Loud Like Love

di nainai
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Loud ***
Capitolo 2: *** Like ***
Capitolo 3: *** Love ***



Capitolo 1
*** Loud ***


Avviso: il presente scritto ha per protagonisti persone vere e personaggi di fantasia. Le vicende narrate sono puro frutto della fantasia dell’autrice e non vi è alcun intento di verità o anche solo di verosimiglianza. Nessun diritto legalmente tutelato s’intende leso ed ogni diritto appartiene ai propri titolari.
 
Miei carissimi amici lettori, questa storia è il seguito di “Tempo Perso” e ne costituisce una sorta di “finale alternativo”, a mio avviso.
Pertanto, coloro i quali si fossero trovati pienamente soddisfatti dal precedente finale, potranno tranquillamente ignorare questa storia e bearsi di quanto accaduto nel pregresso capitolo della “saga”.
Nelle intenzioni originarie si trattava di una one-shot (a mio avviso è ancora una one-shot), ma considerata la lunghezza ragguardevole (40 fottute pagine!) ho ritenuto che fosse più facile la lettura dividendola in tre capitoli.
Buona lettura a tutti! <3
MEM
 
 
Loud Like Love
Loud

Londra, Inghilterra
Novembre 2013
 
Matthew Bellamy ricontrolla rapidamente di aver chiuso il trolley, di aver preso le chiavi di casa e di aver intascato il proprio passaporto.
Sarà la decima volta che ripete quelle poche operazioni e, come le nove precedenti, bastano pochi minuti perché la sensazione di aver dimenticato qualcosa torni ad affacciarsi alla sua mente.
Sbuffa.
Decide di averne abbastanza. Non ha mai fatto tante storie per una partenza! Neppure quando si riduce all’ultimo secondo a preparare i bagagli per un tour dall’altra parte dell’Oceano.
Afferra il giubbotto da sopra la spalliera del divano e fa per infilarlo quando sente il cellulare squillare da qualche parte imprecisata della casa. Questa volta lo sbuffo spazientito è perfino più alto. Lancia il giubbotto sul trolley, riuscendo miracolosamente nell’impresa di agganciarlo alla maniglia già sollevata, e si muove a casaccio nella villetta.
Non si è ancora abituato ai nuovi spazi e non lo aiuta il fatto che la casa non sia completamente finita, che buona parte delle camere sia più simile ad un deposito che ad una stanza vivibile – ingombre di mobili, di scatoloni, di barattoli di vernice che gli operai non hanno ancora neppure aperto…e le scale, i giornali a terra, il parquet che deve essere restaurato e lamato… Il suo è un accidentato percorso ad ostacoli che si conclude in camera da letto. Oltre le lenzuola arrotolate, sul comodino opposto all’ingresso, individua la fonte del rumore che ha appena smesso di squillare e si rende conto, adocchiando la spina ancora attaccata alla presa nel muro, che qualcosa lo stava dimenticando davvero.
Doppia lo spigolo in ferro battuto della pedaliera del letto, valutando bene la distanza tra questo e la parete su cui si apre una grande finestra bombata con tanto di divanetto imbottino e cuscini coordinati. …in questo momento, in realtà, il divanetto è sommerso da un guazzabuglio di abiti colorati che Matt non si è ancora deciso a sistemare nella cabina armadio. Il terzo sbuffo viene equamente distribuito tra la sua pigrizia infinita ed il disordine naturale che lo caratterizza.
Sblocca lo schermo dell’iPhone per verificare chi lo abbia cercato e, mentre invia la chiamata, arrotola il filo del caricabatteria, facendo a ritroso la strada fino al trolley nell’ingresso.
-Ehi, campione!- lo saluta festosa la voce di Chris.
-Ciao, Chris.- ricambia Matt brevemente. Un sorriso gli tira istintivo gli angoli della bocca, è felice che lui lo abbia chiamato ed immagina anche il perché lo abbia fatto.
Non è troppo stupito, quindi, di sentirsi fare la domanda successiva.
-Pronto per la partenza?
-Più o meno.- borbotta Matthew, allargando la tasca anteriore della valigia per cacciarci di malagrazia il caricabatteria.- Mi sembra sempre di avere ancora un milione di cose da fare.
-Ah, ma piantala! Come se non avessi mai viaggiato…
Matt ridacchia, infilando il giubbotto mentre tiene il telefono in bilico tra orecchio e spalla.
-Devo comprarmi un auricolare.
-Ti rendi conto, vero, che sarà un disastro? – lo incalza l’altro senza ascoltarlo, ma il tono ironico con cui lo fa svuota l’ammonimento di qualsiasi significato - E’ una delle idee più ridicole che tu abbia mai avuto e non sarei troppo stupito di vederti tornare dopo essere stato preso a calci in culo da quello lì ed apostrofato come “spia che sta andando con loro per rubargli chissà quali segreti”!
A questo punto Matthew sta proprio ridendo e la sua risata, leggera e rilassata, fa sentire bene anche Chris. La verità è che ci teneva ad essere lui a salutarlo per ultimo ed a dargli il suo insolito “in bocca al lupo”.
-Se dico che se n’è già uscito con questa storia, suono troppo scontato?- domanda Matt divertito.
-Sei ancora in tempo per ripensarci!
-Non voglio ripensarci.- ammette Matthew stringendosi nelle spalle anche se Chris non può vederlo.
Così come non può vedere quel sorriso che continua a colorare la sua espressione, ma quello non ha difficoltà ad intuirlo nel suo tono di voce.
-Matt.- lo chiama, stavolta serio anche se con quella punta di affetto burbero che Matthew immagina utilizzi con i figli quando vuole dargli qualche consiglio davvero importante.- Divertiti.- gli dice semplicemente.- Non pensare a nulla, fottitene di tutto…delle conseguenze, di noi, di quello che succederà domani…! Pensa a te stesso, ok?
-…ok.
-E adesso riattacchiamo o divento più mieloso di quella checca del tuo batterista!
-Com’è che, quand’è checca, è il mio batterista?!
Si salutano con un paio di “ci sentiamo” pronunciati quasi all’unisono.
Matt intasca l’iPhone dopo aver controllato l’orario, afferra la maniglia del trolley ed apre la porta di casa. Fuori il taxi sta già aspettando. Sorride, inforca degli occhiali da sole che la giornata uggiosa rende assolutamente fuori luogo ed attraversa il vialetto.
***
Nel salone Cody ha lasciato aperta la porta finestra del terrazzo.
Brian sbuffa di disappunto e attraversa l’intera stanza per raggiungere il battente a vetri e chiuderlo, proprio mentre l’ennesima folata di vento s’intrufola all’interno strappandogli un brivido di freddo. “Sta arrivando l’autunno”, pensa distrattamente facendo scattare la serratura. Un raggio di sole più caldo gli accarezza il viso comparendo da dietro una nuvoletta di passaggio e smentendo quella sensazione spiacevole. Vorrebbe godersi la bella stagione il più a lungo possibile prima di dover tornare in strada con la band ed iniziare il tour di promozione del nuovo album.
Accantona quei pensieri con un gesto della mano.
Le partiture degli esercizi di Cody sono cadute a terra sospinte dal vento e si sono sparpagliate attorno al pianoforte. Suo padre le raccoglie e le rimette diligentemente in ordine, appoggiandole sopra il sedile imbottito.
-Allora, noi andiamo?!- lo raggiunge la voce di Helena, attutita attraverso i muri.
Brian si volta in direzione dell’ingresso, pochi passi e li ha raggiunti: Cody, il giacchetto leggero addosso, una borsa di tela a tracolla e l’iPod in una mano, ed Helena, sorriso splendente non appena lo vede entrare nel proprio campo visivo e quella dolcezza dello sguardo che è tipica di tutte le donne incinte. Brian ricambia istintivamente sorriso e tenerezza, abbracciandola e posandole delicatamente una mano sul pancione coperto dal vestitino di lana colorata e morbida. Si scambiano un bacio a fior di labbra sotto lo sguardo attento del figlio.
-Gh! sempre smancerie!- osserva Cody, facendo segno di volersi allontanare schifato.
-Non fare l’impertinente.- gli arriva l’ammonimento del padre, insieme con uno scappellotto sulla nuca.
Per tutta risposta il bambino ride e spalanca la porta.
-Mi raccomando…- si rivolge Brian ad Helena, sguardo fin troppo serio che le strappa una risata sincera e divertita.
-Bri, sono con Alex! Non mi permetterà di spezzarmi un’unghia.- tenta inutilmente di interromperlo.
-Non dovresti neanche uscire!
-Oh, santo Cielo, Molko! Hai deciso di diventare un seguace del più intransigente islamismo?- s’informa Helena, sospingendolo indietro con una mano.
Brian getta un’occhiata alle sue spalle per assicurarsi che Cody sia rimasto sul pianerottolo e riprende come se lei non gli avesse detto niente.
-Ottavo mese, Helena.- sottolinea scandendo bene le parole.
-Ah-ah. E sto benissimo!- lo rintuzza lei con orgoglio.- Ora vado, o Alex comincerà a spazientirsi. E tu sai com’è Alex quando si spazientisce.
Brian ride, guardandola dirigersi verso l’ascensore. Nel corridoio Helena spedisce Cody a salutarlo ed il bambino corre nuovamente in direzione della porta, lasciando che il padre lo afferri al volo e scoccandogli poi un bacio veloce su una guancia.
-Ciao, pa’! – esclama, con la testa già altrove.
Sua madre ha promesso di lasciarlo a casa di un amichetto per fare i compiti assieme e Brian sospetta che più tardi gli toccherà un dopo cena a base di matematica. Sospira e torna dentro l’appartamento non appena le porte dell’ascensore si sono portate via l’immagine di Helena e Cody che lo salutano.
Trova il proprio cellulare abbandonato nello studio. Tre chiamate perse ed un messaggio di Stefan che gli dice che, se non risponde, finirà per credere sia scappato in Polinesia. Gli manda un messaggio anche lui, dicendogli di non rompere e che in Polinesia i cellulari prendono uguale.
Stef lo richiama, immancabilmente, trenta secondi dopo.
-Sei un coglione.- esordisce il bassista in una serena constatazione di fatto.
-Grazie, altrettanto.- è lo scambio formalmente ineccepibile che Brian gli concede.
Stefan ride.
-Devo dire a Fiona e Bill che ci vediamo in studio domani o ci hai ripensato?
-Non potevi scrivermi questo nel messaggio?! Digli che ci vediamo alle dieci.
-Alle dieci?
-…facciamo alle undici. Cody è andato a casa di Micah a fare i compiti e questo significa che passerò la serata a tentare di fargli studiare qualcosa.
-Se ti sentisse tuo padre…!- lo prende in giro Stefan.
-Piantala, Olsdal, non fai ridere.
-Ti voglio bene anch’io.
-….va un po’ a fare in culo!
Chiude la telefonata sull’ennesima risata divertita dell’altro, rendendosi distrattamente conto che sta sorridendo anche lui ed archiviando la cosa come una delle molte manifestazioni piacevoli del suo attuale stato d’animo.
Ci ha messo un po’, deve riconoscerlo.
Due anni per l’esattezza.
…più di due anni…
Eppure ora sta bene. Non Bene da volerlo gridare al mondo intero, ma un bene più intimo, più familiare. Legato alla stanchezza che correre dietro a Cody ed i suoi impegni scolastici gli provoca. Connesso all’ansia che ogni visita dal ginecologo con Helena gli lascia addosso, fino al momento in cui il medico dice loro “è tutto a posto, Sig.ri Molko”, facendoli ridere per quell’errore. Legato alla gioia che ha provato e prova a tornare in studio con i suoi amici, a scherzare con loro, a sentire Jun…Steve suggerire un arrangiamento per una canzone vecchia o fornire lo spunto per una ancora tutta da scrivere.
La sua vita è semplicemente ricominciata. Lenta ad ingranare ma costante nel muoversi, come la meccanica di un vecchio orologio. E lui ne aveva bisogno. Aveva bisogno di fare i conti con le proprie paure, con i limiti che la vita gli ha messo davanti, aveva bisogno di confrontarcisi, di capire che non avrebbe potuto fare nulla per riavvolgere il tempo su se stesso e che, comunque, questo, una volta di più, non lo avrebbe ucciso.
Posa il cellulare sul piano della scrivania da cui l’ha prelevato. Vede le partiture di “Loud Like Love” e si ricorda di averle portate via per lavorarci un po’, qualche idea per gli arrangiamenti dei live da sottoporre a Fiona e Bill per sentire cosa ne pensano. Valuta se ha voglia di prenderle in mano davvero e pensa che no, è un po’ stanco e, poi, domani ne potranno parlare di persona.
E’ a quel punto che sente il campanello di casa.
Attraversa l’appartamento convinto che Helena abbia dimenticato qualcosa di fondamentale. Sorride pensando che Alex la ucciderà per questo! Apre il battente con quel sorriso ancora incollato alle labbra ed agli occhi.
-Hel, tesoro, questo sì che “spazientirà” quell’arpia!- commenta vivacemente.
Matthew non ribatte.
***
Se pensa che solo qualche minuto prima stava riflettendo sul fatto che adesso sta bene…
Mentre osserva di sbieco Matt Bellamy passeggiare nel suo salone si rende conto di quanto si sia illuso a credere di aver superato tutto, di potersi dire…guarito? Che brutta espressione. L’amore non è una malattia, no?
Matthew cammina per la stanza, mani nelle tasche dei jeans e soprabito ancora addosso. Osserva ogni cosa con attenzione eccessiva ma con sguardo inespressivo, come un animale che stia annusando il territorio di qualche altra bestia della stessa specie, giusto per decidere se sia una bestia dominante o meno. Brian sospetta che lui stia effettivamente cercando segni di Helena, segni del suo passaggio in quell’appartamento, delle inevitabili mutazioni che questo ha apportato.
Ma si tratta di un mutamento molto più sottile e Brian vorrebbe dirglielo.
Solo, non riesce a parlargli.
Matt trova le partiture di Cody sul sedile del pianoforte. Le riconosce, le prende in mano per sfogliarle ed un sorriso gli sfugge involontariamente, infrangendo la perfezione immobile di quella maschera apatica che indossa.
-Non sono un po’ difficili per un bambino di quell’età?- osserva, accennando ai pezzi scelti.
Brian segue il movimento delle sue mani mentre sollevano i fogli, poi alza il viso e si ritrova incastrato nei suoi occhi. Senza fiato.
-E’ molto portato.- sente rispondere alla propria voce, meccanicamente.
-E con la chitarra? Ha continuato anche quella?- s’informa Matthew con una familiarità che presupporrebbe una frequentazione assidua e priva di implicazioni.
Non c’è nessuna delle due cose.
Non si vedono da due anni e svariati mesi e tra loro ci sono mucchi di cose irrisolte pronte a balzare fuori per uccidere quella quiete tanto immobile quanto falsa.
Brian pensa tutto questo e decide che è arrivato il momento di dare un colpo secco alla superficie.
-Matt, cosa vuoi?- chiede senza girarci ulteriormente intorno.
Si morde le labbra a sangue. L’uso del nome…del diminuitivo, addirittura! è un pessimo punto di partenza.
Matthew lo sa. La sua intelligenza è sempre stata troppo acuta. Lo guarda di traverso dopo aver posato nuovamente gli spartiti, lo soppesa con lo sguardo. Tra loro c’è quasi tutto il salone, come se per Brian fosse semplicemente troppo complicato stargli accanto.
Matt non ha alcuna difficoltà a capirne la ragione.
Ad essere onesti, se non fosse per quel desiderio di stringerlo a sé, di baciarlo e di scoprire se potrebbe provare ancora la scarica di adrenalina pura e desiderio che aveva quando le loro labbra s’incontravano…beh, se non fosse per simili desideri e per i ricordi che ci sono attaccati, anche lui troverebbe intollerabile la situazione.
Ed è sbagliato.
A differenza di Brian, non ci è “caduto dentro”. L’ha creata. Con consapevolezza e volontà.
-Dovevo vederti.- ammette subito.
-No, non dovevi.- Brian scuote la testa, cercando di evitare in ogni modo il contatto visivo tra loro. E’ strano da parte sua, non fa parte del suo “personaggio”.
Matthew non ha bisogno di altro per capire quanto possa avergli fatto male vederselo comparire lì dopo aver infranto una delle regole precise che Brian aveva dettato due anni prima nel lasciarlo, nel buttarlo fuori dalla propria vita. “Casa” è territorio tabù. Forse dovrebbe scusarsi.
-Ho lasciato Kate.- annuncia con la stessa inflessione che utilizzerebbe per comunicargli l’uscita del prossimo album dei Muse.
Brian registra allo stesso modo – finge di farlo – mentre il cuore fa una capriola e smette di battere.
-Mi spiace per voi, ma la cosa non giustifica la tua presenza qui.
-La giustifica, invece.- afferma Matt tranquillamente.- L’ho lasciata per te.
Vede gli occhi di Brian farsi enormi ed intuisce nella contrazione rabbiosa della sua mascella che la quiete perfetta è appena stata frantumata. Si prepara all’inevitabile scontro.
-…esci da questa casa.- sono le prime parole che lui gli sibila addosso dopo essere riuscito, faticosamente, a metabolizzare gli effetti delle sue dichiarazioni.
Matt non finge neppure di esserne colpito.
-Ho ascoltato l’album.- dice invece. Brian sbuffa sarcastico.- E’ di me che parli, vero? E’ a me che parli. Negalo, Brian.- pretende.
L’altro sfiata come se il colpo fosse reale, fisico. Lo guarda sbalordito. Realmente sbalordito mentre prende coscienza e si rende conto, disarmato, di quanto a fondo sia arrivata a bruciare la ferita che Matthew gli ha lasciato addosso.
E che, forse, non è nemmeno del tutto cicatrizzata…
Prende fiato, tempo, coraggio. Li ripesca da non sa quale riserva naturale: quella che si è costituito in anni di delusioni cocenti, probabilmente, e che ora gli dà abbastanza forza da fingere che non faccia così male.
-Sei completamente pazzo, Bellamy.- scandisce lento e falso. Inizialmente non riesce a sostenere i suoi occhi, ma poi capisce che deve farlo e, quindi, si fa violenza e torna a fissarlo in viso.- Se hai lasciato la tua donna sulla base di…un paio di canzoni!- soffia sardonico, sprezzante – sei completamente pazzo. O fatto, o idiota, o tutte queste cose assieme. Ma non è un mio problema.- ci tiene a precisare.- E sebbene la buona educazione mi abbia portato ad aprirti e farti accomodare, siamo entrambi consapevoli che la tua presenza qui è inopportuna oltre ogni possibilità di sopportazione.
