Have you ever thought that just maybe you belong with me?

di keepxrunning
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I crashed into you, I crashed into you. But you crashed in my immagination. ***
Capitolo 2: *** And I get drunk on you, I lose control and then here I go again. ***
Capitolo 3: *** You won't find out what has been killing me. Can't you see? Can't you see? ***
Capitolo 4: *** And every time I look inside your eyes burning in the light, you make me wanna die. ***



Capitolo 1
*** I crashed into you, I crashed into you. But you crashed in my immagination. ***


1.
I crashed into you, I crashed into you. But you crashed in my immagination.
 

“Chiunque abbia impostato la sveglia alle sette e trentadue del fottuto mattino la spENGA SUBITO CHE C’È UN CAZZO DI GIRONE DELL’INFERNO PER QUELLI COME LUI!”
Il fastidioso e persistente “bip” di quel dannato orologio continua a risuonare fra le pareti della camera. Stringo forte gli occhi per cercare di isolare il suono dalla sua testa e contribuisco con il premermi forte il cuscino sull’orecchio scoperto, spappolandomi la testa sul materasso e rischiando la morte per soffocamento.
 
Tutti sanno che se non dormo almeno fino alle dieci la mattina, poi vado in giro come uno zombie con istinti omicidi per il resto della giornata. Jack mi prende continuamente in giro su questo fatto, dandomi del “poppante bisognoso di sonno” e quando ha lui una giornata storta, va a dire a tutti che è in uno dei suoi momenti-da-alex-con-i-postumi-della-dormita-arretrata.
Me la dovrei prendere per questa cosa, ma andiamo, è Jack. Jack Barakat. Jack il mio migliore amico dai tempi del liceo. Jack. Jack. Jack.
 
Ecco, ci risiamo. Premo più forte il cuscino sulla tempia, sperando in un breve lampo suicida che la federa si strappi, l’imbottitura esca, mi entri in bocca e mi soffochi. Non devo pensare a Jack. Poi non riuscirei ad addormentarmi sul serio.
Anche se con QUELLA FOTTUTA SVEGLIA CHE CONTINUA A SUONARE È IMPOSSIBILE LO STESSO.
 
“Zaaaaaaack”, proruppo in un lamento soffocato dal cuscino. Perché ho dei compagni di band talmente coglioni. Dimmi Dio, cosa ho fatto per meritarmi questo? Sono sempre stato un bravo ragazzo. Sono andato a scuola. E…e…okay, magari ogni tanto bevo. E d’accordo, una canna mi scappa a volte. Facciamo pure passare tutte le notti in giro a fare casino con Jack. Diciamo anche che mi scopo una tipa diversa una sera sì e l’altra pure. E va beh, sono anche un drogato di twitter e passo il mio tempo a prendere per il culo Justin Bieber e i One Direction (scommetto che nemmeno a Te piacciono, dai). Mi tingo i capelli di colori orribili che sembrano vomiti di unicorni, okok. Ma dopotutto non mi merito questo.
 
“Zack, spegni quella merda!”.
Silenzio completo, rotto solamente dal ticchettio assomigliante ad una bomba ad orologeria della sveglia e dal russare di Jack qualche metro più in là.
Oh, non mi obbligherete mai ad alzarmi figli di puttana. Dovessi decedere di vecchiaia o di esaurimento nervoso su questo fottuto giaciglio. Perfetto, adesso cominciavo pure ad usare paroloni degli anni della Rivoluzione Francese. Qualcuno mi faccia dormire in pace.
Allungo una mano da sotto il lenzuolo, ma la ritiro immediatamente dentro. Cazzo. Fa freddo là fuori. Cazzo. La vita è ingiusta. Non posso congelarmi pure il braccio. Fanculo Zack, ti odio. Ti odio con tutto il cuore. Metterò l’attack sulle corde del tuo basso così quando lo suonerai ti rimarranno le dita incollate e andrai per sempre in giro con uno strumento attaccato alla mano finché non ti andrà in cancrena il braccio e dovrai fartelo amputare e affianco al tuo letto d’ospedale metterò la tua fottuta sveglia a ticchettare quanto manca alla tua morte per dissanguamento e poi non verrò nemmeno al tuo funerale. Anzi, ci verrò e riderò talmente tanto che mi faranno male le guance e poi ti rimpiazzerò con Mike Dirnt e ci divertiremo tutti di più anche se non credo che Billie Joe e Tré me lo lasceranno mai. Allora faremo una band tutti insieme e ci chiameremo gli All Time Green e gente da ogni cazzo di buco dimenticato da Dio nel mondo verrà a vederci e ci acclamerà e ci amerà ma tu non ci sarai perché sarai morto prima e sarà tutta. colpa. della. tua. fottutissima. sveglia.
Ehi, ho già detto che ho bisogno di dormire?
 
Spinto da questi pensieri cruenti verso Zack, tirò fuori rapidamente la mano da sotto le coperte e a tentoni con ancora la testa schiacciata dal cuscino mi metto alla disperata ricerca intorno di qualcosa di non troppo acuminato da lanciargli contro. O anche acuminato se c’è solo quello, non m’importa molto infondo.
All’improvviso sento la ciabatta pelosa e rosa con quegli inquietanti occhi di plastica attaccati sopra di Jack sotto il palmo della mano, e mentre la afferro spero che uno di quei cosi tipo occhi da cartone animato fissati saldamente su tutta la peluria delle ciabatte nel volo che faranno si stacchino e per l’impatto facciano un taglio sulla fronte di Zack mandandolo all’aldilà. Uno, perché sono davvero davvero fottutamente inquietanti e così non mi ritroverei più i piedi di Jack infagottati in quelle sottospecie di ciabatte che mi fissano. Due, perché sono davvero davvero fottutamente infantili. Tre, perché voglio davvero davvero fottutamente uccidere Merrick.
 
Un po’ ad istinto, un po’ a culo, scaglio con tutta la forza che ho nel mio povero braccio addormentato e formicolante alle sette e quarantacinque della mattina la mia arma pelosa verso dove immagino provenga il rumore altamente irritante della sveglia e di conseguenza il mio cazzo di bassista che non la sente.
Spero che ti uccida stronzo.
“AH! PORCA PUTTANA!”
Bingo.
“CHE CAZZO È?!”
Il rumore dell’allarme della sveglia che tanto mi ha fatto dannare fino ad ora miracolosamente si spegne. Li sentite anche voi gli angeli in lontananza che cantano?
Finalmente mi rilasso tra le coperte, mollando la presa sul cuscino e tornando a respirare regolarmente. Sonno profondo sto arriva…
 
“JACK BARAKAT IO TI UCCIDO!”
Abbiamo tutti delle strane tendenze omicide in questa band, me lo devo appuntare da qualche parte.
Aspetta, cosa c’entra Jack?
Sento dei movimenti nel letto accanto al mio e dopo la voce assonnata e un po’ scazzata del mio migliore amico si fa strada nel mio apparato acustico.
“Cosa…cosa succede?”
 
Dio, quanto è bella. Ascolterei quella voce per tutta la vita, ancora e ancora e ancora. La voglio come colonna sonora della mia esistenza. La voglio pure come sveglia, così almeno mi alzerei dal letto col piede giusto anche se mi svegliassi alle cinque, al suono di quella incantevole melodia. Cristo qualcuno mi faccia dormire che sto pure diventando romantico.
“NON CHIEDERE CHE CAZZO SUCCEDE E NON FARE IL FINTO TONTO, BARAKAT! COSA CAZZO ERA LA TUA DISGUSTOSA CIABATTA SULLA MIA FACCIA?”
“BADA A COME PARLI DI MISS BATUFOLLO MORO!”
Miss Batuffolo? Dico, siamo seri? Miss Cazzo di Batuffolo? M i s s  B a t u f f o l o? Ma perché. Perché. Devo segnarmi di non fare mai – per nessun motivo, neanche se ne andasse della mia vita – scegliere a Jack il nome di una qualche nostra futura canzone e/o figlio adottivo. Sh, no comment su questo fatto. Lo so che i bambini all’orfanatrofio hanno già un nome.
Ooookay, so pure che io e Jack non avremo mai una vita insieme. Lasciatemi sognare cazzo.
“PERCHÉ ME L’HAI TIRATA ADDOSSO?!”
“GUARDA CHE IO NON HO FATTO PROPRIO NULLA!”
“NON PRENDERMI PER IL CULO JACK!”
“MA SI PUÒ SAPERE DI CHE DROGHE PESANTI FAI USO?!”
Uhm, qualcosa mi dice che forse forse dovrei intervenire prima che questi due si scannino furiosamente. Proprio forse eh.
“VOLETE STARE ZITTI PRIMA CHE VI FICCHI IL CUSCINO IN BOCCA A TUTTI E DUE?!”
 
Oh, ecco che si sveglia pure il nostro paciere, Mr. Dawson. Ben svegliato principessa, dormito bene? Potevi aprire gli occhi prima che si scatenasse quest’inferno, no? Bah, che incompetente. E io dovrei fare affidamento su persone del genere per la pace nel mondo.
“JACK MI HA TIRATO LA SUA FOTTUTA CIABATTA ADDOSSO!”
“NON È VERO!”
“SÌ INVECE CAZZO!”
“TI DICO DI NO!”
“SÌ!”
“NO!”
“SÌ!”
“NO!”
“MA VOLETE PURE CHE VI CAMBI IL PANNOLINO? NON SO, SEMBRATE DUE CAZZO DI BAMBINETTI!”
Oh, umorismo brillante Dawson. Adesso placa le acque e fammi dormire e ti amerò per sempre, grazie. Non ti prenderò più per il culo davanti a Cassadee. Non scambierò più i pezzi della tua batteria. Non mi offrirò più per tagliarti i capelli e farti assomigliare ad una palla da bowling. Lo giuro.
 
“E poi comunque è stato Alex a tirartela, genio”.
Bastardo di un batterista. Me la scopo Cassadee la prossima volta, altro che.
“Gaskarth?”
No, sono pinocchio.
Adesso mi fa fuori, me lo sento. Addio mondo crudele.
E vaffanculo Dawson. E vaffanculo Miss Batuffolo, spero ti cada tutto il tuo stupido pelo sintetico.
Jack, ti ho sempre amato.
Sento le coperte alzarsi e dico le mie ultime preghiere, ancora ad occhi chiusi. Quando qualcosa di caldo e solido e con un buon profumo si sdraia dietro di me. Il suo corpo aderisce perfettamente al mio e sembrano due tasselli combacianti di un puzzle quando un braccio forte mi stringe la vita.
Uhm, si sta bene.
Zack, hai un buon profumo. Ma non uccidermi lentamente ti prego, fa che sia una cosa rapida e indolore.
 
“Bella mossa Gaskarth” sussurra una voce al mio orecchio. E allora il mio sangue nelle vene si rappresa. Il mio cuore si blocca un nanosecondo prima di ricominciare a battere con una velocità fuori dalla norma. Tutto il mio corpo è attraversato da scosse piacevoli a partire dal punto dietro all’orecchio dove sento il suo fiato sul collo.
Jack.
Jack.
Jack.
Jack a letto con me.
Jack a letto con me che mi abbraccia.
Jack a letto con me che mi abbraccia e fa aderire completamente il suo corpo al mio.
Jack a letto con me che mi abbraccia e fa aderire completamente il suo corpo al mio mentre mi sussurra nell’orecchio con la sua voce-candidata-per-la-colonna-sonora-della-mia-vita.
 
Merrick, sei proprio un bastardo senza pietà. Farmi morire così, con il petto della persona che amo di più sulla faccia della Terra premuto contro la mia schiena.
È pure meglio del mio piano dell’attack sulle corde del basso, complimenti. Segui dei corsi per essere così bastardo o ti viene naturale?
Titubante, mi giro per guardare Jack.
Scosse, scosse. Sangue gelido. Cuore in accelerata.
Lui sorride radioso.
Scosse, scosse. Sangue gelido. Cuore in accelerata.
“Però potevi risparmiare Miss Batuffolo stronzo”.
Scosse, sco…che? Miss…ah, certo certo. La ciabatta. Ma che si fotta.
 
“SI PUÒ SAPERE CHE CAZZO HAI IN TESTA?! SCHITTI DI PICCIONE?!”
Ecco, adesso sono morto.
Zack, in tutto il suo mattiniero scompiglio di capelli, occhiaie ed esibizione di pettorali grazie all’assenza di maglietta, se ne sta imponente e minaccioso davanti al letto, gli occhi che lanciano stilettate.
Non capisco, di solito è un tipo tranquillo, il più calmo di noi quattro. Forse svegliarlo tirandogli una ciabattata in testa non è il modo migliore per ingraziarselo.
“Eddai Zack, sta calmo. Nessuno la sopportava più quella sveglia” interviene Jack, tenendomi sempre abbracciato e girando leggermente la testa per fronteggiare il mio assalitore. Jack ti amo.
“STAI CALMO?! MI HA FATTO PRENDERE UN FOTTUTO INFARTO NEL SONNO!”
“Se tu non avessi impostato la sveglia così presto, non sarebbe successo nulla”. Finalmente decido di salvarmi le palle e apro la bocca. Anche se Zack, con tutto il suo fascio di muscoli, sarebbe capace di spezzarmi in due semplicemente sbattendo le palpebre.
“Potevi chiedere gentilmente  di spegnerla o alzare il culo e farlo da te”.
Miseriaccia ladra, ‘sto tipo è infottibile. Deve avere sempre ragione lui oh. Solo perché sei il più muscoloso della band, nessuno ti conferisce il potere di trattare come merde noi altri.
 
