Nella realtà bisogna pazientare per il lieto fine.

di Hitsuki
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il ramo che volge in un futuro più roseo ***
Capitolo 2: *** Un matrimonio che ancora deve scorger la chiara luce della Fede ***



Capitolo 1
*** Il ramo che volge in un futuro più roseo ***


Parole che rimembrano le note musicali.
Mescolate tanti feels e scleri e otterrete una Hitsuki molto stupida.
Comunque, questa fanfiction è, naturalmente, ambientata nella Lombardia del 1600. Premetto che questa fanfic fa parte di una serie composta da tre long: nella seconda storia si parlerà della GUMI/Leonardo da Vinci (sono malata, I know), la vita adolescienziale di Leonardo fino alla sua morte ed è basata su Da Vinci's Confession (ascoltatelaaa *A*). La terza, nonché ultima, si baserà sulla Dante!Piko/Beatrice!Miki, ed è ambientata all'interno della Divina Commedia e forse ci sarà qualche sprazzo della vita di Dante!Piko (non è sicuro che sia una Miki/Piko, sono indecisa se farla KaiMiku). E chissà se mai scriverò su una one-shot su "Il Gattopardo", che tutt'ora sto leggendo. Inoltre, i nomi dei Vocaloid - che sono stati adattati al Rinascimento/Barocco - saranno uguali anche nell'altra mia long storica "La morte tinge di scarlatto la neve immacolata.". Le note sui nomi saranno uguali in entrambe le fanfiction. Ordunque, buona lettura e che la forza di Manzoni sia con voi! ~
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  — Prologue; Il ramo che volge in un futuro più roseo ;
 
In un piccolo paese, secondo gli abitanti delle grandi città quali Milano, le persone convivono amichevolmente. Invece le parole vengono trasportate dal vento, accarezzando maliziosamente le orecchie curiose - e pettegole - dei paesani, invogliandole a seminare discordia dietro di sé. Trasportati proprio come i puri e cristallini suoni che in quel momento emanava una ragazza, dalle labbra inarcate dolcemente all'insù, immersa nella beatitudine e infantile - ma adorabile - ingenuità. 

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«Rina!1»
«Leo!2». La giovane interruppe immediatamente il suo canto melodioso, alzandosi di scatto - facendo così muovere deliziosamente il suo abito giallo oro.
Il fanciullo si fece sempre più vicino, una macchia nitida che spiccava come un diamante e che si avvicinava sempre più accanto al loro rifugio pari all'Eliseo. Tese le braccia, le aprì al vento come ali, e poco dopo le cinse al collo dell'altra in un tenero e caldo abbraccio. Risero, risero nella loro giovinezza, risero in modo tanto spontaneo ch'esso pareva simbolo del loro amore.
«Ci sposiamo… ci sposiamo!» mille volte ripetevano quella frase, con la gioia a imbottirla di purezza, sempre più entusiasti al giorno imminente del loro matrimonio. Presto la fede li avrebbe uniti indissolubilmente, legandoli ancor più grazie alle parole sincere di Don Gano3. Si guardarono negl'occhi, pietre acquamarina ripiene di gioia, specchiandosi l'un l'altro nelle loro iridi quasi trasparenti. 
«Ci sposiamo…» disse per un'ultima volta Leo, buttandosi sull'erba ancora intrisa di rugiada e poggiando le mani sul capo. 
«Già, ci sposiamo». Rina spostò gli occhi dall'amato al cielo limpido spruzzato di candide nuvole. I due ragazzi rimasero immobili ad osservare la meraviglia - nessun dipinto, né alcun testo, avrebbe potuto essere più soave - che si stagliava sopra di loro. Il cielo, pensarono, somigliava molto ai loro occhi beati.