-Molto preciso.- concede Matt in un mormorio atono.
-Voglio che tu te ne vada. E voglio, come peraltro ti avevo già chiesto, che tu dimentichi anche solo l’indirizzo di questo appartamento. Grazie.
-Non vuoi nessuna di queste cose.- lo aggredisce Matthew, secco e brusco.
-Cristo, Bellamy!- scatta Brian esasperato, infrangendo in meno di un secondo la maschera del perfetto padrone di casa…perfettamente padrone di sé.- Non costringermi a buttarti fuori fisicamente!
Matt ride, sinceramente divertito.
-Sarebbe esilarante, come scontro!- osserva.
-…sei totalmente folle.- ribadisce Brian, il braccio, sollevato ad indicare la porta, ricade inerte lungo il fianco.- Sul serio, Bellamy.
-Ti ho già detto che non mi piace che mi chiami “Bellamy”? Sì, l’ho fatto, ma immagino di doverlo sopportare.- afferma rapidamente l’altro, ignorando del tutto le reazioni dell’uomo che lo fronteggia.- Ti sto solo chiedendo di dirmi che mi sono sbagliato, Brian, di dirmi che “Loud Like Love” non lo hai scritto per me.- gli spiega pazientemente, dolcemente.- Ma di dirlo in modo che io possa esserne convinto.
-E dopo te ne andrai e tornerai da Kate?- indaga Brian con un involontario moto di amarezza e sarcasmo.
-No.- è la serena risposta che ottiene in cambio.- Non tornerò da Kate. E’ finita con Kate.
-…perché?- sussurra stanco Brian.
-Perché amo te.
-…smetti di dirlo…
-E perché dovrei? Non puoi impedirmi di amarti. Ci hai già provato- gli fa notare scrollando le spalle come a significare che si tratta di qualcosa che ha ormai superato.- e sono di nuovo qui.
La sua tranquilla determinazione sta cominciando a spaventarlo. Non è più solo il disagio di aver visto il proprio equilibrio sbriciolarsi per dimostrarsi molto più fragile di quanto Brian avesse sospettato.
-Tu non sei mai stato innamorato di me.
-Io non sono mai stato consapevole di esserlo, questo sì.
-TU HAI CERCATO KATE! TU HAI CERCATO LEI OGNI SINGOLO ISTANTE CHE HAI PASSATO CON ME!
Il suo urlo è talmente feroce da riuscire a far vacillare Matthew. E’ qualcosa di molto simile al grido di un animale agonizzante e lo investe con tutta la propria carica di sentimenti, rimpianti e parole non dette, con un rifiuto che nasce dal terrore di ricominciare a soffrire.
Matt lo sa. Lo sa in modo razionale, perché da quando, due anni prima, è uscito dalla vita di Brian Molko non ha fatto che ripensare a loro due, non ha fatto che rivivere ogni singolo momento della loro storia per capire dove esattamente avesse sbagliato, quali effetti i suoi errori avessero prodotto e se la scelta che alla fine ne era derivata una scelta non sua, una scelta che Brian e Kate gli avevano imposto fosse l’unica possibile.
Non lo era.
Ascoltare il disco dei Placebo, affondare canzone dopo canzone nei rimorsi dell’altro, è stato più di quanto potesse sopportare, è stato ascoltare dalla voce di Brian tutto quello che l’altro non gli aveva mai detto, che non aveva mai avuto il coraggio di aggiungere a quel primo ed unico “ti amo” scandito al momento sbagliato e nelle circostanze peggiori.
Non è che non lo avesse saputo. Nell’attimo stesso in cui aveva allungato la mano sullo scaffale del negozio per prendere il cd e portarlo alla cassa era stato cosciente in modo doloroso di quello che ci avrebbe trovato dentro. A differenza sua, Brian nelle canzoni parla esclusivamente di sé. A differenza sua, Brian nelle canzoni è sincero. A differenza sua, Brian è sempre stato consapevole di averlo amato, di averlo voluto con tutto se stesso.
…ma ascoltare… Questo era stato davvero troppo.
-Avresti dovuto dirmi quello che provavi.- mormora adesso, rivolto al Brian nella sua testa, quel Brian immaginario che sta cantando i versi di “Exit Wounds”, che gli spiega come la vita si sia spezzata in frammenti piccoli come i suoi sogni perduti, che sta raccontando quanto possa averlo amato e quanto vorrebbe tornare indietro.
Quel Brian non è quello che gli sta davanti e che è fatto di ossa, carne e sangue. E tutto il corpo di Brian sta facendo male in questo momento, sta gridando come la sua voce che lo ha colpito solo un momento prima.
-Avrei dovuto dirti cosa?! Che ero geloso di lei? che ero geloso di chiunque?! che non mi avevi mai detto, nemmeno una volta, che ricambiavi i miei sentimenti e nonostante questo pretendevi una dedizione spaventosa da me?! CHE ERO SPAVENTATO DA TUTTO QUESTO?! CHE NON SAPEVO COME NE SAREI USCITO, CHE NON AVEVO LA FORZA PER FARLO?!- gli rovescia addosso progressivamente.
Matt non indietreggia, neppure quando lui si avvicina, minaccioso, dardeggiandogli contro con una rabbia tremenda.
-Sì. Avresti dovuto dirmi ogni cosa.
-E a che scopo?- sbotta Brian, disgustato.- Quello di umiliarmi più di quanto non stessi facendo?!
-…non eravamo in competizione, Brian. – osserva Matthew stupito – Avrei potuto saperle prima certe cose, non avrei dovuto aspettare che tu me le dicessi in una canzone, non avrei dovuto…!- affastella con partecipazione crescente.
-Non ho scritto quelle canzoni per te! – scocca feroce l’altro.
Vorrebbe che gli credesse. Vorrebbe che se lo facesse bastare e che si decidesse ad andarsene, ad uscire, perché non ha idea di quanto tempo ancora potrà resistere ed ha paura che Helena torni con Cody, ha paura che quell’equilibrio fragile non si possa neppure più rincollare dopo che Matthew Bellamy abbia finito di passeggiarci sopra indifferente.
-Stai mentendo.- lo sente sussurrare invece. Lo fa in tono basso, quasi fosse una considerazione personale espressa ad alta voce e  non lo spunto per un dialogo.
Brian si ritrae di scatto come se lui lo avesse schiaffeggiato. Si rende conto all’improvviso di quanto siano vicini e dell’impossibilità di rimediare a quello. Per cui non lo fa, rimane dove si trova e riacquista lucidità, imponendosi di gestire la cosa diversamente.
-Voglio che tu vada via.- torna a pretendere seccamente.- Non lo so che idea ti sei fatto e non m’importa. Ho la mia vita, la mia famiglia, e tu non hai nessun diritto.
-Questo è vero.- concede Matthew mestamente.- Ma dovevo provare.- aggiunge con un sorriso spento.
-No! non dovevi! Non dovevi affatto presentarti qui e non voglio che tu lo faccia di nuovo. Ti ho offerto ogni cosa, Matt. – gli rammenta stancamente – Due anni fa! Hai perso quell’occasione.
-Non è tutta mia la responsabilità.
-Forse no.- gli concede Brian, annuendo – Ma a questo punto, non m’interessa. Stavolta sono io ad avere troppo da perdere, Matthew.
***
Brian Molko, arrotolato sulla poltroncina della sala vip dell’aeroporto, si mordicchia nervosamente le unghie e lascia oscillare una gamba in un movimento ossessivo che Stefan Olsdal fissa con preoccupazione. Poi intercetta lo sguardo ansioso che l’altro rivolge alle porte scorrevoli che danno all’interno dello scalo - e non a quelle che si aprono sulle piste e quegli “orribili mostri volanti” che l’altro tanto odia - e sorride.
-E’ un po’ in ritardo.- osserva quietamente, fingendo di tornare ad interessarsi della rivista musicale che ha comprato qualche minuto prima e che riporta una delle prime interviste promozionali che hanno rilasciato.
Lo affascina sempre vedere come, nel gioco di ritagli dei giornalisti, le loro risposte finiscano per uscire snaturate, svuotate, e loro assumano contorni molto diversi dalla loro reale personalità.
Brian lo fissa di sbieco, poi torna a concentrarsi sulle porte.
-Magari non viene.- scocca velenosamente.
Stefan ci legge facilmente l’amarezza che una simile prospettiva gli lascia addosso e sospira. Mette via la rivista, si alza e prende posto di fianco a lui, riuscendo a creare un piccolo maremoto nell’equilibrio fragile dell’altro. Brian si rimette composto, abbassando entrambe le mani per incrociarle sulla pancia e smettendo così di scrutare con apprensione l’ingresso della saletta.
-Non ci credi neanche tu.- ribatte intanto Stef.- Ti ha pregato per un mese perché acconsentissi a farlo venire con noi.
-E continuo a pensare che sia una stronzata!- replica Brian astioso.
-Non credi nemmeno a questo!- esclama lo svedese ridendo. Quando non ottiene nessun tipo di reazione, gli tira uno scherzoso pizzicotto sul fianco.- Bri?
L’altro si schernisce, stizzoso, ma finisce per farsi scappare uno sbuffo divertito e Stefan scuote la testa, rimproverandolo implicitamente per l’atteggiamento tenuto fino a quel momento.
-Sono felice che venga con noi.- ammette Brian a mezza voce. C’è un piccolissimo fondo di paura nel suo sguardo mentre lo dice, Stef si concentra su quello per capire il senso reale delle frasi dell’altro.- Ma credo che sia stata una decisione un po’ affrettata.
-Qualcosa dovevi pure concederglielo, Brian. Avete ricominciato a vedervi da appena un mese e mezzo e tu stai per partire per un tour, sarebbe stato un disastro mollare tutto proprio ora.- espone pacatamente il bassista.
-Sì, ma non pensi che sia…eccessivamente frettoloso ripiombarci dentro così…così! Tutto d’un fiato, d’un colpo e completamente.- gesticola animatamente.- Staremo a contatto ventiquattrore su ventiquattro per mesi!
-Non sarete da soli. Non è una convivenza a due, se è questo che ti spaventa.- obietta Stef scrollando le spalle.
-E’ molto peggio.- borbotta Brian, riportando alla bocca l’unghia dell’indice sinistro.
-Perché? – lo incalza il bassista - Perché quando suoni sei più vulnerabile? Perché sta invadendo il tuo territorio? Perché hai paura a mostrarti con lui come ti mostri con noi? Cos’è che ti spaventa, Bri?
Brian lo guarda, soppesandolo con lo sguardo ma, in realtà, soppesando se stesso e la voglia che ha di rispondere sinceramente.
Ma è Stef.
-Tutte queste cose assieme, penso.- mormora lentamente, riportando gli occhi sulle porte scorrevoli ma facendolo con maggiore tranquillità, come se nel parlarne stia pian piano prendendo confidenza con quelle paure e rendendosi conto che, in qualche modo, può gestirle.- Non ci saranno più schermi o maschere a proteggermi. Non sono mai riuscito a tenere su quelle maschere con voi, non per tutto il tempo, non dopo i primi tempi. Ci saranno le giornate no, quelle in cui sarò arrabbiato, sarò stanco o starò semplicemente male, ci saranno le giornate in cui mi sentirò depresso, quelle in cui…lo sai come divento quando vedo tutto nero.- biascica imbarazzato, concedendogli un nuovo sguardo per pregarlo di non costringerlo a dire di più.- Non sarò mai solo… “Brian”, il tizio che ha sempre tutto sotto controllo, che sa sempre cosa c’è da dire e da fare e che aggiusta la situazione perché è quello maturo, responsabile e riflessivo della coppia.
-Non vuoi che ti veda per come sei?
-No. Non sono sicuro che quello, che vedrebbe, gli piacerebbe.- confessa Brian, debolmente.
-E’ un motivo in più per portarlo con te.- ribatte Stefan piano.
Brian ride senza allegria.
-Lo so.- ammette.
-Bri. Se vuoi fermarlo, fallo ora.- suggerisce Stefan dopo qualche istante di silenzio carico.- Non aspettare che sia qui. Non riusciresti a mandarlo via.
Le porte scorrevoli si aprono.
Stefan vede lo sguardo ed il sorriso di Brian farsi più caldi, autentici. I suoi occhi brillano, il suo viso assume quella particolare dolcezza infantile che ha solo quando è davvero felice. Sorride anche lui, ascoltando distrattamente le parole dell’altro mentre si volta.
-Troppo tardi.- ride Brian a mezza voce.
Stefan riconosce Matthew Bellamy che va loro incontro. Sta sorridendo anche lui.
***
Si massaggia la radice del naso. Allarga le dita alle tempie, operando con piccoli movimenti circolari e concentrici nel tentativo, fallimentare, di allentare il cerchio doloroso che avverte attorno alla testa. Sospira, palmi allargati sulla faccia stira le guance in basso e poi all’indietro, afferrando i capelli nel passarci le dita in mezzo. Un gesto repentino, sfila l’elastico dal polso e lega le ciocche in una coda disordinata.
Davanti a sé ha i fogli delle partiture, ma non riesce a concentrarsi. Sente la voce di Fiona e quella di Stefan, parlano qualche metro più in là, vicino alla macchina del caffè. Entrambi hanno toni di voce piacevoli, melodiosi, rilassanti. Ridono. Educatamente, senza disturbarlo.
Steve saluta a voce alta qualcuno. Irrompe come una furia nella sua mente, calpestando l’angolo pacifico che Fiona e Stef sono riusciti a creare con la loro presenza discreta. Brian, occhi chiusi e schiena dritta, storce il naso.
-Dovremmo provare di nuovo “Purify”. Così capiamo se possiamo tenerla per il live.
-Ok.- risponde Stefan, accondiscendete alla razionale richiesta del proprio batterista.
Com’è diventato bravo, il ragazzino, a destreggiarsi tra le cose, a tirare fuori suggerimenti, ad organizzare. Lo fa con un entusiasmo sincero e senza mai risultare invadente o prevaricatore.
Steve Forrest è una bella persona.
Stefan è una bella persona.
Anche Fiona, Bill, Dave, Levi, Alex…
-Dove cazzo è finito quel dannato tecnico?!- sbotta Brian, spalancando gli occhi di colpo, la fronte aggrottata.
Si volta nervosamente sulla sedia, ignorando volutamente gli sguardi stupiti che i tre compagni gli rivolgono a quell’esternazione estemporanea. E’ vero, ha chiesto al tecnico delle chitarre - quello nuovo, quello che hanno assunto solo tre giorni fa e di cui non riesce a ricordare il nome di mettere a posto una delle Fender prima che ricominciassero le prove ed è vero anche che saranno passati dieci minuti scarsi da quando quello si è allontanato portandosi via lo strumento.
-Bri?- indaga Stefan cautamente.
- “Bri” il cazzo! Sono le tre e mezza! Vorrei riuscire a fare qualcosa prima di notte!- scatta Brian, alzandosi per dirigersi a passo marziale verso la porta che da sul corridoio. Si affaccia alla soglia, osservando senza vedere le poche persone che si trovano lì fuori.- Allora?!- grida- C’è qualcuno qui dentro che intende lavorare o è un asilo nido per idioti?!
-…Brian…- prova Steve, stavolta.
-No, senti, Sunshine! non rompere pure tu!- lo liquida Brian calcando l’appellativo con una buona dose di disprezzo.
Alex entra nella stanza, impetuosa come una piccola furia.
-Che accidenti succede qui?- scocca immediatamente, dopo aver gettato uno sguardo distratto all’insieme dei presenti.- Brian, cos’hai da urlare come un’isterica nel corridoio?
-C’è che non c’è niente che vada come dovrebbe! Siamo in altro mare, una delle mie fottute chitarre ha ben pensato di sparire e quell’inetto a cui l’ho affidata sarà licenziato prima di subito!- ringhia il cantante, aggirandosi per la stanza come un leone in gabbia.
-Ok, adesso la pianti e ti dai una calmata. E nessuno viene licenziato se non lo dico io.- scandisce bene la donna.- Lo sai che non mi piace che ci siano piazzate da prima donna mentre si lavora…
-Me ne fotto!- sbotta Brian, scoccandole uno sguardo di fuoco.
-Ed io me ne fotto delle tue paturnie del cazzo, Molko!- ribatte Alex alzando il tono a sovrastare quello di lui.- Detto questo,- aggiunge poi in modo più controllato.- tu adesso vai in bagno a fare una bella pisciata, ti lavi la faccia, resti lì finché non ti sei calmato e torni qui quando sei in grado di ragionare.- ordina puntigliosamente prima di voltarsi in direzione di Steve.- Su cosa dovete lavorare?
-“Purify”…- borbotta il ragazzo.
-Bene.- Uno sguardo a Fiona, Alex raggiunge il tavolo, preleva le tab e le porge in direzione della donna.- Fiona, prendi Bill e sistemate l’arrangiamento. Ne parlate tra un quarto d’ora con i ragazzi. Grazie.- aggiunge mentre lei accetta i fogli borbottando un “o.k.” perplesso - Voi due,- aggiunge Alex puntando prima Stefan e poi Steve – avete un quarto d’ora di pausa. Tu sei ancora qui, Molko?- s’informa subito dopo, sarcastica.
Brian scatta come una molla. Afferra la porta per scaraventare se stesso fuori da lì ed il battente a chiudersi fragorosamente su un “vaffanculo” detto a bassa voce, ma ben scandito perché tutti possano sentirlo.
***
Stefan lo raggiunge nel bagno.
Brian ha scrupolosamente seguito le indicazioni – gli ordini di Alex. Senza pensare all’assurdità del farlo davvero. Adesso, dopo essersi sciacquato mani e viso, osserva il proprio riflesso nel vetro lindo davanti a sé ed aspetta che quella sensazione soffocante sparisca.
La sera prima Helena e Cody sono tornati verso le otto.
Brian aveva cucinato la cena per tutti, si era premurato di preparare qualcosa di diverso per Cody perché al bambino non piace l’arrosto con le verdure, aveva apparecchiato la tavola, messo su della musica bassa che riempiva l’ambiente in modo piacevole. Helena gli aveva sorriso entrando. Era talmente euforica da non accorgersi del suo imbarazzo nel ricambiare il bacio con cui l’aveva salutato, ancora sulla soglia. Talmente soddisfatta mentre gli mostrava orgogliosa vestitini e tutine da bambina.
Chiameranno la figlia Alexandra Sarah Elisabeth. Brian la chiama già Lisette e le parla in francese, la sera, quando Cody è andato a dormire e lui ed Helena restano soli in salotto, abbracciati sul divano. Hel ride e gli accarezza la testa, gli dice che deve tagliare i capelli e Brian le promette che lo farà, ma poi la distrae baciandole il collo e ad Helena non importa affatto dei suoi capelli troppo lunghi.