Uhm, meglio passare alla tattica leccaculo prima di ritrovarmi nella bara.
Alex l’eroe. Alex la persona saggia. Alex la testa di cazzo suicida.
Con un balzo che credevo sarebbe stato impossibile data l’ora, le mie condizioni mentali e…beh…Jack, salto fuori dal letto e mi butto tra le braccia di Zack, premendo forte la mia guancia contro il suo petto scoperto e guardandolo dal basso.
Nessuno resiste ai miei occhioni da cucciolo bastonato, lo so. Sarebbero capaci di sciogliere un iceberg, quanto vuoi che sia impossibile con un bassista di un metro e novanta di cento chili?
Merrik mi guarda come se fossi una disgustosa merda di cane appiccicatasi alle suole delle sue nuove scarpe preferite costate un occhio della testa al negozio più rinomato della città. E un po’ mi sento così. Dannazione.
“Zaaaaack, amore mio, perdonami” faccio con voce lamentosa. Patetico al cubo. Dovrebbero darmi la patente di pateticità.
“Staccati Alex, sei tutto sudato”
“Dimmi che mi ami lo stesso”
“Staccati coglione”
“Sai che non vorrei mai farti del male con una ciabatta”
“Puzzi”
Sento Rian dietro di noi che si sta mangiando il labbro per impedirsi di scoppiare a ridere e Jack che sbuffa pesantemente, cercando di mascherare la risata in un colpo di tosse.
“Zack, scusami, scusami tanto, ma anche tu sei un po’ coglione per impostare la sveglia così presto”
“Gaskarth, se mi molli potrei anche risparmiarti”.
Mi stacco immediatamente, come se il corpo seminudo di Zack mi avesse dato una forte scossa. Il mio quasi-assassino mi squadra dall’alto in basso, ma almeno il suo sguardo non è più carico di odio come poco prima.
“Andiamo a fare colazione coglioni” sospira Zack rassegnato al mio comportamento da perdente.
“TI AMO MERRICK!”. Appena si gira gli salto nuovamente addosso, aggrappandomi con tutte le forze alla sua schiena muscolosa e allacciando le gambe al suo stomaco.
Sono un paraculato di merda. Dovrei farmi schifo. Me la cavo sempre per così poco grazie alla mia faccina adorabile. Qualcuno faccia il Nobel per il paraculamento e state sicuri che lo vinco io ogni anno. Dovrei sentirmi veramente, veramente in colpa.
E invece sono felice come una Pasqua.
“Porca troia Gaskarth, così m’ammazzi!” esclama Zack preso alla sprovvista, piegandosi leggermente all’indietro. Ti prego non cadere di schiena e spappolarmi sul pavimento proprio adesso dopo la mia gloriosa  - e paraculata - vittoria. Ti prego non cadere di schiena e spappolarmi sul pavimento proprio adesso dopo la mia gloriosa - e paraculata - vittoria. Ti prego non cadere di schiena e spappolarmi sul pavimento proprio adesso dopo la mia gloriosa – e paraculata - vittoria.
Ma il mio bassista è forte e potente e dopo quel momento di smarrimento si rimette in posizione eretta e comincia a dirigersi verso la nostra cucina con me incollato irrimediabilmente alla sua schiena.
 
Gli All Time Low vivono insieme praticamente da sempre.
Scherzo, non è vero. Da nemmeno un anno, quando abbiamo cominciato ad essere abbastanza conosciuti e a guadagnare con la nostra musica necessari soldi per permetterci un decente appartamento in centro a Baltimore.
So che dovrei andarmene da qui. So che potremmo permetterci New York o tutte quelle altre grandi città che non dormono mai sparse in giro per gli Stati Uniti.
Ma siamo tutti nati qua, e questo in un certo senso è confortante. Amo la mia città natale. È l’ancora che mi terrà sempre con i piedi per terra. Anche se dovessimo diventare un gruppo rinomato e famoso ai livelli di Queen, Roling Stones e tutti i miti della musica che venererò e santificherò pure all’inferno, vivere qua mi ricorderà sempre che sono una persona umile e normale come tutte. Ogni volta che torniamo stanchi ma super gasati dopo un concerto questo buco ci ricorda sempre come un promemoria lampeggiante attaccato al frigo che perdenti siamo in realtà interiormente.
Sì, a volte ho pure io pensieri onesti e sensibili, okay?
E poi, andiamo, pensate sul serio che con questi tre idioti con cui condivido la vita potrei permettermi New York? Ma li avete visti?
Jack si scoperebbe tutte le ragazze della città in una settimana e poi loro si riunirebbero in congresso per formare un club anti-Jack e bandirci per sempre dalla città. Dallo Stato. Dal Paese.
 
Jack. Questo pensiero mi colpisce dolorosamente al petto, proprio a sinistra, al mio povero cuore. Devo smetterla di pensare a lui, mi ridurrà uno straccio.
Ogni volta che lo vedo uscire o entrare di casa con una ragazza nuova, il mio cuore si incrina sempre un po’, sempre di più.
Sono parecchi mesi ormai che al suono della voce di Jack mi alzo di due dita da terra, quando lui mi tocca – e succede spesso – tremo impercettibilmente fino al midollo, al suo pensiero le guance mi si infuocano e quando mi guarda o mi sorride mi sciolgo completamente come burro al sole. Patetico, patetico e doppiamente patetico.
All’inizio non ci volevo credere. Insomma, era Jack. Jack. Il mio migliore amico dai tempi della pietra. Colui che sapeva se avevo fame o ero stanco da una mia semplice smorfia facciale. Quello che mi baciava, che alludeva sempre al sesso e si atteggiava come una prostituta con me, sempre per scherzo ovviamente.
Per scherzo fino a tempo fa almeno.
La prima volta che mi accorsi che qualcosa era cambiato nel nostro rapporto da parte mia era stata una sera di giugno.
 
Dopo l’ennesimo concerto non andato brillantemente a causa nella praticamente assenza di pubblico, Jack era scomparso misteriosamente.
“Merda” borbottai con l’ansia a mille. “Merda merda merda”.
“Amico, rilassati” mi disse Zack con un’impazienza nella voce che non gli apparteneva. Percepivo che pure lui era preoccupato.
Erano le tre di notte e del nostro chitarrista principale nemmeno l’ombra. La testa aveva smesso di pulsarmi dall’effetto delle luci stroboscopiche da quattro soldi installate sopra il nostro palco e dal ritorno troppo assordante delle casse dietro alla mia testa sul palco da tempo ormai.
Io e Zack stavamo più o meno comodi seduti sul divano della casa dei miei, aspettando il ritorno di Jack. Avevamo fatto in tempo a spazzolarci una maxi pizza intera, lavarci, cambiarci e fare un po’ di zapping completamente inutile e noioso tra i vari porno scadenti che trasmettevano a quell’ora in tv e Barakat ancora non tornava.
Cominciavo davvero, davvero ad essere preoccupato, e non capivo nemmeno il perché. Di solito non me ne fregava molto se Jack stava via fino a tarda notte inoltrata, d’altra parte, la vita era sua. Da bravo migliore amico menefreghista, lo lasciavo in pace e non lo assillavo nemmeno fossi sua madre. Anche perché, di solito, le nostre scampagnate notturne girando per la città fino a vedere l’alba, completamente sbronzi e dispersi, le facevamo insieme.
E allora perché sentivo questa tormentante morsa all’altezza dello stomaco che non mi faceva respirare?
Zack se n’era accorto. “Ehi, tutto apposto?” aveva chiesto, le sopracciglia vagamente aggrottate. La mia testa si era involontariamente girata a destra e poi a sinistra in cenno di diniego.
“Sono preoccupato per Jack”.
Da lievemente corrugate, le sopracciglia di Zack erano schizzate in alto in un’espressione di pura sorpresa. “Come mai? È solo mezzanotte. Sarà in un qualche bar attorniato da puttane come il suo solito, tranquillo”.
Se possibile, quello mi fece sentire pure peggio. L’immagine del mio migliore amico attorniato da ragazze facile mezze nude che gli ballavano attorno mentre lui se ne stava placido con un sorriso sornione seduto su uno di quegli alti sgabelli dalle gambe d’acciaio con in mano un boccale di birra nell’ombra dell’angolo del più scadente locale notturno della città mi fece salire un conato di vomito in gola e le mie gambe si fecero molli come gelatina.
Cercai una posizione più comoda fra i cuscini rossi del divano, provando disperatamente a scacciare quella visione che si era attanagliata nelle parti più recondite del mio cervello. Mi ricordo che mi ritrovai a pregare fra me e me qualcuno lassù, perché non fosse così.
“Hai ragione, probabilmente è così” sospirai sconsolato, cercando senza tanto successo di mascherare la mia preoccupazione crescente.
Ma i minuti passavano e la porta d’ingresso rimaneva chiusa.
Cominciavo ad agitarmi sempre di più, fissando disperatamente la lancetta dei secondi che veloce scorreva sul quadrante dell’orologio bianco appeso alla parete del salotto. «Jack, dove cazzo sei» mi ritrovai a pensare.
Quando anche Zack se ne andò, giustificandosi che era troppo tardi e i non voleva fare preoccupare i suoi, comincia a sentirmi davvero davvero sconfortato. Magari potevo impiccarmi con il gancio della tenda, uhm. La mattina dopo mia madre avrebbe trovato qualcos’altro ad oscurarle il sole. Forse era meglio di no, il sangue non viene via facilmente.
Con il morale all’altezza della mia ombra – inesistente a quell’ora visto che erano le quattro di notte ma non importa, è un modo di dire su – mi trascinai pesantemente verso il frigorifero, deciso a prendere una birra.
Se Jack si stava dando alla pazza gioia con l’alcool senza di me, perfetto, avrei fatto lo stesso. Passando accanto allo specchio in corridoio, per poco non lanciai un urlo terrorizzato. Ero io quello? Passai stancamente una mano fra i miei capelli secchi e scompigliati e osservai leggermente imbarazzato le occhiaie profonde e violacee di preoccupazione e mancanza di sonno. Stavo anche sveglio la notte per quel bastardo, pensate. Dovrebbe amarmi finché pure le sue ossa non saranno consumate nella bara.
Ero veramente conciato malissimo. Se i miei (pochi dopotutto) fans mi avessero visto in quello stato, non mi avrebbero riconosciuto. Sembravo un barbone di quelli che vivevano a bucce di banana marce e pane rappreso nei cassonetti del riciclaggio newyorkesi, con addosso nient’altro che un giaccone bucato e sformato e un cappello di lana che ospitava sicuramente qualche zecca o tarma, persosi misteriosamente nella piccola città di Baltimore, che vagava sperduto in una casa non sua di notte.
Quante volte ho già usato la parola patetico per descrivermi? Ne abuserò ancora, toh: p a t e t i c o.
Proprio mentre la mia mano stanca afferrava la maniglia in acciaio cromato del frigo, il campanello squillò, rompendo il silenzio immacolato nella casa e facendo fare un salto inaspettato.
Il cuore mi corse in gola mentre le mie gambe corsero alla porta, trascinando dietro un me assonnato e ancora frastornato. Non capivo bene cosa stesse succedendo, l’unica cosa che riuscivo a pensare era: “Jack”.
Ed era proprio lui. Ubriaco spolpo, con i capelli completamente in disordine, la maglia stropicciata sul petto e ai bordi, con un alone di fumo attorno e una puzza di alcool fatale che lo seguiva come un cane fedele, Jack se ne stava barcollante in piedi davanti a me, reggendosi allo stipite di cemento.
È bellissimo, pensai. E poi mi stupii di questo mio pensiero.
“ALEX!” urlò lui, troppo forte per la tarda ora e con le guance tutte arrossate. Una zaffata del su alito pesante che sapeva di vodka mi colpì in pieno, con il risultato di inebriarmi di lui e basta.
Nonostante la preoccupazione subita, la shock, la paura che non tornasse e tutta la merda a cui ero andato contro per colpa sua in quelle ultime ore, scattai subito: “Shhh!” lo zittii rabbiosamente.
“Vieni dentro idiota”. Spalancai la porta completamente, facendo entrare l’aria fresca della notte e al suo seguito un ubriaco e barcollante al massimo Jack.
Lui fece due passi incerti nel mio ingresso, per poi cadermi tra le braccia, il suo viso sprofondato nell’incavo del mio collo e il suo alito caldo che mi stuzzicava la pelle. Jack mi aveva già toccato così prima. Andiamo, era il mio migliore amico. Mi abbracciava, mi accarezzava, si accoccolava con me sul divano, faceva anche la doccia insieme a me a volte, mi baciava sulla bocca persino. E per tutti quegli anni la avevo considerata semplice intimità fra due ragazzi che si conoscevano da una vita. Mi faceva piacere averlo vicino, ma non in quel senso. Eravamo solo due coglioni affettuosi, tutto qui. Niente di più, niente di meno.
E allora perché quell’improvviso contatto mi aveva annodato le budella?
“Sono stanco Lexi” borbottò sul mio collo Jack, usando quel soprannome che mi irritava tanto. Dio, era fradicio di alcool: la sua voce completamente alterata dai drink non gli si addiceva affatto.
E allora perché la trovavo d’un tratto dannatamente attraente?
Sospirai per circa la trecentesima volta quella sera. “Vieni, ti porto a letto coglione”. Insultarlo in quelle situazioni risultava necessario e poi tanto lui era talmente abbacchiato che non capiva un cazzo.
Lo presi forte per un braccio e me lo trascinai dietro, raccomandandogli di tapparsi quella fogna di bocca se non voleva che lo gettassi giù dal balcone senza pietà.
Cercai di fare il più silenzio possibile mentre arrancavo sbuffando sulle scale che conducevano alla zona notte di casa mia, evitando accuratamente il fottuto scalino traballante che ogni volta che qualcuno ci metteva piede sopra faceva un casino infernale. Jack si appoggiava pesantemente alla mia schiena e non sapevo se essere felice o mortalmente disperato per questo.
Porta di camera dei miei – speravo – addormentati genitori era chiusa, quindi non dovetti preoccuparmi più di tanto quando aprii quella della mia e accesi la luce. La richiusi dietro di me, prima di buttare letteralmente Jack sul mio letto e liberarmi del suo peso opprimente ma inspiegabilmente rassicurante sulla schiena.
Lui si rannicchiò sul materasso, ma aveva ancora gli occhi aperti e mezzo sorriso sghembo sulla faccia mentre mi guardava. Era bello e inquietante. Fermi tutti, bello? Da quando pensavo che Jack fosse…bello?
“Va’ a dormire ubriacone”.
“Aspetta, tu dove…dove…hic! v-vai?”. Gesù, era andato. Mi fermai esitante con la mano sulla maniglia dell’uscita. Beh, in salotto no? Non avrebbe mica preteso che avremmo dormito in quel letto minuscolo in due, vero? Vero? Il solo pensiero che attraversò la mia mente mi fece arrossire senza un perché.
“Io dormo sul divano genio, tu sta qua”.
“No…no no NO ASPETTA”. Stavo per fottutamente girarmi e ficcargli un tappo in bocca rimproverandogli di fare piano: avrebbe svegliato l’intero vicinato se continuava così, ma Jack cercò di afferrarmi la mano. Non essendo nelle condizioni migliori, sbagliò mira e allungò il braccio qualche centimetro in là, facendomi sogghignare dopotutto.
“Stai a dormire con me”. Mi implorò letteralmente guardandomi con gli occhi annebbiati dall’alcool.
“Jack, non ci stiamo”. ACCETTA COGLIONE! ACCETTA! Da quando la mia coscienza mi intimava di passare la notte a letto con un ragazzo, con il mio migliore amico per di più?
“Sì…sì che ci-ci stiamo, dai. Mi faaaaccio piccolo piccolo”.
“Jack, è tardi, sono stanco, vai a dormire dai”.
“Ma non riesco a dormire se non ci sei tu”. Quello fu il colpo di grazia. Le sue parole dolci e ubriache penetrarono in profondità dentro di me, colpendomi proprio al centro del cuore.  Rabbrividii.
“E va bene” accettai con un sospiro, non tanto dispiaciuto come volevo sembrare, “ma guai a te se urli, ti muovi nel sonno o mi vomiti addosso. Sarebbe l’ultima volta che metti piede in casa mia”.  Lui, incurante delle mie deboli minacce, si spaccò la faccia a metà con un sorriso che andava da un orecchio all’altro. Fottuta adorabilità.
Si spostò al bordo opposto del letto e picchiettò leggermente davanti a lui, invitandomi a seguirlo sul materasso dondolando la testa a destra e sinistra. Sembrava un cazzo di bambolotto assassino pronto a tagliarmi a pezzetti con un’ascia affilata che teneva nascosta dietro la schiena.
Il pensiero di togliermi gli abiti non mi attraversò nemmeno, tolsi le coperte facendo spostare Jack per un breve attimo e mi ci infilai sotto completamente vestito fatta eccezione naturalmente per le scarpe.
Con un piccolo “yahu” da vero drogato completo, Jack mi seguì sotto il lenzulo e si schiacciò contro di me, passando il suo braccio attorno alla mia vita e portando i suo viso a tre centimetri dal mio.
E poi dentro di me esplosero i fuochi d’artificio.
Sentii lo stomaco come se fossi stato calpestato da un branco di elefanti di tonnellate e tonnellate: completamente spossato e sottosopra. Il mio cuore prese parecchi battiti in eccesso e le mie pupille non videro altro che le labbra di Jack. Non avevo mai notato quanto fossero ben disegnate, quanto sembrassero morbide e invitanti. Quanto d’improvviso volessi…baciarle.
Fermati, fermati, fermati. Che cazzo stavo pensando? Io non ero attratto da Jack. Era il mio migliore amico. E prima di tutto, io non ero…beh, omosessuale. Le ragazze mi eccitavano, gli uomini no. Era sempre stato così, sempre doveva essere.
E allora perché il mio stomaco era così fottutamente ingarbugliato?
Perché il mio cuore sembrava voler uscire dalla cassa toracica, sfondare il petto e lanciarsi tra le mani di Jack?
Perché d’improvviso non riuscivo più a respirare, stavo in costante apnea da quando Jack si era fatto così vicino?
Perché volevo toccarlo, abbracciarlo, accarezzarlo…baciarlo?
Lui mi strinse ancora di più a sé ridacchiando come una ragazzina e facendo aderire completamente i nostri petti. L’odore di alcool e di fumo che da ore si trascinava addosso mi abbracciò con lui, circondandomi da spirali di tanfo letale.
E allora perché non volevo staccarmi? Perché mi trovavo così maledettamente bene fra le sue braccia? Perché non mi ribellavo alla sua vicinanza oppressiva?
Sospirai arreso. “Dormiamo va”, gli feci accarezzandogli lievemente la guancia mentre gli appoggiavo la testa al mio petto. Quel gesto sembrava così giusto. Lui lasciò un leggero bacio fra le mie ossa delle clavicole, proprio sopra l’orlo della maglietta sudata. Cosa cazzo erano tutte quelle farfalle scatenate che avevano preso a ballarmi nel petto?
“N-notte Alex”. Mi disse con un sorriso spontaneo.
“Notte Jack”. Soffiai sui suoi capelli.
E poi scivolai in un sonno agitato, con Jack accoccolato accanto a me che mi stava dandoemozioni che mai nessuno prima mi aveva fatto provare. 




