Song of Innocence

di TheOnlyWay
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4. ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***









Grazie a Ila, per il banner stupendo che l’ha praticamente fatta impazzire.
Sei un tesoro.

Grazie ad Alice e Martina, che hanno ispirato due dei miei personaggi preferiti dell’intera storia.

E grazie anche a Silvia, Alessandra, Caterina e Caterina, Maria Giulia e Agata, che hanno letto la storia in anteprima.

E grazie a voi, se la leggerete.
 
 
 
 
Prologo.
 
 
 
 
Ricorda.
Violet stropiccia la pergamena con rabbia; stringe, fino a che il piccolo foglio non è del tutto compresso nel suo pugno. Vorrebbe avere il potere di incenerirlo con il pensiero ma, purtroppo, non ne è ancora in grado. Né lo sarà mai, probabilmente.
È una strega, certo, ma non è di certo tra le più talentuose: non riuscirà mai a padroneggiare la magia non verbale, non sarà mai in grado di trasfigurare un cane in una caffettiera e, probabilmente, non evocherà mai un Patronus decente. È consapevole dei suoi limiti, e tanto basta.
Getta la pergamena per terra, poi le punta contro la bacchetta e pronuncia “Evanesco”. In un istante, quella sparisce, senza lasciare traccia. E, insieme a lei, svanisce anche un po’ della tensione accumulata: ora che la grafia spigolosa e stretta del padre non è più davanti ai suoi occhi, la minaccia appare più lontana, ma Violet sa che entro qualche ora l’angoscia tornerà ad assalirla.
Con un sospiro, si abbandona sul sedile, alla ricerca di una posizione comoda e confortevole: anela un po’ di serenità e di silenzio, anche se sa alla perfezione che quest’ultimo sparirà nel momento esatto in cui Erin metterà piede nello scompartimento.
Violet sorride, pensando alla sua amica più cara. Non può negare a sé stessa che non vede l’ora di rivederla e di riabbracciarla.
Sono trascorsi tre mesi dall’ultima volta in cui l’ha vista ed è innegabile che le sia mancata: la fitta corrispondenza che si sono scambiate è servita un poco ad attenuare la sua solitudine, ma non è stata sufficiente.
L’estate appena trascorsa è stata, senza ombra di dubbio, la peggiore della sua vita.
Violet ne ricorda ogni momento quasi con orrore.
Nella mente, ha ancora impressa l’immagine di sua madre, con le guance scavate, la pelle tirata e le occhiaie livide sotto gli occhi azzurri. Ricorda alla perfezione il tiepido abbraccio che le ha dato e, soprattutto, ricorda di averla sentita talmente fragile, che temeva potesse spezzarsi da un momento all’altro.
Suo padre, invece, è stato austero, burbero e indifferente, come al solito. In verità, Violet ha avuto modo – purtroppo – di conoscere il suo lato più dittatoriale, quello che ha mantenuto per tutta l’estate e che le ha causato non pochi incubi durante la notte. Senza Spencer, si è sentita in trappola e indifesa come non mai.
Posa la fronte contro il finestrino, rabbrividendo a contatto con il vetro freddo. Con gli occhi chiusi, cerca di concentrarsi su qualsiasi altro pensiero che non comprenda suo padre, sua madre o, peggio ancora, suo fratello.
Fortunatamente, il vociferare gioioso degli studenti e delle loro famiglie, che ancora si attardano sul binario 9 e ¾, riescono a distrarla abbastanza a lungo.
Violet immagina una madre che saluta il figlio, in procinto di salire sul treno, con un abbraccio pieno di amore – uno di quegli abbracci che lei non ha mai ricevuto – e con le calde raccomandazioni di chi è interessato alla felicità del proprio bambino. (“Stai attento, con la bacchetta.”, “Presta attenzione.”, “Non preoccuparti, a noi andrà bene qualsiasi casa in cui verrai smistato.”)
Le campane suonano undici rintocchi, il treno fischia e le voci si fanno più affrettate e più confuse. Ancora una volta, Violet immagina gli abbracci, le carezze e i baci, poi l’Espresso fischia una seconda, una terza volta e si mette in moto, lasciandosi la stazione di King’s Cross alle spalle.
Violet apre di nuovo gli occhi, e porta lo sguardo sulle sue mani: tremano, incontrollate, come se cercassero di sfogare tutto il nervosismo e l’agitazione che si tiene dentro. Respira profondamente, cercando di calmarsi e di ritrovare un minimo di equilibrio.
L’ultima cosa di cui ha bisogno, è che Erin capti tutte le emozioni negative che prova e cominci ad indagare. Sa che non riuscirebbe a trattenersi dal dirle la verità, ed ha bisogno di più tempo, per raccogliere le idee e stabilire cosa è il caso di dire e cosa, invece, no.
Stai andando a Hogwarts, Vì. E Hogwarts è casa.” se lo ripete fino a che le mani non smettono di tremare e il suo respiro torna regolare.
Raccoglie le gambe contro al petto e circonda le ginocchia con le braccia. Vi appoggia sopra il mento e rimane in attesa, un piccolo sorriso ad incresparle il volto pallido: non vede l’ora che arrivi Erin.
Non deve aspettare poi molto. Dopo qualche minuto, un tramestio annuncia l’imminente comparsa della sua migliore amica.
Erin è, probabilmente, la Serpeverde più imbranata della storia. Inciampa ovunque, e non importa quanto la superficie sia piana e priva di ostacoli: il suo equilibrio è praticamente inesistente. Violet ancora si sorprende del fatto che sia una delle due Battitrici della squadra di Quidditch. Da una che non è in grado di camminare in linea retta, ci si aspetta che non sia capace nemmeno lontanamente di stare in equilibro su una scopa, a quindici metri di altezza.
La porta dello scompartimento si spalanca di colpo ed Erin, con il suo metro e sessantadue, compie il suo plateale ingresso e, ovviamente, inciampa.
Si guarda intorno, lievemente preoccupata di essere entrata nello scompartimento sbagliato, poi riconosce Violet e lancia un urletto stridulo. Si alza in piedi e le si getta letteralmente addosso, allacciandole le braccia intorno al collo e stringendola fino a farle mancare il respiro.
«Sai che vergogna, se non fossi stata tu?» domanda, improvvisamente consapevole della pessima figura appena fatta.
Violet ridacchia, divertita, poi lascia un bacio sulla guancia dell’amica e torna a sedersi, facendole cenno di accomodarsi accanto a lei.
«Credo che ormai lo sappiano tutti, che non sei capace di stare in piedi.» replica, serena. Erin alza gli occhi al cielo e sbuffa, sollevando la frangia bionda.
«Non è colpa mia.»
«Certo che no.» la asseconda Violet. Erin ride, poi fa spallucce e circonda le spalle di Violet con un braccio.
«Allora, come stai?» chiede, improvvisamente seria. Violet sospira. Sapeva che Erin non ci avrebbe girato troppo intorno, ma sperava davvero che le avrebbe concesso più tempo. Così, come al solito, le risponde con una mezza verità.
«Sto.»
«Molto chiaro, grazie per la spiegazione.» celia Erin, seccata. Se c’è una cosa che non sopporta, è quando Vì comincia a parlare per enigmi. Il più delle volte – sempre, in effetti – non la capisce.
«Tu come stai?» Violet svia il discorso, portando l’attenzione sull’amica. Erin stringe le palpebre, indecisa sul da farsi. Da un lato vorrebbe insistere fino a che Violet non si decide a sputare il rospo, dall’altro sa che è meglio concederle il suo tempo: quando sarà pronta – se lo sarà mai – gliene parlerà di sua spontanea volontà. O almeno lo spera.
«Non mi lamento. Sono inciampata solo due volte e non mi sono ancora rotta niente. Certo, probabilmente mi sfracellerò al suolo, più tardi, ma per ora sono viva, e sto alla grande.» risponde, con la sua consueta parlantina.
Violet sorride, mettendo in mostra una fila di denti bianchi e regolari e due fossette appena accennate, ai lati della bocca. La parlantina di Erin, è una delle cose che più le sono mancate, quell’estate.
I silenzi, al Maniero, sono stati opprimenti, pericolosi e carichi di sensi di colpa. Così tanto opprimenti che Violet, alla fine, ha smesso di parlare per cercare di riempirli.
«Vì…» mormora Erin, dopo qualche secondo. Evidentemente, il sorriso di Violet non l’ha convinta.
«Tu stai bene, vero?» domanda, di nuovo. È preoccupata e non sa come comportarsi. Sa che qualcosa non và, ma non capisce cosa. Violet non parla e, in tutte le lettere che le ha mandato quell’estate, ha ripetuto sempre la solita cosa: “Qui va tutto a meraviglia.
«Non preoccuparti per me, Erin.» la voce di Violet è ferma, decisa e sicura, come sempre, ma le sue mani tremano – di nuovo – e gli occhi sono fissi sul sedile vuoto davanti a lei.
Erin sospira, per niente tranquillizzata. Lei, il tremore, l’ha notato eccome, per quanto Violet si sia sforzata di nasconderlo.
L’ennesimo – finto – sorriso, e il discorso è chiuso.
«Ti sono cresciuti i capelli.» commenta Violet. Non ne può più, del silenzio.
Stai andando a Hogwarts, Vì. E Hogwarts è casa.
Erin inarca un sopracciglio, osservando con aria scettica le punte dei capelli biondi. È un miracolo che riesca a vedersele, visto che a malapena arrivano a sfiorarle le spalle.
«Prendi per il culo?» domanda, quindi.
Violet ridacchia, poi scuote la testa.
«Sono cresciuti davvero. Prima ti arrivavano alle orecchie.»
«Sì, be’… forse hai ragione.» concede, divertita. Non dice che è stata tentata, più di una volta, di ricorrere ad un incantesimo per allungarli di qualche centimetro. Non dice nemmeno che ci ha provato, ma che i risultati sono stati più che disastrosi: ha avuto i capelli grigi per una settimana e da quel momento ha rinunciato a qualsiasi tentativo di velocizzare la crescita.
«Ti stanno bene.» si complimenta Violet, con un sorriso sincero. Erin arrossisce lievemente sulle gote, perché se Violet dice che sta bene, allora sta bene sul serio. Sa perfettamente che l’amica non è una che ama i mezzi termini. Dice le cose come stanno, senza preoccuparsi più di tanto dell’effetto che il suo pensiero può avere sugli altri.
«Ecco, ora mi vergogno.»
«Non ne hai motivo.»
Si sorridono ancora, poi Erin appoggia la testa sulla spalla di Violet e sospira.
«Me ne parlerai, prima o poi?» purtroppo, non riesce a far finta di niente. Sa che qualcosa non và ed è contro la sua natura – nonostante da una Serpeverde ci si aspetti ben altro tipo di comportamento – ignorare il problema. Non vuole nemmeno risultare oppressiva, sfacciata o pettegola, ma non ne può fare a meno.
«Te ne parlerò.» conferma Violet, distrattamente.
Anche perché, ormai, è difficile che qualcuno non sia a conoscenza di ciò che è successo alla famiglia McLeod, quell’estate.
I giornali ne hanno parlato per settimane e Violet ha avuto paura ad uscire di casa, come se la colpa fosse sua, come se lei avesse scatenato la tempesta mediatica che si è abbattuta sulla sua famiglia.
In realtà, è stupita dal fatto che nessuno degli studenti, ancora, l’abbia accusata di essere un’assassina.
Un altro fremito alle mani, questa volta completamente incontrollato.
Violet prende un respiro profondo, l’ennesimo, e congiunge le mani in grembo. Si è accorta che Erin ha seguito ogni suo movimento e si sforza più che può di apparire rilassata.
Erin apre la bocca un paio di volte, indecisa, poi sceglie di stare in silenzio, prende la mano destra di Violet e la intreccia con la sua sinistra.
Violet le sorride, grata, e chiude gli occhi.
Stai andando a Hogwarts, Vì. E Hogwarts è casa.
La porta si apre silenziosamente e, all’interno dello scompartimento fanno la loro comparsa Albus e Scorpius.
Il primo, che durante l’estate sembra cresciuto ancora di qualche centimetro, si accomoda in silenzio nel posto davanti a Violet e la osserva di sottecchi. Lei continua a tenere gli occhi chiusi, consapevole di avere addosso anche il suo sguardo. Se c’è qualcuno che ha tutto il diritto di avercela con lei, be’, quello è proprio Albus.
«Non hai per niente una bella cera, stai bene?» domanda Scorpius, rompendo il silenzio.
Violet annuisce, lo sguardo basso, puntato contro i mocassini neri. Non riesce nemmeno a guardarli in faccia. Come ha potuto pensare che sarebbe riuscita a far finta di niente? Ha sbagliato su tutta la linea ed ora si ritrova in completo imbarazzo, senza nemmeno sapere cosa può dire e cosa, invece, no.
«Lei sta.» bercia Erin, infastidita. Per l’amor del cielo, non sopporta di vedere l’amica in quello stato. Apatica, silenziosa e fredda come un ghiacciolo.
Certo, Violet non è mai stata l’anima della festa, ma tra di loro, almeno, era di compagnia. Ed ora, invece, sembra un corpo senz’anima.
«Erin…» la ammonisce Albus, con il suo solito tono di voce pacato.
«Erin un bel niente! Lo sappiamo tutti, che quella Babbana non l’ha uccisa lei!» sbotta.
Il silenzio cala improvvisamente, pesante, gelido e spesso come una cortina di nebbia. Dopodiché, Violet si alza, si rassetta la gonna con le mani, chiede scusa ed esce dallo scompartimento.
Il corridoio è vuoto, silenzioso e lei è finalmente libera di tremare, indisturbata. Raccoglie le mani al petto, respira profondamente, chiude gli occhi. Ma niente riesce a toglierle dalla testa quell’immagine. Niente.
Vorrebbe urlare, piangere, rifugiarsi tra le braccia di qualcuno – chi? Chi sarebbe disposto ad accogliere una come lei? – picchiare e spaccare tutto, ma non lo fa.
Mantiene la sua aria algida e fredda, come se allontanare chiunque fosse la soluzione migliore. È quello che ci si aspetta da una Serpeverde, no? Che non sia capace di provare sentimenti.
«Come osi tornare a scuola, dopo quello che hai fatto?»
Perciò era in quel modo, che sarebbe andata? Sarebbe stata additata, insultata e aberrata, a causa di una colpa che non aveva, ma di cui sentiva il peso.
Rivolge un’occhiata fredda a Terence Pearson, che abbassa improvvisamente lo sguardo e si dilegua lungo il corridoio. Probabilmente, le parole gli sono uscite di bocca prima ancora di rendersi conto della persona a cui sono state rivolte.
In un’altra occasione, Violet sa (e probabilmente lo sa anche Terence) che non avrebbe mai avuto il coraggio di rivolgersi a lei in quel tono.
«Minacciosa, non c’è che dire.»
Violet sospira, incrocia le braccia sotto il seno e si volta verso destra.
James Potter non le piace. Per niente.
È arrogante, sfacciato e insensibile almeno per ventitré ore al giorno. Supponente, offensivo e un po’ troppo spregiudicato, è una di quelle persone che Violet non sopporta. E non solo perché, al contrario del fratello, è un idiota, ma anche perché non si lascia sfuggire occasione per dimostrarlo.
È carino, quello sì. Ma il bell’aspetto non mitiga di certo l’elenco più che infinito dei suoi difetti.
«Non è aria, Potter.» sibila, senza nemmeno rivolgergli uno sguardo. Non vuole parlare con lui, non vuole leggere l’accusa nei suoi occhi. Non vuole che le rinfacci, ancora una volta, quanto il suo sangue sia macchiato.
«Per me sì.» ribatte semplicemente lui.
Tremore alle mani, ansia e fiato corto.
Violet si sente in trappola e le manca quasi il respiro. Spera solo di non andare in iperventilazione, come le è già successo quella mattina. Teme che, se svenisse, James la butterebbe giù dal treno senza troppo riguardo.
«Allora parla da solo. Io me ne vado.» mormora, dandogli le spalle. La separano pochi passi dal suo scompartimento, ma James le impedisce di compierli e la afferra per il polso, un po’ troppo forte.
Mugugna, infastidita e si scosta bruscamente. James la lascia all’improvviso, come se si fosse appena reso conto di averla sfiorata. La conosce appena, e quel poco che sa di lei arriva dalle descrizioni di Albus, che comunque non si sbilancia mai troppo quando parla.
Non sa nemmeno perché l’ha bloccata, visto che – a tutti gli effetti – di lei non gli importa assolutamente niente. Perciò fa un passo indietro, scuote la testa e le rivolge un’occhiata astiosa.
«Stammi lontana.»
«Fino a prova contraria sei stato tu, ad avvicinarti. E comunque non c’è pericolo. Non ti vedo neanche.» replica Violet, indispettita. Sapere che è ancora in grado di essere acida, le è in qualche modo d’aiuto. Forse, da qualche parte, nascosta sotto le mani che tremano e i respiri affrettati, c’è ancora la vera Violet.
Mentre James si allontana, Violet guarda fuori dal vetro. È leggermente appannato, così lo pulisce con il palmo della mano e resta senza fiato. Oltre il binario e oltre la foresta, si staglia la figura imponente e familiare del castello.
Violet sorride.
Sei a Hogwarts, Vì. E Hogwarts è casa.
 
