_ e LostinStereo3 per le recensioni.

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Capitolo 8
*** 7) Walls (I don't wanna be in love) ***


7) Walls (I don't wanna be in love).

                                                                                                                                        Holly P.o.w

 

Non sono mai stata una ragazza che si ficcasse nei casini, fare casino è sempre stato più nello stile di Wendy. Il suo comunque è sempre stato un casino limitato alle sue storie d’amore, non alla scuola o altro.
Questa volta però a essere in un casino sono io e non so come risolverlo, dato che ho già buttato fuori dalla mia vita una volta una persona e non è servito a nulla visto che vi è  tornata.
Sono innamorata di Alex Gascarth da quando andavano tutti e due al liceo e la sua band non aveva ancora avuto così successo.
Non ho idea di come sia successo, so solo che all’improvviso quello che per me era un buon amico era diventato di più.
Amavo il suo modo di sorridere, di gesticolare, il suo sorriso, la sua faccia dolce.
Tutto.
E non va bene.
L’amore è solo una farsa e non mi andava allora né mi va adesso di coinvolgerlo in questa cosa, quando ero solo una ragazzina gli proposi di diventare amici di letto.
Pensavo che fosse la cosa più onesta da fare, ma mi sbagliavo: ero sempre più intrappolata nella sua rete e probabilmente per lui era lo stesso con me.
Porre fine a quella storia è stata la cosa peggiore che potessi affrontare durante la mia adolescenza e ad aggravare il tutto c’era il fatto che ho dovuto affrontarla da sola. Ero troppo orgogliosa per confidare a Wendy questo tipo di problemi e lo sono anche adesso in fondo, visto che non le sto dicendo nulla nonostante ci abbia visti baciarsi.
Sì, ci siamo baciati.
Quando l’ho rivisto ho dimenticato di avere un ragazzo che mi ama da morire ed è tornato a esistere solo Alex. Sono tornata indietro nel tempo e il culmine di questa follia è stato il bacio che si siamo dati.
Onestamente rifarei tutto, erano secoli che il mio cuore non vibrava per un’emozione vera e non per una finta come quella che c’è tra me e Jeremy.
Il bacio tra me e Alex ha coinvolto tutte le parti di me stessa, anche quelle più scettiche e pessimiste, di più, sono letteralmente sparite, come se baciare lui fosse naturale come respirare.
La cosa mi preoccupa, io non posso stare con lui.
Non voglio dargli solo una finta, ma non riesco a stargli lontano, senza contare che non riesco ad analizzare lucidamente quello che provo per lui e non mi era mai successo.
Che sia amore quello che provo?
Ma come posso provarlo se non esiste?
Forse dovrei parlarne con Wen, almeno questi pensieri smetterebbero di rimbalzare nella mia testa come palline da flipper impazzite e io avrei un po’ di pace.
E se fosse amore cosa faccio con Jeremy?
Lui mi ama molto e non vorrei spezzargli il cuore, sarebbe terribilmente ingiusto visto che lui non se lo merita. È un bravo ragazzo che ha saputo aspettarmi e ascoltarmi, che mi ha dato sicurezza e fatto sentire bene, eppure non sono sicura di amarlo quanto lui ama me.
Credo di essermi semplicemente adattata al suo amore, come ci si potrebbe adattare a un maglione non proprio bellissimo, ma che è comodo e tiene caldo.
Mi gratto la testa nervosamente, questi pensieri devono uscire dalla mia testa, tra poco ho un colloquio con chi dovrà sostituire Wen nel nostro negozio. Ho bisogno di tutta la mia lucidità e concentrazione, non vorrei mai scegliere un tizio che non è capace di tatuare o dotato di un pessimo carattere.
Sì, il nostro negozio è molto più importante di Alex e di quello che sento o credo di sentire per lui.
Arrivo al negozio e l’aspirante tatuatore è già lì: è una pertica dai disordinati capelli neri, pieno di tatuaggi e con i piercing alle guance.
“Ciao, sono Holly la segretaria e co-proprietaria del negozio.”
Gli tendo una mano amichevole, lui me la stringe in una presa ferrea.
“Ryan Anderson, tanto piacere. Qui c’è il mio portfolio se vuoi dargli un’occhiata.”
Mi tende un volume in cui ha rilegato a mano tantissimi schizzi in stili diversi: old school, new school, giapponesi, maori, qualcosa di realistico.
“Sono molto belli e si adattano allo stile che ha la mia socia.”
“Mi piacciono molto i disegni di Wendy O’Connor, ne ho visti alcuni sul bancone.”
“Grazie mille. Come sai non sarai assunto a tempo indeterminato…”
“Lo so, quando la signorina O’Connor si ristabilirà dal bruttissimo problema alla mano io sarò licenziato.”
Io sospiro.
“Esatto, Ryan e , tra parentesi, come fai a sapere del suo incidente alla mano?”
“Leggo i giornali. Hanno dedicato un bel articoletto nella cronaca nera al tentativo di furto avvenuto in casa sua a opera della madre e alla successiva morte della signora O’Connor.”
“Pessima pubblicità.”
Borbotto io.
“Comunque sei in prova per una settimana, mi piacciono i tuoi disegni e voglio vedere come te la cavi con il pubblico. Ci vediamo qui domani mattina alle nove.”
Ci stringiamo ancora una volta la mano e poi ce ne andiamo insieme, lui si avvia tranquillo lungo il viale, io chiudo di nuovo la saracinesca del negozio e inserisco l’antifurto.
Arrivo alla villa di Jack e la trovo deserta, eccetto che per Wen che guarda la tele.
“Holly, bentornata! Com’è andata?”
Io gli descrivo in breve il colloquio con Ryan e lei annuisce soddisfatta.
“Sembrerebbe un tipo a posto, domani lo vedrò all’opera, ho intenzione di fare comunque un salto al negozio.
Non hai niente altro da dirmi?”
Lo sguardo è eloquente, si riferisce sicuramente ad Alex, io arrossisco come una scolaretta.
“Beh, ecco… Non so, cosa vuoi sapere?”
Wen si accende una sigaretta.
“Cosa hai intenzione di fare con Alex.”
“Niente, è stato solo un bacio. Vivi nella casa del tuo idolo e ti fai trascinare dalla situazione.”
La mia spiegazione suona debole e da bimbaminchia persino alle mie stesse orecchie, infatti lei  non se la beve.
“Lo sai che non è così, tu hai avuto una storia con Alex.”
Io sbianco.
“Come fai a saperlo?”
“Ci siamo parlati, lui è confuso almeno quanto te. Penso che non abbia mai smesso di amarti e tu?”
“Io sto con Jeremy.”
Istintivamente mi metto sulla difensiva ed è strano visto che io e Wen siamo come due sorelle.
“Non lo ami.”
“Cosa?”
“Ti ho detto che non lo ami o, per meglio dire, non lo ami abbastanza o non lo ami quanto lui ama te. Ti sei semplicemente adattata alla vostra storia perché lui ti dava la serenità che ti mancava, ma non l’ha mai amato davvero.”
“Come fai a dirlo?”
Lei mi punta addosso i suoi occhi azzurri, ora freddi come il ghiaccio.
“Quando parlavi di lui non sei mai arrossita, non hai mai fatto lunghi discorsi senza senso su di voi, gli occhi non ti sono mai brillati. Me ne sono accorta solo ora perché Jack mi ha ricordato cosa vuol dire essere amati.”
Io abbasso gli occhi, ha centrato perfettamente il punto, purtroppo.
“Hai ragione. Hai ragione su tutto, non ho mai amato davvero Jeremy, nella mia testa c’è sempre stata un’altra persona: Alex.
Con lui le cose si sono fatte serie e ho avuto paura, paura che legandomi a lui lo avrei reso partecipe di una farsa, come è stato il matrimonio dei miei.
Ho avuto paura ad affidare il mio cuore a lui perché gli avrei dato un potere enorme, avrebbe potuto distruggermi.”
“Holly.”
Lei prende fiato.
“Tu mi hai detto che avevo bisogno di qualcuno da amare e mi hai spinta verso Jack, nonostante avessi paura e hai fatto la miglior cosa che qualcuno abbia fatto per me.
Non finirò mai di ringraziarti, perché se adesso sto provando a vincere le mie paure e, seppur con i piedi di piombo, la mia storia con Jack prosegue. Ora vorrei aiutarti, ma non so come.
Io credo…”
Prende di nuovo fiato, è sempre stata a disagio nel parlare di sentimenti.
“Credo che dovresti analizzare il tuo cuore, al di fuori di ogni paura. Lui sa già la risposta, sa già se vuoi Jeremy o Alex, devi solo dargli la fiducia necessaria per potersi esprimere.
Capisci?
L’amore non parte dalla razionalità, parte da più a fondo, parte dal cuore, dall’istinto, dalla pancia.
Non può essere analizzato razionalmente.”
La guardo incredula, ma che sta dicendo?
“Wen, non esiste niente che non possa essere analizzato razionalmente!”
“Sì? E perché razionalmente io dovrei stare con Jack?
Cosa ci accumuna?”
Io rimango in silenzio, boccheggiando come un pesce in carenza d’aria.
“Io…”
“Non lo sai, vero?
Ed è perché nulla ci accumuna se non l’amore, quindi non può essere analizzato razionalmente!”
“Piantala con questa storia!”
“Perché hai baciato Alex?”
“Perché è il mio idolo e io mi sono lasciata trascinare, te l’ho già detto!”
“Allora devo ritenermi fortunata se tu non bacerai Jack!”
“Cosa?”
“Anche Jack è il tuo idolo, ci proverai anche con lui?”
“Io… No, è il tuo ragazzo, smettila con queste stronzate, l’amore non esiste!”
“E allora perché hai tanto insistito perché ci credessi? Sei forse una bugiarda?
Non l’avrei mai detto, Holly!”
“Vaffanculo Wendy!”
Lascio il salotto furiosa, come si permette di darmi della bugiarda? A me? Lei che ha rubato i soldi di suo padre?
Mi chiudo in camera mia sbattendo la porta e rimango per un tempo lunghissima a fissare astiosamente il mio armadio. È la prima volta che io e Wen litighiamo e sono davvero arrabbiata.
Ad un certo punto sento le voci dei ragazzi al piano di sotto e la voce di mia cugina, immagino stia raccontando loro cosa sia successo.
Poco dopo la porta si apre e Alex fa la sua comparsa, io lo fulmino con un’occhiataccia terrificante, quasi come se fosse colpa sua se io e Wendy abbiamo litigato.
“Vattene, non voglio vederti!”
“Holly…”
“Vattene!”
Abbaio io, sempre più furiosa, lui esce dalla stanza con gli occhi bassi.
Nemmeno cinque minuti dopo la porta di nuovo.
“Vattene, ti ho detto!”
“Non sono Alex.”
Li guardo e davanti a me c’è Jack con uno strano sguardo serio.
“Possiamo parlare?”
“No.”
“Perché?”
Io lo guardo male, sono stanca di gente che si vuole impiccia nella mia vita.
“Perché non mi va di parlare dei fatti miei con una rockstar che nemmeno conosco tanto bene!”
Lui mi guarda ferito per un attimo, poi il suo sguardo si fa duro.
“Pensavo fossimo amici, evidentemente mi ero sbagliato.
Me ne vado.”
Dovrei fermarlo, dirgli qualcosa – qualsiasi cosa – per riparare alla cattiveria che ho detto, ma le mie labbra sembrano sigillate, non esce nulla.
Mollo un pugno al muro e mi butto a letto, non ho fame quindi non scendo nemmeno per la cena e rimango da sola.
Sola con i miei pensieri.
Sola con le mie bugie.
Sola con la rabbia che provo verso Wen, colpevole solo di avermi sbattuto in faccia la verità che io voglio ignorare.
Sola, fino a che il sonno non mi porta via con sé.
La mattina dopo mi sveglio con un gigantesco mal di testa, pari solo ai miei sensi di colpa.
Ho insultato tutti – anche chi se non lo meritava – solo perché avevo voglia di fare del male alla gente e non ho saputo trattenermi.
Sono un’idiota, Wendy ha il suo caratterino, ma nemmeno il mio scherza!
Al mio arrivo la cucina non è vuota, c’è Jack che sta mangiando cereali, non appena mi vede l’atmosfera si fa di ghiaccio.
Lui lascia la ciotola a metà e se ne va dalla cucina, senza darmi la possibilità di parlargli, merda!
Wen, dov’è?
Non voleva venire con me a vedere il nuovo tatuatore?
Salgo al piano superiore e vedo un post it sulla porta della camera che lei divide con Jack, nella sua grafia un po’ sghemba mi avvisa che oggi non ha voglia di venire al negozio e di non disturbarla.
Ok.
Mi faccio una doccia, mi vesto e faccio colazione, oggi sono sicura che sarò desolatamente da sola, eccetto che per la compagnia di Ryan al negozio.
Esco da casa sentendomi una merda, ho fatto un casino  epico solo per non accettare il fatto che l’amore non è razionale, ma una cosa che ti colpisce, ti porta via e ti fotte a caso, senza una ragione precisa.
Potrebbe colpire il tizio accanto a te, invece prende te così, perché gli va.
Arrivo al negozio, Ryan mi sta aspettando appoggiato alla saracinesca.
“Buongiorno!”
Mormoro insonnolita, poi infilo la chiave nel buco per sbloccare la saracinesca sbadigliando e infine mi chino per alzare la pesante lamina di ferro.
Una mano si appoggia gentile sulla mia spalla.
“Lasciala tirare su a me, se non ti offendi.”
“No, va benissimo, Ryan.
Grazie mille.”
Lui la alza senza problemi, avevo proprio bisogno di un ragazzo che facesse i lavori pesanti al negozio!
Entriamo, io deposito la borsa sul banco e controllo gli appuntamenti, lui invece va di là e lo sento trafficare con i macchinari, poi torna da me.
“Non avevi detto che sarebbe venuta anche la tua amica oggi?”
Io annuisco.
“Sì, ma non penso che verrà, ieri abbiamo litigato e non credo muoia dalla voglia di vedermi.”
“Capisco, mi auguro che farete pace.”
“Me lo auguro anche io, non ho mai litigato seriamente con mia cugina.
Dio, siamo sempre state come due sorelle.”
“Anche le sorelle a volte litigano.”
“Anche questo è vero.”
Mormoro amara io.
“Beh, non abbiamo tempo per essere tristi, Ryan. Il primo cliente dovrebbe arrivare tra poco.”
Come previsto lo scacciapensieri sopra la porta suona e un ragazzo entra: avrà al massimo vent’anni, ma è già massicciamente tatuato.
“Buongiorno.”
“Buongiorno, sono qui per il tatuaggio con il nome.”
“Che è?”
“Drew, il nome di mio figlio.”
Io sorrido.
“Complimenti per essere padre allora.”
Gli mostro i disegni e lui annuisce, Ryan esce dalla stanzetta, lo saluta e poi spariscono insieme dietro la tenda e poco dopo sento il ronzio familiare della macchinetta per fare tatuaggi.
Mi fa un po’strano sapere che non c’è Wen di là, ma sono certa che mi abituerò – litigio o no – per un po’ di tempo non potrà tatuare.
Il primo cliente esce una mezz’ora dopo e così gli altri della mattinata, ben presto arriva mezzogiorno e mezzo e l’agognata pausa pranzo.
“Ehi Holly, pranzi con me?”
Sto per rispondergli di sì quando il mio cellulare manda un trillo: è un messaggio di Jeremy in cui lui mi chiede se mi va di mangiare con lui.
Io digito un “sì” senza nemmeno pensarci, mi sento addosso almeno una tonnellata di sensi di colpa.
“No, mi spiace, oggi non posso. Il mio ragazzo mi ha appena chiesto di mangiare con lui.”
Lui annuisce.
“Allora ciao, ci vediamo alle  due e mezza.”
“Sì, ciao. Buon pranzo!”
Me ne vado e mi dirigo al bar dove io e Jeremy abbiamo appuntamento, lui ha un’aria stanca: in questi giorni lo stanno facendo lavorare troppo e ha iniziato ad avere problemi di insonnia.
Da brava ragazza dovrei trovare un modo per aiutarlo, ma il mio cervello tace. Wen ha ragione, non lo amo quanto lui ama me, ma non riesco a staccarmi da lui.
“Ehi, stai bene?”
Gli chiedo.
“Sì, sto bene. È tutto a posto, non ti preoccupare, piuttosto come sta Wendy?”
“Bene, cioè la mano è ancora un disastro perché non ha ancora iniziato a fare la riabilitazione, ma tiene sotto controllo il dolore con gli anti dolorifici.”
“È vero che sta con Jack Barakat?”
“Ah, come volano le notizie! Sì, sta con lui.”
Lui si stende meglio sulla sedia.
“Woah! Falle gli auguri da parte mia e dille di tenere d’occhio Jack, è un tipo ok, ma tende a guardare un po’ troppo le ragazze.”
Io sorrido.
“Grazie, ma penso che lei sarà perfettamente in grado di tenerlo a bada.”
Ordiniamo entrambi un panino e chiacchieriamo tranquillamente dei nostri lavori, visti da fuori sembriamo due amici più che due fidanzati e ho il sospetto anche lui l’abbia notato.
Deve essere per questo che appoggia la sua mano sulla mia e tenta di baciarmi, io subisco un po’passiva, se questo lo abbia ferito non mi è dato saperlo.
Jeremy è sempre molto calmo e non si riesce facilmente a capire cosa pensi o se qualcosa lo fa stare male. Io mi sento un mostro, non riesco ad azzeccarne una.
Ho litigato con Wen, ho insultato Alex e Jack e non so nemmeno tirare su di morale il mio ragazzo.
Da quando la mia vita è diventata un immenso casino in cui tutto sembra andare storto?
Io e Jeremy ci lasciamo con un baio e io me ne torno al negozio, Ryan è già appoggiato alla saracinesca e sta fumando una sigaretta.
“Ehi.”
“Ehi!”
Tira su la saracinesca ed entriamo.
“Hai una brutta faccia.”
“Sono tempi di merda per me.”
Rimango un attimo in silenzio.
“Ti è mai capitato di avere nel cuore due persone diverse?”
“Sì. Stando a Johnny Depp bisognerebbe scegliere la seconda perché se fossimo stati veramente innamorati della prima la seconda non ci avrebbe nemmeno sfiorato, ma io penso che ci siano delle eccezioni.”
Io faccio finta di guardare la lista degli appuntamenti.
“Tipo?”
“Se tu ti sei innamorato della prima persona, ma hai rifiutato questo amore e ti sei sfogato con la seconda persona, beh, è la prima che conta. Non è carino fare chiodo scaccia chiodo, ma si fa e si mettono innocenti in mezzo ai nostri casini, perché non sappiamo come affrontarli.”
Io rimango in silenzio.
“Sono in un mare di casini e ci sto affogando, Ryan, non hai idea di quanto ci stia affogando. La vita ha rimesso sul mio percorso una persona che…mi suscitava sentimenti che non ero in grado di gestire. La prima volta l’ho cacciato, ma ora non posso più e non so cosa fare.
Non voglio far soffrire nessuno, ma qualsiasi cosa io decida di fare qualcuno soffrirà.”
Lui alza le spalle.
“La vita è anche sofferenza, Holly. Sarebbe bello non poter mai soffrire, ma si deve.”
Il primo cliente del pomeriggio entra ed interrompe la nostra discussione. Ryan ha ragione, ma questo non risolve i miei problemi.
Cosa devo fare?
Qualcuno mi dia un segno!

Angolo di Layla.

In questo capitolo parla Holly, ma dal prossimo torna a parlare Wen. In ogni caso ogni volta che parlerà Holly sarà segnalato. Spero vi piaccia.

Ringrazio _redsky_ per la recensione.

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Capitolo 9
*** 8)Oh, Calamity ***


8)Oh, Calamity.

Wendy’s p.o.w

Non ho idea di come le cose siano precipitate così.
Non ho mai litigato con Holly, è sempre stata mia sorella, quella che mi capiva meglio di tutti, quella a cui voglio un bene dell’anima.
Pensavo di conoscerla, ma forse non la conosco abbastanza o semplicemente non conosco la questione Alex Gaskarth abbastanza per poterne parlare con lei.
Onestamente mi ha un po’ ferita il fatto che non me ne abbia mai parlato, ma ormai è successo e non importa. Mi importa che lei sia felice e non lo è.
Volevo farle capire che non andrà sempre come è andata tra i suoi e ho fallito e ora sono qui sul divano con il suo “vaffanculo!” che  mi brucia addosso.
Dovrei parlarle?
Forse è meglio di no, forse vuole stare da sola.
Io intanto combatto contro le lacrime che tentano di scendere, ma non credo di aver fatto un buon lavoro perché quando i ragazzi tornano a casa si accorgono subito che qualcosa non va.
“Cosa è successo, Wen?”
Mi chiede Jack dopo avermi salutato con un bacio a fior di labbra.
“Niente.”
I suoi occhi scuri mi scrutano e sembrano leggermi nell’anima, anche Alex mi guarda e sembra capire che si tratta di Holly perché vola al piano di sopra.
Scende subito dopo.
“Mi ha detto di andarmene.”
“Vado a parlarci io.”
Il tono di Jack ha una strana sfumatura dura e io afferro uno dei suoi polsi.
“Lascia perdere, ti prego.
Potrebbe essere peggio.”
“So controllarmi.”
Io guardo Alex, lui scuote la testa, non può fermarlo.
Jack sale a passi pesanti al piano superiore e scende pochi minuti dopo furioso, senza dire niente apre uno degli armadietti e tira fuori del whisky, poi esce in giardino.
“Alex.”
“Wen.”
“Dimmi che non va a ubriacarsi.”
“Vorrei poterti dire di no, ma credo che sia questa l’intenzione di Jack. Quando non sa come risolvere qualcosa beve.”
“Ti prego va da lui e tienilo d’occhio.”
Lo supplico con gli occhi enormi per la paura, inizio anche a tremare, tanto che Alex si siede accanto a me e mi abbraccia.
“Cosa succede, Wendy?”
“Ho-ho ho pau- paura degli ubriachi e non voglio che il mio ragazzo sia un ubriacone che mi usi come pungi ball ogni volta che è st- storto.”
Lui mi guarda negli occhi, mi asciuga le lacrime e mi dà un bacio in fronte.
“Jack non è quel tipo di ragazzo , ma se ti fa stare meglio lo controllerò.”
“Sì, ti prego, Alex. Ho paura.”
Lui annuisce e segue il suo amico in giardino, la fame mi è passata – così non cucino nulla – in compenso ho un senso di panico che mi attanaglia le viscere, lo stesso di quando mia madre era arrabbiata e ubriaca.
La mia parte razionale sa che Jack non è come lei, ma l’istinto ormai ha imparato a mettersi in guardia a questi segnali e non c’è modo di fermarlo.
Continuo a tremare sul divano e a ripetere che non ce n’è motivo, che va tutto bene in fondo, che Jack non mi picchierà e che l’alcool non cambierà il ragazzo che ho imparato ad amare.
Verso le dieci vado a letto, Holly non è ancora tornata, deduco che è in giro per locali o dorme da Jeremy o forse tutti e due.
In camera mia passo quelle che mi sembrano ore a guardare il soffitto, poi sento la porta aprirsi e un corpo lasciarsi cadere sull’altra parte di materasso. È Jack e puzza di alcool, io inizio a tremare involontariamente.
“Cosa c’è?”
Poi guarda se stesso e annuisce, allunga una mano verso il mio viso e mi accarezza una guancia.
“Non avrei dovuto ubriacarmi, ma io faccio sempre un sacco di cazzate quando sono agitato o arrabbiato, non devi paura di me, però.
Non ti farei mai del male, vieni qui.”
Lui batte una mano sul materasso accanto a lui, tutto il mio corpo vorrebbe raggiungerlo, ma il cervello lo trattiene con energia.
La paura è ormai troppo radicata in me per riuscire a combatterla e Jack se ne accorge, perché, piano – lentamente per darmi modo di scappare – si avvicina a me e poi si accuccia sul mio petto senza fare niente.
Il mio respiro accelera e poi si calma, con una mano tremante gli accarezzo i capelli scuri e lo sento fremere al mio tocco.
“Non avere paura di me, ti prego.”
“Non ne avrò…”
Prendo fiato.
“Io ti amo, ma quando qualcuno si ubriaca in me scatta … qualcosa. Credo sia l’istinto di sopravvivenza per avere abitato per anni con una madre ubriaca, alcolista e violenta e quindi ho paura. Risento di nuovo le botte, la cinghia e la sua risata o quelle di scherno di mio padre e di mio fratello.
Odio la gente ubriaca, mi fa paura.”
“Giuro che non lo farò mai più, ho troppa paura di perderti. Ho ventidue anni e posso essere maturo abbastanza da trovare un altro modo per risolvere i miei problemi che non sia bevendoci sopra come se non ci fosse domani.
Il domani c’è e sei tu.”
Io lo abbraccio piangendo, solo che questa volta sono lacrime di gioia, nessuno mi aveva fatto un discorso così.
Ti amo, Jack.
La mattina dopo mi sveglio alle sei, Jack dorme ancora su di me.
Sembra un bambino quando dorme e non mi va di svegliarlo, ma devo fare una cosa. Con molta cautela mi sfilo da sotto il suo corpo, cerco un pezzo di carta e una penna.
Scrivo un breve messaggio per Holly e lo appendo fuori dalla porta, così eviterà di svegliarci.
Torno a letto e trovo Jack sveglio sdraiato a pancia in su che guarda il soffitto.
“Come mai ti sei svegliata?”
“Ho scritto un messaggio per Holly.”
Gli rispondo tornando a letto e venendo attirata sul suo petto, lui si porta le mani alle tempie e se le massaggia.
“Postumi?”
“Postumi. Cosa dovevi dire a Holly?”
“Ieri, prima del litigio le avevo detto che sarei andata in negozio con lei per vedere il nuovo acquisto e così le ho scritto dicendole di non disturbarci perché non sarei venuta.”
Lui annuisce.
“Torniamo a dormire.”
“Va bene.”
Lui appoggia la testa sulla mia e lo sento annusare.
“Non sei scomodo?”
“Nah, mi piace il profumo dei tuoi capelli.”
Io arrossisco.
“Non devi registrare.”
“Pome.”
Mi risponde mezzo assonnato e presto tutti e due cadiamo di nuovo tra le braccia di Morfeo.
È un sonno tranquillo che si interrompe verso le dieci e mezza, lui è il primo a svegliarsi e a farsi una doccia, io lo seguo poco dopo.
Scendiamo in cucina – lui in pantaloncini e a petto nudo, io con una sua maglia a mo’ di vestito – e troviamo Alex che mangia cereali con addosso una vecchia maglietta degli Orioles e un paio di pantaloncini.
“Non hai una casa tu?”
Gli chiedo divertita, lo trovo molto spesso a casa di Jack e la cosa mi incuriosisce parecchio.
“Certo che ce l’ho, è che a volte mi sento solo là dentro. È così grande che mi opprime.”
Mi risponde senza alzare gli occhi dalla tazza, mi pare di cogliere una sfumatura triste nella sua voce, così mi ricordo dei suoi problemi d’ansia.
Forse sono stata indelicata, così gli scompiglio i capelli come primo segno di pace.
“Vuoi dei pancakes?”
Secondo segno di pace, lui alza il volto e mi sorride.
“Certo.”
Sono sicura che ha colto il sottointeso nella mia offerta, visto il sorriso che mi riserva.
Io mi metto ai fornelli e preparo una generosa quantità di pancakes, devono bastare per me, Jack – che alla mattina è sempre molto affamato – e per Alex.
Il mio ragazzo si è seduto al tavolo e parla al suo amico, credo lo stia consolando per quello che è successo con Holly perché sento frasi come “Lasciala perdere!”, “Ne trovi di migliori!” e “Non ti merita.”
Holly, cosa hai fatto?
Vorrei porre rimedio, ma non so come e non voglio incasinare ulteriormente la situazione: è Holly che deve fare qualcosa. Il problema è che non so se farà qualcosa, è talmente spaventata che potrebbe decidere di scappare e sarebbe la cosa peggiore da fare.
Servo i pancakes e del caffelatte.
“Jack, cosa ti ha detto Holly?”
“Che non voleva parlare con una rockstar che non sa niente di lei, e io che pensavo fossimo amici!”
Mi porto una mano al volto.
Holly, cosa ti è preso ieri sera?
“Jack, era sconvolta.
Io… io ieri credo di aver esagerato nel toccare un tasto che per lei è dolente e sono sicura che non pensa quello che ti ha detto.”
“E allora che si scusi e lasci in pace Alex.”
“Zitto, Barakat!”
Risponde secco Alex, guadagnandosi un’occhiata incredula di Jack.
“Che ho detto di male?”
“Holly può disturbarmi quanto vuole, lei non mi disturba affatto.”
“Ma ti fa stare male e non il massimo vedere il tuo migliore amico stare male.”
“È quello che voglio, prima o poi l’avrò.
Tu cosa dici, Wen?”
Il fatto di essere stata tirata in ballo così all’improvviso mi fa sputare un po’ di caffelatte, sotto il loro sguardo divertito. Mi asciugo e  cerco di tornare seria, per quanto me lo consenta la figuraccia appena fatta.
“Allora, io credo che tu abbia qualche possibilità, ma non sarà facile.
Lei crede che l’amore non esista e sia solo una farsa, per questo cerca di starti lontano, per non affrontare questa paura e perché non vuole coinvolgerti in quella che lei crede sia una farsa.”
“Perché sta con quel tecnico, allora?”
Mi chiede Jack.
“Perché lui è arrivato in un momento in cui era debole e bisognosa di sostegno e Jeremy era lì, con pazienza  è riuscito ad avere un po’ di Holly.
Lei non credo lo ami come lui ami lei, lei si è adattata all’amore di Jeremy perché le faceva comodo.
Lo so che è brutto da dire, ma è quello che penso.
La vita non è stata buona nemmeno con mia cugina.”
Abbasso gli occhi.
“Chissà cosa le sarà successo!”
Sputa acido Jack, spero che facciano presto pace, perché non mi piace questo clima.
Io non alzo gli occhi dalla mia tazza e la stringo un po’ di più.
“Suo padre è bigamo e lei è l’unica a saperlo.”
Nella cucina cala il silenzio.
Riprendiamo a mangiare, una cappa di tristezza sembra essere calata sulla tavola, forse avrei dovuto stare zitta.
“Cosa volete fare adesso?”
La voce di Alex interrompe il silenzio.
“Volevo portarla alla spiaggia.”
“Uh, una di quelle cose terribilmente romantiche che non prevedono terzi incomodi?”
Jack annuisce.
“Allora me ne vado. Buona cosa terribilmente romantica.”
Alex lascia casa nostra leggermente gobbo.
“Sei sicuro che non vuoi stare con lui?”
“No, se la caverà e poi voglio stare con te.”
Io sorrido e volo di sopra a cambiarmi, lanciandogli la sua maglia.
Metto una maglia azzurra e un paio di shorts, poi preparo una borsa per il mare, anche se dubito faremo il bagno data la mia mano.
Scendo di sotto e poi ce ne andiamo, Los Angeles non sembra molto affollata stamattina, raggiungiamo presto la spiaggia.
È inverno, ma non fa freddo e la spiaggia non è poi così vuota, cosa che ci sorprende un po’ mentre lui stende il telone.
Ci sdraiamo entrambi e guardiamo l’oceano per un po’. Lui mi accarezza svogliatamente i capelli e io oso accarezzargli piano il petto.
“Continua, mi piace.”
Mi dice lui, credo abbia capito il mio disagio.
“Scusa, è che non sono abituata.
Bello, il tuo tatuaggio con Jack Skeleton!”
“Mh, sì. Pensavo ancora a Holly e Alex, non mi piace, non mi piace per niente.”
“Holly non è cattiva.”
“Ma sta facendo soffrire Alex e non mi piace. Lui è come se fosse un fratello per me e non mi piace la gente che lo fa stare male.”
“Capisco.
Io spero che Holly capisca una cosa fondamentale.”
“Cioè?”
Prendo fiato.
“Lo so che sono l’ultima persona a poter parlare, ma… deve capire che l’amore non è una farsa o altrimenti noi cosa saremmo?”
Jack rimane in silenzio e in me inizia a crescere il gelo.
“Jack?”
Domando incerta.
“Non ti preoccupare, Wen. Noi siamo due persone che si amano, tu sei la mia ragazza.”
“Perché sei rimasto in silenzio così a lungo?”
“Perché pensavo che non avrei detto così presto queste parole, insomma prima di te erano solo scopate senza responsabilità.”
“Io.. Spero che non te ne sia pentito.”
“Assolutamente no. Quando ti ho vista mezza morta mi sono spaventato tantissimo e ho capito che senza di te non riesco a vivere.”
“Grazie!”
Mormoro con le lacrime agli occhi.
“È la cosa più bella che mi abbiano mai detto.”
“Stupisce anche me, non sono un tipo da dichiarazioni romantiche.
Mi fa male una spalla.”
“Se non avessi questa mano fuori uso ti avrei fatto un massaggio io.”
Lui mi guarda interessato.
“Non puoi provarci con una mano sola? Oggi pomeriggio devo registrare e so già che questo braccio sarà una rottura di palle.”
“Ok, ci provo.”
Mi alzo e lui si stende a pancia in giù, inizio lentamente a massaggiare la zona della spalla e del braccio, lui grugnisce soddisfatto.
Io sorrido e inizio a canticchiare una vecchia canzone irlandese.
Low lie the fields of athenry
Where once we watched the small free birds fly
Our love was on the wing,we had dreams and songs to sings
it'so lonely, round the fields of athenry”(*)

Lui muove leggermente la testa, curioso.
“Che canzone è?”
“Una vecchi canzone irlandese. Jimmy la cantava sempre.”
“Chi è Jimmy?”
“Si chiamava James, ma hanno iniziato tutti a chiamarlo Jimmy o Jim, era il figlio dei miei vicini, giù alle roulotte. È stato lui a presentarmi gli avanzi di galera e riformatorio ed è stato il mio primo ragazzo.”
“Adesso cosa fa?”
Io sospiro.
“Marcisce nella sua tomba, ha iniziato a farsi di eroina ed è morto di overdose.”
“Mi dispiace.”
Io scuoto le spalle.
“È successo anni fa.”
“Ma a te importa ancora.”
Io mi blocco, come ha fatto a capire che ancora adesso – ora che so che nulla avrebbe potuto salvare Jimmy dal suo destino – c’è una parte che si sente in colpa per la sua morte?
“È stato il mio primo ragazzo, deve essere per quello che mi importa. Gliel’ho detto tante volte di piantarla con quella cosa e di farsi aiutare, ma lui rideva e diceva che poteva farcela da solo.
Se solo fossi stata più insistente…”
La mia voce sfuma e si confonde con le grida dei gabbiani della spiaggia.
“Probabilmente non sarebbe cambiato nulla.”
“Sì, probabilmente hai ragione, ma sai è come per i suicidi. Non saresti riuscito a salvare comunque una persona decisa al suicidio, ma ti rimane sempre un certo senso di colpa.
Come va il massaggio?”
“Bene. Ho avuto fortuna nello scegliermi una ragazza che li sappia fare.”
Mi risponde allegro, io continuo per un po’, poi mi stendo di nuovo sul suo petto e lui mi abbraccia.  Ho freddo in un modo che non c’entra nulla con il tempo atmosferico, è come se mi si fosse ghiacciata l’anima.
“Non ti piace parlare di queste cose, vero?”
“No, non mi piace molto. Mia madre è stata la peggiore delle madri, ho avuto un padre e un fratello pessimi e non sono riuscita nemmeno a salvare il ragazzo di cui ero innamorata.
Ci sono giorni in cui penso di essere una totale nullità.”
“Non lo sei. Tu hai provato a salvarlo, forse sei stata l’unica per quel che ne so e vuol dire molto per me. Eri solo una ragazzina e ti sei accollata compiti che nemmeno un adulto sarebbe in grado di fare bene.”
“Grazie, Jack.”
“Figurati.”
Rimaniamo un po’ in silenzio.
“Mi piace la spiaggia, quando sono arrivata a Los Angeles la prima cosa che ho fatto è stata correre qui e godermi la pace di questo posto.
Era la prima volta che vedevo il mare.”
“Effettivamente è molto bella.”
Dolcemente mi alza il mento e mi bacia piano, con amore. Non ci siamo mai baciati così, gli sto concedendo una parte importante del mio povero cuore a pezzi, spero di non pentirmene.
Continuiamo a baciarci con dolcezza per un po’, poi ci stacchiamo, sorridiamo entrambi, Jack mi accarezza una guancia.
“Sembri una pixie con questi capelli, posso chiamarti così?”
“Va bene, mi piace come nome.”
Mi guardo i capelli azzurri che sfumano in un verde acido e penso che non avrebbe potuto trovare soprannome migliore.
“È mezzogiorno, sarà meglio andare a casa, devo mangiare e andare allo studio di registrazione.”
“Io spero di fare pace con Holly, mi manca mia cugina. Non abbiamo mai litigato così.”
Lui non dice nulla, le parole di ieri sera e il fatto che non si sia scusata, gliela stanno facendo rivalutare in negativo.
Merda! Non doveva succedere!
Non voglio essere costretta a scegliere tra il ragazzo che amo e la sorella che non ho mai avuto. Vorrei tanto sapere cosa diavolo è passato nella mente di Holly ieri sera, non è da le combinare questi casini, di solito sono io quella che fa schifo nelle relazioni sociali.
Arriviamo a casa e la troviamo deserta, credo che lei abbia deciso di mangiare fuori, piuttosto che affrontarci.
Non è da lei scappare in questo modo, accidenti a me che ho voluto affrontare il discorso “Alex”, sono stata una stupida!
Jack mi appoggia delicatamente una mano sulla spalla.
“Non è colpa tua, se ci tiene a chiarire lo farà da sola.”
Io annuisco, ma non sono convinta.
Ho una paura folle di avere perso una parte di famiglia.
Non potrei accettarlo.
Holly, ti prego torna in te e torna qui.

 

 Angolo di Layla

Ringrazio _redsky_ e Mon ( mi ha fatto piacere che tu abbia notato quelle similitidini)  per le recencioni .

