Parabatai - Closer Than Brothers

di Ari Youngstairs
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The Ceremony ***
Capitolo 2: *** Snow, Battles and Jealousy ***
Capitolo 3: *** Izzy's Specialty ***
Capitolo 4: *** The First Hunt ***
Capitolo 5: *** Happy Birthday, Jace ***
Capitolo 6: *** Play To Me... ***
Capitolo 7: *** I Trust You ***
Capitolo 8: *** Until The End ***
Capitolo 9: *** Quarrels and Confessions ***
Capitolo 10: *** Stay With Me ***
Capitolo 11: *** Yes, It's a Good Thing ***
Capitolo 12: *** The Day Before All ***



Capitolo 1
*** The Ceremony ***





The Ceremony 

~ 8 anni prima del Pandemonium ~


 
Alec non si era mai sentito così agitato in tutta la sua vita. 
Ormai era davanti allo specchio da...da quanto? Non lo sapeva più neanche lui, dato che ormai aveva perso il conto di tutte le volte che aveva gettato un'occhiata all'orologio: la cerimonia sarebbe stata alle sette.
Si ripeté per l'ennesima volta di stare calmo, ma nonostante ciò, l'agitazione e l'ansia continuavano a divorarlo. 
Chissà se anche Jace era agitato così come lo era lui...infondo, stavano per diventare Parabatai, e una volta disegnata la runa, non sarebbero più tornati indietro.
Suo padre non aveva potuto raccontargli nulla della cerimonia, apparte il fatto che sarebbero dovuti andare nella città di ossa per incontrare i Fratelli Silenti. Dopo di che, lui e Jace sarebbero dovuti restare da soli nelle loro fredde, gelide e innaturali mani senza unghie.
Chissà se avrebbe fatto male...ma questo per Alec era un pensiero superficiale, in confronto a ciò che sarebbe successo dopo. 
Lui e Jace sarebbero rimasti vincolati l'uno all'altro per tutta la vita, senza eccezioni, senza distanze.
Era tremendamente emozionante tutto ciò..."chissà se lui prova lo stesso", pensò prima di guardare nuovamente l'orologio appeso alla parete della sua stanza: mancavano poco più di dieci minuti.



Jace prese l'asciugamano e se lo avvolse intorno alla chioma bionda e fradicia d'acqua.
Si vestì con la tenuta da cacciatore che trovò pronta sul suo letto, nera e potente: era la prima volta che la indossava, eppure era tremendamente comoda e familiare, come se la usasse da anni.
Lanciò via l'asciugamano e si infilò un paio di stivali in pelle color pece, poi si diresse verso il grande specchio adagiato accanto all'armadio semi vuoto.
Sembrava più grande di quanto fosse in realtà, con i capelli scompigliati a coprirgli gli occhi dorati, gli abiti color petrolio, la runa della precisione che gli si intravedeva sul collo...si stupì di se stesso.
"Manca il tocco finale"
Aprì l'armadio ed estrasse quello che era l'ornamento fondamentale di ogni Nephilim: una cintura in cuoio da cui pendevano diverse armi corte ed affilate, pugnali, manici...e lo stilo, simile ad un bastoncino nero come tanti.
Dopo essersela avvolta intorno alla vita, si avviò fuori dalla camera e si diresse in giardino, dove Robert e Alec lo stavano aspettando.



Il vento frusciava lieve tra le lapidi del cimitero, rendendo l'atmosfera ancora più spettrale e inquietante.
Le foglie dai colori infuocati che scricchiolavano sotto i loro piedi confermavano la stagione appena arrivata, gelida e gonfia di nuvole scure come al solto.
Robert teneva per mano i due bambini, rassicurandoli sul fatto che non dovevano aver paura dei fratelli silenti: una volta erano Shadowhunters come tanti altri che avrebbero dovuto soltanto effettuare la cerimonia, non era nulla di che...ma non era facile per entrambi.
Infondo, non erano altro che due bambini che stavano per legarsi l'uno all'altro, e lo avrebbero dovuto fare sotto gli sguardi assenti di tizi senza occhi e senza labbra.
Quando videro uno dei Fratelli avvicinarsi, entrambi si nascosero dietro il corpo robusto di Robert, che sorrise divertito.
«Avanti ragazzi, non dovete aver paura di Fratello Zaccaria...vi accompagnerà lui. Forza, fatevi vedere»
I due bambini si sporsero, potendo vedere il volto del Fratello Silente che si stagliava imponente davanti a loro...non era affatto come se lo erano immaginato. Lui li aveva gli occhi, di un bel colore argento che scintillavano anche senza nessuna luce a illuminarli. E poi, da sotto il cappuccio della lunga tunica grigia che indossava, riuscirono ad intravedere un timido sorriso, caldo e rassicurante.
«Io rimarrò qui» Dichiarò Robert «Quando uscirete sarete...speciali».
Jace e Alec non capirono il significato di quell'aggettivo, ma più in assoluto, non volevano che loro padre li lasciasse in balia di quelle strane persone. 



Quando l'uomo li prese per mano, entrambi riuscirono a percepire il calore flebile che emanava. Ma era davvero uno dei Fratelli Silenti che temevano tutti?
Arrivati davanti ad una grande inferriata, fratello Zaccaria l'aprì rivelando una rampa di scale vecchie e smussate, che permettevano l'ingresso alla città.
Subito vennero travolti dall'odore di sangue stantio che imbrattava le pareti, ma quella strana sensazione venne subito repressa dall'emozione di ritrovarsi nella stanza delle cerimonie: era piuttosto grande, la spada dell'angelo pendeva dal soffitto, come per ricordar loro quanto fossero deboli senza di lei...e per finire tutti i Fratelli, seduti lungo le pareti della stanza su dei alti troni di pietra.
Zaccaria lasciò le loro mani per unirsi agli altri Fratelli, che cominciarono a intonare una melodia cupa e profonda, che saliva di intensità ogni secondo che passava.
I due estrassero gli stili, le cui punte scintillavano come stelle. Era il momento di disegnare la runa.
Alec vide Jace alzarsi la manica del braccio sinistro, scoprendo la pelle ambrata della spalla. Lo imitò, tentando di ignorare la melodia inquietante e potente dei Fratelli.
Lui e Jace, a casa, avevano provato quella scena almeno un centinaio di volte.
"Stai calmo", si ripeté il moro. "Pensa soltanto a disegnare bene la runa".
 Sentì il bruciore dello stilo sulla propria spalla come un ago di fuoco.
Anche Jace sembrava avere difficoltà: essere tatuati e tatuare nello stesso momento richiedeva una resistenza e una concentrazione assoluta.
«Dite il giuramento» Dissero all'unisono i Fratelli Silenti, con una voce roca e profonda che avrebbe fatto accapponare la pelle a chiunque.
I due alzarono lo sguardo, incatenandolo l'uno all'altro: oro contro zaffiro. 
Presero un lungo respiro, preparandosi a dire il giuramento all'unisono, poiché sarebbe stato proprio quello a sigillare la runa sulla pelle di entrambi, ancora calda e fumante come brace.
« Dove andrai tu andrò anch’io; dove morirai tu morirò anch’io, e vi sarò sepolto: l’Angelo faccia a me questo e anche di peggio se altra cosa che la morte mi separerà da te. »
Le rune parabatai esplosero di luce, i due fratelli caddero sulle ginocchia, senza respiro, e si presero per mano un attimo prima di svenire.



Alec si risvegliò nel suo letto, con la testa che sembrava voler esplodere da un momento all'altro per il dolore.
Notò che aveva il braccio fasciato, ma nonostante le bende, il suo sangue aveva macchiato il lenzuolo candido.
Cercò di ricordare cosa fosse successo, tentando di ignorare il dolore che gli martellava la testa: la melodia dei Fratelli Silenti, il bruciore dello stilo sulla pelle, gli occhi di dorati di Jace e la sua mano, mentre stringeva la sua. E poi il buio.
Guardando l'orologio si accorse che aveva saltato la cena, e anche che era notte fonda.
La porta della stanza si aprì abbastanza da lasciar intravedere una chioma bionda scompigliata, che nascondevano un piccolo naso e un timido sorriso.
«Posso entrare, Alec?»
«Si, entra pure»
Jace fece il suo ingresso nella stanza, e Alec non si sorprese nel vedere che anche lui aveva il braccio fasciato e sporco di sangue.
Sapevano che all'inizio si sarebbero sentiti così...deboli, ma sapevano anche che sarebbe durato poco, prima che riacquistassero le forze.
«Da quanto sei sveglio?» chiese Jace sedendoglisi accanto.
«Da adesso...» il moro gli fece posto nel letto, e nonostante questo fosse piuttosto stretto, i due stavano senza problemi sotto le coperte leggere. 
«Fra poco saremo fortissimi» esultò il biondo spalancando le braccia «Però Maryse ha detto che dovremmo riprenderci, prima di diventare VERI Parabatai...» sbuffò.
Ad Alec venne da ridere, perché sapeva quanto Jace fosse impaziente, e doveva ammettere che anche lui non vedeva l'ora di provare la nuova runa.
«Allora, tanto vale fare una dormita» Constatò il moro tirandosi su le coperte fino al naso. Entrambi si accorsero di essere stanchissimi dopo tutti gli avvenimenti di quella giornata, che aveva legato indissolubilmente le loro vite.
«Buona notte, Parabatai» 

 





Angolo Autrice
Eccomi qua con la mia prima multi capitolo!
Era una vita che desideravo scriverla, e finalmente ci sono riuscita. Spero che vi piaccia, non sapevo come iniziare e mi son detta: "Perchè non con la loro cerimonia da Parabatai?"
Spero che sia di vostro gradimento, dato che io adoro il legame Parabatai Alec+Jace.
Sareste così gentili da lasciare una piccola recensione? Se si, vi ringrazio di cuore .
Alla prossima!

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Capitolo 2
*** Snow, Battles and Jealousy ***





Snow, Battles and Jealousy

~ 8 anni prima del Pandemonium ~


Jace si svegliò più tardi del solito quella mattina, e subito si accorse che era tutto troppo...calmo, non si era mai svegliato con tanto silenzio.
Scostò le coperte e si stiracchiò come se non lo facesse da anni, per poi dirigersi a piedi nudi verso la cucina.
«Ben svegliato, Jace» lo accolse Maryse con una tazza di latte fumante in mano, che versò in uno dei tre bicchieri di vetro posti sul tavolo.
Il biondo prese uno dei biscotti dal vassoio argentato che vi era stato appoggiato e lo immerse facendo passare il latte da bianco candido a marrone cioccolato.
« Alec e Izzy sono già svegli. Di solito sei sempre tu a svegliarti per primo.»
«Ero...solo un po' stanco stamattina» Disse bevendolo tutto d'un sorso, lasciando che una traccia di cacao gli disegnasse una striscia scura sopra il labbro.
«Sarà per colpa della neve»
«Cos'è la neve?»
La donna rimase ferma a fissarlo con la bocca semi aperta: si era dimenticata che Jace veniva da Idris, e a Idris non nevicava mai, al massimo pioveva. 
Le faceva un po' di compassione quel bambino, anzi, gliene faceva davvero tanta...era stato costretto a vedere suo padre morire e poi era stato trasferito in casa di perfetti estranei.
Fortunatamente aveva subito stretto amicizia con Izzy e Alec, tanto che quest'ultimo aveva accettato di diventare suo Parabatai quasi subito.
«La neve è bellissima» Gli disse con un sorriso «È acqua congelata...come se piovesse, ma l'acqua è di ghiaccio»
Jace si alzò di scatto, passandosi le mani tra i capelli dorati:
«È terribile! Stai dicendo che moriremo tutti...ghiacciati!?»
La donna si sistemò una ciocca corvina dietro le spalle, un attimo prima di scoppiare a ridere.
«Ma no! Vai da Alec, è in camera sua, te la farà vedere lui la neve. Ti piacerà tanto, vedrai»
Jace lasciò la stanza con un'espressione interrogativa stampata sul volto, mista ad una forte curiosità e rabbia.
Maryse aveva riso perché lui non sapeva cos'era quella stupidissima neve..."bha", pensò, "Infondo sarà solo acqua fredda".
Ma lui non aveva idea dello spettacolo che lo attendeva fuori dalla porta dell'istituto.



Il Nephilim era tranquillamente adagiato allo schienale del letto, immerso nel suo nuovo libro. Gli piaceva tantissimo, parlava di una ragazza francese che era stata costretta a vivere con una bestia in una fortezza per salvare suo padre. La fortezza era incantata e popolata da umani, che erano stati tramutati da una fata in oggetti di mobilio a causa della cattiveria del loro principe, che però venne tramutato in un orrenda bestia.
La protagonista era molto bella...eppure si innamorò del principe colpito dalla maledizione.
Odiava ammetterlo, ma...era davvero uno che amava il romanticismo, le favole, le fiabe, le avventure. Era il suo segreto, e tale doveva rimanere.
Jace irruppe nella stanza e Alec nascose il libro sotto il cuscino, sorpreso.
«Jace! Ma che cosa...»
«Spiegami cos'è la neve»
Alec lo guardò con aria perplessa.
«Maryse mi ha detto che lo sapevi, e che mi sarebbe piaciuto» lasciò intravedere la rabbia incrociando le braccia al petto.
Il moro lì per lì non capiva il perché di tutta quella rabbia, ma poi ricordò che Jace del mondo al di fuori Idris non conosceva granché...per lui la neve era una novità.
Sorrise all'amico che lo guardò interrogativo.
«Seguimi» e lo strattonò a forza fuori dalla stanza, ignorando le sue proteste forse troppo "piccanti" per un bambino della sua età.



«Allora, pronto?» Chiese Alec con la mano sulla maniglia del portone, pronto a spalancarlo.
«Ma è davvero così bella questa neve? E...e perché mi hai costretto a vestire così?» chiese indicando il proprio abbigliamento, munito di sciarpa, guanti e giubbetto imbottito.
«Perché la neve è fredda, ed è più bella di quello che pensi, caro Parabatai»
E così detto, prese con entrambe le mani il portone e lo spalancò, inondando l'atrio dell'istituto di luce e gelo.
Jace non aveva mai visto nulla del genere, nulla di così...bianco. 
Un manto candido che dominava sull'intera New York, tanto che il giardino dell'istituto ormai non era più distinguibile da tutto il resto.
Soltanto il grande abete che si innalzava verde e potente all'interno del cortile faceva da punto di riferimento in mezzo alla distesa di neve fresca e scintillante sotto il sole invernale, troppo debole per scioglierla.
Alec si voltò per guardare l'espressione di Jace, non riuscendo a trattenere un sorriso divertito: aveva gli occhi sbarrati dalla meraviglia, la bocca spalancata (da quando Maryse gli aveva detto che potevano entrarci le mosche, non lo aveva più fatto) e sembrava non volersi muovere dalla soglia dell'istituto per non rovinare quel mantello invernale.
«Allora? Dai, vieni! Facciamo una battaglia di neve, ti va?»
Gli chiese il moro prendendo un mucchietto di neve che appallottolò.
«Battaglia di neve? Come si gioca?» 
Alec lanciò la palla di neve proprio sul volto del biondo, che vi passò una mano sopra per rimuoverla, mostrando un sorriso di sfida al fratello.
«Preparati. A. Morire.» e così detto, la battaglia ebbe inizio.



Isabelle stava osservando la scena dalla finestra della propria camera, giocherellando con una delle treccine che trattenevano i lunghi capelli corvini.
Ormai era da più di venti minuti che Alec e Jace erano impegnati nella loro battaglia, ridevano, si gettavano in mezzo la neve...sembravano davvero divertirsi.
Erano parabatai da poco eppure si erano già isolati dal resto del mondo, perché ora per Jace c'era solo Alec, e per Alec c'era solo Jace.
Diede un calcio al muro e si gettò sul letto, tentando di trattenere le lacrime salate che le pizzicavano gli occhi.
Lei non aveva altri amici apparte loro due, neppure un'amica con cui parlare di cose normali.
"Tu non sei normale", si disse lasciando vincere il pianto, impaziente di sfogarsi.
Le invidiava, le mondane: loro non temevano la propria morte o quella dei loro parenti ogni giorno, non temevano creature orripilanti provenienti dall'inferno, non avevano bisogno di imparare ad uccidere fin dall'infanzia. Avevano preoccupazioni futili e sciocche, come piacere ad un ragazzo, stare attente ad abbinare i vestiti o apparire belle e disinvolte.
Lei aveva soltanto loro due, e l'ultima cosa che voleva era perderli.
Sentì bussare leggermente alla porta e pronunciò un debole "avanti".
Alec fece il suo ingresso sorridente, con i capelli mori arruffati e bagnati dalla neve, ma quando vide la sorella piangere cambiò subito espressione.
«Izzy...che cosa...»
«Vattene via, torna da Jace» gli disse affondando la faccia nel cuscino soffice.
Fu a quel punto che Alec capì la gelosia di sua sorella nei confronti di Jace, e anche se gli dispiaceva ammetterlo, aveva ragione. Forse nell'ultimo periodo era stata un po' trascurata.
«In realtà...io ero venuto per chiederti se ti andava di giocare con noi» lei sollevò la faccia dal cuscino, più che sorpresa.
«Dici...sul serio o solo perché ti faccio pena?»
Alec le passò una mano sulla guancia per asciugarle una lacrima, poi l'abbracciò tanto forte da farle male.
«Io ti voglio bene Izzy, e anche Jace te ne vuole. Mi dispiace...CI dispiace di averti trascurata. Per favore, vieni a divertirti»
Lei ricambiò di slancio l'abbraccio e scombussolò con una mano i capelli corvini del fratello, così simili ai suoi.
Una palla di neve li colpì in pieno facendoli sobbalzare, e quando si voltarono in direzione della porta, videro Jace con il braccio alzato per il tiro appena effettuato.
«BECCATI! HO VINTO VINTO VINTO!» esclamò prima di correre via urlando e saltando di gioia.
«Izzy...» mormorò Alec alla sorella.
«Si?»
«Lo facciamo fuori, vero?»
Si diedero il cinque e si fissarono occhi negli occhi, con uno sguardo ricco di intesa e affetto.
«Contaci. JACE, TREMA DINNANZI AI LIGHTWOOD!» 
E dopo che tutti e tre furono nel giardino di coltre bianca, la battaglia continuò.







Angolo Autrice
Salve! Eccomi qua con questo nuovo capitolo...spero che vi sia piaciuto e che lasciate una piccola recensione...SONO MOLTO ACCETTATE LE CRITICHE, perciò se c'è qualcosa che non vi quadra, vi pregherei di dirmelo assolutamente. Avevo detto che avrei aggiornato domani, ma mi sono ritrovata piena di impegni che me lo impediranno. Perciò ho aggiornato oggi.
Vi ringrazio in anticipo per aver letto e/o recensito


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Capitolo 3
*** Izzy's Specialty ***





Izzy's Specialty

~ 7 anni prima del Pandemonium ~


Regnava il silenzio più assoluto all'istituto di New York, avvolto nel mantello stellato della notte.
Quell'atmosfera surreale venne interrotta dal cigolio di una porta che si apriva lentamente su uno dei tanti corridoi dell'edificio.
Una chioma bionda fece capolino dalla porta, illuminata dal raggio di luce etereo della luna.
Sotto quel bagliore, i capelli del ragazzo Nephilim sembravamo argentati e le rune che gli si intravedevano da sotto il pigiama bianco sembravano più scure che mai.
Attraversò in punta di piedi il corridoio, per poi andare a bussare alla porta di fronte: subito questa si aprì, come se aspettasse soltanto che le sue nocche battessero sul suo legno scuro.
A spalancare la porta era stato un ragazzo moro, con due grandi occhi celesti e un' altezza notevole. 
«Pronto alla missione, fratello?»
«Contaci, fratello»
I due si avviarono lungo il corridoio, cercando di fare meno rumore possibile.
L'oscurità era interrotta ogni tanto dalla luce lunare che penetrava dalle grandi finestre: da quelle, si potevano vedere i palazzi illuminati della grande metropoli. 
Quando passarono davanti ad una stanza apparentemente identica a tutte le altre, si bloccarono di colpo, rischiando addirittura di inciampare l'uno sull'altro.
«Vai piano, Jace. Lei potrebbe sentirci...» bisbigliò Alec all'orecchio dell'amico, che, talmente spaventato all'idea, trattenne per un attimo il respiro prima di passare oltre.
Se lei si fosse svegliata, sarebbe andata a monte l'intera missione.
Ma forse, sarebbe meglio raccontare cosa successe soltanto poche ore prima...