 
 
 

 




Ehm, ciao a tutti.
Sono un po’ emozionata, a dire il vero, perché è da tanto tempo che non pubblico niente nel fandom di Harry Potter. Ma un po’ di ansia è giustificata, vero?
Comunque, c’erano un sacco di cose che avrei voluto dire, ma al momento, purtroppo, non me ne viene in mente nemmeno una.
Ah, ho evitato di mettere “OOC” tra gli avvertimenti, perché dei personaggi della nuova generazione si sa così poco che ho pensato fosse lecita una libera interpretazione.
E niente, se aveste qualche domanda, qualche dubbio o qualcosa fosse poco chiaro, chiedete pure, sono qui apposta.
Mi piacerebbe avere qualche parere, anche negativo, se vi va, tanto per capire se è il caso di darmi al giardinaggio o se la storia un pochino vi piace.
In ogni caso, grazie anche per aver letto e basta.
Con affetto,
Fede. 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1. ***







Capitolo 1.
 
 
 
 
Hogwarts sarà pure casa, ma di certo i suoi studenti non sono una famiglia.
Violet ne è perfettamente consapevole, lo è sempre stata. Di conseguenza, si è circondata solo di pochi eletti, di persone fidate e leali ed ha trascorso i suoi sei anni di scuola senza incappare in quei teatrini stupidi che la maggior parte degli studenti porta avanti con grande interesse.
Ne ha viste di tutti i colori: migliori amiche che si rubano i fidanzati a vicenda, tradimenti, colpi bassi e vendette male orchestrate. Hogwarts è anche questo: un covo di adolescenti repressi, delusi e rabbiosi.
La Casa non fa poi così tanta differenza. A dispetto di ogni apparenza, di ogni sentito dire e di ogni detto comune, anche a Serpeverde esistono persone dotate di anima e di cuore. Certo, ci sono anche gli insensibili, cinici, purosangue viziati da tradizione, ma non sono tutti uguali.
E, comunque, le consuetudini non sono poi così affidabili: i Tassorosso sono lavoratori, i Corvonero sono intelligenti e astuti e i Grifondoro sono coraggiosi e puri di cuore.
Violet può elencare almeno un paio di casi in cui la bontà, l’intelligenza e il coraggio sono assolutamente assenti. Certo, c’è l’eccezione che conferma la regola, ma nella maggior parte degli studenti, le caratteristiche proprie della Casa sono completamente inesistenti.
Ne ha prova quella mattina, quando Savannah Grimes, una Tassorosso del suo stesso anno, le dimostra la sua bontà d’animo accusandola di aver trucidato la ragazza babbana. Violet non risponde, perché sa che qualunque cosa dica sarebbe completamente inutile.
I pregiudizi l’accompagnano da tutta la vita e sa come gestirli senza rimanerci troppo male. Albus, che cammina accanto a lei con aria assorta, rivolge a Savannah uno sguardo gelido. Lei arrossisce, balbetta qualcosa che assomiglia ad un “lo sanno tutti che è rimasta a guardare” e accelera il passo.
«E tutti sanno che ti sbatti Andrew Sommers nel ripostiglio del terzo piano.» sostiene Albus, ad alta voce e con tranquillità.
Savannah, che si è appena accomodata accanto a Phoebe Emerson – sua migliore amica e fidanzata di Sommers – sbianca e sembra sul punto di svenire.
Phoebe le rivolge un’occhiata incredula, tradita e sull’orlo del pianto. Savannah balbetta una serie di scuse, tra cui un patetico “non è colpa mia” e la discussione si accende.
Profondamente soddisfatto, Albus si dirige verso il tavolo di Serpeverde e si accomoda, scivolando sulla panca per permettere a Violet di occupare il posto accanto al suo.
«Non era necessario, Al.» afferma Violet. Non vuole che anche lui sia preso di mira, sebbene sia perfettamente consapevole che per Albus non sarebbe affatto un problema.
È abituato alle dicerie almeno quanto lei, con la sola differenza che a lui non interessa davvero, ciò che la gente pensa. È il figlio del Bambino Che È  Sopravvissuto, sa che gli occhi dei curiosi lo seguiranno sempre. Ed ha imparato quanto prima a concentrarsi sulla sua vita e non sulle aspettative altrui.
In un certo senso, Violet lo invidia. Vorrebbe avere la sua noncuranza: forse vivrebbe serenamente e non in quel perenne stato di apprensione in cui versa ora.
«Forse no, ma è stato divertente.» si giustifica lui, con un’alzata di spalle.
Violet gli sorride e lo ringrazia con un buffetto sul braccio.
A Serpeverde, nonostante il sospetto nei suoi confronti sia piuttosto radicato, nessuno si è ancora permesso di aprire bocca in merito alla situazione, né tantomeno di accusarla. Sanno che nel loro albero genealogico, probabilmente, c’è qualche macchia, perciò stanno in silenzio. Ognuno di loro ha uno scheletro nell’armadio e se diffamare Violet porta il rischio che il segreto venga a galla, be’, meglio tenere la bocca chiusa.
«La Grimes sta piangendo come se le fosse morto il gufo. È un ottimo modo per cominciare la giornata.» cinguetta Erin.
Si è svegliata da poco, ma sembra fresca e riposata come non mai. Gli occhi azzurri sono luminosi, la pelle rosea e riposata e i capelli biondi sono vaporosi e un po’ spettinati, ma le conferiscono un’aria decisamente adorabile. Si versa un po’ di succo di zucca nel bicchiere, poi si sporge in avanti per parlare con Albus.
«Dì un po’, malefico Potter, che le hai detto?» domanda, curiosa.
Erin non è cattiva, né troppo pettegola, ma ha una sorta di intolleranza verso le ragazze come Savannah – e verso la Grimes in particolare – perciò vedere la sua farsa da finta addolorata le fa solo sperare che Albus sia stato più stronzo del solito.
Violet ascolta il discorso tra i due amici con aria distratta. Con la mente è altrove, lontana da Hogwarts, lontana dagli sguardi malevoli e dalle dicerie. È in un posto scuro, gelido e poco ospitale, in cui Spencer soffre le pene dell’inferno, in completa solitudine. Se lo immagina rannicchiato in un angolo, con i capelli castani troppo lunghi, sporchi e la fronte nascosta tra le ginocchia.
Trema, Spencer, vittima di un freddo che si è ormai insinuato nelle ossa e che non gli lascia scampo.
E trema anche Violet, che sente il fiato bloccarsi in gola e il panico assalirla velocemente. Stringe le mani – anche loro tremano, così come Spencer – intorno alla tazza, sperando che il calore le consenta di riprendere un minimo di contatto con la realtà. Ci manca solo che dia spettacolo in piena Sala Grande, come se già non ci fossero abbastanza occhi puntati su di lei.
Stringe talmente forte che le dita diventano bianche, ma il calore ha l’effetto sperato: riprende a respirare normalmente, si concentra sull’aria che entra nei polmoni, la trattiene fino a che non ne può più, poi la lascia andare.
Continua così finché non è del tutto certa di essere di nuovo padrona di sé stessa, solo allora si azzarda a guardarsi intorno.
Albus ed Erin la stanno osservando, improvvisamente dimentichi della discussione intrapresa qualche secondo prima.
«Questo caffè è bollente.» borbotta Violet, in un patetico tentativo di deviare l’attenzione su un campo meno minato. «E Scorpius dov’è?»
Erin inarca un sopracciglio e la guarda con aria eloquente, sperando che capisca che non basta così poco per ingannarla e che, prima o poi, il problema dovrà essere affrontato.
Non in quel momento, ovviamente, visto che sono circondati da orecchie indiscrete, ma presto o tardi Violet dovrà fornire delle spiegazioni dettagliate.
«Starà dormendo, tanto per cambiare.» afferma Albus, tagliente. Scorpius, a dispetto dell’aria raffinata ed elegante, è la pigrizia fatta persona e non perde l’occasione di recuperare un po’ del sonno perduto. Che poi, Albus non si spiega come faccia ad essere sempre così stanco, considerato che non combina niente dalla mattina alla sera.
«Pensi che si alzerà in tempo per la lezione?»
«Non preoccuparti, Vì. Ed ora mangia qualcosa, sei troppo pallida.» Albus le trascina sotto al naso un piatto con del pane tostato e della marmellata di arance, e la osserva fino a che non si decide ad afferrare una fetta di pane e comincia a mangiarla.
«Sai, Al, sei un sacco carino quando fai il fratello premuroso.» sostiene Erin, melliflua. Sa che Albus si imbarazza, quando qualcuno gli fa notare la sua umanità e si diverte da matti a vederlo arrossire.
Che poi, anche in quel caso, non si tratta di un rossore vero e proprio, quanto più di un accenno rosato sulle gote. Non sia mai che Potter perda il suo contegno.
«Anche tu, quando fai la fidanzatina gelosa.» celia Albus, in risposta.
Erin aggrotta le sopracciglia, confusa, senza capire dove l’amico voglia andare a parare. Ha una vaga idea, ma spera proprio di essersi sbagliata.
«Credo si stia riferendo a Scorpius.» le chiarisce il concetto Violet, che ha appena finito la sua fetta di pane e si sta alzando, lentamente, quasi avesse paura di essere attaccata in caso si muovesse più veloce.
«Che cosa? Ma ti sei bevuto il cervello?» sbraita Erin, con le guance rosse e gli occhi lucidi per l’imbarazzo. Albus sghignazza e continua a bere il suo succo di zucca in tutta tranquillità.
«Io? A giudicare da come arrossisci, direi di aver centrato il punto.» e, con quella massima, chiude il discorso. Erin sbuffa, socchiude gli occhi, astiosa e mormora un “me la pagherai” che scatena la risata incontrollata di Albus.
«Che stronzo.»
«Serpeverde, vorrai dire.»
«Sì, be’, è uguale.»
Erin sposta la sua attenzione su Violet, che si sta allontanando di qualche passo, con il volume di Trasfigurazione sotto braccio e il foglio con i nuovi orari stretti nella mano libera.
«Dove vai?» la richiama, perplessa.
«A lezione, devo chiedere una cosa alla Walsh e comunque preferisco arrivare un po’ prima.» spiega Violet, brevemente. In realtà, spera solo di non incontrare troppa gente per i corridoi.
«Ti accompagno.» si offre Albus, in uno slancio di cavalleria che l’anno precedente non avrebbe mai avuto. Violet scuote la testa.
«Non c’è bisogno, Al. Vado da sola.»
Albus la osserva a lungo, indeciso sul da farsi. È ovvio che non possono trascorrere l’intero anno scolastico – che fortunatamente per Violet e Scorpius è anche l’ultimo – a scortarla per il castello. È piuttosto sicuro che Violet, una volta superato il trauma, tornerà quella di sempre e, di certo, non gli perdonerà di averla trattata come una ragazzina indifesa. Non lo è mai stata e questa sua fragilità è momentanea.
Senza dargli il tempo di riflettere oltre, Violet volta le spalle ad Albus e si incammina. Lui sbuffa.
«Erin, tu vai a recuperare Scorpius, io l’accompagno.» comunica, prima di correre dietro a Violet. Una volta che l’ha raggiunta, le circonda le spalle esili con un braccio e le sorride sornione.
«Ho proprio voglia di fare una passeggiata.» afferma, rilassato.
Violet gli rivolge un’occhiata rassegnata ed alza gli occhi al cielo. Tuttavia, sapere di averlo al suo fianco le è di inestimabile conforto. Ancora non sa se sarà in grado di sopportare tutto quanto da sola.
«Solo per oggi.» ribatte, con voce morbida. Vorrebbe essere più scontrosa e ritrovare la sua acidità, la sua forza e qualunque cosa le abbia permesso, in quei sei anni, di sopravvivere all’interno della scuola.
«Mi piace camminare, sai?» continua Albus, svoltando nel corridoio sulla destra e fermandosi in prossimità di una porta in legno scuro. Violet prova ad aprirla, inutilmente. Sono in anticipo di qualche minuto, ma il corridoio comincia ad affollarsi e, insieme agli studenti, compaiono di nuovo anche le occhiate cariche di sottintesi.
Violet mantiene la testa alta, lo sguardo assente, lontano, sonda attraverso la foresta proibita, come se cercare di cogliere qualche particolare in più potesse aiutarla a pensare ad altro. Funziona, per un po’.
Almeno fino a quando la sua visuale viene coperta da una figura maschile. Il petto, piuttosto ampio ma non massiccio, è coperto da una camicia candida. I primi due bottoni sono aperti e, intorno al colletto un po’ stropicciato, è annodata una cravatta coi colori di Grifondoro.
Violet alza lo sguardo e incontra gli occhi scuri di James Potter, che la sta squadrando dall’alto in basso come se volesse farla scomparire.
Non arrossisce, non parla, non fa niente, se non girarsi dall’altra parte per ignorarlo completamente, così come stava facendo fino ad un secondo prima.
Doveva immaginare, però, che vederla lì in compagnia del fratello, avrebbe costituito un’esca alla quale era impossibile non abboccare.
Albus sbuffa.
«Che ci fai qui, Al?» domanda James, rivolgendo un’occhiata in tralice al fratello minore che, in tutta risposta, sorride.
«Passeggio.»
James inarca un sopracciglio, poi scuote la testa.
«E perché sei con lei?» sibila, come se farsi trovare in compagnia di Violet fosse un reato troppo grave anche per uno come lui.
«James, cerca di collegare il cervello, per favore.» borbotta Albus, spazientito. Certe volte non riesce a credere di condividere il dna con quell’esemplare di deficiente.
Ha come l’impressione che per James, spesso, sia più importante schierarsi apertamente dalla parte del bene, senza chiedersi se il “male” non sia davvero così cattivo come crede. Quel suo essere plateale e senza mezze misure, prima o poi gli si ritorcerà conto.
«Sei tu che non lo colleghi, evidentemente. Giri con questa qui come se niente fosse, come se non sapessi la verità.»
Il “questa qui”, detto con tanto disprezzo, fa risvegliare Violet dal suo stato di torpore mentale e la catapulta di nuovo nella realtà.
Si volta verso James, gli occhi ridotti a due fessure e i pugni contratti per il nervoso. Lo fronteggia, a testa alta. Sa che tutti la stanno guardando, ma non le importa. Registra a malapena la mano di Albus che si serra intorno al suo braccio, in un gentile, quanto inutile, tentativo di trattenerla.
«Tu…» sussurra, inferocita. James la guarda, tranquillo, con l’espressione supponente e soddisfatta di chi ha appena vinto un premio.
«Tu non sai niente, di me.» le trema la voce, per la rabbia a stento trattenuta.
Se fossero soli, lo schianterebbe senza pensarci due volte, ma sono circondati da testimoni e lei non è così stupida da ingaggiare un duello nel bel mezzo del corridoio. «Niente.» ripete, di nuovo.
James sorride, con gli occhi scintillanti di malizia.
«So cosa succede a casa tua, però. Direi che è sufficiente.»
Violet sussulta, punta sul vivo e per un attimo resta senza parole, stupita da tutta quella cattiveria. Non ha mai fatto niente, a James Potter, allora perché lui si sente in diritto di accusarla?
«Sai cos’altro è sufficiente, Potter? Che ti tappi quella fogna pestilenziale che hai al posto della bocca.»
Erin spunta all’improvviso, seguita da Scorpius – ancora mezzo addormentato. Si frappone tra Violet e James, costringendo quest’ultimo ad indietreggiare di un passo.
Albus, di nuovo, sogghigna.
«Dieci e lode per l’entrata in scena.»
Violet rimane in completo silenzio, ancora stordita dalle parole di James. Proprio non riesce a capacitarsi del motivo per cui ce l’ha tanto con lei, anche se, in effetti, riesce a comprendere la sua rabbia.
«E così hai bisogno della scorta, McLeod?» continua James. A differenza di Violet, non è affiancato da nessuno. Non ne ha bisogno. Sa che tutta Grifondoro è dalla sua parte e sa anche che nessuno dei Serpeverde rischierebbe una punizione della Walsh solo per difendere un’assassina.
«Dacci un taglio, James.» lo rimbrotta Albus. Si scambia un’occhiata complice con Scorpius, poi si allontana lungo il corridoio, trascinando con sé una Erin piuttosto recalcitrante.
«Sì, tappa il culo, Potter!» urla Erin, un attimo prima di voltare l’angolo.
Scorpius si accosta a Violet, le circonda le spalle con un braccio e la scorta fino alla finestra, non prima di aver rivolto a James uno sguardo rabbioso. Il Grifondoro risponde con un’alzata di spalle e con un sorriso presuntuoso, poi torna dai suoi compagni.
«Vì, tutto okay?» domanda Scorpius, osservando l’amica in volto.
Lei scuote la testa. «Mi sto comportando come una Tassorosso, maledizione.» sbotta, facendolo ridacchiare.
«Sei solo stanca.»
«Sì, forse è così.» conferma, ancora un po’ assente. È solo il primo giorno di scuola, e già non ne può più. Vorrebbe solo correre in camera, buttarsi a letto e piangere fino a perdere i sensi.
 
