Take me away.

di Nunchan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione - Here I am. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 - Suono in comune. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 - Non solo coincidenze. ***



Capitolo 1
*** Introduzione - Here I am. ***


Salve a tutti!
Siamo due ragazze che hanno deciso di iniziare questa fan fiction così, un giorno per caso. (?)
Insomma, questa fan fiction tratterà di due coppie che per ora non sveleremo, perché siamo troppo malvage. O forse perché non ne abbiamo voglia.
In ogni caso troverete dei font diversi all'interno del capitolo poiché abbiamo voluto distinguere così i personaggi. Ognuna di noi si baserà su una coppia...
E nulla, speriamo che sia di vostro gradimento ; ;
Buona lettura!



 


‘ Wake me up when September ends..’
Canticchiava mentre teneva stretto un pesante libro tra le mani.
Quel ragazzo dai capelli neri corvino in effetti non aveva tutti i torti. Avrebbe preferito di gran lunga saltare Settembre e frequentare quella scuola anche d’Agosto, piuttosto che sentirsi fissato per tutti i trenta giorni che componevano quel mese.
A dirla tutta gli sguardi attirati dal suo essere alto un metro e ottantasei, dal fatto di avere i capelli sempre fermi al proprio posto e i vestiti sempre ordinati non gli dispiacevano. O meglio, non gli dispiacevano quanto i continui attacchi di chi, col cervello più piccolo di una gallina, prendeva le sue caratteristiche come oggetto di continue prese in giro.
Essere chiuso nell’armadietto, ritrovarsi con scritte offensive sul suddetto, ritrovarsi da solo durante l’ora di pranzo era ormai una routine per il giovane cinese.
O almeno, lo era stato fino a quel momento.

Passo sicuro, giacca di pelle, circondato da tre o quattro amici fidati. Poteva essere considerato tranquillamente il bullo della scuola, quello più figo di tutti, quello che al solo salutare qualcuno suscitava mille urletti e stupide sceneggiate.
Ed è vero, o almeno lo era stato. Stufo di far prevalere la forza al cervello, il giovane dai tratti del viso delicati ma dal pugno duro, era passato dalla parte del ‘bene’.
Una trasformazione radicale, forse fin troppo, che aveva avuto inizio qualche settimana prima.
Si era trovato di fronte ad un gruppo di bulletti da niente, bambini stupidi e senza nemmeno un po’  di organizzazione. Eh sì, perché c’erano bulli e bulli.
Fatto sta che se la stavano prendendo con un ragazzo che, anche solo per via dell’altezza, avrebbe potuto scacciarli con un soffio. Ma non stava opponendo resistenza. Limitava a pararsi con le mani e a tenere con lo sguardo basso.
La cosa aveva suscitato in lui un istinto di protezione così forte da costringerlo ad avvicinarsi e a far scappare quei quattro mocciosi solo con la sua presenza.
‘ Grazie.’ Aveva sussurrato timidamente quel ragazzo. Quello era stato l’inizio di tutto.
Come si sa, allontanarsi da un certo gruppo comporta delle difficoltà. Gli ex ‘amici’ del bullo avevano infatti sparso la voce che fosse omosessuale.
Una cosa comune tra giovani, se non fosse per un piccolo particolare : lui lo era sul serio.
Aveva litigato con i genitori, era persino scappato di casa, e nel piccolo appartamento da studente in cui viveva aveva imparato a negare, a costruirsi una corazza di ferro.
Corazza che a quanto pare stava per essere distrutta.

Aveva scoperto che sentirsi protetto non era così male.
Di certo adesso non andava in giro con testa alta e petto in fuori, ma almeno sapeva di essere soggetto un po’ meno a fenomeni a cui era abituato. Ma tutto aveva un prezzo.
Se prima era abituato a sentirsi escluso, adesso era abituato a sentir sussurrare cose sul conto suo e del ragazzo che con tanta premura lo proteggeva.
‘’Secondo me stanno insieme.’’ ‘’ Che schifo, che almeno nascondessero ‘sta cosa.’’ ‘’ Qualcuno li allontani dalla scuola.’’
Ma lui sospirava e stringeva i pugni.
Non sapeva, però, che avesse reso quel ragazzo dal cuore congelato suo amico.






