Che la storia abbia fine...

di alex8160
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Conoscersi ***
Capitolo 3: *** “Amami o odiami, entrambi sono a mio favore. Se mi ami sarò sempre nel tuo cuore, se mi odi sarò sempre nella tua mente.” ***
Capitolo 4: *** Comprendere ***
Capitolo 5: *** La festa e la sorpresa ***
Capitolo 6: *** Riflessioni ***
Capitolo 7: *** La fatidica decisione ***
Capitolo 8: *** "Se vuoi qualcosa nella vita, allunga la mano e prendila..." ***
Capitolo 9: *** John Alaska ***
Capitolo 10: *** “Il pensiero è meraviglioso, ma ancor più meravigliosa è l’avventura.” ***
Capitolo 11: *** “La paura è la cosa di cui ho più paura.” ***
Capitolo 12: *** “La paura è la cosa di cui ho più paura.” ***
Capitolo 13: *** “La cosa più difficile nella vita? Essere sé stessi. E avere carattere a sufficienza per restarlo.” ***
Capitolo 14: *** Martha Saskatoon ***
Capitolo 15: *** “Se la verità fa male più di tanta ipocrisia, meglio perdonarsi che voltarsi e andare via.” ***
Capitolo 16: *** “Il colore è un mezzo che consente di esercitare un influsso diretto sull'anima. Il colore è il tasto, l'occhio il martelletto, l'anima è il pianoforte dalle molte corde.” ***
Capitolo 17: *** “Quando i saggi hanno raggiunto il limite estremo della loro saggezza, conviene ascoltare i bambini.” ***
Capitolo 18: *** “La neve sull'acqua: il silenzio sul silenzio.” ***
Capitolo 19: *** “Il silenzio è per le orecchie ciò che la notte è per gli occhi.” ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Diventavo sempre più cosciente del mio incombente senso di vuoto. Le pareti della mia mente soffocavano il pensiero di dover andare avanti, sentivo il bisogno di confidarmi e di avere qualcuno che mi ascoltasse, le persone che definivo amiche si dimostrarono false e ipocrite, come del resto gran parte della specie umana. Continuavo imperterrito a sognare colei che poteva liberarmi da questa maledizione. Incontrare la persona giusta non era facile, specialmente con le mie articolate pretese. Povero cuore mio, continuamente tormentato dalla mente che continua a cambiare in questo processo di passaggio così importante per me. Mi domando come sia possibile che un uomo serio, razionale come me possa desiderare una cosa così frivola e priva di senso come l’amore. Non mi sarei mai sognato di arrivare così in basso. E’ come essere catapultati giù dalla montagna cresciuta con le tue convinzioni, i tuoi gesti e ad un tratto tutto sparisce nel buio più totale ritrovandoci in un enorme campo pianeggiante dove ricominciare tutto dal principio e creare una montagna non più uguale alla precedente ma bensì con nuove idee, pensieri e azioni.
Questo è ciò che mi successe nel primo periodo di ferie lavorative.
I filosofi hanno ragione con il dire che si inizia a conoscer se stessi non appena ci si mette in contatto con la propria anima. Ci volle altrettanto tempo per trovare lei, un incommensurabile specie di venere che il suo unico sguardo fulmineo può farti cadere in uno stato di catalessi totale in cui l’unica fonte di pensiero che abbiamo svanisce lasciandoci soli, spogli del nostro scudo. Poteva rapirmi in qualunque momento. L’eternità di quei cinque minuti è e sarà indimenticabile. In un secondo prima che svanisse le ebbi chiesto il suo nome e lei come in sogno, mi rispose: ‹‹Martha…››. Dovevo sembrare davvero ridicolo! Mi sono accorto di essermi sbavato sulla maglia, che vergogna! Devo ammettere che l’incontro è stato decisivo perché io iniziai ad andare fuori di senno e ad entrare nel mondo dell’amore. Martha era un nome come tutti gli altri ma sovrapposto alla sua bellezza diventava la persona che poteva liberarmi da qualsiasi maleficio. Mi sentivo libero, fluttuavo tra campi sterminati di cuori, tempeste di rose e fiori, ero davvero innamorato perso.
Era felice come lo ero io; non conoscevo nulla di lei e lei non conosceva nulla di me. Un giorno in autobus, ritornando dopo la mia solita passeggiata al Rimrose Valley Country Park, incontrai dei vecchi “amici”. Il rossore mi dipingeva il volto scottato dal tipico sole estivo. Mi piaceva dimostrare la mia sfacciataggine agli altri e dunque non avevo mai sentito il bisogno di rivelare a qualcuno la mia vera natura introversa.
 Arrivati a Litherland, salì una donna, era incappucciata e non capivo bene chi fosse, anche se lì conoscevo praticamente tutti. Si sedette e aspettai che si togliesse il cappuccio, fino a quando la scoperta fu alquanto scioccante data la mia precedente figuraccia. Era lei, la venere dei miei sogni, Martha. I miei occhi la seguivano meccanicamente in ogni suo movimento, come una creatura inesplorata. Il volto gaudio e indifferente facevano trapelare un mistero irrisolvibile ma offuscato dalla sua naturale bellezza. La mia mente calcolava, si sforzava di pensare in modo logico, ma come sempre i sentimenti la fecero da padrone e quello fu il mio primo errore. Vi chiederete il perché, ebbene l’errore sta nel aver creduto di poter convivere con una personalità come lei, per di più sconosciuta e incontaminata. La bellezza, il mistero e l’indifferenza sono tutto ciò che ci separa dal giusto e quindi al contempo ci tenta a compiere gesti illogici senza coscienza. La cosa che mi sorprese fu la mia ingenuità nel cascare all’interno della trappola“amorosa”. Proprio io, colui che predicava alle persone in difficoltà come soprassedere i sentimenti e giostrarli nel modo corretto. Come ebbi potuto mentire a me stesso! Forse sarà la natura umana, una natura piena di odio e incapacità di realizzare opere benevole senza crear danno a qualcosa o a qualcuno.
Oramai ebbi imboccato la strada dissestata che non mi portò ad alcuna luminosa uscita. Quel giorno fu il primo e l’ultimo che la vidi, il destino me la rubò e la portò lontana da me senza neppur avuto la possibilità di stringerle quella mano così tenera e delicata al solo sguardo.
Partita per Harrogate, una città dello Yorkshire, avevo un disperato bisogno di conoscerla, così chiesi il numero ad un’amica.
Il giorno seguente la chiamai con un’insolita eccitazione. Pur non essendo la prima volta ero timoroso di venire a conoscenza di una spiacevole notizia. Mi rispose quasi immediatamente, la riconobbi fortuitamente senza averla mai sentita parlare. Aveva una voce melliflua e molto sicura di sé, ma l’unica inezia che mi fece esitare nel parlare fu il suo tono scocciato e irritato. Chiusi di scatto la telefonata per paura di seccarla ancor di più.
Mi gettai a peso morto sul mio letto e cominciai involontariamente a ridere sguaiatamente e a insultarmi tra la gioia del momento e l’idiozia di ciò che ebbi fatto.
Quella stessa sera non dormii affatto. Centrato in pieno dalla freccia magica di Cupido, concepii un concetto di natura sconosciuta, ma che mi sarei ricordato per la vita:
“La cosa più semplice per una donna è attrarre un uomo… hanno la chiave del mondo in pochissime mosse, ma raramente esse hanno la capacità di rendersene conto.”
Nei seguenti giorni il mio viso si sciupava: le lacrime lo solcavano, le occhiaie lo increspavano. Il mio cervello si degradò al punto di fissare il vuoto proprio come un pazzo. Avevo bisogno di lei poiché un altro giorno in queste condizioni e sarei dovuto recarmi in manicomio! Con l’ultimo briciolo di psiche rimasta riuscii a chiamarla nuovamente: ‹‹Pronto?›› rispose lei.
Con voce tremante, farfugliai un “Ciao”.
‹‹Ciao! Con chi parlo?›› riprese lei
‹‹Noi due ci conosciamo appena, ma siccome volevo tanto conoscerti allora ho deciso di chiamarti; mi chiamo John››.
‹‹Ciao John, non so per quale motivo ti interessa così tanto conoscermi, non sono altro che una persona che ha tanta voglia di conoscere il mondo; Soddisfatta della mia vita composte di semplici cose come la terra, l’acqua, l’aria e la passione. Sono convinta di poter continuare questo percorso come una persona libera e pura come I fiocchi che cadono dal cielo in un giorno invernale. Beh sai tutto oramai di me potremmo anche salutarci…››.
‹‹No aspetta! Aspetta! Aspetta…››
Chiuse così la telefonata. Mi sentii solo, avevo freddo, tremavo… I miei occhi si tingevano di un nero inchiostro. Diventavano la tela astratta di un artista martoriato dall’amore. Spregevole amore! Crudele, falso e lancinante. Poche persone mi conoscono davvero, forse lei era l’unica di loro che potesse farlo. Poteva farmi rigurgitare ogni singolo momento della mia vita distillandolo in un mare di lacrime.
Inoltre mi definisco un uomo di “epoca antica”, nel senso che odio oggi e amo ieri, perciò per poter riparlare le scrissi una lettera, in cui le parole struggenti di un cuore in pena cercavano di esprimermi al meglio cercando di raccogliere anche la ninnola speranza che tra noi ci potesse esserci un amore vero:
"Oh! Darling,

Trovo parole immense per descriverti ma nessuna al posto e al momento giusto.
Gli errori mi aggrediscono perennemente come sanguisughe, nate con il solo scopo di recidere l’anima di una persona già combattuta dai crucci della sua vita.

L’imminenza dei cambiamenti non mi darà una futile speranza poiché ora fai parte della mia vita.
Non necessito di alcuno all’infuori di te perché nessun altro è capace di ridestare la mia anima.
Un empatia forzata dettata dall’amore mi mostra le tue emozioni.
Amore, sappi che in qualche modo ti amerò.
Non importa quel che diranno ma io ti desidererò sempre.

Guardami, te lo chiedo perché più porgo lo sguardo su me stesso e più mi rimpiango
sapendo di non essere alla tua altezza.
Fai luce sui miei dilemmi, ma sappi che tornerò con continuamente e ci arriverò in qualche modo.

Immagino che non smetterai di maledirmi, ma è ciò a darmi la gioia e la consapevolezza che tieni a me,
una persona lesionatasi con menzogne, infamie e calunnie verso gli altri.
Mi rincresce essere stato così ignobile nei tuoi confronti;
 perciò mi odio, non riesco a guardare la mia immagine riflessa senza crollare nelle sofferenze inferte.

Ma ora… Sono sincero al punto di baciarti, struggendo completamente il mio cuore.
Che posso farci, è la verità:
Steso nel mio letto a fissare il soffitto piangendo per te…
Parole tristi ma al contempo un segno di rafforzamento della mia anima.
Ogni lacrima da me versata è un insuccesso, un insuccesso per conquistarti.

Io verrò da te, conquisterò il tuo cuore come tu hai fatto con il mio.
So che prima o poi ci riuscirò, ma fino a quel giorno Amore
I love you"



Questa fu la lettera che mi permise di conquistarle il cuore. Mi richiamò, parlammo per ore senza accorgercene. I nostri argomenti potevano essere insignificanti agli occhi di qualcuno ma per me parlare della mia giornata con lei è il sogno che coronava le mie speranze. Ci incontrammo perfino una volta.
Era un pomeriggio nel mese di Novembre, la neve copriva le strade, il cielo grigio come al solito, gli alberi assenti e la gente praticamente inesistente creavano un paesaggio tetro fatto di immagini stilizzate senza anima che viste dal basso quasi ti soffocano.
Camminavo sotto questi alberi. Pensavo e vedevo come la mia vita avesse preso una piega ben diversa da quella che mi aspettavo. Come Frodo Baggins portava l’anello io portavo i miei segreti, fardelli totalmente diversi, ma tutti con lo stesso peso. I segreti che il mio cuore non poteva più contenere, avevano bisogno di essere liberi e non vivere come detenuti in una cella ben più piccola di tutti loro. Qualcosa mi diceva che la sua natura incontaminata che credevo positiva, fosse al contrario la cosa peggiore che io abbia potuto mai incontrare, ma quella vocina era talmente frivola che feci finta di non averla compresa.
La vidi su di una panchina che fissava il cielo. Le passai davanti senza farle un cenno, un saluto. ‹‹Eleanor non è di buon umore oggi…›› bisbigliò.
‹‹Come scusa?››
‹‹Su dai non fare il finto tonto, sai perfettamente chi sono e dato che ti ho già incontrato non ho difficoltà a riconoscerti.››
‹‹Davvero ricordi quella sera?››
‹‹Come faccio a dimenticarla dopo la figuraccia che hai fatto!››
Ma, come mai aveva un tono così arrogante? La paura di sbagliare, di fare un passo falso aumentava a dismisura. Sentivo premere l’angoscia sulle mie spalle.
‹‹Dammi una spiegazione››.
‹‹Una spiegazione a cosa? Al fatto che ho fatto lo sbaglio di chiamarti, oppure al fatto che sono nata per morire e nient’altro? Come ho permesso che entrassi nella mia vita, sei inutile! Ti auguro di trovare un’altra donna, forse nel mondo dei sogni bastardo!›› La vidi allontanarsi che sbatteva i piedi e grugniva.
Mi lasciò solo sul marciapiede, quel presentimento insignificante cadde sulla terra come un meteorite. La sua vera natura si rivelò. Colpì forte e lasciò un segno indelebile sulla mia pelle.
Essa si stancò di me! Si stancò di questo rapporto fantasma. Cercavo ogni giorno, in tutti i modi di evitare tutto ciò, cercando nuovi argomenti di discussione, i regali, le parole, ma nulla era reale…
Mentre lavavo le stoviglie improvvisamente vidi sul cellulare un nuovo messaggio da parte di uno sconosciuto… Lo aprii, e riconoscendo la dolcezza della scrittura riconobbi il mittente, il quale mi scrisse:
Ogni singola lettera messa una accanto all’altra nel modo giusto si trasformano nel più bell’uomo che chiunque abbia mai visto.” 

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Capitolo 2
*** Conoscersi ***


Di te non ebbi più notizia, la tua esistenza sembrava essere arrivata al termine. ‹‹Ti stai dipingendo il volto di menzogne!›› dicevi con tono irritato. Prendevo quelle parole come la rivoluzione mentale di un rapporto che volgeva al termine. I tuoi modi inizialmente ironici e talvolta fuorvianti mi divertivano, facevano accrescere la mia capacità di ragionare. Ma ora quelle parole si sono trasformate in realtà. Il sarcasmo non esiste più, ogni tua espressione diventa reale. Pur sapendo che la realtà talvolta fa male tu incalzavi sulla ferita provocata da questo terribile cambiamento. Mi facevi male al punto di farmi gridare aiuto al nulla nel cuor della notte. Sognavo di essere in un bosco cosparso di larici. Sembravano vivi, avevano un viso, i nostri visi. Quella stessa sera li vidi bruciare senza nemmeno un’imprecazione o un movimento. Era l’inferno oppure era il segno dell’apocalisse? L’inferno non può esistere, e se esistesse sarebbe vuoto perché il male si è oramai insinuato qui tra i viventi e continua a perseguitarmi, a tentarmi con le sue frasi dolci: ‹‹Tu puoi avere di più dalla vita!››. Ci sono cascato, sono finito nel tuo mondo e questo è il risultato. Voglio morire, le mie bugie verranno all'inferno con me, già proprio lì, perché quello è il posto che mi spetta. Sapevo che avendole dette sarei rimasto solo e così è stato. Dopo di questo posso finalmente fare il passo che ebbi pensato un mese fa. Mi butto tra le braccia di chi forse non mi odierà, ovvero me stesso. Ma dopo ciò se pensavi di eliminarmi dalla tua vita hai sbagliato commettendo un grossolano errore... Si vede che non mi consci. La mia capacità di alzare la testa non è da prendere alla leggera. Alla minima sconfitta mi riduco ad una mosca spiaccicata contro il vetro di una casa, ma non appena mi convinco che chiunque sia stata a procurarmi tanto male l'abbia fatto per puro divertimento. A quel punto dimentico qualunque aspetto della sua personalità che trovavo meraviglioso arrivando a odiarla, e a dimenticare la persona stessa... Stanco dei soprusi subiti mi riversai la sera, in una casa in campagna, oramai abbandonata. Il legno marcio e gonfio della porta la faceva sembrare ancor più vecchia di quel che era. Erano almeno dieci anni che rimaneva inabitabile e inospitale. Da piccolo venivo continuamente qui con mio padre e giocavo a nascondino con gli oggetti che lui mi nascondeva. Avevo solo sette anni e la casa era ridotta più o meno sempre allo stesso modo, solamente che in quegli anni mi sembrava il castello del re, libero e felice che poteva avere tutto ciò che voleva. Ancora mi pongo la domanda di chi vivesse in quel posto. Forse una famiglia con dei bambini che per causa del lavoro si è dovuta spostare in città, oppure una coppia di anziani che dopo morti ebbero lasciato la proprietà ai figli, impegnati in qualche altra nazione a lavorare. Chi sa? Baluginavano tante idee in testa, e guarda caso tutte con almeno una coppia, anziana o giovane che sia. E se fossi il primo ad abitarci da solo? Sembrerebbe una sciocchezza, ma l'idea che qui ci potesse aver abitato una coppia che si amava, mi dava i nervi, perché io non ho avuto la loro stessa fortuna, quindi mi sentirei alquanto a disagio sapendo la storia di questa casa al che decisi di lasciar perdere i pensieri e mi concentrai e iniziai a descrivere a voce alta la casa, per quel che potevo. Era senza un briciolo di tetto, erano rimasti i muri portanti ma delle pareti divisorie nemmeno traccia. Era grande almeno il doppio di casa mia cioè pari a un enorme campo da calcio. Rimaneva in bilico su di una parete, il camino. Della scalinata che portava al piano superiore nemmeno l’ombra solamente le macerie coperte dagli arbusti e dalle erbacce che si insinuavano tra quei calcinacci. Avvertivo presenze, colpi sui muri e sul pavimento. Passi d'uomo? Corsi via e uscendo fuori vidi un piccolo capannone. Sembrava intatto. Entrai, le porte scricchiolavano creando un’atmosfera horror dai brividi… squit era un topo… Vidi al centro un enorme telone bianco che occupava tutto lo spazio, a sinistra un bancone con sopra pezzi automobilistici, attrezzi e altri materiali del mestiere, tutti correttamente sistemati stranamente ancora lucidati e senza un granello di polvere. A destra trovai invece tutto il contrario della sinistra. Copertoni semi-bruciati, pezzi di stoffa sporchi di grasso, polvere e stranamente persino un carillon, l’unico a risultare pulito in mezzo a tutto quel disordine. A primo impatto si pensa a due persone, una molto precisa ordinata in tutto ciò che fa, felice con ciò che ha senza nemmeno porsi il dubbio di cosa o chi sia migliore di lui. L’altra rabbiosa, direi quasi isterica, forse invidiosa dell’altro per il suo successo e per la sua indifferenza davanti alla priorità della vita o almeno quelle che si pensano siano le priorità. Di certo egli aveva bisogno di più amore e conforto dall’altro, ma non erano veramente destinati ad esser amici. La casa, il capannone, le due presunte persone che ci vivevano, stavano gettando le fondamenta per ricominciare una nuova vita. Una nuova vita, fatta di nuove esperienze, emozioni. Ma cosa cercavo in realtà? Cercavo forse un nuovo amore con cui condividere la mia vita oppure una pace che in questi anni non ho mai avuto perché preso da una vita frenetica che mi catturava in un piccolo mondo fatto di persone dall'ottica chiusa, priva di sogni e di valori morali, costruiti secondo un piano preciso, e infine automatizzati. Infine il pensiero si rivolge nuovamente a lei, il fantasma della mia mente... Mi vuoi bene e mi calpesti senza pensare al male che mi procuri e alla conseguenza dei tuoi gesti! Non si pensa più a ciò che si dice, i buchi nel cuore li ho chiusi con la pinzatrice! E ora sorrido di nuovo.. Ora si ricomincia di nuovo! A volte è più facile che rimanere nel dolore del passato.