«Ragazzi, la cena è pronta!» una voce femminile chiamò i Parabatai dalla cucina.
«Un secondo Izzy, qui ci stiamo allenando!» rispose uno dei due dalla sala degli allenamenti, situata al piano sottostante.
«Un attimo un corno, Jace! Muovete quelle chiappe e venite in cucina! ADESSO!»
Per tutta risposta, i due Nephilim scoppiarono a ridere, facendo arrabbiare ancora di più Isabelle. In effetti, per l'età che aveva Izzy era davvero una ragazza tutta pepe.
Erano impegnati in un esercizio piuttosto complicato per un mondano, ma per due cacciatori di quell'età era quasi un gioco.
Sicuramente, di tutti gli altri esercizi, quello era il loro preferito: consisteva nel camminare su una trave sospesa a sei metri da terra, legati con una "fune elastica" di sicurezza intorno alla vita. L'equilibrio era essenziale, per uno Shadowhunter.
Jace sembrava molto a suo agio lassù, camminava disinvolto e sicuro con le braccia incrociate sul petto.
Suo fratello Alec, al contrario, barcollava e avanzava lentamente lungo l'asse con le braccia spalancate a mo' di ali.
«Jace...mi...aiuti...a...scendere?» Balbettò.
«Ai suoi ordini, maestà»
Il biondo percorse sicuro il tratto che li separava, per poi dargli un energica spinta da dietro che lo fece cadere tragicamente dalla trave.
«JACE!» 
Quest'ultimo rise divertito vedendo Alec urlare di terrore, per poi buttarsi anche lui nel vuoto, come se dovesse fare un tranquillo tuffo in piscina.
Non era affatto preoccupato, e riusciva ignorare il trambusto che gli scombussolava lo stomaco senza difficoltà.
La corda che teneva i due si tese, bloccandoli a meno di mezzo metro dal pavimento di marmo. Avevano l'aspetto di due enormi ragni coi capelli sparati da tutte le parti.
«Allora, ti sei divertito?» Gli chiese sorridente mentre slegava la corda che lo teneva sospeso.
Il moro prese Jace per il colletto della polo rigorosamente nera, e lo spinse contro il muro, schiacciandolo con tutto il suo peso. I loro nasi si sfioravano, gli occhi azzurri di Alec non erano mai stati inondati in quel modo dal risentimento. Avrebbe voluto...voluto fare chissà cosa, per cancellare quell'espressione di arroganza e menefreghismo che calcava quotidianamente il volto dell'amico.
Il biondo sorrise divertito, sfilandosi poi con facilità dalla presa del giovane Ligthwood, fattasi meno forte non appena aveva sentito il calore del suo sorriso. E mentre Alec pensava con tutto l'odio del mondo a quanto il suo Parabatai fosse bravo a cavarsela sempre, Jace strinse le spalle al ragazzo furibondo con un braccio, scompigliandogli i già incasinati capelli corvini. 
«Sarà meglio andare da Izzy, oppure ci da in pasto ai demoni»
Scherzò Jace trascinando su per le scale il fratello, che, ancora un po' stordito, inciampò qualche volta mentre saliva.
«Lo sai che ne è capace, vero?» Entrambi risero.
«Si, lo so. Ma tranquillo, i demoni non ci mangerebbero mai...o meglio, io sono troppo carino per essere divorato da quei cosi.»
Alec strabuzzò gli occhi prima di tirargli un leggero schiaffo. Sapeva che la modestia di Jace era pari alla capacità di volo di una scimmia. Ovvero nulla.
«Oh, era ora cavolo! Pensavate di restare là in eterno?!»
Gridò Izzy costringendoli a sedersi sul lungo tavolo della cucina, con davanti due grandi piatti fumanti di...
«E COS'È QUESTA ROBA!?» Strillò Jace con orrore, dopo essersi reso conto di cosa stesse fumando all'interno del suo piatto: era una bizzarra poltiglia verdognola, dall'odore indescrivibile. Al suo interno c'erano dei mix di verdure spezzettate, probabilmente andate a male.
«È la vostra cena, cretino. L'ho cucinata io.»
«Ma Izzy...»Interruppe Alec guardando con disgusto la poltiglia «Non era rimasto un po' di cibo cinese in frigo?»
«Già, c'era» rispose lei con un sorriso beffardo mentre si sistemava una ciocca mora dietro l'orecchio «Era delizioso. Adesso mangiate, non avrete altro per stasera. Allora? Forza, voglio sapere che ne pensate»
I due si guardarono perplessi, terrorizzati all'idea di mettere in bocca quell'impasto sinistro e dall'aspetto poco invitante. Jace si avvicinò al fratello per far in modo che Isabelle non potesse sentire ciò che stava per sussurrargli: 
«Non ce la faccio, Alec. Questa roba sembra...»
«Sembra vomito di demone» Terminò l'altro, infilzando il cucchiaio nell'impasto melmoso. A quel punto entrambi ne presero una cucchiaiata e, dopo aver chiuso ermeticamente naso e occhi, l'assaggiarono.
In effetti, forse il vomito di demone sarebbe stato più gustoso: aveva il sapore di purè andato a male con scaglie di verdure marce, e, tanto per completare l'opera,  Izzy aveva messo lo zucchero al posto del sale.
Entrambi resistettero all'incessante impulso di vomitare tutto addosso alla sorella, ma mandarono giù quello che ormai consideravano un inferno.
«È...buono. Brava Izzy, hai talento» Mentì Alec facendo l'occhiolino a Jace, che annuì con il pollice alzato.
«Che bello sono felice che vi sia piaciuto!» Diede ad entrambi un bacio sulla guancia, e con un sorriso a illuminarle il volto se ne andò.
Non appena i suoi passi non furono più udibili, Jace cominciò a strofinarsi la lingua con la maglietta per mandare via quell'orrido sapore di marcio, mentre Alec scelse un approccio più pratico: prese la spazzola che sua madre usava per pulire i piatti, la immerse sotto l'acqua del lavandino per poi ficcarsela in bocca come se fosse un comune spazzolino. Ammali estremi, estremi rimedi.
Il moro notò uno strano luccichio negli occhi dorati del compagno, che passavano dal piatto al soffitto, percorrendo con lo sguardo una linea invisibile. La linea dei suoi pensieri, che, come purtroppo Alec aveva ormai constatato, non promettevano mai nulla di buono.
«Stanotte» mormorò «Stanotte, senza rischiare di incontrare Izzy, ci alzeremo e cercheremo qualcosa di commestibile in frigo. Non vorrei che adesso ci beccasse con le mani nel sacco...altrimenti qui moriremo di fame.»
«Ci sto» rispose immediatamente Alec, contento all'idea di una missione segreta «Tutto, pur di mettere qualcosa sotto i denti»



Finalmente arrivarono in cucina, dove ancora giaceva il cosiddetto "vomito di demone", e subito aprirono il frigo vedendo la loro salvezza: la torta al cioccolato di Maryse, avanzata dalla sera prima.
«Siamo salvi, Jace» Esultò Alec prendendo una fetta di torta. 
Jace lo imitò e cominciarono ad abbuffarsi, sporcandosi entrambi di cioccolata le labbra e i piccoli nasi. E pensare che quel dolce era stato cucinato da Maryse...evidentemente Isabelle non aveva ereditato il suo talento!
«Jace...»
«Si?»
I due si fissarono per qualche secondo, facendo incatenare i loro sguardi.
«Noi...» Alec abbandonò per un attimo gli occhi dorati di Jace, imbarazzato «Noi resteremo insieme per sempre, vero?»
Il biondo sorrise e lo abbracciò forte, scompigliandogli la chioma corvina e selvaggia.
« Certo, anche io ti...» si bloccò, come se avesse dimenticato le parole, o forse, non riusciva semplicemente a pronunciarle. 
«Tu mi...?» aspettò con impazienza che terminasse la frase, anche se sapeva che forse non l'avrebbe mai fatto. Jace aveva un grande cuore, però aveva difficoltà a mostrarlo agli altri nascondendolo con una finta faccia di ironia e sarcasmo.
«IO TI UCCIDO ALEXANDER, ANZI, VI UCCIDO ENTRAMBI!»
I due sobbalzarono due volte: la prima nel sentire la voce infuriata proveniente dalla soglia della cucina, la seconda nel riconoscere chi era l'artefice di quell'urlo: Isabelle, che con ancora il pigiama indosso e le braccia esili incrociate sul petto, sembrava una specie di killer pronta farli fuori con la più truce e dolorosa delle torture.
«Ehm, Izzy...noi...»
«Correte, se tenete alle vostre facce»
Obbedirono subito, senza farselo ripetere due volte.








Angolo Autrice
Salve a tutti! Questo pomeriggio non potrò aggiornare, perciò aggiorno adesso che ne ho la possibilità (eh già, la prof. sta interrogando e mi sono salvata, EVVAI!). Ho terminato da poco la verifica di matematica e spero mi sia andata bene, fatemi gli auguri ✌️.
Mi ha sempre divertita il fatto che Izzy non sapesse cucinare e che Jace e Alec non potessero sopportare la sua cucina. Perciò mi sono detta..."perché non scrivere come lo hanno scoperto?".
E perciò ho scritto questa..cosa. Spero vi sia piaciuta e che lasciate una recensione 💖. Anche piccolissima, ma ve ne sarei comunque grata. Critiche accettatissime, perciò se qualcosa non vi quadra ditemelo.
Grazie a coloro che hanno letto/recensito! 
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Capitolo 4
*** The First Hunt ***





The First Hunt

~ 7 anni prima del Pandemonium ~


I mondani davano un'importanza particolare alla "prima volta": il primo giorno di scuola, il primo amore, il primo sogno nel cassetto...la lista era lunga, ma se Jace era convinto di una cosa è che in quella lista non rientrava la voce "prima caccia ai demoni". 
Soltanto a pensarci, sentiva l'adrenalina ribollirgli nelle vene e mille metodi appresi per uccidere assalirgli i pensieri. Ormai non pensava ad altro da più di una settimana.
Era notte fonda ormai, ma i demoni più pericolosi si cacciano di notte sotto la luna e le stelle, non sotto il sole.
Spalancò l'armadio dell'armeria e rimase incantato dal suo contenuto: appesi vi erano maceti, spade angeliche, dardi avvelenati, fruste, archi, frecce e pugnali, tutti in rigoroso ordine di grandezza e pronti all'utilizzo. C'erano persino dei grandi martelli simili a quello di un supereroe mondano: era in un film che lui e Alec avevano visto qualche giorno prima...come si chiamava?
Abbandonò quei pensieri e sorrise, perché finalmente avrebbe potuto fare ciò in cui era più bravo: uccidere.
Prese un paio di spade che infilò nella faretra dietro la schiena, due coltelli dall'impugnatura d'osso che allacciò alla cintura e per finire lo stilo, che però sistemò nella giacca scura come la notte, pronto per l'utilizzo.
Uscì dall'armeria e fece ritorno alla sua camera; non resistette alla tentazione di rimirarsi allo specchio appena lucidato: si sentiva potente e letale come non mai, armato fino alle ossa e pronto ad uccidere.
Jace uscì e si diresse verso il portone dell'istituto dove Alec lo stava aspettando.
Subito notò che lui si era armato in modo più leggero: una faretra piena di frecce acuminate, l'immancabile arco di legno in pugno e un paio di coltelli che pendevano dalla cintura. Chi avrebbe mai detto che avevano soltanto undici anni? 
«Direi di andare. Hai paura?» gli chiese il moro sorridendo mesto.
«Certo che no, siamo nati per questo» rispose con orgoglio mentre scostava una ciocca bionda dagli occhi «Tu invece?»
In effetti sì, Alec aveva paura. Non aveva mai ucciso neanche un ragno in tutta la vita, almeno non intenzionalmente.
«No, sbrighiamoci» tagliò corto Alec prima che Jace potesse cominciare a sospettare dei suoi timori.
«Siamo impazienti, a quanto pare» commentò con malizia.
No, era l'ultima cosa che Alec avrebbe voluto fare. Però era un ordine di suo padre e una legge dello stesso Conclave: a undici anni i ragazzi dovevano imparare a cacciare da soli, volenti o non volenti. "Dura lex sed lex", dicevano.
«Ti prego...troviamo uno di quei fottutissimi demoni e torniamo qui il prima possibile» 
«Va bene, va bene...» si lamentò il biondo spalancando il portone e inondando l'istituto della fredda aria notturna. «Che la caccia abbia inizio!»



L'acqua tormentava la città di New York, mista ad un forte vento di bufera che portava un cielo plumbeo e carico di pioggia, privo di luna e di stelle.
I vicoli fantasma erano illuminati soltanto da qualche rado lampione, di cui la maggior parte erano malmessi e proiettavano ombre a intermittenza sul marciapiede. 
Tre ore sotto la pioggia, ma nessun demone li aveva attaccati o si era minimamente fatto vedere.
Jace non aveva staccato gli occhi dal sensore, finché questo non era andato in corto circuito per la pioggia che vi si era infiltrata, rendendolo inutilizzabile. Jace lo gettò in malomodo in mezzo alla strada deserta.
«Stupido aggeggio, stupidi demoni, stupida pioggia!» imprecò urlando al cielo, che di rimando sembrò gettare giù ancora più acqua.
«Fortuna che non ti sente nessuno...» 
«Già, non sarebbe educativo» fece una breve pausa «Giuro che se torniamo a casa sani e salvi con la soddisfazione di aver ucciso uno di quei cosi, ci rimpinziamo di pop-corn. Ci stai?»
«Papà ci ucciderà, non vuole che mangiamo quella roba» 
«Fregatene per una volta!» lo ammonì dandogli una forte pacca sulla spalla e un sorriso sbarazzino a trentadue denti, come per dire "sono innocente". 
«E va bene, teppista dalla bionda chioma» scoppiarono a ridere, senza sapere del pericolo che li attendeva dietro l'angolo.



«Jace, non c'è niente da fare. Niente demoni da ammazzare stasera. Siamo fradici come pesci ed io ho fame, tanta fame: non abbiamo cenato»
Il biondo sbuffò talmente forte che il rumore riecheggiò tra i vicoli deserti.
«Jace, mi rispondi?» Alec ricevette la stessa risposta di prima, seguita da una serie di parolacce e imprecazioni.
La pioggia sembrava avercela con loro quella notte, e quando un fulmine squarciò il cielo la notizia divenne ufficiale.
«Jace, voglio andare a casa. Adesso» sentenziò Alec incrociando le braccia al petto e mutando il suo viso in un'espressione di durezza. Era deciso e sarebbe rimasto lì finché suo fratello non si fosse convinto.
Un fracasso improvviso ruppe il silenzio che si era creato tra i due, attirando la loro attenzione.
«Hai sentito? Potrebbe essere un demone!» urlò Jace correndo in direzione del rumore, entusiasta come se stesse per incontrare il proprio idolo invece che un mostro infernale. 
Alec fu costretto a corrergli dietro imboccando una stradina stretta e piena di rifiuti abbandonati, che sotto la pioggia puzzavano ancora di più impedendogli di respirare con il naso.
Sentì di nuovo quel fracasso, stavolta molto più vicino, e impugnò saldamente l'arco con la mano sinistra mentre con la destra estrasse dalla faretra una delle frecce, che incoccò con maestria. Non si sarebbe lasciato cogliere impreparato. 
Per la terza volta sentì il fracasso: era simile a il rumore di mille bottiglie di vetro che si rompevano nello stesso momento. 
«Jace! Dove sei finito!?»
Non ricevendo risposta cominciò a sudare freddo, o forse era per via dell'acqua che era riuscita ad infiltrarsi sotto i vestiti fino alle ossa. 
Per l'ennesima volta udì quel fracasso, seguito da un urlo disperato di aiuto. Una voce umana, la voce di Jace.
«Alec...quaggiù...» le parole arrivarono come una preghiera sofferta, mormorata.
Il moro seguì la voce e imboccò un altro vicolo, più stretto e buio del precedente. 
Chissà in quale casino si era cacciato Jace...arrivò nell'ala retro di un alto palazzo, circondato da una rete metallica e malmessa. L'intero pavimento d'asfalto era coperto da vetri rotti e macchie di sangue scuro, ancora fresco.
In fondo, nelle ombre più fitte della strada, c’era una sagoma raggomitolata, solo un’ombra nelle tenebre; ma, guardando più attentamente, Alec distinse la forma di un corpo esile e un ciuffo di capelli biondi.
«Jace!»



Gettò l'arco a terra e si precipitò nella direzione del fratello, inginocchiandosi accanto a lui. Notò che aveva tre squarci sulla schiena, come se un qualcosa di enorme lo avesse artigliato.
Lo fece voltare delicatamente e gli prese il viso tra le mani, posandoselo sulle ginocchia. Il volto pallido era martoriato da ferite, in particolare un taglio profondo sullo zigomo destro, poco sotto l'occhio.
«Jace...che ti è successo? Apri gli occhi...» Il biondo non di mosse «Ti prego, ti scongiuro, dimmi qualcosa...non puoi morirmi così! Non ora, ti prego, rispondimi...»
La runa Parabatai bruciava come un tizzone ardente senza promettere nulla di buono, finché Jace non aprì debolmente gli occhi.
«L'ho ucciso...» mormorò «Prima c'era un demone Kuri...stava buttando all'aria i rifiuti...e...»
«E ti ha massacrato, mi pare» lo bloccò Alec sfiorandogli il taglio sullo zigomo con il pollice, che si sporcò lievemente di rosso. Si sentiva immensamente sollevato nel vederlo parlare, come se fosse stato rinchiuso in una bolla per tanto tempo e che questa fosse appena scoppiata.
«Un pochino...ma....ho vinto» Rantoli tormentosi scuotevano il suo corpo esile. 
«Vieni, ti porto a casa»
«Non ne ho bisogno...sto bene...» Tossì di nuovo, e uno schizzo rosso gli sporcò la tenuta già rovinata.
Alec estrasse lo stilo dalla giacca di Jace e si affrettò a sfilargli la giacca per disegnargli la runa di guarigione. Arrossì, e rendendosi conto del colore che gli imporporava le guance e tentò di controllarlo, fallendo. 
A contatto con la pelle di Jace lo stilo brillò come una piccola stella nell'oscurità, e mentre Alec tracciava i solchi scuri sul suo petto la pioggia lentamente cessò lasciando nell'aria l'acre odore di umidità.
«Te la sei vista brutta» disse, con la voce ridotta ad un sussurro «Giurami che non combatterai più da solo. Giuramelo.» lo disse con tanta decisone da sorprendere entrambi. «Non posso più vederti ridotto in quel...» si interruppe.
Jace gli strinse con quella poca forza che gli era rimasta la mano, e Alec ricambiò intrecciando le dita alle sue. Nessuno sembrava voler lasciare la mano dell'altro e interrompere quel legame ferreo. 
«Te lo giuro» sussurrò, abbandonando la testa al ventre del fratello «Ma...tu promettimi una cosa» 
«Qualsiasi cosa»
Jace ridacchiò e Alec lo guardò perplesso.
«Mi preparerai quei pop-corn, vero?» 
Il moro scosse la testa sconsolato: quel disastro di Parabatai non sarebbe mai cambiato, ma in fondo gli voleva bene così.
«Te ne preparerò talmente tanti da farti scoppiare» disse prendendolo in braccio con più delicatezza possibile, anche se, dai continui "Ahi" di Jace, doveva non averne usata abbastanza.
«Scusami...» sussurrò «Le rune stanno funzionando, ma le ferite sono ancora troppo fresche e...»
«Non ti devi preoccupare per me, non lo ha mai fatto nessuno» farfugliò con tristezza mista a dolore.
«Io si, perché sei mio fratello, e anche il mio Parabatai. Se non lo fossi, non mi starei preoccupando...e sarei perso»
A quelle parole Jace sentì un calore ardergli in petto, come una fiaccola che non veniva più accesa da tanto, troppo tempo. 
Si chiese il perché soltanto Alec riuscisse ad appiccare quel fuoco all'interno del suo cuore, prima che il buio lo portasse via dai suoi pensieri cullandolo dolcemente. 








Angolo Autrice
Salve, buon martedì! Era buono prima che aggiornassi... 
Credo che questo capitolo non abbia senso, o che faccia schifo, non lo so...se è davvero come credo perdonatemi per averla scritta 😢.
Allora...so che ho scritto solo 4 capitoli e che che questa storia è ancora "fresca", ma vorrei chiedervi un piccolo favore: se per ora dovreste dare un voto a questa raccolta...che voto dareste? Vi prego, siate sinceri, che mi diate un 4 o un 8 non mi importa, mi interessa solo il vostro parere personale, perciò non dovete assolutamente alzare il volto per gentilezza. Mi merito un 3? Datemi un 3.
Grazie mille a tutti i lettori/recensori, siete davvero gentilissimi!


