Ogni giorno nella tua vita è una pagina nella tua storia

di Thefoolfan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 14 aprile: Un battito di ciglia ***
Capitolo 2: *** 27 Gennaio: Tutto sta nel cominciare ***
Capitolo 3: *** 10 Febbraio: Un passo indietro ***
Capitolo 4: *** 10/11 Febbraio: Un passo avanti ***
Capitolo 5: *** 25 Febbraio: Novità ***
Capitolo 6: *** 26 Marzo: Il nuovo capitano ***
Capitolo 7: *** 30 Aprile: Le verità nascoste ***
Capitolo 8: *** 18 Maggio: Le nozze ***
Capitolo 9: *** 27 Giugno: Negativo ***
Capitolo 10: *** 13 Luglio: Hamptons ***
Capitolo 11: *** 19 Luglio: Nuovi traguardi ***
Capitolo 12: *** 19 Agosto: Un cuore fragile ***
Capitolo 13: *** 21 Agosto: La speranza, la rabbia e la gioia ***
Capitolo 14: *** 6 Settembre: Ecografie ***
Capitolo 15: *** 28 Settembre: Le paure di Castle (parte 1) ***
Capitolo 16: *** 31 Ottobre: Le paure di Castle (parte 2) ***
Capitolo 17: *** 31 Ottobre: Le paure di Castle (parte 3) ***
Capitolo 18: *** 23 Dicembre: Un bagno caldo e un piccolo regalo ***
Capitolo 19: *** 18/19 Gennaio: Un lungo week end ***



Capitolo 1
*** 14 aprile: Un battito di ciglia ***


 

La felicità è fatta di niente...ma il momento in cui la vivi ti sembra tutto”

Era questa la frase che regnava nella mente vuota di Castle mentre lentamente procedeva lungo il corridoio bianco dell'ospedale. Camminava rasente al muro, strusciando un braccio contro la parete ruvida di quello, non provando alcun dolore, alcun fastidio. Procedeva senza guardarsi indietro, dritto per la sua strada non facendo caso alle altre persone che occupavano quello stretto spazio, paragonando i camici bianchi dei dottori a dei fantasmi informi che non si accorgevano nemmeno della sua presenza. Si spostava solamente ogni qual volta vedeva una porta aprirsi, come strattonato da una qualche presenza che accompagnava il suo cammino, standogli accanto a vegliare su di lui. Non si sentiva più padrone del suo corpo, come se stesse ancora sognando, mosso da una volontà intrinseca che non voleva rivelargli la sua destinazione. Cosi procedeva senza porsi domande, respirando l'odore di disinfettante che aleggiava nell'aria, udendo il vociare lontano delle persone, alcune urla che gli giunsero alle orecchie come lame conficcate nella testa. Nonostante sapesse bene di dover rimanere dentro l'ospedale in quel momento aveva solo bisogno di scappare, di ridare aria ai propri polmoni rinsecchiti, a percepire l'aria fredda sulla propria pelle cosi da sentirsi di nuovo reale. Quando la porta trasparente e scorrevole si aprì davanti a lui si ritrovò a fissare davanti a se con sguardo nuovo. Stava piovendo ma a lui non importava. Alzò gli occhi al cielo e vide le nubi grige riversarsi sulla città e dietro di esse un piccolo spiraglio da cui i raggi del sole combattevano per riacquistare la propria supremazia, per riscaldare di nuovo quella terra umida, per fermare i tremori che Castle provava lungo tutto il corpo. Sollevò la mano sinistra e la notò tremare debolmente e cosi la andò a nascondere nella tasca, per negarsi l'evidenza, per cacciare via lontano dagli occhi gli ultima sprazzi di paura che ancora si aggrappavano al suo cuore nonostante ormai fosse tutto finito. Tutto sarebbe cambiato ma ancora una parte di lui faticava ad crederlo. Fece un passo in avanti ritrovandosi sulla pedana metallica che portava all'interno dell'edificio e allungò la mano destra, superando la tettoia, voltando il palmo verso il cielo cosi che alcune gocce vi cadessero sopra, formando tante piccole pozze che andarono a mischiarsi l'una con l'altra assumendo forme indefinite. Abbassò lo sguardo e osservò il parco che circondava l'ospedale, quelle persone che velocemente correvano sotto la pioggia cercando riparo, coprendosi con giacche o borse cosi da evitare di inzupparsi più del dovuto. Individuò una panchina in legno, posta accanto al prato verde, coperta dai rami di alcune magnolie messe li apposta per rasserenare i degenti con il loro dolce profumo, e decise che quella era la sua destinazione. Incurante del tempo cominciò a muoversi, camminando lentamente a dispetto di tutti gli altri, lasciando che l'acqua si impregnasse nei suoi vestiti, nei suoi capelli, nella sua pelle. Ancora con la mente sgombra da ogni pensiero si andò ad accomodare, sentendo i pantaloni appiccicarsi alle cosce e la giacca farsi ancora più pesante, cosi la tolse posandola accanto a se, sentendosi più libero di muoversi, di respirare. Si accovacciò su se stesso, inclinando la schiena e posando i gomiti sulle ginocchia, sfregandosi la faccia, lavando via con la pioggia la stanchezza che si poteva leggere sotto i suoi occhi. I pensieri tornarono a farsi sentire prepotentemente e questa volta lui non li scansò ma decise di affrontarli, sapeva che era suo dovere farlo per entrare di nuovo in quella stanza da uomo nuovo quale era diventato in quelle ultime ore. Si ritrovò d'improvviso a piangere e ridere assieme, sperduto nell'intricata trama dei suoi sentimenti, cercando una via di fuga che da solo non poteva trovare, aveva bisogno di Kate, lei era l'unica che riusciva a salvarlo ogni volta che veniva rapito da se stesso. Ma lei non era li con lui, doveva riuscire a farcela da solo. La pioggia tutto d'un tratto cessò di cadere sulla sua testa andando a produrre dei piccoli ticchettii mentre si infrangeva contro qualcosa di solido. Girando gli occhi vide una figura al suo fianco e, solo dopo aver messo ben a fuoco, notò essere sua madre che amorevolmente lo teneva riparato con un ombrello mentre lei rimaneva per metà vittima delle intemperie, bagnandosi cosi parte della giacca.

“Kate si è svegliata?”. Le domandò con un sibilo di voce come se la moglie potesse sentirlo e potesse destarsi al suono di quelle parole, non voleva disturbare il suo riposo, non in quel momento.

“No, dorme ancora tranquilla ma sono certa che quando aprirà gli occhi vorrà vederti li al suo fianco perciò mi chiedo che ci fai qui?”. Domandò la donna sedendosi accanto a lui, non preoccupandosi di bagnarsi la gonna e dell'effetto che avrebbe fatto una volta ritornati dentro l'ospedale. Suo figlio aveva bisogno di lei e di certo non sarebbe stata qualche goccia a impedirle di esserci.

“Non lo so nemmeno io”. Disse dopo alcuni secondi passati a pensare a una risposta adatta, unendo le mani e portandosele davanti alla bocca. “Mi sentivo soffocare, avevo bisogno di stare da solo”. Continuò scavando con la suola delle scarpe un buco sotto la ghiaia che ricopriva il terreno umido.

“Sono proprio uno stronzo non è cosi”. Affermò ridacchiando e alzando le spalle, andando ad osservare sua madre aspettandosi da lei una risposta negativa. La donna invece si limitò a ricambiare il suo sorriso, accarezzandogli una guancia cosi da togliere alcune gocce che dai capelli gli stavano solcando lo zigomo. “Dovrei essere li con lei e invece sono qui”.

“Capita a tutti di venir sopraffatti dalle emozioni. In quei momenti accade tutto cosi velocemente che nemmeno te ne accorgi, ma quando poi finisce ecco che ti piomba tutto addosso e tutta quella baldanza viene sostituita da un senso di inadeguatezza”. Dichiarò Martha tenendo ancora sollevato l'ombrello, riparando inutilmente se e il figlio, sistemandosi con l'altra mano la gonna e la giacca che le sembravano restringersi a causa dell'umidità.

“Ti sei mai sentita cosi?”. Le chiese guardandola con la coda dell'occhio, scostando poi lo sguardo verso l'edificio, verso le finestre che poteva intravedere, chiedendosi quale di quelle era la stessa della camera in cui dormiva Beckett, sperando quasi di vederla dietro a quei vetri, intenta a cercarlo in mezzo a quel cortile ormai quasi del tutto vuoto.

“Mi è capitato un paio di volte”. Ridacchiò Martha annuendo alle sue stesse parole. “Ma è questione di un solo attimo, di un solo secondo. Basta un battito di ciglia e tutto svanisce e comprendi che è tutto perfetto, che sapevi già che lo era ma che avevi bisogno di una conferma, appunto quel battito di ciglia”. Proseguì la donna stranamente non atteggiandosi, parlando con una serietà che lasciò sorpreso lo stesso Castle che ben poche volte l'aveva vista cosi concentrata in un discorso.

“Un battito di ciglia?”. Domandò perplesso il detective grattandosi la tempia bagnata. “Non ho ancora recuperato del tutto le mie funzioni cognitive per comprendere i tuoi messaggi criptici”. L'attrice gli posò una mano sulla coscia che lui prontamente andò ad afferrare, stringendogliela con forza per ringraziarla della sua sola presenza.

“Se ti spiegassi il senso non ne coglieresti l'importanza, quando accadrà dovrai scoprirlo di persona.” Si alzò dalla panchina e sempre tenendogli stretta la mano lo invitò a sollevarsi, a rimettersi in piedi cosi da poter riportarlo dentro a quei bianchi e tristi corridoi dove doveva stare.

“Il mio bambino oggi è diventato un uomo”. Enunciò Martha facendo cadere a terra l'ombrello, lasciando che la pioggia inzuppasse anche lei, rovinandole la piega, gli abiti, il trucco, ma per la seconda volta nella sua vita non le importò del suo aspetto. “Un uomo che ogni madre sarebbe fiera di avere come figlio”. Parlò piangendo, posando entrambe le mani sulle sue guance cosi da attirarlo a se, ad abbassarlo alla sua altezza, in modo da dargli un sonoro bacio sulla fronte sulla quale rimase una traccia del rossetto. Castle si trovò come pietrificato, non abituato a certi atteggiamenti da parte della madre. I suoi gesti materni erano rari, per di più frettolosi, dettati più dal dovere di farlo che dal volerlo. Ora però era tutto diverso, sentiva ancora quel bacio sulla propria fronte, il calore delle sue mani seppur fredde contro il suo viso, e cosi si sentì di nuovo scoppiargli il petto in preda alle emozioni e una nuova lacrima si aggiunse alle gocce di pioggia.

“Sai perchè mi piace la pioggia?”. Domandò Martha riprendendosi l'ombrello cosi da tornare a coprirsi mentre Castle negava con il capo. “Perchè mi permette di girare a testa alta anche se ho il viso coperto dalle lacrime”. Appurò facendo scorrere una mano contro il suo petto, posandogli una mano all'altezza del cuore sentendolo battere più velocemente contro il suo palmo.

“Tuo padre ha immaginato che avresti passato qui la notte perciò ti ha portato dei vestiti di ricambio. Direi che è il momento di usarli”. Suggerì tornandolo a guardare, vedendo come lui fissava la porta scorrevole. Martha sospirò e sorrise intenerita da quelle debolezze mostrate dal figlio, in parte contenta di vederlo cosi fragile, di vederlo cosi umano, cosi semplice e sincero.

“Ne sarò all'altezza?”. Chiese Castle senza scostare lo sguardo, chiudendo e riaprendo lentamente gli occhi, preparandosi a quello che lo stava ad aspettare dentro quell'edificio.

“Alcuni giorni si altri forse no ma non è questo l'importante”. Ribatte la donna prendendolo sotto braccio, sentendolo muoversi con lei passo dopo passo. “Fai ciò che ti senti, sbaglia anche perchè ti sarà di lezione, scegli una strada e seguila ma non arrenderti mai. Forse non ne vedrai subito i frutti ma ti posso assicurare che dopo molti anni i tuoi sacrifici verranno ricompensati in un modo che mai avresti immaginato.”. Le labbra di Martha si incresparono in un sorriso misterioso che non sfuggì a Castle che la fermò sotto al riparo posto davanti all'ingresso, prendendole l'ombrello e sbattendolo prima di chiuderlo cosi da eliminare le gocce in eccesso.

“E tu hai ricevuto questa ricompensa?”. Le chiese mentre compiva quei gesti, guardandola con la coda dell'occhio per vederne la reazione.

“Più grande di quanto meritassi”. Ammise la donna arrossendo, attribuendo al vento freddo la causa. “Ho due figli che nonostante siano pieni di difetti ai miei occhi sono le creature più perfette su questa terra e non li cambierei nemmeno con tutti gli oscar del mondo”. Scherzò alla fine per sdrammatizzare la situazione, per cambiare discorso dato che cominciava a sentirsi fin troppo vulnerabile agli occhi del figlio.

“Andiamo a prendere i miei vestiti?”. Le chiese Castle salvandola da ulteriori domande che le avrebbero fatto aumentare l'imbarazzo.

 

Una volta cambiatosi e ringraziato i genitori il detective si avviò ancora una volta da solo verso l'ascensore con in mente una destinazione ben diversa dalla precedente. La pioggia era cessata e il tempo stava migliorando cosi come il suo stato d'animo. L'aver parlato con sua madre, l'esser stato da solo con se stesso gli era servito per rendersi conto che tutto ciò era veramente successo e ora si ritrovava a fissare la sua faccia sorridente riflessa nello specchio posto contro una delle pareti platinate. Rimaneva appoggiato con le mani ad una sbarra metallica che tagliava in due i tre pannelli che lo circondavano, ansioso che quelle porte si aprissero per riuscire a correre. Quei pochi secondi di viaggio gli sembrarono un eternità e quando sentì la campanella avvertirlo dell'arrivo si mosse spostandosi verso l'ingresso, oltrepassando le due porte scorrevoli ancora prima che queste si aprissero del tutto. Inspirò a pieni polmoni e percepì un odore diverso, non più quello pungente dei corridoi dei piani superiori, in quello regnava un profumo più dolce che tanto gli ricordava il miele e il borotalco. Prima di procedere si diede un ultima occhiata, volendosi presentare al meglio a quell'incontro. Si aggiustò la camicia azzurra, sistemò le pieghe dei pantaloni, si pettinò i capelli e si lisciò l'invisibile barba mattutina che si sentiva spuntare sulla mascella. Doveva essere perfetto. I suoi passi erano lenti ma decisi, voleva prolungare quel momento, sentire ancora e ancora nel petto quelle emozioni, sentire quella fitta che gli bloccava lo stomaco, che non lo faceva respirare, ma che allo stesso momento lo faceva sentire vivo, sentiva vivo ogni muscolo del suo corpo, con il bisogno di muoversi, di prendere a pugni l'aria, di urlare, di correre, di gettarsi a terra e piangere. Poi come tutto era cominciato finì, cosi d'improvviso. A Castle bastò trovarsi davanti a una vetrata per non provare più nulla, per perdere la percezione del tempo e dello spazio. Gli sembrò che le pareti attorno a lui si sciogliessero, svanissero poco a poco lasciandolo solo a fissare la meraviglia davanti a se. Quel corpicino fragile e inerme avvolto da una copertina bianca che stringeva nei suoi pugnetti. Suo figlio.

“Posso aiutarla?”. Domandò a bassa voce una delle infermiere, aprendo la porta del nido cosi da non disturbare il riposo dei neonati.

Castle si riprese dai propri pensieri e andò a guardarla privo di parole. L'infermiera sorrise e chiuse la porta dietro di se mettendosi accanto al detective, guardando nella sua stessa direzione cercando di capire chi l'avesse rapito in quel modo.

“Qual'è il suo?”. Chiese alla fine notando Castle sorridere e puntare il dito indice contro la vetrata, annuendo in direzione di una culla.

“Il bambino che ha nella culla l'orsacchiotto con la maglietta blu con la scritta NYPD”. Sogghignò il detective chiedendosi chi gli avesse già fatto quel regalo, continuando a guardare il proprio figlio, soffermandosi sul suo petto cercando di intravedere quel leggero movimento sotto la copertina, volendosi assicurare che respirasse, che stesse bene.

“Ah un regalo dei suoi zii”. Commentò l'infermiera ottenendo l'attenzione di Castle che la guardò sorpreso.

“Esposito e Ryan?”. Domandò sapendo che nessun'altro nella sua cerchia di amici avrebbe mai potuto definirsi zio di quel bambino. “Un cubano alto e grosso e un irlandese piccolo e magrolino”. Li descrisse alzandosi sulle punte e sollevando il braccio per il primo e abbassandosi e stringendo le braccia contro i fianchi per il secondo.

“Credo di si”. Rispose la donna massaggiandosi il mento. “Sò solo che hanno detto alla mia collega di essere degli agenti di polizia e che se non lasciava loro mettere quel peluche nella culla l'avrebbero arrestata con l'accusa d'intralcio a pubblico ufficiale.”.

Castle arrossì strizzando gli occhi e coprendosi il volto con le mani per l'imbarazzo, i due colleghi a volte non sapevano trattenersi e quella ne era stata la riprova ma al tempo stesso non poteva desiderare degli zii migliori per il proprio bambino.

“Li perdoni, a volte non sanno contenersi, ma le assicuro che hanno agito in buona fede”. Cercò di scusarli cosi vedendo l'infermiera agitare una mano davanti a lui facendo spallucce.

“Ne ho viste di peggio stia tranquillo. Piuttosto..”. Continuò voltandosi del tutto verso di lui, girando solo la testa in direzione del bambino. “Il dottore ha visitato suo figlio. La quantità di meconio che ha ingerito è stata esigua e non corre rischi. I polmoni funzionano perfettamente”.

“Quindi..?”. Domandò l'uomo non avendo ben chiaro di cosa la donna stesse parlando, l'unica cosa che aveva capito era che il figlio stava bene, il resto non contava.

“Quindi se vuole lo può prendere e portare da sua moglie, credo che a quest'ora sia già sveglia e non veda l'ora di poter avere di nuovo tra le braccia il suo bambino”. Castle si limitò ad annuire diverse volte, sentendo le mani prudergli dal desiderio di tenere stretto a se il figlio. L'infermiera scomparve di nuovo dentro al nido e si avvicinò ad una collega parlando e indicando l'uomo al contempo. Solo dopo aver visionato alcune cartelle si diresse alla culla del piccolo Castle, scostando con attenzione la copertina e sollevandolo contro il proprio petto, ricordandosi di prendere anche il peluche cosi che non andasse perso. Quando la vide uscire di nuovo dalla porta il detective si asciugò frettolosamente le mani sui pantaloni, temendo che il sudore potesse fargli perdere la presa sul bambino, avendo paura di farlo cadere in ogni istante.

“Non l'ha ancora preso in braccio?”. Lo canzonò l'infermiera vedendolo agitato, attendendo che si calmasse prima di passarglielo, aspettando che lui stesso fosse pronto.

“Appena nato ma è stato solo per pochi secondi e non era cosi calmo e pulito”. Rispose Castle facendo un passo in avanti, inclinando la testa verso il basso cosi da fissare il figlio, alzando una mano accarezzandogli con attenzione la guancia usando le nocche delle dita.

“Allora adesso dovrebbe risultarle più facile. Si ricordi solo di tener sollevata la testa e che se anche stringe un po' non si rompe, ma non troppo”. Lo istruì passandogli il bambino che si agitò un istante quando si sentì spostare, quando perse il contatto con il corpo dell'infermiera solo per poi calmarsi quando Castle lo premette contro il proprio petto. Lo aggiustò con attenzione nell'incavo del braccio, facendo in modo che la testolina riposasse sul proprio gomito, facendo scorrere il braccio lungo tutta la sua schiena per sostenerlo.

“Congratulazioni”. Sorrise l'infermiera porgendogli l'orsetto che Castle afferrò con la mano libera, ringraziandola con un cenno del capo prima di dirigersi verso l'ascensore. Camminava piano, attento a non muovere il braccio per fargli perdere quella posizione comoda, continuando a sollevare gli occhi per esser certo di non scontarsi contro qualche ostacolo, per poi riabbassarli subito non riuscendo a staccare le iridi dal proprio figlio.

“Andiamo dalla mamma”. Gli sussurrò avvicinandosi al suo orecchio, posando sulla sua fronte un bacio delicato, indugiando qualche secondo cosi da inspirare il suo odore divenuto già cosi prezioso. Schiacciò il pulsante dell'ascensore e attese che questo arrivasse al suo piano, occupando il tempo sistemando la tutina del figlio, tirandogli le maniche cosi che lo coprissero fino ai polsi, aggiustandogli il colletto cosi che tenesse al riparo il collo, facendo il tutto con estrema attenzione, come se tra le sue mani avesse il cristallo più prezioso. Salì sull'ascensore e si guardò ancora allo specchio. Si vedeva li con in braccio quel bambino che fino a poche ore prima gli era sembrato non essere ancora del tutto reale. Ora invece tutto era cambiato, quella creatura era li, adagiata contro di lui e si sentì quasi svenire. Posò la schiena contro la parete e chiuse gli occhi, inspirando ed espirando lentamente, cercando di calmarsi. Tutti quei mesi di attesa gli passarono davanti agli occhi come un fiume in piena, ogni momento importante, ogni giorno segnato sul calendario, ogni visita, ogni litigio, ogni gioia, ogni paura, erano racchiuse tutte in quel singolo istante, in quel singolo vagito che ancora gli risuonava nelle orecchie. Tutto era svanito, era ormai solo un ricordo, davanti a lui vi era un unica certezza.

 

"Sono padre”. Ridacchiò incredulo, strizzando gli occhi cosi da costringere quella lacrima a scendere, vedendola cadere sulla tutina del figlio e li colse un suo movimento. Le palpebre del neonato si sollevarono lentamente per poi richiudersi un istante dopo. Castle attese immobile, fissando il volto del bambino, non accorgendosi che le porte si stavano aprendo davanti a lui.

“Ciao piccolino”. Sussurrò avvolgendo la testa del neonato con tutta la sua mano destra, accarezzando quel sottile strato di peluria chiara che la ricopriva. Ancora il piccolo Castle aprì gli occhi e i loro sguardi cozzarono. Il detective sapeva bene che per il figlio non era altro che un ombra in mezzo a tante altre, ma in quel momento era certo che lo stava fissando perchè l'aveva riconosciuto, perchè sapeva chi fosse.

“Sono il tuo papa”. Gli disse abbassando il capo cosi da unire le loro fronti, perdendosi in quelle iridi chiare che cosi tanto le ricordavano le proprie. Il bambino chiuse gli occhi, forse infastidito da quel volto troppo vicino al suo, ma quando l'uomo si staccò tornò a riaprirli. Castle non si perse nemmeno un secondo, quel battito di ciglia di cui gli aveva parlato la madre. Quell'istante in cui comprese che tutto ciò che aveva sempre desiderato era li tra le sue braccia.

“Solo ora capisco che è tutta la vita che ti aspetto, ma ne è valsa la pena, ogni singolo secondo, anche i più dolorosi. Li rivivrei tutti solo per giungere a questo istante, per avere te e tua madre nella mia vita.”. Castle uscì dall'ascensore e si incamminò lungo tutta la sala d'attesa, dove altri padri, altre famiglie, stavano vivendo quegli stessi momenti che avevano segnato quella sua giornata. Cercò fugacemente i suoi genitori,Alexis, James, Johanna, i suoi amici e colleghi ma ormai non c'era più nessuno. L'orario visite era finito e loro avevano dovuto lasciare quel luogo per tornare al proprio lavoro, con la promessa di tornare la sera stessa per un altra visita. Si addentrò per il corridoio superando infermiere e dottori, carrozzine e lettini fino a che non giunse davanti alla porta dove riposava Beckett. Abbassò la maniglia e lentamente aprì la porta ritrovandosi nella stanza bianca, illuminata dai raggi del sole che penetravano dalle finestre che erano state chiuse a causa della pioggia. Richiuse l'uscio dietro di se, portando un dito davanti alla bocca voltandosi verso il figlio invitandolo a fare silenzio. Si avvicinò al letto dove la moglie ancora stava dormendo, con il volto girato verso di lui e una mano posata sulla pancia, un gesto a lui famigliare dato che la donna ogni sera si addormentava cosi, accarezzandosi il ventre per accarezzare il loro figlio. Una parte di lui voleva svegliarla, voleva informarla che il bambino era li con loro ma d'altro canto sapeva che la donna aveva bisogno di riposare per riguadagnare le energie. Cosi prese una sedia e la sistemò accanto al letto e poi ci si sedette sopra ad aspettare, a tenere ancora tutto per se il figlio, a godersi quegli istanti solo con lui.

“Sai c'è stato un periodo in cui credevo che tu non saresti mai arrivato, che saresti stato solo un sogno irrealizzabile”. Dichiarò a bassa voce vedendolo di nuovo addormentarsi contro di lui. Castle prese la sua manina tra le sue dita, accarezzando la pelle liscia, sentendo le sue piccole dita stringersi attorno al suo pollice.

“Ma tua madre no, lei non ha mai perso la speranza, è sempre stata certa che questo momento sarebbe giunto e per mia fortuna, come al solito, ha avuto ragione. Ancora prima di esistere, quando ancora eri solo una possibilità, fin da quel momento lei ti ha desiderato, ti ha amato più di quanto ami me”. Ridacchiò senza staccare gli occhi dalla sua mano, muovendo il pollice in basso e in alto sentendo la sua presa farsi più stretta, contando le dita ancora e ancora. “Fin da quel giorno in sala, quando ha deciso di averti, lei ti ha considerato reale”.



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Ed ecco qui il primo capitolo di questa nuova storiellina. Mi discosterò leggermente da quelle passate, ovvero non inserirò casi, puntanto più sul raccontare i momenti privati dei nostri due protagonisti e di chi li circonda, quindi non sò proprio quale possa esserne il risultato. Dai prossimi capitoli si farà un salto indietro nel tempo per vedere tutto ciò che ha portato a questo momento appena descritto. Vi ringrazio della lettura sperando che sia piaciuto.


 

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Capitolo 2
*** 27 Gennaio: Tutto sta nel cominciare ***



“Facciamo un bambino”. Disse Beckett baciandolo con tutta se stessa, stringendo le braccia intorno al suo collo, sollevandosi sulle punte cosi da aderire maggiormente al suo corpo tanto che Castle dovette mollare la presa su di lei e stringere le dita contro lo schienale del divano per non rischiare di cadere dall'altra parte. La mente di Castle si affollò di dubbi e di certezze e alla fine si ritrovò a staccare Beckett da se, posando le mani sulle sue braccia e allontanandola sotto il suo sguardo incredulo. Il detective la fissò in viso, i suoi occhi verdi che gli sembravano più intensi, le sue guance arrossate, le sue labbra ancora tremanti, quelle ciocche di capelli che le ricadevano sulle fronte e si domandò come aveva potuto porre fine a quel bacio.

“Non voglio che la tua decisione sia dettata dal caso appena concluso, dalla lettera o dal fatto che Ryan e Jenny aspettino un figlio”. Dichiarò Castle abbassando lo sguardo soffermandosi sul suo ventre mentre faceva scorrere le proprie mani su e giù le sue braccia, fino a raggiungere i polsi e le mani. “Voglio che tu non lo pensi qui”. Disse toccandole la fronte per poi far scendere le dita verso il basso, lungo il suo collo, scorrendo lungo l'apertura della maglietta. “Voglio che lo desideri qui”. Appurò posando l'intera mano sul suo seno, all'altezza del cuore.

“Fino a qualche giorno fa era una possibilità che consideravi ben lontana e adesso, nel giro di pochi minuti, tutto è cambiato”. Continuò a parlare il detective, stringendo tra le dita la spallina del suo indumento, salendo e poi afferrando una ciocca dei suoi capelli, facendola arrotolare attorno al suo dito, senza mai incrociare i suoi occhi. “Non voglio...”. Cominciò a dire bloccandosi, trovandosi privo di parole, con la gola secca, chiudendo gli occhi mentre si grattava un sopracciglio. “Non voglio riporre tutte le mie speranze, i miei sogni per qualcosa che potrebbe poi non accadere perchè deciderai che non è più quello che vuoi”. Beckett se ne stava sempre ferma immobile davanti a lui, con le iridi incollate sulla sua nuca, tenendo entrambe le mani infossate nei suoi capelli, massaggiandolo sopra di quelli. Non poteva interromperlo, non in quel momento. Comprendeva a pieno i suoi timori, i suoi dubbi. Anche una parte di lei non poteva far a meno di escludere un ripensamento futuro ma in cuor suo era più che certa che mai sarebbe successo. Lo desiderava davvero quel bambino, quella creatura che già cominciava a prendere forma dentro la sua testa, un immagine piccola, sfuocata, priva di dettagli, ma comunque presente, ed era tutto ciò di cui aveva bisogno per andare avanti, per sapere che era la cosa giusta.

“Non ti mentirei mai su una cosa cosi importante”. Attestò Beckett inclinandosi in avanti, stringendo la sua testa contro il proprio grembo mentre si posava su di lui. “Può sembrarti una decisione affrettata ma ti giuro che non è cosi”. Sospirò la donna contro le sue spalle. “Era una cosa che già volevo ma che al tempo stesso non ammettevo a me stessa. Gli ultimi avvicendamenti nella nostra vita mi hanno solo fatto comprendere ciò che la mia testa, il mio cuore, il mio corpo stavano cercando di dirmi.”. Castle non si spostò da lei, voltò solo il capo cosi da andare a fissare la sala, gli scaffali e i mobili pieni di libri, di foto e di ricordi e si ritrovò a chiedersi come mai una parte di lui non si fidava delle sue parole nonostante tutto l'amore, nonostante gli anni passati insieme.

“Lo desidero veramente tuo figlio”. Ammise ancora Beckett e quelle parole giunsero dritte al cuore di Castle che si sentì felice, pieno di vita, concedendosi il lusso di pensare a quel loro futuro bambino, eppure parte di lui ancora reclamava ulteriori certezze.

“Un mese”. Bofonchiò alla fine sentendo le mani della moglie scivolare lungo le sue spalle, facendo un passo indietro cosi che lui potesse rimettersi dritto con la schiena per esprimere meglio quella sua constatazione. “Promettimi che in questo mese penserai solo alla possibilità di avere o no un figlio. Valutando tutti i pro e i contro, tutti i ma e i però, tutti i si e tutti i forse.”. Cominciò a istruirla, parlando chiaro e deciso cosi che lei potesse comprendere le sue intenzioni, le sue motivazioni. “Niente trucchi, niente inganni. Dovrai essere completamente sincera con te stessa e passati questi trenta giorni mi dirai cosa vuoi fare.” Castle si alzò dallo schienale del divano rimettendosi dritto in piedi, fermo davanti a Beckett che lo scrutava in silenzioso, mostrandosi decisa e testarda ai suoi occhi, facendo tentennare ulteriormente il marito.

“Non voglio che tu lo faccia solo per me, per questo non farò nulla, tanto meno dirò qualcosa, che possa influenzare la tua scelta. Se alla fine sarai ancora certa della tua decisione per me potremmo iniziare anche subito”. Sorrise infine non riuscendo in alcun modo a tenere il broncio alla moglie, non quando la vedeva cosi, cosi intrepida e fragile assieme. Si ritrovò a scrollare il capo pensando alla situazione in cui si era cacciato, un eventualità che mai si sarebbe aspettato prima di conoscere Beckett ma con il passare degli anni aveva anche realizzato che al suo fianco tutto era possibile e forse un assassino come lo era stato lui poteva essere un giorno anche un buon padre.

“Qualunque cosa tu decida alla fine comunque non cambierà mai quello che provo per te”. Enunciò piegandosi sulle ginocchia cosi da rimanere alla sua altezza. “A me basta averti nella mia vita, tutto il resto che avrò, che mi darai, sarà un più che spero di meritarmi un giorno. Ma sei tu, Kate, l'unica cosa che veramente conta per me”.

Beckett inarcò le labbra in un dolce sorriso,portando entrambe le mani dietro la schiena, unite contro di essa mentre compiva un passo in avanti, costringendo il marito a rimettersi dritto. Voleva tanto parlare, confidarsi con lui, ma ancora, in quelle situazioni che la costringevano ad aprirsi, faticava a manifestare i propri sentimenti, i propri desideri e tormenti, nonostante davanti a lei avesse una persona come Castle. Eppure era anche quello che la bloccava, sapeva che il marito riusciva a leggerle dentro come nessuno aveva mai fatto e questo la intimoriva perchè alla fine lui la conosceva meglio di quanto lei stessa si comprendesse ed ancora non era riuscita ad abituarsi al fatto di dipendere completamente da lui. Se l'avesse perduto avrebbe perso anche se stessa.

“Un mese è un sacco tempo”. Disse cercando di togliersi quei pensieri negativi dalla testa, concentrandosi sull'amore che provava per il marito, una delle poche cose che possedeva capace di farla stare bene. “Ma potremmo approfittare di questi giorni per fare pratica, tanta pratica”. Disse addossandosi a lui, enfatizzando le ultime parole, respirando contro il suo viso.

“Strega”. Ribattè Castle dandole un bacio fugace e poi un altro ancora mentre già lavorava con le dita per slacciarsi i bottoni della camicia. “Un giorno saprò dirti di no”. Dichiarò bisticciando con una manica il cui polsino si era incastrato con l'orologio, agitando il braccio cercando di liberarsi, il tutto mentre Beckett procedeva camminando all'indietro verso le scale, rallentando cosi da aspettarlo mentre lo invitava con le dita a raggiungerla.

“Sappiamo entrambi che fortunatamente non accadrà mai”. Commentò la donna sorridendo quando vide finalmente l'indumento volare lontano dal marito, ammirando con malizia il suo petto nudo, gli addominali appena accennati e la leggera peluria che dall'ombelico scendeva fin dentro i pantaloni.

Si portò il dito indice alla bocca e lo morse debolmente mentre lo vedeva muoversi verso di lei senza staccare gli occhi dal suo viso, socchiudendo le palpebre quando le fu vicino, pochi gradini sotto di lei, in totale silenzioso. Castle non diceva nulla, lasciava che i suoi occhi esprimessero i suoi pensieri, che il suo sguardo intenso facesse da tramite a tutto l'amore che serbava per lei. Portò in avanti la gamba sinistra cosi da posarla sullo scalino più in alto, quello appena sotto la moglie, mentre con quella destra rimaneva saldo su di uno dei più primi, quasi si fosse inchinato davanti a lei, come un cavaliere al cospetto della propria principessa. Le labbra del detective si schiusero senza però che da queste uscisse alcun suono, l'uomo sembrava come rapito da ciò che gli stava davanti.

“Tutto a posto?”. Domandò Beckett preoccupata, scendendo quel gradino cosi da ritrovarsi pari a lui, facendo scorrere una mano sulla gamba che teneva piegata accanto a lei.

“Una parte di me si pente già di averti detto di aspettare un mese, non cogliendo subito l'occasione”.Dichiarò bagnandosi le labbra, muovendo lentamente il capo prima a destra e poi a sinistra, facendo scorrere le iridi su tutto il suo corpo. “Ma è la cosa giusta da fare”. Aggiunse subito dopo impedendo cosi a Beckett di parlare. Sapeva che se lo avesse fatto avrebbe insistito sulla possibilità di provare fin da quel primo istante ma lui ancora non poteva permetterselo e si ritrovò a chiedersi il perchè, perchè voleva effettivamente aspettare quando la moglie sembrava invece cosi sicura della sua decisione.

“Per essere uno deciso, sicuro, a volte fin troppo impulsivo sul lavoro, quando si tratta della vita privata diventi incredibilmente esitante”. Notò Beckett cominciando a tracciare con le unghie il suo petto, lasciando piccole linee rosse che correvano fino al bordo dei pantaloni dove le sue dita si fermarono.

“Ed è anche per questo che mi ami”. Ridacchiò trionfante Castle, sorridendole sornionamente mentre si avvicinava per rubarle un bacio, lasciando che le mani sulle sue spalle scendessero fino ad arrivare ai fianchi della donna, e li ripercorrere quel percorso al contrario, portando con se la maglietta, sollevandola in modo da lasciar scoperto il suo seno.

“No.”. Ribattè lei aiutandolo a toglierle l'indumento, facendolo passare sopra la testa per poi abbandonarlo sulle scale. “Di certo non è uno dei motivi per cui ti amo, ma per tua fortuna mi sono abituata a queste tue fisime”. Lo canzonò facendo scorrere due dita in un passante dei suoi pantaloni, tirandolo verso di se cosi da non lasciarlo scappare, cosi da sentire i loro respiri l'uno contro l'altro.

“E adesso dimmi”. Gli sussurrò contro la guancia, vezzeggiandogli il collo con la punta della lingua, prendendo tra i denti il lobo del suo orecchio sentendolo trattenere il fiato. “Vuoi continuare a parlare o mi porti in camera”.

“Bhè ci sono molti argomenti interessanti di cui parlare”. Affermò Castle sentendo il proprio respiro farsi più corto mentre Beckett aumentava l'intensità delle sue attenzioni, baciandolo, mordendolo, lasciando che le mani esplorassero la sua pelle nuda. “Tipo come consolare Ryan quando Esposito sceglierà me come suo testimone di nozze oppure come non farmi uccidere da Esposito quando Ryan gli dirà che sarò io il padrino di suo figlio. Sono cose che richiedono molta ponderazione”.

“Hai finito?”. Gli domandò Beckett andando a fissarlo con un espressione poco paziente, slacciandogli il bottone dei pantaloni per rendere ancora più chiare le sue intenzioni. “Non vorrai davvero costringermi a dovermi occupare da sola dei miei bisogni?”. Castle si fece serio di colpo, alzando gli occhi verso il cielo e massaggiandosi il mento.

“Uhm, interessante”. Mugugnò ritrovandosi a sorridere come uno sciocco immaginandosi cose che lui stesso si vergognava a dire ad alta voce in presenza della moglie.

“Bene, come vuoi”. Dichiarò annoiata Beckett staccandosi da lui, abbassandosi raccogliendo con sdegno la sua maglietta da terra, superando gli ultimi scalini cosi da ritrovarsi al secondo piano dove vi erano le stanze. Non lo sopportava quando faceva cosi, quando le sue labbra, il suo corpo, le promettevano attenzioni impudiche, facendo sorgere in lei sconcertanti bramosie che le affollavano la mente, che le facevano vibrare ogni membra del corpo di desiderio, per poi venir abbandonata al gelo della casa preferendole stupidi discorsi a ore di passione.

Beckett farfugliò vocaboli poco carini nei confronti del marito mentre entrò nella camera da letto, gettando la maglietta contro il muro per poi vederla cadere a terra accanto all'armadio. Strinse le mani in pugno e si tese tutta urlando tra i denti la propria frustrazione, avvicinandosi al letto e scansando il cuscino cosi da recuperare il proprio pigiama.

“Dovrò pensare a come non farmi uccidere da Esposito”. Barbottò cercando di imitare la voce del marito, togliendosi i calzoncini e gettando anche quelli a terra non preoccupandosi di raccoglierli. “Meglio che pensa al modo in cui io potrei ucciderlo”. Si lamentò sedendosi sul letto con movimenti sgraziati, indossando la maglietta e togliendosi l'orologio regalatole dal padre, andando a posarlo sul comodino con il quadrante rivolto verso di lei. Si mise sotto le coperte e sbuffando si girò su un fianco non accorgendosi che Castle se ne stava all'ingresso della camera a fissarla in parte divertito da quel suo atteggiamento. Silenziosamente si avvicinò al letto certo che comunque la moglie l'avesse sentito seppur si sforzasse di non farlo notare. Mettendosi dalla sua parte del letto si tolse le scarpe nascondendole poi sotto di quello, togliendosi poi i pantaloni e piegandoli con cura. Fece il giro del talamo senza staccare lo sguardo da lei, aspettando che gli parlasse ma la donna non proferì una parola.

“Non mi parli più ora?”. Ridacchiò posando i pantaloni su di una sedia per poi voltarsi di nuovo verso di lei, cercando di vedere il suo viso nascosto dalle coperte, avvolto dal buio della stanza.

“Non parlo con gli idioti, potrebbe essere una malattia contagiosa”. Disse Beckett con voce ovattata, tirandosi ancora più addosso il lenzuolo, stringendolo mentre si agitava sotto di esso muovendo le gambe, provando a cercare una posizione comoda, non sopportando di sentire addosso alla sua pelle il freddo materasso invece che le calde braccia del marito.

Il detective rimase alcuni interminabili minuti appoggiato ad una parete, aspettando che la moglie cedesse, che lo invitasse nel letto ma ben sapeva quanto Beckett fosse testarda e non si stupì più di tanto quando lo lasciò li a patire il freddo. Arrendendosi per primo si avvicinò a lei, fermandosi quando gli stinchi si scontrarono contro il bordo del letto e percepì il lento movimento dl corpo della donna. Sorrise nell'ombra il detective abbassandosi cosi da posare le mani sul materasso, procedendo a gattoni sopra di esso fino a ritrovarsi sopra Beckett che intanto si era voltata per accoglierlo, rimanendo supina cosi da ritrovarsi faccia a faccia con lui.

“Perchè ogni volta che parliamo di cose serie devi cambiare discorso o ancora peggio quando sei teso te ne esci con quelle battute idiote?”. Lo riprese lei scrutando i suoi lineamenti illuminati dalla fioca luce che proveniva da fuori la finestra, notando come i suoi occhi azzurri sembravano d'improvviso diventati neri seppur mantenevano la loro intensità. Sollevò una mano e lo sfiorò con cautela sulla mascella, una carezza lieve, appena percepibile ma che fece venire la pelle d'oca all'uomo.

“Perchè ho paura di dire qualcosa di inadeguato”. Ammise Castle tenendo le mani conficcate nel materasso, con le braccia tese cosi da tenersi sollevato sopra di lei.

“Come se già non lo facessi”. Gli fece notare Beckett tornando a toccarlo, ad accarezzarlo, facendo scorrere una mano dietro il suo collo, soffermandosi li a passare le dita tra le corte ciocche di capelli. Castle ridacchiò chiudendo gli occhi e sospirando, godendosi quelle nuove attenzioni che stava ricevendo.

“é quello che voglio Rick”. Enunciò ad un tratto la donna rispondendo a quei dubbi a cui Castle non voleva dar voce, come se gli stesse leggendo il pensiero, comprendendolo dopo una sola occhiata. Il modo in cui se ne stava in silenzio sopra di lei, a fissarla come se fosse perso in chissà quale immaginazione, con quell'espressione che tanto la faceva intenerire e dimenticare i battibecchi precedenti.

“Come fai ad esserne cosi certa?”. Insistette Castle sforzandosi di convincersi, di accettare per vero quanto la moglie gli aveva detto.

Beckett corrugò la fronte facendosi pensierosa, non cessando il movimento della sua mano ma scostando lo sguardo, inclinando la testa sul cuscino trovandosi a fissare la spalliera del letto.

“é difficile da spiegare”. Sussurrò grattandosi la tempia con la mano libera, per poi riportarla contro il corpo di Castle, posandola sui muscoli del suo braccio che poi andò a guardare mentre con le dita disegnava su di essi strane forme. “é che pensandoci capisco che è il momento giusto, qualcosa nella mia testa mi dice che sono pronta e che tutto andrà bene.”. Cominciò a esporre cosi le proprie motivazioni, non essendo sicura che esprimessero davvero tutta la sua determinazione.

“Non dico che fantastico già su nostro figlio, che me lo immagino con i tuoi occhi e il tuo sorriso, è solo che non riesco a immaginare me senza di lui.”. Continuò a farfugliare parola dopo parola, muovendo la testa e agitando le braccia, senza mai incrociare lo sguardo di Castle che ora la stava osservando dolcemente, adorandola di più ad ogni secondo che passava.

“Ho questa immagina fissa nella mente, probabilmente più adatta a qualche pubblicità smielata, dove ci sono io seduta su questa sedia accanto alla finestra che dondolo il bambino”. Raccontò indicando quel punto ora vuoto, che sembrava esser stato lasciato libero apposta per esser poi occupato da quel pezzo di arredo.

“Non posso vederlo ma...”. Aggiunse scoprendosi a balbettare mentre gli occhi inspiegabilmente cominciarono a bruciarle e Beckett si trovò costretta a dare la colpa alla tensione accumulata in quei giorni, durante quel caso che solo quella mattina erano riusciti a chiudere.

“Quella creatura è solo un immagine sfuocata, senza dettagli, ma c'è. Nonostante tutto è li tra le mie braccia, Rick, ed è tutto cosi reale”. Confessò infine alzando il braccio verso quello spazio vuoto per poi farlo ricadere a peso morto sopra il materasso.

“Sò che per te può essere difficile capire...”. Castle si fece serio d'improvviso andando a prendere tra le dita il mento della moglie cosi da costringerla a voltarsi verso di lui e guardarla.

“Non è poi cosi difficile”. Ribattè lui andando ad appropriarsi delle sue labbra mentre si sistemava meglio sopra di lei, aiutandola ad avvinghiare una gamba attorno ai suoi fianchi facendo scorrere la mano destra sotto la sua coscia, alternando le dolci carezze a quelle più pesanti, che le lasciavano i segni sulla pelle bianca e delicata, che la facevano gemere e sospirare contro di lui.

“Nelle mie fantasie non sei su quella sedia, ma su questo letto”. Ammise Castle con voce roca, divorandole il collo e scendendo verso le spalle, afferrando la spallina del reggiseno tra i denti, facendo ridere divertita la moglie.

“Quando mai non mi immagini distesa su questo letto”. Lo stuzzicò Beckett sollevandosi dal materasso quanto le bastò per slacciarsi i ganci del reggiseno, lasciandolo poi cadere a terra e ritornare distesa sotto di lui. Castle schiuse la bocca e usò la mano per tracciare una linea sul petto della donna, che dal collo scese fino al seno, seguendone i contorni con il dito indice mentre maliziosamente le sorrideva.

“Ma questa volta è diversa”. La mano dell'uomo si aprì e l'avvolse completamente, brandendolo con delicatezza, abbassando la bocca sopra di esso. “Perchè ti vedo qui seduta con nostro figlio allacciato al tuo seno, con la sua mano nella tua, mentre lo guardi in un modo in cui non guarderai mai me, ciononostante rimane la cosa più vera che io abbia mai immaginato e quando avverrà sarà la cosa più bella, più dolce che mai vedrò in tutta la mia vita”. Beckett non disse nulla, permise solo che quell'immagine si imprimesse anche nella sua mente mentre con le mani sulla testa di Castle lo guidava dove più lo voleva.

 

Fu solo dopo diverse ore, quando la notte aveva ormai avvolto completamente la città, che Castle riaprì gli occhi. La sua attenzione si spostò subito su Beckett che gli stava dormendo accanto, girata su di un fianco con entrambe le mani posate sul cuscino accanto al proprio volto. Una leggera carezza e un fugace baciò furono le uniche cose che l'uomo si concesse prima di scendere dal letto, ricercando i propri boxer sul pavimento gelido. Uscì dalla stanza e socchiuse la porta cosi da non disturbare la moglie, scendendo poi le scale con particolare lentezza, dirigendosi in cucina alla ricerca di qualcosa da bere. Optò velocemente per una birra e si diresse nel suo punto preferito della casa, quell'unica finestra da dove poteva scrutare il profilo della città senza spiare nelle case dei propri vicini. Si sedette sul davanzale e scostò le tende cosi da aver la visuale libera e si fermò li, a guardare distrattamente le luci degli infiniti grattacieli che tagliavano in due il cielo, rendendolo arancione nella parte più bassa e blu scuro in quella più alta. Sorseggiò la birra e posò la testa contro il muro ritrovandosi a pensare.

“Un mese”. Disse tra se e se roteando il polso cosi da far girare il liquido contenuto nella bottiglia. “Chi cederà per primo? Tua madre od io?”. Domandò rivolgendosi verso la volta celeste, rimanendo in silenzio quasi si aspettasse una risposta.

“é solo che, adesso, che anche tua madre ti vuole non so più se riuscirò ad essere cosi paziente. É come partecipare ad una corsa, che sei li stremato ma riesci comunque a vedere il traguardo davanti a te.”. Parlò Castle come se li accanto a lui ci fosse davvero qualcuno pronto ad ascoltare le sue macchinazioni. “é li lo vedi, puoi quasi toccarlo”. Proseguì strizzando un occhio e allungando un braccio davanti a se, quasi come se lo vedesse davvero il traguardo. “ Ti mancano pochi metri, un ultimo scatto eppure d'improvviso ti trovi a rallentare, ad esitare”. Si fece triste Castle tornando a guardare il cielo sopra di se. “ Perchè vuoi che la tua vittoria sia perfetta, indimenticabile”.

“Ma a pensarci bene..”. Proseguì grattando con l'unghia del pollice l'etichetta incollata sul collo della bottiglia. “Non importa quando, non importa come, basta tagliarlo quel traguardo. Solamente..”. Si concesse un ultimo sorso di birra, qualcosa che gli asciugasse la gola terribilmente secca. Abbassò lo sguardo e si ritrovò a fissare il pavimento, sentendosi in parte stupido per quei discorsi che stava facendo al vento in piena notte, seduto su una fredda lastra di marmo invece di starsene nel letto caldo con la moglie. Ma Castle conosceva bene quella sua debolezza, quelle ore buie e solitarie erano tutto ciò di cui necessitava per capire cosa veramente voleva e anche quella sera successe come in tutte le altre occasioni.

"Solamente non farmi attendere troppo d'accordo?”. Parlò rivolgendosi al cielo, piegando un ginocchio sopra il davanzale, posando sopra di esso il braccio, tenendo ancora stretta fra le dita la bottiglia che oscillava pericolosamente tra quelle.

“Non farci attendere troppo”. Si corresse rimanendo immobile ad ammirare la città, che lo circondava, con un lieve sorriso sulle labbra.

 

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Capitolo 3
*** 10 Febbraio: Un passo indietro ***



“Come sta la mia futura sposa preferita?”. Esordì Beckett di buon umore quella mattina mentre spalancava davanti a se le porte dell'obitorio e salutava Lanie.

“Sono distrutta”. Si lamentò il medico legale incurvandosi sulla schiena e sbuffando, contenta comunque di aver l'amica li con lei, in modo da poter scambiare due chiacchiere e staccare un po' dal lavoro. “Non tanto come il Signor Bur. Essere investiti da un bus che viaggia a tutta velocità ha fatto un bel po' di danni qui dentro, per questo era molliccio come un budino”. Disse informando con quelle poche parole l'amica riguardo il nuovo cadavere che aveva dovuto esaminare.

“Già, proprio quello che volevo sentire alle prime ore del giorno”. Si lamentò disgustata la detective avvicinandosi comunque al lettino cosi da esser più vicina al medico legale e aver modo di parlare più fittamente.

“Allora come vanno i preparativi?”. Domandò interessata la donna, comprendendo solo in quei momenti il perchè Lanie, durante i preparativi delle sue nozze con Rick, era stata sempre cosi presente, cosi attenta ai particolari, onnipresente ogni qual volta Beckett doveva andare a provare l'abito, o doveva parlare con la band, o con quelli del servizio catering. Era una cosa di cui non poteva farne a meno, un po' per curiosità ma soprattutto perchè, come Lanie aveva fatto con lei, anche la detective voleva che il matrimonio dell'amica fosse perfetto.

“Procedono..a rilento”. Spiegò andando al lavandino per togliersi i guanti insanguinati e lavarsi le mani. “Tutta colpa di Javi. Io per scegliere il vestito ci ho messo meno tempo che lui a scegliere il menù. Ieri sera voleva chiamare quelli del catering perchè aveva cambiato nuovamente idea sui secondi”. Bofonchiò asciugandosi le mani per poi gettare l'asciugamano all'interno del lavandino, tornando ad osservare l'amica che la guardava divertita ma allo stesso tempo dispiaciuta per il medico.

“Perchè i futuri mariti non si limitano ad arrivare in orario in chiesa e non lasciano il resto a noi?”. Domandò vagamente seria Lanie incrociando le braccia al petto, ricevendo dalla detective un abbraccio consolatorio.

“Perchè se facessero cosi noi poi ci lamenteremmo del fatto che non ci hanno aiutato ad organizzare nulla”. Sottolineò Beckett andando a sedersi poi su di uno dei lettini mentre Lanie la osservava poco convinta.

“Sarà, ma ho bisogno di una pausa. Ho sentito Jenny per andare a berci qualcosa alla “Vecchia Tana” questa sera. A quanto pare anche lei sente la necessità di scappare di casa per qualche ora. Se vuoi unirti sei la benvenuta”. Beckett ridacchiò annuendo alle parole dell'amica, sapendo bene cosa la signora Ryan stesse passando in quegli ultimi giorni.

“Si mi ha detto che Ryan è fin troppo apprensivo nei suoi confronti. Non che io mi lamenterei se Castle si offrisse di passare l'aspirapolvere qualche volta in più”. Affermò alzando le braccia colpevole. “Comunque devo sentire lui, magari ha in mente qualcos'altro per stasera”. Enunciò Beckett allungando la mano verso un vassoio cosi da prendere una boccetta che era posata su di esso, mettendola in contro luce per risaltarne il liquido contenuto.

“Ah so io a cosa ti riferisci”. Sogghignò gioiosa Lanie facendole l'occhiolino. “Ormai la vostra vita si divide tra due luoghi, il distretto e la camera da letto. Non sai quanto ti invidio”. Confessò il medico legale andando a rubare dalle mani dell'amica il contenitore di vetro, posando al sicuro lontano da mani curiose. “Piuttosto come va li dentro?”. Domandò compiendo dei piccoli cerchi nell'aria con il dito indice, tenendolo puntato verso il grembo della detective.

“Qua dentro non succede nulla”. Disse la donna portatosi d'istinto una mano sopra la pancia. “Sono passate solo due settimane da quando Castle ed io ne abbiamo parlato, non è ancora il momento”. Affermò con una nota di rammarico, stringendo tra le dita la propria giacca.

“Non è ancora convito che tu sei convinta?”. Le domandò Lanie appropriandosi di una sedia d'acciaio per accomodarsi di fronte all'amica cosi da potere parlare faccia a faccia.

“Non ancora. Anche se a onor del vero abbiamo entrambi mantenuto la promessa di non parlarne per questo mese anche se comincio a considerarla un idea stupida. Se stiamo prendendo in considerazione l'idea di avere un figlio dovremo pur discuterne”. Si lamentò Beckett confidandosi per l'ennesima volta con Lanie che mai una volta si era tirata indietro dall'ascoltarla, nemmeno in quel periodo seppur fosse presa dai preparativi per le nozze. Cosi come la detective era sempre pronta a consolarla durante i suoi ripensamenti, durante le sue crisi, cosi Lanie le sarebbe stata accanto ad ascoltarla sfogare le proprie frustrazioni.

“Castle lo fa in buona fede, non vuole in alcun modo importi le sue idee e cosi evita dal principio di esportele”. Cercò cosi di farle vedere il lato buono della situazione, conoscendo ormai bene Castle e sapendo che mai avrebbe fatto intenzionalmente qualcosa per ferire la moglie.

“Lo so, di questo non ne dubito è solo che non so se riusciremo ad evitare questo argomento ancora per due settimane, sopratutto con Ryan che continua a mostrarci l'ultima ecografia. Per di più quelle immagini hanno uno strano effetto su Castle”. Affermò Beckett guardando l'amica con aria perplessa facendo spallucce quando lei le chiese il senso di quella sua affermazione.

“Non so esattamente. Quando Ryan ce le mostra lui le guarda quasi come se si sentisse in dovere di farlo, ma sono certa che se al posto del bambino mettessimo un bigfoot nemmeno se ne accorgerebbe”. Sbuffò la detective dondolando con le gambe a mezz'aria, sfregando le mani contro il tessuto dei pantaloni che le aderiva alle cosce. “Ma poi..”. Disse strizzando gli occhi e facendosi seria, concentrandosi su quel ricordo, su quel momento che aveva colto all'insaputa del marito. “Stamattina stavamo interrogando un sospettato, o meglio Ryan ed Espo lo stavano facendo, Castle ed io eravamo dietro al vetro ad ascoltare.” Cominciò a narrare la detective vedendo Lanie farle cenno di fermarsi, alzando un dito in sua direzione, cosi da darle il tempo di alzarsi dalla sedia, di girarla al contrario e di accomodarvici sopra ancora, posando entrambe le braccia sopra lo schienale di quella, dando poi il permesso alla donna di continuare.

“Poco dopo però lui è uscito dicendomi che andava a farsi un caffè ma avevo notato subito che c'era qualcosa di strano. Ho aspettato un paio di minuti per vedere se tornava e quando non l'ha fatto ho aperto la porta con l'intenzione di cercarlo”.

“E che è successo?”. Domandò Lanie con lo stesso interesse di una bambina che pregava la madre di continuare a leggere la storia che le stava narrando cosi da scoprire quella sconvolgente rivelazione che si aspettava.

“L'ho visto accanto alla scrivania di Kevin, con la cornice contenente l'ecografia tra le mani, e la stava guardando con un intensità che mi ha lasciato senza parole, tanto che non sono riuscita ad affrontarlo dopo.”. Beckett sentì di nuovo quella stretta alla gola che le impedì di continuare, serrò le labbra e andò a fissare il cadavere posto sul lettino dietro al suo, il Signor Bur, l'uomo molliccio come un budino, ripete la descrizione fatta dall'amica prima ritrovando per un istante il sorriso.

“Kate..”. La richiamò alla realtà Lanie, parlando a bassa voce cosi da non spaventarla.

“Vorrei sapere cosa gli passa per la testa in questo momento, vorrei parlargli ma so già che se lo facessi lui si sentirebbe aggredito, si metterebbe subito sulla difensiva e non risolveremmo nulla, anzi peggioreremmo la situazione”. Dichiarò Beckett saltando giù dal lettino con un leggero balzo, tirando i lembi della giacca verso il basso per poi sistemarsi il colletto della camicia sotto di essa.

“O cosi o attendi due settimane, non hai molta scelta cara mia”. Le fece notare Lanie capendo che il momento delle chiacchiere era finito, entrambe dovevano tornare al lavoro.

Beckett annuì quasi impercettibilmente per poi preferire cambiar discorso. “Per questa sera vi farò sapere ma rimaniamo comunque d'accordo per andare insieme a fare la prova dell'abito. Venerdi alle 14.30 giusto?”. Domandò chiedendo conferma. Fin dalla prima volta che Lanie aveva messo piede dentro l'atelier per decidere l'abito Beckett era sempre stata presente per darle consigli e di certo non si sarebbe persa una delle ultime prove, quelle in cui ormai si provava il vestito definitivo, aspettando con trepidazione il momento in cui l'amica si sarebbe vista allo specchio, per vedere l'emozione sul suo viso e perchè no qualche lacrima.

“Giustissimo. E vedi di parlare con Castle che un nipotino non mi basta”. Urlò quasi nonostante Beckett non avesse abbandonato del tutto l'obitorio, ancora con le mani poste sulle porte cosi da tenerle aperte.

“Se succede qualcosa sarai una delle prime a saperlo”. Le promise salutandola poi cosi da ritornare ai piani superiori dove sapeva che il marito e i colleghi la stavano aspettando per concludere il caso ed erigere i rapporti che da tempo erano diventati di sua competenza.

 

“Ah ecco che Beckett torna dopo aver parlato per diversi minuti con Lanie”. Disse ad alta voce Castle appena la vide comparire davanti a se. Il detective si alzò dalla sedia e portò le mani dietro la schiena cominciando a camminare verso i colleghi con uno strano andamento, compiendo ampie falcate tenendo la gamba rigida davanti a se, fino a trovarsi a fianco di Esposito.

“Quanto è nei guai il nostro amico?”. Domandò mettendogli una mano sulle spalle che il cubano andò prontamente a togliere.

“E chi ti dice che non sia tu quello nei guai?”. Ribattè Beckett togliendosi la giacca cosi da appoggiarla alla propria sedia, facendo l'occhiolino a Esposito per rassicurarlo sul fatto che tutto fosse a posto.

“Uhm, non mi pare di aver fatto nulla e se l'ho fatto sono certo che non mi hai ancora scoperto”. Commentò lui riprendendo posto accanto alla moglie, allungando le gambe davanti a se accavallando i piedi, piegando un braccio sopra il petto mentre con la mano destra si lisciava la leggera barba che quel mattino si era voluto tenere perchè ha detta sua lo rendeva particolarmente misterioso e interessante.

“Forse è qualcosa che non hai fatto intenzionalmente ma che io ho scoperto lo stesso”. Enunciò la detective senza staccare le iridi verdi dal rapporto redatto dai colleghi, cosi da visionare ogni dettaglio, per assicurarsi che ogni cosa fosse al suo posto in modo da poter apporre la propria firma in tutta sicurezza.

“Ho come la sensazione che tu ed io dobbiamo parlare”. Constatò la donna chiudendo la cartella e posandoci sopra le braccia, tornando a fissare il marito che di colpo sbianco mentre gli occhi gli si spalancarono.

“Ti ho messo incinta?”. Sussurrò deciso lui, cominciando ad agitarsi sulla sedia, posando entrambi i palmi delle mani sulla scrivania sporgendosi verso di lei, cominciando a sentire le gocce di sudore scendergli lungo la schiena e lacerargli la pelle come se fossero delle lame.

“Questo tipo di preoccupazione me lo sarei aspettata di più agli inizi della nostra relazione e non ora che stiamo effettivamente pensando di metter su famiglia”. Appurò Beckett che invece non si scompose. Fece roteare la sedia verso il marito e andò a studiare il suo volto domandandosi se l'uomo stesse bene dato il colorito della sua pelle. La parte diabolica di lei le suggeriva di giocare ancora sulle sue emozioni, cosi da vedere fin dove si poteva spingere ma la sua parte razionale le ricordò che quello scherzo avrebbe portato a un più che probabile collasso di Castle e lei di certo voleva evitarlo, in particolare al distretto.

“Comunque no Castle, non mi hai messo incinta. Prendo ancora la pillola”. Sottolineò Beckett vedendo il detective come sciogliersi tanto si rilasso di colpo davanti ai suoi occhi, sistemandosi la giacca e la camicia, prendendo un fazzoletto cosi da picchiettare la nuca per asciugarsi dal dolore.

“Tanto lo sapevo che scherzavi”. Affermò lui anche se la detective non ci credette nemmeno per un secondo. “Di cosa dovremo parlare allora?”. Domandò slacciandosi l'ultimo bottone della camicia siccome non riusciva a respirare, tirandone il colletto facendo passare sopra di quello il dito indice e medio.

“Sai benissimo qual'è l'argomento. Non voglio più aspettare due settimane per parlarne. Voglio farlo oggi”. Disse risoluta puntando il dito contro la scrivania per rendere ben chiaro il suo punto di vista. “Non mi importa se qui al distretto o a casa, voglio solo affrontare questo argomento”.

“Siamo pronti Rick”. Gli disse afferrandogli con forza la mano, infondendogli la sua sicurezza quando lo vide esitare, spostando tutta la sua attenzione sul televisore appeso alla parete.

“O almeno io lo sono. A questo punto mi chiedo se tu lo sia ancora?”. Domandò a bruciapelo Beckett, avendo quella stessa domanda che le ronzava la testa da giorni, l'unica motivazione che si poteva dare riguardo a quel desiderio di attesa ingiustificato, ai suoi occhi, del marito.

“Rick, lo vuoi ancora un figlio o hai cambiato idea?”.Insistette appoggiando i piedi a terra e spingendo la sedia con le rotelle cosi da finire accanto al marito, sistemandosi davanti a lui, chiudendosi nel loro mondo personale seppur in realtà si trovavano al distretto circondati da persone.

“Ma certo che lo voglio ancora”. Affermò Castle tornando a guardarla appoggiando entrambe le braccia sulle proprie cosce spostandosi verso Beckett che copiò il suo movimento, ritrovandosi l'uno inclinato verso l'altra, con i loro volti vicini.

“Allora perchè aspettare? Ti ho ripetuto un centinaio di volte che sono pronta, che non cambierò idea a riguardo da un giorno all'altro, credo di averti mostrato tutta la mia determinazione ultimamente. Cosa devo ancora fare per dimostrarti quanto lo desidero?”. Dichiarò Beckett tenendo il tono della voce basso non volendo far sapere agli altri agenti le proprie faccende private, ma dimostrandosi comunque agguerrita e decisa,non volendo far sorgere nel marito più dubbi di quelli che già sembrava avere.

“Se...”. Esordì Castle bloccandosi all'istante, passandosi una mano sulla faccia volendo togliere da essa ogni senso d'ansia che si era posata sopra. Il detective si guardò attorno e si sentì osservato anche se gli altri agenti presenti stavano incollati alle proprie scrivanie a rispondere alle chiamate dei cittadini, compresi Ryan ed Esposito che dal canto loro stavano visionando alcuni file sui propri pc.

“Vieni con me”. Le disse alzandosi dalla sedia senza darle spiegazioni, dirigendosi verso la saletta degli interrogatori volendo avere la privacy che solo quel luogo avrebbe potuto dargli. Beckett, seppur piena di domande, lo seguì senza porgergliene nemmeno una, volendo aspettare prima che lui la illuminasse su quel gesto.

Castle tenne aperta la porta per la moglie cosi da darle modo di entrare prima di chiuderla dietro di se. Le indicò la sedia cosi da invitarla a sedersi ma Beckett preferì rimanersene in piede davanti a lui.

“Si può sapere che significa tutto questo?”. Domandò esasperata aprendo le braccia.

“Credo ad ogni parola che mi dici, credo con tutto il mio cuore che tu lo voglia veramente questo bambino. Non sono uno stupido, ho notato tutto quello che stai facendo per dimostrarmelo”. Dichiarò tutto d'un fiato Castle, avvicinandosi a lei stranamente agitato, prendendole il viso con entrambe le mani e spingendola contro il vetro posto sulla parete.

“E allora qual'è il problema?”. Insistette la donna rimanendo schiacciata tra lui e il muro, con le mani strette attorno ai polsi del marito. L'intensità con cui Castle la guardava la fece tremare, notò come i suoi occhi azzurri erano diventati d'improvviso più scuri, con le pupille dilatate e il fiato improvvisamente più corto. Quell'espressione l'aveva vista spesso, anche la notte precedente, quando avevano fatto l'amore. Quando il detective la baciò con foga Beckett si ritrovò a chiedersi cosa gli fosse preso, come mai si fosse lasciato andare in quel modo al distretto. La stava baciando, la stava toccando li nella stanza dove interrogavano i sospettati, dove chiunque poteva entrare da un momento all'altro trovandoli in quella posizione compromettente.

La detective dovette richiamare a se tutta la propria forza di volontà per staccare da se il marito che ancora una volta tentò di avvicinarsi ma lei riuscì ad impedirglielo.

“Che sta succedendo?”. Gli chiese a corto di fiato, vedendo come anche il petto di lui si alzava e si abbassava velocemente.

“Ti ho dato un mese per pensarci non tanto perchè volevo assicurarmi che tu ne fossi convinta”. Cominciò a spiegare Castle avvicinandosi ancora a lei, sentendo il bisogno di toccarla, di sentire il calore del suo corpo addosso al proprio. “Ma ..”. Ancora si bloccò irritando e facendo preoccupare Beckett allo stesso momento. La detective notò come la sua mano tremante le andò ad accarezzare i capelli e allora capì che quello che aveva visto prima negli occhi del marito non era eccitazione ma paura.

“Rick, che sta succedendo?”. Ripetè perentoria inclinando il capo, costringendola a guardarla, dovevano guardarsi negli occhi, Beckett intuiva che doveva essere qualcosa di importante altrimenti Castle non avrebbe mai reagito a quel modo.

“Il fatto è che speravo che, ragionando sul fatto di avere un bambino, sulle possibili conseguenze, tu decidessi di..”. Castle andò a prendere posto sulla sedia destinata in precedenza alla moglie, allagando le gambe e incurvando la schiena cosi da nascondere la testa tra le ginocchia.

“Decidessi cosa Castle?”. Beckett lo fissava impaziente, battendo un piede a terra aumentando la sua irritazione, mentre sul marito sortì un effetto ben diverso. Il detective sapeva bene che ogni volta che la moglie lo chiamava con il proprio cognome per lui sarebbero stati cinque minuti da dimenticare, da cancellare dai propri ricordi ed era ben conscio che quella volta non sarebbe stato da meno. Non aveva scusanti, quella situazione l'aveva voluta lui e non poteva tirarsi indietro in particolare perchè era una cosa che lui stesso voleva.

“Che tu decidessi di rivedere il tuo lavoro o meglio di pensare ad un altra sistemazione. Sempre all'interno della omicidi ma svolgendo un altro compito, meno pericoloso”. Confessò quel suo desiderio recondito, quella necessità di saperla al sicuro ora più che mai. La guardò mentre lei cominciò ad agitarsi, a camminare avanti e indietro per la stanza, non sapendo come comportarsi, sedendosi prima sulla sedia per poi rialzarsi e continuare con il suo incedere, passandosi le mani nei capelli e sul volto, stringendo i pugni o nascondendo le mani in tasca.

“Non sono un idiota Castle, certo che quando sarebbe stato il momento non mi sarei più messa a correre dietro ai sospettati, o a fare irruzione nel covo di qualche malvivente. Non credo nemmeno che facciano giubbotti anti proiettile per le donne incinte”. Ridacchiò Beckett cercando di allentare la tensione ma l'uomo abbassò ancora lo sguardo colpevole e lei ormai era esperta dopo tutti quegli anni, sapeva che c'era altro, lo poteva capire da come lui si grattava la nuca con veemenza.

“Tu però non volevi che decidessi più avanti, quando sarei già stata incinta. Tu vuoi che io rinunci al mio lavoro già da ora”. Disse non credendo nemmeno lei stessa alle parole che stava pronunciando, era sempre stata sicura che Castle non le avrebbe mai chiesto di lasciare una cosa che cosi tanto amava eppure ora lo stava facendo.

“Mi renderebbe più tranquillo saperti...”.

“Sapermi dietro ad una scrivania? È questo che ti renderebbe più tranquillo?”. Finì la frase Beckett mettendo entrambe le mani sulla tavola, dando con i palmi un colpo che fece sobbalzare Castle sulla propria sedia.

“Sarebbe solo per precauzione”. Cercò di giustificarsi il detective incontrando però l'astio della moglie. “Fai che rimani incinta subito?. Se spiegassi a Montgomery già da ora come stanno le cose non avrebbe alcun problema a concederti questo cambiamento. Il nuovo capitano arriverà tra qualche settimana e non sappiamo se te lo permetterà, potrebbe non accettare “sto cercando di avere un figlio” come giustificazione”.

“Già, perchè io in primis non la userò come giustificazione”. Obiettò Beckett staccandosi dal tavolo dando le spalle al marito, avendo il sentore che continuandolo a guardarlo il suo desiderio di mettergli le mani intorno al collo sarebbe aumentato.

“Io sono pronta a rinunciare al mio lavoro ma solo quando sentirò che è il momento di farlo non perchè sei tu che mi costringi”. Affermò la donna osservando il muro, sfregando con il pollice la fede che in quel momento le sembrava stringersi attorno al suo anulare.

“E se quanto tu te la sentissi fosse troppo tardi”. Disse innocentemente Castle facendo spallucce, non avendo la minima idea di come la donna avrebbe potuto recepire quella sua frase.

“Mi credi davvero cosi insensibile, irresponsabile”. Asserì ritrovandosi a tremare mentre tornava a fissare il marito che notò i suoi occhi lucidi. “Credi veramente che avrei potuto davvero continuare a dar la caccia agli assassini, a rischiare di farmi sparare contro, sapendo che dentro di me cresce un bambino?”.

Castle si alzò dalla sedia e aggirò il tavolo con l'intenzione di abbracciarla, di scusarsi, di farle capire che tutto andava bene ma lei allungò un braccio cosi da tenerlo lontano, compiendo alcuni passi indietro ripristinando la distanza precedente.

“Nello stesso istante che avrei avuto la certezza della sua esistenza, quando..”. Beckett si sentì la gola chiusa, faceva fatica a parlare a causa della rabbia, del dolore, delle lacrime che le stavano riempiendo gli occhi e che non riusciva a fermare. “Quando un insulso bastoncino mi avrebbe annunciato l'arrivo della cosa per me più preziosa al mondo, in quell'istante sarei stata disposta anche a presentare le mie dimissioni perchè, per quanto adori questo lavoro, non potrà mai essere paragonato al mio bambino, al tuo”. La detective posò una mano sulla bocca cercando di fermarne il tremore, cercando di superare la delusione che sentiva nei confronti dell'uomo che amava più di ogni altra cosa, stando male vedendolo cosi ferito nonostante fosse di lui stesso la colpa.

“Sarebbe stato un sacrificio che avrei pagato con gioia ma ora, grazie a te”. Appurò cambiando tono della voce, da rotta che era ora divenne dura. “Grazie a te”. Ribadì indicandolo con una mano mentre con l'altra si asciugava con rabbia le lacrime. “Non credo che dovrò compierlo tanto presto perchè l'ultima cosa che voglio al momento è quella di rimanere incinta di tuo figlio”.

“Kate..”. Sospirò Castle inseguendola attorno al tavolo ma la detective fu più veloce e si diresse verso la porta, posando una mano sulla maniglia e fermandosi li avendo ancora altro da aggiungere.

“Condividiamo le stesse paure Rick. Credi che pensando a un bambino non mi si spezzi il cuore quando per la mente mi passa il pensiero che tu possa venir ferito durante un indagine, che tu non possa veder crescere il nostro bambino?”. Altre lacrime si aggiunsero alle precedenti, più fitte a causa di quell'ipotesi che la gettava in un oblio di disperazione. “Ma questa è la nostra vita e come io ho fiducia che quando accadrà, che quando lui ci sarà, tu faccia di tutto per non correre rischi inutili speravo che anche tu riponessi la stessa fiducia in me, ma mi sbagliavo.”

“Voglio solo tenerti al sicuro”. Singhiozzò questa volta Castle aprendo le braccia, facendole capire che non ci poteva fare nulla, che era la sua missione proteggerla e non farle correre rischi. Con cautela fece un passo verso di lei, osservando la maniglia per accertarsi che non si abbassasse.

“Questo però non ti da il diritto di pensare cosi poco di me o di decidere per me”. Beckett gli andò in contro, facendo scorrere le mani sul suo petto per poi salire fino alle spalle, alzandosi sulle punte per dargli un casto bacio prima di tornare alla porta.

“Dove vai?”. Le chiese preoccupato Castle.

“Lontano da te”. Fu l'ultima cosa che gli disse prima di uscire dalla stanza dirigendosi alla propria scrivania cosi da raccogliere le sue cose. Ryan ed Esposito la seguirono con lo sguardo notando la sua aria distrutta, le sue lacrime che ancora le bagnavano le guance, ma non fecero nulla, rimasero solo in attesa di un suo gesto, del permesso per intervenire.

“é inutile che vi dica che è tutto a posto”. Disse loro Beckett gettando alcune cose dentro la borsa. “E mi dispiace non dirvi cos'è successo ma è una questione privata tra Castle e me che preferisco non condividere con voi al momento. Non sappiamo nemmeno noi che vogliamo, aver qualcuno che cerca di darci consigli peggiorerebbe solo la situazione. Spero che non ve la prendiate”. Spiegò non volendo in alcun modo litigare con gli amici, tanto meno farli sentire poco importanti per non aver condiviso con loro quel problema, ma in quei momenti non aveva bisogno di intromissioni che avrebbero potuto far peggiorare le cose tra lei e Castle.

“Non ti preoccupare”. “é tutto a posto, lo capiamo”. Risposero all'unisono i colleghi vedendola poi dirigersi verso l'ascensore mentre ancora Castle se ne stava in piedi nella stanza degli interrogatori, fermo come una statua ad aspettare qualcosa che non sarebbe mai arrivato.

 

E fu cosi che ore dopo Castle si ritrovò nel proprio appartamento, con la speranza di vedere Beckett spuntare da quella porta, con l'unica compagnia di una birra e con il cellulare in mano aspettando che lei rispondesse alle sue chiamate e ai suoi messaggi.

 

Beckett però era ben lontana da casa. Aveva girato con la macchina per diverso tempo non sapendo nemmeno lei cosa volesse fare. Si era fermata poi in un parcheggio e li aveva pianto, aveva urlato tirando pugni al volante, sfogando tutta la sua rabbia, il suo dolore. Quando poi vide cominciare calare il buio riaccese la vettura andando dall'unica persona di cui aveva bisogno in quel momento. Si calmò in quei minuti, cercando di darsi un certo contegno, di non far preoccupare ulteriormente chi l'avrebbe vista ma quando la porta alla quale aveva bussato si aprì e lei vide quel volto cosi famigliare non si trattenne e scoppiò in lacrime.

“Mamma”. Riuscì solo a dire lanciandosi tra le braccia di Johanna.

 

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E cominciano fin da subito i problemi. Entrambi vogliono la stessa cosa ma la vogliono raggiungere seguendo due strade diverse. Ma chi l'avrà vinta alla fine?. Nel prossimo capitolo cercheranno di lasciarsi questo piccolo problema alle spalle e Castle troverà una delle sue soluzioni per farlo, ma basterà o altri avvenimenti metteranno a dura prova la loro volontà?




 

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Capitolo 4
*** 10/11 Febbraio: Un passo avanti ***


 

Beckett se ne stava seduta sul divano della madre, rannicchiata contro lo schienale e con le ginocchia contro il petto, osservando la tazza di cioccolata calda che Johanna le aveva preparato.

“Vedi che ho fatto bene a non buttare via i tuoi vecchi vestiti”. Ridacchiò la donna posando sul tavolinetto in legno un vassoio pieno di biscotti preparati poco prima apposta per la figlia. Beckett ricambiò il sorriso e andò a tirare quel vecchio maglioncino recuperato in quella che era la sua camera da letto, facendo riaffiorare bei ricordi di quando era poco più che una ragazza.

Il ronzio proveniente dal cellulare fece girare entrambe verso di esso e la signora Beckett, vedendo la foto buffa di Castle comparire sul display, l'andò a prendere e porgere alla figlia.

“Almeno digli dove sei e che stai bene.” Le suggerì vedendola esitare qualche istante prima di riappropriarsi del proprio apparecchio.

“Intanto vado a sistemare la cucina, torno subito cosi parliamo”. Affermò Johanna dando un bacio sulla nuca della figlia, non vergognandosi di farlo anche se lei ormai aveva quasi 35 anni, ai suoi occhi sarebbe stata sempre la sua bambina.

Beckett posò la tazza sul tavolinetto e si alzò sentendo il bisogno di camminare, di far qualcosa mentre parlava con il marito.

“Ciao”. Lo salutò cosi accettando la chiamata, sorridendo debolmente mentre camminava in direzione di un ampia vetrata che dava sul giardino posto sul retro della casa dei genitori.

“Ero in ansia”. Fu l'unica cosa che Castle riuscì a dire mentre si avvicinava alla sua finestra, scostando le tende e guardando la strada nella speranza di vederla tra la folla. “Ti avrò chiamato non so quante volte”.

“Lo so, ma non volevo parlarti e credo che capirai il perchè”. Disse la donna osservando il proprio riflesso contro il vetro, stringendosi ancora di più dentro quel maglione sentendo freddo. “Comunque non preoccuparti sto bene”.

“Non posso fare a meno di essere preoccupato per te”. Ribattè lui sospirando profondamente, grattandosi il petto sentendo il bisogno di fare qualcosa. “Dove sei?”. Domandò ad un tratto.