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Capitolo 3
*** “Amami o odiami, entrambi sono a mio favore. Se mi ami sarò sempre nel tuo cuore, se mi odi sarò sempre nella tua mente.” ***


Tralasciando il passato decisi di ricominciare proprio lì, in quella casa. La rimisi in sesto. Finestre, tetto, porte e pareti tutto di nuovo come alle origini. Appena due mesi di lavoro ed ebbi potuto ammirarla in tutto il suo antico splendore. La casa dei miei inaspettati sogni, si trovava di fronte a me. Come ultimo gesto, e come segno dell'inizio di una nuova vita appoggiai su di un comodino il giradischi di mio padre e lo accesi ascoltando "In my life" dei Beatles, gruppo dalla spensieratezza assoluta, ironici sulla vita e critici sull'amore, regalano a me più che a chiunque altro, l'occasione di poter vedere oltre ciò che ci circonda. Inaugurai la casa invitando tutti, mio padre, mia madre, tutti i miei amici, e persino lei, il famoso Tormento, come potesse essere un nome concreto, perché era ciò che lei trasmetteva e dunque l'ho impersonata in un sensazione. La invitai per farle vedere che, anche se da solo, posso cavarmela. Si affacciava ogni tanto al cancello, ma poi si decise ad entrare. Aspettavo solo il momento giusto per vendicarmi. Si guardava intorno con un’aria un po’ nauseata dalla musica troppo forte. La raggiunsi in fretta, quasi correndo, poi aspettai e dissi: ‹‹Non ho più bisogno di te!››. Le misi il braccio attorno al collo e con l’alto le feci un gesto che lasciava intendere 'Questo è l’amore di cui ho bisogno, quello che tu non mi avresti mai dato!'. La vita sorride quando vuol sorridere, la vita soffre quando vuol soffrire; solo così si possono fare patti con il fato, colui che ci comanda. Nelle sue mani siamo solo dei burattini con il pensiero di poter gestire la nostra vita, ma alla fine nessuno può crearsi le "belle" esperienze. Si compiono delle azioni ma che nessuno riesce a capirne il significato; perché scegliamo di avvicinarci ad una persona? Bé ognuno di noi ha il presentimento che con quella persona ci si possa vivere tutta la vita, forse a ragione forse no ma quello che è impossibile spiegare è il motivo della scelta di quella persona. Chiaramente non dobbiamo prendercela con la vita ma solo ed esclusivamente con noi stessi, per come viviamo le scelte che facciamo. In quella serata stetti sempre accanto a lei. Il motivo non so spiegarmelo ma so che forse la mia mente ritornerà da lei come se fossi ormai sopraffatto dall’euforia del momento! Il pensiero di averla sconvolta mi mandava in uno stato di eccitazione e di soddisfazione immensa. Ma ora? Cosa farò dopo averla colpita? I suoi occhi languidi sembravano pieni di pena e dolore. Sarà un altro dei suoi trucchi solo per farmi male di nuovo, ma dannatissimo cuore, battendo all'impazzata confondeva i pensieri rendendomi sordo alla razionalità che mi poteva salvare ancora una volta da un incidente mortale! L’idea claudicante di riconquistarla iniziò a non avere più bisogno del bastone per sostenersi, fino al punto di invadermi anche la mente, fonte unica di saggezza. Ci guardammo per un istante soltanto e la sua energia mi fece perdere tutte le inibizioni che mi frenavano e così non riuscii più a trattenermi, la baciai. Stento a credere che la sua prima espressione sia stata di quasi di disgusto misto ad una rabbia incontrollata. Ad un tratto la furia della tempesta si scatenò contro di me e con la forza di un dio, quella sera inaugurammo non solo la casa ma anche il letto. Ardeva passione e in quel momento ci dicemmo le uniche due parole che predicono un futuro troppo bello per essere reale: ‹‹Ti amo...››. I due corpi si unirono in un solo essere che emanava un’energia potente al punto di creare fratture tra i vari universi paralleli che cingono il nostro. Sentivo di doverla eliminare dalla mia vita ma quegli occhi dolci e persuasivi mi travolsero fino ad offuscarmi la vista. Infine la mattina seguente ci svegliammo abbracciati l’uno con l’altra fino a che decisi di alzarmi. Ero ancora vestito proprio come ieri sera. Lei si alzò e si infilò la camicia sul corpo nudo. Andammo in cucina e ci preparammo un caffè. Fumammo una sigaretta quando lei ad un tratto mi domandò: ‹‹Cosa pensi?››. In quel momento di pace e serenità nulla mi dette più fastidio di quella domanda, ma come un suddito ci riflettei sopra. Non risposi ma ciò che avessi dovuto dirle l'ebbi pensato: ‘Ah, tesoro, non sai quanto ti amo. Forse ci innamoriamo sempre quando ci ritroviamo a guardare la donna dei nostri sogni per la prima volta, anche se in quell’attimo la ragione ci dice che stiamo sbagliando e noi cominciamo a lottare, senza voler realmente vincere, contro questo istinto. Fino a quando arriva il momento in cui ci lasciamo sopraffare dall’emozione com’è accaduto quel pomeriggio in cui ti telefonai. Appena riattaccai piansi ma compresi quanto ti volessi bene’. Io ormai preso da lei gli ordinai di passare la serata qui e di rifare l’amore, ma stavolta con meno ansietà e più desiderio. Lei mi rispose: ‹‹Com’è bello quando una conversazione si trasforma in una discussione››. Poi ad un tratto mi tolse i vestiti e iniziò a baciarmi furiosamente. Si spensero nuovamente le luci. Mentre la toccavo sentivo che tutto ciò non era rivolto solo a lei ma a tutto l’universo. Allora ho capito che eravamo fatti l’uno per l’altra. Io sapevo esser donna, come in quel momento, e lei sapeva esser uomo, proprio quando iniziavamo a parlare dell’incontro di due anime smarrite, dei due frammenti che servivano a completare l’universo. Devo ammettere che, spiccato il volo insieme a lei, i miei sogni cambiarono i larici si intrecciavano e le foglie si toccavano le una con le altre fino a creare un viale di infinita gioia che mai ebbi percorso fino a quel momento. Mi trovavo sul tetto di casa assorto a guardare le stelle. Giocherellavo sempre con loro, intravedendoci e talvolta anche imprimendoci dei pensieri, degli eventi. La conchiglia argentea che si riflette sempre nelle acque della notte era sempre al centro della mia attenzione, specialmente quando diventava piena. Essa mi faceva un effetto strano in quello stato. Cadevo in una condizione di totale incoscienza tale da farmi sognare cose impossibili, ma qualche volta così vicini alla realtà da farmi spaventare. Rivedevo i miei parenti, coloro che erano morti prima ancora della mia nascita. Li riconoscevo dalle foto che mia madre teneva in casa. Era come rivivere un film horror, ogni volta con personaggi diversi, ma ognuno sempre analogo al precedente. Ogni qual volta raccontavo questa storia alla mia amata, mi sminuiva a tal punto da farmi sembrare un insetto insignificante, pronto a finire sotto una scarpa. Così un giorno la portai sul tetto, dove di solito io “rifugiavo” la mia psiche, e le mostrai tutti i miei segreti per abbandonare i loschi e maligni pensieri, al che lei con tutto lo stupore che chiunque avrebbe potuto avere si rivolse a me con una voce smorzata dal freddo, dicendomi: ‹‹Cosa ho mai fatto per avere accanto la più nobile forma di demenza...››. Questa frase mi scosse facendomi tacere e lasciandomi alquanto spiazzato. Lei mi fissò con occhi compiaciuti. Sapeva di avermi colto impreparato e ciò la faceva sentire superiore, ma vedendomi allibito mi baciò cancellando ogni cosa... Intuii il significato di quella frase solo pochi giorni dopo mentre rileggevo il libro di John Dryden in cui spiegava il pensiero illogico di colui che è perdutamente innamorato. La follia fa compiere gesti dementi fino a che questi non risultano fatali. Rimanendo fisso su quel libro pensavo ancora a come stupida fosse la mente di tutti. Essa è suscettibile, influenzabile, plasmabile. Tutte cose che avvengono sempre in due poli opposti. Accadono in positivo quando si cerca di imparare e acculturarsi, quindi la mente diventa suscettibile se non riesce a comprendere ciò che vuole imparare, diventa influenzabile se tratta di argomenti molto persuasivi, diventa plasmabile appena acquisito certe informazioni. Tutto ciò si rivolge in negativo quando quel maledettissimo cuore incomincia a "pensare". Perciò la mente resta incosciente così da poter usarla a piacimento dalla persona a cui è rivolta questa specie di catalessi temporanea. Bisogna però riflettere su queste parole. Sono parole di rabbia piene di odio verso l'amore, ma con ciò bisogna dire che esso ci dona delle soddisfazioni incommensurabili appena raggiunto quella cima, quella vetta così alta e impervia. Tutto ciò è la sfida più grande da affrontare nel fior degli anni, fino a che non si è arrivati all'equilibrio che ci sostiene per il resto della nostra vita. La parte tetra di quest'ultima ha inizio con un passo verso l'altro, quando ancora si è inesperti e quando non si conosce il mondo all'esterno e quando si pensa che nessuno possa mai fare del male e che tutti siano a nostra completa disposizione. Ma non appena esse ci voltano le spalle, ci sembra impossibile e così crediamo di poter diventare delle statue fredde e senza cuore. Infatti lo pensiamo solamente perché c'è solo una parte del tuo corpo che continua a dettare leggi indipendentemente da ciò che tu voglia decidere. Il cuore. Esso è vivo ed è come se facesse stato a parte nel tuo fisico. E' un infiltrato! Un parassita! E noi dobbiamo riuscir a convivere con lui amandoci e rispettandoci, e ovviamente dandogli ascolto. Certo dato che nulla è perfetto a questo mondo nessuno lo è, perciò può capitare che sbagli e può far male, ma non per questo dobbiamo condannarlo così da rovinare la nostra vita a causa della sua vendetta. Lui assume lo stesso comportamento che voi avete con lui, ma le uniche volte che viola questa specie di patto è quando lo ignorate oppure non sapete o non volete conoscerlo. In quel caso lui ci fa in un certo senso soffrire di speranza, facendoci innamorare. Ma innamorare di una persona che non vorrà mai condividere con te le sue gioie e le sue velleità. Esso è il vostro più caro amico, e ne ha anche tutti i difetti. trattarlo come tale faciliterà la vita e renderà la vita più leggera e senza pressioni. Ritornando sul mio amore, fu proprio l'ascolto delle parole che provenivano dall'interno a suggerirmi lei e ovviamente dopo sofferenze la conquistai. Ma attenzione non c'è solo bene nella vita c'è anche una presenza oscura, e quella non può altro che essere il Destino. Lui non si può contrastare ed è lui a farci davvero soffrire.

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Capitolo 4
*** Comprendere ***