Ehm, salve.
Se vi stanno sanguinando gli occhi dopo questo (e sono sicura che è così), date la colpa a mio padre che mi ha voluta trascinare in montagna da mia nonna = non avevo un cazzo da fare tutto il giorno e il mio cervello contorto si è messo ad elaborare…questo. Che spero non vi abbia ammazzate tutte anche se so che c’è un 99,9% di possibilità che l’abbia fatto realmente. Quindi genteh, è colpa di mia nonna. Sbattete lei in carcere.
Okay non voglio dilungarmi quindi chiudo implorandovi di recensire se non siete nella tomba (manderò dei fiori casomai). Mi basta anche un “sono ancora viva, continua” o “non era così crudele, vai avanti”. Per favore. Sennò mi scoraggio totalmente e avrete la mia depressione sulla coscienza.
Il titolo, by the <3<3Way<3<3 è preso dalla canzone di quei tre drogati del mio cuore di nome Mike, Billie Joe e Tré intitolata Fell for you, che io personalmente amo.
Stay in drugs, don’t do school
-c.

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Capitolo 2
*** And I get drunk on you, I lose control and then here I go again. ***


2.
And I get drunk on you, I lose control and then here I go again.
 

 
Frigo: vuoto.
Dispensa: vuota.
Cassetti: vuoti.
Scompartimenti alti della credenza: vuotissimi.
 
“Ah, che cazzo”.
Sbatto con forza l’anta di legno di uno degli scadenti armadietti, dove di solito stavano sempre delle scatole di cereali, preso insieme al resto del mobilio per la cucina a casa della madre di Rian. Non è stato l’affare migliore della nostra vita, ma qualsiasi cosa purché lei smettesse con l’assillarci dicendo in suo parere eravamo troppo “piccoli” per andare via di casa e facendo la spesa ci saremmo persi al supermercato (sono. fottute. parole. sue.) e non sapevamo farci il bucato vivendo di conseguenza perciò con sempre lo stesso paio di mutande per l’eternità finché non si sarebbero corrose e sarebbero entrati i ladri perché sbadati com’eravamo non avremmo chiuso finestre e porte a chiave e ci avrebbero derubati dei nostri (fottutamente inesistenti) averi per poi ucciderci con un colpo di rivoltella alla gola e omioddio Jack in mutande.
 
“Buongiorno Lexi” esclama tranquillo e serafico come sempre, sorpassando l’arco che delimitava la cucina dal nostro buco di salotto e venendo a darmi un bacio sulla guancia.
Okay Alex, Alex, Alex.
Respira.
Immetti l’ossigeno attraverso il naso, incanalalo nei polmoni, convertilo con quella formula di merda che non hai mai imparato e per la quale hai preso svariate insufficienze in scienze e poi butta fuori anidride carbonica dalla bocca. O era il contrario? Anidride carbonica dentro, ossigeno fuori? Cazzo Alex, l’importante è che R E S P I R I.
“Giorno Barakat. Qualche spiegazione alla totale assenza di cibo?”
“E perché incolpi me, scusa? È Rian il risucchiatutto in ‘sta casa”. Mette su una falsissima espressione offesa che riconosco subito come pretesto per avere attenzioni.
Pensa. Cosa avrebbe fatto il vecchio Alex? Cosa avrebbe fatto l’Alex di mesi fa? L’Alex senza tutti questi problemi? L’Alex etero? Cosa avrebbe fatto l’Alex che non avrebbe ritenuto la faccia che aveva messo su Jack in quel momento fottutamente adorabile?
 
“Dai, amore mio infinito”.
Mi butto su Jack abbracciandolo da dietro e rischiando di strozzarlo mortalmente. Lui annaspa nella mia morsa.
“Lo sai che ti amo sopra ogni cosa al mondo”, faccio assolutamente gay prendendo a sbaciucchiarlo sonoramente. Però Gaskarth, sei bravo a fingere gli atteggiamenti ma a dire la più completa e assurda verità. Sei fortunato che il tuo migliore amico lo ritenga normale. Sempre più paraculato tu, eh.
“Gah…Al…Alex sta fermo cazzo!” sbotta lui fra un mio bacio e l’altro, cercando di liberarsi. Eh no bello mio, col cazzo che mi faccio scappare l’occasione.
 
Jack mi fa questo effetto qua, non so cosa mi prenda. Ogni volta che lo vedo, ogni volta che mi parla, ogni volta che mi è vicino non capisco più nulla. Nel vero senso della parola. Sento il bisogno di saltare e saltare e saltare fino al soffitto come se avessi le ali ai piedi. Devo mettermi in mostra, devo sfruttare tutte le mie energie, perché Jack mi fa sbarellare. Non sono più io se lui è qui. Vado totalmente fuori di testa, spedito fuori dall’orbita,  sentendomi molto stupido e molto gasato insieme.
Jack è come una droga, la migliore che abbia mai assunto: mi penetra dentro, mi entra nelle vene e arriva al cervello, mandandomelo completamente in extasi, facendomi sentire totalmente nuovo e migliore e stupendamente felice. Quando sono con lui, ho la sensazione di poter fare tutto.
E come le droghe migliori, ne ho un costante bisogno: non posso stare un singolo giorno senza di lui. È maledettamente stupido da dire, ma è come se la vita per me si bloccasse, stoppata in questo attimo nel tempo, subito dopo che Jack se n’è andato, tutto si paralizza e non ha più senso andare avanti. Se Jack non c’è, pure una parte di me non c’è. Mi sento vuoto, solo, completamente abbandonato.
Ho un costante bisogno di lui, non ci posso fare nulla, mi manca così facilmente. Ed è quando mi manca che mi sento peggio. Non provo assolutamente nulla, se non questo sordo dolore al petto che mi fa mancare il respiro e mi svuota completamente la testa di qualsiasi pensiero che non riguardi Jack. È come un’apnea soffocante fino al momento successivo in cui lo rivedrò e fino a prima non riesco a vivere. Ho bisogno di lui per farlo. Ho bisogno di Jack per vivere.
Eppure, mi tengo tutto dentro. Non capite com’è fottutamente difficile. Non capite com’è svegliarsi la mattina e sapere che lui non è e non sarà mai tuo. Non capite com’è vederlo sorriderti e sentire che sì, va tutto bene, il mondo non è un brutto posto; per poi osservarlo girarsi ed elargire sorrisi ad altri, ad altre, a persone che non sono te e non lo amano nemmeno un centesimo di quanto lo ami tu. Non capite com’è volerlo al tuo fianco ogni secondo di ogni giornata di ogni settimana di ogni mese di ogni anno della tua patetica esistenza, che potrebbe essere mille volte migliore se lui fosse solo tuo. Non capite com’è desiderarlo così disperatamente che fa male, che ti fa sentire un macigno di tonnellate sul petto, che ti fa venir voglia di buttarti sul pavimento e piangere tutte le tue lacrime fino a seccarti gli occhi. Non capite com’è sognare in segreto di abbracciarlo stretto facendogli sentire il tuo cuore imprigionato nella cassa toracica che batte come un forsennato al suo stesso ritmo. Non capite com’è bramare di baciarlo, di baciarlo profondamente, di baciarlo come se foste più di semplici fottuti amici, baciarlo per fargli sentire che è lui, che è lui quello giusto, che è lui l’unico e il solo, che volete passare tutta la vostra vita con lui, perché lui semplicemente la rende bella. Non capite com’è sognarlo ogni notte, non capite com’è svegliarsi poi la mattina e ritrovarselo nel letto accanto senza poterlo toccare e accarezzare nel modo che vorreste voi. Non capite com’è sapere già in partenza che è un amore impossibile. Non capite com’è sentirsi talmente orribili e insignificanti per lui mentre ti ronza attorno avvinghiato ogni giorno a una ragazza diversa. Voi non lo potete capire, nessuno può. Tutto questo mi sta disintegrando lentamente, smontando a poco a poco ogni pezzo del mio essere.
Ma io, io che faccio? Vado avanti. Sì Jack, non ti preoccupare, sono il tuo migliore amico. Certo, certo che te la presento la biondina dalle tette grandi con cui stavo parlando prima. Oh, vuoi dormire con me? No tranquillo, nessun problema. E se domani dormirai nel letto di una ragazza invece, dopo averci probabilmente scopato insieme, non importa, figurati se mi interessa, è giusto così, geloso io? Mai, che ti salta in testa.
Non ce la faccio più. Ma sorridi Alex, sorridi.
 