La professoressa Aurora Walsh ha quarantadue anni, un curriculum d’eccellenza ed un pessimo carattere. È una di quelle donne che odiano la compassione e la debolezza, i pregiudizi, le falsità e, soprattutto, gli uomini che credono basti un po’ di denaro per ottenere ciò che vogliono.
Ama il suo lavoro e, con esso, anche i suoi studenti. Soprattutto quando sono promettenti come Violet McLeod.
È giunta voce anche a lei, della tragedia consumatasi al Maniero McLeod e, a differenza degli studenti di Hogwarts, sa perfettamente che l’unica colpa di Violet è essersi ritrovata nel posto sbagliato al momento sbagliato e, soprattutto, essere nata in una famiglia che non la valorizza come dovrebbe.
Perciò, quel primo giorno di lezione, cerca di mettere in chiaro il suo pensiero, quando James Potter – che sfortunatamente rientra in quella categoria di studenti che ritiene la Trasfigurazione una materia inutile – dà una spallata a Violet per raggiungere il banco in ultima fila.
«Potter.» lo richiama, facendogli cenno di avvicinarsi alla cattedra. James sbuffa, plateale, poi si scambia uno sguardo con Louis Weasley (suo compagno di stanza e migliore amico – oltre che cugino) e si piazza davanti all’insegnante, con le braccia incrociate e il suo solito sorrisetto beffardo.
«Cinque punti in meno a Grifondoro. E chiedi scusa alla tua compagna.» afferma, ad alta voce. È giunta l’ora che Potter maturi e si discosti dalla sua immagine di giustiziere rosso-oro. Soprattutto perché lui, di giustizia, non ci capisce assolutamente niente.
«Non so di cosa sta parlando.» replica, con un’alzata di spalle. La Walsh scuote la testa, senza sapere bene come replicare. Non ha nessuna voglia di mettersi a discutere con un ragazzino supponente e sfacciato, perciò si limita a guardarlo con gli occhi grigi scintillanti di ammonimento.
James sbuffa.
«D’accordo.» borbotta. Potrà anche essere un po’ presuntuoso, ma non è di certo stupido e sa riconoscere quando non è il caso di tirare troppo la corda. Soprattutto quando si ha a che fare con una donna come la Walsh.
Così le dà le spalle e torna al suo posto, non prima di rivolgere a Violet un lungo sguardo indecifrabile che, di certo, non è di scuse né tantomeno indica una tregua.
Violet punta gli occhi sulla pergamena e comincia a pasticciarne un angolo, disegnando ghirigori, linee dritte e forme strane. Scorpius, seduto accanto a lei, resta in completo silenzio, senza sapere bene che cosa dire. Non c’è niente che possa fare per aiutare Violet, al momento. Non se lei non riconosce di aver bisogno di una mano.
Punta lo sguardo sulla Walsh, che sta sondando la classe con aria meditabonda. Si domanda per un attimo cosa stia passando per la testa dell’insegnante, ma è piuttosto sicuro che non sia niente di buono. Infatti, la vede sorridere con soddisfazione.
«Potter.»
James interrompe la sua conversazione con Louis, per riportarla sulla donna, che mantiene la sua espressione risoluta e divertita.
«Vai al posto di Malfoy.»
Violet, fino a quel momento perfettamente concentrata, cade nel panico più totale: cosa passa per la mente contorta della Walsh? Come può anche solo pensare che James Potter – quel James Potter! – accetterà di sedere accanto a lei? E non solo perché Potter è tutt’ora ancorato all’antica rivalità Serpeverde-Grifondoro, nonostante suo fratello sia nella casa “nemica”. No, Potter è fermamente convinto che lei sia un’assassina e, di conseguenza, si è deciso a renderle la vita un inferno.
«Cosa? E perché?» domanda James, sorpreso e vagamente risentito. La Walsh inarca un sopracciglio e ripete la sua precedente affermazione con tono categorico.
James protesta di nuovo e Violet sente l’impulso di urlare come un’isterica e supplicare Scorpius di non alzarsi da quel posto nemmeno se ne andasse della sua stessa vita.
«Mettiamola così, Potter. O ti siedi accanto a McLeod e te ne resti in silenzio fino alla fine della lezione, oppure toglierò cinquanta punti a Grifondoro, ogni volta che apri bocca. A partire da adesso.» con evidente soddisfazione, la Walsh si schiarisce la voce e indica il posto accanto a Violet con un cenno del capo.
James, che ha ricevuto una poderosa gomitata da Louis, si costringe a rimanere in silenzio e si alza. Aspetta che Scorpius raccolga le sue cose e si sposti, dopodiché si accomoda e rivolge a Violet un’occhiata astiosa.
Lei si scosta di un poco con la sedia e sospira. Ha come l’impressione che le lezioni di Trasfigurazione diventeranno il suo incubo peggiore.
 
 


 



 
Okay, il capitolo 1 è andato. Come avete visto, si comincia a capire qualcosa in più dei personaggi che ho introdotto nel prologo. Non so voi che ne pensate, ma il mio cuore si divide tra Albus (che è un gran bastardo) e James (che invece è un po’ più idiota, ma fondamentalmente buono.)
Poi, che dire? Violet è ancora un po’ difficile da inquadrare, mentre Erin è cristallina, io la amo.
E niente, ho finito.
Se vi va, fatemi sapere che ne pensate, un commento è sempre gradito!
E grazie mille alle ragazze che hanno commentato lo scorso capitolo e inserito la storia tra le seguite/preferite/ricordate.
Con affetto,
Fede.

 
 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***









Capitolo 2.
 