La lezione era già iniziata da un paio di minuti e il ragazzo non aveva ascoltato neanche una parola di quello che l’insegnante aveva detto fino a quel momento, essendo troppo impegnato a vagare tra i suoi pensieri. Era seduto tra gli ultimi banchi della fila vicino la finestra e in quel momento era intento ad osservare fuori, senza vedere davvero ciò che aveva avanti agli occhi scuri.

 
Era bello, ricco e intelligente.
Il ragazzo più popolare di tutta la scuola. Chiunque tra le ragazze avrebbe dato di tutto solo per vedere un suo sorriso. E lui le accontentava sempre, ogniqualvolta che ne beccava una che lo fissava, che fosse stato in aula, in palestra, tra i corridoi…
Era il più bravo per quel che riguardava lo studio: probabilmente era lo studente migliore di tutto il suo istituto e per questo era amato anche dagli insegnanti.
Era il capitano della squadra di basket, la sua squadra lo amava, lo proclamavano il miglior capitano di sempre.
Era sempre circondato da persone che si autodefinivano suoi amici, che gli gironzolavano sempre intorno, facendogli complimenti anche quando non faceva nulla.
Il problema era che il ragazzo odiava la confusione. Amava invece starsene in solitudine, per i fatti suoi, senza che nessuno lo disturbasse.
Non aveva mai avuto un amico, e non sentiva il bisogno di averne uno. Cambiava ragazza l’una dopo l’altra, ma non ne aveva mai amata nessuna. Non sapeva se lo faceva per farle felici quando si dichiaravano, oppure semplicemente per dimostrare agli altri che aveva interessi come un qualsiasi altro ragazzo della sua età.
Tutta la sua vita, in presenza degli altri almeno, era una recita, una farsa. Tutta finzione. E nessuno lo aveva mai capito. Si comportava esattamente come gli altri volevano che si comportasse, finendo per essere amato da tutti. Ma nessuno aveva mai conosciuto il suo vero carattere. Per lui non era un problema, egli stesso aveva voluto questo.

 
Le cose però, erano destinate a cambiare.
 
Esattamente in quel momento, in un'altra classe, la porta si aprì e un ragazzo abbastanza basso entrò nell’aula provando a non fare il minimo rumore. Il suo banco era l’ultimo vicino la porta, proprio perché, essendo sempre in ritardo, era facile da raggiungere. Si sedette e si lasciò andare ad un sospiro di sollievo: anche quella mattina era riuscito ad non essere beccato.
 
Era bello, gentile e ingenuo.
Aveva molti amici e tutti lo adoravano. Andava d’accordo con tutti e non si arrabbiava mai per nessun motivo. Odiava la solitudine e se fosse dipeso da lui, avrebbe passato tutto il giorno con il suo gruppo di amici.
Adorava la folla, la confusione ed era semplicemente iperattivo.
Aveva sempre un sorriso felice sulle labbra, anche se nascondeva molto bene tutta la tristezza e il dolore che la vita gli aveva riservato. Aveva preferito metterci una pietra sopra, cercare di non pensare più al passato, per quanto poteva, ed andare avanti. Veniva ferito facilmente dagli altri, e non aveva mai fatto del male a nessuno.
A scuola non era un genio, ma alla fine riusciva sempre a passare l’anno.
Viveva una vita apparentemente piuttosto tranquilla e stava bene così. Adorava i suoi amici, e non avrebbe desiderato nulla di meglio.
A scuola arrivava sempre in ritardo e spesso inventava le scuse più assurde, come ‘Sono stato rapito dagli alieni’ oppure ‘Ho fatto tardi e il treno non mi ha aspettato!’
Per questo faceva sempre ridere i suoi compagni e anche se si beccava una ramanzina dalla professoressa di turno, non si interessava più di tanto.
 
Ma l’incontro tra questi due ragazzi, l’uno l’opposto dell’altro, cambiò totalmente le loro vite.