“Da mia madre”. Beckett si voltò guardando alle proprie spalle, sentendo dei rumori provenientI dalla cucina, immaginando la madre intenta a pulire cose già lavate poco prima solo per darle tempo di parlare con il marito.

“Vuoi che venga a prenderti?”. Domandò Castle pronto a correre giù per le scale, a prendere la macchina e andarla a recuperare cosi da riportarla a casa loro.

“No, passerò qui la notte”. Appurò con difficoltà Beckett odiando in parte quell'idea di stare lontana da Castle ma in quel momento non aveva ne la voglia, ne le forze, per andare da lui, per rischiare di litigare ancora o peggio ancora di non farlo e non risolvere cosi i loro problemi.

“Non avrei mai voluto ferirti lo sai. È solo che ora le paure si amplificano perchè devo cominciare a pensare anche a un futuro dove c'è lui e non solo noi. E l'unica cosa che mi tranquillizza è saperti al sicuro”. Ridisse nuovamente, sperando di convincerla della sua buona fede, delle sue buone intenzioni. Appoggiò la testa contro il freddo vetro e attese una risposta da parte di Beckett.

“Non è quello che mi ha dato fastidio Rick, non sono le tue paure che mi hanno ferito. Alcune cose che hai detto mi hanno fatto sembrare cosi superficiale, incapace di prendere io stessa decisioni sulla mia vita, non comprendendo cosa sia essenziale e cosa non lo è. Il lavoro è importante per me e lo sai meglio di chiunque altro ma non è più importante di quello che stiamo costruendo eppure tu hai preferito dare ascolto alle tue strambe idee piuttosto che a me”. Dichiarò tutto d'un fiato la donna, trovando difficile parlare cosi al marito dato che fino a poche ore prima credeva che l'uomo conoscesse perfettamente ogni più piccola sfaccettatura del suo carattere.

“Cerca di capirmi Kate...”.La pregò quasi in ginocchio Castle odiando il modo in cui stavano comunicando, combattendo con se stesso per non raggiungerla e parlare faccia a faccia come sentiva necessario fare.

“Io mi sforzo di capirti ma sei tu che però non fai lo stesso con me. Prova solo per qualche minuto a metterti nei miei panni, a vedere con i miei occhi la discussione che abbiamo avuto oggi. Quando lo farai ne riparleremo”. Suggerì Beckett vedendo nel vetro il riflesso della madre che dalla cucina si stava spostando di nuovo in sala dove si trovava lei, dandole l'occasione di porre fine a quella chiamata che la stava rigettando nell'oblio.

“E quando ne riparleremo? Domani?”. Domandò con un filo di speranza Castle volendo sistemare il prima possibile le cose, volendo riaverla a casa con lui.

“Non lo sò”. Affermò la donna massaggiandosi la fronte chiudendo gli occhi. “Domani verrò al distretto e vorrei evitare una scenata come quella di oggi pomeriggio. Magari domani sera, magari dopo domani, non lo sò”. Ipotizzò tornando verso i divani sopra la quale Johanna era già andata ad accomodarsi, sistemandosi sul cuscino accanto a lei.

“Quando vorrai sai dove trovarmi”. Rispose Castle sentendosi improvvisamente stanco, cosi privo di forze che faceva fatica anche a respirare. “Ti amo Kate”.

Beckett accennò un debole ma caloroso sorriso che per un attimo le fece dimenticare il motivo per cui ora si trovava a casa della madre a parlare con lui via telefono. “Ti amo anche io. Ci vediamo domani”. Affermò sentendolo ricambiare il suo saluto prima di interrompere la telefonata.

 

Beckett tenne stretto il telefono a se, portandolo alla bocca e sospirando, permettendosi di sentirsi un po' più leggera per qualche istante.

“Nonostante tutto non vorrei far altro che correre tra le sue braccia”. Confessò alla madre sdraiandosi sul divano per poi voltarsi su di esso, con le gambe sopra lo schienale e la testa reclinata verso il basso cosi da rimanere capovolta. “E non mi sopporto per questo. Voglio dire, dovrei essere arrabbiata con lui per quello che ha detto, eppure, se fosse qui, sarei capace di perdonargli anche di peggio.” Si lamentò Beckett scalciando con i piedi, coprendo quell'urlo che le uscì dalla bocca con entrambe le mani, il tutto sotto lo sguardo materno e compassionevole di Johanna.

“Richard ha sollevato ottimi argomenti peccato che non ha usato i termini e i modi giusti per esprimerli, è sempre stato un suo difetto”. Sottolineò Johanna notando come la figlia si lasciava andare a certi comportamenti che nemmeno da adolescente aveva vai tenuto, come se fosse la prima storia d'amore che avesse mai avuto, essendo pronta a far di tutto per non rovinarla. Ma forse, ragionò meglio, quella con Castle era veramente la prima storia d'amore della sua vita, l'unica vera volta in cui si era innamorata di qualcuno.

“Cosa dovrei fare mamma?..Far finta di niente? Dargli ascolto? Far valere le miei ragioni?”. Domandò Beckett interrompendo i pensieri della madre. La donna sospirò alzando gli occhi al cielo, allungando una mano verso la detective per posargliela sul braccio.

“Io sarei di parte. Appoggio a pieno l'idea di Richard ma solo perchè in quel modo so che non rischi la vita a causa del tuo lavoro”.

“Allora tanto vale trovarmi un impiego che non mi faccia uscire mai di casa almeno cosi sareste tutti tranquilli”. Sbuffò arrabbiata Beckett, stringendo le braccia al petto guardando nella direzione opposta alla madre. Era andata li in cerca del suo aiuto non di qualcuno che le andasse ancora contro sostenendo le idee di Castle.

“Quello che hai fatto fino ad ora, della tua vita e del tuo lavoro, poteva anche andare bene. Diciamo che non avevi nessuno a cui dovevi risponderne ma ora, quando questo bambino effettivamente esisterà, tutto cambierà più velocemente di quanto tu te ne accorga”. Enunciò la signora Beckett afferrando un biscotto e cominciando a mangiarlo lentamente, tenendo una mano sotto di esso cosi che le briciole cadessero sul palmo piuttosto che sul divano.

“Anche tu pensi che io non lo sappia?”. Protestò Beckett facendo cadere di lato le gambe cosi da ritrovarsi seduta, preferendo poi alzarsi e allontanarsi dalla madre.

“No Katie, tu non lo sai, e non lo sa nemmeno Richard. Ora potete solo immaginare come potrà essere. Ma tra voi due e me io sono l'unica che sa veramente cosa vuol dire costruire una famiglia e i sacrifici che bisogna compiere prima, nel mentre e dopo”. Affermò decisa Johanna puntando contro l'altra donna il pezzo di biscotto che le era rimasto tra le mani, andando a trangugiarlo velocemente cosi da tenere a freno la lingua.

“Quindi anche secondo te dovrei lasciare il mio lavoro?”. Quella di Beckett suonò più come una constatazione che una domanda ma quello che era certo è che mentre pronunciava quelle parole non ebbe il coraggio di guardare in volto sua madre, non voleva che vedesse la delusione nei suoi occhi quando le avrebbe risposto di si, non voleva che la vedesse piangere perchè una parte di lei si sentiva tradita dalle persone che invece avrebbero dovuto sostenerla anche se in cuor suo sapeva che lo facevano per ottimi motivi.

“Non lasciarlo”. Scrollò il capo la donna seppur Beckett non potesse vederla. “Ma forse modificare le tue mansioni. Per esempio occuparti più dell'aspetto logistico o perchè no chiedere di essere valutata nuovamente per diventar capitano”. Suggerì Johanna cercando altre alternative allettanti che incuriosissero la figlia tanto da farle pensarci sopra.

“Non posso avere entrambe le cose?..un lavoro e una famiglia”. Riflettè Beckett muovendo alcuni passi verso un ripiano posto contro una parete sopra il quale vi erano poste alcune sue foto da bambina, alcune insieme ai genitori, altre da sola mentre pattinava oppure scartava i regali di natale, lo stesso genere di foto con cui voleva riempire la propria casa.

“Certo, basta volerlo, ma immancabilmente uno dei due verrà sacrificato a beneficio dell'altro, spetta solo a te decidere quale”. Disse Johanna occupando le gambe il posto dove prima vi era sdraiata la figlia, piegando le ginocchia e tenendo una rivista aperta contro le cosce.

“Mi pare ovvio, la mia carriera non conta nulla rispetto alla famiglia”. Ribattè decisa la detective voltandosi verso la madre, non perdendo il modo in cui la donna andò a guardarla. La signora Beckett sollevò a mala pena gli occhi dalla rivista con un aria incredula stampata sul viso.

“Ne sei sicura? Perchè se fosse veramente cosi ora non ne staremo qui a parlare, ne tanto meno oggi avresti discusso con Richard”.

Le parole della madre la colpirono come una secchiellata d'acqua e Beckett si trovò a dubitare delle proprie certezze che si creparono come un muro sotto la pressione intensa di un terremoto. “Sono stanca. Se non ti dispiace me ne andrei a dormire”. Appurò solamente la detective camminando in direzione di Johanna che allargò le braccia cullandola per un paio di secondi.

“Se dovessi aver bisogno..”

“Lo so. Grazie”. La interruppe salendo le scale e dirigendosi in quella che era stata la sua camera fino a dieci anni prima, varcando quella porta e permettendosi di riprovare quella spensieratezza giovanile che quelle quattro mura le infondevano, sorridendo nel vedere quei vecchi poster ancora appesi alle pareti, quei vecchi cd di cui nemmeno ricordava l'esistenza, desiderando per qualche istante di tornare a quell'età dove la maggior preoccupazione era data dal dubbio di uscire o meno con un particolare ragazzo.

 

Si distese sul letto e si rannicchiò contro il cuscino, stringendolo contro di se, sentendo il profumo delle lenzuola pulite, segno che la madre di tanto in tanto sistemava ancora quella camera come se la donna ci vivesse ancora dentro.

Passò poco quando sentì bussare alla porta sbuffando scocciata contro quella solitudine che le pareva venirle negata dalla madre.

“Avanti”. Bofonchiò rimettendosi seduta, asciugandosi gli occhi cosi che Johanna non notasse le sue lacrime e ricominciasse a far domande a cui lei non voleva rispondere. La detective però si dovette ricredere quando, invece della folta chioma castana della madre, vide sbucare una testa quasi del tutto canuta.

“Posso entrare Katie?”. Gli domandò James non osando superare senza permesso la soglia di quella camera che aveva sempre ritenuto come il sancta sanctorum della figlia.

“E cosi tu e Richard state pensando di metter su famiglia”. Affermò l'uomo sedendosi sul bordo del letto della figlia, emettendo un gemito di fatica mentre affondava nel materasso troppo soffice.

Beckett lo guardò stupefatta e colpevole. La volontà sua e di Castle di avere un bambino non era stata ancora resa nota ai parenti. Solo Johanna l'aveva saputo poche ore prima quando la detective le era piombata a casa cosi d'improvviso ed era stata costretta a informarla di quella novità cosi da spiegare il motivo della discussione con il marito. Il padre però non era presente in quei momenti e si ritrovò a chiedersi se per caso la madre non gli avesse detto qualcosa a riguardo, costringendolo magari a dire anche lui la propria opinione.

“Te l'ha detto la mamma?”. Domandò cosi per sicurezza, sedendosi come un indiano posando la schiena contro la spalliera del letto.

“No.” Ridacchiò l'uomo. “A dir la verità devo aver casualmente origliato la vostra conversazione.”. Confessò l'uomo riacquistando subito la propria serietà, sapendo la gravità dell'argomento, non volendo che la figlia prendesse le sue parole alla leggera.

“Pensi anche tu che dovrei lasciare il mio lavoro? Già due delle persone più importanti della mia vita la vedono a questo modo, mi manca solo la terza”. Sogghignò malinconica Beckett passandosi una mano nei capelli, volgendo lo sguardo verso la finestra, verso l'esterno dove ondeggiavano le foglie di un grande albero presente nel loro giardino.

“In questo caso io sarò l'eccezione allora”. Dichiarò l'uomo unendo le mani sopra le proprie ginocchia, osservando davanti a se gli oggetti che gli facevano tornare in mente l'adolescenza tormentata della figlia e le sue preoccupazioni infondate col senno di poi. “Suppongo che ai loro occhi tu sia già una donna di famiglia e che abbiano al contempo dimenticato la donna forte che sei, e la tua testardaggine”. Ipotizzò James andandola a guardare con la coda dell'occhio.

“Ai miei sei ancora quella bambina che mi prometteva che sarei stato l'unico uomo della sua vita e che un giorno mi avrebbe sposato”. Sul volto di Beckett si palesò un sorriso che rassicurò il padre tanto da farlo procedere con il proprio discorso.

“Comunque sia non arrenderti, non cosi facilmente, non è da te. Se è ciò che vuoi fallo capire a tua madre e a Richard, se non con le buone maniere allora con le cattive, se è veramente ciò che desideri dimostralo”. Cercò di incoraggiarla l'uomo con voce tesa, quasi una parte di lui si ribellasse a quelle stesse parole, ma James avrebbe combattuto contro il mondo intero pur di riuscire a sostenere la figlia, pur di farle seguire i suoi sogni.

“E come?”. Aprì le braccia lei in cerca di aiuto dal genitore. “Ho già detto che sarò pronta a non partecipare più attivamente alle indagini quando sarà il momento. Più che promettere di non presentarmi sulle scene del crimine, di non inseguire i criminali, non so che fare”.

“Credo che i loro dubbi scaturiscano dalle mie stesse supposizioni.”. Enunciò James voltandosi verso la figlia, piegando una gamba sopra il materasso. “Sapendo chi sei, come sei fatta, come svolgi il tuo lavoro, pensi di riuscire davvero a mantenere questa promessa? Se si presentasse un caso interessante davvero tu riusciresti a non venirne coinvolta più del necessario?”

Beckett prese il cuscino che era alle sue spalle e se lo strinse al petto, fissando le lenzuola con aria pensierosa. Una vocina nella sua testa le diceva che sarebbe stato cosi, che lei non avrebbe mai rinunciato davvero a ciò che era, neppure per un figlio. La sua sarebbe stata una rinuncia solo temporanea e gli altri avrebbero dovuto accettarlo.

“Quindi la pensi anche tu come loro nonostante poco fa mi hai detto che non era cosi”. Obiettò la donna fissando il padre spazientita.

“Non proprio. Come loro credo che tu non manterrai a pieno la tua promessa ma so anche che saprai valutare a dovere ogni situazione, sapendo quando vale la pena intervenire in prima persona o meno. Mi fido di te Katie”.

“Cosa dovrei fare papa?”. Chiese consiglio la donna sull'orlo della disperazione. Davanti a lei si presentavano diverse scelte e tutte comprendevano un sacrificio fin troppo grande per ciò che si era prospettata. Da una parte non voleva rinunciare all'idea di avere un figlio dall'altra non voleva nemmeno dire addio ad un lavoro che cosi tanto amava.

“Parla il prima possibile con Richard e poi pensate a darmi questo nipotino”

 

La mattina seguente Beckett arrivò a lavoro con più di mezz'ora di ritardo. Da casa dei suoi genitori era uscita anche presto, concedendosi solo una colazione veloce in loro compagnia, ma poi era passata da casa sua, approfittando del fatto che Castle si fosse già diretto al distretto, per farsi una doccia e indossare dei vestiti puliti. Lungo tutto il tragitto in macchina aveva pensato tanto alle discussioni avute prima con il marito, poi con i genitori, aggiungendo le macchinazioni che avevano accompagnato la sua nottata quasi insonne, osservandosi allo specchietto per assicurarsi che il trucco avesse coperto a dovere le borse sotto gli occhi.

Quelle ore notturne però le erano servite per darle conferma di ciò che sapeva già, infondendole il coraggio di parlare nuovamente con Castle certa che lui avrebbe capito, incrociando le dita perchè lui lo facesse. L'unico dubbio che ancora aveva era sul quando parlargli. Il distretto l'aveva escluso a priori non volendo ripetere la scenata del giorno precedente a scapito del lavoro, ma sapeva anche che il marito non sarebbe riuscito ad attendere molto prima di farla parlare e cosi nuovi dubbi si instaurarono nella sua testa facendola giungere alla conclusione che dopo tutto il luogo o il momento in cui parlare non contava, bastava farlo perchè lei non era più disposta ad aspettare.

Cosi salì sull'ascensore piena di attese e di paura, chiudendo gli occhi e respirando, preparandosi ad affrontare quella giornata che ai suoi occhi, era certa, sarebbe parsa interminabile. Quando le porte dell'ascensore si aprirono la prima cosa che fece fu guardare in direzione della propria scrivania per vedere se Castle fosse già li ad aspettarla ma si stupì quando la vide vuota. Perplessa si diresse verso di quella, guardandosi attorno alla ricerca del marito, ma di lui non c'era traccia.

“Pensavamo non venissi oggi”. Constatò Esposito prendendo posto sulla sedia di Castle mentre la donna appoggiava a terra la borsa e si liberava della giacca.

“Ho già perso mezza giornata ieri e poi ho delle responsabilità. A proposito qualche caso nuovo?”. Chiese andando a guardare davanti a se sorpresa di non vedere Ryan seduto alla scrivania.

“Dov'è il tuo collega? Ancora alle prese con le nausee mattutine?”. Scherzò la detective sapendo quanto l'uomo stesse vicino a Jenny ogni volta che la gravidanza le creava dei fastidi, non fidandosi a lasciarla a casa da sola fin quando non si fosse ripresa del tutto.

“Uhm probabilmente rinchiuso in archivio a sbollire la rabbia. Abbiamo discusso anche noi”. La informò cercando di non farsi vedere dispiaciuto più di quanto non lo fosse già, anche se il suo volto offeso diceva tutta un altra storia.

“Avanti perchè tu e la tua dolce metà avete litigato?”. Domandò Beckett andandosi a sedere al proprio posto, accendendo il computer, assicurandosi che non vi fossero delle notifiche per lei.

“A causa tua e di Castle”. Rispose attirando la completa attenzione della donna. “Ieri Castle ci ha detto che avete litigato per via del lavoro e mentre io ho dato ragione a te, Ryan ha dato ragione a Castle e cosi abbiamo cominciato a confrontarci finchè le cose non sono degenerate”.

“Mi dispiace”. Affermò dispiaciuta Beckett, sentendosi in colpa per aver creato degli screzi tra due grandi amici come lo erano i due colleghi ma sorridendo poi con la consapevolezza che tutto si sarebbe sistemato come ogni volta.

“Non è colpa tua se Castle e Ryan sono dei maschilisti che pensano che la donna debba occuparsi solo di svolgere lavori elementari”. Commentò Esposito strabuzzando gli occhi di colpo, girando lentamente la testa verso la collega mentre questa lo guardava ridacchiando.

“Credo che tu abbia bisogno di una pausa Javi. Il doverti occupare del matrimonio, destreggiandoti tra inviti, fiori e decorazioni varie, sta avendo una strana influenza su di te.”. Commentò la donna vedendolo alzarsi dalla sedia stizzito, appoggiandosi poi con entrambe le mani sullo schienale di questo avendo altro da dire.

“Lo faccio solo perchè Lanie non ha buon gusto. Quale pazzo vorrebbe come centrotavola un mazzo di rose blu e girasoli, Hai idea di quanto costino?”. Enunciò gesticolando con le mani per poi tornarsene alla propria scrivania mentre Beckett ancora ridacchiava prendendolo in giro nella propria testa, non avendo il coraggio di infierire ulteriormente.

La detective sospirò dopo pochi minuti trovandosi a leggere l'ennesima denuncia che le capitava tra le mani, chiedendosi perchè non se ne occupassero altri agenti invece di costringere lei ad occuparsi di un campo che non era il suo. In quel momento sentì la necessità di farsi un caffè molto forte e le sue preghiere vennero esaudite all'istante quando vide comparire quasi magicamente una tazza fumante sopra una pila di fogli. Non le servì nemmeno alzare lo sguardo per capire chi gliel' avesse portata, c'era solo una persona all'interno del distretto che poteva compiere quel gesto.

“Grazie”. Gli disse solo andando ad appropriarsi della tazza mentre notava come la figura andava ad accomodarsi sulla sua sedia.

Castle si gettò su questa a peso morto, sentendo le viti cigolare sotto il suo peso. “Sei passata da casa”. Notò vedendo che indossava dei vestiti diversi dall'ultima volta che l'aveva vista.

“Volevo farmi una doccia prima di venire al distretto”. Affermò titubante posando i gomiti sulla scrivania, tenendo sempre tra le dita la tazza da cui trasse calore. Quei silenzi tra loro due la ferivano più di quanto avevano fatto i proiettili in passato eppure non riusciva a farne a meno in quel momento perchè sospettava che le parole le avrebbero causato maggior dolore.

Quando alzò lo sguardo lo vide fissarla intensamente, con una faccia inespressiva, rendendola incapace di leggere cosa realmente stesse provando, cosa stesse pensando. Castle rimaneva li, con le iridi incollate su di lei, immobile, quasi non fiatasse nemmeno rischiando cosi di perdere la concentrazione. Nemmeno Beckett sapeva bene quanto tempo era passato da quando avevano cominciato quel gioco di sguardi, nessuno dei due però sembrava voler cedere, nessuno dei due voleva perdere quel contatto.

"Non ho cambiato idea Castle”. Disse la donna muovendo solo le labbra mentre il resto del suo corpo era paralizzato. Il modo in cui la stava guardando cominciava a sortire i suoi effetti e lei si ritrovò a sudare, a desiderare di stringersi a lui, di baciare quelle labbra.

“Nemmeno io”. Ribattè lui sollevando una mano cosi da scostare un lembo della giacca mentre, alla cieca, usava l'altra per recuperare un foglio tenuto nella tasca interna dell'indumento. “Abbiamo entrambi le nostre valide ragioni ma se continuiamo a scontrarci su questo non avremo nemmeno il tempo per farlo questo bambino e tutto questo sarebbe inutile. Inoltre odio e mi odio quando discuto con te perciò ho pensato ad una soluzione che potrebbe andare bene ad entrambi”. Spiegò aprendo quel foglio, rompendo quel loro guardarsi cosi da andare a rileggerlo, per rivedere ancora una volta ciò che era vergato.

Beckett prese il documento che il marito le stava porgendo andando a fissarlo con un po' di titubanza, sapendo che le idee di Castle molto spesso si rivelavano delle follie che non facevano che peggiorare la situazione, ma in quel momento avrebbe accettato anche l'idea più impossibile pur di chiudere quel discorso e far ritornare tutto com'era prima.

“Sono delle regole che vorrei che rispettassi, per il tuo bene e anche il mio. Sono contrattabili e puoi aggiungerci anche le tue che io mi impegnerò a seguire. È un idea stupida lo so, ma è l'unica soluzione che ho trovato dato che credo che nessuno dei due voglia tornare sui suoi passi a meno che tu..”. La tentò facendole l'occhiolino, piegando il braccio sopra la scrivania cosi da sporgersi verso di lei.

“Darò un occhio a queste regole e ti farò sapere”. Affermò muovendo in aria quel foglio per poi notare come lui d'improvviso era mutato, tornando ad essere l'uomo gioviale che amava.

“Vieni qui”. Gli disse invitandolo con un cenno del capo. Lui si mosse all'istante, muovendo le mani sui braccioli della sedia cosi da tenersi sollevato mentre avvicinava il volto a quello di lei.

“Questa sono io Rick, ti prego non cercare di cambiarmi”. Gli disse mettendogli due dita sulle labbra cosi da costringerlo a fermarsi, sentendolo sorridere sotto di esse, dando un bacio prima di toglierle cosi da poter parlare.

“Se ti cambiassi credo che alla fine mi mancherebbe la vecchia te perciò è meglio non correre alcun rischio”. Enunciò andandosi a prendere quel bacio. “Ma ciò non vuol dire che non smetterò di assillarti con questa storia e appena infrangerai anche una sola di quelle regole non mi farò problemi a chiedere io al capitano di segregarti su questa sedia”. Le disse convinto, puntando con il dito il pezzo d'arredo.

Beckett annuì arrendevole sapendo che aveva già ottenuto tanto da quel mezzo passo indietro dell'uomo e che al momento non poteva pretendere altro per non rischiare di perdere ciò che aveva ottenuto.

“Non so se però Ryan ed Esposito siano contenti della regola numero 5”. Sogghignò la detective mettendosi a leggere ciò che la mente del marito aveva partorito, trovando alcune regole sensate e altre, come quella tirata in causa, a dir poco fuori luogo.

“Qui scrivi che se mi trovo su una scena del crimine con loro devo chiudermi in macchina finchè non arrivi tu. Non ti pare esagerato?”. Domandò la donna senza staccare gli occhi dal foglio, ancora immersa dalla lettura mentre Castle si faceva pensiero valutando quella domanda.

“No, mi pare più sicuro cosi. Esagerato sarebbe far rivestire la tua auto con ulteriori protezioni. Anche se...”. Affermò lisciandosi la camicia, pulendosela da alcune briciole di brioche che erano rimaste incastrate nella trama. “Un mio vecchio amico di Los Angeles mi ha detto che con 15.000 dollari potrebbe renderla più sicura di un carro armato”.

“Non spenderò tutti quei soldi per una cosa cosi stupida”. Si accigliò la donna piegando il foglio e ritirandolo nella propria borsa cosi da non perderlo. Se Castle poteva esser tenuto a bada grazie a quelle regole allora lei le avrebbe rispettate, tutto pur di evitare di stargli ancora lontano un giorno.

“E per dimostrarti che ho tutte le intenzioni di stare al sicuro e non finire nei guai, comincerò da subito a rispettare una delle regole”.

“E quale?”. Domandò curioso Castle vedendola avvicinarsi ancora con la sedia, giungendo con le ginocchia accanto alla sua gamba sinistra.

“Quella in cui non devo lasciare passare un ora senza dirti quello che provo perciò...”. Disse Beckett mordendosi un labbro, posando una mano sulla sua coscia cosi da farsi ancora più vicino “Richard Castle io ti amo, ti amerò sempre, fino alla fine dei miei giorni e oltre”. La coppia per un momento si dimenticò di tutto i loro problemi, li lanciarono dietro le spalle ricordandosi solo il motivo per cui ora si sentivano di nuovo vicini, lasciando che quella piacevole fitta al cuore si facesse di nuovo sentire mentre si fissavano.

“Per sempre”. Sibilò Castle contro le sue labbra prima di tornare a baciarla.


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Bhè per ora la situazione sembra risolta, forse anche troppo facilmente, infatti Castle presto ne combinerà un altra delle sue. Nei prossimi capitoli Castle e Beckett farano un passo avanti molto importante, si confronteranno con il nuovo capitano che nasconde un piccolo segreto e festeggeranno il matrimonio di Esposito e Lanie con delle trovate particolari. Per ora direi che è tutto, grazie per l'attenzione.



 

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Capitolo 5
*** 25 Febbraio: Novità ***



“Ehi avete sentito la novità?”. Disse Ryan dopo aver corso i metri che dividevano i bagni dalla saletta relax dove si erano rintanati i colleghi per riposarsi dopo aver concluso un caso.

“Abbiamo una data per l'arrivo ufficiale del nuovo capitano e non solo”. Il detective si sfregò le mani tutto eccitato per quella notizia mentre gli altri tre sembravano più interessanti alle proprie cose, Castle che si preparava un caffè, Beckett che sorseggiava il proprio e Esposito che leggeva una rivista di automobili.

“Andiamo ragazzi non siete curiosi?”. Continuò l'irlandese allargando le braccia mentre Beckett sciacquava velocemente la tazzina prima di posarla sul lavello.

“é difficile essere interessati a colui che occuperà il posto di Montgomery”. Affermò la donna andandosi ad accomodare accanto al collega sul divanetto, prendendo anche lei una rivista da sfogliare in quei minuti di riposo.

“Montgomery sarà anche andato in pension ma chiunque verrà al suo posto ai nostri occhi sarà sempre un usurpatore." Si unì Castle gemendo, trattenendo il fiato quando si scottò con alcune gocce di caffè bollente, facendo voltare verso di lui la moglie intenta a controllare cosa avesse combinato.

“Ma anche per me Montgomery rimarrà sempre il nostro capitano ma ciò non mi impedisce di preoccuparmi su chi sarà il suo successore, cosi da prepararmi a quello che mi aspetta”. Si giustificò Ryan aprendo invece il frigo per servirsi una bibita fredda.

“Ma se non siete interessati me lo terrò per me”. Disse stappando la lattina e cominciando a bere fingendosi disinteressato nonostante guardasse i colleghi con una certa aspettativa.

“Avanti, dicci tutto”. Affermò Beckett chiudendo la rivista e lanciandola sopra il tavolino, notando come Ryan si mise a correre quel metro che lo divideva dai divanetti per poi accomodarvici sopra, alzando le mani per creare suspense e attirare l'attenzione del colleghi.

“Il nuovo capitano arriverà verso la fine di marzo probabilmente il 28 o il 29, e sarà una donna”. Confessò vedendo i tre alzare le spalle non trovando quelle informazioni allettanti.

“E io che ho smesso di leggere per questo”. Si lamentò Esposito tornando a fissare la rivista che teneva ancora tra le mani.

“Si ma questa donna non è altri che Maria Roalstad, figlia dell'ex capo della polizia di New York. È diventata capitano da poco e questo è il suo primo incarico ufficiale”. Continuò a dire l'irlandese entusiasta di quella novità che apparentemente solo a lui faceva piacere.

“In pratica le serviamo per fare gavetta.”. Protestò Castle sedendosi accanto alla moglie, allungando un braccio sopra le sue spalle cosi da tenerla vicino nonostante fossero sul posto di lavoro.

“Da quanto ho sentito dire invece è molto in gamba come persona. Le darei un po' di fiducia”. Ribattè Beckett ricevendo un sorriso da parte di Ryan. “Si è fatta strada da sola e ha contribuito nella risoluzione di molti casi nel New Jersey. Sono d'accordo con Kevin sul fatto che saprà far bene e che farà di tutto per essere all'altezza di Montgomery”.

“Pff, è una partita già persa”. Protestò Castle ricevendo un occhiataccia da parte della detective.

“Stranamente sono d'accordo con Castle”. Si intromise Esposito senza però staccare gli occhi dalle immagini di vetture ultramoderne. “Io sottoscriverei una petizione per far rimanere Montgomery, almeno fino a quando Beckett non decida di prendere il suo posto”.

“In questo momento ho ben altri progetti in testa riguardo al mio futuro”. Sorrise la donna posando una mano sulla gamba di Castle, facendo leva per rimettersi in piedi. “E Montgomery si merita un po' di riposo dopo tutto quello che ha fatto in questi anni, sopratutto da quando è arrivato Castle. Prima di lui voi due non eravate cosi problematici”. Li canzonò rubando il giornale a Esposito che protestò sollevando le braccia.

“Si torna a lavoro, forza”

“Io come capitano ce l'avrei vista bene”. Sussurrò l'irlandese nell'orecchio di Castle che ridacchiò sommessamente. Guardò la moglie e non potè non provare una lieve malinconia, era lei che voleva dentro l'ufficio del capitano non la Roalstad, in particolare ora che stavano provando a metter su famiglia. Aver entrambe le cose nello stesso periodo gli avrebbe messo finalmente l'anima in pace, la donna a capo del distretto e un figlio in arrivo, sarebbe stato perfetto.

“Ti ho sentito Ryan”. Enunciò Beckett superandoli, prendendo a camminare all'indietro cosi da riuscire sempre a guardarli. “Spero per te sia stato un complimento altrimenti, quando sentirò Jenny,le accennerò anche questo piccolo dettaglio”. Lo prese in giro puntandogli un dito contro mentre Castle lo consolava con una pacca sulla spalla.

 

Castle se ne stava stranamente silenzioso sulla sua sedia, facendo roteare il cellulare tra le dita, il che stupì Beckett abituata a vederlo giocare a qualche videogame durante quei buchi tra un caso ed un altro, usandoli come scusa per non redarre i rapporti che di solito spettavano a lei, come quello che stava concludendo in quel momento.

“Hai paura che questa Roalstad abbia da ridire sui tuoi metodi investigativi?”. Gli chiese mordendo la penna senza però farsi distrarre mentre rileggeva ancora e ancora la deposizione dell'assassino. “Non è che avrebbe tutti i torti, inseguire un sospettato fin dentro un negozio e poi gettarlo in un castello gonfiabile pieno di palline di plastica è stato alquanto traumatizzante per alcuni bambini”. Continuò la donna sentendolo risponderle solo con un mugugno forzato.

“Mi vuoi dire che succede?”. Insistette dimenticandosi del tutto del suo lavoro, fissando il marito con insistenza mentre lui ancora faceva roteare il cellulare guardando dritto davanti a se.

“Mancano solo due giorni”. Affermò sbattendo più volte le ciglia, fermando il movimento delle dita abbassando il braccio mentre nervoso si mordeva lievemente la lingua. “Tra due giorni scadrà il mese che abbiamo concordato”. Si spiegò meglio non avendo ancora però il coraggio di dire chiaramente a cosa quella data avrebbe portato. Non sapeva nemmeno lui il perchè, forse per paura o forse perchè ci sperava troppo.

“Vuoi che ponga fine alle tue pene dandoti già una risposta? Perchè tanto ti assicuro che non cambierà, se non è successo in questo mese non succederà sicuro all'ultimo momento”. Dichiarò Beckett guardandolo, andandosi a sistemare una ciocca di capelli mentre aspettava una sua risposta. L'uomo però non disse nulla, storse solamente la bocca in una buffa smorfia prima di andare a dire.

“No, se proprio vuoi saperlo da ora in poi voglio che sia tutto una sorpresa”. Accennò un leggero sorriso Castle, scivolando sulla sedia e allungando le gambe davanti a se. “Non voglio aspettarmi nulla per poi rischiare di non godermi il momento”.

Beckett annuì capendo il suo pensiero e tornò al proprio lavoro mentre lui tornò ad occuparsi dei giochi sul proprio cellulare. La donna però aveva ancora una domanda che le ronzava la testa, che leggeva su quei rapporti vedendo le parole mischiarsi tra di loro.

“Dimmi solo una cosa”. Affermò chiudendo gli occhi e agitando la mano che teneva stretta la penna. “Se non avessi tirato fuori quelle tue assurde regole, lo vorresti fare ancora?”. Castle corrugò la fronte guardandola perplesso mentre faceva spallucce, quasi come se la sua risposta fosse più che ovvia a quella domanda.

“Più di ogni altra cosa al mondo”. Castle mise in pausa il suo gioco e si bagnò le labbra pensieroso mentre inclinava la testa e socchiudeva la bocca. “Il fatto è che vivo costantemente con la paura di perderti, con la paura che possa accaderti qualcosa, ma non è giusto che rinuncio a ciò che desideriamo per quello, se no non faremmo mai nulla”. Ridacchiò alla fine deglutendo a fatica, tornando a fissare il proprio telefono per non incrociare lo sguardo della moglie che in quel momento lo stava fissando contenta.

“Dici che dovremmo dirlo ai ragazzi?”. Domandò ad un certo punto la detective annuendo in direzione dei due colleghi.

Castle si voltò sul proprio fianco, appoggiando un braccio sopra lo schienale della sedia e dondolò la testa. “Non credo, non per ora almeno”. Affermò non essendosi mai soffermato del tutto su quel pensiero, per quanto i due fossero loro amici non aveva ancora sentito la necessità di dir loro ciò che avevano in mente, tanto meno l'aveva fatto con la famiglia. Voleva aspettare, un po' per precauzione, un po' per scaramanzia, ma comunque non voleva ancora farlo.

“Ryan è alle prese lui stesso con l'arrivo di un bambino. Cinque mesi passano in fretta e lui sta già cominciando ad impazzire.” Enunciò notando come l'irlandese era incantato a fissare l'ennesima ecografia che aveva sistemato sulla scrivania.

“Esposito invece è a un passo dal matrimonio e se dovessimo dirgli che anche noi siamo in procinto di metter su famiglia gli metteremmo più ansia di quanta già non ne abbia”. Continuò mentre il cubano invece si stava occupando del proprio lavoro. Castle poteva vedere sullo schermo del proprio pc un susseguirsi di fotografie, volti di probabili sospettati per i casi ancora irrisolti.

“Senza contare che Lanie sapendolo potrebbe chiedere pure a lui di avere un bambino”. Disse scherzosamente Beckett sorseggiando dalla bottiglietta d'acqua che aveva comprato poco prima, senza notare come Castle si girò verso di lei con fare inquisitorio.

“Lanie sa che vogliamo un figlio?”. Quasi balbettò, come se quanto appena pronunciato fosse un eresia. “Sò che è una bravissima persona ma ha la particolare dote di non saper mantenere i segreti. Perchè gliel'hai detto?”. Domandò imbronciato incrociando le braccia al petto.

“Può essermi scappato”. Ammise la donna strizzando gli occhi e appoggiandosi sul lato opposto della sedia, quello più lontano dal marito. “Stavamo parlando e io casualmente l'ho rivelato”.

“E per fortuna che dovevo essere io quello che spiattellava la cosa al vento”. Bofonchiò Castle visibilmente offeso dalla cosa per un motivo che non aveva ben chiaro nemmeno lui.

“Andiamo perchè te la prendi cosi?”. Domandò la donna sospirando, appoggiando un braccio sopra la scrivania e tamburellando su questa con le dita.

“Perchè volevo che fosse una sorpresa.”. Confessò facendo spallucce. “Capisco dirlo alla nostra famiglia ma per gli amici avevo immaginato tutt'altro. Magari portando qua al distretto dello champagne per festeggiare. Volevo essere io a dirlo a tutti non Lanie”. Spiegò puntandosi prima i pollici contro e poi indicando verso l'ascensore quando tirò in causa il medico legale.

“Ah ecco”. Sibilò Beckett coprendosi con la mano la bocca per nascondere la risata che di certo avrebbe dato fastidio al marito. “A te da fastidio il fatto che potrebbe rubarti la scena. Non è cosi?”

“Naaa.” Protestò Castle agitando una mano in sua direzione voltando la testa nell'altra andando a sbuffare. Quando però sentì lo sguardo insistente della donna addosso tornò a guardarla serrando le labbra. “Forse”. Mugugnò con una smorfia facendo sorridere la moglie.

“TI giurò che Lanie non ti ruberà la scena”. Dichiarò avvicinandosi a lui e prendendogli una mano nella propria. “Non sarà lei a fare l'annuncio e sai perchè..”. Sussurrò avvicinandosi al viso di Castle che d'istinto andò a fissarle le labbra leggermente schiuse negando velocemente con il capo.

“Perchè sarò io a farlo”. Parlò tutto d'un fiato strizzandogli la mano e allontanandosi subito da lui per evitare ritorsioni. Gli fece la linguaccia mentre camminava all'indietro dirigendosi verso la saletta relax mentre lui ancora se ne stava seduto sulla sedia con le braccia spalancate.

“Avete litigato ancora?”. Domandò Ryan facendo la spola tra il collega e la donna che si era rintanata nella saletta lontana dai loro occhi, non sapendo come giudicare quella situazione.

“NO, è solo Beckett che cerca di sfidare la mia autorità”. Disse con noncuranza alzandosi dalla sedia e sistemandosi la giacca mentre si avvicinava alle scrivanie dei due. “Piuttosto quando è che mi dite che dovrò fare rispettivamente il padrino di battesimo e il testimone di nozze?. Mi serve tempo per decidere un abito adatto che metta in risalto il mio fisico statuario”. Disse mostrando i muscoli del braccio destro mentre Ryan si voltò verso Esposito guardandolo con un espressione imbarazzata mentre il cubano osservava Castle con pietà.

“Scusa Castle ma non posso farti fare da padrino”. Asserì dispiaciuto l'irlandese mentre il detective smise di atteggiarsi infossando la testa tra le spalle. “Ne a te ne a Esposito. Un mio cugino viene apposta dall'Irlanda e non ho saputo dirgli di no”. Spiegò il detective mentre Castle annuiva tristemente, facendo finta di asciugarsi una lacrima.

“Vorrà dire che solo Esposito avrà il privilegio di avermi come testimone”. Appurò lanciando occhiatacce a Ryan che dovette mordersi la lingua per non toglierli il buon umore.

“Non in questa vita”. Fu la risposta del cubano che spiazzò il detective che sgranò gli occhi. “Potendo scegliere quel giorno voglio avere al mio fianco una persona che mi calmi, descrivendomi tutti gli aspetti positivi del matrimonio, ovvero un Ryan”. Disse indicando con il pollice il collega che fece un mezzo inchino.

“Avere un Castle accanto quel giorno vorrebbe dire celebrare il matrimonio in prigione perchè di certo alla tua ennesima battuta fuori luogo userò uno degli orrendi vasi che Lanie ha scelto come decorazione della navata per dartelo in testa”. Parlò cosi seriamente il cubano che Castle finì quasi col credere alla sua constatazione, andandosene via offeso, con le mani in tasca e sbattendo i piedi.

“Quando gli dirai che farà il testimone insieme a me?”. Domandò Ryan divertito mentre faceva roteare la propria sedia cosi da essere faccia a faccia con il cubano.

“Non so, voglio farlo soffrire ancora un pò”. Ribattè quello unendo le dita e allungando le braccia davanti a se soddisfatto del lavoro che aveva appena fatto.

 

Quando arrivarono a casa Castle si gettò sul divano, stendendosi su di esso mentre si toglieva le scarpe lanciandole dove gli capitava in giro per la sala. Beckett non disse nulla standolo a guardare, sistemando la propria giacca nello sgabuzzino e andando a recuperare le sue calzature cosi da ritirarle nell'apposita scarpiera.

“Che ti ha detto Esposito?”. Domandò fermandosi davanti a lui, allungando una mano in attesa che lui si togliesse la giacca cosi che lei potesse andarla a ritirare.

“Che non farò il suo testimone”. Rispose Castle porgendole l'indumento e voltandosi su un fianco, con la faccia contro uno dei cuscini. “Dopo tutto quello che c'è stato tra noi non mi ha scelto”. Beckett roteò gli occhi e guardò al cielo, chiedendosi cosa aveva fatto di male per meritarsi un marito simile.

“Ma non ti è passato per la testa il fatto che ti potesse prendere in giro?”. Gli fece notare mentre sistemava la giacca sull'appendino, strofinandola con la mano destra cosi da pulirla, togliendo con cura i propri capelli che erano rimasti incastrati nella trama.

“E perchè l'avrebbe fatto?”. Chiese l'uomo rotolando sul divano velocemente, ritrovandosi con la faccia a terra avendo preso male le misure, imprecando mentre si rialzava tenendosi un ginocchio dolorante.

“Forse per fartela pagare per tutte le volte che sei stato tu a prendere in giro lui”. Dichiarò la donna spalancando le braccia, incredula nel vedere un comportamento simile in un uomo di 35 anni.

“E ne sei certa che farò il testimone?”. Insistette zoppicando per raggiungerla mentre si dirigeva in cucina. La vide trafficare con alcuni armadietti estraendo da essi una pentola e una scatola di spaghetti.

“Allora?”. Domandò ancora vedendola più intenta a preparare la cena che a dargli ascolto.

“Si Castle, ne sono certa”. Ribattè aprendo il frigo e abbassandosi per cercare il vasetto che conteneva il sugo. “Lanie stessa me l'ha detto. Tu e Ryan sarete i testimoni di Javi mentre Jenny ed io saremo quelli di Lanie.”

“Allora mi stava prendendo in giro”. Affermò pensieroso l'uomo massaggiandosi il mento. “Devo escogitare la mia vendetta”. Disse cercando di imitare una di quelle risate malvagie sentite tante nei volte nei film di serie b che lui adorava.

“Pensa ad aprire questo piuttosto”. Asserì Beckett passandogli il contenitore il cui tappo era avvitato troppo stretto per lei. “Occupati un attimo tu della cena io arrivo subito”. Gli disse prima di sparire velocemente verso il piano di sopra, seguita dagli occhi di Castle che non l'abbandonarono finchè non svoltò per il corridoio.

“Uhm quale vendetta posso architettare”. Parlò tra se e se il detective facendo scattare il tappo del sugo primo di versarlo dentro un pentolino.

 

Intanto Beckett si era recata in bagno, disfandosi dei vestiti sporchi e cambiandosi con una tuta assai più comoda che dei jeans e una camicia. Prese la spazzola e andò a districarsi i lunghi capelli, tirandoli con cura mentre si fissava allo specchio, rapita da diversi pensieri che non sapeva mettere in ordine.

Rimessa la spazzola a posto sopra il lavandino aprì l'antina del mobiletto alla ricerca di un elastico con cui assicurare la lunga chioma ma ciò che le capitò tra le mani fu tutt'altro. Avvicinò a se quella piccola scatoletta lentamente, come se al suo interno fosse contenuta un qualche tipo di bomba.

La fissò con attenzione per parecchio tempo, nemmeno lei sapeva con esattezza quanto. Era semplicemente rapita da quell'oggetto dalla quale dipendevano le sorti del suo futuro. Abbassò le iridi e accanto ai suoi piedi vide il cestino verde e si ritrovò a chiedersi se era davvero pronta a gettarla quella scatola. D'improvviso venne avvolta dal calore che emanava il corpo di Castle mentre lui l'abbracciava stretta a se.

“é pronta la cena”. Le disse sussurrandole all'orecchio prima di notare anch'egli cosa l'avesse trattenuta tutto quel tempo, quella scatola contenente i contraccettivi della moglie che lui osservava come un oggetto misterioso.

“é tutto a posto?”. Le domandò posando il mento sulla sua spalla, stringendola ancora più forte dimenticandosi dei brontolii del proprio stomaco.

Beckett guardò ancora la scatola e poi alzò gli occhi cosi da fissare la loro immagine riflessa nello specchio, notando come lui studiava quel contenitore con attenzione.

“Lo stiamo veramente per fare?”. Domandò cercando i suoi occhi attraverso lo specchio. Castle andò a ricambiare quello sguardo con un dolce sorriso che le scaldò il cuore.

“Dimmelo tu”. Affermò dandole un fugace bacio sul collo. “Lo stiamo per fare?”. Girò la domanda rimanendo appoggiato alla sua spalla in attesa di una risposta. Alla donna bastarono solo un paio di secondi, giusto il tempo per ricordarsi quanto lo voleva. Alzò il braccio e fece cadere la scatola dentro il cestino voltandosi poi verso il marito e mettergli le braccia intorno al collo.

“Lo prendo come un si”. Sorrise lui mettendo in mostra tutta la dentatura bianca, sollevandola da terra e facendola sedere su uno dei ripiani in marmo del lavandino.

“Sarai al mio fianco Rick?”. Domandò lei abbassando il capo mentre parlava, rialzandolo notando il suo silenzio, attendendo che lui parlasse, bagnandosi le labbra e giocando con alcune ciocche dei suoi capelli che ribelli gli cadevano davanti agli occhi.

“Ogni secondo di ogni singolo giorno”. Fu la sua risposta, seguita da un bacio tenero che fece sentire la donna completa.


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Nel prossimo capitolo arriverà il nuovo capitano, Maria Roalstad, che farà una proposta "indecente" a Beckett.


 

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Capitolo 6
*** 26 Marzo: Il nuovo capitano ***



“Dormiamo pure in ufficio ora?”. Domandò Beckett sedendosi sui propri talloni, abbassandosi alla sua altezza mentre l'uomo se ne stava sdraiato sul divano, con un braccio sopra gli occhi per coprirli dalla luce per lui accecante che proveniva dall'esterno della saletta relax.

“Dove sono Ryan ed Esposito?”. Domandò il detective strizzando gli occhi, cercando i colleghi sui divanetti che fino a poco prima avevano occupato, anche loro vittima dei postumi di una serata passata a divertirsi.

“Sono andati in bagno a darsi una rinfrescata. Dovresti farlo anche tu”. Gli suggerì porgendogli una tazza di caffè, vedendolo rifiutarla disgustato, infastidito dal solo odore pungente di quello. Castle si mise seduto sentendo la propria testa girargli, portando una mano sulla tempia come se quel gesto potesse bloccare quei giramenti.

“Te l'avevo detto di non esagerare.”. Disse la donna approfittando del posto creato dal marito per accomodarsi sul divano, concedendosi lei quel caffè ormai già preparato.

“Era un venerdi sera, un uscita con i ragazzi, ovvio che avrei esagerato. Quello che non mi aspettavo era il fatto che il nuovo capitano ci obbligasse a presentarci al distretto di sabato solo perchè non poteva aspettare fino a lunedi per le presentazioni”. Dichiarò reprimendo quella sensazione di malessere che gli partì dallo stomaco, pentendosi di aver esagerato con i cocktail.

“Non era per quello che ti avevo raccomandato di non bere troppo”. Ribattè la donna vedendolo in difficoltà. Si alzò cosi dal divanetto e si diresse verso il piccolo frigo cosi da prendere una bottiglietta d'acqua sperando che quella gli fosse più utile.

“Lo sò”. Disse amareggiato lui accettando di buon grado la bottiglietta. L'aprì a ne bevve più che potè, finchè non si sentì di nuovo lo stomaco pieno e poi la richiuse rimanendo a fissare l'etichetta che con le dita andava a rompere. “Forse è proprio per questo che ieri ho bevuto più del necessario”. Ammise accasciandosi contro lo schienale del divano, spalancando le gambe facendo ricadere le braccia lungo i fianchi, sfinito.

“Andiamo Castle solo perchè non abbiamo avuto successo al primo tentativo? É una cosa normalissima anzi mi sarei stupita se fosse stato diversamente”. Cercò di consolarlo Beckett sistemandosi sul bracciolo accanto al marito, passandogli una mano nei capelli e abbassandosi per posare un bacio su di quelli.

“Si, ma non so”. Balbettò corrucciato Castle sollevando le spalle. “Speravo che noi fossimo l'eccezione”. Ammise con una leggera smorfia mentre staccava del tutto l'etichetta della bottiglietta, accartocciandola nel palmo della mano cosi da farne una piccola pallina che passò poi tra dito e dito.

“Dopo tutto quello che mi è successo, quello a cui sono sopravvissuto, mi credevo un super uomo, incapace di fallire”. Chiuse gli occhi il detective rilassandosi sotto le sue attenzioni, lasciando che i postumi della serata precedente e la sua malinconia drenassero dal proprio corpo.

“Qui non si parla di fallimenti”. Lo riprese lei stringendo le dita attorno alla sua nuca costringendolo a sollevarla cosi da andare a guardarla. “E cerca di non vederla in questo modo, semplicemente non era ancora il momento, intesi?”. Affermò fissandolo intensamente finchè non lo vide annuire. “Ora va a darti una sistemata che la Roalstad potrebbe arrivare da un momento all'altro”. Continuò afferrandogli un orecchio per farlo alzare insieme a lei dal divano, dovendo usare le maniere forti sapendo che non vi era altra alternativa per farlo muovere da li.

 

“Immagino che Jenny non sia stata troppo contenta quando sei tornato a casa ieri”. Sottolineò la donna vedendo Ryan intento a mandare un ulteriore messaggio di scuse alla moglie.

“Per nulla. Da quando è incinta teme qualunque cosa.”. Spiegò l'irlandese agitando il cellulare nervosamente quando, muovendo le dita furiosamente, sbagliò a schiacciare le varie lettere sul tastierino. “Ieri si è messa a piangere perchè aveva paura che scivolassi per salire le scale, cadendo e rischiando di picchiare la testa, e cosi mi ha costretto a dormire sul divano”. Blaterò gettando l'apparecchio sulla propria scrivania sfregandosi il viso con entrambe le mani, facendolo diventare rosso a causa dei buffetti che si dava per riprendersi.

“Andiamo, cerca di capirla. Tu fino a qualche giorno fa eri anche peggio”. Affermò Beckett osservando da lontano la propria scrivania, volendo che risultasse immacolata alla vista del nuovo capitano. “Una settimana fa l'hai rimproverata perchè la sua borsetta era troppo pesante e poteva fargli venire mal di schiena, costringendola a letto per giorni e giorni”. Gli ricordò lei senza però guardanlo, modificando la disposizione di alcuni soprammobili ritenendo in quel modo il ripiano più ordinato e consono a un detective.

“Non ridere tanto”. Enunciò Ryan voltandosi verso Esposito che stava assistendo alla scena divertito, sempre pronto ad unirsi agli scherzi o alle prese in giro fatte ai colleghi. “Tra meno di un mese ti sposerai e poi ne riparleremo.”

“Sciocchezze”. Bofonchiò il cubano alzandosi dalla propria sedia cosi da muoversi per non render troppo visibile l'agitazione che quella semplice affermazione aveva scatenato in lui. Poco più di tre settimane e sarebbe convolato a nozze, ancora faticava a credere che si fosse cacciato da solo in una situazione simile. “Lanie ed io non saremo mai come te e latte e miele”. Disse trionfante ma gli bastò lo sguardo che si scambiarono i due colleghi per cambiare subito umore.

“Che c'è?”. Chiese spiegazioni vedendo Beckett serrare le labbra e farsi seria come quando valutava una pista.

“Ti sposerai con Lanie, è ovvio che non sarà cosi, ma sarà peggio molto peggio. Jenny può anche chiudere un occhio ma Lanie no, se le legherà tutte al dito e tu sarai spacciato”. Dichiarò la donna trattenendo quella risata che le faceva tremare le labbra vedendo il collega sbiancare di colpo, tossendo nervoso.

“Voi si che sapete cosa dire per far diminuire i miei dubbi”. Affermò retorico Esposito allontanandosi in direzione della saletta relax.

“Che gli succede?”. Domandò Castle dopo essere tornando dai bagni, vedendo come l'amico si era allontanato dal gruppo di gran fretta.

“Nulla di particolare”. Disse Beckett muovendo le dita della mano destra cosi da invitarlo ad avvicinarsi a lei. “Se vuoi far colpo sul nuovo capitano almeno cerca di annodarti a dovere la cravatta”. Lo ammonì disfacendogli il nodo per ricominciare tutto da capo, facendogli alzare il collo cosi da avere più libertà dei movimenti.

“Ma ti sei messo la colonia?”. Domandò Beckett poco dopo avvicinandosi al suo collo e inspirando quell'odore pungente che le faceva piangere gli occhi.

“Voglio che la Roalstad si faccia fin da subito una buona idea di me cosi magari, dopo tutti questi anni, avrò una scrivania tutta mia visto che Montgomery mi ha sempre detto che non c'era lo spazio per me”. Spiegò muovendosi verso la sedia della moglie, sedendovici sopra e prendendo la sua borsa, rovistando nel caos che vi era dentro per cercare lo specchietto.

“Perchè non ti piace condividerla con me?”. Domandò stringendo i denti mentre andava a strappargli la borsa dalle mani guardandolo spazientita sibilando debolmente. “Non toccare le mie cose”.

Castle si diede un ultima occhiata nel vetrino e poi lo appoggiò con cautela sulla scrivania cosi che la donna potesse recuperarlo, ritraendo subito la mano per paura che lei gliela stritolasse. “MI piacerebbe condividerla se tu mi lasciassi metterci sopra i miei modellini di batman e spiderman”. Ribattè assumendo un aria spavalda mentre metteva in mostra il suo profilo e si teneva la giacca con entrambe le mani, in una posa più adatta a un condottiero che a un detective.

“Si Castle, di al nuovo capitano che è per questo che vuoi una scrivania e sta sicuro che te la darà all'istante.”. Lo canzonò la donna chiudendo la cerniera della borsa e rimettendola al proprio posto, puntando un dito contro il marito per avvisarlo di non toccarla più.

“Bhè lavoro qui da quasi otto anni ormai, sarebbe un bel riconoscimento per il mio impegno”. Asserì l'uomo prendendo dalla scrivania la cornice al cui interno vi era una delle loro tante foto, immagini che Beckett cambiava mensilmente perchè voleva che quelle mostrassero a tutti il presente, per far vedere a chiunque quanto ancora erano felici, nonostante tutto quel tempo assieme.

“E accanto ai miei modellini vedrei un paio di cornici con un paio di tue foto diciamo “particolari””. Disse facendo il segno delle virgolette con le dita, sfuggendo dalla moglie spingendosi con i piedi, sfruttando le rotelle della sedia per spostarsi all'indietro, fino al piccolo corridoio che c'era tra la scrivania e la parete dell'ufficio del capitano.

“Magari quelle del mese scorso. Dovrebbe esserci un San Valentino ogni mese.”. Suggerì spingendosi ancora cosi da raggiungere la scrivania dei colleghi mentre Beckett rimaneva accanto alla propria, guardandolo torvo con le mani posate sui fianchi.

“Si spenderebbe un sacco per i regali ma ne varrebbe la pena. Per esempio Beckett si era presa questo nuovo vestitino apposta per l'occasione”. Cominciò a raccontare posando la cornice sulla scrivania di Ryan mentre questi andava a guardare rosso dall'imbarazzo la collega in cerca di aiuto.

“Castle ti consiglio di fermarti”. Gli suggerì lei avanzando con una gamba, cominciando a battere il piede impazientemente a terra mentre spostava le braccia ad incrociarsi al petto soffiando via una ciocca di capelli dalla faccia.

“Si si, anche io ti amo”. Le rispose il detective distrattamente ormai troppo preso dal raccontare ai colleghi. “Era un vestito nero senza spalline, legato al collo e con del pizzo ovunque, che più si scendeva più si apriva mostrando tutta la pancia e all'altezza del seno c'era un fiocco come quello dei pacchi regalo e io ovviamente mi sono divertito un mondo a scartarlo”. Raccontò agitandosi sulla sedia con un ampio sorriso che gli andava da orecchio a orecchio.

“è stato bello conoscerti Castle”. Disse enigmatico Esposito inclinando il capo oltre il detective e allungando il dito cosi che lui lo seguisse.

Castle si voltò perplesso fino a che i suoi occhi non cozzarono con il maglioncino bianco indossato dalla moglie. Lentamente fece salire le iridi verso l'alto fino a entrare in contatto con quelle di Beckett, accorgendosi solo in quel momento delle occhiatacce che gli lanciava.

“Mi sa che non dovevo”. Appurò solamente vedendo la donna negare lentamente con il capo prima di afferrarlo per un orecchio e trascinarlo di nuovo alla propria scrivania.

Pochi istanti dopo il cellulare di Ryan squillò e lui accettò subito la chiamata pensando fosse Jenny ma la voce che sentì dall'altro capo fu quella di un uomo che lo avvisò di un arrivo imminente.

“Era Sampson, stamattina l'ho messo di guardia per avvisarmi su quando il nuovo capitano si faceva vivo e a quanto pare sta parcheggiando adesso la macchina. Un paio di minuti e sarà qui”. Li informò l'irlandese voltandosi poi verso lo schermo del proprio computer alla ricerca di qualcosa da fare, volendosi mostrare indaffarato, dedito al proprio lavoro, all'arrivo della Roalstad.

Beckett posò entrambe le mani sui braccioli della sedia occupata dal marito, avvicinandosi a lui fissandolo intensamente.

“Vuoi farmi qualche raccomandazione?”. Domandò lui schiacciandosi contro lo schienale della sedia.

“No Castle, hai 35 anni e spero che tu abbia imparato come comportarti, anche se ho i miei dubbi. Ti dico solo che, se combinerai qualche guaio, questa è la faccia che mi vedrai stampata sul viso per il resto dei tuoi giorni”. Attestò la donna indicandosi con un gesto repentino mentre tirava fuori dal proprio repertorio l'espressione più dura, più perentoria, più inflessibile che riuscì a mostrare.

“Me ne starò buono buono”. Disse annuendo con il capo sentendo una goccia di sudore freddo scendergli lungo la schiena.

“Lo spero”. Ribattè la donna dandogli un bacio prima di rimettersi in piedi.

Le porte dell'ascensore si aprirono e tutti e quattro si fermarono, voltando i loro sguardi in direzione di quello, impazienti e curiosi di vedere il loro nuovo capitano.

“Beckett non sapevo avessi una sorella”. Le sussurrò Ryan notando una vaga somiglianza tra la collega e la donna che ora si stava dirigendo spedita verso di loro. Maria Roalstad era una donna alta, dalla figura slanciata e dai capelli lunghi e corvini. Ai detective sembrò tutto fuorchè un capitano. Erano abituati a vedere Montgomery sempre compassato, mostrando con il suo aspetto la propria autorità, la donna invece era tutt'altro. Indossava dei pantaloni neri, una semplice maglietta aderente bordeaux e una giacca scura. Quello che più colpì i membri del distretto fu il fatto che legata alla cintura teneva sia il distintivo che la pistola che le manette, cosa mai vista in Montgomery.

“Ma non doveva essere una donna di cinquant'anni in sovrappeso?”. Domandò Castle all'irlandese alzandosi dalla sedia cosi da salutarla.

“Non ho mai detto una cosa simile. Da quanto ho letto di anni ne ha 42 e da quanto vedo di certo non è in sovrappeso”. Ribattè l'uomo mantenendo un sorriso tirato sulle labbra.

 

"E cosi questa sarebbe la squadra di detective tanto rinomata ai piani alti”. Affermò la donna scostando i lembi della giacca cosi da infilare i pollici nelle tasche e rimanere li a studiare i suoi nuovi subalterni.

“Sono soddisfatta devo ammetterlo”. Appurò annuendo alle sue stesse parole, allungando il braccio destro verso i quattro cosi da passare alle presentazioni. “é un vero piacere conoscervi, spero di guadagnarmi lo stesso rispetto che portavate al precedente capitano”. Parlò stringendo le loro mani una dopo l'altra, con una stretta forte e decisa.

“Ho sentito dire che è lei il punto di riferimento della squadra”. Parlò rivolgendosi a Beckett facendo un passo verso la donna mentre i tre uomini ne fecero uno indietro, lasciando le due da sole a parlare.

“Non capita spesso di vedere una donna comandare una squadra di uomini, in un lavoro da uomini. Non deve essere stato facile guadagnare il loro rispetto”. Constatò lanciando un occhiata ai tre detective, vedendo come Ryan arrossiva mentre Esposito la osservavano con circospezione. Castle dal canto suo non diceva e non faceva niente, rimaneva a fissarla quasi compiaciuto della sua presenza.

“Comunque sia non ho molte regole che vorrei che voi rispettaste. Risolvete i casi come meglio credete, ma risolveteli”.Ordinò perentoria, sempre tenendo una mano in tasca mentre con l'altra enfatizzava le sue parole. “Solo non mentitemi, mai e poi mai”. Continuò piegandosi un po' con la schiena verso di loro, facendo scorrere il dito su ognuno di loro per rendere chiara la sua posizione.

“Detective Beckett, Detective Castle una parola”. Li richiamò non perdendo la sua serietà, precedendoli verso quello che sarebbe stato il suo nuovo ufficio, tenendo loro aperta la porta cosi che potessero varcarla lasciando lei passare per ultima.

Beckett guardò il marito chiedendogli con gli occhi cosa stesse accadendo ma l'unica risposta che ottenne fu il silenzio e un alzata di spalle.

“Ho avuto un interessante chiacchierata con Montgomery qualche giorno fa, giusto per informarmi su come vanno le cose qui al distretto e non ha mancato di dirmi che come gruppo voi siete molto unito e non solo in senso figurato. Il detective Esposito è prossimo alle nozze con il medico legale Parish mentre voi due siete già sposati, è corretto?”. Parlò studiando la coppia che se ne stava in piedi una accanto all'altra davanti all'ormai propria scrivania, rigidi e preoccupati sul possibile finale di quel discorso. La Roalstad li superò e si mise accanto alla propria sedia, liberandosi della pistola e del distintivo appoggiandoli sul ripiano in legno.

“Allora, non siete sposati?”. Richiese abbozzando un sorriso mentre andava ad accomodarsi, accavallando le gambe e lasciando le mani unite sopra il proprio ventre, dondolandosi a destra e a sinistra.

“Si lo siamo”. Rispose frettolosamente Castle. “Ma le posso assicurare che questo fatto non ha mai creato alcun problema, ne per il lavoro ne all'interno del nostro gruppo”.

La Roalstad continua a dondolarsi, serrando le labbra guardando di sfuggita fuori dal proprio ufficio gli altri due detective che sbirciavano ciò che stava accadendo dalle loro scrivanie.

“Montgomery mi ha detto anche questo anzi ha sottolineato che lavorate meglio quando state assieme. Il fatto è che vorrei prenderla sotto la mia ala detective Beckett e insegnarle quei trucchi che ancora non conosce”. Dichiarò la donna facendo aumentare le domande che ronzavano nella testa della detective che ancora non era riuscita a inquadrare il nuovo capitano.

“La mia permanenza qui sarà breve, giusto il tempo che accettino la mia domanda a Washington, e mi sono preposta lo scopo di aiutarla a diventare la mia sostituta. Se non ricordo male aveva anche fatto domanda per diventare capitano”. Continuò a definire le sue intenzioni avvicinandosi alla scrivania e appoggiando i gomiti su di essa, tenendo un occhio di riguardo su Castle per accertarsi che non volesse intervenire in alcun modo.

“Si è cosi, ma è stato tempo fa e ora ho altri progetti”. Spiegò Beckett sollevandosi sulle punte compiendo un piccolo saltello in avanti, tenendo le mani dietro la schiena e incrociando le dita nella speranza che la donna non le chiedesse troppo riguardo la sua vita.

“I nostri progetti cambiano di giorno in giorno e sono certa che le da fastidio vedere il suo distretto in altre mani perciò perchè voltare le spalle a questa opportunità? Mal che vada quando andrò via rifiuterà l'offerta che le farà il capo della polizia”. Constatò la Roalstad aprendo le mani andando ad unirle subito dopo producendo un suono simile a un applauso contenuto.

“Scusi ma io che c'entro in questa storia?”. Alzò la mano Castle dopo aver assistito buono buono alla loro conversazione, domandandosi curioso il motivo per cui anche lui era presente all'interno dell'ufficio dato che il nuovo capitano a mala pena gli aveva rivolto la parola.

“Nel corso degli anni ho visto mariti e fidanzati accettare di buon grado le promozioni delle proprie compagne”. Cominciò a narrare puntando le sue iridi marroni contro Castle “all'inizio”. Aggiunse subito dopo posando entrambe le mani sul ripiano e sollevandosi di qualche centimetro dalla sedia, piegandosi verso il detective. “Bastava poco però per fargli cambiare idea e alla fine la maggior parte dei rapporti si interrompeva, a volte in modo anche burrascoso. Voglio solo accertarmi che lei non sia d'intralcio nella carriera di sua moglie. Sono stata testimone di molti rapporti giunti al termine e avendo appreso la vostra unione non vorrei essere causa di un ulteriore rottura”.

“Non si preoccupi non accadrà”. Disse Castle mettendo anch'egli le mani sulla scrivania, assumendo la stessa posa della donna. “Sarei disposto anche a rinunciare al mio lavoro per la felicità di Beckett”

“Ne sono certa.” Disse sorridendogli con complicità. “Comunque sia, anche se non in via ufficiale, lei si può definire come mio vice e per questo lei sarà i miei occhi quando io non ci sarò e voglio che mi riferisca tutto ciò che accade dentro al distretto”. Proseguì questa volta rivolgendosi a Beckett che non potè far altro che annuire.

“Ora potete anche tornare al vostro lavoro io intanto cercherò di abituarmi a questo ufficio”. Castle l'andò a guardarla un ultima volta annuendo con la testa quasi impercettibilmente mentre la Roalstad gli faceva l'occhiolino.

I due si diressero alla porta e quando la varcarono Beckett andò ad afferrare il braccio del marito, tenendolo vicino a lei mentre si incamminavano verso la sua scrivania. “Mi ha chiesto di fare la parte della spia?”

“Vuole solo metterti alla prova per essere certa che hai le qualità per diventare capitano, se fossi in te non mi preoccuperei”. Dichiarò il detective raggiungendo gli altri due colleghi cosi da ragguagliarli su quanto successo all'interno di quell'ufficio mentre Beckett si mise a fissare la Roalstad, ripesando alla strana conversazione avuta, dando ascolto al suo istinto che le diceva che la donna non le stesse dicendo tutta la verità sulla sua presenza al distretto.

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Ebbene, a Beckett è stata offerta una seconda opportunità per diventare capitano mentre la Roalstad, secondo la nostra detective, nasconde qualcosa. Sarà veramente cosi?  Lo si scoprirà nel prossimo capitolo. 


 

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Capitolo 7
*** 30 Aprile: Le verità nascoste ***



Beckett si trovava nell'ufficio della Roalstad, seduta su di una sedia, mentre il capitano se ne stava appoggiata alla scrivania, rimanendo accanto a lei, entrambe rivolte verso lo schermo del televisore che la donna si era fatta consegnare per l'occasione. Non era la prima volta che la detective veniva chiamata improvvisamente nell'ufficio del capitano. Succedeva almeno un paio di volte alla settimane e in quell'ora di colloquio la Roalstad insegnava i trucchi del mestiere a Beckett, facendo fede al proprio desiderio di essere sua mentore, affinando le sue abilità investigative e intuitive, chiedendole di risolvere i casi che lei stessa le sottoponeva, o di valutare una scena del crimine visionando delle semplici foto, o ancora a capire se un sospettato stesse mentendo o meno visionando la registrazione dell'interrogatorio. E quella mattina non era diversa dalle altre.

“é il video di sorveglianza di una stazione secondaria di Chicago. Tra la folla si nasconde il nostro uomo. Aveva dato annuncio una settimana prima delle sue intenzioni e nonostante ci fossero alcuni poliziotti in borghese nessuno l'ha individuato per tempo e la bomba che aveva con se è esplosa. Voglio che sia tu a trovarlo”. Disse riavvolgendo il nastro che in precedenza aveva fatto vedere a Beckett senza però dirle lo scopo. “Osserva bene ogni persona e poi dimmi chi secondo te è il nostro uomo prima che la bomba esploda.”. Enunciò alzando il telecomando in direzione della tele, pronta a far partire il video ma chiedendo prima alla detective se fosse pronta. All'annuire della donna il video partì e Beckett si concentrò per fare quanto le era stato richiesto, facendo scorrere le iridi su più persone possibili, soffermandosi qualche istante in più su quelle che avevano con se borse o zaini, su quelle che dall'abbigliamento le sembravano più sospette.

“é lui”. Disse ad un tratto decisa, indicando un punto dello schermo con l'indice mentre si sollevava di poco dalla sedia. La Roalstad fermò il filmato e la invitò a segnare per bene chi secondo lei era il loro uomo. Beckett si alzò dalla sedia e si mise al lato dello schermo posando due dita della mano sinistra a fianco della figura che lei presumeva essere l'attentatore.

“Perchè dici che è lui?”. Domandò il capitano grattandosi il mento con il telecomando, non lasciando trasparire alcuna emozione dal proprio volto se non una leggera perplessità.

“Porta con se uno zaino, si muove continuando a guardarsi attorno, e il cappello e gli occhiali da sole indossati lo rendono il candidato ideale. Se fossi stato uno dei poliziotti presenti avrei fermato lui”.

“E avresti sbagliato”. Disse la Roalstad scendendo dalla scrivania, riavvolgendo lentamente il filmato fino a che non trovò il punto esatto che le serviva per spiegare a Beckett cosa fosse veramente successo.

“Anche gli agenti che hanno indagato hanno sospettato di lui. Alla fine si è scoperto che stava scappando insieme alla sua ragazza. Lui è il nostro uomo, o meglio la nostra donna”. Continuò questa volta indicando lei lo schermo, puntando le dita sopra di una donna di circa quarant'anni, ben vestita, intenta a leggere un giornale, con un trolley da viaggio accanto a se.

“All'accademia ci si basa su determinati stereotipi, ti dicono che i probabili assassini, rapitori, attentatori, sono sempre quelli dall'aspetto più misterioso e in molti casi hanno ragione, ma in altri i colpevoli sono gente comune come noi, e speravo che questo lei l'avesse già capito”.

“Forse ha risposto troppe aspettative in me”. Commentò Beckett senza staccare gli occhi da quella donna cosi normale, una donna che le ricordava la propria madre e che mai avrebbe accusato di un atto simile.

“Forse, ma mi aspetto ancora che tu mi stupisca in qualche modo”. Ribattè il capitano spegnendo la televisione e appoggiando il telecomando sopra di essa prima di andarsi ad accomodare sulla propria sedia. Si sistemò i capelli passando entrambe le mani sotto di essi, facendoli ricadere sulle spalle, e poi girò di lato la sedia, in modo da poter allungare le gambe, rimanendo girata cosi che Beckett potesse vedere solo il suo profilo.

“Castle come sta affrontando questa situazione?”.Domandò ad un tratto il capitano, inclinando il capo all'indietro cosi da osservare l'immagina capovolta di Castle che se ne stava in piedi davanti alla scrivania di Ryan, condividendo con lui informazioni riguardanti il caso sulla quale stavano lavorando, tenendo aperto davanti a se un fascicolo.

“Appoggia le mie scelte se è questo che vuole sapere”. Rispose Beckett serrando le labbra, chiedendosi per l'ennesima volta il perchè di quella domanda, di quelle insinuazioni che di tanto in tanto la Roalstad faceva sulle vere intenzioni di Castle. L'aveva fatto anche palesemente, rivolgendosi direttamente al detective, informandolo dei suoi dubbi sui veri pensieri dell'uomo ma Castle fortunatamente aveva sempre accettato ogni critica con un sorriso.

“Lei ha un brillante futuro davanti a se detective Beckett, ma non otterrà nulla se continuerà a lavorare fianco a fianco con suo marito, per questo vorrei far richiesta perche lui venga trasferito”. Beckett non riuscì nemmeno a protestare tanto era la sua incredulità, ancora non credeva di aver sentito correttamente, si auto convinceva di aver compreso male il senso di quella frase.

“Castle é un ottimo detective e di certo sarà di grande aiuto a qualche altro distretto ma se rimane al 12th sarà solamente un incomodo”. La Roalstad si mosse velocemente, ruotando la sedia spingendosi con i piedi, ritrovandosi attaccata alla scrivania con un braccio puntato verso Castle che ancora non si era accorto di nulla.

“Quando sarà capitano non potrà avere distrazioni detective. Dovrà ragionare per il bene della squadra non del singolo, non averlo qua le faciliterà il compito”. Beckett l'ascoltò con attenzione, chiudendo gli occhi giusto il tempo di roteare le iridi per qualche secondo verso la postazione del marito, ritornando subito sul proprio capitano per non darle conferma di quello che aveva appena detto.

“Castle non è una distrazione per me, anzi è tutt'altro. Se non fosse stato per lui, se non mi avesse spinta lui, in questo momento non sarei qui”. Dichiarò portando entrambe le mani nei braccioli, conficcando le unghie dentro il legno di quelle per sfogare su di essi il proprio astio e non sulla sua interlocutrice.

“Suppongo che lei sappia già che ero sposata”. Appurò la Roalstad unendo entrambe le mani davanti a se. “ Anche mio marito era un agente e come voi anche noi lavoravamo insieme. Facemmo entrambi gli esami per diventar capitani, lui non li superò, io si e divenni capitano nel nostro distretto. Le cose all'inizio andavano bene ma poi lui commise un errore e, seguendo le regole, dovetti sospenderlo”. Ammise parlando con una semplicità che colpì Beckett. Il suo capitano stava parlando della sua vita privata, del suo matrimonio eppure non mostrava alcuna emozione, come se stesse parlando di ciò che aveva fatto il giorno precedente. “Mi disse che non gli importava, che avevo fatto la cosa giusta, ma mentiva e dopo poco tutto il rancore che serbava per me uscì fuori e mi sputò in faccia tutto quello che non mi aveva detto in quegli otto mesi. Scoprii che durante i miei straordinari lui non passava le serate con gli amici come mi diceva, ma in compagnia di una donna che ora è la sua fidanzata.”Continuò appoggiandosi allo schienale della sedia, facendolo cigolare sotto il suo peso mentre batteva le mani l'una contro l'altra facendo spallucce, dando un chiaro segnale a Beckett sull'importanza che quel fatto aveva per lei in quel momento. “Il mio matrimonio è andato a rotoli perchè io ero capitano e lui no, perchè cercavo di far bene il mio lavoro quando invece il mio ex voleva che io mollassi tutto per stare con lui”.

“Dove vuole arrivare?”. Corrugò la fronte Beckett

“Lei è cosi certa che Castle la sosterrà sempre e comunque ma questo non la giustifica dal darlo per scontato. In questi giorni si è trattenuta fin troppo al distretto o a lavorare oltre l'orario o per finire i compiti in più che le ho dato da svolgere. Non crede che vi meritiate una piccola pausa entrambi?. Non commetta mai l'errore di mettere il lavoro al primo posto, non ha bisogno di una scrivania, ma ha bisogno di suo marito”. Sorrise la Roalstad cambiando del tutto il proprio umore, tornando quella donna gioviale riuscendo comunque a mantenere intatta la sua autorità.

Beckett si alzò dalla sedia e compì un quasi impercettibile inchino con il capo salutando e accettando i consigli del proprio capitano che la fermò una volta che raggiunse la porta.

“Dopo tutto è come il video che le ho fatto vedere. Solo perchè 99 volte si ottiene un risultato non vuol dire che anche al centesimo accada ancora, di conseguenza solo perchè Castle non si è ancora lamentato non vuol dire non lo farà mai”.

 

La detective abbandonò l'ufficio sentendosi un nuovo peso sullo stomaco, mentre teneva ancora stretta tra le dita la maniglia della porta non poteva fare a meno di guardare il marito che ancora non si era accorto del suo arrivo. Lo fissò e si domandò se veramente lo stesse trascurando in quei giorni, se quei suoi straordinari lo stessero davvero infastidendo o meno. Eppure ogni sera, ogni volta che tornava a casa lei era tutta per il marito, per recuperare tutti quei momenti passati al distretto vicini fisicamente ma con le menti lontane, concentrate sui casi che si trovavano ad affrontare. Non lo sentiva lontano, o meglio non l'aveva mai sentito distante fino a qualche secondo prima, fino a quando la Roalstad non si era intromessa, e ora sentiva la necessità di sapere l'opinione di Castle a riguardo.

Lentamente si avvicinò a lui, fermandosi alle sue spalle, appoggiandogli delicatamente una mano sulla schiena, tenendola ferma li anche quando lui voltò il capo per osservarla.

“Tutto a posto Beckett?”. Le domandò Esposito spingendosi con la sedia oltre la scrivania di Ryan cosi da vederla completamente dato che il corpo di Castle gli bloccava la visuale.

“La Roalstad ti ha tartassato?”. Continuò inclinando la testa e appoggiandola contro la spalla mentre spiava nell'ufficio della donna, vedendola stranamente concentrata, persa nei proprie pensieri, mentre faceva girare tra le dita una penna stilografica nera.

“Solita routine, insiste ancora sul fatto che sarò capitano, quasi non avessi scelta”. Ridacchiò muovendo le dita lungo la schiena del marito, salendo velocemente fino alla sua spalla dove vi posò il palmo per tenersi in equilibrio portandosi al suo fianco.

“Piuttosto che avete scoperto su Biral?”. Domandò ai due colleghi, allungando una mano sulla scrivania di Esposito, alla quale si appoggiò cosi da inclinare la testa e vedere le informazioni che scorrevano sul suo pc, mentre la sinistra la teneva dietro di se, stretta in quella di Castle in un gesto semplice ma inconsueto li al distretto tanto che lo stesso detective fissava le loro mani giunte con sorpresa.

“Era nei debiti fino al collo ma aveva stipulato un assicurazione sulla vita da 200.000 dollari qualche mese fa. Direi che dovremo risentire la moglie”. Disse il cubano piegandosi sulla sedia per voltarsi verso il collega a cui tirò un buffetto sulla spalla per attirarne l'attenzione.