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Era sera, in quel paesino di Lecco. Il buio aveva avvolto le vie oscurando le ormai poche figure che s'incamminavano verso casa. La fioca luce dei lampioni rendeva leggermente più limpido il paese cosicché Don Gano poté scorgere delle minacciose figure che camminavano furtivamente dietro di lui.
L'uomo si fermò, facendo tintinnare il rosario cinto al collo sul suo petto, e poté comprendere che lo scalpiccio di passi delle persone dietro ad egli era cessato. Inarcò le sopracciglia e le sue labbra si schiusero leggermente, mentre riprese a camminare con più velocità - e non poco nervosismo. Il fiato gli si fece sempre più corto, la paura percosse la sua schiena in un gelido brivido. Invano congiunse le mani e disse qualche preghiera, poiché i suoi numerosi Pater Nostrem ed Ave Maria non lo salvarono dagli scagnozzi di Don Carlo4.
«Smettila di fingere di non vederci» disse uno di essi, con voce ferma. Gano percepì immediatamente il suo fiato - era tanto pesante che trapassava il suo colletto - sul collo. Sentì una forte mano prendergli con violenza la spalla destra, mentre l'altra andava a posarsi con decisione sulle labbra del Don per rendergli impossibile chiamare aiuto.
Gano roteò le pupille per posarle sugli aggressori e quando vide lo sguardo iniettato di sangue di Meo5 la paura si fece ancora più insistente. Quando il ragazzo notò che l'uomo di Chiesa s'era abbandonato a sé stesso lasciò la presa spostandola sulla spalla sinistra dell'uomo. 
«I… i Bravi» mormorò il Don. «Che… che voi siate dannati! B-brucierete nelle fiamme dell'Inferno!».
L'altro Bravo lo ignorò, cingendo le braccia al petto e voltando lo sguardo nella direzione opposta a quella di Gano.
«Luca6… sei sempre stato bravo più con le parole che con la forza, eh?» disse l'uomo assalito, stentando un debole sorriso beffardo. 
L'interpellato spostò lo sguardo, puntando i suoi occhi giovani e decisi sul volto terrorizzato del Don - rabbrividì ancor più quando vide le iridi glaciali del Bravo. 
«Ebbene» disse, avvicinandosi a Gano «Don Carlo vuole che voi non approviate il matrimonio fra Rina e Leo. Altrimenti…» Meo strinse con forza le spalle ancora rinchiuse nella presa di questi, e Gano gemette dal dolore. «… sapreste già come andrebbe a finire». Meo sghignazzò, i denti acuminati che brillavano in quella notte senza stelle.
Gano non indugiò. Aveva sempre avuto terrore del Giudizio Universale, sapeva perfettamente che alla sua morte Caronte lo avrebbe scortato nel cuore dell'Inferno. Già sentiva i denti di Lucifero - immaginava che quelli aguzzi di Meo sarebbero stati uguali - masticare la sua peccaminosa carne. 
«D'accordo» rispose, con tono ancora tremante «ma, se non vi disturba, vorrei sapere perché mai Don Carlo non approva tale m-matrimonio».
«"Rina è solo mia!"» disse Luca in un soffio «così ha detto. E ora vai, rogna». Meo spinse con forza Don Gano - che inevitabilmente sfiorò il suolo con la punta del naso. Immediatamente mise a posto il suo abito vescovile, obbligando le pieghe con le dita a scomparire, e con le mani tolse la polvere e la ghiaia e quant'altro. Poi corse sulle sue gambe fiacche, ancora spaventato, senza aver il coraggio di spostare per un'ultima volta le iridi verso i suoi pericolosi assalitori.
E così, in quella notte buia e priva di stelle, inesorabilmente fu deciso il futuro d'un puro amore. Ma, si sa, le ingiustizie più gravi vengono punite da Dio - quella figura che tutti segretamente temevano, una figura nettamente superiore a un qualsivoglia Signorotto locale - stesso.

                                                                                  cc C O N T I N U A 

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• Notes;
#1; Rin doveva chiamarsi "Rein" - "consigliera" in tedesco -, ma ho optato per la versione italiana, "Rina". 
#2; Volevo scrivere Lenno perché chiamo così Len (E TRA L'ALTRO CI STAVA PERCHÉ HO SCOPERTO CHE LENNO È UN COMUNE DELLA LOMBARDIA QUINDI) ma no, non andava bene. C'era LENNINO (GIURO) ma non mi piaceva. Ho perciò preferito chiamarlo "Leo", abbreviazione di Leonardo. Ho escluso "Leonardo" perché avrebbe potuto richiamare "Leonardo da Vinci", che apparirà nella seconda fanfiction della serie - come già scritto.
#3; Don Abbondio è Gakupo - sì, sono pazza. Comunque, non solo Gano era un nome rinascimentale, ma apparteneva a un personaggio della Chanson de Roland che tradì il protagonista Orlando.
#4; Kaito nei panni di Don Rodrigo. Ho optato per Carlo perché foneticamente ricorda Kaito. Più o meno.
#5; Il Bravo è Meito, ovvero la controparte maschile di Meiko; il nome "Meo" ricorda vagamente, nella fonetica, il suo nome.
#6; Italiano di "Luke", la versione maschile di Luka.
edits;
12/O7/14 › 
   
cambio grafica
19/O7/14
    parziale cambio grafica
   ◊ cambio titolo.
 