Nei giorni seguenti al nostro rapporto ci dedicammo alla nostra passione più sfrenata, il giardinaggio. Comprammo un terreno accanto a casa nostra dove facemmo costruire una serra coltivando le sue piante preferite, i fiori. Avevamo piantato dei larici intorno alla casa come ricordo di un passato laborioso, intenso, ma con il frutto di una vera fatica ben spesa. Fece molto scalpore il negozio a causa del suo stile anni ’60. Amavamo quel periodo della nostra vita. I mitici '60 sono gli anni dei Beatles e di Andy Warhol, della plastica colorata, della luce fluorescente e del prêt-à-porter. Sono gli anni in cui design, moda e architettura arrivano alla portata di tutti, con una ventata di libertà e anticonformismo. I normali oggetti di uso quotidiano si colorano di pennellate vivaci. Passato il I millennio però tutto cambiò dalla tecnologia alla musica. Molti gruppi come i Beatles, scomparvero rammaricando una marea di fan scatenati, tra cui io e lei. Mescolando le nostre doti ottenemmo un discreto successo dal negozio. Esso fu costruito principalmente per darle un lavoro dato che io esercito la professione di commercialista da oramai 15 anni. Mi gratifico con questo lavoro monotono e odioso solamente perché mi permette di darle tutto ciò che desidera iniziando dal futuro insieme a me. Avevo un Aston Martin DB6 regalatomi da mio padre. Martha se ne innamorò subito e mi fece cambiare l'idea di comperarne un'altra. La casa dopo il restauro divenne più bella che mai sempre in stile anni '60. Dipinta con schizzi di colore verde Arlecchino, violetto, rosso, giallo e molti altri colori divertenti e spiritosi. Però c'era sempre un cosa che da un po’ di tempo mi rammaricava. Ogni volta che entravo in casa e mi trovavo subito nel salotto, la vedevo troppo grande e smisurata e molte volte avevo bisogno di qualcun altro in quella gigantesca casa. Che aumentava man mano che il tempo passava. Ovviamente questo Martha non lo sapeva altrimenti avevo il timore che pensasse male, anzi avevo in servo una sorpresa non da poco per lei. Era il nostro primo anno insieme e la portai in barca. Le chiesi: ‹‹Credi nella magia?›› ‹‹Ma dai!›› rispose lei. «Sai che sono scettica su queste cose, anche se dopo quella giornata sul tetto devo forse ricredermi.››. La guardai intensamente immaginando di farle quella fatidica dichiarazione. Sapevo che un anno di relazione non era nulla e che quindi era troppo presto, ma l'ansia che mi si appesantiva addosso non poteva ancora aspettare e perciò dovevo trovare il coraggio di farlo. Infine arrivò la nostra cena, mangiammo in silenzio, solo intese tramite gli occhi, come se le nostre anime stessero comunicando telepaticamente. Dalla sala interna si udivano le note della Sagra della primavera di Stravinskij e la musica si mescolava con la cacofonia della mensa che si trovava oltre una porta a pochi passi dietro di noi. Terminata la cena mi inginocchiai davanti a lei e finalmente mostrai l’anello custodito per un’intera settimana dalla paura di non fare la cosa giusta. ‹‹Credi nella magia del nostro amore e in tutto ciò che esso comporta? Beh! Se fosse si allora ti chiederei… Mi vuoi sposare?››. ‹‹Tesoro,›› rispose lei. ‹‹io, come tutte le altre, non sono come pensi. La mia vita era felice fino a questo punto, ora devo essere la persona seria che né tu né io abbiamo visto. È stupendo scoprire come dentro di noi vive un'anima che possiede delle matite speciali, capaci di colorare anche le pagine più nere della nostra vita e di trasformare in consapevole saggezza le brucianti ferite del passato. Noi viviamo in contemporanea tre tempi: il presente del passato, che è la storia; l’attimo attuale, che è la visione; il presente del futuro, che è l'attesa. Questa vita è una prova. E' soltanto una prova. Se fosse stata una vita vera avremmo ricevuto ulteriori istruzioni su dove andare e cosa fare! Essendo perciò una prova non vale la pena sprecarla inutilmente per poi ritrovarsi nella stessa situazione nella vita reale. Per questo io ti amo, mi rendi schiava della tua speranza, rendendomi al contempo libera e sollevata in qualunque aspetto o sfida della mia vita. Io voglio sposarti! Perciò vinciamo questo dubbio omaggiando la speranza con un’intera vita dedicata l’un l’altro!››. Incredulo delle sue meravigliose parole riuscii a stento a rispondere: ‹‹Non assomigli più a nessuno da quanto ti amo!››. Ci baciammo per un tempo infinito come se fossimo stati travolti da un momento di intensa attrazione magnetica l’uno con l’altra. Quel momento fu uno di quelli che nel corso di questa storia dimenticherò molto difficilmente, e se per caso mi dovessi reincarnare e scoprire che ebbi vissuto questa vita, la prima cosa che ricorderò sarà proprio questo momento così magico. Bisogna realmente credere a ciò che si vede e si prova, anche perché la vita o almeno parte di essa, ci regala immense soddisfazioni così da non poter mai rimpiangere la propria persona. Ci viene regalata l’opportunità di guardare un mondo intero che se visto dal lato peggiore è un mondo davvero sconcertante e mal ridotto, ma se lo guardiamo da un aspetto a pochi chiaro, vedremmo che noi, in quanto parte di esso, siamo destinati a migliorarne una parte. Tutti gli uomini fin dall’antichità credevano in tutto ciò ma pochi si sono avventurati in questo arduo e uggioso cammino. Quelle figure sono proprio i filosofi, i letterati, i musicisti e tutti gli altri individui che con il tempo e la determinazione si acculturarono al punto di cambiare il mondo entrando nei magici confini della storia. Il 20 Febbraio scrissi un articolo per il giornale nazionale. Parlava proprio della nostra parte, del nostro copione nella storia. Esso si intitolava “Dov’è l’uomo?” e citava: “Fin da quando ero bambino chiedevo una semplice cosa, la Pace. La pace che tutti desiderano inconsciamente dentro di loro. Ora mi ritrovo in un’epoca in cui non solo le guerre devastano i nostri animi, ma soprattutto chi ci circonda continua a minimizzare e a soprassedere il mondo in cui viviamo. Non abbiamo più ambizioni, ideali, non vogliamo che questa vita cambi. Cambiare non significa creare o migliorare ciò che ci circonda, ma rendere la vita più libera, con meno pensieri, preoccupazioni. Non ebbi mai desiderato una vita così. Non riesco a concepire il motivo per il quale un uomo debba sopraffarne un altro, disarmandolo. Cado. Cado da un mondo ormai sopraffatto dalla sete del potere. Uomini che con i propri eloqui pensa di poter comprare le menti della povera e comune gente, oramai priva di iniziativa, priva di coraggio. In antichità gli uomini combattevano, credevano nei loro valori e nelle loro idee, scrivendosi in questo modo una storia che verrà ricordata nei secoli. E noi? Noi cosa scriveremo nella nostra storia? Cani e topi, impauriti dai loro stessi simili. Rabbia e frustrazione solcano i visi di chi, come me, vede quest'epoca un mondo apatico e inerte davanti al tempo che passa inesorabile. I giovani sono il futuro, ma noi siamo il presente, una dimensione impercettibile che si costruisce man mano, con le nostre scelte e con le nostre idee. Il futuro è composto da passato e presente quindi creiamoci un’identità nel mondo e combattiamo insieme, come uomini e non come pedine! Noi ci aiuteremo a costruire il futuro grazie al nostro presente.” «Ma secondo te cos'è un matrimonio?» le chiesi. «Non so se ridere oppure essere seria, mi sembra che la nostra falsa sia stata mascherata più che bene. Tutte le donne aspettano l'uomo della loro vita, però, nel frattempo, si sposano! Si dovrebbe essere sempre innamorati. Ecco perché non bisognerebbe mai sposarsi!» Risi a squarciagola! «Oh! Martha! Certo che sei stata brava quel giorno in barca! Avevi subito notato il mio sguardo fasullo davanti alla proposta di matrimonio! Oh Dio! Ti amo da impazzire, ma sei troppo sveglia per essere la mia donna!» «Se non fossimo così diversi non ci ameremmo giusto? Però non bisogna scherzare troppo sul matrimonio, anche se è la cosa più stupida al mondo. Ma infondo come si fa a non ridere!» Ridemmo per almeno tre quarti d'ora quando riprendemmo il lavoro. Già! era tutta una finta solo per prenderci in giro. In realtà i preparativi erano solamente per il matrimonio di mia sorella e di suo fratello che decisero di sposarsi proprio un mese fa. Da quelle risate si è potuto ben capire le nostre intenzioni. Non ci sarà nessun matrimonio, anche perché li odiamo intensamente. Infondo non è un gesto in più per essere amati, anzi è solo un modo per chiudersi e rimanere poi incastrati in un trappola per topi. Troppi litigi, ogni minima cosa potrebbe distruggere il nostro rapporto. Non sappiamo cosa fanno uomini e donne in paradiso. Sappiamo soltanto che non si sposano. E poi il rapporto platonico si conclude per primo tra moglie e marito. Non esistevano inganni tra di noi e anche se pensavamo di trasgredire, sapevamo le dovute conseguenze perciò dovevamo essere veramente sicuri di ciò che stavamo per fare. Comunque, durante tutta la serata dopo smascherata la messinscena, tra le mille discussioni sui vestiti, sul pranzo, il ristorante ecc. rinacque dal nulla l’argomento che pensavamo aver dimenticato. «Amore cosa hai pensato non appena me andai infuriata lì nel parco? Te lo chiedo solo per migliorarmi e non per altro.» Nel momento in cui me lo chiese il cuore cessò di battere, mi si gelò il sangue sino a sbiancarmi il viso. La mia vista fu offuscata dalle lacrime e poi nulla… L'oscurità più totale. Dal nulla le mie orecchie iniziarono fischiare. La testa girava e ad un tratto mi ritrovai atterra, su di un pavimento nero proprio come il resto che mi circondava. Tremavo e le mie labbra erano serrate in una morsa da coccodrillo. Non riuscivo a liberarmi da quella sofferenza. Fitte lancinanti mi invadevano il corpo. Le mie invocazioni di aiuto erano vane. La mia bocca era inerme, addormentata. Il cervello non riusciva più a captare la sua presenza. Il panico cresceva con un climax ascendente di dolori, di pensieri e domande. Sentivo voci, suoni. Tutti insieme risuonavano in testa, incalzando il volume e assillando completamente il mio pensiero. Fino a quando tutto cessò all'improvviso lasciandomi ansimante a terra. Risvegliato da una sorta di abbagliante luce bianca, vidi due enormi occhi di fronte a me. Si vedevano in secondo piano immagini sfocate di uomini in camice bianco. Correvano e continuavano a ripetere: «Non c’è la farà, forse dovremmo lasciarlo al suo destino». Accecato e privo di forze mi riaddormentai nel mio sonno funesto e privo di gioia. In preda alla malinconia, un tempo sognavo l’inferno. Volevo l’inferno, volevo farne parte. Non ero a conoscenza però della crudeltà di quel lurido posto. Me ne resi conto solo in questo momento con i rigurgiti di malvagità che il mio stomaco presagiva. Mi ritenni davvero indegno di far parte di quel mondo così osceno e senza letizia, brio o ilarità. Nulla di cui un uomo felice aveva bisogno. Ero svenuto ma percepivo i vari suoni esterni e questo fu ciò che mi tenne in vita. Sentivo il calore della mia futura moglie quando veniva a trovarmi. Portava con se continuamente fiori della serra. Con il tempo che passava inesorabile riuscii a distinguere i vari fiori che mi portava, i visi delle persone che mi stavano accanto. Dopo due intere settimane a patire le croci di un ceco disabile, aprii gli occhi. La stanza non era rimasta la stessa. Ora, a differenza della precedente, era di colore blu ciano. Avevo sentito che si usava per risanare la mente grazie alle onde o frequenze che il colore produce. A sinistra delle orchidee oramai appassite. Dalla finestra entrava uno spiraglio di luce sotto la serranda abbassata. Voltai il viso verso destra a fatica. Una dottoressa stava sistemando con cura i suoi asciugamani negli appositi cassetti. Era alta, capelli biondi legati all’indietro con una coda. Scarpe rosse con un tacco molto alto. Mi sembrava alquanto strano, ma poi intravidi sotto il camice un vestito di pailette nero da mozzare il fiato. Mi uscirono per la prima volta dei suoni dalla bocca. Vedendo che la mia disfunzione era passata le chiesi: «Deve essere importante sta sera». Lei scattò in aria, facendo volare tutto quello che aveva in mano. Si appoggiò al muro di scatto, annaspava furiosamente spaventata. «Ma… Ma tu dovresti essere in coma?!» disse con una strana erre moscia. «Evidentemente qualcuno a voluto che vivessi.» Dopo quella frase il suo respiro si faceva meno veloce e rallentava quasi al punto di fermarsi. Uscì di scatto dalla porta urlando: ‹‹Dottore! Dottore! Il est réveillé! Il est réveillé!››. Ma dove diamine ero finito!? Come poteva parlare francese con il dottore se eravamo nel pieno centro di Liverpool! Rientrò nuovamente di scatto seguita subito dopo dal dottore. ‹‹Michelle s'il vous plaît laissez-nous tranquilles.›› ‹‹Chi è lei e dove mi trovo! Fatemi scendere voglio vedere mia moglie!›› Urlai io. ‹‹Tutto a suo tempo Sig. Cooper. Per prima cosa devo chiederle dove abita.›› rispose il dottore con una pronuncia inglese a dir poco penosa. ‹‹Io abito qui a Liverpool, precisamente 10 Johnson Street››. Continuava a prendere appunti sulla sua cartella. Indifferente e non curante della mia paura. ‹‹Perfetto. Sappia una cosa. Ora si trova a Nizza nella Clinique les Sources. E’ stato trasferito d’urgenza dall’ospedale di Liverpool in seguito ad un grave trauma cranico. Ora le faremo sapere di sua moglie al più presto››. Oh sorte infame ma cosa mai è potuto succedere in quel terribile istante. Dannazione! Mi trovo a più di mille miglia da casa e mi resta solo il pensiero a farmi compagnia. Il sonno accompagnò le mie palpebre in un luogo tetro e perverso da dove speravo di non poter più uscire. Dolci mani vellutate svegliarono il sogno di una notte infernale. I suoi grandi occhi penetravano la mente. Stavo ancora sognando? Dopo un bacio sicuramente no. ‹‹Cara, perché non c’eri, perché non sei accorsa da me?!›› Le sussurrai. ‹‹Io ci sono sempre stata. Ieri ero appena uscita dalla stanza quando mi dissero che ti eri svegliato. Corsi verso la tua camera quando il dottore mi bloccò e mi disse che stavi riposando››. Abbassai lo sguardo in segno di scusa e pensai a quanto stupida fosse stata la mia domanda. Eppure dovevo ricordarmi dei fiori, delle carezze ma evidentemente lo sconcerto e la paura mi catturarono. Volevo sapere tutto quello che era successo in mia assenza. Ancora i brividi percorrevano il corpo ricordando quel buio che mi avvolse in un enorme silenzio di parole confuse. ‹‹Cosa è successo di tanto grave da dover essere trasportato qui.›› Chiesi io con tono acuto. Lei sempre con il suo modo pacato e gentile rispose: ‹‹Amore mio, eravamo a casa, parlavamo mentre preparavamo i biglietti d’invito all'ormai prossimo matrimonio di mio fratello e tua sorella. iniziammo a parlare un po’ di tutto quando ti feci una domanda spropositato del periodo oscuro della tua vita e così ad un tratto ti sei ritrovato a terra.››. ‹‹Le mie parole possono essere quelle di un uomo stupefatto dal modo in cui si sia fatto sopraffare dalle emozioni. Sono un debole! Incapace di difendersi! Mondo di anime sperdute nel tempo. Non riconosco più niente di ciò che prima era mio. Credevo fosse cosa semplice scendere da questo letto ed ero impaziente, ma ora devo fare un passo in dietro. Non voglio più la vita che avevo prima! Voglio vivere come un uomo libero di girare per le strade e “incontrare” le anime consce di ciò che li circonda. Voglio armonia tra tutto e tutti! Iniziando dalle nostre grandi personalità. Cara, ricominciamo, dal principio, solo tu puoi darmi un senso, solo io voglio darti tutto››. Ammutolita dalle mie parole uscimmo dall’ospedale il giorno seguente, dormimmo per una settimana in un hotel, pagato dalla clinica. Precisamente il 25 Maggio, partimmo per Liverpool. Fu un viaggio travagliato non solo dalle sedici ore di treno ma soprattutto l’innegabile silenzio che ci accompagnò per l’intera corsa. Sguardi sfuggenti, fulminei, trovarono spazio nel cammino verso casa. Capisco le sue “intenzioni”, non c’è di che preoccuparsi. Pochi sguardi corrispondevano a un momento di rilassatezza per lei, un momento in cui tutto sembrava svanire. Ogni qualvolta si presentava quello scenario, piangeva. Dietro quelle lacrime esistevano solo segni di amore. La sua sensibilità non aveva confini, provava tutti i sentimenti, e non aveva paura di manifestarli. Vedevo le persone comportarsi egoisticamente, non accettavano la loro natura umana. La società sta continuando a creare sempre più stereotipi e cornucopie di esseri, che non definirei umani. Ognuno deve realizzare se stesso e non diventare “uguale” a tutti gli altri. Poche persone al mondo sono capaci di sentire questo sentimento verso la vita pienamente autentica. Basta maschere e soprattutto basta alla continua minimizzazione delle migliori persone al mondo, gli “artisti”. Questo è ciò che esce dal mio umile e contratto cuore, ma che accomuna la mia anima con quella della mia donna. Accettiamo le nostre emozioni, migliorando continuamente le nostre indoli. Vivevamo forse, secondo alcuni, un po’ fuori dal mondo, ma penso che ciò sia solamente frutto di un'indivia nata dalla mancanza di amore tra le parti.

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Capitolo 5
*** La festa e la sorpresa ***


Arrivati a casa, il vento perenne mi accarezzava i capelli. Davanti casa il cortile era vuoto, le erbacce stavano iniziando a risalire tra i sassolini che lo coprivano. Spenta la macchina udii una melodia. Musica dall’interno? Com’era possibile ciò, non ci dovrebbe essere nessuno. Chiunque fosse aveva dei gusti favolosi. ‹‹Honey Pie, Beatles 1968. Tesoro chi c’è in casa?››. ‹‹Oh, ora vedrai. Ne resterai sorpreso!››. Scendemmo dalla macchina. Partii verso casa quasi correndo, ma man mano che mi avvicinavo rallentavo fino a quando non mi ritrovai il portone davanti. ‹‹Non entri?›› Disse lei. Mi dette una spinta da dietro e la mia mano si poggiò sulla maniglia del portone. Aprii e una luce colorata mi colpì gli occhi, accecandomi. Mettendo a fuoco l’immagine vidi un mucchio di persone che ad un tratto esplosero in una gioia immensa. Tutti quanti in coro dissero: ‹‹Ben tornatooo!!!››. Avevano preparato tutto quello per me? Non potevo proprio crederci. C’erano palloncini sparsi dappertutto, uno striscione gigante che attraversava metà casa. Rincontrai i miei genitori, i genitori della mia amata e molti altri amici e colleghi di lavoro, alcuni dei quali non vedevo da almeno un anno. Salutai tutti uno per uno poi andai di sopra e mi gettai e mi addormentai sul letto insieme alle note del giradischi regalatomi da mio padre. Sognai, dopo anni, di nuovo i larici sorridenti ripieni di gioia, ma stranamente non c’eravamo solo io e lei, ma per la prima vidi un terzo albero, più piccolo. Si trovava tra noi due e ci abbracciava calorosamente. Era sera quando finita la festa lei si mise a dormire accanto a me. Respirava sul mio viso lentamente. Una creatura fantastica. In quei momenti di pace era capace di farti vivere un storia così bella da poterci ogni volta scrivere un romanzo con successo assicurato. Le accarezzavo sempre i capelli, li adoravo. Erano crespi, e per questo lei li odiava, ma io non badavo a certi dettagli anzi guardavo i suoi capelli come parte del suo viso che faceva risaltare delle labbra carnose scolpite appositamente per essere baciate, un naso dalla forma delicata che si scontrava con la forma irregolare del mio, e degli occhi così penetranti da poterti leggere e controllare la mente. Ad un tratto aprì lentamente gli occhi e con voce fioca disse: ‹‹Guarda sul comodino dietro di me, c’è un’altra sorpresa per te››. Mi affacciai oltre la sua schiena e presi il bigliettino che trovai, illuminato dalla luce della bajour. Aprii e lessi ad alta voce: ‘Caro papà, sono da quattro settimane in grembo a questa donna che non ha il coraggio di parlarti di me. Non ho un nome, non ho ne braccia ne mani. Tutto quello che sono è una cellula spersa in un mare di acqua. Quando uscirò da questa prigione credo che sarai un padre fantastico, come lo sei stato per questa persona che ora porta me come fardello. Ho tanta voglia di vedere la luce del giorno e di vivere la mia vita. Farei di tutto per crescere più in fretta. Ma la forza che ho per aspettare è la sola consapevolezza di avere due splendide persone accanto. Posso avere anche 4 settimane ma riuscirò a sentire le vostre voci anche prima di nascere. Perciò preparatevi al mio test. Sarai alla mia altezza Papà?' Le ultime parole le avevo lette singhiozzando proprio come un bambino. Ero praticamente scoppiato in lacrime. La gioia di diventare padre è incommensurabile, ma sicuramente averlo saputo in quel modo così bizzarro e originale distingueva me e la nostra coppia. Lei sentendomi piangere si svegliò di scatto. Io l'abbracciai così forte da farle espirare anche l'ultima goccia d'aria che era rimasta. I suoi occhi dovevano brillare al chiaro di luna, uno spettacolo che ogni mese non perdevo mai, ma quel giorno ero letteralmente annebbiato da quelle lacrime salmastre. Riuscivo solo a sentirle i suoi capelli spumosi e le sue guance calde e paffute. Decidemmo, dopo ore di pianti e baci, di non far sapere nulla a nessuno fino al momento della nascita, festeggiammo io e lei a casa con una torta gelato comperata il giorno prima al supermercato,e al ritmo di Revolution ballammo tutto il pomeriggio.