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Capitolo 5
*** Happy Birthday, Jace ***





Happy Birthday, Jace

~ 7 anni prima del Pandemonium ~


Isabelle si svegliò in malomodo quella mattina.
La terribile caduta dal letto l'aveva strappata bruscamente dai suoi sogni, lasciandole soltanto l'amarezza e il disprezzo per la giornata appena iniziata.
Si alzò dal pavimento freddo, si strofinò gli occhi cisposi ancora pieni di sonno e si avviò sbadigliando verso il bagno, dove con una grande spazzola cercò di dominare i capelli mori che le si erano arruffati nella notte.
Dopo aver rivolto una linguaccia dispettosa al suo riflesso, ritornò in camera  per prendere i vestiti da sopra il suo letto e cambiarsi.
Erano abiti piuttosto semplici, un largo maglione di lana color pesca e dei jeans.
Notò che per essere soltanto inizio marzo, era una giornata davvero splendida, con il sole alto e luminoso che riscaldava l'aria.
Un brontolio del suo stomaco la riportò alla realtà: si era svegliata tardi e aveva bisogno di fare colazione.
Era strano che Jace non fosse venuto a svegliarla, di solito veniva sempre lui perché era a conoscenza della sua natura dormigliona.
Con una mano appoggiata sulla pancia per la fame, si diresse in cucina e con sorpresa notò che Jace era seduto a tavola, con una tazza di latte fumante tra le mani e due occhiaie profonde a circondargli gli occhi. Non aveva una bella cera, sembrava che avesse passato sveglio tutta la notte.
«Ehi Jace» lo salutò «Ti sei alzato tardi anche tu stamattina? Strano, tu sei un tipo così mattutino...» 
«Oggi non è giornata» tagliò corto il biondo, appoggiando la tazza sul tavolo in gesto di stizza «Bevilo tu, io non lo voglio» e a passi pesanti uscì, lasciando Isabelle in compagnia della propria perplessità.



Finita la colazione Isabelle si sentiva carica e pronta alla giornata, se il pensiero di Jace non avesse continuato a tormentarla: non l'aveva mai visto così scocciato e stanco allo stesso tempo. E poi così all'improvviso...ieri, lei Alec e Jace avevano giocato con le spade di legno, sfidandosi a vicenda. Il biondo aveva vinto sempre, ed era allegro, sereno.
Decise di andarne a parlare con Alec, perciò si avviò a passo scelto verso la sua camera.
 Arrivata davanti alla porta di ebano, la spalancò senza bussare: con sorpresa vide che Alec era già in piedi sulla soglia, con un braccio teso in avanti pronto ad aprire la porta. 
«Che coincidenza, stavo venendo a cercarti» disse il moro sorridendo, ma la sua espressione ritornò immediatamente seria «Parla prima tu.»
«Riguarda Jace. È...strano oggi» Notando la sorpresa negli occhi del fratello, capì che anche lui voleva dirle la stessa cosa.
«Anche se oggi non l'ho visto, avverto che c'è qualcosa che non va. Lo sento» passò una mano sul braccio, proprio dove gli era stata tatuata la runa Parabatai. 
«Alexander, Isabelle, che state facendo?»
Nessuno dei due aveva udito i passi felpati della madre, eppure Maryse adesso era proprio dietro di loro, curiosa di sapere l'argomento della loro conversazione.
Era vestita rigorosamente in nero con un paio di pugnali stetti in mano, segno che stava andando a caccia.
«Mamma, per caso sai che ha Jace?» chiese Isabelle, strattonando i pantaloni di pelle nera della madre per attirare la sua attenzione.
«È il suo compleanno» rispose, come se fosse la cosa più palese del mondo.«Ma voi non lo sapevate, vero?» 
I giovani Lightwood si scambiarono uno sguardo colpevole: non lo sapevano, e probabilmente era stata colpa della loro ignoranza se Jace era così arrabbiato.
«Ragazzi...» Maryse si chinò in ginocchio, e dopo aver appoggiato i coltelli affilati scompigliò i capelli dei figli. Voleva loro un bene dell'anima, eppure sapeva della velocità con cui stavano crescendo. 
Alec e Jace avevano imparato a cacciare da soli, avevano avuto la maturità di scegliersi come Parabatai, e fra non molto Isabelle sarebbe stata capace delle stesse scelte.
«Beh, per farvi perdonare potreste fargli qualcosa di speciale.» consigliò con un un sorriso dolce «Un regalo, magari»
Riprese i pugnali da terra e si risistemò velocemente la tenuta, passandovi le mani.
«Io vado, se avete bisogno di qualcosa c'è Hodge in biblioteca. Fate i bravi, sono sicura che potrete risolvere tutto con Jace»
Proprio mentre stava per andarsene, Izzy le prese con forza la mano.
«Stai attenta mamma» le disse.
«Te lo prometto bambina mia» e le lasciò un bacio sulla guancia, prima di uscire dall'istituto. 
L'inferno la stava aspettando.



Alec aveva messo a soqquadro l'intera stanza, in cerca di qualcosa da donare a Jace: lui e Izzy erano giunti ad un piano, ovvero quello di donare a Jace qualcosa di proprio a cui si teneva molto.
Isabelle gli avrebbe regalato il suo pugnale speciale, quello con la lama d'argento intarsiato d'oro. Lei non lo usava mai, però aveva un valore notevole. 
A Jace sarebbe piaciuto di sicuro.
Ma lui, cosa gli avrebbe donato? Era pieno di cianfrusaglie banali, troppo scontate per esser regalate al suo Parabatai.
"Sono fregato" pensò mentre chiudeva il suo vecchio baule di legno pieno di cianfrusaglie varie e colorate.
Sul pavimento c'era di tutto, dai vestiti ai libri, dai vecchi giocattoli a qualche arma mai utilizzata.
Era il compleanno di suo fratello, il suo Parabatai, e non poteva lasciarlo col muso per tutto il giorno del suo compleanno!
Lo sguardo gli ricadde su un grande tomo verde, appoggiato sulla mensola bianca accanto al letto.
Sulla copertina smeraldo, una scritta dorata: "favole e fiabe dal mondo, mille e uno storie".
Evitando di inciampare su un finto chakram di plastica, si avvicinò al libro e ne accarezzò la superficie ruvida, consumata dal tempo. 
Lo adorava quel libro, era stato un regalo della sua nonna materna, prima che morisse. Era piccolissimo, Isabelle non l'aveva mai conosciuta.
Prima di andarsene però, gli aveva donato quel libro dicendogli che era speciale e che se ne avesse avuto la possibilità, l'avrebbe dovuto donare a qualcuno che gli stava davvero caro, come lei aveva fatto con suo nipote.
Lo prese, e stringendoselo forte al petto ne percepì il forte odore di carta vecchia, ingiallita col passare degli anni.
A Jace sarebbe piaciuto? 
Ovviamente no, erano cose da...bambine.
Izzy non le leggeva le favole, tantomeno le fiabe. 
E lui era un maschio, un maschio a cui piacevano le cose da bambine.
Ma non era un problema irrisolvibile, giusto? No, col tempo avrebbe acquistato anche lui un po' di virilità come Jace. 
Si scrollò di dosso quei pensieri con un brivido.
Adesso era il momento di farsi perdonare da Jace. Sempre se ci fosse riuscito.



Jace era sdraiato fiaccamente sul proprio letto, un braccio a penzoloni e lo sguardo perso nel soffitto. 
Teneva sul petto un pugnale argentato, con manico d'avorio e ramificazioni dorate che si arrampicavano sulla lama, per fondersi con essa.
Izzy era venuta pochi minuti prima per regalarglielo, facendogli un sacco di auguri per il suo compleanno.
Lui, a sua volta, gli aveva urlato contro di andarsene.
Tentò di piangere, ma non trovava le lacrime per farlo: il dolore era forte, ma gli occhi erano asciutti, dannatamente asciutti.
Lui non sopportava, anzi odiava, il giorno del suo compleanno, per questo non lo aveva detto a nessuno. Eppure Izzy lo era venuto a sapere in qualche modo.
Detestava il suo compleanno da sempre, perché il padre aveva fin da subito detto che era una celebrazione inutile, sciocca.
Qualcuno bussò delicatamente alla porta, chiedendo di entrare.
Jace nascose la testa sotto il cuscino, disperato.
"Oh no...non anche Alec!"
«Jace, posso entrare?» chiese il moro dall'altra parte della porta, attendendo risposta.
«Lasciami da solo!» 
«Per favore, devo parlarti» insistette. 
«Entra, non voglio che finisca come con Izzy»
Alec fece come Jace gli aveva detto, con le mani nascoste dietro la schiena e le guance leggermente arrossate.
Notò Jace con la testa sotto il cuscino e il pugnale della sorella, accanto a lui.
«Che è successo con Izzy?» 
«È venuta per darmi il pugnale, ma le ho urlato contro» pausa «Sono un mostro»
Alec gli si avvicinò a grandi passi, sempre con le mani nascoste.
«Mi dici che ti è successo Jace?» 
Sentì il biondo sospirare da sotto il cuscino, che lanciò via per mettersi seduto.
Aveva i capelli incredibilmente scompigliati, e Alec non trattenne un sorriso.
«Vedi...» cominciò Jace «Io non ho mai festeggiato il mio compleanno, perché mio padre non voleva» sbiancò per un secondo al ricordo del genitore « Una volta però, al mio ultimo compleanno, mi fece finalmente un regalo: era un bellissimo falco, che avrei dovuto addestrare» si portò le gambe al petto, cingendole con le braccia «Però non lo addestrai come disse mio padre, non lo tenni legato o incappucciato. Lo coccolavo, gli volevo bene, e piano piano mi ubbidì anche lui. Lo portai da mio padre, che lo uccise davanti ai miei occhi, senza pietà» e si riabbandonò al materasso.
«Perché mai ha fatto una cosa del genere?» 
«Per rendermi più forte» alzò il tono della voce e si portò le mano al viso «Adesso vai, per favore. Odio il mio compleanno» 
«E va bene...» rispose ironico Alec, facendo perno sui talloni per voltargli le spalle «Vorrà dire che non riceverai il mio regalo...»
Jace scattò nell'udire la parola "regalo".
«Regalo, per me?» chiese tutto euforico con gli occhi che brillavano.
«Si...ma...non sono sicuro che ti piaccia» mormorò Alec arrossendo, e mostrò l'oggetto che fino a quel momento aveva tenuto nascosto dietro di sé.
«Un libro?» domandò con stupore prendendolo tra le mani.
Alec divenne porporeo in volto e cominciò a fissare il pavimento, per evitare l'espressione sul volto di Jace.
«So che non ti piace ma...»
«Infatti non mi piace» lo interruppe «Lo adoro»
Alec sentì il sollievo e la sorpresa per quella risposta arrivare con la forza di un treno: diceva sul serio? A Jace piaceva un libro di vecchie storielle?
«Stai dicendo sul serio?» 
«Mai stato più serio.» Il Parabatai gli rivolse un sorriso sincero. «Beh, dato che ci sono oltre mille storie, quale mi consigli?» 
«Mmm...» riflettè «Pagina trecentosessanta» disse sedendoglisi accanto.
«Te lo ricordi A MEMORIA?» enfatizzò l'ultima parola mentre sfogliava il grande libro, ma il fratello rispose con un fischiettio ironico.
Raggiunta la pagina, lesse ad alta voce il titolo:
«La Bella e la Bestia» 
«Si, è la mia preferita» arrossì violentemente. «Ok, so a cosa stai pensando...che sono una bambinetta...»
«In realtà» disse «Pensavo che potevamo leggerla insieme, anche se tu la sai a memoria. Poi dopo andrò a chiedere scusa ad Izzy, non le ho detto che il suo pugnale è FAVOLOSO» 
Risero, e Alec poté sentire come la risata di Jace fosse angelica e cristallina.
«Dimmi, lo odi ancora il tuo compleanno?» gli diede una spallata amichevole.
«Se hai una famiglia, vedi tutto in modo diverso da prima» abbassò lo sguardo sulle pagine ingiallite del libro.
Con un famiglia era proprio tutto diverso.

 






Angolo Autrice
Salve a tutti! Allora, questo capitolo l'ho scritto molto di fretta, perché avevo intenzione di aggiornare oggi ma non avevo idee.
Ero disperata, ma ieri ho avuto un "bum" di ispirazione e...ho scritto questo. Spero che non sia troppo penoso o altro.
Ho cambiato l'impaginazione dell'intera storia...vi piace?
L'ultima volta vi avevo chiesto dei voti, e vi ringrazio per aver espresso il vostro parere. La media è 8, un voto che a me fa davvero molto piacere, e prometto che mi impegnerò al massimo per alzarlo 😉.
Grazie a tutti i lettori, ai recensori e alle amiche a cui rompo sempre per via di questi capitoli!

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Capitolo 6
*** Play To Me... ***





Play to me... 

~ 6 anni prima del Pandemonium ~


 
Alec non si sentiva bene, quella mattina. Aveva la testa pesante e sembrava che ogni sua fibra del corpo pesasse come un macigno insostenibile.
Solitamente, quando si svegliava con la luna storta, leggere gli risollevava il morale, eppure in quel maledetto giorno stava così male che non appena tentava di decifrare una parola, la testa sembrava esplodere ed era così costretto a rinunciare persino al più semplice dei libri.
L'allenamento del giorno prima era stato un inferno, perché Hodge aveva insistito per farlo combattere con una spada angelica contro Jace....un vero disastro, persino Izzy aveva raggiunto risultati più appetibili.
Eppure aveva scoperto di avere un talento nascosto: era davvero bravo nel tirare con l'arco.
Suo padre gli diceva che era una frana un po' con tutte le armi, e che era un vero miracolo se riusciva a usarne una con tanta destrezza ad una simile età. Con quello, superava di gran lunga in bravura sia Jace che Isabelle, e ne andava orgoglioso.
Si prese il volto sudato tra le mani, appoggiandosi alla parete: la testa gli doleva come se  al suo interno qualcuno avesse lasciato un martello pneumatico acceso.
Cominciò a massaggiarsi le tempie mentre vagava per l'istituto senza una meta precisa, e senza neanche accorgersene sbattè la faccia contro una delle innumerevoli porte di ebano. 
Dall'altra parte udì un pianoforte a coda intonare una melodia triste e malinconica, ma pur sempre suonata in modo sublime.
Pensava che ormai il vecchio pianoforte dell'istituto non lo usasse più nessuno, che fosse soltanto uno strumento messo lì tanto per non lasciare vuota quella piccola stanza.
Ma...nessuno sapeva suonare il pianoforte della sua famiglia! O almeno, così credeva.



Jace sentiva che il pianoforte gli parlava attraverso quei vecchi tasti impolverati.
Le sue dita danzavano su quella tastiera antiquata, azzeccavano le note giuste creando splendide melodie che si intrecciavano l'una all'altra.
Eppure erano melodie tristi, che lo trascinavano indietro nel tempo, quei pochi momenti che ricordava di Idris. Con sua madre e suo padre, anche se di sua madre non ricordava neppure il volto. A dirla tutta non la considerava neanche una vera mamma...una donna codarda che se l'era svignata lasciandolo in balia di un padre crudele e severo.
La rabbia lo assalì come un'onda anomala, tanto che il biondo sbattè i pugni con violenza sulla tastiera producendo una serie di note stonate e scricchiolii che non promettevano nulla di buono.
Prese un lungo respiro e strinse le mani fino a far sbiancare le nocche. Infondo, quel povero strumento non aveva fatto nulla di male per meritarsi quel suo scatto d'ira.
«Non sapevo che sapessi suonare il piano»
Jace non distolse lo sguardo dalla sventurata tastiera, ma riconobbe subito la voce delicata del Parabatai, che in quel momento sembrava sofferente e tentato.
«Me lo ha insegnato mia madre...»
«Sei bravissimo» 
Il biondo si voltò per ringraziarlo del complimento, e solo allora notò il pallore del suo volto e le gocce di sudore che gli imperlavano la fronte. Persino gli occhi erano di un grigio spento.
«Alec, non hai una bella cera. Sicuro di star bene?»
Il moro gli si sedette vicino prendendogli le mani tra le sue e le appoggiò nuovamente sulla tastiera, incitandolo a eseguire un'altra melodia.
«Io sto bene, voglio soltanto sentirti suonare ancora»



Passò più di un'ora, ma i due fratelli erano ancora seduti sul seggio a suonare, anche se in realtà solamente Jace riusciva a leggere gli spartiti e ad eseguirli, mentre Alec lo ascoltava rapito e ogni tanto si azzardava a premere qualche tasto. .
Era stonato, anzi, molto stonato, ma sembrava divertirsi a "suonare a casaccio" il piano. 
Eppure sembrava estremamente debole mentre lo faceva, come se dovesse svenire da un momento all'altro. 
«Alec, te lo ripeto, non hai una bella cera»
«Non è nulla...davvero...» 
 Jace lo incenerì con lo sguardo.
«Devi andarti a riposare, sei più bianco di un cencio. Ti accompagno in camera, non sento ragioni»
E così detto lo fece alzare a forza ed uscirono dalla stanza abbandonando il pianoforte con cui si erano tanto divertiti.
Alec strinse forte la mano di Jace, che subito notò che qualcosa non andava in suo fratello: sembrava un vampiro a dieta di sangue, pallidissimo, sudato, e ansimava ad ogni passo.
Jace lo prese un attimo prima che cadesse senza sensi sul pavimento.
«Alec! Per Raziel...» sbuffò sonoramente « Forza, ti porto in camera tua» 
E così detto gli passò un braccio intorno alla vita e attraversò il corridoio imprecando a bassa voce.



Alec venne gettato in malo modo sul letto dal proprio Parabatai, e ormai il contrasto tra il rossore che gli divampava sulle guance e il pallore del resto del volto era  evidente.
Il moro farfugliava parole incomprensibili in preda alla temperatura alta, che lo faceva sudare e ansimare ancora di più.
Jace si diresse in bagno dove prese una fascia di stoffa color crema che bagnò con acqua fresca: Hodge gli aveva spiegato che quando qualcuno non si sentiva bene, era una delle prime cose da fare.
Ritornato in camera, appoggiò la benda umida sulla fronte sudata dell'amico, che già dopo pochi secondi sembrava stare lievemente meglio. Ma un panno umido non bastava di certo.
Prese da sotto il letto una valigetta di plastica color mattone con un iratze bianco inciso sopra, e dopo aver soffiato via dalla superficie la polvere che vi si era depositata col tempo, l'aprì: due stili, una piccola copia del libro grigio, un sacchetto di erbe mediche ed una bottiglia contenente un liquido vischioso simile a petrolio.
Prese la bottiglietta con il liquido, che versò nel bicchiere di vetro che Alec teneva sempre sul comodino accanto al letto. Quell'intruglio aveva un odore che poteva esser paragonato a quello di un demone in putrefazione.
Avvicinò il bicchiere alle labbra del moro, che si strinsero subito in una smorfia di rifiuto.
«Alec, ti farà bene. Non fare il mondano»
L'ammalato dischiuse le labbra abbastanza da permettere da Jace di versargli l'intruglio giù per la gola. Già dopo qualche secondo la temperatura corporea di Alec scese in picchiata dandogli un aspetto meno cadaverico.
«Quella roba...»mormorò tra un colpo di tosse e l'altro «Fa davvero schifo»
«Lo so, ma stai già meglio» Jace si sedette accanto a lui e avvicinò il viso al suo «Vieni qui, devo sentire se scotti ancora».
Prima ancora che Alec potesse protestare, spostarsi o fare altro, il biondo gli scostò via la benda dalla fronte e vi appoggiò le labbra.
Alec ricordava che anche sua madre faceva così per sentire se qualcuno aveva la febbre alta. Anche se un conto era sua madre, un conto era Jace: forse erano passati secoli, giorni, settimane o forse solo qualche secondo...ma Alec desiderò con tutto il cuore che quel momento non finisse mai, che le labbra morbide di Jace non lo abbandonassero. Eppure, per sua immensa sfortuna, quel momento finì lasciandolo solo con il suo imbarazzo.
«Stai sicuramente meglio di prima ma...sei passato da bianco latte a rosso rubino»
Si maledisse: arrossiva sempre quando non doveva, e, per quanto volesse, non riusciva mai a nasconderlo.
«Dimmi che mi suonerai qualcosa, quando starò meglio» 
Le parole uscirono dalla sua bocca senza che lui volesse. Si maledisse per la seconda volta e per evitare che Jace lo vedesse arrossire nuovamente, si tirò su la coperta soffice e calda fino al naso.
«Certo, infondo...» ridacchiò «Mi piace suonare il pianoforte insieme a te, decisamente più divertente che suonarlo da soli»

 






Angolo Autrice
Oddio. Sono consapevole di quanto faccia schifo...vi prego di perdonarmi se vi ho fatto vomitare, venire la nausea o altro...sorry!
Un grazie speciale a:
~ MyLove Is On MyBookshelf 
~ Life Before His Eyes
MalecSizzyClace
_itsforgabbe
~ Farawayx
~ Blue Poison
Naturalmente, ringrazio di cuore anche tutti i lettori più timidi che non hanno mai recensito e tutti gli altri che hanno espresso un parere aiutandomi a migliorare. Grazie di cuore a tutti!