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Capitolo 2
*** Un matrimonio che ancora deve scorger la chiara luce della Fede ***


• Nella realtà bisogna pazientare per il lieto fine.
  — Second chapter; Umatrimonio che ancora deve scorger la chiara luce della Fede ;
 
 
Per Rina e Leo l'agognato giorno era arrivato sereno, accarezzato dal vento come i pettegolezzi ed a cavallo del loro amore. L'eccitazione li pervadeva e Rina, con il velo bianco a coprirle i capelli biondi, intrecciava le mani di Leo, dall'elegante vestito nero. Insieme correvano, con le gambe che incespicavano e il fiato mozzo - più per l'emozione che altro - che li attanagliava, gli occhi che si riflettevano in quelli dell'altro. Sorrisero sempre più entusiasmati, decisi, senza più la paura a regnare le loro angosce, mentre l'altare li accoglieva vigilandoli da lontano.
Raggiunta la meta tanto ambita Leo e Rina si fermarono, senza però separarsi dalla mano del compagno, mentre l'ossigeno ritornava a inebriarli i polmoni regolarmente; invece il cuore non smetteva di pulsare quasi a spingere con violenza la cassa toracica. Ma a Leo e Rina quella sensazione piaceva, poiché sottolineava l'amore che provavano e che avrebbero sempre provato l'uno per l'altro.
Mentre gl'occhi balenavano in su e in giù, a destra e a sinistra alla ricerca di Don Gano, ecco che lui apparve con uno sguardo tanto ipocrita quanto falsamente afflitto. Ma Rina e Leo, così travolti dal loro amore, non ci fecero caso; corsero da lui - senza stanchezza, sebbene la corsa precedente - con le labbra sempre più tese all'insù, per poi pronunciare il suo nome proprio all'unisono senza mancare di un "Don" ad accompagnarlo.
Lui si voltò, fingendo di non essersi accorto del loro arrivo, ma impettito si fermò e li chiese quietamente cosa desideravano.
«Come, cosa desideriamo?» Leo era quasi stizzito dal comportamento di Don Gano: era la scelta migliore farsi sposare da lui? «Ci dobbiamo sposare!» e puntò il dito indice su Rina, con fare energico. «Guardi la mia amata in abito da sposa, non comprende che non vedo l'ora di farla divenire mia futura moglie?». Rina sussultò leggermente, le gote arrossate. Gano rispose, pacato e falso come sempre, con la classica scusa - un cliché della Chiesa - che anche Leo s'attendeva.
«Noi del clero non ci possiamo sposare».
«E quindi neppure amare?» il fanciullo, sempre più irritato, aggiunse una nota piccante al dialogo altrettanto acido. «Sappiamo tutti delle vostre amanti, dei vostri figli illegittimi che vivono privi d'amore, dei soldi che accumula facendo gesti tutt'altro che utili!». Gano portò le mani al petto, fingendo offesa - la colpa sarebbe andata a quello scalmanato e lui l'avrebbe passata liscia. Ed infatti egli continuò, preso dall'ira vorticosa. Strinse i pugni, ormai la lucidità non lo tratteneva più dall'accusare l'uomo di Chiesa. «Sono ricorso a voi solo perché siete l'unico Don della zona e non vedevo l'ora di sposare Rina!». 
«N-non è colpa mia!» s'affrettò a dire l'accusato indietreggiando e circumnavigando l'accaduto il più possibile.
«E di chi, allora? Sentiamo».
Don Gano deglutì l'ennesima saliva amara, che si faceva strada nel suo corpo iniettandogli timore.
«Don…» sussultò un attimo, senza finire il nome. «Mi promettete che non lo direte a nessuno, vero?».
Leo fece un gesto affrettato con la mano, cercando di mantenere la calma, mentre Rina gli prese il braccio e rispose al posto del fidanzato.
«Non lo diremo a nessuno, si fidi». Disse con una voce melliflua e una nota di malizia.
Gano deglutì nuovamente per rassicurarsi. «Don Rodrigo» mormorò in un soffio, coprendosi poi la bocca con le mani subito pentito della sua azione.
«Bene». Leo ormai non ce la faceva più, non voleva sentire nient'altro, soprattutto se le parole erano pronunciate da quell'odioso uomo. Don Rodrigo, il signorotto locale; lo terrà a mente, nitido e chiaro tanto lui era accecato dalla vendetta. 
Corse via, prendendo la mano dell'amata e trascinandola verso una meta ancora a lei ignota - ignota così come il futuro della loro vita. E Gano intanto congiungeva le mani tenendo stretto a sé il crocifisso intarsiato, implorando Dio di proteggerlo - come se ascoltasse un uomo tanto corrotto, il Cielo. 