 

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Capitolo 10
*** 9) Just crash (It's our time now to make this work second time round) (*) ***


9) Just crash (It's our time now to make this work second time round) (*)

 

Ormai è passata una settimana dal litigio, Holly non si è ancora fatta vedere, non so nemmeno se dorme qui.
“Credi che  dovremo mandare le sue cose a Jeremy?”
Mi chiede un giorno Jack, stando bene attento a non farsi sentire da Alex.
In questa settimana lui sembra diventato l’ombra di sé stesso, ride molto poco spontaneamente, sta molto a casa sua, non l’ho mai visto sorridere e ormai ride in automatico per le cazzate del suo migliore amico.
Devo fare qualcosa.
Una volta che sono sola a casa mi decido ad andare a casa di Jeremy per parlare con mia cugina, non si può andare avanti così.
Il vento di febbraio mi fa rabbrividire, ma non mi importa, devo parlare con lei; costi quello che costi.
Arrivo  all’appartamento del suo ragazzo, le luci sono accese quindi è in casa.
Suono il campanello e aspetto che mi venga ad aprire, le mani strette a pugno nelle tasche del cappotto.
Mi apre lei e impallidisce vistosamente e rimane bloccata come se fosse scioccata dal vedermi lì.
“Mi vuoi far entrare o preferisci che ci congeliamo qui sull’ingresso?”
Lei scuote leggermente la testa – come una persona che all’improvviso ritorna in sé – e poi annuisce.
“Entra.”
Mi fa spazio, io attacco il cappotto ai ganci dietro la porta e poi la guardo.
“Io e te dobbiamo parlare, non credi?
O preferisci evitarmi fino alla fine dell’eternità e farti mandare qui le tue cose?”
“No, parliamo.”
Ci sediamo sul divano, lei ha un’aria strana, non sta bene. Della Holly vivace e spigliata che conoscevo io sono rimaste ben poche tracce, adesso sembra piccola e debole come una bambina.
“Mi dispiace per la storia di Alex. Non avevo alcun diritto di intromettermi, in fondo è la tua vita e sei grande abbastanza da sapere cosa fare.”
Esordisco io, buttando fuori tutto quello avevo impigliato in gola da una settimana.
“Non fa niente, sono io che ho fatto una marea di cazzate, non tu.
Alex non mi perdonerà mai e nemmeno Jack, non posso tornare a casa vostra come se niente fosse.”
Io sospiro.
“Ti ricordi l’inizio della mia storia con Jack? Avevo fatto una cosa simile e Jack mi ha perdonato, lo farà anche con te, basta che ci provi.”
“Ho paura, ho paura di affrontare Alex.”
“Lo dovrai fare, anche per rispetto verso Jeremy.”
“Lo so, ma far finire una storia seria come questa per iniziarne una piena di incognite con una rock star mi impaurisce.”
“Una rock star che ami da sempre.”
Lei sospira.
“Hai ragione. Adesso è arrivato il momento di scusarsi.”
Ci alziamo dal divano, io prendo il mio cappotto, lei si mette un paio di anfibi e prende il suo.
“Jack mi ammazzerà.”
“No, non ti preoccupare. Ti ascolterà prima.”
“Lo spero.”
Usciamo da casa sua e saliamo nella mia macchina.
“Ma hai guidato da sola con la destra fuori uso solo per venire da me?”
“Esattamente.”
“Sei matta, ma ti voglio bene! Adesso lascia guidare me.”
Si siede al posto di guida  e mi porta  verso la villa di Jack, non parliamo molto, ma l’atmosfera è molto più serena rispetto all’ultima volta in cui ci siamo salite insieme.
Arriviamo alla villa e noto che le luci sono accese, i ragazzi devono essere arrivati, apro il cancello e parcheggio la macchina in garage.
Scendiamo e troviamo la porta che conduce in cucina sbarrata da un Jack di pessimo umore.
“Ma si può sapere dove sei stata?
Non hai neanche lasciato un bigliettino!”
Poi vede Holly e scuote la testa.
“Forza entrate.”
Lo seguiamo in salotto, l’atmosfera è colma di tensione, Jack è sulla difensiva, Holly spaventata.
“Come mai qui, Holly?”
“Sono venuta a scusarmi. Mi dispiace, non avevo alcun motivo di trattarti così, Jack, non è colpa tua se sei una rock star.
Mi dispiace veramente, io ci tengo a te come persona.”
“E ad Alex ci tieni?”
Gli chiede tagliente, è incredibile come sia protettivo verso di lui, a volte credo persino preferisca Alex a me.
“Sì.”
Il sussurro di Holly è a malapena udibile.
“Allora evita di spezzargli il cuore se vuoi rimanere mia amica!”
Lacrime silenziose scorrono lungo le guance pallide della mia amica.
“E se ti dicessi che non so cosa fare?
Che ho paura di rischiare mettendomi con Alex, ma non voglio farlo soffrire rimanendo con Jeremy. Ho paura di iniziare una storia seria con così tante incognite, Jeremy mi dà più sicurezza.”
Lo sguardo di Jack è ancora freddo come l’Alaska.
“Devi decidere, tenere sulla corda tutte e due non servirà a nulla. in ogni caso, scuse accettate, puoi smetterla di rifugiarti da Jeremy.”
“Grazie, Jack.”
Risponde mia cugina con voce tremante.
Per farsi perdonare cucina per noi e poi chiama il suo ragazzo per spiegargli la situazione, dopo un po’ Jeremy arriva a casa nostra e ridà a Holly le sue cose.
È un po’ imbarazzante, dato che Jack non smette di guardarlo in cagnesco nemmeno per un secondo.
Senza dire nulla, Holly sale in camera sua e lascia me e il mio ragazzo da soli.
“Mi dispiace di non averti avvisato, ma avevo delle questioni familiare da risolvere. Io tengo molto a Holly.”
“Ok, ti capisco.”
C’è un attimo di silenzio.
“Jack, perché hai guardato così male quel poveretto di Jeremy?
Lui non c’entra nulla.”
Lui mi passa un braccio attorno alle spalle e mi attira sul suo petto.
“Perché in questo momento lo vedo come una delle cause dell’infelicità di Alex.”
“A volte mi chiedo se non sia lui il tuo vero fidanzato.”
Lui sbuffa platealmente.
“Non iniziare con il Jalex anche tu, già è una rottura fingerlo per le fan, tu almeno credimi.
Sei la mia ragazza e ti amo, lui è il mio migliore amico e gli voglio bene, ma non me lo porto a letto.
Giuro.”
Io arrossisco e vorrei sotterrarmi per la figuraccia che ho appena fatto.
“Scusa, Alex. Ho detto una cazzata, scusa scusa scusa.”
Lui mi scompiglia i capelli e mi bacia.
“Scusami tu, piccola. Sono io che sono troppo nervoso, Alex sta di merda e questo significa pessime registrazioni e probabili chiamate nel cuore della notte per andare a recuperarlo da qualche parte ubriaco marcio.”
Io mi intristisco, mi sono affezionata anche a lui e mi dispiace che stia così male. Alle volte vorrei avere la bacchetta magica per risolvere questa situazione, ma non ce l’ho e devo aspettare il corso degli eventi come tutti.
 

Sono immersa in un sonno profondo quando un rumore sordo e lontano si avvicina al mio cervello.Con fatica apro gli occhi e scopro che la fonte del fracasso è la suoneria del cellulare di Jack, senza nemmeno pensarci rispondo io.Dall’altro capo della linea c’è Alex ubriaco, continua a farfugliare cose senza senso e con molta difficoltà mi faccio spiegare dove è. Fatto quello, scuoto violentemente il mio ragazzo, che mi guarda stralunato, con gli occhi gonfi di sonno.“’osa c’è, ‘en?”“C’è che bisogna recuperare Alex ubriaco in un locale di Hollywood.”

Spalanca gli occhi e apre la bocca – come se qualcuno gli avesse lanciato addosso una secchiata d’acqua fredda – poi la richiude e si alza dal letto, si mette un paio di pantaloni e se ne va.
“Aspettami!”
Urlo io, lui si ferma sulla soglia della camera.
Io recupero rapidamente una delle sue magliette e i miei pantaloncini, poi lo seguo.
In un attimo siamo nella sua macchina e lui guida nervoso, ogni tanto batte una delle mani sul cruscotto.
“Odio quando fa così.”
“Tu fai la stessa cosa.”
Dico piano.
“Lo so, odio vedere un mio difetto in lui.”
“Capisco.”
“Fa schifo ubriacarsi per una ragazza e lui lo fa… spesso.
Non so se si nota, ma sotto quella scorza da cazzone c’è un ragazzo romantico.”
“Me ne sono accorta quando ha reagito così per Holly.”
Arriviamo fuori dal locale, Alex è appoggiato al muro e sembra dormicchiare in piedi, Jack lo prende sotto la spalla e lo trascina via, questo lo sveglia.
“Jack, sei venuto. Ma come mai?”
“Mi hai telefonato ubriaco e hai parlato con Wen.”
“Wen!”
Si illumina.
“È così carina, me la presti?”
“Neanche per sogno, Alex. Non hai bisogno della mia ragazza, puoi trovarne una tu da solo.”
“Nessuno mi vuole!”
Comincia a piangere e singhiozzare, io lo abbraccio di slancio e rimaniamo paralizzati in questo strano abbraccio a tre, io tra due giganti.
“Alex, andrà tutto bene.
Adesso ti porto a casa mia e vedrai che domani sarà tutto a posto.”
Lo carichiamo in macchina e ripartiamo verso la villa di Jack, Alex si è addormentato: sembra così fragile e indifeso. Chi mai potrebbe fargli del male in questo stato?
Il viaggio di ritorno sembra più breve rispetto all’andata, Jack parcheggia in garage e aiuta l’amico a tirarsi in piedi, lui barcolla e biascica cose senza senso.
Stranamente la luce della sala è già accesa, Holly in pigiama ci guarda portare dentro Alex, sembra preoccupata e lo guarda con attenzione. Lui – a sua volta – alza gli occhi e rimangono talmente tanto a lungo a fissarsi con una tale intensità che io e Jack finiamo per sentirci degli estranei.
All’improvviso Alex si stacca da Jack, percorre da solo i pochi passi che lo separano da Holly e la abbraccia, stringendola in una presa ferrea, lei non protesta.
“Vieni, andiamo a letto, zucca vuota.”
“Dormi con me?
Posso dormire con te o ti do fastidio?”
Lei stringe una delle mani del frontman tra le sue e sorride.
“Non mi dà fastidio, vieni.
Hai bisogno di dormire.”
Salgono lentamente le scale sparendo dalla nostra vista.
“Ho fatto bene ad affidarlo a lei?”
“Sì, è arrivato il momento che si chiariscano.
Confesso che un po’ mi dispiace per Jeremy, è un bravo ragazzo.”
Jack guarda ancora un attimo le scale, poi un sorrisetto affiora sulle sue labbra,.
“E così credi che si metteranno insieme. Lo spero, Alex ne sarebbe felicissimo.
In ogni caso, cosa ne dici di andarcene a letto.”
“Con piacere.”
Saliamo le scale abbracciati e ci ributtiamo sotto le coperte, in un attimo sono sdraiata sul suo petto, avvolta nel suo abbraccio.
“Buonanotte.”
Mormoro insonnolita.
“Buonanotte anche a te!”
Mi risponde lui.
Un minuto dopo dormiamo tutti e due.
La mattina dopo troviamo Alex e Holly a fare colazione in cucina, il clima sembra relativamente sereno, così io e Jack decidiamo di non dire nulla per non far scoppiare un altro possibile litigio.
“Che mal di testa!”
Esclama Alex massaggiandosi le tempie.
“Con quello che hai bevuto ieri sera ci credo, amico.”
Jack si siede al tavolo, Alex sbuffa.
“Ci penso io a farti passare il mal di testa.”
Holly inizia a bollire delle erbe, questo è il suo famoso rimedio casalingo contro le sbronze e funziona a meraviglia.
Una volta che ha finito di prepararlo lo porge ad Alex che fa una faccia schifata.
“No, grazie. Non  penso proprio di bere questa roba.”
“Ti farà passare il mal di testa.”
“E mi farà andare dritto in ospedale per una lavanda gastrica.”
Holly incrocia le braccia sul petto.
“Non è colpa mia se tu hai deciso di ubriacarti, potresti essere più gentile con chi cerca di aiutarti!”
“Veramente è grazie a te se mi sono ubriacato, ma tu non capirai mai queste cose, ha il cuore di pietra.”
“Il cuore di pietra?”
La voce di Holly trema leggermente.

“Sì! Mi piaci, Holly, mi piaci e forse ti amo anche, ma a te non importa.
Te ne stai lì come la regina di ghiaccio, senza fare nulla, a guardarmi  mentre mi copro di ridicolo pur di far sì che tu mi noti. E questo succedeva al liceo e sta succedendo adesso.
Forse dovresti semplicemente dirmi che io non ti piaccio e mi metterei il cuore in pace.”
“Ma sarebbe una bugia.”

Lui la guarda senza capire.

“Se ti dicessi che non mi interessi sarebbe una bugia, Alex.”

Lui la guarda ancora senza capire.

“Mi interessi Alex, mi sei sempre interessato, ma adesso dovrei lasciare Jeremy e non voglio che soffra. E se ci mettessimo insieme rischieremmo di soffrire come è successo ai miei.”

“No.”

“No, cosa?”

“Non soffriremmo come i tuoi, non siamo tutti uguali, sei tu a dover decidere.
Vuoi vivere nella paura e nel rimpianto, prendendo per il culo Jeremy o vuoi essere onesta e darti una possibilità, mettendoti in gioco?”
Lei rimane in silenzio, mi guarda come se potessi darle una risposta, ma questa volta non posso.
Questa volta è come ha detto Alex, è lei che deve scegliere e mettersi in gioco, io non posso aiutarla a decidere, posso supportare la sua storia o difenderla da Jeremy, ma non posso decidere per lei.
Torna a guardare Alex e trema, di solito lo fa quando è fortemente indecisa e a volte questo tremore può sfociare in una crisi di panico.

Dio, fa che non sia così!
“Va bene.”

“Cosa?”Alex la guarda senza capire, credo che per lui queste reazioni di Holly siano una novità assoluta e magari difficile da gestire.

“Va bene, ormai è inutile continuare a fingere, tanto vale arrendersi e provare.

Non posso più stare con Jeremy adesso che sei tornato tu nella mia vita, non avrebbe senso, lo prenderei in giro.”

“Quindi?”
“Hai vinto, Alex. Se vuoi sarò la tua ragazza.”
Lui non dice nulla e l’abbraccia, lei scoppia improvvisamente a piangere tra le sue braccia.

Faccio per avvicinarmi, ma Jack mi stringe un polso e mi blocca.
“Lascia fare a loro."
“Non piangere, Holly. Andrà tutto bene, mi credi?”

Lei annuisce.
“Mi ami?”
“Sì.”
“E allora andrà tutto bene, fidati di me, di noi.”
Lui le asciuga le lacrime, lei sorride, Jack mi fa uscire dalla stanza. Immagino che adesso si baceranno e tutto il resto, sarebbe da guardoni assistere.
Jack si butta di peso sul divano e io lo raggiungo poco dopo.
“Finalmente è finita.”
“Spero sia finita bene, un po’ mi dispiace per Jeremy, è un bravo ragazzo.”
“Anche Alex lo è.”
“Lo so.”
Rispondo sorridendo.
“Pensi che durerà?”
Mi chiede Jack.
“Non ne ho la minima idea, non sono molto esperta in queste cose, ma forse sì. Si sono cercati troppo a lungo per mollarsi subito.”
“Penso lo stesso, finalmente avremo di nuovo l’Alex di un tempo e non l’ameba!”
“Ameba sarai tu, Barakat!”
La voce di Alex si fa inaspettatamente sentire.
“Parla quello che è stato intrattabile per secoli.”
Alex e Jack scoppiano a ridere tutti e due, chi li capisce è bravo.
“Ah, e tu non hai rotto le palle per trovare la ragazza di “Lost in stereo.”?”
“Cosa c’entra?”
Li lascio fare i pagliacci e vado da mia cugina, ha un sorriso timido sul volto che non le ho mai visto.
“Come stai?”
“Come una che si è buttata da un ponte, ma non si è rotta le ossa –come credeva succedesse – e ha trovato un morbido materasso.”
“Ho capito. Sei sicura di quello che stai facendo?”
Lei annuisce.
“È l’unica strada percorribile se voglio essere onesta, Jeremy non si merita una ragazza che tenga un piede in due scarpe e, in quanto ad Alex, hai ragione. Mi piace, mi è sempre piaciuto, forse lo amo, anche se non sono capace di dirlo.”
“Imparerai, anche per me non è stato facile con Jack, ma adesso vedi che stiamo ingranando.
Non è facile, ma ci stiamo impegnando al massimo.”
“Quello che mi sorprende è che lui non ti chieda di fare l’amore, devi piacergli davvero molto.”
“E non so se mi merito questo amore, ma ho deciso che non importa.”
"Giusto.”
“Guardali, ‘sti scemi! Alex, vieni a bere quello che Holly ha preparato per te!”
“Sennò cosa mi fai?”
Gli sbatto un cuscino in faccia, sollevando una nuvola di piume.
“Mi pare giusto. Va bene, mammina, vado a bere la medicina.”
“Bravo bambino.”
Lui ride e sento la risata di Jack fargli eco, poi lui si avvicina e mi abbraccia da dietro.
“Non so cosa tu abbia detto a Holly, ma grazie per averla riportata qui, soprattutto averla riportata da Alex. Ero molto preoccupato per lui.”
“Di niente, io ero preoccupata allo stesso modo per Holly.”
Lui sorride.
“Finalmente è tornata la pace.
Cosa ne dici di lasciare la casa ai piccioncini e di farci un giro?”
“Va bene, a patto che un giorno la casa rimanga solo per noi.”
Balbetto io, lui capisce i sottointesi.
“Quando vuoi, Wen. Quando vuoi.
Io non voglio forzarti.”
“E ti ringrazio per questo. Ti amo, Jack.”
“Anche io e adesso andiamocene prima che quei due mi facciano venire il diabete.”
Saliamo in camera, ci cambiamo e usciamo di casa ridendo come due bambini.
Domani inizia la  mia riabilitazione alla mano, la vita non potrebbe andare meglio, non ho niente di cui lamentarmi.
A volte fa bene crogiolarsi nella felicità, visto che nella mia vita raramente sono stata così felice e ho paura che anche questa volta succeda qualcosa.
Speriamo di no.

 

Angolo di Layla.

Scusate se la formattazione fa schifo, ma nvu ha deciso di fare quello che gli pare.

(*) "Crash" You Me At Six.

Ringrazio Mon e _redsky_ per le recensioni.

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Capitolo 11
*** 10)Sunshine in a bag ***


10)Sunshine in a bag

 

Holly p.ov

 

E così sono tornata a casa di Jack.
Pensavo di poter scappare per sempre, ma Wen è venuta a riprendermi, questa volta i ruoli si sono invertiti: prima era lei che scappava ed ero io che la dovevo riacchiappare.
Sono circa le tre di notte quando sento Wen e Jack alzarsi e mezz’ora dopo rientrano con Alex ubriaco marcio.
È un brutto spettacolo, ma lui si rianima quando mi vede, si stacca da Jack e percorre con decisione i pochi metri che ci separano e mi abbraccia. Anche se sa di alcool e fatica a stare in piedi e a parlare mi sento protetta nella sua stretta. Quella parte assurda e romantica di me dice che è il posto dove dovrei stare.
Io la metto a tacere.
“Vieni, andiamo a letto, zucca vuota.”
Le parole mi escono da sole, senza nessun controllo da parte del mio cervello.
“Dormi con me?
Posso dormire con te o ti do fastidio?”
Stringo una delle sue mani tra le mie e sorrido, è ovvio che io voglia o non gliel’avrei mai proposto.
“Non mi dà fastidio, vieni.”
Saliamo le scale insieme, lui si appoggi a me e chiude gli occhi.
“Mi gira la testa.”
Si lamenta, massaggiandosi la testa.
“Ancora un po’ e saremo in camera mia.”
“Ti amo, Holly.
Mi vuoi sposare?”
“Sei ubriaco, Alex.”
“Sì, ma non fa niente. Ti amo lo stesso.”
Io rimango in silenzio e sussurro un “anche io” a malapena udibile, tanto domani non si ricorderà di nulla.
Arrivati in camera lo faccio stendere e gli tolgo scarpe, calzini e jeans e poi lo copro, poi mi infilo a mia volta sotto le coperte, in un attimo sono di nuovo tra le sue braccia.
“Questa volta non ho intenzione di lasciarti andare.”
Biascica mezzo addormentato.
La mattina dopo ci svegliamo, ma stranamente non c’è traccia di imbarazzo tra di noi, sembra quasi normale che tra di noi le cose debbano finire così.
“Buongiorno.”
“Buongiorno, Alex.”
Rispondo io tranquilla.
Scendiamo insieme a fare colazione ed è così che ci trovano Wen e Jack, non dicono nulla, forse temono che una parola di troppo guasti l’atmosfera.
I ragazzi iniziano a scherzare sul mal di testa di Alex, così decido che preparò per lui il mio famoso rimedio post-sbornia, funziona sempre.
“Ci penso io a farti passare il mal di testa.”
Dico ad Alex, ma non sono certa che mi abbia ascoltata, visto che continua a fare lo scemo con il suo miglior amico, sotto lo sguardo divertito di Wen.
Una volta che ho finito di prepararlo lo porgo ad Alex che fa una faccia schifata, lo so che l’aspetto non è dei migliori, però funziona.
“No, grazie. Non  penso proprio di bere questa roba.”
“Ti farà passare il mal di testa.”
“E mi farà andare dritto in ospedale per una lavanda gastrica.”
Io incrocia le braccia sul petto, offesa.
“Non è colpa mia se tu hai deciso di ubriacarti, potresti essere più gentile con chi cerca di aiutarti!”
“Veramente è grazie a te se mi sono ubriacato, ma tu non capirai mai queste cose, ha il cuore di pietra.”
“Il cuore di pietra?”
La mia voce trema leggermente. Perché mi considera in questo modo?
“Sì! Mi piaci, Holly, mi piaci e forse ti amo anche, ma a te non importa.
Te ne stai lì come la regina di ghiaccio, senza fare nulla a guardarmi  mentre mi copro di ridicolo pur di far sì che tu mi noti. E questo succedeva al liceo e sta succedendo adesso.
Forse dovresti semplicemente dirmi che io non ti piaccio e mi metterei il cuore in pace.”
“Ma sarebbe una bugia.”
Lui mi guarda senza capire. Perché la vita è così difficile?
“Se ti dicessi che non mi interessi sarebbe una bugia, Alex.”
Lui mi guarda senza capire, perché i ragazzi non sono così svegli?
“Mi interessi Alex, mi sei sempre interessato, ma adesso dovrei lasciare Jeremy e non voglio che soffra. E se ci mettessimo insieme rischieremmo di soffrire come è successo ai miei.”
“No.”
“No, cosa?”
“Non soffriremmo come i tuoi, non siamo tutti uguali, sei tu a dover decidere.
Vuoi vivere nella paura e nel rimpianto, prendendo per il culo Jeremy o vuoi essere onesta e darti una possibilità, mettendoti in gioco.”
Io rimango in silenzio e guardo Wen, lo so che è sbagliato, lo so che lei non può darmi nessuna risposta perché è della mia vita che si tratta e non della sua.
So tutto questo eppure non posso farne a meno, ho paura.
Sono cosi impanicata che non mi stupirebbe avere un attacco d’ansia!
Torno a guardare Alex e tremo, di solito lo faccio quando sono fortemente indecisa e a volte questo tremore può sfociare in una crisi di panico.
Non voglio che succeda.
 “Va bene.”
Mormoro alla fine, stremata da questa continua guerra tra le due parti di me stessa. Ho seguito la parte razionale e ho vissuto come un automa fingendo emozioni che non provavo, voglio vedere cosa succede a seguire il cuore.
“Cosa?”
Alex mi guarda senza capire, credo che lui non mai avuto a che fare con una persona come me e non sappia cosa fare.
“Va bene, ormai è inutile continuare a fingere, tanto vale arrendersi e provare.
Non posso più stare con Jeremy adesso che sei tornato tu nella mia vita, non avrebbe senso, lo prenderei in giro.”
“Quindi?”
“Hai vinto, Alex. Se vuoi sarò la tua ragazza.”
Lui non dice nulla e mi abbraccia con dolcezza, io scoppio improvvisamente a piangere tra le sue braccia.
 “Non piangere, Holly. Andrà tutto bene, mi credi?”
Mi dice con una voce dolce che poche volte gli ho sentito usare e  che mi scalda il cuore, mi sembra di tornare in vita dopo anni di agonia. Io annuisco.
“Mi ami?”
“Sì.”
“E allora andrà tutto bene, fidati di me, di noi.”
Lui mi  asciuga le lacrime, io sorrido, lui mi sorride a sua volta e mi bacia.
Ci baciamo per un sacco di tempo, tanto che quando finalmente ci stacchiamo notiamo che Jack e Wen ci hanno lasciati da soli.
Usciamo dalla cucina e li becchiamo abbracciati sul divano.
 “Penso lo stesso, finalmente avremo di nuovo l’Alex di un tempo e non l’ameba!”
Questo è Jack
“Ameba sarai tu, Barakat!”
La voce di Alex li fa sobbalzare, pensavano che ci sarebbe voluto più tempo per chiarire.
“Parla quello che è stato intrattabile per secoli.”
Alex e Jack scoppiano a ridere tutti e due, che sollievo.
“Ah, e tu non hai rotto le palle per trovare la ragazza di “Lost in stereo.”?”
“Cosa c’entra?”
Li lascio fare i pagliacci e vado da mia cugina, vedo che mi guarda felicemente sorpresa, chissà che espressione avrò per stupirla?
“Come stai?”
“Come una che si è buttata da un ponte, ma non si è rotta le ossa –come credeva succedesse – e ha trovato un morbido materasso.”
“Ho capito. Sei sicura di quello che stai facendo?”
Annuisco.
“È l’unica strada percorribile se voglio essere onesta, Jeremy non si merita una ragazza che tenga un piede in due scarpe e, in quanto ad Alex, hai ragione. Mi piace, mi è sempre piaciuto, forse lo amo, anche se non sono capace di dirlo.”
“Imparerai, anche per me non è stato facile con Jack, ma adesso vedi che stiamo ingranando.
Non è facile, ma ci stiamo impegnando al massimo.”
“Quello che mi sorprende è che lui non ti chieda di fare l’amore, devi piacergli davvero molto.”
“E non so se mi merito questo amore, ma ho deciso che non importa.”
“Giusto.”
“Guardali, ‘sti scemi! Alex, vieni a bere quello che Holly ha preparato per te!”
“Sennò cosa mi fai?”
Lei  gli sbatte un cuscino in faccia, sollevando una nuvola di piume.
“Mi pare giusto. Va bene, mammina, vado a bere la medicina.”
“Bravo bambino.”
Alex si alza finalmente e beve quello che ho preparato con lui senza dire una parola.
“Non è una cosa che berrei tutti i giorni, ma non è poi nemmeno così male.”
Io sorrido, fin’ora c’è stata la parte facile – dichiararsi, vedere la felicità sui volti dei nostri amici – ma tra poco arriverà quella difficile: dire tutto a Jeremy.
Mi sento una brutta persone, come se lo stessi pugnalando alle spalle o stessi mostrando un’ingratitudine che lui non merita, ma mentirgli sarebbe peggio.
“A cosa stai pensando?”
Mi chiede lui, sdraiato sul divano con una mano sulla testa.
“A Jeremy.”
Lui si alza.
“Hai ragione, dobbiamo parlargli e penso che prima lo faremo, meglio sarà.
Cosa ne dici?”
“Sono d’accordo, ma tu ce la fai con la sbronza che ti sei preso?”
“Sì, non preoccuparti per me.”
Io sospiro.
“Va bene.”
Ci laviamo e ci vestiamo, poi usciamo, la giornata è incerta e le nuvole corrono veloci nel cielo di Los Angeles.
Saliamo in macchina, vorremmo iniziare una conversazione, ma le parole scivolano via come acqua.
Arriviamo all’Interscope e chiediamo di Jeremy, poco dopo lui arriva. Guarda sia me che Alex e annuisce.
“Vi siete finalmente chiariti, vedo.”
Lo guardiamo interdetti.
“Jeremy, non capisco.”
Lui sospira.
“Holly, pensi che non mi sia accorto che in tutti questi anni fingevi abbastanza bene, anche con te stessa, di stare bene?
Lo sapevo che desideravi altro e quando ho visto per caso una foto con te e Alex abbracciati ho capito chi e che cosa aspettavi. Sapevo che prima o poi mi avresti lasciato.”
Io rimango senza parole e inizio a piangere.
“Quindi non sei arrabbiato?”
“No, ma preferirei che non ci vedessimo per un po’, è comunque dura da accettare.”
I suoi occhi infatti si sono fatti improvvisamente duri.
“Va bene. Beh, buona fortuna, Jeremy.
Spero troverai una ragazza che ti meriti più di me.”
Lui alza debolmente la mano e io me ne vado, sentendomi un verme.
“Cosa c’è?”
“Non lo so, mi sento male. Avrei preferito che mi avesse urlato contro piuttosto che questa calma, mi fa sentire in colpa. Mi fa sentire come se l’avessi usato per tutti questi anni e non è una bella sensazione.”
Lui mi prende per mano.
“Holly, a volte può succedere di usare in modo involontario una persona, l’importante è non farlo con l’intenzione di farla soffrire. Quello non è bello.
Ti sei già pentita di stare con me?”
“NO!”
Lui sorride sollevato.
“Bene, perché non avevo voglia di trascorrere un'altra serata in compagnia del Jack Daniels.”
Io rido e gli do un pugnetto scherzoso in pancia.
“Ti verrà la pancetta da alcolizzato!”
“E tu mi aiuterai a smaltirla.”
“Uhm, sì, potrei.
Merda, devo andare al negozio!”
“Ti accompagno io.”
“Va bene, ma mi giuri che una volta arrivato a casa ti metti a dormire?”
“Sissignora!”
Si mette scherzosamente sull’attenti, io lo spingo in macchina.
“Alex?”
“Sì?”
“Volevo chiederti scusa per tutte le volte che ti ho fatto soffrire, per quel che vale non avrei voluto che succedesse, tentavo di proteggerti e non mi rendevo conto che non facevo altro che farti male.”
“Scuse accettate, lo so che non volevi farmi del male, ma, Holly, mi sei entrata troppo dentro e sto male a stare lontano da te.”
Io sorrido e  mi asciugo furtivamente le lacrime.
“Dopotutto non sei una principessa di ghiaccio.”
“No, non lo sono, Alex. Soffro anche io come tutti, ma sono brava a nasconderlo. Prima non volevo che i miei se ne accorgessero e poi che se ne accorgesse Wen. I miei non se ne sono mai accorti, Wen sì.”
“Lei ci tiene davvero a te.”
“Sì, è come una sorella per me e viceversa.”
“Anche per me e Jack è lo stesso, ogni tanto ci rimango male per come le fan fraintendano.”
Io non dico nulla, non ho voglia di esprimermi su un argomento che non mi piace particolarmente.
Arrivata al negozio lo saluto con un bacio a schiocco e trovo Ryan dietro al bancone, che mi guarda ironico.
“Rimasta a letto stamattina?”
“All’incirca, grazie per avere aperto il negozio.”
“Di niente. Dalla tua espressione deduco che tu abbia sistemato le tue questioni sentimentali, chi hai scelto?”
“Alex.”
“Non avevo dubbi che succedesse, vi auguro buona fortuna.”
“Grazie.”
Il primo cliente della giornata e Ryan sparisce con lui, io guardo il cellulare e noto un sms da parte di Alex che mi augura buon lavoro, io gli rispondo augurandogli una buona dormita e proponendogli di vederci nella pausa pranzo.
Lui dice che può, io esulto.
La mattinata trascorre tranquilla, prendo appuntamenti e ogni tanto chiacchiero con Ryan, è stato un buon acquisto. Chissà cosa staranno facendo Wen e Jack?
Probabilmente i piccioncini da qualche parte, sono carini insieme.
Non ho mai visto mia cugina felice come lo è ora, Jack è il suo ragazzo ideale e spero di essere altrettanto fortunata. La pausa pranzo arriva prestissimo, chiudo il negozio e saluto Ryan, Alex mi aspetta in uno dei bar del centro.
Trovo un po’ di traffico, ma alla fine arrivo, lui è già seduto e si guarda intorno, anche se non so cosa veda con quegli occhiali da sole così scuri.
“Ehi, Alex!”
“Ehi, Holly!”
Mi siedo.
“Sei andato a letto, vero?”
Lui annuisce, si toglie gli occhiali e mi accorgo che ha un’aria più riposata rispetto a quando l’ho lasciato prima.
“Tu? Tutto bene sul lavoro?”
“Sì, è stata una mattinata tranquilla e poi Ryan è davvero bravo con i clienti, mi dispiacerà licenziarlo una volta che Wen si sarà ristabilita.”
“Non è che mi devo preoccupare?”
Io rido.
“Assolutamente no, non ci farei nulla, è solo un amico.”
Lui tira un plateale sospiro di sollievo.
“Non volevo arrivare alla rissa, anche perché avrei perso.”
“Non importa, mi piaci anche del tutto privo di muscoli come sei.
Sei perfetto così.”
Lui sorride e si gratta la testa.
“Per fortuna, non sono molto bravo a farmi crescere muscoli, ma a ordinare cibo sì.
Due panini della casa.”
Ordina alla cameriera.
“E se non mi piacesse?”
“Ti piacerà, fidati di me, Holly.”
Poco dopo la cameriera ci serve due panini dall’aria appetitosa, devo dire che Alex ci ha preso in pieno: mi piaceranno.
“Avevi ragione, Alex. È buono.”
“Lo sapevo.”
Rimaniamo un attimo in silenzio.
“Possiamo considerare questo come primo appuntamento?”
“Nah, troppo breve, Holly.
Stasera ci sarà il nostro primo appuntamento.”
“Sì!”
Poi mi rabbuio.
“E chi cucinerà per Jack? Non voglio che Wen si sforzi con la sua mano.”
“Beh, penso che stasera Jack la inviterà fuori a cena.”
Lui mi fa l’occhiolino e ride,rido anche io.
“In tal caso, va tutto bene.”
“Ti passo a prendere alle nove.”
“Perfetto.”
Ci sorridiamo a vicenda, mi piace questa complicità, con Jeremy non c’è mai stata, mi fa sentire bene. Mi sento leggera, libera e felice ed è una sensazione meravigliosa.
In questo momento tutte le paure che mi opprimevano da quando ho incontrato di nuovo Alex mi sembrano stronzate, non sono mai stata così bene come ora e il merito è suo.
“A cosa stai pensando?”
Mi chiede curioso.
“No, niente. Cose mie.”
“Va bene. Forza principessa,è ancora di andarcene, io ho le registrazioni , tu hai il negozio.”
“Purtroppo hai ragione.”
Ci salutiamo con un bacio e io arrivo al negozio veleggiando schifosamente su una nuvola rosa, come una ragazzina innamorata.
Ryan lo nota subito e scoppia a ridere.
“Quel ragazzo ti ha proprio rubato il cuore, dovresti vederti ora.”
Io sospiro.
“Ho una mezza idea di come possa essere e sono felicissima di essere così.”
“Fai bene.”
Mi dice lui sorridendo.
Dicono che l’amore faccia miracoli e cambi il cuore delle persone, io non ci avevo mai creduto, ma forse è così e io non ho mai permesso che succedesse per paura.
Non vedo l’ora che sia stasera, non vedo l’ora di andare sul serio al primo appuntamento con un ragazzo che amo e non fingere di amarlo.
Sono eccitatissima, spero che il tempo voli.
Alex, aspettami!

Angolo di Layla

Ringrazio _redsky_ e Mon per le recensioni.

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Capitolo 12
*** 11) Smile (it's been a while) ***


11) Smile (it's been a  while)

 

Wendy p.o.v

 

La riappacificazione tra Alex e Holly mi mette di buonumore.
Sono in casa da sola – Jack e io abbiamo mangiato fuori e poi lui è filato allo studio di registrazione – sdraiata sul divano a guardare il soffitto.
Non c’è molto da fare quando hai una colf messicana che pulisce tutto e che ti sorride sempre, a volte mi sento quasi a disagio quando c’è lei: sono abituata a pulire tutto io.
In fondo però con questa mano è un bene che ci sia, non sarei in grado di fare molto, l’ultimo regalo di mia madre è una gran bella seccatura.
Nel bel mezzo delle mie elucubrazioni suona il campanello e mi alzo per vedere chi è arrivato: è Andrew.
“Ciao,sorellina! Sono venuto a vedere come te la passavi.”
“Vieni dentro, Andy e siediti sul divano, cosa vuoi da bere?”
“Una coca va più che bene. Sei sicura di farcela con quella mano?”
Annuisco e torno con una coca e una sprite.
“Come va la mano?”
“Abbastanza bene, ci sono gli antidolorifici, grazie a Dio. La riabilitazione è solo all’inizio e temo sarà una faccenda lunga e complicata.”
“Te la puoi permettere?”
Mi chiede ansioso, io sospiro.
“Se dovessimo guardare alla mia assicurazione, no,non potrei permettermela, ma sta pagando tutto Jack.”
“La cosa non ti piace.”
“Non mi piace dipendere da qualcuno e avere debiti da saldare, lo sai come sono fatta. Voglio essere libera e padrona della mia vita.”
“Io trovo che il gesto del tuo ragazzo sia molto carino, si sta prendendo cura di te, donna tutta d’un pezze e Dio solo sa quanto ne hai bisogno.”
Io non dico nulla, in fondo non mi sembra di essermela cavata male da sola, ho un negozio di tatuaggi e posso pagarmi una casa da sola.
La mia faccia deve far trapelare qualcosa dei miei pensieri, perché Andy inizia a muoversi nervoso sul divano.
“Scusa, sorellina. Forse ho toccato un brutto tasto.
“Non fa niente, Andy. È tutto ok.
Tu cosa mi racconti?”
“Niente di che, mi sto arrangiando nella mia vita da scapolo, contando i giorni che mi separano dall’andare in giro per il mondo a rischiare di morire.
Fa schifo, ma è l’unico modo per tirare su un po’ di grana.
Esco con una ragazza, sembra carina, magari te la presento.”
I miei occhi si illuminano.
“Sarebbe meraviglioso, hai bisogno di una ragazza!”
“Non lo so, cosa potrei darle?
Preoccupazioni? Paura che un giorno il telefono squilli e le annunci che purtroppo il soldato Andrew O’Connor è deceduto?”
Io non dico nulla, questa è anche la mia paura e – se succedesse – dubito che perdonerei facilmente il nostro governo.
Lo so che non ha senso, ma tanti miei ragionamenti non ne hanno. Ci sono zone nel mio cervello in cui la razionalità e il buon senso se ne vanno a puttane e si lasciano guidare dalle paure e dalle paranoie.
“Non pensarci, Andrew! Tu… Tu tornerai a casa sano e salvo, aprirai il tuo  ristorante, ti troverai una ragazza e te la sposerai, magari quella che hai conosciuto in questo periodo.
Non ci pensare nemmeno alla tua morte!”
Lui mi guarda stupito.
“Senti, sei mio fratello e ti voglio bene.
Non me ne frega niente se mamma è morta, anzi sono contenta che lo sia – un pericolo in meno – ma tu non devi morire. Hai capito?”
Lui annuisce e io scoppio a piangere, lui si alza e mi abbraccia. Mi è sempre piaciuta la sua stretta, è stata per tanti anni il mio porto sicuro, ed è la sola cosa in gradi di calmarmi.
“Ssh! Buona, Wendy.
Ti giuro che porterò il mio culo a casa, anche solo per fartelo prendere a calci per aver scelto di entrare nell’esercito.”
Io mi asciugo le ultime lacrime e cerco di ricomporre la mia faccia in un’espressione normale, non è da me lasciarmi andare a questo sfoghi, ma questa volta la diga ha ceduto.
“Scusa per il brutto spettacolo, Andy.
Immagino non ne avessi bisogno.”
Lui scuote la testa.
“Ehi, è normale essere preoccupata per le persone a cui vuoi bene, sei umana non un robot che non prova sentimenti.”
Io annuisco.
Già, sono umana, a forza di stare da sola me l’ero quasi dimenticato, e gli umani piangono e soffrono per le cose brutte che possono accadere a loro o a loro familiari.
“Come va con Jack?”
“Benissimo, almeno per ora.
Sembra quasi il ragazzo perfetto per me ed è strano, sono troppo fortunata in questo periodo.”
“Non capisco.”
“Le cose mi stanno andando troppo bene, dove è la fregatura?
Perché c’è una fregatura, non puoi andarmi tutto così bene. Capisci?”
Lui ride.
“Vedo un po’ di paranoia qui.”
Io sbuffo.
“Ho qualche buon motivo per essere paranoica.”
Lui si accomoda meglio sul divano.
“Sì, ce l’hai, ma pensa che mamma è morta e non può più farti del male e che hai la forza necessaria per cacciare papà se si facesse vivo.”
Io sbuffo.
“Immagino, ora che sono la fidanzata di una ricca rockstar sarò molto più interessante della Wen tatuatrice, si potrà vantare con gli amici.
Mi viene da vomitare.”
“Anche a me, ma sa come è fatto il vecchio.”
“Lo so, lo so.”
Rimaniamo a lungo a chiacchierare tanto che quando arriva Jack mi trova ancora in compagnia di mio fratello.
Merda! Stasera mi aveva invitato a cena!
“Ciao, Jack.”
“Ciao, Andrew.”
“Ragazzi, vado a prepararmi!”
Urlo a tutti e due, mio fratello è sorpreso, ma ci penserà il mio ragazzo a spiegargli la situazione.
Mi faccio una doccia veloce e poi mi metto davanti all’armadio, scartando mentalmente quasi tutti i vestiti, non ne ho uno che vada bene!
Alla fine – in preda alla disperazione – metto un tubino nero che Holly mi aveva regalato secoli fa e che spero non mi faccia sembrare una stracciona.
Mi trucco pesantemente di nero e metto un paio di scarpe nere dal tacco troppo alto – un altro regalo di Holly – e scendo dabbasso.
Mio fratello e Jack stanno ancora parlando, ma si interrompono entrambi quando mi vedono, ricevo due fischi di approvazione, spero siano sinceri.
“Stai benissimo, sei uno schianto!”
Mi dice Jack, dandomi un lieve bacio sulla guancia.
“Ti lascio in compagnia di tuo fratello, adesso vado a rendermi presentabile.
Spero di non sfigurare.”
“Ma non dire cazzate!”
Balbetto io, rossa come un pomodoro.
“Stai davvero benissimo, sorellina.
Lui ti fa stare bene, non come James.”
“Cosa vorresti dire?”
“Nulla, semplicemente che quando stavi con Jimmy avevi sempre un fondo di preoccupazione per la storia della droga, ora non ce l’hai.”
“Già.”
Io mi rabbuio per un attimo, Jimmy rimarrà sempre una spina di ghiaccio conficcata nel mio cuore, che sia freddo o caldo.
“Scusa, forse non avrei dovuto nominarlo, non è un argomento facile per te, vero?”
“Sì e non lo sarà mai, se mi fossi impegnata di più forse a quest’ora Jimmy sarebbe ancora vivo, non saremmo insieme, ma il fatto che fosse vivo mi sarebbe bastato.”
“Ma è morto.”
“E io ho pianto tutte le mie lacrime, esaurito le mie preghiere e bestemmie su quella tomba fredda per niente, non potrò mai più rivedere il sorriso di Jimmy.
È per questo che ho paura del fatto che Jack sia così perfetto, ho paura che qualcosa me lo porti via.”
Lui mi appoggia una mano sulla spalla.
“Andrà bene, non ti devi preoccupare.”
Io sospiro, vorrei condividere il suo pensiero positivo, ma non ci riesco.
Cinque minuti dopo Jack scende, indossa dei jeans scuri, una camicia nera e un paio di anfibi, secondo me è bellissimo e probabilmente sto iniziando a sbavare perché mio fratello mi dà una gomitata, come per farmi riprendere.
“Jack, sei bellissimo!
Cazzo, dovrò agire peggio di piranha per tenere le ragazze lontane da te.”
Lui ride.
“E dimmi, piranha, dove pensi di mettere le tue armi?”
“Nella mia borsa di Mary Poppins penso che un carro armato o due ci stiano.”
Lui scoppia a ridere.
“La mia ragazza mena!”
“Ed è anche brava, te lo posso garantire!”
Sorride mio fratello.
“Adesso vi lascio andare, buona cena!”
“Grazie!
Ah, Andy sai dove sia Holly?”
“Fuori a cena con Alex, prima ti è arrivato un messaggio e te l’ho letto, scusami.”
“Non fa niente, l’importante è che sappia dov’è.”
Usciamo tutti e tre e io salgo nella macchina di Jack, non mi sono ancora abituata a questo suv enorme.
“Non sei ancora riuscita ad abituarmi alla mia macchina?”
“No, Jack, no.”
Lui sorride in maniera inesplicabile.