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Capitolo 7
*** I Trust You ***





I Trust You 

~ 6 anni prima del Pandemonium ~


 
I pinnacoli vitrei di Alicante si innalzavano potenti e scintillanti sotto il sole, che filtrava attraverso il cielo plumbeo di fine inverno. La luce sfuggiva ad esso nei punti in cui le nuvole nere si diradavano mostrando uno squarcio di cielo azzurro. Non si riusciva a capire se stesse per piovere o no.
Jace osservava quel singolare spettacolo dalla villetta dei Penhallow, i cugini dei Lightwood che li avrebbero ospitati per un breve periodo.
Erano tornati lì per rivedere Robert e Max, il fratellino di Alec e Izzy. 
Non lo aveva mai visto, ma dato che adesso anche lui era un Lightwood, Maxwell era suo fratello quanto lo era di Isabelle e Alexander.
Gli aveva fatto un certo effetto ritornare ad Idris, con i suoi boschi e i prati sterminati, al contrario della New York d'asfalto. 
Qualcuno bussò alla porta della stanza chiedendo di entrare e Jace rispose con un mesto e svogliato "si".
Alec fece il suo ingresso, e stringeva la mano di un bambino più piccolo: aveva la stessa capigliatura mora e scompigliata dei fratelli, e i grandi occhi scuri erano coperti dalle due spesse lenti di vetro degli occhiali troppo grandi per i suoi lineamenti delicati.
«Max, questo è Jace, il nostro nuovo fratello» gli disse Alec con un sorriso. 
Il bambino scrutava Jace da dietro gli occhiali, con uno sguardo più che attento: ne coglieva ogni particolare, ogni movimento, come se riuscisse a sentire ciò a cui stava pensando.
Jace gli si inginocchiò davanti per guardarlo negli occhi, abbozzando un debole sorriso.
«Ciao, è un piacere conoscerti Max, quanti anni hai?» gli chiese con gentilezza.
«Quasi sei, ma dicono tutti che sembro più grande» 
«Per essere così piccolo, parli molto bene Max. Sembri davvero più grande»
«Max è speciale» intervenne Alec «Sei felice di Jace?» 
«Si, è simpatico» disse con gli angoli della bocca leggermente rivolti all'insù.
«Aspettate un secondo» disse Jace allontanandosi dai due per estrarre la propria valigia da sotto il letto ordinatissimo. Non era nulla più che uno zainetto celeste un po' rovinato, con dentro un paio di vestiti e un pupazzetto di legno intagliato.
Lo prese e l'osservò per qualche secondo: era un piccolo shadowhunters, con le rune dipinte con il pennarello e una piccola spada angelica in mano, fatta di plastica.
Jace richiuse lo zaino e ritornò dai fratelli.
«Guarda Max» disse mostrandogli il giocattolo «Ti piace?»
Gli occhi del bambino si spalancarono per la sorpresa: lui non aveva mai visto o posseduto un VERO giocattolo, soltanto armi finte.
«Che bello...»
«È tuo, tienilo» sussurrò mettendoglielo nelle piccole mani delicate, con le ginocchia nuovamente appoggiate al pavimento.
«Sul serio posso tenerlo? Me lo regali?»
«Certo è tutto tuo» 
Max gli gettò le braccia al collo, stringendolo in un forte abbraccio. 
Alec osservò la scena in silenzio con un'espressione di meraviglia stampata in volto: Max non era così socievole, soprattutto con persone che non aveva mai visto. Non era da lui dimostrare tutto quell'affetto.
Sentì una strana fitta alla bocca dello stomaco, ma non riuscì a capire il perché di quella strana sensazione. Non era la prima volta che la sentiva, ne era certo.
«Grazie Jace...» 
«Di nulla. Perché non vai a giocare?» gli disse con un sorriso smagliante. «Devo dire ad Alec una cosa. È una cosa da...»
«Da grandi. Lo so già, mi mandano sempre via per parlare di cose da grandi»
Farfugliò con il broncio sul viso, prima di correre nella propria cameretta contento del regalo appena ricevuto.
«Hai fatto colpo» si complimentò Alec con il Parabatai.
«Sembrerebbe di si» lo prese per mano «Vieni, ti faccio vedere una cosa»
«Che cosa?» 
Jace si avvicinò al suo orecchio per renderle udibile il suo sussurro, quasi muto, che ad Alec fece venire un brivido lungo la spina dorsale.
«Una cosa da grandi»



"Ahi" pensò Alec scostando l'ennesimo ramo spinoso che gli bloccava la strada. A volte si chiedeva se Jace sotto gli abiti portasse una tenuta anti-proiettile o altro, magari una di quelle armature dei cavalieri che aveva visto nei film mondani.
Jace aveva insistito per uscire di casa (senza permesso) e andare ad inoltrassi in quel boschetto di pini e rovi. Si era portato lo zainetto celeste, lo aveva svuotato e ci aveva messo qualcosa di grosso, dato che lo zaino sembrava esplodere, ma Alec non sapeva cosa. In compenso, il tempo stava andando aggiustandosi.
«Andiamo, dove mi stai portando?» gli chiese raggiungendolo, evitando l'ennesimo cespuglio.
«Aspetta...eccoci, siamo arrivati» rispose scostando una fronda di rami che copriva completamente il passaggio, rivelando il suo nascondiglio accuratamente nascosto:
un angolino di bosco senza alberi, solo erba verde incolta e una vecchia baracca di legno malandata.
Jace avanzò sicuro e fece cenno ad Alec di seguirlo, facendogli capire che in realtà non era una baracca...ma bensì una stalla, su cui folti grovigli di edera si arrampicavano come se volessero nasconderla agli occhi di tutti, mimetizzandola con quell'ambiente selvaggio. Sulla facciata vi era uno sportello chiuso, alto più o meno fino alle loro spalle. Si riusciva a vedere solo l'oscurità al suo interno, eppure Alec avvertiva che c'era qualcosa lì dentro, o meglio, qualcuno.
«Io e mio padre venivamo qui, fino a poco tempo fa» mormorò tristemente mentre apriva lo sportello « Prima che lui...» 
Si interruppe nel sentire la mano di Alec sulla sua spalla, in un gesto di solidarietà e conforto.
«Dai, non ci pensare. Apri lo sportello, mi hai incuriosito» 
Jace si allontanò a grandi passi dalla baracca ed emise un fischio a labbra socchiuse, che risuonò nell'aria al profumo di muschio e rugiada.
Si udì uno scalciare seguito da un nitrito, e nel giro di pochi secondi un corpo nero e possente emerse dall'oscurità della baracca facendo sobbalzare il moro dallo spavento: aveva intuito che quella era una stalla, ma non si aspettava di certo che ci fosse davvero un cavallo, e per giunta un cavallo così bello. 
La sua criniera lunga e folta, di un colore talmente scuro da rimandare riflessi color azzurro, gli copriva uno dei due occhi rotondi scintillanti. Il manto color petrolio si intonava con tutto il resto del corpo, oscuro come la notte, possente e pericoloso come la morte.
«Ciao, Belle»



«Ehm...Jace...lo conosci!?» gridò Alec nascondendosi dietro al fratello, per evitare lo sguardo del cavallo nero che si stava avvicinando, con un'eleganza mista a possenza unica.
«La conosco, è una lei» disse avvicinandosi alla cavalla che gli offrì il muso per prendersi delle carezze, che Jace non tardò a darle. Sembravano conoscersi da tempo, ma Alec continuava a non capire.
«Vedi» cominciò a spigare Jace senza smettere di coccolare la cavalla «Lei è Belle, un regalo che mi fece mio padre. Era poco più di una puledra quando l'ho vista per la prima volta, poi è cresciuta ed è diventata fortissima. Quando lasciai Idris per andare a vivere da voi, se n'è occupata tua cugina Aline.»
«Conosci Aline?» chiese Alec stupito.
«Abbastanza, le ho insegnato a cavalcare.» si vantò con orgoglio mentre si sfilava lo zaino dalle spalle «E adesso insegnerò anche a te»
Estrasse (sotto lo sguardo più che preoccupato di Alec) un paio di briglie in cuoio e una sella, decorata da intarsi incisi a fuoco.
Belle rimase docile mentre Jace le allacciava il sellino sulla schiena e le metteva le briglie con delicatezza per non farle male.
Le diede una pacca sul muso e con un abile slancio salì in sella.
Alec rimase qualche minuto a fissarlo, con l'aria di chi stava ammirando un'opera d'arte incredibilmente ben riuscita: su quel cavallo, Jace sembrava la versione rimpicciolita del principe azzurro.
«Beh, non sali?»
«No, non ci salgo là sopra» 
Belle nitrì come per evidenziare il fatto che le parole di Alec l'avessero offesa. 
«Andiamo, ti divertirai» insistette Jace, tendendogli una mano diventando improvvisamente serio «Ti fidi di me?»
Ci fu un attimo di eterno, lunghissimo silenzio, in cui Alec impiantò lo sguardo negli occhi di Jace, simili a due aureole d'angelo: dorati, forti, decisi, gli occhi di un vero guerriero.
Anche il biondo lo stava osservando con molta intensità, aspettandosi una risposta mentre guardava il celeste infinito dei suoi occhi.
Alec strinse la sua mano, e con un piccolo aiuto da parte del fratello infilò un piede nella staffa metallica che pendeva dal maestoso corpo di Belle, e si sedette dietro a Jace.
«È...è sicuro?» balbettò.
«Certo, tieniti se vuoi» 
«Tieniti dove?» continuò cercando appiglio con le mani.
«Aggrappati a me, tranquillo non mi da fastidio» 
Alec un po' titubante avvolse con le braccia i fianchi di Jace, delicatamente, avendo paura di fargli male.
«TIENITI FORTE!» e diede un forte colpo con le briglie, facendo correre ad una velocità incredibile la bestia attraverso la boscaglia.
Il moro sentendo il vento sferzare il suo viso con una forza notevole, strinse ancora di più la stretta attorno a Jace per paura di essere disarcionato.
Sentiva ogni tanto qualche ramo colpirgli la testa, dato che Jace era un poco più basso di lui. Appoggiò la fronte sulla sua spalla e strinse forte gli occhi, infastiditi dall'aria che li colpivano.
«PER L'ANGELO, JACE!» gridò.
«E va bene, torniamo a casa, ma sappi che io da qui non scendo finché non saremo arrivati in un certo posticino!»
Alec non poté far altro che tenersi ancora più forte, pregando chiunque potesse sentirlo di scendere al più presto.



Anche se non se ne erano subito resi conto, erano già piuttosto lontani dalla stalla. Belle galoppava ad una velocità incredibile, e Jace la guidava con una maestria che un normale bambino della sua età non avrebbe mai potuto avere.
«Arrivati!» 
Diede un forte strattone alle briglie e Belle si fermò impennando di colpo, e Alec si spaventò tanto da cacciare un urlo e stringere forte la vita di Jace fino a fargli male.
«Vieni, ti aiuto» disse mentre con un balzo smontò dalla cavalla e tese le braccia verso Alec, sempre più spaventato.
«Ti prego, non dirmi che devo...» balbettò guardandolo.
«Tranquillo, buttati» terminò la frase con un sorriso smagliante, che rassicurò il moro tanto da convincerlo a scendere.
Prese un lungo respiro, chiuse gli occhi, deglutì un paio di volte cercando di controllarsi: doveva semplicemente scendere, nulla di impossibile, no? Era un cacciatore di demoni per Raziel, e non poteva aver paura di una cosa del genere!
Jace gli fece cenno di scendere e, dopo un attimo di esitazione, Alec scivolò giù dalla groppa del cavallo e finì tra le sue braccia.
«Visto? Ti ho preso»
Entrambi si resero conto della distanza che li separava: erano abbastanza vicini affinché i loro nasi si sfiorassero lievemente. 
Diventato paonazzo in volto, Alec si divincolò immediatamente dalla sua stretta e si guardò intorno: c'erano solo alberi e cespugli, come prima.
Jace, dopo aver legato Belle ad un ceppo robusto, si avviò verso quella che sembrava una parete fatta di edere e rami bassi.
«Guarda qua...» e scostò le fronde.
C'era un baratro altissimo sotto di loro, ma in compenso il panorama era davvero mozzafiato: era una distesa di erba verde smeraldo, tranciata in due dal corso di un fiume limpido e scintillante sotto la luce del crepuscolo. Sullo sfondo, una catena di montagne innevate.
Alec rimase senza fiato, con la bocca semi aperta per lo stupore.
Sembrava che il suo Parabatai avesse già visto tutte le meraviglie del mondo, mentre lui, un anno più grande, di Idris e del mondo non conosceva nulla.
«Jace, è...»
«Meraviglioso, lo so» terminò il biondo sorridendo «suppongo che tu non ci fossi mai stato»
«Mai, ma grazie per avermici portato» disse, poi sussurrò pianissimo sperando che il vento portasse via le sue parole «Io mi fido di te, Jace»
Gli lanciò un occhiata e notò con piacere che Jace era rimasto impassibile e con lo sguardo ancora puntato sul tramonto. Perciò non aveva sentito, per fortuna.
"Anche io mi fido di te, Alec" ma preferì tenerlo per sé.

 






Angolo Autrice
Madre de DIOS....vi prego, non ditemi quanto fa schifo. Anzi, ditemelo pure, magari con una piccola recensione 💖...
Ok, dopo questa mia autocommiserazione, passiamo alle cose importanti, ovvero al film di CoA: ho trovato la lista degli attori che potrebbero interpretare i personaggi di Maia Roberts e Raphael Santiago .
Beh, che ne pensate di questi attori? (Link delle liste accessibili cliccando sui nomi dei personaggi)
Inoltre, si crede che la Regina della Corte Seelie verrà interpretata dalla modella Lily Cole, e che Imogen Herondale sarà quasi sicuramente interpretata dalla famosissima Sigourney Weaver! Per ora è tutto, spero che il capitolo vi sia piaciuto!

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Capitolo 8
*** Until The End ***


Attenzione! Devo dirvi una cosa importantissima nell'Angolo Autrice, perciò mi farebbe piacere se andaste a leggere. Grazie mille. 






Until The End 

~ 5 anni prima del Pandemonium ~


 
Isabelle alzò gli occhi al cielo, un tappeto nero tempestato di diamanti luminosi.
Un stella lo solcò, e lei non poté che considerarla un buon auspicio per quell'evento così importante.
Quando quella mattina, Alec le aveva detto che sarebbe andata a caccia con loro, non ci aveva creduto.
Eppure eccola lì, affiancata dai suoi fratelli, con la tenuta da Shadowhunter e la frusta elettrica stretta in mano.  
Le era arrivata direttamente da Idris, insieme ad una lettera di suo padre:

Bambina mia,
ormai sei diventata grande, e tua madre mi ha scritto che fra non molto saresti andata a cacciare con Alexander e Jace.
Con questa lettera ti arriverà un pacco, abbine cura, è speciale.

Stai attenta a te e ai tuoi fratelli, riescono sempre a farsi male in qualche modo.
Salutami la mamma e Hodge.
Ti auguro buona fortuna.


Con affetto,
Robert Lightwood



Le faceva piacere che suo padre non li avesse completamente dimenticati. 
Non lo vedeva dalla cerimonia Parabatai, ed era ormai da due anni che aveva residenza ad Alicante con Max, il loro fratellino.
«Ehi ragazzi» li chiamò Jace mostrando loro il sensore «Ho trovato qualcosa, poco distante da qui» sul piccolo schermo lampeggiava un puntino rosso, poco distante da un punto bianco fisso: loro. Segno di una presenza demoniaca nelle vicinanze.
«Ehi, com'è uccidere un demone?» sussurrò Isabelle al fratello, curiosa «Insomma, cosa si prova?»
Alec sospirò «Io non ho ucciso nessun demone, per ora» si accertò che Jace, pochi passi avanti e occhi puntati sul sensore, non sentisse «Li ha uccisi tutti Jace, io gli ho guardato le spalle e l'ho aiutato»
Isabelle non osò commentare. Caspita, quel biondo di un fratellastro era in gamba, molto in gamba. 
Anche mentre si allenavano, Jace si distaccava nettamente dal loro livello di bravura, battendoli praticamente con ogni tipologia di arma o stile di combattimento.
Sentiva che fra non molto sarebbero stati indebitati con Jace, e non poco.
Aveva delle abilità incredibili, anche per un mezzo angelo.
«Izzy! Sbrigati!» la chiamò Alec sbracciando.
Non si era accorta che riflettendo si era fermata, lasciando che i fratelli andassero avanti.
«Arrivo!» e accelerò il passo.



Improvvisamente, mentre stava armeggiando con il sensore,  Jace si bloccò.
«Eccoci» disse alzando lo sguardo dal sensore «Il nostro cliente è qui...» la voce gli si smorzò.
Erano arrivati sulle sponde di un laghetto, di quelli che i newyorkesi utilizzavano come piccole discariche.
Sotto la luce della luna, era una chiazza di petrolio scintillante, incorniciato dai giunchi rinsecchiti.
«Che razza di posto è?» chiese Isabelle con un tono di voce piuttosto alto, tanto che Jace le mise una mano sulla bocca per zittirla.
«Parla piano» sussurrò «Neppure io ho idea di che posto sia, ma non mi metto ad urlare.»
«Non ho urlato!» controbatté mettendosi in posizione d'attacco.
«Si invece, lo hai fatto anche adesso!» Jace continuava a stuzzicarla, per vedere fino a che punto sarebbe arrivata.
«Non è vero, stai urlando anche tu!» 
I due erano sull'orlo di una litigata, e tutti sapevano che le loro non erano delle semplici litigate, ma “le litigate”, capaci sfociare in una rissa vera e propria.
«Ragazzi, smettetevela!» Alec li zittì, prendendo atto delle sue “responsabilità da fratello maggiore”, come le chiamava lui.
Entrambi incrociarono scocciati le braccia al petto.
«Izzy, te la senti di andare da sola?» le chiese Alec apprensivo. Era la sua prima caccia, in fondo, ed anche se non era più una bambina, se le fosse successo qualcosa non se lo sarebbe mai perdonato.
«Si tranquillo. Io vado a destra e...voi a sinistra?» 
Alec lanciò un'occhiata interrogativa a Jace, che rispose con un segno di assenso.
«Va bene» le scompigliò amorevolmente i capelli corvini «Stai attenta, sorellina»
Dopo uno scambio di sorrisi, Isabelle si avviò, prima che Jace la bloccasse prendendola saldamente per una spalla.
«Sei da sola, ti servirà...scusa, per prima.» e gli mise in mano il sensore, prima di incominciare il giro di circospezione attorno al lago avventurandosi tra le mura degli scheletri dei giunchi.



Rigirò l'apparecchio tra le mani. A prima vista sarebbe potuto sembrare un comunissimo cellulare, un po' vecchio magari, ma senza nulla di particolare o bizzarro.
La cosa davvero strana era stato il gesto di Jace: le aveva dato il sensore perché si era preoccupato per lei, dopo una mezza litigata, e si era scusato.
Non se lo aspettava affatto quel gesto, era una cosa da Alec, non da Jace. 
Che stesse...cambiando? L'influenza buona del fratellone lo aveva in qualche modo "ammorbidito"? 
Al suo arrivo, non era che un bambino tutto sarcasmo e battutine, con la risposta sempre pronta. 
Lei aveva provato a stabilire un contatto, una parola magari, ma niente. Sembrava impenetrabile come pietra. 
Poi, senza alcun preavviso ma con gran sorpresa di tutti, aveva chiesto ad Alec di diventare il suo Parabatai.   
Non sapeva nessuno come fosse successo, a dirla tutta.
Era novembre inoltrato, e Jace lo aveva chiamato per giocare con lui, come tutti i pomeriggi (mentre a lei, la sorellina minore, toccava starsene con sua madre).
Erano rimasti dentro quella camera più a lungo del solito, e al contrario del consueto fracasso, li si sentiva bisbigliare appena.
Verso sera erano finalmente usciti, entrambi con un sorriso in volto, e avevano dato la notizia di voler diventare fratelli di battaglia.
Pensò che magari anche lei, un giorno, avrebbe trovato qualcuno a cui sentirsi incredibilmente legata, come quei due.
Sentì uno scroscio d'acqua, strinse forte la frusta, e subito lanciò uno sguardo al laghetto: non era piatto e calmo come prima, ma in un punto poco distante dalla riva cerchi concentrici increspavano la superficie dell'acqua.
Qualcuno, o qualcosa, si era tuffato. Oppure era appena uscito.
Non doveva abbassare la guardia.