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Casa Mondella. La madre di Rina, Mea1, stava stendendo i panni ancora umidi lasciandoli al vento come petali a primavera, ma quando vide andare incontro a lei la figlia con lo sposo a trascinarla sussultò e la camicia bianca ch'avea fra le mani cadde sul terreno fangoso sporcandosi inesorabilmente. Subito la donna si gettò a terra, sussurrando dei "Oh, no! La dovrò rilavare". Lasciò poi la camicia a terra, come ad abbandonarla al suo destino - senza mancare di un po' di melodrammaticità, quasi fosse all'interno di un'opera lirica. 
«Signora Mondella!» acclamò Leo, bloccandosi poi quando fu arrivato a destinazione, mentre Rina sbuffava infastidita accusandolo d'essere stato troppo impulsivo. Mea lo guardò stupita. «Puoi chiamarmi "suocera", ormai. Ma, vi siete già sposati? Così, di getto, senza ch'io partecipassi?». Leo alzò una mano come per negare le frasi della donna. Prese fiato, poi parlò, ignorando Rina che lo osservava arrabbiata con le braccia cinte sotto il petto.
«No, no. Don Rodrigo non vuole che ci sposiamo!».
Mea rispose scettica, stringendosi nelle spalle. «E quindi? Voi vi sposate, al diavolo quello stupido ragazzetto». 
Rina sospirò, avvicinandosi all'altra. 
«Madre» disse con calma, scandendo bene la parola. «Don Gano teme Don Rodrigo. Forse i Bravi lo hanno minacciato». 
Mea gesticolò quasi schiaffeggiasse l'aria, infastidita. «Ah, quello stupido signorotto locale! Glielo dico io, a Don Gano, di sposarvi…».
«Madre!».
«Che c'è! È la verità». Rimuginò un attimo, poi sbuffò. «… Ho capito cosa intendi. Meglio non andare nei casini, eh? Hai ragione. Ma, se devo essere sincera, nella vita succedono cose peggiori…». Leo fece per protestare, ma quando vide il capo china di Rina comprese cosa intendesse Mea. La donna proseguì, diventando più energica. «Sentite, figliuoli, date retta a me: io son venuta al mondo prima di voi, e il mondo lo conosco solo un poco. Non bisogna poi spaventarsi tanto: il diavolo non è brutto quanto si dipinge. A noi poverelli le matasse paion più imbrogliate, perché non sappiam trovarne il bandolo; ma alle volte un parere, una parolina d'un uomo che abbia studiato... so ben io quel che voglio dire2». 
Leo si fece più attento e lesto alzò lo sguardo verso Mea, inarcando incuriosito un sopracciglio. Rina osservò la madre con un sorriso bonario, stentato, sperando che forse grazie al suo aiuto la fede avrebbe potuto inanellare l'indice suo e quello dell'amato. La donna smosse il capo e i corti capelli bruni si mossero spinti da tale gesto, mentre il dito andava a porsi pensieroso sotto il mento.
«Sì» disse «Qui, a Lecco, cercate un certo "Zaccagarbùj"3».
Leo divenne sempre più dubbioso. «"Attaccabrighe"?».
«Il nome non promette bene» Rina alzò gli occhi al Cielo, quasi a pregare.
«Sentite, vi voglio un bene dell'anima, ma siete troppo saccenti!» sospirò. «Tutti lo chiamano Azzecca-garbugli, per italianizzare. Ma per l'amor del Cielo, non chiamatelo così! È solo un soprannome. Si chiama…» e lì indugiò, abbassò lo sguardo, borbottò nomi dai più famosi ai meno utilizzati - che perfino alle orecchie di Rina e Leo parvero bizzarri - ma poi si mise una mano fra i capelli, scuotendo il capo. «Non ricordo. Sentite, chiamatelo Azzecca-garbugli, al Diavolo! Ma… basta, cercate quel dottore alto, asciutto, pelato, col naso rosso, e una voglia di lampone sulla guancia». 
Leo s'illuminò, penetrando lo sguardo di Mea. «Lo conosco di vista!» disse eccitato. L'altra mormorò un "Meglio", per poi continuare concitata mentre le mani gesticolavano nervose. «È un avvocato, credo proprio che vi aiuterà. Lui aiuta tutti i suoi clienti, anche se sono nel torto, figuratevi. Ah, prima di congedarvi, prendete questi quattro capponi per fare una buona impressione» sospirò rattristata, per poi imprecare a bassa voce e inveire contro Carlo, poi continuò ignorando le sue precedenti parole ben poco raffinate. «Ahimè, li avevo preparati per il banchetto nuziale, ma temo che il vostro matrimonio dovrà attendere per un po'». Fece finta di non notare lo sguardo timoroso della figlia; a Mea doleva dirlo esplicitamente ai due "figliuoli", ma era sicurissima che ci sarebbe stata ancora molta strada prima che la fede nuziale avrebbe inanellato gli anulari dei due innamorati.