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Capitolo 6
*** Riflessioni ***


Il matrimonio era alle porte, tutto era pronto, fiori, bomboniere, vestiti, pranzo e regali erano tutti al loro posto, pronti a partire per una singola corsa che durerà poco meno di un giorno. In fondo cos'è un giorno, se non un nanosecondo della nostra vita. Certo è bello, ma lo è ancor di più se vissuto nel modo in cui la mente umana sorvola la realtà, fino a sedersi su di un verde campo di nuove sensazioni, così da farci ricordare quel nanosecondo, a volte impercettibile della vita, per sempre. Mi raccontano continuamente di quanto bello sia un matrimonio. Io penso che la cosa più bella non sia la parola matrimonio o il fatto di sposarsi con la persona che più si ama, ma la capacità di cogliere in quel momento ancora una volta la bellezza della donna con cui vivrai, perché se ami una persona, ogni giorno ti sorprenderà in modo diverso anche solo ritornando a casa dal proprio lavoro, e quel giorno non è altro che un altro momento per assaporare la sua vera essenza. I suoi occhi, la sua pelle, la sua espressione, fanno parte dei tanti particolari di una persona i quali cambiamenti vengono lasciati in disparte, e i ricordi svaniscono. Le mie idee si sono fatte chiare quando ebbi incontrato lei. Ogni suo respiro lo ricordavo come un epico evento. Quando si è veramente innamorati, le leggi non valgono più, la razionalità ci abbandona lasciandoci da soli insieme al pensiero. Quell'erroneo pensiero che ci tormenta in continuazione fino a farci prendere decisioni apparentemente idiote. Ma fidarsi di questi pensieri è la cosa migliore che si possa fare, perché essi danno un vero senso alla nostra vita. Ci formano e ci fanno crescere, mutano i nostri animi plasmando persone consce di ciò che è la realtà. E certamente per far tutto ciò non c'è bisogno di un matrimonio.

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Capitolo 7
*** La fatidica decisione ***


Ero nell'atrio, davanti al portone di casa, vestito e profumato, mentre lei ancora intagliava il suo viso con trucchi e robe simili, come se dovesse diventare più bella della Venere di Botticelli. ‹‹Amore siamo super in ritardo muoviti!›› le dissi. Erano circa le 10 del mattino e il matrimonio aveva già avuto inizio da circa un quarto d'ora. ‹‹Arrivo! Ma prima vieni ad aiutarmi con la cerniera del vestito.›› Urlò lei. Corsi in fretta scalpitante al piano di sopra entrai in camera e le allacciai la cerniera. Le dessi un bacio e corremmo in macchina per arrivare almeno alla fine del matrimonio. Sgommai e ci ritrovammo in autostrada. Ci mettemmo almeno mezz'ora a causa del solito traffico. Mezz'ora di canti a squarciagola fino a che le corde vocali non si ridussero in polvere, al che ci furono almeno dieci minuti di silenzio. Lei guardava dal finestrino io mi limitavo a rispettare il suo silenzio perché sapevo a quanto ci tenesse lei. Arrivammo giusto in tempo per l'uscita degli sposi. Avevamo preso una bustina di riso giusto per l'occasione se fossimo arrivati in tempo e così appena varcarono la soglia dell'immenso portone all'uscita della chiesa, ci mettemmo a lanciare manciate di riso a più non posso come fossimo dei bambini. Di fatti se ci comparavamo ai ragazzini in prima fila, direi che eravamo pressoché identici. Riprendemmo la macchina per dirigerci al ristornate. La coda era lunghissima, la macchina degli sposi era una bellissima Rolls-Royce Phantom VI, ovviamente bianca, ma pur bella che sia, aveva un motore V8, ma che lentezza! Sembrava di essere ad un funerale! Siccome avevo una guida nervosa a quei tempi, odiavo tutte le persone che al volante facevano una passeggiata, anche in queste occasioni! Arrivati dopo circa una ventina di minuti(anche se ce ne volevano una decina), ci sedemmo al nostro tavolo riservato. Non avevo ben capito perché ci abbiano messo in un tavolo doppio. Bé almeno avevamo la finestra. Martha mi guardava sottecchi e io la imitavo. ‹‹Perché mi guardi con quell'aria?›› dissi scuotendola un poco. ‹‹Come mai non dovrei?›› ribatté con tono di sfida. ‹‹Sembra proprio come se non ci conoscessimo›› dissi ridendo. ‹‹Ma perché mai il passo di sposarci non dovremmo farlo?›› disse sottovoce lei. ‹‹Sai come la penso, è solo un modo per affermare ciò che è già stato affermato prima››. ‹‹Anch'io la penso in questo modo ma perché dobbiamo intendere la parola matrimonio come religione?›› disse lei. Annuii perché effettivamente aveva ragione e non volevo interromperla. ‹‹Sai perché non ci sposiamo in un posto inusuale dove trovarci al nostro agio. Certo dovremmo poi dichiararci davanti alla legge per avere inoltre compensi dallo stato in quanto coppia, ma sopratutto se non lo facessimo cosa diremo a nostro figlio?›› e concluse. ‹‹Sai cosa dovremmo fare? Ci dobbiamo separare. Dobbiamo separarci per una breve durata cosicché io possa meditare su questa tua idea. Non è dunque semplice a quanto vedi però avere un tempo di pace per se stessi è una grandissima opportunità per leggersi dentro e capire cosa si vuol far veramente.›› Lei mi capì al volo e così decidemmo di separarci e di scegliere ognuno un paese molto, ma molto lontano da Liverpool. Lei scelse di andare in Canada dove viveva una sua vecchia compagna di liceo, Effie Mason, mentre io avevo deciso di chiudere gli occhi ed andare alla ceca e così me ne andai in Alaska (per purissimo caso). Non sapevo nemmeno dove si trovasse l'Alaska fino a quando un mio collega mi disse:"Brrr!". Da lì capii che si trovava molto, molto a nord e poi appurai che si trovava sopra il Canada, cosa che mi rincuorava un pochino. Dopo qualche chiacchierata e qualche bevuta, il pranzo terminò e noi due dopo aver salutato i novelli sposi, ci ritirammo in totale silenzio verso casa verso le 6 del pomeriggio. Arrivati subito acquistammo i biglietti per l'aereo, e l'indomani ci mettemmo subito all'opera per prepararci e andarcene. Lei come sempre con quella solita valigia piccina dove, dice lei, "c'è il mondo", insieme ad un beauty case . Io invece con un due valige una gigante l'altra un terzo di quella grande. Dannatissimi piumini e maglie di lana fanno troppo volume. Seriamente sono costretto a portare più valigie di una donna? Che assurdità! Ma in fondo è la mia donna perciò cambia poco, se era una donna normale non l'avrei amata. Finiti i preparativi per la partenza la sera mi disse quasi in pena: ‹‹Ma dobbiamo partire e separarci per forza?››. ‹‹Ricordati cara Martha che chi sta a casa è pieno di pregiudizi e poi è pur sempre un esperienza in più specialmente da soli. Questo dimostra quanto siamo fedeli io e te. Ora dormi che domani si parte molto presto senza ritardi come al solito.›› risposi con il sorriso sulle labbra e con un bacio le luci si spensero e ci addormentammo profondamente.

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Capitolo 8
*** "Se vuoi qualcosa nella vita, allunga la mano e prendila..." ***


La notte era fredda e gelida, la nebbia ricopriva anche il più piccolo filo d'erba del prato. Vari brividi percorsero la mia schiena che mi svegliarono almeno un paio di volte. Mi alzavo andavo al bagno poi in cucina per fumarmi una sigaretta. E pensavo nel silenzio della notte. Pensavo a cose belle o brutte? Cose tristi o felici? Ma sopratutto a chi? In pratica non pensavo! Stavo fissando il vuoto come capita spesso quando ho sonno. Sembra quasi che io vada in stand-by e che, sì vedo ma non odo e non odoro. Fumavo come un automa che non si accorgeva nemmeno di cosa ingeriva pur non essendo un vero e proprio fumatore. Capitava di rado che arrivassi a fumare. In quei casi perché ero mezzo addormentato e quando sono terribilmente arrabbiato. Ma succede, ripeto, molto di rado. Mi ricordo ancora quando io e Martha decidemmo di fumarci per la prima volta in assoluto una canna. Me lo propose lei e io con occhi sbalorditi: "Sei pazza! Fa malissimo!" e non mi ricordo bene con quali parole ma riuscì a convincermi senza che me ne accorgessi. Da quel giorno, l'8 Luglio precisamente, ogni anno fumiamo una canna, non so il motivo ma lei mi continua tutt'ora a ripetere che un motivo c'è ma che ne è solamente lei la custode e che io non posso fare a meno che accettarlo. Questa cosa la prendo sempre sul ridere anche se in fondo lei mi sta letteralmente ordinando di fare qualcosa. La sveglia suonò alle sei in punto con l'alba che iniziava a colorare il cielo grigio mattutino. Io dopo quelle due uscite in cucina nel cuore della notte avevo dormito come un ghiro e mi sentivo veramente in forma. Lei non si svegliò (come al solito), così scesi in cucina e preparai la colazione. Salii nuovamente in camera con un bel vassoio pieno di squisitezze da leccarsi i baffi. L'appoggiai sul comodino di fianco a lei e con un gesto dolce le scostai i capelli dal viso e l'accarezzai: ‹‹Amore, sveglia faremo tardi ho una sorpresa per te se non apri gli occhi non la vedrai ma sopratutto non vedrai me, su!›› dissi sottovoce. Lei aprì lentamente gli occhi si girò e mi vide seduto accanto a lei sul letto, ma prima di tutto notò quasi immediatamente la colazione che le avevo preparata. Scattò con un balzo dal letto quasi scaraventandomi a terra. Si era trasformata in una creatura famelica. Mangiò in due secondi contati il croissant con la marmellata di mela verde fatta da me che a lei piaceva tantissimo. In altri cinque secondi finì di bere il cappuccino e così in altri tre secondi finì anche il caffè, che andava messo nel cappuccino ma non volevo soppesare più di tanto la cosa. Erano le sei e quindici minuti quando lei mi si parò davanti nuda dicendomi: ‹‹Oggi faremo la doccia insieme! E senza discutere!››. E chi discuteva aggiunse che era per risparmiare tempo, ma lo aveva detto in un modo così falso che nessuno ci potrebbe credere. Il suo scopo era un altro e lascio voi immaginare quale. Non avevamo mai fatto la doccia insieme e tanto meno avevamo fatto sesso nella doccia. Alla fine ci mettemmo più di quanto due persone separatamente ci mettono normalmente. Si fecero le sei e quarantacinque quando uscimmo dalla doccia. Facemmo una corsa contro il tempo per riuscir a partire alle sette precise da casa. Io ero pronto dopo sette minuti mentre lei si ridusse agli ultimissimi secondi. Ci buttammo in macchina e sgommammo via da casa verso l'aeroporto. Come nei piani l'aereo partiva alle sette e trenta minuti, noi arrivammo alle sette e venticinque minuti. Giusto un momento per un abbraccio ed un bacio che ci ritrovammo tutti e due a correre da parti opposte fino a che non raggiungemmo i rispettivi Gate dell'aeroporto. Quei gate che ci separeranno per un tempo che potrebbe in realtà definirsi breve, ma mentalmente quasi infinito. Ed è per questo periodo che vi racconterò non solo la mia di esperienza, ma anche quelle di lei che mi raccontò appena ritornati da questo viaggio verso l'inesplorato. Anticipo che questa mia idea la definivo una cosa avvincente, ma vi assicuro che affermare una frase di questo genere ti scombussola tutto l'intero viaggio. Lo stesso vale per Martha che pur essendo da un'amica si trovò in situazioni molto difficili. Mi rende certamente più forte viaggiare e mi rende meno cieco nei confronti del mondo. Cerco di abbracciare a più non posso la cultura che mi appartiene da più di quindici anni. Non posso dire che appartengo ad un movimento e non far nulla per conoscerlo o appoggiarlo. Non posso credere in qualcosa se non la seguo. Mi ricordo le uniche parole che dissi a Martha prima di partire mentre eravamo in prossimità dell'aeroporto: ‹‹Separarsi è un sì dolce dolore, che dirò buona notte finché non arriverà quella mattina››. E lei mi rispose:‹‹Non sognarmi, ma sogna le stelle che danzano, perché sotto quelle son nata››. Riusciva a battermi continuamente, non c'era citazione che non sapesse. Ma diciamo che parlare così ci donava una soddisfazione impossibile da descrivere! Ed è su quelle che lei basava la sua vita. Ma l'amo ed è questa la citazione migliore del mondo!

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Capitolo 9
*** John Alaska ***


Ero in aereo. Era uno di quei voli low-cost e non era certamente quella comodità che tutti cercano in un viaggio, o anche solo nei film in cui si vedono quelle persone comodamente sedute in poltrone di pelle e che sognano come se fossero nel letto di casa. Era praticamente il contrario! La distanza tra il mio sedile e quello a me di fronte era poco più ampia di una spanna e ci entravo veramente a stenti. Di fianco a me c'erano tre persone, tra cui una non poco robusta, che ci costringeva a star più stretti di quanto non fossimo già. Mancava l'aria e il caldo di Giugno non aiutava di certo! Chiesi se era possibile andare in bagno per respirare almeno un po’ d'aria, senza il sudore ed il fiato di quel uomo a fianco. Ma non appena fui fuori da quel tugurio di puzza sentii già premere il cuore nell'emozione di partire per un posto decisamente nuovo e pieno di sorprese. Mi sciacquai la faccia e ritornai a sedere. L'uomo si era spostato al mio posto, così aveva fatto la donna che gli era seduta accanto. Mi sentii risollevato avendo un po’ di spazio per me e poi incontrai Kyra Sauer. Era la donna che era seduta alla mia sinistra. Era sui venti anni o giù di lì, pelle color latte con delle guance sfumate di rosso, occhi verdi chiaro quasi azzurri molto penetranti e dallo sguardo accattivante. Le labbra era carnose e di un rosa accentuato dal lucidalabbra. Aveva i capelli biondissimi legati a coda di cavallo. Una particolarità che mi saltò subito all'occhio era quel neo spostato a destra sotto il naso. Indossava un vestito di un tessuto sottile e quasi trasparente, cosparso di fiori bianchi e azzurri sopra uno sfondo verde chiaro. Ai fianchi stringeva una cintura di pelle arancione. Era uno di quei vestiti che mettevano in risalto il seno perché lo sollevavano rendendolo più vistoso. Anche se la sua taglia non era esagerata, la scelta di quel vestito non poteva essere assolutamente quella. ‹‹Ciao!›› mi sorprese lei. Accento puramente tedesco. Aveva il viso che guardava in basso e gli occhi alzati come volessero entrare dentro di me e scoprire i lati più segreti. ‹‹Salve...›› dissi con tono dolce e profondo anche un po’ intimorito. ‹‹Il mio nome è Kyra Sauer il suo qual è?›› ‹‹John Cooper piacere! Lei non mi sembra di qui, di dove è precisamente?›› dissi con un po’ più di convinzione. ‹‹Già, io sono nata in Olanda precisamente a Utrecht da una famiglia prettamente Olandese, ma mi trovo qui, in questo aereo diretta in Alaska solo perché giro negli angoli più remoti del pianeta da quando avevo 14 anni, perché mia madre continuava a sostenere che girare il mondo ci espia da ogni tipo di chiusura mentale, cosa che lei non tollera affatto. Quindi mi sono abituata ad andare in giro vivendo un anno in ogni paese che visito. Ma tu non mi sembri il tipo che viaggia o che ama avventure giusto?››. Tentennai un po’ a rispondere perché credevo di far la figura della stupido in confronto a quello che lei mi aveva raccontato. ‹‹In effetti, l'emozione c'è di partire ma ho molta, anzi moltissima paura che accada qualcosa di storto. Non viaggio molto, anzi direi quasi per nulla e la cosa mi dispiace molto, ma forse dopo questa esperienza cambierò idea. Sai ho deciso di fare questo viaggio perché avevo bisogno di meditare su cosa fare con la mia fidanzata. Avevamo deciso di non sposarci, ma poi lei ci ha ripensato e quindi ho deciso di accogliere la sua proposta, ma ho bisogno di tempo per riflettere su cosa fare così ho pensato di separarci per avere questo breve tutto per me. Sono andato alla ceca sulla destinazione e la sorte mi ha portato all'Alaska, ma non so quanto mi sia convenuto...›› Lei mi guardò con occhi più dolci dopo aver sentito la mia storia e diciamo volle sapere tutto di me e di lei, certo sempre senza sembrare ficcanasa. Così passammo la maggior parte delle ore a parlare di me e un po’ anche di lei. La madre lavora come banchiera mentre il padre era un noto pittore olandese, ma più famoso in Australia, dove vende la maggior parte dei suoi quadri. Anche lei è fidanzata, quasi sposata, come me. La loro storia è un po’ travagliata, piena di eventi che hanno più volte diviso le loro strade portandoli a scopi diversi, ma che magicamente si rintracciano in quell'attimo in cui tutto sembra combaciare perfettamente. Lei dice che è il destino a dividerli e non sono loro che lo vogliono effettivamente. Difatti c'è un motivo per cui le loro strade ritornano unite sempre. Poi mi ha parlato delle sue passioni. Ama l'atletica leggera e la pratica. Inoltre è innamorata di Joe Cocker, un cantante che dal 1960 spazia dal rock e pop al blues e al blue-eyed soul. Mi ha attratto subito la sua personalità così tenace e piena di vitalità, più di quanto non dimostri il suo corpo esile ed aggraziato. Sapevo di aver incontrato una persona da cui poter trarre una bellissima amicizia, inseparabile, ma non vorrei parlare troppo presto. Passarono ore e ore tra una parola e l'altra bloccati da un silenzio ogni tanto. Fino a quando non ci addormentammo l'uno accanto all'altro. Nel mondo dei sogni il tempo passò veloce e così in un baleno, svegliato dalla turbolenza dell'atterraggio, vidi Anchorage avvicinarsi sempre di più. In quei momenti il silenzio governava. Si sentivano solo i rumori assordanti del aereo che si apprestava ad atterrare. Toccò terra. Sobbalzai. Un lungo applauso si sollevò pian piano. La nuova avventura aveva inizio.