 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 - Suono in comune. ***


Il giovane stava frugando nel proprio armadietto alla disperata ricerca del libro di storia, a rendere tutto più difficile c’era la pesante borsa che lo sbilanciava di un lato e gli occhiali, che proprio non volevano saperne di restare fermi sul naso.
Dopo una buona mezz’ora aveva trovato di tutto : un calzino, delle mentine, un libro risalente all’epoca delle elementari, ma del pesante librone nessuna traccia.
Con aria arresa richiuse l’armadietto, spiaccicandovi la schiena contro. Socchiuse gli occhi e tirò un enorme sospiro, quella giornata sarebbe stato un disastro.
Pochi secondi dopo, quando fu costretto a alzare le palpebre perché qualcuno gli aveva picchiettato su una spalla, si ricredette.
 – Grazie per avermelo prestato. Sembra strano a dirsi, ma anche io studio… di tanto in tanto, però lo faccio.-  Il ragazzo che gli si era posto di fronte allargò quello che sembrava un sorriso di cortesia, poi aggiunse.  – Che dici, lo riprendi o aspetti che faccia radici? -
Quello più vicino all’armadietto scosse un pochetto il viso per ritornare alla realtà. Con le gote rosse annuì e dopo aver sussurrato qualcosa simile a dei ringraziamenti, scappò praticamente via.
Gli era capitato altre volte questo genere di reazione. Dopotutto stare così vicino a qualcuno che si era rovinato reputazione e amicizie solo per rendergli la vita scolastica migliore doveva per forza fargli quell’effetto. O forse quel tipo di considerazione era dettata dal fatto che non volesse ammettere altre spiegazioni.
Non che potesse pensare altrimenti data la bassa considerazione che aveva di sé : se lo aveva fatto di sicuro era per avere qualcosa in cambio. Qualche soluzione ad un compito, dei biglietti per il bus.. se ne era quasi convinto, peccato che il massimo che il ragazzo dai capelli scuri gli avesse chiesto fosse stato l’orario.
Ma forse ad attrarlo era proprio quel suo silenzio. Stranamente non erano mai andati oltre al saluto o a qualche frase che si limitasse al ‘ domani si entra alla seconda ora.’
Anche quando (sempre più raramente) veniva a liberarlo da qualche bulletto random non spiaccicava una parola. Aveva però paura di provare ad intraprendere una conversazione : se fosse risultato troppo invadente o avesse incrementato le voci su di lui? La cosa era parecchio contorta. Tentava di convincersi che provava solo semplice ammirazione, che il fatto di aver memorizzato tutti i tipi di bracciali in cuoio che possedeva e di aver notato come cambiasse lato dei suddetti a seconda dei giorni fosse semplicemente… ah no, a quello non aveva trovato ancora una spiegazione.
Assorto nei propri pensieri non si accorse di aver percorso troppo con le gambe lunghe e di aver oltrepassato la classe.  – Aish.-  Si fermò proprio in mezzo al corridoio e con fare meccanico si voltò, ritornando indietro alla ricerca dell’aula di storia.


Non era stata un’ora particolarmente faticosa, così come le altre cinque che si susseguirono. Una volta arrivata la pausa pranzo, però, il ragazzo aspettò che il caos dei corridoi sfumasse e una volta impugnata la propria tracolla, si diresse verso l’uscita di emergenza.
Aprì la porta e prese un enorme boccata d’aria.  Aveva smesso di mangiare in sala pranzo da un bel po’ di tempo. In realtà ci aveva provato solo durante la prima settimana di scuola, ma i gruppi che puntualmente si impossessavano dei tavoli gli facevano andare il pranzo di traverso.
Aveva preso l’abitudine di pranzare in un angolino riparato del campetto esterno. Era una zona tranquilla, di tanto in tanto udiva un po’ di musica messa da due coetanei che si esercitavano a ballare, ma la cosa non guastava.
La giornata era fredda seppur il sole splendesse alto. Come al solito si accomodò in un angolo del campo e alzò lo sguardo per osservare un gruppo di uccelli che, forse, stavano migrando.
Sospirò e chiuse gli occhi. Anche a lui sarebbe piaciuto migrare. Volare via, magari ritornare dalla sua famiglia e poter comunicare di essersi diplomato col massimo dei voti. Ma mancava davvero tanto.
Lasciò che una ventata gli scompigliasse i capelli sulla fronte.
Riaprendo gli occhi però si ritrovò faccia a faccia con l’ ‘’amico’’. Questa volta aveva il bracciale di cuoio sul polso sinistro.
Lanciò un urletto stridulo.
“ AAAAH! Ma cos--… ‘’  Quasi rotolò d’un fianco dato lo spavento.
‘’ Ciao anche a te.’’ Non si fece tanti complimenti e si calò per sedersi sull’erba. Subito prese a giocherellare con la chiusura del proprio bracciale.
<< E’ troppo vicino.. >> Le gote gli diventarono immediatamente rosse. Il suo profumo, lo sentiva così vicino.  Avrebbe tanto voluto carezzargli il viso, sembrava così liscio.
‘’ Vieni anche tu qui dopo pranzo? Mi piace stare sotto al sole. Ma soprattutto mi piace stare lontano da quelle scimmie sedute lì ai tavoli. “  Il ragazzo con gli occhiali annuì, mostrandogli poi un sorriso cortese.
“  Hai ragione. E poi qui c’è il sole che riscalda e l’aria è decisamente migliore. ‘’ Calò così lo sguardo. Non poteva credere al fatto che il solo parlargli gli facesse battere così forte il cuore.
D’improvviso l’ex bullo gli afferrò la mano. Per un secondo aveva temuto di aver perso da qualche parte il muscolo che pompava sangue nel proprio petto.
‘’ Vuoi vedere una cosa? ‘’ Di certo con quello sguardo e con quel tono di voce non poteva rifiutare.  Annuì timidamente e si lasciò trascinare, dimenticando la propria cartella sul prato.
Il suono della campanella che si allontanava sempre più da loro.