 

Il ristorante che ha scelto è un giapponese costoso e bellissimo.
Non ho mai visto qualcosa di così raffinato e allo stesso tempo accogliente, si vede che tengono in gran considerazione i clienti, il personale è gentilissimo.
Ci accompagnano al separé dove c’è il nostro tavolo, il separé è fatto da carta color panna con sakura rosa e gru azzurrine che volano via, il tavolino è basso e coperto da una semplice tovaglia bianca con un fiore di loto rosso e arancione al centro.
“È meraviglioso, Jack!”
Dico con una voce spezzata che non riconosco nemmeno più come la mia.
“Sono contento che ti piaccia. Non è facile azzeccare le cose con te, sei una rosa con molte spine.”
Io arrossisco e abbasso gli occhi.
“Merda, ho parlato troppo! Wen, non fare caso a tutto quello che esce dalla mia bocca, la maggior parte delle volte sono stronzate.”
“No, hai ragione, Jack.
Forse non dovresti perdere il tuo tempo con me.”
“Perdere il mio tempo con te è la cosa che mi piace di più dopo la musica, non fare caso alle cazzate che posso dire ogni tanto. A volte sono davvero stupido.”
“Grazie, Jack. Sei davvero carino.”
Lui sorride.
“Sei la mia ragazza, devo e voglio essere carino con te, tanto poi torno a fare lo stupido quando c’è Alex nelle vicinanze.”
La mia faccia si rabbuia.
“Non in quel senso, diciamo solo troppe cazzate, niente di sessuale, mi credi?”
Io sospiro.
“Sì, ho qualche altra scelta?”
“Beh, potresti lasciarmi e trovarti un ragazzo meno cazzaro.”
Io non dico nulla.
“Non mi interessa trovare un ragazzo meno cazzaro, l’importante è che rimangano cazzate.”
L’arrivo della cameriera con i menù interrompe questa imbarazzante conversazione, tutti e due ci immergiamo nella letture con troppa concentrazione.
Vorrei essere diversa, meno rotta, più leggera e meno problematica; ma io sono quello che sono e purtroppo non si può cambiare, ho delle zone di cuore e di cervello che sono irrimediabilmente danneggiate e nulla le potrà mai riportare all’innocenza originaria.
Ordiniamo entrambi non appena arriva la cameriera.
“A volte non ti capisco, sai?
Sembri così fredda e spaventata allo stesso tempo.”
Io alzo la mia mano ferita.
“La vedi questa mano?
Rappresenta come sono stata trattata per tutta la mia vita, fino a quando sono rimasta con mia madre. Mai una carezza, mai un “brava”, solo insulti, pugni e sberle e il mandarmi a calci in culo a prendere l’alcool al drugstore. Mi viene strano pensare che qualcuno si interessi a me o mi ami e mi voglia proteggere. Con Jimmy ero io che dovevo proteggere lui e il problema non si è mai posto, ora sì e sono spaventata, curiosa e felice allo stesso tempo.
Non so bene come comportarmi e tante volte penso che sia solo un sogno, uno di quelli lunghi e particolareggiati che ti lasciano l’amaro in bocca quando ti svegli.”
“Non è un sogno.”
“No, non lo è. Perdonami se a volte ti sembro fredda o strana, per te è la prima relazione importante mi hanno detto, per me è lo stesso, ce la sto mettendo tutta.”
“Anche io, possiamo farcela insieme, se non molliamo.”
Io sorrido, un po’ commossa.
“Ce la faremo e adesso pensiamo qualcosa di più allegro.
Come sono andate le registrazioni?”
“Bene, anche se Alex era comprensibilmente sulle nuvole. Sono felice di vederlo così, forse con tua cugina ha davvero trovato la pace.”
“Le nuvole hanno smesso di inseguirlo?”
Lui sorride, cogliendo il riferimento.
“Sì, direi di sì.”
“Sono contenta per lui e per mia cugina.”
“Un po’ ti sei affezionata ad Alex?”
“Un po’ sì. Mi è stato accanto quando sono stata all’ospedale anche se non ne aveva motivo. Mi fa piacere quando la gente rimane, è una variazione insolita, ma piacevole.”
Lui ride.
“Anche lui si è affezionato a te, ma non vuole ammetterlo, dice che ti tratta così solo perché sei la mia ragazza. È un finto burbero della madonna.”
Questa volta rido io.
La cameriera ci serve i primi, io guardo con una punta di invidia il suo chimono, ho sempre desiderato averne uno.
“Quanto vorrei avere un chimono.”
Sospiro sognante.
“Se e quando andremo in Giappone te ne porterò uno o meglio ancora verrai anche tu e sceglierai quello che ti piace di più.”
I miei occhi si illuminano.
“Sarebbe fantastico!”
Lui sorride e cominciamo a mangiare.
È tutto buonissimo, anche il secondo, non ho mai mangiato così bene.
“Complimenti per la scelta del posto. È stato fantastico!”
“Sono contento che ti sia piaciuto. Adesso cosa facciamo?”
“Non possiamo tornare a casa?”
Chiedo stupita.
“No, credo ci siano Alex e Holly impegnati a riconciliarsi.”
Io alzo un sopracciglio.
“Ma lui non ha una casa sua?”
“A volte me lo chiedo anche io…”
“Ti piace averlo intorno.”
Lui si gratta il mento.
“Prima, quando non c’eri tu, sì; adesso vorrei un po’ di privacy..
Sai com’è…”
“Sì, so come è.”
Scoppio a ridere come una deficiente, senza un motivo preciso. Forse non avrei dovuto bere il sakè a fine pasto, mi rende troppo euforica.
“Stai bene,  Wen?”
“No, mi sa che non avrei dovuto bere a fine pasto, mi sento … brilla.”
Lui fa una faccia strana.
“Andiamo in spiaggia, ti va?”
“Va bene, almeno posso togliermi i tacchi.”
Saliamo in macchina, io inizio a canticchiare “I miss you” dei blink.
“Hai una voce carina.”
“Grazie, erano secoli che non canticchiavo qualcosa. Non va bene, sto perdendo il controllo.”
“Non ti piace, vero?”
Io scuoto la testa.
“No, non molto.”
Lui parcheggia vicino alla marina e scendiamo, tira una brezza piacevole, quasi come una carezza dal cielo.
“Che bello stare qui!”
Imbocchiamo la prima entrata per la spiaggia, io mi tolgo le scarpe e mi godo la sensazione della sabbia morbida sotto i piedi.
Che bello!
Jack mi raggiunge e – mano nella mano – mi porta fino al limite della battigia, poi mi fa sedere.
Guardiamo un po’ il cielo, cullati solo dal rumore del mare e della brezza, poi lui si sdraia sulla sabbia.
“Come mai ci siamo fermati qui?”
“Per non bagnarci i vestiti.”
Io sorrido, mi alzo in piedi e corro verso l’oceano e mi ci butto, fregandomene del vestito elegante, del freddo e del fatto che potrei sentirmi male.
“Wen!”
Sento la voce di Jack chiamarmi e poco dopo anche lui entra in acqua e cerca di acchiapparmi, io rispondo con uno spruzzo e scivolo via dalla sua presa.
Iniziamo a schizzarci e a giocare come bambini, quando finalmente riesce a prendermi mi godo la stretta delle sue braccia.
Lo guardo negli occhi e lascio che la magia di questo moneto mi travolga, iniziamo infatti a baciarci con passione, io ancora saldamente i miei piedi sulla sua schiena, lui mi stringe ancora di più.
Bacio dopo bacio, dalla mia posizione sento qualcosa premere all’altezza del cavallo dei suoi pantaloni.
“Forse è meglio uscire.”
“E non finire quello che abbiamo iniziato?”
“Perché finirlo in mare con il rischio di venire scoperti quando possiamo finirlo in un comodo letto dentro casa nostra?”
Gli faccio l’occhiolino.
Ecco, sto di nuovo perdendo il controllo!
“Mi sembra una buona idea.”
Usciamo in braccio dall’acqua, lui raccoglie le mie scarpe e mi porta alla macchina, in acqua non avevo freddo, ora sì. Lui mi  mette galantemente intorno alle spalle una felpa asciutta che trova in macchina.
Durante il viaggio c’è un po’ di tensione, ma tutto sommato sto bene.
Forse sto per fare l’amore con lui, ce la farò?
O le mie paure me lo impediranno?
Tra poco lo scoprirò.

 Angolo di Layla.

Ringrazio _redsky_ e Mon per le recensioni.

 

 

 

 

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Capitolo 13
*** 12) She loves you, yeah yeah yeah! ***


12) She loves you, yeah yeah yeah!

 

Ci sono certe sere in cui sai che la tua vita sta cambiando.
Questa è una di quelle, sono seduta sul sedile passeggero del suv di Jack, avvolta in una felpa che sa tremendamente di lui a chiedermi cosa succederà stanotte.
Parcheggia in garage e mi aiuta a scendere, stranamente la porta che dà accesso alla casa è aperta, il che significa che lassù Holly e Alex forse si stanno dando da fare.
Jack ride e sale di corsa le scale, io lo seguo tentennando a piedi nudi, cosa vuole fare questo matto?
 Mi ritrovo davanti alla camera di Holly, lui sta battendo i pugni sulla porta.
“Ehi, io e Wen ci vogliamo dare da fare, vedete di non disturbarci!”
“Jack!”
“Amore, metto le cose in chiaro!”
Dall’altra parte della porta giunge una risposta altrettanto idiota.
“Chi vi disturba, staremo in ascolto dietro la vostra porta tutto il tempo!”
Segue un “Alex” imbarazzato.
La porta si apre subito dopo e ne esce un Alex disinvoltamente in mutande, dietro di lui mia cugina ha messo una maglia per coprirsi.
Alex dà un’occhiata eloquente ai nostri vestiti bagnati.
“Uh, vedo che avete cominciato nell’oceano!
Adesso comunque ce ne andiamo, Holly mi ha ricordato che ho una casa.”
“Santa donna, quella Holly!”
Risponde ironico Jack, Alex ride.
I due si vestono e li accompagniamo alla porta, quando Alex se la chiude alle spalle tira un sospiro di sollievo e mi prende in braccio. La mia testa è all’altezza del suo cuore, lo sento battere forte, esattamente come il mio.
Mi porta in camera e mi deposita sul letto, io inizio lentamente a togliermi i vestiti bagnati e lui fa lo stesso. Finito, io mi alzo e lo guardo fisso in quegli occhi scuri che amo, dentro c’è del desiderio mischiato all’amore.
Mi alzo sulle punte dei piedi e lo bacio, lui ricambia e mi stringe tra le sue braccia.
Il bacio diventa sempre più passionale e noi arretriamo verso il letto, respirando sempre più velocemente.
Finiamo per caderci sopra e rotoliamo in cerca di un posizione più comoda, trovata lui inizia ad accarezzarmi ovunque, soprattutto nella zona del seno, io emetto deboli gemiti.
Con una mossa a sorpresa mi toglie il reggiseno e inizia a giocare con i miei capezzoli, per un attimo mi irrigidisco, ma poi penso al suo sguardo e torno a rilassarmi.
Ci sa davvero fare perché poco dopo le mie mani – di loro spontanea volontà – affondano nei suoi capelli i li tirano leggermente per far sì che non si stacchi.
Lo sento sorridere mentre gioca con un mio capezzolo, poi inaspettatamente alza la testa.
“Se non vuoi fermami, ok?”
“Ok!”
Rantolo io.
“Adesso provo a fare una cosa.”
Con una mano scende lentamente verso la mia intimità fermandosi giusto un attimo ad accarezzare la mia pancia e la cicatrice. Si ferma un attimo e la bacia.
“Se non ci fosse questa non ci saresti più tu!”
La sua mano scende ancora e sento un dito nella mia femminilità, lo muove piano per farmi abituare, io ansimo più forte. Vorrei che non smettesse mai.
Alla fine aumenta dita e velocità e io vengo travolta dal mio primo orgasmo.
“Wow!”
Mormoro senza fiato.
“Siamo solo all’inizio.”
Io guardo lui e poi il suo pene eretto.
“Vuoi? Dopo non so se sarei in grado di fermarmi, Wen.”
“Sì.”
Entra delicatamente in me e si muove con dolcezza.
“Sei ancora vergine!”
Constata sorpreso, io volto la faccia dall’altra parte e annuisco.
“È meraviglioso, sono il primo!”
Con un colpo un po’ più forte degli altri smetto di esserlo, fa un po’ male, ma è sopportabile.
Lui continua con spinge lunghe e più forti di prima fino a che non raggiungiamo l’orgasmo insieme, le mie unghie sono conficcate nella sua schiena, la sua faccia è praticamente sepolta tra le mie tette.
Rimaniamo attimi eterni in silenzio in questa posizione.
Alla fine è lui a rompere il silenzio.
“Allora, come è stato?
Sono stato all’altezza? Ti è piaciuto?
Forse avremmo dovuto farlo da sobri!”
Io gli appoggio delicatamente un dito sulle labbra – pensando che ho scoperto una nuova cosa, quando Jack è nervoso parla a macchinetta – e lui si calma.
“È stato molto bello, sei stato all’altezza e ora potrò ricordarmi una meravigliosa prima volta con il bellissimo chitarrista degli All Time Low.”
Lui ride e mi dà un bacio sul naso.
“Ma per te non sono solo questo, vero?”
“No, per me sei semplicemente Jack, il ragazzo del Magazzino, non mi interessa che tu sia famoso.
Lo giuro!”
Lui sospira.
“Odio quando la gente si riferisce a me come il Jack degli All Time Low, quello famoso.”
“Sì,capisco. Con me non corri questo rischio.”
“Tutto il contrario, non mi volevi perché ero famoso.”
Io arrossisco.
“Beh, sono un po’ strana.”
“Mi piace il tuo essere strana.”
La vibrazione del cellulare di Jack interrompe questo momento di tenerezza, lui apre il messaggio che è appena arrivato.
“Allora, concluso?”
“Pensi di rispondergli?”
Chiedo io mezza divertita e mezza confusa.
“Uhm, sì. Qualcosa come “Certo e meglio di te.””
“Potresti aggiungere che mi fa paura quando fa lo stalker?”
“Ai suoi ordini”
Mentre io mi fumo una sigaretta stretta tra le sue braccia lui risponde al suo amico, le sue dita volano rapidamente sulla tastiera e io ne sono incantata.
Spedito il messaggio mi scrocca una sigaretta e fumiamo insieme in silenzio, poco dopo arriva la risposta di Alex.
“Sei il solito spaccone! Buonanotte.
PS: di’a Wen che le voglio bene <3!”

Scuotiamo entrambi la testa e Jack digita la buonanotte al suo amico, poi sbadiglia vistosamente.
Finiamo la sigaretta e lui mi stringe a sé ancora di più, ho la testa all’altezza del suo cuore e lo sento battere forte.
“Ti amo.”
Sussurro mezza addormentata.
“Ti amo anche io, Wendy.”
Poi il sonno ci coglie entrambi.

 

La mattina dopo veniamo svegliati da misteriosi rumori provenienti dal piano di sotto.
“Che succede per te?”
Chiedo a Jack.
“Non lo so, ma ho una mezza idea.”
Scendiamo e troviamo Alex che traffica in cucina, sotto lo sguardo corrucciato di mia cugina.
“Credo di avertelo chiesto circa un milione di volte da quando ci conosciamo, ma tu non hai una casa tua?”
“Sì, certo che ce l’ho, ma mi sento solo e poi ho solo accompagnato la mia ragazza a casa.
Cosa c’è di male?”
Io sospiro.
“È una battaglia persa con te, te la cavi sempre.”
“Ma tu mi vuoi bene per questo,no?”
Mi risponde, facendomi gli occhi dolci.
Io sospiro e gli faccio segno di avvicinarsi, poi lo abbraccio.
“Sì, nona piaga d’Egitto, sì.”
“Ehi, Jack la tua ragazza mi ha appena detto che mi vuole bene!”
Lui applaudisce sarcastico.
“Bene, adesso mi vuoi dire cosa stavi tentando di fare nella mia cucina?”
Alex sbuffa.
“Jack, preparavo la colazione, cosa volevi che stessi facendo in cucina?”
“Giusto, hai una cucina  enorme e super accessoriata e per bere un po’ di caffè, poco altrimenti cominci ad arrampicarti sui muri come una scimmia, vieni da me.”
“Sì, secondo me fila come ragionamento.”
Scuotiamo tutti la testa e ci sediamo al tavolo. Alla fine Alex mette in tavola, bacon e uova, pancakes, caffelatte, caffè, biscotti; alla fine non è poi così male.
“Hai mai pensato di lavorare come cameriere?”
Gli chiedo addentando una brioches.
“Sì, ma solo se gli All Time Low avessero fallito e io non fallisco mai su certe cose.”
“Ma sentitelo! Mister perfezione!”
“Amico, in questo caso devo dare ragione alla mia ragazza!”
Alex scuote la testa.
“Oh, Jack! Ti ha proprio stregato!
È così bello vederti innamorato, ti ci voleva proprio Wen.”
Io arrossisco.
“Cioè?”
“Jack era un irresponsabile prima di te, cambiava spesso ragazza e poi si lamentava di non trovare quella giusta. Fortuna che sei arrivata tu e l’hai cambiato, altrimenti ben presto avrebbe messo incinta una groupie.”
Io sorrido in modo enigmatico. Un po’ mi da fastidio questa notizia, ma non ho nessun diritto di lamentarmi, io non ero la ragazza di Jack allora, lui poteva fare quello che voleva.
Questo è quello che dice la mia parte logica, la mia parte più sentimentale è come offesa da queste cose e anche un pochino spaventata.
Mi alzo dal tavolo e vado in soggiorno a raggomitolarmi sul divano, pensierosa. Di là sento Holly rimproverare aspramente Alex e la sua boccaccia.
Mi dispiace di avere creato una specie di conflitto, ma per me l’amore è ancora un mistero e non so bene come comportarmi, anche se so che è assurdo incolpare di tradimenti che non erano tali.
Poco dopo si siede vicino a me.
“Scusa.”
Gli dico.
“Per cosa?”
“Per aver reagito da scema gelosa alle parole di Alex, dopo dovrò scusarmi anche con lui.”
Lui sorride.
“Se sei gelosa significa che ti importa di me.”
Io lo guardo con gli occhi sbarrati.
“Avevi qualche dubbio?”
“No, solo che a volte è davvero difficile leggere nei tuoi comportamenti. Non sei come le altre ragazze, sei più chiusa, tieni bene i segreti se necessario.”
“Sì, lo so. È che è così stupida questa reazione che non sembra nemmeno la mia.”
“Forse sei davvero innamorata!”
Sorride felice e mi prende in braccio facendomi girare tra le sue braccia.
“Jack!”
Esclamo io, rossa come un peperone.
“Si è innamorata, si è innamorata di me!”
“Sìììì, ma adesso mettimi giù!”
Mi mette giù.
“Vai a cambiarti, oggi è il primo giorno di riabilitazione della tua mano e ti accompagno io.”
“Ma così perdi un giorno di registrazioni! Avevo chiesto a Holly di venire.”
“E io le ho detto che sarei venuto io, non potevo mancare a un appuntamento così importante.”
Ormai sono praticamente viola.
“Ma ti annoierai a morte!”
“Non fa niente e adesso fila a cambiarti!”
“Agli ordini!”
Mi porto alla fronte la mano buona e vado al piano di sopra ridendo, non so se per la gioia o per l’isteria, forse per un misto delle due cose. Mi metto una comoda tuta da ginnastica e vecchie All Star rosse, Jack mi passa una mano intorno alla vita e usciamo insieme.
Il vento di gennaio è ormai un ricordo, siamo a fine febbraio e comincia ad esserci una piacevole temperatura mite, che fa sbocciare i fiori nel giardino e sugli alberi.
Ci dirigiamo verso una struttura sulle colline della città in cui si fa riabilitazione, un posto magnifico, con un grande parco, così me l’ha descritto jack. Lui guida pigramente, rilassato e sorridente, ha una mano appoggiata su una mia coscia e fischietta “I miss you” dei blink.
“Sai una cosa?”
“No.”
“Tu prima ti sei sentita stupida perché ho avuto delle ragazze prima di te e hai reagito male. Io non sono da meno, io sono geloso di questo Jimmy, lui è stato il primo, avrei tanto voluto essere io.”
Io lo guardo a occhi sgranati.
“Ma tu sei stato il primo!”
Lui scuote la testa.
“No, non in quel senso. Avrei voluto essere il tuo primo amore, quello che ti ricordi per tutta la vita.”
Io rimango un attimo in silenzio.
“Beh, non sei il primo, ma potresti l’ultimo mio amore, quello che ti fa compagnia e ti sostiene per tutta la vita.”
Lui rimane in silenzio e io mi pento immediatamente della mia uscita, ai ragazzi non piace essere imprigionati, parlano raramente di matrimonio o del “per sempre”!
“Beh, può darsi.”
“Scusa!”
“Per cosa?”
“Per quello che ho detto, forse ho sbagliato la tempistica.”
“Non ti preoccupare.”
Alla fine di una strada tutta a curve che si snoda nel verde delle colline della città degli angeli troviamo un cancello, Jack suona e poi si annuncia.
Il cancello si apre, la strada continua nella pace di un giardino magnifico, lui parcheggia e io mi perdo nella contemplazione di una villa degli anni ’20 riadattata per essere un istituto di cura, è magnifica.
“Wow!”
“Bella, vero?
Sapevo ti sarebbe piaciuto.”
Ci sorridiamo a vicenda e mano nella mano entriamo in quello che si rivela un atrio luminoso sui colori del bianco panna. Jack mi trascina all’accettazione e chiede alla donna presente dove si tengono le sedute di fisioterapia. Lei controlla l’agenda e mi chiede se sono Gwendolen O’Connor, io annuisco.
“Perfetto, il dottor Warren l’aspetta nell’ambulatorio 4. Imboccate questo corridoio e poi girate subito a sinistra, l’ambulatorio 4 è l’ultimo.”
“Grazie mille, signora.”
Seguiamo le sue indicazioni e ci troviamo in una stanza molto grande, dietro a una scrivania siede un dottore molto bello sui quarant’anni.
“Buongiorno, sono il dottor Warren. Siete la signorina O’Connor?”
Io annuisco.
“E il giovane che l’accompagna è il suo ragazzo, deduco.”
“Deduce bene, mi chiamo Jack Barakat e sono il suo ragazzo.”
Non è sgarbato, ma il modo in cui ha calcato quel “suo”mi fa capire che sta marcando il territorio.
“Molto bene, mi faccia vedere la mano.”
Io gliela porgo, lui toglie la fasciatura e la tocca in vari punti.”
“Mi sembra che qui sia stato fatto un ottimo lavoro, adesso le insegnerò di nuovo a muoverla, dovrebbe recuperare a pieno le sue funzionalità. La signorina Finch mi ha detto che lei tatua per lavoro, con la giusta riabilitazione potrà lavorare di nuovo.”
Io annuisco sollevata.
Lo spero con tutto il cuore, non mi piace l’immobilità forzata e poi mi manca il mio lavoro e non voglio che quel Ryan o Bryan metta radici in un posto che non è il suo.
Iniziamo gli esercizi e – per quanto il dottore sia delicato – mi fa male.
“Lo so che fa male, signorina, ma purtroppo le è stato inferto un brutto colpo.”
La serata dura un’ora, la mano  mi fa malissimo e dobbiamo tornarci la settimana prossima appena fuori dall’edificio Jack comincia a ringhiare senza motivo.
“Ehi, pensavo ti chiamassi Jack, non Jake!”
Lui sbuffa.
“Quel dottore fa il cascamorto con te.”
Io scoppio a ridere.
“Ma è impossibile, potrei essere sua figlia, non credi di esagerare?”
Lui mi guarda torvo.”
“Non esagero. So riconoscere un uomo quando è a caccia di una preda e tu o meglio la mia reazione l’ha stuzzicato. Stacci attenta.”
“Ehm, ok.”
Concludo incerta. Non credo che il dottor Warren sia davvero interessato a me, ma non mi costa nulla seguire le indicazioni di Jack.
Va bene, la prossima volta starò attenta.

 

 Angolo di Layla

Ringrazio di cuore _redsky_ e Mon per le recensioni. Grazie mille per continuare a seguire questa storia <3!

Siamo circa a metà e ci sarà un seguito.

 

 

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Capitolo 14
*** 13)Venice I ( lets's make this night lasts forever) ***


13)Venice I  ( lets's make this night lasts forever)

 

La settimana trascorre tranquilla, anche se sono sicura che ci sia qualcosa che bolle in pentola.
Jack, Alex e Holly hanno tutti e tre un’aria da cospiratori che mi fa temere il peggio.
Cosa diavolo hanno in mente quei tre?
Sabato mattina noto che il mio armadio sembra più vuoto del solito, chissà dove saranno finiti i miei vestiti?
È un mistero che vale la pena di indagare, la sparizione massiccia di vestiti non è una cosa normale.
Vorrei chiederlo a Jack, ma Alex mi tiene impegnata tutto il pomeriggio parlando di cazzate e il mio ragazzo lo vedo solo di striscio.
Ma che diavolo?!
Verso le sei Jack riappare con uno strano sorrisetto sulle labbra.
“Stasera usciamo, Wen. Vai a prepararti.”
“Ehm, ok. Devo essere elegante o cose del genere?”
Gli chiedo con un fondo di pietà nella voce. Lui lo sa quanto io odi litigare con vestiti, spacchi, tacchi e piastra. Jack scuote la testa con enorme mio sollievo.
Volo a farmi una doccia.
Finita, vado in camera nostra mi metto un paio di jeans stracciati, una maglietta dei blink e un felpa dell’Adidas gialla con le righe sulle spalle verdi, mi trucco di nero e metto un paio di anfibi con delle margherite disegnate sopra. Li ho decorati io al liceo, secoli fa, e ancora resistono.
Prendo una borsa e scendo in salotto.
Holly e Alex sono troppo sorridenti – quasi falsi – qui gatta ci cova.
Entriamo in macchina, non faccio in tempo ad allacciare le cinture che Jack mi benda.
“Beh? Cosa vuol dire questa benda?”
“Che non voglio farti vedere dove stiamo andando.”
“E perché mai?”
“Perché voglio che sia una sorpresa!”
Risponde lui, felice come una pasqua, incurante delle mie imprecazioni e dei miei grugniti.
Non mi sono mai piaciute le sorprese, di solito finiscono male.
Lui continua a guidare fischiettando, io vorrei ucciderlo, mi sento patetica con questa cosa sugli occhi e con il mio abbigliamento sciatto.
E se volesse portarmi in uno di quei ristoranti ultra lussuosi?
No, non può essere così, mi avrebbe detto di mettermi elegante, non normale. Inizio a sudare freddo, magari mi presenta ai suoi.
Cristo, non sono pronta!
Iniziano a tremarmi le gambe, non può davvero portarmi dai suoi senza un minimo di preparazione, e se non piacessi a sua madre?
E se suo padre mi trovasse troppo strana o una troia?
“Jack, dimmi dove stiamo andando o impazzirò prima. Potrei farti del male, sai?”
“Con una mano sola e almeno venti centimetri di altezza in meno?”
Mi chiede ironico, io sbuffo. Odio che mi sia ricordato che sono bassa.
“Jack, cazzo!”
La macchina si ferma  all’improvviso e poi fa manovra, stiamo parcheggiando. Finito, mi aiuta  scendere e mi dà in mano una valigia, le altre le prende lui e mi toglie la benda.
Siamo all’aeroporto di Los Angeles.
“Cosa ci facciamo qui?”
Chiedo con la gola secca, guardando l’edificio come se fosse un demone spaventoso e terribile.
“Ti porto a fare una vacanza a Venezia.”
Io tiro un plateale sospiro di sollievo, mollo la valigia e gli salto addosso facendoci cadere a terra.
“Woah! E dire che fino a poco fa volevi uccidermi!
Come sono  volubili le donne!”
Io rido sul suo petto.
“Scemo, pensavo volessi presentarmi ai tuoi e mi stavo cagando in mano!”
Lui ride come un matto.
“Questo te l’avrei detto, stai tranquilla.
Adesso è meglio tirarci in piedi o rischiamo di perdere l’aereo.”
Io annuisco, raccogliamo le valige ed entriamo nell’aeroporto, facciamo il check-in e poco dopo chiamano il nostro volo, diretto a Milano Malpensa.
Noi corriamo tenendoci per mano e ridendo, gli altri ci guardano senza capire, solo noi sappiamo perché ci stiamo comportando così: stiamo regredendo all’età infantile.
Saliamo sull’aereo e ci mettiamo ai nostri posti, io sono eccitatissima.
“Non sono mai stata all’estero e poi… Venezia! La città dell’amore e dei misteri!
Ci sono un sacco di isolette con leggende macabre da visitare.”
Credo che i miei occhi siano ormai a forma di cuore.
“Con tutte le cose romantiche che ci sono tu hai deciso di fissarti sul macabro?”
Io arrossisco violentemente.
“Sono fatta così.”
“Lo so e va bene, non ti preoccupare.”
Io sorrido, rassicurata.
Mi metto a leggere un tascabile sulla città che Jack si è procurato e in cui c’è anche una mappa.
“Ma Milano è lontana da Venezia, come ci arriviamo?”
“Ho prenotato dei biglietti del treno.”
“Capito. Sarà bellissimo!”
Lui si gratta la testa.
“Lo spero. Quando inizierà il tour non potremo vederci così spesso così cerco di fare il romantico adesso che posso e che ti ho vicina.”
Io sospiro.
“Non pensiamoci, non adesso. Sarebbe triste.”
“Hai ragione, adesso dobbiamo pensare all’avventura!”
“Come la compagnia dell’anello, che tracce senti, Ramingo?”
“Perché a me tocca Aragorn? Legolas mi piace di più.”
“Uhm, tu non sei biondo e poi ti chiamano il principe persiano.”
Lui ride.
“E tu chi saresti?Arwen?”
“Dovrei, ma mi piace di più Èowyn.”
“Ah, ci avrei giurato! Tu non sei una che aspetta, sei una cha agisce.”
“Beh, più o meno sì.
Oh, arriva la cena!”
Mangiamo il cibo triste che ci propinano sui voli e poi io mi metto a guardare il cielo, vedo le nuvole e – a tratti – le luci delle città che  scorrono sotto di noi.
“Che bello!”
“Sì, molto. È sempre bello.”
“Per te è noiosa routine, vero?”
“Sì, ma mi piace guardare le città dall’alto.”
Io sorrido.
Le luci si spengono e ci prepariamo per la notte, con qualche difficoltà riesco ad abbracciare Jack, non riuscirei a dormire da sola, sapendo che le sue braccia sono a pochi centimetri da me.
La luna si alza in cielo e io, per contrappasso, cado nel mondo dei sogni.
 

Mi sveglio che stiamo sorvolando la Spagna, credo.
Jack al mattino è sempre talmente rincoglionito che non sono certa che si ricordi come si chiama, meglio lasciarlo perdere.
Piano piano si sveglia, mi sorride, guarda fuori dal finestrino e la sua espressione si fa perplessa, poi torna normale.
“Credo siamo sopra la Spagna, ma non ne sono certo.
Spero che arrivi presto la colazione, ho fame.”
“Come sempre.”
Dico divertita, stringendogli la mano.
Il carrello con le bevande, i biscotti e qualche panino passa poco dopo. Jack ne prende una porzione abbondante e con un po’ di caffè in corpo sembra riprendersi un pochino.
“Dio benedica il caffè!”
Esclama alzando la sua tazza per fare un brindisi con la mia.
Beviamo e mangiamo e poi guardiamo il film che trasmettono sulla piccola tv dell’aereo, chissà tra quanto arriveremo a Milano?
Magari al ritorno potremmo farci un giro, dicono che sia la capitale della moda, potrei vestirmi decentemente per una volta.
“Cosa sta macchinando il tuo cervellino diabolico Gwendolen?”
“Ti dico solo una parola, Jack Barakat, Milano.”
“Non capisco.”
Io alzo gli occhi al cielo.
“È la capitale della moda.”
“Questo significa shopping e sfacchinare, no, non voglio andarci!”
“Ti prego!!
Siamo in Italia, sarebbe un sacrilegio non andarci! Quando posso tornarci?”
“Non credevo ti interessasse la moda.”
“E non mi interessa, ma per una volta voglio passeggiare tra quelle strade e guardare quelle vetrine.”
Lo guardo implorante.
“Sembri una bambina che prega suo padre di portarla alla sua giostra preferita.”

{“Papà, papà!”
Lo tiro per una manica.
“Andiamo a fare un giro sulla ruota panoramica?”
Lui mi stacca scocciato e mi dà una sberla.
“Lo sai che sei troppo piccola per quella roba e poi non ne ho voglia. Smettila di rompere, Wendy!”}

Mi rabbuio per un attimo e lui lo nota.
“Ho detto qualcosa di sbagliato?”
“No, non ti preoccupare. È che ogni volta che imploravo mio padre per andare su una giostra lui non mi ci portava, tutto qua.”
Lui si intenerisce e incupisce allo stesso tempo, sembra odiare anche lui la mia famiglia, quella che mi ha lasciato così tante cicatrici addosso e che gli rende così difficile avere una relazione con me.
“Per Milano vediamo al ritorno, va bene?”
“Va bene e scusa se ti ho pressato con questa storia.
Mi sono comportata come una bambina stupida.”
Lui mi accarezza la testa.
“Sei una ragazza, alle ragazze – anche a quelle più punkettone – interessa la moda e se Milano è la capitale della moda è ovvio che ti interessi.
Siamo noi maschietti a essere tardi.”
Io gli do un bacio sulla tempia.
“Ti amo.”
Il volo atterra in una Milano nebbiosa e piovosa, l’Italia è il paese del sole, ma oggi deve essersi perso da qualche parte.
Lo dico a un’anziana turista inglese seduta accanto a me sul pullman che porta dall’aereo all’aeroporto e mi sorride.
“Non è proprio così, Milano è famosa per la sua nebbia in autunno e in inverno. Non ha nulla da invidiare alla mia Londra.”
Non lo sapevo, quante cose che non so!
Arriviamo all’aeroporto, prendiamo i nostri bagagli e li carichiamo su un carrello, io mi siedo in cima alla pila per la gioia di Jack che impreca a bassa voce.
Finalmente arriviamo fuori e possiamo caricare tutto su un taxi, Jack gli dice di andare alla stazione centrale. Il mio ragazzo guarda preoccupato l’orologio.
“Speriamo di non perdere il treno.”
“No, dai. Ce la faremo.”
Non ho calcolato il traffico, non appena l’uomo si ferma fuori da grande edificio, noi schizziamo via dalla macchina con i bagagli a seguito, siamo sul filo del rasoio.
Ci affanniamo a correre su per delle scale di marmo e poi su una successione di scale mobili, alla fine arriviamo ai binari, ordinatamente disposti sotto una cupola.
Ci voltiamo e guardiamo un grande cartellone con le destinazioni e il numero del binario, il nostro parte al sette. Corriamo verso la direzione indicata dalla serie di numeri e ci infiliamo dentro al treno – noi e i nostri bagagli – poco prima che le porte si chiudano e il treno parta.
Sospiriamo di sollievo e andiamo a mettere via i nostri bagagli e a sederci.
I binari della stazione centrale scorrono pigri davanti a noi, poi il treno prende velocità e a me viene sonno, appoggio la testa sulla spalla di Jack e mi addormento.
Vengo svegliata da un rumore e scopro che siamo a Padova.
“Quanto manca a Venezia, Jack?”
“Non molto, credo. Tanto non possiamo sbagliarci è il capolinea.”
Io rido.
“Sei incredibile. Chissà cosa ci sarà da vedere a Padova?”
“Non lo so, però..
Ehi! Un’estate ce la prendiamo solo per noi e veniamo a esplorare l’Italia da nord a sud. Ti va?”
“Trovo sia un’idea fantastica!”
I miei occhi scintillano al solo pensiero.
“Sei fantastico, Jack!”
Gli dico guardandolo felice.
Mi sento fortunatissima ad averlo accanto, come ho fatto a pensare di cacciarlo una volta?
Ora la mia vita non avrebbe senso senza di lui, riesce a farmi stare così bene che quasi quasi i ricordi peggiori del mio passato stanno sbiadendo.
È come con le fotografie, se le esponi a troppa luce bruciano e diventano bianche, lui è la mia luce.
Il resto trascorre tranquillo, io mi illuminano quando stiamo per arrivare a Venezia, la ferrovia è solo una striscia di terra in mezzo alla laguna  e la velocità ridotta del treno me la fa apprezzare ancora di più.
Venezia sembra il regno sconosciuto di qualche divinità acquatica vista da qui.
Alla fine entriamo in una grande stazione, quella di Venezia – che si chiama Santa Lucia – e il treno si ferma. Prendiamo le nostre cose e scendiamo, fuori c’è il sole e io respiro a pieni polmoni l’aria salmastra sulle scale della stazione.
Che bello!
Lui si ferma accanto a me e tace.
“Ti piace?”
“Penso sia meravigliosa, mi piace quest’aria salmastra e poi sono curiosissima di vedere piazza San Marco e tutte le calli. È una città così meravigliosamente misteriosa!”
Lui sorride e mi passa un braccio intorno alle spalle, lentamente – a causa dei bagagli – ci avviamo verso il centro, seguendo il flusso di gente.
Sarà una vacanza meravigliosa!
 

L’hotel che ha scelto Jack è stato ricavato da un vecchio palazzo veneziano.
Ha una sorta di lusso discreto che apprezzo molto, almeno non mi sent fuori posto, e poi se chiudo gli occhi posso immaginarmi uomini in parrucca e pantaloni corti e dame in crinolina che ballano, scherzano, flirtano e tessono intrighi.
La nostra camera da sull’incrocio di due canali, mi piace molto.
Mentre Jack va a farsi una doccia, io sistemo tutte le nostre cose. Finito, mi faccio io una doccia  e trovo Jack stravaccato sul divano con indosso solo un paio di pantaloncini e l’aria scazzata.
“Cosa c’è?”
“Non trovo canali che capisco! Ho trovato solo canali italiani, uno trasmetteva persino i Simpson, ma non ci ho capito nulla.”
Io litigo un po’ con la tv e il telecomando e alla fine riesco a trovare il modo di mettere la televisione satellitare così Jack può guardarsi quello che gli pare.
Manca poco a mezzogiorno, non ha senso farsi un giro per la città, quindi guardo anche io la tv con lui – che si addormenta.
Lo sveglio alle dodici e un quarto, lui mi guarda senza capire.
“Dobbiamo prepararci per il pranzo, Jack.”
Lui annuisce, mezzo addormentato.
“Ehi, sei nel paese della pasta e della pizza, dovresti essere felice!”
Alla parola “pizza” si rianima e si veste alla velocità della luce, invitando me a fare lo stesso, casomai arrivassimo e non ce ne fosse più.
Io eseguo e quando scendiamo al ristorante siamo i primi e – ringraziando Dio – c’è davvero anche la pizza tra i piatti del giorno.
Jack è felice e io sono felice con lui.
Mangiamo tranquillamente, chiacchierando e guardandoci intorno, tutti sono più eleganti di noi,ma con lui accanto non mi importa.
Finito di mangiare decidiamo di fare un giro in piazza San Marco. Dopo qualche difficoltà la troviamo e sfortunatamente troviamo anche un gruppetto di ragazze fan della band che si attaccano a Jack.
Io mi faccio da parte e aspetto che finisca tutto, anche se sento delle occhiate maligne che mi sfiorano. Ignoriamole – mi dico – sono solo delle bambine.
Alla fine una di loro si avvicina a me, ha al massimo quattordici anni e una faccia da bulla.
“Jack non è tuo, è di Alex. Lascialo stare.”
“Quanti anni hai, ragazzina?
Dodici?
Io alla tua età giocavo con le bambole  e non mi permettevo di dire a gente tanto più grande di me quello che dovevano o non dovevano fare.
Ah.. E vaffanculo, Jack è mio e me lo tengo.”
Lei mi guarda a metà tra l’incazzato e lo spaventato, io giro i tacchi e cerco di tornare al nostro hotel, ho le mani che mi prudono.
Come diavolo si è permessa quella nanerottola di dirmi cosa devo o non devo fare?
Come?
Ma i suoi non le hanno insegnato l’educazione?
Ok, mia madre non me l’ha insegnata, ma me l’ha insegnata la strada.
Non rompere il cazzo a quelli più grandi di te o ne prendi una caterva.
Sono così arrabbiata che non sento Jack chiamarmi e quando qualcuno mi afferra per un polso lo sto per insultare. Mi calmo  non appena vedo che è il mio ragazzo.
“Dove vai?”
“In hotel. Sono stanca.”
“Wen, cosa è successo?”
“Una delle tue fan mi ha appena informato che sei di Alex e che devo lasciarti stare!”
Con uno strattone mi libero della sua presa e me ne vado, in questo momento ho bisogno di stare da sola, non è una frase facile da digerire per me quella che mi hanno detto.
Ancora una volta la persona sbagliata al posto sbagliato sono io e tutto quel freddo che la presenza di Jack aveva scacciato torna nella mia anima.
Arrivata al hotel mi sdraio sul letto e comincio a piangere lacrime amare, avrei capito la ragazzina se mi avesse detto che voleva Jack per sé, ma così no. Fa male e basta.
Non so quanto tempo trascorre so solo che quando alzo la testa dal cuscino e cerco di mettere a fuoco dove sono la luce è sparita.
Poco dopo la porta si apre ed entra un Jack piuttosto triste, si siede accanto a me.
“Mi dispiace, Wen. Non avrebbe dovuto dirti quella frase, ma lo sai anche tu che esiste questa credenza che io e Alex stiamo insieme.
Forse non sono la persona adatta a te.
Ti troverai spesso in queste situazioni.”
“Non voglio perderti, sarò la tua ragazza fantasma.”
“Non voglio obbligarti a questa vita, non sarebbe giusto.”
Io mi asciugo le lacrime.
“E sarebbe giusto troncare la nostra storia per ragioni come queste?”
Lui rimane in silenzio.
“No, non sarebbe giusto.
Wen, cercherò di proteggerti in ogni modo da quello che riguarda il mio mondo e può ferirti.”
“Mi dispiace di esserti d’intralcio, dovrei farti forza.”
Lui mi appoggia un dito sulle labbra.
“No, tu non te ne accorgi,ma  mi dai la forza che mi serve.
Sei la mia piccola, cercherò di proteggerti.”
Io sorrido tra le lacrime, nessuno – Andrew escluso – mi aveva mai detto una cosa del genere.
“Grazie, Jack.
Ti amo.”
“Anche lui.”
Ci baciamo così nella luce morente del tramonto, sospesi nel tempo e nello spazio, all’incrocio di due canali destinati a scambiarsi per sempre acqua.
Esattamente come noi due.
In futuro potremo litigare o trovarci insopportabili, ma non riusciremo mai a staccarci ed è esattamente questo che voglio.
L’ho scritto sulla pietra del mio cuore a Venezia e così sarà a Los Angeles.