“Sei con me o devi finire di leggere un altro capitolo di “Essere mamma oggi"?". Lo prese in giro causando una risata sommessa anche da parte dei coniugi vedendo come l'irlandese nascondeva il libro a cui stava prodigando le sue attenzioni sotto a una cartelletta prontamente aperta sulla scrivania.

“Non dire stupidaggini, io non leggo di certo certe cose”. Si difese alzandosi dalla sedia volgendosi imbarazzato verso Beckett che ancora stava appoggiata alla scrivania adocchiandolo con un espressione avveduta, essendo venuta a conoscenza delle letture impegnate del collega grazie a Jenny.

“Non le leggi?”. Domandò rimettendosi dritta con la schiena mentre Ryan guardava agitato Esposito che fortunatamente si era già allontanato dai qualche passo.

“Non quello”. Ribattè abbassando il capo grattandosi la nuca mentre continuava a bassa voce. “L'ho finito una decina di giorni fa ma non dirlo a Javi ok?”. La supplicò vedendola annuire divertita prima di raggiungere il collega cosi da accompagnarlo in quella missione.

“Caffè?”. Disse la donna rivolgendosi al marito, alzando le loro mani unite per poi farle ricadere di nuovo accanto al fianco di lui.


“Ti da fastidio che io passi cosi tanto tempo al distretto quei due giorni alla settimana?”. Chiese sedendosi su uno dei mobiletti presenti nella saletta relax, guardando il marito che le preparava un caffè, comportandosi come se stessero a casa, nella loro cucina, e non al distretto.

“Bhè devo ammettere che andare a casa senza di te finito il lavoro ha un che di strano”. Affermò prendendo una nuova tazzina per se mentre quella già pronta la passò alla moglie. “Ma si tratta di quel paio di ore in più alla settimana, non è questo grande sacrificio quindi no non mi da fastidio”. Appurò guardandola con la coda dell'occhio mentre teneva la tazzina con entrambe le mani, davanti alla bocca cosi da poterci soffiare dentro per raffreddarne il contenuto. “E inoltre, facendo cosi, ho modo di affinare le mie doti culinarie. Confessa che il risotto mele e speck dell'altro giorno era delizioso”. Dichiarò portando le dita unite alla bocca cosi da lanciare un bacio per sottolineare la squisitezza del pasto da lui preparato.

“Perciò se questa situazione dovrebbe protrarsi per molto tempo non avresti obiezioni?”. Proseguì serrando le labbra cosi da gustare il sapore di caffè rimasto su quelle, vedendo come sul volto di Castle cominciassero a susseguirsi diverse smorfie mentre si sistemava di fronte a lei, allungando un braccio dietro la sua schiena cosi da prendere lo zucchero e un bastoncino di plastica.

“Se non mi farai attendere troppo e se, sopratutto, alla fine tornerai a casa da me, non avrò nulla da ridere”. Constatò prendendo a mescolare il caffè, assaggiandolo per assicurarsi che la dose di zucchero non fosse eccessiva. “Questo significa che stai prendendo seriamente la cosa?”. Domandò portando le iridi su di lei, vedendola fare le sue stesse smorfie prima di parlare.

“Forse”. Disse ciondolando la testa. “Diciamo pure di si, lo sai, per il futuro”. Castle annuì bevendo alcuni sorsi dalla propria tazzina, facendosi pensieroso mentre valutava il peso delle parole della moglie. “Però se dovessi esagerare fammelo notare subito, non tenerti tutto dentro cosi da rischiare di litigare e cominciare ad odiarci”. Attestò nascondendo subito la faccia dietro la propria tazzina, sentendo giungerle alle orecchie la risata divertita di Castle.

“Addirittura odiarci?”. Il detective rovesciò il rimanente caffè nel lavandino lasciando dentro di esso la tazzina cosi da avere le mani libere da appoggiare a fianco delle gambe di Beckett.

“Impossibile che accada, perciò togliti questi pensieri dalla testa”. Affermò dandole un bacio sulla fronte. “Mi sarebbe pesata questa tua prolungata assenza se avessimo fatto lavori diversi, ma invece, essendo qui al distretto tutti e due, quel paio di ore di lontananza non saranno niente di esagerato, ti ho comunque per me tutte le rimanenti”.

“Mi serve il tuo sostegno in questa cosa Rick. Ho una seconda occasione non voglio buttarla via”. Dichiarò Beckett prendendo con la mano libera quella di Castle, intrecciando le loro dita e portandola sulla sua coscia.

“Non hai idea di quali cose, di quali sacrifici sono disposto a fare, perchè tu riesca a realizzare questo tuo desiderio”. Disse serio il detective vedendola sospirare soddisfatta, sentendosi un peso in meno sulle spalle.

“Che ne dici se quando andiamo a casa tu ti metti rilassato sul divano mentre io preparo qualcosa di sfizioso e leggero prima di buttarci nel letto?”. Suggerì Beckett andando a mordicchiargli delicatamente il labbro baciandolo mentre lui stava fermo a godersi quel trattamento.

“A pensarci bene la cena preferirei saltarla”. Rispose l'uomo sussurrando contro le sue labbra mentre faceva scorrere le mani sulle sue gambe, arrivando fino ai glutei e spingendola verso di se.

“Ottima idea”. Disse la detective portando le mani intorno al suo collo baciandola ancora una volta, gustandosi ancora il sapore di caffè sulle sue labbra prima di lasciarlo andare, ricordandosi e ricordandogli dove ancora si trovassero, promettendogli di recuperare una volta giunti al loro appartamento.

 

Castle guardava con impazienza l'orologio, desideroso che le lancette segnassero le 6.30 del pomeriggio cosi da poter chiudere anche l'ultimo fascicolo cosi da abbandonare quel luogo e correre a casa insieme alla moglie.

“Mancano ancora dieci minuti. Abbastanza tempo perchè tu possa portare questo fascicolo giù negli archivi e ritirarlo”. Disse Beckett appoggiando un gomito sulla scrivania mentre gli porgeva l'oggetto che lui prese per poi riconsegnarglielo un istante dopo.

“No, c'è abbastanza tempo perchè tu possa andarlo a sistemare”. Asserì sottolineando per bene il soggetto della frase, notando come la detective sbuffando si riappropriò del fascicolo e si alzò dalla sedia.

“Più tardi te la farò pagare”. Parlò minacciosa la donna mentre Castle alzava le braccia al cielo per poi unire le mani dietro la nuca rispondendole maliziosamente. “Non vedo l'ora”.


“Ryan ed Esposito sono già andati?”. Il detective inclinò il capo all'indietro quando sentì la voce del capitano giungere dalle sue spalle. Senza modificare la sua postura annuì muovendo tutto il corpo, facendo cigolare la sedia sotto il suo peso.

“Loro finiscono sempre un attimo prima, Beckett invece vuole rimanere a controllare che tutto sia stato fatto a dovere”. Spiegò l'uomo guardando verso l'ascensore dove la moglie era sparita poco prima.

“L'ho notato già da tempo in effetti”. La Roalstad senza dire nulla si andò ad accomodare sulla sedia di Beckett, permettendosi per qualche istante di entrare nei panni della detective, studiandone da vicino la postazione, gli oggetti sparsi sulla scrivania, raccogliendo la foto in cui vi erano lei e Castle abbracciati, avendo come sfondo una delle giostre di Coney Island.

“é un ottima detective e una straordinaria persona, ma in fondo non mi sarei aspettata diversamente, me l'avevi già descritta cosi”. Ammise riponendo al suo posto la cornice mentre Castle chiuse per un istante le palpebre, facendo roteare le iridi cosi da andarla a guardare una volta riaperti gli occhi.

“Pensi che ce la possa fare?”. Domandò dandole del tu, cosa che faceva spesso quando si trovavano da soli, lontano dagli occhi indiscreti di Beckett e dei due colleghi.

“Non lo penso, lo so. Sarà uno dei migliori capitani che questo distretto abbia mai avuto”. Castle scrollò il capo facendole capire che non aveva capito il senso della sua domanda. Spostò le gambe sotto la sedia e appoggiò un braccio sopra la scrivania schiarendosi la voce prima di parlare ancora.

“Dico se credi che ce la possa fare a dividersi tra il nuovo lavoro e la famiglia. Tu hai già vissuto una situazione simile, sai di cosa parlo”. Affermò Castle spostando lo sguardo verso un agente che stava passando per il corridoio, fortunatamente troppo preso a scrivere al cellulare per notare i due cosi vicini.

“Bhè sono qui per aiutarla a riuscirci, per ricordarle che il lavoro non è tutto, in fondo non è questo il motivo per cui mi hai voluta qui”. Il detective si ammutolì abbassando lo sguardo, lasciando che alla mente gli tornasse il vero motivo della presenza della Roalstad. Solo lui sapeva la verità a riguardo perchè era stato lui a crearla quella verità. Quando la commissione si riunì per decidere il sostituto di Montgomery il nome di Beckett era in cima alla lista, ed essendo stato informato di quel particolare dallo stesso presidente della commissione Castle lo aveva pregato di aspettare. Sapeva che in quel momento Beckett avrebbe rifiutato non sentendosi ancora pronta e cosi trovò una soluzione, suggerendo Maria Roalstad come possibile ripiego momentaneo, conoscendola dai tempi dell'accademia, avendola avuta, anche se per pochi mesi, come insegnante e guida. Sapeva che era la persona più adatta per preparare Beckett a diventare capitano, ad insegnarle il mestiere, dandole quel pizzico di fiducia in più che le serviva per auto convincersi che quella era la strada che voleva intraprendere.

“Sai Richard”. Lo distrasse dai suoi pensieri la donna andandolo a chiamare per nome cosi che ascoltasse con attenzione quello che aveva da dirgli. “Prima del divorzio ho sempre pensato che sposare un collega fosse la cosa più giusta. Chi meglio di lui può capire quello che provi alla fine della giornata. Col tempo però mi sono accorta che è stato un grave errore.”. Ammise serrando le labbra, andando a guardare ancora la foto dei due coniugi provando invidia, desiderando di aver avuto anche lei quella stessa felicità che leggeva sui loro volti. “All'inizio fai di tutto perchè che funzioni ma poi arrivi ad un certo punto e cominci a sentirti stanca e ti chiedi se vale ancora la pena lottare per qualcosa che non ha più senso. Se ti rende felice tornare a casa da tuo marito che non ti ama più perchè tu sei riuscita dove lui ha fallito, perchè ora sei tu quella che sostiene economicamente la famiglia, perchè sei tu quella a cui si rivolgono i tuoi colleghi.”

“Stiamo parlando di Stanley, tutti sapevano che era un idiota”. Ridacchiò Castle vedendola fare lo stesso per qualche istante prima di tornare seria.

“Quello che intendo è che capisco a pieno il perchè Beckett non sia divenuta prima capitano, aveva paura che vi potesse succedere una cosa simile e forse ne ha paura anche adesso. Eppure...”. Continuò gesticolando con le mani, lasciando trasparire tutta la sua fragilità in quel momento, facendosi vedere agli occhi di Castle come una donna e non come il suo capitano.

“Eppure...”. Corrugò la fronte l'uomo pregandola con la voce di continuare, di dare una conclusione a quel suo dire.

“Eppure vedendovi giorno dopo giorno ho la certezza che non accadrà mai. Lei sarà capitano e tu sarai li al suo fianco, sempre, senza provare alcun tipo di invidia, solo una profonda devozione”. Castle ci pensò alcuni secondi andando poi a sorridere, sapendo in cuor suo che quanto appena descritto dalla Roalstad rispecchiasse la realtà.

“Grazie, anche per il fatto che stai aiutando Kate ad affrontare questo cambiamento, sopratutto per questo”. Enunciò facendo un piccolo inchino con il capo. La Roalstad si alzò dalla sedia, essendo rimasta li seduta fin troppo, rischiando di farsi scoprire dalla stessa Beckett.

“é un piacere. Solo mi permetto di darti un consiglio”. Affermò fermandosi davanti a lui. “Di a Beckett del tuo intervento perchè se dovesse venirlo a scoprire in un altro modo sarebbe peggio. È molto orgogliosa e penserebbe che è divenuta capitano solo perchè tu l'hai chiesto a mio padre e non perchè la commissione stava prendendo tempo aspettando il suo si”.

“In effetti stava cominciando a domandarsi perchè dopo più di un mese dal ritiro di Montgomery non si avessero ancora notizie sul nuovo capitano”. Ridacchiò nervoso grattandosi la nuca, cominciando una lotta interna con se stesso indeciso se confessare o meno quel piccolo ma vitale particolare.

“Io rimarrò qui fino a questo autunno ma l'annuncio verrà fatto molto prima, cerca di non perdere tempo”. La Roalstad gli diede una pacca sulla spalla e poi si allontanò, dirigendosi nel proprio ufficio a concludere gli ultimi lavori prima di tornarsene anche lei a casa. Castle approfittò dell'assenza prolungata di Beckett per cominciare a ritirare le sue cose nei cassetti, sistemandole la scrivania e riponendo il cellulare nella borsa.

“Tutto a posto?”. Gli domandò la donna facendolo voltare di scatto verso di lei. “Sono qui da un paio di minuti e nemmeno ti sei accorto. Tutto bene?”. Chiese mentre lui le porgeva prima la giacca e poi la borsa, vedendola togliersi i capelli da sotto l'indumento facendogli di nuovo quella domanda.

Castle schiuse la bocca mentre mille pensieri gli passarono per la testa, ripercorrendo le parole dette dalla Roalstad e alla fine si sforzò di sorridere. “Si tutto a posto. Andiamo a casa”. Affermò dandole le mano cosi che lei la prendesse. Non era ancora il momento, si disse, prima di confessare ciò che aveva fatto doveva aver la certezza che Beckett accettasse quel lavoro.

 

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Chiedo scusa anticipatamente per il prossimo capitolo. Parlerà di un giorno ben preciso ma avevo cosi tante idee, stupide tra l'altro, a riguardo che le ho scritte tutte e di conseguenza questo è diventato lunghetto.

 

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Capitolo 8
*** 18 Maggio: Le nozze ***


Piccola prefazione giusto per rendere più chiare due scenette che ho descritto. Per renderle più realistiche mi sono "permessa" di copiarle da due video trovati su youtube e rileggendo quanto ho scritto ho visto che forse la descrizione è di difficile comprensione perciò metto qua i due link nel caso qualcuno fosse interessato nel vedere cosa veramente volevo dire. (Le parti tirate in causa sono segnate con un # e un ##)

# https://www.youtube.com/watch?v=M0wli2sY-xI
## https://www.youtube.com/watch?v=FKngT4m3ETM

Grazie per l'attenzione

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Era un sabato pomeriggio e Castle si era concesso un ulteriore momento di riposo sdraiandosi sul divano dopo pranzo, con tutte le intenzioni di appisolarsi come effettivamente fece. La sua pennichella però non durò quanto sperava dato che un continuo via vai di passi pesanti proveniente dal piano superiore disturbò il suo riposo. Aprendo un occhio sollevò il bracco sinistro davanti al proprio volto e scrollò il polso cosi che il quadrante dell'orologio fosse rivolto verso di lui, notando che le lancette segnavano poco dopo l'una del pomeriggio. Con un tremendo sforzo si rimise seduto, sbadigliando mentre sollevava le braccia verso il cielo sentendo le ossa della schiena scrocchiargli una dopo l'altra. Ancora il rumore dei passi colse la sua attenzione, seguito dal tonfo di qualcosa di pesante che si era schiantato a terra. Curioso si alzò dal divano e si diresse verso le scale grattandosi la testa e la pancia al contempo, appoggiandosi al muro quando sbadigliando dovette chiudere gli occhi. Giunto al piano superiore vide passare davanti a se Beckett che quasi correndo passò dal bagno alla camera da letto rimanendovi per poi pochi secondi prima di riuscirne per passargli davanti ancora.

“Meglio il reggiseno color carne”. Disse al marito mostrando il pezzo di biancheria sparendo dietro la porta del bagno che si chiuse con un tonfo facendo sobbalzare Castle. Ancora confuso l'uomo si diresse in camera da letto e la trovò in soqquadro, vedendo il pavimento completamente ricoperto da collant, reggiseni, mutande, scarpe e ancora sopra al letto decine e decine di gioielli, da orecchini a braccialetti, a spille e anelli. Infine appeso contro l'anta di un armadio un vestito argento che quasi toccava per terra, con alcuni brillanti che creavano due strisce una sopra il seno destro e l'altra sopra il fianco sinistro. Superando il campo di battaglia che vi era sotto i suoi piedi si avvicinò a quello, tastandone il tessuto, chiudendo gli occhi mentre immaginava la moglie con l'abito indosso.

“Il tuo vestito è ancora nell'armadio”. Gli disse Beckett rientrando nella camera, non più avvolta nell'asciugamano ma con indosso solo la biancheria. La detective si avvicinò al letto e cominciò a frugare in mezzo alla bigiotteria, scegliendo un paio di orecchini per poi rigettarli indecisa di nuovo in mezzo al mucchio.

“Avanti calmati”. Le disse Castle prendendola per le spalle e facendola rimettere in piedi davanti a lui. “Fai un bel respiro profondo, in fondo non sei tu quella che si sposa oggi”. Le ricordò abbassando il capo contro il suo collo, inspirando l'odore del bagno schiuma che la sua pelle ancora emanava.

“Si ma è Lanie quella che si sposa, e io sono la damigella d'onore, devo essere presentabile”. Commentò senza nemmeno guardarlo, senza far caso alle sue attenzioni, tornando ad occuparsi dei gioielli, sbuffando al fatto che Castle gliene avesse regalati fin troppi nel corso degli anni, costringendola a dover decidere tra essi quello più adatto all'occasione, non riuscendovi perchè li trovava tutti perfetti. “Lo sapevo che dovevo preparare tutto ieri, cosi rischio solo di arrivare in ritardo”.

Castle scrollò il capo e ridacchiò mettendosi seduto sul letto, attento a non schiacciare i gioielli sparsi sopra il materasso.

“Avanti qual'è il problema? Su cosa sei indecisa?”.

“Su tutto”. Sbuffò la donna aprendo le braccia sconsolata. “Non so che gioielli mettere, non so come truccarmi, non so come sistemarmi i capelli”.

“Ma anche al nostro matrimonio eri cosi agitata?”. Ridacchiò Castle prendendo un braccialetto e alzandolo in direzione del vestito, chiudendo un occhio e fissando i due cosi da vedere se insieme fossero stati bene.

“No, avevo cosi tanta adrenalina in corpo che non capivo più niente, se non fosse per le foto lo considererei ancora oggi come un mio viaggio mentale molto fantasioso”. Beckett si irrigidì di colpo rilasciando un gemito arrabbiato mentre stringeva i pugni, andando poi a guardare il marito che aveva colto l'occasione per far scorrere le iridi su tutto il suo corpo.

“Mi aiuti a scegliere?”. Lo supplicò maliziosa, con un tono della voce che gli fece sciogliere le gambe mentre lei si avvicinava a lui, facendosi abbracciare all'altezza delle cosce mentre Castle le posava un bacio sull'ombelico prima di alzare il capo e andare a guardarla.

“Da dove cominciamo?”. Beckett si guardò attorno, scegliendo anche lei un punto di partenza, osservando l'abito, la specchiera dove vi erano i trucchi, i gioielli sul letto. “I capelli”. Disse prendendosene una ciocca tra le mani andandola a studiare. “Lisci o raccolti?”

Castle si fece pensieroso, cercando di ricordare le svariate pettinature mostrate dalla moglie alle più svariate feste a cui avevano partecipato, o alle cene fatte per festeggiare i compleanni o gli anniversari.

“Mi piaceva come ti eri sistemata per il galà della Dynamo del mese scorso, con tutti i capelli lungo la parte destra del viso, un po' arricciati e con due o tre graffette per tenerli fermi”. Cercò di spiegarsi muovendo le mani vicino al suo capo, imitando con le dita la forma dei capelli della moglie e il loro ondeggiare.

“Graffette?. Forcine vorrai dire”. Lo corresse Beckett spingendolo premendo al centro della sua fronte con il palmo della mano, dirigendosi verso la specchiera e sistemandosi velocemente la chioma come suggerito dal marito, facendo le prove per convincersi o meno su di quella.

“D'accordo proviamo. Tu intanto comincia a vestirti”. Gli disse puntandogli un dito contro mentre varcava la porta cosi da dirigersi in bagno. Castle si lasciò cadere sul materasso sbuffando prima di rotolare giù da esso raggiungendo l'armadio. Stanco e annoiato prese la gruccia sulla quale Beckett aveva sistemato il suo vestito, strofinando la giacca cosi da levare quelle invisibili pieghe che sapeva esserci. Aggirò il letto sistemando gli indumenti nell'unica parte sgombra di quello, fissandoli poco convinto mentre andava a slacciarsi il nodo dei pantaloni della tuta.

“Ma mi devo proprio mettere il papillon?”. Urlò cosi da farsi sentire dalla moglie, prendendo quell'oggetto tra le mani guardandolo disgustato prima di rifarlo cadere sul letto. “Mi fa sembrare il collo enorme e la testa piccola. Ho la cravatta argento, potrei mettere quella no?”.

“Javi ha detto niente cravatte perciò muoviti”. Lo riprese Beckett rifacendo la sua comparsa, andando all'armadio cosi da prendere il proprio abito, indossandola con attenzione per non rischiare di sgualcirlo. Castle ancora sbuffò togliendosi la tuta e sfilandosi la maglietta, prendendo i pantaloni neri infilandoseli, il tutto osservando la donna mentre distrattamente si allacciava la cintura.

“Sai avevo pensato che Lanie scegliesse per voi damigelle dei vestiti poco interessanti ma mi sbagliavo. Questo per te è perfetto e a causa di ciò so che dovrò passare in rassegna tutti gli invitati maschi e informarli che tu sei già presa”. Beckett ridacchiò arrossendo leggermente mentre si sistemava il corpetto dell'abito, controllando che i bordi del reggiseno non si vedessero.

“Meglio senza vero?”. Chiese consiglio al marito che si dovette trattenere, portando una mano all'altezza della bocca, per non far vedere il sorriso euforico che gli si formò sulle labbra quando Beckett, per sistemarsi, rimase a petto nudo di fronte a lui.

“Molto meglio”. Rispose tossendo nervosamente per schiarirsi la voce, mettendosi alle sue spalle quando lei si voltò pregandolo di chiuderle la cerniera posta sulla schiena. “Avrò una cosa in meno da togliere quando ci isoleremo dagli invitati per fare una festa tutta nostra”. Sogghignò facendo scorrere le dita sulla sua pelle nuda baciandole il lato del collo scoperto, tenendola contro di se facendo scorrere un braccio all'altezza dei suoi fianchi.

“Questo piccolo particolare mi era sfuggito”. Rispose giocosa Beckett, piegando un braccio all'indietro cosi da andare a stringere il collo di lui, tenendolo fermo sopra la propria spalla.

“Non a me.”. Le sussurrò lui contro l'orecchio per poi discendere ancora con la bocca. “Tutto quell'amore nell'aria può essere molto stimolante”. Continuò dimenticandosi i loro impegni, inebriato dal profumo di Beckett e dai sospiri che lei emetteva. “E chissà forse anche propiziatorio per concepire un bel bambino”. Proseguì facendo scorrere la mano destra lungo il suo fianco, fino ad arrivare alla coscia dove prese il vestito tra le dita, cominciando ad alzarlo verso l'alto lasciandole scoperta una gamba. La detective si riprese grazie a quelle parole e si districò dalle sue braccia rimettendosi a posto il vestito e la pettinatura.

“Si Castle, è il sogno di ogni donna rimanere incinta contro la parete di un bagno o di uno sgabuzzino”. Scosse la testa lei respirando lentamente, voltandosi verso lo specchio per assicurarsi che tutto fosse in ordine. “Mi passi gli orecchini con il pendaglio a forma di goccia?”. Gli chiese indicando un punto indefinito sopra il letto. Castle alzò gli occhi al cielo e si voltò sui tacchi cosi da svolgere il proprio compito, trovando con facilità i gioielli richiesti.

“Sono più romantico di cosi io”. Protestò il detective porgendole gli orecchini che lei velocemente andò a sistemarsi, scostando i capelli per evitare di farli impigliare già dal principio. “Infatti avevo pensato al parchetto adiacente. Non è tanto grande ma perfetto per i nostri scopi, immagina il vento fresco che passa tra le foglie, gli usignoli che cinguettano sugli alberi, il rumore dell'acqua che scorre nella fontana.” Raccontò Castle prendendole entrambe le mani e facendole fare una mezza piroetta per poi riprenderla tra le braccia.

“Gli invitati che potrebbero vederci”. Aggiunse lei tracciando con le dita la cicatrice all'altezza del suo sterno, posandovi sopra un leggero bacio prima di passare alle sue labbra.

“Questo è ciò che rende la cosa eccitante”. Sorriso malizioso Castle lasciando libera la moglie cosi che tutte e due potessero finire di prepararsi. Si era già fatto tardi, avevano perso più tempo del dovuto, e non potevano dilungarsi ancora dato che i due futuri sposi li stavano aspettando.

 

Castle guardò nello specchietto retrovisore e mise la freccia per girare nell'ampio parcheggio della chiesa dove poteva notare già diverse macchine presenti, tra cui quella degli sposi, addobbata con un grande nastro bianco che dal bagagliaio proseguiva in avanti fino alla targa anteriore.

“Mi raccomando Castle, qualunque cosa ti venga in mente non farla, e sopratutto non dire nulla a Javi che possa farlo scappare”. Lo ammonì Beckett slacciandosi la cintura cosi da poter indossare il coprispalle argentato mentre teneva stretta tra le ginocchia la piccola borsetta.

“Pff credi veramente che io sia capace di una cosa simile”. Protestò lui aggiustandosi il papillon, digrignando i denti non riuscendo a trovare la posizione adatta. Beckett gli diede un buffetto sulle mani cosi da farlo desistere e si mise lei a sistemarlo, tirandone bene il fiocco per poi sistemare il colletto della camicia cosi che coprisse il cinturino.

“Tu sei Richard Castle, sei capace di fare anche di peggio”.

“Tu mi ami da impazzire”. Le disse lui per distrarla mentre con la mano andava a tirare verso d lui un lembo del vestito della donna cosi da vedere il seno sotto di esso.

“No, è diverso. É che per amarti devo essere effettivamente pazza”. Ribattè lei posando una mano sulla spalla di Castle e l'altra sul voltante, alzandosi dal proprio sedile per avvicinarsi a lui e baciarlo. Il detective si mosse con l'intenzione di rendere quel bacio ancora più profondo ma finì per posare il gomito sul voltante facendo suonare il clacson che attirò l'attenzione dei presenti e fece allontanare Beckett.

“Meglio che vada”. Gli disse uscendo dalla macchina per poi voltarsi verso di lui prima di chiudere la portiera. “Hai un po' di rossetto”. Lo informò indicandosi la propria bocca per fargli capire, sistemandosi il vestito per poi dirigersi verso la chiesa.

Fece per salire alcuni gradini, facendo attenzione a non cadere a causa dell'alto tacco delle scarpe, quando vide arrivare dalla strada un auto a lei molto famigliare perciò tornò sui suoi passi cosi da aspettare l'amica ed entrare insieme a lei nell'edificio.

Ryan parcheggiò la macchina accanto alla loro ma ancora prima di riuscire a scendere Castle si era già posizionato davanti alla portiera del passeggerò ed educatamente la teneva aperta per Jenny, porgendole una mano cosi da aiutarla ad uscire dalla vettura.

“Grazie Richard”. Sospirò la donna aggrappandosi allo sportello mentre con l'altra mano si teneva il pancione. “Anche un gesto cosi facile è diventato ormai un impresa ardua”.

“Come sta il piccolo Colin?”. Domandò Castle andando a posare una mano sul ventre rigonfio, strizzando gli occhi sperando di sentire il bambino muoversi contro il suo palmo come già altre volte era successo.

“Per mia fortuna oggi sembra tranquillo, ma so che non durerà per molto”. Scherzò la donna vedendo il marito sistemarsi al suo fianco, offrendole un braccio cosi che lei potesse afferrarlo per farsi accompagnare fino all'ingresso. “Ma ti prometto che appena comincerà a farsi sentire sarai il primo che avviserò”.

“Sempre che tuo marito non diventi improvvisamente geloso”. Affermò Castle mettendosi le mani in tasca guardando il collega con un ampio sorriso beffardo.

“Più che la donna ho il sentore che tu mi voglia rubare il figlio”. Scherzò l'irlandese cominciando a procedere con i due verso l'ingresso della chiesa, ridendo ai tentativi di protesta di Castle che cercò di difendersi da quelle accuse.

“Ehi Jenny, sei in splendida forma”. La salutò cosi Beckett andandola ad abbracciare, rimanendo qualche secondo in più godendosi quella sensazione di sentire contro di se il ventre dell'amica.

“Oh finalmente qualcuno si è ricordato di dirmelo. Uno..”. Cominciò a dire indicando Ryan che arrossì di colpo sapendo bene che la moglie lo avrebbe messo in imbarazzo. “Pensa solo a redarguirmi sul fatto che questo misero tacco possa farmi prendere qualche storta e di conseguenza farmi cadere. L'altro..”. Continuò indicando con il capo Castle che intanto si era messo accanto a Beckett. “Non vede l'ora che il bambino scalci dimenticandosi che è la mia vescica quella che sta colpendo”.

“Ti prometto che oggi ti terrò questi due tipacci alla larga”. Scherzò la detective facendo l'occhiolino all'amica mentre Castle sussurrava parole incomprensibili al collega facendogli segno che avrebbero continuato il discorso successivamente.

“Intanto lascia che ti accompagni all'interno. Poi ti lascerò in pace”. Disse Ryan alla moglie che allargando le braccia guardò sconsolata Beckett prima di eseguire gli ordini del marito. “Ci vediamo dentro”.

Beckett annuì e poi si voltò verso Castle che rimase sorpreso dall'occhiataccia che la donna gli lanciò. “Che ho fatto?”. Domandò aggrappandosi alla ringhiera che c'era dietro di lui, sporgendosi oltre di quella rischiando di cadere nell'aiuola.

“Dovrei essere io quella gelosa non Ryan”. Enunciò Beckett abbassandolo alla sua altezza tirandolo per il papillon. “Ogni volta che vedi Jenny ti illumini correndo da lei e non perdi occasione per accarezzarle la pancia”. Constatò sistemandogli il cravattino, stringendo volontariamente cosi da fargli bloccare il fiato in gola.

“Ah cerca di capirmi tesoro. Sono irrimediabilmente invidioso ed è vero, appena la vedo le sono subito vicino”. Confessò parlando a bassa voce, cosi che le sue parole fossero solo per Beckett e non per gli altri invitati che si stavano radunando nel parcheggio. “Ma quando le accarezzo la pancia e chiudo gli occhi non è lei che immagino davanti a me. Ci sei solo tu”. Ammise accarezzandole una guancia, vedendo la mano esile di lei posarsi sulla sua, e cosi la avvicinò a se per baciarla.

“Solo attento a non farti prendere troppo da quella sensazione perchè se ti vedo provare a baciarla, anche se per sbaglio, farò in modo che tu di figli non ne abbia proprio”. Lo minacciò alzando una mano davanti al suo viso mimando il gesto della forbice con l'indice e il medio, notandolo trasalire aggiustandosi il colletto dalla camicia.

“Meglio che andiamo”. Affermò Castle indicando la porta della chiesa, cominciando a incamminarsi non volendo tentare troppo la pazienza della moglie.

 

“Dov'è la donna del momento?”. Asserì Beckett aprendo la porta della stanza dove Lanie si stava preparando, aiutata da Jenny che con minuziosità le puntava il velo nei capelli.

“Per adesso sono qui ma non credo che ci sarò ancora per molto. Sento lo stomaco che mi si contorce”. Dichiarò il medico legale stringendo entrambe le mani sulla pancia. Jenny si allontanò da lei e si diresse verso un mobile sulla quale trovò un bicchiere che andò a riempire abbondantemente d'acqua mentre Beckett prese il suo posto accanto alla sposa.

“Avanti, ora fai un bel respiro profondo”. Disse prendendole entrambe le mani, compiendo lei stessa quel gesto cosi che l'amica la copiasse. “Vedrai che andrà tutto bene”.

“Non credo di voler andare avanti”. Enunciò Lanie facendosi aria con una mano mentre con l'altra prendeva il bicchiere d'acqua che Jenny le aveva dato, andandosi a sedere su di una sedia, agitandosi su di essa.

“La navata è lunga solo venti metri però non riesco a immaginarne la fine, non so cosa c'è la che mi aspetta”. Disse bevendo tutto d'un fiato l'acqua, sospirando soddisfatta mettendo il bicchiere sul mobiletto. Jenny traballante si avvicinò a lei, alzando una mano per fermare Beckett che si stava avvicinando con l'intenzione di aiutarla.

“Non sei ne la prima ne l'ultima sposa che ha dei dubbi poco prima di compiere il grande passo. Io ne avevo e credo che anche per Kate fosse cosi”. Enunciò voltandosi verso la detective cosi come fece Lanie per aver la conferma dall'amica che sorridendo annuì con il capo.

“Si ha la paura di finire in una gabbia ma ti posso giurare che non è cosi. Una volta che tu e Javier sarete marito e moglie ti prometto che ti sentirai leggera come mai ti sei sentita prima.”. Lanie abbassò il capo e cominciò a sfogare la tensione contro le proprie unghie, non preoccupandosi di togliere lo smalto che le ricopriva.

“E poi è ovvio quello che ti aspetta alla fine della navata”. Prese parola Beckett andando a guardare la propria fede con il cuore gonfio di gioia. “La pura e semplice felicità. Paghi il prezzo di un “si, lo voglio” ma ottieni di più, molto di più. Ottieni l'infinito, l'immortalità, la consapevolezza di far parte di qualcosa che durerà per sempre. Allora perchè avere timore, perchè sfuggire cosi?”. La detective si zittì per qualche istante giusto per riprendere fiato, giusto per vedere le due amiche che la stavano fissando, chiedendosi se avessero compreso il significato delle sue parole. “Sarai felice Lanie, e molto anche, perchè renderai felice Javi e si sa che la felicità è come un boomerang, la doni alle persone che ami e alla fine tornerà indietro e dove altro può cadere se non nella tua mano?”.

“Kate..”. Disse Lanie agitando entrambe le mani. “Ti prego dammi un fazzoletto prima che mi rovino del tutto il trucco”.

 

Castle giunse davanti alla porta della stanza dove si era sistemato Esposito e, fermandosi davanti ad essa, bussò aspettando di ricevere il permesso prima di entrare. Quando varcò la soglia trovò i due colleghi entrambi seduti su di un divanetto, con Ryan che teneva un braccio sulla spalla del cubano che invece era rannicchiato su se stesso, con la testa tra le ginocchia.

“Sta male?”. Domandò il detective immaginando che lo sposo avesse bevuto qualche drink di troppo vedendo un bicchiere mezzo vuoto nelle mani dell'irlandese.

“Non so che gli è preso”. Si giustificò l'uomo rimettendosi in piedi e avvicinandosi a Castle. “Ho solo preparato due scotch e ho brindato dicendo “evviva lo sposo” e lui ha reagito cosi”. Spiegò indicando con la mano Esposito che ancora non si era avveduto dell'arrivo del collega.

“Che succede?”. Gli chiese Castle andandosi a sistemare per terra accanto alle gambe dell'amico, cosi da studiare il suo viso disorientato.

“Sto facendo la cosa giusta Rick?”. Gli disse di rimando il cubano appoggiando le braccia sulle proprie cosce, lasciando cadere le mani a penzoloni tra di esse. “Kevin fino a ieri mi diceva che lo era, anzi che era il momento che compissi questo passo, che, per il modo intenso con cui amo Lanie, non poteva succedere diversamente. E mi sto sforzando di credergli, continuo a ripetermi che devo andare la fuori e sposarmi, che è ciò che mi renderà felice, ma allora perchè quella navata la vedo come la strada che mi sta portando al patibolo?”

Castle inspirò a pieni polmoni, riempiendoli d'aria lasciandola poi uscire lentamente dalla bocca, pregando Ryan di preparare qualcosa di forte anche per lui. “Giusto o sbagliato è relativo. Non è il gesto in se che conta, non sarà un anello a farvi stare insieme per sempre, ma è il motivo per cui lo fai. E tu questo motivo l'hai già detto, ami Lanie profondamente”. Parlò allungando il braccio per prendere il bicchiere contenente l'alcolico andandolo subito a gustare, avendone bisogno per affrontare quella situazione.

“Ti ricordi quello che disse il nostro buon vecchio Kevin al mio matrimonio con Kate?”. Domandò sistemandosi meglio con la schiena contro il divano, piegando un ginocchio e appoggiandovi li sopra la mano che teneva salda tra le dita il bicchiere. “E tu ti ricordi?”. Domandò all'irlandese quando vide il cubano negare con la testa, ricevendo anche dall'altro collega una risposta negativa.

“Io si, sono state parole molto importanti, che solo con il tempo ho compreso”. Dichiarò quasi sognante, inclinando il capo all'indietro cosi da posare la testa sul cuscino del divano. “Disse che dopo il matrimonio la cosa più difficile da fare è rimanere innamorati e, in effetti, aveva ragione. Ma disse anche una cosa ancora più vera, d'ora in avanti condividerete un esperienza unica, una vita unica, e creerete delle nuove memorie. A breve ti renderai conto di quanto questo ti renda forte, di come tu non possa più esistere senza vivere quelle esperienze con Lanie. E allora perchè non cominciare fin da subito alla grande?”.

“Sarai anche grande e grosso Javi”. Enunciò Ryan attirando su di se l'attenzione degli altri due uomini. “Senza dimenticare che sei coraggioso, leale, generoso, ma la verità è che senza Lanie non sei nulla di tutto questo. Quindi sta a te decidere. Uscire da quella finestra, scappare, e tornare ad essere niente. Oppure uscire da questa porta”. Disse indicando l'uscio che conduceva all'ingresso della chiesa, la dove gli invitati si erano riuniti attendendo che lui uscisse per congratularsi un ultima volta prima di andare a prendere posto. “Ed essere la persona speciale che lei ti ha reso”.

Esposito non disse nulla, rubò semplicemente il bicchiere dalle mani di Castle e ne bevve quel poco di scotch che era rimasto all'interno, alzandosi poi di scatto con una nuova fiducia. “é ora di sposarmi”.

 

Quando Castle vide Beckett percorrere la navata precedendo Lanie ebbe come un dejavù, rivivendo ancora nel cuore e nella mente il giorno del loro matrimonio, quando era lei quella vestita di bianco, con gli occhi lucidi e le labbra tremanti, quando i suoi sogni più nascosti cominciarono a prendere vita. Prestò poca attenzione alle parole del celebrante, non facendo caso alle sue raccomandazioni, ai suoi consigli elargiti per gli sposi e tutti i presenti. Si mosse solo quando a Lanie ed Esposito venne chiesto di esprimere le loro intenzioni, rispondendo con un suo personale “lo voglio” a quella domanda, fissando Beckett negli occhi, come quel giorno, ricevendo in cambio un “ti amo” sussurrato, segreto, solo loro.

 

“Ancora non ci credo che l'abbiano fatto”. Sogghignò Castle alzando il calice colmo di vino in direzione dei novelli sposi che stavamo facendo il loro primo ballo come marito e moglie, tenendo seduta sulla propria gamba Beckett che li osservava entusiasta per entrambi.

“Quando Javi ha avuto quel momento di turbamento ho creduto anche io che tutto ciò non sarebbe mai accaduto”. Ribattè Ryan guardando anche lui in direzione dei due amici, rimanendo seduto dietro Jenny, con entrambe le mani sul suo ventre cosi da abbracciare sia lei che il bambino.

“La giornata non poteva finire in maniera diversa, era impossibile. Si sa che nelle fiabe c'è sempre il lieto fine”. Obiettò Jenny incurvando la schiena sentendola particolarmente indolenzita a causa del peso che doveva sopportare, facendo però sorridere gli altri tre.

“Vi dispiace se la mia dolce metà ed io ci concediamo un ballo?”. Domandò Castle ai due vedendo la pista da ballo cominciare a riempirsi con altre coppie, volendo essere anche lui una di quelle, cosi da poter aver Beckett tutta per se. “Giusto il tempo di distrarmi prima del nostro “intervento””. Disse tossicchiando sull'ultima parola.

“Coraggio va pure a scaricare la tensione ma fai in fretta che non vedo l'ora di vedere cosa vi siete inventati”. Appurò Jenny accarezzando la mano del marito, spostandogliela ogni volta che il bambino si spostava cosi che anche lui potesse percepire quei piccoli movimenti.

“Madame, mi concede questo ballo?”. SI rivolse a Beckett porgendole una mano che lei accettò alzandosi in piedi permettendo anche a lui di fare lo stesso. “Ryan ci vediamo tra poco”. Gli disse facendogli l'occhiolino, non facendo caso all'occhiata perplessa che si scambiarono le tue donne.

“Dovrei preoccuparmi dato che non mi hai fatto leggere il tuo discorso?”. Domandò la donna vedendolo sbuffare offeso mentre negava con il capo.

“Si, probabilmente si. Ma quando vedrai quello che ho organizzato insieme ai miei due compari, fidati, il mio discorso non sarà nulla”. Ridacchiò il detective prendendole una mano nella sua mentre l'altra l'appoggiò sul suo fianco quando la donna lo afferrò per la spalla, cominciando a muoversi con lui al ritmo di quella musica lenta.

“Mi farai vergognare di essere tua moglie?”. Lo canzonò lei sempre con il sorriso sulle labbra, facendogli capire che in realtà stava scherzando e Castle di certo non si sarebbe tirato indietro.

“Assolutamente si, ma spero anche di farti ridere almeno un pò”. Disse rimanendo ancora sul vago, impedendole di fare altre domande baciandola, solo per poi venire interrotti dalla coppia di sposi che si avvicinò a loro.

“Scusate l'intrusione, ma ho già disturbato Ryan e Jenny e ora tocca a voi due”. Appurò Lanie senza staccarsi da Esposito. “Volevo solo ringraziarvi per quello che avete detto, anche a te Castle. Javi mi ha raccontato cosa è successo prima della cerimonia”. I due annuirono e il detective si staccò dalla moglie aprendo le braccia in direzione del medico legale.

“Andiamo Lanie almeno un abbraccio me lo merito”. La donna ciondolò la testa per alcuni secondi ma alla fine cedette, dandogli quel meritato abbraccio. “Perdonami per quello che sto per fare”. Gli disse solamente prima di afferrare Beckett per una mano e trascinarla via dalla pista da ballo, tornando al loro tavolo dove Ryan e Jenny li stavano aspettando.

“Voi aspettate qui”. Parlò ancora Castle rivolgendosi alle due donne, facendo accomodare Beckett sulla propria sedia mentre l'irlandese ne prese un altra e la sistemò in mezzo alle due, dove prontamente Esposito fece accomodare Lanie. Quando fecero per chiedere spiegazioni si sentì però una voce provenire dagli altoparlanti che pregava agli invitati di lasciare libera la pista da ballo.

“Questo è anche per te”. Disse Castle posando entrambe le mani sui braccioli della sedia della moglie cosi da tenersi sollevato mentre la baciava.

 

“Ok, ragazze ditemi che succede?”. Chiese spiegazioni Lanie guardando prima l'una e poi l'altra amica ma nessuna delle due aveva una risposta da darle, erano state tenute all'oscuro delle intenzioni dei tre mariti.

Castle, Ryan ed Esposito si diressero verso la console allestita per il dj e si tolsero le giacche cosi da essere più liberi nei movimenti prima di mettersi al centro della pista da ballo dando le spalle alle moglie e agli invitati.

“Ricordo alla sposa che ormai il matrimonio è stato celebrato, non può tornare indietro”. Disse il dj nel microfono mentre aspettava che i tre assumessero la loro posa iniziale. Esposito si mise al centro mentre Castle e Ryan ai suoi lati, distanziati di qualche centimetro per evitare di scontrarsi ma tutti e tre assunsero la stessa posizione, con una mano sul fianco e l'altra sulla testa come se stessero tenendo fermo un cappello invisibile.

#Poco dopo parti la musica e molti degli invitati poterono riconoscere la melodia iniziale de “The way you make me feel” di Michael Jackson.

Subito i tre si mossero ondeggiando a tempo con il bacino e con la testa per una decina di secondi, prendendo poi a schioccare a tempo di musica le dita continuando ad ancheggiare spiritosamente. Fecero scendere le mani lungo il loro corpo, dandosi poi una pacca sul fondo schiena e girarsi in direzione delle donne con un piccolo saltello quando si cominciò a sentire la voce del cantante. I tre subito si atteggiarono mettendosi in mostra, avvicinandosi alle mogli imitando il gesto del cowboy quando agita il proprio lazo, scivolando poi con le ginocchia verso Lanie protendendo le braccia verso di lei. Castle e Ryan si misero velocemente in piedi e si spostarono dietro a Esposito che fece finta di svenire alla vista della moglie solo per poi cadere tra le braccia dei due amici che lo risollevarono. Si rimisero una fianco all'altro, disegnando nell'aria con le mani un cuore camminando poi all'indietro facendo finta di guidare una macchina lanciando infine dei baci alle loro mogli che divertite applaudivano a quella scenetta che trovavano divertente mentre altri invitati applaudivano per sostenere il loro spettacolo improvvisato.

Esposito colse l'occasione di essere vicino a Lanie per darle un bacio sulla guancia mentre i due amici camminavano avanti e indietro alle sue spalle, andando in direzioni opposte cosi da ritrovarsi ancora una volta ai fianchi dello sposo. Di nuovo si ritrovarono in ginocchio a gattonare verso le donne per poi rimettersi in piedi velocemente e tornare al centro della pista da ballo, facendo finta di cullare un bambino proprio come la canzone diceva in quell'istante. Alzarono una mano al cielo e l'altra rivolta verso il basso, muovendosi quasi del tutto all'unisono ma cercandosi con gli occhi per assicurarsi di fare gli stessi movimenti degli altri due. Castle e Ryan seguirono Esposito mentre camminava verso Lanie, per poi venir spinti via da lui cosi come richiedeva la coreografia che pazientemente avevano creato per quel balletto. E ancora partirono con l'atteggiarsi, mettendo i mostra le proprie movenze, molleggiando sulle gambe in modo da distanziarsi dalla sposa. Fu li che Castle e Ryan si diedero il segnale, mettendosi uno di fronte all'altro, con un ginocchio a terra e l'altro piegato creando uno scalino sulla quale Esposito saltò dopo una breve rincorsa dandosi lo slancio per atterrare ai piedi della consorte, dandole un bacio mentre la musica ancora continuava a suonare coperta dagli applausi di tutti gli invitati.

I due sposi tornarono sulla pista d ballo, seguiti da altre coppie che si vollero unire a quel bizzarro ballo mentre Ryan e Castle tornarono al tavolo dove Beckett e Jenny li attendevano applaudendo ancora le loro gesta.

“Quando avete organizzato questo balletto?”. Domandò la detective mentre il marito le chiedeva di attendere alzando una mano mentre finiva di bere un generoso bicchiere di vino.

“Nelle passate settimane, quando andavamo alla “Vecchia Tana” ci nascondevamo in cantina e facevamo le prove. La coreografia l'ha inventata tutta Kevin.” Disse a corto di fiato mentre indicava il collega che si stava godendo i complimenti di Jenny. “Javi ed io avevamo pensato a qualcosa di più sexy ma poi l'irlandese si vergognava, non voleva rimanere a petto nudo o fare il gesto della sculacciata”

“Sono un uomo sposato e padre di famiglia”. Si giustificò Ryan venendo subito canzonato da Castle.

“Solo per questo non ti nominerò nel discorso”. Lo minacciò versandosi un altro abbondante bicchiere di vino.

“Non ti pare di esagerare” Gli disse Beckett andandoglielo a strappare di mano rimettendolo sul tavolo. Notandolo particolarmente accaldato gli slacciò velocemente il papillon lasciando che gli ricadesse attorno al collo, sbottonando anche i primi bottoni della camicia cosi che riuscisse a respirare meglio.

“No anzi, mi servirà molto più alcool per dimenticare quello che ho fatto e quello che farò”. Disse facendole l'occhiolino, lasciandola da sola in compagnia degli amici mentre lui tornava verso la pista da ballo, superando le coppie che ballavano cosi da sistemarsi accanto al dj dalla quale si fece prestare un microfono prendendo nel mentre il discorso che aveva lasciato nella giacca. Aspettò che la canzone successiva finisse e poi si fece annunciare.

 

“Salve a tutti, mi chiamo Richard e sono uno dei due testimoni del nostro fortunato sposo”. Esordì Castle battendo qualche colpetto sul microfono con il dito indice. “Scusate l'ennesima intrusione, giuro che sarà l'ultima, poi potremmo tutti tornare a sederci e gustarci la torta.”. Continuò aprendo davanti a se il foglio sulla quale aveva appuntato il discorso attendendo che le persone andassero a sedersi ai propri posti o smettessero di ballare per prestargli attenzione.

“Arriva il momento nella vita di ognuno in cui si incontra il vero amore, l'unica persona che si amerà per il resto della vita e anche per Javier è successo, circa 10 anni fa quando ha conosciuto Kevin Ryan”. Parlò Castle rimanendo stoicamente serio mentre si divertiva a prendere in giro i colleghi un altra volta ancora. “Poi però nella sua vita è entrata una ragazza forte, decisa, a volte petulante”. Continuò mettendosi una mano sul cuore e facendo l'occhiolino in direzione di Lanie. “Ma anche estremamente dolce, una vera amica, che oggi è riuscita ad essere più bella di quanto non lo sia già e non ci riesce poi cosi difficile capire perchè Javi ne sia rimasto cosi incantato.”. Il detective si passò il dorso della mano sul viso, cosi da asciugare le gocce di sudore che ancora gli scendevano, spiegazzando il foglio tra le dita cosi da leggere le parole che occupavano la metà inferiore di quello. “Lanie, una persona forse difficile da avvicinare all'inizio, ma che, una volta entrati nella sua famiglia, perchè questo sono per lei gli amici, sono fratelli e sorelle”. Disse agitando la mano, puntando il dito verso il basso. “Che una volta entrati nella sua famiglia, nel suo cuore, vi è impossibile uscirne perchè lei non te lo permette, perchè tu stesso non puoi fare a meno di averla accanto, a sorridere con te nei momenti belli, o a sostenerti in quelli brutti. E Javier lo sa, per questo ha sempre combattuto per lei, per averla tutta per se, per giungere a questo momento”. Castle allontanò il microfono dalla sua bocca cosi da riprendere fiato, per bagnarsi le labbra e mandare giù l'emozione che gli bloccava la gola. “E a proposito di Javi, che dire. Un amico, un fratello, con la faccia da cattivo ragazzo ma con un cuore d'oro”. Il detective abbandonò il foglio che stava leggendo sulla console e si avvicinò a passo lento verso i due sposi che ancora se ne stavano seduti ad ascoltare emozionati l'amico parlare. “Un uomo che mette sempre gli altri al primo posto, che ti guarda costantemente le spalle, protettivo con le persone che ama. E Lanie lo sa, ne ha avuto riprova più volte nel corso di questi anni, per questo ha pazientato perchè sapeva che questo momento sarebbe giunto”. Fece un segno a Ryan e si fece passare un calice che prontamente sollevo al cielo. “A queste due meravigliose persone che hanno avuto la fortuna di incontrarsi e la forza di meritarsi a vicenda. Agli sposi”. Urlò andando a bere dal proprio bicchiere mentre altre congratulazioni si alzarono.

“Le ultime due cose poi ho veramente finito”. Disse aprendo le braccia rivolgendosi a tutti gli invitati presenti. “La prima, un ringraziamento personale. Questo discorso è stato scritto da Kevin, l'altro testimone, e da me. Per un uomo è sempre difficile scrivere qualcosa che c'entri con i sentimenti ma, mentre decidevamo cosa dire, ci siamo accorti che in realtà non lo era. E lo dobbiamo alle due damigelle d'onore, le nostri moglie, le nostre vite, perchè solo grazie a loro abbiamo compreso cos'è l'amore e ora ci viene cosi naturale parlarne.”. Dichiarò senza mai staccare gli occhi da Beckett che scrollò solamente il capo incredula di esser stata tirata in mezzo, ma con un ampio sorriso sulla faccia che esprimeva tutto il suo amore.

##“La seconda cosa è un regalo da noi testimoni per voi sposi, o ancora meglio per tutti gli innamorati presenti. Questo è per voi”. Concluse facendo un mezzo inchino ai due amici, spostandosi dalla loro visuale giusto in tempo perchè vedessero decine di bambini formare due file sopra la pista da ballo cominciando a intonare una versione più lenta della famosa canzone “Sweet child o mine”.

 

“Pensi gli sia piaciuto?”. Domandò a bassa voce Castle prendendo una sedia e accomodandosi accanto alla moglie, indicando con la testa i due sposi abbracciati l'uno all'altra, con Lanie che teneva la testa appoggiata alla spalla del marito, mentre insieme ballavano al ritmo dettato da quei bambini.

“Sono certa che l'hanno adorato”. Gli rispose accarezzandogli una guancia avvicinandosi a lui. “Voi ragazzi avete fatto qualcosa di speciale, non se lo dimenticheranno mai”. Beckett deglutì con fatica, schiudendo la bocca cercando le parole adatte. “Quello che sto per dire potrà risultare alquanto egoistico, superbo, ma penso che sia cosi in realtà. Se tu non fossi mai tornato a New York, nel nostro distretto, credo che tutto questo non sarebbe mai accaduto. In ogni traguardo che abbiamo raggiunto c'è un pizzico di te, in questo matrimonio, nella gravidanza di Jenny”.

“Ah, non hai prove che sia io il vero padre”. Dichiarò il detective alzando le mani in segno di difesa, facendo ridere Beckett che lo colpì con un buffetto sul petto.

“Senza parlare della mia vita. Non avrei potuto realizzare nulla se non ti avessi avuto al mio fianco”. Appurò prendendogli una mano e stringendola forte, voltando il capo nella direzione opposta, verso il coro di bambini che stava concludendo la loro performance.

“Stai piangendo?”. Corrugò la fronte l'uomo usando la mano libera per voltare delicatamente il viso verso di lui, notando i suoi occhi rossi.

“Come potrei non farlo? Come potrei non commuovermi davanti alla meraviglia che è la mia vita?”. Castle trascinò la sua sedia contro quella della moglie, cosi da non lasciare spazio tra loro due, riempiendosi i polmoni d'aria per fare in modo che quel bacio durasse il più possibile, non volendo più staccarsi dalle sue labbra, accarezzando la sua pelle nuda, sentendola tremare al suo tocco, sentendola stringersi ancora di più a lui, con le sue unghie che lo graffiavano da sopra la camicia.

 

Nemmeno le due ore successive passate al ricevimento scalfirono quel loro desiderio, quel loro volersi, e quando arrivarono davanti alla porta del loro appartamento Castle la prese tra le braccia, proprio come il giorno del loro matrimonio, varcando cosi la soglia di casa.

“Stanca?”. Domandò Castle chiudendo la porta spingendola con un piede mentre Beckett si liberava delle sue scarpe agitando i piedi, prendendo nella mano il suo papillon per lanciarlo in aria.

“Portami in camera”. Fu la sua risposta prima di andare a infossare la testa nel suo collo cominciando a torturarlo con i denti e con la lingua.

Quando giunsero nella loro stanza Castle la fece scivolare delicatamente dalle sue braccia, sistemandosi alle sue spalle cosi da aiutarla a liberarsi di ciò che aveva indosso. Con attenzione tolse le forcine vedendo i lunghi capelli ricaderle lungo la schiena e poi fece scorrere verso il basso la cerniera del vestito, lentamente, non volendosi perdere nemmeno un centimetro di quella pelle che conosceva a memoria.

Beckett fece un passo di lato cosi da liberarsi del vestito che era caduto a terra e il marito la seguì come un ombra, lasciando che fosse lei a slacciargli i gemelli e i bottoni della camicia, sempre guardandosi negli occhi, fino a quando lei non finì, facendola scivolare lungo le sue spalle, lasciando che si unisse al suo abito. Castle l'afferrò per il collo, baciandola prima con dolcezza e poi ruvidamente, sentendo le labbra bruciargli e sanguinargli ogni volta che la donna le mordeva. Fu lei stessa a interrompere quel bacio, con il fiato corto e gli occhi accesi mentre gli slacciava la cintura dei pantaloni, infilando le dita sotto di essi, sotto i boxer, trascinandoli verso il basso mentre lei stessa scendeva mettendosi in ginocchio davanti a lui. Castle non potè far altro che chiudere gli occhi e allungare il collo alla ricerca d'aria, portando una mano sulla testa della moglie, infossando le dita tra i suoi capelli accompagnando i suoi movimenti. Non ci volle molto perchè l'uomo si ritrovò a contrarre la mascella emettendo un gemito roco e rabbioso.

“Se continui cosi durerò meno che un ragazzino alle prime armi”. Sibilò spalancando gli occhi guardando verso il basso, pentendosi all'istante di averlo fatto, perchè quando incrociò il suo sguardo sentì una nuova ondata di piacere pervadergli il corpo, facendo dubitare se stesso della propria resistenza.

Beckett si rimise in piedi con un sorriso trionfante sulle labbra, appoggiandogli una mano sul petto e spingendolo cosi da farlo cadere sul letto, liberandosi dell'ultimo pezzo di biancheria che ancora indossava prima di raggiungerlo, muovendosi a gattoni sopra di lui.

“Che succede?”. Gli domandò l'uomo spostandole i capelli da un lato della faccia cosi che questa fosse libera, cosi da poterla guardare mentre facevano l'amore.

“Io...”. Aprì bocca Beckett esitando fin da subito. “Ti amo, Rick”. Disse non riuscendo a dar fiato ai propri desideri, sperando che lui non facesse altre domande, andandolo a baciare per impedirgli di farlo. Le dita di Castle cominciarono a toccarla, salendo lentamente dalle cosce ai suoi fianchi, sentendola ridere contro la propria bocca quando le fece il solletico. La donna allora lo afferrò per i polsi mentre si sedeva su di lui, posando le sue mani sui suoi seni, facendo poi scorrere la propria lungo il suo petto, fino a prenderlo tra le dita facendolo scivolare dentro di se. Castle gemette quando si sentì avvolgere dal calore di lei mentre Beckett si muoveva lentamente su di lui, con gli occhi incollati sul suo viso, guardandolo mentre ogni muscolo del suo corpo si irrigidiva, con il collo teso mentre inclinava la testa all'indietro alla ricerca d'aria. Chiuse gli occhi la donna, concentrandosi solo su quello che sentiva, sulle mani del marito che le stringevano i fianchi facendola diventare rossa, e quando li riaprì si ritrovò a specchiarsi in quelli di Castle che nel frattempo si era messo seduto.

“Dammi un figlio Rick”. Dichiarò cogliendo di sorpresa sia Castle che se stessa, ma non ci poteva fare nulla, quelle parole le erano nate dal cuore, spinte fuori dall'amore che vedeva negli occhi del marito, dal piacere che le stava facendo provare in quel momento.

“Mettimi incinta questa notte”. Ribadì avvilita perciò che desiderava e che ancora non era successa, nonostante la parte più razionale di lei le ricordava che il solo volerlo non avrebbe di certo reso la cosa effettiva, eppure ci sperava, voleva che fosse cosi. Castle nascose la faccia tra i suoi seni, vezzeggiandoli e torturandoli con la bocca e con la lingua, spingendosi in avanti facendole inarcare la schiena,mentre lei gli abbracciava la testa. Rimasero cosi per diversi minuti, spingendosi l'uno contro l'altro, stringendosi e graffiandosi, gemendo e sussurrando il nome dell'altro, fino a che il detective non la fece rotolare sulla schiena, prendendo lui il controllo della situazione.

“Avremo un bambino, te lo giuro”. Dichiarò tenendosi sopra di lei infossando una mano nel materasso mentre con quella libera andava ad accarezzarle la pancia. “Te lo giuro”. Ripetè volendo convincere anche se stesso che quel momento prima o poi sarebbe arrivato.


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Chiedo ancora scusa per la lunghezza del capitolo ma mentre scrivevo le idee sono uscite a raffica. Il prossimo capitolo vedrà i nostri due detective affrontare qualche piccolo problema personale che metterà a nudo il loro cuore.
 

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Capitolo 9
*** 27 Giugno: Negativo ***


 

Appena giunta a casa dopo una lunga e difficile giornata di lavoro, contrassegnata da un caso non ancora chiuso e dalla Roalstad che continuava le sue “lezioni”, Beckett appoggiò la borsa della spesa sul ripiano della cucina mentre Castle, piegato sulle ginocchia, sbuffava portando le sue due.

“Dovremmo prendere meno cose da mangiare”. Notò gemendo mentre alzava la busta di plastica carica di frutta. “Sia per il bene della mia schiena che dei miei addominali. Tu mangi mangi ma non ingrassi io invece sto diventando un rotolo”. Si lamentò gonfiando la pancia tirandosi le maniglie dell'amore.

“Più massa per me d'abbracciare”. Scherzò Beckett aprendo lo sportello del frigo cosi da ritirare il succo e il latte mentre Castle ancora si specchiava nel retro di una pentola, riempiendo la bocca d'aria e gonfiando le guance, muovendo la testa prima a destra e poi a sinistra per studiarsi.

“Vedremo se sarai di quella opinione una volta che i miei magnifici muscoli spariranno, senza parlare della testa che mi diventerà un pallone”. Continuò rimettendo la pentola a posto cosi da aiutare la moglie a ritirare il cibo. “Sai, stavo pensando, quando tu ti trattieni di più al distretto io potrei andare in palestra. Giusto quei due giorni alla settimana per tenermi in forma”.

Beckett si voltò verso di lui, appoggiando una mano sul ripiano e l'altra su di una confezione di cereali. “Ti sei offeso quando l'agente Cabral oggi ti ha detto che le sembrava che fossi ingrassato? É questo il motivo?”. Domandò la donna non credendolo narcisista fino a quel punto. Castle mugugnò qualche parola incomprensibile, aprendo una delle ante degli armadietti più alti cosi da ritirarvi alcune lattine di birra.

“Castle?”. Lo richiamò ancora vedendolo sbuffare abbassando di colpo il capo.

“Forse”. Rispose toccandosi con il dito indice la pancia, tirandosi la camicia e sollevandosi più che potè i pantaloni cercando di nasconderla.

“Solo l'opinione di una donna dovrebbe farti sorgere certi dubbi”. Disse avvicinandosi, tenendo tra le mani quella stessa scatola di cereali. “La mia”. Sottolineò mettendogli in mano il cartone cosi che se ne occupasse lui mentre lei proseguiva con il resto. “Inoltre la ginnastica puoi farla anche qui. A casa di tua madre c'è ancora qualche tuo attrezzo, puoi portarlo qui, un buco dove metterli lo troveremo”.

“E perchè non posso andare in palestra? Sarebbe meno problematico”. Affermò lui aprendo la confezione di nutella infilandoci il dito dentro cosi da gustarla.

“E meno male che ti lamentavi del peso fino a pochi attimi fa”. Notò lei cercando di rubargli il vasetto di mano ma lui fu più veloce e riuscì a spostarsi dalla sua traiettoria.

“Allora perchè non vuoi?”. Continuò pulendosi per bene il dito vedendo la moglie scrollare il capo sconfitta.

“Perchè in palestra ci vanno tutte le donne divorziate in cerca di qualche storiella e non mi va che ci provino con te tra un sollevamento e l'altro”. Spiegò la detective nascondendosi dietro lo sportello del frigo con la scusa di ritirare la verdura mentre Castle si metteva dietro di questo aspettando che lei lo chiudesse per accorgersi della sua presenza.

“Sei gelosa”. Enunciò tutto trionfante quando si ritrovò faccia a faccia con la donna che colse l'occasione per rubargli la nutella.

“Quando si tratta di te si”. Ammise appoggiando il vasetto accanto al lavandino per poi prendere la propria borsa. “Io vado a cambiarmi tu prepara qualcosa”. Disse dandogli un veloce bacio prima di correre al piano superiore.


Si diresse velocemente in camera dove si liberò in tutta fretta degli abiti da lavoro e con altrettanta velocità indossò dei pantaloncini e una maglietta del marito cosi da stare più comoda. Tutta l'agitazione accumulata durante la giornata stava reclamando l'attenzione della donna. Beckett era riuscita a controllarsi, ad agire come se nulla fosse successo, però in cuor suo non sperava altro che la giornata passasse in fretta, cosi da poter fare quel test che segretamente era andata a comprarsi durante la pausa pranzo.

Il dubbio le era sorto quasi una settimana prima, per l'esattezza una mattina appena sveglia. Fece appena in tempo ad aprire gli occhi che dovette correre in bagno colpita da una nausea improvvisa. In quel momento sul subito non ci pensò, dando la colpa a una qualche forma di influenza, ma quando tutto passò nel giro di poche ore senza aver preso alcun medicinale una vocina nella sua testa cominciò a considerare quell'eventualità che non osava dire a voce alta. Una volta al distretto, mentre i colleghi e il marito erano impegnati a definire la linea temporale del nuovo caso, lei aveva preso il cellulare, cosi da visionare il calendario, e si era messa a contare velocemente a ritroso, muovendo un dito dopo l'altro senza staccare gli occhi da quelli, rifacendo il conto diverse volte avendo sempre la conferma di avere un ritardo di tre giorni. Subito le venne da collegare quell'episodio mattiniero ma da esperta detective quale era sapeva che erano pochi indizi per aver la certezza di essere incinta, solo un test gliel'avrebbe data. Cosi cercò di calmarsi, di non sperarci troppo, concentrandosi sul caso e di comportarsi come se nulla fosse successo.

Quando altri giorni passarono senza che nulla accadesse si decise e approfittando di quell'ora libera andò a comprare il necessario. E ora se ne stava li, seduta sul suo letto a fissare dentro la borsa quella scatola rettangolare nascosta tra portafogli, specchietti, fazzoletti e altro ancora. Sapeva che doveva sbrigarsi, prima che Castle la venisse a chiamare perchè la cena era pronta e cosi si alzò, fermandosi contro lo stipite della porta per assicurarsi che il marito non fosse nei paraggi e, correndo, si chiuse in bagno.

Girata la chiave si sedette sopra il bordo della vasca, aprendo le mani davanti a se, inspirando profondamente cercando di darsi un contegno.

“Avanti Kate, ora calmiamoci”. Si disse chiudendo gli occhi continuando a respirare lentamente. “Non serve agitarsi cosi per un dubbio magari del tutto fuori luogo”. Parlò ancora tra se e se, aprendo con dita tremanti la scatola leggendo rapidamente le istruzioni.

“I tre minuti più lunghi della mia vita”. Constatò alzando davanti agli occhi quel bastoncino, osservandolo come un oggetto venuto da un altro mondo, incapace di credere che un cosi piccolo pezzetto di plastica avesse un tale potere su di lei. “Forze e coraggio Beckett”.


Castle stava assaggiando il sugo, che aveva creato usando quel poco condimento che era rimasto in due o tre barattoli, quasi del tutto soddisfatto della sua nuova creazione culinaria, guardando l'orologio per controllare quanto ancora dovesse far bollire la pasta solo per accorgersi che Beckett era sparita da quasi dieci minuti.

Voltò la testa in direzione delle scale e non la vide scendere, cosi scolò anzitempo la pasta mischiandola poi con il sugo, sperando che alla fine risultasse abbastanza mangiabile, prima di recarsi a vedere cosa stava trattenendo la donna.

Guardò in camera da letto ma vide solo i vestiti della detective a terra e la borsa sul letto, cosi la chiamò senza ottenere risposta. Tentò allora nella camera degli ospiti, nello sgabuzzino e alla fine fece per aprire la porta del bagno trovandola chiusa a chiave.

“Tesoro tutto bene?”. Domandò bussando con la mano sinistra mentre con la destra cercava di girare inutilmente la maniglia.

Beckett strizzò gli occhi e lasciò che un imprecazione uscisse flebile dalla sua bocca, agitando la testa in cerca della scusa adatta per il marito.

“Si è che volevo farmi la doccia prima di mangiare”. Disse frettolosamente controllando ancora l'orologio, vedendo che ormai mancava poco meno di un minuto al momento della verità.

“E da quando chiudi la porta per fare la doccia”. Fece notare Castle appoggiandosi al muro accanto ad essa, con le braccia incrociate al petto aspettando che la moglie gli aprisse. “Di certo non è nulla che io non abbia già visto e ammirato”. Appurò con un sorriso maliardo, bussando ancora quando dal bagno non sentì provenire alcun rumore.

Beckett vide la lancetta dei minuti scattare per la terza volta dandole il segnale che aspettava impaziente. Guardò il bastoncino posato sopra il lavandino e deglutì con fatica, allungando una mano verso di esso tenendo gli occhi chiusi. La verità era li, scritta proprio davanti a lei, eppure non aveva il coraggio di vederla, stringendo ancora gli occhi combattendo il desiderio di sapere. Cercò di convincersi che, se anche fosse stato negativo, non sarebbe successo nulla di che, ci avrebbero riprovato, ma una parte di lei urlava prepotentemente di aprire gli occhi, di vedere quelle due lineette blu che le avrebbero annunciato l'arrivo di suo figlio.

Quando sentì ancora una volta la voce preoccupata del marito che la chiamava si decise e sollevò la palpebra destra andando a cozzare con il bastoncino, vedendo finalmente il risultato.

Castle ormai era ben deciso a sfondarla la porta quando questa si aprì facendo comparire dietro di essa Beckett. All'uomo bastò un occhiata veloce per notare le lacrime che le scendevano copiose dagli occhi.

“Che succede?”. Domandò privo di fiato, prendendola per un braccio cosi da trascinarla fuori dal bagno. La donna ebbe solo la forza di sollevare la mano che ancora stringeva il bastoncino tra le dita, oggetto che il detective andò a fissare senza comprendere, non essendo pratico di certi aggeggi.

“Che cos'è?”. Chiese vedendola asciugarsi il viso con la mano libera, sbavandosi il trucco che ancora aveva sugli occhi.

“é un test di gravidanza Rick”. Rispose quasi arrabbiata, aprendo la mano davanti a lui cosi che potesse studiare quell'oggetto misterioso. Castle abbassò lo sguardo cosi da guardarlo per poi tornare subito sulla moglie aspettando da lei un chiarimento.

“é positivo?”. Castle si ritrovò a tremare, cercando di capire cosa volessero dire quei segni che vedeva, pregando con gli occhi Beckett di rispondergli il prima possibile, di evitare di farlo morire a causa dell'infarto che sapeva stava per avere.

Beckett aprì la bocca ma subito dopo la richiuse, non riuscendo a parlare, sentendo un nodo in gola che le bloccava anche l'aria. Cosi scrollò vigorosamente il capo lanciandosi poi tra le sue braccia, lasciando cadere a terra quel bastoncino che aveva distrutto in pochi minuti le sue speranze.

“Qualche giorno fa non sono stata bene, ho un ritardo, non prendo la pillola da mesi e alla fine, mettendo insieme tutto, ho creduto che forse questa sarebbe stata la volta buona. Ma sono stata solo una stupida”. Singhiozzò asciugandosi le lacrime contro il petto del marito, conficcando le unghie nella carne della sua schiena sentendo il disperato bisogno di stringersi a lui, di aggrapparsi a Castle per non cadere nel baratro che sentiva aprirsi sotto i suoi piedi. “Non è la fine del mondo lo so, eppure non riesco a smettere di piangere”. Confessò delusa e arrabbiata insieme.

Castle posò il mento sulla sua testa e la cullò lentamente, muovendo il busto a destra e sinistra stringendola tra le sue braccia. “é tutto a posto Kate”. Cercò di rassicurarla sentendola negare con il capo contro il suo petto. “Ci stiamo provando solo da pochi mesi è normale che ci possa volere più tempo. Se non sarà il mese prossimo sarà quello dopo, o magari quello dopo ancora, ma so che alla fine accadrà. Basta avere fiducia”. Dichiarò l'uomo accigliandosi mentre pronunciava quella frase, non sentendo proprie quelle parole, non credendoci del tutto nemmeno lui.

“Ho quasi 35 anni anni Rick, ad ogni mese che passa le possibilità diminuiscono”. Enunciò disillusa lei asciugandosi con rabbia le lacrime mentre si staccava da lui lentamente, diventando fredda e distaccata senza saperne nemmeno lei il motivo.

“Andiamo Kate non vorrai farti abbattere dal primo test negativo”.Ridacchiò Castle indicando quel bastoncino ancora a terra, cercando di smorzare la situazione, di rasserenare la moglie, ma quel suo modo di affrontare la cosa la offese, facendole credere che lui stesso non comprendesse la situazione.

“Non puoi capire Rick”. Chiuse gli occhi la donna rimanendo in piedi in mezzo al corridoio, passandosi entrambe le mani nei capelli guardando nella direzione opposta all'uomo. “ Non sai cosa vuol dire passare giorno dopo giorno sperando di esserci finalmente riuscita, di svegliarmi la mattina desiderando di avere la nausea, i giramenti di testa”. Confessò a bassa voce, facendosi sentire da Castle solo perchè in quel momento la casa era completamente avvolta dal silenzio. “Non sai cosa voglia dire fare l'amore con te pregando con tutta me stessa che quella sia la volta buona per riuscire finalmente a darti ciò che entrambi desideriamo. Non puoi capire cosa vuol dire per una donna non riuscire ad essere madre. Non puoi capire quanto mi senta vuota ora”. Ribadì ancora e ancora sempre con maggiore rabbia, odiando se stessa e odiando Castle. Si domandava perchè non la lasciasse in pace, perchè non riuscisse a vedere il senso di colpa che le attanagliava il cuore, perchè non comprendesse il fatto che lei non si sentisse più la donna adatta per lui, perchè cominciava a dubitare del fatto di meritarlo.

“Scusami, non dovevo prendermela con te, non è colpa tua.”. Sussurrò la detective sentendo il proprio cuore stritolato in una morsa, muovendosi verso le scale cosi da porre fine a quella conversazione.

“Sai”. Disse tremante Castle facendola fermare prima che potesse muoversi sul primo scalino. Beckett serrò le labbra chiudendo gli occhi, preparandosi ad un altra battaglia che era stata lei stessa ad iniziare e dalla quale non poteva fuggire. Quando però si voltò verso l'uomo lo vide fragile come mai era successo, con le labbra tremanti e le lacrime agli occhi. “Tutti pensano che sia difficile solo per una donna ma non è cosi.”. Sorrise beffardamente il detective fissando un angolo del muro cosi da impedire alle lacrime di scendere. “Mi sento rotto in mille pezzi, Kate”. Disse tutto d'un fiato dopo alcuni secondi di silenzio, alzando una mano all'altezza del petto agitandola verso l'alto e il basso, andando infine a chiuderla in un pugno. “ E ogni giorno cerco di ricostruirmi ma alla fine mi accorgo che ne manca sempre una parte, quella parte che non mi permettere di essere completo, di essere un uomo vero. Se non riesco a darti un figlio a cosa servo?”. Asserì cercando, volendo, una risposta da parte della moglie che aiutasse il suo animo ad acquietarsi.. “E non posso non chiedermi cosa ne sarà di me se non ci riuscirò nei prossimi mesi, nel prossimo anno, se già ora mi sento cosi”. Continuò non riuscendo più a contenersi, non riuscendo più a fermare la propria voce che gli sembrava avere una volontà propria, sputando tutta la frustrazione che si sentiva in corpo ma che non aveva mai avuto il coraggio di condividere con la moglie. “ E alla fine mi ritrovo a desiderare di essere morto in quel magazzino almeno ti avrei dato l'opportunità di trovare un uomo capace di darti un figlio ”. Beckett lo guardò meravigliata per qualche istante, immobile come una statua, mentre la sua mente assorbiva quella parole, sapendo che non erano state dette cosi per dar fiato alla bocca, Castle le pensava veramente. Senza pensarci su più di due secondi compì un paio di ampie falcate ritrovandosi addosso a lui, alzando una mano andando a colpirlo in piena faccia, rendendogli la guancia rossa all'istante.

“Non dire mai più una cosa simile, non osare nemmeno immaginarla una seconda volta o non mi limiterò a tirarti uno schiaffo”. Gridò perentoria colpendolo ancora al petto finchè lui non l'afferrò per il polso attirandola prima a se e poi schiacciandola tra il suo corpo e il muro mentre ancora lei si agitava. “Non avrei permesso a nessun'altro uomo di essere il padre dei miei figli. Se non li avrò da te non li avrò affatto”.

“Kate, adesso basta”. Le ordinò ancorandole una mano al muro con la propria mentre con la sinistra cercava ancora di tenerla ferma. “Basta”. Le disse questa volta più calmo, mettendo la bocca vicino al suo orecchio, sentendo le sue proteste farsi più fiacche.

“Dannazione Rick, perchè non riesco a darti un figlio?”. Domandò stringendo con le dita la polo che il detective indossava. “Perchè Jenny è rimasta incinta dopo due mesi che ci provavano e io no?. Cosa se avessi aspettato troppo?”.

“Sai, credo che entrambi ci siamo lasciati troppo influenzare dal fatto che gli altri ci sono riusciti subito e noi no. Andiamo Kate sono solo 4 mesi che tentiamo non 4 anni.”. Enunciò lui appoggiando entrambe le mani sulle sue guance, asciugandole le lacrime con i pollici mentre le sollevava il viso cosi che si guardassero.

“Anche io lo desidero quanto te lo sai e non nego che rimango amareggiato ogni volta che un mese passa senza novità ma credo anche che reagire in questo modo non ci faccia bene”. Beckett inspirò profondamente trovandosi d'accordo con il marito, andando a guardare la sua maglietta bagnata dalle sue lacrime, passandoci una mano sopra come se quel semplice gesto bastasse ad asciugarle.

“Non le pensavo davvero le parole che ti ho detto prima”. Dichiarò tornando a guardarlo, trovando forza nel suo volto sereno. “Ero solo arrabbiata con me stessa, mi dava anche fastidio il semplice fatto che tu mi consolassi, lo ritenevo solo tempo perso”.

“Far di tutto per farti ridere non sarà mai tempo perso per me”. Sorrise lui posando le labbra sulla sua fronte, rimanendo li più del necessario solo per godersi quel contatto, sorridendo debolmente quando Beckett si staccò dal muro per andare in contro a lui, rimanendo petto contro petto.

“Ce la faremo”. Constatò decisa la donna vedendo annuire il marito altrettanto seriamente.

“Che ne dici se intanto non ci lasciamo tutto alle spalle per qualche giorno?”. Domandò abbassandosi sulle ginocchia cosi da essere alla sua altezza, andandole a prendere le mani dandole un leggero tirone cosi da invogliarla. “Tu ed io. Senza responsabilità, senza preoccupazioni, lontano da tutti e da tutto”.

Beckett ci ponderò su qualche istante, non disdegnando l'idea di passare del tempo da sola con il marito, per recuperare quello rubato dalle lezioni impartitele dalla Roalstad. “Non la settimana prossima però. Il capitano vuole che mercoledi o giovedi io faccia i test perciò i giorni prima saranno di fuoco.”

Castle sorrise a quella notizia, una novità dato che la Roalstad non l'aveva ancora informato sulle sue intenzioni, ma contento che finalmente la moglie compisse l'ultimo passo per guadagnarsi il titolo di capitano.

“Allora quella dopo ancora. Diciamo...”. Disse strizzando gli occhi farfugliando velocemente i conti che stava facendo nella mente. “Di scappare per un bel week end rilassante. Facciamo il 13 e il 14 prossimo. Che ne dici?”.