…la sua vita è perfetta. La sua vita è bellissima. La sua vita…la sua vita si distruggerà come un castello di sabbia al primo maraglione.
-Bri.
Helena continuava a parlargli. Non si è fermata nemmeno un istante. Gli ha detto di ogni singolo negozio dove sono state, delle cose che ha visto, delle idee che ha avuto per arredare la cameretta della bambina. Non lo ha mai guardato davvero se lo avesse fatto, Brian non sarebbe riuscito ad ingannarla.
-Stai bene?
Era stanca. Rideva nel chiedergli di mettere lui in ordine i pacchetti. Hanno una borsa pronta per l’ospedale da un sacco di tempo, Helena continua a disfarla, ogni volta che compra una tutina nuova pensa che sia più bella di quella che ci ha messo dentro la volta precedente. Ma ieri sera era troppo stanca ed è voluta andare a dormire.
-…è venuto Matt a casa mia, ieri.
Si rende conto di averlo detto davvero solo perché Stef, che adesso gli è accanto, lo sta guardando stupefatto. Il suo riflesso lo sta guardando stupefatto dallo specchio sopra i lavandini.
Brian pensa che impazzirà se non lo dice a qualcuno.
-Che vuoi dire?- mormora rocamente il bassista.
-Ha lasciato Kate.- riferisce incolore. Non è quello il punto e lo sanno entrambi. Brian fissa Stefan negli occhi mentre parla, anche se lo fa attraverso lo specchio.- Sono innamorato di lui.- confessa con un sorriso timido, spaventato.
Sente le dita di Stefan premere sulle scapole. Una carezza lenta che gli percorre la schiena, rassicurante. Abbassa il viso quando qualcosa inizia a pungere fastidiosamente gli occhi. Ricaccia indietro le lacrime.
-Non posso continuare a mentire ad Helena.- sussurra piano.- Non avrei mai dovuto farlo.
-Helena si è voluta convincere di quello che riteneva.- è l’osservazione di Stefan, lineare e razionale.
-Aspettiamo un figlio.
-Brian…
-E’ colpa mia.
Stefan non ha il coraggio di negarlo, sebbene consapevole delle responsabilità della donna nel tenere in piedi quella bugia. Ma Brian non ha bisogno di sentirsi dire che è colpa anche di Helena. Questo non lo giustifica. Raramente Brian trova ragioni valide per giustificare se stesso. Il più delle volte convive con le responsabilità, vere o no, che ritiene di avere e lo farà anche stavolta.
E poi, non è quello il punto. Non è la distribuzione delle colpe il punto.
-Cosa vuoi fare?
-…non lo so…
Brian è terrorizzato. Non lo vedeva da anni così spaventato da qualcosa, così simile a quel ragazzino impaurito che, per la prima volta, aveva cercato nell’alcool il coraggio che gli mancava, la fiducia in se stesso che non aveva a sufficienza per poter parlare con i discografici, firmare un contratto, uscire su un palco davanti a molte…troppe persone…
Non ha paura che possa succedere di nuovo. Questo Brian è diverso. Questo è un Brian adulto che deve fare i conti con il mondo ma deve farlo partendo da consapevolezze differenti, di sé e degli altri. E’ solo paura, la sua, solo terrore di fare del male e farselo fare da qualcun altro.
Helena, Cody e la bambina che nascerà sono qualcosa che non smetterà mai di avere un’importanza fondamentale per Brian. Ma Matt…
-Brian, non ti ho chiesto cosa farai, ma cosa vuoi fare.- ripete Stefan, pazientemente.
Lo vede stringere le labbra, come ad impedirsi di scoppiare in un grido ferito e rabbioso. Stef è quasi certo che, se avesse Matthew davanti adesso, Brian lo ammazzerebbe con le proprie mani.
-Le dirò che è finita.- mormora dopo qualche istante. Atono, piano, inespressivo. Lo sguardo che solleva in faccia al riflesso di entrambi è vacuo e limpido come quello di vetro delle bambole.
-Stai continuando a non rispondere.- osserva implacabile Stefan.
Brian si divincola da sotto le sue dita. Si volta di scatto, arrabbiato, e lo affronta con un’eco dell’isteria ingiustificata che ha sfoggiato nella saletta relax, davanti agli altri. Stefan, però, non si lascia impressionare.
-Cosa vuoi sentirti dire? Che correrò da lui?! Non c’entra, Stef! Non c’entra niente! Lo amavo prima esattamente come lo amo ora, cosa diavolo credi che sia cambiato?
-Che è tornato da te.
-Per fuggire di nuovo quando sarà troppo spaventato da quello che ha per tenerselo stretto?!
-Brian, Matthew non è fuggito.- lo rintuzza lo svedese pacato.
-Come puoi dire…?
-Perché sei stato tu a cacciarlo!- conclude secco Stef. Incrocia le braccia al petto, tranquillo.- E lui è tornato da te.- prosegue lento davanti al silenzio dell’altro.- E se vuoi la mia opinione, eri spaventato tanto quanto e più di lui. Quindi torno a chiedertelo, perché non intendo guardarti ancora rantolare come una bestia agonizzante nel tentativo di aggiustare la tua vita: cosa vuoi fare? Cosa vuoi per te?! Cosa ti farà stare bene?- incalza.- Perché te lo meriti, Brian. Non sei “l’unico a non aver diritto di essere felice”, è solo la tua stupida convinzione, questa! Hai lasciato campo libero a Kate perché? Perché pensavi fosse giusto per lei, per Matthew? Hai provato a chiedere a Matthew cosa volesse?
-Mi avrebbe detto una bugia per paura che io lo lasciassi.- sibila Brian. Ma le parole di Stefan stanno andando a segno e perfino la sua convinzione ostinata vacilla visibilmente a fronte di quei ragionamenti accorati.
-O forse no. O forse lo avrebbe fatto e tu lo avresti saputo e avreste litigato. Magari vi sareste lasciati comunque,- ammette il bassista, pacato - ma lo avreste fatto dopo averne quantomeno parlato. Come puoi incolpare Matthew delle parole che tu non gli hai permesso di dirti? Delle scelte che tu e Kate avete preso per lui?
-…non lo sto…
-No, è vero.- gli concede Stefan. – Ma è anche vero che non vuoi darti una possibilità con lui. Non l’hai mai voluto.
Brian sospira. Sconfitto. Abbassa il viso ed i capelli nascondono nuovamente il suo sguardo. Stefan è talmente vicino che potrebbe abbracciarlo senza dover fare un altro passo, ma non lo fa. Brian, presumibilmente, si scosterebbe di nuovo e lui non vuole dargli nessuna possibilità di scappare.
-Helena merita che io sia sincero con lei.- sussurra il cantante dopo un tempo che sembra infinito.
Ed è il turno di Stef di lasciarsi sfuggire un respiro pesante, consapevole che l’altro finirà comunque per anteporre la propria compagna a qualsiasi decisione per sé. Non è che gli sia difficile capirne il motivo, ma in quegli ultimi due anni ha dovuto combattere con le unghie e con i denti – proprio come Helena  - per strappare Brian ad un dolore talmente sordo e nascosto sottopelle da non essere mai riusciti a dargli un nome vero, concreto, per esorcizzarlo a sufficienza.
Ed ora la causa di quel dolore è di nuovo lì.
-Vuoi che le parli io?- si offre di slancio, senza neppure riflettere davvero su quanto sta dicendo.
Brian sbuffa un rantolo che vorrebbe essere una risatina cattiva, i suoi occhi brillano d’ironia da sotto le ciocche spettinate.
-Non puoi.- rintuzza pratico, ritrovando in un istante tutta la propria determinazione ed un accento del vecchio smalto di sempre.
***
-Le regole del tourbus?
-Ma veramente dobbiamo portarci dietro la concorrenza?
-E tu sei pure un loro fan, Sunshine.
-Non è vero che sono un loro fan!
-Le regole del tourbus, Bellamy, sì. Niente sesso qui sopra, grazie.
-Non ti facevo così puritano, Olsdal.
-Puoi negarlo quanto vuoi, Sunshine, ho visto la tua collezione di dischi.
-Non è questione di essere puritani, è questione di rispetto degli spazi condivisi.
-Hai rovistato nelle mie cose?! Stef, Brian ha rovistato nelle mie cose!
-Quello non fa parte delle regole di rispetto degli spazi condivisi evidentemente, Steve.
-Bellamy, sei qui sopra da meno di dieci minuti e stai già rompendo i coglioni.
***
Dopo cena Brian lo raggiunge nella zona notte. Matthew ha, chiaramente, una cuccetta propria, collocata sopra quella dell’altro, ma ha ben pensato di rannicchiarsi nello spazio di Brian, che se lo ritrova acciambellato come un ingombrante gatto tra le coperte.
-Non riesco ad addormentarmi da solo e Dom non protesta mai!- previene Matt, additandolo, quando lo vede mettere su un’espressione accigliata.
Brian rilascia l’aria in uno sbuffo senza dire nulla. Sorride, anzi, e gli da un colpetto sulla gamba per farsi fare spazio e stendersi a sua volta.
-Quindi io e Dom siamo intercambiabili…- lo punzecchia immediatamente.
Matthew lo fissa divertito, si volta su un fianco e solleva la testa, appoggiando il gomito al materasso, per poter ricambiare il suo sguardo.
-Sei geloso di Dom?- s’informa malizioso.
-Tu sei geloso di Stef?- ritorce Brian.
Matt, però, ci pensa su seriamente, rivestendo la cosa di un’importanza che Brian non aveva alcuna voglia di dargli. Soprattutto perché il rapporto tra lui è Stefan è qualcosa che non sente ancora di voler condividere con l’altro.
-Credo sia stato innamorato di te.- sussurra l’altro frontman, tenendo bassa la voce per paura che il bassista, seduto nella zona giorno del bus con Steve ed Alex, possa sentirli.- Lo si capisce. Ma non credo di avere motivo per essere geloso. Tieni troppo a ciò che siete.
Si volta a cercare il suo viso per scrutarne l’espressione e trovare conferma a ciò che ha appena detto.
Brian si riscopre incapace di negarlo.
-Molto perspicace.
-Ed io e Dom?- insiste Matt divertito.
-Tu e Dom siete amici e vi fareste ammazzare l’uno per l’altro. Siete fratelli, più che amici, ma nient’altro. E senza nessuna delle implicazioni che hai visto nel mio rapporto con Stef, questo è sicuro.
Matthew annuisce. Il suo sguardo vaga per lo spazio attorno a loro, mettendo distrattamente a fuoco gli elementi. Si dice che è stata un’idea pazzesca quella di partire in tour con i Placebo dopo essere appena entrato in pausa con la propria band. E’ parecchio stanco, gli impegni dell’ultimo periodo hanno prosciugato quasi del tutto le sue risorse, lui ha dovuto barcamenarsi alla men peggio tra quelli, la sistemazione della nuova casa…la sistemazione della nuova vita.
Lasciare Kate non è stata la cosa facile e piana che ha voluto rappresentare a Brian.
In realtà, se è vero che ha reagito per istinto subito dopo aver ascoltato le parole dell’altro nelle nuove canzoni, è altrettanto vero che dopo si è trovato a lungo a fare i conti con quanto scelto. Sa che Kate era sincera - quando ne hanno parlato e lui le ha spiegato come stessero realmente le cose – nel dirgli che per Bing non sarebbe cambiato nulla. Quella concessione le è costata carissima e Matthew ha avvertito intatto il peso di quanto stava pretendendo da lei. Di fatto, le stava dicendo a muso duro di non averla mai amata. Né prima né dopo. Di aver sempre voluto Brian nella propria vita, di aver scelto lei solo in virtù del fatto che aspettavano un figlio assieme. Kate non aveva mai preteso niente e Matt era consapevole che questo stesso discorso avrebbe potuto e dovuto farlo fin dall’inizio. Era stato vigliacco allora per non dover convivere con quello stesso senso di colpa e di perdita che lo aveva tormentato subito dopo aver preso un aereo per tornare a Londra.
Eppure quella dimensione claustrofobica in cui si muoveva quando era da solo, a casa, scompare adesso, ascoltando il respiro quieto di Brian accanto a sé, avvertendo nelle narici il suo odore familiare, mischiato ad altri profumi che gli sono sconosciuti e che appartengono a quel piccolo microcosmo in cui lui, intruso, è stato accettato fin troppo velocemente.
Gli viene da riflettere sul fatto che, mentre lui ha trovato immediata accoglienza tra i “Placebo”, tanto da guadagnarsi un posto nel cuore stesso della loro famiglia, Brian è ancora un estraneo per quella cerchia perfetta che i “Muse” rappresentano e lui si sente a disagio a tentare di calarlo nel loro contesto, all’idea di fargli incontrare Chris o Tom… E’ un po’ strano. Due anni prima, Matt aveva tentato di trascinare Brian in quello stesso ambiente nel momento meno opportuno e facendo quanto più rumore possibile. Ad impedirlo era stata solo una serie di casualità, ma lui, allora, non aveva pensato che potesse esserci qualcosa di strano nel vedere Brian interagire con i suoi amici e sa, peraltro, che Dom e lui si sono già incontrati in più di un’occasione e senza sentire la necessità della sua mediazione.
Ma Dom è Dom.
-Bri.- Gli risponde un mugugnare soffocato.- Stai dormendo?
-Se mi parli…
-Vorrei che venissi a vivere da me quando tornerai a casa.
Uno sbuffo. Una semplice attestazione di disaccordo che Matt registra a livello inconscio ed ignora volutamente.
-Ne abbiamo parlato…
-Sarà fra due fottutissimi anni, Brian.- scocca Matthew brusco- Ne abbiamo parlato e non lo hai escluso a prescindere.
-Non sono pronto per una convivenza.
-Con la tua ex sì, con me no?!
Brian gli spalanca addosso uno sguardo arrabbiato.
-Eravamo d’accordo che Helena è un argomento di cui non si parlerà finché non sarò io a metterlo in mezzo.- gli ricorda seccamente.
-Vorrei fosse ben chiaro che quello che scegli unilateralmente non è qualcosa su cui siamo necessariamente d’accordo.
-Matt, tu non puoi…-inizia precipitosamente Brian.
Ma Matthew lo ferma anche stavolta.
-Non voglio litigare.- precisa.- Non parleremo di Helena, ok? Però valuta la possibilità di venire a stare da me. Ti prego.
***
Quella sera Helena e Cody lo accolgono a casa con un piatto di biscotti appena sfornati, saluti festosi e sorrisi entusiasti. A Brian sale istintivamente un conato di vomito, che reprime a forza, giustificandosi per l’accoglienza nervosa che ha riservato loro facendo appello alla vecchia e mai sopita gastrite che torna ogni tanto. Helena, preoccupata, spedisce Cody in cucina con i biscotti.
-Bri, avete fatto come al solito? Avete mangiato qualche schifezza invece di pranzare decentemente?- lo riprende, seguendolo mentre Brian raggiunge il salotto.
L’uomo scuote la testa. Non ricorda neppure se hanno pranzato, figuriamoci “cosa”. Lascia sul divano il giubbotto e siede lì accanto, chiudendo gli occhi e reclinando la testa all’indietro.
-…vuoi che chiami il medico?- domanda lei, dolcemente.
Quando non riceve nessuna risposta, sospira piano. Brian, ancora ad occhi chiusi, la sente muoversi al suo fianco. Helena deve aver sollevato e spostato il giubbotto, gli si siede accanto e le sue dita leggere gli sfiorano la pelle del polso, lasciando scorrere brividi piacevoli lungo il braccio. Lo rilassa.
-Bri. E’ tutto a posto a lavoro?- inizia ad indagare Helena, con la stessa dolcezza intossicante di prima. La sua capacità di inquadrare in fretta l’esistenza di un problema, smascherando le piccole bugie che lui imbastisce per evitare di parlarne, è tragicamente pericolosa.
Brian valuta la possibilità di raccontarne ancora. Di dirle che “sì, hanno qualche problema in sala, ma niente che non possano risolvere ed è solo stanco”.
Quando apre la bocca per dire quelle stesse cose, però, viene fuori una frase completamente diversa.
-Ho visto Matthew.
La mano di Helena si irrigidisce. La sua carezza si congela appena sopra il sottile laccetto che l’altro porta al polso, regalo di suo figlio durante l’ultimo viaggio in India in cui lo ha portato prima dell’uscita dell’album.
Brian apre gli occhi. Si volta a guardarla, rendendosi improvvisamente conto di essere in grado di dirle la verità e di volerlo fare. Prendendosi tutte le responsabilità conseguenti.
-Che significa?- sta sillabando lei, atona.
-E’ venuto qui ieri pomeriggio dicendo che ha lasciato Kate.- le riferisce pianamente Brian.- Dice di aver sentito l’album… “Loud Like Love”, di aver capito che ho scritto quelle canzoni per lui.
La mano di Helena scatta verso il viso, spingendosi con forza contro le labbra mentre lei reprime uno scoppio di riso isterico. Le ciglia tremano, gli occhi a mandorla si riempiono di lacrime ma Helena non piange.
-Dice che mi ha sempre amato, ma lo ha capito solo ora. Voleva che gli dicessi che si era sbagliato e che non ho scritto quelle canzoni parlando di lui…a lui…
-E tu cosa gli hai detto?- soffia fuori lei, strozzata.
-Niente. Non sono riuscito a mentirgli.- confessa Brian, stringendosi nelle spalle.- L’ho cacciato e gli ho detto che non volevo più vederlo.
Segue un silenzio che lui avverte troppo lungo. Un silenzio che è sicuramente troppo denso. Brian ci annaspa dentro cercando aria, mentre la sua coscienza realizza appieno quanto ha appena fatto. Sta per perdere Helena, sta per perderla in modo forse definitivo, e con lei Cody e Lisette, la bambina non ancora nata. Ha appena gettato al vento un equilibrio perfetto, su cui poggiavano le fondamenta di quel benessere – effimero – che era tornato ad affacciarsi anche nella sua vita.
-…cosa significa…Brian?- la sente chiedere nuovamente, con lentezza esasperante.
-Che sono ancora innamorato di lui, Helena.- ammette debolmente Brian.- Non ho mai smesso di essere innamorato di Matt.
***
Helena ha chiamato Forrest per chiedergli di venire a prendere lei e Cody. Brian gliene è stato silenziosamente grato, la donna ha scelto di non mettere in mezzo né Stefan né Steve per non costringere gli “amici di tutta una vita” a prendere posizioni scomode in una situazione difficile.
Mentre aspettavano l’arrivo del ragazzo, Brian l’ha aiutata a fare i bagagli. Non si sono scambiati neppure una parola. Di comune accordo hanno chiamato Cody in cucina e gli hanno spiegato pazientemente che, per un po’, mamma e papà sarebbero tornati a vivere in due case diverse e che lui poteva scegliere se voleva stare con l’uno o con l’altra.