Angolo di Layla

Ringrazio _redsky_, LostinStereo3 e Mon per le recensioni. Se volete dare un'occhiata ho pubblicato due obne shot, una si chiama Coma black e l'altra è Best frieds till the end.

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Capitolo 15
*** 14)Venice II (ghosts on the dancefloor) ***


14)Venice II  (ghosts  on the dancefloor)

 

La sera è arrivata troppo presto oggi per i miei gusti, oggi.
È stata una giornata piena di tante cose, ma soprattutto di amore, la promessa di Jack mi avvolge come uno scudo.
Mi ama e mi proteggerà.
È un cavaliere moderno e un po’ fuori dagli schemi, ma so che manterrà la promessa.
Per cena indossa una camicia nera un paio di jeans dello stesso colore, io invece indosso un abito con una fascia sotto il seno e che poi cade largo sui miei fianchi e gambe, il tessuto sul seno è di seta pieghettata.
È carino e con un paio di scarpe a tacco alto e di gioielli scintillanti (roba di Holly) sto benissimo.
Scendiamo rilassati, io appoggiata al suo braccio che mi evita di fare una caduta spettacolare davanti a tutti.
Tiro un intimo sospiro di sollievo alla fine di quella scala, gli uomini non hanno idea di che razza di torture siano le scarpe a tacco alto.
Entriamo in una sala dai colori chiari, con un grande lampadario scintillante che questa mattina non avevo notato.
Il  menù che abbiamo scelto prevede pasta al sugo per tutti e due, una cotoletta per me e del pesce per Jack.
Ci sediamo al nostro tavolo, intimiditi.
Sembra di stare a un ricevimento e i soldi non hanno certo reso Jack uno di quei ragazzi eleganti e pieni di bon ton, nati per stare qui.
Io mi alzo, impacciata, e vado al buffet per prendere i nostri contorni, poi – una volta tornata indietro – aspetto che ci servano con nervosismo crescente.
“Spero che questa cena finisca presto!”
Mi sussurra Jack.
“Così ci facciamo un bel giro romantico dopo.”
Io annuisco.
Penso esattamente la stessa cosa.
Il cameriere ci serve la pasta in modo impeccabile, come se stesse servendo del caviale e non della banale pasta al sugo.
“Non pensavo fosse così. Spero tu non sia a disagio.”
“Solo un po’, sono lussi che non posso permettermi questi.
Con il mio lavoro, a meno che tu non sia davvero affermata, non si fanno i soldi, non che mi importi.
L’unica cosa che mi importa è vivere del lavoro che amo in una casa dignitosa e concedermi ogni tanto qualche lusso.”
“Casa vostra era molto carina.”
“Sì, ci eravamo impegnate a fondo per trasformarla,  ma mia madre ha rovinato tutto come al solito.”
“Ora non potrà rovinarti più nulla.”
“Hai ragione.”
Finita la pasta arriva il turno dei secondi, io mangio la mia cotoletta senza problemi, Jack litiga come un matto con il suo pesce.
“Ma perché ti accanisci così tanto?”
“Se una lisca mi va di traverso muoio!”
“E allora perché l’hai ordinato?”
“Non ne ho idea.”
Risponde lui grattandosi la testa.
“Sei strano.”
Rispondo sorridendo.
Finiti i secondi – Jack non si è strozzato con una lisca – arriva finalmente il dolce.
Lo mangiamo un po’ troppo velocemente, entrambi non vediamo l’ora di uscire dalla sala e fare un giro per Venezia.
Prima di andare saliamo in camera, io mi metto un paio di anfibi al posto delle scarpe a tacco alto – fregandomene del fatto che fanno a pugni con il vestito elegante – e il mio chiodo di pelle.
Jack approva il mio abbigliamento e insieme usciamo dal hotel, pronti a scoprire la città e a perderci nelle calli. Arriviamo a piazza San Marco,è bellissima nelle sue luci scintillanti e nella grande luna bianca.
Facciamo un giro sotto i portici, io mi incanto davanti a quelli che vendono oggetti in vetro che scintilla sotto la sapiente illuminazione.
Guardo anche le vetrine dei gioiellieri, poi Jack mi trascina al hardrock caffè dove ci prendiamo una birra e guardiamo per un po’ la band che si esibisce live, ovviamente compriamo anche le magliette del locale.
Nessuno riconosce il mio ragazzo ed è meglio così.
“Ora cosa facciamo?”
Gli chiedo.
Sono seduta su un pozzo chiuso in uno dei tanti cortiletti della città, gli occhi di Jack vagano veloci nella piazzetta ed individua qualcosa. Mi porge una mano per aiutarmi a scendere e poi mi trascina verso un punto.
“Vieni.”
Siamo davanti a un piccolo imbarcadero e presto – quasi dal nulla – appare un gondoliere.
Jack e l’uomo contrattano un po’ sul prezzo, poi con gentilezza il gondoliere – che si chiama Luigi – ci aiuta a salire sulla piccola barca.
È bellissimo navigare tra canali e canaletti, illuminati dalla luce della luna e da quelle delle case, molte hanno anche una porta che dà sul canale.
Mi piacerebbe moltissimo vivere qui, anche se non deve essere facile quando arriva l’acqua alta.
Luigi ci racconta mille aneddoti sulla città, alcuni sono interessanti, altri folcloristiche, intanto ci godiamo il giro. È molto bello, anche se alcuni calli sono davvero inquietanti con il buio illuminate scarsamente dai lampioni e dalla luce di qualche altra gondola di passaggio.
Jack ascolta anche lui, un braccio attorno alla mia spalla e ogni tanto mi bacia una tempia, lo adoro.
Finito il giro, salutiamo Luigi nella piazza in cui eravamo prima, stranamente però non siamo da soli: c’è una ragazza con un lungo vestito settecentesco seduta sul pozzo.
Io tiro Jack per un braccio e gliela indico con gli occhi, lui la guarda stupito.
“Forse c’è una festa in costume.”
Dice poco convinto.
“Magari si è persa, andiamo ad aiutarla.”
Io lo tiro per una manica e lui mi segue poco convinta, un minuti prima che io possa parlarle lei scende con grazia dal pozzo e si mette a correre. Io la seguo, nonostante Jack mi urli di non farlo, alla fine viene anche lui e ci troviamo a correre tra le calli semibuie della città.
Lei si ferma in un'altra piazzetta, dove c’è un uomo ad aspettarla.
I due si baciano sotto i nostri occhi increduli, anche lui veste alla moda settecentesca.
“L’avete vista anche voi?”
Una voce in italiano ci fa voltare e il cortile diventa improvvisamente deserto.
“Siete turisti?”
Noi annuiamo.
In qualche modo l’anziana signora che ci ha interrotti ci spiega che quello è il fantasma di una ragazza uccisa dal padre perché frequentava un popolano. Ogni notte lei appare seduta sul pozzo qualche calle più in là e poi corre qui per vederlo, si baciano e poi spariscono.
È un fantasma buono, Jack accanto a me è impaurito.
Io ringrazio la  donna e poi io e il mio pauroso ragazzo ci avviamo verso il nostro hotel con l’aiuto di una cartina.
Jack mi sembra scosso, tanto che arrivati al bar ordino del whisky per lui senza nemmeno chiedergli se lo vuole: glielo si legge in faccia che ne ha bisogno.
Dopo il primo sorso sembra stare un po’ meglio.
“Stai meglio, adesso?”
Lui annuisce  e appoggia il bicchierino sul bancone.
“Non mi è mai capitato di vedere una cosa del genere.”
“Neanche a me, ma non è meraviglioso?”
“In  un certo senso…”
“Beh, dovevi aspettartelo in fondo, Venezia è anche piena di fantasmi.”
Lui si mette una mano davanti alla faccia, poi improvvisamente sorride.
“Hai ragione, siamo stati fortunati.”
Mi prende per mano e saliamo in camera, lì tira un sospiro di sollievo e si butta sul letto, mentre calcia via scarpe e pantaloni. Ecco le acrobazie di Jack Barakat!
Io mi tolgo gli anfibi, le calze a rete e il vestito e poi gli rubo una maglietta con il disegno di Jack Skeleton e lo raggiungo.
“Ho sempre creduto ai fantasmi, ma vederne uno mi ha lasciato un po’ scosso.”
“Lo immagino.”
Gli dico tracciando cerchi sopra la sua maglia.
Lui mi accarezza i capelli, tirandoli leggermente o facendo dei boccoli.
“Grazie per avermi portata qui.”
“Figurati, volevo che vivessi anche tu un attimo di felicità.
Sei sempre stata castigata troppo duramente dalla vita, non fraintendermi non lo faccio per pietà, solo perché  penso sia giusto darti qualcosa di bello, il meglio di me.
Tu ti stai impegnando a darmi il meglio e non voglio tirarmi indietro.”
Dai miei occhi spuntano le lacrime.
“Grazie Jack.”
Dico con voce un po’ tremante, lui mi asciuga le lacrime e sorride.
“Ehi, volevo farti sorridere, non piangere!”
“Sono lacrime di felicità, scemo.”
Gli tiro un pugnetto sulla pancia e da lì iniziamo a fare la lotta, come i bambini.
Quando finisce io sono seduta sul suo bacino e sento qualcosa che preme.
Ops, ho risvegliato il suo amichetto!
Il mio ragazzo sorride con aria furba e mi attira a sé per darmi un bacio passionale, io sorrido contro le sue labbra.
Ci stacchiamo senza fiato.
“Ah, è stata la tua posizione a ispirarmi.”
“Immaginavo.”
Gli sorrido furba.
“Mi ci vuole qualcosa per riprendermi dal fantasma!”
Esclama in tono melodrammatico.
“Credo di sapere esattamente di cosa hai bisogno.”
Lui sorride, io sorrido.
Che il tutto abbia inizio.
Ci baciamo di nuovo e lui mi toglie con un po’ di difficoltà il reggiseno.
Sorride e scende a baciarmi il mento e il collo, mentre con le mani massaggia i miei seni, è una sensazione stupenda.
Diventa paradisiaca quando lui arriva con la bocca, potrei morire qui tra le sue braccia e morirei felice.
Ribalto le posizioni e comincio a baciargli il collo e il petto, lui gradisce visto che i suoi sospiri diventano più profondi.
Ormai sono arrivata ai suoi boxer e noto che sono di troppo, che l’amichetto non vede l’ora di uscire e sfogarsi. Con le mani tremanti gliele tolgo.
“Guidami.”
Sussurro piano, lui annuisce e sovrappone la sua mano alla mia, dettando il ritmo, una volta capito mi lascia fare da sola gemendo sempre più forte.
Arrivata a un certo punto, me la toglie ansimante, si mette un preservativo e mi toglie anche il mio ultimo indumento.
“Fai piano.”
Lui annuisce ed entra in me con una spinta lenta e profonda, continua così per un po’ – per farmi abituare – e poi continua con più forti e veloci, ormai le mie unghie gli staranno scavando solchi nella schiena.
Gemiamo sempre più forte fino a che un calore al basso ventre esplode e urlo, staccandomi dalla realtà per qualche secondo, quando torno in me, lui è crollato ansimante sul mio corpo.
È pesante, ma mi sento protetta dal suo peso e gli accarezzo dolcemente i capelli.
“Grazie.”
Gli dico sottovoce, lo sento sorridere e mi accarezza piano i fianchi.
“Prego.”
Si alza – lasciandomi un leggero senso di vuoto – per togliersi il preservativo e poi torna a letto e io sono subito attirata sul suo petto.
“Non mi scapperai, Gwendolen!”
“Non voglio scappare. Per la prima volta nella mia vita non voglio andarmene da nessuna parte.”
“Questo mi rende felice, sembri sempre una che è sul punto di scappare.”
Io ridacchio triste.
In effetti è la storia della mia vita, purtroppo.
“Non pensiamoci. Dormiamo che domani Venezia ci aspetta.”
“Sì, buonanotte, Jack!”
“Notte, Wen!”
Poco dopo siamo tutti e due immersi in un sonno profondo.

 

La mattina dopo ci svegliamo al suono della sveglia e di un fastidioso raggio di sole mattutino che ci colpisce in faccia, la sera prima ci siamo dimenticati di tirare le tende.
“Che palle!”
Esclama Jack coprendosi la faccia.
“Ci saremmo dovuti alzare comunque, Venezia non entra nella nostra camera!”
Lui sospira e mi trascina a fare la doccia, poi ci vestiamo, pronti per affrontare una nuova giornata, sperando di non incontrare altre fan degli All Time Low.
Facciamo colazione in hotel e poi ci buttiamo nelle calli, torniamo a San Marco, ci fermiamo un attimo sul Ponte dei Sospiri e poi continuiamo a gironzolare per la città.
Alle mie orecchie arriva la leggenda di Poveglia, un’isoletta infestata dai fantasmi e impossibile da raggiungere. Io vorrei andarci, ma Jack è irremovibile, mi lascerà andarci solo scortata da dieci dei migliori marines americani.
Sono un po’ delusa, ma mi promette che al pomeriggio mi lascerà visitare l’isola di San Clemente, dove aveva sede il Manicomio Centrale Femminile Veneto e San Servolo dove c’era un altro manicomio.
“Non capisco cosa ci trovi di bello in un manicomio.”
“Non lo so, mi attirano le cose strane. A Baltimora e anche a Los Angeles sono entrata in un sacco di edifici abbandonati per vedere se sentivo qualcosa.”
Lui rabbrividisce.
“Hai già visto un fantasma, non ti basta?”
Io rido.
“No.”
Lui mi prende.
“Forza, pazzoide! Torniamocene in hotel o gli altri eleganti ospiti potrebbero trovare disdicevole il nostro ritardo.”
Ci dirigiamo di corsa al hotel e ci sediamo in sala da pranzo ancora con il fiatone.
Mangiamo un po’di fretta e poi saliamo in camera a riposarci, io sono eccitatissima per le due visite, anche se so che a San Clemente è stato costruito un albergo per ricconi – sacrilegio – e il manicomio è chiuso.
Dormo meno di Jack e ne approfitto per comprare una cassetta degli attrezzi che ci aiuterà a forzare i sigilli messi al manicomio. Lui ovviamente non sospetta nulla e partiamo spensierati verso la nostra meta.
Prendiamo un traghetto per San Clemente e poi – invece di dirigerci verso l’hotel come il resto degli ospiti – sgattaioliamo via verso la chiesa e il manicomio.
“Non fare rumore, stiamo facendo qualcosa di vietato.”
Lui annuisce, ci allontaniamo  fino a quando non c’è nessuno oltre a noi, ci avviamo verso la parte dell’isola, dove ci sono la chiesa e parte del manicomio.
La chiesa è chiusa solo da un lucchetto e basta una forcina a farlo saltare. È un  ambiente buio e polveroso, con i banchi che stanno marcendo o rovesciati, entra un po’ di luce solo sull’altare su  cui passo una mano, ritrovandomi letteralmente la polvere dei secoli addosso.
“Cosa era questo posto?”
“Nel dodicesimo secolo era un ospedale per i pellegrini che volevano andare in Terrasanta, in seguito fu sede di monaci e dal 1834 fu sede del manicomio femminile che venne spostato qui da San Servolo.”
“Capisco.”
Ci aggiriamo un po’ per la chiesa, io raccolgo un vecchissimo rosario fatto di perle nere e ce ne andiamo, adesso dobbiamo entrare al manicomio.
Giriamo un po’, ma alla fine trovo una porta chiusa solo da un lucchetto e faccio saltare di nuovo il lucchetto. Ora siamo in un lungo corridoio intonacato di bianco in origine e pieno di crepe, foglie morte e detriti di ogni sorta.
“Cosa sai di questo posto?”
“Che divenne manicomio nel 1834 e che ospitò un’amante del Duce, chiusa qui per farla morire.”
“Duce?”
“Benito Mussolini, quello che governò l’Italia dal 1922 circa fino al ’43, quando fu ucciso dai partigiani italiani e appeso a testa in giù a piazzale Loreto, a Milano.
Era l’alleato di Hitler e aveva una passione per le donne, oltre alla moglie e a questa amante, ne ebbe un’altra – Claretta Petacci – che venne uccisa con lui.”
“Come si chiamava questa?”
“Ida Irene Dalser, gli diede anche un figlio. Morì qui nel 1937.
Il posto ha chiuso nel 1992, dopo che in Italia fu varata una legge che vietava i manicomi.”
“Capito. Beh, che brutta fine ha fatto questa donna
.
“Bruttissima, era sana di mente e impazzì qui dentro.”
Continuiamo a camminare e poi ci affacciamo in una delle camere, bianca, ma invasa dalla vegetazione, con un letto metallico e un comodino vicino. In alto c’è un poggiatele, ma della tv non c’è traccia. Qualcuno se la sarà portata via.
Arriviamo anche agli uffici e troviamo le carte dei pazienti, non ci capiamo molto, ma ci scorre davanti una carrellata di volti femminili con occhi vitrei ed espressioni spaventate che ci fanno rabbrividire.
All’improvviso una voce ci intima di andarcene, forse è Ida Dalsen o forse qualcun'altra paziente, noi non ce lo facciamo ripetere due volte e usciamo da una finestra aperta piano terra e con aria innocente torniamo all’imbarcadero.
La prossima tappa è San Servolo e qui – per fortuna – ci sono delle visite guidate.
“Come mai Ida venne chiusa qui?”
Io do un calcio a un sassolino.
“Mussolini prima di essere fascista era un socialista e quando cambiò posizione politica, lei gli rimase accanto e lo sostenne. Disse anche Mussolini la sposò, ma non ci sono prove di questo matrimonio e in seguito lui si sposò con la sua legittima consorte Rachele.
Ida venne tenuta sotto controllo dalla polizia politica fino a che non venne internata nel manicomio di Pergine Valsugana e poi qui.”
“E il figlio?”
“Nacque nel 1915, fu riconosciuto e venne chiamato Benito Albino, studiò in un collegio di Barnabiti e poi si arruolò in Marina, tenuto anche lui sotto controllo dalla polizia politica, fino a che non venne internato in un manicomio di Milano dove morì nell’42.”
“Interessante, quest’uomo era davvero buono!”
“Beh, era un dittatore, cosa ti aspettavi?
A proposito, aspettami qui che devo nascondere una cosa prima che arrivi il vaporetto.”
Mi allontano e nascondo la cassetta degli attrezzi dentro dei cespugli altissimi, sotto lo sguardo sorpreso di Jack.
“Come mai te la sei portata appresso?”
“Casomai servisse qualche attrezzo da scasso. Oh, arriva il vaporetto.”
Ci saliamo e cerchiamo un posto a sedere, lui sembra rassegnato.
“Avanti, raccontami un po’ la storia del posto che andremo a vedere.”
“Ok. Fino al Settecento venne abitato alternativamente da frati e suore, poi nel 1715 divenne un ospedale militare e nel 1725 divenne un ospedale psichiatrico, fondamentalmente per nobili.
Napoleone dispose nel 1797 che lì vi dovessero ricoverare nobili e povera gente, maschi e femmine.
Successivamente qui rimase solo il manicomio maschile, ha lentamente chiuso a partire dal 1978.”
“Capito.”
Arriviamo all’isola di Servolo – nota ai veneziani come l’isola dei matti – e visitiamo il parco e la chiesa e il nuovo museo del Manicomio.
È ovviamente molto interessante, ma non ci sono voci che ci intimano di andarcene e Jack sembra più calmo.
In fondo abbiamo visto ben due fantasmi ed è un bottino notevole!
Mentre saliamo sul vaporetto per tornare in hotel penso che Venezia sia una città meravigliosa e che mi piacerebbe viverci.
Devo ringraziare Jack di questo e così mi stringo di più a lui e mormoro un :” Grazie, Jack” che lo fa sorridere.
Mi piace vederlo sorridere e poi domani dobbiamo obbligatoriamente farci il cimitero, di mattina o pomeriggio non importa.
Venezia, here we go!

Angolo di Layla

Ringrazio _redsky_ per la recensione.

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Capitolo 16
*** 15)Under a paper moon ***


15)Under a paper moon

 

Holly p.o.v.

 

Il piano per portare Wen all’aeroporto senza che sospettasse nulla è stato un successo.
Quando torno a casa trovo Alex ad aspettarmi con una bottiglia di champagne in mano.
“Adesso abbiamo la casa tutta per noi!”
Io rido.
“Ma Alex, perché ti sei comprato una casa quando sei sempre qui?”
“Uhm, così.
È che non mi piace sentirmi solo, dopo un po’ do di matto.”
Io rido.
“Beh, potrei trasferirmi a casa tua.”
Lui si gratta il mento.
“L’idea mi piace e mi spaventa allo stesso tempo.”
Io mi siedo sul divano.
“Potremmo fare una prova in questi giorni che Jack e Wen non ci sono, se è troppo presto o non funziona, io torno a vivere qui.
Sempre se vuoi, non voglio importi nulla!”
Lui mi guarda e poi annuisce.
“Ma sì, proviamo. Ti ho rincorsa per anni, non voglio farmi scappare questa occasione per le mie paure.”
Saliamo in camera mia e infiliamo in valigia quello che mi servirà in questo fine settimana, non molto a dire la verità, visto che casomai qualcosa mancasse sono a due passi da casa mia.
Non ho  mai visto la casa di Alex, è molto più incasinata rispetto a quella di Jack, il salotto ad esempio è pieno di fogli con scribacchiati testi e melodie e c’è una chitarra messa in un angolo.
“Scusa il casino, ma io vivo prevalentemente qui. Ormai non dormo nel mio letto da secoli.”
Si affretta a dare un ordine ai fogli e a buttare via la spazzatura, io invece mi avvicino cauta alla sua chitarra e provo a trarne qualche accordo. Avevo preso lezioni insieme a Wen anni fa.
“Sai suonare la chitarra?”
Mi chiede Alex tornando dalla cucina con due bottiglie di coca.
“Qualcosa. Quando avevo quattordici anni mia madre regalò a me e a Wen delle lezioni di chitarra.”
“Mh, e la madre di Wen la lasciava venire?”
“Non ne sapeva niente, bastava che Wen le portasse l’alcool e le sigarette che desiderava, le aspirine e finire i compiti, poi per quel che importava lei poteva anche prostituirsi nel suo tempo libero.
Di solito finiva per fare i compiti e studiare di notte e lo facevo spesso anche io.”
“Come mai?”
Io prendo la lattina che mi porge e la apro, ne prendo un sorso e sorrido.
È freddo al punto giusto, deliziosa.
“Perché odio la puzza di ipocrisia e in casa mia ce n’era fin troppa. Doveva essere tutto a posto, mamma doveva fare la casalinga e chiacchierare con le sue amiche, mio padre doveva rientrare stanco dal lavoro e farsi baciare e curare dalla moglie perfetta e poi ovviamente doveva esserci la figlia perfetta: volti alti a scuola, belle amicizie, magari cheerleader.”
Lui apre la sua lattina e ci sediamo sul divano.
“Tu non eri nulla di tutto questo, Holly. Me lo ricordo perfettamente.”
“No, non lo ero. Non volevo esserlo, avrei potuto avere voti più alti e amicizie più brillanti, ma a me bastava Wen che mi accettava così come ero.
Mia madre mormorava sottovoce che era colpa di Wen se io ero così, ma che d’altronde i parenti vanno aiutati. Non era colpa di Wen, non si sarebbe mai messa nei casini, non voleva prendere altre botte a casa.
Tolti i piercing, i tatuaggi e i capelli azzurri, Wendy era praticamente un’alunna modello.”
Un sonoro borbottio interrompe il nostro discorso, Alex ha fame. Sono le otto di sera e non abbiamo ancora mangiato e in fatto di cibo lo stomaco di mister Gaskarth è piuttosto puntuale.
“Ok, ho capito.
Vado a preparare qualcosa.”
Metto in padella due hamburger e poi metto a scaldare il pane, una volta cotta la carne metto i cetrioli, il formaggio, quella cremina al formaggio tanto buona, il bacon e il ketchup.
Dal profumo sembrano buoni.
Li porto in tavolo e Alex si lancia sul primo –  sono quattro, due per uno – come uno reduce da Auschwitz.
“ ‘ono ‘ oni, ‘ly!”
“Grazie, Alex.”
Mangiamo il resto degli hamburger, una mela ciascuno e del gelato che trovo nel frigo.
“È la tua scorta per quando ti senti giù di corda?”
Gli chiedo scherzando.
“Sì, hai indovinato.”
Mi risponde con gli occhi bassi.
“Mi dispiace aver toccato un tasto dolente.”
“Figurati, adesso non mi servirà più. Ci sarai tu, no?”
Mi chiede con quel sorriso da bambino che adoro.
“Esattamente, ci sarò io e penso di essere molto meglio del gelato, almeno parlo, no?”
“Non solo, puoi anche muovere le mani e farci un sacco di cose.”
Io scuoto la testa.
“Sempre lì andate a parare!”
Sparecchio e metto tutto in lavastoviglie, poi torno in sala.
“Cosa facciamo?”
“Ho gli inviti per una festa, tecnicamente erano per me e Jack, ma dato che lui a quest’ora è a godersi Venezia, non credo succederà nulla di male se vieni tu.”
Io arrossisco, ma cerco di non darlo a vedere e metto le mani sotto il mento.
“Oh, il mio debutto in società!”
Lui ride.
“Esatto mademoiselle, stasera dovrete essere perfetta!”
“E allora il bagno è mio!”
“Ehi, così non vale, però!”
Io gli faccio una linguaccia sulle scale e rido come una bambina, stare con lui mi fa sentire piena di fiducia e allegria, esattamente come mi sentivo prima di scoprire che mio padre è un bigamo.
Mi lancio in bagno e faccio una doccia veloce, non ho idea di cosa mettermi, probabilmente qualcosa di elegante perché sarà una festa e io non so se ho cose del genere.
Forse nei vestiti che ogni anno mia madre si ostina regalarmi c’è qualcosa…
Cerco e cerco e alla fine trovo in vestito di seta azzurra, senza maniche, che si stringe sotto al seno e sembra dividersi in due, ha uno spacco laterale e arriva appena sopra il ginocchio.
Non l’avrei messo se non ci fosse stata questa occasione, mi metto dei sandali a tacco alto con i lacci alla schiava e quasi non riconosco la mora con le sottili meches azzurre che mi guarda dallo specchio.
“Holly, hai…”
Mi volto, Alex è appena entrato in camera e mi fissa con gli occhi sbarrati.
“Che c’è? Sto così male?”
“Al contrario! Sei uno schianto!
Stai benissimo, sei bellissima, sei…
Cazzo, ho esaurito le parole!”
Io sorrido radiosa.
“Ce ne vuole per fartele esaurire!”
Lui ride.
“In effetti hai ragione, parlo troppo!
Dai, andiamo ad annoiarci insieme!”
“Va bene.”
Usciamo dalla villa di Alex, fa un po’ strano vedere la villa di Jack spenta e deserta, e saliamo in macchina.
“Perché hai detto annoiarci?”
“Perché sarà una noia, ma devo farlo per lavoro.”
Attraversiamo il traffico della città degli angeli per arrivare davanti a un costoso albergo del centro. Cavolo, io posti così non posso permettermi nemmeno di sognarmeli la notte!
“È qui che dobbiamo andare?”
“Uhm, sì. Fa impressione, vero?”
“In un certo senso. Non credo di avere mai visto tanto lusso tutto insieme e non siamo ancora entrati.”
Lascia la macchina a un parcheggiatore e mi prende sottobraccio, la festa si terrà al terzo piano, quindi si dirige verso gli ascensori. L’interno è ancora più lussuoso dell’esterno e io devo trattenermi per non fare esclamazioni meravigliate come una provinciale qualunque.
È così che chiamano quelle come me, no?
Arriviamo al terzo piano e per un attimo mi sembra di essere tornata ad avere tredici anni, quando mio padre voleva che venissimo alla festa di Natale che organizzava la sua banca. Adesso come allora ero meravigliata ed intimidita da tutto questo lusso, mi sentivo un verme in mezzo ad animali bellissimi.
Alex mi dà una leggera spinta e io entro con lui.
Immediatamente si fa avanti il manager della band, che sorride vedendomi.
“Oh, Gaskarth! Finalmente ti sei portato una ragazza!
Iniziavo a pensare che fossi davvero fidanzato con Barakat!”
“Sempre spiritoso, eh?
Non mi faccia scappare questa ragazza!”
Io sorrido falsa.
“Come ti chiami?”
“Holly Lynch!”
Rispondo trillando e pensando a come uccidere quest’uomo e farlo passare per un suicidio.
“Irlandese, eh?
Devi avere un caratterino tosto per tenere a bada questo ragazzo.”
“Ho un carattere mediamente normale.”
E Alex non è un ragazzo tosto, quando sorride sembra incapace di compiere alcun male e poi lo amo, punto.
“Come mai Jack non si è fatto vivo?”
“È a Venezia con la sua ragazza.”
Il manager beve un sorso dal suo bicchiere di champagne.
“Ma guarda, ha trovato anche lui la ragazza capace di fargli mettere la testa a posto.
Come si chiama?”
“Wendy O’Connor.”
“È mia cugina.”
Aggiungo io prima di Alex.
“Siete due cugine fortunate dunque, ma adesso andate.
Non voglio trattenervi oltre.”
L’uomo si allontana e Alex mi porta verso il buffet.
“Spero non ti abbia dato fastidio il nostro manager, ma è come un padre per noi: deve sapere tutto quello che combiniamo.
Ha una costante paura di dover porre rimedio a qualche casino.”
“Capisco, ha manie di controllo e io sono la cosa che deve studiare ora.”
Lui alza le spalle e mi porge un piattino con delle tartine e un bicchiere di champagne, poi mi porta verso un divanetto.
Spero di poter mangiare in pace, ma una voce femminile alta e fastidiosa mi fa alzare gli occhi dal mio piatto. Mi trovo davanti una ragazza siliconata dalla testa ai piedi che mostra delle generose tette al mio ragazzo e mulina la testa all’indietro per liberarsi delle studiatissime onde bionde che ha come capelli.
“Alex, che bella sorpresa!
Avevo proprio voglia di vederti!”
Gli dice sensuale, facendogli persino un occhiolino. Io la fulmino e do una gomitata al mio ragazzo costringendolo a tornare in sé e a chiarire la situazione.
“Ehm, temo che non sia possibile, Rose.
Ti presento Holly, la mia ragazza!”
“Sarà per la prossima volta, allora!
Questo scricciolo non può durare molto accanto a te!”
Si allontana ancheggiando, Alex mi trattiene dall’inseguirla e riempirla di botte.
“Stai calma, Holly! È solo una vacca che lavora alla casa discografica e me la sono sbattuta un paio di volte prima di stare con te!
Non vale la di prendersela e incazzarsi, sta calma!”
Io mi guardo attorno truce, pensando che mi piacerebbe tanto esser in  qualche locale a pogare invece che qui, studiata a vista come se fossi un animale raro.
Vorrei tanto che dalla porta entrasse Mark Hoppus e dicesse ad Alex che la sua ragazza è carina e che gli ricordiamo lui e Skye da giovani, invece di questa sarabanda di strani soggetti che sono increduli all’idea che Alex abbia una ragazza.
“È che sono stato tantissimo tempo da solo e sai, quella cosa – il jalex – aumentava la chiacchiere, per questo sono tutti così sorpresi.”
Io stringo le labbra in una linea dura, anzi durissima, ho voglia di spaccare qualcosa e non credo di riuscire qui un minuto di più. Non voglio fare qualcosa che rovini la carriera di Alex.
“Io me ne vado.”
Dico gelida, abbandonando il piattino su un tavolino e senza nemmeno finire il mio champagne, preferisco la birra e gli ambienti informali, dove la gente non ti parla dietro o lo fa di meno.
“Cosa?”
“Me ne vado, Alex! Sono stufa di essere guardata come se fossi una tigre dai denti a sciabola, sono stanca di questi pettegolezzi. Forse non te ne sei accorto, ma io ho sentito tantissimi discorsi su me e te e io sono la copertura alla tua omosessualità.
Bene, mi sono rotta.”
A passo di marcia esco dalla stanza incenerendo tutti quanti e augurando loro una morte lenta e dolorosa, Alex rimane lì.
D’altronde non potevo certo aspettarmi che mi seguisse, la sua carriera viene prima di me e di tutto il resto.
Con un gesto rabbioso mi tolgo le scarpe e le lancio contro il muro, lasciandole lì, al loro destino. Se il principe vorrà seguire Cenerentola avrà due tracce chiare di dove sia andata lei.
Finalmente esco da questo incubo a forma di hotel e chiamo un taxi, di Alex non c’è traccia, lo aspetto per cinque minuti, poi dico al taxista di andare.
Mi deposita fuori dalla villa del mio ragazzo, io entro  e salgo subito in camera. La prima cosa che faccio è togliermi questo merdoso vestito, sono troppo incazzata e finisco per strapparlo in un paio di punti.
Al diavolo!
Mi metto una gonna nera, una maglia molto scollata con un teschio, calze a rete, anfibi e chiodo e butto il contenuto di questa insulsa borsetta da fighetta nella mia capace borsa a fantasia scozzese.
Prendo le chiavi della mia macchina e me ne vado.
Non so dove, in quale locale sceglierò per sbronzarmi, ma me ne devo andare.
Cosa c’entro io nella vita di Alex?
 

Alla fine scelgo un locale in una zona poco lontana dal centro, pieno di punkettoni e di gente che non farà domande.
Mi metto al bancone e inizio a bere come una spugna, se ci fosse Wendy con me mi fermerebbe prima di diventare completamente ubriaca, ma lei non c’è. È dall’altra parte del mondo in una città romanticissima, a godersi la sua sudata favola.
Io invece sono qui con i miei soliti problemi e le mie paure che si sono moltiplicate non appena ho mosso un solo passo nell’ambiente di Alex.
Che merda!
Bevo un altro bicchiere quando un metallaro con la corporatura di un armadio a quattro ante si siede accanto a me.
Inizia a parlare, ma io non capisco cosa diavolo stia dicendo.
Tutto sommato per ora è inoffensivo, i miei campanelli di allarme si mettono a suonare quando allunga troppo le mani. Tento di togliermele di dosso, ma sono troppo ubriaca e debole per uno come lui, cazzo.
Inizio a sudare freddo e mi viene da vomitare.
“Va via, non voglioo!”
Esclamo a mezza voce.
“Ma voglio io e io sono più forte di te!”
E – porca puttana – ha ragione.
Vorrei gridare aiuto, ma nessuno mi ascolterebbe probabilmente, sono tutti ubriachi come me se non peggio.
“Forza, troietta. Vieni!”
Mi afferra per un polso per farmi scendere dalla sgabello.
“Non voglio, lasciami stare!”
Lui sta per aggiungere qualcosa, quando qualcuno parla al suo posto.
“Lasciala stare, non vuole. Hai capito?”
Alex sta affrontando il gigante, vorrei dirgli di non farlo, perché ne uscirebbe con le ossa rotte, ma l’unica cosa che riesco a fare è vomitare e poi perdere conoscenza.
Mi risveglio la mattina dopo nel letto che io e Alex dividiamo a casa sua, ho un mal di testa allucinante e mi sento triste.
Forse la mia vita è quella di Alex non sono destinate a intrecciarsi, ieri sera è stato un disastro totale e spero che lui non sia troppo pesto. Non me lo perdonerei mai se avesse qualche livido addosso per colpa mia.
Mi metto le mani tra i capelli e scoppio a piangere come una bambina che vede il suo sogno infrangersi.
Proprio in questo momento entra Alex con la colazione e un bicchiere di aspirina. Appoggia tutto sul comodino, si siede sul letto e mi abbraccia sussurrandomi che andrà tutto bene.
Io scuoto la testa, lui mi asciuga le lacrime.
“Io e te viviamo in mondi troppo diversi, ieri sera è stata un disastro.
Forse non sono la ragazza giusta per te, dovresti trovarti una come Rose che sa come muoversi tra tutti quegli stronzi.
Io non ci riesco e non voglio rovinarti la carriera.”
Lui mi alza il volto, noto con sollievo che ha solo un occhio un po’ gonfio.
“Holly!”
Il tono della sua voce è fermo.
“Tu vuoi ancora stare con me?”
“Sì, ma se non fosse la cosa giusta per te?”
Lui sbuffa.
“Solo io so cosa è giusto e cosa è sbagliato per me e per me è giusto che tu rimanga la mia ragazza.”
Lui si ferma un attimo e poi riparte.
“Sei la prima persona che ho visto esprimere le proprie opinioni fregandosene di quello che potevano pensare gli altri.
Non ti porterò più alle feste che, tra parentesi, non piacciono nemmeno a me, ma possiamo fare altro.
Possiamo essere come due ragazzi normali ed è la cosa che mi piacerebbe di più, capisci?
Con te sono me stesso, posso essere il coglione o una persona che, come tutti, ha i suoi problemi.
Per favore non mi lasciare.”
Dai miei occhi cadono ancora un paio di lacrime.
“Non lo farò, odio vederti soffrire perché ti amo.”
“Ti amo anche io e insieme supereremo anche questa.”
Mi lascio abbracciare di nuovo, ma questa volta sono più serena e il futuro mi sembra meno brutto.
“Ehi, piccola. Ti avevo portato la colazione, meglio mangiarla o si raffredderà.”
Ci stacchiamo e cominciamo a mangiare quello che ha portato.
“Alex?”
“Sì?”
“Sei un tesoro.”
“Grazie. Promettimi una cosa.”
“Cosa?”
Lui mi guarda intensamente.
“Non ubriacarti mai più così.”
Io annuisco.
“Te lo giuro solennemente!”
Lui mi abbraccia e mi bacia di nuovo come a siglare una promessa solenne tra di noi.
Forse il mondo non è poi così brutto e per noi c’è ancora speranza.

Angolo di Layla.

Ringrazio Mon per la recensione, io amo la storia e i fantasmi, ma pensavo di essere stata piutttosto noiosa nel descriverli perché nessuno ha commentato. Amo anche Venezias.

Grazie mille per la recensione!