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Capitolo 10
*** “Il pensiero è meraviglioso, ma ancor più meravigliosa è l’avventura.” ***


Tanta trepida attesa nell’aeroporto. I turisti che andavano e venivano, separati da un vetro sottile. In questi momenti di attesa interminabili inizi a vedere anche l’impossibile. Il sonno prende il sopravvento e i sogni occupano il posto nella mente. Ma fortunatamente sono stato accorto a non addormentarmi altrimenti il mio bagaglio era già in mano a qualche altra persona. L’attesa più grande avviene come sempre al nastro. Lì, guardandoti intorno vedi giapponesi, armati di fotocamere e videocamere fino alle ossa, che con il loro spirito anno la capacita di sorridere in tutte le situazioni. Messicani che pur essendoci -4°C all’esterno entrano nell’aeroporto con il loro sombrero, pantaloncini corti beige e la camicetta rosa a fiori bianchi. Tutto una risata! Ma ecco arrivare finalmente il mio bagaglio rosso fuoco che fra tutti spiccava, e subito dietro c’era quello verde fluorescente di Kyra, che mi era rimasta sempre accanto fin dal primo momento che l’aereo aveva toccato terra. Acchiappammo tutto in fretta e furia e cominciammo ad avviarci verso l’uscita baciati dalla fortuna per non essere stati fermati alla dogana. All’esterno c’era già un taxi che mi aspettava. Guardai Kyra e le chiesi se aveva chiamato il taxi e appena parlai si mise le mani fra i capelli. Non sapeva come arrivare a casa e quindi la convinsi a venire con me almeno per qualche minuto così quando eravamo arrivati chiamava un taxi da casa mia. Posammo le valige nel bagagliaio ed entrammo: ‹‹600 E Benson Blvd! Hotel Ebassy Suite.›› ‹‹In un baleno!›› E passammo altri 10 minuti in auto parlando di quanto i miei occhi si sforzavano di credere a quel che vedevano, e al lavoro che Kyra voleva chiedere per guadagnare e mantenersi almeno un anno lì. Mi disse che voleva all’inizio fare la barista per prendere un po’ di soldi poi inseguito avrebbe deciso di sfruttare la sua laura in lettere e filosofia facendo l’insegnate part-time. Mi sarebbe piaciuto anche a me sfruttare la mia seconda laurea in Psicologia, ma nessun pensiero fino ad oggi mi aveva mai sfiorato. Arrivati all’entrata dell’ hotel, pagai il taxi, presi i bagagli ed entrai. Subito mi travolse l’odore di lavanda che travolgeva tutta la sala enorme. Mi guardai intorno e vidi davanti a me una grande fontana a forma di cuore con delle code di delfino in bronzo che sembravano muoversi, due ascensori sotto un grande porticato. Sia a destra che a sinistra vedevo fiori e pesci appesi in ogni angolo della sala. Dei lampadari a forma di piramide rivolta verso il basso. Il tutto ricoperto dal legno e dal color nocciola. La reception era affianco alla piscina: ‹‹Stanza 12!›› Dissi con trepidazione. ‹‹Ecco a lei signore, salga le scale a destra degli ascensori, le stanze sono in ordine progressivo. Non può sbagliarsi!›› Bhé sicuramente non mi conosceva per dire che non mi potevo sbagliare. Il senso dell’orientamento purtroppo non è mai nato in me e quindi anche per le più semplici indicazioni mi potevo perdere! Ma pur di non fare brutte figure cercai in qualche modo di non destare alcun sospetto con Kyra dietro di me. Quindi in qualche modo arrivammo alla stanza. Infilai la chiave ma non riuscivo ad aprire la porta. Sembrava bloccata, e così ritornai alla reception per farmi cambiare chiave, ma mi rispose che quella era la chiave giusta e per questo motivo mi cambiarono stanza affidandomi la stanza n°13. Andai di nuovo di sopra e aprii finalmente la stanza. Mi scusai con Kyra che doveva sopportare questa attesa logorante, ma lei mi fece cenno, anche se molto costretto, di non preoccuparmi. Entrammo e notai che la stanza era una stanza matrimoniale! ‹‹Certo che questo hotel in fatto di organizzazione fa un po’ ricredere!›› Replicai. ‹‹Bhé avranno capito che siamo in stanza insieme e ti avranno dato questa stanza!›› e si mise a ridere. ‹‹Comunque sia questa stanza e fantastica!›› disse nuovamente lei. In effetti era veramente spettacolare. Era gigantesca con tutti i confort possibili e immaginabili. Televisore a schermo piatto 46”all’interno di un salotto molto simile ad una baia di montagna perché compreso di caminetto! Poi nella stanza accanto c’è il letto con il bagno super ipergigantesco! Cavolo ora capisco tutti quei soldi a cosa servivano! Dopo essere stati immobili per ammirare la suite io avevo disfatto le valige e lei aveva chiamato un taxi ma senza successo. Le dissi d rimanere qui fino a domani visto che era tardi. Ci volle un po’ a convincerla ma alla fine ce la feci e dormimmo quindi insieme, certo senza aver cenato! Quindi decisi di andare a mangiare fuori perché non mi piaceva il cibo dell’Hotel. Andammo al Kincaid Grill perché era l’unico che conoscevo perché aveva riscosso molto successo a Liverpool dopo aver aperto vari ristoranti anche lì. Lei non c’era mai stata ma devo dire che si è divertita e a fine pasto mi disse di aver mangiato benissimo! Che soddisfazione quando sai di essere stato utile ad una persona! Subito dopo aver pagato facemmo un giro per le vie di Anchorage ammirando le vaste montagne coperte di neve anche a Giugno! Da non credere! Poi la gente che pur non conoscendoci ci saluta come se fossimo di casa, ci fa sentire al massimo della felicità e mi fece passare quella paura di stare a contatto con quella nuova cultura. Lei invece era indifferente come se conoscesse già questa sensazione e l’avesse già superata da tempo. I lampioni illuminavano con la loro fioca luce arancio i marciapiedi gelati. Avevo rischiato di cadere, mentre Kyra cadde proprio come una pera cotta atterra! Non mi trattenni e risi, lei all’inizio mi guardò di sottecchi arricciando il naso poi si mise a ridere anche lei. L’aiutai ad alzarsi e continuammo così la passeggiata fino all’hotel! Devo dire di essermi seriamente divertito in quegli istanti perché mi faceva sentire come se non mi fossi allontanato mai da casa! Potere dell’amicizia? Chi lo sa! Quel che è certo è che faceva freddissimo e stavo morendo!

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Capitolo 11
*** “La paura è la cosa di cui ho più paura.” ***


Erano circa le 2:40 di mattina quando un brivido freddo percorse tutto il mio braccio sinistro. Scattai giù dal letto con un insolita nausea, con lo stomaco completamente sotto sopra. Kyra era di fianco a me che dormiva profondamente ma sembrava non emettere alcun suono. Ad un tratto strisciando lungo le pareti della stanza nel buio pesto che mi circondava qualcosa si mosse. Proveniva dal fondo nell’altra sala dove stava il caminetto. Avevo tanta paura perché mi ricordava tanto casa mia prima di essere ristrutturata; stessi rumori stessi colori tetri senza un minimo calore. Alla fine mi feci forza e andai nel salottino e accesi il camino per riscaldarmi un po’. Mi sedetti sulla poltrona e come al solito assaporai il silenzio tombale che attorniava tutta la suite. Cominciavo a fantasticare grazie anche al sonno che prendeva il sopravvento. Un immagine sembrava formarsi davanti a me. Una figura anzi un ombra vagamente umana quasi femminile stava apparendo dal nulla nella stanza. Il respiro si fece affannoso e il battito accelerato. Stringevo i braccioli della poltrona e cercavo di scappare spingendo con i piedi a terra, ma qualcosa mi teneva attaccato al suolo, alla poltrona. Mi sentivo mancare sempre di più quando la figura iniziava a diventare più nitida e luminosa. Urlai ma nessuno mi sentiva. La stanza diventava sempre più bianca fino a perdere totalmente le pareti. Ero ancorato alla mia poltrona in mezzo ad una pianura bianca. L’ombra ormai era diventata nitida. L’energia che emanava quel corpo mi sollevò dalla poltrona facendomi fluttuare in quel posto che all’improvviso diventò pieno di serenità e gioia. Ridevo e volteggiavo spensierato come un uccello. Lei mi guardava compiaciuta, sorridente, quando alla fine riatterrai. Camminai verso di lei scrutandola a fondo. Dissi: ‹‹Sei magica come l’aurora che dipinge i celi dell’artico. Come mai ti mostri a me in questo posto? Mi sento come un corpo senz’anima davanti a te, un corpo che non vale nulla sotto le miliardi di stelle che cingono il nostro cielo.›› Sembrava un sogno o forse lo era davvero, ma la cosa di cui avevo più bisogno per non so quale motivo, era una risposta da lei. Ma mi disse solamente: ‹‹Siamo una sola realtà, la realtà va inventata.›› Tutto in quel momento si fece sbiadito e in un angolo tutto venne risucchiato in un vortice. Tutta la mia felicità svanì in un secondo. Ritornai sulla poltrona con solo dilemmi e preoccupazioni. “Chi era quell’entità? Aveva a che fare con la mia vita?” e inoltre continuai a ripetermi e a scrivere quella frase apparentemente senza senso. Il sogno che mi condizionò una vita intera. Lo scopo di questa vacanza ora mai non aveva più a che vedere con quello che feci in seguito. Vidi la mia musica cambiare, come le mie idee. Tutto si fece più scuro e tetro dentro di me. Tutto quello che immaginavo erano parole confuse legate alle stelle, alle forme, all’ignoto! Potevo solo volare con la fantasia e correre in campi sterminati alla ricerca della felicità, ma non appena la realtà mi revocava anche questi attimi, la mia psiche moriva senza un cenno, una parola, un respiro.

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Capitolo 12
*** “La paura è la cosa di cui ho più paura.” ***


Erano circa le 2:40 di mattina quando un brivido freddo percorse tutto il mio braccio sinistro. Scattai giù dal letto con un insolita nausea, con lo stomaco completamente sotto sopra. Kyra era di fianco a me che dormiva profondamente ma sembrava non emettere alcun suono. Ad un tratto strisciando lungo le pareti della stanza nel buio pesto che mi circondava qualcosa si mosse. Proveniva dal fondo nell’altra sala dove stava il caminetto. Avevo tanta paura perché mi ricordava tanto casa mia prima di essere ristrutturata; stessi rumori stessi colori tetri senza un minimo calore. Alla fine mi feci forza e andai nel salottino e accesi il camino per riscaldarmi un po’. Mi sedetti sulla poltrona e come al solito assaporai il silenzio tombale che attorniava tutta la suite. Cominciavo a fantasticare grazie anche al sonno che prendeva il sopravvento. Un immagine sembrava formarsi davanti a me. Una figura anzi un ombra vagamente umana quasi femminile stava apparendo dal nulla nella stanza. Il respiro si fece affannoso e il battito accelerato. Stringevo i braccioli della poltrona e cercavo di scappare spingendo con i piedi a terra, ma qualcosa mi teneva attaccato al suolo, alla poltrona. Mi sentivo mancare sempre di più quando la figura iniziava a diventare più nitida e luminosa. Urlai ma nessuno mi sentiva. La stanza diventava sempre più bianca fino a perdere totalmente le pareti. Ero ancorato alla mia poltrona in mezzo ad una pianura bianca. L’ombra ormai era diventata nitida. L’energia che emanava quel corpo mi sollevò dalla poltrona facendomi fluttuare in quel posto che all’improvviso diventò pieno di serenità e gioia. Ridevo e volteggiavo spensierato come un uccello. Lei mi guardava compiaciuta, sorridente, quando alla fine riatterrai. Camminai verso di lei scrutandola a fondo. Dissi: ‹‹Sei magica come l’aurora che dipinge i celi dell’artico. Come mai ti mostri a me in questo posto? Mi sento come un corpo senz’anima davanti a te, un corpo che non vale nulla sotto le miliardi di stelle che cingono il nostro cielo.›› Sembrava un sogno o forse lo era davvero, ma la cosa di cui avevo più bisogno per non so quale motivo, era una risposta da lei. Ma mi disse solamente: ‹‹Siamo una sola realtà, la realtà va inventata.›› Tutto in quel momento si fece sbiadito e in un angolo tutto venne risucchiato in un vortice. Tutta la mia felicità svanì in un secondo. Ritornai sulla poltrona con solo dilemmi e preoccupazioni. “Chi era quell’entità? Aveva a che fare con la mia vita?” e inoltre continuai a ripetermi e a scrivere quella frase apparentemente senza senso. Il sogno che mi condizionò una vita intera. Lo scopo di questa vacanza ora mai non aveva più a che vedere con quello che feci in seguito. Vidi la mia musica cambiare, come le mie idee. Tutto si fece più scuro e tetro dentro di me. Tutto quello che immaginavo erano parole confuse legate alle stelle, alle forme, all’ignoto! Potevo solo volare con la fantasia e correre in campi sterminati alla ricerca della felicità, ma non appena la realtà mi revocava anche questi attimi, la mia psiche moriva senza un cenno, una parola, un respiro.