«Jace, aspettami!» Alec lo strattonò per un braccio nel tentativo di fermarlo «Ti ho solo detto che sei stato gentile con Izzy!»
Il biondo si girò incenerendolo con lo sguardo.
«Io non sono gentile con nessuno, chiaro?» Enfatizzò l'ultima parola senza volerlo.
«Eppure con Izzy lo sei stato. E dillo che le vuoi...» si bloccò, perché il Parabatai aveva bloccato il suo marciare, incredibilmente deciso, tutto d'un tratto. 
«Forse» quella parola uscì come uno sparo. 
Infondo, molto infondo, quei due diavoli si volevano bene e c'era dell'affetto a legarli. Un affetto che si alternava a litigi omicidi, ma pur sempre affetto.
Non trattenne un sorriso. Era felice che Jace e Izzy si volessero bene, anche se a modo loro.
Il terreno era terribilmente melmoso, tanto che il fango aveva raggiunto l'altezza delle loro ginocchia, imbrattando la tenuta.
«Accidenti» imprecò Alec passandovi le mani «Erano nuovi questi vestiti, dopo l'ultima caccia...»
«Non me la ricordare» sbottò Jace, ricordando ciò a cui si riferiva.
L'ultima caccia, non era stata decisamente delle migliori. Un demone Behemoth li aveva colti di sorpresa, e senza neppure che se ne rendessero conto si erano ritrovati tra le sue fauci.
Alec aveva finito le frecce, e allora lui subito agì, trafiggendolo da dentro con la spada angelica. 
Il lumacone, come lo chiamava sempre Izzy, era praticamente collassato su di loro infradiciandoli con un liquido appiccicoso, schifoso, intriso di sangue e demoniaco.
Per una settimana erano rimasti intrisi di un odore indescrivibile, ma sicuramente sgradevole. Persino stare un'ora sotto l'acqua bollente non era servito, e le tenute erano state rese inutilizzabili, corrose dall'essenza del demone.
Entrambi sentirono un brivido salire lungo la schiena: non era un ricordo gradito per nessuno dei due, trovarsi viscidume demoniaco nei posti più impensabili.
Fecero pochi passi, rallentati dal il fango, per ritrovarsi ad un muro di giunchi più alto degli altri, che dava direttamente sul laghetto.
Jace, mosso dalla curiosità, scostò le piante e si infilò nello spazio che aveva creato.
«Torno subito» disse, prima di avanzare lentamente verso il sottilissimo tratto si sabbia sporca che separava la superficie del lago da terra.
Quando Jace mollò la presa sulle piante, queste ritornarono subito a posto bloccando ad Alec la visuale.
Per un istante rimase solo con i suoi pensieri: il suo Parabatai era bravo, coraggioso, pieno di talento, affascinante...no, aspetta, affascinante? Era normale che lo definisse così? 
Che male poteva esserci se lo ammirava? Ogni piccolo gesto, ogni parola, ogni occhiata, la registrava per riuscire in qualche modo a copiarne la grazia, l'eleganza.
Persino quando dormiva, gli pareva che il suo respiro fosse perfetto, limpido e regolare. 
Una sera, si ricordava, che lui e il Parabatai erano rimasti alzati fino a tardi nella camera del moro, senza un motivo apparente, semplicemente per passare del tempo insieme. Come bambini normali.
E dopo svariate risate, Jace gli si era addormentato con la testa appoggiata sulla spalla. Non lo aveva svegliato semplicemente per sentirlo respirare, e, ogni tanto, per passargli delicatamente una mano fra i capelli, che gli ricadevano morbidi sul viso.
La voce di Jace che chiamava aiuto lo fece sobbalzare, seguito da un forte rumore di passi. 
Il biondo lo travolse con forza, venuto da una direzione che Alec non intercettò. 
Caddero tra il fango sporcandosi completamente, il moro sotto il peso del corpo di suo fratello.
«Alec...»  mormorò, a pochi millimetri dal suo orecchio, per poi alzarsi sulle mani per allontanare il viso dall'incavo del suo collo.
Il moro sentì il respiro bloccarsi e ogni singolo muscolo del corpo irrigidirsi, mentre il sangue gli affluiva alle guance.
Dentro il suo cuore, sentiva come se ci fosse una battaglia: da un lato, avrebbe voluto che Jace si togliesse all'istante per far ritornare nella norma il battito cardiaco; dall'altra, la tentazione di abbracciarlo e stringerlo a sé era dannatamente forte, e non ci mise molto a prendere il sopravvento.
Un po' titubante, o meglio, con le mani che quasi tremavano, gli appoggiò entrambe le mani sui fianchi come se avesse voluto aiutarlo a sostenersi.
Quando sapeva benissimo, però, che l'ultima cosa di cui Jace aveva bisogno in quel momento era di qualcuno che lo aiutasse a reggersi. Lui era forte.
"Stupido" pensò "Sei uno stupido...che stai facendo?" 
Mollò subito la presa, ormai sull'orlo di una crisi di rossore, quando le braccia di Jace non riuscirono più a sostenere il peso del corpo. 
«Ahi» si lamentò il biondo «Pensavo che mi stessi tenendo»
«Io...» trattenne il fiato finché Jace non rotolò di fianco, sdraiandoglisi accanto.
«Posso sapere il perché stavi urlando e correndo come un indemoniato?» Chiese dando un'occhiata al fratello, intento ad ammirare il cielo stellato che li sovrastava.
«Ecco...ho visto una cosa terrificante» 
Alec scattò seduto.
«Cosa? Un demone?»  
«Peggio»
Il moro lo guardò interrogativo: cosa c'era peggio di un demone?
«Ma non ho intenzione di dirti cosa, dato che non ce n'è bisogno»
«Guarda che non c'è nulla di male nell'ammettere le proprie paure...» diede alla sua voce un tono più suadente e flautato possibile. In realtà fremeva dalla voglia di sapere cosa terrorizzasse tanto Jace: era convinto che non esistesse nulla capace di spaventare il suo Parabatai così coraggioso e spavaldo. 
«Ho detto che tanto non te lo dico» arricciò le labbra in una smorfia divertita prima di rimettersi in piedi.
«Qui non c'è nulla, meglio andare a cercare Iz» 



La cacciatrice si faceva strada tra il fango, guidata solo dal sensore e dal suo istinto. Il puntino rosso continuava a lampeggiare sullo schermo, anche se lei finora non aveva trovato nulla. 
Tentò di scaldarsi strofinando le mani sulle braccia nude con vigore. Ma non servì a molto,  continuava a rabbrividire come una foglia.
"Mannaggia a me quando non ho voluto prendere la giacca" 
Cominciò a pizzicarle il naso ed emise un forte starnuto, portandosi la mano libera alla bocca. Il suono echeggiò nell'aria, ed improvvisamente Isabelle si sentì più infreddolita e sola che mai. 
Ma era meno sola di quanto credesse. 
Sentì uno strano gorgogliare, come quello dell'acqua che si increspa prima di una tempesta. 
Faceva freddo, ma non soffiava un filo di vento quella notte.
Stringendo forte la frusta e scostando ogni tanto qualche giunco che la bloccava, si avvicinò lentamente al lago: l'acqua era stranamente agitata, non aveva sentito male, dunque.
Lentamente uno strato di spuma scura cominciò a formarsi sulla superficie dell'acqua, fino a diventare una massa sempre più compatta che si avvicinava  velocemente ai piedi della giovane cacciatrice. 
Fece velocemente qualche passo indietro, ma inciampò su qualcosa di duro e cadde all'indietro, battendo la schiena sul terreno fangoso.
Il colpo le mandò una scarica di dolore su per la spina dorsale, che per un momento la immobilizzò sul posto. 
Pian piano la spuma nera si innalzò, fino a sovrastare la Nephilim come un'onda anomala che si preparava ad abbattersi con forza sulla spiaggia.
Riprese controllo dei suoi pensieri e si rialzò in piedi con una rapidità che quasi non le apparteneva. La paura non la bloccava, anzi, riusciva a metterla in moto.
Srotolò la frusta dal proprio polso e la schioccò in direzione della creatura, talmente scura da distinguersi tra il resto del buio notturno.
L'arma brillò come un lampo a ciel sereno e squarciò quello che Isabelle avrebbe identificato come il ventre del demone. 
Ancor prima che lei potesse esultare, la ferita si rimarginò come se fosse una spugna. Niente sangue, solo uno strano sfrigolio.
Dall'essere spuntò un tentacolo che si avvinghiò con forza alla caviglia della cacciatrice, cadde e la trascinò vicino a sé, sempre più vicino all'acqua.
Si dimenò come una furia, e con un calcio finalmente riuscì a liberarsi e a correre via.  
Mente correva si accorse del dolore alla caviglia sinistra, dove il mostro l'aveva stretta, che quasi le impediva di appoggiarla a terra. Non era il dolore acuto di una ferita, ma più simile a quello di una contusione, o, peggio ancora, a quello di una frattura. 
Diede un'occhiata dietro di sè: non c'erano altro che giunchi secchi e una strana calma.
Quel demone non assomigliava a nessuno di quelli che avesse mai visto all'interno del Codice. Sembrava una macchia di oscurità, viva e assetata di sangue.
Esausta si sedette a terra e si esaminò attenta la caviglia dolorante: aveva un profondo segno rosso che l'avvolgeva come un bracciale. 
Udì un fruscio seguito da un rumore di passi veloci.
Si mise in guardia e con un po' di difficoltà si rimise in piedi, con la frusta pronta a schioccare non appena avrebbe visto di nuovo quel mostro.
Al contrario di quanto si aspettasse, da un muro di piante secche emersero due chiome di capelli, una bionda e una mora. 
«Jace, Alec!» Li chiamò prima di buttare le braccia al collo dei fratelli maggiori «State bene, grazie a Raziel...»
«Izzy, che è successo?» Chiese Jace notando i suoi evidenti segni di combattimento: i capelli mori scompigliati, la tenuta sporca e dei lividi sulle braccia potevano soltanto significare che una cosa. «Sei sconvolta»
«Io...» non aveva senso mentire, non ai suoi fratelli «Ho incontrato un demone, ha tentato di affogarmi. Mi sono liberata ma invece che combattere sono fuggita. Sono una codarda, lo so...ma era gigante e nonostante lo colpissi riuscivo mai a ferirlo...»
Notò un'espressione che non aveva mai visto sul volto dei due. 
Cos'era, rabbia? Delusione? O pena nei suoi confronti?
«E...» continuò «Credo che mi abbia stritolato la caviglia»
«Sai dov'è? Dammi il sensore» le ordinò Jace.
Isabelle si tastò i pantaloni all'altezza delle tasche e si guardò intorno: probabilmente lo aveva perso quando era stata attaccata.
«L'ho perso» la cacciatrice era sul punto di piangere «Mi dispiace Jace...»
Il biondo fece una smorfia di disprezzo, ma quello che disse dopo sorprese sia Alec che Isabelle.
«Cavoli, volevo fargliela pagare per aver toccato mia sorella, l'avrei stritolato con le mie mani» sorrise alla mora.
«Jace...non sei arrabbiato?» 
«Perché mai dovrei? Ne abbiamo a vagonate di quegli aggeggi» Allargò le braccia e avvolse le spalle Isabelle. «Sono sicuro che sei stata molto coraggiosa, non è vero Alec?» 
«Sono sicuro anche io.» distese le labbra sottili in un sorriso «Però credo sia ora di tornare a casa, nessuno dovrà sapere del casino che abbiamo combinato oggi, chiaro?» Allungò il braccio libero dall'arco e tenne alto il dorso della mano.
Isabelle e Jace fecero un segno d'assenso e misero le loro mani sopra quelle del moro.
«Siamo una squadra d'ora in poi» Affermò quest'ultimo solennemente «Fino alla fine» 






Angolo Autrice
Ok, per prima cosa mi dispiace di averci messo così tanto, ma la scuola proprio non mi ha dato tregua e questo capitolo mi ha portato via più tempo del previsto.
La cosa importante che dovevo assolutamente dirvi riguarda la storia in generale: ad ogni capitolo che posto diminuiscono le recensioni...quelle che ancora ricevo sono stupende, come le persone che le scrivono, ma a me personalmente dispiace. Sono pronta a ricevere qualsiasi tipo di critica o consiglio, non mi offendo, davvero. Il problema è che non vedo il perchè debba continuare ad impiegare il mio tempo a scrivere questa raccolta...se poi mi ritrovo ad ogni capitolo più delusa senza spiegarmi il perchè di questo calo. Vedremo come andrà con questo capitolo...infondo è una raccolta che potrei terminare quando voglio...forse sembrerò egoista, ma sono sicura che se foste nei miei panni (affogata negli impegni senza un briciolo di tempo libero) fareste lo stesso. A me scrivere piace moltissimo, anche se non credo di esser particolarmente brava. Perciò vi chiedo soltanto di dirmi cosa secondo voi non va, ve ne sarei grata.
Grazie mille a tutti coloro che ancora recensiscono dal primo capitolo, vi voglio un bene dell'anima ❤️.
 

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Capitolo 9
*** Quarrels and Confessions ***





Quarrels and Confessions 

~ 4 anni prima del Pandemonium ~


 
Alec odiava tante cose dei mondani: i loro vizi, i loro capricci, i loro falsi ideali, i loro vestiti e le loro festività. Parlando di festività mondane, quel giorno si celebrava la festa che probabilmente detestava di più in assoluto: San Valentino.
C'erano cuori rossi e fiocchi rosa ovunque, in ogni angolo della città c'era una coppietta intenta a baciarsi con un mazzo di rose rosse tra le mani.
Quando ci si mettevano avrebbe ucciso loro invece che i demoni. 
«Jace, ci spieghi il perché sei voluto uscire proprio oggi facendoci vestire così?» Chiese al Parabatai che gli camminava accanto.
«Esatto, spiegacelo» si unì la sorella stizzita, occupata a sistemarsi la gonna a balze.
«Andiamo ragazzi, volevo vedere cosa si provava» 
«Ad esser cosa? Mondani? Ci siamo coperti tutte le rune con il fondotinta di nostra madre e se lo venisse a sapere...»
Jace appoggiò l'indice sulle labbra del moro per zittirlo.
«Ascolta, ho organizzato tutto io» cominciò a spiegare, orgoglioso «Nostra madre il fondotinta non lo usa mai, e anche se lo usasse ne abbiamo utilizzato poco, giusto un po' sulle mani e sul collo. Per il resto abbiamo questi» indicò i propri vestiti: una maglia bianca un po' sgualcita con sopra una giacca blu cobalto, un paio di jeans bucati sulle ginocchia e delle scarpe dello stesso colore della giacca, molto in voga tra i mondani, che avevano tutte un marchio con una stella blu sul lato.
Isabelle invece indossava un foulard lilla intorno al collo, una felpa stretta senza maniche dello stesso color lavanda e una gonna a balze rosa fino al ginocchio, con stivaletti abbinati. Non potendo mostrar le braccia si era messa anche un'altra maglietta bianca sotto, tanto per star sicura.
«Detesto le gonne» si lamentò «E detesto il rosa, e il lilla anche» 
«È tutto ciò che avevamo da farti mettere Izzy. E poi sei carina vestita così» Alec non era un grande esperto in materia, ma sua sorella gli pareva un fiore in quel momento, con i capelli mori raccolti in una cipolla sopra la testa e un fiocchetto color rosa. 
La sorella gli sorrise, contenta, anche se di per sé sapeva di non esser brutta, anzi.
«Alec...per caso quelli sono miei?» chiese Jace notando i propri jeans sbiaditi avvolgere le gambe del Parabatai, che subito arrossì.
«Ehm...sì...» deglutì «Erano gli unici pantaloni non neri che ho trovato in giro...ti dispiace se li ho messi io?» 
«Nah, figurati» rispose dandogli una pacca sulla spalla «È bello vederti indossare un altro colore oltre al nero sai?» 
Il moro fece un sorriso un po' sghembo e imbarazzato, ma comunque sincero.
«Che cosa ci attende Jace? Non mi piace quando prendi queste iniziative...» 
In tutta risposta, il biondo allargò le braccia e strinse a sé i fratelli, in un gesto affettuoso.
«Cara famiglia...oggi faremo conquiste!» 
Bastò quella frase per far prendere un colpo ad entrambi i Lightwood.



«Jace, vieni qui che ti ammazzo!» la Cacciatrice corse dietro al diretto interessato con l'intenzione di trucidarlo.
«Izzy, Izzy buona!» Alec la prese per le spalle e la bloccò, nonostante lei si dimenasse come una furia. La tenne stretta finché non si calmò.
Jace, lentamente, fece marcia indietro e il Parabatai gli si piazzò di fronte, guardandolo serio.
«Dimmi che stavi scherzando. Ti prego.»
 Un sorriso sbarazzino illuminò il volto del Nephilim dagli occhi dorati. 
«Andiamo ragazzi, non possiamo divertirci per una volta? Siamo uno schianto vestiti così, i mondani cadranno ai nostri piedi! E poi non facciamo mica sul serio...» 
Isabelle e Alec si guardarono, pensierosi. Forse sarebbe stato bello divertirsi, per una volta, senza pensare alla missione che Raziel aveva affidato loro circa mille anni prima. 
Jace era ancora lì, in attesa di una risposta, con con gli occhi resi enormi dalla speranza che i fratelli accettassero la sua proposta.
«Va bene» Alec sospirò, sconsolato «Ci divertiamo un po' e poi ce ne ritorniamo di corsa all'Istituto, okay?» 
Il biondo saltò di gioia e li abbracciò.
«Grande, vi adoro ragazzi! Ditemi...chi vuole un gelato? Ho una fame!»
Izzy guardò di sottecchi il fratello.
«Non avrà mica intenzione di flertare con un ghiacciolo, spero» 
Alec si spezzò in due dalle risate.



Si diressero verso il centro della città, ormai tempestata dalle decorazioni romantiche di San Valentino.
Soffiava quella tipica aria primaverile tiepida, che rendeva piacevole il clima anche in un posto solitamente rigido come la grigia New York.
Si fermarono in un parco soleggiato, dove un piccolo bar stava facendo grandi affari, con le flotte di ragazzi che si affrettavano a comprare snack e coni gelato prima che finissero.
Alec non riusciva a capire come si potesse mangiare un ghiacciolo con quel clima: si stava bene, ma non era di certo estate. Non faceva abbastanza caldo neppure per andare in giro con le maniche corte.
Quasi tutti i tavolini all'entrata del baretto erano occupati da mondani che non pensavano ad altro che divertirsi e combinare ragazzate tra loro, e doveva ammettere che da una parte li invidiava parecchio.
«Guarda là» Jace gli indicò un tavolo occupato da due ragazzine, più o meno della loro età, intente a bisbigliare chissà cosa «Pronto a farti offrire un gelato?» 
Alec gli rivolse una mezza occhiataccia, prima di cominciare a guardarsi intorno per cercare la sorella: la trovò seduta insieme a due ragazzi poco più grandi, entrambi castani, e discutevano in maniera piuttosto concitata. Sembravano un po' sfigati, a dirla tutta, uno portava gli occhiali e l'altro una maglia con scritto “Made in a video game”.
Non immaginava che Izzy potesse provare interesse per quel genere di ragazzi, ma non se ne preoccupò molto: infondo li avrebbe spezzati come si fa con degli stuzzicadenti, se avesse voluto, anche perché nessuno dei due era abbastanza robusto da metterla in difficoltà.
Jace lo distolse dai suoi pensieri trascinandolo verso il tavolo che gli aveva indicato in precedenza.
Non appena le ragazze li videro, cominciarono ad agitarsi e a sistemarsi fugacemente i capelli. Jace faceva quell'effetto alle mondane, ma non solo a loro: faceva quell'effetto ad ogni forma di vita femminile esistente.
«Piacere» cominciò a presentarsi, con una serietà che Alec non gli aveva mai sentito nella voce «Non vi dispiace prestarci qualche spiccio? Io e il mio amico avevamo voglia di un gelato ma...abbiamo lasciato i soldi a casa» 
«Non c'è problema, ve li do io» Una frugò nella piccola borsa e porse delle monetine luccicanti a Jace. Aveva i capelli corti e biondi fino alle spalle, e la pelle diafana le metteva in risalto le lentiggini sul viso. Aveva degli occhi simili a quelli di Alec. Carina, molto carina. 
«Potete fermarvi a chiacchierare? Non frequentate la nostra scuola, mi pare» chiese la ragazza accanto alla bionda. La sua pelle scura faceva uno strano contrasto contro quella lattea dell'amica, così come i capelli, raccolti in una lunga treccia.
«Ehm...no, veniamo da una scuola piuttosto distante» si inventò Jace «E sì, possiamo restare. Alec potresti prenderli tu i ghiaccioli per piacere?» Gli mise i soldi in mano e si mise seduto tra le due, cosa che rese entrambe molto felici, date le facce estasiate che avevano.
Il moro non obiettò e si diresse all'interno del bar, un po' infastidito dal comportamento del Parabatai.
Dietro al grande bancone, una ragazza molto alta era intenta a trafficare con il cellulare. Si accorse della sua presenza soltanto dopo che il Nephilim le mostrò le monete: incredibile come i mondani fossero dipendenti dal denaro.
«Che posso fare per te? Muoviti, ho fretta» gli intimò senza distogliere lo sguardo dal telefono.
Alec notò che aveva le ciocche dei capelli una diversa dall'altra: la coda di cavallo che le teneva legate sembrava un arcobaleno, con strisce che andavano dal rosa tenue al verde fosforescente. 
«Ti muovi sì o no ragazzino? Ti ho detto che non ho tempo da perdere» stavolta lo guardò in faccia, in modo truce. Forse aveva visto male, ma la ragazza aveva qualcosa che scintillava sulla punta della lingua, forse un piercing.
Si trattenne e rispose alla domanda, il più cautamente possibile.
«Due ghiaccioli, per me e...»
«Non mi interessa per chi sono» lo zittì mentre apriva il freezer, buttando all'aria qualche ghiacciolo finché non ne prese due identici, rossi come il sangue. 
«Vanno bene questi?» 
«Sì...credo di sì» 
La barista appoggiò i gelati sul bancone e tese la mano, cosicché Alec vi mettesse i soldi. 
Una volta fatto ciò, lo liquidò con un gesto della mano e si rimise a trafficare con il cellulare. 
«Grazie...» 
La ragazza sbuffò.
«Insomma, non te ne vai proprio eh?» 
Alec sbarrò gli occhi, prendendo i gelati.
«Una cosa che apprezzo di tutti quegli altri marmocchi come te è che si spicciano, hanno troppo da fare con le fidanzatine oggi.» Gli rivolse un'occhiata melliflua «Tu sei calmo, troppo calmo piccoletto. Non hai nessuno non è così?»  
Adesso toccava a lui guardarla in malomodo.
«No, ma a te che interessa?» 
Lei, in tutta risposta, ridacchiò indicandogli con l'indice smaltato di nero la vetrata del bar.
«Il tuo amichetto al contrario tuo si sta dando da fare» 
Alec si girò verso il punto che la barista gli aveva indicato, e la scena che vide gli diede il voltastomaco a dir poco: Jace aveva attirato a sè entrambe le ragazze, mettendo loro un braccio sulle spalle. Teneva i piedi appoggiati sul tavolo, e la ragazza a con la treccia gli stava ravvivando i capelli dorati scompigliandoli amorevolmente, come se lo conoscesse da sempre.
Mai in tutta la sua vita si era sentito così male, ma si sentì peggio, quando ne capì il perché.