 
 
 
Ci sono tante cose che Erin non sopporta di Violet. O almeno, c’erano, prima che l’amica si trasformasse in una sorta di essere inanimato e senza spina dorsale.
Se ne rende conto quando Violet ritorna dalle lezioni di quella mattina, con lo sguardo vacuo, spento e inespressivo di chi a malapena sa dove si trova.
Ed Erin, che ha un ricordo ben preciso di com’era Violet prima di quell’estate, si riscopre quasi inorridita e anche un po’ arrabbiata.
Non riesce a credere che si sia lasciata andare in quel modo, è una cosa che la manda completamente fuori di testa.
«Dobbiamo fare qualcosa.» sbotta, quindi, in direzione di Scorpius. Lui solleva lo sguardo dal libro di Aritmanzia e le rivolge un’occhiata confusa.
«Intendi tu ed io?» non può impedire alla sua voce di assumere un tono malizioso che fa arrossire Erin fino alla radice dei capelli.
«Certo che no, idiota. Prima che tu ed io – ricalca in maniera piuttosto sarcastica – facciamo qualcosa in quel senso, il Lago Nero si sarà prosciugato.»
Scorpius ridacchia e alza gli occhi al cielo.
«Quanto sei esagerata, Erin. Nella vita tutto può succedere.»
«Ed eccolo che fa il filosofo.» borbotta Erin, con le guance lievemente arrossate per l’imbarazzo. L’idea che Scorpius possa pensare a lei in un modo tutt’altro che amichevole le provoca una strana sensazione all’altezza dello stomaco. Scuote la testa, rassegnata all’idea che, probabilmente, Scorpius sta solo cercando di farla arrossire, così come da sei anni a quella parte. Non si è mai dimostrato interessato  a lei, né mai lo sarà.
«Non sto facendo il filosofo.» ride Scorpius, rivolgendole un’altra delle sue occhiate maliziose. «Sto solo dicendo che, se volessi – e se lo volessi anche tu – tra noi due potrebbe esserci qualcosa
Erin alza gli occhi al cielo, spazientita. Ci manca solo che qualcuno cominci a sospettare una relazione clandestina tra di loro, come se non avesse già abbastanza pensieri per la testa.
«Non lo voglio, perciò il problema non si pone.» conclude. Ha fretta di cambiare argomento e portare la conversazione su un campo meno pericoloso e, soprattutto, meno personale.
«Se lo dici tu.» accondiscende Scorpius, con un sopracciglio biondo elegantemente inarcato.
È evidente che dubita della sincerità di Erin, ma chiunque lo farebbe: le guance rosse sono un segnale piuttosto chiaro. Perciò, per il momento, Scorpius accantona il discorso, ma sa che presto o tardi tornerà fuori, probabilmente nell’esatto momento in cui quel cretino di Sean Livingstone si ricorderà della sua patetica cotta per Erin – cotta che, a pensarci bene, gli viene solamente in prossimità delle partite di Quidditch, quando le sue scommesse si rivelano troppo azzardate.
«Scorpius…» mormora Erin, dopo qualche minuto di silenzio. È seduta sul tappeto verde smeraldo, quello situato proprio davanti al camino, ed ha lo sguardo assente, perso tra le fiamme. Il fuoco le accende i capelli di mille riflessi e Scorpius rimane per un attimo incantato a guardarla. Il profilo delle labbra, del naso e delle ciglia non troppo lunghe, ma folte, di un biondo chiarissimo. Lo sguardo ceruleo è perso in pensieri colmi di preoccupazione per l’amica e per il futuro che l’attende.
«Sì?»
«Dicevo davvero, prima. Dobbiamo fare qualcosa per Violet.» mormora, con voce morbida. Non sa precisamente cosa, ma deve pur esserci un modo per aiutare l’amica a tornare quella di una volta.
«Dalle tempo, Erin. Non sappiamo cosa è successo davvero quella notte. Quando Violet sarà pronta, te ne parlerà spontaneamente. Non forzarla.» suggerisce Scorpius. Anche lui è preoccupato per l’amica, ma capisce che il muro che si è costruita attorno è solo un meccanismo di difesa. Violet ha bisogno di sentirsi al sicuro, di rielaborare i fatti avvenuti e di accettarne le conseguenze. Solo allora, una volta che avrà deciso come agire, tornerà sé stessa.
Ma non quella di prima. Non lo sarà mai più.
Erin annuisce, controvoglia. Sa che deve dare spazio a Violet, ma vorrebbe solo farle capire che, in qualunque momento, lei sarà a sua completa disposizione.
«Voglio solo che stia bene.» sussurra.
Scorpius sorride, lascia il libro sulla poltrona – premurandosi di non perdere il segno – si alza e raggiunge Erin sul tappeto. Le circonda le spalle con un braccio e lascia che lei gli si stringa contro. Restano così, in silenzio e abbracciati, godendosi quella pace e quell’intimità che raramente è possibile trovare nella Sala Comune.
«E poi dicono che i Serpeverde sono senza cuore.»
Albus Potter è una di quelle persone che si divertono da impazzire nel mettere gli altri a disagio. Gli piace vedere l’effetto delle sue parole, soprattutto se queste sono indirizzate ad Erin e a Scorpius. Trova davvero esilaranti le guance rosse di Erin e le occhiate di Scorpius, al limite della sopportazione e della minaccia.
Perciò, non appena ne ha l’occasione, ne approfitta per lanciare frecciatine sibilanti e melliflue, con il solo scopo di movimentarsi un po’ la giornata.
E, comunque, è del parere che sarebbero una coppia bene affiatata. Scorpius sempre intelligente e abbastanza posato, Erin un po’ schizzata e continuamente in movimento. Se è vero che gli opposti si attraggono…
Erin si separa di scatto da Scorpius, imbarazzata e con le guance praticamente in fiamme. Rivolge ad Albus uno sguardo seccato e si alza in piedi.
«Perché non ti trovi un hobby, Severus?» sibila.
Albus storce il naso nell’udire il suo secondo nome, che non sopporta a meno che non sia usato da suo padre o, in casi eccezionali, da sua madre.
Ginny Weasley in Potter ha la fastidiosa tendenza a pronunciare il primo ed il secondo nome, tanto per dare un tono più solenne alla frase.
Così, Albus non è più Albus, ma Albus Severus Potter, sì, con tanto di cognome. Ogni tanto, capita che Ginny lo pronunci così in fretta, che le esca fuori un Albusseverus veramente orribile e terrorizzante. In quei casi, Al sa che l’ha fatta grossa. Suo padre, invece, è molto più pacato. Harry Potter ricorda ormai con infinita gratitudine colui a cui appartiene il nome, così la butta più sul poetico e sul sentimentale.
“Il tuo è il nome di un grande preside e di un uomo di immenso coraggio, Severus.” afferma con quella sua voce calma e pacata. Albus si trattiene sempre a stento dal dire che a lui non interessa un granché, a patto che non lo usino in pubblico.
Grande uomo o no, Severus è un nome imbarazzante ed Erin non deve assolutamente pronunciarlo ad alta voce, nel bel mezzo della Sala Comune.
«Ce l’ho già, un hobby. Si chiama Romina Flannagan, Tassorosso del settimo anno. Ha due gambe che non finiscono più. Be’, ad un certo punto finiscono e allora…» insinua Albus, con un tono malizioso che non usa praticamente mai, a meno che non sia rivolto ad Erin e non abbia il preciso intento di farla vergognare.
«Sei uno scemo, Potter. Non ti sopporto quando fai così!» urla Erin, infatti, tappandosi le orecchie con le mani. Lo sa, che Albus lo fa apposta, che vuole solo farla sentire una bambinetta di cinque anni, ma non è colpa sua se ancora non ha trovato quello giusto.
Lei non prova nessun piacere nel saltare da un letto all’altro con così tanta leggerezza. Albus, invece, come tutti gli adolescenti del mondo, sembra trovarlo estremamente divertente.
Scorpius, che osserva la scena in silenzio e con un ghigno divertito stampato sul volto, decide di andare in aiuto di Erin, tanto per dimostrarle che, in effetti, non tutti i maschi sono uguali.
«Avanti, Al. Se continui così le verrà una sincope.» non è che la sua sia un’uscita proprio cavalleresca, ma per lo meno Albus gli dà retta e concede ad Erin un po’ di tregua.
«Siete due stronzi, ecco cosa siete.» borbotta lei, prima di passarsi le mani tra i corti capelli biondi e gettare un’occhiata in tralice ad entrambi.
Poi si alza, annuncia che se ne andrà da Violet e si allontana verso l’ala di Serpeverde dedicata ai dormitori femminili.
La camera che Violet condivide con altre quattro compagne del suo stesso anno – Erin non ricorda ancora i loro nomi, ma sa che sono tutte estremamente antipatiche, a parte (forse) quella con i bellissimi capelli color carota. – è silenziosa ed illuminata fiocamente da qualche candela di cera bianca.
Violet, con i capelli ramati raccolti in una lunga coda di cavallo, siede sul letto con le gambe incrociate, lo sguardo perso nel vuoto e l’espressione concentrata e un po’ triste.
Erin la raggiunge e si sdraia accanto a lei, poi sbuffa. Violet sorride e le accarezza i capelli con dolcezza.
«Fammi indovinare: Albus sta facendo lo scemo.»
«No. Sta facendo lo stronzo, che è diverso.» borbotta Erin, nascondendo il volto nel cuscino. Mugugna una serie di insulti incomprensibili, poi si tira su e osserva un attimo Violet.
«E tu come facevi a saperlo?»
Violet fa spallucce, si rigira una ciocca di capelli tra le dita e fissa lo sguardo sulle proprie ginocchia.
«Comincio a pensare che essere stronzi sia una caratteristica di tutti i Potter.» sibila. «Sì, dev’essere senz’altro qualcosa di congenito. Forse una malattia.» borbotta poi.
Erin, ancora più confusa di prima, le rivolge uno sguardo perplesso, così Violet si affretta a spiegarle cosa è successo quella mattina alla lezione di Trasfigurazione.
Ad ogni parola, l’espressione di Erin diviene sempre più sconcertata e incredula. Non riesce proprio a credere che possa esistere qualcuno di tanto stupido come James Potter.
«Al confronto, Albus è un principiante.» commenta, ancora un po’ basita. Così, a primo impatto, le viene quasi voglia di raggiungere quel microcefalo di Potter nella sua stupidissima Sala Comune e buttarlo giù dalla torre.
«Lo capisco, comunque.» ribatte Violet, con un sorriso mesto e un poco triste.
Erin sbuffa. Chissà perché, immaginava che prima o poi Violet se ne sarebbe uscita con un discorso del genere.
«Capisci perché è cretino? Illuminami, perché io proprio non ci arrivo.»
Violet ride tristemente, poi si stringe nelle spalle.
«Capisco perché non vuole avere niente a che fare con me. Sarei diffidente anche io, al suo posto.»
«Essere diffidenti, non significa necessariamente essere stupidi, maleducati e idioti. Santo cielo, che razza di essere sottosviluppato.» esclama Erin.
La sua prossima frecciatina contro Potter viene bloccata sul nascere da una delle compagne di stanza di Violet.
«Scusate se vi interrompo.» mormora, con voce delicata. Nora è l’unica compagna di Violet che si è dimostrata completamente estranea alle continue frecciatine e che, più per educazione che per reale interesse, le ha chiesto come si sente.
Non sono amiche, né lo saranno mai, ma per lo meno Violet non ha il dubbio che da un momento all’altro un altro coltello verrà piantato nella sua schiena. Anche perché ormai non c’è più tanto spazio disponibile.
«Scorpius ha chiesto di ricordare ad Erin che tra mezz’ora cominciano le selezioni di Quidditch. E Albus ha aggiunto che dovresti andare anche tu, Violet, per seguire gli schemi come al solito.» annuncia Nora, attorcigliandosi una ciocca di capelli arancioni intorno al dito.
Violet le sorride debolmente e la ringrazia, poi si alza e porge una mano ad Erin affinché faccia altrettanto.
«Violet, senti…» la blocca Nora, posandole una mano sulla spalla.
Violet si ferma e le rivolge un’occhiata interrogativa. Nora scuote la testa. «Niente, volevo solo dirti che sto dalla tua parte.» sostiene, con voce decisa.
Violet le sorride in segno di gratitudine: sapere che non tutti la ritengono un mostro la fa sentire decisamente meglio, anche se non cambia le cose. I sensi di colpa sono sempre lì, annidati in un punto imprecisato tra lo stomaco e la gola; un nodo fastidioso, opprimente, che quasi le toglie il fiato.
Un fardello che le fa tremare le mani. Ormai, ci è talmente abituata che non ci fa nemmeno più caso.
 