“Dico che non vedo l'ora”. Affermò ancora con gli occhi rossi ma tornando di nuovo felice mentre lo abbracciava stringendolo per il collo. “Ma chi lo dice alla Roalstad?”

“Lascia fare a me, non saprà dirmi di no. Gliela metterò giù come una specie di premio per il tuo successo con i test”. Spiegò dandole un bacio sulla guancia, soffermandosi a guardare il suo viso alla ricerca di altre tracce di tristezza, pronto a intervenire ancora per renderla di nuovo gioiosa.

“Mi porterai negli Hamptons?”. Domandò mentre il detective la prendeva per una mano con l'intenzione di andare al piano inferiore dove la cena, ormai fredda, li stava ancora aspettando. “La bella stagione non è ancora cominciata, avremo la spiaggia tutta per noi”

“Già meglio approfittarne ora prima che venga invasa dai turisti”. Ribattè pensieroso, storcendo la bocca guardando verso il cielo. “Comunque, per ora, l'unico posto dove voglio andare è la cucina”. Affermò massaggiandosi la pancia, cominciando a sentire un fastidioso buco allo stomaco che non vedeva l'ora di riempire.

 

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Capitolo non propriamente felice ma volevo affrontare un pò le paure dei due protagonisti, anche se forse un pò esagerate. Nel prossimo invece vedremo che combinano negli Hamptons e quello che Castle si inventerà per stupirla.

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Capitolo 10
*** 13 Luglio: Hamptons ***




Beckett emise un verso di sforzo quando alzò il trolley cosi da portarlo giù per le scale, camminando rasente al muro, cosi da appoggiarsi a quello con la schiena ogni qual volta credeva di star per perdere l'equilibrio. Sbuffò togliendosi una ciocca di capelli da davanti al viso soffiandoci contro mentre osservava il marito davanti a se che saltellava da da un lato e poi da un altro, concentrato a finire quella partita di tennis virtuale che aveva iniziato quando lei ancora si stava preparando per il viaggio.

“Hai preso tutto?”. Gli chiese sfruttando le rotelle della valigia per portarla vicino alla porta con meno fatica, sistemandola accanto a quella del marito, assicurandosi che avesse chiuso a dovere ogni cerniera.

“I vestiti sono nel trolley, le chiavi della macchina sono nella ciotola all'ingresso, il mio portafogli è nella giacca sull'appendiabiti”. Rispose senza nemmeno guardarla, muovendo il braccio con foga come se stesse davvero brandendo tra le mani una racchetta da tennis.

“Le chiavi della villa?”. Domandò tastando prima nelle sue tasche per poi cercare nella borsa, non ricordandosi dove le avesse ritirate la sera prima quando erano andati da Martha e Alexander per farsele prestare.

“Anche quelle nella mia giacca”. Disse Castle incurvandosi sulla schiena, appoggiando entrambe le mani sulle ginocchia. “Nadal mi farebbe un baffo”. Ridacchiò trionfante spegnendo il gioco e la televisione, pronto a partire per quel week end con la moglie.

“Sicuro che la Roalstad non se la sia presa?”. Beckett frugò nelle tasche dell'indumento del marito cosi da cercare le chiavi pensando alla reazione avuta dal capitano quando il marito le aveva accennato quel loro viaggio fuori programma. Era stata stranamente accondiscendente, non facendo domande di alcun tipo, dando subito il suo assenso nonostante Beckett avesse appena sostenuto gli esami per diventare capitano e la commissione poteva chiamarla in qualsiasi momento.

“Te lo giuro”. Ribadì per l'ennesima volta dirigendosi in cucina cosi da prepararsi un bicchiere d'acqua. “Anzi ha detto che dopo tutto quello che hai dovuto affrontare questi mesi qualche giorno per staccare ti serviva. Inoltre ha detto di approfittarne, di rilassarsi e di non pensare all'esito dell'esame.”. Continuò risciacquando il bicchiere tornando poi dalla moglie che stava controllando ancora una volta il contenuto della sua borsa, ritirando in una delle tasche interne le chiavi della casa.

“Strano. Avrei scommesso che si sarebbe rifiutata di darci questi giorni di ferie dato che già Ryan è in congedo. Dopo tutto mancano solo pochi giorni alla scadenza.”. Beckett sorrise al pensiero degli amici che ormai erano prossimi a diventare genitori, ricordandosi la chiacchierata che aveva avuto il giorno prima con Jenny, mentre scherzando le chiedeva di non farle brutti scherzi mentre erano via e di giungere al termine cosi da non rovinare il loro week end.

Castle invece pensò alla Roalstad, al colloquio che avevano avuto mentre le chiedeva il permesso di assentarsi in quei due giorni. La donna gli aveva di nuovo ricordato che Beckett non sapeva ancora la verità sul suo intervento con la commissione, pregandolo ancora una volta di confessarlo il prima possibile visto che la commissione stessa aveva già valutato i test svolti dalla detective e non aspettava altro che avere un colloquio privato cosi da accordarsi sul suo nuovo ruolo di capitano. Castle però sapeva che quello non era di certo il momento adatto, sicuramente non mentre stavano partendo per due giorni di completo relax, lontano da tutti e da tutto, rimanendo solo loro due da soli senza preoccupazioni.

“Oggi ci sarà Espo che approfitterà dell'occasione per insegnare il mestiere a qualche nuova recluta, mentre domani invece non lavoravamo già di nostro quindi non sorge il problema.”. Le ricordò l'uomo andando ad indossare la propria giacca, tirando poi vicine le valigie dando un ultima occhiata attorno a se per essere sicuro che tutto fosse a posto prima di partire.

“Andiamo?”. Disse infine aprendo la porta e afferrando con tutte e due le mani i trolley cosi da non lasciare quel compito alla moglie. Appena varcata la porta però si girò di scatto verso l'interno dell'appartamento senza dare modo a Beckett di uscirne.

“Sia chiara una cosa”.Affermò appoggiandosi allo stipite. “Una volta che avrai messo piede fuori da casa nostra non voglio più sentire parlare di lavoro, della Roalstad, degli esami o di qualunque altra cosa che non riguardi la nostra sfera privata”. Disse indicandosi e indicandola con il dito cosi da rendere più chiaro il concetto.

“Promesso”. Rispose la detective spingendolo via con una mano cosi da poter uscire dall'appartamento e chiudere la porta dietro di se. “Solo tu ed io”. Ribadì afferrandolo per il mento dove l'uomo si era impuntato di far crescere un pizzetto che lo rendesse ancora più sexy di quanto già non si ritenesse.

L'uomo afferrò il proprio trolley lasciando l'altro nelle mani della moglie dirigendosi insieme a lei in ascensore con una strana sensazione che gli martellava la testa. Quel fastidio era cominciato due giorni prima, il mercoledi che Beckett si era recata a fare gli esami predisposti apposta per lei. Durante quelle ore di assenza aveva pensato molto a quanto la Roalstad gli aveva detto, su ciò che si sarebbe dovuto aspettare una volta che Beckett avesse accettato il ruolo di capitano, della continua fiducia che doveva infondere nella donna, ma sopratutto al rimando continuo del capitano riguardo il suo intervento nella faccenda.

Mentre osservava la donna appoggiata ad una delle pareti dell'ascensore ponderava su quale fosse il momento migliore per parlarne, se durante il viaggio che li avrebbe portati negli Hamptons, o meglio ancora una volta giunti in quel paradiso.

“Tutto ok?”. Lo distolse dai suoi pensieri Beckett allungando una gamba cosi da andarlo a colpire delicatamente all'altezza dello stinco, facendolo girare pensieroso verso di lei.

“Si, solo che il mio cervello sta facendo cose strane”. Rispose il detective facendo roteare l'indice accanto alla sua tempia, facendo un chiaro segno che ciò che stava facendo era più comune in qualche pazzo.

“Tipo? Pensare?”. Domandò scherzosa Beckett vedendolo grattarsi il collo imbarazzato, dando qualche calcetto al trolley facendolo barcollare sulle ruote, rischiando più volte di farlo cadere.

“Tipo passare mentalmente in rassegna tutta la casa per esser sicuro di aver chiuso tutte le finestre e spento le luci”. Ridacchiò lui afferrando la maniglia della valigia cosi da uscire dall'ascensore una volta che le porte si aprirono, estraendo dalla tasca della giacca le chiavi dell'auto cosi da togliere l'antifurto nonostante non fossero ancora vicini.

“Giusto per fare qualcosa per tenere la mente occupata”.

“E perchè dovresti tenerla occupata?”. Tornò a chiedere Beckett afferrandolo per un braccio, facendolo fermare in modo da potere avere una risposta chiara, cosi da poterlo guardare mentre le parlava cosi da non farsi dare le spalle e dargli l'occasione di mentire.

“Per non cedere alla tentazione di chiamare la Roalstad e farmi dire cosa ha deciso la commissione”. Rispose inarcando un lato della bocca, sforzandosi di sorridere, incrociando le dita perchè la moglie credesse alle sue parole.

“Non mentirmi”. Fu la risposta secca di Beckett, rimanendo in piedi davanti a lui in mezzo al parcheggio sotterraneo dell'edificio, muovendo lo sguardo da lui distratta dal rumore di portiere che si chiudevano.

Castle si rimproverò per essersi cacciato in quella situazione cosi facilmente e si sforzò di trovare la scusa più adatta, non volendo di certo parlare con la moglie in quel momento. “Ho una piccola confessione da farti”. Dichiarò infine sentendosi lo stomaco chiudersi per la paura. “Ma preferirei farlo una volta tornati da questa mini vacanza”.

“Per il nostro bene?”. Domandò Beckett mettendosi le mani ai fianchi, cominciando a battere con il piede per terra.

“Per il mio”. Strizzò gli occhi lui vedendola scrollare il capo guardando il muro piuttosto che lui.

“Dato che voglio evitare di litigare prima di partire eviterò questo argomento. Per ora ti salvi”. Sbuffò la detective riprendendo la valigia cosi da dirigersi verso la loro macchina, voltandosi di nuovo minacciosa puntandogli un dito contro. “Per ora”. Gli ricordò ancora facendolo comunque sorridere.

 

Più di un ora e mezza dopo si trovavano in macchina, lungo la strada dalla quale si poteva finalmente ammirare l'oceano, lontana dalla città e dal caos di questa, respirando l'aria fresca, che entrava dal tettuccio abbassato dell'auto, e non quella pesante della città. Castle teneva distrattamente la mano destra sul volante mentre il gomito del braccio sinistro era appoggiato sopra la portiera, con le dita della mano addosso alla propria guancia. Osservava la strada vuota da sotto gli occhiali da sole, spiando di tanto in tanto con la coda dell'occhio la moglie che se ne stava appoggiata con un braccio piegato sopra il proprio sportello, con gli occhi rivolti verso quell'infinito specchio d'acqua, osservando il sole specchiarsi su di esso, mentre faceva ondeggiare l'altra mano contro vento. Avevano parlato di tutto e di niente fino a pochi attimi prima ma appena davanti a loro era comparso l'oceano Beckett si era di colpo ammutolita, rapita da quello spettacolo che potevano permettersi solo un paio di volte l'anno a causa del loro lavoro.

“A cosa pensi?”. Le domandò l'uomo appoggiando la testa sulla propria mano rallentando, cosi da poterla guardare senza preoccuparsi troppo della strada.

“Hai mai avuto la sensazione di trovarti dentro un film?”. Beckett non si mosse, rimase ancora appoggiata alla portiera, a guardare l'oceano limpido resistendo al desiderio di fermare la macchina e correre verso la spiaggia, per sentirla solleticarle i piedi, per tuffarsi in quella quiete che il mare stesso rappresentava per lei.

“Io la provo proprio adesso. Uno di quei film romantici, dove i due protagonisti stanno per compiere il viaggio che cambierà loro la vita, godendosi quella spensieratezza che solo un paesaggio simile può creare, vivendo di silenzi che però dicono tutti, avendo come sottofondo un pianoforte che in qualche modo cerca di rappresentare la felicità che sentono dentro di loro”. Enunciò la donna scostandosi i capelli, lasciando che il vento li spingesse dietro il suo viso, girando il collo per osservare come Castle la stesse guardando, andando a tenere il volante con la mano sinistra mentre la destra l'allungava verso di lei, invitandola ad afferrarla.

“Che ci cambi la vita o meno sono contento di essere qui.”. Affermò dandole un bacio sulla mano senza mai lasciargliela. “Mi mancava passare del tempo da solo con te, veramente da solo”.

Beckett gli accarezzò il dorso della mano con il pollice tornando a guardare il mare, respirando a pieni polmoni l'odore di salsedine nell'aria. “Sai a volte vorrei fuggire e rifugiarmi in un posto come questo, dove posso essere nessuno, ne un detective, ne un amica, ne una figlia, ne una moglie”. Ammise sentendo la stretta del marito farsi più rigida, scrutandolo con la coda dell'occhio cosi da vedere il suo volto improvvisamente tirato.

“Mi chiedo dove sia finita quella Beckett di 10 anni fa, che non aveva paura di niente, o per lo meno riusciva a nasconderle le sue paure. Vorrei essere quella donna per riuscire ad affrontare ciò che sta capitando nella mia vita senza aver questo desiderio di fuggire”. Continuò facendo ricadere la testa sulla propria mano, chiudendo gli occhi pensierosa.

“Non ti permetterei di farlo”. Disse cosi convinto Castle tanto da convincere all'istante la donna, da toglierle anche quel più piccolo dubbio su quanto l'uomo tenesse a lei.

“Per mia fortuna è cosi.”. Sospirò appagata, posando la mano libera sulle loro unite, abbassando gli occhi su di esse concentrandosi sui suoi pensieri. “Rick, se tutto ciò che ho si sgretolasse ai miei piedi e cadessi, saresti ancora li pronto ad aiutarmi ad alzarmi, a prenderti cura di me?”

Castle potè vedere nei suoi occhi ancora quella malinconia, la stessa che l'aveva accompagnata nei momenti vuoti della giornata, quando i pensieri negativi tornavano a bussare nella sua testa, quando non si riteneva di essere alla sua altezza, quando credeva di togliergli qualcosa dimenticandosi di tutto ciò che invece gli donava.

“Sarò li ancora prima che tu cada”.

 

Il resto del viaggio fu passato in silenzio, tenendosi solamente la mano, perdendosi nei pensieri piacevoli che quel week end faceva nascere nella loro testa. Beckett sospirò sollevata al pensiero di quei due giorni di assoluto relax mentre Castle sorrideva non vedendo l'ora di viziare la moglie, di farle vedere ciò che aveva preparato per lei quella sera stessa.

Castle parcheggiò davanti alla porta d'ingresso, non preoccupandosi che questa potesse dare fastidio in quanto non si aspettavano ospiti, sarebbero stati solo loro due per 48 ore, il resto del mondo era chiuso fuori. Scendendo dalla vettura il detective si posò le mani sui reni inclinando la schiena all'indietro, sentendosi i muscoli indolenziti dopo quelle due ore di viaggio a cui non era abituato. Velocemente si spostò accanto al bagagliaio dove Beckett stava già prendendo le valigie cosi da portarle all'interno senza perdere tempo.

“Che marito premuroso sarei se ti lasciassi fare a te”. Affermò appropriandosi dei trolley procedendo verso la casa seguito dalla moglie. Beckett estrasse le chiavi dalla sua borsa e andò ad aprire l'uscio, venendo subito colpita dal profumo inebriante di lavanda che aleggiava nell'atrio.

“Paula deve essere passata di qua”. Sorrise chiudendo la porta dietro di se, immaginando la domestica che si occupava della casa mentre spruzzava più e più bombolette di profumo in ogni stanza cosi da farle profumare di fresco, riempiendo ogni angolo con vasi ricolmi di fiori freschi che lei stessa andò a toccare, abbassandosi con il viso cosi da annusarli.

“Prendo da bere e ti vengo ad aiutare con le valige”. Disse la donna avviandosi verso la cucina mentre il marito prendeva la direzione opposta cosi da salire le scale, non si accorse però che lui si era fermato ai piedi di quelle, appoggiando i trolley contro il muro.

 

Beckett si riempì un abbondante bicchiere con l'acqua del rubinetto, rimanendo rivolta verso la credenza cosi da osservare quello che vi era contenuto all'interno, in modo da controllare se fosse necessario o meno andare a comprare qualcosa nel negozio li vicino. Distratta com'era non si accorse di Castle che si era messo dietro di lei, abbracciandola all'altezza dei fianchi, schiacciandola tra il suo petto e il bancone. Alle detective bastò solamente far scorrere le unghie sulla mano dell'uomo per farlo reagire ritrovandosi la sua bocca che le mordeva il collo e la sua mano sinistra che si stava facendo strada sotto la maglietta cosi da andarle ad afferrare il seno. Quando la destra invece si insinuò sotto i suoi pantaloni Beckett alzò un braccio, appoggiandosi contro una delle ante in legno per mantenersi in equilibrio, sentendo le gambe cominciare a sciogliersi a causa delle attenzioni del marito.

“è da prima di partire che non vedevo l'ora di farlo.”. Sospirò contro un suo orecchio vedendo la pelle d'oca cominciare a formarsi sulla sue braccia. “Se no perchè mi sarei messo a giocare a tennis per più di un ora”. Continuò togliendo la mano da sotto la maglietta cosi da portarla sopra la sua appoggiata alla credenza mentre le dita dell'altra, ancora dentro i suoi pantaloni, cominciavano a toccarla lentamente, quasi con pigrizia.

“Potevi venire da me prima”. Sibilò Beckett andando a slacciarsi il bottone dei pantaloni con la mano destra, portandola sopra quella di lui, premendo contro le sue dita invitandolo ad aumentare il loro ritmo.

“A non sai quanto mi sarebbe piaciuto venire prima”. Ridacchiò Castle contro la sua spalla, enfatizzando quel verbo, lasciando che due dita cominciassero a esplorarla più intimamente. “Ma conoscendomi poi ne avrei voluto ancora e non saremmo mai partiti. Come avrei potuto dire basta ai tuoi sospiri, al modo in cui mi graffi la schiena, in cui ti aggrappi a me poco prima di scioglierti, con i tuoi occhi che si accendono e il petto che ti scoppia.”. Continuò aumentando il movimento delle sue dita, sentendo le sue unghie conficcarsi nella sua carne, sentendola cominciare a tremare mentre reclinava il capo appoggiandolo contro la sua spalla, facendolo sentire potente.

Con un movimento rapido la fece girare, ritrovandosi di nuovo faccia a faccia, mentre lui si avvicinava alle sue labbra invitanti. “Come faccio a dire basta dopo che ho sentito il tuo sapore sulle mie labbra”. Sussurrò con un sorriso arrogante e malizioso mentre portava alla bocca le stesse due dita che fino a pochi attimi prima erano dentro di lei. Beckett emise un gemito sordo, aggrappandosi al bancone, vedendo Castle che si abbassava sulle sue ginocchia sempre con quel sorriso spavaldo stampato sulla faccia.

Il solo sentir le sue labbra baciarla cosi intimamente le bastò per cominciare a perdere il controllo, per ansimare e invocare il suo nome, capitolando sotto le sue dolci torture. Cercò di resistere, di non cedere cosi presto al piacere, ma più si sforzava più questo la colpiva intensamente, fino a farla urlare tenendosi stretta contro il bancone per non ritrovarsi a terra dato che non si sentiva più le gambe.

Castle si rimise in piedi, scostandole i capelli dalla faccia cosi da non perdersi nemmeno la più piccola espressione di piacere delineata sul suo viso, scoprendosi perduto quando lei andò a fissarlo con i suoi occhi verdi. Era cosi perso dentro di quelli che nemmeno si accorse che la moglie gli stava già slacciando la cintura dei pantaloni con mani tremanti, facendoglieli scivolare giù dalle cosce. Con un po' di difficoltà Beckett si liberò dei propri andandosi a sedere sopra il bancone, avvolgendo le gambe intorno a lui cosi da avvicinarlo.

“Prendimi”. Andò quasi a ordinargli, passando un dito sulle sue labbra, mettendo la mano dietro al suo collo cosi da attirarlo a se per baciarlo, per sentire il proprio sapore sulla sua bocca.

Castle fece scorrere una mano sotto la sua gamba, prendendo lentamente possesso di ciò che sapeva essere suo, del suo corpo, della sua anima. Si mosse dal principio lento ma ben presto l'attesa, il desiderio, l'impazienza di dar sfogo al suo bisogno, presero il sopravvento e si ritrovò a staccare la bocca dalla sua, a nascondere il viso nell'incavo della sua spalla mentre la prendeva con fervore, con passione, quasi con rabbia, mentre Beckett faceva scorrere le dita sulla sua schiena graffiandolo, lasciando delle strisce rosse che gli sarebbero durate per giorni, chiudendo gli occhi, godendosi quella sensazione di piacere mista a dolore che il marito le stava facendo provare. Il detective si sentiva la testa bruciare e lo stomaco contorcersi, pronto ad annegare nell'oscurità dei suoi pensieri solo per venir tenuto a galla dalle parole d'amore che Beckett aveva ancora la forza di sussurrargli nell'orecchio.

“Ti amo”. Fu l'unica frase che l'uomo riuscì a formulare prima di lasciar vincere l'estasi sull'autocontrollo, venendo dentro di lei con un intensità quasi dolorosa, tirando un pugno contro il mobile per sentirlo dolorante, cosi da avere la conferma che il piacere che stava provando fosse reale.

“Ti ho mentito”. Dichiarò Castle a corto di fiato, stringendo le mani ancora contro le sue cosce, nascondendo la testa tra i suoi seni. “Sulla Roalstad ti ho mentito”. Si spiegò meglio alzando il capo, trovando quel semplice gesto un impresa quasi impossibile sentendosi privo di forze.

“Io sapevo già del suo arrivo perchè...perchè...”. Cercò di parlare lottando contro se stesso, contro la sua gola secca e la lingua che sembrava incapace di muoversi.

“Non importa”. Fu la risposta di Beckett mentre gli afferrava il viso tra le mani. “Non adesso. In questo momento esistiamo solo noi, null'altro. Solo noi”. Lo fece tacere mentre lo abbracciava, mentre lui si rifugiava tra le sue braccia per dimenticare.

 

Quando Castle tornò a casa dal ristorante era quasi buio e alcune luci della casa erano già state accese da Beckett, la cui figura si poteva intravedere dietro le tende di una delle camere del secondo piano. IL detective sorrise chiudendo la portiera della macchina con una pedata, correndo verso la porta di casa annunciando il suo arrivo chiamando la moglie una volta entrato nell'abitazione.

“La cena è servita”. Disse mostrandole le borse mentre Beckett scendeva dalle scale, tenendole sollevate, con un po' di fatica, con due dita. Si diresse poi verso la cucina, notando come il tavolo della sala fosse già stato apparecchiato dalla donna.

“Ho preso spaghetti allo scoglio per te e in salsa d'aragosta per me”. Affermò cominciando a togliere dalle borse i contenitori rettangolari d'alluminio ancora bollenti, posandoli su di un ripiano cosi che Beckett potesse sistemarli in dei più comodi piatti. “Mentre di secondo pesce spada e pesce persico. Giusto per rimanere leggeri”. Disse sfregandosi le mani, inspirando a pieni polmoni l'invitante profumo di quegli alimenti.

“Mentre eri via hanno chiamato sia Alexis che Jenny”. Disse la detective prendendo tra le dita una vongola aperta cosi da mangiare il mollusco contenuto in essa mentre si dirigeva verso la sala da pranzo con in mano il suo piatto. “Alexis ha chiesto se la settimana prossima può venire a cena a casa nostra con il suo nuovo fidanzato, Nick, cosi da fargli conoscere anche la parte sana della sua famiglia”.

“E vuole farlo presentandogli me?”. Sbuffò l'uomo indicandosi, non vedendo già di buon occhio questa nuova fiamma della sorella.

“No, ho detto la parte sana della famiglia, ovvero io”. Lo canzonò la donna prendendo posto sulla propria sedia, posando il piatto davanti a se mentre Castle si occupava di stappare la bottiglia di vino riempiendole mezzo bicchiere.

“Divertente, molto divertente”. Ribattè sedendosi anche lui, afferrando la forchetta e infilzando quegli spaghetti immaginandosi quel giovanotto rampante tra le sue mani.

“Jenny invece ha chiamato per dirti che stavi quasi per vincere la scommessa”. Ridacchiò andando a prendere il bicchiere cosi da dissetarsi, notando come il marito andasse a guardarla curioso mentre si ingozzava con una porzione troppo grande di pasta. “Ha avuto qualche dolore oggi e ha quasi pensato di andare in ospedale ma non tanto per lei quanto per Ryan che stava per svenire”.

“Ne ero certo, non vedrà mai nascere suo figlio. Sverrà molto prima, alla faccia tua Espo che ti fidi cosi tanto di quel latte e miele”. Scherzò Castle atteggiandosi sulla sedia, andando a raccogliere il sugo della pasta con un pezzo di pane.

“Potresti ancora perdere, lui era molto convinto di entrare in sala parto con Jenny, più che altro è lei che non lo vuole”. Castle si accigliò masticando lentamente il boccone che aveva in bocca, prendendo il tovagliolo cosi da pulirsi le labbra sporche di sugo prima di rimetterlo sulle proprie ginocchia.

“Lo farà. Quale uomo non lo farebbe”. Enunciò andando anche lui ad assaggiare il vino, agitando prima il bicchiere cosi da osservarne il colore come se fosse un esperto sommelier. “Se fossi io al suo posto, che tu mi voglia o meno, entrerei comunque. Non me lo perderei per nulla al mondo”.

“Allora non sorge alcun problema”. Appurò la donna senza staccare gli occhi dal suo piatto mentre Castle smise di mangiare dal proprio. “Quando toccherà a noi non ti vorrei da nessun'altra parte se non al mio fianco”.

Il detective abbozzò un sorriso andando a riempire di nuovo i loro bicchieri, non ascoltando le proteste di Beckett quando superò ben oltre la metà. “Ai nostri sogni, certo che si avvereranno”. Brindò vedendo la moglie fare lo stesso, facendo cozzare i due bicchieri andando poi a sorseggiare il vino.

 

“Uhm, non abbiamo pensato al dessert”. Rammentò Beckett andando a sparecchiare la tavola con l'intenzione di andare a mettere i piatti in lavastoviglie.

“Sono passate da poco le 10 potremmo andare a prenderci un gelato”. Suggerì dopo aver scrutato l'ora dall'orologio che il marito teneva al polso sinistro.

“Ho di meglio”. Disse alzandosi dalla sedia richiudendo velocemente la bottiglia di vino con un tappo di sughero. “Tu comincia a sistemare qui, io torno subito”. Affermò dandole un bacio sulla guancia prima di scomparire in una delle altre stanze.

“Chissà perchè non mi stupisce il fatto che sparisce ogni volta che c''è da sistemare”. Si lamentò la donna cominciando a portare le prime stoviglie in cucina. Solo quando la tavola era ormai sgombra vide tornare il marito con in mano una cesta da pic nic e sulla spalla un plaid blu scuro.

“Finito?”. Le domandò mettendosi accanto a lei che ancora stava piegando la tovaglia.

“E quelli?”. Domandò indicando i due oggetti che l'uomo si era portato con se.

“Seguimi e vedrai”. Ribatte facendole l'occhiolino prima di dirigersi verso la porta vetro aprendola, riempiendo la stanza con l'odore impregnante del mare. “Coraggio lascia giù quella roba e seguimi”. Insistette porgendole un braccio cosi che lei lo afferrasse, facendosi accompagnare fuori dalla casa.

“Meglio che quelle le togli”. Asserì indicando le sue scarpe con il tacco mentre già si stava togliendo le proprie cosi da lasciarle sulla pedana il legno in modo da evitare di ricoprirle di sabbia. Beckett sospirò impaziente, chiedendosi cosa avesse in mente il marito, mentre si reggeva a lui cosi da slacciare il cinturino delle calzature, sistemandole poi accanto a quelle del marito.

“Vedrai ti piacerà”. Disse misterioso accompagnandola verso la spiaggia, arrivando quasi al confine della sua proprietà, poco distante da una vecchia staccionata in legno, e li distese il plaid con l'aiuto della donna, appoggiandoci sopra il cestino da pic nic.

“Crostata di mele e champagne”. Affermò Castle estraendo il tutto dal cestino, inginocchiandosi accanto alla donna che invece si era messa seduta sul plaid, con le gambe distese davanti a se.

“Questa scena mi ricorda il nostro primo appuntamento”. Ricordò lei con un sorriso andando ad accettare la fetta di torta e il calice contenente l'alcolico.

“Perchè te lo ricordi ancora?”. Domandò fingendosi stupefatto Castle, ridendo e sollevando le mani in sua difesa quando ricevette una di quelle occhiatacce. “Scherzo, me lo ricordo come se fosse ieri”.

“Comunque sia in questi giorni ho pensato tanto su come poter rendere questo week end indimenticabile”. Disse masticando la fetta di torta, pulendosi la camicia da alcune briciole che vi erano cadute sopra. “Ma più mi sforzavo più trovavo difficile pensare a qualcosa di spettacolare”.

“Lo sai che non è necessario che organizzi chissà che cosa. Basta averti qui con me e questi due giorni saranno lo stesso indimenticabili”. Obiettò Beckett vedendolo annuire con il capo mentre dava un ultimo sorso allo champagne prima di appoggiare il bicchiere a terra.

“Lo sapevo che l'avresti detto perciò mi sono detto che, anche facendo qualcosa di piccolo, ti avrei comunque resa felice perciò.” Affermò cominciando a frugare nelle tasche dei pantaloni alla ricerca di qualcosa. La prima cosa a cui pensò Beckett furono i gioielli, magari qualche anello o ciondolo che stava senza problemi nelle tasche del marito, pronta a dirgli che quel gesto non era necessario dato che nel corso degli anni gliene aveva regalati molti, ma ciò che lui le porse la sorprese.

“Uno zippo?”. Notò incredula osservando l'accendino che l'uomo teneva tra le mani.

“Questo è solo l'inizio. Mettiti comoda e osserva”. Le ordinò lui rimettendosi in piedi, raggiungendo la staccionata dopo una breve corsetta. Beckett allungò le braccia dietro la schiena, infossando le mani nell'erba mentre incrociava i piedi attendendo che Castle la raggiungesse di nuovo. Quando però lo vide agitare quella piccola fiamma verso il mare si chiese cosa stesse facendo, non capendo il significato di quel gesto.

“Alza gli occhi al cielo”. Le sussurrò il detective nell'orecchio accomodandosi dietro di lei cosi da sorreggerla contro il proprio petto. Beckett lo fissò dubbiosa per qualche istante ma sotto le sue insistenze fissò il mare e il cielo sopra di esso. Non passò poco che una scia colorata si alzò dall'acqua, salendo per una ventina di metri, per poi esplodere in un colore verde accesso. Subito dopo un altra scia e un altra ancora, scoppiando e illuminando la volta celeste sopra di loro.

“Fuochi d'artificio”. Asserì con un ampio sorriso vedendo un grande cerchio rosso formarsi sulle loro teste. “Per me?”. Domandò inclinando il capo cosi da vedere il viso del marito illuminato dalla luce di quei botti.

“Ogni cosa che faccio è per te”. Rispose il detective come se fosse la cosa più ovvia al mondo, guardando Beckett mentre lei osservava quelle luci con la stessa meraviglia di un bambino.

“Ti amo Rick”. Dichiarò sognante, con gli occhi lucidi e le mani strette sopra i polsi di lui, rimanendo appoggiata al suo petto, sentendolo muoversi contro la sua schiena ad ogni respiro, infondendole un ricercato senso di quiete mentre insieme ammiravano quello spettacolo in cielo.

Beckett tornò a guardare l'uomo, a studiarne ogni lineamento del viso, dalla mascella allo zigomo pronunciato, fino a salire a quegli occhi grandi e profondi. Facendo scivolare le mani di lui dai suoi fianchi si mise in ginocchio in mezzo alle gambe del marito, andando a fissarlo mentre provava la sensazione che tutto intorno a lei si muovesse al rallentatore. Prese il vestito che indossava tra le mani, sollevandolo fino alle cosce, cosi da essere più libera nei movimenti mentre si accomodava sul bacino di Castle, il tutto senza che lui muovesse un muscolo. Si guardarono come se fosse stata la prima volta, riscoprendosi di nuovo, innamorandosi di nuovo l'uno dell'altro con un semplice sguardo. Beckett fece scorrere le dita sul suo viso, sulla sua bocca, sul suo mento, per poi scendere lungo il collo, ad infilarsi nello spazio creato dal primo bottone della camicia slacciato e ancora Castle non si mosse. Era come impietrito, voleva lasciarla fare, voleva essere per lei ciò che la donna desiderava. Il bacio che gli diede seppe di fresco, di nuovo, come la prima pioggia di primavera, quando si desidera sentirla su di se perchè segno di un nuovo inizio. E le sue labbra erano morbide e leggere come quelle stesse gocce, che lavavano via dalla mente di Castle ogni pensiero spiacevole, lasciando solo la spazio per l'amore. Un altro fuoco d'artificio esplose nel cielo, illuminando i loro corpi cosi vicini ma Castle quasi non lo notò avendo occhi solo per la donna che ora gli stava tra le braccia.

Ancora Beckett lo baciò sempre con la solita lentezza, appoggiandogli una mano sulla spalla mentre l'altra la faceva scorrere dietro la sua schiena, risalendo fino alla nuca, in mezzo ai suoi capelli. Castle si perse in quel bacio, lasciando che fosse lei a guidarlo, facendo scorrere le dita delicatamente sulle sue braccia, fino alle spalle, per poi scendere per i fianchi, fino le cosce, non fermandosi mai dal sentire il calore del suo corpo.

“Ogni bacio invia un messaggio”. Asserì improvvisamente Beckett strofinando i loro nasi. “Questo era di speranza”.

“Con te al mio fianco c'è sempre speranza”. Castle mise una mano dietro la sua schiena, sorreggendola mentre si voltava cosi da farla distendere sul plaid reso soffice dall'erba sotto di esso, appoggiando gli avanbracci accanto alla sua testa cosi da tenersi sollevato sopra di lei.

“Vuoi rientrare?”. Le domandò accarezzandole una guancia, vedendola scrollare il capo.

“Voglio stare qui, tutta notte, e vedere l'alba”. Beckett andò a riprendere il suo viso, abbassandolo contro il suo per riprenderlo a baciarlo, piegando le ginocchia lasciando cadere il vestito sopra i suoi fianchi, dandogli libero accesso alla sua pelle nuda.

Avevano tutta la notte, si ripetè nella mente Castle mentre l'accarezzava, la toccava, la sentiva tremare sotto di se impaziente di sentirsi ancora una volta un tutt'uno con lui. Il detective si mise in ginocchio slacciandosi la camicia cosi da togliersela mentre la donna si occupava dei suoi pantaloni, senza mai scostare lo sguardo l'uno dagli occhi dell'altra, sempre rimanendo in contatto in qualche modo. Beckett lo baciò quando le sfilò la biancheria e si strinse a lui quando lo sentì penetrarla lentamente, tenendosi sollevato su di lei avendo paura di schiacciarla, non avendo come base un soffice materasso. Le stuzzicò il collo mentre con una mano afferrava la spallina del suo vestito, cosi da farlo scendere, cosi da liberare il petto, il ventre, fino a che l'indumento stesso non divenne altro che una cintura attorno ai fianchi della donna. Poi scese con la testa, posando dei baci su ogni centimetro della sua pelle, fino al seno, vezzeggiandolo, baciandolo, succhiandolo dolcemente mentre lei lo guidava tenendogli una mano infossata nei capelli. Castle fece scorrere una mano sotto il suo dorso, stringendone la pelle per poi afferrarla per un fianco, passando una mano sotto il suo gluteo muovendola, facendola aderire ancora di più contro i suoi fianchi mentre si muoveva su di lei.

“Rick”. Gemette Beckett richiamandolo a se, cercando i suoi occhi quando lui sollevò il proprio capo dal suo petto. Castle si sollevò di colpo, stringendo tra le dita il plaid, spingendosi ancora più dentro di lei, vedendola inarcare la schiena reclinando il capo all'indietro, mordendosi le labbra sopprimendo quel gemito che le si formò in gola.

“Sei bellissima”. Le sussurrò all'orecchio, seguendo la linea della sua mascella posandovi sopra dei delicati baci, andando poi a riappropriarsi della sua bocca. Beckett sollevò la testa contro di lui, rendendo più profondo quel bacio, fondendo le loro labbra fino a sentirsele bruciare, facendo scorrere le unghie lungo la sua spina dorsale, afferrandolo per il fondo schiena invitandolo silenziosamente ad accelerare i suoi movimenti. Il tempo delle dolcezze era finito, quel suo bisogno richiedeva molto di più di languidi baci e delicate carezze. Ora voleva sentire il suo petto sfregare ruvidamente contro il proprio, voleva sentire la sua carne stretta nella morsa delle sue dita, il suo respiro caldo e pesante contro il proprio viso, voleva sentirlo abbandonare ogni inibizione prima di perdersi in lei.

Castle si mosse più deciso ma ancora non le bastava, aveva bisogno di più. Muovendo il capo Beckett portò la bocca accanto al suo orecchio, ritrovandosi a combattere contro i propri gemiti per riuscire a parlare. “Ti prego”. Sospirò andando a mordergli il lobo, spalancando la bocca per riempire i polmoni bisognosi d'aria. Il detective rallentò di colpo, sentendola protestare avvinghiando le gambe ancora più strette ai suoi fianchi.

“Guardami”. Disse il detective con voce roca prendendo prima una sua mano e poi l'altra nelle proprie, portandole in alto sopra la testa della donna, schiacciando per tenerle ferme sotto il suo peso. L'uomo la fissò, facendo scorrere le iridi sul suo corpo illuminato dai flebili raggi della luna, quel corpo che sudato e tremante ancora attendeva impaziente una bramata soddisfazione.

Quando i loro occhi si incontrarono Castle si tirò indietro, quasi uscendo da lei, solo per sentirla quasi gridare un “No” disperato non volendo rinunciare alla sensazione di sentirlo dentro di se nemmeno per un istante. L'uomo sorrise altezzoso del potere che aveva su di lei, riprendendo possesso del suo corpo con più passione, muovendosi come lei gli richiedeva, sentendo le dita esili di lei stringersi attorno alle sue mani. Il modo in cui Beckett si inarcava contro di lui, in cui il suo bacino si muoveva impaziente, in cui il suo nome lasciava ancora e ancora la sua bocca mentre si passava la lingua sulle labbra, furono abbastanza per portarlo sull'orlo di quel precipizio in cui ancora non voleva cadere.

“Vieni ti prego, vieni adesso”. La implorò strizzando gli occhi, gemendo rabbioso lottando con quella sensazione, doveva resistere, si diceva, doveva aspettare. Beckett si lasciò infine andare, sentendo i propri muscoli contrarsi, il proprio cuore che pompava cosi forte quasi volesse uscirle dal petto e si ritrovò ad urlare, non preoccupandosi del fatto che ancora si trovassero all'aperto, a chiedergli di continuare, di non fermarsi, di spingersi ancora più a fondo, singhiozzando sentendo il proprio corpo molle come la gelatina.

“Rick”. Gridò ancora, cercando di recuperare il proprio respiro che le venne tolto dallo stesso Castle quando tornò a baciarla, lasciando la presa su di una delle mani cosi da avere la propria ancora a disposizione, portandola ancora sotto di lei sollevandole il bacino da terra. Passarono ben pochi secondi quando anche lui senti il proprio corpo esplodere, alzando la testa verso il cielo rilasciando un gemito liberatorio venendo dentro Beckett. La donna chiuse gli occhi, godendosi in silenzio quegli ultimi sprazzi di piacere, i loro respiri pesanti erano l'unico suono che le giungeva alle orecchie. Tornando a guardare il marito alzò un braccio accarezzandogli la guancia cosi da fargli abbassare lo sguardo, cosi che tornasse su di lei. Si fissarono per diverso tempo, sorridendosi come bambini, fino che Castle non sentì le braccia cedergli prive di forza, abbassandosi sopra la donna che lo accolse amorevolmente.

“Ti amo”. Disse affannato posandole un bacio sulla gola, facendo per scostarsi da lei solo per venir trattenuto.

“Rimani”. Asserì Beckett accarezzandogli con una mano la nuca e con l'altra un braccio. “Ti voglio sentire ancora su di me”. Sentendosi privo di forza l'uomo non obiettò, sistemandosi su di lei, usando la sua spalla come cuscino mentre Beckett gli accarezzava la schiena per farlo rilassare prima di prendere sonno.

 

Quando Castle si svegliò sentì un brivido improvviso attraversargli il petto, Confuso aprì gli occhi posandosi una mano sulla tempia, guardandosi attorno ricordandosi all'istante dove si trovava. Erano rimasti a dormire su quello stesso plaid tutta la notte, godendosi la fresca calura di quella notte di luglio, facendo l'amore ancora una volta cullati dalla luce della luna e dallo sciabordare poco lontano del mare. Alzando lo sguardo vide Beckett in piedi accanto alla staccionata con indosso la sua camicia e cosi raccolse i propri pantaloni, indossandoli in fretta cosi da raggiungerla. La notte ormai stava lasciando posto al nuovo giorno, i cui primi segnali potevano vedersi oltre il mare, con il sole che timido sembrava sorgere da esso.

“L'alba ha una sua misteriosa grandezza, che si compone d'un residuo di sogno e d'un principio di pensiero”. Citò Hugo mentre l'abbracciava, riscaldando il proprio petto nudo con il suo calore. “Qual'è stato il tuo sogno? Qual'è il tuo pensiero?”. Domandò mentre con lei guardava la nuova alba, con le sue sfumature rosa e arancioni.

“Con te accanto non mi è più necessario sognare perchè ho tutto ciò che desidero”. Affermò socchiudendo gli occhi a causa dei primi raggi del sole che le illuminavano il viso. “E ora come ora penso solo che tutto è perfetto. Qui, in questo istante, quando tutto ha inizio”. Castle sorrise contro il suo collo, baciandola e cullandola mentre ancora si concedevano diversi minuti ad osservare il nuovo giorno.

 

Fu mentre si concedevano una salutare colazione che il cellulare di Beckett squillò sorprendendola quando sul display comparve un numero sconosciuto.

“Beckett”. Disse appoggiando il cucchiaio sulla tavola mentre il marito continuava a gustarsi la sua ciotola di cereali.

“Buongiorno comandante Roalstad”. Castle alzò subito lo sguardo appena senti nominare il padre di Maria, il presidente della commissione che aveva fortemente voluto Beckett come nuovo capitano del distretto.

“Sono molto contenta di sentirlo”. La donna guardò il marito e mise una mano sul cellulare cosi da non farsi sentire dall'altro lato. “Ha detto che i test sono andati molto bene”. Spiegò velocemente cosi da tornare a parlare con il suo interlocutore, notando come Castle alzasse i pollici orgoglioso.

“Si capisco”. Continuò corrugando la fronte mugugnando il proprio assenso, facendo preoccupare il marito quando la moglie gli lanciò un occhiataccia. Che l'avessero informata del suo intervento?.

“A venerdi allora. La ringrazio”. Chiuse velocemente la chiamata e andò ad appoggiare il telefono sulla tavola non proferendo alcuna parola e cosi il detective si considerò morto all'istante.

"Che hanno detto?”. Domandò lui deglutendo a fatica.

“Venerdi vogliono parlare con me riguardo il mio futuro”. Replicò incredula, andando poi a guardarlo con un ampio sorriso che esprimeva tutta la sua gioia, facendo sparire ogni timore dalla mente di Castle. “Sarò il nuovo capitano del distretto”. Urlò gettandosi tra le braccia del marito, finalmente le cose cominciavano ad andare nella direzione che volevano.


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Chiedo scusa per la lunghezza del capitolo, forse esagerato in alcuni punti.Nel prossimo capitolo Beckett verrà a conoscenza del piccolo intervento da parte di Castle e ovviamente non ne sarà molto felice, ma alla fine tutto si risolverà, grazie anche alla stessa Roalstad.

 

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Capitolo 11
*** 19 Luglio: Nuovi traguardi ***



Il venerdi successivo Beckett si alzò di buon ora, volendo prendersi tutto il tempo necessario per rendersi presentabile davanti alla commissione. Sapeva che la valutavano per le sue capacità e non per il suo aspetto ma non voleva rischiare di sbagliare anche la minima cosa, doveva mostrarsi decisa, integerrima davanti a quei giudici, sia nel comportamento sia nel portamento. Scivolò giù dal letto silenziosamente non volendo disturbare il sonno profondo del marito che ancora aveva gli occhi chiusi, sistemato su di un fianco dandole cosi la schiena. In quei giorni Beckett aveva più volte insistito con Castle perchè continuasse quel discorso cominciano negli Hamptons, volendo sapere cosa c'entrasse lui con l'arrivo al distretto della Roalstad, ma ogni volta l'uomo sviava il discorso, pregandola di aspettare ancora, di attendere l'esito del colloquio e la firma del nuovo contratto. La detective alla fine aveva ceduto alle sue richieste non volendo rompere l'idillio in cui stavano vivendo, discutendo per una cosa simile, per la quale non sapeva se ne valeva la pena. Si diresse in cucina cosi da preparare il caffè sia per se che per Castle, portando con se il cellulare per controllare gli eventuali messaggi ricevuti la sera precedente quando aveva spento l'apparecchio non volendo essere disturbata, preferendo passare quelle ore rilassandosi prima di affrontare la commissione. Prese un bicchiere e si versò un pò d'acqua sentendo l'inconfondibile vibrazione del telefono richiamarla all'attenzione. Guardò il display continuando a dissetarsi, vedendo comparire come mittente il nome di Jenny. Incuriosita fece scorrere il dito sul vetrino notando che l'ora di invio corrispondeva alle 3.54 del mattino e non potè non chiedersi cosa l'avesse spinta a cercarla a quell'ora. Quando però lesse il contenuto del messaggio tutto le fu chiaro. Posò velocemente il bicchiere e corse ancora piùsvelta al piano di sopra, lanciandosi sul letto svegliando in quel modo il marito.

“Kate ma sei pazza?”. Domandò retorico prendendo il cuscino cosi da coprirsi il viso sentendo la necessità di dormire ancora per qualche minuto prima di prepararsi per il lavoro.

“Jenny sta per partorire”. Disse solo allungando una mano verso di lui, mostrandogli il messaggio che aveva ricevuto come prova di quanto diceva.

“Jenny sta facendo cosa?”. Ancora un po' intontito l'uomo si liberò del cuscino lanciandolo a terra, passandosi entrambe le mani sul viso mentre sbadigliava vistosamente.

“Andiamo Rick”. Sbuffò la donna prendendo il suo di cuscino cosi da lanciarglielo addosso, sentendolo ridere divertito da quel gesto. “MI ha mandato un messaggio questa notte. Dice che i dolori le sono iniziati ieri sera ma poi Ryan ha insistito per farsi controllare e l'hanno tenuta in ospedale dicendo che ormai era il momento”. Riepilogò leggendo ancora il messaggio, guardando il proprio orologio sul comodino vedendo che questi segnava le 7.19.

“Dici che dovremo andare la?”. Castle aprì lentamente un occhio, poi l'altro mentre si metteva seduto, poggiando le mani nel materasso dietro la sua schiena cosi da tenersi in equilibrio.

“Sò quanto siete amiche Jenny e te e quanto ci tieni ad essere li per lei ma sai che non è il tuo posto, almeno non per ora. Ha Kevin, ha la sua famiglia e tu hai un impegno più importante”. Le ricordò lui inclinando il capo, vedendola annuire sommessamente, forse infastidita dal fatto che lui non aveva abboccato a quella scusa per farle evitare quel colloquio che le metteva solo una grande agitazione.

“Vedrai che quando sarà tutto finito ci avviseranno subito cosi potremo andare a vedere questo piccolo dai capelli rossi e le lentiggini”. Ridacchiò ricevendo uno schiaffo da parte della moglie sul braccio.

“Non ridere troppo che anche tu saresti potuto uscire cosi.”. A quel pensiero Castle fece una smorfia disgustata, preferendosi di gran lunga cosi con i capelli castani, sapendo bene che quella colorazione su di lui non avrebbe mai avuto l'effetto che invece aveva sulla sorella.

“Comunque sia”. Cambiò discorso scendendo dal letto, lanciando le coperte addosso Beckett trovando la cosa divertente. “Che ne dici se ti accompagno al colloquio e poi facciamo una capatina in ospedale prima di recarci al distretto?”. Chiese senza aspettare una risposta da parte della donna, dirigendosi già verso il bagno cosi da andare a darsi una rinfrescata.

“Perchè tanto la tua amica Roalstad non avrà nulla da ridire vero?”. Beckett parlò appoggiandosi allo stipite della porta del bagno, guardando come lui si applicava la schiuma da barba con attenzione sulla mascella. Le mani dell'uomo si bloccarono all'istante quando si ritrovò a dare una risposta e lentamente si voltò verso la donna che lo stava guardando con fare di sfida.

“Andiamo tesoro, ti ho già promesso che dopo il colloquio ti avrei detto tutto.”. Le ricordò lui notando come la sua espressione non era mutata, anzi sembrava ancora più impaziente di prima.

“Sono stata più paziente di quanto mi ero ripromessa ma adesso come adesso non so se riuscirò ad esserlo ancora per molto. Perciò, tesoro”. Parlò decisa facendo un passo nella stanza, avvicinandosi al lavandino dove vi era lui, bloccandogli con una mano la sua che teneva in mano il rasoio mentre con l'altra andava a tirargli un orecchio. “A che riguardo mi hai mentito sulla Roalstad”.

Castle mugugnò parole incomprensibili, roteando su se stesso cercando di liberarsi dalla sua presa. Quando non lo vide cedere la donna mollò la presa e si allontanò da lui, fermandosi sulla soglia della porta avendo un ultima cosa da dire.

“Va bene cosi ma sappi che ogni minuto che da ora in poi passerà senza che tu mi dica che hai combinato, equivarrà a una notte sicura sul divano. Ormai dovresti saperlo che non mi piacciono i segreti”. Castle sbuffò abbassando il capo e gettando il rasoio nel lavandino rinunciando a farsi la barba. Si diede una risciacquata veloce e inseguì la moglie che intanto era tornata in camera cosi da scegliere i vestiti più adatti per l'occasione.

“Era una delle mie insegnanti nei pochi mesi che sono stato qua a New York, contenta?”. Confessò in parte la verità spalancando le braccia, sperando che quello le bastasse.

Beckett gettò la camicia sul letto e andò a guardarlo stupita, incrociando le braccia al petto con la bocca aperta. “Mi credi cosi stupida?”. Domandò indicandosi. “Pensi davvero che questa misera giustificazione mi basti?. Andiamo Castle ti conosco, quando dai una spiegazione cosi breve è perchè c'è molto altro che non vuoi dire quindi, sapendo bene come posso reagire se mi prendi in giro, ti consiglio di dirmi tutta la verità ora.”

Castle si maledì ancora e ancora sapendo bene che quelle situazioni si venivano a creare sempre per colpa sua e anche quella volta non era stato da meno. “Va bene, va bene”. Affermò cercando di calmarla muovendo le mani.

“Diciamo che ho chiesto qualche favore in giro affinchè la commissione aspettasse ad assumere un nuovo capitano cosi da dare l'opportunità a te e dato che comunque non potevamo rimanere senza un capitano abbiamo pensato a Maria siccome sapevamo che la sua permanenza sarebbe stata breve.” Raccontò quello che era successo brevemente, parlando cosi veloce che alcune parole si sovrapposero alle altre, costringendolo a ripetere mentalmente quanto appena detto per assicurarsi di aver spiegato correttamente.

“Quindi mi hanno presa in considerazione solo perchè gliel'hai chiesto tu?”. Chiese Beckett più ferita che arrabbiata, vedendo la certezza di essere stata candidata per quel posto per le sue competenze crollare, in realtà era li perchè Castle l'aveva voluto.

“No no, assolutamente no”. Intervenne subito l'uomo avvicinandosi a lei, posandole le mani sulle spalle sorridendole titubante. “Volevano già te, credimi”. Continuò mettendosi una mano sul cuore. “E quando mi hanno chiamato per chiedermi se saresti stata disponibile gli ho chiesto io di aspettare perchè volevo essere certo che tu accettassi”. Si accigliò il detective sperando che la moglie gli credesse. Castle si sedette sul loro letto prendendola per le mani cosi che anche lei si accomodasse al suo fianco, cosi da poter parlare con più calma, a viso aperto.

“Avevo paura che fossi cosi presa dall'idea di avere un figlio tanto da rinunciare a questa opportunità. Non potevo cercare di convincerti io perchè avrei ottenuto le stesse risposte della prima volta e cosi mi sono affidato a Maria, che ha vissuto in prima persona un esperienza simile, in modo che ti aiutasse, ti preparasse, ti stesse vicina come io non potevo”. Confessò l'uomo parlando a tratti con voce tremante, sempre tenendole le mani tra le sue, accarezzandole la pelle liscia.

“é meglio che vada, non voglio far tardi”. Ribattè la donna dandogli un bacio sulla fronte prima di alzarsi dal letto per cominciare a vestirsi, dovendo tenersi occupata non sapendo bene cosa pensare di quella vicenda.

“Vuoi ancora che venga con te?”. Le domandò l'uomo non muovendo un muscolo, rimanendo li a fissarla mentre lei si muoveva per la camera alla ricerca dei propri indumenti, dei propri averi.

“é meglio che tu vada al distretto ad aiutare Esposito”. Quella risposta gli arrivò dolorosa come una coltellata al cuore anche se cercò di nasconderlo voltando lo sguardo nella direzione opposta a quella della donna. “Io andrò a parlare con la commissione e poi passerò in ospedale a vedere come sta Jenny. Ci vedremo nel pomeriggio”. Continuò Beckett andando a raccogliersi i capelli in una cipolla, sistemandosi gli orecchini e mettendosi il rossetto, facendo capire al marito che non l'avrebbe voluto rivedere per diverse ore.

“Adesso che sai accetterai lo stesso il lavoro vero?”. Domandò il detective guardando il riflesso della donna nello specchio, vedendo come bloccò i propri movimenti, andando a chiudere il tappo del rossetto con estrema lentezza.

“Ci vediamo più tardi”. Affermò tornando vicino a lui, dandogli un bacio sulle labbra per poi uscire velocemente dalla stanza mentre Castle si gettava sul letto prendendosi a pugni da solo.

 

Beckett era ormai seduta da più di venti minuti su una scomoda sedia di plastica, attendendo che qualcuno la chiamasse dentro quell'ufficio dove si era riunita la commissione. La segretaria la guardava sorridendo alzando le spalle, non sapendo nemmeno lei dare una giustificazione a quel ritardo. La detective allora occupò quel tempo per pensare a ciò che aveva fatto il marito, indecisa su come considerare quel suo gesto, se vederlo per quello che lui l'aveva fatto passare, ovvero concederle più tempo cosi da farle capire che era ciò che voleva, oppure se era ciò che lei aveva pensato, ovvero un suo intervento dettato dal pensiero che da sola non ce la potesse fare.

“Uff, sono arrivata giusto in tempo”. Beckett riconobbe subito la voce di donna proveniente dalla sua destra, voltandosi lentamente per vedere il proprio capitano in piedi accanto a lei, con la faccia sconvolta e il respiro affannoso.

“Tuo marito mi ha fatto fare una corsa. Ho la milza che mi sta scoppiando”. Sibilò tra i denti posando una mano sul fianco schiacciando con forza mentre si piegava su di esso.

“Che le ha detto Castle?”. Chiese Beckett giocando con il cinturino del proprio orologio mentre la Roalstad prendeva posto accanto a lei, togliendosi la giacca per poi farsi aria con quella.

“Appena l'hai lasciato da solo a casa mi ha chiamato dicendomi che ti aveva confessato tutto. Sappi comunque che io già da tempo gli avevo consigliato di dirti la verità”. Mise le mani avanti la donna non volendo creare astio tra lei e Beckett rovinando quel rapporto di rispetto reciproco e ammirazione che si era creato.

“é grazie a lui che sono qui?”. Parlò diretta guardando con la coda dell'occhio la sua interlocutrice. Non voleva perdere ulteriore tempo, tra poco l'avrebbero chiamata per discutere del suo futuro e lei doveva avere le idee chiare prima di varcare quella porta.

“Per niente. Se sei qui lo devi solo a te stessa”. Commentò il capitano appallottolando la giacca cosi da posarla sulla sedia accanto alla propria, allargando le gambe cosi da posarvici i gomiti sopra inclinandosi in avanti. “Sai quel poveretto si è subito qualsiasi tipo di tormento da parte di mio padre e dagli altri membri della commissione. Per settimane hanno insistito sul fatto che lui dovesse convincerti ad accettare la loro offerta, che già una volta avevi rifiutato. Ma sappiamo che non ti avrebbe mai obbligato a fare qualcosa che non volevi o che comunque non ti sentivi pronta di fare”.

“Perchè non me l'ha detto subito? Perchè ha chiesto a te di prepararmi quando poteva infondendomi lui stesso la sicurezza che mi mancava”. Constatò accorgendosi troppo tardi di aver dato del tu al proprio capitano. Beckett si alzò dalla propria sedia, scostando i lembi della sua giacca cosi da appoggiare le mani sui fianchi mentre prendeva a camminare avanti e indietro per la sala d'attesa, senza staccarsi troppo dalla Roalstad.

“Perchè aveva paura che tu avresti accettato per senso del dovere, per senso di colpa, per gratitudine nei suoi confronti dopo tutto quello che aveva fatto. Dopo che aveva mosso mari e monti affinchè la commissione ritardasse la decisione di qualche mese, proponendo me come alternativa momentanea, cosi mi ha definita”. Ridacchiò la donna a causa di quell'appellativo che le era stato affibbiato dal detective contro il suo volere. “E credimi è stato facile per quelli della commissione accettare le sue condizioni. Se Richard gliel'avesse chiesto avrebbero aspettato anche un anno, se non di più, pur di averti a capo del distretto un giorno”.

“L'unica cosa che tuo marito ha fatto è stato solo ritardare l'inevitabile affinchè tu capissi che il tuo futuro passa da li”. Appurò indicando la porta dove ancora era rintanata la commissione. “Hai tutte le carte in regola per essere un ottimo capitano, hai le capacità, hai alle spalle una squadra formidabile e ancora di più hai Castle.”.

Beckett si girò a fissare quella porta, guardandola con la stessa determinazione che mostrava durante gli interrogatori, sentendo in cuor suo di essere pronta ad affrontare quell'ultimo passo che le mancava prima di tagliare quel nuovo traguardo della sua vita.

“Perchè Rick ha voluto proprio lei?”. Domandò tornando ad usare un tono formale, senza staccare gli occhi da quella stanza, da quella maniglia che sperava vedersi abbassare da un momento l'altro.

“TI rispondo con altre due domande”. Sorrise la donna accavallando le gambe, posando le mani in grembo studiando il comportamento della detective, la sua posa statuaria, la determinazione che poteva leggerle in viso.

“La prima, cosa ti ho insegnato io come capitano? E la seconda, cosa ti ho insegnato io come persona che lui non poteva?”. Chiese sollevando due dita della mano destra, facendo penzolare una gamba in attesa di una risposta da parte di Beckett. La donna la fissò perplessa non capendo il significato di quel suo fare ma sotto le sue insistenze alla fine dovette cedere.

“Bhè vediamo..”. Cominciò a dire corrugando la fronte pensierosa, inarcando le sopracciglia ogni qual volta un idea le affiorava alla mente. “Come capitano mi ha insegnato ad avere una mente più aperta, ad essere disponibile con tutti rimanendo seppur decisa cosi che non se ne approfittino, a relazionarmi con le alte cariche, senza dimenticare come minacciare i tecnici del laboratorio per avere in fretta i risultati”. Ridacchiò infine il detective vedendo il proprio capitano annuire soddisfatta.

“Cose che sapevi già di tuo dopo tutto, il mio è stato solo un ripasso generale. E come persona?”. Domandò facendosi di colpo più seria, puntando molto su come la sua storia personale avesse influito sul punto di vista di Beckett.

“Mi ha ricordato che chiedere aiuto non è da deboli ma sopratutto..”. Sospirò Beckett abbassando il capo, andando a guardarsi la mano sinistra e la fede che trionfava lucida contro la sua pelle chiara. “Ma sopratutto mi ha reso partecipe dei suoi errori cosi che non li facessi io con Castle, cosi che il nostro matrimonio non finisse come il suo, in modo che non mi dimentichi mai che ci sono molte cose che non devo dare per scontate”. Parlò la detective serrando le labbra, avendo fatto più e più volte tesoro delle parole e degli insegnamenti della Roalstad, e di certo si sarebbe impegnata per sfruttare al meglio ciò che aveva appreso non volendo rischiare di perdere l'uomo che amava a causa del suo lavoro.

“Era questo il mio compito. Richard non avrebbe mai avuto il coraggio di farti notare i tuoi errori, le tue mancanze, io si. Il lavoro non è tutto Kate”. La Roalstad batte entrambe le mani sulle sue cosce prima di alzarsi rinvigorita dopo quei minuti di riposo. Si avvicinò alla donna e la prese sottobraccio, approfittando della sua sorpresa per accompagnarla verso quell'ufficio. “Ricordati sempre, di omicidi ce ne sono ogni giorno...”. Dichiarò alzando una mano volendo impartirle una nuova lezione.

“Ma di vita ce né una sola” . Concluse Beckett avendo sentito quella frase uscire più e più volte dalla bocca del capitano.

“Allora traine il massimo”. Affermò con un ampio sorriso la Roalstad prima di bussare con le nocche contro la porta che si aprì un istante dopo mostrando alle due donne un uomo sulla settantina, con un sorriso che ricordava molto quello del capitano e a Beckett non ci volle molto per capire che fosse suo padre.

“Possiamo cominciare?”. Chiese quasi il permesso l'uomo, battendo le mani l'una contro l'altra impaziente, scostandosi di lato cosi da permettere l'ingresso alla detective.

“Coraggio”. La rassicurò il capitano annuendo verso la stanza con il capo. “Sei pronta, tutti noi lo sappiamo”.

“Possiamo cominciare”. Ribattè Beckett prendendo un profondo respiro prima di varcare quella soglia.

 

Quando Beckett entrò nel reparto maternità non dovette nemmeno chiedere alle infermiere dove si trovassero i colleghi dato che udì l'inconfondibile risata del marito sovrastare il rumore di fondo, seguendo quella lungo il corridoio cosi da trovarsi nella sala d'aspetto. Non si palesò subito alla vista dei tre colleghi ma rimase immobile con un braccio contro il muro a fissare il trio che allegramente stava parlando. Poteva vedere il volto stanco ma raggiante di Ryan mentre Esposito continuava a dargli pacche sulle spalle congratulandosi, ma quello che attirò la sua attenzione fu Castle. Era girato di profilo ma tra le sue braccia pote distinguere benissimo il profilo di un bambino che rimaneva appoggiato al suo petto mentre l'uomo con attenzione gli scostava dal viso il telo nella quale era avvolto . Sentì il petto esploderle a quella visione e gli occhi bruciarle desiderando che quel momento non avesse mai fine, pregando perchè un giorno quel bambino tra le sue braccia fosse il loro.

“Questo bambino è appena nato e sono già riusciti a sequestrartelo”. Affermò divertita la donna facendosi notare dai tre, sapendo che non poteva starsene per sempre contro quel muro, sapendo che sarebbe stato peggio se fossero stati loro i primi ad accorgersi della sua presenza.

“Beckett ti stavo aspettando”. Disse Ryan andandola ad abbracciare con una forza che la lasciò sorpresa, riuscendo quasi a sollevarla da terra nonostante l'uomo fosse esile e poco muscoloso.

“Jenny come sta?”. Domandò la donna trattenendosi dal muoversi verso il marito cosi da guardare quel frugoletto, volendo prima fare le dovute congratulazioni a quell'amico fraterno.

“Sta bene, benissimo direi. Avrei voluto rimanere dentro con lei ma doveva sistemare un po' di cose la sotto e perciò”. Spiegò arrossendo per l'imbarazzo ricevendo un altra pacca consolatoria da parte del cubano. “Comunque lascia che ti presenti Colin Ryan”. Asserì facendo un passo di lato verso Castle che d'istinto si portò il bambino ancora più contro di se. “Sempre se tuo marito molli la presa su mio figlio”. Commentò andando a prendergli il lobo dell'orecchio tra le dita schiacciando fino a sentirlo gemere.

“Kate ti avevo detto di non insegnarglielo”. Protestò il detective passando il bambino nelle mani del padre mentre si massaggiava l'orecchio che sentiva bruciare e pulsare. Beckett si limitò ad alzare gli occhi al cielo al commento del marito, concentrata già sul neonato davanti a se. Con un sorriso quasi incredulo andò a studiarlo, a prendere con delicatezza la sua mano per osservare le piccole dita raggrinzite, fino a passare al viso tondo e rosso, con una peluria chiara sulla testa che le ricordava il colore dei capelli di Jenny.

“é bellissimo Kevin”. Disse con le lacrime senza staccare gli occhi da quella creatura, facendo preoccupare Castle che sentì un colpo al cuore nel vederla cosi.

“Senti”. Esordì Ryan grattandosi la testa con la mano libera. “Io vorrei prendermi un caffè insieme ad Javi, non è che potresti tenere tu Colin per qualche minuto? Di Castle non mi fido molto”. Le chiese porgendole già il figlio cercando con lo sguardo la complicità del cubano. Aveva notato anche l'irlandese quel velo di tristezza negli occhi di Beckett e non voleva negarle l'opportunità di poter tenere tra le braccia quel bambino, desiderando comunque un caffè bello forte.

“Grazie”. Sussurrò la detective cullando il piccolo Ryan tra le sue braccia quando lo vide agitarsi. Si abbassò su di lui respirando il suo dolce profumo mentre ancora stringeva tra le sue dita la piccola mano, posandoci dei leggeri baci sopra. Castle la fissava senza parole, notando come quei gesti le venivano naturali, dando sfogo a quel senso materno che solo in rare occasioni aveva manifestato con Alexis.

Quando Beckett alzò il capo sentendosi osservata lui le fu addosso, baciandola con fermezza mentre posava una mano sul suo gomito piegato che accoglieva Colin. “Perdonami”. Farfugliò contro le sue labbra mentre lei usava la mano libera per accarezzargli una guancia.

“é tutto a posto”. Lo rassicurò sfiorandogli le labbra prima di staccarsi da lui.

“A quanto pare chiedere alla commissione di aspettare ha dato i suoi frutti. Sarò il nuovo capitano del distretto Rick, tutto grazie a te”. Lo informò con un ampio sorriso riportando gli occhi sul bambino, godendosi quegli ultimi momenti in cui l'avrebbe tenuto tra le braccia, accarezzandogli la testolina con l'intera mano.

“Sarai un ottimo capitano”. Disse deciso non staccando le iridi da lei, accorgendosi che a mala pena la donna notava la sua presenza se comparata all'attenzione che riservava al bambino, ma ne era contento, era da tempo che non la vedeva sorridere con tale serenità.

“Ho la mia squadra al mio fianco, ho te al mio fianco,come potrei non esserlo”.


 

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Capitolo 12
*** 19 Agosto: Un cuore fragile ***


Quel 19 agosto era un giorno fastidiosamente caldo notò Castle sfiancato sulla propria sedia mentre muoveva davanti al proprio volto un ventolino portatile con l'intento di rinfrescarsi, usando una bottiglietta ghiacciata per bagnarsi la fronte e il collo.

“Fa cosi caldo che anche gli assassini si sono presi un giorno di pausa”. Commentò annoiato e accaldato, piegando la testa all'indietro cosi da osservare i due colleghi che stavano subendo anch'essi gli effetti di quelle elevate temperature. Esposito infastidito si guardava la sua maglietta troppo aderente per quella giornata che lasciava intravedere chiazze di sudore mentre Ryan era appoggiato con la testa sopra un piccolo spazio che si era creato sulla scrivania.

“Nemmeno stanotte ha dormito?”. Chiese al cubano riguardo al collega che sembrava essersi appisolato in quella posizione scomoda, con le braccia che gli cadevano penzoloni oltre la sedia.

“A quanto pare il piccolo Colin è alle prese con le coliche”. Disse l'umo facendo segno al collega di lanciargli la bottiglietta d'acqua sentendosi assetato ma non avendo voglia di alzarsi dalla sedia, sentendosi incollato a quella.

 

Castle per passare il tempo allora prese una delle penne della moglie svuotandola completamente cosi da avere solo il cilindro trasparente in plastica e poi si dedicò a creare delle piccole palline con alcuni vecchi fogli che riempivano la scrivania della donna. Con attenzione prese la mira e cominciò a usare quella cerbottana improvvisata contro l'irlandese che ancora nel mondo dei sogni agitava solamente la mano davanti a dando la colpa di quelle distrazioni a una qualche mosca.

“Abbiamo raggiunto veramente il fondo”. Disse scocciata Beckett tornando dal bagno, non aspettandosi di certo di vedere il marito impegnato con quei giochi fanciulleschi.

“Come stai Beckett?”. Gli domandò Esposito girandosi sulla propria sedia, notando come la donna fosse pallida in volto mentre si teneva una mano sullo stomaco e l'altra sulla bocca quasi bastasse a bloccare quei conati improvvisi.

“Come una che ha mangiato delle uova marce”. Ribattè lei alzando la cerbottana proprio mentre il marito stava per soffiarci dentro, portando cosi all'effetto contrario tanto che l'uomo si ritrovò quella pallina in gola, tossendo infastidito mentre si teneva il collo come se stesse soffocando.

“Andiamo Beckett, ti ho chiesto già scusa. Quando ho preparato la cena ieri non ho fatto caso alla scadenza e non ti dimenticare che sono stato male anche io”. Le ricordò imbronciato, seguendola con lo sguardo mentre tornava ad accomodarsi sulla propria sedia, prendendo la propria d'acqua bottiglietta bevendone quasi metà tutta d'un fiato.

“Come potrei dimenticare la notte insonne che mi hai fatto passare perchè in preda ad una congestione condita con incubi degni del più noto regista di film horror”. Affermò sardonica scrollando il capo, andandogli a togliere dalla presa quel mucchio di palline che si era creato, gettandole nel proprio cestino.

“Il tuo caro collega qui”. Parlò ancora ad Esposito ma indicando con il pollice Castle. “mi ha svegliato in piena notte perchè aveva sognato di essere in un bosco mentre scappava da delle ciambelle giganti che volevano mangiarlo. Ti sembra possibile?”. Domandò retorica vedendo il cubano ridacchiare divertito per poi lanciare una delle sue occhiatacce al collega che cercò subito di giustificarsi.

“Almeno nei miei sogni sono originale”.

“Senti persona originale”. Lo canzonò Beckett frugando nella propria borsa nascondendoci una mano dentro fino a che non trovò il proprio portafogli. “Mi andresti a prendere dei cracker o qualcosa di salato per togliermi questo gustaccio dalla bocca?”. Gli domandò porgendogli 5 dollari che però lui rifiutò tastandosi il retro dei propri pantaloni.

“Offro io”. Disse alzandosi dalla sedia mettendosi dietro di lei, appoggiando le mani sulle sue spalle massaggiando dolcemente. “Tu Espo vuoi qualcosa già che vado di la?”. Domandò al collega che accigliato aveva osservato tutta la scena.

“Un altra bottiglietta grazie”. Asserì mostrando quella che aveva ormai vuota, alzandosi velocemente per raggiungere la collega cosi da approfittare di quel minuto in cui si trovavano da soli.

“Sicura di star bene?”. Le domandò mentre lei ammucchiava alcune carte, sbattendole contro la scrivania cosi da allinearle in un unica pila ordinata.

“A parte l'indigestione..”. Affermò alzando gli occhi al cielo sospirando, notando come l'amico ancora indugiasse accanto a lei. “Ho fatto qualcosa?”. Domandò appoggiandosi allo schienale della sedia mentre il cubano posava entrambe le mani sul ripiano davanti a se.

“è qualche giorno che sei strana. Bevi meno caffè..”. Le fece notare inclinando il capo, andando a guardare verso la saletta relax dove Castle si era intrattenuto a parlare con un altro agente.

“Con questo caldo mi viene da berne di meno”. Si giustificò lei sollevando le mani prima di rimettersele in grembo.

“Ti stanchi più facilmente del solito”. Continuò Esposito volendo in ogni modo far valere il suo punto, cosi che la donna capisse ciò che gli stava dicendo tra le righe.

“Sempre colpa del caldo e dei casi sempre più complicati”. Dichiarò ancora la detective appropriandosi del ventolino del marito cosi da usarlo su se stessa in cerca di refrigerio. “Stai insinuando qualcosa?”. Domandò infine alzandosi i capelli direzionando l'aria contro il retro del suo collo.

“Che forse rivaluterei l'opzione uova marce”. Ridacchiò il collega divertito, allontanandosi quando vide Castle tornare verso di loro.

 

“Ehi”. Lo richiamò Castle lanciandogli la sua bottiglietta mentre più gentilmente passava i cracker alla moglie. “Nonostante sia sposato non perde occasione per provarci con te”. Disse con un debole sorriso sulla faccia il detective andando ad accomodarsi sulla propria sedia, con gli occhi incollati sulla moglie che distrattamente stava aprendo il piccolo pacchetto di plastica.

“Il fatto che ora sia sposato in realtà rende la cosa più eccitante”. Commentò lei portandosi alla bocca uno dei cracker prendendone un piccolo morso, ponderando ancora sul breve colloquio avuto con il collega.

“Mi sa che devo farci una chiacchierata assieme”. Ribattè Castle alzandosi dalla sedia solo per sentirsi tirare al fianco dove la donna l'aveva afferrato per i pantaloni, spingendolo verso il basso cosi da farlo tornare a sedersi, ridendo divertita da quella sua gelosia.

“Andiamo sai che stavo scherzando”. Sorrise sorniona Beckett prendendosi un altro cracker, studiando l'espressione crucciata del marito che non aveva apprezzato molto quel suo giochetto.

“Meglio che vi tenga d'occhio comunque”. Castle posò una mano sulla scrivania e si spinse verso di lei, baciandola velocemente sulla guancia per poi fuggire via prima che lei potesse fermarlo.

“Per te niente più birre gratis alla tana”. Parlò minaccioso rivolgendosi al cubano quando passò davanti alla sua scrivania dirigendosi in bagno, mentre l'uomo spalancava le braccia non capendo, cercando una spiegazione da Beckett che semplicemente agitò una mano in aria dicendogli di non preoccuparsi.


Pochi attimi dopo la donna vide il cellulare del marito appoggiato accanto al suo illuminarsi mentre sul display compariva la foto di Martha appena sveglia senza trucco e con i capelli scompigliati che il figlio le aveva fatto a tradimento nonostante le sue continue proteste.

“Ehi Martha, sono Kate”. Disse velocemente portando l'apparecchio all'orecchio svitando con la mano libera il tappo della bottiglietta per poter bere ma bloccando il braccio a mezz'aria quando notò qualcosa di strano in quella telefonata.

“Martha che succede?”. Domando veramente preoccupata quando dall'altro capo sentì il pianto quasi isterico della donna. “Martha che succede?”. Fece eco più decisa alzandosi senza accorgersene dalla sedia, attirando l'attenzione dei due colleghi che nel vederla cosi vennero invasi da pensieri negativi.

Bastarono pochi attimi e il braccio di Beckett cadde verso il basso a peso morto, lasciando che il cellulare le scivolasse tra le dita cadendo di nuovo sopra la scrivania. La detective si sentì svuotata di ogni pensiero, incapace di muovere ogni singolo muscolo del corpo, solo gli occhi si alzarono inconsciamente andando a fissare la porta del bagno da dove sarebbe uscito il marito.

“Beckett...”. La richiamò Ryan ma prima che potesse proseguire la domanda la donna stava già correndo verso il bagno.

“Che cosa?”. Si rivolse l'irlandese al collega perplesso, non capendo quanto stava accadendo, il perchè di tale comportamento da parte dell'amica.

“Andiamo a vedere”. Disse il cubano alzandosi velocemente dalla sua sedia, seguito come un ombra dal collega, diretti entrambi verso quella porta che ora Beckett aveva spalancato.


“Ehi ti mancavo cosi tanto?”. Ridacchiò Castle mentre si lavava le mani, notando subito la sua espressione spaventata, incredula, sofferente. “Che è successo?”. Domandò l'uomo asciugandosi velocemente la mani sopra i propri pantaloni, non preoccupandosi degli aloni che sarebbero rimasti su di essi, avvicinandosi con ampie falcate alla moglie.

“Si tratta di tuo padre”. Esordì Beckett dopo aver ingoiato il nodo che si sentiva alla gola, allungando una mano verso l'uomo quando questi fece un passo indietro allontanandosi da lei, come se quella distanza potesse evitargli di sentire il proseguo, avendo già avuto il sentore che fosse accaduto qualcosa di spiacevole. “Ha avuto un infarto e lo stanno portando d'urgenza in ospedale. Non sanno se ce la farà”. Castle schiuse la bocca e corrugò la fronte, pregando con gli occhi Beckett affinchè gli dicesse che quello era solo uno scherzo di cattivo gusto, continuando ad agitarsi sulle proprie gambe spostando il peso del corpo prima su una e poi sull'altra, ma gli occhi lucidi della moglie e il modo in cui tremava gli raccontavano un altra storia.

“Dobbiamo andare da lui Rick”. Dichiarò Beckett facendo per fare un passo in avanti bloccandosi subito dopo, non sapendo come avrebbe potuto reagire Castle, aspettando che lui stesso recepisse e accettasse quella notizia, attendendo che fosse lui a cercarla.

Castle si appoggiò a uno dei lavandini, cominciando ad annuire agitatamente, sentendo una fitta al cuore che gli aumentava ogni secondo di più mentre combatteva trattenendo le lacrime, fissando un punto indefinito della stanza. Non voleva credere a quanto appena udito, non poteva essere accaduta una cosa simile a suo padre, non ad Alexander Castle che aveva superato e vinto qualunque battaglia senza difficoltà, non all'uomo forte che l'aveva cresciuto, doveva essere solo un brutto incubo. Ryan ed Esposito rimanevano sulla porta, guardandosi a vicenda non sapendo bene cosa fare, sentendosi di troppo in quel momento.

“Noi andiamo ad avvertire il capitano, voi non preoccupatevi di nulla”. Disse il cubano all'orecchio della collega, che annuì distratta, non sentendoli nemmeno andarsene chiudendo la porta dietro di loro.

Beckett attese ancora un paio di secondi ma sapeva che non potevano concederseli, doveva andare in ospedale, dovevano stare vicino ad Alexis e Martha, però capiva anche che Castle aveva bisogno di tempo e cosi si avvicinò lentamente a lui, fermandosi contro i suoi piedi, guardando la disperazione che c'era nei suoi occhi.

“Dobbiamo andare”. Tentò ancora vedendolo staccarsi dal lavandino mettendosi dritto davanti a lei, con la mente che gli urlava di muoversi, di fare qualcosa, ma la paura gli bloccava tutto il corpo impedendogli di uscire da quelle quattro mura. Ad un certo punto la guardò e per un attimo a Beckett sembrò che avesse accettato la cosa, prendendola tra le braccia e posando il mento sulla testa di lei, stringendola alle spalle mentre lei lo abbracciava con forza ai fianchi, sentendo il bisogno di averlo cosi accanto in quel momento, avendo anch'ella il terrore di perdere quell'uomo che era sempre stato come un secondo padre per lei. Ma durò tutto pochi istanti. La detective lo sentì inspirare con forza mentre staccava una mano da lei per andare ad appoggiarla alla sua bocca, per fermarne il tremore, il grido che stava per uscire da essa, mentre cominciò a singhiozzare.