Uscì da quello che ormai considerava un incubo, e arrivato al tavolo vi gettò i ghiaccioli con rabbia.
Jace sobbalzò, spostando le braccia dalle ragazze, che rivolsero occhiatacce al moro. Disse loro di andarsene, convincendole con un occhiolino. Al Lightwood venne la nausea, il comportamento di Jace non gli piaceva, affatto. 
Rimasero soli, uno contro l'altro, e se non fossero stati di quel colore glaciale sarebbe sembrato che gli occhi del maggiore avessero preso fuoco dalla rabbia. 
«Alec...che...»
«Non provare a chiedermi il perché mi comporto così!» Urlò più forte di quanto volesse. Il suo obbiettivo era cercare di non piangere. 
«Mi hai liquidato così per...quelle due, che non hai mai neanche visto! E ti stavi comportando come un diciassettenne!» 
Jace sembrava non capire, ma alla fine il suo sguardo mutò da confuso a mortificato. 
«Sei piccolo, Jace» mentì. Il motivo principale per cui era arrabbiato era tutt'altro. «Mettitelo in testa» 
In quel momento arrivò Isabelle, che aveva sentito Alec urlare.
Spostò lo sguardo da un fratello all'altro e viceversa, prima di chiedere cosa fosse successo.
«Izzy, andiamocene a casa» il maggiore la prese per mano, e lei senza obbiettare lo assecondò «Divertiti Jace con le mondane» e lo lasciò lì, portando con sé la sorella.



«Alec, mi dici che è successo?» chiese la Cacciatrice gettando la giacca sulla poltrona. Il fratello la imitò e si passò una mano fra i capelli corvini.
«Jace...» mormorò. Isabelle non lo aveva mai visto così nervoso in vita sua «Si è comportato da...da...»
«Ho visto.» Ammise lei «Non è piaciuto neppure a me come si è comportato, ma sai com'è fatto»
Lui cominciò a camminare avanti e indietro per il salotto.
«Mi ha liquidato apposta. Sono un peso per lui»
«Alec, non dire così. Sai che non è vero...» gli mise una mano sulla spalla, per fermare la sua camminata nervosa e concitata.
«Sì invece. Lo hai visto anche tu nell'ultimo periodo.» 
La sorella ci rifletté sù, e annuì lentamente. In effetti Jace era strano in quel periodo, e non solo con Alec. Però tra due Parabatai come loro, se qualcosa non andava era piuttosto evidente. 
Isabelle non si trattenne dall'abbracciarlo, accarezzandogli dolcemente i capelli, così simili ai suoi.
«Alec, si risolverà tutto, vedrai» il fratello ricambiò l'abbraccio, stringendola forte. «Però non capisco perché hai reagito così male. Non ti ho mai visto così infuriato...» 
Dal sussulto del moro capì che aveva toccato un tasto dolente. 
«Io...devo dirti una cosa, Iz, è un specie di segreto e...so di potermi fidare di te»
«Certo che puoi. Qualsiasi cosa...» notò che i suoi occhi azzurri erano offuscati dalle lacrime, che cercava di trattenere. Sentiva che era davvero importante ciò che stava per dirle.
«Iz, è da tanto che ci penso e ci ripenso, e oggi ne ho avuto la conferma» deglutì lentamente. Isabelle gli accarezzò una guancia, senza fargli fretta. «Izzy...io credo di...di essere gay. Ecco, l'ho detto. Credo di essere gay e...e di essermi innamorato. Di Jace.» 
Calò un silenzio che Alec trovò omicida. La sorella lo stava guardando con gli occhi scuri sbarrati. I ricordi dei momenti trascorsi con lui si sovrapposero nella sua mente, uno dietro l'altro. Ecco il perché di tante cose, di tanto imbarazzo, di tanti punti di domanda. 
«Sono sempre lo stesso, questo non cambierà ciò che sono sempre stato. Sono sempre tuo fratello maggiore...ti prego, dì qualcosa» alla fine le lacrime sgorgarono, calde e numerose. 
Isabelle gliele asciugò ad una ad una, e ogni volta che lo faceva gli lasciava un piccolo bacio.
«Alec. Basta piangere, dai. Fai un bel respiro.» Il fratello pian piano si calmò, ma Isabelle sapeva che in realtà continuava a piangere dentro. 
«So adesso che succederà» sussurrò contro la spalla della Cacciatrice «Lo dirai a mamma e a Jace. Lo verrà a sapere anche papà ad Idris. Così non sarà mai, MAI orgoglioso di me.»
Isabelle lo guardò accigliata.
«Non farei una cosa del genere neppure se un demone mi desse fuoco. Alec, qualsiasi cosa sceglierai di essere, chiunque ti piaccia, a me non importa. Tu sei il mio fratellone, e tale rimarrai. Intesi?» 
Alec non avrebbe potuto desiderare una sorella migliore, e mai le fu così grato in tutta la vita. L'abbracciò fortissimo, sollevandola da terra.
«Grazie. Sei fantastica, davvero»
Sentirono cigolare il portone dell'Istituto. Jace era tornato.



«Alec, Alec ci sei?» Chiamò il biondo.
Il suo Parabatai, dopo aver sceso velocemente le scale, lo trovò con i capelli scompigliati, le mani dietro la schiena e un ginocchio sbucciato. I jeans si erano macchiati di sangue in quel punto.
«Jace...che hai fatto?»
«Sono solo caduto mentre correvo. Ma adesso fai parlare me, per favore.» Lo interruppe, abbassando lo sguardo «Mi sono comportato da cretino, lo so. Oltre ad averti voluto mandare via di proposito, ho preferito quelle due a te, il mio Parabatai. E mi dispiace. Tanto. Ti ho portato questi...» mostrò le mani: teneva stretti i due ghiaccioli color rubino, anche se erano già mezzi sciolti. 
Il cuore di Alec si ammorbidì, e prese uno dei due gelati che Jace gli stava offrendo in segno di scuse.
«Ti perdono.» sorrise e allargò le braccia «Adesso abbracciami, brutto deficiente che non sei altro» 
«Ehi!» Sbottò Jace, anche se sapeva benissimo che stava scherzando. Si strinsero forte, senza badare ai ghiaccioli che stavano lentamente colando sui loro vestiti.
«Io...giuro che non mi comporterò mai più come ho fatto oggi Alec. Semmai una mondana carina la lascio a te...» 
Entrambi risero, anche se la risata del moro si smorzò piuttosto in fretta.
Nascosta dietro lo stipite di una porta, Izzy osservava in silenzio la scena: suo fratello sorrideva esternamente, ma dentro stava affrontando la lotta più ardua di tutte. Quella con il suo cuore. 







Angolo Autrice
....non ho parole per descrivere quanto sia mondano questo capitolo. È abominevole.
Alla fine ho deciso di continuare questa raccolta...siete state dolcissime nelle ultime recensioni, davvero. Spero che recensiate anche questo, non vorrei che quella dello scorso capitolo suonasse come una minaccia, del tipo: "recensite o smetto", non intendevo questo. 
Comunque, questa idea mi frullava in testa da tanto tempo e...non lo so, a me fa più schifo degli altri capitoli.
Fatemi sapere, perché io qui sto morendo d'ansia.
Ringrazio di cuore quattro persone in particolare:
~Life before his eyes (so che desiderava tanto un momento d'affetto e solidarietà tra izzy e Alec, spero di non averla delusa) 
~MalecSizzyClace
~MyLove Is On MyBookshelf
~Giadina22688

Grazie mille per tutti gli incoraggiamenti e i consigli <3


Ps. Dato che sarò molto molto impegnata a Maggio (tra gli impegni anche il mio 13° compleanno, ovvio XD) , non sono affatto sicura dei tempi di aggiornamento. Beh, auguro un buon 1° Maggio a tutti!

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Capitolo 10
*** Stay With Me ***





Stay With Me 

~ 3 anni prima del Pandemonium ~


 
Faceva buio. Un nero talmente scuro che l'inchiostro a confronto sarebbe sembrato di un grigio sbiadito. Camminava nel vuoto da un tempo che pareva infinito, finché la figura di un non uomo si stanziò davanti a lui, con un cappuccio a coprirgli il volto dai lineamenti duri.
«Padre...» sussurrò, abbassando lo sguardo.
«Come hai potuto fammi questo, Alexander» la voce dell'uomo era piegata dal dolore «Pensavo che tenessi all'onore della tua famiglia.»
Alec sentì una fitta al cuore, nel comprendere di che stesse parlando.
«Mi dispiace padre...non...non l'ho scelto io...» 
Accanto all'imponente Robert Lightwood, dall'oscurità emerse un'altra figura dai lineamenti più sinuosi e femminili. 
«Il mio bambino...» riconobbe subito la voce triste della madre, che lo guardava con occhi freddi e vuoti, come se stesse guardando un mostro. 
«Jace...» mormoró. Sentì le guance bagnate e appiccicose. Alzò le mani per toccarsi il viso e, quando le allontanò, vide che erano macchiate: lacrimava sangue. «Che...che cosa avete detto a Jace?» 
«Lui è un guerriero, Alexander. I guerrieri non vogliono pesi, nè tantomeno Parabatai che si innamorano di loro. Tu sei entrambe le cose.» 
 Una sensazione sgradevole come l'acido cominciò ad insinuarsi dentro di lui, arrivando fino al cuore, dove provocava un bruciore insopportabile.
«Lui...» Maryse appoggiò la mano affusolata sulla spalla del figlio «Ha preferito allontanarsi da te per un po', finché...questa "cosa" non sarebbe passata.»
Sentiva il proprio petto andare a fuoco, pensando che fosse soltanto una sua sensazione. Poi si accorse che il suo cuore era avvolto da delle fiamme color cobalto, che quando divampavano assumevano una tonalità simile al colore dei suoi occhi. 
Eppure non faceva male, ma pian piano la sua gabbia toracica andava incenerendosi.
«Mamma...Papà...aiutatemi...» ma le parole uscirono talmente deboli che si dispersero insieme alla cenere, nel vuoto più assoluto.


«JACE!» urlò con tutto il fiato che aveva in gola, scattando a sedere.
Era notte fonda ormai, ma riusciva benissimo a distinguere i contorni dei mobili della propria stanza, illuminati da un tenue raggio di luna. Era nel suo letto, al sicuro. 
Si passò una mano tra i capelli corvini, che gli erano rimasti appiccicati sulla fronte per il sudore.  
Bevve un sorso d'acqua dal bicchiere che teneva sempre sul comodino, e tentò riprender la calma: erano notti che aveva gli incubi, soprattutto sui suoi genitori.
Si alzò e sfilò da sotto il letto la tenuta da caccia, la indossò e si avviò verso il grande portone dell'Istituto, unica barriera che lo divideva da un possibile quanto temibile destino.
Doveva sfogarsi, in un modo o nell'altro. 




Era passato poco più di un anno ormai, eppure il tempo sembrava essersi fermato sempre sulla stessa scena: Jace che si allenava giorno e notte, Alec che piangeva silenziosamente nella sua stanza in preda al tormento, mentre lei cercava in tutti i modi di tenere in piedi la famiglia. 
Isabelle si era alzata piuttosto tardi, e quando andò in cucina non si meravigliò di trovarla vuota: c'era solo Church, acciambellato sulla sedia simile ad un vecchio cuscino.
La Cacciatrice lo prese in braccio, cominciando a fargli delle carezze dietro le piccole orecchie pelose.
«Mio fratello sta male, Church.» mormorò guardandolo negli occhi verdi e felini «Cosa posso fare? Le ho provate tutte...» 
Il gatto le rispose con un soffio. Probabilmente non gli interessava un gran che.
«Stupido coso, come se potessi capirmi.» Lasciò andare l'animale che si rimise a dormire, appallottolato ai piedi del tavolo.
Frugò tra le mensole prima di afferrare un barattolo colmo di biscotti, cucinati da sua madre. Non c'era molto nell'ultimo periodo, dato che la chiamavano continuamente ad Idris per le riunioni del Conclave. 
Stappò il contenitore di vetro e assaggiò uno dei biscotti, masticandolo lentamente: era buono, molto buono, con un forte retrogusto al cioccolato.
Peccato che del talento culinario della madre non avesse ereditato nulla, magari così sarebbe potuta andare orgogliosa dei suoi piatti, invece che delle sue vittime. 
Lanciò uno sguardo all'orologio a pendolo sulla parete: le dieci, e nessuno all'interno dell'Istituto aveva ancora messo piede in cucina.  
Sentì una stretta allo stomaco, forte come una pugnalata. 
Si alzò senza rimettere a posto nulla e corse per tutto il corridoio, fermandosi solo davanti ad una stanza dalla porta nera e lucida, con un piccolo buco all'altezza della sua clavicola: una volta Alec aveva scoccato una freccia in quel punto, e nessuno si era preso la briga di ripararlo. 
Appoggiò la mano sulla maniglia, e prese un bel respiro, sperando che i suoi sospetti non fossero fondati. 
L'aprì, e guardando dentro la stanza si pentì di aver avuto ragione: suo fratello non c'era, così come la tenuta da cacciatore, e il suo letto era a soqquadro con le coperte sparpagliate ovunque.
Riprese a correre, stavolta diretta verso la Sala degli Allenamenti. 
Lì c'era l'unica persona che potesse aiutarla.




Jace scostò una ciocca dorata dagli occhi.
Strinse l'elsa del coltello, e con un veloce movimento del braccio lo scagliò verso la parete posta a dieci metri da lui.
L'arma si conficcò nella piaga del legno, e il Cacciatore sorrise soddisfatto al suo ennesimo successo. 
Migliorava di giorno in giorno, e quando andavano a caccia ormai non si preoccupava più molto come le prime volte. Inoltre, aveva l'aiuto di Izzy e Alec.
Alec.
Una scossa di dolore partì dall'avambraccio sinistro, irradiandosi poi in tutto il corpo, costringendolo a stringere i denti.
Erano mesi che continuava a sentire quella sensazione alla runa Parabatai, ogni volta che il nome “Alec” gli balenava in testa. Ma questa volta era più forte, più intensa e più dolorosa delle altre. 
Ormai aveva capito che suo fratello stava soffrendo, ma ogni volta che provava a capirne il perché lui deviava il discorso. Stessa cosa era successa con Izzy che gli aveva semplicemente detto che Alec soffriva d'insonnia. 
Non ci avrebbe creduto neanche se lo avessero pagato: da piccolo anche lui aveva problemi con il sonno, ma era convinto che ciò non portasse alla depressione o all'autodistruzione totale. Se la Cacciatrice gli mentiva, probabilmente lui aveva a che fare con l'intera faccenda. 
«Jace! Jace rispondimi!» Il Cacciatore era così assorto nei suoi pensieri che neppure si accorse della sorella, intenta a scuoterlo energicamente per un braccio «Jace, mi stai ascoltando!?»
«Ow...ehm...» scosse la testa un paio di volte, strabuzzando gli occhi «Iz, che hai da urlare?»
«Alec...» rispose in tono preoccupato «Non riesco a trovarlo.»



Quando i due Nephilim uscirono di corsa dall'istituto,non avevano pensato al modo con cui la giungla d'asfalto li avrebbe accolti: sciami di taxi gialli che otturavano le strade ed un via vai di persone con tazze di caffè fumanti tra le mani, molti ancora storditi dal sonno, e come colpo di grazia il frastuono assordante causato dai clacson e dal vociare dei mondani. Ed era solo tarda mattina. 
«Hai idea di dove possa essere!?» domandò Isabelle al biondo, quasi gridando. Dopotutto nessuno poteva sentirli o vederli.
«Forse!» Urlò Jace di rimando «Se lo conosco bene, lo troveremo lì!»
Izzy gli lanciò un'occhiata interrogativa.
«Perché, non credi di conoscere tuo fratello?» 
Jace abbassò lo sguardo, rimuginando più e più volte la risposta. 
«Non ne sono più così sicuro» disse, evitando un gruppo di uomini in giacca cravatta che gli stavano andando addosso, ignari della sua esistenza «Non sono stupido, Isabelle.»
La cacciatrice si irrigidì: nessuno la chiamava Isabelle da parecchio tempo, da quando Alec aveva inventato quel soprannome. All'inizio le dava parecchio fastidio, ma col passare del tempo si era affezionata a quel nomignolo carino.
«So che c'entro io in tutta questa storia. E dato che anche io voglio bene ad Alec vorrei sapere che gli sta succedendo, perché sono convinto che l'insonnia qui non c'entri proprio nulla.»
La Cacciatrice si fermò di colpo, puntando gli occhi in quelli di Jace: buio contro luce.
Avrebbe voluto dirgli tutto, spiegargli il perché Alec stava così male in quel l'ultimo periodo, dirgli ciò che il moro provava per lui. Ma non poteva, perché lui non glielo avrebbe mai perdonato. E neppure lei.
E poi, sapeva che fra non molto tempo avrebbe dovuto faticare per far allontanare Alec da lui: nel profondo del suo cuore sentiva che Jace gli voleva bene, un bene dell'anima, ma non lo avrebbe mai ricambiato.
«Lui sta così perché...» non poteva dire dei sentimenti di Alec, però poteva raccontargli di come si sentiva quando cacciava. Era l'unica cosa giusta da fare. «...non si sente all'altezza»
Le sopracciglia sottili di Jace, bionde come i capelli, si sollevarono.
«All'altezza di cosa?»
«Di te, Jace» la voce della mora si era indurita all'istante. Come faceva ad essere così cieco? «Tu migliori di giorno in giorno, sei imbattibile quasi in tutto, e uccidi più demoni tu in una notte che lui in tre mesi. Sai di essere in gamba, e sai di essere una specie di Shadowhunter prodigio.» Abbassò lo sguardo. Ce la stava facendo, avrebbe aiutato Alec senza fargli male. «Se ci riesci è anche grazie a lui, sai? Ti copre sempre le spalle, e prende tutti i colpi solo per non farli prendere a te. Lui ti è sempre vicino quando ne hai bisogno, quando ti serve una spalla su cui piangere o qualcuno che ti fasci le ferite» La sua voce assunse una nota arrabbiata. Intanto il biondo la stava ascoltando attentamente, con un'espressione tra lo stupito e il colpevole «Ma quando lui ha bisogno di te, tu non ci sei mai perché sei troppo occupato ad allenarti per diventare sempre migliore. Tu non te ne accorgi, ma così lo fai star peggio, ed ora è ridotto così.»
Riprese fiato. Finalmente Jace sapeva come si sentiva Alec, almeno in parte. 
Sentendo che non diceva nulla, distolse lo sguardo dal marciapiede e lo puntò su di lui: aveva gli occhi lucidi di lacrime, ed il cuore appesantito dal senso di colpa. 