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Capitolo 17
*** 16) The only proof that i need is you ***


16) The only proof that i need is you

 

Wendy p.o.v

 

L’ultimo giorno di vacanza viene salutato dal sole brillante di Venezia.
Ci rimangono ancora due cose da visitare: il cimitero e Murano.
Girando per i negozietti io ho già preso qualcosa per Holly e Jack qualcosa per Alex: un’orribile vestaglia a fiori in un negozietto inquietante pieno di manichini stranissimi.
Io lì dentro sono riuscita a starci solo cinque minuti, il mio ragazzo per una mezzoretta, lui solo sa come. Forse io posso passare ore in cimiteri, ex manicomi, case disabitate e lui ore in strani negozi con i manichini di cui non si indovina il sesso, scuro, pieno di vestiti orribili.
Il cimitero è molto bello, vista la giornata di sole non fa eccessivamente paura e sento che le presenze oggi sono solo di sottofondo, non si faranno sentire. Forse anche perché la nostra è una comitiva grande e rumorosa, anche troppo, alcune persone non si curano affatto di dove sono e continuano di parlare di cose come l’ultimo vestito che si sono comprate, della tal festa e altre stronzate simili.
Come se ai morti interessasse questa roba!
Jack coglie le mie occhiatacce e se la ride, pensando probabilmente che sono una strana ragazza e ha ragione, dannatamente ragione.
Finito il giro del cimitero,torniamo in hotel e mangiamo.
Alle due abbiamo un vaporetto che ci porterà a Murano, un’isola dove creati prodotti magnifici  in vetro da secoli, forse posso trovare qualcosa che vada bene per casa nostra, mi dico con lo sguardo critico dell’arredatrice che c’è in me.
Murano mi sembra piccola e la fornace in cui viene lavorato il vetro soffocante, ma vedere come qualcosa di incandescente e amorfo diventi poi qualcosa di straordinariamente elegante come il vaso lungo e sottile ottenuto una volta finita la lavorazione.
Ne compro uno anche io pensando che all’ingresso non starebbe male, darebbe un tocco più elegante, ma non troppo lussuoso. Potremmo metterci dei fiori, ma finti sono pacchiani e né io né Jack abbiamo il pollice verde, ergo potrei metterci quelle lucine che sono fissate su supporti lunghi e sottili.
Non sarebbe male.
Sono così immersa nelle mie riflessioni che se Jack non mi strattonasse violentemente il braccio probabilmente rimarrei su questo vaporetto per altri venti giri.
“A cosa stavi pensando?”
“A dove mettere il vaso e a cosa metterci dentro.”
“Non so perché tu l’abbia preso.”
Io sbuffo.
“Perché pensavo avrebbe dato un tocco più elegante a casa, senza essere troppo lussuoso.”
“Bah, se lo dici tu.”
“Non ti piace?”
“No, è che… boh….”
Io rido.
“Volevi una mano femminile in casa?
L’hai ottenuta gratis!”
Scherzo io.
“L’importante è che tu non mi faccia mettere le pattine, Wen.
Quegli stracci mi fanno diventare matto.”
Nella mia mente si forma l’immagine di Jack che tenta di pattinare sulle pattine per mantenere l’equilibrio sul pavimento appena lucidato con la cera e finisce per andare a sbattere contro un pilastro.
Inizio a ridere in maniera convulsa, tanto che lui mi guarda senza capire, forse pensa che stia impazzendo e forse non ha tutti i torti.
“Cosa diavolo ho detto di così divertente?”
“Niente. È che mi sono immaginata tu che tentavi di pattinare sulle pattine sul pavimento di casa nostra appena lucidato con la cera e finivi stampato contro un pilastro.”
Lui alza un sopracciglio.
“Non vedo cosa ci sia di divertente.
Il mondo perderebbe un grande chitarrista!”
Conclude in modo melodrammatico, quindi anche lui sta ridendo sotto i baffi per quello che gli ho raccontato.
“Comunque, Jack non ti preoccupare, non ti costringerò a mettere le pattine. È solo un vaso, nulla di più.”
Lui annuisce, sollevato.
“Dai, non avrai davvero pensato che fossi una ragazza da pattine?”
Lui ride.
“No, non l’ho pensato e ho il sospetto che se continuo così quel vaso finirà sulla mia testa e non da qualche parte a casa Barakat.”
“Sei perspicace!”
Lo prendo per mano e andiamo insieme al hotel, chiacchierando e ridendo, la vicenda del vaso è stata accantonata.
Chissà se ci fermeremo anche a Milano?
Probabilmente no, sarebbe chiedere troppo al destino che mi ha concesso già molto mandandomi Jack sulla mia strada.
Arrivati in hotel, saliamo in camera per fare la doccia e cambiarci per la cena, adesso ho imparato a fregarmene delle occhiate della gente presente in sala.
Per loro probabilmente non sarò mai degna di varcare quella soglia e camminare nel salone, ma se sono qui significa che posso alla faccia loro.
Mentre Jack sta guardando la tv penso a cosa mettermi, alla fine decido di indossare una camicetta bianca a pois rossi, una gonna rossa e i tacchi, almeno per la sala li devo sfoggiare.
“Odio i tacchi, Cristo!”
“Perché te li metti allora?”
“Per gli aristocratici del piano di sotto.”
Rispondo annoiata, per poi buttarmi sul letto – senza tacchi – accanto a Jack che mi attira a sé.
“Gli aristocratici: bella come definizione.
Sembrano proprio una casta in cui devi fare una prova di iniziazione per farne parte.”
Io alzo le spalle, faccio saltare una pallina magica che ho preso nel pomeriggio.
“Non mi interessa farne parte, conosco il loro mondo perché è il mondo di mio padre e di mio fratello. Se hai i soldi conti, altrimenti no.
E poi devi essere conformato, se non hai frequentato le scuole giuste, devi fare in modo che ci vadano i tuoi figli,devi vestirti con capi che valgono quanto la paga di un operaio.
Devi essere sempre sorridente e sparlare alle spalle.
No, non è il mio mondo.
Mio padre – almeno per giustificare la mia presenza a casa sua – ha provato a farmi inserire, ma non ce l’ha fatta. Io continuo a rimanere la ragazza delle roulotte che sa scassinare una cassaforte o far saltare un sistema di allarme senza che se ne accorga la polizia, ma che non sa distinguere la forchetta giusta per il pesce.”
“Capisco. Beh, nemmeno io so qual è la forchetta giusta per il pesce e mai lo saprò, temo.
Sono solo un povero chitarrista.
Cosa ne dici se scendiamo a mangiare e poi ci godiamo un’ultima notte a Venezia?”
Io sorrido.
“Dico che è una fantastica idea.”
Ci alziamo dal letto, è inutile rimuginare sul passato ora, meglio godersi questi ultimi attimi di felicità fuori dal tempo.
La sala è affollata come al solito e c’è qualche occhiataccia come al solito, io e Jack le ignoriamo e aspettiamo che ci servano la cena.
Servono una deliziosa pasta alle vongole e un fritto misto di pesce, una cena da re per noi, per me almeno.
Dopo essere salita in camera per sostituire le scarpe a tacco alto con un paio di più pratici anfibi e aver recuperato la mia giacca di pelle scendo da Jack, mollemente seduto su uno dei divani della hall.
“Sono pronta, se vuoi andare!”
“Andiamo.”
Usciamo mano nella mano e raggiungiamo piazza San Marco, anche se ormai è notte è comunque animata dai caffè, Jack propone di entrare in uno, io accetto.
Entriamo in un meraviglioso locale settecentesco e beviamo un ottimo caffè, è un posto incredibile, in America non ne vedrò mai uno simile, non uno in cui si sente così tanto il peso del tempo e delle persone che sono passate prima di te e hanno discusso.
“Bello, vero?”
Mi chiede Jack sottovece prima di andarcene.
“Meraviglioso.”
Dalla piazza ci mettiamo a gironzolare per le varie calli mano nella mano, sotto la voce della luna, è una cosa semplice, ma mi emoziona. Lo trovo bello e romantico e mi lascio felicemente sommergeredalla chiacchiere di Jack sulla sua infanzia e sulla band.
Lo interrompo solo quando arriviamo in un cortile particolarmente bello per baciarlo.
“Bel modo di interrompere la mia logorrea!”
“Uhm, qualcosa dovevo pur fare, anche se mi piace sentirti parlare.”
Lui sorride e nota una piccola pietra scintillante sul pozzo al centro della piazza, la raccoglie e me la consegna.
“Grazie.”
“Prego. Cosa ci ricorderemo sempre di Venezia e di questa piazza.”
Io sorrido e le faccio scivolare in tasca.
“Sì, hai ragione, grazie.”
Riprendiamo a camminare con la luna come guida e fregandocene del fatto che potremmo perderci o esserci già persi, è troppo bello camminare qui, con la calle che a volte finisce in un canale.
 

La mattina dopo è un po’ meno bello.
La passeggiata notturna è durata a lungo e non siamo riusciti a preparare i bagagli, cosa che facciamo adesso di corsa, assillati dalla paura di perdere il treno e poi l’aereo. Io ficco le cose a caso nella valigia e lo stesso fa il mio ragazzo.
Scendiamo per fare colazione e poi – dopo aver saldato il conto – scendiamo con le valige e ci avviamo a passo spedito verso la stazione.
Il treno per Milano lo prendiamo per un soffio, con le nostre valige arranchiamo stancamente verso i nostri posti e poi ci buttiamo sopra senza un minimo di classe. Sembriamo due barboni, ma chi se ne frega.
Ci addormentiamo entrambi e solo per un miracolo riusciamo a scendere a Milano prima che il treno riparta, corriamo in aeroporto perché ovviamente siamo in ritardo per il volo. Riusciamo comunque a prendere il nostro volo per Los Angeles.
Siamo di ritorno, America!
“Madonna, credevo proprio che non ce l’avremmo fatta!”
Esclama Jack a corto di fiato, accasciato sul sedile.
“Nemmeno io, pensavo che ci sarebbe toccato prendere un altro aereo.”
“Però ne è valsa la pena!”
“Se ti riferisci a ieri sera, sì. Ne è valsa la pena per Venezia e per il dopo!”
Lui mi prende la testa tra le mani e passa il pugno sui capelli ridendo.
“Ma ci stiamo sciogliendo, Wen!
Sono tanto felice.”
“Se vivi vicino al fuoco, prima o poi ti sciogli.”
Gli rispondo sorridendo.
Lui non dice niente, ma cerca di farmi accomodare tra le sue braccia.
Penso che non glielo direi nemmeno sotto tortura, ma la sue braccia sono diventate casa mia ormai, sono l’unico posto dove mi sento davvero protetta e dove so che nessuno mi potrà fare male.
“Che ne dici di farci una dormita, Wen?”
“Sì, sai che mi è appena venuta in mente una cosa?”
“Cosa?”
“Che i Jack e Wendy più famosi del mondo sono quelli di Shining.”
“Cristo!”
Esclama lui.
“Non ho intenzione di rincorrerti con un ascia, stai tranquilla.
Sono troppo pigro e tu dovresti guardare meno horror.”
“Ma Shining è bellissimo!”
“Sì, Wendy, ma adesso dormi, ok?”
Io annuisco e poco dopo dormo con la testa appoggiata alla sua spalla.
È stata davvero una vacanza bellissima, gliene sono grata, senza Jack non avrei mai potuto visitare Venezia, gli devo davvero un sacco di cose.
Sono stata fortunata ad averlo incontrato e che lui sia innamorato di me e viceversa, ovviamente.
Che bella la vita.

 

Mi sveglio e un’occhiata dalla finestra mi fa capire che siamo in volo sopra l’oceano: vedo solo nuvole bianche e una distesa infinita di acqua azzurra.
Jack dorme ancora e io lo lascio stare, ho il sospetto che abbia bisogno di riposare in vista di domani, per via delle registrazioni.
Si impegna molto per questo cd, visto da fuori sembra un coglione in realtà è un tizio abbastanza responsabile e che non perde quasi mai la calma. Avere Alex sempre intorno deve averlo temprato.
Non importa.
Questo paesaggio mi rilassa molto.
Bianco, azzurro, blu. Blu, bianco, azzurro.
E mano a mano ci avviciniamo a Los Angeles, la città degli angeli, e alle nostre occupazioni: registrare lui, cercare di far guarire questa mano maledetta io.
La riabilitazione sta andando abbastanza bene, ma ci vorrà ancora un po’ prima che io possa riprendere a tatuare e il mio negozio mi manca da morire.
Ogni tanto ci vado, ma mi rende triste vedere qualcuno tatuare, per quanto Bryan sia bravo e non mi possa lamentare di nulla.
Alzo la mia mano fasciata e sospiro.
Non vedo l’ora di vederla libera e di muoverla a mio piacimento, mi sento così impotente.
Jack si sveglia e nota la direzione del mio sguardo.
“Guarirà, non ti preoccupare, piccola.”
“Lo spero, ci sono tanti sogni riposti su questa mano, tante cose che voglio fare.”
“Le farai tutte, quella mano tornerà come prima.”
Me la accarezza piano.
“L’importante è che tu sia ancora qui. Quando ti ho vista in un lago di sangue ho pensato seriamente che ti avevo perso senza nemmeno provare a chiarire ed è stato orribile.”
“Mi dispiace di averti trascinato in tutto questo. La mia famiglia non è facile, io non sono facile e forse meriteresti una ragazza più normale.”
Lui scuote la testa.
“Io non mi merito una ragazza migliore, tu sei assolutamente perfetta così come sei e non voglio fare cambio con nessuno. Scordati di liberarti di me.”
Io sorrido.
“Non voglio liberarmi di te.”
“Perfetto. Su questo punto vediamo che concordiamo, adesso dai solo fiducia alla tua mano e a chi la sta curando.”
“Ok. Hai ragione.”
“Così ti voglio!”
Sbadiglia apertamente e si guarda attorno.
“Cosa cerchi?”
“L’hostess che passa con il carrello, vorrei un caffè e magari qualcosa da mangiare.”
“Passerà.”
Poco dopo passa e ci compriamo due caffè e due muffin, l’oceano intanto scorre tranquillo sotto di noi e il cielo è sereno.
“Hai voglia di tornare a Los Angeles?”
“Non particolarmente, ma devo registrare e poi mi mancano un po’ i miei amici, sto cercando di non pensare a come Alex avrà ridotto casa mia.”
Io rido.
“Io credo che la troverai in buone condizioni.”
“Sai qualcosa che io non so?”
Mi chiede guardandomi negli occhi.
“Forse sì, forse no. Dovresti pagarmi per quest’informazione.”
Lui inarca un sopracciglio.
“Un bacio va bene?”
“Basta che sia sentito…”
Sorridendo si lancia sulle mia labbra e fa partire una lotta senza quartiere tra le nostre lingue, che ci lascia ansanti e sorridenti.
“Allora?”
“Holly mi ha scritto che è riuscita a convincere a far andare Alex a casa sua con lei.”
“Convivono?”
La sua bocca forma una O perfetta.
“Ci stanno provando.”
“Dio santo, non me lo sarei mai aspettato da Alex. Il piccolino sta crescendo!”
“Ma se il piccolino è più grande di te!”
Gli dico ridendo.
“Ma rimane sempre il piccolino per me.”
“Come sei tenero!”
Gli passo le nocche sulla testa tenendolo fermo per il collo.
“Ahia! Adesso sono io a reclamare un bacio!”
Io lo bacio con tutta la passione che ho addosso, questo lo calma e poi mi fa appoggiare sul suo petto.
“Ah, non vedo l’ora di prenderlo in giro.”
“Pf! Come sei spietato!”
“Dai, non sono occasioni che capitano tutti i giorni!”
“Basta che non esageri, lo sai che ci tiene al giudizio.”
Lui rimane un attimo in silenzio.
“Hai ragione, a volte penso che tu sia un po’ gelosa del nostro rapporto.”
“È che certe volte mi sento completamente tagliata fuori dai vostri discorsi che non posso fare a meno di chiedermi se Dio abbia deciso di mandare di nuovo sulla mia strada uno … uno come mio
fratello, ecco.”
Lui sorride.
“Lo sai che non è così, ne abbiamo parlato tante volte. So che a volte possiamo dare quell’impressione, ma non lo siamo, siamo solo amici e spesso abbiamo condiviso cose che sono solo nostre. Dare soprannomi alle persone per esempio, figuracce fatte insieme, scherzi organizzati ai danni della band.”
“Capisco.”
“Ho il sospetto che sarai definitivamente convinta di quello che dico solo quando uno di noi due porterà una fede al dito.”
Io arrossisco fino alla radice dei capelli.
“Io…  io non volevo farti nessuna pressione in quel senso!”
“Tranquilla, lo so.
Wen, stai bene?
Sei rossa come un peperone.”
Io non gli rispondo e guardo fuori dall’oblò, pensando che essere la signora Barakat non sarebbe male, ma che non succederà mai.
Non credo sarò io la donna che sposerà, si merita una ragazza che non gli dia continuamente dei problemi e che sia abituata a muoversi ai ricevimenti della casa discografica. Io non sono nessuna delle due, sono solo…io.
“Wen?”
“È che ho paura di rimanere da sola perché so che sul lungo tempo non reggeremo.”
Lui mi prende una mano tra le sue.
“ Ce la faremo e smettila di pensare che non sei adatta a me. Sono un ragazzo normale, non un principe e non c’è bisogno di particolari requisiti per stare con me, solo uno.
Devi amarmi, poi va tutto bene.
Sono un tipo calmo, non pretendo la luna, sembro anche scazzato a volte e sono pigro e ho bisogno di una ragazza che non mi faccia pesare questi difetti e magari mi aiuti a coltivarli.
Io vorrei che fossi tu, mi piace trascorrere del tempo in tua compagnia, non ci si annoia mai e mi diverto.
Mi ami, Wen?”
Io annuisco tra le lacrime.
“Sì, sì, sì. E scusa per tutte le paranoie!”
“Se ti vengono, significa che ci tieni a me.”
La sua risposta mi fa sorridere, ora sono pronta ad affrontare di nuovo L.A. e la vita di tutti giorni, perché – fisicamente  o no – sarà sempre al mio fianco.

Angolo di Layla.

Spero abbiate passato un otto dicembre migliore del mio, perché io l'ho passato abbracciata a un secchio per vomitare allegramente.

Ringrazio _redsky_ e Mon per le recensioni.

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Capitolo 18
*** 17) All the small things. ***


17) All the small things.

 

Dopo non so quante ore di aereo finalmente atterriamo a Los Angeles.
Recuperiamo i nostri bagagli e ci dirigiamo agli arrivi internazionali, speriamo che qualcuno venga a prenderci.
Una mano di un’alta figura conosciuta si fa viva e muovendoci tra la folla ci troviamo davanti Alex e Holly, sono sorridenti e felici.
“Allora piccioncini, come è andata la vostra vacanza a Venezia?”
“Non te lo dirò fino a che tu non mi dirai come è andata la tua convivenza con Holly, Alex!”
Jack lo acchiappa per il collo e sfrega le nocche sulla testa del suo amico, esattamente come avevo fatto io con lui.
“Ma che pettegolo! Invece di essere felice che non mi sono appropriato di casa sua vuole sapere i fatti miei, ma ti sembra giusto, Holly?”
“Per niente!”
Mia cugina cerca di buttare per terra Jack, ma non ci riesce, lui è troppo pesante per lei.
“Ma guarda, che forza ha sviluppato Holly a forza di stare con te.”
“Holly, andiamocene e lasciamoli qui loro e i loro bagagli.”
Alex prende Holly per mano e finge di andarsene.
“No, dai! Stavamo scherzando!”
I due tornano indietro praticamente piegati in due dalle risate. Dopo questo siparietto, finalmente Alex prende le mie valige e usciamo dall’aeroporto.
Ormai è marzo e la primavera californiana ci accoglie benevola con un sole e delle temperature gradevoli, io alzo le braccia al cielo.
“Che bello! Un po’ mi mancava casa!”
“Ma se volevi trasferirti a Venezia alla ricerca di tutti i fantasmi del luogo.”
Mi prende bonariamente in giro il mio ragazzo.
“E ne avete visto qualcuno?”
Gli occhi di Holly scintillano di curiosità.
“Un paio e abbiamo sentito una voce che ci diceva di andare via in un vecchio manicomio.”
Mia cugina batte le mani soddisfatta.
“Come siete fortunati! Io non ne ho mai visto uno!”
Alex rabbrividisce dietro Holly e io le faccio cenno di tacere, forse ha detto qualcosa di sbagliato e l’occhiata di Jack me lo conferma.
Durante il viaggio nessuno apre bocca e Alex ci lascia a casa nostra, aiutandoci con i bagagli sempre in silenzio.
“Holly ha detto qualcosa di sbagliato, vero?”
Chiedo a Jack.
“Sì, all’incirca. Credo che ad Alex sia venuto in mente suo fratello.”
“Mi dispiace, non volevo farlo stare male.”
“È colpa mia. Avrei potuto evitare la battuta sui fantasmi. Sono sicuro che gli passerà presto.”
“Spero anche io.”
Ormai mi sono affezionata anche a lui e non voglio che soffra.
“Va beh, non possiamo farci nulla ormai. Quel che è stato detto è stato detto, cosa ne dici se iniziamo a sistemare questo casino?”
“Mmh, sì. Così sistemiamo il famoso vaso.”
Lui impallidisce e io rido.
“Non fare quella faccia, ho promesso niente pattine e sarà così.”
Lui tira un plateale e fintissimo sospiro di sollievo.
Io rido e salgo al piano di sopra tirandomi faticosamente dietro la mia valigia, bisogna mettere da lavare i panni sporchi e all’aria il resto.
Inizio e in un’ora ho finito e io e Jack ci contendiamo scherzosamente il primato della doccia, alla fine vince lui, io lo seguo.
Finito, l’idea sarebbe quella di rilassarci sul divano, ma il suono del campanello ce lo impedisce, Jack va ad aprire e sento le voci di Alex e Holly e quella di mio fratello.
Mi alzo ancora insonnolita e abbraccio tutti, Alex e Holly sembrano aver archiviato la battuta infelice di lei e mio fratello sprizza gioia da tutti i pori.
“Allora, ragazzi, come è andato il weekend?”
“Meraviglioso, Venezia è una città fantastica, dovete visitarla.
Volete qualcosa da bere?”
Annuiscono e io vado in cucina, torno con dell’acqua, coca e aranciata e i bicchieri, ovviamente su un vassoio.
“Allora, raccontateci qualcosa!”
Descriviamo piazza San marco, le calli, i canali, i vari sestieri, i cortili su cui si affacciano le case con un pozzo al centro.
“Holly mi ha detto che avete visto anche un paio di fantasmi. Felice, Wen?
Così forse smetti di violare le proprietà altrui per vederli.”
“Nah, Andy non contarci, non rinuncerò al mio hobby.
Venezia è una città speciale, magica, in cui senti tutto il peso dei secoli e in cui quasi tutto è possibile.
In ogni caso li abbiamo visti.”
“Forza, racconta, Wen!”
Io guardo Alex, lui mi fa cenno di proseguire.
“No, niente.
Io e Jack stavamo tornando al hotel una sera quando ho visto una ragazza vestita alla moda settecentesca seduta su uno dei pozzi e l’ho inseguita. Ha corso per un po’ di calli, con Jack dietro di me piuttosto scettico e alla fine si è diretta in un altro cortile.
Lì si è baciata con un ragazzo, anche lui fantasma.
Una vecchietta ci ha raccontato che sono i fantasmi di due amanti, lei ricca e nobile, lui povero. Quando la famiglia di lei si è accorta della tresca li ha uccisi entrambi.
E questo è il primo fantasma.”
“Il secondo?”
“Beh, per il secondo dovrai tapparti le orecchie per la parte sul violare le altrui proprietà.”
Lui sbuffa.
“Jack, come fai a sopportarla quando va in questa modalità?”
Il mio ragazzo ride.
“Non so, mi diverte vedere cosa è in grado di combinare quando il suo amore per il macabro raggiunge certi picchi!”
Mio fratello scuote la testa.
“Avanti, racconta!”
“Beh, eravamo all’isola di San Clemente. Su una parte è stata costruita una spa per ricconi, ma c’è anche una parte che teoricamente non è aperta al pubblico in cui ci sono una chiesa e un pezzo di manicomio.
Quando siamo sbarcati dal vaporetto ci siamo allontanati dal gruppo e ci siamo diretti lì, siamo entrati in chiesa e io ho rimediato questo.”
Mostro a tutti il vecchissimo rosario di perle nere che ho trovato.
“Dopo la chiesa siamo entrati nel manicomio, io avevo preso una cassetta per forzare qualcosa se ce ne fosse stato bisogno, ma fortunatamente abbiamo trovato una porta che ha ceduto solo con una forcina e ci siamo fatti un giro dentro.”
“Sempre la solita.”
Borbotta Andrew.
“A un certo punto abbiamo sentito una voce che ci intimava di andarcene e alla prima finestra rotta ce la siamo filata, sia mai che il fantasma si arrabbiasse.”
Mio fratello ride, ma smette subito davanti alle nostre facce serie.
“Ok, ok, non rido.
Wen, non so come tu faccia a ficcarti sempre in queste situazioni.”
“Lo dici come se mi ficcassi in situazioni pericolose.”
“Un po’ lo sono, un giorno ti cadrà un tetto in testa.”
“Non esagerare.”
“Jack, tienila d’occhio.”
Il mio ragazzo annuisce solennemente, io sbuffo.
Fortunatamente poi la conversazione si sposta su altri argomenti e arriva l’ora di cena.
“Raga, dobbiamo mangiare.”
“Ordiniamo pizza per tutti?”
Chiede Jack alzandosi in piedi.
“Ok.”
Tira fuori il suo smartphone e compone il numero della sua pizzeria preferita, ordinando varie cose, poi si risiede sul divano e beve soddisfatto un sorso di coca.
“Sto per mangiare una pizza con la mia ragazza e con i miei migliori amici. Cosa posso chiedere di più?”
“Un paio di pattine?”
Lui sbianca e scoppio a ridere.
“Dai, Jack, prima che arrivi la pizza distribuisci i regali.”
Lui annuisce, estrae una vestaglia a fiori terribile per Alex, che è indeciso se accettarla o strozzarci il suo amico e un braccialetto fatto con le murrine a Murano.
Io invece do a mio fratello un ciondolo con una murrina con incisa la sua iniziale dorata su sfondo blu, a Holly una sciarpa sui toni del nero e del viola e una maglia dell’hardrock caffè ad Alex che la apprezza di più della vestaglia.
Poco dopo suona il campanello e il fattorino ci consegna le pizze, mettendo fine a qualsiasi discussione sul perché Jack abbia portato ad Alex una vestaglia così brutta e fondamentalmente inutile.
 

Verso le dieci siamo stesi a letto, finalmente soli.
I nostri amici e mio fratello se ne sono andati e solo ora posso rilassarmi tranquillamente appoggiata la petto di Jack, che mi accarezza i capelli.
“Che giornata stressante!”
“Sì.
Uhm, cerca di rilassarti che domani hai le registrazioni.”
“Qui qualcuno è già bello rilassato.”
“Adoro quando mi accarezzi i capelli.”
“E se provassimo a fare il contrario.”
Io annuisco, mi alzo e lascio che sia Jack a stendersi su di me, la testa quasi tra i miei seni. Inizio lentamente ad accarezzargli i capelli soffermandomi sul tatuaggio che ha sul braccio.
In un attimo lo sento rilassarsi e lo vedo sorridere felice.
“Sai, rilassa davvero!”
“Lo so.”
Gli rispondo dandogli un bacio sulla tempia.
“Cerca di dormire, io domani posso stare relativamente tranquilla, tu devo concentrarti per le registrazioni.”
“Uhm, vero. Tu cosa devi fare domani?”
“Riabilitazione.”
“Occhio al dottore!”
Mugugna lui.
“Sì, Jack. Ma perché hai portato un regalo così orribile ad Alex.”
Lui scoppia a ridere.
“Perché mi andava. Non so, ero curioso di vedere che faccia avrebbe fatto.”
Io rido.
“Stai attenta al dottore, comunque. Se ci dovesse provare cosa faresti?”
“Gli tirerei un calcio nelle palle, probabilmente.”
“Così mi piasci.”
Biascica prima di addormentarsi di colpo, io avvolgo il suo corpo con le mie braccia e appoggio la mia testa sulla sua.
“Auguri mio amore e salvatore.”
Poco dopo dormo anche io, non accorgendomi del sorriso che aleggia sulla bocca di Jack che ha sentito tutto.
Ma mattina dopo veniamo svegliati dal rumore della sveglia, un giorno quell’oggetto odioso farà una bruttissima fine, giuro!
Jack si trascina in bagno, io scendo a preparare la colazione per tutti e due, io uscirò di casa dopo di lui visto che sarà Andy ad accompagnarmi dal medico.
Un quarto d’ora dopo scende con addosso solo i jeans e gli occhi gonfi di sonno, mi avvicino furtiva e gli do un bacetto.
“Uhm, sembra quasi che io sia riuscito nella mirabolante impresa di ammaestrare Gwendolen O’Connor!”
Le mie guance diventano rossissime all’istante e mi allontano da lui come se mi avesse dato la scossa, lui mi prende per un polso.
“Ehi, scusa! Non volevo metterti a disagio.”
“Il punto è che hai ragione e la cosa mi spaventa un po’ se la vedo sulle lunghe distanze, capisci?
Ho bisogno di viverla giorno per giorno per accettarla e non considerarla come un sogno meraviglioso o una parentesi.”
Lui mi sorride e mi accarezza una guancia.
“Fai come meglio credi.
Adesso vediamo cosa c’è per colazione.”
Gli occhi gli si illuminano.
“Crepes alla nutella e pancakes allo sciroppo d’acero! Che meraviglia!
Grazie mille!”
“Prego, figurati.
Spero che ti piacciano!”
“Ne sono sicuro!”
Si mette a sedere al tavolo della cucina e parte all’attacco delle crepes, dopo essersi versato un dose generosa di caffè e latte in una tazza, mugugnando felice.
Ok, non è educato mugugnare mentre si mangia, ma so che è il suo eccentrico modi di dirmi che trova quello che ho cucinato decisamente buono.
Mi siedo anche io e presto sul tavolo non rimane più nulla.
Lui si alza, mi dà un bacio veloce e corre a finire di prepararsi e poi mi dà un altro bacio prima di andare.
È una routine tranquilla di cui mi sento davvero parte  e che mi rende davvero felice.
Spero e prego il Signore con tutta me stessa che duri e che lui non mi venga strappato via, come è successo con Jimmy, perché non  credo che sarei in grado di sopportarlo un’altra volta.
Mi alzo pigramente dal tavolo della cucina per sistemare la cucina e cambiarmi, alle nove arriva mio fratello e ci dirigiamo lentamente verso l’istituto dove farò la riabilitazione.
Andrew è impressionato dalla struttura e senza Jack fa un po’ impressione anche a me, più che altro mi sento una formichina in un posto immenso.
L’infermiera mi accompagna alla palestra, Andy rimane fuori e trovo solo il dottore dentro che mi sorride cordiale.
“Buongiorno, signorina O’Connor.”
“Buongiorno, dottor Warren.”
Iniziamo subito con la terapia, sembrerebbe che tutto vada bene, se non che lui allunga un po’ troppo le mani in zone proibite – tette e culo – piuttosto lontane dalla mano.
Mentre è impegnato in una di queste manovre gli assesto un calcio ai gioielli di famiglia che lo fa accasciare a terra con le lacrime agli occhi.
“Non ci provi mai più o le darò un altro calcio e lo dirò al mio ragazzo che potrebbe anche tagliarle il suo prezioso uccello, capito?”
L’uomo annuisce e si tira faticosamente in piedi.
“Ah, e ho un fratello nell’esercito che mi aspetta proprio qui fuori.”
“Va bene, signorina O’Connor, messaggio recepito.”
Il dottore si alza e lavora in modo ineccepibile fino alla fine dell’ora che avevamo concordato, poi mi accompagna e mi riconsegna sorridente a mio fratello.
Ci allontaniamo insieme, lui sembra perplesso.
“Prima ho sentito il rumore di qualcuno che cadeva, è successo qualcosa?”
Io rido.
“Il dottore è inciampato ed è caduto.”
Lui sospira di sollievo.
“Ah, pensavo che ti avesse fatto qualcosa. Jack mi ha detto di tenerlo d’occhio.
Non mi stai mentendo, vero?”
“Ti dirò la verità se non la dirai a Jack.”
Lui si scurisce subito.
“Va bene, non glielo dirò.”
“Mi toccava in punti che con la mano non c’entravano nulla e io gli ho mollato un calcio nelle palle.”
“Che bestia! Vorrei tornargli indietro e rifargli la faccia.”
“Rischieresti una denuncia per nulla, credo che non lo farà più.”
“L’hai sistemato per bene, eh?”
Io rido.
“Penso di sì.”
Usciamo dalla struttura e ci infiliamo in macchina.
“Dici che è una buona idea fare un’improvvisata a Jack allo studio?”
“Perché no?”
“E se lo disturbassi?”
“Non penso.”
“Va bene, andiamo da lui.”
Dico alla fine, sperando di non pentirmene.
Arriviamo alla Hopeless Record, Andy parcheggia, poi partiamo alla ricerca degli All Time Low, li troviamo subito per fortuna.
Jack mi saluta con un bacio, Alex mi abbraccia, Zack e Rian mi stringono la mano sorridenti.
“Loro due ti considerano l’autrice di un miracolo.”
Io guardo Jack senza capire.
“Che miracolo avrei fatto?”
“Farmi mettere la testa a posto.”
“Ah!”
Dico piuttosto imbarazzata, grattandomi la testa.
“Non voglio sapere altro!”
Aggiungo facendo ridere il batterista e il bassista.
“Ecco, voi due state zitti che non voglio ritrovarmi single a causa vostra.”
Mi prende sottobraccio.
“Come è andata la riabilitazione?”
“Bene, io e Andy possiamo pranzare con voi?”
“Ma certo, che domande!”
Andiamo tutti in un Mac Donald vicino alla casa discografica, siamo una comitiva rumorosa perché Jack e Alex continuano a lanciarsi battute che  fanno girare i clienti verso di noi, io sorrido conciliante.
Alla fine troviamo un tavolo abbastanza grande e iniziamo a mangiare, Jack tiene un braccio attorno alle mie spalle, mentre cazzeggia amabilmente con il resto del gruppo. Pensavo mi sarei sentita a disagio, invece sto bene, sembriamo una compagnia di amici.
Probabilmente Alex, Jack, Rian e Zack lo sono e hanno accettato di buon grado anche me e mio fratello. Si vede che sono dei bravi ragazzi espansivi.
Finito il pranzo, loro tornano alla casa discografica e io torno a casa non prima che  Jack mi abbia baciato di nuovo. Potrei anche abituarmi a una vita così felice, penso mentre mio fratello mi riporta a casa.
Potrei abituarmi e non volermene più andare, potrei persino progettare un matrimonio nei miei sogni, perché nella realtà è troppo presto, ma nell’immaginazione può succedere di tutto.
“Grazie per avermi accompagnata.”
“Di niente. Mi fa piacere occuparmi di te, anche se ancora per poco, tra un settimana scade la mia licenza.”
“Non farmici pensare o divento triste. Mi piace che tu sia qui con me.”
“Per me è lo stesso, ma conosci i miei progetti.”
“Vedi di non farti uccidere.”
Lui annuisce, mi dà un bacio sulla guancia e se ne va, io rientro in casa malinconica, non mi va di dare di nuovo addio a mio fratello.
Ho Jack, ma un fratello è sempre un fratello!
Visto che mi sono svegliata presto decido di farmi una dormita e mi butto a letto, entro due minuti dormo il sonno dei giusti.
Mi svegliano i rumori di Jack che ritorna.
Cavolo! Ho dormito un sacco di tempo! Scendo al primo piano e lo trovo comodamente sdraiato a guardare la tv.
“Scusa! Mi sono addormentata e no ho fatto in tempo a preparare nulla!”
Gli dico mortificata, lui sorride e mi fa cenno di venire a sedere vicino a lui, io lo faccio immediatamente.
“Non fa niente. Ho ordinato dal cinese, lo facevo spesso prima.”
“Non sei arrabbiato?”
“No, mi ritengo fortunato che ogni tanto ci sia una mano femminile in questa casa, a patto che non mi parli di pattine.”
Scoppio a ridere e mi metto a guardare la tv con lui.

È un programma assolutamente perfetto-

Angolo di Layla

Ringrazio  _redsky_ e Mon per le loro recensioni. Mi sento spronata ad andare avanti.

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Capitolo 19
*** 18)Sorry, mother I don't miss you, Father no name you deserve. ***


18)Sorry, mother I don't miss you, Father no name you deserve.

 

Ci sono giorni che sono pigri e noiosi, questo è uno di quelli.
Mio fratello parte tra due giorni e io ho bisogno di qualcuno che mi accompagni a fare la spesa, ma Jack sta registrando e non posso – per ovvi motivi – coinvolgere Andy, così non mi resta che chiedere a Holly.
Lei accetta volentieri, dice che Bryan è perfettamente in grado di gestire il negozio, questo cade a fagiolo perché con la mia mano non posso ancora guidare.
Alle due arriva a casa, le chiedo se vuole qualcosa, lei prende una coca e poi si siede sul divano.
“E così tu e Alex state resistendo.”
Lei beve un lungo sorso.
“Sì, più di quello che avrei mai pensato, convivenza inclusa.
Quando gliel’ho proposto pensavo solo al weekend che voi stavate trascorrendo a Venezia, al vostro ritorno mi ha chiesto di restare.”
“Che bello! Sono tanto felice per voi, anche se un po’ mi mancherà non vederlo gironzolare per casa, guai a te se glielo dici!”
Lei si mette gli indici crociati sulle labbra.
“Giuro che non glielo dirò, adesso è meglio andare però.”
Io annuisco e prendo solo una felpa viola.
“Come va tra te e Jack?”
Mi chiede una volta salita in macchina.
“Bene. Ogni tanto litighiamo, ma poi facciamo pace e tutto torna normale, non è un tipo che porta rancori. Penso di amarlo sul serio e questo mi sembra un miracolo.”
Lei sorride.
“Non è un miracolo, te l’ho sempre detto che avresti trovato quello giusto per te, eri tu a non volermi credere.”
“Uhm, hai ragione. Cosa posso cucinare a mio fratello?”
“Delle belle cotolette, di quelle alte e magari della pasta come primo, sei senza idee?”
“Sì, ma anche perché con questa mano devo cucinare delle ricette non  troppo complicate o non ce la fa.”
Lei si acciglia.
“Se usarla per cucinare ti fa male non usarla!”
“Holly, io e Jack non possiamo vivere solo di cinese e pizza!”
Lei sospira, immagino voglia dire qualcosa, ma si trattiene, forse per non scatenare un’altra lite epica tra di noi.
 “Va bene, abbiamo chiacchierato abbastanza, è arrivato il momento di andare.”
Io annuisco e ci alziamo entrambe dal divano, lei prende saldamente un mano le chiavi della macchina e mi precede fuori dalla porta. Io la seguo e poi mi accomodo in macchina, mentre lei apre il cancello automatico.
“Holly, ho detto qualcosa che non va?”
“No, non hai detto nulla di sbagliato, penso solo che non sia giusto che ora tu sia così limitata nei movimenti per via di tua madre.
Non è affatto giusto.”
“Ormai è successo e non posso farci nulla, devo solo andare avanti e pensare a far guarire questa mano, per il resto spero che il diavolo la stia arrostendo come un kebab con il suo forcone.”
“Oh! Se lo meriterebbe e se lo meriterebbe anche mio padre, hanno il gene della stronzaggine.”
Io annuisco e mi rendo conto che da quando abitiamo in Cali i genitori di Holly hanno smesso di chiamarla, come se volessero dimenticarsi che hanno una figlia.
Arriviamo al supermercato e fortunatamente troviamo un parcheggio relativamente vicino all’entrata. Holly prende diligentemente il carrello e io la seguo.
Lo riempiamo con metodo di tutte le cose che ci servono e di quelle che non ci servono, ma che non possono mancare come caramelle e schifezze varie.
“Tutta questa roba non è sana.”
“Ma è buona e tira si di morale, serve.”
“Giusto, a volte il morale cala anche se i nostra fidanzati sono spettacolari!”
Io sospiro.
“Che c’è?”
“No, è che mi chiedo se io sia davvero degna di Jack, forse meriterebbe una fidanzata che sappia stare sotto i riflettori.”
“Non ti preoccupare per questo, se ci saranno problemi ti proteggerà, ne sono certa.”
“Uhm, a te è già successo, vero?
Come sono i party?”
“Una rottura di palle, pieni di gente ipocrita e stronza, spero che tu non debba andarci mai.”
Abbassa la voce.
“Io l’ho abbandonato a metà e sono corsa a ubriacarmi nel primo bar.”
“Lynch, così non va, lo sai?”
Lei sospira.
“Lo so, ho promesso ad Alex che non avrei mai più bevuto così.”
“Alex ogni tanto è una persona sensata. È arrivato il nostro turno.”
Mettiamo la borsa sul nastro e poi io corro in fondo alla cassa per metterli nelle buste.
Alla fine abbiamo fatto una signora spesa e facciamo quasi fatica a caricarla in macchina, per un po’ nessuno dei ragazzi si lamenterà.
In macchina l’atmosfera è meno tesa, io e Holly finiamo per canticchiare qualche canzone dei blink e persino la mia mano sembra fare meno male.
La parte allegra della giornata ha però una fine, fuori da casa mia vedo una macchina nera terribilmente familiare, inizio a tremare senza potermi controllare.
“Holly, accosta.”
Lei ubbidisce.
“Chi diavolo c’è in quella macchina.”
“Mio padre.”
Sussurro queste parole con un filo di voce.
Non può essere vero, non può essere vero anche questo incubo!
Prima la mamma e poi lui, perché riappaiono sempre quando la mia vita sembra finalmente andare bene?
Io e Holly scendiamo e subito qualcuno scende da quella macchina nera ed elegante.
“Holly, Wendy.”
Nessuna delle due risponde.
“Nemmeno un saluto?”
Ci chiede fintamente cordiale.
“Vieni al dunque.”
Dico gelida, almeno la padronanza della voce l’ho ritrovata.
“Il dunque… oh, sì! Voglio diecimila dollari da te ora che ti sei sistemata, per anni ho dovuto pagarti tutto, senza contare il sogg…”
Gli scoppio a ridere in faccia.
“TU mi hai pagato tutto? TU?
Non dire stronzate, sciacallo! Vivevamo grazie al sussidio della previdenza sociale, tu non hai mai versato una volta che fosse una gli alimenti, anche se il giudice ti ha più volte sollecitato a farlo.”
Sul suo volto si dipinge un ghigno maligno.
“Non puoi dimostrarlo, Wen.”
“Sì, ho tutte le carte. Prima di andarmene ho preso cose che ritenevo utili e le carte in cui si attesta che tu eri un padre inadempiente sono tra queste.
Adesso, vattene!”
“Per ora me ne vado, ma tornerò.
Mi devi diecimila dollari, puttanella.”
Se ne va lasciandomi pietrificata, Holly mi guida fino in camera mia, io tolgo gli anfibi e i jeans e mi butto sul letto.
“Vuoi che rimanga?”
“No.”
La mia voce è roca e non mi piace.
Holly sospira e poco dopo la sento mettere via la spesa e sedersi in salotto a guardare la tv. Sul mio volto invece scorrono lacrime silenziose.
Mi rovinerà la vita di nuovo e io non potrò farci nulla. Me l’ha rovinata il giorno in cui se ne è andato di casa e lo sta rifacendo adesso e come allora non prova rimorso, odio avere geni in comune con quell’uomo.
All’improvviso ricordo la rabbia di mia madre ogni volta che non trovava gli alimenti non pagati, il suo ricorrere agli avvocati e poi la discese lenta e inesorabile verso l’alcool e il degrado.
Il giorno in cui andammo via dalla villetta c’era un sole splendente e io piangevo in silenzio, perché non me ne volevo andare, ogni angolo di quella casa era pieno di quelle stupide memorie infantili in cui sei felice per niente.
Arrivare alla roulotte fu uno shock, era sporca e buia, il sole se ne era andato per sempre dalla mia vita. Ho  pulito più volte da cima a fondo quel letamaio, ma non ha mai acquistato l’aspetto di qualcosa di pulito, sembrava il relitto di una civiltà minore.
Ricordo le botte, James che si faceva vicino a me e quelli che mi insegnavano a rubare e mi chiedevano se non volevo uno spinello. Io annuivo sempre, l’erba mi piaceva, per qualche momento non sentivo il peso della mia vita incerta.
Ricordo anche i momenti trascorsi in bagno con una lametta, mi incidevo il braccio ogni giorno più a fondo, volevo morire perché era l’unico modo in cui potevo andarmene da lì.
Un giorno incisi un po’ più a fondo delle altre volte e trovai la vena giusta, se Andy non mi avesse portata subito in ospedale sarei morta e forse sarebbe stato meglio per tutti.
I minuti, intanto, si sono fusi in ore.
La luce del giorno ha raggiunto il suo apice e ora sta scendendo, dando colorazione dorate al pulviscolo che ruota – come polvere di fata – nella stanza.
Le mie lacrime continuano a scorrere.
Sento la porta d’ingresso aprirsi e Jack chiamare il mio nome, probabilmente Holly gli si fa incontro perché le loro voci si abbassano e non le sento più. Sento dei passi che salgono le scale poco dopo.
Jack  si affaccia alla porta della nostra camera e io mi sento il suo sguardo addosso.
“Wen?”
Io non rispondo e mi rannicchio in posizione fetale, lo sento sospirare e poi togliersi le scarpe, mi abbraccia da dietro.
Credevo mi sarei divincolata e l’avrei cacciati perché questo dolore era troppo mio per renderlo partecipe invece lo lascio stare lì. Emette calore, mi rassicura, mi accarezza i capelli e le spalle.
“Piccola, cosa è successo?”
Io non rispondo.
“Wen, rispondi, ti prego. Sono preoccupato per te.”
Rimango un attimo in silenzio, poi una voce sottile (che quasi non sembra la mia) inizia a parlare.
“Oggi mio padre è venuto a cercarmi. Ha detto che devo dargli diecimila dollari, visto che sto con uno ricco, per restituirgli i soldi degli alimenti e del mio soggiorno a New York.
Lui gli alimenti non li ha mai pagati, gliel’ho detto e gli ho detto anche che ho le carte che lo provano, mamma l’aveva citato in giudizio un paio di volte prima che l’alcool le mangiasse il cervello.
Mi ha detto: Per ora me ne vado, ma tornerò.
Mi devi diecimila dollari, puttanella.”
Capisci?
Gli devi diecimila dollari solo perché sto con te!”
Scoppio di nuovo a piangere e lui cerca di calmarmi.
“Wen, calma. Le sue pretese non hanno senso, è solo un ricattatore, domani andiamo dal mio avvocato e sistemiamo le cose,non metterà mai più piede a Los Angeles, mi credi?”
Io annuisco piano.
“Mi dispiace, non volevo che tu dovessi farti carico di questo problema. Non sono una ragazza, sono una fonte ambulante di guai.”
“Non fa niente, ti amo.”
“Un giorno spero di poterti ripagare per tutto questo.”
“Stai con me e il conto sarà saldato.”
Io scoppio di nuovo a piangere, non mi merito tutto questo.
Lui mi accarezza la testa, mormorando: “Ssh!” al mio orecchio.
“Lo so che pensi di essere un peso, ma non lo sei e quel succhia sangue se andrà presto, nessuno può far piangere la mia ragazza.”
“Jack, ti amo.”
“Anche io e adesso vieni che ci aspetta la cena.”
Inaspettatamente mi prende in braccio e scendiamo le scale come due novelli sposi al contrario, seduto al tavolo del salotto c’è Alex.
“Buonasera, piccioncini!
Wendy, stai bene?”
“No, non molto. Oggi mio padre è venuto a cercare soldi, ogni volta che arriva qualche parente che non sia Holly inizio a preoccuparmi sul serio.”
“Hai le tue ragioni.”
“Domani andremo dall’avvocato e la storia finirà.”
Alex annuisce.
“Vi abbiamo portato la cena, intanto.”
Io mi rianimo per un attimo.
“Uh, grazie! Cosa avete portato?”
“Cinese.”
Prepariamo il tavolo e poi disponiamo i cartoni al centro, hanno preso un po’ di tutto e sono loro profondamente grata per questo.
Almeno qualcuno che non vuole i miei soldi o uccidermi c’è.
 