“Dimmi che non morirà, ti prego dimmelo”. La supplicò ritrovandosi a piangere come un bambino, nascondendo la testa tra la sua mano e la spalla di Beckett, bagnandole la maglietta con le sue lacrime , stringendosi a lei come se fosse l'unico appiglio che gli impedisse di cadere in quella voragine che si era aperta sotto i suoi piedi.


“Rick siamo arrivati”. Gli disse Beckett spegnendo la macchina slacciandosi la cintura, posandogli una mano sulla spalla per svegliarlo da quella trance in cui era caduto durante il viaggio verso l'ospedale. Castle era rimasto appoggiato al finestrino, con le iridi rivolte fuori da esso ma senza guardare effettivamente cosa stesse accadendo. Davanti a lui erano invece scorse delle immagini della sua infanzia, di tutti quei momenti passati con il genitore che gli riaffioravano alle mente, facendogli rivivere quella gioia mista alla consapevolezza che quei ricordi sarebbero andati perduti come le lacrime che si era asciugato, sapendo che senza il genitore al suo fianco quei momenti sarebbero stati solo un ulteriore schiaffo per non aver dato prima importanza a ciò che aveva condiviso con lui.

“Non credo di essere abbastanza forte”. Farfugliò lui infossando la testa nelle spalle, coprendosela con entrambe le mani. Beckett chiuse gli occhi e scivolò sul sedile per avvicinarsi a lui, per abbracciarlo ancora una volta facendogli posare il capo contro il suo petto.

“Io sarò sempre qui, al tuo fianco.” Gli disse posandogli un bacio sulla nuca, sentendo le sue dita stringersi attorno alla sua maglietta.

 

Quando la porta scorrevole del reparto di terapia intensiva si aprì davanti a se Castle si ritrovò senza il coraggio di camminare, volendo posticipare il più possibile quell'incontro con la madre, la sorella e i dottori, perchè, almeno nell'attimo che stava vivendo, aveva la possibilità che il padre fosse ancora vivo e lui la bramava quella possibilità.

“Andiamo”. Lo incoraggiò Beckett senza lasciargli la mano, guidandolo lungo i corridoi. Quando la sorella lo vide si staccò dalla madre e gli corse incontro, gettandosi tra le sue braccia rinnovando le lacrime che le riempivano gli occhi.

“é tutto a posto”. Disse Castle tenendola stretta a te, premendole la testa contro il suo petto cullandola.

“é colpa mia, stava discutendo con me quando ha avuto l'attacco”. Ammise isterica la ragazza tirando alcuni pugno contro il petto dell'uomo che non si scompose, lasciandola fare cosi che sfogasse la rabbia che aveva in corpo.

“Non è stata colpa tua Lex”. Affermò Beckett accarezzandole i capelli, cercando il suo sguardo indifeso. La detective avrebbe fatto a cambio mille volte con la ragazza per evitarle quel dolore che la stava straziando, che l'aveva colta cosi impreparata da farla tornare improvvisamente agli occhi di tutti quella bambina che ormai non era più da tempo. “Sarebbe comunque successo ma per fortuna tu eri li con lui e hai chiamato subito l'ambulanza cosi che è potuta intervenire”.

“Aspetta un attimo”. Affermò Castle prendendola per le spalle cosi da allontanarla di qualche centimetro da lui, abbassandosi sulle ginocchia cosi da mettersi alla sua altezza. “Torno subito ok”. Asserì dandole un bacio sulla guancia prima di lasciarla tra le braccia amorevoli di Beckett mentre lui si dirigeva da Martha che in tutto quel tempo era rimasta seduta su di una sedia.

Castle si sedette accanto a lei senza dire nulla, voltandosi con un busto in sua direzione aprendo le braccia, lasciando che lei riempisse quel vuoto. Ma Martha non pianse, chiuse solo gli occhi aggrappandosi al figlio. Non poteva lasciarsi andare, non con Alexis in quelle condizioni al suo fianco, doveva essere forte, per entrambi i suoi figli.

“Che hanno detto i dottori?”. Domandò il detective a bassa voce, riportando le iridi sulla moglie e la sorella che ancora se ne stavano abbracciate al centro della stanza, con la donna che sussurrava parole incomprensibili ma di certo di conforto alla ragazza.

“Il fatto che Alexis gli abbia dato subito un aspirina praticandogli il massaggio cardiaco ha aumentato le possibilità di salvarlo ma dipende tutto dall'operazione.” Spiegò la donna mentre Castle immaginava ciò che la sorella aveva dovuto affrontare vedendo il padre star male davanti ai suoi occhi. “Se Alexis non studiasse medicina forse a quest'ora l'avremo già perso”. Constatò Martha girandosi verso il muro, cosi che nessuno dei due figli la vedesse commuoversi, ma Castle capì che stava cedendo dai brividi che le percorrevano la pelle di certo non causati dal freddo inesistente in quella giornata.

“Andrà tutto bene. Non dimentichiamoci che stiamo parlando di Alexander Castle”. Le ricordò l'uomo prendendole il viso tra le mani, asciugandole con i pollici le righe nere sul viso create dalle lacrime mischiate con il mascara. “é un uomo forte. Se è sopravvissuto a quasi quarant'anni di matrimonio con te può resistere a tutto”. Scherzò Castle sentendo la madre ridergli per un istante contro la spalla, tornando subito dopo in silenzio in attesa che qualcosa accadesse.

 

Per diverse ora però non accadde nulla. Castle stava seduto accanto a Beckett, stringendogli perennemente la mano mentre Alexis rimenava con la testa appoggiata alla spalla della madre, con un cellulare tra le mani aspettando una chiamata da parte del proprio fidanzato.

“Stai bene?”. Domandò il detective piegando la testa cosi da osservare meglio la moglie che aveva abbassato il capo, strizzando gli occhi mentre si massaggiava la testa dolorante.

“Ho ancora i postumi di ieri sera e questa mattina. Vado a prendermi una bottiglietta d'acqua tu vuoi qualcosa?”. Gli domandò alzandosi dalla sedia con fatica, aggrappandosi al marito sentendo ancora un fastidioso malessere.

“Perchè non aspetti qui invece”. Suggerì lui costringendola a rimettersi seduta. “Ti prendo anche qualcosa da mangiare che oggi hai saltato sia la colazione che il pranzo”. Affermò dandole un bacio veloce prima di andare dalla madre e dalla sorella a chieder loro se volessero qualcosa, per poi dirigersi fuori dal reparto dove vi erano poste alcune macchinette che in quel momento facevano al caso suo.

"C'è qualcosa che non va Kate?”. Domandò Alexis rimettendosi dritta con la schiena, andando a guardare la detective stringendo con forza tra le dita il cellulare. Beckett sapeva bene che non poteva dire apertamente alla ragazza della notte d'inferno che lei e il marito avevano passato, in altri casi l'avrebbe messa sul ridere ma in quel momento comprendeva che per Alexis anche il più banale dei raffreddori l'avrebbe portata a angosciarsi ulteriormente.

“Per colpa del caldo non ho dormito tanto bene e sono un po' stanca tutto qui”. Dichiarò con un ampio sorriso, vedendo la giovane annuire all'apparenza convinta di quella risposta.

Quando scostò lo sguardo verso la porta che conduceva alle sale operatorie Beckett vide un dottore uscirne e le bastò vedere lo scatto improvviso di Martha per capire che quello era il loro medico.

“Vado io”. Disse rivolgendosi alla donna prima di alzarsi e raggiungere il dottore che la stava aspettando fuori la sala d'aspetto, contro il muro mentre si asciugava il sudore sulla fronte con una di quelle cuffie verdi.

“Lei è un parente del signor Castle?”.

“Sono la nuora. La moglie di suo figlio”. Specificò voltandosi verso la porta del reparto sperando di vedere comparire Castle da un momento all'altro, non sentendosi pronta di affrontare quel discorso. Nella sua vita da detective aveva dato ogni giorno cattive notizie ai famigliari delle vittime e più di una volta si era immedesimata in loro, ma lo strazio che si sentiva nel cuore andava ben oltre ogni sua immaginazione ricordandole le paure provate quando rischiò di perdere l'uomo che amava.

“L'intervento è andato bene”. A sentire quelle parole Beckett si sentì più leggera, espirando tutto il fiato che aveva trattenuto fino a quel momento, alzando la testa al cielo chiudendo gli occhi, ringraziando chiunque l'avesse aiutato a superare quell'operazione. “Abbiamo dovuto effettuare un angioplastica d'urgenza ma il paziente ha reagito bene e il rischio di trombosi è via via diminuito con il passare delle ore ma lo terremmo in terapia intensiva almeno fino a domani sera quando saremo sicuri che tutto è a posto”.

Beckett annuì alle parole del medico, capendo le sue premure a riguardo data la delicata operazione. Lo sbattere delle porte colse la sua attenzione portandola a girarsi verso di queste e vedere Castle fissarli con occhi persi e sgranati. Vedendolo esitare allungò una mano verso di lui incoraggiandolo a raggiungerli cosi che sentisse con le sue orecchie quella piacevole notizia.

“Il dottore mi stava dicendo che tuo padre starà bene”. Disse la donna vedendolo al suo fianco mentre cercava la conferma da parte del medico davanti a lui.

“Come stavo dicendo a sua moglie lo terremo in osservazione per almeno 24 ore dopo di che decideremo il da farsi”.

“Possiamo vederlo?”. Chiese l'uomo. Avendo ormai saputo che il padre era fuori pericolo l'unica cosa che gli importava era constatarlo con i propri occhi, vederlo li, anche disteso sul letto, ma vivo, volendo vedere il movimento rassicurante del suo petto.

“Quando sarà uscito dalla sala operatoria forse vi permetteranno di vederlo dal vetro della stanza ma a parte i medici è meglio che nessuno si avvicini per evitare infezioni”. Castle comprese e strinse la mano al medico ringraziandolo per ciò che aveva fatto, muovendosi di nuovo nella sala d'attesa per dare la notizia alle altre due donne.

“Perchè non andate a casa nostra e fate compagnia ad Alexis mentre io rimango qui ancora un pò”. Suggerì Martha rivolta ai due detective mentre la figlia cominciava a protestare non volendo ancora lasciare l'ospedale, non prima di aver visto il padre, anche se attraverso un vetro.

“Non se ne parla”. Obiettò risoluto Castle negando sia con il capo che con le mani. “Di certo non ti lascio qui da sola ne tanto meno ti faccio passare la notte su queste sedie scomode. Starò io e se succede qualcosa vi avviserò subito. Kate vi accompagnerà a casa cosi voi potrete riposare”.

“é mio marito Richard e se succede qualcosa voglio essere al suo fianco”. Si imputò Martha alzando la voce. “Sono tua madre non mi puoi dare ordini”.

Castle si morse la lingua per evitare di dire ciò che pensava, massaggiandosi la fronte cercando di calmarsi. “Se succede qualcosa l'unica cosa che potrai fare è startene qui impotente su questa sedia”. Le disse prendendola per un braccio e trascinandola lontano dalla moglie e dalla sorella. “Lo so che per te è ancora più difficile di quanto lo sia per me e per Lex ma per oggi hai già fatto tutto il necessario, ora hai bisogno di andare a casa e riposarsi. Tua figlia ha bisogno che tu vada a casa con lei, non ha bisogno di suo fratello ma di sua madre”. Martha voltò il capo verso Alexis che ora stava parlando con Beckett che abilmente la stava distraendo da quel momento raccontandole qualcosa di divertente dato che sul suo volto vi era un lieve sorriso.

“Renderebbe più tranquillo anche me saperti a casa”. Aggiunse alla fine prendendo le mani della donna, vedendola annuire con un nodo alla gola non troppo convinta di quella decisione. Ma Martha però sapeva che era la cosa giusta, che da sola non ce l'avrebbe fatta ad affrontare quei momenti, in particolare se fosse successo qualcosa ad Alexander.

“D'accordo. Kate ti dispiace accompagnarle?”. Domandò alla moglie che subito scrollò il capo sorridendo alla ragazza accanto a se. “Poi vai a casa anche tu a riposarti un po', ti chiamerò poi domani mattina”. Continuò a dirle vedendo subito mutare la sua espressione. Beckett lasciò le mani di Alexis e si avvicinò al marito, mettendogli una mano sul petto cosi da farlo indietreggiare di qualche passo.

“Io le accompagno a casa ma poi torno, hai bisogno di me”.

“Non stai bene Kate, hai bisogno di mangiare, di passare una notte tranquilla e di riposarti”. La detective lo fece tacere all'istante portando la propria mano sulla sua bocca, muovendola poi sulla sua guancia cosi da accarezzarlo.

“Hai bisogno di me”. Insistette vedendolo avvicinarsi a lei cosi da posare la sua fronte contro quella di lei, chiudendo gli occhi e sospirando mentre con le mani andava ad afferrarla per i fianchi.

“Nick”. La voce di Alexis li fece staccare l'uno dall'altra, obbligandosi a voltarsi verso la ragazza che alzandosi di scatto dalla sedia corse in contro al giovane che era appena apparso nella sala d'attesa. Castle osservò quello che era il ragazzo della sorella sorpreso di vederlo li a quell'ora della sera.

“Ti credevo a Boston”. Constatò andando a salutare porgendogli una calorosa stretta di mano. Al detective quel giovane gli piaceva. L'aveva conosciuto di persona poco tempo prima e fin da subito aveva avuto un ottima opinione di lui. Era un ragazzo intelligente, simpatico e volenteroso ma sopratutto, notò fin dal primo momento, faceva felice Alexis.

“Appena Lex mi ha detto quanto successo sono salito in macchina ed eccomi qui”. Asserì allargando le braccia con un ampio sorriso sulle labbra.

“Spero che al giornale non ti abbiano fatto problemi”. Disse la ragazza vedendolo negare con il capo. Castle in quel momento si ricordò che Nick stava laureandosi in giornalismo e per questo si trovava a Boston, a fare un meticoloso stage in uno dei giornali più importanti della città. Eppure aveva lasciato tutto, aveva compiuto un viaggio di tre ore, solo per stare accanto ad Alexis in quel momento. Castle si sentì fiero di lui.

“Senti Nick”. Esordì non credendo nemmeno lui a quello che stava per dire. “Ti dispiacerebbe accompagnare a casa Alexis e nostra madre?”. Gli domandò in leggero imbarazzo, sapendo che quello che stava chiedendo a quel giovane poteva essere troppo, affibbiandoli una responsabilità che forse non voleva.

“Puoi rimanere a dormire poi da loro, la mia stanza è libera. Sono certo che farà piacere ad Alexis se rimani. Sempre se nostra madre non è contraria?”. Martha espirò arrendevole accettando la presenza del giovane accanto ad Alexis, sapendo che poteva starle vicino senza rischiare di avere una crisi come sarebbe potuto accadere a lei.

“Allora noi andiamo”. Disse la piccola di casa Castle raccogliendo le sue cose. “Se succede qualcosa..”

“VI avviserò subito”. La strinse tra le sue braccia il detective baciandola sulla nuca, tenendola a se nonostante lei avesse già abbassato le braccia, passando poi alla madre per le dovute rassicurazioni rimanendo infine da solo con la moglie.

 

Beckett andò a incastrare le loro dita, sistemandosi in piedi a lui, appoggiata con la testa al suo braccio.

“Non serve più fingere Rick”. Dichiarò muovendo il collo cosi da andare a guardarlo con compassione, conoscendolo ormai cosi bene che sapeva riconoscere nei suoi silenzi, nei suoi sguardi, un profondo tormento che però non voleva esternare per orgoglio, per non farsi vedere debole dalla sorella e dalla madre, ma ora loro non c'erano più. “Non con me”.

“Anni e anni passati ad affrontare addestramenti, situazioni pericolose, uccisioni, omicidi, a vedere la morte in faccia, non è servito a niente. Sono qui che tremo come un bambino”. Constatò sentendo un gusto amaro in bocca mentre lo stomaco cominciava a contorcersi a causa della tensione che aveva accumulato fino a quel momento. “L'unica cosa che vorrei fare è correre in bagno e vomitare cosi da liberarmi di questa sensazione.”. Usò la mano libera per sfregarsi la faccia, per massaggiarsi il collo dolorante, permettendo che uno sbadiglio gli lasciasse la bocca.

“Coraggio”. Lo invogliò a parlare Beckett dopo averlo fatto sedere di nuovo su di una di quelle sedie scomode che probabilmente sarebbero state il loro letto per quella notte.

“Kate...”.

“Sono qui per te”. Beckett non si sarebbe arresa, non gli avrebbe permesso di far passare un ulteriore minuto senza che le dicesse quello che gli passava realmente per la testa, facendolo sprofondare in quello sconforto, in quella oscurità che già lo circondava. Non voleva che si dimostrasse forte, non con lei, non ve ne era bisogno, voleva aiutarlo ora che ne aveva la possibilità perchè poi non gliel'avrebbe più concesso, si sarebbe chiuso dentro il suo involucro dalla quale sarebbe stato capace di uscirne solo dopo aver compiuto qualche gesto folle, come era successo in passato con Stark o più recentemente con la sua paura di non riuscire a darle un figlio.

Castle si bagnò le labbra prendendo a guardare uno dei quadri appesi alla parete, usandolo come diversivo cosi da non sentire troppo il dolore delle sue parole.

“Mi chiedo alla fine cosa resta”. Dichiarò appoggiando la testa contro il muro dietro di lui, dondolandola lentamente rilasciando dei piccoli sospiri. “Per diverse ore sono rimasto qui ad aspettare l'inevitabile, a sentirmi il cuore fermarsi ogni volta che vedevo passare un dottore, con la paura che mi dicesse che mio padre era morto, affrontando per la prima volta l'inesorabile verità che un giorno non sarà più al mio fianco.”.Ragionò inspirando con forza cosi da riempirsi i polmoni , passandosi una mano nei capelli, facendola poi scendere sul suo viso coprendosi la bocca con quella. “E tra tutte le cose che ho pensato quella che mi faceva più arrabbiare era il fatto che tutta la sua vita sarebbe stata cancellata cosi, in un attimo”. Continuò parlando con rabbia schioccando le dita. “E la storia che le persone che vengono a mancare rimangono vive nel ricordo di chi ha voluto loro bene mi sembra tutta un idiozia, un contentino adatto più ad un bambino che ad una persona adulta. A cosa serve un ricordo? Non è come averlo qui. Non lo posso toccare, non lo posso vedere, non ci posso parlare assieme.”

“Sono discorsi fuori luogo quelli che stai facendo”. Affermò Beckett piegando una gamba sulla sedia cosi da voltarsi verso di lui mentre l'altra rimaneva ancora a terra. “Tuo padre starà bene quindi elimina la paura di perderlo dalla tua testa, è ancora qui e non ti lascerà per tanto tempo”. Gli disse dolcemente accarezzandogli la guancia ispida, notando ancora quell'espressione triste nei suoi occhi, intuendo che vi era molto altro che lui ancora non le rivelava.

“Ascoltami Rick. Comprendo a pieno le tue paure e lo sai che è cosi perchè Alexander è come un padre per me.”. Insistette la detective mettendo una mano sulla sua coscia e l'altra sulla sua spalla, massaggiando delicatamente mentre cercava un modo per alleviare le sue pene. “Ma perchè rattristarsi per qualcosa che non è accaduta quando puoi e devi essere felice perchè lui ce l'ha fatta. Hai ancora la possibilità di toccarlo, di vederlo, di parlarci assieme”. Replicò usando le stesse parole utilizzate prima dal marito. “Quando si sveglierà è davvero questa la faccia che vuoi che veda? Di suo figlio triste e corrucciato?. Non pensi che invece voglia vederti sorridere?”. Castle ancora non disse nulla e Beckett ebbe il dubbio che le sue parole non fossero nemmeno state udite dal marito che imperterrito fissava lo spazio davanti a se.

“Alexander potrà essere anche un padre per te, puoi volergli un mondo di bene, ma non potrai mai comprender quello che provo io adesso, non lo farai fino a quando non accadrà lo stesso a James”. Disse duro Castle ferendola anche se quelle non erano le sue intenzioni. Beckett fece scivolare le mani da lui, allontanandosi, rimettendosi composta sulla sua sedia sentendo un vento gelido tra di loro. Anche il detective lo percepì quando un brivido le percorse la schiena, privandolo del coraggio di guardarla, di dire altro per scusarsi, cosi si alzò dalla sedia facendo qualche passo in avanti, infilandosi le dita in tasca dando le spalle alla moglie. Aveva bisogno di lei e lei era li per dargli conforto eppure in quel momento se lo stava negando per uno stupido pensiero, per un senso di colpa che gli bloccava lo stomaco.

“Mio padre è vivo Kate ma allora perchè io mi sento comunque vuoto?”. Non diede il tempo alla donna di risponderle, sapeva che non poteva e che quel silenzio gli avrebbe fatto ancora più male, cosi cominciò a camminare, uscendo dal reparto, prendendo l'ascensore e recandosi all'esterno dell'edificio, facendosi avvolgere dalle braccia fredde della notte.

 

Quando Beckett riaprì gli occhi le sembrò che fossero passati solo pochi minuti da quando li aveva chiusi ma l'orologio al suo polso le diceva tutta un altra verità. Erano quasi le cinque del mattino e lei aveva dormito per quasi sei ore senza accorgersene. Sfregandosi gli occhi si accorse che però qualcosa non tornava, era distesa su qualcosa di soffice e non sulle dure sedie della sala d'aspetto. Con un movimento lesto si mise seduta solo per poi ricadere sul materasso quando ebbe un terribile giramento di testa. Al secondo tentativo fu più cauta e notò che si trovava in una piccola stanza con diverse brandine a riempirla. Accanto al suo letto notò un piccolo vassoio sopra il quale vi era un bigliettino scritto dal marito. “Forse è ora che mangi qualcosa”. Lesse sentendo il proprio stomaco brontolare, notando che effettivamente era dalla sera prima che non metteva qualcosa di nutriente tra i denti, a parte qualche cracker la mattina precedente. C'era del pane, del burro e della marmellata, oltre che a un piccolo thermos con dentro del caffè ancora caldo. Sorrise a quel gesto, di come Castle si fosse preoccupato per lei nonostante ciò che stava vivendo. Velocemente consumò quella colazione fuori orario e poi andò alla ricerca del marito, facendosi direzionare da qualche infermiere che le consigliò di provare nella stanza di Alexander. E fu li che lo trovò, in piedi davanti al vetro, a fissare il padre che ancora non si era svegliato, studiando tutti quei macchinari che lo circondavano. Beckett si mosse lentamente, non sapendo se lui la volesse o meno li, fermandosi poi al suo fianco, andando anche lei a guardare il suocero riconoscendolo a mala pena.

“Hai mangiato?”. Le domandò lui inclinando di poco il capo verso di lei, abbassando le braccia cosi da farle ricadere lungo i fianchi.

“Non ho avanzato nemmeno una briciola”. Ribattè lei dondolandosi sulle punte dei piedi, serrando le labbra stupendosi nel provare quella strana sensazione di imbarazzo, ma le risultava difficile parlare di cibo in quel frangente. “Come ci sono finita in quel letto?”.

“Mio padre ha fatto molte donazioni a questo ospedale e quando ti ho trovata addormentata su quelle scomode sedie gli infermieri mi hanno concesso di farti usare la loro stanza”. Spiegò semplice e conciso mentre la donna annuiva.

“Come sta?”. Domandò infine Beckett sentendolo rilasciare un respiro liberatorio.

“Bene, molto bene”. Affermò sollevando un lato della bocca in un sorriso compiaciuto. “I dottori l'hanno visitato poco fa e sono molto ottimisti. Certo i tempi di guarigione saranno lunghi ma non ci saranno gravi conseguenze anche se d'ora in poi dovrà tenersi più controllato”.

“E tu come stai?”. Beckett lo guardò bene, soffermandosi sul suo viso, sui segni delle stanchezza ben visibili sulle sue guance, sotto i suoi occhi, dandole la conferma che ancora non era stato capace di riposarsi.

“Continuo a pensare che ogni ricordo lo creiamo solo per aver qualcosa da dimenticare, che senza aver qui mio padre li perderei tutti con lui”. Appurò abbassando lo sguardo, guardandosi i piedi, muovendole le dita sotto le scarpe.

“Sai non credo che dimentichiamo Rick” Affermò pensierosa Beckett facendo spallucce. “Semplicemente li teniamo al sicuro i ricordi, nascosti nella nostra mente dove nessuno li può toccare, per poi riportarli alla luce quando sentiamo il bisogno di sentire ancora la loro forza”. Castle la fissò assorto, lasciando che quelle parole producessero un qualsiasi effetto sulla sua mente intorpidita e alla fine mosse la mano, andando a cercare quella di lei cosi da afferrarla con fermezza.

“Condivi con me un ricordo, cosi lo conserverò per te”. Asserì Beckett dopo diversi minuti di silenzio, avendo bisogno di sentire la voce del marito e rompere quel silenzio caratterizzato solamente dal bip ritmico delle macchine. Castle ridacchiò e si sforzò nel cercare una memoria importante da donarle e fu piacevolmente sorpreso nel scoprire che ne aveva un infinita da raccontarle.

“Avevo circa 11 anni e Lex era nata da pochi mesi. Come tutti i fratelli maggiori ero roso dalla gelosia e quando Lex si ammalò e i miei genitori non poterono portarmi a Coney Island decisi di scappare di casa”. Raccontò Castle vergognandosi di aver provato anche se per poco tempo un tale sentimento verso la sorella, verso quella ragazza che ora adorava con tutto il suo cuore.

“Preparai il mio zainetto, rubai un po' di soldi dal portafogli di mio padre e quando la tata, che badava a noi mentre i miei erano a lavoro, andò a mettere a nanna Lex io scappai”. Continuò gesticolando con le mani, osservando prima il padre e poi Beckett che sorrideva divertita e incredula sul fatto che il marito fosse cosi intraprendente già a quell'età.

“Quello che non sapevo era che mio padre la sera prima, dopo avermi messo a letto, aveva visto il piano di fuga che aveva inconsciamente lasciato sopra la mia scrivania. Più tardi mi disse che non mi fermò perchè voleva vedere fin che punto mi sarei spinto”.

“E riuscisti nel tuo intento?”. Domandò curiosa la donna accarezzando con il pollice il dorso della sua mano, facendo poi scorrere il dito attorno alla fede.

“Arrivai fino alla Central Station, vantandomi del fatto che nessuno si sarebbe mai accorto della mia fuga perfetta.”. Sorrise ancora Castle alzando un pugno a mezz'aria trionfante, ricordando come il semplice fatto di esser arrivato fin li gli avesse dato la sensazione di esser capace a far di tutto.

“Dov'era tuo padre?”. Chiese Beckett conoscendo ormai Alexander da cosi tanti anni che era certa che non avrebbe mai permesso al figlio di allontanarsi anche di un solo metro da lui.

“Mi aveva seguito per tutto il tempo. Era uscito prima da lavoro e si era piazzato davanti alla mia scuola seguendo ogni mia mossa, aspettando il momento in cui me ne fossi andato”. Socchiuse gli occhi l'uomo facendo un passo verso il vetro, appoggiando contro di esso prima la spalla e poi la testa, tornando a fissare il genitore, concentrandosi sul movimento lento ma rassicurante del suo petto. Era strano per lui vederlo cosi calmo, non era l'Alexander che conosceva, sempre attivo, sempre in movimento.

“Mi sedetti su di una panchina e aspettai l'arrivo del treno. Poco dopo lui si sedette vicino a me, prese il suo portafogli e mi diede altri soldi dicendo che mi sarebbero serviti per eventuali contrattempi. Non era mai stato più arrabbiato di cosi in tutta la mia vita credimi”. Rise aprendo la bocca e alzando gli occhi al cielo, passandosi una mano sotto gli occhi che sentiva umidi.

“In quel momento pensai che voleva veramente liberarsi di me”. Beckett lo guardò finalmente tranquilla, rivendendo in quegli occhi l'uomo che amava, cosi pieno di vita, di sicurezza, di fiducia anche nei momenti più sconfortanti. Con la mano libera gli accarezzò il petto, la spalla, il viso, pettinandogli i capelli con le dita, sistemandogli la maglietta.

“Cosa ti fece rimanere?”. Domandò portando la mano sul proprio petto, a cercare sotto la camicia la collanina di Castle ormai diventata sua da tempo, facendo girare tra le dita la placchetta argentata.

“Quegli stessi soldi che mi aveva dato. Erano un biglietto da 50 dollari, uno da venti, uno da 10 e l'ultimo da uno”. Ricordò tornando a fissare il padre, rivedendo quelle stesse banconote davanti ai suoi occhi come se gliele avesse appena consegnate. “Su ognuna di essi c'era scritto qualcosa”. Sussurrò tornando improvvisamente serio. “Su quello da 50 c'era scritto che cinquanta era il numero di volte all'ora che guardava la mia foto sulla sua scrivania, su quello da venti che venti era il numero di volte che si svegliava la notte per venir a controllare che dormissi bene, su quello da dieci che dieci erano i passi che sarebbe riuscito a fare prima di morire dopo che fossi salito su quel treno”.

Beckett ebbe come un flash e si ricordò all'istante di quei dollari perchè più volte li aveva visti in casa dei genitori di Castle. Erano appesi a una parete dello studio di Alexander, incorniciati accanto ai più importanti riconoscimenti che aveva avuto nel corso degli anni.

“E su quello da uno che avrebbe dato la sua unica vita per non perderti”. Concluse quel racconto la donna vedendo il marito annuire sommessamente.

“Grazie per essere rimasta qui con me”. Le bisbigliò avvicinandosi a lei cosi da baciarla con trasporto, accorgendosi di quanto gli fossero mancate le sue labbra e il suo tocco, di quanto ne avesse bisogno in quel momento per sfuggire da ciò che stava affrontando.

“Sempre”. Rispose Beckett quando si staccarono per riprendere fiato, abbracciandolo mentre lui posava una testa sulla sua spalla, dandogli dei leggeri baci sulla nuca mentre gli accarezzava la schiena disegnandovi sopra dei piccoli cerchi.

“Rick”. Lo chiamò dopo alcuni minuti con un tono di voce pregno di gioia, picchiettando con le dita contro la sua spalla, indietreggiando con la testa e la schiena cosi da fargli sollevare il capo, invitandolo a guardare oltre il vetro.

Castle si voltò e notò un leggero movimento da parte di Alexander, la sua mano destra che faticosamente si sollevò posandosi sul proprio petto. Pochi attimi dopo le sue palpebre si sollevarono e il detective potè tornare di nuovo a vedere le iridi cerulee del genitore.

“Ciao papa”. Asserì con un ampio sorriso, posando la mano aperta sul vetro cosi da salutarlo, per fargli capire che era li e una lacrima traditrice mostrò le sue emozioni quando gli solcò la guancia nel vedere il genitore sollevare a sua volta la mano cosi da ricambiare quel gesto.


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Capitolo un pò tristarello, lo sò. Ma mi serviva qualcosa di "drammatico" che turbasse la quiete di Castle, per fargli toccare il fondo e poi farlo risalire in pompa magna, il tutto però nel prossimo capitolo.

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Capitolo 13
*** 21 Agosto: La speranza, la rabbia e la gioia ***



Beckett se ne stava seduta su una delle sedie in pelle presenti in quella stanza pallida, accanto al letto dove vi era sdraiato Alexander. L'uomo stava riguadagnando lentamente un po' di energie e da quando aveva aperto gli occhi la mattina precedente le sue condizioni erano via a via migliorate, portandolo anche a mangiare qualcosa la sera prima, dandogli le forze per rassicurare Alexis sul fatto che l'infarto non fosse colpa sua. Era mattino presto e i due detective erano passati a trovare l'uomo prima di recarsi al distretto, consegnandogli quel giornale che lui impazientemente aveva richiesto, cosi da tenersi occupato nelle lunghe ore di solitudine chiuso in quella stanza.

Il vecchio Castle stava parlando con i due riguardo un articolo politico che aveva attirato particolarmente la sua attenzione, facendosi aggiornare sui commenti avuti durante le interviste in televisione, non avendo avuto modo di visionarli lui stesso. La sua attenzione però venne più volte attirata da Beckett che di tanto in tanto andava a prendere un biscotto dalla confezione che avevano portato per lui.

“Non dirmi che hai saltato la colazione per riuscire a venire qui presto?”. Domandò abbassando il giornale sulle proprie gambe, sistemandosi meglio sui cuscini muovendo la schiena, ma bloccandosi subito dopo quando sentì una fitta al petto.

“No, no”. Lo rassicurò mandando giù quel boccone che ancora aveva in bocca. “é che è una delle poche cose che riesco a tenere nello stomaco. Credo che mi stia per venire una bella influenza”. Dichiarò sorridendo affettuosamente ad Alexander che osservandola corrugò la fronte pensieroso, incrociando il suo sguardo improvvisamente imbarazzato, chiedendosi se per caso gli stesse nascondendo qualcosa per non farlo preoccupare date le sue condizioni delicate.

“Prova a dirglielo te papa, magari ti darà ascolto”. Asserì Castle staccandosi dal tavolinetto sulla quale era appoggiato per avvicinarsi al letto del padre, sistemandosi accanto a lui per aggiustargli meglio i cuscini, aiutandolo a sedersi più comodo. “é da due giorni che mangia male e riposa peggio. Le avevo detto di andare a casa almeno ieri pomeriggio per staccare un po' ma non c'è stato niente da fare, ha insistito per rimanere”. Castle la guardò con un espressione di rimprovero che la donna scansò facilmente lanciandogli una delle sue occhiatacce. Sarebbe rimasta li altri cento giorni, senza mai uscire da quei corridoi pur di non lasciarlo solo, pur di non fargli affrontare da solo quei momenti, il letto comodo e un pasto caldo avrebbero potuto aspettare in eterno per quanto le riguardava.

“E la puoi biasimare”. Arrivò in suo soccorso Alexander dando una lieve pacca sulla mano del figlio che teneva posata ancora sul cuscino che aveva appena sistemato, vedendolo negare con il capo sorridendo. “Avevi bisogno di lei, nemmeno una gru sarebbe riuscita a staccarla da quella sedia”. Appurò il vecchio Castle tornando a guardare la donna, soffermandosi sul suo viso e sul modo in cui andava a fissare Richard. Qualcosa nei suoi occhi non gli tornava, l'aveva vista tante volte osservare il proprio figlio ma mai in quel modo, mai con quella dolcezza, con quella dedizione.

Alexander poi alzò gli occhi contro la parete e vide il grande orologio rotondo segnare le 8.30 cosi andò a rivolgersi ancora il figlio. “Perchè non vai a chiamare tua madre e le chiedi a che punto è. Voi due dovete tornare a lavoro e non vorrei farvi arrivare tardi”. Castle alzò il proprio braccio, ruotando il polso cosi da far girare anche il proprio orologio cosi da controllare anch'egli l'ora.

“Già, aveva detto che sarebbe arrivata qui verso le otto e un quarto. Meglio vedere che è successo”. Disse Castle cercando con lo sguardo la moglie, indicando poi con la testa il padre che non si perse quel suo gesto.

“Tranquillo, mi terrà d'occhio lei, e poi dove vuoi che vada”. Lo canzonò mentre lui estraeva dalla tasca il proprio cellulare e usciva dalla stanza cosi da chiamare Martha.

Alexander fece per dire qualcosa andando a guardare di nuovo la donna ma si fermò quando la vide con gli occhi chiusi, tenendosi una mano sullo stomaco e l'altra sulla bocca.

“Scusa”. Appurò Beckett espirando lentamente sentendo la risata debole di Alexander echeggiare in tutta la stanza.

“Sai ho come la sensazione di conoscerlo quel tipo d'influenza”. Constatò l'uomo unendo le mani sopra il proprio grembo, attento a non tirare troppo gli aghi che ancora aveva infilzati nelle braccia. “Potrebbe essere la stessa che ha colpito Martha per ben due volte?”. Domandò con un ampio sorriso sulle labbra, inarcando un sopracciglio e cercando la complicità della nuora.

Beckett sorrise dolcemente mordendosi il labbro inferiore, abbassando il capo sistemandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. “Potrebbe”. Enunciò timidamente cercando a fatica di trattenere le proprie emozioni. “é solo che ho paura a sperarci troppo”. Ammise mentre il ricordo di quella delusione avuta mesi prima le tornò a galla, facendole sentire una nuova stretta allo stomaco che le fece passare in un istante il suo disagio sostituendolo con uno peggiore.

“Vedrai che lo è”. Disse rassicurante il vecchio Castle battendo con una mano un punto del materasso accanto al suo fianco, invitandola ad avvicinarsi a lui. Beckett posò entrambe le mani sui braccioli per tirarsi su, facendolo lentamente cosi da evitare un giramento di testa. Andò vicino al letto e si sedette sopra quel piccolo spazio che l'uomo le aveva indicato. “C'è qualcosa di diverso in te. I tuoi occhi sono diversi Kate”. Commentò spostandole una ciocca di capelli con un gesto che molto le ricordava quelli affettuosi di Castle. “Sono più lucidi, più luminosi, il tuo sguardo è più intenso e il modo in cui inconsciamente guardavi Rick...”.

“Perchè come lo guardavo?”. Lo interruppe Beckett sistemandosi meglio sul letto, attenta a non creare alcun tipo di sconforto all'uomo già debole.

“Con la stessa meraviglia con cui un bambino guarda i fuochi d'artificio o la prima neve dell'anno, con la stessa leggerezza che proviamo quando guardiamo l'alba, con la stessa passione con cui rileggiamo il nostro libro preferito. Lo guardavi come se al mondo non esistesse cosa più bella di lui”. A sentire quelle parole, al modo in cui le aveva pronunciate, Beckett non potè far altro che crederci. Con attenzione roteò il busto, posando una mano sulla spalla dell'uomo per abbassarsi su di lui e posare un dolce bacio sulla sua fronte, volendolo ringraziare cosi, con quel semplice gesto, trovandosi impossibilitata a parlare.

“Ehi vuoi fargli venire un altro infarto”. Esordì Castle rientrando nella stanza proprio nel momento in cui la moglie compiva quel fatto.

“Ho rischiato di morire, mi merito queste attenzioni”. Sdrammatizzò Alexander mentre Beckett scendeva dal letto e tornava alla sedia cosi da recuperare le proprie cose. Diede uno sguardo all'orologio e si accorse che era veramente tardi, doveva andare al distretto.

“Che ha detto Martha?”. Domandò andando a riprendere il distintivo cosi da agganciarlo alla cintura dei pantaloni, nascondendo la pistola sotto la camicia verdognola che indossava.

“Che non ha sentito la sveglia ma tra una mezz'oretta dovrebbe essere qui”. Spiegò guardando prima la moglie poi il padre, trovandosi in una situazione di stallo non sapendo come comportarsi. Da una parte non voleva lasciare da solo il padre, anche se sapeva che i dottori e le infermiere l'avrebbero controllato ogni dieci minuti, dall'altra l'idea di far andare da sola al distretto Beckett gli martellava la testa.

“Papa ti dispiace se ti lascio solo finchè non arriva la mamma?. Al distretto potrebbero aver bisogno..”

“Non se ne parla”. Lo bloccò Beckett camminando verso di lui. “Al distretto non abbiamo bisogno di te, il tuo posto è qui”. Gli disse lasciando cadere la borsa a terra mentre velocemente gli sistemava la camicia dentro i pantaloni, raddrizzando la linea dei bottoni tutta storta.

“Mio padre sta bene e il mio posto è accanto a te”. Affermò Castle abbassando la voce, inclinando il capo cosi che quando lei andò a guardarlo i loro volti furono vicini.

“Non dico che devi rimanere qui tutto il giorno ma almeno aspetta che arrivi Martha. Che vuoi che sia mezz'ora? Io ti aspetto al distretto”. Insistette lei non volendolo in alcun modo portare via da Alexander, sapeva che l'uomo ormai era fuori pericolo ma ancora di più comprendeva che il posto di Castle era accanto al genitore. Di certo Martha gli avrebbe voluto parlare, per farsi spiegare ciò che i dottori gli avevano detto, non capendo mai i loro termini troppo sofisticati, perciò il detective sarebbe dovuto rimanere fino al suo arrivo.

“Kate, Rick ha ragione, dovrebbe starti vicino in questo momento”. Entrambi andarono a guardarlo ma con espressioni diverse. Castle lo fissò perplesso mentre Beckett sgranò gli occhi scrollando la testa, avendo paura che Alexander si facesse sfuggire qualche supposizione di troppo.

“Ci vediamo dopo ok?”. Castle si arrese sbuffando e annuendo con il capo, lasciando che la donna raccogliesse la sua borsa.

“Ti amo”. Gli disse Beckett dandogli un bacio a stampo cominciando ad aggirarlo per sfuggire dalla sua presa.

“Ti amo anche io”. Rispose Castle rimanendo fermo in mezzo alla stanza mentre Beckett si avvicinava alla porta, guardandola con una vena di rammarico volendo andare con lei, sentendo che non avendola vicino sarebbe successo qualcosa di brutto, facendo tornare vive in lui molte paure che lo avevano accompagnato in quelle ore.

“A più tardi Alexander”. Lo salutò appoggiandosi allo stipite della porta voltandosi di nuovo verso il marito, facendogli l'occhiolino prima di andarsene.

“é una persona straordinaria, non potrei mai immaginare al tuo fianco qualcuna migliore di lei”.

“Io non voglio nemmeno provare a farlo”. Sospirò Castle tenendo le mani in tasca, guardando ancora la porta da dove era sparita la moglie, voltandosi poi verso il genitore con un ampio sorriso sulla faccia che subito però sparì quando lo scrutò meglio.

“Almeno potresti toglierti il segno del rossetto che ti ha lasciato Kate, mi ingelosisce vederlo”. Dichiarò mentre Alexander ridacchiando si sfregò quel punto sulla fronte cosi da eliminare ogni traccia.

 

Quando Castle riuscì finalmente a recarsi al distretto era già passata più di un ora da quando Beckett aveva lasciato l'ospedale. Non volendo attendere ulteriormente salì le scale di corsa invece che aspettare l'ascensore, arrivando al proprio piano sudato e con il fiatone ma ancora pieno di energie per recarsi dalla moglie. Quando giunse però alla scrivania la trovò vuota, cosi come quella dei due colleghi, girò su se stesso guardandosi attorno nella vana speranza di trovarli ma di loro non c'era traccia.

“Sono andati a catturare un sospettato”.Lo illuminò la Roalstad uscendo dal suo ufficio, avendolo visto arrivare e immaginando già che l'uomo si sarebbe chiesto dove fosse finita la moglie.

“Quanto tempo fa sono andati?”. Chiese guardandosi d'istinto l'orologio.

“Circa quaranta minuti. Dovevano andare nel quartiere russo a prelevare un certo Nikolaj e due suoi amici sospettati per un pestaggio conclusosi in omicidio”. Il detective ringraziò il proprio capitano e si recò nella saletta relax cosi da prepararsi l'ennesimo caffè della giornata, controllando il proprio cellulare per esser certo che non vi fossero chiamate ne da parte della moglie ne da parte della madre.

Stava ancora aspettando che la tazzina si riempisse quando sentì un vociare concitato provenire dalla sala principale, potendo riconoscere facilmente degli sproloqui in russo.

“A quanto pare li hanno trovati”. Affermò tutto contento soffiando sul caffè per raffreddarlo, prendendone un sorso prima di dirigersi all'esterno della saletta cosi da poter partecipar anche lui al divertimento.

Il suo buon umore però sparì all'istante quando i suoi occhi cozzarono con il viso della moglie mentre la tazzina gli scivolava dalle mani frantumandosi a terra. Quel rumore di cocci fece girare tutti verso l'uomo, compresa Beckett che imprecò a bassa voce contro la propria sfortuna. I due coniugi si incontrarono a metà strada e subito Castle sollevò la mano destra posandola con cautela sulla mascella della detective, facendole girare la faccia cosi che lui potesse vedere meglio il segno rosso che le ricopriva la guancia e parte del naso.

“Che diavolo è successo?”. Domandò trattenendo a fatica la propria rabbia, osservando le macchie di sangue sul viso di Beckett e sulla sua camicia strappata.

“Uno dei sospettati mi ha colpita ma sto bene”. Disse brevemente dovendosi subito concentrare per fermare il marito che già si stava dirigendo verso i due uomini ammanettati che i colleghi stavano portando nelle stanze degli interrogatori, trattenendolo prima per un braccio e poi posandogli entrambe le mani sul petto.

“é stato uno di quei due?”. Chiese ancora puntando il dito verso le porte dietro cui i due erano spariti, avanzando con decisione, facendo indietreggiare Beckett che ancora tentava di calmarlo.

“Rick è solo un graffio”. Cercò di sorridere ma non riuscì a negare l'evidenza, sopratutto quando il semplice inarcare le labbra le fece dolere tutti i muscoli del viso la dove era stato colpita.

“Non provare a farmi passare per un idiota Kate”. Alzò la voce Castle prendendole entrambe le mani, facendole perdere l'equilibrio cosi che cadesse in avanti, finendo contro il suo petto dove lui la tenne stretta.

“Cos'è successo e chi è stato?”. Beckett per un istante ebbe paura, l'intensità con cui il marito la guardava la fece tremare, sapendo bene di quello di cui era capace quando si lasciava sopraffare dalla rabbia.

“Stavamo seguendo tre sospettati, uno a testa”. Intervenne Esposito dando al collega le informazioni che voleva cosi da tranquillizzarlo. “Quello che Beckett stava inseguendo l'ha colpita gettandola a terra ma per fortuna Ryan è intervenuto prima che potesse fare altro e l'ha fatto scappare”.

Il detective mollò la presa sui polsi della moglie, permettendole di fare un passo all'indietro, tornando a toccarle il viso ma con maggiore attenzione. “Perchè non vai giù da Lanie, di certo ha qualche pomata per abbassare il gonfiore, e intanto fatti controllare il naso, non vorrei che te l'abbia rotto”. Affermò sfiorandoglielo, vedendola gemere debolmente.

“Passerà da solo”. Obiettò lei ma l'uomo le fu ancora vicino, abbassandosi alla sua altezza pregandola.

“Per favore, sarei più tranquillo”. Beckett agitò la testa ma alla fine si arrese, volendo anche lei stessa controllare di non essersi rotta niente.

“Grazie”. Disse accennando un sorriso, baciandola teneramente sul punto dolorante prima di vederla dirigersi verso l'ascensore.

“Grazie Ryan”. Si rivolse al collega quando le porte di quello si chiusero, dandogli una pacca sulla spalla superando poi lui e il cubano.

“Dove vai?”. Gli domandò Esposito vedendo che si stava dirigendo verso la sala degli interrogatori.

“A fare due chiacchiere con il nostro nuovo amico”. Asserì con un sorriso sardonico sulle labbra, facendo preoccupare i due colleghi che non riuscirono a intervenire prima che Castle chiudesse la porta a chiave dietro di se.

“Meglio vedere che combina”. Constatò Ryan aprendo la porta dello stanzino dalla quale avrebbero seguito quell'interrogatorio.

 

Castle chiuse lentamente la porta dietro di se girando la chiave, andando subito a cercare l'uomo ammanettato alla sedia che sembrava guardarlo divertito. Il detective si andò a sedere sulla sedia opposta a quella di lui, senza mai staccare gli occhi da quel volto, cominciando un gioco di sguardi per conoscere meglio il proprio interlocutore.

“Dove è il tuo amico?”. Chiese Castle sfregandosi le mani l'una contro l'altra, cominciando a sentire un noto formicolio, mentre l'impazienza e l'adrenalina gli facevano sentire ogni muscolo del corpo vivo.

“Non ho tempo da perdere, dov'è l'uomo che ha colpito la poliziotta?”. Ritentò ricevendo in risposta sempre quello sguardo superbo e divertito.

“Yebat tvoyu mat”. Disse il russo cominciando a ridere pensando di aver il coltello dalla parte del manico ma ciò che non sapeva era il fatto che anche Castle parlasse russo.

Il detective si alzò lentamente dalla propria seduta, facendo sfregare le gambe della sedia contro il pavimento, il cui stridio infastidì il sospettato che chiuse gli occhi, non accorgendosi che Castle si era messo dietro di lui.

“Te lo chiedo un ultima volta con le buone maniere. Dov'è?”. Digrignò i denti abbassandosi all'altezza dell'uomo, ringhiandogli nell'orecchio ma questi non cedette, si voltò verso il detective avvicinando minaccioso il proprio volto.

“A scoparsi la tua amichetta”. Castle si rimise in piedi, ridacchiando adirato per quella risposta, facendogli perdere quel minimo di ragionevolezza che gli era rimasta. Compì ancora un passo mettendosi alle spalle del russo, facendo scorrere una mano sulla bocca annuendo a se stesso.

“Come vuoi”. Asserì soltanto prima di mettere una mano contro la nuca pelata del sospettato e con prepotenza spingere verso il basso cosi da farlo sbattere violentemente contro il tavolo. Il russo urlò dal dolore e cercò di liberarsi ma Castle ancora lo teneva schiacciato, portando l'altra mano all'altezza della spalla cosi da tenerlo fermo.

“Ora mi dici chi è stato e dove posso trovarlo altrimenti di addio al tuo braccio”. La mano di Castle scivolò lungo la testa dell'uomo, andando a piegare il proprio braccio all'altezza del collo del russo spingendo verso il basso mentre l'altra mano lo stringeva per la spalla tirando verso di se.

“Dammi solo un motivo per rompertela”. Si mosse velocemente Castle facendo pressione su quei due punti, sentendo il russo imprecare nella sua lingua madre, agitando sulla sedia senza però poter reagire.

“Govorit”. Il detective allentò la presa per dare modo all'uomo di parlare, ma quando, con il passare dei secondi, questo non accadde ritornò a tirare con più forza, cominciando a vedere la spalla fare un movimento innaturale.

“Ok, ok”. Urlò il russo e Castle subito si allontanò da lui, non prima di averlo sbattuto di nuovo contro il tavolo.

“Imya?”.Domandò il detective sedendosi sul tavolo accanto all'uomo, vedendo come scrollava il capo mentre un rigagnolo di sangue gli scendeva dal sopracciglio rotto, muovendo la spalla dolorante.

“Sergej Volk, Sergej il lupo”. Il russo si accasciò sulla sedia, allungando le gambe sotto il tavolo roteando il collo mentre sentiva le ossa scricchiolargli, mentre una goccia di sudore gli scendeva dalla fronte.

“Gde eto?”. Domandò ancora il detective aggiustandosi la camicia, slacciando i bottoni ai polsi e arrotolandosi le maniche fin sopra i gomiti, con una calma che non esternava il tumulto che invece aveva dentro di se. “Gde eto?”. Parlò ancora più risoluto.

“Kremle, Brighton 6th.Yesli vy khotite pogovorit's nim vam predstoit brosit' yemu vyzov. Eto ub'yet vas meneye chem za minutu”.

Castle fissò il muro davanti a se pensieroso, chiedendosi per un istante se stesse agendo nel modo giusto, ma il volto della moglie gli si parò davanti agli occhi e lui ebbe un moto nuovo di convinzione.

“Vedremo”. Parlò deciso dando una pacca sulla spalla dell'uomo, uscendo dalla stanza solo per ritrovarsi i due colleghi davanti.

“Che diavolo pensavi di fare?”. Lo spintonò Esposito preoccupato per la reazione che aveva avuto il collega con il russo e di ciò che avrebbe potuto fare in seguito.

“Avevo bisogno di sapere dove trovare quell'uomo”. Appurò allungando un braccio contro il petto del cubano cosi da farlo spostare permettendogli il passaggio cosi da avviarsi verso la scrivania della moglie.

“Veniamo con te”. Affermò Ryan quando lo vide levare dalle tasche il portafogli e il cellulare cosi da ritirarli in uno dei cassetti.

“Si cosi oltre a mio padre mi toccherà venire a trovare pure voi due in ospedale”. Ridacchiò Castle dando un leggero buffetto sulla guancia dell'irlandese. “Se al posto di Kate ci fosse stata Jenny o Lanie avreste fatto lo stesso”. Commentò serio tastando le proprie tasche cosi da esser certo di non aver nulla con se che avrebbe potuto svelare la sua vera identità.

“Se la Roalstad ve lo chiede sono tornato da mio padre d'accordo?”. Domandò cercando la complicità dei due amici, sapendo bene che quello che aveva fatto e che stava per fare andava contro le regole che lui in primis doveva seguire. “D'accordo?”. Insistette vedendoli finalmente annuire, cominciando a incamminarsi verso l'ascensore.

“E a Beckett che diciamo?”. Domandò Esposito vedendolo voltarsi verso di loro, proseguendo camminando all'indietro.

“Inventatevi la scusa che volete, tanto non vi crederebbe comunque”. Rispose aprendo le braccia raggiungendo infine l'ascensore.

“é meglio chiamarla”. Disse l'irlandese con già il cellulare in mano, non aspettando il consenso del cubano essendo certo che anche lui fosse di quell'idea.

 

“Avete registrato la conversazione?”. Domandò Beckett facendo risuonare nel corridoio il rumore pesante dei suoi tacchi che battevano contro il pavimento, camminando a passo veloce verso la saletta cosi da riascoltare quanto il marito aveva detto.

“Si, abbiamo pensato che fosse il caso di farlo appena abbiamo visto come ha reagito, senza contare che si sono messi a parlare in russo e senza la registrazione sarebbe stato impossibile capire cosa si sono detti.” Affermò l'irlandese mettendosi subito in azione, sedendosi al computer cosi far avviare il video. Beckett posò entrambe le mani sul tavolinetto fissando il vetro davanti a se, non volendo vedere le immagini che mostravano il marito mentre perdeva il controllo.

“Che sta dicendo?”. Domandò Esposito curioso, non conoscendo affatto quella lingua ma volendo comunque sapere che informazioni il collega era riuscito a reperire.

“Ha chiesto il nome dell'uomo che mi ha colpita. Un certo Sergej”. Replicò Beckett andando ancora a guardare davanti a se, cominciando a tamburellare con le dita nervosamente.

“Aspetta torna indietro. Voglio sentire bene che dice”. Alzò la mano per bloccare Ryan, voltandosi verso di loro, appoggiando le cosce al tavolinetto, incrociando le braccia abbassando il capo cosi da concentrarsi.

“Gli ha chiesto dove può trovarlo e lui ha parlato di un certo “cremlino” sulla Brighton e poi parla di alcune sfide se vuole parlare con Sergej ma che sarebbe morto se l'avesse fatto, non capisco di cosa parlino”. Scrollò il capo la donna chiedendo al collega di farle riascoltare il video, per cercare qualche dettaglio che forse le era sfuggito.

“Sò io che cos'è il Cremlino”. Disse Esposito velatamente preoccupato. “Non è un luogo vero e proprio, si sposta di settimana in settimana nel quartiere russo cosi che la polizia non lo scovi. In realtà è una specie di bisca clandestina dove si scommette sui combattimenti umani ma la sua peculiarità è che puoi scommettere qualunque cosa e se vinci ti verrà data”. Spiegò brevemente il cubano vedendo i due colleghi ancora perplessi, non avendo mai sentito parlare di una cosa simile.

“Mettiamo che tu Ryan non hai i soldi per pagare la mafia affinchè si liberino di un tuo rivale, tu partecipi al Cremlino, sfidi un membro della banda, li fai divertire un po', e se vinci loro te lo fanno fuori senza chiederti altro”.

“E Castle vuole sfidarli per avere Sergej”. Beckett sospirò facendo ricadere il capo all'indietro, massaggiandosi le meningi mentre pensava al modo migliore di agire.

“Dobbiamo andare la e fermarlo prima che commetta qualche sciocchezza”. Fu l'unica cosa a cui riuscì a pensare, uscendo dalla saletta estraendo la propria pistola, controllando che fosse carica, facendo intervenire subito i due colleghi.

“Il tempo per noi di essere la e Castle si sarà già messo nei guai, e poi credi davvero che noi tre bastiamo per fermare un intera banda?. Serve una squadra addestrata e per averla dobbiamo dire tutto alla Roalstad”. Fece notare Ryan andando a guardare il proprio capitano ancora rinchiuso nel suo ufficio non essendosi avveduta di quanto era accaduto.

“Se glielo diciamo sicuramente prenderà dei provvedimenti per punire il suo comportamento”. Constatò agitata e preoccupata, vedendosi le mani tremare a causa di quella situazione, non era bastato ciò che era successo ad Alexander, ora doveva rischiare pure di perdere Castle per una stupidaggine simile.

“E se non lo facciamo c'è il rischio che lo ritroviamo in qualche cassonetto”. Disse deciso Esposito vedendo la donna sbiancare di colpo mentre andava a guardarlo con gli occhi spalancanti.

“Dobbiamo dirglielo Beckett”. Si unì Ryan parlandole invece con più calma. “é l'unico modo in cui possiamo aiutare Castle”. Beckett rilasciò un lungo sospiro e si ritrovò a chiedersi ancora una volta cosa doveva fare, sapendo che doveva decidere in fretta, il tempo giocava contro di loro.

 

Castle adagiò la guardia che aveva appena atterrato contro la parete alla fine delle scale, cosi che nessuno all'interno del bar, che faceva da copertura per quello scantinato, l'avrebbe facilmente notata.

Girò la maniglia e si ritrovò davanti ad altre scale che lentamente andò a scendere, non sapendo nemmeno lui cosa aspettarsi, mosso solo dal desiderio di trovarsi faccia a faccia con quell'uomo. Applausi e ovazioni gli giunsero alle orecchie, indicandogli la strada che doveva prendere ritrovandosi dentro ad un ampio parcheggio deserto se non per quella ventina di persone radunate vicine cosi da formare un cerchio. Si fermò qualche istante a studiare la situazione, scrutando i presenti, cercando di capire chi tra loro potesse essere una minaccia e chi invece era solo un innocuo scommettitore. Quando vide uno dei due lottatori cadere pesantemente a terra per poi venir trascinato via dal altri due decise che quello era il momento buono per farsi notare, e cosi si diresse verso quella piccola folla, passandoci in mezzo per poi alzare il braccio destro in direzione di quello che aveva intuito essere il capo. Questi infatti era quello meglio vestito, con pantaloni e giacca bianca, seduto su di una sedia posta al di sopra di alcune casse, cosi che potesse vedere dall'alto il combattimento.

“Come hai fatto ad entrare?”. Gli chiese questi puntandogli contro il bastone che teneva tra le dita, facendo girare tutti i presenti verso Castle.

“Diciamo che so essere molto convincente”. Asserì chiudendo la mano destra in pugno andandola a fissare e massaggiare con l'altra mano mentre parlava, per rendere eloquente il suo dire.

“E cosa ti porta qui?”. Domandò il capo della banda facendo cenno ad uno dei suoi di andare a controllare ciò che era successo al suo uomo.

“Sò dei vostri combattimenti, so che se vinco ottengo ciò che voglio e io voglio un certo Sergej il lupo”. Un vociare sommesso si sollevò tra la gente e Castle non potè non notare il modo in cui ora lo stessero guardando, non più come un estraneo, ma come un pazzo, un uomo già morto.

“Non credo che tu sia il tipo di Sergej”. Ridacchiò il capo e con lui si misero a ridere tutti i presenti in modo da non contraddirlo nemmeno in quella situazione. “E cosa vorresti esattamente da lui?”.

“Solo spaccargli la faccia.”. Sorrise superbo il detective accorgendosi che uno degli uomini cominciò a muoversi minacciosamente verso di lui. Un uomo alto e pelato, con un espressione che avrebbe messo in soggezione chiunque ma non lui, la sua faccia gli dava solo un ulteriore ragione per finire ciò che si era preposto di fare.

“Solo questo?”. Chiese conferma il capo vedendo Castle annuire. “Se per Sergej non è un problema”.

“Ya budu poluchat' udovol'stviye slomat' vashi kosti”. Disse Sergej strappandosi la maglietta che indossava, rompendola in due prima di farla cadere a terra, lasciando del tutto impassibile Castle.

“Il tuo nuovo amico ha detto che si divertirà a romperti tutte le ossa”. Tradusse il capo seguendo con lo sguardo Castle che si portava al centro di quel cerchio formato dalle persone, cominciando a girare attorno aspettando una mossa del suo avversario.

“Se non gliele romperò prima io”. Ribattè alzando le mani al cielo cosi da tirarsi i muscoli prima di compiere qualche saltello sul posto. “Coraggio dolcezza non farmi aspettare”. Lo canzonò stringendo i pugni, muovendosi verso di lui mentre Sergej faceva lo stesso. Ancora prima che quest'ultimo potesse prepararsi a colpirlo Castle aprì l mano e con violenza colpì la gola del suo avversario seguita poi da un rapido cazzotto che lo fece cadere a terra privo di fiato.

“Tutto qui? E questo sarebbe Sergej il lupo”. Commentò rivolgendosi verso il capo della banda, amareggiato che la sfida fosse già finita, avendo preferito continuare cosi da farlo pentire di aver colpito Beckett. Il sorriso dell'uomo seduto sulla sedia però gli raccontava un altra storia, cosi come il movimento che percepì alle spalle. Il detective si abbassò d'improvviso, facendo una mezza piroetta per evitare il tiro mancino che gli stava tirando Sergej.

“Ora ci divertiamo”. Disse il russo scrollando la testa, aspettando una mossa di Castle che si avvicinò tenendo i pugni accanto al volto cosi da difendersi, sfoderando poi un veloce destro e sinistro che però scalfì solo l'aria, dando la possibilità al suo avversario di colpirlo alla gamba e di afferrarlo per la camicia cosi da tenergli la testa ferma mentre lo andava a centrare con uno schiaffo in pieno volto, facendolo ricadere all'indietro.

“Tutto qui principessa”. Ridacchiò Sergej con un forte accento mentre Castle si rimetteva in piedi, riassumendo la posa di prima avvicinandosi all'uomo nella speranza di prenderlo di sorpresa. Altri tre pugni e altri tre vuoti, solo per ricevere un montante nello stomaco e uno spintone che lo fece rotolare a terra contro le gambe di quegli insoliti spettatori che incitavano il loro idolo russo denigrando il detective.

Castle si rimise in piedi in fretta, mosso dall'adrenalina e dalla rabbia, era venuto li per dare una lezione a quell'energumeno invece stava avendo la peggio e non poteva sopportarlo, non dopo tutto quello che gli era successo in quei giorni, in quei mesi, aveva bisogno di riuscire in una cosa, di raggiungere il risultato che si era preposto, di ritrovare la fiducia in se stesso.

Il detective fece per tirargli un calcio ma il russo lo evitò con estrema facilità, stringendolo ai fianchi con un braccio mentre gli teneva la schiena contro il proprio petto, trascinandolo con se in mezzo alla folla che si aprì al loro passaggio, spingendolo poi con forza contro il muro. Castle fece per liberarsi abbassandosi ma ciò aiutò solo Sergej ad afferrargli la nuca con entrambe le mani e tenerla ferma cosi da colpirla con una ginocchia e poi un altro pugno. Castle si ritrovò a terra e gattonò per allontanarsi da lui, cosi da riprendere fiato, cosi da fermare la testa che gli girava dolorosamente. Si toccò la fronte e vide del sangue sulle sue dita, accorgendosi cosi del taglio che aveva sul sopracciglio.

“Ritirati finchè sei in tempo ragazzo”. Rise il capo della banda battendo con il bastone sopra le casse ai suoi piedi. “O la faccia non sarà l'unica cosa che perderai”.

D'un tratto il detective si sentì trascinare per la gamba, cercando di aggrapparsi al pavimento mentre il russo lo riportava al centro del cerchio, ritrovandosi a pancia in su mentre l'energumeno lo sovrastava.

“Pochemu ty zdes'?”. Gli domandò il russo tenendogli un ginocchio sul petto, facendolo annaspare per trovare fiato.

“Perchè sono qui?”. Boccheggiò il detective portando entrambe le mani sulla gamba dell'uomo, cercando di levarsela da sopra. “Perchè hai tirato un pugno a mia moglie, brutto stronzo, e sono qui per fartene pentire”.

La risata di Sergej sovrastò anche il vociare dei presenti andando di nuovo a parlare in russo, ricevendo da quelli un sacco di applausi, aprendo le braccia per ricevere le loro ovazioni. Castle allora staccò le mani dalla sua gamba e lo colpì con il pugno destro in pieno petto, facendolo rotolare a terra mentre lui si liberava e si rimetteva in piedi.

“Parli della poliziotta?. Avrei fatto ben altro se quello scricciolo non mi avesse puntato la pistola addosso”. Di nuovo si ritrovarono uno di fronte all'altro, camminando in tondo studiandosi a vicenda. Il detective cominciava a sentire in bocca il gusto del sangue mentre la vista gli si appannava a causa di quello che gli colava dalla fronte, andando ad asciugarselo con il dorso della mano.

“Le avrei fatto sentire cosa vuol dire stare con un vero uomo”. Sergej inarcò le labbra ridendo maliziosamente facendo urlare di rabbia Castle mentre gli correva in contro, alzando il braccio con l'intenzione di colpirlo per poi abbassarsi di colpo per placcarlo alla vita, facendolo finire contro uno dei pilastri in cemento, sentendo il russo digrignare i denti da dolore. Mirò prima al suo fianco con una ginocchiata e poi usò il gomito per premere contro il suo collo, tenendolo cosi fermo tra lui e la colonna.

“Credimi era meglio si ti facevi arrestare”. Asserì con un sorriso crudele, non riconoscendosi nemmeno lui in quel frangente, quando gli tirò una testa contro il naso, afferrandogli poi il braccio tendendoglielo con forza prima di tirargli un pugno al gomito sentendo le ossa rompersi e Sergej urlare dal dolore mentre i presenti si erano del tutto ammutoliti, con le bocche spalancate, non credendo a quello che i loro occhi vedevano.

“Ora non ridi più?”. Sputò il sangue che gli riempiva il bocca il detective, afferrando con tutta la mano la testa del suo avversario scaraventandolo a terra. Gli diede un calcio rabbioso al fianco, facendolo girare a pancia in giù, sistemandosi al suo fianco mentre gli afferrava il braccio ancora sano per il polso premendo contro la spalla.

“Se fossi in te prossima volta terrei le mani a posto, ma per esserne sicuro..”. Gli disse nell'orecchio prima di torcergli anche quel braccio, sentendo di nuovo le ossa cedere sotto quella pressione. Castle si alzò ciondolante, sentendo le proprie forze cominciare a mancargli. Lo spinse fino a rimetterlo supino, sedendosi sopra di lui cosi da tirargli ancora, uno, due, tre cazzotti, rompendogli la faccia come si era ripromesso, alzando poi la testa verso l'alto e spalancando la bocca cosi da riempirsi i polmoni d'aria, ricadendo quasi svenuto accanto al corpo esanime di Sergej.

 

Pochi istanti dopo si sentì la porta d'ingresso del parcheggio sbattere con violenza e decine di poliziotti in tenuta da sommossa si riversarono in quel luogo, intimando i presenti di inginocchiarsi puntandolo contro di loro le proprie armi. Castle non ebbe nemmeno la forza di alzare la testa, di reagire, permise al poliziotto di ammanettarlo senza opporre resistenza, non aveva più le forze per farlo.

“Non ti credevo cosi stupido”. Riconobbe la voce della Roalstad mentre si accovacciava su di lui afferrandolo per i capelli cosi da controllare le sue condizioni. “Ma ogni volta riesci a stupirmi”.

“Questo portatelo nella mia macchina”. Sentì ancora dire per poi venir sollevato da due agenti che, prendendolo per le ascelle, lo aiutarono a raggiungere l'esterno dell'edificio.

 

Quando arrivò al distretto Castle si sentiva ancora debole e stordito, dovendosi appoggiare alle pareti dell'ascensore per evitare di perdere l'equilibrio e ritrovarsi con la faccia a terra, cercando il sostegno della Roalstad per camminare verso la scrivania della moglie. I tre colleghi erano rimasti al distretto per evitare problemi, essendo già coinvolti troppo in quella situazione. Quando Esposito fece segno a Beckett di voltarsi la donna tirò per un istante un respiro di sollievo nel vedere il marito conciato male ma ancora in piedi, solo per poi far prevalere la rabbia, camminando verso di lui per poi colpirlo con un cazzotto facendogli voltare la testa.

"Ma non ti è bastato quello che abbiamo dovuto affrontare questi due giorni? Volevi farti ammazzare andando nel covo della mafia russa?”. Gli strillò dietro mentre lui si teneva la mascella, pentendosi di averle insegnato nel corso degli anni a difendersi. “Non capisci che ho bisogno di te ora più che mai”.

“Kate ascolta..”. Cercò di parlarle ma lei fece un passo indietro allontanandosi da lui, costernata nel vedere il sangue che gli copriva il volto, la camicia e le mani, con l'occhio gonfio e il labbro spaccato.

“Ora è meglio che ti preoccupi per lui non per me”. Disse indicando con il capo l'ufficio del capitano al cui interno Castle notò il comandante Roalstad in piedi intento a fissarlo con disapprovazione.

“Che ci fa qui?”. Domandò il capitano non sapendo di quella visitata inaspettata da parte del padre, intuendo dal suo sguardo che non era di certo una amichevole e che i problemi erano dietro l'angolo.

“Hanno saputo della vostra retata. Gli abbiamo detto che Castle era con voi ma avendolo visto cosi credo che abbia capito che gli abbiamo mentito”. Parlò Ryan ma al detective non importava, teneva l'occhio buono incollato alla moglie mentre lei si andava ad accomodare sulla propria sedia, guardando nella direzione opposta tenendosi la mano destra dolorante dopo che l'aveva colpito con tutta quella forza che nemmeno lei si aspettava.

“La stavo aspettando detective Castle”. Esordì il comandante uscendo dall'ufficio della figlia cosi da raggiungere il gruppetto. “Credo che lei mi debba qualche spiegazione.”.

“Si signore”. Annuì con il capo Castle cominciando a incamminarsi verso l'ufficio della Roalstad, non preoccupandosi di darsi prima una sistemata, di andarsi a lavare via il sangue di dosso in bagno, voleva solo chiudere quella faccenda il prima possibile.

“Davanti alla commissione”. Lo fermò il comandante tenendo le braccia lungo i fianchi, senza nemmeno guardarlo, concentrato più ad osservare i volti stupiti dei presenti che non si aspettavano di certo una conseguenza simile.

“Signore..”. Intervenne la Roalstad cercando di far ragionare il padre ma questi la bloccò ancora prima che riuscisse a pronunciare un altra parola.

“Sono certo che il detective Castle saprà assumersi le sue responsabilità, non è cosi?”.

“SI signore. Mi dia solo qualche minuto per rendermi più presentabile.”. Un conto era parlare con lui ancora pregno di sangue e sudore, un conto era farlo davanti alla commissione che di certo, nel giudicare il suo agire, avrebbe tenuto in considerazione anche il modo in cui si sarebbe presentato davanti a loro.

 

Beckett attese qualche secondo, lottando contro se stessa, prima di alzarsi dalla sedia e seguirlo in bagno, chiudendo la porta dietro di se appoggiandovi contro la schiena, certa comunque che nessuno sarebbe venuto a disturbarli.

"Sai mi ha fatto più male il tuo pugno rispetto a quelli ricevuti da Sergej”. Commentò Castle facendo scorrere l'acqua ghiacciata, cominciando a lavarsi via il sangue dalle mani sfregando con forza contro le nocche sbucciate, sentendole bruciare a contatto con l'acqua.

“Perchè l'hai fatto?”. Gli domandò Beckett senza staccarsi dalla porta, guardandolo mentre lui studiava il proprio riflesso contro il vetro, prendendo alcuni fazzoletti di carta, impregnandoli per bene, per poi passarli sul viso cosi da pulirsi dal sangue ormai secco.

“Non lo sò”. Rispose gettando via il primo pezzo di carta. “é stata la prima cosa che mi è venuta in mente, l'unica. Il sangue mi pompava in testa e per farlo smettere dovevo andare ad affrontare questo tizio, non potevo fargliela passare liscia dopo quello che ti ha fatto.”. Continuò unendo le mani cosi da raccogliere l'acqua nel proprio palmo, gettandosela sulla faccia e sfregando, non facendo caso al male che provava ogni volta che strofinava contro il labbro o il sopracciglio.

“é stato solo un graffio, il gonfiore mi è già sceso”. Beckett socchiuse gli occhi e si avvicinò a lui cosi da aiutarlo, cosi da sentirlo ancora vicino. Prese un pezzo di carta e lo premette contro il taglio che aveva sulla fronte, facendo uscire il sangue che vi si era fermato sotto, vedendolo e sentendolo gemere infastidito da quel trattamento.

“Ho dato di matto al pensiero di quello che ti avrebbe potuto fare se Ryan non fosse arrivato in tempo”. Parlò bisbigliando cercando di giustificarsi, abbassando lo sguardo sulla sua maglietta ancora strappata, dalla quale poteva intravedere il seno e questo li causò un nuovo moto di rabbia che represse pensando al fatto che Sergej fosse ormai in prigione.

“Forse è meglio che venga con te davanti alla commissione, potrei spiegare quanto accaduto e forse...”

“Voglio che tu vada a casa invece”. Disse fermando i suoi movimenti afferrandola per il polso, andandosi a controllare allo specchio vedendosi meno insanguinato rispetto a prima. “Non aspettarmi, non so quanto ci possa volere”. Castle le posò una mano tra i capelli dandole un bacio sulla nuca prima di uscire dal bagno lasciandola da sola a fissare il suo riflesso nello specchio mentre una mano inconsciamente andò a posarsi contro il proprio addome.

 

Beckett guardò per l'ennesima volta l'orologio che ormai segnava le 7 passate. Castle era dalla commissione da più di quattro ore ormai e la donna non sapeva più come giustificare quel prolungato colloquio, temendo il peggio considerando anche il modo in cui il comandante Roalstad si era posto, dicendo a Castle, ancora prima di lasciare il distretto, di aspettarsi di tutto dato che certi comportamenti non erano tollerati. Aveva bisogno di lui, di sapere che tutto si era sistemato, ma sopratutto lo voleva li con lei perchè doveva parlargli. Si strinse al cuscino e cercò di concentrarsi sulla televisione, su quel film che stava guardando ma che effettivamente non stava seguendo. Le sue preghiere però vennero finalmente ascoltate e la serratura della porta scattò anticipandone l'apertura. La donna si mise seduta dritta sul divano e allungò il collo per vedere il marito varcare la soglia di casa, togliendosi le scarpe con estrema lentezza. Voleva andare da lui, ad abbracciarlo, a baciarlo, per sapere com'era andata, per rassicurarlo ma capiva che non era ancora giunto il momento per quelle attenzioni, doveva aspettare che fosse lui a chiedergliele.

“Rick che è successo?”. Gli chiese quando lui superò il soggiorno senza degnarla di uno sguardo, con la testa bassa mentre si dirigeva verso le scale.

“Rick per favore”. Lo richiamò ancora voltandosi sopra il divano, appoggiando il petto contro lo schienale e le mani sul bordo di quello, preoccupata per il comportamento inusuale del marito.

“Cosa è successo?”. Disse ridacchiando come infastidito dall'interesse mostrato dalla moglie, allargando le braccia sconsolato per andare poi a grattarsi la testa. “Succede che l'universo mi odia Kate”. Cominciò a slacciarsi la camicia, trovando quel semplice gesto un impresa ardua a causa del tremore alle mani causato dal nervoso che gli invadeva il corpo.

“Prima rischio di rovinare le cose tra noi due perchè non ti ho detto della Roalstad, poi, quando le cose sembrano aggiustarsi un pochetto, ecco che mio padre sta male, rischio di perderlo e mi sento come un bambino sperduto”. Sbraitò gettando a terra l'indumento, dando le spalle alla moglie con l'intenzione di salire le scale, fermandosi subito dopo per tornare a parlare con lei.

“E una persona normale dopo questo dovrebbe dire basta, ma io no, non sono mai soddisfatto. Ed ecco che oggi mi faccio prendere dall'ira appena ti vedo, e invece di calmarmi, di ragionare, di starti vicino e tranquillizzarti che faccio? . Faccio l'eroe, quello che è capace di risolvere tutto in un lampo”. Beckett lo guardava senza dire una parola, notando solo in quel momento il cerotto che gli copriva la fronte, soffrendo nel vederlo cosi tormentato, chiamandolo ancora per nome e pregandolo di raggiungerla li sul divano, ma lui era troppo preso dai suoi sproloqui per sentirla.

“E ovviamente il mio modo per risolvere le cose include la violenza, andare a tirare pugni come un cane rabbioso, per sentirmi forte, per sentirmi un uomo. Peccato che non lo sono, sono solo un cretino che si è beccato un mese di sospensione perchè ha spaccato la faccia a un'altro. Non so più chi sono, non mi riconosco”. Disse appoggiandosi contro il muro, nascondendo il viso nelle mani andando a respirare lentamente cosi da calmarsi.

“Rick ti prego vieni qui”. Lo pregò Beckett ma lui in risposta andò a scollare il capo, passandosi le mani nei capelli rimettendosi in piedi.

“Adesso voglio solo andare a farmi una doccia, per togliermi il fetore che ancora mi sento addosso pensando al modo migliore per lasciarmi questa giornata alle spalle”. Beckett si morse il labbro lasciandolo andare, seguendolo con gli occhi fin sopra le scale, fino a quando non sparì al piano superiore. Si andò allora a rimettere seduta sul divano aspettando che il marito tornasse, volendo avere maggiori dettagli riguardo la sospensione a cui aveva accennato.

 

Il detective tornò poco più di una mezz'oretta dopo, completamente pulito anche se sul suo volto Beckett poteva notare la stessa espressione afflitta di quando aveva messo piede in casa. Si sfregò velocemente i capelli con un asciugamano bianco e poi se lo sistemò sopra le spalle, rimanendo a petto nudo con solo un paio di calzoncini verdi avendo particolarmente caldo in quell'afosa giornata d'estate, camminando in silenzio verso il divano sopra il quale si accomodò, sedendosi accanto alla donna.

“E cosi, un mese di sospensione”. Disse Beckett tentennando, non sapendo nemmeno lei se la sua mossa fosse stata una delle miglior, non volendo far scaturire ancora nell'uomo certe reazioni. Castle invece si limitò a inspirare profondamente, gonfiando il petto, togliendosi alcune gocce d'acqua che dai capelli gli colavano sul viso.

“In realtà dovevano essere tre”. Sottolineò voltando il capo cosi da guardare la donna serrando le labbra, alzando i pantaloncini cosi da grattarsi la coscia sotto di essi. “Ma visto ciò che è successo a mio padre, a te, e il fatto che ho collaborato a smantellare una bisca clandestina e coloro che la gestivano mi hanno fatto un po' di sconto, però fino al primo di ottobre non potrò nemmeno avvicinarmi al distretto”. Spiegò sentendosi più rilassato rispetto a prima, cullato dalla quiete e dalla famigliarità della casa in cui si trovava, dove tutto era perfetto, in armonia.

“Chi te l'ha messo?”. Domandò toccando il nuovo cerotto sulla fronte dell'uomo, più piccolo rispetto a quello vistoso che aveva in precedenza.

“Prima di presentarmi davanti alla commissione il comandante ha preferito farmi visitare in ospedale cosi da assicurarmi che non mi fossi rotto nulla e per controllare questo brutto taglio, ma per fortuna non sono serviti punti”. Prese i lembi dell'asciugamano e se li portò al volto, asciugandolo e approfittando per rilasciare un debole urlo contro di esso per sbollire quel poco di rabbia che ancora si sentiva in corpo.