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Capitolo 13
*** “La cosa più difficile nella vita? Essere sé stessi. E avere carattere a sufficienza per restarlo.” ***


Kyra mi trovò steso sulla poltrona che dormivo a bocca aperta. ‹‹Senti. Hai deciso di startene su quella poltrona per tutto il giorno senza salutarmi!›› disse scuotendomi come tappeto. ‹‹Eh? Ah! Mi alzo subito scusa…›› gemetti. Aprii l’unico occhio che aveva intenzione di aprirsi e fui attaccato dalla luce del sole. Per proteggermi misi una mano davanti alla faccia ma nulla spense quella furia e quindi fui costretto ad alzarmi. Come un condannato a morte cercavo di vestirmi, mentre Kyra era in salotto che fumava per la quarta volta consecutiva! Continuavo a pensare a ieri sera e allo strano sogno che avevo fatto, ma non appena finii di vestirmi chiusi quel capitolo con un secco “Kyra ti accompagno!” Così chiamai un taxi e andammo fino a casa sua o perlomeno in affitto. Era una di quelle case costruite da stranieri con un intelaiatura a traliccio. Kyra mi disse che l’aveva scelta per la somiglianza alle case del suo paese natale; loro le chiamavano Fachwerkhaus. Mi invitò ad entrare e io accettai. L’interno di quella casa era a dir poco stupendo in ogni sua singola parte, dal salotto alla cucina fino ad arrivare al piano superiore tramite una scalinata in legno ampissima! Mi domandavo cosa gli servisse una casa così grande per lei che a quanto vedo non è poi così intenta a fare nuovi incontri! ‹‹Decisa a fare nuovi incontri no, ma tu non conti come nuovo incontro?›› ‹‹Ma io non conto! Sono quasi sposato, sto per avere un figlio. Io intendevo un altro tipo di incontri!›› dissi con tono provocatorio. ‹‹Oh Dio no! Non ci penso minimamente! Sono fidanzata! Si lo so che ti avevo detto che non ci frequentavamo molto, ma ti avevo detto che era questo a renderci uniti. Sono capace di capire quando una persona è fedele e soprattutto matura!›› ‹‹Ok non volevo scatenare niente! Stavo scherzando! Comunque sinceramente cosa te ne fai di una casa così grande?›› Ribadii. Lei si ammutolì per un attimo, poi si girò di spalle e con un gesto in avanti con il palmo della mano una musica dolce, direi decisamente Stevie Wonder, si sollevò dal fondo della sala. Poi si rigirò verso di me, si spostò verso destra e le luci gradualmente si affievolivano dando un atmosfera davvero rilassante togliendo il fatto dell’odore di incenso alla vaniglia che inebriava la casa. Mi stese sul divano di cotone scozzese e mi si sedette accanto accavallando le gambe strette in un paio di ripped jeans blu cielo. Mi guardò fisso negli occhi poi con un ghigno mi abbracciò e iniziò a piangere. Mi spaventai molto, non mi era mai capitato così di punto in bianco una cosa del genere. La consolai accarezzandole i capelli. Poi si staccò dalla mia spalla e a quel punto mi iniziò a parlare di quello che la faceva sentire così… Con tutta sorpresa incominciò dal principio cosa che all’inizio mi fece “sbadigliare”, ma non appena andò al punto della questione mi fece tremare il cuore. Kyra una ventiduenne di Ochsenfurt, Germania, all’età di 14 anni vide la vita cambiare in un secondo. La madre Adriëlle scappò di casa all’ età di 39 anni e non diede più un segno di vita, lasciando il marito Adrew da solo con 2 figli Klaara e Kyra. Il padre non fu capace di dare nessun tipo di insegnamento ai figli che da soli in preda alla confusione si diedero alla completa vita da strada. Senza che una anima gentile li conducesse sulla via giusta. Dopo un anno il padre perse la testa così andò a raccogliere quello che era rimasto delle due figlie, oramai perdute nell’alcool e nella droga, le schiaffeggiò finché Klaara non cadde a terra svenuta, solo così la furia di quel pazzo si placò e si placò per sempre poiché a causa di un ictus morì due giorni dopo. Sua sorella rimase senza udito per i ripetuti schiaffi del padre, mentre Kyra rimase in piedi per miracolo raccolta con una scopa, come poltiglia da buttare,dai vicini di casa che erano stati talmente presi dalla storia di quella famiglia che un giorno ebbero deciso di chiamare i servizi sociali ma senza successo perché il padre mascherò tutto, facendo sembrare che stesse andando tutto bene. La portarono all’ospedale per farla visitare. Grazie al cielo non le toccò subire nulla di grave. Ai suoi 18 anni dopo enormi battaglie legali sull’affidamento ecc. Kyra decise di andare ad abitare dai suoi vicini di casa, Adriaan e Audrey che per non far rivivere nulla alla ragazza cambiarono casa e si trasferirono in Olanda ad Utrecht, dove lì visse per tutta la vita. Provò ad ottenere un diploma di scuole superiori con dei corsi serali ma non ce la fece. Furono vari tentativi ma non vani perché questo le permise di conoscere nuove persone, in particolare le permise di incontrare lui, il “francesino” Antoin Leroix che con i suoi modi esageratamente perfetti la faceva letteralmente imbestialire. Ogni sera si incontravano ai corsi e l’odio fra i due era tale da non poter mai essere cancellato. Almeno così pensavano. Le urla di lei che perforavano i timpani di lui, le parolacce di lui che facevano sbuffare lei come un toro. Ogni pezzo del puzzle era al posto giusto e le carte del destino sembravano chiare. Un giorno qualunque in cui i venti soffiavano a destra e a sinistra, gli alberi si inchinavano sulla strada, le foglie scricchiolavano sotto le scarpe della gente, Kyra guardava dalla finestra di camera sua. Adriaan bussò alla porta ed entrò. La fece vestire e preparare in fretta perché dovevano uscire a trovare dei vecchi amici. Lei scontenta dal tempo atmosferico la notizia di uscire non poteva che rattristarla ancor di più. Presero la macchina e si avviarono lungo la strada sparlando un po’ di quello e un po’ di quell’altro. Dieci minuti dopo girarono bruscamente a destra e parcheggiarono davanti ad un garage. Kyra scese dalla macchina trascinando i piedi fino alla porta. Suonò il campanello. La porta si aprì di scatto e così nello stesso modo lei sobbalzò. Non era proprio quello che voleva in quella precisa giornata, anzi incontrare Antoin in quel giorno con quel tempo era la più grande sfortuna che potesse mai accadere. La cosa curiosa che la fece arrabbiare ancor di più era il loro enorme imbarazzo di fronte ai reciproci genitori. La domanda sorgeva spontanea in entrambi: come comportarsi con una persona con la quale non si è a proprio agio? In qualunque caso le persone giudicano in ogni momento quindi la soluzione essere solamente se stessi. Una cosa che da quando si erano visti la prima volta non avevano mai fatto. Ma guarda caso quel pomeriggio si trasformò in due pomeriggi e così andò avanti per mesi e mesi fino a diventare inseparabili. Certo erano un uomo ed una donna, ma questo non voleva dire che si amavano. Semplicemente si volevano bene e stavano bene insieme. Ovviamente non potevano non mancare le chiacchiere paesane che si fecero veri e propri film, in cui si sarebbero fidanzati, che quindi un legame così non poteva esistere tra amici. Al contrario esisteva eccome ed era più vivo che mai. E loro continuarono ad essere amici fregandosene di tutto e di tutti. Un giorno però lui dovette partire e se ne andò. La sua unica guida era andata, persa, sfumata, cancellata. L’inferno più totale non poteva che attanagliarla tra le sue morse. Era doloroso e quasi eterno. Così per due mesi interi della sua vita. Non pochi ma al contrario un tempo infinito di secondi passati come fossero giorni. Tristezza. Era la vigilia di Natale, la neve cadeva dal cielo bianca e candida. Il ricordo di Antoin era ancora vivo ma andava pian piano svanendo. Kyra e i suoi erano davanti il camino aspettando la mezzanotte per aprire quei regali da troppo tempo attesi. Alle 11:56 pm il campanello suonò. Kyra corse ad aprire. ‹‹Buon Natale Kyra!››. Sull’uscio c’era Antoin che stava congelando con un mazzo di rose in mano e un pacco regalo. Lo tirò dentro per il colletto della maglia. Lo guardò e poi volò uno schiaffo. Lui la guardava in pena, ma poi lo abbracciò con l’affetto represso in due infiniti mesi di angoscia. Da quel giorno la loro amicizia diventò ancora più solida. E sembrava che sarebbe durata per sempre, ma questo stava a loro deciderlo. Ma posso dire che Kyra non ricevette altro che bastonate dal destino. Fino a questo giorno in cui si è decisa di parlarne con qualcuno e ad esprimere tutto il dolore che ha provato. Perché la vita è un labirinto dove, prima ancora di aver imparato a camminare, prendiamo la svolta sbagliata.

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Capitolo 14
*** Martha Saskatoon ***


Dopo svariati tentativi di persuadermi a non separarci, Martha riuscì ad entrare in quel Gate. L’ansia saliva questo è certo ma nulla le permise di ritornare indietro e seguirmi. Guardava fuori il finestrino dell’aereo chiedendo al cielo se potesse passare nelle sue lunghe distese azzurre. Le nuvole sembravano chiudersi e non mostrare quello che il mondo ormai deperito e corrotto aveva da insegnare. Quel finto silenzio tombale attorno a lei rifletteva come si sentiva male e terribilmente impaurita davanti al suo viaggio, sola senza alcun tipo di aiuto o sostegno. Effie si era da poco sposata e aveva avuto un bambino di nome Julian. Poco importa se non avrà tempo per lei ma almeno avrà un tetto certo. Ma Martha non ha mai concepito il fatto che le ambizioni di una ragazza si distruggano non appena la vita ti mette fra le mani un marito e un figlio. In quel preciso istante si inizia a dire che la vita sia perfetta e che non potrebbe andare meglio, invece non è così e ci si ritrova sempre a combattere con i soliti problemi finanziari ecc., ma infondo ora come ora non doveva pensare al peggio. Doveva divertirsi, svagarsi e liberare la mente dai pensieri opprimenti. Con la colonna sonora di American Graffiti nella testa tutto iniziava a sembrare più sereno e meno grigio. Lei non ebbe la stessa mia fortuna di incontrare una nuova persona con cui discutere e perdere un po’ di tempo, ma al contrario trovò una cagnolina (era della signora seduta dietro di lei). Doveva essere di razza Jack Russel identica a quello che affiancava Jim Carrey nel film “The Mask”. Un vero tesoro, subito uno sguardo di intesa tra loro che li fece innamorare. Era molto piccola, quasi appena nata doveva avere si e no 2 mesi. Piccolissima! E “cucciolosissima”! ‹‹Lo vuole? Gliela regalo! Purtroppo non riesco a mantenerla ne ho veramente troppi per casa!›› disse la signora. ‹‹Ma io non…›› non fece nemmeno in tempo a finire la frase che la signora le mise il cane sulle gambe e disse: ‹‹Tenga è suo non voglio sentire discussioni! Si fidi vi vedo bene come coppia starà benissimo!›› Martha tacque perché non sapeva davvero cosa dire. E lì in un momento tutti e due Janis (Il nome che le desse immediatamente, come la cantante Janis Joplin) e lei caddero in un sonno profondo circa dopo 15 minuti dalla partenza. Mentre loro dormivano l’Oceano Atlantico scorreva sotto di loro. Diretti in Canada precisamente a Saskatoon o spesso abbreviata “S’toon” in provincia di Saskatchewan. La città dei Ponti, la Hub City del Canada! E’ una delle città più belle della nazione attraversata dal fiume South Saskatchewan. Super - illuminata di notte, e nonostante la popolosità, rimane sempre circondata da una meravigliosa foresta di betulle cosparsa da gigli delle praterie e piena di animali di tutte le specie. Quando pensavo a lei in un certo senso la invidiavo perché fino a quel momento Anchorage non mi era piaciuta più di tanto… Con quel cielo quasi sempre coperto e il gelo che ti penetrava nelle ossa! Ma ritornando a Martha che era assorta nei pensieri più disparati, l’aereo era quasi arrivato a destinazione ora sorvolava le coste canadesi. St. John’s, Sept-Îles, Québec, poi Montreal, Ottawa fino ad arrivare finalmente ad Edmount dove l’aereo inizia ad inclinare di poco il muso per cercare di atterrare, poi il carrello si apre e con un piccolo balzo e un rumore stridulo le gomme toccarono terra e con un rumore ancora più assordante l’aereo si ferma… Din Don la spia per le cinture di sicurezza si spegne. Clik clak clik clak le cinture vengono staccate. Martha ancora anestetizzata viene svegliata da Janis che le lecca tutta la faccia. Di fretta anche la sua cintura si stacca e così corse verso l’uscita accompagnata da un hostess. Mette piede a terra. Una giornata molto calda quella che l’aveva aspettata ad Edmount. 29°C per dove si trovava erano davvero tanti! Ora quello che vivrà lo lascerò raccontare a lei così capirete meglio cosa può fare una donna di 27 anni come lei, in compagnia di una famiglia, in una sola settimana. Anche per lei dirò che l’avventura stava per avere inizio.

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Capitolo 15
*** “Se la verità fa male più di tanta ipocrisia, meglio perdonarsi che voltarsi e andare via.” ***


Ciao cari lettori! Pochi sanno che impersonare un personaggio testuale non è semplice, e impersonare se stessi è ancora peggio. Trovo molto difficoltoso raccontare la mia esperienza a S’toon, ma come John ho bisogno solo delle giuste parole. Ricomincio da dove ci ha lasciati, ovvero quando scesi da quell’aereo con estrema eccitazione mista a paura e mistero. La vita come si dice viene cosparsa di esperienze ma alcune di queste non si possono descrivere come tali ma solo come eventi, momenti o addirittura attimi che passano lenti in una sorta di moviola. Mi viene da pensare che tutto quello che ho vissuto sia stato solo un attimo che ho perso. Carpe diem poteva essere un buon insegnamento, ma con le mie convinzioni posso solo essere una donna senza regole, anche se dovrei averle per regalarmi un po’ di pace. Pace interiore. Non voglio assolutamente sapere cosa sarei se fossi una donna semplice come tutte le altre. In ogni caso trovai la strada di casa senza troppi intoppi. Davvero una bella casa per una famiglia di sole tre persone. Ovviamente quelle case in legno che si fanno notare in ogni parte del mondo, ma spudoratamente false e per di più inutili per quei luoghi a rischio di tornado. Ma in ogni caso riescono a gettarti fumo negli occhi con la loro superficie perfetta e senza crepe o escrescenze. Suono il campanello. Molto lentamente la porta si apre e mi trovo davanti un uomo. Un uomo allampanato con la pelle chiarissima. Occhi di un azzurro intenso, capelli quasi bianchi e un viso squadrato progettato da un geometra. Aveva una maglia di lana verde pistacchio, pantaloni beige di cotone e dei mocassini marrone scuro. ‹‹B-Buongiorno! S-Scusi cercavo Effie Mason abita qui per caso?›› Dico come una specie di analfabeta. ‹‹Ciao! Si abita qui, entra! Tu devi essere Martha giusto?›› Risponde con una voce tonante ma con un sottofondo stridulo. ‹‹Si sono io! Grazie…›› ed entro. Un odore di pino nell’atrio mi brucia le narici, e poi come se non bastasse una vera e propria collezione di piante carnivore! Se stavo iniziando a cambiare idea appena entrata, cosa penserò dopo aver incontrato Effie e la sua famiglia? Indaffarata a cucinare la cena con il suo grembiule bianco che più bianco non si può, riesce comunque a farsi sentire e in poco tempo si lava le mani e arriva da me. Rimaniamo in silenzio entrambe con il sorriso sulla faccia. In un attimo mi ritrovai di nuovo al lice, quando commettevo bravate insieme alla persona che ora sembra ormai sorpassata dai segni dell’età e dello stress. Ricordi troppo lucidi per dire che sono cambiata e diventata più matura. La maturità non è saper dire che quello che hai fatto in gioventù erano solo ragazzate infantili. La maturità non si acquista con la famiglia. Famiglia non è sintomo di maturità! Ma al contrario essere maturi è il saper controllare la mente e i sensi ripercorrendo i passi, le tappe della tua vita catturando ogni pezzo di felicità e saperlo riportare in vita. Ricordati: noi non invecchiamo; maturiamo, perciò saper unire tre periodi della nostra vita fanciullezza, gioventù, maturità ci da quella voglia di credere che serve per vivere in armonia con se stessi. Non aver paura della vita. Credi invece che la essa sia davvero degna d'essere vissuta, e il tuo crederci aiuterà a rendere ciò una verità. Ma Effie in tutto questo non si rispecchiava per nulla. E questo mi feriva molto. Nel seggiolone sul tavolo da pranzo c’era un grazioso bambino di un anno che dimenava quelle manine e quelle gambine guardandomi dritta negli occhi. Eccola! La mia luce di speranza per questo clima di depressione e vecchiaia! Un bambino bellissimo di nome Julian. Vi racconterò più tardi le nostre fantastiche avventure, ma prima presentiamo l’uomo “della porta”: Peter Jones è un restauratore trentacinquenne (ma ne dimostra almeno dieci in più). Un uomo non particolarmente appariscente, sia di aspetto che di spirito. Un animo quieto, direi che a volte sia un tipo abbastanza barboso. Aveva conosciuto Effie in quarta liceo perché Peter era l’insegnate (il più giovane della scuola ritiratosi dopo soli 4 anni di insegnamento) di filosofia, una materia che le piaceva particolarmente. E sei mesi fa si sposarono. Non vedevo Effie da almeno 5 anni e devo dire che non la riconosco quasi più. Una ragazza di 25 anni così stressata e stanca che anche lei come lui ne dimostra almeno dieci in più! Parlando degli eventi passati lei scuoteva la testa come per dire: “Ero davvero stupida”. Ad un tratto le ho chiesto che lavoro facesse e lei mi ha risposto che faceva l’insegnate di sostegno per ragazzi con handicap. Devo dire bellissima professione, ma dove era finita la psicologa di un tempo? Cercai di sorridere e nascondere questa domanda sotto falso volto. Poi lei incominciò a chiedermi di me e gli dissi che stavo per sposarmi e che ero incinta. Il mio lavoro era quello di vivere, poi il sogno di percorrere il sentiero della natura si stava pian piano concretizzando al contrario della sua ipocrisia. Essere una naturopata e conoscere inoltre le altre mille medicine complementari o naturali, mi faceva sentire una persona più “pulita”e“ordinata”. Non appena dissi questo mi guardarono tutti e due come se stessi solo perdendo tempo e che stessi cercando qualcosa che non mi porterà a nulla di concreto nella mia vita. Ma si sbagliano perché io otterrò qualcosa che loro non avranno mai e poi mai: La felicità. Eccoci a tavola tutti e quattro. Tutti stavano in silenzio tranne quel pacioccone di Julian che ci dava dentro con gli schiamazzi! Peter riuscì a sbloccare quel momento così imbarazzante: ‹‹Buon appetito!››. E tutti in coro rispondemmo: ‹‹Buon appetito!›› La cena era squisita! Nulla di eclatante ma quel giusto da rispettare i miei soliti ritmi digestivi! La tavola era uno spreco totale di soldi: la tovaglia bianca con pizzi e merletti che ne ricamavano il bordo e il centro, dei bicchieri di cristallo con una base in oro, e infine posate in argento con ghirigori vari in tutto il manico, quasi fossimo dei principi dentro un castello reale. Odiavo tutto quel dispendio di denaro inutile! Mi sentivo a disagio insieme a quei due soggetti così conformisti e soprattutto grigi. Grigi nel senso che hanno smesso del tutto di vivere e hanno deciso di mettersi un paraocchi e chiudersi nella loro mentalità. Non appena finimmo la cena Effie andò a cambiare il pannolino a Julian che piangeva disperatamente da più di cinque minuti. Io rimasi in cucina con Peter. Lo aiutai a sparecchiare la tavola e a pulire i piatti senza nemmeno una parola, uno sguardo. Quell’uomo mi dava una certa soggezione che non riuscivo proprio a spiegarmi. Da dove proveniva? Forse dal fatto che era il mio professore e che ora si ritrova ad essere il marito della mia, forse ancora per poco, migliore amica? Forse ma non ne sono del tutto convinta. In ogni caso mi limitai al silenzio descrivendo un’aura negativa direi quasi pessimistica attorno al mio viso, finendo con deprimere il mio corpo. Alle 23:30 Effie mi portò a vedere la mia stanza al piano di sopra. Sulla porta c’era già la targhetta con il mio nome inciso sopra. ‹‹Sapevo che a te non piacciono le stanze arredate così te ne ho data una con il minimo indispensabile, e con le pareti bianche così da poterci disegnare quello che vuoi!›› disse Effie appena entrata nella camera. Effettivamente quella stanza aveva un letto, un armadio tutto bianco ed una scrivania sempre bianca. In questo caso Effie era stata gentilissima a ripensare a quello che le avevo raccontato al liceo. In qualche modo la psicologa di un tempo esiste ancora infondo a quel piccolo cranio. ‹‹Grazie Effie! Non so davvero cosa dire, solo che è perfetta e che se posso entro due giorni la sistemerò a dovere!›› Dissi con voce roca ma tuonante. ‹‹Sappi che sei sempre stata la benvenuta in questa casa come se fossi stata mia sorella!›› rispose in modo affettuoso Effie. Nel letto tra le calde e morbide coperte ripensavo a John e al viaggio in solitudine che aveva intrapreso. Nonché fossi gelosa ma mi ero già stancata di restare lontana da lui. Mi sentivo sola in continuazione e la notte era stata un incubo. Non vedevo l’ora di poterlo riabbracciare e baciare nuovamente quelle sue labbra così calde e morbide. Mi stringevo alle coperte avvolgendomele tutte intorno per sentirmi sempre più vicino a lui. Poi chiusi gli occhi e la mia mente incominciò un nuovo viaggio, una nuova avventura alla scoperta del Canada.