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Era l’intervallo, nell’ora di pranzo andavano tutti alla mensa, si riempivano il vassoio di varie pietanze e una bevanda. Nel suo caso, quella bevanda era sempre la stessa, prendeva sempre una coca cola. Un’abitudine, più che altro, neanche egli stesso ci faceva più caso ormai. Gli piaceva, sì, la preferiva all’acqua, ma lo faceva senza pensarci. Neanche i suoi amici avevano notato questa sua abitudine. Così anche quel giorno si sedettero tutti ad un tavolo vicino una finestra marchiato come loro. Iniziarono una conversazione che riguardava la scuola, gli alunni, i professori, la prossima partita della squadra… Le solite cose. E lui rimase sempre ai margini della conversazione, rispondendo solo se interpellato. Aveva preso del pollo fritto e la sua coca cola, che al momento stava sorseggiando tranquillamente, guardandosi intorno. Lo faceva spesso, trovava interessante ciò che succedeva intorno a lui. Gli piaceva osservare cosa facevano gli altri: le finte relazioni tra ragazzi, sia per quanto riguardava le amicizie sia l’amore, lui riusciva sempre a capirlo, i rapporti d’odio, gli sguardi d’intesa…
A volte si ritrovava ad osservare anche scene di prepotenza. Il solito gruppetto di bulletti che prende di mira un ragazzo. Le scuse erano le solite…
‘è uno sfigato.’
‘è brutto.’
‘è gay.’
‘Troppo alto.’
‘Troppo basso.’
Non importava quale era. Il loro obbiettivo era sentirsi superiori. A lui non interessava chi aveva la peggio. Lui rimaneva semplicemente ad osservare, da lontano. Un po’ come mandava avanti la sua vita. Senza intervenire personalmente, lasciava che gli eventi scorressero.
Giusto il giorno prima, aveva visto un ragazzo molto alto -lo stesso che in quel momento stava entrando nella mensa- venire malmenato da un gruppo di idioti. Non era la prima volta, era già successo in precedenza, ma qualcuno stavolta era intervenuto. Voleva vedere davvero come si sarebbe evoluta la storia.
Nel frattempo, il suo sguardo si era spostato su un tavolo al centro della mensa, quello più affollato di qualsiasi altro. Essendo quello più affollato, era anche quello più rumoroso.
Vide un gruppo di una decina di ragazzi che mangiavano, ridevano e parlavano tra di loro come se fossero tutti amici molto stretti. Ad un certo punto, altri due ragazzi si unirono a quel tavolo. Impossibile non notarli, dato che uno dei due aveva capelli rosso fuoco. Non era molto alto ma neanche basso, di corporatura molto magra, mentre il ragazzo accanto a lui era più basso, castano e aveva un ciuffo che quasi gli copriva gli occhi. Ma quello che più lo colpì fu il suo sorriso… era vero e sincero.
Un sorriso che lui non sapeva neanche da quanto lui tempo teneva nascosto.
Qualcuno del suo gruppo lo riportò alla realtà ponendogli una domanda e solo allora distolse lo sguardo, tornando a posare la sua attenzione sulla conversazione.
Una volta finito, diede l’ultima occhiata a quel tavolo. Ora tutti si erano alzati, stavano sparecchiando sapendo del suono imminente della campanella.
Ancora una volta guardò il ragazzo castano, che invece era rimasto seduto. Stava addentando la sua mela, ed era fermo, probabilmente ascoltando attentamente ciò che il ragazzo seduto di fronte a lui stava dicendo. Non poteva saperlo, dopotutto aveva di faccia il castano e l’altro gli dava le spalle. Quando quest’ultimo si alzò, i suoi occhi incrociarono per un secondo quelli del ragazzo bassino, quindi distolse subito lo sguardo e al suono della campanella, si alzò, insieme ai suoi compagni e buttò ciò che era rimasto nel suo vassoio. Poi tornò in classe, per riprendere le sue lezioni.
 