“Smetterò mai di farti penare in questo modo?”. Gli domandò ridendo, sapendo già quale sarebbe stata la risposta della moglie. Beckett portò una mano sulla sua spalla mentre con l'altra gli accarezzava il labbro ferito, muovendosi sul divano cosi da sistemarsi a cavalcioni su di lui.

“Sono stati tre giorni lunghi e difficili”. Notò la donna vedendolo annuire avvilito mentre posava le mani sui suoi fianchi, accarezzandola da sopra la maglietta che indossava.

“E ho come la sensazione che non sia finita qua, sarebbe troppo facile, mi manca quell'ultima cosa che mi darà la mazzata finale, per concludere in bellezza questa giornata. Magari una denuncia da parte di Sergej, o un cambio di pensiero da parte della commissione, o ancora peggio sapere che le analisi di mio padre non sono buone”. Bofonchiò mettendosi meglio seduto, abbracciando Beckett posando la testa contro il suo seno, rilassandosi sentendo il battito del suo cuore contro il suo orecchio.

“Voglio solo che questa giornata finisca senza altre sorprese”. Mugugnò chiudendo gli occhi, sentendosi improvvisamente stanco, ormai privato della rabbia e dell'adrenalina che lo avevano tenuto attivo fino a poco prima. Voleva solo riposare, dimenticare quanto successo nelle ultime 72 ore, voleva stare con Beckett per ricordarsi che il mondo era ancora un posto meraviglioso nonostante gli ultimi avvenimenti.

“Bhè forse una sorpresa c'è ancora”. Asserì la detective tenendo lo sguardo fisso davanti a se mentre faceva scorrere la mano nei capelli bagnati del marito, non preoccupandosi che avendolo cosi addosso le stava inzuppando la maglietta all'altezza del petto, le piaceva sentirlo cosi addosso, sentire il suo respiro caldo contro la sua pelle e le sue braccia che la stringevano con tale dolcezza.

“Non dirmi che Alexis ha deciso di trasferirsi definitivamente con Nick perchè credimi non potrei sopportarlo”. Commentò senza cambiare posizione, chiudendo gli occhi pronto ad appisolarsi mentre sentiva il petto di Beckett vibrare a causa della sua risata.

“No, nulla di tutto ciò”. Rispose tossendo nervosa per schiarirsi la voce. Attese qualche secondo, aspettando nemmeno lei sapeva cosa, ma alla fine parlò non riuscendo più a trattenersi, facendo scorrere le proprie dita sulla sua schiena, fino al collo e nei capelli.

“Sono incinta”. Dichiarò tutto d'un fiato, sorridendo estasiata per quel sogno che si era avverato, pronta a condividere quella gioia con lui ma Castle non si mosse per diversi secondi, e il sorriso sue labbra sparì.

“Rick, mi hai sentita”. Tentò ancora inclinandosi in avanti, abbassando la testa in modo che la sua bocca fosse all'altezza dell'orecchio del marito. “Aspetto un bambino”. Ridisse questa volta con un filo di voce, sentendo la sua mano che lentamente le scivolava lungo i fianchi, fino a fermarsi sul suo basso ventre rimanendo ben aperta, premendo contro la sua carne delicatamente.

“Mio figlio. Davvero?”. Le chiese staccandosi dal suo petto, guardando per qualche istante la propria mano sul suo grembo per poi fissarla in volto, vedendolo radiante, emozionato, con gli occhi lucidi mentre annuiva.

“Ho fatto il test mentre ti aspettavo”. Gli confessò vedendo comparire sul suo volto uno dei sorrisi più dolci e stupidi che gli avesse mai visto fare, senza dire nessun altra parola, solo tenendo la mano sul suo ventre e l'altra dietro la schiena, per tenerla contro di se mentre la baciava, unendo le loro labbra in un casto ma prolungato bacio, fino a staccarsi per nascondersi contro la sua spalla.

“Cosi mi schiacci”. Protestò Beckett ridendo, sentendosi comprimere troppo contro il suo petto, spostandolo con la mano solo per ricevere un altra serie di baci, notando come il suo respiro si faceva affannoso e gli occhi gli si stavano riempiendo di lacrime.

“Tutto ok?”. Gli chiese quando Castle ancora posò la testa sulla sua spalla, accarezzandogli con dei movimenti rapidi la schiena.

“Si, tutto bene”. Non la lasciò nemmeno per un istante, dandole dei baci sul collo mentre Beckett cominciava a sentire alcune lacrime colargli su di quello.

“Ero indecisa se dirtelo oggi o aspettare qualche giorno cosi che le cose tornassero alla normalità ma alla fine non ho resistito. Dimmi che sei felice?”. Deglutì a fatica Beckett non avendo ancora udito nessun commento da parte sua, seppur i suoi gesti le dimostrava già la sua felicità voleva sentirglielo dire.

“Dire che sono felice non rende minimamente l'idea della gioia che provo in questo momento, di quanto mi senta debitore nei tuoi confronti”. Asserì prendendole il viso con entrambe le mani, baciandone ogni centimetro per poi giungere nuovamente alle labbra.

“Ti amo”.Disse Castle portando la mano sinistra sotto la sua maglietta cosi da sentire il contatto con la sua pelle calda e morbida, immaginandosi quella piccola vita che cresceva dentro di lei, provando un nuovo tipo d'amore per quel bambino non più grande di una moneta.

“Ti amo anch'io. Per sempre”.


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Chiedo scusa a chi si era immaginata la scena in cui Beckett informa Castle della gravidanza più festosa, più movimentata, ma per come sono i personaggi, per com'è lo stesso Castle in questa AU, e per il momento che stavano vivendo, ho trovato più consono un comportamento simile. 

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Capitolo 14
*** 6 Settembre: Ecografie ***



Era mattina presto quando Castle aprì gli occhi, notando che la sveglia accanto al suo letto segnava poco dopo le 5 del mattino. Si svegliò stanco il detective non avendo dormito particolarmente bene, agitato com'era per quello che sarebbe accaduto quello stesso pomeriggio. Avrebbe assistito alla prima ecografia di suo figlio e quel fatto bastò a scombussolargli la vita, a farlo agitare e ragionare su ciò che gli stava accadendo. Voltò lentamente il capo sul cuscino, cosi da girarsi verso Beckett che ancora riposava tranquilla. Lei che quei pensieri non li aveva, lei che già aveva fatto un' ecografia a cui lui non aveva potuto assistere a causa di un omicidio. La detective era tornata a casa estasiata quel giorno ma alla fine, nonostante le richieste del marito, si era rifiutata di mostrargli le immagini che ritraevano il loro bambino, volendo che anche lui provasse quelle sue stesse emozioni quando l'avrebbe visto muoversi su quello schermo per la prima volta. Castle scostò attentamente le coperte dal proprio corpo, cosi da non disturbare la donna, e scese dal letto con altrettanta attenzione, raccogliendo la maglietta che aveva posato la sera prima su di una sedia, andandola ad indossare velocemente mentre si dirigeva verso l'esterno della camera. Giunto alla porta sentì Beckett sospirare e si voltò di scatto certo di vederla ormai sveglia, rimproverandosi di averla destata, ma invece la donna si mosse solo sopra il materasso, girandosi supina, litigando con le coperte attorcigliate ai piedi. Fu quella la prima volta che notò la mano della moglie posata sul suo basso ventre, quel gesto che avrebbe accompagnato ogni notte, e molte giornate, di quei lunghi mesi d'attesa. Sorrise alle attenzioni che Beckett riversava già su quel bambino, avendo cambiato le proprie abitudine per far si che tutto proseguisse correttamente, eliminando caffè o altri cibi che avrebbero potuto nuocere a quella piccola vita, sostituendo le scarpe con i tacchi con altre da ginnastica più comode, evitando di rimanere alzata fino alle tarde ore per risolvere un caso, ora tutto il resto poteva aspettare. Rimase li a guardarla, appoggiato allo stipite della porta, quasi immobile, muovendo involontariamente il petto per respirare, pronto a far cessare anche quel movimento pur di non disturbare la moglie. La guardava inarcando un lato della bocca in un sorriso dolce ma al tempo stesso quasi incredulo, facendo ancora fatica a credere che una donna cosi meravigliosa stesse portando in grembo suo figlio, eppure non avrebbe cambiato quella realtà con nessun'altra. Fissò il suo volto sereno, rilassato, e si sentì felice. Con un colpo di reni si staccò dalla porta e si diresse verso il letto, facendo scorrere delicatamente le dita sulle sue gambe nude, fino ad arrivare ai pantaloncini rossi a pois bianchi che indossava, fermandosi cosi da sedersi a terra voltandosi verso il suo corpo. Incrociò le braccia sopra il materasso per poi posarvici sopra la testa e scrutare con attenzione il suo petto che si innalzava e si abbassava lentamente, con quella mano sempre ferma contro la propria pancia. Castle strizzò gli occhi inclinando il capo, andando a incollare le proprie iridi su di lei, cercando qualche cambiamento nel suo corpo che confermasse la presenza di quel bambino. Non gli era mai veramente importato di conoscere i misteri del corpo femminile, ma in quel momento voleva sapere tutto, ogni più piccolo dettaglio che gli potesse far comprendere cosa stava accadendo all'interno della moglie. Nulla gli sembrava diverso dal solito eppure sapeva che tutto era cambiato. Serrando le labbra andò a spostare con cautela la mano della moglie, controllando di tanto in tanto il suo viso per esser certo che i suoi occhi fossero ancora chiusi. Guardò la maglietta grigia che indossava ma ancora non gli bastava, voleva di più. Castle si mise allora sulle ginocchia, afferrando i bordi di quell'indumento con entrambe le mani, alzandolo con estrema lentezza fino al seno della moglie, lasciando scoperto cosi tutto lo stomaco. Riassunse ancora la posizione precedente e notò un leggero rigonfiamento, fino a qualche settimana prima inesistente, sulla pancia piatta di Beckett, e si ritrovò a sorridere perchè sapeva che tutto ciò era suo figlio.

“Oggi finalmente ti potrò vedere”. Sussurrò sfregandosi le mani cosi da scaldarne il palmo, andando a sfiorare il ventre di Beckett all'inizio solo con la punta delle dita, per poi abbassarsi e appoggiarci sopra l'intera mano, rimanendo li, muovendo solo il pollice avanti e indietro.

“Mio figlio”. Affermò quasi sognante vedendo la mano di Beckett andare a posarsi sopra la sua. Alzò gli occhi verso di lei vedendola ancora addormentata, cosi le tirò giù la maglietta e la coprì con il lenzuolo non volendo che avesse freddo, dirigendosi poi al piano inferiore avendo ormai perso il sonno.

 

Quando vide Beckett scendere dalle scale erano ormai le sette passate e osservando il suo volto intuì che la mattina per lei non era incominciata nel migliore dei modi.

“Ancora la nausea?”. Le chiese rimanendo girato verso di lei, attento a non far cadere il portatile che teneva appoggiato sulle cosce, posandolo sul tavolinetto davanti a lui.

La donna annuì passandosi entrambe le mani sul volto, camminando con passi pesanti verso di lui, mettendosi seduta al suo fianco prima di sdraiarsi, appoggiando la testa contro la sua gamba.

“Si vede già che è figlio tuo”. Commentò la detective mentre gli prendeva la mano con la quale Castle le stava massaggiando il collo. “Rompiscatole fin dalle prime luci del giorno come suo padre”. Il detective andò a guardare la moglie, vedendo la sua espressione serena e divertita, ridacchiando anche lui a quella battuta, fermandosi quando Beckett posò la mano di lui sul proprio ventre.

“Cosa stai scrivendo?”. Gli chiese tutto d'un tratto avendo girato gli occhi finendo cosi a cozzare con la pagina di word che aveva aperto sullo schermo del pc, vedendo quella pagina non più bianca ma piena di caratteri, che andavano a formare parole, le parole frasi e le frasi una storia che Beckett andò a leggere curiosa. L'istinto di Castle gli suggerì di muoversi, di chiudere il portatile cosi che lei non potesse vedere oltre ma il farlo l'avrebbe costretto a interrompere quel contatto con la moglie, facendola alzare da sopra di se.

“Giusto qualcosa per tenermi impegnato durante questo mese di sospensione”. Spiegò facendo spallucce, facendo scivolare le sue dita contro il fianco della moglie cosi da provocarle il solletico, sperando che lasciasse cadere il discorso, ma la donna era ben più tosta di quanto già pensava.

“Stai parlando di un omicidio”. Constatò strizzando gli occhi per vedere meglio quelle parole, leggendo una descrizione dettagliata di una scena del crimine che vagamente le tornava famigliare alla mente. “Sono le tue memorie? Non è un po' presto per scriverle?”.

“No, in verità sto provando a scrivere un romanzo”. Affermò imbarazzato grattandosi il collo mentre la moglie inclinava il proprio cosi da andarlo a guardare. “Una seconda carriera nel caso non mi trovi d'accordo con il nuovo capitano che arriverà il mese prossimo”. Scherzò l'uomo ricevendo un pizzicotto sulla coscia da parte di Beckett che si rimise seduta muovendosi lentamente.

“Quanto sei stupido”. Lo etichettò la donna avvicinandosi comunque a lui per ricevere il primo bacio della giornata. “Meglio che vada, non voglio arrivare in ritardo al distretto”. Appurò contro le sue labbra notandolo imbronciarsi dato che lui al distretto non poteva metterci piede per ciò che aveva fatto due settimane prima.

“Stai attenta d'accordo?”. Castle si bagnò le labbra facendo scorrere una mano sul suo braccio, avendo il costante timore che le potesse accadere qualcosa mentre svolgeva il suo lavoro, non potendo essere li a proteggerla, a vegliare su di lei.

“Ho le mie due guardie del corpo personali non te lo dimenticare”. Gli ricordò lei rimettendosi in piedi, voltando lo sguardo in direzione della cucina indecisa sul tipo di colazione da consumare.

“Gli diremo del bambino oggi quando verrò a prenderti o preferisci aspettare ancora?”. Le domandò andando a riappropriarsi del proprio computer, volendo appuntare le idee che ancora aveva in testa prima di dimenticarsele.

“Vorrei dirglielo, anche perchè cominciano a sospettare qualcosa. Le camice larghe non potranno nascondere la pancia ancora per molto”. Constatò la donna facendo un profondo respiro. “Ma preferisco aspettare ancora un po', giusto un paio di settimane, per essere sicura che tutto sia a posto. Inoltre prima dobbiamo dirlo alla nostra famiglia perciò.”

“Quando lo diremo a mia madre ricordami di portarmi dietro i tappi per le orecchie altrimenti il cervello mi scoppierà a causa delle sue urla isteriche”. Brontolò l'uomo appoggiando la testa contro lo schienale del divano, ricevendo da Beckett un calcio all'altezza dello stinco.

La detective poi si piegò su di lui posandogli una mano sulla spalla mentre l'altra andava minacciosamente a stringersi attorno al suo orecchio. “Mi raccomando scrittore, alle 4 e mezza devi venire a prendermi, non un minuto dopo. La dottoressa Hannigan ci sta facendo un favore personale, altrimenti avresti dovuto aspettare l'ecografia del mese prossimo”.

“Sarò puntualissimo”. Promise Castle osservando con la coda dell'occhio le dita della moglie che abbandonavano il suo orecchio, scendendo lungo il collo fino ad arrivare al suo petto.

“Ti amo”.

“Ti amo anche io”. Ribattè dandole un bacio per poi seguirla con lo sguardo verso la cucina, sorridendo a se stesso riportando le iridi sullo schermo del pc. “Magari la protagonista potrebbe essere un'affascinante ma misteriosa detective”. Pensò tra se e se muovendo le dita velocemente sulla tastiera dando libero sfogo alle proprie macchinazioni.



Castle controllò nuovamente l'ora mentre saliva con l'ascensore verso il piano dove si trovava la sua squadra. Sentì una leggera sensazione di nostalgia a varcare quella soglia senza potervi rimanere a lavorare, ma la sospensione non era ancora conclusa, anzi era appena cominciata e lui doveva farsela tutta avendo già ricevuto un più che generoso sconto. 4.22 constatò quando le porte dell'ascensore si aprirono e lui si diresse di buona lena verso la scrivania di Beckett. Era agitato anche se non lo dava a dimostrare, nascondendo le mani in tasca cosi che non si notasse il tremore di quelle, muovendosi velocemente avendo intenzione di lasciare il distretto in breve tempo, sia a causa dell'impazienza sia per evitare domande trabocchetto da parte dei colleghi. Superato il piccolo muretto si ritrovò nella stanza piena di scrivanie e li andò a fissare la moglie seduta accanto alla propria, storcendo il naso vedendo invece la sua sedia vuota. Maledetto Sergej, si disse tra se e se appiccicandosi al muro opposto, camminando rasente a quello per non farsi notare dalla Roalstad ancora chiusa nel suo ufficio.

“Pstt Beckett”. La richiamò a bassa voce portando una mano accanto alla bocca, sempre rimanendo con la schiena attaccata a una delle colonne, allungando il collo cosi da sbirciare oltre il vetro il proprio capitano intento a visionare dei fogli.

Tutti e tre i detective andarono a guardare nella sua direzione ma fu l'ispanico che prese per primo la parola.

“Che cosa stai combinando?”. Gli domandò accigliandosi mentre il collega gli faceva segno di tacere portandosi un dito contro la bocca.

“Io non potrei nemmeno mettere piede qua dentro perciò vorrei evitare che mi veda aumentandomi cosi il periodo di sospensione”. Spiegò indicando prima la terra sotto i suoi piedi e poi la donna ancora chiusa nell'ufficio che fortunatamente non si era accorta della sua presenza.

“Perciò tesoro che ne dici se ti sbrighi prima che la fortuna mi si rivolti contro”. Parlò a Beckett abbassandosi sulle ginocchia, compiendo qualche passo in avanti per poi allungare il collo e scrutare all'interno dell'ufficio del capitano, proseguendo a gattoni fino alla scrivania dei colleghi.

Beckett intanto si era alzata e stava indossando la giacca di jeans, sistemandosi il colletto prima da estrarre da sotto di essa i lunghi capelli, fermando quel movimento quando vide il marito a quattro zampe.

“Castle, vieni qui”. Gli ordinò stizzita agitando una mano, battendo un piede a terra, mentre lui si nascondeva dietro la scrivania dell'irlandese lontano dai suoi occhi.

“Non prendete impegni per il 28”. Disse Castle ai due colleghi, tirandoli per le magliette cosi che si abbassassero alla sua altezza. “Voglio festeggiare tutti insieme la promozione di Beckett a capitano e mi piacerebbe se veniste anche voi”. Dichiarò voltandosi verso Esposito puntandogli un dito contro. “Tu non gongolarti troppo, vieni solo perchè sei il marito di Lanie”. Gli disse ricevendo uno schiaffo sul capo, ricambiando con un pugno sul suo piede, vedendo il collega alzare la gamba e portare una mano tra i denti per non gridare. “E vedete di portare un bel regalo”. Aggiunse in fine prima di riprendere la strada percorsa in precedenza, tornando attaccato alla colonna dove si alzò in piedi.

“Vi tengo d'occhio”. Sussurrò ai colleghi portando il dito indice e quello medio all'altezza dei suoi occhi per poi tornare a indicarli minacciosamente.

La coppia fece per allontanarsi, tirando un respiro di sollievo certi di averla scampata quando Ryan si alzò dalla sedia e li richiamò.

“Ma dov'è che andate a proposito?”. I due si guardarono l'un l'altra preoccupati, incitandosi a vicenda per trovare al più presto una scusa che fortunatamente venne data loro dallo stesso collega.

“Tuo padre è stato dimesso dall'ospedale?”. Chiese l'irlandese vedendo Castle battere le mani l'una contro l'altra annuendo frettolosamente.

“Si, esatto. Stamattina, e ora andiamo a trovarlo”. Asserì indicando con le dita lo spazio dietro di se, salutando i colleghi, prendendo a bracciato la moglie, con l'intenzione di fuggire il più velocemente possibile, mentre lei si teneva la fronte con una mano scrollando il capo imbarazzata sapendo che quella giustificazione data da Castle non poteva reggere.

“Secondo te che ci nascondono?”. Domandò Ryan al cubano ancora seduto dietro di lui, incrociando le braccia al petto inclinando la testa pensieroso mentre osservava la coppia scomparire dietro le porte dell'ascensore. “Ieri Jenny ha chiamato Beckett per sapere come stava Alexander e le ha detto che sarebbe tornato a casa quel pomeriggio stesso”.

“Non ti preoccupare, vedrai che non è nulla di grave anzi..”. Commentò Esposito con un debole sorriso, avendo già di sospetti proprio riguardo lo strano comportamento della collega. “Coraggio torniamo a lavoro”.

 

Castle era seduto nella piccola sala d'attesa dello studio della dottoressa Hannigan, con in mano una rivista che guardava perplesso, facendola roteare in continuazione cercando di capirne il verso.

“Sembra di vedere un incrocio tra un alieno e una lucertola”. Commentò prima che la rivista gli venisse strappata dalle mani da Beckett che con più cautela andò a rimetterla sul tavolinetto insieme alle altre.

“Evita di fare questi commenti davanti alla dottoressa”. Lo riprese lei vedendo un altra donna varcare la porta dello studio medico, l'ultima prima del loro turno. Si accarezzò la pancia e abbassò gli occhi osservandosi sorridendo, emozionata di vedere ancora una volta il proprio bambino nonostante non fossero passati nemmeno 10 giorni da quella prima volta ancora viva nella sua mente.

“Tutto bene?”. Le domandò Castle sistemandosi più vicino a lei, rimanendo spalla contro spalla cosi da parlare a bassa voce per non disturbare gli altri presenti. Il detective la vide annuire senza però scostare lo sguardo dalla sua mano che anche lui, a sua volta, andò a fissare.

“Allora perchè sei agitata?”. Insistette posando a sua volta una mano sul suo ventre mentre le posava un bacio sulla spalla, scostandole poi i capelli con la mano libera cosi da dargliene un altro all'altezza dell'orecchio. “In poco più che una settimana non credo sia cambiato cosi tanto”.

“Cambia che ora ci sei tu”. Affermò voltandosi d'improvviso verso di lui, ritrovandosi naso contro naso fissandosi negli occhi, ma mentre Beckett sorrideva Castle era invece più perplesso per quella sua affermazione. “Assume tutto un significato diverso avendoti li”.

La detective continuò a sorridergli mentre gli accarezzava una guancia, tenendo la mano ferma sopra di quella, chiudendo gli occhi mentre posava la fronte contro quella del marito. “Vedrò con te la vita che abbiamo creato insieme. La parte migliore di noi due che cresce dentro di me”. Asserì sollevando le palpebre, cercando i suoi occhi cerulei divenuti cosi profondi, infiniti. “Per quanto non veda l'ora di fare questa ecografia , non è nulla in confronto al desiderio di vedere i tuoi occhi, la loro espressione, quando vedrai per la prima volta nostro figlio, anche se per ora non è altro che una specie di patata bianca in mezzo a uno schermo nero.”. Castle ridacchiò baciandola teneramente, muovendo le dita ancora posate sul suo ventre.

 

Quando una decina di minuti dopo fu il loro turno di entrare in quella stanzetta, buia a causa delle serrande chiuse, a Castle sembrò di essere dentro un film dell'orrore. Quelle quattro mura cosparse di rappresentazioni del corpo umano, con tutti gli organi, le vene e le arterie,altri poster raffiguranti invece le varie fasi della gestazione, e infine quel lettino, con quei sostegni metallici per le gambe che gli facevano immaginare le scene più atroci dei peggiori film splatter mai creati.

“C'è qualcosa che non va signor Castle?”. Gli domandò la dottoressa Hannigan chiudendo la porta dietro di loro, allungando un braccio cosi da invitare Beckett a sdraiarsi su quello stesso lettino cosi da iniziare la visita.

“Lei non è uno di quei dottori che anestetizza le sue pazienti per fare esprimenti sui bambini cosi da creare dei super soldati vero?”. Chiese serio il detective senza staccare gli occhi dalla moglie che intanto si stava distendendo sul lettino, aprendo le braccia guardando la dottoressa rassegnata mentre questa sorrideva mettendosi seduta sulla sedia davanti all'ecografo.

“Non si preoccupi, lo sono solo nei fine settimana”. Ribattè prendendo un largo pezzo di carta cosi da sistemarlo sotto il bordo dei pantaloni indossati da Beckett mentre la detective si sollevava la maglietta appena sotto il seno

“Ma oggi è venerdi”. Affermò preoccupato Castle osservando con attenzione ogni movimento della Hannigan, da come accendeva quel macchinario a come spremeva il gel sopra il basso ventre della moglie.

“Allora le consiglio di tenere gli occhi ben aperti e puntati su questo schermo”. Girò lo schermo in sua direzione picchettando sul vetro. Castle si sentì tirare per un braccio e vide Beckett attirarlo contro il lettino, facendolo sistemare al suo fianco, facendo scivolare la mano in quella di lui.

Il detective non si mosse, rimase con le iridi incollate contro quello schermo dapprima nero e poi improvvisamente bianco. Abbassò per un istante gli occhi vedendo come la dottoressa stava muovendo l'ecografo sopra la pancia di Beckett, rialzandoli di colpo quando la sentì dire “Eccolo qui”.

Quello che vide lo lasciò inizialmente confuso, quello spazio nero che gli sembrava più un buco all'interno del corpo della moglie, un buco vuoto, silenzioso, che gli fece temere il peggio, ma passò appena un secondo che quello stesso spazio venne riempito da una minuscola figura bianca che pareva cambiar forma ad ogni battito di ciglia. Il suo cuore non si mise a battere più forte, non lo sentì rimbombare nel petto, semplicemente non lo sentì e basta, aveva come la sensazione che si fosse fermato, che la sua stessa mente avesse messo in pausa la sua vita per ammirare quelle immagini.

Inspirò profondamente ma il respiro gli si bloccò in gola, seguito da un tremolio che gli fece tremare la bocca, per poi sentirlo trasformare in una scossa che invece gli pervase il petto. Beckett lo scrutava, cercando di interpretare ogni più piccola ruga che si formava sul suo volto, dando un senso alle sue espressioni.

“Potete vedere la colonna vertebrale e queste piccole protuberanze invece sono le bozze di quelli che tra qualche mese saranno gli arti”. Continuò la dottoressa cosi da spiegare ciò che indicava con il dito, per rendere più chiare quelle immagini ai due coniugi. La sua voce però giunse alle orecchie di Castle come un eco lontano, rapito com'era da quel corpicino non più grande del suo mignolo, da quella piccola parte di lui che ogni giorno mutava, si trasformava.

Beckett lo guardava alternando al suo volto lo schermo ogni volta che la dottoressa descriveva un nuovo punto, ma alla fine tornava sempre su di lui. Sul suo viso colmo di meraviglia e di stupore, su quegli occhi grandi e concentrati a non perdersi nemmeno il più impercettibile movimento del loro bambino. Non si perse cosi quel suo sorriso che tanto attendeva, quell'inarcarsi di labbra inizialmente indeciso ma che alla fine divenne raggiante.

“Sta bene?”. Domandò il detective riprendendosi giusto il tempo per porre quella domanda, per aver la certezza che tutto fosse a posto prima di tornare a immergersi in quelle immagini.

“Beckett è incinta da 7 settimane e 6 giorni, tutti i dati rientrano nei parametri standard.”. Rispose la Hannigam muovendo la mano sinistra sopra il macchinario, cliccando tasti e facendo le dovute misurazioni. “Quindi direi di si, che sta bene, tutto procede alla perfezione”.

Castle corrugò la fronte facendosi pensieroso, schiudendo le labbra senza però lasciar uscire da esse alcun suono, muovendo le dita in preda ai conti.

“Gli Hamptons”. Lo anticipò Beckett mentre lui andava a fissarla con un nuovo sorriso. “é successo subito dopo quel week end negli Hamptons”. Castle le strinse la mano che ancora lei teneva nella propria, abbassandosi sulla moglie per darle prima un bacio sulla fronte e poi un altro sulle labbra, dimenticandosi per qualche istante il luogo in cui si trovavano.

“Ed ora una cosa che sicuro vi farà piacere sentire”. Affermò la dottoressa facendo voltare i due verso lo schermo. Attesero diversi secondi senza che nulla accadesse ma poi la stanza si riempì di un suono ovattato che al detective ricordò il rumore di un treno lontano, o la melodia ritmata dei tamburi indiani. Il cuore del loro bambino, che batteva rapido e forte, che lo rendeva vivo. Castle chiuse gli occhi e rimase ad ascoltare, immaginandosi quel cuoricino pulsante, quel piccolo meccanismo che dava linfa a qualcosa che ancora lui credeva impossibile esistere. Anche quando la dottoressa interruppe quel suono lui rimase ad ascoltare quel battito ancora impresso nella sua testa, aprendo gli occhi andando a guardare Beckett. Si ritrovava la bocca piena di parole, serrando le labbra per non farle uscire tutte insieme in un discorso senza senso, in un insieme di frasi che esprimevano tutta la fragilità e la forza che percepiva in quel momento.

“Che ne dice signor Castle, facciamo qualche bella foto ricordo?”. Domandò la Hannigam e il detective abbassò subito lo sguardo, andando incomprensibilmente a guardare i vestiti che indossava.

“Bhè non credo di essere presentabile”. Farfugliò prendendo tra le dita un lembo della maglietta andando a tirarlo, ricevendo un occhiata perplessa dalla dottoressa mentre Beckett si mise a ridacchiare.

“Sta parlando del fatto di stampare alcune ecografie cosi da poterle portare a casa, non di certo di farti una foto”. Disse la detective annuendo in direzione della dottoressa, tornando sul marito che imbarazzato strizzava gli occhi e si grattava la testa.

“Ecco qua signor Castle”. Affermò la Hannigam prendendo delle forbici per separare l'ultima ecografia dalla striscia delle altre. “La prima foto ufficiale di suo figlio”. Continuò porgendogliela mentre Castle la prendeva come se fosse la più delicata reliquia, facendo scorrere il dito indice sopra quel puntino bianco che ormai era diventato la sua ragione di vita, riuscendo quasi a sentire la sua soffice pelle sotto le dita.

“Rick stai bene?”. Gli domandò Beckett mentre si puliva dal gel con un pezzo di carta datole dalla dottoressa, riabbassando la maglietta mentre lo osservava, mentre studiava la sua fronte corrugata, il suo sbattere veloce delle sopracciglia, la sua mano che sfregava contro la mascella.

“Si, ho solo bisogno di prendere un po' d'aria”. Disse tutto d'un fiato, stringendo la mano alla Hannigam posando poi un bacio sopra la fronte della moglie prima di uscire velocemente dalla stanza.

“Non è una persona che si lascia andare facilmente”. Constatò la dottoressa aiutando la detective a scendere dal lettino.

“Tutt'altro, ma ci ho fatto l'abitudine”. Ammise Beckett guardando la porta nella speranza di veder rientrare il marito. “Anche se, dato il momento che stiamo vivendo, mi farebbe piacere sapere cosa gli passa per la testa. Non è molto prolisso quando gli chiedo come si sente”. Continuò allacciandosi i pantaloni, sistemandosi poi la maglietta.

“é difficile per noi donne dirlo, figuriamoci per un uomo”. Beckett annuì distratta, raccogliendo le sue cose e le nuove ecografie salutando la propria dottoressa, uscendo velocemente per andare a cercare il marito.

 

Lo trovò facilmente, seduto sul cofano della loro macchina mentre beveva da una lattina di coca cola presa probabilmente da una delle macchinette dell'ospedale. Senza dire nulla si avvicinò a lui, aprendo la portiera del passeggero cosi da posare sul sedile la propria borsa e la giacca che ancora teneva tra le mani, andando poi ad accomodarsi vicino al marito, tenendosi in equilibrio posando i piedi sopra la targa della vettura.

“Deve essere stato un bello shock vedere che dentro di me cresce veramente un bambino e non qualche strana creatura dato che parliamo di tuo figlio”. Scherzò la donna scontrandosi con la propria spalla contro quella di Castle vedendolo e sentendolo ridacchiare debolmente.

“Bello grande”. Ribattè bevendo ancora dalla lattina, ritornando ancora una volta silenzioso mentre fissava la strada che costeggiava il parcheggio, con il rumore del traffico che gli feriva le orecchie.

Beckett sospirò abbassando lo sguardo, sforzandosi di capire quei silenzi del marito ma al contempo non sopportando quando lui si comportava cosi, aveva bisogno di sentire i suoi pensieri, di sapere in ogni istante ciò che pensava di quella gravidanza, perchè quando non lo faceva, quando si chiudeva cosi l'unica cosa a cui la detective riusciva a pensare era al fatto che Castle non lo volesse quanto lei quel bambino. Con gli occhi bassi però vide l'ecografia ancora tra le dita del marito.

“Riuscirai mai a dirmi quello che veramente provi senza usare le solite frasi fatte?”. Gli chiese posando la testa sopra la sua spalla, andando anche lei a fissare davanti a se, chiudendo poi gli occhi respirando lentamente.

“Non lo so, mi ci vorrà del tempo per trovare parole mie”. Parlò lui inclinando il collo cosi da andarla a guardare. “Ma mi sto già mettendo all'opera”. Disse non troppo serio mentre la mano della donna andava a posarsi sulla sua, stringendo insieme l'ecografia.

“Sei sempre alla ricerca della perfezione”.

“Non più. Sono riuscito a crearla insieme a te”. Disse andando a guardare quell'immagine tra le dita, stringendola forte, ma non troppo, spostandosi poi sulla moglie per baciarla sui capelli.

 

Beckett aprì di colpo gli occhi ritrovandosi avvolta nel buio della casa, con la sola luce proveniente dalla televisione accesa ma priva di volume. Si alzò lentamente dal divano mettendosi seduta, allungando la braccia verso l'alto sbadigliando, controllando l'orologio cercando poi il marito accanto a se. Si guardò attorno e vide la lampada della scrivania accesa e appoggiato sopra di essa Castle addormentato. Si era messo a lavorare su quella poco dopo cena, volendo continuare quel romanzo che aveva appena cominciato, dandole la possibilità di vedere, per una sera, i programmi che le interessavano, ma alla fine avevano finito entrambi per addormentarsi, stanchi ma felice per quella giornata ormai giunta al termine. Si alzò e camminò a piedi nudi verso di lui, curiosa di leggere sullo schermo del pc il proseguimento di quella storia strampalata ma che era riuscita a rapirla, perchè dopo tutto raccontava di loro, e le piaceva leggere tra quelle righe quelle verità che il marito aveva vergogna di confessare, quell'amore che riusciva a dimostrarle ogni giorno. La pagina di word però era vuota, il capitolo fermo nello stesso punto in cui l'aveva lasciato il giorno precedente. Ne rimase leggermente delusa mentre accarezzava la testa del marito con l'intento di svegliarlo e li notò una penna tra le sue dita, e qualcosa nascosto sotto il palmo della sua mano. Con attenzione andò a scostarla e trovò ancora quell'ecografia che sembrava non voler mai abbandonare il marito che se la portava ovunque, tenendola sempre ritirata nelle tasche all'altezza del cuore, cosi da averla sempre vicino a se. Sorrise e poi d'istinto la girò, capendo come mai Castle avesse quella penna con se. Su quel retro bianco vi era scritto qualcosa, con una calligrafia attenta, curata. Beckett si abbassò sulle ginocchia, rimanendo all'altezza del marito, portando l'ecografia sotto la lampada cosi da leggere meglio le parole vergate su di essa, controllando che l'uomo al suo fianco ancora dormisse, sentendo il suo respiro pesante accanto a se.

“Tu per me sei l'amore, quel tipo di amore che ho compreso esistere solo nel momento in cui ho saputo che c'eri, quell'unico amore che so che non verrà mai a meno. Sei un desiderio nato in un mondo che non ti vorrei mai far vedere, ma da quando esisti tua madre ha un motivo in più per sorridere ed io per essere felice”.

Beckett posò di nuovo quell'immagine con attenzione sulla scrivania, mettendo un braccio sopra quel ripiano per poi riposarvici sopra la testa mentre fissava il marito intensamente.

“Non hai ancora idea di quanto sei fortunato piccolo mio”. Sussurrò accarezzandosi il ventre con la mano libera. “Ma fidati della tua mamma, con un papa cosi la tua sarà una vita un po' pazza ma sopratutto sarà felice”.


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Con un pò di anticipo auguro a tutti un buon e felice anno nuovo



 

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Capitolo 15
*** 28 Settembre: Le paure di Castle (parte 1) ***



Castle si stropicciò gli occhi mentre andava a disegnare con un pennarello nero una x sul calendario, coprendo cosi il numero corrispondente al giorno appena cominciato. Sorrise nel vedere che il primo di ottobre, contrassegnato invece con un cerchio rosso, era ormai vicino. Solo qualche giorno d'attesa e poi la sua sospensione si sarebbe conclusa e nello stesso momento Beckett avrebbe assunto il suo nuovo ruolo da capitano, comportando si un aumento di responsabilità ma in particolare una diminuzione dei pericoli che poteva correre, ed era questo che premeva di più all'uomo. Richiuso il tappo del pennarello lo posò su uno dei ripiani in marmo dirigendosi poi in cucina dove la donna era indaffarata a preparare la colazione, destreggiandosi tra più pentole dalla quale usciva un invitante odorino.

“Siamo di buon umore stamattina”. Notò l'uomo sbirciando sopra i fornelli, dirigendosi verso il mobile sopra il quale era posata la macchinetta del caffè, con tutta l'intenzione di prepararsene uno per cominciare la giornata, ma la moglie lo fermò ancora prima che potesse accenderla.

“Potresti berlo quando sarò andata via?”. Gli chiese scambiandogli un occhiata per poi riportare le iridi sulla pentola facendo saltare su di essa il pancake. “Oggi è uno dei rari giorni senza nausea e vorrei evitare che l'odore del caffè me la facesse venire”. Spiegò vedendo l'ombra dell'uomo allontanarsi velocemente da quell'aggeggio per sistemarsi dietro di lei, muovendo una mano sul suo ventre.

“Mi sembra che la pancia non sia cresciuta molto in queste settimane, senza contare che mi sembri dimagrita”. Constatò dandole dei leggeri baci sul collo mentre faceva scivolare la mano libera sul suo braccio.

“Quasi un chilo e mezzo per colpa delle nausee ma la dottoressa ha detto che non c'è da preoccuparsi a meno che non continuo a diminuire. Perciò oggi approfitto del fatto che sto bene per riempirmi lo stomaco”. Spiegò colpendogli il dorso della mano con la forchetta quando lui cercò di afferrare alcuni pancake che lei aveva messo a raffreddare su di un piatto.

“Te la senti di far venire qua tutti stasera?”. Domandò Castle riempiendosi un generoso bicchiere di succo d'arancia. “Potremo sempre disdire e rimandare a un altro giorno”. Disse sorseggiando quello mentre Beckett gli passava il proprio piatto insieme allo sciroppo.

“Non credo che riuscirei a mantenere il segreto ancora per molto”. Appurò spegnendo i fornelli per andarsi ad accomodare a fianco del marito. “Mi chiedo anzi come ho fatto a resistere fino ad ora”.Continuò riempiendosi poi la bocca con quell'abbondante colazione, il tutto sotto lo sguardo attento e preoccupato di Castle che troppo spesso, secondo i suoi gusti, aveva assistito ai malesseri mattutini della donna. Mangiò distratto preso com'era a guardarla, a perdersi nei propri pensieri incentrati tutti su di lei, sorridendo debolmente vedendo come ella alternava quel pasto a un bicchiere di latte caldo, stupendosi ancora una volta di come le sue abitudini erano cambiate nel giro di poche settimane e del potere che quel bambino aveva già su di lei, su di loro.

“Allora ti occupi tu della spesa mentre io sono al distretto?”. Domandò con la bocca piena la donna, agitando per aria la forchetta guardandolo di sfuggita, non accorgendosi del modo in cui Castle la fissava.

“Lascia fare a me. Tu oggi dovrai rilassarti il più possibile, è il tuo giorno dopo tutto. Festeggiamo la tua promozione e la gravidanza quindi l'unica cosa che devi fare è goderti tutte le attenzioni che ti riverseremo”. Parlò facendo cadere gli occhi su quella pancia rotonda che provava a scoprire giorno dopo giorno, studiandola ogni sera con il proprio sguardo, ricoprendone ogni centimetro di baci e di carezze.

“Avanti a cosa stai pensando adesso?”. Interruppe i suoi pensieri Beckett voltandosi verso di lui, attenta a non perdere l'equilibrio dallo sgabello sulla quale era seduta, posando una mano su di esso e un altra sul bancone per essere più salda. “Ti ricordi cosa c'era scritto in quel libro? É importante che i futuri genitori si confidino le loro emozioni e paure”. Disse ridacchiando, sapendo bene quanto Castle non sopportasse l'idea di passare le serate a leggere i libri consigliati dalla dottoressa Hannigam, trovando certe descrizioni fin troppo dettagliate per lui. Per questo motivo gettò la forchetta sul piatto e lo scostò da se avendo perso del tutto l'appetito.

“Nessun pensiero negativo”. Sorrise sornionamente il detective avvicinandosi a lei dandole un lungo bacio. “Solo tante belle cose per la testa”. Continuò facendo scorrere il dito sul bordo della sua maglietta, tirandolo verso di se cosi da sbirciare nella sua scollatura, compiaciuto dell'effetto che la gravidanza stava avendo sul petto della moglie.

“Vediamo se sono le stesse mie”. Ribattè maliziosa Beckett andando a catturargli le labbra, facendo già scorrere le mani sotto i suoi vestiti, per sentire i muscoli della sua schiena contrarsi sotto il suo tocco. Castle rispose a quel bacio ma poi un campanello d'allarme gli risuonò nelle orecchie facendolo staccare d'improvviso, lasciando la donna ancora con le mani a mezz'aria, ferma nella stessa posizione anche se lui non era più tra le sue braccia.

“Devi andare a lavoro”. Asserì frettolosamente mentre sistemava le stoviglie che aveva usato, andandole a posare nel lavandino mentre Beckett lo guardava corrugando la fronte pensierosa.

“Da quanto non facciamo l'amore Rick?”. Il detective si irrigidì di colpo dandole la schiena, deglutendo a fatica mentre strizzava gli occhi. “Perchè dell'ultima volta ne ho giusto un vago ricordo”. Proseguì Beckett facendo dondolare la forchetta sopra il piatto che ancora aveva davanti a se, lasciandola cadere di tanto in tanto per andare a bucherellare il pancake. “Ma può essere a causa del fatto che è passato più di un mese”.

Castle posò entrambe le mani sul lavello e infossò la testa nelle spalle sbuffando sconsolato. Quell'ultima volta era ancora vivida nella sua mente. Le prime effusioni cominciate su quel divano dove lei lo aveva appena informato dell'arrivo del loro primogenito, quei tocchi delicati e attenti, quei baci leggeri, quei sospiri sussurrati. Dovette scollare il capo per togliersi quelle immagini e quei suoni dalla testa, cominciando già a subire gli effetti di quei ricordi.

Beckett interpretò negativamente quel suo prolungato silenzio. Finì di bere il bicchiere di latte ormai freddo e scese dallo sgabello pulendosi la maglietta dalle briciole.

“Se è già adesso cosi non oso immaginare quando sarò grassa come una balena.”. Commentò spiando di sottecchi il marito sperando di scatenare in lui un qualche tipo di reazione che in effetti avvenne.

Castle girò il collo e andò a fissarla leggermente infastidito mentre lei rispondeva con un alzata di spalle.

“Le balene sono i miei animali acquatici preferiti quindi non c'è problema”. Scherzò andando a riavvicinarsi a lei, portando una mano all'altezza del suo volto cosi da nasconderle una ciocca di capelli dietro l'orecchio, facendo poi scivolare le dita sul suo collo.

“Quanto sei stupido”. Affermò Beckett tirando verso il basso un lembo della sua maglietta.

“Ti trovo bellissima Kate, ancora più bella di quanto non lo fossi già”. Affermò sedendosi sullo sgabello davanti a lei, incurvando la schiena verso la moglie abbassando il capo cosi da ricercare il suo. “E questa panciottina è alquanto attraente”. Ridacchiò muovendo le dita sul suo ventre, posando ancora e ancora il palmo su di quello.

“E allora perchè a mala pena mi sfiori?”. Gli domandò guardandolo negli occhi, vedendo come lui si fece improvvisamente amareggiato. “Sono la solita di sempre Rick, non sono malata, sono solo incinta”. Appurò portando entrambe le mani sul suo collo, muovendo i pollici cosi da accarezzargli la pelle sotto l'orecchio, sentendo sotto di esse il battito debole del suo cuore.

“é appunto per questo”. Inarcò la bocca il detective inclinando al contempo la testa. “Ai miei occhi sei diventata improvvisamente fragile, cosi tanto che ho paura anche a stringerti troppo. Non mi perdonerei mai se facessi del male a te o al bambino”. Beckett inspirò profondamente, lasciando passare alcuni secondi di totale silenzio.

“La dottoressa ha detto che...”. Enunciò facendo un passo verso di lui, scontrandosi contro le sue ginocchia mentre faceva scivolare le mani dal suo collo lungo il petto del marito, fermandosi sopra l'elastico dei suoi pantaloni.

“Lo so che ha detto, c'ero anche io”. Le ricordò quasi infastidito, alzando gli occhi al cielo guardando nella direzione opposta per poi scrollare il capo, andando ad afferrarla per i fianchi, tenendo la stoffa della sua maglietta tra le dita. “Stare tranquilli, non esagerare, non sono aggettivi che mi si possono attribuire. Per me sarebbe più facile stare calmo davanti a un plotone di esecuzione che non perdere il controllo mentre faccio l'amore con te”. Si bagnò le labbra chiudendo le palpebre, sentendo sulla sua pelle gli occhi tristi ma comprensivi della moglie.

“Non fare l'amore ”. Continuò con una smorfia dipinta sul volto. “è un piccolo prezzo che sono disposto a pagare per assicurarmi che voi stiate bene”.

“Ma non lo voglio pagare io”. Protestò Beckett compiendo un passo indietro, alzando una mano all'altezza del suo capo cosi da massaggiarsi la fronte. “Capisco il tuo discorso se ci fossero stati dei problemi ma sia io che il bambino stiamo bene”. Affermò indicando prima lei e poi il proprio ventre, parlandogli con fervore ma allo stesso lentamente cosi che potesse comprendere anche il suo punto di vista. “Non voglio rinunciare alla nostra intimità se non c'è una valida ragione. É anche il modo in cui ci amiamo che rende il nostro rapporto speciale. Non voglio che le cose si incrinino tra noi proprio adesso che stiamo vivendo il momento più bello della nostra vita”. Castle conficcò le dita nel cuscino dello sgabello, guardando verso il basso mentre dava dei calcetti alle gambe di metallo di quello. Sentiva nella voce della moglie una nota di malinconia, cercando di nascondere quanto quella cosa la infastidisse, eppure lui non faceva nulla per spiegarsi.

“Almeno guardami quando ti parlo, per favore”. Castle sollevò lentamente gli occhi andando a cozzare con quelli verdi e intensi di Beckett ancora ferma a qualche passo da lui. La donna inspirò profondamente, incrociando le braccia al petto e mettendo in maggior evidenza la pancia sotto di esse.

“Posso rinunciare a qualunque cosa durante questa gravidanza ma sicuro non voglio rinunciare a te. So che le cose sono cambiate e cambieranno ma al contempo voglio che tutto rimanga com'era, almeno tra di noi”. Disse prima di sentire il proprio cellulare richiamarla all'attenzione. Attese fissando Castle, aspettando che lui la fermasse dall'andare a rispondere ma invece il marito non si mosse, anzi andò lui stesso a prenderle il telefono.

“Beckett”. Disse rispondendo mentre seguiva con gli occhi l'uomo che si aggirava taciturno per la cucina, andando ad afferrare una mela dal cestino della frutta andandole a dare un sonoro morso.

“D'accordo Espo ci vediamo sulla scena del crimine”. Affermò facendo voltare di colpo il marito che rimase ancora con il pezzo di mela tra i denti, masticandola lentamente mentre preoccupato andava a studiarla.

“Non dovresti andare, potrebbe essere pericoloso”. Appurò masticando lentamente, rincorrendola quando Beckett uscì dalla cucina senza dire una parola, senza illuminarlo su quanto gli aveva detto il collega.

“é sulla Lincoln, non corro alcun pericolo”. Ribattè salendo lentamente le scale per non rischiare di perdere l'equilibrio mentre si voltava verso di lui che si era fermato ai piedi di quelle, appoggiandosi al muro sempre sgranocchiando quel frutto.

“Non vedo l'ora che arrivi martedi. Tu dentro all'ufficio del capitano ed io di nuovo al distretto. Cosi almeno fermerò i vari infarti che mi colpiscono ogni volta che esci di casa senza di me”. Beckett si soffermò a notare la distanza che c'era tra di loro, nonostante l'avesse inseguita Castle non si era del tutto avvicinato, aveva mantenuto quei metri di distanza, cosa che faceva spesso in quei giorni, avvicinandosi solo quando lei era la prima a cercarlo, quando era lei a cercare il contatto. In alcuni giorni, sopratutto quelli in cui si svegliava già stanca e irritata non le davano fastidio quei comportamenti, anzi da un lato era quasi contenta che lui le concedesse quegli spazi. Da quando però le nausee erano diminuite aveva cominciato a sentire sempre di più la mancanza di quelle attenzioni, desiderandole come in quella mattina. Peccato che Castle non volesse collaborare per chissà quale strana ragione.

“Cominci già a trovarmi poco attraente non è cosi? “. Domandò d'improvviso facendo strozzare il marito con un pezzo di mela tanto quella domanda era inaspettata. “Non che mi stupisca dato che fino a ieri mi tenevi i capelli mentre vomitavo”. Il detective ridacchiò dandosi alcuni pugnetti all'altezza dello sterno per mandare giù quel boccone mentre Beckett sbuffava dandogli le spalle, pensando di non essere presa sul serio.

“Fidati non è per quello che non faccio l'amore con te”. Disse distratto lui accorgendosi delle parole appena uscite dalla sua bocca solo quando Beckett scese alcuni gradini in sua direzione.

“Allora perchè non lo fai?”. Domandò lei facendo un gradino per volta, avvicinandosi maliziosamente a Castle, ma agli occhi dell'uomo quei suoi movimenti più che sensuali sembravano minacciosi.

“I ragazzi ti stanno aspettando, è meglio che vai”. Asserì staccando dal muro e scomparendo dalla vista della moglie dietro di esso.

“Piuttosto che rispondermi sei capace di gettare me e nostro figlio fuori di casa ad affrontare chissà quale pericoloso criminale”. Brontolò lei a braccia conserte fermandosi a metà scala, lasciando che nonostante tutto un sorriso le si formasse sulle labbra.

“Sarei capace di peggio, molto peggio”. Constatò lui facendo capolino con la testa da dietro la parete, mandandole un bacio prima di scomparire nuovamente.

“Non credergli piccolino”. Bisbigliò accarezzandosi la pancia da sopra la maglietta mentre risaliva le scale per andarsi a preparare per la nuova giornata di lavoro. “Il tuo papa ci adora”.

 

AL distretto Beckett si ritrovò di nuovo ad essere spazientita e irritata, sia per colpa di Castle e delle sue mancate risposte, sia a causa del caso che si trovava ad affrontare insieme ai suoi colleghi, aspettando i risultati della scientifica che tardavano ad arrivare.

“Tutto a posto Beckett?”. Le domandò Esposito avvicinandosi alla sua scrivania, portando con se una tazza fumante, avendo visto come la collega bevesse con maggior frequenza in quella giornata.

“Si, non vedo solamente l'ora che questa giornata finisca”. Commentò andando distrattamente a muovere la mano su e giù contro il proprio ventre. “Voglio solo andare a casa, farmi un bagno caldo e poi rilassarmi con voi questa sera. Ho proprio bisogno di una serata tra amici prima di iniziare questa nuova avventura da capitano”. Continuò passandosi le mani sulla faccia, cercando di levare via la stanchezza e il pensiero delle lunghe ore che ancora doveva passare prima di poter abbandonare quei luoghi.

“E tra poco arriverà anche la sorella della vittima e non so dove troverò le forze per parlarle”.

“Magari questo ti aiuterà”. Disse porgendole la tazza che Beckett andò a fissare dubbiosa. Doveva inventarsi una scusa per rifiutare quel caffè, la dottoressa gliel'aveva sconsigliato e di certo non aveva intenzione di andarle contro, nonostante sapesse che una tazza non sarebbe stata la fine del mondo, ma non voleva correre rischi.

“Tranquilla è solo thè caldo”. Affermò Esposito quasi le avesse letto nella mente, poggiando la tazza davanti a lei cosi che potesse controllare. La donna andò a prendere quel pezzo di ceramica con entrambe le mani, soffiandoci dentro prima di tornare a fissare il collega. Lo studiò per diversi istanti, notando un sorriso nascosto sotto la sua dura espressione.

“Tu lo sai”. Appurò spalancando gli occhi, bisbigliando decisa vedendo il cubano cominciare a ridacchiare divertito. “Te l'ha detto Rick?”. Domandò incredula che il marito avesse già diffuso la notizia senza avvertirla, senza rispettare l'accordo che aveva fatto.

“No, lui non ha detto nulla”. Scosse il capo Esposito andando cosi a salvare il collega. “Ma sono un detective, è il mio lavoro notare quei piccoli dettagli e di certo non mi è sfuggito il fatto che non bevi più caffè da settimane, aggiungendo le sempre più frequenti visite ai bagni e non da meno il fatto che compì spesso quel gesto”. Affermò indicando con le dita la mano della donna ancora ferma sopra il proprio stomaco.

“E Ryan lo sa?”. Volle sapere cosi da conoscere fino a che punto la sorpresa che avevano intenzione per quella serata fosse stata rovinata.

“Per un uomo appena diventato padre questi particolari avrebbero dovuto far scattare qualcosa, ma stiamo parlando di Ryan. Per lui hai solo messo su qualche chilo”. Beckett gonfiò le guance infastidita dal fatto che il collega la considerasse ingrassata, dimenticandosi velocemente la linea invidiabile che aveva mantenuto in tutti quegli anni.

“Non volevamo tenervelo nascosto. Aspettavamo solo il momento adatto per farlo, che tutto fosse a posto”. Spiegò abbassando lo sguardo, sorridendo mentre la mano si muoveva ancora sopra la maglietta.

“Non ti devi giustificare di nulla. Sono contento per voi”. Affermò Esposito aggirando la scrivania fino a portarsi di fianco alla collega. “Congratulazioni”. Disse inclinandosi verso di lei cosi da darle un bacio sulla guancia.

“Meglio non dire a Castle di questo tuo gesto”.

“Io invece speravo proprio che glielo dicessi. Adoro farlo arrabbiare”. Ridacchiò il cubano vedendo la donna scrollare il capo, tornando poi alla propria scrivania a svolgere il proprio lavoro.

 

Beckett si concesse un altro sorso di thè e poi guardò l'orologio. La sorella della vittima non era ancora arrivata, cosi come non erano ancora giunti i risultati della scientifica, era completamente ferma e questo cominciava a farla annoiare. Si guardò attorno e notò l'ufficio del capitano vuoto. La Roalstad era andata via diverse ore prima per partecipare a una riunione con i grandi capi e ancora non aveva fatto ritorno. Timidamente si alzò dalla propria sedia e si diresse verso quello stesso ufficio, chiudendo la porta dietro di se cosi da rimanere sola. Un paio di giorni e quella stanza sarebbe stata tutta sua ma la trovava estremamente grande, del tutto inutile per il tipo di lavoro che avrebbe svolto. Si diresse verso la scrivania e andò ad accomodarsi sulla sedia in pelle nera che era stata ancora prima di Montgomery e che lei considerava come un oggetto sacro, sentendosi orgogliosa di poterla occupare anch'ella.

Si guardò attorno e per un istante si sentì sola. Le faceva strano non avere davanti a se i colleghi, e ancora di più sentiva già la mancanza dell'immancabile sedia al suo fianco occupata perennemente dal marito. Cosi cominciò a pensare alle cose positive, a come avrebbe riempito quella grande scrivania con più e più fotografie raffiguranti la sua famiglia, sistemandole con cura in mezzo a quei soprammobili dalla quale non riusciva a separarsi nonostante le obiezioni di Castle.

“Almeno ci sarà spazio per tutti e due”. Disse parlando a voce normale non avendo paura di essere sentita dato lo spessore dei vetri e la poca attenzione che gli altri agenti avevano nei suoi confronti. “E chissà magari qualche giorno lo sfrutterò portando qui un box, cosi potrai venire al lavoro con mamma e papa”. Parlò ancora immaginandosi davvero quell'oggetto occupare una piccola porzione della stanza e dentro di esso un bambino o una bambina dagli occhi curiosi che si divertiva a giocare con chissà quale pupazzetto.

Si rilassò su quella sedia, spalancò gli occhi appagata mentre ascoltava il silenzio, la quiete di quella giornata, guardando fuori dalla finestra, la luce tenue del sole che filtrava attraverso i vetri oscurati, quello stralcio di paesaggio che sembrava cosi lontano dalla città in cui viveva, quasi si ritrovasse in tutt'altro luogo, solo lei, con quella creatura che le cresceva dentro.

“In un altra vita mi sarei considerata pazza a parlarti come sto facendo ora”. Riprese a parlare appoggiando la testa contro lo schienale della sedia. “Ma in quella vita non avevo la minima idea di cosa volesse dire averti dentro di me, e forse non ce l'ho nemmeno ora. Ma non importa, non voglio capirlo, non ancora, voglio solo viverlo questo momento. Sognarti diverso ogni notte, ma sempre con gli stessi occhi, sempre con lo stesso sorriso, quello di tuo padre, che custodisce l'immenso potere di portare la luce la dove c'è buio. ” SI fermò la donna inspirando diverse volte con pigrizia, andando a scrutare i colleghi per qualche secondo, presi dal loro lavoro, ma senza il bisogno di un suo intervento. “Chissà se mi ascolti quando ti racconto di tutte le paure che provo in queste settimane, e che proverò nei prossimi mesi, e delle certezze che mi doni, della forza che mi fai scoprire.” Un lieve sorriso si formò sulle labbra della donna mentre sentiva il battito del proprio cuore aumentare d'intensità. “Comunque sia te lo prometto, non smetterò mai di parlarti, di spiegarti ciò che accade qui fuori, voglio che tu capisca fin da subito quanto amore ti circonda, quanto siamo fortunati ad averti”.

 

Quando le porte dell'ascensore si aprirono davanti a Beckett la donna sentì della musica aleggiare sul piano dove si trovava il suo appartamento. Di primo istinto le venne di dare la colpa al figlio adolescente di qualche vicino ma ascoltando bene capì che non poteva essere, quella che udiva era musica classica. Dirigendosi verso la propria casa il suono si fece più forte e i sospetti ricaddero invece sul marito, avendone la conferma una volta giunta davanti alla porta.

Fece scattare la serratura per ritrovarsi in un appartamento completamente diverso da quello che aveva lasciato quella stessa mattina. I divani erano stati spostati per lasciare il posto a un lungo tavolo dove già erano posati sopra alcuni stuzzichini, mentre più e più striscioni erano appesi alle pareti. Si tolse la giacca andando a riporla nello sgabuzzino, liberandosi poi delle scarpe prima di andare alla ricerca del marito, approfittandone per controllare come lui avesse sistemato la stanza. Le sedie erano già a posto, cosi come i bicchieri, le bottiglie, persino le candele che aveva disposto su più credenze ad abbellire quello spazio. Si era dato da fare, noto tra se e se, sentendo una nuova canzone prendere il posto di quella udita prima. Diede uno sguardo alla cucina e alla scale, non vedendo però comparire Castle, e cosi si diresse allo stereo con l'intenzione di abbassare il volume. Accanto ad esso vide custodie di cd sconosciuti. Curiosa li prese in mano studiandone uno dopo l'altro, alcuni erano di compositori famosi come Mozarth, o lo stesso Bach che stava risuonando in quel momento. Castle doveva averli comprati quello stesso giorno, seguendo il consiglio della dottoressa che suggeriva di ascoltare musica classica durante la gravidanza, informandoli degli effetti positivi che avrebbe avuto sul bambino. Un altra custodia però era completamente bianca, non vi era scritto nulla e quello le bastò per stuzzicare la sua curiosità. Stoppò il cd e lo sostituì con quello nuovo e poi attese che la musica partisse, preparandosi al peggio conoscendo bene il marito.

Fu sorpresa di non sentire il ritmo canzonato della musica rock o pop più congeniali al detective, invece alle sue orecchie giunse una musica lieve, quasi impercettibile inizialmente, il suono prodotto da dita abili che si muovevano con agilità sui tasti di un pianoforte.

“Mi è sempre piaciuta la colonna sonora di Forrest Gump. Mi rendeva allegro e speranzoso”. Disse Castle comparendo davanti a lei con indosso un paio di jeans chiari e una camicia aperta, sotto la quale poteva vedere una maglietta grigia con al centro il volto minaccioso di Dart Vader.

“Sai, dopo essere andato a comprare quei cd mi sono messo ad ascoltarli”. Spiegò indicando le custodie che la donna aveva rimesso al loro posto sulla mensola. “Saranno anche belli per alcuni ma a me personalmente non mi dicevano niente perciò ho deciso di fare un cd tutto mio. Voglio che nostro figlio ascolti della musica che gli evochi qualcosa, che lo faccia sognare, che lo faccia sorridere anche se è ancora dentro di te”. Continuò fermandosi davanti a lei, posando entrambe le mani sul suo ventre, guardandolo felice, con un leggero sorriso sulle labbra che racchiudeva ogni sua emozione.

“E a te cosa ti fa sognare?”. Domandò Beckett avvolgendo le braccia intorno al suo collo, tenendosi in equilibrio contro il suo petto mentre si alzava sulle punte avvicinando il più possibile i loro volti. “Una piuma che svolazza leggera e che poi si posa sulla tua scarpa”.

Castle ridacchiò divertito mentre negava con il capo, andando a stringere ancora di più con le braccia. “La donna che amo che culla contro il proprio petto mio figlio, asciugandogli le lacrime e cantandogli la ninna nanna, mentre io la guardo meravigliato da come riesce a rendere tutto cosi perfetto solamente essendoci, dicendomi che mai avevo visto niente di più bello”.

Beckett non mutò espressione, rimanendo seria mentre posava una mano sulla sua guancia che lui prontamente andò ad afferrare.

“é un bambino fortunato nostro figlio”. Affermò solo prima di andarlo a baciare, aggrappandosi alla sua maglietta mentre lui si sforzava di non schiacciarla contro di se.

“Tra poco arriverà Alexis”. La informò Castle staccandosi da lei, dandole le spalle mentre spegneva lo stereo, non vedendola cosi sbuffare annoiata per quel suo  rinnovato comportamento. “Le ho detto di venire qui prima degli altri perchè voglio dirle del bambino in privato, se a te non dispiace”.

Beckett si voltò a guardarlo negando con il capo, sorpresa che il marito già non avesse informato la sorella di quella piccola addizione alla loro famiglia. Immaginava che di certo non fosse stato facile per lui mantenere il segreto dato il rapporto che aveva con la ragazza, avendola sempre informata per prima di ogni cambiamento della sua vita.

“Vado a darmi una rinfrescata e a cambiarmi allora”.Disse la detective dirigendosi verso le scale.

Castle si morse un labbro e decise di tenere occupato quel poco tempo libero che ancora avevano controllando che tutto fosse sistemato. Ripercorse il tavolo, assaggiando velocemente qualche stuzzichino, tirandone bene la tovaglia che lo copriva, allineando con cura i tovaglioli e i flute sopra il vassoio in acciaio. Dopo di che fece qualche passo indietro, cosi da avere una visuale completa della sala, soddisfatto del risultato che aveva ottenuto. Si diresse allora verso le scale, facendo alcuni gradini correndo, quando si dovette bloccare sentendo il campanello suonare. Corrugando la fronte guardò l'orologio al proprio polso chiedendosi chi potesse essere a quell'ora dato che gli invitati sarebbero dovuti giungere da li a un ora. Tornando sui suoi passi andò ad aprire la porta contento di veder comparire dietro di essa la sorella.

“Ho pensato che ti serviva una mano a preparare dato che Kate ha lavorato tutto il giorno e sarà stanca”. Spiegò la sua presenza andando ad abbracciare il fratello.

“Grazie per il pensiero ma è già tutto pronto”. Ribattè aiutandola a togliersi il giubbotto, andando a ritirarlo nello sgabuzzino mentre la ragazza entrava nella sala, stupefatta del lavoro compiuto dal Castle.

“Quale ditta hai assunto per riuscire a sistemare cosi bene?”. Scherzò la giovane manifestando lo stesso vizio del fratello, mettendosi davanti al tavolo imbandito scegliendo quale stuzzichino assaggiare per primo dando cosi tregua a quell'improvvisa golosità.

“Gentile”. Affermò lui offeso con una leggera smorfia, prendendola per una mano facendola accomodare sul divano.

“Vado a prenderti qualcosa da bere. Acqua o una bibita?”. Le chiese mentre già si stava dirigendo verso la cucina, sfregandosi le mani impaziente di rivelarle quel loro piccolo segreto, ma doveva ancora resistere qualche minuto, voleva farlo con Beckett presente.

“Andiamo Rick, ho 24 anni, credo che un bicchiere di vino posso concedermelo no?”. Castle storse il naso ma alla fine ritrasse dal frigo una bottiglia di vino rosso già aperto e riempì mezzo calice per Alexis e uno più abbondante per se prima di tornare in sala.

“Kate, è arrivata Alexis”. Urlò fermandosi ai piedi delle scale per avvisare cosi la moglie prima di procedere di nuovo per il suo cammino.

“Non dirlo a papa però”. La ammonì porgendole il bicchiere, controllando quanto lei ne andasse a bere prima di concedersene un sorso lui stesso.

“Allora perchè mi hai chiesto di venire prima degli altri?”. Domandò d'improvviso la ragazza e Castle si ritrovò a guardare nella direzione opposta nella speranza di vedere Beckett scendere il prima possibile, sapendo che sotto le domande insistenti della sorella alla fine avrebbe ceduto.

“Cosi”. Disse criptico, facendo le spallucce e tornando a riempire la bocca con del vino cosi da avere una scusa per tacere.

Alexis inarcò un sopracciglio guardandolo guardinga mentre lui si sforzava a far finta di niente, voltando lo sguardo da lei in modo da non incrociare i suoi occhi alla quale non avrebbe saputo resistere.

“Richard Castle che cosa hai fatto?”. Domandò perentoria la ragazza alzandosi dal divano, sistemandosi di fronte a lui mettendosi le mani ai fianchi, una posa che molto gli ricordava quella di sua madre o di Beckett quando lo rimproveravano per qualcosa e anche con la sorella si sentiva nello stesso modo, con un mirino puntato dritto alla testa senza via di scampo.

“Ehi Lex ben arrivata.”. La moglie lo salvò proprio mentre stava per aprire bocca, scendendo dalle scale indossando ancora gli abiti da casa, dei pantaloncini bianchi e una maglietta rosa, con i capelli ancora umidi raccolti in una cosa di cavallo.

“Nick non c'è?”. Le domandò non vedendo il ragazzo accanto alla cognata, spostando poi il proprio sguardo sul marito che le sussurrò un grazie anche se non ne capì il motivo.

“Si scusa molto ma il redattore del giornale ha voluto farlo assistere all'intervista di un politico e non ha potuto dire di no”. Spiegò brevemente prima di tornare a guardare torvo il fratello. “Tu sai cosa mi sta nascondendo Rick?”. Chiese a Beckett che intanto si era andata ad accomodare sul divano prima occupato dalla giovane.

“In effetti si”. Disse la detective non riuscendo a reprime l'ampio sorriso che le si era formato sulle labbra, sistemandosi meglio sul divano inspirando profondamente, lanciando un occhiata complice al marito.

“Che succede?”. Insistette Alexis non intuendo la causa di quegli sguardi, fissando prima Castle e poi Beckett studiando i loro volti, chiedendosi quale fosse il motivo per cui avessero quell'aria cosi sognante. Ci pensò poi Castle a porre fine a quel suo struggersi.

“Kate è incinta”.

Alexis andò a guardare la donna che le annuì con il capo e un secondo dopo le corse incontro cacciando un urlo di gioia, gettandola sul divano insieme a lei. Castle fece un passo avanti allungando le braccia verso di loro, preoccupato che si fossero fatte male, ma alle sue orecchie giunsero solo delle risate divertite alla quale andò ad aggiungere le proprie.

“Diventerò zia”. Constatò semplicemente la più giovane ritrovandosi a terra in ginocchio dando cosi modo a Beckett di rimettersi seduta, coprendosi il volto con le mani ritrovandosi sull'orlo di piangere.

“Se piangi tu finisce che piango anche io”. Ridacchiò Beckett asciugandosi con l'indice gli occhi già umidi, pentendosi di aver già cominciato a truccarsi, ritrovandosi cosi costretta a rifare tutto da capo.

Un altra risata lasciò la bocca di Alexis e la giovane si gettò ancora tra le braccia della detective, sussurrando parole udibili solo a lei.

“Ehi, ho contribuito anche io a tutto questo, credo di meritarmi un abbraccio”. Si intromise Castle allargando le braccia sentendosi dimenticato dalla sorella che aveva prestato tutte le sue attenzioni solo sulla cognata e non su di lui.

“Congratulazione fratellone”. Disse Alexis andando da lui per dargli ciò che voleva. “Mamma e papa lo sanno già?”. Chiese la giovane venendo sollevata da terra mentre il detective l'abbracciava ancora più forte contro di se, sentendola di nuovo piccola tra le sue braccia.

“No. Volevo che tu fossi la prima a saperlo ufficialmente. Sei l'unica a cui tenevo particolarmente dirlo”. Affermò con tono dolce l'uomo, sentendosi ancora più legato alla sorella in quel momento di gioia.

“Te che diventerai padre, chi l'avrebbe mai detto”. Commentò la ragazza asciugandosi una lacrima con una mano mentre l'altra la teneva all'altezza del cuore del fratello. “Ma è quello che ti meriti. Hai dato tanto, a tutti, anche a completi sconosciuti. Ora è il tuo momento per essere felice e avere ciò che hai sempre desiderato”.

 

Meno di un ora dopo la parola quiete aveva abbandonato del tutto quella casa. Tutte le famiglie erano riunite in allegria nel salotto, accompagnando alle parole e alle risate del buon vino e degli ottimi stuzzichini e pasticcini portati da Jenny e Lanie. Ryan, Esposito, Alexander e James chiacchieravano di sport, ascoltando uno gli aneddoti dell'altro sulla propria carriera agonistica liceale. Martha e Johanna facevano da babysitter al piccolo Colin, dando la possibilità alla signora Ryan di divertirsi insieme alle amiche. L'unico sempre in movimento era Castle, che più volte aveva fatto avanti e indietro dalla cucina per sostituire le bottiglie vuote con quelle piene, tornando a riempire i vassoi vuoti con le più prelibate cibarie, il tutto per non far muovere un dito alla moglie non volendola in alcun modo stancare.

Solo di tanto in tanto si fermava per controllare che stesse bene, che non fosse stanca dopo la lunga giornata di lavoro, e di nuovo tornava ai propri compiti quando la vedere sorridere spensierata.

“Ehi Richard dici che mi dona?”. Gli chiese sua madre vedendolo passare davanti al divano dove era seduta insieme a Johanna, accoccolandosi ancora più contro al bambino che teneva stretto al petto.

“Trovo che ti ringiovanisce”. Commentò notando i segni del rossetto che la donna aveva lasciato sulla nuca di Colin, cominciando a immaginare la reazione della donna alla notizia della gravidanza.

Martha non aveva mai tenuto segreto il suo desiderio di diventare nonna nonostante lo stesso Castle le avesse più spesso fatto notare che l'aver un nipote l'avrebbe fatta scontrare con la dura realtà che in effetti non era più giovane quanto si credeva eppure lei ogni volta lo contraddiva immediatamente ripetendogli che il diventare nonna le avrebbe fatto vivere una seconda giovinezza.

Sospirò mentre estraeva dal frigo la bottiglia di Champagne, la migliore che aveva trovato, non preoccupandosi del fatto che gli fosse costata quasi metà del suo stipendio, dovevano celebrare l'arrivo al meglio di suo figlio.

“Sembra che tu stamattina a colazione abbia mangiato pane e agitazione”. La voce di Beckett lo fece girare di scatto verso di lei che se ne rimaneva in piedi contro il ripiano della cucina.

“Vuoi goderti un po' questa serata o preferisci correre avanti e indietro come una macchinina”. Continuò strappandogli di mano la bottiglia posandola dietro di se.

“Si nota cosi tanto che sono agitato?”. Domandò ridacchiando mentre si grattava il retro della nuca, non avendo fatto caso al modo in cui lui stesso si comportava, essendo in preda a strane emozioni che gli impedivano quasi di pensare, solo di compiere quelle poche azioni che si era programmato in precedenza.

“Un pochetto”. Strizzò gli occhi la detective mimando la quantità con le dita mentre si avvicinava a lui. “Hai portato in sala tanto di quel mangiare e quel bere che potremmo andare avanti per giorni senza accorgerti che nessuno lo sta toccando presi come sono a parlare. Più volte Ryan ed Esposito ti hanno invitato ad unirti a loro, tu rispondevi di si ma poi sparivi di nuovo in cucina. Anche tua madre ha cercato di fermarti ma tu nulla perciò perchè adesso non ti siedi, non ti rilassi, e lasci fare qualcosa a me”.

Castle gonfiò le guance pensieroso mentre le prendeva le braccia e se le portava attorno al proprio collo. “Sei tu quella che dovrebbe starsene seduta e riposarti”. Ribattè facendo ricadere una mano sul suo ventre, contro quel vestito che con eleganza le nascondeva la piccola pancia. “Io ho passato la giornata seduto sul divano tu invece a lavorare, devi essere esausta e non voglio farti faticare ulteriormente”.

“In realtà mi sento piena di energia stasera”. Disse alzandosi sulle punte per baciarlo lievemente “Anche se non vedo l'ora di stappare lo champagne. Ancora un po' che aspettiamo a dirlo e sarà ora per i nostri ospiti di andare a casa”. Abbassò gli occhi la donna vedendo il dolce sorriso sulle labbra del marito mentre ancora la sua mano se ne stava contro il proprio grembo.

“Pronto?”. Gli chiese girandosi con l'intenzione di prendere la bottiglia ma lui ancora la trattenne stringendola contro il proprio petto.

“Ancora un secondo”. La trattenne per prendersi un altro bacio.

 

Una volta finito di riempire i calici con dell'abbondante champagne Castle batte contro uno di questi con un cucchiaino richiamando cosi l'attenzione dei presenti che uno ad uno si avvicinarono al tavolo per appropriarsi del proprio bicchiere. Tutti gli occhi erano puntati su di lui, tutti tranne quelli di Esposito che invece erano su Beckett, avendo intuito che il momento era ormai giunto.

“Cominciavo a chiedermi quando l'avreste fatto”. Ridacchiò facendo cozzare il calice contro quello della collega producendo un flebile tintinnio.

“Se l'avessi fatto prima avrei passato una serata d'inferno. Se c'è una cosa che non sopporto è stare al centro dell'attenzione e di certo mia madre e Martha me ne avrebbero data fin troppa. Facendolo ora invece la sofferenza sarà breve”. Affermò a bassa voce Beckett, con un sorriso stampato sulle labbra mentre sentiva Castle ringraziare tutti per aver partecipato a quei piccoli festeggiamenti privati, cedendole poi la parola cosi da darle l'onore di tale annuncio.

“Bhè che dire”. Esordì la donna stringendo tra le dita il collo del bicchiere, avendo l'impressione che questo si stesse per rompere a causa della pressione che vi imprimeva, osservando davanti a se gli amici e i famigliari che la ascoltavano con attenzione. “Quasi dieci anni fa ho varcato la porta del distretto piena di speranze, di aspirazioni, con le idee già ben chiare su dove volessi arrivare. Davanti a me vi era solo la mia metà, diventare capitano, e poi comandante e poi ancora spingermi oltre, puntando sempre al meglio”. Asserì tenendo gli occhi bassi, mettendo a fuoco la vista cosi da notare quelle piccole bollicine che frenetiche si muovevano nel bicchiere.

“Vedevo solo il punto di partenza e il punto d'arrivo, escludendo a priori il viaggio. Fortunatamente oggi scopro che è quello che è stato veramente importante. Perchè se non vi avessi incontrato lungo il mio percorso questa promozione avrebbe avuto un sapore amaro, il mio castello in aria si sarebbe sgretolato come sabbia tra le mie dita”. Si fermò inspirando con il naso, sollevando gli occhi cosi da incrociare lo sguardo di ognuno dei presenti. “Ognuno di voi ha contribuito in maniera rilevante, ognuno di voi mi ha dato più di quanto io stessa già chiedessi. Perciò permettetemi di dire che questa non la sento come una mia vittoria, ma più come un nostro successo, un altro traguardo che abbiamo raggiunto rimanendo uniti, nonostante tutto”. Beckett si bagnò le labbra e cercò il marito che, con un cenno del capo, la invitava ad andare avanti, a finire quel discorso e urlare la propria gioia.

“Da martedi avrò una nuova scrivania e su quella ci sarà scritto Capitano ma voglio che sappiate fin da ora che questo non cambierà nulla, che non sarà questa nuova carica a cancellare ciò che abbiamo costruito in questi anni di collaborazione. Succeda quel che succeda io sarò sempre la detective Beckett che avete conosciuto e sopportato, sarà il mio primo e più importante impegno come capitano, rimanere me stessa”. Mosse le labbra non riuscendo ad emettere alcun suono, ritrovandosi improvvisamente priva di parole, avendo dimenticato quelle decise in precedenza per rivelare a loro la gravidanza, tutto era diventato improvvisamente buio.

“A questa nuova avventura”. Disse alzando il calice, vedendo anche gli altri compiere lo stesso gesto, tranne Castle ed Esposito che rimanevano immobili aspettando altro, sapendo bene che vi era altro da dire.

“Al nostro nuovo capitano”. Echeggiò Lanie andando a bere dal bicchiere mentre Castle si muoveva velocemente accanto alla moglie, fermandosi davanti a lei come a voler farle da scudo contro i propri famigliari.

“Vuoi che lo dica io?”. Le domandò all'orecchio vedendola negare con il capo, muovendo una mano alla cieca cosi da cercare quella del marito. Diventare capitano e avere un figlio, tutto nello stesso periodo, due sogni che collidevano uno con l'altro, facendo sorgere in lei la paura che uno dei due non avrebbe resistito a quell'urto. Da sola non ce l'avrebbe mai fatta, ma per sua gioia sapeva di non esserlo.

“Un ultima cosa”. Disse non accorgendosi di aver alzato improvvisamente la voce. “Un ultima richiesta”. Continuò posando sul tavolino il suo champagne intatto, anche se era una serata di festeggiamenti lei ormai aveva bandito l'alcool dalla sua vita, seppur fosse solo un misero bicchiere.

“Il vostro appoggio, la vostra amicizia incondizionata perchè ora più che mai ne ho bisogno, ora che sto vivendo il periodo migliore della mia vita, della nostra vita”. Affermò stringendo la mano a Castle, andando a guardarlo notando quel suo sorriso infantile che gli illuminava il volto.

“Rick ed io aspettiamo un bambino”. Beckett non si sorprese quando vide la madre e Martha esternare la propria gioia con lacrime e un prolungato abbraccio, ritrovandosi schiacciata tra le due invidiando il marito che invece riceveva semplici congratulazioni accompagnate da decise pacche sulla schiena.