“DI’ CHE MI AMI BASTARDO!”.
Jack cerca di scoppiare a ridere, ma viene preso d’assalto di nuovo dalla mia bocca e dalle mie braccia che lo stringono sempre di più.
“Sì…sì, ti amo! Ti amo Alex! Ti-ti…PORCA PUTTANA HO DETTO CHE TI AMO”. Come, come vorrei che queste parole fossero vere, che le pronunciasse seriamente, non per un fottuto gioco. Mentre le urla, schiacciato sul mio petto, spero che non percepisca il mio cuore impennarsi e ingranare la marcia, al solo pensiero che quelle frasi siano vere.
“CON SENTIMENTO!”. Adesso prendo pure a scompigliargli i capelli con le nocche della mia mano chiusa a pugno.
“COME CAZZO FACCIO A DIRTELO CON SENTIMENTO CHE SONO IN PUNTO DI MORTE!”.
 
In quel mentre, Zack e Riano entrano i cucina. Ragazzi, dovreste vedere le loro espressioni adesso: sono tipo la cosa più figa che abbia mai visto (oh scusami Jack, dopo di te ovviamente). È come stare davanti alla tv e scorrere i programmi televisivi per vedere le diverse porcherie che ti sfilano di fronte agli occhi. Ci fissano intensamente con quei loro occhi scuri.
Prima sono solo molto, molto scioccati. Poi la loro espressione si sbiadisce e rimangono solo molto, molto stupiti. Passano dall’imbarazzo alla confusione più totale in tre secondi netti, nel vederci così. E, gran pezzo finale, si scambiano la loro fraterna occhiata segreta del genere siamo-in-una-band-con-due-coglioni-gay. Ah ah. Divertenti. E comunque, l’unico gay qua sono io.
 
“Che. cazzo. state. facendo.” Scandisce lentamente Rian, senza la minima ombra del suo solito sorriso contagioso. Non riesco a capire se è molto molto scioccato o solo molto molto stupido: io tengo in ostaggio Jack per il collo torturandolo di baci come una vera e propria ragazzina obbligandolo a dirmi che sono l’amore della sua vita mentre lui cerca disperatamente di sfuggire. Mi sembra palese, no?
“Sta…cercando…di…u-uccidermi”, ringhia Jack mentre gli tiro il collo indietro, bloccandogli leggermente le vie respiratorie e facendogli schizzare gli occhi fuori dalle orbite. Non so perché continuo a tenerlo bloccato; trovo questa situazione fottutamente divertente.
“Okay, fa’ pure”. Zack alza placidamente le spalle, dirigendosi verso la credenza mentre il nostro batterista si accascia pesantemente sulla sua sedia designata. Guai a rubare il posto a Rian. Ti potrebbe ficcare le bacchette su per il culo. Quello è il suo posto, sulla sua sedia, lungo il suo lato di tavolo, nel suo angolo di cucina. È peggio di un dittatore, giuro.
 
Sempre tenendo Jack a me, che ormai si è abituato alla mia opprimente presa di potere, osservo semi divertito Merrik girare come un tornado per la cucina, aprendo e sbattendo cassetti e ante, controllando ogni angolo più remoto di scomparti, frugando fino a fondo in tutta la credenza, rovistando con gli occhi l’intero frigorifero, per poi venir colpito dal fatto che io già da parecchi minuti avevo scoperto: non c’era più cibo. Nulla di nulla. Nada. Vuoto totale. Zero.
Avremo dovuto vivere di aria e di acqua del rubinetto, finché non saremo diventati smunti e patiti come cadaveri e allora avremo cominciato ad adocchiarci fra noi come potenziali prede, fino a che un giorno non saremmo diventati cannibali a tutti gli effetti e avremmo attaccato per primo Zack, perché, si sa, è quello con più muscoli e di conseguenza più carne da addentare. Poi sarebbe venuto il turno di Rian, poi di Jack e poi di me. Ma so già che se non avevo il coraggio nemmeno di baciarlo, figurarsi se potevo prendere in mano la mia vita e mangiarlo. Piuttosto la morte mia che quella di Jack. Non avrei mai potuto vedere il suo bel sorriso dolce e sornione rosolarsi al punto giusto sotto i miei occhi.
 
“Ragazzi, qua non c’è una minchia!”
“Alleluia!” urlacchio al soffitto, ricordandomi quanto sembro un vecchio cowboy macilento del Far West quando lancio questi impropri con voce da assoluto gay all’ennesima potenza e ricordando a Zack che idiota totale sia.
Bravo bello, bravo. Applausi? Medaglia al valore? C’eravamo già tutti arrivati. Ora, muovi il culo e risolvi la situazione come al tuo solito.
Per tutta risposta, mi tira dietro uno dei suoi sguardi da serial killer e sbuffa frustrato.
“Chi doveva andare a far la spesa questa settimana?”. La voce di Rian, minacciosa come un temporale che incombe in lontananza seguendo il basso profilo dell’orizzonte, mi fa bloccare un attimo.
Cercando di cavarcela alla bell’e meglio, noi quattro abbiamo stilato una specie di “tabella di marcia” appena messo piede nell’appartamento (più che per noi, per far contenta la madre di Dawson, ma dettagli). Consiste in questo schema preciso e funzionale in cui sono incolonnati i vari incarichi necessari da svolgere per portare avanti la baracca e sotto il nome di uno di noi per ogni settimana, seguendo un rispettoso circolo sempre uguale. Chi una volta fa la spesa, chi lava e stira la biancheria, chi pulisce, chi rifà i letti e via dicendo.
Dio, mi sembra di tornare piccolo a causa di questo fottuto piano settimanale, ai tempi degli anni in cui facevo parte degli scout e ogni estate, al campeggio estivo, ci venivano assegnati i nostri compiti da “bravi lupetti”. Il passato oscuro di Alexandre Gaskarth. Se solo ci penso mi vengono i brividi: come faceva uno che adesso è così ribelle e – modestamente – carismatico a eseguire tutti quegli ordini senza fiatare? Che poi, mi ci vedete a scendere al torrente con i panni sporchi in una cesta di vimini sotto braccio e magari pure le treccine e il grembiulino per andare a lavarli? Stramega cazzata. Come ho potuto abbassarmi a tanto.
 
C’è un attimo di silenzio carico di attesa nella cucina. Oddio, e se toccava a me? Se è colpa mia se diventeremo cannibali e ci nutriremo di noialtri? E se mi sbattessero fuori di casa e dalla band per non avere svolto il mio lavoro? E se Rian mi spappolasse la faccia chiudendomela nel forno?
Signore, ti prego, fa che non toccasse a me. Fa non fosse il mio turno di supermercato. Se ascolti le mie preghiere, ti prometto che andrò a fare la spesa io tutte le settimane, tutti i giorni pure, spenderò di tasca mia e acquisterò cibo per un intero plotone se necessario. Ti prego non voglio diventare un cannibale anonimo senza casa e senza band. Tipregotipregotiprego.
Sento Jack farsi stranamente piccolo fra le mie braccia, e un pensiero mi folgora.
“Jack!” esclama Zack dal nulla. Uh? “Toccava a quel coglione di Barakat questa settimana!”.
“Ehm…” tenta il ragazzo appoggiato a me in sua difesa. Ah, sei morto idiota. Morto morto morto e stramorto. “Vedete il fatto è che…”
“ADDOSSO!”.
Oh no ti prego.
All’improvviso sento due grandi pesi schiacciarmi ai lati. Le braccia di Zack e Rian si vanno ad unire alle mie nel tentativo di strangolare Jack, solo che loro sono fottutamente seri. Oddio, sono seri? No dai, non possono volerlo uccidere sul serio. Possono?
Mani, piedi, calci, spintoni, braccia che schizzano di qua e di là, improvvisamente diventiamo tutti e quattro un unico ciclone umano auto-distruttivo.
Sento i loro corpi premere contro di me, su di me, accanto a me, e non capisco più nulla se non che ahi!, cazzo quella era una manata di Jack e auch!, quella era la scapola di Rian che mi si conficcava nel basso ventre e porca puttana!, Zack perché sei così fottutamente pesante! Spostatevi tutti cazzo! Allontanatevi! Non respiro, merda! Sono compresso!
Altro che quattro innocenti ragazzi, sembriamo una mandria di bufali appena marchiati a fuoco impazziti, mentre in simbiosi ci trasciniamo a suon di spintoni e insulti verso il salotto, schivando per un pelo lo spigolo del tavolo che avrebbe potuto lasciarci tutti secchi o senza un occhio.
 
E poi, tutto diventa ancora più fottutamente veloce.
So solo che un minuto prima ero in piedi, schiacciato dai miei tre amici pazzoidi, un minuto dopo mi ero schiantato sul divano con Jack sopra di me e le sue labbra premute con forza sulle mie.
E vengo spedito dritto dritto in Paradiso.
Non so come sia potuto succedere, forse nella foga del violento battibecco, forse con tutti quegli spintoni che ci stavamo dando, forse lui improvvisamente si è ritrovato addosso a me con la bocca che toccava la mia e di peso mi è caduto tutto addosso andando a cozzare sul divano.
Non fraintendetemi, ho già avuto modo di poggiare le labbra su quelle di Jack. Ma mai per più di un secondo, mai seriamente, mai senza tutto uno scherzo e un gioco infantile dietro, mai con la mia piena e consapevole voglia di baciarlo sul serio. Questa volta è diverso, almeno da parte mia. Non capivo più nulla, era tutto buio e confuso e scalciante e frastornato, prima che le labbra sue si posassero sulle mie.
E sono morbide.
E sono dolci.
E sanno ancora un po’ di sonno, ma questo le rende solo ancora più meravigliose.
E sono invitanti e calde.
E sono tutto quello che ho sempre voluto.
E sono la cosa più buona che abbia mai assaggiato.
Siamo lì impalati sul divano, lui con gli occhi sbarrati che sta fermo immobile, io che chiudo gli occhi e comincio a baciarlo sul serio. Schiudo piano le mie labbra e accarezzo le sue, incurante che per lui molto probabilmente è tutto un fottuto errore e Rian e Zack mi stanno osservando sconvolti. Voglio solo baciarlo. Voglio baciarlo adesso come non l’ho mai voluto prima, proprio ora che ho il suo sapore addosso. Mi sento forte, molto forte, e bello, bellissimo, come non lo sono mai stato. O forse quello bello qui è il bacio?
Non serve che vi dica che il mio corpo è in completo e totale subbuglio, perché lo immaginerete già. Cuore, polmoni, sangue, battiti, gambe, braccia. Tutto, tutto si è fottuto. Non rispondono più se non per farmi sentire una tempesta dentro. Macché dico una tempesta, un uragano intero. Un maremoto. Un ciclone enorme. Un cataclisma.
 
Ma proprio mentre le mie mani si allungano verso i suoi fianchi, Jack si stacca precipitosamente. Le sue labbra si sciolgono dalle mie lasciandomi vuoto e freddo con una sensazione di colpevolissima paura di avere fatto qualcosa di sbagliato.
Ed evidentemente è così. So che è così.
In fretta e furia, il mio migliore amico si solleva con un guizzo di bicipiti dal mio corpo, e barcolla un po’ si rimette in piedi. È accaldato e rosso sulle gote, ma credo che sia per la rissa di prima più che per il bacio, e con le mani che tremano si sistema la t-shirt dei Blink-182 tutta stropicciata.
Ma è quando alza lo sguardo su di me, che mi sento cadere in un baratro.
I suoi occhi, i suoi bellissimi occhi nocciola che tanto amo, sono colpi di disprezzo e disgusto. Ma disgusto per chi? Per me? No, no, no, non può essere per me. Vi prego ditemi che ho un qualche orribile insetto da schiacciare sulla punta del naso.
Ma Jack fissa proprio dentro i miei occhi, mentre io sono ancora sdraiato sul divano con il cervello e lo stomaco sottosopra e il suo sapore sulle labbra.
Mi odia. Mi odia sicuramente. Oh dio, perché non sto mai fermo? Perché sono sempre così impulsivo, specialmente nei riguardi di Jack? Mille pensieri uno peggio dell’altro sfrecciano a velocità supersonica nella mia mente.
“Ma che cazzo fai, si può sapere?!”. Sta urlando, sta urlando contro di me. No, ditemi che è tutto un brutto sogno. Ditemi che adesso io mi sveglio spossato e madido di sudore nel mio letto con ancora la sveglia che deve suonare e la giornata ancora da svilupparsi. Vi prego, qualcuno inventi un fottuto tasto “indietro veloce” per la vita. Rinuncio pure al fatto di avere baciato la persona che amo di più, se può finirla di guardarmi così.
Sento il mio cuore smettere tutt’ad un tratto di battere e incrinarsi pericolosamente, come vetro soffiato sfiorato da un proiettile. E so che il proiettile colpirà.
“Ti metti pure a baciarmi adesso?! Che ti salta in mente, cazzo?!” .
Se ne va furente, lasciando la stanza e un Zack e un Rian spettatori allibiti.
Crack.
 