Dopo le lezioni, effettuò come sempre gli allenamenti con la squadra di basket nella palestra della scuola e quando finì anche quelli, si diresse in un piccolo campo dove erano presenti due canestri. Si esercitava sempre un po’ da solo lì, lo rilassava e si sfogava. Amava quel posto perché era silenzioso e non andava mai nessuno. Poteva rimanere finalmente da solo.
Dopo una mezz’oretta decise di andare via, prese la sua borsa e iniziò a percorrere la strada di casa, quando si accorse di aver dimenticato lì la sua asciugamano.
Perciò corse indietro per andare a recuperarla, ma quando arrivò al campetto, sentì una canzone ad un volume abbastanza alto e vide lo stesso ragazzo castano della mensa al centro mentre ballare una coreografia di quello che gli sembrava hip hop.
Rimase fermo, immobile a guardarlo. Sembrava davvero bravo, e riusciva a trasmettergli emozioni quando ballava. Oltre il suo sorriso, non pensava ci potesse essere qualche altra cosa che potesse colpirlo di lui. Eppure era già la seconda volta che rimaneva ammaliato da quel ragazzo nella stessa giornata. Quando la musica finì, il castano si accorse della presenza dietro di lui e si voltò a guardarlo.
Il più alto fece semplicemente un inchino, quasi di scusa, come se fosse colpa sua se si fosse interrotto e corse a prendere la sua asciugamano, posata sul muretto.
“Scusa, devi allenarti?” Chiese il castano, che nel frattempo aveva fermato la musica che proveniva dal suo smartphone.
“No, ho già fatto, avevo dimenticato l’asciugamano e sono venuto a riprenderla.” Disse l’altro, con voce fredda. Avrebbe voluto complimentarsi con lui in realtà, ma come al solito le parole gli morirono in gola. Era una sensazione strana, come se volesse davvero conoscerlo, non gli capitava da molto tempo.
“Ah… Vieni spesso qui? Non ti ho mai visto…” Dal canto suo, il ragazzo bassino cercava di istaurare una conversazione, lo aveva visto appena nell’ora di pranzo, ma era diventato subito curioso.
“Sì, quasi sempre.” Voleva scappare. Non gli piaceva l’evolversi della cosa, non era pronto ad aprirsi a qualcun altro. E in qualche modo aveva capito che quel ragazzo sarebbe riuscito nell’intento. Così infilò l’asciugamano nella borsa e salutò velocemente l’altro ragazzo. Si girò e corse di nuovo verso casa.
Sperava di non vederlo mai più. Sperava che quella fosse stata la prima e ultima conversazione con quello sconosciuto che sembrava l’opposto di lui.
Improvvisamente si trovò ridicolo. Capì di star mentendo a sé stesso.
Sperava di incontrarlo il più presto possibile. Il giorno dopo, tra qualche ora… Anche in quello stesso momento.


 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 - Non solo coincidenze. ***