La mattina dopo la sveglia mia e di Jack suona presto.
Abbiamo appuntamento con l’avvocato di Jack per la questione di mio padre, ieri sera ho preparato e messo in ordine tutte le carte che ho preso dalla roulotte di mamma, in modo che lui le possa visionare.
“Preoccupata?”
“Un po’.”
“Non ti preoccupare, il suo è un ricatto senza fondamento, non gli devi nulla, deve lasciarti in pace.”
“Speriamo.”bofonchio io: “ E speriamo che decida di non spararmi quando verrà a sapere che non pagherò.”
L’espressione di Jack si indurisce.
“Non ho intenzione di far sì che questo si ripeta di nuovo, non ti sparerà più nessuno.”
Io sorrido, mio malgrado.
“Grazie.”
“Ma di che cosa? Forza, andiamo a fare colazione! Muoio di fame.”
“Come sempre.”
Ridacchio io, cercando di alleggerire la situazione, rimango sempre preoccupata lo stesso.
Mangiamo in silenzio e poi cerco il più elegante tra i miei vestiti, un tubino nero e delle scarpe con il tacco medio, non voglio dare l’impressione né della poveraccia né della femme fatale.
Jack non si fa problemi invece, indossa una maglia e un paio di pantaloni e si sente a posto così, forse perché lo frequenta più di me e sa come comportarsi.
“Wow, come siamo belle stamattina!”
“Ho sbagliato abbigliamento? Sono ancora in tempo per cambiarmi!”
Lui ride.
“No, va benissimo! Anche io agitato la prima volta che sono andato da lui, ma Julius sa come metterti a tuo agio.”
“Uhm, capisco.”
Mi prende gentilmente per un braccio e mi trascina fuori da casa sua, sorridendo tranquillo, io impallidisco: l’auto nera è ancora lì.
“Cosa succede?”
“La vedi quella grossa macchina nera straniera?
È la macchina di mio padre, ci sta tenendo d’occhio.”
Rispondo piuttosto nervosa, la cosa non mi piace per niente e la cosa non deve piacere nemmeno a Jack perché la guarda malissimo.
“La smetterà presto, mi fa girare le palle che uno stronzo avido sorvegli casa mia.”
“Se io non fossi la tua ragazza saresti libero.”
“Non ricominciare.”
Io abbasso gli occhi, se lo lasciassi lui starebbe meglio, ma lui non è d’accordo e forse nemmeno io sono d’accordo con me stessa. Forse lasciandolo scapperei soltanto ignorando il problema che è mio padre.
Oh, ma perché il passato continua a tormentarmi?
Perché non posso stare un po’ in pace?
“Wendy, niente idee di fuga.”
Mi dice severo Jack.
“Va bene. Probabilmente se fuggissi tornerei dopo tre giorni in disperata astinenza di te.”
“Eccellente.”
Saliamo in macchina e stranamente poco dopo parte anche la macchina di mio padre, senza pudore proprio.
Attraversiamo il traffico di Los Angeles e arriviamo in centro, Jack parcheggia sotto un grattacielo che sembra fatto di vetro e usciamo.
L’interno è super lussuoso, così – spontaneamente – prendo la mano del mio ragazzo per farmi coraggio e mi lascio guidare verso l’ascensore.
Jack preme tranquillo il numero 10 e la macchina comincia lentamente a salire, insieme alla mia ansia, lui se ne accorge e stringe più forte la mia mano.
“Tranquilla.”
“ Va bene, ci provo. Essere troppo agitata farà una cattiva impressione, vero?”
“Più che altro sprechi energia, la ragione è dalla tua parte, Wen.”
Le porte dell’ascensore si aprono, Jack mi accompagna davanti a una porta con scritto Julius Anderson sul vetro in semplici caratteri dorati.
Jack bussa e si sente un:”Avanti!”, entriamo e ci troviamo davanti una donna curata dai capelli color caramello perfettamente acconciati in tante onde e che indossa un costoso tailleur nero.
“Jack, che piacere vederti! E lei deve essere la famosa Wendy, ci credo che hai messo la testa a posto, ragazzaccio!
Lei è bellissima!”
Io arrossisco fino alla radice dei capelli, una donna dell’upper class che fa i complimenti a una come me!
“Vero?È un tesoro. Wendy ti presento Sarah, la segretaria di Julius.”
“Piacere, Wendy!”
Allungo una mano e lei me la stringe con calore.
“Julius vi sta aspettando di là.”
“Grazie, adesso lo raggiungiamo.”
Jack mi precede ed apre un’altra porta a vetri con scritto a caratteri più piccoli il nome dell’avvocato, il cuore inizia a battermi più forte.
Julius Anderson è un uomo di mezza età con i capelli biondi e un sorriso affascinante, saluta Jack con una pacca sulla spalla e si scambiano una serie di convenevoli, poi finalmente l’uomo si siede dietro la sua scrivania e noi sulle comode sedie dall’altra parte.
“Allora, Barakat, come mai qui?”
“Abbiamo un problema.”
“Quando dici “abbiamo” ti riferisci a me e te o a te e alla tua incantevole ragazza?”
“A me e alla mia ragazza. Mi sono dimenticato di fare le presentazioni.
Wendy, lui è Julius Anderson. Julius, lei è Gwendolen O’Connor.”
“Mi chiami Wendy.”
Sussurro intimidita.
“Benissimo, Wendy. Che ne dici di espormi il problema?”
Io annuisco e comincio a raccontare la mia vita a questa sconosciuto che annuisce comprensivo, accetta i documenti che gli porgo e alla fine mi guarda rassicurante.
“Sembrerebbe un caso di ricatto, con un’ingiunzione del tribunale suo padre dovrebbe andarsene. Controllerò i documenti e domani alla stessa ora di oggi vi comunicherò come intendo procedere, se è come dite voi, in una settimana massimo sarete liberi da quell’uomo.”
“Va bene, grazie Julius.
Sono preoccupato, si apposta sotto casa nostra e ci segue. La madre della mia ragazza ha già tentato di ucciderla, vorrei che non succedesse di nuovo.”
L’avvocato annuisce.
“Non ti preoccupare, faremo in modo che non succeda nulla e che quell’uomo se ne vada.”
Si alza e ci stringe le mani, ora mi sento un pochino un pochino più sollevata, mio padre è sempre là fuori (e non so se abbia anche lui intenzioni omicide, ma non posso escluderlo), ma almeno qualcuno mi aiuterà e forse questa situazione finirà bene.
Deve finire bene.
Ho un karma sfigato, ma almeno per una volta deve girare bene, voglio continuare a stare con Jack senza dovermi preoccupare di tutta la mia famiglia!
Credo sia mio diritto vivere una storia normale, o no?

Angolo di Layla

Ringrazio Mon e  _redsky_ per le recensioni, se non ci fossero probabilmente avrei interrotto la storia secoli fa.

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Capitolo 20
*** 19) Address this letter to dear father ( you will remain a complete uknown) ***


19) Address this letter to dear father ( you will remain a complete uknown)

 

Quando c’è di mezzo la mia famiglia nulla è mai sicuro o normale.
Io e Jack stiamo uscendo dal palazzo quando mio padre si fa avanti.
“I soldi, dammi i soldi che mi devi!”
“Wen non le deve niente, se ne vada.”
Mio padre stringe gli occhi.
“Il fatto che si faccia fottere da te non ti dà il diritto di intrometterti in una questione che non ti riguarda. Lei mi deve dei soldi e io me li riprenderò in un modo o nell’altro.”
Fa per scagliarsi contro di me e Jack mi fa scivolare dietro di lui e alza i pugni.
“Se ne vada da solo finché è in tempo. Non ho intenzione di lasciare che nessun altro membro della sua famiglia cerchi di portarmi via la ragazza.”
Mio padre ci lancia un’occhiata astiosa e se ne va, senza smettere – ovviamente – di pedinarci, vedere la sua macchina a pochi metri dalla nostra fa venire un’ansia terribile.
“Non molla!”
Commenta laconico Jack, io annuisco.
“Ti lascio da tuo fratello, lui sa vero che tuo padre è tornato?”
Io scuoto la testa, lui sospira.
“Chissà perché me lo immaginavo. Beh, adesso avrete la vostra occasione per parlarne.”
“Purtroppo!”
Mi prendo la testa tra le mani.
“Sono stanca! Sono stanca di tutte queste tragedie e casini che succedono per colpa della mia famiglia. Pretendere la famiglia modello con due genitori che si amano, il fratellone sposato con una brava ragazza e magari un cane è troppo, ma almeno una famiglia decente!
Mia madre è, era, un’alcolista violenta che si è lasciata sconfiggere dalla vita e non ha trovato la forza di lottare fino in fondo per noi.
Mio padre un arrampicatore, che ha scontato il suo purgatorio sposando mia madre e poi mollandola non appena mio nonno è morto. Loro due si sono sposati solo perché mio nonno ha minacciato mio padre di rifargli la faccia a suon di pugni se non si fosse preso cura della sua prole.
Morto lui, fottuta la promessa!”
Prendo un attimo fiato e guardo il traffico di Los Angeles.
“Scusa lo sfogo, è che non è giusto nulla di tutto quello che sta succedendo.
Nulla.
Adesso vado da Andy, buona registrazione.”
Gli do un bacio sulla guancia, lui all’ultimo minuto mi sposta e fa in modo che le nostre labbra si scontrino e che il bacio da innocuo diventi passionale.
“Wen, qualsiasi cosa succeda ricordati che sei mia.”
“Lo stesso vale per te.”
Scendo sorridendo, suono al campanello di mio fratello e il portone del condominio si apre, io entro subito e me lo richiudo alle spalle altrettanto rapidamente.
Salgo i due piani di corsa e busso alla porta del suo appartamento, lui mi fa entrare e – già dal modo in cui mi guarda – intuisco che ha capito che è successo qualcosa.
“Sputa il rospo, cosa sta succedendo, sorellina?”
Io mi siedo sul divano.
“C’è che papà è arrivato a Los Angeles e vuole soldi anche lui, da quando mi sono messa con Jack sembra che sia tutto quello che loro vogliano da me.
Wendy rischiava ogni giorno il suicidio, l’epatite o l’aids nella parte sbagliata della città?
Chissenefrega!
Wendy, per una volta, trova qualcuno che la ama?
Roviniamole la vita!”
Mio fratello mi lancia un pacchetto di Marlboro e io ne tiro fuori una e l’accendo. Il primo tiro è rabbioso, uno di quelli che ti grattano la gola.
“Ah, così il vecchio bastardo è tornato alla carica…
Ti terrò d’occhio fino alla mia partenza, poi mi toccherà fare il fratello protettivo e darti in consegna a Jack Barakat.
Lui cosa dice di questa storia?”
“Siamo stati dall’avvocato stamattina, gli ho lasciato tutte le carte che sono riuscita a recuperare dalla roulotte.”
“E?”
“Dice che se è come la racconto io, può far emettere un ordine restrittivo alla polizia, visto che il suo è un ricatto bello e buono.”
“Perfetto, vedrai che questa volta se ne andrà.”
“Spero senza uccidermi.”
“Lascia fare a me.”
Io non dico nulla, la frase sa di minaccia, ma non me ne importa granché. Dovrei provare pietà per un uomo che mi ha, che ci ha, distrutto la vita?
No, non ci riesco.
Provo pietà per gli ultimi, per quelli che come me sono nati e vivranno nella parte sbagliata della città, per quelli che non avranno mai una possibilità perché vivono in una roulotte, ma non per lui.
Lui ci ha semplicemente lasciati, disinteressandosi del nostro destino e tornando solo quando c’erano soldi che potevamo dargli, come ora.
“Smettila di farti il sangue amaro per lui e cerchiamo di arrangiarci per il pranzo.”
“Posso provare a cucinarti qualcosa.”
“No, faccio io.”
Mi dice brusco, poco dopo nell’aria si sente il profumo invitante del soffritto di aglio e cipolla: presumo farà la pasta.
Mi alzo e con calma preparo la tavola per due, pensando che odio avere una mano che non funziona bene: non posso disegnare, tatuare, cucinare.
Che palle.
Finito di preparare torno sul divano, il cellulare suona proprio in quel momento: è Jack.
Rispondo subito, amo sentire la sua voce.
“Pronto?”
“Ciao, piccoletta. Tutto bene?”
“Benissimo, Andy è una buona guardia del corpo!”
Scherzo.
“Tu come stai? Come sono andate le registrazioni?”
“Io sto bene e le registrazioni sono andate bene, volevo solo essere sicuro che tu stessi bene e che lui non si fosse fatto vedere.”
“Non ti preoccupare, sono seduta sul divano di mio fratello in attesa del pranzo. Sta cucinando della pasta, per ora non corro nessun pericolo.
Grazie per esserti preoccupato.”
“Sei la mia ragazza! È il minimo.
Questa storia finirà presto e tuo padre rimarrà a bocca asciutta.”
“Sì. Domani lo sapremo.
Buon pranzo, Jack. Ti amo.
E salutami gli altri!”
“Buon pranzo anche a te, piccola.
A stasera.”
Chiudo la telefonata sorridendo come una scema.
“Lo ami, eh?”
Mi chiede mio fratello.
“Più della mia vita.”
Rispondo io, mio fratello sorride.

 

Verso le sei qualcuno suona il campanello.
Mio fratello guarda diffidente dalla finestra e quando vede che è solo Jack, tira un sospiro di sollievo, gli apre il portone e gli dice a che piano deve salire.
Poco dopo si sente bussare alla porta e mio fratello saluta il mio ragazzo, che poi si avvicina a me, mi abbraccia e mi bacia.
“Adesso che ti vedo sana e salva mi sento meglio.”
Sussurra al mio orecchio.
Io sorrido contro la sua bocca, anche se là fuori c’è mio padre, non posso fare a meno di sentirmi felice, stupidamente e totalmente felice.
Ci stacchiamo e io saluto mio fratello, tra tre giorni partirà purtroppo.
“Domani sera sei a cena da noi, ci saranno anche Holly e Alex e – che tu voglia o no – cucinerò io con le mie manine.”
Lui sospira.
“Sei testarda come un mulo!D’accordo, verrò ovviamente, tu vedi di non esagerare.
Jack, controllala. Non deve sforzarsi troppo con quella mano.”
Il mio ragazzo annuisce e dopo aver salutato anche lui Andy ce ne andiamo.
“Ti va se andiamo a cena fuori stasera?”
Mi chiede Jack.
“Uhm, perché no? Spero di non incontrare mio padre.”
“Ci sarò io con te, non ti devi preoccupare. Ti porto in una pizzeria piccola e carina, il proprietario è italiano.”
“Va bene. Ma ne sei sicuro?
Sembri stanco.”
“Lo sono ed è per questo che voglio uscire a mangiare, così poi ti avrò tutta per me.”
Sorride birichino.
“Va bene.”
Rido io, divertita.
Arrivata a casa sua mi butto sotto la doccia e poi – mentre lui è sotto la doccia – mi vesto. Indosso un vestitino a mezze maniche nere nero fin sotto il seno e poi con fantasie di teschi e rose, è il mio preferito, è un regalo di mia cugina.
Jack  fischia quando mi vede e io divento rossa come un pomodoro, facendolo ridere.
“Non ti abituerai mai a sentirti dire che sei carina?”
“Temo di no.”
“Ti ci farò abituare.”
Lui indossa un paio di jeans scuri, una delle sue amate maglie “Boner”, una camicia a quadri e delle scarpe da tennis.
Usciamo da casa chiacchierando, la macchina nera è lì, come un monito, come se ci si potesse dimenticare di chi ci sta dentro.
Entriamo in macchina e partiamo, Jack è rilassato, io sono un po’ sulle spine, non faccio altro che toccarmi la mano ferita.
“Non succederà ancora.”
Mi dice il mio ragazzo.
“Farò in modo che non succeda ancora, goditi la serata.”
“Va bene.”
Rispondo commossa.
Nessuno parla più fino a quando non arriviamo alla pizzeria, è nella zona vicino al mare di Los Angeles e pur essendo piccola,ha una grande terrazza coperta che dà sull’oceano. Noi prendiamo posto lì e io mi incanto un attimo a guardare il panorama: sul mare c’è una sottile linea verde chiaro netta e poi un cielo che sfuma delicatamente dall’azzurro scuro al nero della notte in cui si stanno accendendo le prime stelle.
“Che bello!”
Esclamo estasiata.
“Sì, molto. È un bel posto, con un bel panorama e con una bella ragazza con cui condividerlo.”
“Smettila, dai!”
Lui ride e lo sta ancora facendo quando il cameriere ci porta il menù.
Ordiniamo entrambi una margherita e della coca per tutti e due.
“Sono state così pesanti le registrazioni oggi?”
“Abbastanza da non vedere l’ora di farmi coccolare da te.”
“Avrai tutto a tempo debito.”
Lui annuisce, sotto quell’aspetto ci andiamo cauti per via del mio passato e io – in un certo senso – mi sento colpevole, perché lui deve adattarsi a questa situazione.
“Vorrei essere una ragazza migliore.”
“A me vai bene così. Se avessi voluto una puttana avrei scelto una delle mie groupie.”
“Se lo dici tu.”
Lui mi stringe le mani.
“Credimi, va bene così. So cosa hai passato e so che non è colpa tua,ti rispetto e ti rispetterò sempre.”
A interrompere questo breve momenti di romanticismo arriva il cameriere con le nostre ordinazioni. Io e Jack sorridiamo: la pizza tira sempre su di morale!
È anche una pizza buona, fatta come si deve e me la gusto tutta. Come dolce ci consigliano il tiramisù e noi non ci pentiamo di averli ascoltati perché è un dolce molto buono. Domani cercherò la ricetta su internet e proverò a farlo.
Bevuto il caffè e pagato il conto usciamo, la macchina nera è sempre lì.
Io e Jack la ignoriamo e saliamo sulla nostra macchina, chiacchierando del più e del meno.
Arrivati a casa, parcheggia la macchina in garage e poi mi prende per mano per entrare nella villa,non appena siamo dentro si volte verso di me e mi bacia.
Mi bacia con passione, il mio volto è stretto tra le sue mani e il suo corpo mi tiene inchiodata alla porta, io inizio a gemere leggermente.
Questo lo fa sorridere e si sposta dalla bocca alla mandibola e poi al collo, dove si sofferma succhiando, le sue mani intanto corrono sotto al mio vestito e cercano di sganciare il mio reggiseno, le mie mani invece cercano di togliergli la camicia e la maglietta senza successo, solo quando lui toglie le sue mani riesco a togliergli la camicia.
Lui sogghigna e si toglie anche la maglietta, poi torna di nuovo a premere contro di me, i nostri corpi aderiscono completamente l’uno all’altro e inizio a sentire un rigonfiamento che preme in basso.
Lui riprende a baciarmi con passione e accarezzandomi, io faccio lo stesso: sotto le mie dita sento i muscoli, i pettorali, la pancia…
All’improvviso mi prende in braccio e mi porta in camera nostra, mi adagia sul letto e si libera dei jeans, io intanto mi tolgo il vestito. Lui torna subito su di me e finalmente riesce a togliermi il reggiseno. Lì inizio a intravvedere il paradiso perché lui inizia ad accarezzarli, leccarli, morderli: i miei gemiti diventano sempre più forti.
Raggiungono il massimo quando sento un dito muoversi svogliato nella mia femminilità, mentre lui mi dà piccoli baci sul volto.
Ben presto le dita diventano due e io arrivo all’orgasmo, per un minuto buono rimango senza fiato, stesa a letto. Poi mi avvento su di lui e lo bacio con passione, scendo lungo il petto e gli tolgo finalmente i boxer, lui è già bello eccitato, prendo il suo amichetto in mano e cerco di ricordare il ritmo esatto dalla voglia precedente.
Probabilmente ci riesco perché lui geme e quello che ho tra le mani si irrigidisce sempre di più.
Arrivata a un certo punto con gentilezza mi toglie la mano, ribalta la posizioni ed entra dolcemente in me. Sono spinte lunghe e dolci, ha paura di farmi male.
Continuiamo così a lungo, poi lui accelera e finalmente raggiungiamo l’orgasmo insieme. Lui crolla su di me e io lo stringo piano, vorrei che non se ne andasse mai
Lui rimane a riposare sul mio seno per un po’, godendosi le carezze sui capelli e sulle tempie, poi ribalta di nuovo le posizioni e mi fa sdraiare sul suo petto.
Lo guardo e sul suo volto c’è un sorriso meraviglioso.
“Non so te, ma io ora sono in paradiso.”
“Sì, anche io.”
Gli rispondo mentre mi accendo una sigaretta, subito imitata da lui.
“Wen?”
“Sì?”
“Grazie.”
Io arrossisco senza dire niente.
La mattina dopo andiamo dall’avvocato, spero che ci siano gli estremi per allontanare mio padre dalla villa e dalla mia vita.
Ci accoglie la solita segretaria carina, che ci fa entrare nelle studio di Julius Anderson, io sono sulle spine.
“Prego, accomodatevi.
Ieri ho esaminato la documentazione che Wendy mi ha portato, ci sono gli estremi per emettere un’ordinanza restrittiva nei suoi confronti. Ci penserò io in giornata, se quell’uomo dovesse presentarsi ancora dopo l’ordinanza chiamate la polizia e ci penseranno loro ad allontanarlo.”
Io sospiro di sollievo.
“Vuol dire che non ha ragione? Che non gli devo nulla?”
“No, non gli devi nulla, è lui che deve qualcosa a te e a tuo fratello visto che non ha pagato gli alimenti per anni.”
“Oh, è un sollievo.”
Parliamo un altro po’, poi lui ci congeda educatamente e la segretaria carina ci saluta, anche questa è fatta.
Mio padre non l’avrà vinta, la legge è dalla mia questa volta.
“Come mai così silenziosa?”
Mi chiede Jack.
“Sto assaporando il sapore della vittoria, per una volta non sono in torto e posso essere protetta dalla legge.”
Lui sorride.
“Te l’avevo detto che sarebbe successo, è tuo padre che sbaglia. Ora però ce ne libereremo.
Oggi non vai da Andy, vero?”
“No, non lasciarmi lì. Oggi devo cucinare.”
“Mh, Alex non ha nulla da fare oggi, te lo mando.”
“Va bene, così facciamo anche due chiacchiere.”
Lui mi guarda curioso.
“Su cosa?”
Io alzo le spalle.
“Boh, su lui e Holly, sul vostro cd, su qualcosa che ci verrà in mente al momento, al massimo lo uso come garzone e lo spedisco a comprare qualcosa in caso mancasse.”
“Non sforzare troppo la mano.”
“Sì, Jack.”
Trattengo uno sbadiglio.
“Mi sa che Alex dovrà vegliarti mentre dormi.”
“Beh, può essere.”
Arriviamo alla villa, lui chiama subito il suo amico, io invece salgo in camera e mi metto a letto, poco dopo Jack mi raggiunge.
“Rimango con te finché non ti addormenti.”
Io annuisco sorridendo, lui si spoglia per poi mettersi nel posto vuoto accanto al mio e abbracciarmi subito dopo. Amo stare tra le sue braccia.
“Uhm, grazie mille, Jack.”
“Prego, figurati. Sei la mia ragazza, no?”
“Sì.”
Rispondo prima di cadere in un sonno senza sogni da cui mi risveglio un paio d’ore dopo, infilo un paio di pantaloni e metto le ciabatte. Alex è seduto al tavolo della cucina intento a scribacchiare qualcosa.
“Buongiorno e scusa per dovermi fare da balia.”
Lui alza il volto e mi guarda sorridente.
“Nessun problema, mi sono organizzato.”
Oltre al suo block notes, noto una pila di pancakes.
“Perfetto.”
“Cosa farai di bello?”
“Inizio con le lasagne.”
Tolgo una scatola dal frigo e una teglia dall’armadio, sul fondo della teglia stendo la pasta, poi aggiungo del ragù e un po’ di besciamella, un altro strato di pasta e un altro di ragù e besciamella fino a che arrivo all’ultimo a cui aggiungo del formaggio per farlo gratinare.
Finito, ficco tutto in forno e accendo il gas. Dopo aver messo un po’ di spezie e vino in una pentola, metto anche il pezzo di carne che farò arrosto.
“Più tardi farò delle patate per il contorno.”
“E spero anche qualcosa da mangiare per noi.”
“Uhm, potremmo ordinare delle pizze. Jack non vuole che mi sforzi troppo.”
Lui sbuffa.
“Dai, hai provocato il mio appetito per tutto questo tempo e adesso vuoi farmi mangiare solo una misera pizza?”
“Ok, vada per la pasta, in cambio però voglio sapere come va tra te e Holly.”
Lui sorride e gli si illuminano gli occhi.
“Benissimo, amo averla per casa, non solo perché è una brava casalinga, ma perché è speciale.
Mi fa sentire amato, coccolato, con lei mi sento davvero a casa.
Non si lamenta di niente, nemmeno di quando mi alzo nel cuore della notte e mi metto a suonare la chitarra perché mi è venuto in mente qualcosa.
Sto cercando di farle passare le sue paure e mi piace pensare di esserci in qualche modo riuscito.”
Io sorrido.
“Beh, penso proprio di sì. Quando parla di te le si illuminano gli occhi, non l’ho mai vista così e penso sia un bene e che se lo meritasse. Grazie per averla resa così felice.”
“Forse io e lei ci dobbiamo ringraziare a vicenda e adesso, signorina O’Connor che ne dice di preparare la famosa pasta?”
Io rido.
“Ok, va bene!”
Mentre mi metto ai fornelli di nuovo penso che effettivamente vada tutto bene e che non possa chiedere di più alla vita. Ho un ragazzo che mi ama e degli amici, cosa potrei volere di più?
Nulla, credo.

 

Angolo di Layla

Come sempre ringrazio _redsky_ e Mon per le recensioni, im spronano tantissimo a uscire dalla mia apatia da scrittrice. Tra cinque capitoli questa storia finirà, ma tenetevi pronte per due seguiti .

Se vi interessa ho pubblicato una Jack Barakat/Taylor Jardine con atmosfera natalizia, mi piacerebbe molto se ci deste un'occhiata.

Grazie mille e alla prossima.

 

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Capitolo 21
*** 20) To live and let go. ***


20) To live and let go.

 

La sera prima della partenza di mio fratello  è un’occasione triste travestita da allegra.
L’indomani dovrà tornare alla base a cui appartiene e poi verrà spedito in Afganistan e la cosa non mi piace molto. A nessuna sorella piace sapere che il proprio fratello andrà in un posto pericoloso, in cui rischia la vita, anche se è un soldato.
E così stasera siamo tutti qui: mio fratello, Jack, Alex, Holly, Zack, Rian e quella che mi viene presentata come la ragazza di Rian, Cassadee Pope.
È una ragazza carina, ha i capelli castani con delle meches bionde e sembra una persona alla mano, mi dicono che è la frontman di una band che si chiama Hey Mondays.
“Io sono Wendy, la ragazza di Jack.”
Le dico presentandomi con un sorriso.
“Cassadee, sono contenta di conoscerti. Jack parla spesso di te e poi non potevo non conoscere la ragazza che ha domato un donnaiolo come lui.”
Io rido un po’ imbarazzata.
“Come vedi non ho  nulla di speciale, tolti i capelli.
Comunque è pronto, mettetevi a tavola.”
Annuiscono tutti e io vado in cucina rossa come un pomodoro, non sapevo che Jack parlasse di me ai suoi amici, chissà cosa gli avrà detto.
Tolgo le lasagne dal forno e le porto in tavola, ma lascio che sia Holly a dividere le porzioni, la mia mano malata ha mandato un grampo poco piacevole.
Ha ragione Jack, è meglio che non la sforzi troppo o rischio di compromettere la mia fisioterapia, senza contare il fatto che Holly è molto più brava di me con le porzioni.
Le sue porzioni sono perfette e – dopo che tutti hanno il piatto pieno – cominciamo a mangiare, gli All Time Low raccontano qualche episodio divertente avvenuto in tour, mio fratello quelli che ha sentito raccontare o gli sono accaduti durante l’addestramento.
C’è un’atmosfera calma e tranquilla, quasi leggera, credo sia quello di cui mio fratello abbia bisogno. Nessuno nomina mio padre o mia madre infatti.
Mia madre è morta e mio padre ieri ha dovuto mollare la presa, visto che nonostante l’ordine restrittivo si è presentato ancora a casa nostra e abbiamo chiamato la polizia, da allora la macchina nera ha smesso di essere parcheggiata là fuori.
È come se un grosso peso mi fosse caduto dalle spalle, ho pagato tutti i miei debiti al passato, ora sono libera di vivere il presente e – timidamente e con cautela – il futuro.
“Wen?”
La voce di Jack mi riporta alla conversazione.
“Dove ti eri persa?”
Io sorrido.
“Da nessuna parte.”
“Le tue lasagne sono ottime.”
“Grazie mille, spero vi piacerà anche il resto.”
“Ne sono sicuro.”
Io sorrido un po’ a disagio, da quando vivo con lui, Jack elogia la mia cucina, nessuno l’aveva mai fatto quando vivevo nella roulotte, ma mi sono presto resa conto che sono tante le cose che nessuno ha mai fatto per me lì.
In ogni caso è inutile deprimersi con pensieri che mi rimandano a un momento della mia vita che è andato, non tornerò più lì.
Mai più.
Nemmeno se questo mio paradiso personale dovesse finire.
Holly si alza e serve il secondo: arrosto.
Anche questa volta mi fanno tutti i complimenti, io sorrido sempre più imbarazzata.
“Jack è fortunato ad aver trovato una cuoca così brava come ragazza, spero di trovarne una così anche io. Non hai altre cugine?”
Io rimango in silenzio pensando alla mia famiglia, Holly è l’unica cugina da parte di mia madre, ma i parenti dalla parte di mio padre sono un mistero, a partire dai nonni. I nonni paterni non hanno mai accettato il matrimonio tra mio padre e mia madre e quindi non hanno mai voluto vederci.
Chissà se ho delle cugine?
“Ehi, Wen! Ci sei?”
“Sì, stavo solo pensando che non so se ho cugini o cugine dalla parte paterna, i miei nonni non hanno mai voluto conoscere nessuno di noi.”
“Ah, ho capito. Mi dispiace di averti pensare a cose negative.”
Mi risponde imbarazzato Zack.
“Tranquillo, è la mia famiglia e so benissimo che è di merda, non hai nulla di cui preoccuparti.”
Gli faccio un grande sorriso e lo vedo rasserenarsi, molto bene.
Mangio anche il secondo, il tempo scorre, presto mio fratello se ne andrà e io spero di rivederlo ancora vivo e vegeto.
Il dolce l’ha preparato Holly, avrei voluto farlo io, ma lei non ha voluto sentire ragioni: il dessert sarebbe stato affare suo.
A giudicare dal sorrisone di Alex deve essere qualcosa di  buono, molto buono, infatti arriva con una grande torta al cocco e cioccolato.
Ho già l’acquolina in bocca, è la sua specialità ed è buonissimo, non ho mai assaggiato nulla di così buono.
Devo avere gli occhi che brillano e la bava alla bocca perché Jack mi dà una leggera gomitata e poi mi guarda divertito.
“Nemmeno io ti faccio questo effetto.”
“Scemo.”
Lui ride.
“Dovresti vedere la tua faccia.”
Io sbuffo e prendo la mia razione di torta e inizio a mangiarla in silenzio, Jack ne prende un morso e improvvisamente sorride.
“Cazzo, è buonissima! Adesso capisco la bavetta di Wen!
Complimenti, Holly!”
Lei arrossisce e sorride.
“Grazie mille, Wen la chiama la mia specialità. Effettivamente è l’unica cosa veramente buona che riesco a cucinare, per il resto sono una cuoca mediocre.”
“Questa compensa, credimi.”
Le risponde Alex .
“Giuro, è la cosa più buona che abbia mai mangiato.”
Holly arrossisce ancora di più e mangia la sua fetta in silenzio.
Ben presto sarà finito anche questo dolce e dopo cosa faremo?
Come previsto in poco tempo finiamo la torta e beviamo il caffè e ci ritroviamo a non sapere cosa fare.
“Cosa ne dite se andiamo in un posticino vicino alla spiaggia?
Ho sentito che fanno reggae stasera, così giusto per sciallarci un po’ e non pensare a domani.”
La proposta di Zack mi sembra sensata così io annuisco e piano piano annuiscono tutti: proposta accettata e reggae sia!
Usciamo chiacchierando tutti di buon umore, la serata si prospetta bella e divertente e se mi sforzo posso anche dimenticare che domani mio fratello sarà reclamato dall’esercito.
 