«Non capisco perché devo partecipare alle selezione. Ho già un posto in squadra, per Merlino! Sono il Portiere migliore che Serpeverde abbia mai avuto, non vedo per quale motivo devo fare questa pagliacciata.» si lamenta Erin, mentre si incamminano verso il campo di Quidditch.
L’aria comincia a diventare fredda e il cielo è di un grigio metallico e un po’ cupo. Violet si stringe nel mantello nero e rabbrividisce. Sa che Albus non ha davvero bisogno che lei osservi gli schemi di gioco e apprezza che voglia evitare in tutti i modi che rimanga da sola, ma il pensiero di trascorrere sugli spalti le prossime due ore, la deprime un po’: le si congeleranno anche i neuroni, se la temperatura continuerà a scendere di quel passo.
«Modesta, Erin. Complimenti.» ridacchia, mentre Erin continua il suo incredibilmente lungo monologo sulle sue ottime capacità, sulla vista da falco e sui riflessi felini.
«Sì, lo so. Ma bisogna riconoscere le proprie qualità. E se sono eccezionale non è certo colpa mia, non credi?»
«Non fa una piega.» divertita, Violet dà una pacca sulla spalla di Erin e le augura un in bocca al lupo.
«Come se mi servisse, con quest’ammasso di principianti.» brontola Erin, in risposta. Si sistema la scopa sulla spalla, dopodiché entra in campo.
Violet raggiunge un posto riparato dal vento sugli spalti, appoggia il libro di Incantesimi accanto a sé e sospira, strofinando le mani per trattenere un po’ di calore. Un tempo le piaceva assistere agli allenamenti di Quidditch: trovava quasi emozionante la tenacia e l’impegno con cui si portava avanti il gioco. Poco importava che piovesse, grandinasse, ci fossero due metri di neve: il cielo era comunque disponibile.
Se si concentra, riesce quasi a vedere Spencer percorrere il campo a velocità elevata, alla ricerca del Boccino d’oro.
All’epoca, quando suo fratello faceva parte della squadra, lei aveva cominciato il primo anno e Spencer il settimo. Si ricorda alla perfezione ogni scena, ogni attimo che ha trascorso seduta su quegli spalti, in completa solitudine, a guardarlo giocare.
Era come se niente potesse spezzarlo, togliergli la felicità di stare a cavallo della scopa e sentire l’aria tra i capelli. Era libero e felice.
Poi Spencer aveva terminato gli studi ed era tornato nella vita reale, quella in cui loro padre deteneva il comando. Le cose erano peggiorate sempre di più, anno dopo anno, fino a giungere ad un punto di non ritorno.
Violet rabbrividisce, di nuovo, e stringe le mani in grembo. Dovrebbe smetterla di pensarci: non troverà mai una soluzione.
Scuote la testa e raccoglie le ginocchia al petto. Getta un’occhiata al campo: si è decisamente riempito ed Erin spicca come non mai, al fianco di Scorpius, con i capelli biondissimi e l’aria agguerrita. È in silenzio, con le braccia incrociate sotto il seno e guarda in tralice il compagno, che in risposta le sorride strafottente e le scompiglia i capelli.
Erin alza gli occhi al cielo e gli tira una gomitata tra le costole.
Non ci vuole molto, prima che Albus riunisca tutti quanti in un cerchio e cominci a spiegare brevemente le modalità in cui si svolgeranno le selezioni.
Violet coglie una breve occhiata rivolta a lei, e sorride brevemente, per far capire ad Albus che va tutto bene.
Ma non va bene proprio per niente. Senza neanche rendersene conto, ricade in quel vortice di pensieri cupi e negativi. Questa volta, Spencer sta gridando, preda di convulsioni così violente che cade per terra e sbatte il cranio contro il pavimento. Si agita, rotola su sé stesso tenendosi la testa tra le mani e, dopo un tempo incredibilmente lungo, perde i sensi.
«Ciao.» una voce flebile e imbarazzata, riporta Violet alla realtà. Si affretta a nascondere le mani sotto il mantello, ma gli occhi dell’ultima arrivata hanno già notato il fremito. Tuttavia, finge di non aver visto niente e le si accomoda accanto.
Lily Luna Potter ha tredici anni, occhiali da vista con la montatura verde e lunghi capelli ramati, perennemente raccolti in una treccia morbida.
È la minore di casa Potter ed è, in realtà, un po’ strana e completamente diversa dai fratelli maggiori. Non è maliziosa come Albus, non è presuntuosa – né stupida – come James.
È una ragazzina dolce, sincera e con la testa un po’ tra le nuvole. Da chi abbia preso, ancora non si sa, ma se la sua famiglia la accetta semplicemente così com’è, i suoi compagni la ritengono un po’ bizzarra.
La sua fortuna, comunque, è essere capitata nella stessa casa del fratello maggiore. Di James si può dire tutto, ma non che lasci indifesa la strana sorellina.
«Ciao, Lily.» saluta Violet, rivolgendole un sorriso tranquillo. Oltre ad Albus, Lily è l’unica Potter che riesce a sopportare.
«Mio fratello vuole che ti tenga d’occhio.» confessa Lily candidamente, come se niente fosse.
Violet sbuffa, perché Albus tende davvero ad esagerare, certe volte. Non è mai stato così protettivo con lei, sembra quasi che l’abbia presa come crociata personale.
«Albus vede le cose più complicate di quelle che sono.» spiega, lievemente irritata.
Lily ridacchia, poi scuote la testa.
«L’altro fratello.»
Violet spalanca la bocca un paio di volte, alla ricerca di qualcosa di sensato da dire, che non sia il “maledetto Potter” che sente bloccato in gola.
Lily, che intanto osserva il campo e i giocatori con sguardo tranquillo, le lascia tutto il tempo di trovare le parole adatte.
«In che senso, esattamente?» domanda infine, dopo una lunga riflessione.
Lily si volta verso di lei e la guarda apertamente negli occhi, come se quello che sta per dire non fosse strano, né un po’ offensivo.
«Pensa che potresti uccidere qualcuno e vuole che io te lo impedisca.» afferma, serena e pacata.
«Tuo fratello è un deficiente. Merlino, che razza di idiota.» sbotta Violet, prima di riuscire a trattenersi.
Non sa se ritenersi più offesa dal fatto che James la ritenga una specie di killer prezzolata, oppure se pensi che uno scricciolo come Lily Potter, che sfiora a malapena il metro e cinquantacinque, sarebbe in grado di trattenerla.
«Non posso crederci. Ma che gli hanno messo nel succo di zucca?»
La sua espressione è così incredula, che Lily scoppia a ridere di gusto. Ha una risata infantile, da bambina e così contagiosa che anche Violet non può impedirsi di ridacchiare.
Poi, come un fulmine a ciel sereno, la colpisce il pensiero che Lily Potter, con tutte le sue stranezze e con la sua spiazzante sincerità, le è stata d’inestimabile aiuto. Per pochi, intensi, fantastici minuti, non ha pensato a Spencer ed è tornata la Violet di un tempo.
«James è un po’ impulsivo, non lo fa con cattiveria.» Lily difende James e Violet non se la sente proprio di dirle che suo fratello, invece, è davvero un insensibile.
Non le dice che l’ha spintonata, né che l’ha trattata come se non fosse nemmeno degna di respirare la sua stessa aria. Non sarebbe giusto deludere le aspettative di Lily e di certo non ha nessuna intenzione di metterla contro la sua famiglia.
«Lo so, lo so.» conferma, sforzandosi di apparire il più sincera possibile.
Lily sorride, soddisfatta.
«Sai, Violet? Tu mi piaci. Per essere una Serpeverde, sei davvero gentile. Non come Jenna Saunders.» spiega e, improvvisamente, il suo sguardo si adombra un po’.
Violet inclina il capo da un lato, perplessa.
«Cosa ti ha detto?» domanda. Non sa perché, ma l’idea che Lily venga presa di mira da una stupida pettegola come la Saunders, la infastidisce alquanto.
«Dice che io sono matta e che dovrei stare al San Mungo, nel reparto psichiatrico, anziché qui con le persone normali.»
Violet si morde l’interno della guancia, assalita dal nervoso. Che la Saunders sia capace di tanta malignità è indubbio, ma ciò non giustifica il suo comportamento da stronza. Soprattutto se rivolto ad una persona come Lily.
«Albus lo sa?»
Lily scuote la testa, poi sorride.
«Non voglio che si arrabbi.»
«Dovresti dirglielo, invece.»
Lily scuote la testa, contrariata. Conosce suo fratello e sa che renderebbe la vita di Jenna un vero inferno. E, nonostante se lo meriti, non vuole che succeda.
«Facciamo così.» continua Violet. «Se dovesse dirti qualcos’altro, ci parlerò io.»
«Secondo me James si sbaglia, su di te. Non uccideresti nessuno e non sei per niente una stronza acida.» Lily sorride, stampa un bacio sulla guancia di Violet, dopodiché si alza e si allontana, con quella sua andatura un po’ saltellante e un po’ buffa.
«Ti sbagli.» sorride Violet, quando ormai Lily è troppo lontana per sentirla. «Tuo fratello lo ammazzerei volentieri.»
 
 
 
 
***
 
 
 
 
Ciao a tutti!
Ecco qua il Capitolo 2, che è decisamente lungo – spero che nessuno si sia suicidato, leggendolo – e che introduce uno dei miei personaggi preferiti, Lily. Che è un po’ diversa da come probabilmente siete abituati a leggere. E’ in tutto e per tutto una bambina. Niente caratterino indomito, niente schiantesimi a destra e a manca. È piccola, tenera e tanto ingenua. E niente, credo di non avere altro da dire, se non che spero che il capitolo vi sia piaciuto e che la storia cominci a piacervi almeno un po’, perché mi rendo conto che questi primi capitoli sono abbastanza introduttivi.
Se vi va, fatemi sapere che ne pensate!
Con affetto,
Fede.
 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3. ***











Capitolo 3.
 
 
 