Quando Cody ha fissato suo padre con sguardo ferito, Brian ha capito di averlo perso e di essersi solo illuso che lui potesse essere ancora il bambino piccolo che aveva recepito passivamente la prima separazione dei genitori. Trova conferma di quei pensieri quando, all’arrivo di Steve, Cody si precipita fuori di casa senza neppure prendersi la briga di salutarlo.
Helena si ferma sulla soglia, invece, ma il suo sguardo è duro, tagliente, e Brian sente intatto il peso di tutte le sue accuse inespresse.
-Helena…
-Non dire nulla, per favore.- pretende lei brevemente.
Imbarazzato, Steve assiste dal pianerottolo, un occhio a Cody per assicurarsi che non scenda da solo ed un altro alla scena che si sta consumando pochi metri più in là.
-Tra qualche giorno, magari, sarò in grado di parlarne e potremo stabilire cosa fare. – spiega ancora Helena, cercando di mantenere un tono neutro e piano ma tradendosi con quel tremore sottile che la scuote da capo a piedi - Adesso, mi disgusta anche solo doverti rivolgere la parola.
Brian non dice altro. La guarda in silenzio voltarsi ed incamminarsi verso l’ascensore. Steve esita ancora, rivolgendo al compagno di band uno sguardo preoccupato.
-Brian…- chiama alla fine. Cody ed Helena sono già nell’ascensore, lei dice che lo aspettano giù, poi preme il pulsante e le porte si chiudono.- Hai…bisogno di qualcosa?- prova a domandare il batterista.
Brian scuote la testa. Gli è riconoscente di starsi prendendo quell’incarico penoso e gli è riconoscente anche della capacità naturale con cui attua un congruo bilanciamento di interessi: proteggerà Helena, si occuperà di lei e Cody e si assicurerà che siano a posto prima di lasciarli; ma allo stesso tempo non si dimenticherà di lui, non lo giudicherà e sarà sempre pronto ad aiutarlo. Sì, Steve Forrest è stata la scelta più saggia.
Bravo ragazzo, Steve.
Adesso annuisce brevemente, con una risoluzione tutta nuova nello sguardo.
-Chiamo Stef e lo mando qui.- gli dice prima di premere per far tornare su l’ascensore.
Brian vorrebbe dirgli che non ce n’è bisogno, ma quando non ci riesce si rende conto che invece sì, invece ha un bisogno disperato di avere lì Stefan. Per cui non dice niente. Aspetta che Steve vada via e chiude la porta di casa.
…mentre si guarda attorno, spaesato, ancora fermo nell’ingresso e con le spalle contro il battente, si rende conto di quanto dannatamente grande sia quell’appartamento.
***
-Chi accidenti ha settato questo schifo di chitarra?
Levi agita minacciosamente in aria la Jaguar rossa, accompagnando con quel gesto la domanda, proferita in tono rassegnato, ed ottenendo in cambio una serie di sguardi perplessi. Uno dei tecnici borbotta qualcosa con un collega, poi annuisce e si volta verso di lui.
-Quello nuovo. Oscar.- risponde.
Il sospiro di Levi risuona alto e sonoro.
-Quello non durerà molto se continua così.- considera a mezza voce, abbassando la Jaguar e voltandosi attorno alla ricerca del soggetto incriminato.
Matt, seduto ad una delle consolle di regia, lo guarda. Si sta annoiando a morte da almeno dieci minuti – cioè da quando i Placebo sono andati in pausa dal sound-check per “problemi tecnici” nel settaggio della strumentazione – e reputa quella offertagli dall’altro una stimolante alternativa al giocherellare con i monitor della consolle scombinando completamente proprio il lavoro fatto da Levi qualche ora prima. Si alza di colpo e gli va incontro rapidamente, prima che l’altro possa dileguarsi portandosi appresso la chitarra.
-Lascia, ci penso io.- si offre con un largo sorriso.
Levi lo fissa scettico.
-Tu?- ripete.
Matt fa spallucce, allungando le mani verso la Jaguar ed aspettando pazientemente che Levi, tutt’altro che persuaso, si decida a cedergliela.
-Bellamy, non è che non mi fidi di te, ma a parte che abbiamo un tecnico appositamente pagato per questo, Brian potrebbe assassinarmi ed esporre il mio cadavere ai corvi se lo sapesse.
-Allora non diciamoglielo!- ribatte il cantante sbattendo gli occhioni con aria da cucciolo.- Andiamo, un problema in meno per te ed un quarto d’ora di noia in meno per me!- considera a voce alta.
-Sì, ma così Oscar non imparerà mai un cazzo.- protesta ancora Levi, anche se gli sta già passando la chitarra.
Bellamy ridacchia, afferrandola con delicatezza e stringendosela addosso con fare possessivo.
-Va bene, va bene.- concede rapido.- Vado a cercarlo e lo facciamo insieme, ok?- propone.
Levi sbuffa di nuovo, contrariato ed insoddisfatto, ma poi si stringe nelle spalle e gracchia uno scazzato “contento tu!”, prima di mollarlo ed andare a riparare ai danni che l’altro ha fatto alla consolle di regia.
Matt, soddisfatto, prende a girovagare per il backstage al suo posto. Un paio di domande a Clarisse, la ragazza del make up – quella carina, per intenderci, perché l’altra, Eve, è un cesso oltre ad essere scorbutica da morire! – e trova Oscar rannicchiato nei pressi di una macchinetta del caffè, che trangugia bevanda scura da un bicchiere e picchietta a terra con un piede, nervosamente.
-Os!- lo chiama brusco.
Quello sobbalza, rovesciandosi buona parte del caffè sulla maglietta, e si volta sgranandogli addosso uno sguardo terrorizzato.
-Hai fatto un casino.- ci tiene a precisare immediatamente Matthew, agitando la chitarra in modo esemplificativo.
Il ragazzo annuisce istericamente, consapevole dei propri limiti.
-Mr. Bellamy, io…
-Tu la pianti di balbettare e vieni qui.- esige Matt senza farlo finire, si ferma a metà del corridoio ed indica un punto di fianco a sé.- Vediamo se prima di mollare questo tour riesco almeno ad evitare che tu perda il lavoro.- borbotta mentre l’altro getta il bicchiere vuoto e si avvicina esitante.
-Io non so se…
-Ah! su questo siamo pienamente d’accordo! – esclama Matthew, scoccandogli un’occhiata divertita – Tu non sai!- motteggia.- Fuori. Marsh!- addita poi in direzione del backstage.
***
-E questi dove vanno, Mr. Bellamy?
-Nello studio, credo… No, forse sono quelli della cucina… Cosa c’è scritto sopra?
Matt si disinteressa della distribuzione degli scatoloni l’istante successivo alla formulazione di quella domanda. Mentre i tizi della ditta di traslochi si arrabattano per interpretare la sua scrittura, lui si avvicina alla porta a vetri che da all’esterno della casa.
In fondo al vialetto di accesso c’è una figurina infagottata in un cappottone nero troppo grande per la sua taglia. Nonostante il viso nascosto dall’enorme sciarpa di lana, il cappello calato sulla fronte e le mani affondate nelle tasche, a Matt basta uno sguardo d’insieme per percepire un brivido familiare lungo la schiena. Sorride. I tipi della ditta stanno discutendo tra loro sulla diversa interpretazione di una lettera, lui apre la porta ed esce sotto il piccolo porticato all’ingresso.
-Brian!- chiama da lì, braccia incrociate al petto e sorriso smagliante.
Trova conferma che è lui nell’agitarsi nervoso della figura. E’ quasi certo che abbia sbuffato, infastidito all’idea di essere stato sorpreso tanto facilmente.
-…Bellamy.- si sente rispondere in tono piano, non troppo sicuro.
-Vieni dentro che ti faccio un tè caldo. Sembra che tu debba svernare ad alta quota conciato a quel modo!
Non aspetta per accertarsi che l’altro lo segua. Lascia la porta a vetri aperta e punta direttamente al cucinino in fondo al corridoio. Quando sente il battente chiudersi con un tintinnio lievissimo, il sorriso si accentua.
In cucina alza il viso verso Brian solo dopo aver messo sul fuoco il bollitore. I due ragazzi della ditta hanno stabilito che sugli scatoloni c’è scritto “studio” e stanno salendo la traballante scala di legno che porta al piano superiore.
-Questo posto non è molto nel tuo stile.- osserva Brian guardandosi attorno e studiando l’ambiente che li circonda, i mobili di legno color pastello e le tendine a fiori alle finestre.
Scioglie le pieghe della sciarpa e sfila via il cappello. Quando toglie il cappotto, Matt si accorge che, anche se non è truccato, è stato attento nello scegliere un abbigliamento che faccia risaltare il fisico allenato.
-Mi ricorda casa di mia nonna.- risponde sbrigativamente.
-…tua nonna?- lo sguardo di Brian è sorpreso, ma Matt pensa solo che è bello esattamente come ricordava.
-Come mi hai trovato?
-Sono più bravo di te nel fare le domande giuste alle persone giuste.- ritorce Brian con una punta di vanagloria che fa ridere Matthew. Il frontman dei Placebo si volta nuovamente a guardarlo, rinunciando ad una seconda ispezione della cucina, e sorride a sua volta.- Nah, Alex ha un mucchio di contatti.- confessa con maggiore sincerità.
-Siediti.- lo invita Matt, scartabellando in una credenza alla ricerca di due tazze per servire il tè.
Brian accetta, prendendo posto al tavolino quadrato che troneggia sotto il lampadario, al centro della stanza. Matthew lo raggiunge in pochi minuti, posando le tazze sul tavolo.
-Sei stato tu a darmi questo consiglio.- ricorda mentre prende posto dall’altro lato. Davanti allo sguardo sinceramente interrogativo di Brian, prosegue allo stesso modo.- Ricordi? Mi hai detto che avrei dovuto smettere di condividere tutti i miei spazi con qualcun altro per poi doverli lasciare quando le cose cominciavano ad andare storte.
-Non ti ho detto proprio questo…
-Beh, questo è “il mio posto”.
-Un po’ isolato.
-L’ho scelto anche per questo. Voglio vedere se riesco a convivere con me stesso.
Brian sbuffa divertito.
-Un progetto ambizioso, Bellamy!- sogghigna.
-Brian.- ritorce lui quietamente.- Puoi smettere di chiamarmi “Bellamy”? Indipendentemente da quello che siamo attualmente, non puoi considerarci ancora due estranei in competizione.
Brian non ribatte, sorseggiando il tè senza aggiungere altro. E’ solo quando posa la tazza sulla tavola che torna a guardarlo, sostenendo senza sforzo il suo sguardo. L’accenno di malizia sul fondo degli occhi cangianti dell’altro suscita in Matt una nuova piccola scossa di desiderio. Ma non ha voglia di mandare in frantumi anche la possibilità di una discussione serena solo per assecondare il capriccio di un momento.
-E la mia chitarra?
Matt ridacchia.
-Quale chitarra?
-Quella che mi hai rubato, Bellamy!
-Preso in prestito!- precisa Matthew.
-Da due anni!
-Ok, consideriamolo un risarcimento danni, allora.
-…risarcimento danni?! Bellamy, mi hai distrutto la vita, come puoi pretendere un risarcimento danni?!- sbotta Brian, stupefatto.
-Tu.
Brian tentenna, sbattendo le palpebre per mettere a fuoco quella semplice parola.
-“Io” cosa?- si arrende alla fine.
-Tu hai distrutto la mia vita. – risponde Matt senza alcun risentimento - Tu e Kate. Oh, anche Gaia, certo. Ma lei aveva motivo di farlo. Tu no.
La serietà con cui espone quei “fatti” fa da contraltare perfetto alla tranquilla rassegnazione che avverte nel suo tono. E’ come se Matt gli stesse dicendo “ok, mi hai fatto un male cane e pensavo proprio di non poterne uscire, ma ehi! sono ancora qui e va bene”. Niente in sospeso per lui, niente a parte quel punto esatto in cui Brian lo ha lasciato, quella lettera da codardo con cui gli ha detto che era troppo e che non potevano reggere oltre. Per Matthew quello che è successo tra quella lettera ed il tè che si trovano a condividere adesso ha un valore relativo. E’ successo, appunto, ma non ha cambiato di una virgola tutto quanto esisteva allora e non ha mai smesso di esistere, tra loro.
-Matt, le cose non sono più…- inizia lentamente Brian, abbassando leggermente lo sguardo per non dover ricambiare il suo mentre prova a spiegargli che, invece, il tempo, scorrendo, scava sempre il suo solco.
-Per Helena? O per Kate e Bing?- interviene lui pacatamente.
Il richiamo ad Helena provoca una piccola fitta dolorosa che distrae Brian da quello che intendeva dire. Per un paio di secondi Matthew smette di essere così importante, così fondamentale da averlo spinto a cercarlo, a trovarlo rintanato in una campagna isolata, con il solo scopo di capire perché non riesca davvero ad archiviare quella storia come “passato”.
-Io e Kate ne abbiamo parlato prima che partissi.- continua Matt, interpretando il suo silenzio improvviso come interesse a ricevere ulteriori spiegazioni su quell’aspetto.- Stavolta sono stato sincero con lei fino in fondo. Mi ha detto che le dispiaceva, che credeva che io non amassi te più di quanto avessi mai amato lei. Che, se avesse solo immaginato che le cose stavano diversamente, non si sarebbe mai permessa di venire da te.- Aspetta una risposta che non arriva, Brian solleva ancora la tazza e beve continuando a non guardarlo.- Le ho creduto.- ammette Matthew.- Kate è molte cose, ma non una donna egoista o superficiale. Sperava sinceramente che potessimo essere felici assieme, sperava di poter rendere felice me.
-Sì. E’ così.- annuisce Brian tranquillamente, lasciandosi sfuggire malgrado proprio un sospiro pesante.- Matt, ti rendi conto che ti sei presentato a casa mia sapendo perfettamente che io e la mia compagna aspettiamo un figlio?
-Perché avrei dovuto avere per te il rispetto che tu non hai avuto per me? E poi te l’ho detto, dovevo tentare.
Potrebbe ribadirgli che lui gli ha anche già risposto che “no, non doveva”, ma sarebbe superfluo. Non è lì per fare capire a Matthew quanto sia stato inopportuno nelle proprie decisioni.
…ad essere onesti, non lo sa nemmeno perché è lì. Ma sa che ne aveva un bisogno disperato.
-Non ho scritto “Loud Like Love” per te.- sussurra alla fine. Continua a non guardarlo mentre lo dice, fissa il sole che sta tramontando fuori dalla finestra della cucina, ascolta nel corridoio il rumore dei traslocatori che stanno andando via- Non l’ho fatto volontariamente, almeno. Ho capito che c’eri tu in quel disco solo quando me lo hai fatto notare.- confessa spostando lo sguardo sulle proprio mani.- Ed ho capito che non ci sei solo tu, ma anche Helena e Stefan…è come se io avessi un mucchio di persone a cui dire “scusa” ed a cui dire “grazie” e lo abbia fatto nel modo sbagliato e nel posto sbagliato.
-Una canzone non è mai il posto sbagliato!- esclama Matt, ridacchiando.
Brian ricambia il suo sorriso, tornando ad incrociare i suoi occhi anche se solo per qualche istante.
-Beh, comunque…- mormora ancora, a disagio, per poi ritrovare tutto d’un colpo un’imbarazzata determinazione che lo porta a sollevare il viso di scatto.- Era questo che volevi sapere, no?- scorcia rapido.
Matt sorride ancora, anche se in un modo che Brian giudica “sbagliato”. Non è più divertito ed intenerito dalla situazione, ma è come se riuscisse a leggere con facilità tra le righe di quel discorso ed arrivasse a verità molto meno evidenti di quelle cui Brian stesso allude.
-Era esattamente questo che volevo sapere.- risponde, enfatizzando il concetto.
***
-Ma non dovevamo fare le cose “in ordine” questa volta?- sono le prime parole che Matthew gli rivolge quando si svegliano entrambi, ancora vicini nel letto in ferro battuto che Brian reputa orrendo, come ci ha tenuto a dirgli poco prima di addormentarsi.
Matt ride subito dopo averlo detto. Affonda il viso nel cuscino, la sensazione di qualcosa di bello…come un sogno particolarmente coinvolgente…che gli riscalda il petto. Vorrebbe restare lì tra le coperte con Brian per sempre, perché ha il terrore che quella sensazione sia effimera, che possa sparire non appena si saranno alzati e rivestiti e saranno tornati alle loro vite.
Il giorno prima hanno parlato fino a notte fonda. Si sono dimenticati di mangiare, avevano troppe parole da dirsi. Si sono aggiornati l’uno sulla vita dell’altro, hanno ignorato quei passaggi che era difficile accettare – Matt ha detto a Brian quanto sia stato stupendo tenere tra le braccia Bing appena nato, con quel musetto arricciato che lo rendeva bruttissimo per tutti tranne che per lui – hanno registrato le informazioni fondamentali. Brian gli ha detto tra le righe, distrattamente, che Helena è andata via. Matt avrebbe voluto chiedergli un mucchio di cose e ha stretto le labbra per non farlo, incassando l’informazione ed aspettando che fosse l’altro a fissarlo con serietà negli occhi ed a pronunciare quelle poche parole.
-Stavolta, però, vediamo di non fare un casino. Facciamo le cose in ordine.- lo aveva pregato Brian.
Non era servito. Al momento di separarsi, di dirsi buonanotte e rinviare tutto al giorno dopo, ad un caffè tranquillo da prendere fuori, magari in centro, magari con qualche amico a tenergli compagnia, Matthew lo aveva afferrato per le spalle. Non poteva sopportare l’idea di continuare a mantenere quella distanza tra loro, non poteva sopportare di lasciarlo andare via senza baciarlo.
Ed era stato esattamente come ricordava. Travolgente, eccessivo, irrefrenabile. Sapevano entrambi che non sarebbero mai riusciti a separarsi davvero quella notte.
-E’ colpa tua.- sussurra adesso Brian, puntuale.
Sorride ad occhi chiusi mentre lo dice e Matt, che lo osserva divertito, sa che non è davvero arrabbiato e non riesce a preoccuparsi.
-C’è una cosa che non ti ho detto, Brian.- mormora.
-Ci sono mucchi di cose che non mi hai detto.- corregge lui pazientemente.- Ma considerato che non sono certo di voler sapere proprio tutto quello che ti frulla nella testa…
-Ti amo.
Brian apre gli occhi a ricambiare il suo sguardo con un’espressione seria che allarma Matthew e congela sul suo viso il sorriso che ancora aleggia.
-E continua ad essere colpa tua.- afferma dolcemente Brian.- Comunque…ti amo.
 