Leo si fece sicuro, tentando di gonfiare il petto. «Bene! Andiamo nel Borgo, Rina. Anzi» continuò con il volto sempre più buffamente risoluto «Andrò io solo, senza bisogno di nessuno». L'interpellata rimase in silenzio, limitandosi a prendere la mano dell'amato ed osservarlo con tono di rimprovero, intinta di una maturità ben contornata dalla premura. Lo supplicò con la sola forza delle iridi acquamarina, nonostante l'animo divertito tentava di tenderle gli angoli della bocca all'insù - e l'amato lo sapeva, sapeva che credeva in lui e lui credeva in lei. Le loro dita si sradicarono l'una dall'altra, delicatamente, in modo quasi onirico. I piedi di Leo ricominciarono a tastare ogni tipo di terreno diretti - almeno per una volta - in una zona precisa e con le idee chiare. Rina sorrise cingendo le braccia dietro la schiena e corse via all'interno della casa, intonando una canzone vivida di speranza. Mea intanto s'inginocchiò farfugliando qualcosa e prendendo la camicia, dopo aver salutato a gran voce il futuro sposo - forse troppo impulsivo - della figlia.
«Povera me» disse sbuffando ed alzando gli occhi al Cielo. «Mi dovrebbero far Santa… mio buon Dio, so che tu vuoi il ben dei miei figliuoli: quindi, per favore, salvali dai guai in cui andranno a cacciarsi. Grazie per la pazienza, mio Signore, che perdoni sempre i gesti azzardati di quei due piccioncini nonché quelli che io stessa provoco! Ma, tu lo sai bene, nell'amore rientra anche questo e io credo nel loro matrimonio». Si rialzò, andando a rilavare la camicia nel secchio lì vicino e facendo un veloce segno della croce. 
asdfghjkl
Giunto al Borgo, Leo s'informò e finalmente gli venne indicata l'abitazione del Dottore: una casa sfarzosa, ricca di fregi decorativi e tante altre cose che i nobili utilizzano per far spiccare la loro ricchezza come dei goffi pavoni brutti e sporchi. Infatti, da come Leo se lo ricordava, certo Azzeccagarbugli non era un uomo di raffinata bellezza; e né tantomeno quell'esaltato di Don Carlo, grasso come il pollo che lui stesso mangiava a Natale. Riformulò poi mentalmente la frase; Carlo era grasso come i quattro capponi che adesso portava sulla spalla messi insieme4.
Poggiò le nocche sulla porta battendo per tre volte, poi attese spazientito. Quando era già pronto a bussare nuovamente udì i cardini cigolare e finalmente - secondo lui era passato un lunghissimo lasso di tempo - la porta si aprì quasi timidamente, mentre una graziosa bambina faceva capolino dall'interno dell'appartamento. 
«Sì? Sono la serva dell'avvocato, Claudia5» disse docilmente lei, mentre i capelli corvini legati in due codini si mossero leggermente seguendo il suo spostamento laterale del capo. Sorrise. «Per Vostra fortuna egli attualmente non è impegnato». 
Leo era intenerito da tanta gentilezza e non riuscì a risponderle con tono acido, né tantomeno ne aveva l'intenzione; ricambiò quindi il sorriso della serva chiedendo gentilmente di incontrare l'avvocato.
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 Notes; 
#1; Meiko. Nome molto fantasioso, sì. //piange
#2; frase realmente pronunciata da Agnese - ovvero Mea nella fanfiction - ne I Promessi Sposi.
#3; qui c'è una specie di gioco di parole basata sul dialetto lombardo, che credo sia stato italianizzato nella revisione di Manzoni stesso della sua opera. In milanese "Zaccagarbùj" significa proprio "Attaccabrighe", ma "italianizzando" maggiormente il resto - che con svariati termini dialettali poteva confondere buona parte dei lettori - il nome divenne "Azzecca-garbugli". Indi ho preferito indicare l'avvocato con entrambi i termini, per far notare appunto che egli era estremamente astuto e la passava sempre liscia. 
#4; lo so, lo so, Kaito non è "grasso", ma immaginatevelo di conformazione robusta. Per calarlo nel personaggio ho preferito renderlo meno magro, ma naturalmente Len ha enfatizzato esageratamente questo suo dettaglio fisico. Naturalmente non voglio offendere e/o ferire nessuno, eh, semplicemente Renzo viene definito molto impulsivo e vivace e devo rappresentare bene anche Len nei panni di Leo - e tutti gli altri personaggi, naturalmente. 
#5; la piccola Kaai Yuki. Eh, l'italianizzazione del suo nome non è certo ottima dato che richiama in microscopica parte - anzi, poco e niente, più niente che poco //sighs// - il suo nome originale, ma sinceramente chiamarla "Carla" - quando c'è già Kaito chiamato Carlo - non mi allettava affatto.