 
 
salve bastardi.
Vorrei scusarmi intanto infinitamente per averci messo così tanto e avervi fatto venire la barba e la dentiera nel bicchiere ma non avevo idea che avrebbe avuto così tanto “”””successo””””. Perché, ehi, 6 seguiti, 3 preferiti, un ricordato e ben 100 persone che hanno letto lo scagazzo di topo del primo capitolo (*si appunta di comprare 100 mazzi di fiori per la lapide*)? Io boh, siete l’unica cosa bella di quest’estate di merda con la emme maiuscola e la doppia sottolineatura. E quindi, siccome il giorno dopo sono partita per l’Inghilterra, non ho avuto modo di aggiornare fino ad oggi.
Come seconda cosa, vorrei scusarmi per il triplo scagazzo di topo farcito con vomito di gatto epilettico che è venuto fuori questo capitolo. È molto scoraggiante da dire visto che è solo il secondo, ma ero proprio già a corto di idee (ho già detto la parola s c o r a g g i a n t e?); giuro solennemente che il terzo sarà uno spettacolo spettacolare, e anche più divertente. Ero in una mia fase altamente depressa in questo.
E e e eeeee Alexander William Testadicazzofuriosa Gaskarth ha baciato Jack. Sei nella merda pupo (scusate gli scleri dovuti alle sole due ore di sonno e alle altre attaccate al pc a cazzeggiare amorevolmente su twitter.)
Cosa succederà adesso? *tan tan tan taaaan*
Recensite recensite recensite, anche se lo so che fa davvero davvero davvero pena e i faccio davvero davvero davvero schifo. Se lo fate, rifornimento di caffè a vita e un Zack Merrick personale.
 
Stay in drugs, don’t do school.
xøc

 

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Capitolo 3
*** You won't find out what has been killing me. Can't you see? Can't you see? ***


3.
You won’t find out what has been killing me. Can’t you see? Can’t you see?

 
 
“Quindi, saresti frocio?”
“RIAN!”
“……ZACK!”
“È Alex!”
Pausa infinita.
“Credevo ci stessimo nominando a vicenda solo noi due, traditore!”
“Coglione, sto parlando del termine che hai usato”.
“Quale, traditore?”
“No”.
“Zack? Nemmeno a me piace il tuo nome, ma su, dovrai imparare a conviverci prima o poi.”
“Potrei picchiarti con una padella”.
“Non lo faresti mai, mi ami troppo”.
“Allora potrei scoparti e poi ammazzarti con una padella. Magari quella di acciaio cromato”.
“Stronzo, alla larga dalla padella di mia madre!”
 
Non ci posso credere.
Io, Rian e Zack – ancora solo in boxer – stiamo seduti al tavolo scheggiato e traballante della cucina, una tazza di caffè forte e fumante davanti a ciascuno di noi. Quel bastardo di Zack mi ha fregato la tazza verde con la rana, e sa quanto mi piaccia e quanto il caffè abbia un sapore migliore dentro quella ceramica tarocca trovata in uno dei tanti mercatini delle pulci per il quale abbiamo bighellonato a lungo io e Jack una fredda sera di dicembre, all’avvicinarsi del Natale.
 
Ricordo come ci siamo ritrovati per la piazza affollata di vecchie signore impellicciate e giovani mamme con tutta la schiera di nuovi pargoli al seguito, imbacuccati nei loro piumini dai colori sgargianti e le sciarpe talmente strette da rischiare il soffocamento.
 
Odio i bambinetti ricoperti da strati e strati di vestiti in inverno. Sembrano pinguini in tecnicolor o pupazzi di neve xxs con le gambe, a scelta. Non so le loro madri come facciano a conciarli così, non si sentono fottutamente in colpa? Io piuttosto li lascerei ibernarsi, non so. Ah, sarei un padre stupendo.
 
La nostra meta iniziale era, ovviamente, il pub. Si prospettava una fantastica serata sbronza in cui saremo tornati a casa sventolando i pantaloni in aria e cantando assurde canzoni di mare per le quali in seguito ci saremo interrogati su come cazzo facciamo a conoscerle. L’alcool ci dava forse in dono un vasto repertorio di ballate da marinai? È una cosa che dobbiamo analizzare più accuratamente.
Ma poi, attraversando lo spiazzo di cemento chiaro con al centro una fontana di marmo sbeccato e attorniato da innumerevoli lampioni dalla luce fioca e danzante, che si innalzavano per pochi metri formando un cerchio quasi perfetto attorno all’asfalto che è la piazza di Baltimora, fondersi con i cittadini in vena di spese natalizie era stato inevitabile.
E allora, avevamo finito col fare acquisti pure noi per i regali di Natale, zigzagando fra le bancherelle colorate ed addobbate con le lucette elettriche che di solito si attorcigliano tutt’intorno all’albero di Natale, fra i vari: “Cazzo Alex guarda questo, oh dio devo assolutamente avercelo, no dai come si fa a rinunciare a una cosa del genere”; “Credi che Rian apprezzerebbe un mankini a paiettes?” e “Aaaaalex, questo bambino mi vuole fregare il modellino di Cars, digli che l’avevi visto prima io!” di Jack.
E se abbiamo scelto fare la figura dei buoni amici all’alcool, vuol dire che siamo coglioni forti. Ve l’ho detto che stare con Jack non mi fa bene. Ma almeno ho rimediato la tazza per me.
 
La stessa tazza che adesso quello strONZO DEL MIO BASSISTA SI STA PORTANDO ALLE LABBRA E LE APPOGGIA SOPRA E LA INCLINA IN AVANTI SEGUENDO IL MOVIMENTO DELLA SUA TESTA E SORSEGGIA SORSEGGIA FIGLIO DI PUTTANA FINISCI DI STUPRARE MISS HULK, LEI È MIA MIA MIA MIA.
Sì, Jack non è l’unico a dare nomi agli oggetti, okay? Ma almeno io sono originale. Miss Hulk. Non è carino? È perché è una rana. Sapete, verde. Le rane sono verdi. Come Hulk. Hulk è verde. Frega un cazzo se è maschio insomma. Per quanto ne sapete, potrebbe essere ermafrodita. Un ermafrodita verde. Verde. Come la rana sulla mia tazza.
Oh, fanculo.
 
E così, ho confessato come un imputato davanti al giudice, l’unico mio “crimine”: essere gay. Solo che, nel mio caso, i giudici sono due e senza la minima ombra di una laurea in legge. Ma nemmeno tarocca. Ma nemmeno scritta con lo stupefacente supermagico “inchiostro invisibile”, che altro non è che il succo di limone al lieve riscaldamento di una fiammella di candela – possibilmente che profumi di fragola, perché, insomma, la fragola rende tutto più meravigliosamente figo – posizionata sotto. Ma nemmeno comprata con i punti della Coop.
 
Già è tanto che siamo usciti dalle medie illesi. Va beh, a parte Zack, il nostro mini Newton personale. Ah, forse lui la sa la formula con la quale convertiamo l’ossigeno in anidride carbonica (o, ancora, forse è il contrario?). Si è buttato via qui a fare il bassista con il patentino di bastardaggine in mezzo ad un pelatone denti-smaglianti, uno con dei capelli orribili coglione formato pacchetto extra-lusso e un gay che si spreca sparando minchiate poetiche ai concerti; quando avrebbe potuto fare milioni studiando per qualcosa che lo avrebbe emancipato nel mondo del lavoro.
Zachary Cuorenobile Merrick. Complimenti coglione. Rinuncia ad una carriera di ville dalle dimensioni assurde e di plotoni di donne che si mangerebbero i loro stessi assorbenti per stare con te. Applausi dal pubblico.
 
Però, forse, adesso che ci penso, se Zack vivesse in una villa, non ci inviterebbe mai perché siamo di un imbarazzante fuori dal legale. Alle cene di gala Jack si infilerebbe un gamberetto in salsa per ogni narice e andrebbe in giro disgustando a vomito tutte le signore presenti, dicendo che “gli erano uscite le cervella (quali cervella?) dal naso e allora le ha lasciate lì a seccare da offrire come stuzzichini agli ospiti. Favorisce?”
Bum!, fuori di casa tutti e tre, sbattuti col culo sul vialetto principale di ghiaia che conduceva al portone d’ingresso da due orango tango della sicurezza con tanto di auricolare e occhiali da sole. Di notte. Perché, seriamente, quanto saranno coglioni i tipi così? Da che vi dovete proteggere? I raggi UVA dei lampioni?*
E sarebbe così che finiremmo il resto della nostra raminga serata spappolati ad alitare sulle grandi vetrate, uggiolando come cani bastonati di farci entrare. Club dei patetici con tessera onoraria, osceno cappello a visiera con logo e tutto insomma.
 
Non è stato difficile.
È proprio come la metafora del cerotto sulla ferita rimarginata che ormai devi togliere: non è tanto per il taglio che fa male, ma per la pelle sana e i peli attorno.
Lo so, come figura retorica fa più pena di me. Sto facendo pratica.
Insomma, più in fretta fai, meglio è. Come togliere un cerotto, appunto. Via il dente, via il dolore. Prima comincia, prima finisci. Chi ben inizia è a metà dell’opera. Non rimandare a domani quello che puoi fare oggi. È inutile piangere sul latte versato. Chi dorme non piglia pesci. Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino.
Okay, la finisco.
 
In pratica, ho adottato questa tecnica talmente bene che la prima confessione non l’ha capita nessuno. Ho avuto un attimo di dubbio su che cazzo ho detto pure io.
“Nookayragazzivolevodirvichesiinsommasonogaycioèomosessualecioèsiinpraticavivailcazzocheschifolavaginaevipregovipregovipregononsputatemituttoilcaffèbollenteinfacciadallostuporeperchémisiustionerebbeilvisocioèilmioadorabilefaccinoproprionograzieeccovelhodeeeeetto”. Totalmente sclerato. Fuori come un balcone. Svitato come una vite. Suonato come una campana.
Okay, giuro che la finisco seriamente ‘sta volta.
“Che cazzo hai detto?! Palazzi per patirvi le insonnia de’ rocco meli?!”
“E poi c’era qualcosa sul caffè adorabile e la faccia che ha detto”.
Vi prego, risparmiamo i dettagli. È stato un discorso imbarazzante, con Rian che reclamava a gran voce particolari sul sesso anale. Ma che cazz. Manco fosse lui quello gay qua. Cioè, spiacente bello, posto già occupato.
 
Avevo dimenticato com’era. Com’era sfogarsi, parlare a cuore aperto con qualcuno. Sono stato così stupido fin’ora, a tenere due degli amici più fidati che ho sulla faccia del pianeta all’oscuro di quello che sono.
È come se negli anni avessi accumulato questo opprimente e pesante ammasso di bugie sotto forma di macerie invisibili che mi schiacciavano il costato, a volte arrivando al punto di non farmi respirare e supplicare un rimedio.
“Sto bene”.
E bum, un altro macigno.
“Tranquilli, è tutto okay per me”.
Pietra su pietra.
“No, no, non preoccupatevi”.
Bugia su bugia.
E poi, sono arrivati Rian e Zack, con i loro sorrisi rassicuranti, la loro capacità di farmi sentire meglio sconvolgente nonostante il 99% delle volte si comportino da coglioni senza precedenti e le loro tazze da caffè che non gli appartengono (sì Merrick, sto parlando di te, sporco bastardo frega-rane). Veloci ed efficienti, hanno alleggerito il peso della verità segreta che mi trascinavo incollato al petto.
 
Solo uno, il macigno più grande, soffocante e doloroso di tutti ho deciso di tenere ancora con me. Come un cane fedele a cui sei malsanamente affezionato. Ironia fottuta. Quello che rappresentava Jack. Jack.
Volevo dirgli davvero della sbandata cronica per lui da ragazzina nel bel mezzo di una tempesta ormonale? Volevo confessare tutto? Volevo ammettere che avrei volentieri squartato con una forbicina per unghie ridendo allegramente/psicoticamente ogni singola ragazza che entrava in casa seguendo Jack come un’ombra troia e ossigenata? E che dopo avrei fatto una cinghia per la chitarra con la pelle delle sue tette rifatte (cintura di silicone, uao)? Volevo raccontar loro di tutte le notti in bianco a impregnare il cuscino di lacrime, con la gayissima e squallida voglia di uccidermi a colpi di chili e chili di gelato ai frutti di bosco – la. fragola. rende. tutto. più. meravigliosamente. figo. –davanti a scadenti video porno omosessuali girati col cellulare da due tizi senza hobby e/o futuro? Volevo parlare di tutto quello che provavo quando quel bastardo del mio migliore amico anche semplicemente mi sorrideva? Volevo arrendermi a quanto fossi davvero, irrimediabilmente, pateticamente, disperatamente ossessionato da vita, morte e miracoli (si fa per dire, quel ragazzo ha difficoltà a sbucciare una mela) di Jack Barakat?
No.
Non è come se mi vergogni dei miei sentimenti, o di quello che “mi piace” e non “mi piace”. Ma cosa ne sarebbe della band, della mia vita, dei fan, di me, se per qualche culosissimo e impossibile e gay al massimo caso tutti i Santi, le Madonne, i dei greci, i Gesù e i Giuseppe che ho pregato mi abbiano ascoltato e Jack ed io davvero finiremmo insieme fra cuoricini, arcobaleni e unicorni caga-bolle di sapone e altre cose da froci convinti; ma dopo finirebbe? Cosa succederebbe?
E il mondo, il mondo là fuori da questo buco ridotto ad un ammasso di vestiti sporchi e cartoni di pizze da asporto che noi ci ostiniamo a chiamare “casa”, cosa direbbe? I paparazzi mi chiederebbero di sposarli per avergli offerto uno scoop così sensazionale.
 
Cazzo, preferisco non pensarci nemmeno e vivere per sempre nel mio mondo da gay in incognito attorniato da video porno di bassa qualità, gelato ai frutti di bosco e cuscini fradici che sanno delle mie amare lacrime salate per sempre. Grazie. Rifiuto l’offerta e vado avanti.
 