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Capitolo 2
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Levi raggiunge Matthew mentre i Placebo, sul palco, si stanno esibendo in quello che, da scaletta, dovrebbe essere l’ultimo pezzo prima del breve encore. Gli batte una pacca sulla spalla per richiamare la sua attenzione e Matt sobbalza leggermente, completamente assorto dalla musica e da quanto sta accadendo sul palcoscenico, e si volta verso di lui per incrociare il sorriso caldo ed accogliente dell’uomo.
-Ehi, Bellamy!- esclama il tecnico, alzando la voce per farsi sentire da sopra le note distorte delle chitarre elettriche.- Bel lavoro, oggi! Con Os!- specifica. Matt ringrazia con un cenno per quei complimenti, leggermente imbarazzato.- Senti, con i ragazzi, dopo, andiamo a farci qualche birra! Non sparire, ché vogliono tutti ringraziarti per l’aiuto che stai dando al piccoletto!
-…ma all’after show?- chiede Matt, perplesso.
Levi ride e scuote la testa.
-Naaah!- rintuzza divertito.- Gli after show sono diventati roba da quattordicenni da quando Alex ha vietato a tutti di dare modo a Brian di ricascarci! E lui preferisce così…sai, non si sente troppo sicuro di poter resistere alle tentazioni!
Matt annuisce, a disagio. Avrebbe preferito sentirsi dire quelle stesse cose da Brian e non da Levi. Il clima di familiarità allargata che regna nel backstage dei Placebo – quel sapere tutti cose fin troppo private dei componenti della band – lo disorienta un po’.
-Ci prendiamo qualcosa lì, poi ci muoviamo ed andiamo in qualche pub giù in città!- spiega Levi, gesticolando esplicativamente in direzione di un gruppetto di colleghi- E tu sei formalmente invitato, Bellamy!
-…ok…- borbotta Matt, venendo premiato con una seconda, poderosa pacca sulla schiena prima che Levi si allontani, sbraitando ad un paio di tecnici più giovani.
***
Stefan vede Brian arrivare dal fondo del corridoio. Il bassista ha una faccia scura che non gli si addice e che l’altro fa fatica a trovare adeguata anche al contesto. Così si allarma.
-Stef?- chiede appena arrivato al suo fianco. Non osa esplicitare quello che sta pensando, ma il suo sguardo ansioso è sufficiente.
-Va tutto bene, tranquillo.- borbotta lo svedese interpretando facilmente la sua preoccupazione.- Il dottore ha detto che ci vorrà qualche ora, ma la bambina sta bene ed Helena anche.
La sua espressione, comunque, continua a dire l’esatto contrario e Brian non riesce a sentirsi tranquillo.
-Che sta succedendo?- insiste.
-Hai parlato con lei?- chiede Stefan, invece di rispondergli.
Brian scuote la testa.
-Non vuole. Non mi vuole parlare. Mi ha chiamato Alex per dirmi che eravate in ospedale!- rimarca sconvolto, passandosi nervosamente la mano tra i capelli.
-Beh, avresti dovuto parlarle lo stesso.- mormora Stefan, secco e brusco.
-Stef, io…
-Brian!
La voce di Alex li interrompe. Il cantante si volta verso la donna per vederla arrivare a passo veloce nella loro direzione.
-Ciao…- mormora distratto.
-Ciao.- gli sorride lei, cercando forzatamente di apparire serena.- Stiamo per rifarlo!- ridacchia.- Qualche ora e sarai di nuovo papà!
Brian sorride impacciato. Poi intercetta lo scambio di sguardi tra la donna e Stefan e l’espressione di accusa che il bassista rivolge alla loro manager. La timida allegria che si stava faticosamente affacciando a quell’idea viene nuovamente soffocata dalla paura che gli stiano nascondendo qualcosa di grave.
-Al!- sbotta disorientato ed arrabbiato.- Stefan, che diavolo succede?!- ribadisce perentorio.
-Va tutto bene, Brian.- si affretta a rispondere Alex.- Solo che…Helena…
- “Helena” cosa?- sbianca Brian.
-Sta bene!- s’intromette Stefan.- Bri, non vuole che tu riconosca la bambina.- sputa fuori controvoglia, non riuscendo a ricambiare il suo sguardo mentre lo dice.
Il colpo è quasi fisico per Brian. Alex lo vede barcollare, lei trattiene il respiro, allungando istintivamente le braccia e fermandosi appena un attimo prima che le sue mani lo afferrino. Brian si è allontanato di scatto da lei, a quel gesto. Come ogni volta, quello scudo invisibile che lo circonda nei momenti di debolezza, quel suo aggrapparsi ad un’illusione di fortezza ed indifferenza, è tornato ad affacciarsi nello sguardo gelido che le rivolge, rabbioso.
Stefan vede tutto questo e sospira. Ha provato a parlare con Helena fino a pochi minuti prima che l’altro arrivasse. Nonostante non fosse neppure il momento giusto per affaticarla con un litigio improvvisato che gli ha fatto guadagnare la messa alla porta da una delle ostetriche, inferocita. Adesso sa che dovrà raccogliere cocci talmente tanto piccoli che rincollarli assieme sarà praticamente impossibile. Spera sinceramente che Matthew Bellamy valga tutto il dolore che Brian proverà oggi, spera anche che Matt Bellamy sia in grado di fare i conti con quel dolore, di metterci riparo in qualche modo. Perché non è certo di poter gestire tutto da solo.
-Bri…- mormora piano, scoraggiato.
Brian si stringe nelle spalle, la sua voce è fredda e metallica quando parla di nuovo.
-Comunque Helena sta bene?- torna a sincerarsi con praticità.- O.k. E’ chiaro che indipendentemente da tutto, Elisabeth è anche mia figlia e non intendo sottrarmi ai miei obblighi.- afferma pianamente.
Alex e Stefan si guardano tra loro. Presumibilmente si chiedono chi lui stia tentando di convincere, a chi siano rivolte simili pacate assunzioni di responsabilità. Brian non sa darsi una risposta. E’ come se fosse dissociato da se stesso, una parte della sua mente e del suo corpo stanno gridando talmente forte da coprire ogni pensiero che l’altra parte riesca a formulare. Ma a quanto pare, quei pensieri vengono fuori lo stesso, ordinatamente, e sono sensati e razionali nonostante le identiche espressioni preoccupate sui volti di Alex e Stefan.
Si toglie il cappotto con gesti lenti e studiati. Lo poggia su una sedia libera lì in corridoio e prende posto sulla sedia accanto, senza invitare nessuno di loro a fermarsi lì con lui.
Alex si morde le labbra, indecisa. Stefan le fa segno di andare e, mentre la donna raggiunge la stanza di Helena, si accomoda accanto all’amico, braccia incrociate al petto, partecipando silenziosamente alla sua attesa.
***
Sua figlia, nella culletta oltre il vetro della nursery, è una cosetta rossiccia, con una peluria scura sulla testolina e manine piccole con dita lunghe che ha chiaramente preso dalla madre. Indossa una tutina gialla con paperelle bianche ricamate che Brian non riconosce. Helena deve averla comprata nell’ultimo mese, quello in cui loro due si sono visti esclusivamente quando Brian va a prendere Cody, il venerdì, per trascorrere il finesettimana con lui.
Cody….
Suo figlio ha assunto un atteggiamento apertamente ostile e polemico a cui lui ha fatto fatica ad adattarsi. Ha provato a parlargli solo per scontrarsi contro un muro di silenzi e frecciatine cattive. Non c’è stato verso di scenderci a patti, non con le buone, cercando di capire cosa potesse frullargli nella testolina, non con le cattive, sgridandolo per quel comportamento maleducato ed inopportuno. Ha provato anche a parlarne ad Helena. E’ stata la conversazione più lunga che hanno intrattenuto in quel mese. Lei gli ha detto che Cody non è più così piccolo da potergli raccontare qualunque cosa, che adesso si fa una sua idea sul mondo e ne trae le conseguenze che ritiene. Brian sa che lei lo ha rimproverato perché Cody, dopo quella conversazione, ha cominciato a comportarsi in maniera formalmente ineccepibile quando sono insieme. Peccato che continui ostinatamente ad ignorarlo e ad evitare di condividere qualunque cosa con lui.
A Brian manca il consiglio di Helena nel crescere Cody.
Gli manca il suo consiglio in un mucchio di cose. Perfino nel gestire la propria, nuova, relazione con Matthew.
Ha anche, stupidamente, provato ad introdurre l’argomento. La reazione di Helena al nome di Matt Bellamy è stata talmente feroce da rendergliela aliena. Solo in quel momento Brian si è reso conto di come, per la donna, quello sia stato un “doppio” tradimento. L’affetto sincero che aveva riservato a Matthew quando si erano conosciuti, è stato completamente sopraffatto dal bisogno di trovare una causa, un qualcuno a cui attribuire la colpa di quel dolore rinnovato.
Brian legge il nome sulla targhettina attaccata alla culletta. Alexandra Sarah Elisabeth Berg. Vederlo scritto lì oggettivizza una situazione che continuava a sfuggirgli. Avrebbe voglia di chiamare Matt e raccontagli quello che gli sta accadendo – è stato costretto ad ordinargli di tenersi lontano dall’ospedale e di aspettare che lui gli facesse sapere qualcosa – vorrebbe sentire la sua voce e spererebbe che lui riuscisse a trovare il lato comico di quella situazione, a catturarne la parte che dovrebbe far ridere entrambi.
Non lo chiama. Tutta l’ironia di Matt non renderebbe quella situazione meno intollerabile ed il braccio gli pesa troppo perché desideri davvero affondare la mano nella tasca e cercare il telefono e portarlo all’orecchio e parlare…parlare…
-Vuole finirla, santo cielo?! Fuori da qui! Come devo dirlo?!
-Helena, questa cosa è ridicola!
Brian si volta. Stefan esce a passo di carica dalla stanza, infila il giubbotto mentre sta ancora muovendosi, si ferma nel corridoio con una delle infermiere ed Alex come improbabile corteo a seguirlo.
-La lasci in pace!- sta tuonando ancora l’infermiera, controllando a stento il tono arrabbiato che sfoggia.
Alex cerca di rabbonire sia lei sia lui, fallendo in entrambi i compiti in egual misura. Alla fine rintuzza malamente la donna ed afferra lo svedese per il polso, trascinandolo con sé verso gli ascensori.
-Andiamo a prendere qualcosa al bar e ci diamo tutti una calmata!- ringhia tra i denti mentre allunga il passo per stare dietro a quello ampio e rapido del bassista.
Brian vede l’infermiera rientrare nella stanza borbottando, sta lì qualche minuto e poi se ne va accostando il battente.
Lui prende il coraggio a due mani e si avvicina.
Bussa piano, non arriva nessuna risposta. Schiude la porta ed entra senza fare rumore.
Helena non dorme. Sta stesa nel letto, stanca e disfatta, i capelli arruffati e l’aria triste. Guarda fuori dalla finestra e non si volta anche se lui cerca di richiamare la sua attenzione schiarendosi la voce.
-Hel…
-Brian, vattene.- lo implora lei.
Il suo tono di voce lo zittisce immediatamente. Helena è spossata da dentro. E’ svuotata, un contenitore vuoto e crepato che sta per esplodere, che non può più reggere nulla. Nemmeno la più piccola vibrazione.
Potrebbe essere egoista e rimanere lì, costringerla a parlargli. Litigarci come ha fatto Stefan. Sa, inconsciamente, che potrebbe perfino spuntare una vittoria con la sua avversaria ridotta in quello stato.
Il punto è che lui non la considera un’avversaria. Nemmeno se gli ha strappato via sua figlia. Nemmeno se, per una volta nella vita – la peggiore! – ha voluto essere cattiva, vendicativa, malevola e ripagarlo tutto in colpo degli anni di dolore, di errori, di difficoltà che lui l’ha costretta a vivere, per poi abbandonarla con un’ultima illusione a dissolversi come un sogno.
Solo che i sogni non dovrebbero lasciare cicatrici.
-Hel. Per quello che posso ancora fare…per quello che tu vuoi che io faccia, ci sono ancora. Sia per lei che per te e Cody.- mormora.
Prova ad aspettare ancora qualche istante, sperando che lei risponda. Ma Helena rimane immobile ed a lui non resta che uscire nuovamente.
***
Brian saluta Bill Lloyd e Fiona Brice davanti al taxi che li ha riportati all’albergo. Loro entrano e lui resta fuori per accendersi una sigaretta e fumarla prima di salire in camera. Cammina lentamente sul marciapiede, cercando opportuno riparo da occhi indiscreti all’interno di un cortiletto secondario, di proprietà dell’Hotel, che dà sulle cucine. A quell’ora è tutto chiuso e non rischia di essere beccato da nessuno mentre si apposta dietro le siepi in bosso, che superano di poco la sua altezza. Un paio di tiri sonnolenti, uno sguardo attorno a catturare il brillare delle luci dei saloni a piano terra, oltre le tende rigide, e poi, di sfuggita, la percezione di una presenza pochi metri più in là, accasciata di fianco al muretto di un’aiuola.
Nonostante l’oscurità, Brian individua facilmente una forma umana, butta la sigaretta a terra e si affretta in quella direzione per sincerarsi che sia tutto a posto.
Ci rimane malissimo quando riconosce di chi si tratta.
-Matt?!- sbotta, controllando a stento la voce.
L’altro bofonchia qualcosa a labbra chiuse, rannicchiandosi in un angolino, rattrappito su se stesso. Quando gli si inginocchia accanto, Brian intuisce cosa ci sia che non va.
-…sei completamente ubriaco?- constata, ridacchiando nervoso ed un po’ infastidito.
Il borbottio, stavolta, è più alto e deciso. Matthew apre prima un occhio e poi l’altro e lo mette a fuoco, con difficoltà, perdendo qualche istante prima di riconoscerlo.
-Brian!- sbuffa con voce impastata.- Di solito non bevo così tanto!- ci tiene a precisare, sollevando solennemente un dito per rimarcare il concetto. Ma gli gira la testa ed è costretto a troncare sul nascere qualsiasi tentativo di gesti repentini.-…cazzo!- sfiata tra le labbra.
Il sospiro di Brian è pesante e paziente. Le sue mani sono piacevolmente fredde quando gli si posano sulla fronte e sul collo, scostandogli la camicia e permettendogli di apprezzare l’aria fresca della notte sulla pelle. Matt si abbandona a quel tocco con un verso soddisfatto che strappa all’altro un sorriso intenerito.
-Sei un disastro.- afferma Brian conciliante.- Che diavolo è successo?
-I tuoi tecnici.- accusa subito Matt, aprendo nuovamente gli occhi per fissarlo astioso.- I tuoi tecnici!- ribadisce.- Bevono come…spugne!
Brian “fa due più due”.
-Eri con i ragazzi? Mica hai fatto a gara di bevute con Levi?!- rabbrividisce.
-Nah.- scuote la testa Matt.- Ma continuavano ad offrirmi da bere ed io mi sentivo a disagio e, quindi, credo di avere…esagerato.
- “Esagerato” è un sottile eufemismo.
-Niente termini complicati quando ho mal di testa.
-Non ce l’hai ancora, Matt. Lo avrai domattina, il mal di testa.
Matthew pare considerare seriamente la cosa. Alla fine, però, deve decidere che non è abbastanza importante e rinuncia senza ribattere.
-Mi sentivo a disagio.- ribadisce, invece. Come se fosse quello il punto.
Brian ride. Decide che Matthew ha bisogno di prendere ancora un po’ d’aria e lui non si sente così stanco, in fondo. Gli si siede di fianco, portando le ginocchia verso il petto ed agganciandosi con le braccia in una posizione che, lo sa, domattina rimpiangerà di aver adottato.
-E sentiamo, perché ti sentivi a disagio?- indaga con leggerezza.
-Mi vergogno. – ammette Matt con sincerità - Qui tutti si comportano come se fossi con loro da…cazzo, da sempre!- sbotta.- Mica siamo così, noi!
-Voi?
-Sai, ho capito perché dite che i Placebo non siete solo voi tre.- prosegue Matthew senza dargli peso.- E’ vero. Siete…siete tutti. Perfino quello nuovo che è un disastro!
-Funzioniamo solo così.- annuisce Brian, semplicemente.
-Sì, ma mica è facile, Brian.- rintuzza Matt aspro.- Io ci tengo un casino ai miei amici, darei un braccio per ognuno di loro, ma noi non siamo comunque così. Forse un pochino con Anderson…o Glen… Forse con qualcuno tipo Morgan. Ma non direi mai che loro sono i Muse.
-Ed è importante?
-No.- sussurra Matt senza guardarlo.- E’ che io sto bene qui e mi chiedevo se tu staresti altrettanto bene con me.- mormora ancora, rocamente.
Brian lascia passare forse un po’ troppo tempo riflettendo su quanto Matthew sta dicendo. Quando lui si volta a guardarlo, comunque, non si fa trovare impreparato e gli sorride rassicurante.
-Stai talmente bene che hai dovuto ubriacarti per metterti a tuo agio!- lo rimprovera gentilmente, sminuendo rapido il discorso che l’altro ha fatto.
Matt apre la bocca per protestare ma il rumore di passi in rapido avvicinamento lo interrompe e fa girare istintivamente Brian a scrutare la figura che avanza nel cortile, proveniente dall’Hotel.
-Maatt?! Ci sei o sei morto?- chiama una voce che Brian riconosce immediatamente.
-Steve!- sbotta senza alzarsi.
Forrest, arrivato ormai al limite dell’aiuola, lo vede, ancora seduto al fianco dell’altro. Brian gli da le spalle, ma dal suo tono è facile intuire l’espressione di rimprovero che gli troverà in viso. Si lascia scappare un’imprecazione, tappandosi subito dopo la bocca con una mano mentre Matthew scoppia a ridere istericamente.
-Eri con lui?!- sbuffa Brian, sollevandosi di scatto per affrontare il batterista, mani sui fianchi e sguardo severo.
-Sì. No!- s’intreccia il ragazzo.- …Brian, gli avevo detto di non esagerare!- si difende, additando Matt che continua a ridere, semisdraiato a terra tra loro due.- Ma Levi e gli altri continuavano ad offrirgli da bere e Matt è più grande di me e mi ha detto che non dovevo preoccuparmi…!
-E tu gli hai creduto?- chiede il cantante, scettico.
-…onestamente, no. Soprattutto visto che stavano ballando sui tavoli. Ma, in fondo, cosa avrei dovuto fare, scusa?!
-Tu non sei ubriaco.- asserisce Brian.
-Io ho bevuto di meno. E poi gli altri hanno detto che dovevo riportarlo in albergo e ci hanno cacciato fuori.- finisce pazientemente di raccontare Steve.- Non c’entro nulla, comunque!
Brian sospira. Matthew, nuovamente accucciato contro il muretto dell’aiuola, sembra in procinto di addormentarsi. Lui non riesce a tenere oltre “il punto” e sorride.
-Dammi una mano a portarlo in camera.- chiede piegandosi per primo verso il proprio compagno.- Domani ti pentirai di tutto questo, Bellamy.- lo redarguisce facendosi passare un braccio sopra le spalle.
-Sei diventato una nonnetta!- biascica lui contrariato, accasciandosi contro il suo petto.
-Oh sì. E sai cosa mi ha fatto diventare una nonnetta?- spiega Brian pazientemente mentre, con l’aiuto di un ridacchiante Steve, guadagnano lentamente l’entrata dell’albergo.- Il fatto di essere stato a tanto così dal rimetterci le penne.
-Mai corso questo rischio!- asserisce Matthew orgogliosamente.
-Qualsiasi coglione alle prime armi afferma la stessa cosa.
-Non fare la mammina!