L’aveva portato lontano dal campetto per un bel po’ di metri.
Eppure avrebbe voluto tenergli la mano per molto di più, anche se comunque la scena di quel ragazzo tanto alto che veniva trascinato via a passo veloce era tutt’altro che romantica.
Tuttavia la vicinanza con colui che così lo scuoteva dall’interno, il poter tenere le falangi tra le sue, lo rendeva stranamente felice.
Non riusciva però a darsi una spiegazione ragionevole. Il fatto che il cuore gli fosse praticamente saltato in gola, forse era semplice tachicardia.
Arrivati a destinazione, l’ex bullo prese a comportarsi in modo strano.
‘’ Quello che stai per vedere deve assolutamente rimanere tra di noi.
Fanne parola e giuro che ti faccio riguadagnare tutte le botte che ti sei scansato.’’
Aveva ripetuto frasi del genere più e più volte, e si era convinto solo quando il più alto aveva seriamente rischiato di slogarsi il collo a forza di annuire.
Così con fare da chi nascondeva un carico di droga si piegò, scoprì la piccola fossetta e.. mostrò un cestino miagolante.
Cioè, non che il vimini miagolasse, ma i quattro cuccioli di gatto che erano dentro sì.
Erano in salute, in carne e avevano sicuramente voglia di giocare, dato che appena videro il ragazzo gli saltarono addosso.
Zhou Mi allargò un enorme sorriso.
Quel ragazzo duro, dai bracciali borchiati, dallo sguardo cupo era lì, immerso da piccole pallette di pelo che miagolavano.
Si muovevano fugaci e con euforia tra le sue mani e sulle sue gambe, ormai completamente poggiate sul terreno.
Ma una cosa ancora più sconcertante lo colpì.
Il moro aveva preso a sorridere, a guardare con dolcezza quelle piccole creaturine.
Si piegò sulle ginocchia riducendo la sua altezza, prendendo un cucciolo e tenendolo in un palmo della mano.  Quel lato dell’ex bullo lo sorprendeva ma allo stesso tempo lo tranquillizzava.
‘’ Ti prendi cura di loro tutti i pomeriggi? Che bel gesto..’’ Zhou Mi avrebbe voluto aggiungere altro, ma si contenne quando l’altro gli lanciò uno sguardo intimidatorio.
‘’ Fanne parola con qualcuno e farò in modo che non ci sia più un arto del tuo corpo che non sia frantumato almeno in cento pezzi.’’
‘’… Penso di aver afferrato il concetto.’’ Detto ciò, tornò a giocare col gattino che aveva preso a mordicchiargli un dito.
Così passarono la pausa pranzo, non rivolgendosi però la parola una volta rientrati nell’istituto.
Aveva visto l’icona dell’apatia giocherellare con dei cuccioli. Era stato traumatizzante quanto lo sarebbe stato vedere Homer Simpson in palestra.



L’atmosfera tipica del crepuscolo aveva ormai ricoperto tutto lo spazio in cui si estendeva la scuola e i pochi edifici adiacenti.
Zhou Mi s’incamminava verso il cancello aria sognante. Pensava ancora a quello ch’era successo poche ore prima, tuttavia non riusciva a capire delle cose.
Perché aveva mostrato il suo ‘segreto’ proprio a lui? Perché, durante quel tempo passato insieme, lo aveva guardato più e più volte per poi distogliere lo sguardo ad una sua occhiata? Ma soprattutto, perché non voleva che le altre persone non venissero a conoscenza del suo lato dolce?
Non immaginava che di lì a poco avrebbe ricevuto la risposta ad ogni sua domanda.
Svoltato l’angolo della breve stradina , che lo separava dal suo monolocale preso in affitto per i mesi scolastici, Zhou Mi si trovò d’avanti una scena alquanto strana.
Il proprio ‘amico’ (ancora non aveva capito se poteva definirlo tale) , era fermo poggiato al portone che separava la strada dall’ingresso del complesso di appartamenti.
Che fosse solo una coincidenza? Decise di non pensarci più di tanto e di frugare con nonchalance nelle tasche, pescando le chiavi.
‘’ Ohè, ciao! ‘’ provò a dire con un tono che risultò tutt’altro che naturale.
Quando l’altro alzò il viso, sussultò.
Aveva gli occhi rossi, l’espressione scossa, quasi come se avesse pianto. Pianto? No, impossibile.
Tuttavia non ebbe modo di farsi altre domande, dato che l’altro entrò e, come se fosse una delle sue proprietà, raggiunse la porta dell’appartamento di Mimi e lo aspettò in silenzio.
Cosa avrebbe dovuto fare? Era pericoloso? Nonostante si fidasse ciecamente dell’altro, era vero che non avevano mai approfondito il loro rapporto, quindi qualcosa di rischioso c’era.
Ma Zhou Mi scartò immediatamente questi pensieri e si avvicinò per aprire.
Tempo un paio di secondi ed erano entrambi dentro.
‘’ Scusa il disordine, tee hee..!’’ il più alto ridacchiò nervosamente, richiudendosi quindi la porta alle spalle.
‘’ Io entro in casa tua senza dire una parola e questo è tutto ciò che riesci a dire.
Sei proprio un idiota.’’ Chi pronunciò questa frase ben presto fu vicino al ragazzo, in quello che sembrava un abbraccio.
Nei suoi occhi si poteva leggere stupore, sgomento, confusione. Sentimenti di gran lunga inferiori a quello che in quel momento gli stava guidando le braccia a stringerlo a sé.
‘’ … Raccontami tutto.’’ Mormorò. 