Il locale scelto dai ragazzi è una capanna vicino alla spiaggia, arredata con tavoli e casse di legno dipinte di giallo, rosso e verde al posto delle sedie.
La maggior parte della gente ondeggia sotto il palco, altri hanno dei cocktail in mano, ne ordiniamo anche noi prima di ballare.
Vogliamo rilassarci e questo sembra il posto perfetto, ho quasi l’impressione che il fantasma di Bob Marley aleggi su di noi.
“Che bel posto! Complimenti per la scelta!”
Zack mi omaggia di un sorriso e capisco che l’idea è partita da lui, forse perché è l’unico ancora single.
Con il nostro cocktail in mano ci sentiamo bene, Alex e Jack continuano a lanciarsi battutine e confesso che quando fanno così mi sento esclusa completamente.
Temo che dovrò farci l’abitudine.
All’improvviso una mano invade il mio campo visivo: è quella di Jack.
“Andiamo a ballare?”
“Sì.”
Mano nella mano  ci avviamo verso la pista e cominciamo a ondeggiare, mentre la musica prosegue lui si avvicina sempre di più a me, mi abbraccia e comincia a baciarmi il collo.
“Jack!”
“No, è che sei irresistibile!”
“Non è perché quel tizio dietro di me alla mia sinistra mi stava guardando troppo?”
“Non badare a certi particolari!”
Io rido e lo bacio.
“Ti amo, Jack. Non li vedo quelli che mi guardano, ma vedo quelle che guardano te.
Sono troppe.”
“Davvero?”
“Sì, ma è meglio che tu non le veda.”
Lui ride e continuiamo a baciarci, vicino a noi vedo Alex e Holly fare lo stesso, mentre ho perso si vista Cassadee, Rian, Andy e Zack.
Chissenefrega.
Dopo un po’ torniamo al tavolo e finiamo il nostro cocktail.
“Tra poco è meglio andarcene o tuo fratello potrebbe arrivare in ritardo domani mattina.”
“Ok, vado in bagno e torno.”
Attraverso la calca ed entro nelle toilette, una volta fatto tutto, fuori dalla porta dei bagni mi ritrovo davanti una messicana: quella che si stava facendo Jack secoli fa.
“Ah, sei tu!”
Mi guarda con disprezzo.
“Tu pensi di avere Jack, ma ti sbagli, gringa.
Jack è fatto per le storie di una notte, per quelle come me e da me tornerà.
Farò di tutto per riprendermelo e tu rimarrai da sola, puttana.”
Detto questo gira i tacchi e se ne va, io stringo i pugni e torno al tavolo, gli altri sono già tutti là.
“Scusate, c’era la coda in bagno.”
Dico con il sorriso più falso del mondo.
Jack se ne accorge e mi guarda senza capire, gli faccio cenno che gliene parlerò dopo, adesso devo affrontare qualcosa di molto duro: salutare mio fratello.
Gli altri ci lasciano da solo, Andy ha le mani in tasca e lo sguardo basso.
“E così è arrivato il momento!”
“Sì, meglio salutarci stasera, Wen.”
Io lo abbraccio più stretto che posso, le lacrimi che scorrono sulle mie guance.
“Ti voglio bene, Andy. Vedi di tornare, guardati il culo e non fare l’eroe. Voglio te, non una bara su cui piangere.”
“È il discorso meno patriottico che mi abbiano mai fatto.”
“Non me ne frega niente, io voglio te.”
“Va bene, Wen. Starò attento.”
Mi stacca gentilmente da lui.
“Anche tu stai attenta e se quel ragazzo ti fa soffrire, dimmelo.
Li sistemerò io, anche se credo di lasciarti in buone mani.”
“Ti voglio bene, Andy.”
“Anche io.”
Ci abbracciamo di nuovo, poi lui mi dà un bacio in fronte e se ne va, io sono in lacrime. Dietro di me sento dei passi, Jack mi appoggia una mano sulla spalla.
“Andrà tutto bene, tornerà, non ti preoccupare.
Vi rivedrete e potrai tatuarlo allora.”
Io mi asciugo le lacrime.
“Sì, ma mi manca ed è mio fratello, sono preoccupata per lui.”
“Ti capisco, ma io sono sicuro che lui ce la farà. È uno tosto, siete tosto voi O’Connor.”
“Grazie, ma non siamo fatti di ferro.
Soffriamo anche noi.”
Sospira.
“Lo so. Dai, andiamo alla macchina.”
Lo segui in macchina, salutando il resto del gruppo con un cenno. Non appena siamo dentro Jack mi guarda a lungo, senza dire una parola.
“Cosa c’è, Wen?”
“Nulla, ho solo salutato mio fratello e sono triste.
Mi mancherà.”
Lui scuote la testa.
“Non è solo questo, è da quando sei tornata dal bagno che sei strana.”
Io sospiro. Dirglielo o no?
Ma sì, perché no?
In fondo non c’è nulla di cui preoccuparsi, vero?
“In bagno ho incontrato quella tipa che ti stavi facendo il giorno in cui sono venuta a scusarmi.
Mi ha detto che non sei fatto per le relazioni serie, ma solo per le sveltine e che lei tornerà con te.”
Cerco di mantenere un tono neutro, ma l’espressione di Jack diventa dura lo stesso.
“Oh, Marisol, la messicana.
Brutta tizia, molto… Come posso dire? Orgogliosa, ecco.
Non darle retta, è solo arrabbiata perché non me la scopo più, prima o poi si troverà un’altra celebrità da cui farsi sbattere. È nata così.”
“Capisco, ci sono rimasta un po’ male, anche se è stupido.
Sembra che nessuno possa credere a me e a te insieme.”
Lui ride.
“Il giorno in cui ti ho scelto ho infranto parecchi cuori e non me ne pento, non darle peso.”
“Va bene.”
Guardo dal finestrino, la città ci scorre addosso e io mi chiedo quanto ci abbia cambiato.
Siamo gli stessi di Baltimora?
Che pensiero stupido, lì non ci conoscevamo nemmeno e non ha senso fare paragoni, ma per quanto mi riguarda mi ha cambiata o – per meglio dire – Jack mi ha cambiata.
Forse anche io l’ho cambiato un po’?
Mi piace pensare di sì, in senso positivo ossia che un pochino sia maturato, non credo che smetterà mai del tutto di essere un coglione, ma a me piace. Se non mi piacesse la nostra storia non avrebbe senso.
“A cosa stai pensando?”
“Al fatto se siamo cambiati o meno da quando stavamo a Baltimora.”
“Ci conosciamo, è già un passo avanti. Prima ero un ragazzino che aveva troppa paura di rompere i tuoi muri, ora ce l’ho fatta e sono felice.”
“Hai guadagnato un’ottima cuoca.”
Lui ride.
“Non solo, ma anche una ragazza che pur amandomi non mi soffoca e cerca di capire il mio legame con Alex, invece di fuggire spaventata.”
“Un po’ ne ho paura anche io, ma immagino faccia parte del pacchetto Barakat. Anche se Alex adesso è cresciuto, tu lo tratterai sempre come un fratellino, giusto?”
“Giustissimo, Alex è fragile, anche se nessuno lo direbbe.”
“Lo so, ho imparato anche io a volergli bene.”
Lui sorride.
“Il che è un miracolo, perché i primi tempi sembravate cane e gatto.”
“Allora era colpa mia, ti avevo ferito e lui giustamente si preoccupava per te.”
Jack rimane un attimo in silenzio.
“Ti sei mai pentita di avermi chiesto scusa quella volta?”
“No, mai. Anche quando le tue fan o le tue groupie mi dicono che io sono sbagliata per te o quando ti sei ubriacato non me ne sono mai pentita.”
Prendo fiato.
“Ci sono delle volte, nella vita, in cui certe occasioni diventano come chiavi per un posto migliore e quella volta è stata una di quelle. Avrei potuto lasciarti stare e far vincere il mio stupido orgoglio, ma grazie ad Alex ho capito che non sarebbe stato affatto meglio né per me né per te.
Continuo a pensarlo ogni giorno.”
“Sono contento, so che non sono facile da gestire.”
“Va bene così.”
Arriviamo a casa e saliamo subito in camera da letto, lui domani deve registrare e io ho la fisioterapia, sono certa che il dottore non ci proverà più, visto quando l’ho spaventato.

 

La mattina dopo è una bella mattinata.
Una di quelle californiane in cui il sole splende, il vento proveniente dal mare mitiga l’eccessivo caldo e si sta benissimo.
Holly mi accompagna dal dottore e – mentre percorriamo la strada sulle colline – in macchina entrano i profumi dei fiori e dei cespugli. Sorrido involontariamente, la primavera californiana mi è sempre piaciuta molto di più di quella di Baltimora.
“E così il dottore è un bell’uomo?”
“Sì, ma è anche uno con la mano morta. Per fortuna la volta scorsa l’ho spaventato abbastanza.”
Mia cugina fa una faccia schifata.
“Odio i viscidi.”
“Anche io e ti giuro che quello lo era.
Brr!”
“Jack ne sa niente?”
« No o forse sarebbe già venuto a pestarlo, quel ragazzo è imprevedibile in senso buono.”
“Sì, lo so. Hai fatto bene a non dirgli niente, soprattutto se non si ripeterà.”
“So badare a me stessa.”
Rispondo in modo feroce.
“Yo! La vecchia Wendy “Se mi rompi i coglioni ti faccio morire male!” è tornata!”
Io scoppio a ridere.
“Ehi, non se n’è mai andata, si è solo messa a riposo.”
“Sono felice di questo.”
Io guardo fuori dal finestrino.
“Io non ho ancora capito se sia una cosa positiva o negativa. Ci sono dei giorni in cui mi alzo e mi dico che essere meno guardinga e aggressiva è una buona cosa perché significa che finalmente ho trovato qualcuno di cui fidarmi e che considero mio. Altri giorni mi dico invece che dovrei stare comunque in guardia, che nella vita non sa mai cosa può succedere e che chi ami può diventare il tuo peggior nemico.”
“La felicità è come un vetro, presto s’infrange.” *
“Esattamente.”
Arriviamo alla casa di cura, parcheggiamo e scendiamo, saluto con un cenno svogliato la donna che c’è all’accettazione e mi dirigo alla palestra.
Il dottore mi aspetta già all’interno, sembra cordiale e un pochino freddo, ma non mi importa. Potrebbe essere freddo come la Siberia e non me ne fregherebbe nulla, l’importante è che mi metta a posto questa mano del cavolo perché mi mancano disegnare e tatuare e sono stufa di sentirmi un’invalida ribelle ogni volta che tento di cucinare qualcosa.
“Buongiorno, signorina O’Connor.”
“Buongiorno, dottor Anderson.”
“Pronta per la fisioterapia?”
“Sì.”
Facciamo le nostre due brave ore di esercizi e poi lui mi fissa un altro appuntamento per la settimana successiva.
Quando esco trovo Holly intenta a tubare al telefono con Alex, cerco di farmi sentire con un discreto “ehm, ehm.”, lei sobbalza lo stesso e chiude frettolosamente la chiamata.
“Scusa, Wen!”
Mi dice imbarazzatissima.
“Non fa niente. È bello sentirvi tubare, ma ho fame e voglio andare a casa.”
Non appena finisco questa frase mi viene la nausea e la stanza comincia a girare, se non ci fosse Holly a tenermi in piedi finirei a terra lunga e distesa.
“Ehi, tutto bene?”
“Sì, è stato solo un capogiro, forse un calo di pressione.”
Lei mi fa sedere su una delle poltroncine della sala d’attesa e sparisce un attimo per poi tornare con un bicchiere.
“È acqua zuccherata.”
Io la bevo senza fiatare e mi sembra di stare un po’ meglio.
Tiro un sospiro di sollievo mentale perché mentre Holly non c’era un’idea mi ha attraversato la mente: la gravidanza.
E se fossi incinta?
Una volta a Venezia il preservativo si è rotto e potrei benissimo aver concepito o forse addirittura prima, un mese fa era successa la stessa cosa.
Un sudore freddo mi imperla la fronte.
E se fossi davvero incinta come la prenderebbe Jack?
Prego con tutte le mie forze di non esserlo, ma sarà meglio fare degli esami al più presto.
Come diceva Holly?
La felicità è come un vetro, presto si in infrange.
Ecco, in questa frase si potrebbe riassumere la mia vita e non voglio che accada ancora.
Non devo essere incinta.
Non devo.


Angolo di Layla

Ringrazio _redsky_, Mon e piercethejuls per le recensioni :)

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Capitolo 22
*** 21) In a perfect world this could never happen. ***


21) In a perfect world this could never happen.

 

I giorni trascorrono lenti quando sei sulle spine, tormentato da qualche problema.
Il mio problema è che temo di essere incinta e non ho ancora trovato il coraggio né di accennarlo a Jack né di aver fatto un test di gravidanza.
Nemmeno Holly ne sa nulla e così sono da sola davanti alle mie paure. Se fossi davvero incinta Jack vorrebbe essere padre?
E io sono pronta per essere madre?
Non mi sento per niente pronta ad avere tra le mani una creatura che dipende in tutto e per tutto da me, che devo curare e crescere. Ogni volta che mi immagino con un neonato mi si stringe la gola e vado in carenza d’aria.
Sul fronte nausee mattutine le cose non vanno meglio, sono aumentate e mi colpiscono quando mangio i miei cibi preferiti, il che è una gran seccatura.
Un paio di volte ho persino vomitato, Jack per fortuna non si è accorto di nulla perché in questo periodo è molto impegnato con le registrazioni.
L’unica cosa che so è che probabilmente il cd si chiamerà Dirty Work, sono molto curiosa di sentirlo, ma mi sono ripromessa di non stressarlo.
Se vorrà me lo farà sentire lui, altrimenti aspetterò come tutti gli altri fans, anche perché queste nausee mi preoccupano molto.
Una mattina raccolgo tutto il mio coraggio e vado in farmacia, mi vergogno come una ladra quando chiedo un test di gravidanza.
In macchina –sulla via del ritorno – vengo torturata dai peggiori scenari: sono incinta e Jack mi lascia, sono incinta e il bambino è malformato, cose così.
Arrivo a casa sua e parcheggio la macchina con cautela, non voglio che si accorgano che l’ho usata, dato che sia Jack che Holly mi hanno vietato di farlo.
Con il mio bottino entro in casa e salgo in bagno, raccolgo il campione di urina necessario e poi ci inserisco il test.
Sono i dieci minuti più lunghi della mia vita, cammino avanti e indietro fumando una sigaretta dietro l’altra, in barba al salutismo.
Finalmente passano, se il test sarà rosa significherà che sono incinta, se sarà blu che non lo sono.
Prendo in mano il sottile cilindro di plastica  e noto che è drammaticamente rosa, complimenti Wendy O’Connor, sei incinta!
Faccio sparire tutto con il cuore che minaccia di uscirmi dalla cassa toracica, come farò a dirlo a Jack?
Forse non sono davvero incinta, esistono delle probabilità che quel coso si sbagli e che io non lo sia. Con una certa urgenza – nata dalla disperazione – telefono in ospedale e fisso un appuntamento tra due giorni.
Mi siedo sul divano e bevo un lungo sorso di vodka direttamente dalla bottiglia, cercando di calmarmi, sento solo un senso di calore e un po’ di nausea.
Ok, la vodka non è la scelta giusta, la rimetto nell’armadietto dei liquori e fumo l’ennesima sigaretta, ormai sono spaventata a morte.
Lo spettro della gravidanza incombe come una spada di Damocle sulla mia vita, peggio della stella gialla che gli ebrei avevano addosso.
Jack mi rimarrà accanto?
Finita la sigaretta, mi butto sul divano e scoppio a piangere, isterica.
Ormai sono fuori controllo, emotivamente parlando, non so più cosa sento, non so se  sia gioia, paura, dolore. Non so più niente.
So solo che questa gravidanza, adesso, non ci voleva.
Abbiamo ventidue anni e stiamo insieme da poco.
Se sono davvero incinta che futuro potremo offrire a questo bambino o bambina?
Non ne ho idea, prima devo essere sicura di essere davvero incinta e di non far capire a Jack che c’è qualcosa che non va, sebbene detesti mentirgli.
Quando arriva a casa per cena – stanco e di umore sottoterra – lo accolgo con il mio solito bacio, solo che questa cede nel mio abbraccio, se non ci fossi io cadrebbe per terra.
“Cosa c’è?”
Gli chiedo dolcemente, staccandolo da me.
“Non mi sento bene.”
Appoggio una mano sulla sua fronte: scotta.
“Hai la febbre, Jack.”
“Grande, faccio la doccia e mi metto a letto.”
“Va bene, ti porto qualcosa da mangiare a letto.”
Preparo del riso, mentre lui fa la doccia. Salgo  poco dopo, sicura che abbia finito, e infatti lo trovo a letto, ha un’aria pallida e malaticcia, sciupata.
“Grazie, piccola.”
Mangiamo insieme il nostro riso, poi porto le stoviglie di sotto, mi faccio una doccia, preparo un’aspirina e gliela porto. Lui la beve senza battere ciglio.
Messa una bottiglietta di acqua sul suo comodino, lo raggiungo a letto, lui si accuccia sul mio petto.
“Ho freddo.”
Borbotta, eppure il suo corpo è caldo.
Io lo stringo forte a me, baciandogli fronte e capelli.
“Andrà tutto bene, è solo un po’ di febbre da stress e se vuoi posso scaldarti io.”
“Mi sento già meglio nelle tue braccia.”
Io continuo a coccolarlo.
“Ti amo, Wen.
Voglio sposarti, avere due figli e un cane.”
Io arrossisco.
“Stai delirando, Jack.”
“Non lo so, forse. Sei la prima ragazza che mi fa questo effetto, cioè ritrovarti è stato magnifico, avrei dovuto parlarti già a Baltimora, non aspettare come un cretino.”
“Sh! È andata come è andata ed è andata bene.”
Lui annuisce contro la mia spalla.
“Ti amo.”
Mi dice ancora prima di addormentarsi, io lo cullo e coccolo anche mentre dorme, pensando che mi piacerebbe essere la signora Barakat, anche se non lo ammetterei nemmeno sotto tortura.
Lui giace calmo tra le mie braccia, solo ogni tanto mugugna qualcosa, mi fa tanta tenerezza, sta dando il cento per cento di sé per questo cd e spero venga ricompensato.
“Ti amo anche io, Jack.”
Gli sussurro in un orecchio, poi il sonno ha la meglio anche su di me e mi addormento.

 

La mattina dopo la febbre di Jack è ancora alta.
Lui vorrebbe andare allo studio,ma io glielo proibisco categoricamente e chiamo Alex che mi risponde quasi subito.
“Ehi, Wen! Cosa c’è?”
“Jack non può venire in studio, è a letto con trentotto e mezzo di febbre, mi sembrava giusto avvisarti.”
“Sì, hai fatto bene. Grazie mille.”
“Adesso chiamo il dottore.”
“Sì, poi fammi sapere cosa dice. Probabilmente è solo stress, non è la prima volta che gli capita, prenditi cura di lui.”
“Lo sai che lo farò, buona registrazione, Alex.”
“Grazie e buona fortuna.”
Chissà perché mi ha augurato buona fortuna?
“Wen, voglio uscire da questo letto!”
Urla il mio ragazzo, non appena ho chiuso la telefonata con Alex.
“Jack, sei malato! Non vai da nessuna parte che non sia il bagno, ok?
Adesso lasciami chiamare il dottore.”
“È solo un po’ di febbre!”
Alza le spalle lui.
“Hai trentotto e mezzo e sono solo le otto di mattina, testardo di un libanese!
Non è affatto normale.”
Chiamo il suo dottore e mi dice che arriverà in una mezzoretta.
“Wendy, davvero, non ti devi preoccupare.”
Io prendo il suo volt tra le mani e lascio che l’azzurro dei miei occhi si fonda nel castano dei suoi.
“Jack, se avessi avuto trentasette non mi sarei preoccupata, ma così la febbre è troppo alta per essere mattina, lasciati curare.”
Lui sospira.
“Va bene, mi accompagni in bagno?
Non so se mi reggo e poi vorrei mangiare qualcosa.”
“Una cosa alla volta e facciamo tutto.”
Lo aiuto ad alzarsi e poi faccio passare il mio braccio appena sotto le spalle in modo da sostenerlo, arriviamo al bagno camminando a passo di lumaca.
Lui entra da solo, io aspetto e dopo un po’esce con un passo strascicato, sembra stanco e questa volta non protesta quando lo faccio mettere a letto con le coperte che gli arrivano al naso.
“Adesso scendo in cucina a farti un the con qualche biscotto. Tu non uscire da qui, chiaro?”
Lui annuisce.
Io scendo al piano di sotto sperando che mi dia retta, inizio a capire perché Alex mi ha augurato buona fortuna, il suo amico non è un malato semplice da curare.
In cinque minuti il the è pronto, metto qualche biscotto sul vassoio e salgo di nuovo in camera, Jack – per fortuna – non si è mosso.
“Finalmente qualcosa da mangiare!”
Io gli do il vassoio e mi siedo accanto a lui sul letto. Mangia con appetito, penso sia un buon segno, lo chiederò al dottore.
Una volta finito porto via il vassoio e torno da lui, si è addormentato di nuovo e io scivolo sotto le coperte per stargli accanto, mi pare di vederlo sorridere nel sonno.
Sono felice di questo sorriso involontario in un modo che non riesco nemmeno a spiegare, forse finalmente ho trovato la persona che può essere considerata casa mia.
Il dottore arriva circa una mezz’ora dopo, Jack è sveglio, ma delira a causa della febbre alta, così l’uomo si rivolge a me.
“Ha un’influenza fuori stagione, forse causata dallo stress.
Entro un paio di giorni la febbre dovrebbe scendere se gli somministrerà tre volta al giorno una tachipirina.
Lo faccia bere, mi raccomando.
Io gli ho dato la prima pastiglia qualche minuto fa.”
“Perfetto.”
Il dottore mi saluto e io torno da Jack che chiama disperatamente una certa Sally, dovrei preoccuparmi?
“Sally!”
Esclama quando mi vede.
“Vieni qui, mia piccola Sally.”
“Sono Wendy.”
Non so perché glielo specifico.
“Sì, lo so, ma vuoi essere la mia Sally?”
“Va bene, lo sarò. Adesso devi riposare, Jack.
Ti sei preso un’influenza.”
Lui sorride e batte la mano sul materasso per invitarmi a raggiungerlo, io eseguo e mi ritrovo stretta nel suo abbraccio.
Farfuglia ancora qualcosa, poi torna a dormire.
Jack è malato e io domani devo fare le mie analisi, chi si prenderà cura di lui?
Lo chiederò ad Alex, ma mi scoccia mentire, non penso che se lo meritino, ma non voglio nemmeno creare scompiglio prima del tempo.
Oh, che sfiga!
Come sempre torna il solito pensiero, vorrei essere una ragazza migliore per Jack, vorrei non creargli problemi, invece da quando mi conosce non faccio che ficcarmi nei guai.
E lui corre sempre in mio aiuto, senza lamentarsi, senza nemmeno farmi sentire in colpa e non è giusto. So che se fosse sveglio mi contraddirebbe, ma ora dorme e non c’è nessuno che ricaccia le mie paure da dove sono venute.
Sono un disastro e spero di non rovinargli ulteriormente la vita con una gravidanza, anche se – segretamente e inconfessabilmente – l’idea di un piccolo Jack mi piace da matti.
Un grugnito del vero Jack mi riporta alla realtà, è quasi mezzogiorno, forse è meglio che io scenda a preparargli una minestra.
Con cautela mi sfilo dal suo abbraccio e scendo in cucina. La Sally difettosa cerca di prendersi cura del suo Jack preparandogli una minestra.
Sto per salire quando la porta di casa si apre di scatto, facendomi quasi cadere di mano il vassoio: è Alex.
“Ciao, mi hai fatto prendere un colpo.”
“Scusa, come sta Jack?”
“Ha l’influenza, il dottore dice che in un paio di giorni  la febbre dovrebbe andarsene.”
Lui tira un sospiro di sollievo.
“Posso salire a trovarlo?”
“Certo, seguimi.”
Saliamo insieme le scale, quando entriamo in camera troviamo Jack sveglio, ma non molto in sé.
“Ciao, Sally!”
“Ciao, Jack, ti ho portato la minestra e Alex!”
“Alex, amico mio!”
L’altro sorride.
“Scemo, mi hai fatto venire un colpo!”
“Perché? Siamo a Gran Burrone, nulla può farci del male qui!”
Alex lo guarda senza capire.
“Assecondalo.”
Gli sussurrio.
“Credo pensi che siamo a metà tra “Il signore degli anelli” e “The nightmare before Christimas.”…”
“Ok.”
Mi risponde Alex sottovoce.
“Hai ragione, amico!”
Dice a voce più alta.
“La tua Sally ti ha portato il pranzo!”
“Cosa?”
“Minestra.”
Sorrido, lui non sembra deluso.
“Ottimo!”
La mangia tranquillamente, chiacchierando con Alex e trattandolo come se fosse un hobbit, cosa che non manca di sconcertarlo.
“Pensavo di somigliare di più a un elfo.”
In ogni caso – constatato che il suo amico è in buone mani – se ne va verso l’una, io lo fermo prima che se ne vada.
“Alex, posso chiederti un favore?”
“Dimmi.”
“Domani mattina potresti stare tu con Jack?
Ho una commissione a cui non posso rinunciare.”
Lui mi lancia un’occhiata penetrante, che io cerco di sostenere il più possibile, poi sorride.
“Va bene, avevo giusto bisogno di una vacanza dalle registrazioni.”
“Grazie mille, Alex.”
“Figurati, Sally.”
Se ne va ridendo e io mi sento in colpa.
 

Il giorno dopo alle nove in punto si presenta Alex.
“Buongiorno, Sally. Come sta l’elfo al piano di sopra?”
“Un po’ meglio oggi, almeno ha smesso di credere di essere a Gran Burrone.”
Alex sorride.
“Per fortuna, ero stufo di essere preso per un hobbit.”
Io rido, chiacchieriamo per qualche altro momento, poi me ne vado.
Arrivo all’appuntamento puntuale ed entro nello studio di una dottoressa gentile che mi fa stendere su un lettino.
“Signorina, si alzi la maglietta, devo metterle il gel. È freddo.”
Io eseguo, in effetti il gel è gelato e rabbrividisco.
Lei inizia a passarmi il marchingegno sulla pancia e già dalla sua faccia scura deduco che non ci sono buone notizie per me.
“Signorina O’Connor, lei è incinta di sei settimane.”
Pausa di silenzio, in cui io assorbo il primo colpo.
“Purtroppo il feto è morto, ha avuto un aborto spontaneo e dovrà recarsi nella nostra struttura per un raschiamento.”
La guardo inebetita.
La mia creatura è morta?
È già morta?
Raschiamento?
“Signorina, si sente bene?”
Per tutta risposta svengo.
Torno in me dopo un tempo che mi sembra infinito, eppure sono nello stesso studio, con la mia maglietta sollevata e la pancia impiastricciata di gel.
“Signorina O’Connor?”
“Sì?”
“Lei sapeva di essere incinta?”
Scuoto la testa, lei mi guarda comprensiva.
“Ora capisco lo shock, mi dispiace doverle dare una notizia così terribile.”
“Non si preoccupi… Adesso non sono più incinta?”
“No, signorina. Mi dispiace.
Ha avuto un aborto spontaneo ieri sera, probabilmente e il feto è morto.”
Le lacrime cominciano a scorrere lente sulle mie guance, che abbia capito che non lo volevo?
Che per me era un problema?
La donna mi porge un fazzoletto.
“Ci vediamo tra due giorni per un raschiamento, gliel’ho prenotato.”
Mi porge una carta.
“Non si colpevolizzi, purtroppo è una cosa che può succedere. Non è colpa di nessuno, lei è giovane e può rimanere ancora incinta.”
Io annuisco come un automa, nulla di quello che mi sta dicendo mi entra davvero in testa, solo il senso di colpa. Dopo qualche minuto la donna mi passa della carta e io mi pulisco la pancia in un gesto automatico, mi sento tanto vuota.
Parlo ancora qualche minuto con lei, tra due giorni ogni traccia di questa creatura sarà stata cancellata e così le mie paure, ma non sto meglio.
Mi sento quasi un’assassina.
Esco dall’ospedale e guido fino al parco vicino a casa, lì parcheggio e scendo. Non me la sento di vedere né Jack né Alex, voglio stare ancora un attimo da sola.
Cammino, guardandomi attorno, non avevo mai notato come il parco fosse pieno di mamme e bambini, istintivamente mi tocco la pancia: il mio non lo farà mai.
Alla prima panchina isolata scoppio a piangere, mi sento la peggiore delle bestie, non volevo questo figlio e lui o lei l’ha capito e se n’è andato, solo ora che non c’è più capisco quanto invece lo desiderassi.
È proprio vero che bisogna perdere le cose prima di capire il loro valore.
Piango e singhiozzo, mentre fuori il mondo festeggia la primavera, per è inverno, un rigido inverno che sta colpendo il mio cuore.
Mi alzo sconsolata, con ancora i segni delle lacrime addosso, adesso devo pensare a Jack che non sta bene.
Salgo di nuovo in macchina e arrivo a casa. Alex è seduto sul divano del salotto e legge le riviste del mio ragazzo, non appena alza gli occhi e mi vede impallidisce. Molla la rivista e si dirige verso di me, appoggiandomi le mani sulle spalle.
“Wen, cosa è successo?”
Io scoppio a piangere tra le sue braccia, lui mi stringe confuso.
“Wendy, cosa è successo?
Wendy, rispondimi, mi stai spaventando!”
Io singhiozzo più forte e cerco di articolare una risposta.
“Wendy, dimmi cosa ti è successo.”
“Io… Io ero incinta, Alex e … e …ho perso il bambino, perché non lo volevo, lui se n’è andato.”
Lui mi stacca e mi guarda negli occhi.
“Siediti sul divano, io torno con un the e mi racconti cosa è successo.”
 Faccio come dice e dopo pochi minuti mi ritrovo con una tazza di the fumante tra le mani.
“Cosa significa che eri incinta?”
“Significa che mi sono accorta di avere delle nausee e di avere il ciclo ancora più sballato del solito, così ho fatto un test ed era positivo.”
“Perché non l’hai detto a Jack?”
“Un po’ per la malattia, un po’ perché non ero sicura, i test possono sbagliare, così stamattina ho fissato una visita.”
Rimango un attimo in silenzio.
“L’ecografia  mi ha detto che ero alla sesta settimana di gravidanza, ma che il feto era … è …. Morto. Ho avuto un aborto.”
Scoppio di nuovo a piangere.
“Si è accorto che non lo volevo, se n’è accorto ed è andato via.”
Lui mi attira a sé e mi abbraccia più forte che può.
“No, Wen. Non è colpa tua, è solo successo.
Ti voglio bene, non fartene una colpa.”
Io scoppio silenziosamente a piangere di nuovo tra le sue braccia, a volte è bello avere un amico.
Mi fa sentire meglio e per un attimo dimentico il problema principale: come farò a dirlo a Jack?

Angolo di Layla

Ringrazio Iwasblessedwithacurse, _redsky_ e Mon per le recensioni :)

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Capitolo 23
*** 22)No rest for the wicked they say ***


22)No rest for the wicked they say

 

Ci sono segreti che pesano sul cuore.
Ci sono parole non dette che uccidono.
Jack non sta ancora del tutto bene, così io e Alex abbiamo deciso che è meglio che non sappia della notizia fino a quando non si sarà del tutto ripreso.
La sua influenza da stress ha superato i due giorni, anche se ora sa di essere Jack Barakat e non un elfo di Gran Burrone e che Alex non è Frodo o Samvise.
Il dottore dice che in un paio di giorni si sarà del tutto ripreso, tra due giorni dovrò dirgli tutto e sento il mio cuore esplodere alla sola idea.
Per ora il mio solo conforto è Alex e devo dire che si è dimostrato sensibile e comprensivo, sta facendo del suo meglio per tirarmi su di morale. Io però non ci riesco, quando sono nella stanza di Jack devo sorridere per forza, appena esco la maschera cade e divento uno zombie apatico.
Holly mi ha accompagnato al raschiamento e ha tentato anche lei di consolarmi, ma non ce l’ha fatta, non mi sentivo così male e così colpevole dalla morte di Jim e so che non è un bene per me.
Ho iniziato a tagliarmi seriamente dopo la sua morte e sento che adesso sto camminando su un terreno minato che rischia di farmi cadere di nuovo in un problema che credevo superato.
Dio, perché non posso avere un po’ di pace?
Forse ho combinato qualcosa nella mia vita precedente e sto scontando adesso sotto forma di disgrazie continue.
L’unica cosa che mi dà un po’ di pace – e allo stesso tempo mi distrugge dentro – è dormire con Jack, che non sa nulla di tutto questo.
Vorrei che rimanesse malato ancora un po’, perché non mi va che si senta meglio per poi ricevere una notizia come questa. Forse per lui non sarà così terribile, ma nono credo nemmeno che gli farebbe piacere.
E intanto in questi due giorni la vita va avanti, Jack inizia a mangiare cibi più solidi e a girellare per casa, la febbre almeno alla mattina non l’ha più.
Due giorni dopo sta benissimo, si è ripreso completamente e tra poco arriverà il momento in cui dovrò distruggere questa felicità posticcia.
Sto cucinando svogliatamente quando lui si presenta in cucina, ha una faccia seria.
“Wendy, tutto bene?
Hai un’aria strana.”
Io spengo il gas e mi siedo davanti a lui: il momento è arrivato.
“Effettivamente ho un’aria strana.”
Esordisco.
“E come mai ce l’hai?”
“Mentre eri malato sono successe alcune cose.”
“Del tipo?”
Io abbasso gli occhi.
“Del tipo che ho fatto un test di gravidanza.”
“E sei incinta?”
Mi chiede lui con gli occhi spalancati.
“Sì e no.”
“Non capisco.”
“Dopo il test ho fatto delle analisi di laboratorio, ero incinta, ma il feto era morto.
Ho fatto un raschiamento due giorni fa.”
Lui mi guarda senza parole, poi si alza e mi abbraccia, muto.
Nemmeno lui sa cosa dire, non ha nemmeno una parola da spendere su questa cosa, non so cosa ne pensi.
“Io, Wen… Piccola, mi dispiace!
Io non so cosa dire, è tutto… troppo grande per me, per noi.”
“Ti sarebbe piaciuto essere padre?”
Gli chiedo con voce spenta.
“Non lo so, non ci ho mai pensato.”
“E non ci penserai ancora per un po’, lui si è accorto che non lo volevo e se n’è andato.
È colpa mia se è morto!”
Scoppio a piangere tra le sue braccia, lui mi stringe forte.
“Wendy, non è colpa tua. Sono cose brutte, ma succedono  e nessuno ne ha colpa.
Non fare così, non voglio vederti piangere.”
“Tu l’avresti voluto?”
“Penso di sì, alla fine. Sarebbe stato il frutto del nostro amore, non avrei voluto perderti.”
Io continuo a piangere per un po’, poi mi fa sedere al tavolo e mi prepara un the. Una volta che ho in mano quello – forte e zuccherato – mi sento un po’ meglio, almeno lui lo sa.
“Mi dispiace di non esserti stato accanto.”
“Eri malato e poi c’erano Alex e Holly a darmi una mano.”
“Alex lo sapeva prima di me.”
“Non arrabbiarti, è stato un caso. Quando sono arrivata a casa dopo il risultato delle analisi ha visto che non stavo bene e mi ha chiesto perché.
Tutto qui.
Avrei dovuto fingere un po’ meglio.”
La sue espressione corrucciata si distende.
“Tranquilla, hai fatto bene. Dovevi parlarne con qualcuno e visto che io non c’ero Alex va benissimo.”
Io sospiro di sollievo, non volevo offenderlo con quello che ho fatto o che fargli pensare che Alex vale più di lui.
“Non sono stati giorni facili per te, vero?”
“No e credo che nemmeno i prossimi saranno facili. Mi sento vuota.”
Taccio sul mio timore per l’autolesionismo, non voglio farlo preoccupare ancora di più.
Non è detto che ci ricada, anche se mi sembra difficile riuscire a mantenere il controllo sui miei nervi e impulsi in questa situazione.
“Domani devo tornare allo studio, non fare cose stupide in mia  assenza.”
“Ok.”
Rimaniamo un attimo in silenzio.
“Finisco io di preparare il pranzo, anzi ordino qualcosa dal cinese.”
Io annuisco, senza forze, al  momento non mi importa molto di quello che mangerò e se non mangiassi sarebbe probabilmente lo stesso.
Non ho molta fame.
Sono poche le cose di cui ho voglia ultimamente, in ogni caso io e Jack mangiamo la roba del cinese in silenzio, poi lui torna a letto e io lo seguo.
Se mi sembra di stare bene solo tra le sue braccia è lì che starò finché posso.
 

Il giorno dopo lui va alle registrazioni di malavoglia.
Mi saluta con un lungo bacio e poi bacia anche la mia mano ferita.
“Cerca di stare tranquilla, non fare nulla di avventato, io arriverò il più presto possibile.”
“Va bene.”
Rispondo spenta, poi me ne torno a letto e dormo dalla parte di Jack, almeno il suo odore mi rilasserà.
Dormo fino alle undici, poi me ne vado in bagno e mi guardo a lungo allo specchio. La ragazza dai capelli azzurri che sfumano in un verde acido ha un’aria spenta e trasandata, è pallida e con le occhiaie, nonostante il sonno.
Sospiro  e torno in camera, in fondo a un  cassetto – nascosto da tutto e da tutti – c’è un pacchetto di lamette che mi sono portata da Baltimora e sono una grande tentazione.
Ne porto una in bagno e me la rigiro tra le mani, ho promesso a Jack di non fare nulla di stupido, ma io non ce la faccio. Mi sento morta e l’unico modo per capire se non lo sono è vedere se sanguino come gli altri esseri umani.
Lo so che è sbagliato e che sto infrangendo una promessa, ma non posso farne a meno. Incido un piccolo taglio sul polso ed esce un po’ di sangue, premo un altro po’ e ne esce di più.
Conosco il sorrido che mi si forma quando mi taglio, lo conosco e lo odio, ma non ne posso fare a meno.
Me lo medico e lo bendo, poi lo nascondo sotto il solito polsino, pulisco anche il bagno per evitare che rimangano tracce.
Scendo in cucina e mi mangio una tazza di cereali, mi sento lo stesso vuota, ma il calore del sangue e della ferita mi consola.
Jack sarebbe furioso, ma io non so come reagire. Mi viene da piangere e mi raggomitolo sul divano, è così che mi trova Jack.
Lui si precipita da me e mi alza il volto.
“Wen!”
“Ciao, Jack!”
“Cos’hai?”
“Esisto, il che è un bel problema.”
Lui mi guarda senza capire.
“Una persona come me non dovrebbe vivere.”
“Non dire cavolate.”
Io taccio, lui guarda il polsino e lascio che me lo tolga, così nota subito il taglio nuovo.
“Non avresti dovuto farlo.”
Io continuo a non parlare.
“Perché Wen?”
“Perché non merito di vivere.”
“Non è vero.”
“Ho ucciso il nostro bambino.”
Lui mi prende le mani tra le sue e mi guarda dritto negli occhi, vorrei evitare di farlo, ma il loro potere ha la meglio sulla mia debole volontà e mi perdo in quegli occhi castani.
“Non hai ucciso nessuno, adesso ti cucino qualcosa e poi vieni alle prove con me.”
“A cosa ti servirei?”
Lui sospira.
“Almeno sono sicuro che non ti taglierai. Ho paura che un giorno tornando a casa ti troverò in un lago di sangue nel bagno di casa nostra e non voglio, capisci?”
“Forse sarebbe meglio perte.”
“No, non lo sarebbe. Lascia decidere a me cosa è meglio per me e stare senza di te non è una buona cosa.”
Io annuisco debolmente, lui mi lascia andare e lo sento trafficare in cucina, poco dopo torna con un piatto si uova strapazzate e del bacon. Meglio di niente.
Mangio in silenzio sotto lo sguardo preoccupato del mio ragazzo.
Finito, mi costringe a salire in camera e a vestirmi. Io indosso un paio di pantaloni scozzesi che mi arrivano a malapena sotto il ginocchio e una maglia nera con un teschio e una rosa, mi metto un paio di anfibi e sono a posto.
Non ho voglia di truccarmi, non ho nemmeno voglia di uscire.
Jack mi prende per mano e mi fa salire in macchina, io eseguo tutto come un automa, non mi importa dove sono al momento.
La macchina si muove, fuori c’è una bella giornata, Los Angeles ci sta regalando il suo meglio, ma io non lo vedo. Io vedo nuvole nere, case disabitate e neve che cade come cenere dal cielo, mentre una vocina infantile mi dice tristemente che non lo volevo.
Arriviamo allo studio, fuori c’è Alex che fuma e gli basta un’occhiata per vedere che qualcosa non va. Lui e Jack parlottano un attimo, poi è il frontman che rimane con me.
“Cosa succede?”
“Niente.”
Lui mi indica il polsino.
“Fammelo vedere.”
Io alzo il braccio come se il corpo non fosse il mio. Lui guarda il taglio e non dice nulla per un po’.
“Non dovresti.”
“Perché?”
“Perché ti fai del male e fai del male anche a Jack.”
“Io… Non sono così forte! Da quando il bambino è morto mi sento come dopo la morte di Jim: impotente, inutile, un peso.”
“Non lo sei, non per Jack né per nessuno di noi.
Non è colpa tua, Wendy. Ti prego, credici.”
“Se l’avessi desiderato un po’ di più…”
“Sarebbe morto lo stesso perché – per quanto possa fare male – era questo il suo destino.”
Io singhiozzo più forte, non riesco ad accettarlo, anche se sarebbe meglio per tutti.
“Dobbiamo entrare, forza.”
Mi prende per mano e mi trascina dentro, io lo seguo docile come una bambola. Lui entra nel locale insonorizzato, io mi siedo su una delle poltroncine lì fuori. Fisicamente sono lì, psicologicamente sono ancora nel mondo in rovina in cui non esiste nulla di quello che conosco, solo dolore.
Non sento il loro chiasso alle prove, né l’agognato nuovo album.
Nulla.
È come se non fossi lì e forse non ci sono davvero, forse ormai ho imparato a staccare la mia anima dal corpo, come certi santoni indiani.
“Wendy?”
Mi ritrovo davanti il volto preoccupato di Jack.
“Le prove sono finite, vuoi venire a mangiare qualcosa con noi?”
Io non rispondo, si avvicina Alex.
“Wen, vieni a mangiare con noi, ti farà bene.”
“Ma lui?”
“Lui sarà felice di vedere la sua mamma felice, è quello che vogliono tutti i bambini, no?”
Davanti a questa argomentazione mi alzo e mi butto tra le braccia di Jack, il mio porto sicuro, per farmi portare in macchina.
“Scusa se sono così zombie.”
“Hai ricevuto un brutto colpo, è normale che tu lo sia.
E tu?”
Lui rimane in silenzio.
“Io guardo i padri quando me ne capita uno sott’occhio e mi chiedo se sarei in grado di essere così e non so cosa rispondermi. Se questo bambino o bambina fosse vissuto avrei voluto dargli un buon padre, non un ragazzino incerto e spaventato.”
Fa una piccola pausa.
“Anche se l’idea di una piccola te mi piaceva molto, una a cui insegnare a suonare la chitarra e a cui nascondere i giochi di parole sconci che faccio fino ai quattordici anni.
Forse non era ancora il momento giusto.”
Finisce con voce incrinata.
Anche lui, a suo modo, sta soffrendo per questa perdita, solo che i maschi hanno un modo tutto loro di portare il lutto e di soffrire.
Un modo che io non posso capire, ma sono certa della sofferenza di Jack, come sono certa della mia.
Che schifo di vita.
“Forse hai ragione.”
Dico incerta.
“Vieni a mangiare con noi?”
“Va bene.”
Non sono molto decisa, ma forse è meglio stare in compagnia che da soli, così do retta a Jack e cerco di soffocare il mio senso di colpa.
I ragazzi hanno deciso di andare in una pizzeria in centro, mi sento leggermente a disagio senza trucco. Il mio trucco nero è sempre stato qualcosa messo per proteggermi dagli altri e ora che non ce l’ho addosso mi sento più debole ed esposta.
Forse in borsa ho una matita e un ombretto, così una volta che i ragazzi si sono accomodati al tavolo cerco nella mia borsa e li trovo.
Cinque minuti dopo i miei occhi sono contornati da uno spesso strato di nero e mi sento di poter affrontare l’ambiente che c’è là fuori.
Nessuno di loro lo nota,ovviamente, i ragazzi non fanno mai caso ai piccoli accorgimenti delle ragazze, li danno quasi per scontati.
Seduta al tavolo, ordino una margherita alla cameriera e la mia risulta la più leggera delle pizze che ci saranno a questo tavolo.
I ragazzi parlano dell’album, io simulo un ascolto educato della conversazione, non posso intervenire molto, ma cerca di aggrapparmi a quelle parole come un naufrago con un pezzo di legno.
Se mi concentro su quello che dicono il dolore non mi spinge così a fondo, anche se non mi abbandona mai. Temo che non mi abbandonerà, sarà l’ennesima cicatrice nascosta, ma che sanguina.                                                                                                                                                                                                                                                                                                         
La cena finisce alle dieci, sembriamo un gruppo di amici felici, nessuno immaginerebbe mai cosa mi sia successo.
In macchina mi lascio andare a un sospiro tremulo, Jack mi guarda incuriosito.
“È difficile fingere che tutto vada bene, quando dentro sei a lutto.”
Lui sospira, facendo eco al mio di poco prima.
“Lo so, Wen, ma dobbiamo andare avanti. Credo che nostro figlio vorrebbe che facessimo così.”
“Nostro figlio avrebbe meritato una madre migliore.”
Lui appoggia una mano sulla mia coscia.
“Sono sicuro che saresti stata una bravissima madre, questa è solo una sfortunata coincidenza.”
Io tiro su con il naso, il senso di colpa è tornato ad aggredirmi con una forza sorprendente.
Non dico più una parola fino a quando non torniamo a casa e nemmeno Jack osa interrompere questo silenzio.
È una cappa che ci soffoca, ma nulla è così significativo da riuscire a romperla.
Jack parcheggia la macchina in garage, io scendo e lo precedo in camera a letto, lui entra e mi trova in intimo.
“Sei sempre bella, ma hai bisogno di dormire.”
“Lo so, ma faccio molta fatica. Troppi pensieri.”
Lui si spoglia, io lo seguo attentamente con gli occhi, una parte di me vorrebbe fare l’amore con lui, l’altra non si sente pronta. Alla fine vince la seconda.
Lui si sdraia accanto a me e mi abbraccia, sento il calore del suo corpo sul mio e – malgrado tutto – non posso fare a meno di sorridere.
Lo amo, lui è l’unico per cui vado avanti.
Lui mi accarezza i capelli e mi bacia le tempie, in qualche modo questo riesce a calmarmi e riesco ad addormentarmi.
Mi sveglio alle dieci della mattina dopo, il letto dalla parte di Jack è freddo e c’è un biglietto sul cuscino. Mi dice che è alle prove e di non lasciarmi andare.
Cosa potrei fare?
Mi chiedo mentre metto le ciabatte, non ho voglia di fare nulla.
Scendo svogliatamente in cucina e mangio una tazza di cereali, cercando di non pensare al dolore e a cosa fare.
Potrei andare al negozio facendo visita a Holly, non sarebbe una cattiva idea visto che sono secoli che non ci vado.
“Va bene, Wen. Fai questo tentativo.”
Dico a voce alta.
Mi metto gli stessi vestiti di ieri sera e prendo un pullman che mi porta nelle vicinanze del mio negozio, fortunatamente ho un buon senso dell’orientamento.
Arrivo lì che sono ormai le undici, Holly sta parlando con cliente – probabilmente gli sta mostrando dei caratteri sul pc o qualche soggetto – dall’altra parte della tenda si sente il ronzio famigliare della macchinetta.
Mi siedo sul divanetto e aspetto pazientemente che Holly finisca e mi fa uno strano effetto, di solito sono io che faccio i tatuaggi.
Una volta finito con il cliente Holly mi rivolge un sorriso smagliante.
“Sono felice di vederti qui.”
Io le rispondo con quella che è più una smorfia che è un sorriso.
“Beh, anche io. Sono qui per vedere come ve la cavate senza di me e poi perché ho bisogno di distrarmi, anche se mi sembra una bestemmia.”
Il sorriso di Holly svanisce.
“Non è una bestemmia. Jack mi ha raccontato tutto, non devi sentirti in colpa. Capisco non sia facile da vivere, ma non puoi lasciare che ti ributti dov’eri finita quando è morto Jim.
Non è colpa tua se il bambino è morto, non è colpa di nessuno e finché non lo capirai non riuscirai ad andare avanti e tu merito di andare avanti.
So che sei una lottatrice, Wen, tira fuori gli artigli.”
L’unica cosa che mi esce è un sospiro.
Sì, sono una lottatrice, ma ci sono certe cose che abbatterebbero persino la più forte delle persone. Ci sono serie di dolori che distruggono lentamente e poi tolgono la forza di rialzarsi.
“Holly mi abbraccia.”
“Forza e coraggio, io sono qui e c’è anche la band. Non è come a Baltimora, non sei sola, ci sono tante persone che ti vogliono bene.”
Io annuisco e mi asciugo una lacrima.
Niente pace per me, ancora una volta devo lottare.
Non posso annegare i miei demoni, sanno nuotare (*).