-Ha ragione lui, Brian, fai proprio la mammina. Guarda che ogni tanto fa bene lasciarsi andare.
-Junior, se non vuoi che ti pigli a calci in culo fino alla tua stanza e ti metta in punizione da qui alla fine del tour, non dargli man forte.
-…lo tratti come un moccioso! Cristo, Brian! Lo tratti come un fottuto moccioso!
-Zitto, tu!
***
-Perché non vieni a vivere con me?
-Sto partendo per un tour, Matt. Non ho tempo di venire a vivere con te. Non ho tempo di fare un cazzo.
Matthew ignora il tono rabbioso con cui quelle parole sono scandite. Secche, brusche, violente.
Brian è arrivato due ore prima. Si è presentato dietro la sua porta senza avvisarlo – hanno messo su questa prassi fastidiosa dell’avvisarsi prima di arrivare a casa l’uno dell’altro; Matt la detesta, ma Brian finora era stato talmente puntuale nel rispettarla, che lui non ha ancora avuto il coraggio di venirle meno – ha bussato con una tale intensità che il campanello della villetta squillava ancora quando Matthew è riuscito a raggiungere la porta ed a spalancarla. Il suo disappunto per quell’esordio si è dissipato non appena ha visto la faccia sconvolta dell’altro, a quel punto ha sentito il mondo tremargli sotto i piedi.
-Ho bisogno di bere.- sono state le prime parole di Brian.
Lo ha spinto di peso via dal vano della porta e si è introdotto in casa, spogliandosi del cappotto nel tragitto tra l’ingresso e quello che, a fine trasloco, diventerà il soggiorno piccolo. Matt gli è andato dietro.
-Brian?- lo ha interrogato aspro, la gola in fiamme e la voce che gli si strozzava da qualche parte tra quella ed il palato.- Helena sta bene? La bambina?!
-Stanno bene tutte e due.- ha risposto distrattamente Brian, mettendosi a cercare nelle credenze e nei mobili, ancora parzialmente imballati, con la frenesia di un pazzo.
-Brian, che diavolo succede? Cosa accidenti stai cercando?! Ma non avevi smesso con quella merda?!
Accantonata l’ipotesi più terribile, Matthew ha preso rapidamente coscienza delle condizioni in cui l’altro si trovava, stabilendo che non fosse il caso di assecondarle.
-Sì, ma cazzo! ho bisogno di bere!- ha ruggito Brian voltandosi di scatto per riversare contro di lui tutta la propria ferocia.
Matt ha incrociato le braccia al petto e resistito a quel primo attacco con stoica fermezza.
-Non c’è alcool in casa.- lo ha informato breve.- Fortunatamente.
-Allora vestiti che usciamo.
-No.- è stata la risposta stringata che lui gli ha concesso.- Se hai voglia di fare cazzate, le fai da solo e mi lasci fuori. Non ti starò a guardare mentre decidi di mandare al diavolo tutto quello che hai fatto per te stesso fino ad oggi.
Non ha sperato davvero di ottenere qualcosa. Ma evidentemente aveva sottovalutato la situazione, perché Brian gli si è afflosciato davanti come un mucchio di stracci, sgonfiandosi fisicamente sotto i suoi occhi, lo sguardo terrorizzato di un bambino puntato su di lui. Matt, sbalordito, ha lasciato ricadere le braccia, ma molto prima di riuscire a raggiungerlo, l’altro si era già accasciato a terra, le spalle scosse da un tremito convulso. Matthew lo ha afferrato e stretto a sé, cercando inutilmente di calmarlo mentre Brian singhiozzava strozzato, senza riuscire neppure a piangere davvero.
C’è voluto un po’ per fargli trovare il coraggio di raccontargli di Helena, della bambina che non gli è stato permesso di riconoscere, di come si è sentito nel precipitarsi fuori da quell’ospedale senza avere neppure il coraggio di chiedere di poter tenere in braccio sua figlia. Matt lo ha stretto fino alla fine, seduti entrambi sul pavimento. Lo ha tenuto stretto a sé anche dopo, quando Brian ha smesso di singhiozzare ed è rimasto immobile, il fiato sottilissimo, il tremore che spariva lentamente.
Alla fine è stato lui a staccarsi, scostandolo da sé con una freddezza che, in un altro momento, lo avrebbe ferito. Si è alzato da terra per andare a sedersi su un divano, scostando di lato il foglio di plastica che ne aveva protetto la seduta. Matt è rimasto dov’era ed ha continuato ad aspettare, anche se Brian non diceva più nulla e non lo guardava nemmeno, fissando qualcosa fuori dalla finestra.
Dopo un secolo, a Matthew è venuto in mente di chiedergli quella cosa.
-Perché non vieni a stare qui da me?
-Il tour.
Matthew realizza adesso quanto poco manca alla partenza dei Placebo per il tour europeo. Stringe le labbra su quel pensiero, ricacciando indietro la sensazione spiacevole che porta con sé.
-Posso venire?
Non sa da dove gli sia saltata fuori quell’idea. E’ assurda.
Brian lo guarda sbigottito.
-…no…- replica a mezza voce.
-Perché no?- Nel momento stesso in cui si vede rifiutare, per Matt diventa tutto molto più importante, come se spuntarla su quell’aspetto sia davvero essenziale. Anche se lui per primo si rende conto di quanto sia pazzesca come richiesta.
-Perché sto andando a lavorare, Matthew! Non a divertirmi!- ringhia Brian, indispettito.- Cosa cazzo credi? che sia un fottuto gioco?! Cristo, lo sai bene quanto me!
-Non bestemmiare. Non è il tuo stile.
-Bestemmio perché mi irriti quando rompi le palle solo per darmi fastidio.- rintuzza l’altro stizzito. Un sospiro pesante, uno scatto nervoso della gamba. Brian cerca in tasca le sigarette e l’accendino, non li trova.
Matthew si alza da terra e va a prendergli i suoi.
Aspetta che Brian si sia acceso la sigaretta ed abbia fatto un tiro.
-Non voglio che tu vada via senza di me. Non adesso.- ammette, in piedi di fianco al divano.
Brian gli solleva gli occhi addosso, cercando i suoi per tastare la sincerità di quell’affermazione. Inutilmente. L’affermazione è fin troppo sincera, per i suoi gusti.
-Matt. Ti rendi conto della merda in cui mi trovo in questo momento?- prova a spiegare razionalmente.- Ti sembro in condizioni da accettare o rifiutare qualcosa?
-Va bene, però ne riparliamo.
-Ora come ora ti direi di sì pur di farti stare zitto.- prosegue Brian, senza dargli modo di capire a cosa si stia riferendo esattamente.
Matt decide di non infierire davvero e non aggiunge nulla. Gli si siede accanto, senza prendersi la briga di liberare ulteriormente il divano dalla plastica ma schiacciandola sotto di sé con un suono irritante che fa storcere il naso all’altro. Matthew non ci bada. Gli posa delicatamente la mano sul collo, accarezzandogli la mandibola e l’orecchio in punta di dita. Brian è infastidito ma non si sottrae, s’irrigidisce sotto il suo tocco e lui percepisce la contrattura dei muscoli sotto le sue carezze.
-Io non ti lascio, Brian. Non ti lascio nemmeno ad Helena.- promette minacciosamente.
***
Sabato pomeriggio. Alex sta accanto ad Helena, vicino al bancone dell’accettazione, aiutandola a compilare non sa quali moduli. Stefan, invece, è di fianco a lui. Brian regge Lisette tra le braccia, la bambina dorme, ogni tanto apre gli occhi, chiarissimi, e lo guarda. Ha gli occhi grigi e lui spera che rimangano tali. Come i suoi.
Cody gioca ad un videogioco seduto fuori dall’ospedale con Forrest a sorvegliarlo. Steve è l’unico verso cui Cody non abbia cambiato atteggiamento in quell’ultimo periodo, continua a sorridergli come non fa più con nessuno di loro ma Brian sospetta che dipenda esclusivamente dalla capacità di Forrest di interagire con il bambino da pari a pari. Con lui Cody si sente capito, non minacciato. Al sicuro.
La direzione dell’ospedale ha permesso loro di portare dentro un paio di macchine per evitare il gruppetto di giornalisti asserragliati fuori da lì. Brian ha ringraziato staccando un assegno a titolo di elargizione, il direttore ha ringraziato con un sorriso mellifluo che lo ha fatto scappare a gambe levate.
Lisette lo guarda di nuovo. Ruota, poi, la testolina a catturare l’immagine di Stefan. Lo svedese se ne accorge e le sorride, nascondendo in quel sorriso l’espressione torva che aveva fino ad un momento prima.
Dave aiuta Helena a portare fuori il borsone più pesante che ha con sé, sulla scala Stefan le sfila di mano anche la borsa più piccola ma senza rivolgerle la parola. Brian fa finta di nulla, consapevole che le cose tra loro due si appianeranno. Helena e Stef sono entrambi troppo intelligenti e sensibili per odiarsi. Perfino a causa sua.
Li segue, sua figlia gorgoglia di soddisfazione al contatto con l’aria fresca. Helena, affaticata, sale in macchina con Cody e lascia che sia Brian ad assicurarsi che la bimba sia adeguatamente coperta. Gliela lascia anche quando lui sale sull’altra auto, sistemando la bimba nella culletta sul sedile anteriore e sedendo dietro, Stefan alla guida.
-Sei a posto?- s’informa il bassista mentre allaccia la cintura.
Brian annuisce brevemente, attraverso il vetro cattura l’immagine di Helena nell’altra auto. Poi Alex la mette in moto. Dave entra in macchina con loro ed anche Stef accende il motore.
-Come sta il nostro splendore?- chiede Dave allegramente, sporgendosi tra i sedili per sbirciare la piccola.
Brian sorride.
***
Si sveglia con un mal di testa feroce. Apre gli occhi, dal salottino arriva un chiacchiericcio confuso. Una è la voce di Brian, l’altra non la riconosce. Rumore di una porta che viene aperta e richiusa, con leggerezza, fa un suono discreto, che non gli da fastidio nonostante il pulsare doloroso alle tempie. Le voci scompaiono entrambe ma qualcuno è rimasto di là in salotto e si muove senza rumore sulla moquette. Matthew si rigira cautamente tra le coperte, rimanendo invischiato nel lenzuolo e lasciandosi sfuggire una bestemmia a fior di labbra.
Non saprebbe dire cosa lo infastidisca di più al momento: se il fatto di essersi ubriacato come una ragazzina davanti all’intera crew dei Placebo; quello di aver sprecato una notte in una camera d’albergo a dormire, invece che a fare sesso con il proprio compagno; o quel mal di testa battente che lo farà impazzire per tutto il giorno.
Il suo iPhone sobbalza contro il piano del comodino. Ha ancora la modalità silenziosa attiva da ieri sera. Lo prende, afferrando al volo il nome del chiamante. Risponde sforzando un tono che non sembri provenire necessariamente dall’oltretomba.
-Dommie?
Fallisce.
-…Matt?! Che cazzo di voc…?!
-Sì, lascia perdere.- lo blocca subito, grugnendo insoddisfazione e riprendendo ad agitarsi nel groviglio di lenzuola.
-…’k… Stai bene?
-Credo di sì. Non morirò, quantomeno.- borbotta.- Tu?
-Bene!- esclama Dom con un po’ troppa vivacità isterica.
Matthew si sente improvvisamente più sveglio.
-Dom? Sei sicuro?!
-Sì, sì, certo che sono sicuro! Ho una cosa da dirti.- ammette senza soluzione di continuità.
-…una “cosa” tipo cosa?- si allarma ulteriormente l’altro.
-Una cosa tipo una notizia.- rimane sul vago il batterista.
-Ok. Dom, devo preoccuparmi?- cambia strategia Matt, con un sospiro paziente. Troppo dolore per pensare con lucidità.
-No, non devi!- lo rintuzza Dominic baldanzoso.- Piuttosto, siete a Parigi la prossima settimana, no?
-Mh.
-Ci vediamo?
-…vediamo?!
-Sì, passo a salutarti. Sono a Nizza.- precisa.
-Potresti venire a vedere lo show.- suggerisce Matthew.
-Ah, volentieri! Però devo anche parlarti ed il backstage non è il genere di posto che avevo in mente.
-Ci vediamo in centro al pomeriggio, al caffè dove andiamo di solito.- concede facilmente Matt.
-Ok, a presto allora.
-Ciao, Dommie.- sbadiglia Matthew prima di riattaccare.
Lascia cadere il braccio sul materasso con la stessa svogliatezza che avrebbe se stesse reggendo un peso da dieci chili. Prova a chiudere gli occhi, sentendo la stanchezza scivolare inesorabile dietro le palpebre. A scuoterlo da quel dormiveglia leggero è la percezione di una presenza nuova nella stanza. Socchiude le palpebre, sospirando soddisfatto quando il materasso si piega docilmente sotto il peso del corpo di Brian. Il profumo dell’altro gli punge le narici, Matt chiude nuovamente gli occhi e respira a fondo.
-Stavi parlando con qualcuno?- si sente domandare.
-Dominic.- mormora con voce impastata.
-Cosa vuole?
-Deve dirmi qualcosa ma fa il misterioso.
-Intrigante…
-Coglione.
-…mi stai dando del coglione…?
-Lo sto dando a Dom. Dovrà dirmi qualche cazzata, sicuro come la morte.
Silenzio. Il respiro di Matthew si regolarizza lentamente, il sonno torna prepotente.
-Matt.
-Mh?
-…senti…non è che non capisca che tu non ti senti e sei stanco, dopo aver fatto l’imbecille con la mia crew ieri notte – puntualizza Brian - …ma oggi si torna su quel dannato tourbus con quella suocera di Stef a tenerci d’occhio e…
Matthew ride. Spalanca su di lui uno sguardo brillante e divertito, ritrovandosi incastrato in quello cangiante, azzurrato nella luminosità assolata della camera, di Brian.
-Sto morendo di mal di testa.- lo informa enfaticamente senza muovere un muscolo.- Se vuoi fare sesso con me, dovrai essere molto bravo per compensare con le endorfine.- aggiunge maliziosamente.
Brian finge di pensarci attentamente, ruotando il busto per mettersi supino e sollevando gli occhi contro il soffitto in atteggiamento composto e riflessivo.
-Mmmh.- mormora meditabondo. Si volta subito dopo, sollevandosi su un gomito e piegandosi poi a catturare la sua bocca in un bacio delicato. La sua accortezza nel muoversi è qualcosa che fa bene al cuore di Matt almeno quanto il fremito leggero che lo scuote quando risponde al suo bacio. Brian apre nuovamente gli occhi nei suoi, questa volta ad una vicinanza tale da togliersi reciprocamente il respiro.- Secondo me, si può fare.- sussurra direttamente sulle sue labbra. 
***
-E’ bellissima, Matt!
Matthew ride. La faccia di Brian in questo momento è uno spasso infinito! Quella sua aria trasognata mentre se ne sta seduto tronfio al centro del letto, con nient’altro che i boxer addosso e l’espressione di un ebete a tirargli un sorriso luminosissimo che va dalle labbra alle guance e su, fino agli occhi e ritorno. E’ sicuro gli scaldi anche il cuore, quel sorriso lì. Glielo vede fare così di rado che non osa disturbarlo.
Brian, del resto, non lo sta guardando. O meglio…non lo vede. Matt è una parentesi spigolosa nella sua realtà personale. Come il comodino, il letto, il pacchetto di sigarette mezzo vuoto… Matthew si allunga per servirsi e cerca a tastoni l’accendino che è sparito da qualche parte tra le pieghe del libro che stava leggendo.
-Lo sai che ogni volta che mi vede, ride?!- sghignazza Brian, divertito. S’infila la maglietta distrattamente, avvertendo il fastidio di un freddo che diventa pungente a stare seduti fuori dalle coperte. Matt se le rimbocca addosso.- Ma hai acceso il riscaldamento?- Non aspetta la risposta, non gli interessa se abbia o meno acceso il riscaldamento.- Fa un sacco di versi strani!- ridacchia ancora. Gli si accosta, gattonando verso di lui, gli ruba la sigaretta dalle labbra mentre si crea uno spazio al suo fianco, sotto il lenzuolo.- Scommetto che imparerà a parlare prestissimo.
-Ah, sei uno di quei padri iper esigenti che vogliono andare in giro a sbandierare figli prodigio.- constata Matt provocatorio. Brian gli tira un ceffone non troppo convinto sulla guancia, un gesto eccessivamente femminile considera Matt.- Piuttosto…- mormora.- Stef ed Hel ancora non si parlano?
-Neanche una sillaba se non strettamente indispensabile.- annuisce Brian. Ed il suo tono si raffredda immediatamente.
-…ma lei è…irremovibile?
Brian sospira. Si fissa la punta delle dita, la sigaretta incastrata tra indice e medio della destra ed un filo di fumo pallido che sale verso il soffitto.
-Ci ho parlato. Con Helena, intendo.- borbotta dopo un po’, controvoglia. Matt vorrebbe dirgli che non è obbligato a rispondere, ma non lo fa.- Mi ha detto che potrò tenere Lisette esattamente con la stessa frequenza con cui tengo Cody. Che ormai è ridotta alle feste comandate ed i weekend che mi spettano!- sbotta amaramente.- Comunque, non intende impedirmi di frequentare mia figlia.
-Allora perché impedirti di riconoscerla?
-Non lo so. Non vuole dirmelo.- confessa Brian debolmente, stringendosi nelle spalle e voltandogli addosso uno sguardo insicuro.- Questa storia è terribile.- ammette semplicemente.- Non so se…se riuscirò a gestirla.
-Lo farai.
-Intanto, lunedì andiamo dall’avvocato.- lo informa con maggiore praticità ma ricominciando ad evitare il suo sguardo - Assieme. Non voglio che diventi un massacro.
-Mi sembra logico.
-Helena vuole che regolamentiamo le cose formalmente. Il diritto al mantenimento dei bambini, le visite, la gestione delle decisioni più importanti… Non lo trovi surreale?
-La madre di Kate ha voluto che facessimo lo stesso. Io l’ho trovato ragionevole.
Brian si volta a guardarlo con un’attenzione nuova, come se avesse appena realizzato qualcosa che, tuttavia, è sempre stato sotto i suoi occhi.
-Non ti ho chiesto nulla di voi due…- sussurra.
-Cosa vuoi sapere?- è la domanda quieta che Matt gli concede immediatamente. Allunga le dita e Brian gli cede nuovamente la sigaretta.
-Non lo so. Come stai, ad esempio.
-Bing mi manca da morire. Tutti i giorni. Sai, avercelo con me, potermi alzare nel cuore della notte solo per andare nella sua stanza e vederlo dormire…- sbuffa un sorriso timido.- Sono cose che non pensavo una persona potesse tollerare di provare.
-Sì.
-E’ come se il cuore ti scoppiasse di gioia e poi, all’improvviso, scoppia di dolore alla consapevolezza che non succederà. Non più. Ma ci fai l’abitudine…- esita. Solleva gli occhi contro la parete di fronte a sé.- e questa, forse, è la parte peggiore. Poi diventa una specie di costante sorda in sottofondo, come se ti avessero amputato un pezzetto di te e dove c’è il buco facesse male ogni tanto, quando cambia il tempo o ti sei stancato molto.- abbassa la voce riducendola a poco più di un sussurro - Ci sono volte che vorrei essere rimasto con te solo per non ritrovarmi a sentire tutto questo. Se non lo avessi visto nascere, se non ci fossi stato nei primi mesi, quando ci teneva svegli a turno e dovevamo occuparci di cose disgustose come cambiargli i pannolini o pulirlo dopo che aveva rigurgitato il latte…!- Brian ride, Matt lo guarda di sottecchi sorridendo anche lui, anche se con amarezza.- Se non fosse successo, sarei stato un “padre a mezzo servizio” efficientissimo. Così non lo so. Così non sono sicuro di potercela fare neppure io.- confessa.