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Capitolo 16
*** “Il colore è un mezzo che consente di esercitare un influsso diretto sull'anima. Il colore è il tasto, l'occhio il martelletto, l'anima è il pianoforte dalle molte corde.” ***


Bi-bip bi-bip bi-bip bi-bip La sveglia suona e alle otto del mattino e mi sveglio per andare a fare colazione. Mi vesto alla velocità della luce mettendomi un maglione di lana bianco e dei jeans neri stretti. Corro giù per le scale come farebbe un bambino il giorno di Natale e trovo la tavola tutta preparata, con la colazione più grande che abbia mai visto. Succhi di ogni genere, croissant al cioccolato, alla crema, al miele, pane tostato, bacon, uova strapazzate e un altro milione di cose da mangiare. Effie si era appena seduta per dare da mangiare al piccolo. ‹‹Buongiorno e ben svegliata! Spero che la colazione ti piaccia, so che non è il massimo ma questo è quello che ho potuto preparare!›› Disse con voce rauca. ‹‹Ma stai scherzando? Qui c’è cibo a sufficienza per sfamare l’intero esercito dell’ONU! Sei stata fin troppo gentile a preparare tutto questo. A che ora ti saresti alzata?›› ‹‹Oh non mi parlare di dormire perché July mi ha svegliata alle quattro della mattina con le coliche al pancino.›› Quel bambino lo sto facendo diventare sempre più importante nella mia vita ogni secondo che passa. Mi fissa in continuazione e lo stesso faccio io. Insomma ci intendiamo! ‹‹Senti Effie, ti dispiace se dopo fatta la colazione porto Julian a fare una passeggiata con me?›› ‹‹No affatto, portalo dove vuoi quando vuoi!›› Effie si era dimostrata un sacco affettuosa nelle ultime 10 ore, ma mi sorse una domanda: dove si era cacciato Peter? ‹‹Peter è andato al suo nuovo garage per restaurare un mobile del 1700 originale che gli potrebbe fruttare un mucchio di soldi!›› Ma chi gli aveva chiesto i particolari! ‹‹Potresti fare un salto anche da lui quando esci. Il suo indirizzo è 1313 Grosvenor Avenue!›› Precisò Effie! Finii la colazione in meno di 10 minuti, mi alzai e corsi di sopra in camera per provare a dipingere qualcosa su quei muri bianchi. Rimediai dal garage due colori: giallo e azzurro. Sinceramente non avevo molte cose da dipingere, ma il solo fatto di avere uno spazio solo per me dove potermi sbizzarrire mi dava un’energia fuori dal comune. Presi i due colori e li buttai a caso sul muro come mi sentivo in quel momento. Un bel risultato con delle belle tonalità di verde, e quel giallo e quell’azzurro all’esterno che facevano da cornice. In quel momento mi tornò in mente quando svariati anni fa mio fratello Daniel entrò nella mia camera con due bei secchi pieni di vernice colorata, era arrabbiatissimo per la figuraccia fatta davanti ai suoi compagni a causa della mamma che entrò in aula e lo portò fuori tirandolo per le orecchie. Furioso com’era prese i due secchi e li gettò tutti sul mio letto, la vernice schizzò da tutte le parti, la mia camera ora mai aveva preso l’aspetto di un circo con tutti quei colori. La cosa non mi infastidì anzi mi rese alquanto felice e poco dopo iniziai a ridere. In quel momento pensavo a tutti quei colori che mi circondavano. I colori sono il mondo, sono i volti, gli animali, le persone, le piante, la natura, il mare, i monti. I colori sono la vita, la morte, la crescita, le fasi della vita. I colori sono le stagioni, i frutti della terra, il cibo, i giorni e le ore. I colori sono l'amore, la gioia, la tristezza, l'odio, tutti i sentimenti che si possono provare. I colori sono musica, note leggere che vibrano nello spazio infinito delle nostre anime. I colori sono tutto e dappertutto, sono in ognuno di noi e sono ognuno di noi. Sono quelle cose che ti rendono felici. Guarda il sole con quel suo colore giallo! Mette subito allegria. I colori sono proprio il profumo della vita. Per me sono la felicità e danno un pizzico di gioia a tutto.

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Capitolo 17
*** “Quando i saggi hanno raggiunto il limite estremo della loro saggezza, conviene ascoltare i bambini.” ***


Fuori era freddissimo! Dalla punta dei piedi alla punta delle dita, un gelido vento perforava le ossa! Ero insieme a July. Lui si che stava bene, tra le sue coperte nella sua carrozzina. Cercavo un posto bello ad esempio un parco, così da sedermi e pensare a che fare. Come prima cosa passai davanti al garage di Peter. Uscì pieno di segatura dappertutto e pensava seriamente di baciare suo figlio in quelle condizioni? Lo avevo fermato appena in tempo: ‹‹Fermo ma cosa fai! È pulito, così lo sporcheresti!›› ‹‹Hai ragione scusa! Ma come faccio a resistere ad un faccino come questo…›› rispose lui esuberante! ‹‹A proposito, sai un posto fantastico dove poter andare?›› ‹‹Si! Ci vado sempre con Julian. Si trova a Gary Beeton, ma forse è meglio che vi accompagni io, è un po’ lontano da qui.›› ‹‹Grazie mille! Staremo un po’ lì poi troverò un modo per tornare a casa!››. Mentre percorrevamo la strada che portava al parco osservavo gli alberi sul lato destro della strada intravedevo un calore umano provenire da quelle piante, come se potessero parlare. Che gioia mi trasmettevano! Ad un tratto mi ritrovai sulla strada tra questi due alberi magnifici, pieni di verde e fiori bianchi. Mi sentii toccare la spalla, era un o di loro che mi fece un cenno come se volesse invitarmi a ballare. Gli afferrai un ramo e cominciammo a danzare sotto le note del vento che frusciava tra le foglie degli alberi, sotto il cielo luminoso, con nuvole bianche che fluttuavano leggere tra il sole e la luna. Questo stava a significare solo una cosa, che stavo per fare un viaggio senza meta allo scopo di capre me stessa, ma nel frattempo decisi di godermi questa giornata al parco con il piccolo July. Sbalordii non appena Peter disse di essere arrivato e che il parco era lì davanti a noi. Quello non poteva definirsi un parco! Era una foresta! Salutai Peter e ci addentrammo nel parco. Subito l’odore dei pini ricoperti dalla neve si fece persistente. La neve sotto i miei piedi scricchiolava come il fuoco nel giorno di Natale. Andammo avanti guardandoci intorno, percorrendo quel viale alberato che suscitava un non so che di malinconico, colpiti poi dalla presenza assente dei turisti che visitavano questo posto. Sembravano tutti assorti nei loro pensieri e non riuscivano a cogliere quello spirito che continuava a soffocarmi in questa foresta! Non riuscivo più a reggermi in piedi e così mi sedetti su di una panchina. Il mio sguardo si era bloccato a guardare un fiore, un fiore che per giunta non doveva nemmeno esistere in quella stagione. Una dalia, con i suoi petali ampi e lievemente involuti di uno splendido color bronzo-arancio, insieme al suo aspetto solare e radioso e le corolle che sprizzano gioia da ogni singolo “petalo”. Ma cosa ci faceva lì in quel luogo assolutamente monocromatico? Non riuscivo a collegarlo a nulla che non fosse la mia infanzia, ma più precisamente, mio padre. L’angoscia e la paura mi travolsero nuovamente con un brivido gelido che fermo il tempo. July iniziò a piangere, e in quel momento una nota rimbalzo nella mia mente, questa volteggiava e continuava a formare nuove melodie. Pian piano gli occhi iniziarono a spalancarsi, iniziai a tremare e un sentivo picchiettare la mia testa ancora e ancora, ma July continuava a piangere e non sapevo cosa fare! Infine presi la carrozzina e corsi via da quel posto lasciando quella dalia schiacciata sul terreno. Arrivati fuori cercai la via più veloce per tornare a casa da Effie. Il mio cervello non era più lucido, non sapevo dove andare, credendo di girare intorno. Ma continuai imperterrita e poi le immagini si fecero sfuocate e le gambe persero la loro forza e svenni. Lì sul marciapiede, rannicchiata su me stessa come un cagnolino senza casa.

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Capitolo 18
*** “La neve sull'acqua: il silenzio sul silenzio.” ***


Il cielo è cupo, simile a una grande cappa grigia e pesante. Minaccia neve, molta di più di quella che è caduta stanotte. Le dolci colline che fanno corona alla casetta di legno sono imbiancate, simili a grandi fette di pandoro dimenticate da un bambino goloso di zucchero o ad una grande corona per la regina delle nevi. Lo stagno è coperto da una spessa lastra di ghiaccio, ai cui bordi si addensano montagnole di neve. Fa freddo. Il terreno è coperto di bianco e gli alberi spogli, i cui rami scheletrici si tendono al cielo freddo in un silenzioso grido, sono incoronati da fiocchi di neve e merletti di ghiaccio. Solo qualche pietra spunta dal sentiero coperto da un manto bianco, individuabile solo dal basso muretto che lo costeggia, bucando la neve e contrastando con il bianco innaturale di tutto. La casina sembra irreale in tutto quel bianco brillante, il tetto coperto da un alto scalino di neve, il camino che emette un debole filo di fumo, la luce di una finestra accesa. Ai lati del tetto spiovente pendono lunghi ghiaccioli trasparenti. Lontano, a sud, il cielo sembra farsi ancora più nero e minaccioso. Si prepara una bufera. Ero spenta su di un letto, intorno a me solo del legno che tratteneva il calore del camino che mi scoppiettava davanti. Una candela mi era a fianco sembrava darmi speranza, ma per il momento ne dubitai. Un lieve fischio si levò dalle fessure di una finestra mal ridotta, poi girai lentamente il capo e vidi arrivare verso di me una donna in vestaglia, una vestaglia di quelle vintage che si portavano diciamo dieci anni fa; mi toccò la fronte e vide che ritrassi di lato il viso. Lei si alzò e se ne andò per pochi minuti poi ritorno con imbraccio qualcosa. Me lo messe sul ventre e poi lo apri come un fagottino. Vidi un piedino, poi una manina e infine quel capo piccolino che qualche volta usciva fuori da quelle coperte, infine lo alzò con delicatezza e lo mise nuovamente fra le sue braccia. Scattai in avanti, alla mente iniziarono a baluginare i primi ricordi di quel che era successo. Poi mi ricordai di July e iniziai ad andare in panico. Quella donna mi prese la mano e disse: ‹‹Shh… Perché preoccuparsi tanto? Tutto ha una soluzione tutto si risolve e tutto a suo tempo››. Con quelle parole mi accasciai di nuovo sul letto e i miei occhi si fecero pesanti, la mia mente si oscurò e tutto, per un lasso brevissimo di tempo, sembrò non esistere più. Proprio quel nanosecondo mi fece capire quanto significhi avere in grembo un figlio, e quanto sia complesso poi crescerlo. Ma ciò che mi preoccupava di più era il fatto di sposarmi con John. Avevo intrapreso questo viaggio per ragionarci su, anche se non avevo mai acconsentito pienamente a tutto questo. Io voglio lui e cosa serve restare ancora qui, non so dove, a fissare il vuoto, quando potrei essere addirittura in Alaska con l’uomo che amo? Prima dovrei chiamare Effie e Peter per sapere come sta July poi scusarmi terribilmente. Mi alzai dal letto con lentezza scoprendo di essere stata svestita, poi cercai i miei vestiti ma ne trovai altri sopra la sedia di una scrivania in legno fatta a mano. Li indossai e mi precipitai a cercare la donna che era vicino a me un nanosecondo fa. La casa era abbastanza grande, quasi una baita di montagna, poi vidi fuori la finestra della stanza che intorno non c’era assolutamente nulla, né una casa, né un negozio, insomma niente di niente tranne che un viottolo di pietra coperto dalla neve. Allarmata urlai: ‹‹DOVE SONO! NON VOGLIO RESTARE QUI!!›› Una voce da lontano rispose:‹‹Resta qui dove tutto è possibile e dove i sogni prendono forma!›› Dei passi infondo alla scala giungono alle mie orecchie e poi una donna molto giovane si appropinqua verso di me con una camminata un po’ goffa, con la sua grossa corporatura , ma soprattutto vestita in una maniera decisamente assurda! Stavo per scoppiare a ridere, ma per rispetto trattenni tutto. Un grembiule a fiori rosa e gialli, sotto aveva una maglia a maniche corte color viola. Dei pantaloni larghi a zampa di elefante, con delle chiazze di colore verde e giallo. E come se non bastasse una capigliatura estremamente bizzarra color rosso rame. Arrivava con un sorriso a trentasei denti che splendeva più della neve che c’era fuori. Un po’ di inquietudine si impossessò di me per un momento, ma appena vidi che in mano aveva un vassoio con tè e biscotti al cioccolato la mia mente viaggiò altrove, dove i sogni si perdevano in una distesa infinita di dolci. Willy Wonka in confronto faceva pasticcini per le anziane signore del quartiere! Questo non per sminuire la mia femminilità, ma dopo ore senza toccare cibo, vedere del cioccolato è assolutamente un miraggio. L’odore si fece sempre più penetrante e quel profumo di pasta frolla appena sfornata acquietò l’allarmato animo. ‹‹Signorina gradisce del tè e dei biscotti?›› disse la giovane donna con voce acuta e una evidente erre alla francese. Gli occhi le si spalancarono, e le sopracciglia si muovevano su e giù, e quel sorriso visto da vicino più che rassicurante sembrava da psicopatica. ‹‹S…S…Si g...grazie!›› Risposi balbettando. Allungai la mano tremante e afferrai un biscotto. Lo avvicinai alla bocca lentamente e poi lo addentai. Mhm… Morbido, dolce, soave! Presi un sorso di tè poi mi girai verso la camera dove mi ero svegliata e con le spalle rivolte verso la donna dissi: ‹‹Non è pura coincidenza questa vero?›› Lei tacque, si sentiva solamente il tremare del vassoio che la donna aveva in mano. ‹‹Insomma, voglio dire che non posso finire nella casa di qualche sconosciuto senza che qualcuno o qualcosa abbia deciso per me. Ero svenuta e poi non ho visto più nulla…›› Continuò a non rispondere, al che mi girai di scatto pensando di vederla ancora lì nel corridoio con il suo vassoio, ma il silenzio si fece assordante in un secondo. Si era dileguata. Tutto ad un tratto si accelerò. Corsi nel corridoio, guardai a destra e a sinistra poi scesi le scale, non feci in tempo nemmeno a gettare un occhiata al nuovo ambiente che le mie gambe mi spinsero via verso sinistra dove una porta antica quasi cadente, mi si aprì davanti per incanto, e girata di spalle trovai sempre quella donna. Poi tutto di colpo si fermò. Era stato strano, come essere catapultati avanti nel tempo. ‹‹Che bello! Il suono dell’arpa è un qualcosa di eccezionale!›› Il suono della sua voce era contornata da un eco quasi fantasioso, che rendeva la sua voce melodiosa come quella di una sirena. ‹‹Cosa? Io non sento nulla, quale arpa?›› Risposi inarcando le sopracciglia e aprendo le orecchie a qualunque suono mi si presentasse. ‹‹Come? Non la senti? Sta anche cantando.›› ‹‹Ma chi?!›› Questa situazione cominciava alquanto a infastidirmi. ‹‹Come chi? Lei, non la vedi? Anastasia!›› Poi con un gesto ondulatorio della mano, apparve davanti a lei una finestra che dava sul giardino. I vetri erano satinati perciò riuscii a scorgere solo i lineamenti di questa donna che suonava l’arpa. Ma del suono ancora nulla. Uscii dalla porta che si trovava davanti a me e girato quel chiavistello, arrugginito e rumoroso, stropicciai gli occhi e sconcertata assistetti a qualcosa di inimmaginabile. La donna con cui parlai trenta secondi prima, con una veste bianca e a piedi scalzi suonava l’arpa su di un prato verde e sotto un cielo bianco come la neve. Si bloccò, si alzò dalla sedia quasi minacciosa, e si diresse verso di me. Indietreggiai impaurita e poi lei si bloccò non appena i nostri visi si scontrarono. Nei suoi occhi vidi brillare una luce che con insistenza venne risvegliata dall’interno. In un attimo i suoi occhi divennero chiari fino ad illuminarmi il viso. Dai lembi della sua pelle si sollevarono luminosi cerchi gialli. Poi la sua pelle sbiadiva lasciando un aurea portentosa che faceva vibrare le corde della mia anima, come un risveglio primitivo venuto da lontano. Mi toccò la fronte e l’arpa che prima suonava senza suoni si infilò nella mia testa, ed ogni sua nota rigenerava quella che era la vera essenza della mia vita, anzi della vita di un essere umano. Iniziai a piangere dall’emozione. ‹‹Lacrime da voi son versate, ma all’amore cantate. La vostra anima è pura e come per il Padre, è per voi sol una cura. Trovate gioia nel dolore giovando delle storie a voi dedicate, camminando su campi di infinito colore.›› Piansi ancor più forte finché non iniziai ad urlare e con un solo e unico suono esplosi. Restai senza forma come fossi invisibile, ma leggera nell’aria mi libravo e insieme ad Anastasia, se quello era il suo vero nome, cantammo sotto le note di quei versi antichi assopiti all’interno di me e risvegliati come estorti dalla mia memoria che ora mai aveva cancellato. Pensavo a cosa volesse dire incontrare Dio se questo era il momento opportuno. Non avevo mai creduto a nulla su di lui o sulle storie che raccontavano. A me sembravano solo mucchi di sciocchezze. Ma ora a cosa dovrei pensare? ‹‹Pensa all’energia che ti è stata donata. E prova a pensare a quelle storie di cui tanto narrano. A tutte quelle prediche che si fanno ogni Domenica mattina. Tu ora puoi farlo, puoi capirlo. Gli altri non saranno nemmeno in grado di sfiorare quello che ti è stato regalato oggi signorina.›› E dentro la rivoluzione si impossessò di me. Tornai a quand’ero bambina e alle favole che mi leggevano sul Grande Condottiero. Ma poi ritornai ancora più indietro fino ad arrivare a quella vita precedente in cui mi accingevo a combattere, con un cavaliere sulla mia sella, i nemici del Salvatore. ‹‹In realtà pochi sono i prescelti e tu sei una di queste. Martha, o dovrei chiamarti Aurelia.›› ‹‹Aurelia? Ma cosa vuol dire questo.›› ‹‹Ogni anima ha un nome, ricevuto da Nostro signore nei tempi in cui l’energia era qualcosa di quotidiano e non di eccezionale. Da ora in poi tutto avrà un senso, ma non ti compiacere, perché dentro ogni storia anche se a lieto fine un’antagonista è alle porte, quindi fai buon uso di ciò che ti è stato dato e avrai la possibilità di raccontare questo solamente a chi ha ricevuto il messaggio.›› Lei con un gelido vento abbandonò il luogo dove tutto si era consumato. Io mi sentii più pensante e scesi pian piano a terra ritrovando nuovamente il mio corpo. Poi ancora un vento gelido mi fece chiudere gli occhi. Sentivo freddo e qualcosa scuoteva la mia spalla. Da lontano un gemito, più lontano ancora si udì il suono delle sirene. Poi con un orribile sobbalzo aprii gli occhi! E con enorme amarezza pensai, bentornato freddo Canadese…