“Quindi, spiegati Freddie Mercury…”
“Oh grazie, così mi lusinghi”.
“Solo perché era gay tesoro”.
“Ah”.
“Ma Rian, Alex non è bravo neanche la metà di quanto lo era Freddie”.
“Ha parlato il nostro Paul McCartney dei poveri, qua”.
“Almeno ci assomiglio pivellino”.
“Oh sì, noto un’incredibile somiglianza fra la tua narice destra e il suo buco del culo”.
“Ehm, ragazzi…”
“Seh, ti piacerebbe essertelo sbattuto a sangue, Gaskarth”.
“Mamma mamma che tocco di gnocco!”
“Ah no perché Freddie Mercury buttiamolo via allora”.
“Ma li hai visti quei baffi? Non ti viene la bava da qua ai piedi?”
“E quei denti da cavallo? Dico, li hai guardati bene? Ossignore che bono”.
“No no no, per non parlare di quando si metteva quelle tutine attillate tutto un luccichio tipo Spice Girls in versione cavallo baffuto, che culo che aveva. Come fai a resistergli”.
“A resistere a quelle? E alle sue pose da gay allo stadio super-sayan? Ti viene un orgasmo solo a guardarlo”.
“Che gay fuori controllo che siete tutti e due”.
“EHI!”
“Grazie amore, lo so”.
 
E poi Rian fa la fatidica domanda, quella per la quale ho tremato tutto il tempo che abbiamo parlato: “Quindi, aspetta…se…se tu hai baciato Jack così…vuol-vuol dire che…sì, insomma, lo sai dai, cioè…ti piace?”.
Panico.
La realtà mi colpisce come un potente manrovescio sul viso: ho baciato Jack. L’ho davvero fatto. Ho sentito il gusto del mio migliore amico da sempre sulle mie labbra. L’ho baciato e poi è crollato tutto.
Gli avvenimenti di poche ore prima tornano a pesarmi sulle spalle lampeggianti, come una sirena assordante che ricomincia a squillare dopo che aveva dato un po’ di tregua.
Cosa devo fare? Jack non si è mai arrabbiato così. Forse, forse non voleva. Forse si è solo alzato col piede sbagliato la mattina sbagliata. Forse s’è già pentito e vorrebbe chiedermi scusa per la sua reazione inadeguata ed esagerata, forse magari proprio adesso sta pensando di uscire dalla camera da letto dove si è segregato e cadere ai miei piedi supplicando il mio perdono.
Già. Forse. Forse forse forse. Troppi forse ci sono nella mia vita, nessuna certezza.
Mi racchiudo sempre più in me, il cuore pesante e la testa troppo affollata di pensieri. Ed è grazie a tutti i ragionamenti di prima, che trovo tuttavia la forza di affermare “No, assolutamente” guardando in faccia Rian e Zack e mentendo loro deliberatamente. Se guardate bene, c’ho «VIGLIACCO» scritto in rosse lettere enormi sulla fronte. Dovrei farmi tatuare pure quello, uhm. Perché no. Sarebbe carino. Tipo quei scatoloni marchiati «fragile» che Jack ogni tanto porta a casa, pieni di birre. Alex lo scatolone umano. Non suona male.
 
“Uh, quindi, voglio dire…spiegami, è una cosa da voi gay andare in giro a limonare chiunque?”, domanda allora quello sfrangiacazzo del mio batterista. SÌ. SÌ, OKAY? SIAMO DEI NINFOMACI DI MERDA SUCCHIA-FACCIA A TUTTI, NON GUARDATECI, NON TOCCATECI, NON PARLATECI.
Percepisco il tallone possente di Zack andare a schiantarsi sullo stinco di Rian, da sotto il tavolo, mentre questo si piena leggermente con un gemito di dolore.
Caro, dolce, premuroso Zack, che si preoccupa della mia sensibilità. Come sei adorabile Merrick a stare così attento ai miei sentimenti. Proprio un tesoro. Grazie che non sei finito a fare l’avvocato di merda e stai in mezzo a noi sfigati.
Ma tanto non ti perdono per il furto della tazza bastardo, guardati le spalle quando sei sotto la doccia, che Psycho è un film meraviglioso da inscenare nella vita reale.
Ah, e ti voglio bene.
Ridacchio incerto. Sono un attore di merda. “No, coglione. È solo che…beh, Jack è dannatamente bello…”
“Se lo dici tu”
“E NON sono riuscito a trattenermi. Cioè, andiamo, quando mi ricapiterà un’occasione del genere, di poter sbaciucchiare un tizio così sexy?”.
Rian e Zack mi guardano malissimo. Uhm, forse troppi complimenti tutti in una volta. Porelli, loro non li elogio mai. Fanculo Jack, è tutta colpa tua.
Vi prego bevetevela. Vi prego bevetevela. Vi prego bevetevela. Vi prego bevetevela.
Signore, se se la bevono, nemmeno abbraccerò più Jack. Non piscerò più nella doccia. Non scoreggerò più sul cuscino di Zack quando non mi lascia il telecomando. Non metterò più la cipolla nel dentifricio di Rian quando deve lavarsi per uscire con Cassadee. Rimarrò chiuso in casa in stato di eremita perenne per sempre.
 
“Sì, no, okay, in effetti, hai ragione” decreta in fine Rian.
Quasi mi scappa il sospiro di sollievo che si vuole sprigionare dai miei polmoni. Dio, grazie grazie grazie. Uhm, non so se resisterò alla tentazione di mollare flatulenze sul cuscino di Merrick, ma okay comunque.
Grazie che concordino pure loro con me che Jack è bello come un’abbagliante di notte.
“E comunque, Barakat assomiglia ad un topo spappolato sul parabrezza di un motorino”.
Seh, vaffanculo Dawson.
 
“Ma, amico, glielo devi dire pure a lui ‘sta roba. Mi sembra che se la sia presa parecchio”. Zack fa un cenno con la testa, alludendo alle scale che portano alla camera da letto. Perché deve sempre cercare di fare il paciere sceso dal cielo, merda. Il mio batterista rincara la dose annuendo convinto.
Non ce la faccio ad affrontare Jack. Il che è assurdamente anormale, visto da quanto tempo lo conosco e siamo amici per la pelle. Ho sempre detto tutto a Jack, sempre. Oh, escludendo l’insignificante fatto che porto per il cazzo e me lo porterei volentieri (alettocoffcoffcoff) all’altare con un vestitino bianco di pizzo da lasciare scoperte tutte le sue fantastiche gambe pelose come uno gnu. Ma sono dettagli.
Cosa gli devo dire? Quello che ho detto a Rian e Zack; che è un dio greco per me? Ci siamo sempre amorevolmente detti che siamo delle stupende principesse, ma questa volta sono serio.
“Uhm, non saprei…”
“ALEX – ZackSbriciolacoglioniPaciereinviatodalsignore mi interrompe brusco. Ritiro tutto quello di bello che ho mai detto su di lui – “Vai. a. parlare. con. Jack. ora.”
 
E va bene, va bene. Però sei un figlio di puttana e te lo scordi che ti risparmio le scoregge, anzi. Pasti a base di fagioli da qua all’eternità.
Mi alzo sbuffando dalla mia sedia, spingendola indietro sgraziatamente come un bambino che fa i capricci. Dio, questa parte mi viene alla perfezione. Oscar prego. Con passo strascicato mi dirigo fuori dalla cucina, la testa bassa come di un condannato che si dirige al patibolo dopo le sue ultime preghiere, in testa i pensieri più funesti e i più diabolici piani su come far fuori Zack e farlo sembrare un incidente.
Con la coda dell’occhio scorgo il Bastardo con la B maiuscola e Dawson battersi il cinque soddisfatti. Ah, un complotto eh? Benissimo. Doppi figli di puttana. I miei piani omicidi si estendono pure a te pelatone.
 
Dovremmo proprio pulirlo questo pavimento. Passando mortorio sto scorgendo un sacco di macchie di sugo di pomodoro (o forse è il sangue che verseranno Zack e Rian fra poco?), impronte di fango lasciate dalle nostre scarpe, granelli di polvere e schifezze varie. La mamma di Rian ha ragione, non meritiamo tanta fiducia. Finiremo morti dall’olezzo della nostra biancheria sporca sparsa a random per la casa. Non meritiamo questo posto tutto nostro. Non meritiamo di abitare da soli. Non meritiamo l’onore di fare la spesa per conto nostro, che oltraggio. Non meritiamo di lasciare tutto aperto di notte rischiando la rapina e la percussione con mazze.
Ah, e Zack e Rian non meritano di vivere.
 
La porta della camera. La fottutissima porta della camera.
Il cuore proprio non vuole saperne di battere ad un ritmo comune, e dà un’accelerata allucinante. Lo stomaco, per farmi un regalo, si annoda tutto bene bene e mi provoca le vertigini dall’ansia. Grazie intestino, anch’io t’ho sempre amato.
Benissimo, ora che l’ho vista, torniamo indietro. È in perfette condizioni, solida, lucida, portosa, tutto apposto. Giriamo il culo e scappiamo fuori da questo manicomio urlando come degli ossessi.
 
Sto quasi per farlo, quando l’oggetto delle mie attente osservazioni si spalanca improvvisamente e vengo investito in pieno da un ammasso di muscoli (pochi in effetti, quasi inesistenti), capelli neri sparati in tutte le direzioni e braccia che si avvinghiano a me in perfetto stile polipo assassino. Argh.
“Alex! Mi sei mancato in queste ore solitarie e tristi!”.
Se possibile, il cuore prende a correre anche più veloce. Se potesse, sarebbe già schizzato fuori dalla cassa toracica e si sarebbe schiantato irrimediabilmente sul petto del mio migliore amico, che adesso preme con insistenza contro il mio.
Jack.
Jack.
Il ragazzo che ho baciato e che mi ha urlato contro, facendomi sentire un appestato come mai mi ero sentito prima d’ora.
Il ragazzo che adesso, abbracciato a me, mi sta facendo sentire bene come poche volte mi sono sentito.
“Jack, io…ascolta, volevo dirti, cioè, mi dispiace…”
“No, no, no, zitto. Non me ne frega un cazzo, sono stato un coglione. Scusami, scusami, scusami. Non so perché ho reagito così”. Jack sta parlando a raffica, ogni sua parola che scioglie il nodo che erano diventate le mie budella e allevia il peso che portavo sulle spalle. È stato così semplice, così naturale. Non sono mai stato tanto contento che Jack sia una tale persona impulsiva, altrimenti sai dove ancora stavo io: a fissare la porta come se fosse un poster di Jack nudo che balla la lamp dance con un boa di piume fucsia attorno al collo e un orsetto lavatore in equilibrio sulla testa.
“Davvero, sei un idiota, però cioè, sei la cosa più importante che ho, quindi mi dispiace, Alex non picchiarmi, io ti voglio tanto bene!”.
Rido sommessamente, il naso affondato nell’incavo caldo del suo collo. Starei qui per sempre. Qualcuno metta in pausa questo momento, mettete in pausa cazzo. Voglio solo questo: io, lui, insieme, abbracciati.
“Non voglio picchiarti coglione. Cioè, sì, una parte di me lo vorrebbe, per averti fattomi sentire una merda ambulante…”
“SCUSAMI SCUSAMI SCUUUUSAMI”.
“Ma non lo farò, taci”.
Restiamo ancora così, per chissà quanto tempo. Quando Jack è con me, cose secondarie come questa si azzerano. Chi se ne frega se passano anni, giorni, o solo pochi secondi. Ogni attimo con lui è regalato, è perfetto, è tutto ciò che mai potrei chiedere.
E sì, sto diventando schifosamente romantico.
“Ah, e…Alex?”
“Mh-m?” borbotto.
“Baci veramente da paura, complimenti”.
Scoppio a ridere, ancora avvinghiato a lui. E forse sì, tutto andrà per il verso giusto.
Forse Jack si alzerà una mattina e scoprirà di volere andare in luna di miele con me.
Forse Rian e Zack si butteranno loro stessi da un ponte risparmiandomi la fatica di buttarceli da me.
Forse questa casa tornerà a brillare da sola.
Forse i miei capelli staranno bene anche senza la mia parrucchiera fidata (cosa farei senza di te Angela, ti prego sposami).
Forse qualcuno scoprirà come fermare lo scioglimento dei ghiacciai.
Forse il buco dell’Ozono svanirà come per magia e forse Jack non cagherà più lasciando poi tutto chiuso e impregnando l’aria del bagno della sua magica Eau de Scagazzement facendoci morire asfissiati tutti.
 
Ma forse, anzi, sicuramente, ho rivalutato male la mia sfiga sfacciata.
 