Per un attimo tutti i rumori del mondo si fermarono. E rimase lui, con uno strano rumore a ronzargli nelle orecchie. Sembrava uno scricchiolio, che piano piano si faceva sempre più forte, assomigliando ad una frana.
Jace pensò che fosse il rumore del mondo che gli stava cadendo addosso, pezzo dopo pezzo. 
Si sentiva la persona più crudele, cieca, e insensibile esistente: poteva anche esser il Cacciatore più bravo della sua età, ma...valeva la pena di esserlo, se poi era il fratello peggiore sulla terra? 
Tutto ciò che Isabelle aveva detto era vero, maledettamente vero. 
Aveva trascurato il suo Parabatai, la persona con cui aveva deciso di condividere la propria anima, le proprie paure ed il proprio corpo. 
Quando era in preda alla febbre, Alec per lui c'era sempre, pronto a portargli qualche sciroppo o qualcosa di caldo, o magari semplicemente per rimboccargli le coperte e stargli vicino.
Lui invece si era comportato in tutt'altro modo, ignorando i solchi scuri che ormai da tempo adornavano gli occhi di Alec, facendoli sembrare di un grigio spento. Ma tutto in lui sembrava essersi spento in lui ultimamente, e Jace era stato egoista, tanto egoista da fregarsene, pensando che si sarebbe aggiustato tutto da solo.
E se n'era accorto tardi, quando Alec era scomparso, cacciandosi in chissà quale guaio. 
«Jace...» adesso la voce di Isabelle era più dolce «Stai piangendo?»
Il Nephilim velocemente ricacciò indietro le lacrime che gli stavano pizzicando gli occhi, impazienti di sfuggire alle sue iridi dorate.
«Fanne parola con qualcuno e ti faccio secca» la minacciò con l'indice della mano puntato su di lei «Adesso basta con i piagnistei, ho un fratello da salvare»
«Abbiamo, Jace» gli appoggio una mano sulla spalla, con un sorriso deciso stampato in volto «Abbiamo un fratello da salvare»
Jace ricambiò il sorriso mostrando i denti bianchissimi. 
«Vieni. C'è un posto dove io e Alec andiamo sempre, ed è l'unico luogo in cui non avrebbe paura di andare neanche se fosse disarmato.»
Camminarono, o meglio, corsero fino ad arrivare in fondo alla strada, dove vi era un piccolo ristorante cinese. La sua provenienza era confermata dalle scritte incomprensibili sulla vetrata e dalle lanterne di carta che oscillavano al vento. Sopra, una grande insegna con scritto “Taki's”.
 «È questo il posto?»
«Si. Quando io e Alec abbiamo fame ordiniamo di tutto qua»
Isabelle mise su un finto broncio.
«Lo sapete vero che anche io so cucinare?» 
Il fratello, in tutta risposta, farfugliò un “Sì sì, continua a crederci” piuttosto divertito.
Accanto al ristorante si apriva un vicolo così stretto che neppure i raggi del sole riuscivano a raggiungerlo, lasciandolo nella penombra più totale.
«Pensi che...» iniziò Isabelle, facendo un passo in direzione della piccola stradina.
«Si.» La risposta di Jace fu più che convinta «Lo sento. È difficile da spiegare, ma io sento che Alec è qui. E che ha bisogno di noi.» 
Lei si scansò facendo in modo che il biondo le facesse strada. Si sentiva stranamente rassicurata quando c'era lui a guidarla.
Man mano che avanzavano le pareti andavano allargandosi, permettendo ad entrambi i Cacciatori una vista più nitida e un respiro più regolare. Tutta quell'oscurità e quel poco spazio erano soffocanti, soprattutto se erano tutte e due presenti in una situazione del genere. 
Ad ogni passo che facevano entrambi sentivano una strana stretta al cuore farsi sempre più forte, come avesse voluto farli annegare in quell'angoscia, straziante e martellante quanto il dolore che in quel momento Jace percepiva alla runa Parabatai.
Si bloccò di colpo, e con lui i battiti del suo cuore.
Mai come in quel momento sentì l'impulso di piangere, con il groppo di lacrime incastrato in cima alla gola. 
Sentì l'urlo terrificante di Isabelle, che nonostante fosse due passi dietro di lui, sembrava fosse lontana miglia e miglia.
Avevano trovato Alec, adesso era lì, accasciato davanti a loro, immerso in una pozza di sangue spaventosamente grande. 
Aveva quello che sembrava un artiglio ferreo conficcato all'altezza tra il fianco e la gamba destra, dove teneva premuta la mano. Probabilmente aveva tentato di sfilarselo, ma sembrava che avesse perso troppo sangue da troppe ferite per fare alcunché. Ne aveva ovunque, la tenuta nera era squarciata sul petto mostrando un profondo taglio. 
«JACE! Per Raziel fa qualcosa ti prego!» Isabelle era in lacrime, completamente in preda al terrore. 
Jace si chinò sul fratello, prendendo il suo polso tra l'indice e il pollice: riusciva a sentire dei battiti lievi, quasi impercettibili. Per quei due interminabili minuti si era sentito come in apnea, e finalmente riusciva a respirare.
«Izzy è vivo» Disse, notando l'incredibile sollievo sul volto della sorella «Ma è messo davvero male. Dammi lo stilo presto.»
Lei lo estrasse, un balenio di luce azzurra nel buio. 
«Stringi i denti...» Dopo avergli tolto cautamente la giacca, Jace cominciò a disegnare un Iratze sul petto di Alec, attento e preciso come non lo era mai stato «...temo farà male»



Per un tempo che gli era sembrato interminabile, Alec pensò di esser morto. 
Quando quel demone Ravener lo aveva colto alla sprovvista, lui si era convinto che forse con arco e frecce se la sarebbe cavata. Sbagliava. Sbagliava di grosso. 
Quel mostro con gli occhi a insetto e il muso da rettile si era avventato su di lui, scaraventandolo contro una parete. 
Poi era cominciata quella lenta agonia, fatta di zanne, artigli e colpi di coda forti come le frustate di sua sorella. 
Infine c'era stato il colpo di grazia, quel maledetto morso sul fianco, che lo aveva completamente paralizzato. 
Quel demonio era fuggito, poiché sapeva di che cosa fosse capace il veleno che gli aveva iniettato: a poco a poco la tossina avrebbe consumato tutta la vita della vittima, riducendola in cenere.
Era stato un idiota a credere di farcela senza Isabelle e Jace. 
Un idiota nel pensare importasse minimamente a qualcuno di come si sentiva lui. E per qualcuno intendeva il suo Parabatai, troppo abile e talentuoso per rendersi conto del dolore che lentamente lo stava divorando da dentro.
Aprì lentamente gli occhi, sollevando le palpebre con uno sforzo insostenibile. 
«Si sta svegliando?» Chiese una voce familiare.
«Shh! Sta zitta Iz, se cominci subito con le domande vorrà uccidersi di nuovo» riconobbe le due voci, che avrebbe riconosciuto tra chissà quante. 
Vedeva una chiazza indistinta di colori, che pian piano andavano a formare figure più nitide e riconoscibili.
Soltanto dopo qualche minuto identificò con certezza Isabelle e Jace, seduti accanto al suo letto, che gli sorridevano con dolcezza.
Era a casa, ed era vivo.
«Ehi campione, come ti senti?»
Se non fosse stato per le fasciature che gli impedivano quasi ogni movimento, sarebbe sobbalzato di almeno due metri: da quando Jace lo chiamava “campione”?
«Io...non ricordo nulla» ammise sinceramente, abbassando lo sguardo sulla propria mano avvolta in una garza spessa. «Però so di aver fatto una cretinata»
I due si scambiarono un'occhiata d'intesa.
«Alec, ti sei quasi fatto ammazzare stanotte. Io e Jace non abbiamo mai avuto tanta paura.» Cominciò a giocare nervosamente con una ciocca corvina ribelle, che sfuggiva alla crocchia in cima alla testa «Questa mattina non ti abbiamo trovato e...»
«...siamo usciti di corsa per cercarti» terminò per lei Jace «Eri in quel vicoletto da Taki, e avevi perso molto sangue. Ti abbiamo riportato qui e Hodge ha chiamato i Fratelli Silenti per curarti» fece una pausa, mentre si torturava le mani avvinghiandole tra loro «Sono stati qui per sei ore, quasi sette, prima di dirci che eri fuori pericolo.» 
Alec si sentì dannatamente in colpa per ciò che aveva fatto, per quello stupido gesto egoistico quanto disperato che lo aveva spinto a farsi quasi uccidere.
«Mi dispiace» disse in un rantolo sommesso «Non volevo che...»
La sorella si alzò per dargli un tenero bacio sulla guancia.
«Ehi, lo sappiamo» la sua voce non era arrabbiata, semplicemente dolce come il miele «Adesso...credo che Jace voglia parlarti di una cosa importante»   
E cosiddetto uscì dalla stanza, chiudendosi delicatamente la porta alle spalle per lasciare soli i due Parabatai.



Ad Alec salì un brivido freddo su per la spina dorsale. 
Izzy aveva detto a Jace dei suoi sentimenti? Se sì, era disposto ad afferrare un pugnale e trafiggersi il cuore. Probabilmente gli aveva raccontato tutto per giustificare il suo comportamento. 
«Alec, volevo dirti che...tra noi due sono io il cretino. Non tu.»
Il moro sgranò gli occhi dalla sorpresa, mentre nella sua testa continuava a martellargli la stessa domanda: cosa sai, Jace?
«Iz mi ha fatto notare il modo con cui ti ho trattato nell'ultimo periodo, e dubito che un semplice “mi dispiace” basti a farmi perdonare.» Il biondo terminò il discorso con  un sorriso amaro. 
Alec, dal canto suo, si sentiva felice e sollevato: Izzy non aveva detto tutto, solo una parte di quello che realmente sentiva dentro. 
Jace gli afferrò la mano che non era fasciata e la strinse tra le sue, facendo sentire il fratello come se qualcuno lo avesse appena gettato in un forno acceso: arrossì irrimediabilmente fino alla punta dei capelli. 
«Voglio essere un Parabatai più fedele, ed un fratello migliore. Se solo vorrai darmi una seconda possibilità...» 
Alec socchiuse appena gli occhi, allargando le labbra in un debole sorriso.
«Non pensavo che ci tenessi così tanto a me...»
A quelle parole si beccò un'occhiataccia.
«Scherzi, vero? Credo che quel demone ti abbia colpito anche alla testa.» Jace si alzò dalla sedia rubata alla cucina e si sdraiò accanto al moro, senza però scostare di un millimetro le coperte. «Certo che ci tengo a te. Sei...l'unico amico che abbia mai avuto in tutta la vita, mio fratello maggiore ed il mio Parabatai. Come puoi pensare che non tenga a te?»
Un'ondata di rossore investì il diretto interessato, in particolar modo quando si accorse che Jace non aveva ancora sciolto la stretta sulla sua mano. 
«Allora...è un sì o un no?»
«No.» Rispose il moro il più seriamente possibile, scoppiando in una risata cristallina quando vide l'espressione delusa dipinta sul volto di Jace.
«Non è divertente...» disse offeso, mentre prendeva un libro dalla copertina verde sbiadita dal comodino. «I Fratelli Silenti hanno detto che non potrai alzarti da qui prima di qualche mese...»
«Merda.» commentò Alec gettando la testa all'indietro, esasperato. «Morirò di noia, stavolta.»
«Già...perciò...ti va se resto qui a farti compagnia?» Chiese, mentre appoggiava il volume verde sulle proprie gambe. 
«Jace...quello non è il libro delle fiabe che ti avevo regalato qualche anno fa?» Ormai pensava che il suo Parabatai lo avesse abbandonato da qualche parte in camera sua, ormai troppo cresciuto per quella roba. 
«Sì, è proprio lui.» Sorrise, cominciando a sfogliarlo pagina dopo pagina. Aveva un odore particolare, più speciale rispetto a quello della semplice carta. 
Alec appoggiò la testa sulla sua spalla per guardare meglio quelle storie che per anni lo avevano ammaliato.
«Jace...resta con me.» E chiuse gli occhi, mentre il Parabatai cominciava a leggere ad alta voce una delle innumerevoli fiabe: la sua preferita. 






Angolo Autrice
Non ci credo! Sono riuscita a scriverlo senza un ritardo catastrofico. 
Devo dire che questo capitolo è stato un parto davvero  doloroso, e sembrava proprio che non volesse venir pubblicato. L'ho riscritto tipo 500 volte. E fa comunque schifo. Cacchio, ho l'autostima così bassa che le formiche in confronto sembrano dinosauri. 
La scuola mi sta davvero sovraccaricando in questo periodo, così la data del prossimo aggiornamento diventa ancora più insicura D:
Fatemi sapere che ne pensate, se siete così buone da recensire ♥️. Siete dei tesori.
Se la raccolta vi sta annoiando resistete ancora un po', è praticamente quasi finita.
L'altro giorno mi sono messa a rileggere tutte le recensioni che mi avete lasciato e mi sono commossa, beccandomi un 4° grado da mia madre (perché si sa, mia madre non si è mai fatta i cavoli suoi in tutta la vita -_-').
L'incubo di Alec è frutto della mia mente, e vi starete chiedendo “ma non lo è tutta la storia?”. La risposta è sì, però quell'incubo l'avevo fatto da piccina, e ancora oggi mi tormenta. Perciò, caro incubo, mi hai fatto un gran favore per avermi ispirata a questo capitolo, che naturalmente è mondano come gli altri.
A volte mi chiedo se anche altre scrittrici più brave di me avessero la stessa idea. Magari adesso c'è chi mi manda i colpi per aver rovinato tutto...eh già, ma le persone incapaci servono a questo, no?
Ringrazio ogni singola persona che abbia lasciato anche una sola recensione, chi spende tempo prezioso ormai da 10 capitoli per dirmi cosa ne pensa, e anche chi invece probabilmente non ne poteva più ed ha preferito smettere di leggere/recensire. Non le biasimo affatto, perciò...un bacio a tutti, siete persone stupende ♥️

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Capitolo 11
*** Yes, It's a Good Thing ***





Yes, It's a Good Thing 

~ 2 anni prima del Pandemonium ~


 

Alec affondò il viso nel cuscino morbido, chiaro quasi quanto la sua pelle. 
Sapeva di vaniglia, come il sapone che sua madre usava per lavare praticamente qualsiasi cosa.
Era l'alba, ed un caldo raggio di sole si era infiltrato nella sua camera, infastidendolo. 
Quel giorno sarebbe arrivato suo padre, ed al solo pensiero lo stomaco gli si stringeva in una dolorosa morsa di nervosismo.
Da quanto tempo non lo vedeva più? Neppure se lo ricordava.
Il giorno prima era tornata Maryse, con in mano una lettera venuta direttamente da Idris, e questa diceva che Robert e Max sarebbero arrivati in meno di ventiquattr'ore.
Ma non era quello a spaventarlo di più. Ciò che che davvero lo terrorizzava era quel maledetto “P.s” finale: sono curioso di vedere i progressi dei miei figli, per vedere come se la cavano.
Progressi
Isabelle aveva stoffa, Jace era formidabile, ma lui...lui era una frana con ogni arma, a meno che non si trattasse di arco e frecce. 
Per non parlare dei tre mesi di completa immobilità nel letto, che gli avevano impedito ogni allenamento. 
Alcune lacrime cominciarono a premere contro le sue palpebre, desiderose di scappare alle iridi color cielo.
Le lasciò andare, inumidendo lentamente il cuscino e le proprie guance.
Che aveva fatto per meritarsi tutto ciò? 
Non solo era un pessimo Cacciatore, era anche gay ed era innamorato del proprio Parabatai. Ci aveva provato, ci aveva provato chissà quante volte ad interessarsi alle ragazze: nulla. Inoltre, era lui il fratello maggiore dei quattro, e le responsabilità cadevano pesanti come macigni sulle sue spalle. 
«Raziel...perché a me?» Sussurrò piano contro il cuscino, con voce ovattata.
Rimase a letto ancora qualche ora, facendo finta di dormire: sarebbe stata una lunga giornata.



Quando finalmente riuscì a domare i propri capelli, si diresse alla Sala degli Allenamenti, dove la sua intera famiglia lo stava aspettando.
Non appena vi mise piede, la scena che trovò gli fece provare un insolito calore al cuore: c'erano i suoi genitori che parlavano amorevolmente, le mani di Maryse strette in quelle di Robert, mentre i suoi fratelli facevano divertire il piccolo Max rincorrendosi a vicenda, ridendo e scherzando.
La felicità che stava provando si smorzò, lasciando posto al gelo: tutta quell'allegria era a dir poco incantevole, ma lui non c'era in quell'allegria, in quell'amore.
"Sei solo un'ancora pesante, che trattiene la barca facendo in modo che non possa partire a gonfie vele." Pensò tristemente.
«Alec, eccoti finalmente!» La sorella smise di giocare per correre ad abbracciarlo, gettandogli le braccia al collo. Chissà, forse aveva notato il suo muso lungo.
«Alexander, come sta il mio primogenito?» Chiese Robert lasciando le mani della moglie, che sorrise con dolcezza al figlio.
Jace si mise in braccio il fratellino, che lo salutò con un cenno della manina candida come un fiocco di neve. Con quegli occhialoni, aveva un'aria davvero buffa.
«Alexander, Jace, vi va di far vedere a Max come combattete con la spada?» Domandò Robert, curioso di veder combattere i propri figli.
I diretti interessati si scambiarono una lunga occhiata: non ci voleva un genio per capire che Jace lo avrebbe disarmato in pochissimo tempo. E l'Istituto, in teoria, sarebbe dovuto passare ad Alec, e farsi vedere più forte del proprio fratello minore era essenziale.
«Jace ed Alexander Lightwood, che state aspettando?» La voce di Robert aveva una nota adirata. 
Il biondo lasciò andare Max, e avvicinandosi ad Alec gli porse una lama angelica scintillante come una stella. Era visibilmente nuova, probabilmente fabbricata da poco dalle stesse Sorelle di Ferro.
«Alec, vuoi che...faccia finta di perdere?» sussurrò piano al suo orecchio, per non far sentire ai genitori. Era incredibile come Jace lo capisse al volo, con uno sguardo.
«Io...»Una volta, Hodge gli disse che dire la verità era sinonimo di fiducia. Però il giudizio dei suoi genitori era decisamente più importante, per lui. «...grazie.»  
La mano di Jace toccò fugacemente la sua spalla, in un muto “figurati”. 
Il quindicenne sussurrò qualcosa a pochi centimetri dalla lama tagliente,  che assunse una luce simile a quella di una stella. Il bagliore si rifletteva nelle sue ididi dorate, facendole sembrare due dischi di sole.
«Jeliel» Alec si maledisse mentalmente, per aver scelto proprio il nome dell'Angelo dell'amore. Si diceva che chi si affidasse a lui sarebbe stato capace di amare, e sarebbe stato amato a sua volta. Sarebbe stato ricambiato.
La spada che teneva in mano s'illuminò, ed entrambe le lame esplosero di luce quando si scontrarono l'una contro l'altra con un clangore metallico.
Jace fece perno sul tallone destro e tentò di colpire Alec ad un fianco, lasciando però scoperto a colpi sia il viso che l'addome: un errore incredibilmente grossolano, che permise al moro non solo di parare l'attacco, ma di rispondere con un affondo che ferì superficialmente Jace ad un fianco. Lo sentì soffocare un gemito di dolore.
Intanto gli altri Lightwood guardavano in silenzio il combattimento, ed Isabelle tratteneva a stento lo stupore che le stava deformando il viso in una smorfia. 
Sentiva che c'era qualcosa sotto, probabilmente si erano messi d'accordo. Jace non avrebbe mai, MAI, fatto degli errori come quelli, neppure in punto di morte.
Le spade si scontrarono di nuovo, in una nuvola di scintille bianche. 
«Ricordate, non avrete vinto finché il vostro nemico non sarà disarmato e bloccato da voi!» Disse Robert, che osservava attentamente ogni singola mossa dei figli.
Jace si avventò sul Parabatai, tentando goffamente di disarmarlo di farlo cadere a terra: non solo era un fenomeno a combattere, lo era anche nel recitare.
Con un piccolo movimento della spada Alec fece cadde a terra la lama angelica del biondo, e questa si spense come una candela al vento.
"Battere Jace fa quasi strano" pensò il moro tra sé, cercando di nascondere un mezzo sorriso.
«Basta così!» Robert mise fine al combattimento. Intanto, Jace si premeva la mano sul fianco, che aveva cominciato a sanguinare. 
L'uomo si avvicinò lentamente al maggiore, stirando le labbra in un sorriso un po' forzato: incredibile, quella sceneggiata aveva funzionato!
Ma era presto per gioire.



In due falcate Robert fu dal biondo, con il volto che trapelava rabbia, molta rabbia.
«Jace Wayland, forse non ricorderai molto di tuo padre» La sua voce sembrava una tempesta di schegge ghiacciate, taglienti come rasoi «Ma era un grande guerriero, sai?» Jace digrignò le labbra, ma rimase in silenzio. «Sembra che in tutta la vita tu non abbia mai combattuto! Scommetto che Isabelle ed Alec stanno sempre dietro a te per non farti ammazzare.» 
Ad Alec venne un brivido, un brivido gelido che gli fece venire la pelle d'oca: quello era lui, che si era quasi fatto uccidere, che non era abile come i fratelli minori.
«È questo che succede quando non ci sono?» Continuò, ma Jace rimase muto con le labbra strette in una riga decisa. «Hai bisogno di una punizione esemplare, per caso?»
Alzò lo sguardo, con un sorriso beffardo. 
«In effetti mi servirebbe proprio una pausa.» Sarcasmo: una delle tante armi letali di quel biondo scapestrato. 
Robert, in tutta risposta, gli diede uno schiaffo in pieno volto che riecheggiò in tutta la stanza. 
«Robert!» Urlò Maryse accigliata.
«No cara, c'è bisogno di disciplina qui» Constatò, guardando Jace di traverso.
Ma perché, perché non diceva la verità? 
"Perché tiene a te". La risposta arrivò chiara e cristallina, ed un improvviso moto di gioia gli fece scalpitare il cuore. Doveva fare qualcosa, per Jace.
«Padre, non è colpa sua!» S'intromise Alec, beccandosi un'occhiata perplessa da tutti. Apparte da Jace, che lo guardava quasi scandalizzato.
«Alexander, che stai dicendo?»
«Era una farsa» ammise, deglutendo. «Io e Jace...abbiamo fatto finta che vincessi. Non è lui quello che non sa usare la spada...» Si fece forza. Ormai aveva iniziato. «Sono io la frana che si fa aiutare. Jace mi ha fatto questo favore, ha fatto finta di non saper combattere»
Maryse era sconcertata a dir poco, così come Isabelle, nonostante avesse già capito cosa ci fosse sotto. Da quando Alec mentiva? 
«Jonathan, è vero?» Stavolta Robert era incredibilmente serio.
Fece cenno di sì con la testa, quasi impercettibilmente. 
«Alexander, vieni qui» Gli ordinò, facendo segno di avvicinarsi con un dito.
Il moro sapeva benissimo cosa sarebbe successo: non appena raggiunse il padre a passi lenti e pesanti, ricevette anche lui uno schiaffo, in pieno volto. 
La guancia gli faceva male, ma in confronto a come si sentiva dentro, era un pizzicore più che sopportabile. 
«Filate in camera, tutti e due. Riflettete su ciò che avete fatto» 
«Isabelle, Max, perché non andate a giocare di fuori?» Chiese Maryse con dolcezza ai più piccoli, che annuirono in silenzio avviandosi verso il giardino. Avevano già visto abbastanza.