“Dovrei essere arrabbiata con te dato che non me l'hai detto prima ma per questa volta ti perdono”. Constatò con gli occhi lucidi Lanie abbracciando l'amica. “Spero che tu ti sia concentrata a farla uscire femmina perchè se mi capita tra i piedi un piccolo Richard Castle potrei impazzire definitivamente”. Scherzò lasciando poi il proprio turno agli altri, in particolare a Jenny e Ryan contenti che Colin avesse presto questo “cuginetto” con cui poter instaurare lo stesso rapporto che legava i genitori.

“Tutto bene?”. Domandò Alexander al figlio che, senza farsi troppo notare, si era allontanato di qualche passo dal gruppetto più concentrato su Beckett che su di lui.

“Sto per diventare padre”. Rispose solamente andando a finire il poco champagne che era ancora contenuto nel suo calice.

“Già l'ho saputo”. Ribattè l'uomo mettendo una mano in tasca dondolandosi sui talloni.

“Sai a volte credo di essere io quello soggetto agli sbalzi d'umore. Pensando al bambino sono felice ma ecco che un istante dopo mi assalgono i sensi di colpa. Già nelle precedenti settimane, quando Kate aveva le nausee mi sentivo impotente, chiedendomi in che guaio l'avessi cacciata. Poi da quando ho visto l'ecografia le cose sono peggiorate. Se sorgessero complicazioni, se il bambino o Kate avessero qualche problema a causa mia come potrei sopravviverne?”. Confessò sforzandosi di sorridere, ma sentendo quel nodo alla gola ormai divenuto troppo famigliare. Prima che Beckett rimanesse effettivamente incinta si era immaginato la gravidanza come un esperienza totalmente diversa, sopratutto riguardo i propri sentimenti, invece ora si trovava impreparato e quello faceva aumentare la sua angoscia. Si sentiva come se facesse ancora parte della Cia, pronto a partire per una missione, sprovvisto però delle istruzioni, di una guida, che gli dicesse cosa fare e cosa evitare per giungere alla conclusione.

“L'unica colpa che ti potrai attribuire sarà quella di aver messo al mondo un bambino con il tuo stesso caratteraccio”. Ridacchiò Alexander studiando con la coda dell'occhio il figlio che si limitò ad abbassare il capo. “Vedrai molti cambiamenti in Kate nei prossimi mesi. La vedrai stanca, avvilita, arrabbiata, ma è cosi che succede. Quando ha deciso di avere un figlio da te credo sapesse benissimo quello a cui andava in contro, perciò perchè incolparsi di qualcosa che avete voluto fortemente entrambi?”. Vedendo il detective non muoversi il vecchio Castle gli tirò una gomitata costringendolo a voltarsi verso di lui.

“Nemmeno durante la prima missione con il Cirg mi sono sentito cosi inadeguato”.

“Quello era solo lavoro Richard. Ora si parla di tuo figlio, di una parte di te. Se non vuoi avere rimpianti in futuro smettila di sentirti responsabile per ogni malessere di Kate e comincia a vivere questa gravidanza per quello che è, come il più bel momento della tua vita, altrimenti ti perderai molte cose senza accorgertene e una volta andate non potrai più riaverle.”. Fu il turno di Alexander di farsi pensieroso, mentre ricordi vecchi di più di trent'anni gli riaffioravano a galla, chiedendosi se fosse il caso di condividerli o meno con il figlio, se aspettare un altro momento, un altro luogo o se non farlo proprio.

“Usa questi tuoi dubbi, queste tue paure, per diventare più forte. Affrontale usando l'amore che già provi per tuo figlio e ti accorgerai che non sono altro che piccole gocce d'acqua in mezzo d un oceano.”. Castle deglutì a fatica osservando come gli invitati di quella serata stavano cominciando a salutarsi a vicenda, augurandosi la buona notte, portandolo a guardare il proprio orologio.

“Delle gocce che però possono creare increspature che vanno ad agitare questo oceano”. Ribattè quasi con sfida tornando a guardare il padre, curioso di vedere cosa lui gli avrebbe risposto, come avrebbe sollevato il suo morale dopo quella constatazione.

“Per tua fortuna hai al tuo fianco l'unica persona che ha il potere di porre fine a quelle increspature, basta solo trovare il coraggio di chiederle aiuto. Certo è incinta, ma questo non vuol dire che abbia perso la sua forza, la sua tenacia. Ricordati sempre che non sei solo, siete in due ad affrontare questa cosa”. Asserì Alexander dandogli qualche schiaffetto leggero sulla guancia allontanandosi lentamente da lui.

“Sarai un ottimo padre figliolo. Il solo fatto che fin da ora tu ti stai sforzando per esserlo mi da la certezza che lo sarai. Devi solo accorgertene tu stesso”.

 

Castle fece un fagotto con la tovaglia cosi da intrappolare al suo interno le briciole e si diresse in cucina con l'intenzione di gettare tutto nel lavandino. Mentre svolgeva questo semplice gesto sentì una nuova melodia espandersi per la casa, facendogli capire che Beckett si era di nuovo messa ad armeggiare con il cd che si era divertito a comporre quello stesso pomeriggio. Gli bastarono poche note per capire di che canzone si trattasse e si ritrovò a sorridere stupidamente al ricordo. A quando capitò ai due di vedere insieme Casper, abbracciati sul divano in una notte d'inverno, e lui l'aveva scoperta a singhiozzare alla fine del film. Uscì dalla cucina e si diresse verso la moglie che, persa nei propri pensieri, stava osservando fuori dalla finestra.

“Posso tenerti con me?”. Le sussurrò contro l'orecchio mentre l'avvolgeva tra le sue braccia, posando il mento sulla sua spalla. Beckett girò il collo e sollevò un braccio cosi da far ricadere la mano sulla nuca del marito, ricevendo quel bacio dolce, lento, seguito da carezze soffici che a mala pena le sfioravano la pelle. Castle l'aggirò staccando le loro labbra solo quando si ritrovarono uno di fronte all'altra. La donna si ritrovò poi a fissarlo dubbiosa, abbassando il capo e corrugando la fronte quando lo vide inginocchiarsi ai suoi piedi, prendendole i fianchi in entrambe le mani, avvicinando il viso al suo stomaco, sentendo poi le labbra morbide dell'uomo contro di quello. Chiuse gli occhi e gli passò una mano nei capelli godendosi quel gesto.

“Tu non lo sai”. Enunciò inclinando il collo all'indietro andando a fissarla. “Ma sei uno scrigno di cristallo che al suo interno custodisce il bene più prezioso del mio mondo”. La sua mano prese il posto occupato precedentemente dalla sua bocca, accarezzando ancora e ancora quel rigonfiamento. “E ho paura che anche il mio  più piccolo gesto possa rovinarlo, posso in qualche modo comprometterlo.”

“Stai cercando di aprirti?”. Le domandò Beckett inarcando un sopracciglio osservandolo con fare divertito mentre lui annuiva con il capo.

“Ci sto provando. Vado bene?”. Sogghignò trovandosi improvvisamente in imbarazzo, sentendosi le guance rosse mentre puntava ancora gli occhi contro di lei.

“Il bambino è al sicuro, ed è più forte di quanto tu immagini. Non devi avere paura”. Disse risoluta Beckett vedendo il volto dell'uomo farsi improvvisamente serio e inquieto.

“Si ha sempre paura delle cose che non si comprendono”.

La donna si morse il labbro inferiore e prese la mano di Castle nella propria, muovendola più in basso rispetto al punto dove lui aveva deciso di fermarsi.

“Nostro figlio si trova qui ed è piccolo quanto un fico eppure ha un cuore forte come quello del suo papa”.Gli ripetè le stesse parole che aveva letto su uno dei tanti libri sull'argomento, dandole un tocco proprio volendo rendere il più partecipe possibile il marito. “Ormai è quasi del tutto formato e comincia già a muoversi anche se non posso ancora sentirlo, ma accadrà tra poco. Un paio di mesi e lo sentiremo scalciare ma ancora prima scopriremo il sesso, già dalla prossima ecografia se vorrai”.

Castle spostò lo sguardo, andando a fissare il pavimento mentre valutava quella possibilità, facendo scorrere velocemente nella testa un elenco di pro e contro, se avere la sorpresa finale oppure prepararsi fin da subito. La curiosità però alla fine vinceva sempre. “Mi piacerebbe in effetti”.

“Io sto bene Rick”. Proseguì con un filo di voce, sempre guardandolo ancora inginocchiato, con la mano sotto la sua e l'altra posata ancora sul suo fianco. Non pote non sorridere al pensiero di quanto si sentiva venerata in quel momento. “Certo sono molto spesso stanca senza motivo, oppure piena di energie che nemmeno io so dove ho trovato. Comincio a dover scartare la maggior parte dei vestiti, e quando ne vado ad acquistare di nuovi passo la maggior parte del tempo a fissare le vetrine dei negozi per bambini. Senza dimenticare che ora mi piace ascoltare ogni aneddoto riguardo i figli degli altri agenti al distretto e molte volte riesco anche a commuovermi”. Beckett sospirò facendo spallucce e allargando le braccia rassegnata.

“Questa non è la me stessa che conoscevo eppure mi piaccio, adoro ogni cambiamento che sto vivendo, anche quelli che agli occhi degli altri possono sembrare negativi. Per me non lo sono, sono piccoli passi, piccoli sacrifici, che portano a qualcosa di meraviglioso.”. Ritrovandosi a deglutire a fatica la detective si abbassò di colpo inginocchiandosi di fronte a Castle, prendendo il suo viso tra le mani con fermezza, notando il suo sguardo confuso.

“Come fai a resistere?”. Le chiese lui accarezzandole una guancia, lasciando che le dita le sfiorassero i capelli. “A me mi si spezza il cuore ogni volta che vedo che non stai bene, che devi correre in bagno, che sospiri esausta, che rinunci a ciò che ti piace, e tutto per colpa mia”.

“Colpa di cosa? Di avermi dato ciò che volevo?”. Beckett posò entrambe le mani a terra e si mosse verso di lui vedendolo indietreggiare con la schiena, fino a che non si ritrovò costretto a mettersi seduto e poi disteso mentre lei gli si sdraiava sopra, sentendo ogni muscolo del suo corpo irrigidirsi quasi avesse paura.

“Non voglio fare l'amore con te”. Appurò il detective strizzando gli occhi e voltando la testa quando vide Beckett avvicinarsi per baciarlo. Non sentendola rispondere andò con cautela a sollevare una palpebra finendo subito a cozzare con i suoi occhi verdi che lo fissavano, ma non con risentimento come si sarebbe aspettato.

“L'avevo notato, ma credo di avere almeno il diritto di sapere perchè.”.

“Perchè c'è un bambino dentro di te. Voglio dire sei già una mamma ormai. Una mamma che vedo perfetta, pura, candida mentre il sesso è qualcosa si di bello ma è anche qualcosa di sporco, di selvaggio, e mi sembra di mancarti di rispetto nel desiderarti adesso”. Castle sgranò gli occhi quando vide la donna spalancare la bocca incredula, pentendosi all'istante delle parole appena pronunciante.

“Ma non credi che invece a me faccia piacere sentirmi desiderata, sopratutto in questo momento”. Ridacchiò Beckett andando a strizzare il lobo dell'orecchio tra le dita, tirandolo verso l'alto cosi da farlo sedere. “Prima di essere madre sono tua moglie e una donna, che ha dei bisogni, non dimenticarlo per favore”.

“Come potrei farlo. Solo ti chiedo di avere un po' di pazienza, di darmi il tempo di abituarmi alla presenza di questo piccolino. Tutto qui”. Beckett si accigliò pensierosa, ponderando sulle parole del marito, alla quale diede un leggero bacio sulla fronte prima di prenderlo tra le braccia facendogli posare la testa contro il suo petto. Castle le nascondeva qualcos'altro se lo sentiva, eppure per quella volta cedette, concedendogli il tempo necessario per metabolizzare la cosa prima di prendere la situazione in mano.


 

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Capitolo 16
*** 31 Ottobre: Le paure di Castle (parte 2) ***



Era un piovoso giovedi pomeriggio a New York. Una pioggia arrivata improvvisamente, crepando con le sue nuvole nere il cielo limpido che si era visto nelle prime ore della mattina. Castle estrasse dalla tasca esterna della giacca indossata una confezione di caramelle, lasciandone ricadere alcune sul palmo della mano prima di riportarle alla bocca. Si era fermato qualche secondo accanto alla vetrina di un negozio, approfittando della tenda da sole rimasta aperta per ripararsi. Si alzò il colletto dell'indumento stringendolo tra le dita prima di mettersi a correre agilmente tra la folla, evitando ombrelli e altri passanti temerari che come lui che ne erano sprovvisti. Costretto a fermarsi a causa di un semaforo rosso alzò lo sguardo verso l'imponente edificio che li si stagliava davanti, con tutte le sue vetrate che riflettevano il grigiore pallido della città rendendola ancora più triste agli occhi di chi aveva potuto goderne durante le calde giornate estive. Quando scattò il verde si ritrovò di nuovo a correre, pulendosi gli occhi con il palmo della mano fradicio, scostandosi dalla fronte i capelli appiccicati, preoccupato per qualche istante che quel suo gesto impulsivo avrebbe potuto causargli un raffreddore o ancora peggio un malessere che gli avrebbe impedito di partecipare alla festa organizzata per Halloween a casa di Esposito e Lanie.

 

Varcò velocemente la porta dell'edificio scrollandosi la giacca vigorosamente mentre salutava con un cenno del capo la guardia che stazionava all'ingresso, scambiando con lui alcuni commenti su quel tempaccio prima di congedarsi e recarsi verso l'ascensore. La musichetta che partiva ogni volta che le porte si aprivano l'aveva sempre irritato e quella volta non era stata da meno, a causa anche del suo umore altalenante. Si sfregò i capelli cercando in quel modo poco convenzionale di asciugarli, guardandosi nel riflesso della parete per aggiustarsi quella capigliatura, pizzicando con le dita alcune ciocche. Quando l'ascensore si fermò al piano richiesto scese velocemente da quello, camminando lungo i corridoi silenziosi osservando negli uffici adiacenti, attraverso le vetrate che fungevano da pareti. Tutti intenti a lavorare, a rispondere ai telefoni o a visionare documenti sui propri computer. Solo lui quel pomeriggio non stava svolgendo il proprio compito, avendo lasciato i colleghi ad occuparsi del caso da soli. In quel giorno non voleva occuparsi di nulla di negativo, era un giorno felice dopo tutto e non voleva rovinarlo.

“Ciao Chris”. Disse salutando la segretaria seduta dietro un enorme scrivania, appoggiandosi ad essa per poi allungare una mano nel ripiano sottostante cosi da andare a rubare una delle caramelle che la donna teneva sempre li per se. “Notizie da Cole?”. Domandò ritirando in tasca quel dolce mentre guardò per un istante verso la porta d'ingresso dell'ufficio del padre.

“Ah quel ragazzo mi farà penare”. Commentò lei sbuffando. “Ieri mi ha chiamato dicendomi che oggi sarebbe andato a fare rafting non so dove. Di certo questo spirito d'avventura l'ha preso da suo padre e non da me”.

“Andiamo ha finito gli studi con una bella valutazione, lascia che si diverta un po' ora”. Commentò Castle tamburellando con entrambe le dita contro il ripiano della scrivania vedendo la segretaria scrollare il capo.

“Vedremo se mi dirai queste stesse cose quando sarà tuo figlio a farle”.

“Mio padre è disponibile o ha qualche riunione?”. Domandò andandosi a togliere la giacca, appendendola con noncuranza ad uno degli appendini posti in un angolo della stanza, accanto a delle sedie sulla quale andò ad accomodarsi.

“Sta parlando con uno dei soci quindi dovrai aspettare un pò”.

“Non ho fretta”. Ribattè il detective occupando il tempo a leggere una rivista di motori presente sul tavolinetto.

Quando sentì le porte aprirsi era passata quasi mezz'ora e velocemente si alzò cosi da farsi vedere dal genitore, in modo che non si richiudesse nel proprio ufficio tornando irreperibile a causa del proprio lavoro. Alexander salutò con una stretta di mano e una pacca sulla spalla il collega prima di vedere il figlio in piedi a pochi metri da lui, aggrottando la fronte preoccupato non essendosi aspettato una visita da lui. Per esperienza sapeva che quando queste avvenivano Castle aveva sempre qualche problema di cui voleva parlare, avendo bisogno di consigli che solo una persona giudiziosa come lui poteva dargli.

“Richard, avanti vieni”. Lo invitò tenendogli la porta aperta cosi che lui potesse superarla, richiudendola dietro di loro dopo aver chiesto alla segretaria di non passargli alcuna telefonata fin quando il figlio fosse stato presente, non voleva essere disturbato.

“Che ci fai qui?”. Gli chiese andando al carrello degli alcolici per versarsi due bicchieri di schotch per se e per il figlio.

“Bhè stamattina hai avuto la visita di controllo voleva sapere com'era andata”. Spiegò dando le spalle al genitore per osservare al di fuori della finestra. Gli era sempre piaciuta quella vista, e aveva capito fin dall'inizio perchè Alexander avesse voluto proprio quell'ufficio invece di altri più spaziosi. Da li poteva vedere il ponte di Brooklin e il fiume Hudson, che gli davano un senso di quiete, di infinito, e non gli immensi grattacieli che lo facevano invece sentire in trappola.

“No grazie, sarei ancora in servizio a dir la verità”. Affermò rifiutando il bicchiere offertogli dal padre anche se la sua gola richiedeva qualcosa di fresco e forte da buttare giù. “Allora che ti hanno detto?”. Insistette andando ad accomodarsi su di un divanetto in pelle nera.

“Che tutto sommato sono in forma anche se continuano a ripetere che dovrei diminuire lo stress ma non hanno idea del lavoro che svolgo”. Enunciò andando a scolarsi il bicchiere che si era versato, posando quello del figlio di nuovo sul tavolinetto.

“Magari dovresti diminuire, o ancora meglio, cessare il consumo di quelli”. Disse Castle indicando le varie bottiglie di alcolici, molte delle quali ridotte ormai a meno della metà.

“Tranquillo, sono li solo per fare scena e per aver qualcosa da offrire agli investitori quando vengono qui”. Alexander prese una delle sedie e la voltò verso il figlio cosi da sistemarsi di fronte a lui, tenendo sempre il bicchiere tra le mani facendolo roteare cosi da riempire la stanza con il flebile tintinnio dei cubetti di ghiaccio al suo interno.

“Non sei qui solo per sapere della visita, di certo tua madre ti avrà già spiegato tutto. Perciò perchè sei qui?”.

“Durante la pausa pranzo siamo andati a fare un altra ecografia”. Appurò grattandosi il naso tossicchiando nervoso mentre con una mano andava inconsciamente a toccarsi la tasca interna della giacca, sperando che la pioggia presa non l'avesse rovinata.

“C'è qualcosa che non va?”. Domandò Alexander preoccupato da quella pausa improvvisa del figlio, appoggiandosi contro il proprio ginocchio sporgendosi verso di lui.

“é un maschio” . Parlò lasciando che un sorriso gli increspasse le labbra, ritrovandosi a sfregare le mani sudaticce contro i pantaloni umidi.

“Bhè è una bellissima notizia no?”. Asserì euforico il genitore battendo le mani l'una contro l'altra. “Devo ammettere che avevo sperato in un nipotino. Per esperienza ti posso dire che crescere un maschio da meno preoccupazioni che crescere una bambina.”

“Non sono pronto papa”. Ammise Castle aprendo le gambe, andando a posare i gomiti sulle ginocchia inarcando la schiena, abbassando il capo nascondendoselo tra le mani. “Quando la dottoressa ci ha detto che era un maschio ho avuto paura, ho cominciato a tremare, a sudare, ma fortunatamente Kate ha pensato che fosse per l'emozione ma non era cosi”.

“Tutti hanno paura delle responsabilità di cui dovranno farsi carico, è una cosa normale, ti stai solo preparando alla nuova vita che dovrai affrontare”. Cercò di consolarlo Alexander, vedendolo fragile davanti a se, con gli occhi spenti e lo sguardo vuoto. “Che succede Rick?”. Castle deglutì a fatica voltando la testa, andando a fissare la parete anonima dell'ufficio.

“Sento il peso del mio passato sulle spalle.”. Esordì sbattendo lentamente le palpebre, andando a giocare nervosamente con il cinturino dell'orologio. “Pensavo fosse tutto finito, erano anni che ciò che ero non mi tornava alla mente, ma oggi mi ha colpito come un pugno nello stomaco.”. Prese fiato il detective mentre il padre lo ascoltava ancora seduto sulla sedia. A Castle sembrava di esser tornato davanti al proprio psicologo, non vedeva più il genitore ma lui davanti a se, seduto ad osservarlo, a studiarlo, ad analizzarlo mentre lui si sforzava di parlare, di liberarsi da quel macigno che gli impediva di respirare.

“Mi sono chiesto, e mi chiedo tutt'ora, che tipo di padre può essere un uomo che nella sua vita ha ucciso quasi cento persone? Come può insegnare a suo figlio cosa è giusto o sbagliato quando lui stesso non ne capiva la differenza? Che esempio posso essere per lui?”. L'uomo socchiuse gli occhi lasciandosi ricadere contro lo schienale della sedia, lasciando che le braccia gli penzolassero lungo i fianchi e le mani oltre il divano, fiacco, esanime.

“Pensi davvero che il passato abbia tutta questa importanza?”. Gli domandò Alexander slacciandosi la cravatta che sentiva stringergli in una morsa il collo, quasi potesse provare anch'egli la stessa difficoltà del figlio a respirare. “Pensi davvero che un giorno tuo figlio ti possa giudicare per ciò che hai fatto?”.

“Penso che potrebbe vedermi con occhi diversi. Che potrebbe avere paura di me, di quello di cui sono capace”. Castle sollevò le palpebre e fissò il soffitto, chiedendosi come avrebbe potuto spiegare il suo lavoro a un bambino, a un ragazzo.

“Potresti sempre non dirgli del tuo passato a Los Angeles, o meglio ancora dirgli ciò che hai sempre detto a noi, che eri un detective della omicidi anche li e non un'agente dell'fbi”. Castle ridacchiò alle parole del padre, infastidito dal fatto che l'avesse creduto cosi stupido, come se non avesse pensato a quell'eventualità.

“Ho già mentito troppo nella mia vita, sopratutto alle persone che amavo, che amo, e sono stanco di farlo. Dovrei rimettermi in faccia quella maschera che ora odio e per di più dovrei farlo con mio figlio.”. Alzò la voce il detective rimettendosi in piedi, infossando le dita sul divano cosi forte che anche diversi secondi dopo che l'aveva lasciato si poteva ancora intravedere la sua impronta.

“Costringerei Kate, voi, i miei amici a fingere, a nascondere un qualcosa di cui porterò per sempre i segni sul mio corpo”. Disse stizzito toccandosi la cicatrice all'altezza dello sterno, quella che lui stesso non aveva voluto camuffare per non dimenticare quella parte della sua vita, quel suo essere stato, per non esserlo più in futuro.

“Eppure tu mi consigli di mentirgli. Mentirgli e sperare che il mio passato non venga mai rivelato, che lui non lo scopra mai. Oppure confessargli tutto a tempo debito e sperare che non veda in me solo un omicida?”. Sbuffò passandosi le mani nei capelli, sentendo le gocce d'acqua infiltrarsi tra le dita, cadendogli di nuovo sulla fronte e sul collo, fino a scomparire dentro la camicia.

“Perchè ti fai di questi problemi già ora Richard. Passeranno almeno dieci anni prima che tu ti senta costretto ad affrontare questa situazione”. Sorrise con difficoltà Alexander mentre seguiva con gli occhi il figlio nel suo pellegrinaggio attorno alla stanza, passando da un capo all'altro, sfiorando tutto ciò che gli capitava a tiro, soffermandosi a leggere i titoli dei volumi presenti nella libreria o i riconoscimenti appesi al muro. Il vecchio Castle si ritrovò ad affliggersi per il figlio e per la sua incapacità di lasciarsi andare, di godere dei momenti felici senza pensare a tutto ciò che potesse rovinarli, essendo lui stesso il più delle volte la causa della loro rovina.

“Perchè è un maschio papa. É questo che mi tormenta”. Confessò il detective sfregandosi il volto, dirigendosi vero il carrello dei liquori a riprendere il bicchiere di schotch preparato in precedenza dal genitore, andando contro le regole e bevendolo tutto d'un fiato.

“Non vedo cosa ci sia di male...”. Cominciò a dire Alexander non seguendo il discorso dell'uomo.

“Perchè potrebbe essere come me”. Lo interruppe alzando nuovamente la voce, stringendo tra le dita quel bicchiere fino a farsi venire le nocche bianche. “E non dirgli ciò che ero mi sembra solo il modo migliore per spianargli la strada per diventare quell'insensibile, calcolatore, crudele assassino che ero io”. Continuò fermando quell'impulso che gli diceva di lanciare il bicchiere contro la parete, di rovesciare tutto ciò che aveva attorno solo per far cessare quelle voci nella testa.

“Non voglio che sia come me”. Sospirò debolmente andando ad appoggiarsi contro la scrivania, fissando all'interno di quel bicchiere vuoto, arido come sentiva il proprio animo in quel momento. “Non mi perdonerei mai se facesse soffrire Kate come io ho fatto soffrire voi”.

“E pensi che raccontandogli la verità tu possa impedirgli di fare ciò che hai fatto tu?. Non funziona cosi Rick. Non basta che dici a tuo figlio di non fare certe cose per impedire che si realizzi un futuro che non vuoi per lui. Tu stesso ne sei la prova”. Roteò il busto Alexander cosi da mantenere quel contatto visivo, studiando il figlio che gli sembrava divenuto improvvisamente cosi assente, pentito di aver rivelato quei suoi pensieri.

“Cosa dovrei fare allora?”. Sussurrò il detective tenendo le iridi incollate sul bicchiere, andando solo in fine a guardare il padre con un espressione malinconica. Perchè doveva essere cosi? Perchè doveva sempre trovare il marcio in ogni cosa?.

“Nulla, assolutamente nulla. É inutile pianificare adesso le cose. Viviti al meglio questo periodo e solo quando sarà il momento, solo all'ora, deciderai cosa fare”.

 

Dopo aver lasciato l''ufficio del padre Castle si diresse subito a casa sapendo che a quell'ora Beckett era già tornata dal distretto, sia per non stancarsi troppo, sia perchè quella sera avevano un altro impegno.

“Ehi ciao straniero”. Lo salutò cosi Becketti vedendolo comparire da dietro la porta, abbandonando accanto a se sul divano la rivista che stava leggendo. “Mi sa che non dovrò lasciarti più permessi per uscire prima dal lavoro, stai approfittando troppo del fatto che sono il capitano”. Lo canzonò sorridendo mentre lui si toglieva la giacca lasciandola appesa alla maniglia dello sgabuzzino per farla asciugare del tutto.

“Andiamo è stata solo questa volta, e c'era un buon motivo sotto”. Castle si mosse verso di lei afferrando la camicia tra le dita cosi da toglierla da dentro i pantaloni, sollevando poi le maniche fino ai gomiti cominciando a sentire la differenza di temperatura interna rispetto quella esterna.

“Come sta tuo padre?”. Gli domandò Beckett rimanendo seduta sul divano, distendendo le gambe sul tavolinetto e allungando una mano verso di lui cosi da richiamarlo a se.

“Bene, anche se sta riprendendo le sue vecchie abitudini”. Ribattè con una smorfia l'uomo prendendo posto accanto a lei, posando velocemente le mani sul suo ventre nascosto sotto un dolce vita grigia.

“Credo di averlo sentito muoversi quando ero al distretto”. Asserì Beckett serrando le labbra in un sorriso imbarazzato mettendogli una mano sopra la testa mentre Castle si abbassava per baciarla all'altezza dell'ombelico. “È stata una sensazione strana, come se qualcuno mi facesse il solletico o mi sfiorasse la pelle.”

Il detective alzò gli occhi andando a incontrare quelli della moglie mentre la sua mano ancora stazionava sul fianco di lei, immobile, tesa, come si sentiva lui.

“Ogni giorno diventa sempre più reale”. Continuò Beckett mentre gli occhi dell'uomo tornarono a scontrarsi con l'ormai ben visibile rigonfiamento. Una parte di lui voleva sentire i movimenti di suo figlio contro il palmo della sua mano ma quando ciò non avvenne tirò un respiro di sollievo. Il sentirlo, proprio in quel momento, avrebbe peggiorato solo il suo stato d'animo, aumentandogli i pensieri, le preoccupazioni che già gli ronzavano per la testa da giorni e che dopo l'ecografia erano diventate sempre più concrete. Adorava già quel bambino e non vedeva l'ora di incontrarlo, di tenerlo tra le braccia, eppure quella piccola possibilità che potesse un giorno seguire le sue orme gli bastava per gettarlo nello sconforto.

“Sii chi vuoi nella vita ma non essere me”. Disse nella propria mentre appoggiando la fronte contro la pancia di Beckett, volendo trasmettere quel pensiero, quella preghiera, al figlio.

“Stai bene?”. Domandò preoccupata la donna accarezzandogli i capelli, facendo scorrere una mano tra quelli scendendo poi lungo il collo, fin sotto la sua camicia, sentendo il calore della sua schiena.

Castle appoggiò entrambe le mani sul divano, accanto ai fianchi della moglie, e si tirò su con il busto andandola a baciare per fermare le proprie congetture, per impedirle di porgli altre domande. L'intensità di quel bacio la colse impreparata. In quelle settimane Castle era stato attento a non rendere troppo impudiche le loro effusioni, si tratteneva nei baci cosi come nelle carezze, più concentrato nel frenarsi che nell'atto in se. Quella volta era diversa però, quel bacio sembrava l'ultimo appiglio che lo tenesse lucido e Beckett voleva approfittarne finchè ne aveva l'occasione. Avrebbe avuto modo in seguito di chiedergli il perchè di quel suo rifiuto di risponderle. Si sentì scoppiare il cuore sdraiandosi sul divano, sentendolo muoversi con lei mentre lo tirava per il colletto della camicia, attento a non schiacciarla tendendosi sollevato infossando le braccia nel cuscino e sopra lo schienale di quel mobile. Da quanto non riusciva a sentire il sapore e la morbidezza delle sue labbra?, erano ormai divenuti ricordi lontani che finalmente stavano riaffiorando, come un brivido che nasce nella schiena, che sale lentamente verso il cervello prendendone possesso, eliminando da quello ogni altra sensazione se non quella provocata da lui.

I suoi baci proseguirono lungo tutta la sua mascella fino al suo collo, rifacendo poi quel percorso al contrario per rincontrare la sua bocca. Il detective aprì gli occhi e andò a fissarla mentre si muoveva su di lei, sistemandosi meglio tra le sue gambe, assicurandosi che il proprio petto non schiacciasse la sua pancia.

“é tutto a posto”. Lo rassicurò Beckett posando un gomito sul divano cosi da sollevarsi per unire di nuovo le loro labbra mentre lo teneva fermo al suo posto cingendogli il collo con la mano libera.

Castle chiuse di nuovo gli occhi ma invece di vedere la moglie si ritrovò di fronte immagini confuse che lo costrinsero a staccarsi di colpo sotto lo sguardo confuso della moglie.

“Non mi importa arrivare tardi alla festa”. Disse Beckett pensando che fosse quello il motivo per cui si era fermato. “Per me possiamo anche non andarci”.

“E togliermi la possibilità di vederti in quello splendido vestito”. Asserì Castle cercando di sorridere mentre si muoveva da sopra di lei per scendere dal divano, portandosi le mani sulle reni mentre inclinava all'indietro la schiena facendo scrocchiare diverse ossa.

“Coraggio andiamo o Lanie non ce lo perdonerà”. Beckett strinse i pugni e si morse le labbra rilasciando un gemito sommesso mentre il marito già si dirigeva su per le scale con l'intenzione di prepararsi per la serata.

“Abituati al fatto che tua madre abbia insani desideri di stringere le mani attorno al collo di tuo padre. É una cosa che capiterà spesso”. Disse la donna tra se e se accarezzandosi la pancia prima di alzarsi dal divano per raggiungere Castle.

 

“E io che quest'anno avevo pensato di vestirmi da angelo”. Disse Beckett scendendo dalla macchina aiutata dal marito mentre si aggiustava la maglietta nera al cui centro vi era disegnata una grossa palla da baseball che le ricopriva tutto il ventre.

“Pff angelo”. Commentò l'uomo sistemandosi il cappellino blu e la mazza da baseball sopra le spalle. “Tanto angelo non sei stata se no non ti saresti ritrovata in questa situazione”. Ridacchiò ricevendo un buffetto sulla nuca da parte della donna che gli fece volare via il cappello.

“Dai meglio essere una palla da baseball e il suo battitore che una mucca e il contadino come avevo suggerito la prima volta”. Insistette Castle ricevendo un occhiataccia dalla moglie che intanto si era messa a suonare il campanello per annunciare cosi il loro arrivo.

“Se fossi in te non scherzerei troppo. Ormoni o no troppo spesso ultimamente mi chiedo come ho fatto a sposarti”.

 

Seppur la serata stesse procedendo nel migliore dei modi Beckett non riusciva a divertirsi come avrebbe voluto, tanto meno riusciva a prestare particolare attenzione ai discorsi delle amiche, dando più volte la colpa alle distrazioni causate dal piccolo Colin, che vestito da elfo, le riposava in braccio. I suoi occhi più volte andavano a cercare la figura del marito che si aggirava per la casa alla ricerca di più e più persone con cui chiacchierare, portando con se Ryan cosi che anche altri potessero divertirsi con lui a prenderlo in giro per il suo vestito da leprecauno che cosi tanto richiamava le sue origini irlandesi.

“Tutto a posto Kate?”. Le domandò Jenny prendendo posto accanto a lei sul divano. “Se sei stanca di tenere in braccio Colin non hai che da dirlo”. Le sorrise amichevolmente mentre andava ad accarezzare la nuca del proprio figlio che si rilassò a quel tocco ormai famigliare.

“No no, mi piace averlo qui, devo far pratica dopo tutto”. Scherzò la detective cominciando a far dei versetti al bambino mentre muoveva un dito contro la sua mano cosi che lui l'afferrasse.

“Jenny posso farti una domanda?”. Domandò la detective osservando l'amica solo con la coda dell'occhio, non andando a incontrare il suo sguardo perchè sapeva bene che l'imbarazzo l'avrebbe fermata dal chiedere.

“Ryan ti è mai sembrato come distaccato durante la gravidanza?”. Una parte di lei ebbe paura che la bionda potesse mal interpretare quella sua domanda, immaginando un Castle insensibile e disinteressato a quanto stava accadendo e quando la vide cercare l'uomo in questione i suoi dubbi divennero quasi certezze. “Non che Rick lo sia sempre, anzi è raro che accada, sarà successo qualche volte fino ad ora. Però quando accade diciamo pure che ci sto male anche se so che anche lui è felice del bambino”. Andò subito a spiegarle non volendo di certo cambiare l'opinione dell'amica sul detective.

“Ah questo lo so. Più volte Kevin mi ha raccontato che Richard l'aveva tempestato di domande riguardo il fare il padre.”. Confessò Jenny incrociando braccia e gambe non riuscendo a trattenere uno sbadiglio. “Quindi credo solo che si trovi in difficoltà a esprimere le sue emozioni. Ammettiamolo non è mai stato un suo punto di forza.”. Ridacchiò la donna senza staccare gli occhi dall'amica che ora stava cullando più dolcemente Colin che poco a poco stava crollando nel mondo dei sogni.

“Credo che abbia paura Kate”. Disse improvvisamente la signora Ryan cogliendo di sorpresa Beckett che si voltò a guardarla sgranando gli occhi. Cosa voleva dire che aveva paura? E di cosa poi?.

“In che senso?”. Chiese spiegazioni voltando lo sguardo verso il marito che si stava godendo una bottiglia di birra insieme ai colleghi.

“Kevin un giorno è tornato a casa dicendomi che Richard gli aveva fatto un discorso strano, ma ti parlo di qualche settimana fa se non sbaglio”. Cercò di ricordare pensierosa Jenny grattandosi la nuca e inclinando il collo mentre alzava le iridi verso il soffitto.

“Un discorso di che tipo?”. Insistette Beckett senza mai staccare gli occhi dal marito che, come se sentisse il loro peso su di se, si voltò incrociando il suo sguardo, notando la sua espressione ferita.

“Sull'eventualità che questo bambino non sia come desideri. Richard ha detto a Kevin che ogni tanto immaginate come potrà essere vostro figlio e a quanto pare tuo marito ha paura che possa essere totalmente diverso e che tu ne rimanga delusa”.

“Dimmi che stai scherzando? Che non ha detto nulla del genere?”. Quasi la supplicò voltando il busto verso di lei, porgendole il bambino non più sicura della presa salda delle sue mani, si sentiva improvvisamente molle, fiacca. Come poteva Richard pensare a una cosa simile. Che lei potesse veramente rimanere amareggiata se il bambino non fosse diventato quello perfetto che avevano scherzosamente descritto. Non le importava di come sarebbe stato, poteva essere anche totalmente diverso dalle sue macchinazioni, non le importava, era loro figlio questo già lo rendeva speciale.

“é quello che ho pensato anche io. Avevo dato la colpa a Kevin dicendo che probabilmente non aveva capito lui il senso del suo discorso”. Disse Jenny abbassando la voce mentre prendeva tra le sue braccia il figlio, accostandolo al seno dove lui aggrappò il vestito con le piccole dita.

“Mi sa che ho aumentato l'intensità dei tuoi dubbi”. Strizzò gli occhi colpevoli la bionda notando una nuova luce negli occhi dell'amica che l'andò prontamente a consolare.

“No. Mi hai dato solo il coraggio di parlargli come dovevo fare tempo fa”.

 

Lasciarono la festa relativamente presto dato che Beckett cominciava ad accusare i sintomi della stanchezza dovuti all'intensa giornata che stava per concludersi. Per tutto il viaggio in macchina si era sforzata di non dire nulla, di attendere di arrivare all'appartamento prima di cominciare il discorso, lasciando che fosse Castle a occupare quei minuti che li dividevano dalla propria abitazione raccontando ciò che si erano detti loro uomini e di tutte le prese in giro che aveva dovuto subire il povero Ryan.

“Devi essere proprio stremata. Nemmeno mi hai ripreso per quelle battute che ho fatto a Kevin”. Notò Castle mentre le teneva aperta la porta di casa cosi da lasciarla passare per prima, muovendosi dietro di lei in modo da aiutarla a togliere il giubbotto per poi sistemarlo nello sgabuzzino insieme al proprio mentre lei camminava verso la sala massaggiandosi le meningi.

“Perchè parli con Ryan delle tue paure e non con me?”. Domandò girandosi sui tacchi studiandolo con un aria spazientita e stanca. “Hai davvero paura che nostro figlio non sia come lo immaginiamo? É per questo che a volte, quando parlo di lui, tu ti estranei?. Ti prego dimmi che non è per un motivo cosi stupido”. Beckett lasciò cadere le braccia lungo i fianchi, sentendo il peso dei propri vestiti schiacciarla, con la testa che le scoppiava, perchè non riusciva più a comprendere l'uomo che amava, perchè non riusciva a capire cosa si nascondeva dietro quei suoi silenzi.

“Non è un per un motivo cosi stupido”. Gli fece da pappagallo Castle togliendosi il capellino da baseball che ancora indossava, lasciandolo scivolare dalle dita fino a che non cadde a terra accanto ai suoi piedi.

“Allora mi vuoi dire che succede. Perchè un giorno sei tutto pimpante di andare a vedere la cameretta per il bambino e il giorno dopo solo a sentirlo nominare ti agiti, facendo di tutto per lasciar cadere l'argomento? ”. La donna fece alcuni passi in sua direzione, fermandosi di colpo quando lui alzò gli occhi incontrando i propri. Le sue iridi erano diventate improvvisamente spente e gli occhi sembravano infossati dentro loro stessi.

“Sei stanca ed è tardi. Ne parliamo domani”. Disse Castle prendendola per un braccio spingendola delicatamente verso le scale invitandola a dirigersi verso la loro camera ma Beckett era di tutt'altro avviso e con un gesto di stizza si liberò dalla sua presa.

“Ed ecco che lo fai di nuovo, peccato che io ne voglio parlare ora”. Beckett si mise in assetto da combattimento, pronta a tenergli testa, incrociando le braccia al petto cominciando a battere con un piede contro il pavimento, mostrandogli tutta la sua impazienza. “O adesso o quando mi verrai a prendere a casa dei miei genitori perchè è li che starò fin quando non mi dici che ti succede”. Attese qualche istante una sua reazione ma questa non venne. Castle rimaneva immobile e spaesato a fissarla, senza muovere un muscolo, osservandola come un cane bastonato che chiedeva pietà, che supplicava di essere liberato da quel tormento.

“Sono stanca dei tuoi segreti”. Sospirò passandosi una mano nei capelli chiudendo gli occhi, sforzandosi di non far vincere le emozioni e mostrarsi ancora più debole e fragile di quanto si sentisse. “Forse qualche giorno lontano ti farà capire che non ne vale la pena”.

“Dove vai?”. Le domandò facendo un passo in avanti allungando al contempo il braccio destro verso di lei come per trattenerla li nella sala.

“A far la valigia”. Ribattè infastidita Becket salendo le scale, camminando rasente al muro, facendo scivolare le dita sulla sua parete ruvida.

“Aspetta ti prego”

“Ti ho aspettato Rick, sono settimane che ti aspetto.”. Fece notare lei fermandosi a metà delle scale, serrando le labbra stringendo le mani in pugno. Andò a fissarsi la pancia sentendo una voce dentro di lei che le diceva di non continuare, di andare in camera a riposare, che quella situazione che stava creando non faceva bene ne a lei ne al bambino, eppure non era cosi che voleva che finissero le cose, non si sarebbe arresa, non quando si trattava di lei e Castle. “Ho aspettato pazientemente che tu non mi vedessi più come un rametto sottile pronto a spezzarsi in ogni momento, ho atteso che comprendessi quello che mi sta succedendo, che vedessi nostro figlio per quello che è, un bambino, e non un qualcosa pronto a scomparire al tuo tocco. Pensavo avessimo superato tutto questo eppure ecco che si aggiungono altre cose solo perchè tu non me ne vuoi parlare”. Beckett sentì una lacrima scenderle lungo la guancia e subito andò a raccoglierla con le dita, levandola dalla vista del marito, non era la sua pietà che voleva.

“Io ti amo e ti ritengo un marito meraviglioso, sempre attento ai miei bisogni, ma ultimamente, troppo spesso, accadono cose che non vorrei vedere e non saperne il motivo mi fa soltanto stare male.”. Proseguì compiendo un passo verso di lui, lui che non si era ancora mosso, che non aveva fatto nulla per far valere le proprie ragioni. Beckett cercò di ragionare distaccata, di immaginarsi davanti a uno dei propri sospettati, di nascondere l'amore che provava per Castle cosi da studiarlo meglio. Però, per quanto si sforzasse, non ci riusciva, vedeva sempre davanti a se quel viso che avrebbe voluto ricoprire di baci, quelle braccia da cui voleva essere rassicurata. “Voglio solo sapere la ragione che ti impedisce di essere quella persona sempre, perchè quel paio di sere a settimana ti chiudi nel tuo mondo e mi lascia sola. Vuoi i tuoi spazi? D'accordo sono più che disposta a darteli per quello che fai per me, ma almeno dimmi che le cose stanno cosi, dammene la conferma”. Disse ancora mantenendo una calma che colpì lei stessa, riuscendo a trattenere la rabbia e il dolore che però le stavano attanagliando il cuore. Quando lo vide aprir bocca per un attimo credette di averlo finalmente convinto, ma la sua gioia duro pochi secondi perchè l'uomo non emise nemmeno il più flebile dei suoni.

“Perchè dobbiamo sempre arrivare a questo punto Castle”. Affermò facendo per voltarsi in direzione del piano superiore, bloccandosi per guardarlo ancora una volta, per venir ferita dal suo silenzio ancora una volta. Era stanca, esausta, e alla fine gli diede le spalle e salì le scale per dirigersi in camera da letto.

“Riesci a farmi odiare il mio stesso cognome quando lo pronunci in quel modo”. Fu l'unica cosa che riuscì a dire l'uomo, rimanendo fermo in mezzo alla stanza, guardando ancora le scale da dove sapeva Beckett non sarebbe tornata, fermo sotto il peso del proprio essere che lo stava schiacciando. Lentamente si diresse verso il divano sulla quale si lasciò cadere, mettendosi seduto a peso morto, andando con fatica a slacciarsi i bottoni del costume che ancora indossava. Uno dopo l'altro rivelando la cicatrice a forma di S sul suo petto, avendo come l'impressione che questa si ingrandisse sotto il suo sguardo.

“Questa è l'unica cosa che ti sei realmente meritato nella vita”. Commentò fra se e se lasciando che lo sconforto prendensse possesso del suo cuore e della sua mente.

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Chiedo scusa se il capitolo finisce un pò cosi, senza una reale conclusione. In realtà ho dovuto tagliarlo in due parti se no veniva eccessivamente lungo e noioso da leggere. La prossima parte arriverà in breve tempo.

 

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Capitolo 17
*** 31 Ottobre: Le paure di Castle (parte 3) ***


 

Diverse ore dopo passate a pensare al niente Castle decise di muoversi, sentiva tutto il proprio corpo indolenzito, con la testa che stava in una condizione ancora peggiore. Si diresse su per le scale, senza sapere cosa dire, voleva solo stendersi accanto alla donna che amava e dimenticarsi quella serata. Dormire tra le sue braccia, sentendo il suo calore e il suo profumo che lo accompagnavano nel mondo dei sogni, togliendogli quella sensazione di freddo che si sentiva fin dentro le ossa. Guardò sotto la porta notando che la luce della camera era ormai spenta, segno che Beckett non l'aveva aspettato, che forse si era arresa, che per quella sera tutto era finito, ma quando fece per abbassare la maniglia notò che questa scattava a vuoto. La porta era stata chiusa a chiave, dopo tutto doveva immaginarselo. Tenne una mano sulla maniglia mentre l'altra la posò sulla porta accanto alla propria fronte, cercando di percepire anche il minimo suono proveniente dall'interno.

“Kate sei sveglia?”. Domandò con voce rotta bussando leggermente, attendendo qualche secondo per vedere se la moglie gli avrebbe risposto. Per qualche istante pensò si fosse addormentata, ma ormai la conosceva bene e sapeva che, nonostante tutto, non avrebbe mai preso sonno in una situazione simile.

“Non ho difese per il mio comportamento”. Farfugliò nel silenzio della notte, lasciando che le sue parole giungessero fin dalla donna, chiudendo gli occhi immaginandola distesa sotto le coperte, stringendole tra le dita, nascondendo dietro di esse gli occhi gonfi.

“Solo tante scuse, tante inutili scuse. Ho pensato erroneamente che potessimo andare avanti cosi, che potessi farmi carico io da solo dei miei dubbi, delle mie paure, dimenticandomi che tu non me l'avresti mai permesso. Ma ti giuro che non ho detto nulla solo perchè non volevo aumentare le tue preoccupazioni, volevo solamente che fossi serena”. Beckett girò lievemente il capo verso la porta, tendendo l'orecchio per captare ogni sua parola sussurrata. Si mosse sotto le coperte cercando di non far rumore, di non fargli capire che in realtà era sveglia, correndo il rischio di farlo fermare, di non fargli finire quella confessione appena cominciata.

“A volte mi viene da pensare ai nostri genitori, o meglio ai nostri padri,alla figura che sono stati per noi, all'importanza che hanno avuto per noi, a come hanno influenzato ogni nostra scelta”. Castle trattenne il fiato per diversi secondi, rilasciandolo poi lentamente mentre andava a passarsi una mano sulla bocca, sentendosi completamente sudato a causa della pressione che si sentiva addosso.

“E non posso fare a meno di paragonarmi a loro, chiedendomi se sarò alla loro altezza, ed è li che mi cade il mondo addosso”. Beckett andò a fissare la porta proprio come se davanti a se ci fosse l'uomo, incredula di quanto avesse appena sentito. Scostò le coperte da se e appoggiò i piedi a terra, raccogliendo la leggera vestaglia che giaceva a terra, indossandola con un movimento rapido mentre compiva diversi passi verso di lui.

“Penso a che tipo di padre sarò, faccio congetture di ogni tipo, ma ogni volta che accade, il mio passato e il mio presente entrano in contrasto, e per quanto mi sforzi a far prevalere chi sono oggi sento quella parte di me ancora viva.”. Il detective per un istante ebbe l'impressione che la maniglia della porta si stesse abbassando, che la chiave stesse girando nella serratura, e cosi attese trattenendo anche il fiato, sperando di vederla aprirsi davanti a se, di specchiarsi di nuovo negli occhi verdi della moglie, ma alla fine fu tutto frutto della sua immaginazione.

“Non posso più mentire a me stesso, a te. Non sono cambiato Kate, e quanto successo con il russo lo dimostra. Ho solo nascosto la mia natura, aspettando la scusa migliore per poter indossare di nuovo quella maschera.” Castle fece ciondolare la testa contro la porta non sapendo nemmeno lui dove portava il discorso che aveva cominciato, non sapendo nemmeno quale sarebbe stata la sua prossima parola. Beckett invece se ne stava davanti alla porta, con un braccio posato sopra il proprio ventre e l'altro proteso verso il volto cosi da formare un angolo retto con gli arti superiori. Si mordeva un unghia per non parlare, dopo tutto cosa sarebbe servito farlo in quel momento, solo a bloccarlo e costringerlo a rimandare quel confronto in un momento successivo e non potevano permetterselo, non ora che si trovavano a metà strada.

“L'altra notte ho avuto un incubo, è successo quando mi hai trovato addormentato la mattina dopo sul divano”. La donna ripensò a quel momento. Non l'aveva sentito svegliarsi durante la notte, e si era accorta della sua assenza solo una volta aperti gli occhi al suono della sveglia. L'aveva poi trovato in sala, addormentato ma con un espressione sofferente, dovuto a un sonno agitato a cui non aveva dato alcuna spiegazione, almeno fin quel momento.

“Sognavo di tenere in braccio nostro figlio, di tenerlo saldo contro di me mentre lo coccolavo. Poi d'un tratto ho visto le mie mani sudare sangue, dei piccoli rigagnoli che andavano via via ad allargarsi finchè non ne fui completamente intriso. La cosa peggiore è che le gocce di quel sangue cadevano sul bambino ed era come se la sua pelle le assorbisse e i suoi occhi divennero improvvisamente vuoti”. Castle ebbe un brivido che gli fece stringere ancora più stretti i pugni, conficcandosi le dita nel palmo della mano mentre combatteva quel conato che gli saliva dallo stomaco.

“Quel sogno mi ha ricordato ciò che abbiamo negato in ogni modo. Sono un assassino Kate, mio figlio avrà come padre un assassino. Un uomo che uccideva nascondendo le sue vere motivazioni dietro al proprio lavoro, ma in realtà sappiamo che lo facevo perchè mi piaceva. “. L'uomo si sentì la gola completamente secca, provando dolore semplicemente parlando mentre ancora si accasciava contro la porta, aggrappandosi a quel sostegno immaginandosi tra le braccia della moglie.

“Negli ultimi tempi ho come la sensazione che quella parte di me malata, corrotta, abbia in qualche modo lasciato il mio corpo per trasferirsi in quello di nostro figlio e ho paura, che in futuro, io non riesca ad insegnargli ad affrontare quei mostri che gli si potrebbero creare nella mente.”. Beckett schiuse la bocca provando nel petto lo stesso dolore che in quel momento sentiva anche il marito, con le mani tremanti che si stringevano sopra il proprio ventre, volendo proteggere il proprio bambino da quelle parole, come se potessero ferirlo fin da quel momento.

“Che aumentino come successe a me e possano farlo diventare un giorno ciò che ero io.”. Castle chiuse gli occhi sentendo una lacrima formarsi dentro di essi, rimanendo appesa sulle sue ciglia, sforzandosi per impedirle di manifestare cosi la sua sofferenza, non volendola sentire scenderle lungo la guancia lacerandogli la pelle come una lama.

“Non so come proteggerlo da me stesso Kate, vorrei solo cancellare quella parte della mia vita ma non posso.”. Si staccò dalla porta ormai avendo perso quasi la speranza di vederla aprirsi, forse Beckett dormiva sul serio e non aveva udito nulla di quanto lui le aveva confessato con cosi tanta difficoltà. Fece qualche passo indietro fino a che non sentì la propria schiena contro il muro, lasciandosi scivolare su di esso fino a ritrovarsi seduto per terra.

“Ogni volta che mi dici che speri che possa assomigliare a me sento come una coltellata al cuore perchè io non voglio che sia come me. Ho abbandonato la mia famiglia e sono tornato solo perchè costretto, perchè il mio egoismo ha vinto anche sul senso della logica, portandomi ad affrontare Stark, solo per dimostrarmi il migliore.”. Beckett non sapeva che pensare, che dire, avrebbe voluto ora più che mai aprire quella porta, prenderlo tra le braccia e dirgli che tutto sarebbe andato bene. Sapeva però che non sarebbe bastato quello al marito per far cessare quelle sue paure, sarebbe stato solo un mero placebo che avrebbe solo posticipato quel confronto.

“Non voglio che il nostro bambino sia cosi, non voglio vedere nei tuoi occhi la stessa espressione che aveva mia madre ogni volta che tornavo a Los Angeles, non voglio sentire la tua voce rotta come la sua quando credeva che quella sarebbe stata l'ultima volta che ci saremmo visti. Non voglio darti un figlio per poi portartelo via avvelenato dalle mie stesse ambizioni”. Castle distese le gambe davanti a se, lasciando che le braccia gli ricadessero a peso morto lungo i fianchi mentre lui osservava fuori dalla finestra posta alla fine del corridoio.

“Come potrò essere un buon padre se non sopporto già da ora l'idea che il sangue del mio sangue possa essere come me?”. Beckett sfiorò la maniglia della porta per poi levare la mano come se quel pezzo di metallo scottasse. Quelle idee non le avevano mai sfiorato la mente fino a quel momento. Mai prima dall'ora aveva pensato che il figlio potesse un giorno avere le stesse manie di grandezza che avevano caratterizzato diversi anni della vita del padre, non ve ne era mai stata ragione. L'egoismo, la superbia, l'onnipotenza erano ormai difetti che non vedeva più in Castle, che non riusciva nemmeno più ad associare alla sua persona. Tanto meno si sarebbe mai immaginato un figlio con quei difetti, nemmeno sforzandosi con tutta se stessa riusciva a immaginarlo cosi. Castle vedeva solo il lato negativo della questione. Non comprendeva che avendole già vissute sarebbe stato un sostegno per lei e quel bambino e non un brutto esempio da non seguire. Decisa di parlargli, di togliergli quelle idiozie dalla testa girò a chiave nella serratura e abbassò la maniglia certa di ritrovarselo davanti. Quando però la porta si spalancò si ritrovò a fissare il muro bianco. Si sporse oltre il confine della stanza cercandolo nel corridoio ma non lo trovò.

“Rick”. Lo chiamò sentendo la sua voce rimbombare nella casa silenziosa. Abbandonò quel piano e si diresse a quello inferiore ma anche quello era completamente vuoto. Castle aveva lasciato l'appartamento e non potè non darsi la colpa. Se gli avesse aperto prima invece di starsene ad ascoltare inerme il suo discorso lui sarebbe stato li con lei e invece ora si trovava da sola nel soggiorno a combattere contro il freddo che provava.

 

“Ho bisogno di te”. Era il messaggio che Beckett gli aveva inviato più di mezz'ora prima e che ancora non aveva ricevuto replica nonostante lei tenesse il cellulare tra le mani invocando una qualsiasi risposta da parte del marito.

Camminava avanti e indietro per la sala, non sapendo nemmeno lei cosa pensare, chiedendosi se fosse il caso di andarlo a cercare, ma poi la ragione prendeva il sopravvento ricordandole che non sapeva nemmeno da dove iniziare a cercarlo e che la soluzione migliore era quella di aspettare il suo ritorno.

Quando sentì la porta di casa aprirsi non aspettò nemmeno di assicurarsi che fosse lui a varcare quella soglia. Per quanto le fu possibile accelerò il passo lanciandosi tra le sue braccia con veemenza, stringendo le braccia attorno al suo collo cosi strette da fargli perdere il fiato.

“Come stai?”. Le domandò Castle avvinghiando il braccio sinistro attorno al suo fianco mentre la mano destra teneva stretta tra le sue dita una borsa di plastica.

“Ora che sei qui bene”. Ribattè lei contro il petto dell'uomo, schiacciandosi ancora di più contro di lui inebriata da quel profumo famigliare che la rassicurava.

“Avevo voglia di fare due passi e già che c'ero ti ho comprato qualche stuzzichino per soddisfare le tue voglie notturne”. Sogghignò alzando la mano con la borsa cosi da fargliela vedere ma la donna nemmeno si voltò.

“Non mi importa”. Ribattè Beckett dandogli un debole pugno contro la spalla per poi spalancare la mano e infossare le dita nella sua carne. “L'unica cosa di cui ho bisogno sei tu”. Proseguì mentre Castle se ne rimaneva immobile, quasi impassibile. Non aveva nemmeno il coraggio di proferir parola e calmare l'agitazione che sentiva percorrerle tutto il corpo.

“Per quanto detto prima...” Esordì l'uomo sentendosi a disagio a parlare di quel bambino che ora sentiva contro il proprio stomaco.

“Non provare a rimangiarti ciò che hai detto. Non essere cosi ipocrita da dirmi che ora è tutto passato, che è tutto finito”.Castle riuscì a individuare la rabbia nella sua voce seppur la donna cercasse di trattenersi il più possibile per una serie di ragioni che lui capiva a pieno, ma comprendeva anche che aveva toccato il limite con il suo comportamento.

"Perchè sei fuggito invece di parlarmi faccia a faccia?”. Gli domandò Beckett alzando una mano contro il suo petto, girando la testa cosi che il suo orecchio fosse all'altezza del cuore dell'uomo, cullata da quel battito lento e ritmato.

“Sei tu quella che mi ha chiuso fuori”. Quell'affermazione la colse di sorpresa come una doccia fredda. Spalancò gli occhi lasciando che la sua mente registrasse quelle parole e poi lentamente si staccò da lui, facendo ricadere le proprie mani senza però staccare gli occhi da lui. Le loro espressioni erano cosi diverse ma entrambe avevano lo stesso potere di ferire l'altro solo con la loro presenza. Castle la guardava con un aria impudente mentre Beckett aveva disegnata sul viso una profonda sofferenza e delusione.

“Ora osi pure dare la colpa a me”. Disse spintonandolo via con tutta la forza che riuscì a trovare, spostandolo effettivamente di un solo passo. “Ti ho supplicato più volte perchè mi dicessi la verità e solo quando ho minacciato di andarmene mi hai ascoltato. Ti chiedo scusa se non avevo più le forze fisiche e mentali per starmene li buona buona ad attendere che tu ti decidessi a parlare. Pensavo che avessi capito come mi sentissi ma a quanto pare mi sbagliavo”.

“Kate aspetta”. Cercò di fermarla pentendosi di quelle parole non volute che gli avevano lasciato le labbra. Lasciò cadere a terra la borsa facendo diversi passi in sua direzione ma lei si scostò impedendo alla sua mano di raggiungerla. “Volevo fare solo una battuta”.

“No, non è cosi. Almeno non in parte”. Replicò Beckett dandogli le spalle quando sentì una fitta al ventre che andò subito a coprire con una mano. Quella situazione non faceva bene ne a lei ne al bambino. Avrebbe voluto scappare da sua madre ma ormai era troppo tardi. L'unica soluzione era quella di rintanarsi di nuovo nella loro camera, attendere il mattino e decidere i da farsi a mente più lucida.

“Hai detto che non sopporti l'idea che tuo figlio possa essere come te.”. Sospirò ancora prima di riuscire a muovere un passo in direzione delle scale. Si stava facendo del male da sola chiedendo quelle cose, e ne era ben consapevole, però voleva sapere, voleva chiedere ciò che non aveva avuto il coraggio di fare prima. “Dimmi che non intendi la possibilità di non volergli bene un giorno”.

“No, questo mai”. Disse risoluto Castle sgranando gli occhi mentre correva verso la moglie, parandosi davanti a lei portando velocemente le mani sul suo grembo. “Io amo già questo bambino con tutto il cuore e niente al mondo potrà farmi cambiare idea. Quello che odio è me stesso perchè non potrò mai essere un buon esempio per lui, perchè non potrò mai essere il tipo di padre che abbiamo avuto noi. Ho una paura dannata di non essere il padre che tu vorresti per tuo figlio e non voglio, non posso deluderti, non in questo.”

“Se questo bambino decidesse di seguire le tue orme sarei ancora più orgogliosa di lui. Perchè non riesci a vedere l'uomo fantastico che sei? Perchè dovrei aver paura che nostro figlio possa essere altrettanto straordinario?”. Alzò la voce Beckett aggrappandosi ai suoi capelli, tirandoli con forza per mostrare la sua decisione, osservando le smorfie di dolore che comparivano sul volto dell'uomo.

“Altrettanto straordinario?”. Ridacchiò Castle insolente, scambiandosi di posto con lei, ritrovandosi ora lui a tenerla ferma portando con fermezza le mani sul suo esile collo. “In cosa lo sarei? Nell'aver abbandonato la mia famiglia, nell'aver mentito per anni a chi mi stava attorno?, a farti star male giorno dopo giorno con queste mie paranoie?”. Ringhiò a denti stretti mentre muoveva un braccio dietro di se, gesticolando con frenesia, muovendo la mano ancora attorno alla sua giugulare cosi da farle inclinare la testa, sentendo sotto il palmo della propria mano il battito accelerato del suo cuore.

“A volte mi chiedo se ti ascolti quando parli”. Fu il turno di Beckett di prendere la parola ma a differenza di prima non c'era più rabbia nella sua voce, ne tormento o rimorso. “Vedi solo le cose negative della tua vita e non ti accorgi di tutto il bene che hai fatto invece. Hai sempre mentito per proteggerci, sei sempre tornato da noi, hai rinunciato a Los Angeles per noi, trovi sempre il modo per rimediare alle sofferenze che mi causi”. Affermò parlando con un tono invece leggero, quasi tremante a causa delle diverse emozioni che provava ad ogni scorrere dei minuti. “A me, a nostro figlio, non importa chi eri quando ancora non eravamo nella tua vita. A noi importa chi sei in questo momento, chi sarai quando lui sarà qui”. Continuò prendendo la mano di lui portandosela di nuovo sopra il ventre mentre con il viso si avvicinava a Castle.

“Sarò un uomo che porta sul suo corpo i segni del suo passato e che un giorno dovrà spiegarlo a suo figlio”. Constatò avvilito abbassando lo sguardo mentre con la mano libera andava ad aprire i primi bottoni della maglietta cosi da osservarsi la parte superiore della cicatrice.

“Non un uomo”. Lo corresse Beckett con un leggero sorriso sulle labbra, andando a toccare quella cicatrice, tracciandone i contorni sfiorandoli con i polpastrelli, pensierosa sulla risposta da dare al marito. “Un supereroe che porta sulla sua pelle le tracce delle battaglie che ha affrontato e ha vinto contro le forze del male. Questo è quello che dirò al bambino quando mi chiederà le risposte che tu hai paura di dargli. Ed è questo che gli insegnerò, di imparare da suo padre, di essere come lui, anche con i suoi difetti, perchè pure quelli contribuiscono a renderlo la persona migliore che abbia mai conosciuto”. Il respiro della detective divenne poco a poco più affannoso a causa dei repentini baci che rubava dalle labbra del marito, aggrappandosi alle sue spalle,alle sue braccia mentre gli vezzeggiava il collo per giungere cosi al suo orecchio.

“L'unica persona che abbia mai veramente amato con tale intensità da sentirmi trascinata via, in un mondo fatto solo di cose belle che tu hai creato per me”. Ansimò mordendogli la tenera carne, sentendo il sangue cominciare a pulsarle nel cervello mentre le mani si muovevano con una volontà propria, toccando, stringendo quel corpo che ormai conosceva meglio del proprio.

“Rick”. Pronunciò solo il suo nome seguito da un gemito, un eco di emozioni passate che finalmente stavano tornando ad essere vive mentre sentiva la bocca vorace di Castle saziarsi con la propria, scendendo fino al seno per poi risalire alle spalle e di nuovo alla bocca, ebbro del suo profumo, delle sue suppliche, che riuscirono in breve tempo a fargli perdere il senno della ragione andandole a strappare da dosso la vestaglia con un irruenza che non credeva esser propria. Averla cosi era l'unica via di fuga che Castle intravedeva.

“Ti prego, non cominciare nulla che poi non vorrai finire”. Asserì Beckett aiutandolo a disfarsi della sua maglietta, levandogliela con gesti più lenti, volendo godersi ogni istante, volendo sentire sotto le proprie dita i muscoli delle sue braccia, del suo petto, aprendo la mano facendo scorrere le proprie dita su e giù fino ai suoi pantaloni, ancora e ancora, sentendolo diventare più impaziente ad ogni secondo che passava.

“Voglio solo darti piacere”. Le sospirò contro la pelle mentre abbassava una spallina della camicia da notte giù per la spalla, cosi da scoprirle un seno che andò prontamente ad afferrare con la propria mano per divorarlo con la bocca, scendendo con la mano fino alla coscia, infilandola sotto l'indumento cosi da accarezzarle la pelle nuda, attirandola verso di se nel mentre.

“Io voglio te”. Gemette la donna allungando il collo respirando con la bocca aperta, portando le mani ancora sui pantaloni di lui con l'intenzione di slacciarglieli, mordendo e succhiandogli le labbra quando l'uomo tornò a baciarla, solo per venir fermata dallo stesso Castke ancora prima di aver modo di abbassarne la cerniera.

“Mi avrai”.Affermò divertito e altezzoso Castle lasciando che i propri occhi scorressero tutta la figura della moglie, soffermandosi sul seno, come ipnotizzato dal suo oscillare dovuto ai respiri affannosi della moglie. Rimanendo li fermo immobile l'unica cosa a cui riuscì a pensare era a come aveva fatto a resistere cosi tante settimane senza averla, senza desiderare quel corpo che lo attirava a se come una calamita, con il sapore di Beckett che si sentiva in bocca e gli faceva desiderare di assaggiarne ancora. Scostò lo sguardo e vide a pochi passa da loro quel divano che più volte era stato metà dei loro incontri più passionali, quando il desiderio era cosi grande da costringerli a prendersi li piuttosto che ritardare il tutto di qualche minuto per raggiungere la camera da letto, e per un istante ancora pensò di gettarla li sopra, di averla fino a farla supplicare di fermarsi, ma quando le sue dita si mossero d'istinto su di lei tornò violentemente alla realtà. Socchiuse gli occhi mentre accarezzava con entrambe le mani il ventre rigonfio, rinchiudendo velocemente quei desideri carnali in un angolo remoto del suo cervello.

“Alle mie condizioni però”. Suggellò tornando a guardarla dritta negli occhi, chiudendole la bocca con un bacio cosi da impedirle di protestare, aspettando che lei si perdesse in quello prima di farla indietreggiare di diversi passi cosi da farla ritrovare con la schiena al muro. Incastrò una gamba tra quelle della moglie per far si che le divaricasse quel quanto bastasse, tornando a toccare l'interno coscia con la mano destra, assaltando di nuovo il suo collo mentre Beckett si aggrappava alle sue spalle sentendo la propria biancheria scivolarle lungo le gambe.

“Non ti muovere”. La donna sentì il fiato caldo del marito accarezzarle il collo, e la sua bocca che prese a succhiare delicatamente appena sopra la clavicola. Un “finalmente” le morì in gola mentre stringeva la sua camicia da notte tra le dita sollevandola poco a poco fino al suo fianco, usando l'altra per accarezzare la nuca di Castle, mordendosi il labbro inferiore quando sentì il suo dito medio insinuarsi dentro di lei, incalzando subito un ritmo che rifletteva l'impazienza dell'uomo che aumentò la pressione dei suoi baci, premendo il proprio bacino con quello di lei per tenerla ferma in quella posizione. In breve tempo la casa si riempi degli ansimi di Beckett, stretta contro il petto del marito, usando il suo corpo per tenersi dritta in piedi, mentre lui ancora muoveva le dita alternando movimenti rapidi ad altri più dolci, senza mai staccare gli occhi dal suo volto. Non poteva negare a se stesso che il sesso gli mancava, anzi in quel momento comprese che il desiderio era ancora più forte di quanto il suo cervello avesse registrato, ma si accorse anche che gli era mancato sopratutto il sentire la moglie cosi vicino a se, sentire ancora una volta quel legame che nonostante le lunghe settimane non si era scalfito.

“Kate”. La richiamò bloccando ogni suo movimento, non sapendo nemmeno lui cosa dire in quel momento, se scusarsi per il suo comportamento, se giustificarsi ancora una volta, per definirsi uno stupido. Beckett sbattè le palpebre e andò a ricambiare il suo sguardo, perdendosi in quegli occhi che per un istante le dettero una sensazione di smarrimento, di commiserazione.

“Forse tu ne hai più bisogno di quanto ne abbia io.” Disse cercando di riprendere fiato, portando entrambe le mani sul suo viso per avvicinarlo a se mentre lo baciava. “Andrà tutto bene amore mio”. Gli sussurrò contro le labbra e Castle comprese che Beckett non stava parlando solo di quel momento che stavano vivendo ma la sua era una constatazione più generale, voluta per dissipare quelle sue paure ancora vive dentro di lui. “Andrà tutto bene”.

 

Beckett si svegliò stupendosi di essere cosi rilassata e piena di energie nonostante il giorno precedente non fosse stato facile ne dal punto di vista lavorativo ne tanto meno riguardo alla sfera privata. Eppure, nonostante tutto, non avrebbe potuto desiderare una conclusione migliore a tutto quel caos. Seppur le temperature si stessero abbassando notò di non provar freddo malgrado si trovasse nuda sotto le coperte e lo doveva semplicemente al corpo caldo che le premeva contro la schiena, di cui poteva sentire i profondi respiri contro di se e una mano del marito abbandonata sul suo ventre a proteggere quel bambino anche nel sonno. Lentamente si girò sentendo un leggero dolore nella parte bassa della schiena ma non ci fece troppo caso, di certo non sarebbe stato quello a fermarla. Si ritrovò cosi faccia a faccia con Castle ancora perso nella trama complicata dei suoi sogni, incosciente delle carezze che la donna gli stava prodigando su tutto il volto. Un pensiero malizioso prese forma nella mente di Beckett manifestandosi con un sorriso altrettanto intrigante mentre la sua mano scompariva sotto le coperte, seguendo il petto dell'uomo, prendendo a baciargli il collo con l'intenzione di risvegliare in tal modo tutti i suoi sensi.

Castle si sistemò meglio sul cuscino, portando una mano sul petto e l'altra sotto la nuca, con gli occhi chiusi a godersi quelle attenzioni a cui non era più abituato. La lasciò fare per diversi secondi, permettendo al suo egoismo di vincere, di tornare quel semplice uomo desideroso di fare l'amore con la donna amata e non quel futuro padre pieno di apprensioni che si celava nascosto nella sua mente pronto a tornare alla ribalta alla sua minima debolezza.

“A quanto pare non mi sono impegnato abbastanza prima”. Ridacchiò il detective sollevando una palpebra in modo da spiare l'operato della moglie, sollevando le coperte cosi da avere ancora una volta la vista del suo corpo nudo.

“Tutt'altro, per questo ora ne voglio ancora”. Ribattè Beckett andando a dare dei piccoli morsi sul petto del marito, risalendo velocemente cosi da aver modo di succhiargli il collo, gesto a cui lui rispose con una serie di risatine e mugugni.

“Per oggi va bene cosi”. Castle l'allontanò gentilmente da se, spingendola con entrambe le mani cosi che la donna si trovasse sdraiata sulla schiena, a fissarlo mentre poneva una mano accanto alla sua nuca, sollevandosi con il petto sopra di lei, mantenendo i loro visi a una breve distanza.

La detective per un istante pensò di protestare, di farlo cedere ancora una volta sapendo che ora aveva un animo più tranquillo, ma non voleva nemmeno forzarlo, costringerlo a fare qualcosa che sapeva gli creava dei problemi. Gliel'aveva detto lui stesso dopo tutto e ancora di più Beckett l'aveva notato mentre facevano l'amore, dal modo in cui si tratteneva e si preoccupava della sua salute.

Ma altri pensieri le si formarono nella mente e a quelli non riuscì a porre un freno.

“Voglio che tu gli dica tutto”. Affermò tutto d'un fiato mentre Castle la guardava spaesato, non capendo a chi fosse destinata quella frase. Beckett puntò i gomiti sul materasso e si tirò più su con la schiena cosi da rimanere appoggiata sopra il cuscino. “Al bambino. Voglio che tu gli dica di Los Angeles, del Cirg, di Stark, tutto, anche quei dettagli che hai fatto fatica a rivelare a me”. Spiegò meglio studiando il viso dell'uomo farsi improvvisamente pallido mentre le braccia, che lo tenevano sollevato sopra di lei, quasi cedettero a causa di quelle parole, facendogli sprofondare la testa tra le spalle. La detective aspettò una sua risposta serrando le labbra, muovendo il collo cosi da cercare i suoi occhi, da leggere dentro di essi le sue emozioni. “Voglio che capisca ciò che hai fatto e che sia orgoglioso del suo papa”.

Castle chiuse gli occhi afferrando la mano di Beckett che gli stava accarezzando la guancia, posando le labbra al centro del suo palmo per un lungo bacio, cogliendo quei secondi di silenzio per riflettere su quelle parole.

“Un bambino merita le favole della buona notte, non questo”. Sorrise l'uomo rilasciando la mano della moglie per portare la propria a massaggiarle il ventre, scostando anche gli occhi su quel punto, incominciando quel discorso mentale con il figlio chiedendogli di scalciare, di farsi sentire, per rassicurarlo che tutto fosse a posto.

“Tuo figlio merita di scoprire che a volte quelle favole possono avverarsi anche nella realtà. Non negargli la possibilità di sapere che anche quando accadono le cose più brutte rimane sempre la speranza ”. Ancora i loro sguardi si incrociarono e Castle vide una profonda decisione, devozione, negli occhi della moglie, che riuscirono a infonderla anche in lui stesso, facendogli compiere un respiro profondo, eliminando l'aria dai polmoni per riempirli di coraggio. Fece scivolare le lenzuola fino a fianchi di Beckett e poi si sdraiò orizzontalmente sul letto cosi da riuscire a posare la testa sopra il grembo della donna.

“Ciao piccolino”. Esordì non troppo convinto delle parole che stava per usare, ma poi la sua mente razionale gli ricordò che in realtà il figlio non poteva ascoltarlo, o comunque non avrebbe avuto alcun ricordo di ciò, e che non erano tanto le parole in se che importavano ma il gesto che stava compiendo. “Voglio raccontarti una storia, che sentirai tante volte, tutte quelle che vorrai ascoltare.”. Asserì posando un delicato bacio contro la pelle di Beckett prima di continuare. “La storia di un valoroso cavaliere che dopo molti viaggi, molte rinunce e sofferenze, è tornato a casa e ha scoperto cosa volesse veramente dire vivere e amare”.


 

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Capitolo 18
*** 23 Dicembre: Un bagno caldo e un piccolo regalo ***



Castle rimaneva seduto sul bordo della vasca da bagno con indosso solo un accappatoio blu, tastando con le dita l'acqua che usciva dal rubinetto per controllarne la temperatura, attendendo pazientemente che quella si riempisse quasi fin l'orlo cosi da potersi poi immergere completamente. Con un roco gemito si rimise in piedi, sentendo la propria gamba destra venir trafitta da una coltellata che lo fece quasi cadere all'indietro. Con altrettanta fatica andò a liberarsi dell'accappatoio, lasciandolo cadere ai suoi piedi trovandosi impossibilitato di abbassarsi per raccoglierlo, ci avrebbe pensato dopo, o ancora meglio l'avrebbe lasciato li per diversi giorni. Tenendo la mano destra stretta contro il fianco opposto si avvicinò a piccoli passi allo specchio posto sopra il lavandino e cominciò a studiare la sua immagine riflessa, roteando il busto cosi da mettere in mostra il braccio e la schiena.

“Pensavo peggio”. Commentò toccandosi i graffi e i lividi violacei che gli macchiavano la pelle in più punti, in particolare quel grosso bollo presente sulla tempia . Con un andatura zoppicante tornò verso la vasca cosi da chiudere il rubinetto e controllare ancora una volta l'acqua sentendola tiepida attorno alle sue dita. Con un profondo sospiro puciò i piedi per poi immergersi completamente rilasciando un gemito di piacere.

“Era quello che ci voleva”. Disse ad alta voce avendo come la sensazione che i propri muscoli, rotti in mille pezzi come un vetro, andassero via via a ricomporsi uno con l'altro, riuscendo a muovere le dita dei piedi senza più sentire quell'atroce dolore che gli partiva dalla schiena come una scossa.

“Come va?”. Gli domandò Beckett alcuni secondi dopo varcando la porta del bagno muovendosi velocemente verso di lui. Sul suo viso l'uomo poteva benissimo leggere le varie rughe di spavento e dolore che ancora le solcavano la pelle, rendendo ancora più accentuate le borse sotto gli occhi arrossati per via del pianto incontrollato e isterico che l'aveva colpita fino a poco meno di un ora prima.

“Non dovrai portarmi in giro in carrozzina a quanto pare”. Cercò di sdrammatizzare alzando una gamba togliendola cosi dall'acqua, posando il tallone sul bordo della vasca per farle vedere che riusciva a muoverlo anche se con un po' di difficoltà.

“Già è stato per quell'eventualità li che ho pianto per due ore di fila e non per il fatto che potevi rimanere ucciso in quell'incidente”. Si sforzò di sorridere Beckett abbassandosi accanto a lui, tenendosi il basso ventre con una mano per sorreggerne il peso che giorno dopo giorno aumentava gravandole sopratutto sulla schiena. Castle si dimenticò i dolori provati in tutto il corpo e si mosse velocemente per mettersi seduto, allungando una mano verso la moglie cosi da aiutarla in quel semplice compito divenuto difficile per lei.

“Tutto a posto tranquillo”. Lo rassicurò lei facendo un profondo respiro, massaggiandosi la pancia mentre riportava le iridi a incollarsi sul viso di Castle che invece era preso a fissare il suo ventre, posando a sua volta una mano su di esso lasciando la sua impronta bagnata sulla maglietta di Beckett.

“Sei riuscita a riposarti un po'?”. Domandò il detective andando a prendere tra le mani il bagnoschiuma, notando come gli occhi di Beckett andassero a fissare con ansia e preoccupazione quei lividi e quei tagli sulla sua pelle. Il detective cominciò a lavarli come se quel gesto bastasse per eliminarli, per renderli invisibili, per far cessare quelle nuove lacrime che si stavano formando negli occhi della donna.

“Poco, appena chiudevo gli occhi vedevo quella macchina mentre ti veniva addosso”. Commentò brevemente Beckett andando a toccare il livido sulla fronte del marito.