Angolo di Layla.

(*) traduzione esatta di "I can't drown my demons, they know how to swim", parte del testo di "Can you feel my heart" dei Bring Me The Horizon.

Onestamente, visto lo scarso interesse non so se pubblicare i seguiti vari, mi sembra semplicemente farlo. Ditemi voi.

Ringrazio Iloveyoug per la recensione.

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Capitolo 24
*** 23)Break your little heart in two. ***


23)Break your little heart in two.

 

Ci sono periodi nella vita che sono davvero difficili.
Ne ho avuti tanti, ma nessuno duro come questo, l’aborto mi ha letteralmente preso e buttato nelle regioni più oscure di me stessa. Ho attraversato il mare del senso di colpa, calpestato la terra del “Perché esisto?”, contemplato l’arcobaleno del suicidio e la luce accecante dell’alba della monotonia.
Jack mi è stato sempre vicino, io ho cercato ogni giorno di indossare una maschera per fargli credere che sto meglio, ma non credo di essere riuscita ad ingannarlo.
Intanto sul mio braccio  sono fiorite tante cicatrici, anche se lui ha tentato in ogni modo di nascondere oggetti che mi potessero fare male.
Deve amarmi davvero molto se ha sopportato e sta ancora sopportando l’ombra della ragazza che amava.
Ormai è arrivato giugno, sto guardando l’alba sorgere sul mare, il sole sembra incendiare un attimo l’acqua e poi accende tenui colori rosati nel cielo.
Ho perso il conto di quante albe ho visto, ma questa mi colpisce in modo particolare, forse per l’idea che per un attimo l’oceano sembrava davvero avere preso fuoco. È stato ferito, ma si è rialzato, non era colpa di nessuno, ma lui non si è crogiolato nei sensi di colpa.
Questo smuove qualcosa dentro di me, forse anche io posso rialzarmi e smetterla, ho fatto soffrire fin troppo le persone che amo, in particolare Jack.
Lo guardo dormire e sembra il ritratto della serenità, invece è parecchio stressato per il cd e per me. Non sarebbe dovuto succedere.
Mi ero giurata che non sarei mai stata un peso per lui, da quando si è rotto questo giuramento?
Da quando ho scoperto di essere incinta e di aver in seguito abortito.
Sospiro.
Ormai è successo, ho pagato il mio tributo alla sofferenza, credo sia arrivato il momento di andare avanti.
Visto che è domenica torno a letto, ripromettendomi di svegliarmi prima di Jack in modo da preparargli la colazione. Se la merita per essermi stato accanto in un periodo così difficile per me, in cui ero ridotta a uno zombie senza volontà
Con questi pensieri in testa mi addormento godendomi appieno il suo abbraccio dopo mesi.
Riesco a svegliarmi prima di lui, scendo in cucina e comincio a preparare uova e bacon solo per lui, io metto sul vassoio la solita tazza di cereali.
Finito tutto, salgo in camera nostra e lo scuoto gentilmente, lui mugugna qualcosa e poi apre gli occhi. Li spalanca del tutto quando vede il bacon e il resto.
Sorpresa riuscita!
“Wen, mi hai portato la colazione a letto!”
“Sì.”
“E questi sono bacon e uova.”
“Esattamente.”
Gli rispondo sorridente, lui mi guarda grato e mi fa spazio sul letto.
Lui attacca subito il cibo, io mi perdo ad ammirarlo per qualche  momento, mi sembra bellissimo e quasi troppo per me. Io non sono sicura di meritarmelo.
“Sono felice di vedere che stai un po’ meglio.”
“Da cosa l’hai capito?”
“I sorrisi. Non ne hai più fatto uno vero da quando è successa… quella cosa.
Ti ho sempre vista solo con sorrisi di plastica.”
Io arrossisco, non pensavo che se ne fosse accorto.
“Sorpresa, eh?”
“Un po’, non pensavo l’avessi notato.”
“Io ti osservo più di quanto tu creda.”
Arrossisco ancora di più. Non me l’aspettavo, giuro.
Boccheggio qualche parola, facendolo ridere.
“Mangia, Wen o rischi di andare in carenza di ossigeno.”
“Beh, dovresti avvisarmi quando tiri fuori queste perle da film romantico, almeno mi preparo  psicologicamente.”
“E che senso avrebbe dirtele se ti avviso?”
Scoppia a ridere come un matto.
“Wen, sei proprio strana.”
Io sospiro.
“Sì, a volte immagino di esserlo.
Sono strana, troppo sulla difensiva, non parlo e a volte sono terribilmente esasperante per questo lato del mio carattere. Forse è meglio che…”
Lui mi appoggia un dito sulle labbra.
“Non dire più nulla. A me non importa dei tuoi difetti, non sono fastidiosi, anzi li amo e li avrebbe amati anche lui o lei.”
Lo guardo negli occhi, sono innegabilmente sinceri e a me scappa un altro sorriso.
Sono fortunata che non mi ritenga responsabile di quello che è successo, anche se ne avrebbe tutte le ragioni, e mi ami.
Questa è una cosa da cui ripartire, un punto saldo della mia vita: Jack mi ama.
“È giugno, ti piacerebbe fare un giro alla spiaggia e magari farci anche un bel bagno.”
Io annuisco, prendo il vassoio della colazione, lo porto dabbasso e lo metto nel lavandino, Jack intanto è sceso in salotto,  pronto.
Io salgo a mettermi il costume e un copricostume verde, preparo una borsa veloce e scendo, lo trovo che guarda la tv.
Decido che può guardarla ancora un po’ e preparo anche un pranzo al sacco fatto di panini e bibite.
“Jack, sono pronta. Possiamo andare.”
Lui spegne la tv e si volta sorridendo verso di me.
“Eccomi. Uh, ma hai preparato anche il pranzo!”
“Ho visto che stavi guardando la tv e ho deciso di approfittare di quel momento per fare qualche panino.”
Lui mi passa un braccio attorno a una spalla.
“Bene, allora possiamo andare. Non manca nulla.”
Sì, lui c’è, io ci sono e c’è anche il cibo.
Non manca proprio nulla.
 

Il picnic sulla spiaggia si rivela un’esperienza piacevole.
Non c’è molta gente e c’è un delizioso venticello che ci rinfresca e increspa il nostro ombrellone e l’oceano.
I panini sono buoni, Jack è rilassato, ma non significa nulla: lui è sempre rilassato.
Non so mai cosa gli passi per la testa, a volte è impenetrabile e l’unica persona che lo sa è Alex e questo mi frustra parecchio perché vorrei non stressarlo.
Ma come faccio a non farlo se lui non mi dice perché lo è?
Forse sono stata insopportabile negli ultimi tempi, ma avevo le mie ragione e lui sembra averlo capito, eppure sono inquieta.
C’è qualcosa nella sua calma che mi preoccupa profondamente.
“Vado a farmi un bagno, tu?”
Io guardo la mia mano e decido che posso permettermelo, ormai sono brava a rifare la fasciatura.
“Arrivo. Jack, tutto bene?”
“Sì, perché?”
“No, niente. È solo una sensazione.
Andiamo!”
Entriamo in acqua e lui sparisce subito al largo, senza fare il cretino, lasciandomi da sola vicino alla spiaggia, ma circondata da una distesa d’acqua azzurra.
Non so perché inizio ad avere freddo ed esco dall’acqua e me ne torno all’ombrellone in lacrime.
Non è che a causa del mio dolore l’ho perso e non me ne sono nemmeno accorta?
Piango per circa una decina di minuti, poi mi asciugo le lacrime e ricompongo la mia faccia in un’espressione normale per non creare problemi.
Un quarto d’ora dopo esce dall’acqua e si sdraia sul salviettone senza dire una parola, sembra felice, ma – ho detto – potrebbe essere una maschera.
Devo parlare con Alex, anche se questo mi fa sentire la più scadente delle ragazze.
Finiamo la nostra giornata al mare verso le cinque, non è stata granché. A dispetto delle premesse sembravamo due estranei che non sapevano di che parlare.
Dio, non togliermi anche lui, ti prego!
Arrivati a casa lui sparisce a farsi una doccia, quando torna mi trova sul divano.
“Jack, faccio un salto da Holly, va bene?”
Lui annuisce.
“Divertiti.”
“Ok, ciao.”
“Ciao.”
Esco da casa mia spaventatissima.
Percorro i pochi metri che separano dalla casa di Alex e suono il campanello.
Esce direttamente Alex.
“Ciao, se vuoi parlare con Holly non c’è.”
“No, a dire la verità ho bisogno di parlare con te.”
“Va bene, entra.”
Entro e mi siedo sul divano.
“Vuoi qualcosa?”
“Qualsiasi cosa di forte andrà bene, ne ho bisogno.”
Lui mi guarda incredulo.
“Pensavo che non ti piacesse l’alcool.”
“In generale no, ma certe volte ne ho bisogno per sciogliermi.”
Lui annuisce comprensivo e poco dopo mi porge un bicchierino di whisky che butto giù tutto d’un fiato.
“Ecco, ora penso di potercela fare.”
Mormoro.
“Wendy, cosa c’è?”
Mi chiede preoccupato Alex.
“Jack, dimmi cosa ha Jack.”
Lui mi guarda sorpreso.
“Oh, non guardami con quella faccia!
Lo so che ha qualcosa, solo che non vuole dirmelo, è sempre così freddo!
Apparentemente è rilassato, gli va bene tutto, ma in realtà non è così e so che tu sai cosa ha.
Tu lo conosci meglio e, anche se questo mi brucia un po’, sei l’unico che mi può aiutare.”
Lui mi guarda.
“Sei gelosa.”
“Un po’, ma non importa. Suppongo che per avere il pacchetto Jack Barakat bisogni accettare anche un pezzo del pacchetto Gaskath.
L’importante è che non si arrivi a dividere il letto.”
Lui annuisce.
“Allora, cosa ha Jack?”
I suoi occhi smettono di essere fissi nei miei e vagano per la stanza, non mi piace questo comportamento, è segno di una bugia di solito.
“Beh, anche lui ha passato un periodo duro.
“Lo so.”
“Forse è il suo modo per far passare il dolore.”
“Allontanandomi?”
Chiedo ferita.
“Non lo so, dovresti parlarne con lui.”
“Lui dice che va tutto bene.”
Alex tace.
“Alex, lo so che mi stai tenendo nascosto qualcosa. Ti prego, dimmela.”
Lui si alza in piedi e cammina per il salotto.
“Non posso, Wen. Semplicemente non posso, mi dispiace.
E se vuoi un consiglio, lascia perdere queste paranoie.”
Io sospiro affranta e anche un po’ arrabbiata.
“Lo sapevo che avresti coperto Jack, nonostante il bene che dici di volermi.
Arrivederci, Alex!”
Sibilo dura, poi me ne vado dalla villa, incurante del fatto che Alex mi stia urlando di fermarmi e di non reagire così. Non capisco come dovrei reagire.
Davvero non lo so!
Il mio ragazzo mi nasconde qualcosa esattamente nel momento in cui io sembro stare meglio e il suo migliore amico lo copre.
Non ho voglia di tornare a casa e non mi va di sentire altre scuse da parte di Alex così mi dirigo il parco del quartiere.
Stare da sola mi farà bene.
Mi siedo su una panchina e mi guardo attorno, ho fatto la scelta sbagliata: il parco è pieno di giovani mamme con prole a seguito, esattamente quello che sarei dovuta essere io.
Merda! Perché ogni volta che sono a due passi dalla felicità mi succede una catastrofe?
Perché?
Cos’ha Dio contro di me?
Mia madre, mio padre, mio fratello, la morte di Jim e il mio incidente mi sembrano una punizione sufficiente!
Mi raggomitolo sulla panchina in silenzio, isolandomi dal mondo e pensando che è troppo per me.
Sento che sto perdendo Jack e non so come fermarlo, lui mi scivola via dalle mani come acqua e non so a chi chiedere aiuto.
Mi sento sola esattamente come a Baltimora, mi sento la ragazzina fragile e allo sbaraglio di allora.
Tutto cambia per non far cambiare niente.
Che tristezza.
Inizia ad alzarsi un vento freddo, io guardo il cellulare: sono quasi le sette, meglio tornare a casa.

 

Il giorno dopo ci alziamo tutti e due presto.
Lui deve andare alle registrazioni e io vado in negozio per passare il tempo.
Lui sembra rincoglionito come al solito al mattino, ci salutiamo con il solito bacio, ma sento una certa indifferenza da parte sua.
È ufficiale: sono in paranoia.
Ma ne vado al negozio molto preoccupata, Holly lo nota subito.
“Che succede, Wen?”
“C’è che sono preoccupata per la mia storia con Jack, temo mi nasconda qualcosa.”
“Mannò, non penso.”
“Ieri sono stata da Alex, è stato molto evasivo su questo argomento.”
Holly tace e io vado nella parte vera e propria dello studio, dove Bryan sta preparando la macchinetta.
“Ciao, Wendy.”
“Ciao, Bryan.”
“Hai qualche problema?”
Io mi siedo su uno sgabello che di solito è destinato a chi accompagna la gente a farsi tatuare: genitori, amici, fidanzati/e, parenti.
“Sì, ne ho uno.
Il mio ragazzo ultimamente è diventato strano e il suo migliore amico non mi vuole dire perché.”
“Significa che sta facendo qualcosa di sbagliato.”
Al pensiero che Jack mi tradisca sento un crampo al cuore e mi accascio sulla sedia.
“Tutto bene?”
“Sì, solo un crampo, grazie.”
“Devi tenerci a questo ragazzo.”
“Molto. Forse tengo di più a lui che a me stessa in questo momento.”
Lui continua a pulire la macchinetta.
“Spero che si meriti questo amore.”
Io rimango in silenzio, l’idea che Jack mi stia tradendo sta germogliando dentro di me, tutto filerebbe: dalle sue stranezze, al silenzio colpevole di Alex, per non parlare della messicana che ha giurato di farmela pagare.
Ho un brivido e cerco di trattenere le lacrime.
Non può essere davvero così, mi rifiuto di crederlo, lui mi ama e me lo ha dimostrato molte volte.
Perché tradirmi?

{“Beh, anche lui ha passato un periodo duro.
“Lo so.”
“Forse è il suo modo per far passare il dolore.”}

Jack non può essere così stupido, non può. Eppure – chissà perché –  una parte di me la trova una spiegazione sensata, come se in fondo sapessi che con lui non avrebbe potuto durare.
Mi impongo faticosamente di mantenere la calma, non è detto che sia così, non ho alcuna prova, solo un sospetto. Lo condannerò definitivamente a essere uno stronzo il giorno in cui lo vedrò scopare con un’altra nel nostro letto, solo allora.
“Wendy?”
La voce di Bryan mi richiama alla realtà.
“Scusami, forse ho detto delle cose inappropriate.”
Io scuoto la testa.
“No, hai solo detto la tua opinione, va bene così.
Sta arrivando il primo cliente, smetti di pensare ai miei problemi.”
Lui annuisce poco convinto.
Il primo cliente è un uomo che ho già tatuato, si ferma cinque minuti a chiedermi come sto e a dirmi che gli dispiace per quello che mi è successo.
Io annuisco e gli dico che presto tornerò in pista, mi manca il mio lavoro ed è la sacrosanta verità.
Assisto a tutti gli appuntamenti di Bryan e cerco di distrarre i clienti con qualche cavolata quando mi accorgo che lui tocca punti dolorosi del loro corpo.
A mezzogiorno mangio con Holly e Bryan.
“Stai meglio adesso?”
“No, ma almeno non ci penso. So che qualcosa succederà, me lo sento nelle ossa.”
Lei scuote la testa.
“Stai diventando paranoica, cosa vuoi che succeda?”
Un tradimento, ma mi trattengo dal dirlo ad alta voce perché ho davvero paura che sia così.
Jack è entrato troppo profondamente nella mia vita, cosa farei senza di lui?
Non lo so e non sono ansiosa di scoprirlo.
Holly ci porta in una pizzeria e nemmeno la mia pizza preferita – la margherita – riesce a tirarmi su in qualche modo.
La sensazione della catastrofe imminente incombe su di me come un macigno.
Alle cinque decido di uscire prima dal negozio, non hanno bisogno di me e io voglio provare a cucinare qualcosa di buono per quando il mio ragazzo tornerà dalle registrazioni.
Mi fermo a prendere le ultime cose al supermercato e poi finalmente mi dirigo verso casa, sono stanca ma quasi felice.
Parcheggio la mia macchina, porto la spesa in cucina e  mi accorgo – con un brivido – che al piano di sopra ci sono strani rumori.
Rumori troppo simili a quelli che fa Jack quando fa sesso.
Salgo le scale lentamente, come un automa, e pregando Dio che  si stia solo vedendo un porno o qualcosa del genere.
Apro la porta della nostra camera e il mio cuore si frantuma in mille pezzi.
Jack non sta guardando un porno, si sta scopando quella messicana che mi ha minacciato di riprenderselo.
Lo guardo mentre se la gode, ansima e tocca un corpo che non è il mio a occhi chiusi.
Dovrei scappare, urlare, picchiarlo, fare qualcosa, ma sono pietrificata a guardare questa scena oscena.
Il mio ragazzo apre gli occhi solo quando viene e mi vede, il suo volto si pietrifica e la messicana scoppia in una risata cattiva, io trovo finalmente il coraggio di voltarmi e correre via.
Non mi fermo nemmeno alle urla di Jack che urla che può spiegarmi tutto, che mi ama e altre stronzate.
Esco dalla villa e mi fiondo dentro la villa di Alex approfittando del fatto che il cancello è aperto, busso come una forsennata alla sua porta, finché non viene ad aprirmi.
Davanti alla mia faccia sconvolta decide di lasciar perdere qualsiasi commento e allarga le braccia, in un invito implicito ad abbracciarlo.
Ed è quello che faccio mi butto tra le sue braccia piangendo.
“Per favore, chiudi la porta e non fare entrare Jack.”
“Perché?”
Io tiro su con il naso.
“Jack mi tradisce.”
Mormoro con voce rotta, lui annuisce comprensivo e chiude la porta, non la riapre nemmeno quando Jack la tempesta di pugni.
Pensa solo a consolarmi e gliene sono grata, è davvero un bravo amico.
La mia favola invece è andata a puttane.
Le favole per quelle come me non esistono.

Angolo di Layla

Ringrazio My Chemical Green Romance, _redsky_, Mon, Iloveyoug e RadhaAttack per le recensioni.

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Capitolo 25
*** 24)I'll paint you wings, and I'll set you free (please don't!) ***


24)I'll paint you wings, and I'll set you free (please don't!)

 

14 settembre 2012

 

Ci sono momenti nella vita in cui i minuti, le ore, i giorni, le settimane e perfino gli anni perdono di significato.
Sono reggimenti inutili dell’esercito del tempo che scorrono pigramente su di te, lasciandoti sempre più spossata.
Vivi e non vivi.
A e B coincidono creando un cortocircuito che non trova soluzione. Ogni mattina speri di svegliarti fredda, ma sei sempre calda.
Sono passati due anni da quando ho scoperto Jack con la messicana e nulla è cambiato nella mia vita, eccetto che la mia mano è guarita.
Con mio sommo dispiacere Jack ha continuato a pagare la fisioterapia, io – che non voglio avere dei debiti con lui – sto risparmiando per restituirgli tutto fino all’ultimo centesimo, dovessero volerci anni.
Non vivo più da Alex e Holly – che stanno ancora insieme – ma in una casetta sull’oceano, l’ho trovata dopo due settimane in cui vivevo dai miei amici.
In quelle due settimane Jack ha tentato di vedermi in ogni modo e non ci è riuscito.
C’è riuscito in seguito un paio di volte.
Non è bello tornare  a casa dal lavoro e trovare il tuo ex seduto sul tuo divano che cerca di spiegarti perché lui si scopava una zoccola, mentre tu cercavi faticosamente di uscire dalla depressione.
Io cercavo di andare avanti e sopravvivere al fatto che nostro figlio o figlia era morto o morta e lui scopava.
L’ho sempre cacciato, ma ogni volta che siamo venuti in contatto tra noi si stabiliva una certa elettricità, come se i nostri corpi non avessero accettato o capito che tra noi era finita.
Jack mi ha scritto milioni di lettere che sono finite nella spazzatura, centinaia di messaggi che non sono mai stati letti e e-mail subito cestinate.
Ero e sono arrabbiata con lui.
Si è comportato da stronzo nel peggior modo e momento possibile, quando io avevo più bisogno di lui mi ha voltato le spalle.
Il mio cuore non riesce ancora a perdonarlo per questo, nonostante sia Alex che Holly mi abbiano detto di parlargli almeno, per dargli la possibilità di spiegarsi, ma il mio cuore non sa cosa farsene di queste spiegazioni.
Il mio cuore ogni volta si ricorda l’espressione di piacere di Jack  mentre si scopava l’altra e sanguina e sanguina.
Lo sai, Jack, di avere le mani sporche di sangue?
No, non lo sai.
Con un sospiro mi accendo una sigaretta, uscirei fuori a fumare se solo non fosse in corso il diluvio universale.
Mi è sempre piaciuto fumare, ma ora è solo un gesto vuoto, privo di significato come tutti quelli che faccio da almeno due anni a questa parte.
Ogni volta che lui è venuto a trovarmi ha lasciato un piccolo seme chiamato speranza nel mio povero cuore frantumato, speranza terribile che – nonostante tutto – mi amasse ancora.
Speranza che non l’avesse fatto per cattiveria.
Speranza.
Un seme che vorrebbe poter far nascere una pianticella chiamata perdono.
In fondo, mi dico, ero terribile in quel periodo. Non parlavo, mangiavo a stento, lo respingevo a letto e lui doveva tenermi lontani tutti gli oggetti con cui ci si potesse tagliare per non farmi continuare sullavia dell’autolesionismo.
Sì, non deve essere stato facile, posso perdonargli uno sbaglio.
Questo è quello che vuole speranza, ma il mio cuore dice che se lui ci avesse tenuto veramente a me non avrebbe sbagliato, non in quel modo squallido almeno.
Cosa devo fare?
Il mio cervello dice che non devo fare nulla, che lui va lasciato nel passato, ma ho una certa riluttanza a lasciare che questo avvenga.
Oh, posso ignorarlo quanto voglio, ma c’è qualcosa di sospeso tra di noi!
Temo che anche lui abbia perso interesse, ormai non tenta più di entrare in casa, non scrive più, solo qualche mail e qualche messaggio.
Forse ha perso la speranza o forse si sta rifacendo una vita, cosa che io non sto facendo.
Non sono più uscita con un ragazzo dopo aver rotto con lui, Bryan mi ha invitato a cena un paio di volte, ma gli ho fatto capire che non volevo nulla più di una semplice amicizia.
Lui se ne è fatto una ragione e ora esce con una brava ragazza che lo rende felice.
Holly continua a dirmi che dovrei parlare con Jack e quando le faccio presente che anche lui ha diradato i contatti lei mi dice che è a causa dell’album imminente.
Bah.
Sono immersa nei miei pensieri senza senso, quando qualcuno bussa alla porta, per abitudine guardo prima dallo spioncino e vedo che è solo Jeremy, l’ex di Holly.
Lo faccio entrare sorridendo.
“Ehi, Jem! Quale buon vento ti porta qui?”
“Devo darti una cosa, anche se io non ti ho dato niente, chiaro?”
Io alzo un sopracciglio.
“Cos’è? Droga?”
“ No, no!”
Appende la giacca ai ganci dietro la porta e si guarda attorno.
“Bell’ambientino, ti sei sistemata bene.”
“Il negozio rende, vuoi qualcosa da bere?”
“Del whisky andrà benissimo.”
Mi accorgo che batte i denti per il freddo, io gli servo immediatamente un bicchierino che lui butta giù immediatamente.
“Ah, adesso sto meglio.”
Estrae qualcosa dalla tasca della felpa e me lo porge: è un pacchettino che io scarto, contiene un cd.
“Tu sei la prima “civile” a vedere il nuovo lavoro degli All Time Low, Don’t Panic.
Lo so che quello che è successo tra te e Jack Barakat non sono fatti miei, ma mi sei simpatica per cui ti consiglio di ascoltare la traccia quattro e la undici e prendere le tue decisioni.”
Io annuisco leggermente inebetita, Jeremy si alza dal divano.
“Bene, il mio compito è finito. Mi raccomando ascoltale, Wendy.”
“Ok, grazie.”
Lo accompagno alla porta e lo saluto. Tornata in salotto guardo il cd e mi chiedo perché dovrei sentire quelle due tracce, cosa hanno di importante?
Ma se a me non importa di Jack perché dovrei sentirle?
Perché l’amara verità è che di quel cretino mi importa ancora tanto e che mi sento sola senza di lui.
Così, con un po’ di riluttanza, infilo il cd nello stereo e scelgo la traccia quattro chiedendomi a cosa mi troverò davanti.
Il titolo è “Somewhere in Neverland” e mi lascia pietrificata, la canzone parla di un ragazzo che vuole fuggire con la sua Wendy sull’isola che non c’è.
Sembra tantissimo la storia mia e di Jack che mi vengono i brividi, non so chi l’abbia scritta, ma è meravigliosa e – ancora una volta – contiene una richiesta di perdono
Una richiesta che riga le mie guance di lacrime, sono ancora nel cuore di Jack e se non fosse per il mio dannato orgoglio andrei subito da lui.
Ogni volta che ho questo impulso lo rivedo mentre scopa con quella puttana e nel mio cuore torna a calare il gelo.
Finita la quattro, skippo alla undici che si intitola “Paint you wings”, il titolo mi mette leggermente in allarme.
Clicco play e la musica parte, il testo è triste, diverso dalla precedente e mi preoccupa sempre di più.
Quando sento una parte che recita più o meno così:
When will the princess figure it out, she ain't worth saving
And when will the world get over all her misbehaving
Will we ever learn?
I painted a picture of the things I wanted most
To color in the darker side of all my brightest hopes
But there was a monster standing where you should be
So I'll paint you wings, and I'll set you free
, salto dalla sedia, come se mi avesse dato una scossa.
Sento come se Jack mi stesse dando il suo ultimo  messaggio, sono diventata un mostro che divora la luce delle sue speranze gloriosa, una cosa che va lasciata libera.
Una cosa a cui vanno dipinte le ali per farla andare via.
Io non voglio le ali, non voglio andare via.
Solo allora capisco quanto tenga ancora a Jack in realtà, tenere è addirittura il verbo sbagliato: io lo amo.
Lo amo adesso con la stessa intensità di due anni fa, non posso permettere che lui esca dalla mia vita!
Incurante dello stereo che va e della pioggia che scende copiosa, metto un paio di anfibi ed esco, diretta a casa sua.

 

Correre non è mai stato il mio forte, a Educazione Fisica facevo schifo, ma stasera è diverso.
Mi faccio mezza Los Angeles a piedi, alternando la corsa al passo veloce, sotto il diluvio universale e non me ne frega niente: devo arrivare più presto che posso alla villa di Jack.
Sì, potrei chiamarlo, ma non sarebbe lo stesso.
Dopo anni ho il bisogno fisico di vedere Jack Barakat e i suoi occhioni castani.
Devo correre.
Correre!
Arrivo davanti a casa sua, stremata, senza fiato e bagnata come un pulcino e ancora una volta non importa.
Mi attacco al suo campanello e finalmente entro, percorro il vialetto barcollando come uno zombie, come se tutta l’energia che mi ha portato qui stesse lentamente scomparendo.
Gli ultimi passi sono una tortura, mi sento i piedi pesanti per via degli anfibi e dell’acqua che ormai è entrata formando due piccoli laghetti.
Comincio a bussare come una forsennata e sto quasi per dare un pugno in faccia a Jack per errore quando finalmente mi apre, a torso nudo e con i pantaloni di una tuta neri.
Non dico nulla e lo abbraccio più forte che posso, lui rimane un attimo imbambolato, poi ricambia l’abbraccio.
Io sorrido, mentre il mio mondo diventa nero.

 

Mi risveglio in un letto che conosco molto bene, avvolta nelle coperte e relativamente asciutta.
Mi tiro a sedere di scatto e mi guardo attorno, Jack è seduto sulla sedia della scrivania e mi scruta.
“Jack.”
“Wendy.”
“Jack, non voglio un paio di ali, non sarò l’ombra nera che oscura le tue speranze.
Non lasciarmi andare.”
Lui si alza e mi appoggia la mano sulla fronte e fa per andarsene, ma io lo blocco.
“Wendy, hai la fe…”
“Non importa, posso avere anche l’ebola e può aspettare.
Io… io ti devo parlare, è urgente.
Ti, prego ascoltami.”
Lui si siede sul letto accanto a me e mi accarezza la fronte con cautela, come se temesse rappresaglie.
“Dimmi tutto, sono anni che aspetto questo momento.”
“Ho sentito il vostro nuovo cd, non chiedermi chi me l’ha procurato perché non ti risponderò e non è importante ai fini del discorso.
Ho sentito la quattro e la undici, la quattro è meravigliosa, parla di noi in modo splendido.
Voglio ancora scappare via con te, voglio… voglio mettere da parte, ancora una volta, il passato, anche se fa male.
Voglio essere la tua Wendy.
Quando però ho sentito la undici mi sono sentita morire, io non voglio essere considerata un mostro o una che ha bisogno di un paio di ali per levarsi dai coglioni,
Io ti amo e, anche se mi hai ferito tantissimo, vorrei riprovarci.
Mi vuoi?”
Lui mi guarda incredulo.
“Tu che mi chiedi se mi vuoi? Sono io a dovertelo chiedere, tu hai tutto il diritto di prendermi a calci.
Davvero, mi vuoi ancora, Wendy?”
“Sì.”
Lui si passa una mano davanti al volto e poi sorride, quel sorriso che adoro e che gli accende i lineamenti di una luce speciale.
“Raccontami tutto, Jack.
Vorrei una spiegazione, prima di tutto.”
Lui abbassa gli occhi.
“Sono stato un coglione. Io mi accorgevo che soffrivi, ma qualsiasi cosa facessi non cambiava le cose di una virgola e poi mi respingevi anche a letto.
Mi sentivo piuttosto solo, così una sera dopo le registrazioni mi sono infilato in un bar  a bere e Marisol mi ha abbordato.
È da lì è cominciata una serie di incontri, quello che hai visto tu era il terzo. Mi sentivo in colpa, volevo smettere, tu non ti meritavi di essere tradita nel momento in cui stavi così male, ma…
Il non fare sesso mi pesava, non ce la facevo, mandava all’aria tutti i miei piani.
Da quando te ne sei andata le cose sono cambiate, puoi chiedere ad Alex se non ti fidi. Non ho più visto Marisol né nessun altra, volevo solo te  e sapevo di averti persa per sempre perché ero solo uno stupido coglione.
Ho dovuto fingere con tutti, fan soprattutto, di stare bene, ma la verità era che mi mancavi da morire e avrei dato tutto per riaverti e sapevo che non sarebbe stato possibile.
Sei testarda e orgogliosa e diventi una regina di ghiaccio, se ferita.
Mi vuoi ancora adesso?”
Io gli stringo una mano sorridendo.
“Sì, voglio… Voglio dimenticare quello che è successo quel giorno, io so di avere la mia parte di colpa.
Non ti parlavo, ti cacciavo, era ovvio che sarebbe successo qualcosa.”
Lui sorride ancora e mi prende il volto tra le mani, mi dà un leggero bacio a stampo che io approfondisco.
Tanto che lui finisce mezzo sdraiato su di me, con una risata da parte di entrambi.
“Piccola, adesso vado a prendere il termometro e  ti provo la febbre, ve bene?”
Io annuisco.
Lui torna poco dopo con il termometro, la provo ed effettivamente ho qualche linea, lui mi dà un’aspirina e si sdraia a letto con me, stringendosi contro la mia schiena.
“Domani sarai ancora qui?”
“Certo e dopodomani e poi il giorno dopo e quello dopo ancora, se mi vorrai.”
Strofina  il suo naso contro il suo collo.
“Ho pregato così tanto per questo miracolo che non ho intenzione di lasciarti andare.”
Io sorrido.
“Jack, te le ricordi le prime notti che passavamo insieme?
Quando parlavamo di tutto e di niente e fumavamo?
Beh, quelle sono uno dei miei ricordi migliori di te, perché se riesci a stare tra le braccia di un ragazzo a cui basta questo per stare bene sei una donna fortunata.”
“Ti giuro che allora e anche adesso mi basta solo questo.
Non ha senso avere un po’ di sesso, quando hai l’amore accanto a te, è una lezione che ho imparato nel modo più duro.”
“E io sarò l’unica a saperlo.”
Lui mi accarezza la pancia, soffermandosi sulla cicatrice.
“Sì, ma prima o poi lo sapranno tutti. Che ne dici?
Wendy Barakat, suona bene?”
“Molto bene, mi piace un sacco.”
Continuando a parlare di tutto e di niente ci addormentiamo.
La mattina dopo mi sveglio e mi sento benissimo, guardo il corpo di Jack disteso accanto al mio e gli lascio una leggera carezza sul viso, poi torno a dormire.
Non voglio più scappare.
Ora so la verità e penso di essere in grado perdonare un errore del genere, non è stato facile digerirlo, ma ce l’ho fatta e sono orgogliosa di me.
La piccola Wendy spaventata sta crescendo.
Mi sveglio di nuovo alle dieci grazie al profumo del caffelatte, apro gli occhi e vedo Jack con in mano un vassoio colmo di ogni ben di Dio.
“Jack!”
Esclamo felice.
“Buongiorno, Wen!
Ho avuto paura che tu te ne andassi, soprattutto quando mi hai accarezzato la guancia.”
“Non volevo svegliarti, scusa!”
“Non mi hai svegliato, ero già sveglio.
Anche se suona terribilmente smielato, ero talmente incredulo di riaverti qui che ho speso la maggior parte della notte e del giorno guardandoti dormire.
Mi hai chiamato spesso nel sonno.”
Io arrossisco e quasi butto la faccia nella mia tazza di caffelatte, lui scoppia a ridere.
“Sono passati anni, ma ce la faccio ancora a metterti in imbarazzo.”
“No, è che solitamente non sei così romantico! Nessuno è mai stato così romantico con me…
Oh, Insomma! Non me la merito una notte insonne.”
“Questo lascialo decidere a me.”
Rimane un attimo in silenzio.
“E così sei davvero tornata per restare.”
“Don’t you know i’m here to stay?”
Gli canticchio come risposta.
“Sì, sono qui per restare, se mi vorrai.”
“Oh, non fare domande stupide! Certo che ti voglio, quando andiamo a prendere i tuoi bagagli?”
“Anche subito se vuoi.”
Finiamo di mangiare e ci cambiamo, su Los Angeles splende un sole meraviglioso, della pioggia torrenziale rimane qualche pozzanghera e qualche cespuglio leggermente bagnato.
È strano salire di nuovo nella macchina di Jack, ma è anche piacevole, è davvero il posto dove voglio stare.
Arriviamo a casa mia, Jack si toglie gli occhiali e la scruta.
“Bel posticino.”
“Vero? Ma adesso basta, bisogna iniziare a traslocare un po’ di cose.”
Spendiamo tutta la mattinata, caricando la macchina di vestiti, coperte, lenzuola e cose di prima necessità, verso le due – dopo esserci mangiati un panino sul portico di villa Barakat – Jack chiama un’azienda di traslochi e gli detta il mio indirizzo e poi il suo.
Io intanto metto tutto quello che ho portato qui  al suo posto, sembra quasi che non me ne sia andata.
Alle quattro crollo esausta sul divano e lui mi raggiunge.
“Stanca?”
“Stanca, ma felice.”
“Domani arriva il resto della tua roba.”
Io sorrido.
“Va bene, andrebbe bene anche se non arrivasse.”
Lui mi guarda senza capire.
“Tonto, la mia casa è qui e ce l’ho sotto gli occhi.”
Lui si guarda, la sua bocca diventa una O perfetta e poi scoppia a ridere.
“Grazie mille.”
“Beh, è la verità.”
“Stasera usciamo a festeggiare?”
“No, sono troppo stanca.”
C’è un attimo di silenzio, poi una porta – quella d’ingresso – si apre.
“Ragazzi!”
È arrivato Alex Gaskarth con Holly.
“Adesso che state di nuovo insieme e l’universo ha ripreso a girare per il verso giusto, che ne dite di uscire insieme a fare baldoria?”
Io e Jack ci guardiamo sorridendo.
“Direi che è una buona idea!”
Entrambi soffochiamo Alex in un abbraccio a sorpresa e io sorrido.
Sorrido davvero, ho la mia famiglia, il mio ragazzo, degli amici.
La mia fiaba ha avuto un lieto fine.

Angolo di Layla

Ringrazio RadhaAttack, My Chemical Green Romance, iloveyoug e _redsky_ per le recensioni.
Spero che vi piaccia questo finale. Presto arriverà il seguito e sarà incentrato più su Holly e Alex e...su Vic Fuentes.

Non voglio dire altro. Alla prossime e grazie per averla letta e recensita in questi mesi.

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