 
 
 
 
* ogni riferimento a Jared Leto è puramente casuale.
((NON È VERO, STO PARLANDO DI TE MINCHIONE. TVBXSEO))

 
 
 
 
 
Spazio “””autrice”””, che è una roba chilometrica quindi vi conviene prendere i pop-corn e mettervi comode:
bonjour pieces of shit (non vi offendete se vi chiamo così, vero? è solo per illudermi di non essere l’unica pezzo di merda qua dentro, sappiate che vi lowo tutte).
bene, partirei dal dire che se vi si sono sciolti gli occhi, è colpa di mia nonna. sì, è sempre colpa sua e sh. no perché mio padre mi ha ri-trascinata in montagna e se mi sono finalmente decisa a scrivere il terzo capitolo dovete solo ringraziare lei, la mia musa con lo scialle di lana fatto a mano ((orrendo ma okay)) e i capelli super tinti perché lei è figa ed è padrona della sua vita. poi logicamente il capitolo viene di merda perché, ehi, mia nonna ha 77 anni – credo. quanti ne ha? – e non è una musa stupenda, quindi mi dà al massimo l’ispirazione per una bella cagata.
dopo questa esibizione di finezza suprema di cui solo io sono in possesso, parliamo seriamente (((seeeeh))) del capitolo. vorrei capire perché continuo ad aggiungere una parentesi ogni volta che ne apro di nuove ma sono più incazzata del solito oggi e non ho voglia di interrogarmi su queste domande. let it be.
alur, Alex ha ammesso bandescamente – deriva da pubblicamente, amatemi – di essere gay, ma nega categoricamente – non deriva da un cazzo – di essere innamorato di Jack. cojon, non ti crede nessuno: fra un po’ sbavi pure dove sputa sul palco. Bassam lo perdona ovviamente perché a) è il suo migliore amico; b) nessuno riesce a stare incazzato con Alexander William Gaskarth e c) è coglione pure lui e fra coglioni ci si trova (io lo so, tutti i miei amici sono coglioni). Zack e Rian hanno la loro parte importante in questo capitolo, ma alla fine non hanno nulla in contrario all’omosessualità dell’amico, logicamente, perché sono troppo fighi e aperti di mente e tanto buoni e dolci e simpatici e carini e idioti fino al midollo e si vede che sono innamorata di sti due tizi e okay ciao ciao ciao. e anzi, nel prossimo capitolo escogiteranno qualcosa che sta tutto scritto dentro la mia testolina di cazzo. o testona. qualcosa riguardo a Jack? qualcosa riguardo a qualcun altro? un appuntamento, magari? una gita tutti insieme appassionatamente in campagna per drogare e far ubriacare Jack in modo che Alex se lo possa scopare come un mobile che non vede uno swiffer duster da secoli indisturbato? un piano malefico per la raggiunta del dominio supremo sul mondo, per trasformarlo poi nel loro privato regno dove non serve cambiarsi le mutande e le pizze piovono dal cielo? no. o forse sì. ah, tanto vi tocca aspettare il prossimo capitolo per saperlo.
che non so quando sarà. “oggi mi metto a scrivere e mercoledì posterò di sicuro!”, diceva. poi mia madre, stronza e taccagna fino al midollo, ha cambiato contratto per la connessione internet e quindi siamo rimasti senza per giorni, senza che potessi aggiornare. i forconi e le torce a lei, grazie.
comunque  mai – e dico mai – fidarsi di quello che dico riguardo a quando posterò. sono affidabile come gheddafi. il mio “soon” è peggio del “soon” di giared leto (thesharpestlives i’m thinking of you), quindi potreste aspettare fino a natale. come regalo. pensate che bello.
okay sto spazio autrice è ‘na roba immensa che vi avrà fatto cadere e rotolare giù per la collina le palle immaginarie, quindi finisco qua.
vi chiedo solo – ma che dico; vi supplico, vi imploro, vi scongiuro – di recensire. voi non volete farmi soffrire non cagandomi il capitolo, vero? *annuiscono tutti di nascosto*. no va beh, per farmi sapere cosa ne pensate della svolta che ha preso la storia. vi pleaso. non sapete come mi rendete felice quando mi scrivete qualcosa di carino come solo voi siete in grado. Sciennon Leto in omaggio. ((che non si sa cosa c’entri con gli All Time Low, ma non importa. lui c’entra SEMPRE. è come mia nonna: anche quando non si parla di lei, si parla di lei)). evaporizzo va.
 
Stay in drugs, don’t do school.
xøc.
p.s.: http://24.media.tumblr.com/c1583680a13b2a6204be508f3197ce9d/tumblr_mqz5lxHD551rdhnwgo1_500.gif NONNA LETOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO.
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 4
*** And every time I look inside your eyes burning in the light, you make me wanna die. ***


1.
And every time I look inside your eyes burning in the light, you make me wanna die.


“Ho avuto un’idea per la quale mi amerai per il resto della tua patetica vita da gay frustrato!”. 
Mr. Simpatia-da-spilla-da-balia-fra-le-natiche Dawson arriva di tutta furia in salotto, rischiando la morte inciampando sul nostro liso tappeto di un verde indefinibile, schivando con abile maestria una chitarra di Jack lasciata in giro come al suo solito – mi innamoro di persone che disperdono come fazzoletti sporchi una delle cose più belle che sia mai stata creata sulla faccia della Terra che ci manca solo un’insegna al led intermittente «FINITEMI ADDOSSO E ROMPETEMI CHE È MORBIDO» sopra, e poi mi chiedo che ne farò della mia vita. Non ne farò proprio nulla. Morirò prima e basta. -, e piroettando con quel suo sorriso da bambinone extra-large spalmato in viso attorno all’attaccapanni in mezzo alla stanza per motivi oscuri.
 
Puntandomi come se fossi un camion dei pompieri e lui un toro imbestialito di tre tonnellate, Rian si getta letteralmente sopra le mie gambe, lanciandosi come ci si lancerebbe dalla finestra semi-carbonizzata di un edificio in fiamme. E il mio corpo fosse il fottuto tappeto elastico di soccorso.
In un lancinante secondo di panico assoluto, sento un cric pericoloso all’altezza del ginocchio. Sto per morire. È vicina, la morte è vicina. Il ciccione mi ha messo fuori uso le gambe per sempre, dovranno amputarmele senza pietà e anestesia e rimarrò in una cigolante carrozzella a vita, con dei tristi moncherini a ricordo di quelli che una volta erano i migliori arti che mamma avesse mai fatto.
“AH!” un urlo di agonia pura mi sugge dalla bocca.
“Usate il preservativo in quella stanza!”
“VA’ A CAGARE MERRICK!”
Rian per poco non si ammazza dalle risate, spostandosi dalle mie gambe che avranno preso la forma del suo culo e sistemandosi meglio sul divano, il tutto letteralmente piegato in due dal ridere. Se non muore adesso, giuro che lo uccido io dopo. E sarebbe un peccato sporcare la camicia nuova, quindi è meglio che crepi in fretta.
 
“PORCA PUTTANA, DAWSON! MI HAI UCCISO! MI HAI LETTERALMENTE PARALIZZATO LE GAMBE! GUARDALE, SONO TUTTE PIEGATE! ODDIO! MA CHE CAZZO FAI!”
 “Rilassati ragazzina, un paio di piegamenti e torneranno come nuove”.
Ah sì beh, è facile parlare per lui. Intanto sono io quello che non potrà più camminare in vita sua. “NON LI VOGLIO FARE I TUOI MERDA DI PIEGAMENTI! NON SONO UN CAZZO DI MATERASSO! DIMMI, SEMBRO UN MATERASSO? SEMBRO UN MATERASSO? E NON CHIAMARMI RAGAZZINA, MOSTRO!”.
Mi prendo convulsamente le gambe fra le braccia, piegandole e abbracciandole come se fossero un bebè bisognoso di cure. Premo forte la fronte arrossata contro le ginocchia doloranti, sentendo tutti i muscoli e le ossa all’interno che mi sibilano di ammazzare Rian e di farlo subito. Continuo a dondolarmi avanti e indietro in questa semi posizione fetale seduto sul divano, piagnucolando come un infante che vuole le caramelle ma purtroppo ha appena messo l’apparecchio fisso. Fa male. Aiuto. Vedo una luce. Jack, ho tanto freddo. Sto morendo. Quelle lucine che mi danzano davanti agli occhi chiusi sono senza dubbio i lampeggianti della Fiat di San Pietro parcheggiata davanti al Paradiso che mi sta aspettando. Me lo sento dentro. Nelle mie ossa della rotula andate a puttane. Addio, mondo crudele.
 
“Sei un po’ tanto drammatico”, fa Rian con un’indifferenza divertita. Vaffanculo. Dirò a San Pietro di chiuderti fuori dal Paradiso quando ti vedrà arrivare. “Allora, vuoi sentire la mia idea? Sono troppo geniale, davvero”. No, va’ cagare. Non la voglio sentire la tua idea di merda, assassino di ginocchia. Non meriti la mia attenzione. Prima dammi un bacino per farmi passare la bua, poi forse ne riparliamo.
Esprimo i miei pensieri ad alta voce, soffocati un po’ dalle cosce davanti alla bocca che mi impediscono di parlare come vorrei. “Ma baciami tu il culo, Gaskarth”. Ah, okay. Muori.
Sollevo con un lamento sonoro la testa dalle ginocchia, ancora raggomitolate al mio petto – “Ho già detto usate il preservativo?” – e punto il mio sguardo sofferente e omicida su Rian.
“Sei una merda di serial killer, e la prossima volta che ti viene in mente di fare una cosa del genere, ti castro brutalmente con le tue bacchette preferite”. Per tutta risposta, lui sbuffa talmente sonoramente che sento il su fiato caldo al sapore di pizza e qualcos’altro spazzarmi i capelli in viso e abbattere un qualche grattacielo nei pressi di Boston.
“Sei una checca, vai in ospedale e non rompere le palle a me”.
“Mi ci devi trascinare al cazzo di ospedale! Non riesco più a muovere le gambe!”. A smentita di questo, le distendo tranquillamente senza tendini che schizzano fuori come molle sul divano, e le rilasso sulla stoffa morbida, dando un piccolo calcetto col piede alla coscia di Rian. Della serie che sono coerente come un paraplegico che fa equilibrismo.
 
Okay, magari non sto per morire. Magari Dio mi ha concesso gli ultimi minuti per dire a Jack che lo amo e per linciare bene Dawson, riducendolo in pezzi talmente minuscoli che si disperderanno nell’aere. Ci vuole tempo per affettare una persona, cosa credete. E magari il dolore lancinante ormai è solo un pulsare sordo all’altezza della metà coscia, ma questo lui mica lo deve sapere. Deve soffrire. Deve vivere nei rimorsi del suo salto compiuto per sempre. Deve andare ogni sera a letto piangendo perché ha messo fuori uso gli arti inferiori del miglior cantante della sua generazione.
Intanto, lui mi rutta sonoramente in faccia.
“Va bene, però senti che cosa farò per te”.
 
“Paris Hilton ha comprato un nuovo cane simile ad un ratto di fogna, torna quando mi interessa”, lo liquido io recuperando la rivista TopWoman dal pavimento, dove era stata sbalzata a causa della collisione del culo di Rian con le mie gambe.
Seriamente però. Paris Hilton ha comprato un altro microbo vagamente canile, è di vitale importanza sapere come l’ha chiamato e che cappottino mignon gli ha comprato. Non dormo la notte se mi interrompono nella lettura di queste cose, ragazzi. Smettetela di fare come se non fossi una persona acculturata. Il gossip è la luce in fondo al tunnel della mia vita. Al contrario di voi patetici umani che leggete Tolstoj, io so che doccia shampoo usa la sorella maggiore della parrucchiera di Beyoncé, e non mi pento di nulla. Proprio così.
Recupero il segno, sfogliando le pagine sottili con fibrillazione, saltando i consigli di bellezza per la depilazione delle sopracciglia – perché, andiamo, ho davvero bisogno di sopracciglia meglio di queste? Io non credo, uh-uhm – e ritrovando finalmente l’articolo dall’impaginazione rosa con un’inquietante Paris Hilton che mi sorride leziosa tenendo in braccio un topo, volevo dire un cane, sul lato sinistro della pagina.
 
La rivista scompare con un fruscio. Ehi, c’è qualcuno che cerca di acculturarsi qui.
“Seriamente, amico?”. Rian mi guarda con la sua espressione da non-lo-conosco-davvero-siamo-nella-stessa-band-per-puro-caso dipinta in viso, la mia preziosa fonte di informazioni sull’interessante vita dei cani della Hilton stretta in pugno. Così mi stropiccerà l’immagine di Britney Spears in bikini! Ma cosa fa! C’è l’ha un po’ di sensibilità? Ma guarda te.
“Seriamente? Cioè, il leader della mia band, nel suo tempo libero legge TopWoman? Seriamente? Ma seriamente serio?”
“Ridammela, insensibile! Non sai cosa fanno quegli avvoltoi di paparazzi alle mie piccoline! Non puoi capire, ieri Lindsey Lohan è stata perseguitata per tutto il suo pomeriggio di shopping dentro e fuori i negozi! Tutto il pomeriggio! Sai cosa vuol dire? Ti rendi conto?”.
Rian sta velocemente passando da ‘ammazzatelo’ ad ‘ammazzate me’.
“Ma dico, la privacy è totalmente sparita? Sanno ancora che cos’è? Questa gente senza cuore! Le mie povere bambine indifese in balìa di energumeni con il cuore di pietra, voglio piangere!”
“No, senti Al-” cerco inutilmente di riacciuffare la rivista dalla mano tesa in alto di Dawson. Manca solo che mi metta ad urlare «Piñata! Piñata!» agitando un bastone in aria. Sarebbe molto scenico, e con un po’ di fortuna potrei colpire dritto in fronte ‘sto coglione e magari gli si spaccherebbe il cranio e ci sarebbero caramelle dappertutto. Perché che ci sia cervello dentro, è una cosa che metto seriamente, fortemente in dubbio.
 