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Il ragazzo era sotto la doccia, dopo aver provato un paio di volte le sue coreografie. Ballare lo faceva sfogare, cacciare fuori tutto. Si dimenticava per un po’ dei suoi problemi e smetteva di pensare a quanto fosse stata ingiusta la vita con lui.
Non si lamentava mai, odiava farlo, soprattutto con gli altri. Ma ogni tanto, nei rari momenti in cui era da solo finiva per pensarci e le lacrime finivano sempre per uscire a fiumi. Nonostante volesse dimostrare il contrario, dentro moriva ogni volta che pensava a qualche anno prima, a quanto era felice prima che succedesse la tragedia.
Era un ragazzo davvero sensibile, e forse proprio per questo riusciva a capire gli altri con un semplice sguardo.
Sotto il getto dell’acqua calda, chiuse gli occhi e gli tornò in mente il viso del ragazzo visto giusto qualche ora prima.
Era un ragazzo strano. Aveva un comportamento strano. Quasi volesse evitarlo, quasi avesse paura di lui.
Un sorriso comparve sulle sue labbra quando quel pensiero gli passò per la testa e aprì gli occhi.
Non faceva paura neanche ai ragni, anzi! Lui aveva paura dei ragni!
Però qualcosa gli rimase impresso di quello sguardo. Era spento, rassegnato. Aveva avuto la sensazione che i suoi occhi gli gridassero di salvarlo.
Rimase immobile a fissare un punto indefinito avanti a lui, mentre mille pensieri gli passavano per la testa, l’acqua che continuava a scendere su di lui.
Lo squillo del telefono lo riportò alla realtà. Con un sussulto, sbattette le palpebre, si girò e chiuse la manipola dell’acqua, poi uscì dalla doccia, entrò nell’accappatoio, prese il telefono e rispose.
“Hyung!” Disse, mentre si scuoteva i capelli con un asciugamano.
“Yah! Sono ORE che ti chiamo! Ma non lo senti il cellulare?”
Scoppiò in una risata che fece abbastanza infuriare l’altro.
“Scusami, hyung, ero sotto la doccia. Che cosa dovevi dirmi di così importante?”
“Andiamo al cinema. Ho già chiamato ‘casco di banane’.”
Il ragazzo scoppiò a ridere.
“Oh, hyung, lo chiamerai così ancora per molto?”
“FIN QUANDO NON AGGIUSTA QUEI CAPELLI. E’ ORRENDO COSì.”
Mentre l’altro parlava cercò di tenere a freno le risate.
“Va bene hyung, un quarto d’ora e sono pronto, mi passi a prendere tu?”
“Sì, io e quel coso. A dopo!”
Attaccò il telefono e andò a vestirsi.
 