• Che la forza di Manzoni sia con voi! { perché lovvo il cinque maggio. 
lenno cavaliereBene! Eccomi con questo capitolo, che molto probabilmente pubblicherò ad orari indecenti. Ma ci tenevo davvero tanto a pubblicare il primo capitolo - e lasciatemi passare la ripetizione, plis - che avrebbe dato il via a questa fanfiction Manzoniana feat. Hitsuki (?). Seguendo il filo de I Promessi Sposi questa si può ritenere la prima parte del terzo capitolo; la seconda parte la completerò nel prossimo, inziando inoltre - credo - il quarto capitolo. Ahimè, l'inizio l'ho modificato ed infatti differisce da quello del libro, ma spero che non dia fastidio a nessuno. Così come alcune descrizioni che possono apparire critiche (per esempio quando si denota il fatto che Gano avesse svariate amanti //mh, Duke of Venomania is here//), ma semplicemente voglio trattare al meglio i temi trattati a sua volta da Manzoni; quindi anche, for example, le critiche nei confronti della Chiesa corrotta. Poi quando entrerà in scena un certo personaggio si tratterà anche positivamente di essa… sì, mi sono informata bene perché per me è importantissimo trasmettere qualcosa tramite un testo, in questo caso anche le critiche e non potevo farne a meno perché voglio rendere onore ed acclamare quest'opera che mi piace davvero tantissimo. ♥
Non aggiungo altro poiché potrei diventare davvero logorroica (voi non sapete realmente cosa posso diventare, eh!) e volevo essere seria (per una volta) e precisare qualcosina. Solo che Mea/Meiko è una mita e spero di avervi strappato un sorriso (?? seh certo), Leo puzza come al solito, Rina è mezza Santa mezza civettuola (in senso buono, deh!) e Claudia/Kaai è l'amore - è una loli, cioè, rendiamo bene l'idea perché le loli e gli shota sono il POWAH. E che ho scritto davvero troppi dialoghi e me ne vergogno, fwaaah. 
Manzoni a voi, perché un po' di Manzoni come muso ispiratore per le nostre fanfiction non gusta mai. 
~ la Hitsu/Tòh 

Edits;
18/05/14
    cambio grafica.

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