“Al- Ale- Alexa- ma- tu-  smett- no non la- ALEXANDER WILLIAM”. Mi afferra la faccia – la mia fottutissima perfetta faccia! – con la sua mano grande come un guantone da baseball libera, le dita callose che premono contro tempie e fronte. Il suo palmo sa di frittella. Ah, ecco il sporco figlio di puttana che si era finito l’ultima. Giuro che dopo gliela faccio vomitare e rimettere insieme.
Non respiro. Mi blocca naso e bocca, sto soffocando. Il batterista della mia band è nel pieno di un attentato alla mia preziosa vita, di nuovo. È la seconda volta che sento la morte passarmi accanto oggi. E sono solo le cinque. Oddio, morirò su questo pulcioso divano color cagarella a spruzzo di bradipo, percependo le molle dure che minacciano di bucarmi il coccige. No, non può finire così. Vi prego. Vedo al luce. In fondo al tunnel. È sempre più vicina ed abbagliante, la sento, la sento…ah no, è odore di frittella e crema per mani da bambini dai 3 ai 12 mesi.
Beh, ma sto morendo non respiro giuro non respiro è tutto più buio e freddo e sento già il Paradiso che mi accoglie e addio mondo crudele e Jack ti ho sempre amato e seppellitemi con i miei pantaloni corti più gay possibili e ricordate che il latte in frigo scade fra due giorni e voglio comunque il profitto per i cd che si venderanno e gli scolli a V sono totalmente fuori di moda e pure le cinture di cuoio e…
 
“Un appuntamento, checca”.
Dawson s’è pronunciato.
Toglie la sua enorme mano da gigante che sponsorizza i dentifrici dalla mia faccia; aria, aria fresca, acqua, tinta per capelli e…
“Un meraviglioso appuntamento qua, a casa nostra, invito io un amico, ti piacerà, avete la stessa passione per il cazzo e le biciclette d’epoca, è già tutto organizzato”.
Aspetta, cosa?
“Aspetta, cosa?”. Non ho nemmeno il tempo di riprendere fiato che già sono senza. Un appuntamento? Casa nostra? Amico? Cazzo? Biciclette d’epoca? Organizzato?
Aspettate tutti. Fermi, bloccati, muti, immobili.
Non mi pare che ci sia nessuna vera casa degna d’essere chiamata tale nella mia vita da frocetto iperattivo.
“No, cosa?”
Rian sospira, esasperato al punto di volersi soffocare infilandosi in testa un vaso di plastica dell’Ikea posato sul tavolino da caffè finché l’aria dentro non circolerà più. O potrebbe affittare a minuti uno sclerotico batterista di una qualche band a caso per ammazzarlo in tre battiti di palpebre con la sua mano odorante di frittella alla crema e cosmetico per le mani da poppanti.
E, dio santissimo, non ha nemmeno scelto la fascia d’età del prodotto adatta alla sua. Quella da 0 a 3 mesi era molto più indicata. E poi profuma alla fragola. Io lo so, la uso.
 
“Allora Mr. Gaylord – questi frecciatine sulla sessualità sono diventate così mezz’ora fa – c’è questo mio amico, attualmente lo conosciamo solo io e Zack, anche lui fa parte di una band, non male, dovrebbe un po’ tagliarsi i capelli e porta camicie che ti fanno sanguinare occhi e buco del culo, ma nel complesso non è totalmente da buttare via”. Si appoggia con nonchalance ai cuscini con le fodere di lana fatte personalmente dalla nonna di Jack, come se mi stesse facendo l’elenco dei prodotti chimici di un detersivo e non la presentazione di questo improbabile futuro appuntamento. Spero che i pidocchi nascosti là dentro lo attacchino. È un peccato che non abbia capelli. Cazzo.
“Ma è simpatico e usa un buon shampoo, Garnier-” “Perché si prende cura di sé” “Che hai detto?” “Oh nulla”.
“E sì, insomma, sarebbe interessante presentartelo. Potrebbe, uhm, nascere un buon….rapporto”.
Rian misura la parola ‘rapporto’ come se fosse una bomba a mano ticchettante, pronta già ad esplodere in una questione di secondi.
Oh.
 
Oh. Spalanco leggermente gli occhi, le spalle che pesantemente si avvicinano di più al livello del terreno. La non poi così nascosta intenzione del mio amico mi si staglia chiara all’orizzonte. Quindi, questo ragazzo dai capelli lunghi e le camicie ambigue sarebbe gay? E Zack e Rian vorrebbero farmelo conoscere, nella speranza che mi possa magari piacere in un futuro prossimo in cui so fin troppo bene – che fa addirittura  male – non ci potrà essere Jack come ci potrebbe essere lui. Non nello stesso ruolo per quello che vorrei che fosse, almeno.
Il significato sottinteso di tutta questa combutta mi schiaffeggia piano, leggermente, come per farmi riprendere da un sogno ad occhi aperti che stavo avendo.
So a cosa dovrebbe portare tutto questo, e come al solito tutti i fili si riarrotolano fino a Jack. Jack. Jack?
Jack, che più di qualche ora fa è sceso dalle scale scricchiolanti in un’aura di dopo barba profumato che m’ha fatto venir voglia di sprofondare il viso nell’incavo del suo collo e non staccarmi mai più, solo perché il suo profumo diventi il profumo delle mie giornate.
Jack, che poco più di qualche ora fa ha danzato goffamente in giro per il salotto, afferrando un paio di chiavi tintinnanti qua e raccattando una sciarpa infinita buttata a caso su una sedia, ai miei occhi librandosi leggero intorno come la libellula più bella in un campo di grano a giugno, a dispetto del suo continuo inciampare nei propri passi.
Jack, che poco più di qualche ora fa sorrideva maliziosamente con un luccichio che conoscevo – purtroppo – tanto bene e mi faceva desiderare di picchiarlo a sangue e poi urlargli che era bellissimo, ma non era bellissimo per me.
Jack, che poco più di qualche ora fa mi ha sogghignato: “Caccia grossa oggi Lexi, ce n’è una che…” ed aveva sventolato le mani in aria a formate una figura tutta curve, troppo simile ad un’altra di quelle troiette squattrinate con la ricrescita ed i jeans a vita troppo bassa, gettando il mio cuore un po’ più in basso dentro il petto, tanto che avrei giurato di avergli sentito sfiorare le budella.
Jack, che poco più di qualche ora fa ho preso in giro per essere un malato di sesso, ridacchiando come se non fosse nulla quando il pensiero mi stanava nella mente le immagini più terribili di lui avvinghiato ad una qualsiasi altra donna, i miei polmoni chi si rattrappivano e la testa che pulsava.
Jack.
Jack, sempre Jack, che ora sarà fuori con chissà chi, chissà dove.
 
“Non lo so Rian, io…”
“Alex”. Mi zittisce subito, e questa volta lo lascio fare. I suoi occhi color nocciola dorata frugano nei miei, scorgendo tutta l’insicurezza che mi trascino addosso. “Alex”, dice di nuovo, in maniera più profonda, più definitiva, più…dolce?
 
E d’improvviso la porta d’ingresso si spalanca, andando a sbattere contro il muro di cartongesso e lasciandovi di sicuro il solco della maniglia che non se ne andrà con nessun tipo di calcestruzzo sopra a tappare.
E d’improvviso proprio lui, Jack, il mio Jack piomba dentro tutto affannato, le guance di un pericoloso colorito che si avvicina all’amaranto e il fiatone. Bellissimo. Ma non è bellissimo per me.
Perché d’improvviso, subito al suo seguito, balza dentro pure una ragazza tutta curve e capelli ricci. Tante tette. Culo grande come un francobollo. Scollatura che raggiunge i mille metri sotto il livello del mare, jeans talmente attillati da non lasciare indovinare nulla. Ci manca solo la scritta “TROIA” stampata in Comic Sans MS rosso sulla fronte, come i bolli dei pacchi consegna, ed il quadretto è completato.
La nuova fiamma della giornata gli si avvinghia al braccio come una sanguisuga ridacchiante, il naso a punta dallo spesso strato di correttore per coprire i punti neri che sfiora la guancia di Jack e il suo fiato caldo che gli si intrufola nel padiglione auricolare mentre gli sussurra qualcosa di sicuramente poco casto, un sogghigno da perfetta troia che le sbilenca la bocca.
 
Sento ondate di odio allo stato più puro ed essenziale della materia investirmi come l’alta marea. Questo buco d’appartamento non è abbastanza grande per tutti e due, e di sicuro io ho messo le chiappe sul pidocchioso divano molto prima di lei. Rian, vaso prego. Sto per spaccare qualche faccia rifatta. Sposta il tappeto, non vorrei si macchiasse di sangue di troia, non so se in lavatrice va via, mi toccherà portarlo in lavanderia e sai quanto costa. Non è che siamo ricchi Rian. Su, il vaso prego, prima che utilizzi qualcosa come la poltrona. Non so se riesco a sollevarla.
 
“Ehi ragazzi!” esclama Jack a voce un po’ troppo alta per essere completamente sobrio ma con gli occhi troppo vigili per essere totalmente andato.
Giuro che gli infilo il cuscino in gola, lo giuro. Se lo sprimaccio bene ha l’esatta circonferenza della sua bocca. Giuro che se non muore lei, muore lui.
“Ehm…io…sì beh, noi…insomma, non vi dispiace se prendo la camera un attimo, dobbiamo studiare una…cioè…behsìciaoragazzicisivedestasera”. Spariscono a razzo su per le scale, lei tutta una risatina da sparo e quel coglione tutto occhi scintillanti e sorrisi idioti.
Adesso li rincorro con un fuoristrada e li appiattisco come impasti di pizza.
No, la pizza è qualcosa di troppo sublime per essere paragonato ad una visione del genere.
“A STUDIARE ANATOMIA, CAPITOLO CINQUE, IL CORPO UMANO IMMAGINO JACK!” urla Rian con la sua voce da baritono, e nonostante sì, lo ammetto, sia una battuta da otto più, non ce la faccio proprio a ridere, ho i denti serrati fra di loro come se fossero incollati con l’attaccatutto.
È straordinario, ma per la prima volta, il mio cuore non è scivolato di un solo millimetro. Sento solo rabbia, tanta, troppa, cieca rabbia furiosa.
Vorrei tempestosamente salire le scale al seguito di quei due ed irrompere nella nostra camera a prendere quella troia per i capezzoli – erano davvero sporgenti, ve lo dico io, il piolo d’aggrappo più sicuro – e sbatterla fuori accanto al bidone dell’umido. Magari i netturbini passano e la scambiano per gli avanzi della settimana scorsa. Magari la gettano nel camion dei rifiuti. Magari in discarica la pressano per bene e ne fanno un cubo di troia, l’unico che puoi comporre per formare alla fine la frase: «I miei jeans sono Armani tarocchi come i soldi del Monopoli, chiedilo al vucumprà che me li ha spacciati per cinque euro quest’estate al mare». Meglio del cubo di Rubik.
Sento tanta rabbia che mi bolle dentro come acqua in una pentola a vapore, potrei esplodere da un momento all’altro e sputare tutto in faccia a Jack. Tutte le notti insonni, tutti i battiti di cuore persi per strada, tutti gli aggrovigliamenti di budella, tutti gli occhi arrossati, tutte le porte sbattute, tutti i finti “Sto bene”, tutti i falsi sorrisi, tutte le serate da solo al bar per ubriacarmi fino a non sentirlo più dentro le ossa come al solito, tutti i messaggi senza risposta, tutti i sorrisi che mi ha regalato e tolto, tutte le volte che mi sono sentito come un naufrago che si getta finalmente sulla riva raggiunta ogni volta che le sue braccia mi cingevano; tutto di tutto. Sento che in questo esatto, preciso momento, con tutto questo furore cieco che mi annebbia la vista, potrei urlargli addosso tutte queste cose.
 
Ed invece, la sola che mi limito a fare, è girarmi verso Rian, guardarlo dritto nelle orbite e con ferocia chiedere: “Come si chiama questo tipo?”
“Vic, Vic Fuentes”.
“Domani sera, sarà seduto a quella tavola”.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
NON HO NEMMENO UNA SINGOLA, FOTTUTISSIMA, BANALE, FALSA, SCARSA, PIETOSA, SCOLPEVOLIZZANTE, MISERA SPORCA SCUSA.
Sono semplicemente una persona di merda, lo so, lo so, me lo potete scrivere con le margherite sul marciapiede davanti casa mia. È da…agosto? (!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!) Che non aggiorno, ma in mia forse quasi possibile tanto non mi perdonerete lo stesso discolpa, posso dire che ho cominciato il liceo ‘sto anno, è  tutto nuovo e bellissimo e le persone sono fighissime e c’è un metallaro da sbavo dentro classe mia e pure in quella accanto e sto cercando di ampliarmi la vita e nel frattempo sono andata al concerto dei Bring me the Horizon con oh oh oh band preferita oh oh oh i Pierce the Veil ed è stata la sera più bella della mia vita e ho i plettri di Jaime e Tony e la bacchetta di Mike e nulla okay sparisco in una polvere fatata di bolle di sapone e gioia
Per parlare del capitolo. Che fa schifo. Come la sottoscritta, ma che novità. (Il titolo è preso da "You make me wanna die" dei The Pretty Reckless ovviamente, mio grande eterno amore). È solo un breve capitolo transitorio, di passaggio, scritto così perché sennò mi venivate ad abbattere la porta con ariete e forconi infuocati, ma essenziale per il prossimo che sarà tutto preparazione appuntamento – appuntamento poi. Con VictOR VINCENT FUENTES PERChé è incredibilmente gay e amico di ‘sti pischelli musicisti per caso e quindi ho deciso che ci stava troppo bene lui come rivale a Jack bc Valex (che non shippo personalmente ma mi fa comunque venire gli occhi a cuore come Pucca quando vede Garu e quindi approvate la mia scelta okay). Quindi, pronti per il prossimo capitolo, che adesso che ho ritrovato ispirazione/passione in questa storia non dovrebbe tardare ad arrivare. Ultime parole famose.
Intanto, ho visto che la OS vi è piaciuta parecchio e vorrei diventare poligama + lesbica e sposarvi tutte.
Peròòòòò apprezzerei qualcosa come parecchio parecchio che lasciaste uno sputo di recensione per dirmi se avete ancora passione in ‘sta storia, se volete che continui e vi piace lo stesso oppure ve ne siete già dimenticate tutte e baci baci addio confetti e coriandoli e smetto di scriverla, che faccio prima. Davvero, fatemi sapere, mi inginocchio. È qualcosa che ho bisogno di leggere, una vostra recensione, tipo flebo vitale. Okay.
 
Stay in drugs, don’t do school
xøc 

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