Il silenzio che segue non è davvero tale. C’è il fruscio che fanno le coperte quando Brian si sposta lentamente sul letto, c’è il suo calore o il rumore del suo respiro. Poi ci sono le sue braccia che lo stringono gentilmente, in modo stupido, facendoli sentire entrambi a disagio perché la tenerezza non è una cosa che si riservano troppo spesso.
Ma adesso non guasterà…
-Siamo entrambi un bel disastro.- ammette Brian a mezza voce. Con dolcezza.
Matthew non se la sente proprio di ribattere. Chiude gli occhi e sospira.
***
Brian è andato via da un paio di ore. Gli operai sono tornati da un quarto d’ora scarso e stanno facendo un casino terribile. Matthew ha mal di testa e vorrebbe uscire, ma non sa dove andare. Dominic non è a Londra – non ha idea di dove sia, ora che ci pensa – Chris neppure, è a Teignmouth dai suoi. Tom… Tom doveva lavorare, ha detto. E poi c’è Jaclyn. Fuma la quarta sigaretta della giornata, due in più rispetto ad una media che deve far scendere quanto prima. Non ha voglia di fottersi la voce per cazzate, non ora che ha deciso che sì, può impegnarsi un po’ di più ed imparare a cantare decentemente visto che Madre Natura lo ha graziato a sufficienza.
Si alza dal tavolo della cucina ed esce in giardino. In tasca cerca il proprio iPhone, fa un calcolo rapido e si lascia sfuggire una bestemmia, il telefono sul palmo della mano che gli rimanda le cifre liquide dell’orario.
-…cazzo.
Allontana la sigaretta dalle labbra. Sbuffa. Seleziona comunque il contatto dalla rubrica e chiama.
Lei gli risponde al quarto squillo. Sta ridendo e sembra sorpresa di sentirlo.
-Matt?!- lo chiama subito.
Matthew sente un sorriso allargarsi istintivo anche sul suo volto. Gli piace ancora immaginarla quando è felice, gli piace ricordare quella luce che accende il suo sguardo, quella tenerezza che gli risvegliava il suono della sua risata.
-Ciao, Kate.- ricambia allegramente.- Ti disturbo?
-Oh, no. Sono con mia madre e mio fratello. Facciamo una cena di famiglia!
Fino ad un mese prima quelle cene di famiglia lo avrebbero visto seduto lì, accanto a lei. Fa un po’ male pensarlo.
-Tu? Tutto a posto? E’ un orario insolito…- mormora lei, perplessa.- Bing sta già dormendo.- focalizza.
Matt annuisce senza che lei possa vederlo. Se ne rende conto.
-Sì, scusa. Volevo solo essere sicuro che steste tutti bene.
Kate non risponde subito. E’ quasi certo che abbia capito anche senza bisogno che lui aggiunga altro. Quando ricomincia a parlare lo fa con un tono di voce morbido ed accogliente di cui le è grato fino all’inverosimile.
-Stiamo molto bene. Grazie Matthew.- ci tiene a precisare subito, gentilmente. E poi dimentica la cena di famiglia, lui può immaginarsela mentre si siede da qualche parte, magari sul divano bianco in veranda, accavalla le gambe sotto la gonna di un vestito chiaro, che le starebbe così bene, e comincia a raccontare, leggera, allegra, spensierata.- Oggi Ryder e Bing hanno fatto assieme un disegno. Li avevo lasciati a casa di Luke… Ti ricordi Luke?
-Il compagno di scuola di Ryder. Il figlio di Spencer.
-Sì. Mi ha detto che Bing ha fatto un disastro!- ride. Matt le fa eco senza sapere nemmeno perché.- La mamma aveva preparato una specie di crostata ma Bing non è riuscito a mangiarla e l’ha sparpagliata ovunque! Mi sono scusata con lei, ma non era arrabbiata. Forse non avrei dovuto lasciarle un bimbo così piccolo…
-Era seccata?
-No, no! Ha detto che è un bambino stupendo.
-Lo è.
-Matt, Bing mi chiede di te. Vuole sapere quando ti vedrà.
-Digli che torno presto.
-Lo farai davvero?
Matthew esita. Potrebbe saltare su un aereo e raggiungerli anche domattina. Anche oggi stesso.
Ma Brian?
-Kate…
-Facciamo che domani pomeriggio ti faccio chiamare dopo il riposino, mh?
Matt stringe le labbra.
-…grazie.- mormora, riferendosi a molto più che non la promessa di quella telefonata.
-Matthew. Promettimi che starai bene anche tu.
-…certo…
***
-Bellamy, i pass per il backstage.
Il tono cantilenante di Alex lo fulmina sulla soglia della hall dell’hotel. Ruota su se stesso, una rapida giravolta sui tacchi, e torna indietro fino alla manager ed al braccio sollevato di lei, da cui spunta lo spigolo plastificato di due talloncini rettangolari che portano su il nome, la data del concerto, la band e la parola “staff”. Assolutamente inappropriata.
Ride ed intasca i talloncini, riavvolgendo nella tasca del cappotto anche il nastro che serve ad appenderli al collo.
-Ma serve davvero?
Lei lo fulmina con lo sguardo, le narici dilatate.
-Razza di sottospecie di megalomane rompicoglioni! se non ti fanno passare a bacchetta solo perché dici a voce alta il tuo nome e lo stronzo che hai davanti non ha comunque idea di chi accidenti siano i Muse, tocca a me mollare qualsiasi cosa stia facendo per correre a prenderti ai cancelli! E non ho tempo!- ringhia.- Vedi di arrivare in orario o do disposizioni di lasciarti fuori! Te e quella specie di coso che intendi portarti dietro.
-Il coso è il mio migliore amico oltre che il mio batterista.
-Non me ne fotte un cazzo.- cinguetta Alex con un sorriso velenoso a coronare il tutto. – Sparisci, che ho già il resto dell’asilo di cui occuparmi!
Matthew ride ancora, salutandola con la mano mentre esce dall’albergo e ricambiando a voce alta Levi e Bill quando li incrocia, nuovamente sulla soglia.
***
Dom è già arrivato e lo sta aspettando. E’ una cosa talmente insolita che quella specie di Mr. Perfettini, che perde ore al bagno nemmeno fosse una donna e ci mette due giorni a capire cosa intenda indossare per qualsiasi occasione - …a volte sospetta che ci metta lo stesso tempo per stabilire anche  l’abbigliamento per scendere a fare la spesa sotto casa… Beh, è talmente insolito che sia arrivato lì in orario, addirittura in anticipo, da far fermare Matthew con una mano ancora appoggiata alla maniglia della porta d’ingresso del caffè ed uno sguardo sbigottito alla testa bionda che lo attende ad un tavolino appartato.
Una ragazza carina in un impeccabile completo scuro gli si avvicina e Matt le sorride gentilmente e le indica l’amico, dicendole in un francese disastroso che è lì in compagnia. Lei si sposta subito, facendogli un cenno elegante nel cedergli il passo e assicurando, in impeccabile inglese, che manderà qualcuno a prendere le loro ordinazioni.
Quando si siede di fronte a Dominic, Matthew lo vede sussultare leggermente, sovrappensiero.
-Matt!- esclama appena lo mette a fuoco.
Un accogliente benvenuto fatto di sorriso gigante ed abbraccio goffo, immediato, li impegna sopra il piano di legno del tavolino. Matthew ridacchia. E’ felice anche lui di vederlo, Dom è sparito da Londra un po’ prima che lui partisse con i Placebo e non hanno avuto davvero modo di salutarsi decentemente. Sfila cappotto e sciarpa e si mette comodo mentre l’altro ordina tè e biscotti per entrambi.
-Allora! Che dovevi dirmi?- esordisce subito dopo.
Dom ingoia a vuoto, incassando la domanda con una risata nervosa che insospettisce Matthew più della sua insolita puntualità.
-Dommie? Siamo sicuri che è tutto ok…?- indaga assottigliando lo sguardo.
Altra risata nervosa. Dom si passa una mano tra i capelli, ora tagliati corti e decisamente troppo chiari, poi ruota attorno lo sguardo come a volersi assicurare che non ci sia nessuno a spiarli. Ma il locale non è il genere di posto dove rischiare di trovare ragazzini eccitati all’idea di aver “beccato” i propri idoli in pausa e, per la verità, nemmeno il genere di posto frequentato da gente dello spettacolo e, quindi, invaso di paparazzi in agguato.
-Sì, è tutto ok.- conferma riportando gli occhi addosso a Matthew. Un respiro profondo.- Non so davvero come la prenderai…- borbotta.
-Prenderò cosa?!- insiste Matt.
La cameriera torna con la loro ordinazione. Nel tempo che ci mette a sistemare tazze e biscotti sulla tovaglia immacolata, Matthew pensa almeno tre volte che vorrebbe potersi accendere una sigaretta, ma no, non si può, come avvisano a lettere cubitali i cartelli appesi in giro.
La cameriera si allontana e Dominic affronta il suo sguardo con maggiore serenità. Almeno in apparenza.
-Io e Kate ci stiamo vedendo da un po’.- butta fuori tutto d’un fiato, ma scandisce bene il concetto, con calma e senza enfasi, in modo che pervenga all’altro in tono piano e sereno.
Matt sbatte le palpebre.
-…vedendo…?- prova ad azzardare cautamente.
-Sì, Matt, vedendo come una coppia. Come maschio e femmina di razza umana che escono a cena e si intrattengono nel dopo cena.- esplicita pazientemente Dom.
-…tu. E Kate.
-Io e Kate.- annuisce il biondo.
-E da quanto?
-Un mese.
-…cazzo!- strozzato.
Dominic gira il cucchiaino nella tazza. Fa rumore contro la porcellana. Adocchia i biscotti e si rende conto che la fame è completamente sparita; ha un nodo stretto all’altezza dello stomaco e prenderne coscienza lo fa arrabbiare. Non stanno facendo nulla di male. Prende un biscotto comunque, lo sbriciola rabbiosamente nel tè e finisce per renderlo assolutamente imbevibile.
-E’ fantastico.
Per un paio di secondi pensa di aver capito male. Solleva gli occhi su Matthew con aria interrogativa.
-…come?
Matt sorride.
-Ho detto che è una notizia fantastica.- ripete lentamente.
-Sì. Lo avevo capito. Non capisco cosa vuoi dire con “è fantastico”! Vuol dire che sei d’accordo?!- chiede ansiosamente Dominic.- Non ti da…noia? Fastidio che…insomma, esco con la tua ex, ci hai fatto un figlio e…
- “E” cosa, Dom?!- ride Matthew.- Voglio un bene dell’anima a Kate perché è la madre di mio figlio, oltre che una persona stupenda; voglio un bene dell’anima a te perché sei praticamente mio fratello e so quanto sei incredibile! Non pensi che sia felice del fatto che due persone che amo e che so essere eccezionali si piacciano?!- Prende anche lui un biscotto, se lo rigira tra le dita fissandone la superficie mentre il sorriso si addolcisce.- E poi Bing ti adora.
Dominic lo guarda.
Matthew no. Affonda il biscotto nella tazza, lo lascia galleggiare un po’ e poi lo recupera con il cucchiaino d’argento posato sul piattino di porcellana.
-Ti manca, vero?
-Da morire.
-Dovresti andare da lui.
-Non voglio lasciare Brian adesso. Tra un po’, magari, quando comincerà a non sopportare di avermi attorno mentre lavora.
Dom ride, facendosi bastare il tono allegro con cui Matt ha pronunciato l’ultima frase anche se è consapevole che sia un po’ forzato.
-Facciamo così.- esordisce subito dopo, propositivo. Matthew si fa attento.- Fammi sapere quando Brian ti rispedisce a casa, mi organizzo e vado a prendere Kate, Ryder e Bing. Così stiamo tutti assieme per un po’.
-Magari da me.- suggerisce immediatamente Matt, entusiasta.
-Certo. O possiamo tornare a Teignmouth. Dovrebbero esserci anche Tom e Jaclyn.- Storce il naso ad un’idea improvvisa.- Magari ci facciamo una vacanza, invece. Ce ne andiamo tutti assieme da qualche parte!
-Dom.
Lo guarda.
-Tu devi sempre prenderti tutti i miei casini fino in fondo, eh?
Dom arrossisce, imbarazzato, e scuote la testa.
-No, Matt. Non stavolta. – mormora a disagio, senza osare ricambiare il suo sguardo. – Kate mi piace un casino. …io…io penso che sia una cosa seria.
***
Casa di Stefan e Dave sa di “casa” nel senso pieno del termine. Matthew giudica quella cosa asetticamente, prendendone atto mentre entra dalla porta d’ingresso ed il profumo di ciambella alle mele lo investe. Diresti che hanno una “nonnetta” amorevole nascosta da qualche parte in cucina, una donnina che t’immagini piccola e con il visetto rotondo e che ti sforna dolci e manicaretti ad ogni pasto.
In realtà, Brian gli ha confessato che Stefan è un fanatico di cucina ed è l’autore di quasi tutte le leccornie che lui e Dave servono a cene come quella.
Una cena tranquilla, per la precisione. Una cenetta per quattro con vino leggero, chiacchiere piacevoli ed una tavola discreta allestita direttamente in cucina, per rendere il tutto più familiare ma anche più comodo.
-Avresti dovuto sposarlo tu.- afferma Matt all’orecchio di Brian, additando di nascosto il bassista che si muove tra i fornelli scambiando convenevoli zuccherosi con il compagno.
Brian rabbrividisce, visibilmente orripilato.
-Matt. Chiariamo un concetto. Il rapporto tra me e Stef non somiglia neppure lontanamente a quello tra Stef e Dave.- afferma perentorio.
-Sedetevi pure, ragazzi. Dave sta portando a tavola gli antipasti.
-C’è un ordine?
-Sì, “dove preferisci”.- esplica Dave mettendo a tavola una terrina con quelli che sembrano piccoli involtini di verdura e formaggio.
Il profumino allettante ricorda a Matthew che non mangia dal mattino. Afferra la sedia più vicina e ci si lascia cadere con un sospiro soddisfatto.
-Prenderò venti chili, stasera, lo so già!- esclama.
Stefan ride mentre Brian gli dice che “no, non sta scherzando affatto e non lo ha mai visto mangiare!”.
Cenano immersi in una conversazione semplice. Non ci vuole molto per trovare argomenti in comune, basta buttarsi sui soliti aneddoti da tour che strappano qualche risata sincera e stimolano ricordi similari in chi ascolta. Rimangono a tavola dopo aver finito il dolce, sorseggiando il caffè che Brian prepara con la moka italiana in modo impeccabile.
-Mio padre mi dava il tormento per farlo bene, quando ero piccolo!- ride divertito.
Matthew posa la tazzina sul piattino di ceramica, assaporando il gusto del caffè sulla lingua e ricordandosi di quello che preparava Gaia e che era sempre troppo forte, tanto che alla fine aveva imparato a farlo lui pur di non doverle dire “tesoro, lo prendo al bar sotto casa”. Ride. Quando si volta, Brian lo fissa interrogativo ma lui scuote la testa per dirgli che non è nulla di importante.
-Allora. Cos’è questa storia che vuoi venire in tour con noi?
La domanda di Stefan viene lasciata cadere con una casualità talmente perfetta da essere sapientemente studiata. Matt allarga lo sguardo, sorpreso, non avrebbe mai pensato che Brian ne avesse parlato con gli altri. Adesso il bruno sminuisce la cosa, nervoso, e scocca un’occhiataccia al proprio bassista, che lo ignora.
-…non…cioè, non è indispensabile se la considerate una cosa fastidiosa…o sciocca.- balbetta Matthew, leggermente a disagio nel silenzio carico di attesa che si è creato.
-Non saprei. Non mi pare fastidioso. E sicuramente, non c’è niente di sciocco.- considera Stef a voce alta, voltandosi a cercare lo sguardo di Dave per vedere confermata l’opinione che sta esprimendo. Lui annuisce semplicemente.
-E’ assurdo.- sibila Brian a mezza voce, senza rivolgersi a nessuno in particolare.
Matt ruota lo sguardo da lui, arrabbiato, a Stefan, ancora in paziente attesa.
-Perché?- insiste puntigliosamente dopo aver terminato quella rapida analisi.
Brian s’irrigidisce sulla sedia.
-Matt, ne abbiamo parlato fino allo sfinimento…- inizia sforzandosi di suonare pacato e ragionevole.
-E non mi hai ancora fornito una sola motivazione tranne questo tuo “è assurdo” ripetuto come una cantilena.- osserva Matthew.
-Perché è assurdo!- s’impunta Brian.
-E’…strano.- conviene Stefan.- Sarà un po’ straniante per tutti, immagino.- prosegue tranquillo.- In sé e per sé non credo dovrebbe cambiare molto per noi. Per te…beh, non sarà molto diverso da una gita un po’ lunga!- ridacchia.
Matt sorride a sua volta, felice di avere l’appoggio di Stefan. Ma quando torna a guardare Brian, si accorge che non è convinto. Decide di cambiare argomento, cercando a caso tra le cose più stupide a cui riesce a pensare. E’ felice che gli altri accettino di andargli dietro senza insistere.
***
Matthew parcheggia l’auto davanti al cancello del complesso residenziale dove vive Brian. Lui guarda fuori dal finestrino senza risolversi ad aprire la portiera e scendere, così decide di approfittarne.
-E se vieni a dormire da me, stanotte?- suggerisce.
Brian sbuffa insoddisfazione. Cerca una sigaretta in tasca continuando ad evitare di guardarlo, Matt non ci bada e si limita ad aprire i finestrini da entrambi i lati dell’auto mentre l’altro accende.
-Sono stanco.- lo informa Brian, soffiando fuori il fumo.
Matt ride.
-Ho detto “dormire”.- concede facilmente.
Brian gli scocca un’occhiata maliziosa da sopra la sigaretta.
-No, dai, domani devo andare in sala con gli altri e sono già le quattro e mezza. Da qui sono più vicino.
-Allora resto io?
-Credevo che ormai odiassi questo appartamento…
-Odio Londra. Ed è colpa tua, penso.
-…vivi a Londra…
-Nah. Vivo in cima ad una collina sperduta, nel mezzo della campagna, in una casetta con lo steccato.
-Ed hai una nipotina con una mantellina con il cappuccio rosso che viene a portarti i dolcetti quando sei tanto malato.
La risata di Matthew è più aperta ed espansiva, stavolta. Brian si lascia contagiare, facendogli eco; scuote la testa e scrolla fuori dal finestrino la cenere della sigaretta.
-Andiamo.- acconsente brevemente, accennando in direzione della strada.- Sai che domattina ti toccherà accompagnarmi, vero?
-Se accetti di venire a vivere con me, sono disposto a cambiare lavoro e farti da autista ogni singolo giorno della tua vita.- afferma Matt tranquillamente, accendendo nuovamente il motore.
-Bellamy, sei un cretino.
-Eviteresti, cortesemente, di chiamarmi Bellamy?
-Puoi venire, comunque.
Matt lo guarda. Brian sta facendo l’ultimo tiro dalla sigaretta prima di buttarla fuori. Rabbrividisce leggermente, protestando a mezza voce per il freddo sollevando nuovamente il finestrino.
-…cosa?- mormora Matthew.
Brian si volta a guardarlo brevemente.
-In tour. Puoi venire.- circostanzia.- Se non hai cambiato idea, s’intende.
-Non l’ho cambiata.
-Allora, puoi venire.- ribadisce Brian, stringendosi nelle spalle e fingendo un’indifferenza che Matt sospetta sia estremamente fasulla.
Preferisce non farglielo notare. Non è l’entusiasmo travolgente in cui sperava, ma l’opposizione ferma che l’altro gli ha manifestato per un mese è stata sufficiente a fargli capire che quell’entusiasmo non lo avrebbe visto comunque.
E poi, non sarebbe stato da Brian!
Sorride a quel pensiero, badando che lui non lo veda perché è quasi certo che lo troverebbe un ottimo spunto per litigare. Brian è stato fin troppo arrendevole con lui, stasera, difficilmente il suo orgoglio ne manderà giù altre. Per cui, meglio evitare di sfidare la sorte.
 