“Ti avevo detto di non farti raccontare come fossero andate le cose, che ti saresti solamente agitata ulteriormente”. Protestò Castle con un tono duro, facendosi un promemoria nella testa di far due chiacchiere con Ryan ed Esposito, colpevoli di aver riferito a Beckett per filo e per segno quanto accadutogli nonostante lui li avesse pregati di non farlo, non volendo in alcun modo aumentare le preoccupazioni della moglie. Se fosse stato per lui l'avrebbe informata dell'incidente solo una volta tornato a casa, in un ambiente più famigliare, più sereno. I colleghi invece avevano insistito a dirglielo subito, facendo notare a Castle che tenerla all'oscura avrebbe causato solo più apprensione nella donna. E cosi spettò a Lanie l'arduo compito di dire a Beckett dell'incidente accorso al marito, standole vicina e sorreggendola in quei minuti di assoluto sconforto, prima del suo arrivo in ospedale dove potè constatare di persona le condizioni del marito.

“Credo che oggi sia stata la seconda, massimo la terza volta nella mia vita che ringrazio la presenza di un tale traffico a New York. Se quella macchina fosse andata solo un po' più veloce”. Beckett non riuscì a finire quella frase, sentendo il cuore fermarsi in gola negandole la possibilità di respirare, mentre la propria mente combatteva contro il pensiero di quell'eventualità che fortunatamente non si era avverata. Castle abbassò lo sguardo colpevole. Come poteva esser stato cosi stupido?. Ad ogni bambino a New York veniva insegnato di controllare la strada prima di attraversarla, cosi da avvedersi di eventuali macchina in arrivo. Lui però quell'insegnamento l'aveva scordato e cosi, mentre inseguiva un sospettato di corsa, era uscito da un parcheggio mettendosi sulla carreggiata senza accorgersi del sopraggiungere di diverse vetture, finendo in tal modo a scontrarsi con una di esse, ricadendo prima sul cofano e poi sul parabrezza di quella. Ancora poteva sentire il rumore del vetro infrangersi contro la sua schiena, distinguendo a fatica quale fosse lo scricchiolio dei vetri e quale quello delle sue ossa.

“Mi dispiace”. Commentò il detective facendo ricadere le mani dentro la vasca, nascondendole sotto la schiuma cosi che la moglie non potesse vedere il modo in cui andava a stringerle in pugno per reprimere in quel modo la rabbia che sentiva nei propri confronti. Si era ripromesso di tenerla al sicuro durante la gravidanza, di non farle correre rischi inutili per la sua salute e quella del bambino, eppure quando si trattava della propria incolumità lo dimenticava, non pensando agli effetti che avrebbe potuto avere su Beckett anche il più piccolo graffio.

“Comincio ad essere stanca di sentire il tuo mi dispiace”. Ribattè ferita la donna socchiudendo le palpebre mentre faceva scorrere la mano fino all'impronta del marito ancora visibile sulla maglietta coprendola, riuscendo quasi a sentire ancora il calore di essa. “Ormai non lo usi più per scusarti del fatto che hai dimenticato un appuntamento o perchè hai rotto qualcosa in casa, adesso, ogni volta che me lo dici, è per qualcosa di grave che è successo”.

“E potrai mai perdonarmi?”. Chiese senza alzare lo sguardo, fissando le bollicine che andavano a scoppiare contro il suo petto, muovendo lentamente prima una gamba e poi l'altra cominciando a sentirle intorpidite.

“Non ti devo perdonare nulla Rick”. Beckett scrollò leggermente il capo facendo spallucce mentre faceva scorrere la mano destra sulla spalla del marito, toccando quell'ampio ematoma visibile sulla sua pelle, sfiorandolo attenta a non procurargli ulteriore fastidio ma l'unica cosa che Castle sentiva erano le sue dita, null'altro. “Non posso fare a meno di amarti anche se a volte sei cosi”. Sorrise tornando a guardarlo, notando la sua espressione da prima corrucciata farsi più serena.

“Proviamo a dimenticare questa storia d'accordo? É quasi natale dovremo essere felici, avere pensieri positivi, anche per questo piccolino”. Tornò a parlare l'uomo cercando di portare la conversazione su argomenti più allegri, comprendendo bene che sia lui che Beckett ne avevano bisogno. D'altro canto sapeva anche che la moglie non era cosi facile da distrarre, sopratutto da quando era rimasta incinta e gli ormoni le giocavano dei brutti scherzi, facendole desiderare, ora più che allora, di dare una conclusione a ogni situazione, a ogni discussione che andavano ad affrontare.

“Sarà difficile dimenticare, almeno fin quando ti vedrò cosi tumefatto”. Asserì ridacchiando, dandogli un pizzicotto proprio sopra il livido quasi volesse fargli pagare con quel piccolo gesto i minuti orribili che le aveva fatto passare. “E poi non è di per se l'incidente che vorrei dimenticare ma la paura che ho provato di perderti, la possibilità di non riuscire a far nulla di quello che abbiamo programmato.”. Continuò facendosi di nuovo seria mentre lasciava che la mano scorresse sul corpo del marito, fin sul petto per poi risalire sul volto, cosi da voltarlo verso di lei per osservarne meglio le escoriazioni, sfiorandole con il pollice. “Riesci a immaginare cosa vuol dire pensare, anche se solo per pochi istanti, alla possibilità di dover affrontare questi ultimi mesi e ciò che verrà dopo da sola. A piangere al pensiero di non aver fatto in tempo a piazzare i mobili della camera del bambino o addirittura a scegliere il nome da dargli”. Confessò senza scostare gli occhi dalla fronte di Castle mentre lui incollava le iridi su di lei, sentendo una nuova fitta al cuore, perchè lui a quelle cose non ci aveva pensato, non ne aveva avuto il motivo. Certo non era messo bene ma non aveva nulla di rotto, non rischiava la vita, ergo perchè avrebbe dovuto soffermarsi su quelle eventualità inattuabili. Ma ora che la moglie gliele aveva fatte notare era tutta un altra questione.

“Morirei al solo pensarci”. Riuscì solamente a dire.

“Benvenuto nel mio mondo allora”. Gli occhi umidi e verdi d Beckett si scontrarono con forza contro quelli cerulei dell'uomo trasmettendogli una desolazione che mai aveva provato prima dall'ora. Idiota e stupido si disse. Come aveva fatto a non capirlo prima, quando in ospedale la donna si era aggrappata a lui non lasciandolo solo durante le visite, tenendogli la mano mentre i dottori gli sistemavano la spalla lussata. O come quando tornati a casa si erano distesi sul letto e lei aveva combattuto contro le proprie lacrime, cedendo poi sotto il peso di quelle, addormentandosi in fine singhiozzando.

“Mi dispiace davvero”. Affermò raccogliendo un po' d''acqua tra i palmi sciacquandosi poi la faccia, tenendo le mani per diversi secondi ferme a coprirsi il volto, non facendo vedere a Beckett il modo in cui si mordeva la carne.

“Lo sò”. Rispose la donna lasciando ricadere un braccio dentro la vasca, muovendolo cosi da formare delle piccole onde che si espandevano poco a poco. Quel suo gesto venne fermato quasi subito da Castle e quando lei cercò di capirne il motivo lo vide solamente muovere il busto verso di lei, sollevandosi con la schiena tenendosi saldo con una mano al bordo delle vasca. Quando la baciò Beckett si ritrovò a chiedersi come facesse il marito ad aver la capacità di rendere ogni bacio unico, dando un sapore diverso ad ogni emozione, facendole dimenticare in quegli istanti ogni cruccio della vita.

“C'è abbastanza spazio per tutti e tre qua dentro”. Disse Castle osservando le labbra della moglie ancora dischiuse, in attesa di essere saziate ancora una volta. Beckett nemmeno provò ad obbiettare, nemmeno ci pensò su un secondo, era facile cedere a una tentazione simile. Si concesse un altro fugace bacio e poi si rimise in piedi, togliendosi con estrema lentezza ogni indumento, lasciando che l'uomo si godesse ogni istante.

“Sei bellissima”. Affermò il detective mentre la donna si mordeva il labbro inferiore sorridendo come una bambina.

“Dimmelo ancora una volta cosi ci credo”. Scherzò mentre si sistemava i capelli sollevandoli sulla nuca cosi da evitare che si bagnassero, lasciando solo che alcune ciocche le ricadessero lungo il viso.

“Sei bellissima”. Fece quanto chiesto Castle indietreggiando con il corpo, fino a che la schiena non si scontrò contro la vasca, in modo da lasciare lo spazio necessario alla donna per sistemarsi comodamente tra le sue gambe.

“Dammi la mano”. Gli chiese Beckett allungando la propria verso di lui, avendo bisogno di un sostegno per entrare dentro la vasca non fidandosi del fondo scivoloso che avrebbe potuto farle perdere l'equilibrio ed eventualmente cadere.

Quando la detective si appoggiò contro il suo petto Castle non perse tempo ad andarle a baciare il collo, facendo scorrere entrambe le mani sulle sue braccia fino le mani, per poi spostarsi sopra il ventre la cui forma arrotondata fuoriusciva dall'acqua quasi a formare una piccola isoletta in quell'oceano fatto di schiuma.

“Si sta muovendo”. Constatò l'uomo con un ampio sorriso sulle labbra, notando una serie di piccoli colpetti ben visibili che facevano ondeggiare lievemente il grembo di Beckett, andando velocemente a coprirli con il palmo della mano cosi da sentirli, da sentire la forza di suo figlio, provando già un profondo orgoglio per lui.

“Questo deve averlo preso da me. A quanto pare anche a lui piace quando ci coccoli”. Si rilassò Beckett tirando un profondo respiro mentre posava la testa tra quella del marito e la sua spalla, chiudendo gli occhi riuscendo finalmente a vedere solo belle cose e non quella macchina, sentendo nell'orecchio il respiro del marito e non lo stridio delle ruote in frenata.

“Se non fosse che è mio figlio devo ammettere che la cosa mi farebbe abbastanza impressione. Anzi non mi stupirei se adesso uscisse un mostro dal tuo stomaco stile alien”. Sogghignò prendendo un po' di schiuma nella mano facendola ricadere sopra la pancia, goccia dopo goccia per poi andarla a togliere con la propria mano e soffermarsi di nuovo ad accarezzare il proprio bambino.

“Rimango sempre stupita della tua capacità innata di uccidere il romanticismo”. Lo canzonò Beckett dandogli una leggera gomitata sul fianco, non notando, data la posizione in cui erano messi, la sua smorfia d dolore siccome lo aveva colpito nello stesso punto dove si era scontrato contro il cofano della macchina.

“Richard Alexander James II”. Le sussurrò nell'orecchio prima di darle un leggero morso su di esso, afferrando il panno appoggiato contro il bordo della vasca per poi immergerlo dentro l'acqua cosi da farlo impregnare. “Sarebbe un bel nome per nostro figlio”.

“Qualcosa di più lungo non ce l'avevi? Nemmeno i reali usano tanti nomi”. Obiettò Beckett lasciando che il marito le sollevasse il braccio, strizzandovi sopra quello stesso panno per poi passarlo con delicatezza sulla sua pelle cosi da cominciare a lavarla.

“Ma ci starebbe bene dato che lui sarà il principino di casa. E poi è giusto che porti i nomi di grandi uomini.”. Spiegò il detective affogando di nuovo il panno sotto l'acqua per passare all'altro braccio, approfittando di quel cambio per far scorrere la mano sul seno della donna mentre si spostava da una parte all'altra.

“Ritenta, forse sarai più fortunato”. Asserì Beckett facendo scorrere le unghie sulla coscia del marito facendogli sorgere dei dubbi riguardo l'oggetto della frase da lei appena pronunciata. Alzando un sopracciglio allungò il collo per cercare di guardarla in volto mentre ancora faceva scivolare il panno verso il fianco della moglie, studiando la sua espressione serena e quel sorriso che aveva stampato sulle labbra, con quella ciocca di capelli che le incorniciava il viso e che all'uomo sembrò esser stata messa li apposta per renderla ancora più irresistibile ai suoi occhi.

“Che nome vorresti dargli tu?”. Domandò usando questa volta le mani per accarezzare Beckett, sfiorandole le braccia con la punta delle dita, superandole i fianchi fino a giungere alle cosce, infilandosi sotto di esse per sollevarla meglio sopra di se.

“Ti conosco. Se te lo dicessi influenzerei le tue scelte”. Constatò la detective lasciando che una risata divertita le abbandonasse le labbra sentendo le sue dita camminarle lungo i fianchi facendole il solletico. “Perciò a te gli onori”.

“No, no”. Dissentì Castle negando risoluto con il capo. “Mia madre mi ha detto chiaramente che, in quanto la fatica la fai tutta tu, hai diritto di prelazione sul nome del bambino.”. Raccontò brevemente quel colloquio che aveva avuto con sua madre, su consigli che nemmeno lui aveva richiesto ma che l'attrice era stata ben lieta di dargli.

“E da quando in qua ascolti Martha”. Asserì perplessa Beckett guardando stranamente il marito sapendo bene che non era il suo passatempo preferito quello di ascoltare i suggerimenti della madre.

“Da quando ha aggiunto che non facendolo questo bambino potrebbe rimanere figlio unico ma in particolare da quando le ho chiesto una delucidazione a riguardo e lei mi ha semplicemente fatto il gesto delle forbici.”. Mimò quello stesso gesto Castle vedendo la moglie cominciare a ridere divertita mentre si teneva con una mano la pancia e con l'altra andava a stringere quella del marito.

“Mi credi davvero capace di ciò?”. Domandò divertita mettendosi a giocare con le dita dell'uomo, stringendone una dopo l'altra, intrecciandole con le proprie per poi accarezzare la fede.

“Sei incinta, sei capace di tutto”. Appurò Castle come se quella sua constatazione fosse una cosa ovvia, ricevendo in compenso una delle occhiatacce minacciose marchio di fabbrica della donna.

“Non corri alcun rischio, almeno per ora. Ne riparleremo però in sala parto”. Notò lei vedendolo sbiancare di colpo, schiacciandosi ancora di più contro il bordo della vasca, andando a trattenere di colpo il respiro sgranando gli occhi.

“Mi sa che quel giorno sarò impegnato in tutt'altro”. Mutò espressione un Castle pensieroso, sollevando lo sguardo al cielo massaggiandosi il mento, mettendosi ad urlare un secondo dopo quando Beckett andò a strizzargli l'interno coscia.

“Sono convalescente non mi merito questo trattamento”. Protestò andando a strofinare il punto dolorante vedendo la donna alzare un dito minacciosamente contro di lui.

“Fidati mi sono trattenuta”.

 

“Ci terrei davvero a sapere i nomi che ti piacciono”. Tornò a parlare questa volta serio il detective, riprendendo quei massaggi sopra il grembo di Beckett che contribuivano sia a rilassarla ma anche a farla appisolare, tanto che la donna dovette bagnarsi il volto con l'acqua per recuperare un po' di funzioni.

“A dir la verità non mi sono mai soffermata sul serio a pensarci. Sono incinta di cinque mesi, ho sempre pensato ci fosse tempo ma dopo quanto successo oggi”. Affermò lasciando che un po' di malinconia tornasse a prendere possesso della sua testa, sensazione che venne prontamente scacciata da Castle che, intuendo il suo malessere, prese a sussurrargli dolci frasi nell'orecchio.

“Adesso come adesso ti direi Trevor o Sebastian ma non escludo la possibilità che domani me ne possano piacere altri”. Ammise Beckett sentendo il mento del marito posarsi sulla sua spalla mentre andava ad abbracciarla sistemando un braccio sotto il suo seno e l'altro sotto il suo ventre, sollevandola delicatamente in modo da metterla ancora di più contro di se.

“Bhè ad essere sincero non sono nomi in cima alla mia lista, ma chissà forse domani potrebbero piacere a me”. Affermò il detective tornando a guardare divertito i movimenti del figlio dentro la pancia di Beckett, decidendo poi di riversare su di lei le dovute attenzioni prendendo a baciarle il collo con insistenza.

“Ehi, io ti ho detto i miei ora tocca a te dirmi i tuoi”. Protestò non troppo convinta la donna muovendo un braccio dietro di lei, infossando la mano nei capelli del marito con l'intenzione di scostarlo da se ma l'unica cosa che ottenne furono le proprie dita aggrappate alla nuca dell'uomo.

“Zachary o Ethan. In particolare Ethan”. Sussurrò Castle contro di lei cominciando a toccarla con maggior decisione, facendo scorrere la mano sotto l'acqua, contro la sua schiena per poi risalire all'altezza dello stomaco, scendendo poi tra le sue cosce.

“Bhè quattro nomi sono meglio di niente.”. Commentò chiudendo la bocca non volendo cedere fin troppo presto alle attenzioni del marito nonostante le mani si stringessero attorno al bordo della vasca in cerca di un appiglio. “Mal che vada li metteremo in un cappello e il nome che uscirà sarà quello definitivo”.

“Questo si che farà di noi degli ottimi genitori”. Ridacchiò divertito Castle per poi tornare improvvisamente serio quando la sentì cercarlo sotto di se con un mano, sollevando il bacino prima per poi scendere su di lui un istante dopo.

“I migliori in circolazione”. Sospirò maliziosa Beckett andandolo poi a baciare.

 

Castle stava finendo di ravvivare il fuoco del camino gettandovi sopra un abbondante dose di alcool, coprendosi il volto e strizzando gli occhi avendo paura del ritorno di fiamma, quando sentì gli scalini cigolare sotto i passi pesanti della moglie. Sapendo bene che la donna non era felice di vederlo compiere certe imprese che potevano dar fuoco all'appartamento si voltò velocemente e nascose la bottiglietta rosa dietro si se, vedendola camminare verso d lui con indosso una tuta rossastra ormai sbiadita.

“Fai le prove per vestirti da babbo natale tra due giorni”. Scherzò sentendo Beckett fargli il verso infastidita da quella sua battuta fuori luogo, seguendola con lo sguardo mentre andava a sdraiarsi esausta sul divano.

“Forse quel bagno fuori programma ti ha stancato ulteriormente”. Notò il detective dirigendosi velocemente verso la cucina cosi da andare a prendere un bicchiere d'acqua e qualche stuzzichino per la moglie, approfittandone per ritirare l'alcol al suo posto.

“Quel bagno fuori programma è l'unica cosa che ha salvato la giornata, è quello che c'è stato prima che non mi ci voleva”. Chiarì Beckett sistemando un cuscino sotto la testa e l'altro sotto la schiena mentre prendeva a massaggiarsi il basso ventre premendo leggermente.

“Perchè non mangi qualcosa mentre aspetti che la cena sia pronta”. Suggerì porgendole un piatto colmo di diverse leccornie tra le quali la detective poteva scegliere ciò che preferiva.

Beckett andò a fissare il piatto, facendo roteare la mano sopra di quello indecisa su che cibaria gettarsi per prima, sentendo lo stomaco cominciare a brontolare a quella vista cosi invitante, decidendo infine di puntare su un pezzo di formaggio.

“E quello che cos'è?”. Domandò curiosa notando un pacchetto posato sul tavolinetto posto dietro all'uomo.

“Questo?”. Castle si sedette su quello stesso tavolinetto appoggiandovi sopra il piatto per sostituirlo con quel pacchetto sottile, avvolto in una carta dorata con un piccolo fiocchetto verde sopra.

“Questo è il tuo regalo di natale. O meglio uno dei tanti che ti farò”. Disse porgendoglielo mentre lei lo afferrava non troppo convinta.

“Sei un po' in anticipo”. Sottolineò agitando l'oggetto cercando di capirne il contenuto dal suono.

“Data la giornata pensavo che l'avresti apprezzato perciò avanti aprilo”. Insistette alzandosi per spostarsi sopra il piccolo spazio che gli aveva lasciato lei sul divano, allungando la mano sinistra sopra lo schienale mentre con la destra tornava a massaggiarle il grembo ormai del tutto rapito da esso.

“Fammi indovinare. C'è dentro un bavaglino con scritto sopra “Ho il papa più sexy del mondo””. Cominciò a dire Beckett mentre con cautela andava ad aprire il pacchetto, levando lo schotch lentamente cosi da non rompere la carta fatta su con molta cura dal marito.

“No, tranquilla”. Ridacchiò il detective. “Quello lo troverai sotto l'albero dopo domani.” Disse indicando le decorazioni poste accanto alla finestra che con le loro luci illuminavano di diversi colori la stanza.

“Ammetto che ero indeciso su cosa regalarti, la scelta più ovvia che mi è venuta in mente è stato qualcosa per il bambino. Poi però mi sono ricordato che tu insisti sempre sul fatto che prima di essere madre sei una donna è che questo è il tuo natale, non il suo. Ci sarà tempo per riempirlo di regali”. Spiegò l'uomo bagnandosi le labbra con la lingua mentre spiava il volto della moglie mentre finiva di togliere la carta regalo rimanendo con un astuccio blu in mano.

“Un altro gioiello Rick?”. Alzò gli occhi Beckett sospirando. “Lo sai che li adoro ma in questi anni me ne hai regalati cosi tanti che potrei aprire una bigiotteria”

“Malfidata”. Affermò Castle posando una mano sull'astuccio cosi da impedirle di aprirlo. “Inoltre sono stato istruito da mio padre e dal tuo sul fatto che il gioiello dovrò regalartelo il giorno del parto, non prima e non dopo, sono stati categorici.”. Continuò muovendo quella stessa mano sul volto della moglie afferrandola per il mento, tenendola ferma mentre si abbassava per darle un casto bacio.

“Questo è un pensiero solo per te”. Beckett fece una smorfia con la bocca pensando a chissà quale stranezza il marito avesse pensato, ma alla fine la sua curiosità vinse su ogni congettura ed andò ad aprire l'astuccio al cui interno ci trovò un biglietto.

“Un week end in un centro benessere?”. Domandò stupida girando quello stesso foglietto al marito in cerca di spiegazioni.

“Ti ho detto che era giusto un pensiero”. Ribattè grattandosi il collo strizzando gli occhi imbarazzato pensando che la donna non avesse apprezzato il regalo. “L'altro giorno stavo parlando con Ryan e lui mi diceva che Jenny è cosi presa da Colin che non si concede un attimo per se e per questo voleva trovare qualcosa per farla staccare. Poi mi sei venuta in mente tu, e del periodo intenso che stiamo vivendo, tra il lavoro, il tuo ruolo di capitano, i preparativi per il bambino e mi sono reso conto che anche tu avevi bisogno di prenderti una pausa”. Andò a spiegarle prendendo quel biglietto tra le dita andandoglielo a sventolare davanti alla faccia.

“é questa è la soluzione che ho trovato. Due giorni di pieno relax insieme a Jenny e Lanie. Abbiamo chiesto a Espo se anche a lui piacesse l'idea e ci ha dato l'ok. Perciò come ti sembra come regalo?. Un week end intero insieme alle tue due ragazze senza pressioni o responsabilità, solo l'assoluto riposo”. Constatò posando il dono e l'astuccio di nuovo sul tavolinetto, volendo tornare a concentrarsi pienamente sulla moglie e sulle attenzioni che desiderava riversarle, abbassandosi lentamente su di lei con il busto nonostante la schiena gli protestasse per quel movimento non facile a causa dei dolori ancora persistenti.

“Trovo che sia una fantastica idea. Anche se mi chiedo cosa farai due giorni interi senza di me”. Scherzò Beckett inclinando il collo cosi da dargli maggiore accesso, stupendosi di come il marito nel giro di poco più di un mese avesse completamente cambiato idea sulla loro intimità. Da prima che era cosi frenato, contrario, impaurito da tali effusioni, per poi recuperare tutto il tempo perduto non riuscendo a stare nemmeno due minuti senza infilarsi sotto i vestiti della donna, come in quel momento che sentiva la sua mano farsi strada sulla sua coscia.

“Tranquilla ho già in mente qualcosa”. Appurò enigmatico facendole l'occhiolino, con un sorriso sulle labbra che non presagiva niente di buono.

“Meglio non sapere?”. Domandò Beckett passandogli ancora le dita sul livido sulla fronte che, nonostante le rassicurazioni dei dottori, ancora la faceva preoccupare data la posizione e il gonfiore.

“Meglio non sapere”. Le fece l'eco Castle fissandola con con una tale intensità che le fece venire i brividi. “Mi manchi già adesso”. Confessò rilasciando un lungo respiro nascondendo la testa tra i suo capelli respirando il profumo dello shampoo alla lavanda che emettevano.

“Ti amo Rick”. Disse Beckett con un ampio sorriso mentre lo stringeva a se tenendo le braccia strette attorno alla sua schiena.

“Per sempre”



 

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Capitolo 19
*** 18/19 Gennaio: Un lungo week end ***


Ore 8,52

“Uff ma che hai nascosto tua madre qui dentro?”. Si lamentò Castle scendendo dalle scale portando lo zaino che Beckett si era preparata per quei due giorni da passare lontano da casa. “Se voleva venire anche lei le prendevo un biglietto”. Continuò giungendo alla fine delle scale, appoggiando lo zaino a terra per cominciare a trascinarlo con i piedi, avvolgendo uno dei due manici attorno alla caviglia per rendere quell'impresa meno ardua.

“Il solito attore. Assomigli ogni giorno di più a tua madre”. Lo canzonò la donna uscendo dalla cucina portando con se un bicchiere di vetro dalla quale stava bevendo uno strano intruglio verdognolo che solo dall'odore fece salire la nausea a Castle.

“Povero figlio mio”. Disse sfregandosi il naso prima di dare un bacio sulla nuca della moglie dirigendosi verso il divano sulla quale si distese sbuffando. “A che ora dovrebbero arrivare Jenny e Lanie?”. Domandò alzando il braccio sopra la sua testa cosi da andare a controllare l'orologio notando che erano già quasi le 9. Era in ritardo con il suo programma e ogni minuto era vitale perchè tutto andasse secondo i suoi piani.

“Tra una decina di minuti dovrebbero essere qui. Perchè ti vuoi già liberare di me?”. Domandò Beckett seguendo i suoi passi solo per andare ad accomodarsi sul bracciolo del divano, rimanendo accanto ai suoi piedi che l'uomo si divertiva a sfregare contro la sua coscia nonostante i suoi continui buffetti per farlo cedere.

“é che ho detto alla mia amante di essere qui per le 9.15 e sarebbe imbarazzante avervi qui entrambe. Non che non mi saprei far valere in una cosa a tre però...”. La frase non riuscì a finirla perchè le parole vennero sostituite da un grido di dolore causato dalle dita di Beckett che, stringendosi attorno a quelle sue dei piedi, andavano a torcergliele.

“Qual'è il tuo programma per questo week end visto che in queste due settimane ne hai fatto un mistero”. Lo intimò a rispondergli strizzandogli ancora le dita mentre lui si metteva seduto allungandosi con le braccia per farla fermare.

“Probabilmente starò tutto il giorno a giocare ai video giochi e a nutrirmi con birra e patatine”. Rispose velocemente piegando la gamba verso di se quando finalmente Beckett mollò la presa e lui ebbe modo di andare a massaggiarsi il punto dolorante.

“Almeno cerca di ricordarti di lavare i piatti e magari buttare via la spazzatura”. Scrollò il capo la donna dando un ultimo sorso a quella bevanda prima di rimettersi in piedi.

“E di accendere la lavatrice e rifare i letti cosi poi potrai chiamarmi cenerentola”. Brontolò lui agitando la testa prima da un lato poi dall'altro, non accorgendosi del modo in cui Beckett era andato a guardarlo, con un espressione stupita per quanto da lui detto, andando poi a corrugare le sopracciglia quando i loro occhi si incontrarono.

“Sto scherzando”. Si difese Castle alzando le braccia all'altezza del viso notando come la moglie alzasse gli occhi al cielo dandogli le spalle per dirigersi in cucina.

“Dai accompagnami giù che tra poco arriveranno”.

“Si signora”. Ribattè lui dando un colpo di reni per scendere dal divano, sollevando le braccia al cielo per sgranchirsi la schiena sbadigliando nel contempo. “Non ho più il fisico per far tardi la sera”. Si lamentò grattandosi la pancia ricordando come la notte precedente era rimasto alzato fin le 3 di notte per vedersi un vecchio film.

“Prendi la giacca pesante e la sciarpa che fa freddo. Manca solo che ti prendi un bel raffreddore”. Le disse indicando gli indumenti posti sopra l'appendi abiti mentre lui andava ad indossare il suo giubbotto tirando la zip fin sopra il collo prima di andare ad aprire la porta cosi da lasciarla passare mentre lui si occupava dello zaino.

“Sai potresti sentire Espo e Ryan, forse anche loro sono liberi in questi giorni, potreste fare qualcosa insieme”. Glì suggerì Beckett dispiaciuta del fatto che il marito non avesse organizzato nulla per quei due giorni nonostante sapesse da più di una settimana che quello che era il week end che aveva accordato con Lanie e Jenny per usufruire del particolare regalo di natale fatto dai loro tre uomini di casa.

“Espo probabilmente passerà la giornata in palestra e Ryan invece sarà sommerso dai pannolini e fin quando ne ho la possibilità vorrei evitarlo”. Spiegò il detective mugugnando inorridito a quella scena facendo sorridere la moglie che istintivamente andò ad accarezzarsi la pancia.

“E qui finiscono le mie speranze sul fatto che qualche volta avresti potuto cambiare anche tu questo piccolino”. Commentò schiacciando il bottone dell'ascensore cosi da cscendere al piano terra dove avrebbe aspettato che le amiche la passassero a prendere.

“Con lui sarà diverso, è il mio bambino.”. Appurò compiendo un saltello per sistemarsi meglio lo zaino sulla spalla per poi alzarsi il colletto del giubbotto per rimanere più coperto dall'aria gelida della città. “O almeno spero”. Aggiunse subito cercando di rimanere serio soltanto per andare poi a ridacchiare divertito.

“Quanto sei stupido”. Rise anche Beckett dandogli uno spintone che gli fece perdere per un istante l'equilibrio prima di dargli la mano e uscire insieme a lui dall'ascensore.

“Hai preso le chiavi di casa, il cellulare..?”.Cominciò ad elencare Castle facendo mente locale su quanto la moglie potesse aver bisogno in quei due brevi giorni.

“Si e anche il portafogli, le vitamine, i numeri d'emergenza. Ho fin troppe cose Rick e poi sono con Lanie e Jenny non succederà nulla”. Cercò di rassicurarlo lei sollevandosi sulle punte per dargli un bacio sulla barba incolta del mattino uscendo per prima dall'edificio immettendosi nel marciapiede già gremito nonostante l'ora.

“Lo so ma sempre meglio avere di più che di meno”. La riprese Castle allungando il collo sulla strada in cerca della macchina del medico legale tra quelle che gli passavano davanti di volta in volta.

“Puntuale come un orologio svizzero”. Scherzò ancora il detective notando giungere verso di loro la vettura dell'amica riconoscibile dai due grandi dadi fluorescenti appoggiati sopra il cruscotto. “Prossima volta invece delle 9 le diciamo 8 e mezza cosi arriverà per tempo”.

“Ma si può sapere da dove arriva tutta sta fretta?”. Domandò curiosa Beckett facendosi vedere dalle due amiche alzando una mano e agitandola mentre si avvicinava al ciglio della strada.

“Ho i miei videogiochi che mi aspettano”. Ribattè prontamente lui mantenendosi sulla stessa linea precedente, dando un colpo con la spalla per voltare lo zaino davanti a se contro il proprio petto cosi da aprirlo con più facilità, controllandone il contenuto per assicurarsi che la moglie avesse preso davvero tutto il necessario.

“Farò finta di crederci”. Disse Beckett salutando le due donne aprendo lo sportello del sedile posteriore pronta a salirci dentro, allungando una mano per prendere lo zaino dal marito cosi da appoggiarlo accanto a se.

“Ciao Castle”. “Ciao Rick”. Lo salutarono le due sporgendosi oltre il finestrino mentre lui andava ad appoggiarsi con le mani a quello tirato giù dalla parte dov'era seduta Beckett.

“Ragazze, trattate bene la mia signora mi raccomando”. Fece loro l'occhiolino dando un bacio alla moglie prima di rimettersi in piedi cosi da darle la possibilità di tirare su il vetro ed evitare che altra aria gelida entrasse nella macchina.

“Tranquillo non la faremo ubriacare più del dovuto.”. Disse Jenny andando a guardare la detective che portò subito le iridi sul marito per rassicurarlo sul fatto che quella fosse solo una battuta di spirito.

“Proprio quello che volevo sentirvi dire”. Sospirò Castle dando un colpetto al tettuccio della macchina facendo alcuni passi indietro. “Buon week end e divertitevi anche per me”. Le salutò ancora una volta con un cenno della mano mentre l'altra si stava già infilando nella tasca dei pantaloni alla ricerca del cellulare.

Solo quanto la loro auto fu lontana da lui andò a comporre il numero del collega.

“Via libera”. Disse solamente prima di riattaccare e correre di nuovo all'interno dell'edificio cominciando a sentire la faccia congelarsi.

Entrato nel proprio appartamento si tolse velocemente le scarpe e il giubbotto lanciandoli dove gli capitò, correndo poi su per le scale dirigendosi in camera cosi da andarsi a cambiare con devi vestiti più consono al progetto che aveva in mente di realizzare di li a poco. Estrasse dai cassetti una maglietta malconcia e dei vecchi pantaloni di una tuta indossandoli di tutta fretta volendo essere pronto per l'arrivo degli amici. Con più calma si diresse nella stanza degli ospiti, soffermandosi sotto la porta di quella con le mani ai fianchi, guardandosi attorno cosi da cominciare a valutare il lavoro da svolgere in quella giornata.

“Tu sarai il più impegnativo”. Commentò passando davanti al grande armadio chiaro mentre andava ad aprire la finestra cosi da far circolare l'aria, abbassandosi poi a terra cosi da estrarre da sotto al letto, dove li aveva nascosti, dei vecchi giornali, dei teli di plastica e una cassetta degli attrezzi.

 

Ore 9,33

Pochi attimi dopo sentì il campanello suonare ma senza scendere di nuovo al piano superiore gridò cosi da farsi sentire dai suoi ospiti invitandoli ad entrare. Subito alle sue orecchie giunse un tintinnio metallico seguito da diverse imprecazioni da parte di Esposito. Curioso abbandonò gli utensili che aveva tra le mani e uscì dalla stanza cosi da affacciarsi oltre le scale vedendo i due colleghi dirigersi verso di loro portando il cubano una scala e l'irlandese invece due grandi secchi di vernice con altrettanti pennelli agganciati ai manici.

“Ce ne sono altrettanti all'ingresso.” Gli disse Ryan cercando di sollevare i due cilindri cosi pensanti che gli davano la sensazione che le spalle gli si stessero staccando dalla schiena.

“Mi sembrate la versione imbianchino di Mario e Luigi”. Sghignazzò raggiungendoli a metà scala, osservando le salopette di jeans che i due avevano indossato per l'occasione.

“Meglio che queste battute te le tieni per te altrimenti la cameretta per il bambino te la pitturi da solo”. Gli ringhiò dietro Esposito lottando contro le gambe della scala che gli sbattevano ad ogni passo contro le caviglie.

“Andiamo è uno scambio di favori. L'abbiamo fatto per Ryan, ora voi lo fate per me, domani noi”. Continuò indicando se e l'irlandese. “Lo faremo per te”. Concluse puntando il dito contro il collega che andò a guardarlo spazientito ricordando allo stesso Castle che l'argomento bambini era tabù per Esposito.

“Almeno potevi cominciare a togliere i mobili”. Protestò Kevin dal piano superiore mentre il detective ancora stava chiudendo la porta dietro di casa raggiungendoli con gli altri due secchi di vernice, stupendosi del fatto che l'irlandese fosse riuscito a sollevarli entrambi nonostante la sua muscolatura quasi del tutto assente.

“Da solo non ce l'avrei mai fatta e come aiutanti a disposizione avevo mia moglie incinta, mio padre che si sta ancora riprendendo dall'infarto o mio suocero che riesce e slogarsi il polso togliendo le buste della spesa dalla macchina”. Replicò Castle sbuffando una volta raggiunto il piano superiore, appoggiando per terra senza troppa cautela ciò che aveva tra le mani prima di accasciarsi al muro.

“E poi verrete ricompensati con una cena al “Tartufo d'Oro” con le vostre mogli completamente pagata da me, direi che alla fine quelli che ci guadagnate siete voi”. Ricordò ai due dando ad entrambi una pacca sulla spalla mentre questi si guardarono soddisfatti l'uno con l'altro, in effetti il vantaggio era tutto loro.

“Perciò qual'è il piano d'azione?”. Domandò Esposito portandosi al centro della stanza, roteando su se stesso per farsi anche lui un idea della mole di lavoro che gli si prefissava davanti.

“Direi di smontare il letto, l'armadio, togliere le mensole vecchie e portare fuori i cassettoni. Domani verrà mio padre con un camioncino della società e porteremo tutto nel suo deposito. Per oggi concentriamoci solo sulla pittura dei muri”.

“Allora consiglio di cominciare subito cosi magari entro stasera riusciremo a dargli almeno due passate”. Suggerì Ryan adocchiando la cassetta degli attrezzi, andando per primo ad accaparrarsi i cacciaviti per poi puntarli contro gli amici. “Io smonto voi portare fuori”.

“Dentro quella cena fa in modo che ci sia anche il vino più costoso della storia se no questa non te la perdono”. Minacciò Esposito rivolgendosi a Castle trascinandolo con se per cominciare a ripulire la stanza da ogni oggetto che riempiva i troppi ripiani presenti in quella stanza mentre l'irlandese andava a piegare con cura le lenzuola del letto appoggiandole appena fuori dalla porta, cominciando cosi a trasformare quel corridoio nel loro deposito improvvisato.

 

Ore 10,25

“Ma non potevi tenere queste mensole invece che sostituirle tutte”. Si lamentò ancora il cubano quasi un ora dopo mentre cercava di inserire la punta del trapano nella vite che sorreggeva l'ultima mensola da togliere mentre il collega stuccava i punti dove invece aveva già tolto le altre due.

“é colpa di Beckett, è lei che ha scelto il lettino, il fasciatoio e l'armadio di colore chiaro, quelle ormai non ci stavano più bene”. Si difese Castle mentre scocciava con attenzione i teli di plastica a terra cosi da evitare di sporcare il parquet con la vernice azzurra che di li a poco avrebbero usato.

“Sei sicuro che Beckett non se la prenda che ti stiamo aiutando noi? Magari voleva farlo lei questo lavoro?”. Si informò Ryan asciugandosi la fronte con il palmo della mano mentre reggeva ancora tra le dita la spatola con cui aveva sistemato il muro, approfittando di quella domanda per prendersi una piccola pausa.

“No, ne avevamo già parlato, sarebbe stata una cosa troppo pesante per Kate.”Spiegò l'uomo disteso per terra, lottando contro i pezzi di nastro adesivo che gli si appiccicavano alle mani invece che al muro. “Mi ero già preso questo impegno solo che lei non si immagina che lo stia facendo proprio oggi, in fondo i mobili li abbiamo ordinati solo una quindicina di giorni fa di tempo ce n'era anche, ma prima si comincia meglio è”.

“E poi a lei spetterà il compito divertente di riempire la cameretta con tutte le cianfrusaglie che potranno essere utili al marmocchio”. Finì il discorso rimettendosi in piedi con un saltello, provando la tenuta del proprio lavoro tirando con un piede uno dei teli, pulendosi poi le mani soddisfatto su pantaloni.

“Le cianfrusaglie che potranno essere utili al marmocchio, cosi parlò il futuro padre”. Lo sbeffeggiò Esposito lanciandogli contro la vite che aveva appena estratto dalla parete. “A volte mi chiedo se lo fai apposta o per davvero”. Lo riprese scrollando il capo quasi arreso per quelle uscite del collega, posando a terra anche l'ultima mensola cosi da poter equipaggiarsi del pennello e di una contenitore di vernice.

“Coraggio occupati di questa parete mentre io penso a quell'altra”. Quasi gli ordinò il cubano notando come Castle andasse velocemente ad eseguire quel compito.

I detective tornarono ognuno al proprio lavoro, fischiettando qualche canzone o parlando di football, ma Castle era diventato improvvisamente assente. Si era arrampicato sulla scala e stava finendo gli ultimi dettagli della parete, attento a non sbordare con il pennellino più piccolo, ma i suoi pensieri erano tutt'altra parte. Non tanto sulla moglie, anche se sperava che si stesse divertendo insieme alle amiche, ma erano più rivolti ai due uomini che gli stavano accanto. Spostò lo sguardo su di loro e vide che Esposito, senza farsi notare troppo, si stava divertendo a disegnare con la vernice blu, delle strisce sulla salopette dell'irlandese mentre questi si impegnava per far si che uscisse un ottimo risultato, per mostrare con orgoglio quell'angolo della cameretta tutto suo.

“Ragazzi prima di finire qui e prenderci una meritata pausa mentre aspettiamo che questa prima passata asciughi voglio solo ringraziarvi”. Disse appoggiandosi alla scala con un braccio mentre l'altro lo teneva rivolto verso il basso lasciando che alcune gocce dal pennello ricadessero fino a terra a macchiare i teli di plastica.

“Ci tenevo che tutti i membri della mia famiglia partecipassero a questo progetto, mettessero qualcosa di proprio al suo interno”. Castle aveva compreso ormai in età adulta l'importanza di avere accanto a se una famiglia, qualcuno sempre pronto ad esserci per lui, a guardargli le spalle in un modo che andava ben oltre a quello lavorativo a cui era abituato. Quei due uomini davanti a lui non erano solamente suoi amici, ma suoi fratelli e voleva che cosi fosse anche per suo figlio. “E sarei felice se anche voi faceste lo stesso. Non avremo un legame di sangue ma questo non toglie il fatto che a mio figlio dirò sempre che voi siete i suoi zii, nulla di meno”.

“Se è un modo carino per convincerci a far altro oltre la pittura ti dico già che non funziona”. Disse prontamente Ryan non volendo farsi raggirare fin da subito dalle lusinghe del collega anche se in cuor suo sapeva benissimo che non avrebbe saputo dirgli di no, non gli avrebbe potuto negare il proprio aiuto per rendere speciale un luogo già cosi importante.

“No, ho in mente tutt'altro.”. Ridacchiò Castle abbassando il capo, approfittando della posizione elevata dove si trovava per far roteare velocemente le iridi lungo quelle pareti che piano piano si stavano colorando di azzurro, permettendosi per un istante di immaginare quell'opera compiuta cosi come molto spesso se l'era sognata negli ultimi giorni. “Ciò che vi chiedo è solo un pensiero”.

“Un pensiero?”. Corrugò la fronte dubbioso Esposito, agganciando il pennello al secchio della vernice per compiere quei due passi che lo dividevano dal detective, sentendo sotto i suoi piedi lo strano strascichio prodotto dalla plastica sotto le proprie scarpe.

“Un pensiero”. Ribadì ancora un misterioso Castle facendo spallucce prima di rimettersi all'opera, avendo quasi finito di ultimare quel suo angolo di parete.

 

Ore 19,07

“Sicuro di non aver bisogno domani?”. Domandò Ryan cominciando a camminare per tutto il perimetro della stanza, socchiudendo gli occhi per controllare bene la superficie liscia dei muri, posandovi sopra con cautela due dita per constatare che la vernice stesse seccando velocemente.

“No tranquilli avete già fatto troppo”. Rispose Castle appoggiato invece contro lo stipite della porta, leccandosi il pollice per poi andare a sfregare una goccia di colore che era finita li sopra durante i lavori, provando a grattarla via con quel modo inusuale. “Poi domani è la giornata dei nonni. La mattina verranno mio padre e James ad aiutarmi a portare via i mobili vecchi. Poi verso le 11 dovrebbero portarmi quelli nuovi quindi il pomeriggio procederemo con la montatura”.

“Solo tu riesci a farti consegnare qualcosa di domenica”. Si lamentò con una smorfia l'irlandese abbassandosi sulle ginocchia, voltando uno dei ventilatori verso la parete cosi che il getto d'aria fredda la facesse asciugare più velocemente dato che il collega aveva i minuti contati per riuscire a finir in tempo la stanzetta.

“Se dai 300 dollari di mancia al corriere fa questo e molto altro”. Sogghignò Castle abbassando lo sguardo cosi da darsi un occhiata, notando come si era completamente ricoperto di gocce di vernice non tanto sui vestiti quanto sulle braccia e sulle gambe.

“E tua madre e Johanna non parteciperanno? Non so quanto ti convenga tenerle fuori”. Gli fece notare Ryan raggiungendolo sulla porta, spostandolo con una leggera spinta cosi da uscire nel corridoio per sistemare il caos che ancora regnava in quello spazio dato che i due amici avevano detto chiaramente che quello sarebbe stato un suo dovere siccome tra i tre era quello che aveva più idea su cosa fosse l'ordine.

“No, non sono cosi pazzo. Loro han detto che passeranno nel tardo pomeriggio, quando presumibilmente avremo finito, per dare un tocco femminile alla stanza.”. Brontolò Castle al pensiero delle decine e decine di peluche che di certo le due donne avrebbero portato per rendere quella camera più adatta a un bambino nonostante lo stesso detective aveva detto chiaramente che tali oggetti sarebbero stati banditi non amandoli particolarmente.

“Bene se è tutto a posto allora possiamo anche andare, a meno che non hai ancora bisogno di noi”. Affermò Esposito senza però muoversi, aspettando che qualcuno lo portasse via o ancora meglio che ci fosse qualche altro lavoretto da fare. In fondo gli era piaciuto dedicarsi a un'attività simile, ad aver contribuito ad un progetto cosi importante.

Castle guardò il collega e ci ponderò su diversi secondi. Ormai nessuno dei tre era più abituato a passare un sabato sera da solo senza la propria moglie e di certo dopo una giornata cosi pesante l'ultimo pensiero era quello di andare a divertirsi in qualche pub. Esposito a modo suo gli stava lanciando l'amo pregandolo di organizzare qualcosa per impedire che quella serata in solitaria si avverasse.

“Bhè è quasi ora di cena che ne dite se ci ordiniamo una pizza”. Suggerì battendo le mani l'una contro l'altra, guardando prima il cubano e poi l'irlandese che, facendo finta di niente, annuirono sommessamente con il capo.

“Per me va bene tanto Colin lo tengono i genitori di Jenny. Javi tu ci stai?”. Chiese Ryan rivolgendosi all'amico che con un sorriso sornione si avvicinò minacciosamente a Castle che si ritrovò schiacciato contro la porta.

“Ad una condizione”. Gli disse alzando un dito all'altezza del suo viso. “Voglio la rivincita a laser tag”.

 

Ore 20,43

Castle si trovava nascosto dietro uno dei ripiani della cucina, accovacciato contro di esso mentre teneva stretta a se la pistola giocattolo, usando il riflesso del vetro del forno per accertarsi che i due colleghi non si avvicinassero al suo nascondiglio improvvisato. Cominciando a gattonare si spostò di diversi passi, allungando il collo alla ricerca delle luci elettroniche facilmente riconoscibili dei giubbotti che stavano indossando. Sapeva che erano nascosti li da qualche parte pronti a colpirlo appena avesse messo fuori la testa dalla cucina, doveva stare attento se non voleva perdere anche quella manche.

D'un tratto un cellulare si mise a squillare e lui colse l'occasione per puntare la sua finta arma dietro la libreria e al divano, aspettandosi che Ryan od Esposito uscissero a controllare che non fosse il loro telefono.

“Ehi agente dell'fbi è il tuo”. Si sentì la voce dell'irlandese echeggiare nella sala e allora Castle si accorse che in effetti quella era la suoneria personale di Beckett. Senza pensarci due volte si alzò in piedi con l'intenzione di andare a rispondere ma appena lo fece venne colpito da una raffica di munizione invisibili che gli fecero suonare e illuminare di diversi colori il giubbotto.

“Ehi non vale”. Si lamentò aprendo le braccia andando finalmente a prendere l'apparecchio cosi da rispondere a quella prolungata chiamata.

“Non hai detto pausa e ora hai perso”. Appurò trionfante Esposito battendo il cinque con il collega.

“Non hai detto pausa e ora hai perso”. Gli fece il verso infastidito mentre si portava il dispositivo all'orecchio.

“Che cosa hai perso?”. Domandò Beckett curiosa avendo sentito solo l'ultima parte della frase pronunciata dal marito.

“La battaglia Kate. Tuo marito ti ama cosi tanto che infischiandosene della sua incolumità è uscito allo scoperto pur di sentire la tua voce”. Ribattè lui con un tono della voce affranto volendo far venire i sensi di colpa alla moglie, se non fosse stato per lei avrebbe vinto, ne era certo.

“Stai giocando a laser tag con i ragazzi? Perciò quando torno a casa domani troverò la casa in soqquadro”.

“Sei tu che mi avevi detto di chiedere a loro di farmi compagnia. Che avremmo spostato i mobili per creare un campo di battaglia era un eventualità che dovevi mettere da conto”. Si giustificò lavandosi via ogni senso di colpa che poteva avere notando come i due colleghi fossero presi a parlare l'uno con l'altro e, ipotizzando che la loro conversazione fosse riguardo la prossima tattica da seguire, decise di porvi termine andando a sparare contro di loro.

“Vendetta”. Gridò facendo poi una risata degna di un cattivo di qualche film di serie b vedendo i giubbotti dei colleghi illuminarsi a loro volta.

“Quindi presumo che ti sia divertito oggi”. Echeggiò la donna sistemandosi meglio sulla poltrona sulla quale era seduta, incurvando la schiena e sollevando la testa per vedere l'estetista che si stava occupando dei suoi piedi, colorandole le unghie con uno smalto di un rosso cosi acceso che si sarebbe vergognata ad indossarlo in pubblico.

“Mi sono tenuto impegnato. Tu piuttosto come stai?Non ti stai stancando troppo? Ti stai riposando un po'?”. Cominciò a riempirla di nuovo di domande facendo una mezza piroetta su se stesso prima di farsi cadere a peso morto sul divano, con la testa posata sul bracciolo e le gambe accavallate su quello opposto.

“Più di quanto avessi immaginato. Massaggi rilassanti, bagni profumati, una fantastica compagnia. È un week end perfetto”. Rispose Beckett andando a sollevare il proprio bicchiere verso le amiche sedute accanto a lei mentre ricevevano gli stessi trattamenti.

“Uhm che invidia. Quasi quasi ti raggiungo”. Scherzò Castle notando i due colleghi dirigersi in cucina, schioccò allora le dita per richiamare la loro attenzione e, quando si girarono verso di lui, fece loro un gesto per fargli capire il suo bisogno di dissetarsi.

“Bhè non sarebbe male come idea, potresti correre qui e provvedere tu ai miei massaggi dato che sai dove mettere le mani”. Replicò Beckett scambiando con Lanie e Jenny uno sguardo complice alla quale le due non persone tempo a commentare e la detective ringraziò che il marito si trovasse dall'altra parte del telefono impossibilitato a sentire quanto da loro detto.

“E rischiare di attirare l'attenzione di tutte le altre ospiti che vorrebbero anche loro usufruire dei miei servigi”. Ridacchiò divertito mentre Ryan gli colpiva il ginocchio con una bottiglia di birra sulla quale l'uomo poteva vedere scorrere alcune gocce d'acqua. Bella fresca, pensò mettendosi seduto cosi da berla con più facilità. “E poi ho una battaglia da finire. Comunque sicura di stare bene?”. Chiese ancora approfittando del tempo impiegato dalla donna per rispondere per abbeverarsi.

“Tranquillo, sia io che il bimbo stiamo bene a parte il fatto che ci manchi”. Affermò con un velo di tristezza Beckett. Per quanto quella giornata fosse andata perfettamente e si stava concludendo nel migliore dei modi non poteva non provare un leggero senso di nostalgia. Non era mai stata cosi tanto lontana dal marito da quando era rimasta incinta e anche se si trattava solo di un paio di giorni aveva come la sensazione di privarli entrambi della meraviglia di quella gravidanza, sentendosi in colpa per fargli perdere quei movimenti che il bambino compiva dentro di lei nonostante li avesse sentiti già più e più volte.

“Mi mancate anche voi. A che ora pensi di tornare a casa domani?”. Chiese non tanto per sapere quando avrebbe rivisto di nuovo la moglie quanto per voler conoscere quanto tempo aveva ancora per ultimare la cameretta prima del suo arrivo. Quella domenica sarebbe stata una giornata intensa e anche il più piccolo minuto perso poteva mandare a monte la sorpresa.

“Pensavamo verso le 17 o le 18 circa”. Rispose la detective andando a cercare conferma nelle amiche che silenziosamente annuirono.

“Sarà ardua ma sopravviverò fino a quell'ora”. Asserì distratto Castle guardando l'orologio legato al polso cosi da fare un rapido calcolo delle ore mancanti, dividendo nella propria mente ogni singolo momento del giorno successivo abbinandogli un lavoro ben preciso.

“Ora devo andare tra poco inizia un corso di ginnastica dolce a cui Jenny mi vuole trascinare mentre Lanie si fa fare un altro massaggio.” Sbuffò Beckett non troppo contenta ne di lasciare lui ne quella comoda poltrona sulla quale era seduta che le alleviava i dolori alla schiena, preferendo rimanere li che mettersi a far ginnastica ma ormai l'aveva promesso alla signora Ryan.

“Hai capito Lanie”. Sghignazzò il detective passando accanto ad Esposito con un ampio sorriso sul volto mentre gli dava due pacche sulla spalla annuendo con il capo.

“Fa il bravo Castle e non tormentare troppo quei due poveracci.”. Lo riprese subito Beckett capendo bene dal modo in cui aveva parlato che aveva già in mente di combinare qualcosa nei confronti del collega.

“Non ti prometto nulla. Allora a domani?”. Riprese la parola l'uomo provando la stessa nostalgia che stava colpendo la moglie, contorcendo le labbra infastidito dal modo in cui, grande e grosso come si riteneva, non riusciva a resistere cosi poco senza la donna al suo fianco.

“A Domani. Ti amo”.

“Ti amo anch'io. Ciao” . La salutò fissando poi lo schermo del cellulare fino a che non divenne nero prima di gettarlo velocemente sul divano pronto a distarsi mettendosi a giocare ancora con gli amici.

“Che ha fatto Lanie?”. Domandò preoccupato Esposito ipotizzando che fosse successo qualcosa alla propria moglie.

“Nulla di che. Ha solo trovato la felicità tra le braccia di un massaggiatore svedese”. Lo prese in giro Castle andandosi a nascondere velocemente dietro una delle librerie per evitare ritorsioni da parte del cubano “E ora battaglia”.

 

Ore 00,57

Era quasi l'una di notte quando Castle finì di sistemare il piano inferiore e decise di recarsi in camera sua per concedersi un meritato riposo necessario per affrontare la mole di lavoro che ancora gli si prospettava davanti. Passando davanti la stanza però si fermò davanti alla porta a fissare quel letto ancora sfatto ma sopratutto vuoto e che lo sarebbe rimasto per tutta notte.

“Magari più tardi”. Parlò tra se e se richiamato dal suono dei ventilatori che ancora giravano nella stanzetta di suo figlio. Insieme a Ryan ed Esposito aveva tolto ogni traccia dei teli, dei giornali, dei pezzi di nastro adesivo che avevano tappezzato ogni angolo per evitare di sporcare troppo in giro e ora non rimanevano altro che quattro mura azzurre contro le quali veniva soffiata dell'aria gelida. Ancora gli risultava difficile credere che in meno di 24 ore quello spazio sarebbe stato totalmente diverso. Silenziosamente si mosse andandosi a sedere sul freddo parquet, appoggiando le mani a terra dietro la schiena e allungando le gambe davanti a se e respirando lentamente si mise a contemplare ciò che aveva davanti. Lasciò che la mente gli giocasse brutti scherzi, immaginandosi già la cameretta finita, con tanto di lettino, mobili e perchè no anche diversi peluche, si disse ritrovandosi a sorridere da solo.

“Chissà perchè ma credo che questa diventerà la mia camera preferita”. Constatò ad alta voce distendendosi poi sul pavimento portando le braccia sotto la nuca come cuscino improvvisamente cosi stanco tanto che appena chiuse gli occhi si addormentò.

 

Ore 10,26

“Ehi figliolo sveglia”. Castle sentì una voce giungergli alle orecchie ma cercò di scacciarla via agitando una mano davanti a se andando a colpire qualcosa di solido che attirò la sua attenzione. Dopo diversi tentativi riuscì ad aprire gli occhi senza che la luce del giorno gli desse fastidio e notò inginocchiato davanti a se il padre che lo stava fissando.

“Siete già arrivati?”. Domandò sbadigliando mentre si metteva seduto, pentendosi di non aver scelto quel materasso solitario quando la propria schiena decise di fargli sentire tutti gli acciacchi più consoni ad un uomo di una certa età.

“Già da un po' in effetti. Ti abbiamo preparato un bel caffè forte”. Si fece sentire questa volta James che si trovava in piedi accanto al muro a ispezionare il lavoro svolto dal genero, avvicinandosi poi a lui per porgergli la tazza ancora calda.

Castle ci soffiò dentro e ne bevve alcuni sorsi con la quale andò a strozzarsi quando vide l'ora.

“No, siamo in ritardissimo”. Protestò ritrovandosi di nuovo pieno di energie mentre si rimetteva in piedi con un saltello. Aveva programmato di svegliarsi alle 9 cosi da cominciare a portare tutti i mobili, o meglio i vari pezzi che andavano a comporli, nel parcheggio cosi da portarli via più facilmente e invece erano già le 10 e mezza passate e non aveva ancora combinato nulla.

“Allora io porto nel furgoncino tutto quello che c'è da portare via mentre voi potete togliere tutto ciò che non serve dalla stanza cosi quando arrivano i mobili nuovi li piazziamo subito”. Ordinò senza nemmeno guardarli, dirigendosi di corsa fuori dalla camera non ascoltando i richiami dei due uomini che si guardarono sorridendo.

“Se già è agitato cosi non oso immaginare quando sarà il momento”. Notò Alexander staccando i ventilatori dalle prese mentre James inseguiva il detective al piano inferiore.

“Dov'è tutto?”. Si voltò Castle verso le scale da dove stava scendendo il suocero spalancando le braccia. “Ieri sera avevamo messo tutto qua”. Disse indicando quel punto ormai vuoto tra la porta e la parete della cucina.

“Quando siamo arrivati e ti abbiamo visto addormentato abbiamo deciso di lasciarti riposare ancora un po' e di occuparcene noi con un piccolo aiuto da parte di alcuni ragazzini che vivono nel palazzo. Pur di guadagnarsi 20 dollari ci avrebbero aiutato anche a montarla la cameretta non solo a portare via le cose da riporre nel deposito”.

“Bhè una cosa in meno da fare”. Sospirò il detective portandosi le mani sui fianchi mentre si guardava attorno valutando la prossima mossa da compiere.

“Non ci resta che aspettare la ditta che ci porti l'arredo e le altre cose da montare e mentre aspettiamo possiamo occuparci del lettino, quello che l'abbiamo già a casa”.

“E lettino sia”. Replicò James sfregandosi le mani non vedendo l'ora di cominciare a costruire la camera del nipotino. Era un compito che già aveva adorato fare per Kate e ora sarebbe stato ancora più gratificante.

 

Ore 11,45

“Hai stretto bene le viti?”. Domandò Alexander al figlio alzando gli occhi dal libretto di istruzioni che teneva tra le mani e che usava per guidare gli altri due uomini nell'assemblaggio del lettino.

“Si, più di cosi non vanno”. Rispose Castle piegato a testa in giù sopra uno dei tre ripari che già avevano piazzato cosi da controllare la rete che avrebbe retto il materasso premendoci con forza con l'intero palmo.

“Controlla ancora vorrei evitare che il mio primo nipote rotoli a terra solo perchè suo padre non è abbastanza pignolo”. Il detective si tirò in piedi offeso dalle parole del padre guardandolo con la bocca spalancata non sapendo nemmeno lui come rispondere a quell'illazione.

“James puoi dirgli qualcosa tu per favore”. Chiese aiuto al suocero allungando un braccio verso di lui per poi indicare il proprio genitore annuendo già soddisfatto del sostegno sicuro del vecchio Beckett.

“Bhè in effetti anche secondo me dovresti stringere meglio quella vite”. Ribattè invece l'uomo andando ad indicare un angolo del lettino mentre ancora rimaneva inginocchiato accanto ad esso muovendo una delle spalliere per constatarne la tenuta.

“Comincio a pentirmi di avervi chiesto una mano”. Sbuffò l'uomo sentendo il campanello suonare. “Devono essere quelli della ditta di trasporto”. Affermò abbandonando i propri attrezzi per terra pulendosi le mani nei pantaloni mentre si recava al piano inferiore cosi da rispondere al citofono.

“è permesso?”. Riconobbe invece la voce della sorella vedendola comparire da dietro a porta con due borse di plastica in mano.

“Lex che ci fai qui?. Ti aspettavo per oggi pomeriggio”. Commentò Castle raggiungendo la giovane con ampie falcate salutandola con un caloroso abbraccio e un bacio sulla nuca prima di sfilarle dalle dita le due borse, sollevandole fino al proprio petto cosi da studiarne il contenuto.

“Ho pensato che avreste avuto fame cosi vi ho portato qualcosa di caldo da mangiare”. Spiegò indicando una delle due borse dirigendosi poi in cucina dove il fratello la seguì.

“Ho preso un po' di tutto cosi avete un ampia scelta”. Continuò battendo le mani sopra uno dei ripiani vuoti cosi da invitare l'uomo a posarvi li sopra i sacchetti dandole la possibilità di svuotarli.

“Abbiamo del cinese, italiano e messicano”. Disse Alexis estraendo più e più piccoli contenitori di plastica ammucchiandoli accanto a se. “Meglio chiamare papa e James cosi li mangiate finchè sono ancora caldi. A proposito a che punto siete?”. Domandò dando uno schiaffo a Castle che invece di preoccuparsi del cibo stava sbirciando nell'altra borsa invece più leggera.

“Abbiamo quasi finito il lettino ma gli altri mobili devono ancora arrivare”. Rispose offeso l'uomo andando a massaggiarsi il palmo della mano che si stava già arrossando, stupido della forza con cui la sorella l'aveva colpito.

“Ah perfetto cosi riuscirò a lavorare più liberamente”. Ribattè tutta sorridente Alexis rubando quella borsa dalle grinfie del fratello per nasconderla dietro la sua schiena cosi da non rovinargli anzi tempo la sorpresa.

“E cosi finalmente scoprirò il misterioso progetto che hai in mente. Kate non mi ha voluto dire nemmeno una virgola a riguardo”. Castle sbuffò spostando l'attenzione sulle pietanze davanti a lui il cui profumo cominciava a fargli brontolare lo stomaco, invitandolo a dargli tregua il più velocemente possibile.

“ E nemmeno lo farò io. Lo scoprirai una volta che avrò finito tutto. Tu comincia a mangiare io vado a cacciare dalla stanza gli altri due uomini cosi potrò cominciare subito”. Dichiarò Alexis lasciando solo l'uomo per dirigersi di corsa su per le scale portando la borsa di plastica con se. Castle la seguì per qualche istante con lo sguardo prima di sospirare contento. Non vedeva l'ora di vedere ciò che la mente della sorella aveva partorito.

 

Ore 13,36

Castle bussò alla porta della cameretta tendendo l'orecchio contro di quella per captare i rumori che proveniva dall'interno, curioso su quanto la sorella stesse facendo. Più volte aveva provato ad entrare ma aveva sempre trovato la porta chiusa a chiave e Alexis che gli negava l'ingresso ordinandogli di pazientare ancora.

“Lex hanno portato i mobili e vorremo piazzarli a che punto sei?”. Domandò portando la mano sulla maniglia cosi da tentare la fortuna ma ancora una volta la trovò chiusa.

“Attacco un ultima cosa e arrivo”. Disse la giovane fissando saldamente i piedi alla scala mentre si allungava su di essa per raggiungere con le mani il soffitto, sistemando con cura l'ultima decorazione per poi osservare il suo lavoro soddisfatta, sfregandosi le mani cercando di togliere la colla che le era rimasta sui polpastrelli.

“Chiudi gli occhi”. Disse al fratello aprendo leggermente la porta per controllare che lui avesse le palpebre chiuse. “Dammi la mano”. Gli disse poi afferrandola per trascinarlo all'interno della stanzetta, attenta a farlo sistemare davanti a quella parete sulla quale lei stessa aveva lavorato per più di un ora.

“Ok apri e dimmi che ne pensi”. Affermò agitandosi sulle punte mentre univa le mani davanti a se andando nervosamente a grattarsi le dita.

Castle aprì prima un occhio poi il secondo non sapendo cosa aspettarsi, ritrovandosi con la bocca aperta quando vide ciò che la sorella aveva creato. Su quella parete azzurra dapprima vuota ora si stagliava un albero dai rami ondeggianti e carichi di foglie, quelle stesse foglie che come sospinte dal vento si staccavano dal tronco proseguendo lungo la parete arrivando al soffitto per trasformarsi in stelle. Il detective le seguì con lo sguardo piegando la testa all'indietro per ammirare il cielo stellato sopra la sua testa.

“Qua a New York è difficile vedere le stelle perciò ci tenevo a dare al mio nipotino un angolo di cielo tutto suo”. Spiegò la ragazza vedendo il fratello avvicinarsi a quella parete con un braccio allungato.

Castle toccò quei decori, seguendo il tronco dell'albero e un ramo ondeggiante, toccandone le foglie attento a non rovinare lo stancil.

“Voglio che ci sia il lettino qui, cosi che si addormenti e si svegli vedendo ciò che hai fatto per lui”. Asserì l'uomo lasciando che un sorriso sempre più accentuato gli si formasse sulle labbra. Adorando ciò che la sorella aveva fatto per suo figlio, quel piccolo gesto che per lui voleva dire invece molto.

“Sono stancil speciali questi che ho messo. Le stelle sono fluorescenti e di notte si illumineranno cosi avrà davvero l'idea di dormire sotto il cielo”. Continuò Alexis mettendosi a fianco del fratello che andò prontamente ad avvolgerle un braccio attorno alle spalle mentre la stringeva contro il proprio fianco posando la testa sopra quella di lei.

“Inoltre mi sono permessa di essere la prima a scrivere sul muro, spero non ti dispiaccia”. Castle corrugò la fronte guardando prima la ragazza e poi girando il collo tutto attorno alla stanza alla ricerca della dedica di Alexis.

La trovò scritta sopra la parete opposta, di nero con una calligrafia curata, con le parole più importanti scritte con un carattere più grande rispetto alle altre, con una greca alla fine che ricordava le ali stilizzate di un angelo.

“Punta alla luna perchè, anche se la mancherai, potrai sempre dire di aver camminato tra le stelle”. Lesse ad alta voce Castle cominciando a sentirsi gli occhi umidi senza comprenderne veramente il motivo, portandosi una mano a coprirsi la bocca per non lasciar che la sorella vedesse le sue labbra tremare.

“Grazie Lex. Davvero”.

 

Ore 17.53

Castle era sdraiato sul divano per riprendersi dalla lunga giornata di lavoro, combattendo contro le palpebre pesanti che più di una volta l'avevano tradito chiudendosi più di quanto volesse, facendolo sprofondare poco a poco in un sonno sempre più ricercato. Per sua fortuna il rumore delle chiavi che giravano nella serratura lo fecero riprendere di colpo facendogli dimenticare del tutto la stanchezza. Velocemente balzò in piedi e si diresse alla porta giusto in tempo per aprirla e vedere Beckett dietro di essa intenta a prendere lo zaino che aveva accanto ai piedi.

“Lo prendo io”. Disse frettolosamente appropriandosi dello zaino cosi da non far compiere alcuno sforzo alla donna.

“Ciao anche a te Rick”. Sorrise Beckett facendolo indietreggiare posandogli una mano sul petto cosi da aver modo di chiudere la porta dietro di loro. “Mi sei mancato da morire”. Disse la donna gettandosi tra le sue braccia con ancora indosso il pesante giubbotto, i guanti e la sciarpa. Non aveva tempo per pensare a quelli, prima doveva dimostrare con i fatti quello che aveva appena pronunciato.

“Mi sei mancata anche tu”. Ribattè baciandola sentendo poi il suo grembo contro il proprio stomaco, ricordandosi con un sorriso di quel piccolino che vi era in mezzo a loro. “Anche tu mi sei mancato”. Affermò abbassandosi sulla schiena per posar sopra alla pancia un bacio e una carezza.

“Allora è andata bene?”. Domandò andando a portare lo zaino sul divano in sala per poi tornare dalla donna cosi da aiutarla a togliersi quegli indumenti ormai inutili nel caldo accogliente della casa.

“Bene è dir poco. Due giorni ad essere coccolata, viziata, servita e riverita. Mi è dispiaciuto andare via devo ammetterlo”. Raccontò brevemente cogliendo il momento in cui Castle le dava le spalle per ritirarle il giubbotto nello sgabuzzino per controllare che la casa fosse in ordine, notando i mobili rimessi nella loro posizione iniziale nonostante la guerra che era scoppiata in quella stessa sala la sera prima.

“Un servizio migliore di quello che ti offro io?”. Domandò scherzoso l'uomo riprendendola tra le braccia, dondolando un po' con lei mentre Beckett le avvolgeva le braccia attorno al collo facendosi pensierosa.

“Bhè se devo dirla tutta...”. Cominciò a dire sorridendo divertita nel vedere il marito indietreggiare con il capo per vederla meglio cercando di interpretare la sua titubanza nel rispondere.

“Il servizio di casa Castle è imbattibile”. Finì la frase mentre Castle sospirava facendo finta di asciugarsi la fronte per poi essere spinto via dalla stessa moglie che si diresse in cucina per prendersi qualcosa da bere.

Castle la seguì come un ombra tornando a sentire quella sensazione di quiete, quel calore della casa, che provava solo quando la donna era li con lui.

“Per fortuna che mi avevi promesso di buttare via la spazzatura”. Lo riprese Beckett mentre buttava via il cartone vuoto del succo studiando l'espressione colpevole di Castle che si massaggiò la fronte con le dita. Era stato cosi preso dalla cameretta che si era dimenticato di tutto il resto.

“Ho avuto altro da fare”. Disse non riuscendo a trattenere quel sorriso divertito che non sfuggì alla detective.

“Come giocare tutto il giorno ai videogiochi”. Notò Beckett vedendo come lui ora negava con il capo facendosi improvvisamente serio. I piani di Castle prevedevano di rivelarle la verità su quel week end solo dopo una sana e abbandonante cena ma il desiderio di farle vedere ciò che avevano creato era troppo e non riusciva più a resistere.

“Ho fatto altro. Vieni”. La richiamò a se allungando un braccio verso di lei aprendo la mano cosi che lei l'afferrasse.

Giunti sul pianerottolo del secondo piano la fece fermare e le fece chiudere gli occhi, agitando le dita davanti a quelli per controllare che non sbirciasse. Poi, attento a non farle perdere l'equilibrio, la condusse lungo il corridoio fino a farla fermare davanti alla porta della cameretta.

“Ok, ora puoi guardare.”. Quando Beckett aprì gli occhi la prima cosa che vide fu il pupazzetto di un orsetto addormentato su di una nuvola che rimaneva appeso alla porta.

“Questo è provvisorio”. Disse Castle andando ad accarezzare quel peluche. “Il tempo di sostituirlo con una placca con su il nome del bambino.”.

“Cos'hai combinato Castle mentre non c'ero?”. Domandò Beckett mentre un pensiero le si formava con insistenza nella testa, osservando il marito eccitata, incrociando le braccia al petto e inclinando la testa mentre si mordeva le labbra. Vi era un unico motivo che poteva spiegare la loro presenza davanti a quella porta e la detective non vedeva l'ora di scoprire ciò che vi si celava dietro.

“Diciamo che mi sono tenuto occupato in questi giorni”. Ridacchiò facendo per aprire la porta solo per fermarsi un istante dopo sovrapponendosi tra quella e la moglie. “Non aspettarti chissà che, è solo la base. Manca ancora tutto, c'è dentro giusto il necessario anzi credo che non ci sia nemmeno quello”.

“Fammi entrare Rick”. Insistette la donna facendolo tacere posandogli le dita sulla bocca. Castle fece un profondo respiro e poi spalancò la porta invitandola a varcare quella porta.

Beckett per un istante si sentì completamente persa, come se fosse entrata in punta di piedi in un sogno meraviglioso. Ciò che aveva sempre immaginato da quando era rimasta incinta ora era li davanti ai suoi occhi. Era tutto cosi perfetto.

Come incantata cominciò a camminare seguendo un percorso che le avrebbe fatto fare tutto il giro della stanza, dandole cosi modo di vederne ogni minimo dettaglio. Alla sua sinistra, nella nicchia tra la porta e la parete opposta, vi era il lettino già montato con tanto di materasso e lenzuola che andò subito a sfiorare, alzando lo sguardo per rimanere incantata dall'albero, le foglie e le stelle che aveva sistemato Alexis.

“Lex mi ha detto che era una cosa che avresti voluto”. Parlò Castle preoccupato dal modo in cui la moglie si era fatta silenziosa mentre fissava quegli stancil, credendo che non fossero di suo gradimento.

“Si, ma non avrei mai immaginato che sarebbe stato cosi perfetto.”. Rispose sognante seguendo anche lei con gli occhi la direzione di quelle foglie spinte dal vento, salendo fino al soffitto dove vi erano le stelle. “Alexis si è superata”. Commentò facendo ricadere le iridi su di un altro disegno che vi era appena sopra il fasciatoio. Un simpatico orsacchiotto dal naso blu che teneva tra le mani un cuore di pezza.

“I cassetti sono ancora vuoti. Ho avuto una mezza idea di riempirlo ma a dirla tutta non sapevo cosa metterci effettivamente dentro”. Spiegò l'uomo rimanendo al centro della stanza, sempre con gli occhi incollati sulla donna che sembrava non accorgersi nemmeno della sua presenza tanto era presa da quella esplorazione. Superò il fasciatoio e arrivò all'armadio li vicino, aprendo le due ante vedendo alcune tutine piegate e posate sopra ad alcuni ripiani.

“Opera delle nostre madri”. Ridacchiò nervoso il detective non riuscendo a capire cosa la donna provasse, chiedendosi il motivo del suo silenzioso. Forse se l'era presa che non l'aveva aspettata per fare la cameretta, o forse non le piaceva come avevano sistemato i mobili o ancora odiava i colori usati e i disegni sparsi per le pareti. Beckett richiuse l'armadio e andò a sedersi sulla poltrona posta nell'angolino della cameretta proprio accanto alla finestra.

“Tua madre mi ha detto che era la stessa che utilizzava per farti addormentare quando eri appena nata”. Dichiarò Castle inginocchiandosi davanti a lei, posando le mani e la testa sul bracciolo di quella andando ad osservare la moglie. “Non ha dovuto nemmeno insistere per convincermi a metterla. Appena me l'ha descritta non ho potuto fare a meno di immaginarti qui seduta mentre culli nostro figlio”.

“é perfetta”. Asserì Beckett con un dolce sorriso andando a prendere tra le dita il colletto della polo indossata dall'uomo, accarezzandogli il pollice con il collo tirandosi poi su con la schiena per incontrare il suo viso cosi da scambiarsi un bacio e un altro ancora.

“Qui poi metteremo tutte le sue foto, i suoi album e nel ripiano più sotto tutti i libri delle favole della buona notte che gli leggeremo”. Spiegò l'uomo mettendosi seduto per terra indicando lo scaffale basso ma lungo posto nel lato opposto la poltrona. Mobile i cui ripiani erano già stati riempiti con cornici raffiguranti la coppia e le ultime ecografie del bambino, senza contare i libri e i peluche che occupavano i ripiani inferiori. Beckett si sedette sul bordo della poltrona per vedere meglio ciò che era stato ritirato e poi tornò di nuovo a fissare l'ultima parete. Le tre mensole ancora vuote ma pronte per essere riempite con il necessario, e accanto ad esse due cornici più grandi con le foto di entrambe le loro famiglie. Quando le sue iridi verdi si posarono sull'ultima parte di parete non ancora ispezionata il fiato le si bloccò in gola. Castle capendone il motivo andò subito a spiegare ciò che la donna vedeva.

“Ah si quelli”. Affermò con un leggero imbarazzo mentre indicava le varie scritte che correvano lungo tutto il muro. “Ho chiesto alle nostre famiglie di lasciare un qualcosa di indelebile nella cameretta e quello è il risultato.”.

Beckett si alzò aiutata da Castle e si mise davanti a quelle scritte non sapendo bene nemmeno lei da che parte cominciare.

“A volte le cose più piccole sono quelle che occupano lo spazio più grande nel tuo cuore. Jenny e Kevin”. Lesse sorridendo ad alta voce, facendo scorrere i polpastrelli su quelle parole già divenute incancellabili.

“Lascia che dorma perchè quando si sveglierà muoverà le montagne. Lanie e Javi”. Continuò seguendo questa volta invece il profilo della montagna che era stato disegnato accanto alla frase.

“Questa di Lex trovo che sia perfetta.”. Affermò facendo un passo indietro per leggere meglio quelle poste più in alto. “L'unica cosa che vale la pena rubare è un bacio da un bambino addormentato, Martha e Alexander. Tutti i tuoi sogni possono diventare realtà se hai il coraggio di inseguirli, Johanna e James”. Lesse ancora ancora ad alta voce, cosi che anche il bambino potesse sentire quei pensieri che le persone che già lo amavano gli avevano dedicato, accarezzandosi la pancia cosi da fargli sentire tutto l'amore che già lo circondava.

“Promettimi che ti ricorderai sempre che sei più coraggioso di quanto credi, più forte di quanto sembri, più intelligente di quanto pensi. Il tuo papa”. Beckett si voltò verso il marito che rispose semplicemente facendo spallucce mentre nascondeva le mani nelle tasche dei pantaloni.

“Ti piace?”. Le chiese timido come un bambino dondolandosi sulle punte.

“Mi piace ogni singolo centimetro di questa stanza. Non avrei potuto immaginarla meglio di cosi”. Enunciò la donna facendo una giravolta su se stessa cosi da poter osservare di nuovo ogni angolo di quelle quattro mura e ciò che il marito era riuscito a fare in soli due giorni.

“Manca solo una cosa però”. Affermò Castle avvicinandosi al muro dove vi erano le altre scritte indicando uno spazio vuoto. “Manchi tu”.

 

Ore 3,39

Era ormai notte inoltrata quando Beckett fece per tornare nella propria stanza dopo essersi svegliata improvvisamente assetata. Giunta sulla porta osservò il proprio letto e il marito che dormiva avvolto alle coperte ma invece di raggiungerlo seguì la voce nella propria testa che la condusse nella cameretta. Fece per accendere le luci ma attese. Aspettò cosi da guardare quelle stelle appese al soffitto che per un istante le dettero l'impressione di trovarsi sotto un vero cielo stellato. Si diresse poi alla parete e prese la matita che Castle aveva lasciato appoggiata su di una mensola, dopo di che si fermò a fissare lo spazio che doveva riempire. Pensò e ripensò a cosa scrivere, lasciando che nella sua mente scorressero fiumi di parole ma alla fine punto sulla più semplice che le venne in mente. Ci sarebbe stato un altro momento in cui avrebbe usato quelle più ricercate per esprimere tutto l'amore provato per il figlio.

Posò la punta della matita contro il muro e cominciò a tracciare la prima lettera, staccandosi poi per controllare che il tratto fosse abbastanza pesante cosi da potersi vedere, cosi da dar modo a Castle la mattina successiva di coprirlo con gli stancil per ricreare lo stesso effetto delle altre dediche.

Scrisse con cura, fermandosi ad ogni lettera per verificare che fosse perfetta come la precedente e alla fine ne lesse il risultato.

“Tu sei la ragione che si cela dietro ai miei sorrisi, ogni speranza e ogni sogno che abbia mai avuto e grazie a te ogni giorno passato insieme sarà il migliore della mia vita”.

 

 

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