Un’ora dopo era al cinema con gli altri due suoi amici, in sala a vedere il film. Da bravi otaku quali erano, amavano quel genere di film, il più bassino li aveva accompagnati solo per solidarietà. Quando finì i popcorn si alzò per andarne a comprare degli altri, ma alla fila del bar vide una persona a lui conosciuta.
Qualcuno che aveva visto solo qualche ora prima.
Il ragazzo alto del campetto di basket. Era con una ragazza, lei la conosceva bene. Era una delle più carine a scuola, di quelle che non passano inosservate, sempre gentile e sorridente. Un po’ troppo, per i suoi gusti. Troppo finta, si vedeva benissimo.
Ma dopotutto lui era bello, e giocava a basket, il che voleva dire che gli piacevano quel tipo di ragazze. Si avvicinò alla cassa e ordinò altri popcorn.
Nel frattempo i suoi due amici lo raggiunsero, dato che il primo tempo era finito.
Il ragazzo più alto posò nuovamente lo sguardo su di lui, ma stavolta se ne accorse subito, dato che lo stava fissando da almeno dieci minuti. Vide un mezzo sorriso apparire sulle sue labbra e sparire di colpo, così come era apparso quando la ragazza lo trascinò in sala. Stavano vedendo un film romantico.
“Lo conosci?”
Gli chiese il suo amico dai capelli rossi.
“No, l’ho visto prima, mentre facevo pratica.” Rispose prendendo i suoi popcorn e rubandone uno.
“Come potete non conoscerlo? È il capitano della squadra di basket, è uno dei ragazzi più belli della scuola ed è il numero uno per quanto riguarda i risultati nello studio. Sul serio, ma dove vivete?”
“Non me ne importa niente, casco di banane, e sappi che sembra che te ne sei innamorato.”
“Io? Innamorato? Di lui? Ma non lo sai che esce con tutte le ragazze che vuole? Tsk. E poi, io amo solo il mio ragazzo.”
Detto ciò, girò i tacchi e se ne andò in sala offeso.
Non lo era davvero, il castano lo sapeva, e adorava questo suo comportamento infantile.
“Perché lo fai sempre arrabbiare, hyung?”
“Diverte te, quanto diverte me. Comunque, è davvero carino!”
“Hyung, per l’amor di Dio, torniamo in sala, prima che se la prenda davvero.”
I due si incamminarono ridendo e scherzando abbastanza, presero posto e fecero unire l’altro ragazzo alla loro conversazione. Iniziato di nuovo il film, il bassino potette tornare ai suoi pensieri.
Perché non lo aveva mai notato? Aveva così tante belle cose dalla sua parte… eppure si confondeva così bene tra la massa… Gli ispirava simpatia e… tristezza. Ecco cosa. Sembrava davvero triste. Anche come era cambiato il suo sguardo quando si era accorto di essere fissato e quando la ragazza lo aveva portato alla realtà. In un primo momento sembrava divertito… poi tornò la sua espressione fredda.
Voleva davvero conoscerlo… non sapeva neanche lui perché.
“Hyung, ti è mai capitato di voler conoscere una persona, senza un motivo preciso?”
“Non so, ne parliamo dopo, mh?”
Si era totalmente dimenticato del film. Rimase in silenzio giocherellando con il cellulare e di tanto in tanto scocciava l’amico seduto affianco a lui.
Alla fine il film finì, e tra i commenti degli unici due che avevano lo avevano visto, uscirono. Appena fuori dalla sala, il bassino si guardò intorno e ancora una volta i suoi occhi incrociarono quelli del ragazzo più alto.
“Aish…” Brontolò, abbassando subito lo sguardo e si precipitò dai suoi amici, provando a seguire la conversazione.
Ma con scarsi risultati.
Voleva sapere perché se lo ritrovava sempre d’avanti. Perché sembrava che gli interessasse tanto. Insomma, era uscito con la sua ragazza e continuava a fissare uno sconosciuto ogni volta se lo trovava d’avanti! Ma poi un tempo non era cattiva educazione fissare tanto una persona?
Come sempre, quando pensava troppo e non riusciva ad arrivare ad una soluzione plausibile, un piccolo broncio si formava sulle sue labbra.
E non appena apparve una risatina arrivò al suo orecchio. Alzò di nuovo lo sguardo e vide ancora lo stesso ragazzo che si copriva le labbra. Stava ridendo. Non sapeva perché o quale fosse la causa, ma ora che rideva il suo volto era illuminato, era ancora più bello di prima. Senza accorgersene, il broncio si trasformò in un sorriso involontario, e poi realizzò.
Il broncio, il motivo per cui i suoi amici lo prendevano sempre in giro… Stava ridendo a causa sua… ma di una cosa che odiava. Però non riusciva a sentirsi arrabbiato… non come quando i suoi amici lo prendevano in giro. Aspettava, ma la rabbia non arrivava.
Non sapeva neanche perché ma era davvero felice di aver visto quel sorriso, e in qualche modo, era felice di esserne la causa.
Voleva vederlo più spesso così.
In quel momento decise che in qualunque modo avrebbe dovuto conoscere quel ragazzo.
E, testardo com’era, tutti sapevano che quando si metteva in mente qualcosa, sarebbe morto piuttosto che non compierla.


 

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