Nota di fine capitolo della Nai:

E siamo a due. Manca un capitolo alla fine, finissima. Salvo ripensamenti…o meglio…salvo che trovi il tempo per una cosa che, comunque, vedrà la luce in funzione del prossimo Natale. Siamo ancora a febbraio…
Beh, spero che vi siate divertite anche stavolta.
Grazie infinite a tutte, perché siete davvero splendide.
MEM

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Capitolo 3
*** Love ***


Love
 
Los Angeles, California.
Ottobre 2014
 
-Bing, tesoro, alla mamma viene un esaurimento nervoso se non stai fermo due minuti.
Il bambino ride, ancora correndo in tondo, nonostante il rimprovero e nonostante l’abitino blu e grigio, in stile “piccolo Lord”, sia tutt’altro che comodo per rocambolesche manifestazioni di entusiasmo infantile. La sua baby-sitter ha provato a domare la cascata di ciocche bionde, disordinate, che ha sulla testolina e quelle, fino a pochi momenti prima, sembravano intenzionate a rispettare i suoi pazienti sacrifici. Adesso sono ridotte ad un groviglio senza senso che Kate giudica criticamente con uno sguardo sofferto, riconducendolo ad una delle mille cose sbagliate che il figlio ha preso dal padre.
Rinuncia a richiamare ulteriormente l’attenzione di Bingham – quel bambino è totalmente refrattario a qualsiasi forma di rimprovero, assolutamente viziato e terribilmente egocentrico. Oltretutto, non ha idea del significato della parola “fermo” – e si volta con un sospiro pesante allo specchio oblungo, grandissimo, che la fronteggia. Jaclyn e Kelly la stanno aiutando ad indossare il velo sopra la complicata acconciatura di boccoli che il parrucchiere ha terminato solo qualche minuto prima; Kate sorride, soddisfatta, dimenticando per un attimo gli strilli eccitati di Bing in sottofondo, e liscia con il palmo delle mani la gonna dritta dell’abito nuziale, godendosi la consistenza della seta pesante a contatto con la pelle.
-Sei bellissima!- esclama estasiata Emma, guardandola con uno sguardo brillante che la fa sentire davvero così, davvero bellissima.
-Grazie.- mormora leggermente imbarazzata, rispondendole attraverso il riflesso nello specchio.
Emma ride. Le va incontro in uno gesto istintivo, abbracciandola mentre Kate si volta verso di loro. Anche Jaclyn e Kelly l’abbracciano, in un piccolo circolo tutto al femminile, fatto di solidarietà ed affetto espresso con un’accettazione calda e comprensiva.
E’ felice di non aver perso la sua splendida famiglia.
-Anche io braccio mamma!- strilla Bing dopo averle osservate per un istante.
Caracolla verso di loro velocemente, afferrando lo strascico del vestito della madre tra le manine e tirando per attirare la loro attenzione.
-Anche tu, certo.- interviene subito Kelly, prendendolo in braccio per impedirgli di fare danno, mentre Jaclyn ed Emma aiutano Kate a finire di prepararsi.- Ma dopo. Quando la mamma potrà infilarsi qualcosa di meno delicato di un vestito tutto bianco.- ridacchia Kelly, stampando un bacio sonoro sulla guancia del bambino e cancellando subito dopo, con i polpastrelli, la traccia appiccicosa che il rossetto lascia sulla pelle arrossata.
Bing la osserva con serietà inusuale, battendo le palpebre un paio di volte ed assumendo un’espressione concentrata che lo fa somigliare ad un cricetino paffuto e che strappa alla donna un’altra risata.
-Io porto fuori questa peste prima che combini qualche disastro.- annuncia Kelly, avviandosi in direzione della porta.
-Vengo con te.- si accoda Jaclyn, recuperando nel passare la propria borsa da una poltroncina imbottita.
Kate manda un bacio al figlio in punta di dita e lui ride. Il battente si chiude sulla voce serena di Jaclyn lasciandola da sola con Emma all’interno della stanza.
-Sono nervosa.- sfiata a quel punto Kate, voltandosi ancora a cercare nel proprio riflesso conferme che non sente di poter trovare in se stessa.
-E perché, scusa?!- sbuffa Emma.
Kate scuote la testa. Il velo ondeggia leggermente, restando ancorato alle sue spalle. Stringe le mani tra loro, torturandosi le dita su cui spicca l’anello di fidanzamento ricevuto appena tre mesi prima.
-Due fallimenti importanti sono difficili da mandare giù.- sorride tristemente, continuando a guardarla solo attraverso il filtro rassicurante dello specchio.- E la fretta con cui io e tuo fratello ci siamo imbarcati in questa avventura, mi fa credere che avremmo dovuto pensarci meglio.
-Beh, direi che due fallimenti sono anche abbastanza.- sorride dolcemente Emma, sminuendo volutamente il discorso ed ignorandone apposta la parte più spinosa.- Adesso, facciamo che iniziamo una serie positiva!- scherza con una risata leggera.
Kate ride anche lei, emozionata. Si accorge distrattamente delle lacrime che le rigano le guance e si lascia scappare un alto sbuffo risentito, asciugandosi con le mani mentre Emma, frettolosa, cerca ansiosamente un fazzoletto nel marasma che regna nella camera.
-Rovinerò tutto il trucco!- esclama Kate, continuando, nonostante quella consapevolezza, a ridere e piangere tutto assieme.
-Oh, per l’amor del Cielo, smettila!- la abbraccia Emma di slancio. Le caccia in mano un fazzoletto di stoffa ricamato con iniziali color pastello.- Smettila! Oggi è il giorno del tuo matrimonio.- sorride, guardandola dritta negli occhi.- Che razza di sposa è quella che piange pensando alle cose brutte della propria vita? Oggi puoi piangere solo per quelle belle.- la rimprovera dolcemente.
Kate annuisce. Prova a renderle il fazzoletto, gli occhi ancora lucidi, ma si accorge da sola delle macchie nere di mascara e s’imbarazza, ridendo stupidamente un’altra volta.
-Oddio, che disastro che ho fatto!
-Poco male.- si stringe nelle spalle Emma, mostrandole poi le iniziali sull’angolo.- E’ di mio fratello.
Ridono entrambe, scrollando via quella sensazione spiacevole di attesa. Emma l’aiuta a sistemare il velo e poi il bouquet di orchidee e rose bianche. Kate si guarda allo specchio per l’ultima volta. Sorride al riflesso e si volta.
 
Matthew bussa alla porta con leggerezza. Da dentro la risposta di Dominic somiglia più ad un ruggito che ad un disponibile “avanti”. Aggrotta la fronte e socchiude il battente per sbirciare all’interno della camera.
-Tutto a posto?- s’informa da quella distanza prudenziale.
Il batterista ringhia ancora qualcosa, incomprensibile, e Matt si sporge completamente all’interno della camera, individuandolo qualche metro più in là impegnato a litigare con una serie praticamente infinita di bottoni di madreperla che chiudono il raffinato panciotto grigio che indossa. Matthew ride.
-Cristo santo!- sfiata Dominic, inusualmente blasfemo, lasciando perdere di colpo i propri tentativi di venire a capo dell’indumento e voltandosi bruscamente nella sua direzione.
Matt entra, chiudendosi la porta alle spalle.
-Qualcuno qui è nervoso…- osserva divertito, rivolgendogli un sorriso impertinente.
-Non sono nervoso!- protesta Dom.- Sono…isterico!- sfiata subito dopo, rilasciando di colpo fiato e spalle ed afflosciandosi come una bambola davanti agli occhi dell’altro.- Matt, io scappo.- annuncia sollevando uno sguardo genuinamente terrorizzato su di lui.
-Non credo proprio.- storce il naso Matthew, senza dargli troppo peso.
Gli arriva di fronte, scostando malamente le sue mani quando prova nuovamente ad abbottonare il panciotto e sostituendolo in quel compito, cui si dedica con la necessaria calma ed abilità.
-E’ uno strumento di tortura.- afferma Dom osservando le dita lunghe dell’altro avere rapidamente la meglio dei bottoni.
-Quando lo dicevo io, mi davi dello zotico.- ritorce Matthew.
-Tu sei uno zotico. Mi chiedo ancora cosa Brian ci trovi in te.
-Sono talentuoso, intelligente, affascinante…
-Modesto…
-Modesto, certo.- conviene il cantante, annuendo.- Dovresti sentire lui descrivere se stesso.
Dom ride. Matthew gli sorride di rimando, contento di essere riuscito ad allentare per un momento la tensione dell’altro.
-Mi vendicherò al tuo matrimonio, sappilo.- annuncia Dominic all’improvviso.
-Improbabile. – scocca Matt, allontanandosi di un passo per dare modo all’altro di voltarsi verso lo specchio - Punto primo, - elenca, mani dietro la schiena ed atteggiamento insolitamente composto - Brian mi ammazzerebbe anche solo per averlo pensato. Punto secondo, non ti ci invito, al mio matrimonio.
-Io ti faccio fare da testimone e tu mi lasci a casa?!- esclama Dom, fingendosi ferito.
Matthew ridacchia, aiutandolo ad infilare e sistemare sulle spalle la giacca dell’abito.
-Io ho Paul.- gli rammenta crudelmente.- Voltati.- ordina poi, recuperando da un tavolino l’orchidea bianca da appuntare all’occhiello della giacca.
-Matt.- lo chiama Dominic. Matthew, concentrato, si limita ad un mugugno che attesti che gli sta prestando attenzione.- Sei sicuro di essere d’accordo?
-Ti tiro un pugno sul naso fregandomene che ti macchi il vestito di sangue.
-Insomma, è la madre di tuo figlio ed io…io sto per diventare il padre di tuo figlio?
-Se lo dici un’altra volta, ti strangolo, butto il tuo cadavere nella spazzatura, poi vado di là e dico a tutti che sei scappato con una delle cameriere.
-Ti scoprirebbero subito.
-Questo è poco ma sicuro.
Nuovo passo indietro. Stavolta, prima di girarsi verso lo specchio, Dom aspetta pazientemente che Matthew contempli “l’opera finita” ed annuisca soddisfatto, dando la sua approvazione. A quel punto si limita ad una sbirciata veloce al riflesso e torna a voltarsi verso l’altro.
-Grazie.
-Sono io che devo ringraziare voi.- borbotta Matt.- Per essere stati tanto tolleranti con me e tutte le cazzate che ho combinato. Tu più di tutti, ma Kate si è beccata la cazzata più grossa.
Dom ride ancora, scuotendo la testa per allontanare quel pensiero da loro. Non è la giornata adatta a ricordare cose spiacevoli. Mentre lo pensa, si rende conto anche di non avere più così tanta paura e che un po’ dipende dal fatto che Matt gli stia di fronte, aspettando di accompagnarlo a fare il passo più importante della sua vita.
-…veramente non mi faresti fare da testimone al tuo matrimonio?- si acciglia all’improvviso.
Matthew sorride sghembo.
-Veramente Brian mi ammazzerebbe se gli proponessi di sposarci!
 
Un tendone leopardato.
Brian, seduto a braccia conserte in prima fila su una delle ordinate sedie ricoperte di raso bianco panna che fronteggiano il gazebo dove si svolgerà la cerimonia, sbatte le palpebre un paio di volte.
Però il tendone è ancora lì.
Inclina leggermente la testa di lato, assottigliando lo sguardo per osservare con interesse autentico le macchioline scure che coprono il tessuto che riveste la parte alta del gazebo, riparando dalla luce eccessiva e fastidiosa del sole un attempato ufficiale civile, in abito formale, in attesa di celebrare il matrimonio.
E’ un bel leopardato, riflette, una cosa che, in altre circostanze, sarebbe quasi elegante. Discreto, si sposa bene con quelle grosse rose bianche o con le orchidee color champagne che compongono le decorazioni floreali ai lati del gazebo e lungo la passerella della sposa.
…ma…cielo, è un matrimonio!
Non si accorge della presenza dei due uomini finché non gli si siedono di fianco, uno per lato, con uno schianto minaccioso a sottolineare le loro espressioni torve.
Brian sbatte nuovamente le palpebre, stupito, e si volta a scrutare prima Tom - alla propria destra - e poi Chris - seduto sulla sinistra.
-Ciao, Molko.- esordisce Tom con un sorrisetto sbilenco.
-Sì, ciao.- ribadisce Chris, cupamente.
-…a voi…- replica Brian senza riuscire a nascondere completamente la propria perplessità riguardo quel loro atteggiamento da mafiosi di quart’ordine.
-E così, il tour è quasi finito.- inizia Chris colloquiale.
-…e questo cosa...?
-Quindi, adesso sarete liberi da altri impegni, no?- sottolinea Tom, interrompendolo.
Brian non prova nemmeno ad assentire, tanto, gli pare di capire, a quei due non importa davvero.
-Ragazzi, non ho capito cosa…- sospira ancora. Inutilmente.
E’ sempre Tom a riprendere, in modo serrato.
-Hai una vaga idea di quanto sia stato utile per i Muse avere un frontman in giro per il mondo per quasi quattro dannatissimi mesi?!
-E adesso che sei tornato, Matthew finirà per ricominciare a fluttuare nel suo colorato mondo di unicorni gay!- insiste Chris, sottolineando quell’asserzione con significativi assensi del capo.
Brian spalanca gli occhi.
-Unic...?!
-E questo non va bene, Molko. Proprio no!- afferma perentorio Tom.
-Già! Visto che Matt continua a tenerti fuori da tutto quello che riguarda il nostro gruppo, finisce che noi lo vediamo nei ritagli di tempo, mentre tu te lo becchi per tutto il tempo che vuoi!- continua Chris, stizzito.- Noi non siamo mai stati separati per più di dieci giorni di fila!
-…terribile!- rabbrividisce Brian, fissandolo ad occhi sgranati.
-Per cui ne abbiamo parlato ed abbiamo preso una decisione.- attacca Tom, incrociando le braccia al petto.
-E riteniamo che sia la soluzione più accettabile.- annuisce Chris, assumendo una posizione speculare.
-…ma siete seri?
-Verrai in tour con noi.- ordina Chris, perentorio.
Brian apre la bocca per ribattere.
-E prima di quello, ti toccheranno le cene a casa di mia madre, a casa della madre di Dom, a casa di quella di Matt…- lo precede Tom.
-Il compleanno dei miei ragazzi.- prosegue Chris.- E credimi, sono tanti. Il compleanno di Bing, quello di Ryder. Le feste delle nostre sorelle e dei nostri fratelli, mogli, zii, nipoti. Le vacanze di Natale tutti assieme! Andiamo a sciare, quest’anno.- lo informa.
-Siete patetici.- cattedratico.
-Ah, e non dimenticare le splendide cene del venerdì sera, Chris!
-Come potrei dimenticarle! E il calcetto alla domenica mattina.
-Certo. Le partite di football in tv…
-Il barbecue di Kelly il giorno di Pasqua!
-Troppo amore, potrei sentirmi a disagio.- piatto.
-Per non parlare del fatto che ci vorranno secoli perché Matt riesca davvero a tirare fuori un album decente e che lo soddisfi. Ti toccherà venire in studio…- osserva Chris meditabondo.
-O ritirarmi in convento.
-Già, già. Senza contare che potrebbe avere qualche altra idea malsana per cui ci toccherebbe andare a registrare sperduti in qualche landa deserta…- mormora Tom.
-Ok, time out.- scocca Brian con un sospiro pesante, accompagnando alla richiesta un gesto eloquente. Li fissa alternativamente, assicurandosi che siano in attesa della sua prossima richiesta.- Trattiamo.
-Niente fughe d’amore senza avvisarci.- è l’esordio di Tom.
-E niente più sotterfugi e segretucci del cavolo che finiscono solo per farci pensare che Matt sia in un mare di casini.- rincara Chris.
-E niente evitarci come la peste. A parte gli scherzi, siamo davvero un’unica famiglia.
-E niente sentirsi in imbarazzo per questo!
-Finito?- Chris e Tom si scambiano un’occhiata tra di loro, annuendo subito dopo, all’unisono. Brian fa fatica a trattenere una risata.- Bene. Allora, niente segretucci avete detto?- indaga maliziosamente non appena è certo di avere l’attenzione di entrambi su di sé. Un altro cenno del capo, meno sicuro…- Dunque, mi tocca raccontarvi di certe cosette che io e Matt abbiamo fatto mentre eravamo via. Sapete, per sano cameratismo tra maschi!- esclama con convinzione.
Lo sguardo che Chris e Tom si scambiano, a quel punto, è più che altro allarmato.
-Non intendevamo questo…- deglutisce Tom, strozzato.
-Nono!- si affretta a rincarare Chris, terrorizzato.- Insomma, non ci permetteremmo mai di mettere becco nella vostra…intimità…
Brian è quasi certo che quella parola gli sia costata dieci anni di vita.  Sgrana gli occhioni, fingendosi stupito.
-Andiamo! Non posso credere che tra di voi non vi raccontiate mai certe prodezze! Sarebbe imperdonabile da parte mia non dimostrarvi quanto ci tenga a fare parte del gruppo facendo il riservato.
-Brian, sul serio!- strilla Tom, scattando in piedi.- Un’altra volta, magari!- ride nervosamente.
-Sìsì!- afferma Chris, imitandolo nel prendere fisicamente le distanze.- Un’altra volta! Magari davanti ad una birra.
-…trenta birre.- suggerisce Tom grattandosi la nuca.
Brian li osserva caracollare rapidi in direzione dei propri posti a sedere e sghignazza, incrociando nuovamente le braccia al petto e borbottando a mezza voce, stizzosamente, “colorati unicorni gay”.
Non si accorge che Matt lo ha raggiunto finché l’altro non gli si siede accanto.
-Che volevano Tom e Chris?- indaga.
-Oh, sapere com’è andato il tour.- mente Brian disinvoltamente.- Ma pare che dovrò raccontargli un’altra volta di quella bambina che ha riconosciuto te e Dom all’after-show a Parigi. Ora avevano fretta.
Matt lo scruta perplesso. Brian gli sorride serenamente, ignorando a bella posta l’espressione affatto convinta che il compagno sfoggia.
-Vado a prendere posto vicino a Dom prima che tenti di suicidarsi mangiando un mazzo di rose.- sospira alla fine il cantante dei Muse, alzandosi nuovamente in piedi ed additando l’amico, già pronto sotto il gazebo, di fronte all’ufficiale di stato civile.
-Ah, sì. Digli che adoro le decorazioni.- sbuffa Brian con un sorriso cattivo.
-…sei serio?!- scatta Matt, allargando le braccia in un gesto sconsolato.- E’ un fottuto tendone leopardato, quello!
 
“Loud Like Love”
MEM 2013

Nota di fine capitolo della Nai:

 
E la conclusione arriva…in ritardo fotonico!!!
Perdonatemi, ma la mia vita al momento è fatta di lavoro, scuole di scherma medievale, lavoro, feste in maschera, lavoro, Rocky Horror Picture Show, lavoro, organizzazione di eventi, lavoro, amiche che fanno figli, lavoro, familiari che decidono di sposarsi, lavoooooro…!
Insomma…un bordello.
Spero che vi siate divertite, che i due piccioncini vi manchino almeno un pochino (poco poco!) e che tutto questo sia valso il tempo che “ci avete perso” a leggerlo. <3
Grazie di cuore a tutte. Grazie infinite per ogni secondo, giorno, mese, anno di questo lunghissimo viaggio. Per ogni risata, per ogni lacrima, per ogni bestemmia, per le volte che avete strillato e quelle in cui avete sorriso. Grazie infinite. E grazie ai Placebo e ai Muse, ai loro entourage, alla pazienza che hanno con i fan - anche quelli pazzi - al fatto che grazie a loro ci siamo trovati e che grazie a loro abbiamo iniziato a “fare due chiacchiere” e poi siamo diventate amiche.
Grazie. E’ tutta per voi!
MEM

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