 
Essere un Prefetto, in generale, ha parecchi lati positivi. Albus ci riflette spesso, perché ancora non si capacita del fatto che, tra tanti Serpeverde così ligi al dovere – non troppi, in effetti – il preside abbia scelto proprio lui.
È intelligente, su quello non ci piove, ma di certo non è uno dei più rispettosi delle regole, né tantomeno, è uno che apprezza che gli si dica cosa fare.
Perciò, quell’anno, ha accolto con estrema riluttanza la sua spilla da Prefetto e si è consolato dicendosi che, almeno, potrà togliere punti a chiunque darà fastidio a lui, a Lily o a Violet.
Mentre cammina per i corridoi semi deserti, riflette attentamente sul modo giusto in cui potrebbe affrontare la situazione di Violet e, di conseguenza, aiutarla ad uscirne.
Ancora non sa molto, se non che suo fratello si trova ad Azkaban e che lei ha assistito all’omicidio compiuto da quest’ultimo, senza prestare soccorso alla babbana.
Conoscendo Violet, però, Albus sa che la storia non regge, ma finché lei non si decide a parlare, può fare ben poco in proposito.
È talmente assorto nei suoi pensieri che non si rende nemmeno contro della figura rannicchiata per terra e le finisce contro.
«Ma che diavolo…?» ringhia, mantenendo a stento l’equilibrio.
Si volta di scatto, con tutto l’intento di mandare al diavolo chiunque abbia pensato che fare un picnic nel bel mezzo del corridoio del quarto piano fosse un’ottima idea e cambia repentinamente espressione, quando si rende conto che la figura appartiene ad una ragazza con la divisa di Corvonero, che sta tastando il pavimento con aria disperata.
«Ahi.» si lamenta, tastandosi il punto in cui Albus l’ha inavvertitamente colpita.
Lui resta immobile per un momento, indeciso sul da farsi: è in ritardo per la riunione e non ha alcuna voglia di stare a sentire Dominique, mentre lo rimprovera di essere in perenne ritardo e blablabla.
E comunque, ultimamente sembra incappare di continuo in donzelle in difficoltà. Prima Violet, che vale più o meno come dodici ragazzine in crisi, poi Erin – che in crisi lo è di continuo – ci manca solo che vesta i panni del cavalier servente e apra un centro di consulenza e supporto per tutte le giovani studentesse con la mente deviata.
«Che ci fai per terra?» domanda, infine, maledicendo sé stesso per la sua incapacità di farsi i fatti suoi.
«Secondo te?» sbotta lei, infastidita. Intanto, continua a tastare il pavimento, alla ricerca di qualcosa di non bene identificato.
«Che vuoi che ne sappia, scusa? Mi hai fatto inciampare.»
«E tu mi hai tirato un calcio e non hai nemmeno chiesto scusa, perciò…» continua, dando sfogo ad una sorta di acidità repressa che Albus paragona all’istante a quella di Erin. E Merlino solo sa quanto ne abbia abbastanza di lei e delle sue scenate da isterica.
«Sì, be’… sono in ritardo.» conclude, spiccio, cominciando ad incamminarsi. Non ha proprio intenzione di stare dietro ad un’altra esaurita.
«Aspetta!» pigola lei, con voce flebile.
Albus arresta la sua camminata, poi alza gli occhi al cielo e torna indietro.
«Che c’è?»
«Ho perso un orecchino e ho dimenticato la bacchetta in Dormitorio.» spiega, brevemente.
Nella penombra del corridoio, Albus è quasi certo che sia arrossita. Con un incantesimo di appello, richiama l’orecchino – che gli finisce dritto in mano – e lo porge alla ragazza, che nel frattempo si è alzata e si sta spazzolando la gonna per togliere le tracce di polvere.
«Ti ringrazio.»
Albus annuisce distrattamente, concede alla ragazza un lieve sorriso, poi si incammina di nuovo lungo il corridoio, con calma. Tanto ormai è in ritardo, perciò è completamente inutile che si affretti a velocizzare il passo: Dominique avrà comunque da ridire.
Ne ha la conferma nel momento esatto in cui varca la soglia dell’aula destinata agli incontri di Prefetti e Capiscuola e Dominique gli rivolge uno sguardo così astioso che lui non può fare altro se non incassare la testa tra le spalle con aria colpevole e accomodarsi nel primo posto libero, accanto a Ginnifer Fisher, il secondo Prefetto di Serpeverde.
Non la conosce tanto bene, di lei sa solo che i suoi genitori lavorano entrambi al San Mungo e che conta di seguire le loro orme. Sarebbe abbastanza carina, se la sua voce non fosse tanto acuta da far venire la pelle d’oca. In ogni caso, chi è lui per giudicare? È amico di Erin, che quando urla raggiunge toni che probabilmente sentono solo i cani e i pipistrelli, perciò la voce di Ginnifer è all’ultimo posto nella sua lista di interessi.
Si guarda intorno, annoiato, perché le riunioni dei Prefetti sono sempre una gran scocciatura e lui odia perdere tempo in cose stupide come l’organizzazione delle ronde. In realtà, odia anche le ronde e tutto ciò che non concerne il togliere punti alle altre case.
Sbadiglia, prossimo ad addormentarsi, e Dominique gli rivolge un’altra occhiata di fuoco.
«Ti sto annoiando, per caso?» sibila, con gli occhi azzurri così stretti da risultare inquietante. Albus sogghigna, poi si stringe nelle spalle.
«Non è colpa tua, Dom.»
Nella stanza cala improvvisamente un silenzio tombale, rotto solo dai respiri silenziosi dei presenti e dall’ennesimo sbuffo di Albus, che proprio non riesce ad apprezzare i modi di fare di Dom, troppo dittatoriali e, per Morgana!, da maniaca del controllo. A suo modesto parere, la cugina dovrebbe rilassarsi un po’, prendere il suo compito di Caposcuola così come viene e smetterla di comportarsi come se avesse Voldemort alle calcagna e lei fosse l’unica in grado di sconfiggerlo.
«No? E di chi sarebbe? Sentiamo.» la voce è gelida, lo sguardo altrettanto. La postura rigida, le spalle contratte e le labbra strette in una smorfia di disappunto: Albus scoppia a ridere, si alza in piedi e lascia un bacio sulla guancia di Dominique, che si immobilizza del tutto e arrossisce violentemente.
«Fammi sapere quando è il mio turno, Dom.»
«Dove pensi di andare, Albus?»
«A dormire.» risponde, con un’alzata di spalle che fa fremere Dom di rabbia a stento contenuta.
«Non ci si comporta così, Potter.»
«Oh, e dai, Dom. Lo sai anche tu che queste cose mi annoiano un sacco.»
Ha appena afferrato la maniglia della porta, quando questa viene aperta con un impeto tale che Albus viene sbalzato all’indietro e cade col sedere per terra. Dominique lo guarda, impassibile. Ginnifer ride, con la sua voce fastidiosa e infantile, e la nuova arrivata inciampa e precipita sul pavimento accanto ad Albus, che alza gli occhi al cielo e sospira: non è per niente sorpreso.
«Sei in ritardo, Tessa.»
Dominique ama essere Caposcuola. Ama il potere, l’autorità, gli sguardi ammirati e il sapere che la gente l’ascolta e obbedisce ai suoi ordini, ma quando si ritrova ad avere a che fare con soggetti come Albus o come Tessa Goodacre, la sua pazienza e il suo autocontrollo vengono messi a dura prova; chiunque abbia deciso che quei due sono adatti a ricoprire il ruolo di Prefetti, ha senz’altro qualche rotella fuori posto. E pensare che il professor Paciock le è sempre sembrato un uomo giudizioso.  
Dominique stringe la base dell’alta coda di cavallo, sistema gli occhiali sulla punta del naso e tende una mano a Tessa, che si alza impacciata e borbotta una serie di scuse incomprensibili.
«Non fa niente.» replica Dom, spazientita.
Albus non ha intenzione di muoversi. Distende le gambe, incrocia le caviglie e porta le mani dietro la schiena, stiracchiandosi come un enorme felino. E un po’ lo ricorda, con quegli occhi verdi.
Tessa lo guarda, arrossisce un po’ e scavalca le sue gambe con attenzione, quasi temesse di inciampare di nuovo. Si accomoda accanto a Colin Brown e comincia a giocare con la serie infinita di braccialetti che porta al polso. Con disappunto, si accorge che manca uno dei suoi ciondoli, quello con il fulmine dorato.
Deve averlo perso da qualche parte e il pensiero la fa adombrare parecchio: è il suo preferito e le ha sempre portato fortuna. Come farà adesso? Mugugna, frustrata e anche un po’ arrabbiata con sé stessa e attira l’attenzione di Dominique, che nel frattempo ha ricominciato a parlare dei turni per i prossimi due mesi.
«Cosa c’è, Tessa?»
«Il mio ciondolo, quello col fulmine… l’ho perso.» mormora, in risposta.
Albus la osserva, confuso e si rende conto che in sei anni di scuola non si è mai accorto di lei. Tutto gli è nuovo: i capelli corvini e ricci, gli occhi scuri – neri, forse? – le sopracciglia folte, definite ed espressive, gli zigomi pronunciati e il naso alla francese. Le gambe piene, i polsi fini, le scarpe consumate. Persino tutti quei braccialetti. Sta per dirle che si tratta di un ciondolo e basta, ma incrocia lo sguardo di Tessa – nero, senza ombra di dubbio – e capisce che non è così. Si blocca, con la frase sgarbata ancora ferma sulla punta della lingua e sospira.
«Ti aiuto io, a cercarlo.»
Forse dovrebbe davvero aprire un centro di supporto per ragazzine imbranate, pensa, mentre Tessa lo ringrazia con un sorriso che mette in mostra dei denti bianchi e perfettamente dritti.
Oppure potrebbe aiutarla e basta, perché quel sorriso è una ragione più che sufficiente per farlo.
 
A Violet non piace infrangere le regole. Dopotutto, se sono state stabilite, un motivo deve pur esserci e chi è lei per fare diversamente? Quand’era piccola, era capitato che sentisse la necessità di fare l’opposto di quanto le era stato detto, per puro e ingenuo spirito di contraddizione, ma lo schiaffo che aveva ricevuto l’aveva fatta desistere dalla voglia di riprovarci un’altra volta. Suo padre non era un uomo che ammetteva repliche e, soprattutto, non sopportava che qualcuno osasse contravvenire ai suoi ordini.
Perciò Violet, alla tenera età di cinque anni, aveva capito che infrangere le regole non serviva a niente, se non a scatenare una serie di conseguenze decisamente spiacevoli.
Da quando è tornata ad Hogwarts, però, rispettare il regolamento sembra sempre più difficile: mangiare con gli altri, seguire le lezioni con studenti che non appartengono alla sua Casa, convivere con gli sguardi sospettosi, colmi d’odio e di astio. Se potesse, eviterebbe volentieri di comparire in Sala Grande, o in Sala Comune, o in qualsiasi altro posto. Sparirebbe, semplicemente, senza lasciare traccia.
Inseguendo il suo desiderio di invisibilità, ha deciso che l’orario migliore per recarsi alla Guferia è senz’altro dopo il coprifuoco serale.
Sono le dieci e quarantacinque, quando imbocca il sentiero che conduce alla Guferia. L’aria è fresca e pungente e il vento le solletica il viso; con una smorfia, si rende conto che tenere i capelli legati non è stata una grande idea. Ha le orecchie congelate e di sicuro le verrà un gran mal di testa. Non tollera molto bene il freddo, ma per un po’ di serenità sarebbe disposta a farsi una nuotata nelle acque gelide del Lago Nero, in compagnia della piovra gigante.
Accelera il passo, perché camminare sotto la luce della luna e in pieno spazio aperto, la fa sentire troppo allo scoperto, e non le piace. Ha solo bisogno di un posto in cui sentirsi al sicuro e, forse, la Guferia lo è. Chi potrebbe trovarla, lì?
Stringe al petto la pergamena ancora immacolata e il calamaio con l’inchiostro. La piuma è al sicuro nella tasca del mantello, spera solo che non si spezzi.
Con la bacchetta, illumina i gradini davanti a sé e riesce ad entrare nella torre senza inciampare da nessuna parte. La temperatura è un po’ più alta rispetto all’esterno, anche se il suo respiro continua ad addensarsi in volute di vapore argenteo che si disperdono nell’aria. Si siede su un gradino, spiega la pergamena e la appoggia sulle ginocchia. Le lanterne le garantiscono la luce minima indispensabile, ma Violet non si è mai sentita più serena di così, da quando è rientrata a scuola.
Intinge la punta della penna nel calamaio e comincia a scrivere.
 
“Caro Spencer,
non ti chiederò come stai, perché penso che la risposta sia abbastanza ovvia. Non so nemmeno se ti permetteranno di leggere la mia lettera: gli Auror sanno essere gentili, con i loro prigionieri?
Continuo ad avere gli incubi, Spencer. Tu urli, gemi, ti contorci e infine svieni, senza nemmeno avere la forza di tenere gli occhi aperti. Non ti stanno torturando, vero? Non possono farlo. Ti prego, chiedi se è possibile rispondermi. Ho davvero bisogno di sapere che stai bene. Vorrei venire a trovarti, ma senza il consenso dei genitori non mi permetterebbero di entrare. E tu sai bene che nostro padre non mi lascerà mai nemmeno avvicinare ad Azkaban.
Non è giusto, Spencer.
Voglio vederti. Voglio sapere che stai bene, che nessuno ti ha torto un capello. Voglio abbracciarti e stringerti e… mi sento così sola, senza di te.
È come se avessi smarrito la strada e, con essa, anche me stessa. Non so più chi sono, non so cosa voglio, non so cosa farò. Mi lascio trascinare dagli eventi, in loro completa balìa. Come una barca alla deriva, permetto alla marea di fare di me ciò che vuole. Ma ancora non affondo.
Da qualche parte, dentro di me, c’è la speranza che prima o poi qualcuno scopra la verità. La tua innocenza, Spencer. La mia innocenza.
Mi chiamano assassina, qui. Pensano tutti che io abbia ucciso Marlene. Eppure quello imprigionato sei tu. Preferirei essere al tuo posto. Non dev’essere male, la solitudine, il silenzio.
Un po’ di pace, in fondo. Sei lontano da nostro padre, dai suoi voleri, dai suoi ordini. Sei in gabbia, ma sei anche libero.
Io sono in trappola. Aspetto solo il momento in cui qualcuno si decida a trovare le chiavi e a restituirmi le ali.
Voglio volare via da qui.
Voglio sparire.
Ti voglio bene, Spencer.
Mi manchi.
Vì.”
 
Con un fischio sommesso, Violet richiama uno dei gufi della scuola, un grande allocco grigio dall’aria affidabile: lui sarà in grado di affrontare il lungo viaggio verso Azkaban.
Con delicatezza, gli lega la pergamena intorno alla zampa, gli regala un biscotto come incentivo per il tragitto e gli accarezza la testa. L’allocco socchiude appena gli occhi, poi spicca il volo ed esce da una delle inferriate. Tempo un paio di secondi, e si è confuso nella notte.
«Non dovresti essere qui.»
Violet sobbalza e il calamaio finisce per terra, rompendosi con un rumore cristallino. La macchia nera di inchiostro si allarga a dismisura e, con la mancanza di luce, sembra ancora più nera e ancora più inquietante. Violet si impedisce di paragonarlo al sangue, perché sa che uscirebbe fuori di testa; non vuole dare di matto davanti a Louis Weasley.
Lui non capirebbe mai. E come potrebbe farlo? D’altra parte, nessuno conosce la verità e, peggio ancora, nessuno è disposto ad ascoltarla. Perciò è inutile preoccuparsi. Con mano tremante, fa evanescere la macchia di inchiostro e ripara il calamaio. Poi si siede perché, inutile negarlo, le gambe le tremano e al momento non riuscirebbe a tornare a scuola. Da quando è diventata così debole, così patetica e senza spina dorsale? In passato, avrebbe risposto a Louis Weasley di farsi gli affari suoi, se non voleva avere problemi. Ora, invece, non trova più nemmeno la forza di affrontarlo.
«Allora?»
Louis si appoggia al muro, incrocia le braccia al petto ed incrocia le caviglie. Violet lo guarda per un attimo, un sopracciglio elegantemente inarcato e lo sguardo di chi non ha nessuna voglia di parlare.
Si limita ad osservarlo, registrando nella sua mente quanti più particolari possibili. Louis è altro quanto Scorpius, più o meno. Ed ha i capelli biondi, abbastanza lunghi da coprirgli le orecchie. Porta un cerchietto argentato alla narice sinistra e gli occhi sono azzurri, cristallini, anche se nell’ombra della Guferia sembrano più scuri che mai.
È esile, slanciato e i colori di Grifondoro stonano con la sua carnagione pallida, il rosso e l’oro fanno a pugni con il biondo chiaro dei capelli. Secondo Violet, il blu e l’argento di Corvonero gli donerebbero di più. Assomiglia parecchio a sua sorella Dominique e ne condivide l’atteggiamento distaccato e cinico.
«Allora cosa?»
«Non dovresti essere qui.» ripete Louis, rivolgendole uno sguardo apparentemente gelido. Violet si stringe nelle spalle e strofina i palmi delle mani sulla gonna.
«Non volevo causare una fuga di massa, venendo qui all’orario consentito.» sibila, un po’ amaramente. Ogni volta che attraversa un corridoio, che entra in una classe o che semplicemente si siede a tavola, le si crea il vuoto intorno. Gli studenti si allontanano, le rivolgono occhiate sospettose, come se si aspettassero che da un momento all’altro cominciasse a scagliare Avada Kedavra a destra e a manca. E, in tutta sincerità, Violet non ne può più. A volte, si trattiene a stento dall’urlare e fare realmente ciò di cui tutti l’accusano.
«Forse dovresti semplicemente smetterla di comportarti come se il mondo ce l’avesse con te.»
Violet incassa la testa tra le spalle, solleva appena lo sguardo e osserva di nuovo Louis, che rimane imperturbabile. Poi, senza alcun preavviso, le sorride brevemente. Violet si sente arrossire, perché quel sorriso è il gesto più amichevole che le sia stato fatto da un tempo che le sembra incredibilmente lungo e non sa proprio come reagire. Dovrebbe sorridere anche lei, giusto? Solleva lievemente gli angoli delle labbra, accennando una smorfia che è più di quanto abbia concesso a chiunque negli ultimi tempi, poi si alza in piedi e si stringe nel mantello.
«Grazie, Weasley.»
«Buonanotte, McLeod.»
 