I due Parabatai salirono velocemente le scale, senza proferire parola. L'unico rumore che infrangeva quel silenzio era quello dei loro passi, e un gemito dolorante di Jace. Non avrebbe voluto fargli male, soprattutto dopo quello che aveva fatto per lui. Gli era debitore, ancora una volta.
In teoria, ognuno sarebbe dovuto andare nella propria stanza e restarci, ma entrambi andarono in camera di Jace -infondo, loro condividevano tutto, dalle più piccole cose allo spazio personale- e si sedettero sul bordo del letto, senza guardarsi
«Perché l'hai fatto? Eravamo d'accordo mi pare.» Alec percepì una leggera rabbia nei suoi confronti. Faceva dannatamente male, con un ago che perforava sempre più in profondità il suo cuore. Ma...se si era beccato la sua stessa punizione, perché sembrava furioso?
«Era ingiusto. Ti ho persino ferito, scusami...non volevo.» Indicò il fianco sanguinante, prima che una goccia scarlatta sporcasse le coperte bianche e perfettamente ordinate. Cominciò a frugare nelle tasche alla ricerca del proprio stilo.
«Questo è un graffietto...»
«Non mi pare che i graffietti sanguinino così. Avanti, ti tatuo un Iratze...» Quando vide che Jace aveva aperto la bocca per controbattere, gliela chiuse appoggiandovi il palmo della mano aperta. Il suo respiro caldo sulle dita lo fece rabbrividire e arrossire simultaneamente. «Senza tante storie.»
Jace alzò il lembo insanguinato della maglia nera, mostrando un taglio scarlatto contornato da un'alone violaceo.
"Alexander Gideon Lightwood, sei un disastro senza speranze".
Infondo, cos'altro poteva pensare qualcuno che ferisce chi non dovrebbe, e non uccide chi se lo merita?
Jace avvertì lo stilo bruciante sulla propria pelle, leggero e delicato come poteva esserlo un bacio. Era una caratteristica di Alec, quell'incredibile cautela e dolcezza che metteva in ogni cosa. Assomigliava un po' a Max, in effetti.
«Ho finito.» Annunciò passando i polpastrelli sull'Iratze brillante, in contrasto con la pelle ambrata di Jace. «Come fai ad esser così?» Farfugliò, pentendosene amaramente. Ma perché, perché non stava mai zitto?
«Come? Non ho capito.» 
«Ehm...nulla...di importante» Si voltò di scatto per nascondere le guance color pomodoro.
«Mmm...» Il sopracciglio destro di Jace si inarcò, seguito da un sorriso malizioso «Sicuro?»
Alec era sul punto di svenire, con lo stomaco stretto in una morsa d'imbarazzo, che gli fece mancare il respiro quando Jace gli si piazzò davanti. 
Era poco più basso di lui, con i capelli scompigliati perfettamente abbinati agli occhi, ed un fascio di muscoli lo avvolgeva completamente: nonostante ciò aveva comunque una figura più esile rispetto alla sua, con le spalle e la vita più strette. 
Alec si era sempre chiesto cosa pensassero di lui quando gli stava vicino. Probabilmente erano come un girasole e un'erbaccia.
«S-sì. Sicuro.» Rispose tentando si darsi un tono autoritario, ma ciò che ne uscì fu solo un goffo balbettio seguito da un broncio.
Il Parabatai sghignazzò, soffocando le risate con la mano.
«Sei buffo, lo sai?» 
«È...una cosa buona?» Chiese ingenuamente, provocando ancora di più le risate del biondo. 
In quel momento la porta si aprì, rivelando il volto di Isabelle incorniciato dai lunghi capelli corvini.
«Jace, papà ha detto che vorrebbe vederti combattere.» Disse, sentendosi improvvisamente una “terza incomoda”. Non si aspettava che Alec fosse lì con lui, ma non poté che sorridere al maggiore, ricevendo in risposta uno sguardo omicida. «Per davvero, però.» Aggiunse.
L'interessato uscì silenziosamente dalla stanza, facendo solo un lieve cenno con la mano al Parabatai.



«Allora...» Isabelle si chiuse la porta alle spalle, cominciando a dondolarsi sui propri talloni. «Come...va con Jace?»
Alec la guardò con fare esasperato, gli occhi azzurri annebbiati dalle lacrime.
«Non ne ho idea. Gli faccio pena, credo.»
«Come fai a dirlo?» 
Il moro sbuffò, buttandosi all'indietro nel letto con le braccia spalancate: sembrava un'angelo, con i capelli che formavano un'aureola scura intorno al viso etereo.
«Io...lo faccio ridere...mi becca sempre quando sono imbarazzato...o...»
«E dovresti fargli pena per questo?» Chiese lei, incrociando le braccia al petto. «Ti vuole bene, è stato lui a chiederti di diventare il suo Parabatai.»
Alec si portò le mani al volto.
«Già, peccato che io non gli voglio solo bene.» Stava piangendo, Isabelle lo capì dai suo singhiozzi leggeri. 
«Ma...se ti fa così male, perché non provi a svagarti un po'? Magari conoscere gente diversa...non puoi continuare a soffrire così!»
«Dubito che funzionerà.» Constatò lui. «È difficile rimanere ad aspettare qualcosa che potrebbe non arrivare mai. Ma è ancora più difficile quando sai che è l'unica cosa che vuoi.» Pronunciò quelle parole con fare poetico, e la sorella si chiese se l'avesse letto in qualche libro. «Me la sono deciso io questa vita...perciò...sì, preferisco soffrire in silenzio. Per te, per Jace...per tutta la famiglia.»
Isabelle gli scostò una mano dal viso, scoprendo un'occhio azzurro affogato nel rosso del pianto. 
«Tu non fai pena proprio a nessuno. Hai un animo nobile e altruista, e questo è molto più importante del tuo orientamento sessuale, qualsiasi esso sia.» 
Alec l'afferrò di scatto, per poterla far cadere sopra di sé e stritolarla fra le braccia pallide, segnate da rune nere e sinuose.
«Per l'Angelo, non so come farei senza di te.» 
In quel momento entrambi udirono uno sbattere scocciato di piedi: sulla soglia della porta c'era Jace, con un broncio esagerato in volto. Accanto a lui, Max stringeva quello che a prima vista sembrava un fumetto giapponese coloratissimo. Era alto poco più delle ginocchia del fratellastro.
«Ma come, non ci invitate agli abbracci di gruppo? Che persone spregevoli...» Disse  quest'ultimo rivolgendo una linguaccia a tutti e due.
A quel punto -con le guance imporporate dall'imbarazzo- il moro si alzò trascinando con sé la sorella, per poi stringere tutti i fratelli minori a sé. 
«Ehi, io non ci arrivo!» Si lamentava Max tentando di alzarsi sulle punte dei piedi per raggiungerli, senza molto successo.
In quel momento Alec capì che non c'era tempo per piangersi addosso: l'unica cosa che in quel momento contava davvero erano i suoi fratelli. Gay o no, bravo Cacciatore o meno, li avrebbe protetti con tutto ciò che aveva. 
«Alec...» il Nephilim biondo sollevò lo sguardo per incontrare gli occhi cerulei del fratello, che lo guardava incuriosito. «...sì, è una cosa buona.»






Angolo Autrice
Ok, sono una persona spregevole. Vi ho fatto aspettare tanto per questa cosa terrificante. Perdonatemi! Ma tra impegni, gite, ed il grande evento del 16 Maggio il tempo libro si è ridotto al minimo. Vi starete chiedendo: che è successo il 16 Maggio di così importante? Il mio tredicesimo compleanno, ovviamente XD !
Ok, tornando a noi. Ripeto che la storia è agli sgoccioli, e in teoria ci saranno solo altri 2 capitoli. Peccato, mi ci sono affezionata da morire a questa raccolta. 
Non so quando aggiornerò, ma se il signore vuole per la fine della scuola questa obriosità che chiamo fan fiction sarà finita. Ringrazio con tutto il cuore tutte coloro che hanno recensito, letto o messa questa storia nelle seguite/ricordate/preferite. A proposito: mi farebbe piacere sentire il parere di qualche lettore silenzioso. Davvero, anche una recensione piccina picciò va benissimo, tanto per sapere che ne pensate. I vostri complimenti, consigli e critiche sono essenziali per me ♥️. 
Che dire, grazie ancora di tutto, siete dolcissime.

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Capitolo 12
*** The Day Before All ***





Yes, It's a Good Thing 

~ 1 giorno prima del Pandemonium ~


 
​Faceva sempre uno strano effetto vedere un demone morire: dopo averlo trafitto con una lama angelica, esso cominciava a fumare e contorcersi su sé stesso, tra rantoli e urla di dolore, finché non spariva tornando all'inferno. O da qualsiasi dimensione esso fosse venuto.
Il problema poteva essere quando lo si uccideva da vicino senza poi darsela a gambe per avvitare brutte sorprese. 
Quella sera, infatti, Jace aveva ucciso quello che probabilmente era il suo millesimo demone Behemoth, ferendolo frontalmente con la spada.
«E così impari a rovinarmi la tenuta nuova, bastardo.» Gli sibilò contro, senza farsi mancare una smorfia dispettosa.
«È proprio necessario?» Chiesero in coro Isabelle e Alec, dietro di lui.
«Indispensabile, direi.» Fece lui, con aria saputella «Vedete, non c'è gusto uccidere qualcuno o qualcosa senza prima averlo insultato come si deve, o potrebbe venire il rimorso poco dopo...»
«Okay, okay. Abbiamo capito.» Lo zittì Alec, avvicinandosi. Notò che il demone era a pochi passi dal Parabatai, inerte. «Ma perché non è ritornato nel Vuoto?» Chiese, confuso. 
Jace avvicinò un dito al cadavere melmoso, tastandolo con cautela.
«Non ne ho idea. Eppure dovrebbe già...» non terminò la frase, poiché il Behemoth cominciò a gonfiarsi come un palloncino, emettendo un suono simile a quello dell'acqua che bolle in pentola. 
Bastò un istante, che il demone esplose in schizzi di sangue e pus, costringendo entrambi i Parabatai a portarsi le braccia al volto, come scudo.
«Oh per l'Angelo!» Esclamò il biondo, scostando le braccia bagnate da una sostanza appiccicosa e maleodorante. «Si dovrebbe ritenere fortunato ad esser esploso, o giuro che...»
Le risate di Isabelle, rimasta indietro ad osservare la scena, offuscarono la fine della frase.
«Ragazzi, dovreste vedervi adesso...siete così...»
«Sporchi?» Terminarono.
«Peggio.» Ridacchiò lei.
In effetti, sembrava che i due Cacciatori avessero deciso di tuffarsi a faccia avanti su un demone. Un po' come quando spalmavano la marmellata sul pane alla mattina: davanti cinque dita di spessore tutto zucchero e frutta, ed il retro perfettamente pulito. La mora sorrise a quella strana similitudine. 
Un rombo squarciò l'atmosfera, seguita da uno sciame di risate fredde e...distanti. Come se non fossero state emise da qualcosa di vivo.
 
 
 
 
 
L'aria si era riempita di un odore di sangue stantio. 
La moto giaceva inerte sull'asfalto, percossa scosse di energia demoniaca, simili a lampi di un colore indefinibile.
«Chi potrebbe mai averla lasciata qui?» 
«Piuttosto, chi potrebbe averla buttata qui.»
Jace guardava quella moto con uno strano scintillio negli occhi: cautela? Forse.
Curiosità? Probabile. 
Voglia di provarla? Assolutamente sì.
Alec lo capiva dal modo in cui le girava intorno, sfoggiando di tanto in tanto qualche debole sorriso. 
Lo spirito libero del biondo non avrebbe resistito a lungo, e conoscendolo, avrebbe fatto di tutto pur di montarci in sella.
«Vi sentite così autoritari e potenti da rubare le moto altrui, Cacciatori?» Suonò una voce alle loro spalle.
Dai canini che gli luccicavano come brillanti, quel ragazzo moro dagli occhi glaciali e la pelle pallida non poteva esser che un vampiro.
"Ad occhio e croce" pensò Alec "sembra avere l'età di Jace".
Ovviamente si sbagliava: forse quel Nascosto aveva trecento anni, o di più.
I suoi tratti erano ancora leggermente infantili, morbidi, senza tratti spigolosi a rovinare il volto latteo. 
Jace lo guardò storto, e fu come se all'interno della testa dei due Lightwood fosse scattato un campanello d'allarme.
«L'abbiamo trovata qui, perciò non accusarci, Nascosto.»
Il vampiro si avvicinò alla moto in un battito di ciglia, fronteggiando il Wayland occhi negli occhi.
«Sono fortemente tentato di succhiarti via tutto il sangue che hai nelle vene, Nephlim.»
Jace sostenne il suo sguardo gelido, stringendo con una mano l'elsa della spada, ancorata alla sua cintura.
«Ed io di infilzarti con questa spada, vampiro. »
Alec, avendo capito che nessuno dei due stesse scherzando, si mise tra i due interrompendo quella tempesta di sguardi. 
«Smettetela, nessuno infilzerà o morderà nessuno.» Spostò lo sguardo dall'uno all'altro. «Noi non abbiamo toccato la tua moto. L'abbiamo trovata così.»
Il vampiro era alto esattamente quanto Alec, e cominciò a penetrarlo con gli occhi color metallo. 
Molti pensavano che la particolare tonalità delle iridi del moro fosse un dono:  lui era dell'opinione opposta. Quegli occhi color del mare limpido, gli sembravano due finestre in cui chiunque potesse scorgere le sue emozioni: rabbia, tristezza, imbarazzo, amore. Tutto perfettamente visibile anche al più perfetto degli sconosciuti. 
In quel momento, Alec era sicuro che vedesse -nonostante il buio- il rossore che gli imporporava le guance, a causa della sua pelle troppo chiara.
Anche sua sorella l'aveva, però Isabelle non arrossiva ai complimenti, c'era abituata. Non diventava color pomodoro quando si arrabbiava, perché sapeva nascondere l'ira meglio di chiunque altro. 
Fu in quel momento che Alec si accorse che il Nascosto non stava più fissando lui, ma un punto indefinito dietro alla sua spalla. 
Si voltò, e capì cosa -o meglio, chi- stesse ammirando come fosse una gemma di particolare bellezza: Isabelle.
 
 
 
 
«E lei chi è?» Chiese, sollevando un angolo delle labbra. 
«È nostra sorella.» Risposero all'unisono io due Parabatai. «E se continui a guardarla come se volessi portarla a letto, non sarò tanto gentile con te.» Tenne a sottolineare Jace, ed Alec non poté che mostrarsi d'accordo.
«Facciamo così: potrei anche concedervi la mia moto...» mostrò i canini per un istante, prima di ritrarli. «Ma ad una condizione. Voglio un appuntamento con vostra sorella.»
I Nephlim gelarono sul posto, tutti tranne la diretta interessata.
«Per me va bene.» Disse, con una scrollata di spalle. «Infondo, ti sarebbe sempre piaciuto averne una, giusto Jace?»
Il biondo affermò, confuso più che mai, e cercò Alec con lo sguardo.
Ma lui teneva gli occhi fissi in quelli di Isabelle. 
«Ma...Izzy...» farfugliò. «Vuoi uscire...con un vampiro che hai appena conosciuto?»
«Ehi, ci faccio solo un giro, non sono così trasgressiva» lo rassicurò accarezzandogli una guancia. «E poi ho sedici anni, ho più libertà di prima, e anche se sei mio fratello maggiore non puoi vietarmelo.»
Alec sapeva che sarebbe stato inutile continuare, perciò liquidò entrambi con un: «Va bene, ma ti rivoglio all'Istituto prima di mezzanotte.»
 
 
 
 
«Non riesco a credere che tu le abbia lasciato fare una cosa simile.» Sospirò Jace chiudendosi il portone alle spalle. Alec si buttò sulla poltrona più vicina, esausto più in senso mentale che fisico. 
«Neppure io, ma Izzy sa cavarsela.» Ammise. «E...anche lei ha il diritto di poter uscire con qualcuno che le piace.» Arrossì così forte che sviò subito il discorso. «La moto? Dov'è?»
«È sul tetto. Dicono che basti montarci in sella e quella va da sola.» Scrollò le spalle,  e si buttò sul divano antico color mogano accanto al fratellastro.
«Ritornando al discorso di prima...» Inspirò «Anche tu hai il diritto di uscire con qualcuna che ti piace, lo sai?» 
Non avrebbe dovuto dirlo. Al moro si gelò il sangue nelle vene, il cuore gli si bloccò: qualcuna che ti piace. 
«Lo so. Ma non ho ancora trovato la persona giusta.» 
Aveva affrontato tante volte quel discorso con la sorella, ma con Jace era tutta un'altra cosa, estremamente disagiante. 
«Sai, al Pandemonium ci vanno delle tipe niente male.» Ridacchiò. Quello era proprio il suo terreno di gioco preferito. «Perché non ci vieni con me ed Izzy domani sera?» 
Alec aveva sentito dire che il Pandemonium si era meritato il titolo della “Discoteca più trasgressiva dell'intera New York City”, in cui qualsiasi razza di Nascosto che si rispetti va almeno una volta nella vita a bere o fumare chissà cosa.
«Io...va bene.» Le sopracciglia di Jace schizzarono in alto, quasi fino all'attaccatura dei capelli. 
«Adesso scusa, ho sonno.» Mentì, sbadigliando per esser più convincente. «Però ho intenzione di approfittarne per un interrogatorio, domani. Le hai sentite anche tu le voci su Valentine.»
Un'ombra attraversò gli occhi del biondo, cosa che ad Alec non sfuggì. 
«Va bene. Domani mattina proviamo la moto?» Chiese, di nuovo spericolato come al solito. 
«Ci sto. Ma ho intenzione di restare ancora vivo fra ventiquattr'ore.»
Una risata cristallina fiorì dalle labbra del Parabatai, accendendo in Alec quel senso di tenerezza mista a soddisfazione che provava ogni volta che riusciva a renderlo felice.
Adorava quei pochi e preziosi momenti in cui Jace si apriva con lui, peccato che non sapesse quanto ancora sarebbero diventati rari.
Infondo, nessuno dei due sapeva cosa sarebbe successo la serata dopo. 
Non erano a conoscenza della piega che le loro vite stavano per prendere.
E non potevano sapere che quella piega, pericolosa come poche cose lo erano al mondo, avesse un nome: Clarissa Fray. 






Angolo Autrice
Ok, quanto mi odiate? TANTO.
Quante volte avete vomitato e/o avuto la nausea mentre leggevate questa roba? MOLTISSIME.
Finalmente questa fottutissima seconda media è finita!!! Questo schifoso capitolo l'ho scritto in due giorni soltanto, e temo sia troppo corto.
Avrei voluto scrivere altri due capitoli, ma la mia mente non ha voluto così. 
Allora...lo scorso capitolo ha ricevuto più visite dell'altro, ma ha ricevuto meno recensioni. Personalmente, non so che pensare: se non vi è piaciuto per qualche ragione...ditemelo, vi prego. Come "scrittrice" ne avrei bisogno. 
Ringrazio TUTTI e dico TUTTI i lettori/recensori che hanno avuto la buon'anima di leggere questa storia. Io mi ci sono impegnata al massimo, e mentre clicco il bollino "completa" mi viene quasi da piangere. 
Probabilmente mi farò ancora sentire con qualche OS, perchè (sfortunatamente per voi) adoro scrivere in questo fandom. 
Ordunque, dato che è l'ultimo capitolo, è l'occasione buona (se volete, ovviamente) per dirmi che pensate della raccolta in generale. 

-Un enorme grazie a MyLove is on MyBookshelf, la mia incasinata e adorata Parabatai.
-A Giadina22688, che con le sue piccole ma bellissime recensioni mi ha sempre tirato su il morale.
-A Life before his eyes, che per me c'è sempre stata ed è una persona gentilissima e meravigliosa.
-E a MalecSizzyClastian, a cui voglio un bene dell'anima che non posso spiegare. 

Un bacione sincero, e grazie ancora.
 

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