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Capitolo 19
*** “Il silenzio è per le orecchie ciò che la notte è per gli occhi.” ***


Graffiai la superficie dell’asfalto ghiacciato, mi tirai su con le poche energie che mi erano rimaste. La carrozzina ancora lì. Una signora di mezza età continuava a fissarmi farfugliando alcune parole a me incomprensibili. ‹‹Tule Vien sinut kotiini! Siellä sinun on hieno vauvan kanssa!››. Le orecchie mi fischiavano e la pelle era completamente secca come i rami invernali di un salice. La signora continuava a strattonarmi via insieme alla carrozzina. Cercavo di opporre resistenza ma sembrava avere una forza sovrannaturale! Provavo a instaurare una comunicazione di qualsiasi genere, ma non riuscivo a farmi capire. Alla fine ci fece entrare in una vecchia 500. July era nelle mie braccia e la carrozzina era sistemata accuratamente sui sedili posteriori. Dopo un paio di curve quasi in derapata, riuscimmo a trovare una strada meno sterrata e premendo forte sull’acceleratore la signora ci condusse nel suo “nido”. Infine capitammo davanti ad un negozio apparentemente abbandonato. Lei bruscamente si fermò e scese dalla macchina continuando a farfugliare parole, forse con l’intento di farci rimanere nella macchina. Entrò chiudendo dopo di se la porta. Dal vetro del negozio intravedevo il negoziante. Un uomo molto barbuto sulla cinquantina. La signora iniziò una conversazione alquanto animata per essere di fronte ad una persona sconosciuta. Poi l’uomo le desse una scatola e lei con animo inviperito uscì dal negozio. Sistemò con cura nel bagagliaio la scatola, aprì lo sportello e prima di riuscire a chiuderlo partì in sgommata come una corsa da rally. Resto ancora stupito da quello strano viso che aveva quella donna. Molto luminoso ma notevolmente segnato dall’età. Le rughe sulla fronte le davano un’aria sempre rude, gli occhi scavati e profondi color acquamarina, un naso piccolo e sottile rivolto all’insù come quello degli elfi, aveva una bocca grande e un sorriso dolce sebbene assediato da una ragnatela di rughe e rughette, e infine un mento tondeggiante che addolciva quel tenero ma anziano viso. Portava i capelli lunghi. Un tempo dovevano essere biondi come spighe di grano al vento ma quel giorno sembravano stoppa per idraulico. La particolarità di quella donna però risiedeva nella voce. Aveva un tono roco e minaccioso sebbene le movenze del suo corpo fossero aggraziate. E fu proprio quella contraddizione che mi mandò fino in fondo a questa vicenda che stava capitando a me e a July. Con enorme fatica riuscimmo ad arrivare a quella si presumesse fosse la casa della signora. Una specie di buco-hobbit in cui ci si poteva aspettare di tutto. La struttura tondeggiante di quella casa, come fosse nata dal sottosuolo, sembrava far muovere le pareti e le finestre. Una porta color rosso fuoco ci diede il benvenuto in una casa a dir poco stupenda e geniale. Non so se rende l’idea se vi dissi che quella casa conteneva la magia di tutte le favole di questi ed altri tempi! Credo che quel giorno fosse stato il più strano mai vissuto. Mi limitai a emettere un piccolo suono dalla mia bocca che forse nessuno sentì. July si stropicciava gli occhi e arricciava il naso, mentre la signore con un gesto accogliente ci fece entrare. L’ambiente odorava di un legno stagionato misto a qualche cenno di umidità, forse dovuto alla terra che copriva la casa, le forme tondeggianti che all’esterno facevano muovere le pareti, all’interno creavano un vero e proprio senso di disorientamento. La casa era composta da un corridoio che si allargava e si restringeva a intervalli regolari facendo ci cambiare stanza senza alcuna percezione dei vari ambienti. Non riuscivo a distinguere quale fosse il salotto e quale fosse la stanza da letto. Il bagno era all’esterno con un’altra struttura simile, assieme allo sgabuzzino o “Armadio delle scope” come lo definiva la signora. Un brivido mi scosse il lobo dell’orecchio e incomincia a sentire quello che era una canzone a me troppo familiare! Non so da dove provenisse ma di certo quello era un vinile. Precisamente ascoltato con uno Zenith U.S.A. di fine anni ’50! Mi venne in mente tanto ascoltando il suono di quelle casse. Fu indimenticabile quel giorno in cui mio nonno mi portò negli Stati Uniti per farmi ascoltare un concerto dei Pink Floyd, senza sapere che quello sarebbe stato uno dei loro ultimi concerti. Ma a proposito di mio nonno dovete sapere che fu uno dei più grandi esperti in musicologia dell’era moderna, fu lui a insegnarmi la storia e la discografia di ogni singolo gruppo e talvolta (molto raramente), spolverava quel suo giradischi (proprio lo stesso della signora) e ascoltava un brano di qualsiasi artista. Un brano, niente di più, e ancora oggi mi chiedo il motivo per cui facesse così. * You are young and life is long and there is time to kill today * Così quella canzone ci rammentava quanto bisognava vivere la vita! Entrati nella prima stanza, se possiamo definirla così, e ci fece accomodare. Mi sentivo alquanto spiazzata nel vedere alcuna sedia dove sedersi e al contempo i continui gesti di lei che ci intimavano di sederci. ‹‹Ma che il cielo mi fulmini! Che diavolo aspettate a sedervi!›› disse lei bruscamente, con un tono sarcastico, seguito poi da una piccola risatina. Tralasciando il fatto che lei mi ebbe nascosto per tutto il tempo che conosceva la mia lingua, July fece un salto, quasi mi cascava dalle braccia, poi presi coscienza di me e decisi di sedermi per terra sopra a dei cuscini tutti colorati. Lei continuava a fissarmi quasi compiaciuta, poi incrociò le gambe e si mise a sedere di fronte a me. * toc-toc bussarono alla porta. Lei immediatamente si alzò e corse ad aprire. Sentii la porta cigolare e poi qualche risatina di sottofondo. Le voci si facevano vicine e vidi affacciarsi un viso piccolo e aggraziato, subito dopo vedo la signora di cui continuo a ignorarne il nome e una ragazza poco più grande di me che alla mia vista si fermò di colpo a guardarmi e restò tremendamente pietrificata, fino a che non si girò verso la signora per chiedere, almeno credo, spiegazioni. Si avvicinò a me e mi fece un inchino e disse: ‹‹Gwen e Viki al suo servizio.›› ‹‹Piacere, Martha...›› e come una straniera le tesi la mano, ma lei sembrava non capire e così la rimisi a posto sotto July. Viki venne subito vicino a lui per accarezzarlo. Facevano così tanta tenerezza loro due che quasi mi commossi… Come aspetto, Viki, è un bambino robusto e paffutello, alto circa un metro e venti, con piccoli polpacci, rotule piccole e delicate, quasi invisibili, e spalle che promettono un futuro fusto; il suo viso è ovale, rosa tenue, senza irregolarità, il mento regolare, la bocca, che la maggior parte delle volte regala un bel sorriso, lascia intravedere due minuscoli dentini candidi; i suoi occhi, grandi e sempre spalancati, hanno l’espressione di chi è sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo da studiare e da toccare; la fronte è ampia e intelligente; i capelli, sottilissimi, di colore castano scuro, quasi nero, sono alti sulle tempie, come quelli di sua madre; il suo naso, per ora molto piccolo, è diritto e regolare. La sua figura esprime vivacità, simpatia e voglia di coinvolgere chi gli sta attorno nelle sue risatine. Gli piace essere al centro dell’attenzione, soprattutto quella di sua mamma: forse pensa che sia sua proprietà esclusiva. I suoi modi denotano fiducia in chi lo circonda e volentieri si fa trastullare da chiunque ne abbia voglia. Già si può indovinare un carattere deciso. Chi lo vede oggi penserebbe che la foggia nel vestire sia quella di un bambino creativo e forse più grande dell’età che ha: stivaletti di camoscio, pantaloni larghi come quelli di Aladino color verde smeraldo decorata con corone di fiori dorate, maglietta e felpa intonate ai pantaloni. Naturalmente i colori, decisi, non hanno niente a che fare con quelli normalmente indossati dai bambini di soli sei anni. Le mani, cicciottelle e sempre in movimento, sono all’instancabile ricerca di qualcosa da afferrare per, alla minima distrazione di sua madre, mettersela in tasca. In ogni caso non smetteva di giocare con July, si divertiva un mondo a rubare il suo piccolo nasino. E allo stesso tempo July si divertiva un mondo, ma ero più che sicura che quel momento di felicità sarebbe finito presto. Nemmeno il tempo di guardarli sorridere che la porta tuonò di colpo! L’anziana signora corse ad aprire allarmata e io in quegli istanti avevo un bruttissimo presentimento. Si sentì un vetro andare in frantumi e dei passi affrettati che stavano per arrivare nella nostra stanza. ‹‹Eccoti qui stupida incapace! Il battito del mio cuore si gelò per un istante… Vidi sparire dalle mie braccia July che iniziò subito a piangere, le cose iniziavano a rallentare e a prendere un colorito blu spento. Mi sentii mancare mentre sentivo ancora questa voce, che altro non era che quella di Effie, urlarmi contro. Non capivo bene cosa stesse dicendo, la voce si faceva sempre più flebile e qualcosa di oscuro si impossessò di me! Un calore cresceva imminente dentro di me, avrei preso July e sarei scappata in quel preciso momento, se non per un tocco leggero sulla spalla di Gwen che, non appena mi girai a guardarla, fissava con insistenza Effie che continuava a sbraitare contro di me. Chiusi gli occhi e la sua mano sembrava trasferire i suoi pensieri. Capivo il mio errore per non aver avvertito quella, oramai vecchia, donna delle mie condizioni, ma soprattutto quelle del bambino. Continuava a baluginare l’idea di scappare ma si allontanava sempre più come una foglia secca trasportata dal vento in un giorno d’inverno. La porta sbatté nuovamente e io aprii gli occhi: Effie se ne era andata e con lei anche July. Gwen continuava a fissare quella porta appena chiusa e Viki era dietro le sue gambe con l’indice appoggiato sulle labbra. La padrona di casa era davanti la porta in ginocchio quasi volesse chiedere perdono per aver creato quella disputa, anche se effettivamente colpa sua non era. Ero in capace di parlare, ma Gwen si girò verso di me e mise le sue mani sulle mie spalle e disse con voce autorevole: ‹‹Davvero una scenata inutile per una ragazza della sua età! Ma si può essere così arroganti verso una persona? Non ci vedo gran che di cui andare fiero. Vedrai che la sua coscienza le rovinerà lentamente la vita se continua di questo passo.›› Sconcertata spalancai gli occhi e cercai di spiegarle che aveva ragione di arrabbiarsi. Infondo diciamocelo, l’avevo combinata davvero grossa! Ma lei subito replicò: ‹‹Come disse Octavian Paler: ‘Ho imparato che quando sono arrabbiato ho il diritto di essere arrabbiato, ma non ho il diritto di essere cattivo.’›› In fondo tutti i torti non li aveva. Comunque non replicai ma la coscienza rimase comunque afflitta da quel danno che ho procurato. Certamente non tornai più da Effie tranne che per raccogliere le mie cose. Di fatti quel giorno non appena ebbi suonato alla porta, sguardi tetri, cupi e pieni di odio, mi fissavano. Entrai sgattaiolai subito di sopra, preparai in fretta la mia valigia e uscii senza nemmeno un saluto. Gwen e la signora mi aspettavano fuori con la vecchia 500. Mi appoggiai affianco la valigia e sgommammo, come solito guidare della signora, verso la “casa-hobbit”. Non una parola uscì durante il viaggio, solo quando fummo arrivati in casa e trovammo Viki nel salotto intento a giocare con vecchie trottole di legno, ci scambiammo qualche parola per conoscerci meglio, iniziando ovviamente dalla padrona di casa.

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