 
 
***
 
 
Buonasera! Sono un po’ in ritardo, lo so, ma ci sono.
Comunque, come avete visto, sono entrati in scena altri due personaggi: Tessa e Louis. Che ne pensate? Personalmente, io adoro entrambi. Louis è un po’ incomprensibile ed è strano, ma spero che lo apprezzerete. E Tessa è un po’ tonta ed imbranata e… povero Albus.
Voi che ne pensate?
Fatemi sapere, se vi va! Per me sarebbe un piacere avere un vostro parere.
Con affetto, Fede.
 

 

 
 
 
 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4. ***








Capitolo 4.
 
 
 
Violet McLeod nasconde qualcosa: James ne è così certo che potrebbe metterci la mano sul fuoco. Proprio non riesce a credere che suo fratello Albus, Lily e persino Louis siano cascati nella sua perfida trappola, intessuta con occhiate malinconiche, sguardi vuoti e mani tremanti. Lui non se la beve, la storia della povera vittima coinvolta in qualcosa più grande di lei. Per come la vede James, c’è sempre una scelta, nella vita. Violet si è semplicemente comportata da codarda e lui i codardi li ha sempre odiati; bisogna avere il coraggio di portare avanti le proprie posizioni, anche se il vento è contrario e nessuno sembra capire. Anche se si ha un fratello presunto omicida e un padre ricco sfondato e con malsane idee sul sangue puro, ma James, questo, non lo immagina nemmeno lontanamente. Dopotutto, a lui di Violet non importa niente, vuole solo dimostrare che non è così innocente come vuole far credere.
Mentre si incammina verso l’aula di Trasfigurazione, quindi, espone a Louis la sua teoria.
«Secondo me c’è qualcosa che non vuole che si sappia. Dev’esserci uno scheletro bello grosso, nel suo armadio.» sibila, a voce bassa. Louis interrompe la sua camminata, si passa una mano tra i capelli biondi e inclina la testa da un lato.
«Si può sapere di chi parli?» domanda, perplesso.
A volte proprio non riesce a capire cosa passi per il cervello del cugino, nonostante lo conosca come le sue tasche e riesca a cogliere ogni suo cambiamento, seppur impercettibile. Ma quando James fa di quelle sparate, Louis proprio non sa che pesci prendere.
«Della McLeod. Quella ha qualcosa che non va.» bercia James. Afferra Louis per il braccio e lo trascina verso un angolo con aria cospiratoria. «Hai visto che faccia? Si sente colpevole e sicuramente lo è. Insomma, uno non va in giro con quell’espressione, se non ha fatto niente, no?» spiega, estremamente concentrato. Louis inarca un sopracciglio, tira un respiro profondo e si sforza di non scoppiare a ridere perché, certe volte, James ha la sensibilità di una sedia e l’assurda convinzione che l’apparenza corrisponda anche alla sostanza. Cosa che, nel caso di Violet, non potrebbe essere più lontana dalla verità.
«Lasciala perdere, Jamie.»
«Voglio scoprire cosa nasconde. E poi, da quand’è che ti sei eletto a difensore degli assassini?»
«E tu, invece? Non sapevo che fossi Dio. Non spetta a te giudicare.»
Louis volta le spalle a James e lo pianta nel bel mezzo del corridoio. James, da parte sua, lo guarda allontanarsi con espressione pensierosa: non riesce a credere che si sia fatto ingannare in quel modo. Vorrà dire che toccherà a lui ricordare a tutti che tipo di persona sia Violet McLeod.
Quando varca la soglia dell’aula di trasfigurazione la trova seduta al suo posto, con la testa bassa, le spalle curve e il collo candido scoperto. Ha i capelli di un colore simile a quello di Lily, nota James, e il pensiero della sorella minore lo fa incupire lievemente: è strana, negli ultimi tempi. Sì, be’, più strana del solito.
Si guarda intorno e coglie l’occhiata d’ammonimento di Louis e quella decisamente più gelida di Malfoy. Come faccia Albus a frequentare quel pezzo di marmo è un mistero. A James non piace Malfoy, così come non gli piacciono, in realtà, almeno i tre quarti dei Serpeverde. Ma Malfoy è decisamente il peggiore: sempre calmo, granitico, come se nemmeno un tornado potesse smuoverlo, ha l’aria di chi è vissuto nella bambagia e tende a farlo presente almeno ogni cinque minuti.
Perciò gli rivolge un’occhiata di sfida e si butta sulla sedia accanto a Violet, che non da’ cenno di aver registrato la sua presenza. James, però, è piuttosto certo che si sia irrigidita. Guarda per un attimo le sue mani e si stupisce di trovarle così piccole e pallide, quasi infantili. Gli balena per la mente che quelle non possono essere le mani di un’assassina, ma il pensiero viene cancellato subito dopo, quando Violet solleva lo sguardo per rivolgergli un’occhiata gelida e indifferente. Proprio non la sopporta, è più forte di lui.
La osserva, mentre comincia a pasticciare l’angolo della pergamena con aria assente, senza guardarlo più nemmeno una volta. James ha come l’impressione che lo voglia provocare e non ha intenzione di lasciargliela passare liscia. Sente le mani prudere per la voglia di strapparle quella maledetta piuma di mano e obbligarla a mostrarsi per quel che è veramente.
La fortuna sembra dalla sua parte, oltretutto, perché la professoressa Walsh è in tremendo ritardo e questo gli concede tutto il tempo di parlare a ruota libera e stuzzicare un po’ la sua compagna di banco.
«Stavo pensando una cosa.» esordisce, con tono apparentemente amichevole. Violet solleva appena lo sguardo, sospira e gli rivolge un sorrisetto sardonico.
«Da quando sai anche pensare?» replica, prima di tornare alla sua pergamena pasticciata. Da qualche fila più indietro, Scorpius e Louis osservano vagamente preoccupati, entrambi consapevoli che la cosa non andrà a finire bene.
Scorpius perché conosce l’autocontrollo – ultimamente messo a dura prova – dell’amica e Louis perché è perfettamente consapevole che James non è capace di resistere ad una provocazione e, oltretutto, è pure idiota.
James, da parte sua, non crede alle proprie orecchie: gli ha davvero risposto? Lei, che a malapena rivolge la parola ai suoi migliori amici e cammina con la testa bassa, ha davvero dato inizio ad uno scontro verbale che, lo sanno bene entrambi, non la vedrà mai vincente?
«Allora ce l’hai la voce. Fai solo finta di essere triste, affranta e amareggiata per qualcosa di cui effettivamente hai colpa. Cos’è, ti diverti a fare la vittima?» le sibila, con le labbra pericolosamente vicine al suo orecchio. Violet si irrigidisce completamente, prende qualche respiro profondo e si impone di calmarsi perché sa che James vuole farle perdere il controllo.
«Sei solo un povero idiota, non capiresti la verità neanche se te la ritrovassi davanti agli occhi.» celia, indispettita. Non sa perché, ma James Potter le fa venire voglia di urlare per la frustrazione e per la rabbia e per tutto il dolore che prova e che non la lascia vivere in pace. Ma non urla, non lo fa mai.
«So qual è la verità: sei rimasta a guardare mentre uccidevano la babbana. Questo ti rende colpevole almeno quanto quel bastardo di tuo fratello.»
Quanto succede subito dopo, rimarrà ben chiaro nella mente di tutti i presenti per un lungo tempo a venire. Violet sorride, così gelida che persino James ha un attimo di turbamento, afferra la bacchetta che ha lasciato sulla destra del banco e si volta repentinamente verso il suo compagno.
«Stupeficium!»
James si schianta per terra  con ben poca grazia, picchia la testa contro il pavimento e perde i sensi.
«Così almeno stai zitto.» borbotta Violet, tornando a disegnare in tutta serenità. La classe rimane in completo silenzio, fino a quando il rumore cristallino di tacchi rompe l’atmosfera ovattata e riempie i presenti di panico. Chi pagherà le conseguenze di quanto appena successo?
«Innerva.»
James riprende i sensi con un mugugno di dolore e si tocca la testa, sulla quale sta già uscendo un bel bernoccolo.
«Razza di stronza, mi hai schiantato!» urla, cercando di afferrare Violet per un braccio. Lei si scosta con disinvoltura e si stringe nelle spalle.
«Perspicace.»
Qualcuno tossicchia e, finalmente, James si accorge della Walsh. Smette di imprecare contro Violet e scocca un’occhiata furente all’insegnante, che non si lascia scomporre minimamente: è ora che entrambi la smettano di comportarsi come due ragazzini bizzosi.
«In punizione, tutti e due. Nel mio ufficio alle sette, questa sera. E cinquanta punti in meno a Grifondoro e Serpeverde. E ora silenzio.»
 
Erin colpisce un sassolino con la punta delle scarpe, osservando con indifferenza il graffio che rovina la vernice nera delle ballerine che sua madre le ha regalato prima di partire. Sta aspettando Scorpius da circa dieci minuti, anche se in realtà le sembra un tempo infinitamente più lungo.
Non ha fatto altro che pensare alla ricerca di Pozioni che il professor Deverall ha assegnato quella mattina: una lunghissima pergamena sulla Pietra Filosofale, in memoria del vecchio Nicholas Flamel e blablabla. Erin non l’ha ascoltato più di tanto, perché quelle sono cose che non le interessano.
Vuole volare, non vivere per sempre.
Si siede sulla panchina in pietra e dà un’occhiata agli altri studenti che passeggiano intorno alle rive del Lago Nero. Quando individua Jenna Saunders, le augura a bassa voce di affogare: non la sopporta. Jenna è una di quelle ragazze che proprio le fanno venire l’orticaria. I suoi capelli biondi sono sempre perfetti, gli occhi verdi e luminosi e le labbra perennemente coperte da un velo di lucidalabbra. La divisa perfettamente stirata, le scarpe tirate a lucido: Jenna è perfetta. Ed è anche diabolica, tanto che nessuno si stupirebbe di vederle spuntare un bel paio di corna e una coda da diavolo.
Erin ha in mente un’immagine ben precisa di Jenna che inciampa in una radice e si schianta a terra, ma purtroppo non succede niente di tutto ciò. Anche perché Edward Nott la salva prima ancora che Jenna possa solo pensare di cadere. Le circonda la vita con il braccio muscoloso e le stampa un bacio sulle labbra. Jenna ride e inclina la testa all’indietro per farsi baciare con maggior impeto.
Erin storce il naso.
«Mai visto due che si baciano?»
Scorpius ha un tempismo del cavolo, Erin l’ha sempre saputo. Perciò arrossisce, perché farsi beccare a spiare quella coppia di idioti è la cosa più imbarazzante che le sia mai capitata. A parte, forse, quella volta in cui si è colorata i capelli di grigio.
«Sei in ritardo.»
«Solo di qualche minuto.»
Scorpius si stringe nelle spalle, indifferente. Non è mai stato puntuale, perciò è inutile che Erin gli faccia la predica. O metta il muso.
«Le signore non si fanno aspettare.»
«Non vedo signore, qui.»
Erin inarca un sopracciglio, dopodiché colpisce lo stinco di Scorpius con un calcio ben assestato che lo fa saltellare per altri dieci minuti.
«Vedi?» borbotta, quando si è ripreso. «Sei femminile come un manico di scopa.»
Poi, rendendosi conto di esserci andato giù pesante, sospira e circonda le spalle di Erin con un braccio. Lei si limita a puntare lo sguardo altrove, lievemente infastidita. Sa perfettamente di non essere un esempio di classe ed eleganza – come Violet, che sembra sempre tanto gelida – e le sta bene così. È soddisfatta di sé stessa, perciò Scorpius può anche darle dell’uomo mancato, non c’è alcun problema. Tuttavia, non può fare a meno di sentirsi un po’ offesa, perché se quella è davvero l’opinione che ha di lei, allora non capisce per quale motivo continui a rivolgerle la parola.
«Non intendevo dire quello.»
«Sai cosa? Non me ne frega un accidenti. E se c’è una cosa che ho imparato in questi anni, è che tu dici sempre quello che pensi. Perciò lasciamo perdere. Cosa volevi dirmi?» chiede, cercando di cambiare argomento.
Scorpius, però, non è uno di quelli con cui si può far finta di niente. Nonostante disprezzi almeno i tre quarti delle persone che conosce, è molto attento nei confronti di quelle a cui tiene. Perciò non si lascia ingannare dal tentativo di Erin e la costringe a guardarlo negli occhi.
«Non volevo dire quello che hai capito.»
«Ti ho detto che non mi interessa.»
Ciò che succede dopo è tanto inaspettato quanto strano. Scorpius sbuffa e si sporge un po’ in avanti, tanto che il suo naso sfiora quello di Erin. Lei arrossisce violentemente, ma non si muove. Non sono mai stati così vicini, da quando si conoscono e lui non l’ha mai guardata in quel modo.
«Cosa stai facendo?» domanda, perciò, con voce flebile.
Scorpius sorride.
«Sto per baciarti.»
«E perché?»
«Non puoi stare zitta, Erin? È solo un bacio.»
Solo un bacio. Scorpius non avrebbe potuto dire niente di più sbagliato. Se ne rende conto nel momento esatto in cui Erin gli colpisce una guancia pallida con uno schiaffo da manuale. Lo guarda, delusa e quasi sull’orlo del pianto, dopodiché gli volta le spalle e si allontana.
Scorpius la osserva con aria assente. Non sa nemmeno cosa gli sia passato per la testa. Perché voleva baciarla? È Erin. L’ha vista crescere, superare la fase del brutto anatroccolo e portarsi dietro la convinzione di non essere poi così tanto bella. Non capisce per quale motivo le abbia detto una cosa simile. Non è da lui e ancora non si capacità della propria stupidità. Ha pensato che, se l’avesse baciata, Erin si sarebbe convinta che anche lui la trova bella e desiderabile, nonostante le parolacce, i comportamenti da maschiaccio e l’aria spavalda.
Ma ha rovinato tutto, scegliendo il modo e il momento sbagliato per farglielo capire. Come se non bastasse, molto probabilmente Violet lo ucciderà: tende ad essere piuttosto protettiva nei confronti della sua migliore amica.
Con un sospiro frustrato, Scorpius si massaggia la guancia e si incammina verso la Sala Grande.
Erin percorre a passo marziale il lungo corridoio che la separa dagli spogliatoi. Stringe rabbiosamente i pugni lungo i fianchi e mugugna qualche insulto nei confronti di Scorpius. Chissà cosa gli è preso, si chiede.
Non riesce proprio a capire per quale motivo si sia comportato in quel modo. Baciarla. Perché mai avrebbe dovuto baciarla? E perché mai lei ha desiderato che lo facesse? È questo che non si spiega. Scorpius le è sempre piaciuto, è vero, ma gli vuole bene come ad un fratello. L’ha visto diventare sempre più lunatico, silenzioso e affascinante ogni anno che passa e ha messo da parte la speranza che un giorno lui possa vederla non come l’amica molesta, ma come la donna della sua vita.
Ha sempre convissuto bene con i sogni infranti, Erin. Basta chiuderli in un cassetto e metterli da parte, senza pensarci più. Ma se il suo sogno infranto torna a farle visita, come può pretendere da se stessa di rimanere indifferente?
«Stronzo.» borbotta, offesa.
Entra nello spogliatoio con tutto l’intento di cambiarsi e anticipare l’allenamento di mezz’ora. Non ha voglia di vedere la sua squadra, né di parlare con quell’idiota di Flitt. È il loro Battitore e frequenta il quinto anno, ma ha la bizzarra convinzione di essere una specie di dongiovanni e ogni volta la guarda come se volesse mangiarsela.
«Wilson.»
Erin sobbalza spaventata, quando si accorge di Sean Livingstone che la osserva dall’alto del suo metro e settantacinque. È appoggiato allo stipite della porta e tiene le braccia incrociate sopra il petto ampio.
«Che vuoi, Sean? Non sono dell’umore, ti avverto.»
Si sfila le scarpe e afferra gli stivali, che indossa in tutta calma. Aspetta che Sean si decida a sputare il rospo. Nel frattempo, si sforza di non pensare a Scorpius e a quanto sia idiota.
«Vieni con me a Hogsmeade, domani.»
«No, ti ringrazio.»
Erin sorride gelida. Non ha nessuna voglia di trascorrere un intero pomeriggio in compagnia di Sean e delle sue mani lunghe. Ha di meglio da fare. La ricerca di Pozioni, tenere compagnia a Violet, mettersi lo smalto, insultare Scorpius. Insomma, un mucchio di attività interessanti, in cui Sean non è compreso.
«Perché?»
«Primo perché non me l’hai chiesto. Secondo perché non diventerò uno dei tuoi trofei, Sean. A differenza delle cretine che ti stanno appresso, io ho un cervello. E funziona.»
«Per questo mi piaci.»
Sean le sorride, mettendo in mostra una serie di denti perfetti. Ha gli occhi verdi e i capelli biondo scuro e per un attimo Erin pensa che non sarebbe poi tanto male stare con lui.
«Ti piaccio solo perché vuoi vincere la partita contro Grifondoro, settimana prossima. Non sono stupida, te l’ho già detto.»
Sean alza gli occhi al cielo e si avvicina un po’. Erin, che non ha la minima intenzione di fargli credere di avere una qualche influenza su di lei, continua ad allacciarsi gli stivali con aria tranquilla, sebbene la presenza di Sean sia ormai piuttosto ingombrante.
«Mai sentito parlare del rispetto degli spazi personali?» sbotta, alzandosi dalla panchina. Sean ride.
«Con te bisogna parlare chiaro, Wilson. O mi sbaglio?»
«No, non ti sbagli. Ed ora, se vuoi scusarmi…» Erin lo aggira, ma nel momento in cui gli volta le spalle, Sean la afferra per il polso e la tira indietro. Erin rimane immobile, vagamente preoccupata. Non le farebbe del male, vero?
Non si è portata nemmeno la bacchetta, e l’idea di essere alla mercé di quel cretino non le piace per niente. Perciò si limita a guardarlo, in attesa della sua prossima mossa.
«Concedimi un’uscita. Poi ti lascerò in pace.»
«Non voglio uscire con te.»
«Dammi un motivo.»
«Perché no.»
«Perché se non le levi le mani di dosso potrei perdere la pazienza.» la voce di Scorpius si sovrappone a quella di Erin. Entra nello spogliatoio con la calma del vincitore e con la testa alta. Afferra l’amica per una spalla e la trascina accanto a sé. Sean sbuffa.
«Non la stavo molestando, Capitano. Datti un calmata.»
«Gira al largo, Livingstone.» sibila Scorpius, gelido. Sean si allontana dopo aver rivolto ad Erin uno sguardo enigmatico, che le lascia addosso una strana sensazione. È così che ci sente, quando un ragazzo ti corteggia?
«Non avevo bisogno del tuo aiuto, Scorpius.» si divincola dalla presa del ragazzo con uno strattone poco delicato, poi esce dallo spogliatoio, senza guardarsi indietro.
«Possiamo parlare?» le urla dietro Scorpius, spazientito.
«Hai già detto abbastanza.»
E, per il momento, è più che sufficiente.
 
Le sette arrivano più velocemente di quanto Violet si aspetta. Ha trascorso l’intero pomeriggio in uno stato mentale non propriamente sereno, con i nervi a fior di pelle e con la malsana voglia di lanciare una Cruciatus su quel cretino di Potter.
Per di più, non è riuscita a portare a termine la relazione sugli unicorni e le sue calze preferite – quelle di cotone bianco – si sono sfilate proprio sopra il ginocchio ed ora sono inutilizzabili.
Ma il peggio è stato l’arrivo di una lettera da parte di suo padre. Un misero “Stai attenta a quello che fai, Violet.” che è bastato a rovinarle ancora di più l’intera giornata, portando il suo nervosismo ad un punto di non ritorno. A volte, Violet si chiede quanto le ci vorrà prima di essere rinchiusa al San Mungo nel reparto psichiatrico. Di questo passo, non così tanto.
Quando mancano quindici minuti alle sette, raccoglie il suo mantello, afferra la bacchetta e si sistema i capelli in una treccia castigata, dopodiché lascia la sua stanza in tutta calma. Nora, seduta sul letto, la guarda con un po’ di compassione. Era presente nel momento in cui Violet ha aperto la lettera del padre e ha visto la compagna impallidire notevolmente – più del suo colorito quasi spettrale – e cominciare a tremare. Non sa cosa sia successo, e non le interessa nemmeno, ma non dev’essere niente di piacevole se è riuscito a riportare Violet allo stato di angoscia evidente che sembrava aver superato almeno in parte.
Da parte sua, Violet può affermare con certezza di non aver mai odiato così tanto i suoi genitori. Mentre sale le scale che portano al terzo piano, si domanda se sia possibile desiderare la morte di chi l’ha messa al mondo.
Se suo padre tirasse le cuoia, non verserebbe una lacrima. Dovrebbe sentirsi cattiva al solo pensiero, ma non può farne a meno. Se Augustus McLeod non esistesse, il mondo sarebbe un posto migliore.
Annuisce tra sé e sé con il pensiero totalmente rivolto a suo fratello e, ancora una volta, non può fare a meno di chiedersi se abbia ricevuto la sua lettera e se, in qualche modo, ne abbia tratto conforto. Spera che prima o poi le risponda, almeno per farle sapere che sta bene.
Quando arriva di fronte allo studio della professoressa Walsh, Violet prende un profondo respiro e si sforza di raccogliere tutta la pazienza che possiede. Bussa con decisione e, una volta ottenuto il permesso, entra.
James è già lì, seduto con aria indolente di fronte alla scrivania della Walsh. Non la guarda nemmeno, si limita ad osservarsi le mani con aria estremamente annoiata. Violet sospetta che si tratti di una farsa, ma non le interessa poi più di tanto. Vuole solo che quell’incontro si concluda il prima possibile.
«Buonasera.» mormora.
La Walsh le sorride brevemente e le indica la sedia accanto a quella di James. Violet ci si accomoda con cautela.
«Ciao, Violet. Ora che sei qui anche tu, vorrei discutere del motivo che ti ha spinto a schiantare il tuo compagno, questa mattina.»
Violet si irrigidisce, così come James, che ancora non è riuscito a mandar giù l’onta di essere stato battuto da una ragazza.
«C’è poco da dire, professoressa. Ho solo fatto la cosa giusta.»
«La cosa giusta?» ripete James, oltraggiato. «Sei una stronza! Mi sono quasi sfasciato la testa!» urla. Si alza in piedi e comincia a fare avanti e indietro per l’ufficio. La Walsh lo osserva attentamente.
«Hai detto o fatto qualcosa per provocare Violet, James?»
Il primogenito dei Potter interrompe la sua camminata e rivolge all’insegnante uno sguardo tanto limpido quanto sfacciato. Poi sorride.
«Ho solo detto la verità. Non credo sia un crimine.»
Violet spalanca appena gli occhi, colpita. Se ci fosse un premio per la sincerità brutale, James Potter lo vincerebbe senza margine di dubbio.
«C’è una sottile differenza tra l’essere sinceri e l’essere cattivi, James. Non pretendo che tu la capisca, non ancora. Ma è necessario che tu ti renda conto che giudicare senza conoscere – la Walsh blocca James con un gesto secco della mano, impedendogli di interromperla – non è giusto, soprattutto se non hai la certezza di quel che dici. Per quanto riguarda te, Violet, so che stai passando un momento difficile. E so anche che ti senti continuamente braccata, ma non puoi schiantare i tuoi compagni. Perciò siete entrambi in punizione, fino a quando non capirete che l’odio e l’astio che nutrite l’uno nei confronti dell’altro è tanto insano quanto stupido. Continuerete ad essere compagni nelle lezioni che Serpeverde e Grifondoro hanno in comune e per tre giorni a settimana aiuterete la professoressa Caige a riordinare la serra numero dieci. Ed ora andate.»
Violet è la prima ad alzarsi, quasi stordita dalle parole della sua insegnante e ancora incredula di quanto le sta succedendo. Non è colpa sua, se James Potter è un idiota. Si meritava di essere schiantato, perciò per quale motivo anche lei dovrebbe rimetterci e trascorrere del tempo prezioso in sua compagnia?
Si incammina verso i sotterranei con uno sguardo lievemente truce, ma questa volta non è sufficiente a tenere Potter lontano. La afferra per un polso, bruscamente, costringendola ad interrompere la sua camminata.
«Lasciami.» sibila, infastidita dal contatto non richiesto.
James obbedisce, stranamente, poi le sorride in un modo vagamente inquietante. Violet sente un brivido percorrerle l’intera spina dorsale, ma si sforza di mostrarsi impassibile. Comincia ad essere stanca di recitare la parte della vittima.
«Tu non mi piaci, McLeod. Ti trovo insopportabile. Sei solo una ragazzina viziata, snob e con la puzza sotto il naso. Potrai non aver ucciso la babbana, questo te lo concedo, ma il tuo sangue è marcio. E la mela non cade mai troppo lontana dall’albero.» dopodiché James le volta le spalle e si allontana con la sua falcata sicura.
Ha ragione, pensa Violet, mentre scende la prima scalinata, la mela non cade mai troppo lontana dall’albero. Ma quello non è il suo caso.
 
 
 ***
 
 
È passato un tempo infinitamente lungo dall’ultimo aggiornamento e vi chiedo scusa, mi dispiace. Ma sto avendo un periodo un po’ pieno, qualche problema, l’ispirazione che va e viene e insomma, scusatemi.
In ogni caso, non ho intenzione di abbandonare la storia e spero che voi non abbandonerete me!
Detto questo, mi auguro che il capitolo vi sia piaciuto e niente, se vi va, fatemi sapere che ne pensate!
Con affetto,
Fede.
 

 

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